Padre e figlio

di NonSoCheNickMettere2
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


DICHIARAZIONE
L'universo di Star Wars, i suoi personaggi e le vicende sono di proprietà di Lucas. Ho scritto questa fiction solo per divertimento
Ho preso i nomi Yimot, Athor, Dovim e Theremon dal bellissimo romanzo "Notturno" di Asimov e Silverberg. Tuttavia in questa storia non hanno alcuna relazione con i personaggi, le situazioni e i luoghi del libro. Sono solo un omaggio.

RINGRAZIAMENTI
Desidero ringraziare Chiara per avermi fatto da beta-reader.



PADRE E FIGLIO - CAPITOLO 1
 

L’alba doveva ancora illuminare i piani alti dei grattacieli di Coruscant. Anakin sedeva ad osservare il cielo scuro, punteggiato persino a quella ora impossibile dal via vai del traffico cittadino e da migliaia di luci artificiali. A volte quel movimento continuo lo infastidiva e provava nostalgia per le quiete notti di Tatooine. Eppure non avrebbe dovuto lamentarsi, considerando che il suo era uno dei rari appartamenti ad avere una veduta sull’esterno. Un privilegio che pochi altri Maestri potevano vantare, prova dell’alto status da lui raggiunto dentro l’Ordine dei Jedi.

Il rumore della maniglia dalla porta alla sua destra lo scosse dai suoi pensieri e il suo sguardo si spostò verso Luke, che stava uscendo dalla propria camera. Il Padawan accennò ad un inchino per salutarlo.

Anakin lo esaminò velocemente: la divisa era in ordine, la postura controllata, la mente concentrata dalla meditazione al risveglio. Non avrebbe trovato qualcosa da rimproverargli neanche se avesse voluto: suo figlio era impeccabile come sempre, addestrato dalla lunga disciplina appresa sotto il Maestro Yoda.

Gli fece cenno di sedersi accanto a lui e fu prontamente obbedito. Ma notò con un certo divertimento che il ragazzetto si era lasciato sfuggire per un istante un’espressione curiosa all’inusuale richiesta.

Ne avrebbe avuto da sorprendersi suo figlio, se avesse conosciuto la loro parentela!

Ma se da un lato non avrebbe desiderato niente di più che rivelargliela, dall’altro doveva prima assicurarsi la sua totale lealtà, anche contro il Codice, se necessario. In gioco c’era la sua permanenza dentro l’Ordine, la fama e il potere che aveva conquistato tredici anni prima, affondando la sua spada laser su Palpatine davanti agli occhi stupefatti del Maestro Windu. Quel gesto era stato da tutti interpretato come la realizzazione della profezia e la sua carriera d’allora in poi era stata riverita di tutti gli onori.

“Sai che giorno è oggi?”, gli chiese.

Luke rifletté brevemente, poi annuì: “E’ un anno che sono tuo Padawan”.

Anakin sorrise soddisfatto e gli porse una piccola scatola racchiusa in una carta decorativa verde.

Il figlio la prese con aria interrogativa e se la rigirò tra le mani, come se volesse studiarla.

“E’ un regalo”, gli spiegò il Maestro.

“Credevo che fossero proibiti”, notò il Padawan imbarazzato, “Il Maestro Yoda dice sempre che non possiamo possedere oggetti personali”.

Anakin scrollò le spalle: “E’ per questo che lo dovrai tenere segreto”

Luke arrossì visibilmente all’idea, ma nondimeno iniziò ad aprire la confezione con cautela. I suoi occhi si sgranarono, quando infine dal pacchetto uscì uno strano pendaglio dorato raffigurante una piccola corona e, continuando ad osservare l’oggetto, commentò: “Sembra di gran valore”

“Apparteneva ad una persona a me cara”, spiegò criptico il Maestro.

Il Padawan annuì distratto, mentre fissava con intensità l’oggetto, fino a venire completamente assorbito nella contemplazione. I suoi occhi si strinsero e la fronte si corrugò come se si sforzasse di vedere qualcosa di poco chiaro, finché si scosse. Allora sbatté le palpebre un paio di volte, mentre sembrava risvegliarsi da un sogno.

Preso in contropiede dalla reazione del figlio, Anakin si chiese se non fosse stato un errore dargli quel ricordo di Padmé. Luke non aveva mai conosciuto la madre; possibile che potesse avvertirne la presenza nell’oggetto a distanza di tanti anni dalla sua morte?

“Io, io…”, iniziò a balbettare infine il Padawan, “mi sembra un grande onore ricevere un regalo del genere. Non so cosa dire”

“Accettalo… e prometti di tenerlo nascosto”, si affrettò ad aggiungere il Jedi. Un sorriso complice gli sfuggì, quando vide il figlio annuire con lo sguardo ancora rivolto al ciondolo. Gli diede una pacchetta sulla spalla per richiamare la sua attenzione e i due grandi occhi azzurri lo fissarono. “Ora bisogna che andiamo a colazione o finiremo per far tardi all’allenamento”, lo esortò.

La palestra dove Anakin aveva prenotato il loro riquadro per quella mattina era la più ampia del Tempio: divisa in ben quindici spazi contrassegnati, veniva costantemente rifornita di ogni amena novità in fatto di attrezzi per il combattimento simulato con la spada laser. Per questo cercava sempre di accaparrare un posto lì, arrivando a stabilire le date delle lezioni con anticipi ridicolmente ampi.

Si allacciò l’armatura di protezione salda al petto e alla pancia in modo che aderisse il più possibile al suo busto, mentre la stanza si stava affollando con tranquilla rapidità. Salutò Plo Koon ed il suo giovane Padawan che gli passarono di fianco per recarsi al loro riquadro e dietro di lui sentì Luke, che non sembrava gradire altrettanto quel luogo, borbottare controvoglia una specie di “Buongiorno”. Senza dar troppa mente all’inusuale poca educazione del suo apprendista, si infilò il casco di protezione, alzando la visiera offuscata.

Accese la spada laser a bassa frequenza, invitando il figlio a fare altrettanto, e con voce didattica iniziò: “Oggi ti insegno come parare un colpo al cuore”

“Tutti dicono che è molto difficile”, obiettò subito il Padawan, dubbioso e vagamente preoccupato.

Anakin scrollò le spalle. “Se fosse facile non avrei bisogno di insegnartelo”. Visto che il ragazzo non sembrava cambiare espressione, tentò di incoraggiarlo: “Prima di lavorare solo con la Forza, ti farò fare delle prove lente con la visiera alzata”

Poco convinto Luke annuì, mettendosi nella posizione base di guardia con la punta della spada rivolta alla gola dell’avversario.

Il Maestro fece altrettanto, prima di istruirlo: “Ora vieni lentamente verso di me, mirando al cuore”.

Il Padawan avanzò, spinse la spada verso il centro dell’armatura del suo opponente con molta calma e altrettanta decisione, ruotando di qualche grado il polso destro in modo che la punta si dirigesse di poco verso sinistra, dove avrebbe potuto infilarsi facilmente sotto lo sterno, se in mano avesse avuto un laser a frequenza d’ordinanza. Ma, prima che la sua spada toccasse l’armatura del Maestro, questi fece compiere un piccolo circolo alla lama della propria e con un fastidioso sfrigolio toccò la punta di quella avversaria, deviando l’attacco. Poi a beneficio del discepolo ripeté il gesto nell’aria vuota ancora più lentamente.

“Ora prova tu”, sollecitò Anakin riprendendo la posizione di partenza.

Luke annuì, mettendosi in guardia. Quando il Maestro avvicinò la punta della spada la deviò con la sua.

“Hai ruotato al contrario”, gli fece notare il Jedi.

“Ah… sì!”, ammise il ragazzo visualizzando mentalmente quello che aveva appena fatto.

Riprovarono diverse volte, ma una su tre, la lama girava in senso opposto. Anakin iniziava a spazientirsi un po’ e decise che era ora di riprenderlo: “Sei distratto!”

“No”, negò il Padawan, mettendosi sulla difensiva, “ci sto provando, ma è un po’ difficile!”

“E’ difficile girare la punta in senso orario, invece che antiorario?”, lo rimbrottò con acido sarcasmo. “E da quando gli esercizi si provano? Fare o non fare…” e lasciò in sospeso il detto già conosciuto.

“Scusa, Maestro”, fu l’unica risposta.

“Vediamo se a velocità di combattimento ti concentri di più”, quasi lo sfidò il Jedi, abbassando la propria visiera e aprendosi completamente alla Forza per supplire alla momentanea situazione di cecità. Per prima cosa avvertì Luke che si concentrava a sua volta, poi divenne consapevole delle altre ventotto persone nella stanza, ognuna immersa nel suo esercizio e nella sua fatica.

Riportò il fuoco sul suo allenamento e si mise in posizione di guardia. Senza verificare che il suo apprendista fosse pronto si spinse in avanti per colpirlo. Mentre la sua lama veniva deviata in maniera scoordinata e approssimativa, avvertì distintamente la sorpresa del ragazzo nell’essere stato preso così alla sprovvista.

“Lento”, si limitò a commentare Anakin e subito si rimise in posizione di partenza, ripetendo l’esercizio.

“Hai girato di nuovo al contrario”, fu la successiva correzione, seguita da una serie infinita di “Hai colpito quando ero troppo lontano”, “Eri in ritardo”, “Dovevi colpire con più forza”, “Mettici meno energia”, “Devi tenere la mano sinistra più centrale”, “Non devi precedere il mio movimento”, ottenendo lenti, ma significativi miglioramenti.

All’ennesima ripetizione, udì Luke ansimare e percepì la sua fatica. Ma non era disposto a concedergli una pausa: un giorno suo figlio avrebbe potuto trovarsi davanti non un Maestro indulgente, ma un avversario determinato.

Attaccò di nuovo al massimo delle sue capacità. Questa volta non vi fu neanche la minima deviazione nella traiettoria della lama e udì il laser infrangersi sull’armatura del Padawan, che sarebbe crollato morto sul pavimento, se quello fosse stato un combattimento vero.

Innervosito, Anakin urlò: “Ma stai dormendo?!”. Percepì diverse dozzine di occhi voltarsi nella loro direzione e si morse il labbro, maledicendo tra sé e sé la sua mancanza di controllo. “Rimettiti in guardia”, aggiunse, cercando di suonare più conciliante questa volta.

Sentì Luke esitare, prima di udire mentalmente la sua voce. Ma ci stanno guardando tutti!

Il Maestro non aveva intenzione di dare spalla a certe timidezze e, senza prendesi il disturbo di rispondere, lasciò che una sensazione di ostentata indifferenza trasparisse.

Non riesco a concentrarmi: mi sento in imbarazzo, proseguì il Padawan, evidentemente ignorando il messaggio silenzioso.

Il giorno che ti troverai di fronte un Sith, gli chiederai di poter cercare un luogo idoneo prima di combattere?, gli rispose con sarcasmo.

Luke sembrò vergognarsi della sua richiesta e si rimise in posizione di guardia.

Anakin affondò di nuovo, ottenendo solo una deviazione fiacca e ritardata. Stupito, scandagliò a fondo le sensazioni del figlio, trovando la sua concentrazione rivolta più alle presenze intorno a loro che a controllare il loro combattimento. Questo sì che era irritante! E pensare che gli aveva appena fatto la predica!

Decise di far capire all’insubordinato che non intendeva mollare su questioni di importanza vitale come quelle e nello stesso tempo dargli modo di riposarsi. Perciò spense la spada e si tolse il casco.

Luke sollevò la visiera, guardandolo con aria interrogativa.

“Non spreco tempo, se non vuoi concentrarti: l’allenamento è finito”, spiegò seccamente il Maestro.

“Proverò…farò meglio”, corresse subito il Padawan.

Anakin scosse il capo, lasciando trasparire tutta la sua indignazione nel tono: “Questo lo vedremo un altro giorno. Adesso voglio che tu sparisca in biblioteca a finire i tuoi compiti di ricerca”.

Il Jedi si aspettava qualche altra obiezione, ma il ragazzo si limitò ad abbassare lo sguardo umiliato, fece un breve inchino e, cercando di tenere sotto controllo la voce rotta, rispose semplicemente: “Come desideri, Maestro”. Poi guadagnò rapido l’uscita, seguito dagli sguardi curiosi dei presenti.

