Jidai - Il Tempo

di ElenaNJ
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Perché? ***
Capitolo 2: *** Un brindisi solitario ***
Capitolo 3: *** La musica tra le lapidi ***
Capitolo 4: *** Missione: catturare Harlock - parte I ***
Capitolo 5: *** Missione: catturare Harlock - parte II ***
Capitolo 6: *** L'ombra nella notte ***
Capitolo 7: *** Destinazione: Heavy Meldar ***
Capitolo 8: *** Libere uscite e libere entrate ***
Capitolo 9: *** I tre tesori di Mayu ***
Capitolo 10: *** Il Signor Ishikura e le donne ***
Capitolo 11: *** Heavy Red Barbour ***
Capitolo 12: *** Mantelli neri, risse e altri misteri ***
Capitolo 13: *** Scintille in punta di spada ***
Capitolo 14: *** Arriva la cavalleria! ***
Capitolo 15: *** Catturatori e catturati ***
Capitolo 16: *** Nèmesis ***
Capitolo 17: *** Il progetto Herakles - parte I ***
Capitolo 18: *** Il progetto Herakles - parte II ***
Capitolo 19: *** Le riflessioni di un imbecille, i consigli di un ubriacone e le strategie di un'ex pirata ***
Capitolo 20: *** La lunga giornata di una spia imbranata ***
Capitolo 21: *** Riflessi ***
Capitolo 22: *** Il Guerriero, la Verità e l'Eroe Silenzioso ***
Capitolo 23: *** Ifiklìs ***
Capitolo 24: *** Latte, caffé, miele e tabasco ***
Capitolo 25: *** Abbordaggio ***
Capitolo 26: *** La trappola di Lia ***
Capitolo 27: *** Pugnalate alle spalle, pugnalate al cuore ***
Capitolo 28: *** Irruzione ***
Capitolo 29: *** Il futuro che ci aspetta ***
Capitolo 30: *** Fuga ***
Capitolo 31: *** Kenzo Kurai ***
Capitolo 32: *** La mano tesa e la mano tremante ***
Capitolo 33: *** L'arte del doppio gioco ***
Capitolo 34: *** Oneiros ***
Capitolo 35: *** La sbronza del secolo... o no? ***
Capitolo 36: *** La mia stella per sempre ***
Capitolo 37: *** La rosa di carta fra le stelle - parte I ***
Capitolo 38: *** La rosa di carta fra le stelle - parte II ***
Capitolo 39: *** La rosa di carta fra le stelle - parte III ***
Capitolo 40: *** Per te, per me, io voglio vivere! ***
Capitolo 41: *** Ogni goccia della nostra vita ***
Capitolo 42: *** Qualcuno da cui tornare - parte I ***
Capitolo 43: *** Qualcuno da cui tornare - parte II ***
Capitolo 44: *** Qualcuno da cui tornare - parte III ***
Capitolo 45: *** Svegliarsi in un incubo ***
Capitolo 46: *** Cicatrici ***
Capitolo 47: *** Eroi e caduti ***
Capitolo 48: *** I pugni del mio miglior nemico - parte I ***
Capitolo 49: *** I pugni del mio miglior nemico - parte II ***
Capitolo 50: *** Tutto come ai vecchi tempi, niente come allora ***
Capitolo 51: *** La battaglia senza speranza - parte I ***
Capitolo 52: *** La battaglia senza speranza - parte II ***
Capitolo 53: *** Addio, amico mio! ***
Capitolo 54: *** Nel vuoto ***
Capitolo 55: *** Bianco - parte I ***
Capitolo 56: *** Bianco - parte II ***
Capitolo 57: *** Bianco - parte III ***
Capitolo 58: *** Il cuore delle donne e la banalità del male ***
Capitolo 59: *** I semi del futuro che abbiamo sparso ***



Capitolo 1
*** Perché? ***


cap 8 Separazioni e incontri si susseguono.
Oggi, i viaggiatori che sono caduti
Si rialzeranno e ricominceranno a camminare!
(Yumi Matzusawa – Jidai)

– Chi ti manda? Chi sei?
Tadashi Daiba indietreggiò.
Sotto i suoi piedi, i frammenti del lampadario emisero uno scricchiolio sinistro.
Una goccia di sudore freddo gli scese lungo la guancia. Si strinse al petto la mano sanguinante.
La sagoma scura, immobile nel vano della porta, non rispose.
La luce d'un lampo illuminò per un istante la stanza e lui sgranò gli occhi incredulo, sconvolto.
– No... non è possibile...
L'uomo fece un passo in avanti, uscì dal cono d'ombra e fu investito dal bagliore lattiginoso dei neon che filtrava dalla vetrata.
Una luce fredda brillava nel suo unico occhio, la stessa che accendeva di riflessi metallici la canna ancora fumante della Cosmo Dragoon stretta fra le sue dita.
Nonostante il dolore alla mano testimoniasse che era tutto vero, Tadashi si chiese se per caso non si fosse addormentato e se quello non fosse altro che un incubo dovuto alla stanchezza e alle preoccupazioni.
– Perché?
L'uomo rimase in silenzio. Il suo indice si posò sul grilletto.
Le strofe d'una canzone salirono alle labbra di Tadashi: era la stessa che colui che adesso lo fronteggiava aveva intonato un giorno di sette anni prima, nel bel mezzo d'una giungla selvaggia, con nemici che li circondavano da ogni parte e lui in preda a un terrore che aveva rischiato di farlo impazzire.
Poche strofe e il tepore della sua schiena.
Era bastato questo perché ogni paura svanisse dal suo cuore.
Era bastato questo per salvargli la vita.
Da quel giorno, Tadashi aveva sempre canticchiato quel motivo ogni volta che s'era trovato di fronte a un problema a prima vista insormontabile, ogni volta che la paura o lo sconforto avevano rischiato di sopraffarlo.
Il ricordo di quella voce e di quel calore erano sempre riusciti a rasserenarlo.
L'uomo non fece una piega. Mosse un altro passo in avanti e puntò l'arma al suo petto.
Tadashi sapeva di non avere vie di scampo: quella che fino a pochi istanti prima era stata la sua Cosmo Gun era ormai un mosaico di frammenti sparsi sul pavimento e conficcati nella sua mano, la Dragoon era rimasta nella giacca, fuori dalla sua portata... e il suo avversario era un tiratore infallibile.
Il dito dell'uomo premette il grilletto e un dolore acuto lo dilaniò, nel corpo e nell'anima.
Smise di cantare e crollò sul pavimento. Gli occhi gli si riempirono di lacrime.
– Perché, Capitano?



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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 2
*** Un brindisi solitario ***


cap 8 Come sua abitudine prima di sbarcare, Warius Zero si sistemò il cappello e il colletto della divisa.
La luce del sole lo colse di sorpresa, tanto che per un attimo ne rimase abbagliato.
Una pacca violentissima sulla schiena rischiò di farlo ruzzolare dalla passerella della Karyu e gli fece andare di traverso la saliva.
– È bello tornare a casa, vero, Capitano?
– Sì, Signor Kaibara... – Zero tossicchiò nel tentativo di guadagnar tempo e ricomporsi, ma qualcuno gli passò un braccio attorno al collo e lo sbilanciò di nuovo.
– Avanti, Capitano! Una volta sbarcati che bisogno c'è di continuare a essere così formali? .
– Non siamo ancora usciti dalla base, Signor Ishikura – Zero sollevò un sopracciglio – Anzi, a esser precisi non siamo ancora nemmeno usciti dalla nave.
– Suvvia, Zero, sciogliti un po'! Dopo sei anni di missione negli angoli più sperduti dell'universo ci meritiamo un po' di svago, no?
– Sono d'accordo con loro, Capitano.
Signori  Grenadier ed Eluder, vi ricordo che il regolamento e le gerarchie vanno rispettate sino al momento in cui...
– Basta così, Capitano Zero! Questo è un ammutinamento! – Marina gli baciò una guancia e gli abbassò il cappello sugli occhi tra le risate generali.
Zero decise di capitolare e rivolse un sorriso tra il divertito e l'imbarazzato ai suoi sottoposti. Passò un braccio attorno alle spalle di Marina e uno attorno al collo di Ishikura.
– Va bene, truppa: cedo alla violenza e offro un giro di Heavy Red Barbour e olio Hyper a tutti quanti!
– Così si parla, Capitano! Cosa stiamo aspettando? Andiamo a festeggiare il nostro ritorno sulla Terra! Se è ancora in piedi, c'è un posticino niente male poco lontano da qui! – Rai s'avviò con entusiasmo, seguito a ruota da Breaker, Nohara e il Dottor Machine.
Nei pochi anni in cui erano stati lontani la capitale era come rinata: nuovi edifici erano sorti al posto di quelli distrutti dalla guerra contro le Mazoniane e nell'aria si respirava l'atmosfera allegra e colma di speranza che sempre accompagnava i momenti di ricostruzione.
In un locale piccolo ma arredato con gusto e ben fornito, Zero si concesse per la prima volta dopo sei anni un brindisi con i suoi uomini... anzi, con i suoi amici.
– Alla Terra, alla vita che continua e a chi col suo coraggio ci ha consentito di ricominciare.
– Prosit!
– Prosit.
Abbassò lo sguardo sul bicchiere pieno davanti a lui e lo colpì appena con quello che aveva in mano, un brindisi solitario dal sapore agrodolce, carico di nostalgia.
– Prosit, Harlock. Ovunque tu sia.
Proprio mentre portava il bicchiere alle labbra, un ragazzino di forse quattordici o quindici anni oltrepassò il loro tavolo di corsa e andò a fermarsi davanti al bancone.
– È terribile! – ansimò – Il Primo Ministro Daiba è morto!
Un brusio stupito si sollevò dagli altri tavoli.
– Cosa?!
– Com'è successo?
– Gli hanno sparato nel suo studio... ieri sera... Lo hanno appena detto sul canale delle notizie della Federazione!
Alcune donne e anche un paio di uomini scoppiarono in lacrime. Tutti gli altri s'assieparono attorno al ragazzo con visi che non avrebbero potuto essere più afflitti se la disgrazia fosse accaduta al loro migliore amico.
Il giovane capo della Nuova Federazione Terrestre era molto amato da tutti ed era ammirato persino dai suoi avversari politici, che ne riconoscevano la lealtà, il coraggio e gli alti valori morali.
Anche se Zero e il suo equipaggio erano stati lontani per diversi anni, i racconti del suo instancabile impegno nella ricostruzione della civiltà terrestre come scienziato e statista avevano raggiunto la Karyu fin nei più sperduti angoli dell'universo.
Ad appena ventun anni, Tadashi Daiba era diventato un simbolo di speranza e un modello per tutti gli uomini volonterosi, per tutti coloro che volevano vivere liberi e lasciare la loro impronta nella storia: era l'orgoglio di ogni essere umano, di ogni terrestre.
– Ma chi è stato? Si sa qualcosa?
– Già, chi è quel bastardo che l'ha ammazzato?
Il viso del ragazzo era terreo.
– Vi sembrerà incredibile, ma pare che il colpevole sia Harlock, il suo amato ex Capitano!
– Harlock il pirata? Ma non era scomparso?
– E perché l'avrebbe fatto? Daiba era un suo amico, l'aveva riabilitato!
Un rumore di vetri rotti fece voltare il gruppo.
Il bicchiere era scivolato via dalla mano tremante di Zero.





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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 3
*** La musica tra le lapidi ***


Il nero non donava a Yuki Kei: la faceva sembrare ancor più esile e pallida di quanto già non fosse.
Aveva l'aria stanca di chi non dormiva da giorni: i suoi begli occhi azzurri erano erano gonfi e cerchiati di blu.
Zero la capiva fin troppo bene: dopo la morte di sua moglie e suo figlio, nemmeno lui era riuscito a prendere sonno per settimane.
Le poche volte che il senso di colpa gli aveva dato tregua quel tanto da consentirgli di chiudere gli occhi, era stato assalito da incubi orribili e s'era risvegliato in lacrime, tremante e sudato.
Ci erano voluti anni perché il dolore, il rimorso e il senso di vuoto lasciassero il posto a una calma, malinconica rassegnazione e lui si sentisse pronto a ricominciare a vivere.
Il comandante del picchetto d'onore s'avvicinò alla bara e la spogliò del drappo che la ricopriva, la bandiera azzurra e argento della Nuova Federazione. La ripiegò con pochi, rapidi gesti.
Zero scattò sull'attenti e Yuki avanzò fra le due ali di soldati, una rosa bianca fra le dita affusolate.
Il cuore di Zero ebbe un moto di pietà quando gli passò davanti.
Era stata lei a ritrovare il corpo ormai senza vita di Daiba, e poteva solo immaginare come si fosse sentita: della sua famiglia non era rimasto nulla dopo il bombardamento della capitale e forse, pensò con una punta di rimorso per il suo egoismo, per lui era stato meglio così... per un po' aveva potuto rifiutare la realtà, illudersi che da qualche parte sua moglie e suo figlio lo stessero aspettando.
Yuki Kei non aveva nemmeno quella misera scappatoia.
Il ricordo del suo compagno più caro ridotto a un freddo cadavere fra le sue braccia l'avrebbe forse perseguitata tutta la vita, e Zero capiva benissimo la sua richiesta di non allestire alcuna camera ardente e mantenere chiusa la bara per tutta la funzione.
Yuki si fermò accanto alla cassa, posò il fiore sul coperchio e lo sfiorò con una lieve carezza.
Un uomo piccolo, occhialuto e dai radi baffetti a spazzola prese la bandiera dalle mani del capo picchetto e gliela consegnò.
A Zero non sfuggì lo sguardo freddo che l'ex pirata spaziale, eroina e scienziata gli lanciò quando le strinse la mano.
Tra lei e l'ex Primo Ministro Chīsanahito* non correva buon sangue, e non c'era da stupirsi: anche se adesso cantava le loro lodi a ogni occasione, quell'uomo era stato colui che aveva classificato lei, Daiba e tutto l'equipaggio dell'Arcadia come individui di serie “Z”, indesiderabili, e che aveva tentato di esiliarli nello spazio anche dopo che da soli avevano salvato l'imbelle razza umana dall'invasione delle Mazoniane.
Yuki rivolse un cenno all'uomo che manovrava l'argano e la bara cominciò a scendere con esasperante lentezza nella fossa.
Zero imbracciò il fucile, lo rivolse al cielo e sparò tre salve in perfetta sincronia con gli altri quarantanove ufficiali del picchetto d'onore.
Il silenzio assoluto era rotto solo dai singhiozzi di chi piangeva.
Yuki Kei s'allontanò. Passò fra i soldati a testa alta, senza vacillare o guardarsi indietro, e la cerimonia finì.
Anche Zero decise d'andarsene. Odiava quelle che suo padre aveva sempre definito con disprezzo “chiacchiere da funerale”, un misto di pettegolezzi, giudizi sul dolore ostentato dai parenti del defunto o sui loro abiti e vuote frasi di circostanza.
In attesa che la folla defluisse, decise di recarsi sulla tomba della sua famiglia.
Non lo faceva spesso: sotto quella lapide c'era solo una cassa vuota e lui non aveva mai creduto che un mazzo di fiori su una pietra potesse cambiare qualcosa per chi aveva perduto per sempre.
Faticò a trovare il posto. Il cimitero della capitale era diventato molto più grande dall'ultima volta che ci era stato. Molte tombe erano nuove, le immagini che campeggiavano su di esse tanto di vecchi quanto di giovani o addirittura bambini.
La guerra... Quanto siamo stupidi, tutti quanti.
Si chinò a spazzar via dalla lapide le foglie secche e i sassolini bianchi che la ricoprivano. Una musica dolce e triste gli arrivò all'orecchio. Alzò il capo.
Il suonatore era a pochi passi da lui, appoggiato al tronco sottile di un cipresso.
Indossava un lungo spolverino nero sopra un completo attillato dello stesso colore e poteva avere al massimo quattordici anni. Era una ragazzina longilinea, con folti capelli scuri che le scendevano fin sulle spalle e il viso ancora tondo di una bambina.
Gli occhi marroni, invece, erano grandi e tristi, da adulta, e il loro sguardo lo turbò nel profondo. Gli ricordava qualcuno, ma al momento non avrebbe saputo dire chi.
La ragazzina smise di suonare e lasciò andare il suo strumento, un'ocarina di terracotta a dodici chiavi intagliata a mano che teneva legata al collo con un laccio di cuoio.
Si staccò dall'albero e gli si avvicinò.
– Lei è il Capitano Warius Zero?
– Ci conosciamo?
– Non di persona – la sconosciuta scosse il capo – Mi chiamo Mayu Oyama.
– Oyama?
Che sia...
– Molti anni fa, lei ha combattuto con i miei genitori: Tochiro ed Emeraldas.
La figlia di Tochiro ed Emeraldas!
Zero era stupefatto. Cosa ci fa qui? Perché mi cerca?
Un pensiero improvviso lo fece sudare freddo. Si guardò intorno e le afferrò la mano.
Ad appena una settimana dall'omicidio di Tadashi Daiba, gruppi di fanatici inferociti avevano fatto del male a diverse persone a loro avviso legate ad Harlock e sue complici.
Si trattava per lo più di gente comune, innocenti che dopo la guerra avevano manifestato in vari modi la loro ammirazione per l'improbabile eroe che li aveva salvati.
E quella era la figlia dei suoi migliori amici!
Scostò la falda del cappotto e con la mano libera slacciò l'elemento di blocco che assicurava la sua pistola d'ordinanza alla fondina.
– Potrebbe essere pericoloso, qui, per te. Dove abiti?
– Non corro rischi, mi creda, Capitano – Mayu si liberò dalla sua stretta con un sorriso – Anche se ho ritenuto fosse meglio non farmi vedere al funerale. In fondo, Harlock è pur sempre il mio tutore.
– Tutore?
Mayu annuì.
– Pensavo lo sapesse – il suo bel viso s'incupì – I miei genitori sono morti. Tredici anni fa.
Zero si sentì mancare il fiato.
Tochiro... e anche Emeraldas... morti!
Ripensò al piccolo, buffo ingegnere che gli aveva fornito un nuovo rivestimento per la Karyu e suggerito come sistemare il sistema di raffreddamento del cannone nonostante combattessero su fronti opposti e alla bellissima, impassibile donna pirata che una volta gli aveva salvato la vita: si sentì tristissimo.
– Non lo sapevo. Dopo la battaglia contro l'Hell Castle ho fatto in modo che le nostre strade non s'incrociassero più.
– È comprensibile. Alla fin fine, i miei genitori erano pirati spaziali e lei un soldato della Federazione. So che ha avuto persino dei guai per questo.
Come fa a saperlo?
Zero aggrottò la fronte.
– Cosa vuoi da me?
– Non qui – Mayu scosse il capo e accennò all'uscita posteriore del cimitero – Mi segua, per favore, Capitano.
Zero esitò. Poteva davvero fidarsi di quella ragazzina sconosciuta?
Per quel che ne sapeva, poteva essere chiunque, anche una disperata ingaggiata da qualcuno per attirarlo in un tranello: d'altronde anche il suo nome era legato a quello di Harlock, ben più di quello dei poveri disgraziati che ci erano andati di mezzo in quei giorni... senza contare che aveva ancora molti nemici a cui non sarebbe dispiaciuto andarlo a trovare sotto una lapide come quella ai suoi piedi.
Una folata di vento gelido li investì. Sotto lo spolverino di Mayu, Zero intravide un luccichio.
Alla ragazza non sfuggì. Con movimenti lenti e misurati, da persona che conosceva le reazioni di un pistolero ai gesti bruschi, tirò fuori l'arma dalla fondina e gliela mostrò: una Cosmo Dragoon.
– Mio padre creò solo altre quattro pistole come questa, oltre a quella che lo seguì nel suo ultimo viaggio: una la regalò al Professor Daiba e passò a suo figlio Tadashi; un'altra, mia nonna la donò a Tetsuro Hoshino; un'altra ancora appartiene ad Harlock, mentre questa... mia madre me la lasciò in eredità prima di scomparire per sempre. Non ho intenzione di usarla contro di lei, Capitano, mi creda.
I suoi grandi occhi lo fissarono, determinati e sinceri.
Zero si calcò sulla testa il berretto e s'incamminò verso l'uscita posteriore del cimitero.


*
Chīsanahito dovrebbe tradursi letteralmente "piccolo uomo", cosa che, a mio avviso, il Primo Ministro (qui ex) è appieno: accetto eventuali correzioni dai nippofoni! ^_^

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Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
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Capitolo 4
*** Missione: catturare Harlock - parte I ***


La casa era grande, solida e dotata di tutte le comodità ma non lussuosa: dalla linea semplice dei pochi mobili e dalla mancanza assoluta di fronzoli, Zero dedusse che il proprietario doveva essere una persona che badava innanzitutto alla sostanza delle cose.
Mayu camminava davanti a lui, il passo sicuro di chi si trova in un ambiente del tutto familiare.
Bussò a una porta e l'aprì prima ancora di ricevere risposta.
Zero la seguì all'interno e represse un moto di stupore.
Da dietro una larga scrivania, Yuki Kei lo guardò decisa, si alzò e gli tese la mano.
– Benvenuto, Capitano Zero. S'accomodi.
Zero le strinse la mano, sedette nella poltroncina di fronte a lei e la osservò.
Aveva ancora l'aria stanca, ma era del tutto diversa dalla fragile, dignitosa donna in lutto che aveva visto al funerale: avvolta in una tuta aderente che evidenziava il suo corpo snello e atletico, pareva la stessa indomita guerriera dello spazio che era stata fino a cinque anni prima e che lui aveva visto solo in qualche immagine commemorativa prima di quel giorno.
– Signora Kei. A cosa devo l'onore?
– Ai suoi trascorsi.
Yuki premette un pulsante, digitò un comando e sullo schermo olografico davanti a lui apparve la sua scheda personale.
– Warius Zero, nato il 21 febbraio 2948, diplomato a pieni voti all'Accademia Militare nel Corso Ufficiali del 2966. Nominato Capitano dell'incrociatore spaziale Karyu per meriti sul campo dopo la morte in battaglia del suo predecessore, è stato Comandante di Flotta durante la guerra contro i Meccanoidi del 2968. Integrato nello Squadrone Indipendente della Flotta Unita Terrestre dopo un anno a bordo della nave pattuglia Kagero, nel 2970 ha contribuito alla distruzione dell'Hell Castle che minacciava il pianeta Teknologhìa, ponendo fine al Governatorato della Galassia Extra-Solare sulla Terra. Decorato come eroe di guerra, è in seguito partito per diverse missioni ai confini dell'universo conosciuto, l'ultima delle quali l'ha tenuto impegnato per ben sei anni, dal gennaio 2977 a oggi.
– Con tutto il rispetto, signora Kei, so già chi sono e cosa ho fatto.
– Ne sono certa, Capitano – Yuki sorrise – E con un curriculum come il suo sono certa che sa anche che dovrebbe essere Ammiraglio, ormai. Mi sa dire perché non è così, invece?
– Perché la guerra contro i meccanoidi l'abbiamo persa – ghignò Zero – E perché distruggere l'Hell Castle non era la missione che m'era stata assegnata.
– Vedo che ci capiamo – Yuki digitò un comando e altri documenti comparvero sullo schermo – La sua missione era quella d'arrestare il pirata spaziale Harlock, cosa che non fece mai. Dai suoi rapporti risulta, anzi, che fu proprio lei a impedire ai suoi uomini di catturarlo sul Pianeta Heavy Meldar, che in seguito vi scambiaste informazioni in più di un'occasione e che arrivò addirittura ad allearsi con lui per distruggere l'Hell Castle. Perché?
– Non avevo altra scelta – Zero s'appoggiò allo schienale e allungò le gambe –  Nessuna astronave della flotta federale poteva venire a dar man forte alla Karyu e, anche in caso contrario, non sarebbe servito a nulla. Per quel che riguarda Heavy Meldar, non potevo sopportare di catturare Harlock con un espediente sleale come quello escogitato dai miei uomini: era un un fuorilegge, ma non meritava di essere preso con l'inganno. Non è nel mio stile ricorrere a quel genere di sotterfugi.
– Per questo, nonostante i suoi meriti, lei fu sospettato di favoreggiamento e finì davanti alla Corte Marziale – un altro documento apparve sullo schermo: una sentenza del Tribunale Militare – Data la popolarità acquisita con le sue gesta, non poterono congedarla o degradarla, ma fecero in modo che la sua carriera non proseguisse oltre... e lei li aiutò offrendosi volontario per missioni di scarso prestigio in sistemi stellari lontanissimi. Perché?
– Vedo che sa proprio tutto di me – Zero incrociò le braccia – Scommetto che sa anche la ragione per cui lo feci, signora Kei.
– In effetti, credo di intuirlo – Yuki Kei si ravviò una ciocca bionda con un gesto elegante della mano – Conosco altre due persone che ragionano come lei. Ha voluto evitare d'incontrare di nuovo Harlock perché in quel caso sarebbe stato costretto a battersi all'ultimo sangue con lui, un uomo che considerava degno di rispetto e, oserei dire, suo amico.
– Proprio così. Ed è per questo che non capisco: cosa vuole da me?
Yuki si alzò e gli voltò le spalle. Rimase in silenzio, affacciata all'ampia vetrata che donava luce alla stanza.
– Cosa ne pensa, di tutta questa storia?
– Non so – Zero si rigirò il cappello fra le mani – Non riesco a credere che Harlock possa aver fatto una cosa simile.
– Nemmeno io. Eppure, le prove sono schiaccianti – Yuki si girò di nuovo verso di lui – Non ci sono solo le riprese video, ma anche il DNA e il tracciato della retina raccolti dal sistema di sicurezza e identificazione del Palazzo del Governo a inchiodarlo. Il Ministro Chīsanahito ha fatto ripristinare il codice “Z” e la taglia sulla sua testa con effetto immediato. Harlock è di nuovo un ricercato e, se catturato, sarà condannato alla pena capitale.
Zero cambiò posizione, a disagio.
– Continuo a non capire il mio ruolo in tutto questo. Sono considerato e mi considero io stesso amico di Harlock, al punto che ho preferito rinunciare alla carriera e affrontare un sacco di problemi pur di non essere costretto a scontrarmi di nuovo con lui: a cosa le servo?
– Vorrei che accettasse di nuovo l'incarico di catturarlo.
– Non se ne parla nemmeno – Zero fece per alzarsi – Mi dispiace davvero per la morte del signor Daiba, ma...
– Aspetti a rifiutare, Capitano Zero – Yuki tornò a sedersi alla scrivania – C'è dell'altro. A quanto pare, Tadashi non è stato il solo a esser preso di mira. Era da qualche tempo che né io né lui avevamo notizie di molti dei nostri ex compagni d'equipaggio e oggi ho avuto la conferma dei miei peggiori sospetti: al funerale non c'era nessuno di loro.
Zero trasalì.
– Vuol dire che...?
– Non ne ho la certezza – Yuki si passò una mano sugli occhi – Ma se fossero stati in grado di farlo, sono sicura che sarebbero venuti. Amavano Tadashi. E poi non si tratta solo di loro: sembra che tutti coloro che in passato hanno avuto legami col Capitano Harlock siano scomparsi nel nulla.
Fece una lunga pausa, come per permettere alle parole d'imprimersi meglio nella mente del suo interlocutore, o forse per non perdere il controllo.
– Anche lei e il suo equipaggio potreste essere in pericolo.
Il mio equipaggio!
Zero si alzò di scatto. Molti di loro erano fuori dalla base in libera uscita, alcuni da soli.
– Si calmi, Capitano Zero.
– Calmarmi? E come faccio a calmarmi? Devo...
– Capisco la sua premura e rispetto l'affetto che la lega ai suoi uomini, ma non ho ancora finito.
– Signora Kei, mi spiace, ma la mia risposta è no. Nonostante tutto, credo ancora nell'innocenza di Harlock... e in ogni caso, non voglio essere io a consegnarlo al boia.
– Capisco – Yuki spense il monitor e si stropicciò le mani – Avrei preferito non dover ricorrere a questo per convincerla, tuttavia... Mayu...
Mayu le fece un cenno affermativo e aprì la porta. Yuki si alzò e la seguì.
– Venga con noi, la prego.
Percorsero un lungo corridoio e poi una rampa di scale fino al piano interrato della casa.
A un certo punto, Mayu si chinò e poggiò la mano sul pavimento.
Una botola, mimetizzata alla perfezione fra i blocchi di pietra grezza che formavano il pavimento della stanza, si spalancò senza il minimo rumore.
La ragazzina si calò senza una parola e lo stesso fece Yuki.
Zero le seguì. Il portellone si richiuse e gli ci volle qualche attimo perché i suoi occhi s'adattassero alla forte luce artificiale che s'accese di colpo sopra le loro teste.
C'era un vago odore di disinfettante nell'aria e poca umidità: il bunker doveva essere dotato d'un ottimo sistema d'aerazione e condizionamento.
Non c'era un granello di polvere né una ragnatela.
Percorsero un altro breve tratto sino a un portellone d'acciaio spesso e robusto quanto quelli della sala macchine della Karyu, e Mayu fece scattare un'altra serratura.
Un rumore costante, simile a quello d'uno stantuffo, gli giunse alle orecchie dalla stanza dietro di lei. L'odore d'antisettico gli pizzicò il naso. Entrò.
– Non è possibile...
Zero non credeva ai propri occhi.
Disteso in un letto, il petto e la mano destra avvolti in stretti giri di benda e una maschera a ossigeno sul viso, Tadashi Daiba lo fissò con interesse.


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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 5
*** Missione: catturare Harlock - parte II ***


Visto da vicino e in quelle condizioni, il Primo Ministro della Nuova Federazione Terrestre dimostrava ancor meno dei suoi ventun anni.
Era un giovane di statura e corporatura medie, con begli occhi d'un colore indefinito tra il marrone e il verde e folti capelli castano biondo, in quel momento arruffati e appiccicati alla fronte dal sudore.
Yuki s'avvicinò al suo capezzale e gli deterse il viso con un fazzoletto.
– Prego. Si sieda, Capitano Zero.
Mayu gli indicò uno sgabello e s'accomodò a sua volta. Prese nelle sue una delle mani di Daiba e gli rivolse uno sguardo premuroso.
– Come ti senti oggi, Tadashi?
– Molto meglio, Mayu. Non preoccuparti.
Le sorrise, ma a Zero non sfuggì la smorfia di dolore che fece quando cambiò posizione per guardarlo bene in faccia.
Si tolse la maschera a ossigeno ed emise un lungo respiro roco.
– Di certo si starà chiedendo il perché di tutto questo, Capitano Zero.
– Può dirlo forte, signor Primo Ministro. Ho appena partecipato al suo funerale, assieme a tutto il resto del mondo convinto che lei sia stato ucciso da Harlock... e a quanto vedo non è affatto così.
Tadashi Daiba s'incupì, strinse con forza il lenzuolo.
– Oh, è stato il Capitano a spararmi. Nessun dubbio in proposito.
– E com'è che è ancora vivo?
– Non ne ho idea – Tadashi scosse il capo – Quando ha premuto il grilletto, ero convinto che fosse davvero finita.
– E per poco non è andata proprio così.
Un ometto piccolo e tarchiato in camice bianco s'avvicinò al letto e si concesse un abbondante sorso di saké direttamente dalla bottiglia. Zero non lo aveva notato prima e si chiese da dove fosse sbucato.
L'unica risposta plausibile era che fosse nascosto sotto al letto, ma non era possibile... o forse sì?
Un peso improvviso sulle ginocchia lo fece sussultare.
Un vecchio gatto tigrato gli rivolse un miagolio acuto prima di balzare sul letto di Daiba, che gli accarezzò la testa.
– Capitano Zero, le presento il suo omonimo, il Dottor Zero, ex medico di bordo dell'Arcadia e nostro collaboratore nella progettazione e costruzione della rete d'ospedali della Federazione. Ah, e ovviamente Mi, la sua gatta.
– Questa è proprio una brutta faccenda – il Dottore incrociò le braccia e i suoi occhi s'inumidirono – Ancora non riesco a credere che il Capitano possa aver fatto una cosa simile proprio a Tadashi... guardi qui!
Aprì le bende.
Sul lato sinistro del petto glabro del ragazzo, all'altezza dello sterno, spiccava la vistosa cicatrice lasciata dal raggio laser d'una pistola di grosso calibro, che come minimo doveva averlo passato da parte a parte. Aveva un aspetto orrendo: frastagliata e coi bordi anneriti, la pelle e la carne intorno al foro d'entrata sembravano plastica fusa e accartocciata. Il segno d'un altro taglio, dritto, sottile e preciso la solcava: l'incisione d'un bisturi, chiusa da punti molto ravvicinati. La porzione sopra la recisione era arrossata e tumefatta fin quasi alla clavicola.
Doveva fare un male d'inferno a ogni respiro.
– Il colpo non gli ha disintegrato il cuore ma c'è mancato poco... a un certo punto ho temuto di non poterlo salvare: aveva perso così tanto sangue e il polmone sinistro... ah, meglio non pensarci!
Il Dottore tracannò un'altra generosa sorsata di saké e si dedicò a esaminare la ferita.
– Procede bene – sorrise – Un altro paio di settimane e sarai di nuovo in grado di mangiare normalmente e reggerti in piedi, Tadashi. Non ho mai visto nessuno guarire in fretta come te. Hai ancora quella sensazione di scatto nel torace?
Il ragazzo fece segno di no con la testa.
– Bene, molto bene.
Nonostante l'evidente ubriachezza, le mani del medico erano ferme e si muovevano veloci e sicure mentre con una spugna umida tamponava la lesione e cambiava la fasciatura del suo paziente.
– Il Dottore era con me quando l'ho trovato – Yuki si sedette sul bordo del letto – Per fortuna...
Tadashi strinse una mano alla sua compagna e guardò Zero.
– C'è un motivo per tutta questa messinscena e per la segretezza.
– Deve stare nascosto finché non si sarà rimesso – Zero annuì – Posso capirlo. Harlock o chi per lui potrebbe riprovarci. Oppure, credendola morto, potrebbe tradirsi, il che, sebbene improbabile, sarebbe anche meglio. Quello che non capisco è perché organizzare delle false esequie, farsi curare qui invece che in una struttura più attrezzata e far credere a tutto il mondo, compresi i membri del suo stesso Governo, che il suo ex Capitano sia un assassino.

 Quello che sto per dirle non deve uscire da questa stanza – Tadashi lo fissò dritto negli occhi – La verità è che Harlock era già sospettato d'essere un assassino. Ha mai sentito parlare di Elpìs*?
– La colonia spaziale che è esplosa un anno fa?
– Già – Daiba s'accigliò e la mano di Yuki, ancora nella sua, tremò. Lui la strinse di nuovo.
Zero si diede dello stupido.
Quello della colonia Elpìs era stato un loro piano per risolvere il problema del sovraffollamento sulla Terra e nei pianeti del sistema solare, abitabili solo in minima parte. Il suo fallimento e le centinaia di morti che ne erano derivate pesavano ancora come un macigno sulla coscienza di Daiba e sulla sua leadership. E Yuki Kei era ancor più coinvolta, visto che il progetto originale della colonia era del suo defunto padre.
Gli tornò in mente la sensazione che aveva provato mentre le navi dei Meccanoidi oltrepassavano la Karyu in avaria per bombardare la Terra rimasta indifesa e quasi si sentì male.
– Vi prego, perdonatemi. So quanto è dura sentirsi responsabili per la perdita di tante vite umane. Non intendevo...
– Non importa – tagliò corto Daiba – Il fatto è che, stando ad alcuni rapporti top-secret, una nave corrispondente alla descrizione dell'Arcadia è stata avvistata nell'orbita di Elpìs poco prima dell'esplosione. Secondo uno di tali rapporti, il suo cannone principale ha fatto fuoco in direzione della colonia, dritto sul punto in cui era situato il generatore di gravità.
– Ma non è possibile! Avrebbe dovuto sapere...
– Avrebbe dovuto sapere nel dettaglio com'era strutturata la colonia e con quale potenza di fuoco colpire per causarne l'esplosione. Proprio così – il viso di Yuki era livido – Ammesso e non concesso che si trattasse davvero della nave di Harlock, cosa che io e Tadashi ci siamo rifiutati di credere fino all'ultimo, fino a... qualcuno doveva avergli indicato dove e come colpire.
– Forse qualche addetto ai lavori...
– Non è scampato nessuno – la voce di Daiba era roca – Non credo che l'eventuale talpa sarebbe andata di proposito a morire. Il progettista, Yattaran, non avrebbe fatto un cosa del genere nemmeno se ne fosse andata della sua vita, e ci metterei la mano sul fuoco, nonostante tutto quello che è stato detto di lui. Rimangono solo i membri del mio stesso Governo. Se c'è una congiura a livello così alto contro di noi, capirà che non possiamo fidarci di nessuno. Ed eccoci al motivo per cui lei è qui.
– Capisco. Sono la pedina ideale: il mio grado è abbastanza elevato da consentirmi un raggio d'azione piuttosto ampio e per di più, visto che sono stato lontano dalla Terra per sei anni, non posso avere agganci coi vostri nemici. Inoltre, in passato ho già avuto modo di battermi con Harlock... e sono tra i pochi che sono sopravvissuti.
– Non la considero una pedina, Capitano Zero – Tadashi sospirò – A parte questo, la sua valutazione è esatta.
Zero rigirò fra le mani il berretto.
– Mi spiace, non voglio farlo; l'ho già detto anche alla Signora Kei. Dopo l'Hell Castle ho giurato a me stesso che, se mai fosse giunto il momento di battermi con Harlock, l'avrei fatto solo per me stesso, con mezzi leali e non per consegnarlo a un boia.
– Lo capisco. È un altro dei motivi per cui abbiamo deciso di rivolgerci a lei.
– Io non capisco, invece – Zero s'alzò di scatto – E sto iniziando a perdere la pazienza. Ditemi cosa avete in mente una volta per tutte o me ne vado!
– Ehi, si calmi, Capitano! – intervenne il Dottore – Nonostante la sua invidiabile tempra, Tadashi è reduce da un difficile intervento al cuore e deve evitare gli strapazzi.
Zero si risedette. Chiuse gli occhi e respirò a fondo.
– Le chiedo scusa, Dottore.
– Non è nulla, Capitano – Tadashi sollevò una mano – Il motivo principale per cui vorremmo che fosse proprio lei a dare la caccia ad Harlock è proprio perché è suo amico. Chīsanahito lo vuole morto. Io voglio capire perché m'ha sparato e se davvero è implicato nell'esplosione di Elpìs e nella sparizione degli altri membri dell'equipaggio dell'Arcadia.
– Anch'io. E la supplico d'aiutarci, Capitano Zero – Mayu gli afferrò il braccio, gli occhi pieni di lacrime – Tadashi è come un fratello per me, e Harlock... nessuno può neanche immaginare quanto sia importante. Vorrei sapere cosa gli è successo, perché prima è sparito e poi s'è comportato così. Non posso credere... non posso credere che non ci sia un motivo valido, che sia diventato un assassino senza cuore!
– Insomma, vorreste la certezza di prenderlo vivo per interrogarlo.
Tadashi e Yuki assentirono.
– Non posso garantirvelo.
– Vuol dire che ci aiuterà?
Zero stirò un'invisibile piega sul suo berretto e sospirò.
– Anch'io vorrei vederci chiaro. Ma Harlock non è uomo da farsi mettere in catene tanto facilmente e non è tenero con chi si mette sulla sua strada, dovreste saperlo meglio di chiunque altro. C'è la possibilità che sia costretto a battermi all'ultimo sangue con lui, e se ciò dovesse accadere...
– In quel caso, nessuno di noi le porterebbe rancore, Capitano Zero – Mayu strinse le labbra – Nemmeno io.
– Voglio carta bianca.
– L'avrà – Yuki si alzò – Che altro?
– La garanzia che il mio equipaggio non subirà conseguenze di sorta, qualunque sia l'esito della missione. Ogni responsabilità dovrà essere addebitata a me solo.
– Questo glielo posso garantire.
Zero s'alzò in piedi e porse la mano a Tadashi, che gliela strinse.
Nonostante le sue condizioni, la sua stretta era salda e vigorosa.
– Allora siamo d'accordo, Signor Daiba. M'offrirò volontario.
– Non ce ne sarà bisogno – Tadashi si lasciò ricadere sui cuscini, un sorriso sofferente sul volto pallido e sudato –  Yuki ha molti agganci sia nel Ministero della Difesa che nello Stato Maggiore. Sarà convocato a breve per il conferimento ufficiale della missione.
– Allora immagino non ci sia altro da dire – Zero s'alzò e si calcò in testa il berretto – Le auguro una buona guarigione, Primo Ministro Daiba.
– C'è ancora una cosa da dire, Capitano Zero, anzi, due. La ringrazio e... dia pure del tu a tutti noi.

*Elpìs (o Elpìdos) è la personificazione della speranza nella mitologia greca.


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Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
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Capitolo 6
*** L'ombra nella notte ***


Yuki si svegliò di colpo.
Qualcosa non andava.
Troppo silenzio.
Dal giardino della casa non proveniva alcun suono, nonostante da ormai tre giorni e quattro notti un folto gruppo di agenti del Governo lo presidiasse con l'incarico di vigilare sulla sua sicurezza.
Erano un problema, più che altro: da quando erano arrivati doveva essere cauta nei suoi spostamenti e prestare costante attenzione ai loro perché non scoprissero Tadashi, senza contare che sia nel combattimento che con la pistola era più abile della maggior parte di essi.
Non aveva però avuto il coraggio d'opporsi alla loro presenza: una mossa simile avrebbe potuto insospettire i suoi sconosciuti nemici; per loro, lei era e doveva rimanere una donna sola, scossa da un terribile lutto e forse in pericolo, coi nervi a pezzi.
Un'ombra oscurò la luce della luna.
Chissà perché, Yuki ebbe la certezza che non si trattava d'una nuvola.
Regolarizzò il respiro e la sua mano corse sotto al cuscino sull'altra sponda del letto.
Le sue dita si chiusero sull'impugnatura della Cosmo Gun.
Scalciò le coperte e si gettò di lato. Tre lampi argentati squarciarono l'oscurità.
Il rumore di vetri rotti le parve assordante nel silenzio della notte e l'odore di tessuto bruciato le riempì le narici: il copriletto aveva preso fuoco.
Si riparò dietro il comodino e si sporse quel tanto che bastava per osservare il suo assalitore.
Attraverso il fumo, l'intruso era una sagoma nera in controluce sul davanzale della finestra.
Con un calcio ben assestato, frantumò quel che era rimasto del telaio ed entrò.
Yuki sparò, ma il colpo non andò a segno.
Si guardò intorno e sudò freddo. Non lo vedeva più. Non lo sentiva muoversi.
– Esci fuori!
Silenzio. Non aveva davvero sperato che il suo assalitore sparasse a vuoto rivelandole così la sua posizione, ma negli anni passati sull'Arcadia aveva imparato che bisognava tentare il tutto per tutto, sempre.
Un killer esperto... e prudente.
La porta era a pochi metri da lei. Scattò.
Una raffica di colpi la costrinse a gettarsi di nuovo a terra. Rotolò dietro la scrivania e la rovesciò.
I suoi libri, le foto e la lampada caddero.
L'intruso ne approfittò per muoversi a sua volta. Yuki ne ebbe una fugace visione nella penombra.
Indossava abiti scuri e dalla struttura fisica dedusse che doveva essere un uomo, non molto muscoloso ma piuttosto alto. Gli sparò di nuovo: quattro colpi in rapida successione.
Lui li evitò con una serie di veloci spostamenti laterali, si riparò dietro l'armadio e rispose al fuoco.
Yuki si slanciò di nuovo verso la porta, la testa bassa, le braccia a proteggere il capo dalle schegge che piovevano da ogni direzione.
La raggiunse. Uscì nel corridoio.
Per fortuna non aveva mai voluto installare serrature elettroniche alle porte... e per fortuna non aveva l'abitudine di chiudersi a chiave come Mayu.
Mayu!
Il suo cuore accelerò i battiti. Soffocò l'istinto di chiamarla per accertarsi che stesse bene e sperò che il killer fosse entrato solo nella sua stanza.
E che lei non sia in camera.
Che non senta nulla.
Che abbia il buonsenso di mettersi al sicuro.
Accantonò quei pensieri: doveva rimanere lucida.
Corse in direzione delle scale.
Un colpo la sfiorò e sentì un dolore lancinante al braccio: la manica della sua camicia da notte aveva preso fuoco.
Strinse i denti per non gridare e chiuse le dita ancora più forte sull'impugnatura della pistola: non doveva lasciarla cadere o sarebbe stata la fine.
In questo momento, è la mia speranza!
Saltò oltre la balaustra, atterrò nell'atrio e si rotolò a terra per assorbire la caduta e spegnere le fiamme. Il sensore di movimento scattò e le luci s'accesero.
Si rialzò ansimante, puntò la pistola verso le scale e indietreggiò.
Il pavimento era gelido sotto i suoi piedi nudi, le caviglie facevano male.
Devo attirarlo in giardino... lontano da Mayu, lontano da Tadashi!
La porta dell'ingresso non le era mai sembrata tanto lontana.
La raggiunse proprio mentre l'intruso toccava terra ai piedi delle scale.
Yuki sparò alla cieca per coprirsi e abbassò la maniglia, conscia che in quel momento era un bersaglio sin troppo facile.
La serratura scattò, altri due colpi andarono a vuoto. Uscì all'aperto.
Il sistema d'allarme non diede segni di vita... proprio come aveva temuto.
Nel giardino, tutto era buio e silenzio.
Continuò a indietreggiare, la canna della Cosmo Gun puntata sulla porta.
Avanti, esci!
Yuki era una buona tiratrice. Non appena l'intruso avesse messo il naso fuori, avrebbe mirato alla testa. Così da vicino, riparata dal buio e con la sagoma del suo avversario in controluce, non lo avrebbe certo mancato.
Ma l'uomo non uscì dalla porta.
Troppo tardi, Yuki s'accorse del cigolio: la finestra dello studio.
Premette il grilletto, ma l'uomo era già fuori. Lo mancò. Lui rispose al fuoco.
Yuki s'abbassò, saltò all'indietro.
Il suo tallone urtò contro qualcosa di solido, un ostacolo ingombrante e viscido.
Perse l'equilibrio, cadde e batté la schiena, così forte da rimanere senza fiato.
Tossì. L'uomo era già su di lei. Yuki lo guardò.
Era Harlock.
Yuki sparò. Una, due, tre, forse quattro volte. Nessuno dei suoi colpi andò a segno.
Solo l'ultimo recise una ciocca dei suoi lunghi capelli castani.
Stupida! Sono una stupida!
Gli occhi le si riempirono di lacrime e tremò. Non per lei.
Cosa ne sarà di Mayu e Tadashi, ora?
Harlock le afferrò il polso destro e lo torse.
Yuki gridò e lasciò cadere la pistola. Harlock la calciò lontano.
Yuki sbatté le palpebre e lo guardò di nuovo.
Una parte di lei, ancora, non voleva credere alla realtà che aveva di fronte e continuava a sperare che Tadashi si fosse sbagliato, che i dati del sistema di sicurezza del Palazzo del Governo fossero falsati, che chi aveva scritto i rapporti sull'esplosione di Elpìs avesse preso un granchio colossale.
Ma quell'uomo aveva il viso di Harlock, il suo sguardo, persino il suo odore... e aveva sparato per uccidere.
– Capitano... dimmi che non è vero!
– Yuki...
Anche la voce era quella di Harlock.
Le lasciò il polso, la afferrò per il bavero e le appoggiò la canna della Cosmo Dragoon sul petto.
Bruciava, ma a Yuki non importava.
Non voleva più vedere niente, non voleva più sentire niente... e non aveva più la forza di lottare.
Chiuse gli occhi.
Sentì uno sparo, ma nessun dolore.
Harlock la mollò di colpo e qualcosa di liquido e caldo le piovve nella scollatura.
– Sta' lontano da lei! Getta quell'arma o sparo!
Yuki aprì gli occhi.
Con orrore vide Mayu in piedi a pochi passi da loro, la Dragoon fumante in pugno.
Harlock balzò indietro, una mano sulla spalla insanguinata.
Non aveva lasciato andare la pistola.
Inopportuno e improvviso come una stilettata, la colse il ricordo di lui che le insegnava a sparare e, come se fosse allora, risentì quella frase: “La tua Cosmo Gun è come la speranza: tienila sempre stretta, non abbandonarla mai... qualunque cosa accada!”.
– Arrenditi, o giuro che t'ammazzo! – Mayu mosse un passo verso di loro.
Harlock sollevò il braccio destro e prese la mira. Senza esitazioni.
– Ma tu... – la voce di Mayu si ruppe – Tu sei...
– Mayu! Va' via!
Yuki si gettò addosso ad Harlock e riuscì a farlo cadere. Gli afferrò il braccio e gli morse il polso.
Di più, sempre di più, finché non sentì il sapore metallico del sangue sulla lingua.
Lui urlò, finalmente lasciò cadere la pistola... ma fu solo un momento.
La afferrò per i capelli con la mano sinistra e la scaraventò via come se fosse stata una bambola di stracci. Era troppo forte per lei, non poteva farcela.
L'allarme scattò. Tutta la casa e il giardino s'illuminarono a giorno.
Yuki aveva sempre odiato il rumore di quelle sirene, ma in quel momento le parvero una musica celestiale.
Harlock s'alzò e si guardò intorno. Yuki si slanciò in avanti, afferrò la Cosmo Dragoon ancora ai suoi piedi, s'allontanò con una capriola e lo puntò.
Lo sguardo dell'unico occhio di Harlock andò da lei a Mayu e quindi alla casa; strinse la spalla ferita, si voltò e sparì nel buio oltre il cancello.
Yuki lasciò cadere l'arma.
Ora che l'adrenalina non era più in circolo, aveva freddo, si sentiva spossata e dolorante.
Si guardò intorno e rabbrividì.
Il giardino era disseminato di corpi, almeno una dozzina. Anche quello che l'aveva fatta inciampare era un cadavere... o meglio, ciò che rimaneva di una delle guardie. Giaceva a faccia in giù, in una pozza di sangue che già cominciava a rapprendersi e puzzare e che macchiava anche l'orlo della sua camicia da notte.
Dominò la nausea e raggiunse Mayu, che era rimasta immobile con le braccia tese e la pistola in pugno.
Le posò una mano sulla spalla. Come se si fosse appena risvegliata da un incubo, lei la guardò con gli occhi spalancati, lasciò cadere la pistola e si rifugiò fra le sue braccia. Tremava come una foglia. Yuki le accarezzò la schiena e lei singhiozzò.
– Yuki! Mayu! Dove siete?
La voce preoccupata di Tadashi la scosse. Doveva essere stato lui a far scattare l'allarme.
– Tadashi!
Era pallido e sudato, appoggiato allo stipite della porta. Yuki prese per mano Mayu e corse da lui.
Avrebbe voluto buttarsi fra le sue braccia, piangere e gridare, ma si trattenne.
– Era lui?
Yuki annuì.
Tadashi guardò il sangue nella sua scollatura, le bruciature sul suo braccio destro e la sua camicia da notte lurida e stracciata. S'accigliò e contrasse i pugni.
Per un istante, Yuki credette che avrebbe sferrato un colpo alla porta, ma alla fine lui rilasciò le dita, passò un braccio attorno alle sue spalle e uno attorno a quelle di Mayu e le strinse a sé.
– Cosa facciamo, adesso? – Mayu tirò su col naso.
– Non possiamo più rimanere qui – Tadashi le guardò entrambe, cupo – Prendiamo le armi, andiamo subito dal Dottore e diciamogli di contattare Zero. Bisogna cambiare i piani.


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Capitolo 7
*** Destinazione: Heavy Meldar ***


cap 7 – Quindi il nostro compito è di nuovo dare la caccia ad Harlock?
– Sì, Signor Ishikura. Proprio così.
Zero fissò il suo Vice-Comandante. Gli anni passati a girovagare per il cosmo sulla Karyu e le tante esperienze vissute in guerra e in pace avevano un po' addolcito il suo carattere ostinato, ma non aveva ancora perso l'abitudine di discutere gli ordini e, peggio ancora, quella d'ignorarli e fare di testa sua quando glielo diceva l'istinto. Ogni volta che gli ufficiali della Karyu si riunivano e qualcuno faceva una proposta, tutti gli sguardi si spostavano subito su di lui, in attesa d'una qualche contestazione. Era “un rompiscatole di prima categoria”, come amava definirlo Grenadier, nondimeno le sue obiezioni erano spesso sensate.
– Ma... Capitano! Eravamo tutti d'accordo che...
– Calma, ragazzo – Kaibara afferrò una bottiglietta d'acqua dal tavolo, ignorò il bicchiere di fronte a lui e bevve un sorso – Sono certo che c'è un motivo valido se il Capitano ha accettato questa missione. Può spiegarcelo, Signore?
– Purtroppo no.
Yuki era stata chiarissima in merito: nulla di ciò che lei e Tadashi gli avevano rivelato doveva esser divulgato prima del decollo, e anche dopo sarebbe stata necessaria la massima riservatezza.
Quando il Dottore l'aveva contattato la sera prima per metterlo al corrente degli ultimi sviluppi e gli aveva illustrato il nuovo piano, Zero aveva dovuto convenire che meno persone fossero state al corrente della loro linea d'azione, meno rischi avrebbero corso.
Tuttavia non era tranquillo, anzi: si sentiva un po' in colpa.
Aveva sempre discusso coi suoi subalterni ogni aspetto delle missioni e della gestione della nave e non aveva mai preso decisioni senza consultarli e senza assicurarsi che tutti fossero concordi sulla linea da adottare. Si sentiva un ipocrita: aveva sempre desiderato che sulla sua nave regnasse un clima di fiducia e aveva ripetuto più volte a tutti che, fra compagni d'armi, non ci si doveva nascondere nulla.
– Capisco – Kaibara si distese sullo schienale e tirò uno dei suoi folti baffi grigi – C'è sotto qualcosa di grosso, proprio come l'altra volta.
– Preferirei avere almeno una vaga idea di ciò a cui andremo incontro – il tono di Eluder era inespressivo come il suo viso meccanico – Se non altro per essere pronto al momento giusto.
– Mi spiace di non avervi consultato prima d'accettare questa missione –  Zero si alzò, chinò il capo e chiuse gli occhi –  Ma  vi assicuro che farò di tutto perché nessuno di voi abbia a pentirsene. Vi chiedo solo di fidarvi di me.
Nella sala calò il silenzio. Qualcuno si alzò, si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla.
– Non devi scusarti, Zero – la voce di Marina – Io mi fido di te.
– Giusto! – Grenadier sbatté il pugno sul tavolo, così forte che buona parte delle bottiglie e dei bicchieri si rovesciarono – Il Capitano sei tu, Zero: decidi pure dove andare e cosa fare, che io ti seguo a ruota!
– Non intendevo dire che non ho fiducia in lei, Capitano! – Ishikura si alzò in piedi – Sa che le affiderei la mia vita in ogni momento!
– Vale anche per me – Eluder accennò un gesto di scuse – E in ogni caso sono un meccanoide: ho buone capacità di ripresa, qualunque cosa accada.
– Sono con lei, Capitano – Rai intervenne per la prima volta – e credo valga per tutti.
– Grazie, Signori.
Si abbottonò i polsini per prendere tempo. Temeva che, se avesse etto altro, la sua voce avrebbe tremato troppo.
Marina tornò a sedersi.
– Abbiamo qualche punto di partenza? Indizi?
– Nessuno, purtroppo. Al Comando sono giunte molte segnalazioni da parte di persone che sostengono di aver avvistato Harlock o l'Arcadia, ma ritengo che tutte siano prive di fondamento e frutto di panico o mitomania.
– Per la precisione, sono tre milioni ottocentomila quattrocentonove – intervenne la voce metallica di Battlizer – Distribuite in modo uniforme sia nel sistema solare che in quelli extrasolari.
– Il che, se fossero tutte veritiere, implicherebbe che Harlock ha il dono dell'ubiquità e l'Arcadia un sistema di navigazione superiore al salto iperspaziale – ironizzò Breaker.
– Accidenti alla gente! – Grenadier incrociò le braccia e sbuffò – Vorrei proprio sapere cosa gli prende, alle persone, quando capitano queste cose.
– Cosa propone, Capitano?
– Il luogo migliore per ottenere informazioni su qualunque cosa – Zero accese il monitor e proiettò la mappa del sistema stellare di Andromeda – È il pianeta Heavy Meldar, adesso come quando ci imbarcammo per la prima volta in quest'impresa. Propongo di partire da lì.
– Si va di nuovo a Gun Frontier? – Grenadier sorrise entusiasta, al contrario di Ishikura e Rai. Eluder non fece una piega, ma era sempre impossibile capire cosa pensasse finché non lo esprimeva a parole.
Zero assentì.
– Se nessuno ha idee migliori o valide obiezioni.
– Sentito, Rompiscatole? Si va a trovare Sylviana!
– Che?! – Ishikura arrossì fino alla radice dei capelli –Vorresti di nuovo rivolgerti a quella vipera? Ma ti sei bevuto il cervello? Non ricordi com'è andata a finire, l'altra volta?!
– Avanti, Ishikura – Grenadier accavallò le gambe sul tavolo, si dondolò all'indietro e strizzò l'occhio al Vice-Comandante – Non dirmi che dopo tutti questi anni tieni ancora il broncio per quella faccenda! Sono cose che capitano!
– Se per te rischiare di farti linciare da una folla inferocita per niente sono “cose che capitano”, non voglio pensare...
Zero si schiarì la voce.
– Ordine, Signori. Ricordate che siamo in servizio – scoccò un'occhiata severa a Grenadier che subito si ricompose – Se nessuno ha obiezioni sulla destinazione, ci sono un altro paio di disposizioni di cui vorrei discutere. La prima: la mia cabina sarà chiusa e l'accesso interdetto a chiunque tranne il sottoscritto sino a dopo il decollo. In seguito sarà consentito l'ingresso alle sole persone che autorizzerò. Mi trasferirò con effetto immediato nella cabina del Vice-Comandante. Tranquillo, Ishikura – sorrise – Non voglio buttarti fuori: mi basterà una branda.
– Non c'è problema, Capitano.
Lo guardò perplesso, ma non gli fece domande.
– La seconda, forse quella che vi piacerà di meno: tutti gli ufficiali dovranno rimanere a bordo della Karyu fino al momento della partenza. Niente contatti con personale non appartenente all'equipaggio e massima riservatezza sulla nostra destinazione anche con loro. Dalle ore 22.00 alle ore 06.00 di domani, inoltre, tutto il personale di bordo dovrà rimanere nei propri alloggi, con la sola esclusione del Dottore, del personale di guardia alla sala macchine e all'hangar e del sottoscritto.
Un gemito accolse le sue parole. Poteva capirli: dopo sei anni passati a sognare licenze e libere uscite una volta tornati sulla Terra, quello era davvero un colpo basso.
– Mi spiace, Signori, ma è necessario.
– Addio sbornia – sospirò  Rai.
– Quante storie! –  Grenadier sorrise allegro – Vorrà dire che, per sdebitarsi, il nostro Capitano ci offrirà un altro giro di Red Barbour su Heavy Meldar e un altro a fine missione!
Zero gli fu grato per quelle parole, tanto da decidere di chiudere un occhio sul fatto che aveva di nuovo appoggiato i piedi sul tavolo.
– Lo farò, ma dovremo mantenerci sobri. Ci sono domande? Obiezioni?
Nessuno parlò.
– Va bene, Signori. Grazie di tutto. Comandante Oki, comunichi la destinazione al Signor Nohara perché stabilisca il piano di volo e calcoli la rotta. Dottore, lei resti.
Quando tutti furono usciti, Zero tirò un sospiro di sollievo. S'era aspettato molto peggio.
Il Dottor Machine gli si avvicinò.
– Di cosa ha bisogno, Capitano?
Zero digitò un comando e sullo schermo olografico comparve un lungo elenco.
– Vorrei che si procurasse questi farmaci e queste attrezzature, ma senza ordinarle al Quartier Generale o a qualunque altra struttura governativa. Può farlo?
– Alcune cose le abbiamo già in dotazione – il Dottore scorse l'elenco, la fronte sintetica aggrottata – Per il resto, potrei sfruttare alcune vecchie conoscenze. Però, Capitano, a bordo non mi risulta nessuno con problemi tali da giustificarne l'utilizzo.
– Lo so, Dottore.
– Capitano, se è a conoscenza di qualcosa che non so, farebbe meglio a dirmelo. Queste attrezzature e queste medicine combinate potrebbero servire solo a una persona che rischi gravi complicazioni cardiache. Se c'è qualcuno dell'equipaggio in quelle condizioni, è sconsigliabile che rimanga a bordo: non potrei garantire la sua sopravvivenza al salto iperspaziale, forse nemmeno al decollo.
Zero si raggelò, chiuse gli occhi e respirò a fondo.
Di certo, sia Tadashi che Yuki avevano messo in conto quell'eventualità.
Ammirò la loro determinazione.
– Non si preoccupi, Dottore. Mi assumerò io ogni responsabilità.


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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero), creati da e  © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 8
*** Libere uscite e libere entrate ***


cap 8 Tadashi fu colto da un capogiro e incespicò per l'ennesima volta.
Strinse i denti e si maledisse per la sua debolezza: avrebbe dovuto obbligarsi a mangiare nonostante il solo pensiero gli desse la nausea, prendere dei sonniferi per riposare in maniera adeguata e soprattutto smettere d'assumere quei farmaci che gli davano così tanti effetti collaterali.
Sull'ultimo punto, però, il Dottor Zero e Yuki erano stati irremovibili, e già era stata dura convincerli che partire insieme a loro sulla Karyu fosse l'unica soluzione possibile.
Tutto a posto?
Tadashi rivolse un cenno affermativo a Zero. Nonostante la sua fama di uomo impavido, il Capitano appariva teso. Tadashi sperò che si rivelasse davvero all'altezza delle sue aspettative.
Stiamo per entrare nella base. Mi raccomando, rimanete il più possibile nell'ombra, non prendete iniziative e lasciate parlare me.
Mayu e il Dottore rimasero in silenzio. Yuki gli si avvicinò.
Ce la fai, Tadashi?
Lui si raddrizzò. Si sentiva la febbre e aveva di nuovo il voltastomaco malgrado non avesse mangiato nulla dalla mattina prima. La testa gli girava.
Devo farcela.
Andiamo – Zero si calcò in testa il berretto e s'incamminò davanti a loro.
La sentinella sbadigliò e tese la mano oltre il vetro della guardiola.
– I vostri tesserini, Signori.
Zero glieli consegnò e Tadashi sperò con tutto il cuore di somigliare abbastanza al Vice-Comandante Ishikura da essere scambiato per lui, almeno al buio.
Potreste venire tutti sotto la luce del faretto, Capitano? Non vi vedo bene.
Zero s'appoggiò al vetro della guardiola.
Che c'è, non mi riconosce più, Lukas? Andiamo... ho fretta.
Sa com'è, Capitano – la sentinella si stiracchiò – In questo periodo siamo tutti sul chi vive. Da quando hanno assassinato il Primo Ministro, pace all'anima sua, i controlli devono essere ancora più scrupolosi.
Suvvia, Lukas... credo che questo sia l'ultimo posto in cui Harlock vorrebbe metter piede.
Non si sa mai, Capitano – rise – Secondo me sarebbe abbastanza matto da tentare, se gli girasse. E in ogni caso gli ordini sono ordini, mi capisce...
L'uomo infilò i tesserini nell'elaboratore.
Yuki gemette e il Dottore soffocò un'imprecazione: quello era l'unico azzardo nel loro piano, ed era fallito.
Persino nella semioscurità e tra le nebbie del suo intontimento, Tadashi poté vedere la schiena di Zero irrigidirsi.
Era in momenti simili che sentiva la mancanza di Yattaran: per quel genio, penetrare nei sistemi della Difesa e manipolare i registri d'entrata e uscita della base sarebbe stato un gioco da ragazzi, questione di qualche minuto al massimo. Ma lui era stato addirittura il primo a scomparire, e ora bisognava fare affidamento sullo spirito d'iniziativa di Zero.
Signore – Lukas si grattò la fronte perplesso – Qui risulta che il Comandante Oki, il Vice-Comandante Ishikura, il Cannoniere Rai e l'Ufficiale di Rotta Nohara sono ancora all'interno della base, a bordo della Karyu. Aspetti un minuto, per favore. Devo controllare.
Il cuore di Tadashi accelerò i battiti. Troppo perché fosse semplice paura.
Si sentì mancare il fiato, la vista gli si annebbiò e una vertigine più forte delle altre lo fece barcollare.
Oh, no! Non adesso!
Vide tutto nero e le gambe gli cedettero.
Annaspò e allungò la mano verso il braccio di Yuki. Lo mancò.
Il Dottore lo afferrò alla vita ma era troppo tardi. Caddero entrambi.
Ma cosa? – la guardia trasalì – Che sta succedendo qui?
Tadashi fece appello a tutte le sue forze nel tentativo di rialzarsi.
Inutile. Le gambe non lo reggevano, gli occhi non vedevano altro che ombre indistinte e il cervello non riusciva a pensare a nulla di coerente. Udì un rumore di passi affrettati. Qualcuno lo afferrò per il bavero della giacca e lo tirò su di peso.
La sua testa scattò di lato e un dolore acuto gli si diffuse su tutta la guancia.
Si sfregò gli occhi e si trovò davanti Zero.
Signor Ishikura! Ma non si vergogna?! – sembrava davvero furioso, tremava addirittura.
Zero, ma che fai?! – Yuki gli afferrò il braccio.
Silenzio, Comandante Oki! Non solo avete trasgredito il mio ordine di restare sulla nave fino alla partenza, non solo vi siete ubriacati come dei soldati semplici alla prima libera uscita, ma osate anche lamentarvi?! Sappiate che la vostra bravata non rimarrà impunita: nessuno del mio equipaggio va AWOL* e la passa liscia, credevo che dopo tanti anni lo aveste capito! E ora tornate subito a bordo!
Zero lo spinse bruscamente fra le braccia di Yuki e Mayu e si diresse a passi rapidi verso la guardiola. Sbatté il pugno sulla guardiola e guardò la sentinella.
Lukas – ruggì – La prego, ci faccia passare e mi ridia gli identificativi di questi disgraziati o sento che esploderò. Non mi sono mai vergognato tanto in vita mia!
L'uomo lo guardò con aria indecisa. Mosse un passo verso di loro, si guardò attorno e si voltò. Tadashi sbatté le palpebre. Le luci intermittenti del sistema di blocco e degli allarmi del portone si spensero, la sbarra si alzò e la serratura del cancello scattò.
Stando attente a rimanere nell'ombra, Mayu e Yuki lo sostennero mentre passava di fronte alla guardiola. Il Dottore li seguì a testa bassa. Barcollò un po' e Tadashi si chiese se stesse fingendo o facesse sul serio.
Come facciamo col registro? – la voce della sentinella gli giunse appena, tanto era tremula.
Non ne ho idea, Lukas, e le dirò di più – ringhiò Zero – Sono davvero tentato di fare rapporto! Quattro ufficiali di una nave da guerra vanno AWOL per quasi mezza giornata e nessuno a parte me s'accorge di nulla! Pazzesco!
Tadashi ammirò la sua faccia tosta. Se non fosse stato sul punto di vomitare, avrebbe riso.
La prego, Capitano, non lo faccia! – Lukas sembrava terrorizzato – Non posso permettermi un richiamo per mancata consegna, non adesso, con questo clima! La supplico, fingiamo che non sia successo nulla!
Non so – la voce di Zero suonava davvero indecisa – Non dovrei passare sopra simili trascuratezze, tuttavia... Oh, va bene, Lukas! Non voglio che per colpa di questi sciagurati ci vada di mezzo qualcun altro. Ma state più attenti, d'ora in avanti!
Può contarci, Capitano – il piantone gli restituì gli identificativi e scattò sull'attenti – D'ora in avanti, nemmeno una mosca uscirà di qui senza che io lo sappia, glielo garantisco! Grazie, Signore!
Zero gli rivolse un cenno di saluto e li raggiunse, il passo rapido e cadenzato d'un ufficiale davvero su tutte le furie, un cipiglio truce sul viso tirato.
Nessuno, all'interno del recinto della base, osò avvicinarli.
Solo quando furono al riparo da sguardi indiscreti, si tolse il berretto, si asciugò il sudore e si lasciò sfuggire un lungo sospiro di sollievo.
È davvero un bravo attore, Capitano – sussurrò il Dottore – Complimenti.
Ma era proprio necessario schiaffeggiare Tadashi a quel modo?
Non mi è venuto in mente nient'altro, Mayu. Mi spiace.
È tutto a posto – Tadashi si sfregò la guancia dolorante – Se non avesse fatto così, la sentinella sarebbe venuta a controllare e ci avrebbe scoperti.
Ora va meglio?
Sì. Ma facciamo in fretta, per favore – per la verità, si sentiva ancora intontito.
Quell'uomo non si risparmiava certo coi ceffoni: picchiava duro almeno quanto Harlock.
Al pensiero del Capitano, la ferita al petto gli parve pulsare con maggiore intensità.
Strinse i denti e accelerò il passo.
Non avremmo dovuto correre così – si lamentò il Dottore – Bisognava aspettare almeno un'altra settimana prima di fare sforzi del genere...
Non c'era tempo! Ha visto anche lei cos'è successo! – tagliò corto Yuki – Nemmeno io vorrei far correre così tanti rischi a Tadashi, ma non abbiamo scelta: se restassimo sulla Terra, saremmo tutti in pericolo! Persino Mayu...
Continuo a non riuscire a crederci – mormorò Zero tra i denti – Cosa diavolo è preso ad Harlock? Assalire due donne... e per di più loro!
Nessuno trovò niente da aggiungere. Percorsero la poca distanza che ancora li separava dalla Karyu in silenzio, nell'indifferenza delle pattuglie della base.

* L'acronimo AWOL significa Absent Without Official Leave e in gergo militare (ma anche nel linguaggio comune) vuol dire "sparire", andarsene senza dire niente a nessuno.



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Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 9
*** I tre tesori di Mayu ***


cap 8 Mayu spense lo schermo olografico e la cabina piombò nel silenzio.
Sbuffò. Era stufa di vedere Chīsanahito lanciare appelli per il rilascio suo e di Yuki su ogni canale con quell'espressione di falsa preoccupazione sempre stampata sul viso... e ormai andava avanti da poco dopo il decollo della Karyu: ben due settimane.
Eccolo là, il mio sostituto – Tadashi smise di sbocconcellare il suo pranzo e fece una smorfia – Un mediocre attore che recita controvoglia una parte non adatta a lui e manco si sogna di provare a migliorarsi. Mi chiedo come ci possa essere ancora qualcuno che lo sostiene.
Finisci di mangiare, Tadashi. Ti devi rimettere in forze.
Bah! – un'altra smorfia – Non ho più la nausea, ma non sentire i sapori non aiuta certo l'appetito, sai? Se solo per oggi potessimo evitare la medicina...
Avanti, Tadashi, non fare il bambino!
Come siamo severi! Ecco: contenta? – Tadashi si mise in bocca una grossa forchettata di cibo – Stai diventando uguale a Yuki, lo sai?
Strano: lei sostiene che ho la testa dura e sono incosciente come te alla mia età.
Tadashi tossì: il boccone gli era andato di traverso.
Ben ti sta – Mayu s'avvicinò al tavolo e gli offrì un bicchier d'acqua.
Non farmi ridere mentre mangio! – ansimò Tadashi, rosso come un peperone e con le lacrime agli occhi.
E tu non fare i capricci! – sghignazzò Mayu. Era così ridicolo che non riuscì a trattenersi – A volte mi sembri un fratello minore, altro che “l'uomo di casa”!
Ah, finalmente un sorriso! – Tadashi la afferrò alla vita e se la tirò in grembo – Era ora!
Mayu girò la testa e lo guardò sorpresa.
L'hai fatto apposta?
Lui arricciò il naso.
Chissà. Però è bello sentirti ridere di nuovo.
Era vero. Era bello ridere di nuovo.
Dalla sera in cui Harlock gli aveva sparato, Mayu aveva creduto che non ci sarebbe più riuscita.
Quel colpo di pistola che aveva quasi fermato il cuore di Tadashi aveva diviso il suo a metà: amava Harlock come un padre e Tadashi come un fratello maggiore, anche se nelle loro vene non scorreva lo stesso sangue. Forse, li amava ancora di più proprio per questo. Gli appoggiò la testa sulla spalla.
Ho paura, Tadashi – chiuse gli occhi – Non voglio perdere né te, né Yuki... e nemmeno Harlock! Torneremo mai come prima?
Non lo so – Tadashi le accarezzò i capelli – Ma farò di tutto per scoprire la verità, te lo giuro.
Bussarono alla porta. Mayu si alzò e si guardò intorno.
Il Dottore russava sulla sua branda, la bottiglia vuota ancora stretta nella mano e Mi che affilava le unghie sul suo camice già logoro.
Andò ad aprire. Era il Vice-Comandante della Karyu, Shizuo Ishikura.
Buonasera, Signor Daiba. Signorina Oyama... – guardò verso il Dottore con aria perplessa, poi riportò l'attenzione su Tadashi – Non vedo la Signora Kei.
È nell'altra stanza – lo informò Mayu – Forse si è addormentata.
Ah... bene, non importa: volevo solo informarvi che arriveremo su Heavy Meldar tra circa venti minuti: provvederò a mandarvi il Dottore poco prima dell'atterraggio.
Grazie, Signor Ishikura, ma non credo ce ne sia bisogno – Tadashi spinse via il piatto e si alzò – Non ho sofferto conseguenze né durante il decollo né durante i salti iperspaziali. Anzi, le dirò: mi sento molto in forze. Forse questa breve vacanza sulla vostra nave mi ha giovato.
Ne sono contento.
Grazie della premura, comunque.
Il Capitano vuole inoltre che la informi che, appena atterrati, cominceremo subito il lavoro di raccolta delle informazioni: i primi due gruppi a uscire saranno formati da me, dal Capitano in persona e da altri due elementi. Il Comandante Oki rimarrà a bordo per coordinare le operazioni: se avrete bisogno di qualcosa, potrete rivolgervi a lei. Ogni tre ore è previsto l'aggiornamento via radio e ogni sei il ritorno sulla nave per il cambio con un altro gruppo. Vi terremo informati di ogni sviluppo in tempo reale.
Bene – annuì Tadashi – Dica a Zero che vi sono davvero grato per quanto state facendo per noi.
Agli ordini – Ishikura scattò sull'attenti – Con permesso, vado a prepararmi.
Aprì la porta e se ne andò.
Tadashi si stiracchiò e allacciò il colletto della tuta spaziale. Vestito così, a Mayu ricordò il giovane pirata che aveva conosciuto sette anni prima, solo un po' più alto e meno sbarazzino.
D'accordo: diamoci da fare.
Scenderemo anche noi a terra?
No, te l'ho già detto: sarebbe troppo pericoloso. Io sono ufficialmente morto mentre tu e Yuki risultate scomparse. Tutti conoscono le nostre facce e potremmo procurare dei guai a Zero, se andassimo con lui e i suoi uomini.
Lascia andare almeno me! Potrei travestirmi come quando siamo saliti...
Mayu: no – Tadashi s'accigliò – Capisco la tua voglia di renderti utile... anch'io vorrei poter fare qualcosa che non sia star qui ad aspettare, ma non possiamo rischiare di far saltare tutto. Lo capisci?
Mayu abbassò il capo. Tadashi le accarezzò di nuovo i capelli.
Su, va' un po' a letto, ora. Stasera tu e Yuki dovrete essere in forza e ben sveglie – aprì la porta della stanza in cui si erano sistemate.
Yuki era distesa sulla sua branda, girata su un fianco, un libro ancora aperto in mano. Non si mosse. Tadashi s'avvicinò, si chinò su di lei e prese il libro. Lo posò sul comodino.
Povera Yuki, devi essere davvero a pezzi. Mi dispiace.
La coprì col lenzuolo, le sfiorò i capelli e si alzò. Aveva un'espressione triste.
Non è stata colpa tua.
Forse – Tadashi strinse il pugno – Ma ho lasciato che si accollasse troppe preoccupazioni: negli ultimi tempi non ha fatto altro che lavorare, studiare un piano per toglierci dai pasticci e starmi accanto, giorno e notte. Non le sono stato d'aiuto nemmeno un po'. E come se non bastasse...
Anche se non finì la frase, Mayu capì cosa voleva dire.
E come se non bastasse, il suo adorato Capitano ha tentato di ucciderla.
Si chiese se la sensazione che avevano provato Yuki e Tadashi fosse orribile come quella che sentiva lei ogni volta che ripensava ad Harlock, il suo amato Harlock, che le puntava contro la pistola.
Io volevo aiutarla. Ma l'unica cosa che m'ha permesso di fare è stata contattare Zero e stare con te, qualche volta. E ho dovuto insistere anche per quello. Mi ha persino sgridata per averle salvato la vita...
Aveva ragione. Non fare mai più una cosa tanto avventata.
Le vennero le lacrime agli occhi e dovette fare appello a tutte le sue forze per non urlare.
Ma perché non vi fidate di me? Non sono più una bambina, so badare a me stessa.
Lo so – Tadashi le sorrise malinconico – E lo sa anche Yuki.
Ma allora perché? – davvero non li capiva.
Alla sua età, sia Yuki che Tadashi facevano i pirati. La loro vita, in quel periodo, era stata un susseguirsi di sparatorie, duelli nello spazio, combattimenti all'ultimo sangue, tranelli e pericoli. Perché, se loro se l'erano sempre cavata, non avrebbe potuto riuscirci anche lei?
Perché sia io che lei preferiremmo farci ammazzare un milione di volte piuttosto che vederti in pericolo per un solo secondo. Se ti capitasse qualcosa, Yuki ne morirebbe. E anch'io.
Mayu si vergognò di aver pensato male di loro. Guardò Yuki e poi Tadashi. Le lacrime che aveva cercato di trattenere le scesero sulle guance. Non erano più di rabbia. Forse, solo in minima parte.
Vi voglio bene, Tadashi – gli gettò le braccia attorno alla vita – Ma siete due stupidi.
Lo so.
Siete due stupidi perché anch'io morirei se vi capitasse qualcosa.
Lo so – lui la staccò da sé – Ma ora non piangere. Ricordi? Ti voglio veder sorridere.
Mayu s'asciugò le lacrime. Gli porse il bicchiere d'acqua che aveva sul comodino e le due pillole che aveva in tasca.
Tieni, prendi la tua medicina.
Oh, no! – Tadashi si portò la mano alla fronte con un gesto melodrammatico – Speravo te ne fossi dimenticata!
Niente capricci – gli ricordò Mayu con un sorriso.
Come mai due?
I Dottori hanno detto che per l'atterraggio è più prudente raddoppiare la dose.
Con un'alzata di spalle, Tadashi prese le due capsule, se le mise in bocca e le mandò giù.
Ora a letto, Mayu. Sei sveglia da più di diciotto ore.
In realtà, ne aveva dormite quattro o cinque tra il risveglio di Tadashi e la fine del turno del Dottor Zero, ma non protestò. Si stese sulla branda e lasciò che lui spegnesse la luce.
Quando fu uscito, accese il lume e si mise a sedere.
Sul tavolino, accanto al bicchiere, c'erano i suoi tesori: l'ocarina e la Cosmo Dragoon.
Ognuno di quegli oggetti, ogni volta che li guardava, le facevano tornare alla mente una marea di ricordi.
L'ocarina era indissolubilmente legata ad Harlock.
Ricordava il giorno in cui gliel'aveva messa per la prima volta al collo come se fosse successo un momento prima, il suo sorriso velato di tristezza mentre raccoglievano i fiori da portare sulla tomba di suo padre e la sua mano così grande e forte che con delicatezza infinita posava il mazzo ai piedi della croce, accanto al suo.
Quel giorno aveva rischiato la vita pur di stare un po' con lei, pur di darle quello strumento e mantenere una promessa fattale quando aveva appena cinque anni.
Ogni istante trascorso insieme, da allora, era stato così: un miscuglio di pericolo, serenità, musica e cose non dette.
Ogni volta, lei aveva desiderato che lui non venisse, ma poi gli era corsa incontro a braccia aperte, felice che fosse lì.
Ogni volta avrebbe voluto dirgli un sacco di cose e farsi raccontare di lui, dell'Arcadia e delle sue avventure in giro per il cosmo, ma poi si era sempre messa a suonare mentre lui rimaneva ad ascoltarla in silenzio, l'unico occhio chiuso e le braccia incrociate dietro la testa, disteso nel prato o appoggiato al tronco di un albero, la mente che vagava chissà dove.
Ogni volta, mentre suonava, aveva desiderato che andasse subito via, e allo stesso tempo che non la lasciasse mai.
Poi, un giorno, era partito per non tornare più.
Era successo la sera del suo nono compleanno, il giorno in cui le aveva lasciato la pistola di sua madre. Mayu accarezzò l'arma.
Più che Emeraldas, di cui aveva solo alcune vecchie foto e qualche ricordo frammentario, le faceva venire in mente Yuki e Tadashi, e il periodo in cui aveva cominciato a vivere con loro.
Yuki che rifiutava di lasciarla di nuovo alle cure della direttrice del Santa Giovanna, le mani sui fianchi e un cipiglio da far venire i brividi su quel viso di solito tanto angelico.
Tadashi arrampicato su una scala che riparava il tetto di quella che sarebbe diventata la sua prima vera stanza, fra sternuti e imprecazioni perché più martellava, più il buco nel soffitto pareva allargarsi.
Yuki che cucinava per lei, le mani delicate screpolate e piene di bruciature.
Tadashi che suonava all'armonica la melodia che lei intonava sempre con l'ocarina.
Yuki che le insegnava a distinguere le costellazioni e le parlava dei sistemi stellari in cui era stata.
Tadashi che giocava con lei nella neve o fra i prati, mentre le stagioni si susseguivano.
Ma, più di tutto, loro due che le insegnavano a sparare, proprio con quella pistola.
Avevano cominciato il giorno del suo decimo compleanno, il primo in cui Harlock non s'era fatto vivo. Lei lo aveva aspettato tutto il giorno e tutta la notte. Da qualche parte nel suo cuore sapeva già che non sarebbe venuto e che non l'avrebbe mai più rivisto, eppure non era riuscita a impedirsi di scoppiare in lacrime quando l'orologio aveva battuto dodici rintocchi.
A un certo punto, loro le avevano messo fra le mani la pistola e le avevano detto che per lei era giunto il momento di prendere in mano la sua vita: le avrebbero insegnato tutto ciò che sapevano e, un giorno, quando fosse stata pronta, quando avessero costruito una nuova storia per il genere umano come gli avevano promesso, sarebbero andati a cercarlo insieme.
Soprattutto all'inizio, Mayu aveva creduto che avessero fatto tutte quelle cose come una sorta di dimostrazione di rispetto per il loro Capitano, ma in quel momento più che mai sentiva che erano diventati davvero la sua famiglia, che le avevano sempre voluto bene. Davvero.
Un bagliore si rifletté sulla Cosmo Dragoon posata accanto alla sua.
La pistola di Harlock.
La prese in mano.
Era molto consumata: la canna era rigata e annerita in più punti e le guancette dell'impugnatura erano ormai sbiadite e del tutto lisce dove lui l'aveva stretta fra le mani. Quell'arma doveva aver affrontato innumerevoli battaglie, e si vedeva.
Da quella pistola era partito il colpo che aveva quasi ucciso Tadashi.
Con quella pistola, Harlock aveva sparato a Yuki.
Quella pistola l'aveva puntata contro di lei.
Mayu s'alzò e aprì l'armadio. Ne tirò fuori la divisa che Zero le aveva dato per imbarcarsi di nascosto sulla Karyu e un berretto che il Capitano doveva aver dimenticato di prendere e li indossò.
Guardò Yuki, il bicchiere vuoto sul comodino, il cestino in cui aveva buttato il blister di sonniferi che aveva chiesto al Dottor Machine e solo finto di prendere nei giorni prima e i tovaglioli in cui aveva tenuto la polvere che aveva versato nel bicchiere di Yuki e nella bottiglia del Dottor Zero.
Si sentì in colpa, ma ormai aveva preso la sua decisione e doveva andare fino in fondo.
Mi dispiace, Yuki – le diede un leggero bacio sulla guancia – Sto di nuovo per fare una cosa da incosciente che ti farà preoccupare, ma anche se ci fosse solo una possibilità su un milione d'incontrarlo o capire cosa gli è successo, devo andare.
Allacciò al fianco la fondina, mise al collo la sua ocarina e uscì nell'altra stanza.
Tadashi dormiva seduto alla scrivania, la testa appoggiata sull'avambraccio.
Mayu gli scostò una ciocca di capelli dagli occhi e baciò anche la sua guancia.
Di certo, si sarebbe arrabbiato al suo risveglio.
Scusa, Tadashi.
Guardò l'ora: mancavano dieci minuti alle quindici. Si voltò indietro un'ultima volta, si chiuse la porta alle spalle e partì coi suoi tre tesori: l'ocarina, la pistola e il pensiero di coloro che amava.


Ehm... chiedo scusa per le quantità industriali di zucchero in questo capitolo!
Giuro che non lo faccio più... XD

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Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 10
*** Il Signor Ishikura e le donne ***


cap 8 Shizuo Ishikura allacciò la cintura di sicurezza, premette il pulsante di chiusura del cupolino e avviò il motore del Bullet Four numero due.
Accanto a lui, Grenadier allungò le gambe sul cruscotto e cominciò a fischiettare un'allegra marcetta militare. Gliel'aveva fatta anche stavolta: si era fatto mettere in coppia con lui nonostante le sue proteste e sapeva che avrebbe cercato di convincerlo a incontrare Sylviana. 
Ishikura alzò gli occhi al cielo e mise in moto.
Tenne dietro in silenzio a Eluder e al Capitano Zero fino al Saloon di Gun Frontier.
– Gun Frontier – Grenadier sospirò – Quanti bei ricordi!
Ishikura lo ignorò, scese e andò incontro a Zero ed Eluder.
– Dunque, Signori, ricapitoliamo – Zero si schiarì la voce e si sistemò il cappello – La missione è puramente ricognitiva. Obiettivo: ottenere informazioni sulla posizione di Harlock o dell'Arcadia. Niente scontri, niente iniziative personali, niente danni a cose, persone o animali.
Gli scoccò uno sguardo significativo e lui scattò sull'attenti.
– Agli ordini.
– Il punto di ritrovo è fissato all'interno del Saloon fra tre ore esatte, alle 18.00. In caso di problemi al veicolo o all'attrezzatura, comunicate la vostra posizione e attendete in loco. In caso avvistiate l'obiettivo, il mio ordine tassativo è di non ingaggiare alcuno scontro: limitatevi a pedinarlo, lanciate il segnale convenuto e attendete rinforzi. Sono stato chiaro?
– Limpido, Capitano! – Grenadier rimirò il Saloon con espressione estatica.
– Bene, Signori. Io ed Eluder andremo a sentire le autorità locali e, in caso d'insuccesso, i macchinisti della Galaxy Express Railways. A voi restano i cacciatori di taglie e i negozianti locali. Ci vediamo qui fra tre ore. Buon lavoro.
Anche a lei, Capitano.
Con un rapido cenno di saluto, Zero s'avviò verso l'ufficio dello Sceriffo seguito da Eluder.
Grenadier accennò al Saloon.
– Che dici, entriamo a farci un goccetto?
– Siamo in servizio e non sono nemmeno le quattro del pomeriggio, Grenadier.
– E va bene, rompiscatole – Grenadier sbuffò e incrociò le braccia sul petto – Allora metti in moto e andiamo da Sylviana.
– Ancora con questa storia? – Ishikura si sentiva le orecchie in fiamme – Non sono d'accordo, lo sai: non ci si può fidare di quella donna!
Grenadier lo guardò e si mise a ridere.
Era stato lui a suggerire al Capitano l'idea dei cacciatori di taglie e, per somma disgrazia di Ishikura, Sylviana era la più famosa esponente locale della categoria.
– Su, non fare il timido, Ishikura! Tanto lo so che la vuoi rivedere anche tu!
Ishikura diede un calcio a un sasso e affondò le mani nelle tasche.
– Quanto vorrei rivedere una vipera – diede le spalle a Grenadier e s'incamminò verso il Bullet Four – E poi chi ti dice che sia ancora qui, dopo tutti questi anni?
– Diavolo, è una cacciatrice di taglie! Dove altro potrebbe voler stare?
In effetti, quello era il luogo ideale: una città di frontiera in un pianeta di frontiera, un luogo di passaggio obbligato per chiunque viaggiasse nello spazio. 
Era l'ultimo santuario per chiunque avesse sogni di libertà... o qualcosa da nascondere.
“Gun Frontier… dove gli uomini veri vagano sempre con le pistole in mano.”
Ishikura si guardò intorno e, sebbene non avesse mai del tutto capito perché qualcuno, alle soglie del trentesimo secolo, potesse voler vivere come alla fine del diciannovesimo sulla Terra, dovette ammettere che era un luogo affascinante. Con la sua divisa immacolata e quel mezzo militare modernissimo, si sentì un po'fuori posto.
– E tu da dove diavolo sbuchi?
La voce di Grenadier lo distolse da quei pensieri. Si voltò.
Grenadier teneva per la collottola quello che sembrava un loro ufficiale con in testa il berretto del Capitano.
Ishikura s'avvicinò, lo guardò meglio e sbiancò.
– Che ci facevi nel vano per l'equipaggiamento, eh? Rispondi! – Grenadier diede una botta al cappello del clandestino, che volò a terra.
Folti capelli scuri ricaddero sul suo viso e le sue spalle.
Grenadier spalancò gli occhi.
– Ma... ma... ma...
Ecco fatto: adesso siamo nei guai!
Ishikura si guardò intorno. Per fortuna c'era poca gente per strada e nessuno pareva far caso a loro.
Per il momento.
Afferrò il braccio di Grenadier.
– Mollala e salite tutti e due – gli sussurrò mentre raccoglieva il cappello e lo riconsegnava alla proprietaria – Sbrigatevi!
Mise in moto e si allontanò il più in fretta possibile, un mare di pensieri per la testa... e nessuno buono.
– Ma questa è Mayu Oyama!
– Dimmi qualcosa che non so, Grenadier – Ishikura sterzò con violenza e imboccò la strada che portava fuori città – Per esempio come spiegarlo al Capitano.
– Vuoi dire che per tutto questo tempo è stata a bordo della Karyu? Magari insieme alla Signora Kei?
Se solo sapessi...
Ishikura ricordò lo shock provato nel vedere loro due e il defunto Tadashi Daiba nella cabina del Capitano e sospirò. Persino l'imperturbabile Comandante Oki, al suo fianco, era impallidita.
– Non posso rivelare nulla senza l'autorizzazione del Capitano – disse invece, gli occhi fissi sulla strada piena di buche e sassi – Contattalo sulla linea sicura, Grenadier, e chiedigli istruzioni.
– No, vi prego! Lasciatemi scendere!
– Non posso, Signorina. Per la sua sicurezza, è meglio che torni subito sulla Karyu. Questo posto è pericoloso.
– Per favore, Signor Ishikura – Mayu si sporse in avanti – Io devo trovare Harlock! È come un padre per me! Voglio capire cosa gli è successo, parlare con lui...
– Mi spiace, ma non posso permettere che si metta in pericolo. È sotto la mia diretta responsabilità.
– Allora lasciatemi almeno venire con voi! Prometto che non tenterò di scappare e non farò nulla di pericoloso. Con voi due sarò al sicuro come sulla nave. Se poi il Capitano Zero dovesse arrabbiarsi, mi prenderò le mie responsabilità.
– Mi sembra ragionevole, Ishikura – Grenadier si grattò il mento – Dai, accontentiamola!
– Ma non dire idiozie! – Ishikura sterzò di nuovo per evitare una buca e ne prese un'altra ancora più profonda. Il mezzo sobbalzò con violenza – La stanno cercando in tutto l'universo, nel caso te lo fossi scordato. Inoltre siamo in uno dei posti più pericolosi in assoluto sulle tracce di uno degli uomini più pericolosi in assoluto che forse è pure impazzito e tu vorresti...
– Impazzito?
Ishikura frenò.
Che idiota!
Come aveva potuto dire una cosa del genere proprio davanti a lei?
La guardò. Come aveva temuto, i suoi grandi occhi castani erano colmi di lacrime.
– Ishikura! – Grenadier lo afferrò per il colletto – Guarda cos'hai combinato!
– Non intendevo...
Mayu singhiozzò. Grenadier alzò un pugno.
– Mi dispiace!
– Meriteresti che t'ammazzassi di botte – Grenadier lo mollò – Ma mi accontenterò che ci porti da Sylviana.
– Ma...
– Senza discussioni, o dirò al Capitano che hai ignorato di proposito una traccia e maltrattato la Signorina – ghignò – Senza contare che non ti sei accorto che era nascosta nel vano delle attrezzature.
Bastardo!
– Non te ne sei accorto nemmeno tu – gli ringhiò – E il Capitano aveva ordinato di contattarlo, in caso di problemi.
– No – Grenadier alzò un dito con un sorriso fiero stampato in volto – Aveva ordinato di contattarlo in caso di problemi alle attrezzature o al veicolo e di limitarsi a pedinare Harlock se per caso l'avessimo trovato. Non è successo nulla di tutto questo.
Ishikura si passò una mano sul viso. Quell'uomo era davvero impossibile.
E si ricordava le istruzioni di missione solo quando non doveva. O se gli conveniva.
– Ti rendi conto di cosa succederà sulla Karyu quando s'accorgeranno della sua scomparsa? Ti rendi conto che il Capitano ci ucciderà con le sue mani?
– Faremo in fretta – Grenadier gli fece un gesto vago – Andiamo da Sylviana, le chiediamo di Harlock e contattiamo subito Zero. Se lui ordinerà così, riporteremo indietro la Signorina. Basterà fare finta di non esserci accorti di nulla fino ad allora.
Ma perché ogni volta che vengo qui con lui mi ficco nei pasticci? Perché gli do ancora retta?
Guardò Mayu, seduta sul sedile posteriore. Si era asciugata le lacrime e lo guardava speranzosa.
E perché se una donna mi guarda così non riesco a resistere?
– Maledizione – riavviò il mezzo e svoltò in direzione della casa di Sylviana, le guance in fiamme –  Il Capitano mi ucciderà.
– Sì... decisamente questa volta non si limiterà a darti un pugno.
– Grazie tante, Grenadier.
Per tutto il tragitto, nessuno parlò. Per fortuna.
Arrivarono alla casupola di Sylviana in meno di mezz'ora.
A dispetto delle speranze di Ishikura, pareva ancora abitata: c'erano tende alle finestre e le luci accese, senza contare il piccolo jet col simbolo personale della cacciatrice di taglie parcheggiato sotto un riparo di lamiere.
Una specie di cavallo, un cuore e una cometa...
Per essere una spietata bounty killer, Sylviana aveva ancora un lato sorprendentemente frivolo e infantile. Ishikura scese e bussò. Nessuno rispose.
– Non c'è – allargò le braccia – Ora chiama il Capitano, Grenadier.
L'ex mercenario scese, si chinò davanti alla porta, estrasse dalla tasca un grimaldello e un coltellino e si mise ad armeggiare con la serratura.
– Entriamo.
– Ma sei matto?!
– Perché? – Grenadier alzò le spalle – Qui puoi fare tutto: basta esserne capace. E io sono uno specialista con queste vecchie toppe.
– Il Capitano aveva detto di non fare danni – Ishikura aveva voglia di piangere. O di spaccargli la testa. Forse avrebbe fatto entrambe le cose, se non ci fosse stata quella ragazzina al suo fianco.
– E io mica voglio tirarle giù la casa. Mi basta entrare.
La serratura scattò. Dentro, rumore d'acqua corrente.
A quanto pareva, Sylviana era sotto la doccia.
Ishikura arrossì di nuovo e si passò la mano sul viso.
Ma tu guarda in che situazioni assurde mi devo cacciare...
– Ehi, Sylviana! Ci sei? – Grenadier bussò alla porta del bagno. Nessuna risposta.
Aspettarono qualche istante.
– Forse si è sentita male – Mayu parlò per la prima volta da quando erano arrivati – Posso andare a vedere.
– Non se ne parla, Signorina. Lei è sotto la mia diretta responsabilità.
– Allora vado io – Grenadier mise una mano sulla maniglia.
– No!
Troppo tardi. Ishikura si preparò a uno strillo e al lancio di oggetti che di sicuro lo avrebbe seguito. Invece, vide Grenadier sussultare più volte e cadere a terra.
Corrente elettrica?!
Diede un calcio alla porta. Sulla maniglia interna c'era un morsetto collegato a un generatore.
Nella stanza, nessuno.
– Cercavi me, soldatino?
Si voltò. Sylviana era dietro di lui e puntava la pistola alla tempia di Mayu.


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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 11
*** Heavy Red Barbour ***


cap 8 Zero si asciugò il sudore dalla fronte e guardò l'orologio: le cinque e quaranta.
Signor Eluder, è meglio incamminarsi – fra meno di un'ora si sarebbero dovuti ritrovare al Saloon.
Non avevano ancora combinato niente: lo sceriffo era morto una settimana prima in una sparatoria e il suo Vice era fuori a sedare una qualche lite per questioni di proprietà, mentre i controllori, i macchinisti e gli addetti ai radar delle Galaxy Express Railways che avevano interrogato non gli erano stati utili; sia Harlock che l'Arcadia sembravano svaniti nel nulla.
Chissà se Ishikura e Grenadier hanno avuto maggior fortuna.
Lo escludeva, in realtà: in caso contrario lo avrebbero già contattato. O almeno lo sperava.
Camminare di nuovo per Gun Frontier mentre scendeva la sera lo riportò indietro nel tempo, insieme a Tochiro, a Emeraldas e a un Harlock ventenne con ancora entrambi gli occhi, a un brindisi lontano con un nemico che, aveva pensato allora, in altre circostanze sarebbe potuto forse diventare il suo migliore amico.
Ricordò quella sera: avevano bevuto Heavy Red Barbour ghiacciato, parlato a lungo dei loro ideali e dei motivi che li spingevano a combattere e infine s'erano promessi l'un l'altro di affrontarsi da veri uomini, con lealtà e rispetto, in mezzo alle stelle o in qualunque altro luogo il destino e le loro scelte li avessero portati. Era un peccato che i loro metodi fossero così diversi e inconciliabili: quell'uomo aveva il suo stesso identico sogno e il cuore puro di un vero guerriero.
O almeno, così era allora...
La piazza centrale della città si profilò davanti a lui nella luce della sera e Zero pensò che la vita era davvero strana.
Tanto tempo, tante traversie e adesso era di nuovo lì, allo stesso punto di partenza di quattordici anni prima, impegnato nella stessa missione. Rise fra sé e bussò alla porta dello sceriffo.
Avanti!
Entrò. Un forte odore di petrolio gli penetrò nelle narici.
Il Vice-Sceriffo Carson era seduto alla scrivania e stava pulendo la sua pistola, un vecchio modello a tamburo che Zero non conosceva.
Alzò gli occhi dal suo lavoro e lo guardò di sbieco: i soldati della Federazione non erano molto ben visti da quelle parti.
Zero si levò il Cappello e gli porse la mano.
Sono il Capitano Warius Zero, della Flotta Unita Terrestre. Lui è il Signor Ax Eluder, pilota e timoniere della Karyu.
L'uomo ignorò il suo gesto, prese uno scovolo di crine dal piano di lavoro e lo passò con cura nella canna della pistola.
Cosa posso fare per voi?
Fornirci qualche informazione, se ne è in possesso – Zero lasciò cadere la mano lungo il fianco e sedette davanti a lui – Sono in missione per conto del Comando Centrale dell'Esercito Federale: il mio scopo è rintracciare e arrestare il pirata spaziale Harlock.
Carson posò lo scovolo e afferrò una pezzuola di cotone.
Finalmente si svegliano, laggiù – arrotolò lo straccio intorno a un bastoncino di metallo e infilò anch'esso nella canna –  Peccato che succeda solo quando ci va di mezzo qualche pezzo grosso dei loro.
Prego?
Carson estrasse la pezzuola e la esaminò. Era ancora candida.
Con un impercettibile cenno d'assenso, la usò per coprire la canna e passò al tamburo.
Un anno fa, un mese dopo l'esplosione a Elpìs, lo Sceriffo Lund aveva chiesto supporto per due casi di sparizione avvenuti qui a Gun Frontier e collegabili proprio ad Harlock – Carson riprese in mano lo scovolo, versò il solvente nelle camere del tamburo e spazzolò con vigore – Bé, sapete cosa gli risposero i vostri superiori, Signor Capitano e Signor Pilota? Che visto che questa è una città libera su un libero pianeta doveva arrangiarsi, che non c'erano prove materiali che quelle persone fossero proprio chi pensavamo noi e tanto meno che Harlock fosse implicato in qualcosa di losco, solo voci senza fondamento!
Zero rigirò fra le mani il berretto.
Un altro mistero? Proprio quel che ci mancava...
Chi erano le persone scomparse?
Ben due importanti ex membri dell'equipaggio di Harlock, arrivati qui col Galaxy Express e svaniti nel nulla nel giro di ventiquattr'ore – Carson esaminò la parte anteriore del tamburo e sfregò anche quella – Lund inviò non so quante comunicazioni al vostro Ministero della Difesa paventando che quel pirata stesse rimettendo insieme la sua banda di tagliagole per chissà quale motivo, ma fu ignorato: il Ministro gli diede addirittura del pazzo visionario. E adesso avete il coraggio di chiedere la mia collaborazione?
Un momento, Signor Carson: due ex membri dell'equipaggio dell'Arcadia? Non mi risulta che nessuno di loro sia mai venuto su Heavy Meldar negli ultimi tre anni.
Le risulta male – il Vice-Sceriffo prese uno scovolo di rame e spazzolò con cura il tamburo della pistola – Ho visto di persona uno di loro scendere dal treno e andarsene con un tizio avvolto in un mantello nero dalla testa ai piedi e ho nello schedario il passaporto dell'altro – asciugò il pezzo e indicò la bacheca con i manifesti dei ricercati – Viaggiavano sotto falso nome, ma dopo tutti gli anni in cui ho avuto le loro facce appese davanti agli occhi su quel muro insieme a quella del loro Capitano, non posso sbagliarmi: erano l'Ufficiale di Rotta Yattaran e il Capo Macchinista Maji.
Zero spalancò gli occhi. Né Tadashi né Yuki avevano accennato a nulla di simile.
Da quanto ne so io, sono scomparsi proprio un mese dopo l'esplosione di Elpìs, ma sulla Terra: nessuno ha mai accennato al Galaxy Express o a questo posto.
Allora qualcuno le nasconde qualcosa, caro il mio Capitano – Carson rise e bagnò con una goccia d'olio i congegni di scatto e rotazione del tamburo – Prima di buttarsi dietro ad Harlock e alla sua ciurma, le consiglierei di capire di chi fidarsi fra i suoi!
Zero rimase in silenzio. Il Vice-Sceriffo tolse la pezzuola da sopra la canna, la bagnò col solvente e la passò sulla pistola. Provò il timing: la rotazione era fluida.
Richiuse l'arma con un abile movimento del polso, la infilò nella fondina e si alzò.
Bene, io devo andare. E anche voi.
Posso vedere quel passaporto? – Zero si alzò a sua volta.
Carson andò allo schedario, armeggiò con i cassetti e gli porse una cartella.
Zero l'aprì: dentro c'erano dei documenti, un paio di biglietti del Galaxy Express e alcuni fogli dattiloscritti, di certo con una vecchia macchina da scrivere.
Solo a Gun Frontier...
Tutto quello che abbiamo trovato è lì dentro, insieme ai rapporti del povero Lund. È tutto suo.
La ringrazio – Zero si rimise il cappello e si avviò verso la porta.
Vi tratterrete molto, Capitano?
Tutto il tempo necessario, Vice-Sceriffo. È stato un piacere.
Eluder gli tenne aperta la porta e lui uscì.
Che uomo irritante.
Zero scollò le spalle.
Almeno ci ha dato quel che volevamo senza troppe storie – guardò l'orologio – Signor Eluder, torni al Bullet e contatti sia la Karyu che Ishikura, poi ci raggiunga al punto d'incontro.
Zero s'incamminò verso il Saloon cercando di rimettere ordine nei suoi pensieri.
Le consiglierei di capire di chi fidarsi fra i suoi!
Le parole di Carson gli rimbombavano nella testa.
Si chiese chi potesse avere interesse a coprire il viaggio di Yattaran e Maji a Gun Frontier e perché.
Poi, un pensiero gli attraversò il cervello: per riuscirci, chiunque fosse, doveva avere molto potere, quantomeno un aggancio ai piani alti del Ministero della Difesa e la possibilità d'influenzare i mezzi d'informazione, dato che nulla di tutto ciò era trapelato e che nemmeno il Primo Ministro pareva esserne al corrente.
La teoria di Tadashi di una cospirazione interna al suo stesso Governo pareva prendere corpo... Zero non voleva credere che fosse stato proprio lui a mentirgli.
Entrò nel Saloon e andò a sedersi a un tavolo d'angolo, la schiena rivolta al muro e gli occhi sulla porta.
Era improbabile che qualcuno tentasse d'aggredirlo da dietro o che una sparatoria potesse coglierlo impreparato e forse quella sua abitudine aveva un che di paranoico, ma preferiva avere sempre una visione completa del luogo in cui si trovava e le spalle coperte.
Gli avventori erano pochi: era ancora presto per la cena e, a quanto pareva, non c'erano spettacoli in programma. Meglio così: avrebbe potuto fare il punto della situazione coi suoi uomini in tutta tranquillità.
Aprì la cartella del Vice-Sceriffo.
Ciò che gli saltò subito agli occhi fu la foto sul passaporto; il nome era diverso, ma Carson aveva ragione: quello era senza dubbio il Capo Macchinista dell'Arcadia, Maji.
Il biglietto e il timbro avevano impressa la data del sedici settembre duemilanovecentottantatre.
Elpìs era esplosa in agosto e quell'uomo era scomparso nel nulla alla fine dello stesso mese.
Era il Direttore del Rifugio Harlock per gli orfani di guerra, un benefattore adorato da tutti quasi quanto Daiba, e la cosa fece scalpore.
Devo parlare con Yuki e Tadashi. Inutile fare congetture adesso.
Richiuse la cartella e guardò l'orologio a muro: le 18.20.
Nessuna traccia né di Ishikura né di Grenadier.
Dove diavolo si saranno cacciati?
Tamburellò sul tavolo con le dita. Sperò per loro che non avessero combinato qualche guaio e si preparò un bel discorsetto sull'importanza della puntualità durante lo svolgimento delle missioni mentre osservava il barista andare avanti e indietro fra i tavoli.
Non era lo stesso di quattordici anni prima.
Si chiese dove fosse. Probabilmente, sotto tre metri di terra. Il pensiero lo intristì.
Il barista si fermò a parlare con un cliente avviluppato in un lungo mantello scuro, seduto anche lui spalle al muro e fronte alla porta nella penombra che avvolgeva l'altra parte del locale, un bicchiere ancora pieno in mano.
Il barista annuì e scomparve dietro il bancone, poi venne verso di lui.
Gli posò davanti un bicchiere: Heavy Red Barbour. Ghiacciato.


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Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 12
*** Mantelli neri, risse e altri misteri ***


cap 8 Posa la pistola. Lentamente.
Una goccia di sudore scese sulla guancia di Ishikura, dalla tempia al mento.
Lo sguardo di Sylviana andava dalla sua mano, che aveva estratto ancor prima che lui se ne rendesse conto, ai suoi occhi, alla testa di Mayu.
Senti, ci dispiace di essere entrati così in casa tua, ma non avevamo cattive intenzioni. Noi...
Posala – Sylviana premette la canna contro la tempia di Mayu e le passò il braccio sinistro attorno al collo – O il ragazzino, qui, farà una brutta fine.
Ishikura gettò una rapida occhiata a Grenadier. Era ancora immobile sul pavimento, privo di sensi.
Stupido, inutile bestione! Prima mi mette nei guai, e poi... guardalo lì!
Inspirò a fondo, si chinò e posò la sua arma a terra. Alzò le mani.
Adesso allontanala da te.
Ishikura diede un calcio alla pistola e alzò le mani.
– Va bene, hai vinto, ma non fargli del male. Prendi me, piuttosto.
Sylviana scoppiò a ridere, la stessa risata sguaiata da ragazzina che Ishikura ricordava da quattordici anni prima. Fece un passo indietro e puntò la pistola su di lui.
E perché dovrei, se posso avervi tutti?
A terra, Signor Ishikura!
Mayu s'aggrappò al braccio di Sylviana con entrambe le mani, lo strattonò verso il basso e tirò giù la testa.
Con un movimento fulmineo, portò la sua gamba sinistra dietro quella della cacciatrice di taglie, la agganciò e usandola come guida ruotò di centottanta gradi portando con sé la sua avversaria.
Colta di sorpresa, Sylviana perse l'equilibrio e cadde sulla schiena.
Premette il grilletto ma il colpo bucò soltanto le assi del soffitto.
Ishikura scattò, un solo pensiero nella testa: recuperare la pistola.
Era poco distante, ma gli sembrò di metterci un secolo.
Con la coda dell'occhio, vide Mayu gettarsi addosso a Sylviana e metterle un ginocchio sul polso per bloccarla e disarmarla; lei gemette ma non lasciò andare la pistola.
Uno scatto da sotto la manica e nella sua mano sinistra apparve un pugnale.
Mayu balzò all'indietro appena in tempo per non farsi sfregiare da Sylviana ed estrasse la sua Cosmo Dragoon. L'attenzione della cacciatrice di taglie era tutta rivolta alla ragazzina e Ishikura ne approfittò per portarsi alle sue spalle.
Ferma lì, Sylviana! – le appoggiò la canna della pistola sulla nuca – E giù le armi.
Sylviana si bloccò e si voltò verso di lui. Lasciò cadere il pugnale e la pistola, si rialzò e slacciò i cinturoni.
Complimenti, mocciosa – guardò Mayu – Non m'aspettavo che uno scricciolo come te sapesse uscire da una presa posteriore con strangolamento.
In effetti, non se l'era aspettato nemmeno Ishikura. Quella ragazzina sembrava così dolce e inoffensiva...
E invece, ecco un'altra pazza scatenata. Vatti a fidare delle donne!
Riportò la sua attenzione su Sylviana.
Che tu ci creda o no, Sylviana, non vogliamo farti del male, quindi datti una calmata, va bene?
Più che altro non posso farti del male, altrimenti il Capitano mi ucciderà due volte... forse anche tre.
Allora, cosa diavolo volete?
Sylviana scavalcò Grenadier e andò a chiudere il rubinetto della doccia.
Ishikura la seguì con la pistola in pugno, si chinò accanto all'ex mercenario e gli mise due dita sulla giugulare. Il cuore batteva ancora. Tirò un sospiro di sollievo.
Informazioni. Cosa sai di Harlock?
Ah, ho capito – sghignazzò lei – A quanto pare, il grande eroe Warius Zero ha deciso che dopo quattordici anni era ora di portare a termine la sua missione! Lento come un bradipo zoppo, ma meglio tardi che mai...
Ishikura si accigliò.
Attenta a come parli.
Sylviana si sedette sul bordo della vasca da bagno e guardò Mayu.
Vedo che ti porti dietro una bella sorpresina. Potremmo fare un sacco di soldi se la riportassimo sulla Terra, caro il mio soldatino – accavallò le sue lunghe gambe e lo squadrò dalla testa ai piedi, languida – Sai che, a guardarti bene, sei proprio carino? Sul serio, non mi dispiacerebbe una bella vacanza noi due soli per conoscerci meglio...
Dal punto in cui si trovava, Ishikura godeva di una generosa visuale delle sue grazie, evidenziate dal vestito provocante ormai bagnato in più punti.
Era certo che avesse calcolato tutto, persino il fatto che lui si sarebbe chinato proprio lì.
Distolse lo sguardo e sperò che il calore che sentiva salirgli alle guance non fosse troppo evidente sul suo volto.
Con me non attacca, Sylviana.
Si rialzò, diede un leggero calcio a Grenadier con la punta dello stivale e le puntò di nuovo contro la pistola. Sylviana gli strizzò l'occhio e s'avvicinò.
Oh, e va bene, ma sei tu che ci perdi – sorrise – Soprattutto perché siete in trappola!
Ishikura si voltò e li vide. I due uomini erano arrivati senza fare il minimo rumore, di sicuro dalle finestre frontali, l'unico punto che da lì non poteva tenere d'occhio.
Circondavano Mayu da dietro, le pistole spianate, ed erano posizionati in modo tale che lui non potesse colpirli senza il rischio che la ragazzina ci andasse di mezzo... senza contare poi che aveva alle spalle quella donna capace di tutto.
Quanto a Mayu, da quella distanza non sarebbe mai riuscita a girarsi e stenderli prima che uno di loro le fosse addosso. Da Grenadier, nessun segno di vita.
Maledizione!
Sylviana gli si mise di fronte, poggiò un dito sulla canna della sua pistola, gliela fece abbassare e gli stampò un bacio sulle labbra.
Potrebbe essere il nostro ultimo addio, soldatino. Quanto mi dispiace!
Come hai...?
Per tutta risposta, lei andò a recuperare i cinturoni e li riallacciò.
La fibbia a forma di cuore che li chiudeva lampeggiava.
Sylviana la premette sui bordi e il luccichio cessò.
Un allarme silenzioso. Cercava di guadagnare tempo... e io ci sono cascato come un pollo! Che vipera!
Non dovresti esser tu a proteggere noi, Sylviana?
Uno dei due uomini s'avvicinò e lo disarmò.
Era basso, incappucciato e avvolto in un mantello scuro.
Impugnava una Cosmo Gun, le armi dei pirati di Harlock. Ishikura sudò freddo.
Sylviana, non dirmi che sei in combutta con questa gente!
Sai com'è... m'hanno proposto un accordo molto vantaggioso.
Novità per quella cosa? – l'altro uomo spinse avanti Mayu e s'avvicinò. Il suo viso era coperto da un fazzoletto.
Nulla, mi spiace – Sylviana allargò le braccia – La somma non è ancora sufficiente. Non per quello che volete voi.
Lasciamo perdere, per adesso. Pensiamo a questi tre. Ragazzo, caricati in spalla il tuo compare e non tentare scherzi. Vale anche per te, Signorina.
Ishikura obbedì. Gli ci volle uno sforzo enorme e l'aiuto di uno dei suoi catturatori solo per riuscire a sollevare Grenadier. Anche se avesse voluto, e non voleva per non mettere ancor di più in pericolo la ragazzina o il Capitano l'avrebbe ucciso per la quarta, quinta e sesta volta, col peso di quel bestione sulle spalle non poteva certo “tentare scherzi”.
Lo sapevo che dovevamo chiamare il Capitano e riportarla a bordo. Ma perché capitano tutte a me?
Li spinsero fuori dalla casa. Sylviana li ammanettò e aprì la porta del Bullet.
Andiamo dal capo, soldatino.
Gli calò un cappuccio sul viso e lo sospinse dentro. Così, legato e senza sapere chi aveva davanti, dietro o di fianco, Ishikura si sentiva davvero inerme. La frustrazione lo assalì, il viaggio pareva non finire mai ed era una svolta continua. Avrebbe perso l'orientamento persino se avesse conosciuto Heavy Meldar come le sue tasche.
Dannazione!
Alla fine il Bullet si fermò. Gli fecero percorrere ancora un lungo tratto al buio. A un certo punto, il calore del sole fu sostituito da un'atmosfera fresca e umida, priva di correnti.
Una grotta?
Lo costrinsero a sedere per terra e finalmente lo liberarono dal cappuccio.
Ishikura si guardò intorno. Il posto sembrava una miniera in disuso.
Nell'ampia sala sotterranea in cui si trovavano erano stipate in disordine casse di cibo e forse armi, diverse brande, indumenti e, cosa che gli sembrò del tutto fuori posto, un'arpa.
Grenadier e Mayu erano di fianco a lui.
I due uomini si  tolsero cappuccio e fazzoletto. Mayu sbiancò.
Maji! Yattaran!
Ishikura li osservò bene e riconobbe anche lui l'ex Primo Ufficiale della Death Shadow II.
Secondo le informazioni del Capitano, quei due erano scomparsi dalla Terra da più di un anno e si temeva fossero morti. Che accidenti ci facevano, su Heavy Meldar? E che cosa stavano combinando lì?
Non ci capiva più niente: possibile che gli amici d'un tempo fossero diventati tutti criminali senza scrupoli e volessero far loro la pelle? Che diavolo stava succedendo?
Yattaran, Maji, sono Mayu! Non mi riconoscete?
Maji si grattò la barba e guardò Yattaran.
Secondo te è davvero lei?
Yattaran allargò le braccia.
Non possiamo saperlo per certo. Mayu è scomparsa da settimane, lo sai anche tu. E ci hanno già provato.
Ma tanto il capo risolverà brillantemente la situazione, no? –Sylviana si sistemò i capelli con un gesto elegante della mano affusolata – Non so la ragazzina, ma secondo me gli altri due sono proprio chi sembrano. Solo quel bestione di Grenadier e quel pivello lì potevano esser così scemi da cascare in quei vecchi trucchi.
Dio, quanto la odio!
Un'alta figura incappucciata entrò nella stanza da un corridoio laterale. Era avvolta in un lungo mantello nero e sulla sua spalla era appollaiato un grosso uccello.
Ishikura sudò freddo.
Che sia... lui?

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Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 13
*** Scintille in punta di spada ***


cap 8 Zero alzò lo sguardo.
L'uomo col mantello nero si girò verso di lui e sollevò il bicchiere.
La poca luce tremula delle lampade a olio gettava un'ombra inquietante sul suo volto sfregiato e coperto per metà da un lungo ciuffo di capelli castani, che però non nascondevano del tutto la benda sull'occhio mancante.
Il suo cuore sobbalzò come se volesse uscirgli dal petto.
Harlock!
Sapeva già come era cambiato il suo aspetto in quegli anni: aveva visto le sue immagini nei notiziari e le sue foto sui manifesti da ricercato, eppure constatare di persona come il tempo aveva trasformato il giovane pirata di tanti anni prima gli diede una strana sensazione.
Il suo cervello gli diceva che era lui, ma al suo cuore sembrava un estraneo.
Si alzò e lo raggiunse al tavolo, la mano sulla fondina al di sotto della giacca.
Sedette di fronte a lui.
Salve, Zero – Harlock svuotò il bicchiere tutto d'un fiato – Non ti va di brindare con un vecchio amico?
Non finché non m'avrai spiegato cosa stai combinando, Harlock.
Non c'è nulla da spiegare. Faccio quel che devo.
Zero si alzò, sbatté il pugno sul tavolo.
Quel che devi?! Non ti riconosco più, Harlock: far saltare in aria una colonia piena di civili, sparare al tuo amico Tadashi, cercare di uccidere Yuki e persino la figlia di Tochiro... praticamente una bambina! Che diavolo ti prende?!
Abbassa la voce, Zero. Non mi fai paura – Harlock lo guardò negli occhi, una luce fredda nell'unica pupilla che gli era rimasta – Io e te, soli, alla Valle della Morte. Con le Gravity Sabre.
Harlock...
All'ultimo sangue, così potrai regolare il nostro vecchio conto in sospeso. O almeno provarci.
Ogni dubbio residuo sull'identità di quell'uomo scomparve.
Solo Harlock poteva ricordarsi quella promessa lontana.
Zero serrò il pugno.
Non c'è un altro modo?
Harlock scosse il capo e si alzò. Zero lo seguì verso l'uscita posteriore del Saloon.
Camminarono fianco a fianco in silenzio nella luce di un tramonto rosso sangue. Zero strinse le labbra.
Fra poco, fra le rocce di Heavy Meldar, ne sarebbe scorso davvero: il suo o quello di Harlock.
Forse era scritto nel destino che quel giorno arrivasse.
Gli tornarono alla mente le parole di Emeraldas: “Sento che un giorno quest'uomo tenterà di uccidere Harlock con tutte le sue forze”.
Sì, lo avrebbe fatto. E poi avrebbe pianto un amico... o non avrebbe pianto mai più.
La Valle della Morte era poco distante da Gun Frontier, ma sembrava un altro mondo.
Una gola stretta e silenziosa, circondata da alte rupi.
In fondo a essa, le corde dei patiboli ondeggiavano al vento in maniera sinistra; c'era davvero odore di morte nell'aria.
Era lì che lui e Harlock s'erano incontrati di persona la prima volta, in una notte stellata come prometteva di essere anche quella.
È giusto così. Qui è cominciata e qui finirà. Combatterò lealmente, ma devo compiere il mio dovere, anche se non dovessi farcela.
Premette un tasto sull'orologio. Sperò con tutto il cuore che Ishikura, Grenadier ed Eluder fossero lontani e arrivassero a cose ormai fatte, comunque andasse a finire.
Non era fiero di ciò che stava facendo: si sarebbe meritato un pugno come quello che aveva dato a Ishikura quella notte di quattordici anni prima.
Harlock si fermò, snudò la Gravity Sabre. Zero lo imitò.
Si salutarono e s'avventarono l'uno contro l'altro.
Zero provò subito un affondo*, ma Harlock schivò con un rapido spostamento a destra e tutto ciò che ottenne fu di lacerare un altro po' il suo mantello già liso.
Aveva reagito così anche la prima volta che avevano duellato e, al suo posto, Zero avrebbe fatto la stessa cosa. Si passò la lingua sulle labbra: il loro stile di combattimento era simile, proprio come un tempo.
Nei dossier di Yuki c'era scritto che, prima di ribellarsi, Harlock aveva conseguito il Diploma da Ufficiale nella stessa Accademia che aveva frequentato lui. Forse avevano avuto addirittura lo stesso istruttore.
Zero provò a immaginarselo in divisa. Non ci riuscì.
Si voltò.
Harlock tentò un'imbroccata*, la gamba sinistra leggermente piegata, il busto che seguiva la direzione del braccio.
Zero s'abbassò e la lama, invece di recidergli la gola, frustò l'aria sopra la sua testa.
Il suo cappello cadde a terra.
Fa sul serio.
Contrattaccò con un montante* dal basso verso l'alto, ma Harlock lo parò senza difficoltà.
Zero si rialzò e impugnò la Gravity Sabre con entrambe le mani. Spinse fino a sentire il respiro di Harlock sul collo.
Arrenditi, Harlock! È meglio per te!
Harlock non rispose. Indietreggiò di un passo, bilanciò il peso sulla gamba destra e lo spinse via.
Zero inciampò e cadde.
Rotolò di lato appena in tempo per non esser trapassato da parte a parte.
La lama di Harlock gli sibilò alle spalle mentre tentava di rimettersi in piedi.
Ancora in ginocchio, Zero posò la destra vicino alla lama a novanta gradi e la sinistra sul pomolo, inclinò la spada  sulla spalla in modo da formare una finestra da cui guardare l'avversario e parò il colpo appena in tempo.
Ruotò su se stesso, mirò alle gambre e colpì di mezzano*.
Harlock saltò all'indietro e si rimise in guardia. Zero si rialzò.
Ansimava, ma lo stesso valeva per Harlock. La luce e il calore soffocante diminuirono. Il sole era tramontato dietro le rupi
Quanto tempo sarà passato da quando abbiamo lasciato il Saloon?
Ormai, Eluder doveva aver notato la sua assenza e avvisato la Karyu.
Zero attaccò di nuovo, di ridoppio*. Harlock parò, allontanò la sua lama e rispose di sgualembro*. Zero gli sferrò un montante *, Harlock rispose con un'imbroccata e un affondo.*
Le loro lame s'incrociarono ed emisero scintille nell'aria ormai buia.
Zero arretrò e alzò la guardia. È bravo.
Harlock tese il braccio e gli puntò contro la lama. Nonostante il peso, la lama non s'inclinò verso il basso e nessun tremito la fece ondeggiare.
Zero digrignò i denti.
È anche forte.
Harlock fintò, penetrò nella sua guardia e gli sferrò un affondo al ventre. Zero roteò su se stesso, parò di mezzano e rispose con un montante. Harlock arretrò. Zero fintò a sinistra, balzò a destra e mirò al fianco scoperto di Harlock nel suo punto cieco. Harlock parò senza nemmeno voltarsi, agganciò la lama di Zero e lo spinse via.
Zero serrò la mascella, arretrò e si rimise in guardia. Dannazione.
Sebbene svantaggiato dal campo visivo ridotto per via dell'occhio cieco, Harlock non era un avversario facile da sorprendere.
Zero ansimò. Harlock gli puntò di nuovo contro la lama.Perché non attacca?
Gli girò attorno. Harlock si mosse quel tanto che bastava a impedirgli di entrare nel suo punto cieco.
Una goccia di sudore gli colò sulla guancia e Zero inghiottì a vuoto.
Mi sto stancando e lui l'ha capito.
Girò attorno ad Harlock e gli sferrò un affondo. Lui parò col minimo movimento e tese di nuovo il braccio. Zero lo guardò. Respirava col naso e non sembrava nemmeno accaldato. Non sarebbe mai riuscito a disarmarlo prima che facesse buio.
E al buio lui è avvantaggiato. Devo tentare il tutto per tutto.
Fece un profondo respiro, gettò la spada e si buttò addosso ad Harlock. Gli strinse le braccia attorno alle ginocchia e sperò che lui non avesse la prontezza di colpirlo alla schiena o tagliargli la gola.
Andò bene: Harlock perse l'equilibrio, finì a terra e alzò l'arma in un gesto di difesa istintivo.
Zero gli andò sopra, serrò più che poté la sua mano stretta sull'impugnatura della Gravity Sabre e afferrò la lama con l'altra.
Il filo della spada gli tagliò il palmo e le dita. Urlò di dolore, strinse i denti e fece forza.
La lama sfiorò il collo di Harlock e un sottile rivolo di sangue gli colò sulla gola.
Basta con questa follia, Harlock! Arrenditi!
Harlock gemette, piegò la gamba destra fino a poggiargli il piede sullo sterno e lo spinse via con un calcio. L'impatto col suolo accidentato e la botta appena sotto il diaframma lasciarono Zero senza fiato.
Harlock si sollevò, corse verso di lui e affondò il colpo. Zero rotolò di lato. Finì vicino alla sua Gravity Sabre, la impugnò e colpì alla cieca.
Ferì Harlock al ginocchio, non troppo in profondità ma abbastanza da rallentarlo.
Si rialzò e per poco la lama non gli volò dalle mani: l'impugnatura scivolava sul suo sangue e dalle nocche in su non aveva più sensibilità. Non riusciva nemmeno a piegare le dita.
Dovrò battermi con la sinistra.
Harlock zoppicò verso di lui. Zero cambiò mano e deglutì.
Adesso è pericoloso come una tigre ferita.
Nell'assoluto silenzio della valle, il rumore inconfondibile di una pistola laser che veniva armata.
Zero alzò il capo.
Dalle rupi, qualcuno sparò.



* FENDENTE: Colpo dato in verticale, dall’alto verso il basso, colpisce testa o spalle
MONTANTE: Colpo dato in verticale, dal basso verso l’alto, colpisce le parti "intime"
MEZZANO: Colpo dato in orizzontale con la lama di piatto, colpisce spalle, fianchi o ginocchia.
SGUALEMBRO: Colpo dato in obliquo dall’alto verso il basso con inclinazione di 45°. Colpisce spalle, fianchi o ginocchia.
RIDOPPIO: Colpo dato in obliquo dal basso verso l’alto, con inclinazione di 45°. Colpisce spalle, fianchi o ginocchia.
AFFONDO: Colpo dato in orizzontale, colpisce il busto.
IMBROCCATA: Colpo dato in orizzontale, colpisce il collo o il volto.

Forse tutte queste note sono un tantinello noiose, ma Zero è uno schermidore provetto (oltre che  pignolo e un po' rompiballe XD) e ho pensato fosse più realistico fargli usare la terminologia dei professionisti!


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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
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Capitolo 14
*** Arriva la cavalleria! ***


cap 8 Marina Oki chiuse il collegamento con la stiva, si massaggiò le tempie e distolse lo sguardo dallo schermo. Le operazioni d'approvvigionamento erano quasi terminate.
Guardò l'ora: mancavano pochi minuti alle sette. Di Zero e Ishikura ancora nessuna notizia.
Non si preoccupi, Comandante – Kaibara si distese sulla poltroncina e si girò verso di lei – Zero sa badare a se stesso... e anche ai suoi uomini, qualora fosse necessario.
Lo so – Marina alzò una mano – Ma quest'attesa mi snerva. Di solito è così puntuale...
Avrà avuto qualche contrattempo, o magari Ishikura si sarà messo nei guai e lui lo starà strigliando per benino: sa bene anche lei quant'è polemico quel ragazzo e quant'è bacchettone Zero.
Speriamo sia così – Marina rise – Non vedo l'ora di lasciargli il posto!
Si alzò e stirò le braccia. Aveva spalle e schiena intorpidite e le punte dei piedi doloranti.
Non desiderava altro che farsi una bella doccia e stendersi un po' nella sua cabina, ma il lavoro era ancora molto: doveva ispezionare l'hangar e la sala macchine, controllare i registri di carico e scarico, l'inventario delle armi ed esaminare i rapporti delle squadre di manutenzione.
L'operazione a terra aveva la precedenza, però: non poteva dedicarsi ad altro finché Zero o Ishikura non avessero chiamato.
Inoltre, lei e Rai avrebbero dovuto sostituirli di lì a poche ore, se non avessero trovato nulla.
La ricetrasmittente vibrò nella sua tasca. La tirò fuori e guardò il display: la chiamata veniva dalla cabina del Capitano.
Un'emergenza?
Signor Kaibara, per favore, mi sostituisca un attimo.
Uscì dal ponte di comando e si diresse alle cabine. Mise la mano sulla serratura elettronica di quella del Capitano, attese la scansione della retina ed entrò.
Yuki Kei passeggiava avanti e indietro con fare nervoso, il Dottor Zero si massaggiava la radice del naso seduto su una poltrona e il Dottor Machine era chino su Tadashi Daiba con una siringa in mano.
Che succede? Ha avuto un malore?
Peggio – Yuki la guardò, un'espressione preoccupata sul volto pallido – Mayu ci ha drogati tutti ed è scomparsa. Temo sia scesa a terra. Dall'armadio manca una delle divise che abbiamo usato per travestirci e salire a bordo.
Daiba emise un mugolio e tentò di aprire gli occhi, ma subito gli si arrovesciarono nelle orbite.
È senza dubbio l'effetto di un narcotico – il Dottor Machine gli sfregò l'avambraccio destro con un batuffolo di cotone e l'odore di alcool pizzicò il naso di Marina – Mi spiace, sono stato io a fornirli alla ragazza.
Yuki si fermò e osservò la siringa penetrare la pelle del suo compagno.
Lei non ha colpe, Dottore, ma dobbiamo trovarla prima che qualcuno la riconosca e finisca nei guai.
È un bel pasticcio – Marina si morse l'unghia del pollice – Sia il Capitano Zero che il Vice-Comandante Ishikura non sono ancora rientrati dalla missione. Li contatterò e dirò loro di cercarla... non credo possa essere andata molto lontano. La farò cercare anche sulla nave: a tal proposito, vi chiedo di autorizzarmi a mettere a conoscenza della sua presenza il resto degli ufficiali.
Va bene – Yuki le fece un cenno affermativo col capo – Ma fate in fretta, per favore.
Marina corse fuori dalla cabina e raggiunse il ponte di comando.
Sullo schermo principale c'era il viso di Eluder e dal silenzio capì subito che qualcosa non andava.
Il cuore prese a batterle più forte, ma cercò di non darlo a vedere.
Che sta succedendo?
Kaibara si girò verso di lei, terreo in volto.
Eluder dice che il Capitano è scomparso.
Anche Ishikura e Grenadier, se è per questo – aggiunse il pilota con una voce da funerale.
Marina impallidì.
– Com'è potuta accadere una cosa del genere, Eluder?
Io e il Capitano siamo venuti in possesso di certe informazioni, così mi ha mandato qui per contattare l'altro gruppo e voi senza che troppa gente sentisse. Vi ho dato un primo aggiornamento, poi ho provato a chiamare Ishikura: non ha risposto ed è già passata quasi un'ora da quando lui e Grenadier avrebbero dovuto trovarsi qui. Sono tornato indietro per dirlo al Capitano, ma anche lui era sparito.
Marina si lasciò andare sulla sedia di Zero.
Ma che diavolo sta succedendo?
Cosa avete scoperto, Eluder?
Che a quanto pare i Signori Yattaran e Maji sono scomparsi qui e non sulla Terra. Il Vice-Sceriffo Carson ci ha persino mostrato le prove: biglietti del Galaxy Express acquistati sotto falso nome e documenti di viaggio contraffatti.
Sono scomparsi a Gun Frontier?
– Proprio così. Carson è sicuro d'aver visto Yattaran scendere dal treno e andarsene con una persona avvolta in un mantello nero, dopodiché di lui s'è persa ogni traccia. Quanto a Maji, ci sono tanto di passaporto e biglietti.
Marina rabbrividì.
Allora Harlock si nasconde qui su Heavy Meldar?
Se era vero, Mayu Oyama correva un grave pericolo. E forse loro erano il prossimo obiettivo.
Cercò di dominare il tremito che sentiva salirle alle mani e di mostrarsi calma e decisa come appariva sempre Zero in casi come quello. Era l'ufficiale in comando: non poteva permettersi una crisi di panico e non doveva lasciare che paura o incertezza si diffondessero tra l'equipaggio.
Assegnare delle mansioni, tenere occupati tutti...
Torni al Saloon, Eluder. Chieda informazioni. Magari qualcuno nel locale ha visto cos'è successo o notato qualcosa che possa esserci utile. Chieda anche di Ishikura e Grenadier: non possono essere svaniti nel nulla. Mi aspetti lì. La raggiungerò subito.
Eluder si portò la mano alla fronte e chiuse la comunicazione.
Agli ordini, Comandante.
Sono pronto, Comandante – Rai si stava già allacciando la giacca.
Un momento! – li fermò Breaker – Ricevo il segnale di emergenza sia dal Capitano che da Ishikura!
Marina sussultò.
Cosa?!
Com'è possibile che entrambi abbiano trovato Harlock? E Zero è da solo!
Cercò di dominare l'apprensione, si raddrizzò e sperò d'aver preso la decisione giusta.
Signori, seguitemi tutti.
Rai, Kaibara e Nohara le lanciarono uno sguardo sconcertato quando prese la via delle cabine anziché l'ascensore che li avrebbe portati all'hangar.
Quanto a Breaker, era ancor più inespressivo di Eluder e teneva per sé le sue opinioni.
Quello che vedrete e sentirete qui dentro è riservato, ricordatelo – Marina lanciò loro uno sguardo severo e aprì la porta della cabina del Capitano.
Entrò e un coro di esclamazioni soffocate accolse la scena che le si presentò davanti.
Daiba era in piedi e ora sembrava del tutto sveglio. Teneva una mano sulla spalla di Yuki Kei che, seduta in poltrona, la guardò con gli occhi arrossati. Marina si chiese se avesse pianto e si sentì in colpa: ciò che stava per dire l'avrebbe preoccupata ancora di più, ma non aveva tempo né di addolcire le parole, né di attendere che si calmasse.
Si fece coraggio, fece un profondo respiro e li guardò dritti negli occhi.
Signori, ci sono dei problemi. A quanto pare, entrambi i nostri gruppi si sono imbattuti in Harlock. Né il Capitano né Ishikura rispondono alle chiamate ed entrambi potrebbero essere in difficoltà... anzi, lo sono di sicuro.
Daiba si irrigidì, Yuki la guardò sgomenta. Marina si voltò verso i suoi compagni.
Rai, Nohara, Breaker, Kaibara... abbiamo anche un altro problema: a bordo c'era anche la Signorina Oyama, che a quanto pare è scomparsa.
Rai strabuzzò gli occhi.
Anche lei?! Ma che...
Non abbiamo tempo per le spiegazioni, Rai – tagliò corto Marina – Bisogna cercarla e correre in aiuto dei nostri compagni! Kaibara, le affido il comando e le ricerche della Signorina a bordo. Breaker, lo aiuti. Con discrezione, mi raccomando.
Kaibara scattò sull'attenti e uscì di corsa, seguito dal capo radarista.
Nohara, a lei le ricerche a terra. Rai, da Ishikura. Io andrò a dare man forte al Capitano. Signori, se aveste bisogno di qualcosa, vi prego di rivolgervi al Dottor Machine.
Un momento, Comandante Oki – Daiba si mise fra lei e la porta – Pensate davvero di riuscire a tener testa ad Harlock in così pochi e per giunta separati gli uni dagli altri?
Marina aggrottò la fronte. Sarebbe stata dura e lo sapeva benissimo, ma loro erano i soli operativi rimasti sulla Karyu: il resto dell'equipaggio era composto soprattutto di tecnici, personale generico o piloti di caccia; oltretutto, non avrebbe potuto coinvolgere altre persone senza dover svelare loro chi avevano a bordo, in un posto dove nulla rimaneva segreto troppo a lungo.
No, troppo rischioso.
Non c'è altra scelta.
C'è, invece – Daiba s'avvicinò alla sua branda e afferrò il cinturone – Veniamo anche noi.
È rischioso, Tadashi – protestò il Dottor Zero – Le tue condizioni...
Lui chiuse la fibbia.
Non importa!
Ma... – Anche Marina era indecisa.
Non c'è tempo, ricorda?
Daiba lanciò uno sguardo a Yuki, che si alzò e sparì nell'altra stanza.
Tornò subito, la Cosmo Gun allacciata in vita e un involto di panni sottobraccio.
Ha ragione lui. Ci cambieremo per strada... e speriamo che nessuno ci riconosca.
Daiba le lanciò un sorriso teso e le afferrò la mano.
Sbrighiamoci.
Raggiunsero i Bullet di corsa, con Yuki e Tadashi che si coprivano alla meno peggio il viso con le giacche delle divise.
Nonostante la preoccupazione, non parevano aver perso lucidità e prudenza.
Quello che stavano per fare era avventato, senza mezzi termini: potevano essere riconosciuti o addirittura uccisi, ma avevano ragione... la loro collaborazione avrebbe potuto fare la differenza fra la vita e la morte dei suoi compagni.
Arrivarono al Saloon di Gun Frontier in meno di dieci minuti, che però a Marina parvero eterni.
Eluder li aspettava sulla porta.
Ci sono novità, Comandante! – crse loro incontro – Il barista dice che il Capitano è uscito dal retro con un amico che gli aveva offerto da bere, un tipo sfregiato con un occhio solo. A quanto pare, l'ha seguito di sua spontanea volontà.
Harlock! Quindi è vero...
Marina lo aveva temuto. Per un attimo pensò soltanto che l'uomo che amava era in pericolo, che forse non l'avrebbe rivisto mai più.
Poi provò rabbia: di certo Zero s'era allontanato con Harlock per affrontarlo alla pari, da uomo a uomo, e aveva attivato il segnalatore solo all'ultimo momento. Stupido.
Non avrebbe mai capito quel suo modo di fare: a volte le sembrava che per lui l'onore venisse prima di tutto; prima del dovere, prima della sua stessa sicurezza... prima di lei.
Perché sei così ingenuo, Zero?
Se l'avesse avuto davanti in quel momento, l'avrebbe preso a schiaffi.
Si morsicò l'unghia del pollice.
Non ho tempo di piangere, non ho tempo d'arrabbiarmi... devo fare in fretta!
Bene, Eluder. Conosciamo la posizione del Capitano: è poco distante da qui.
Ho novità anche riguardo a Ishikura. Un tipo che da oggi pomeriggio se ne sta qui al Saloon sostiene d'aver visto due soldati corrispondenti alla descrizione sua e di Grenadier uscire dalla città di gran carriera su un mezzo militare, ma non so se fidarmi: diceva che con loro c'era un'altra persona.
Un'altra persona? – Daiba si fece avanti, una luce febbrile negli occhi chiari.
Sì – Eluder lo squadrò con attenzione ma non fece una piega –  Un ragazzino con una divisa da ufficiale e un cappello in testa.
Marina gemette.
Allora Mayu è con Ishikura e Grenadier?
Ma cosa è saltato in testa a quei due incoscienti?! Portarsi appresso una ragazzina!
Questo facilita le cose – Nohara sbatté il pugno nel palmo, sollevato – Possiamo dividerci in due squadre di tre elementi ciascuna. Marina annuì.
Bene, Signori – lanciò le chiavi del Bullet a Eluder – Eluder, Nohara, con me! Signor Rai, voi tre andrete in soccorso di Ishikura, Grenadier e Mayu. Aggiorniamoci al più presto.
Salì a bordo. Eluder sedette al posto di guida e mise in moto. Una densa nuvola di polvere le penetrò nelle narici e la fece tossire. Si voltò a osservare il Bullet Three, un puntolino indistinto che si allontanava nell'aria tremolante della sera in direzione opposta alla loro e sperò con tutta se stessa che quella non fosse l'ultima immagine che avrebbe serbato di Sugata Rai, Tadashi Daiba e Yuki Kei.
– Buona fortuna.
Eluder sterzò e le rocce rossastre del canyon li nascosero del tutto alla sua vista.
Marina mise la mano sulla fondina e pensò a Zero... e ad Harlock.
Ti prego, fa' che non sia troppo tardi...


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Capitolo 15
*** Catturatori e catturati ***


cap 8 Il grosso rapace nero stridette, spiccò il volo e volteggiò sopra le teste dei presenti, quindi si posò sullo schienale di una vecchia sedia.
C'era una bandana annodata alla base del suo becco adunco e Mayu rivide Harlock metterlo a tacere con un unico, esperto strattone a un'estremità del fazzoletto.
Tori-San!
Il pennuto ricambiò il suo sguardo, inclinò il capo e si librò in alto.
Si posò al suo fianco, gracchiò un paio di volte e le strusciò la testa contro la spalla con un gorgheggio soddisfatto.
Guardate – Maji li indicò – L'ha riconosciuta... allora forse è davvero la nostra Mayu!
Ma si può sapere che diavolo state blaterando?! Perché diavolo la Signorina non dovrebbe essere lei?
Accanto a lei, Ishikura fece per alzarsi e Sylviana lo atterrò con uno sgambetto. Finì con la testa sulle sue ginocchia e si raddrizzò subito, rosso in viso e accigliato.
– Siamo soldati federali in missione per conto del Governo Unito Terrestre – ringhiò – Spero vi rendiate conto...
L'unica cosa di cui mi rendo conto e di cui mi frega è che devo proteggere i miei clienti – Sylviana gli puntò contro la pistola – E dei militari curiosi che vanno in giro a fare domande su Harlock e sulla sua ciurma non sono certo un pericolo da sottovalutare, soprattutto se si portano appresso una sosia di Mayu Oyama.
Ma che significa questa storia? – Mayu non credeva alle proprie orecchie – Perché mai qualcuno dovrebbe tentare di spacciarsi per me? Yattaran, Maji, vi prego, spiegatemelo!
Maji si grattò il mento.
Mi sembra sincera.
Può darsi – Yattaran la guardò pensoso, poi rivolse lo stesso sguardo a un modellino in scala della Yamato posato su una cassa – Ma potrebbe anche essere una trappola. Ricordi cos'è successo con Doskoi?
Maji si rabbuiò e abbassò il capo, gli occhi lucidi.
Mayu non aveva conosciuto Doskoi, ma Yuki gliene aveva parlato: faceva parte dell'equipaggio dell'Arcadia da prima che lei nascesse e l'aveva lasciato poco dopo la morte di suo padre per stabilirsi da qualche parte sulla Terra. Faceva il meccanico, se non ricordava male.
Si chiese cosa fosse accaduto di così terribile da rendere l'atmosfera così cupa, ma anche se lo avesse chiesto non le avrebbero certo risposto... non finché avessero continuato a considerarla un'impostora inviata fra loro per chissà quale ragione.
Sono io, ve lo assicuro! E sono disposta a tutto pur di provarvelo!
Davvero? – Sylviana strizzò l'occhio alla figura in nero – Bé, allora mi sa proprio che tocca a te, capo! Senza una parola, la persona nel mantello scuro avanzò verso di lei.
Non appena mosse il primo passo, Mayu fu sicura che, chiunque fosse, non si trattava di Harlock.
Quella persona camminava adagio, senza fare il minimo rumore, quasi scivolando sulle rocce; Harlock, invece, aveva un'andatura cadenzata, risoluta e virile.
Nonostante non lo sentisse ormai da tanto tempo, il suono dei suoi passi era impresso così a fondo nella sua memoria che era certa di poterlo riconoscere fra mille: era sempre stato la prima cosa di lui a raggiungerla e l'ultima a lasciarla.
Lo sconosciuto le si chinò davanti e un vago sentore di orchidee raggiunse le sue narici; Harlock non usava profumi, ma l'odore fresco del suo sapone da barba ogni volta che lui la abbracciava o che le permetteva di baciargli la guancia era fra i ricordi più cari di Mayu.
Le mani di quella persona, inguainate in sottili guanti di pelle, erano piccole e affusolate; quelle di Harlock erano grandi e forti, coperte di calli alla base delle dita. Per lei avevano compiuto gesti di infinita tenerezza, avevano costruito un'ocarina e suonato dolci melodie, si erano strette a pugno, avevano brandito armi... e si erano sporcate di sangue, infinite volte.
No, quello non era Harlock, non poteva essere lui.
Sentimenti contrastanti agitarono il cuore di Mayu: tristezza per non averlo trovato, inquietudine, ma anche sollievo.
Ho paura. Paura di quello che potrei scoprire se lo incontrassi, paura che sia davvero impazzito come ha detto Ishikura, paura che l' Harlock dei miei ricordi sia cambiato per sempre.
Eppure sapeva che avrebbe dovuto affrontarlo, prima o poi.
Ehi, che diavolo vuoi farle?! – il grido allarmato di Ishikura fece fuggire Tori-San e distolse Mayu dai suoi pensieri.
La figura in nero si era sfilata il guanto destro. La sua mano, sottile e bianchissima, le sollevò il mento e si posò sulla sua fronte.
Era fresca, morbida... no, non era la mano di Harlock.
Il viso celato dall'ombra del cappuccio si avvicinò al suo.
Mayu aguzzò la vista nel tentativo di scorgere i lineamenti di quello sconosciuto, ma tutto ciò che vide furono due bagliori dorati in corrispondenza dei punti in cui dovevano trovarsi gli occhi.
Era una strana luce, di intensità variabile, calda, rilassante...
Non riusciva a distogliere lo sguardo né a muoversi, eppure non aveva paura: era come se stesse osservando la scena dal di fuori, come se non stesse accadendo a lei.
Che mi stia ipnotizzando?
I muscoli delle sue spalle si rilassarono, la sensazione delle manette ai polsi e il formicolio alle gambe scomparvero, i suoni si fecero attutiti... e i suoi pensieri, i suoi ricordi e le sue emozioni non furono più soltanto suoi.
No, non era ipnosi; era qualcosa di più, come se ci fosse qualcuno nella sua mente, una presenza tranquilla e silenziosa i cui pensieri non riusciva a penetrare ma che emanava una lieve malinconia... questo sì, che le ricordò Harlock.
Tutto finì di colpo. La figura col mantello nero interruppe il contatto mentale e tolse la mano dalla sua fronte. Percezioni, suoni, immagini e odori tornarono a poco a poco: il formicolio alle gambe e la sensazione delle manette di metallo ai polsi, la voce di Ishikura che continuava a chiamarla, l'odore muschiato delle rocce, quello dolciastro del legno e quello metallico delle armi, l'atmosfera umida della caverna...
Mayu non avrebbe saputo dire quanto fosse durato, se pochi attimi o delle ore.
La figura in nero si alzò. Mayu intravide qualcosa scivolare nella sua mano candida e minuta, qualcosa che lanciava riflessi metallici.
Un pugnale?
La figura in nero uscì dal suo campo visivo e Mayu lanciò uno sguardo intorno a sé: Sylviana le stava proprio di fronte e faceva roteare una delle sue pistole con aria indifferente; appoggiato a una cassa poco più indietro, Yattaran era intento a sistemare un cannone al modellino della Yamato; alla sua sinistra, Maji tratteneva Ishikura, che continuava a urlare e agitarsi; alla sua destra, Grenadier era ancora immobile, gli occhi chiusi e il respiro regolare.
Mayu valutò l'idea di alzarsi di scatto, atterrare lo sconosciuto con una testata allo stomaco e tentare la fuga, ma la scartò subito: sarebbe stata un bersaglio perfetto per Sylviana e per di più era ammanettata con le mani dietro la schiena e disarmata.
Ammesso che fosse riuscita a correr via senza farsi acchiappare da Sylviana, Yattaran o Maji, inoltre, non aveva la più pallida idea di come uscire da quella caverna né di dove si trovasse Gun Frontier, dato che durante il viaggio l'avevano bendata.
Maledizione!
Non voleva morire lì... non senza aver trovato Harlock, non senza aver scoperto il motivo per cui tutte le persone che le erano state amiche erano scomparse nel nulla o sembravano agire come se fossero impazzite, proprio come nei suoi peggiori incubi di quando era bambina.
Chiuse gli occhi e desiderò con tutta se stessa che gli avvenimenti degli ultimi due mesi fossero davvero solo un brutto sogno: non voleva altro che svegliarsi nel suo letto, scendere nello studio al piano di sotto dove di certo avrebbe trovato Yuki e Tadashi ancora al lavoro, ridere con loro delle sue assurde paure davanti a un bicchiere di latte, tornare a letto e, soprattutto, risvegliarsi il mattino dopo in un mondo in cui Harlock fosse ancora un eroe e non una minaccia per lei ed i suoi cari.
Riaprì gli occhi. Era sempre in quella dannatissima caverna.
Ripensò a cosa le aveva detto Tadashi solo poche ore prima e le lacrime le annebbiarono la vista: avrebbe dovuto dargli retta e restare sulla Karyu.
Avvertì un movimento di fianco a lei. Un grido acuto ruppe il silenzio e qualcosa cadde a terra con un tintinnio metallico.
Mayu alzò la testa e l'immagine che le si presentò davanti agli occhi la lasciò a bocca aperta.
Grenadier era in piedi, le mani libere e un ghigno minaccioso sul viso irsuto.
Strattonò verso l'alto la mano destra della figura in nero, le torse il braccio sinistro dietro la schiena e la parò davanti a sé come scudo.
Cosa? – Yattaran strabuzzò gli occhi e lasciò cadere il modellino – Ma come...?
– Si possono fare miracoli con una forcina piegata nel modo giusto – rise Grenadier – Specie con questi giocattoli da bambini. Dovresti passare alle manette a combinazione elettronica, cara Sylviana.
Lei gli puntò contro la pistola. Lui torse il polso dell'ostaggio, che emise un gemito.
Provaci e il tuo caro capo farà una brutta fine.
Sylviana si passò la lingua sulle labbra.
Posso beccarti facilmente, Grenadier. Mi basterà mirare al tuo brutto muso.
Grenadier rise, strattonò verso il basso il braccio destro della figura in nero e glielo bloccò dietro la schiena.
Magari potresti anche riuscire a farmi secco, Sylviana – l'enorme mano destra dell'ex mercenario afferrò il mento del suo ostaggio e lo sollevò – Ma farei comunque in tempo a spezzargli il collo.
Mayu non ne dubitava, così come non dubitava che, anche se lui le tratteneva con una mano sola, le braccia della figura in nero non fossero abbastanza forti da liberarsi dalla morsa di quei muscoli d'acciaio. Sylviana posò il dito sul grilletto.
Grenadier accentuò la stretta sul mento dell'ostaggio e lo sollevò ancora di più.
Lo farò, Sylviana, e tu lo sai.
Sylviana abbassò lo sguardo, rinfoderò l'arma e alzò le mani.
Brava bambina – Grenadier annuì – Adesso slaccia i cinturoni e non tentare trucchi: se vedo quella fibbia lampeggiare, se qui dentro entra qualcun altro o fai un solo movimento brusco, il capo è andato.
Ishikura si scrollò di dosso Maji, si alzò e lanciò a Grenadier uno sguardo assassino.
Ma allora eri sveglio quando ci hanno catturati?!
Puoi giurarci – Grenadier ridacchiò – Eri rosso come un peperone mentre guardavi le gambe di Sylviana, lo sai, Ishikura?
Stupido bestione, perché non ci hai dato una mano?!
Per rischiare di farci ammazzare o uccidere questi tre senza scoprire nulla? No, grazie. Meglio farsi portare alla loro base e aspettare il momento giusto per agire, non trovi?
Hai messo in pericolo la Signorina Oyama, razza d'incosciente!
Senti chi parla! Io almeno non mi sono fatto salvare le chiappe da lei per poi farmi fregare come un fesso!
Mayu decise di intervenire prima che quei due si mettessero a litigare sul serio e i loro avversari avessero il tempo di pensare a una contromossa.
Cosa facciamo, adesso?
Semplice – Grenadier le strizzò l'occhio – Ora i nostri amici si metteranno in fila davanti a me, molleranno tutte le loro armi e vi toglieranno le manette, dopodiché ci siederemo qui belli tranquilli e aspetteremo facendo quattro chiacchiere da persone civili.
Aspetteremo cosa? – Ishikura roteò gli occhi e sbuffò – La manna dal cielo? Il Settimo Cavalleggeri? Siamo dispersi chissà dove nel bel mezzo del nulla, nel caso te lo fossi scordato, e questi qui avranno di certo dei compagni!
Una cosa alla volta – Grenadier fece un cenno a Sylviana, che slacciò i cinturoni, tirò fuori dalla tasca un mazzo di chiavi e liberò lei e Ishikura dalle manette.
Maji e Yattaran posarono a terra le loro Cosmo Gun e andarono a sedersi a debita distanza, le gambe incrociate e le mani dietro la nuca.
Mayu non attese istruzioni: passò una pistola a Ishikura e una a Grenadier, che la puntò alla testa del suo ostaggio e lanciò un sorriso sarcastico al suo Vice-Comandante.
Adesso guarda un po' nella tasca posteriore dei miei pantaloni, Rompiscatole.
Ishikura gli si avvicinò con uno sbuffo e ne tirò fuori un orologio militare. Accanto al quadrante, un led spezzava la semioscurità della miniera con ritmici lampi azzurri.
Il mio segnalatore?! – Ishikura sbiancò – E ha il segnale d'emergenza attivato!
Grenadier annuì fiero.
Mentre eri impegnato a contemplare le grazie della nostra bella Sylviana te l'ho sfilato dal polso e non appena il caro Harlock s'è fatto vivo ho inviato il segnale – sorrise a trentadue denti – Ormai i rinforzi saranno già per strada, perciò piantala di frignare. Missione compiuta... e senza danni né vittime, proprio come voleva Zero.
Già... sarà davvero contento, come no – Ishikura si passò una mano fra i capelli – Forse ci ucciderà senza farci soffrire troppo.
Quello non è Harlock.
Mayu raccolse da terra l'oggetto metallico che la figura in nero aveva lasciato cadere quando Grenadier l'aveva catturata. Non era un pugnale come aveva pensato, ma un cilindro metallico con un led in cima, un display e un pulsante in basso.
Secondo voi, cos'è questo?
Consegnò il dispositivo a Ishikura, che lo rigirò tra le mani perplesso.
Grenadier accennò col mento al suo prigioniero.
Se questo qui non è Harlock, allora chi diamine è?
Mayu andò a recuperare la sua Dragoon e tornò a grandi passi verso la figura in nero.
– Io un'idea ce l'avrei .
Era stata una sciocca a non capirlo prima: quella malinconia, quella luce dorata, quella pelle candida e soprattutto quell'arpa...
Tirò giù il cappuccio con uno strattone deciso.
Lunghi capelli blu notte ricaddero su un viso ancor più latteo della mano che si era posata sulla sua fronte e due iridi dorate la scrutarono come se potessero leggerle dentro.
Mime.
Sylviana! Chiudete gli occhi!
Mayu balzò indietro e si schermò il viso con il braccio, ma anche così il bagliore che si sprigionò dal volto di Mime la stordì.
Sbatté le palpebre e, si sfregò gli occhi e li riaprì. Grenadier e Ishikura brancolavano abbagliati, Mime si era liberata e Sylviana le puntava già addosso le pistole.
Mayu si gettò dietro una cassa di metallo e si sporse pian piano. Sylviana si era riparata dietro una stalagmite e Mime dietro una grossa roccia a pochi passi dall'ingresso della caverna. Maji e Yattaran sembravano spariti nel nulla.
Se fossi in loro, cercherei d'accerchiare il nemico.
Aguzzò la vista e tese le orecchie: di certo, era proprio ciò che stavano cercando di fare.
Maledizione!
La situazione era disperata: sola contro quattro avversari, due compagni neutralizzati... ed era solo questione di attimi prima che a Sylviana o a qualcun altro venisse l'idea d'usarli come ostaggi.
E allora, cosa farò?
Quanto poteva resistere? I rinforzi sarebbero arrivati in tempo? Sarebbero arrivati?
Sylviana si sporse dal suo rifugio.
Butta quel cannone, ragazzina! Se sei chi dici di essere, non hai nulla da temere!
Sì, Mayu, ti prego, fidati – Mime sollevò il cilindro di metallo – È solo un rilevatore, non un'arma! Devo usarlo su di te e sui tuoi compagni, ma è solo per precauzione. Anche noi stiamo cercando Harlock!
Un altro trucco? O posso fidarmi?
Il cuore le batteva così forte da mozzarle il respiro: era angosciante non sapere che fare e soprattutto su chi contare... ed era bastato così poco tempo per far crollare tutte le sue certezze in quel senso...
Perché ci avete catturati a quel modo, allora? E cos'è questa storia dei sosia?
Ti spiegheremo tutto...
Sì, è proprio il caso. Dopo che vi sarete dati una calmata.Tutti quanti.
Mayu si sporse di nuovo.
Tadashi era in piedi dietro a Mime, la pistola puntata sulla sua schiena.
Poco più in là, Yuki aveva disarmato Sylviana mentre un uomo che non conosceva copriva Ishikura e Grenadier, che parevano essersi ripresi.
Uscì dal suo nascondiglio e lo stesso fecero Maji e Yattaran: a giudicare dalle loro posizioni, stavano davvero provando a circondarla mentre Mime e Sylviana la distraevano.
Mayu corse incontro a Tadashi.
Stai bene?
Mayu fece un cenno affermativo e sospirò di sollievo nel vedere il suo cipiglio distendersi. Si voltò al suono dei passi di Yuki e capì subito che con lei non se la sarebbe cavata a così buon mercato: aveva un'espressione a dir poco temporalesca.
Chiuse gli occhi e il colpo non si fece attendere: un manrovescio che quasi la fece girare su se stessa.
Incosciente! – Yuki la strinse fra le braccia, la voce rotta dalla preoccupazione – Ma cosa credevi di fare?
Mayu le affondò il viso nel seno.
Stava tremando, o forse era lei... non le importava.
La strinse forte e si mise a singhiozzare senza ritegno.