Innervosito sia dal figlio, sia dagli astanti, Anakin richiamò con la Forza tre remoti dalla scaffalatura degli attrezzi e li accese in contemporanea. I laser piovevano su di lui, ma con rapidità parava i colpi, lasciando che fosse la sua irritazione a guidare la mano verso le scie luminose. Dopo qualche minuto, ne ebbe abbastanza di quel esercizio ridicolmente facile per le sue capacità. Sollevò una mano con autorevolezza e i remoti fermarono il loro attacco, poi sfilarono ordinatamente di nuovo verso gli scaffali, mentre lui si tolse anche l’armatura e uscì di scena con altrettanta velocità del suo Padawan.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


DICHIARAZIONE
L'universo di Star Wars, i suoi personaggi e le vicende sono di proprietà di Lucas. Ho scritto questa fiction solo per divertimento Ho preso i nomi Yimot, Athor, Dovim e Theremon dal bellissimo romanzo "Notturno" di Asimov e Silverberg. Tuttavia in questa storia non hanno alcuna relazione con i personaggi, le situazioni e i luoghi del libro. Sono solo un omaggio.

RINGRAZIAMENTI
Desidero ringraziare Chiara per avermi fatto da beta-reader.
Grazie anche a Jenny76 per la sua recensione

PADRE E FIGLIO - CAPITOLO 2

Quello che Anakin detestava più di tutto nei rari momenti di tensione con Luke era il senso di colpa che lo attanagliava dopo averlo punito in qualche modo, anche se, come in quella occasione, era assolutamente convinto di aver agito per il suo bene. Se suo figlio si fosse ribellato, come era solito fare lui alla sua età, forse sarebbe stato diverso. Ma tutte le volte, il ragazzo aveva solo abbassato il capo, lasciandolo senza un bersaglio per la sua indignazione.

Erano passate ore dall’incidente in palestra e iniziava a sentirsi stanco della lontananza forzata che aveva imposto. Non poteva fare a meno di chiedersi quale fosse l’umore di Luke. Resistette più volte all’impulso di sondarlo con la Forza. Ma l’immagine della sua espressione gli ricorreva nella testa: era consapevole di quanto disperatamente il figlio desiderasse diventare un Jedi modello e, anche se non glielo aveva mai confessato in modo diretto, di come fosse orgoglioso di essere il Padawan del Prescelto, che in pratica idolatrava come la maggior parte dei ragazzini cresciuti dopo la realizzazione della Profezia. Quella pubblica umiliazione doveva essergli bruciata più che un tocco di spada su un braccio.

Anakin sospirò e, decidendo che dopo tante ore aveva tenuto il suo punto abbastanza, si diresse verso la biblioteca. Arrivato, iniziò a percorrere i lunghi corridoi tra gli scaffali non riuscendo ad individuare il figlio. Che fosse alla mensa? Istintivamente diede un’occhiata ad uno degli orologi appesi alle pareti. Chiuse gli occhi e si immerse un attimo nella Forza. Ma, non sapendo dove focalizzarsi, non era facile neanche ricercare la singola presenza di Luke in mezzo alle altre potenti centinaia che affollavano il Tempio. Allargò di più le sensazioni, finché la sua attenzione non venne catalizzata dalla familiarità del segno: con stupore scoprì che il ragazzo si trovava molto più in alto della biblioteca, nella Torre del Consiglio.

Man mano che si avvicinava, riuscì a circoscrivere sempre meglio la sua posizione, fino a localizzarlo nel planetario cosmico. Entrò nell’enorme sala. Il buio completo era rischiarato dalla proiezione della Galassia che ruotava pigramente intorno alle stelle del nucleo. Nonostante la fioca luce non riuscì a vedere nessuno, eppure percepiva la vicinanza del Padawan.

-Luke!- chiamò.

Un debole movimento in un angolino attirò la sua attenzione dall’altra parte della balaustra. Suo figlio era seduto sul pavimento con le braccia che stringevano saldamente le ginocchia piegate sul petto e il mento appoggiato sopra.

Anakin gli si parò davanti, coprendo consapevolmente la visione della proiezione. Incrociò le braccia e dopo qualche istante di ponderato silenzio, gli chiese: “E’ così che fai i tuoi compiti?”. Ma era più stupito che irritato.

Luke alzò lo sguardo oltre misura per riuscire ad incontrare quello del Jedi. “Scusa, Maestro”.

“Scusa Maestro?!”, ripeté incredulo Anakin, “E’ tutto quello che hai da dire?”.

Il Padawan abbassò lo sguardo nuovamente e ad Anakin parve con stupore di veder nella semioscurità gli occhi del ragazzo riempirsi di lacrime. Il comportamento di suo figlio era stato troppo insolito e forse era meglio indagare cosa lo turbasse più che continuare a sgridare. Dopo una breve riflessione gli si sedette accanto, chiedendosi oziosamente se anche gli altri Maestri si facessero venire tutti quegli scrupoli o quello fosse un effetto collaterale del suo essere padre. Fissando la proiezione olografica a sua volta, chiese infine con tono conciliante: “Allora, mi vuoi spiegare cosa ci fai qui?”

“Sono andato in biblioteca”, iniziò il ragazzo e aggiunse in fretta, “…lo giuro. Ma, dopo un’ora è arrivato anche Yimot con i suoi amici…”

“Yimot… Yimot…”, ripeté Anakin, tentando di farsi venire in mente chi diavolo fosse, “Il discepolo di Plo Koon?”

Luke annuì e proseguì nel racconto: “E come al solito hanno iniziato a prendermi in giro”

“Succede spesso?”

L’apprendista annuì di nuovo e, dopo qualche istante, proseguì: “Dicono sempre che sono una palla al piede, che non sono neanche capace di tenere una spada in mano ed è per questo che non mi porti mai in missione con te. Oggi, hanno detto…”. Esitò di nuovo, cercando di controllare il magone. “…hanno detto che stamattina tutti hanno visto quanto ti sei pentito di avermi scelto come Padawan”.

A questo, Anakin si accese d’ira: “Come si permettono? Cosa ne sanno loro?”.

Vide Luke osservarlo con gli occhi sbarrati dalla sorpresa: “Non è vero?”

“Certo che no!”, esclamò indignato il Maestro. Poi, fu attraversato da un dubbio: “Non ci avrai creduto?”

“Io…non sapevo cosa pensare. Non mi porti mai con te”, rispose il ragazzo, pretendendo di osservare con attenzione la mappa galattica.

“Potevi chiedermene la ragione, invece di saltare alle conclusioni”, sottolineò il Jedi.

L’apprendista si rifiutò ancora di incontrare il suo sguardo e si strinse più forte le gambe al petto. “Avevo paura di scoprire la verità”.

Anakin rimase senza parole. Cercò di vedere la situazione dal punto di vista di Luke. Più o meno consapevolmente, lui poggiava il suo affetto sulla parentela, lo dava per scontato data la natura del loro vero rapporto. Ma suo figlio, del tutto ignorante della situazione, si riteneva un normale Padawan, che doveva dimostrare qualcosa per essere meritevole di attenzione e che si vedeva sempre frenato senza una spiegazione. “Ritengo che tu sia un ottimo combattente per la tua età. E’ proprio per questo che certe volte, come stamattina, cerco di spingerti al massimo”

“Allora perché non mi porti mai con te?”, chiese il Padawan.

Il Jedi sospirò. “Sei molto giovane. Non voglio mettere a rischio la tua incolumità prima che tu sia pronto”.

“Ma gli altri Padawan della mia età seguono già i loro Maestri”, obbiettò Luke.

“Forse io mi preoccupo di più della tua salute di quanto non facciano gli altri Maestri con i loro apprendisti”. Anakin iniziava a sentirsi a disagio, si stavano addentrando su un terreno minato.

Dopo una breve pausa pensosa, il ragazzo scosse il capo. “Perché mai?”
Ora erano davvero andati troppo in là. Il Maestro scrollò le spalle e si alzò. Un’idea improvvisa gli passò nella mente: avrebbe fatto felice Luke, rassicurandolo sulle sue capacità, e schiattare d’invidia i suoi compagni che avevano osato criticarlo.

“Scommetto che c’è qualcosa che nessun altro Padawan della tua età ha ancora fatto”, disse infine misteriosamente al figlio, guadagnando tutta la sua attenzione.

Dopo poco più di una mezz’ora, stavano lasciando l’atmosfera di Coruscant a bordo di una nave da addestramento di volo.

Luke era così elettrizzato che avrebbe potuto accendere una lampadina solo toccandola. “Davvero mi farai guidare?” continuava ad esclamare ad intervalli regolari.

Il Maestro si limitava ad annuire, sorridendo al ricordo di come lui stesso da Padawan si era sentito ogni volta che aveva potuto mettere mano su un veicolo. Fece gli ultimi aggiustamenti, stabilizzando la nave su una rotta sicura e poco frequentata, poi iniziò ad istruire il figlio: “Ok, metti le mani sulla cloche davanti a te”.

Proprio quando il momento tanto atteso fu giunto, Luke sembrò esitare un attimo. Poi fece come gli era stato detto.

Anakin levò le sue mani dai propri comandi. “Ora vira con delicatezza a destra”.

Il ragazzo spostò le mani con troppa decisione, la nave fece una curva eccessivamente aspra per la velocità a cui stavano volando e per un lunghissimo istante diede l’impressione di partire per la tangente.

“Piano!”, si lasciò sfuggire il Jedi, prima di recuperare velocemente la propria cloche, correggendo con delicatezza la rotta. Quando furono di nuovo in una situazione stabile, prese finalmente fiato: non avrebbe mai creduto che qualcuno potesse spaventarlo tanto in questioni di volo. Sentì un vago moto di pietà verso Obi-Wan, rendendosi conto di quello che aveva dovuto passare a suo tempo. Ma forse proprio quel ricordo lo trattenne dal lanciarsi in un rimprovero ipocrita e si limitò a notare: “I comandi sono molto, molto sensibili.”

“Anche troppo”, confermò Luke con un pizzico di allarme sotto il tono pacato.

“Quando ci avrai preso un po’ la mano, ti permetteranno di fare manovre incredibilmente precise.”, spiegò incoraggiante Anakin. “Ora riprova con più delicatezza”.

Questa volta l’esecuzione fu perfetta. Il Maestro all’inizio fece ripetere alcuni esercizi di base e poi lasciò il ragazzo compiere a piacimento alcune virate. Con malcelato orgoglio paterno, si autocompiacque della velocità con cui il figlio apprendeva e del talento naturale che dimostrava. Senza che gli avesse dato nessuna indicazione in proposito, in breve tempo il Padawan si era immerso con naturalezza nella Forza, guidando la nave come un’estensione del suo corpo.

Immersi nello spazio, persero la nozione del tempo e quando rientrarono all’hangar del Tempio il sole stava già tramontando.

Luke scese dalla nave saltellando e con voce eccitata continuava a ripetere tutte le manovre che aveva eseguito come se il Maestro non fosse stato presente e avesse avuto bisogno di ragguagli.

Tutt’altro che infastidito, Anakin sorrideva di tanto entusiasmo, mentre osservava i lavori attorno ad una nave di trasporto truppe. Nel via vai di gente, incrociò due occhi che stavano osservando lui e Luke con attenzione. Era il Maestro Yoda. Di tante persone, era l’ultima che avrebbe voluto incontrare, sicuramente la meno disponibile a comprendere i motivi delle eccezioni alle regole.

Skywalker non poté fare a meno di notare che il suo mento era stretto e le orecchie abbassate ed allungate, segno abbastanza inequivocabile di disapprovazione. Decise di ignorare l’espressione e proseguì come se niente fosse.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


DICHIARAZIONE
L'universo di Star Wars, i suoi personaggi e le vicende sono di proprietà di Lucas. Ho scritto questa fiction solo per divertimento Ho preso i nomi Yimot, Athor, Dovim e Theremon dal bellissimo romanzo "Notturno" di Asimov e Silverberg. Tuttavia in questa storia non hanno alcuna relazione con i personaggi, le situazioni e i luoghi del libro. Sono solo un omaggio.

RINGRAZIAMENTI Desidero ringraziare Chiara per avermi fatto da beta-reader.
Grazie anche a Chaosreborn e Malkcontent per le recensioni.

PADRE E FIGLIO - CAPITOLO 3

Anakin passeggiava sui Terrazzi di Meditazione, osservando distrattamente il paesaggio di Coruscant. Più partecipava alle riunioni del Consiglio, più si convinceva dell’inutilità di convocarle. Che ironia pensare quanto aveva desiderato farne parte! Ma, dopo anni di permanenza, era veramente stanco dei discorsi vuoti che non portavano mai a niente e iniziava a pensare che l’Ordine dei Jedi soffrisse esattamente dello stesso male della Repubblica: l’eccesso di parola soffocava qualsiasi intento di azione.

La riunione di quella mattina era stata particolarmente surreale con i reverendi Maestri che continuavano a ripetere la necessità di indagare dove si fossero rifugiati gli ultimi capi Separatisti e di come fosse difficile trovarli ora che, sconfitti, non attentavano più nessuna mossa da una decina di anni. Tutti annuivano, tutti confermavano, ma nessuno proponeva. Quando finalmente aveva avuto la possibilità di dire la sua, aveva subito puntualizzato come l’unico modo fosse iniziare a setacciare accuratamente la Galassia tramite sonde e interrogatori approfonditi. Tutti avevano prima concordato che così fosse possibile ottenere dei risultati, ma poi avevano cominciato a tirar fuori le solite scuse per non agire, parlando di diritti civili, diritto di non ingerenza nei Sistemi e mille altri concetti troppo astratti per le sue idee concrete. Così erano usciti di nuovo con niente di fatto e lui iniziava a sentirsi veramente stanco e deluso.

Questo era il tipico giorno in cui la tentazione di andarsene appariva troppo forte. Si trastullò immaginandosi mentre prendeva suo figlio, andava a prelevare dal suo conto segreto la cospicua eredità lasciatagli dalla moglie e se ne partiva per la sua strada. Ma per andare dove?

Si svegliò dal suo sogno ad occhi aperti, quando sentì un picchiettio dietro lui. Si voltò e abbassando lo sguardo vide il Maestro Yoda cercare la sua attenzione, battendo il bastone sul pavimento. Non faticava ad immaginare di cosa volesse discutere, ma fece il finto tonto e lasciò al troll la prima parola.

“A quindici anni l’addestramento di volo cominciare dovrebbe”.

Per un attimo Anakin accarezzò l’idea di dirgli che se ne voleva andare, poi l'accantonò come ridicola e si preparò ad affrontare la lavata di capo. “Il mio Padawan si è dimostrato molto in gamba ieri durante l’addestramento”, si difese.

“Non molta importanza questo ha. Nemmeno lì lui essere dovuto avrebbe”, puntualizzò Yoda.

“Maestro, io ho iniziato a guidare ben più giovane di Luke”

Il troll meditò un attimo. I suoi occhi divennero sottili come una lama mentre squadrava il Jedi. “Sfortunatamente, in circostanze particolari la tua infanzia si è svolta”. Il suo tono era quasi disgustato.

Anakin rimase incredulo un istante, prima di afferrare davvero quello che sentiva. Circostanze particolari! Vivere con sua madre era stata una “circostanza particolare”?! Novecento anni dentro il Tempio evidentemente causavano dei seri problemi mentali. Disdegnò di rispondere ad una simile assurdità.

“Immediatamente le lezioni di volo interrompere devi”, Yoda stava proseguendo inesorabile.

“Ma, a questo punto, Luke ne rimarrà molto deluso”, sottolineò il Jedi.

Il troll scosse il capo e puntò il bastone in direzione di Anakin con tono accusatorio: “Qui per divertirsi i Padawan non sono. Sentito io avevo che troppo il tuo viziavi. Crederci non volevo”.

A questo il Jedi si risentì vivamente. “In che senso?!”.

Yoda non si fece pregare: “Troppo protetto sempre lo tieni. Di chiedere la sua opinione troppo ti preoccupi”.

Anakin pensò un attimo, riconoscendo che seppur esagerate, le accuse del Maestro avevano un fondamento. “Io voglio solo che Luke sia felice”, tentò di spiegare in tutta onestà.

“Far felice l’apprendista il tuo scopo essere non deve”, puntualizzò il troll.

Il Jedi non sapeva più cosa rispondere senza rivelare il suo segreto. Fiaccamente rispose: “Il risultato non mi sembra malvagio”

Ma Yoda non era d’accordo: “Si dice che molto distratto il tuo Padawan sia”.

Anakin si incupì: questo era semplicemente ingiusto! “Si dice anche che sia molto bravo con la spada laser?”, chiese con tono più polemico di quello che intendesse.

Le orecchie del troll si abbassarono impercettibilmente e un muscolo teso tremò un istante sul suo mento. “Sì. Il suo naturale talento ringraziare dobbiamo, suppongo”.

Il Jedi distolse lo sguardo verso il paesaggio, accigliandosi. Critiche, critiche e solo critiche. Possibile che a questa creatura non uscisse mai niente altro dalla bocca? Quanto avrebbe dato per sapere perché gli si accaniva sempre così contro.

Ringraziò mentalmente il com-link che si mise a suonare, liberandolo per il momento dall’obbligo di rispondere. Lo accostò alla bocca: “Sì?!”

“Maestro Skywalker”, la voce di Windu risuonò abbastanza forte da essere udita anche da Yoda, “dovresti venire in biblioteca”. Il tono era chiaramente nervoso.

“C’è qualche problema?”. Una vaga sensazione di malessere aveva invaso Anakin senza una ragione chiara.

“Diciamo che il tuo Padawan ha diverse spiegazioni da dare” fu la risposta criptica.

“Arrivo”, assicurò il Jedi, imbarazzato davanti a Yoda che, come prevedibile, si offrì molto gentilmente di accompagnarlo.

Nonostante le dimensioni della biblioteca, non fu difficile per i due Maestri individuare il crocchio di cinque, sei ragazzini vicino uno dei tavoli in fondo alla prima sala. Il gruppetto era incredibilmente tranquillo, anche per un assembramento composto da disciplinati Padawan del Tempio. Il motivo era facilmente individuabile nel Maestro Windu che troneggiava in mezzo al gruppo con l’aria più cupa del solito.

Quando la presenza di Skywalker e Yoda venne avvertita il cerchio si aprì naturalmente e gli apprendisti si disposero su due ali, una a destra e una a sinistra, per accogliere i nuovi arrivati.

Anakin non poté fare a meno di notare che non erano presenti i Maestri degli altri Padawan… e che non sembravano nemmeno attesi. D’altronde vicino al korun, tutta la sagoma minuta di Luke, tesa, pallida e incapace di sostenere uno sguardo, non lasciava molto spazio ai dubbi su chi fosse considerato il colpevole della situazione. Anakin, il padre, più che il Maestro, ne ebbe compassione prima ancora di sapere quale fosse il capo di imputazione.

Il Jedi nero riservò il primo saluto al più anziano: “Maestro Yoda”. Quindi, con affettata cortesia si inchinò leggermente anche a lui: “Maestro Skywalker. Grazie della vostra sollecitudine”. Poi indicò il discepolo di Plo Koon: “Yimot, ripeti quello che hai detto a me”.

Anakin trasalì e si rese conto che il giorno prima aveva sottovalutato le parole di Luke, liquidando come semplici maldicenze quelle che in realtà erano probabilmente le manifestazioni di una guerra silenziosa fra Padawan. Succedeva più spesso di quanto ai Jedi piacesse riconoscere. Orgoglio e la mancanza di qualsiasi sfogo al di fuori delle strettissime regole trasformavano l’apprendistato in una gara senza tregua nell’unica attività concessa a quei ragazzi: compiacere i Maestri e venir considerati modelli di virtù.

Con questi foschi pensieri, si aprì alla Forza per tentare di capire cosa nascondesse sotto la mite parvenza quel apprendista che già per il secondo giorno di seguito sembrava scontrarsi con suo figlio. Ma trovò delle barriere sorprendentemente forti per un quattordicenne e non avrebbe potuto scavalcarle con la necessaria discrezione. Così si limitò a captare una cupa soddisfazione e sotto sotto un’invidia sorda. Invidia di che?

“Ero venuto qui per cercare informazioni su Nomi Sunrider per la mia ricerca di storia”, stava intanto dicendo Yimot, dopo aver fatto un plateale passo in avanti, “quando ho visto Luke che tirava fuori da sotto la tunica quel pendaglio”.

Solo allora Anakin si accorse che Windu aveva tenuto il pugno chiuso fino a quel momento. Lo aprì a conferma delle parole del ragazzo, mostrando la piccola corona di Padmé, e in un momento fu tutto chiaro.

Infatti Yimot proseguì: “Nessun Jedi può possedere un oggetto del genere, perciò ho capito che doveva essere rubato”. Il suo viso si riempì di scrupoli ipocriti. “Sapevo che un’infrazione così grave va immediatamente riferita ad un Maestro”.

“E così essere deve”, confermò Yoda e il ragazzo sorrise leggermente all’approvazione del capo dell’Ordine e con un breve inchino ritornò al suo posto.

Anakin non riuscì a decidere a quale dei due avrebbe preferito sputare in faccia e prese nota di andare a far presto una chiacchierata a quattrocchi con Plo Koon.

“Quale spiegazione il giovane Luke dà?”, si informò Yoda pronto ad emettere sentenze non richieste, dato che non era nemmeno stato interpellato.

“Che l’ha trovato per strada, ma senza saper dire precisamente né dove, né come”, rispose Windu al posto del ragazzo, al quale in effetti non era stata ancora rivolta la parola.

“Non te lo ricordi proprio dove l’hai trovato?”, sollecitò Anakin rivolto a Luke.

“Non crederai davvero a questa storia?”, lo guardò incredulo Windu.

Anakin strinse le spalle con l’aria più innocente che gli riuscì di recitare. “Perché no? Non gli hai mica provato il pensiero”. Altrimenti sapresti già che la verità è ben diversa.

“A questo provvedere si può”, sottolineò Yoda con interesse.

Anakin vide la situazione prendere una gran brutta piega e cercò di guadagnare tempo per accordare una scusa con suo figlio. “Non sarebbe il caso di discutere questa faccenda in luogo più riservato e senza… spettatori?”, indicò quasi sprezzante il piccolo gruppo di apprendisti che stavano assistendo alla pantomima con malcelato divertimento e alla sempre più numerosa folla di presenti che si era riunita a una distanza maggiore, curiosa del perché una questione di Padawan richiedesse l’attenzione dei tre maggiori esponenti dell’Ordine.

“Perché? Comunque, la cosa risaputa sarebbe”, Yoda dimise l’idea.

Anakin capì che la posizione del ritrovamento casuale era semplicemente insostenibile. Osservò un istante suo figlio sconsolato, chiedendosi con stizza come diavolo avesse fatto a cacciarsi in quel pasticcio. Ma questa era una faccenda che avrebbero poi discusso tra di loro. Ora il problema era arrivare a quel poi. Si arrese controvoglia a cambiare strategia: Luke era un Padawan molto giovane, le sue responsabilità ancora limitate…

“Luke”, richiamò la sua attenzione con molta più comprensione nel tono di quanto gli astanti si potessero aspettare, “Luke, è vero che l’hai rubato?”.

Per la prima volta durante tutta la discussione, il ragazzo alzò lo sguardo e il suo Maestro vi vide l’incredulità e il tradimento per quella domanda.

“E’ vero che l’hai rubato?”, ripeté Anakin, tentando di comunicare nello sguardo diretto fiducia. Anche nella Forza, sollecitò a rispondere affermativamente con tutta la delicatezza necessaria affinché la percezione fosse sentita solo, e soltanto, al diretto interessato.

Il Padawan capì. Con un soffio di voce appena udibile rispose “Sì… Sì, l’ho rubato”, prima di abbassare la testa di nuovo e coprirsi la faccia con entrambe le mani per la vergogna di un crimine mai commesso.

Il viso di Yoda si indurì per la tensione, squadrando incredulo Luke. Poi batté più volte il suo bastone sul pavimento, prima di far regnare di nuovo il silenzio nella sala dove ora echeggiavano i commenti di disapprovazione. “Nella riunione di domani, il Consiglio del tuo destino deciderà”.

No, non era così che doveva andare! Non potevano essere così duri con un ragazzo! …O potevano? Anakin capì improvvisamente l’errore commesso. “Maestro Yoda, io sono il suo Maestro, io penserò a sistemare la faccenda”

“Quello che è successo è troppo grave per essere risolto senza un intervento del Consiglio”, intervenne Windu.

“Lo punirò molto severamente”, quasi supplicò Anakin, non avendo la più pallida idea di cosa si sarebbe poi dovuto inventare per dare la parvenza di averlo fatto.