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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 16
*** Nèmesis ***


cap 8 Zero soffocò le fiamme alla falda inferiore della sua giacca e ringraziò tra sé il suo vecchio Sergente Istruttore per avergli indotto il riflesso condizionato di scattare di lato e cercare copertura al minimo accenno di pericolo: se non l'avesse fatto, a quell'ora sarebbe stato disteso a terra con un buco nel petto e altri in tutto il resto del corpo, almeno a giudicare dalla gragnola di colpi che era seguita al primo.
S'appiattì contro la roccia dietro la quale aveva trovato riparo, rinfoderò la Gravity Sabre e respirò a fondo. Osservò la sua mano destra: un profondo taglio attraversava il palmo da parte a parte e nemmeno le falangi superiori erano uscite indenni dall'incontro con la lama di Harlock.
Provò a flettere le dita e dovette mordersi il labbro per impedirsi di urlare.
Niente da fare, la mano è fuori uso.
Troppo sangue che avrebbe reso viscida l'impugnatura della pistola, troppo dolore che gli avrebbe impedito di tenerla tra le mani saldamente e sparare con precisione: era in un bel guaio, ma non si sarebbe certo dato per vinto. Non ora che ho trovato Harlock.
Estrasse la pistola e la impugnò con la sinistra.
Pregò d'essere ancora abbastanza in gamba da centrare un bersaglio lontano e nascosto nella semioscurità sparando con una mano sola e si sporse quel tanto che bastava a controllare la situazione.
Dal punto dal quale era arrivata la raffica di colpi nessun segno di vita, ma se l'aspettava: di certo il nemico stava cambiando posizione per aggirare la roccia e riprovarci.
Ciò che non s'aspettava, invece, era di vedere Harlock immobile nello stesso punto di prima, del tutto allo scoperto.
Ma è matto?
Fece per chiamarlo, poi si rese conto che nessuno gli stava sparando addosso e un dubbio atroce lo colpì come un pugno alla bocca dello stomaco... un pugno molto ben assestato.
Un'imboscata?
Certo, il luogo era l'ideale: un piccolo spiazzo chiuso da rocce scoscese, con parecchi punti elevati da cui osservare le mosse dell'avversario o attaccarlo da posizione protetta, senza contare eventuali vie d'accesso e di fuga nascoste che lui non conosceva.
– Esci da lì, Zero – Harlock mosse qualche passo zoppicante verso di lui – Non rendertelo ancora più doloroso.
Il cuore di Zero diede un tuffo.
Allora è proprio vero... m'ha attirato in una trappola!
Ripensò a quattordici anni prima, quando in quello stesso luogo aveva rischiato la vita pur di fermare i suoi uomini e impedire che lo catturassero con l'inganno... o che morissero nel tentativo.
Ripensò al pugno che aveva dato a Ishikura e alle parole che gli aveva detto, agli ideali d'amicizia, lealtà e onore che Harlock e Tochiro all'epoca incarnavano così bene, all'ammirazione che avevano suscitato in lui.
Si sentì stupido. Stupido e arrabbiato.
Stupido, perché l'idea d'un agguato non gli era nemmeno passata per l'anticamera del cervello e perché, malgrado tutto, una parte di lui continuava a rifiutarsi d'accettare che Harlock non fosse più lo stesso che aveva conosciuto.
Arrabbiato, con se stesso per la sua stupidità e con Harlock per esser caduto così in basso.
– Non pensavo che avresti giocato sporco, Harlock!
– Faccio quel che devo, te l'ho già detto. Per mano mia o di qualcun altro, tu devi morire, Zero. Che importa chi sarà a sferrare il colpo di grazia? Avanti, arrenditi e facciamola finita.
– Come vuoi, facciamola finita!
Zero gli sparò.
Il primo colpo sfiorò Halock alla spalla sinistra, il secondo e il terzo gli bucarono il mantello.
Il quarto, il quinto e il sesto frustarono l'aria e s'abbatterono sulle rocce, ma Harlock era a terra: il ginocchio ferito aveva ceduto.
Zero chiuse un occhio, inquadrò nel mirino la mano di Harlock che correva alla fondina e mosse il dito per premere il grilletto.
Il colpo non partì.
Un lampo, una sensazione di calore intenso, un forte urto alla mano. La sua pistola cadde, centrata in pieno dal raggio d'un folgoratore. La canna ancora calda di un'arma gli si posò fra le scapole.
– Avresti dovuto restarne fuori, Zero – una voce femminile – Forse avresti potuto vivere un po' più a lungo con la tua bella futuriana.
– Chi sei? Come sai di me e Marina?
La canna del folgoratore gli scese fino ai lombi e un brivido gli corse lungo la schiena.
– Ma come? Non ti ricordi più di me? Mi deludi... se avessi ancora un cuore, si sarebbe spezzato.
Harlock s'avvicinò, la pistola in pugno.
La sollevò e gliela puntò alla fronte.
Zero lo fissò: nel suo occhio non un barlume d'esitazione, tristezza o pietà.
Avrebbe premuto il grilletto. Avrebbe ucciso un uomo disarmato... un uomo che aveva combattuto al suo fianco, con cui s'era sbronzato, un uomo che aveva chiamato “amico mio”. I suoi pugni tremarono.
– Ma guardati, Harlock: non sei più tu!
– Sono quello che sono, Zero – lui armò il cane – Addio.
– No. Voglio essere io a farlo.
Harlock abbassò l'arma e la donna gli si mise davanti.
Zero spalancò gli occhi: era l'ultima persona che si sarebbe mai aspettato di vedere al fianco di Harlock e oltretutto la credeva morta da quattordici anni, dall'esplosione dell' Hell Castle.
Non è possibile!
Eppure quel viso diafano, quegli occhi azzurri freddi come l'acciaio, quella figura eterea e quei lunghi capelli biondi potevano appartenere solo a lei.
– Hell Matia?
– Oh, vedo che alla fin fine ti ricordi di me – la donna si portò una mano al petto – Sono commossa.
– Cosa significa tutto questo? Perché...
– Hai anche il coraggio di chiederlo? – i suoi occhi mandarono lampi da sotto le folte ciglia, le sue labbra sottili assunsero una piega dura – Per Lamethal, per Andromeda, per la Regina Promesium, per mia sorella! Non avrò pace finché tutti i responsabili dello sterminio della mia gente non saranno finiti all'inferno dopo aver perso ogni cosa, proprio come me!
Avvicinò la canna del folgoratore al suo petto.
La luce delle lune di Heavy Meldar accese di riflessi inquietanti il suo sorriso privo di gioia.
– Ora sarò io a spezzarti il cuore, Zero – armò il cane – In fondo mi spiace che sia tu il primo: ci sono persone che odio molto più di te.
– Harlock, che significa?!
La situazione era sempre più assurda. Durante la guerra, Harlock era stato uno dei più acerrimi nemici di Ra Andromeda Promesium e dei Meccanoidi: insieme a Tetsuro Hoshino e Maetel, sarebbe dovuto essere l'oggetto principale dell'odio e della sete di vendetta di Matia.
Lui non rispose. Chiuse l'occhio e abbassò l'arma.
Matia posò il dito sul grilletto.
Ora o mai più!
Zero le afferrò la mano e gliela fece ruotare finché non fu al di fuori del campo di tiro dell'arma.
Un colpo si perdette fra le rocce.
Zero strinse i denti per sopportare il dolore, le compresse il polso con la destra e la obbligò a fletterlo con la sinistra.
Matia emise un grugnito, tentò di resistergli.
Era forte, come tutti i meccanoidi: molto più forte di qualunque donna e forse anche di parecchi uomini, ma lui era disperato, furioso, pronto a tutto... e per sua fortuna, anche se meccanizzato, il corpo di Matia aveva la stessa struttura di quello umano, le stesse reazioni istintive.
L'arma cadde a terra con un tonfo che riecheggiò fra le rupi come un colpo di cannone, o almeno così parve ai suoi sensi resi acuti dal pericolo.
Prima che riuscisse a immobilizzarla, Matia lo afferrò al bavero, s'abbassò e lo atterrò con una spazzata alle caviglie.
L'impatto col terreno lasciò Zero senza fiato e il pestone che lei gli mollò sulla mano ferita col tacco dello stivale gli strappò un grido di dolore.
– Bel tentativo, Zero. Vedo che non hai perso la tua testardaggine.
Matia raccolse da terra il folgoratore. Harlock lo inquadrò nel mirino.
– Spiegatemi almeno che c'entrano Daiba, la Kei e i coloni di Elpìs con una guerra di quattordici anni fa!
Matia rise.
– Niente, e di loro non m'importa nulla... ma non sono l'unica a cercar giustizia – lo guardò da dietro il mirino – E adesso addio, Zero: abbiamo chiacchierato anche troppo per i miei gusti!
Zero chiuse gli occhi. Questa volta era davvero la fine.
Si chiese che ne sarebbe stato dei suoi uomini, di Yuki, Tadashi e Mayu... ma soprattutto di Marina.
Avevano trovato l'uno nell'altra la loro ragione di vita e ora, per colpa del suo stupido orgoglio, lei avrebbe di nuovo perso tutto. Sperò che fosse abbastanza forte da sopportarlo, che non lo raggiungesse nel nulla della morte che già una volta aveva cercato per sfuggire alla solitudine... poi udì il rumore di uno sparo.
Aprì gli occhi.
Harlock e Matia avevano lo sguardo rivolto alla stretta gola che dava accesso alla vallata e lui ne approfittò per rotolare via e sguainare la Gravity Sabre.
Contro una pistola e un folgoratore era un'arma quasi del tutto inutile, pesante, meno maneggevole e con una capacità di fuoco drammaticamente inferiore, ma era tutto ciò che aveva.
– Giù le armi, tutti e tre!
Si era aspettato la voce di Ishikura o di Grenadier, ma si stupì nel vedere che il suo salvatore era l'irritante Vice-Sceriffo Carson.
Imbracciava un fucile a impulsi ed era fiancheggiato da almeno altri cinque uomini.
– Non provate a fare i furbi, siete circondati!
– Capitano! Tutto bene?
Zero si guardò attorno. In cima a una roccia scorse Eluder e, poco più in là, Marina e Nohara.
Harlock e Matia alzarono le mani.
– Vale anche per lei, Capitano Zero! – Carson s'avvicinò e sputò a terra – In piedi e mani sopra la testa. Non importa se mi sto avvalendo della collaborazione volontaria dei suoi uomini, duellare qui dopo il tramonto è vietato.
Zero lasciò cadere la Gravity Sabre e si alzò. Il Vice-Sceriffo estrasse le manette.
E ora? Ci arresterà e ci sbatterà tutti in una minuscola cella come gli ubriachi nei film western?
Scrollò le spalle e alzò le mani. Tutto ciò che importava era che Harlock e Matia non erano più in condizione di nuocere... e che presto avrebbero dovuto dargli parecchie spiegazioni.
La luce già fioca delle lune scemò di colpo. L'uomo alla destra del Vice-Sceriffo urlò e crollò a terra, seguito da un altro dei suoi compagni.
Una raffica di colpi s'abbatté tra le rupi e in fondo alla gola.
Che diavolo...
Carson urlò e s'accasciò, la gamba sanguinante sotto la stoffa bruciata dei pantaloni.
Zero lo trascinò dietro una roccia e guardò in alto. Un'astronave.
L'Arcadia?
No. Aveva le stesse linee e almeno a una prima occhiata pareva dotata dello stesso armamento, ma era più grande, nera come la notte e al posto del Jolly Roger dei pirati spaziali sfoggiava sulle fiancate l'immagine di una donna alata, incoronata e armata di spada.
– La Nèmesis*! – la voce di Matia sovrastò il rumore delle rocce che andavano in frantumi – Sbrighiamoci! –
Harlock raccolse da terra il folgoratore, centrò un altro degli uomini di Carson e trascinò Matia al riparo.
Zero si guardò attorno alla ricerca di un'arma: doveva impedire almeno ad Harlock di fuggire, a ogni costo. Carson gli porse il suo revolver.
– Per adesso rinuncio ad arrestarla, Zero – il Vice-Sceriffo si slacciò la cintura e la strinse poco sopra la ferita con un gemito di dolore – Facciamo secchi quei due bastardi!
– Devo prenderli vivi, Carson.
– Vorrà dire che li impiccherò dopo che ci avrà fatto i suoi comodi. Ce la fa con quella mano?
Zero annuì.
– Al mio segnale, mi copra.
– Farò di più – Carson tirò fuori una ricetrasmittente – Ehi, voialtri lassù, mi sentite? Io e il vostro Capitano cercheremo di prendere quei bastardi prima che se la battano. Non appena il loro fuoco di copertura cesserà per permettergli di scappare e lui si metterà a correre, cercate di rallentarli e mandate qualcuno giù dalla galleria per prenderli alle spalle... e che sia il più veloce di voi mammolette federali! Ah, e nel caso non ci aveste ancora pensato, chiamate i vostri compari con la loro nave!
Gettò a terra il trasmettitore e imbracciò il fucile.
Zero si tolse la giacca e si abbassò, pronto a scattare.
Il fuoco di copertura cessò e lui si sporse.
Un piccolo caccia spaziale uscì dal portellone della Nèmesis e scese nella gola per recuperare Harlock e Matia. Carson si mise in posizione di tiro.
– Buona fortuna.
– Anche a lei, Carson... Fuoco!
Zero corse più veloce che poté, zigzagando per evitare i colpi di Harlock e le schegge di roccia che gli piovevano addosso di rimbalzo da tutte le parti.
A pochi passi dalla meta, una nuvola di polvere e una raffica di vento caldo lo investirono. Zero guardò in alto. Il caccia scendeva fra le rupi a folle velocità, l'ala sinistra inclinata dalla parte del vento.
Una scivolata d'ala**?
Nonostante fosse un suo nemico, Zero ammirò il fegato e l'abilità del pilota: un leggero tremito della mano sopra la barra, il minimo errore nel valutare forza e direzione del vento, traiettoria o distanza del caccia dalle rupi avrebbero potuto ucciderlo.
Zero avanzò, gli occhi che bruciavano e la vista annebbiata.
Intravide Harlock che si voltava per rispondere al fuoco dell'uomo che Carson aveva richiesto per accerchiare lui e Matia.
Sei mio!
Inquadrò le sue gambe nel mirino, ma una nuvola di polvere coprì il bersaglio, gli frustò la pelle e gli fece bruciare gola e polmoni. Una decina di metri sopra di lui, il muso del caccia si raddrizzò.
Il pilota aprì il cupolino e, senza lasciare la cloche né arrestare la manovra di discesa, fece fuoco. Zero si buttò a terra e alzò gli occhi. L'aereo era a meno di due metri dal suolo. Harlock e Matia s'aggrapparono alla fusoliera e s'issarono a bordo.
Devo far fuori il pilota!
Zero inquadrò la sua faccia nel mirino e vuotò il tamburo, ma la sua mano tremava e non una delle sue pallottole andò a segno.
Il membro dell'equipaggio lo oltrepassò di corsa, spiccò un salto e afferrò al volo la mano armata del pilota. Matia lo colpì alla testa col calcio del folgoratore finché non lasciò la presa. Cadde accanto Zero, si rialzò e sparò ancora un paio di colpi, ma il pilota richiuse il cupolino e decollò. Il caccia sparì oltre il portellone della Nèmesis e l'enorme nave scomparve alla vista oltre le rocce che circondavano la Valle della Morte.
– Zero! – Marina gli si chinò accanto, la pistola ancora in pugno e il segno rossastro della botta sulla fronte.
Zero stirò le labbra.
– Sto bene.
Lei. Avrei dovuto immaginarlo.
Marina gli afferrò la mano e si sfilò dal collo il foulard. Zero la guardò: aveva la stessa espressione sconvolta che doveva avere lui.
– L'hai vista? Il pilota...
Lei annuì, cupa.
– Allora non era un'allucinazione... quella era...
La voce gli mancò. Capelli rossi, occhi azzurri e quell'inconfondibile cicatrice che le attraversava di sbieco il volto. Rivederla era stato un colpo al cuore, quasi quanto combattere con Harlock.
– Emeraldas.
– No – Marina annodò il fazzoletto alla sua mano e scosse il capo – Quello era un abitante del mio pianeta.
Sollevò la manica della divisa. Il suo braccio era diventato trasparente e il liquido organico che vi era contenuto stava ancora ribollendo.



* Nèmesis è la personificazione della giustizia divina secondo la mitologia greca; col tempo, il suo ruolo di dispensatrice di buona o cattiva sorte a seconda dei meriti o dei demeriti di ognuno fu messo da parte in favore del suo lato "punitivo", rendendola la dea della vendetta.
Mi è sembrato un buon nome per la nave di Hell Matia & soci, che cercano proprio quel tipo di "giustizia" che, dall'altra parte, è visto come "vendetta".
** L'atterraggio in scivolata d'ala è una manovra che il pilota esegue in presenza di vento, immettendo piede contrario al vento stesso. L'ala sottovento "cade" su un lato, consentendo al velivolo d'abbassarsi rapidamente. Di solito, nonostante la spettacolarità, è considerata una manovra sicura... con veicoli leggeri e in spazi aperti. ;)

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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 17
*** Il progetto Herakles - parte I ***


cap 8 Tadashi osservò Mayu sedersi accanto a Ishikura, versare un po' d'acqua in un bicchiere e vuotarlo in un paio di sorsi.
La sua guancia ancora arrossata sotto la luce dei neon gli strappò un sorriso.
Fino al momento d'irrompere in quella vecchia miniera aveva avuto intenzione di fare una bella ramanzina a quella piccola incosciente, ma tutta la sua determinazione era svanita come neve al sole quando l'aveva sentita chiedere scusa tra i singhiozzi fra le braccia di Yuki.
Ripensò ai suoi quattordici anni e al giorno in cui per la prima volta aveva messo piede sull'Arcadia: tutti i pericoli che aveva corso, gli sbagli che aveva commesso, le lacrime che aveva versato e i ceffoni che si era preso...
Erano stati tanti, davvero tanti.
Sospirò.
Crescere non è mai indolore.
Ma quel dolore insegnava più di qualunque altra cosa: aveva reso uomo un ragazzino furioso con se stesso e col mondo intero e presto, molto presto, avrebbe fatto di Mayu una donna.
Era strano ciò che provava a quel pensiero: una parte di lui sapeva che era inevitabile e giusto che accadesse mentre l'altra avrebbe voluto poter fermare il tempo o addirittura farlo tornare indietro perché rimanesse per sempre una bambina... ed entrambe, il suo intero essere, lo spingevano a guidarla e proteggerla con tutte le sue forze.
Come tante altre volte da quando aveva preso Mayu con sé, si chiese se anche Harlock avesse provato qualcosa di simile nei suoi confronti, se avesse mai visto in lui qualcosa di se stesso alla sua età, se il suo istinto lo avesse portato a fargli da guida e a difenderlo come avrebbe fatto con uno scapestrato fratello minore... se lo avesse mai amato come tale.
Poggiò la mano sinistra sul petto e s'incupì quando le sue dita percepirono il gonfiore della cicatrice sotto la stoffa sottile della tuta spaziale. Un tempo ne era stato quasi certo, ma adesso?
La porta si aprì con un sibilo e Rai e Grenadier introdussero nella stanza Mime, Maji, Yattaran e Sylviana, disarmati ma con le mani libere.
I quattro prigionieri si sedettero davanti a lui, Yuki, Mayu e Ishikura.
Parevano pallidi, ma forse era solo l'effetto della luce che si rifletteva sulle pareti metalliche della sala interrogatori della Karyu, una stanza soffocante e spoglia occupata quasi per intero da un tavolo e da scomodissime sedie di metallo ancorate al pavimento.
Li guardò, uno per uno: Yattaran reclinò il capo con un'aria rassegnata che era molto poco da lui, Maji lo fissò come se avesse avuto di fronte un fantasma e Sylviana lo squadrò da capo a piedi con aria di sfida, mentre Mime si limitò a ricambiare la sua occhiata senza muovere un muscolo.
Come sempre, gli diede l'impressione di riuscire a leggergli dentro mentre per lui era impossibile anche solo immaginare cosa le passasse per la testa.
Tadashi strinse il pugno e fece un profondo respiro per impedirsi d'abbatterlo sul tavolo.
Si sentiva frustrato in una maniera indescrivibile: nemmeno nei suoi sogni più folli avrebbe mai pensato di trovarsi, un giorno, in una situazione del genere.
Fino a poche ore prima, a tre di quelle quattro persone avrebbe affidato la vita senza pensarci su due volte: avevano condiviso gioie e dolori, combattuto insieme... erano i suoi compagni e parte della sua vita, della strana, meravigliosa famiglia che aveva trovato fra le stelle.
Ricordò un episodio di tanto tempo prima, risalente ai suoi primi mesi a bordo dell'Arcadia: loro quattro e il Dottore seduti in cerchio sul pavimento della sua cabina con l'aria da cospiratori e al centro una dozzina di bottiglie di vino provenienti in parte dalla cucina, in parte dalla riserva personale del Capitano; più della metà erano già vuote quando si era convinto ad unirsi a loro.
S'era ubriacato al quarto, forse al quinto bicchiere, non ricordava... ma ricordava fin troppo bene che, a un certo punto, aveva attaccato una terribile lagna adolescenziale piena di mamma, papà e del suo triste destino di eterno esiliato nello spazio, roba da meritargli il titolo indiscusso vita natural durante di campione siderale di piagnisteo.
Loro, però, non lo avevano zittito né lo avevano preso in giro, anzi: le cose che ricordava con maggior chiarezza erano proprio i loro sguardi colmi d'affetto e comprensione.
E adesso, invece, mi guardano come un estraneo... peggio ancora: come un nemico.
La mano di Yuki si posò sul suo pugno contratto e lui la strinse, in cerca della forza e della serenità che quel contatto riusciva sempre a trasmettergli.
Ishikura si alzò, si schiarì la voce e cominciò a camminare intorno al tavolo con le mani dietro la schiena.
Sono il Vice-Comandante Shizuo Ishikura, in forza alla Flotta Unita della Federazione Terrestre, facente funzioni di Capitano – abbassò su di loro uno sguardo accigliato – Siete accusati di sequestro di persona e aggressione a personale militare, favoreggiamento nei confronti di un criminale ricercato, immigrazione clandestina e altri reati minori – si fermò e sbatté il palmo della destra sul tavolo – La farò breve: se collaborerete, farò cadere le accuse, altrimenti...
Io non parlo, maledetti bastardi – Maji lo guardò dritto negli occhi con la vecchia grinta che Tadashi gli conosceva e sputò per terra – Potete anche ammazzarmi subito, se volete!
Giusto! – Yattaran incrociò le braccia sul petto – Non vi consegneremo mai i nostri amici, nemmeno sotto tortura! I vostri sporchi esperimenti fateli su di voi, se ne avete il coraggio! Mi spiace solo di non essere riuscito a ritrovare il Capitano e di non aver avvisato il vero Tadashi del pericolo che correvano lui, Yuki e la piccola Mayu...
Non è stata colpa tua, tappo – Sylviana si arrotolò una ciocca di capelli attorno all'indice e accavallò le gambe – Chi poteva immaginare che avrebbero preso di mira persino Mister Pezzo Grosso? Però mandarci contro la sua copia carbone insieme ai soldati non è stato un gran colpo di genio, debbo dire... ora abbiamo la certezza che gli alti papaveri della Federazione sono davvero coinvolti in tutta questa sporca faccenda.
Già – Yattaran s'incupì – Spero solo che...
Un momento! Che storia è questa? – Tadashi era a dir poco stupefatto – Esperimenti? Il vero Tadashi? Consegnarci i vostri amici? Ma che dite?!
Anche prima che arrivaste dicevano cose senza senso – appoggiato alla parete dietro i prigionieri, Grenadier si grattò il mento con la canna della pistola – Tipo che la Signorina Oyama non era lei ma una sosia mandata per farli finire in trappola, che c'era già stato un tizio dei loro a cui era capitato qualcosa di brutto... cose così.
Mi credete un impostore? – Tadashi li fissò a bocca aperta: certo, la notizia della sua morte doveva essere arrivata anche su Heavy Meldar, ma perché considerare anche Mayu, Yuki e l'equipaggio di Zero dei nemici?
Perché non prendere in considerazione la possibilità che fosse scampato all'attentato piuttosto di ipotizzare fantasiose spiegazioni a base di sosia, esperimenti e complotti ai loro danni?
Sylviana rise.
Un uomo morto e sepolto ci piomba addosso all'improvviso bello vispo e pimpante e ci porta su una nave piena di Federali per farci il terzo grado... tu che ne dici, biondino? Avanti, sono certa che puoi fare meglio di così!
Io sono Tadashi Daiba!
Sì, e io sono Calamity Jane! Dammi una delle mie pistole, che te lo dimostro!
Forse dicono la verità – Mime parlò per la prima volta da quando l'avevano catturata – Non ho percepito nulla di strano in Mayu. E poi, mandarci contro proprio la copia di Tadashi sarebbe stato stupido. Finora i loro stratagemmi sono stati subdoli, crudeli e ignobili, ma sempre pianificati nei minimi dettagli. Scoprirsi così non sarebbe da loro.
Chi sono “loro”? – Yuki si sporse verso Mime – Vi prego, ragazzi, se sapete qualcosa, ditecelo!
Sì, ti scongiuro, Mime – Mayu rigirò fra le mani la sua ocarina e fissò la Yuriana con occhi lucidi – Se sai perché Harlock si comporta così, se sai dove si trova e se qualcuno vi minaccia, ditecelo! Ti assicuro che siamo noi... davvero! Perché non ci credete?
Mime la fissò, si stropicciò le mani e chiuse gli occhi.
Perché fidarsi è pericoloso, nella nostra situazionei – reclinò il capo – Fosse solo per le nostre vite sarebbe un conto, ma da noi ne dipendono altre. Molte altre.
Stavi per fare qualcosa, prima che Grenadier si liberasse – Mayu lasciò andare l'ocarina ed estrasse dalla tasca un cilindro metallico – Con questo. A che serve?
Yattaran incrociò le braccia dietro la nuca e la sua aria depressa scomparve, sostituita dall'espressione fiera di sé dell'inventore.
È un rilevatore di chip Hardgear modificati, una mia piccola creazione – sogghignò – Nel caso ve lo steste chiedendo, anche se dovesse capitarmi qualcosa, copia dei progetti è in mani sicure... mani di chi sa costruire e usare questi giocattolini quanto me. È solo questione di tempo prima che i nodi vengano al pettine!
Chip Hardgear? – Yuki strinse la mano di Tadashi così forte da fargli male alle dita.
Tadashi la guardò. Era sbiancata, e non per l'effetto dei neon.
Anche a lui il nome ricordava qualcosa... qualcosa di molto spiacevole.
Il progetto Herakles! – un brivido gli corse lungo la schiena – Volete dire che qualcuno sta ancora cercando di realizzare quella follia?
Mayu si voltò verso di lui, lo sguardo colmo d'interesse.
Cos'è il progetto Herakles?
Grenadier incrociò le braccia sul petto.
Roba di più di dieci anni fa. Mi stupisce che una persona giovane come lei se ne ricordi, Signor Daiba.
Eccome se me ne ricordo! Mio padre era a capo del Comitato Etico Scientifico, allora. Ebbe un sacco di grattacapi per quella follia.
E io qualche incubo, pensò, ma non lo disse.
Già, è vero – Grenadier si diede una manata sulla fronte – il Professor Tsuyoshi Daiba fece di tutto per impedire la sperimentazione umana di quei chip... me n'ero proprio dimenticato!
Tadashi annuì, cupo.
E alla fine ci riuscì. Ma non fu sufficiente a far desistere quel folle del Professor Kurai... e chi lo sosteneva.
Nella sala scese un tetro silenzio.
Di certo, a eccezione di Mayu che all'epoca aveva appena quattro anni, tutti avevano ancora bene in mente le immagini del filmato che aveva portato alla luce quell'infamia.
A distanza di dieci anni, Tadashi ricordava ancora con estrema nitidezza il video sgranato e privo di audio che, un pomeriggio come tanti altri, aveva interrotto il suo cartone animato preferito.
Ricordava la stanza, un laboratorio dalle pareti candide del tutto simile a quello di suo padre, solo che, invece del telescopio, al centro c'era un lettino di ferro collegato a un computer.
Ricordava l'uomo sul lettino, un giovane di poco più di vent'anni coi capelli scuri.
Ricordava le cinghie di cuoio che lo tenevano avvinto al materasso e ricordava che si era chiesto il perché, dato che pareva profondamente addormentato.
Poi, una sonda era calata dall'alto e qualcosa gli era stata inserita nel cranio.
Uno degli uomini in camice bianco che circondavano il lettino aveva digitato qualcosa al computer e l'uomo aveva iniziato a dibattersi fino a spezzare le cinghie di cuoio che lo legavano, si era alzato, si era preso la testa fra le mani, era esploso in un urlo... e a quel punto era iniziato l'orrore: incurante delle ferite che si procurava, di tutto ciò che aveva intorno, aveva preso a colpire ogni cosa che gli capitava a tiro con pugni, calci e testate, il volto sfigurato dalla rabbia e dal dolore, coperto di sangue. Quando aveva aggredito uno degli scienziati, due uomini armati di fucile erano intervenuti e gli avevano sparato alle braccia e alle ginocchia ma, alla fine, per riuscire a fermarlo, gli avevano dovuto spappolare la testa a furia di colpi.
Era stato a quel punto che Tadashi aveva vomitato la merenda e sua madre, sconvolta nel vedere la scena che si ripeteva, era corsa nello studio a chiamare suo padre.
Tadashi tornò al presente, chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie per raccogliere le idee e ricacciare il senso di nausea che di nuovo gli stringeva la bocca dello stomaco.
Anche se soltanto in parte, le vicende del progetto Herakles si intrecciavano con la triste storia della famiglia di Mayu; avrebbe preferito aspettare ancora un po' prima di parlargliene ma, viste le circostanze, doveva sapere: era suo dovere prepararla a ciò cui sarebbe potuta andare incontro... per quanto in realtà dubitasse d'esser pronto lui stesso.
Sospirò, strinse la mano di Yuki e guardò Mayu negli occhi.
Tutto cominciò al termine della guerra fra umani e Meccanoidi. Quando la Regina Promesium morì, quasi tutti i suoi guerrieri scampati all'esplosione s'immobilizzarono come se fossero stati privati all'improvviso anche solo della volontà di muovere un dito. Gli scienziati della Federazione li studiarono e scoprirono che nel loro cervello era stato impiantato un particolare microchip: il chip Hardgear, appunto. Quel dispositivo, oltre ad avviare una progressiva meccanizzazione del cervello e in alcuni casi addirittura di tutto il corpo, inibiva la volontà dell'ospite perché agisse secondo il volere di una singola persona, in quel caso la Regina. I ricordi, le conoscenze e le capacità rimanevano intatti, ma a lungo andare i sentimenti, la personalità e la coscienza finivano per scomparire del tutto.
Sentimenti! – Grenadier incrociò le braccia – Li consideravano cose inutili, su Andromeda. Ognuno non doveva essere altro che un ingranaggio... e proprio questo diventava, alla fine della fiera.
Mayu spalancò gli occhi. Un'espressione di stupore e raccapriccio le si dipinse sul viso.
Ma è orribile!
Tadashi provò una grande pena: in fondo, Ra Andromeda Promesium, la Regina dei Mille Anni che prima salvò l'umanità condannando la sua patria a un inverno perenne e più d'un secolo dopo tentò d'annientarla al comando delle forze meccanoidi, era pur sempre sua nonna.
E, in fondo, era stata anche lei una vittima.
Ishikura tornò a sedersi.
Ovviamente non ci volle molto perché qualcuno, nel nostro caso il Professor Kenzo Kurai, proponesse d'utilizzare quella tecnologia per creare dei super soldati. Sosteneva che nel sessantotto i combattenti della Federazione non erano stati in grado di respingere l'offensiva meccanoide proprio perché frenati dai sentimenti e dall'istinto di sopravvivenza, ostacoli che i sudditi di Promesium non avevano.
Già, che gran bastardo! – Rai arrossì e si schiaffeggiò una coscia – Dopo che così tanti ragazzi con la metà dei suoi anni erano morti nella fascia d'asteroidi e nell'orbita lunare per salvare le chiappe anche a lui!
Comunque sia – Tadashi riportò l'attenzione su Mayu – Questa fu la nascita del progetto Herakles. Kurai propose di modificare i microchip eliminando la procedura di meccanizzazione e d'impiantarli in cloni dei migliori soldati della Federazione sottoposti a un processo di crescita accelerata e a un trasferimento selettivo di memoria di sua invenzione. Il Comitato Etico lo stroncò, sia perché la clonazione umana era illegale da più di cent'anni, sia perché privare un essere senziente di libertà e idee proprie viola alla base il codice morale degli scienziati; persino l'opinione pubblica gli diede addosso. Lui sparì dalla circolazione per più di due anni e parve che tutto fosse finito in una bolla di sapone... finché qualcuno filmò di nascosto uno dei suoi esperimenti e lo trasmise a reti unificate.
Uno spettacolo davvero orribile – Ishikura bevve un sorso d'acqua – All'epoca ero lontano anni luce dalla Terra, ma quel video arrivò ovunque, me lo ricordo come se fosse ieri. Da quel che se ne dedusse in seguito studiando le sue annotazioni, Kurai scoprì da subito che il chip modificato faceva impazzire gli esseri umani, ma continuò i suoi esperimenti in segreto con l'appoggio d'alcuni membri del Ministero della Difesa. Quando l'esercito federale trovò il suo laboratorio grazie alle indicazioni pervenute insieme al filmato e vi fece irruzione, risultò che aveva già ucciso quasi un centinaio fra normali esseri umani e cloni durante gli esperimenti... e molti di più erano quelli impazziti per i suoi test sui tracciati neurali.
Mayu spalancò gli occhi.
E lo presero?
Ishikura scosse il capo.
Qualcuno doveva averlo avvertito, ma non si scoprì mai chi... o almeno, non che io sappia. È ancora ricercato per crimini contro l'umanità: nei nostri palmari la sua foto è la terza che compare fra quelle di tutti i criminali più pericolosi e abbiamo l'ordine di prenderlo vivo o morto. Non avrei mai creduto che qualcuno avrebbe rimesso mano al su oprogetto, anche perché, se non ricordo male, tutti gli appunti e i chip rinvenuti in quel laboratorio furono distrutti.
Tadashi annuì.
Se ne occupò mio padre – strinse il pugno – Di persona. Disprezzava così tanto ciò che aveva fatto Kurai che non dubito abbia fracassato anche la più piccola vite e bruciato anche il più piccolo frammento di carta.
Mayu guardò Mime. La mano che stringeva il rilevatore tremava.
Pensavate che io avessi uno di quei chip nel cervello? Che potessi essere un clone?
Yattaran annuì.
Lo sospetto ancora. Risulti scomparsa dalla Terra da troppo, ormai. È lo stesso copione che abbiamo visto le altre volte.
Le altre volte? Ti riferisci a quel Doskoi?
Cos'è successo a Doskoi? – Yuki si sporse verso i prigionieri, un'ombra di impazienza nella voce – Vi prego, basta misteri! Siamo in pericolo e stiamo cercando il Capitano quanto voi!
– Non possiamo parlare – Maji spostò lo sguardo da Yuki al rilevatore nella mano di Mayu – Almeno finché non ci dimostrerete d'essere davvero voi.
Mayu sollevò di nuovo il rilevatore e guardò Yattaran.
Come funziona?
Premi il pulsante in basso e passalo attorno alla testa, soprattutto dietro il collo e sulla nuca. Farà tutto da solo.
Tadashi si alzò e le tolse di mano il congegno: anche lui aveva buone ragioni per non fidarsi di nessuno, e un buco nel petto come promemoria.
Non tu.
Premette il pulsante, ma la mano di Mayu si strinse attorno al cilindro.
Tadashi la guardò. Aveva la stessa espressione ostinata di quando aveva voluto a tutti i costi andare a contattare Zero durante il suo finto funerale.
Nemmeno tu – la sua voce era ferma, lo sguardo dei suoi occhi castani gli ricordò quello deciso di Harlock – E nemmeno Yuki. Siete troppo importanti per la Terra e siete due combattenti esperti. Io sono solo una ragazzina qualunque. So che mi volete bene, ma adesso dovete ragionare: se fossi io a farmi male, sarebbe il male minore.
Dal punto di vista strategico, avrebbe ragione – Grenadier si avvicinò – Ma non posso permettere che una così bella fanciulla si metta in pericolo... sarebbe uno spreco imperdonabile per le generazioni future!
L'ex mercenario afferrò il rilevatore e, prima che chiunque potesse dire o fare qualcosa, se lo passò attorno alla testa. Non ci fu la minima reazione.
Pare che io non sia un super soldato – sghignazzò – Peccato!
Bilanciò il cilindro nella mano enorme e lo porse a Tadashi, che ripeté l'operazione, poi fu la volta di Mayu e infine di Yuki. Il congegno rimase inerte.
Siete convinti, adesso?

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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 18
*** Il progetto Herakles - parte II ***


Per un po', nessuno parlò, poi Yattaran emise una lunga risata nervosa.
Certo che avete davvero la pelle dura, ragazzi! Soprattutto tu, Tadashi...
Vi credevamo già morti! – Maji scoppiò in lacrime – Che sollievo!
 Il volto di Mime s'illuminò e persino il cipiglio di Sylviana si distese.
Bé, questo cambia le carte in tavola.
Puoi dirlo forte! – Yattaran scattò in piedi – Se ci saranno anche loro con noi, le possibilità di fermare i pazzi che stanno dietro a tutto questo aumenteranno di parecchio! Soprattutto perché dispongono di una nave... e che nave! Il glorioso Drago Fiammeggiante, nientemeno!
Yuki giunse le mani.
Che ne è stato dell'Arcadia?
A quella domanda, la luce sul volto di Mime si spense.
L'ultima volta che l'ho vista, era ancorata tra i pianeti gemelli del sistema stellare di Alpheratz. Non so se sia ancora laggiù.
Sylviana si alzò, stirò le braccia e posò le mani sui fianchi torniti.
Il Capo e il tappo si erano associati con me proprio perché erano in cerca di una nave per correre dietro ad Harlock – si sistemò il vestito – Era un periodo di magra per tutti, così abbiamo fatto un patto: loro e la bella compagnia che avrebbero riunito quaggiù m'avrebbero fornito un aiuto nel mio lavoro e lasciato una buona percentuale sulle taglie, mentre io avrei garantito loro protezione, anonimato e, al momento giusto, il mio nome su ogni atto della compravendita. Ma a quanto pare la pacchia è finita... e come se non bastasse per mano mia, accidenti!
Tadashi guardò Mime.
Come mai tu e il Capitano vi siete separati?
Non per mia volontà – Mime giunse le mani – Accadde circa quattro anni fa. Eravamo in viaggio verso la Terra per il compleanno di Mayu quando incrociammo una nave nera identica all'Arcadia. Provammo a contattare l'equipaggio via radio, ma nessuno rispose. Lui andò a vedere, stette via un paio d'ore e poi mi ricontattò. Mi ordinò di sbarcare: disse che non sarebbe più tornato a bordo e che non mi voleva con sé.
Tadashi rimase a bocca aperta.
Harlock che abbandonava la donna che gli aveva dedicato la vita e soprattutto la sua nave, il suo migliore amico, era la cosa più assurda che potesse immaginare, giusto un po' più assurda d'un universo immobile, di un cubetto di ghiaccio bollente, di acqua asciutta o di una fiamma fredda.
Guardò Yuki e Mayu. Dalle loro espressioni, dedusse che la pensavano proprio come lui.
Provai a farlo ragionare, gli chiesi cosa avesse trovato, se fosse successo qualcosa... lo supplicai... non servì a niente. Chiuse il collegamento e partì.
E Tochiro non fece nulla? – Tadashi era sempre più incredulo.
Da qualche tempo era... stanco; o almeno, così diceva Harlock. Ogni volta che tornava dalla sala computer, il Capitano era sempre più cupo. Non so cosa fosse successo fra di loro, cosa avesse Tochiro... fatto sta che l'Arcadia rimase ferma lì. Cercai di seguire quella nave con un Lupo Spaziale, ma fu inutile. Rimasi sola, lontana da tutte le rotte commerciali e militari. Alla fine sbarcai in un avamposto di pionieri, ma ero una strana aliena e nessuno voleva darmi lavoro o fiducia. Dovetti imparare a mascherare il mio aspetto e a vivere di espedienti. Passarono quasi due anni prima che riuscissi a tornare alla civiltà e contattare qualcuno.
Nella fattispecie, me – Yattaran mise una mano sulla spalla di Mime – Era da poco esplosa Elpìs, e voi sapete meglio di chiunque altro come mi sentivo. Giravano le voci sul coinvolgimento di Harlock, sulla mia complicità e fantasiose teorie di complotto secondo cui dalla morte di quei poveri coloni io e Tadashi avevamo guadagnato soldi a palate... volevo scappare e volevo la verità, così preparai dei documenti falsi per far perdere le mie tracce e partii per raggiungerla qui, su Heavy Meldar.
Sospirò.
– All'epoca non sapevamo nulla del progetto Herakles; volevamo solo ritrovare il Capitano, chiedergli spiegazioni e provare la sua innocenza davanti al mondo intero. Ci servivano una nave e un equipaggio, così ci stabilimmo in uno dei vecchi nascondigli di Harlock e mi diedi da fare per riunire la ciurma e raccogliere informazioni. Poi, sei mesi fa, senza che lo avessi contattato, arrivò Doskoi.
Yattaran si sedette, pulì le lenti degli occhiali con un lembo della maglietta e li guardò.
– Non era il Doskoi che conoscevo – la sua voce si ruppe – Era sfuggente, taciturno... strano. Mime diceva che qualcosa in lui non la convinceva e Tori-San, addirittura, tentava di aggredirlo. Bé, avevano ragione: quella notte stessa tentò d'ammazzarci.
Maji singhiozzò.
Era come in quel maledetto video – si asciugò le lacrime col dorso della mano – Niente lo fermava, né le parole, né le ferite! Dovetti sparargli alla testa prima che spaccasse quella di Mime con un mazzuolo...
Trovammo il chip fra i resti del suo cervello – anche Yattaran aveva gli occhi lucidi – Lo analizzai e finalmente potei capirci qualcosa. Per farla breve, quel maledetto coso emette onde alfa ad alta frequenza che disattivano l'amigdala, cioè la parte del cervello che controlla i sentimenti e la memoria emotiva. Se si ha quel chip in testa, tutte le informazioni provenienti dall'esterno hanno la stessa importanza, non si hanno istinti né un concetto di giusto o sbagliato... ecco perché i guerrieri meccanoidi di Andromeda Promesium non avevano paura di morire o remore nell'uccidere. Per loro, un essere vivo e uno morto erano uguali, nient'altro che un dato. Un cervello umano, però, è diverso da quello a codici binari di un meccanoide: senza il filtro delle emozioni e degli istinti, non è in grado di gestire tutti gli stimoli esterni, tutte le informazioni che costantemente gli arrivano... ed ecco perché le cavie di Kurai, anche quelle a cui non aveva incasinato il cervello, avevano finito per impazzire.
Doskoi era un clone? – la voce di Yuki era appena un soffio.
Yattaran allargò le braccia.
Di lui non posso essere sicuro al cento per cento. Come ho già detto prima, non ricollegai subito il chip al progetto Herakles. Sapevo poco sulle caratteristiche di quei meccanismi, era passato tanto tempo e inoltre Doskoi non era proprio del tutto pazzo: rispetto all'uomo di quel video di dieci anni fa, agiva lucidamente: aveva aspettato la notte, non era scomposto nei movimenti e non colpiva a caso. Quelli che vennero dopo, però...
Vuoi dire...
Sì, ci sono stati altri due casi.
Chi?
Kiddodo e Taro.
Sul volto di Yuki scesero due lacrime silenziose e anche Tadashi aveva un groppo in gola. La attirò vicino per confortarla.
Non aveva conosciuto Doskoi, il Capo Ingegnere che aveva preceduto Maji, ma ricordava bene Kiddodo e Taro, le loro interminabili partite a scacchi nei corridoi che finivano sempre interrotte da un allarme o da qualcuno che inciampava nella scacchiera, il loro giro di scommesse sulle corse dei topi e i loro scherzi assurdi che, per qualche ragione misteriosa, risparmiavano solo Yuki e il Capitano, mentre lui era uno dei bersagli preferiti.
Erano due ragazzi allegri che contribuivano a rendere meno noiosa la vita a bordo e, anche se non aveva legato molto con loro per via della situazione particolare che stava vivendo all'epoca, la loro perdita lo addolorava.
Yattaran bevve un sorso d'acqua.
Dopo il fatto di Doskoi, cominciai a sospettare che ci fossero grosse forze in gioco. Costruire quel chip, impiantarlo in un nostro ex compagno d'armi e rintracciarci su questo pianeta non era un'impresa alla portata di chiunque. Inoltre, cosa ancor più grave, mi resi conto che tutti quelli che non avevo contattato potevano essere possibili bersagli se i nostri nemici avessero voluto riprovarci. Alla fine chiamai Tetsuro sulla Terra e gli chiesi aiuto. Fu impagabile: mi fornì informazioni sui chip Hardgear e sul progetto Herakles, m'aiutò a mettere a punto il rilevatore e, cosa più importante, rintracciò e mise al sicuro tutti i nostri compagni mancanti all'appello che riuscì a trovare insieme alle loro famiglie.
Capisco – Tadashi afferrò un bicchiere, lo riempì e lo porse a Yuki – Erano loro gli amici che non volevate consegnarci e le cui vite dipendevano da voi.
Mime annuì.
Ci sono donne, bambini e persone anziane fra di loro. Tetsuro, Tadashi Monono e Lydia si sono incaricati di proteggerli finché la situazione non sarà risolta. Tetsuro sta anche cercando di scoprire se qualcuno sulla Terra è coinvolto in tutto questo.
Di sicuro lo è – Yattaran si accigliò – Solo qualcuno molto in alto oltre a me, Yuki e Tadashi poteva avere accesso a tutte le specifiche del progetto di Elpìs, e solo qualcuno molto in alto può avere accesso all'archivio dei tracciati neurali del Ministero della Difesa. Taro e Kiddodo erano due cloni, ne ho l'assoluta certezza. Erano scomparsi da mesi, nemmeno Tetsuro con tutte le sue conoscenze e i suoi mezzi era riuscito a trovarli... poi un giorno arrivano qui su Heavy Meldar e ci cercano tramite Sylviana.
Quella volta stavo in campana, però – la cacciatrice di taglie esaminò con aria critica le sue lunghe unghie laccate di rosa – Li impacchettai ben bene, li portai dal capo e li esaminammo col rilevatore: bingo. Eravamo lì a studiare una maniera di togliergli quel coso dalla testa e risalire al loro mandante quando si sono messi a urlare e dibattersi come pazzi. Dopo circa sei ore di inutili tentativi per liberarsi sono entrati in coma e il giorno dopo sono morti.
Yattaran annuì con fare triste e si sistemò gli occhiali.
Passò qualche giorno e Tetsuro mi contattò: mi disse che i cadaveri dei veri Taro e Kiddodo erano stati ritrovati sotto un ponte a Megalopolis. Erano morti da più di un mese, nessuna possibilità d'errore... ma quei cloni ci avevano riconosciuti e ricordavano cose che solo Taro e Kiddodo potevano sapere, segno che gli era stata trasferita la loro memoria partendo da tracciati neurali, proprio come prevedeva il progetto di Kurai.
Tadashi rabbrividì.
Non è possibile che i nostri nemici abbiano un macchinario in grado d'estrarre il tracciato neurale senza ricorrere all'archivio della Difesa?
Lo escludo. Quella tecnologia è segretissima: avrebbero dovuto prendere tutti i cinquanta tecnici meccanoidi che si occupano ognuno di un singolo aspetto della manutenzione di quel macchinario, smontare i loro chip di memoria, craccarli, sperare di capirci qualcosa, di essere in grado di ricostruire tutto il meccanismo e infine comprenderne il funzionamento senza che nessuno s'accorgesse di nulla. Troppo difficile, costoso e azzardato se l'alternativa è corrompere una sola persona per avere accesso a quello già esistente.
Secondo voi, chi c'è dietro a tutto questo?
Yattaran si grattò la nuca.
Chi lo sa. Kurai dovrebbe essere un vecchio, ormai, sempre ammesso che sia ancora vivo. Secondo Tetsuro, non aveva parenti in vita e i suoi tre assistenti si sono tutti suicidati in carcere. Per quanto riguarda la fuga di notizie dal Governo, non ne ho proprio idea.
Perché ragionate come dei Boy Scout, tappo – Sylviana sedette sul bordo del tavolo, accavallò le gambe e indicò Ishikura col pollice – Me lo sarei aspettato dal Soldatino facente funzioni, qua, non da dei temibili Pirati Spaziali. Comunque sia, come al solito basta trovare chi ci guadagna di più dall'intera faccenda: Harlock di nuovo pendaglio da forca, Mister Pezzo Grosso fuori dai giochi e voialtri dispersi per il Cosmo a correr dietro al vostro Capitano oppure sotto terra... scoprite chi ne trae più vantaggio fra i vostri politicanti e avrete individuato il vostro uomo!
Ishikura si aggiustò il colletto e la guardò storto.
Noi ragioneremo anche da Boy Scout, ma nel mondo civile non puoi andare da uno e scannarlo solo perché ti sembra che ci guadagni: esistono delle cose che si chiamano “processi” e delle altre che si chiamano “prove”, senza le quali non puoi accusare di nulla neanche il peggiore dei delinquenti, figurarsi un membro del Governo!
Sylviana non si scompose. Lo squadrò con aria annoiata, si alzò e gli si avvicinò.
Tutte inutili perdite di tempo, ecco perché non mi piace la Terra – si passò un dito sul labbro inferiore e lo posò su quello di Ishikura che stava per ribattere – Comunque sia, mi piacciono i Boy Scout della Terra, Soldatino... siete così teneri!
Grenadier fischiò, Rai ridacchiò e Ishikura arrossì fino alla radice dei capelli. S'irrigidì e allontanò il dito di Sylviana come se fosse stato incandescente.
Io vorrei capire soltanto una cosa – la voce di Mayu tremò – Harlock... che c'entra lui in tutto questo? Perché si comporta così? Non sarà... non sarà... che gli hanno impiantato quel chip ed è... è...
Tadashi sapeva cosa voleva dire Mayu.
Impazzito. Nemmeno lui riuscì a dire quella parola.
Ci aveva pensato non appena Yattaran aveva accennato ai chip Hardgear, ma non poteva, non voleva crederci: la personalità, l'anima nobile e il cuore puro di Harlock, la sua determinazione, la sua rude dolcezza, il suo coraggio e i suoi sogni... perduti per sempre, sostituiti da un abisso di follia o da una volontà che non era la sua. Faceva male, troppo male.
No, non può essere!
Eppure...
Gli tornò alla mente il suo sguardo poco prima di premere il grilletto.
Vuoto, privo d'esitazioni, amore, odio o pietà... privo di qualunque sentimento.
Freddo, come la canna della sua pistola, come il gelo mortale che lo aveva avvolto mentre giaceva sul pavimento e il suo stesso sangue lo soffocava.
Freddo, così freddo...
La nausea lo assalì di nuovo, un nodo gli strinse la gola.
Yuki chinò il capo ed emise un lungo sospiro roco.
Mayu gemette, gli si avvicinò e gli afferrò la mano.
Era fredda, anche quella.
Tadashi ricacciò indietro le lacrime: non poteva permettersi d'esser debole, non in quel momento.
Forse più tardi, quando fosse andato a letto, avrebbe dato sfogo a tutta la sua ansia e alla sua frustrazione soffocando i singhiozzi contro il cuscino, ma adesso doveva farzi forza, per Yuki, per Mayu e anche per Harlock, ovunque fosse e qualunque cosa gli fosse accaduta.
Siate sinceri, per favore.
Non possiamo esserne certi – Yattaran afferrò il rilevatore – Non abbiamo avuto modo d'esaminarlo con questo o di metterlo a stretto contatto con Mime. Certo, spiegherebbe molte delle sue azioni recenti... se fosse in sé, il Capitano non commetterebbe mai certe infamie!
Però potrebbe trattarsi di un clone, o più di uno, visto che è almeno un anno che si comporta in maniera strana – Maji si grattò la barba – A meno che non siano riusciti ad adattare il chip a un cervello umano non meccanizzato o a modificare i cloni in modo che il loro cervello regga così a lungo. Nel qual caso, chissà lui che fine ha fatto... forse quella dei poveri Taro e Kiddodo...
Questo è da escludere – la voce di Yuki tremò – Quando ci siamo scontrati, prima di fuggire, ha sussurrato il mio nome. Del Capitano non esiste un tracciato neurale posteriore ai vent'anni, quando si ribellò al Governo terrestre. Anche ammesso che i nostri nemici abbiano accesso agli archivi del Ministero della Difesa e che siano in grado d'eseguire con successo un trasferimento, un clone a cui fosse stata impiantata quella memoria non avrebbe potuto riconoscermi.
Allora è davvero lui? – Mayu si guardò attorno, i grandi occhi spalancati.
Sia quel che sia, io non perdo le speranze! – Yattaran si sistemò il nodo della bandana e gonfiò il petto con aria agguerrita – Finché non lo avremo trovato e non saremo certi che non ci sia più niente da fare, non mi darò per vinto!
Bravo, tappo, questo è lo spirito giusto! – Sylviana gli diede una pacca sulla schiena e strizzò l'occhio a Mayu – Prendi esempio, scricciolo: mai arrendersi, o non sarai mai una vera donna!
Tadashi fu grato a tutti e due per il debole sorriso che le strapparono.
Si rese conto di quanto l'allegria e il coraggio tutto particolare di quello strano tipo erano mancati anche a lui: forse, col suo aiuto, sarebbero riusciti a venire a capo di quell'intricata vicenda.
È possibile rimuovere quel chip e annullarne gli effetti? – anche Yuki pareva aver ripreso un po' di coraggio. Ora la sua voce era ferma, i suoi occhi asciutti.
Yattaran scosse il capo.
Non lo so. Non sono un medico – si incupì – E non ci abbiamo mai provato. Non ne abbiamo avuto il tempo materiale e nessuno di noi è un chirurgo. Ci vorrebbe quell'ubriacone del Dottor Zero, ma chissà che fine ha fatto.
Tadashi rise.
– Se ha finito di medicare il Capitano Zero, sarà in cabina attaccato alla bottiglia.

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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 19
*** Le riflessioni di un imbecille, i consigli di un ubriacone e le strategie di un'ex pirata ***


cap 8 Zero osservò il Dottore suo omonimo piegare l'ennesima garza con l'ausilio delle pinze, versarvi sopra il disinfettante e avvicinarla al taglio sul palmo della sua mano.
Strinse i denti e trattenne il fiato quando il medico allargò i bordi della ferita e il dolore pulsante che aveva appena iniziato a diminuire si trasformò di nuovo in bruciore intenso al contatto dell'antisettico con la carne viva .
– Abbia pazienza, Capitano, ma bisogna assicurarsi che la ferita non faccia infezione. È bella profonda e dentro c'erano terra e frammenti di roccia in quantità. Ho quasi finito.
Zero annuì rassegnato e guardò verso il lettino di fianco a quello su cui stava seduto.
Da sopra la spalla del Dottor Machine, intento a trattare l'ecchimosi sulla sua fronte con uno strano congegno che lui non aveva mai visto prima, Marina gli lanciò uno sguardo più che eloquente: no, non era proprio il caso di chiedere di rimandare il resto della medicazione a dopo per partecipare all'interrogatorio dei prigionieri; Ishikura, Tadashi e Yuki se la sarebbero cavata benissimo anche senza di lui.
Il Dottore estrasse la garza e la lasciò cadere nella vaschetta di rifiuto, ormai piena ben oltre l'orlo.
La ferita alla mano era più seria di quanto Zero stesso avesse preventivato: aveva sanguinato in abbondanza e i due Dottori avevano dovuto penare un bel po' per riuscire ad arrestare l'emorragia.
Certo che ha commesso una bella imprudenza – il Dottor Zero si concesse un lungo sorso dalla bottiglia semivuota posata sul tavolino degli strumenti – Buttarsi addosso a uno schermidore esperto come Harlock e minacciarlo con la sua stessa lama... non la facevo così ardito!
Zero fece una smorfia.
– A dire il vero, di solito non lo sono.
– Qualche millimetro più in profondità e avrebbe dovuto dire addio ai tendini, Capitano: sarebbe stato costretto a diventare mancino per continuare a tirar di spada, oppure a farsi mettere una mano artificiale. Per non parlare poi di cosa sarebbe potuto succedere se la lama le avesse reciso le arcate palmari!
Zero s'irrigidì.
– Ma le è andata bene – il Dottore rise e sollevò verso di lui la bottiglia – Un brindisi alla sua fortuna!
Trangugiò un'altra generosa sorsata di saké, prese dal tavolino un'altra boccetta e si dedicò alla disinfezione della cute intorno alla ferita.
Zero strinse di nuovo i denti: se possibile, quel maledetto disinfettante bruciava più di quello che aveva usato prima. Non riuscì a trattenere un mugolio di dolore.
– Ah, l'alcool – rise il Dottore – La panacea di tutti i mali, sia per uso esterno che per assunzione orale! Vuole un sorso di saké, Capitano? Anestetizza meglio di qualunque altra cosa.
Zero scosse il capo.
– Sono in servizio.
Per la verità, quella di bere fino a stordirsi era un'idea che in quel momento trovava molto allettante. Anche troppo.
Osservò il Dottore applicargli con cura i punti e ripensò all'incontro con Harlock e al duello nella gola. Strinse forte il lenzuolo che ricopriva il lettino con la mano libera.
Si era comportato da stupido, sotto tutti gli aspetti: dal non prendere neppure in considerazione l'eventualità che qualcuno volesse attirarlo in una trappola al rischiare la riuscita della missione, la mano e forse anche la vita con quel gesto azzardato; dal lasciarsi sorprendere alle spalle come un novellino da Hell Matia al mancare Emeraldas per ben sei volte da meno di dieci metri.
Guardò la ferita sulla fronte di Marina: se lui avesse fatto il suo dovere, lei non si sarebbe dovuta esporre a quel modo.
Torse il lenzuolo e, per l'ennesima volta da quando era salito sul Bullet, si diede dell'imbecille: dal momento stesso in cui aveva accettato quella missione aveva saputo che sarebbe arrivato il momento di affrontare Harlock ed era sempre stato cosciente che, per allora, avrebbe dovuto mettere da parte le sue emozioni e agire con freddezza e determinazione...  ma non ci era riuscito.
Di nuovo.
Ripensò a suo padre, al suo Istruttore dell'Accademia, al suo vecchio Capitano: quante volte gli avevano ripetuto di non farsi trascinare dai sentimenti, di non lasciare che il lato passionale del suo carattere lo rendesse cieco ai pericoli, incapace di ragionare?
Infinite volte e, negli anni, l'esperienza gli aveva confermato più volte e in maniera dolorosa quanto fossero giusti quegli ammonimenti.
Eppure, quando c'erano di mezzo persone a cui teneva, qualcosa scattava in lui e il lucido, inflessibile ufficiale della Flotta Unita Terrestre tornava a essere un ragazzino incapace di tenere a bada le emozioni... un pericolo per se stesso e per gli altri.
Aggrottò la fronte. Si sarebbe volentieri preso a pugni.
– Com'era? – il Dottore spalmò qualcosa sul taglio, lo ricoprì con garze sterili e gli arotolò una benda attorno al polso e al pollice – Il Capitano, dico...
Zero chiuse gli occhi.
– Terribile. Non sembrava nemmeno lui.
Sarebbe stato uno sbaglio mentire e una cosa inutile indorare la pillola: avrebbe solo reso più duro lo scontro con la realtà.
Il Dottore sospirò, strinse altri sei giri di benda attorno alla sua mano e l'annodò. Afferrò la bottiglia, bevve un'altra lunga sorsata e gli voltò le spalle.
– A posto. Torni domani a farsi cambiare la medicazione, la tenga pulita e asciutta e prenda gli antibiotici nelle dosi e negli orari che le ho prescritto, mi raccomando. Se la mano dovesse apparire livida e farle male, la tenga sollevata all'altezza del petto o ci metta del ghiaccio secco; se dovesse arrossarsi, se si presentasse molto calda al tatto o dovesse gonfiarsi, mi chiami subito; lo stesso vale in caso di febbre o pus. Per il momento le consiglio di non fare la doccia: solo bagni, e tenga il braccio fuori dalla vasca.
– La ringrazio, Dottore.
Zero si voltò verso Marina.
Era scesa dal lettino e ogni traccia della botta ricevuta era scomparsa dalla sua fronte.
Sollevò la mano e guardò la fasciatura che la ricopriva dal polso sino alla base delle dita, pensò alla marea di raccomandazioni del Dottore, a tutto il tempo che sarebbe occorso prima che potesse smettere di seguirle senza pericolo e fece una smorfia: a volte invidiava davvero i meccanoidi.
– Sei sicura di ciò che hai detto giù nella valle? Quella donna...
– Non era Emeraldas – tagliò corto lei – L'hai visto anche tu. Il mio corpo ha reagito, quando l'ho toccata.
Zero distolse lo sguardo, a disagio.
Amava quella donna, sapeva chi era, com'era fatto il suo corpo e perché avesse accettato di diventare un essere biomeccanico, sapeva quanto ancora oggi rimpiangesse quella scelta, sapeva che in futuro lui sarebbe invecchiato e morto mentre lei sarebbe rimasta la stessa ancora per centinaia di anni... e sapeva che non avrebbero mai potuto avere figli, per quanto lo desiderassero entrambi.
Aveva accettato tutto questo ormai da tempo, eppure vedere quel liquido ribollire all'interno del suo corpo ogni volta che entrava in contatto con qualcuno o qualcosa proveniente dal suo pianeta natale riusciva ancora a turbarlo... forse perché, per la maggior parte del tempo, preferiva fingere d'ignorare le cose che aveva accettato.
– Era identica a lei.
– Già – Marina gli si avvicinò – Identica a lei quattordici anni fa. Non ti sembra strano?
In effetti lo era. Come tutto il resto di quella dannatissima faccenda che, invece di chiarirsi, sembrava farsi sempre più intricata man mano che lui ed i suoi compagni indagavano.
Marina si legò il foulard attorno al collo e lo guardò dritto negli occhi.
– Ho una teoria. Potrebbe trattarsi di uno Shòu.
– In effetti, è possibile – il Dottor Machine si pizzicò il mento, un'espressione pensosa sul volto artificiale.
– Conosce quelle creature? – Marina lo fissò sorpresa.
– Ho studiato la biologia di diverse specie, terrestri, aliene, mutanti... nel mio lavoro non si sa mai in cosa ci si potrebbe imbattere.
– Cos'è uno Shòu? – Zero non ne aveva mai sentito parlare.
– Un mutaforma, Capitano – il Dottore si mise a sistemare gli strumenti sul vassoio – Per la precisione, un organismo umanoide privo di ossa tenuto in piedi da un complesso sistema idraulico di vesciche e vasi conduttori, con una pelle formata da cellule in grado di cambiare colore e sangue trasparente.
– Ne ho visti alcuni, quand'ero medico di bordo sull'Arcadia – il Dottor Zero prese in braccio Mi e le accarezzò la testa – Sono creature davvero stupefacenti: sembrano fatte d'acqua e possono cambiare volume e colore imitando qualunque cosa vedano! Ah, mi ricordo la faccia di quella vecchia gallina di Masu quando uno di loro si trasformò in lei, coltellacci compresi!
Marina abbassò lo sguardo.
– Anche il Governatore Vorder era uno di loro, prima di farsi meccanizzare.
– Mutaforma, eh? – Zero giocherellò con l'orlo dei pantaloni, un'esile speranza nel cuore – Allora anche Harlock potrebbe essere...
Marina scosse il capo.
– Hai detto che t'ha riconosciuto e che si ricordava di cose che v'eravate detti quattordici anni fa. Uno Shòu può imitare qualunque creatura con cui venga a contatto sin nei minimi particolari, ma non replicarne i ricordi.
– È vero – assentì il Dottor Machine – Inoltre, di solito non riesce a mantenere a lungo l'aspetto che assume: i mutaforma di Futuria sono esseri del tutto privi di volontà e istinti, a parte quelli basilari.
– Ma allora nemmeno Emeraldas era una di quelle creature – obiettò Zero – Chiunque fosse quella donna, pilotava come un asso!
– Forse per il momento dovreste limitarvi ai fatti e lasciare da parte le supposizioni, Capitano – il Dottor Zero svuotò la bottiglia e la ripose nel contenitore per il vetro – Fossi in lei, ascolterei cos'hanno da dire i componenti dell'altra squadra e deciderei una linea d'azione. Insomma, fra tutti quanti un indizio dev'esser pur saltato fuori!
Aveva ragione: era inutile continuare a confondersi con le ipotesi più disparate e fantasiose: bisognava basarsi su fatti concreti, ma soprattutto agire.
Zero si alzò e stese la mano verso la maglietta.
Non riuscì neppure a piegare le dita per afferrarla e fu costretto ad accettare l'aiuto di Marina per rivestirsi. Odiava essere debole, odiava dipendere dagli altri, tuttavia fu felice di vedere un lieve sorriso affiorare sulle labbra del suo Comandante mentre sollevava le braccia sopra la testa come un bambino piccolo.
La sua schiena e il petto erano un mosaico di graffi ed escoriazioni che gli fecero vedere le stelle quando la stoffa gli scivolò addosso, ma la ringraziò con un mezzo sorriso e un affettuoso colpetto sulla mano. Lei gli abbottonò il colletto della giacca e lo guardò negli occhi, seria.
– Non fare mai più una cosa del genere, Zero.
Lo prometto.
Non riuscì a dirlo: era un giuramento che sapeva di non poter mantenere.
Se lui e Harlock si fossero di nuovo trovati l'uno di fronte all'altro, quando si fossero di nuovo trovati l'uno di fronte all'altro... no, non sapeva cosa avrebbe fatto, non sapeva se sarebbe riuscito a mantenersi lucido e a esser prudente, ma soprattutto non sapeva come sarebbe andata a finire, se ne sarebbe uscito vivo o se sarebbe stato davvero capace di ucciderlo.
Harlock era forte, molto più di quanto ricordasse: lo aveva messo alle strette sino a spingerlo a quel gesto disperato e, al contrario di lui, era determinato, in una maniera spaventosa. Non aveva esitato neppure un istante, ogni sua mossa era stata mirata a uccidere.
Faccio quel che devo.
Zero strinse il pugno.
Ma cos'è che devi fare, Harlock?
– Zero?
Guardò Marina, aprì la bocca e solo allora si rese conto di non sapere cosa dirle.
Le baciò la mano, distolse lo sguardo, afferrò il berretto e uscì dall'infermeria.
La porta si richiuse alle sue spalle. Si diede di nuovo dell'imbecille, si calcò bene in testa il cappello e si diresse alla sala interrogatori.
Entrò e si stupì nel vedere Yattaran e quelli che dovevano essere gli altri prigionieri seduti accanto ai suoi uomini, Yuki con le mani tra quelle pallidissime di una strana donna aliena e Sylviana addirittura seduta sul tavolo accanto a Mayu. Si grattò la nuca.
– A quanto pare, mi sono perso qualcosa. Vice-Comandante, a rapporto.
Ishikura scattò sull'attenti.
– Abbiamo grosse novità, Capitano. Le sparizioni dei membri dell'Arcadia erano state orchestrate da loro, ma per legittima difesa – indicò l'aliena – Il gruppo della Signorina Mime, come noi impegnato nella ricerca di Harlock, è stato attaccato di recente da alcuni loro ex compagni ai quali era stato impiantato un chip Hardgear modificato nel cervello. Sospettiamo che lo stesso Harlock possa avere la mente sotto controllo e...
Zero si sentì gelare.
– Cioè, mi state dicendo che qualcuno lo avrebbe trasformato in un... Herakles?
Boccheggiò, la gola improvvisamente secca.
Per un uomo come Harlock, che aveva fatto della libertà la sua bandiera e la sua ragione di vita, una cosa del genere sarebbe stata mille volte peggiore della morte.
Ishikura annuì, scuro in volto.
– Ne siete sicuri? – Zero guardò i presenti uno per uno.
– Abbiamo le prove che quel folle progetto è stato ripreso – Yattaran gli si avvicinò, le mani dietro la schiena – Tre esemplari di quei chip, i risultati dei miei test... e se Tetsuro ha fatto quel che doveva, anche quelli delle autopsie dei... soggetti ai quali erano stati impiantati. Non sappiamo con certezza se il Capitano sia stato trasformato in un Herakles, ma ciò spiegherebbe il suo comportamento. Sono sicuro che, altrimenti, avrebbe preferito morire piuttosto che uccidere degli innocenti o puntare un'arma contro Yuki, Tadashi o la sua piccola Mayu.
Anche Zero ne era convinto. Ripensò allo sguardo di Harlock, alle sue azioni e alle sue parole, a come aveva obbedito a Hell Matia senza indugiare un solo istante.
E a come, in quel Saloon, il suo cervello lo avesse subito riconosciuto e il suo cuore no, come se gli mancasse qualcosa, come se una parte di lui, quella che lo rendeva unico ai suoi occhi, fosse andata persa chissà dove.
– C'è di più, Zero – Tadashi afferrò il bicchiere davanti a sé e lo strinse forte tra le dita – Pare che qualcuno ai piani alti del Governo Terrestre stia davvero aiutando i nostri misteriosi nemici: come temevamo, hanno accesso a informazioni top-secret e forse anche all'archivio dei tracciati neurali della Difesa. Sospetto che persino l'agguato che t'è stato teso sia stato preparato sin nei minimi dettagli, sapendo che eri qui... e per quale scopo.
Il bicchiere si ruppe con un suono secco e l'acqua gli colò tra le dita, ma lui parve non accorgersene finché Mayu non glielo tolse di mano.
– Anch'io ho delle informazioni, che in parte confermano le vostre teorie – Zero inspirò a fondo – Uno dei nostri nemici è Hell Matia.
– Cosa? – Rai lo guardò esterrefatto – Non era morta sull'Hell Castle?
– A quanto sembra, no. Vuole vendetta, e afferma di non essere la sola. Signori, a quanto pare ci troviamo nel bel mezzo d'una congiura... nel ruolo di bersagli.
Il silenzio calò nella sala. Zero si tolse il cappello e se lo rigirò fra le mani.
– Ma abbiamo degli indizi: Némesis e Futuria. Il primo è il nome dell'astronave su cui Hell Matia ed Harlock sono fuggiti dalla Valle della Morte: una nave nera identica all'Arcadia; il secondo...
– Il secondo è il mio pianeta d'origine – la porta si aprì con un sibilo e Marina entrò nella stanza – Che ci crediate o no, il pilota che è venuto a recuperare Harlock ed Hell Matia da quella gola era un abitante di Futuria, con l'aspetto e le capacità di Emeraldas.
Yattaran si grattò la nuca e incrociò gli occhi, perplesso.
– Un mutaforma, intende? Non sono un biologo, ma che io sappia nessuna di quelle creature può replicare le abilità di un altro essere vivente... d'altronde, parliamo di gente che è riuscita a installare un microchip nel cervello di un nostro amico e a impiantare la memoria di altri due a dei cloni, quindi tutto è possibile.
– Cloni? – Zero lo guardò interdetto. Che diavolo stava succedendo?
– Limitiamoci ai fatti, almeno nello stabilire la strategia da adottare – Yuki si alzò, una luce decisa negli occhi azzurri.
Zero notò divertito che Tadashi, Yattaran e i loro compagni s'erano immobilizzati al suono della sua voce e che, in quel momento, pendevano tutti dalle sue labbra.
Ricordò che sull'Arcadia quella giovane donna dall'aspetto angelico e dal piglio deciso era stata il Primo Ufficiale di Harlock. Si sedette davanti a lei, allungò le gambe sotto il tavolo e le rivolse tutta la sua attenzione.
– Tutti i bersagli dei nostri nemici, tutti noi, abbiamo un'unica cosa in comune: un profondo legame con Harlock. Le loro azioni contro di voi, Mime, e l'agguato a te, Zero, erano volti a impedirvi di trovarlo e parlargli; ritengo sia lui la chiave di tutto. Ora, abbiamo due luoghi concreti da cui partire per cercare di scoprire qualcosa...
Si guardò intorno con studiata lentezza.
– Il sistema Alpheratz – scandì – Quello dei pianeti gemelli e, se non sbaglio, anche di Futuria. Primo obiettivo: scoprire cosa ne è stato dell'Arcadia e se possibile renderla di nuovo operativa. Se la Némesis le somiglia anche quanto ad armamento e il suo Capitano è Harlock, ne avremo un disperato bisogno.
– Sono d'accordo – Yattaran incrociò le mani sul petto – E poi, non possiamo lasciare una nave così formidabile al suo destino!
– Ben detto! – Maji gli mollò una pacca sulla schiena – Non avete idea di quanto mi manchi quella vecchia ciabatta spaziale! Lavorerò anche un anno di seguito a pane e acqua, ma se ci sono dei guasti, li riparerò!
Yuki si schiarì la voce e tutti e due ammutolirono di nuovo.
– Secondo obiettivo: capire se davvero i nostri nemici stanno combinando qualcosa su Futuria. È abbastanza vicino ai pianeti gemelli presso i quali l'Harlock che conoscevamo è scomparso ed è ormai un pianeta morto, un inospitale deserto di ghiaccio... l'ideale per nascondersi. Non ritengo sia un caso.
Zero le fece un cenno affermativo. In effetti, nemmeno lui lo riteneva: le coincidenze sarebbero state davvero troppe. Valeva la pena indagare, anche solo per vedere finalmente di persona la formidabile Arcadia, l'invincibile nave pirata costruita da Tochiro.
– E il secondo luogo?
– Megalopolis, sulla Terra. Qualcuno laggiù ha ordito l'omicidio di Tadashi, attentato alla mia vita e passato informazioni riservate a Hell Matia e ai suoi compagni. Sono certa che, chiunque sia questa persona, conosce l'identità e i piani degli altri cospiratori: negli ultimi anni, l'esperienza m'ha insegnato che non esiste un solo politico che acquisti a scatola chiusa... soprattutto se la merce è un complotto.
Zero la guardò negli occhi. Era certo che avesse un piano, ed era curioso di vedere se coincidesse con ciò che stava pensando lui.
– Cosa proponi?
Yuki ricambiò il suo sguardo.
Di usare la stessa tattica dei nostri nemici: infiltrare qualcuno.
– Nel Ministero della Difesa? – Sylviana fischiò.
– Nella Base principale della Flotta Unita – la corresse Yuki – Se davvero la nostra talpa fa parte del Governo ed è a conoscenza della nostra missione, non si farà di certo sfuggire l'opportunità di contattare un membro di quest'equipaggio in rotta col suo Capitano e in attesa di riassegnazione.
– Un Cavallo di Troia? – Sylviana rise – Mi piace! Al giusto compenso, mi offro volontaria.
Anche Zero sorrise. Doveva ammetterlo: Harlock sapeva scegliersi bene i sottoposti. Yuki Kei era dotata di un carisma innato, di una capacità di ragionamento e di un'astuzia che non l'avrebbero certo fatta sfigurare nell'esercito; tutt'altro.
– Ha detto “un ufficiale” – Ishikura guardò Sylviana con sufficienza – Per meno, nessuno si scomoderebbe.
Lei alzò le spalle con aria noncurante e indicò Yattaran con il pollice.
– Il tappo, qui, può farmi passare per chiunque come bere un bicchier d'acqua.
– Certamente! – Yattaran si batté il pugno sul petto con aria baldanzosa – Datemi un computer e la posso trasformare in sua madre o nel suo Ammiraglio, Signor Ishikura!
– Resta il fatto che non è nemmeno un soldato semplice – insistette lui – Non sa nulla dei nostri protocolli, né della missione, né tanto meno della nave o dell'equipaggio... e non sono cose che si possono improvvisare o imparare in cinque minuti. La scoprirebbero subito!
– Scoprirebbero subito anche uno di voi – Sylviana si passò una mano nei folti capelli chiari – A meno che non siano degli idioti, i nostri amici cercheranno di sorvegliare di nascosto la nostra spia: pedinamenti, intercettazioni, telecamere nascoste... Sono solo le prime cose che mi vengono in mente, e non mi risulta che voi Boy Scout della Flotta Unita siate addestrati a far fronte a questo genere di situazioni.
– In effetti ha ragione – Rai si grattò la nuca.
– E tu ne sei in grado, Sylviana? – Mayu guardò con interesse la cacciatrice di taglie.
– Altroché – rise Grenadier – Su El Alamein era nello squadrone “Rosa Rossa” dei Servizi Segreti... dei bastardi di prim'ordine, lasciatemelo dire!
– Però nemmeno Ishikura ha torto – obiettò Rai – Per imparare certe cose ci siamo dovuti fare anni d'Accademia e per altre ancora impratichirci con anni ed anni d'esperienza sul campo...
– La soluzione è semplice, per come la vedo io – Tadashi riempì un altro bicchiere e se lo portò alle labbra – Basta infiltrare due persone: Sylviana e uno degli ufficiali di questa nave. Lei potrebbe passare, che so, per la moglie o la fidanzata di uno di voi.
– Col vantaggio che, forse, sarebbe meno sorvegliata e più libera d'agire – assentì Yuki.
– Non ci conterei troppo – Sylviana scese dal tavolo e vi si appoggiò coi gomiti – Ma si può fare. Sarebbe una copertura convincente... purché il mio partner sia carino!
– Chi ci va? Di noi, intendo – Grenadier girò lo sguardo dall'uno all'altro dei suoi compagni – Ci vorrebbe qualcuno alto in grado e con dei precedenti abbastanza gravi d'insubordinazione...
Zero s'accorse che tutti i membri del suo equipaggio presenti nella sala si erano voltati nella stessa direzione. Seguì il loro sguardo, represse un ghigno e annuì fra sé: sì, lui era senz'altro il suo uomo.

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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 20
*** La lunga giornata di una spia imbranata ***


cap 8 Ishikura aprì gli occhi al fischio del treno, staccò la testa dal vetro del finestrino, si stiracchiò e guardò fuori.
La stazione doveva essere ormai vicina, almeno a giudicare dalla velocità ridotta e dalle stelle sempre meno visibili.
Ben svegliato, Bell'Addormentato – Sylviana era sdraiata a pancia in sotto sul sedile di fronte, i piedi scalzi che andavano su e giù sopra la sua schiena. Sollevò gli occhi dal libro che stava leggendo e gli rivolse un largo ghigno.
Lui si accigliò.
Piantala. Ho un nome e ti sarei grato se lo usassi.
Come sei infantile – lei sbuffò e rivolse gli occhi al cielo in maniera teatrale – E va bene, Shizuo. Contento?
Il tono con cui lo pronunciò lo irritò quanto gli stupidi soprannomi che aveva continuato ad affibbiargli da quando s'erano incontrati su Heavy Meldar, ma decise di non dire nulla. Non aveva voglia di discutere ancora con lei, specie dopo gli esiti del loro ultimo battibecco, o avrebbe finito per strozzarla.
Lei e quel grosso, stupido bestione di Grenadier che l'aveva ficcato in quest'altro guaio.
E Daiba, che se ne era uscito con quella proposta cretina... non importava che fosse il Primo Ministro e quindi anche il capo delle Forze Armate, e nemmeno che fosse già ufficialmente morto: dopo quasi una settimana di viaggio in compagnia di Le Sylviana, avrebbe affrontato volentieri la Corte Marziale e anche la fucilazione pur di sfogarsi un po'.
Che situazione assurda!
Sylviana riprese la lettura.
Ishikura stava per dirle che sarebbe stato meglio infilarsi quei suoi stivaloni da cow-girl e iniziare a radunare i bagagli in vista della discesa a terra, ma cambiò idea.
Incrociò le braccia e si rimise a guardare fuori.
Che si arrangi.
Era stufo e arcistufo di farle da cameriere e facchino; lui era un gentiluomo e sapeva bene quali fossero i suoi doveri verso una donna, certo, ma quella lì se ne approfittava un po' troppo per i suoi gusti: gli era toccato scarrozzare la sua roba avanti e indietro per ben due fermate senza il minimo aiuto o anche solo un grazie, accompagnarla di qua e di là a far spese come una stupida guardia del corpo, offrirle il pranzo e la cena... e in tutto questo sopportare le sue chiacchiere senza senso, i suoi soprannomi idioti e le sue prese in giro.
Fosse stato per lui, avrebbe dormito e mangiato sul treno fino all'arrivo a destinazione: sarebbe stato più sicuro e pratico, meno rischi di rimanere a terra per un qualche inconveniente o di dare nell'occhio, ma Sua Maestà no... aveva preso la missione per una gita di piacere, aveva voluto a tutti i costi andare a far compere su Giove, visitare Marte per tutto il tempo previsto dalla fermata e riposarsi in hotel, dieci interminabili ore nel primo caso e ventiquattro e mezza nel secondo... e a tale scopo s'era approfittata senza remore della disposizione del Capitano di muoversi in coppia fino a destinazione.
Per non parlare del tempo passato insieme sul treno... in difesa della sua salute mentale, Ishikura aveva preso a dormire il più possibile.
Per fortuna presto quell'infernale viaggio si sarebbe concluso, e poi... e poi sarebbe iniziato il peggio.
Un suono a metà tra un mugolio e un guaito gli uscì dalla gola al solo pensiero.
Quella, passare per la sua fidanzata.
Quella lì.
La osservò. Stravaccata sul sedile, le lunghe gambe incrociate in maniera sexy, la curva morbida del suo didietro e la vita sottile, i seni prosperosi e il viso aggraziato, valorizzato da un trucco leggero.
Certo, era bella. Molto bella, glielo doveva concedere... ma i suoi pregi cominciavano e finivano lì: aveva dei modi a dir poco rozzi, indossava abiti troppo appariscenti per i suoi gusti e, quel che era peggio, aveva il potere d'irritarlo non appena apriva bocca col suo sarcasmo da tre soldi, il suo cinismo e la sua testardaggine. No, non era e non sarebbe mai stata il suo tipo, non ne sarebbe stato attratto nemmeno se fosse stata l'ultima femmina della sua specie rimasta nell'intero universo e da loro fosse dipesa la sopravvivenza dell'intera razza umana, punto.
Ignara del suo sguardo e dei suoi pensieri, lei si girò a pancia in su, accavallò le gambe e sollevò il libro in alto.
L'occhio di Ishikura cadde sulla copertina: azzurra, col simbolo della Flotta Unita stampigliato in rilievo sul retro della fodera di cartone. Sudò freddo.
Cosa stai leggendo?
Oh, il tuo diario – Sylviana non distolse nemmeno gli occhi dalla pagina per guardarlo in faccia – Certo che voi militari siete davvero assurdi!
Ishikura la fissò a bocca aperta, incapace di spiccicare parola, poi sentì il calore salirgli su per il collo fino alle guance.
Ma... ma... ma è una cosa personale! Ci sono annotati sopra i miei pensieri più intimi!
Appunto – Sylviana si raddrizzò e scrollò le spalle – Per tutto il viaggio non hai fatto altro che dormire, evitarmi come la peste o essere del tutto indisponente: mi spieghi come posso passare per la tua fidanzata se non so nulla di te?
Ishikura non credette a quella scusa nemmeno per un nanosecondo.
Le strappò il diario dalle mani e sprofondò nel sedile.
Bastava chiedere – mugugnò – Non c'era bisogno di mettersi a frugare tra i miei effetti personali!
Lei rise.
Non credo che m'avresti confessato alcune di quelle cose così – schioccò le dita – Sei un tipo interessante, sai? Non l'avrei mai detto.
Ishikura si alzò, tirò giù la sua valigia e vi ripose il diario.
Fece tre profondi respiri, contò fino a dieci. Ci ripensò, contò fino a venti e si ripeté per l'ennesima volta la frase che, da una settimana a quella parte, era diventata il suo mantra.
Non devo strozzarla, non devo strozzarla, non devo strozzarla...
Su, ora non comportarti come una scolaretta offesa, Shizuo! In fondo, siamo una coppia!
Ishikura contò fino a trenta e poi fino a quaranta.
Non funzionava: la tentazione di strozzarla era sempre più forte, ma così avrebbe mandato a monte la missione, deluso il Capitano e messo a repentaglio la vita dei suoi compagni.
Quelli veri.
Fammi un favore, Sylviana – si sedette e si massaggiò le tempie – Taci per almeno mezz'ora e non fare niente.
Lei incrociò le braccia e corrugò la fronte.
Ehi, guarda che non è stata mia l'idea di lavorare in coppia!
Nemmeno mia. Se tu non avessi insistito...
Insistito? Io?! – Sylviana si mise una mano sul petto con fare melodrammatico – Guarda che mi ero offerta per prima!
Già. E ti avevo fatto gentilmente notare che non eri adatta: nessun grado né addestramento militare, conoscenza della nave e dei protocolli zero...
Oh, perché tu invece saresti adatto? – lei si alzò e torreggiò su di lui, le mani sui fianchi – Scommetto che non t'accorgeresti di essere intercettato o pedinato nemmeno se i nemici mettessero delle insegne al neon grosse quanto la Karyu apposta per avvisarti e si vestissero da clown! E anche ammesso che per qualche assurdo miracolo riuscissi ad arrivare al computer principale del Ministero, mi dici come faresti a craccare il sistema e scaricare i dati che c'interessano, eh? Sentiamo!
Lui la afferrò per un braccio e la tirò giù, il sudore freddo che gli imperlava la fronte.
Come diavolo faceva a essere una spia esperta, una così?
Abbassa la voce!
Il compartimento è vuoto, Mister Perspicacia!
Non devo strozzarla, non devo strozzarla, non devo strozzarla...
Il suono dell'altoparlante che annunciava l'arrivo a Megalopolis e lo stridio dei freni lo distolsero dai suoi intenti omicidi.
Pur di non dover interagire ancora per un po' con quella vipera e starsene in pace qualche minuto, dimenticò il suo proposito d'astenersi dal fare il cavaliere e si mise a tirar giù i bagagli.
Se li caricò in spalla, s'avviò di gran carriera lungo il corridoio e aprì la portiera del treno.
Scese a terra, arrivò fin davanti al sottopassaggio e si voltò indietro: lei non c'era.
No, non ci credo... ma allora lo fa apposta! Vuole farmi impazzire!
Tornò sui suoi passi e lei quasi gli cadde addosso mentre scendeva.
Perché diavolo ci hai messo così tanto?
Sylviana indicò il bagno.
Cose da donne, ok? – gli posò fra le braccia già stracariche il suo stupido, monumentale beauty-case rosa confetto e gli passò davanti – Allora, ti muovi? Mica abbiamo tutto il giorno, e voglio andare a casa. Sono stanca!
Anch'io, di te.
Ishikura alzò gli occhi al cielo, imprecò un altro po' tra i denti e la seguì giù per le scale, con la speranza che la navetta per la Base fosse puntuale e piena zeppa, così forse quella strega se ne sarebbe stata zitta e ferma per qualche minuto.
Imboccò il sottopassaggio. Il brusco cambio dalla luce all'ombra lo accecò.
Si fermò per bilanciare meglio il peso di tutta quella roba e si bloccò al suono di una risata familiare.
Shizuo? Ci sei davvero tu dietro a quel coso rosa? – Ishikura riconobbe subito quella voce calda e roca, venata d'ilarità.
Mollò le valigie e le borse, ignorò le proteste di Sylviana e fece qualche passo verso l'uomo che, poco più avanti, sghignazzava appoggiato al muro a braccia conserte.
Minoru?
E chi altri, fratellino? – l'uomo scostò una ciocca dei suoi folti capelli biondo cenere dagli occhi e lo guardò divertito – Allora è proprio vero: il tuo idolo Warius Zero, alla fine, s'è stufato dei tuoi casini e t'ha cacciato a calci. Che hai combinato, stavolta?
Ishikura annaspò.
Vedi... in realtà... – distolse lo sguardo e si tirò il colletto della maglia, a disagio.
Temo che sia a causa mia – Sylviana si fece avanti e porse la mano a Minoru – Purtroppo il Capitano Zero non ha gradito la nostra relazione.
Minoru la studiò con estremo apprezzamento, le sorrise e le afferrò le dita.
Allora il Capitano Zero non capisce niente di donne – si chinò e si esibì in un perfetto baciamano – Oppure è un intenditore e la voleva per sé, nel qual caso non lo biasimo. Minoru Ishikura; per servirla, Signorina...
Le Sylviana – sorrise – Non m'avevi detto d'avere un fratello così galante, Shizuo.
Nemmeno io sapevo di lei – Minoru si rialzò – E dire che di solito questo piccolo combinaguai mi scrive sempre tutto quel che fa...
Ishikura sentì le guance in fiamme, per l'ennesima volta.
Era un incubo: preso fra quella strega che guardava suo fratello maggiore con due occhioni da cerbiatta e gli parlava con una vocetta così dolce da far cariare i denti a cento chilometri di distanza e Minoru che faceva il cascamorto e le dava corda.
Aveva voglia di tornare urlando sul Galaxy Express e fuggire agli estremi confini del Cosmo.
Diamoci del tu – Sylviana abbassò il capo, le guance rosse e l'aria imbarazzata – E parliamone in privato, Minoru.
Certo, la mia macchina è qui fuori – lui si caricò in spalla uno dei borsoni di Sylviana e le porse il braccio – Avete già mangiato?
Sì – tagliò corto Ishikura.
Oh, sei geloso! – rise Minoru – Allora è vero amore, eh, Shizuo?
Vero amore un corno!
Voleva solo arrivare al complesso della Base, raggiungere casa sua e buttarsi sotto la doccia.
Passò davanti a entrambi, scagliò le valigie nel bagagliaio dell'auto sportiva di suo fratello e precedette Sylviana quando lui le aprì la portiera sul davanti.
Allora, cos'è successo? – Minoru avviò l'auto – E soprattutto perché tanto imbarazzo, fratellino?
Vedi... – un'ondata di calore lo fece sudare e gli seccò la gola – Ecco...
Sylviana gli posò una mano sulla spalla e rivolse a Minoru uno sguardo timido e preoccupato.
Finto. Fintissimo. Ma, se non l'avesse saputo, Ishikura sapeva che anche lui ci sarebbe cascato con tutte le scarpe, proprio come sapeva che ci sarebbe cascato suo fratello.
Il Capitano Zero è molto rigido – pigolò Sylviana – Non approva le relazioni fra colleghi.
Ha fama d'essere un tipo intransigente, è vero – Minoru sterzò e le strizzò l'occhio – Però non mi sembra una buona ragione per...
Lui e Shizuo hanno avuto molti contrasti, negli ultimi anni. Sono stata solo il pretesto per allontanarlo dalla Karyu, lo so – singhiozzò e lacrime vere le sgorgarono dagli occhi – Ma è stato così crudele a metterlo davanti a quella scelta!
Minoru le porse il fazzoletto, disorientato.
Quale scelta?
Il suo incarico – Sylviana si asciugò gli occhi e si passò una mano sul ventre – Oppure me... e il nostro bambino.
Eh?!
Minoru sbandò e quasi andò a sbattere contro un palo, ma Ishikura era talmente scioccato che non si spaventò nemmeno. Si trattenne a stento dal darsi un pizzicotto sulla coscia per capire se quello fosse una specie di incubo o cosa... e dal saltare sul sedile posteriore e strozzare Sylviana una volta per tutte in caso la risposta fosse negativa.
Aveva appena detto... aveva davvero detto a suo fratello che lui... loro... lei...
Si passò una mano tra i capelli.
No, non ci posso credere! Ma cosa diavolo le salta in mente?!
Si girò verso di lei, impietrito. Era partita per la tangente e si vedeva che non aveva la benché minima intenzione di smettere.
Ero imbarcata come tirocinante del Medico di Bordo – squittì con un'espressione così innocente da smontare Satana in persona ma che a lui fece venire ancor più voglia di strozzarla – Capitava piuttosto spesso che Shizuo si facesse male e col tempo... bé... puoi immaginare com'è andata. Quando il Capitano ha saputo che sono rimasta incinta, s'è arrabbiato moltissimo: ha detto che non voleva a bordo due irresponsabili come me e l'uomo che mi aveva... oh, mi vergogno solo a ripensarci! – singhiozzò – È stato allora che Shizuo ha perso le staffe e l'ha aggredito...
Ishikura guardò suo fratello. Minoru aveva un'espressione esterrefatta, ma mai quanto doveva esserlo la sua.
Si coprì il viso con entrambe le mani per nasconderla nel caso suo fratello si voltasse verso di lui.
Sylviana colse subito la palla al balzo.
Oh, perdonami, Shizuo – singhiozzò – Io ero appena agli inizi, ma tu... ti ho rovinato la carriera!
Io rovinerei te!
Ishikura si mise le mani in grembo e abbozzò quello che nelle sue intenzioni doveva essere un sorriso rassicurante ma che temeva assomigliasse di più a un ringhio, visto il suo umore.
Non preoccuparti, amore ... non è stata colpa tua.
Che razza di situazione... e ormai era senza via d'uscita: doveva sostenere quella montagna di frottole. Fece un profondo respiro e si ficcò le mani in tasca per nascondere il tremito nevoso che l'aveva assalito.
Comunque sia, ho preso una licenza e inoltrato domanda di trasferimento al Comando. Dovrebbe arrivare tutto a giorni, ma per il momento ho bisogno di un po' di pace.
Minoru annuì pensieroso e guidò in silenzio fino all'entrata del complesso abitativo della Base; arrivato al check-point, mostrò la sua tessera e li accompagnò sin davanti al palazzo dove Ishikura abitava durante le licenze e i periodi sulla Terra.
Scaricarono le valigie e salirono le scale fino al quinto e ultimo piano.
Ishikura appoggiò la mano sulla serratura elettronica e inserì la combinazione.
La porta si aprì con un sibilo.
Bé, questa sì che è stata una sorpresa, fratellino – Minoru entrò dietro di lui e posò la borsa sul pavimento.
Già, puoi dirlo forte... 
Ishikura scoccò un'occhiata a Sylviana, che gli sorrise e gli strizzò l'occhio.
Dio, quanto vorrei strozzarla!
Lei lo ignorò, afferrò il braccio di suo fratello e indicò il divano.
Prego, accomodati, Minoru. Possiamo offrirti qualcosa?
Nulla che non sia scaduto da quasi sei anni, temo – rise lui mentre si sedeva – Ho saputo solo all'ultimo momento dell'arrivo di questo pasticcione, altrimenti avrei provveduto...
Ishikura sprofondò sul divano accanto a lui e incrociò le braccia.
Non sono più un bambino, Minoru! Non ho bisogno che badi continuamente a me.
Minoru s'incupì e incrociò le braccia sul petto in una posa speculare alla sua.
Io invece credo proprio di sì, specie dopo quello che ho saputo oggi. Ti rendi conto che diventerai padre? Dovresti lasciare l'esercito, o almeno smettere di fare l'operativo...
Ancora con questa storia? – Ishikura sbuffò – Ti ho già detto un milione di volte come la penso. Non mi ha convinto papà e non mi convincerai tu: la mia vita è questa, perché non lo puoi semplicemente accettare?
Non si tratta più solo di te! – il viso di Minoru si fece rosso quanto doveva esserlo il suo. Indicò Sylviana e la sua voce si alzò di una tonalità – Adesso hai lei a cui badare, e presto anche un figlio! Cosa ne sarebbe di loro se facessi la fine di Takeshi, eh?
Quello era un colpo basso. Un colpo che da lui non si sarebbe mai aspettato.
Non mettere in mezzo Takeshi! – sbatté il pugno sul tavolino, furioso – Non fare così anche tu, per favore! So che non condividi le mie scelte, ma speravo almeno che le rispettassi!
Minoru si azzittì, strinse le labbra e distolse gli occhi.
Tutta la rabbia di Ishikura svanì nel vedere la sua espressione preoccupata e triste.
Avrebbe anche avuto ragione, se ne rendeva conto... ma non c'era nessun figlio in arrivo, nessuna fidanzata incinta, nessun motivo per discutere. E lui aveva già abbastanza guai così. Scoccò un'occhiata assassina a Sylviana, che li osservava coi lucciconi agli occhi: era certo che dietro quella maschera da santarellina se la stesse spassando un mondo.
Non devo strozzarla, non devo strozzarla...
Senti, Minoru, mi dispiace – sospirò, si lasciò cadere all'indietro sui cuscini, chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie –  È solo che sono stanco e ho già tanti pensieri per la testa. Possiamo discuterne un'altra volta?
Quella, almeno, era la verità. Lui si alzò e gli mise una mano sulla spalla.
Scusami tu. Va bene – si avvicinò a Sylviana, che lo abbracciò con foga e gli stampò un casto bacetto sulla guancia.
Posso considerarti anche mio fratello, Minoru?
Ishikura arrossì per lei.
Dio, che sfacciata!
Certo che sì – Minoru le rivolse un largo sorriso ebete, le fece l'inchino e s'avviò verso la porta – Di qualunque cosa tu abbia bisogno, mia cara, conta pure su di me.
Ishikura arrossì anche per lui.
Dio, che farfallone!
Gli prese il braccio e lo accompagnò oltre la soglia.
Mentre rientrava, gli arrivò la sua voce dalle scale.
A presto, “Eroe Silenzioso”!
Sì, certo – Ishikura roteò gli occhi e afferrò la maniglia.
E dai, fratellino – Minoru alzò la voce e si affacciò sul pianerottolo – Solo per dimostrarmi che non ce l'hai con me!
Piantala, cretino! Disturberai tutto il palazzo!
Posso urlare ancora più forte se non mi accontenti!
Va bene, va bene – capitolò – Ciao, “Verità”.
Finalmente i passi per le scale ricominciarono, accompagnati da un fischiettio allegro.
Ishikura richiuse la porta, vi si appoggiò e si lasciò sfuggire un lungo sospiro.
Che tipo impossibile! Ci mancava solo lui a complicare le cose...
Davvero abiti qui quando sei in licenza? – Sylviana stava piroettando qua e là per la casa estatica, all'apparenza ignara del casino che aveva appena combinato – Certo che la Flotta Unita li tratta bene, gli ufficiali! Altro che i tuguri delle reclute!
Ishikura le si avvicinò a grandi passi: adesso lo avrebbe sentito!
Sylviana! Come ti se...
Lei gli buttò le braccia al collo e gli tappò la bocca con un bacio.
Oh, come sono felice, Shizuo caro! – cinguettò.
Avvicinò le labbra al suo orecchio.
Sta' al gioco – sussurrò – Qui è pieno di cimici e microcamere.
Ishikura si irrigidì, le appoggiò le mani sui fianchi e immerse il naso nei suoi capelli in cerca del suo orecchio.
Sei sicura?
Parola di spia – bisbigliò lei contro il suo collo –  Andiamo fuori.
La seguì sul terrazzo e l'occhio gli cadde subito sulla scala appoggiata al muro. La sfiorò con la mano. Quasi non poteva credere che fosse ancora lì dopo sette anni in cui tutto o quasi era stato distrutto o era cambiato.
Sylviana si avvicinò, salì un paio di gradini e gli accennò di seguirla.
Ishikura si issò sul tetto e si guardò intorno. Le tegole erano calde proprio come ricordava, ma il panorama era diverso. Si sentì un estraneo, ma non se ne stupì: dopotutto era rimasto lontano sei anni e, in fondo, nemmeno prima era mai riuscito a considerare davvero quel posto come casa sua.
Sylviana si appoggiò al comignolo e girò lo sguardo sugli edifici che li circondavano.
Bene. Quassù possiamo parlare senza tante recite. Ci staranno spiando dal palazzo di fronte, ma dovremmo essere abbastanza distanti perché sia impossibile leggere il labiale. Comunque, parla piano e muovi la bocca il meno possibile, non si sa mai...
Lui le si avvicinò.
Benissimo! Allora spiegami...
Un momento, soldatino – lei gli posò un dito sulle labbra – Qui le domande le faccio io. Come faceva tuo fratello a sapere del nostro arrivo? E, soprattutto, come faceva a sapere che sei stato “cacciato” dal grand'uomo?
Ecco, ci siamo.
Ishikura tirò il colletto così forte che il primo bottone venne via e cadde. Tintinnò un paio di volte nella grondaia e finì chissà dove.
Non ne ho idea – rise imbarazzato – Come tu non hai idea di che razza di fenomenale impiccione sia Minoru...
Già, parliamone – lei si sedette e appoggiò la testa in modo che le labbra fossero coperte dagli avambracci – Un fratello che non hai nominato neanche una volta in più di un centinaio di pagine di diario e di cui nessuno lassù pareva essere al corrente, ma che ti vuole così bene da accettare senza battere ciglio una perfetta sconosciuta che dice di essere incinta di te. Ha detto che gli scrivi tutto quello che fai: anche le specifiche di una missione segreta, per caso?
Certo che no! – Ishikura scivolò e quasi cadde di sotto per la foga – Ma per chi m'hai preso?
Le si sedette accanto e imitò la sua posa. Guardò i tetti intorno a loro e si chiese se davvero qualcuno li stesse osservando. Aveva l'impressione di camminare su ghiaccio sottile inseguito da una belva.
Sylviana lo guardò. Alla luce del crepuscolo, i suoi occhi chiari lampeggiavano di riflessi dorati.
– Siete dei bravi attori, tu e tuo fratello – si sporse verso di lui – Specialmente tu. Fingersi imbranati è una buona tecnica, quando lo sai fare: la gente ti sottovaluta e abbassa la guardia... ma con me non attacca.
Che vuoi dire? – una goccia di sudore gli scese dalla tempia al mento.
Lei gli mise una mano dietro la nuca, lo afferrò per i capelli, gli tirò indietro la testa e gli si buttò addosso. Lui si divincolò ma lei lo bloccò intrecciando le gambe alle sue e schiacciandolo con tutto il suo peso. Avvicinò le labbra al suo orecchio e rise piano.
Che ironia: sono sicura che in questo momento, da lontano, sembriamo davvero due fidanzatini in vena di romanticherie. Peccato dover rovinare l'atmosfera.
Che vuo...
Ishikura udì uno scatto improvviso e avvertì il contatto inconfondibile di una lama contro la giugulare. Deglutì.
Non muoverti o ti taglio la gola.
Sei impazzita?
Tutt'altro – ghignò lei – Credo d'aver compiuto buona parte della mia missione, cara la mia spia! I tuoi compagni Boy Scout si fidano di te a tal punto da non essersi posti qualche semplice domanda. Capisco Daiba, che bazzicava l'ambiente da quando era un moccioso... ma tu ti ricordavi un sacco di cose sul progetto Herakles, troppe per i miei gusti: coincidenza numero uno. Stabilito il piano, hai fatto il diavolo a quattro perché ti fosse affidata proprio questa missione, da solo: coincidenza numero due. Arriviamo qui e ci aspetta tuo fratello... che lavora al Ministero della Difesa.
Ishikura spalancò gli occhi.
Come fai a...
Sylviana rise.
Quando l'ho abbracciato, prima, gli ho fregato il portafogli. Minoru Ishikura, Assistente del Comandante delle Operazioni Spaziali. Coincidenza numero tre, direi. Cominciano a essere un po' troppe, no?
Senti, è una lunga storia, ma ti giuro che...
Lei premette la lama più forte e gli si avvicinò ancora di più, il suo sorriso gelido quanto il filo del suo pugnale.
Mi giuri che non hai nulla a che fare nemmeno con l'ex Segretario della Marina Spaziale Mamoru Ishikura? – lasciò andare i suoi capelli – Ah, nel caso stessi pensando di mentirmi, guarda che ci metto un attimo a chiedere al tappo di verificare.
Mise una mano nella scollatura e aprì il ciondolo che portava al collo; dentro era installata una trasmittente, un modello piccolo ma potente usato anche nell'esercito.
Isikura la guardò negli occhi.
Ti ho sottovalutata.
Ti conviene non farlo mai più, sempre che alla fine decida di lasciarti in vita – gli sussurrò lei – Adesso, vuota il sacco. E spera di essere convincente, Soldatino.

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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 21
*** Riflessi ***


cap 8 Yuki consultò la carta astrale e confrontò le coordinate della loro destinazione con quelle della Karyu. Erano vicini alla meta, la zona nella piccola cintura di asteroidi tra i pianeti gemelli di Alpheratz dove Mime presumeva si trovasse l'Arcadia.
Alzò gli occhi, s'avvicinò alla finestra della cabina e osservò l'oscurità punteggiata di stelle che la circondava.
Ricordò che un tempo, agli inizi della sua carriera di pirata, ne aveva avuto paura.
Quell'immenso vuoto, tenebroso, freddo, privo di ossigeno e di vita, pieno di minacce nascoste, la faceva sentire sola, fragile e insignificante.
Tutti ci siamo sentiti così, anch'io.
Il suo riflesso per un attimo divenne il viso di Harlock, velato dalla visiera del casco spaziale.
In questo momento sei come un pulcino prima di spiccare il volo, un piccolo essere che sa che dovrà lanciarsi nel vuoto e battere le ali con tutte le sue forze per sopravvivere... Questo è il tuo cielo, Yuki, la tua libertà, ma è un premio che solo chi è disposto a lottare giorno dopo giorno può conquistare, solo chi sa sopportarne la solitudine e i silenzi, solo chi sa sconfiggere la paura.
Ricordò la sua mano tesa.
Anche se ci sarà qualcuno al tuo fianco come me in questo momento, ricorda che dovrai essere sempre e solo tu a fare il primo passo, tu a trovare il coraggio di essere libera, tu a decidere di combattere.
Yuki appoggiò una mano sul vetro, ad accarezzare quel ricordo.
Non l'ho mai scordato, Capitano.
Al suo fianco aveva imparato a conoscere quell'immensità, ad amarne le luci e le ombre, a considerarla casa sua. Eppure, un'eco di quella paura tornò a stringerle il petto.
A cosa stai pensando, Yuki? – Tadashi le si avvicinò.
Vecchi ricordi.
Dell'Arcadia? – il suo volto, riflesso sul vetro accanto al suo, si incupì.
Yuki gli fece un cenno affermativo.
Anch'io ci penso spesso, negli ultimi tempi. Se non fosse per te e Mayu, credo proprio che a quest'ora mi sarei convinto che quel periodo della mia vita non sia stato altro che un sogno.
Già – Yuki appoggiò la fronte al vetro e ne assaporò la frescura – Un sogno che si sta trasformando in un incubo.
Lui le cinse la vita e rimase in silenzio al suo fianco per un po', lo sguardo distante.
Vorrei poterti dire che andrà tutto bene – mormorò – Darei qualunque cosa per poterlo fare.
Ma non ne sei convinto, vero?
Tadashi scosse il capo. Per un attimo, la sua espressione tornò quella rabbiosa e allo stesso tempo vulnerabile del ragazzino in guerra col mondo che, un giorno di sette anni prima, era salito a bordo dell'Arcadia.
Lo hai visto anche tu – si portò una mano al petto – Non è più lui. E se davvero ha uno di quei chip nel cervello, forse...
La sua mano corse alla fondina e le sue dita si chiusero sull'impugnatura della Cosmo Dragoon.
Yuki sussultò, scossa da un brivido.
Forse bisognerà ucciderlo.
Ci aveva pensato anche lei, senza sosta... e se prima di sapere del Progetto Herakles quello era stato solo un vago timore, adesso era quasi una certezza.
Ripensò all'uomo di quel vecchio filmato, alle guardie che gli avevano sparato alla testa e si chiese se avrebbe mai avuto il coraggio di fare una cosa del genere ad Harlock.
Il suo Harlock.
Tirò su la manica della tuta e fissò le ustioni in via di guarigione sul suo braccio destro.
Sulla Terra non ci era riuscita, nemmeno per salvarsi la vita.
Lo ami ancora, vero?
La domanda la colse di sorpresa.
Si voltò a guardare Tadashi.
Lui non si mosse né cambiò espressione, tanto che Yuki credette quasi di essersi immaginata quelle parole.
È... complicato – mormorò alla fine.
Non poteva non amare Harlock.
Gli doveva tutto: la vita, la libertà, ogni cosa che aveva imparato e tutto ciò che era diventata, nel bene e nel male.
Nel momento più buio della sua esistenza, quando aveva creduto di non avere più nulla per cui vivere, lui le aveva teso la mano e le aveva insegnato a combattere, a sopportare il peso della solitudine e dei ricordi, le aveva fatto capire che una casa e una famiglia non erano solo un posto o dei legami di sangue e che poteva ancora avere e dare molto, se solo avesse trovato in sé il coraggio di fare come lui, di tendere la mano a qualcuno e donargli tutta se stessa.
Era stato solo grazie ad Harlock se, a poco a poco, il buio della sua esistenza si era riempito di luci e lo spazio aveva smesso di farle paura, era stato solo grazie a lui se il suo futuro, che un tempo l'aveva angosciata così tanto, s'era trasformato in un qualcosa a cui guardare con speranza e per cui lottare fino all'ultimo.
Non poteva non amarlo e, adesso come allora, non le importava se il loro non era mai stato un amore romantico e mai sarebbe potuto diventarlo: era una cosa che aveva accettato da tempo e che non sminuiva la profondità del loro legame; lo rendeva solo diverso... e complicato, come tutti i sentimenti che l'avevano unita agli uomini della sua vita.
Perché me lo chiedi proprio adesso?
Gli occhi di Tadashi, fissi nel buio dell'universo, le parveroo più scuri del solito e brillavano dei riflessi di stelle lontane.
Ho bisogno di saperlo – lui si voltò a guardarla – Voglio capire quanto male ti farò se sarò costretto a ucciderlo. E...
Si interruppe, ma lei sapeva cosa voleva dire: e se non penserai che l'ho fatto per gelosia, se continuerai a stare al mio fianco.
Yuki si sentì divisa a metà.
Non era una sensazione nuova: da qualche parte dentro di lei aveva sempre saputo che prima o poi sarebbe arrivato il momento di scegliere in modo definitivo fra Harlock e Tadashi... ma così, con quello che implicava, era troppo doloroso.
Tutti e due, in diversi periodi della sua vita, le avevano dato ciò di cui aveva avuto bisogno: Harlock l'aveva protetta, le aveva restituito la speranza e le aveva insegnato a lottare fino all'ultimo per ciò in cui credeva, Tadashi le aveva fatto conoscere la gioia di essere il sostegno di qualcuno e di farsi sostenere a sua volta, le aveva donato quel calore e quella serenità che Harlock, forse, sapeva di non poterle offrire.
Erano legami complicati, forti, impossibili da spezzare: quei due uomini, così simili e così diversi, erano tutta la sua vita.
Un groppo le strinse la gola e i contorni del viso di Tadashi tremolarono dietro un velo di lacrime.
E tu? Quanto male ti farà tutto questo? Quanto te ne sta già facendo?
Harlock significava molto anche per lui: gli aveva salvato la vita, lo aveva tirato fuori dal baratro dell'odio e del rimorso, gli aveva dato dei compagni, degli ideali per cui lottare, gli aveva affidato un futuro da costruire e tutto ciò che gli era più caro; era la persona che più ammirava al mondo, il tipo d'uomo che s'era sforzato di diventare in tutti quegli anni... e al tempo stesso era un rivale, qualcuno da raggiungere e superare, un'ombra silenziosa sempre presente nel loro rapporto.
Le lacrime caddero e Yuki lo vide aggrottare la fronte.
Lascia perdere – Tadashi la lasciò andare, distolse lo sguardo e le voltò le spalle – Ho capito.
Si diresse verso la porta che collegava la cabina del Capitano al ponte di comando e uscì senza voltarsi.
Col suo silenzio, Yuki sentì di averlo ferito al cuore persino più in profondità di Harlock col suo colpo di pistola.
Ma cosa sto facendo?
Si asciugò gli occhi col dorso della mano e mosse un passo per raggiungerlo, ma proprio in quel momento la voce di Zero risuonò negli altoparlanti.
A tutto l'equipaggio, è il Capitano che vi parla. Abbiamo individuato l'Arcadia. Ripeto: abbiamo individuato l'Arcadia. Prepararsi alla manovra di abbordaggio in venti minuti. Ripeto: prepararsi alla manovra di abbordaggio in venti minuti.
Yuki sospirò e tornò sui suoi passi. Entrò in camera da letto e si allacciò al fianco la fondina.
Il vetro le restituì l'immagine di una donna con l'espressione della ragazzina sperduta che era stata un tempo.
Devo essere io a decidere di combattere, e devo essere io a decidere da che parte. Ma a volte è così difficile, Capitano...
Appoggiò di nuovo la mano sul vetro, ma stavolta nessun ricordo rassicurante le si affacciò alla mente: rivide Harlock come l'aveva visto l'ultima volta sulla Terra, lo sguardo freddo, distante, così diverso da quello dell'uomo che l'aveva salvata dalla disperazione da farglielo sembrare un estraneo.
Rabbrividì, uscì dalla cabina e cercò di ricomporsi: di certo tutti si aspettavano che riprendesse il suo ruolo di Primo Ufficiale una volta a bordo dell'Arcadia e non poteva permettersi di apparire debole, confusa o spaventata.
Non poteva, ma soprattutto non voleva.
Sul ponte di comando, Zero le venne incontro.
Aveva ancora la mano destra fasciata e portava al fianco la pistola a tamburo che il Vice-Sceriffo Carson aveva voluto a tutti i costi regalargli come ringraziamento per avergli salvato la vita.
Il racconto del suo duello con Harlock su Heavy Meldar le tornò alla mente e, se possibile, la inquietò ancor di più. Tadashi aveva ragione, inutile negarlo: con ogni probabilità avrebbero dovuto lottare con lui fino alla morte... la loro o la sua.
E io cosa farò, quando questo accadrà?
Siamo pronti.
Anch'io – Yuki si sistemò un guanto per evitare di incrociare lo sguardo di Tadashi, in piedi dietro a Zero. Avrebbe voluto parlargli più di qualunque cosa al mondo, ma non era il momento, non era il luogo – Gli altri?
Ci aspettano alle rampe mobili – la sua voce era atona, così distaccata da parere quasi quella di un altro – Mayu vuol venire a tutti i costi.
Non dovrebbe esserci pericolo – assentì Yuki – Lasciamo che incontri di nuovo suo padre.
Tochiro – mormorò Zero – È una cosa così difficile da credere...
Eppure è così. L'Arcadia è viva, ha un'anima... ed è l'anima di qualcuno che ama profondamente Harlock.
Anche lei, all'inizio, era stata scettica: trasferire l'essenza stessa di un uomo in un computer le sembrava così antiscientifico, così assurdo che a un certo punto aveva addirittura dubitato della salute mentale del suo Capitano, ma in seguito aveva dovuto ricredersi: tante, troppe volte per non accettarlo.
Con  Tochiro tutto è possibile – Zero scrollò le spalle e si tolse cappello e giacca – Vi spiace se vengo con voi? Vorrei salutare anch'io il mio vecchio amico.
Yuki gli fece un cenno d'assenso, pensierosa.
Si chiese se sarebbe stato possibile comunicare con il computer, sempre che fosse ancora in funzione, e soprattutto se li avrebbe aiutati. Per quanto ne sapeva, Harlock era l'unico in grado di parlargli e comprenderlo... e non era con loro, anzi: stavolta era il nemico da combattere.
Seguì Zero nello spogliatoio, indossò la tuta e raggiunse il gruppo alle rampe: Mime, Yattaran, il Dottore, Maji e Mayu li aspettavano in compagnia di un'altra quindicina di uomini, il poco che rimaneva del vecchio equipaggio dell'Arcadia.
Allora, ragazzi, finalmente si torna a casa, eh? – il Dottor Zero venne loro incontro, un sorriso a trentadue denti dietro il vetro del casco.
Non vedo l'ora di mettermi al lavoro – Maji diede un'energica pacca sulla schiena di Yattaran – E far risorgere la cara, vecchia Arcadia!
Giusto, lasciate fare a noi due – Yattaran lo ricambiò con altrettanta foga –  E vedrete come ve la tiriamo a lucido! Quei bastardi non avranno scampo!
Già! Salveremo il Capitano e daremo una lezione coi fiocchi ai cattivi, come sempre! – Maji afferrò Yattaran e lo scrollò con forza – Così, così e così!
Anche così – Yattaran gli diede un paio di scappellotti dietro la nuca e un calcio negli stinchi – E nei modi più dolorosi possibili!
Va bene, va bene, abbiamo capito – il Dottore li separò – Ma non fatemi lavorare prima della battaglia... e soprattutto risparmiate le energie per fare il vostro mestiere, che a menar pugni fate pena!
Ci fu una risata generale e anche Yuki sorrise, felice che almeno loro fossero così fiduciosi e determinati.
Guardò di sfuggita Tadashi che si allacciava il casco e il suo sorriso svanì nel vedere la sua espressione cupa.
Il rumore metallico delle rampe che cominciavano la manovra d'aggancio raggiunse le sue orecchie.
Infilò il casco, controllò la chiusura della tuta e caricò la pistola.
Il portello si aprì. Entrò per prima. Il tunnel che separava le due navi era lungo, buio e, se non fosse stato per il materiale isolante delle tute, freddo da morire. Sotto i guanti, mentre si aggrappava alle maniglie laterali per darsi lo slancio in assenza di gravità, sentì scricchiolare i cristalli di ghiaccio.
Accese la torcia. Un centinaio di metri ancora.
All'improvviso, Mayu le afferrò la mano e lei si sentì intenerita.
Ricordò che, alla sua età, aveva avuto la fortissima tentazione di fare la stessa cosa con Harlock la prima volta che lo aveva seguito in un arrembaggio.
Yuki ricambiò la stretta, si slanciò in avanti e girò la maniglia del portello.
L'interno della nave era proprio come lo ricordava, salvo il fatto che era buio, polveroso e deserto.
L'immagine dei corridoi illuminati giorno e notte, pieni d'oggetti di ogni tipo e di uomini impegnati nelle più svariate e strane attività, le si riaffacciò subito alla mente.
Rivide Taro e Kiddodo seduti a terra davanti alla scacchiera, Masu che rincorreva Mi e Tori-San brandendo i suoi coltellacci, Doskoi che brontolava perché qualcuno, di nuovo, gli aveva fregato le mutande appena lavate; risentì l'allegra confusione di quei giorni lontani e gli echi metallici dei suoi passi che riecheggiavano nel silenzio la fecero sentire sola come non le accadeva da molto.
Controllò il livello di ossigeno col rilevatore da polso, si tolse il casco e cercò il quadro elettrico.
Tirò la leva del generatore autonomo d'emergenza. Non successe nulla.
– Bisognerà rifornire il gruppo elettrogeno di gravium e dare una sistemata all'impianto, o qui non funzionerà nulla – alle sue spalle, Maji si rimboccò le maniche – Io i miei uomini ci mettiamo al lavoro, Yuki.
– Quanto ci vorrà perché tutto sia di nuovo operativo?
Il Capo Ingegnere si grattò la barba.
– Se non ci sono grossi guasti e se dalla Karyu ci daranno una mano col materiale e le riparazioni, direi che io e la mia squadra ce la possiamo cavare in due o tre ore al massimo per le cose indispensabili e un paio di giorni per tutto il resto – si voltò verso Yattaran – Piuttosto, non sarebbe meglio verificare lo stato del computer?
Stavo proprio per andarci – Yattaran si sfilò la tuta e allacciò la bandana sulla testa – Venite con noi, Capitano Zero?
Zero si guardava attorno alla luce della torcia, l'espressione indecifrabile. Annuì in silenzio e si incamminò dietro a lei, Mayu, Yattaran e Tadashi.
Oh, a quanto pare, qui c'è ancora energia elettrica – Yattaran ammiccò in direzione della fievole linea luminosa che filtrava dalla parte inferiore del portello della sala computer – Immagino che Tochiro abbia dirottato qui tutta l'energia residua del generatore per continuare a funzionare il più a lungo possibile.
Ci stava aspettando – mormorò Mayu Papà...
Bene, entriamo – Tadashi ruotò la maniglia e aprì la pesante porta con l'aiuto di Zero.
All'interno, l'enorme computer principale emetteva deboli luci intermittenti e un basso ronzio.
Yattaran si fiondò alla postazione di controllo e cominciò subito a smanettare alla luce della torcia, tra mormorii d'approvazione e imprecazioni soffocate.
Così è questa – Zero mosse qualche passo in avanti e si avvicinò al computer – L'anima dell'Arcadia...
Esitò un momento, posò una mano sul metallo della base e guardò in su.
Tochiro.
Subito, a Yuki venne in mente Harlock e la prima e unica volta in cui l'aveva visto conversare con la nave. Anche lui, quel giorno, aveva fatto lo stesso gesto, anche lui aveva guardato in alto con la stessa espressione, un curioso miscuglio di serenità e malinconia dipinto sul volto sfregiato mentre pronunciava quel nome.
Quello che era seguito, parole e gesti... il solo ricordo le faceva ancora venire le lacrime agli occhi.
S'avvicinò a sua volta, cercando di mascherare la sua indecisione e la sua ansia.
Aveva già provato a parlare con il computer in passato, senza mai riuscirci: nessuna voce aveva risposto alle sue domande, nessun pensiero particolare le aveva mai attraversato il cervello in quella stanza.
Tochiro, ci serve il tuo aiuto.
Silenzio.
Si tratta di Harlock. Lui...
Yuki abbassò il capo e tacque. Non sapeva da dove iniziare, cosa dire... e soprattutto cosa chiedergli.
Harlock era il suo migliore amico, la persona cui aveva sacrificato tutto e dedicato fino all'ultimo istante della sua vita di uomo, e forse avrebbero dovuto ucciderlo: come potevano chiedergli aiuto?
E come potevano farcela, senza?
Rialzò la testa e si rese conto che tutti la stavano guardando in silenzio, in attesa.
Vorrei parlargli io, Yuki – Mayu le afferrò il braccio – Per favore.
Yuki la guardò negli occhi e assentì: se c'era una persona oltre ad Harlock che poteva arrivare al cuore di Tochiro o a qualunque cosa ne rimanesse, quella era lei.
Siamo nelle tue mani, Mayu – gliele strinse e si voltò verso Zero e Tadashi – Lasciamoli soli.
Uscì dalla sala, i passi dei due uomini a far eco ai suoi. La porta che dava sul ponte di comando era rimasta aperta. Yuki rivide Harlock al timone, Yattaran e Tadashi alle loro postazioni e Mime che vegliava in silenzio il loro sonno sulla poltrona del Capitano, sola o in compagnia del Dottore e di svariate bottiglie di liquore.
Si avvicinò alla stazione radar e passò una mano sul monitor. Era spento e coperto da uno spesso strato di polvere che subito le ingrigì il guanto.
Sospirò e guardò fuori, nel buio oltre la fascia di asteroidi.
Avrebbe voluto potersi mettere subito in viaggio e, al tempo stesso, rimanere lì per sempre.
Tutto a posto? – il riflesso di Zero si rispecchiò accanto al suo sul vetro polveroso.
Yuki gli sorrise senza voltarsi.
Dovrei essere io a chiederlo. Sembri sconvolto.
Lui scosse il capo.
Non è nulla.
Yuki non ne era convinta: da quando si era avvicinato al computer, Zero s'era rabbuiato quanto Tadashi se non addirittura di più e non aveva detto una sola parola.
Anche in quel momento, il suo volto era pallido e teso.
Si chiese se per caso Tochiro gli avesse parlato; stava per domandarlielo, quando le luci si accesero con uno sfarfallio. La voce allegra di Maji risuonò nell'interfono insieme a una selva di urla e ovazioni.
Ponte di comando, mi sentite?
Vi ricevo, sala macchine – Tadashi si mise l'auricolare e si sedette alla postazione dei radar.
Abbiamo rimesso in funzione il generatore principale. Per fortuna, qui funziona ancora tutto a meraviglia. Credo che faremo prima a tornare operativi che a togliere tutta la polvere che si è accumulata! – rise – Bé, ci voleva un po' di fortuna, no?
Già.
E come se la cava il vecchio Yattaran col computer? Ho scommesso una bella bevuta che avrei finito prima di lui!
Lo abbiamo lasciato al lavoro. Lo contatto subito – Tadashi premette un paio di tasti sulla console – Yattaran, qui ponte di comando. Yattaran, a che punto sei?
Non capisco: qui parrebbe funzionare tutto e invece non funziona un bel nien... un momento!
Con un flash improvviso, lo schermo centrale si accese.
Yuki, Tadashi, mi sentite? – la voce di Mayu.
Forte e chiaro.
Papà ci aiuterà. C'è una cosa importante che vuole sappiate: a quanto pare, la Nèmesis è una copia esatta di questa nave, sin nei minimi particolari. Non ho capito bene come, ma lui la può rintracciare.
Yuki si avvicinò alla postazione e si chinò accanto a Tadashi.
Sappiamo qual è la sua posizione attuale?
Sullo schermo apparve una mappa. Poco distante dalla zona in cui si trovavano, un punto s'illuminò di una luce intermittente.
Futuria – Zero incrociò le braccia – Proprio come supponevamo.
Procediamo – fu tutto ciò che Yuki riuscì a dire.
Zero si diresse verso la porta.
Torno sulla Karyu. Fatemi sapere quando sarete pronti a partire e se vi servono tecnici o materiali.
Bene – Yuki lo raggiunse e gli strinse appena le dita della mano destra – Voi teneteci aggiornati se dovessero arrivare notizie dalla Terra.
La porta si aprì con un sibilo. Mime entrò nella stanza, un involto nero fra le braccia e Tori-San appollaiato sulla spalla.
Si avvicinò senza dire una parola, dispiegò quello che si rivelò essere uno dei mantelli di Harlock e guardò Yuki coi suoi grandi occhi dorati.
Sono tutti d'accordo – le drappeggiò la cappa attorno alle spalle con un unico, rapido gesto – Da adesso e fino al ritorno di Harlock, il comando spetta a te, Yuki.
Se Harlock tornerà... fu l'angoscioso pensiero che attraverso la mente di Yuki.
Mime le fissò sul petto il fermaglio a forma di teschio e Yuki si voltò verso Tadashi. Lui si alzò, si avvicinò e la guardò negli occhi.
Attendo istruzioni, Capitano.
Per qualche ragione, Yuki si sentì come se un muro invalicabile si fosse frapposto fra di loro: provò la stessa sensazione di solitudine di quando l'avevano sbattuta in cella su quel cargo spaziale, nove anni prima.
Strinse l'orlo del mantello fra le dita e s'impose di mettere da parte i suoi problemi personali: non era il momento, non era il luogo e, ora che aveva la responsabilità della nave, ora che le vite di tutti gli uomini dell'equipaggio dipendevano da lei e dalle sue decisioni, doveva mantenersi lucida a tutti i costi.
Tori-San lanciò un acuto stridio e andò ad appollaiarsi sullo schienale della poltrona di Harlock, in attesa. Yuki si avvicinò e gli accarezzò la testa, ma rimase in piedi.
No, non si sarebbe mai seduta lì.
Finché avesse continuato a respirare, Harlock sarebbe stato il solo, vero Capitano dell'Arcadia.
Chiuse gli occhi, fece un respiro profondo e valutò il da farsi.
Mantenere tutti occupati, provvedere alle necessità di base, prepararsi in vista di possibili scontri, stabilire la rotta...
Quando li riaprì aveva le idee chiare e anche la sua voce era ferma.
Tadashi, chiama Maji e chiedigli un rapporto completo sulla situazione dei motori e degli armamenti, poi di' Yattaran e Mayu che ci raggiungano sul ponte appena possibile. Mime, va' dal Dottore e controllate se occorrono cibo o medicinali. Zero, t'informeremo non appena saremo pronti a salpare. In tre o quattro ore dovrei poterti fornire un resoconto completo sulla situazione della nave e una stima di quanto ci vorrà ancora per raggiungere la piena operatività.
– Ricevuto, Capitano Kei – Zero le lanciò uno sguardo ammirato, le fece il saluto e uscì.
Yuki alzò gli occhi sul puntino lampeggiante al centro dello schermo e pensò di nuovo ad Harlock, a quel giorno lontano in cui le aveva teso la mano per guidarla ad affrontare il buio che le faceva così tanta paura.
Si avvicinò al timone, strinse fra le dita la barra e guardò fuori, oltre la fascia di asteroidi, nell'infinità del cosmo. In un certo senso, era nella stessa situazione di allora: stava per lanciarsi nel vuoto, senza garanzie di riuscita, senza certezze a parte quella di dover lottare con tutte le sue forze. Lui non era lì a tenderle la mano, ma da qualche parte, là fuori, la stava aspettando.
Qualunque fosse la verità, qualunque fosse il destino che li avrebbe attesi entrambi, Yuki aveva un solo dovere.
Ho deciso di combattere, Capitano, come mi hai insegnato tu.
Dal vetro, il suo riflesso le lanciò uno sguardo deciso, come se avesse già trovato ciò che cercava.


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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 22
*** Il Guerriero, la Verità e l'Eroe Silenzioso ***


cap 8 Ishikura guardò in alto.
Sopra di lui, il cielo era sempre più rosso e meno luminoso.
Sotto di lui, le tegole erano calde, quasi bollenti.
Attraverso la stoffa della divisa, il suo corpo era più che mai consapevole del peso e del tepore di quello di Sylviana, così come il suo collo nudo lo era del metallo gelido della lama.
Respirò a fondo per regolarizzare i battiti del cuore e le rivolse un sorriso incerto.
Non potresti metter via quello spiedo? Mi fa sentire un po' a disagio.
Con tutto il rispetto, non me ne frega niente. Sono in missione. Rischio la pelle. Che tu sia la spia a cui do la caccia, un suo contatto o il mio fido partner, non mi devi nascondere niente... e non lo farai. Fuori la verità. Tutta la verità.
Non è mica così semplice! – si lamentò lui – Non ho mai parlato di queste cose ad anima viva...
La magia del pugnale alla giugulare m'ha reso la confidente ideale di un sacco di persone, fino a oggi – mormorò lei contro il suo orecchio – Scommettiamo che funzionerà anche stavolta?
La pressione della lama aumentò e Ishikura sentì un dolore improvviso, simile alla puntura di diversi spilli. Un rivolo caldo gli colò sulla gola e gli bagnò il colletto.
Guardò Sylviana nella luce che andava diminuendo.
Fa sul serio.
Allora? Vuoi che sposti la lama un po' più sopra e tagli più in profondità?
Ishikura tirò un altro profondo respiro. Non sapeva nemmeno da che parte cominciare.
Quando ripensava a quelle cose, e cercava di farlo il meno possibile, andava sempre nella confusione più totale, anche a distanza di anni.
Come ti ho detto, è una lunga storia – chiuse gli occhi e cercò di raccogliere le idee – Comincia con la mia famiglia, nel sessantotto.
Riaprì gli occhi. Lei lo fissava ancora.
Continua.
L'ex Segretario della Marina Spaziale Mamoru Ishikura era mio padre.
Sylviana non fece una piega. A quanto pare, se l'aspettava.
Ishikura deglutì. Era difficile credere che la donna seria, acuta e inflessibile che ora lo teneva in pugno con così tanta fermezza fosse la stessa che l'aveva fatto impazzire per una settimana con le sue frivolezze, il suo comportamento infantile e le sue risate sguaiate.
Oltre a me e Minoru, aveva un altro figlio: Takeshi.
Quello per cui poco fa tu e tuo fratello avete quasi litigato?
Sì. Aveva otto anni più di me e cinque più di Minoru. Era caposquadriglia di un'unità di caccia spaziali... e il mio eroe.
Cosa gli successe?
Quando scoppiò la guerra col Governatorato Extra-Solare, rifiutò d'approfittare della posizione di nostro padre o di fingersi inidoneo al combattimento per evitare d'esser mandato al fronte. Partì con la sessantaseiesima flotta e morì in battaglia dopo meno di un anno dall'inizio delle ostilità, nella fascia d'asteroidi fra Marte e Giove.
Ricordò la piccola cassa di metallo che conteneva i pochi resti di Takeshi, avvolta nella bandiera della Federazione e impilata su innumerevoli altre nella stiva di quell'enorme, buio cargo spaziale.
Gli parve di udire di nuovo l'urlo straziato di suo padre, ma forse era stato solo un cane, da qualche parte nei vicoli sotto di loro. Sbatté le palpebre per scacciare quel ricordo .
Da allora, mio padre cambiò. Fece di tutto per impedire che Minoru fosse chiamato al fronte e per convincere me a lasciare l'Accademia Militare.
Ma non ci riuscì.
No – lui scosse il capo – Avevo diciassette anni, odiavo i meccanoidi con tutto me stesso e bruciavo dalla voglia di combattere. Finii per litigarci: per tutta la vita aveva incoraggiato me e i miei fratelli a diventare soldati come lui e i suoi predecessori, ci aveva riempito la testa di bei discorsi, nobili ideali e storie di eroismo, e proprio quando avremmo dovuto davvero combattere per difendere il nostro mondo e tutto ciò che ci era caro, voleva che ci tirassimo indietro. Mi disse che le sue erano state solo parole, che tutto ciò che voleva per noi era una posizione sicura e prestigiosa e che nessun ideale valeva la nostra vita. E disse anche che Takeshi era stato uno stupido a partire. Mi sentii... tradito: tutto ciò che mio fratello era stato, tutto ciò che volevo diventare io, per lui non era altro che una menzogna... Ebbene: non per me. Me ne andai di casa e ruppi ogni legame con lui. O almeno ci provai.
Si rese conto che stava tremando dalla rabbia e se ne stupì: era passato tanto tempo eppure, a quanto pareva, ancora non era riuscito a seppellirla in fondo al cuore. O forse l'aveva fatto troppo a lungo.
Fece un altro respiro profondo. Quella non era nemmeno la parte peggiore.
Lui non lo accettò e mi rese la vita un inferno: suppliche, minacce, ricatti e ingerenze d'ogni tipo. Non mi risparmiò niente: gli ultimi tre anni d'Accademia furono i peggiori della mia vita – strinse il pugno – Mi diplomai col minimo dei voti che la guerra era ormai persa e finii a fare il Vice-Comandante sulla Kagero.
La carretta in cui il Governatorato fece sbattere il Grand'Uomo?
Ishikura annuì.
Era l'unica nave dello Squadrone Indipendente che fosse sempre sotto organico, un catorcio di pattugliatore comandato da un Capitano in disgrazia che si mormorava stesse andando via di testa e con un equipaggio di reduci stanchi, novellini e incapaci. Finirci era lo spauracchio di ogni ufficiale, ma avrei accettato di tutto pur d'allontanarmi dalla Terra e da mio padre. Ormai lo odiavo, per questo non ho mai parlato di lui a nessuno: all'epoca volevo solo dimenticarmi d'avere il suo stesso sangue nelle vene e in seguito... bé, era troppo tardi.
E nessuno ha mai fatto il collegamento?
Ishikura è un cognome molto comune – alzò le spalle – E poi ci si aspetterebbe che il figlio di un pezzo grosso, per quanto incapace, ricopra incarichi più prestigiosi.
Bene – Sylviana fece scorrere di piatto il coltello sulla sua gola – E così m'hai raccontato la storia della tua vita. Tutto molto interessante, ma che c'entra con il progetto Herakles?
Ci sto arrivando, Te l'avevo detto che era una storia lunga.
Infilò una mano sotto la giacca ma Sylviana lo bloccò. La lama del pugnale tornò a mordergli la gola e le sue gambe lo strinsero con più forza.
Calma, calma! – una goccia di sudore gli scese lungo la tempia – Sono disarmato, volevo solo prendere il portafogli.
Regola numero uno: non ti muovi senza prima avermi avvisata delle tue intenzioni. Riprovaci e ti sgozzo.
Lei gli liberò le gambe, gli si mise a cavalcioni sul bacino e gli sbottonò la giacca con una mano sola, in un paio di rapide mosse. Tirò fuori il suo portafogli dalla tasca interna con una velocità e una destrezza degni d'un borseggiatore professionista, lo aprì, frugò nelle tasche, ne tirò fuori una foto e trasalì. Ishikura sorrise amaro.
Girala – la incoraggiò – Leggi i nomi.
Sul viso di Sylviana si dipinse un'espressione stupita.
Questo era tuo fratello Takeshi?
Ishikura le fece un cenno affermativo.
Sylviana rigirò la foto, la fissò ancora un momento e gli tolse il coltello da sopra la gola.
Non ci somigliamo per niente, lo so – sospirò Ishikura – Takeshi aveva preso da nostro padre, mentre io e Minoru assomigliamo a nostra madre.
Ricordò i capelli castani di suo fratello, i suoi occhi marroni profondi ed espressivi, il suo naso lungo e diritto e le sue labbra sottili, il suo fisico atletico e la stretta d'acciaio delle sue mani.
In quella foto era in alta uniforme poco prima di partire per il fronte e sorrideva un po' brillo con un braccio intorno al suo collo e l'altro attorno a quello di Minoru.
Avrebbe voluto poterlo ricordare sempre e solo così, ma a volte l'immagine che aveva di lui era un'altra... e ora avrebbe dovuto rievocarla.
Si sollevò sui gomiti e avvicinò il viso a quello di Sylviana.
Takeshi Ishikura – mormorò con una smorfia amara – Il primo Herakles. O meglio, uno dei suoi tanti cloni senza nome, torturato a morte da Kurai col beneplacito del suo padre biologico e filmato da chissà chi.
Sylviana lo guardò spiazzata e il ricordo del momento in cui aveva visto per la prima volta quel video s'affacciò di nuovo alla mente di Ishikura, nitido come se l'avesse appena vissuto.
Si trovava su quella ghiacciaia del pianeta Beta davanti all'ennesima tazza di grog, con Grenadier che non si decideva a crollare, Rai che russava ormai sbronzo da più di un'ora, Nohara, Eluder e Kaibara che tifavano e il Capitano, fresco come una rosa, che trincava Heavy Red Barbour manco fosse acqua minerale e parlava sottovoce a Marina.
A un certo punto, il grande schermo sopra il bancone s'era oscurato e lui aveva alzto lo sguardo incuriosito, come tutti.
Aveva pensato a un guasto e stava per riprendere a svuotare la sua tazza quando era apparsa l'immagine di quel laboratorio.
Una zoomata su quel maledetto lettino e aveva visto il volto addormentato di suo fratello.
Poi, mentre ancora si stava chiedendo come fosse possibile una cosa del genere, era iniziato quell'orrore.
Non ricordava nulla di cosa fosse successo attorno a lui nel lasso di tempo che andava tra l'immagine di quegli occhi scuri che si spalancavano all'improvviso e quella di quel povero corpo riverso a terra, crivellato di colpi e con la testa ridotta a un'informe poltiglia sanguinolenta; non ricordava d'essersi alzato né d'aver lasciato cadere la tazza e nemmeno d'esser corso fuori dal locale; le sole cose di cui aveva avuto coscienza da quel momento in avanti erano la mano del Capitano sulla fronte e il suo braccio che lo sosteneva mentre vomitava persino l'anima in mezzo alla neve, poi il buio più totale.
Quando s'era ripreso nell'infermeria della Karyu aveva detto ai suoi amici che dovevano essere stati il freddo e l'alcool uniti a quelle immagini agghiaccianti a fargli quell'effetto.
Nessuno ne aveva dubitato: Grenadier gli aveva persino dato una pacca sulla schiena e gli aveva riferito tutto allegro che non era stato il solo a dare di stomaco, quella sera.
Tornò al presente e osservò Sylviana riporre la fotografia nel portafogli.
Il nome di mio padre era nei documenti arrivati alla Polizia Militare in contemporanea alla trasmissione di quel video anonimo, assieme alle prove del suo coinvolgimento nel progetto Herakles. Aveva fornito finanziamenti clandestini, locali, attrezzature e il DNA e il tracciato neurale di un militare deceduto per gli esperimenti... ora sai di chi. Lo arrestarono, lo processarono e lo condannarono. Ma credo che questo tu lo sappia già.
Lei annuì e si scostò una ciocca di capelli dal viso.
Il tappo è in gamba. M'ha procurato tutto ciò che è rimasto degli atti dei processi ai responsabili del progetto, compreso il Segretario Ishikura. Li ho studiati in viaggio mentre eri occupato a evitarmi, brontolare e dormire. Mi chiedo come sia possibile che questa storia non sia trapelata, al processo: Takeshi era suo figlio, ma non si accenna a lui in nessuno dei documenti in mio possesso.
Ishikura sospirò.
Minoru e io chiedemmo che non fosse resa pubblica l'identità del soldato da cui vennero generati quei cloni. Lui lavorava già al Ministero della Difesa, io ero un giovane eroe di guerra decorato al valore e Takeshi stesso era stato uno stimato ufficiale. Il Giudice del Tribunale Militare e l'Esercito non volevano altro che chiudere il caso e far posare il polverone... furono tutti felicissimi d'accontentarci – sorrise, amaro – Stabilirono che, come persona, il Maggiore Takeshi Ishikura era morto in guerra nel sessantanove, che quei cloni erano da considerarsi individui indipendenti da lui e gli uni dagli altri e celebrarono il processo a porte chiuse, in contemporanea a quello per crimini contro l'umanità degli assistenti di Kurai. Furono molto abili a far passare tutto in sordina, dalla lettura delle accuse alla sentenza finale.
Sylviana allentò la presa e si raddrizzò.
È tutto vero?
Ishikura la guardò negli occhi, con difficoltà. Ormai era buio.
Credi che riuscirei a inventarmi una storia del genere sui due piedi? Ti sembra che stia recitando?
No... non credo che tu sia così bravo – Sylviana rotolò di lato e lo liberò del tutto – Anzi, comincio a credere che tu sia incapace di mentire. Come andò a finire con tuo padre?
Ishikura si mise a sedere e si massaggiò il collo.
Presi una licenza e andai al processo con Minoru. Fu la prima volta che rividi mio fratello da quando m'ero imbarcato sulla Kagero. Non c'eravamo lasciati bene, ma ci riavvicinammo: non avevamo più nessun altro al mondo e poi volevamo la stessa cosa... sapere il perché. Sai cosa ci disse quel... quel... quel pazzo? Che voleva proteggerci, che lui e Kurai volevano proteggere tutti quanti e che quello non era nostro fratello, no, solo il suo DNA. Solo il suo DNA, ti rendi conto?
Sferrò un pugno alle tegole, stupito di come, dopo tanti anni, potesse provare ancora un rancore così violento e profondo.
Lo condannarono all'ergastolo e ne fui felice – si girò verso Sylviana – Si suicidò in cella dopo appena un mese e non provai niente. Ero convinto che quell'incubo fosse finito una volta per tutte... e invece...
E invece, a quanto pareva, quell'orrore stava ricominciando da capo. Qualcuno aveva ripreso quei folli esperimenti e qualcun altro lo stava aiutando proprio come aveva fatto suo padre con Kurai.
Ripensò alla ragazzina, a Daiba, alla Kei e al Capitano Zero, che ammirava e considerava un caro amico: erano nella stessa situazione in cui s'era trovato lui dieci anni prima, con l'aggravante che Harlock aveva ucciso delle persone e forse lo avrebbe fatto ancora.
Ti senti responsabile? – Sylviana era una sagoma scura contro il cielo in cui si accendevano le prime stelle.
Ishikura appoggiò il mento sulle ginocchia e vi strinse le braccia intorno. Vecchie domande senza risposta tornarono a risuonare nella sua testa.
Aveva fatto bene a seguire la sua strada a ogni costo? Era stata la sua decisione di non rinunciare alla carriera militare a spingere suo padre ad appoggiare il progetto Herakles? Era stata colpa sua se si era trasformato in un pazzo con le mani sporche del sangue di suo fratello e chissà quanti altri?
Non lo so – si passò una mano sugli occhi – So solo che non posso permettere che una cosa del genere si ripeta. Sono disposto a tutto.
Sylviana si alzò in piedi e gli dette le spalle.
Sai, se avessi saputo prima di tutta questa storia o l'avessi anche soltanto immaginato, t'avrei rispedito sulla Karyu a calci – spolverò via la fuliggine dal di dietro del suo vestito – Un partner coinvolto come te è una mina vagante in una missione del genere. Ma ormai è troppo tardi. Se te ne andassi di punto in bianco, tuo fratello si insospettirebbe.
Ishikura si alzò e le si avvicinò.
Che c'entra Minoru?
Vedi? Ragioni con questo – Sylviana gli piantò l'indice prima in mezzo al petto e poi sulla fronte – E non con questo, come dovresti. Il caro Minoru lavora ai piani alti del Ministero, ti conosce meglio di chiunque altro e tu ti fidi di lui: è la pedina ideale per estorcerti informazioni, sempre che non sia proprio la persona che cerchiamo. E sappi che, per come la vedo io, la seconda opzione è assai probabile.
Ishikura boccheggiò.
Come puoi dire una cosa del genere?! La nostra famiglia è stata distrutta dal progetto Herakles! Minoru ha sofferto più di chiunque altro per la follia di nostro padre... e poi... e poi è mio fratello!
Lei incrociò le braccia sul petto.
Non vuol dire niente. Tutti hanno un prezzo, anche i fratelli che dicono di amarci.
Ishikura non ci vide più. La afferrò per la scollatura del vestito e la attirò vicino.
Sollevò la mano per colpirla e qualcosa nella sua espressione lo bloccò: sembrava... triste?
Lei distolse lo sguardo e rimase immobile con le braccia lungo i fianchi.
Non lo avrebbe fatto se avesse voluto attaccarlo o sfuggirgli. Chissà perché, Ishikura ne era sicuro.
Ma che sto facendo?
La lasciò andare e si staccò da lei, turbato.
Aveva immaginato più volte di strozzarla, legarla, imbavagliarla, prenderla a schiaffi o buttarla giù dal treno in quell'ultima settimana ma, per quanto fosse irritante e capace di tutto, era pur sempre una donna... e lui certe cose non le avrebbe mai fatte per davvero, a meno di non esserci costretto per salvarsi la vita: aveva sempre pensato che sfogare la propria frustrazione in quel modo fosse da vigliacchi.
Mi dispiace – chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie – Ho i nervi a fior di pelle per tutta questa faccenda, ma non avrei dovuto.
Non importa – Sylviana si sistemò il vestito – Forse ho esagerato. Ma finché non spunterà fuori qualcun altro, tuo fratello per me è il primo tra i sospetti, ti piaccia o no: da quel che ho capito, ha libero accesso a questo appartamento quando non ci sei... e inoltre sapeva del tuo arrivo senza che tu l'abbia avvisato.
È un impiccione, non lo nego – Ishikura mise le mani avanti – Pensa che non sappia badare a me stesso ed è convinto di dovermi difendere dal mondo fin da quando eravamo piccoli: so che si fa passare tutto ciò che mi riguarda al Ministero e quando torno qui in licenza non mi molla un attimo, ma da questo a riempirmi la casa di microfoni e telecamere...
Ho la sensazione che nasconda qualcosa.
Ma chi, quel mattoide?
Gli veniva da ridere al solo pensiero.
Adesso sei tu che non ragioni con la testa – la punzecchiò – Avanti, possibile che non ti fidi di nessuno?
Sylviana si chinò e scese un gradino della scala, il solito sogghigno irriverente stampato sul volto.
No – scosse il capo – Ed è proprio grazie alla mia diffidenza che sono ancora viva e vegeta, quindi me la tengo stretta. Anzi, lo sai cosa ti dico? Dovresti imparare quest'arte anche tu, caro il mio Soldatino.
Lui decise di cambiare argomento.
Senti, sei sicura che tutto l'appartamento sia pieno di cimici e microcamere? Devo contattare la Karyu.
Oh, e perché?
Si chinò accanto a lei, lieto dell'oscurità che gli celava il volto.
E me lo chiedi? – sbottò – Dobbiamo far modificare le nostre schede personali e i rapporti ancora da inviare perché confermino tutte le balle che hai raccontato oggi a mio fratello, almeno a grandi linee. Si può sapere che diavolo t'è saltato in mente?
Non ti avrebbe più mollato, altrimenti – Sylviana alzò le spalle e scese un altro gradino – Aveva capito subito che gli stavi nascondendo qualcosa e lì per lì m'era parsa una buona idea. Non potevo sapere che lavorasse al Ministero.
Gli hai detto che sei incinta! Di me! – scosse il capo, ancora allibito – Così, come se niente fosse... non ci posso credere!
Sono solo parole – sbuffò lei – E non resteremo così a lungo da creare sospetti in merito. Una volta finita questa storia potrai dirgli la verità, raccontargli che il bambino era di un altro, che sono morta di parto o qualunque altra scusa ti venga in mente. A meno che tu non voglia davvero fare un figlio con me, Shizuo...
Ishikura mise il piede in fallo e per poco non le cadde addosso.
Nemmeno se fossi l'ultima donna rimasta in tutto l'universo noto e anche in quello ignoto – gli sfuggì.
Udì la sua risatina soffocata e sorrise anche lui nell'oscurità.
Era strano: non si sentiva così sereno da un mucchio di tempo.
Forse gli aveva fatto bene vuotare il sacco, sfogarsi con qualcuno... anche se si trattava di un qualcuno che, per la maggior parte del tempo, trovava piacevole come un dito in un occhio.
Lascia fare a me, per quella faccenda – Sylviana saltò giù dalla scala, aprì la porta e gli fece un cenno d'intesa mentre indossava di nuovo la maschera da fidanzatina mielosa – Prendi le valigie e mettiamoci qualcosa di più comodo, amore...
Ishikura era sicuro di essere arrossito di nuovo, vuoi per il suo tono, vuoi per il gesto, piuttosto esplicito, che lo aveva accompagnato prima che sparisse oltre l'uscio della camera da letto.
Pregò  in silenzio di non doversi pentire della scelta di fidarsi di lei, agguantò i bagagli ed entrò. Sylviana aveva già spalancato gli armadi ed era intenta a rifare il letto.
Ishikura posò le borse e le lanciò uno sguardo perplesso.
Che vuoi fare?
Lei si accarezzò il fianco e gli si avvicinò con movimenti lenti e sensuali.
Non lo indovini?
Lo afferrò alle braccia e gli tirò via la giacca con un solo, energico strattone, poi la fece roteare sopra la testa e la lanciò sul comò. Gli diede uno spintone che lo fece cadere di schiena sul materasso, gli saltò sopra a cavalcioni e si sfilò il vestito da sopra la testa.
Anche quello finì scaraventato chissà dove.
Sylviana – Ishikura deglutì, la temperatura corporea che gli era cresciuta d'un paio di gradi almeno – Ma cosa...
Lei gli posò un dito sulle labbra e gli fece cenno di tacere, poi gli tolse la maglia, che finì appesa al lampadario. Avvicinò la bocca al suo orecchio.
Le microcamere sono neutralizzate per il momento, ma non posso far niente per le cimici. Sarebbe troppo sospetto se tutti i sistemi di sorveglianza che hanno installato smettessero di funzionare all'improvviso, quindi parla piano. Molto piano. Chiama, io creerò un diversivo.
Sylviana lo liberò e lui afferrò il computer palmare. Accese il dispositivo anti-intercettazioni di Yattaran, si collegò sulla linea protetta, attese che il collegamento fosse stabile e si mise l'auricolare.
Itaca – mormorò – Itaca, mi sentite?
Odisseo? – la voce di Marina era lontana ma chiara.
Sì – Ishikura avvicinò le labbra al microfono – Itaca, ci sono cambiamenti urgenti da apportare al mio file personale: inserimento codice 237850...
Si voltò verso Sylviana, che aveva preso a saltare su e giù sul letto con forza e velocità crescente.
Che diavolo fai? – le chiese senza articolare. Poi, un pensiero lo gelò – Penseranno che stiamo...
Le lesse le labbra: “Proprio ciò che voglio”. Emise un mugolio che lo fece arrossire fino alla radice dei capelli e si alzò in piedi. Le molle cigolarono e la testiera sbatté contro il muro.
Ishikura distolse gli occhi dal movimento ipnotico del suo seno fasciato nel pizzo rosa e s'impose di guardare solo lo schermo.
Ho capito bene? 237850? – la voce di Marina era perplessa – Vuoi che mettiamo nel tuo file la voce “condotta immorale”?
Sì, e specificate “con la tirocinante medico, recluta… chi sapete voi” – bofonchiò – Inoltre dovete scrivere sui rapporti per il Ministero che ho aggredito il Capitano durante un diverbio e lasciato la nave insieme a lei. Farebbero comodo anche delle ecografie da allegare alla sua scheda... ehm... di un feto ai primi mesi... sì, insomma...
Oh, Shizuo... sì! – gemette Sylviana.
Ish... Odisseo, cosa state combinando? – la voce di Marina era tra l'allarmato, l'imbarazzato e l'irritato.
Sì, amore... ah!
Ehm... Penelope sta creando un diversivo. Siamo sotto sorveglianza audio.
Silenzio. E imbarazzo totale, almeno da parte sua.
Seduto a torso nudo sul materasso che sobbalzava, una matta in lingerie che saltellava e gemeva di fianco a lui, poteva immaginarsi la faccia rossa di Marina come se l'avesse avuta davanti.
E i commenti che avrebbero fatto Rai, Eluder e soprattutto Grenadier quando fosse tornato...
Già gli pareva di sentirli: non gli avrebbero dato pace per tutti i secoli dei secoli.
Avrebbe voluto sprofondare.
D'accordo, Odisseo – assentì il suo diretto superiore, asciutto – C'è altro?
Penelope vuole che comunichi che forse abbiamo già un contatto. Verificheremo nei prossimi giorni.
Bene. Da parte mia, v'informo che la prima parte del nostro piano è riuscita.
Davver... ah! – qualcosa, per la precisione un alluce smaltato di rosa, gli perforò il fianco destro.
Alzò lo sguardo e lesse le labbra di Sylviana: “Collabora un po'!”
Devo chiudere – si massaggiò l'anca dolorante – Buona fortuna, Itaca... Ah!
Anche a voi. Chiudo.
Oh, Shizuo, ti amo! – Sylviana si buttò a peso morto accanto a lui e gli pizzicò la coscia.
Ishikura urlò, non certo di piacere.
E non era certo amore quello che provava nei confronti di Sylviana in quel momento.
Ritiro tutto ciò che ho pensato di positivo su di lei: io questa la strozzo, dovessi rimetterci la pelle! Uno, due, tre...
Sei rosso come un peperone, Shizuo caro – ridacchiò lei – Ti sei stancato?
Quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci, undici...
Cercò di non guardarla.
Copriti... amore – le ringhiò – Prenderai freddo...
Non ho dietro nessun pigiama, tesoro – cinguettò lei – Ti spiace se ne metto uno dei tuoi?
Il tempo di dirlo e gli aveva già aperto la valigia; un paio di rapide mosse e l'aveva già addosso: a quanto sembrava, i suoi bagagli non avevano segreti per lei.
Come lui, ormai.
Rinunciò all'idea di chiederle cosa diavolo ci fosse nelle pesantissime valigie che gli aveva fatto trascinare per mezzo sistema solare e cosa accidenti avesse comprato durante le fermate del Galaxy Express, prese i pantaloni del pigiama e della biancheria di ricambio, s'infilò in bagno e si buttò sotto la doccia.
Quando ne uscì, finalmente non più teso come una corda di violino e un po' meno infuriato, lei era già sotto le coperte.
Ishikura notò che aveva tolto i vestiti dai punti in cui li aveva lanciati e immaginò di dover recitare la sua parte di fidanzato innamoratissimo davanti alle telecamere.
Oh, bé... non potrà essere più imbarazzante di ciò che è capitato prima, sospirò.
Si stese sull'altra sponda del letto, si coprì con lenzuolo e coperta e si mise sul fianco, di spalle a lei.
Buona notte.
La sentì muoversi verso di lui e posargli una mano sulla spalla.
Posso chiederti una cosa?
Se proprio devi – sussurrò.
Cos'era quella storia dell'“Eroe Silenzioso” e della “Verità”? Una specie di codice segreto militare?
Gli sfuggì una risata.
È un gioco di quando io e i miei fratelli eravamo ancora piccoli – si girò verso di lei – Ogni tanto ci chiamavamo col significato dei nostri nomi: Takeshi significa “Guerriero”, Minoru “Verità” e Shizuo “Eroe Silenzioso”.
Sylviana fissò il soffitto, incrociò le braccia dietro la nuca e sospirò.
Sai una cosa? Ti invidio.
Per cosa?
Questi ricordi.
La guardò.
Alla luce fioca della lampada, la sua espressione era di nuovo lontana e velata di malinconia.
I tuoi fratelli.
Ishikura si chiese che cosa nascondesse lei nel suo passato, perché fosse tanto sensibile all'argomento e cosa l'avesse portata a credere che non ci si potesse fidare nemmeno della propria famiglia.
Lui aveva preso una bella batosta con suo padre, sicuro, ma una cosa del genere non l'aveva mai pensata, nemmeno per un istante.
Deglutì e prese il coraggio a due mani.
Niente segreti fra partner – la incoraggiò – Vuota il sacco.
Non hai il coltello – ridacchiò lei – E comunque, non c'entra con questa storia.
Si girò dall'altra parte e spense la luce.
Buona notte, Eroe Silenzioso.

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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 23
*** Ifiklìs ***


cap 8 Tadashi si raddrizzò sulla sedia quando il Dottor Zero e il Dottor Machine entrarono nella sala riunioni della Karyu, seguiti da Yattaran.
Avevano tutti e tre l'aria stanca: da più di tre giorni erano al lavoro, insieme o in separata sede, sui dossier che Tetsuro aveva inviato da Megalopolis.
Allora, a quali conclusioni siete giunti? – seduto al suo posto, Zero si rigirò tra le mani il cappello, l'espressione tesa.
È una cosa davvero da non credersi, Capitano – sul volto artificiale del medico meccanoide c'era ancora un'espressione esterrefatta – Chi ha fatto tutto questo è un vero genio!
Già... peccato che sia un genio del male – il Dottor Zero accarezzò la testa di Mi, la posò sul tavolo e fece un cenno a Yattaran, che si mise alla postazione del computer.
Le luci s'abbassarono e sullo schermo apparvero le foto di un cervello umano dissezionato a varie profondità. Una scritta su un cartellino bianco nella parte bassa dello schermo, vergata a mano in un carattere stampatello tondo e regolare, lo identificava come appartenente al clone di Kiddodo.
Con la coda dell'occhio, Tadashi vide Yuki impallidire e distogliere lo sguardo.
Fece per afferrarle la mano ma si bloccò: stringeva attorno alle spalle il mantello di Harlock, come a cercare il suo calore e la sua protezione.
Serrò il pugno e tornò a prestare attenzione alle immagini.
Il chip agisce come gli Hardgear di prima generazione – Yattaran zoomò l'immagine ed evidenziò un'area – Una volta inserito e attivato, entra in simbiosi con l'organismo e inizia a emettere onde alfa ad alta frequenza allo scopo d'indurre in aree mirate del cervello uno stato simile alla trance, man mano sempre più profondo. Gli elettroencefalogrammi che ci hanno inviato Tetsuro e il Dottor Ban sono chiari: dai normali ottanta cicli al secondo dello stato di veglia, l'attività mentale del soggetto impiantato scende ai quaranta dell'ipnosi in due o tre ore circa e scompare quasi del tutto dopo un'altra ora al massimo; se il soggetto si trova già in uno stato di sonno, naturale o indotto, il processo è ancora più rapido.
Zero sussultò.
Come si sono procurati questi dati? Non avranno mica...
Non si preoccupi, Capitano! – rise Yattaran – Tetsuro non è il tipo. Se c'è una cosa che odia più delle idee distorte di Ra Andromeda Promesium sulla tecnologia e sull'uso da farne, è il pensiero di togliere a qualcuno la libertà d'agire e pensare con la propria testa. A quanto pare, è in contatto con un tizio che gli ha procurato parecchio materiale su Herakles, vecchio e, purtroppo, più recente.
Perché non ce l'hai detto subito, Yattaran? – Yuki si sporse verso di lui – Potevamo accordarci per farlo collaborare con Ishikura e Sylviana!
Yattaran scosse il capo.
Avevo già chiesto a Tetsuro di farmici fare due chiacchiere la prima volta che ci siamo sentiti a proposito di quei chip – si grattò il mento – Anche a me sarebbe stato utile. Purtroppo nemmeno lui sa chi sia in realtà il suo informatore o come contattarlo: pare sia un tipo molto prudente, quasi paranoico. A ogni modo, potremo discuterne tra poco direttamente con lui: il collegamento è fissato fra una mezz'ora circa.
Il Dottor Machine si sistemò il camice e s'accomodò a sua volta.
Tornando ai risultati delle nostre analisi, le perizie e gli studi comparati di Tetsuro e del Dottor Ban confermano in gran parte le ipotesi iniziali di Yattaran: il chip modificato inibisce le attività dell'emisfero destro del cervello, in particolare del circuito limbico. Sentimenti, memoria emotiva, istinti, morale e personalità del soggetto impiantato vengono pressoché annullati.
Il Dottor Zero guardò Yuki, Tadashi e il Capitano suo omonimo uno dopo l'altro.
Ricordate cosa mi avete detto dei vostri incontri col Capitano? – afferrò un bicchiere, osservò le bottiglie sul tavolo, tutte d'acqua, fece una smorfia e lo posò – Di averlo riconosciuto a livello razionale ma non a livello emotivo?
Tadashi assentì.
Il ricordo delle emozioni che aveva provato alla vista di Harlock nel suo studio gli fece correre un brivido lungo la schiena: stupore, incredulità, paura... ma soprattutto l'inquietante sensazione di trovarsi davanti a un estraneo nonostante la consapevolezza d'avere di fronte una delle persone che più amava e ammirava al mondo.
Accanto a lui, sia Zero che Yuki fecero un cenno affermativo.
Bé, ragazzi... noi comuni esseri umani non siamo empatici ai livelli di Mime o Tori-San, ma si tratta dello stesso meccanismo che ha consentito loro di avvertire che in Doskoi c'era qualcosa che non andava: una percezione dell'impronta emotiva che rende unica una persona conosciuta... o la sua mancanza, in questo caso.
– Nel caso di Mime, c'è proprio la capacità innata di percepire le onde cerebrali – intervenne Yattaran – È addirittura in grado d'emettere lei stessa onde alfa per abbassare le difese dell'io ed entrare nella mente delle persone. Con Doskoi, m'ha detto, aveva trovato quelle difese già abbassate e le era stato impossibile avvertire tracce di desideri, sentimenti o istinti di qualunque genere. È stato da lì che ho preso l'idea del rilevatore: alla fine della fiera, il mio giocattolino non è altro che un meccanismo capace di rilevare l'attività dell'emisfero destro del cervello e le onde cerebrali, tarato su una frequenza da quattordici a trenta Herz; al di sotto di questa soglia, siamo di fronte a un soggetto non del tutto in sé.
Zero posò il cappello sul tavolo e versò un po' d'acqua in un bicchiere.
Se ho capito bene, sono le onde cerebrali emesse dal chip ad annullare la volontà del soggetto impiantato. Quindi, basterebbe eliminare la radiazione perché torni in sé, giusto?
Il Dottor Machine scosse il capo.
Non è così semplice, purtroppo. Già dieci anni fa, Kurai svolse dei test in quel senso: in effetti, l'irraggiamento con onde beta a un intervallo superiore a quello delle alfa emesse dal chip risvegliava i soggetti impiantati, ma l'effetto era una crisi di rigetto molto simile a quella vista nel filmato del primo Herakles. Due volontà, quella originaria e quella della persona che manovrava il chip, entravano in contrasto. Il risultato era un dolore insopportabile che portava alla follia o addirittura alla morte cerebrale della cavia di turno.
Il caro Professore non poteva certo permettere che i suoi super soldati andassero in tilt per così poco – Yattaran fece una smorfia disgustata – Così schermò il chip e lo modificò perché fosse impossibile risvegliare la coscienza dei soggetti impiantati con un intervento esterno. I chip di Taro e Kiddodo ne sono un esempio: sottoposti a irradiazione di onde beta, reagiscono abbassando ancor di più l'attività cerebrale con l'emissione di onde theta o addirittura delta. In parole povere, compensano lo stimolo al risveglio addormentando ancor di più l'emisfero destro del cervello ospite.
Ma le crisi di rigetto ci sono comunque – obiettò Tadashi – Tu stesso, Yattaran, ci hai raccontato che Taro e Kiddodo sono impazziti entrambi poco dopo la loro cattura.
In parte è stato perché la loro mente ha cercato di sopraffare il condizionamento, certo – il Dottor Zero afferrò Mi prima che iniziasse a rifarsi le unghie sul camice del Dottor Machine – In soggetti non meccanizzati, la personalità originaria cerca vie alternative per tornare a imporsi, purtroppo coi risultati descritti dal collega. Tutti i soggetti impiantati da Kurai di cui abbiamo potuto studiare i dossier, presto o tardi, sono morti o impazziti a causa di ciò, nonostante i tentativi del Professore d'impedirlo... Ma nel caso dei cloni dei nostri due poveri amici, la morte è stata decisa e accelerata proprio da chi ne aveva il controllo.
Tadashi trasalì, inorridito.
Vuoi dire che li hanno uccisi di proposito?
Yattaran si riempì un bicchiere.
Secondo i documenti che ci ha fornito l'informatore di Tetsuro, il chip è in grado di tradurre gli impulsi elettromagnetici del cervello in dati registrabili su un supporto: ogni immagine, suono e sensazione percepiti dal soggetto impiantato arrivano a chi lo controlla – bevve – Quando abbiamo catturato i cloni di Taro e Kiddodo, chi li comandava ha visto tutto in presa diretta e ha pensato bene di disfarsi di loro: è bastato disattivare l'emissione delle onde cerebrali senza interrompere il controllo mentale e quella che era la falla più grande nel progetto Herakles è diventata un comodo sistema di autodistruzione.
Ne siete sicuri? – Zero era bianco come un lenzuolo.
Purtroppo sì – Yattaran posò il bicchiere, si tolse gli occhiali e soffiò sulle lenti – L'analisi strumentale dei due chip evidenzia uno shut-down contemporaneo di...
Che bastardi! – Tadashi abbatté il pugno sul tavolo, colmo di rabbia e disgusto – Ma perché?!
Yuki gli afferrò le dita. Sotto la stoffa del guanto, la sua mano era gelida.
Yattaran allargò le braccia.
Non ne ho idea. Dubito che quei poveracci sapessero qualcosa e, in ogni caso, non avrebbero parlato. Forse nelle memorie dei loro chip era contenuta qualche informazione compromettente e i nostri nemici hanno temuto che potessimo decodificarla... ma rimaniamo nel campo delle speculazioni: la crisi di rigetto ha danneggiato le memorie dei chip in maniera tale da rendere irrecuperabile qualunque altro dato.
Che cinismo spaventoso – Zero aggrottò la fronte – Non c'è modo di rimuovere chirurgicamente il chip?
Il Dottor Zero scosse il capo, sconsolato.
Anche ammesso di riuscire a catturare vivo il... – abbassò lo sguardo – Soggetto, e anche ammesso che chi lo controlla non lo uccida come ha fatto con i cloni di Taro e Kiddodo, è impiantato troppo in profondità e in uno dei punti più delicati: l'amigdala. No... anche con le tecnologie più moderne e con un'abilità mille volte superiore alla mia, sarebbe impossibile asportarlo senza uccidere l'ospite o procurargli danni irreversibili.
Tadashi respirò a fondo, più volte.
Era come se gli mancasse l'ossigeno, come se il suo cuore, di nuovo, fosse stato passato da parte a parte da un colpo di pistola e stesse lottando per ogni battito, per ogni respiro.
Quindi... è una condanna a morte – mormorò tetro.
Come temevo.

Nessuno parlò.
Mi sfuggì alle braccia del Dottore, trotterellò incerta per tutta la lunghezza del tavolo, si strusciò contro una delle bottigliette e si fermò davanti a lui. Lo fissò coi suoi grandi occhi verdi e miagolò, gli sferrò una zampata alla mano e balzò indietro.
Tadashi le accarezzò la testa, la prese in braccio e si godette per qualche istante la morbidezza e il tepore del suo pelo contro la guancia, poi la passò a Yuki.
Forse c'è un'alternativa – Zero si alzò – Se riuscissimo a impossessarci del computer dal quale i nostri nemici controllano i chip, potremmo tentare di disattivare il condizionamento mentale e l'emissione delle onde cerebrali nello stesso momento. Questo dovrebbe risvegliare una persona impiantata senza eccessivi danni, no?
Potrebbe funzionare – Yattaran si rimise gli occhiali – Ma non sarà facile: non credo proprio che troveremo ad attenderci un comitato di benvenuto con tappeto rosso, spumante e caviale!
Ne sono consapevole – annuì Zero a denti stretti – Una linea d'azione di questo genere ci costringerebbe ad abbordare la Nèmesis senza procurarle troppi danni, con tutti i rischi che ne conseguono: noi non potremmo usare il Cannone di Sant'Elmo, voi dovreste fare a meno del rostro di prua; se il loro computer principale e la sala macchine si trovano negli stessi punti di quelli dell'Arcadia, li distruggeremmo senz'altro... e chissà quali sarebbero le conseguenze.
Bisognerà anche dividere le forze – Yuki accarezzò Mi sotto al collo – Se è vero che i nostri nemici hanno una base su Futuria, e ormai è una certezza visto che le foto satellitari della Federazione non mostrano traccia della Nèmesis sulla sua superficie mentre Tochiro rileva la sua presenza proprio là, è più che probabile che tengano lì i macchinari che cerchiamo.
O che ci abbiano addirittura predisposto un laboratorio di riserva – il Dottor Machine si pizzicò il mento – Io lo farei, al loro posto. Pensateci: se la nave fosse abbattuta o avesse un incidente, perderebbero tutto il loro lavoro in una volta sola... e lo stesso se la base fosse scoperta e presa d'assalto.
Proprio come capitò a Kurai dieci anni fa – Tadashi incrociò le braccia sul petto e fece un cenno affermativo: aveva senso ed era meglio considerare ogni possibilità.
Ve la sentite? – Zero si risedette e tamburellò sul tavolo con le dita – Il rischio è alto, molto alto. Anche se per poco, ho visto in azione la Nèmesis su Heavy Meldar, ed è una nave da guerra formidabile: robusta, maneggevole, con una potenza di fuoco eccezionale. Inoltre, non abbiamo la minima idea di chi o che cosa troveremo su Futuria.
E nessuna certezza di riuscire a salvare il Capitano in ogni caso – aggiunse cupo il Dottor Zero – Potrebbero ucciderlo in qualunque momento...
O potremmo essere costretti a farlo noi – concluse Tadashi.
Yuki lo guardò angosciata. Zero si mise il cappello in testa e si tirò la visiera sugli occhi.
Yattaran e il Dottor Zero fissarono l'uno la tastiera del computer, l'altro il soffitto.
Tadashi si alzò e appoggiò entrambe le mani sul tavolo, un misto di rabbia e disperazione che gli stringeva il petto e gli faceva tremare le spalle.
So che non volete nemmeno pensarci – abbassò lo sguardo sui suoi pugni contratti e cercò di controllare il tremito della voce – Ma dobbiamo. Non è più in sé, ha già ucciso e non esiterà a farlo ancora, chiunque si trovi davanti. Ha puntato la pistola persino addosso a Mayu, per la miseria! Mi farei volentieri trapassare il cuore un'altra volta se servisse a farlo tornare l'Harlock che ho conosciuto sette anni fa, ma farmi ammazzare perché non ce la faccio a sparargli non servirebbe a niente... a nessuno... e lo stesso vale per voi! Ognuno di voi.
Girò lo sguardo sui presenti.
Ogni parola era una pugnalata ai loro cuori, se ne rendeva conto, ma andava messo bene in chiaro: se avessero deciso per l'abbordaggio, non avrebbero potuto permettersi incertezze: sulla Terra, avevano quasi ucciso lui e Yuki; su Heavy Meldar, per poco non era toccato a Zero.
Fissò la mano fasciata del Capitano, il braccio destro di Yuki e si posò una mano sul petto.
E poi, nemmeno lui vorrebbe continuare a vivere così, a uccidere sconosciuti e persone care perché qualcuno lo costringe a farlo... lo conoscete, lo sapete quanto me. Se davvero ci consideriamo suoi amici, dobbiamo esser pronti a tutto, anche a... questo!
Strinse l'impugnatura della Dragoon, la estrasse e la posò sul tavolo. Un groppo gli chiuse la gola e si trattenne appena dallo scoppiare in singhiozzi.
Respirò a fondo e s'impose di mantenere il controllo: non era il momento di tornare a essere il quattordicenne impaurito, confuso e pieno di rabbia che era stato all'epoca del suo incontro con Harlock... anche se avrebbe dato tutto pur di tornare a quei giorni e sentire ancora la sua voce dargli consigli, rimproverarlo o ridere di lui, anche se avrebbe dato tutto pur di sentire di nuovo la sua mano sulla spalla, il calore della sua schiena durante la battaglia e, sì, persino il bruciore dei suoi ceffoni sulla guancia.
Sono con te, Tadashi – Zero sollevò la visiera del cappello e lo fissò – Harlock ha sempre amato la libertà sopra ogni cosa e credo anch'io che preferirebbe morire piuttosto che vivere come una marionetta. Ma sia ben chiara una cosa: gli darò quella libertà solo se non dovessi avere altra scelta.
Vi servirà un tecnico, nella squadra d'abbordaggio – Yattaran si annodò più stretta la bandana e si sistemò gli occhiali – Vi avviso, però: come pistolero non valgo un fico secco, e come lottatore ancor meno. Non riuscirei a fare un graffio al Capitano nemmeno se fosse nudo, bendato e legato mani e piedi con catene da rimorchio alla prua della Nèmesis! Se vi accontentate...
Yuki?
Lei assentì in silenzio.
Tadashi la osservò: i suoi splendidi occhi azzurri erano asciutti e scintillavano di determinazione, ma le sue mani, ancora strette ai bordi scuciti del mantello di Harlock, erano scosse da un lieve tremito.
Il Capitano è pronto a tutto e lo farà, la donna soffre in silenzio e non se lo perdonerà mai...
Ansia, tristezza, gelosia e desiderio lo travolsero: avrebbe voluto prenderla a schiaffi e avrebbe voluto stringerla fra le braccia lì, in quello stesso istante.
Invece, rimase al suo posto e distolse lo sguardo.
Zero si schiarì la voce e si sistemò il colletto.
Bene. Immagino che dovremo comunicare ai nostri rispettivi equipaggi le decisioni che abbiamo preso e definire la nostra tattica nei dettagli una volta studiata la situazione insieme a loro. C'è altro?
Yattaran guardò l'orologio e la sua espressione corrucciata si distese.
È ora di collegarsi con Tetsuro – le sue dita tozze volarono sulla tastiera – Speriamo abbia buone notizie.
Tadashi si sedette e allungò le gambe sotto il tavolo.
È stato lui a chiedere di parlarci?
Circa un paio d'ore fa – annuì Yattaran – Non so cosa voglia di preciso, ma dev'essere  importante: sembrava teso. Gli avevo chiesto di parlare, ma ha insistito che ci foste anche tu, Yuki e soprattutto Zero.
Tadashi incrociò le braccia e tirò un lungo sospiro.
Rispettava e ammirava Tetsuro Hoshino: nonostante all'epoca fosse poco più di un bambino, era stato un eroe della guerra contro i meccanoidi di Promesium. Senza di lui, forse, la storia della Terra sarebbe stata molto diversa; senza di lui, forse, adesso lui e tutti coloro che amava sarebbero stati degli esseri meccanici senza idee, cuore e personalità, condannati a un'eternità priva d'amore e speranza. Purtroppo, le amare esperienze vissute in guerra e nel suo lungo viaggio lo avevano segnato nel profondo e avevano fatto nascere in lui idee inconciliabili con le sue, soprattutto per quanto riguardava la questione Meccanoide: Tadashi era per la libertà di scelta e l'integrazione, Tetsuro per l'abolizione assoluta dei corpi meccanici.
Anche se negli anni successivi alla fine della guerra con le Mazoniane avevano collaborato più volte, a causa delle loro differenze non erano mai riusciti a trovare quella particolare sintonia che li avrebbe resi veri e propri amici... anzi: per la verità, in sua presenza, Tadashi avvertiva sempre un vago senso di disagio.
Lo schermo si fece scuro e la voce di Breaker risuonò negli altoparlanti.
Sala riunioni, il collegamento con la Terra è stabilito, passo.
Sì, Signor Breaker – Zero avvicinò il microfono alle labbra – Siamo pronti.
Roger, Capitano. Attivo l'audio.
Come sarebbe a dire che devo aspettare che lui abbia finito, stupidi ragazzini scostumati?! – un grido poderoso quanto stridulo fece sussultare il Capitano della Karyu con una tale violenza da fargli sbattere entrambe le ginocchia contro il bordo del tavolo – Stasera mangerete solo un tozzo di pane secco con un bicchier d'acqua di fonte, razza d'ingrati che non siete altro!
Sarebbe un miglioramento – mormorò una voce maschile prima che lo schermo s'accendesse sul volto esasperato di Tetsuro.
Tadashi non poté reprimere una risata, sia perché aveva riconosciuto la voce che, in sottofondo, continuava a urlare improperi, sia perché in passato aveva già accennato a Tetsuro del carattere tutto particolare di quella certa personcina... senza essere creduto, peraltro.
Signora Masu, è lei?
Ah, Tadashi! – una mannaia affilatissima e lucida come uno specchio spuntò sotto al mento di Tetsuro seguita dalla testa della vecchia signora – Era ora che ti facessi sentire, razza di scavezzacollo incosciente! M'hai fatto preoccupare da morire, lo sai? Nemmeno hai pensato di avvertire questa povera vecchia della tua bella messinscena, nossignore! Scommetto che non t'è passato nemmeno per l'anticamera del cervello! Lo sai che m'hai quasi fatto prendere un infarto con quella storia dell'assassinio, eh?!
Signora Masu – provò a obiettare Tetsuro – Dovremmo...
Zitto tu! – la lama della mannaia lambì pericolosamente la narice destra del giovane eroe di Megalopolis – E Yuki? E la mia piccola Mayu? Come stanno?
Tutto bene, signora Masu – accanto a lui Yuki rise, per la prima volta dopo tanti giorni – Sono qui.
Tutto bene un corno – Masu appoggiò un ginocchio sulla plancia – Sei magra, rigida e bianca come un filetto di sogliola surgelato, ragazza mia! Mangi abbastanza? Quel disgraziato lì ti dà pensieri? Scommetto che la notte non ti lascia dormir...
Signora Masu, per favore... – Tetsuro si passò una mano fra i folti capelli castani nel tentativo disperato di darsi un tono.
Inutile. Tadashi lo sapeva per esperienza.
Con Masu, nemmeno il temibile Capitan Harlock era mai riuscito nell'impresa: un paio di volte lo aveva visto addirittura battere in ritirata dalle cucine a tutta velocità, sul viso un'espressione terrorizzata che non gli aveva visto assumere nemmeno nelle situazioni più disperate delle più disperate battaglie.
Ehi, Masu, vecchia gallina! – rise il Dottor Zero – A me non dici niente?
Ah, ci sei anche tu, Dottore da strapazzo! Vedi di darti da fare e capire perché quei due lì ancora non m'hanno sfornato un bel nipotino! Non vorrei fosse un problema fisico...
Eh?! – Tadashi guardò Yuki, che arrossì come un peperone.
Mi hai sentito bene, ragazzo! Guarda che ho quasi ottant'anni, ormai! Mica posso aspettare per tutta l'eternità che tu ti svegli!
Ma io... noi... chi le ha messo in testa...
Arrenditi, Tadashi – sghignazzò Yattaran – Tanto lo sai che con lei non c'è nulla da fare: ha sempre ragione!
Puoi dirlo forte, razza di fannullone incapace! Ne ho anche per te, sai? Prima mi vieni a prendere nella mia bella casetta tranquilla e mi spaventi a morte con tutte quelle storie di pericolosissimi assassini e del Capitano che prima non si trova più, poi forse è prigioniero chissà dove e poi forse è impazzito, quindi mi lasci qui a far da balia a questi ragazzacci incontentabili e alle famiglie di quegli altri scioperati scansafatiche e te ne vai senza nemmeno avermi riparato il frigo! Ma quando torni te la faccio vedere io! Oh, se te la faccio vedere io!
Signora, so di chiederle molto e mi dispiace, ma il tempo stringe – una voce maschile interruppe la selva di invettive di Masu – Per favore, io e Tetsuro abbiamo davvero bisogno di parlare con loro in privato, adesso.
Con sua enorme sorpresa, Tadashi vide Masu voltarsi di lato e sorridere al nuovo venuto, ancora fuori dello schermo.
Ma certo, caro! Adesso vieni con me un attimo, però! Ti ho preparato un po' di quello sformatino di aringhe fermentate nel latte, cipolle novelle, patate e panna acida da portare via, proprio come t'avevo promesso – si voltò di nuovo verso di loro e agitò la mano che impugnava la mannaia a mo' di saluto – Devo andare, ragazzi! Fate del vostro meglio per recuperare quel benedetto uomo di Harlock, che devo dare una bella lezione anche a lui, così impara a sparire senza dirmi niente! E state attenti a non farvi male, o ve la vedrete con me!
Con un balzo, Masu sparì alla vista.
Tetsuro infilò un dito nel colletto e tirò un lungo sospiro.
Donna terribile, eh? – rise Yattaran – Di' un po, Tetsuro, chi era quel tipo? Non ho mai visto la vecchia Masu fare così tanto la gentile con qualcuno!
Quello era Ifiklìs, il mio informatore – Tetsuro si scostò una ciocca di capelli dalla fronte e li guardò con i suoi penetranti occhi azzurri – A quanto pare, va matto per quel suo piatto orripilante e lei lo ha preso in simpatia. È su sua richiesta che vi ho contattati.
Gli piace quella roba? Davvero?! – il Dottor Zero sbarrò gli occhi – Deve avere lo stomaco foderato di pelo... o una fame arretrata di anni!
Tetsuro ignorò la battuta e abbassò la voce.
Ascoltate, è molto strano... Finora Ifiklìs aveva sempre voluto trattare con me solo, e sempre in posti e orari scelti da lui; stasera, invece, è piombato a casa mia e m'ha chiesto di parlare con chi è in comando nella missione per la cattura di Harlock. Non so che pensare.
Yattaran si grattò la nuca, accigliato.
Sicuro che sia davvero lui?
Non è impiantato, se è questo che intendi... ed è a conoscenza di particolari che solo Ifiklìs può conoscere.
Ti fidi di lui?
Tetsuro si passò una mano fra i capelli.
Non so, Tadashi. Posso dire di conoscerlo da quasi dieci anni, ormai, eppure al tempo stesso non so nulla di lui... nemmeno che faccia abbia.
Di certo è coinvolto in tutta questa storia di Herakles – Yattaran si sfregò il mento – Non credo proprio che la documentazione che ti ha procurato per le autopsie sia accessibile a chiunque: c'erano specifiche tecniche dei chip nelle varie fasi di lavorazione, test e controlli incrociati, statistiche e risultati di diverse sperimentazioni... una mole enorme di roba che si credeva persa per sempre e altra mai vista prima!
Tetsuro scosse il capo.
Non so che dirvi. Il mio patto con lui include un “Niente domande” da parte mia, sia sulla sua vera identità, sia su come si procura le informazioni.
E così dovrà continuare a essere.
Ifiklìs prese posto al fianco di Tetsuro e appoggiò sulla plancia un sacchetto il cui contenuto, o più probabilmente il suo odore, fece storcere il naso al giovane eroe.
Era un uomo d'altezza e corporatura medie, con indosso vestiti ordinari e nulla di personale o appariscente... a parte il passamontagna scuro che gli copriva il viso, con la sola eccezione degli occhi.
Verdi, notò Tadashi. Come milioni d'altre persone al mondo.
Vi ho contattati per mettervi in guardia – Ifiklìs si allungò sullo schienale della sedia – Al Ministero della Difesa tengono sott'occhio un paio di presunti ex membri dell'equipaggio della Karyu: Shizuo Ishikura e Le Sylviana. Sono sotto sorveglianza costante e hanno alle costole un agente del Comandante delle Operazioni Spaziali. Se quei due sono sulla Terra per ragioni diverse da quelle ufficiali, fareste meglio a richiamarli il prima possibile: chi è dietro alla rinascita di Herakles non scherza.
Nemmeno noi, Ifiklìs, glielo assicuro – Zero s'accigliò – Quanto a Ishikura e Sylviana, non ho nulla da dirle... a meno che non decida di scoprire le sue carte. Ci sono già troppi misteri in questa storia, troppe persone di cui non sappiamo se poterci fidare e, se lo lasci dire, venire a dirmi cosa devo o non devo fare senza che io possa neppure guardarla in faccia non è un buon biglietto da visita.
Ifiklìs intrecciò le dita davanti a sé.
Capisco le sue motivazioni, Capitano Zero – sospirò – E, se lo lasci dire, fa bene a sospettare: potrei essere costretto a voltarvi le spalle in ogni momento... ma lo stesso vale per i suoi.
Cosa intende dire? – domandò Zero tra i denti.
Ifiklìs appoggiò il mento sopra la mano destra.
Solo che dovrebbe provare a scavare un po' nel passato di quei suoi subalterni. Che lei li abbia spediti qui a Megalopolis in buona fede o meno, le consiglio di richiamarli: rischiano grosso... e uno dei due potrebbe addirittura decidere di voltarvi le spalle, se venisse a conoscenza di una certa cosa.
Quale? – Tetsuro lanciò al suo informatore uno sguardo penetrante che, se non fosse stato per il diverso colore delle pupille, sarebbe stato identico a quello di Harlock.
Un nome – Ifiklìs si alzò – Un semplice nome su una lista.
Ifiklìs! – Tetsuro afferrò il braccio del suo informatore – Insomma, spiegati! Quale nome? E che lista?
Mi spiace – Ifiklìs si liberò con uno strattone e prese il suo sacchetto – Mi sono già esposto sin troppo. Vi consiglio di fare come vi ho detto. Mi farò vivo fra quarantott'ore per sentire la vostra risposta. Dopo, non potrò più garantirvi nulla: né il mio aiuto, né l'incolumità di quei due.
S'incamminò verso l'uscita della stanza e sparì dalla visuale del monitor.
Tetsuro tornò a sedersi e li guardò frastornato.
Non so cosa gli sia preso – si scostò una ciocca di capelli dagli occhi – Avete idea di cosa stesse parlando?
Tadashi guardò Zero: se c'era qualcuno che poteva saperne qualcosa, quello era lui.
Zero scosse il capo con aria abbattuta e si passò le mani fra i capelli.
Di nuovo – mormorò – Un'altra volta l'esortazione a non fidarmi dei miei... dannazione!
Abbatté il pugno ferito sul tavolo con un suono a metà tra un ringhio rabbioso e un mugolio di dolore. Yattaran sobbalzò.
Yuki si alzò e gli appoggiò una mano sulla spalla.
Forse lo so io – sorrise agli sguardi stupiti dei presenti – E, se è come penso, non c'è nulla da temere.

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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 24
*** Latte, caffé, miele e tabasco ***


cap 8 Ishikura si svegliò al suono familiare di una sicura di pistola che veniva disinserita.
Alla flebile luce proveniente dalla porta-finestra, vide Sylviana alzarsi e appiattirsi accanto allo stipite della porta.
Ricordò le cimici e le telecamere e decise di non fare domande che avrebbero potuto comprometterli, almeno per il momento: aprì il cassetto del comodino, impugnò la sua pistola, scostò le coperte e la raggiunse, attento a non fare rumore e a non urtare nulla nella semioscurità.
Sylviana aveva gli occhi puntati sulla porta d'ingresso.
Che succede?
Lei gli fece cenno di tacere e ascoltare.
Dall'ingresso, gli giunsero i bip del tastierino esterno della serratura.
Sylviana si sporse verso di lui e avvicinò le labbra al suo orecchio.
Forse ieri sera non siamo riusciti a ingannare chi ci tiene d'occhio – gli bisbigliò, così a bassa voce che lì per lì fece fatica a distinguere le parole.
Per forza – borbottò lui, altrettanto piano – Ma che razza di diversivi balordi usavate, nei Rosa Rossa?
– Aveva sempre funzionato, fino a oggi... O i tizi che ci sorvegliano hanno un udito finissimo, oppure sono meno porci di quelli che mi capitano di solito.
Lascia perdere e coprimi.
Ishikura s'appiattì contro il muro a lato della porta d'ingresso, pronto a scattare e fare fuoco.
Altri bip, il rumore di qualcosa che veniva premuto e strusciato contro l'uscio e un mormorio sommesso.
Un singolo agente? Un'intera squadra? Di certo non può essere un semplice ladro...
Valutò le possibili vie di fuga col cuore che gli pompava sempre più velocemente il sangue nelle vene: il tetto, la scala antincendio, l'appartamento di fianco attraverso il terrazzo, la finestra del bagno. Forse il tetto era la scelta migliore: sarebbero stati allo scoperto, ma i nemici non avrebbero potuto intrappolarli in una stanza, accerchiarli nel vicolo in cui terminava la scala o coinvolgere altre persone.
Sarebbero stati costretti a sparare a due bersagli in movimento nella semioscurità e, con un po' di fortuna, ad attirare l'attenzione del vicinato e magari delle pattuglie che sorvegliavano il complesso della base.
La serratura scattò, la porta si aprì e lui si mosse.
Si trovò a puntare l'arma contro un gigantesco sacchetto.
Oh, sono in trappola, maledizione! – una risata roca – Risparmiami, ti prego, Eroe Silenzioso!
Che ci fai tu di nuovo qui?
Ishikura abbassò l'arma, la tensione che andava trasformandosi in irritazione man mano che l'adrenalina calava.
Minoru gli mollò il sacchetto e tirò dentro un'altra enorme borsa.
Ishikura guardò prima lui e poi Sylviana: uno sfoggiava il solito sorriso allegro, l'altra la sua aria da fanciulla dolce e innocente, appena spruzzata, per l'occasione, con una punta di spavento.
Distolse lo sguardo, rassegnato a un altro dei loro teatrini, e aprì il sacchetto.
Il profumo del pane fresco, del caffè macinato e delle brioches appena sfornate invase la stanza.
Cos'è tutta questa roba?
Ho pensato di far colazione assieme a voi, stamattina... e già che c'ero, vi ho fatto un po' di spesa allo spaccio della base.
Ishikura guardò fuori dalla finestra e quindi l'orologio a muro.
Alle quattro e mezza del mattino? – sbottò, incredulo.
Fanno orario continuato – Minoru gli diede un'allegra pacca sulla schiena – E il mattino ha l'oro in bocca!
Ishikura si passò una mano sul viso, sempre più esasperato.
Ma ti rendi conto che stavo per spararti, razza d'incosciente?!
Dai, fratellino, ogni volta la stessa storia...
Perché ogni volta mi fai prendere un colpo! – Ishikura posò il sacchetto sul tavolo e incrociò le braccia – E ogni volta per delle fesserie! Ma perché non puoi usare i campanelli come la gente normale, quando sai che sono in casa?
Pensavo foste ancora a letto – Minoru si grattò la nuca e squadrò prima lui e poi Sylviana dalla testa ai piedi – E non mi sbagliavo, vedo.
Oh, Minoru, non mi guardare così! Sylviana si tirò sulle gambe nude l'orlo della maglia del pigiama, un virgineo rossore che le imporporava le guance – Mi vergogno!
Nella mente di Ishikura balenò l'immagine di lei a cavalcioni sul suo bacino, coperta solo dal leggerissimo pizzo rosa della biancheria intima e consapevole d'essere spiata, mentre gli strappava di dosso la maglietta come se fosse stata la cosa più normale del mondo e come se della parola "vergogna" non conoscesse il significato.
Ma come accidenti fa?
Non devi vergognarti, mia cara. Sei splendida! Una visione! – Minoru la afferrò alla vita, la sollevò e piroettò su se stesso – Hai un fisico così perfetto che non si direbbe mai che sei in stato interessante. Oh, a proposito: come sta il nostro piccolo Shizuo? Saluta lo zio, su!
La posò a terra, le fece scivolare le mani sui fianchi e le appoggiò la testa sul ventre con un sorriso beato... o meglio, beota.
– Minoru... mi sa che è ancora un po' presto, per quello – rise Sylviana, ancora più rossa.
Ishikura alzò gli occhi al cielo.
Minoru, per favore...
E dai, fratellino, piantala di fare il geloso! Voglio solo esser partecipe del grande e gioioso miracolo della vita!
Certo, certo, come no – Ishikura sbirciò all'interno della borsa – Basta che respirino e tu subito t'avvinghi come un polipo con una scusa qualunque...
Minoru si alzò, serissimo.
Ehi, ma per chi mi hai preso? Sylviana per me è sacra! È la mia adorata sorellina, la futura madre di mio nipote: non le farei mai nulla di male o di sconveniente!
Shizuo! – Sylviana gli scoccò un'occhiata severa, le mani sui fianchi – Ti sembra questo il modo di rivolgerti a tuo fratello maggiore, soprattutto dopo che ci ha fatto un favore?
Un favore?! Ma se...
– Diglielo, mia cara! – Minoru issò la borsa sul tavolo e cominciò a tirar fuori i suoi acquisti e a riporli in frigorifero o nella dispensa, a seconda della tipologia – Questo ragazzaccio non m'ha mai portato il minimo rispetto, nemmeno da piccolo. Avrei dovuto mollargli qualche scappellotto, ogni tanto, invece di viziarlo così...
Potevamo anche pensarci noi con calma, alla spesa – Ishikura aprì la credenza e ne tirò fuori piatti, bicchieri e tazze – Magari dopo pranzo, a un orario umano...
E tu avresti avuto il coraggio di far mangiare alla tua futura moglie incinta il contenuto di quelle scatolette scadute da decenni che tieni in dispensa da quando vivi qui? – Minoru incrociò le braccia sul petto con una smorfia di estrema disapprovazione – Ma cos'hai nel cervello?
Ishikura fece per rispondergli per le rime, poi si bloccò con la bocca semiaperta e una tazza ancora a mezz'aria. Aveva detto...
Moglie?
Proprio così – Minoru tirò fuori la caffettiera dalla credenza e si mise a caricarla – È ora che ti prenda le tue responsabilità e dia qualche certezza alla tua futura famiglia, Shizuo. Ho già fissato tutto per martedì prossimo. Manca solo un'altra persona a fare da testimone, ma ci sto lavorando.
Eh?! Ma cosa... come...
Minoru sorrise.
Oh, è stato facile! Lavorare per il Governo ha i suoi vantaggi, sai?
Ishikura rimase fulminato lì, a bocca aperta e col sudore freddo che gli imperlava la fronte, proprio come quando Sylviana aveva dato il fatidico annuncio della sua gravidanza.
Guardò senza davvero vederlo il suo orgoglioso fratello che canticchiava tutto allegro mentre richiudeva con cura la caffettiera e accendeva il fuoco, poi spostò lo sguardo su Sylviana.
Se era rimasta sorpresa o turbata, lo nascondeva benissimo: sbocconcellava tranquilla il suo croissant come se si stesse parlando del tempo.
Ma... ma...
Niente “ma”, Shizuo! – Minoru dispose sul tavolo zucchero, miele, latte e succo di frutta – Hai sempre detto che, nel remoto caso in cui ti fosse capitata una cosa del genere, avresti sposato la ragazza, no? E io sono d'accordo con te: se un uomo mette una dolce creatura come Sylviana in una situazione del genere, farne la sua compagna e riconoscere il bambino è il minimo che possa fare.
Ishikura lo guardò impietrito, la gola secca e la fronte imperlata di sudore.
Davvero ho detto una cosa del genere?
Sì, l'aveva detta. E non poteva nemmeno giocare la carta sempreverde dell'ubriachezza come con Grenadier e Rai: quella sera era sobrio e Minoru era addirittura astemio.
Io e la mia boccaccia! Quando imparerò a non sparar sentenze?
Ti conosco, fratellino: se non provassi nulla per lei non l'avresti portata qui e soprattutto non avresti lasciato la Karyu. La ami davvero, giusto?
Ishikura si trattenne a stento dal rispondere quello che pensava in quel momento, di Sylviana e delle sue balle e di lui e del suo entusiasmo nell'impicciarsi dei suoi affari.
Pensò alle telecamere e ai microfoni, alla missione, al Capitano e ai suoi compagni che lo attendevano fiduciosi; contò fino a dieci, posò la tazza, si sedette e annuì con la speranza che la sua “faccia da poker” fosse più convincente di quanto sostenessero Grenadier, Rai ed Eluder quando giocavano.
E allora che problemi hai a ufficializzare il vostro legame? – domandò Minoru, implacabile.
Ishikura guardò Sylviana in cerca di soccorso e capì subito che non l'avrebbe ricevuto: aveva gli occhi lucidi e l'espressione estatica di un'innocente fanciulla che avesse appena ricevuto la proposta di matrimonio dall'uomo della sua vita con fiori, musica, anello e tutte le altre fesserie.
Nessuno... credo – un topo chiuso in una stiva vuota e circondato da una ventina di gatti affamati si sarebbe sentito meno in trappola di lui in quel momento, ne era certo.
Oh, Shizuo! – Sylviana gli saltò in grembo, gli cinse il collo e gli stampò un bacio sulla guancia – Questo è il giorno più felice della mia vita!
Bene, allora è deciso! – Minoru tolse dal fuoco la caffettiera e riempì la sua tazza, fiero come un condottiero portato in trionfo dopo una grande impresa – Non vedo l'ora di vederti indossare l'abito da sposa, mia cara... e sono certo che, quando quel momento verrà, invidierò Shizuo come non mai.
Allora perché non te la sposi tu? Sareste una coppia perfetta!
Ishikura si morse la lingua e si chiese quali pene contemplasse il Codice Militare in caso di duplice omicidio per strozzamento, poi gli venne un'idea per provare almeno a rimandare l'orribile destino che quello strano essere nato dai suoi stessi genitori aveva pianificato per lui con tanta sollecitudine.
Il fatto è che... perché fare tutto così di corsa? Vorrei avere almeno il tempo d'invitare...
Forse presto sarai riassegnato – Minoru immerse il cucchiaino nel vasetto del miele e mescolò il suo caffè, l'espressione tutt'a un tratto seria – Sono qui anche per questo. Ieri sera sono stato contattato da qualcuno che ne vorrebbe parlare con voi, di persona.
Ishikura sentì la schiena di Sylviana irrigidirsi contro il suo petto.
Ci siamo!
Minoru bevve un sorso di caffè e lo guardò negli occhi.
Senti, Shizuo... davvero non ci vuoi ripensare?
A cosa?
A lasciare l'esercito, o almeno la sezione operativa.
Aveva di nuovo l'espressione preoccupata e triste della sera prima, la stessa che compariva sempre sul suo viso quando tornava sull'argomento... e succedeva almeno una volta a ogni licenza.
Giuro che d'ora in avanti non te lo chiederò mai più – Minoru si rigirò la tazza fra le mani – Ma almeno per una volta ascoltami senza dare in escandescenze, va bene? Il fatto è che non voglio perderti come...
S'interruppe e guardò prima Sylviana e poi lui.
Lo sa. Le ho detto di Takeshi... e anche di papà.
Lui li guardò sbalordito, poi un lieve sorriso affiorò sulle sue labbra.
Bene. Ormai cominciavo a pensare che non saresti mai riuscito a parlarne con nessuno, nemmeno sotto tortura – prese una brioche e l'addentò – Sono contento che tu abbia superato quella fase e abbia trovato qualcuno a cui aprire il tuo cuore, fratellino. Davvero.
Ishikura si passò un dito sul collo, dove il taglio che Sylviana gli aveva fatto col pugnale la sera prima bruciava ancora un po'. Non era proprio il suo cuore, quello che per poco non aveva aperto.
La osservò versare un po' di latte nella sua tazza, le labbra incurvate all'insù.
Tornando al discorso di prima – Minoru rigirò fra le mani la tazza – Sono preoccupato, Shizuo. Non è normale che qualcuno in alto come chi m'ha contattato voglia occuparsi in prima persona del trasferimento di un semplice Vice-Comandante e di un tirocinante Medico di Bordo... senza contare che il tuo ex Capitano, per usare un eufemismo, non è molto ben visto nel mio ambiente. In che guaio t'ha coinvolto, stavolta?
La missione della Karyu è top-secret.
Oh, lo so – Minoru bevve un sorso – Lo so benissimo. Carta bianca, su preciso ordine della scomparsa Signora Kei. Nessun obbligo di rapporto al Ministero, nessuna possibilità da parte nostra di tracciare la posizione della nave, tattiche, tempistiche e modalità d'adempimento degli obiettivi a completa discrezione del Capitano. E nessuna responsabilità addebitabile all'equipaggio, in nessun caso.
Ishikura lo fissò a bocca aperta.
Nemmeno lui conosceva con precisione tutti i termini dell'accordo fra Yuki Kei, Tadashi Daiba e il Capitano Zero.
Che sia davvero coinvolto in Herakles come sospetta Sylviana?
Scosse il capo. No, è impossibile!
Deglutì.
Eppure...
Mi pare che tu ne sappia addirittura più di noi, Minoru – Sylviana afferrò la caffettiera gli sorrise.
Lui ricambiò il suo sguardo e svuotò la tazza.
Monitorare queste cose fa parte del mio lavoro. E lasciatemelo dire, ragazzi: concessioni del genere non vengono fatte per questioni di secondaria importanza, nemmeno in tempo di guerra.
Anche se ne siamo fuori non possiamo parlarne – Sylviana immerse il cucchiaino nel miele e mescolò il suo caffé – Per la tua e la nostra sicurezza, lo capisci?
Lui intrecciò le dita davanti a sé e fissò il soffitto.
Vorrei solo evitarvi dei problemi. Se potessi fare da intermediario...
Non ce n'è bisogno – Ishikura incrociò le braccia sul petto – Non ho nulla da nascondere, so come va il mondo e sono più che in grado di sostenere una discussione con un tuo collega o chiunque altro senza mettere nei guai me stesso, te o Sylviana. Non ho più sei anni, Minoru, e nemmeno allora venivo a nascondermi dietro la tua schiena!
Lo so, lo so...
E allora perché non ti fidi di me? Perché ti vuoi mettere in mezzo?
Non è di te che non mi fido – Minoru si stropicciò le mani – Ma del tuo Capitano.
E tu che ne sai del Capitano Zero? Non l'hai nemmeno mai incontrato!
So abbastanza per essermene fatto un'idea – Minoru si passò una mano fra i capelli – Resoconti, rapporti di missione, sentenze del Tribunale Militare, perizie psichiatriche e valutazioni d'ogni genere... potrei scrivere la sua biografia da quante cose ho letto su di lui in tutti questi anni. È un buon soldato, ma è anche ingenuo, avventato e facilmente manovrabile per chi sa far leva sui punti giusti. Temo che si sia buttato in un'impresa più grande di lui contro nemici al di là delle sue possibilità e che possa trascinarti a fondo. Non è normale quello che sta succedendo, Shizuo: ecco perché vorrei che te ne tirassi fuori al più presto... e in modo tale da non lasciar dubbi in proposito!
Aveva gli occhi lucidi e la sua mascella era scossa da un tremito che cercava senza successo di controllare. Ishikura l'aveva visto così solo altre due volte: il giorno in cui Takeshi era partito per il fronte e nel momento in cui le guardie del Tribunale Militare avevano trascinato via il loro padre dopo la sentenza d'ergastolo.
Gli afferrò la mano e lo guardò dritto negli occhi.
Chi è che ti ha chiamato, Minoru? Perché sei così agitato?
Lui chinò la testa e gli strinse le dita.
Il mio diretto superiore: il Comandante delle Operazioni Spaziali.
Sven Arngeir.
Sylviana posò il cucchiaino e bevve un sorso di caffelatte.
Aveva pronunciato quel nome come se se lo fosse aspettato sin dall'inizio e la cosa stupì Ishikura: anche se Arngeir era uno dei pochi ufficiali ancora in servizio in una posizione di rilievo sin dai tempi del primo progetto Herakles, non era certo uno dei loro sospettati principali: nulla aveva mai condotto a lui durante le indagini seguite allo scandalo del filmato e nulla aveva mai suggerito che avesse anche soltanto visto di buon occhio quella mostruosità.
Non ho nulla da nascondere e nulla di cui aver paura, Minoru – gli strinse la spalla – Ascolterò ciò che ha da dirmi, poi deciderò il da farsi.
Ma non capisci, Shizuo? – Minoru si liberò dalla sua stretta e si alzò, sempre più alterato – Ti sto dicendo che dietro il suo coinvolgimento potrebbero esserci grossi interessi in ballo! Anzi, ci sono di sicuro e chiunque ci sia dietro potrebbe decidere di non andarci troppo per il sottile! Sai qual è l'incubo più ricorrente che faccio da una decina d'anni a questa parte, eh? Sogno la volta che ci riportarono i resti di Takeshi... solo che al posto di papà in quella maledetta stiva ci sono io, da solo, e il nome sulla cassa quando me la consegnano è il tuo!
Ishikura strinse le labbra: da una parte aveva una gran voglia di rivelargli tutto, anche solo per avere accanto qualcuno di cui potersi fidare davvero; dall'altra sapeva che coinvolgerlo in quella faccenda l'avrebbe messo in grave pericolo... senza contare il carico di dolore e brutti ricordi che l'aver di nuovo a che fare con il progetto Herakles avrebbe fatto riemergere.
Non ne avevano mai parlato in maniera esplicita, ma sapeva che nemmeno per suo fratello quel periodo della sua vita era stato facile. Quando erano insieme si mostrava sempre allegro e rilassato, ma aveva sempre sospettato che anche nel suo cuore fossero rimaste cicatrici che non si sarebbero mai rimarginate del tutto... e quello sfogo confermava appieno le sue supposizioni.
Cosa c'è nella vita militare da spingere persone come Takeshi e te a rischiare di morire sole, chissà dove e in quei modi orribili? E perché devi essere proprio tu a farlo in prima persona? – Minoru abbatté il pugno sul tavolo e qualche goccia di caffè macchiò la tovaglia – Non ce la faccio più, Shizuo: a volte mi sembra di impazzire... e la cosa che mi fa più paura di tutte è che a forza di fare questa vita sto cominciando a capire le ragioni di papà!
Ishikura boccheggiò: era come se gli avessero dato un pugno nello stomaco... un pugno molto forte e molto ben assestato.
Guardò suo fratello sgomento, dilaniato da un sentimento misto di risentimento, sensi di colpa, dolore e affetto.
Sylviana si bilanciò meglio sulle sue ginocchia, tirò un lungo sospiro e si sporse verso Minoru.
Shizuo è un incosciente, sono d'accordo – bevve un lungo sorso di caffelatte e posò la tazza – Ed è anche ingenuo, ostinato, irascibile e lunatico. Ha tanti di quei difetti che farne un elenco richiederebbe almeno mezza giornata e a volte è così irritante che ti vien voglia di legarlo nudo a testa in giù e riempirlo di botte fino a fargli entrare un po' di buonsenso in quella sua testaccia vuota...
Bé... grazie tante!
Fammi finire – si girò verso di lui, gli mise un dito sulle labbra e si voltò di nuovo verso suo fratello – Ma è un uomo adulto, un soldato in gamba e sa cavarsela da solo quando è necessario, credimi. È stato in guerra, ha viaggiato fino ai confini dell'universo conosciuto ed è ancora qui, no? Dovresti cercare di fidarti un po' di più di lui e lasciargli compiere le sue scelte, se davvero gli vuoi bene. Quanto a te – gli piantò l'indice nel petto – Vedi di non correre rischi inutili, di pensare a quel che fai prima di buttarti a capofitto in mezzo ai guai e, soprattutto, di non dare troppo per scontato l'affetto di tuo fratello; hai la fortuna d'avere ancora una famiglia: approfittane e goditela, finché puoi.
Per un momento, gli parve di rivedere sul suo viso l'espressione triste e lontana della sera prima, ma non avrebbe potuto giurarlo perché lei si alzò subito e, quando si voltò verso di lui, aveva sulle labbra un sorriso radioso.
E adesso – si alzò, afferò il braccio di suo fratello e glielo trascinò vicino – Stringetevi la mano e fate subito la pace! Non voglio litigi fra mio marito e mio cognato a così pochi giorni dalle nozze!
Ma mica stavamo litigando! E quanto alle noz...
Shizuo! – Sylviana si mise le mani sui fianchi e inarcò un sopracciglio – Fa' come ti dico o stanotte subirai la tortura della zampogna!
Strizzò l'occhio a Minoru, che si mise a sghignazzare.
Per un attimo, Ishikura si chiese a cosa diamine stesse alludendo Sylviana e cosa avesse inteso Minoru, poi si grattò la nuca, sospirò e tese il braccio.
In fondo non gli importava davvero... non più del fatto che, almeno per il momento, la tempesta pareva passata.
Allora, pace fatta, Verità?
Avrei preferito fare a modo mio – Minoru gli strinse la mano – Ma proverò a fidarmi del tuo giudizio, Eroe Silenzioso. Pace fatta.
Ishikura gli sorrise, ma le parole che aveva detto gli bruciavano ancora dentro, e inoltre era preoccupato per la missione: se davvero il Comandante Arngeir era coinvolto, poteva essere una fonte di grossi guai; per lui e Sylviana, certo... ma anche per suo fratello.
Forse quella pazza schizoide aveva ragione: avrebbe dovuto rimanere col Capitano e con i suoi compagni e lasciare che di quelle cose se ne occupasse lei insieme a qualcun altro meno coinvolto...
Già, ma chi? E poi, era certo che non se ne sarebbe pentito lo stesso?
Al diavolo... meglio non pensarci! Ormai sono qui.
Stirò le labbra e si risedette. Il suo stomaco brontolò: fra una discussione e l'altra, era stato l'unico a non toccar cibo.
Afferrò la tazza, ma Sylviana gliela tolse di mano e gli arruffò i capelli.
Preparati, amore: fra poco si esce!
Appunto. E non ne toccherò, a quanto pare...
Dove vorresti andare, cara?
Come, dove? – Sylviana posò la tazza e si diresse a passo di marcia verso il bagno – Ma a far compere, mi sembra logico!
Ancora?!
Il tremendo ricordo delle fermate su Marte e Giove, delle interminabili attese davanti alle vetrine e fuori dai camerini, delle chiacchiere senza senso con commesse e cassiere su abbinamenti, colori, misure, trucco e altre incomprensibili cose da donne e infine dei chilometri percorsi tra la folla carico di borse e sacchetti d'ogni tipo gli strappò un patetico uggiolio.
Avrebbe preferito mille volte dover rifare in sequenza e senza un attimo di tregua ogni singola prova della selezione per l'ingresso nelle Forze Spaziali: quattro settimane di corsa e navigazione, altrettante di tecniche di pattuglia, demolizioni e armamento, sei d'addestramento nello spazio e altre quattro di sopravvivenza in condizioni estreme e sotto tortura erano niente in confronto a quel supplizio. Le rivolse uno sguardo supplichevole.
Mica vorrai che ci sposiamo in pigiama, spero – ribatté lei da dietro la porta mentre l'acqua cominciava a scorrere.
Minoru sollevò un sopracciglio e addentò un altro croissant.
Non ha tutti i torti.
Ma... ma hai già comprato una marea di roba durante le fermate del Galaxy Express!
Nulla d'adatto – tagliò corto lei.
Fammi almeno fare colazione...
Finisci pure il mio caffelatte, se ti va. Ma fra un po' sarò pronta.
Vieni con noi, fratellone? – guardò Minoru speranzoso: un altro paio di braccia e la presenza rassicurante di un altro uomo gli avrebbero fatto davvero comodo.
Lui si alzò, guardò l'ora e scosse il capo.
Devo andare. Ma passerò stasera e ci vedremo domattina. L'appuntamento col Comandante è per le undici: fatevi trovare pronti.
Ishikura annuì e svuotò la tazza di Sylviana in quattro rapide sorsate.
Quel caffelatte aveva uno strano sapore. Molto strano. Troppo strano...
Un incendio gli divampò in bocca, le lacrime gli offuscarono la vista.
Sylviana – tossì – Ma che ci hai messo dentro?
Oh, il solito – lei emerse dal bagno avvolta in un accappatoio azzurro col simbolo della Flotta Unita ricamato sulle tasche, il suo – Caffè, latte, miele, un paio di prese di Tabasco. Ci sarebbe stato bene anche mezzo bicchierino di whisky, ma nelle mie condizioni...
Dovresti provare a metterci il chutney, mia cara – Minoru la osservò estasiato mentre si infilava la giacca – Tamarindo, peperoncino, cipolla, zenzero, sale, zucchero di canna e foglie di coriandolo: sveglierebbe anche un morto!
Sì, e ucciderebbe una persona normale tra atroci dolori di pancia, pensò Ishikura mentre beveva a garganella dal rubinetto della cucina, l'appetito scomparso come per incanto e la desolante prospettiva di doversi preparare ogni pasto di persona a meno di non voler rischiare l'avvelenamento.
Salutò suo fratello, si lavò i denti e la faccia, entrò in camera... e lei aveva di nuovo addosso solo la sua provocante, scollatissima biancheria intima. Pizzo lilla, stavolta, ancora più diafano e aderente.
Il rossore gli salì dal collo alle guance. Soffocò un'imprecazione: con le telecamere e tutto il resto, non poteva certo dare in escandescenze.
Le diede le spalle, abbassò lo sguardo sulla valigia e cominciò a frugarci dentro in cerca di qualcosa da mettersi. Si cambiò in un baleno e uscì dalla stanza in assoluto silenzio.
Ma per caso ci gode a mettermi in imbarazzo?
Cominciava a temere di sì: tutta quella storia della gravidanza, le nozze, il suo “diversivo”... Se non fosse stato per la missione, reale e pericolosa, e per i pochi istanti in cui gli aveva mostrato il suo lato serio e persino spietato, sarebbe stato ormai convinto che per lei fosse tutto un gioco, una specie di vacanza come quella che gli aveva proposto su Heavy Meldar...
Ma anche allora c'era uno scopo ben preciso dietro tutte le sue azioni.
Lei lo raggiunse e gli si appese al braccio, tutta sorrisi e moine. Ishikura chiuse la porta e pregò fra sé che Yuki Kei e il Capitano Zero non avessero preso una colossale cantonata nell'affiancargliela.
Allora, che ne dici? – le domandò mentre scendevano le scale.
Ci sta controllando.
Chi, Arngeir?
Non fare il finto tonto – lei si abbottonò il colletto della giacca con un abile movimento di due dita – Tuo fratello. Forse per conto di Arngeir, forse no.
La folata gelida che lo investì lo fece rabbrividire.
O magari era stato il fatto che, stavolta, una parte di lui tendeva a darle ragione?
Ancora con questa storia?
Ragiona – lei adattò il passo al suo e gli si premette contro – Per tutto il tempo non ha fatto altro che cercare di ottenere qualche reazione, da te e da me. Quando mi ha detto che non gli sembravo nemmeno incinta e quando ha annunciato d'aver predisposto tutto per il nostro matrimonio cosa credevi che stesse facendo?
Il cascamorto con te e l' impiccione con me, come al solito.
Lo sguardo di Sylviana s'indurì.
Ecco perché non si dovrebbe partecipare a una missione se si è coinvolti a livello emotivo. Quanto è vero che l'amore rende ciechi...
Io ci vedo benissimo – le sibilò, piccato. Lei si accigliò.
E allora stai mentendo a te stesso. Ci stava mettendo alla prova: se il mio imbarazzo fosse stato eccessivo, se ci fossimo opposti troppo all'idea di sposarci e se la nostra confidenza non gli fosse parsa reale, la copertura sarebbe già saltata.
Allora secondo te la sua era tutta una recita?
Forse crede che siamo innamorati e che aspettiamo un figlio; se ne dev'essere convinto del tutto quando gli hai detto che sapevo di vostro padre e Takeshi. Però sospetta che siamo ancora agli ordini di Zero e che siamo implicati in qualcosa di grosso che coinvolge anche il suo capo. Era sincero quando ha detto di essere preoccupato per te...
E quando ha detto di capire le ragioni di nostro padre?
Ishikura si stupì di averglielo chiesto nell'esatto istante in cui la domanda gli uscì dalla bocca, e si stupì ancora di più nel constatare che voleva davvero sentire la sua opinione.
Sì – Sylviana strinse le labbra – Lo pensava davvero.
Ishikura non dubitò del suo giudizio e la cosa non solo gli parve strana, ma lo fece infuriare con se stesso: era di suo fratello che stavano parlando e Sylviana era poco più di un'estranea, un'occasionale compagna d'avventura con cui oltretutto non era per niente in sintonia, una persona irritante, infantile e chiassosa... o forse no.
Forse la vera Sylviana era quella che gli stava accanto in quel momento: la spia fredda, letale e prudente, disposta a tutto pur di raggiungere il suo obiettivo. O forse era la ragazza malinconica e vulnerabile che aveva intravisto un attimo mentre le parlava della sua famiglia. Oppure la bomba sexy. O magari tutte quelle persone insieme. O nessuna di loro.
Ma che accidenti me ne importa, poi?
Si cacciò le mani in tasca, confuso, e fissò di sottecchi il suo riflesso nella vetrina davanti alla quale si erano fermati. Adesso era la fidanzatina mielosa, tutta ottimismo, effusioni e teneri sorrisi.
Ti piace quel modello, amore? – gli domandò gaia col dito puntato sulla vetrina.
S'accorse solo in quel momento che il negozio vendeva abiti da cerimonia e la vetrina era piena di quei vestiti vaporosi e candidi che sembravano fatti di tante meringhe sovrapposte. Sobbalzò.
Ma...
Lei gli strinse il braccio.
Parla piano, non voltarti di scatto e non fare gesti inconsulti – lo ammonì – Ci pedinano.
Lui le passò un braccio attorno alle spalle e l'attirò vicina.
Da quanto?
Da quando siamo usciti di casa – sbuffò lei – Certo che come spia fai davvero schifo. Maschio bianco sulla trentina, cinquanta metri dietro di noi, castano sul metro e ottanta, giacca reversibile scura e berretto marrone con visiera. Ogni volta che ci siamo fermati o abbiamo rallentato, lui ha fatto lo stesso. Scommetterei persino le mutande che in questo momento ci sta sorvegliando col vecchio trucchetto della vetrina che fa da specchio sulla strada. Poi c'è la femmina: asiatica, tra i trentacinque e i quaranta, cappotto lungo nero e sciarpa bianca sul viso, a centocinquanta metri sull'altro lato della strada. Fino a poco fa ci stava proprio appiccicata, poi mi sono voltata un paio di volte e... magia: ha messo subito della distanza fra noi per non rischiare di farci diventare un nemico bollente.
Un cosa?
Un nemico bollente: qualcuno che sospetta d'esser seguito, prende precauzioni e ti dà un mucchio di grattacapi. Ma tanto a noi non interessa seminare loro e i loro soci, quindi continuiamo pure a fare i piccioncini che preparano il nido. A proposito, tesoro, a me quel vestito non piace per niente: troppo caramelloso... e poi è così pompo... mi piacerebbe qualcosa che valorizzasse di più le mie splendide gambe e il mio magnifico décolleté.
Ishikura alzò gli occhi al cielo. Il fatto di non capire mai quando diceva sul serio e quando scherzava l'avrebbe mandato fuori di testa, prima o poi.
La attirò vicino e finse di baciarle la guancia.
Non vorrai davvero che ci sposiamo? – le sussurrò contro l'orecchio.
Aveva sperato che quella dello shopping per il matrimonio fosse solo una scusa per poter parlare della missione lontano da microfoni e telecamere.
Se sarà utile ai nostri obiettivi, sì – lei gli accarezzò la nuca, impassibile – Sta' tranquillo: sono solo una sfilza di parole davanti a un pubblico ufficiale e uno scambio d'anelli. Nulla di che.
Magari per te. Io prendo sul serio i giuramenti, sai?
Lei riprese a camminare adagio.
Basta non esercitare i diritti coniugali e non consumare, o almeno dichiararlo – gli strizzò l'occhio – Lo facciamo entro l'anno, inoltriamo richiesta formale d'annullamento e torniamo fra i single come se nulla fosse mai accaduto.
Lo aveva detto con un tono così sicuro che lui non riuscì a trattenersi.
Lo hai già fatto? – boccheggiò, spiazzato  Sei stata...
Lei rise.
Credimi, non vuoi saperlo, Boy Scout. E poi, una vera donna deve pur avere qualche torbido segreto...
Un sorriso caustico gli affiorò alle labbra a quell'ultima sparata.
E un vero uomo no? – lei non era certo stata molto indulgente, con i suoi.
Lei fletté il polso del pugnale e gli rivolse un ghigno.
Non con me – lo fissò – Non gli converrebbe... e il discorso non vale solo per i compagni di missione.
Forse era meglio cambiare argomento: quello stava prendendo una piega strana.
Cosa facciamo con Arngeir?
Mi pare ovvio – lei si fermò davanti alla vetrina di una gioielleria e finse di osservare gli anelli – Procediamo come da piano: una volta dentro, uno di noi se la sbriga col Comandante mentre l'altro tenta di trovare ciò che cerchiamo. Anche se non siamo ancora certi che sia lui la nostra talpa, è una buona occasione per intrufolarsi nel Ministero.
Potrebbe essere una trappola.
Senza dubbio. Ma ogni lasciata è persa, mio caro. E poi, più aspettiamo, più rischiamo che i nostri nemici mangino la foglia: non è semplice fingere ventiquattr'ore su ventiquattro, nemmeno per una professionista della balla come me.
Ishikura annuì pensieroso. Aveva ragione: era meglio farla finita il più in fretta possibile prima che la loro copertura cominciasse a traballare, prima che qualcun altro fosse coinvolto in quella brutta vicenda... e soprattutto prima che lui decidesse una volta per tutte di strozzare la sua partner, che era entrata nel negozio e che in quel momento stava pagando qualcosa con la sua carta di credito.
Decisamente non sapeva cosa fosse, la proprietà privata.
Quando uscì gli mollò fra le mani una piccola borsa e lui ne sbirciò il contenuto: due semplici fedi d'oro legate da un nastro bianco, senza pietre né incisioni.
E di queste che ce ne facciamo?
Lei scrollò le spalle.
Se tutto andrà bene, potrai tenertele per ricordo – gli afferrò di nuovo il braccio con un sorriso ironico – Che c'è, avresti davvero preferito che comprassi quel vestito orribile? Su, sta' al gioco: non sarebbe credibile se rientrassimo senza aver preso nulla e sono stanca di girare... fa un freddo cane.
Per forza. Siamo quasi a novembre. Era strano il calore di ieri sera, piuttosto.
Ishikura si rilassò e invertì la rotta. In fondo, era lieto che la tortura fosse durata meno del previsto, abbastanza da essere disposto a sorvolare sull'ennesima violazione dei suoi effetti personali.
Su Heavy Meldar fa sempre caldo – Sylviana si strinse le braccia attorno alla vita – Non ci ero più abituata.
Ishikura la osservò: indossava una giacca leggera e il vestito, scollato e aderente, sembrava addirittura di carta velina. Ora era Sylviana la bambina indifesa.
Quante facce avrà questa donna?
– E va bene...
Tirò un lungo sospiro, slacciò la cintura e le passò un braccio attorno alle spalle in modo da coprirla con la lunga falda del suo cappotto militare.
Lei lo guardò stupita.
E questo cosa sarebbe? – gli domandò con un sorriso malizioso.
Lui distolse lo sguardo, consapevole che di lì a poco sarebbe arrossito per l'ennesima volta.
Sono un gentiluomo, che credi? – borbottò – E poi non sarebbe credibile se lasciassi gelare la mia fidanzatina incinta... Lo faccio per la missione.
Lei gli cinse la vita.
Come spia e come attore fai davvero schifo –  rise piano  Ma forse non sei senza speranza come credevo.



Questi due mi stanno sfuggendo di mano... quasi quasi dico ad Arngeir di accoglierli a fucilate!


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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 25
*** Abbordaggio ***


cap 8 Zero fermò l'oscillazione del sacco da boxe e si sfilò i guantoni.
Fletté le dita della mano destra e non poté reprimere un gemito di dolore: sulle bende ormai allentate che gli ricoprivano il palmo spiccavano tre grosse macchie di sangue ed era come se tanti piccoli aghi gli bucassero i polpastrelli.
Boxare con la mano in quelle condizioni non era una buona idea, lo sapeva già da prima di metter piede in palestra, ma aveva bisogno di sfogarsi un po' o sentiva che sarebbe impazzito... se già non era successo.
Ripensò alla sua visita nella sala computer dell'Arcadia, al momento in cui aveva posato la mano su quel pannello di metallo e a quando, a poco a poco, i bip e il ronzio sommesso di quel gigantesco elaboratore avevano cominciato ad assumere un senso, a evocare immagini, suoni e sensazioni nella sua mente.
Un brivido gli corse lungo la schiena nell'immaginare Harlock  e Tochiro parlare in quella maniera per tutti quegli anni, vicini e al tempo stesso separati da un abisso.
Se sapere della morte di Tochiro era stato uno shock, comunicare con lui a quel modo l'aveva addirittura sconvolto: fin da piccolo aveva sempre creduto che la morte del corpo segnasse la fine di tutto e quella convinzione s'era rafforzata quando aveva perso la sua famiglia sotto i bombardamenti dei meccanoidi.
Nessun Dio l'aveva consolato, nessun sogno in cui li vedeva sereni e avvolti dalla luce aveva addolcito le sue notti, nessuna sensazione di pace aveva riscaldato il suo cuore nel toccare la lapide che ricopriva la loro tomba vuota.
Non c'erano più.
Non sarebbero mai più tornati e anche lui, un giorno, sarebbe sprofondato nello stesso nulla.
All'inizio, quella certezza lo aveva quasi ucciso.
Col tempo, l'aveva aiutato a soffocare i rimorsi e l'aveva spinto a guardare al futuro.
Ora quella certezza aveva cominciato a vacillare, così come tante altre.
Era stato certo della forza e della rettitudine di Harlock, per esempio: da quando si erano separati dopo l'Hell Castle fino a quando lo aveva rivisto su Heavy Meldar, aveva creduto che nulla al mondo avrebbe mai potuto piegarlo o spezzarlo e che, qualunque cosa fosse accaduta a lui, a chi gli stava accanto o alla Terra, avrebbe sempre continuato a lottare per i suoi ideali, saldo e immutabile come una roccia... invece, a quanto pareva, anni di solitudine avevano eroso il suo spirito e qualcuno che gli aveva inserito un piccolo chip nel cervello aveva sgretolato ciò che restava della sua anima.
Aveva creduto che non ci fossero segreti  fra lui e le persone che avrebbero preso parte alla missione; invece, stando a quell' Ifiklìs, Ishikura, Sylviana o forse entrambi nascondevano qualcosa e avrebbero potuto voltargli le spalle da un momento all'altro.
Non aveva loro notizie da più di quarantotto ore, ormai, cioè da quando Sylviana aveva lanciato il segnale convenuto per comunicare l'inizio della loro azione e, nonostante le rassicurazioni di Yuki, non si sentiva per niente tranquillo.
Il fatto che lei non gli avesse voluto svelare ciò che sapeva, poi, contribuiva ad aumentare la sua ansia... e il timore che a nascondere qualcosa fosse proprio Ishikura, il suo fido Vice-Comandante, il ragazzo che un giorno aveva detto sorridendo a Marina che, fra compagni che combattevano dalla stessa parte, non ci dovevano essere segreti.
Sferrò un altro pugno al sacco e gli vennero le lacrime agli occhi, un po' per il dolore fisico, un po' per la frustrazione.
Sentì dei passi nel corridoio, fece un profondo respiro e cercò di ricomporsi: i suoi uomini non dovevano vederlo in quello stato, soprattutto non a ridosso di una battaglia.
Serve una mano con la fasciatura?
Mayu entrò e, senza nemmeno aspettare una risposta, gli si avvicinò, gli afferrò la mano e cominciò a districare il groviglio di bende allentate che gli circondavano il palmo in una massa informe e stropicciata.
Aveva dita agili e una mano leggera: finì in un lampo e il risultato finale era degno del Dottore.
Zero ruotò il polso e osservò gli stretti giri di benda che gli ricoprivano la ferita: era riuscita persino a nascondere le macchie.
Sei brava – cercò di complimentarsi.
Oh, non è nulla – lei sedette sulla panca e lo osservò indossare la giacca – Grazie a Tadashi sono diventata un'esperta con le medicazioni. Non si direbbe a vederlo adesso, ma quand'era più giovane era un vero scavezzacollo!
Hai bisogno di qualcosa?
Era abituato a trattare con persone di tutti i tipi: uomini duri, militari, capi di stato, delinquenti, meccanoidi e persino extraterrestri... ma quella ragazzina riusciva a turbarlo come nessun altro.
Forse era perché in lei, a tratti, rivedeva Emeraldas e Tochiro.
Forse era il pensiero che suo figlio, se fosse stato ancora vivo, avrebbe avuto la sua stessa età.
Voglio solo chiederti un favore – Mayu rigirò fra le mani la sua ocarina, seria.
Vuoi venire con me quando faremo irruzione nella base di Futuria, vero?
Gli fece un rapido e silenzioso cenno affermativo. Zero sospirò.
Poteva capirla, in fondo. Anche lui, al suo posto, avrebbe fatto di tutto per avere anche solo una possibilità di rivedere Harlock per quella che forse sarebbe stata l'ultima volta.
Il mio non è un capriccio – Mayu lo guardò decisa – So che Yuki e Tadashi hanno voluto mandarmi qui da te per tenermi al sicuro durante la battaglia con la Nèmesis e so che t'hanno chiesto di non farmi scendere dalla nave durante l'incursione nella base di Futuria. Credimi, rispetto il loro punto di vista e ricambio il loro affetto con tutto il cuore: anch'io se fosse possibile vorrei che non rischiassero la vita... ma a volte ci sono cose che bisogna fare nonostante tutto e, per me, trovare Harlock è una di quelle.
Zero le rivolse uno sguardo severo, nella speranza che fosse lei stessa, da sola, a cambiare idea.
Ammettiamo che ti permetta di far parte della squadra di sbarco – afferrò il cappello – E supponiamo che lui si trovi laggiù: cosa pensi di fare, una volta che lo avrai di fronte?
Mayu lasciò andare l'ocarina e si alzò.
Non lo so – scosse il capo – Ma credo che lo stesso valga per chiunque altro di noi.
Per lui, di sicuro. Aveva detto a Tadashi che sarebbe ricorso alla pistola solo se non ci fosse stato nient'altro da fare, ma non aveva idea di come riuscire a catturare Harlock vivo.
Era sempre stato un duro, un tipo che lottava fino all'ultimo anche prima che ogni residuo istinto di conservazione fosse cancellato dalla sua mente.
Potremmo essere costretti a fargli del male, forse a ucciderlo.
Gli occhi di Mayu rimasero asciutti. Non distolse lo sguardo.
Se sarà necessario, lo farò – strinse la mano sull'impugnatura della Cosmo Dragoon di Emeraldas e in quel momento gliela ricordò come non mai – Penserò a salvare la mia vita, prima di tutto, perché so che anche lui vorrebbe così. Lo prometto.
Zero non dubitò nemmeno per un istante che per lei una promessa avesse lo stesso valore assoluto che aveva avuto per Harlock e, nonostante la sua giovane età, provò ammirazione per la sua forza d'animo.
Va bene – sospirò– Ma devi promettermi anche che non lascerai mai il mio fianco, qualunque cosa succeda, e che farai quello che ti dirò, senza discutere.
Grazie – ora nei grandi occhi di Mayu brillavano le lacrime – Farò di tutto per non essere un peso, Zero.
Lui distolse lo sguardo e finse di sistemarsi il colletto, il pensiero di essere ormai del tutto impazzito che assumeva sempre più i contorni della certezza nella sua mente.
Buttarsi nel bel mezzo della mischia con al seguito una civile, per giunta una ragazzina di appena quattordici anni, era una cosa che nemmeno la più stupida delle reclute avrebbe mai fatto: contravveniva a ogni regola etica, legale e di buonsenso, per un militare e ancor prima per un uomo. Immaginò il suo vecchio istruttore dell'Accademia dargli dell'imbecille per l'ennesima volta e si tirò la visiera sugli occhi.
Comunicazione urgente, allarme rosso – la voce di Breaker risuonò negli altoparlanti – Il Capitano sul ponte di comando. Ripeto. Comunicazione urgente, allarme rosso: il Capitano sul ponte di comando.
L'Arcadia? Megalopolis? Che qualcosa sia andato storto?
Raggiunse di corsa il ponte di comando e si sedette alla sua postazione. Con la coda dell'occhio vide Mayu accomodarsi al posto vuoto di Ishikura e allacciare la cintura di sicurezza.
Cosa abbiamo, Signor Breaker?
Rileviamo la Nèmesis in rapido avvicinamento da Futuria. Stanno cercando di aprire un canale di comunicazione con noi e con l'Arcadia.
Zero si sistemò il cappello sulla testa e aggrottò la fronte.
Ci siamo, si comincia.
Si voltò verso Marina, la mente tutt'a un tratto sgombra dai pensieri che lo avevano tormentato fino a poco prima: doveva concentrarsi solo sulla missione, pensare solo a cosa fare per vincere e limitare i danni.
Comandante Oki, attivi il sistema di tracciamento e i sonar: cerchiamo di scoprire da dove sono decollati.
Agli ordini, Capitano!
Signor Breaker, sentiamo cos'hanno da dirci.
Lo schermo si divise a metà: nel primo riquadro, Yuki era in piedi a braccia conserte dietro a Tadashi, pallida e determinata; nel secondo, Hell Matia sorrideva melliflua, una ciocca dei suoi lunghi capelli biondi attorcigliata attorno all'indice e la mano sinistra sulla spalla di una ragazza di circa vent'anni che li fissava con astio attraverso le lenti d'un vistoso paio d'occhiali scuri.
Ma guarda un po' – Hell Matia si posò una mano sulla guancia e atteggiò il volto a un'espressione di finto stupore – Ecco dov'erano finite le due grandi speranze della Terra! Primo Ministro Daiba, Signora Kei... i miei omaggi.
Abbozzò un inchino. Lo sguardo di Yuki si fece duro, di ghiaccio.
Dov'è Harlock? Cosa gli avete fatto?
Matia sorrise.
Per adesso, nulla. È vivo e vegeto, non temete, e lo resterà fino al gran finale del nostro spettacolo. Peccato solo che non potrete vedere cosa abbiamo in serbo per lui... eh, già, perché per allora sarete tutti morti... e stavolta per davvero, mi auguro.
Bastardi! – Tadashi diede un colpo al monitor – Come avete potuto...
Risparmiaci la paternale, Daiba – intervenne la ragazza – In fondo, io e i miei compagni stiamo facendo la stessa cosa che hai fatto tu con le Mazoniane sette anni fa: vendicarci di chi ci ha tolto tutto.
Tadashi trasalì e il suo volto assunse un'espressione triste... solo per un attimo.
E tu chi saresti?
Chiedilo alla tua biondina – Hell Matia passò una mano tra i corti capelli scuri della sua compagna – A giudicare dalla sua faccia, direi proprio che l'ha riconosciuta. In effetti la somiglianza è notevole, vero, mia piccola pirata spaziale?
Zero guardò Yuki.
Se possibile, appariva ancora più pallida di prima e i suoi grandi occhi blu erano spalancati.
– No, non è possibile – mormorò – Zone...
Lia Zone – la voce della ragazza era carica di rabbia – La sorella dell'ingegnere che il tuo amato Harlock ha prima rovinato e poi ammazzato come un cane!
No, ascolta...
L'unica cosa che voglio ascoltare – il suo pugno si chiuse – È il pianto disperato di quel bastardo quando si renderà conto che tutte le persone che abbia mai amato sono morte per mano sua! Voglio che soffra come non ha mai sofferto nessuno, che m'implori d'ucciderlo, e neanche questo sarà mai abbastanza per quello che ha fatto!
Hell Matia rise.
Lia, Lia... sei cattiva – prese tra le dita un ciuffo dei suoi capelli e lo tirò – Non dovevi dirglielo: ora che sanno quale sarà il gran finale, il gioco è diventato meno interessante...
Gioco? – Tadashi tremava dalla rabbia – Gioco?! È stato per gioco che avete ammazzato tutti quei civili innocenti su Elpìs? E le guardie assegnate a Yuki? Avevano genitori, figli e fratelli anche loro: cosa c'entravano con la vostra stupida vendetta nei nostri confronti, eh?
Lia afferrò la mano di Hell Matia e la allontanò dai suoi capelli.
Che significa, Matia? È vero? Ci sono andati di mezzo degli innocenti?
Danni collaterali – lei alzò le spalle e le baciò la guancia – Succede in ogni guerra, Lia, e la nostra lo è, ricordi?
Zero ripensò a sua moglie e a suo figlio, alle milioni di vittime del bombardamento che non era riuscito a impedire e di cui non era rimasto nulla, nemmeno un osso da infilare in una bara.
Su Elpìs, quella tragedia insensata si era ripetuta altre centinaia di volte... e per cosa?
La vostra non è una guerra – ringhiò – È follia.
Matia gli rivolse uno sguardo deluso.
Un po' scontata come frase a effetto, Capitano Zero... ma non importa. Diamo il via alle danze?
Che ne direste, invece, di arrendervi? Siete in inferiorità numerica e avete contro due delle migliori navi da guerra che abbiano mai solcato il mare delle stelle. Se collaborerete, avrete salva almeno la vita.
E per cosa? – lo sguardo vuoto di Lia gli diede i brividi – Per passare tutta la vita chiusa in una cella a sentirmi dire che mio fratello era un traditore, un pazzo esaltato e un povero fallito?
Ascoltami, Lia – Yuki si sporse da dietro a Tadashi – Quando Harlock e Mister Zone si sono affrontati per l'ultima volta...
Ho detto che non voglio ascoltarti! – gridò Lia con le lacrime agli occhi – Non voglio ascoltare nessuno di voi e non crederò mai alle vostre falsità! E anche se Feydar fosse davvero il peggior uomo mai vissuto lo vendicherò lo stesso, perché era tutto ciò che avevo e lo amavo!
Immagino che la nostra chiacchierata possa dirsi conclusa, a questo punto – Matia sorrise, fredda – Facciamo parlare i cannoni... e che questa storia finisca una volta per tutte!
Il collegamento con la Nèmesis s'interruppe. Sul lato destro dello schermo, Zero vide Tadashi armeggiare con i comandi di quella che doveva essere la batteria principale dell'Arcadia. Un vecchio mirino ottico montato su un'impugnatura di mitragliatore emerse da un pannello davanti a lui. Tadashi lo strinse fra le mani, il volto tirato.
Allora, noi ci prepariamo alla battaglia – distolse lo sguardo dal mirino e lo puntò verso lo schermo – Avete capito da dove sono decollati?
Marina proiettò sullo schermo una mappa satellitare.
Zoomò su un'area, applicò un filtro termico e infine evidenziò un settore nel quale il colore rosso predominante indicava la presenza di calore e attività umane.
I sotterranei del Palazzo di Vorder – Marina si mordicchiò il labbro inferiore e lo guardò – Avrei dovuto intuirlo subito. È l'unico posto in tutto il pianeta in cui sia possibile nascondere una nave così grande senza dover scavare o usare esplosivi col rischio di farsi rilevare dai satelliti. La planimetria del posto è chiara e un po' conosco la conformazione del luogo: posso guidarvi da qui.
Bene – Yuki raggiunse il timone e strinse la barra – Non appena avremo ingaggiato battaglia con la Nèmesis, atterrate e fate subito irruzione. Buona fortuna.
Mayu – Tadashi attivò la batteria, gli occhi ancora fissi sullo schermo – Qualunque cosa accada, sappi che ti vogliamo bene. Vivi libera e felice... e perdona la nostra stupidità e il nostro egoismo, se puoi.
Anche il collegamento con l'Arcadia si chiuse.
Zero fece appena in tempo a vedere Mayu asciugarsi una lacrima che lo spazio di fronte a loro fu illuminato da una forte luce: la Nèmesis aveva fatto fuoco.
I retrorazzi dell'Arcadia emisero una fiammata intensa e la nave schizzò in avanti a tutta velocità.
Cosa vogliono fare? – Marina spalancò gli occhi e si mise le mani davanti alla bocca – Così verranno colpiti in pieno!
– Che vogliano farci da scudo per permetterci di passare? – la voce di Rai era stridula – Ma è una follia, i loro scudi non reggeranno mai... è un suicidio!
Il cuore di Zero mancò un battito. Poi capì.
Signor Kaibara, attivare gli scudi – gridò – Signor Eluder, manovra d'evasione: sessanta gradi a babordo! Signor Rai: ruotare le batterie principali di venti gradi a dritta, alzo sedici. Pronto a far fuoco al mio segnale!
Rai si voltò a guardarlo, sonvolto.
Fuoco? Dalla batteria principale?! Ma così li ammazziamo di sicuro!
Non discuta, Rai! – Zero sbatté il pugno ferito sulla plancia e strinse i denti – Non c'è tempo per spiegare!
Venti gradi a dritta, alzo sedici – confermò Rai con voce dubbiosa – Pronto al suo segnale, Capitano!
Zero puntò gli occhi sulla parte inferiore dello scafo dell'Arcadia, in attesa.
La prua fece capolino da sotto la carena e iniziò ad abbassarsi, dapprima piano, poi sempre più a capofitto.
La luce si fece così intensa che gli occhi cominciarono a lacrimargli e dovette procedere a stima.
Cinque, quattro, tre, due, uno... speriamo che abbiano fatto in tempo!
Fuoco!
Il lampo fu accecante.
La bordata della Nèmesis li raggiunse e li sfiorò appena.
Non ci fu quasi contraccolpo, ma d'altronde la raffica era partita da molto lontano e la Karyu non era il bersaglio principale.
Zero osservò la Nèmesis. A causa della loro bordata, aveva riportato quelli che valutò essere danni lievi: tutte le batterie di cannoni, le bocche lanciamissili e le torrette erano ancora in funzione e lo scafo aveva retto.
L'Arcadia, invece, pareva svanita nel nulla.
Zero deglutì e puntò gli occhi sulla parte bassa dello schermo. Tirò un sospiro di sollievo.
Come aveva sperato, la nave pirata s'era portata sotto la carena della Nèmesis con una brusca virata verso il basso. Le torrette superiori e i sei cannoni pulser si alzarono di novanta gradi e fecero fuoco. Nello scafo della Nèmesis s'aprì un lungo squarcio fumante.
Rai fischiò, Kaibara si tirò un baffo e sogghignò.
Però! Ci sa fare, la ragazzina!
Anche Zero non poté fare a meno d'ammirare il sangue freddo di Yuki.
Aveva rischiato il tutto per tutto per andare a colpire l'unico punto della nave nemica non protetto dall'artiglieria e, al tempo stesso, approfittare dello scompiglio causato dal loro fuoco di copertura per portarsi alle spalle dei suoi avversari; una tattica degna del più consumato dei Capitani... e di uno con fegato da vendere, anche: un solo errore nel valutare tempi, angolo di virata, velocità e potenza e, nella migliore delle ipotesi, le batterie superiori dell'Arcadia sarebbero finite fuori uso nell'urto con la carena della nave nemica.
Nella peggiore, la nave sarebbe stata colpita in pieno da entrambe le bordate, per poi andarsi a schiantare subito dopo contro la prua rinforzata e dotata di rostro della Nèmesis.
Con una veloce manovra ascendente e una rapida virata di prua, l'Arcadia si portò dietro alla Nèmesis, che effettuò una disperata abbattuta* e un'ancor più veloce rotazione dei pezzi d'artiglieria nel tentativo d'evitare il devastante colpo che la nave pirata, forte di una maggiore agilità, s'apprestava a sferrarle.
Se Yuki e Tadashi avessero potuto usare il rostro di prua, la battaglia sarebbe già stata vinta. Avrebbero potuto colpire il fianco della Nèmesis mentre questa si girava e distruggere in una volta sola computer, sala macchine e batteria principale. Il resto sarebbe esploso pochi minuti dopo in una terrificante reazione a catena. Ma non potevano farlo: non se volevano trovare Harlock, non se volevano la verità.
E Hell Matia, Lia Zone e chiunque altro fosse là dentro lo sapevano, Zero ne era certo.
E sanno d'avere una maggior potenza di fuoco e uno scafo più robusto...
La luce abbagliante dei cannoni pulser e dei cannoni dimensionali delle due navi che facevano fuoco allo stesso tempo lo accecò.
Tocca a me.
In realtà non avrebbe voluto compiere l'azione che invece sapeva di dover fare in quel momento: avrebbe dato qualunque cosa pur di restare e partecipare allo scontro, ma non poteva rischiare che i nemici rimasti su Futuria fuggissero o, peggio ancora, tirassero fuori qualche asso nella manica e li uccidessero tutti mentre erano impegnati a combattere nello spazio, impossibilitati a reagire.
Erano capacissimi di farlo: chiunque fosse dietro a quella follia aveva già dimostrato d'esser più che disposto a sacrificare delle vite per i suoi scopi... vite di nemici, di innocenti sconosciuti e persino di compagni.
Signor Eluder – ordinò – Rotta verso Futuria. Avanti tutta!
Oltrepassarono le due navi a tutta velocità.
Zero si era ripromesso di non farlo ma, quando la Karyu affiancò l'Arcadia, guardò verso il ponte di comando. Era stato colpito in pieno e un denso fumo nero, unito ai rottami che galleggiavano nello spazio, impediva di vederne l'interno.
Lo scafo era danneggiato in più punti nonostante gli scudi e la copertura in superlega, uno dei due cannoni dimensionali pareva del tutto fuori uso e, per la potenza del colpo subìto, tutta la nave si era piegata a destra e verso di loro.
Qualcuno, forse Nohara, gemette.
Zero sperò con tutto se stesso che nessuno fosse rimasto ferito troppo gravemente, scattò sull'attenti e portò la mano destra alla fronte nel saluto militare.
Kaibara, Rai e Marina lo imitarono in silenzio, Mayu si portò alle labbra l'ocarina e intonò la stessa melodia che aveva suonato al cimitero il giorno in cui si erano incontrati per la prima volta.
Poco prima che la Karyu oltrepassasse del tutto la Nèmesis, i cannoni arpionanti dell'Arcadia fecero fuoco e i corvi** allacciarono le due navi nell'ultimo e più disperato atto della lotta: l'abbordaggio.
Zero distolse lo sguardo controvoglia.
Signori, ognuno ai propri posti – disinserì la sicura della pistola e la infilò di nuovo nella fondina – I membri della squadra di sbarco con me. Su una cosa Hell Matia ha ragione: è ora di scrivere la parola fine a questa storia, una volta per tutte.



* L'abbattuta è un movimento di rotazione orizzontale che serve per compiere la virata di poppa.

** Il corvo era una passerella mobile con un piccolo parapetto su entrambi i lati, dotata di uncini alle estremità che agganciavano la nave nemica, consentendo alla fanteria di combattere quasi come sulla terraferma.



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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 26
*** La trappola di Lia ***


cap 8 Yuki afferrò la barra del timone e si rimise in piedi, il fianco dolorante e i polmoni che bruciavano a causa del fumo acre che aleggiava sul ponte di comando.
– State tutti bene? – tossì.
Il contraccolpo seguito alla bordata della Nèmesis era stato più forte di quanto avesse preventivato: a quanto pareva, la nave nemica era una copia maggiorata dell'Arcadia anche nell'armamento.
– Bé, per lo meno sono ancora tutto intero – Maji emerse dalla postazione radar, il viso annerito dalla caligine e la bandana bruciacchiata.
Afferrò l'estintore e corse a soffocare il principio d'incendio che minacciava la sua postazione.
Mime lasciò il posto del copilota e annuì in silenzio.
Aveva una manica stracciata e insanguinata, si stringeva il polso sinistro e, sotto le luci che sfarfallavano, il suo colorito era ancora più cereo del solito.
– Io sto bene – Tadashi era chino sulla plancia di comando dell'artiglieria – Ma il cannone dimensionale numero due è distrutto e le torrette cinque e sei sono in avaria.
– Stima dei danni?
Mime si precipitò al computer.
– Siamo stati colpiti al ponte superiore e alla base dell'ala destra. Il radar è danneggiato, uno dei motori ausiliari è fuori uso e il computer rileva diversi princìpi d'incendio: qui, negli alloggi dell'equipaggio, in cambusa e nelle postazioni d'artiglieria due, tre e quattro.
– Attiva il sistema di autoriparazione – Yuki si massaggiò il fianco – Fai evacuare tutti i locali incendiati, chiudi le paratie stagne e decomprimi: è la maniera più veloce per estinguere le fiamme. Come andiamo coi sistemi di difesa?
– Gli scudi frontali sono andati – Maji imprecò sottovoce – Il rivestimento in superlega ha retto, ma un'altra bordata come quella di prima ci aprirebbe in due come una mela. Abbiamo già lanciato i corvi e non possiamo nemmeno virare... Che facciamo?
– Manteniamo la calma – Yuki fece un profondo respiro – Hanno cannoni più potenti dei nostri, è vero, ma i loro tempi di ricarica devono essere più lunghi. Perché riescano a sparare un'altra raffica alla massima potenza gli ci vorrà almeno mezz'ora e gli scudi basteranno a ripararci dal fuoco delle torrette, per adesso. Se riusciremo a coordinarci, possiamo mettere fuori uso le loro batterie prima che ricarichino.
Si stupì di come la sua voce suonasse sicura mentre dentro si sentiva tremare.
Si chiese se anche Harlock, in quei momenti, fosse preda della strana sensazione mista di paura ed eccitazione che pervadeva lei. Strinse la barra del timone così forte da farsi male alle dita.
– Mime, funziona ancora il sistema di comunicazione interno?
– Non in tutti i settori, ma l'equipaggio è radunato nella sala macchine, alle postazioni d'artiglieria, nell'hangar e ai corvi... e lì è ancora operativo.
– Bene. Collegami.
Un suono acuto e gracchiante le perforò le orecchie. Afferrò il microfono.
Sapeva che, in quel momento, tutti la stavano ascoltando.
Sapeva che, in quel momento, le vite dei suoi uomini, dei membri ausiliari inviati dalla Karyu e del Dottore, di Tadashi, di Mime e di Maji dipendevano dalle sue decisioni.
Fece un respiro profondo e sperò d'essere all'altezza del ruolo che le era stato affidato e di cui il pesante mantello che le copriva le spalle simboleggiava tanto bene l'onere e l'onore.
– Qui è il Capitano Kei che vi parla – un fruscio – Amici, siamo alla resa dei conti. Non c'è tempo per un lungo discorso e non saprei nemmeno da dove iniziare: io non sono Harlock e non posso né voglio diventarlo, non finché da qualche parte lui è vivo e ha bisogno di noi! Quando eravamo dei reietti sprofondati nella disperazione, quando credevamo di non avere più nulla per cui viviere e lottare, lui ci ha accolti e salvati, ci ha insegnato a combattere e ci ha restituito la speranza... è ora di ricambiare il favore!
Le urla furono così forti da far stridere di nuovo gli altoparlanti.
Le interruppe subito. Non c'era tempo.
– Abbiamo quindici minuti per far fuori le loro postazioni d'artiglieria – scandì – Cannonieri, fuoco di copertura. Squadra dei Lupi Spaziali, preparatevi al decollo.
Sentì un peso nel petto. Qualcuno, da là fuori, non sarebbe tornato.
Succedeva sempre... e questa volta la responsabilità sarebbe stata solo sua.
– Squadre d'abbordaggio, ai corvi – ordinò, il peso sul cuore che aumentava – Io e Tadashi vi raggiungeremo per guidare l'assalto.
Chiuse la comunicazione, slacciò il mantello e strinse la cinghia della fondina.
– Mime, Maji, a voi il comando. Formate delle squadre per le riparazioni e allertate il Dottore – si rabbuiò – Dategli tutto l'aiuto possibile... dovrà lavorare molto, temo.
– Vado a nascondergli le bottiglie, allora – Maji lasciò la sua postazione e si mise di fianco a Mime, l'espressione preoccupata – Tornate sani e salvi almeno voi, ragazzi, vi prego.
Tadashi raggiunse il gruppo, la mano stretta sull'impugnatura della Dragoon.
Yuki notò solo in quel momento il sottile rivolo di sangue che, dalla tempia, gli scendeva lungo la guancia.
– Non abbiamo nessuna intenzione di morire, Maji – le rivolse un'occhiata e lei capì a chi erano rivolte in realtà quelle parole –  C'è un futuro che ci aspetta, sulla Terra... un futuro da costruire insieme, ricordi?
– Già – Maji rise e gli diede una pacca sulla coscia – Bene, mi togli un peso dl cuore, ragazzo mio: se vi succedesse qualcosa, tremo al pensiero di cosa mi farebbe la vecchia Masu.
– Non c'è più tempo – Yuki s'incamminò verso la porta, turbata – Andiamo, Tadashi.
– Agli ordini... Capitano.
Un'altra volta, il suo atteggiamento formale e il suo tono spento le fecero male più di uno schiaffo. Serrò il pugno e varcò la soglia.
– State attenti! – la voce di Mime fu l'ultima cosa che Yuki sentì prima che la porta del ponte di comando si chiudesse dietro di loro.
Raggiunsero la zona dei corvi di corsa, in assoluto silenzio.
Yuki avrebbe voluto voltarsi a ogni passo, fermarsi e parlargli, ma non era il momento.
Indossarono le tute, sempre in silenzio.
Yuki avrebbe voluto prenderlo a schiaffi, abbracciarlo, gridargli contro e piangere ma, di tutti i momenti, quello sarebbe stato il peggiore.
Lì, in piedi davanti a lui che le controllava le chiusure della tuta, si sentiva stupida e impacciata come un'adolescente... e dire che solo fino a pochi istanti prima era stata un Capitano deciso e risoluto, capace d'affrontare a muso duro la più disperata delle battaglie.
– Tutto in ordine.
Lui si rialzò e subito lei gli strinse l'allacciatura sotto il casco e le chiusure dei polsi.
Se non fosse stata così turbata, se non ci fossero state in gioco le vite e i destini di tutti coloro che amava, avrebbe riso: così tanti anni passati nello spazio e quel testone ancora non aveva imparato a chiudere una tuta come si doveva.
Lo guardò.
Una volta, l'avrebbe ringraziata con un sorriso impacciato.
Ora, il suo sguardo era cupo e la fissava come se aspettasse qualcosa.
Lei sapeva cosa... lo sapeva benissimo.
Ma non era il momento.
Si chinò a controllargli la parte inferiore della tuta, lieta d'avere una scusa per distogliere lo sguardo. Quella era in ordine... come sempre.
– Sei a posto – si rialzò e s'allontanò da lui – Andiamo.
Sentì i suoi passi dietro di lei, il suono della sicura della Dragoon che veniva disinserita.
Non si voltò a guardare.
Le parve di metterci un secolo a raggiungere i suoi uomini.
Erano una cinquantina, tra vecchi membri dell'equipaggio, loro discendenti, uomini assoldati da Yattaran, Mime e Sylviana su Heavy Meldar e soldati umani e meccanoidi distaccati dalla Karyu.
– Aprite! – sapeva che, dal di fuori, la sua voce sarebbe giunta ovattata da dietro il casco, e urlò a squarciagola – All'arrembaggio!
Le paratie stagne dei corvi si spalancarono con un sibilo e le squadre d'abbordaggio vi si lanciarono all'interno. Arrivata davanti al portellone che li avrebbe immessi all'interno della nave nemica, Yuki si fermò, si posizionò di lato e fece un cenno a Tadashi.
Lui si piazzò dall'altra parte e girò la maniglia. Le fece un cenno col capo, spalancò il portello e la coprì mentre lanciava tre granate oltre l'apertura.
Si ripararono di nuovo.
Il lampo di luce e lo spostamento d'aria dovuto all'esplosione riempirono il condotto di pulviscolo e schegge di metallo.
Uscirono, seguiti dai loro uomini.
Yuki si guardò intorno, la pistola in pugno, pronta a far fuoco.
Come aveva previsto, si trovavano nell'hangar della Nèmesis.
A parte una decina di cadaveri sul pavimento e un'altra dozzina di nemici che furono presto sopraffatti, non c'era anima viva.
– Sono già partiti – Tadashi accennò ai portelloni chiusi e ai pochi caccia ancora nel locale.
– Non possiamo farci nulla – Yuki si tolse il casco e lo lasciò cadere a terra – Distruggiamo almeno questi e speriamo che i nostri ragazzi là fuori ce la facciano.
Fece un cenno alla squadra di artificieri, che subito cominciò a piazzare le cariche.
– È molto strano – Tadashi s'avvicinò a uno dei cadaveri e lo rovesciò con la punta del piede. Un meccanoide di Promesium – Un punto strategico così importante e a parte questi pochi disgraziati non c'era nessuno. E poi non ci attaccano... cosa avranno in mente?
Anche Yuki non si sentiva tranquilla. Per far funzionare a pieno regime una nave come quella ci volevano come minimo quaranta membri d'equipaggio: anche ammesso che i nemici avessero subìto delle perdite ingenti in seguito alla loro bordata e anche ammesso che buona parte di loro fosse uscita a contrastare i Lupi Spaziali, era impossibile che non fosse rimasto nessuno.
– Stiamo in guardia.
– Mettetevi al riparo, Capitano!
Lei e Tadashi s'abbassarono. Le esplosioni delle cariche risuonarono nelle loro orecchie, fumo e polvere riempirono i loro polmoni e li fecero tossire.
L'impianto antincendio entrò in funzione e i portelli che davano accesso al ponte superiore si spalancarono. Yuki cercò copertura dietro una cassa metallica, ma non ci fu nessun attacco.
– Non mi piace – Tadashi la guardò accigliato – Non mi piace per niente.
– Signorin... cioè, Capitano – Sabu si sporse da dietro un pezzo d'ala carbonizzato – Che facciamo?
Yuki si alzò.
– Restate qui.
A quel punto, era più che sicura che i nemici intendessero tendere loro un'imboscata. Non sarebbe stata la prima volta e non era certo la peggiore delle strategie: anche lei, in caso d'attacco, avrebbe cercato di risparmiare i suoi uomini e di sfruttare il più possibile ogni anfratto della nave per ridurre le forze nemiche.
Se la Nèmesis era uguale all'Arcadia anche nella planimetria, le due porte che si erano aperte davano su una stretta scalinata e terminavano nel corridoio che collegava le cabine dell'equipaggio al ponte di comando, all'armeria, alla sala macchine e alle postazioni d'artiglieria.
Se fossero saliti tutti insieme, sarebbero stati un facile bersaglio per chiunque fosse stato appostato lassù e inoltre avrebbero finito per ostacolarsi l'un l'altro, sia nell'ascesa che nello sparare.
Guardò Tadashi: dalla sua espressione, capì che stava pensando la stessa cosa.
Gli fece un cenno e lui annuì.
Estrassero le pistole e scattarono insieme: lei s'infilò a sinistra, lui a destra.
La scala era ripida, anche se meno stretta di quella che portava all'hangar dell'Arcadia e meglio illuminata. Yuki salì di corsa, rasente al muro.
Arrivata in cima, s'appiattì contro lo stipite d'acciaio, lanciò una flashbang per accecare e stordire eventuali nemici e uscì, il dito sul grilletto.
L'unica persona che vide fu Tadashi, all'altra estremità del corridoio.
Lui la raggiunse, scuro in volto.
– Sembra deserto – mormorò – Non capisco.
– Nemmeno io – Yuki attivò la ricetrasmittente – Sabu, qui è libero. Potete salire.
Nessuna risposta.
– Sabu, mi senti? – l'unico suono che uscì dal trasmettitore fu un fruscio – Ragazzi, ci siete?
– Vado a vedere – prima che riuscisse a fermarlo, Tadashi si precipitò giù per le scale.
– È inutile – nell'altoparlante risuonò la voce di Lia – Ho chiuso e schermato l'hangar: siete soli quassù. E se non farete come vi dico, lo sarete in assoluto.
Dalla tromba delle scale, Yuki sentì dei colpi.
Si sporse. Tadashi smise di sparare alla serratura del portello e gli diede una spallata.
– Lo sapevo – sferrò un pugno alla porta e si voltò verso di lei – Era una trappola!
– Ora siete convinti? – ancora Lia – I vostri uomini non corrono pericoli, per ora. Ma se ci tenete alla loro pelle, vi consiglio di raggiungere subito il ponte di comando. Vi do dieci minuti: se non vi farete vedere, decomprimerò l'hangar.
Yuki si sentì mancare il fiato, Tadashi imprecò.
Mi ha giocata. Come una principiante.
Non dubitò nemmeno per un attimo che avesse programmato e studiato tutto nei minimi dettagli, proprio come in passato aveva sempre fatto Feydar Zone.
Harlock non ci sarebbe cascato.
O forse sì. Magari, pensò con una stretta al cuore, era stato proprio lui a suggerirle quella tattica.
Tadashi risalì le scale e le si affiancò.
– Che facciamo?
– Non abbiamo scelta – Yuki rinfoderò la pistola – Andiamo.
S'incamminarono verso il ponte di comando. Erano a metà corridoio quando la luce mancò e un violento scossone squassò la nave. Yuki finì addosso a Tadashi, che la prese fra le braccia e si frappose fra lei e la parete. Un'altra scossa li fece vacillare.
– A quanto pare si stanno dando da fare, là fuori – lo sentì sogghignare.
– Speriamo che riescano a distruggere i loro cannoni in tempo – Yuki s'appoggiò contro il suo petto e chiuse gli occhi nell'oscurità.
– I Lupi sono in gamba – lui la strinse a sé un po' più forte e più a lungo del necessario – Ce la faranno, vedrai.
Lasciò cadere il discorso e Yuki ebbe la netta sensazione che, come lei, stesse pensando che in realtà non era di questo, che voleva parlarle.
Quello sarebbe stato il momento giusto: erano soli su una nave nemica, non sapevano cosa li aspettava né tantomeno se sarebbero sopravvissuti... ma le parole non le uscirono dalla gola.
No, non sapeva se sarebbe stata capace di proteggere la sua vita da lui, l'uomo a cui doveva tutto, l'uomo che amava ancora e che avrebbe sempre amato, nonostante tutto.
E non sapeva se avrebbe avuto la forza di costruire con l'altro uomo che amava con tutta se stessa quel futuro che entrambi, prima che quell'incubo cominciasse, avevano voluto e cercato con tutte le loro forze. Non a quel prezzo. Non a costo di quella scelta.
La luce tornò e la nave tornò stabile.
Tadashi la fissò per un momento, negli occhi ancora quella muta richiesta.
Yuki distolse lo sguardo e lui la lasciò andare.
Tadashi estrasse la pistola dalla fondina e s'incamminò davanti a lei, il passo rapido mentre sostituiva la cella d'energia. L'aveva ferito un'altra volta, forse l'ultima.
Yuki ricacciò le lacrime che le velavano gli occhi e lo seguì in silenzio.
Il portello del ponte di comando si aprì e si trovarono davanti alla perfetta riproduzione di quello dell'Arcadia: la stessa enorme vetrata, gli stessi pannelli di controllo spartani e gli stessi schermi al plasma. C'era persino la poltrona del Capitano e, dietro di essa, si intravedeva il timone di legno.
Nonostante gli scudi e lo scafo rinforzato, il locale aveva subìto danni ingenti: l'odore di plastica e circuiti elettrici bruciati permeava l'ambiente e il cannoniere giaceva riverso sulla sua postazione semidistrutta, la parte superiore del corpo carbonizzata.
– Bene, bene – Lia Zone si alzò dalla poltrona del copilota e venne loro incontro – Finalmente ci incontriamo di persona, Yuki Kei.
– A che gioco stai giocando Zone? – Tadashi si mise fra di loro, la pistola in pugno.
– Sta' calmo, Daiba – Lia gli fece abbassare l'arma con la punta del dito – Non è te che voglio. Se vuoi, anzi, puoi anche andartene insieme ai tuoi uomini. Dico davvero. Mi basta lei.
Tadashi non si mosse. Lo sguardo di Lia si spostò da lui a Yuki e un sorriso privo di gioia le affiorò sulle labbra.
– Oh, capisco – diede loro le spalle, s'appoggiò allo schienale del suo sedile e tornò a fissare Tadashi – Va bene, come vuoi: tutto tempo risparmiato. Alla persona che ce l'ha con te non interessa chi sarà a farti fuori... anche se per la verità ti credeva già sottoterra.
Tadashi le puntò di nuovo contro la pistola.
– Apri il portellone dell'hangar e arrenditi – le intimò – Sei ancora in tempo per salvare la tua vita e quella dei tuoi compagni.
– Come ho già detto al tuo amico Zero – Lia si sistemò gli occhiali – Della mia vita non m'importa più nulla. Io sono morta assieme a Feydar. Quanto ai miei compagni... ci unisce la vendetta o al massimo l'interesse: conta solo il nostro scopo, nient'altro.
– Dov'è Hell Matia? – Yuki notò solo in quel momento la sua assenza.
Lia accarezzò il pannello.
– Se credi che te lo dirò, sei davvero un'ingenua – si sistemò gli occhiali – Non m'importa nulla di lei, ma non voglio certo favorire voi.
– Dovresti, invece – Tadashi armò il cane – Ho visto come hai reagito quando ho parlato di Elpìs e delle guardie. Tu non sei un'assassina. E non sei pazza.
Le labbra le tremarono, ma fu solo un attimo.
– E tu che ne sai? – Lia estrasse la pistola – Sono pur sempre la sorella di Zone il traditore.
Yuki si mise di fianco a Tadashi e gli fece abbassare l'arma.
– Hanno detto molte falsità su tuo fratello, così come ne hanno dette su Harlock. Non è stato lui ad ucciderlo, Lia, credimi! Lottavano in modo diverso e su fronti differenti, è vero, ma...
– Taci! – Lia sparò – Taci!
Yuki sentì un dolore acuto alla coscia destra. Urlò, la gamba le cedette e crollò a terra.
– No!
Tadashi si chinò su di lei, il terrore negli occhi. Yuki strinse i denti. – Sto bene – tamponò la ferita con la mano – Non distrarti!
Tadashi puntò di nuovo la Dragoon contro Lia ma un colpo improvviso gliela fece volar via dalla mano. Yuki si voltò nella direzione dalla quale era venuto lo sparo.
Sullo schienale della poltrona del Capitano ora c'era un grosso buco fumante.
– Matia aveva ragione – la risata isterica e pazzoide di Lia era uguale a quella dello Zone che ricordava – Un uomo innamorato: la creatura più sciocca dell'universo. Avresti potuto uccidermi come niente, se non ti fossi preoccupato prima di lei.
Yuki sentì il braccio sinistro di Tadashi cingerle la vita, la sua mano destra scivolare piano verso la sua fondina.
– Ti consiglio di non provarci, Daiba – Lia accennò col capo in direzione della poltrona – Siamo in due contro uno. Se morissi, chi penserebbe alla tua principessina ferita e disarmata?
– Non morirò – Tadashi le rivolse un ghigno truce – E nemmeno lei. C'è un futuro che ci aspetta, sulla Terra, alla fine di tutto.
– Davvero commovente – Lia rise di nuovo e guardò oltre la poltrona – Immagino sia stato tu a mettergli in testa una sciocchezza del genere.
Un suono di passi cadenzati riecheggiò nel silenzio della cabina.
Yuki li riconobbe subito e il cuore prese a martellarle nel petto.
Strinse forte la spalla di Tadashi e lo guardò. Era pallido, aveva gli occhi spalancati e tremava. Una goccia di sudore scavò un solco chiaro sul sangue secco che ancora gli ricopriva la guancia e cadde a terra.
Lo sentì ansimare mentre sollevava la Cosmo Gun e la puntava contro Harlock.
Lui si fermò, li guardò come se avesse avuto di fronte due estranei ed estrasse a sua volta la pistola. Un movimento fluido, privo di esitazioni.
Il dito di Tadashi esercitò una lieve pressione sul grilletto.
Il più piccolo gesto, un solo passo da parte di Harlock e Yuki sapeva che l'avrebbe premuto fino in fondo. Avrebbe ucciso quell'uomo che amava come un fratello e rispettava come un padre.
Lo avrebbe fatto per proteggere lei e il loro futuro, lo stesso che un giorno di sette anni prima gli aveva giurato di costruire.
E non se lo sarebbe mai perdonato.
– No – mormorò fra le lacrime – No...



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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 27
*** Pugnalate alle spalle, pugnalate al cuore ***


cap 8 Sven Arngeir non era certo il genere d'uomo che Ishikura avrebbe associato al grado di Comandante delle Operazioni Spaziali: sottile ed elegante, giovanile nonostante avesse iniziato ad ingrigirsi sulle tempie e impeccabile nella sua divisa tagliata su misura, pareva più un uomo d'affari che un militare.
Persino il suo portamento e il suo modo di parlare erano quelli d'un civile.
Pur senza essere una spia addestrata a leggere il linguaggio del corpo come Sylviana, la differenza era evidente ai suoi occhi: tutti i militari che aveva conosciuto, a partire da suo padre e Takeshi per finire con il Capitano Zero e lui stesso, portavano i segni dei loro anni sotto le armi nel contegno e nel modo di parlare; persino Minoru, che aveva interrotto la carriera subito dopo il diploma in Accademia, sfoggiava ancora un portamento rigido ed eretto e parlava con una voce stentorea la cui unica definizione poteva essere, appunto, “marziale”.
Il Comandante riempì a metà il sottile calice davanti a lui e vi lasciò cadere un cubetto di ghiaccio. I suoi movimenti, così come la sua voce, erano lenti e misurati.
Bourbon, Signor Ishikura? – domandò con un sorriso cortese.
Ishikura fece un gesto di diniego e s'assestò meglio sulla poltroncina di pelle davanti all'enorme scrivania dell'alto ufficiale.
No, grazie.
Immagino si stia chiedendo il motivo per cui l'ho convocata così d'urgenza – Arngeir fece oscillare il liquido nel bicchiere e lo fissò attraverso il cristallo lucido – In realtà è molto semplice: vorrei che mi fornisse delle informazioni.
– Di che genere?
La missione della Karyu – il Comandante sorseggiò il suo liquore e vi aggiunse un altro cubetto di ghiaccio – Dato il suo grado, immagino sia a conoscenza degli obiettivi, delle specifiche e delle limitazioni a essa collegate. Ebbene: ci sono cose che non mi convincono in tutta questa faccenda. Molte cose.
Il Comandante spostò lo sguardo da lui a Sylviana, che lo ricambiò con un sorriso di circostanza mentre giocherellava col pulsante d'una penna a sfera che aveva preso dalla borsa.
Le concessioni fatte al Capitano Zero e la segretezza intorno alla sua missione, ad esempio... non le paiono eccessive?
Ishikura intrecciò le dita davanti a sé.
Se si trattasse di catturare un pirata qualsiasi, sarei d'accordo – fissò il Comandante – Ma è del famoso Harlock che stiamo parlando.
Già. Di Harlock e del Capitano Zero – Arngeir posò il bicchiere – Due figure alquanto controverse i cui sentieri si sono già incrociati, in passato. Secondo lei, perché la povera Signora Kei avrà affidato proprio a lui un incarico del genere? Warius Zero è amico di Harlock, al punto da rinunciare a una fulgida carriera e addirittura rischiare il congedo con disonore pur d'evitare di doverlo combattere ancora... inoltre è rimasto lontano dalla Terra per più di sei anni. Se cercava qualcuno capace di sconfiggere quel pirata, la Flotta Unita è piena d'ufficiali altrettanto validi, se non addirittura migliori. Si sarebbe potuta formare addirittura una squadra...
Andiamo, Comandante – Sylviana attorcigliò una ciocca di capelli attorno alla penna e si sporse verso di lui – Non mi dica che davvero non riesce a immaginare le ragioni di una donna che, per colpa di una persona di cui si fidava come un fratello, ha perso tutto ciò che aveva di più caro. La poverina non voleva ammazzare Harlock: voleva capire il perché delle sue azioni... e almeno lei ci è riuscita.
Sylviana svolse la ciocca giro dopo giro, gli occhi fissi su Arngeir.
Herakles.
Ishikura la guardò a bocca aperta.
Cosa diavolo avrà in mente?
Non era previsto di spingersi fino a quel punto con le rivelazioni: il loro scopo era trovare le informazioni di cui avevano bisogno e le prove necessarie a incastrare chiunque stesse dietro alla rinascita di quell'abominevole progetto e alla fuga d'informazioni e dati dal Ministero, non informare un potenziale nemico dei loro progressi.
Arngeir rise.
Capisco. Vuoi giocare a carte scoperte, eh, Blossom?
Allora ci avevo visto giusto – Sylviana si alzò di scatto – Sei davvero tu!
Successe tutto così in fretta che Ishikura non ebbe il tempo di fare nulla.
Sylviana saltò sulla scrivania.
La poltrona di Arngeir cadde a terra con un tonfo. Il Comandante s'alzò ed estrasse la pistola dal cassetto. Sylviana lo disarmò con un calcio al polso prima ancora che avesse il tempo di togliere la sicura, saltò giù dalla scrivania, lo colpì al viso col palmo della mano aperta e lo afferrò per il bavero della giacca.
Arngeir vacillò ma non cadde: s'aggrappò al braccio di Sylviana, si piegò in avanti e le sferrò un pugno. Lei schivò di lato, passò sotto il suo braccio teso e si portò alle sue spalle. Lo immobilizzò come aveva fatto con Mayu su Heavy Meldar e gli puntò alla gola la penna con cui aveva giocato sino a poco prima.
Avanti – sibilò al suo orecchio – Dammi una scusa per farlo.
Ishikura si alzò e aggirò la scrivania. I cocci del calice scricchiolarono sotto i suoi piedi.
Sylviana! Ma che...
Non ho tempo per spiegarti – lei accennò col capo alla pistola a terra – Prendi quella e la sua chiave elettronica e accedi al database.
Ma sei impazzita?! Dovevi farlo tu! E poi le telecamere...
Nella mia borsa c'è un giocattolino che il tappo ha preparato apposta – serrò la presa sul collo del Comandante – Basterà che tu prema il pulsante rosso e avrai tutto il tempo che vorrai. Quanto al disco esterno, funziona da solo, una volta collegato. Per tutto il resto... sei un soldato: saprai almeno disfarti di qualche guardia, spero.
Ma la nostra copertura...
Svegliati, Boy Scout – lei lo guardò, dura – La nostra copertura è già saltata da un pezzo, se mai ha retto. Questo qui non è Sven Arngeir: era nei Rosa Rossa, nome in codice Thorn. Mi conosce e non mi stupirei se questa fosse una trappola.
Sveglia come sempre, mio splendido bocciolo – Arngeir, o Thorn a quel punto, rise – Non per niente sei sopravvissuta a tutti i nostri compagni.
Nostri? – Sylviana avvicinò la punta della penna alla sua giugulare – Nostri?! Hai un bel coraggio, dopo averci venduti in quella maniera infame!
Lui non si scompose.
C'erano in gioco la mia sopravvivenza, un posto di Comandante qui al Ministero e una causa superiore. Avresti fatto lo stesso anche tu. Tutti hanno il loro prezzo, ricordi?
Lei serrò ancora di più la presa.
Taci – gli ringhiò – Non dire un'altra parola o giuro che t'infilerò questa in gola e ti lascerò qui ad affogare nel tuo stesso sangue... e sarebbe una morte sin troppo clemente per un bastardo come te!
Sylviana, calmati – Ishikura le si avvicinò – Il nostro scopo è trovare delle prove, ricordi? Non...
Lei lo fulminò con lo sguardo.
Sei ancora qui? Non fartelo ripetere un'altra volta, Shizuo: vai. Fa' il tuo dovere e non impicciarti: questa è una storia che non ti riguarda.
Ishikura le afferrò un braccio.
Col cavolo, che non mi riguarda! Sto rischiando la pelle anch'io, qui!
Mi spiace – lei lo guardò negli occhi e per un attimo la sua espressione piena di furia scomparve – Dico davvero, Boy Scout. Ma è tutta la vita che cerco questo traditore per avere delle risposte... e le avrò, a ogni costo.
Finirai per farci ammazzare entrambi, stupida – le urlò – Meno male che sarei io l'incosciente che si butta a capofitto nei guai senza pensare alle conseguenze!
Lei si liberò dalla sua presa.
Avrai tutto il tempo di fare quello che devi, lo prometto – avvicinò la punta della penna alla gola di Thorn – L'importante è che almeno uno di noi due esca di qui vivo e con le informazioni che servono ai capi, giusto?
Che testarda!
Ishikura serrò il pugno, furioso. Se fosse stata un uomo, l'avrebbe colpita.
Non ti lascio qui a farti ammazzare.
Lei s'accigliò.
Piantala con la tua stupida cavalleria! Io non mi muoverò di qui e tu hai perso già fin troppo tempo. E poi, chi te lo dice che finirò male? Non sono una principessina indifesa e non ho alcuna intenzione di lasciarci le penne. Vai, adesso.
Non...
Muoviti!
La guardò negli occhi e capì che non ci sarebbe stato verso di convincerla.
Inoltre, arrivati a quel punto, se avesse lasciato andare Arngeir, Thorn o chiunque diavolo fosse quel tizio, sarebbero stati nei guai fino al collo, ancor più di quanto non lo fossero già.
Imprecò tra i denti, prese la chiave dalla scrivania, afferrò la borsa di Sylviana e uscì nell'anticamera. Minoru lo attendeva appoggiato alla parete.
Tutto a posto, fratellino? – gli domandò allegro – Hai una faccia... non dirmi che il Comandante ha deciso di rimandarti sulla Kagero!
No.
Minoru si guardò intorno e varcò la soglia che li avrebbe immessi nel corridoio.
Dov'è Sylviana?
Ancora col tuo capo – Ishikura tirò fuori la chiave elettronica – M'ha dato questa e m'ha chiesto di recuperare per lui alcune informazioni dal database centrale.
Il Comandante ti ha chiesto una cosa simile? – Minoru si grattò la nuca – Davvero strano: una procedura del genere infrange tutte le norme di sicurezza di questo posto. Avrebbe dovuto chiederlo a me. Non prendertela, fratellino, ma in questi casi la prassi richiede che chiami la sicurezza e controlli che il Comandante stia bene.
Ishikura sudò freddo. Guardò in faccia Minoru e ripensò a ciò che Sylviana aveva detto di lui.
Ricordò le sue lacrime al funerale di Takeshi, il calore del suo braccio attorno alle spalle mentre il giudice leggeva la sentenza d'ergastolo, i loro giochi di bambini, tutte le stupidate che avevano fatto insieme e i segreti, grandi e piccoli, che avevano condiviso negli anni.
È mio fratello, dannazione!
Ed era anche l'unica persona che poteva aiutarlo, arrivati a quel punto. Lo afferrò per il braccio.
Aspetta, Minoru.
Chiuse gli occhi, respirò a fondo e lo guardò dritto in faccia.
La verità è che sono in missione – lo lasciò andare – Io e Sylviana abbiamo l'incarico di recuperare certe informazioni dal vostro database. Lei non è la mia ragazza, non è incinta e il Capitano Zero non m'ha cacciato dalla Karyu. Mi spiace d'averti mentito, ma non volevo coinvolgerti. Non lo vorrei nemmeno adesso, credimi.
Gli accennò di seguirlo e uscì nel corridoio.
Ma la missione della Karyu non era la cattura di Harlock? – Minoru lo affiancò e lo guardò stupefatto – Che c'entra il nostro database?
Salirono sull'ascensore. Ishikura inserì la chiave del Comandante nella fessura e premette il pulsante che li avrebbe portati al piano più basso e protetto del Ministero. Per fortuna, Sylviana aveva insistito perché studiassero entrambi la pianta dell'edificio e il funzionamento dei vari sistemi di sicurezza.
Durante le nostre indagini, abbiamo scoperto che forse Harlock non è soltanto impazzito – s'appoggiò alla parete e premette il pulsante di stop – Non ne siamo sicuri al cento per cento, ma a quanto pare la sua mente è sotto controllo. Qualcuno ha ricominciato con quella mostruosità, Minoru.
Intendi...
Ishikura annuì cupo.
Il progetto Herakles – sospirò – È proprio come allora: qualcuno ha ripreso quei folli esperimenti sui chip Hardgear e sui tracciati neurali e qualcun altro, da qui, lo sta aiutando con mezzi e informazioni. Devo scoprire chi è, e soprattutto che genere d'aiuti ha già fornito a quei pazzi.
Sospetti del Comandante?
Non so se si tratti di lui o di qualcun altro, ma chiunque sia è abbastanza in alto nella scala gerarchica da avere accesso al database e il permesso di replicarne i dati – gli mise entrambe le mani sulle spalle – Ti prego, aiutami, Minoru... devo scoprire la verità!
Minoru premette il pulsante di stop e l'ascensore ripartì.
Dammi la chiave, Shizuo – gli tese la mano – E lascia parlare me.
Ishikura gli sorrise da dietro un velo di lacrime.
Grazie, fratellone.
Non piagnucolare – Minoru gli diede un buffetto sulla guancia – E se hai qualche arma addosso, dammi anche quella: dovremo passare il metal detector e la perquisizione delle guardie. Anche se sei con me, sarebbe meglio che non attirassi l'attenzione.
Ishikura tirò fuori la pistola da sotto la giacca e la porse a Minoru, che lo guardò con gli occhi spalancati.
La pistola del Comandante... Non gli avrete fatto del male, spero?
Quando me ne sono andato, era vivo e vegeto.
Ishikura aggrottò la fronte, inquieto. Non sapeva cosa gli avrebbe fatto Sylviana... e per la verità preferiva non pensarci.
Era evidente che provava un rancore profondo nei confronti di quell'uomo: lo aveva attaccato in maniera diretta, senza alcuna precauzione, e il suo desiderio d'ucciderlo trapelava da ogni parola, da ogni gesto.
Si chiese cosa fosse successo fra quei due in passato: lui aveva accennato al fatto che lei fosse sopravvissuta ai loro compagni, lei lo aveva accusato d'averli venduti.
Un'altra vendetta...
A quanto pareva, era finito nel bel mezzo di un'inesauribile spirale d'odio.
Mentre seguiva Minoru attraverso l'ultima delle porte blindate del piano interrato, si chiese se ne sarebbe mai uscito, se prima o poi sarebbe finita.
Buonasera, Locke – Minoru salutò le guardie con il suo solito sorriso allegro – Satou...
Sempre su e giù, eh, Ishikura? – una delle due guardie, Locke, accennò al metal detector.
Preferirei farlo con una bella donna – Minoru gli porse la pistola e gli strizzò l'occhio – Ma non mi lamento.
Ishikura ammirò il suo sangue freddo mentre passava sotto al rilevatore e andava ad appoggiarsi alla parete a gambe divaricate.
Almeno su una cosa Sylviana aveva ragione: suo fratello era un attore migliore di lui.
E lui? – l'altra guardia s'avvicinò e lo squadrò da capo a piedi – Non mi dica che è il suo famoso fratello, l'eroe decorato al valore! È proprio vero quel che diceva: vi somigliate come due gocce d'acqua!
Minoru rise.
Buon sangue non mente – allargò le braccia e si lasciò perquisire – Potrebbe finire a lavorare qui, se tutto va bene. Il Comandante ha bisogno d'un paio di rapporti e, già che c'eravamo, m'ha dato il permesso di mostrargli il Sancta Sanctorum.
Satou si avvicinò a Ishikura, lo fece passare sotto al metal detector e poi appoggiare alla parete di fianco a Minoru.
Vedrà che non si sta poi tanto male, qui – gli fece allargare le gambe e iniziò a perquisirlo – Dopo un po', si fa il callo anche a questo.
Già – Minoru riprese la pistola, digitò qualcosa sul tastierino della serratura elettronica, si sottopose alla scansione della retina e infilò la chiave di Arngeir nell'apposita fessura – E si finisce per odiare porte e chiavistelli. Avete finito?
Pulito come un bimbo appena uscito dal bagnetto – Satou lo lasciò andare – Buona visita.
Ishikura gli sorrise impacciato e si affrettò a raggiungere Minoru all'interno.
La pesante porta di metallo si richiuse alle loro spalle e lui s'asciugò il sudore dalla fronte. Minoru lo guardò serio.
Va bene, ci siamo. E adesso?
Ishikura si guardò attorno.
Ricordò le piantine e le foto di Yattaran, le parole di Yuki e quelle di Sylviana.
Si trovavano in una stanza a prova d'effrazione, dotata di muri antiproiettile, porta blindata a chiusura ermetica, allarme interno, impianto di depurazione per l'aria con filtri antigas e due generatori autonomi di corrente.
Cinque telecamere dotate di filtri termici e a infrarossi erano puntate sul computer al centro della sala e trasmettevano la loro immagine su altrettanti schermi montati su un enorme pannello.
Secondo Sylviana, tutto quanto veniva registrato, analizzato e conservato, inclusi i log degli accessi e le chiavi di ricerca.
Adesso, accedi come faresti normalmente.
Minoru andò a sedersi al computer, scrocchiò le dita e avviò la procedura di riconoscimento.
Ishikura sbirciò da sopra la sua spalla mentre immetteva password su password.
Fu lieto d'avergli chiesto aiuto: tutto l'iter era molto più complicato di quanto avesse immaginato e non sapeva se da solo sarebbe riuscito non soltanto ad accedere all'archivio elettronico, ma addirittura a entrare in quella stanza.
La schermata del database si aprì: un motore di ricerca su milioni di miliardi di files.
Ishikura aprì la borsa di Sylviana e ne tirò fuori quella che a prima vista aveva tutto l'aspetto d'una comunissima agenda elettronica. Premette il pulsante rosso d'accensione e le immagini sugli schermi si bloccarono in un loop che mostrava Minoru intento a digitare sulla tastiera e lui immobile alle sue spalle, appoggiato allo schienale della poltroncina.
Signor Yattaran, lei è un genio – mormorò ammirato.
Fece un cenno a Minoru e lo sostituì al computer.
Prese dalla borsa l'hard disk esterno che Yattaran aveva camuffato da telefono cellulare e Sylviana decorato con adesivi e brillantini e lo collegò alla porta esterna del computer.
Sul monitor s'aprì una finestra sulla quale scorrevano a velocità elevatissima migliaia di stringhe.
Minoru impallidì.
Un programma di hacking? – boccheggiò – Ma hai idea di cosa stai tentando di violare?
Fidati – Ishikura asciugò una goccia di sudore dalla fronte – Chi lo ha progettato sa il fatto suo.
Il firewall non li bloccò e non scattò alcun allarme.
Sullo schermo si aprì un'altra finestra con una lista di file e cartelle: i risultati della ricerca.
Sono quasi tutti file criptati – osservò Minoru – Roba top secret.
Non pensavo che esistesse tutta questa documentazione su Herakles e sulla Nèmesis – Ishikura scorse la lista mentre una barra di scorrimento lo avvertiva dell'inizio della copia – Yattaran e i due Dottori avranno di che lavorare.
Temo di no, fratellino.
Si voltò. Minoru gli puntava contro la pistola del Comandante, l'espressione triste.
Tese la mano verso di lui.
Dammi quell'hard disk.
Ishkura lo guardò incredulo, incapace di muoversi o dire alcunché. Sentiva qualcosa al petto, come se al posto del cuore gli si fosse aperta una voragine, come se qualcuno gli avesse appena sferrato una coltellata.
No... non è possibile!
Minoru, ma cosa... – si alzò e mosse un passo verso di lui.
Non muoverti. Dammi quell'hard disk, Shizuo.
Cos'è, uno scherzo?
Ho cercato di tenerti fuori da questa storia – Minoru aveva gli occhi lucidi – Ho fatto di tutto: t'ho chiesto di lasciare l'esercito, t'ho proposto di mediare... diavolo, avevo persino organizzato il tuo matrimonio! Adesso hai una sola possibilità di uscirne tutto intero: dammi quell'hard disk e rispondi alle domande che ti faremo. Lo dico per il tuo bene.
Ishikura strinse i pugni.
Per il mio bene? – gli urlò – Ma che stai dicendo, Minoru? Sei impazzito? È del progetto Herakles che stiamo parlando!
Lui non si mosse né cambiò espressione.
Continuò a guardarlo in silenzio, triste come quando gli aveva raccontato dei suoi incubi, come quando gli aveva detto di capire le ragioni di suo padre.
No, dimmi che non è vero – Ishikura sentì le lacrime bruciargli gli occhi, la voce gli si spezzò – Dimmi che non sei anche tu come lui!
Sono suo figlio – Minoru armò il cane e gli si avvicinò di un passo – E sono tuo fratello. Sei tutto ciò che mi resta a questo mondo, Shizuo, e sono disposto a tutto pur di proteggerti... anche a commettere le peggiori bassezze, anche a diventare un mostro.
Le sensazioni che Ishikura aveva provato nel sentire le giustificazioni di suo padre lo riassalirono, moltiplicate mille volte: rabbia, orrore, senso di colpa.
Sei malato – strinse nella mano l'hard disk. Un bip lo avvisò della fine delle operazioni di copia – Sei malato, Minoru!
Una risata sommessa lo fece voltare verso la porta.
In piedi appoggiato allo stipite c'era Thorn. Illeso.
La voragine nel petto s'allargò ancor di più.
Sylviana...
Minoru non è affatto malato, glielo assicuro, Vice-Comandante Ishikura – l'alto ufficiale gli si avvicinò e gli strappò di mano l'hard disk – Ha solo ottime ragioni per stare dalla nostra parte... e presto le avrà anche lei.
Io dalla vostra parte? – ringhiò – Mai. Preferisco morire.
Cambierà idea – Thorn sollevò l'hard disk – Scommetto che qui dentro c'è la copia di una certa lista. Che ne dice di dare un'occhiata?
Minoru gli abbassò la mano, bianco come un lenzuolo.
Non ce n'è bisogno – aggrottò la fronte – Lasci che ci pensi io.
Thorn s'appoggiò alla sedia e fece un lungo sospiro.
Ah, l'amore fraterno... Non vi invidio: rende tutto più complicato. Va bene, Minoru – assentì – Ma se entro stasera non avrai risolto niente, faremo a modo mio. E se nemmeno questo dovesse bastare...
Si portò l'indice alla fronte in un gesto eloquente.
Ishikura si sentì gelare. Guardò Minoru, che non reagì.
Si sentì tradito, arrabbiato, triste in una maniera che non avrebbe mai creduto possibile.
Soprattutto arrabbiato, anzi, furioso.
Fletté le gambe, tirò indietro il braccio, serrò il pugno e sferrò a suo fratello un diretto alla mascella. Minoru fece un mezzo giro su se stesso e finì a terra. Ishikura si piegò su di lui e lo afferrò per il colletto.
Sai una cosa? – gli urlò con gli occhi che bruciavano – In tutti questi anni sei stato il solo motivo per cui non ho mai cambiato nome! Anche se siamo sempre stati diversi come il giorno e la notte ti volevo bene e mi fidavo di te! Ma adesso... adesso mi vergogno di essere tuo fratello, più di quanto mi sia mai vergognato di essere figlio di nostro padre!
Minoru si asciugò un rivoletto di sangue dalle labbra e gli puntò di nuovo contro la pistola.
Ishikura lo scrollò.
Avanti, fallo! Spara! Preferisco morire piuttosto che diventare un burattino ai vostri ordini e tradire i miei compagni!
Minoru lo guardò e abbassò la pistola.
Ishikura gliela strappò di mano e la puntò sul Comandante, che non si scompose.
Mi ridia quell'hard disk.
E come pensa di uscire da qui?
Non sono affari suoi. Dov'è la mia partner? Cosa le ha fatto?
Io? – il Comandante rise – Proprio nulla, a parte ricordarle da chi deve prendere gli ordini.
Ishikura sentì un'improvvisa trafittura sul collo. Un profumo familiare gli solleticò le narici e una mano sottile gli accarezzò il taglio sulla gola al di sotto del colletto.
Si voltò.
Sylviana?
Mi spiace, Boy Scout – i contorni del suo viso erano già confusi dall'effetto dell'anestetico – T'avevo avvertito. Tutti hanno un prezzo: i fratelli che dicono di amarci... e soprattutto i mercenari come me.
Le gambe gli cedettero e cadde sul pavimento. Avrebbe dovuto sentire dolore, ma tutto quello che avvertì fu una leggera botta al fianco e una vaga sensazione di freddo attraverso la stoffa della divisa, neanche lontanamente paragonabili al dolore e al freddo che gli attanagliavano il cuore.
Una lacrima che non riuscì a trattenere gli scese lungo la guancia, poi il suo mondo si fece buio, ovattato.
Accolse l'incoscienza quasi con sollievo.