Ma né Yoda, né Windu erano convinti. “L’unica punizione adatta al furto è l’espulsione”, stava dicendo il Maestro korun, mentre l’altro annuiva.

Anakin scosse la testa incredulo, senza sapere se per la propria ingenuità o per la durezza dei suoi interlocutori. “Luke è solo un Padawan!”, protestò.

“Questo nessuna differenza fa”, rispose senza minimamente scomporsi Yoda.

Sembrava che il caso fosse chiuso e che si dovesse solo aspettare la sentenza definitiva dell’indomani. L’attenzione degli astanti stava già scemando.

“Io!”, quasi urlò Anakin perché tutti sentissero bene. “Glielo ho regalato io!”, confermò di nuovo, godendosi per un attimo lo sconcerto e l’incapacità di reazione dei due infallibili Maestri.

Incerto Windu scrutò cupo prima lui e poi il figlio. “E’ vero, Luke?”

L’apprendista annuì.

“Un attimo fa un furto confessato tu hai”, intervenne Yoda.

“Avresti lasciato che il tuo Padawan si prendesse la colpa?”, ancora più incredulo Mace aggiunse rivolgendosi ora al Jedi.

Anakin strinse le spalle. Cosa dire? “Pensavo che foste più clementi”?

Gli sguardi che Windu e Yoda si scambiavano spiegavano con eloquenza come non sapessero più a cosa credere. Silenziosamente arrivarono ad una decisione, perché il Maestro korun dichiarò in tutta la sua solennità: “Bene, credo che in mezzo a tanta falsità”, si assicurò che tutti i presenti sentissero il disgusto nella sua voce, “l’unico mezzo di assicurarci del vero sia una breve indagine mentale”. E si girò verso Luke.

Il ragazzo iniziò a tremare vistosamente, ma, senza che fosse aggiunta altra parola, sottomesso abbassò tutte le difese.

I due Maestri entrarono subito nella sua mente in maniera molto invasiva. Ma Anakin percepì molte altre presenze avventarsi sul Padawan. La porta della sua intimità era spalancata e praticamente tutti i presenti si ritennero autorizzati ad affacciarvisi per gettare uno sguardo curioso.

Dopo appena pochi secondi, Skywalker era l’unico Jedi della stanza a non essere dentro la testa di suo figlio. Disgustato, Anakin si chiuse alla Forza, ma questo non gli impediva di capire la sofferenza che stava facendo singhiozzare il ragazzo a calde lacrime e di non leggere nei suoi occhi sbarrati l’orrore di essere penetrato da estranei nel profondo dell’animo. Strinse le mascelle e i pugni, tentando di controllare la rabbia furibonda che cresceva dentro lui, rabbia verso il suo apprendista per essersi fatto scoprire, rabbia verso gli spettatori divertiti, rabbia alla durezza dei più anziani Maestri dell’Ordine, ma soprattutto rabbia verso sé stesso per essere finito in quella situazione e per non essere capace ora di impedire che suo figlio venisse violentato in quel modo sotto i suoi stessi occhi.

Quando dopo pochi minuti durati un’eternità l’indagine finì, il mormorio era tornato a crescere nella stanza. Alcuni degli spettatori iniziarono ad andarsene, avendo già avuto modo di godere abbastanza del diversivo dentro la mente di Luke.

Il ragazzo dolorosamente rialzò a fatica le sue difese e si strinse tra le sue stesse braccia, cercando conforto e protezione, mentre dai suoi occhi scivolavano ancora dei silenziosi rigagnoli salati.

Windu e Yoda si scambiavano sguardi significativi. Nella scena che doveva essere stata svolta e risvolta dentro l’anima del ragazzo, Anakin sapeva che erano contenute almeno quattro infrazioni gravi al codice Jedi da parte propria. I due anziani ne avrebbero contate sicuramente di più.

“Nel Consiglio di domani, da discutere molto avremo, Maestro Skywalker”, gli preannunciò infatti il troll.

L’interessato si limitò ad annuire e si inchinò leggermente per salutare i due aguzzini.

La folla si diradò velocemente tra le chiacchiere. Quella faccenda avrebbe sicuramente tenuto occupate le bocche e le orecchie dei Jedi per le settimane a venire. Ora che non c’era più la guerra dovevano pur distrarsi in qualche modo.

Anakin si limitò ad aspettare che un’apparente normalità tornasse nella sala e poi si avvicinò a Luke che, ancora in evidente stato di shock, non diede neanche segno di aver notato il movimento. Si chinò ad abbracciare il figlio, accarezzandogli i capelli, indifferente se qualcuno avrebbe poi mormorato che era troppo protettivo.

Improvvisamente era così disarmato il suo ragazzo! Ad Anakin parve di riavere tra le braccia il neonato indifeso che tredici anni prima aveva accudito per pochi giorni, prima di doverlo a malincuore lasciare come un trovatello ai piedi delle grandi colonne di ingresso del Tempio.

“Mi dispiace” fu tutto quello che riuscì a mormorargli. Poi gli appoggiò il braccio sulle spalle, stringendolo vicino come una chioccia tiene il suo pulcino sotto le ali e lo condusse fuori.

La boccata d’aria fresca dei giardini del Tempio ebbe qualche effetto sul Padawan che sembrò ritornare presente. Ma per un po’ continuarono a camminare così, senza una meta, senza aprire bocca. Quando furono in prossimità del laghetto, si sedettero su una panca. Anakin si aprì nuovamente alla Forza e con molta cautela tentò di ispezionare lo stato del figlio. Appena la presenza di Luke gli divenne minimamente tangibile, la sentì ritirarsi impaurita, nello stesso modo in cui si ritrae un arto ferito e dolorante dal tocco di un estraneo.

“Ssh! Non ti faccio niente.”, sussurrò il Maestro.

Il Padawan annuì debolmente. I suoi occhi si incantarono un attimo a studiare il dondolio delle onde, prima che con voce colpevole trovasse la forza per parlare: “Scusami Maestro”.

Anakin non aveva l’intenzione di infierire su di lui con alcun tipo di rimprovero. “Non ti preoccupare delle scuse. Prendi quello che è successo come una dura lezione”.

Il ragazzo inghiottì vistosamente. “Ma domani in Consiglio cosa farai…?”

“Non ti preoccupare di questo”, lo interruppe immediatamente il Maestro, “E’ meno grave di quello che sembra”. Sollevò il braccio destro sullo schienale della panchina e si adagiò indietro comodamente, in una posa che trasmettesse più sicurezza di quella che in realtà provava. Dopotutto lui era il Prescelto e sapeva che nella testa di Luke i Prescelti erano onnipotenti.

E infatti suo figlio annuì. Poi sorprendentemente proseguì: “Avevo nascosto il pendaglio bene, non volevo disobbedirti, e sono andato in biblioteca solo con l’intenzione di fare la mia ricerca sulla vita di Palpatine”

Anakin ascoltò in silenzio. Non gli interessavano le spiegazioni, né sapere perché il Padawan non avesse tenuto il segreto. Qualunque cosa fossa accaduta prima del suo arrivo non poteva essere sufficiente a giustificare la violenza che era stata inflitta al ragazzo.

Ma evidentemente per il suo apprendista era importante quella confessione non richiesta, perché man mano che raccontava le parole iniziavano ad uscirgli come un fiume in piena con un’incredibile dovizia di particolari: “…mi ero ricordato di ieri e avevo deciso di concentrarmi solo sul mio lavoro senza neanche guardare chi fosse o non fosse nella stanza. Avevo aperto il dischetto dei Trattati e mentre percorrevo i file, ho notato una foto in cui il cancelliere e la regina di Naboo si stringevano la mano. La regina portava un pendaglio proprio simile a quello che mi hai regalato…”

L’attenzione di Anakin si risvegliò involontariamente, mentre i ricordi iniziavano a fluire dentro di lui: Tieni. Come mio segno d’amore in cambio del japor. Desidero che tu lo abbia. E’ un ricordo del periodo in cui ci siamo incontrati: quel simbolo viene usato solo dalle Regine.

Ignaro Luke proseguiva senza sosta: “…ho letto la didascalia, ma diceva soltanto: La Regina di Naboo, Padmé Amidala, e il Cancelliere, Cos Palpatine, firmano il Trattato di Athor

Improvvisamente, il Jedi intervenne bruscamente: “Ripeti?!”

Preso alla sprovvista, il ragazzo ebbe un attimo di esitazione prima di riuscir a riavvolgere il nastro del suo stesso discorso. “La Regina di Naboo, Padmé Amidala, e il Cancelliere, Cos Palpatine, firmano il Trattato di Athor”.

L’ultima volta che lo usai fu quando concessi al Cancelliere l’usufrutto di un pianetino disabitato per quando necessita di ritirarsi in un luogo tranquillo.

Un’idea colpì Anakin. No, non un’idea, un’intuizione.

“…Allora, senza pensare, ho tirato fuori il mio per confrontarlo con quello della foto”, stava dicendo Luke. A questo punto, ebbe un attimo di pausa e poi sospirò, prima di proseguire: “E Yimot mi ha visto”.

Ma il Maestro non lo stava più seguendo, la sua mente era totalmente concentrata su altro. Possibile che fosse sempre stato lì sotto il loro naso?

Quando finalmente divenne consapevole del silenzio, Anakin vide Luke studiarlo.

“Ti senti meglio, adesso?”, chiese spiccio al figlio.

Il ragazzo annuì un po’ stupito al rapido cambio di tono.

Ma senza tante spiegazioni il Jedi si alzò in piedi e, dopo aver rassicurato il figlio con una pacchetta sulle spalle, si limitò a dirgli: “Bene! Ti lascio in libertà per il resto della giornata”. Poi aggiunse criptico: “Scusa ma devo andare urgentemente a verificare una cosa”. Si girò e prese il viottolo che portava all’interno del Tempio. Dopo pochi passi, esitò un istante e, rivolgendosi velocemente indietro al Padawan che ancora sedeva sulla panca, lo esortò: “E non ti preoccupare troppo per domani: il mio istinto mi dice che avrò ottimi argomenti da mettere in tavola”. Detto questo, sparì.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


DICHIARAZIONE
L'universo di Star Wars, i suoi personaggi e le vicende sono di proprietà di Lucas. Ho scritto questa fiction solo per divertimento
Ho preso i nomi Yimot, Athor, Dovim e Theremon dal bellissimo romanzo "Notturno" di Asimov e Silverberg. Tuttavia in questa storia non hanno alcuna relazione con i personaggi, le situazioni e i luoghi del libro. Sono solo un omaggio.

RINGRAZIAMENTI
Desidero ringraziare Chiara per avermi fatto da beta-reader.

RECENSIONI
Ringrazio Jenny76, Silvì76 e Hakka per le recensioni.
Non vi preoccupate Obi-Wan è ancora in gamba: lo iniziamo a vedere proprio in questo capitolo. Semplicemente finora non era stato coinvolto nella vicenda.
Poveri Yoda e Windu! Lo so che li ho resi antipatici, ma purtroppo il loro è proprio il ruolo di garanti dell'Ordine: non è che la flessibilità sia la loro migliore virtù e Anakin si è preso un bel rischio a tenere il figlio lì sotto il naso di tutti.
Verso la fine si capirà anche la vera ragione del comportamento di Yimot.
PS per Silvì76: mi raccomando leggi IL CATALIZZATORE. Il mio ego di scrittrice soffre nel dirlo, ma quella fiction da' dieci a uno alla mia e sinceramente è stata uno sprone per migliorare il più possibile la qualità della mia prosa: non mi darò pace finché non saprò scrivere così :) !

PADRE E FIGLIO - CAPITOLO 4

Il caldo vento artificiale dei motori in riscaldamento increspava i capelli di Anakin e rigonfiava il suo mantello. L’hangar del Tempio era in fermento come non si vedeva da una decade. Le tre navi d’assalto repubblicane erano quasi al completo, mentre gli ultimi plotoni di cloni si imbarcavano e i tecnici effettuavano i controlli finali.

“Ma gli altri Padawan vengono”, stava lagnandosi Luke davanti a lui, quasi urlando per essere udito sopra il rumore assordante delle navi.

“Ho detto di no”, ribadì la sua prima decisione il Maestro, mentre osservava impaziente lo stato di avanzamento dei preparativi. Doveva recarsi immediatamente da Obi-Wan, che attendeva di fianco alla seconda nave, per controllare un’ultima volta i piani di volo.