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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 28
*** Irruzione ***


cap 8 Mayu controllò per l'ennesima volta il livello di carica delle celle d'energia della sua Dragoon, la infilò nella fondina e s'avvicinò a Zero.
Sono pronta.
Lui la fissò pallido, l'ombra del dubbio nello sguardo. Mayu abbassò il capo.
Vorresti rimandarmi indietro, vero?
Lui si tolse il cappello da Capitano e lo sostituì con lo stesso pesante elmetto che avevano dato a lei.
Sì. Là fuori è molto peggio di quanto temessi. Ma non ti costringerò.
Ti ringrazio.
Non farlo. Forse mi odierai per avertelo permesso, sempre...
S'interruppe e scosse la testa, ma lei sapeva a cosa stava pensando.
Sempre che ne usciamo vivi.
Mayu serrò il pugno. La pelle sintetica dei guanti frusciò.
Osservò Zero stringere i lacci del giubbotto protettivo e sistemare la fondina della Gravity Sabre perché la canna non gli desse noia durante la corsa.
Non succederà – gli mise una mano sul braccio – Ce la faremo, vedrai.
Lui accennò un sorriso, guardò l'orologio e la sua espressione tornò tesa.
È ora. Quando apriranno il portello, mettiti accanto me e restaci qualunque cosa accada. Segui le istruzioni che ti darò di volta in volta e non predere iniziative: potresti mettere in pericolo non solo te stessa, ma anche i nostri compagni.
Va bene – Mayu lo seguì davanti al portellone.
La squadra di sbarco era formata da una cinquantina di membri, di cui venti, lei e Zero inclusi, equipaggiati per l'incursione.
Finalmente ci siamo, eh? – Grenadier venne loro incontro, un sorriso allegro stampato sul volto irsuto – La resa dei conti...
Già – Zero ricambiò il suo sguardo, serio – Siete pronti, tu e la tua squadra?
Io sono nato pronto – l'ex mercenario gli diede una pacca sulla schiena – Quanto ai miei ragazzi, faranno bene a essere più che pronti, altrimenti, oltre a quelli dei nemici, spaccherò anche i loro...
Zero si schiarì la voce e guardò verso Mayu con un eloquente cenno della testa.
Grenadier scoppiò a ridere.
Oh, giusto! – si grattò la nuca – Chiedo scusa, Signorina Oyama.
Mayu non riuscì a trattenere un sorriso.
Non importa, Grenadier – gli strizzò l'occhio – Ho sentito di peggio, comunque.
A tutto l'equipaggio – la voce di Marina echeggiò metallica all'interno dell'hangar attraverso gli altoparlanti – Prepararsi all'atterraggio in modalità difensiva. Torri di prua, passare al fuoco di copertura al mio segnale; squadre di sbarco, raggiungere i mezzi e prepararsi alla partenza. Aprire il portello in dieci, nove, otto...
Zero e Grenadier scattarono verso i rispettivi Bullet, seguiti dai loro uomini.
Mayu seguì di corsa il Capitano e andò a sederglisi di fianco.
Lo guardò di sottecchi mentre il conto alla rovescia procedeva inesorabile verso la fine: il suo volto era ancora teso ma in lui, adesso, vedeva anche un'enorme determinazone.
Come aveva detto sul ponte di comando, era ora di farla finita.
Il portellone si spalancò con un tonfo sordo, Zero premette sull'acceleratore e il Bullet schizzò in avanti.
La prima cosa che Mayu vide di Futuria fu un cielo grigio in cui turbinavano fiocchi di neve e raggi laser, seguiti da uno spruzzo di nevischio, fango e pietre che inzaccherò il vetro davanti a lei.
Signor Markell – Zero diede una brusca sterzata – Alla mitragliatrice!
La sua voce fu coperta dall'esplosione del proiettile di un'arma anticarro a pochissimi metri dal punto in cui si trovavano prima. Il Bullet sobbalzò, restò per un interminabile attimo in equilibrio precario sui cingoli di destra e infine si riassestò.
Mayu, tieni giù la testa e reggiti forte – sentì la voce di Zero solo perché era vicinissimo a lei, e questo nonostante stesse urlando – Aki, pronti a uscire non appena avremo sfondato!
Uno dei Bullet davanti a loro esplose. Rottami, sassi, neve e altri frammenti alla cui origine Mayu non voleva pensare s'abbatterono sul loro mezzo.
Zero digrignò i denti, guardò nel mirino e premette un pulsante.
Qualcosa, a qualche centinaio di metri davanti a loro, saltò per aria.
Alle loro spalle si sentì un grido e Markell si accasciò sui sedili posteriori.
Dal suo collo, forato da parte a parte, il sangue sgorgava a fiotti.
Aki lo sostituì al mitragliatore mentre Bright, uno degli infermieri del Dottor Machine, s'affaccendava a tamponare la ferita nello spazio angusto del mezzo che continuava a sobbalzare.
Resta sveglio, Markell – gli iniettò qualcosa – Resta sveglio!
Un'altra esplosione li fece sobbalzare. Mayu distolse lo sguardo dalla tragica lotta tra la vita e la morte che si stava svolgendo sui sedili posteriori e lo riportò davanti a sé.
Avevano oltrepassato i cancelli d'ingresso del palazzo di Vorder, un enorme rudere ormai pericolante. Da dietro il vetro blindato del finestrino, vide i nemici: meccanoidi di Promesium, tutti neri, uguali e armati fino ai denti.
Si muovevano a scatti, con eccezionale agilità.
Ma dove accidenti hanno preso quelle armi? – Omur, l'artificiere della squadra, imprecò – Nemmeno nelle squadre d'assalto abbiamo una dotazione del genere!
Mayu osservò le loro armi. Erano equipaggiati con granate, fucili d'assalto e armi pesanti, alcuni delle quali non aveva mai visto.
Adesso ne sono sicuro – l'espressione di Zero si fece rabbiosa – Il Ministero è coinvolto.
Con un'altra brusca sterzata, fermò il mezzo di traverso rispetto al portone e alle barricate nemiche.
Aki, Omur e gli altri due membri della squadra spalancarono le portiere, cercarono copertura e cominciarono a sparare. Mayu fece per uscire a sua volta, ma Zero la trattenne.
Con me – le ricordò.
Lo seguì a testa bassa fuori dal Bullet, si chinò accanto a lui dietro il cofano e cercò d'aiutarlo a sbarazzarsi dei nemici.
Colpire un meccanoide in movimento era difficile, soprattutto nel mezzo di una battaglia caotica come quella, col cuore che le batteva a mille, la nausea che le rivoltava lo stomaco e la mano che tremava.
Dov'è la squadra di Grenadier?
Ad assaltare il retro dell'edificio – Zero si abbassò poco prima che il raggio di un folgoratore lo centrasse alla testa – Li ho visti girare l'angolo. C'erano ancora tutti.
Ci fu un'altra esplosione poco distante e il corpo smembrato e in fiamme di uno dei soldati della Karyu superò in volo il loro mezzo per andare a schiantarsi chissà dove nel nevischio fangoso del campo di battaglia.
Mayu sentì in bocca il sapore amaro della bile e capì perché sia Yuki che Tadashi, pur essendo due combattenti di prima categoria, desiderassero così tanto la pace; capì perché sia Harlock che suo padre avevano desiderato che lei crescesse sulla Terra, lontano dalle guerre che insanguinavano lo spazio.
Forse, quando si fosse trovata davanti a lui, Harlock avrebbe disapprovato ciò che era diventata. Scosse la testa e si morsicò il labbro.
No! Non è il momento di pensare a questo!
Bright scivolò accanto a loro dietro il cofano del bullet. Aveva sangue fin sulle sopracciglia l'aria stremata, ma nonostante ciò impugnava la pistola.
– Markell è morto, Capitano.
Non possiamo fare nient'altro per lui – Zero non si voltò, ma la sua voce tradiva la tristezza – I nemici qua fuori sono quasi sgominati. Raggiunga gli altri e controlli che stiano bene: tra poco faremo irruzione.
L'infermiere gli fece un rapido cenno d'assenso e corse verso il punto in cui si erano riparati gli altri membri della squadra.
Grenadier, mi senti? – Zero sintonizzò la trasmittente, scostò l'elmetto e premette l'auricolare contro l'orecchio – A che punto siete?
Mayu lo vide aggrottare le sopracciglia.
Sì, anche noi abbiamo subìto delle perdite – confermò cupo – Markell – una pausa – Non so. Non li vedo e non riesco a contattarli. Temo... – si interruppe – Sì. Al mio segnale, allora.
Si sporse oltre la carrozzeria del mezzo, puntò la pistola, centrò l'ennesimo nemico e si riabbassò. Mayu fece lo stesso. Il meccanoide a cui aveva mirato cadde fra fiammate e scariche elettriche, si contorse nella neve e rimase immobile.Zero si rimise in piedi.
Squadra Uno! Al mio tre, corriamo tutti all'ingresso – urlò a squarciagola per coprire il rumore assordante dello scontro  Uno, due... tre! Alla porta!
Scattò e Mayu cercò di tenergli dietro mentre correva a zig zag verso il cadente portone d'ingresso dell'edificio.
Di solito era un'abile velocista e aveva anche una discreta resistenza, ma il fumo denso e acre che aleggiava sul campo di battaglia le faceva bruciare la gola e lacrimare gli occhi, mentre il terreno era così viscido e accidentato che anche solo rimanere in equilibrio era una fatica nonostante gli stivali anfibi. Mentre sparava per coprire se stessa e Zero, sperò con tutto il cuore di non inciampare, o sapeva che sarebbe rimasta lì.
A un certo punto, Zero la afferrò per un braccio e la fece appiattire contro il muro accanto al portone d'ingresso.
Mayu s'appoggiò e respirò a bocca spalancata per riprendere fiato.
Sei stata brava – ansimò Zero – Ora preparati. Bisognerà fare come ti ho spiegato mentre scendevamo nell'hangar. Ricordati: copri solo il tuo settore. Al resto penseremo noi.
Lei annuì, sollevò il visore dell'elmetto e si asciugò il sudore.
Bright, Aki, Omur e un paio d'altri uomini li raggiunsero da diverse direzioni.
Zero scrutò il campo di battaglia, accigliato.
Il terreno era cosparso di rottami, armi, cadaveri e parti di meccanoidi e corpi vivi, morti o agonizzanti ma, almeno a prima vista, le perdite fra i soldati parevano contenute.
–  Dove sono gli altri? – domandò ai due che li avevano raggiunti.
– Li abbiamo persi di vista, Capitano – quello che pareva il più anziano si piegò in due, ansimante – Il loro mezzo è stato colpito poco prima dei cancelli.
Sì – Zero premette di nuovo l'auricolare contro l'orecchio e aggrottò la fronte – Bene, capisco. Ve lo manderò – si voltò verso gli altri membri della squadra – Signori, ho appena ricevuto una comunicazione dal Signor Rai: non arriverà nessun altro a darci manforte, ma la situazione qui fuori sarà presto sotto controllo. Prepariamoci a fare irruzione. Signor Bright, lei vada a rapporto dal Signor Rai e dia tutta l'assistenza medica possibile alle squadre qua fuori.
Agli ordini, Capitano – l'infermiere scattò sull'attenti e schizzò via.
Bene, pronti al mio segnale. Omur, prenda il posto di Bright come ultimo in coda.
Zero sferrò un calcio alla porta e si lanciò in avanti tenendo il puntamento frontale mentre Mayu e gli altri membri della squadra si avvicendavano nel tener d'occhio i settori di destra e sinistra. Omur chiudeva la fila.
Libero – mormorò Zero – Dividersi in Aplha e Bravo.
In assoluto silenzio, il team si separò in due squadre che andarono ciascuna a coprire un lato in modo da darsi protezione a vicenda per un'ampiezza di centoottanta gradi.
Mayu ammirò la loro tecnica: gli abbordaggi dei pirati, da come glieli avevano descritti Yuki e soprattutto Tadashi, erano assalti caotici portati con tutte le forze, il cuore, i mezzi e il coraggio possibili, ma ben poca strategia.
Nel caso dell'Arcadia qualcosa c'era, per merito di Harlock... e a sentire Yuki era proprio quello a fare la differenza. Purtroppo, non tutto ciò che il Capitano sapeva ed era in grado di fare poteva essere appreso e soprattutto messo in pratica da dilettanti come i membri del suo equipaggio, mentre Zero e i suoi compagni erano tutti professionisti, e si vedeva: non una loro mossa era lasciata al caso, non una parola in più veniva pronunciata.
Si guardò intorno mentre avanzavano.
Davanti a loro si apriva un lungo corridoio spoglio, che terminava in un enorme scalone.
Un tempo, doveva essere stato davvero imponente e dava di certo accesso ai piani superiori del Palazzo del Governatore, ma ormai era del tutto collassato.
Dove andiamo, Marina? – Zero si mise in ascolto e annuì.
Fece un cenno in direzione della scala e si calò per primo fra le macerie che coprivano e quasi nascondevano la discesa verso i sotterranei.
Mayu lo seguì e andò ad accovacciarsi ai suoi piedi dietro un mucchietto di pietre mentre gli altri li raggiungevano.
A differenza dell'atrio, il sotterraneo era sgombro dalle macerie e il pavimento e i muri erano rivestiti da un materiale metallico più moderno.
Luci al neon fornivano una perfetta illuminazione dell'ambiente... e gli echi provenienti dalle stanze laterali tradivano la presenza di altri meccanoidi.
Alpha, a sinistra – mormorò Zero – Copertura a ore dodici. Bravo, a destra.
A un cenno di Zero, il team tornò a dividersi. Si avvicinarono in silenzio alla prima stanza e, mentre Zero continuava a tenere sotto controllo il corridoio davanti a sé e Omur prendeva di mira la stanza, Mayu rimase in guardia, gli occhi fissi sul suo settore.
La squadra Bravo fece irruzione: Aki si defilò subito a sinistra a coprire l'angolo cieco, mentre gli altri due membri della squadra che lei non conosceva lo coprirono e si mossero a destra.
Aprirono il fuoco, ma Mayu non fece in tempo a guardare: dalle altre stanze laterali una decina di nemici s'avventò su di loro.
Lei, Zero e Omur cominciarono subito a sparare, ognuno nel suo settore.
Libero! – Aki e la sua squadra accorsero a dar loro manforte dalla stanza e, in breve, la battaglia finì.
Uomo a terra!
Mayu si voltò. Aki era chino su uno dei suoi compagni, ferito al petto contro lo stipite della porta che dava accesso alla stanza appena bonificata.
Le scariche elettriche, la mancanza di sangue e i circuiti che si potevano intravedere all'interno del buco aperto dal laser lo identificavano come un meccanoide.
Sniper, idiota – Omur lo afferrò per il colletto – Perché non hai messo i pannelli balistici al giubbotto?
In effetti, notò Mayu, il contenitore esterno era bucato da parte a parte e nel mezzo mancava la pesante imbottitura che Grenadier s'era assicurato riempisse il suo in ogni minimo spazio.
Non pensavo che avessero fucili del genere – si scusò il ferito.
Omur esaminò i circuiti e la sua faccia si fece seria.
Non possiamo muoverlo. Il gruppo elettrogeno che gli alimenta il cuore potrebbe andare in cortocircuito o addirittura esplodere.
Aki guardò Zero.
Che facciamo, adesso? Non possiamo lasciarlo qui!
Zero aggrottò la fronte, ma la sua decisione fu rapida.
Prese dalla sua sacca il trasmettitore di scorta e lo porse a Omur.
Chiami i soccorsi e rimanga con lui fino all'arrivo del medico o dell'infermiere.
Ma... Capitano! Così resterà solo con...
Lei è il solo che ci capisca qualcosa, Omur – Zero sollevò il visore e lo guardò severo – Inoltre, la Signorina Oyama sa cavarsela alla perfezione; ce l'ha ampiamente dimostrato, sinora.
Agli ordini – l'artificiere chinò il capo, consegnò a Zero la sua dotazione di esplosivi e passò un braccio attorno alle spalle del compagno – Buona fortuna, ragazzi.
Anche a lei, Omur.
Non abbiamo tempo per queste cose – Aki si rimise in guardia.
Giusto – anche Zero risollevò il fucile – Ci restano da bonificare tutte le altre stanze, poi dobbiamo fare irruzione nel laboratorio. Il Comandante Oki suppone che si trovi oltre la porta in fondo a questo corridoio.
Mayu la osservò.
Era un enorme portellone blindato, simile a quello della sala computer dell'Arcadia.
Muoviamoci.
Ripresero le loro posizioni e utilizzarono la stessa tattica, con la differenza che, questa volta, toccò a lei e a Zero fare irruzione mentre Bravo li copriva.
Si alternarono così per altre due stanze, poi giunsero accanto a un corpo che non aveva per nulla l'aspetto di un meccanoide... e nemmeno quello d'un essere umano.
La struttura fisica, per la verità, era la stessa: due braccia, due gambe, una testa, ma la pelle e la carne di quella creatura erano trasparenti e lasciavano intravedere una struttura interna priva di scheletro e con pochi organi supportati da un complesso sistema cardiocircolatorio.
Dalla ferita al petto che doveva aver privato della vita quell'essere e da altri squarci in tutto il corpo sgorgava ancora un liquido dello stesso colore e consistenza dell'acqua. Mayu ricordò le parole di Marina e del Dottor Machine.
Che sia...
Uno Shòu – Zero si chinò accanto al cadavere e lo esaminò – A questo punto, non mi stupisco più di nulla.
Mai vista una cosa del genere – Aki toccò con un piede la mano inerte della creatura – Ma cos'è questo, il laboratorio di Frankenstein?
Zero ignorò la battuta.
Stiamo in guardia. A quanto ne so, questi esseri sono in grado di assumere l'aspetto di chiunque. E non è finita.
Sollevò la testa della creatura verso di loro e indicò un punto.
Mayu fu assalita da un misto d'orrore e pietà nel vedere il chip che spiccava al centro del piccolo cervello trasparente di quell'essere.
Sono controllati – sussurrò.
Marina aveva ragione – Zero si rialzò, strofinò la mano destra sui pantaloni e assunse di nuovo la posizione di pointman* – A quanto pare, i nostri nemici hanno trovato il modo di sfruttare sia le capacità di queste creature che la loro mancanza quasi totale di istinti e volontà.
La nausea assalì di nuovo Mayu, insieme all'ipotesi, metà dubbio e metà speranza, che l'Harlock che aveva affrontato non fosse altro che uno di quegli esseri trasformati.
– Andiamo avanti.
Procedettero a fare irruzione in ogni singola stanza rimasta e Mayu dovette rimangiarsi il pensiero che fosse solo una perdita di tempo: nella penultima, quattro meccanoidi, un uomo e un altro paio di Shòu erano in agguato.
Di certo, se lei, Zero e i loro compagni si fossero diretti subito alla porta, li avrebbero presi alle spalle e forse qualcun altro sarebbe rimasto ferito... o peggio.
Poco prima d'arrivare davanti al portellone, Zero fece un cenno ad Aki e al suo compagno: sulla destra, una stretta scala male illuminata saliva in alto.
Dalla cima arrivavano rumore di spari, boati e urla assordanti.
Grenadier non dev'essere lontano – Aki rise al fragore di un'esplosione che fece tremare il soffitto – Questa è di certo opera sua.
Raggiungetelo – Zero si chinò davanti alla serratura del portellone e tirò fuori dalla tasca l'esplosivo di Omur e una piccola pistola a impulsi – Mettete in sicurezza la zona.
E voi?
Io e la Signorina abbiamo qualcosa da fare quaggiù. Da soli.
Aki lo guardò dubbioso, gli fece il saluto e s'allontanò, seguito dal suo compagno.
Se vuoi tornare indietro, segui Aki... e fallo adesso – Zero la fissò con lo stesso sguardo di Tadashi quando le aveva detto di vivere felice – Ciò che troveremo dietro a questa porta e ciò che forse saremo cosretti a fare potrebbe spezzarti il cuore per sempre, altrimenti.
Mayu ricordò la tomba su cui era chino al cimitero, ripensò ad Harlock su quella di suo padre, a Tadashi e a Yuki su quelle dei loro genitori e, per la prima volta, le parve di comprendere davvero il peso che tutti loro portavano nel cuore.
Sollevò il visore appannato e s'avvicinò a lui.
Lo so – lo guardò negli occhi – Ma anche a costo di non sorridere mai più, devo affrontarlo – serrò la mano sull'impugnatura della Dragoon – Per Harlock... e per mio padre.
Zero la guardò turbato e lei gli sorrise.
Ha parlato anche a te, vero? – gli chiese mentre lui sparava con la pistola a impulsi per mandare in tilt la serratura elettronica – L'ho capito dalla tua espressione nella sala computer dell'Arcadia.
Che cosa... ti ha detto? – Zero posizionò l'innesco e si rialzò.
Le fece cenno di seguirlo e Mayu si incamminò a passo svelto di fianco a lui.
Si chinarono dietro l'angolo della porta metallica dell'ultima stanza che avevano ripulito.
Di riportarlo indietro – Mayu osservò il dito di Zero tremare sul pulsante – Di restituirgli una ragione di vita e la speranza che ha sempre saputo dare a tutti ma che ha sempre negato a se stesso da quando lui è morto.
Zero premette il pulsante e il fragore dell'esplosione, il fumo e le schegge obbligarono Mayu a chiudere gli occhi e tapparsi le orecchie, che cominciarono comunque a fischiare.
E a te che cosa ha detto?.
A me – Zero si rialzò ed estrasse la sua pistola – Ha chiesto di dargli un pugno sul naso e dirgli da parte sua che è un imbecille.
Mayu lo guardò a bocca aperta, poi ridacchiò.
Sì – gli posò una mano sulla spalla – È proprio da lui. Andiamo?
Zero le sorrise, poi si fece di nuovo serio.
Guardò oltre il portellone piegato sui cardini, oltre la cortina di fumo e polvere causati dall'esplosione e le prese la mano.
Andiamo.
 


* Pointman o Apripista è il membro di testa della squadra.



So che questo capitolo è un po' strano... abbiate pazienza!


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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 29
*** Il futuro che ci aspetta ***


cap 8 – No...
Tadashi strinse più forte la spalla di Yuki, un po' per confortarla, un po' per trovare lui stesso la forza di fare ciò che andava fatto.
Fissò Harlock nel suo unico occhio e, ancora una volta, la sensazione di trovarsi di fronte a un estraneo si scontrò con la consapevolezza che quell'uomo era la stessa persona che l'aveva salvato dalla morte, dall'odio e dalla disperazione, la persona a cui doveva tutto.
La sua mano tremò, come quella sera nel suo studio, quando non era riuscito a premere il grilletto e il raggio laser della sua Dragoon gli aveva prima ferito la mano e poi trapassato il cuore, in più d'un senso.
Come allora sperò che fosse un incubo, ma dentro di sé sapeva benissimo qual era la realtà: i due Dottori e Yattaran erano stati sin troppo chiari.
Finirà solo con la morte di uno di noi due.
O di entrambi, comunque fosse andata.
Se fosse sopravvissuto Harlock, lo avrebbe atteso un'esistenza che non poteva essere chiamata vita, schiavo della volontà di qualcun altro.
Se fosse sopravvissuto lui, la colpa d'averlo ucciso l'avrebbe accompagnato fino alla fine dei suoi giorni.
– No – il singhiozzo di Yuki era quello di chi non riusciva a destarsi da un incubo.
È un incubo. Ma devo svegliarmi almeno io.
Non poteva lasciare che finisse come l'altra volta: doveva proteggere Yuki e doveva sopravvivere anche lui, e non solo perché così ferita lei non sarebbe mai riuscita a tornare da sola sull'Arcadia.
Devo farlo per il nostro futuro... e perché anche lui lo vorrebbe.
Se fosse stato in sé, sarebbe stato lo stesso Harlock a chiedergli di mirare dritto al cuore e premere il grilletto. Lo sapeva, gli pareva addirittura di sentirlo. Ma non per questo era più facile.
Strinse i denti, cercò di smettere di tremare e armò il cane. Harlock fece lo stesso.
– Ha ragione lei: no – Lia s'avvicinò di qualche passo a loro e incrociò le braccia – Come ho già detto, tu non m'interessi, Daiba. Da' a lei quella pistola e levati di torno.
– Che intenzioni hai?

– Solo far assaggiare ad Harlock e alla tua amichetta un po' della stessa medicina che hanno ficcato in gola a me quando hanno ucciso Feydar.
Yuki si strinse la gamba ferita e la guardò.
– Te lo giuro, Lia, Harlock non...
Lia sparò un colpo che lasciò un buco fumante nel pavimento davanti a loro.
– Ho già detto che non voglio ascoltare le tue menzogne. Ne ho abbastanza di sentirmi dire quanto mio fratello sia stato un verme e Harlock un eroe, ne ho piene le tasche! Ancora una parola e il prossimo buco non lo farò nel pavimento. Quanto alle mie intenzioni, ai miei motivi e ai miei mezzi, ecco: guardatevi intorno!
Fece un ampio gesto a circoscrivere i macchinari dietro di lei.
– La tecnologia è sorprendente – sorrise – Oggi, con un computer, si può fare di tutto... anche leggere i pensieri del tuo peggior nemico, arrivare a comprenderne i sentimenti più nascosti. Un paio di tasti, poche stringhe di codice binario e puoi metterli su un supporto esterno; un piccolo chip nel cranio, qualche sequenza di comandi e puoi cancellarli o impiantarne di nuovi a tuo piacimento. Fa riflettere, vero?
– Dove vuoi andare a parare? – con la coda dell'occhio, Tadashi osservò Yuki sfilarsi la cintura e stringerla sopra la ferita per bloccare l'emorragia.
– Ancora non ci arrivi? – Lia accarezzò la canna della pistola e la usò per indicare Harlock – Guardalo: il grande Capitan Harlock, l'eroe senza paura, l'uomo dalla determinazione incrollabile e dalla ferrea morale. Non è diverso da tutti gli altri, in realtà: non è migliore di voi, di me o di Feydar. Lo so. Ho visto cosa c'era nella sua mente: sentimenti nobilissimi, ma anche meschinità orribili. Prendiamo il suo rapporto con te e la biondina, ad esempio: vi considerava un po' come i suoi fratelli minori, sapete? Avrebbe sacrificato la sua vita per salvare la vostra in qualunque momento e nutriva in voi una fiducia assoluta, ma allo stesso tempo vi odiava: eravate una responsabilità, una zavorra che lo legava a un'esistenza che per lui non contava più niente, un ricordo costante di tutto ciò che era stato e di tutto ciò che aveva perduto. Non vi sta puntando contro una pistola solo perché lo sto obbligando: c'è una parte di lui che desidera uccidervi più di quanto non lo voglia io, mentre quella che vi amava più di se stesso... puf! Sparita. Deludente, vero? Il suo immenso affetto nei vostri confronti, l'incrollabile legame che vi univa non era altro che una serie d'impulsi elettromagnetici nelle sue sinapsi... cancellati in un battito di ciglia.
Tadashi la guardò agghiacciato.
– Oh, non sono andati perduti per sempre, se è questo che vi preoccupa. Lo faremo tornare in sé quando avrà perso tutti quelli che ama, per sua stessa mano e soprattutto perché in fondo lo voleva, perché non è l'eroe senza macchia che tutti credono e che lui stesso vuole apparire. Ma a me tu non interessi, Daiba, e non m'interessa quello che vogliono fare i miei compagni di te e dei tuoi amici – indicò Yuki – Il legame che voglio recidere per sempre è quello che lo unisce a lei, lo stesso che loro hanno distrutto assassinando Feydar... e voglio che sia uno di loro due a farlo. Non m'importa quale.
– Questo va oltre la vendetta, Lia – Yuki la guardò negli occhi con un misto di angoscia, pietà e sdegno – Questo è disumano, e tu lo sai.
Prima che Tadashi potesse fare qualunque cosa, Lia la colpì di nuovo alla gamba, un poco più in basso.
– T'avevo avvertita: preferisco le tue urla alle tue prediche, Yuki Kei – nella sua voce vibravano un odio profondo, sofferenza e follia – Disumano, dici? Sai cos'è disumano? Passare ogni giorno della tua maledetta vita a doverti vergognare del tuo nome e a ingoiare il disprezzo dei tuoi simili quando sai che l'unico scopo della sola persona che hai amato e perduto per sempre era liberare quello schifo di mondo pieno di vigliacchi incapaci, mentre invece il suo assassino è considerato un eroe! Avevo solo lui, al mondo! Sai com'è stata la mia vita da quando non c'è più? Hai idea di cos'ho provato, di cosa provo ancora?
– Lo sa – Tadashi la fissò – Suo padre è stato ucciso dal suo ex fidanzato, sai?
Lia non fece una piega.
– Kazuya Katagiri, certo – s'avvicinò di qualche altro passo – Che strano, mi risulta che sia morto... e non per un incidente o una malattia. Quanto a te, Daiba, sei l'ultimo a potermi fare la predica: ti sei vendicato in lungo e in largo delle Mazoniane, non ti sei certo limitato a quella che aveva ammazzato tuo padre!
Tadashi sentì in bocca il sapore amaro della bile.
Il ricordo del corpo straziato di Tsuyoshi Daiba gli tornò alla mente, nitido come se lo avesse avuto davanti in quello stesso istante: i suoi vestiti disfatti, i suoi occhi sbarrati e ormai privi di luce, la sua espressione terrorizzata e attonita, la sua pelle fredda sotto le sue dita e la luce violenta dei neon, così bianca e intensa da cancellare ogni altro colore.
Da quel momento, aveva conosciuto il vero odio e non era stato più lo stesso.
La lontana eco della solitudine, dell'ossessione, della paura del domani, del senso di colpa e dell'inesauribile sete di sangue che avevano riempito i suoi giorni e le sue notti d'adolescente lo riassalirono di colpo e capì.
È come me. È uguale a com'ero io sette anni fa.
– Una volta ero una ragazzina innocente, sai?i – gli occhi di Lia erano lucidi dietro le lenti scure – Sognavo di costruire navi spaziali insieme a Feydar, di viaggiare per il cosmo e diventare il miglior ingegnere della storia. Harlock m'ha tolto tutto: mio fratello, la possibilità di continuare gli studi, i miei sogni... persino la dignità. È un mio diritto vendicarmi, voglio che quell'assassino provi il dolore straziante di perdere la sua cara sorellina o essere ucciso da lei e non m'importa delle conseguenze, non m'importa della morale, non m'importa di nulla! Adesso levati da lì, Daiba!
Tadashi non si mosse.
Lia lo guardò minacciosa.
– Come vuoi.
Harlock fece fuoco e Tadashi avvertì un forte bruciore al fianco.
La sua fondina cadde a terra, la cintura che gliela assicurava alla vita tranciata di netto.
Sotto lo squarcio che gli si era aperto sulla tuta, la sua pelle s'arrossò e si riempì di bolle. Lia indicò la porta con la canna della pistola.
– La prossima volta non te la caverai con qualche bruciatura superficiale. Dalle quella pistola e vattene coi tuoi uomini. Ritiratevi e giuro che non vi farò sparare addosso né v'inseguirò. Quanto a lei, se ucciderà il suo Capitano non le torcerò più un capello; potrà tornarsene sulla Terra e vivere con te la vostra stupida favoletta romantica, per quel che me ne importa. Avrò ottenuto lo stesso ciò che voglio.
– Fa' come ti dice, Tadashi – Yuki gli afferrò il braccio – Dammi la pistola e va' via.
Lui la guardò: era pallida e sofferente, ma non tremava e la sua voce era calma e risoluta.
La voce del Capitano.
Una parte di lui desiderava metterle fra le mani quell'arma e liberarsi dalla pesante responsabilità che aveva deciso di sobbarcarsi quando aveva capito che le speranze di salvare Harlock erano quasi inesistenti, desiderava vederla premere quel grilletto e scegliere lui una volta per tutte.
L'altra si vergognava di quei desideri: Harlock era stato una guida, un amico fraterno e quasi un padre, mentre Yuki era la sua compagna, il suo sostegno e il suo domani, una delle ragioni per cui aveva deciso di lottare per rendere migliore se stesso e il mondo che gli era stato affidato.
Li amava, tutti e due, e per questo doveva farlo lui.
Anche a costo di calpestare i suoi stessi sentimenti, anche a costo della sua felicità, anche a costo della vita, non poteva permettere che uno di loro morisse e l'altro si condannasse con le sue stesse mani a un inferno senza fine di sofferenza e sensi di colpa.
Sollevò la Cosmo Gun e tornò a puntarla contro Harlock, che lo guardò inespressivo e riarmò il cane.
– Sei davvero la creatura più sciocca dell'universo – Lia fissò la sua mano tremante e gli sorrise senza allegria – Ti do la possibilità non solo di salvare la tua vita e quella dei tuoi uomini ma anche di scoprire una volta per tutte se a lei frega più di te o del suo Capitano e tu...
– Adesso basta! Finiscila con questa follia, Zone!
Questa volta, la canna della pistola di Harlock si sollevò verso l'alto e il dolore, acuto e bruciante, gli dilaniò la spalla sinistra.
Tadashi chiuse gli occhi e si morsicò le labbra per soffocare un urlo. Lia si passò una mano fra i capelli.
– Non mi sembri nelle condizioni di darmi ordini – socchiuse le palpebre – E, lasciatelo dire, non mi sembri neanche molto deciso a farla finita con le cattive, nonostante le tue spacconate. Allora, che facciamo?
– Tadashi, dammi quella pistola – Yuki gli diede una spinta – È un ordine!
– Scordatelo, Capitano – le si rimise accanto e sollevò di nuovo l'arma – C'è un futuro che ci aspetta e non ti permetterò né di morire né tanto meno di spezzarti il cuore con le tue stesse mani!
Yuki lo afferrò per il colletto, lo fece voltare verso di sé e gli mollò un ceffone così violento da sbilanciarlo. Lo fissò, furiosa.
– Vuoi ascoltarmi per una buona volta? – lo scosse – Ha ragione lei: sei uno stupido! Abbiamo dei doveri e delle responsabilità che vengono prima delle nostre questioni private: metà dei nostri uomini è chiusa nell'hangar di questa nave mentre l'altra metà sta combattendo là fuori, i nostri compagni della Karyu potrebbero avere bisogno di noi su Futuria e poi c'è Mayu! Che ne sarebbe di tutti loro se morissimo entrambi?
Aveva ragione, sotto tutti i punti di vista.
Bastava applicare la logica, valutare i pro e i contro per rendersene conto.
Le vite di Yuki e di Harlock contro la sua, quella dei loro uomini e forse quella di molti soldati della Karyu: due persone contro centinaia.
La possibilità di risparmiare ulteriori danni alla nave e ai mezzi, quella di correre in aiuto dei loro alleati...
Non avrebbe dovuto esitare. Lo sapeva, lo sapeva benissimo.
Ma senza di loro, senza di lei, non avrebbe senso.
Si liberò dalla stretta di Yuki, serrò più forte la pistola e si diede dello stupido egoista: nonostante l'esperienza, nonostante la razionalità, nonostante tutto, in fondo era rimasto lo stesso ragazzino impetuoso di un tempo, che decideva sull'onda delle emozioni... e non poteva, non voleva farci nulla.
– Io non mi muovo.
Mirò, di nuovo.
Posò il dito sul grilletto, di nuovo.
La sua mano tremò. Di nuovo.
Stavolta Harlock lo colpì al braccio destro.
Tadashi urlò e fece appello a tutte le sue forze per non lasciar cadere la pistola e impedire che Yuki gliela strappasse di mano. Lia s'avvicinò di qualche altro passo.
– Sei davvero testardo, Daiba. E anche uno sciocco senza speranza. Non stai facendo altro che rimandare l'inevitabile, lo capisci? Non hai il coraggio di sparargli e non potrai reggere per sempre. Vincerò io, in ogni caso.
– Forse hai ragione – Tadashi le rivolse un ghigno truce – Ma anche tu stai rimandando l'inevitabile, Zone. Non me ne andrò finché avrò fiato in corpo, ormai dovresti averlo capito... allora perché non m'ammazzi e la fai finita con questa sceneggiata?
Incertezza e sconcerto si dipinsero per un istante sul volto di Lia e, fra sollievo e amarezza, Tadashi capì un'altra cosa.
Non è come me.
Harlock sollevò di nuovo il braccio, mirò alla sua testa e premette il grilletto.
Tadashi chiuse gli occhi e non si mosse.
Era un azzardo, lo sapeva.
Se si fosse sbagliato, lui, Yuki e Harlock sarebbero stati perduti.
Se avesse avuto ragione, avrebbero avuto una minuscola possibilità, ma sarebbe stata un'amara vittoria.
Il grido di Yuki gli perforò le orecchie, sentì un forte odore di bruciato e un violento dolore alla tempia. Qualcosa di liquido e caldo gli colò sulla guancia.
Ho ragione.
Riaprì gli occhi, sorrise amaro e puntò la pistola contro Lia, che lo guardò turbata.
– Oh, vedo che alla fine ci sei arrivato – s'accarezzò il labbro inferiore e si esibì in un'altra delle sue risate isteriche – Sì, è proprio come pensi: uccidi me e per un po' lui sarà del tutto inoffensivo. Potresti anche riuscire a catturarlo vivo, forse, ma non intendo certo facilitarti il compito.
Tadashi sentì Yuki trasalire accato a lui. Harlock aveva puntato la canna della pistola alla sua tempia.
Un sottile filo di fumo si levò dai suoi lunghi capelli castani, ma lui non cambiò nemmeno espressione.
– Quanto pensi d'essere veloce e preciso, Daiba? – Lia fece roteare la sua pistola e gliela puntò contro – Io e il tuo amato Capitano premeremo il grilletto insieme: per salvare sia te stesso che lui dovresti esser rapido come il pensiero e colpirmi dritto in mezzo agli occhi: solo così potresti fermare l'impulso che il mio cervello trasmetterebbe ai nostri indici. Oppure potresti dare quella pistola alla tua cara Yuki e lasciare che se la sbrighino fra loro. La mia offerta è sempre valida.
– Tadashi – Yuki stese la mano, gli occhi pieni di lacrime – Dammi quella pistola e vattene, ti prego!
Lui la ignorò, s'alzò in piedi e guardò nel mirino. Lia lo imitò.
– Dammi quella pistola, stupido!
Tadashi armò il cane e spostò il dito sul grilletto.
Fece fuoco.
Harlock rimase immobile, Yuki singhiozzò e Lia lo guardò a occhi sbarrati, la pistola stretta fra le mani tremanti sullo sfondo delle scintille elettriche che sprizzavano dal pannello al quale lui aveva mirato.
– Perché non spari, Zone? – Tadashi abbassò l'arma e mosse un passo in avanti – Sono qui davanti a te... forza!
Mosse un passo e poi un altro ancora, il sangue che gocciolava sul pavimento. Lia lo fissava impietrita, le braccia tese, il dito sul grilletto.
– Te lo dico io perché non lo fai – Tadashi si scostò dalla fronte un ciuffo di capelli insanguinati – Perché non sei un'assassina! Quando ho parlato delle vittime di Elpìs e delle guardie di Yuki, sei inorridita...
– Non fare un altro passo! – la voce di Lia salì di un'ottava, il tremito aumentò.
– Hai fatto in modo che i nostri uomini rimanessero isolati per imprigionarli senza combattere e hai spedito i tuoi chissà dove perché volevi solo Yuki e Harlock, solo coloro che giudichi colpevoli per la fine di tuo fratello...
Lia indietreggiò, pallida.
– Non dire un'altra parola!
Tadashi sentì un rumore dietro di sé. Non si voltò.
Un raggio laser gli sfiorò una caviglia e bucò il pavimento poco più avanti. Continuò a camminare.
– Non m'hai ucciso, anche se hai avuto un sacco d'occasioni, anche se avresti potuto farlo subito – le si fermò proprio di fronte, infilò la Cosmo Gun nella cintura e la guardò negli occhi – E non m'hai colpito alle gambe per darmi fino all'ultimo la possibilità d'andarmene da qui, vero?
– T'avverto: ti ammazzo, Daiba!
– E Yuki... È lì a terra, adesso, sola, ferita e disarmata: cosa t'impedisce d'ordinare ad Harlock di spararle e poi ammazzarsii, eh?
Tadashi afferrò la canna della sua pistola e gliela fece appoggiare contro il suo petto.
– Te lo dico io: non vuoi vittime innocenti, non sei capace d'uccidere a sangue freddo nemmeno chi odi e da qualche parte dentro di te sai benissimo quanto sia assurdo e orribile tutto questo! Sparami, se ho torto, avanti!
Tadashi la guardò dritto negli occhi.
Lia contrasse il dito sul grilletto. La sua mano tremò. Si morse il labbro inferiore, distolse lo sguardo e lasciò andare la pistola. Tadashi osservò le sue spalle che tremavano oltre la canna della pistola.
– Ho pensato che tu fossi com'ero io sette anni fa – rigirò l'arma fra le mani – Ma mi sbagliavo: sei piena d'odio, ti senti sola e vuoi qualcuno da incolpare perché altrimenti non avresti più un motivo per andare avanti, perché ormai non vedi più alcun futuro... ma nonostante questo riesci ancora a pensare agli altri e non vuoi che degli innocenti soffrano come hai sofferto tu. Sotto questo aspetto, sei migliore di me. Dico davvero.
Io ci ho dovuto sbattere contro.
Un groppo gli strinse la gola al ricordo della piccola Gurikan che, in lacrime, gli puntava contro la pistola. Aveva ucciso decine, forse centinaia di Mazoniane prima di conoscerla, e sempre senza alcun rimorso: era la guerra e spesso non aveva avuto altra scelta.
Ma vedere sul viso innocente di quella bambina il dolore e l'odio che avevano devastato lui, rendersi conto che per lei era l'assassino senza cuore che si era portato via i suoi cari, gli aveva fatto comprendere davvero per la prima volta quanto la vendetta e la guerra non fossero altro che un crudele, sterile circolo vizioso fatto d'odio, sofferenza e distruzione infiniti.
Si chinò accanto a Lia e sospirò.
– Hai ragione su di me: ho ucciso tantissime Mazoniane per vendetta – passò un dito sulla canna della pistola e la lasciò cadere ai suoi piedi – Le detestavo, oh, sì... sentivo che finché una sola di loro avesse continuato a respirare né io né mio padre avremmo mai avuto pace, ma sai una cosa? Tutte quelle morti, tutto il sangue che ho versato e tutto il male che ho fatto a me stesso e ai miei nemici non me lo hanno restituito nemmeno per un istante, di certo non lo avrebbero reso fiero di me e non mi hanno fatto sentire meglio, anzi.... per poco non ho perso tutto: la mia umanità, i miei sogni, il mio futuro.
Come sempre quando ricordava quel periodo della sua vita, un misto di vergogna, sollievo e rimpianto lo assalì. Era stato davvero sull'orlo del baratro, allora, forse della follia.
Se non avesse incontrato Harlock sulla sua strada, se non fosse salito sull'Arcadia, avrebbe finito per perdere del tutto se stesso nella sua ossessione e morire chissà dove, solo e senza aver realizzato nulla che contasse, senza aver mai vissuto davvero. Forse la morte sarebbe stata il suo solo desiderio, a quel punto.
Tese la mano a Lia.
– Facciamo finire tutto questo. Sei ancora in tempo, Lia... torna sulla Terra, trova qualcuno con cui condividere i tuoi sogni e falli avverare: c'è un futuro che aspetta anche te, basta che tu lo voglia. E se davvero ti voleva bene, lo vorrebbe anche tuo fratello.
Yuki si alzò in piedi.
– Sono sicura che anche Mister Zone, alla fine, si fosse reso conto che costruire era meglio che distruggere – mosse qualche passo zoppicante verso di loro – Posso raccontarti com'è andata, il giorno in cui morì. Vuoi ascoltarmi, adesso?
Lia le fece un lieve cenno affermativo, le spalle ancora scosse dai singhiozzi.
Tadashi si alzò, circondò la vita di Yuki con un braccio, ignorò la fitta di dolore che gli percorse tutto l'arto quando lei gli si appoggiò contro e la sostenne.
– Quando Harlock assaltò la sua nave dopo l'ultima battaglia, lo trovò ferito – Yuki strinse i denti mentre si accovacciava davanti a Lia – Tuo fratello gli chiese di ucciderlo: era un uomo orgoglioso, non sopportava il peso del fallimento e inoltre la sua alleanza col nemico e le azioni che aveva commesso per conquistarne la fiducia l'avrebbero reso per sempre un traditore agli occhi degli altri terrestri. Che tu ci creda o no, Harlock lo stimava: nonostante avesse tentato di ucciderlo centinaia di volte, nonostante il suo modo di combattere fosse troppo contorto e sleale per i suoi gusti e nonostante l'ambizione e la sete di vendetta alla fine lo avessero spinto a comportarsi proprio come i nemici che tanto detestava, Feydar Zone era stato uno dei pochi terrestri che avesse almeno avuto il coraggio di agire... e questo, ai suoi occhi, era già molto. Gli chiese d'unirsi a noi, di usare la sua intelligenza e la sua cultura per il bene della Terra. Non ero lì in quel momento, ma Harlock mi raccontò che tuo fratello reagì proprio come te adesso.
– E allora perché è morto? – Lia sollevò la testa e la guardò negli occhi – Se non è stato Harlock ad ammazzarlo e se davvero lui s'era ricreduto nei suoi confronti...
– Il Vice-Comandante Garron stava per prendere Harlock alle spalle – Yuki chiuse gli occhi – Tuo fratello gli sparò e lo uccise, ma fu colpito a morte. So che non fu questa la storia che girò dopo che tutto finì: persino molti di noi non credettero che proprio Zone avesse sacrificato la sua vita per salvare il nostro Capitano... ma nessuno, amico o nemico, ebbe mai il coraggio d'insinuarlo davanti ad Harlock una seconda volta, se capisci cosa intendo.
– È la verità?
Tadashi la guardò, triste.
– Harlock non mentiva mai, nemmeno...
Stava per dire: “nemmeno per salvarsi la vita”, ma s'interruppe con un sussulto.
Riflesso sulle lenti scure degli occhiali di Lia, vide Harlock muoversi di scatto. Il suo cuore perse un battito.
Un trucco?
Lia spalancò gli occhi e diede a lui e a Yuki un violento spintone che li mandò lunghi distesi sul pavimento. Tadashi cadde sulla schiena. La luce dei neon sul soffitto lo accecò.
Sentì il suono di uno sparo seguito da un gemito, poi qualcosa di pesante lo colpì alla spalla ferita e gli strappò un grido. Anche Yuki urlò.
L'ha colpita?
Tadashi fu preso dal panico, una paura che non aveva provato nemmeno quando aveva rischiato tutto provocando Lia, un'angoscia paragonabile solo a quella provata sulla Terra quando aveva capito che lei e Mayu erano in pericolo e lui troppo debole per correre ad aiutarle.
I suoi occhi ricominciarono a vedere e lui cercò subito Yuki.
Era in ginocchio accanto a lui, pallida e sconvolta ma, a parte le ferite alla gamba, pareva incolume.
Aveva fra le mani la pistola di Lia e la puntava dove doveva trovarsi Harlock.
Tadashi si puntellò per rialzarsi a sua volta ma la sua mano sinistra scivolò su qualcosa di caldo e viscido. Estrasse la pistola e si voltò a guardare.
Sangue.
Era una pozza e continuava ad allargarsi a vista d'occhio.
Nel silenzio, sentì un suono affannoso, sibilante.
E la vide.
Lia era riversa sul pavimento, il petto trapassato da parte a parte all'altezza del cuore.
– Non pensare a me – tossì – Matia... Matia mi ha tolto il controllo!
Il suono di due spari lacerò il silenzio.
Tadashi si voltò col cuore in gola.
Harlock zoppicava verso di loro, la coscia destra insanguinata e lo sguardo inespressivo. Yuki si stringeva il polso. Ai suoi piedi c'erano i resti di quella che era stata la pistola di Lia.
– Capitano, basta – singhiozzò – Ti prego, torna in te!
– È inutile – Lia diede un altro colpo di tosse e del muco schiumoso e sanguinolento le uscì dalle labbra – Hanno modificato il suo tracciato neurale ed è impiantato... la sua personalità originaria non esiste più – guardò Tadashi – Matia non si fermerà... sparagli, o morirete!
Tadashi si buttò su Yuki appena in tempo per evitare che Harlock la colpisse.
Si rialzò di scatto cercando di ignorare il dolore al braccio e alla spalla, sollevò la pistola, mirò... e la sua mano ricominciò a tremare.
Gli occhi gli si riempirono di lacrime, il dito sul grilletto sembrava un blocco di marmo.
Stupido... sono uno stupido!
Harlock, ormai, era su di loro.
Le lacrime caddero dalle sue ciglia, gli bagnarono le guance e il collo.
Un singhiozzo che non riuscì a trattenere gli squassò il petto.
Poi, la mano sinistra di Yuki si intrecciò alla sua attorno all'impugnatura della pistola, il suo braccio destro gli circondò la vita.
Sentì i suoi capelli e la sua pelle contro la guancia quando lei avvicinò la testa alla sua per guardare nel mirino. Tadashi la guardò sconvolto.
– Yuki...
– Facciamolo insieme, Tadashi – la sua voce era appena un sussurro – Per noi stessi, per il nostro Capitano che amava così tanto la libertà e per quel futuro che ci aspetta sulla Terra, alla fine di tutto... Non cercare di proteggermi dal dolore come faceva lui: sii te stesso e il peso di questa colpa, la sofferenza che ne verrà, dividili con me.
Felicità e tristezza senza fine gli colmarono il cuore allo stesso tempo.
Smise di tremare, strinse più forte l'impugnatura della pistola e intonò la prima strofa della canzone di Harlock.
Il dito di Yuki si posò sul suo sopra il grilletto.
Guardò Harlock.
Il suo Capitano, il suo amico, il fratello maggiore che aveva sempre desiderato avere, il suo mito irraggiungibile, il suo rivale e il ricordo intenso, dolce e amaro al tempo stesso, della sua giovinezza.
– Perdonaci, Capitano – sussurrò Yuki – Addio.
Sul volto sfregiato di Harlock, per un attimo, si dipinse un'espressione confusa, commossa e stupita, come se li avesse riconosciuti.
La sua voce calda, baritonale e un po' roca si unì alla sua nel concludere la strofa e Tadashi avrebbe dato tutto per poter fermare il tempo, per poter tornare indietro... ma lui e Yuki avevano già premuto il grilletto.
Per un lungo, orribile istante che sembrò durare anni, sentì il colpo partire e percorrere tutta la lunghezza della canna, sentì il rinculo della Cosmo Gun spingere indietro la sua mano, ancora intrecciata a quella di Yuki.
Vide Harlock sorridere prima che il raggio laser lo colpisse dritto in mezzo alla fronte e facesse scattare la sua testa all'indietro, vide la sua mano lasciare la pistola e le sue gambe proiettarsi in aria.
Nel silenzio del ponte di comando, rotto solo dal respiro affannato e sibilante di Lia, il suono del suo corpo che colpiva il pavimento riecheggiò come una cannonata.
Per un altro tremendo, lunghissimo istante, tutto si fermò attorno a quella figura in nero, immobile sotto le luci bianchissime dei neon.
Poi, Yuki lasciò la sua mano, gli appoggiò la testa contro il petto e cominciò a piangere come se le avessero strappato il cuore.
Tadashi lasciò cadere la Cosmo Gun, il corpo scosso da un violentissimo tremito.
Strinse a sé Yuki come se fosse stato un naufrago in mezzo alla tempesta e lei il solo scoglio in un mare di nulla, immerse il naso nei suoi capelli e scoppiò anche lui in un pianto dirotto.




Chiedo scusa per lo zucchero...


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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 30
*** Fuga ***


cap 8 Shizuo Ishikura tornò in sé a fatica e con riluttanza, viste le sensazioni tutt'altro che piacevoli che il suo corpo cominciava pian piano a restituirgli: sete e freddo, palpebre incollate, bocca amara e braccia e gambe intorpidite, per non parlare del mal di testa pulsante e del ricordo di quello che era successo... quanto tempo prima? Non avrebbe saputo dirlo. Forse aveva dormito pochi minuti, forse un'eternità.
Inspirò a fondo e il forte odore di disinfettante che aleggiava nell'aria gli bruciò la gola già secca e lo fece tossire.
Aprì gli occhi: una luce bianca e violenta lo costrinse a richiuderli subito, abbagliato.
Provò ad alzare una mano per schermarsi il viso ma qualcosa glielo impedì.
Tirò su la testa, la inclinò e sollevò appena le palpebre.
Per forza era mezzo congelato e tutto un formicolio: aveva addosso soltanto i boxer e per di più i suoi polsi, i bicipiti, il torace, l'addome e le gambe erano stretti da robuste cinghie di pelle fissate a un tavolo operatorio.
Dove diavolo sono?
Si guardò intorno: la stanza era piccola, priva di finestre e imbiancata con la calce; piastrelle candide ricoprivano il pavimento e il muro fino a due terzi d'altezza.
Alla sua destra c'erano un computer, diversi monitor, una maschera a ossigeno e altre apparecchiature di cui non conosceva l'utilizzo, una piantana per flebo, una pattumiera e un carrello di quelli che di solito contenevano gli strumenti chirurgici.
Alla sua sinistra, un paravento alto e ricoperto da un tessuto candido e spesso copriva il punto in cui doveva trovarsi la porta e lasciava intravedere tre armadietti e un enorme lavandino a pedale, tutti d'acciaio lucidissimo.
Ricordò il gesto che Arngeir aveva rivolto a Minoru poco prima che Sylviana lo drogasse e rabbrividì.
Lasciò ricadere la testa all'indietro, socchiuse ancora un poco le palpebre per resistere all'intensità della luce e guardò in alto: agganciata a un braccio meccanico, la sonda cranica emise un inquietante scintillio.
Vogliono davvero impiantarmi... e lui glielo permetterà.
Ricordò le parole del Capitano, quelle di Daiba, di Maji e di Yattaran, ma soprattutto il filmato del primo Herakles, il viso di Takeshi stravolto dal dolore e dalla furia e tutte quelle orribili immagini esibite dall'accusa al processo di suo padre.
Si divincolò, ma le cinghie erano strette e robuste e tutto ciò che ottenne fu di escoriarsi i polsi. Fece un profondo respiro per calmarsi e studiò la situazione: solo chissà dove, legato e disarmato, nessuno dei suoi compagni conosceva la sua situazione... nessuno di cui potersi fidare, almeno.
Non ho scampo.
Un rumore di passi gli giunse alle orecchie, la serratura elettronica emise un bip e scattò.
Richiuse gli occhi e cercò di normalizzare il respiro.
Mi morderò la lingua non appena cominceranno a interrogarmi.
Per la verità, l'idea di riempirsi la gola di sangue fino a respirarlo, colmarsene i polmoni e morire affogato non lo attirava per niente, ma era l'unica cosa che potesse fare per non tradire i suoi amici: era in grado di resistere alla tortura, all'isolamento, agli interrogatori e ai giochetti psicologici più raffinati, ma Arngeir e i suoi compagni disponevano di un'arma che lo avrebbe costretto a fare ciò che volevano a dispetto della sua volontà, della sua resistenza fisica e di tutto il suo addestramento.
Il rumore di passi si fece sempre più vicino e si arrestò.
Due dita gli si posarono sulla giugulare, risalirono piano il suo collo fin sulle labbra.
– Avanti, Boy Scout – la voce di Sylviana gli solleticò l'orecchio, il suo profumo le narici – Lo so che sei sveglio. La droga era a tempo e poi sei un pessimo attore, te l'ho già detto.
Ishikura aprì gli occhi e tentò di morderla, ma lei tolse la mano e si scostò con un gesto repentino.
– Che diavolo, Boy Scout – incrociò le braccia e lo guardò contrariata – Ti sembra questo il modo di ringraziare chi viene a salvarti le chiappe?
– Non chiamarmi così, maledetta tradi... – s'interruppe e le lanciò uno sguardo perplesso – Eh?
Un rapido movimento del polso e nella mano destra di Sylviana apparve il solito pugnale.
– Sveglio come sempre, vero? – ridacchiò – Forse stai dormendo un po' troppo in questi ultimi tempi: avresti dovuto bere il mio caffè al chutney, stamattina.
– Dammi tregua, Sylviana – il mal di testa stava aumentando – Cos'è questa storia? Prima mi addormenti a tradimento e mi consegni ai nostri nemici e adesso mi liberi? Non ha senso!
Lei sbuffò.
– Dio, quanto sei lento – gli tagliò le cinghie che gli bloccavano le gambe – Ho lavorato con un sacco di spie incapaci nella mia carriera, ma tu vinci il premio a mani basse... Era tutto calcolato! Davvero credevi che un professionista come Thorn si sarebbe bevuto quella storia di copertura da quattro soldi rappezzata in fretta e furia e cascasse in quegli stratagemmi ridicoli? Volevo che ci scoprisse: l'ho fatto apposta... è addirittura il piano originario!
Ishikura la guardò ancora più perplesso. Lei tagliò le cinghie che gli bloccavano l'addome e il torace e alzò gli ochi al cielo.
– Mi sa che dovrò farti un disegnino – si chinò su di lui e gli fece scorrere un dito sul petto – Ma prima dobbiamo uscire di qui, perciò promettimi che seguirai le mie istruzioni senza rompere le scatole.
Ishikura la guardò accigliato. In realtà, avrebbe voluto romperle la testa... o strozzarla, tanto per cambiare.
– Ti conviene fare come ti dico, altrimenti ti lascio qui – tanto per cambiare, Sylviana non era per nulla impressionata – E Thorn non sarà per niente contento quando scoprirà cosa gli abbiamo combinato.
Ishikura sbuffò.
– Ma se non abbiamo fatto niente!
Di certo, l'hard disk era ancora nelle mani del Comandante.
– Non noi due – Sylviana gli posò di nuovo le dita sulle labbra e gli avvicinò il coltello alla guancia – Non ancora, perlomeno. Prometti. E poi chiudi il becco.
Ishikura la fissò.
Non aveva senso. Per quanto ci si arrovellasse, non aveva proprio senso.
Che fosse un'altra trappola? Che diavolo sperava d'ottenere?
Credeva davvero che, dopo che l'aveva steso a tradimento e consegnato a quei pazzi maniaci mandando in malora la missione, si fidasse ancora di lei? A guardarla, pareva proprio di sì.
Oh, al diavolo! Tanto, più nei guai di così...
– Va bene, va bene...
– Parola di Boy Scout? – Sylviana recise tutta allegra le cinghie che gli legavano le braccia e i polsi – E dài, Shizuo, un po' d'autoironia! Mi sembrava una così bella battuta... o per caso non ti piace il tuo soprannome?
Ishikura la guardò storto. Aveva promesso di stare zitto, ma c'erano altri modi per mostrarle la sua disapprovazione. Si massaggiò i polsi e le caviglie intorpidite e si alzò.
Un brivido gli corse lungo la schiena al contatto dei suoi piedi nudi contro il pavimento gelido.
– Oh, a proposito di disegnini – Sylviana gli sorrise maliziosa e gli strizzò l'occhio – Gran bel tatuaggio!
Ishikura sentì il familiare calore salirgli alle guance.
– Come hai fatto a vedere il mio...  Mi hai perquisito tu?!
Lei gli rimise le dita sulle labbra, gli mollò una trionfale pacca sul sedere e sparì dietro il paravento.
Lui la seguì in silenzio, non sapeva se più imbarazzato o più infuriato.
La strozzo... prima che questa storia sia finita, la strozzo!
– La tua roba è andata – Sylviana raccolse da terra un involto di panni, glielo lanciò e guardò l'orologio – Mettiti questi... e in fretta.
Ishikura aprì l'involto: c'erano un berretto, un paio di pantaloni e una maglia scuri, una fondina cosciale con dentro una pistola carica, una bisaccia contenente un coltello, una cella d'energia di ricambio, una torcia e due granate, un paio d'anfibi e persino dei calzini, tutto perfettamente della sua taglia.
Scacciò l'immagine di Sylviana con addosso la sua roba insieme al sospetto, davvero assurdo, che avesse calcolato e previsto persino l'eventualità di dovergli procurare degli abiti.
Pensa alle cose serie!
– Dove siamo? – le domandò.
Sylviana s'appoggiò a uno degli armadietti e lo osservò tranquilla mentre s'infilava i pantaloni. – In un laboratorio clandestino del progetto Herakles – si rigirò una ciocca di capelli fra le dita – Non il principale: come sospettavano i nostri amici, la loro base è su Futuria.
– Arngeir?
Lei fece una smorfia.
– Thorn, vorrai dire. È un'ora che è chiuso nella sala computer a cercare di contattare i suoi compari senza riuscirci: a quanto pare, il tuo eroe Zero e la nostra piratessa bionda sono entrati in azione.
Il cuore di Ishikura diede un tuffo: avrebbe dato qualunque cosa per essere con loro in quel momento.
Combattere armi in pugno, a bordo d'un caccia spaziale o sul ponte di comando della Karyu faceva per lui molto più di quel gioco contorto fatto d'inganni, pugnalate alle spalle e subdole vendette.
E poi, adesso, non aveva davvero più nulla a legarlo alla Terra.
No, non devo pensare a lui, non adesso!
Infilò la maglia, si calcò in testa il berretto e allacciò la fondina.
La corrente saltò.
I generatori autonomi entrarono in funzione con un basso ronzio.
– Bene, Boy Scout: che tu sia pronto o no, è ora di battersela.
Le lampade d'emergenza sfarfallarono e li rischiararono con una luce fioca e lattiginosa.
– Come hai fatto?
Sylviana socchiuse la porta e sbirciò nel corridoio.
– È ovvio che ho un complice, genio – gli fece cenno di avvicinarsi – Il suo nome in codice è Ifiklìs. Senti, non abbiamo davvero tempo per le chiacchiere, ora: dovrebbe volerci un po' prima che i nostri amici trovino tutti i fili che lui ha tagliato o che qualcuno s'accorga che ho sabotato le telecamere di questo piano col giocattolino del tappo, ma è meglio se ce ne andiamo.
Ishikura la seguì fuori della sala operatoria, in un lungo corridoio illuminato qua e là dal debole chiarore delle luci d'emergenza.
Decine di porte uguali a quella che aveva appena otrepassato si susseguivano in tutta la sua lunghezza e lui si chiese cosa ci fosse al di là di esse, poi ricordò le foto e i filmati dell'irruzione nel laboratorio di Kurai.
Forse, era meglio non sapere.
Sylviana s'avviò a passo sicuro verso il fondo del corridoio, chiuso da una robusta porta blindata.
A circa metà percorso, entrarono in un cono d'ombra: lei gli afferrò la mano sinistra e gli strinse la punta delle dita.
– Attento. Passa sopra a questo tizio.
Il piede di Ishikura urtò contro il corpo inerte di qualcuno.
Lo scavalcò e continuò a seguire Sylviana in silenzio, la destra pronta a volare alla fondina, concentrato sui rumori e le voci che provenivano da quello che doveva essere il piano superiore.
Arrivarono senza incidenti davanti al portone e lei lo lasciò.
– C'è una scala non illuminata oltre questa porta – si chinò, estrasse qualcosa dalla tasca, lo attaccò al quadro della serratura elettronica e cominciò ad armeggiare – Ventuno scalini. Stretta e molto ripida. Ci sono un'altra guardia stesa a circa metà percorso e un'altra in cima. Vedi di non inciampare.
La porta s'aprì con uno scatto. La scala era davvero angusta, ripida e buia e terminava in un ambiente del tutto simile a quello dal quale erano appena usciti, anche se molto più piccolo: le stanze che s'affacciavano sul corridoio erano solo quattro e, almeno a giudicare dalla finestra alle loro spalle, il piano non era interrato.
Da una delle sale giungevano le voci concitate di diversi uomini, per lo più imprecazioni.
– Siamo quasi fuori – Sylviana richiuse la porta – Calati il berretto sugli occhi, seguimi e non dire una parola.
Si diressero verso l'uscita a passi veloci e misurati.
– Ehi, bellezza – un uomo vestito come lui fece capolino dalla stanza e li illuminò con una torcia proprio mentre Sylviana afferrava la maniglia – Dove te ne vai?
Sylviana si voltò.
– Io e il tuo socio andiamo a vedere cos'è successo: di sotto è saltato tutto e il Comandante è furioso.
– Anche qua non c'è corrente – grugnì l'uomo – Maledetti quadri elettrici dell'anteguerra... mai una volta che funzionino per ventiquattr'ore filate! Va bene, andate... e tu sorvegliala!
L'uomo gli puntò il raggio della torcia dritto in faccia e Ishikura si preparò a far fuoco, ma lui non urlò né lo aggredì: girò sui tacchi e rientrò nella stanza.
Ishikura tirò un sospiro di sollievo. Era convinto che lo avrebbe riconosciuto subito.
Sylviana aprì la porta e lui la seguì all'esterno.
Il freddo e l'umidità lo colpirono come una frustata.
Era già buio e c'erano una fitta nebbia e un gran silenzio: dovevano trovarsi in aperta campagna.
Si guardò intorno e le sue supposizioni ebbero conferma: l'edificio dal quale erano appena usciti era un bunker dei tempi della guerra e, di quelli, a Megalopolis non ce n'era più nessuno dal  bombardamento del sessantanove. Inoltre, non si vedevano luci di sorta e i soli rumori erano il gracchiare dei corvi e l'abbaiare di qualche cane in lontananza.
– E ora?
Sylviana s'inoltrò a passo spedito lungo un sentiero sterrato.
– E ora, se tutto è andato bene, Ifiklìs ci aspetta da qualche parte sulla strada principale, in una jeep col motore acceso e i fari spenti.
– Sei certa che ci si possa fidare di quel tizio? Lo conosci?
Sylviana si fermò, guardò di nuovo l'ora e accelerò il passo. Ishikura lo prese per un “no”.
– Magnifico – sbottò – Chi sei tu e che ne hai fatto della signorina tutti-hanno-un-prezzo-perciò-non-fidarti-di-nessuno e non-ci-devono-essere-segreti-fra-partner?
Lei ridacchiò.
– Che c'è, per caso sei geloso perché non t'ho rivelato il piano e ora m'affido a un perfetto sconosciuto?
.
– Io? Figuriamoci! È solo che potrebbe essere un'altra trappola!
– Ti sei fatto diffidente, eh, Boy Scout? – Sylviana guardò di nuovo l'orologio e aumentò il passo – Era ora! Comunque non credo: se Ifiklìs fosse davvero dalla loro parte, al tuo risveglio sarei stata stesa di fianco a te sul tavolo operatorio. Vedi, lui, io e la biondina abbiamo un accordo...
Il suono d'una sirena squarciò il silenzio della notte e il fascio d'un riflettore illuminò una larga porzione di terreno accanto a loro.
Sylviana sobbalzò.
– Maledizione! Si sono già accorti della nostra fuga!
Ishikura le afferrò un braccio e la trascinò fuori dal sentiero appena in tempo per evitare che il fascio di luce li investisse entrambi.
– Da che parte è l'uscita da questo posto?
– Ore due, diritto. Ci sono un cancello e un posto di guardia con un paio di sentinelle... o almeno c'erano quando siamo arrivati.
Ishikura cominciò a correre nella direzione che aveva indicato Sylviana, pronto a fare fuoco.
– Non si può passare da un'altra parte?
– No – ansimò lei – O almeno non credo: i muri sono troppo alti per scavalcare e forse anche elettrificati. E poi ci sono delle sentry-gun* piazzate in centro e agli angoli...
– Attenta – Ishikura la strattonò per evitare di nuovo la luce del riflettore, la trascinò dietro a un albero e s'appiattì contro di lei.
La sua pelle era calda, quasi bollente nel gelo umido della notte che calava e le sue morbide curve gli aderivano al corpo in maniera perfetta. Il suo respiro ansimante gli solleticava il collo, il suo odore le narici.
Che diavolo... no! Resta concentrato, resta concentrato...
Il fascio di luce s'allontanò e lui fece per staccarsi dall'albero, ma Sylviana lo attirò di nuovo contro di sé.
– Che...
Lei gli impose di nuovo il silenzio.
Il suono d'un motore sovrastò quello della sirena e le luci di due fari e un potente riflettore fendettero la nebbia.
Un gruppo di uomini a bordo di una jeep armata passò loro accanto, pistole e fucili in pugno, le espressioni tese. Uno di loro, il tizio che li aveva fermati sulla porta, era al mitragliatore e aveva l'aria davvero incavolata.
Ishikura fece un cenno a Sylviana e ricominciò a correre: avevano pochi secondi per attraversare quell'area prima che la luce del riflettore sul tetto del bunker la illuminasse di nuovo... e che s'incrociasse con quella che s'era appena accesa dove doveva trovarsi il posto di guardia.
Il terreno era viscido e fangoso, si incollava alle suole e pareva risucchiargli i piedi a ogni passo.
Il respiro si fece fuoco nella sua gola, le tempie cominciarono a pulsare più forte mentre correva, correva verso il piccolo gruppo d'arbusti che avrebbe concesso loro un temporaneo, debole riparo.
– Non ce la faccio più...
La voce di Sylviana gli arrivò appena.
Con la coda dell'occhio la vide barcollare, perdere l'equilibrio e cadere.
Rallentò e si voltò in attesa di vederla riemergere dalla nebbia.
Contò fino a cinque. Non riapparve.
Maledizione!
Tornò sui suoi passi, un occhio sul fascio di luce proveniente dal bunker e l'altro su quello proveniente dal posto di guardia.
La trovò ancora a terra, le mani strette attorno alla caviglia sinistra.
Stava per urlarle di tirarsi su, poi l'occhio gli cadde sui tacchi vertiginosi dei suoi stivali e si stupì che fosse riuscita a tenergli dietro fino a quel momento e a quell'andatura.
– Mi sono storta una caviglia. Va' via... me la caverò!
Le si accosciò davanti, le allentò lo stivale e la tastò.
– Non dire sciocchezze! Se rimani qui allo scoperto ti ridurranno a un colabrodo!
Lei gemette sotto la pressione delle sue dita.
– Ognuno per sé, Boy Scout – gli afferrò il polso e lo staccò dalla sua caviglia – È la regola!
Per tutta risposta, lui la tirò su di peso, la adagiaò sulla sua spalla destra e le passò il braccio attorno alle cosce.
– Forse fra le spie e i cacciatori di taglie, ma questo è un campo di battaglia – ghignò, senza motivo – Adesso si gioca con le mie regole... e nella Flotta Unita non lasciamo indietro nessuno.
– Non fare lo stupido – protestò lei da dietro la sua schiena – Non sono una tua...
– Braccio sinistro – tagliò corto lui.
Sylviana esitò un momento, poi distese l'avambraccio oltre il suo collo.
Ishikura le cinse il polso con la destra, fece un profondo respiro, si alzò e ricominciò a correre.
Con lei addosso era anche più faticoso di prima: la sua gola secca, la sua testa, il cuore, i polmoni, la spalla, le cosce e i polpacci erano tutto un fuoco, un martellare.
Le luci s'avvicinavano sempre di più, da entrambe le direzioni.
Gli sembravano velocissime, mentre il suo passo gli pareva lento come quello d'una tartaruga zoppa. Grugnì e accelerò il passo. Tante lucine tonde gli ballavano davanti agli occhi.
– Lasciami andare – Sylviana gli colpì la schiena con il braccio libero – Mettimi giù!
Si contorse nella sua presa e lo fece sbandare.
– Piantala, mi fai perdere l'equilibrio!
– Lasciami – la voce di Sylviana si ruppe – Non voglio... non di nuovo! Mettimi giù!
Il tono della sua voce rasentava l'isteria, i colpi erano sempre più forti, ma sferrati alla cieca.
Non sembrava nemmeno lei.
Che diavolo le prende?
Ishikura aumentò la stretta sul suo polso e sulle sue cosce.
– Smettila, stupida femmina isterica! Così ci farai ammazzare tutti e due!
Lei s'irrigidì, un tremito violentissimo la scosse. Gli si accasciò sulla spalla e cominciò a piangere.
Per lui fu uno shock: dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non fermarsi e continuare a fare attenzione a dove metteva i piedi.
Il cono d'ombra oltre la portata dei due fari era ormai vicino.
S'impose d'ignorare la stanchezza, le fitte al petto e alle gambe e correre ancora più forte.
Si buttò oltre l'intricata macchia di cespugli, rocce e arbusti giusto un attimo prima che le gambe gli cedessero e la sua visione si facesse nera.
Posò a terra Sylviana, si sedette e rovesciò la testa all'indietro, esausto.
Fra i suoi stessi ansiti, il battito del cuore che gli risuonava come un tamburo nella testa, il suono acuto e monotono della sirena e le voci agitate degli uomini di Thorn, continuava a sentirla singhiozzare.
– Si può sapere che diamine t'è preso? – le domandò, la voce arrochita dalla sete e dallo sforzo quando gli parve che fosse tornata un po' in sé e anche lui s'era ripreso abbastanza da non svenire.
Lei lo guardò con astio.
– Perché hai voluto fare l'eroe?
– Oh, è così che ringrazi chi viene a salvarti le chiappe, Mata Hari? – la scimmiottò in falsetto.
Lei non rise, né gli rispose per le rime come s'era aspettato.
– Non te l'ho chiesto... anzi, t'avevo detto d'andartene!
– Da quando sei un mio superiore? – nonostante lo sconcerto e l'interesse sincero sul perché della sua strana reazione, cominciava a irritarsi – Te l'ho detto: adesso si gioca con le mie regole... e io non abbandono i miei compagni.
– Io non ho compagni – di nuovo quella punta d'isteria nella voce – Sono solo un peso e non ne voglio: io lavoro da sola... chiaro?
– Come ti pare – lui allargò le braccia, spazientito – Ma non t'abbandonerò lo stesso.
– Sei testardo – Sylviana si sfregò gli occhi – Sei testardo come Stem... e lui è morto, alla fine... sono morti tutti!
– Tutti chi? – lo capì nello stesso istante in cui la domanda gli era uscita dalla bocca – Oh.
I suoi compagni. I Rosa Rossa.
– Già. Oh – commentò lei, asciutta – Se hai capito, non riprovarci: non voglio anche te sulla coscienza.
Ishikura sentì la rabbia sbollire.
Il senso di colpa dei sopravvissuti...
Era una sensazione che conosceva fin troppo bene e, per la prima volta, si sentì vicino a quella donna così diversa da lui.
Senza che lo volesse, la sua mente tornò indietro a quattordici anni prima, al caccia spaziale di Reyckhood che esplodeva davanti al suo durante le operazioni di difesa di Serraq, al suo corpo dilaniato e ricoperto di orribili ustioni tra le lamiere contorte e annerite.
Era stato il primo amico che aveva perso in battaglia e ancora adesso, a volte, il suo ricordo tornava a tormentarlo assieme alle solite, angoscianti domande: “perché lui e non io?” e “avrei potuto evitarlo?”.
Avrebbe voluto saperle dire qualcosa di saggio e rasserenante come riusciva sempre a fare il Capitano Zero in occasioni del genere, ma lui non era bravo coi discorsi, le lacrime delle donne lo mandavano sempre nel pallone e per di più non ne aveva il tempo.
Estrasse la pistola, controllò il livello di carica della cella, tolse la sicura e si sporse dal nascondiglio.
Il posto di guardia era a pochi metri da loro, un edificio cilindrico dall'aspetto tozzo e robusto, dotato di strette feritoie. Sul tetto, un paio di uomini manovravano il riflettore; in basso, almeno altri tre erano appostati all'interno, a giudicare dallo scintillio delle canne dei fucili e dal puntino rosso delle sigarette accese.
La jeep che era passata loro davanti era parcheggiata di traverso davanti al cancello, la mitragliatrice puntata sul sentiero.
Sul cassone e intorno a essa, almeno altri cinque uomini.
– Maledizione...
– Non riusciremo a uscire di nascosto, vero? – Sylviana estrasse le sue pistole e tolse la sicura.
– Non credo proprio. A meno che i nostri amici non siano tanto idioti da cascare nel vecchio trucco del “guarda là”, dovremo combattere. Siamo in rapporto di almeno cinque a uno. Come va la caviglia?
– Gonfia. Mi reggo in piedi e forse posso riuscire a camminare a ritmo sostenuto per qualche centinaio di metri, ma non a correre.
– Va bene – Ishikura inspirò a fondo e cercò di suonare rassicurante come gli avevano insegnato al Corso Ufficiali – Ascoltami: l'importante è che riusciamo ad arrivare a quella piccola depressione laggiù in fondo. La vedi?
Indicò un avvallamento del terreno poco distante dal posto di guardia e defilato rispetto alla jeep, forse ciò che rimaneva di una trincea mal riempita o di una fossa per i rifiuti.
Sylviana annuì.
– Faremo il giro largo e ci muoveremo bassi e ritmati, coprendoci a vicenda. Non c'è bisogno di correre: per fortuna c'è la nebbia e i nostri amici preferiscono girare quel maledetto riflettore attorno al sentiero... di certo non s'aspettano un attacco da quella direzione.
Sylviana lo guardò come se fosse ammattito.
– Un attacco? In due contro dieci e armati di tre pistole e un paio di granate?
– Fidati di me – le posò la mano sulla spalla – So quel che faccio.
– Lo spero.
Le passò un braccio attorno alla vita e la aiutò ad alzarsi; assunsero la posizione rannicchiata tipica dei soldati delle forze speciali in ricognizione e cominciarono a muoversi in un ampio semicerchio attorno al posto di guardia, bassi e cauti, alternandosi a coprire l'uno la schiena dell'altra.
Mentre il loro obiettivo si delineava pian piano davanti a loro, Ishikura continuava a ripetersi il vecchio adagio del suo istruttore: “Lento è cauto e cauto è veloce”.
Non ci aveva mai creduto granché e si era sempre chiesto perché dovesse imparare le tecniche di fanteria visto che in futuro avrebbe dovuto combattere nello spazio, ma doveva ammettere che, in quel momento, le interminabili marce e le strigliate del vecchio gli stavano salvando la pellaccia.
Arrivarono all'obiettivo senza scivolare nemmeno una volta e, soprattutto, senza farsi scoprire.
Si adagiarono nella fossa.
Ishikura aprì la bisaccia, consegnò la sua cella di ricambio a Sylviana e si mise in tasca le due granate.
– Cercherò d'arrivare sotto il tetto del posto di guardia e mettere fuori uso il riflettore – le sussurrò – Quando scoppierà la prima granata, mi servirà che tu t'assicuri che i due là in cima non sopravvivano e mi copra mentre faccio irruzione.
– E le guardie con la jeep?
– Da dove si trovano non possono spararti con il mitragliatore e nemmeno far luce sin qui: c'è il posto di guardia di mezzo. Saranno costretti a spostare il veicolo, o almeno è quel che spero che facciano, così da darmi il tempo di far fuori i loro colleghi là dentro. Quando arriveranno sarà un inferno, quaggiù: dovrai cercare di resistere fino a quando non dovranno ricaricare la mitragliatrice, poi ci penserò io con l'ultima granata.
– Ti rendi conto che se uno di noi dovesse sbagliare...
– Lo so – Ishikura si mordicchiò un labbro – Saremmo morti. Le granate sono contate, le munizioni poche e quei tizi non mi sembrano pivellini... ma non vedo altra scelta.
Lo sguardo di Sylviana si fece distante, come se stesse vagliando le varie possibilità.
Alla fine abbassò il capo.
– Va bene – sussurrò.
– Mi fido di te – Ishikura s'aggrappò al bordo della fossa e si voltò a guardarla – Buona fortuna.
– Anche a te – gli parve di sentirla mormorare – Sta'attento.
Si issò fuori della buca e s'avvicinò al posto di guardia.
Per fortuna, da dove si trovava, il muro lo copriva agli occhi delle guardie vicino alla jeep; quanto ai due sul tetto, tutta la loro attenzione era concentrata sul sentiero e sulle aree circostanti.
S'appiattì contro la parete, fece un respiro profondo, afferrò una delle granate dalla bisaccia e mise il pollice sulla leva di posizione. Tirò e girò l'anello della spoletta fino a rimuoverlo, contò fino a tre e lanciò.
I due tizi sul tetto urlarono qualcosa che si perse nel boato subito dopo.
Una pioggia di detriti gli cadde addosso e tutto intorno a lui si fece più buio.
Sylviana cominciò a sparare e qualcosa cadde a qualche metro da lui.
Non si voltò a guardare.
Dall'altra parte, gli giunse un rumore di urla concitate e qualche sparo.
S'appiattì contro il muro, pregò che la confusione durasse ancora un po' e che nessuno avesse la prontezza di spirito di tentare di accerchiarlo.
Fu fortunato; s'infilò all'interno della garitta senza essere notato e sparò. Le tre guardie non ebbero nemmeno il tempo di reagire e nessuno parve accorgersi di ciò che era successo, anche perché fuori s'era scatenato l'inferno.
Ishikura si sporse dalla feritoia e mirò agli uomini più vicini a lui.
Tre andarono giù quasi subito, non sapeva se per opera sua, di Sylviana o per il fuoco amico.
La mitragliatrice bersagliava senza sosta il piccolo avvallamento, sollevando zolle di terra e pietre, spezzando rami.
Resisti...
Il riflettore andò in frantumi e le sole luci a rischiarare la notte furono quelle dei fari e i lampi delle pistole e della mitragliatrice.
Resisti...
Ishikura guardò il nastro di munizioni che scorreva nelle mani del tizio al mitragliatore; era quasi alla fine.
Resisti ancora un po', ti prego!
Mise la pistola nella fondina e afferrò l'ultima granata che gli restava.
Si accoccolò contro lo stipite della porta e guardò fuori, nella notte rischiarata dagli spari.
Un'altra delle guardie cadde dal cassone della jeep, si contorse qualche istante e rimase immobile.
Strappò via l'anello e cominciò a contare, il cuore che gli martellava nel petto.
Uno, due, tre...
La mitragliatrice s'azzittì e lui si lanciò fuori.
Quattro, cinque, sei...
L'uomo che stava cercando di aiutare il mitragliere a ricaricare fu colpito alla testa e cadde.
Sette, otto, nove... dieci!
Lanciò la granata e si gettò a terra.
– Tu... – il mitragliere lasciò il nastro, estrasse la pistola e fece per saltare giù dal mezzo.
La mano di Ishikura volò alla fondina. Un lampo squarciò il buio della notte e lo accecò, un boato tremendo gli ferì i timpani e zolle di terra e sassi gli piovvero addosso da tutte le direzioni.
Un fumo acre e denso gli riempì le narici e i polmoni, qualcosa lo colpì alla tempia.
Un altro lampo e tutto diventò nero e silenzioso.
Quando si riprese, gli fischiavano le orecchie. Qualcuno lo stava strattonando per il braccio.
Aprì gli occhi e vide Sylviana.
Muoveva le labbra, ma lui non la sentiva.
Temette d'esser diventato sordo.
– … bene? Ce la fai ad alzarti?
– Sì – Ishikura tirò un sospiro di sollievo, si sfregò gli occhi e le porse la mano – Ma smettila di scuotermi: mi fanno male persino i capelli!
Lei lo aiutò a rialzarsi e solo allora si rese conto di essere disteso in un mucchio di terra e detriti che lo ricoprivano quasi del tutto; la jeep era a pezzi e avvolta dalle fiamme.
– Dobbiamo sbrigarci – Sylviana gli passò un braccio sotto l'ascella – Ne stanno arrivando altri.
– Ce la fai a scavalcare il cancello?
–  No – lei fece una smorfia e sollevò il suo ciondolo – Ma ho chiamato Ifiklìs, arriverà a momenti.
– Perché mi hai tirato fuori da quel laboratorio? – le domandò.
Di certo, abbandonarlo al suo destino, aiutare Ifiklìs a fare ciò che doveva e fuggire con lui sarebbe stato più sicuro e conveniente per lei, sotto ogni aspetto.
– E tu perché sei tornato indietro a riprendermi?
La luce di due fari li abbagliò, ci furono uno schianto e un forte rumore di ferraglia.
Ishikura sbatté le palpebre. Un fuoristrada dell'esercito era fermo di traverso davanti a lui e a Sylviana. La portiera si spalancò.
– Ifiklìs?
L'uomo alla guida annuì.
Ishikura afferrò Sylviana, la issò all'interno e salì a sua volta.
Non era il momento di esitare: ovunque li avesse portati quel tizio, non poteva certo esser peggio del posto dal quale erano appena fuggiti.
– Era ora – Ifiklìs pigiò sull'acceleratore e si esibì in un'inversione a u e una partenza degne di un pilota professionista... o di un pazzo – Cominciavo a temere che voleste rimanere qui a prendere un The con le guardie.
Ishikura si voltò verso di lui proprio mentre il fuoco dell'auto in fiamme gli illuminava il viso.
– Tu saresti... Ifiklìs?



* Una sentry gun è un'arma che rivela tramite sensori il suo obiettivo e automaticamente fa fuoco contro quest'ultimo.

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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 31
*** Kenzo Kurai ***


cap 8 Zero avanzò fra la polvere e il fumo, la mano di Mayu stretta nella sinistra e l'impugnatura del fucile nella destra, pronto a far fuoco al minimo cenno di pericolo.
Si guardò intorno. Il laboratorio, il cuore della base nemica, era la riproduzione della sala computer dell'Arcadia, solo più ampia... e bianca, bianchissima. Le pareti, il pavimento, i pannelli che ricoprivano i macchinari e persino il grande computer che occupava il centro della stanza erano candidi come la neve e illuminati dalla luce fortissima di decine di faretti.
Dopo l'oscurità delle altre stanze e del corridoio, tutto quel bianco e quella luce abbacinante gli ferirono gli occhi.
Anche il camice dell'uomo che venne loro incontro era candido, immacolato.
Zero serrò un poco le palpebre e lo guardò in faccia.
Basso, tozzo e occhialuto, una zazzera di capelli castani che gli ricadeva fin quasi sulle spalle e un gran naso a patata; una chiostra di denti enormi, squadrati e bianchissimi fece la sua apparizione quando schiuse le labbra e gli sorrise.
Zero si sentì come se qualcuno gli avesse dato un pugno nello stomaco: gli mancò il respiro e la voce gli uscì in un sussurro roco.
– To... Tochiro?
Ancora stretta nella sua, la mano di Mayu tremò.
L'uomo fece un gesto vago.
– In un certo senso
anche la voce era quella di Tochiro Il mio corpo e una parte della mia mente.
Avanzò ancora di qualche passo e appoggiò una mano su uno dei pannelli inferiori del computer.
– Quella che mi ha permesso di costruire questo.
La mano di Mayu scivolò via dalla sua e Zero si voltò a guardarla: nell'espressione tesa e furibonda che s'era dipinta sul suo volto dai tratti delicati rivide la grinta di Emeraldas.
– Non è possibile – gli puntò addosso il fucile – Mio padre è morto che non avevo neanche un anno!
–  Una sindrome spaziale incurabile, già – l'uomo annuì e allargò le braccia, lo sguardo triste dietro le lenti spesse – Che tu ci creda o no, mi spiace davvero per te, Mayu. Su, abbassa quell'arma... e lo faccia anche lei, Capitano. Vi spiegherò tutto e spero che alla fine comprenderete quanto ciò che ho fatto sia stato necessario e inevitabile, viste le circostanze.
– Ciò che ha... – le implicazioni di quella frase colpirono Zero con la stessa forza del suo aspetto e lo fecero fremere, stavolta di rabbia – Ma allora, lei è...
– Kenzo Kurai – confermò l'uomo con un cenno.
Era talmente assurdo che per un po' la mente di Zero si rifiutò di prendere atto della realtà: il Professor Kurai, il responsabile del Progetto Herakles, lo scienziato fuggiasco che da anni tutte le forze di polizia e gli eserciti di tutto l'universo conosciuto braccavano per i suoi atroci crimini gli stava davanti... con l'aspetto e la voce di uno dei suoi più cari amici.
Gli s'avvicinò d'un passo, senza abbassare la guardia.
– Allora, in nome del Governo Federale Terrestre, la dichiaro in arresto per crimini contro l'umanità, Professore – gli annunciò, secco – Faccia cessare ogni attacco contro i miei uomini e mi segua sulla mia nave senza opporre resistenza.
Kurai fece una breve, amara risata; quella, almeno, diversa da quella di Tochiro.
– Ma non si rende conto di quanto sia assurdo tutto questo, Capitano? Noi stiamo dalla stessa parte. Dovremmo essere alleati, persino amici...
Zero sentì la rabbia montargli dentro, implacabile.
– Amici? – ruggì – Dovrei essere amico di qualcuno che ha fatto esplodere una colonia piena di persone che cercavano solo una vita migliore? Di qualcuno che ha reso un mio vero amico una marionetta senz'anima e l'ha spedito ad assassinare dei ragazzi che ama come fratelli? Di qualcuno che sta infangando la memoria di un altro mio amico davanti a sua figlia?
Sollevò il fucile e glielo puntò contro.
Kurai allargò le braccia e sospirò.
– Orribile, ne convengo – lo fissò dritto negli occhi – Ma il fine giustifica i mezzi, e le assicuro che il mio fine è nobile, Capitano.
– Un fine nobile si deve raggiungere con mezzi nobili, altrimenti diventa ignobile come il mezzo. E adesso basta chiacchiere e mi segua, Kurai.
– No. Prima ascoltatemi – li guardò accorato da dietro le lenti spesse – Tutti noi abbiamo conosciuto il dolore di perdere i nostri cari senza poter fare nulla. Io e lei durante quell'orribile bombardamento, Capitano, tu prima ancora di poter imparare a camminare, piccola. Bambini obbligati a crescere senza l'amore dei genitori, persone che si amano separate per sempre, padri che seppelliscono i loro figli... c'è niente di più triste?
Per l'ennesima volta, la mente di Zero tornò alla fine della battaglia presso la Luna.
Rivide le navi meccanoidi oltrepassare la Karyu e sfrecciare tra i relitti dei caccia e i cadaveri smembrati che fluttuavano nello spazio a perdita d'occhio, rivide il suo bel pianeta azzurro prendere fuoco sotto le bombe, ritornò fra le rovine, il fumo e la polvere, in mezzo ai pianti e alla rabbia dei sopravvissuti... e davanti al cratere fumante che era stato casa sua.
Ripensò a suo figlio, morto prima ancora che potesse dargli un nome e tenerlo fra le braccia.
Strinse il pugno sino a conficcarsi le unghie nel palmo e tornò a fissare il Professore.
Kurai era un ottimo oratore, convincente, incisivo; aveva difeso a spada tratta le sue idee all'epoca dei dibattiti con il Comitato Etico Scientifico e il solo Daiba era riuscito a tenergli testa.
Non devo lasciarmi imbambolare!
– È orribile perdere i propri cari come è successo a noi – il Professore s'aggiustò gli occhiali – Tutto ciò che desidero, tutto ciò che ho sempre desiderato è che nessuno debba mai più provare un dolore simile, Capitano. Io voglio proteggere l'umanità, impedire che altri bambini rimangano orfani e che i nostri figli siano costretti a vivere gli orrori che avete vissuto lei e i suoi commilitoni durante la guerra...
– Già – tagliò corto Zero, sdegnato – Al prezzo della vita e della libertà di altri uomini. Ricordo cosa fece ai cloni di quel povero ragazzo, Kurai, ho sentito cosa ha fatto a quelli di tre degli ex membri dell'equipaggio di Harlock... e ho affrontato Harlock stesso – sollevò il pugno ferito, una furia selvaggia e amara che gli montava dentro e che non sapeva se sarebbe riuscito a contenere – Non glielo posso perdonare. Erano esseri umani come noi... come ha potuto?!
Kurai si sistemò il colletto del camice.
– I cloni non sono che semplice DNA se non viene trasferita loro tutta l'essenza dell'originale. Non è stato fatto né con quelli del primo Herakles né con quei tre e, a ogni modo, quelli non erano mie creazioni: l'idea è stata dei miei collaboratori sulla Terra, per proteggerci da quella banda di pirati.
Zero lo guardò negli occhi: non un barlume d'incertezza o rimpianto.
Crede davvero a ciò che sta dicendo.
Ripensò all'uomo senza nome di quel filmato, alle fotografie delle autopsie del Dottor Ban e allo sguardo vuoto di Harlock. Un brivido gli corse lungo la schiena.
Kurai si passò una mano nei capelli.
– Non uso più cloni umani da tempo, ormai: troppo instabili. Per quanto si cerchi di limitarla o inibirla, la mente d'un essere umano sviluppa sempre una personalità che cerca d'emergere e affermarsi su quella che la dovrebbe controllare, anche dopo molto tempo. E alla fine trova sempre un modo. È stato un duro colpo scoprirlo, sa? Nessuna speranza di far funzionare uno di quei chip su un essere umano senza il rischio di una crisi di rigetto nei momenti meno opportuni... 
Il pugno di Zero tremò.
– E nonostante ciò è andato avanti?
– Stavo per rinunciare, tempo fa. Ma poi qualcuno mi convinse a non mollare, mi fornì uomini, mezzi, denaro...
– Chi?
Zero gli spinse la canna contro il petto. Kurai indietreggiò.
– Non c'è bisogno di ricorrere alla violenza, Capitano. Io non lo sto facendo, non sono nemmeno armato. È un suo superiore, si chiama Arngeir.
Zero ricordò le parole di Ifiklìs e il respiro gli si mozzò in gola.
–  Sven Arngeir? Il Comandante delle Operazioni Spaziali?
Allora è davvero coinvolto in tutto questo!
Kurai gli fece un cenno affermativo.
– Mi propose un patto: il suo aiuto nel fornirmi informazioni e tracciati neurali su cui lavorare, quello di Matia per quanto riguardava la tecnologia meccanoide dei chip e quello di Lia nel progettare e mettere a punto la Nèmesis in cambio del mio nell'aiutare loro due e un'altra persona a vendicarsi di un uomo che aveva rovinato le loro vite...
– Harlock – concluse per lui Mayu, gli occhi lucidi ma la voce ferma – È per questo che ha assunto l'aspetto di mio padre, vero?
Kurai si tolse gli occhiali, pulì le lenti con un lembo del camice e li guardò entrambi.
– Sì. Coglierlo di sorpresa con la vista dei suoi più cari amici, tali e quali a come li aveva visti l'ultima volta, era il solo modo per catturarlo vivo, a detta di Lia, ma non solo: le conoscenze e i ricordi di Tochiro Oyama ci servivano per completare il progetto della Nèmesis, quello di questo macchinario e per la procedura di trasferimento dei tracciati neurali – abbassò lo sguardo – Inoltre, a me serviva un corpo giovane e sano, o non sarei vissuto ancora a lungo.
– Si è servito di uno di quei mutaforma, vero, Professore?
Kurai la guardò sorpreso.
– Sei intelligente, piccola – sorrise, le si avvicinò e tese la mano per accarezzarle i capelli – La parte di Tochiro Oyama che è in me ne è fiera.
Qualcosa, in Zero, scattò a quel gesto e a quelle parole.
Si mise fra di loro e schiaffeggiò la mano di Kurai, furioso come non si sentiva da tempo.
– Non lo dica mai più – ringhiò – Non osi mai più dire di avere una parte di Tochiro in lei! Era un uomo buono, sensibile e amante della vita, uno scienziato pieno d'ideali che sognava di vivere libero insieme al suo migliore amico, a sua figlia e alla donna che amava! Non avrebbe mai compiuto le nefandezze che ha compiuto lei, nemmeno se ne fosse andato della sua stessa vita!
– E che cosa ha ottenuto, coi suoi scrupoli? – Kurai lo guardò triste – È morto. Ha spezzato il cuore della donna che amava, reso orfana sua figlia e quanto al suo amico... bé, se le raccontassi in che stato era quando l'abbiamo catturato, mi ringrazierebbe.
– Ringraziarla? Di averlo reso uno schiavo e un assassino senz'anima? – Zero lasciò che il fucile gli ricadesse a tracolla e lo afferrò per il colletto – Di avergli tolto tutto ciò che lo rendeva lui? Ma si rende conto di cosa gli ha fatto, Kurai, di cosa ha fatto a tutte le persone che lo amano?
Kurai non si scompose. Afferrò i polsi di Zero e sostenne il suo sguardo.
– Gli ho salvato la vita – fece forza sulle sue dita, senza riuscire a liberarsi – Quell'uomo aspettava solo la morte, sa? La desiderava, la cercava addirittura... E tutte le persone di cui parla, tutti questi amici, dov'erano mentre vagava per il cosmo perso nella sua disperazione?
– Che diavolo sta dicendo? – Zero aumentò la stretta e torse il tessuto del camice intorno al suo collo – Harlock disperato? Mi sta prendendo in giro?
– Sono stato del tutto sincero sinora, Capitano. Mentire non mi porterebbe alcun vantaggio. Lo giuro sulla memoria dei miei figli: il suo amico era sull'orlo del baratro.
Zero rimase spiazzato da quelle parole.
Tochiro, il vero Tochiro, gliel'aveva detto, nella sala computer dell'Arcadia.
Ricordò quel discorso senza parole, fatto di pure sensazioni.
Risentì sulla sua pelle, nel profondo del suo animo, la stanchezza di un'anima umana prigioniera in un computer da ormai quattordici anni; provò l'angoscia e il dolore di Harlock alla prospettiva di perdere un'altra volta il suo più caro amico e, di nuovo, si sentì sconvolto, turbato nel profondo... e incredulo.
Aveva sempre pensato che Harlock fosse molto diverso da lui: una roccia, un uomo risoluto ed energico, capace di superare ogni difficoltà e ogni dolore senza tremare né versare una sola lacrima.
O forse mi faceva comodo crederlo, avere questa immagine di lui.
– Comunque non era una buona ragione per trasformarlo in una delle sue marionette –  Zero lo scrollò nel tentativo di scacciare la tristezza e il senso di colpa con la rabbia – Fosse anche stato sul punto di suicidarsi...
– Oh, non l'avrebbe mai fatto – Kurai lo fissò – È  troppo orgoglioso per fare qualcosa che si possa paragonare a una fuga, anche solo alla lontana. Comunque, io e i miei compagni gliel'abbiamo impedito.
– Lo avete costretto a una vita peggiore di centomila morti per uno come lui, se ne rende conto?
– Al contrario – Kurai sorrise – Gli abbiamo dato ciò che desiderava, lo abbiamo tenuto al sicuro...
– Al sicuro? – Zero ghignò truce – Mandandolo ad assassinare gente come me, Tadashi Daiba e Yuki Kei? Ha uno strano concetto di sicurezza, Kurai.
– Nessuno di voi l'ha affrontato per davvero, Capitano.
– E quello con cui ho duellato su Heavy Meldar chi era, allora? – esplose Zero – Aveva il suo aspetto, la sua voce, combatteva come lui, si ricordava di una promessa che ci eravamo scambiati quattordici anni fa e persino di come bevo il Barbour! Basta con le prese in giro e gli indovinelli, Kurai, basta!
Lo sollevò da terra, accecato dall'ira.
Strinse ancora più forte il tessuto attorno al suo collo, proprio sulla trachea, con la ferma intenzione di strangolarlo.
Una parte di lui, il razionale, freddo ufficiale della Flotta Unita, sapeva di sbagliare: quel pazzo criminale doveva rispondere dei suoi delitti, certo, ma davanti a un tribunale.
L'amara verità, però, era che quella parte era debole in quel momento: più pensava ad Harlock, al giovane, scanzonato pirata pieno di sogni e speranze che aveva conosciuto un tempo, più sentiva la furia omicida salirgli su per il petto, fluire lungo le braccia, rendere d'acciaio le sue dita.
Le sue mani tremavano, così come tutto il suo corpo, ma stringevano sempre di più la presa attorno al tessuto del camice e alla gola del Professore.
Kurai stese un braccio verso di lui, il volto cereo, le labbra blu.
Provò a dire qualcosa, ma il solo suono che riuscì a emettere fu un gorgoglio soffocato.
Zero gli serrò la gola ancora più forte.
Non voleva sentire, non voleva sentire più niente... e non voleva più vedere quell'insulto alla memoria di Tochiro.
Un rantolo.
E un tocco caldo sul suo polso, una mano minuta, avvolta in un guanto macchiato di polvere e sangue.
– Lascialo, Zero – la voce di Mayu – Deve dirci dove si trova Harlock, come liberarlo dal controllo mentale... e poi, per quanto male gli abbia fatto, per quanto ne abbia fatto a tutti noi, questo non è giusto, lo sai.
Lo sguardo dei suoi grandi occhi castani gli fece l'effetto d'una doccia gelata.
Come il rumore metallico che risuonò all'improvviso nella sala: quello di una pistola laser che veniva caricata.
– Dalle retta, Zero – una voce bassa e decisa, una voce che conosceva – Lascialo andare.
Emeraldas emerse da dietro il computer e mosse alcuni passi verso di loro, l'arma in pugno e il bel volto sfregiato chiuso in un'espressione indecifrabile.
– Sparami pure, se vuoi – Zero si mise davanti a Mayu e sollevò Kurai di fronte a sé in modo che il suo corpo stesse fra di loro e la traiettoria del laser.
– Non sei il tipo da farsi scudo con una persona inerme, Zero – un lieve, gelido sorriso increspò le labbra di Emeraldas.
– Mettimi alla prova – le ringhiò.
Se Emeraldas avesse ucciso il Professore, forse il controllo mentale a cui di certo anche lei era sottoposta si sarebbe interrotto, ma anche ammesso che ciò non succedesse e che lui stesso morisse colpito dal laser, Mayu sarebbe stata al riparo e avrebbe avuto tutto il tempo di fuggire, chiamare rinforzi o addirittura renderla inoffensiva.
Era una ragazza intelligente e coraggiosa; Zero non dubitava che ce l'avrebbe fatta.
Emeraldas si guardò attorno, fissò prima lui e poi Kurai.
Aggrottò la fronte, appoggiò il dito sul grilletto.
Il cuore di Zero comincò a battere più forte, ma lui lo ignorò. S'impose di rimanere immobile, di non distogliere lo sguardo.
Emeraldas abbassò la pistola.
Zero rilassò le spalle e allentò un po' la stretta intorno al collo di Kurai.
Accennò con capo alla pistola.
– Buttala.
Fu un attimo.
Kurai respirò a fondo e cercò di sferrargli una gomitata; non ci riuscì, ma il movimento lo sbilanciò e per qualche frazione di secondo perse il controllo della situazione.
Emeraldas mosse il braccio e fece fuoco, così in fretta che non sembrò nemmeno prendere la mira.
Il ginocchio sinistro di Zero cedette di colpo, un dolore acuto e bruciante gli serpeggiò lungo tutta la coscia e lo stinco. Un grido di dolore gli sfuggì dalle labbra e finì a terra.
Kurai si liberò dalla sua presa e rotolò di lato, scosso da violenti colpi di tosse.
Da qualche parte dietro di loro partì uno sparo.
– Mayu – Zero urlò con tutto il fiato che aveva in corpo – Mettiti al riparo!
Estrasse la pistola dalla fondina, afferrò Kurai per il camice, lo strattonò verso di sé e si guardò attorno in cerca di Emeraldas.
Era già dietro di lui, la pistola puntata alla tempia di una Mayu disarmata, col braccio destro bloccato dietro la schiena.
Una goccia di sudore scese lungo la guancia della ragazza e anche Zero si sentì mancare la terra sotto ai piedi. Emeraldas armò il cane.
– Lascialo o la uccido
Zero rimase immobile, sconvolto dalla scena che aveva davanti.
– Emeraldas – boccheggiò – Ti prego... è tua figlia! Tua e di Tochiro!
Lo sguardo degli enormi, sconvolgenti occhi azzurri di Emeraldas si puntò in quelli di Mayu e Zero trattenne il respiro.
– Io non ho figli – Emeraldas tornò a guardare verso di lui – Lascialo.
Mayu chiuse gli occhi ed emise un lungo respiro tremulo.
Zero si sentì spezzare il cuore e sopraffare sempre più dalla collera.
Prima Harlock, l'uomo che s'era preso cura di lei per metà della sua vita, e adesso Tochiro ed Emeraldas, i suoi veri genitori... poteva solo immaginare la sofferenza di quella ragazzina nel vedersi strappar via così persino la dolcezza del loro sbiadito ricordo.
– Emeraldas, ti prego...
– È inutile – tossì Kurai – Lei è un Herakles la cui memoria è derivata dall'unico tracciato neurale di Emeraldas in possesso del Ministero della Difesa Terrestre, un vecchio file registrato molto prima che Mayu nascesse. Non può ricordarsi di lei... e in ogni caso non avrei mai trasferito in uno dei miei soldati sentimenti del genere.
Già, Zero si morse il labbro fino a farlo sanguinare, Sono solo inutili ostacoli, per te...
Il dito di Emeraldas si posò sul grilletto.
– È il mio ultimo avvertimento
Zero la guardò: su quel bellissimo viso era dipinta la stessa espressione fredda e distante con cui Harlock lo aveva fissato nella Valle della Morte mentre gli puntava la pistola alla fronte.
Avrebbe sparato, ne era certo.
Si tirò in piedi a fatica, con Kurai ben stretto per la collottola.
– È solo per lei che non l'ammazzo – gli sussurrò.
Guardò Emeraldas.
– Al mio tre. Uno. Due... Tre!
Diede una spinta a Kurai ed Emeraldas fece lo stesso con Mayu.
Zero le afferrò il polso, la tirò a sé e la strinse contro il suo petto mentre puntava l'arma contro Emeraldas e il Professore.
Erano in una situazione di stallo: lui e Mayu erano in due, ma Emeraldas era veloce e forte come quattordici anni prima mentre lui era ferito a una gamba e Mayu disarmata e troppo inesperta per un'avversaria del genere. Senza contare che tremava come una foglia.
– Adesso che gli animi si sono un po' calmati – Kurai si massaggiò la gola – Possiamo riprendere il discorso, vero? Che ci crediate o no, non voglio la vostra morte e se lei mi avesse lasciato parlare, Capitano, le avrei detto che non voglio nemmeno quella di Harlock. L'uomo che è stato mandato ad assassinare Daiba e la Kei, quello che lei ha affrontato su Heavy Meldar, non era altro che il suo DNA e parte del suo tracciato neurale – fece scorrere tra le dita tozze una ciocca dei lunghi capelli rossi di Emeraldas – Proprio come questa splendida creatura.
– Uno Shòu stabilizzato e impiantato – Mayu staccò il viso dal petto di Zero, la voce appena un sussurro.
– Esatto. L' Herakles perfetto, il mio capolavoro, oserei dire. Matia, Arngeir e il loro capo avrebbero voluto installare il chip direttamente nel cervello di Harlock, ma il problema delle crisi di rigetto era irrisolvibile, così ho convinto tutti loro ad adottare lo stesso procedimento con cui ho creato la mia Emeraldas e ottenuto questo corpo. Con le conoscenze di Matia e di Tochiro, estrarre il suo tracciato neurale attuale, selezionare ciò che serviva al nostro scopo  e trasferirlo nel nostro Herakles è stato uno scherzo. Mi duole ammetterlo, ma già quattordici anni fa quell'uomo era anni luce avanti a me nello studio del cervello umano e della trasformazione dei suoi impulsi elettromagnetici in veri e propri files. Era un autentico genio.
Il cuore di Zero mancò un battito al ricordo delle parole di Maji: "A meno che non siano riusciti ad adattare il chip a un cervello umano non meccanizzato o a modificare i cloni in modo che il loro cervello regga così a lungo... Nel qual caso, chissà lui che fine ha fatto... forse quella dei poveri Taro e Kiddodo... ".
– Cosa ne avete fatto di Harlock?
– Prima metta via quell'arma, Capitano – Kurai lo guardò trionfante. Lo aveva in pugno, e lo sapeva – Avanti, sia ragionevole.
Zero spostò lo sguardo da lui a Emeraldas, incerto.
Non si fidava di quell'uomo e quella donna, o meglio, quell' Herakles, gli dava i brividi.
Strinse le dita attorno all'impugnatura della pistola, diede un leggero colpetto alla schiena di Mayu e sperò di riuscire a comunicarle le sue intenzioni.
Le sorrise rassicurante.
Puoi farcela...
Accennò con la coda dell'occhio in direzione della porta mentre scivolava piano davanti a lei.
Devi andartene da qui! Corri, cerca gli altri!
Lo sguardo di Mayu si spostò dal suo viso alla stoffa intrisa di sangue dei suoi pantaloni ai suoi occhi, fermo nonostante il lieve tremito che ancora agitava le sue membra.
Scosse la testa in maniera impercettibile e serrò la mano attorno al bavero della sua giacca.
Kurai rise.
– A quanto pare la piccola è temeraria e cocciuta almeno quanto lei, Capitano – Zero sussultò – Ad ogni modo, non sareste riusciti a uscire di qui. E nessun altro entrerà... non a breve, almeno.
Il Professore tirò fuori dalla tasca del camice un telecomando e premette un pulsante.
Con un gran fragore metallico, una pesante saracinesca si abbatté al suolo proprio dietro di loro.
– E adesso, per l'ultima volta, buttate le armi. Lo ripeto: non ho cattive intenzioni. Le azioni orribili che sono stato costretto a compiere erano volte a un fine nobile, pieno d'amore...
Zero si guardò attorno, frenetico.
Nessun'altra uscita visibile, pareti e pavimenti lisci, spogli e privi di rientranze, luce ovunque e al centro della sala solo quell'enorme computer dietro il quale non ci si sarebbe potuti riparare e sul quale non si sarebbe potuto far fuoco senza il rischio di provocare un'esplosione o un rovinoso blackout in tutta la base.
E poi lei, pericolosa quanto l'arma che stringeva fra le dita, forse addirittura di più.
Zero sospirò e fece un passo avanti.
Rimise la sicura alla pistola, la gettò a terra e con deliberata lentezza si fece passare la cinghia del fucile d'assalto attorno al collo. Lo lasciò cadere ai piedi di Kurai.
Mayu lo imitò in silenzio, gli occhi fissi su quelle due oscene, distorte copie dei suoi genitori.
Chissà cosa prova, quando li guarda...
Lui si sentiva rivoltare lo stomaco.
– Bene – i piccoli occhi nocciola di Kurai scintillarono – E ora, come segno della mia buona volontà, vi dimostrerò che non v'ho raccontato frottole e che non sono il mostro che tutti dipingono. Seguitemi.
Li guidò dietro al computer e premette un tasto sul pannello candido che ne ricopriva la base. Uno sportello si aprì rivelando un enorme schermo e una console.
Le dita corte e tozze di Kurai volarono sulla tastiera a una velocità tale che Zero non poteva cogliere le lettere o la composizione dei codici che lui digitava.
Con un basso ronzio, due porte scorrevoli s'aprirono sul pavimento e un pannello sulla parete di fronte rivelò un altro schermo.
Sul quadrante inferiore, una linea scorreva adagio piegandosi in punte e onde d'altezza e distanza regolari: la rappresentazione grafica di un elettroencefalogramma.
Sotto di esso, si susseguivano in continuo aggiornamento dati come pressione arteriosa, frequenza cardiaca e respiratoria, temperatura corporea, ossigenazione sanguigna e glicemia.
I parametri vitali di un essere umano.
Zero deglutì, a vuoto.
Che sia...
Mayu gli strinse di nuovo la mano, così forte da fargli male alle dita.
Lui ricambiò la stretta, la gola secca e il cuore che batteva sempre più forte, incapace di staccare gli occhi dalla capsula che emergeva pian piano dal pavimento candido.
Attraverso il coperchio trasparente e la fitta condensa che lo ricopriva, s'intravvedeva il vago profilo di un uomo sdraiato al suo interno.
La salita si arrestò e la botola si richiuse.
Zero s'avvicinò, si tolse il guanto e appoggiò la mano sul cristallo tiepido e imperlato di gocce.
Si voltò a guardare Kurai, che gli fece un cenno affermativo, e poi Mayu, ancora aggrappata alla sua mano, gli occhi appannati dalle lacrime.
Fece un respiro profondo e passò la mano sul vetro; la condensa che lo ricopriva  svanì sotto al suo tocco; piccole gocce trasparenti rotolarono giù e caddero sul pavimento senza il minimo rumore.
Sentì il singhiozzo soffocato di Mayu come da una grande distanza mentre fissava il volto dall'altra parte del vetro e affetto, rabbia, preoccupazione e tristezza gli sconvolgevano cuore e mente.
La voce gli uscì in un sospiro roco.
– Che cosa gli avete fatto, Kurai?



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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 32
*** La mano tesa e la mano tremante ***


cap 8 Yuki si sfregò gli occhi col dorso della mano destra e fletté le dita della sinistra, gelide sotto il guanto macchiato di sangue.
La Cosmo Gun giaceva a terra dietro di lei, ma le sembrava di sentire ancora il contatto dell'indice di Tadashi premuto sul grilletto sotto al suo.
Ho ucciso il Capitano.
Un brivido la scosse dalla testa ai piedi e Tadashi l'attirò più vicina.
Non desiderava altro che rimanere lì, stretta fra le sue braccia a versare tutte le sue lacrime, ma non era il momento, non era il luogo.
Sono io il Capitano.
Là fuori era in corso una battaglia, su Futuria Zero e i suoi potevano aver bisogno d'aiuto, dalla Terra Ishikura o Sylviana avrebbero potuto contattare l'Arcadia in qualunque momento, doveva far venire lì Yattaran, chiamare Maji, mettere in sicurezza la nave... e Lia e Tadashi avevano bisogno urgente di cure.
Fece un respiro profondo, si staccò da Tadashi e lo guardò: era pallido e scosso da un tremito convulso. Una ciocca di capelli intrisa di sangue gli ricadeva sull'occhio sinistro, ma lui non sembrava nemmeno rendersene conto.
Yuki la scostò: sulla tempia, dove il colpo di Harlock lo aveva sfiorato, spiccava un profondo taglio contornato da pelle ustionata e capelli bruciati.
Lui trasalì al suo tocco e la guardò come se si fosse appena risvegliato da un incubo. Spostò lo sguardo da lei alla figura di Harlock, immobile sul pavimento. Spalancò gli occhi e due grosse lacrime gli scavarono solchi più chiari sulle guance macchiate di sangue rappreso. Schiuse le labbra come per dire qualcosa, ma il solo suono che ne uscì fu un mugolio inarticolato che si concluse con un singhiozzo.
Yuki si sentì stringere il cuore: aveva cercato di essere forte, di proteggerla dai nemici e dalla sofferenza anche a costo di calpestare i suoi stessi sentimenti, anche a costo della vita... e ora che era tutto finito e non c'erano più speranze di salvare il loro amato Capitano, stava per crollare.
Come lei, del resto.
L'incavo della sua spalla era lì, invitante, le sue braccia la stringevano ancora, calde, forti... vive.
No, non posso. Non adesso. Lui non lo vorrebbe.
Chiuse gli occhi e rivide Harlock tenderle la mano per incoraggiarla ad affrontare la sua paura del vuoto, risentì la sua voce che la incitava ad affrontare la vita con coraggio.
Ora tocca a me tendere la mano, essere una guida e un sostegno... giusto, Capitano? Nei suoi ricordi, Harlock le sorrise orgoglioso mentre le loro dita si intrecciavano e lei lo raggiungeva in quell'oscurità puntinata di luci lontane che già cominciava a farle meno paura: un ultimo incoraggiamento, una benedizione e un addio.
Ho capito.
Un lieve sorriso le increspò le labbra: quel dolce ricordo del passato e la forza per affrontare il presente e il futuro con coraggio erano i suoi ultimi doni; che potesse riceverli e trovare la sua strada, forse, era sempre stata la sua speranza.
Li accetto con tutto il cuore, Capitano. E ti prometto che questo piccolo uccello continuerà a volare, qualunque cosa accada.
Lasciò che un'ultima lacrima le solcasse il viso.
Grazie... 
Quando le cadde giù dal mento, aprì gli occhi.
Addio.
Si sentiva calma, sicura, adesso.
Sapeva che non sarebbe durato e che i momenti bui sarebbero arrivati presto, sapeva che la disperazione sarebbe tornata a tormentarla con la stessa intensità di quando s'era gettata fra le braccia di Tadashi convinta che il cuore le si sarebbe spezzato in due nel petto, sapeva che il ricordo di Harlock esanime su quel pavimento avrebbe tormentato i suoi sogni e la sua coscienza per il resto dei suoi giorni...
Ma insieme possiamo farcela.
Prese fra le mani il viso di Tadashi e lo fece voltare verso di sé.
– Guardami, Tadashi – la sua voce era ferma, più di quanto avesse sperato – Non abbiamo tempo per piangere, adesso...
Gli asciugò le lacrime e il sangue con i pollici, gli occhi fissi nei suoi.
– Non possiamo fare più niente per il Capitano, oramai – con la coda dell'occhio osservò la macchia di sangue che si allargava sotto il corpo di Harlock e sentì la nausea salirle su dallo stomaco – Ma i nostri amici hanno bisogno di noi, Mayu ha bisogno di noi... e io ho bisogno di te. Non cedere, ti prego.
– Yuki – la sua voce era roca e spezzata, ma aveva smesso di tremare.
– Piangeremo e ci dispereremo per il Capitano quando tutto questo sarà finito – Yuki ricacciò indietro il conato che minacciava di sopraffarla – Merita tutte le lacrime che possiamo versare, ma non qui, non ora. Non possiamo abbandonare gli altri. Lui non lo farebbe.
Tadashi sbatté le palpebre, si sfregò gli occhi e il suo sguardo si snebbiò.
– Hai ragione... Capitano – fece un respiro profondo, si tirò in piedi e le tese la mano – Facciamo finire tutto questo. Io e te. Insieme.
– Per Harlock – Yuki serrò le dita attorno al suo palmo – Per noi stessi e il nostro futuro.
Strinse i denti per sopportare il dolore alla gamba mentre lui la aiutava a rialzarsi e appoggiò il piede a terra. Era così intorpidito che non lo sentiva più.
Allentò la cinghia di un paio di fori e subito il sangue ricominciò a fluire dai due buchi che le attraversavano la coscia. La sensibilità le tornò con la forza di un milione di spilli che la trafiggevano tutti insieme e il calore del reattore di un caccia.
– Dobbiamo medicare quella gamba – Tadashi la guardò preoccupato – Continui a perdere sangue.
– Non quanto te – la sua spalla, il braccio e la testa erano un unico grumo rossastro.
– Posso resistere. Sono solo dei graffi.
La guardò con l'espressione ostinata del ragazzino che aveva conosciuto sette anni prima e Yuki seppe che non era il caso di discutere.
Stare fermo e pensare gli farebbe ancora più male.
– Apri i portelli dell'hangar e di' ai nostri uomini di tenersi pronti – Yuki si voltò verso Lia – Io penso a lei.
Le si chinò accanto, le fece posare la testa fra le sue ginocchia e le diede una rapida occhiata.
La situazione era grave già a prima vista: respirava a fatica e il suo volto era esangue, dalle sue labbra livide uscivano un brutto suono sibilante e un muco schiumoso e sanguinolento.
Yuki le afferrò il braccio sinistro, le tolse il guanto, tirò su la manica della sua tuta e le tastò il polso: era gelido al tatto e le pulsazioni erano rapide e deboli.
– Non... – Lia cercò di liberarsi dalla sua stretta, ma un violento accesso di tosse glielo impedì.
Sputò sangue.
Yuki strinse le labbra e le abbassò la cerniera sin sotto lo sterno.
Anche il collo e le spalle avevano assunto il colorito bluastro del viso e della bocca; il torace era asimmetrico e dalla ferita che le perforava il seno sinistro uscivano fiotti di sangue spumoso.
Yuki posò la mano vicino alla lesione e una smorfia di dolore attraversò il volto di Lia.
Come aveva temuto, Yuki avvertì un crepitio sotto le dita.
– Dannazione!
Si voltò a cercare Tadashi.
Si era spostato alla postazione radio e stava cercando d'aprire un canale di comunicazione con l'Arcadia. Yuki tirò un sospiro di sollievo nel vedere che sembrava tornato in sé.
– Chiedi se il Dottore o qualcuno con una barella può venire qui – tirò fuori il fazzoletto dalla tasca della fondina.
– Lascia stare – Lia le afferrò il polso – Ormai è finita.
– Non dire sciocchezze – Yuki si liberò senza alcuna fatica e cercò di suonare rassicurante – So cosa fare in questi casi e sull'Arcadia abbiamo un ottimo medico. Puoi farcela.
Piegò il fazzoletto fino a ottenere un quadrato abbastanza largo e spesso da coprire la ferita, posizionò la mano di Lia su un lato e le sue sugli altri due.
– Non ho cerotti con me. Dovremo tenerla così finché non arriverà il Dottore.
– Non c'è tempo – ansimò Lia – Dovete andarvene... subito...
– Il canale radio è aperto – Tadashi si voltò verso di loro e riprese ad armeggiare con il pannello – Arcadia, mi sentite? Arcadia, qui Tadashi, rispondete, passo.
Uno degli schermi si accese. L'immagine sfarfallò e si stabilizzò sulla figura di Mime.
– Tadashi – una luce dorata illuminò la pelle diafana dell'aliena – Cosa ti è successo?
– Sto bene – la rassicurò lui – Com'è la situazione, là fuori?
– Abbiamo dato l'ordine di rientro ai Lupi – Maji comparve di fianco a Mime e si grattò la barba con aria perplessa – I cannoni sono fuori uso e non ci sono più nemici da un bel pezzo. È strano: i loro caccia erano meno della metà di quelli che pensavamo e l'artiglieria ha cessato il fuoco quasi subito. Voi avete incontrato molta resistenza all'interno?
– No. E l'hangar era quasi vuoto.
– Molto strano – Maji s'accigliò – Ero convinto che lì dentro ci fosse un esercito di cloni, mercenari, meccanoidi e chissà che altro...
– Già, anche noi.
La mano di Lia si strinse di nuovo attorno al polso di Yuki.
– Ascoltatemi – tossì – Dovete andarvene...
Yuki la ignorò e si girò verso lo schermo, tesa.
– Maji, ci sono molti feriti? Abbiamo subìto perdite?
– Nulla di grave, Capitano – il Capo Ingegnere rise – Quel vecchio ubriacone del Dottor Zero l'ha scansata... e gli devo anche una bottiglia di whisky!
– Maji, qui ci servono una barella spinale, ossigeno, collare cervicale e coperta termica, subito! Se può venire, manda anche il Dottore.
– Harlock? – Mime si premette le mani contro il petto – È lui il ferito?
Il cuore di Yuki perse un battito. Tadashi scosse il capo, le spalle curve come sotto un peso insostenibile.
– Lo vorrei – la sua voce s'incrinò di nuovo – Lo vorrei davvero...
Dall'altra parte dello schermo, gli occhi di Maji si riempirono di lacrime, il sorriso allegro per lo scampato pericolo e l'insperata vittoria spazzato via come una foglia secca da un uragano.
Accanto a lui, Mime si lasciò cadere sulla poltrona, si prese il volto fra le mani e singhiozzò.
Yuki pensò che avrebbero dovuto dare quella terribile notizia anche a Mayu, a Zero, a Yattaran, alla vecchia Masu... e vedere sui loro volti la stessa devastante sofferenza, forse anche l'odio.
– Sono sicuro che avete fatto tutto il possibile, ragazzi – Maji si strofinò gli occhi e il naso sulla manica e posò una mano sulla spalla di Mime – Vi mando subito il Dottore.
– Ci serve anche Yattaran. Dobbiamo capire come...
– Non c'è tempo – Lia cercò di alzarsi e un altro fiotto di sangue le uscì dalle labbra bluastre.
– Sta' giù – la rimproverò Yuki – Hai un polmone collassato! Vuoi morire, per caso?
– Andate via – tossì – Qui non siete al sicuro...
– Tadashi si voltò.
– Che vuoi dire?
– Il chip. Matia sa che siete qui... che avete vinto... Avviserà Kurai!
– Kurai? – Tadashi si alzò e andò a chinarsi accanto a loro – È ancora vivo? È lui il responsabile di tutto questo?
– Sta delirando – Yuki premette più forte il fazzoletto sulla ferita – È sotto shock.
– No – Lia si afferrò al colletto di Tadashi con una forza che Yuki non immaginava possedesse ancora – È la verità... i caccia... Matia... sono diretti su Futuria da dietro la cintura d'asteroidi... Vogliono prendere Zero e i suoi fra due fuochi mentre voi siete impegnati qui...
– Tu e la Nèmesis eravate un diversivo – Tadashi trasalì e anche Yuki sentì un brivido correrle lungo la schiena. Lia gli fece un cenno affermativo.
– Dovevo trattenervi il più a lungo possibile – ansimò – Uccidervi tutti, se potevo... ma non ne sono stata capace, anzi... ho fatto la stessa fine di Feydar. Sarebbe da ridere, se non fosse...
La sua mano lasciò la presa e ricadde, priva di forze.
Tadashi la afferrò al volo e il suo sguardo s'incupì.
– Avevi intenzione di morire fin dall'inizio, vero?
Una risata gorgogliante sfuggì dalle labbra bluastre di Lia.
– Diciamo... che è andata così – gli strinse le dita, il respiro sempre più affannoso – Non me ne pento, anche se mi sarebbe piaciuto... vedere il futuro di cui parlavi, Daiba... e farne parte... magari con una creatura sciocca quanto te accanto.
Il crepitio sotto le dita di Yuki aumentò.
– Smettila di parlare – la rimproverò – Così peggiorerai le tue condizioni!
– Smettetela voi di perder tempo – Lia liberò la mano da quella di Tadashi e le diede una spinta, debole come quella di un neonato – Andate su Futuria dai vostri compagni e lasciatemi raggiungere Feydar... è tutto ciò che desidero, ormai.
– Dicci un'ultima cosa – Tadashi la guardò preoccupato – Perché non saremmo al sicuro, qui? Hai detto tu stessa che Matia e la sua unità di caccia sono lontani, che non c'è equipaggio...
– È qualcosa nel computer di questa nave – una smorfia di dolore attraversò il volto di Lia – La Nèmesis è nata dall'ultimo studio dell'Arcadia fatto da mio fratello... ne conosco ogni ingranaggio, ogni vite... ma quel computer... è tecnologia meccanoide e le conoscenze di Kurai e Oyama fuse insieme. Non so cosa nasconda, ma una cosa è certa... qui non siete al sicuro.
– Tochiro? – Yuki sgranò gli occhi – Ma non è possibile! Lui è...
– Morto? – Lia aggrottò la fronte – Il suo tracciato neurale c'è ancora. Kurai, Arngeir e... Odhrán... possono...
Un violento accesso di tosse le fece incurvare la schiena.
Vomitò un altro fiotto di sangue, gli occhi le si arrovesciarono nelle orbite e ricadde all'indietro sulle ginocchia di Yuki.
– No! Resta sveglia!
Yuki aumentò la pressione sulla ferita e il sanguinamento diminuì, ma Lia non reagì.
Sotto le dita di Yuki, il suo petto si sollevò a fatica un'altra volta, gorgogliò, scricchiolò e sibilò, si riabbassò con esasperante lentezza e rimase immobile.
– Non sento più il battito!
Tadashi si chinò su Lia, le tolse gli occhiali e le spalancò una palpebra, già aperta e immobile.
Le pupille erano fisse, dilatate. Le tastò il polso e scosse il capo.
– Ha raggiunto suo fratello – le chiuse gli occhi e sferrò un pugno al pavimento – Maledizione!
In una situazione normale Yuki gli avrebbe chiesto di calmarsi, ma in quel momento capiva e condivideva la sua frustrazione.
Possibile che non riusciamo a salvare nessuno?
Si voltò verso Harlock e lo sconforto rischiò di nuovo di sopraffarla, assieme alla nausea.
Strinse il pugno, s'impose di guardare da un'altra parte e si rialzò.
Tadashi raccolse da terra la Cosmo Gun e gliela porse.
– Che facciamo, ora?
Yuki prese la pistola e la rimise nella fondina.
– Ce ne andiamo. Non voglio rischiare le vite di Yattaran e dei nostri uomini in questa trappola volante. E poi, se è vero quello che ha detto Lia, Zero e i suoi hanno bisogno di tutto il nostro aiuto.
– Quelli che hanno bisogno d'aiuto, qui, mi sembrate voi due.
Yuki si voltò.
In piedi accanto alla porta c'era il Dottor Zero.
Entrò con passo deciso, seguito da Sabu con una barella spinale e una coperta sottobraccio e da Yasu che si tirava dietro una bombola d'ossigeno munita di respiratore.
– Signorin... cioè, Capitano, sta bene?
– Non fare domande idiote, ragazzo – il Dottore diede uno scappellotto a Sabu e aprì la borsa – Piuttosto, vieni con me e renditi utile.
Yuki lo osservò dirigersi senza esitazioni davanti al corpo di Harlock, chinarglisi accanto e controllargli respirazione, battito e pupille.
Si rialzò con un lungo sospiro, strattonò il braccio di Sabu che era rimasto impietrito poco più indietro e s'avvicinò a Lia.
– È morta anche lei – Yuki non riuscì a guardarlo in faccia – Abbiamo tentato...
Il Dottore le fece un cenno affermativo, le slacciò la cintura da sopra la coscia e le tagliò la gamba del pantalone. Yuki strinse i denti quando le sue dita tozze tastarono la pelle bruciata attorno alle ferite.
– Yasu! – il Dottore aumentò la pressione – Molla quella bombola, prendi fisiologica e garze dalla borsa e tampona le ferite finché non smettono di sanguinare! Sabu, aiutami con Tadashi!
– Non ce n'è bisogno, Dottore – Tadashi si tirò indietro – Dobbiamo...
– Fino a prova contraria, il medico sono io – il Dottore lo azzittì con un gesto brusco – Decido io di cosa c'è o non c'è bisogno!
– Ma...
– Niente “ma”, ragazzo! – gli mollò uno scappellotto dietro la nuca e gli stracciò la manica della tuta – E se hai qualcosa in contrario, la prossima volta non farti ridurre così!
– Quello che vuol dire è che dobbiamo lasciare la Nèmesis al più presto – Yuki trattenne un gemito quando Yasu le tamponò la ferita – Potrebbe non essere sicuro rimanere qui.
– Una bomba? – il Dottore prese una garza imbevuta di fisiologica dalle mani di Sabu – Qualche sistema di autodistruzione?
– Non lo sappiamo – Tadashi mugolò di dolore quando il medico gli premette la medicazione contro il braccio – Qualcosa che ha a che fare con il computer. Inoltre, presto Zero si ritroverà accerchiato.
– Ce ne andremo al più presto, allora – il Dottore abbassò la cerniera della tuta di Tadashi, gli snudò la spalla e prese un'altra garza – Il tempo di fermare l'emorragia e assicurarmi che né tu né Yuki corriate il rischio di morire dissanguati o per colpa di una qualche frattura. Non voglio perdere anche voi...
– Dottore – Tadashi lo guardò in faccia, spalancò gli occhi e subito distolse lo sguardo, imbarazzato.
Yuki s'accorse che il Dottore stringeva la garza così forte da farsi sbiancare le nocche e che la sua mano destra tremava sopra la spalla di Tadashi. Ne rimase sconvolta.
Da quando aveva conosciuto il Dottor Zero, quasi dieci anni prima, era la prima volta che accadeva una cosa del genere: non importava quanto la situazione fosse disperata, né quanto alcool avesse in corpo o se era costretto a operare con un coltellaccio da cucina, un ago da materassi e del filo da pesca... la sua mano era stata sempre ferma come una roccia, salda quanto quella del Capitano sul timone.
È stato un duro colpo per lui.
Il Dottore non aveva parenti: l'equipaggio dell'Arcadia era la sua famiglia e Harlock, in particolar modo, era un figlio che amava dal più profondo dell'anima e di cui andava fiero.
– Qui abbiamo finito – si sfregò gli occhi con un solo, rapido gesto e si voltò; la sua voce era ferma – Sabu, Yasu, caricate Yuki sulla barella e tornate a bordo. Continueremo nell'infermeria. Tadashi, ce la fai a camminare?
– Sì, Dottore – Tadashi si voltò prima verso Harlock e poi verso il medico – Lo lasciamo... qui? Così?
– Dobbiamo pensare prima di tutto ai vivi, Tadashi
– sospirò il Dottore A voi due, a Mayu, a Zero e agli uomini della Karyu.
Tadashi annuì cupo.
– Posso dargli... un ultimo saluto?
Un'espressione carica d'angoscia, orrore e pietà attraversò il viso del Dottore.
– Meglio di no, ragazzo mio – gli posò una mano sul braccio – Meglio di no.
Tadashi non insistette. S'avvicinò alla barella, il volto tirato, la mano premuta sulla spalla a tener ferma la medicazione.
– Allora 
– si voltò un'ultima volta Torniamo a bordo.
Sabu e Yasu sollevarono la barella. Yuki vide il Dottore avvicinarsi al corpo di Harlock e chinarsi su di lui.
– Non pensavo che sarebbe mai arrivato questo momento, Capitano – lo sentì mormorare mentre gli chiudeva gli occhi o forse gli dava un'ultima carezza – Avresti dovuto essere tu a venire ad ubriacarti sulla mia tomba, un giorno...

Indugiò ancora un attimo, poi si rialzò e raddrizzò le spalle.
Non si voltò indietro mentre la porta della sala comando della Nèmesis si chiudeva dietro di lui.

Lo so... capitolo di transizione... nei prossimi, more action!

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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 33
*** L'arte del doppio gioco ***


cap 8 – Allora, dove vi porto? – Ifiklìs s'aggiustò il passamontagna scuro sul volto e diede una violenta sterzata il cui brusco contraccolpo mandò Ishikura a sbattere contro la portiera.
Lo osservò: era un uomo di altezza e corporatura medie, con indosso la stessa anonima divisa da sorvegliante che gli aveva dato Sylviana e che parlava sottovoce, di certo per non essere riconosciuto.
Potrebbe essere chiunque.
Abbassò lo sguardo sulla pistola laser che gli pendeva dal fianco e strinse le dita sull'impugnatura della sua, ormai quasi scarica.
– In questo momento vorrei starmene stravaccata in una bella vascona piena d'acqua fumante – a differenza di lui, Sylviana sembrava del tutto tranquilla mentre si sporgeva oltre il sedile e frugava nel vano posteriore – Con tanta schiuma profumata, un bel figliolo che mi massaggia le spalle e magari anche un altro che mi fa la pedicure... dici che il tuo amico Hoshino mi potrebbe aiutare?
– Non in prima persona – Ifiklìs ridacchiò e imboccò una curva a folle velocità – Io però mi offro volontario, se ti va.
– Tiraci fuori da questo pasticcio e prometto che ci farò un pensierino – Sylviana buttò un pesante borsone di tela sul sedile – E se qua dentro ci sono i gingilli che credo, le tue possibilità aumentano di molto.
– Apri e controlla se i miei regalini incontrano i tuoi gusti, mia cara – Ifiklìs le strizzò l'occhio – Ma fa' in fretta. Abbiamo compagnia.
Una luce li illuminò da dietro e Ishikura guardò nello specchietto retrovisore: due, forse tre veicoli in rapido avvicinamento. Sylviana tirò giù la zip e fischiò.
– Tu sì che sai come corteggiare una ragazza – tirò fuori dal borsone un fucile di precisione nuovo di zecca, con tanto di mirino laser e bipiede, lo imbracciò e tolse la sicura – Dai, Boy Scout, dammi una mano!
– Un momento – Ishikura guardò Ifiklìs – Prima voglio delle spiegazioni! Tu saresti un uomo di Hoshino?
– Sono il suo informatore all'interno del Ministero della Difesa – Ifiklìs gli fece un cenno affermativo – Tutto ciò che sa del progetto Herakles e di ogni singolo programma governativo che utilizzi tecnologia meccanoide viene da informazion che gli ho passato io. Ti stupirebbe sapere quante altre volte quel ragazzo ha evitato che l'umanità finisse male, dopo la battaglia di Andromeda... Il progetto Herakles non è che una goccia nel mare della follia umana, purtroppo.
Diede un'altra sterzata e si immise in un sentiero stretto e sterrato, costeggiato da alberi e rovi e ricoperto di foglie morte. La jeep sobbalzò.
Sylviana si alzò in piedi e si issò coi gomiti sopra al tettuccio.
– Va bene, cari – rise – Diamo inizio alle danze!
Ishikura sentì partire un paio di colpi in rapida successione, poi una raffica; il rinculo dell'arma faceva strisciare e sbattere il fianco di Sylviana contro il suo gomito a ogni sparo.
Prese l'altro fucile dal borsone, inserì la cella d'energia e tolse la sicura.
– Anche il vespaio di dieci anni fa è stato merito vostro?
– Già.
– Allora... anche quel filmato... quello dell'esperimento su quel clone...
Le mani di Ifiklìs si strinsero attorno al volante con tanta forza che le nocche sbiancarono.
– L'ho girato io – la sua voce, già bassa, suonò ancora più soffocata – Quello e i dossier su Kurai e i suoi complici furono le prime informazioni che passai a Tetsuro.
Ishikura lo guardò, mille emozioni contrastanti che gli turbinavano nel cuore.
Alla luce sempre più intensa dei fari, notò che gli occhi di Ifiklìs erano velati di lacrime.
Una brillò per un attimo sulle sue lunghe ciglia, tremolò e cadde.
Una macchia scura s'allargò sulla stoffa che gli ricopriva la guancia.
Ma cosa...
– Chi sei?
Era assurdo, ma quell'espressione, quello sguardo, gli pareva di conoscerli.
E i gesti di quell'uomo, il suo modo di di parlare...
Sylviana batté un paio di colpi impazienti sul tettuccio della jeep.
– Senti, Boy Scout, mi spiace interromperti mentre fai salotto col nostro nuovo amico, ma qui avrei davvero bisogno d'una mano! Che ne dici di venirmi a trovare quassù e fare il tuo lavoro?
Lui tornò a fissare Ifiklìs mentre un sospetto gli riempiva il cuore di speranza e angoscia.
– Parleremo dopo – mormorò questi, gli occhi fissi sulla strada – Saprete tutto a tempo debito, lo giuro.
Un'altra raffica di colpi investì la loro macchina.
Uno passò con un sibilo fra le loro teste e aprì un foro sul parabrezza.
Ifiklìs si piegò sul volante: la strada era stretta e tortuosa, viscida di fango, la nebbia si era fatta più fitta, la visibilità era ridotta a pochissimi metri... e l'auto viaggiava a più di duecentotrenta chilometri orari.
Ishikura imbracciò il fucile, si sporse dal tettuccio nell'aria gelida della notte e inquadrò nel mirino gli inseguitori che si avvicinavano.
– Alla buonora – Sylviana non staccò nemmeno gli occhi dal mirino – Aspettavi un invito scritto su carta pergamena della Zecca di Stato, per caso?
– Veramente aspettavo che ci portassi un bel the caldo con i pasticcini, da brava padrona di casa – Ishikura spostò il selettore sul colpo singolo e sparò un paio di colpi per valutare sia le distanze che l'allineamento del mirino. Un centinaio di metri. Perfetto.
– I nostri ospiti mi stanno dando più da fare del previsto – Sylviana fece una smorfia e premette l'indice sul grilletto – Questi non sono novellini... né quelli che guidano, né quelli che sparano.
La luce del laser illuminò il suo viso e la strada per il breve tempo d'una raffica di sei colpi. Le auto inseguitrici erano tre, tutte blindate e cariche di uomini, anche se non così tanti da rallentarne la corsa. Non urlavano, non sparavano a vuoto e non si esponevano più del necessario.
– Mercenari? – Ishikura mirò al parabrezza della prima auto inseguitrice. Blindato anche quello.
– Probabile. Dalle loro reazioni, direi che anche le guardie del laboratorio che ho steso erano professionisti. Dev'essere opera di Thorn: è un verme opportunista, presuntuoso ed egocentrico, ma ha un buon occhio per i bravi combattenti e all'occorrenza è un bravo istruttore.
– Com'è possibile che uno dei nostri Comandanti più illustri sia un ex membro del tuo gruppo? – la macchina che guidava l'inseguimento sbandò all'improvviso; dal cerchione vuoto della ruota sinistra sprizzarono scintille – Sven Arngeir era ai vertici delle gerarchie militari già da prima della guerra col Governatorato: ha frequentato l'Accademia qui a Megalopolis e la sua famiglia...
– Ricordi l'operazione “Desert Spring” su El Alamein? – gli occhi di Sylviana erano due pozze d'ombra nell'oscurità mentre sostituiva la cella d'energia.
– No, ma ne ho sentito parlare – Ishikura urlò per sovrastare il rumore dello schianto che tra la prima delle jeep inseguitrici e un grosso albero ai margini della strada – Fu quando le Forze Federali ritirarono il loro contingente dal pianeta dopo la tregua con i meccanoidi, giusto?
Sylviana posizionò di nuovo il bipiede sul tettuccio e ricominciò a guardare nel mirino.
Dietro di loro, le due macchine inseguitrici rimaste evitarono i rottami con brusche sterzate; una di esse rischiò per un istante di capottarsi, le ruote di destra sollevate a un angolo impossibile sul fondo fangoso prima di atterrare con un tonfo liquido che sollevò alti schizzi di fango e mise a dura prova le sospensioni.
– Diavolo, speravo che almeno uno di loro andasse a sbattere o finisse fuori strada – sbuffò Sylviana – Comunque, tornando a noi... se vuoi chiamare ritirata o tregua quello schifo, fai pure. Io che c'ero ho visto solo una strage senza senso e il tuo amicone Grenadier potrà confermare, ma non è questo il punto. Sven Arngeir era il Comandante delle forze federali, laggiù. Secondo me, a Thorn  è stato offerto il suo posto e lui l'ha preso, nel senso letterale del termine.
– Vorresti dire che si è sostituito a lui? – Ishikura abbassò la testa  e rispose alla gragnola di colpi che li aveva investiti – Ma...
Sylviana sparò un'altra raffica in appoggio alla sua.
Le auto inseguitrici persero terreno.
– L'hai visto anche tu: si fa chiamare Comandante Arngeir, occupa il suo ufficio, indossa i suoi gradi... e bisogna ammettere che è convincente, specie dopo la plastica che si è fatto fare al naso e al mento – alzò le spalle – È sempre stato bravo in queste cose... Scommetto che l'idea è stata sua e che agli alti papaveri che ha aiutato a lavare i panni sporchi è piaciuta tantissimo. Pensaci un po': legare a doppio filo a loro un tipo così pericoloso, liberarsi di un Comandante rompiscatole e assicurarsi il silenzio su certe cose, tutto in un colpo solo.
Ishikura si voltò verso di lei.
– Che vorresti dire? – in realtà credeva di averlo capito, ma l'idea gli dava la nausea quasi quanto le mostruosità del progetto Herakles.
– Sei talmente una cima che ho deciso – Sylviana si scostò una ciocca di capelli dagli occhi con un gesto impaziente – Il tuo nuovo soprannome sarà Everest. Comunque, hai idea di che fine facciano le spie come noi Rosa Rossa quando le guerre finiscono? Siamo una bella patata bollente, testimoni scomodi di tante, tante brutte cose e depositari di tanti, tanti segreti imbarazzanti...
Lo stretto sentiero sterrato finì e si immisero in una strada asfaltata e a doppia corsia.
Una delle auto inseguitrici accelerò, li affiancò e li speronò.
– Merda! – Sylviana si calò giù dal tettuccio.
I lampi di un mitragliatore rischiararono l'oscurità e Ishikura fremette quando un colpo gli sfiorò i capelli.
Per fortuna, il movimento dei due veicoli e la blindatura diminuivano sia la precisione che il danno dei colpi.
– Sylviana! – abbassò la testa appena in tempo per non essere decapitato e centrò il mitragliere – Che diavolo fai?!
Lei indicò fuori dal finestrino. Un uomo armato di pistola cercava di far la festa a Ifiklìs.
– Cerca di disarmare quel tipo, o almeno d'impedirgli di spararci addosso per un po' – lo incitò – E tu abbassa il finestrino quando lo dico io e tieni giù la testa!
Ishikura si spostò in modo da inquadrare l'uomo nel irino e strinse le labbra: l'angolazione era troppo elevata per consentirgli un tiro abbastanza preciso da farlo fuori.
Optò per una serie di raffiche brevi che ottennero comunque il loro scopo: la mano che impugnava la pistola si ritrasse.
Qualcosa volò oltre il finestrino sotto di lui e finì nell'abitacolo dell'altro veicolo, che sbandò e perse velocità mentre il loro schizzò sull'asfalto come un sasso lanciato da una fionda.
Il cuore gli saltò in gola, l'aria lo frustò così forte da fargli lacrimare gli occhi.
Una violenta detonazione e il bagliore delle fiamme squarciarono il silenzio e l'oscurità della notte. Alcuni rottami fumanti gli sibilarono sopra la testa.
Sylviana riemerse al suo fianco.
– Spero che abbiate gradito il dessert, cari – rise, gli infilò nella tasca qualcosa di tondo e rigido e posizionò di nuovo il fucile – Tieni. In caso ci riprovassero, pensaci tu.
Ishikura riconobbe subito il peso e la consistenza di quegli oggetti e arricciò le labbra.
Gli ha lanciato una granata... Che strega!
L'ultima auto rimasta aveva perso terreno. Quasi non si vedeva più.
Ora la strada era illuminata e Ishikura riconobbe le campagne nei dintorni di Megalopolis dove, qualche volta, Takeshi aveva portato lui e Minoru a giocare.
– Allora? – si voltò a guardare Sylviana – Cosa capita alle spie, finite le guerre?
– Finiscono il loro servizio – mormorò lei cupa – Un nuovo nome, una nuova vita, pace in cambio di silenzio. Io e i miei compagni credevamo che sarebbe stato così anche per noi...
Ishikura seguì la linea del suo sguardo, fisso sulla strada dietro di loro. Degli inseguitori, nessuna traccia.
– Ci sbagliavamo – Sylviana si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e si voltò a guardarlo – Sapevamo troppe cose, eravamo in troppi e la nostra stessa esistenza era un segreto scomodo che avrebbe fatto saltare diverse teste, se mai fosse venuto a galla. Come pensi avrebbe accolto l'opinione pubblica la storia d'una cinquantina di bambini fra i tre e i cinque anni comprati al mercato nero e addestrati a diventare spie e assassini agli ordini del vostro Governo Federale?
Ishikura la guardò a bocca aperta. Dello squadrone Rosa Rossa sapeva soltanto che era un gruppo speciale dei Servizi Segreti di El Alamein specializzato nello spionaggio e con all'attivo diversi successi, scioltosi su ordine del Governatorato. Non immaginava certo che i suoi membri fossero stati reclutati a quel modo, tanto meno sin dall'infanzia.
– Sei stata... una bambina soldato?
– Non guardarmi così – scherzò lei – Per la maggior parte di noi finire in quel campo d'addestramento è stato un affare: finché riuscivamo a tirare avanti, avevamo due pasti al giorno e un tetto sopra la testa assicurati, che in quel buco di pianeta sempre sconvolto da qualche guerra è il massimo del lusso... E poi, in pochi ricordavamo la nostra famiglia o ne avevamo una che valesse la pena rimpiangere: lasciati a noi stessi saremmo morti in ogni caso, forse addirittura prima... e peggio, se capisci cosa intendo.
Lui distolse lo sguardo, turbato.
Ripensò alla sua infanzia, senza madre e con un padre duro e inflessibile ma tutto sommato sicura e serena: per lui, una casa a cui far ritorno dopo la scuola, la colazione, il pranzo, la merenda e la cena, i giochi e lo studio in compagnia dei i suoi fratelli erano stati un'abitudine, il trantran di tutti i giorni... la normalità.
C'era qualcosa di profondamente sbagliato nell'universo e ci sarebbe stata finché quella normalità avesse continuato a essere un lusso inimmaginabile per bambini come Sylviana o qualcosa per cui sentirsi in colpa per quelli come lui, una volta venuti a contatto con la realtà oltre il loro piccolo mondo.
– Quanti eravate in squadra? – le domandò, tanto per rompere il silenzio e scacciare il disagio.
– Sette, alla fine – Sylviana guardò in alto, come se potesse vedere la luna attraverso la foschia – C'era Thorn, che era il più anziano e aveva già fatto parte del precedente gruppo, poi  io, Stem, Leaf, Hip, Calyx e Bud. Eravamo in dieci, finito l'addestramento, ma gli altri tre morirono durante la guerra.
– E tutti gli altri?
Lei scosse il capo. Un brivido di raccapriccio corse lungo la schiena di Ishikura.
– Non hanno retto. Devono essere sepolti da qualche parte nella Red Valley, ma non ne sono sicura – sospirò –  E comunque, anche se si riuscisse a ritrovare i loro corpi, identificarli sarebbe impossibile. Ce lo spiegarono molto bene: per le nostre famiglie eravamo morti... e dovevamo rimanerlo per evitare guai. Per la società non esistevamo neppure. Tutto ciò che ci riguardava era stato cancellato, a parte un nome su una lista: il nostro vero nome, l'unico indizio da cui risalire alla nostra vera identità.
– Il vostro nome? Ma allora...
– Già – Sylviana strinse le labbra – Io non so chi sono. Nessuno di noi lo poteva ricordare. Ci diedero un nome in codice completato l'addestramento e ci promisero che avremmo riavuto indietro la nostra identità una volta finito il servizio. Balle.
– Da non credere...
– Comunque, per tornare al discorso di prima – Sylviana passò un dito sul tettuccio – Stem scoprì che la squadra che ci aveva preceduto era stata eliminata su ordine dei nostri stessi vertici al termine d'una certa operazone e che la stessa sorte sarebbe toccata a noi: con la tregua tra la Federazione e il Governatorato era troppo pericoloso lasciarci in giro, e se la nostra storia fosse saltata fuori in tempo di pace... bé, credo che il clamore sarebbe stato addirittura superiore a quello del progetto Herakles.
Ishikura annuì. Poco, ma sicuro.
Quelli non erano i poveri cloni senza nome di un soldato morto da anni: per quanto abbandonati a loro stessi e privati della loro identità, Sylviana e i suoi compagni erano figli di qualcuno, bambini innocenti a cui era stata strappata l'infanzia.
– Il Comandante Arngeir aveva fama d'essere un uomo d'onore, un militare d'altri tempi – Sylviana si passò una mano fra i capelli imperlati di goccioline dall'umidità della notte – Era meritata, sai? Lo incontrammo in ciò che restava della base di Matruh; ci ascoltò con attenzione e alla fine era sconvolto, furibondo. Promise di aiutarci a rendere pubblica la nostra storia, punire i colpevoli e ritrovare le nostre famiglie, nel caso qualcuno di noi l'avesse ancora. Fu a quel punto che Thorn gli sparò in mezzo agli occhi.
Un cartello con la scritta “Megalopolis” sfilò rapido davanti a loro.
Ai bordi della strada cominciarono ad apparire costruzioni isolate, cantieri e capannoni contornati da piazzole di cemento e aiuole spelacchiate ingombre di rifiuti: i bassifondi.
Ifiklìs diminuì la velocità e Sylviana tolse il fucile da sopra il tettuccio.
– Da non credersi, vero? Le sei migliori spie di tutto El Alamein che si fanno giocare come dei bambini – sostituì la cella – Avremmo dovuto intuire fin dal principio che se un membro d'una squadra sterminata dai propri capi era ancora vivo c'era una ragione ben precisa... ma Thorn era uno di noi, diceva sempre che per lui eravamo come dei fratelli minori e che per tutta la vita avremmo condiviso lo stesso destino. Gli volevamo bene, ci fidavamo di lui. Che errore...
Tutti hanno un prezzo, anche i fratelli che dicono di amarci.
Gli tornarono alla mente quelle parole e la sua espressione triste sul tetto di casa sua, all'accendersi delle prime stelle: in quel momento, alla luce tenue dei lampioni, era la stessa.
– Sylviana – sussurrò, prima di accorgersi di non sapere cosa dirle.
Lei lo azzittì con un gesto secco e lui non insistette: il passato non sarebbe cambiato e di sicuro non gli aveva raccontato tutte quelle cose perché voleva la sua compassione; se c'era una cosa che aveva capito di lei, era che non era quel genere di persona.
– Il nostro caro “fratellone” ricambiò la nostra fiducia decretandoci “un fastidio” di cui doveva liberarsi – fece una smorfia – Poi diede l'ordine di ucciderci e far saltare l'edificio. Eravamo armati e sapevamo il fatto nostro, ma lui aveva dalla sua una quarantina di soldati meccanoidi, inclusa la finta scorta che aveva accompagnato il Comandante Arngeir. Resistemmo finché le celle d'energia non si esaurirono, poi i nemici riuscirono a separarci e alla fine rimasi sola con Stem. Ero ferita a una gamba e mezzo stordita da un colpo alla testa, ma lui non volle abbandonarmi. Stupido... Era il migliore di noi: forte, agile, intelligente; ce l'avrebbe fatta di sicuro a uscire vivo di lì se non ci fossi stata io a rallentargli il passo. Mi cacciò in un condotto di scarico appena prima che gli sparassero alla schiena, mi disse di vivere e scoprire chi ero anche per lui e si lanciò contro i nemici con una granata in pugno. Stupido. Era così testardo...
Sylviana abbatté un pugno sul tettuccio della jeep, si guardò ancora attorno e si calò all'interno dell'abitacolo.
Ishikura la seguì. Lo sbalzo termico gli incendiò le guance e una fastidiosa condensa gli gocciolò da sotto le narici mentre si accomodava sul sedile.
La asciugò con la manica e si voltò a guardare Sylviana che, seduta tra lui ed Ifiklìs, tirava su col naso. Temeva di vederla in lacrime, quasi se lo aspettava... invece aveva gli occhi asciutti e l'espressione dura.
– Per concludere il discorso, il vero Comandante Sven Arngeir morì su El Alamein, ne sono più che certa: nessuno sarebbe potuto sopravvivere a quel colpo in mezzo alla fronte e, anche ammesso, il posto fu fatto saltare per aria dopo appena un'ora.
Ishikura la fissò grave.
– Perché non hai reso pubblica la cosa, Sylviana? Quell'omicidio e ciò che avevano fatto a te e ai tuoi compagni avrebbero mandato in galera per tutta la vita sia quel farabutto di Thorn che i vostri superiori!
– Non essere ingenuo – Sylviana risistemò il fucile all'interno della borsa, ne tirò fuori un paio di granate e tre celle per le pistole e li sistemò nella tasca della sua fondina – Sarebbe stata la mia condanna a morte. Meglio sparire, cambiar nome, tenere un basso profilo. E poi, anche ammesso che non m'avessero ammazzata prima ancora che avessi avuto il tempo di dire “A”, a chi pensi che avrebbe creduto la gente, all'eroico, irreprensibile Comandante Sven Arngeir che aveva tenuto quella polveriera di El Alamein per oltre un anno in condizioni disperate o a un'avventuriera spuntata dal nulla che gli lanciava accuse assurde senza uno straccio di prova?
– Potevi chiedere un esame del DNA e il raffronto del tracciato neurale – insistette Ishikura – Thorn avrà anche potuto cambiare aspetto e sarà pure capace d'imitare alla perfezione il vero Comandante, ma i suoi geni e il suo...
Sylviana ridacchiò, aspra.
– E tu credi che lui e i suoi amichetti non abbiano provveduto a sostituire i dati biologici del Comandante così come hanno sostituito lui? Sveglia, Boy Scout: quella è gente in alto quanto chi sta dietro ad Herakles e...
– Di più – Ifiklìs la guardò con la coda dell'occhio – È la stessa. Ho indagato come tu e la Signora Kei m'avevate chiesto. Avevate ragione: ci sono diversi punti in comune sugli scopi di quei due progetti e c'è un nome che ritorna, oltre a quello di Arngeir. Odhrán.
– Odhrán? – lo sguardo di Ishikura si spostò da Ifiklìs, la cui espressione era nascosta dal passamontagna, a Sylviana che annuì seria, le labbra tirate – E chi sarebbe?
– Ovviamente è un nome in codice, lo pseudonimo del pezzo grosso che sta dietro ad Herakles – Ifiklìs entrò nel sottopassaggio d'un parcheggio sotterraneo dall'aspetto pericolante e fermò il veicolo – In realtà, il nostro finto Comandante Arngeir è solo un tramite che consente a questo tizio di mantenere l'anonimato. Viste le informazioni a cui ha accesso, Tetsuro e io riteniamo che si tratti d'un importante membro del Governo. Fu questo Odhrán ad avvertire Kurai dell'operazione volta a catturarlo, sempre lui che lo aiutò a fuggire e a nascondersi...
– E che diede l'ordine di “suicidare” tutte le altre persone coinvolte nel progetto, giusto? – Sylviana scese dall'auto e strinse i denti quando toccò terra.
Ishikura trasalì.
– Tutti? Anche... – la voce gli mancò.
Ifiklìs chinò il capo e si caricò in spalla il borsone dei fucili.
– Non ci sono prove – tirò fuori dalla tasca una torcia e la accese, senza guardarlo in faccia – Ma sì... lo sospettiamo.
Sylviana gli mise una mano sulla spalla.
– I cadaveri non parlano e le vecchie abitudini sono dure a morire. Coraggio, Shizuo – lo guardò negli occhi, per la prima volta senz'ombra di sarcasmo – Per il passato non puoi fare più niente, ormai, ma puoi farla pagare a quei bastardi... con gli interessi.
Ifiklìs si voltò a guardarli e puntò la torcia davanti a sé.
– Seguitemi.
S'infilò in un'area transennata buia, puzzolente di muffa e ingombra di rifiuti e macerie.
In un punto, il soffitto e parte del muro erano crollati.
Oltre il buco costellato di travi d'acciaio spezzate e tubi arrugginiti, si intravedeva una parete di mattoni dall'aria antica terminante in una volta che, a prima vista, Ishikura valutò essere una galleria della vecchia linea metropolitana di Megalopolis.
Non si sbagliava: quando posò i piedi a terra oltre il cumulo di detriti che ne ostruivano l'entrata, grossi sassi dal colore rugginoso tipici delle ferrovie di un tempo rotolarono tra le traversine marce.
Aiutò Sylviana a scendere e le passò un braccio attorno alla vita per sostenerla; zoppicava un po' meno, ora, ma il terreno era scivoloso e accidentato e la galleria molto buia.
S'incamminò dietro Ifiklìs con una mano sulla fondina e sperò che sapesse dove stava andando; non aveva idea se si trattasse di fatti veri o di leggende metropolitane, ma da ragazzo aveva sentito storie terrificanti su quei dedali oscuri e sui poveri sventurati che avevano avuto la sfortuna o la stupidità di perdervisi.
E se fosse una trappola? Se ci abbandonasse qui?
Lui, di certo, non avrebbe saputo ritrovare la strada; quei tunnel parevano tutti uguali, lunghi, stretti e bui, forse ancora disseminati di trappole dai tempi della guerra. Non avrebbero avuto scampo.
Rabbrividì e cinse più forte Sylviana, poi si diede dello stupido.
Se li avesse voluti morti, a Ifiklìs sarebbe bastato lasciarli a loro stessi in quel laboratorio.
– Certo che il caro Tetsuro poteva anche far dare una spolverata, qua sotto – si lamentò Sylviana all'ennesima ragnatela presa in piena faccia – Mi sa che nella vasca da bagno dovrò rimanerci almeno tre giorni... Ma poi che cavolo di posto è questo? È peggio di un labirinto e non finisce mai; dove ce l'abbiamo l'appuntamento, al centro della Terra?
– Sono i vecchi rifugi della resistenza, nell'antica linea metropolitana del ventunesimo secolo – senza scomporsi, Ifiklìs puntò la torcia su una parete, illuminò un cartello metallico reso ormai illeggibile dal tempo, lo esaminò da vicino e imboccò un'altra galleria – Nessuno li usa più dalla fine della guerra con i meccanoidi di Andromeda e ben pochi saprebbero orientarvisi: in tutta Megalopolis, è il posto migliore per non farsi trovare.
– Quindi è qui che Tetsuro ha nascosto le famiglie dei compagni di Harlock?
Ifiklìs non fece in tempo a rispondere. Un grido acuto riecheggiò tra le alte volte del tunnel e la luce d'una torcia li abbagliò tutti.
– Ifiklìs! – un'ombra balzò su di lui dall'imboccatura di un'altra galleria e gli saltò addosso in uno scintillio di lame.
Ishikura si coprì gli occhi, estrasse la pistola e la puntò contro le due sagome in controluce; accanto a lui, Sylviana lo imitò e si mosse di lato.
Si gelarono entrambi col dito premuto a metà sul grilletto.
Sia Ifiklìs che il suo assalitore ridevano.
– Mio caro ragazzo, meno male! – singhiozzò una vocetta acuta – Ero così in pensiero!
La luce delle torce si abbassò e, appesa al collo di Ifiklìs, Ishikura vide l'ultimo genere di persona che avrebbe mai immaginato d'incontrare in quel posto: una vecchietta sottile e bassa di statura con tanto di crocchia, grembiule da cucina... e due grosse mannaie fra le mani, che però non sembravano mettere a disagio la loro guida mascherata.
– Signora Masu – nonostante continuasse a contraffare la voce, il tono di Ifiklìs tradiva stupore e una certa preoccupazione – Cosa ci fa lei qui?
– Non c'è stato verso di convincerla a restare dov'era.
Da una galleria laterale, un uomo s'avvicinò a grandi passi. Indossava un vecchio poncio marrone ormai stinto, liso in più punti e ormai troppo corto per lui.
Dalla Cosmo Dragoon che gli pendeva al fianco e dallo sguardo dei penetranti occhi azzurri che fecero capolino da sotto il suo cappello a tesa larga pieno di buchi, Ishikura riconobbe Tetsuro Hoshino.
– Avresti dovuto vederla – un giovanotto di forse vent'anni s'affiancò all'eroe di Megalopolis – Ha fatto il diavolo a quattro pur di venirti incontro!
– Quando dai piatti è passata a lanciare i coltelli, abbiamo dovuto cedere – ridacchiò un uomo barbuto sulla sessantina con indosso un camice da dottore.
– Tzé! – Masu incrociò le mannaie e fece strisciare le lame una contro l'altra – Tanto quei piatti erano tutti sbeccati... così almeno vi deciderete a comprarne dei nuovi! E quand'è che quell'altro buono a nulla viene ad aggiustarmi il frigo, eh?! Come accidenti si fa a cucinare in queste condizioni, dico io: pentole tutte rigate, bicchieri scheggiati, un forno da cavernicoli e manco l'ombra d'un frullatore...
Tetsuro alzò gli occhi al cielo e fece un cenno a Ifiklìs, che gli mollò la borsa, si avvicinò alla vecchietta e cominciò subito a parlare fitto fitto con lei.
Con un sospiro di sollievo, Tetsuro s'incamminò lungo la galleria dalla quale era venuto.
– Allora, avete trovato quello che cercavate?
– Sì – Sylviana tirò fuori dal borsone l'hard disk – È tutto qui dentro. Ma la maggior parte dei file è criptata.
– Come avete fatto? – Ishikura non poté trattenere un moto di stupore – Ero convinto che ce l'avesse il Comandante!
– Infatti – assentì Sylviana – Il piano era proprio quello di rubarlo al caro Thorn mentre era impegnato a contattare i suoi amichetti sotto attacco su Futuria. È così prevedibile, per chi lo conosce...
– Ma che bisogno c'era di fare una cosa tanto contorta? Potevamo impossessarcene già al Ministero, senza coinvolgere altri...
– Bravo, Everest – il tono di Sylviana, adesso, era canzonatorio come al solito – Adesso dimmi, nell'ordine: uno, come avremmo fatto ad uscire di là senza che le guardie ci ammazzassero; due, il tuo geniale piano per fuggire da questa città una volta che il Ministero della Difesa avesse diramato le nostre foto segnaletiche e tre, con che mezzi saremmo tornati sulla Karyu se fossimo stati braccati da chiunque indossi una divisa da qui ai confini dell'universo. Fingere di stare al gioco di Thorn e lasciare che ci portasse in quel laboratorio clandestino era l'unica maniera per evitarci tutte quelle grane... senza contare che adesso siamo due preziosi testimoni oculari delle porcherie che fanno là dentro!
– Già – Ishikura incrociò le braccia – Soprattutto io. Era proprio il caso di farmi rischiare di diventare un Herakles?
– Oh, avanti! Non t'avrei mai lasciato nelle mani di quei pazzi, per chi m'hai preso?
– Non è questo.
Già, cos'era, allora? Il ragionamento di Sylviana non faceva una piega e per di più lui sapeva fin dall'inizio che da una tipa del genere avrebbe dovuto aspettarsi di tutto; che non gli rivelasse le sue intenzioni e agisse di testa sua era il minimo. Lo faceva anche lui, dopotutto.
E allora perché se la prendeva così a male?
Pensavo che si fidasse di me...
Che idiota.