Vide il figlio sospirare deluso, distogliendo lo sguardo per osservare un gruppetto di Padawan che attendevano istruzioni dai loro Maestri prima di imbarcarsi. Alcuni guardavano nella loro direzione con divertita curiosità.

“Non è giusto!”, infine proruppe Luke irritato.

Dopo una breve esitazione davanti all’inaspettata ribellione, Anakin rispose con una calma che sorprese persino lui: “Non-Mi-In-te-res-sa”. Scandì bene le parole, affinché fossero definitive e aggiunse: “Adesso vattene!”.

Luke annuì debolmente, tenendo lo sguardo abbassato e mordendosi con rabbia il labbro per controllare l’irritazione. “Che la Forza sia con te, Maestro!”, mormorò, mentre si allontanava stizzito. Poco più in là nel gruppetto dei Padawan c’era chi stava ridendo apertamente adesso.

Al diavolo!, pensò Anakin, voltandosi e dirigendosi verso la nave dove Obi-Wan lo attendeva. Non avrebbe messo a rischio la vita di suo figlio, portandolo in zona di guerra, solo perché tutti gli altri Maestri erano tanto incoscienti da rischiare quella dei loro apprendisti!

Passò sotto la nave che sarebbe stata al suo comando, incantato per un attimo dalla improvvisa svolta degli eventi. Tutti presi dal cercare i capi separatisti in lungo e in largo, nessuno di loro aveva pensato che una semplice ricerca d’ufficio avrebbe potuto fornire l’indizio decisivo. Eppure era esattamente quello che era successo. Quando appena una settimana prima Luke aveva pronunciato il nome di Athor, tutto era sembrato dipanarsi con logica ferrea nella mente di Anakin.

Athor era un pianetino praticamente sconosciuto dell’orlo esterno con poche terre emerse coperte da una splendida flora tropicale e abitate solo da una razza molto primitiva. Era stato concesso in usufrutto a Palpatine, ma nessuno aveva pensato di andarne a reclamare la proprietà dopo la sua morte, né ce ne si era ricordati dopo la battaglia di Mustafar, allorché il gruppo dirigente residuo della Confederazione dei Sistemi Indipendenti era sfuggito all’attacco dell’esercito repubblicano.

Le immagini spedite dalle sonde negli ultimi giorni mostravano come in quei nove anni il comando separatista fosse riuscito ad adattarvisi ottimamente. Le semplici, ma assai confortevoli palazzine immerse nel verde delle palme, che gli ologrammi avevano proiettato davanti agli occhi sconcertati dei Jedi, avevano poco da invidiare ai sontuosi appartamenti di Coruscant. Dopo tanti anni, i vecchi signori della guerra dovevano sentirsi ormai al sicuro, considerando le scarse difese rilevate dalle sonde spia, e si godevano una tranquilla pensione in un confortevole paesaggio, dopo aver causato, direttamente o indirettamente, milioni di vittime in giro per la Galassia.

A quel pensiero, la mano artificiale di Anakin si strinse a pugno. Quanto avrebbe desiderato serrare le dita d’acciaio intorno al collo di Nute Gunray e la sua cricca, guardando gli schifosi volti verdi impallidire, mentre gli occhi terrorizzati avrebbero implorato la pietà che non avevano avuto per le loro vittime e i corpi flaccidi si sarebbero spenti, inginocchiandosi davanti a lui!

Improvvisamente spaventato dalla sua stessa fantasia, scacciò l’idea e si avvicinò velocemente ad Obi-Wan per non doversi chiedere da dove era nato quel desiderio di odio e potere.

Il generale Kenobi, tutto intento ad osservare le mappe, si accorse solo in quel momento della sua presenza. Ma lo conosceva troppo bene per non accorgersi che qualcosa aveva turbato il suo ex-apprendista.

“Tutto a posto?”, gli chiese con il tono ancora un po’ apprensivo del Maestro.

Anakin annuì, ma sapeva che la sua fronte aggrottata diceva ben altro e tentò di scusarsi: “Spero solo che questa volta sia quella buona per davvero”.

Obi-Wan lo studiò un attimo. Il suo stesso sguardo si incupì un istante, mentre si accarezzava la barba.“Anch’io”, ammise infine. Poi, il suo volto si tornò ad illuminare di quella serena pace del cavaliere Jedi maturo, quella tranquilla espressione che Anakin sospettava di non poter mai raggiungere davvero.

Paternamente, Kenobi gli aveva allungato un braccio sulla spalla per invitarlo ad avvicinarsi alla mappa. “Se ci atteniamo al piano prestabilito, li possiamo davvero cogliere di sorpresa questa volta”, affermò convinto, “L’importante è che non agiamo scoordinati, ripetendo lo stesso errore di Mustafar”.

“Non falliremo questa volta”, confermò Anakin determinato. “Posso vedere gli ultimi aggiustamenti?”

“Prego”, gli sorrise Obi-Wan e premette alcuni pulsanti del proiettore della mappa per far comparire una serie infinita di numeri con le correzioni di rotta, che il suo ex-apprendista iniziò a studiare con attenzione, immergendosi totalmente nello studio dei dati.

Dieci ore dopo, Anakin era straiato sulla scomoda branda nella sua cabina a bordo della nave d’assalto Nemesis. Mancavano ancora parecchie ore all’uscita dall’iperspazio e sapeva che avrebbe fatto meglio a dormire almeno un po’ prima dell’inizio della battaglia. Ma non era la solita inquietudine precedente una missione importante a tenerlo sveglio, né l’eccitazione per la vittoria che percepiva così vicina e sicura. Sentiva agitarsi dentro di sé qualcosa di spaventoso, ma non riusciva a delinearne i contorni.

Si obbligò a calmarsi e iniziò una profonda meditazione nel buio della sua stanza, concentrandosi solo sul ritmo del suo respiro. Immerso nella Forza, ripiegato su sé stesso, sentì il suo animo rilassarsi e le membra diventare finalmente torpide, pronte al sonno, finché perse ogni consapevolezza e si addormentò.

Il volto familiare di Luke invase presto i suoi sogni.

“Maestro, Maestro,…”, lo chiamava sussurrando, ma con una certa urgenza nella voce.

Anakin era troppo impegnato per porgli la giusta attenzione, finché un urlo di dolore lo obbligò a voltarsi verso suo figlio e con orrore lo vide tremante tenersi le mani imbrattate di sangue su un’ampia ferita nell’addome.


Il Jedi si svegliò di soprassalto. Si sollevò a sedere sul letto. Tentò riprendere fiato e di rallentare il suo cuore impazzito, mentre il suo corpo continuava a coprirsi di mille gocce gelide di sudore.

“Luke”, fu tutto quello che gli uscì dalla voce strozzata.

No, per la Forza, non poteva morire anche Luke!

Si mise la mano vera sugli occhi e iniziò a piangere come un bambino. Per un folle attimo desiderò quasi che fosse già successo, che non dovesse di nuovo attraversare mesi di angosciosi incubi e l’insopportabile dolore del distacco. Poi prese fiato e si alzò. Quello che stava pensando era del tutto irrazionale. Non era ancora successo nulla, perciò poteva ancora tentare di cambiare le cose. Ma poteva veramente?

Si infilò la tunica per recarsi al ponte di comando. Non doveva ormai mancare molto all’uscita dall’iperspazio. Presto avrebbe potuto contattare Coruscant e chiedere a qualcuno di tenere sempre d’occhio il Padawan fino al suo ritorno.

Non era un granché come piano, ma non poteva fare di più, finché la sua visione non avesse delineato più precisamente la fonte di pericolo. Chiuse per un istante gli occhi, concentrandosi per rievocare la spiacevole immagine alla ricerca di indicazioni utili. Con la mente rivolta a focalizzare i lineamenti del figlio avvertì improvvisamente la sua traccia nella Forza. Non il ricordo della sua traccia, ma la traccia viva e presente.

Riaprì gli occhi con l’angoscia che tornava a montare più di prima, finì di corsa di vestirsi e si diresse verso il comparto merci. La presenza di Luke si faceva più chiara ogni metro che si avvicinava e Anakin si chiese come avesse fatto a non accorgersene prima. La sua visione ora era minacciosamente vicina e il pericolo reale della battaglia incombeva sulla vita di suo figlio.

Terrorizzato da questa prospettiva, aprì il portellone della stiva, accese i lunghi neon abbaglianti e, furibondo all’avventatezza del Padawan, urlò: “Luke, vieni fuori!”.

Ma dalla penombra dei cassoni che ricopriva buona parte del compartimento non venne nessuna risposta. Eppure sentiva chiara e vicina la sua sagoma nascosta tra le attrezzature dell’esercito.

“Luke, pensi che non ti avverta?”, ripeté sempre più arrabbiato, mentre non poteva cancellare dai suoi occhi la visione del ragazzo ferito a morte.

Dopo qualche altro istante di silenzio assoluto, ci fu qualche piccolo rumore, poi da dietro una cassa comparve il Padawan che titubante si avvicinò.

Anakin non era mai stato così arrabbiato con lui e, quando gli fu di fronte, tutto quello che riuscì a dire fu “Sei impazzito?!” prima di rifilargli un sonoro schiaffo. La guancia del figlio arrossì velocemente per il colpo e con rammarico si avvide di non aver moderato l’impatto delle sue dita d’acciaio sulla faccia.

Ma il ragazzo non emise alcun lamento e si limitò ad abbassare lo sguardo colpevole, mentre i suoi occhi divennero lucidi.

La rabbia del Jedi si moderò, lasciando posto a qualcosa di peggio: l’angoscia. “Hai una vaga idea del pericolo in cui ti sei messo?”, gli chiese.

“Scusa”, mormorò il Padawan.

Anakin scosse il capo. No, non l’aveva, pensò.

Il tempo stringeva, perché ormai erano vicini all’obiettivo e doveva trovare il sistema di impedire a Luke di mettersi in ulteriore pericolo. “Seguimi”, si limitò ordinare.

Percorsero i corridoi in silenzio tra l’indifferenza delle truppe, abituate a vedere gli apprendisti Jedi in zone di guerra. Il Maestro procedeva a lunghi passi, ignorando la difficoltà del suo Padawan nel seguirlo, la curiosità e il timore che percepiva provenire da dietro di lui. Non aveva intenzione di sprecare tempo in spiegazioni e discussioni.

Passarono i comparti dei veicoli, le stanze delle truppe, l’infermeria e giunsero alla zona detentiva. Il Jedi infilò il primo blocco che incontrarono e fece gesto a Luke di entrare in una delle celle, completamente spoglia a parte un lettino duro.

Il Padawan esitò, evidentemente sorpreso, spostando il suo sguardo dalla prigione al Maestro. “Non vorrai mica arrestarmi?”, chiese infine incredulo, sbattendo gli occhi.

Anakin scosse il capo. “Mi assicuro solo che non prenderai altre iniziative”, spiegò.

“Non potresti rinchiudermi nel tuo alloggio?”, propose conciliante il Padawan.

Il Maestro incrociò le braccia. “Per darti l’opportunità di fuggire meglio?”

“No. E’ solo che…Ti prego! Giuro che non ti disobbedirò più”, implorò Luke con tanta innocenza che il Jedi fu quasi sul punto di cedere.

Ma dentro di lui continuava ad agitarsi la sensazione di pericolo. Indicò l’interno della cella, intimando: “Fila!”

Luke fece una smorfia di disappunto, ma rassegnato entrò nella celletta senza ulteriori commenti.

Il padre provvide a chiudere la porta a scorrimento e digitò il suo codice segreto di autorizzazione per bloccarne l’apertura, come se all’interno vi fosse rinchiuso un terribile criminale. Non che adesso si sentisse veramente tranquillo, ma almeno aveva impedito che il figlio si avventurasse nella linea di fuoco.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


DICHIARAZIONE
L'universo di Star Wars, i suoi personaggi e le vicende sono di proprietà di Lucas. Ho scritto questa fiction solo per divertimento.
Ho preso i nomi Yimot, Athor, Dovim e Theremon dal bellissimo romanzo "Notturno" di Asimov e Silverberg. Tuttavia in questa storia non hanno alcuna relazione con i personaggi, le situazioni e i luoghi del libro. Sono solo un omaggio.

RINGRAZIAMENTI
Desidero ringraziare Chiara per avermi fatto da beta-reader.

RECENSIONI
Jenny76: Grazie per la recensione e sì, naturalmente quando Anakin sogna ci sono guai in arrivo!