Lei gli mise una mano sulla spalla e lo guardò con quegli occhi chiari che sembravano leggergli dentro.
– Senti, mi spiace di non averti detto del piano, ma è stato necessario – si umettò le labbra – A volte, per ingannare i nemici, devi prima ingannare gli amici... specie se non sanno mentire.
– Vero – Ifiklìs lasciò indietro Masu e il Dottore e gli si affiancò – Il doppio gioco è un'arte che ha le sue regole... e questa è una delle principali.
La galleria finì e tutti loro si ritrovarono in quella che doveva essere stata un'importante stazione, un locale spazioso e un tempo forse arioso e opulento ora in rovina, attrezzato con brande, paraventi, casse di diverso tipo e generatori autonomi di corrente.
C'erano una decina di uomini e ragazzi armati di fucile intenti a fare la guardia e, nella penombra dei binari o in quelle che dovevano essere state delle biglietterie, forse un'altra ventina di persone.
Ishikura s'avvicinò a Tetsuro.
– Ci vorrà molto per decriptare i files?
– Non lo so ancora. Dipende da che software e che chiavi hanno usato, ma... – gli occhi di Tetsuro si spalancarono, la sua destra gli artigliò la manica e un brusco strattone lo fece cadere in ginocchio – State giù!
In un lampo, Tetsuro estrasse la Cosmo Dragoon e la puntò verso i tunnel.
– Non glielo consiglio, Signor Hoshino – la voce di Thorn riecheggiò dall'ingresso della galleria – Siete in netta inferiorità numerica e allo scoperto. Non garantisco per le vite di questi civili, se non farete come vi ordinerò.
– Ci hanno seguito? – Ishikura si rialzò, la pistola in pugno – Ma com'è possibile? Li avevamo seminati!
– Ingannare i nemici ingannando gli amici è la prima regola del doppio gioco – Ifiklìs afferrò il polso di Sylviana, glielo torse dietro la schiena e fece un passo indietro – Ma cosa succede se gli amici sono in realtà i nemici e viceversa?
– Ifiklìs... ma cosa – Tetsuro puntò su di lui la Dragoon e, come se aspettasse proprio quel momento, un folto gruppo di mercenari irruppe nella stazione dall'oscurità del tunnel.
– Abbassi quel cannone, Hoshino – Thorn si fece largo fino a loro, un sorriso trionfante sulle labbra sottili – La nostra lunga partita a scacchi è finita. Riconosca la sconfitta, mi dia ciò che voglio e le prometto che non faremo nulla di male ai suoi protetti.
– Già – Sylviana lo guardò con odio – C'è proprio da fidarsi quando una persona leale e corretta come te fa promesse del genere... e poi frequenti delle così belle persone...
Lui le si avvicinò e le sollevò il mento con due dita.
– Dimenticavo – rise – Lei, la nostra bella Blossom e il vostro amichetto Vice-Comandante siete esclusi da questo nostro piccolo patto. Sapete troppo e vi siete inimicati qualcuno che non avreste dovuto. Spiacente.
–  Cosa le fa pensare che m'arrenderò, Thorn?
– Oh, vedo che sa addirittura più di ciò che credevo – il falso Comandante avvicinò il viso a quello di Sylviana e le diede un lieve bacio – Ah, le labbra d'una donna: affida loro i tuoi segreti e li troverai sussurrati ai quattro venti, ma sono così dolci...
– Lasciala stare, bastardo! – Ishikura mosse un passo verso di lui, ma Ifiklìs puntò la pistola alla tempia di Sylviana e armò il cane.
Anche i mercenari spianarono le loro armi e li inquadrarono nei mirini.
Ishikura si guardò attorno: c'erano molte persone nella traiettoria di fuoco; se fosse iniziata una sparatoria, evitare che qualcuno morisse o rimanesse ferito sarebbe stato impossibile.
– La vedo pallido, Signor Hoshino – Thorn lasciò Sylviana e s'avvicinò a Tetsuro – Allora, cosa decide?
Tese la mano. Tetsuro esitò, si guardò attorno e infine gli consegnò la Dragoon, accompagnando il gesto con un'occhiata gelida e uno sputo a terra in segno di disprezzo, che però non cancellarono il sorriso di Thorn.
– Saggia decisione.
È finita.
Anche Ishikura lasciò cadere la pistola. Le poche guardie di Tetsuro lo imitarono subito.
– Perché? – Ishikura fissò Ifiklìs, che non rispose.
– Ve lo ha detto, Vice-Comandante – Thorn diede un calcio alla sua pistola e s'avvicinò a Ifiklìs – Ha giocato con voi... ma nella mia squadra, fin dall'inizio. Sono anni che tutto ciò che esce dal Ministero e dalle sue labbra è ciò che voglio io. Aspettavamo solo l'occasione giusta per sbarazzarci della spina nel fianco rappresentata dal Signor Hoshino, un passo falso come questo... vero, mio fido assistente?
Afferrò il passamontagna di Ifiklìs e glielo tirò via dalla faccia.
Ishikura lo guardò in viso e quello che era stato un sentimento di speranza all'idea di chi potesse essere quell'uomo misterioso si trasformò in disperazione nel constatare che la sua ipotesi era esatta... e che era stato tradito un'altra volta.
Da dietro il viso terreo di Sylviana, Minoru ricambiò il suo sguardo con uno colmo di tristezza quanto il suo, riflesso nei grandi occhi verdi che avevano entrambi.



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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 34
*** Oneiros ***


cap 8 L'uomo nella capsula aveva lunghi capelli castani, gli stessi che tante volte, da bambina, aveva tirato per gioco quando lui la portava a cavalcioni sulle sue spalle larghe, forti nonostante il fisico snello. Il suo volto era solcato da parte a parte da un lungo sfregio slabbrato e irregolare, ricucito a suo tempo con punti troppo larghi; sotto le folte sopracciglia scure, l'occhio sinistro era chiuso, sereno nel sonno, mentre il destro, da cui qualcuno aveva scostato il lungo ciuffo di capelli e tolto la benda nera che di solito lo ricoprivano, pareva semiaperto per effetto dell'orbita vuota che la palpebra devastata dalle cicatrici della bruciatura d'un laser e ormai priva di ciglia non riusciva a nascondere.
In quattordici anni, era la prima volta che Mayu vedeva quella ferita: era orribile, doveva avergli procurato una sofferenza atroce e lo aveva sfigurato in un modo che avrebbe reso spaventoso e ripugnante chiunque eppure, anche così, quel viso era per lei il più bello che ci fosse al mondo e non riusciva a staccarne gli occhi.
– Harlock...
Per un istante, sperò che quel sussurro sarebbe bastato a risvegliarlo.
Quand'era piccola credeva che, ovunque fosse e qualunque cosa stesse facendo, lui la potesse sentire ogni volta che pronunciava il suo nome o suonava l'ocarina che le aveva regalato. Era sciocco, lo sapeva, ma trattenne comunque il fiato.
Lui non si mosse.
Si tolse il guanto macchiato di polvere e sangue, dimentica di tutto ciò che la circondava; passò la mano sulla fitta condensa che ricopriva il vetro tiepido della capsula e non poté trattenere un gemito.
Il suo corpo nudo, avvolto dalle fasce, dalle coperture e dalle cinghie dei dispositivi per impedire l'atrofia dei muscoli e di quelli per la dialisi e l'alimentazione esterna, coperto di elettrodi e attraversato dagli aghi delle flebo, era un intrico di cicatrici. Ne aveva ovunque, di ogni dimensione e tipo: grandi e piccole, da taglio e da ustione... alcune dovevano essere addirittura di pallottole.
Mayu ricordò che una volta lui le aveva detto d'essere orgoglioso delle sue ferite perché ognuno di quei segni era il ricordo d'una battaglia, d'un avversario valoroso o di qualcuno che aveva perduto per sempre nella sua quotidiana lotta per vivere libero e che, proprio per questo, non le avrebbe mai cancellate; al massimo avrebbe tenuto nascoste le più profonde perché c'erano cose, nei pensieri e nei ricordi d'ognuno, che non potevano essere condivise.
Lei aveva otto anni, all'epoca, e quel discorso non l'aveva capito del tutto, ma Harlock era fatto così: non le aveva mai nascosto nulla e le aveva sempre parlato col rispetto, il tatto e la serietà che avrebbe usato con un adulto. Era anche per questo, che lo adorava.
Vederlo così indifeso, così esposto, lui sempre così orgoglioso, le stringeva il cuore; ognuna di quelle vecchie ferite, tante... così tante... faceva male a lei.
– Cosa gli avete fatto? – Zero ripeté la domanda.
Kurai si alzò dalla sua postazione e passò una mano su uno dei pannelli del computer.
– Come le ho già detto, gli ho dato ciò che desiderava: sicurezza, sollievo dalla sua angoscia, un mondo in cui tutti coloro che ama gli sono accanto.
– Mi sta prendendo in giro, Kurai? – Zero si voltò di scatto e mosse un passo verso il professore, il pugno chiuso, tremante di collera.
Sua madre... o meglio, l'Herakles con le sembianze di sua madre, si mise subito fra di loro e Mayu afferrò il polso del Capitano; non pensava che avrebbe fatto follie, ma sembrava davvero fuori di sé ed era ferito e disarmato.
– No, Capitano. Come le ho detto, non sono il mostro che lei crede. Ogni vita umana è unica e insostituibile – Kurai accennò ad Harlock – Anche la sua. Purtroppo, non la potrò salvare: ho un debito verso chi m'ha permesso d'arrivare sino a questo punto coi miei studi e il prezzo da pagare è proprio la sua preziosa esistenza, ma almeno...
La mano di Zero tremò.
– Se lei capisse davvero il valore d'una vita non parlerebbe così, Kurai... e non avrebbe fatto ciò che ha fatto.
– Davvero? – per la prima volta, Kurai alzò la voce – E se scoppiasse un'altra guerra quante vite andrebbero perdute, Capitano? Quanti altri uomini come i suoi compagni, quante altre donne come sua moglie, quanti altri bambini come...
– Non osi mettere in mezzo la mia famiglia! – tuonò Zero – Non lo faccia mai più, altrimenti...
– Vede? – Kurai allargò le braccia – Nonostante siano passati tanti anni, la loro perdita non smette di bruciarle. Per quanto tempo ancora la gente dovrà continuare a soffrire prima che chi di dovere capisca una volta per tutte che la mia è l'unica soluzione sensata, la sola possibile? Ci pensi: soldati perfetti creati in serie apposta per difenderci, esseri dai ricordi e dalle capacità selezionati, guidati da un'unica volontà e privi di desideri, paure o istinti che potrebbero indurli in errore, ma soprattutto sostituibili in ogni momento senza ricorrere a dispendiosi e lunghi procedimenti di clonazione. E non solo...
Mayu lo guardò e un brivido leattraversò la schien: quell'uomo aveva l'aspetto di suo padre, la sua voce, ma i suoi occhi avevano uno sguardo febbrile, il suo tono un che di spaventoso.
– Pensi agli infiniti sbocchi che porterà il fatto di poter finalmente decodificare i tracciati neurali – continuò Kurai, all'apparenza ignaro del disagio e della rabbia che lei avvertiva crescere in sé e in Zero – Potremmo far recuperare la memoria ai pazienti colpiti da amnesia o malattie degenerative, esaminare i ricordi degli imputati e dei testimoni nei processi per scoprire la verità, addirittura prevenire i crimini prima ancora che siano commessi ed estirpare tutto il male dalla mente delle persone... e poi l'immortalità! Potremmo conservare la nostra essenza, trasferirla in corpi sempre nuovi e sani, addirittura riportare in vita i nostri cari perduti e renderli perfetti! Cos'è il sacrificio di un'unica vita di fronte a tutto questo?
Zero impallidì.
– Lei è pazzo! La mente di una persona non è un qualcosa che si possa spiare, manipolare o personalizzare a suo piacimento! Ogni essere umano...
Kurai sollevò gli occhiali e si massaggiò la radice del naso.
– Lei è un inguaribile romantico, Capitano – sospirò – Come il povero Professor Daiba e come Oyama. Ma il romanticismo va messo da parte se vogliamo il progresso e un mondo migliore. Perché nessuno debba più soffrire la perdita d'una persona cara come è successo a noi sono disposto a tutto, anche a esser chiamato mostro, anche a sacrificare non uno, non cento, ma mille Harlock... e lui sarebbe d'accordo con me.
– Provi a fargli ancora del male – ringhiò Zero – Gli torca un solo capello e le giuro che sarò io a uccidere lei, dovessi morire!
Kurai non si scompose.
– Si calmi, Capitano. Io non voglio far del male a nessuno, gliel'ho già detto, e sarei più che felice di non dover pagare il prezzo che ho pattuito con Arngeir, il suo capo, Matia e Lia. Sappia che è solo grazie a me se il suo amico non è già morto o impazzito e non sta marcendo in qualche fetida cella ma, anzi, sta vivendo nel migliore dei mondi possibili.
Si rimise al pannello e digitò qualche veloce stringa di comandi.
Uno degli schermi s'accese sopra la capsula di Harlock e, in grande e nel dettaglio, vi apparvero i dati relativi al suo elettroencefalogramma.
– Come potete vedere – Kurai ne evidenziò una sezione, formata da quattro righe le cui onde erano curve e ravvicinate – Il suo cervello continua a funzionare, ma in una fase REM continua indotta dagli ormoni che gli somministriamo con pause di otto ore ogni venti per simulare il sonno.
Mayu osservò il volto di Harlock, immobile e sereno.
– Vuol dire che per lui il tempo della veglia è in realtà un lungo sogno?
– Proprio così, piccola – Kurai sorrise – Solo che, a differenza dei normali sogni, quello che sta vivendo lui è reale sotto ogni aspetto, sia logico che sensoriale: una vera e propria realtà alternativa creata dai suoi più intensi desideri, dalle sue più grandi speranze e anche dai suoi rimpianti, con un piccolo aiuto da parte del mio vecchio programma Oneiros*...
Digitò qualcos'altro sulla tastiera e piccole scritte bianche su sfondo nero si rifletterono sulle lenti spesse dei suoi occhiali.
– Conosci la leggenda della nascita dei sogni, piccola? Si narra che furono creati dal dio del sonno per rimediare a un errore delle dee del Fato, che non avevano assegnato sorte alcuna a un uomo e se n'erano accorte solo quando questi arrivò in punto di morte. Dato che non era possibile né donargli un'altra esistenza né farlo morire senza che avesse vissuto, il dio lo immerse in un sonno profondo e gli fece vivere un'intera vita nell'arco d'una notte. Ah, i sogni! “Tessuti con l'argento delle stelle, con perle di lacrime e di rimpianto e cristalli di desiderio”... *
Distese le braccia e la guardò.
– Una bella fiaba per bambini, con un fondo di verità. Da un certo punto di vista, tutti noi siamo dèi: la nostra mente può creare interi mondi, farci vivere mille vite, avverare mille desideri inconfessabili... La sua lo ha fatto – si alzò e si diresse a un altro pannello, dal quale, con un basso ronzio, uscì un foglio di carta – Ecco qui. Da quanto mi risulta, la sua realtà onirica è ferma al duemilanovecentosettanta, con notevoli alterazioni negli avvenimenti sia storici che della sua vita privata – rise – Pensi, Capitano Zero, si crede ancora un ufficiale della Flotta, proprio come lei!
– Vuol farmi credere che dopo tutto quello che ha passato in questi quattordici anni, Harlock non si rende conto d'esser prigioniero in una realtà fasulla?
Kurai scosse il capo.
– Lo escludo. Ha presente quei sogni che cominciano con l'illusione d'essersi svegliati, Capitano? Magari quelli in cui siamo tornati bambini e tutta la nostra vita di adulti ci sembra uno strano sogno? Ecco, quella è proprio la sensazione che ricrea Oneiros. Se Harlock ha delle reminiscenze di ciò che è stata la sua vera vita, gli arrivano in quelle che per lui sono le ore del sonno. E anche se, per assurdo, arrivasse a sospettare che quella è la realtà, il suo stesso inconscio lo spingerebbe a rifiutarla: ho decodificato il suo tracciato neurale per selezionare i ricordi da impiantare nel suo Herakles e devo dire che alcuni sono davvero terribili: mi stupisce che non sia crollato prima.
– La gioia e il dolore fanno parte della vita – stretto nella mano di Mayu, il polso di Zero ricominciò a tremare – Per quanto possa aver sofferto, sono sicuro che avrebbe potuto affrontarlo. Quella... quella non è una vita vera e non è giusto...
Kurai gli lanciò uno sguardo insofferente.
– Avrebbe preferito che lo lasciassi torturare da Matia e Lia, Capitano? Succederà, non tema... ma fino ad allora, almeno, sarà stato al sicuro, avvolto nel più bello e reale di tutti i suoi sogni.
Mayu sussultò a quei nomi.
Ricordò le parole che avevano pronunciato durante il collegamento video tra la Nèmesis, l'Arcadia e la Karyu: avevano detto che Harlock era al sicuro in attesa del gran finale... che le avrebbe implorate di ammazzarlo quando si fosse reso conto d'aver ucciso con le sue mani tutti coloro che amava. E se quello che abbiamo affrontato non era lui... se tutto ciò che vede o prova un Herakles viene registrato e Kurai può decodificare, selezionare e impiantare ogni parte d'un tracciato neurale...
La lucida cattiveria di quell'incredibile vendetta la colpì come uno schiaffo. Gemette, strinse più forte il braccio di Zero e posò la mano libera sul vetro della capsula.
– Un bellissimo sogno, già – guardò Kurai – Che si sarebbe infranto con l'impianto della memoria del suo Herakles, vero?
Sia Zero che il Professore la guardarono sorpresa.
– Gli avreste impiantato i ricordi... dei nostri omicidi? – Zero guardò Harlock e impallidì – E lui...
– Se ne sarebbe ritenuto responsabile, già – Kurai non provò nemmeno a negare – D'altronde, ciò che muove la mente dell'Herakles fa parte di lui. Tutti abbiamo un lato oscuro.
– Siete dei criminali! – un tremito di rabbia scosse il Capitano della Karyu – Calpestare così i sentimenti di un uomo, giocare coi suoi ricordi e i suoi desideri, approfittarsi del suo dolore e dei suoi rimpianti... non ve lo posso perdonare! E lei che ha reso possibile tutto questo meno degli altri!
– Che altro avrei potuto fare? – Kurai allargò le braccia – Solo così i miei compagni avrebbero accettato di non fargli più male del necessario e m'avrebbero dato il loro aiuto. Soffrirà parecchio a livello emotivo quando lo risveglieremo, è vero, ma per poco... mi auguro. Non teneva più alla sua vita, dopotutto... e poi sarà sacrificata per un fine superiore.
– Un fine... superiore? – il braccio di Zero sfuggì alla stretta di Mayu, con una tale violenza da sbilanciarla – Un fine superiore?! Trasformare le persone in bambole prodotte in serie e sostituibili in qualunque momento per lei sarebbe un fine superiore? Ridurre tutti i pensieri, tutti i sentimenti e i ricordi di un essere umano a dati trasferibili e cancellabili a suo piacimento sarebbe un fine superiore che vale la vita, gli affetti e i ricordi di un uomo? Che vale tutta la sofferenza che ha già procurato? Ho sentito abbastanza!
Zero mosse un altro passo zoppicante verso Kurai.
Emeraldas sollevò la pistola, armò il cane e mirò.
– No! – Kurai alzò un braccio – Potresti colpire la capsula o il computer!
Fu un attimo.
Zero s'abbassò sulla gamba ferita con un mugolio di dolore e scattò di lato per togliersi dalla linea di tiro. Presa alla sprovvista e forse confusa dall'ordine di Kurai, Emeraldas scoprì il fianco e lui ne approfittò per posizionarsi di lato rispetto al braccio che reggeva la pistola; le afferrò il polso con la mano destra e la canna con la sinistra, fece forza e la obbligò a ruotare l'arma in modo che puntasse al suo viso.
Con un rapido, brusco movimento rotatorio contro il suo pollice, le strappò il calcio della pistola dalle mani e, prima che lei avesse il tempo di reagire, la colpì alla tempia e sulla nuca. Emeraldas si accasciò al suolo.
– Adesso – Zero fece un passo indietro e ricaricò – Lei libererà Harlock e poi mi seguirà sulla mia nave.
Kurai scosse il capo e lo guardò, l'espressione triste.
– Non è proprio possibile convincerla a stare dalla mia parte, vero, Capitano?
– Si consideri fortunato se dopo ciò che ho sentito qui mi limito ad arrestarla, Professore – Zero si chinò a perquisire Emeraldas – E taccia, prima che cambi idea.
– Potrei ridarle sua moglie e suo figlio, se ne rende conto? Vuole buttar via così la possibilità...
Un colpo di pistola lacerò il silenzio e infranse uno dei neon sul soffitto.
Una pioggia di vetri rotti cadde sullo scienziato, che gemette e si riparò il capo con le mani.
Zero si rialzò, un pugnale da lancio nella mano sinistra.
– Non voglio sentire un'altra parola! – tuonò – Ora faccia quello che le ho detto, Kurai.
– Non è così semplice – il Professore scosse il capo nel tentativo di liberare i capelli dalle schegge di vetro che vi erano rimaste impigliate – Il risveglio da Oneiros dev'essere graduale e io non avevo programmato di farlo così presto!
– Quanto le ci vuole?
– Almeno ventiquattr'ore.
– Non abbiamo tutto questo tempo – Zero lo afferrò per il camice e lo trascinò al pannello di controllo del computer – Là fuori c'è una battaglia in corso e questo posto non è sicuro. Stacchi tutto.
Kurai si liberò con uno strattone.
– E poi il pazzo che vuol fargli del male sarei io! Lo sa che cosa rischierebbe, se lo facessimo tornare all'improvviso? Nella migliore delle ipotesi, quella in cui non riuscisse a recuperare i ricordi sigillati in Oneiros, li perderebbe per sempre...
– E nella peggiore?
– Lo shock potrebbe farlo impazzire: potrebbe non esser più in grado di distinguere sogno e realtà, ridursi a un vegetale per il resto dei suoi giorni o addirittura avere un infarto e morire sul colpo. Se è disposto a correre questi rischi, Capitano, prego – indicò un pannello con tre chiavi e un pulsante e incrociò le braccia – Quello è lo spegnimento. Giri le chiavi e prema il pulsante, ma io non voglio saperne nulla.
Zero si voltò a guardarla e Mayu lesse sul suo viso la stessa angoscia che attanagliava lei.
Di certo non potevano aspettare tutto quel tempo: se qualcosa fosse andato storto là fuori o nello spazio, sarebbero stati tutti in pericolo, ma rischiare di uccidere Harlock con le loro mani invece di salvarlo sarebbe stato davvero troppo.
Poi, il ricordo di Maji le attraversò la mente e le diede una speranza.
– Non c'è una procedura d'emergenza? – il piccolo ingegnere dell'Arcadia lo ripeteva sempre: averne una per ogni cosa era la regola numero uno per qualunque tecnico o scienziato.
Con sua enorme gioia, Kurai annuì.
– C'è – spinse indietro gli occhiali – Ma non è mai stata neanche collaudata. Smisi d'occuparmi dello studio dei sogni con la fine della guerra e la scoperta dei chip Hardgear: in confronto al progetto Herakles, Oneiros era un giocattolo per bambini – sospirò – E comunque, nemmeno allora trovavo volontari per collaudare quel macchinario.
– Volontari? – Mayu s'avvicinò.
– Sapete cos'è un onironauta? – Kurai digitò una sequenza di comandi.
Mayu annuì. Aveva letto qualcosa in un libro che le aveva prestato il Dottor Zero.
– Un sognatore che ha coscienza del fatto di stare sognando – cercò di ricordare la definizione esatta – E che può esplorare o modificare a proprio piacimento la realtà del sogno.
– Esatto – Kurai estrasse un'altra scheggia di vetro dai suoi capelli – Bé, per tirare fuori Harlock dalla sua realtà alternativa, c'è proprio bisogno di un onironauta.
Zero lo guardò perplesso.
– E come può riuscire a risvegliarlo, un altro sognatore?
Kurai esaminò la scheggia, la gettò dietro le sue spalle e ricominciò a digitare.
– Dimentica che si tratterebbe d'un sognatore lucido, Capitano. Una persona del tutto in sé, cosciente di quali siano stati davvero gli avvenimenti storici, di quale sia la realtà odierna e di quale sia il vero lui...
Un ronzio li fece voltare. Accanto a quella di Harlock, un'altra capsula stava emergendo pian piano dal pavimento.
Kurai si alzò.
– Quella è Endymion**, la capsula dell'onironauta. Vedete quella mascherina? Serve a inviare stimoli acustici e luminosi al nostro viaggiatore dei sogni non appena entra in fase REM. A quel punto, sta a lui predisporsi a recepirli, convincere il nostro sognatore che quella che lo circonda non è la realtà, entrare in contatto con la sua mente e fargli recuperare i suoi ricordi. Quando questo accadrà, riceverò un segnale attraverso il computer e potrò dare il via al processo di risveglio. Devo avvisarvi di due cose, però – s'avvicinò alla capsula e premette un pulsante – Primo: il collegamento fra le due menti avviene tramite Oneiros. Non appena rileverà la presenza dell'onironauta, il programma cercherà d'inglobarlo nel mondo alternativo. Se l'onironauta dovesse fallire nel rimanere lucido, sia alla ricezione degli stimoli che dopo, ci ritroveremmo con due sognatori. Secondo: se il sognatore dovesse recuperare i ricordi e la consapevolezza di sé troppo in fretta, potrebbe fare la stessa fine che se lo svegliassimo staccando la macchina. L'onironauta rischia meno, ma se il contatto fra le due menti fosse troppo profondo, temo che subirebbe un discreto shock anche lui.
Il coperchio della capsula si aprì e Kurai li guardò entrambi con aria di sfida.
Mayu s'appoggiò al bordo e sostenne il suo sguardo.
– Come dovrei fare, di fatto, per entrare in contatto con la mente di Harlock?
– Un contatto fisico – il Professore stese il braccio – Basta anche solo che ti dia la mano, poi tutto dipenderà dalle vostre volontà. Ti avverto, però, piccola: non sarà facile. Oneiros farà di tutto per impedire che il sogno si spezzi e Harlock stesso, a livello inconscio, potrebbe non volersi svegliare. Inoltre, la sua realtà è ferma a prima che tu nascessi: non ti riconoscerà.
– Ci vado io, Mayu – Zero le mise fra le mani pistola e pugnale e squadrò Kurai dalla testa ai piedi – Se dovesse tentare qualche scherzo, sparagli.
– Non le vado davvero a genio, eh, Capitano? – Kurai sospirò – Non si preoccupi, interessa anche a me vedere se Endymion funziona come dovrebbe. Si tolga la giacca e la maglietta, per favore.
– Qualunque cosa accada, ricordati la promessa che m'hai fatto – Zero la guardò serio, si spogliò e si stese nella capsula – Se le cose si mettono male, non pensare né a me né ad Harlock e salva prima di tutto la tua vita.
Mayu gli fece un cenno d'assenso e sistemò il pugnale nel cinturone.
Kurai fissò degli elettrodi alle tempie di Zero, ai polsi e sul petto, gli infilò la cannula d'una flebo nell'avambraccio e l'ago di quello che sembrava un sondino alla base del cranio.
Sullo schermo accanto a quello che mostrava i parametri vitali di Harlock, apparvero anche i suoi.
– Bene – Kurai si rimise alla sua postazione, scrocchiò le dita e le fece volare sulla tastiera – Indossi la maschera, Capitano... si parte!
Non appena la testa di Zero si fu posata sul fondo anatomico della capsula, il coperchio si chiuse e un liquido gorgogliò nella cannula della flebo.
Ai lati del suo collo, due sportellini si aprirono con un basso ronzio; ne spuntarono delle siringhe che, con uno scatto improvviso, gli iniettarono un'altra sostanza.
Mayu osservò le palpebre di Zero abbassarsi piano dietro le lenti scure della maschera, poi si mise fra lui e Harlock, la pistola in pugno: le loro vite, adesso, dipendevano da lei.

* Oneiros, nella mitologia greca, è la personificazione del sogno e uno dei messaggeri di Zeus.
** da “E fu così che nacquero gli Oneiros”, di Anna Montella.
*** Secondo il mito, Endymion era un tizio che ricevette dal dio del sonno la capacità di dormire ad occhi aperti... il papà degli onironauti! ^_^


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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 35
*** La sbronza del secolo... o no? ***


cap 8 Harlock aprì gli occhi e si sollevò a sedere nella penombra della sua stanza.
Il tempo di ricordarsi chi era e dove si trovava e un sorriso gli affiorò alle labbra.
Di nuovo quel sogno assurdo...
Era già da qualche tempo che, durante il sonno, la sua mente si ostinava a trasformarlo in un pirata vestito di nero dalla testa ai piedi con tanto di benda sull'occhio, mantello e spadone, Capitano di una nave che, dallo scafo esterno sino al letto della sua cabina, era un tripudio kitsch di Jolly Roger... e per di più infestata dallo spirito di Tochiro.
Era colpa dello spirito di Tochiro, in un certo senso: da quando quell'idiota s'era messo in testa di scoprire la ricetta dell' Heavy Red Barbour e distillarlo per conto proprio, le ubriacature più o meno allucinogene erano all'ordine del giorno.
Harlock si massaggiò le tempie ancora doloranti e si girò su un fianco.
Lei era ancora addormentata.
Alla luce del tenue raggio di sole che filtrava dalle imposte, i suoi lunghi capelli biondi e la sua pelle chiara producevano un incantevole contrasto sul tessuto nero e lucido del cuscino.
Rimase a osservarla ipnotizzato.
Era così bella che a volte non gli pareva nemmeno reale e temeva che al minimo tocco si sarebbe frantumata come se fosse di cristallo, che sarebbe svanita come nebbia portata via dalla brezza... o che, come nei suoi incubi peggiori, non sarebbe riuscita a sopravvivere alla durezza del mondo e l'avrebbe lasciato insieme ai sogni, alla speranza e a tutto ciò che era bello e puro, tutto ciò che valeva la pena proteggere.
Rise di quelle assurde paure: lei era lì, calda, vera... e sua.
Ripensò alle carezze e ai baci della notte e, una volta di più, si chiese come fosse possibile che il corpo e l'anima d'un uomo potessero contenere tanta gioia.
Le sfiorò la spalla nuda con un dito, seguì la linea del suo braccio sino al bordo del lenzuolo e glielo tirò fin sotto il mento. Le posò un lieve bacio sulla guancia e si alzò.
Per fortuna stavolta le gambe parevano reggerlo, la vista non s'annebbiava e non aveva neppure la nausea.
Tirò un sospiro di sollievo; l'Ammiraglio, l'ultima volta, gli aveva detto chiaro e tondo cosa l'avrebbe aspettato se si fosse ripresentato sbronzo al Comando: pulire le sentine di tutta la Flotta con uno spazzolino da denti... e poi usarlo.
Ridacchiò. Il vecchio non sarebbe mai arrivato a tanto, specie con lui, ma nell'Esercito l'efficienza era tutto, anche in tempo di pace. Era giusto così, in fondo: il lassismo era l'anticamera della decadenza e Harlock non osava neanche pensare a cosa sarebbe potuto succedere se un'invasione come quella meccanoide di due anni prima avesse sorpreso un Esercito molle, inefficiente e guidato da incapaci che pensavano solo ai propri interessi.
Indossò i boxer e i pantaloni, afferrò la giacca della divisa, chiuse la porta della camera da letto e aprì le imposte del terrazzo.
L'aria fresca del mattino gli riempì i polmoni, i raggi del sole lo avvolsero in un caldo abbraccio; uno sguardo al cielo azzurro e terso sopra di lui e persino il mal di testa gli parve diminuire. Respirò a fondo e si stiracchiò, felice.
Si sentiva in pace con il mondo, con quel bellissimo pianeta che così tanto amava ammirare dallo spazio e che piano piano cominciava a rinascere: appena un anno prima la guerra e la stupidità umana l'avevano portato vicino all'annientamento e c'erano stati lutti e tragedie a non finire, ma almeno i suoi abitanti avevano capito una volta per tutte quali erano le cose che contavano davvero e si erano decisi a rimboccarsi le maniche e lasciare da parte le loro sciocche differenze e i loro stupidi contrasti per il bene comune.
Harlock infilò la giacca della divisa, stirò alla meno peggio un paio di pieghe col dorso della mano, l'abbottonò e guardò l'orologio.
Nemmeno il tempo di prepararsi un caffè: erano quasi le sei e avrebbe dovuto correre per presentarsi in tempo all'appello.
Il suo stomaco protestò alle sue intenzioni e alla vista della porta della cucina, ma lui aveva trovato un metodo infallibile per rimetterlo in riga: aveva scoperto che, se solo provava a immaginare le portate più disgustose che gli venissero in mente, riusciva a sentirne il sapore come se le avesse assaggiate davvero.
Croissant con wurstel e marmellata di banane! Yogurt alla pesca con crema di broccoli e cereali! Caffè al tabasco, maionese e cannella...
Ecco, a posto: la fame era già passata.
Aprì la porta, calzò gli stivali e cominciò ad annodarsi il fazzoletto mentre scendeva le scale.
Sul pianerottolo che collegava il suo appartamento con quello di sotto inciampò in un informe fagotto marrone e quasi ruzzolò dalle scale.
– Oh, ma insomma – una voce nasale ancora impastata dal sonno levò subito la sua flebile protesta – Ancora cinque minuti, Emeraldas!
Un piccolo, tozzo giapponese emerse dal poncio che lo avvolgeva come un bozzolo, i capelli arruffati e due grosse borse scure sotto gli occhi.
Harlock lo guardò spiazzato.
– Tochiro?
– Oh, Harlock – il suo migliore amico, nonché Capo Ingegnere della sua Death Shadow, gli rivolse un saluto assonnato, afferrò i suoi occhialetti tondi e se li sistemò sul grosso naso a patata – Buongiorno! Dove te ne vai a quest'ora? Già, a proposito... ma che ora è?
Harlock sospirò. Certo che quel tipo non cambiava proprio mai: sempre fra le nuvole, tranne quando era in mezzo ai suoi marchingegni.
– Sono le sei e cinque – lo informò mentre finiva di annodarsi il fazzoletto – Tu, piuttosto, che ci fai qui e per di più conciato così?
Osservò con occhio critico la divisa che indossava sotto al poncio, stazzonata, macchiata di liquore e priva delle mostrine del Reparto Tecnico ai bordi del colletto strappato: quella, l'Ammiraglio non gliel'avrebbe certo fatta passare.
– Merito della mia dolce metà – Tochiro si voltò a fissare la porta e si grattò la nuca – Non hai sentito le urla e il rumore di piatti rotti, ieri notte, dopo che sei rincasato?
– Per la verità...
– Certo che non hai sentito – Tochiro si alzò, sbadigliò e gli diede una gomitata, un sorriso a trentadue denti stampato sul viso tondo – Appena il tempo di chiudere la porta e tu e Maya avete cominciato a farne ben altri, di rumori... ah, che invidia!
Harlock fece appello a tutta la sua forza di volontà per non mostrargli il suo imbarazzo.
Non amava quel genere di discorsi tra uomini e, negli anni, aveva affinato una tecnica infallibile per evitarli con stile: in assoluto silenzio, incrociava le braccia sul petto, inclinava il capo e rivolgeva al suo interlocutore uno sguardo fisso e un po' torvo.
L'effetto era sempre lo stesso, rapido e stupefacente: tutti distoglievano lo sguardo, balbettavano una qualche scusa e battevano in ritirata.
Tochiro era la sola eccezione alla regola, ma forse era perché lo conosceva troppo bene... anzi, a volte Harlock aveva il sospetto che lo facesse apposta a fare certe allusioni, che si divertisse un mondo a provocarlo.
– Avanti, amico mio, non devi vergognarti – anche in quel momento rideva sotto i baffi – Non c'è niente di più naturale e meraviglioso dell'amore! E poi puoi stare tranquillo: con me la tua fama di uomo di ghiaccio è al sicuro!
Tirò fuori da chissà dove un'altra delle sue infernali bottiglie e fece per addentare il tappo.
Harlock gliela strappò di mano.
– Ma sei impazzito? Se ti presenterai ubriaco all'appello, stavolta l'Ammiraglio...
– Eh? – Tochiro si grattò la nuca – Quale appello?
– C'è l'ispezione generale, oggi, te ne sei scordato? Datti una sistemata, che...
– Eh? Ma l'ispezione è stata rinviata! L'Ammiraglio s'è sentito male dopo aver assaggiato il nostro Barbour Custom! Siamo in licenza... o forse sospesi.
Harlock spalancò gli occhi.
– Cosa?
– Non ti ricordi più? – Tochiro si grattò il mento – Bé, per la verità, anch'io non mi ricordo quasi niente di ieri sera!
Harlock si chinò e gli mise davanti al naso il liquore che gli aveva strappato di mano.
– Che cosa ci hai messo, qui dentro?
Tochiro non fece in tempo ad aprir bocca che la porta si aprì.
Emeraldas li squadrò entrambi con aria di somma disapprovazione, afferrò suo marito per la collottola e guardò all'interno dell'appartamento.
– È qua fuori – accennò verso di loro, brusca – Adesso fammi il favore di uscire e smetterla d'assillarmi coi tuoi vaneggiamenti da ubriaco!
Aprì un altro po' l'uscio e, oltre la sua sagoma appesantita dalla gravidanza avanzata, Harlock percepì dapprima un movimento e poi un rumore di passi cadenzati.
Tochiro sbirciò oltre il suo fianco, alzò lo sguardo e indicò la figura che si avvicinava.
– Perché lui non l'hai sbattuto fuori?
– Dormiva come un sasso sul pavimento, non c'era modo di svegliarlo ed è troppo pesante per una donna nelle mie condizioni – Emeraldas si accarezzò il ventre e lanciò a suo marito uno sguardo torvo – Qualcosa in contrario?
– No – Tochiro mise le mani avanti, un sorriso incerto sul viso percorso da rivoli di sudore freddo – No, no no no... tutto a posto, amore mio, non t'arrabbiare!
– Bene – Emeraldas si scostò per lasciar passare l'uomo, un tipo alto, scuro di capelli e con indosso una spiegazzata divisa da Capitano dello Squadrone Indipendente.
– Harlock – l'uomo oltrepassò la soglia e mosse un passo verso di lui, pallido come se vedesse un fantasma – Harlock, sei davvero tu?
Harlock lo squadrò dalla testa ai piedi. Aveva un che di familiare...
– Ci conosciamo? – gli domandò mentre la sua mente cercava d'associare un nome al suo volto.
– Ma sei scemo, Harlock? – Tochiro si dimenò nella stretta d'acciaio di Emeraldas – Non ti ricordi più di Warius Zero? È stato proprio per festeggiare il nostro incontro dopo tutto questo tempo che ieri sera abbiamo cominciato a bere...
– Già – Emeraldas li guardò seccata – E quando vi hanno sbattuti fuori dal bar della base, ubriachi persi e belli pesti dopo una rissa di quelle che solo voi sapete scatenare, avete pensato bene di continuare qui.
Fra le nebbie, cominciarono a emergere frammenti di ricordi: una colossale sbornia a base di Barbour ghiacciato su Heavy Meldar, un duello con le Gravity Sabre e le disperate battaglie che avevano ingaggiato durante la guerra dell'anno prima, ognuno affidando all'altro le proprie speranze per il futuro dell'umanità e ciò che aveva di più caro sulla Terra.
Già, Zero, il Capitano della Karyu: come aveva fatto a scordarselo?
– Scusa, vecchio mio – Harlock ridacchiò – Mi sa che sono più sbronzo di quanto pensassi!
– Oh, lo è anche lui, te l'assicuro, Harlock – con una mano Emeraldas diede una spinta a Zero e con l'altra trascinò Tochiro verso l'uscio – A proposito: vi sarei grata se smetteste di far ubriacare mio marito, visto che non è più un ragazzino e che fra meno d'un mese avrà anche un figlio a cui badare.
Harlock seguì lo sguardo accigliato di Emeraldas fino alla bottiglia che stringeva ancora in mano e fissò Zero, che lo ricambiò sconcertato.
– Eh? Emeraldas, ma guarda che...
– Ah, e detto per inciso: nemmeno voi due siete più dei ragazzini, quindi vedete di darvi una regolata o scordatevi d'entrare ancora qui dentro. Soprattutto tu, Harlock!
– Tochiro! Le hai fatto credere che sono io quello che...
Emeraldas premette un pulsante e la porta si chiuse su un Tochiro che lo salutava con il suo tipico sorrisetto di scusa.
Come sempre, ebbe effetto.
Per qualche strana ragione, Harlock non riusciva mai ad avercela con quel mascalzone per più d'un millesimo di secondo, e questo nonostante tutti i guai in cui lo ficcava con cadenza pressoché giornaliera.
E poi c'era da capirlo, in fondo: una moglie come Emeraldas, per di più costretta all'astensione dall'alcool e preda degli sbalzi ormonali e d'umore dovuti alla gravidanza da ormai otto mesi, avrebbe terrorizzato chiunque.
S'abbottonò la giacca e sospirò.
– Se sposare una donna e farci un figlio comporta tutto questo, devo proprio riconsiderare l'idea di metter su famiglia... e soprattutto sperare per Tochiro che gli nasca un maschio!
Rise. Chissà perché, invece, era sicuro che i suoi amici avrebbero avuto una bambina.
Addirittura, se chiudeva gli occhi, gli sembrava di vederla, di sentire il suo peso fra le braccia e la sua vocetta incerta che balbettava per la prima volta il suo nome...
E Tochiro che mi chiama anche lui “Allock” per prendermi in giro... Emeraldas che ride...
Barcollò, colto da un violento capogiro.
S'aggrappò al corrimano appena in tempo per non cadere dalle scale.
– Harlock! – la voce di Zero risuonò con strani echi nella sua testa – Harlock, stai bene?
Sono davvero sbronzo... che l'effetto sia ritardato, stavolta?
– Sì – Harlock si raddrizzò, lo stomaco sottosopra – Usciamo a prendere una boccata d'aria.
Forse gli avrebbe fatto bene, e magari anche Zero avrebbe perso quell'aria sperduta così poco da lui. Continuava a guardarlo come se davanti a lui ci fosse uno spettro orribile o uno strano alieno.
Cosa avrà messo Tochiro in quell'infernale liquore? Di nuovo i funghi allucinogeni?
No, questa volta non aveva caldo, non si vedeva dall'esterno e soprattutto non si sentiva per niente tranquillo. E quelle immagini, la figura e la voce di quella bambina immaginaria erano come i suoi sogni di pirata: fin troppo vivide...
C'era qualcosa di strano in tutta quella situazione, qualcosa che gli sfuggiva.
Il mal di testa lo colpì come una mazzata alla base del cranio, alle tempie e in mezzo alla fronte e lo costrinse ad afferrarsi più forte al mancorrente.
Ricacciò a stento un conato, rivoli di sudore freddo gli colarono sulla fronte.
Si concentrò solo sui suoi passi: destro, sinistro, un altro, un altro ancora...
Uscì nel sole, nelle tranquille stradine costellate di verde del complesso abitativo della base e gli parve di sentirsi meglio.
– Questo posto – la voce di Zero – Questo posto è...
Harlock si voltò e represse a stento un gemito: il suo amico si guardava attorno con l'aria di chi non sapesse nemmeno su che pianeta si trovasse. Magari era proprio così.
Oh, no... anche lui no...
– Siamo nel complesso abitativo della Base della Flotta Unita, Zero – Harlock gli si avvicinò – Ci abiti anche tu, giusto?
Zero si voltò di scatto e lo afferrò per le spalle.
Sotto la stoffa sottile dei guanti, le sue mani erano gelide. Aveva gli occhi sbarrati.
– Questo posto non è più così da quattordici anni, Harlock! Alla fine della guerra del sessantotto-sessantanove è stato distrutto dalle bombe!
– Quattordici anni? – Harlock si liberò dalla sua stretta; per qualche ragione, quel contatto lo metteva a disagio – Ma che dici, Zero? Siamo nel settanta, la guerra è finita solo un anno fa e l'abbiamo vinta, anche grazie a te! Guardati attorno: vedi forse meccanoidi?
Non ce n'erano, ovviamente: dall'anno prima, i corpi meccanici erano stati aboliti in tutti i territori della Federazione. Zero, però, non sembrava né convinto né più calmo.
– Non è andata così! Abbiamo perso quella guerra, Harlock! Abbiamo perso e più di metà della popolazione mondiale...
La voce gli mancò e Harlock temette che fosse lì lì per venir meno, ma poi parve riprendersi.
– Cerca di ricordare – Zero lo afferrò di nuovo per le spalle e gli diede una scrollata – Questo posto era un cumulo di macerie dopo il bombardamento del sessantanove! Non c'erano cibo, né acqua potabile o medicinali... il Governatorato razionava tutto, confiscava le armi... e i pochi che cercavano d'opporsi venivano subito messi a tacere dalla loro stessa gente impaurita, delusa e senza speranza! Tu ti sei ribellato a tutto questo e hai continuato la tua battaglia nello spazio, mentre io sono rimasto...
Era più grave di quanto Harlock pensasse: un'allucinazione persino peggiore dei suoi strani sogni a base di pirati, navi infestate da spiriti e donne bellissime che bruciavano come carta.
Uh... donne... vegetali... Belladonna?
No. Zero non era rosso in viso, non aveva le pupille dilatate e non sbavava... o almeno, non ancora. Era un tipo coriaceo e Harlock era certo che sarebbe sopravvissuto ai postumi della sbornia... o dell'avvelenamento... nondimeno, quello strano delirio e la sua aria stranita lo preoccupavano.
– Senti, t'accompagno a casa, va bene? Dov'è?
– Non ho più una casa qui da un sacco di anni, ormai – Zero lo scrollò di nuovo – Lo so che potrà sembrarti pazzesco, Harlock: questo posto e le persone che ci vivono sembrano così reali... ma è tutto un frutto della tua mente! Stai sognando da quasi quattro anni chiuso in una capsula, sotto il controllo d'un programma chiamato Oneiros...
– Zero, calmati e fa' un bel respiro profondo. Datti un pizzicotto, prova a saltare, leggi quel cartello laggiù, guarda l'orologio... è tutto reale! Siamo a Megalopolis, è il ventun marzo duemilanovecentosettanta e non c'è stato nessun cataclisma. Siamo andati vicini alla distruzione un anno fa, è vero, ma abbiamo imparato dai nostri errori e adesso viviamo in pace. Quella roba che abbiamo bevuto ieri notte deve aver amplificato le tue paure, ma credimi...
– No, tu credimi – adesso, la voce di Zero era più calma – Questo non è il mondo reale. È un sogno iperrealistico creato per tenerti prigioniero mentre gente senza scrupoli utilizza una tua copia sotto controllo mentale per screditare il tuo nome e far del male alle persone che ami!
Harlock inarcò un sopracciglio.
– E perché qualcuno dovrebbe fare una cosa del genere?
– Per vendetta – Zero abbassò il capo e la voce – Purtroppo hai parecchi nemici. Gente potente e senza scrupoli, disposta a tutto.
Harlock scosse il capo, preoccupato.
Suonava sempre più assurdo.
Era assurdo.
In fondo, lui era soltanto il Capitano d'una nave da guerra fra le tante e quella... quella era roba da fantascienza, un vaneggiamento da paranoico.
– Stai delirando, amico mio.
Lo afferrò per il gomito ma lo lasciò subito andare, di nuovo turbato da quella strana sensazione.
Da come lo guardò, Harlock fu certo che la cosa non fosse sfuggita a Zero.
– Dimmi dove abiti, avanti.
Forse, se lo avesse riportato a casa, un po' di tranquillità e la presenza rassicurante di oggetti familiari lo avrebbero aiutato a riprendersi... o almeno lo sperava.
Zero alzò gli occhi al cielo limpido, lo sguardo malinconico.
– Vivo nel mare delle stelle, ormai, proprio come te. Quando ci separammo, quattordici anni fa, ci promettemmo di incontrarci di nuovo e chiudere il nostro conto in sospeso, un giorno, ma ho fatto di tutto per evitarlo... almeno finché ci sono state una taglia e una condanna alla pena capitale sulla tua testa. Anche se eravamo amici, io rimanevo pur sempre un ufficiale e tu un pirata, e il mio dovere...
– Cosa? – Harlock sgranò gli occhi – Un pirata? Io?
Si rivide come nei suoi sogni, riflesso sul vetro del ponte di comando della sua nave: un uomo sui trent'anni avvolto in un lungo e lacero mantello nero, una benda dello stesso colore sull'occhio destro, pistola e Gravity Sabre al fianco e le mani ben salde sul timone.
No, è assurdo!
Zero annuì, serio. – Quando lasciasti la Terra, nel settanta, fosti accusato di sovversione e tradimento – si sistemò il colletto – L'accusa d'essere un pirata te la mossero quando cominciasti a depredare le navi cargo del Governatorato, ma eri già considerato tale: quando decidesti che quella della Federazione non era più la tua bandiera, innalzasti un Jolly Roger sul pennone della tua nave... Una volta mi dicesti che per te era un simbolo di libertà, del fatto che saresti sempre vissuto senza catene e che avresti scelto da te le tue battaglie.
Harlock si sentì mancare il fiato, l'angoscia che gli chiudeva la bocca dello stomaco.
Ripensò ai suoi sogni, alla bandiera che faceva issare sul pennone a ogni combattimento.
Un Jolly Roger.
E lo vide, come in un flash: un ragazzo d'appena quattordici anni, disperato e rabbioso sotto quella stessa bandiera.
– Giura sulla bandiera della libertà di combattere e morire per lei.
– Lo giuro!
– Bene! Combatti per ciò in cui credi e non per obbligo, combatti per ciò che senti dentro al cuore!
Il suo mancò un battito. Il mal di testa tornò a fargli pulsare le tempie ed ebbe un altro capogiro, ancora più violento.
Il mondo sbiadì in una miriade di piccole lucine, turbinò intorno a lui come se fosse finito in un vortice e le sue gambe cedettero.
S'appoggiò a un muretto, si sedette e si massaggiò le tempie.
Sono davvero ubriaco. Zero starà anche delirando, ma io ho addirittura le allucinazioni.
Perché erano allucinazioni, non c'erano dubbi in proposito.
Sì, c'era stato un periodo in cui aveva pensato sul serio d'andarsene, gettare alle ortiche la sua carriera d'ufficiale e cercare un posto in cui vivere tranquillo il resto dei suoi giorni, lontano da un mondo dove, più che vivere, ci si limitava ormai a esistere in una fiera, rozza indifferenza verso gli altri e il pianeta.
Ma Maya,Tochiro ed Emeraldas non avrebbero mai abbandonato la Terra sotto la minaccia meccanoide e così, alla fine, era rimasto.
Era stato un bene; per una volta, la razza umana aveva saputo stupirlo in positivo e lui aveva capito che c'era ancora speranza, che ci sarebbe stata finché qualcuno avesse continuato a vivere, a sognare e a lottare per un futuro migliore, che non c'era bisogno di trasformarsi in un eroe ribelle senza patria e legami come quello dei suoi sogni...
Di cui, forse, ho parlato sotto gli effetti dell'alcool e di chissà che altro, influenzando il povero Zero...
Si diede una manata in fronte.
Ma certo. Il rasoio di Occam: spesso, la soluzione più semplice era anche quella giusta.
– Hai ricordato qualcosa, Harlock? – Zero gli si avvicinò.
– Solo che ieri devo aver parlato troppo oltre ad aver bevuto troppo, vecchio mio – Harlock si rimise in piedi – Mi spiace. Non era certo questo che volevo... c'incontriamo dopo tanto tempo e finiamo per ubriacarci a tal punto che io non ricordo nemmeno di averti incontrato e tu non sai più distinguere tra sogno e realtà.
– Io so benissimo qual è la realtà – il pugno di Zero si serrò e fremette lungo il suo fianco – E da qualche parte dentro di te lo sai anche tu... solo che non vuoi ammetterlo!
Sollevò la mano ma, invece di tentare di colpirlo come Harlock s'aspettava, si limitò ad aprirla, ruotare il polso e osservarlo attraverso gli spazi fra un dito e l'altro.
Harlock lo guardò sospettoso.
– Cosa vuoi fare?
Senza dire una parola, Zero si sfilò il guanto e se lo mise in tasca, poi gli porse la mano.
– Stringila – Zero fece un passo verso di lui – Non so come, ma secondo l'inventore di quell'infernale aggeggio che ti controlla, attraverso un contatto fisico possiamo unire anche le nostre menti e, anche se con qualche rischio, sarei in grado di farti recuperare i ricordi che tu stesso e Oneiros avete sigillato da qualche parte nel tuo inconscio.
Harlock allontanò il suo braccio.
– Avanti, Zero! Non ti rendi conto che stai dicendo cose sempre più assurde?
Lui lasciò cadere la mano.
– Come posso convincerti?
– Andiamo a casa tua, piuttosto – Harlock incrociò le braccia – Hai bisogno di cure e riposo... e poi, se davvero è come dici tu, quel posto non dovrebbe esistere, giusto?
Zero abbassò il capo e sistemò gli ampi risvolti delle sue maniche, dubbioso.
– Potrebbe non essere così – mormorò – Ma va bene... se mi prometti di stringere la mia mano, dopo.
Harlock s'accigliò. Aveva dimenticato quanto potesse essere cocciuto e irritante quell'uomo, anche da ubriaco.
– E va bene – sbuffò – Purché ci leviamo dalla strada. La gente comincia a guardarci in modo strano.
Zero gli sorrise e imboccò uno stretto viale alberato.
– Da quando ti preoccupi di cosa pensa la gente? – In effetti, non me ne importa poi molto – Harlock alzò le spalle, felice d'aver finalmente smosso quel testone – Ma a quanto pare, grazie agli intrugli di Tochiro m'hanno già sospeso: farmi beccare a dar spettacolo con un eroe di guerra fuori come un vaso di gerani che blatera di realtà alternative generate da computers, cloni sotto controllo mentale e catastrofi postbelliche non sarebbe proprio il massimo. Inoltre, se Maya venisse a sapere che bevo ancora fino a ridurmi in questo stato, diventerebbe una belva proprio come Emeraldas. Vorrei evitare...
– Hai avuto una giovinezza davvero felice con loro al tuo fianco, vero? – Zero si calcò sulla testa il cappello e guardò il cielo con espressione triste – Capisco il tuo rimpianto, amico mio. Forse al tuo posto nemmeno io vorrei tornare indietro.
Di nuovo quell'orribile sensazione. Freddo... e un peso nel petto.
– Che vuoi dire?
Zero si fermò all'angolo di una via e lo fissò dritto negli occhi, un profondo dolore nello sguardo.
– Che i tuoi amici e la tua donna sono...
– Zero!
Da qualche parte nel viale dietro di lui, una voce femminile lo chiamò e dal suo volto, di nuovo, sparì ogni traccia di colore.
I suoi occhi si spalancarono e un tremito scosse il suo corpo mentre si voltava verso la fonte di quel suono.



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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 36
*** La mia stella per sempre ***


cap 8 Zero si voltò e l'emozione gli chiuse la gola.
Davanti a lui, il palazzo in cui aveva abitato prima della guerra si stagliava intatto, uguale al giorno in cui aveva chiuso per l'ultima volta il cancello con la chiave che ancora conservava nel cassetto del comò. C'erano ancora quelle orribili imposte turchine che s'era sempre ripromesso di ridipingere sin dal giorno del matrimonio, c'erano ancora i fiori d'alisso e le margherite sul balcone della loro camera da letto... e c'era lei che gli veniva incontro, un fagotto fra le braccia e un sorriso gentile sul volto incorniciato dai lunghi capelli.
– Sayuri*...
La voce gli uscì in un sospiro arrochito: era così tanto che non pronunciava quel nome... un'eternità.
Lei gli si avvicinò, bella come l'ultima volta che l'aveva vista dallo spazio, adagiata in un letto d'ospedale con il loro bambino appena nato fra le braccia, bella come nella foto all'interno del suo medaglione. Lo strinse forte fra le dita.
Già... Questo è un sogno. Lei non c'è più, e nemmeno nostro figlio.
Lo aprì senza staccarle gli occhi di dosso e il suo dito indugiò sul tasto del rilevatore gps.
Lo aveva premuto l'ultima volta davanti a quell'orribile cratere, con il fumo acre nelle narici, il fango viscido che gli incollava gli scarponi al suolo e i ricordi bruciati della loro vita insieme appena riconoscibili fra i ciottoli anneriti. La scritta “lost” e quella voce metallica che lo ripeteva gli avevano scavato una voragine ancor più profonda nel petto.
Premette il tasto e abbassò lo sguardo sul piccolo schermo a cristalli liquidi: un cuore giallo pulsava regolare sullo sfondo verde e una freccia puntava verso di lei... verso casa.
Il groppo in gola aumentò, la voglia di prenderla per mano ed entrare, il desiderio di ritrovre tutto ciò che aveva conosciuto e perso, di tornare a essere l'uomo d'un tempo lo assalirono con ferocia.
No.
Scosse la testa.
Doveva ancorarsi alla realtà con tutte le sue forze.
Tornò con la mente al giorno di pioggia e disperazione in cui aveva seppellito la sua famiglia e una parte di se stesso in quella bara vuota, con gli occhi che bruciavano e la testa che gli doleva per le troppe lacrime e il troppo Barbour versati durante la notte.
Risentì la forza e il calore della mano di Kaibara che gli stringeva la spalla fradicia mentre il prete continuava a blaterare di cose in cui non aveva mai creduto e che non riuscivano a consolarlo nemmeno un po'.
Un paradiso in cui un giorno si sarebbero ritrovati e dove avrebbero vissuto per sempre uniti nella gioia... quanto aveva desiderato poterci credere!
Forse lo desiderava ancora, e Oneiros lo aveva rilevato.
Il dio dei sogni sta plasmando un mondo perfetto anche per me. Devo stare attento o rischierò di perdermi anch'io.
La mano di Sayuri si posò sulla sua guancia, morbida, calda, così reale.
Lo obbligò con dolcezza ad abbassare la testa e a guardarla negli occhi, così vivi, così blu...
– Zero – la sua voce era la stessa che ricordava, il suono più dolce che esistesse al mondo – Sei pallido, amore. Stai bene?
Una folata di vento improvviso gli soffiò nelle narici il suo profumo, i suoi capelli soffici gli solleticarono il viso e lui desiderò con tutto se stesso sentirli ancora una volta fra le dita, affondare il naso nell'incavo di quel collo flessuoso, riempirsi i polmoni di quella dolce fragranza e baciare quella bocca delicata e rosea.
Ancora una volta, una volta sola.
Richiuse il medaglione e si voltò a guardare Harlock.
Ma se lo facessi, cederei. E allora che ne sarebbe di noi? E di Mayu, di Marina e tutti gli altri... no, non posso.
– Zero!
– Cosa...?
– Insomma – Sayuri s'accigliò, le sue labbra s'incurvarono in quel broncio da ragazzina che Zero aveva adorato così tanto – Non ti sarai di nuovo ubriacato da qualche parte insieme a quei buoni a nulla dei tuoi amici, vero? Non sei più un ragazzino, quante volte te lo devo ripetere? Hai un figlio a cui pensare: che razza d'esempio vuoi diventare, per lui?
Harlock gli si affiancò e gli lanciò uno sguardo malizioso.
– Ora capisco perché non volevi tornare a casa, vecchio mio – ridacchiò – E così, ecco un altro neo papà nei guai. Non me l'avevi detto. E hai fatto bene: la sbronza sarebbe stata ancor più colossale, altrimenti!
Gli strizzò l'occhio e si fermò davanti a Sayuri, che lo squadrò dalla testa ai piedi.
– Mi spiace, temo che sia stata colpa mia. Era dalla battaglia nell'orbita lunare che io e suo marito non ci rivedevamo e forse abbiamo ecceduto un po' coi ricordi e i festeggiamenti – le tese la mano – Phantom F. Harlock, Capitano della Death Shadow, Flotta Unita.
Sayuri bilanciò il suo fagotto sul braccio sinistro e gliela afferrò con un sorriso.
– Io sono Sayuri, Capitano Harlock. Lieta di fare la sua...
– No – Zero si mise fra loro – Tutto questo non è reale! Harlock, te l'ho già detto: ti trovi in un mondo simile al sogno, una realtà alternativa creata da un computer sulla base dei tuoi più intensi desideri... e ora anche dei miei, a quanto pare.
Sayuri lo guardò preoccupata.
– Zero, ma che dici?
– Temo che sia ancora un po' fuori fase – Harlock gli afferrò il braccio ma lui si liberò con uno strattone.
– È così, ti dico! Non ti ho mai parlato di mia moglie e mio figlio perché erano già morti quando ci siamo conosciuti – la sua voce s'arrochì; ogni parola, ogni ricordo era una pugnalata dolorosa al petto – Nel sessantanove noi umani perdemmo la guerra, Harlock: la mia famiglia morì nel bombardamento che seguì la battaglia nell'orbita lunare...
– Zero, non...
– Noi non ci conoscemmo allora – lo ignorò – Ma nel settanta, quando già ti eri ribellato al Governo Collaborazionsta ed eri diventato un pirata che attaccava le navi di Vorder. Per tutelare la tregua ed evitare rappresaglie da parte dei meccanoidi, avevo accettato la missione di catturarti, ma poi...
– Piantala, Zero – Harlock lo guardò inquieto – Stai spaventando tua moglie.
– Non è mia moglie! – Zero serrò i pugni e le palpebre per non vedere la ferita in quegli splendidi occhi azzurri – È una proiezione che Oneiros ha creato sulla base dei miei ricordi, del mio amore per lei, del mio desiderio di riaverla accanto e dei miei sensi di colpa, proprio come ha fatto con Maya, Tochiro ed Emeraldas!
– Piantala di dire sciocchezze – Harlock lo afferrò di nuovo, stavolta più forte – Calmati e cerca di ricordare...
– No, tu cerca di ricordare – Zero si liberò con un altro brusco strattone e indietreggiò di qualche passo – Non siamo più nel settanta, Harlock: sono passati quattordici anni, ormai! Non siamo più i giovanotti di un tempo, tu non sei più un militare e la tua nave ora è l'Arcadia! Quanto a Maya, Tochiro ed Emeraldas, sono morti anche loro. Fattene una ragione!
– Ti avverto, Zero – la voce di Harlock era bassa e minacciosa – Sto cominciando a perdere la pazienza. Calmati e ragiona, o sarò costretto a obbligarti con la forza.
– Dammi la mano, piuttosto – Zero gliela tese, di nuovo – Se sei davvero convinto che questo sia il mondo reale, non dovresti aver nulla da temere da un gesto così semplice. Se non dovesse accadere nulla io mi convincerò e, credimi, sarò ben lieto di tornare a casa con la mia famiglia e lasciarti a vivere i tuoi spensierati vent'anni!
Ma non accadrà. Non può accadere.
Guardò ancora una volta Sayuri, pallida, fragile e più bella che mai, il suo fagotto stretto al petto.
Una parte di lui sperava di sbagliare, d'essere davvero preda dei postumi d'una colossale ubriacatura; l'altra sapeva che quelle speranze erano assurde, destinate a infrangersi... e che era così che doveva andare.
– Ancora con questa storia? – Harlock gli schiaffeggiò via la mano, un'espressione tempestosa sul volto attraversato da quella vecchia cicatrice che lo rendeva ancor più minaccioso.
Zero sostenne il suo sguardo.
– Lo vedi? A questo punto, in condizioni normali, avresti accettato la sfida, se non altro per spirito di contraddizione. Se non lo fai è perché Oneiros te lo impedisce... e perché da qualche parte dentro di te sai che ho ragione. Sai che, se lo facessi, questo bel sogno si dissolverebbe e hai paura, paura di tornare a quella realtà così fredda che ti sei costruito attorno per fuggire dal dolore, a quella solitudine in cui il tempo non passa mai e l'unica speranza è la fine di tutto...
Harlock indietreggiò di un passo. Il suo braccio si sollevò di qualche centimetro, la sua mano destra si stese, tremò e si contrasse in un pugno che gli scese lungo il fianco.
Guardò Zero confuso, come se non riuscisse a controllare il proprio corpo e non sapesse spiegarsi il perché. Lui gli rivolse un mesto sorriso.
– Ti capisco, sai? Sopravvivere a chi si ama è un inferno, ma guardare solo al passato e vivere nel rimpianto è peggio... e non risolve nulla, credimi. Se non hai la forza di stringere la mia mano, non importa. Posso dimostrarti lo stesso che questa non è la realtà.
Si voltò verso Sayuri e scostò i lembi delle coperte che formavano l'involto fra le sue mani.
I belissimi, luminosi occhi castani di suo figlio s'aprirono e si fissarono nei suoi, il suo sorriso radioso gli fece venire voglia di piangere.
– Come lo abbiamo chiamato? – domandò a Sayuri, il cuore trafitto da una lama incandescente mentre quelle mani minuscole si chiudevano attorno al suo indice.
Una parte di lui pregò tutti gli dei di tutte le religioni in cui non aveva mai creduto perché lei gli rispondesse, ma Sayuri lo guardò smarrita; le sue labbra tremanti s'aprirono e si chiusero a vuoto e i suoi occhi blu, quegli splendidi occhi blu in cui un tempo aveva tanto amato perdersi, si riempirono di lacrime. Zero le appoggiò le mani sulle spalle, vicino al pianto anche lui.
– Sai perché non lo sa, Harlock? – gli domandò senza nemmeno voltarsi – Nostro figlio è nato a Megalopolis nell'aprile del sessantanove, una settimana prima della battaglia presso l'orbita lunare.
Il silenzio che cadde fra loro era pesante, angoscioso.
Zero chiuse gli occhi, sollevò la testa e cercò di non versare le lacrime che gli facevano bruciare gli occhi.
– Sayuri e io c'eravamo promessi di dargli un nome quando finalmente fossi tornato, insieme alla pace – la sua voce tremò – Ma non riuscimmo a mantenere la promessa: io non riuscii a portare la pace... e quando tornai non avevo più un figlio a cui dare un nome.
Sentì Harlock trattenere il respiro e si chiese se qualcosa si fosse mosso nei suoi ricordi.
Sayuri gli puntellò il bambino contro il petto e tese la mano verso il ciondolo che gli pendeva dal collo.
Lo aprì e mentre le note di una ninna nanna volteggiavano nel silenzio premette il tasto di ricerca.
Sullo schermo, come in quel giorno lontano, tornò a lampeggiare la scritta “lost”.
Il piccolo rise, le manine ancora strette attorno all'indice di Zero.
Una lacrima scese sulla guancia di Sayuri.
– E così siamo solo un ricordo, un desiderio, ormai...
Zero annuì, incapace di parlare.
– Ma un desiderio non abbastanza intenso da farti decidere di rimanere.
Le fece un cenno di diniego con la testa e le asciugò le lacrime con un dito.
C'era sempre quella parte di lui che soffriva e gridava e voleva restare, arrendersi, sprofondare felice in quel sogno meraviglioso e non svegliarsi mai più... e al diavolo l'Esercito, il suo dovere, il Progetto Herakles e quei furfanti che giocavano con le vite e i sentimenti delle persone, al diavolo la realtà.
Ma quella non era la sua vita e non poteva diventarlo... non con la consapevolezza d'aver abbandonato Harlock, i suoi compagni e soprattutto lei, che era diventata la sua speranza, il suo presente e il suo domani.
– C'è un'altra donna, vero?
L'immagine di Marina turbinò vivida nella mente di Zero.
Un altro cenno d'assenso.
Altre lacrime sulle guance di Sayuri.
– Ci hai dimenticati?
– Come potrei? – Zero asciugò anche quelle, un'altra carezza colma di nostalgia, amore e rimpianto – Siete nei miei pensieri in ogni momento, amore mio. Lo sarete finché avrò vita.
Era vero. Con lei aveva condiviso qualcosa di unico e irripetibile: anche dopo tanti anni, l'amore che provava per quella donna aveva tutta la forza e la purezza di quando era sbocciato.
E quel bambino era parte di lui, un miracolo stupendo che sapeva non si sarebbe mai più ripetuto, e per questo ancor più prezioso.
Sayuri gli sorrise.
– Ma non puoi vivere per sempre solo, nel passato e nel rimpianto – appoggiò la guancia umida contro la sua mano – Sei andato avanti con la tua vita... Sì, lo capisco.
Il bambino strattonò il suo dito con un'energia sorprendente per un essere tanto piccolo e Zero provò uno shock quando sentì le sue gengive serrarsi attorno alla falange e lui cominciò a succhiare.
– Sei felice?
Lui pensò a Marina, al suo equipaggio... ai suoi amici che ormai erano anche la sua famiglia.
– Sì – la sua voce era ancora roca e usciva a fatica, ma era la verità.
– Allora – lei avvicinò il viso al suo – Lo sono anch'io.
– Sayuri...
– No – la sua mano lasciò il ciondolo e si posò sulla sua guancia – Non dire niente. So che, se fossi al mio posto, nemmeno tu vorresti che invecchiassi sola e senza amore. Posso lasciarti andare se è per la tua felicità... Fallo anche tu.
Adesso, Zero era davvero a un passo dallo scoppiare in lacrime come un bambino.
Il suo lato razionale sapeva che era stupido: quella non era la sua Sayuri ma soltanto una proiezione della sua mente, un sogno lucido che forse il suo stesso subconscio stava controllando per convincere Harlock e mettere a tacere i suoi sensi di colpa... ma non gli importava.
Non avrò mai più un'altra occasione.
Prese in braccio suo figlio per quella che sapeva sarebbe stata la prima e ultima volta in tutta la sua vita.
Il cuore gli balzò nel petto quando sentì il peso e il tepore di quel corpicino fra le braccia, la morbidezza di quei capelli castani già folti e ribelli come i suoi contro la mano. Il bambino tese le braccia verso di lui, scalciò e rise, proprio come se capisse d'avere di fronte il suo papà.
– Seiryū – mormorò, felice e disperato al tempo stesso – Il suo nome è Seiryū **...
– La tua stella – Sayuri lo guardò commossa, forse persa nel suo stesso ricordo, quello di quando, da ragazzi, avevano scelto le loro costellazioni guida sotto il cielo stellato e limpido d'una vallata che ormai non esisteva più, distrutta dalle bombe come la loro storia d'amore.
– Per sempre.
Si chinò a baciare le sue labbra socchiuse e una lacrima gli scese lungo la guancia.
– Fallo adesso – la voce di Sayuri era un sussurro contro la sua bocca.
Zero allentò la presa e lasciò che lei riprendesse il bambino.
Un'altra lacrima ribelle sfuggì alle sue palpebre chiuse. Li strnse a sé un'ultima volta, desiderando che svanissero e tornassero a vivere solo nel suo cuore, desiderando che rimanessero con lui per sempre e non lo lasciassero mai più.
– Addio, amore mio.
Sotto le sue mani, le spalle di Sayuri persero il loro calore e la loro sostanza.
Zero aprì gli occhi e la osservò mentre la sua pelle chiara, i suoi capelli morbidi e i suoi splendidi occhi azzurri perdevano pian piano i loro colori.
Seiryū tese di nuovo le mani verso di lui, poi entrambi svanirono in un tremolio che gli ricordò le increspature dell'acqua calma di un lago quando qualcuno ci butta dentro un sasso.
Dietro di loro, anche la casa si dissolse.
Al posto della palazzina in cui aveva passato così pochi anni e così tanti momenti felici, apparve quella voragine.
Zero non sapeva cos'avessero costruito in quel luogo dopo la guerra; non era più tornato laggiù dal giorno del suo rientro dopo quella terribile battaglia.
S'asciugò gli occhi e si voltò.
Harlock gli si era avvicinato in silenzio; gli posò una mano sulla spalla e la strinse, l'espressione indecifrabile.
– Un giorno li ritroverai – lo lasciò andare – Nel punto in cui gli Anelli del Tempo si ricongiungono, oltre tutti gli universi, alla fine del tuo lungo viaggio...
– Sì – Zero ripensò a Tochiro e sospirò – Forse posso cominciare a crederci.
Harlock si chinò, raccolse un po' di cenere e la osservò disperdersi nell'aria mentre una leggera brezza la soffiava via dalla sua mano. Zero rimase in piedi in silenzio dietro di lui, le braccia incrociate sul petto.
– Mi credi, ora?
– Cose del genere non possono accadere nella realtà – Harlock si rialzò e serrò il pugno ormai vuoto – Quindi, per quanto tutto questo mi sembri assurdo, dev'essere come dici tu.
Rilasciò le dita e sfilò il guanto che gli ricopriva la mano destra, si voltò verso Zero e lo guardò dritto negli occhi.
– Dimmi solo una cosa – il suo sguardo si rabbuiò – Come ho fatto a caderci? Perché sono qui, privo dei miei ricordi, a vivere una vita che non è la mia e non potrebbe mai esserlo?
Zero lo fissò. Quello che aveva davanti era il giovane Harlock che aveva conosciuto un tempo: un guerriero dello spazio fiero e valoroso, deluso dai suoi simili ma ancora colmo di fiducia in se stesso, nei suoi amici e nel domani. Dubitava che avrebbe capito e soprattutto perdonato il se stesso più maturo e sfiduciato che era caduto nella rete di Kurai e dei suoi compagni.
Forse, si sarebbe addirittura rifiutato di tornare indietro.
Ma è giusto che sappia la verità.
– Avevi perso la speranza e la voglia di vivere, Harlock. I tuoi nemici ne hanno approfittato.
– Vuoi dire che ho scordato proprio quella promessa? Quella di vivere a qualunque costo e non far spegnere mai la fiamma della speranza che arde nel mio cuore?
Zero chiuse gli occhi e ripensò al periodo che era seguito alla perdita della sua famiglia.
Si era sentito inutile, vuoto, come un morto.
Per Harlock, perdere uno dopo l'altro Maya, Tochiro ed Emeraldas doveva esser stato altrettanto duro e l'idea di veder morire di nuovo il suo amico, anzi, di dover essere lui a liberarlo... poteva solo immaginare il dolore che doveva avergli procurato.
– Certe esperienze possono spegnere anche il più luminoso e ardente dei fuochi, Harlock. Sei un essere umano, in fondo.
Un ghigno truce si disegnò sul volto sfregiato di Harlock.
– Sono un essere umano stupido, se davvero mi sono lasciato andare così, qualunque ragione potessi avere – lanciò lontano il guanto e gli tese la mano – Fammi un favore, Zero: quando saremo tornati indietro, gonfiami di botte, se dovessi ricaderci. Anzi, gonfiami di botte in ogni caso.
Zero ricambiò il sogghigno e sollevò a sua volta il braccio.
– Con vero piacere, amico mio.
Le dita di Harlock si strinsero attorno al suo palmo e, come gli aveva detto Kurai, le loro menti entrarono in contatto.



* Sayuri vuol dire “piccolo giglio”, ma anche “purezza”. Non mi risulta che la moglie di Zero abbia un nome (almeno nella serie in italiano, la sola che ho visto), così me lo sono inventato... ma accetto correzioni nel caso sbagliassi! ^_^

** Seiryū vuol dire “Drago celeste” (sì, il buon Zero è fissato coi Draghi! XD).
Nella mitologia orientale, è il Guardiano dell'Est associato alla primavera, ai colori blu e verde e all'elemento dell'acqua; controlla la pioggia, sostiene e difende il Paese. È anche il simbolo dell'Imperatore e, in coppia con Suzaku, la Fenice Rossa (emblema dell'Imperatrice), rappresenta sia il conflitto che la gioia del matrimonio.


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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 37
*** La rosa di carta fra le stelle - parte I ***


cap 8 – Ho delle buone ragioni per fare tutto questo, Shizuo. Fidati di me, ti prego.
Ishikura distolse lo sguardo dagli occhi di suo fratello.
– Mi sono fidato di te per tutta la vita, Minoru – sibilò – E guarda che bel risultato!
I suoi pugni si serrarono, ma rimasero immobili lungo i fianchi.
Se fosse stato solo per lui, lo avrebbe preso a cazzotti un'altra volta, e al diavolo le conseguenze: meglio morto che alla mercé di quei pazzi del Progetto Herakles... ma c'erano dei civili di mezzo e lui era un ufficiale dell'Esercito; non poteva coinvolgerli, anche se non era per nulla convinto che Thorn li avrebbe davvero lasciati andare senza conseguenze dopo aver tolto di mezzo lui, Sylviana e Tetsuro.
Un mercenario gli s'avvicinò con un paio di manette in mano.
Ishikura diede un'ultima occhiata alla sua pistola, che giaceva a terra poco distante, a Thorn, a Tetsuro e a Sylviana, al gruppo di civili radunati sui binari e infine ai mercenari che li circondavano da ogni parte ad armi spianate.
No... siamo tutti sotto tiro. È finita.
Tirò un lungo sospiro e porse i polsi.
Chiuse gli occhi e rabbrividì al tocco gelido del metallo sulla pelle.
Lo scatto della serratura, nel silenzio assoluto, suonò come una sentenza di morte.
– Senti, Shizuo...
– Lasciami in pace!
– Quanto la fai lunga, Minoru – la voce calma di Thorn – Se vuoi che il tuo caro fratellino stia dalla nostra parte, sai benissimo cosa fare.
Ishikura lo fulminò con lo sguardo.
– Se pensate che vi permetterò di trasformarmi in uno dei vostri burattini, vi sbagliate di grosso. Sarete costretti ad ammazzarmi, prima! E se non lo farete voi, lo farò io.
La risata di Thorn riecheggiò fra le alte volte della stazione in rovina.
– Avanti, non sia così melodrammatico, Vice-Comandante Ishikura – rigirò fra le mani la Cosmo Dragoon di Tetsuro con ostentata lentezza – Non intendevo affatto questo. Giù al laboratorio volevo solo spaventarla un po' per indurla a parlare...
– Lo racconti a qualcun altro – Tetsuro lo guardò come se fosse un insetto velenoso mentre il mercenario di prima lo ammanettava, lo perquisiva e gli prendeva di mano l'hard-disk – So che l'ha già fatto. Doskoi. Taro. Kiddodo. Le dicono nulla questi nomi?
Thorn non si scompose.
Fece roteare la pistola con la disinvoltura tipica d'un uomo abituato a maneggiare le armi e la puntò dritto davanti a sé, al volto di Tetsuro.
– Certo. Avevo inviato tre miei agenti a stanare un gruppo di pirati nascosti su Heavy Meldar con quei nomi di copertura, in risposta ai disperati appelli del povero Sceriffo Lund di Gun Frontier. Purtroppo sono stati uccisi senza pietà da Harlock e da quei criminali senza scrupoli dei suoi uomini... oh, ma non mi dica che è coinvolto anche lei in quegli orrendi delitti, perché potrei ucciderla in preda alla rabbia e decidere di lasciare il suo corpo ai ratti...
Armò il cane e Ishikura trattenne il fiato.
Tetsuro non fece una piega. Continuò a guardarlo negli occhi, impassibile.
– È la storia che racconterà ai media?
– Sempre ammesso che un giorno debba giustificarmi per la sua morte, Hoshino – Thorn abbassò l'arma e fece un cenno a circoscrivere tutto ciò che li circondava – Potrebbero passare secoli prima che qualcuno trovi i suoi resti quaggiù. Finché non accadrà, sarà solo l'ennesimo amico di quel pirata scomparso in modo misterioso.
Tetsuro sorrise, glaciale.
– Non se la caverà così a buon mercato. Una copia di tutto ciò che abbiamo scoperto sul Progetto Herakles, a partire dalle autopsie dei nostri poveri amici e dei loro cloni, è già in mani sicure e affidabili. Se dovesse capitare qualcosa a me o al Dottor Ban, chi di dovere sa già cosa fare.
Thorn saggiò il bilanciamento dell'arma con fare noncurante.
– Capisco. Lo stesso scherzetto di dieci anni fa. Dubito che le riuscirà, Hoshino, ma anche se fosse, potrò affermare senza paura di smentite di non aver avuto niente a che fare con la loro triste fine.
– Tradotto per voi Boy Scout: li ha fatti ammazzare da qualcun altro senza dare indicazioni sul come, dove e quando e ha proibito di parlarne davanti a lui – Sylviana sorrise a sua volta, sprezzante – Anzi, è probabile che abbia seccato lui stesso i killer a cose fatte. Un vecchio trucco per poter fare il santarellino nel caso qualcuno lo interrogasse con un poligrafo*.
Thorn la squadrò dalla testa ai piedi mentre le manette si chiudevano anche attorno ai suoi polsi e Minoru la sospingeva accanto a Tetsuro.
– Ho solo detto che non volevo ritrovarmi quei tizi tra i piedi durante le operazioni – passò un dito sulla canna lucida della Dragoon – Cosa abbiano capito le persone a cui avevo affidato quell'incarico non è affar mio e cosa ne sia stato di loro dopo aver svolto la loro missione non lo è di nessun altro, meno che mai vostro o di un giudice. Gran bella pistola, Hoshino. Le spiace se la tengo in suo ricordo?
Tetsuro sostenne il suo sguardo, torvo.
– Faccia pure. Ma la avviso: quell'arma tende a tornare sempre in mano mia e a portare disgrazie ai tipi come lei.
Per nulla scosso, Thorn estrasse la sua pistola, ne tolse la cella d'energia e la lanciò lontano, sui binari. Fece roteare la Dragoon ancora un paio di volte e la infilò nella fondina.
– Le disgrazie colpiscono solo chi non sa prevederle... e gli ingenui come lei e i suoi amici. Ma quella che mi stupisce di più sei tu, mia cara Blossom – scosse il capo – Pensavo che dopo El Alamein avessi imparato la lezioncina sulla fiducia... e soprattutto che avessi capito da che parte ti conviene stare. T'avrei dato davvero quella lista, sai? E avresti scoperto un paio di cose davvero interessanti...
S'avvicinò a Sylviana e la tirò a sé con un brusco strattone alla catena delle manette.
Lei non oppose alcuna resistenza e lui le cinse i fianchi.
– Possiamo ancora rimediare – lei intrecciò una gamba alle sue e gli si premette contro, la voce puro miele, carica di promesse.
Thorn rise, le sollevò il mento con due dita e la baciò un'altra volta sulle labbra.
Ishikura strinse ancor di più i pugni, fino a conficcarsi le unghie nei palmi.
Si diede subito dello stupido: era logico che, messa alle strette, una mercenaria tentasse il tutto per tutto pur di salvarsi la vita... e non era nemmeno la prima volta che Sylviana giocava la carta della seduzione per togliersi dai pasticci: lo aveva fatto anche con lui, in fondo.
E allora perché me la prendo tanto? Che m'aspettavo?
Un mugolio e una bassa risata interruppero le sue poco piacevoli riflessioni.
Thorn staccò da sé Sylviana. Un sottile rivolo di sangue le colava dall'angolo sinistro della bocca.
– Spiacente, piccola, ma hai già avuto la tua possibilità e l'hai sprecata – il falso Comandante la spinse di nuovo accanto a Tetsuro e si passò una mano fra i capelli – Sei davvero una delusione: se non avessi pensato a salvare il tuo bell'ufficiale e non ti fossi fidata di Minoru, forse avresti persino potuto fregarmi. Sei davvero uguale a Stem...
Lei si passò la lingua sulle labbra e lo guardò senza dire nulla.
– Oh, lo so cosa stai pensando: sono un mostro senza cuore, un vero bastardo, giusto? Bé, lascia che ti chiarisca una cosa: bisogna esserlo per sopravvivere in un mondo come il nostro. I sentimenti sono un lusso che chi combatte e chi comanda non può permettersi.
Ishikura pensò al suo Capitano, ai suoi amici e a ciò che li univa; un sentimento fortissimo, nato da tutte le esperienze che avevano affrontato insieme e che, col tempo, aveva reso insignificanti le tante differenze che li dividevano: età, razza, provenienza, cultura, persino il fatto che alcuni di loro avessero un corpo pieno di circuiti come i nemici che gli avevano strappato suo fratello e che aveva odiato per così tanto tempo... a un certo punto, tutto questo aveva smesso di contare alcunché.
A poco a poco, quel sentimento e quei legami avevano cancellato il suo odio, riempito e arricchito la sua vita; gli avevano impedito di trasformarsi in un'arma senz'anima, di farsi schiacciare dai sensi di colpa per le scelte che aveva fatto... e poter pensare che anche gli altri suoi compagni provassero le stesse emozioni nei suoi confronti lo aveva aiutato a sentirsi un po' meno solo, lassù fra le stelle.
E quest'uomo dice che è inutile?
– Questa è un'enorme sciocchezza – gridò – I sentimenti sono ciò che ci permettono di rimanere umani anche in mezzo alle atrocità della guerra, di distinguere il bene dal male e che ci fanno ricordare che anche un nemico...
– Mi risparmi il suo buonismo, Vice-Comandante – Thorn alzò una mano a interrompere la sua filippica – Non cambierò idea. Il Progetto Herakles è il futuro, che piaccia o meno a lei e ai suoi amici. Per servire a qualcosa, un soldato deve solo obbedire: pensare a cosa è giusto o sbagliato, ad amici o parenti, provare pena per il nemico o cercare di comprenderlo è un biglietto di sola andata per la sconfitta, dovrebbe saperlo più di chiunque altro. E dovresti saperlo anche tu, Blossom: è stato per i vostri scrupoli e il vostro desiderio di scoprire le vostre vere identità che il Progetto Rosa Rossa è stato... abbandonato.
– Già – Sylviana si leccò il sangue dalle labbra – Aver cercato di tirar fuori vivi Stygma, Anther e Prickle da quella base meccanoide prima di farla saltare dev'essere stato davvero imperdonabile, dal vostro punto di vista.
– Quell'esitazione poteva costarci il fallimento di un'importante missione – tagliò corto Thorn – E poi, le indagini che avete cercato di condurre di nascosto per trovare le vostre famiglie, i contatti col Comandante Arngeir... credevate davvero che nessuno se ne sarebbe accorto? Che nessuno vi sorvegliasse?
Ishikura non resistette oltre. Sollevò i pugni stretti nel metallo.
– Lei è davvero un bastardo, Thorn – mosse un passo verso di lui – È naturale che quei ragazzi volessero sapere se da qualche parte avevano ancora una famiglia... è umano!
– Appunto – lui ricambiò il suo sguardo, tranquillo – Errare è umano.
Errare?! Come può essere un errore desiderare l'affetto della propria famiglia?
Minoru lo trattenne per le spalle e Thorn lo squadrò dalla testa ai piedi, divertito.
– Sa, lei è così ingenuo che mi chiedo come sia arrivato a ricoprire la sua posizione, Vice-Comandante Ishikura. Una spia con un passato o, peggio ancora, degli affetti è vulnerabile: può essere ricattata, ingannata, indotta a tradire. Era per questo che reclutavamo i Rosa Rossa in tenera età e toglievamo loro persino il nome. Purtroppo, a quanto pare, nessun addestramento può cancellare certi istinti...
– Ma con gli Herakles questo problema non c'è – concluse per lui Tetsuro – Sono i soldati perfetti: logica e intelligenza umane, nessuna volontà e ricordi modificabili a piacimento. Peccato che clonare la gente sia vietato, senza contare le torture atroci che avete inflitto a quei poveri esseri che usavate come cavie...
Minoru lasciò la presa e Ishikura lo fissò: aveva le labbra strette ed era bianco come un lenzuolo.
Si chiese se anche lui, in quel momento, stesse rivedendo il volto di Takeshi stravolto dalla sofferenza in quel laboratorio, quel cadavere riverso a terra e ormai irriconoscibile.
Thorn sembrò non far nemmeno caso a lui.
– Abbiamo trovato la soluzione, per quello: i nuovi Herakles non sono ottenuti da cloni umani e il problema del rigetto è stato risolto con successo. Inoltre, le mele marce che avevano sperimentato su esseri senzienti e quelle che le avevano finanziate hanno già pagato i loro errori.
– Avete fatto in modo che pagassero anche per voi, vorrà dire – la voce di Tetsuro era colma di disgusto – E non faccio nemmeno fatica a immaginare come: avevano tutti delle famiglie, giusto?
Thorn incrociò le braccia sul petto e annuì flemmatico.
– Un'ulteriore riprova di quanto gli affetti possano rendere sciocche, deboli e pericolose le persone.
Ishikura vacillò, colpito dal peso di quella frase e soprattutto dalle sue implicazioni.
Allora nostro padre si è ucciso per proteggere Minoru e... me?
Per la prima volta dopo tanti anni, provò qualcosa di diverso dal risentimento per l'uomo che lo aveva messo al mondo. Non era l'amore d'un tempo, non era il perdono né la comprensione per ciò che aveva fatto, non era pietà... o forse era un po' di tutto questo.
– Hai sentito, Minoru? Papà...
Incrociò il suo sguardo e le parole gli morirono in gola: suo fratello aveva un'espressione triste, ma priva del minimo accenno di rabbia o stupore.
– Tu... tu lo sapevi? – gli domandò con un filo di voce.
Minoru chinò il capo e lui non riuscì più a trattenersi.
– E stai lo stesso dalla parte di questi pazzi assassini?! Come fai a guardarti allo specchio senza sputarti in faccia, la mattina?!
Fece per lanciarglisi addosso, dimentico di tutti i suoi scrupoli di soldato, ma Sylviana si mise in mezzo. Si fermò appena in tempo per non travolgerla.
– Spostati! – cercò  d'aggirarla, senza successo.
– Calmati! – lei gli si puntellò addosso – Cosa credi d'ottenere, così? Sei disarmato e ammanettato: ti farai solo ammazzare per niente!
Ishikura esplose in una risata isterica.
– Tanto non usciremo vivi di qui! E anche tu... hai sentito cos'ha detto di te e dei tuoi compagni, quel delinquente? Come fai a restare così calma?!
– Sylviana ha ragione – anche Tetsuro gli si parò davanti – Non otterrà nulla aggredendo Ifiklìs, Signor Ishikura.
– Ma...
– E poi, non possiamo rischiare di coinvolgere degli innocenti – Tetsuro guardò verso i binari dove erano radunati i suoi compagni – Abbiamo delle responsabilità, non se lo dimentichi.
Ishikura seguì la linea del suo sguardo, poi riportò lo sguardo su Minoru.
– Perché? – gli domandò per l'ennesima volta.
– Te l'ho detto. Ho delle buone ragioni, Shizuo.
– E allora dimmele, maledizione! – gridò esasperato – Dammi un motivo per non odiarti... uno solo!
Lui abbassò l'arma e gli si avvicinò.
– Sono tuo fratello – la sua voce si ruppe – Ti voglio bene... e... e tutto quello che ho fatto l'ho fatto per proteggerti. Credimi.
Gli parve di risentire suo padre in quell'aula di tribunale, tanti e tanti anni prima, di rivedere quell'ultimo sguardo che gli aveva lanciato mentre le guardie lo portavano via.
Gli credeva, come allora aveva creduto a lui. E forse era proprio questo a fargli più male.
– Sei proprio uguale a lui – serrò i pugni e desiderò come non mai di avere le mani libere e qualcosa, qualunque cosa, su cui sfogare la sua frustrazione – Hai già deciso tutto e di quello che voglio io, di quello che penso, non te ne frega niente, vero?
Minoru gli afferrò le spalle e lo guardò cupo. Ishikura si divincolò.
– Questo non è vero e lo sai benissimo – le dita di Minoru lo strinsero più forte – Io ci ho provato, Shizuo: ho provato a lasciarti libero di seguire la tua strada, a soffocare le mie ansie, a non pensare che potresti anche... – la sua voce si spezzò di nuovo e le sue mani tremarono prima di lasciarlo – Ma non hai idea... non hai idea di come sia starsene qui ad aspettarti col terrore di ricevere quella comunicazione invece di vederti tornare... e far finta di nulla, ridere e scherzare in quei pochi giorni all'anno in cui possiamo stare insieme... non ne hai idea!
– Potevi provare a parlarmene invece di complottare con questi pazzi per... per cosa? Cos'è che speravi d'ottenere?!
Thorn s'avvicinò, il passo e l'espressione tranquilli.
– Cercherò di chiarirglielo in breve, Vice-Comandante, anche se dovrebbe averlo capito, ormai – rigirò fra le mai l'hard-disk di Tetsuro senza incrociare il suo sguardo – Tutto quello che sta accadendo non è altro che una vecchia storia che si ripete, tale e quale, dieci anni dopo. L'ha detto anche lei: Minoru è uguale al vostro defunto padre e come lui desidera solo una possibilità per riavere la sua famiglia e proteggerla. Tutta la sua famiglia.
Tutta? Il cuore di Ishikura mancò un battito. Possibile che...?
Minoru chinò la testa e la sua lunga frangia gli ricadde sugli occhi.
– Mi hanno promesso che avremmo potuto riabbracciare Takeshi, Shizuo. E soprattutto che non t'avrebbero fatto del male, a patto...
– A patto che me ne tirassi fuori – un brivido freddo corse lungo la spina dorsale di Ishikura, i suoi denti stridettero – A patto che dimenticassi tutto quello che abbiamo passato per colpa di questi pazzi maniaci, di tutto quello che stanno passando i miei amici... a patto che li tradisca. Mi spiace, fratellone, non posso. Non voglio. Preferisco che mi spari un colpo di laser in mezzo agli occhi qui, adesso.
Minoru rimase immobile, in assoluto silenzio. Le sue labbra presero una piega amara.
– Ti facevo più furbo, Minoru – Sylviana lo guardò severa – Credi davvero che questo traditore manterrà le sue promesse? Quando non gli servirai più, ti farà fare la stessa fine di tuo padre!
– Ha ragione, Ifiklìs – la voce di Tetsuro era calma e bassa, i suoi occhi coperti dalla tesa bucherellata del suo cappello – Per questo individuo non sei altro che una pedina. Cosa credi che succederebbe se tuo fratello accettasse le condizioni che vi ha proposto? Nella migliore delle ipotesi, vi ricatterebbe l'uno con la vita dell'altro, proprio come ha fatto con vostro padre per spingerlo ad addossarsi tutte le colpe e uccidersi mentre lui e Kurai ricostruivano il loro gruppo di fanatici.
– Se il Segretario Ishikura non le avesse fatto avere quel filmato e quei documenti, Hoshino, e se lei non avesse fatto scoppiare quello scandalo, non saremmo mai arrivati a quel punto – Thorn si strofinò la manica della giacca con un gesto noncurante – Davvero, non riesco a capire cosa sia preso a quell'uomo: gli studi erano a buon punto, quel sentimentale del Professor Kurai avrebbe mantenuto la sua promessa e il nostro Esercito avrebbe avuto i suoi soldati invincibili già da un pezzo... senza contare che avevamo potere di vita e di morte su almeno uno dei suoi adorati figli.
– Già, immagino che non capirà mai qualcuno con una coscienza e un cuore, Comandante – con un lento movimento del braccio, Minoru puntò la pistola su Thorn – Credi che possa bastare, Tetsuro?
– Immagino di sì – l'espressione cupa del giovane eroe si sciolse in un sorriso soddisfatto – Ha ammesso persino più di quanto sperassi.
– Non ci posso credere – Sylviana scoppiò nella sua ormai familiare risata – Ti sei fatto fregare proprio come i cattivi dei film, Thorn! Dopo questa, puoi solo andare a nasconderti!
Thorn li guardò come se fossero ammattiti e Ishikura non poteva dargli torto: erano in inferiorità numerica, circondati, ammanettati e sotto il tiro incrociato di almeno una cinquantina di fucili, senza contare gli ostaggi.
– Sei impazzito, Minoru? – nemmeno con una pistola puntata addosso, il falso comandante perdette la sua ammirevole flemma.
Minoru armò il cane con altrettanta calma.
– Mai stato più in me – lo guardò dritto negli occhi – Quando si fa il doppio gioco, una delle regole principali è non farsi scrupoli a ingannare amici e nemici, ma ce n'è un'altra ancora più importante: avere sempre chiaro chi è l'avversario e, se se ne ha l'occasione, fargli credere che il suo sia qualcun altro.
– Vuoi dire...
– Già – Tetsuro gli lanciò uno sguardo a metà tra il compatimento e il disprezzo – In realtà, il re a cui doveva dare scacco non ero io.
Un fremito di rabbia scosse l'alta figura elegante di Thorn. Solo per un istante.
Quando si voltò a fronteggiare il suo assistente, il suo volto, la sua voce e i suoi gesti avevano di nuovo l'abituale compostezza.
– Lo sai che hai appena firmato la tua condanna a morte, Minoru?
Lui strinse le labbra e impallidì, ma la sua mano rimase ferma.
– Almeno morirò libero – nessun tremito nella sua voce, nessuna incertezza nello sguardo – E forse Takeshi non mi prenderà a sberle, quando ci rivedremo nell'aldilà.
– Bé, salutamelo – sibilò Thorn – Perché lo rivedrai presto.
Da ogni parte, amplificato dalle alte volte dei tunnel, giunse alle loro orecchie il rumore di passi, ghiaia smossa e armi che venivano caricate e puntate.
Ishikura sudò freddo: i mercenari stavano stringendo il cerchio attorno a loro.
Ci serve una via di fuga, subito!
Con la rapidità e il sangue freddo che gli venivano dall'addestramento, valutò tutte quelle possibili: il tunnel dal quale erano venuti, quello di fianco, i tre dall'altra parte.
No.
Erano tutti presidiati dagli uomini di Thorn, ma anche se fossero riusciti a passare il loro sbarramento, avrebbero rischiato di perdersi nel dedalo di cunicoli bui e pieni di trappole della vecchia linea metropolitana.
L'uscita principale!
Con un fremito di speranza, cercò le scale.
Le vide, con la coda dell'occhio. Si trovavano proprio dietro di lui, alla fine d'un ampio ma breve corridoio ai cui lati c'erano ancora addirittura le panchine; non sembrava aver subito danni: solo la ringhiera era arrugginita e in parte divelta.
Con un po' di fortuna, forse la stazione è ancora collegata con l'esterno.
Con un fruscio appena percettibile, il mercenario che l'aveva ammanettato si mosse di lato.
Ishikura trattenne a stento un'imprecazione: doveva aver capito le sue intenzioni e si era posizionato in modo tale da bloccare anche quella via di fuga, la pistola puntata su Minoru in attesa di una mossa falsa che gli consentisse un tiro pulito alla sua testa. Era solo questione di tempo.
Non ce la faremo mai a uscire vivi di qui, nemmeno con lui in ostaggio!
– Su, ora basta giocare, ragazzi – accanto a Tetsuro, Sylviana sbadigliò e stirò le braccia – Ancora un po' con questi braccialetti addosso e la mia deliziosa pelle di candida seta s'arrosserà tutta e si riempirà di bolle!
Con gran stupore di Ishikura, le manette scivolarono via dai suoi polsi e finirono a terra con un lieve tintinnio.
– Come...?
Lei lo guardò, strafottente come sempre, e gli fece l'occhiolino.
– Ah, uomini – schioccò un bacio allusivo e fece dondolare le chiavi di Thorn nella sua direzione – Com'è facile fregarvi quando pensate ad altro!
Un rumore alle sue spalle lo fece voltare di scatto.
Il mercenario, ora, mirava a lei, il dito già sul grilletto.
Ishikura scattò, gli si gettò addosso con tutto il suo peso e lo sbilanciò.
Mentre finiva a terra, un riflesso metallico gli ferì gli occhi e un lieve vento gli sfiorò i capelli.
L'uomo lasciò cadere la pistola e crollò di fianco a lui.
Qualche spasmo, un rantolo e i suoi occhi si fecero vitrei; le mani che stringeva attorno alla gola ricaddero inerti, rivelando un coltello da lancio conficcato appena sotto il pomo d'Adamo.
Thorn si spostò sul fianco di Minoru, gli afferrò il braccio sinistro con la destra e con la mano libera gli sferrò un pugno alla parte esterna del gomito.
Minoru urlò e lasciò andare la pistola.
Thorn la calciò via, s'allontanò di qualche passo ed estrasse dalla fondina la Dragoon di Tetsuro. Sparò.
Una volta, due, tre.

* Il poligrafo o macchina della verità è uno strumento che misura e registra le diverse risposte fisiologiche di un individuo mentre risponde ad una serie di domande. È però necessario che il soggetto sia consapevole di mentire, perché un'affermazione falsa ma ritenuta vera dal soggetto non dà origine ai cambiamenti fisiologici indotti dallo stress. Nel caso di Thorn, dal suo punto di vista sarebbe vero che non ha avuto niente a che fare con Taro, Kiddodo e Doskoi...

Approfitto per scusarmi della lunga assenza: problemi tecnici del mio portatile a criceti... ^_^'
La seconda parte (con un po' meno bla bla) presto sui vostri schermi: il tempo di riportarmi in pari con le nuove storie!



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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 38
*** La rosa di carta fra le stelle - parte II ***


cap 8 Click.
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Tre colpi a vuoto.
Thorn guardò esterrefatto l'arma che aveva esaminato con tanta cura soltanto pochi minuti prima.
Presto!
Ishikura si chinò sul corpo del mercenario e afferrò l'impugnatura del pugnale piantato nella sua gola.
Era scivoloso per il sangue e conficcato in profondità, ma lui tirò e girò finché non venne via con un orrendo rumore di risucchio e carne lacerata.
Fu tentato di lanciarlo, ma si trattenne: non era bravo con le lame e oltretutto aveva i polsi bloccati dalle manette.
Se sbagliassi sarebbe la fine... no, meglio non rischiare!
Gettò l'arma verso Sylviana e pregò.
Che la pistola non si disinceppasse.
Che Minoru e Tetsuro non facessero sciocchezze.
Che Sylviana non si facesse prendere dal panico.
Che nessuno dei mercenari sparasse.
Non accadde nulla di tutto questo. Non ce ne fu il tempo.
Sylviana si sporse in avanti e agguantò il coltello al volo, lo bilanciò nella sua mano, si girò rapida come una folgore e lanciò.
Un movimento fulmineo del polso, un impulso leggero e la lama si conficcò nell'avambraccio destro di Thorn.
La manica della sua giacca si inzuppò di sangue, la sua bocca si spalancò in un grido e le sue dita allentarono la presa sull'impugnatura della pistola.
Minoru gli diede una spallata.
La pistola volò per aria, ricadde sul pavimento sconnesso, rimbalzò ancora per qualche metro.
Tetsuro si tuffò in avanti, la afferrò con entrambe le mani e mirò.
Sparò un unico colpo che ferì Thorn alla coscia sinistra, appena sopra il ginocchio.
Per un attimo l'adrenalina lo tenne su e il suo sguardo si puntò su Tetsuro, colmo di sorpresa.
Poi cacciò un urlo e s'accasciò sul pavimento.
– Adesso! – Tetsuro si rialzò in piedi e sollevò un braccio – Fuori!
Ishikura si guardò attorno confuso.
Fuori dove?
Se avessero tentato di raggiungere le scale senza riprendere Thorn in ostaggio, sarebbero morti dopo pochi passi. Anzi, a pensarci bene, ora che il Comandante era a terra e i mercenari avevano la traiettoria di tiro sgombra...
Siamo nei guai!
Come a conferma dei suoi pensieri, l'inconfondibile rumore di diverse decine di fucili che venivano caricati e puntati raggiunse le sue orecchie.
Corse a mettersi davanti a Sylviana, consapevole che il suo patetico tentativo di farle da scudo non sarebbe servito a niente e che forse lei si sarebbe addirittura infuriata come nel cortile del laboratorio.
Perlomeno non farà in tempo a farmi un'altra scenata... o a chiedermi perché lo faccio.
Chiuse gli occhi, pronto a ricevere la raffica che li avrebbe ridotti a un colabrodo.
Non accadde nulla.
Ishikura tese le orecchie: i gemiti di Thorn, un basso brusio, trapestio di piedi e rumore di pietre smosse. Nient'altro.
Riaprì gli occhi e si guardò intorno: dall'oscurità dei tunnel, alle spalle dei mercenari, era emersa almeno una settantina di uomini armati, la metà dei quali indossava la divisa dell'Esercito Federale.
Sui binari, quelli che in un primo momento lui stesso aveva preso per civili indifesi avevano buttato travestimenti e coperte: dal luccichio metallico e dalla loro corporatura, capì che erano tutti uomini, anch'essi armati.
Circondati e con le vie di fuga tagliate, i mercenari avevano già gettato le armi e alzato le mani.
Thorn era ancora a terra dov'era caduto; il giovanotto che aveva accompagnato Tetsuro a incontrarli lo teneva fermo con le mani dietro la schiena e la Signora Masu gli premeva contro il naso una delle sue affilatissime mannaie.
Ishikura si voltò a guardare Tetsuro e solo in quel momento si rese conto del fatto che aveva entrambe le mani libere e che una di esse era ancora alzata nel classico segnale d'accerchiamento in uso nell'Esercito.
Sylviana aveva liberato anche lui? Possibile che...
Come se gli avesse letto nel pensiero, Tetsuro annuì e scostò la falda del poncio.
Fissato alla sua giacca, c'era un apparecchietto dalle dimensioni di una carta da gioco.
Un filo sottilissimo correva sul suo petto fino alla spilla tonda che gli chiudeva il bavero: una telecamera wireless con microfono, forse anche una trasmittente a corto raggio.
– Alla buonora – Sylviana incrociò le braccia sul petto e arricciò le labbra – Certo che hai un amore per la teatralità degno di Thorn, mio caro Tetsuro. Era proprio il caso d'aspettare così tanto, prima di dare il segnale?
– Cerca di capirlo – Minoru si massaggiò il braccio con un smorfia e si avvicinò – Erano anni che aspettavamo questo momento...
– Tutto a posto, Tadashi? – Tetsuro si  voltò verso il ragazzo che teneva fermo Thorn.
Lui sollevò il pollice e fece scattare le manette.
– Abbiamo ripreso tutto: audio e video perfetti – si rialzò, tirò su di peso il prigioniero e lo mise in posizione seduta – Una confessione in piena regola.
– E tutti i presenti sono testimoni – rise Sylviana – Ah, Thorn, Thorn... sapevo che prima o poi il tuo viziaccio di parlare troppo t'avrebbe messo nei guai!
Ishikura boccheggiò.
– Era... era tutto programmato? Una... una trappola... con noi come esche?!
Una pacca degna di Grenadier gli s'abbatté sulla schiena e gli mandò di traverso la saliva.
– Din! Din! Din! Complimenti, Everest – Sylviana gli si piantò davanti, l'anello delle chiavi che roteava come un piccolo hula hoop attorno al suo indice affusolato – Finalmente ci sei arrivato, e tutto da solo!
Ishikura la guardò fra i colpi di tosse, lo stupore che si trasformava in irritazione mentre le porgeva i polsi.
– Tu... tu lo sapevi? Per tutto questo tempo... hai... hai sempre...?!
Lei gonfiò il petto, fiera come una scolaretta che avesse appena portato a casa il suo primo dieci e lode.
– Recitato? Certo che sì!– infilò la chiave nella serratura elettronica – Sono brava, vero? Molto meglio di quelle sciacquette siliconate e monoespressive di Hollywood! Ah, la vita è proprio ingiusta: loro a fare la bella vita fra splendidi ragazzi, vestiti da sogno e ville da favola e io sotto terra assieme ai topi, ai ragni e... a te!
Le manette s'aprirono e lei s'affrettò a raggiungere Tetsuro, forse temendo la sua giusta reazione: due mani attorno alla gola.
– In realtà gli ultimi dettagli sono stati definiti solo... l'altro ieri notte, ormai – Tetsuro lo guardò con aria colpevole – Mi spiace se l'abbiamo tenuta all'oscuro di tutto, Signor Ishikura, ma sia Ifiklìs che Sylviana erano concordi che sarebbe stato meglio così, e anche Yuki alla fine...
– Cosa? – Ishikura spalancò gli occhi – Anche la Signora Kei era d'accordo con voi?
– Altroché – sghignazzò Sylviana – Gran parte del piano è farina del suo sacco. Devo ammettere che la biondina non è affatto scema: aveva capito subito che dietro al mio entusiasmo per questa missione ci doveva essere qualcos'altro, così alla fine le ho dovuto raccontare tutta la storia, dai miei trascorsi nei Rosa Rossa ai sospetti su chi doveva nascondersi dietro il nome di Sven Arngeir.
Si voltò a guardare Thorn, a cui il Dottor Ban stava prestando i primi soccorsi.
Nei brevi istanti in cui i loro sguardi si incrociarono, Ishikura percepì la stessa tensione avvertita al Ministero sprigionarsi di nuovo fra di loro.
– Conosco il tuo modo di pensare, ormai – Sylviana si passò una mano fra i capelli, la maschera di spia fredda ed efficiente di nuovo sul viso – L'ho dovuto imparare fin troppo bene per sopravvivere. Sapevo che, se mi fossi esposta a sufficienza, m'avresti riconosciuta e contattata e sapevo che avresti cercato di comprarmi con quella lista, così ho stretto un patto con la nostra piratessa: al momento opportuno, avrei finto di vendermi per poter recuperare con più calma le informazioni che ci servivano. Se tutto fosse andato bene, all'ora X le comunicazioni con la Nèmesis e Futuria sarebbero saltate creando un buon diversivo, e magari avrei avuto persino l'occasione di vedere in faccia chi c'è dietro a tutto questo. Già... lo so che sei solo il galoppino di quell'Odhrán, caro mio.
– Non ti capisco – Thorn si accigliò – Sapere chi sei non era il tuo più grande desiderio? Perché complicarti...
Lo sguardo di Sylviana si fece di nuovo lontano e malinconico.
– Hai centrato il punto, Thorn: quello era il mio più grande desiderio – si chinò a raccogliere le sue pistole – Sai qual è il tuo punto debole, oltre la lingua lunga? Pensi sempre che tutti applichino il tuo stesso metro di giudizio e non tieni conto del fatto che le persone cambiano, col tempo. È vero: la piccola Blossom di El Alamein avrebbe dato tutto pur di sapere il suo vero nome e avere una famiglia... ma io non sono più lei da tanto tempo, ormai. Sono Le Sylviana.
I suoi occhi chiari si fissarono in quelli del suo ex compagno, duri, decisi.
Alla fine, fu Thorn a distogliere lo sguardo.
– E cos'è che vuole, questa Le Sylviana?
– Solo chiudere i conti col passato – Sylviana richiuse gli elementi di blocco delle sue fondine – Ma tu questo non l'avresti mai permesso, perché avrebbe voluto dire dover rispondere delle tue malefatte.
– Vuoi consegnarmi alla Federazione? Davvero? – Thon sogghignò, incredulo – Sei cambiata più di quanto m'aspettassi: una volta ti saresti limitata a un colpo di pistola in mezzo alla fronte.
Lei alzò le spalle.
– Un Boy Scout di mia conoscenza m'ha fatto notare che per certe cose ci vogliono un tribunale e magari anche delle prove – ridacchiò – E poi, un colpo in mezzo agli occhi sarebbe una punizione troppo rapida e clemente: tutto il mondo deve sapere cosa avete fatto tu e i tuoi compari... e voi dovete vivere abbastanza per capirlo e conviverci, se ci riuscite.
Ishikura le mise una mano sulla spalla, irragionevolmente fiero di lei.
Poi gli venne in mente una cosa.
– Ma perché avrei dovuto passare dalla vostra parte per via di quella lista? Capisco Sylviana, ma cosa c'entro io con i Rosa Rossa?
– Niente, Shizuo – Minoru sospirò – Quella di cui parlava è un'altra lista.
– Come? E di che si tratta?
Suo fratello si pizzicò la base del naso, come per raccogliere le idee.
– Non so da dove cominciare...
– Magari dal fatto che sei un uomo morto, Minoru? – Thorn ammiccò quando il Dottor Ban gli estrasse il coltello dall'avambraccio e tamponò la ferita – Lo sai, vero, che Matia e Odhrán...
– Zitto tu, razza di delinquente! – la vocetta di Masu echeggiò roboante come un tuono – E non osare minacciare il mio adorato figliolo, o ti grattugio i gemelli!
Tutti i presenti, Thorn incluso, la guardarono a bocca aperta.
– Hai capito benissimo – rincarò la dose la minuscola cuoca, le mani sui fianchi – E abbassa lo sguardo quando ti parlo, o giuro che userò la grattugia a grana grossa!
Il Dottore e Sylviana si guardarono in faccia e scoppiarono a ridere.
– E voialtri che avete da sghignazzare? Volete finire a sbucciar cipolle e lavar piatti, eh?!
Serissimo, Minoru s'avvicinò alla vecchietta, si chinò e si esibì nel suo solito, perfetto baciamano.
– Signora Masu, come farei senza di lei? – le sorrise, disarmante – Grazie.
– Figliolo, ma che fai? –  la faccia di Masu diventò bordeaux – Tirati su, dài, che ti fa male alle giunture star piegato su questo pavimento sudicio... e poi hai tutte le ginocchia graffiate: pensa se s'infettassero...
Un suono soffocato e un'altra esplosione di risa: Tetsuro aveva ceduto dopo mezzo minuto di eroici tentativi per mantenere il contegno.
– Bé? – Minoru si voltò, la piccola mano screpolata e armata di mannaia ancora nella sua e un'espressione di genuino stupore stampata in faccia – Guardate che dicevo sul serio!
Anche Ishikura non resistette più e s'abbandonò a una risata liberatoria.
Minoru alzò le spalle.
– Valli a capire...
– Su, adesso alzati, ragazzo mio – Masu gli scostò la frangia dagli occhi con fare materno – Non c'è bisogno di fare tutte queste cerimonie: lo so che sei un bravo giovanotto, non ne ho dubitato nemmeno per un istante. Potrai sempre contare sulla vecchia Masu, promesso.
Ishikura ridivenne serio di colpo.
Lui invece aveva dubitato, eccome... e per la verità ce l'aveva ancora con lui.
Aveva sempre creduto che Minoru non avesse segreti per lui, aveva voluto crederlo fino all'ultimo; scoprire che invece gli nascondeva così tante cose, così terribili e per giunta da così tanto tempo era stato un fulmine a ciel sereno.
Il peggio, però, era che aveva la netta impressione che non fosse finita lì, che stesse cercando di rimandare in tutti i modi il confronto.
No, mi spiace. Stavolta mi devi delle spiegazioni, fratellone.
Lo prese per un braccio, lo fece allontanare dal gruppetto e lo guardò dritto negli occhi.
Non era un esperto nel leggere il linguaggio del corpo, ma la sua voglia di essere da tutt'altra parte era più che evidente: voltava la testa in continuazione, si tormentava il colletto, spostava il peso da un piede all'altro.
– Perché non m'hai detto niente? – la sua voce era più secca di quanto avrebbe voluto.
– Parli del piano? – il sorriso allegro di Minoru era fuori posto sul suo volto tirato, la sua voce di una tonalità più alta del normale – Bé, Shizuo, te l'ha detto anche Sylviana: sei un pessimo attore.
L'interessata s'avvicinò e passò un braccio attorno al collo di ognuno.
– Che fate qui tutti soli, Ishikura Brothers? – ridacchiò – Parlate male di me?
– Giammai, mia cara – il viso di Minoru si distese – Shizuo fa i capricci perché non gli abbiamo detto del piano.
– Non è a questo che mi rife...
Sylviana alzò gli occhi al cielo, sbuffò e aumentò la stretta attorno al suo collo.
– A parte il fatto che l'abbiamo perfezionato solo l'altro ieri e a grandi linee, non potevamo fare altrimenti. Rassegnati, Boy Scout: sei la spia più scarsa che possa esistere in tutti gli universi possibili e immaginabili. Se ci fossimo affidati alle tue doti recitative, tanti saluti!
– Sylviana, per favore...
La risata di Minoru lo interruppe prima che potesse chiederle, per cortesia, di levare le tende.
– Hai la stessa faccia di quando da bambini Takeshi e io ti dicevamo che eri troppo piccolo per fare qualcosa, sai, Shizuo? – gli mollò una sonora pacca sulla schiena – Dovresti vederti: lo stesso broncio ridicolo!
Con somma irritazione di Ishikura, Sylviana colse subito l'assist e lo indicò col pollice.
– Scommetto che questo qui era un vero rompiscatole, da marmocchio.
– Vinceresti la scommessa a mani basse – ghignò Minoru – Era un piagnone da gran premio, sempre attaccato a me e Takeshi. E quando non ci stava alle costole, potevi star certo che s'era cacciato in qualche guaio, tipo quella volta che andammo alle grotte e lui pensò bene...
– Sono sicuro che a Sylviana non interessano questi racconti, Minoru.
Ishikura le fece un cenno col capo che lei ignorò... o finse d'ignorare.
– In effetti – Sylviana s'arrotolò una ciocca di capelli attorno all'indice e gli lanciò uno sguardo malizioso – M'interesserebbe di più sapere perché il tuo serioso, eroico fratello militare-tutto-d'-un-pezzo ha il tatuaggio di un drago che gli va dal lato destro del bacino fino alla...
Ishikura sentì la sua faccia diventare incandescente.
– Sylviana! Ancora con questa storia?!
Minoru scoppiò a ridere, si voltò verso di lui e gli strizzò l'occhio.
– Ma bene! Quindi la Signora ha avuto modo di esaminare per bene la zona proibita, eh, fratellino? Allora posso davvero sperare di diventare zio, prima o poi!
– Minoru, guarda che mi ha solo...
Manco il tempo di spiegarsi che lui s'era già voltato verso Sylviana.
– E com'è Shizuo a letto?
– Minoru!
– Vediamo – lei lo guardò beffarda e contò sulle dita della mano, per nulla imbarazzata – Russa come una corazzata in fase di decollo, tira le coperte, parla nel sonno, sbava... a parte questo, ha il candore d'una verginella in boccio!
Minoru si passò una mano sul mento, l'espressione pensosa.
– Sì, lo immaginavo – tirò un lungo sospiro e si batté il pugno sul petto – Bene, a quanto pare ho ancora molto da insegnargli!
– La volete finir...
– Ma perché voi uomini tenete tanto a ribadire la vostra superiorità in certe cose? – Sylviana scosse il capo e rise.
– Non mi credi? Guarda che sono davvero meglio di lui!
– Non vorrai mica che venga a letto con te per verificare?
Anche lui scoppiò a ridere.
– Non mi dispiacerebbe mica!
A qualche passo da loro, Tetsuro si lasciò sfuggire una risatina.
Ishikura avvampò, per l'ennesima volta.
– La volete finire, voi due?! Sto cercando di fare un discorso serio!
– Manco per sogno – Sylviana gli fece la linguaccia – C'è tutto il tempo del mondo per incupirsi e recriminare! L'abbiamo appena scampata bella e adesso abbiamo il diritto di ridere, scherzare e rilassarci! E poi è così divertente prenderti in giro!
– Concordo – Minoru schivò il suo braccio teso a ghermirlo, raccolse da terra la borsa delle armi e andò incontro a Tetsuro – Prendi sempre fuoco subito, fratellino... dovresti scioglierti un po', sai? Ah, e comunque, mia cara, quella del tatuaggio è una delle avventure più spassose di Shizuo: sono coinvolti il suo Capitano, la sua assurda convinzione di reggere bene l'alcool, il suo amico Grenadier e una tatuatrice di Giove che se non sbaglio si chiamava...
Ishikura spalancò gli occhi.
– E tu che diavolo ne sai? – si supponeva che nessuno, a parte lui e Grenadier, fosse a conoscenza di quella storia... soprattutto del finale.
– L'ho letto sul tuo diario, che domande – con un gesto disinvolto, Minoru estrasse dal borsone il familiare libretto con la copertina azzurra.
Ishikura gli corse dietro e glielo strappò di mano.
– E questo dove diavolo l'hai preso? – la sua temperatura corporea, in quel momento, doveva essere vicina a quella dell'autocombustione – E quando?
– Al solito posto. Nel cassetto del tuo scrittoio, quando sono passato a casa tua.
– Ah, ecco perché non c'era – Sylviana si passò una mano sul mento – Mi pareva strano...
– Come facevate a sapere...
– Che lo tenevi lì? Dài, Boy Scout, sveglia! È il primo posto in cui chiunque andrebbe a cercare una cosa del genere. Sei proprio prevedibile, sai?
– Scusatemi tanto se ho creduto d'aver diritto a un po' di privacy a casa mia – Ishikura incrociò le braccia sul petto, piccato – La prossima volta terrò a mente che i fatti miei sono più interessanti d'un best-seller e vedrò di scriverli in duplice copia per facilitarvi la lettura! Anzi, sapete che vi dico? Preparerò un data-base come quelli delle biblioteche e magari anche una mailing-list, così potrò aggiornarvi per tempo nel caso vi foste persi qualcosa!
– Su, fratellino, piantala di fare l'offeso – Minoru gli scompigliò i capelli – Tanto lo so che tieni quel diario proprio perché speri che io lo legga! Sono anni che andiamo avanti con queste sceneggiate da bambini, e forse hai ragione... è ora di... voltare...
La sua mano scivolò via dai suoi capelli e gli scese lungo la nuca fin sul collo, molle, come priva di forze. La borsa cadde a terra.
Minoru lo guardò con gli occhi sbarrati, si mise una mano sulla fonte, barcollò e cadde all'indietro.
Ishikura fece appena in tempo ad afferrarlo per la manica e rallentare la sua caduta prima di perdere l'equilibrio a sua volta.
Picchiò entrambe le ginocchia sul pavimento sconnesso ma non si curò del dolore: fra le sue braccia, suo fratello era pallido come un morto e sembrava sul punto di svenire.
– Minoru – lo tirò a sedere e lo scosse – Minoru, che hai?
Lui lo fissò un istante con aria smarrita, poi si voltò verso il punto in cui si trovava Thorn.
Dalla sua espressione, sembrava che persino quel piccolo gesto gli costasse un'enorme fatica.
– E poi era Tetsuro quello incapace di perdere con stile – sorrise, caustico – Lo sapete che ormai è inutile, vero?
Thorn sputò a terra.
– Sapevi a cosa saresti andato incontro se ci avessi traditi.
– È vero. E l'ho fatto lo stesso. Ma non me ne pento.
Con delicatezza, Ishikura lo fece voltare verso di lui: Minoru aveva la fronte imperlata di sudore e lo sguardo sofferente, tuttavia gli sorrise quando i loro occhi s'incrociarono.
– Non me ne pentirò mai, fratellino... ricordatelo sempre, questo.
– Di cosa state parlando? – la gola di Ishikura era stretta in un'invisibile morsa – Per l'amor del cielo, che succede?!
Con una calma che per qualche ragione gli diede i brividi, Minoru si tirò su la manica sinistra e controllò l'ora, fece un respiro profondo, appoggiò la schiena contro il suo ginocchio e gli afferrò la mano. Le sue dita erano gelide.
– Promettimi che resterai calmo... e soprattutto che non ti metterai a piangere.
Le stesse parole che gli aveva detto il giorno in cui era andato a prenderlo all'Accademia con quella lettera del Comando e quella Medaglia al Valore fra le mani.
Le stesse parole che gli aveva detto un mese dopo il processo, con gli occhi rossi e gonfi in quel collegamento video disturbato da continue scariche di statica.
Adesso, Ishikura aveva davvero paura.
– Il polso è normale – non s' era nemmeno accorto di Sylviana e Tetsuro, inginocchiati accanto a loro – E non vedo ferite evidenti... Dottore!
– Lasciate perdere, è inutile – Minoru si girò verso di loro – Ho uno di quei chip nella testa.





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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 39
*** La rosa di carta fra le stelle - parte III ***


cap 8 Ishikura trattenne il fiato.
Il suo cuore perse un battito, il suo cervello si dimenticò come pensare e i suoi polmoni come espirare.
Gli sembrò di sprofondare in una voragine buia, di soffocare, di perdere tutte le forze.
Se non fosse stato già a terra, sarebbe caduto.
– Stai... stai scherzando, vero? – afferrò Minoru per le spalle e lo scosse – È un altro dei tuoi stupidi scherzi, vero?!
Senza una parola, Tetsuro sfilò dalla tasca del cinturone un apparecchio cilindrico identico a quello che Mime aveva tentato di usare su Mayu in quella grotta di Heavy Meldar, premette il pulsante d'accensione e lo passò attorno alla testa di Minoru.
Un segnale sonoro acuto e insistente ruppe il silenzio in cui era piombata la stazione.
No...
Tetsuro trasalì, girò sui presenti uno sguardo angosciato che valeva più di mille parole e sollevò il rilevatore. Il led lampeggiava.
No!
Per un tempo che a Ishikura parve lunghissimo, nessuno parlò.
Perché? Com'è possibile? Quand'è successo?!
– Ma com'è possibile? – la voce di Tadashi spezzò quella quiete carica d'orrore e diede voce ai suoi pensieri – Ogni volta che Ifiklìs è venuto qui, l'abbiamo sempre controllato... persino l'altra sera! Quand'è che hanno avuto il tempo d'impiantargli quel coso?!
– È successo circa dieci anni fa, prima ancora che decidessi di diventare Ifiklìs e conoscessi Tetsuro – la voce di Minoru, così come la sua espressione, era calma e rassegnata –  Non avete mai rilevato il mio chip solo perché non era mai stato attivato... finora.
Si scostò la frangia dalla fronte e indicò un punto appena sotto l'attaccatura dei capelli dove, seppur sbiadita dal tempo, era ancora visibile la cicatrice tonda lasciata da un sondino laser.
No... no... no...
– Ci sono alcune cose che io e papà non t'abbiamo mai detto, Shizuo – la mano gelida di Minoru si strinse di nuovo attorno alle sue dita – È giusto che...
No!
– No, aspetta, Minoru! – lo interruppe, col cuore in gola e gli occhi annebbiati – Prima dobbiamo levarti quella cosa dalla testa... e subito! Dottore! Dottore!
Il Dottor Ban lasciò il fianco di Thorn e s'avvicinò, seguito da una Masu che, deposte le mannaie e l'abituale grinta, s'asciugava le lacrime con un lembo del grembiule.
Si fermò accanto a  Tetsuro, osservò il rilevatore e scosse il capo con aria sconsolata. A quel gesto, Ishikura si sentì sprofondare ancora più a fondo.
– No, non è possibile! Dottore... Ci provi, almeno, la prego! – fece per alzarsi con la ferma intenzione di dare una bella scrollata al medico, addirittura di minacciarlo con la pistola se fosse stato necessario, ma Minoru lo trattenne.
– È impossibile, Shizuo – sospirò – Nemmeno Kurai in persona potrebbe rimuovere quel chip senza uccidermi, lo sai bene. E poi, al punto in cui sono, mi resta mezz'ora al massimo.
– È stato lui a farti questo? – la mano di Tetsuro tremava impotente stretta al rilevatore, la sua voce e suoi occhi azzurri erano colmi di rabbia – È stato Kurai?
Minoru annuì.
– Su suggerimento del qui presente Comandante. Ero la loro garanzia – le sue labbra si piegarono in una smorfia amara – Sai, Shizuo, papà era pentito di ciò che aveva fatto. Quando capì cosa succedeva davvero in quei laboratori, cercò di...
– Non me ne frega niente di papà – gridò Ishikura con le lacrime gli occhi – E nemmeno di Kurai, degli Herakles o di qualunque altra cosa! Minoru, ci sarà pure qualcosa che possiamo fare!
– Avevi promesso di non dare in escandescenze – lo rimproverò Minoru, il tono severo della voce smentito dalla dolcezza del suo sguardo e della sua stretta – Lo sai che odio quando fai così.
Ishikura si mise a tremare, di rabbia e di paura.
– Non ho promesso un bel niente! E tu sei uno stupido, un pazzo incosciente! Dieci anni! Dieci anni così! Perché non m'hai mai detto nulla?!
– Per risparmiarci dieci anni di tutto questo, fratellino – Minoru gli arruffò capelli come aveva fatto tante volte quando erano piccoli – Sarebbe finita così in ogni caso, prima o poi, ma nel frattempo tu ti saresti rovinato la vita e io avrei finito per odiare ogni istante della mia. Almeno, in questi dieci anni ci siamo divertiti... e gli addii dureranno solo il tempo necessario.
– Avremmo potuto fare qualcosa... provarci, almeno!
Minoru chiuse gli occhi e sospirò.
– Pensi che non abbia tentato? Ho studiato il problema sotto ogni punto di vista: la sola speranza era che nessuno attivasse mai questo chip perché, credimi, non c'è modo di toglierlo o sabotarlo. E poi avevo sperato che fosse finita quando Kurai scomparve nel nulla...
– Lo avevamo sperato tutti – Tetsuro si passò una mano sul viso – Io ne ero addirittura sicuro! Mio Dio... come ho potuto?!
– Su, non tormentarti, vecchio mio – Minoru gli diede una pacca sulla spalla – Non potevi saperlo. E poi, in fondo non m'è andata così male: ho vissuto abbastanza da vedere i miei primi capelli bianchi e il mio fratellino con una donna... Cose dell'altro mondo, insomma!
Strizzò l'occhio a Sylviana e rise, ma il suo tentativo di sdrammatizzare cadde nel vuoto.
– Ma come hanno fatto i nostri nemici a sapere che abbiamo preso in trappola Thorn? – Tadashi girò sui presenti uno sguardo confuso – Non ho visto nessuno usare trasmittenti a lungo raggio qui dentro... e poi, il segnale non riuscirebbe a passare attraverso le pareti di questi tunnel, figuriamoci ad arrivare così lontano nello spazio!
Sylviana trasalì, come colpita da una scarica elettrica.
– Oh, no! – strappò un bottone dalla maglia di Minoru, si alzò e lo schiacciò sotto il tacco.
Quando sollevò il piede, sul pavimento c'era ciò che rimaneva dei meccanismi interni d'una microcamera. Ne sollevò un pezzo che Ishikura non riconobbe e lo fissò impietrita.
– Bingo – ghignò Thorn – Finalmente ci siete arrivati. Io avrò commesso degli errori madornali, ma anche voi m'avete sottovalutato, bocciolo. Non ho Herakles tra i miei uomini al momento, ma ho preso lo stesso delle precauzioni per controllarli a dovere. Ogni bottone di quelle divise è una microcamera e ognuna di esse è dotata d'un modulo per le comunicazioni interstellari che trasmette in background al cervello elettronico di Matia non appena esce dal perimetro della base. Scommetto che pensavate d'avere addosso al massimo un paio di rilevatori GPS, vero? E magari credevate anche che i miei uomini fossero tutti qui...
Tetsuro scattò in piedi.
– Tadashi, dì al Tenente Kodai d'ispezionare tutte le divise dei prigionieri prima di caricarli sui cellulari e ordinate agli autisti il cambio di percorso che avevamo concordato in caso d'emergenza – gli lanciò una ricetrasmittente – Poi comunica a Lydia di far spostare tutti al rifugio 22-B, subito!
Il ragazzo annuì e corse verso i soldati lungo i binari. Il Dottore lo sostituì a guardia di Thorn. Tetsuro si chinò di nuovo accanto a Minoru.
– Faremmo meglio a spostarci anche noi – gli strappò via tutti i bottoni dalla maglia e li lanciò lontano – Secondo me, sul fatto d'avere altri uomini in giro sta bluffando, ma non voglio rischiare. Ce la fai a reggerti a me?
Minoru afferrò la destra di Tetsuro ma lo trattenne quando fece per sollevarlo.
– Non posso venire con voi – gli sorrise, cupo – Sono un Herakles in tutto e per tutto, ora.
Tetsuro strinse le labbra e a Ishikura parve di potergli leggere nel pensiero.
Tutto ciò che vede lui, lo vedono anche i nostri nemici... inoltre potrebbe impazzire in qualsiasi momento e tentare d'ucciderci...
Il ricordo del clone di Takeshi emerse di nuovo da quell'angolo remoto della mente in cui cercava di relegarlo ogni volta che non era solo e, come quella sera su Beta, gli fece venire la stessa nausea, la stessa voglia di scappare lontano.
Invece rimase fermo lì, a fissare la mano di Tetsuro stretta in quella di Minoru, troppo inorridito, angosciato e furioso per riuscire a dire o fare qualunque cosa.
– Addio, Tetsuro. Sappi che per me è stato un onore.
Minoru lo lasciò andare ma lui non si mosse.
– Non ti lascio qui da solo a morire – scandì a denti stretti – Tu sei un mio compagno.
– Sono una bomba a orologeria, lo sai meglio di chiunque altro – Minoru guardò di nuovo l'orologio e un altro tremito gli scosse la schiena – Non discutere, Tetsuro, ti prego. C'è in ballo tutto ciò per cui abbiamo lottato in questi dieci anni: perché questa storia finisca una volta per tutte, Thorn deve arrivare vivo al processo... e anche tu.
– Ma...
– Non ne avrò ancora per molto – strinse i denti e gemette – Però hai ragione: ho bisogno che qualcuno resti. Sylviana, per favore...
Accanto a  Tetsuro, Sylviana abbassò la testa in un cupo cenno d'assenso.
– Mi spiace, mia cara – lo sguardo di Minoru s'intristì – Non vorrei chiedertelo per nulla al mondo, ma anche se mi sono preparato per anni non so se riuscirò a fare quel che devo.
Un terribile sospetto attraversò la mente di Ishikura.
– Cos'è... cos'è che devi fare, Minoru? – la voce gli uscì in un sussurro roco – E perché vuoi che ce ne andiamo?
Lui lo fissò, serio come non l'aveva mai visto, gli strinse più forte le dita e lo lasciò andare.
– Va' via, Eroe Silenzioso – distolse gli occhi – Credimi, è meglio.
La mano di Minoru tremò sulla sua coscia e scese fino alla fondina, le sue dita si chiusero sull'impugnatura della pistola. Ishikura spalancò gli occhi. Il sospetto divenne realtà.
Vuole... vuole...
Gli afferrò il polso e strinse con tutte le sue forze.
– Ma sei matto?!
– Lasciami, Shizuo – Minoru si divincolò con tutta la poca energia che gli era rimasta.
– Non se ne parla nemmeno! – Ishikura cercò di aprirgli le dita – Ci dev'essere una soluzione... e la troveremo insieme, vedrai! Resisti! Resisti, ti prego... non... non lasciarmi anche tu!
– Shizuo...
– No – scosse il capo, un groppo che gli chiudeva la gola – No... no, no, no! No!
Non poteva accettarlo. Non così all'improvviso, non a quel modo.
– Ti prego, Shizuo, non c'è più tempo, ormai – Minoru smise di far forza per liberarsi ma non allentò la presa sull'arma – Non voglio rischiare di farvi del male. E voglio andarmene come un uomo libero, non come una marionetta impazzita... lo capisci?
Ishikura lo guardò negli occhi. Tristezza. Amore. Accettazione. Coraggio.
E una decisione incrollabile.
Gli lasciò la mano e scoppiò in singhiozzi.
Lui gli fece appoggiare la testa nell'incavo della sua spalla e gli accarezzò la nuca.
Al contrario delle sue mani, il suo collo e la sua guancia erano caldi.
Quel tepore, la sensazione dei suoi capelli sulla pelle e persino il suo odore erano gli stessi di quando da piccolo andava a infilarsi nel suo letto durante i temporali, con la certezza che il mattino dopo lui l'avrebbe preso in giro senza pietà ma anche che, finché fossero durati il buio, i tuoni e le sue paure, non lo avrebbe lasciato solo.
– Ah, il mio fratellino – Minoru ridacchiò, proprio come allora – Fai tanto il duro, ma in fondo sei sempre il solito piagnucolone...
– Tu invece sei un pazzo, Minoru – Thorn gli lanciò uno sguardo sprezzante mentre zoppicava verso l'uscita sorretto dal Dottor Ban – È vero, hai vinto la partita... ma ne è valsa davvero la pena, secondo te? Su chi regge le fila del gioco ne sapete quanto dieci anni fa. Sai come andrà a finire? Tu farai la fine del topo qua sotto, io potrò comprarmi la vita in cambio della mia discrezione proprio come l'ultima volta e fra qualche anno gli Herakles saranno una realtà. Senza Daiba e la Kei tra i piedi, è solo questione di tempo.
Ishikura sollevò la testa e strinse forte la maglia di Minoru nel tentativo di trattenersi dal saltare addosso al loro prigioniero, perché sì, quel bastardo aveva ragione: fra qualche minuto suo fratello sarebbe morto, mentre lui sarebbe vissuto per chissà ancora quanti anni... ed era ingiusto, così ingiusto...
– Ricorda quando ha detto di non invidiarci perché l'amore fraterno complica sempre tutto, Comandante? – il petto di Minoru si alzò e si abbassò in un lungo sospiro – Bé, forse per lei è così, ma per me è stato l'esatto contrario: è stato proprio quell'amore a spingermi a vivere e a lottare con tutte le mie forze contro lei, i suoi compagni e il vostro assurdo progetto – aggrottò le sopracciglia – Per quanto mi riguarda, gli unici pazzi siete stati voi a credere che v'avrei davvero permesso di rovinare anche la vita di Shizuo con quello sporco ricatto. Se ne è valsa la pena? Oh, sì! Se avessi altre mille vite a disposizione, lo farei altre mille volte!
– Ammetto che non m'aspettavo tanta determinazione da parte tua – Thorn si soffiò via una ciocca di capelli dagli occhi – Specie visto che dieci anni fa...
– Sono stato un codardo, lo ammetto – Minoru strinse le labbra – Ma come ha detto Sylviana, le persone cambiano.
Cercò di mettersi in ginocchio, ma barcollò e ricadde all'indietro.
Ishikura allungò un braccio per sorreggerlo, ma lui lo respinse.
– Andate via, adesso – accennò all'uscita con la mano che impugnava la pistola – Sono al limite, non so quanto potrò resistere ancora. E portatevi dietro le prove. Tetsuro, nel diario di mio fratello ci sono una copia della famosa lista e una mia deposizione firmata. Sono certo che capirai non appena leggerai i nomi, ma in ogni caso ho pensato di metter tutto nero su bianco. Sylviana, tira fuori la pistola. E, Shizuo...
– Resto qui con te – Ishikura s'alzò in piedi e s'avvicinò a Sylviana – Per favore, prestami una delle tue pistole.
– Non se ne parla – Minoru si piegò sul ginocchio e si alzò – Tu te ne andrai con Tetsuro, Thorn, la Signora Masu e il Dottore.
– Ti prometto che sparerò se mi troverò in pericolo. Sono un soldato e...
– E la notte hai ancora gli incubi – invece di porgergli un'arma, Sylviana gli strinse la spalla – Ha ragione lui: vattene. E poi, se il mio intuito non m'inganna, vuole me non solo per non farti soffrire, ma anche perché ci sarà bisogno di sparare in un punto preciso a sangue freddo. Ho ragione?
Minoru annuì.
– Ho visto Odhrán in faccia, giù al laboratorio. Durante un collegamento.
Sia Tetsuro che Thorn fremettero.
– Vuoi dire che...
– Già. Abbiamo una prova decisiva contro chi sta dietro a questa follia – Minoru si indicò la fronte – Ora che il mio chip è attivo, contiene una copia di tutti i miei ricordi. Ma per evitare che vada persa...
– Bisogna che gli impulsi elettromagnetici delle due volontà che ti governano cessino prima che le informazioni diventino illeggibili – concluse Tetsuro, tetro.
– Un colpo di laser sotto il mento, tra il punto in cui termina l'osso della mandibola e il pomo d'Adamo – annuì Minoru – Oppure uno in mezzo agli occhi. Prima di diventare violento, prima d'entrare in coma. Il chip sarà colpito e rimosso dalla sua sede, ma la sua schermatura impedirà che fonda o sia danneggiato. Quanto a me, sarà un attimo. Non m'accogerò nemmeno d'andarmene.
La sua voce era ferma, il tono tranquillo come se stesse parlando dei suoi progetti per la serata.
Sempre più sconvolto, Ishikura si chiese da quanto tempo si fosse preparato a un'eventualità del genere.
Forse sin da quando gli hanno messo quella cosa nel cervello.
Forse sapeva da anni che sarebbe finita così... e forse aveva addirittura cercato quella conclusione.
Quel pensiero lo fece rabbrividire una volta di più.
– Su, adesso va', Shizuo – Minoru si passò una mano sul volto e gemette – Presto! Non... ce la...
– Minoru!
Con la coda dell'occhio, Ishikura vide il Dottore aumentare il passo, Tetsuro afferrare il braccio di Thorn con una mano e sospingere la Signora Masu con l'altra, Sylviana prendere posizione per coprirli. Rimase imbambolato lì, con le braccia e le gambe che rifiutavano d'obbedirgli, pesanti come se fossero state di piombo.
Minoru gemette, spalancò gli occhi e si piegò in due.
Le sue mani premute sulle tempie si chiusero a pugno, si riaprirono, artigliarono i capelli e le guance. Quattro scie rosse si disegnarono sul suo volto. Spalancò la bocca in un urlo acuto, straziante, carico di dolore e rabbia, un suono che spezzò il cuore di Ishikura e lo riportò su Beta, davanti a quell'uomo col volto di Takeshi che soffriva allo stesso modo in quel filmato sgranato e privo d'audio.
È un incubo... un incubo...
– Minoru!
– Vattene... via!
Un suono metallico e la percezione d'una presenza alle sue spalle lo fecero voltare.
Silenziosa come un gatto, le braccia tese e la pistola stretta fra le mani, Sylviana si stava spostando di lato per aggirarlo e avere il campo libero, gli occhi fissi sul bersaglio.Si ferm ò, appoggiò il dito sul grilletto.
Ishikura le si buttò davanti.
Sylviana sgranò gli occhi.
– Che fai, Shizuo? Levati da lì!
Aveva ragione, lo sapeva... eppure le afferrò i polsi e strattonò verso il basso.
– Signor Ishikura! – da qualche parte, la voce di Tetsuro lo chiamò – Signor Ishikura, la lasci!
– No!
Guardò Minoru: aveva il volto esangue, gli occhi sbarrati e la bocca ancora spalancata, ma l'unico suono che ne usciva, adesso, era un sibilo roco e appena percettibile.
– Minoru, resisti! – senza lasciare Sylviana, Ishikura mosse un passo verso di lui.
Cosa faccio? Cosa faccio?! Pensa, maledizione... pensa!
Inutile: tutto il suo addestramento, tutte le tecniche per non farsi prendere dal panico, tutta l'esperienza accumulata in quindici anni nell'Esercito... tutto svanito; era tornato a essere quel bambino che, a tastoni nel buio, cercava il conforto del suo fratellone a ogni rombo di tuono.
– Lasciami! – la voce di Sylviana e i suoi disperati tentativi di svincolarsi dalla sua presa erano lontani.
– Signor Ishikura – Tetsuro, quasi non lo sentiva più.
– Shizuo... stammi lontano! – Minoru lo guardò con gli occhi colmi di paura e sofferenza. La sua voce era così roca e distorta dal dolore da essere quasi irriconoscibile.
Ishikura mosse un altro passo in avanti.
Minoru gli puntò addosso la pistola.
– Lasciami! – Sylviana smise di tirare e con un movimento fulmineo gli passò davanti. Lasciò andare la pistola, invertì la presa e fletté le gambe.
Ancor prima di riuscire a capire quali fossero le sue intenzioni, Ishikura si ritrovò a terra, senza fiato e con lei sopra. La ribaltò sotto di sé con un colpo di reni e afferrò la pistola.
Il suono d'uno sparo lo fece sobbalzare.
Si girò e le sue narici si riempirono dell'odore di sangue, carne e stoffa bruciate. Abbassò gli occhi. La sua spalla sinistra era passata da parte a parte.
Come sempre coi laser, il dolore arrivò dopo una frazione di secondo. Infuocato. Devastante.
Resistette alla nausea, alla voglia di gridare e all'impulso di tamponarsi la ferita con la mano.
Si alzò e guardò suo fratello. Oltre la canna della pistola, il suo volto era una maschera di rabbia e dolore, sempre più simile all'orribile ricordo di quell' Herakles.
Voglio svegliarmi... voglio svegliarmi, Minoru!
– Minoru...
– Va' via! – come colpito da una frustata, Minoru si raddrizzò di colpo.
Le sue braccia si tesero un'altra volta, i suoi occhi si puntarono su di lui, inespressivi.
Sparò un altro colpo che gli disintegrò la pistola fra le dita.
Questa volta, Ishikura urlò; la sua mano era un mosaico di schegge, graffi e bruciature.
– Va' via...
Gli occhi di Minoru si chiusero.
Stava piangendo o erano di sudore le gocce che gli scorrevano sulle guance?
Scosso da un tremito nervoso che solo altre due volte nella vita aveva sperimentato, Ishikura gli si avvicinò ancora.
– Minoru – gli tese la mano illesa – Minoru, ti prego...
Lui urlò di nuovo, così forte e così a lungo che il suo volto s'arrossò per lo sforzo e le vene gli si tesero come corde bluastre sul collo.
Centimetro dopo centimetro, le sue braccia si piegarono e il suo mento si sollevò finché la canna della pistola non fu puntata alla sua mandibola, nel punto che aveva descritto a Tetsuro.
Riaprì gli occhi e, per un istante, il suo sguardo e la sua voce tornarono a essere quelli del bambino d'un tempo.
– Non guardare, fratellino – sorrise – Chiudi gli occhi.
Il rumore dello sparo risuonò mille e mille volte nella testa di Ishikura, il liquido caldo che gli colpì il viso aveva la potenza d'un pugno.
Senza neanche sapere come, si ritrovò a terra con Minoru fra le braccia, paralizzato dal terrore.
A ogni sussulto di quel corpo scosso dalle convulsioni, il respiro gli si bloccava in gola.
Sapeva benissimo cosa stava succedendo e, soprattutto, che non c'era nulla da fare: in guerra aveva visto scene simili ripetersi troppe volte per potersi illudere, ma nonostante ciò una parte di lui non voleva credere a quella realtà e cercava di negarla con tutte le sue forze.
La realtà di tutto quel sangue che macchiava i capelli chiari di Minoru e gli colava lungo la nuca, che scorreva fra le sue dita e gli inzuppava la manica della maglia...
No...
La realtà di quel volto esangue e di quegli occhi velati, arrovesciati nelle orbite, di quelle palpebre immobili...
No...
La realtà di quelle mani fredde, di quel petto che non s'alzava né s'abbassava più, di quelle membra ormai prive di forze che avevano smesso anche quegli ultimi, orribili tremiti involontari...
No!
Da qualche parte, qualcuno urlò.
Due mani decise lo afferrarono per le braccia.
Ishikura si divincolò, ma chi lo aveva preso non ebbe difficoltà a bloccarlo.
– Su, ora lascialo, Shizuo – la voce di Sylviana – Vieni via, non guardare...
Con una gentilezza che non avrebbe mai immaginato, lo fece voltare, gli premette la nuca contro il seno e gli bloccò la testa col mento.
– Lo so... lo so – gli sussurrò all'orecchio – Calmati, adesso... calmati.
Solo allora Ishikura si rese conto che a urlare era stato lui... e che non aveva ancora smesso.
Qualcuno, forse Tetsuro, gli fece aprire le dita e lo staccò dal corpo di Minoru.
Artigliò il vestito di Sylviana. Lei lo strinse più forte.
Non riusciva a smettere di gridare, di piangere.
Non riusciva a pensare a niente.
Non riusciva nemmeno a respirare.
Il petto gli faceva male come se gli stessero strappando il cuore, come se lo stessero frantumando in tanti piccoli pezzi.
Sylviana armeggiò con qualcosa, una trafittura alla base del collo lo fece sussultare.
– Cosa...
– Mi spiace, Boy Scout – lei lo staccò da sé e gli asciugò le lacrime con i pollici – Ma è meglio così.
La sua figura tremolò e si fece indistinta, il suo cuore rallentò e i suoni divennero più ovattati e lontani.
M'ha narcotizzato di nuovo...
– Patetico. Povero sciocco.
– Bada, Thorn – la voce di Sylviana era un ringhio rabbioso.
– A cosa? Ho detto solo ciò che penso. Patetico – sputò – E inutile proprio come l'amore fraterno. Cosa se ne fa della vittoria, quell'idiota di Minoru, ora che è cibo per i vermi?
Ishikura la sentì fremere, poi le sue mani ricaddero prive di forza.
Sylviana gli fece poggiare il capo a terra. Le palpebre erano sempre più pesanti, il collo un blocco di pietra. Nelle sue orecchie, il suono dei suoi tacchi era sempre più ovattato e lontano.
– No, Sylviana! – Tetsuro , ormai, era un'indistinta macchiolina marrone.
Nero. Il rumore d'un altro sparo. Buio e silenzio.
Riprese coscienza a fatica, chissà dopo quanto.
Aveva la testa confusa, le palpebre incollate e un sapore amaro in bocca. Mosse il capo: la nuca era sudata, il collo indolenzito.
Aprì gli occhi. Sopra di lui, oltre il cupolino d'un caccia spaziale, brillavano milioni di stelle.
Il suono d'un motore e la voce di Sylviana riecheggiarono ovattati nella sua testa.
Tentò di sollevarsi, per scoprire che era assicurato al sedile da una cintura di sicurezza e che indossava una tuta spaziale.
– Fa' piano. La ferita alla spalla era profonda.
Si voltò nella direzione da cui proveniva la voce.
Lei era seduta al posto di guida, la cloche tra le mani e lo sguardo puntato sugli strumenti.
– Non è stato... un sogno... vero?
Lei scosse la testa.
Ishikura si ributtò all'indietro sul sedile e le lacrime gli annebbiarono di nuovo la vista.
Sbatté le palpebre. Sulla fronte di Sylviana c'era un livido bluastro.
– Sono stato io? – Ishikura tese la mano per sfiorarlo e la ritrasse – Mentre...
Lei non si voltò nemmeno.
– Ho passato di peggio – scrollò le spalle – Sta' tranquillo.
– Mi spiace. Avevo perso la testa... io...
– T'ho detto di stare tranquillo – sbuffò lei – So come ti sei sentito in quel momento. Anzi, sai che ti dico? Se non avessi versato nemmeno una lacrima, ci avrei pensato io a farti piangere... a furia di sganassoni.
– Dove siamo?
– Nel mezzo della fascia di asteroidi. Tetsuro ha ritenuto più sicuro che ce la facessimo fino a Giove con questo caccia, prima di riprendere il Galaxy Express.
– Già... Tetsuro! – una lieve vertigine lo costrinse di nuovo indietro sul sedile – E il Dottore, Tadashi, la Signora Masu! Dove...
– Sono al sicuro, non preoccuparti – Sylviana ruotò la cloche quel tanto che bastava ad aggirare un piccolo asteroide – Appena è finito tutto, siamo andati al rifugio 22-B. Mai visto niente del genere. C'è davvero di tutto, là sotto, e che organizzazione! Non credo che ci siano ancora uomini di Thorn in giro, ma li vorrei proprio vedere a dare l'assalto a quel posto! Bé, immagino che aver fatto parte della Resistenza abbia i suoi vantaggi, dal punto di vista strategico...
– Thorn... lo hai...
– Consegnato all'Esercito Federale – Sylviana storse la bocca – In via ufficiosa, per ora. Meglio non allarmare Odhrán prima che il laccio si stringa... e si stringerà presto, credimi.
– Il chip – un nodo gli strinse la gola.
– Già – Sylviana rallentò e si voltò a guardarlo – È intatto, proprio come aveva detto Minoru... e se Yuki e Zero han fatto quel che dovevano, in mano al Tappo sarà la prova decisiva.
Ishikura sospirò. Sylviana si voltò a guardarlo.
– Tetsuro m'ha chiesto di riferirti che si occuperà lui di Minoru – fermò i motori – E s'è raccomandato di ridarti questo.
Da sotto il sedile, tirò fuori il suo diario. Lui lo prese in mano e lo sfogliò.
– Credevo che fosse una prova, ormai...
– Lo è. Ma dopo la deposizione, tuo fratello ha scritto anche una lettera per te. Non l'abbiamo letta.
Ishikura aprì il diario nel punto in cui era stato spostato il segnalibro.
La pagina era coperta dalla grafia tonda e minuta di suo fratello.
Una lettera... di certo, le spiegazioni che aveva promesso di dargli. E un addio definitivo.
Restò a fissare il foglio, incapace sia d'iniziare a leggere che di richiudere il diario.
Dopo un po', il rumore della cintura di Sylviana che veniva slacciata ruppe il silenzio.
Ishikura si guardò intorno. Erano fermi.
– Posso prenderne una pagina?
Lui la guardò interdetto. Di tutto ciò che avrebbe potuto fare o chiedergli, era l'ultima cosa che si sarebbe mai aspettato.
Strappò un foglio poco prima del centro e glielo porse, chiuse il diario e la osservò dividere la pagina, piegare la carta in metà precise e dar vita a complicati incastri.
– Cosa stai facendo?
Lei gli mise fra le mani la sua opera e passò alla seconda metà del foglio
– Hai un cognome giapponese e non sai cos'è un origami? – sorrise – Si chiama rosa Kawasaki.
Ishikura guardò il pezzo di carta sul suo palmo. Sembrava davvero una piccola rosa appena dischiusa.
– Cosa...
– Mettiti il casco.
Rinunciò a chiederle altro e fece come gli aveva detto. Lei decompresse la cabina e aprì il cupolino. Erano fermi su un piccolo asteroide, grande quanto bastava per il caccia ma troppo piccolo per scendere.
Sylviana si alzò, chiuse gli occhi, mormorò qualcosa e aprì la mano.
Un leggero impulso e l'assenza di gravità fecero volare il piccolo fiore di carta fra le stelle.
– Sai, io non so se ho dei fratelli, da qualche parte – mormorò – La cosa più simile a una famiglia che abbia mai avuto sono stati i Rosa Rossa. Quando uno di noi moriva non c'era mai un funerale, per ovvi motivi... solo una croce senza nomi all'imbocco della Red Valley dove chi sopravviveva andava a posare una rosa rossa. Minoru non è sepolto qui e quello era solo uno stupido fiore di carta, ma quando questa storia sarà finita, ti prometto che andrò a deporne uno vero sulla sua tomba. So che non è un granché, ma in fondo basta il pensiero, no?
Ishikura rigirò fra le mani la rosa che gli aveva dato, poi la lasciò andare come aveva fatto lei e la osservò sparire pian piano fra le stelle.
– Vuoi dire che adesso mi consideri un tuo compagno?
– Come spia fai sempre schifo – Sylviana gli sorrise – Ma sei una brava persona e di te posso fidarmi... non è una cosa che posso dire di tante mie conoscenze, sai?
– Grazie.
Restarono ancora l'uno accanto all'altra per un po', immersi nella quiete dello spazio infinito e nei loro pensieri, poi lei gli posò una mano sulla spalla.
– Puoi piangere un altro po', se vuoi.
Lui scosse il capo e si sedette.
– Non c'è tempo – attese che Sylviana s'accomodasse al posto di guida e premette il pulsante di chiusura del cupolino – E poi, sin da piccolo, lui ha sempre odiato vedermi frignare... Credo che, se fosse qui, mi direbbe che l'unica cosa decente che posso fare, ormai, è fermare quei pazzi.
Lei annuì, allacciò la cintura e avviò i motori.
– Ce n'è un'altra – con un rapido movimento del polso, gli trafisse di nuovo il collo – Buona notte.
– Sylviana, sei sempre la solita vip...
Buio.