PADRE E FIGLIO - CAPITOLO 5

Anakin aveva appena finito di digitare il codice che un forte e improvviso scossone alla nave gli fece quasi perdere l’equilibrio, seguito dal trillo del suo com-link prima ancora che avesse il tempo di elaborare coscientemente la sua sorpresa.

“Signore, siamo usciti dall’iperspazio”, gracchiò qualcuno dall’altra parte.

“Arrivo immediatamente”, rispose senza obbiettare che quella non era una normale decelerazione.

Si voltò un attimo verso la porta della cella dietro lui, chiedendosi se Luke fosse stato in grado di mantenere l’equilibrio. Probabilmente era già seduto sulla brandina e, se non lo fosse stato, al massimo si era fatto un livido sul ginocchio. Scrollò le spalle e si diresse verso il ponte di comando.

Arrivò al ponte superiore mentre la nave veniva scossa di nuovo, chiaramente questa volta da un colpo di laser. Quando il portellone di ingresso si aprì, la prima cosa che vide fu la battaglia che era iniziata davanti a loro e, cosa più sorprendente ancora, la sagoma enorme di Athor che faceva da sottosfondo per più di metà della finestra.

“Cosa succede?”, chiese dirigendosi verso il Capitano della nave.

“Appena siamo usciti dall’iperspazio abbiamo trovato una difesa pronta”, rispose trafelato l’ufficiale, prima di ritornare a urlare degli ordini ai suoi sottoposti.

Confuso dalla risposta, Anakin analizzò con rapidità i dati di volo, digitando i tasti di controllo di uno dei notepad di registrazione. La sua faccia si incupì man mano che leggeva. Si avvicinò all’uomo e lo studiò incredulo. Abituato ai docili cloni che obbedivano sempre, non aveva mai pensato che questi nuovi ufficiali, reclutati tra la popolazione comune per rinvigorire quello che era ormai l’esercito fisso della Repubblica, avrebbero potuto far di testa loro.

Quando il Capitano si accorse di lui, il Jedi gli gettò con disprezzo sul petto il pad, che quasi cadde per i riflessi lenti dell’uomo. “Siete uscito dall’iperspazio troppo vicino al pianeta”, lo accusò.

“L’ho fatto per coglierli di sorpresa…”, si scusò l’ufficiale.

Anakin lo fulminò con lo sguardo e con una glaciale calma minacciosa commentò: “Imbecille!”

Un teso imbarazzo ammutolì il ponte. Il Capitano si mise un dito all’altezza del colletto per allargarlo, come se sentisse improvvisamente venir meno l’aria, mentre il suo viso diventava sempre più agitato.

Un nuovo colpo scosse la nave, richiamando tutti i presenti a faccende ben più importanti. Anakin camminò oltre l’uomo, che sembrò riprendere fiato, per dirigersi al comunicatore.

“Maestro Kenobi, Maestro Windu, qui è Skywalker”, chiamò, “Siamo sotto attacco. Ripeto, siamo sotto attacco”

“Anakin, cosa ci fate così in basso?”, chiese la voce di Obi-Wan.

“Un’iniziativa privata del Capitano, mentre io ero impegnato… in altre faccende”, rispose vagamente il Jedi, mentre riservava un ultima occhiataccia torva al suo ufficiale.

“Sono molto più pronti di quello che le sonde facessero prevedere”, si inserì Mace.

“O le nostre sonde non sono state così discrete come pensavamo”, azzardò Kenobi.

“Ad ogni modo, tutta la tattica è fallita”, fece notare senza ulteriori preamboli Anakin. “A questo punto, noi siamo la nave più bassa e quindi noi scenderemo”

“Non potete farcela sotto tutto quel fuoco”, gli fece notare il Maestro korun.

Anakin si voltò un attimo verso la grande vetrata per studiare la situazione. “Sì, se lasciate le vostre posizioni e ci coprite dall’alto”.

“Lasceremo scoperte molte vie fuga sul resto dell’emisfero”, obiettò Obi-Wan.

“Maestro Kenobi, se scendiamo con i Jedi delle nostre navi, lasciando in orbita solo i militari, potremo evitare la fuga dei Separatisti da terra”, disse la voce di Windu.

Ci fu un attimo di esitazione dall’altra parte della linea, prima che Kenobi confermasse: “Non vedo alternative valide. Affiancheremo i nostri caccia alla nave di Skywalker”

“Ok, do l’ordine di iniziare la discesa…”, confermò il Jedi.

“Anakin”, lo richiamò Obi-Wan con urgenza, “mi raccomando, sii prudente”.

Il Jedi scosse il capo divertito e gli scappò il primo sorriso da quando si era alzato da letto. “Non ti preoccupare, Maestro. Chiudo”.

Ritornò verso gli ufficiali superiori e rivolto al Capitano ordinò: “Faccia scendere la nave nella pista centrale di atterraggio e intanto prepari le truppe per lo sbarco”.

L’ufficiale spalancò gli occhi: “Sotto questo fuoco?!”

Lo sguardo di Anakin si indurì. “Cerchi di non deludermi di nuovo”, rispose minaccioso.

Lentamente il Capitano annuì e si girò a dare ordini ai suoi sottoposti.

Non appena l’intenzione di sbarco fu chiara anche ai loro avversari, il fuoco si intensificò. La nave ballò ripetutamente, mentre gli scudi iniziavano a cedere e si potevano udire delle esplosioni sulla struttura esterna.

Nel ponte di comando era un susseguirsi di ordini e di rapporti sempre più veloci e tesi sui volti preoccupati delle truppe.

Dall’alto, finalmente, arrivarono gli aiuti delle altre navi e la loro situazione divenne meno precaria. Ormai mancavano pochi minuti all’atterraggio e Anakin dovette lasciare il ponte per recarsi al portellone di sbarco, dove i cloni erano già disposti in file ordinate. Vi si mise alla testa, tentando di nascondere la tensione che quella attesa gli procurava. Pochi momenti e si sarebbero trovati a sfidare di nuovo la morte.

Ma c’era di più questa volta. Quella sensazione angosciosa che non voleva sapere di andarsene: il pensiero di Luke in zona di guerra, sebbene protetto dalla massiccia struttura della nave.

Un rumore sordo e un brusco dondolio del pavimento indicarono l’atterraggio e i cloni prepararono i fucili. Anche Anakin sfilò la sua spada e l’accese. Il portellone si aprì, vomitando fuori le truppe sotto un inferno di fuoco. Uscito, parò agevolmente i colpi casuali con il suo laser e, lasciando la fanteria al suo compito di prendere possesso del complesso residenziale dei Separatisti, si diresse verso i caccia, da cui stavano scendendo Obi-Wan, Windu, Plo Koon, Shaak Ti, Ki-Adi-Mundi e i loro apprendisti: in tutto erano sei Jedi e cinque Padawan, una dimostrazione di forza del Consiglio Jedi, soprattutto considerando che non era possibile uscire dal pianeta, se non da quel luogo. E, infatti, in breve tempo le truppe occuparono il minuscolo villaggio intorno allo spazio-porto.

La voce del Comandante Codi gracchiò nel com-link: “Il Comando dei Separatisti è asserragliato dentro l’edificio est e chiede di negoziare la resa”

“Niente negoziati”, rispose di impulso Anakin.

Ma immediatamente Windu lo scavalcò: “No, aspetta Codi”

Skywalker si girò interrogativo verso Mace.

“A questo punto sono in trappola”, intervenne Obi-Wan, “evitiamo altri spargimenti di sangue”

“Dovremmo anche starli a sentire?”, chiese incredulo Anakin.

“Il nostro compito è portarli davanti ad un tribunale, non giustiziarli”, confermò Shaak Ti.

“E’ semplicemente assurdo”, protestò il Prescelto.

Ma in pratica Windu gli aveva già strappato di mano il com-link. “Digli che il Maestro Kenobi, il Maestro Skywalker ed io stiamo venendo a negoziare, ma che qua fuori rimangono altri Jedi a sorvegliare la situazione”.

Indispettito, Anakin si unì senza un commento alla appena autonominata delegazione. Salirono su una ripida scala, circondata da strane palme verdi che sarebbero state belle se si fossero potute ammirate in altre situazioni. Un intero plotone di truppe puntava il fucile verso uno stretto porticato ad arco. Sul pavimento giacevano tre corpi di cloni, sopra all’arco erano facilmente percepibili le presenze di diversi cecchini separatisti. Un silenzio irreale e carico di tensione accolse i Jedi.

Stando ben attento a non sporgersi nemmeno di un centimetro sotto il portico, il Comandante Codi urlò dentro: “Sono arrivati i negoziatori”.

“Va bene, fateli passare”, rispose una voce cavernosa dall’interno.

I tre Maestri Jedi accesero le loro spade e totalmente aperti alla Forza si spinsero in avanti con prudenza ma decisione, affinché i loro avversari, che sicuramente li tenevano sotto tiro, sapessero che loro non li temevano. Percorsero diverse decine di metri prima di giungere ad un ampio portone, che si schiuse non appena vi si trovarono davanti.

Entrarono in un’ampia sala dove furono accolti da un piccolo gruppo di capi della Confederazione dei Sistemi Indipendenti. Oltre a Nute Gunray e al suo segretario, Rune Haako, della Federazione dei Mercanti, Anakin riconobbe il capo della Tecno Unione, Wat Tambor, e l’amministratrice della Gilda Commerciale, Shi Mai. Gli altri personaggi presenti dovevano far parte del Clan Bancario. Apparentemente a difenderli vi erano solo due guardie Nemoidiane armate di blaster. Non una gran minaccia evidentemente per Windu e Kenobi che spensero le spade non appena la porta dietro di loro si chiuse… senza però rifoderarle.

Dopo qualche secondo di esitazione Anakin li seguì.

Il Vicerè era quasi rosa dalla paura: era notorio che aveva un timore leggendario dei Jedi. Era altrettanto notorio che questo non l’aveva fermato dal provocare una guerra contro l’Ordine stesso.

Quando iniziò a parlare, la sua voce tremante disgustò Anakin. “Maestri, siamo pronti ad arrenderci immediatamente, purché ci garantiate un processo giusto in cui una parte della Corte sia composta da Nemoidiani”

“La Repubblica garantisce sempre processi giusti…”, iniziò Obi-Wan.

Quasi, corresse mentalmente Anakin, ripensando alla fine di Palpatine.

“…avrete gli avvocati difensori che più riterrete idonei”, proseguì il negoziatore, “ma in quanto alla composizione della Corte non è in nostro potere garantire nulla”.

“Potrete sicuramente comunicare con Coruscant”. Le mani viscide di Gunray fecero un vago gesto in direzione dei com-link.

Kenobi scambiò un’occhiata con Windu per decidere quanto dare corda al Nemoidiano, mentre Anakin lo sopravanzò di diversi passi avvicinandosi molto all’umanoide. Le guardie puntarono i blaster con più precisione verso di lui.

Il Jedi fece finta di non darsene a vedere e minaccioso si rivolse al Viceré: “Non mi sembrate nella posizione di avanzare delle pretese”.

“Anakin…”, lo interruppe Mace in tono severo, ma prima di poter aggiungere altro fu interrotto dal rombo assordante di una violentissima esplosione nello spazio-porto, seguita dal frastuono del fuoco che si rianimava all’esterno e del metallo che cadeva.

Un’ondata di dolore acutissimo invase la mente di Anakin e sentì dentro di sé il terribile urlo di Luke, la sua faccia sconvolta come nella visione e gli occhi terrorizzati che guardavano increduli il sangue uscire dal suo addome.

Immediatamente capì che la sua nave era stata colpita a tradimento e, senza più controllo, recuperò in un attimo i pochi passi che lo separavano dal Vicerè, accese la spada e urlandogli “Bastardo!” lo trafisse ad una velocità che lui stesso non sapeva di possedere.

Troppo lente nei riflessi, le guardie iniziarono a sparare ad esecuzione già avvenuta e incontrarono in scia le lame pronte di Kenobi e Windu. Altro fuoco iniziò a piovere dall’alto, mentre il com-link gracchiava per avvisare che una nuova nave era spuntata fuori da dietro il pianeta.

Nella confusione generale, Anakin poteva pensare solo al dolore pulsante di Luke, ferito e impossibilitato a cercare aiuto, perché rinchiuso…proprio da lui. Per la Forza, cosa aveva fatto?

Da dietro la porta comparvero finalmente gli altri Jedi a dar mano forte. Tutti insieme, si fecero strada tra l’inferno di fuoco che si era scatenato, lentamente avanzando per raggiungere il comando separatista che aveva preso la fuga da una porta sul lato opposto della stanza. Tutti tranne Anakin che si girò per tornare al porto.

“Dove vai?”, gli urlò Obi-Wan, continuando a concentrarsi nel deviare i colpi.

“Devo salvare Luke. E’ sulla nave”, spiegò di fretta.

“Credevo l’avessi lasciato a casa”, notò Kenobi, quasi urlando per superare il frastuono del fuoco.

“E’ una storia lunga”, rispose Anakin che era già arretrato di diversi passi.

“La missione prima di tutto”, gli ricordò Windu.

Ma Anakin scosse il capo: percepiva le forze del suo apprendista diventare sempre più deboli.

“Non puoi andartene”, gli ricordò Obi-Wan, “So quanto tieni a Luke, ma la missione deve venire prima”.

Una predica! Kenobi gli faceva una predica mentre erano sotto tiro e suo figlio poteva morire dissanguato. Disgustato il Jedi continuò a retrocedere.

Windu lo seguì e lo afferrò per un braccio: “Skywalker questo è un ordine!”

Ansioso e nervoso, Anakin strattonò per liberarsi e con tutta la rabbia che aveva in corpo urlò: “Non mi impedirete di salvare mio figlio!”. E tanto per chiarire meglio il concetto, mise la lama azzurra tra di loro. Un attimo di confusione dopo, scioccato capì cosa aveva fatto e detto. Vide il Maestro korun più sconcertato di lui e incapace di reagire. Scappò definitivamente fuori verso il porto. Nessuno dei Jedi lo seguì: la missione prima di tutto.

Skywalker si fece strada deviando i colpi che ormai venivano sparati quasi a casaccio e raggiunse la sua nave. La preoccupazione per la sorte di Luke lo teneva impegnato, facendogli dimenticare per il momento cosa poteva accadergli dopo quello che aveva appena rivelato.

Corse per i corridoi, tentando di orientarsi nella calca, mentre spingeva e si faceva largo tra i soldati che, nella confusione, correvano di qua e di là. Raggiunse le prigioni vuote e si diresse alla cella di Luke. Ora che era così vicino poteva sentirne il dolore con tanta violenza che gli sembrava di essere lui stesso ferito. Digitò il codice, ma nella fretta si sbagliò. Con irritante lentezza il computer avvisò dell’errore prima di concedergli la seconda possibilità. Anakin si obbligò a calmarsi, prese fiato e poi ritentò con mente più lucida, mentre la fatica e la tensione gli addensavano sul viso mille gocce di sudore.

La porta si aprì. Entrò, gettandosi sul figlio che giaceva in un angolo, cosciente, ma debole. Per quanto avesse avvertito la situazione precaria di Luke, la visione della tunica imbrattata di rosso dall’addome fino alla coscia lo sconvolse. Al fianco del Padawan vi era un pezzo acuminato di lamiera, evidentemente saltato dalla parete di fronte, coperto anch'esso di sangue.

Il ragazzo si voltò nella sua direzione e gli fece un debole sorriso.

Anakin gli tastò la fronte, poi con attenzione gli strappò la tunica per esaminare meglio la ferita. Ripulì la pelle il più possibile tra i lamenti di Luke, finché non trovò un taglio di una trentina di centimetri tanto profondo che una piccola parte dei visceri era leggermente fuoriuscita.

Il Jedi distolse un attimo lo sguardo per l’orrore e si obbligò ad essere forte, più di quanto non lo fosse già stato nella sua lunga carriera. Poi rivolse di nuovo gli occhi lucidi alla ferita e vi posò sopra la mano, tentando di infondere tutta la sua Forza. Il flusso del sangue rallentò un po’, ma non era sufficiente a bloccare l’emorragia.

“Dobbiamo raggiungere subito l’infermeria”, comunicò a Luke.

“Sono riuscito a togliere il pezzo”, rispose debolmente il figlio, indicando un attimo con gli occhi la lamiera accanto “ma non posso camminare”.

“Non ti preoccupare”, mormorò Anakin e lo sollevò tra le sue braccia con la maggior delicatezza possibile, in modo da evitare la fuoriuscita di altri visceri. Luke gemette per il movimento, ma il padre fece finta di niente e corse fuori, cercando di non squassarlo troppo.

Nonostante l’infermeria fosse proprio lì accanto, arrivarvi sembrò un’eternità. Ad ogni passo, ad ogni scontro casuale con un soldato che correva in direzione opposta, il Padawan sobbalzava e si contorceva. Il Maestro riservava metà della sua attenzione all’obiettivo e con l’altra metà tentava una meditazione per mostrare al ragazzo il modo di alleviare il dolore attraverso la Forza.

Quando finalmente giunsero a destinazione, non trovarono poco più che un cumulo di macerie.

Anakin provò a digitare il codice di autorizzazione vicino alla porta, ma nessun droide prese vita. Con il figlio ancora fra le braccia, scavalcò uno scaffale rovesciato e andò dall’altra parte della stanza per verificare le cure rimaste disponibili. Adagiò con delicatezza Luke su una brandina impolverata dalle macerie e ritornò davanti al panello, digitando ansiosamente la richiesta di un aiuto qualsiasi. Ma i controlli di tutto il settore erano saltati.

“Ho freddo”, mormorò il ragazzo.

Il Jedi gli si avvicinò di nuovo. “Stai perdendo molto sangue”, si limitò a constatare impotente.

Luke annuì con gli occhi impauriti per la piena realizzazione di quello che stava accadendo.

Suo padre rivolse l’attenzione al pavimento. Si inginocchiò a rovistare tra mille attrezzi di funzione sconosciuta e riuscì a recuperare un po’ di garze, del cotone e un rotolo dei cerotti. Le confezioni aperte avevano perso la sterilizzazione, ma era consapevole che, se non riusciva a tamponare, non ci sarebbe stato modo di preoccuparsi delle infezioni. Ritornò al lettino e iniziò a comprimere con forza il taglio, mentre vi stendeva sopra a strati tutte le garze che aveva a disposizione, senza prestar mente alle suppliche di fermarsi del ragazzo. Ma non faceva in tempo ad appoggiarvene una nuova che la precedente era già inzuppata di sangue.

Quando finì l’ultimo inutile pacchetto, tirò indietro il braccio in un gesto di disperazione e urtò la sua spada laser agganciata al fianco. La fissò un attimo: quella avrebbe cauterizzato la ferita e i visceri eventualmente tranciati avrebbero potuto essere bypassati da una successiva operazione.

Nel petto il cuore iniziò a battergli con violenza per l’indecisione, ma non riusciva a vedere soluzioni alternative: in gioco c’era la vita di Luke. Estrasse la spada e l’accese.

“Mi dispiace, non ho alternative. Aggrappati dove riesci”, mormorò al figlio che lo guardava con gli occhi sbarrati dal terrore, stringendo nervosamente la struttura metallica del lettino.

Senza troppi complimenti, Anakin pose l’ampia mano sinistra sul torace del Padawan, cercando di immobilizzarlo il più possibile e si immerse nella Forza per assicurarsi di essere veloce e preciso. Un secondo dopo, affondò la lama nel ventre del ragazzo il minimo sufficiente e le fece compiere un rapidissimo circolo per tutto l’interno della ferita, ignorando l’urlo di agonia di Luke e l’odore di carne bruciata.

Quando ebbe finito, spense la spada, si voltò e vomitò sul pavimento. Si pulì la faccia sull’ampia manica della tunica, già inzuppata di sangue. Riprese fiato, tornò dal figlio, ora muto per lo sfinimento, e gli accarezzò i capelli, mentre verificava il lavoro eseguito. La sua vista era offuscata dalle lacrime che non riusciva a controllare, ma l’emorragia si era bloccata per il momento, sostituita dall’ampia bruciatura.

“Adesso ho il tempo di cercare un medico”, lo incoraggiò, quasi implorando perdono.

Ma Luke non rispose.

Sempre più spaventato, Anakin gli diede un buffetto sulla guancia, cercando di tenerlo sveglio. Improvvisamente, realizzò che se il figlio fosse morto non avrebbe mai neanche saputo della loro parentela. Si avvicinò ancora di più al ragazzo, scuotendolo delicatamente.

“Luke, Luke”, lo chiamò, “Resisti, Luke. C’è qualcosa che ti devo dire. Luke, tu non sei solo il mio Padawan. Luke, io… io sono tuo padre”. Lo squassò di nuovo. “Mi hai capito? Luke, resisti! Fallo per me… per tuo padre”, insistette e gli parve di scorgere una scintilla di comprensione negli occhi del ragazzo, prima che la spossatezza avesse definitivamente la meglio di su di lui e svenisse.

Anakin lo raccolse nuovamente tra le sue braccia. Pregando silenziosamente, corse verso l’uscita dalla nave.

Nello spiazzo del porto, esitò un istante per vagliare le opzioni. Sicuramente c’era un centro medico lì nella struttura, ma trovarlo in mezzo alla battaglia avrebbe richiesto tempo e, considerando che i residenti erano tutti alieni, non poteva neanche dare per scontato che i database dei droidi contenessero informazioni sugli esseri umani. Vide il nuovo Ala-X di Obi-Wan. Forse nel piccolo spazio dietro al seggiolino avrebbe potuto adagiare il corpo esile di Luke per il breve viaggio fino ad una delle due navi in orbita.

La seconda possibilità gli sembrò la più ragionevole. Corse verso il caccia e senza troppa fatica vinse le deboli resistenze del droide astromeccanico che lo riconobbe come amico fidato di Obi-Wan. Più complicato fu fare entrare il ragazzo evitando che urtasse sul fondo e dovette aiutarsi con la Forza. Senza perdere ulteriormente tempo, partì, prendendo quota rapidamente. Ma quando uscì dall’atmosfera, si rese conto che la battaglia spaziale stava infuriando peggio di quella terrestre. Alzò i suoi scudi e iniziò a lanciarvisi in mezzo. Evitare i colpi, cambiare di traiettoria, sparare rischiavano di tenerlo impegnato a lungo prima di riuscir anche solo ad avvicinarsi ad una delle navi.

Riversò una parte delle sue percezioni sullo stato del figlio, sentendolo sempre più debole, e con l’attenzione che gli rimaneva evitò per un soffio un colpo al motore destro. Prima di tentare una mossa diversiva, lanciò una ricerca sulla piccola mappa di bordo dei Sistemi vicini. Inseguì un caccia nemico davanti a sé e sparò, proprio mentre il computer visualizzava i risultati di ricerca.

Anakin scorse la lista e, quando i suoi occhi scivolarono su qualcosa che gli sembrava finalmente interessante, lasciò la zona di battaglia, cercando di non essere inseguito.

Polis Massa era una buona opportunità. Confermò la lettura dei dati aggiuntivi. Polis Massa, piccolo centro minerario dell’orlo esterno. Coordinate: zona gamma, 124, 134, 567. Era tutto quello che il database diceva, ma ad Anakin non serviva di più. Una comunità di qualsiasi tipo disponeva di un pronto soccorso e il sito era molto vicino, con un rapido salto nell’iperspazio sarebbe arrivato là in meno di mezz’ora, molto prima di quanto probabilmente gli avrebbe richiesto infilarsi dentro le navi sotto fuoco nemico.

Prese la direzione corretta e iniziò il calcolo per il salto. Ma la procedura automatica era lunga e il tempo stringeva. La interruppe, prese un profondo respiro e immergendosi completamente nella Forza entrò quasi in tranche, digitando i numeri di traiettoria a mano. Quando ebbe finito diede l’avvio.

Era semplicemente una follia, anche per un Cavaliere Jedi, anche su una distanza così breve e priva di ostacoli significativi. Un errore banale significava morte certa.

L’astrodroide gli chiese la conferma, dopo avergli enumerato i pericoli a cui sarebbero andati incontro. Come se non li avesse conosciuti!

Ma preferiva disintegrarsi insieme a Luke in quel disperato tentativo di salvarlo, piuttosto che stare impotente a guardarlo morire. Perciò chiuse gli occhi un attimo, cercando la Fede in quello che la Forza gli aveva fatto scrivere nel computer e premette il bottone di conferma.