Su consiglio di Jose, ho diviso questo capitolo in ulteriori due parti... in effetti, era davvero troppo lungo! Thank you!

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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 40
*** Per te, per me, io voglio vivere! ***


cap 8 Tadashi distolse lo sguardo dalla sagoma della Nèmesis ormai lontana e lo riportò sul Dottore, ancora impegnato a ricucirgli la ferita alla spalla.
Tamburellò con le dita sul bordo del lettino e riprese a guardare fuori.
Non si sentiva tranquillo. Per niente.
Ora che era uscito da quella sala di comando e s'era tolto di dosso tutto quel sangue, ora che la vista del corpo inerte di Harlock non gli sconvolgeva la mente tanto da rendergli impossibile anche solo pensare alle cose più semplici, ora che non si sentiva più rimescolare il sangue e lo stomaco ed era un po' più calmo, si rendeva conto che avrebbero dovuto distruggere quella nave.
Era certo che anche Yuki ci avesse pensato, e molto prima di lui.
Forse ci avevano pensato tutti, ma con lui ancora là dentro nessuno aveva avuto neppure il coraggio di proporlo.
– Non tormentarti, ragazzo mio – il Dottor Zero smise di applicargli i punti e si concesse una sorsata di liquore – Hai fatto ciò che potevi.
– L'ho ucciso – Tadashi lo guardò negli occhi – E non sono neanche riuscito a farlo da solo. Ho lasciato che Yuki...
Un nodo gli chiuse la gola. Serrò il lenzuolo fra le dita, furioso con se stesso.
Sul momento, il gesto di Yuki gli aveva dato coraggio e scaldato il cuore: quella mano stretta alla sua attorno al calcio della pistola era stata la risposta più chiara e definitiva a tutti i dubbi e le domande inespresse che lo tormentavano ormai da anni.
Ma non avrei dovuto lasciare che la sporcasse col sangue del suo Capitano.
Era stato un debole, un egoista: tanti buoni propositi, ma alla fine aveva lasciato che lei si sobbarcasse un peso enorme per aiutarlo, per proteggerlo.
Un'altra volta.
Ripensò al suo volto stanco e ai suoi occhi cerchiati di blu per la mancanza di sonno nel periodo in cui era stato ferito, alla sua camicia da notte strappata, ai lividi e alle bruciature sul suo braccio mentre la stringeva a sé nel giardino di casa loro. Si sentì una nullità.
–  Piantala di rimuginare, Tadashi – il Dottore gli lanciò uno sguardo complice e bevve un altro sorso – Yuki è una donna, ormai. Ciò che cerca non è più un Principe Azzurro che la protegga dai mali del mondo ma una persona con cui condividere le sue scelte, che le stia accanto da pari a pari... e sai una cosa? Harlock ne sarebbe felice, come sarebbe felice di vedere che alla fine ha scelto te. E vorrei ben vedere – strinse il nodo di fissazione con un ghigno – Avrebbe vinto un bel paio di bottiglie di Chateau Margaux del diciannove: più di ottomilaseicento crediti al litro, accidenti a lui!
– Cosa? – Tadashi fissò il Dottore. Quella storia gli giungeva nuova.
Il medico posò l'ago, si sciacquò le mani e le asciugò.
– Avevamo fatto una piccola scommessa, solo noi due – con una pinza afferrò una garza, la immerse nel disinfettante e tamponò la ferita – Il Capitano sarà stato anche orbo da un occhio, ma ci vedeva lungo.
Gli occhi di Tadashi si spalancarono al pensiero del raffinato, austero Harlock che s'abbassava ai rozzi passatempi in voga fra gli uomini della sua ciurma, uno dei quali era appunto scommettere sull'identità del futuro partner di Yuki. Il Dottore lo guardò divertito.
– Che c'è di strano? – srotolò la benda – Era un pirata anche lui, in fondo, era giovane... e a volte aveva bisogno di svagarsi in modo stupido, come tutti quanti.
Il pensiero strappò un sorriso a Tadashi.
– Lo sapeva che Taro e Kiddodo davano come favorito proprio lui?
– Altroché – il Dottore diede una vigorosa stretta alle bende attorno alla sua spalla – E credo che fosse anche consapevole di cosa provasse Yuki nei suoi confronti. Però...
– Però?
– Già allora desiderava che quella vita da fuorilegge senza radici fosse solo una parentesi per lei... e, in seguito, anche per te. Eravate così giovani – sospirò – Tutta la vita davanti, tante possibilità quante le stelle nel cosmo... Una volta, credo sotto gli effetti di qualche bicchierino di troppo, mi confidò che non trovava giusto obbligarvi alla sua stessa vita da fuorilegge esiliato, che sognava per voi ciò che Tochiro aveva sognato per Mayu: una vita normale, felice, sulla Terra. Sai, Tadashi, il giorno in cui decise di farci sbarcare non mi stupii nemmeno un po': covava quell'idea ormai da tempo. La guerra contro le Mazoniane gli offrì l'occasione giusta e lui la prese al volo...
Tadashi serrò ancor di più il pugno.
– Forse, visto come sono andate le cose, avrei dovuto...
– Insistere? Rimanere a bordo a ogni costo come fece Mime? – il Dottore annodò la benda e gli diede una leggera pacca sul petto – Non sarebbe cambiato niente. E poi aveva ragione, ragazzo mio: sulla Terra c'era bisogno di noi. Di te, di Yuki, di quello scombinato di Yattaran e di quel sentimentale di Maji, della vecchia Masu con la sua grinta e persino di me, vecchio ubriacone che non sono altro. Quello che non c'è stato verso di fargli capire, per quanto ci abbia provato – afferrò la bottiglia e bevve un lungo sorso – Era che c'era bisogno anche di lui, soprattutto di lui. Per certe cose ci vedeva lungo, già, ma per altre più che orbo era proprio cieco... un cieco che non voleva vedere, oltretutto, ostinato come un mulo!
Il Dottore si ripulì la bocca sulla manica del camice e sospirò.
La durezza del suo tono era smentita dal suo sguardo, ed entrambi ricordarono a Tadashi quelli di suo padre nel lungo e difficile periodo di ribellione che lui aveva attraversato dopo la morte di sua madre: la stessa ansia, lo stesso rammarico, lo stesso affetto mischiato a senso di colpa.
– Quello sciocco – il Dottore bevve un altro sorso – Non ha mai voluto capire che, oltre a essere il nostro sostegno, poteva anche farsi sostenere da noi, che era uno di noi. Ma ormai...
Ormai è tardi.
Di nuovo quel senso di vuoto, di nuovo la voglia di piangere.
Ormai, lui non c'è più.
Di nuovo la rabbia, il senso d'impotenza... e il rumore del lenzuolo che si lacerava.
Tadashi aprì il pugno, si alzò dal lettino e diede un ultimo sguardo oltre l'oblò.
La Nèmesis non si vedeva più.
Infilò le braccia nelle maniche della sua tuta di riserva, trattenne un gemito e chiuse la zip.
– Come sta... lei?
Il Dottore sollevò su di lui uno sguardo triste.
– Le ho dato un sedativo – posò la bottiglia vuota su un tavolino e si diresse alla sua scrivania – Per il momento è meglio lasciarla sola.
– Capisco – Tadashi s'avvicinò alla porta e premette il pulsante d'apertura.
Il Dottore sollevò Mi dalla sua poltroncina, la sistemò sulla spalla e si sedette.
– Adesso è sconvolta, ma sono sicuro che non vi porterà rancore – accarezzò la gatta – Vedrai, alla fine capirà che non avete avuto altra scelta.
Tadashi annuì, ma per la verità non ne era affatto sicuro.
Lui stesso si biasimava per ciò che era successo e sapeva che, al posto di Mime, perdonare gli assassini del suo amato Capitano gli sarebbe stato molto difficile.
E non c' è solo lei...
Mentre percorreva il corridoio che portava al ponte di comando, sentiva gli occhi di tutto l'equipaggio su di sé e non poteva fare a meno di pensare che alcuni di quegli sguardi fossero d'accusa. Nulla sarebbe stato più lo stesso, questo era certo.
No. Non è il momento di pensarci!
Raddrizzò la schiena e varcò la soglia del ponte di comando.
Yuki era in piedi, il timone fra le mani e l'espressione risoluta del Capitano di nuovo stampata sul viso. Non aveva rimesso il mantello, che ora giaceva piegato in due sulla poltrona di Harlock accanto alla stampella che il Dottore le aveva dato per sostenersi dopo aver cercato, a lungo e senza riuscirci, di convincerla a farsi sostituire al comando.
Tadashi s'avvicinò e strinse le labbra: le bende che le avvolgevano la gamba ferita erano macchiate di sangue, ma sapeva che chiederle d'andare a farsi medicare o anche solo di riposare qualche minuto sarebbe stato tempo perso.
– Quanto manca?
Yuki staccò gli occhi dall'immagine di Futuria sul pannello principale.
– Entreremo nell'atmosfera fra una decina di minuti – accennò alla sua postazione – Farai meglio ad allacciarti la cintura di sicurezza.
Tadashi annuì.
Non gli aveva ordinato di tornare in infermeria, non gli aveva chiesto se se la sentisse di combattere. Un solo sguardo e comprese che era perché provava i suoi stessi sentimenti: era preoccupata, ma capiva e condivideva il suo desiderio di fare tutto il possibile per Mayu, Zero e i loro compagni. E, soprattutto, lo voleva al suo fianco.
Come io voglio lei.
Ripensò alle parole del Dottore e, più che mai, desiderò quel futuro che li aspettava.
Più che mai, si sentì pronto a lottare fino all'ultimo respiro.
Le voltò le spalle e andò a sedersi alla sua postazione.
– Maji, in che stato sono i cannoni?
– Sono operativi al settantadue per cento – le dita tozze e annerite del Capo Ingegnere digitarono un paio di rapidi comandi e il pannello davanti a Tadashi si attivò – I cannoni pulser utilizzabili sono quattro su sei, mentre i cannoni dimensionali... bé, ne funziona uno solo.
– Le bocche lanciamissili e i tubi lanciatorpedini?
Maji si asciugò una goccia di sudore.
– Operativi solo sul lato sinistro e davanti, quindici su trentasei – allargò le braccia in un gesto di scuse – Quella bordata è stata davvero terribile, peggio di quanto m'aspettassi. Mi spiace, ma con gli uomini e i mezzi attuali non si può proprio fare di più.
– Ce la caveremo – Yuki impostò l'angolo d'atterraggio e iniziò la manovra di discesa – L'Arcadia è uscita da situazioni peggiori.
L'attrito dell'atmosfera fece sobbalzare la nave.
Con un gemito, Yuki s'aggrappò al timone e raddrizzò la barra.
– Attivare gli scudi! Pronti con i retrorazzi!
Maji premette il pulsante e tirò la leva d'attivazione, gli occhi fissi sul monitor.
– Scudi attivati, Capitano! – si grattò la barba – Siamo solo al quarantatré per cento: presto farà caldo, qui.
– Non immagini quanto – Tadashi strinse i denti – Nemico a ore nove!
Sul quadrante del radar davanti a lui, una moltitudine di puntini si muoveva in tutte le direzioni attorno a un punto più grande, immobile.
La Karyu. Finalmente!
– Quanti sono, Tadashi? – le mani di Yuki strinsero più forte le barre del timone.
Tadashi avviò la scansione IFF*.
– Almeno dodici squadriglie – scorse la lista dei codici non identificati – Centodiciotto caccia di modello sconosciuto. Armamento pesante, a giudicare dalla velocità e dalle dimensioni.
Ossi duri. Troppo per gli appena sessanta Dagger in dotazione alla Karyu e forse persino per i Lupi Spaziali ancora in grado di volare.
Yuki strinse le labbra.
– Ci hanno individuati?
Maji armeggiò con i comandi della sua plancia.
– Non ancora. Siamo troppo lontani per i loro radar – si voltò verso Yuki – Jamming**?
Yuki s'asciugò il sudore dalla fronte. Come aveva previsto Maji, gli effetti dell'attrito con l'atmosfera cominciavano a farsi sentire.
– Sì, procedi – si mordicchiò il labbro inferiore – Quando hai finito, comunica ai meccanici e alle squadre di riparazione di tenersi pronti. 
Tadashi avviò la sequenza d'armamento del cannone dimensionale e attivò le torrette.
Il vecchio mirino C12-D, “i miei occhi”, emerse di fronte a lui.
Un altro ricordo di Harlock...
Dolorosa e inopportuna come una pugnalata, l'immagine di lui piegato accanto alla sua poltroncina.
Nelle sue orecchie, la sua voce che gli spiegava come mirare e far fuoco.
Calma, profonda, inconfondibile.
– Tadashi?
– Yuki aveva il tono di chi stava chiedendo qualcosa per la seconda volta.
– Eh?
Il Dottore?
Basta... devo concentrarmi!
Di certo, era quello che avrebbe voluto Harlock. Si voltò verso Yuki.
– Quando l'ho lasciato, era ancora abbastanza sobrio. Allerto i Lupi?
Lei scosse il capo.
– Non ancora. Prima voglio liberarmi di quanti più nemici possibile... e soprattutto aprire un canale di comunicazione con la Karyu. Devono togliere i loro caccia da lì!
– Non sarà facile – Maji si leccò le labbra – Di sicuro, anche ai nostri amichetti sarà venuto in mente di tagliare le vie di comunicazione a Zero e ai suoi!
Come a conferma delle sue parole, un insistente fruscio e ripetute scariche di statica uscirono dagli altoparlanti. Sullo schermo secondario, solo un fastidioso effetto nebbia.
– Continua a provare – Yuki corrugò la fronte – Tadashi, comunica ai nostri uomini ai tubi di lancio di prepararsi a far fuoco con le torpedini e i missili a ricerca automatica IFF. Lanciamo tutto ciò che abbiamo.
Tadashi diede un'ultima occhiata allo schermo del radar e attivò l'intercom.
– Se solo si levassero di mezzo...
Yuki guardò lo schermo secondario.
– Non possono leggerci nel pensiero. Inoltre, ora come ora, anche la Karyu è sulla traiettoria di tiro.
Tadashi premette l'auricolare e attivò il microfono.
– Ponte sei, mi sentite? Ponte sei...
– Vi riceviamo, ponte di comando – una voce sconosciuta, forse di uno degli uomini distaccati dalla Karyu.
– Armare tutti i tubi di lancio e le bocche lanciamissili con torpedini e missili a ricerca IFF. Al mio segnale, fuoco a volontà.
– Ricevuto.
– Siamo pronti, Yuki.
– Bene. Maji, ancora niente?
– Niente, Capitano – Maji sospirò desolato – Qui ci vorrebbe quella testa d'uovo di Yattaran... o anche solo Mime per badare agli scudi e ai sistemi operativi mentre mi occupo del collegamento. Accidenti, com'è dura fare tutto in tre!
– Dobbiamo cavarcela da soli – Yuki aggrottò la fronte – E alla svelta, anche.
Questo era poco, ma sicuro. La situazione, almeno per quanto riguardava la battaglia aerea, sembrava sfuggire di mano agli uomini della Karyu di minuto in minuto. Il computer segnalava come abbattuti già venti dei loro caccia a fronte di soli quindici nemici annientati. Viste le proporzioni in campo, era una media disastrosa.
Tadashi si voltò verso Yuki.
– Dobbiamo intervenire, o li ammazzeranno tutti!
Yuki controllò l'altimetro. Si trovavano a quattrocento metri dal livello del suolo, mentre i caccia volavano a quota centotrenta. Tadashi la vide aggrottare la fronte e gli parve di poterle leggere nel pensiero: c'era il rischio concreto che i nemici individuassero i siluri nonostante il jamming e potessero risalire alla loro posizione dalla traiettoria di lancio. Se ciò fosse successo, avrebbero perso l'effetto sorpresa e quello che lui presumeva fosse il piano di Yuki, ovvero portare lo scontro lontano dalla Karyu e abbattere  il maggior numero di nemici con un colpo di cannone dimensionale, sarebbe andato a farsi benedire.
Ma se non facciamo nulla...
Sullo schermo del computer, i codici di altri cinque caccia Federali lampeggiarono e finirono nella lista dei velivoli abbattuti.
– Yuki!
Lei distolse gli occhi dallo schermo e annuì.
– Va bene, fuoco!
– Fuoco! – Tadashi disinserì il sistema di sicurezza che bloccava le torpedini e i missili nei tubi e diede il segnale di lancio. Il contraccolpo fece sobbalzare la nave, ma Yuki compensò con una decisa virata a destra e verso il basso.
– Maji, attiva i retrorazzi – il calore era troppo, bisognava rallentare – Tadashi, situazione!
– Sì – Tadashi si asciugò il sudore dalla fronte e controllò il monitor – Tutti i colpi a segno, quindici nemici abbattuti!
– Maji, ci hanno individuati?
– Non credo, a giudicare da come si muovono – Maji si sistemò la bandana – Il jamming ha funzionato, ma è solo questione di tempo. Dobbiamo usare il cannone principale!
Tadashi digrignò i denti.
– Ma così coinvolgeremo i caccia della Karyu!
Maji tirò su col naso.
– Lo so, ma adesso i nemici sono all'erta – cincischiò col nodo della sua bandana – Se ricorressimo di nuovo ai missili, ci individuerebbero seguendo la traiettoria di lancio. Abbatteremmo forse altri quindici di loro, ma non avremmo più modo di coglierli di sorpresa... e sarebbero ancora in troppi. Con la nave così danneggiata e solo la metà dei Lupi in grado di combattere non ce la faremo mai, senza contare che quelli a terra saranno annientati se continuiamo a lasciarli fare!

Tadashi sbatté il pugno sulla plancia.
– Maledizione – un altro paio di caccia Federali fra gli abbattuti – Maledizione!
Yuki diede un'ultima occhiata all'altimetro e allo schermo secondario, chiuse gli occhi e fece un profondo respiro.
– Maji ha ragione, Tadashi – riaprì gli occhi e li puntò su di lui – Non possiamo mettere a rischio i Lupi, la nave e le truppe di terra per salvare una trentina di piloti destinati comunque a essere sopraffatti. Preparati a far fuoco col cannone dimensionale. La Karyu è ben corazzata, reggerà.
La sua voce era ferma, lo sguardo saldo, ma la sua mano tremava sulla barra.
Se eseguo quest'ordine, non se lo perdonerà mai.
Anche la sua mano tremò sulla plancia, di rabbia, tristezza e frustrazione.
No, basta! Non lascerò che si accolli una responsabilità del genere un'altra volta!
– Yuki, non...
– Tadashi, per favore, non discutere! Arma il cannone e preparati al fuoco! È un ordine!
– Ma...
– Ti prego, fa' come ti dico – Yuki abbassò il capo – Aiutami a fare ciò che è meglio per tutti. Ho bisogno di questo, ora, non che tu mi protegga da me stessa.
Yuki è una donna, ormai. Ciò che cerca non è più un Principe Azzurro che la protegga dai mali del mondo ma una persona con cui condividere le sue scelte, che le stia accanto da pari a pari...
– Va bene – Tadashi inizializzò la sequenza di sparo – Trenta secondi all'attivazione del cannone, ventinove, ventotto...
– Un momento – la voce allarmata di Maji interruppe il suo conto alla rovescia – C'è un calo di potenza nel reattore principale!
Yuki non esitò.
– Attiva i generatori ausiliari e convoglia tutta l'energia alla sala macchine, computer e alle torrette. Taglia l'alimentazione agli alloggi dell'equipaggio, alle cucine, alla lavanderia e alla cabina del Capitano. Se non dovesse bastare, disattiva tutte le apparecchiature che non siano quelle mediche e quelle di riciclo dell'aria. Tadashi, non interrompere la sequenza di tiro!
Maji s'affannò sulla sua plancia e Tadashi tornò a prestare attenzione al monitor.
Altri sei caccia della Karyu e due nemici erano stati abbattuti.
– Dieci, nove, otto...
– Eseguito, Yuki – Maji s'asciugò il sudore – Calo di potenza rientrato.
Tadashi non poteva vederlo in faccia, ma la sua voce era incrinata.
Il caricamento era entrato nella sua fase finale, l'energia accumulata era quasi quella massima.
– Sette, sei, cinque...
Yuki diede un'ultima nervosa occhiata allo schermo secondario. Solo statiche.
Con la coda dell'occhio, Tadashi la vide asciugarsi il sudore... o una lacrima.
– Quattro, tre, due...
Strinse il calcio con tutte e due le mani, così forte da farsi male alle dita.
Allineò il mirino con la tacca di mira.
Vi prego, levatevi da lì!
Una preghiera silenziosa che sapeva non sarebbe stata esaudita.
– Uno...
Poggiò il dito sul grilletto, pronto a far fuoco.
– Arcadia – un fruscio – Siete... Mi... ite? Passo!
Sullo schermo secondario apparve l'immagine tremolante e instabile del Comandante Marina Oki.
– Interrompere!
Prima ancora che Yuki desse l'ordine, Tadashi aveva fermato la sequenza con un sospiro di sollievo.
– Comandante Oki, qui è l'Arcadia, passo.
Un lungo fruscio, un'altra interferenza. L'immagine si stabilizzò.
– Capitano Kei – Marina appariva tesa quanto Yuki, se non di più – Arrivate al momento giusto! Questi caccia ci sono piombati addosso all'improvviso, proprio quando credevamo d'aver messo in sicurezza l'area attorno alla base nemica...
– Lo so – Yuki diede un'occhiata all'altimetro – La Nèmesis era un diversivo. Fin dall'inizio, il loro scopo è stato separarci e accerchiarvi mentre eravate impegnati a irrompere.
Marina spalancò gli occhi ma si riprese in fretta.
– Potete fare qualcosa?
– Fate ritirare i vostri caccia e cercate di scrollarvi di dosso quelle pulci. Spareremo col nostro cannone dimensionale, poi manderemo fuori i Lupi Spaziali a darvi manforte.
– Non possiamo – Marina si morsicò il pollice – Siamo in pochi e, anche se riuscissimo a decollare, non potremmo più dar copertura alle nostre truppe di terra. La battaglia è stata durissima, è ancora in corso e ci sono molti feriti: se adesso li lasciassimo allo scoperto non sopravviverebbe nessuno. Non potete far uscire i vostri uomini senza sparare?
Yuki scosse il capo.
– La nostra flotta è troppo leggera per armamento e insufficiente per numero. Inoltre abbiamo subìto parecchi danni.
– Allora l'unica è attirarli lontano dalla Karyu, in un punto in cui possiate sparare senza rischi. Dove siete?
Yuki diede un'altra occhiata all'altimetro.
– Maji, inviale le coordinate – tornò a rivolgersi allo schermo – Comandante Oki, abbiamo poco tempo: fra una decina di minuti saremo a duecento metri di quota e i loro radar ci rileveranno.
Marina aggrottò la fronte.
– Capisco – si passò una mano sul mento, pensosa – Siete in grado di colpire in meno di venti secondi?
– Tadashi?
– Non alla massima potenza, ma sì, ce la possiamo fare.
– Bene – Marina digitò qualcosa sulla tastiera davanti a lei – Allora preparatevi a far fuoco alle coordinate che vi ho appena inviato. Signor Breaker, contatti Hiryu tre e gli ordini di far ritirare la squadriglia seguendo il percorso che ho appena tracciato!
– Laggiù? – la voce del radarista meccanoide era alterata, forse dai disturbi della comunicazione, forse dallo stupore – A così bassa quota?
– Si sbrighi, Breaker, è la loro unica possibilità... e forse anche la nostra!
Tadashi inserì le coordinate nel sistema e il computer gli rimandò le immagini d'uno stretto canyon innevato. Ghignò.
E bravo il Comandante Oki.
Per quanto azzardata, era una buona idea.
– Preparatevi!
Sullo schermo del radar, i caccia superstiti della Karyu si misero in formazione e s'allontanarono dalla nave madre. I veicoli nemici partirono all'inseguimento.
Tadashi riavviò la sequenza d'armamento del cannone e lo puntò sull'obiettivo.
– Pronto a far fuoco, Karyu.
– Siamo a duecentocinquanta metri di quota – la voce di Maji.
– Non ancora – Marina si scostò una ciocca di capelli dalla fronte.
La squadriglia Hiryu perse un altro dei suoi membri, quella meccanoide imboccò il canyon.
Tadashi mirò.
– Duecentoventi!
– Non ancora...
Sullo schermo, i piccoli Dagger Federali sfrecciarono lungo le rupi sotto di loro e li oltrepassarono.
Tadashi posò il dito sul grilletto.
– Duecentodieci!
– Non ancora!
I caccia nemici apparvero in una frazione di secondo.
– Ci hanno rilevati!
– Adesso! Fuoco!
Tadashi premette il grilletto.
La luce del cannone lo abbagliò, il contraccolpo fece vibrare l'Arcadia e la rallentò per un millesimo di secondo.
Sullo schermo, i caccia che si trovavano in mezzo alla formazione nemica si vaporizzarono mentre gli altri, dietro e davanti, andarono in pezzi, s'avvitarono e si sfracellarono contro le rocce. Una valanga di neve, massi e tronchi d'alberi morti seppellì i superstiti.
Yuki era finita a terra. Strinse i denti, si aggrappò al timone e si rialzò.
– Situazione?
Tadashi controllò sullo schermo.
– Tutti i nemici abbattuti – s'asciugò un rivolo di sudore dalla fronte – Trentuno superstiti nello squadrone Hiryu.
Sullo schermo secondario il volto di Marina s'intristì, ma lui si sentì felice per esser riuscito a salvare almeno quelle poche vite. Si voltò verso Yuki. La sua espressione, adesso, era più distesa.
– Fa' uscire i Lupi. L'ordine è di sorvolare la zona in cerca di eventuali superstiti e quindi unirsi alla squadriglia Hiryu in appoggio alle truppe di terra della Karyu. Lo stesso vale per i nostri incursori.
Tadashi si alzò.
– Esco anch'io. Col Bullet Four.
Maji lo squadrò dalla testa ai piedi e inarcò un sopracciglio.
– Non mi sembra una buona idea, conciato come sei.
Tadashi alzò le spalle con fare noncurante.
– Il peggio è passato, là fuori – soffiò via una ciocca di capelli dall'occhio – Ormai è solo questione di tempo perché gli uomini di Zero, la squadriglia Hiryu e i Lupi abbiano ragione delle loro truppe di terra. Contro dei caccia pesanti non servono a un granché, ma qualche mezzo corazzato e la fanteria sono un altro discorso.
Si avvicinò a Yuki.
– Ho il permesso di andare, Capitano?
Lei lo guardò, un'ombra di tristezza in quei bellissimi occhi azzurri.
– È inutile che tu me lo chieda – diede un mezzo giro al timone – Tanto farai ciò che vuoi, qualunque cosa io dica.
Tadashi si grattò la nuca.
– Bé, in fondo sono un pirata – sfiorò la sua mano sulla barra – E su questa nave viviamo tutti sotto la bandiera della libertà, giusto?
– Maji, puoi sostituirmi un momento? Ho già impostato l'angolo e le coordinate d'atterraggio.
Il Capo Macchinista inserì l'automatico, si alzò dalla sua postazione e raggiunse il timone.
Yuki si voltò verso la poltrona di Harlock, sfiorò il mantello e afferrò la stampella.
Le bende attorno alla sua coscia erano intrise di sangue e zoppicava in maniera vistosa ma camminava spedita, senza un solo lamento. Tadashi la seguì in silenzio fino alla porta dell'hangar.
– C'era qualcosa che volevi dirmi?
Yuki abbassò lo sguardo sulla gamba ferita e strinse il pugno libero.
– Vorrei venire con te – sospirò – Ma mi rendo conto che in queste condizioni sarei solo un peso.
Lui le posò le mani sulle spalle e le sorrise.
– Non dirlo. Sei il mio sostegno, sempre. Senza di te, a furia di far sciocchezze, sarei già morto una dozzina di volte.
– Soltanto? – le sue dita si strinsero di nuovo attorno alla sua mano, le sue labbra si incurvarono all'insù.
Gli venne voglia di fare il buffone come aveva fatto con Mayu sulla Karyu solo per vederla ridere di nuovo, senza ombre.
– Per chi m'hai preso?
– sollevò il mento e le fece il broncio La maggior parte delle volte me la sarei cavata lo stesso.
Lei gli afferrò la nuca e lo obbligò a guardare in basso. Sorrideva.
– Vedi di farlo anche stavolta, allora – gli si avvicinò, posò una mano sul suo petto – Fa' finire tutto questo, riporta qui Mayu e torniamo sulla Terra a vivere il nostro futuro. Io e te insieme.
Tadashi si chinò su di lei, il cuore in gola.
Sentiva il calore della sua pelle, il suo odore.
Sotto la sua mano, i suoi capelli erano morbidi come sempre, le sue guance lisce, le sue labbra calde e delicate.
Gliele fece socchiudere con un dito, le fece alzare il mento e la baciò.
Lei non si ritrasse, affondò le dita nei suoi capelli e gli si premette contro.
Una volta, a Tadashi non sarebbe importato di morire là fuori, in quel preciso istante.
Adesso, invece, voleva vivere, con una ferocia che non aveva mai provato in tutta la sua esistenza.
– Cosa c'è da ridere? – Yuki si staccò da lui.
Tadashi scosse il capo.
– Nulla d'importante – allacciò più stretta la fondina, controllò il livello di carica della Dragoon e le diede le spalle – A presto, Capitano.
Gli sembrò di metterci anni a percorrere quella scala, secoli a raggiungere il Bullet.
Il brusio dei piloti, dei meccanici e degli altri uomini affaccendati attorno ai veicoli gli arrivava lontano, attutito.
La voce di Maji risuonò nell'hangar proprio mentre apriva lo sportello del Bullet.
Ci siamo.
Qualche breve sussulto, il suono della sirena e un viavai caotico di gente attorno a lui.
Il portellone s'aprì.
Per te, Capitano.
Tadashi premette sull'acceleratore e uscì.
Per te, Yuki. Per Mayu... e anche per me.




* Nelle telecomunicazioni, la locuzione identification friend or foe od IFF indica un sistema automatico elettronico di riconoscimento amico-nemico progettato per le funzioni di comando e controllo. Si tratta di un sistema che permette, mediante un'interrogazione, di identificare un bersaglio e determinarne la distanza.

** Il radar jamming (dall'inglese jam, cioè confusione) è una delle tecniche di guerra elettronica di tipo attivo. Consiste nell'emissione intenzionale di segnali radio che interferiscono con il funzionamento dei radar saturando il ricevitore con del rumore o fornendo false informazioni agli operatori.



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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 41
*** Ogni goccia della nostra vita ***


cap 8 Una sensazione come di scarica elettrica gli corse lungo la spina dorsale quando le loro mani si strinsero.
Anche lui l'ha sentita.
Non sapeva come, ma ne era sicuro.
Si guardò attorno: tutto era silenzioso, inerte.
Non una foglia si muoveva sugli alberi e, dalle vie e dai vicoli intorno a loro, non una parola o il più piccolo rumore, nemmeno il cinguettio d'un uccello.
Era come se le persone, gli animali e persino il vento fossero spariti, come se il tempo si fosse cristallizzato; persino il fumo aveva smesso di salire dal cratere annerito accanto a loro.
Pian piano i contorni della voragine, il tubo ritorto e i resti anneriti della scarpetta rosa da bambina che stava fissando persero i loro contorni.
Sbatté le palpebre.
L'immagine tremolò e svanì, proprio come avevano fatto Sayuri, Seiryū e la palazzina.
Si guardò attorno.
Le case, gli alberi, l'asfalto sotto i loro piedi... persino il cielo: tutto diventò bianchissimo, abbacinante... un enorme spazio vuoto.
Chiuse gli occhi.
Qualcosa scattò in qualche remoto angolo del suo cervello e, all'improvviso, quello spazio vuoto era anche dentro di lui.
Chi sono?
Zero.
Harlock.
Due voci diverse, due risposte che gli suonavano vere e false allo stesso modo, nello stesso momento. Due vite, due personalità opposte... e le sentiva entrambe sue, entrambe estranee.
Che sta succedendo?
È Oneiros. Le nostre menti si sono unite.
Il suo cuore, due cuori, accelerarono i battiti, inquieti allo stesso modo, stupiti allo stesso modo.
È assurdo!
Sta' calmo.
Aprì gli occhi e il respiro gli si mozzò in gola.
Vedeva l'altro davanti a sé e al tempo stesso si vedeva attraverso i suoi occhi.
Ma chi è l'altro? E chi sono io?
Una domanda che risuonò in due cervelli, carica della stessa angoscia.
Lo stesso lungo respiro colmò due paia di polmoni, due mani si strinsero l'una all'altra con più forza.
Ne usciremo. Torneremo indietro.
Indietro dove?
La risposta non poteva che essere una sola.
Zero e Harlock, Harlock e Zero: nessuno dei due aveva una vera casa... o ne aveva una enorme, a seconda dei punti di vista.
Il grande Mare delle Stelle.
Fin da bambino, aveva sempre sentito il richiamo di quell'immensità oscura puntinata di luci lontane, di quella vastità infinita: era capace di rimanere a guardarlo per ore e ore...
Arrampicato sul ramo più alto di quell'enorme quercia in cima alla collina...
No...
Dal tetto di casa, sdraiato a pancia in giù sulle tegole d'ardesia...
Spalancò gli occhi: due ricordi così diversi, eppure così uguali.
Un sorriso increspò le sue labbra, si replicò su quelle dell'altro.
E la Terra...
La sua patria, la sua prigione: un luogo in cui tornare e da cui fuggire, uno scrigno colmo di bellezza e orrore, di speranza e tristi ricordi.
Il profumo dei fiori, il cinguettio degli uccelli, il sapore delle fragoline di bosco...
Il fragore delle onde, il sale sulle labbra, la sabbia fra le dita dei piedi...
La risata di una donna. La dolcezza di un bacio.
Maya...
Sayuri...
E la guerra, nella mente di quella parte di lui che era il Capitano Warius Zero.
Una guerra che la parte che invece era il Capitano Phantom Franklyn Harlock non ricordava, non così disperata, non così...
Quei lampi nello spazio, quelle migliaia di vite spente nel silenzio...
No...
Quei lampi sulla Terra, senza che lui potesse far nulla a parte protendere una mano impotente verso il suo pianeta indifeso e gridare come un pazzo, supplicare un nemico che non poteva sentirlo di fermarsi, trattenere le lacrime davanti ai suoi uomini altrettanto disperati...
No...
E la fame, il freddo, la miseria, il pianto e gli sguardi ostili degli orfani e dei genitori che avevano perso i loro figli nel vedere la sua divisa, le case sventrate e ovunque quella cenere sottile, nera come la pece, che penetrava nei vestiti, negli occhi, persino nel cuore.
Una tomba vuota in un cimitero bruciato, sotto la pioggia battente...
Sayuri... Seiryū...
Una bara colma di rose bianche che s'allontanava nel Mare delle Stelle...
Nel punto in cui gli anelli del tempo si ricongiungono, noi ci incontreremo ancora, amore mio...
Nella mente di Harlock un'immagine, come un lampo: un donna, immobile oltre il vetro di quella capsula, bianca come quelle rose, morta come quelle rose... e ancora bellissima, proprio come quelle rose. Le sue dita che correvano sul coperchio liscio in un'ultima carezza, il suo sguardo che indugiava su quel viso ormai esangue e sul contrasto di quei lunghi capelli biondi sul nero del Jolly Roger.
Maya! No...
Il cuore di Zero si strinse, quello di Harlock cominciò a battere forte, fino a far male.
Sì. Purtroppo è successo davvero.
Un pensiero di Harlock o di Zero? Non lo sapeva, ma sapeva che era la verità. Lo sapevano tutti e due.
In due menti che erano una, un'esplosione improvvisa di luce bianca e dolore lancinante.
Partiva dall'occhio destro, pulsava nella testa al ritmo incalzante e ossessivo dei battiti del suo cuore e ogni battito gli toglieva un po' più  di respiro, lo portava un po' più vicino alla follia, come se dalla sua orbita bruciata, oltre al sangue e ai frammenti gelatinosi del bulbo oculare spappolato, colassero via anche il suo cervello e la sua ragione...
Oltre un velo rosso e i lampi dei laser, Maya che gli gridava di andarsene, di restare vivo e sperare che un giorno avrebbero visto sorgere il sole insieme... Lei appesa su una croce insieme a Emeraldas, le parole d'amore e speranza che gli aveva sussurrato mentre si spegneva fra le sue braccia e il dolore che gli aveva chiuso il cuore in una morsa mentre la stringeva a sé nel disperato tentativo d'impedirle di andarsene...
E sarò la fiamma nel tuo fuoco.
Gli girò la testa, la nausea lo assalì e barcollò, barcollarono entrambi.
La sua visione... una delle sue visioni, cambiò di colpo.
Il suo occhio destro, ora, non vedeva più. Ci passò sopra la mano libera.
Sotto le sue dita, sotto le dita di entrambi, un'orbita vuota circondata dalle grinzose cicatrici d'una vecchia ustione.
Cos'è successo?
Un ricordo. Uno vero.
Il ventenne, spensierato Capitano della Death Shadow con la sua linda uniforme militare sparì in un tremolio ondeggiante.
Era anche lui un ricordo, ormai.
Al suo posto, un pirata con la benda sull'occhio e un lungo mantello lacero sulle spalle.
Già. Da quel giorno, Harlock veste solo di nero.
La stessa amarezza in due cuori, in uno che aveva appena rivissuto la perdita più dolorosa per un uomo e in un altro costretto a riaprire quelle ferite che conosceva sin troppo bene, a scavare così a fondo in un angolo che, lo sapeva, l'altro non avrebbe voluto condividere con nessuno, nemmeno con un amico.
E la tentazione di tornare, non a casa, non nel Mare delle Stelle o sulla Terra, ma in quel mondo di sogno dove tutto era perfetto, dove le persone che Zero amava, che Harlock amava, erano vive e al sicuro. Con loro. Con lui.
Perché tonare in un mondo dove non ci aspetta niente?
Nei ricordi di Zero, il disprezzo e il sospetto nel tono di voce dei suoi commilitoni e dei suoi superiori, lo sguardo timoroso e ostile del giudice della Corte Marziale. Marina che gli spiegava in lacrime che non avrebbero mai potuto aver figli... e quella tomba vuota, sempre lì a rimproverarlo di non aver saputo proteggere coloro che s'erano affidati a lui.
Nei ricordi di Harlock, gli occhi colmi di rancore e paura dei terrestri, la diffidenza e il rifiuto, i lunghi anni passati a vagare nello spazio insieme ad altri reietti come lui... e ovunque la stessa disperazione, lo stesso degrado, la stessa apatia e le stesse meschinità, le stesse tristi storie, giorno dopo giorno.
E mostrarsi sempre forte, deciso e distaccato, essere l'eroico, incrollabile Capitano che sa sempre cosa fare; soffocare la paura, i rimorsi e la tristezza, mostrarsi pieno di fiducia in me stesso e nel domani, giorno dopo giorno...
La stanchezza. Di tutti e due.
La solitudine di chi muore... e quella di chi resta.
Nei ricordi di Harlock, Tochiro che continuava a lavorare alla costruzione dell'Arcadia nonostante quella terribile malattia fosse ormai in fase terminale, senza che lui potesse far nulla anche solo per alleviare la sua sofferenza... Emeraldas con il cuore spezzato che spariva per sempre nello spazio affidandogli la sua pistola e una bambina a cui sapeva che non sarebbe potuto rimanere accanto, che avrebbe sofferto per causa sua...
No, Harlock!
Una vita da fuggiasco fra le stelle, insieme ad altri disperati come lui, ognuno, a suo modo, solo come lui; fare il possibile per evitare, in un prossimo futuro, il disastro provocato da uno sfruttamento incosciente e criminale del pianeta e delle colonie, per combattere le ingiustizie...
E vedere che non basta mai.
Capire, giorno dopo giorno, che le sue mani erano troppo piccole per afferrare tutte quelle che si tendevano in cerca d'aiuto, che le sue braccia erano troppo deboli per battersi per tutti, che le sue spalle non potevano reggere il peso di tutto l'universo...
Harlock!
Esser costretto a battersi con un nemico che rispettava più della sua stessa gente e di cui capiva le ragioni, senza pietà, fino all'ultimo... perché nessun altro l'avrebbe fatto al posto suo e perché la pace non era possibile.
Vedere le sue speranze e i suoi sogni, il suo fuoco, spegnersi giorno dopo giorno...
Amare e odiare allo stesso tempo tutti coloro che lo tenevano ancora legato a quell'esistenza fredda, solitaria, senza speranza di riscatto o amore, senza futuro: Yuki, Tadashi... e Mime, il Dottore, Yattaran e Maji, la vecchia Masu, Tetsuro, Maetel, e anche lui, Zero, a cui aveva promesso che un giorno si sarebbero incontrati di nuovo nel Mare delle Stelle...
Tanti volti, di vivi e di morti, voci che chiamavano il suo nome, con affetto, odio, indifferenza, ammirazione o disprezzo...
Smettila, Harlock! Così impazzirai!
La testa gli girava, pulsava, ma non riusciva a fermarsi... non voleva fermarsi.
Calmati!
La stanchezza... tanta, tanta stanchezza. Il desiderio d'affidare il suo sogno e i suoi fardelli a qualcun altro e sparire per sempre nel buio infinito dello spazio, trovare un posto in cui morire, riposare, finalmente...
Lo so... Lo so.
Nei ricordi di Zero, un bicchiere di cui sapeva solo di non dover mai lasciare che si vedesse il fondo e che perciò continuava a riempire e riempire e riempire in attesa di quella pace che solo l'alcool riusciva a dargli, l'odore pungente e la ruvidezza della pelle d'un sacco da boxe ormai sformato dai colpi sotto la guancia sudata mentre cercava di riprendere fiato... o di svenire, così, forse, avrebbe avuto un po' di benedetto oblio.
Il suo cappello e quello di Kaibara che cadevano l'uno accanto all'altro nell'hangar della Base, un lampo bianco che si faceva rosso e la sua testa che scattava da una parte, il sapore metallico del sangue nella bocca e un dolore pulsante alla mascella.
C'è ancora così tanto che vale la pena di proteggere!
La sagoma della Karyu contro il sole di Futuria mentre stringeva a sé Marina e le chiedeva di combattere al suo fianco, perché aveva bisogno di lei, adesso... il tintinnio metallico di una chiave inglese che cadeva sul pavimento umido della stiva mentre la baciava.
– Non volterò le spalle al nostro futuro. Io lo affronterò, per quanto duro potrà sembrarmi... e lo farò con te!
Il suo equipaggio, finalmente unito, che rifiutava d'abbandonare la nave, d'abbandonare lui, anche se ciò avesse voluto dire morire insieme a lui.
Possiamo riuscire a capirci, a imparare dagli errori del passato ed essere felici... e non solo nei sogni! Finché sulla Terra sorgerà ancora il sole, finché ci sarà anche un solo cuore gentile, non dobbiamo arrenderci! Gioia e dolore si alterneranno sempre nelle nostre vite, ma non dobbiamo smettere di credere nel domani, perché possiamo fare a meno di tutto, ma non della speranza...
Nei ricordi di Harlock, un nastro che scorreva, la voce di Maya nel buio e nel silenzio del ponte di comando dell'Arcadia.
– Cerca di restare vivo, vivi per sempre! Ora io posso vedere, nel profondo del tuo cuore, una fiamma che brucia: è la fiducia nel domani...
Tadashi in piedi davanti a lui fra le macerie di Megalopolis, il volto d'un bambino e l'espressione d'un uomo, che gli prometteva di costruire una nuova storia. Lui, Yuki e Mayu che correvano dietro all'Arcadia in fase di decollo e lo salutavano con sorrisi colmi di speranza.
E Tochiro, ormai mezzo addormentato e in preda ai fumi dell'alcool, che gli confidava che, nonostante tutto, avrebbe sempre amato la Terra, che avrebbe sempre pregato e lottato per il suo futuro e che avrebbe voluto far crescere là i suoi figli, se mai ne avesse avuti.
Il pugno di Zero si strinse.
Il pugno di Harlock si strinse.
In due menti, un solo pensiero.
Voglio tornare.
E lottare, anche se forse non basterà, anche se forse lo faccio perché non mi resta nient'altro... perché ogni goccia della nostra vita è preziosa e va assaporata fino in fondo, anche quando è salata.
Voglio tornare. E chiudere tutti i conti in sospeso.
Nei ricordi di Harlock, lo stupore che lo aveva paralizzato nel vedere Tochiro ed Emeraldas venirgli incontro nell'hangar di quell'enorme nave nera sconosciuta.
Un passo avanti, la mano del suo fraterno amico che si protendeva verso di lui... e il buio, i ricordi frammentari e sbiaditi di voci sconosciute, dell'odore di disinfettante e di una luce fortissima oltre un coperchio di vetro, di qualcosa che lo teneva inchiodato sulla schiena e di una risata folle e crudele, priva di gioia.
Nei ricordi di Zero, la voce fredda di Kurai mentre parlava di Harlock come di una qualunque cavia da laboratorio, le immagini di quel vecchio video sgranato e le foto delle autopsie del Dottor Ban.
Matia che gli puntava il folgoratore addosso sotto le lune di Heavy Meldar.
Chiusero gli occhi, le loro volontà concentrate sullo stesso obiettivo.
Torniamo a casa.
Quella specie di scossa li fece fremere un'altra volta.
Ci siamo.
Un baluginio nel bianco attorno a loro, un palpito d'una frazione di secondo.
Nella mente di Harlock, la colonia Elpìs inquadrata nel mirino del cannone dimensionale, sullo sfondo azzurro dei mari della Terra e su quello nero dello spazio. Il bagliore del raggio, lo spostamento dovuto al rinculo e subito dopo le luci intense di quell'esplosione silenziosa, i detriti che si disperdevano nello spazio o venivano catturati dall'atmosfera terrestre.
No... è impossibile!
Che significa?
Tadashi che si stringeva al petto la mano sanguinante e canticchiava il ritornello di quella vecchia canzone, gli occhi sbarrati fissi su di lui.
Lo scatto del percussore della Dragoon e il sollievo nel vederlo crollare a terra, come se avesse finalmente ucciso il fantasma di ciò che era stato un tempo e non sarebbe mai più tornato a essere, quei sogni e quel futuro per cui tanto aveva sofferto e lottato e che non si sarebbero mai realizzati.
– Perché, Capitano?
No, Harlock!
Che significa tutto questo, Zero?
Yuki a terra sotto di lui, i capelli arruffati, il braccio destro coperto d'ustioni e una camicia da notte lurida e strappata indosso, che lo guardava attraverso un velo di lacrime.
Il desiderio di premere il grilletto, di liberarsi per sempre del peso e delle responsabilità che lei rappresentava, dei sensi di colpa, della nostalgia, dei ricordi e dei desideri che provava ogni volta che la vedeva.
– Capitano... dimmi che non è vero!
Che significa?
E lei. Quella ragazzina esile col volto di Emeraldas e i colori di Tochiro che gli puntava addosso la pistola alla luce fioca della luna.
– Ma tu... tu sei...
Il suo braccio che si alzava, senza esitazione, il suo occhio che guardava nel mirino e inquadrava il suo cuore. Lei era l'ultimo, vero legame, la catena che lo legava a un mondo che non lo voleva, a quella vita senza speranza.
Se premo il grilletto, sarò libero.
No!
Il loro fu un urlo mentale, privo di suoni, che però risuonò disperato e agghiacciante nelle loro menti.
Che significa questo? Che cosa... che cosa ho fatto?!
La parte di lui che era Zero era nel panico, sbigottita.
Attraverso i sensi di Harlock, sentì il tremito convulso che gli percorreva la mano e tutto il resto del corpo.
Non è possibile... non può ricordare questo!
Attraverso gli occhi di Zero, Harlock si vide spalancare su di lui uno sguardo vitreo.
Allora... è vero?
La sua bocca si aprì in un grido muto.
Due cuori che erano uno accelerarono ancor di più i loro battiti già impazziti.
Il respiro si mozzò loro in gola.
No, Harlock, calmati! Quello...
Cosa ho fatto?!
Una fortissima sensazione di nausea lo assalì, assalì entrambi.
Nel centro del suo petto, del loro petto, una fitta, come la trafittura di una lama, una sensazione d'oppressione che venne e tornò, un dolore che si espanse fino alla spalla e poi al braccio, alla schiena, ai denti e alla mandibola.
Gocce di sudore freddo colarono dalle loro fronti e i loro occhi s'annebbiarono ancor di più nel bianco abbacinante che li circondava.
Non avevano punti di riferimento, non c'erano un sopra, un sotto o delle distanze, ma le loro teste giravano così forte che le loro gambe cedettero.
Una sensazione spaventosa di caduta senza fine e, nei ricordi di Zero, Kurai che indicava un pannello.
Lo shock potrebbe farlo impazzire: potrebbe non esser più in grado di distinguere sogno e realtà, ridursi a un vegetale per il resto dei suoi giorni o addirittura avere un infarto e morire sul colpo.
Era questo che stava succedendo?
Se il sognatore dovesse recuperare i ricordi e la consapevolezza di sé troppo in fretta, potrebbe fare la stessa fine che se lo svegliassimo staccando la macchina. L'onironauta rischia meno, ma se il contatto fra le due menti fosse troppo profondo...
Un'altra fitta al petto, ancora più forte, un'altra ondata di nausea.
Rabbia, in Harlock e in Zero. Paura. E rimorso.
No...
Il bianco diventò un nero profondo.


So che questo capitolo è un po'incasinato, è stata dura venirne a capo e, a dire il vero, non mi convince molto... accetto a braccia aperte consigli per migliorarlo!



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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 42
*** Qualcuno da cui tornare - parte I ***


cap 8 Mayu passò la mano sopra il vetro della capsula di Harlock e osservò le sue dita contrarsi appena lungo il suo fianco.
Un groppo le strinse la gola e si sentì di nuovo come quando, da piccola, restava ore e ore a fissare il cielo nella speranza di scorgere la sagoma dell'Arcadia.
Ti prego, torna da me!
La bassa risata di Kurai la fece trasalire.
Così non va. Non devo mostrarmi nervosa o ne approfitterà di sicuro.
Fece un lungo, profondo respiro e lo guardò dritto negli occhi.
– Che succede, Professore?
– A quanto pare, il Capitano Zero ce l'ha fatta – seduto alla sua postazione, Kurai distese le braccia dietro la testa – È stato veloce a stabilire il contatto. Anche se nei sogni il tempo è dilatato, non m'aspettavo certo...
Mayu gli puntò addosso la pistola.
– Se è tutto a posto, Professore, allora li riporti indietro – armò il cane – E niente scherzi.
Un altro sogghigno sul viso di Kurai, uguale a quello di suo padre nella foto del vecchio manifesto di taglia appeso in camera sua.
– Su, non essere diffidente come il Capitano Zero, piccola – il Professore si sistemò gli occhiali – Ho tutte le intenzioni di farlo, credimi. Come ho già detto, anche se ho abbandonato lo studio dei sogni da anni, verificare il funzionamento di Endymion interessa anche a me. E poi...
– Li riporti indietro – tagliò corto Mayu – Questo non è un gioco. E sappia che se dovesse capitare qualcosa ad Harlock o a Zero non avrò scrupoli a spararle, anche se ha l'aspetto di mio padre!
Kurai mise le mani avanti.
– Calma, piccola. Ho detto che si è stabilito un contatto, non che i nostri due soggetti sono pronti al rientro.
Digitò un rapido comando e sotto lo schermo con i parametri vitali di Harlock e Zero se ne accese un altro. Al centro, una finestra in cui spiccava una barra di caricamento.
Sotto di essa, a una velocità tale che l'occhio non poteva coglierne cifre e numeri, scorrevano in sequenza quelle che dovevano essere le funzioni matematiche del programma.
– Prima di dare il via alla procedura di distacco, il sognatore deve recuperare i ricordi sigillati da Oneiros e l'esatta concezione di quale sia la realtà al di fuori di esso. Dato che la psiche del nostro soggetto ha fatto in modo che il programma cancellasse tutto ciò che gli è successo da quattordici anni a questa parte, potrebbe volerci un bel po', anche con l'aiuto dell'onironauta.
Mayu distolse lo sguardo dalla barra e lo riportò sul Professore, infastidita.
– Potrebbe smetterla di parlare di Harlock e Zero come di due cavie da laboratorio?
Kurai allargò le braccia.
– La forza dell'abitudine – ridacchiò e si voltò di nuovo verso lo schermo – Scusami, piccola, ma è un meccanismo di difesa: fare quel che devo mi è più facile se evito di pensare a chi mi ritrovo sul tavolo come a persone con affetti, sentimenti e tutto il resto... mi capisci?
– No – Mayu scosse il capo – E spero di non capirlo mai, se è per questo. Si rimetta al lavoro.
Con un sospiro, Kurai si rimise a fissare lo schermo e, per un po', gli unici rumori furono il ronzio monotono delle apparecchiature e il ticchettio dei tasti del computer.
Poi un fruscio. Un tonfo attutito.
Mayu abbassò lo sguardo e trasalì di nuovo.
Sia Harlock che Zero s'erano irrigiditi di colpo, le schiene inarcate e i pugni chiusi lungo i fianchi, i piedi che toccavano il bordo della capsula.
Sussultarono come colpiti da una scarica elettrica e si rilassarono di nuovo.
– Ecco, è cominciata.
Mayu seguì lo sguardo di Kurai.
Sullo schermo, i due elettrocardiogrammi mostravano un'intensificazione del battito cardiaco e anche le onde dell'elettroencefalogramma erano più ravvicinate.
– Ci siamo.
Kurai digitò altre stringhe di comandi e in una finestra laterale alla barra di scorrimento s'avviò una funzione di sovrapposizione dei dati sullo schermo principale.
Mayu trattenne il fiato.
Pressione arteriosa, frequenza cardiaca e respiratoria, temperatura corporea, ossigenazione sanguigna... persino le onde dell'elettroencefalogramma...
– Non è possibile – sussurrò – Le loro funzioni vitali...
– Già – Kurai annuì, un sorrisetto soddisfatto che scopriva i grossi denti squadrati – Perfettamente sovrapponibili. In questo momento, quei due sono una cosa sola: condividono sensazioni e ricordi e non hanno segreti l'uno per l'altro. Fantastico, vero?
Sullo schermo inferiore, la barra di scorrimento cominciò a riempirsi.
Dalla parete di fronte a Kurai fuoriuscì un sottile braccio meccanico che sosteneva un piccolo monitor. Il professore lo orientò verso di sé e i suoi occhiali scintillarono quando lo accese.
– Vuoi vedere quali ricordi stanno rivivendo, piccola? I flussi di memoria sono sempre molto caotici, ma di solito le immagini sono chiare, almeno sullo schermo compatto.
Mayu ci pensò. Era tentata.
Anche se non le aveva mai davvero nascosto nulla, sapeva ben poco del passato di Harlock.
Già. Da quella volta non ho più avuto il coraggio di chiedergli niente...
La sua memoria tornò indietro ai suoi sei anni, a una margherita dal gambo troppo rigido che non riusciva a intrecciare nella sua ghirlanda e a lui, disteso all'ombra di quell'enorme quercia secca in cima alla collina, l'occhio chiuso, le mani intrecciate dietro la testa e un mezzo sorriso compiaciuto stampato sul volto.
Come si chiamava quel ragazzino dell'istituto che allora le ronzava sempre attorno?
Mayu non se lo ricordava più, ormai, ma ricordava benissimo quanto quella battuta sul suo “fidanzatino” l'avesse indispettita.
– Non prendermi in giro! – aveva sbuffato – Non sei mai stato innamorato, tu?
Il lungo silenzio che era seguito non l'aveva turbata: Harlock faceva spesso così e lei ormai aveva fatto l'abitudine ai discorsi lasciati cadere senza alcun motivo apparente.
S'era voltata con la ferma intenzione di fargli un'enorme, lunghissima linguaccia, e...
– Una volta.
Ancora adesso, il ricordo della sua voce e della sua espressione mentre guardava il cielo senza  in realtà vederlo le dava un tuffo al cuore e le chiudeva la gola.
– Una volta...
Allentò la presa sull'impugnatura della Dragoon ma si riprese in tempo per non farla cadere come aveva fatto allora con il fiore e la ghirlanda.
Guardò Kurai e scosse il capo.
Il Professore scrollò le spalle e orientò il piccolo schermo in modo da poter seguire ciò che trasmetteva mentre digitava sulla tastiera.
– Come vuoi. Del resto, ti capisco: uno è un pirata, l'altro un soldato... e tutti e due hanno passato la vita in mezzo al sangue e alle battaglie.
No, non è per questo.
Per un momento, Mayu fu tentata di spiegargli come, col tempo, avesse compreso e cominciato a sentire lei stessa la necessità d'uno spazio solo suo, un luogo della mente in cui lasciarsi trasportare dai sogni, dai ricordi e dalle emozioni... o sfogare il dolore, la rabbia e tutte quelle passioni e quegli istinti che avrebbe voluto negare di possedere.
È un mondo che appartiene solo a loro. Non sarebbe giusto obbligarli a condividerlo con me.
Come non era giusto che adesso si trovassero l'uno di fronte all'altro così indifesi e vulnerabili.
Come non era stato giusto giocare con i sentimenti e i ricordi di Harlock, analizzarli, modificarli, trasformarli in dati da conservare, trasferire o cancellare... in armi da usare contro di lui in quel modo crudele.
Osservò il Professore, la sua espressione tranquilla e concentrata mentre guardava scorrere le immagini sul piccolo schermo accanto a lui.
Strinse il pugno e si mordicchiò il labbro inferiore.
Anche se glielo spiegassi, non capirebbe. Per lui questo è solo un altro esperimento.
Accanto a lei, Harlock e Zero gemettero. Li osservò.
Dietro il vetro delle capsule, le loro fronti erano imperlate di sudore, i loro petti si alzavano e abbassavano al ritmo d'un respiro affannoso.
Col cuore in gola, riportò lo sguardo sullo schermo principale: i battiti cardiaci e l'attività cerebrale erano aumentati ancora, la barra era al sessanta per cento.
Kurai distolse gli occhi dal piccolo monitor, studiò anche lui quello dei dati e aggrottò la fronte.
– Così non va.
Mayu mosse un passo verso la sua postazione.
– Che succede?
Il Professore si curvò sulla tastiera e si mise a digitare come un forsennato
– Il flusso è troppo veloce – si soffiò via dalla fronte una ciocca di capelli – Harlock sta recuperando i suoi ricordi troppo in fretta e in modo del tutto caotico. Forse lo stimolo che ha ricevuto dalla mente del Capitano Zero è stato troppo potente.
Kurai s'asciugò il sudore dalla fronte e digitò un'altra sequenza di comandi.
– Non capisco – fissò il monitor e riprese a battere i tasti, accigliato – Superati i duecento battiti al minuto, dovrebbe entrare in funzione la procedura d'emergenza, ma è come se le loro menti non vogliano staccarsi. È... è del tutto illogico!
Si passò una mano sotto il mento e si voltò verso di lei.
– Se continua così, rischiamo di perderli tutti e due. Bisogna interrompere manualmente, scollegare Endymion, riprogrammare il ciclo sonno-veglia di Oneiros e ricominciare tutto daccapo!
– Quanto ci vorrà?
– Almeno tre ore, più il tempo necessario a preparare di nuovo l'onironauta... ammesso che ce la faccia a sostenere un'altra sessione.
Dal piano superiore o forse dal corridoio, il boato di un'esplosione e i rumori d'un crollo.
Il pavimento tremò, le luci s'abbassarono di colpo, sfarfallarono e si spensero.
I generatori autonomi del laboratorio entrarono in funzione con un ronzio, ma la tensione si ripristinò quasi subito.
Mayu fissò il portellone e strinse le labbra.
C'è una battaglia là fuori. Questo posto non rimarrà sigillato ancora a lungo... e c'è il rischio concreto che subisca dei danni.
Guardò Harlock.
Se avesse deciso di interrompere, forse non ci sarebbe stato il tempo di farlo tornare in sé e l'avrebbe perso per sempre.
Guardò Zero.
Se avesse deciso di proseguire, l'avrebbe messo in pericolo quanto Harlock.
Sentì il panico impadronirsi di lei, il suo cuore accelerare i battiti.
Cosa faccio?
Respirò a fondo, le dita strette all'impugnatura della pistola, gli occhi fissi sulle palpebre chiuse di quei due uomini il cui destino dipendeva da lei, da una sua scelta.
Cosa volete che faccia?
Una goccia di sudore colò sulla guancia di Harlock.
Le sopracciglia di Zero s'aggrottarono nel sonno.
Tutti e due serrarono le dita della mano destra attorno alla stoffa che rivestiva il fondo delle capsule.
– Decidi in fretta, piccola – lo sguardo di Kurai era fisso sulla la barra – Questi due sono al limite.
Settantasette per cento. Venti minuti al termine. Duecentosette pulsazioni al minuto.
– Ha detto che sono loro a non volersi staccare, Professore?
– Guarda tu stessa – Kurai digitò un'altra sequenza di comandi e voltò il piccolo monitor verso di lei.
Sullo schermo, sullo sfondo d'un bianco abbagliante, l'immagine delle loro mani strette l'una all'altra con forza, quasi con disperazione.
– Con quelle pulsazioni e quel ritmo cerebrale, dovrebbero star male. Nausea, dolori al petto e alla testa, capogiri. Il loro sonno è profondo, ma non tanto da escludere i sensi e le percezioni reali. Eppure non si fermano, non interrompono il contatto... anzi...
Le mani sullo schermo si strinsero l'una all'altra ancor più forte.
Mayu sfiorò la sua ocarina. Chiuse gli occhi.
Ho capito.
– Continui, Professore.
– Ma...
– Ho detto “continui” – Mayu aprì gli occhi e inquadrò Kurai nel mirino – Non me lo faccia ripetere.
Harlock, Zero... tornate da me!
Kurai la guadò interdetto, poi abbassò la testa, digitò un comando e premette l'invio.
– Ecco fatto – si ributtò all'indietro sul sedile della sua postazione e incrociò le braccia sul petto – Spero proprio che tu sappia quel che stai facendo, piccola.
Mayu abbassò la Cosmo Dragoon e accarezzò con lo sguardo i visi di Harlock e Zero.
– Certo che lo so. Ho fiducia in loro. E, soprattutto, rispetto il loro coraggio.
– Coraggio? – Kurai si sistemò gli occhiali – Sono due pazzi. Uno rischia la vita per ricordare ciò che la sua stessa mente ha voluto cancellare, l'altro rifiuta di riavere indietro i suoi cari pur di tener fede ai suoi sciocchi princìpi, e per cosa? Per tornare in un mondo dove li aspettano solo rimpianti e altra disperazione e per mantenerlo così com'è. Non li capisco, davvero.
– Immagino di no – Mayu sospirò – E mi spiace per lei.
Vuol dire che non ha mai avuto un vero amico. Qualcuno da cui tornare, nonostante tutto. Qualcuno che non l'abbandonerebbe mai al suo destino.
Sullo schermo principale, il numero delle pulsazioni diminuì di un'unità, poi di un'altra.
La curva dell'elettroencefalogramma che andava pian piano delineandosi sembrava meno acuta delle precedenti.
– Ottantadue per cento – Kurai voltò di nuovo il piccolo schermo verso di sé – I battiti sono scesi a centottanta e anche il flusso di memoria sta rallentando. A quanto pare il peggio...
Un basso sibilo. Un clangore metallico.
Mayu si voltò.
A circa una dozzina di metri da lei, un pannello si era aperto sul pavimento immacolato della sala.
Ci fu un guizzo nero, poi un altro e un altro ancora.
Meccanoidi!
Il suo primo sparo riuscì ad abbatterne uno sul colpo, il secondo e il terzo mancarono il bersaglio mentre il quarto ne colpì un altro alla gamba.
Il meccanoide cadde con un rumore metallico, si rotolò sul pavimento e rispose al fuoco.
Mayu s'abbassò e il raggio del laser la mancò per un pelo.
Un altro nemico. Due, tre, quattro colpi in rapida successione lo fecero ricadere nella botola.
Un lampo illuminò il nero del tunnel sotto di essa, un denso fumo nero salì dall'apertura.
Il meccanoide ferito sparò una raffica di colpi.
Kurai lanciò un urlo ma, fra il sibilo dei laser e i battiti impazziti del suo cuore che le rimbombavano nelle tempie, Mayu non capì le sue parole.
Indietreggiò per cercare copertura e un dolore acuto le trafisse il fianco.
Strinse i denti per non urlare e abbassò gli occhi: aveva una grossa scheggia di vetro conficcata appena sopra la cintura della fondina. Sotto i suoi piedi, ne sentì scricchiolare delle altre.
Ma cosa...
Sollevò lo sguardo e il sangue le si gelò nelle vene: la parte inferiore del coperchio della capsula di Harlock era in frantumi.
Il meccanoide sparò ancora, ma il raggio la mancò e colpì uno dei pannelli laterali.
Mayu mirò alla sua testa e fece fuoco.
Un lampo accecante le ferì gli occhi, sentì un rumore come di scarica elettromagnetica e subito dopo un forte odore di bruciato le riempì le narici. Con un ultimo spasmo convulso, il meccanoide s'accasciò come un burattino a cui avessero tagliato i fili
fra scintille e sbuffi di fumo nero.
– Smettetela! – la voce di Kurai, da qualche parte dietro di lei – Cessate il fuoco! Basta!
Mayu indietreggiò ancora e gemette.
A ogni movimento, a ogni respiro, un dolore lancinante le saliva dal fianco sino al petto, come se le stessero tagliando via la carne con una lama arroventata.
Guardò la ferita. Attorno al frammento, la stoffa era già impregnata di sangue fino all'anca.
Se ti feriscono con un pugnale o con qualcosa che resta conficcato non cercare d'estrarlo, mai.
Il ricordo del viso accigliato di Tadashi che le mostrava quella vecchia cicatrice sulla spalla la assalì all'improvviso.
Rischieresti solo di peggiorare l'emorragia e, soprattutto, il sangue ti renderebbe viscide le mani. Ricorda: se ti succede, legaci attorno qualcosa, stringi i denti e lotta con tutte le tue forze o scappa finché non sei al sicuro...
Con la mano libera, Mayu aprì la piccola bisaccia che teneva allacciata alla fondina.
Alla cieca, trovò la fasciatura a pressione che il Dottore le aveva consigliato di portare sempre con sé, posò il ginocchio a terra e si guardò attorno.
I colpi erano cessati e, a parte il respiro affannoso di Zero e Harlock e il ronzio dei macchinari, il silenzio era assoluto. C'era ancora un nemico da qualche parte, ne era sicura, ma non lo vedeva né lo sentiva muoversi.
Anche Kurai sembrava sparito.
Fece per posare la pistola e srotolare la benda ma si bloccò.
E se stesse aspettando solo l'occasione giusta per cogliermi di sorpresa?
Lasciò andare la benda e richiuse la bisaccia.
Non ho tempo per pensare a curarmi, ora. Posso solo stringere i denti.
Guardò Harlock e Zero, immobili nelle capsule.
Devo allontanarmi da loro, o li metterò in pericolo.
Osservò la sala.
Nessuna via di fuga, nessun angolo o riparo a parte l'enorme parete cilindrica del computer al centro della stanza.
Di sicuro si sarà appostato là dietro. Sa che non ho scelta e m'aspetta al varco.
S'abbassò più che poté, strinse i denti per resistere al dolore e scattò.
Raggiunse il computer senza che nessuno le sparasse addosso e s'appoggiò alla parete, ansimante.
Rimani lucida, sempre.
Nella sua mente risuonò la voce di Yuki.
Valuta tutte le possibilità, preparati al peggio ogni volta e non scordarti mai che sei una donna: hai dei limiti sul piano fisico e molti degli avversari che incontrerai saranno più forti di te... ma se non ti farai prendere dal panico e saprai valutare fino a che punto spingerti, ce la farai.
Una goccia di sudore le scese sulla guancia. La mano che stringeva la pistola tremava, un po' per l'adrenalina, un po' per l'ansia, un po' per il dolore che le incendiava il fianco ferito.
Calma, devo stare calma.
Attenta.
Ancora, il ricordo di Yuki e Tadashi addossati alla parete che faceva angolo tra lo studio e l'ingresso di casa mentre le insegnavano le tecniche di Building Clearing*.
Dietro a ogni angolo potrebbe esserci un aggressore.
Nei suoi ricordi, Yuki la guardò seria, la canna della Cosmo Gun sollevata in alto, accanto alla guancia.
Non restare mai ferma nello stesso posto troppo a lungo, non abbassare la guardia e sta' attenta a non far sporgere l'arma o i piedi oltre l'angolo di copertura. Potrebbero disarmarti e romperti il braccio con una mossa sola.
Mayu si staccò dalla parete, impugnò la pistola con entrambe le mani e la tese davanti a sé.
Sta' leggermente piegata in avanti. I tuoi occhi devono vedere il nemico e la tua arma dev'essere puntata su di lui prima che lui possa vedere qualunque altra parte di te, così.
Sì, Yuki.
S'allontanò di un passo dalla parete e ruotò di novanta gradi.
Piano, pasticciona!
Tadashi sghignazzava al suo fianco, la Dragoon stretta nel pugno.
Fa' meno rumore quando ti muovi, o ti sentiranno da qui fino alla nube di Magellano!
Non aver fretta di spostarti e soprattutto non incrociare mai le gambe quando lo fai, o finirai per inciampare.
Lo rivide indicare il punto in cui il muro faceva angolo.
Lo vedi quello? È il tuo punto di riferimento. Immagina che sia il centro di un'enorme torta che devi tagliare: ogni passo, una fetta; ogni fetta, un'area da controllare. Pavimento, angolo opposto, soffitto. Muoviti a semicerchio lungo il bordo della torta fino a quando avrai finito. Con calma.
Un passo. Inspira. Osserva. Espira.
Sì, Tadashi.
Mayu si mosse, tese al massimo i sensi.
Sotto la luce abbagliante dei neon, ogni particolare era nitido come non mai.
Le pareva di poter vedere ogni scanalatura dei pannelli, ogni vite, ogni singolo granello di polvere nell'aria.
Un passo. Inspira. Osserva. Espira.
I suoni arrivavano chiari al suo orecchio, anche i più tenui.
Il ronzio e il bip dei macchinari, il respiro di Zero e Harlock... e un leggero fruscio alla sua destra, oltre la parete del computer.
Il cuore aumentò di nuovo i battiti, un brivido le corse lungo la schiena e la gola le si seccò.
Un'altra goccia di sudore le colò dalla fronte fin sotto il colletto della tuta.
Calma.
Un passo. Inspira. Osserva. Espira.
Deglutì e si spostò ancora.
Osservò con la coda dell'occhio la postazione di Kurai. Vuota.
Sullo schermo, la barra di caricamento era quasi al cento per cento.
Cosa farò quando l'operazione sarà completata?
Scosse il capo e tornò a prestare attenzione davanti a sé.
Un problema alla volta. Prima devo mettere in sicurezza questo posto.
Un passo. Inspira. Osserva. Espira.
Oltrepassò il punto in cui giaceva l' Herakles con le sembianze di sua madre.
Era ancora immobile su un fianco, gli occhi chiusi e le mani legate dietro la schiena dalle manette che le aveva messo Zero. Un sottile rivolo di sangue attraversava la sua fronte di sbieco e le incollava alla guancia una ciocca dei suoi lunghi capelli rossi.
Un passo. Inspira. Osserva. Espira.
Lo scintillio di una canna, una sagoma nera sullo sfondo bianchissimo dei pannelli del laboratorio.
Il meccanoide si voltò con un suono metallico, le puntò contro l'arma.
Spara!
Mayu premette il grilletto.
Due colpi al cuore, uno alla testa.
Come le aveva consigliato Zero, come aveva visto fare a lui e ai suoi uomini.
Il torace e il capo del meccanoide esplosero in una vampata di scintille.
Il corpo ricadde all'indietro, s'abbatté a terra con un clangore metallico e si contorse per qualche istante prima di rimanere immobile. Di nuovo, quel denso fumo nero.
Un sospiro di sollievo sfuggì dalle labbra di Mayu.
Abbassò la pistola, le braccia e le gambe tremanti per la tensione.
Chiuse gli occhi. La testa le girava, il fianco bruciava da morire e si sentiva la gola secca.
Strinse i denti.
Non devo svenire.
Rimise la pistola nella fondina, prese la benda dalla bisaccia e osservò lo schermo.
La barra era completa.
Devo trovare Kurai!
Ci fu uno schiocco da qualche parte dietro di lei. Qualcosa o qualcuno le afferrò le braccia così forte da farle temere che gliele avrebbe strappate e gliele bloccò dietro la schiena.
Sentì il contatto di un seno femminile appena sotto le scapole e lunghi capelli rossi le sfiorarono il viso. Dalla botola ancora aperta sul pavimento, una risata bassa e roca la raggiunse.
La donna che ne emerse si sfregò una macchia scura dalla guancia, la guardò con un sorriso malevolo e le si avvicinò.
– Mayu Oyama – le sollevò il mento con due dita – Degna figlia di tua madre, vedo. Peccato ti manchino la sua esperienza e un po' di malizia.
Un misto di rabbia e paura la fecero fremere mentre incontrava quegli occhi blu, freddi come l'acciaio.
– Hell Matia!



* Il Building Clearing o bonifica armata degli edifici è un'attività di Polizia correlata alle situazioni di operatività in ambiente urbano. Si colloca fra le tecniche operative di primo intervento in occasione di reato all’interno di immobili ed è diversa dall'attività di irruzione (svolta da squadre di specialisti).


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Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 43
*** Qualcuno da cui tornare - parte II ***


cap 8 Mayu si divincolò, ma tutto ciò che ottenne fu di farsi bloccare anche i gomiti dall' Herakles. Matia rise di nuovo e accennò a quella distorta copia di sua madre.
– È inutile agitarsi, ragazzina. Posso ottenere il centoventi per cento delle prestazioni dal suo corpo e la sua mente è sotto il mio diretto controllo.
– Matia – Kurai emerse da qualche parte dietro il computer e le andò incontro – Com'è andata l'operazione?
Lei digrignò i denti.
– Un disastro totale. Ho l'Arcadia alle costole ed è solo questione di tempo prima che ci trasformiamo da accerchianti in accerchiati. Sono qui per te e Harlock.
– Cosa? – Kurai spalancò gli occhi dietro le lenti spesse – Avete perso? Ma com'è possibile? Avevate la Nèmesis, l' Herakles di Harlock e tredici squadriglie di caccia pesanti nuovi di zecca... e dov'è Lia?
Matia si scostò una ciocca di capelli dalla fronte.
– Quella stupida s'è fatta fregare dai suoi ancor più stupidi sentimenti. Morire per difendere dei nemici che voleva uccidere fino a dieci minuti prima... tale e quale a quel fallito di suo fratello.
Il Professore impallidì.
– L'hai uccisa tu?
Matia scrollò le spalle con aria indifferente.
– Ha avuto ciò che si meritava. Purtroppo la sua idiozia c'è costata l'Herakles, diversi danni alla Nèmesis e una squadriglia di caccia... senza contare che sull'Arcadia non avranno perso nemmeno un uomo.
Mayu fremette, di gioia e di preoccupazione.
Yuki e Tadashi hanno vinto... e stanno venendo qui!
Kurai impallidì.
– Non possiamo spostare Harlock adesso, Matia – s'asciugò una goccia di sudore dalla fronte e distolse lo sguardo dai suoi freddi occhi azzurri – C'è la procedura di risveglio in corso.
– Cosa? E perché?
Lo sguardo di Matia si posò sulle due capsule e sullo schermo dei dati.
Kurai abbassò il capo.
– Mi hanno costretto con la forza. Questa ragazza e il Capitano Zero...
– Zero, hai detto? C'è lui là dentro?
Matia si passò una mano fra i capelli, ne afferrò una ciocca e l'arrotolò attorno all'indice.
S'avvicinò alle capsule e girò attorno a quella del Capitano della Karyu, un sorriso malevolo sulle sottili labbra rosse.
– Non ci posso credere – ridacchiò – È magnifico! Davvero magnifico! Tanta fatica per penderlo in trappola su Heavy Meldar e alla fine lui stesso viene a mettersi alla mia mercé... fantastico!
– Cosa vuoi fargli, maledetta? – Mayu fece leva sulle gambe per liberarsi, ma per poco il dolore al fianco e la forza con cui l' Herakles le serrò le braccia e la sollevò in alto non la fecero svenire. Vide Matia voltarsi verso di lei attraverso un velo di lacrime, ma anche così la sua espressione la fece rabbrividire.
– Voglio premiare la grande amicizia che lega i nostri due Capitani con un piccolo extra – Matia aprì un minuscolo portellino alla base del suo collo e ne tirò fuori un sottile cavo – D'altronde, non è questo che vogliono? Recuperare i ricordi di Harlock? Bene, io gliene regalerò addirittura qualcuno in più.
– Non farlo, Matia! – Kurai le corse dietro trafelato.
– E perché non dovrei? Sono venuta apposta. Non c'è il tempo né l'opportunità di fare altro. Non possiamo lasciare Harlock qui e non possiamo portarlo via: sono arrivata con un caccia e, secondo i miei calcoli, l'Arcadia dovrebbe già essere nell'atmosfera di Futuria. Presto questo posto brulicherà di soldati federali e pirati.
– Ma...
– Non importa se alla lista mancano ancora Hoshino e Maetel e se Daiba, la Kei e questa mocciosa non sono morti davvero. Basterà che Harlock lo creda. Se tutto andrà bene, gli prenderà un colpo e si porterà all'inferno anche il suo degno compare Zero. Se non andrà bene, c'è sempre il mio folgoratore.
– No – singhiozzò Mayu – No, ti prego! Lasciali stare, non torturarli!
– Lasciarli stare? – Matia s'avvicinò al computer e fece scorrere un pannello – Non ci penso nemmeno. Devono essere tolti di mezzo e così sarà. Posso fare un pensierino sul non torturarli, magari – esitò col jack poggiato sull'attacco e la fissò dritta negli occhi – Se accetterai di diventare una meccanoide e unirti a me, mi limiterò a sparargli un colpo alla testa. Che ne dici?
Mayu la guardò sconvolta.
– Diventare una meccanoide? Io?
– Perché no? – Matia arrotolò attorno all'indice un'altra ciocca di capelli – In fondo, anche se sei nata da quella traditrice di Emeraldas e dal migliore amico di Harlock, sei pur sempre la nipote della Regina Promesium. Mi sembra giusto offrirti la possibilità d'entrare in possesso del tuo retaggio: il dominio sul cosmo e la vita eterna, libera dalle sofferenze, dalle malattie, dalla vecchiaia... e da quegli sciocchi sentimenti che ti farebbero commettere stupidi errori.
Mayu si guardò attorno, frenetica.
Il portellone d'acciaio era ancora sigillato, i rumori degli spari e le esplosioni le parevano più lontani. Nelle loro capsule, Harlock e Zero erano ancora immobili. I loro battiti erano quasi normali, adesso, i loro volti distesi, ma erano più in pericolo che mai.
Cercò di soffocare la paura e il pianto che le chiudevano la gola e di muoversi.
La presa di quell'essere così identico a sua madre era d'acciaio.
Yuki, Tadashi, Grenadier... dove siete?! Vi prego... venite qui, aiutatemi!
Il coperchio della capsula di Zero si aprì con un sibilo. Matia lasciò andare i capelli ed estrasse il folgoratore.
– Non cercare di prendere tempo e decidi, ragazzina – la canna sfiorò la tempia di Zero – Qual è la tua risposta? Vita eterna per te e una fine rapida e indolore per loro oppure sofferenza e morte per tutti e tre?
Pensa prima di tutto a salvare la tua vita.
Era una frase che le avevano ripetuto un po' tutti, per tutta la sua vita: Harlock, Yuki, Tadashi... persino Zero gliel'aveva fatto promettere, due volte in poche ore.
Mayu trattenne un singhiozzo. Aveva paura.
E voleva vivere.
Voleva tornare nella sua bella casa sulla Terra, farsi sgridare da Yuki perché si comportava come un maschiaccio, ridere con Tadashi, portare i fiori sulla tomba di suo padre e sua madre, combinare guai in cucina insieme a  Masu, studiare sui vecchi libri di medicina del Dottor Zero, curiosare tra i modellini e i marchingegni di Yattaran...
E suonare la sua ocarina per Harlock ancora una volta.
E poi crescere, trovare la sua strada nella vita... innamorarsi, magari, e stavolta non per gioco.
Avere di figli, dei nipoti. E morire, come tutti, perché ogni cosa al mondo aveva un inizio e una fine, e il tempo d'una vita era prezioso proprio per questo.
Guardò Matia.
Se diventassi come lei, perderei tutto questo.
Guardò Harlock e Zero.
Siete d'accordo anche voi, vero? Un'eternità così non avrebbe senso... mentre qualche minuto in più può voler dire la vita, per voi, anche se soffrirete.
– La mia risposta – lei stessa si stupì della saldezza della sua voce – È no. Mai.
Matia non fece una piega.
– Me l'aspettavo – rinfoderò il folgoratore e inserì il jack nella presa – La scelta più illogica: tipico degli esseri umani. Ma va bene così, in fondo: un po' di sofferenza alla mia gente, alla mia Regina e a mia sorella, questi due la devono.
Mayu si dimenò fra le braccia dell' Herakles.
– Non ha senso cercar vendetta per una guerra di quattordici anni fa, una guerra che avete cominciato voi! Non hanno avuto altra scelta che combattere e anche loro hanno perso...
L' Herakles le torse le braccia, così forte da strapparle un grido.
– Silenzio – Matia chiuse gli occhi e una stringa di comandi apparve sullo schermo – Lo so che stai cercando di perdere tempo, ma con me non attacca, ragazzina.
Le sue pupille si aprirono, diventarono bianche e la luce s'abbassò. I monitor si oscurarono e si riempirono di cifre e lettere, poi le schermate si ripristinarono.
La barra da verde diventò rossa. Il caricamento riprese oltre il cento per cento.
– No, fermati, Matia, ti prego! – Kurai si scosse e le afferrò il braccio –  Annulla tutto! Se sovraccaricherai il tracciato neurale di Harlock ora, il progetto Herakles tornerà indietro di anni! Un soldato perfetto come lui non mi ricapiterà mai più, e sulla Terra c'è bisogno...
Matia si voltò.
– Se non l'hai ancora capito, Professore...
Un bagliore.
Un sibilo.
Un grido soffocato.
Sul retro del camice bianco di Kurai s'aprì uno squarcio dai bordi anneriti che subito si macchiò di sangue.
– È finita.
Mayu spalancò gli occhi, inorridita.
– No!
Kurai vacillò e tese la mano verso il viso di Matia, il corpo tozzo scosso da un tremito convulso. La macchia sul camice s'allargava a vista d'occhio.
– Per... perché? Cosa... cosa vuoi fare?
Matia gli schiaffeggiò via il braccio, impassibile.
Il Professore barcollò e cadde in ginocchio.
– Perché? Perché ormai non mi servi più, Professor Kenzo Kurai – Matia diede un'occhiata distratta allo schermo – Anzi, viste le tue idee, in futuro mi saresti solo d'intralcio.
Oltrepassò il suo corpo tremante con la stessa espressione di qualcuno che si trovasse a dover evitare una pozzanghera sul suo cammino.
– Perché credi che ti abbia assistito durante le operazioni, illustrato le caratteristiche del chip Hardgear e aiutato a modificarlo? Perché pensi che abbia acconsentito a farmi impiantare nel cervello il modulo di controllo diretto degli Herakles? Per la scienza? Per farti un favore? Per vendetta? – rise, senza allegria – Sono una meccanoide di Promesium. Una piccola parte di me vuole che Harlock soffra, certo, ma a differenza di voi umani non mi lascio accecare dai sentimenti, mai. Ve l'ho lasciato credere per non destar sospetti, ma è stata una precauzione inutile: ognuno di voi era troppo preso dai suoi interessi per porsi qualche semplice domanda. E adesso...
– E adesso – Kurai la guardò sconvolto, le mani premute sul ventre trapassato da parte a parte all'altezza dello stomaco – Rimarrai la sola in grado di creare degli Herakles e comandarli...
– Già – Matia si scostò una ciocca di capelli dalla fronte – Odhrán non rinuncerà all'idea di sostituire gli indisciplinati, pavidi soldati della Federazione con esseri creati apposta per combattere e obbedire, e quando questo accadrà...
– Tu diventerai la nuova Promesium – il Professore spalancò gli occhi e s'accasciò come se le forze lo avessero abbandonato all'improvviso – Prenderai il potere senza che nessuno possa opporsi perché nel frattempo...
Matia sorrise.
Mayu rabbrividì.
Nel frattempo, avrebbe avuto modo d'eliminare con comodo tutti coloro che avrebbero potuto ostacolarla, magari facendoli passare per complici di Harlock. Oppure li avrebbe sostituiti con degli Herakles.
Aveva un corpo fatto per durare in eterno: per lei un anno, dieci o cinquanta non faceva alcuna differenza.
Kurai sollevò la testa e fissò il monitor principale.
I battiti cardiaci di Zero e Harlock erano aumentati di nuovo, così come la loro attività cerebrale. Il Professore si nascose il volto fra le mani e singhiozzò.
– Dio, cos'ho fatto?
– Ma come, Kurai – Matia orientò il monitor verso di lui – Non vuoi vederti quest'ultimo spettacolino? Di solito ti piace così tanto mettere il naso nella mente altrui... e questi ricordi sono davvero interessanti, sai?
L' Herakles allentò un po' la presa sulle braccia di Mayu e la spinse in avanti, a una distanza tale da poter distinguere le immagini sul monitor compatto.
Tadashi mentre crollava sul pavimento di quella stanza buia, Yuki a terra nel giardino di casa loro, ferita e in lacrime, lei che impugnava la pistola con gli occhi spalancati...
Un suono acuto giunse dal computer a quell'ultima immagine.
Il monitor principale si mise a lampeggiare.
Matia osservò i parametri vitali di Harlock e Zero e sorrise.
– Bene – staccò il cavetto e lo rimise nel suo vano – Adieu, mes Capitaines.
Estrasse il folgoratore e sparò due colpi a una delle plance laterali del computer, poi si girò e lo puntò alla fronte di Mayu.
– E addio, Principessa. Mi spiace mandarti all'atro mondo così, senza una scorta adeguata, ma non c'è più tempo per giocare. Non aver paura, comunque: i tuoi due cavalieri ti raggiungeranno presto.



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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 44
*** Qualcuno da cui tornare - parte III ***


cap 8 Mayu fissò l'interno della canna del folgoratore e il sottile filo di fumo che saliva verso l'alto dalla sua punta.
Avrebbe voluto essere abbastanza coraggiosa da piantare gli occhi in quelli di Matia e affrontare la morte con una frase pungente e un sorriso spavaldo sulle labbra, ma aveva paura.
Tremava dalla testa ai piedi e non riusciva a smettere, il suo respiro era affannato e la gola chiusa da un groppo. Faceva male, più ancora della ferita al fianco e della stretta dell' Herakles.
L'unica cosa a cui riusciva a pensare era che presto sarebbe morta e che non avrebbe mai più rivisto la Terra, la sua casa e soprattutto le persone che amava.
La mia famiglia...
Non li aveva amati abbastanza, non aveva ancora passato con loro tutto il tempo che avrebbe voluto, non li aveva ancora resi fieri di lei come aveva sempre desiderato.
E adesso è tardi.
Il dito di Matia armò il cane e Mayu rabbrividì. Deglutì, e fu come mandar giù un sasso.
Chiuse gli occhi e si morsicò le labbra per soffocare un singhiozzo: era una debole, sciocca, inutile ragazzina, ma Matia non avrebbe avuto la soddisfazione di vederla piangere.
Tra le scariche del pannello danneggiato, gli spari lontani e il ronzio del computer, le parve di sentire il colpo del percussore sul carrello.
Trattenne il fiato e immaginò il sottile raggio laser attraversarle la fronte, bucarle l'osso del cranio e perforarle il cervello. Sperò che il dolore durasse poco.
Un boato assordante le perforò i timpani.
Il sibilo del laser le sfiorò appena la tempia e si perse dietro di lei, le sue narici si riempirono dell'odore di capelli bruciati. Una ventata d'aria rovente, fumo e detriti la investì.
Aprì gli occhi.
Fumo nero, macerie ovunque e uno squarcio enorme dove solo pochi istanti prima c'era stato il gigantesco portellone d'acciaio del laboratorio.
L' Herakles s'irrigidì contro la sua schiena, allentò la presa sui suoi gomiti e le sue braccia e la trascinò a terra.
Mayu ruotò il busto per proteggere il fianco ferito e sfuggirle, ma l'Herakles le afferrò i polsi, la ribaltò e le montò a cavalcioni sulle pelvi per bloccarle anche le gambe. Un dolore lancinante le infiammò il bacino e le mozzò il fiato.
Urlò ma non sentì nulla: nelle sue orecchie c'era solo un fischio acuto.
Sopra di loro, Matia balzò indietro e lasciò cadere il folgoratore.
Aveva la canna tranciata a metà e fusa dal raggio d'una pistola laser di grosso calibro, il meccanismo di sparo era bucato da parte a parte.
Una voce urlò qualcosa che Mayu non riuscì ad afferrare, ma che le fece venire le lacrime agli occhi, stavolta per il sollievo.
Guardò verso la porta.
Dietro la colossale, ghignante figura di Grenadier che ancora teneva in mano il comando degli esplosivi e accanto a quella più sottile ed elegante di Marina Oki, Tadashi fissava Matia con aria minacciosa, la Cosmo Dragoon spianata. Dietro di loro c'erano Aki, Omur e un pugno di altri uomini che Mayu aveva visto partire con Grenadier.
Marina oltrepassò il portone distrutto, la pistola ancora fumante fra le mani.
– Ormai l'edificio è sotto il nostro controllo – armò il cane – Arrenditi e avrai salva la vita.
La risata folle di Matia ricordò a Mayu il rumore d'un vetro infranto.
– Arrendermi? – Matia si scostò dal viso una delle sue lunghe ciocche bionde – Forse non avete ben chiara la situazione.
L' Herakles si puntellò sulle ginocchia e Mayu sentì la pressione diminuire sui fianchi, ma fu solo un attimo. Ebbe appena il tempo di riempire i polmoni e trattenere il fiato: l' Herakles le piombò di peso sul petto e la inchiodò di nuovo a terra.
– Lasciala andare, vigliacca! – il ringhio disperato di Tadashi le arrivò da dietro la sagoma di Matia, assieme al rumore delle armi che venivano puntate.
L'Herakles le serrò le mani attorno alla gola, in corrispondenza dell'arteria carotidea.
Mayu spalancò gli occhi e li fissò in quelli azzurri e inespressivi di quella copia di sua madre.
Vuole strangolarmi!
Matia lasciò andare i capelli e mosse appena la mano. L' Herakles cominciò subito a fare pressione.
– Giù le pistole – con un balzo, Matia si portò davanti a loro, in modo da ostruire la traiettoria di tiro –  Una sola mossa falsa e la principessina si ritroverà con l'osso del collo spappolato. Inoltre...
L'allarme scattò. Mayu gemette.
Oh, no! No!
– Inoltre – Matia fece un cenno in direzione delle capsule – Non vorrete abbandonare i vostri amati Capitani al loro destino, vero?
– Cosa?
– Resta poco tempo, sia a loro che alla mocciosa – Matia allargò le braccia in segno di sfida – Se siete disposti a rischiare le loro vite, prego, provate pure ad arrestarmi, ma vi avviso: non riuscirete a battere me e Emeraldas e salvarli tutti.
L' Herakles aumentò la pressione sulla gola di Mayu e lei annaspò, le tempie che pulsavano e il petto oppresso che cercava invano d'espandersi.
Combatté il panico e l'istinto di divincolarsi: avrebbe solo accelerato lo svenimento e, a quel punto, Tadashi e i suoi compagni avrebbero finito per obbedire a Matia... e chissà quella strega cosa avrebbe fatto a loro, Harlock e Zero.
Mayu strinse i pugni e solo allora se ne rese conto: Matia aveva fatto un errore.
Un errore grave, stupido, da principiante o da persona troppo sicura di sé.
M'ha lasciato le mani libere!
E lei sapeva come liberarsi, in quel caso: s'era allenata a farlo con Yuki talmente tante volte che avrebbe potuto muoversi a occhi chiusi. Doveva solo farsi coraggio, aver fiducia in se stessa... e scordare che chi la teneva imprigionata aveva il volto di sua madre.
Trattenne il fiato, abbassò il mento sul collo e strinse forte le labbra per ridurre la pressione sulla laringe. Con una mano afferrò l' Herakles per i capelli e la tirò a sé, con l'altra le sferrò un violento colpo alla base del naso. Gocce di sangue le piovvero addosso mentre la sua avversaria si tirava indietro in un riflesso condizionato che, per fortuna, neppure il controllo mentale di Matia aveva potuto cancellare.
Adesso!
Mayu s'inarcò con tutte le sue forze e ruotò per liberasi, la mascella serrata per sopportare il dolore lancinante al fianco. L' Herakles rotolò di lato, le mani premute sul naso, gli occhi colmi di lacrime e il respiro irregolare. Nonostante questo, si sporse in avanti per afferrarla di nuovo.
– Mayu! – l'urlo di Tadashi fu quasi coperto dal suono degli spari e da quello dell'allarme, che era aumentato di intensità.
Mayu non si voltò. D'istinto, la sua mano volò al cinturone.
Non trovò la sua Cosmo Dragoon né la pistola di Zero.
In ogni caso, non avrebbe avuto il tempo di usarle.
Il pugnale balenò fra le sue mani e si conficcò fino all'impugnatura nella spalla sinistra dell'Herakles, appena sopra lo sterno. La percezione della lama che attraversava la carne, l'odore ferroso e la sensazione viscida del sangue sulle dita insieme all'urlo di dolore della creatura suscitarono in lei un sentimento confuso di repulsione, colpa e pietà. Estrasse il pugnale e indietreggiò sulle ginocchia. L'Herakles s'accasciò sul pavimento.
Due mani enormi la sollevarono come un fuscello e la rimisero in piedi, ancora tremante.
– Tutto bene, Signorina?
Mayu fece un cenno affermativo, ma non ne era sicura.
– Grenadier! – Marina indicò uno sportello nascosto nella parete che si stava richiudendo – Inseguitela!
Mayu si guardò attorno. Matia era sparita. Grenadier lanciò un'occhiata incerta al suo Comandante e alle capsule, strinse le labbra e frugò nelle tasche del giubbotto.
Mise nelle mani di Mayu un paio di manette d'acciaio e sparò a un punto nella parete.
La porta si bloccò e lui sparì nel buio, seguito dai suoi uomini.
L' Herakles giaceva su un fianco, il fiato corto, gli occhi fissi nel vuoto e l'espressione sofferente.
Il sangue continuava a sgorgare sia dalla ferita alla tempia che le aveva fatto Zero sia da quelle al naso e alla spalla, ma pareva incapace persino di sollevare una mano per asciugarlo.
Mayu gli afferrò i polsi e glieli bloccò dietro la schiena.
Nessuna reazione.
Come un burattino abbandonato dal suo Mangiafuoco...
– Capi... Capitano...
La voce rotta di Tadashi riportò Mayu alla realtà.
Corse alle capsule e studiò i monitor. Harlock e Zero erano di nuovo in condizioni critiche.
Sul piccolo schermo di Kurai, nessuna immagine. Dovevano aver perso i sensi.
Il Professore era a terra immobile e Marina lo guardava con gli occhi spalancati.
– Ma tu... tu...
– Professore – Mayu gli si inginocchiò di fianco e gli sollevò la testa. Non c'era tempo per le spiegazioni – Professore, si svegli!
Gli occhietti marroni di Kurai s'aprirono con una lentezza esasperante.
– Chie, piccola mia – tossì – Sei tu? Sei... davvero tu?
Allungò verso di lei una mano tremante che ricadde a pochi centimetri dal suo viso.
Mayu lo scrollò.
– Professore, cosa devo fare? Matia...
– Già, Matia! – Kurai spalancò gli occhi – Bisogna fermarla o per l'umanità sarà la fine... e io non voglio, non voglio perderti di nuovo, Chie... tu, la mamma, Kashi e Yu... io... io voglio proteggervi... voi e tutti gli altri esseri umani...
– Professore, torni in lei! – Mayu gli diede un altro scrollone – Mi dica come salvare Harlock e Zero, la prego!
Kurai girò la testa verso il computer e la sua espressione le fece gelare il sangue nelle vene.
– Il pannello della strumentazione medica è danneggiato – tossì e un rivolo di sangue gli uscì dalle labbra – Quello di Oneiros del tutto fuori uso. Non si può più fermare il programma né resettarlo. Ormai, l'unica è staccare tutto... e pregare.
Mayu trasalì e si voltò di nuovo verso lo schermo.
Le pulsazioni di Harlock e Zero avevano raggiunto i duecentoquaranta battiti al minuto.
Riappoggiò il Professore a terra e si alzò.
Frugò nella bisaccia e porse a Marina la benda che aveva avuto intenzione di usare per sé.
– Lo soccorra, Comandante Oki, per favore.
Raggiunse Tadashi accanto alla capsula di Harlock, lo afferrò per il braccio e lo scosse.
– Avremo bisogno dei Dottori – gli sfilò dalla cintura la trasmittente e gliela porse – Chiamali, digli di precipitarsi subito qui e di tenersi pronti a rianimare due persone!
Il volto di Tadashi, già pallido, sbiancò ancor di più.
– È così grave?
Mayu studiò con la coda dell'occhio il monitor dei parametri vitali.
Non si poteva già più aspettare. Annuì.
Tadashi non le fece altre domande e lei gliene fu grata.
Mentre lui attivava il trasmettitore, s'avvicinò al pannello di controllo e girò la prima chiave.
Le luci del laboratorio si spensero e i generatori autonomi entrarono in funzione.
Girò la seconda chiave. I pannelli e gli schermi secondari s'arrestarono.
Mayu deglutì e cercò di controllare il tremito della mano mentre girava anche la terza chiave.
Sullo schermo sopra di lei s'aprì una finestra che le chiedeva conferma della sua decisione.
– La password è Hypnos_Nyx – la voce del Professore era smorzata, quasi un sussurro – Presto, o i loro cuori cederanno...
Mayu digitò la password e appoggiò l'indice sul pulsante.
Vi prego...vivete, tornate da me!
Lo premette.
Il suono dell'allarme s'interruppe e il ronzio del computer centrale scemò fino a cessare del tutto. La stanza piombò nel silenzio e nella penombra lattiginosa delle luci d'emergenza.
Dalle capsule arrivò un suono acuto e intermittente. Mayu sobbalzò.
– Oneiros ed Endymion hanno un monitor e un pannello dei parametri vitali collegati a un generatore autonomo – Kurai fece una smorfia di dolore e trattenne un gemito quando Marina gli annodò la benda – Verificate i battiti. Sono... scesi? Hanno una frequenza diversa?
Marina si alzò e controllò la capsula di Zero.
– Duecentosessanta – la sua voce si spezzò – In aumento.
Mayu si voltò verso Tadashi. Le bastò guardarlo in faccia per capire.
– Lo shock è stato troppo forte – Kurai sospirò – Mi spiace... non c'è più niente da fare.
Come a confermare quelle parole, i suoni intermittenti provenienti dalle capsule si fecero irregolari.
Kurai chiuse gli occhi.
– Sono in fibrillazione – un altro fiotto di sangue gli uscì dalle labbra – Fra poco i loro cuori si fermeranno.
Marina gemette. Gli occhi di Mayu si riempirono di lacrime.
– Ci deve pur essere qualcosa che possiamo fare!
S'avvicinò al pannello medico e osservò lo sfacelo di cavi fusi, bruciati e spezzati attraverso il buco del folgoratore. Un fumo nero, acre e soffocante s'alzava ancora dalla scheda madre nel punto in cui il raggio l'aveva trapassata.
Forse Yattaran avrebbe potuto capirci qualcosa e ripristinare almeno la strumentazione per il sostegno delle funzioni vitali, ma anche se fosse stato lì non avrebbe mai fatto in tempo.
Il suono, da irregolare, si fece continuo.
Il tono di una linea piatta.
Mayu guardò Kurai, che chiuse gli occhi e scosse il capo con aria rassegnata, poi Tadashi e Marina.
– No – singhiozzò – No...
Si lasciò cadere sulle ginocchia, s'appoggiò al pannello e scoppiò in lacrime. Tutta la paura, i sensi di colpa e la disperazione che s'era tenuta dentro sino ad allora la sommersero come una marea e lei sperò d'annegare, per la prima volta in vita sua.
– No! – Tadashi le fece eco con un grido rabbioso – No, non lo accetto!
Mayu si sfregò gli occhi e lo guardò: il suo viso era così stravolto dalla rabbia e dall'angoscia che le fece paura.
Afferrò il coperchio semidistrutto della capsula e lo sollevò con tanta violenza da strapparne i cardini e far volare ovunque le schegge che non s'erano ancora staccate del tutto.
– Questa volta non finirà così, Capitano! – urlò sopra al rumore di vetri infranti – Non lo accetto, hai capito? Non lo accetto!
Si chinò su Harlock e gli strappò via dal petto elettrodi e cinghie.
– Questa volta non ti lascio morire! – gli appoggiò una mano sotto la nuca e la sollevò mentre con l'altra mano gli spingeva la fronte verso il basso – Ci sono troppe persone che ti aspettano... troppe!
Gli chiuse il naso con due dita, inspirò a fondo, fece aderire le labbra alle sue e insufflò con forza.
Il torace di Harlock si sollevò e si riabbassò subito.
Tadashi ripeté l'operazione altre due volte, poi gli posò due dita sul petto, risalì fino al punto in cui le costole si congiungevano allo sterno e ci posò sopra il medio e l'indice.
– Devi tornare, hai capito? – mise il palmo dell'altra mano sul dorso della prima, stese le dita ed eseguì una forte compressione verso il basso – Da Mayu – un'altra compressione – Da Yuki. Da Mime. Dal Dottore. Da Yattaran. Da Maji. Da Masu. Da Tetsuro. Da Maetel. Dall'altro Tadashi. Da Lydia. Da Tori e Mi. Dai ragazzi. Da Tochiro... E da me!
A ogni nome, lo sterno di Harlock s'abbassava di quattro o cinque centimetri sotto le sue mani e piccole gocce trasparenti andavano a infrangersi sulla sua pelle coperta di cicatrici.
Accanto a Zero, Marina si scosse e imitò Tadashi in silenzio.
Mayu li guardò stordita mentre mentre cercavano d'ancorare alla vita quei due uomini persi nel buio dell'incoscienza, a un passo dal baratro.
Due insufflazioni. Quindici compressioni. Altre due insufflazioni. Altre quindici compressioni.
Avrebbe voluto aiutarli, ma l'angoscia e la paura la bloccavano lì, contro quella gelida parete di metallo. S'asciugò le lacrime e tirò su col naso. Si sentiva più impotente che mai.
Inutile.
– Arriviamo, ragazzi! Cosa abbiamo?
Dopo un tempo che le parve infinito, il Dottor Zero varcò il portone abbattuto. Il Dottor Machine e la squadra medica lo seguirono a ruota.
– Arresto cardiaco – Marina spinse in giù il petto di Zero – Tutti e due!
I Dottori corsero alle capsule mentre la loro équipe si divideva e preparava la strumentazione.
Fra gli infermieri, Mayu riconobbe Bright.
Aveva il braccio destro fasciato sino al gomito, diverse escoriazioni sulla fronte e l'aria distrutta, ma i suoi movimenti erano rapidi ed efficienti mentre si chinava su Kurai e gli allacciava la maschera a ossigeno.
Un infermiere passò due elettrodi al Dottor Zero.
Con un sibilo, l'apparecchio a cui erano collegati segnalò la propria entrata in funzione.
– Via io, via voi, via tutti!
Gli infermieri e Tadashi si fecero da parte e il Dottore poggiò gli elettrodi sul petto di Harlock. La scarica fu accompagnata da un colpo secco. Harlock sobbalzò.
Tadashi insufflò altra aria nei suoi polmoni, ma fu uno degli infermieri a effettuare le compressioni toraciche.
– Aumentare a duecento – il Dottore guardò Tadashi – Ragazzo, va' a sederti. Qui c'è già abbastanza da fare senza che tu mi collassi per la stanchezza.
Al contrario di quel che Mayu s'era aspettata, Tadashi s'allontanò senza protestare.
Barcollò come un ubriaco fino al pannello medico e si lasciò cadere accanto a lei.
Ansimava e il sudore gli colava a rivoli sulla fronte e sulle guance.
Buttò la testa all'indietro e chiuse gli occhi, ma anche così Mayu s'accorse che erano gonfi e rossi.
Gli appoggiò la testa sul braccio e lui glielo passò attorno alle spalle.
Anche Marina li raggiunse. Sembrava esausta quanto Tadashi e, al contrario di lui, non cercava di nascondere le lacrime. Si sedette accanto a loro, strinse le ginocchia al petto e puntò gli occhi sul Dottor Machine.
Anche Mayu lo osservò.
Come Bright, aveva addosso i segni del lavoro sul campo: il suo camice era sporco di sangue e fango e stracciato sopra il gomito sinistro, ma nemmeno lui mostrava stanchezza o esitazioni.
– Preparate l'adrenalina – al contrario del Dottor Zero, si muoveva poco e con la grazia d'un ballerino e la sua voce aveva un tono normale – Un milligrammo in bolo endovena. Aumentare i joule a trecento.
Un altro shock.
Un altro sobbalzo.
Mayu distolse lo sguardo.
Non ce la faccio più.
Non sopportava quella tensione, quel senso d'impotenza, quella paura.
Non capiva come avessero fatto Tadashi e Marina a reggere e come i Dottori e gli infermieri riuscissero a rimanere così lucidi con la vita di qualcuno che amavano nelle loro mani.
Ma forse già l'avere un compito preciso, il saper cosa fare, aiutava.
Ed era senz'altro meglio che restarsene a guardare impotente o al massimo pregare.
Come quando era piccola, prese tra le mani l'ocarina e intonò la vecchia canzone che le aveva insegnato Harlock.
Torna da me. Puoi sentirmi? Torna da me!
Quella canzone che aveva suonato anche per Zero.
Torna da me.
Chiuse gli occhi e cercò di non sentire i colpi dei defibrillatori, i singhiozzi soffocati di Marina e le voci dei Dottori.
Si concentrò solo sulla melodia, su ciò che la legava a quei due uomini, sulla speranza di poter parlare e ridere con tutti e due, un giorno.
E tutto finì.
Oltre la musica, solo silenzio.
Il braccio di Tadashi le strinse più forte le spalle e i singhiozzi di Marina aumentarono d'intensità.
Col cuore che batteva a mille, Mayu aprì gli occhi e lasciò l'ocarina.
I Dottori s'erano staccati dalle capsule, gli infermieri avevano interrotto le manovre di rianimazione.
I due medici si lanciarono uno sguardo stanco e si voltarono verso di loro.
– Vi devono una delle loro nove vite, ragazzi – il Dottor Zero s'asciugò il sudore dalla fronte con la manica del camice – E io sono a pezzi e con la gola secca. Che ne dici d'un goccetto prima di ributtarci nella mischia, collega?
– Devo rifiutare – il Dottor Machine si stirò il camice a brandelli, un sorriso tirato sul volto artificiale – Quella roba mi scioglierebbe i circuiti.
– Che problema c'è? Io bevo, tu parli.
Il medico meccanoide continuò a protestare e sorridere mentre gli infermieri s'affaccendavano attorno a Zero e Harlock per liberarli dalle capsule e caricarli sulle barelle.
In quel momento, a Mayu quegli uomini stanchi e laceri sembrarono i più grandi eroi dell'universo, due esseri splendidi, coraggiosi e nobili più di chiunque altro.
Distruggere decine di vite era facile. Salvarne anche solo una, per niente.
– Sai, Tadashi – si sentì dire come da un'enorme distanza – Credo d'aver capito cosa voglio fare della mia vita, quando torneremo sulla Terra.

Chiedo scusa per il ritardo nell'aggiornamento: ci vorrebbero delle ferie per riprendersi dalle ferie! ^_^

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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 45
*** Svegliarsi in un incubo ***


cap 8 Il dolore cessò all'improvviso.
Buio. Silenzio.
Finalmente la pace.
Finalmente libero.
Attorno alle sue dita, una sensazione di calore, come il ricordo d'una stretta.
C'era qualcosa che doveva fare, qualcuno da cui doveva tornare a tutti i costi... ma la sensazione svanì, insieme alla percezione d'avere una mano, dei piedi, un corpo.
Sono morto?
Avrebbe dovuto provare angoscia, smarrimento, terrore... e invece niente.
Perché no, in fondo?
Quel buio era accogliente, quel silenzio dolce.
Lì non c'era dolore, non c'erano scelte, separazioni o rimpianti... solo pace.
– Avanti, figliolo, respira! Poi ci faremo un goccio insieme, promesso!
Una voce nasale, un po' impastata.
Era familiare, ma distante, così distante... ed era tutto così buio, così ovattato...
Un colpo lieve. Una vibrazione lontana.
– Su, Capitano, non farti pregare! Offro io, va bene?
Un altro colpo, più violento. Una scarica elettrica gli attraversò la spina dorsale e lo fece sussultare dalla testa ai piedi. I peli gli si rizzarono in tutto il corpo, si sentì schizzare in su e ricadere all'indietro.
Qualcosa gli soffiò aria nella gola, qualcos'altro gli schiacciò il petto. Una volta, due, tre, quattro... sempre più forte. Bruciava tutto, dentro e fuori.
No.
Si ritrasse.
Non voleva lasciare quella pace, non voleva affrontare di nuovo... quello
– Aumentare al massimo, presto!
Un altro colpo e un'altra scossa, ancora più intensi.
E una melodia dolce, triste.
Un' ocarina?
Non era forte, ma la sentiva con maggior chiarezza persino delle voci concitate attorno a lui.
Lo riempiva di nostalgia ed era come se lo chiamasse verso una luce lontana... verso casa.
C'era qualcuno da cui doveva tornare a tutti i costi, adesso ne era sicuro.
Il primo respiro gli bruciò i polmoni, ogni parte del suo corpo faceva male come se lo avessero picchiato con mazze d'acciaio... e aveva freddo. Tanto freddo.
– Abbiamo il battito!
Non voleva espirare, non voleva inspirare di nuovo.
Ma la musica continuava a chiamarlo e lui lo fece. Ancora e ancora.
– S'è stabilizzato. Il respiro è autonomo!
– Grazie al cielo!
La musica cessò. Un altro respiro roco gli gorgogliò in gola, doloroso come se stesse cercando di mandar giù frammenti di vetro.
– Vi devono una delle loro nove vite, ragazzi...
La voce che conosceva s'allontanò, mani forti lo sollevarono e lo posarono sulla superficie più fredda e dura che potesse ricordare, qualcuno gli tirò su la testa e gli allacciò qualcosa alla nuca, qualcun altro lo coprì fino al mento con qualcosa di sottile che crepitava a ogni movimento.
Respirare divenne più facile, anche se il petto bruciava ancora.
Il freddo non diminuiva, invece. Sentì la pelle d'oca sulle braccia, un brivido lungo la schiena.
Rumore di passi.
– Harlock! – una voce femminile e una sensazione di calore sulla sua guancia, fra i capelli – Oh, Harlock! Harlock...
Harlock... è il mio nome?
Harlock.
Un altro brivido, stavolta non di freddo.
E non perché non riuscisse a ricordare... anzi, ricordava sin troppo. Era troppe persone tutte insieme e, allo stesso tempo, non era nessuno.
Harlock.
Un giovane ufficiale spensierato, circondato da amici, innamorato, pieno di sogni, di fiducia nella sua gente e nel domani: un ragazzo che ormai non esisteva e non sarebbe tornato a esistere mai più ma di cui sentiva ancora la presenza in modo doloroso, come un arto fantasma di se stesso.
Harlock.
Un pirata cupo e solitario, disilluso e tormentato, che aveva perduto o allontanato tutti coloro che amava e che aspettava ormai solo la fine del suo lungo viaggio, un eroe senza paura e senza nulla da perdere... un uomo che non riusciva più a essere e che, forse, non era mai esistito davvero.
E poi Harlock... quell'altro Harlock: il se stesso che non voleva accettare anche a costo di morirne... ma che forse era quello più vero, tutto ciò che era rimasto di lui.
No!
Spalancò l'occhio e una luce abbagliante lo costrinse subito a richiuderlo.
– Capitano! – una voce maschile, arrochita dall'emozione – Capitano, sei sveglio? Riesci a sentirmi?
Socchiuse le palpebre: alla sua sinistra, un giovane si chinò su di lui e gli sorrise incerto.
Ti conosco...
Un lampo e lo rivide adolescente, scosso dai singhiozzi sul corpo senza vita d'un uomo in una stanza buia, sotto la luce intensa d'un neon.
Tadashi...
Un altro lampo e il cadavere sparì. Il volto del ragazzo diventò quello adulto d'adesso, illuminato dalla luce discontinua dei lampi. Lo fissava sgomento, le mani strette al petto insanguinato.
– Perché, Capitano?
La risposta riecheggiò nella mente di Harlock come il tuono che l'aveva coperta quando gliel'aveva data.
– Perché è quello che voglio.
No... maledizione, no!
Voltò la testa dall'altra parte e se la ritrovò davanti, i grandi occhi marroni brillanti di lacrime, proprio come l'ultima volta che l'aveva abbracciato prima di separarsi da lui.
Era cresciuta, era quasi una donna ormai, ma lui l'avrebbe riconosciuta fra mille, anche dopo mille anni. Era stata lei a chiamarlo, lo sapeva.
E sapeva che per lei avrebbe vinto anche mille morti e sarebbe tornato indietro da mille mondi, ogni volta. Era la sua ancora, il suo porto sicuro...
Mayu!
Non gli uscì la voce. La mano che voleva tendere per accarezzarle i capelli ricadde senza che l'avesse alzata per davvero.
Un altro maledetto lampo e lei era lì, in piedi in quel giardino disseminato di cadaveri, la pistola di sua madre in pugno.
No...
Mentre lui armava il cane per porre fine alla sua vita come aveva fatto con Tadashi e come avrebbe fatto con Yuki dopo, poteva leggerglielo in faccia: la domanda era la stessa.
No!
Anche la sua risposta lo era.
Perché lo voglio.
Serrò il pugno sotto la coperta isotermica e distolse lo sguardo, furioso, angosciato, colmo d'odio e amore, confuso come non mai.
Chi sono, io? Che cosa sono?!
– Ehi, voi due, lasciatelo respirare! – il Dottore s'avvicinò alla barella e agitò le mani contro i due ragazzi come per scacciare Mi dalle sue bottiglie – Sciò! Aria! Dopo tutta la fatica che ho fatto per rianimarlo, non vorrete mica soffocarmelo a furia di smancerie? – strizzò l'occhio – Lasciate che si riprenda un attimo e soprattutto che metta un po' di spirito in corpo, poi se ne potrà parlare! Dico bene, Capitano?
Odio. Amore. Rimpianti.
Felicità, rabbia e tristezza.
Odio...
La sua mano destra risalì lungo il fianco.
Niente Dragoon, niente Gravity Sabre, niente pugnale; non c'era nemmeno la cintura.
E il suo braccio era così lento, così debole e pesante...
Si bloccò, senza fiato.
Che diavolo sto facendo?!
Il Dottore era un amico, quel ragazzo quasi un fratello minore, quella ragazzina una figlia: chissà cosa avevano rischiato per ritrovarlo, per riportarlo indietro addirittura da un altro mondo...
Eppure quel sentimento era inconfondibile.
Li odiava. Voleva ucciderli tutti.
Perché?
La risposta era sempre la stessa.
Perché lo voglio. Perché sono un peso, una responsabilità che non desidero più e che non ho mai desiderato, delle catene, degli ostacoli che mi rendono debole...
No, non è vero! Sono tutto ciò che ho... tutta la mia vita, le mie speranze, i miei sogni! Io... io li amo! Non potrei mai...
Tadashi gli appoggiò una mano sulla spalla.
– Bentornato, Capitano.
Bentornato.
Harlock si sentì stringere il petto e sperò che il suo cuore si fermasse di nuovo, stavolta per sempre.
Sarebbe stato meglio per loro, forse anche per lui.
Cosa sono diventato? Perché provo questi sentimenti? Perché questi ricordi? Sono illogici...
– Bentornato, Harlock.
Mayu gli baciò la guancia e si scostò da lui.
– Bentornato.
La sua voce divenne quella di Maya.
La rivide sorridergli mentre la tirava a sé per baciarla, solo qualche ora prima, a casa loro, in una Terra e una vita che erano quelle che aveva sempre desiderato.
Nel suo cuore vuoto, rimpianto... e una rabbia implacabile.
Li odio.
Lo avevano strappato a un sogno per farlo risvegliare in un incubo, in un mondo che non aveva più nulla da offrirgli, che lo rifiutava e che lui non riusciva e non sarebbe mai riuscito ad accettare... proprio come quella parte di se stesso che ora lo spingeva a tirarsi su e che in quel momento era più forte che mai.
Si puntellò sui gomiti e piegò le ginocchia.
Tutto ciò che voleva era alzarsi, serrare le dita attorno alle loro gole e stringere, stringere, stringere finché le loro labbra non fossero diventate blu, i loro occhi vitrei.
La coperta scivolò. Tutto girava: la testa, lo stomaco...
Barcollò.
Per fortuna.
– Ehi, ehi, figliolo – il Dottore ridacchiò e lo obbligò a stendersi di nuovo – Calma i bollenti spiriti: la tua riserva personale è ancora intatta... bé, almeno la maggior parte!
– Attenti, laggiù!
Da qualche parte, rumore di spari e passi affrettati, urla, stridii e tonfi metallici.
– Maledizione, togliti da lì, Sterling! Ripiega!
Un combattimento?
Harlock strinse i denti per sopportare il dolore al collo e sollevò la testa il più possibile.
Dietro la spalla del Dottore, un gruppo di soldati con indosso delle lacere divise della Flotta Unita Terrestre uscì da una porta socchiusa nella parete, le armi spianate.
Uno di loro, l'ultimo e a quanto pareva il capo, aveva l'aria familiare.
Con la sinistra sorreggeva un uomo privo di sensi contro il petto ampio e i muscoli del suo grosso bicipite coperto di fango, sangue e cicatrici si gonfiarono quando sollevò un mitragliatore laser verso l'apertura.
– Che fate ancora lì? – si voltò, affidò il ferito a due dei suoi uomini, asciugò un rivolo di sangue che gli colava dalla fronte sulla barba brizzolata e sparò una raffica oltre le porta – Muovete quelle chiappe! Ritirata!
– Grenadier! – una voce di donna si levò da qualche parte lì vicino – Che succede? Dove sono...
– Al riparo, presto!
Mayu gli passò un braccio attorno al petto e lo trascinò a terra. Tadashi fece qualcosa con la barella. Ci furono un crepitio d'alluminio, rumore di vetri rotti e un botto. Harlock sentì un forte colpo all'anca, un freddo ancor più intenso di quello provato al suo risveglio e si trovò steso a terra accanto al Dottore. Tadashi scavalcò la barella rovesciata, si mise accanto a Mayu e puntò la pistola verso il punto in cui si trovava l'apertura. Mayu s'affacciò oltre il bordo della piccola barricata e sgranò gli occhi.
– Ma che succede? – la Cosmo Dragoon tremò fra le sue dita – Cosa sono quelli?
Un gemito sordo si levò in un punto dietro di loro.
– Il nido... quella pazza ha aperto il nido!
– Il nido? – una donna con indosso la divisa dell'Esercito Federale si sporse da dietro un'altra barella rovesciata poco lontano e sparò.
Harlock trattenne il respiro.
Marina!
Altri lampi di memoria. Lei stretta al suo petto in un raro momento di pace, il sapore delle sue labbra, la morbidezza del suo corpo, il suo calore e il suo profumo delicato, la sua voce colma di desiderio che lo chiamava... che lo chiamava Zero.
Com'è possibile?!
– Dov'è Hell Matia? – Marina s'accovacciò e infilò una nuova cella d'energia nel caricatore della sua pistola.
Grenadier scavalcò la barella con un salto e la coprì a suon di raffiche brevi.
– Non lo so – digrignò i denti – L'avevamo in pugno, poi s'è aperto un portello e in un attimo questi cosi ci sono piombati addosso! Non so nemmeno che fine abbiano fatto Aki, Shiden e Fokker!
– Ti supplico, Matia – ancora quel gemito – Basta!
– Si calmi, Signore – un infermiere trascinò qualcuno al riparo della capsula accanto alla barella.
Era un ometto tarchiato, scuro di capelli, con indosso un camice bianco zuppo di sangue.
Harlock lo guardò in faccia e rimase senza fiato.
Tochiro!
Altri ricordi: lui accovacciato sul pavimento d'una stanzetta stretta e spoglia, intento a lavorare a un'altra delle sue diavolerie; lui che scappava a tutta velocità dal bar della Base di Megalopolis in mutande e con un occhio nero, ridendo come un folle; lui che moriva davanti ai suoi occhi su quel pavimento senza che potesse farci nulla... la sua anima che lo pregava di liberarlo dal guscio di circuiti e silicio che la imprigionava ormai da quattordici anni... e lui a bordo di quella nave nera, che gli veniva incontro insieme a Emeraldas.
Ombre, voci indistinte... il risveglio fra le braccia di Maya... e il risveglio in una vasca piena di liquido con Hell Matia che sorrideva e lo chiamava... lo chiamava...
– Non capite! – Tochiro si prese la testa fra le mani – La loro mutazione non si è ancora stabilizzata! Se non tornano subito nelle vasche il loro DNA e i loro cervelli impazziranno!
– Ma cosa sono? – Tadashi balzò indietro, terreo in volto.
Le dita d'una mano semitrasparente si chiusero a vuoto nel punto in cui, solo un istante prima, c'era stata la sua gola.
Marina sparò due volte alla creatura, che s'abbatté a terra oltre il loro riparo improvvisato con un alto stridio.
– Shòu – si voltò verso Tochiro – O almeno, lo erano. Che gli avete fatto? Perché sono così?
Il Dottor Zero s'avvicinò carponi alla creatura, la girò sulla schiena e trasalì.
Harlock sbirciò da sopra la sua spalla.
Lo sterno dell'essere era bucato da parte a parte e, attraverso la pelle traslucida, si vedevano con chiarezza i tendini, i fasci muscolari e i vasi sanguigni lacerati, alcuni non del tutto formati o alternati ad altri colmi di liquido cristallino. Ai battiti d'un cuore ancora semistrasparente che si poteva intravedere in parte prima che scomparisse sotto la pelle chiara e coperta di cicatrici della porzione destra del corpo, fiotti d'un liquido spumoso e dal vago odore d'acqua salmastra uscivano dalla ferita.
La creatura lanciò uno stridio gorgogliante e si rialzò di scatto.
Harlock trattenne a stento un conato.
La parte destra e tutta la porzione inferiore del suo volto al di sotto del naso era identica a lui, cicatrice, capelli lunghi e occhio cieco compresi.
Tochiro gemette di nuovo.
– Dovevano essere la prima generazione dei miei Herakles... i super-soldati che avrebbero dovuto difenderci tutti... oh, mio Dio, no!
La creatura aprì l'occhio sano, un bulbo trasparente e privo di pupilla.
Spalancò la bocca, emise un suono a metà tra un urlo e uno stridio, afferrò il polso del Dottore e lo tirò a sé.
Mayu si voltò e lo colpì due volte al petto.
– Sono impiantati! – gridò sopra le urla e gli stridii sempre più forti – E Matia ha detto di poter trarre il centoventi per cento delle forze da qualunque essere con uno di quei chip nel cervello! Se è lei che li comanda...
La creatura si rialzò, sangue scarlatto e liquido trasparente che grondavano dalle tre orribili ferite che aveva ricevuto al petto e da un'altra alla spalla destra.
Lanciò un urlo raccapricciante e si gettò addosso a Mayu, ma un colpo in mezzo alla fronte la ributtò all'indietro e la fece stramazzare a terra.
Sangue misto a un liquido salato come acqua marina, frammenti di carne e d'una sostanza gelatinosa come quella delle meduse colpirono Harlock e il Dottore.
– Mirate alla testa! – Tadashi si rimise in posizione di tiro dietro la barella, cupo in volto – Non si fermeranno, se vi limitate a ferirli!

– I miei Herakles – piagnucolò Tochiro – Il lavoro d'una vita... la speranza della Terra!
– Ma quale speranza! – Zero si tirò a sedere accanto a Marina, una vecchia pistola a tamburo nella mano sinistra – Ancora non si rende conto di ciò che ha fatto, Kurai?!
– Stia giù, Capitano! – un meccanoide con indosso un camice bianco gli afferrò il braccio – Non deve sfo...
Zero si liberò con uno strattone, si posizionò fra Grenadier e Marina e sparò tre colpi in rapida successione.
– Quanti ce ne sono?
– Cinquanta – l'uomo con l'aspetto di Tochiro che Zero aveva chiamato Kurai abbassò il capo, l'aria sconfitta – E altri venti solo impiantati da qualche parte nella base.
Kurai...
Un altro flash. Decine e decine d'esseri trasparenti chiusi in vasche piene di liquido, i colli trapassati da cavi di flebo, addormentati.
I suoi figli, fratelli e genitori.
Qualcosa nello stomaco. Paura?
Qualcos'altro nella sua testa. Una volontà aliena e al contempo sua, convinta che dar loro una mente, un'identità e uno scopo fosse la cosa giusta da fare, l'unico modo per evitare loro l'estinzione e rendere le loro esistenze degne d'esser vissute.
Kurai... Kenzo Kurai.
Un uomo fragile, anziano e malato, che scendeva da una nave Federale sostenuto da Matia e da... Lia... Zone?
La risentì ridere amara davanti allo schermo del computer mentre si vedeva dormire all'interno di una capsula.
– Lo sapevo. In fondo, il grande Harlock non è altro che un ipocrita... vero, Uno?
Si prese la testa fra le mani.
– Stai sognando da quasi quattro anni chiuso in una capsula, sotto il controllo d'un computer chiamato Oneiros...
La voce di Zero in quel bianco abbagliante, il ricordo della sua stretta.
– Questo non è il mondo reale. È un sogno iperrealistico creato per tenerti prigioniero mentre gente senza scrupoli utilizza una tua copia sotto controllo mentale per screditare il tuo nome e far del male alle persone che ami!
E allora perché questi ricordi? Che sia io, la copia?
– Capitano, attento! – Tadashi si voltò verso di lui, uno di quegli esseri appeso al braccio, un altro che cercava d'afferrarlo alla vita.
Il Dottore gridò qualcosa e tese la mano verso di lui, ma fu scaraventato via da un braccio sotto la cui pelle si vedevano contrarre i muscoli e pulsare le vene.
Un sibilo, odore di sale e un volto identico al suo a pochi centimetri dal suo naso.
Dita fredde gli si strinsero attorno alla gola, occhi opalescenti lo fissarono inespressivi.
– Harlock! – la voce di Mayu – No!
Un boato assordante, odore di polvere da sparo e altro sangue sulla sua faccia.
L'essere gli s'accasciò accanto, scosso dalle convulsioni.
– Svegliati, Harlock! Combatti, se vuoi uscire vivo da qui!
Zero.
Poteva sentirle ancora nella sua mente: la sua tristezza, la sua speranza incrollabile, la sua rabbia e la sua voglia di vivere... forti, travolgenti.
Ma erano sensazioni che non gli appartenevano, come di certo non gli appartenevano i suoi ricordi.
Si morse il labbro e scosse la testa per scacciarli.
Non so più chi sono ma di sicuro non sono te, dannazione!
Odiava anche lui, che aveva vissuto le sue stesse esperienze ma fatto scelte diametralmente opposte, che non mostrava mai incertezze ed era capace di uscire dalle situazioni più disperate col sorriso sulle labbra... che si era ricostruito una vita e aveva tutto ciò che lui non avrebbe avuto mai più.
Sei convinto d'aver ragione, vero?
– Harlock!
Mayu si svincolò dalla presa di un altro di quegli esseri e gli lanciò una pistola.
Lui la raccolse.
Inquadrò nel mirino una di quelle creature aggrappata al braccio di Zero, poi lo spostò pian piano.
Ti credi migliore di me, vero?
La tempia di Zero era proprio al centro della tacca di mira.
Harlock l'allineò col mirino, armò il cane, posò il dito sul grilletto.
– Guardati, Harlock! Non sei più tu...
Allentò la presa e l'arma ricadde a terra.
Rovesciò la testa all'indietro e chiuse gli occhi: aveva voglia di urlare.
Basta.
Si mise a ridere, senza motivo.
Sto impazzendo.
Si guardò attorno.
Basta!
Quegli assurdi esseri col suo aspetto, le capsule, il computer e i meccanoidi sul pavimento, Hell Matia e la sorella di Zone, Mayu e Zero, Tochiro e persino Emeraldas, uguali a quattordici anni prima... realtà alternative, personalità, sentimenti e ricordi che non erano i suoi e al contempo lo erano...
È un incubo, un incubo!
Strinse i pugni e desiderò di svegliarsi nel suo letto, accanto a Maya. Le sue unghie scavarono un solco nel palmo.
Riaprì l'occhio. Non era cambiato nulla.
Guardò la pistola ai suoi piedi.
Forse, un modo perché tutto finisse c'era...
– Fine dei giochi, Harlock.
La suola di uno stivale si posò sopra l'arma.
Harlock alzò lo sguardo e si trovò a fissare l'interno della canna d'un folgoratore.
Hell Matia.
– Fermatela! – Tochiro... Kurai... barcollò verso di loro e le afferrò una coscia – Non lasciatela avvicinare al com...
Hell Matia si mosse appena. Non si voltò a guardarlo, non cambiò nemmeno espressione.
– Fuori dai piedi, Kurai.
Un raggio luminoso trapassò il cranio dello scienziato e forò il pavimento a pochi centimetri dal piede di Harlock. Un paio d'occhiali colpì il pavimento insieme a una pioggia di sangue e frammenti cerebrali. La lente destra si frantumò.
– Harlock!
– la voce di Zero o forse di Grenadier – Raccogli quella maledetta pistola! Sparale!
Qualcuno gemette.
Una cacofonia assordante di grida e stridii gli perforò i timpani.
Ma sì... basta.
Chiuse l'occhio.
Basta.
Sentì il sibilo del laser e qualcosa gli piombò addosso.
Qualcosa di vivo, che tremava e ansimava.
Qualcosa che sanguinava contro il suo petto.
Aprì la palpebra. Emeraldas alzò su di lui due enormi occhi blu colmi di sofferenza.
– Har... – tossì, sputò sangue – Har... lock.
– Com'è possibile? – le labbra di Matia tremavano – Perché? Perché non riesco a...
Un botto, due, tre... e raggi laser, tanti, troppi per contarli.
Matia si piegò in avanti e all'indietro, scariche elettriche che le uscivano dal petto, dalle gambe e dalle braccia crivellate di colpi. La sua mano destra si mosse a scatti. Lasciò cadere il folgoratore e barcollò verso il computer.
S'accasciò sulla plancia, s'afferrò a una leva e il suo corpo si mise a sussultare tra lampi, scariche elettriche e fumo nero.
Urlò, un suono acuto quasi come quello degli Shòu, mentre la sua pelle artificiale bruciava e fondeva e i suoi abiti e i capelli s'incendiavano.
L'odore dolciastro di circuiti e cavi bruciati riempì l'aria e lei cadde a terra, avvolta dalle fiamme e ancora sussultante.
– Harl... ock.
Un altro rivolo di sangue uscì dalle labbra ormai blu di Emeraldas e Halock la strinse a sé.
Era fredda e sempre più pallida.
È un incubo... sì, un incubo.
Le accarezzò la guancia, passò un dito su quella cicatrice così simile alla sua.
Una striscia rossa si disegnò sulla sua pelle gelida, pallida e sudata.
Harlock si guardò la mano e abbassò il capo. C'era sangue dappertutto: gli macchiava il petto e il bacino, colava fra le sue cosce, formava una pozza fin sotto le sue ginocchia. Cominciò a tremare quanto lei.
Il Dottor Zero s'avvicinò, aprì la tuta di Emeraldas, le guardò il petto e scosse il capo.
Harlock si guardò attorno.
C'era silenzio, ora.
Grenadier e i suoi erano sparpagliati per la sala, chini sui corpi di quegli strani esseri, intenti a farsi soccorrere dagli inferimeri o ad aiutarli nella loro opera. Tadashi stringeva al petto Mayu e Zero si stava avvicinando, sorretto da Marina e dal dottore meccanoide.
Tochiro... Kurai... giaceva a pochi passi da lui, il cranio sfondato.
Sì, è per forza un incubo.
Zero si chinò su Emeraldas, sconvolto.
– Perché lo hai salvato? – le scostò una ciocca di capelli dal viso – Come hai fatto a...
Lei sorrise. Harlock sentì la sua schiena irrigidirsi e inarcarsi contro il suo braccio.
Un rantolo, un tremito più forte e gli si accasciò fra le braccia.
Le chiuse gli occhi con due dita tremanti.
Senza una parola, il Dottor Zero gliela tolse di dosso e gli avvolse la coperta isotermica attorno alle spalle.
Il Dottore meccanoide si avvicinò e guardò prima Zero e poi lui, imperscrutabile.
– In una delle sue note, il Dottor Ban teorizzava che le menti degli Herakles possano assorbire qualcosa della personalità del soggetto di cui ricevono i ricordi nonostante la procedura selettiva di Kurai. Forse, in lei, c'era davvero qualcosa di Emeraldas.
Tadashi impallidì.
– Anche...
anche l'Harlock che ho ucciso sulla Nèmesis, a un certo punto...
Non finì la frase, ma Harlock aveva capito.
E non aveva più dubbi: quello in cui s'era appena svegliato era davvero un incubo.
Il peggiore da quando era al mondo.


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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 46
*** Cicatrici ***


cap 8 Harlock posò il dito sul grilletto del cannone principale, socchiuse la palpebra e guardò nel mirino.
L'obiettivo era a fuoco, l'allineamento con la tacca di mira perfetto.
Perché lo sto facendo?
Trasalì. Era la prima volta che si poneva una domanda del genere.
Era come se, da qualche parte nella sua mente, una voce lontana gli stesse urlando di fermarsi.
– Sbrigati.
Si voltò. Oltre la ruota del timone, Hell Matia accavallò le gambe sul teschio che ornava il bracciolo della poltrona e ricambiò il suo sguardo.
La voce nella sua testa tacque, ogni dubbio svanì.
Perché esitare? La gente là dentro era la stessa che aveva ridotto la Terra sull'orlo della catastrofe e aveva negato a lui e ai suoi amici la possibilità di rifarsi una vita: non avevano versato una lacrima quando Maya era morta fra le sue braccia per loro, non avevano mosso un dito quando Tochiro ed Emeraldas li avevano esortati a lottare per il loro pianeta, il loro futuro e la loro libertà.
Paura, debolezza, pigrizia o pura cattiveria... che importava? Erano solo dei vigliacchi egoisti.
Non meritavano la sua pietà né il suo perdono, non meritavano quella possibilità che lui, Maya, Tochiro ed Emeraldas non avrebbero avuto mai più.
Premette il grilletto. Il cuore gli saltò in gola nel sentire il colpo partire, il rinculo trasmettersi dall'impugnatura del dispositivo di mira alle sue dita, agli avambracci e alle spalle.
Tutta la Nèmesis vibrò, le luci s'abbassarono di colpo e quattro raggi paralleli rischiararono lo spazio sopra di lui. Un bagliore fioco illuminò il nucleo centrale della colonia e subito si spense.
Il tempo d'un respiro e un'enorme lingua di fuoco si sollevò dentro la cupola pressurizzata e la mandò in frantumi, per poi estinguesi nel vuoto privo d'ossigeno dello spazio.
La parte inferiore della struttura si spezzò in due tronconi fra scariche elettriche, vampate accecanti e un denso fumo nero. Un'ultima, enorme esplosione silenziosa lo abbagliò.
Riaprì l'occhio. Al posto di Elpìs c'era solo un mare di frammenti metallici, schegge e detriti alla deriva.
Uno di essi sbatté contro la vetrata proprio di fronte a lui: una minuscola scarpetta azzurra.
La fronte gli s'imperlò di sudore, la gola gli si seccò.
Da qualche parte nella sua mente, quella voce lontana ricominciò a urlare... ed era la sua.
No!
Spalancò l'occhio e si morsicò il labbro inferiore per soffocare il grido d'orrore, sofferenza e angoscia che gli stava salendo su per la gola.
Non era sulla Nèmesis. La stanza in cui si trovava era rivestita degli stessi pannelli in superlega, ma era più piccola, calda e luminosa; l'aria era permeata dall'odore d'alcool, vecchi libri e medicinali. Oltre il tessuto liso d'un paravento, una scrivania coperta di libri, fogli e bottiglie, un paio di sedie e un armadio colmo di vaschette, flaconi e fiale spiccavano alla luce delle lampade fluorescenti. Da qualche parte al di fuori del suo campo visivo, un computer emetteva un continuo, basso ronzio.
L'infermeria dell'Arcadia. Già...
Inspirò a fondo e strinse il pugno attorno al lenzuolo.
Le tempie gli pulsavano e in bocca aveva un sapore amaro.
Si premette il palmo della mano sinistra contro la palpebra. Puntini rossi danzarono nel buio.
Non è nulla, solo un altro di quei falsi ricordi.
Espirò e si ripeté quello che gli aveva spiegato il Dottor Zero mentre gli controllava un'ultima volta i parametri vitali prima di sistemarlo in quel letto: aveva nella testa i ricordi di un altro Harlock, una sua copia dalla mente sconvolta e sotto il controllo di gente senza scrupoli.
Non aveva fatto del male a nessun innocente, mai.
Ma allora perché quel rancore lo sentiva così suo? Perché quel sollievo, quella soddisfazione crudele?
Hanno avuto ciò che meritavano.
Si passò il palmo sulla fronte sudata.
Nel buio, le macchie rosse si trasformarono nelle ultime scie di un'esplosione silenziosa.
La scarpetta sbatté di nuovo contro il vetro.
Affondò i denti nel labbro inferiore, si asciugò la fronte e riaprì l'occhio.
L'orologio a muro sopra la scrivania segnava le due e cinquantaquattro: s'era appisolato da nemmeno un'ora.
Così non va.
Non era da lui aver paura d'addormentarsi né fingere di farlo non appena qualcuno gli si avvicinava, non era da lui restarsene steso in un letto mentre i suoi amici avevano bisogno d'aiuto.
Ma cos'era da lui, in fondo? Cos'era rimasto, davvero, di lui?
– Molto bene – la voce del Dottor Zero si levò allegra da qualche parte oltre il paravento – Ora passa alla spalla e poi prova a fasciarlo come t'ho mostrato ieri.
Harlock sollevò la testa dal cuscino e si puntellò sui gomiti.
C'era un grosso buco nella stoffa all'estremità sinistra del paravento; ci guardò attraverso e, nonostante l'angoscia e la confusione che ancora lo attanagliavano, non poté reprimere un ghigno.
Seduto sul lettino per le visite, Tadashi fissava il soffitto mentre Mayu gli si affaccendava attorno in camice bianco e guanti sterili.
Appollaiato su uno sgabello più alto di lui, il Dottor Zero osservava compiaciuto, la sua inseparabile bottiglia di saké fra le mani e Mi acciambellata sulle ginocchia.
Tadashi sbadigliò.
– Ci vorrà ancora molto? Lo sai che devo... Ahio! – sussultò – Vacci piano con quella roba!
Una garza imbevuta di disinfettante volò via dalle pinzette nella mano destra di Mayu e atterrò sulla testa di Mi, che soffiò indignata e se la svignò sotto al lettino.
Mayu sbuffò e afferrò un'altra garza dal tavolino accanto a lei.
– Sta' fermo!
– Ma brucia!
Il Dottor Zero si concesse un generoso sorso di liquore.
– Abituatici, ragazza mia – ridacchiò – Nessun paziente se ne starà mai zitto e buono, ma una volta che avrai imparato a gestire un rompiscatole come lui...
– Cosa? – Tadashi lanciò un'occhiataccia al medico – È per questo che avete insistito perché fossi io a... ahio! Mayu, insomma!
Mayu allargò le braccia.
– Sto facendo più piano che posso – sbuffò di nuovo – E poi non è vero che brucia: la ferita è cicatrizzata, lì!
Tadashi sporse il labbro inferiore.
– Invece brucia – uggiolò – E voi due siete senza cuore: non solo usate un povero ferito come cavia per le vostre lezioni, ma lo trattate anche male! Ai pazienti ci si rivolge con dolcezza, non lo sapete?
Il suono sibilante della porta e una risata sommessa interruppero il battibecco.
– Smettila di lamentarti, Tadashi! Ti si sente fin sul ponte di comando!
Quella sagoma sottile oltre il tessuto liso, quella voce...
Yuki.
– Giusto – Mayu sventolò le pinze sotto il naso di Tadashi – Piantala, o finirai per svegliare Harlock.
– È sempre...
Il Dottore sopirò, posò la bottiglia e scese dallo sgabello.
– Nessun cambiamento, mi spiace.
Tadashi s'alzò, Mayu si fece da parte... e il respiro si mozzò nella gola di Harlock.
Sul petto del ragazzo spiccava una grossa cicatrice dai bordi gonfi e arrossati.
Sapeva che c'era, aveva rivissuto mille volte il momento in cui gli aveva sparato, ma era la prima volta che la vedeva.
– Perché, Capitano?
– Perché lo voglio.
Strinse più forte il pugno attorno al lenzuolo ed espirò di nuovo.
Quella gioia feroce nel premere il grilletto, quel senso di sollievo, di liberazione...
No. Era un altro, un altro, un altro...
Yuki fece un passo avanti e il suo volto entrò nel ridotto campo visivo offerto dal buco nel paravento. Sorrideva, ma aveva l'aria stanca.
Una fitta di rimorso serrò lo stomaco di Harlock al ricordo di lei seduta al suo capezzale che gli rimboccava le coperte mentre lui fingeva di dormire nella prima di ben tre notti insonni.
Era sicuro che se ne fosse accorta e si detestava per la sua codardia, ma cosa avrebbe potuto dirle?
Che sette anni prima l'aveva lasciata sulla Terra perché gli ricordava Maya e quell'amore che non aveva saputo proteggere? Che gli era capitato di desiderarla anche se era sbagliato e che odiava se stesso e a volte persino lei per questo? Che il suo amore per lui era stato come balsamo e sale sulle sue ferite, che, quella notte, in quel giardino, era stato combattuto tra l'impulso di premere il grilletto e quello di...
Non io.
Affondò ancor di più i denti nel labbro e torse il lenzuolo.
Non io! No...
Yuki mosse un altro passo verso Tadashi e gli sfiorò il petto.
– Come va?
Lui la guardò negli occhi e le sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
– Tutto bene – la sua voce s'arrochì – Non preoccuparti.
Yuki sospirò.
– È una parola...
La sua mano risalì lungo il fianco fino al braccio destro di Tadashi, gli sfiorò la spalla sinistra, indugiò sul suo collo e gli scostò dalla tempia una ciocca di capelli più corta delle altre.
Harlock fremette. In ognuno di quei punti c'erano segni di ferite ancor più recenti.
Un lampo nella sua mente e si ritrovò sulla Nèmesis.
Nei suoi ricordi, nei ricordi dell'altro Harlock, Lia Zone rise.
– Non vi sta puntando contro una pistola solo perché lo sto obbligando: c'è una parte di lui che desidera uccidervi più di quanto non lo voglia io.
Harlock torse il lenzuolo e si morsicò il labbro fino a sentire il sapore metallico del sangue sulla lingua.
Già.
La stoffa si lacerò fra le sue dita ma non sentì il rumore dello strappo: ogni battito del suo cuore era un colpo sordo e doloroso che gli rimbombava nelle tempie fino alla base del naso e il respiro gli strisciava come carta vetrata nella gola secca.
Non c'è un altro Harlock. Non c'è mai stato.
L'aveva pensato per la prima volta in quel maledetto laboratorio, quando quel Dottore meccanoide aveva ipotizzato che, nella creatura che l'aveva protetto a costo della vita potesse esserci davvero una parte di Emeraldas. Quell'idea e le sue implicazioni gli avevano fatto pensare d'essersi svegliato nel peggiore incubo da quando era al mondo, perciò era stato ben lieto di sentirsi dire che non era stato lui il responsabile di quelle azioni scellerate, che non era stato lui a provare quei sentimenti ignobili, che nella sua testa c'erano i ricordi un altro, un essere distorto e snaturato che con lui non aveva nulla a che fare.
Ma dentro di sé sapeva la verità, l'aveva sempre saputa: l'essere da cui Kurai e i suoi compagni avevano ricavato la sua copia non poteva provare emozioni complesse come odio, desiderio o rancore e poco importava se i ricordi che gli facevano tanto orrore erano il risultato d'un impianto; per quanto potesse desiderare il contrario, quei sentimenti appartenevano a lui, l'Herakles era una parte di lui.
Il mio lato oscuro... o forse il vero me stesso.
Un peso improvviso sulle gambe lo fece sussultare. Mi gli risalì lungo la coscia con un miagolio acuto e si strusciò contro il suo pugno contratto. Il Dottore scostò il paravento e sorrise.
– Oh, Capitano – sollevò la bottiglia a mo' di saluto – Vedo che alla fine siamo riusciti a disturbarti. Te la senti di parlare un po', oggi?
Harlock distolse lo sguardo e il Dottore sospirò.
Mayu si sfilò i guanti e gli sfiorò il braccio.
– Harlock...
Conosceva quello sguardo.
Aveva bisogno di un abbraccio, di una parola, o anche solo che le sfiorasse i capelli.
Avrebbe sorriso e sarebbe stata forte, proprio come quando era bambina; come quando era bambina, lui avrebbe ritrovato una ragione per lottare, la speranza e la determinazione: la stanchezza, i dubbi e l'amarezza si sarebbero dissolti come neve al sole... ma, come in quel laboratorio, la sua mano non si mosse e le sue labbra restarono serrate.
Volevo ucciderla... ucciderla! Una parte di me lo vuole ancora!
Dietro Mayu, Tadashi gli lanciò un'occhiata inquieta e si coprì con la parte superiore della tuta. Si bloccò con una smorfia e il braccio destro infilato per metà nella manica. Rivolse a Mayu un ghigno sarcastico, ma nel suo sguardo c'era un'ombra.
– Ed ecco che il povero paziente è già dimenticato – le fece il broncio – Diventerai proprio una Dottoressa da Nobel!
Mayu gli fece la linguaccia.
– In compenso tu sei già un paziente insopportabile! – sorrise, ma la sua voce tradiva preoccupazione e disagio – La prossima volta t'addormenterò, così potrò lavorare in santa pace!
Il Dottore si grattò il mento.
– Sai che è un'idea? Non ci avevo mai pensato...
Tadashi scosse la testa, roteò gli occhi e trascinò una sedia accanto al letto.
– Questa è una gabbia di matti – s'accomodò a cavalcioni con le braccia incrociate sulla spalliera – Battiamocela finché siamo ancora tutti interi, Capitano!
Un gemito e il rumore d'oggetti metallici che colpivano il pavimento lo fecero voltare di scatto.
– Benedetta ragazza – il Dottore afferrò Yuki sotto al gomito e la sorresse appena in tempo per evitarle una rovinosa caduta – Non puoi ancora camminare senza...
Lei lo fulminò con lo sguardo e lui si morse la lingua, ma Harlock aveva già notato la stampella quando per la prima volta s'era svegliato in quel letto con lei al fianco.
E ricordava i rivoli di sangue che colavano sul pavimento della Nèmesis dalla sua coscia ferita, le ustioni sul suo braccio e la puzza di tessuto e pelle bruciati quando le aveva premuto contro il seno la canna della Dragoon.
– Capitano, dimmi che non è vero...
Avrebbe dato qualunque cosa perché qualcuno lo dicesse a lui, perché Zero o chiunque altro entrasse da quella porta e gli dicesse che era solo un altro sogno generato da quel maledetto computer.
Tadashi si alzò, fece sedere Yuki al suo posto e le mise una mano sulla spalla.
– Perché non ci suoni qualcosa, Mayu? Abbiamo ancora qualche minuto prima d'incontrare Zero e i suoi.
Lei annuì, sbottonò il camice e si portò l'ocarina alle labbra.
Harlock si ributtò all'indietro sul cuscino.
Come sempre, quella melodia aveva il potere di portarlo indietro nel tempo, alla sua infanzia volata via così in fretta, ai sogni innocenti d'allora... e al giorno in cui aveva giurato a Tochiro ed Emeraldas che avrebbe protetto almeno quelli di Mayu, a ogni costo.
Stava per chiudere l'occhio quando uno scintillio catturò il suo sguardo.
La Cosmo Dragoon di Emeraldas.
Rivide Mayu puntargliela contro in quel giardino disseminato di cadaveri, le labbra serrate in una linea sottile e le sopracciglia aggrottate nella stessa, identica espressione che compariva sul volto di sua madre quando era davvero infuriata. Se ci fosse stato qualcun altro al suo posto o se non l'avesse riconosciuto, gli avrebbe sparato, ne era certo.
Quattordici anni. Non è più una bambina, ormai.
Aveva la stessa età di Yuki e Tadashi quando li aveva presi con sé e aveva insegnato loro a combattere, eppure non riusciva ad accettare l'idea che le sue mani avessero impugnato un'arma e cancellato delle vite. Per lui.
Per lui che, come Tochiro, aveva sempre desiderato che vivesse felice, lontano dalle battaglie, dalle sofferenze e dal sangue che avevano segnato la sua esistenza e quelle dei suoi genitori; per lui che avrebbe dato tutto perché potesse crescere in un mondo dove non ci fosse più bisogno di pistole...
Ricordò la prima volta che l'aveva tenuta in braccio, il primo sorriso che gli aveva rivolto.
In quel momento aveva pensato, per la prima volta da quando aveva perso Maya, che aveva di nuovo un punto fermo, una speranza pura e luminosa, una ragione per continuare a lottare, un legame con ciò che era stato. Un'ancora.
Era stato questo... e molto, molto di più ma, col tempo, era diventata anche la più pesante delle zavorre: gli dava speranza, ma allo stesso tempo gli ricordava tutto ciò che aveva perduto; lo legava alla vita, ma a volte il peso di non poter morire gli era più insopportabile dell'idea stessa della morte; lo spingeva a lottare, ma nel futuro oltre la fine della battaglia non vedeva alcun posto per sé.
La amava con tutto se stesso. Aveva bisogno di lei. Voleva fuggire da lei.
Voleva il suo bene. Voleva...
Il lenzuolo si lacerò del tutto sotto la torsione del suo polso e la musica s'interruppe.
Harlock alzò lo sguardo. Gli occhi di Mayu erano grandi e tristi, fissi sulla pistola.
– Dimmi la verità – la sua voce era un soffio – Ce l'hai con me, vero, Harlock?
Yuki si voltò di scatto.
– Mayu, ma che dici?
Lei non diede segno di averla neanche sentita. Lasciò ricadere l'ocarina sul petto e lo fissò.
– È perché ho infranto la promessa, vero? – le sue labbra tremarono – Quella di restare sulla Terra e vivere una vita normale come voleva mio padre, come volevi tu... non è così?
Tadashi le afferrò il braccio.
– Non dire sciocchezze, Mayu! Sono le conseguenze di quel transfer di memoria! Lo shock...
Mayu si liberò con uno strattone.
– Quel transfer l'ha subìto anche Zero – la sua voce s'incrinò – E allora perché lui non è così?
– Te l'ho già spiegato – il Dottore si grattò la nuca – Il Capitano Zero era cosciente quando s'è collegato a Oneiros. Sapeva che quello in cui si trovava non era il mondo reale, così come ora sa che una parte dei ricordi nella sua testa non sono suoi e che alcuni non sono nemmeno reali. E poi è rimasto in quella realtà alternativa solo per qualche ora, mentre il Capitano...
– Sa benissimo qual è la realtà – singhiozzò – Non ha riportato danni cerebrali e sono tre giorni che non facciamo altro che raccontargli cos'è successo in questi quattro anni!
Yuki si alzò.
– Ora basta, Mayu. Harlock ti vuole bene, te ne ha sempre voluto e te ne vorrà sempre. Come puoi dubitarne?
Un altro singhiozzo.
– È  vero? – due grosse lacrime le rigarono le guance – Mi vuoi bene lo stesso, Harlock? Anche se non ho mantenuto la promessa, anche se sono diventata un'assassina?
Tadashi trasalì come se lo avessero frustato, Yuki si mise le mani davanti alla bocca.
– Mayu!
Harlock aveva giurato di non mentirle mai.
Una volta non avrebbe esitato un attimo, ma ora... poteva davvero dire che aveva agito sempre e solo spinto dall'amore? Quella parte di lui, l'Harlock che disprezzava, gli diceva che il suo era un sentimento egoistico, in fondo.
Aveva bisogno di qualcuno che l'aspettasse, che credesse in lui, che dipendesse da lui. Aveva bisogno di un motivo per non lasciarsi alle spalle tutto quello in cui aveva creduto, tutto quello per cui aveva lottato con Tochiro ed Emeraldas, di una fiamma che rinfocolasse il fuoco della sua speranza perché, nonostante ciò che aveva promesso a Maya, il buio si faceva ogni giorno più fitto e gelido intorno a lui... e aveva cominciato a desiderarlo.
Poteva dire che era amore, quello?
Volevo che fosse felice o che dipendesse da me per sempre?
Distolse lo sguardo.
Lei si torse le mani.
– Lo sapevo... ma dovevo farlo... io...
Un altro singhiozzo nel silenzio più assoluto e il sibilo improvviso della porta.
– Mayu!
Yuki si alzò di scatto, afferrò la stampella e uscì a sua volta.
La sedia cadde a terra. Il Dottore agguantò la cassetta del pronto soccorso da sotto una pila di fogli e si fiondò alla porta.
Precedette Tadashi d'un soffio e gli sbarrò la strada.
– Resta qui, ragazzo! È meglio che sia io a correr dietro a quelle due!
La porta si richiuse e l'infermeria ripiombò nel silenzio.
Tadashi appoggiò un pugno contratto allo stipite della porta e la fronte sull'avambraccio ripiegato.
La lancetta dei minuti compì quasi un quarto di giro prima che tornasse a voltarsi verso di lui.
– Non è stata colpa sua, Capitano – la sua voce era roca, il suo sguardo quello d'un uomo molto più vecchio – Sono stato io a decidere d'insegnarle a combattere... e a portarla qui.
 S'avvicinò, tirò su la sedia e si sedette, le spalle incurvate, gli avambracci sulle ginocchia.
Gli rivolse un sorriso amaro.
– Ho cercato di diventare come te, credimi – aprì le mani e ne fissò i palmi – Ci ho provato con tutto me stesso, ma non ci sono riuscito.
Sospirò e chiuse i pugni.
C'era un segno sul dorso della sua mano destra, una striscia più chiara che andava da sotto la nocca dell'indice fin quasi al polso, una cicatrice da taglio.
– Purtroppo, il nostro è un mondo dove ancora si combatte – lo guardò dritto negli occhi – Non cerco scuse. Sapevo benissimo cosa desideravi per lei, ma non sono riuscito a cambiare il mondo e non ero in grado di proteggerla come facevi tu. Non lo sono ancora, se è per questo.
Si raddrizzò sulla sedia e i lembi della tuta si aprirono. Oltre i segni delle ferite recenti, sul suo addome c'erano quattro grosse cicatrici ormai sbiadite: tre nette e infossate lasciate da armi da taglio, una  rigonfia e irregolare, forse d'una pallottola, e un'altra circolare contornata da tessuto fibroso.
Un colpo di laser.
Harlock trasalì. Tadashi non si era ferito a quel modo combattendo contro le Mazoniane, ne era certo.
E allora come...
– Il nostro è un mondo dove ancora si combatte.
Già. E lui lo sapeva. Lo sapeva meglio di chiunque altro. Aveva vissuto sulla Terra alla fine della guerra con i Meccanoidi e ogni giorno un intrico di cicatrici gli ricordava quanto potessero arrivare in basso gli uomini che avevano perso tutto, ma li aveva lasciati lo stesso soli in mezzo a quella desolazione; un ragazzo di appena sedici anni e una ragazza di diciotto... affidando loro una bambina, oltretutto.
Aveva creduto d'agire per il loro bene e ci era voluto tutto il suo coraggio per decidersi a farlo davvero; mentre li osservava correre sulla scia dell'Arcadia, s'era ripetuto infinite volte che, se fossero rimasti con lui, non avrebbero mai potuto vivere appieno le loro vite e diventare forti e indipendenti: avrebbe finito per tenerli legati a sé per sempre... e non era giusto.
Ma forse volevo solo scappare... mollare le mie zavorre, smorzare un fuoco troppo caldo e luminoso prima di bruciarmi di nuovo.
Osservò il petto di Tadashi, il suo braccio, la sua spalla coperta dalla tuta.
Gli aveva inferto le stesse ferite che aveva subìto lui.
Forse sono arrivato a quel punto... quello di chi ha perso tutto ed è capace di tutto.
Tadashi gli afferrò la mano. La sua stretta era forte e decisa, diversa da quella incerta del ragazzo che aveva conosciuto.
– Capitano, ti prego. Mayu non ha colpe. Se proprio devi, prenditel...
La porta s'aprì. Harlock si voltò... e una miriade di lucine lo abbagliarono, un dolore intenso gli percorse prima la mascella, poi il fianco e la schiena.
Un rumore metallico gli intronò le orecchie e si ritrovò a guardare il soffitto come quando si era svegliato. Solo che adesso era a terra, con le gambe all'aria, il lenzuolo di traverso sul bacino e scatoline, bende e blister sparsi addosso.
– Ma cosa...?


Chiedo scusa per la lunga assenza e per le recensioni arretrate nelle varie FF.
Spero di riuscire a scrivere con più costanza d'ora in poi e di riportarmi in pari presto!
Buone Feste a tutti!

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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 47
*** Eroi e caduti ***


cap jidai Zero premette l'interruttore e i neon s'accesero in uno sfarfallio di luce bianca che gli ferì gli occhi.
Abbassò la visiera del cappello e strinse le palpebre. Da una delle capsule allineate contro la parete mancava la bandiera, che giaceva a terra in un garbuglio spiegazzato. S'avvicinò e guardò il volto dall'altra parte del vetro.
Markell.
Si chinò a raccogliere la bandiera, la rimise al suo posto e si portò la mano alla fronte nel saluto militare, il cuore oppresso.
Dovrei esserci abituato, ormai... vero, Capitano?
Come sempre più spesso gli accadeva, ripensò al suo predecessore: quattordici anni prima, proprio in quella stanza, gli aveva detto che a poco a poco la morte dei suoi sottoposti sarebbe diventata una compagna persino più abituale di loro e che avrebbe smesso di starci così male.
Ma Markell era così giovane, Fokker aveva due bambini ancora piccoli, Sniper era vicino alla fine della ferma e a racimolare la somma che gli avrebbe consentito di riscattare il suo corpo umano...
Proprio come i suoi commilitoni d'allora, ognuno dei venti uomini e delle sei donne che giacevano lì dentro aveva avuto una sua vita, una storia a cui lui, con le sue scelte e i suoi ordini, aveva scritto il più tragico e prematuro dei finali.
Dovresti smetterla di farti questo, Zero – nei suoi ricordi, il Vice-Comandante Hawkyns gli lanciò quello sguardo condiscendente che tanto odiava mentre gli porgeva per la prima volta cappello e giacca da Capitano – Ormai quel che è fatto è fatto. I morti non tornano.
Zero scoprì la seconda capsula.
Aveva il vetro oscurato e sulla targa c'era il nome del Tenenente Ichijo. Il suo stomaco si contrasse.
Come sempre, dei piloti abbattuti era stato rimasto ben poco... e nulla che si potesse mostrare a una famiglia già straziata dalla perdita.
Quel che è fatto è fatto.
Forse avrebbe davvero fatto meglio a smetterla: non sarebbe cambiato nulla né per i suoi uomini, né per le loro famiglie, né per lui.
Strinse il pugno.
No. Sono morti ai miei ordini. Il minimo che possa fare è guardarli in faccia un'ultima volta.
Salutò di nuovo, rimise a posto il drappo e passò alla terza capsula.
Le scoprì una alla volta e si prese tutto il tempo per dare l'ultimo saluto ai suoi compagni, per ricordare i loro volti, per convincersi una volta per tutte che non li avrebbe mai più incrociati nei corridoi, in palestra o in mensa, che non li avrebbe mai più strigliati né lodati, che non avrebbe mai più sentito le loro voci rispondergli “Sissignore”.
Ne è valsa la pena?
Ventisei dei suoi uomini, altri trentaquattro tra quelli di Yuki e Tadashi e un numero ancora imprecisato di caduti fra i nemici: meccanoidi, mercenari, quei poveri esseri che ormai non potevano più dirsi Shòu né potevano essere considerati umani... e poi Lia Zone, Hell Matia e Kurai.
S'avvicinò alla capsula del Professore, scostò il lenzuolo che la ricopriva e sentì in bocca il sapore della bile. Distolse lo sguardo.
Sciocco. Ha l'aspetto di Tochiro ma non è lui... Non potrebbe esistere nessuno di più diverso.
L'occhio gli cadde sulla foto macchiata di sangue che il Dottor Zero gli aveva trovato addosso e messo fra le dita e la sua sicurezza vacillò. Quella donna elegante e sorridente, quel giovanotto dall'aria sveglia, quel bambino con le ginocchia sbucciate e quella ragazzina scarmigliata con le guance rosse che assomigliava così tanto a Mayu...
Se Tochiro avesse perduto lei ed Emeraldas in quel bombardamento...
Infilò una mano nel colletto, strinse il medaglione fra le dita e chiuse gli occhi.
E se ci fossi stato io al suo posto... se avessi pensato che avrei potuto riprendermi la mia famiglia...
Accarezzare di nuovo i capelli di Sayuri e svegliarsi al suo fianco ogni mattina, tenere in braccio Seiryū, sentire la sua voce chiamarlo “papà” e vederlo crescere giorno dopo giorno...
Già. In un mondo dove le persone e i loro sentimenti sarebbero burattini di nessun conto, dominato da una nuova Promesium con le sue schiere di Herakles...
Rabbrividì.
No, ho fatto la scelta giusta.
Lasciò andare il medaglione e tornò sui suoi passi.
Premette il pulsante d'apertura della porta e si voltò indietro un'ultima volta.
Il vostro sacrificio non sarà vano, ve lo prometto.
– Non mi arrenderò mai. Tochiro, Emeraldas, ve lo prometto.
Barcollò.
Un altro di quei lampi, di quei ricordi non suoi.
Quella disperazione totale, annichilente, e la determinazione rabbiosa a ribellarsi al destino, al Governo, a tutto, pur d'avverare un sogno di libertà e d'un meraviglioso futuro per la bambina che stringeva fra le braccia...
Harlock.
S'incamminò lungo il corridoio a capo chino, le mani affondate nelle tasche.
Quella determinazione sembrava ormai spenta in lui, assieme alla rabbia, alla speranza, a tutto il resto. Erano passati tre giorni dall'irruzione e non aveva ancora detto una parola né s'era alzato dal letto.
– Lo shock potrebbe farlo impazzire: potrebbe non essere più in grado di distinguere sogno e realtà, ridursi a un vegetale per il resto dei suoi giorni o addirittura avere un infarto e morire sul colpo...
Zero infilò una mano sotto la giacca. Un arresto cardiaco l'avevano avuto entrambi; quanto alla confusione tra sogno e realtà, quei continui, incontrollati lampi di memoria e i residui della forte sintonia tra le loro menti, ogni tanto, lo confondevano fino a fargli dimenticare chi fosse.
Il Dottor Machine gli aveva assicurato che pian piano il suo cervello avrebbe isolato e cancellato i ricordi non suoi e che le personalità di Harlock e del suo Herakles avrebbero smesso di sovrapporsi alla sua.
Zero sperava che succedesse in fretta e non solo per i problemi d'ordine pratico che quella situazione avrebbe potuto causare: venire a sapere tutto di Harlock così, di colpo e nella maniera più totale, vivere la sua vita, provare i suoi sentimenti, scoprire l'uomo dietro l'eroe con tutte le sue fragilità e contraddizioni lo aveva turbato... e anche un po' deluso.
Non è giusto. Non ne ho alcun diritto.

Harlock non era un eroe e non aveva mai desiderato diventarlo.
Era stato lui a idealizzarlo, a metterlo su un piedistallo sempre più alto perché aveva bisogno di qualcosa in cui sperare e ad allontanarsi sempre più dall'uomo reale, dall'amico che avrebbe potuto avere se solo calpestare la bandiera che aveva giurato di proteggere non fosse stato del tutto contrario ai suoi princìpi.
Non era stato solo in quell'errore: Yuki, Tadashi, Mime e persino Mayu... per tutti loro, Harlock era un eroe, un essere sovrumano incapace di sbagliare, disperarsi o provare rabbia, odio o invidia.
E per mantenere vivi i fuochi delle nostre speranze, hai cercato di diventare quell'eroe...
Zero strinse i pugni.
Stupido Harlock.
Li sentì sulle spalle come quando le loro menti erano entrate in contatto: quattordici anni passati a combattere nemici reali e demoni interiori nella solitudine più assoluta, a lottare per non far spegnere il fuoco d'una speranza sempre più flebile, a tentare di farlo risplendere come un faro nell'oscurità gelida che gli entrava dentro ogni giorno di più.
Aveva avuto bisogno d'un amico quando Tochiro ed Emeraldas erano scomparsi per sempre fra le stelle e durante il suo lungo esilio nel cosmo, mentre combatteva la sua guerra senza speranza con le Mazoniane e quando i suoi fratelli terrestri lo avevano rinnegato per l'ennesima volta; aveva avuto bisogno d'un amico mentre le deboli fiammelle che aveva raccolto e protetto si trasformavano in grandi fuochi che non avevano più bisogno della sua luce e del suo calore per ardere e risplendere.
Avrei dovuto capire. Fare qualcosa.
Tirò fuori le mani dalle tasche, si tolse il cappello e lo rigirò fra le dita.
Tutte le buone ragioni che lo avevano spinto a non incrociare più il suo sentiero con quello di Harlock ora gli sembravano sciocchezze: il suo dovere di soldato, la distanza, l'onore, persino il non sapere della morte di Tochiro ed Emeraldas.
Ho solo cercato delle scuse? Avevo paura che il mio eroe fosse cambiato?
Torse il tessuto fra le dita. Conosceva più di chiunque altro il gelo e l'oscurità che erano entrati nel cuore e nella mente di Harlock; sapeva com'era sentirsi inutile e vuoto, senza futuro e arrivare al punto di desiderarla, addirittura di cercarla. Era un qualcosa che aveva superato, ormai, e poteva persino parlarne con un sorriso, ma vederlo in Harlock, nel suo eroe...
– Torna subito in infermeria, deficiente, hai capito?!
Zero sobbalzò e per poco il cappello non gli sfuggì di mano.
Aggrappata agli stipiti della porta della sala riunioni, Sylviana fronteggiava Ishikura.
– Piantala di darmi ordini e levati da lì, o giuro che ti chiudo in mezzo col comando manuale!
Sylviana non si mosse. Alzò un sopracciglio e sogghignò.
– Ma ti sei visto? Non riesci nemmeno ad abbottonarti la giacca! Avanti, Shizuo, ragiona!
Ishikura sbuffò.
Signor Ishikura, prego – afferrò un bottone con la mano sinistra – E certo che ci riesco, sta'a vedere!
Tirò il bottone vicino all'asola, ma il filo cedette e il piccolo dischetto argentato gli rimase in mano. Sylviana roteò gli occhi.
– Con quel tutore che ti blocca la spalla sinstra e la destra bendata a quel modo non ce la farai mai.
Ishikura non le badò. Piegò il collo e il braccio sinistro in modo da tenere teso il bavero, ma così gli era impossibile raggiungere i bottoni con la mano sana. Provò ad afferrarne uno con la destra. Gli sfuggì almeno una decina di volte, tutte sottolineate da fantasiose imprecazioni. Sylviana non fece una piega.
– Su, dammi retta e smettila, tanto non mi muovo.
Ishikura sollevò la testa, le sopracciglia aggrottate nella più tipica delle sue espressioni ostinate.
– Guarda che ti sposto con la forza!
Sylviana gli strizzò l'occhio.
– E come pensi di prendermi, tanto per sapere?
Ishikura la squadrò come se stesse valutando la cosa, arrossì e si rilassò.
– Va bene, m'arrendo – accennò alla giacca con la mano illesa – Potresti aiutarmi, per favore?
Sylviana gli sorrise e allungò una mano verso di lui.
– Bel tentativo, Shizuo – gli passò un dito sul petto da sotto in su e gli sbottonò il colletto con un'unica, rapida mossa – Ma non mi freghi. E poi a me piace spogliarti, lo sai.
Lui le afferrò la mano, il volto tendente al bordeaux.
– Piantala! Ti sembra il momento di...
– Piantala tu e va'a farti curare! Non costringermi ad andare dal tuo Capitano e...
– Ma bene! Anche i ricatti, adesso! E io che credevo...
– Ah, eccola qui, Vice-Comandante! – il Dottore arrivò di corsa dall'altro lato del corridoio – E c'è anche il Capitano, per fortuna.
– Cosa? – Ishikura si girò, lasciò la mano di Sylviana e, se possibile, diventò ancor più rosso – Da quanto tempo è lì, Signore?
Sylviana incrociò le braccia.
– Capiti a fagiolo, Grand'Uomo. Magari a te darà retta, 'sto testone.
Zero si schiarì la voce e guardò il Dottore.
– Qual è il problema?
– Il Vice-Comandante Ishikura insiste per tornare alle sue mansioni con effetto immediato, nonostante le ferite riportate in missione e senza sottoporsi al check-up di routine.
Ishikura sorrise.
– Sarebbe solo una perdita di tempo con tutto quel che c'è da fare. E poi sto benissimo.
– Sì, e io sono la Vergine Maria.
– Sylviana!
Il Dottore si schiarì la voce.
– Ha ragione lei. La ferita alla spalla sinistra è profonda, la mano destra fuori uso. Non può...
– Non è nulla di grave – Ishikura roteò il braccio con una certa fluidità, ma il suo sorriso era forzato – Non sento alcun dolore, davvero.
Il Dottore sollevò un sopracciglio.
– Crede per caso d'ingannarmi? Oltre a curarne diverse centinaia, sono stato un essere umano anch'io. La spalla le fa un male tremendo, lo so benissimo e si vede.
Sylviana rise.
– Vero? L'ho sempre detto che come attore fa schifo!
– Dottore, Capitano, vi ripeto...
Sylviana roteò gli occhi e gli piantò l'indice fra l'omero e la clavicola.
Ishikura si piegò in due e strozzò un grido. Quando si raddrizzò aveva le lacrime agli occhi e un'espressione temporalesca.
– Ma sei matta?!
Sylviana sbuffò, per nulla impressionata dal suo sguardo assassino. Si staccò dalla porta e gli sollevò un dito di fronte al naso.
– Primo: non osare mai più ignorarmi. Secondo: sei tu il matto a voler lavorare in queste condizioni – gli afferrò il braccio sano – Avanti, piantala di fare i capricci o t'addormento di nuovo!
Ishikura si liberò con uno strattone.
– Sono solo dei graffi, per la miseria! Siamo sotto organico, il Comandante Oki è sfinita e il Capitano ha subìto traumi ben peggiori dei miei, eppure...
Il Dottor Machine incrociò le braccia.
– Il Capitano s'è sottoposto a tutti gli esami di routine ed è sotto monitoraggio costante, al contrario di lei. Non vorrei arrivare a tanto, ma ho l'autorità per imporle un T.S.O, Vice-Comandante.
– Mi assumerò ogni responsabilità. Se le ferite dovessero peggiorare o...
– Sveglia, Everest, non è questo il punto! E piantala di girarci attorno, tanto verrà fuori tutto e lo sai!
Zero guardò Ishikura.
– Cos'è che dovrebbe venire fuori?
Ishikura distolse lo sguardo.
Aveva ragione quell'Ifikìs. Nasconde qualcosa.
– Cos'è successo a Megalopolis?
Ishikura trasalì. Non era bravo a mentire, soprattutto non a lui.
Zero lo aveva incrociato solo una volta da quando era tornato e già allora aveva avuto l'impressione che cercasse di evitare il confronto diretto. Ora ne era certo.
Si sistemò il cappello sulla fronte e si girò verso Sylviana.
 – Allora?
Lo scambio di sguardi fra lei e Ishikura durò quanto un battito di ciglia, ma non gli sfuggì.
Sylviana scrollò le spalle.
– Non sono io quella che deve farti rapporto, Grand'Uomo – gli lanciò un'occhiata impertinente e incrociò le braccia sul petto – Però sarebbe meglio obbligare il tuo Soldatino a farsi curare.
– Sylviana, sto bene, davvero!
Zero si mordicchiò il labbro. S'era aspettato una protesta più veemente, invece Ishikura sembrava addirittura sollevato.
Cos'è che non vuole che lei mi dica? E cosa spera d'ottenere saltando i test?
In casi normali non avrebbe insistito, ma le parole di Ifiklìs lo turbavano ancora... e Yuki era stata troppo impegnata con le riparazioni della sua nave, l'assistenza ai feriti, le operazioni di messa in sicurezza della zona e mille altre incombenze per dargli spiegazioni circa la storia della lista e il coinvolgimento di quei due nel Progetto Herakles.
Quanto a Tetsuro, avevano concordato il silenzio radio fino alla riunione.
– Signor Ishikura, come suo Capitano...
Ishikura s'irrigidì.
– Signore, con tutto il rispetto lo ripeto anche a lei: sto bene.
Zero si bloccò. Quelle parole, quel tono... era stato come risentire se stesso dopo la fine della guerra.
Sto bene.
Lo aveva ripetuto fino alla nausea a se stesso e agli altri mentre si buttava nel lavoro fino a non distinguere più fra esercitazioni ed emergenze reali, mentre puniva il suo corpo colpevole d'essere ancora vivo con il bruciore dell'alcool ed esercizi estenuanti, mentre abbracciava un cuscino umido in un letto vuoto e mentre allontanava uno a uno quei pochi amici che gli erano rimasti.
Sto bene.
Niente di più lontano dalla verità, solo un ennesimo, inutile tentativo di sfuggirle.
Deglutì.
– Mi guardi in faccia mentre le parlo, Signor Ishikura. Cos'è successo a Megalopolis?
Ishikura alzò la testa e il cuore di Zero mancò un battito: aveva la stessa sua espressione d'allora, quella di qualcuno con un disperato bisogno di qualcosa, qualunque cosa a cui aggrapparsi.
E se è così, allora...
– La prego, Capitano, voglio solo finire ciò che abbiamo iniziato.
– È la perizia psichiatrica quella che vuole evitare davvero. Teme che la sospendiamo dal servizio per disturbo acuto da stress. Sbaglio?
Ishikura spalancò gli occhi e un lieve tremito gli percorse la mascella.
– Come lo ha...? – fece un profondo respiro, sollevò la mano sinistra verso il colletto già allentato e la lasciò ricadere – E va bene, lo ammetto: sono coinvolto a livello emotivo ed è probabile che, se mi sottoponessi alla perizia, andrebbe a finire proprio così. Ma sono lucido, ve lo garantisco, e ho bisogno di andare fino in fondo. Dottore, Capitano, vi prego!
Il Dottore si accarezzò il mento.
– Quello che ci sta chiedendo è una grave infrazione al codice deontologico e militare, se ne rende conto, Vice-Comandante? Inoltre, se ha davvero subìto un trauma tale da...
– Quello che vi sto chiedendo è di fidarvi di me.
Zero ripensò alle parole di Ifiklìs e a quelle di Carson, ma quella che risuonava più nitida nella sua mente era la voce di quel ragazzo che si dichiarava pronto ad affidargli la sua vita in qualunque momento. E lo aveva fatto più d'una volta, in passato.
Al diavolo.
– D'accordo, Ishikura – Zero s'abbassò il cappello sugli occhi – Entrerà in servizio al termine della riunione, ma niente eccessi. E sia chiaro sin d'ora che voglio quella spalla sotto controllo. Salti un solo appuntamento col Dottore, si rifiuti di prendere una singola pillola e può considerarsi sospeso.
Ishikura sorrise e batté i tacchi.
– Sissignore!
– Ma, Capitano...
Zero sollevò una mano.
– Non si preoccupi, Dottore. Ne risponderò io – diede uno sguardo all'orologio – Credo sia il caso d'entrare. Mancano dieci minuti al collegamento con Megalopolis.
Sylviana gli afferrò il braccio.
– Non credo sia una buona idea, Grand'Uomo – mormorò – Shizuo è davvero a pezzi. Un po' lo capisco, ma se non si riprende come si deve...
– Mi fido di lui e ormai gli ho dato la mia parola – tagliò corto Zero – Ha avuto la sua occasione per fermarci entrambi, Signorina Sylviana. Se non l'ha fatto, vuol dire che non è poi tanto convinta delle sue ragioni.
Sylviana sporse il labbro inferiore, gonfiò le guance e lo lasciò andare.
– Uomini, tzé! – sollevò le mani in un gesto d'esasperazione – Militari, doppio tzé! Siete davvero il non plus ultra dell'ottusità! Ma sia ben chiaro che non voglio saperne niente se poi...
– Cos'hai da starnazzare, Sylviana? – Grenadier sbucò dal corridoio provvisorio che univa la Karyu all'Arcadia in compagnia di Yattaran e Marina – Mi sono perso qualcosa?
Sylviana indicò Ishikura.
– Solo l'ennesima idiozia di Shizuo e la degna risposta del suo maestro d'imbecillità! Ah, ma io...
Grenadier rise, le cinse il collo e indicò Ishikura col pollice.
– Com'è che da “Soldatino” è diventato “Shizuo”? Mi sono davvero perso qualcosa, allora!
Sylviana fletté il polso e nel suo palmo scintillò la lama di un pugnale.
– Perderai i tuoi gioielli se non mi togli di dosso quelle zampacce, Grenadier!
Zero si chiarì la voce e premette il pulsante d'apertura.
– Ordine, Signori – li squadrò accigliato – Vi ricordo che siamo ancora in missione.
Fece loro cenno d'entrare e sospirò di sollievo nel vedere Grenadier e Sylviana separarsi e prender posto alle due estremità opposte del tavolo. Aprì il collegamento e la voce di Breaker risuonò subito nella sala.
– Sala riunioni. Mi ricevete?
Zero si sedette e accese il microfono.
– La ricevo forte e chiaro, Signor Breaker. Se il collegamento è pronto, lo passi pure sullo schermo principale.
– Sissignore.
– Capitano Zero – dal monitor, Tetsuro Hoshino abbassò appena la falda del cappello e accennò un sorriso – Non sono mai stato così lieto di vedere qualcuno da questa postazione.
Zero ricambiò il saluto e si sedette.
– Lo stesso vale per me, Signor Hoshino. Ora che è tutto sotto controllo, immagino che possiamo fare il punto della sit...
Un piatto volò sopra la testa di Testsuro, gli strappò via il cappello e si schiantò contro il pannello di fianco a lui in una pioggia di schegge mentre un trambusto di urla e clangori metallici esplodeva da qualche parte oltre la visuale della telecamera.
Tetsuro si voltò, gemette e si passò una mano sulla faccia.
– Tutto sotto controllo, già – sospirò con fare rassegnato – D'accordo, d'accordo, Signora Masu! Venga qui e lasci andare il Dottor Ban!
La minuscola cuoca gli sbucò di fianco, le fide mannaie fra le mani.
– Era ora – si rimboccò le maniche macchiate di sugo e gli tirò un orecchio – Quanti altri piatti devo scassarti su quella testaccia dura prima che impari l'educazione, razza di screanzato eroe-dei-miei-stivali? Ah, ma ci penserò io a raddrizzare il tuo caratteraccio, com'è vero che mi chiamo Masu!
– Possiamo fare in fretta – 
Tetsuro si liberò, la fissò, deglutì e distolse lo sguardo – Per favore... Signora Masu?
Masu annuì compiaciuta.
– Ah, ma certo! Voglio solo accertarmi che la mia dolce Sylviana e quel caro ragazzo di Shizuo stiano bene. Ci siete, gioie? Avete mangiato i pranzetti che v'ho preparato per il viaggio?
Seduta sul bordo del tavolo, Sylviana sorrise e agitò la mano.
– Era tutto ottimo, Signora Masu! E sappia che voglio a tutti i costi la ricetta di quegli involtini!
Di fianco a lei, Ishikura assunse uno strano colorito verdognolo, tuttavia sorrise a sua volta.
– Sì. Grazie per il pensiero.
Il labbro di Masu tremò.
– Siete davvero dei bravi ragazzi – si tolse gli occhiali e s'asciugò una lacrima col grembiule – Proprio come... come...
Con gran stupore di Zero, la cuoca si buttò addosso a Tetsuro e si mise a singhiozzare.
– Su, non pianga, Signora Masu – Tetsuro le diede un colpetto sulla schiena – Lui non vorrebbe.
– Lo so – Masu tirò su col naso – E volevo anche tirarvi su di morale, poveri cari! Ma se ci penso...
Tetsuro annuì.
– A proposito, Signor Ishikura, voglio che sappia che sono davvero addolorato per la sua perdita. Ifiklìs... cioè, Minoru... era uno degli uomini più coraggiosi che abbia mai conosciuto. Se avessi anche solo immaginato che sarebbe andata a finire così...
Ishikura chiuse gli occhi.
– Grazie – sospirò – Ma non si senta in colpa, Signor Hoshino. Nemmeno se tutti noi avessimo saputo sin dall'inizio quali erano le sue intenzioni saremmo riusciti a fermarlo. Piuttosto, grazie per essersi occupato del suo...
Tetsuro lo zittì con un gesto.
– Non lo dica nemmeno per scherzo – s'incupì – E mi consideri pure uno sfacciato se vuole, ma è come se avessi perso un fratello anch'io.
Zero si voltò verso Ishikura, la gola secca e lo stomaco contratto.
– Fratello? – deglutì a vuoto – Ifiklìs?
Ishikura girò lo sguardo da lui ai suoi compagni.
– Scusatemi se non vi ho mai parlato di lui – congiunse le mani sul tavolo e abbassò il capo – Non ero in buoni rapporti con la mia famiglia quando m'imbarcai sulla Kagero e dopo... bé, sono successe alcune cose che m'hanno reso ancor meno fiero del nome che porto.
– Ishikura... – Marina si mise una mano davanti alla bocca – Ishikura! No, non è possibile...
– Invece sì. Era mio padre.
Grenadier spalancò gli occhi.
– Sei il figlio del Segretario Ishikura? E quell'Ifiklìs era... era...
– Mio fratello maggiore Minoru – Ishikura estrasse dal taschino una vecchia foto e la posò sullo scanner della sua postazione – Lui è quello a destra.
Accanto alla finestra del collegamento comparve l'immagine di tre ragazzi: uno era Ishikura, giovanissimo e con indosso la divisa dell'Accademia; un altro, quello indicato da lui e il solo in abiti civili, gli somigliava come una goccia d'acqua; il terzo...
Zero rimase senza fiato, il gelo di Beta di nuovo nelle ossa.
– Quello al centro!
Yattaran fece un salto sulla sedia È... È...
Tetsuro 
giunse le mani sulla plancia, tetro.
– Ifiklìs, il fratello di Herakles – sospirò – Avrei dovuto capire la sua identità già dal nostro primo incontro, quando mi fornì i dati del soldato da cui erano stati originati quei cloni.
– Vuoi dire che – la voce di Grenadier era ancor più roca del solito – Che anche il primo Herakles...
Ishikura osservò la foto sullo schermo.
– Quel pazzo di mio padre credeva che Kurai gli avrebbe restituito Takeshi – strinse la sinistra a pugno – Quando si rese conto di cosa succedeva davvero in quei laboratori era già troppo tardi, sia per lui che per Minoru.
Zero si torse le dita, angosciato.
– Che significa?
Ishikura ricominciò ad armeggiare con i bottoni. Senza una parola, Sylviana gli si avvicinò, tirò fuori dalla tasca interna della sua giacca un libretto azzurro con il simbolo della Flotta Unita sulla copertina e ne trasse un foglio piegato in quattro che sistemò sopra lo scanner.
Sullo schermo comparve una lunga lista di nomi ripartiti su due colonne.
– Quella è la famosa lista, Capitano – Tetsuro recuperò il suo cappello, gli diede una spolverata e se lo calcò sulla testa – Immagino che quei nomi le siano familiari, ormai.
– Quelli in cima sono gli assistenti di Kurai – Yattaran si sistemò gli occhiali – Più sotto, c'è Mamoru Ishikura...
– Proprio così – Ishikura digrignò i denti – E il nome nella colonna di destra corrispondente è quello di mio fratello.
Grenadier si batté una mano sulla fronte.
 – Merda – si guardò attorno – Non ditemi che è quel che penso!
Tetsuro si buttò all'indietro sullo schienale e fece un profondo respiro.
– Era la cosiddetta “assicurazione” di Kurai, Arngeir e Odhrán. Minoru ha scritto una deposizione molto chiara in merito, ma ho chiesto lo stesso a Tadashi e al Dottor Ban d'indagare su quei nomi. Quelli a sinistra sono di persone coinvolte a vario titolo nel primo progetto Herakles: risultano tutte decedute, in gran parte suicide. Quelli a destra sono loro familiari o persone a cui erano legati.
Zero si sentì gelare fino al midollo.
Possibile che...
– Che ne è stato di loro?
Tetsuro si morsicò il labbro. Un sottile rivolo di sangue gli colò sul mento.
Il Dottor Ban gli porse un fazzoletto e scosse il capo.
– Tutti morti – sospirò – Alcuni di propria mano, altri per cause dichiarate naturali o archiviate come incidenti, sei addirittura abbattuti dalle forze dell'ordine. Nei casi in cui ci sono stati testimoni, tutti hanno parlato d'improvvise manifestazioni di violenza e autolesionismo.
Marina impallidì.
– Erano stati impiantati?
Accanto a Tetsuro, Tadashi annuì.
– Non abbiamo prove materiali a parte le dichiarazioni di If... di Minoru, ma è molto probabile. Mi ero sempre chiesto perché nessuno avesse tradito Kurai prima e soprattutto perché Ishikura e i suoi assistenti avessero continuato a coprirlo anche in tribunale, arrivando ad assumersi tutte le colpe e addirittura a uccidersi... Bé, se avessi avuto anch'io un figlio con una bomba impossibile da rimuovere e disinnescare piantata nel cervello, credo che avrei fatto proprio come loro.
La bocca di Sylviana assunse una piega amara.
– A cose ultimate avrebbero fatto sparire le “prove” lo stesso, fidatevi. So come ragiona certa gente.
Grenadier batté il pugno sul tavolo.
– Bastardi!
– Puoi dirlo forte, giovanotto – Masu sollevò la faccia rossa di pianto dal grembo di Tetsuro e agitò le mannaie – Ah, quanto vorrei prendere quella faccia da schiaffi di Thorn e sfilettarlo come un merluzzo! Peccato che nemmeno quel corvaccio di Tori si mangerebbe una carogna così putrida!
Tetsuro le fece abbassare le lame.
– Pazienti, Signora Masu – strinse le labbra – Avrà quel che merita, ma in un tribunale e dopo un regolare processo, come avrebbe voluto Minoru.
– Ishikura – Marina gli afferrò la mano – Quindi anche tuo fratello...
Lui annuì.
– Lo avevano lasciato in vita solo perché gli serviva. Quando scoprirono che l'informatore di Tetsuro al Ministero era lui, decisero di servirsene per sorvegliarlo e colpirlo non appena se ne fosse presentata l'occasione. Avevano in pugno la sua vita e, nel caso avesse pensato di creare problemi, sapevano dove trovare me.
Zero represse un conato e la simpatia che aveva provato per Kurai solo qualche minuto prima si dileguò. Che avesse avallato o meno quei metodi, nulla, nemmeno l'amore più puro per i propri cari scomparsi e l'umanità intera, poteva giustificare tanta crudeltà, cinismo e spietatezza.
 – Non capisco una cosa, però – Grenadier si grattò il mento – Come faceva il Capitano Kei a sapere di quella lista se tutti a parte Ifiklìs ne ignoravamo persino l'esistenza?
–  Un malinteso – Sylviana si risedette sul bordo del tavolo e accavallò le gambe – La nostra Biondina non era convinta che il mio entusiasmo per la missione fosse genuino e disinteressato come volevo darvi a bere, quindi ho dovuto raccontarle tutta la lunga, toccante, rocambolesca storia della mia vita. Per farla breve, la lista a cui si riferiva lei era un'altra e contiene i nomi d'un centinaio di bambini scomparsi o ufficialmente mai esistiti, dieci dei quali diventarono i Rosa Rossa. Speravo che, se Arngeir era chi credevo io, avrei avuto l'occasione di metterci le mani sopra e regolare un vecchio conto in sospeso. Bé, lei mi offrì tutto questo come bonus oltre al mio compenso se avessi finto di tradirvi per poi attirarlo in una trappola, più tutto ciò che avrebbe potuto fare per ritrovare almeno i resti dei miei compagni. Devo ammettere che sa come convincere la gente... e anche come infinocchiarla per benino.
Grenadier fischiò.
– Ricordatemi di non farmela mai nemica!
– A proposito – Yattaran si guardò attorno – Ma dov'è?
Zero guardò l'orologio. Quasi mezz'ora di ritardo.
E mancano anche Tadashi e il Dottor Zero.
– Vado a cercarla.
Si alzò e s'avviò verso la porta prima che qualcuno potesse protestare o offrirsi d'andare al suo posto. Aveva bisogno d'una boccata d'aria e magari anche di un goccio... e al diavolo il suo ruolo e il regolamento di bordo, una volta tanto.
Era stanco, nauseato e arrabbiato. Con Kurai, con Arngeir e quell'Odhrán, certo, ma anche con Harlock e Ishikura perché non si erano confidati con lui prima di tutti quei guai e con se stesso per la sua cecità.
Che razza d'amicizia è la nostra? Nasconderci le cose, soffrire in silenzio e far finta di nulla...
Sferrò un colpo alla parete, chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie.
Calma. Tu ti saresti comportato proprio come loro.
Fece un profondo respiro.
Devo chiedere al Dottore qualcosa per dormire. Sono così stanco che sragiono...
Un colpo al fianco lo sbilanciò e la ferita gli mandò una fitta fortissima lungo tutta la coscia. Gemette, aprì gli occhi e si trovò davanti Mayu, affannata e in lacrime.
– Ma cosa...
– Mi... mi – singhiozzò – Mi dispiace! Non volevo...
– Mayu!
La voce preoccupata di Yuki e il suono irregolare dei suoi passi echeggiarono dal ponte provvisorio che univa la Karyu all'Arcadia. Mayu si voltò e si scostò, ma Zero le afferrò il braccio prima che potesse ricominciare a correre.
– Cos'è successo?
Lei scosse il capo e tirò su col naso. Yuki s'affacciò nel corridoio.
Era pallida e sudat, e le labbra piegate in una smorfia di dolore. Vacillava e sulla coscia della sua tuta spaziale spiccava una grossa macchia di sangue. Mayu rimase immobile e Zero le fece cenno di rallentare, ma lei aumentò ancor di più l'andatura e li raggiunse.
– Mayu...
Allungò una mano per accarezzarle i capelli ma lei nascose il viso contro il petto di Zero.
– Mi dispiace – singhiozzò – Scusa, Yuki! E dire che lo sapevo... lo sapevo!
Yuki ritrasse la mano.
– Mayu – la sua voce tremò – Non lo pensa sul serio. È lo shock...
Mayu non rispose, ma le sue spalle sussultarono ancora più forte. Afferrò il bavero della giacca di Zero e gli affondò il viso nella maglia. Zero guardò Yuki.
Il calore e la sensazione di bagnato attraverso la stoffa unite allo sguardo affranto di quella giovane donna di solito tanto composta ed energica gli scombussolarono lo stomaco.
– Cos'è successo? – passò una mano fra i capelli di Mayu, il cuore pesante – Harlock...?
Yuki sospirò.
–  È stazionario. Però...
Mayu strinse ancor più forte il bavero della sua giacca.
– Sono un'assassina – singhiozzò – Sono un'assassina e adesso mi disprezza! Lo sapevo che sarebbe successo, lo sapevo! Credevo di poterlo sopportare... che mi sarebbe bastato saperlo in salvo... e invece... invece...
Lo stomaco di Zero si contrasse ancor di più. Dalle sue reazioni fuori e dentro la base di Futuria e da com'era rimasta calma anche dopo che tutto era finito, aveva dedotto che per Mayu combattere non fosse un'esperienza nuova; d'altronde era la figlia di Emeraldas ed era stata cresciuta da gente del calibro di Harlock, Yuki e Tadashi...
Che stupido!
– Mi dispiace – la strinse a sé – So cosa si prova e so che non passa mai del tutto. Non avrei dovuto portarti là fuori.
Yuki scosse il capo e gli posò una mano sulla spalla.
– Non sei stato tu a sbagliare, Zero – prese fra due dita il mento di Mayu e la fece voltare verso di sé – E nemmeno tu, piccola.
Le asciugò le lacrime con i pollici e deglutì.
– Sai, anche io e Tadashi avevamo fatto una promessa ad Harlock – sfiorò la pistola al fianco di Mayu – E cioè che t'avremmo dato questa solo quando avessimo costruito un mondo in cui non ci sarebbe più stato bisogno d'usarla. Ma poi lui è scomparso e noi... abbiamo avuto paura. Non eravamo forti come lui, non sapevamo se saremmo sempre riusciti a restarti accanto e proteggerti e così...
Il suo labbro tremò.
– Siamo stati noi a insegnarti a uccidere e a portarti qui – si sfregò gli occhi col dorso della mano – Se c'è qualcuno che deve chiedere il perdono di Harlock e il tuo, quelli...
Zero staccò da sé Mayu e sferrò un altro colpo alla parete.
No, questo no.
Era la goccia che faceva traboccare il vaso, un vaso già incrinato e troppo pieno d'angoscia, sensi di colpa e rabbia repressa.
Adesso basta. Abbiamo già sofferto abbastanza, tutti quanti.
– Chiedergli perdono? – afferrò la mano di Mayu e la spinse fra le braccia di Yuki – Chiedergli perdono?! Quanti anni avevate tu e Tadashi quand'è sparito? Sedici, diciassette? Eravate due bambini anche voi e quell'idiota pretendeva che proteggeste Mayu senza insegnarle a combattere? C'era un mondo in rovina attorno a voi, sapeva benissimo a cosa sareste andati incontro e se n'è andato lo stesso chissà dove, scaricandovi il suo sogno, per giunta! Avete fatto tutto quel che avete potuto per avverarlo, vi siete coperti di ferite per lui e ora dovreste chiedergli perdono? No, Yuki: è lui che deve farlo, casomai!
Yuki lo guardò a bocca aperta.
– E tu – si inginocchiò accanto a Mayu e le sfiorò la guancia – Hai avuto un coraggio da leone, hai capito? È vero, hai ucciso delle persone, ma pensa a cosa sarebbe stato il mondo in mano a Matia e ai suoi Herakles! Non hai salvato solo me e Harlock, in quel laboratorio: hai protetto il futuro di milioni di persone, proprio come avrebbero fatto i tuoi genitori.
Sarebbero fieri di te, ne sono certo... e se quell'imbecille di Harlock non lo capisce da solo, ci penserò io a fargli entrare un po' di sale in zucca!
Si alzò, porse a Yuki il suo fazzoletto e si diresse verso la passerella.
Le braccia, le spalle e persino le gambe gli tremavano.
Conosceva l'oscurità nel cuore Harlock, sapeva che non era un eroe e che se era arrivato a quel punto era anche colpa di tutti loro, però anche lui aveva sbagliato... e non poco.
E adesso è proprio ora che la capisca!
– Capitano – la voce di Ishikura echeggiò da qualche parte dietro di lui – Che succede? Dove va?
Qualcuno gli corse dietro e gli afferrò il braccio. Zero si divincolò.
Fammi un favore, Zero: quando saremo tornati indietro, gonfiami di botte, se dovessi ricaderci. Anzi, gonfiami di botte in ogni caso.
– A mantenere una promessa, Ishikura.
Si rimboccò le maniche e aumentò il passo. Non sentiva più la stanchezza, non sentiva più il dolore.
Tanto meglio.
La porta dell'infermeria era davanti a lui.

Non aspettò nemmeno che si fosse aperta del tutto.
Oltrepassò Tadashi, strinse i pugni e caricò tutto il peso sul destro.
Harlock si voltò verso di lui.
Zero mirò alla mascella e colpì più forte che poté.


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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 48
*** I pugni del mio miglior nemico - parte I ***


cap jidai Harlock si massaggiò la mascella e sollevò la testa.
Davanti a lui c'era Zero, le maniche arrotolate fino ai gomiti, i pugni serrati e le labbra tirate in un'espressione temporalesca.
– Alzati! – lo afferrò per il colletto – In piedi, Harlock!
Un brusco strattone verso l'alto e Harlock si ritrovò a guardarlo negli occhi.
Zero lo lasciò di colpo. Harlock barcollò.
Un lampo lo accecò, il collo gli scattò verso destra e verso sinistra.
La sua schiena urtò contro qualcosa.
Un'esplosione di vetri infranti, tintinnare di metalli e, di nuovo, l'impatto col pavimento.
Si tirò a sedere, sbatté la palpebra e mise a fuoco uno stivale, poi la gamba e la schiena di Tadashi.
– Zero – Tadashi allargò le braccia – Ma che dia...
– Non metterti in mezzo, ragazzo!
Zero lo afferrò per le spalle, lo fece ruotare su se stesso e gli mollò uno spintone che lo mandò a finire oltre la porta, dritto addosso a qualcuno che l'aveva aperta in quel momento e che rovinò a terra con uno strillo.
Due lunghe gambe calzate in un paio di sgargianti stivali rosa presero a scalciare in tutte le direzioni fra quelle di Tadashi e altre due fasciate nei calzoni scuri delle divise della Federazione
– Toglietevi di dosso, deficienti! Ho appena rifatto piega e manicure!
– Piantala, Sylviana! Così mi schiacci!
– Dillo al tontolone qua sopra, Everest... e leva le tue zampacce dal mio didietro!
– Cercavo solo di sorreggerti, ok? E ho la benda impigliata nella tua cavolo di zip: se tiro, qua si strappa tutto!
– Rovinami il vestito e sei morto – una mano armata di stiletto spuntò da sopra la spalla di Tadashi – E tu tira via la faccia da lì in mezzo, maniaco!
Tadashi si tirò su e si voltò indietro. Ishikura si sollevò sui gomiti.
Sulle loro facce, l'una puntata su Zero e l'altra su di lui, Harlock vide la stessa espressione allibita.
– Capitano!
– Ehi, non m'ignorate, brutti cafoni!
Dal corridoio, l'eco di altre voci e il trapestio di passi frettolosi.
Zero s'avvicinò allo stipite della porta.
– Quel che ho detto a Tadashi vale anche per voi, Signori – sferrò una gomitata al pulsante per la chiusura d'emergenza – Non mettetevi in mezzo o ve la vedrete con me.
L'allarme silenzioso lampeggiò e la porta si richiuse sullo sguardo smarrito di Tadashi e Ishikura e su quello furibondo di Sylviana che agitava la mano armata di stiletto. La serratura scattò.
– Ti sembra il modo di trattare una signora, razza di zoticone?! Aspetta d'uscire da lì e ti riduco a un puntaspilli!
Il rumore di passi s'intensificò e cessò di colpo. Il volto di Mayu apparve nello spioncino.
– Zero! – batté il pugno contro il vetro – Apri, ti prego! Non...
La pesante saracinesca a tenuta stagna piombò a terra con un tonfo.
Spento il rimbombo, solo il flebile ronzio degli aspiratori e del computer.
Zero si voltò, le labbra piegate in una smorfia di disgusto.
– Sei ancora lì per terra, Harlock?
Corrugò la fronte e serrò di nuovo i pugni.
Tre pesanti passi e gli fu di nuovo sopra.
Un brusco strattone verso l'alto, una spinta e l'impatto contro la parete.
Harlock si sentì rimbalzare verso Zero e lo vide portare il destro all'altezza dell'orecchio.
Rosso. Un lampo abbagliante, un sibilo acuto nei timpani e si trovò di nuovo a fissare il soffitto. Si sollevò sui gomiti e si massaggiò il collo.
– Zero...
Zero calciò via un tavolino rovesciato e lo afferrò di nuovo.
– Ah, adesso parli, eh? – corrugò la fronte – Peccato che io non abbia nessuna voglia d'ascoltarti!
Lo tirò in piedi un'altra volta, lo spintonò, si piegò sulle ginocchia e gli sferrò un montante* all'altezza del fegato.
Harlock indietreggiò ma il colpo lo raggiunse lo stesso.
Lo stomaco gli si contrasse e un  fiotto acido gli risalì su per la gola. Si piegò in due, il fiato corto e la vista appannata.  Crepitii di cocci. Un'ombra scura. Sollevò la testa e arretrò. Qualcosa gli rotolò sotto il piede d'appoggio e gli fece perdere l'equilibrio.
Il gancio* di Zero lo mancò d'un soffio.
Harlock ruzzolò di lato, si rimise in piedi e schivò.
Il destro di Zero gli sibilò a pochi centimetri dalla faccia, il sinistro lo colpì sotto il diaframma.
La testa gli scattò a sinistra, a destra e di nuovo a sinistra, mille lucciole gli balenarono davanti agli occhi. Un altro colpo al ventre. Ansimò e annaspò alla ricerca d'un appiglio.
– Zero – boccheggiò – Bas...
Un cazzotto sotto il mento lo spedì al tappeto col sapore del sangue sulla lingua, il collo dolorante e la testa che pulsava.
– In piedi!
– Zero, calmati e spie...
Zero l'afferrò un'altra volta per il colletto.
– Calmarmi? – snudò i denti – Solo dopo che t'avrò sfondato di pugni, brutto bastardo egoista!
– Co...
Zero lo spinse via e gli sferrò un diretto al volto.
– Hai capito bene – ringhiò – Un pugno per ogni ferita di Tadashi – un destro – Uno per ogni notte insonne di Yuki – un sinistro – Uno per ogni lacrima di Mayu e uno per ogni istante che Tochiro ha passato a soffrire chiuso in quella scatola di metallo per il tuo egoismo, maledetto idiota!
– Ze...
Una grandinata di colpi gli investì  faccia e busto. Harlock incassò la testa fra le spalle, sollevò gli avambracci e contrasse i muscoli del collo e dell'addome, ma anche così era come esser preso a bastonate.
Devo togliermi di qua!
S'abbassò, fintò verso sinistra  e si gettò a destra.
Un fuoco d'artificio rosso gli esplose nella testa, poi il buio e un dolore pulsante alla base del collo, in fondo all'occhio sano e dentro la nuca. Le gambe gli cedettero ma non toccò terra.
Sbatté la palpebra e mise a fuoco le nocche spellate di Zero attorno al suo avambraccio.
– Cosa credi – la sua voce arrochita gli rimbombò nella testa come dopo una sbornia colossale – D'essere il solo che abbia mai perduto qualcuno e lottato per una causa senza speranza? Ti credi speciale? Un grande eroe tragico?
Zero lo strattonò verso di sé e gli assestò un pugno alla bocca dello stomaco.
Harlock gli s'accasciò sulla spalla, scosso dai conati. Zero lo spintonò.
– No, mio caro, proprio per niente – caricò di nuovo il destro –  Sei solo un vigliacco!
Harlock strinse i denti e sollevò la sinistra. Il pugno di Zero s'abbatté sul suo palmo e lui serrò le dita.
– E cosa dovrei fare, secondo te? – lo guardò negli occhi – Far finta di nulla e tornare a recitare la parte dell'eroe senza macchia e senza paura?
Zero s'accigliò e fece forza col polso. Harlock glielo torse.
– No, Zero. Trovati qualcun altro da mettere sul piedistallo.
Zero gli sferrò un montante al corpo col braccio libero. Harlock schivò ma il movimento lo costrinse ad allentare la presa. Zero liberò il destro e glielo scaricò sulla mascella. Le ossa del collo di Harlock scricchiolarono, le gambe gli cedettero di nuovo. S'aggrappò alla libreria del Dottore e sollevò la testa.
– Non ci provare, Harlock – Zero strappò via la fasciatura ormai disfatta che gli avvolgeva la destra – Ti piaccia o no, hai delle responsabilità ed è ora che te le assuma!
Nella mente di Harlock, delle immagini che non facevano parte dei suoi ricordi: Yuki al timone col suo mantello sulle spalle, Tadashi appoggiato allo stipite d'una porta con la mano stretta al petto, Mayu con in pugno la sua Dragoon nell'abitacolo d'un Bullet e un bicchiere di Barbour ghiacciato davanti a una sedia vuota.
Percepì il pugno di Zero appena in tempo per scansarlo.
– Hai abbandonato quei ragazzi – Zero gli sferrò un diretto – Il tuo pianeta, il tuo sogno – un gancio – Persino il tuo migliore amico!
Un montante*. Harlock s'incurvò all'indietro e piegò la testa di lato.
– Piantala, Zero!
Lui gli sferrò un sinistro al volto.
– Ti sei fatto catturare come un idiota – un gancio – Hai lasciato che t'imprigionassero nella tua stessa mente e adesso, dopo che abbiamo attraversato mezzo cosmo e rischiato la pelle per strapparti a quei folli, che fai? Te ne stai rannicchiato qui a piangerti addosso e a scaricare le tue frustrazioni su tre ragazzi che hanno il solo torto d'amarti! – un altro gancio – Piantarla? Ho appena cominciato!
Gli arrivò di nuovo sotto. Harlock arretrò.
– Non...
– Sapevi meglio di chiunque altro quanto sarebbe stata dura sulla Terra dopo l'invasione delle Mazoniane – un gancio – E te ne sei fregato!
Harlock s'abbassò e girò attorno a Zero.
Zero ruotò su se stesso e mirò al suo bacino.
– Erano dei bambini, maledizione – lo incalzò – E tu non solo li hai abbandonati in un mondo in rovina, hai anche scaricato su di loro il tuo sogno di cambiarlo!
Harlock schivò un'altra volta e frappose fra loro la poltrona del Dottore.
Zero la scaraventò via.
Harlock sollevò gli avambracci e strinse i denti all'impatto del pugno di Zero tra radio e ulna.
– E cosa avrei dovuto fare? – abbassò appena la guardia e lo fissò al di sopra dei pugni – Portarli con me? Sai benissimo che tipo di viaggio era quello!
Zero aggrottò le sopracciglia.
– Sì, lo so – gli sferrò un pugno che gli attraversò la guardia – E più ci penso, più mi vien voglia di cambiarti i connotati!
Harlock schivò a destra e arretrò. Zero gli sferrò un altro gancio.
Harlock lo deviò con l'avambraccio.
– Sia come sia, indietro non si torna. Cosa speri d'ottenere con questa sceneggiata, Zero?
Per tutta risposta, lui gli sferrò un diretto al volto. Harlock fece un passo indietro.
Nella sua mente, un quartiere sventrato dalle bombe e una mano tesa.
Fammi un favore, Zero: quando saremo tornati indietro, gonfiami di botte, se dovessi ricaderci. Anzi, gonfiami di botte in ogni caso.
– È per quella promessa? – Harlock ansimò – Ma è assurdo, Zero! Era tutto falso... e il ragazzo a cui l'hai fatta non esiste più!
Zero digrignò i denti.
– Smettila di scappare, vigliacco!
Fintò col destro e mirò al suo stomaco col sinistro.
Harlock contrasse gli addominali e si protesse con gli avambracci, ma il pugno gli perforò la guardia.
Si piegò in due e vomitò un liquido amaro e giallastro.
Se mi buttassi giù, forse la smetterebbe.
Alzò il capo. Zero aveva abbassato la guardia quel tanto che sarebbe bastato...
Un colpo alla gola, sul pomo d'Adamo, e la smetterebbe per sempre.
E se non fosse bastato, c'era il bisturi del Dottore là a terra, mentre annaspava in cerca d'aria. Scrollò la testa.
Davvero lo voglio uccidere?
Rivide la sua tempia nel mirino della pistola in quel laboratorio. Si morsicò il labbro.
Un lampo. Nero. Tintinnare di cocci. E stavolta, sotto il suo naso, il pavimento.
Zero lo afferrò per il collo della maglietta e lo tirò in piedi, così forte che la stoffa si lacerò.
Harlock gli passò sotto il braccio glielo schiaffeggiò via.
– Smettila, Zero, altrimenti finirò per...
Zero girò sulle punte, gli si riportò sotto, fintò e gli sferrò un altro gancio.
Harlock indietreggiò, schivò il suo colpo e gli afferrò il gomito.
– Ora basta – lo agguantò per la spalla con la sinistra – Vattene dalla mia nave!
Lo tirò per la spalla e il gomito, lo fece ruotare su se stesso e lo spintonò.
Zero incespicò e si voltò.
– La tua nave? – le sue labbra si schiusero in un sorriso truce – La tua nave? Col cavolo! Tochiro non l'ha certo costruita per un vigliacco senza palle come te! Anzi, sai che ti dico?
Penetrò nella sua guardia e gli tirò un diretto. Harlock gli andò incontro e scartò di lato. Zero gli si riportò sotto.
– Se potesse, ti riempirebbe di pugni anche più di me – un gancio, da sinistra – E scommetto che Emeraldas e perfino la tua dolce Maya gli darebbero volentieri una mano, se vedessero che razza di rammollito sei diventato!
– Non osare mettere in mezzo loro!
– Altrimenti? – Zero fintò – Non mi parlerai più? – un sinistro –  Smetterai di mangiare? – un gancio – Ti piangerai addosso fino alla morte? – un diretto – Piuttosto t'ammazzo io!
Una botta alle nocche, una sensazione inconfondibile sotto le dita, al polso e lungo tutto il braccio.
Harlock guardò Zero e trattenne il fiato. Lo aveva centrato alla mascella.


* DIRETTO è il colpo che si porta con il braccio arretrato nella posizione di guardia. Permette di portare un buon colpo senza esporsi troppo.
MONTANTE è il colpo portato dall'alto verso il basso. Ottimo per eludere la guardia dell'avversario, se portato nella maniera corretta è da ko.
GANCIO è il colpo che si porta partendo da una posizione laterale al di fuori della guardia. Implica una parziale rotazione nella parte superiore del corpo. Probabilmente è il più prevedibile e ti costringe a esporti al tuo avversario, ma se inflitto nella maniera corretta è da ko.



Argh! Sono letteralmente anni che non aggiorno (ma giuro che 'sta fic la finisco). Chiedo scusa e ringrazio chi avrà ancora la pazienza di seguirla!

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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 49
*** I pugni del mio miglior nemico - parte II ***


cap jidai Harlock deglutì. Aveva lo stomaco in subbuglio, ma non per i colpi ricevuti; gli doleva ogni singolo muscolo, ma non quanto avrebbe dovuto.
Ritirò la mano. Tremava, ma non era paura né rimorso.
C'era rabbia in lui, quell'istinto omicida che tanto temeva e disprezzava, ma anche qualcosa che non sentiva da tempo, qualcosa che aveva creduto morto il giorno in cui aveva fatto sbarcare il suo equipaggio ed era partito per terminare il suo lungo viaggio.
Zero indietreggiò, scrollò la testa e si massaggiò la guancia.
– Tutto qui? – si sfregò il mento e richiuse i pugni – Una zanzara m'avrebbe fatto più male.
Si piegò sulle ginocchia e scattò in avanti.
Harlock evitò il suo gancio, gli sferrò un diretto al corpo e uno al volto, schivò il suo montante, s'abbassò e ruotò busto e spalle. Colpì Zero al fianco. Zero aveva fatto in tempo a contrarre gli addominali e non aveva mosso un sopracciglio, ma il fremito sotto le sue dita rivelò ad Harlock che aveva accusato il colpo.
Zero indietreggiò. Harlock lo incalzò e lo colpì sotto il diaframma.
Zero barcollò all'indietro e andò a sbattere contro l'armadio dei medicinali. L'anta scricchiolò contro la sua schiena. Ansimava.
Harlock espirò.
Bene, forse ora si darà una calmata.
Aprì i pugni e ruotò i polsi. Aveva le nocche arrossate e gli avambracci intorpiditi.
Presto i muscoli avrebbero cominciato a dolergli, i lividi a scurirsi e la mascella a pulsare.
Per un paio di giorni il cibo avrebbe avuto sapore di sangue, avrebbe vomitato i primi due o tre pasti e avuto un mal di testa costante e dolori dappertutto, per non parlare dell'ematuria... eppure c'era una parte di lui che voleva continuare a fare a botte finché non gli si fossero staccate le braccia. E sputare sangue e sentirmi vivo.
Forse Zero aveva ragione: da qualche parte, il ragazzo d'un tempo era ancora vivo dentro di lui.
Ma in me c'è anche un mostro.
Un lampo lo accecò, il naso gli si tappò, la testa gli esplose.
Vacillò, il suo fianco urtò una superficie dura e appuntita, il suo braccio destro s'impigliò in qualcosa e altri oggetti si schiantarono a terra. Sbatté la palpebra. Era piegato in due sulla scrivania del Dottore, col filo della sua vecchia lampada attorno all'avambraccio.
Alzò lo sguardo. Zero gli fece cenno di farsi sotto.
– Su, Harlock! Hai paura di farti male?
Harlock liberò il braccio e si puntellò sul ripiano.
Dal suo naso dolorante, una goccia di sangue colò sui fogli che ingombravano la scrivania, a pochi centimetri dall'affilata lama d'un tagliacarte.
La coprì col palmo e si voltò.
Zero mosse un passo avanti. Aveva abbassato la guardia.
– Allora? Se rivuoi la tua nave, fatti sotto e combatti!
Harlock aggrottò la fronte.
Il metallo era freddo sotto il suo palmo, la lama affilata contro il pollice, la gola di Zero ben esposta.
Zero mosse un passo in avanti e caricò il destro. La manica della sua giacca era lacera e macchiata di sangue fino al gomito. Un lampo e Harlock tornò su Heavy Meldar. Lungo i palmi e sulla punta delle dita, la sensazione della lama della sua Gravity Sabre che penetrava nelle carni di Zero, il desiderio di tagliare ancora più a fondo...
No. NO!
Grugnì, scrollò il capo e spazzò la superficie della scrivania. La lampada, i fogli e il tagliacarte volarono via. Zero gli era già sotto.
– Ebbene? Sei bravo solo a parole?
Harlock serrò i pugni, furioso.
– Ma chi ti credi di essere? – gli sferrò un diretto corto al volto – Fai tanto il superiore, ma anche tu sei scappato... anzi, continui a farlo da quattordici anni!
Zero schivò e gli tirò un diretto al ventre. Harlock si buttò alla sua destra.
Il pugno di Zero si schiantò contro il bordo della scrivania e lui mugolò di dolore.
Harlock lo colpì al fianco.
– Hai bisogno di quella stupida divisa per sentirti qualcuno – lo afferrò per una spalla e lo fece girare su se stesso – Di un eroe e una bandiera da seguire per non dover scegliere per te stesso – gli tirò un altro gancio – E dei tuoi compagni perché da solo non vali niente! Puoi dire che li ami quanto ti pare, la verità è che hai paura di rimanere solo!
Zero barcollò.
Harlock lo colpì sotto il diaframma. Tremava, aveva caldo, gli scoppiava il cuore e le tempie gli pulsavano, ma non riusciva a fermarsi, non voleva fermarsi.
– E la tua Marina? – colpì Zero al mento, da sotto in su – Identica a tua moglie, perfetta per alleggerirti la coscienza e illuderti che non sia morta perché non sei stato capace di proteggerla! – lo prese per il bavero e lo scrollò – Con che diritto mi fai la predica? Sei un vigliacco e un ipocrita proprio come me!
Un colpo devastante allo stomaco lo fece piegare in due.
– Può darsi – Zero si ripulì le labbra insanguinate –  Ma almeno non ho abbandonato i miei sogni e non m'aspetto che qualcun altro li realizzi per me, e senza sporcarsi le mani, per giunta!
Una spallata. Harlock sbatté contro il mobiletto dei ferri e incespicò.
– Ma soprattutto – Zero gli sferrò un diretto allo stomaco – Non ho mai cercato di sembrare un eroe per poi finire schiacciato dall'immagine di me che io stesso ho creato, stupido pirata psicopatico!
La guancia sinistra di Harlock s'incendiò, la testa gli scattò di lato e la vista gli si oscurò.
I suoni erano di nuovo ovattati, come se la sua scatola cranica fosse imbottita di cotone.
 Zero lo scrollò.
– Quei ragazzi avevano bisogno di te, non dell'ideale che volevi incarnare! Invece d'andartene a morire chissà dove rimpiangendo il passato, avresti potuto guardare avanti, realizzare il tuo sogno insieme a loro, far parte della loro vita... della mia vita! Siamo amici o no, dannazione?!
Harlock boccheggiò.
– Am...
Zero lo spintonò.
– Come hai osato anche solo pensare d'esser solo?! – un diretto. In piena faccia – Maledetto Imbecille!
– Ze...
– Di non aver più nulla da realizzare e proteggere, nessuno da cui tornare?!
Zero gli scaricò il sinistro sulla mascella e ricaricò il destro.
– Credevi che volessimo un eroe perfetto?
Invece del destro, gli arrivò un sinistro. Pesante come una mazza ferrata.
– Sei un idiota, Harlock!
Il destro lo centrò alla mascella. Harlock vacillò, scrollò il capo per schiarirsi la vista annebbiata.
Adesso basta.
Inspirò, s'abbassò, caricò tutto il peso sulle gambe, lo afferrò alla vita e gli si buttò addosso. Zero cadde di schiena. L'aria gli uscì dai polmoni con un sibilo roco e Harlock gli si mise a cavalcioni sul ventre.
– Ascol...
Zero inarcò la schiena e gli sferrò un diretto al viso.
Harlock chiuse l'occhio, serrò la mascella e strinse il pugno a martello.
Alla tempia!
Non lo colpì. Zero non colpì lui.
Harlock riaprì l'occhio. Il pugno di Zero era a un paio di centimetri dal suo naso.
Zero ansimò, lasciò ricadere la testa all'indietro e il braccio lungo il fianco e chiuse gli occhi.
Harlock gli crollò addosso, la gola e i polmoni ridotti a un deserto incandescente e un dolore pulsante dentro il cranio, lungo le spalle e al ventre. Le nocche, i polsi e gli avambracci, quelli non li sentiva nemmeno più.
Zero tossì.
– Che c'è? T'è tornato un po' di buonsenso?
Harlock soffocò un conato.
– Amici?
Zero grugnì.
– Dopo... – non sapeva neanche come definirlo – Questo?
Un altro grugnito.
Harlock ruotò la testa verso l'orecchio di Zero e gemette. Gli sembrava d'avere un pugnale conficcato alla base del cranio e i muscoli di gelatina, eppure si sentiva bene: leggero come non lo era stato da... quanto? Nemmeno lo ricordava.
– Ma chi ti vuole, dannato soldato isterico? – gracchiò.
Zero emise uno strano suono a metà tra un gracidio e un gemito.
– Levati, pirata da strapazzo – lo abbrancò alla spalla e lo spinse di lato – Pesi.
Harlock rotolò su se stesso, si sedette con la testa fra le ginocchia e chiuse la palpebra. Mille lucine gli danzavano intorno e la testa gli scoppiava.
Riaprì l'occhio. Il pavimento era disseminato di cocci e uno davvero molto appuntito gli scintillava accanto al tallone. Sollevò il piede. La pianta era nera e costellata di tagli. Guardò Zero.
– Non so cosa mi trattenga dall'ammazzarti.
Lui si tirò a sedere, si scostò i capelli dalla fronte sudata e fissò a sua volta la scheggia di vetro.
– La stessa cosa che t'ha trattenuto in quel laboratorio e prima, con quel tagliacarte – sbuffò – La tua coscienza.
Se n'era accorto?
– Ma...
– Perché non t'ho fermato? – Zero si spolverò la manica, che si staccò di netto. Fece una smorfia – Perché so chi sono, cosa voglio e a chi posso affidare la mia vita. E qualunque cosa t'abbiano fatto al cervello, lo sai anche tu.
Harlock s'afferrò al bordo dello schedario ammaccato al suo fianco e lo squadrò dalla testa ai piedi: sudato, spettinato e pieno di lividi, le labbra gonfie e spaccate, il naso sanguinante, la giacca e i pantaloni a brandelli macchiati da chissà quali intrugli, lì a boccheggiare in mezzo a uno sfacelo di cocci, strumenti chirurgici, fogli, libri, mobili fracassati e altri rottami. La ferita alla mano gli si era riaperta e il sangue gocciolava dal suo indice sulle piastrelle; anche sul suo ginocchio sinistro spiccava un'ampia chiazza scura.
Harlock scosse la testa.
Ridursi così per dimostrarmi che posso...
– Sei un pazzo.
Gli porse la mano. Zero l'afferrò.
– E tu un imbecille – si tirò su e arricciò le labbra – E un perdente.
Harlock alzò un sopracciglio. Zero stirò le braccia.
– Sei andato in clinch* e m'hai buttato a terra – si guardò attorno – Per non parlare di tutte quelle prese e colpi sotto la cintura. Hai perso la nostra sfida. Rassegnati.
Harlock lo seguì dietro la scrivania del Dottore.
– La nostra sfida era con le Gravity Sabre – si massaggiò lo stomaco – E questa era una rissa, mica un incontro di pugilato!
Zero spostò una sedia con ormai solo più due gambe e ci guardò sotto.
– Oh, ammettilo – mollò il rottame e si grattò la nuca – Ormai eri spompato.
– Mi stavi sotto, Zero. Se t'avessi colpito...
Zero ghignò e si spostò vicino alla libreria.
– Se t'avessi colpito io, saresti andato giù come un sacco di patate prima ancora di poter dire “ahi” – sollevò un paio di grossi volumi, ne spostò col piede altri tre o quattro e fece una smorfia – Picchi come un fabbro e incassi bene, ma quanto a tecnica pugilistica sei un cavernicolo. Domani sarai viola come una melanzana.
Zero oltrepassò il letto rovesciato e sollevò le lenzuola.
– E tu pieno di bozzi come una patata – Harlock incrociò le braccia – Si può sapere che accidenti stai cercando?
Zero riemerse col suo berretto tra le mani e alzò gli occhi al soffitto.
– E va bene – sospirò – Un altro pareggio. Certo che non sai proprio perdere, sei sempre il solito!
Lisciò la stoffa del cappello, se lo calcò in testa e aggiustò la visiera davanti all'anta crepata dell'armadietto dei medicinali. Harlock osservò il suo riflesso. Era pesto, lacero e vacillava come un ubriaco, aveva qualche capello grigio sulle tempie e qualche ruga agli angoli degli occhi e della bocca, eppure...
– Anche tu.
Eppure, in quel momento, era più che mai l'ufficiale fiero e ardimentoso che aveva conosciuto quattordici anni prima su Heavy Meldar.
– Mi piacerebbe – Zero si massaggiò la nuca e gemette – Ma domani sarò uno straccio. Siamo troppo vecchi per queste cose.
Barcollò fino alla scrivania del Dottore, tirò su la poltrona e ci si lasciò cadere di peso.
Harlock lo raggiunse e s'appoggiò al bordo.
– Parla per te.
Afferrò la bottiglia di saké del Dottore, assurdamente intatta in mezzo alla distruzione che li circondava, tirò via il tappo e bevve un sorso. Il liquido gli bruciò le labbra, la lingua e l'interno della bocca, ma diffuse un piacevole calore nel suo corpo pesto e dolorante.
Zero si piegò in avanti, gli strappò di mano la bottiglia e gli rivolse un ghigno strafottente.
– Cos'è, vuoi ricominciare?
Tracannò una buona metà del liquido rimasto, s'asciugò le labbra col dorso della mano e alzò la testa. Sopra di loro, il neon sfarfallò e s'accese, il ronzio degli aspiratori cessò e le luci d'emergenza si spensero. La saracinesca stridette, si sollevò a metà e si bloccò.
– E adesso che altro c'è?! – la voce di Ishikura, smorzata dal metallo, aveva una punta isterica.
– Un'altra password di sicurezza – replicò piatta Sylviana – Niente di che. Dammi un paio di minuti.
– Niente di che un corno! – un colpo – “Un paio di minuti”?! Ma l'hai visto, il Capitano? Era fuori di sé ed è chiuso là dentro con Harlock da quasi mezz'ora!
Harlock si voltò verso Zero, che posò la bottiglia, allungò le gambe sul piano della scrivania, si tirò la visiera sugli occhi e sogghignò.
– Rilassati, Rompiscatole – la voce di Grenadier – I tipi come loro hanno bisogno di sfogarsi così, ogni tanto: un occhio nero, un paio d'ossa rotte a testa, e poi...
– Taci, Grenadier, ti prego! – la voce di Ishikura salì di un'altra ottava – Sente niente, Signorina Oyama?
– No.
– Oddio, non si saranno mica uccisi a vicen... Ahio! Ma che fai, scimmione?!
– Attento a come parli davanti a Marina, alla Signorina Oyama e al Capitano Kei, deficiente!
Zero si mise una mano davanti alla bocca per soffocare le risate.
– La volete finire di far casino, voi due?! – un rumore di oggetti lanciati e vetri infranti –  Sto cercando di scassinare una porta, io!
– La mia fiaschetta! – frignò il Dottor Zero.
– Le sembra il momento di pensare a bere, Dottore? – sbottò Tadashi – Quei due potrebbero aver avuto un altro infar... Ahio!
– Per la miseria, Grenadier! – il timbro di Ishikura era ormai tenorile – Piantala!
– Piantatela voi, uccellacci del malaugurio!
– Piantatela tutti! Il prossimo che fiata lo trasformo in voce bianca!
Qualcosa salì dal petto alla gola di Harlock, gli fece incurvare le labbra all'insù.
Scoppiò a ridere nel momento esatto in cui anche Zero cedette.
Oltre la porta calò il silenzio.
– Ma... – balbettò Tadashi – Ma è il Capitano che... che...?
La saracinesca si sollevò, la serratura della porta scattò.
Mayu era inginocchiata accanto a Sylviana e reggeva davanti alla centralina quello che sembrava un vecchio cellulare. Sopra le loro spalle, Ishikura, Tadashi e Grenadier erano pigiati in una configurazione a dir poco laocontica; dietro di loro, Marina sorreggeva Yuki mentre il dottore le stringeva una fasciatura sulla coscia. Guardarono verso di loro all'unisono e sui volti di tutti si dipinse la stessa espressione incredula e frastornata.
Sylviana fu la prima a riprendersi. S'alzò, stirò la gonna e diede una pacca a Ishikura.
– Ora capisco perché tanta fretta di tornare al lavoro. Se è così che il Grand'Uomo gestisce chi è depresso o traumatizzato...
Le risate di Zero aumentarono d'intensità. Si premette le mani sul ventre.
– Ohi – gemette – Se rido mi fa male tutto!
– Ok, gente, questi si son ridotti in pappa il cervello a furia di botte e sono regrediti ai sei anni – Sylviana passò un braccio attorno alle spalle di Marina e guardò Yuki – Che ne dite di un bell'ammutinamento per il bene di tutti, sorelline?
Harlock si piegò in due. Il petto, i fianchi, il collo e la schiena gli davano fitte tremende a ogni risata, aveva la nausea, gli girava la testa e gli mancava il fiato, ma non riusciva a smettere.
Quanto tempo era, che non rideva così di gusto?
Riaprì l'occhio, mise a fuoco la bottiglia tra lui e Zero... e se lo ricordò.
Una stanza spoglia e mezzo diroccata su un pianetino insignificante.
Lui, Tochiro ed Emeraldas seduti sul pavimento in uno spazio che sarebbe bastato appena per due persone in piedi. Zero appollaiato sul davanzale della finestra. Una bottiglia di liquore d'infimo ordine e quattro tazze sbeccate per berlo. La luce soffusa della sera, una piacevole brezza sulla pelle e il gatto di Tochiro che inseguiva Tori–San. Le risate dei suoi amici che si levavano alte assieme alle sue. Serenità e spensieratezza, complicità e calore. La sensazione di poter fare qualunque cosa, di poter superare qualunque ostacolo finché avesse avuto loro al suo fianco... finché loro avessero avuto bisogno di me.
Di lui. Non di un eroe, né dell'incarnazione di un ideale che avevano già e li avrebbe uniti per sempre. Di lui.
Ansimò. Si voltò. A pochi passi di distanza, Mayu e Tadashi sorreggevano Yuki.
Non erano Tochiro ed Emeraldas, non erano più i bambini di un tempo... e non era un eroe né l'incarnazione di un ideale quello che cercavano i loro sguardi fissi su di lui.
Forse non lo era mai stato.
Afferrò la bottiglia, mandò giù un sorso di liquore e tossì.
– Hai ragione, Zero – si ripulì le labbra col dorso della mano – Sono un imbecille.
Zero lo guardò da sotto la tesa del berretto.
– Alleluja – si tirò in piedi e si spolverò i pantaloni – Finalmente sei rinsavito.
Lo oltrepassò con passo un po' malfermo, sorrise a Marina e fece un cenno a Ishikura. Harlock gli afferrò il polso.
– Zero, quel che t'ho detto prima...
– Una parte di te lo pensa – Zero si liberò con uno strattone – E una parte di me pensa quel che io ho detto a te. Tutti abbiamo un lato oscuro, pirata idiota, e va bene così. Impara ad accettare il tuo e pensa alle cose davvero importanti.
Si piazzò dietro Yuki e mollò uno spintone a Tadashi e Mayu. Incespicarono tutti e tre fra le braccia di Harlock e il contraccolpo spedì la sua schiena contusa contro lo spigolo della scrivania. Harlock serrò la presa, fece leva sulle gambe per impedire a tutti e quattro di rovinare a terra e inghiottì il gemito di dolore che gli era salito alle labbra.
– Grazie, Zero – mugolò – Grazie mille.
Non sapeva nemmeno lui se lo stesse ringraziando dal profondo del cuore o se non gli fosse tornata la voglia d'ammazzarlo.
– Non c'è di che 
– ghignò lui – Sono o non sono il tuo miglior nemico?
Harlock sospirò e abbassò la testa. Tadashi alzò su di lui uno sguardo confuso. La fasciatura che gli avvolgeva la testa s'era allentata e la ferita che s'era procurato sulla Nèmesis spuntava da sotto le bende.
Accanto a lui, Yuki aveva gli occhi colmi di lacrime. Somigliava a Maya più che mai. Era diversissima da lei.
– Capitano...
–Yuki, Tadashi – Harlock fece un profondo respiro – Chiamatemi Harlock. Solo Halock.
Yuki gli affondò il viso nel petto, Tadashi gli sorrise e tirò su col naso.
Sotto la sua destra, la spalla di Mayu era scossa da un tremito. Harlock la strinse.
– Mayu. Sei una donna, ormai.
Lei gli artigliò la maglietta e il tremito aumentò. Gli si buttò addosso e scoppiò in lacrime come la bambina che era stata un tempo.
Harlock li guardò tutti e tre, il petto agitato da una tempesta. Così tante sensazioni, così tante cose che avrebbe potuto e voluto dire, e gli erano uscite solo quelle frasi ridicole.
Tadashi gli serrò il braccio, Yuki singhiozzò e Harlock ebbe la certezza che erano bastate.
Chiuse l'occhio. Li strinse più forte a sé.
Serenità, complicità e calore. La sensazione di poter fare ancora molto e di poter superare qualunque ostacolo per loro... insieme a loro.
– Bentornato, Harlock.
Sollevò la testa. Accanto a lui c'erano il dottore, appollaiato sul suo sgabello a sguazzare nella commozione e nell'alcool, e Mime, col suo mantello fra le mani.
Era la prima volta che la rivedeva da quando s'erano separati nel sistema dei pianeti gemelli.
Da quel poco che aveva potuto cogliere dai sussurri di Yuki e del Dottore, se ne stava tutto il giorno rinchiusa nella sua cabina e a chi tentava di convincerla a incontrarlo non faceva che ripetere con voce monocorde che lui era morto. E aveva ragione. Lo era stato da molto prima, per molto tempo.
Mime spiegò il mantello e glielo porse.
Harlock allungò la mano.
Quell'onore, quel peso...
Il telefono di servizio ronzò. Sylviana sollevò il ricevitore.
– Ah, Tappo, sei tu – sbuffò – Ma dove diamine eri finito, ti cercavamo dapper...
Sussultò e girò lo sguado sui presenti, pallidissima.
– Cosa?! Tra quanto? – le luci s'abbassarono – Merda! Reggetevi!
Ci fu un rombo assordante. Le luci si spensero di colpo, il pavimento ondeggiò e l'anta dell'armadietto dei medicinali si schiantò a terra. Pillole, flaconi e strumenti si sparsero sul pavimento, sedie e sgabelli rotolarono via.
Harlock agguantò il braccio di Mime, ruotò su se stesso e spinse lei e i ragazzi contro la scrivania.
La plafoniera sopra le loro teste si staccò e andò in mille pezzi dietro la sua schiena.
Sylviana urlò, Grenadier imprecò, Mi si rifugiò sotto lo sgabello tra le braccia del Dottore.
– Cos'è stato?
Harlock si voltò. Sylviana si staccò dal mobiletto a cui s'era aggrappata e si raddrizzò.
– La Némesis – ansimò – Tochiro la rileva in rapido avvicinamento e a quanto pare ha sparato un altro raggio. Colpirà la Karyu tra meno di dieci minuti!
– Ma non è possibile – Grenadier lasciò il braccio di Ishikura e lo scaffale a cui s'era afferrato – Non dovrebbe esser vuota?
Tadashi strinse le dita attorno all'impugnatura della Cosmo Dragoon, cupo.
– Non c'era più nessuno là dentro... nessuno vivo.
– Non abbiamo tempo per fare salotto – Zero liberò Marina dalla sua stretta e corse verso la porta – Comandante Oki, contatti Eluder! Signor Ishikura, lei chiami Kaibara! Dobbiamo sganciarci dall'Arcadia e decollare! Subito!
Harlock lasciò il polso di Mime e l'occhio gli cadde sul mantello tra sue le dita.
Guardò Mayu, Yuki e Tadashi.
Quell'onore e quel peso...
Lo afferrò, se lo avvolse attorno alle spalle; i lembi sfiorarono anche le loro.
– Anche noi dobbiamo decollare – chiuse il fermaglio – Yuki, chiama Maji e chiedigli un rapporto completo dei danni, Tadashi, ai cannoni, Mayu, va' da Yattaran e chiedi a lui e Tochiro uno scan completo della Nèmesis: distanza, armamenti, chi c'è al comando... tutto quello che riescono a scoprire.
Il Dottore gattonò fuori dal suo rifugio improvvisato e s'alzò.
– Immagino che nemmeno stavolta voi mascalzoni m'aiuterete a riordinare – sospirò, tirò fuori dal camice un mazzo di chiavi, aprì uno stipetto nascosto nell'armadio dei liquori e ne tirò fuori un grosso involto – Falli neri, figliolo. Ma non ammaccarti più, per carità!
Harlock aprì l'involto. La sua Gravity Sabre, pulita e oliata a dovere.
L'allacciò al fianco e corse verso il ponte.



* Nel pugilato, il clinch è l'azione di corpo a corpo durante la quale i pugili si immobilizzano vicendevolmente. Rifugiarsi in clinch è detto del pugile in difficoltà che si sottrae all'azione dell'avversario attaccandosi a questi.


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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 50
*** Tutto come ai vecchi tempi, niente come allora ***


cap jidai Tadashi si sedette alla sua postazione e avviò la sequenza di caricamento dei cannoni pulser.
Con la coda dell'occhio, vide Harlock prender posto nella sua poltrona davanti al timone.
Come ai vecchi tempi.
Scosse il capo.
No. Non come allora.
Stavolta non avrebbe lasciato che fosse lui solo a reggere sulle spalle il peso d'ogni scelta, non sarebbe rimasto a guardare mentre sacrificava i suoi sogni, il suo futuro e le sue speranze al bene suo, di Yuki e di Mayu.
Stavolta lotterò al tuo fianco come tuo amico e tuo pari. 
E se in futuro quel testone avesse di nuovo cercato d'escluderlo dalla sua vita e dai suoi problemi, lo avrebbe preso a pugni proprio come aveva fatto Zero.
Stavolta non ti perderò.
Avviò la scansione IFF. Nulla sullo schermo.
Accanto a lui, Yuki  aprì il collegamento con la sala macchine, quella del computer e il ponte di comando della Karyu.
– Maji. Situazione?
Maji s'asciugò il sudore dalla fronte.
– Il motore è operativo al cento per cento e il rivestimento in superlega ha retto – armeggiò con una chiave inglese su qualcosa sotto di lui – Purtroppo ci hanno beccati con le difese abbassate: abbiamo di nuovo gli scudi a terra e nessun ricambio per le riparazioni, nemmeno per lo scafo. Un'altra bordata di quelle e tanti saluti.
– Vi copriremo noi – dal riquadro accanto a quello di Maji, Zero sistemò il cappello in modo da nascondere il livido che andava scurendosi sotto il suo occhio destro – Signor Rai, attivare gli scudi! Comandante Oki, sganciare il ponte provvisorio! Signor Eluder, decollo in assetto verticale!
Tadashi boccheggiò.
– Volete prendere il colpo in pieno? Ma, Zero...
– Se foste presi anche solo di striscio dalla bordata destinata a noi, rischiereste un'esplosione in sala macchine.
– Ma voi avete a bordo tutte le prove e i testimoni del caso Herakles!
– E voi le parti in causa – Zero incrociò le braccia sul petto – Comunque, il fuoco nemico ci colpirebbe anche se virassimo e i nostri scudi sono intatti: tanto vale ridurre al minimo i danni e assicurarci di poter combattere in due contro uno, dopo.
Tadashi sbatté il pugno sulla plancia. Che testardo!
– Ha ragione lui, Tadashi – Harlock strinse le labbra – Non siamo in condizione di dar battaglia alla Nèmesis da soli, e dopo la bordata non lo saranno nemmeno loro. Yuki, non appena la Karyu decollerà, la seguiremo protetti dalla loro chiglia: calcola allineamento e distanza e preparati ad accendere i rotori. Quanto all'impatto?
– Il cronometro indica quattro minuti – sullo schermo principale s'aprì la finestra del conto alla rovescia – Ma gli strumenti non rilevano variazioni ambientali e nemmeno il radar capta nulla. La Nèmesis dev'essere molto lontana da qui.
Tadashi annuì.
Fuori dell'atmosfera, come minimo. Come ha fatto Tochiro a rilevarla? 
Il ponte provvisorio che univa la Karyu all'Arcadia cadde tra le nevi di Futuria in un turbinio abbacinante. Il pavimento e la plancia vibrarono all'accensione dei motori della nave di Zero.
Tadashi si passò la mano sul mento.
E com'è riuscito a rintracciarla fin quaggiù dai pianeti gemelli?
Come faceva a sapere dei colpi in arrivo?
Aggrottò la fronte. C'era qualcosa, qualcosa d'importante che non riusciva ad afferrare.
Una raffica di vento e nevischio investì la prua e la vetrata di fronte a lui, un'ombra oscurò la luce dei soli. Guardò in alto. La Karyu era già almeno venti chilometri sopra di loro.
Harlock si alzò.
– Arcadia – strinse le dita sulla barra del timone – Decollo!
La nave sussultò, i motori rombarono e li proiettarono verso l'alto. 
– Due minuti all'impatto – Yuki si voltò verso Harlock – Siamo disallineati dalla chiglia della Karyu di quindici gradi, rotori di poppa esposti. Distanza dalla Karyu nei limiti di sicurezza. Aumento la velocità a sei nodi spaziali.
Tadashi sentì la pressione aumentare sul petto. Harlock virò a babordo e si portò proprio sotto la chiglia di Zero. Yuki accese l'interfono.
– A tutto l'equipaggio: prepararsi all'impatto – si chinò sulla plancia – Tutti gli uomini ai posti di combattimento. Squadre antincendio pronte a entrare in azione.
– Tadashi – Harlock raddrizzò la barra – Chiudi i compartimenti stagni, attiva quel che resta degli scudi e preparati a far fuoco. Maji...
– Anche noi siamo pronti – Maji strizzò l'occhio – Si balla, Capitano! Come ai vecchi tempi!
Yuki allacciò la cintura.
– Un minuto all'impatto. Reggetevi!
Harlock allargò le gambe per bilanciarsi meglio in attesa del contraccolpo e puntò lo sguardo sullo schermo.
–  Zero...
– Rilassati, Harlock – Zero alzò la sinistra e infilò il guanto –  Non morirò certo prima d'aver vinto la nostra sfida.
Harlock sogghignò.
– Nei tuoi sogni, forse...
La sua voce fu coperta dal fragore dell'esplosione sopra di loro.
Una luce abbagliante rischiarò il cielo attorno all'Arcadia, una nuvola di fumo nero e detriti investì il parabrezza.
Sullo schermo, l'immagine di Zero sfarfallò e scomparve, sostituita da cariche di statica.
Un vuoto d'aria inghiottì l'Arcadia e mandò il cuore in gola a Tadashi. La spalla sinistra gli sbatté contro la plancia.
Harlock si bilanciò sul ginocchio destro e diede un giro al timone, i denti serrati e gli occhi fissi sullo schermo.
– Yuki!
– Sì! Motori ausiliari inseriti – sullo schermo, altri sfarfallii. La nave si stabilizzò – Ripristino il collegamento con la Karyu!
Il contatto si ristabilì e Tadashi tirò un sospiro di sollievo.
– Tutto ok, lassù?
Zero raccolse il suo cappello, lo spolverò e se lo calcò in testa.
– Danni contenuti e squadre di riparazione già al lavoro – si voltò verso Yuki – Siete riusciti a rintracciare la Nèmesis? Noi non rileviamo nulla.
Tadashi guardò il radar di fronte a lui. Niente.
Eppure Tochiro... c'è qualcosa che mi sfugge.
– Yattaran, Mayu!
Dal riquadro sotto quelli di Maji e Zero, Yattaran scosse il capo con aria abbattuta.
– Tochiro s'è escluso da tutti i sistemi subito dopo aver dato l'allarme – armeggiò col cacciavite – Non capisco, davvero non capisco, miseriaccia! È tutto a posto, eppure non c'è verso...
Harlock sospirò e si passò una mano sul viso.
Tadashi ricordò quel che aveva raccontato Mime.
– Da qualche tempo era... stanco, o almeno, così diceva Harlock. Ogni volta che tornava dalla sala computer, il Capitano era sempre più cupo...
– Amico mio...
Tadashi seguì lo sguardo triste e preoccupato di Harlock.
Sullo schermo, Mayu passò dietro Yattaran, le mani strette attorno alla sua ocarina, gli occhi puntati sull'enorme computer.
Tadashi si sentì mancare il fiato.
No, non è possibile che si sia disattivato per questo. Magari non vorrà più vivere in quelle condizioni e la sua mente sarà giunta al limite, magari non gliene fregherà niente di noi e di Harlock, ma c'è sua figlia su questa nave... ed è in pericolo!
Serrò il pugno. Lui provava forse un'infinitesima frazione di ciò che poteva essere l'istinto paterno, eppure l'idea che Mayu potesse farsi anche solo un graffio sarebbe bastata a farlo alzare dalla tomba. Si premette i pugni sulle tempie.
No. Ci dev'essere un'altra ragione. Pensa... pensa!
– Harlock – Mayu si voltò – Non è come credi. Papà lo sta facendo per proteggerci.
– Proteggerci?! – Yattaran si grattò la nuca – Così, oltre al resto, non ci funziona nemmeno il puntamento automatico, per la miseria!
Tadashi premette il pulsante d'attivazione del mirino ottico.
– Posso benissimo mirare a vista, Yattaran – sorrise – O mi credi un tiratore così scarso da mancare un bersaglio grosso come la Nèmesis?
Maji ridacchiò alla sua spacconata, ma lui si sentì ancora più inquieto: c'era qualcosa che gli sfuggiva... qualcosa d'importante.
Che rischi potremmo correre, qui sull'Arcadia? Cosa c'entra Tochiro con...
Spalancò gli occhi.
La Nèmesis era la gemella dell'Arcadia e, a detta di Lia Zone, era pericolosa anche da vuota.
Perché?
Rivide il suo volto pallido e sofferente nella sala di comando di quella maledettissima nave.
Quel computer... è tecnologia meccanoide e le conoscenze di Kurai e Oyama fuse insieme...
Rivide Kurai barcollare verso Hell Matia e afferrarle la coscia.
– Fermatela! Non lasciatela avvicinare al com...
Il computer!
Rivide Hell Matia accasciarsi sulla plancia, il suo corpo carbonizzato con le dita strette attorno a una leva... una leva tirata.
Se Feydar Zone aveva raggiunto il livello di Tochiro quando ha progettato la Nèmesis, allora forse in quel laboratorio c'era...
Il cuore gli accelerò i battiti.
Dannazione!
– Zero, collegami col Dottor Machine!
– Tadashi – Zero lo guardò perplesso – Ti pare il mo...
– Ti prego – Tadashi sbatté i pugni sulla plancia – È questione di vita o di morte!
– Fa' quel che ti chiede, Zero – Harlock gli lanciò un'occhiata risoluta – Tadashi, parla.
– Credo che Tochiro voglia evitare che il computer della Nèmesis interferisca coi nostri sistemi automatici – si leccò le labbra aride – O addirittura che prenda il controllo della nave. La mia ipotesi è che lui riesca a rintracciare la Nèmesis ovunque perché dotata dello stesso tipo di sistema a rete neurale dell'Arcadia... e che i nostri nemici possano fare lo stesso con noi.
– In effetti – Yattaran si grattò il mento – In linea teorica sarebbe possibile. Se i due computer sono stati costruiti con lo stesso criterio, qualche nodo interconnesso potrebbe consentire il passaggio in ingresso e in uscita di dati e comandi...
Yuki aggrottò la fronte.
– Ma se possono sabotarci dall'interno, perché non l'hanno fatto quando li abbiamo attaccati? Anzi, perché non hanno rintracciato l'Arcadia prima che lo facessimo noi e non l'hanno distrutta?
Sullo schermo accanto a quello di Yattaran, apparve il volto artificiale del Dottor Machine.
Tadashi fece un profondo respiro.
– Perché, se la mia ipotesi è esatta, il loro computer era solo una macchina priva di volontà, allora. Una macchina di cui non conoscevano né potevano sfruttare appieno le potenzialità – deglutì – Dottore, ha già esaminato il corpo di Hell Matia?
Il Dottor Machine annuì.
– Ho eseguito tutti gli esami del caso. Due volte.
– Ha esaminato anche il suo cervello artificiale e i chip di memoria?
Sullo schermo, Zero impallidì. Tra le mani di Harlock, il legno del timone scricchiolò.
Il Dottore annuì di nuovo.
– L'ho fatto, ma non ne ho ricavato praticamente nulla – allargò le braccia – Erano schermati e parevano intatti, eppure non sono riuscito a scaricare neppure un dato, come se...
– Come se tutto fosse stato formattato... o trasferito altrove.
– Già, proprio così.
Dannazione!
Tadashi girò lo sguardo sui presenti. Non c'era bisogno di dire altro.
La luce scemò. L'atmosfera di Futuria lasciò il posto al buio dello spazio.
Nel silenzio assoluto, il radar s'illuminò ed emise un bip, poi un altro.
– Nemico a ore due, a centottoantasette chilometri spaziali e in rapido avvicinamento.
Accanto a lui, Yuki trasalì.
– Gli strumenti rilevano un campo gravitazionale che crea un'anomalia per circa... sessanta chilometri attorno all'obiettivo?! Ma non è...
Zero si tolse il cappello e lo rigirò fra le mani.
– Signori – girò lo sguardo intorno a sé, grave –  Prepariamoci ad affrontare un nuovo Hell Castle.
Harlock diede mezzo giro di timone e affiancò la Karyu.
– Come ai vecchi tempi, eh, Zero?
Tadashi osservò il pannello davanti a sé: scudi a terra, appena la metà delle armi funzionanti, nessun sistema computerizzato disponibile... e dalla chiglia della Karyu usciva ancora un denso fumo nero.
Guardò Harlock. Nonostante il tono leggero delle sue parole, il suo sguardo diceva che stava pensando la stessa cosa che aveva appena pensato lui.
No. Non come allora.
Rabbrividì e tolse la sicura del cannone.





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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 51
*** La battaglia senza speranza - parte I ***


cap jidai – Come ai vecchi tempi, eh, Zero?
Zero rivolse ad Harlock un sorriso tirato: ai vecchi tempi, oltre alla Death Shadow, c'era stata la Queen Emeraldas a coprire le spalle alla Karyu, insieme a una decina d'altre navi in perfette condizioni.
Fissò il pannello riepilogativo sul suo quadro comandi: scudi danneggiati su tutta la parte superiore, sei torrette fuori uso e princìpi d'incendio in cinque dei nove compartimenti stagni del ponte uno.
E loro sono messi anche peggio.
Sullo schermo, la fiancata dell'Arcadia mostrava nuovi danni là dove la Nèmesis l'aveva già colpita nella prima battaglia; i cannoni dimensionali fumavano e lo scafo sembrava stare insieme per puro miracolo.
Senza contare che non gli funzionano i sistemi automatici.
– Fareste meglio a ritirarvi, Harlock.
Yuki lo guardò accigliata.
– Neanche per sogno, Zero – serrò la mano attorno allo stabilizzatore – Se la Nèmesis ora è davvero come l'Hell Castle e l'Arcadia, non ce la farete mai da soli.
Zero fece correre lo sguardo sul suo equipaggio, rigirò il berretto fra le mani e fissò lo schermo.
– Siamo quelli con più probabilità di sopravvivere, al momento. Abbiamo ancora gli scudi, l'artiglieria e il cannone di Sant'Elmo. Ce la caveremo.
Yuki si alzò.
– Vi ho coinvolti io in questa storia – sbattè i palmi sulla plancia – Non posso tornarmene sulla Terra e abbandonarvi al vostro destino! Non chiedermelo!
Harlock aggrottò la fronte.
– E non chiederlo nemmeno a me, Zero. Sai come la penso, sui conti in sospeso – diede un quarto di giro al timone – E comunque, Hell Matia non è Vorder. Non ci concederà il lusso di sparare solo su di te mentre ce ne andiamo.
Zero stirò una piega sul suo berretto.
Era vero. Hell Matia lo odiava, ma non tanto da lasciare che il suo rancore diventasse un'ossessione e le facesse perdere la lucidità, meno che mai in battaglia. Era un generale meccanoide e avrebbe agito secondo logica: prima avrebbe abbattuto la nave nemica più danneggiata, poi sarebbe passata all'altra. Con quei cannoni micidiali e un campo gravitazionale di sessanta chilometri attorno, poteva permetterselo.
Maledizione!
Zero si calcò il berretto in testa.
– E va bene, Harlock – aggiustò la visiera – Ma non starmi fra i piedi e non farti beccare.
Harlock si portò due dita alla fronte.
– Non morirò, sta' tranquillo – sorrise – Non prima d'averti insegnato una volta per tutte come si tira di scherma.
– Nei tuoi sogni, pirata idiota.
Il ghigno sarcastico che Zero voleva rivolgergli gli morì sulle labbra.
Oltre la vetrata davanti a lui, la sagoma della Nèmesis era ormai visibile a occhio nudo. Come quattordici anni prima, le distorsioni create dal campo gravitazionale che la attorniava gli fecero correre un brivido lungo la schiena.
– A che punto sono le riparazioni, Kaibara?
– Possiamo reggere un'altra bordata dalla batteria principale, Capitano, forse due, dopodiché saremo senza difese come l'Arcadia!
– La squadra antincendio?
– Ce l'hanno fatta – Rai si voltò verso di lui e sorrise a trentadue denti – E i danni sono minimi: possiamo contare su tutti i pezzi d'artiglieria!
– Bene – Zero si voltò verso Marina – Signor Eluder, portarsi a sessantacinque chilometri spaziali dall'obiettivo e mantenere la distanza. Comandante Oki...
– Abbiamo ancora almeno dieci minuti prima che i cannoni primari della Nèmesis siano pronti al fuoco – come sempre, Marina gli leggeva nel pensiero – Ma potrebbe spararci dalle torrette o dai tubi lanciatorpedini.
– E allora spariamo prima noi – Zero si leccò le labbra – Signor Rai, fuoco dalle batterie principali! Harlock...
Dallo schermo, Harlock gli rivolse un impercettibile segno d'assenso.
– Tadashi... fuoco!
Rai tolse sicura.
– Batterie principali, fuoco!
Zero trattene il fiato. Il ponte di comando vibrò e il buio dello spazio fu rischiarato dalla luce scarlatta dei laser. Accanto a loro, anche l'Arcadia sparò. Come quattordici anni prima, lo scudo gravitazionale disperse e assorbì i colpi.
– Non gli abbiamo fatto nemmeno un graffio – Ishikura ricadde indietro sul sedile, pallido come un morto – È davvero come l'Hell Castle!
Zero serrò le labbra.
– Mantenga la calma, Signor Ishikura. Comandante Oki, misuri...
– Capitano! – Breaker sussultò – La Nèmesis ha aperto il fuoco!
– Verso chi?
– Su di noi – Harlock ruotò il timone come un forsennato – Maji, ferma i  motori! Yuki, attiva i retrorazzi! Tadashi, al mio ordine, fuoco dalle bocche lanciatorpedini! Ora!
L'Arcadia s'inclinò tutta a babordo e una salva di missili schizzò fuori dalle paratie laterali.
– Zero!
Harlock lo guardò da dietro la ruota del timone e Zero gli rivolse un cenno d'assenso.
Va bene. Ho capito.
Il collegamento s'interruppe e le luci dei laser sparati dalla Nèmesis gli nascosero l'Arcadia alla vista. Zero distolse lo sguardo dallo schermo: non aveva tempo d'assicurarsi che la manovra elusiva di Harlock fosse riuscita.
Non morire! Ti prego... non morire!
Si voltò verso Marina.
– Comandante Oki...
– Tredici centesimi di secondo da quando apre il fuoco – ansimò lei – Proprio come l'Hell Castle!
Bene. E allora facciamola finita subito!
– Signor Ishikura, avvii la procedura d'inizializzazione del Sant'Elmo.
– Sissignore – Ishikura rimosse il cappuccio di sicurezza, spostò l'interruttore a leva e girò la chiave – Circuiti d'alimentazione del reattore in funzione.
– Puntamento automatico pronto – Rai digitò sulla sua tastiera – Bersaglio agganciato con successo!
Zero lanciò uno sguardo allo schermo: l'Arcadia era ancora lì. C'era un nuovo squarcio sul lato inferiore della chiglia e quattro delle torrette fumavano, ma almeno era tutta in un pezzo. Tirò un sospiro di sollievo.
Resta concentrato, Harlock. Dovremo lasciare che sparino di nuovo.
– Le torpedini dell'Arcadia si sono dissolte – Breaker si chinò sul radar – Nessun danno alla nave nemica.
– Reattore di fusione dell'elio tre attivato – Kaibara premette il pulsante d'accensione – Potenza al centoventicinque per cento, in aumento. Flusso in arrivo.
– Sta per sparare di nuovo – Eluder strinse la cloche – Dalle torrette di prua!
– Potenza al centotrenta per cento – Kaibara si voltò, i fuochi di Sant'Elmo che gli brillavano sulle spalle e sulle punte delle dita – Quando vuole, Capitano!
– Signor Ishikura, trasferisca il controllo di tiro al mio quadro comandi!
Sulla plancia di fronte a Zero, lo sportello del Sant'Elmo s'aprì con un sibilo e l'impugnatura del cannone gli emerse davanti. La afferrò con entrambe le mani e puntò i piedi a terra.
– Sospendere tutti i sistemi! – tolse la sicura e mise il dito sul grilletto – Trenta secondi... da adesso!
– La Nèmesis ha fatto fuoco – Breaker si voltò verso di lui – Stavolta su di noi!
Zero serrò la mascella.
È logico. Hell Matia sa che durante la procedura di tiro del Sant'Elmo siamo del tutto indifesi per quaranta secondi. Ma il solo fuoco delle torrette non le basterà, se restiamo fuori dal suo campo gravitazionale.
– Ishikura, ordini a Grenadier di tenersi pronto con le squadre antincendio e allerti i meccanici e tutto il personale medico. Continuare la procedura di tiro. Ripeto: continuare la procedura di tiro.
– Ma siamo senza difese! – Rai saltò sulla sedia – Capitano...
– Avvio alimentazione finale – sopra la postazione di Kaibara, la barra di caricamento si riempì – Inizio conto alla rovescia!
– Rai, Eluder, schermate il ponte di comando – Marina afferrò il microfono dell'interfono – Sicurezza, evacuare il ponte uno e chiudere tutti i compartimenti stagni, presto! Nohara...
– Sì, Comandante! Passo l'immagine della Nèmesis sullo schermo principale.
Rai ed Eluder corsero a ruotare la maniglia. Il pannello protettivo in superlega oscurò la vetrata di fronte a lui e Zero abbassò lo sguardo sul sistema di puntamento automatico.
Dieci secondi...
Un rumore assordante gli fece fischiare le orecchie e tutta la Karyu sussultò.
C'era odore di bruciato e da qualche parte una sirena suonava.
Strinse più forte l'impugnatura e trattenne il respiro.
Si concentrò sulla voce metallica di Battlizer.
– Quattro, tre...
Il mirino e la tacca di mira s'allinearono e lampeggiarono.
– Due, uno...
Fuoco!
Sparò.
Il rinculo lo mandò a sbattere contro lo schienale, la potenza del fascio energetico gli fece vibrare l'impugnatura fra le dita.
Sullo schermo principale, i raggi del Sant'Elmo s'intrecciarono come due draghi in lotta nello spazio e s'unirono in una luce abbagliante che avvolse la Nèmesis.
– È fatta! – Rai alzò un pugno al cielo – Abbiamo...
– Fuoco nemico in arrivo – Breaker si guardò attorno frenetico – Alza gli scudi, Rai!
– Non posso ancora!
Un boato tremendo stordì Zero, un lampo lo accecò.
Il ponte di comando piombò nel buio più totale e la Karyu ondeggiò come un filo d'erba preso in un vortice di tempesta.
Il controllo del Sant'Elmo gli sfuggì dalle mani e qualcosa lo colpì alla spalla.
Le sue narici si riempirono dell'odore acre del fumo. Aveva un sibilo insistente nelle orecchie e gli occhi che gli lacrimavano. Si alzò.
I generatori d'emergenza entrarono in funzione e una luce rossastra illuminò il ponte di comando. Zero si guardò attorno.
Nohara, Rai e Breaker erano finiti a terra, ma per fortuna parevano illesi.
Ishikura aveva in mano un estintore e stava soffocando un principio d'incendio alla base della postazione di Marina.
Kaibara si massaggiò la fronte.
– Cos'è successo?
Breaker s'afferrò allo schienale della sua poltrona e andò a sedersi davanti al suo quadro comandi.
– La Nèmesis ci ha tirato un'ultima bordata coi cannoni principali proprio mentre eravamo indifesi.
– Signor Kaibara, rapporto danni!
– Abbiamo uno squarcio che va dal primo comparto del ponte tre al settimo del ponte cinque – Kaibara s'asciugò il sudore dalla fronte – Un grosso incendio nell'hangar e nei primi tre scomparti del ponte cinque, più altre sei torrette fuori uso. Nuovi focolai anche su tutto il ponte uno!
– Tutti i collegamenti esterni sono saltati – Marina digitava frenetica alla sua tastiera – E i sistemi computerizzati non entrano in funzione... nemmeno l'antincendio!
Ishikura posò l'estintore.
– Chiedo il permesso d'intervenire con la mia squadra e dirigere le operazioni di spegnimento al ponte cinque, Capitano. Grenadier e i suoi non possono intervenire in contemporanea là, al ponte uno e nell'Hangar... e se l'incendio si propagasse alla sala del reattore del Sant'Elmo, sarebbe la fine!
Zero guardò la sua mano avvolta nelle bende e la sua spalla ora priva di tutore.
Aveva una piccola macchia di sangue all'altezza della clavicola e la solita espressione ostinata sul viso.
Andrebbe in ogni caso.
– Concesso, Ishikura – Zero distolse lo sguardo e sospirò – Ma faccia attenzione.
Ishikura scattò sull'attenti e corse via. La porta non s'era ancora richiusa del tutto che la Karyu sussultò e s'inclinò a babordo.
Un'altra esplosione?
– Marina!
– Ci sono quasi... ecco!
Gli schermi si riaccesero, la copertura della vetrata si sollevò e Zero trasalì.
La Nèmesis veniva dritta verso di loro, un grosso squarcio sulla prua, le torrette che vomitavano fuoco.
– Non è possibile – Rai ricadde sulla sua poltrona – Non solo non è esplosa, ma ci spara ancora addosso!
– Rai, in che stato sono gli scudi?
– Al quaranta per cento. Ne abbiamo forse per un'altra bordata, non di più!
– Allora non dobbiamo lasciargliela tirare – Zero serrò il pugno – Nohara, sostituisca Ishikura e inizializzi il Sant'Elmo! Kaibara...
– È inutile, Zero – sullo schermo, l'immagine di Harlock tremolò e si stabilizzò – Guarda il loro scafo.
Marina zoomò sullo squarcio a prua della Nèmesis e Zero spalancò gli occhi.
Invece di disperdersi nello spazio, i frammenti che galleggiavano attorno alla falla tornavano indietro, come attratti da un invisibile magnete.
Ognuno di essi andò a disporsi nel punto preciso in cui doveva essersi trovato prima che lo scafo fosse colpito e con un lampo scarlatto si risaldò al suo posto.
– È impossibile – Kaibara boccheggiò – Di che cosa è fatta quell'affare?
Zero deglutì a vuoto. Sullo scafo della Nèmesis non c'era più neanche un segno.
Nemmeno l'Hell Castle si autoriparava così in fretta.
– Harlock, hai mai visto niente di simile, prima d'ora?
–  Sì – Harlock si pizzicò il mento – Sul pianeta artificiale Promesium. È una lega capace di ripristinare e replicare la propria struttura molecolare. Ma quella con cui ho avuto a che fare io non era certo in grado di resistere al vostro cannone.
Accanto a quello di Harlock, sullo schermo comparve il volto accigliato di Yattaran.
– Potrebbero averla combinata con la superlega di Tochiro – si asciugò un rivolo di sudore – Se così fosse, siamo nei guai!
Già. Così non c'è il tempo materiale per dissolvere il campo gravitazionale e colpire di nuovo col Sant'Elmo prima che lo scafo si rigeneri.
– Harlock, come siete messi con le armi?
Tadashi lo guardò cupo, un nuovo taglio sulla fronte e la fasciatura disfatta che gli ricadeva sulle spalle.
– Ci funzionano solo più il rostro e le torpedini, ma le stiamo esaurendo. Voi?
Rai scosse il capo con espressione sconsolata.
Zero abbassò lo sguardo sulla sua postazione. Il ponte uno era ancora in fiamme, le torrette e i cannoni inutilizzabili.
– Solo il Sant'Elmo. E con quello non possiamo sparare a ripetizione.
Accanto a Tadashi, Yuki spalancò gli occhi.
– Zero – si alzò – Andate via da lì, presto!
Zero si scosse e guardò davanti a sé.
Dallo scafo della Nèmesis era emerso un enorme rostro acuminato; le distorsioni del campo gravitazionale ne confondevano già i contorni.
Maledizione!
– Signor Eluder, manovra evasiva! Tutta a tribordo! Signor Kaibara, avanti tutta! – sotto i suoi piedi, il ponte vibrò – Nohara, Rai, abbassate la copertura col sistema manuale! Dobbiamo uscire dalla sfera del loro campo gravitazionale prima che si rigeneri! Harlock...
Harlock assentì e virò a babordo.
– Ci vediamo dall'altra parte, Zero. Maji, avanti tutta – ringhiò – Tadashi, fuoco a volontà!
 Vuole attirare il fuoco delle torrette su di sé? Ma è...
Zero non ebbe il tempo di pensarci. La Karyu s'inclinò a destra e i motori alla massima potenza gli mandarono il cuore in gola. Il rostro della Nèmesis gli sfilò accanto. Nohara e Rai aumentarono gli sforzi per chiudere la copertura.
La vibrazione sotto i suoi piedi aumentò e la pressione lo ributtò sulla sedia.
I collegamenti con l'Arcadia saltarono di nuovo.
– Capitano – la voce di Marina tremava – Grossa esplosione al ponte cinque, nella sala adiacente il reattore!
Oh, no! No!
– Il sistema antincendio?
– Non riesco a ripristinarlo – Marina sbatté il pugno sulla plancia – Non funziona!
– Mi colleghi con la squadra di Ishikura.
– Non rispondono – la sua voce si ruppe – E non ho nemmeno il collegamento video!
Calò il silenzio e Zero si passò la mano sugli occhi. Attorno a lui, tutta la Karyu gemeva e scricchiolava. La copertura delle vetrate stridette, si coprì di crepe e finì in pezzi che si dissolsero fra le onde del campo gravitazionale.
Ti prego, Drago Fiammeggiante... resisti... Resisti!
La figura alata sulla fiancata della Nèmesis sfilò alla sua sinistra. Le vetrate intorno al ponte di comando s'incrinarono con uno scricchiolio sinistro. La pressione sul petto gli tolse il fiato.
– Capitano – la voce di Kaibara era un rantolo – La fenditura s'allarga!
La coda della Nèmesis li oltrepassò e la Karyu gemette con una voce quasi umana. Alcuni pannelli del rivestimento esterno si staccarono e si dissolsero fra le onde del campo gravitazionale. Sulle vetrate c'era una ragnatela di crepe. Zero ansimò, la vista annebbiata.
– Tutta la potenza ai motori – si pizzicò la coscia per non svenire – Disattivare le funzioni non necessarie e inserire il sistema di propulsione ausiliario! Dobbiamo toglierci al più presto da qui o finiremo schiacciati!
Le luci tremolarono di nuovo. Nuove spie d'allarme s'accesero sul suo quadro comandi. Zero si piegò in due dietro la sua postazione e chiuse gli occhi. L'accelerazione e la pressione gli fecero uscire dallo stomaco ciò che era riuscito a trattenere durante la scazzottata con Harlock.
S'accasciò con la fronte contro la base della plancia, un gusto amaro in bocca e il gemito del metallo nelle orecchie.
La testa e il petto gli facevano male, l'aria non bastava a riempirgli i polmoni.
Ti prego, Drago Fiammeggiante... ti prego!
– Coraggio – Eluder era una figura vaga nella nebbia – Siamo quasi fuori.
La pressione e la velocità diminuirono di colpo. La Karyu sobbalzò.
Zero ansimò, s'aggrappò al quadro comandi e si rialzò. Gli girava la testa e le orecchie gli fischiavano, ma la Nèmesis era dietro di loro.
– Capitano – la voce di Eluder era funerea – La propulsione è andata. Ci resta solo il motore ausiliario numero due... e l'energia non basterebbe nemmeno per tornare su Futuria.
– Comandante Oki, che ne è degli incendi?
– Non riesco a contattare né Grenadier né Ishikura... e i sistemi automatici sono saltati del tutto.
– Anche il sistema di lancio delle capsule di salvataggio?
Marina chinò il capo e si passò una mano sugli occhi.
– Capitano – Nohara lo guardò smarrito – Che facciamo, adesso?
Zero abbassò lo sguardo sul pannello riepilogativo. Era tutto una luce rossa.
Chiuse gli occhi e serrò i pugni nelle tasche.
Niente. Non possiamo fare proprio più niente.
Nemmeno scappare, nemmeno evacuare la nave.
Come nei suoi peggiori incubi, aveva guidato il suo fiducioso equipaggio dritto nelle braccia della morte.




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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 52
*** La battaglia senza speranza - parte II ***


cap jidai La porta si spalancò con un colpo sordo e Zero trasalì, distolto dai suoi cupi pensieri.
Sylviana entrò a passo di marcia, il braccio destro di Ishikura attorno al collo, la sua testa che le ciondolava sulla spalla al ritmo dei suoi passi e i suoi stivali che strisciavano sul pavimento dietro di lei.
Lo scaricò con malagrazia sul sedile della sua postazione, si raddrizzò e batté le mani. Nuvole di cenere s'alzarono dai suoi guanti e un forte odore di fumo si diffuse tutt'intorno a lei.
– Ma tu guarda che mi tocca fare – si voltò verso Zero e indicò Ishikura col pollice – Senti un po', Capitan Manesco: quando si sveglia, di' al Bell'Addormentato qui che per la faccenda del laboratorio siamo pari... anzi, è in debito!
Zero la guardò allibito e spostò lo sguardo su Ishikura. Era nero di fuliggine dalla testa ai piedi, la giacca e i pantaloni della divisa strinati in più punti e la manica sinistra intrisa di sangue sotto un laccio emostatico improvvisato con una sottile striscia di stoffa elastica.
– Co...
– Ah, e digli anche che chiudersi in un posto in cui stanno andando a fuoco materiali plastici, circuiti elettrici e chissà quali altre diavolerie per andare ad abbassare una paratia stagna da un quintale non è una grande idea – gli mollò uno scappellotto dietro la nuca – Specie se hai una spalla fuori uso e hai messo la tua maschera antigas a qualcun altro.
Marina s'inginocchiò accanto a Ishikura e gli tolse il guanto sinistro.
– Ma perché l'hai portato qui? – gli tastò il polso – Ha bisogno...
Sylviana sbuffò e diede un calcio alla poltrona.
– Anche da svenuto, questo scemo integrale non fa che ripetere “Capitano, Capitano” – girò sui tacchi – Tanto vale che ci risparmiamo tutti la fatica.
S'incamminò verso la porta, petto in fuori, testa bassa e gambe larghe, in un'andatura davvero poco femminile che ricordava quella dell'uomo che aveva appena portato lì quando qualcosa non gli andava a genio... cioè quasi sempre.
Zero stese una mano.
– E adesso dove va?
Sylviana aprì la porta con un altro calcio e lo guardò storto.
– Al ponte cinque, che domande – anche l'espressione ostinata era la stessa di Ishikura – Ora che la paratia è chiusa, l'incendio non arriverà più al reattore, ma quei bei ragazzoni meccanoidi della squadra antincendio hanno bisogno d'un capo con un po' di sale in zucca per finire il lavoro... perciò non lasciar più scendere lui, o giuro che vi strozzo entrambi!
Oltrepassò l'uscio, abbassò la gonna bruciacchiata sulle cosce e si voltò.
–  Ah, un'ultima cosa – puntò il dito su Ishikura – Se finito il parapiglia vuoi menare quell'incosciente finché non diventa furbo fa' pure, ma lasciagli almeno un braccio sano: stasera no perché sarò a pezzi, ma domani esigo che mi rifaccia la manicure... e che si prepari psicologicamente: per attaccare tutti i brillantini e le decal della mia nail art, stamattina, ci ho messo quasi un'ora!
Sylviana richiuse la porta e Zero restò a fissarla, i pugni contratti nelle tasche.
Domani... crede ancora che ci sarà un domani...
E lo credevano tutti coloro che non si trovavano su quel ponte di comando; avevano ancora fiducia in lui, lottavano per la vita...
Dannazione... Dannazione!
Ishikura tossì, si strofinò gli occhi arrossati e si rizzò a sedere.
– Dove...? – si piegò in un accesso di tosse – Che ci faccio qui? I miei uomini... la paratia... il reattore!
Fece per alzarsi, ma Marina lo tenne fermo.
– T'ha portato qui Sylviana – si sfilò la sciarpa dal collo e gliela avvolse attorno alla spalla, sotto la striscia elastica – Sta' giù, sei...
– Sylviana?!
Marina chiuse il nodo e tagliò la striscia. Ishikura gemette, strinse la spalla ferita e si guardò attorno.
– E dov'è, adesso, quella disgrazia in gonnella?
– Sta dirigendo la tua squadra al ponte cinque – Rai tagliò un cavo ai piedi della postazione di Marina e sostituì un connettore – Dice che le devi fare una manicure coi brillantini o qualcosa del genere.
– Cosa?! – Ishikura s'alzò di scatto – Ma io la strozzo! Le avevo detto chiaro e tondo d'andare al punto di raccolta insieme al personale ausiliario!
Barcollò e ricadde sulla sua poltrona, preda d'un altro attacco di tosse.
– Che t'arrabbi a fare? – Eluder gli lanciò una bottiglietta d'acqua – Non è mica tenuta a eseguire i tuoi ordini: è una civile e tecnicamente non l'abbiamo neppure ingaggiata noi. In effetti, mi chiedo che ci faccia qui...
Ishikura svuotò la bottiglietta in tre rapide sorsate.
– Ciò non toglie che domani la strozzo – s'asciugò le labbra sull'avambraccio – Stasera no perché sarò a pezzi, ma domani giuro che la strozzo!
Kaibara si tirò un baffo e ridacchiò.
– Hai trovato l'anima gemella, eh, Ishikura?
Rai fece una risatina nervosa e digitò una sequenza di comandi sul quadro di Marina.
– Peccato non poterci sbronzare al tuo addio al celibato – premette il pulsante di riavvio e lo schermo principale si accese – Che fregatura, eh?
Nohara aggrottò la fronte.
– Rai, ma che bisogno c'era? Almeno lui poteva ancora illudersi...
Zero fissò l'immagine della Nèmesis: s'era quasi girata del tutto.
Non c'è neanche bisogno che ci spari. Basterà che c'investa col campo gravitazionale.
Ishikura sussultò e si piegò sul quadro comandi.
– Ma che fate tutti lì impalati? – girò lo sguardo sui suoi compagni – Rai, torni subito al suo posto e agganci il bersaglio!
Zero guardò il monitor al di sopra della sua spalla: stava digitando il comando per aprire i circuiti d'alimentazione del Sant'Elmo.
Rai si sedette sulla sua poltrona e accavallò le gambe sulla plancia.
– È inutile – incrociò le braccia dietro la nuca e sospirò, gli occhi fissi sulla Nèmesis – Non ci funzionano i sistemi automatici e quella cosa si rigenera a una velocità tale...
Ishikura digitò la sequenza per trasferire i comandi del sistema di puntamento.
– Allora dovrà mirare a vista, Capitano. Kaibara, attivi il reattore. Eluder, giri la nave!
– Ishikura... è finita.
Ishikura sbatté il pugno sulla plancia.
– No che non è finita – si alzò – Il motore ausiliario e l'energia che ci resta basteranno per una manovra così semplice, perciò esegua il mio ordine, Tenente Eluder!
– Vuoi proprio morire con onore, eh, ragazzo? – Kaibara sorrise e attivò il reattore – E va bene, in fondo ti capisco: nemmeno a me va di saltare per aria senza restituire nemmeno un colpo.
Ishikura lo fulminò con lo sguardo.
– Io non voglio affatto morire!
Zero fissò la sua manica macchiata di sangue e fuliggine. Lui se ne accorse.
– So cosa pensate –  inserì l'ultima serie di comandi e diede l'invio – Ma non è così. Non stavo cercando una buona scusa per raggiungere mio fratello, là sotto.
– Ah, no? – Nohara lo guardò poco convinto.
Ishikura chiuse gli occhi.
– Ricorda quella volta che mi prese a pugni su Heavy Meldar, Capitano? – ridacchiò e puntò di nuovo lo sguardo sugli strumenti – Allora mi disse che non avrei mai potuto battere Harlock e Tochiro perché non avevo nessuno a cui offrire la vita. Allora non capii: che forza poteva darmi, un legame del genere con qualcuno?
Strinse le dita attorno alla leva di dislocazione del sistema di puntamento, gli occhi sul diagramma di flusso del reattore.
– Ora lo so – la abbassò – E mi sono fatto una promessa: non mi ritroverò mai più a guardare impotente mentre qualcuno fa del male alla mia famiglia, qualunque sia il prezzo da pagare!
La sua...
Marina gli strinse la spalla sana e andò a sedersi alla sua postazione, Eluder prese in mano la cloche senza dire una parola.
Il sistema di puntamento emerse di fronte a Zero e Ishikura lo guardò negli occhi.
– Abbiamo il dovere di vincere questa battaglia e sopravvivere, Capitano! Se non lo facciamo noi, chi fermerà Hell Matia e quell'Odhrán? – la sua voce si ruppe. Distolse lo sguardo – E i nostri compagni... mio... per cosa... per cosa...
– Il tuo Vice ha ragione Zero – sullo schermo, tra interferenze e onde di statica, apparve la figura di Harlock – E anche tu predichi bene e razzoli male, a quanto vedo. Ti devo una scarica di pugni, ricordamelo.
Zero strinse fra le mani il sistema di puntamento del Sant'Elmo e lo fissò: sulla sua guancia sinistra scorreva un rivolo di sangue e alcune barre del timone erano spezzate. Anche il suo guanto destro lasciava impronte rosse sul legno.
– Harlock, in che stato siete?
Tadashi si strappò via la benda dalla fronte.
– Abbiamo ancora un'ultima salva di torpedini – aggrottò le sopracciglia – Ma anche se siamo riusciti a evitare il campo gravitazionale e la maggior parte dei colpi, abbiamo subìto altri danni su tutto lo scafo. Voi quanto potete resistere ancora?
– Una bordata.
Forse.
Harlock si pizzicò il mento e stirò le labbra.
– Allora non dobbiamo sbagliare.
– Che vuoi fare, Harlock?
– Non ho tempo per spiegartelo – aggrottò la fronte – Gira la Karyu e preparati a sparare col Sant'Elmo.
– Ma l'hai visto anche tu! Non farei altro che disperdere il...
– Fidati di me.
Zero s'accigliò. Un brutto presentimento gli serrò la bocca dello stomaco, pensieri di morte non suoi gli attraversarono la mente.
Scosse il capo. Non era il momento di farsi prendere dall'ansia e dai postumi di quel transfer. Doveva proteggere i suoi uomini, a ogni costo.
E tuttavia...
– Harlock...
– Zero, non c'è tempo per discutere. Fa' come t'ho detto o moriremo tutti!
Zero girò lo sguardo sul suo equipaggio. Non aveva scelta, né alternative da proporre.
E va bene.
– Signor Eluder, l'ha sentito. Giri la nave e punti il nemico.
– Ma non possiamo avvicinarci molto, Capitano! L'energia...
– Non preoccupatevi – Harlock sogghignò – Verrà lei da noi. Maji, avanti tutta! Yuki, rotta sul settore 245-B. Mantieni una distanza minima di quattromila metri spaziali dalla Karyu. Yattaran, collegali al nostro radar.
L'Arcadia si portò davanti a loro e si girò su un fianco in un'unica, fluida manovra.
Harlock ruotò il timone per compensare la forza centrifuga e stese il braccio.
– Tadashi, fuoco a con tutto ciò che abbiamo! Yuki, stabilizza l'assetto e attiva i razzi frenanti, Maji, diminuisci i giri del motore; avanti tutta al mio segnale!
Una salva di cinquanta e più torpedini illuminò lo spazio in direzione della Nèmesis e Zero strinse le palpebre, abbagliato dalla luce dei propulsori. Harlock raddrizzò la barra e lo fissò.
– Zero, appena la Nèmesis farà fuoco...
– Dovrò sorpassarvi, ricevere il colpo e sparare, giusto, Harlock?
Harlock sogghignò.
– Vedo che ci capiamo.
Zero aggrottò la fronte.
– Non mi piace quel che credo d'aver capito, Harlock.
Perché dopo, in queste condizioni, non ti resterebbe altra scelta che...
Harlock si preparò a ruotare il timone.
– Te l'ho detto: fidati di me, una buona volta – fece un cenno a Yuki e Maji – E non appena lo scudo gravitazionale s'indebolirà, fa' fuoco dritto sulla parte centrale della Nèmesis, proprio sulla figura della donna alata!
– Ma è una follia – Rai balzò sulla sedia – Per vicino che ci possa venire, ci saranno almeno una settantina di chilometri tra noi e il nemico! Va bene che il Capitano è un tiratore scelto, ma...
– Si calmi, Signor Rai – Zero si morsicò il labbro e regolò il mirino – In qualche modo ce la farò. Signor Kaibara...
– Può far fuoco quando vuole, Signore.
– Va bene – una goccia di sudore gli colò dalla fronte sulla guancia – Sono pronto, Harlock. Rai, alzi gli scudi.
– Fuoco nemico in arrivo, dritto davanti a noi! – Breaker e Yuki si voltarono all'unisono.
Harlock digrignò i denti e roteò il timone. L'Arcadia s'inclinò a babordo.
Zero fissò la Nèmesis sullo schermo e l'indicatore d'assetto sul suo quadro comandi.
– Eluder, Breaker, posizionate la nave perpendicolarmente rispetto allo scafo nemico. Signor Kaibara, avanti tutta – chiuse un occhio e inquadrò la Nèmesis nel mirino – Signor Ishikura, ordini a tutto l'equipaggio di prepararsi all'impatto e allerti la squadra medica e quelle antincendio. Comandante Oki, a lei il comando sino al termine della procedura di tiro.
L'Arcadia sfilò alla sua sinistra e scomparve nella scia della Karyu.
La luce dei laser della Nèmesis riempì gli schermi e il mirino. Zero socchiuse le palpebre e strinse tra le mani il sistema di puntamento. Allargò le gambe, puntò i piedi contro i lati della plancia in attesa del contraccolpo e si concentrò sul punto al quale doveva mirare. La Karyu sussultò e stridette, le crepe sulle vetrate s'infittirono ancor di più e, da qualche parte, di nuovo, qualcosa prese fuoco. L'illuminazione e i collegamenti saltarono; stavolta, nessuna luce d'emergenza rischiarò il ponte.
Nell'oscurità, la Nèmesis era un punto lontano, nero contro il bianco e il blu di Futuria. La luce dei due soli creava un fastidioso riflesso sul vetro del mirino.
– Signor Eluder, stabilizzi la nave – la voce di Marina era ferma nonostante il buio e le scosse – Signor Rai, attivi il generatore autonomo!
– Comandante – Eluder lasciò la cloche – Abbiamo esaurito l'energia di propulsione. Non possiamo più muoverci se non per inerzia.
Zero tolse la sicura. La nave sobbalzò e i motori tacquero.
– Sospendere tutti i sistemi.
Allineò il mirino alla tacca, puntò e trattenne il fiato. Il punto nero era sfocato, ora.
Si concentrò sulla tacca, rilassò i muscoli del collo e delle spalle e mise in asse la canna con le sue braccia.
Uno, due, tre, quattro... Ora!
Premette il grilletto fino in fondo ed espirò, il cuore che gli batteva a mille.
La luce del Sant'Elmo lo abbagliò, il rinculo lo spedì indietro sul sedile.
La tensione si ripristinò con un ronzio e Marina zoomò sul bersaglio.
Sullo schermo principale, la Nèmesis era priva del campo gravitazionale e un grosso squarcio le solcava la fiancata: la figura alata era scomparsa, sostituita da una voragine nera fumante e vomitante scariche elettriche.
Rai saltò in piedi accanto al generatore, la bocca spalancata.
– Quando lo racconterò, non mi crederanno mai – rise – Lei è un tiratore formidabile, Capitano! Se...
Una scossa improvvisa lo mandò gambe all'aria. Zero si voltò.
L'Arcadia li affiancò sulla destra, il rostro di prua estratto e i motori al massimo della potenza.
 – Cosa...
Sullo schermo, la figura tremolante e fuori fuoco di Harlock chiuse gli occhi e sorrise.
– Affido tutto a te – una scarica di statica cancellò l'immagine – Addio, amico mio...
– Contatti multipli dietro di noi – Breaker si chinò sul pannello del radar – Mando l'immagine sullo schermo.
Zero schizzò in piedi, quel terribile presentimento che gli appesantiva di nuovo il petto.
Capsule di salvataggio. Oh, no... no!
– Harlock! – Zero stese la mano verso la coda dell'Arcadia, un groppo che gli serrava la gola – Fermati, stupido!
Anche il collegamento audio s'interruppe. L'Arcadia schizzò in avanti, la prua puntata sulla Nèmesis. La mano di Zero tremò di rabbia, disperazione e impotenza, come al termine di quella sciagurata battaglia di quattordici anni prima. Come allora, sapeva che gridare e supplicare non sarebbe servito. Come allora, non poteva farne a meno.
– Harlock, non fare sciocchezze – ansimò – Harlock, torna subito indietro! Mi senti, idiota d'un pirata? Abbiamo un conto in sospeso! Non puoi...
La luce dell'esplosione lo abbagliò, l'onda d'urto fece inclinare il ponte e lo mandò a sbattere contro lo schienale e la plancia.
Si rialzò e s'accasciò sulla poltrona. Non vedeva più né la Nèmesis, né l'Arcadia e nemmeno Futuria: davanti a lui c'era solo un'enorme palla di fuoco. Sbatté il pugno sul quadro comandi e si prese la testa fra le mani.
– Stupido, stupido Harlock...






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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 53
*** Addio, amico mio! ***


cap jidai Harlock fissò Zero.
Era bianco come un lenzuolo e una goccia di sudore gli colava dalla tempia sulla guancia sinistra.
Zero ricambiò il suo sguardo, cupo.
– Va bene – posò il dito sul grilletto – Sono pronto, Harlock. Rai, alzi gli scudi.
Harlock sogghignò.
Quel testone non cambierà mai.
Serrò la barra del timone e deglutì, lo sguardo fisso sulle schiene di Yuki e Tadashi e sull'immagine di Mayu. Fece un profondo respiro, il petto rigido e pesante come piombo, la gola secca e un tremito leggero che gli scuoteva le spalle.
Paura.
Dopo tanto tempo, vivere o morire faceva qualche differenza, ma non aveva tempo per chiedersi se fosse una cosa positiva.
Yuki si voltò verso di lui.
– Fuoco nemico in arrivo!
Harlock ruotò il timone e mugolò di dolore: aveva una grossa scheggia conficcata nel palmo sinistro. Non c'era tempo di levarla. Serrò la presa.
– Maji, avanti tutta! Yuki, al mio segnale, attiva i retrofreni!
L'Arcadia s'inclinò a babordo. Harlock piegò il ginocchio per compensare la pendenza e diede un altro giro.
La Karyu gli sfilò accanto, le torrette e i cannoni avvolti in un denso fumo nero e un grosso squarcio che le attraversava di sbieco la chiglia. Harlock sperò che Zero non avesse sopravvalutato la resistenza della sua nave e fece un cenno a Yuki.
– Yuki, ora!
La brusca frenata lo mandò a sbattere contro la ruota del timone. Fece forza sui polpacci, piegò l'altro ginocchio e invertì il senso di rotazione.
La Nèmesis scomparve alla sua vista, sostituita dai rotori della Karyu.
La luce dei laser nemici illuminò lo spazio e Harlock socchiuse la palpebra.
Il collegamento con Zero saltò, un nugolo di detriti e frammenti di pannelli in superlega li investì, il ponte oscillò e s'inclinò a sinistra. Yuki tirò indietro lo stabilizzatore e l'Arcadia riprese il volo livellato. Harlock compensò l'angolo di virata. I motori della Karyu si spensero.
Trenta secondi.
Harlock sollevò il capo, chiuse l'occhio e fece un profondo respiro.
Ne sei sicuro, amico mio?
Da qualche parte nella sua mente, Tochiro sorrise e qualcosa gli si spezzò dentro.
Nei suoi ricordi, profumo di rose e una flebile luce che scompariva nello spazio, il peso di una bambina fra le braccia e quello di una pistola nella tasca... e il tepore del corpo di Sayuri, il sorriso di Seiryū, un nodo che gli chiudeva la gola e desideri contrastanti a lacerargli il cuore.
Posso lasciarti andare se è per la tua felicità. Fallo anche tu.
Si morse il labbro e conficcò le unghie nel palmo ferito.
Non sono Zero, dannazione!
Aprì l'occhio. Yuki e Tadashi erano chini sugli strumenti. Sullo schermo, Mayu era in piedi accanto a Yattaran, l'espressione assorta.
Harlock guardò fuori. Il buio e il silenzio dello spazio lo chiamavano ancora. Erano ancora in lui, li desiderava ancora...
No, non sono Zero. Proprio per niente...
Un bagliore gli ferì l'occhio. Sulle ali e in cima al ponte principale della Karyu brillavano i fuochi di Sant'Elmo. Si preparò alla virata.
– Tadashi, estrai il rostro – strinse i denti per sopportare il dolore alla mano – Yattaran, passa il controllo di tutti i sistemi al computer.
– Ma...
Harlock aggrottò la fronte.
– Yuki, rotta di speronamento. Imposta le coordinate sulla base dei dati del sistema di puntamento della Karyu e fa' evacuare la nave.
– Capitano – Yattaran si sporse in avanti – Con Tochiro riallacciato ai sistemi, Matia potrebbe prendere il controllo e...
– Non succederà – Harlock spostò lo sguardo da lui a Mayu in una muta preghiera – Fa' come ho detto, Yattaran... presto!
Yattaran trasalì e abbassò il capo. Digitò una sequenza di comandi e sospirò.
– Fatto.
– Bene – Harlock guardò Mayu – Abbandonate la nave.
Mayu ricambiò il suo sguardo e socchiuse le labbra come per dire qualcosa, ma Yattaran le afferrò il braccio e chiuse il collegamento.
Yuki si voltò. Harlock accennò all'uscita.
– Se avete finito, andate anche voi.
Né lei né Tadashi si mossero. Yuki scostò dalla fronte sudata una ciocca di capelli.
La mano le tremava, ma il suo sguardo era sereno. Sorrideva.
– Una rotta impostata prima che il Sant'Elmo spari non è abbastanza precisa per quel che vuoi fare, Capitano. Ci sarà un forte contraccolpo... e durante l'attacco Tochiro non potrà più compensare, dico bene?
Harlock trasalì. Yuki riabbassò la mano e strinse la cloche. Il tremito era sparito.
– Ti serve un copilota.
Tadashi si sollevò sulla sedia, appoggiò un gomito alla spalliera e si sistemò il guanto destro.
– E anche un artigliere – soffiò via un ciuffo ribelle dagli occhi – Il quadro comandi è andato e il rostro bisognerà estrarlo col sistema oleodinamico. Ci vorranno almeno dieci minuti e né tu né Yuki potete lasciare i vostri posti.
Harlock li guardò storto, il peso nel petto che aumentava a ogni battito del cuore.
– Non se ne parla – la barra del timone scricchiolò fra le sue dita – Fuori. Tutti e due.
– Col cavolo – Tadashi sbatté il pugno sullo schienale – Senza il rostro finiresti solo per saltare in aria! Stavolta non me ne starò a guardare mentre ti sacrifichi per noi... inutilmente, oltretutto!
– Tadashi, ascol...
– No, ascoltami tu, Harlock – Tadashi spinse via il sedile – Se sogni ancora una nuova storia per la razza umana, dovrai sopravvivere e tornare sulla Terra con noi, perché...
– Tadashi! Questo è un ordine.
Lui gli diede le spalle, aprì il portello dei deviatori e spinse una leva.
Il quadro comandi del rostro si spense e la spia del comando manuale lampeggiò.
Tadashi settò il regolatore di potenza al massimo e s'appoggiò al pulsante d'avvio del circuito con tutto il suo peso. Una violenta vibrazione scosse l'Arcadia, si trasmise alle dita di Harlock attraverso il legno del timone. L'indicatore di riserva segnalò l'apertura dello sportello e la lenta fuoriuscita della lama.
Yuki proiettò sullo schermo le coordinate di navigazione e la prua dell'Arcadia si sollevò a quella che doveva essere l'altezza della sala computer della Némesis.
Sulla vetrata in frantumi, il suo riflesso e quello di Tadashi si scambiarono uno sguardo fugace: due anime affini, forti e libere, capaci di sostenersi a vicenda e affrontare qualunque ostacolo sulla loro strada. Da quando aveva perduto Maya, da quando aveva detto addio a Tochiro ed Emeraldas, Harlock aveva sognato a lungo di rivedere un simile miracolo...
Ma non adesso... non così, maledizione!
– È una follia – in fondo alla gola e sulla lingua, un gusto acre – Se morissimo tutti, che ne sarà di Mayu?
Sui loro volti passò un'ombra d'incertezza, subito cancellata da un bagliore accecante.
Il Sant'Elmo.
Harlock si morse il labbro. Anche se ne avessero avuti, ormai era tardi per i ripensamenti.
Sbatté la palpebra, puntò lo sguardo sulla poppa della Karyu e si sentì mancare la terra sotto i piedi.
Riflessa sulla vetrata, appoggiata allo stipite della porta c'era...
– Mayu! – Yuki si voltò di scatto – Che ci fai qui, razza d'incosciente?! – aprì il collegamento con l'hangar – Ma dov'è finita...
– Mime? – Mayu accarezzò il calcio della sua pistola – Là fuori, nella mia capsula. Non me lo perdonerà mai, lo so... ma come figlia di Tochiro Oyama ed Emeraldas di Lamethal, combattere questa battaglia è un mio preciso dovere.
Tadashi si alzò e chiuse il portello dei deviatori con un calcio.
– Ma sei impazzita?! Corri subito all'hangar, o giuro...
Harlock serrò le labbra. Determinato. Furibondo. Orgoglioso. Angosciato.
– È troppo tardi.
– E in ogni caso – Mayu gli si avvicinò e posò la mano sul braccio – Il mio posto è con voi.
La luce del Sant'Elmo si affievolì. Harlock passò il braccio attorno alle spalle di Mayu e la mise fra lui e il timone.
– Reggetevi!
 Il bagliore dell'esplosione investì il ponte di comando. L'onda d'urto arrivò subito dopo. Anche con la protezione della Karyu, aveva la potenza d'un uragano. I detriti schizzarono attorno all'Arcadia come proiettili, la tensione calò e risalì, il pavimento ondeggiò come se sotto ci fosse stato un mare in tempesta.
Harlock ruotò il timone di venti gradi e la nave accelerò. 
Sulla vetrata s'abbatté una grandinata di metallo. Un grosso pannello accartocciato e annerito li colpì in pieno. La Karyu sfilò sulla sinistra dell'Arcadia, silenziosa, indifesa.
Ci siamo.
Harlock rabbiìrividì. La Némesis era lì davanti, la fiancata squarciata da parte a parte e gli enormi cannoni che parevano puntar dritto su di lui, le bocche accese di un sinistro bagliore verdastro. I detriti arrestarono la loro corsa, si mossero verso il loro punto d'origine.
Arrenditi. Lasciati andare e avrai la pace che desideri.
Harlock sussultò. Nei gemiti dell'Arcadia e nella sua mente c'era la voce di Hell Matia. La presenza di Tochiro era fievole.
Yuki strattonò la leva dello stabilizzatore.
– Gli equilibratori* non reagiscono! Perdiamo potenza nel motore!
Harlock ansimò. Anche il timone era bloccato, duro come una roccia.
O forse sono io che non riesco... che non lo voglio ruotare.
Scosse il capo e fece forza sulla barra.
No. Avrò anche i suoi ricordi, ma non sono l'Herakles!
Tadashi avviò la scansione.
– Non rilevo niente. Nessun guasto, niente perdite idrauliche o detriti – si guardò attorno – Che sia...
Mayu si staccò da Harlock, la mano sul calcio della Dragoon.
– Hell Matia. È qui.
I detriti ora schizzavano verso la Nèmesis alla stessa velocità con la quale l'esplosione li aveva strappati dal loro posto e i contorni delle spaventose bocche da fuoco erano già distorti dalle prime onde del campo gravitazionale. La prua stava ruotando, ma era un movimento fiacco, d'inerzia.
Vuole frenarci per schiacciarci nel campo gravitazionale e finirci col rostro... ammesso che arriviamo così lontano.
Nella mente di Harlock, Tochiro si abbassò il cappello sugli occhi.
È ora.
Harlock sospirò.
– Affido tutto a te – chiuse l'occhio – Addio, amico mio...
Mayu strinse il calcio della pistola.
– Ti voglio bene, papà. Grazie...
Singhiozzò. Harlock trattenne l'impulso di imitarla e riaprì l'occhio.
Da lui, Tochiro non voleva lacrime... e meno che mai che lo raggiungesse.
Devo solo pensare a centrare il bersaglio. Giusto, amico mio?
Puntò lo sguardo sullo schermo delle coordinate.
Erano disallineati dall'obiettivo di trentasei gradi in orizzontale e sessantatré in verticale. La potenza del motore continuava a scendere.
Avrei preferito un addio più sereno, magari davanti a una bella bottiglia della mia riserva, dopo aver chiacchierato tutta la notte... ma avrei finito di nuovo per non lasciarti più andare e forse, in fondo, questo è il commiato più adatto a noi.
L'Arcadia cigolò, un lungo gemito che era la strenua lotta di due volontà, una tesa a proteggere, l'altra a distruggere.
Il motore salì di giri, le luci tremolarono. Il quadro davanti a Yuki si spense e riaccese, il pannello crepitò e vomitò una potente scarica elettrica.
– Sta andando in corto! Via da lì!
Un denso fumo nero invase il ponte di comando. Yuki afferrò la cloche con entrambe le mani e la tirò, gli occhi sull'indicatore di rotta.
– Funziona – tossì – Ho il controllo!
Tutti gli schermi si spensero. Il ponte piombò nell'oscurità. Harlock tossì, l'odore di circuiti bruciati che gli riempiva le narici, la gola secca.
Maledizione!
– Tadashi!
Avevano una sola possibilità: navigare a vista, correggere la traiettoria in base alle indicazioni dell'unico di loro che avrebbe potuto vedere dove stavano andando. Come se gli avesse letto nel pensiero, Tadashi si precipitò alla postazione d'artiglieria, dietro il mirino C12-D.
I miei occhi... ora più che mai.
Nell'oscurità, l'Arcadia emise un sinistro cigolio. Fuori, le distorsioni del campo gravitazionale si facevano sempre più intense. Tadashi regolò l'ottica.
– Yuki, cabra* di quarantadue gradi sull'asse y. Angolo d'attacco: otto gradi.
Incurante e delle scariche e del fumo che si sprigionavano accanto a lei, Yuki tirò la cloche. La prua si sollevò.
– Capitano, vira di ventisette gradi a babordo – Tadashi respirò a fondo – Al mio segnale, mettete in funzione stabilizzatore ed equilibratori.
Harlock tirò e spinse con tutte le sue forze. Il timone era ancora di piombo, il sangue gli rendeva scivolosa la presa. Nella sua mente, Matia, Tochiro e l'Herakles che era in lui continuavano a lottare. Le mani di Mayu si chiusero sulle barre accanto alle sue, ferme come quelle di Emeraldas, i muscoli delle braccia tesi nello sforzo.
– Avanti – sogghignò come Tochiro – Facciamole vedere di cosa siamo capaci!
Fecero forza con tutto il loro peso. Centimetro dopo centimetro, la ruota cedette.
– Bene così, ci siamo – Tadashi si voltò – Bloccate!
Harlock spinse l'equilibratore. Tutta l'Arcadia urlò e vibrò. La spinta del motore salì al massimo. Con uno stridio agghiacciante, la presenza di Matia lasciò la nave e la sua mente. I cannoni della Nèmesis ruotarono, pronti al fuoco.
Troppo tardi, Matia. Pensare di poterci battere risparmiandoti è stato il tuo primo errore...
Nella mente di Harlock, Tochiro piegò le dita in segno di vittoria, le portò alla fronte nel saluto che erano soliti scambiarsi da giovani, gli diede le spalle e svanì.
Il secondo è stato sottovalutare la tenacia e il coraggio di Tochiro. Ma immagino che un uomo che si sacrifica per amore sia una cosa totalmente incomprensibile, per te...
Le luci della Nèmesis si spensero, i cannoni ruotarono scompostamente su loro stessi. La volontà di Tochiro, quella di Hell Matia... avvinghiate in una lotta mortale. La salva fatale si disperse nello spazio, le distorsioni attorno alla falla svanirono.
Grazie, amico mio.
Nonostante tutti i suoi buoni propositi, una lacrima scivolò sulla guancia di Harlock.
Addio.
L'Arcadia picchiò sul bersaglio, sventrò ciò che restava della paratia esterna della Nèmesis e proseguì la sua corsa.
– Tenetevi!
Il portello della sala computer della Nèmesis saltò via. Sulla vetrata dell'Arcadia si aprirono nuove crepe e tutt'intorno s'accesero nuove esplosioni. La chiglia scricchiolò, la ppostazione di Tadashi emise una fiammata, uno dei pannelli del soffitto si staccò e si schiantò proprio davanti al timone. Ogni singola componente dell'Arcadia urlava, tremava e crepitava. Sulla prua, la copertura in superlega era costellata di bruciature, mitragliata dai detriti e dai colpi di laser. Harlock bloccò Mayu contro il timone e si piegò per ripararla. Qualcosa lo colpì alla spalla e sulla schiena. L'odore di bruciato era sempre più forte, il pavimento gli mancò sotto i piedi.
Una luce abbagliante riflessa sulla vetrata lo accecò, l'onda d'urto lo spedì indietro e contro il timone. Si raddrizzò, strofinò l'occhio e sbatté la palpebra. Lingue di fiamma e relitti guizzavano nello spazio attorno all'Arcadia a perdita d'occhio. Sul radar, nessuna traccia della Nèmesis.



* la cabrata è la manovra aeronautica che consente al velivolo di alzare il muso, generando normalmente un aumento di quota.


La battaglia vista dal ponte dell'Arcadia! Chiedo scusa, come al solito, per le lunghe assenze, e grazie a chi ancora segue questa storia!
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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 54
*** Nel vuoto ***


cap jidai – Ce l'abbiamo fatta? – Tadashi si sfregò il viso sporco e arrossato, gli occhi spalancati – È...
Harlock scosse il capo, lo sguardo fisso oltre la vetrata.
– No, non è ancora finita.
Non c'era bisogno di consultare gli strumenti: anche ammesso che funzionassero ancora, Futuria era troppo vicino e l'Arcadia troppo danneggiata per atterrare in sicurezza.
– Yuki, non c'è tempo per virare. Dobbiamo salire.
Yuki tirò la cloche e gemette. Harlock stirò le labbra.
– Che succede?
– Lo stabilizzatore è bloccato!
Nulla di cui stupirsi. Senza più Tochiro, dopo quell'attacco suicida e con tutti i colpi che avevano subìto, era strano che non fosse successo prima.
– Va bene, non forzare. Tiralo indietro. Piano.
La leva si mosse, a vuoto. Yuki scosse la testa.
– Inutile. Nessun controllo.
– Riduci i giri del motore.
Tadashi riavviò il generatore autonomo, s'inginocchiò accanto a Yuki e aprì il portello della strumentazione d'emergenza.
– Abbiamo perdite idrauliche e stiamo entrando nell'atmosfera!
– Attivate i retrorazzi e le pompe di riserva.
Il pavimento e le paratie dell'Arcadia tremarono, il muso picchiò verso il basso. Harlock si ancorò alle staffe, Tadashi s'incuneò fra il sedile di Yuki e la sua postazione.
– Non ce la facciamo, ormai siamo nel campo gravitazionale di Futuria!
L'oscillazione aumentò. Anche il calore. Dalle scie di condensa e dai pezzi di ghiaccio che si formavano intorno alla prua per poi volare via, Harlock capì che ormai l'Arcadia era entrata nell'atmosfera.
– Siamo in discesa incontrollata – la voce di Yuki si spezzò – Precipitiamo!
L'Arcadia imbardò sul lato destro. Harlock compensò. Doveva impedire a tutti i costi che la nave andasse in stallo e s'avvitasse su se stessa.
– Dobbiamo scendere di quota e diminuire la velocità. Tadashi, Yuki, sganciate tutto: aerofreni*, carrelli d'atterraggio, qualunque cosa possa fare attrito!
Tadashi tirò una leva.
–  Ecco! Ho sganciato i freni! – imprecò – I carrelli sono andati e la perdita peggiora!
– Dobbiamo scaricare tutto il gravium, subito!
– D'accordo! – Tadashi premette un pulsante e tirò le tre leve di sicurezza – Fatto.
Il monitor per le comunicazioni esterne crepitò. Fra le scariche di statica, una voce indistinta. Mayu si precipitò al pannello e regolò la sintonizzazione.
– Arca... – era Marina Oki – Ar... dia, mi... ite? Arcadia, ris...
Altre scariche di statica. Mayu si portò alle labbra il microfono.
– Karyu, qui Arcadia – regolò il sintonizzatore – Mayday, mayday, mayday!
– Arcadia, vi... qual è... stra... zione?
– Siamo a trecentosedici chilometri spaziali da voi, in discesa incontrollata su Futuria. Centodieci chilometri terrestri all'impatto, abbiamo scaricato il gravium e lo stabilizzatore è rotto! Dichiariamo emergenza, ripeto...
Harlock dubitava che Zero e i suoi potessero soccorrerli.
In ogni caso, dobbiamo prima atterrare senza rimanerci secchi.
La prua dell'Arcadia si tuffò in un banco di nubi. Sotto di esso, un deserto bianco costellato di spuntoni grigi e rade macchie d'alberi morti.
L'aria nel ponte di comando era rovente. Ottanta chilometri all'impatto.
–Yuki, scarica i flap**. Apri a trenta gradi!
Il gemito del metallo e la vibrazione che scosse la nave gli fecero temere che fosse arrivata la fine. Sembrava che da un momento all'altro il pavimento e le paratie dovessero squarciarsi, sciogliersi, volare via come già stava facendo la copertura in superlega della prua.
Invece, l'angolo di picchiata diminuì.
Harlock ansimò e sbatté la palpebra. Il sudore gli colava nell'occhio, gli incollava la benda all'orbita vuota.
– Bene, abbiamo guadagnato un po' di tempo – si asciugò la fronte madida – Torniamo al controllo manuale. Prima tu, Yuki.
– Niente, nessun controllo! – i numeri sull'altimetro ricominciarono a scendere – Precipitiamo di nuovo!
– Tira, Yuki!
– È bloccato!
Tadashi si sollevò sulle ginocchia e l'aiutò.
– Niente da fare – mugolò – Non va!
Un boato, un'altra oscillazione. La prua dell'Arcadia s'abbassò di colpo e s'inclinò a destra, il timone sfuggì dalle mani di Harlock. Tadashi perse l'equilibrio e sbatté la schiena contro il pannello dietro di lui. Harlock riprese il timone, girò tutto a babordo. L'altimetro era sotto i seimila metri.
Troppi.
– Dobbiamo resettare. Mayu!
Harlock tese la mano. A fatica, Mayu s'inerpicò fino a lui e la afferrò. Nonostante il caldo asfissiante, le sue dita erano gelate. Tremava. Harlock la issò accanto a sé. Avrebbe dato qualunque cosa per poter placare le sue paure come quando era bambina, ma non ne aveva il tempo... ed era terrorizzato quanto lei.
– Va bene, respira. Siediti sulla pedana – guardò l'altimetro. Quattro chilometri all'impatto. Deglutì a vuoto, compensò a tribordo – Non posso lasciare il timone e ho bisogno del tuo aiuto. C'è una leva rossa lì ai piedi della ruota. Dice "controllo manuale", la vedi?
Mayu annuì.
– Al mio tre, voglio che la tiri, la ruoti in senso orario e la spingi giù. Pronta? Uno, due, tre.
Il meccanismo scattò. Yuki tirò la cloche. I numeri sull'altimetro rallentarono la loro discesa. Si bloccarono.
– Ok... sale! Sale!
Un altro colpo. L'Arcadia oscillò, accelerò, ricominciò a picchiare. Le luci sfarfallarono, i monitor si spensero. Yuki fu proiettata all'indietro sul sedile e poi di traverso contro il pannello. Riafferrò la cloche e tirò. Tadashi gridò qualcosa. Harlock compensò la spinta con un mezzo giro del timone a babordo e un altro quarto in senso opposto. 
Se andiamo in vite, è la fine.
L'altimetro scese sotto i due chilometri.
La copertura della prua, o meglio, il poco che ne era rimasto, era deformata e rovente. Due dei monitor si riaccesero, sfrigolarono e si spensero in una nuvola di fumo. La superficie inospitale di Futuria era sempre più vicina. Tadashi si sollevò sulle ginocchia, guardò fuori e strinse la mano di Yuki.
– Vedo solo montagne là sotto – scosse il capo – È...  
Harlock digrignò i denti.
– Non dirlo! – ringhiò – Non provare ad arrenderti!
– Arc... qui... ryu. Com'è... situazione?
– Non buona – Harlock distolse lo sguardo dalla macchia bianca davanti a lui e inspirò – Yuki, Tadashi, al mio segnale ritraete i flap e gli aerofreni. Regolate in basso. Mayu, al mio via, metti in funzione l'equilibratore. Massima potenza, manetta fino in fondo. Chiaro?
Mayu annuì.
– Che vuoi fare, Harlock?
Harlock si leccò le labbra riarse e spaccate. Era un azzardo, una follia... ma anche l'unica possibilità che gli veniva in mente.
– Un tonneau***. Mezzo, per cominciare.
Yuki spalancò gli occhi.
– Un...
– Dobbiamo fermare la picchiata, a ogni costo.
Harlock guardò lei, Tadashi e Mayu. C'era sempre quella parte di lui che desiderava che tutto finisse, che anelava al buio e alla quiete e gli chiedeva perché ostinarsi a lottare, quando non c'erano speranze... La ricacciò indietro con rabbia.
– Ce la faremo. Fidatevi di me – sbatté la palpebra per liberarla dal sudore che gli colava nell'occhio. Respirò – Ok, ci siamo. Tadashi, Mayu, agganciatevi ai cavi di sicurezza. Yuki, la cintura.
Ruotò il timone, grado dopo grado, lottando contro la nausea e l'istinto di fare in fretta. Sotto di lui, il deserto bianco costellato di macchie grigie e marroni roteò come la figura di un caleidoscopio. Novanta gradi. Ansimò. La pressione e il calore gli mozzavano il fiato, i muscoli delle gambe e della schiena parevano sul punto di strapparsi per lo sforzo di rimanere in asse col timone. Gli girava la testa e ci vedeva doppio. Qualcosa gli passò accanto al polpaccio e alla spalla, qualcos' altro gli sbatté contro il fianco e si fantumò chissà dove contro la paratia di destra.
– Yuki, i flap.
– Flap!
– Tadashi, i freni.
– Freni!
– Mayu, potenza!
Mayu spinse la leva fino in fondo. Centottanta gradi.
Un colpo, un'accelerazione da togliere il fiato e la terra era sotto le loro teste, il cielo sopra i loro piedi.
Mayu ansimò, aggrappata ai polpacci di Harlock.
– Siamo a rovescio!
Harlock strinse i denti. Il sangue che gli fluiva alla testa rendeva il calore e la pressione ancor più insopportabili, le tempie gli pulsavano.
– Calmati. Siamo in volo livellato. Manteniamo la quota.
La radio ronzò, emise una scarica di statica.
– Arcadia – la voce del Dottor Machine, assurdamente chiara e forte – Qui Centro Operativo provvisorio della Karyu. Vi rileviamo sette chilometri a sud est da qui sotto i milleottocento metri. Qual è la vostra situazione?
Harlock si schiarì la voce.
– Centro operativo, qui Arcadia. Siamo in volo rovesciato, ripeto: in volo rovesciato.
– In volo... rovesciato?
Tadashi si voltò, bianco come un lenzuolo sotto lo strato di fuliggine che gli copriva la faccia.
– La pressione dell'olio è in calo! Abbiamo un guasto al motore!
– Va bene – la voce metallica del Dottore suonò cupa – Prepariamo i soccorsi. Ce la fate ad arrivare fin qui?
Una nuova scossa, il sibilo d'un allarme. Yuki
azionò la maniglia antincendio
– Fuoco al rotore di sinistra! – rimise
la maniglia nella posizione iniziale, la riazionò L'impianto antincendio non va! Non... non riesco a...
La sua voce si ruppe. Sbatté il pugno sulla plancia. Tadashi le afferrò la mano.
– Yuki, sono con te. Guardami. Sono con te.
– Dottore, abbiamo perdite idrauliche e un rotore in fiamme. Vedo uno spiazzo libero da rocce a ore tre davanti a noi, cercheremo d'atterrare là.
– Ricevuto.
– Oh no!
– Tadashi trasalì Fuoco al rotore destro!
– Lascialo. 
Se anche l'impianto antincendio fosse entrato in funzione, tutte le linee associate ai rotori si sarebbero disconnesse e loro avrebbero perso la spinta in ogni caso. Harlock inspirò. Il fumo e il calore gli bruciarono i polmoni. Tossì. Mille metri.
– Mayu, giriamo di nuovo. Spingi al massimo della potenza, capito?
– Sì.
Li guardò, tutti. Il cuore gli batteva forte da far male e si sentiva soffocare, ma era lucido, determinato come non mai.
Il fumo, la debolezza e il sudore gli offuscavano la vista, ma poche volte nella sua esistenza tutto gli era stato chiaro come in quel momento.
Il valore di una vita, inclusa la sua. Le cose che contavano davvero. Quel che avrebbe fatto, in quel momento e dopo.
Perché ci sarà un dopo, quant'è vero che mi chiamo Harlock!
Serrò la barra del timone.
– Andiamo – aggrottò le sopracciglia – Tadashi, i freni.
– Freni!
– Yuki, flap al massimo.
– Flap al massimo.
– Perdiamo il rotore di sinistra – la voce di Tadashi gli arrivò stridula, soffocata dalle vibrazioni del pavimento, del soffitto e del timone – Siamo sotto i trecento metri!
– Mayu, massima potenza.
L'Arcadia accelerò. Harlock ruotò il timone. Altri centottanta gradi.
Pian piano, il cielo tornò sopra l'Arcadia. Tutto, attorno a lui e fra le sue mani, sbatteva e sussultava. Un boato. L'Arcadia s'inclinò a babordo: resistenza, portanza, velocità, attrito... tutto cambiò di colpo. Harlock compensò d'istinto. Andò bene. Tadashi sgranò gli occhi su di lui, pallido come un morto. Sembrava sul punto di vomitare.
– Abbiamo perso il rotore sinistro!
– Lascialo.
– Perdiamo potenza anche nel destro! Non abbiamo più spinta!

La vibrazione cessò e un silenzio innaturale avvolse la nave. Se non avesse saputo che era impossibile, Harlock avrebbe giurato di poter sentire il vento sibilare nella cabina.
Mayu lo guardò, le labbra tremanti.
– Stiamo... stiamo planando?
L'altimetro scese sotto i cento metri. Le macchie indistinte, adesso, erano alberi, rocce innevate e lastre di ghiaccio. La radio si era azzittita e solo gli strumenti collegati al generatore d'emergenza funzionavano ancora.
– Centro Operativo, se mi ricevete ancora... siamo in planata – Harlock deglutì. Poteva vedere le singole rocce delle montagne che oltrepassavano – Angolo di planata: cento.
Tadashi allentò il cavo di sicurezza e strinse Yuki fra le braccia.
– Cinquanta.
Qualcosa colpì la chiglia dell'Arcadia. Il pavimento vibrò e scricchiolò, uno squarcio si aprì sulla fiancata sinistra.
Harlock diede un mezzo giro a tribordo.
Resisti, mia Arcadia, ti prego...
– Quaranta.
Mayu s'aggrappò ad Harlock, nascose il viso contro il suo petto. 
– Trenta.
Resisti...
Il muso dell'Arcadia si tuffò in una macchia d'alberi morti. Un intrico di tronchi e rami si schiantò sulla vetrata. L'ala destra colpì una formazione rocciosa, la sgretolò.
– Venti.
La vetrata andò in frantumi, una gragnola di frammenti di pietra, vetro, metallo e legno si riversò sul ponte. Yuki gridò, Harlock riparò Mayu col mantello.
Schegge appuntite gli si piantarono nella pelle del viso, fra i capelli e sugli avambracci. Un'ondata d'aria gelida lo investì e quasi lo sbalzò via dal timone. Chinò il capo, s'aggrappò alla barra, fece forza sulle staffe e socchiuse l'occhio. Niente più alberi. Lo spiazzo era davanti a lui, sempre più vicino.
– Dieci.
Harlock lasciò il timone, strinse a sé Mayu e si rannicchiò su di lei.
– Pronti all'impatto!


* Aerofreni: sono paratie mobili che vengono estratte dalla carenatura o dal dorso alare con lo scopo di ridurre o non far aumentare la velocità.

** Flap: sono organi mobili connessi alle ali e  utilizzati soprattutto in decollo e atterraggio per aumentare la portanza dell'ala a basse velocità.
*** Tonneau: è una manovra acrobatica che porta ad effettuare un giro completo rispetto all'asse orizzontale di volo. Se si esegue un mezzo tonneau, l'aereo si trova capovolto.


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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 55
*** Bianco - parte I ***


cap jidai
Avviso: questo capitolo e i prossimi due possono anche essere saltati perché non portano grossi sviluppi nella trama... sono pura e semplice cattiveria verso i personaggi... :-P



Zero piantò la pala nella neve e lasciò scivolare a terra lo zaino con dispositivo ARVA*, sonda, corda e FFD**.  Sfilò i guanti fradici, appoggiò la schiena alla carena del Cosmo Wing da soccorso e alitò sulle mani intirizzite.
Si massaggiò il collo e gemette. Era zuppo fino al midollo, i muscoli degli avambracci gli facevano un male tremendo e ormai aveva perso la sensibilità alle dita dei piedi.
– Dovrebbe riposare un po', Capitano.
Il Dottor Zero si staccò dalla radio e gli porse una tazza fumante. A giudicare dalla sua espressione, era del tutto consapevole di star solo sprecando il fiato.
– Vale anche per lei.
Tra tutti, il Dottore doveva essere il più stanco: da quando lo avevano tirato fuori dalla capsula di salvataggio, non aveva smesso un istante di correre qua e là per prestar soccorso ai feriti e adesso, invece di godersi il meritato riposo, era lì a congelarsi nel secondo settore operativo, in attesa che le squadre di ricerca trovassero qualcuno, che quelle d'intervento penetrassero nell'Arcadia o che entrambe finissero travolte da una valanga come quella provocata dall'impatto della nave nella vallata.
– Ci sono abituato – Il Dottore alzò le spalle. Mi fece capolino da dentro la tasca della sua giacca e lui le grattò il collo. Si voltò verso il relitto dell'Arcadia e sospirò – Certo che quei ragazzi ci hanno fatto proprio un bello scherzetto...
Zero strinse le labbra e annuì, cupo.
Quando quella palla di fuoco aveva avvolto la Nèmesis, si era sentito mancare il respiro al pensiero che Harlock fosse saltato per aria insieme all'Arcadia... poi Marina aveva aperto quel contatto radio con Mayu. Adesso, sapeva che là dentro c'erano anche Yuki e Tadashi.
Stupido Harlock.
Serrò e decontrasse il pugno. Sospirò. Era ingiusto prendersela con lui: in poco tempo e sotto una pressione micidiale, aveva elaborato una strategia mirata non solo ad  abbattere il nemico, ma anche a salvare quante più vite possibili. Non aveva avuto altra scelta.
E io non l'ho fermato.
Svuotò la tazza in due lunghe sorsate. Il liquore bollente gli pizzicò naso e gola e gli bruciò le labbra secche e spaccate, ma diffuse un po' di calore nelle sue membra intorpidite dal gelo. Puntò lo sguardo sull'Arcadia.
La chiglia annerita e deformata, le ali tranciate di netto, adagiata su un fianco e sprofondata sotto venti metri di rocce, fango, alberi morti e nevischio, sembrava un'enorme bara.
Scacciò quel paragone inopportuno dalla mente, si schiaffeggiò le guance e si raddrizzò. Doveva vederla in positivo, o almeno sforzarsi di farlo: già il fatto che non si fosse incendiata nell'attrito con l'atmosfera, che non fosse andata in vite e non si fosse sfracellata su una delle tante montagne che circondavano quel minuscolo falsopiano aveva del miracoloso. Non si era ancora convinto a credere in una qualche divinità, ma che male c'era nello sperare in un ulteriore piccolo, grande miracolo?
– Torno al lavoro. Grazie del saké.
– Capitano – Eluder s'affacciò dalla cabina di pilotaggio – Ho appena ricevuto una comunicazione da Breaker. Il Comandante Oki le manda a dire che il lavoro di raccolta e catalogazione del materiale è quasi terminato. Stima di finire tra un paio d'ore.
Il Dottor Zero ghignò.
– Una volta che il vecchio Yattaran avrà decodificato anche il chip di Ifiklìs, i responsabili di quest'abominio non avranno scampo – si concesse una lunga sorsata dalla sua fiaschetta – Non vorrei essere nei panni di Thorn e di quell' Odhràn, chiunque esso sia.
Zero annuì, truce. Non avrebbe mai perdonato né quel viscido impostore che aveva osato giocare con la vita di Ishikura e dei suoi cari, né tanto meno il burattinaio che da tanti anni tirava le fila quell'orribile teatrino. Non era mai stato un tipo rancoroso e non credeva nella pena inflitta come vendetta, ma sperava che la punizione di quei criminali fosse davvero esemplare.
Mosse due passi e si chinò per recuperare pala e zaino, ma si bloccò con la mano a mezz'aria.
– Zero! – dalla sua tasca, la voce di Grenadier gracchiò fra scariche di statica – Ehi, Zero, mi senti?
La ricetrasmittente gli scivolò di mano e per poco non finì sepolta nella neve.
– Grenadier! Ci sono novità?
– Stiamo per penetrare nel ponte di comando – un ansito – Ce n'è voluta, ma i nostri classe IV*** hanno quasi bucato la paratia! Che ne dici, vieni a dare un'occhiata?
Zero scattò, dimentico della stanchezza di poco prima, della schiena dolorante, del freddo, di tutto.
– Novità dalle squadre di ricerca a valle?
– Niente, ma è meglio così – un colpo, un fischio, un fragore metallico – Se qualcuno fosse finito là in fondo, a quest'ora sarebbe bell'e morto!
Zero si accigliò. Era dal momento in cui aveva rimpiazzato il Dottor Machine come coordinatore delle ricerche che si sforzava di non pensare che, in casi del genere, il solo modo d'aumentare un minimo le già scarse possibilità di sopravvivenza delle vittime era tirarle fuori dalla neve in quindici minuti, se possibile anche meno. E ormai, tra l'organizzare le squadre e i velivoli, il trasporto, le valutazioni di sicurezza, lo scavo del passaggio per collegare il ponte dell'Arcadia al Cosmo Wing da soccorso e il montaggio in quota dei laser di classe IV era passata quasi mezza giornata. Ricacciò indietro il groppo che gli chiudeva la gola.
Tieniti impegnato, pensa alla prossima cosa da fare!
– Ci serviranno barelle, Cool Guard**** e...
– Calma, calma! Il Dottore lo sa meglio di chiunque altro! Lo allerto io. Tu pensa solo ad arrivare quassù senza romperti il collo!
Zero s'incurvò in avanti ai piedi dello stretto passaggio in salita che portava al ponte principale dell'Arcadia, piantò i talloni nella neve e si diede lo slancio. A metà ascesa, il manto nevoso cedette e lui slittò in basso. Sprofondò fino alle ginocchia, si piegò ancor di più in avanti, affondò le mani nella neve e soffocò un grido: i guanti erano rimasti accanto al velivolo di soccorso... insieme alla pala e allo zaino con tutta l'attrezzatura. Si diede dell'idiota. Quasi due anni in missione su Beta e adesso si comportava come un novellino alla prima uscita sulla neve.
Sono troppo nervoso.
Una nuvola velò i soli di Futuria, un fiocco solitario gli volteggiò davanti al naso.
Dannazione.
Se si fosse messo a nevicare, il manto nevoso, già instabile per l'abbassamento della temperatura dovuto all'avvicinarsi del tramonto, sarebbe diventato ancor più friabile.
Dobbiamo sbrigarci.
Si raddrizzò, ignorò il formicolio alle dita delle mani, sollevò il ginocchio più in alto che poté e piantò il tallone più in profondità.
Camminare a gambe larghe, misurare i passi e stare attento a non gravare troppo sulla gamba ferita quando non avrebbe desiderato altro che correre a perdifiato era una vera tortura.
– E bravo Zero! Tempismo impeccabile.
L'enorme mano di Grenadier gli apparve davanti all'improvviso.
Zero l'afferrò e si issò sullo stretto pianoro che lui e i suoi uomini avevano ricavato a colpi di pala per montare i classe IV. Su ciò che restava dello spesso rivestimento in superlega dell'Arcadia, ammaccato, sformato e annerito, spiccava un taglio netto, ancora incandescente.
– Ehi, voialtri, fuori dai piedi!
Grenadier sollevò gli occhialini protettivi sulla fronte, afferrò una mazza e sferrò un colpo degno d'un fabbro. La paratia andò giù con un clangore assordante. Dentro era buio pesto. Zero sollevò la mano verso la torcia frontale ed entrò.
– Harlock! – la sua voce e i suoi passi rimbombarono sinistri – Yuki! Tadashi... Mayu! Qualcuno mi rispo...
Il suo dito trovò il pulsante d'accensione e la frase gli si strozzò in gola.
Ai suoi piedi, sradicata dal suo ancoraggio, crivellata di schegge e con lo schienale tranciato a metà, c'era la poltrona di Harlock.
Deglutì e fece luce davanti a lui. Altri fasci luminosi saettarono intorno al suo.
L'interno del ponte era una devastazione di monitor in frantumi, pannelli divelti e ritorti e cavi penzolanti. Il timone, la vetrata e le postazioni di pilotaggio e artiglieria non si vedevano più, sepolte com'erano dalla neve e dai detriti che invadevano il pavimento inclinato. Un denso fumo lattiginoso e un odore odore dolciastro di plastica bruciata aleggiavano ovunque.
Nessuna traccia di Harlock né dei ragazzi. 
– Mio Dio... – qualcuno, dietro di lui, deglutì rumorosamente – Non possono essere ancora vi...
– Shinohara! – Grenadier scavalcò la poltrona con un salto e s'avviò verso il fondo della stanza, le spalle rigide e il passo pesante – Invece di dar aria alla bocca, monta la sonda e datti da fare!
Zero si scosse.
– Dalla a me – tolse lo zaino dalle spalle del giovanissimo, mortificato soldato, lo aprì e ne strasse la sonda – Tu va' dal Dottore e dagli una mano con l'equipaggiamento.
Senza una parola, il ragazzo si levò anche la pala da tracolla, gliela porse e sparì oltre la breccia. Zero si fece passare le bretelle dello zaino sopra le spalle, appese la sonda alla cintura e raggiunse Grenadier. Dietro di loro, i generatori portatili entrarono in funzione e la luce delle lampade rischiarò l'interno del ponte di comando.
– Accidenti, che razza di casino – Grenadier si grattò la barba – Speriamo di...
Zero affondò nella neve fino al ginocchio e inciampò. Solo la presa d'acciaio di Grenadier gli impedì di finire lungo disteso contro i bordi taglienti della grossa grata annerita che sporgeva da essa.
– Sta' attento a dove metti i piedi – Grenadier lo sollevò di peso, gli mollò una pacca sulla spalla e lo lasciò andare – Non voglio finire un'altra volta sul ponte di comando a sostituire uno di voi alti papaveri, men che meno te.
Zero gli rivolse un cenno di ringraziamento e si guardò attorno. Per qualche motivo, gli tornò alla mente la prima volta in cui aveva messo piede in quel luogo assieme a Yuki e Tadashi. Sembravano passati anni.
E qui c'era...
Deglutì a vuoto.
Si chinò, passò la mano sul rottame. Le sue dita e le spalle erano scosse da un tremito, ma non per il freddo.
– Zero, capisco come ti senti, ma dovremmo davvero...
Zero sussultò, incredulo. Fece cenno a Grenadier di fare silenzio, si tolse la pala da tracolla e
s'inginocchiò accanto al rottame.
Batté tre colpi con il manico e appoggiò l'orecchio contro il metallo puzzolente di fumo, il cuore in gola.
Che mi sia sognato tutto?
Contro la superficie liscia e gelida, un'impercettibile vibrazione, un colpo. Tese l'orecchio. Altri tre colpi in rapida successione, tre più distanziati, altri tre rapidi.
Codice morse? Un segnale di SOS?
Si rialzò, una scarica d'adrenalina che gli scorreva nelle vene, assieme a un'urgenza folle.

– Uomini – sollevò la mano – Radunarsi qui! Cominciamo a scavare in questo punto!
Grenadier lo guardò come se fosse ammattito.
– Fidati di me.
– Vabbé – Grenadier gli si affiancò, roteò gli occhi e allargò le braccia – Tanto vale darsi una mossa. Forza, gente! Mano alle pale!
Diede lui per primo l'esempio spalando via una quantità abnorme di neve.
Nonostante fosse in piedi da più di trenta ore e fosse passato dall'inferno degli incendi all'interno della Karyu al gelo di Futuria, sembrava in perfetta forma.
Zero gli invidiò quel suo fisico d'acciaio: lui era a dir poco a pezzi.
Palata dopo palata, disseppellirono un enorme cumulo di pannelli in superlega anneriti e deformati.
– Sgomberiamo.
– Ma sei matto, Zero?  Grenadier lo afferrò per una spalla Così perderemo un sacco di tempo! Ti ricordo che abbiamo quattro dispersi da recuperare e mancano meno di tre ore al tramonto! Quei colpi potevano essere qualunque cosa, anche solo il metallo che si assesta...
– Era un segnale di SOS, Grenadier, ne sono sicuro!
– Ti rendi conto che, più perdiamo tempo, più aumentano le possibilità di tirar fuori solo cadaveri da qui, vero?
– Lo so – ringhiò, un groppo in gola e gli occhi che bruciavano – Lo so benissimo! Ma quello era un segnale di SOS, e noi stiamo perdendo tempo ora!
Grenadier gli voltò le spalle senza una parola, girò attorno al cumulo e fece leva sotto uno dei rottami con la punta della pala. Il mucchio scricchiolò e si sollevò leggermente.
– Cominciate a sgomberare da lì sopra – accennò col mento a un condotto che sporgeva in cima al mucchio, quello che terminava nella grata da cui Zero aveva sentito provenire i colpi – E datevi una mossa! Questi cosi pesano un accidenti!
Il cuore di Zero era pieno di gratitudine mentre si afferrava
al condotto e tirava con tutte le sue forze. I palmi gli pulsavano, le dita incollate al metallo dolevano. Uno dei suoi uomini lo aiutò a far forza e il rottame si sollevò. Altri due tagliarono i cavi ritorti che lo tenevano avvinghiato a un pannello tutto bozzi e bruciature e ne districarono la base.
– Lasciate!
Zero spinse il condotto giù dal cumulo. Il mucchio di rottami oscillò ma non ci furono crolli. Nel punto in cui c'era stato il condotto, ora si apriva una stretta, buia apertura. Zero si affacciò sul bordo, il cuore in gola all'idea di essersi sbagliato, di aver fatto perder tempo prezioso alla sua squadra... e ai suoi amici intrappolati sotto la neve. La sua torcia illuminò solo altro metallo. Abbatté il pugno sul bordo della buca, vicino a una crisi di nervi.
– Dannazione! – sferrò un altro pugno – Dannazione!
– Ehi, vecchio... sei tu?
Dal fondo della buca, una voce un po'tremula, ma inconfondibile.
– Ha... Harlock?
– Zero! – la voce di Mayu – State tutti bene? E...
– Diamine, Signorina, siamo noi che dovremmo chiedervelo – Grenadier buttò a terra il suo zaino e ne tirò fuori corda e moschettoni – E comunque, rimandiamo le chiacchiere per quando sarete fuori di lì! 
Zero si guardò intorno in cerca del Dottore. Nessuna traccia. Toccava a lui prendere in mano la situazione.
Si alzò in piedi, fece cenno
agli altri membri della squadra di cominciare le ricerche a tappeto dal fondo del ponte e tornò a far luce nella buca. Grenadier gli lanciò la corda. Zero la fece passare attorno a un grosso cilindro metallico ritorto e agganciò il moschettone alla sua cintura.
– Ha ragione Grenadier – afferrò la corda con entrambe le mani – Siete feriti? Incastrati da qualche parte?
Grenadier calò la corda e si issò oltre il bordo della buca.
– Solo qualche graffio – di nuovo la voce di Harlock – Il cavalletto del timone ha fatto da puntello.
Amico mio... ci hai protetti fino all'ultimo. Grazie.

Un forte strattone fece scivolare Zero in avanti. Si scosse, puntò i piedi. Non era il momento di farsi prendere dagli strascichi di quel transfer mentale. Sbirciò oltre il bordo e fece luce. Grenadier era in piedi, in equilibrio precario sulla lastra che bloccava la visuale verso il fondo.
Un altro strattone, ancora più forte. Avvolta al cilindro, la corda oscillava, ma Grenadier non s'era neanche mosso. Dalla gamba ferita, una fitta salì lungo il fianco di Zero e gli esplose al centro della schiena. Piantò i piedi più in profondità nella neve e serrò i denti.
– Harlock, che diavolo stai combinando, dannato imbecille?
Grenadier si sporse oltre la lastra, si puntellò contro la parete di neve e rottami e si tirò su. Stretta attorno al suo collo, avvolta nel mantello di Harlock, c'era Mayu.
– Coraggio, Signorina Oyama. Adesso la porto fuori di qui  si sporse di nuovo – Ehi, serve aiuto?
Accanto al suo piede, apparve una mano avvolta in un guanto stracciato e intriso di sangue con un bendaggio improvvisato attorno al palmo e alle dita, poi il volto graffiato e coperto di lividi di Harlock.
– Tira via quella luce dalla mia faccia, Zero! Sono stato al buio fino ad ora!
Zero ghignò.
– Lascialo lì, Grenadier! Se ha tanto fiato per lamentarsi, ne ha anche per tirarsi su!
Grenadier rise e si aggrappò alla corda. Zero si puntellò e tirò con tutte le sue forze. Il sudore che gli ricopriva le dita si trasformava in cristali di ghiaccio che gliele incollavano alla corda, gli graffiavano i palmi scorticati e gli strappavano via brandelli di pelle ad ogni movimento. Aveva le mani gonfie, spellate, insensibili. Non gliene importava un fico secco.
– Zero... oh, Zero!
Mayu gli saltò al collo tra i singhiozzi e lui la strinse a sé con un braccio, la gioia che gli mozzava il respiro.
– È finita, Mayu, è finita... sei al sicuro, adesso.
La corda diede un altro strattone improvviso e lo proiettò in avanti. Il cuore gli balzò in gola. Il braccio di Grenadier gli si strinse attorno alla vita, la sua mano libera afferrò la corda. Rideva.
– Ehi, Harlock, guarda che sarei venuto a riprendere anche te!
– Perché tanta fretta, Harlock? – Zero strinse i denti – Hai così tanta voglia di farti prendere a pugni un'altra volta?
Il gomito di Harlock emerse dall'orlo della buca, seguito dalle sue spalle. Si issò oltre il bordo e si sdraiò sulla schiena.
– Nei tuoi sogni, scemo d'un soldato – ansimò – E comunque, dacci un taglio: siamo troppo vecchi per queste cose.
Zero scoppiò a ridergli in faccia, più che altro per dar sfogo al suo sollievo.
– Parla per te, pirata idiota.
Gli tese la mano per aiutarlo ad alzarsi e afferrò il manico della pala.
– In ogni caso, prima dobbiamo trovare Yuki e Tadashi.
Le dita di Harlock si strinsero attorno al suo palmo. Lo tirò su.
– Già – Harlock si guardò attorno, il volto tirato – I sistemi di sicurezza erano...
– Sono... sotto tutta questa neve? – Mayu si strinse nei lembi del mantello di Harlock e vacillò, gli occhi spalancati – Da... da...
– Tranquilla – Grenadier la sostenne e le diede una leggera pacca sulla spalla – Sono tipi tosti, quei due, di quelli che non muoiono manco se li ammazzi. Andrà tutto bene.
Le strizzò l'occhio e sorrise, ma a Zero non sfuggirono le piccole rughe che gli si erano disegnate agli angoli della bocca e il fatto che avesse distolto subito lo sguardo. Sganciò il moschettone dalla sua cintura, lasciò andare la corda e le si avvicinò.
– Dov'erano, l'ultima volta che li hai visti?
– Alla postazione del copilota – Mayu deglutì a vuoto, lo sguardo che si spostava frenetico in tutte le direzioni – Ma non riesco più a capire dov'è... è tutto...
– Lo so io.
Harlock s'incamminò sulla neve a passo sicuro e Zero non poté fare a meno di notare che tutti, lui compreso, si erano messi a seguirlo come se fosse la cosa più naturale del mondo. Sospirò.
Certe cose non cambiano mai.
Harlock si fermò in un punto in fondo alla sala, appena più a sinistra del limite della zona di ricerca. Sganciò la sonda dalla cintura di Zero, ne afferrò l'elemento superiore, rilasciò gli altri e tirò il cordino di collegamento. Bloccò la scala metrica sui due metri e cinquanta.

– Vi do una mano anch'io.
Non era una buona idea. Dopo tutto ciò che aveva subìto su Futuria, dopo quella battaglia tremenda, quell'atterraggio d'emergenza impossibile e tutto quel tempo al freddo e al buio sotto la neve, doveva essere al limite, sia mentale che fisico.
Dovrei buttargli addosso una coperta e dirgli di starsene buono ad aspettare il Dottore insieme a Mayu.
Gli porse invece il berretto e i guanti di riserva di Shinohara e la piccola torcia a led che teneva sempre in tasca. Non aveva bisogno d'entrare in comunione mentale con lui per capire come si sentiva in quel momento... e condivideva tutta la sua preoccupazione. 
Aprì la tasca anteriore dello zaino, ne estrasse la sonda di riserva e fece un cenno a Grenadier, che delimitò la nuova area di ricerca e si mise accanto ad Harlock, spalla contro spalla. 
Gli altri membri della squadra li affiancarono sui due lati. Zero estese la sonda come aveva fatto Harlock, divaricò i piedi, sollevò l'asta e la puntò al centro.
– Uomini, in linea! – inspirò – Sondata a due e cinquanta! Giù!
Spinse in basso l'asta di carbonio a piccoli colpi, attento a mantenerla verticale.
Toccò il fondo a due metri e venti di profondità. Nessun ostacolo.
– Ritirare!
Gli uomini sollevarono le aste, ne posizionarono la punta sulla neve sessanta centimetri davanti a loro e le inclinarono in appoggio sulla spalla destra.
– Avanti! – Zero avanzò fino a raggiungere la punta e si rimise in posizione – Giù!
– Capitano! – la sonda del soldato all'estrema destra della fila era infissa a un metro e mezzo di profondità – Qui c'è qualcosa!
Grenadier fece un cenno e subito l'uomo che chiudeva l'altra estremità della fila lasciò la sonda e si sfilò la pala da tracolla.
– Anche qui!
Un meccanoide della fila centrale alzò il braccio. Un altro spalatore lo raggiunse.
Zero distolse lo sguardo di malavoglia.
Finché non fossero stati certi d'aver trovato qualcuno, anzi, finché non avessero ritrovato tutti, bisognava continuare.
– Avanti! – avrebbe voluto controllare l'ora; quanto tempo era già passato? – Sondata a due metri. Giù!
Altri due richiami. Un altro spostamento. Una roccia contro la sua sonda, un altro spostamento.
Dopo appena mezzo metro, l'asta picchiò contro qualcosa di rigido, sprofondò di colpo e urtò qualcos'altro. Metallo, a giudicare dal contraccolpo. Altri tre soldati segnalarono che si doveva spalare. I primi due scavatori tirarono fuori una poltroncina ormai a pezzi, i secondi ciò che restava d'un tronco marcio crivellato di schegge. Anche il terzo gruppo comunicò un falso allarme.
Grenadier si girò e scosse il capo con un sospiro..
– Ci sono troppi detriti, qua sotto. Di questo passo...
Zero trasalì. Una leggera vibrazione si era trasmessa dall'asta alle sue dita.
– Grenadier, Harlock! La mia sonda si è mossa!
– Sarà un cedimento – Grenadier guardò le sue mani con una smorfia – O un principio di congelamento. Di' un po', Zero, ma che fine hanno fatto i tuoi guanti?
Zero lo ignorò, diede un leggero strattone alla sonda e la riabbassò, il cuore che gli batteva a mille. Aveva sentito una leggera resistenza mentre la tirava su.
Non è un detrito, non può essere un detrito, non deve essere un detrito!
Lasciò andare la sonda. Chiuse gli occhi.
Avanti! Avanti, ti prego!
Il movimento si ripeté. Un secondo, debole strappo inclinò l'asta verso il basso.
Una volta, due.
– Che mi venga un... – Grenadier s'accucciò vicino alla sonda e scavò col palmo della mano guantata – Muoviti, Zero, spala! C'è qualcuno, lì sotto! E voialtri continuate a cercare, manca ancora una persona! Yashima, sostituisci il Capitano! Signorina Oyama, se riesce ad alzarsi, trovi il Dottore ovunque sia e lo porti qui... presto!
Zero corse verso l'entrata del ponte di comando, si posizionò novanta gradi a valle dal punto in cui doveva trovarsi la persona sepolta e piantò la pala nella neve. Scavò come un forsennato, gli occhi sulla punta della sonda.
– Niente da fare – Grenadier si rialzò – qui c'è del metallo bello spesso! Dev'essere sotto una delle postazioni anteriori e tu di sicuro l'hai bucata con la punta della sonda!
Zero alzò la testa, senza smettere di scavare.
– Prova in un alro punto – ansimò  Dobbiamo portargli ossigeno al più presto!
Harlock affiancò Grenadier.
– Proviamo di qua  – lo precedette
un metro e mezzo più avanti verso il timone, s'inginocchiò e iniziò a scavare a sua volta – Qui le plance rientravano ed erano un po' più sottili. Se si sono piegate come credo, dovremmo riuscire ad aprirci un varco.
Zero si buttò alle spalle un'altra serie di palate di neve. Gli mancava il fiato, i muscoli delle spalle e degli avambracci bruciavano, le mani gli facevano male solo a stringere il manico della pala e aveva la vista annebbiata da tutto quel bianco.
Sollevò la testa, si sfregò gli occhi e strinse i denti. Ormai la punta della sonda era vicina.
Devo allargare lo scavo.
– Forse ci siamo – Grenadier si sporse nella buca, afferrò qualcosa – Avanti... avanti!
Harlock s'inginocchiò accanto a lui e lo aiutò.
Tirarono fuori un grosso maasso, poi un frammento di metallo annerito e tutto piegato, forse ciò che restava di un portello o della copertura di una plancia.
– Ehi, là sotto, mi senti? – Grenadier si sgolò piegato sul piccolo tunnel – Tieni duro, ora veniamo a prenderti!
La punta della pala di Zero picchiò contro qualcosa con un leggero rimbalzo; la piantò dietro di sé, s'inginocchiò e affondò le mani nella neve.
Era fredda, così gelata da sembrare bollente. Pungeva come un milione di spilli. Gemette.
– Ehi, Zero – Grenadier si accosciò accanto a lui e gli mise una mano sulla spalla – Fatti sostituire da qualcun altro. Senza guanti ti congelerai le mani.
Zero lo ignorò. Aveva spalle e schiena indolenzite, le mani livide e coperte di tagli, il naso che colava e gli occhi che gli lacrimavano, ma non gli importava. Scagliò via un'altra manata di neve.
La seduta semidistrutta di una delle poltroncine delle plance anteriori emerse in mezzo al bianco. Harlock si piegò accanto a lui e la sollevò.
Sotto di essa, incastrate tra i resti contorti delle staffe che l'avevano sostenuta e ciò che rimaneva della plancia coi comandi d'emergenza, le suole di due stivali e un paio di polpacci calzati in pantaloni verde acqua fradici e stracciati.
Tadashi.
Zero lottò contro l'impulso di tirarlo verso di sé per liberarlo dalla neve.
Poteva avere le gambe rotte. Poteva essere ferito alla schiena o al torace, poteva essere incastrato sotto altri rottami. E di sicuro, a giudicare dal colorito livido della pelle e dal poco sangue attorno al tessuto squarciato, doveva essere in ipotermia.
– Ehi, Signor Ministro – Grenadier spazzò via un'enorme quantità di neve con una sola, possente manata – Ci siamo quasi, coraggio!
Nessuna risposta. Harlock estrasse il suo pugnale e lo usò per far leva sui pezzi di metallo e tagliare il groviglio di cavi che imprigionavano le caviglie di Tadashi. Zero ne sollevò una con prudenza, rimosse lo stivale e la tastò. Gonfia, rigida e gelata. Nessun movimento, nemmeno di riflesso.
Grenadier disseppellì la parte superiore della postazione del copilota. Il muro di neve che la ricopriva venne giù e Zero boccheggiò.
– Fermate le ricerche!



* Il dispositivo ARVA (Appareil de Recherche de Victimes en Avalanche) o ARTVA (Apparecchio di Ricerca dei Travolti in VAlanga), è uno strumento elettronico utilizzato per la ricerca delle persone travolte in valanga.
Sostanzialmente, è una ricetrasmittente di segnale (non vocale), che funziona sulla frequenza di 457 kHz e viene indossata dagli escursionisti in modalità di trasmissione, permettendo a coloro che non sono stati travolti dalla valanga di commutare l'apparecchio in modalità ricezione al fine di localizzare il trasmettitore dei travolti.
** First Field Dressing: pacchetto medico individuale militare.
*** La “cool guard” è un’apparecchiatura che permette di rialzare la temperatura dei pazienti ipotermici.
**** Laser di classe IV (>500mW), ovvero i più potenti in assoluto: si tratta solitamente di laser industriali usati per il taglio dei metalli e la sola esposizione al raggio diffuso è pericolosissima.


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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 56
*** Bianco - parte II ***


cap 8 – Fermate le ricerche!
Yuki socchiuse gli occhi alla luce improvvisa e si guardò attorno.
Oltre i cavi spezzati e il metallo annerito della plancia, le sagome indistinte di tre persone si curvarono su di lei. Diede un ultimo strattone all'asta di metallo fra le sue dita e si premette la testa di Tadashi contro l'incavo del collo.
Una delle tre sagome s'inginocchiò nella neve, le tese la mano. Il raggio d’una torcia balenò sulla sua guancia sfregiata.
– Yuki...
Quella voce. Quel gesto. Quel volto.
La gola le si chiuse. All'improvviso, aveva di nuovo quindici anni e tanta, tanta paura.
Afferrò la mano tesa e la strinse. Sbatté le palpebre.
Il volto di Harlock tremolò come dietro un velo di vapore.
– Capitano – ansimò – Capitano...
Harlock annuì, le scostò i capelli fradici dagli occhi e le fece appoggiare la testa contro la sua spalla. Tutto diventò nero, ovattato, lontano.
No. Devo rimanere sveglia.
Si pizzicò la coscia, ma era come se appartenesse a un altro. Serrò la presa attorno alle spalle di Tadashi.
Devo rimanere sveglia, o sarà la fine per tutti e due.
Affondò i denti nel labbro inferiore, scrollò il capo e sollevò le palpebre pesanti.
Aveva temuto di riaprire gli occhi nel buio e che il suo Capitano, i fasci di luce, lo scalpiccio e le voci che sentiva riecheggiare da qualche parte intorno a loro fossero solo uno scherzo della sua mente stremata, ma Harlock era ancora lì, più reale che mai.
Meno male.
Affondò le dita nei capelli di Tadashi. Aveva voglia di piangere.
Meno male...
Uno degli uomini che erano assieme ad Harlock mosse un passo verso la luce delle torce, una piccola radio tra le mani enormi, l'altro s'inginocchiò sull'altro lato della plancia, scostò dal volto di Tadashi i capelli incrostati di sangue e ghiaccio e gli avvicinò uno specchietto alle labbra.
– È molto che ha perso i sensi?
Dalla gola di Yuki uscì solo un singhiozzo strozzato. 
Perché non ricordava il nome di quell'uomo? Perché non riusciva a piangere?
Perché nella sua testa era tutto così confuso?
Ricordava la stretta delle sue braccia mentre precipitavano e il colpo che l'aveva spinta in avanti contro il pannello dei comandi e poi indietro sul sedile; ricordava lo schianto, lo schienale che si spezzava, la pioggia di schegge e detriti e quel boato lontano, sordo e minaccioso; lui che la spingeva sotto la plancia e le s'incuneava davanti per non far entrare la neve...
Andrà tutto bene.
Il suo sorriso prima che tutto diventasse buio, poi solo il freddo e la sua voce.
La sua voce che tentava di confortarla, nonostante in essa si nascondesse un tremito...
Ce la caveremo, vedrai.
La sua voce che la esortava a non addormentarsi, a respirare piano e risparmiare le forze per quando sarebbero arrivati a tirarli fuori di lì...
Presto, molto presto.
La sua voce che vagheggiava quel futuro per cui avevano tanto lottato e che adesso era a un passo.
La sua voce che intonava quella vecchia canzone... e poi il silenzio, più spaventoso persino di quella battaglia senza speranza, di quella caduta senza controllo, del buio, del freddo e di quel misero, soffocante riparo di rottami che scricchiolava sotto quintali di rocce, neve e metallo.
– Yuki – l'uomo le scosse il braccio – È molto che è svenuto?
Yuki scosse il capo.
Per quanto tempo aveva continuato a chiamarlo nel buio mentre cercava di liberargli le gambe e trascinarselo più vicino per dargli almeno un po' di calore? Per quanto tempo aveva lottato con se stessa per impedirsi di piangere, urlare e artigliare a mani nude quella maledetta muraglia di neve, per impedirsi di prendere a calci, pugni e testate quella gelida, asfissiante tomba di metallo in cui non ci si poteva neanche muovere? Per quanto tempo era rimasta in silenzio regolando il respiro in attesa d’un segno, uno qualunque, da qualcuno là fuori?
– Non lo so...
L'uomo le afferrò la mano e la allontanò con delicatezza dalla nuca di Tadashi.
Attorno al suo palmo escoriato e gonfio c'era una fasciatura ormai a brandelli. Il netto, profondo segno d’un taglio lo solcava da appena sopra l’attaccatura del pollice fin sotto il mignolo.
– Non lo so, Zero! –  deglutì – Non lo so...
– Va bene – Zero passò un braccio attorno allo sterno di Tadashi e lo staccò da lei – Calmati, adesso. È tutto finito, sta arrivando il Dottore.
Yuki si guardò attorno. Il riflesso delle torce sulla neve era così abbagliante, i colori e i contorni così confusi. In mezzo a tante voci, non sentiva quella di...
– Mayu – si puntellò per alzarsi, il nodo che le serrava la gola più stretto che mai – Mayu! Ma...
Il suo palmo insensibile e le sue gambe irrigidite non la sostennero. Scivolò.
Harlock la afferrò e la attirò a sé.
– Sta bene – le premette la testa contro il suo petto e le poggiò il mento sulla nuca – Sta bene, non preoccuparti.
Yuki gli si abbandonò contro. Era lacero, sporco, pieno di lividi e tagli e madido di sudore. Un lieve tremito gli scuoteva le spalle, ma il suo corpo le sembrava bollente.
Zero gettò a terra il suo zaino e passò ad Harlock una coperta isotermica: lui la drappeggiò attorno alle spalle di entrambi, le stracciò la tuta sin sotto la cintola, si sfilò la maglia fradicia e la abbracciò.
Quel contatto la riportò indietro a tanti anni prima, a un colpo di laser che le aveva trapassato la schiena e il petto, a una debolezza e a un freddo spaventosi come quelli che sentiva in quel momento. Proprio come allora, il calore di Harock le infondeva sicurezza, il battito lento e regolare del suo cuore la incitava a vivere e lottare.
Affondò il naso nel suo petto, chiuse gli occhi. Respirò.
E capì perché non riusciva a piangere.
Erano un altro odore, un altro calore e un altro battito che cercava.
Era l'abbraccio di un altro uomo.
Singhiozzò, di nuovo a vuoto.
L'amore per il suo Capitano era sempre lì, forte e sincero come quando era sbocciato, e sarebbe durato in eterno... ma era stato con un altro che aveva riso, pianto, condiviso sogni, paure, progetti e rimpianti per sette lunghi anni; era stato al fianco di un altro che aveva lottato per far avverare quel grande sogno che li aveva uniti tutti sotto la bandiera dell'Arcadia.
Sette anni.
Eppure, poteva vedere quel sedicenne scarmigliato, rosso in viso e ansimante per aver corso dietro all’Arcadia come un bambino accigliarsi, stringere i pugni e voltarsi verso di lei come come se lo avesse fatto in quel preciso istante.
– Venite con me, Yuki. Conosco un posto sicuro in cui stare.
Si era issato Mayu sulle spalle e le aveva teso la mano.
Il suo sguardo e la sua voce, roca per essersi sgolato a salutare Harlock e Mime finché l'Arcadia non era scomparsa del tutto alla vista, non erano quelli di un bambino. Non più. E quel suo gesto...
Così diversi, così simili...
Aprì gli occhi e si voltò.
Tadashi era steso su una metallina, nudo fino alla cintola.
Inginocchiato accanto a lui, Zero gli tamponava il petto con un telo.
Sotto la luce impietosa della torcia, l'intrico di tagli, bruciature e cicatrici che gli ricoprivano il torso e le braccia risaltavano in modo ancor più crudele del solito.
Harlock sollevò il mento e guardò Zero, le sopracciglia aggrottate.
– Come sta?
Zero posò il telo ormai zuppo e tastò il polso di Tadashi.
– Ha la schiena piena di schegge, la spalla sinistra e almeno una caviglia slogate – ruotò il braccio libero e fissò il quadrante del suo orologio – Ma è la sua temperatura che mi preoccupa. Spero di sbagliarmi, ma...
– Merda!
Yuki sobbalzò. Qualche passo dietro Zero, Grenadier si voltò verso di loro, abbassò gli occhi e sferrò un calcio alla neve, l'orecchio incollato alla radio.
– E allora mi dici cosa dobbiamo fare?! Qui abbiamo un ferito privo di sensi e una donna rimasta al buio e al freddo per ore! Siamo... – si grattò il mento, fissò il soffitto e sospirò – Sì... sì, lo so che state facendo tutto il possibile. Hai ragione, scusa. Glielo dico. Passo e chiudo.
– Grenadier, rapporto – Zero non staccò nemmeno gli occhi dall'orologio mentre contava i battiti di Tadashi – Ci sono problemi?
– Altroché – Grenadier chiuse la comunicazione, s'infilò la radio in tasca e diede un altro calcio alla neve – C'è stata una slavina giù a valle poco dopo che siamo entrati qui e abbiamo otto uomini sotto la neve. I loro ARVA funzionano e quelli che l'hanno scampata hanno già iniziato a scavare, ma il Dottore ha dovuto precipitarsi là con la Cool Guard, Shinohara gli è corso dietro con tutti quelli che ha potuto radunare e al Cosmo Wing è rimasto soltanto Eluder.
Zero lasciò il polso di Tadashi, tirò fuori dallo zaino una scatoletta di metallo e ne estrasse un termometro timpanico.
– Mayu?
– Sta tornando qui con thermos, ossigeno e salina – Grenadier aggrottò la fronte mentre Zero infilava il termometro nell'orecchio di Tadashi – Speravo che Eluder riuscisse a trattenerla per risparmiarle...
Zero lo mise a tacere con un'occhiataccia, premette il tasto per la misurazione ed estrasse il termometro.
– Hai allertato il Centro Operativo?
– Sì. Kaibara sta mettendo assieme una squadra – Grenadier abbassò il capo e sospirò – Ma col poco personale operativo che ci è rimasto e tutti i danni che abbiamo subìto ci vorrà un'ora prima che arrivino, e saranno pure in pochi. Dobbiamo andarci noi, sai com'è la procedura.
Occuparsi prima di tutto di quelli che sei certo di poter salvare.
Yuki trasalì. La mano di Harlock si serrò a pugno contro la sua schiena.
Zero rimise il termometro nella custodia, tirò fuori dallo zaino due maglie avvolte in un sacchetto per abiti sottovuoto e si fissò le mani.
– Va bene – sospirò – Assumi il comando e andate. Qui ci penso io.
Grenadier aggrottò la fronte, s’inginocchiò accanto a lui e sollevò con cautela Tadashi, una mano dietro la sua schiena e l'altra a sorreggergli la nuca. Il cuore di Yuki mancò un battito. Le sue guance e la fronte erano lucide come quelle d'una bambola di porcellana. Aveva le labbra blu.
– Dimmi la verità – Grenadier fissò Zero – Quanto è brutta?
– Temperatura trenta – Zero fece passare le braccia di Tadashi nelle maniche della prima maglia e aggrottò la fronte – Polso quarantotto. Regolare.
– Cosa?! – Grenadier lo guardò sconcertato mentre passava a infilargli il secondo maglione – Non puoi gestirlo da solo! Non qui! Dobbiamo...
– Non possiamo ancora spostarlo – Zero gli chiuse la zip fin sotto il mento e lo adagiò sul fianco – Uno sbalzo termico eccessivo potrebbe ucciderlo.
Grenadier aprì la bocca, la richiuse, sollevò una mano e la lasciò ricadere.
Si rialzò, si grattò di nuovo il mento, calciò via un altro mucchietto di neve e sospirò.
– Ehi,Yashima! – si sbracciò verso il gruppo di persone più indietro – Avete finito con quella barella? Allora portatela qui e caricate la Signora Kei!
Yuki ansimò, la fronte imperlata di sudore, lo stomaco in subbuglio.
– Io non vado da nessuna parte – s
aggrappò ad Harlock, le spalle che le tremavano, il respiro che gorgogliava affannoso in gola – Non vado da nessuna parte senza Tadashi!
La sola idea di lasciarlo lì in quelle condizioni era insopportabile.
Ogni volta che era rimasto ferito o s'era ammalato, gli era sempre rimasta vicino... così come aveva sempre fatto lui. Se lo ricordò con quel suo piatto di minestra scotta in cui aveva messo per sbaglio lo zucchero al posto del sale, mentre tentava di convincerla che fosse un'efficace ricetta antinfluenzale tramandata nella sua famiglia da generazioni. Il groppo nella sua gola diventò un macigno.
Harlock annuì e posò la mano sulla sua.
– Resto anch'io.
– Ma Signora Kei, Harlock, ragionate! – Grenadier roteò gli occhi e sollevò le braccia, esasperato – Siete al limite, tutti e due! Se...
– Proprio perché siamo al limite è meglio che rimaniamo qui – Harlock piantò il suo occhio in quelli di Grenadier – Se venissimo con voi, dovreste impiegare metà della squadra per trasportarci e assisterci. Non avete né il tempo, né i numeri per farlo.
Grenadier si morse il labbro inferiore e distolse lo sguardo.
– Ho ricevuto lo stesso addestramento di Zero – Harlock serrò le dita di Yuki nel suo pugno – Se Yuki dovesse sentirsi male o Tadashi peggiorare, lo assisterò io.
La destra di Harlock era gonfia sotto il guanto zuppo e appiccicoso. Tremava nei pantaloni fradici e la luce della torcia di Grenadier evidenziava il suo volto stanco, il suo occhio arrossato e lucido, la palpebra livida. Nonostante avesse finto spesso di farlo, Yuki sapeva che non dormiva da giorni.
E se fossi tu a sentirti male, Capitano? 
Il pensiero le passò per la testa e subito l'abbandonò.
La fronte aggrottata, le labbra tirate e appena incurvate all'ingiù, la minuscola vena azzurra che gli pulsava sulla tempia... l'aveva visto con quell'espressione infinite volte.
Rimarrebbe in piedi persino se gli strappassero via gambe e braccia, gli tagliassero la testa e gli polverizzassero il petto a colpi di laser.
Grenadier spostò il peso da una gamba all'altra e lo sguardo da Harlock a Zero.
– Fa’ come dice, Grenadier – Zero non alzò nemmeno la testa – Cercare di farlo ragionare è una perdita di tempo, lo sai.
Harlock gli lanciò uno sguardo a metà tra il sollievo e l’irritazione.
– Non c’è di che, Zero. Ah, e lasciami dire che il tuo entusiasmo per le mie idee è commovente come al solito.
Grenadier fece una risatina nervosa, scrollò le spalle, sospirò e raccolse da terra sonda e pala. Si girò verso gli uomini intenti a radunare l’attrezzatura e accennò un saluto.
– Allora, noi andiamo – si sfilò lo zaino e lo lanciò ai piedi di Harlock – Tenete duro.
La sua voce e la sua figura si persero nel buio.
No, non devo addormentarmi!
Yuki si pizzicò di nuovo la coscia. Questa volta, un dolore sordo e pulsante le corse fino all’anca. Una goccia, di sudore o neve sciolta, le colò nell’occhio destro.
Mise a fuoco Zero come da dietro un velo: teneva nella destra il polso di Tadashi, lo sguardo fisso sul suo petto, le sopracciglia aggrottate.
– Yuki, c’è una cosa che devo sapere.
I suoi occhi si spostarono da lei ad Harlock e di nuovo sul petto di Tadashi, nel punto in cui si trovava quella cicatrice. Harlock strinse le labbra, cupo.
– Parla – la sua stretta aumentò d’intensità – Pensa solo a salvargli la vita.
Zero chiuse gli occhi e si massaggiò la base del naso.
– Tadashi prende ancora quei betabloccanti*?
Contro la schiena di Yuki, il pugno di Harlock tremò. Lei gli sfiorò la nuca.
I suoi polpastrelli pulsavano tanto che persino piegarli era una fatica, ma anche così poteva avvertire la rigidità nei muscoli del suo collo.
Non è colpa tua, Capitano.
– Sì – annuì – Due... due volte al giorno.
Il Dottore era stato tassativo e lei e Mayu s’erano assicurate che non saltasse nemmeno una somministrazione, anche le se si stringeva il cuore nel vederlo vomitare di continuo, passare quelle che sarebbero dovute essere le sue ore di riposo a fissare il soffitto e svegliarsi di soprassalto dopo poche ore di sonno portate dallo sfinimento. E poi era dimagrito così tanto...
Zero si mordicchiò il labbro inferiore.
– Ecco perché la sua temperatura è scesa così tanto e così in fretta – controllò l’orologio – Harlock, da' a Yuki degli abiti asciutti e tieniti pronto.
Yuki gemette. Quel tono,  la sua espressione cupa e lo sguardo che Harlock gli lanciò in risposta potevano voler dire solo una cosa.
Rischia un arresto.
Lo rivide come l’aveva trovato quella maledetta sera, riverso nel suo sangue, gli occhi sbarrati e fissi, la fronte imperlata di sudore freddo, il respiro ridotto a un rantolo roco il cui ricordo la faceva ancora svegliare di soprassalto la notte.
Serrò i pugni. Le dita le bruciavano come se tanti piccoli aghi incandescenti le stessero affondando nella carne, ma la sua mente era bianca, vuota. Il sapore amaro della bile le risalì su dalla gola e le bruciò la lingua, i suoi polmoni sembravano incapaci di riempirsi d’aria, il suo cuore di smettere di martellare.
E se stavolta…?
Deglutì.
– Yuki... Yuki!
Harlock le stava scuotendo la spalla. Sul suo braccio erano drappeggiati due maglioni come quelli che Zero aveva infilato a Tadashi. Yuki tese la mano. La manica del maglione sfuggì alle sue dita intorpidite e la coperta le scivolò dalle spalle. Harlock distolse lo sguardo. Chino su Tadashi, Zero teneva di nuovo in mano il termometro, le labbra tirate. Harlock si posò il maglione più pesante sulle gambe e afferrò quello più sottile per il lembo inferiore.
– Alza le braccia, Yuki.
Non c’è tempo per questo.
E poi, non aveva freddo, anzi: si sentiva soffocare. Gli afferrò il polso.
– Lascia stare, Capitano. 
Harlock si liberò dalla sua stretta e sollevò il maglione.
– Alza le braccia.
Dietro di lui, Zero lasciò cadere il termometro e girò Tadashi sulla schiena. Sul suo volto c’era la stessa espressione che aveva il Dottore quando, quella maledetta sera, s
era voltato verso di lei.
– Harlock, sta’ pronto.
Yuki non poteva rimanere lì seduta un minuto di più. Piegò le ginocchia, puntò i piedi e le mani, si diede lo slancio per alzarsi. Harlock la afferrò per i fianchi e la tirò giù.
– Non muoverti.
– Lasciami andare, Capitano – Yuki si divincolò – Lasciami!
Harlock la spinse di nuovo giù, la circondò con le braccia.
– Sta’ ferma. Sei ipotermica.
– Ascoltalo, Yuki – Zero aveva avvicinato la guancia alle labbra di Tadashi – Se ti sforzi così, rischi danni agli arti... o peggio.
– Non m’importa!
Yuki spinse via Harlock con tutte le sue forze, gli sfuggì, gattonò verso Tadashi.
Il braccio non la resse. Scivolò in avanti.
Harlock le circondò la vita prima che toccasse terra e la tirò indietro.
– Non m’importa – bloccata contro il suo petto, le sue mani artigliavano l’aria impotenti – Ti prego, Harlock! Se Tadashi… se Tadashi morisse
Inghiottì. Provò a immaginare la sua vita senza di lui.
Come quella maledetta sera, come ogni volta che avevano litigato, come ogni volta in cui lui aveva rischiato la vita, non ci riuscì. Nella gioia e nel dolore, nel bene e nel male, lui era ormai un punto fermo nella sua vita.
Sette anni. E non gliel’ho mai detto.
Smise di lottare. Harlock allentò la presa. La guardava con un’espressione che lei non gli aveva mai visto, colma di determinazione e di qualcos’altro che poteva essere, forse, rimpianto.
Afferrò il maglione, lo scosse e glielo infilò sopra la testa.
Adesso, Yuki aveva freddo. Tremava e batteva i denti quanto lui, che era fradicio e a petto nudo.
– Harlock! – Zero si sfilò la giacca e gliela lanciò – Mettiti questa e vieni qui subito. Ho bisogno di te.

* I betabloccanti sono una classe di farmaci con azione bloccante dei recettori β-adrenergici. Vengono utilizzati principalmente come antiaritmici, come antipertensivi e antianginosi.




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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 57
*** Bianco - parte III ***


cap 8 Mayu sollevò la testa.
Sopra di lei, il relitto dell’Arcadia oscurava la luce dell’ultimo sole di Futuria.
Un fiocco di neve volteggiò giù dal cielo livido e le si sciolse sulla fronte sudata.
Bilanciò la tracolla della borsa sulla spalla e aumentò il passo.
I flaconi di salina, la bombola d’ossigeno e la scatola di metallo con siringhe, fiale e strumenti le tintinnarono contro il fianco.
Sfiorò la radio che il Signor Eluder le aveva dato per contattare il Dottore in caso d’urgenza e pregò con tutto il cuore che non ci fosse bisogno della maggior parte della roba che stava trasportando.
La salita terminò all’improvviso e si trovò davanti al buco che Grenadier e i suoi avevano aperto nello scafo. Entrò. Nel buio rischiarato a tratti dalla luce dei riflettori, il ponte di comando dell’Arcadia era ormai irriconoscibile.
Papà…
Privo della sua presenza, quel luogo che aveva sentito come casa sua sin dal primo momento in cui ci aveva messo piede le sembrava ora immenso, vuoto ed estraneo.
Chissà se anche la sua casa sulla Terra, senza Yuki e Tadashi…
No.
Inghiottì il nodo che le aveva stretto la gola e si diresse verso la postazione di pilotaggio. Non era il momento di pensare ai morti, non era il momento di lasciarsi prendere dalla paura. Se c’era una cosa che aveva imparato da quella lunga, terribile avventura, era che non bisognava mai cedere alla disperazione, per niente al mondo.
– Harlock! Mettiti questa e vieni qui subito. Ho bisogno di te.
Mayu trasalì. Nella voce di Zero c’era la stessa disperata urgenza di quando l’Herakles l’aveva presa in ostaggio nel laboratorio di Kurai.
Oltrepassò di corsa i riflettori e saltò nella piccola conca sotto la postazione di pilotaggio.
Seduta su una metallina, un maglione troppo grande infilato di sbieco sulle spalle tremanti, Yuki alzò su di lei uno sguardo confuso.
– Mayu... stai bene?
– Sì – Mayu le si lasciò cadere accanto e le gettò le braccia al collo – Sì, non preoccuparti.
I suoi capelli umidi le pizzicavano la guancia e la sua mano gelata dietro la nuca le mandò un brivido giù per la schiena, ma non si era mai sentita tanto sollevata in vita sua. Da qualche parte dentro di lei, si rese conto, aveva davvero temuto di non rivederla mai più.
– Allora – Yuki deglutì e la staccò da sé – Allora va’ da Tadashi.
Mayu volse lo sguardo nel punto in cui era fisso il suo e tutto il sollievo che aveva provato svanì di colpo nel vederlo steso fra Harlock e Zero, che gli stava insufflando aria nei polmoni.
La paura che le aveva gelato il cuore la sera in cui Yuki e il Dottore lo avevano riportato a casa in fin di vita e l’ansia, la frustrazione e il senso d’impotenza che aveva provato nel laboratorio di Kurai quando non aveva potuto far niente per Harlock e Zero la riassalirono con violenza.
Chiuse gli occhi, sfiorò la sua ocarina.
No. Non stavolta.
Si obbligò a riaprire le palpebre e afferrare il borsone.
– Zero, Harlock! Il suo cuore...?
– È presto per dirlo – Zero abbassò la cerniera del maglione di Tadashi e gli fece scivolare l’indice e il medio della mano destra sul pomo d’Adamo – Ma la sua temperatura è scesa a ventitré gradi e non gli sento più il polso.
Le sue dita si spostarono di lato sull’incavo del collo di Tadashi. Gli tastò la carotide per un tempo che a Mayu parve infinito, poi guardò Harlock.
– Comincia.
Senza una parola, Harlock sollevò il secondo maglione che ricopriva il petto di Tadashi e gli fece scorrere l'indice e il medio della mano sinistra lungo il margine inferiore della cassa toracica. Arrivato al di sopra del punto in cui l'ultima costa s’incontrava con lo sterno, si fermò con un sussulto. Mayu seguì il suo sguardo e si sentì male per lui. Il punto di compressione era proprio sopra quella cicatrice. Harlock ansimò, pallido come un fantasma. Un rivolo di sudore gli colò nell’occhio arrossato e lucido. La mano di Zero si chiuse attorno al suo avambraccio.
– Ce la fai?
Con un brusco cenno del capo, Harlock accostò la base della mano destra alle due dita e ci posò sopra la sinistra. Sbatté la palpebra, si mise sulla verticale dell’area di compressione e spinse in giù.
– Uno, due, tre…
Zero si raddrizzò.
– Mayu, hai una radio con te?
Mayu annuì. La sua mano tremava sul bottone della tasca.
– Devo chiamare il Dottore?
Lo sguardo di Zero si spostò da lei a Yuki.
– Non ancora. Occupati prima di lei.
Mayu gli fece un cenno affermativo e aprì il borsone.
Thermos, termometro, sfigmomanometro...
Per una volta sapeva cosa fare e, proprio come aveva pensato, aiutava.
Svitò il tappo del thermos e il profumo del thé la riportò a giorni in cui la neve era uno spettacolo da ammirare rapita col naso all’insù, ai pupazzi e alle battaglie a palle di neve nel giardino, al tepore del camino nel soggiorno e a quel vecchio tappeto ormai sbiadito e pieno di macchie per tutte le volte che lei, Yuki e Tadashi ci si erano seduti per asciugarsi davanti al fuoco con una tazza fumante fra le mani. Sembrava passata una vita.
Strinse forte la presa attorno al tappo, lo capovolse e lo riempì fino all’orlo. Avrebbe fatto tornare quei giorni, a qualunque costo.
Anzi, saranno ancora più belli.
Guardò Harlock. Non ricordava d’averlo mai visto così pesto ed esausto in vita sua, ma la sua espressione, adesso, era la stessa che ricordava da quando era bambina.
Ferma. Determinata. Rassicurante. Rilasciò le dita. Non tremavano più.
– Tredici, quattordici, quindici.
Harlock fermò le compressioni e Zero si riabbassò su Tadashi.
Mayu porse il thé a Yuki. Lei allontanò la sua mano.
– Non pensare a me. Va’ da lui...
– Bevi, Yuki. Ti riscalderà.
– Non pensare a me, ti ho detto! Va’ da Tadashi! Va’ da lui prima che...
Mayu non aveva mai sentito quel tremito nella sua voce, non aveva mai visto nei suoi occhi tanto terrore… e aveva paura quanto lei, forse persino di più, ma non c’era tempo per confortarla, non ce n’era per discutere.
Sospirò, la risata allegra del Dottor Zero che le risuonava nella mente.
Con certa gente ci vuole pugno di ferro in guanto d’acciaio, cara mia!
Le spinse il thé sotto il naso e aggrottò la fronte.
– Bevi – lei stessa si stupì della durezza nella sua voce – Siamo solo in tre e se dovessi sentirti male dovremmo darti la precedenza. Se non vuoi prenderti cura di te stessa per il tuo bene, fallo almeno per il suo!
Yuki trasalì, distolse lo sguardo e prese il tappo fra le mani tremanti. Trangugiò un paio di piccoli sorsi e Mayu tirò il fiato. Non s’era nemmeno accorta d’averlo trattenuto, e non aveva tempo per pensare a che effetto le avesse fatto esser lei, per la prima volta, a farle una ramanzina.
Le misurò temperatura e pressione e sospirò di sollievo: i suoi valori erano bassi, ma non correva pericoli imminenti. Le fece infilare le braccia nelle maniche del maglione, le drappeggiò sulle spalle quello che giaceva ai suoi piedi e la coprì con l’altra coperta isotermica, poi raccolse strumenti e borsa e si alzò.
– Non muoverti da qui, qualunque cosa succeda.
Si lasciò cadere in ginocchio di fianco ad Harlock proprio mentre eseguiva le ultime due compressioni e Zero si preparava a cercare di nuovo tracce di respiro e polso carotideo. Infilò il termometro nell’orecchio di Tadashi, gli chiuse il manicotto attorno al braccio e avviò lo sfigmomanometro.
Accanto a lei, Harlock rilassò le braccia e si voltò verso Zero. Lui scosse la testa.
– Mayu?
Il display dello sfigmomanometro e quello del termometro diedero i loro responsi.
Mayu inghiottì.
– Temperatura ventidue – la sua voce si spezzò – Massima cinquanta, minima trentatré. Battito irregolare.
– Non va bene – Zero aggrottò la fronte – Non va bene per niente. Mayu, chiama il Dottore! Harlock, continuiamo!
Da qualche parte dietro di loro, Yuki gemette. Mayu sperò che restasse dov’era a finire il suo thé e accese la radio.
– Mayu – la voce del Dottor Zero era appena percettibile in un vociare confuso di sottofondo – Cos’hai lì?
Mayu gli fece un sunto della situazione e gli ripeté i valori di Tadashi.
– Quanto ci metterà la squadra della Karyu ad arrivare?
– Non ne ho idea – la voce del Dottore s’abbassò ancora, tesa – Ma voi continuate con la CPR*. Bisogna assicurarci che il sangue gli arrivi al cuore e al cervello.
– Dobbiamo usare la bombola?
– Se non c’è respiro autonomo, meglio aspettare. Bisogna fargli salire la temperatura, ma non troppo in fretta. Hai della salina riscaldata con te?
– Sì.
– Ti ricordi la procedura di somministrazione endovena?
Il cuore prese a batterle a mille e la gola le si seccò. Inghiottì e un dolore sordo le risalì su per la gola fino alle orecchie. Era a pezzi. Aveva freddo. Aveva paura. Non aveva mai fatto una cosa del genere senza il Dottore a guidarla passo passo e controllarla. Sfiorò il braccio inerte di Tadashi. Non poteva tirarsi indietro.
– Sì.
– Allora procedi. Subito. Gauge sedici, quello col butterfly grigio**.
Mayu scoprì il braccio sinistro di Tadashi e tirò fuori dalla borsa il tubicino che le aveva indicato il Dottore.
Respirò a fondo, imbevette un batuffolo di cotone nel disinfettante, gli legò il laccio emostatico appena al di sopra del gomito, gli afferrò il braccio con la sinistra e lo bloccò tra le ultime tre dita e il pollice. 
Tamponò con cura la pelle sotto la piega dell’avambraccio e la massaggiò col pugno dal basso verso l’alto per spingere verso il laccio la maggior quantità possibile di sangue. La vena spiccò azzurrina contro la pelle livida. La premette con l’indice appena sotto il punto che aveva scelto, afferrò il butterfly per le due alette, tirò via il cappuccio con i denti e fece penetrare l’ago per un paio di centimetri lungo l’asse del vaso sanguigno, pronta a fermarsi e arretrare alla minima resistenza. Non ce ne furono. Qualche goccia di sangue scuro rifluì lungo la camera di controllo del tubicino trasparente, ancora chiuso all’estremità dal suo tappino. Mayu fissò il butterfly con uno strappo di cerotto, allentò il laccio emostatico e adagiò il braccio di Tadashi lungo il suo fianco.
Tirò fuori dalla borsa la bottiglia di salina, la capovolse, l’agganciò a una stanga di metallo che pendeva sopra di lei, rimosse i cappucci protettivi dall’ingresso per il deflussore e dalla sua punta e li collegò. Compresse la camera di gocciolamento fino a riempirla a metà e controllò il tubo. Nessuna bolla d’aria.
– Fatto. A quanto regolo?
– Dieci gocce ogni quindici secondi. Un’ora. Gli è tornato il polso?
Zero scosse la testa, Harlock era già alla decima compressione.
Mayu aprì il rubinetto e regolò il deflussore.
– No.
– Insistete – il Dottore gridò qualcosa d’incomprensibile a qualcuno lì con lui – Asciugatelo, copritelo con tutto quello che avete e preparate una siringa d’adrenalina, giusto per precauzione. Dieci millilitri in venti di fisiologica. Cercherò di mandarvi qualcuno con un defibrillatore al più presto. Passo e chiudo.
Mayu prese una coperta isotermica, l’avvolse attorno alle gambe e ai fianchi di Tadashi e tornò al suo posto.
Tirò fuori dal borsone il contenitore con siringhe e fiale e guardò Harlock: era sempre più pallido, ansimava e rivoli di sudore gli scorrevano sul viso e sul petto costellato di tagli, lividi e cicatrici. Aspettò che terminasse la serie di compressioni e gli sfiorò la fronte. Era bollente. Guardò verso Zero per chiedergli di dargli il cambio e lo vide scostarsi con un sussulto. Dalle labbra blu-violacee di Tadashi uscì un lungo ansimo sibilante, poi un gorgoglio roco. Aveva aperto gli occhi, ma il suo sguardo era fisso, le pupille dilatate. Il suo collo già teso s’arcuò ancor di più, le sue braccia e le sue gambe si contrassero e si rilassarono in preda a violenti spasmi. Zero gli bloccò il braccio con la flebo.
– È in fibrillazione***! Mayu, iniettagli l’adrenalina, presto!
– Devo ancora prepararla! E inserirgli un altro catetere, chiamare il Dottore per chiedergli ogni quanto ripetere la somministrazione...
Non ce la farò mai!
Ansimò. Dove aveva messo la radio? E la borsa? Dov’era quella maledetta scatola? Cosa c'era scritto sui flaconi di fisiologica? Si sentiva soffocare.
– Calmati, Mayu. Respira – una mano sulla sua spalla, la voce di Yuki – Fa’ una cosa alla volta. Penso io a chiamare il Dottore e trovarti il catetere. Tu prepara la siringa.
Un altro spasmo. La metallina scivolò via dalle gambe di Tadashi, i suoi talloni si piantarono nella neve. Mayu prese dalla borsa un flacone di sodio cloruro.
Zero alzò la testa.
– Presto! Abbiamo meno di cinque minuti!
Dopo di che…
Mayu scosse il capo. Non doveva pensarci. Afferrò la siringa, tirò indietro lo stantuffo e inserì l'ago nel tappo di gomma della salina. Spinse lo stantuffo per comprimere l'aria nella boccetta, la capovolse per coprire la punta dell'ago con il liquido e aspirò.
Venti millilitri.
Dalle narici e dalla bocca di Tadashi uscì un rantolo spasmodico, raggelante.
Non voltarti. Non piangere. Non tremare.
Inspira. Espira. Una cosa alla volta.
Prese la fiala d’adrenalina e ne picchiettò la porzione più stretta per fare in modo che non vi restasse dentro del liquido, lo aspirò e sollevò la siringa con l'ago verso l'alto.
Premette lo stantuffo finché una minuscola goccia non imperlò la punta dell’ago.
– Ci sono!
Yuki le porse catetere e disinfettante.
– Il Dottore ha detto di ripetere ogni cinque minuti, se non risponde. Ma prima vuole che lo chiamiamo. Ha anche detto che la squadra arriverà in meno di dieci minuti.
Mayu annuì, ma non si poteva certo aspettare.
Gli occhi di Tadashi, adesso, erano del tutto arrovesciati nelle orbite. Rivoli di saliva gli colavano dagli angoli delle labbra.
Il suo corpo si tese come un arco e ricadde giù in un’altra violenta convulsione.
– Bloccagli il sinistro.
Yuki gli afferrò il braccio, ma le sfuggì prima ancora che avesse il tempo di sollevargli la manica. Zero guardò verso il suo orologio.
– Due minuti!
– Dannazione!
Harlock si mise a cavalcioni sul bacino di Tadashi, serrò il pugno a una ventina di centimetri dal suo petto, piegò il polso verso l’alto e gli sferrò un colpo d’ulna alla metà inferiore dello sterno.
– Non azzardarti a mollarmi così, Tadashi – ritrasse la mano – Non eri tu quello che voleva riportarmi sulla Terra a tutti i costi? Se sei un uomo, mantieni la parola!
Gli sferrò un altro colpo. Le gambe di Tadashi scalciarono la neve e ricaddero prive di forza.
– Lo ammetto, a volte ho desiderato che morissi, perché ti invidio, non sai quanto – Harlock gli soffiò aria nei polmoni e ricominciò a comprimergli il petto, le labbra curvate in una piega amara – Ogni volta che ti guardo, vedo il ragazzo che non sarò mai più e l’uomo che non diventerò mai e fa male, oh, se fa male, ma la sai una cosa? Io questo male lo voglio! Voglio tornare sulla Terra con te, vederti realizzare tutto quel che avrei voluto fare io, avere tutto ciò che ho sempre desiderato e invidiarti e star male e ferirti ancora e ancora, perché finalmente ho capito che tutto questo possiamo superarlo! Perciò vivi e torna a casa con me, ti prego!
Le convulsioni cessarono di colpo. Harlock barcollò all’indietro e cadde a sedere tra le gambe di Tadashi, ansimante e scosso dai brividi, l'occhio spalancato nel vuoto. Zero eseguì altre due insufflazioni e gli tastò la carotide.
Mayu applicò il catetere al braccio sinistro di Tadashi, ci inserì la siringa e spinse in giù il pistone il più adagio possibile. Trenta tacche d’eternità, scandita solo dal battito impazzito del suo cuore e dagli ansiti di Harlock.
L’ultima goccia svanì nel tubicino e lei alzò la testa, terrorizzata.
Incontrò lo sguardo scioccato di Zero con il regolatore di flusso della bombola d’ossigeno fra le dita della mano destra e la maschera nella sinistra, poi quello stravolto di Harlock, che le mise una mano sulla spalla. Lì accanto, Yuki intrecciò le sue dita a quelle di Tadashi.
– Torniamo a casa – singhiozzò – Torniamo a casa.





* CardioPulmonary Resuscitation – termine in lingua inglese per la rianimazione cardiopolmonare (RCP)
** Il gauge (inglese per "calibro") è un'unità di misura di diametro che, in ambito medico, viene applicata principalmente agli aghi, contrassegnati da un colore e un numero. Il butterfly è un tipo di ago con due alette, appunto, a farfalla.
*** La fibrillazione ventricolare (FV o VF) è un’aritmia che provoca contrazioni non coordinate dei ventricoli nel cuore. Quando si verifica, la gittata cardiaca cessa completamente.





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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 58
*** Il cuore delle donne e la banalità del male ***


cap 8 Ishikura sistemò per l’ennesima volta il colletto dell’uniforme e tornò a fissare le schiene dei tre uomini che lo precedevano lungo il corridoio.
Acciaio.
Non c’era altro modo per definirli.
Harlock, Daiba e il Capitano Zero. Metà di quel che avevano passato negli ultimi tempi avrebbe spedito sottoterra o in un ospedale psichiatrico chiunque… e invece eccoli lì, ritti sulle loro gambe e ancora capaci d’intendere e volere.
Per la verità, ogni tanto il Capitano sembrava avere la testa chissà dove, Harlock s’era richiuso nel suo mutismo finché Daiba non aveva ripreso i sensi e quest’ultimo barcollava ancora un po’, ma per uno che aveva passato ventiquattr’ore attaccato a una macchina per la circolazione extracorporea e quasi un mese a letto a far saldare tre costole rotte, combattere febbre e geloni e smaltire i postumi dell’impianto d’un ICD* con dosi da cavallo di farmaci, era in forma strabiliante.
Ishikura roteò la spalla sinistra. I tendini scattarono e un dolore sordo gli percorse l’avambraccio fino al gomito. Gemette a labbra strette.
Non sarò mai stoico come loro, però li capisco.
Stress, notti insonni e postumi delle ferite o meno, non sarebbe voluto essere da nessun’altra parte, a costo di lasciarci le penne.
Sfiorò il calcio della sua pistola d’ordinanza con l’intenzione di controllare la carica della cella ma si ricordò d’averlo fatto appena cinque minuti prima, e già per la terza volta da quando erano entrati nel Palazzo del Governo.
– Nervoso?
Accanto a lui, Tetsuro Hoshino sorrise.
– No, per niente.
In realtà, il succo d’arancia e il tramezzino che Marina l’aveva obbligato a ingurgitare per colazione minacciavano una sortita.
– Io, invece, sono teso come una corda di violino – dalla sua espressione imperturbabile e dalla scioltezza con cui stiracchiò le braccia, non sembrava proprio – Dopo dieci anni, finalmente scriveremo la parola fine al Progetto Herakles. Ancora non mi sembra vero.
Ishikura sfiorò la foto con Takeshi e Minoru nella tasca interna della giacca e pensò a suo padre. Come se gli avesse letto nel pensiero, Tetsuro gli diede una leggera stretta sull’avambraccio. Non gli aveva solo rivolto una frase di circostanza, durante quella riunione: da quando si erano rincontrati, aveva davvero preso a comportarsi come una specie di fratello maggiore acquisito… nonostante fosse più giovane di lui.
– Ragazzi, ma avete visto le facce di tutta questa gente? – Sylviana gli trotterellò accanto, gli tirò la manica come una bambina e ridacchiò, in brodo di giuggiole – Sembrano tutti sul punto di farsela addosso!
Un momento: Sylviana?!
Ishikura si guardò attorno e alle spalle: che fine aveva fatto Rai? Perché Grenadier non l’aveva trattenuta all’entrata col resto della squadra? A che cavolo stava pensando Marina? Poteva anche arrivare a capire, con un colossale, titanico sforzo, che ormai tutti sulla Karyu e sull’Arcadia avessero accettato il suo andarsene ovunque volesse quando volesse, ma che persino le guardie del Ministero…
Poi, la sua mente si soffermò sulla composizione del gruppo nel quale s’era imbucata.
Il ricercato numero uno in tutto l’universo. Il Primo Ministro della Federazione, ufficialmente morto per mano sua. Il Capitano della nave che aveva sconfitto l’Hell’Castle nella battaglia di Teknologhia. Lui, forse il solo a non essere famoso o famigerato, ma che lì dentro tutti conoscevano grazie a Minoru. L’eroe delle guerre contro i Meccanoidi di Promesium. E per finire in bellezza, Yuki Kei, scomparsa ormai da mesi, forse rapita, forse assassinata, Marina, Yattaran che si gingillava con un modellino dell’Arcadia nuovo di zecca e il Dottor Zero che canticchiava allegro col suo gatto accovacciato sulla spalla e una fiaschetta di saké che gli spuntava dalla borsa.
Non c’era da stupirsi che, dopo quella parata di celebrità, una pazza in minigonna rosa fluo, doppi cinturoni e stivaloni da cow-girl fosse passata inosservata.
E non c’era da stupirsi che, in effetti, si fosse radunata tutt’intorno e dietro di loro una folla che li fissava attonita e li seguiva mormorando.
Il corridoio terminò davanti a una porta sulla cui semplice targhetta d’ottone si leggeva la scritta: “Ufficio del Primo Ministro”.
Daiba mosse un passo avanti, tirò fuori dal taschino la sua chiave elettronica e la fece scorrere nella serratura.
Aggrottò la fronte nel sentirla scattare e Ishikura pensò che sì, era d’accordo con lui: il non aver ancora escluso dal sistema di sicurezza il codice di un uomo assassinato, anzi, il non aver nemmeno verificato che fine avesse fatto la sua chiave dopo tutto il tempo che era passato, era indice d’un lassismo imperdonabile.
La porta s’aprì con un sibilo e il piede di Daiba urtò contro una pila di documenti buttati alla rinfusa sul pavimento. Sollevò quello che faceva capolino all’estremità, tutto spiegazzato, macchiato di caffè al centro e scarabocchiato sui bordi. Il suo cipiglio s’accentuò. Ishikura sbirciò da sopra la sua spalla: era il piano per il potenziamento della rete di trasporti della Federazione a cui stava lavorando col suo esecutivo prima di subire l’attentato. Buttò l’occhio sulla colonna di carta: lo seguiva un plico d’accordi e disposizioni in merito agli approvvigionamenti da e per le colonie contrassegnato come “da rivedere – urgente” più di tre mesi prima.
E se tanto mi dà tanto, il povero Daiba avrà parecchio da fare nei prossimi giorni.
Ishikura lo compatì dal più profondo del cuore nell’osservare l’altra dozzina di colonne di scartoffie che costellavano il pavimento, ognuna delle quali alta almeno mezzo metro e tutte disposte a mo’ d’ostacolo attorno ai banchi di sabbia, alle collinette e alle buche in plastica d’un set da minigolf da ufficio.
– E Fulmine passa in vantaggio, a due giri dalla fine!
Dalla scrivania ingombra di mazze, palline, carte da gioco, riviste, piatti e bicchieri vuoti, l'immagine tridimensionale d’una folla accalcata in un ippodromo ruggì eccitata. Harlock s’avvicinò in tre rapide falcate e spense il proiettore olografico.
– Ehi, tu! – Chīsanahito guardò in su indignato – Ma come o…
Harlock incrociò le braccia sul petto, un cipiglio a dir poco spaventoso sul volto sfregiato.
Chīsanahito sbiancò, fece un salto sulla poltrona e lanciò un urlo stridulo.
– A-a-a-aiuto! – si mise a scavare tra le cianfrusaglie davanti a lui, alla disperata ricerca di qualcosa – Guardie! Guardie! Ma dove diavolo è finito l’interfono?!
Daiba s’affiancò ad Harlock e squadrò il terrorizzato Ministro dalla testa ai piedi, sul volto uno sguardo truce che non aveva proprio nulla da invidiare a quello del suo Capitano. Gli occhi di Chīsanahito raggiunsero le dimensioni di due palline da tennis nel posarsi su di lui. Si tolse gli occhiali, li pulì col fazzoletto da taschino, li inforcò di nuovo e s’appiattì contro lo schienale.
– Da-Da-Daiba?! S-s-sei davvero tu?!
Dalla tasca della giacca, il Capitano Zero tirò fuori un paio di manette e si voltò.
– Signor Ishikura, a lei l’onore.
Ishikura sobbalzò. Il succo e il tramezzino fecero un altro giro di giostra nel suo stomaco e poi su per l’esofago. Doveva aver stampato sulla faccia un “davvero?” grande come una casa, perché il Capitano annuì, gli mise fra le mani le manette e lo spedì avanti con la pacca sulla schiena e il sorriso benevolo che di solito riservava alle reclute più impaurite.
Ishikura fece un profondo respiro e raggiunse Harlock e Daiba davanti alla scrivania.
Guardami, Minoru.
– In nome del Governo Federale Terrestre…
– Lascia perdere le formalità, soldato – Chīsanahito era ormai diventato tutt’uno con lo schienale della poltrona e agitava come un forsennato la mano destra, l’indice puntato su Harlock – Arresta quel pirata pazzo! Anzi, sparagli, prima che ci ammazzi tutti!
Ishikura oltrepassò Harlock e Daiba, fece scattare il dentino delle manette e si sporse oltre la scrivania.
– … la dichiaro in arresto per alto tradimento, cospirazione politica mediante associazione e banda armata, attentato alla sicurezza, integrità, indipendenza e sovranità della Federazione, rivelazione e utilizzazione di segreti d'ufficio, istigazione, favoreggiamento e complicità in crimini contro l’umanità, terrorismo, strage, tentato omicidio e sequestro di persona,  Ministro Ichiro Chīsanahito.
Chīsanahito ansimò, un sorriso incerto sotto i radi baffetti a spazzola.
– Cos’è – allentò la cravatta sul colletto spiegazzato e macchiato di sudore – Una candid camera? Divertente, divertente, ma ora basta, su, levatevi quelle maschere: un bel gioco dura poco...
– E il suo è durato fin troppo, Chīsanahito – Daiba incrociò le braccia sul petto in una posa speculare a quella di Harlock – O forse dovrei chiamarla Odhrán?
– N-non capisco. Daiba, vecchio mio, ma di che parli?
– La smetta di fare il finto tonto, Chīsanahito – Tetsuro staccò un filo dall’orlo spiegazzato del suo vecchio poncio e lo soffiò via – Abbiamo le prove che lei è coinvolto nel Progetto Herakles.
– Hoshino, lo sapevo! Ci sei tu dietro tutto questo! Non dargli retta, Daiba, qualunque cosa t’abbia detto! Lo sai che quel fanatico anti
progresso mi odia… e odia anche te perché tolleri i corpi meccanici! Vuole metterci uno contro l’altro per prendere il potere e vessare gli onesti cittadini meccanoidi della Federazione!
Se non fosse stato nauseato dalla sua bassezza, Ishikura si sarebbe messo a ridere per l’assurdità di quell’accusa.
– Ma davvero? – Yuki Kei mosse un passo avanti, gli occhi azzurri che fiammeggiavano – A me risulta che quello che ha spedito una copia sotto controllo mentale di Harlock a far saltare una colonia piena d’onesti cittadini della Federazione per screditare Tadashi e prendere il suo posto sia proprio lei.
– Kei, mia cara…
– E siccome non è bastato, ha pensato bene di mandarla a eliminare fisicamente Tadashi, me… e persino Mayu!
Lo sguardo che gli lanciò avrebbe gelato le fiamme dell’Inferno.
Se fosse stato destinato a lui, Ishikura era certo che se la sarebbe fatta sotto e non sarebbe più riuscito a parlare per le successive sei ore.
Chīsanahito, invece, spalancò le braccia e sorrise come un vecchio zio un po’ tonto che non riuscisse a capire perché la sua nipotina preferita gli tenesse il broncio.
– Kei, mia cara ragazza, ma se non ho fatto altro che pregare che tu e la piccola tornaste a casa sane e salve! Non sai quanti appelli ho lanciato da quando siete scomparse, quante…
Ishikura sollevò le manette.
– Mi porga i polsi, Ministro Chīsanahito.
Era nauseato. Amareggiato. Incazzato nero.
L’idea che suo padre e suo fratello fossero morti per colpa d’un buono a nulla viscido, falso e codardo come quello era insopportabile.
Invece di lasciarsi ammanettare in silenzio e mostrare che aveva almeno un briciolo di dignità, Chīsanahito nascose le mani dietro la schiena.
– Non avete prove!
– Altroché se le abbiamo – Yattaran fece dondolare il suo modellino in su e in giù – Più di duemila fotogrammi video in Ultra HD 8K del suo faccione mentre comunica con un laboratorio clandestino del Progetto Herakles nella periferia di Megalopolis, una bella registrazione in cui fa i nomi di Kurai e Hell Matia e per finire col botto la confessione spontanea resa dal suo tirapiedi Sven Arngeir alias Thorn, ex Rosa Rossa.
Chīsanahito si passò le mani fra i capelli, appoggiò la fronte sulla scrivania e gemette.
– E voi credete a quel farabutto? – piagnucolò – Una spia doppiogiochista, un assassino senza scrupoli! È stato lui a organizzare tutto… e… e… e mi ricattava!
Il Capitano Zero rigirò fra le mani il suo cappello senza degnarlo d’uno sguardo.
– Il fatto che lei fosse coinvolto anche nel Progetto Rosa Rossa e nell’assassinio del vero Comandante Arngeir non è certo un’attenuante, tutt’altro. Al posto suo, farei molta attenzione con le parole, ma prego… s’alleggerisca pure la coscienza. Sarò ben lieto di ripetere ogni cosa che dirà davanti ai giudici della Corte Suprema Federale.
Ishikura provò un forte slancio d’affetto per lui nel sentire tutto il disgusto che trapelava dalla sua voce.
Guardò verso Sylviana. S’era aspettato che avrebbe inveito contro il Ministro o addirittura che gli sarebbe saltata addosso al minimo accenno ai Rosa Rossa, invece era stranamente tranquilla.
– Voi non capite! –  Chīsanahito sbatté i palmi sulla scrivania – C’era la guerra! Bisognava difenderci e qualcuno…
– Doveva pur fare il lavoro sporco? – Tetsuro gli rivolse un ghigno amaro – Ci ha già pensato Thorn a deliziarci con questo ritornello. Ce lo risparmi. L’unica cosa che lei ha difeso su El Alamein sono stati la sua poltrona e i suoi privilegi. E per quello che ha fatto dopo, non ha giustificazioni.
Ishikura non avrebbe potuto essere più d’accordo. Si protese oltre la scrivania.
– Mi porga i polsi, Ministro.
 Chīsanahito si ritrasse di nuovo.
– Non l’ho fatto apposta! Non volevo far del male a nessuno, credetemi! – grosse lacrime rotolarono sulle sue guance e gli imperlarono i baffi – Non mi rendevo conto, non sapevo! Anche Elpìs… non sapevo che ci fossero tutte quelle persone! Avevo sbagliato a segnarmi la data e pensavo che i coloni sarebbero arrivati il giorno dopo! Volevo solo fare qualche danno per rosicchiare un po’ di voti alle elezioni di settembre! Ve lo giuro, è stata una svista!
Ishikura si gelò con la mano a mezz’aria e la manetta che dondolava su una catasta di riviste sportive e ricevute di scommesse ippiche.
Inghiottì il fiotto di bile che gli aveva inondato la gola.
Tutte quelle vite...
Una svista.
Non sapeva.
Guardò Chīsanahito. Dallo sguardo speranzoso e supplichevole che teneva puntato su Daiba, era evidente che per lui “non sapevo” e “una svista” fossero giustificazioni del tutto valide e che pensasse di non aver fatto davvero nulla di male, in fondo.
Ishikura serrò la presa attorno alla manetta fino a farsi sbiancare le nocche.
Era sempre più nauseato, turbato nel profondo da quanto dolore avesse potuto provocare la superficialità di quell’ometto mediocre che non si rendeva nemmeno conto della gravità delle sue azioni e delle loro conseguenze.
– E mandarvi contro l’Herakles non è stata certo un’idea mia! – Chīsanahito tirò fuori dal taschino il fazzoletto e si soffiò il naso – Sono stati quei tre mostri: Thorn, Lia Zone e Hell Matia! Io non volevo ammazzare nessuno, meno che mai Mayu! Daiba, Kei, avanti, ma vi sembro capace di far del male a una bambina?!
Daiba inarcò un sopracciglio.
– Se ben ricordo, quando avevo l’età di Mayu, lei mi fece togliere tutti i diritti civili, rinchiudere in carcere e condannare a vent’anni di prigione a Porto Inferno – spazzò via un bicchiere di plastica e un mucchietto di tovaglioli appallottolati da sopra la cornice d'una foto che sporgeva dal bordo della scrivania e ne strofinò il vetro: in piedi su un’altalena, una Mayu di forse dieci anni rideva felice fra lui e Yuki Kei, che reggevano le corde – Ufficialmente perché qualcuno, forse, m’aveva visto scendere dalla nave di Harlock… In realtà perché mi rifiutai d'ucciderlo per lei.
Chīsanahito s’afflosciò come un pallone bucato.
– Kirita...
Daiba posò la foto e lo mise a tacere con un gesto secco.
– Certo. La responsabilità è di qualcun altro, come sempre – si massaggiò la radice del naso, gli occhi chiusi, la voce stanca – Meglio se morto, così non può ribattere. Sia come sia, potrà discolparsi finché vorrà in tribunale. Signor Ishikura, per favore, proceda all’arresto. Qui ho del lavoro da fare.
Chīsanahito s’inginocchiò sulla poltrona e giunse le mani.
– No, ti prego, Daiba! – frignò senza ritegno – È stata tutta colpa di quei tre e del Professor Kurai, te lo giuro! È vero, li ho riuniti io, ma poi hanno preso il sopravvento! M’hanno obbligato a coprirli e fornirgli informazioni! Mi tenevano in pugno, non potevo farci nulla! Avevo… avevo paura!
Ishikura afferrò il polso destro di Chīsanahito lo tirò verso di sé.
– Non poteva farci nulla? – serrò la presa, fuori di sé. Vedeva rosso, la voce gli usciva a fatica dalla gola contratta – La tenevano in pugno? Bé, non era il primo né il solo!
Suo padre. Suo fratello. Tutte le persone i cui nomi erano finiti su quella maledetta lista. Quei bambini su El Alamein.
Loro erano stati davvero in trappola, loro non avevano avuto scelte né vie d’uscita.
Quanto alla paura che dovevano aver provato, gli scoppiava il cuore già solo a immaginare di trovarsi al loro posto.
Chīsanahito lanciò un urlo stridulo.
– Ifiklìs! – si tirò indietro, terrorizzato – Che ci fai tu qui?!
Ishikura lo mollò, interdetto.
M’ha scambiato per Minoru? Ma cosa...
Poi capì, e il sangue gli ribollì nelle vene una volta di più.
Stava davanti a quell’individuo da almeno dieci minuti, ma a quanto pareva non s’era ancora degnato di guardarlo in faccia. Così come non s’era degnato di scomodarsi a capire perché l’assistente d’un suo diretto sottoposto non si presentasse al lavoro da ormai più d’un mese. E poi l’aveva chiamato “Ifiklìs”, il nome “Ishikura” non gli aveva strappato la minima reazione...
Minoru è morto per colpa sua… e non si ricorda neppure il suo vero nome!
Magari, non gli era neanche mai importato di saperlo.
Era troppo. Davvero troppo.
Serrò il pugno. Lo sollevò.
Era un ufficiale nello svolgimento delle sue funzioni.
Quello che stava per colpire sul naso era un Ministro della Federazione e portava anche gli occhiali.
Non gliene fregava un fico secco.
Un vento caldo gli sfiorò i capelli, una luce l’accecò, l’urlo di Chīsanahito gli intronò le orecchie e un acre odore di fumo gli riempì le narici. Sbatté le palpebre e le manette gli caddero di mano.
Chīsanahito era riverso sulla poltrona, gli occhi rovesciati nelle orbite, la bava alla bocca. Una chiazza rossa si stava allargando sulla sua giacca attorno alla bruciatura tonda d’un colpo di laser, poco sopra il taschino.
Ishikura si voltò.
Accanto a Marina, Sylviana soffiò sulla canna di una delle sue pistole e la rinfoderò.
Ishikura girò lo sguardo sui presenti, sbigottiti quanto lui.
Non sapeva che dire. Non sapeva che fare. Non sapeva che pensare.
Mosse un passo verso Sylviana, si bloccò, guardò di nuovo verso Chīsanahito con la speranza d’aver avuto un’allucinazione.
Il Dottore lo oltrepassò di corsa.
– Sylviana – la voce gli uscì strozzata, le spalle gli tremavano – Ma che hai fatto?!
Lei si ravviò una ciocca di capelli.
– Quel che andava fatto, Shizuo. Niente più, niente meno.
Ishikura ripensò a quando aveva risparmiato Thorn, nonostante tutto quello che le aveva fatto, nonostante fosse furiosa.
Un Boy Scout di mia conoscenza m'ha fatto notare che per certe cose ci vogliono un tribunale e magari anche delle prove.
E adesso aveva sparato a sangue freddo all’uomo che suo fratello aveva dato la vita per incastrare, quello che più di tutti meritava di finire in un
aula tribunale… e proprio mentre lo stava arrestando.
– Quel… quel che andava fatto? – ansimò, mosse un passo verso di lei – Quel che andava fatto?! Ma ti rendi conto...?
Gli mancarono le parole. Urlò di rabbia e frustrazione.
– Sei tu che non ti rendi conto, Shizuo...
– Non chiamarmi Shizuo, maledetta serpe! – le andò incontro a passo di carica, i pugni serrati, i denti stretti – Credevo che fossi una brava persona, nonostante tutto, credevo di potermi fidare di te...
Qualcuno lo afferrò per un braccio. Si liberò con uno strattone.
– E invece sei tale e quale a Thorn, anzi, peggio!
Sylviana trasalì, lo guardò a occhi spalancati, aprì la bocca per dire qualcosa e la richiuse subito. 
– Un’assassina, egoista, bugiarda… a cui non frega niente di nessuno!
Marina gli si mise davanti e gli poggiò le mani sul petto per trattenerlo.
– Aspetta! Calmati, Ishikura!
La prese per le spalle e la spinse via.
– Dovevi vendicarti a tutti i costi, vero? – stese la mano verso Sylviana. Un passo ancora e l’avrebbe afferrata – E al diavolo se Minoru è morto per mandare quel bastardo in galera, chi se ne frega di quell’idiota di Shizuo, chi se ne frega della giustizia! “Sono solo parole”, per te, è tutto una recita!
Sylviana gli tirò qualcosa addosso.
Ishikura si fermò di riflesso e l’afferrò a pochi centimetri dal suo naso: qualcosa di piccolo e duro, freddo al tatto.
Qualcuno lo abbrancò da sotto le ascelle e lo tirò indietro.
Lottò per liberarsi, ma quella persona aveva una presa d’acciaio e gambe solide come colonne di marmo. Sylviana lo guardò dritto negli occhi.
– Pensa quel che ti pare – gli voltò le spalle – Io qui ho finito.
Premette il pulsante d’apertura e sparì oltre la porta, in un mare di facce incuriosite.
La persona che lo aveva trattenuto lo lasciò andare. Era il Capitano Zero.
– Se fossi in te le correrei dietro, Ishikura.
– Sì. Per arrestarla.
Sbuffò. Non aveva alcuna voglia di farlo.
Non voleva vederla. Non voleva parlarle. Non era certo di cosa le avrebbe fatto se se la fosse trovata di nuovo davanti.
– Io darei retta al tuo Capitano, ragazzo – Harlock girò attorno alla scrivania e si piegò accanto alla poltrona di Chīsanahito – E le chiederei scusa, visto che probabilmente ti ha salvato la vita.
Si tirò su. In mano reggeva una pistola con la sicura disinserita. Una pistola carica.
Ishikura trasalì. Il suo stomaco si contrasse ancora e ancora.
– Quando… – ansimò, il cuore che gli pulsava nelle tempie – Come…
Daiba s'avvicinò ad Harlock e sfilò dalla scrivania un cassetto dalle dimensioni d’un astuccio.
– C’è uno scomparto segreto proprio qui. Anch’io ci tenevo la pistola, ma non pensavo che Chīsanahito ne avesse una.
Nemmeno Ishikura. Anzi, aveva dato per scontato che un tipo del genere non sapesse nemmeno da che parte s’impugnasse un’arma.
Tetsuro s’avvicinò al Capitano Zero.
– L’ha presa quando l’hai lasciato andare, Shizuo – gli strinse la spalla e sospirò – Stavo per sparargli anch’io, ma Sylviana m’ha preceduto.
Il Capitano annuì.
– È la prima volta che la vedo estrarre prima di me o Harlock. E non credevo che avesse una mira così precisa.
– Può dirlo forte, Capitano! – il Dottore trangugiò un sorso dalla sua fiaschetta – L’ha beccato proprio fra la clavicola e la prima costa, e senza scalfire i nervi e la succlavia!
Ishikura deglutì.
– Non l’ha…
– Macché! – il Dottore rise – Gli ha fatto un bel buco tra il deltoide e il pettorale, ma niente che non si possa sistemare con qualche punto. È svenuto dalla paura, direi.
E lui si sentiva svenire dal sollievo.
– Comunque, ha esagerato – si mise a camminare avanti e indietro, nel disperato tentativo di rimanere arrabbiato e ricacciare indietro il senso di colpa che già s’affacciava in un angolo remoto della sua mente – C’era proprio bisogno di sparargli al petto? Magari non avrebbe premuto il grilletto. O non avrebbe preso nessuno. E poteva anche parlar chiaro! “Quel che andava fatto, Shizuo”… Ma che cavolo! Mica posso leggerle nel pensiero!
Marina gli si piantò di fronte a gambe larghe, lo agguantò per il bavero della giacca e gli mollò un sonoro schiaffone.
– Sei un idiota, Ishikura! – lo lasciò andare, le spalle che tremavano – Non t’hanno insegnato, in Accademia, quanto sono pericolosi i principianti spaventati con un’arma in mano? Bé, quello era nel panico più totale, e tu gli stavi proprio davanti!
Ishikura la guardò a bocca aperta.
– Anch’io gli avrei sparato, se ne avessi avuto il tempo materiale … e pur d’impedire che t’ammazzasse, anche solo per sbaglio, avrei mirato alla testa, e al diavolo l’arresto, il processo e tutto il resto! La vita di un mio compagno è molto più importante!
Una lacrima le scese sulla guancia. Il Capitano le cinse le spalle.
Yuki Kei le porse un fazzoletto.
– Lo sa perché Sylviana è riuscita a sparare prima di tutti noi, Signor Ishikura?
Ishikura le fece cenno di no col capo, un nodo che gli serrava la gola.
La sua rabbia era già svanita, le sue gambe volevano seguire il consiglio del Capitano e di Harlock ma rimanevano lo stesso inchiodate lì, pesanti come piombo. Quanto alla sua testa, era un caos di rabbia, ansia, rimorso e qualcos’altro che non sapeva definire.
– Perché da quando siamo entrati ha tenuto gli occhi sempre puntati su lei e Chīsanahito e non ha mai staccato la mano dalla fondina. Quando lui ha tirato fuori la pistola, lei aveva già preso la mira da un pezzo.
Marina annuì.
– Ha pensato non solo a proteggerti, ma anche a fare in modo che il Ministro arrivasse vivo al processo, proprio come voleva tuo fratello. Per tutto il tempo. E tu… tu le hai detto che non le importa niente di nessuno, che è uguale a Thorn, che sa solo fingere di provare dei sentimenti! Come hai potuto?!
– Io – ansimò – Mi dispiace…
Marina indicò la porta.
– Dillo a lei, non a me, razza di idiota!
Le sue gambe si sbloccarono. La sua mano premette il pulsante d’apertura. Si tuffò nella folla assiepata nel corridoio, sgomitando per aprirsi un varco, pestando piedi, ignorando domande e proteste. Nella hall, premette il tasto di chiamata di tutti e sei gli ascensori. Più volte.
Quanto cavolo ci mettono? Sono tutti guasti? Al diavolo!
Imboccò le scale. Perché diamine li facevano così alti e immensi, quei dannati edifici?
E poi, Sylviana era tipo da uscire dall’ingresso principale?
No, certo che no.
Si bloccò a metà della quarta rampa, la risalì e corse verso le prime scale antincendio di cui trovò l’indicazione. Si diede dell’imbecille: già che c’era, avrebbe potuto scendere ancora un piano. Avrebbe perso la metà del tempo e si sarebbe stancato meno. Spalancò la porta con una spallata e l’allarme antintrusione scattò.
Chi se ne frega!
La scala era deserta, la strada piena di gente su tutti i lati. Una folla di curiosi s’assiepava attorno all’ingresso principale presidiato da Grenadier con la sua squadra e un altro nutrito gruppetto era accalcato proprio lì sotto, tenuto a distanza da una delle tre squadre di supporto capitanate da Kaibara, Nohara ed Eluder. Non riusciva a vedere il retro e nemmeno l’estremità opposta dell’edificio, ma là c’erano le altre uscite.
Scese i gradini a due a due, il petto che gli faceva male, le cosce in fiamme, i polpacci di gelatina. Arrivato in fondo alla rampa, mancò il gradino e inciampò.
– Ishikura, ma che ci fai qui? – la voce di Eluder, il suo braccio metallico attorno al polso – Non dovresti essere...
– Sylviana – ansimò, la gola un inferno di fuoco, le tempie che pulsavano al ritmo del battito cardiaco. Si rimise in piedi e si guardò attorno – Hai... per caso… visto Sylviana?
Eluder scosse il capo.
– Di qui non è passata – inclinò la testa di lato – Ishikura, ma che hai fatto?
– Devo trovarla – si diresse verso il cordone di uomini – Trattienila, se la vedi! E chiamami!
– Usa la radio, no? – la sua voce lo raggiunse mentre già sgomitava fra la folla – Chiama Grenadier, Nohara e Kaibara alle altre uscite!
Ishikura avrebbe voluto prendersi a schiaffi.
Era quello che avrebbe dovuto fare fin da subito.
Tirò fuori la radio dalla tasca e s’incamminò verso l’entrata principale con tutti i sensi allerta. Intorno a lui, solo volti sconosciuti.
– Sylviana? Certo che l’ho vista – la voce di Grenadier era appena percettibile tra gli strepiti di sottofondo – È uscita una decina di minuti fa, senza manco dirmi “crepa”. Che hai combinato, Rompiscatole? Stavolta mi sa che non ti basterà farle la manicure…
Ishikura chiuse la comunicazione e si fermò.
No. Non sarebbe bastato.
Io qui ho finito.
La sirena di un’ambulanza lacerò l’aria. Qualcuno lo urtò, qualcun altro lo spinse di lato senza troppe cerimonie. Camioncini di troupe televisive stavano già manovrando avanti e indietro nel piazzale e la folla di curiosi migrò verso le luci della ribalta come falene attratte dal fuoco.
Tutti urlavano, tutti scattavano foto e filmavano, nessuno si preoccupava di non stare tra i piedi ai suoi commilitoni e ai soccorritori.
E nessuno faceva caso a lui.
Accarezzò l’idea di tornare sui suoi passi, svoltare l’angolo e fare un giro dell’edifico, magari anche dell’intero isolato. La scartò subito.
Sylviana era una spia addestrata e di sicuro sapeva come far perdere le sue tracce. In una città come Megalopolis, poi, doveva essere un gioco da ragazzi.
Si guardò le mani e si rese conto che nella destra stringeva ancora l’oggetto che lei gli aveva lanciato contro per fermare la sua carica.
Aprì le dita. Sul suo palmo, i due anelli che Sylviana aveva comprato quella fredda mattina di fine ottobre scintillarono sotto i raggi d’un sole smorto, legati al loro nastro bianco ormai tutto sgualcito. Li tirò su e li rigirò fra il pollice e l’indice della mano sinistra. All’interno di ognuno, qualcuno aveva inciso la scritta “S. & S.”. Nella stessa grafia, un bigliettino tutto accartocciato e molliccio di sudore recitava: “A perenne ricordo della nostra missione. L’altra S. – P.S: Non farti idee strane!”.
Alzò gli occhi al cielo percorso da nuvole grigie, proprio come quel giorno. Una folata gelida lo investì e gli sembrò di sentire la sua risatina sommessa, le sue braccia che gli cingevano la vita sotto il cappotto.
Come spia e come attore fai davvero schifo. Ma forse...
Sospirò, strinse fra le dita gli anelli e se li fece scivolare in tasca.
Ti sbagliavi, Sylviana. Sono proprio senza speranza.
S’incamminò verso l’ingresso del palazzo.
Fra poco, Grenadier avrebbe iniziato a menar le mani per l’esasperazione, qualcuno doveva pensare a far sgomberare la via per l'ambulanza e i cellulari, disporre un cordone di sicurezza, dirigere il trasporto… e al ritorno sulla Karyu, l'avrebbero aspettato una sfilza di rapporti da leggere, scrivere e catalogare da far invidia alle pile di lavoro arretrato nello studio di Daiba.

Chissà se al Dottore era avanzato un goccio di quel suo torcibudella... ne aveva davvero bisogno.



* L'ICD è un piccolo defibrillatore che viene alloggiato nella parte sinistra del torace e collegato al cuore tramite degli elettrocateteri. Non appena il cuore varia in maniera anomala il proprio battito, registra la variazione ed emette una scarica elettrica correttiva, volta a ripristinare la normale frequenza cardiaca.


Penultimo capitolo... non ci posso credere! Sempre che non debba scappare in Alaska ora che l'identità del misterioso, temibile (...) 
Odhrán è stata svelata. Alla prossima!


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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 59
*** I semi del futuro che abbiamo sparso ***


cap 8 Un passero cantò fra i rami della vecchia quercia e Tori spiccò il volo alla sua ricerca.
Harlock si sfilò il guanto e fece scorrere la destra sul tronco coperto di muschio.
Quell’albero era morto da decenni, ormai, tuttavia svettava ancora solido sulla cima della collina come quando da bambino ci s’arrampicava sognando di raggiungere le stelle.
Tutto uguale, tutto diverso.
Si chinò a estirpare un vilucchio attorcigliato alla base della croce ai suoi piedi e la sfiorò con la punta delle dita.
Eccomi qua. Ci ho messo un po’, ma sono tornato.
Un anno, due mesi e sei giorni.
Sospirò. Tornare su Futuria era stato difficile. Rientrare nell’Arcadia ancor di più.
Nonostante il sole abbagliante che gli investiva le spalle e la schiena, il gelo di quella sala computer sventrata e la sensazione di solitudine che aveva provato nel rendersi conto che Tochiro se n’era davvero andato per sempre lo fecero rabbrividire.
Spero che tu approvi la mia decisione, amico mio, perché non è stato per niente facile prenderla.
Si lasciò cadere all’indietro sull’erba e chiuse l’occhio. Il cinguettio degli uccelli si trasformò nel fischio della tormenta contro i pannelli che coprivano la vetrata in frantumi della sua cabina, il prato soffice nel pavimento duro e sconnesso sotto il suo sacco a pelo.
Dietro le palpebre chiuse, il pensiero che rimettere in funzione quella nave non avesse ormai alcun senso, che il suo desiderio di farlo fosse solo un
altra fuga nel passato e le sue esitazioni un altro modo per tentare di sfuggirgli s’affacciarono di nuovo alla sua mente.
Riaprì l’occhio, si sfilò l’altro guanto e stese  le mani contro l'azzurro del cielo.
Il calore del sole sui palmi era lo stesso della tazza fumante colma di quell’intruglio che Maji e Yattaran chiamavano grog e delle dita sottili di Mime strette attorno alle sue davanti al fuoco.
L’Arcadia non è soltanto la tua nave, Harlock!
Già.
Si risollevò a sedere, piegò il ginocchio contro il petto e rivolse i palmi verso la tomba.
Ed ecco il risultato, amico mio!
Calli e duroni sotto ogni giuntura delle dita, tagli, bruciature e abrasioni in vari stadi di guarigione su ogni centimetro dei palmi e dei dorsi a ricordo di mesi e mesi passati a spalar neve, sgomberar rottami, smontare componenti guaste e sostituirle con pezzi di ricambio, stender cavi, saldare pannelli, avvitare grate, riparare mobili scassati e grattar via polvere, grasso, segni di bruciature e macchie d’olio più o meno da ogni cosa, incluso se stesso.
E sai una cosa? Mi è piaciuto. Ora capisco perché eri sempre così allegro, dopo aver trafficato coi tuoi macchinari.
Anche se la sua schiena, le sue ginocchia e diversi altri punti del corpo di cui un tempo ignorava persino l'esistenza non erano affatto d’accordo, essere così impegnato e stancarsi così tanto da non avere il tempo di tormentarsi coi soliti, cupi pensieri era stato rilassante.
Per dirla come Yattaran: "Svegliarsi all’alba come un gallo, lavorare come un mulo, mangiare come un leone e dormire come un ghiro… questa sì che è vita!"
E a volte gli era capitato persino di sorridere, senza ombre, proprio come un tempo.
Poi era arrivato il momento d’avviare il computer e accendere i motori. Aveva stretto fra le mani le barre lisce e odorose di cera del timone… e anche se tutto era proprio come prima, niente lo era stato più davvero: il grido dei rotori, la vibrazione del pavimento, la resistenza della guida… Tutto uguale, tutto diverso.
Avevi ragione tu. Ogni cosa si può riparare o sostituire, tranne le persone.
E l’Arcadia, per lui, era stata anche e soprattutto quello. Sospirò.
Non è più la nostra nave, amico mio. Ma non sono triste… e nemmeno pentito.
Adesso, l’Arcadia era la nave di Mime e Masu, di Maji e Mayu, di Yattaran e del Dottore, di Yuki e Tadashi e di tutti quelli che l’avevano aiutata a spiccare di nuovo il volo.
È cambiata. Come tutti noi… come me. Ma non vuol dir forse anche questo, vivere?
Respirò a pieni polmoni. L’aria era fresca e carica del profumo di viole, erba e terra bagnata.
Scostò la falda del mantello, aprì la bisaccia e tornò ai piedi della vecchia quercia.
Nel suo cartoccio, il pugno di terriccio era umido e soffice contro il  palmo e il germoglio che aveva coltivato durante il viaggio era alto appena cinque o sei centimetri, ma le foglie erano d’un verde così brillante da sembrar finte. Sarebbe cresciuto al riparo del vecchio albero, ci si sarebbe appoggiato e alla fine l’avrebbe scalzato e se ne sarebbe nutrito fino a sostituirlo del tutto.
E una nuova generazione crescerà all’ombra della nostra e un giorno la sostituirà, però...
– Harlock!
Mayu emerse dal versante sud del pendio e si piegò senza fiato, le mani sulle ginocchia, l’ocarina che penzolava sopra due mazzolini di fiori malconci, i pantaloni e gli stivali macchiati d’erba e terriccio fin sotto il ginocchio. Tirò su la testa e lo squadrò sospettosa.
– Non vorrai mica farlo senza di me, vero?
Harlock scosse il capo, sollevò verso di lei il germoglio e prese dalle sue mani il mazzetto ridotto peggio. Posarono i fiori ai piedi della croce e s’accosciarono fra le radici della vecchia quercia. Non ci misero molto. La pianticella era piccola, il terreno umido e soffice. Le loro dita s’incontrarono nel premerlo tutt’intorno a quel fusto sottile come un rametto.
– Capitano – la voce di Yuki – È andato bene il viaggio di ritorno?
Harlock s’alzò, strofinò i palmi sul didietro dei pantaloni, le andò incontro e tese la sinistra per aiutarla a salire l’ultimo tratto di pendio, visto che era ripido e scivoloso e lei aveva il braccio destro occupato.
– Ti risponderò quando ti deciderai a chiamarmi Harlock. Non sono più…
Lei strinse forte le sue dita e gli sorrise radiosa.
– Tu sarai sempre il mio Capitano… Harlock.
Una parte di lui, quella che odiava con tutto se stesso, gli sussurrò che avrebbe ancora potuto averla.
No.
In ogni donna, lui avrebbe sempre cercato Maya e Yuki meritava la felicità che aveva già trovato accanto a un uomo che non inseguiva fantasmi del passato.
– È andato bene.
La tirò su e lei lasciò andare la sua mano. Il sorriso lasciò il posto a una smorfia di disappunto.
– Mayu! Quante volte te lo devo dire di non correre a quel modo? Vuoi romperti l’osso del collo, per caso?
Mayu incrociò le braccia dietro la testa, imbronciata.
– Uffa, Yuki! Smettila di trattarmi come una bambina! Ho quindici anni, ormai: sono una donna!
Yuki la squadrò dalla testa ai piedi.
– Allora comportati come tale – sbuffò – Ma guardati... sei tutta sporca di terra!
Lei rise.
– Non penso che gli altri si formalizzeranno. Rilassati, Yuki! Siamo in famiglia, mica a uno di quei vostri noiosissimi pranzi di lavoro...
– Già – la fronte di Yuki si spianò – Ma ciò non toglie che tu stia diventando un vero maschiaccio, Mayu! Diglielo anche tu, Capitano!
Lui la trovava incantevole: guance rosse, un sorriso innocente sulle labbra delicate di Emeraldas e una luce vivace negli occhi scuri e intelligenti di Tochiro.
Aveva pensato d’averli perduti per sempre...
Che sciocco. In ogni germoglio c’è sempre qualcosa dell’albero che l’ha generato.
– Capitano... Harlock!
Ritornò in sé al suono della voce di Yuki e al movimento del suo braccio che gli strattonava la manica.
– Ti perdi ancora nei tuoi pensieri, eh? Certe cose non cambiano proprio mai.
Un lieve movimento nell’incavo del suo braccio destro gli fece pensare che invece molte cose cambiavano, nella vita: alcune laceravano il cuore, altre lo colmavano di gioia.
Si chinò su di lei e scostò i lembi della coperta che avvolgeva il bambino.
Anche se gli avevano dato il suo nome, Phantom Harlock Daiba gli somigliava ben poco: era un bimbetto paffuto, roseo e tranquillo, coi capelli ribelli di Tadashi e i colori di Yuki.
Per nulla intimorito dalla sua altezza, dalla cicatrice e dalla benda nera, tese le braccine con un gorgoglio, gli afferrò una ciocca della frangia e tirò per farlo avvicinare ancora di più.
– E così – Harlock liberò i capelli, con qualche difficoltà: quel bimbo aveva una presa d'acciaio e una tenacia impressionanti, per essere ancora tanto piccolo – Tu saresti il mio figlioccio, eh?
Guardò Yuki.
– Ti somiglia.
Come sempre, le sue parole, il suo tono e il suo atteggiamento non riuscivano a esprimere neppure un’infinitesima frazione dell’emozione che provava. Come sempre, Yuki doveva aver capito lo stesso, perché glielo porse, rossa in viso e con gli occhi lucidi.
– Vuoi tenerlo un po’, Capi… Harlock?
Erano passati quindici anni dall’ultima volta che aveva preso in braccio un bambino così piccolo, eppure il ricordo di Emeraldas che gli metteva per la prima volta Mayu fra le braccia riaffiorò vivido e intenso nel sentire il peso e il calore di quell’esserino passare dalle mani di Yuki alle sue. Proprio come allora, qualcosa emerse prepotente dalla parte più profonda della sua anima e seppe con assoluta certezza che quello era l’inizio di qualcosa che sarebbe durato tutta la vita.
In fondo, non c'è bisogno d’un vero e proprio legame di sangue per sentirsi parte d’una famiglia... dico bene, amico mio?
Guardò verso la croce. Proprio in quel momento, il pianto disperato d’un altro bambino echeggiò fra i rami insieme alla voce di Tadashi.
Aveva un tono stranamente supplichevole e Harlock si sporse a guardare oltre il ciglio della collina.
L’eroico Primo Ministro del Governo Federale Terrestre arrancava lungo l’altura, un fagottino rosa strillante che gli si dimenava fra le braccia. Mayu s’affacciò a sua volta e ridacchiò.
– Mirai ha proprio deciso di farlo ammattire. Poveraccio, scommetto che non era questo, il futuro che immaginava!*
– Mayu!
– In effetti, nessuno di noi se l’aspettava – Il Dottor Zero s’inerpicò lungo l’ultimo tratto della salita, si diede un paio di colpetti sulle spalle, posò a terra la borsa che portava a tracolla e si stiracchiò – Io e Masu avevamo quasi perso le speranze, ormai... vero, Mi?
La gatta saltò fuori dalla tasca del suo camice, si strusciò contro la caviglia di Yuki e andò ad acciambellarsi al sole con uno sbadiglio indolente.
– E invece... bang! Due in un colpo solo! – Yattaran arrivò a tutta birra, per nulla stanco per l'ascesa, e prese a correre in circolo attorno a Yuki – E alla prima botta, anche! Quello scemo non è un uomo, è una doppietta di precisione!
– Yattaran! – Yuki era rossa come un peperone – Ma che dici?!
– Avrei dovuto scommettere di più sul loro primo anno – Maji aiutò Mime a superare una lieve sporgenza e allargò le braccia – Lo quotavano otto a uno, un punto in più in caso di gemelli; con appena cento crediti sarei stato a posto per... ops!
Yuki girò lo sguardo dall’uno all’altro dei suoi ex sottoposti, paonazza.
– Avete fatto scommesse su... su questo?
Yattaran sogghignò.
– Eh, se solo sapessi!
– E chi ha vinto? – Mayu evitò per un soffio uno scappellotto dietro la nuca e si rifugiò dietro a Yattaran – Qualcuno ha fatto jackpot?
Maji si limitò a guardare Mime che, con assoluta nonchalance, tirò fuori dallo scollo della tunica una fiaschetta di metallo e bevve un lungo sorso che la fece risplendere come una stella.
Si misero tutti quanti sul bordo della collina ad aspettare Tadashi, che arrivò dopo altri sei o sette minuti buoni, rosso in viso, sudato e così rigido da sembrare ingessato.
– Oh, insomma, Mirai, sta’ buona – la sua espressione impacciata e preoccupatissima mentre cullava la figlioletta era davvero comica – Cosa c’è? Hai fame? Hai freddo? Hai mal di pancia? Accidenti, ma quand’è che inizierai a parlare?!
La sollevò in alto, se la poggiò contro la spalla, le massaggiò la schiena e lo stomaco, provò a distrarla con versi e smorfie: niente.
– Va avanti così da quando siamo usciti – rise Mayu – Un vero strazio!
– Avanti, Mirai... smettila, ti prego!
Le urla aumentarono d’intensità e il povero Tadashi si guardò attorno, smarrito come neanche il primo giorno nello spazio. Per metà impietosito e per metà divertito, Harlock partì in suo soccorso.
Affidò il suo biondo, sorridente omonimo a Mayu e s’avvicinò a Tadashi.
Passò il braccio sotto al suo, prese la bambina, le fece poggiare la testa nell’incavo del suo avambraccio e la cullò adagio canticchiando quella vecchia canzone. Il pianto s’arrestò di colpo; la piccola lo guardò attenta coi suoi grandi occhi castano–verde, l’ascoltò rapita per qualche minuto e s’addormentò, i pugnetti chiusi sotto il mento e l’aria beata.
Mayu sbuffò dal naso, le lacrime agli occhi mentre si sforzava di non scoppiare a ridere in faccia a Tadashi, che osservava lui e la bambina a bocca aperta.
– Ma tu guarda – Tadashi si ficcò le mani in tasca e gli rivolse lo stesso broncio indispettito di quand’era un ragazzino – Se vuoi te la regalo, Harlock.
Yattaran rise.
– Eh, l’ho sempre detto, io: il Capitano ci sa proprio fare, con le donne! Da zero a cent’anni, sono tutte innamorate di lui!
Yuki posò una mano sulla spalla di Tadashi.
– È perché lui è tranquillo – ridacchiò – Mentre tu, quando prendi in braccio Mirai, hai la faccia di uno che stia cercando di disinnescare una bomba a orologeria.
Tadashi incrociò le braccia sul petto.
– Per forza: ha un caratteraccio impossibile, quella bambina! Mi chiedo da chi abbia preso!
Yuki, Mayu, Mime, Maji, Yattaran e il Dottore si guardarono l’un l’altro, fissarono prima lui e poi Mirai e scoppiarono a ridere. Il broncio di Tadashi si fece più pronunciato.
– Bé? Che vorrebbe dire questa pantomima?
– Che i frutti non cadono mai lontano dall’albero, Tadashi – ghignò Harlock – E dato che Yuki è una persona calma e posata...
– Oh, no, Harlock! – Tadashi si grattò la nuca – Non ti ci mettere pure tu!
Li squadrò tutti con aria offesa, poi non riuscì più a trattenersi e scoppiò a ridere anche lui.
Anche Harlock si sorprese a sogghignare mentre osservava incantato il visetto tondo di quei due bambini in cui già si vedevano, fusi in un’incredibile, magnifica mescolanza, i tratti dei genitori.
Proprio come semi... volano verso il futuro portando dentro di sé il legame con il passato, il ricordo dell’amore che li ha generati.
Si sentì commosso e pensò una volta di più che quello era il vero miracolo, la vera immortalità per un essere umano.
E noi abbiamo il dovere di fare da ponte fra passato e futuro, di nutrirli, guidarli e proteggerli finché non prenderanno il nostro posto. Un giorno, i semi che oggi abbiamo sparso diventeranno dei grandi alberi, e noi potremo riposare alla loro ombra...
– Aaah! Che vedono i miei occhi?! – un grido poderoso quanto stridulo lo strappò dai suoi romantici pensieri – Mayu! Harlock! Disgraziati! Come osate toccare i miei piccoli con quelle manacce sudicie?!
Per nulla affaticata dagli anni e dalla salita, Masu posò a terra un cesto da pic-nic grande quanto lei, schizzò fra Maji e il Dottore e andò a piantarglisi di fronte, gambe larghe e mannaie in pugno.
– Non lo sapete che i neonati sono delicatissimi? – le due lame, sfregate una contro l’altra, sferragliarono ed emisero sinistre scintille – Filate a lavarvi quel lerciume di dosso o giuro che vi faccio a fettine sottili sottili, vi metto a marinare tutta la notte in acqua e limone e poi vi cucino alla marinara col peperoncino di Cayenna!
– Tutte le donne sono innamorate del Capitano, da zero a cent’anni – Yattaran stese la tovaglia, si sedette sull'erba accanto al cesto e tirò fuori dalla bisaccia che portava alla cintola il modellino d’un incrociatore Federale – Con un’unica eccezione...
– Già – il Dottor Zero s’accomodò accanto a lui a gambe incrociate, aprì la sua borsa colma di bottiglie, ne stappò una e si concesse un’abbondante sorsata – La stessa eccezione alla regola che vuole che lui non fugga mai di fronte al nemico.
– A questo punto – Maji sollevò un dito, serissimo – Ci sarebbe da dubitare che Masu sia una donna.
– Secondo me, non è neanche umana.
– Piantatela di dire corbellerie, cialtroni! – Masu si girò a fronteggiare il trio – Soprattutto tu, Dottore da strapazzo! È così che vegli sulla salute dei nostri nipotini? Ma io quelle bottiglie te le spacco tutte in testa, hai capito?!
Il Dottore s’alzò, si mise davanti alla borsa e si rimboccò le maniche.
– Non provarci nemmeno, vecchia megera! Mi sono costate un occhio della testa e le due in mezzo sono per il Capitano: devo mantenere la promessa d’offrirgli da bere e pagare la scommessa su Yuki e Tad... ops!
Yuki sgranò gli occhi.
– Dottore… Harlock! Anche voi?!
Il Dottore prese una bottiglia, la stappò e ridacchiò.
– Non te la prendere, Yuki! Scommettere su tutto è una nostra tradizione, lo sai – tirò fuori una pila di bicchieri di carta e li riempì – E a tal proposito, propongo un brindisi a Taro, Kiddodo e Doskoi.
Calò il silenzio mentre ognuno prendeva il proprio bicchiere.
Harlock sollevò il suo.
– A Taro, Kiddodo e Doskoi, allora – guardò in alto e poi verso la tomba – A tutte le vittime di quell’incubo… e a tutti coloro che hanno dato la vita per farlo finire.
– Prosit.
– Prosit.
Vuotò il bicchiere d’un fiato. Era un vino delizioso, ma gli lasciò un gusto amaro in bocca.
Erano morti davvero in tanti… non solo per salvare lui, certo, ma anche per quello.
Abbassò il bicchiere. 
Vi onorerò vivendo al massimo delle mie possibilità, giorno dopo giorno, non come l'eroe che avrei voluto essere, ma come me stesso.
– Che fai, pirata da strapazzo? Cerchi già di traviare la mia figlioccia con le tue pessime abitudini?
Alla testa del suo gruppetto d’ufficiali, Zero gli rivolse un cipiglio minaccioso. Harlock lo ricambiò con un ghigno sprezzante.
– Senti chi parla – guardò con ostentazione l’orologio e restituì il bicchiere vuoto al Dottore – Sarà almeno mezz’ora che t’aspettiamo, soldato da operetta. Cos’è, ti sei perso per l’unico sentiero che porta quassù?
Gli tese la mano libera. Lui l’afferrò, la strinse proprio dove le sue nocche erano più ammaccate e prese Mirai dalle sue braccia.
– Eccoti qui. Spero davvero che il futuro sarà radioso per la tua generazione, piccola.
Un giuramento.
Non c’era bisogno di parole né della comunione mentale generata da una macchina per capirlo: bastava il suo sguardo in quel momento, lo stesso di quando aveva stretto al petto la famiglia che non aveva saputo proteggere e non avrebbe mai più riavuto.
Harlock gli diede una pacca sulla spalla.
– La nostra è vissuta in mezzo alle guerre, ma saprà regalare la pace alla sua, ne sono sicuro – serrò le dita attorno al suo omero e ridacchiò soddisfatto quando trovò il nervo sovrascapolare – Detto questo, non osare mai più ignorare una mia domanda.
Zero sobbalzò e si liberò con una scrollata.
– Non mi sono perso io – grugnì – Ho perso un uomo.
Grenadier gli mollò una poderosa manata sulla schiena ed esplose in una risata.
– Io te l’avevo detto, Zero: ci vuole il guinzaglio, con quel rompiscatole!
Eluder si strofinò il mento.
– Davvero? Quando non è con te, di solito è affidabile e molto puntuale, quindi magari non è lui che dovremmo tener sotto controllo.
– Fino a prova contraria, io sono qui e lui no. E poi non è affatto vero che ho una cattiva influenza! Semmai sei tu che...
Rai si mise in mezzo.
– Non cominciate nemmeno, ragazzi – le sue braccia corte e la sua statura non lo aiutavano certo a tener separati quei due – E soprattutto non urlate, che ho un mal di testa infernale!
– Forse avremmo dovuto andarlo a cercare a casa – Marina si torse le mani – Non vorrei che gli fosse successo qualcosa.
Tetsuro fece capolino da dietro la sua schiena e si tolse il cappello.
– Non rispondeva nessuno, ve l’ho già detto. Avrò suonato per almeno un quarto d’ora, prima di raggiungervi.
Kaibara tirò e lisciò uno dei suoi lunghi baffi.
– Non credo che corra pericoli, a parte quello di crollare per la stanchezza – andò ad accomodarsi accanto al Dottor Zero e tirò fuori dal taschino la sua pipa – Anzi, tra il processo, la stampa, tutte le cerimonie che s’è dovuto sorbire nell’ultimo mese e quegli altri impegni di cui non ha voluto dir niente a nessuno, mi sa che è proprio quel che è capitato. Starà dormendo come un sasso buttato da qualche parte e non lo sveglierebbe nemmeno un terremoto, figuriamoci il ronzio della trasmittente o del campanello.
Mayu abbandonò il suo rifugio dietro la schiena di Yattaran, afferrò un bicchiere e lo riempì.
– Se una certa ex-spia, ex-cacciatrice di taglie l’ha trovato dove le avevo consigliato di fargli la posta, temo che invece dormirà ben poco, poverino! – ridacchiò – Io non lo cercherei e non lo aspetterei per altri due giorni, come minimo.
Harlock si grattò la nuca. “Sorriso innocente”, aveva pensato?
In quel momento la sua espressione era identica a quella di Tochiro quando lo prendeva in giro con le sue illazioni maliziose e i suoi doppi sensi… e pareva proprio godersela almeno quanto lui.
Sospirò. Il sospetto che sarebbe rimasta una bambina ancora per poco s'intensificò nel vederla porgere il bicchiere a Tetsuro e afferrargli gioiosamente il braccio.
– Come, come? Sylviana e Ishikura…?
– Ehm… Grenadier, lo so che lei ti piaceva, ma…
– Evvai! – Grenadier levò in alto il pugno in un gesto di trionfo – Lo sapevo che quell’asino ce l’avrebbe fatta! Sganciate, gente!
Zero osservò il suo equipaggio metter mano al portafogli tra mormorii di scontento e mise Mirai fra le braccia di Marina.
– Pare che le pessime abitudini del tuo equipaggio e le loro turpi “tradizioni” si siano trasmesse al mio – scrocchiò le dita – Come pensi di scusarti, pirata da strapazzo?
Il cuore di Harlock accelerò il battito, l’adrenalina cominciò a pompare nelle sue vene.
Si mosse verso la quercia, un ghigno di sfida già a increspargli le labbra come se fosse la cosa più naturale del mondo, le membra leggere e le mani che gli prudevano come quando s'erano scontrati la prima volta, quasi vent'anni prima.
 – Scusarmi? Io? Devo aver capito male, soldato idiota – sfoderò la Gravity Sabre e gli fece cenno di farsi sotto – Forse volevi supplicarmi, in ginocchio e in tutta umiltà, d’insegnarti una volta per tutte come si tira di scherma in modo decente?
Zero si fermò a dieci passi da lui, la solita espressione strafottente e sicura di sé stampata sul viso.
– Oh, vedo che non ti sei dimenticato del nostro piccolo conto in sospeso – sfoderò la sua arma e si esibì in un saluto da manuale – Stavolta non finirà in pareggio, perciò te lo dico fin da subito: non metterti a piangere, quando finirai col culo per terra.
– Vale anche per te. Non chiamare la mamma quando quella spada ti volerà via di mano perché non riesci a starmi dietro.
Harlock sollevò la lama. Zero si mise in guardia.
– Nei tuoi sogni!
Si lanciarono uno contro l’altro.





* Il nome “Mirai” (未 来) significa "futuro".




E... fine! Finalmente!
Alla fine non ce l'ho fatta e lo zucchero è abbondato, ma un lieto fine per tutti (o quasi) ci stava, no? :)




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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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