Le stelle sembrarono allungarsi all’infinito, mentre lasciavano dietro di loro l’incubo di Athor.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


DICHIARAZIONE
L'universo di Star Wars, i suoi personaggi e le vicende sono di proprietà di Lucas. Ho scritto questa fiction solo per divertimento
Ho preso i nomi Yimot, Athor, Dovim e Theremon dal bellissimo romanzo "Notturno" di Asimov e Silverberg. Tuttavia in questa storia non hanno alcuna relazione con i personaggi, le situazioni e i luoghi del libro. Sono solo un omaggio.

RINGRAZIAMENTI
Desidero ringraziare Chiara per avermi fatto da beta-reader.

RECENSIONI
Grazie a Therealpisces, Jenny76, Hakka, Silvì76 per le recensioni.
Lato Oscuro o Lato Chiaro non è che la pazienza sia la miglior virtù di Anakin. Peccato che il capitano non possa sapere quanto è fortunato: in universi paralleli non se la sarebbe cavata con qualche insulto ;) !!
Che dite, non è ora che Luke riceva qualche spiegazione da suo padre?!

PADRE E FIGLIO - CAPITOLO 6

Anakin sedeva già da una mezz’ora davanti al sistema di comunicazione interplanetario messo a disposizione dal centro medico di Polis Massa. Dalla grande finestra di fronte vedeva solo il cielo stellato e due asteroidi minori della Fascia.

Prese fiato e si decise finalmente a premere i tasti di chiamata, prima che passasse l’ora utile per contattare il Tempio di Coruscant. Ci fu qualche bip per la sintonizzazione del canale di comunicazione, poi comparve l’ologramma disturbato di Obi-Wan.

Kenobi lo osservò dapprima con un po’ di stupore, poi con un’espressione di tesa gioia.

“Anakin, dove sei?”, fu tutto quello che riuscì a dire.

“A Polis Massa, vicino ad Athor. C’è un buon centro medico”, rispose Skywalker.

Obi-Wan lo fissò serio. “Luke sta bene?”

Anche se non lo diede a vedere, Anakin fu veramente grato che la prima preoccupazione del suo ex-Maestro fosse per suo figlio. “Sì. Aveva una bruttissima ferita e ha fatto quattro giorni di coma profondo, ma adesso sta bene. Secondo i medici, dovrebbe riprendere conoscenza molto presto”.

“Ne sono contento”, disse Obi-Wan e parve persino sincero.

“I Separatisti?”, chiese Anakin, continuando ad evitare il problema vero.

“Sono stati arrestati”, rispose l’altro, “La Corte sta attendendo gli avvocati e un paio di giurati da Nemoidia per iniziare il processo”

Anakin fece un grugnito a metà strada tra una smorfia e un sorriso amaro. Infine, decise di affrontare direttamente il suo destino. “E io avrò diritto ad un avvocato di Tatooine?”, tentò senza successo di buttarla sull’ironico.

Obi-Wan scosse il capo amaro. “Sai che il Consiglio Jedi procede in un altro modo rispetto ai Tribunali”. Esitò, ma davanti alla mancanza di reazione del suo ex-Padawan proseguì. “Dopo questa intera settimana, iniziavamo a pensare che non saresti più tornato”

Anakin distolse lo sguardo. Era molto difficile tirar fuori quelle parole, anche se Obi-Wan sapeva a cosa stava pensando: più si era giunti in alto, più la caduta poteva essere rovinosa. “Sarò coperto di infamia”, sospirò.

Gli occhi di Kenobi si riempirono di compassione e si guardò furtivamente attorno. Quando fissò di nuovo il trasmettitore, il suo insolito atteggiamento era cospiratorio e la sua voce appena più di un sussurro: “E’ un momento ancora delicato per la Repubblica: ai Jedi non conviene che il suo più illustre rappresentante venga espulso con disonore… Se rientri presto, forse posso addolcire le decisioni del Consiglio”

Skywalker scosse il capo. “Addolcire? Finirò a fare il negoziatore in qualche posto remoto per il resto dei miei giorni?”

Il viso di Kenobi divenne subito duro. “Cosa ti aspetti dopo tredici anni di bugie?”.

Non era il Maestro, né il Generale a parlare, ma l’amico ferito e Anakin si sentì colpito nel profondo. Distolse lo sguardo. “Diciassette”, corresse. Quella confessione lo fece sentire meglio e gli diede la forza per il passo successivo: “Tra pochi giorni Luke dovrebbe essere in grado di affrontare il viaggio e allora rientrerò subito a Coruscant”

Kenobi apparve leggermente sorpreso. “Anakin, io sono tuo amico. Sai che puoi contare su di me”, dichiarò dopo una breve esitazione.

Skywalker annuì fiducioso un “Grazie”, prima di chiudere la comunicazione. Si alzò con il cuore pesante e la determinazione di un secondo prima ad affrontare la sua punizione iniziava a vacillare. Ma non importava quello che sarebbe accaduto, si disse infine. L’importante era che questa volta aveva salvato davvero la persona che amava.

Al pensiero di Luke, qualcosa risuonò dentro di lui e sentì la presenza del ragazzo distintamente come non era mai accaduto prima nell’ultima settimana. Dimenticando il processo che lo attendeva a Coruscant, si sentì pieno di gioia: suo figlio era tornato cosciente.

Si recò nella stanza dove era ricoverato ed infatti lo trovò che si guardava intorno dubbioso. Gli si avvicinò. “Come ti senti?”

“Un po’ stanco, ma bene”, sussurrò il ragazzo.

“Sei ancora debole”, confermò Anakin, mentre avvicinava la sedia per mettersi di fianco a lui.

“Dove siamo?”, chiese il Padawan ancora confuso.

“In un centro medico, non troppo lontano da Athor”, rispose il padre.

Luke sembrò meditare, i suoi occhi si fecero distanti come se tentasse di rivedere gli eventi che lo avevano portato in quel letto. “La battaglia contro i Separatisti”, mormorò tra sé e sé, finché sembrò soffermarsi. Divenne imbarazzato e senza guardare il Maestro disse, scuotendo leggermente il capo: “Avevi ragione a lasciarmi sempre al Tempio. Io pensavo di potermela cavare e invece…”.

Anakin strinse le spalle. “Hai fatto una cosa molto avventata, ma forse non saresti stato neanche ferito se non ti avessi rinchiuso in quella cella”, concesse accomodante.

“Maestro…”, iniziò Luke, ma qualcosa catturò la sua concentrazione un istante. Poi cercò lo sguardo di Anakin e incerto corresse: “Pa…?!”

Il padre annuì sorridendo.

“…dre.”, finì Luke. Dopo un attimo per assorbire davvero l’informazione, scosse il capo. “Come è possibile?”

Anakin non fu colto di sorpresa dalla domanda prevedibile. “Io e tua madre eravamo molto innamorati e così ci sposammo in segreto. Dopo qualche anno, lei rimase incinta, ma…”

Anakin si alzò e incrociò le braccia. Iniziò a camminare a disagio, dando le spalle al ragazzo. Il suo mantello scuro strisciò un paio di volte avanti e indietro per la stanza, prima che riuscisse a dare voce a un dolore che aveva dovuto nascondere per più di una decade.

“La tua nascita è stata semplice. Sembrava tutto a posto. Invece, quando è stata ora della tua sorella gemella, qualcosa non ha funzionato e sono morte entrambe”.

Anakin si perse nei pensieri che tante volte l’avevano già roso: il dubbio tornava a scavare dentro di lui per farsi strada, sussurrandogli: “E se…?”.

E se Darth Sidious avesse avuto davvero il potere di salvare Padmé? E se avesse ucciso Windu, invece che Palpatine? E se, in ultima analisi, fosse stato lui il vero responsabile della morte della moglie, avendo scelto l’Ordine dei Jedi sopra la sua famiglia?

Tormentato da quel inferno che era diventato ormai parte della sua vita quotidiana, si dimenticò quasi del figlio che dietro lui attendeva ancora delle risposte, finché non udì la sua voce: “Chi era mia madre?”

Si scosse dal suo inutile lutto. Voltandosi di nuovo verso Luke, rispose: “Padmé Amidala, prima Regina, poi Senatrice di Naboo”

Il ragazzo si limitò ad annuire, conoscendo dai suoi studi storici di chi si stava parlando.

Il Jedi si stupì. Si era aspettato un commento o altre domande sul conto della madre, ma forse Luke stava ancora tentando di assorbire completamente tutta quella massa di informazioni che rivoluzionavano il suo mondo. “Ad ogni modo, non sapevo più cosa fare da solo con un neonato. Non potevo semplicemente entrare nel Tempio cullando un figlio tra le braccia”.

A questo punto, esitò su come procedere, poi con un sospiro decise che non avrebbe più usato alcun sotterfugio. “Avevo anche pensato di darti in adozione. Era l’unico modo per garantirti una famiglia vera”, si affrettò a spiegare, studiando il ragazzo, che però non dava segni di essersi risentito, ma continuava a seguire attentamente. “Ma capii che non era giusto, perché nel bene e nel male io ero la tua famiglia vera, anche se non potevo dirlo a nessuno. Così feci controllare il valore dei tuoi midichlorian. Era straordinariamente alto, quasi quanto il mio. E così decisi di abbandonarti davanti al Tempio. Sapevo che ti avrebbero immediatamente arruolato nel gruppo dei bambini e avrei potuto riaverti come mio Padawan, quando avresti avuto l’età giusta. Come in effetti è stato”.

Luke meditò un attimo su quelle parole. Poi chiese: “Perché non me l’hai detto prima?”

Anakin sorrise debolmente. “Te l’avrei detto presto. Volevo solo assicurarmi che non mi avresti denunciato”

Il figlio lo guardò incredulo e con una serietà che quasi lo spaventò rispose: ”Non l’avrei mai fatto”. E in fondo al tono pacato sentì la stessa sensazione di tradimento che Obi-Wan aveva palesato in maniera più esplicita mezz’ora prima.

A disagio, Anakin si voltò nuovamente di spalle, cercando un modo per spiegare i dubbi che lo avevano dilaniato nell’ultimo anno.

“Luke Skywalker”, sentì il figlio dire e si voltò con aria interrogativa.

“Luke Skywalker”, ripeté quello. “WOW! Suona bene”, disse sorridendo. “Beh, sicuramente meglio di Luke (sconosciuto) ”, rise infine, guardando il padre con occhi piena di gioia.

Anakin annuì sollevato.

“Peccato solo che non posso andare a vantarmene in giro”, sospirò con finta tristezza. “Ti immagini la faccia di Yimot? Quello già schiatta di invidia perché il Prescelto ha preso me come Padawan, invece che lui. Pensa se sapesse la verità!”, sorrise pieno di malizia all’idea. “Credi che in futuro ci sarà modo di poter ammettere in pubblico la nostra parentela?”

Anakin esitò. Non voleva rovinare così presto quel momento, ma tra pochi giorni avrebbero dovuto affrontare lo scandalo davanti al Consiglio ed era necessario che il ragazzo sapesse a cosa stavano andando incontro. “Vedi Luke, quando ho deciso di rientrare alla nave per venirti a salvare, ho avuto una discussione con gli altri Jedi, perché stavo abbandonando la missione e nella lite mi sono lasciato sfuggire la verità”

Luke lo guardò inorridito, ma Anakin proseguì: “Proprio in questo momento stanno aprendo un’inchiesta disciplinare contro di me”.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


DICHIARAZIONE
L'universo di Star Wars, i suoi personaggi e le vicende sono di proprietà di Lucas. Ho scritto questa fiction solo per divertimento
Ho preso i nomi Yimot, Athor, Dovim e Theremon dal bellissimo romanzo "Notturno" di Asimov e Silverberg. Tuttavia in questa storia non hanno alcuna relazione con i personaggi, le situazioni e i luoghi del libro. Sono solo un omaggio.

RINGRAZIAMENTI
Desidero ringraziare Chiara per avermi fatto da beta-reader.

RECENSIONI
Grazie a Jenny76 e BiP per le recensioni.

PADRE E FIGLIO - CAPITOLO 7

Cinque giorni dopo, Luke giocava nervosamente con la manica della sua tunica nel corridoio di accesso alla sala del Consiglio Jedi.

Qualche metro in là, ancora più agitato di lui, Anakin camminava avanti e indietro. Aveva fatto e rifatto tante volte quel breve tragitto che si stupiva di non aver già scavato il solco. Il Jedi non riusciva a comprendere perché il Consiglio ci mettesse tanto a decidere. Durante l’interrogatorio gli avevano fatto poche domande a cui aveva risposto velocemente e in totale sincerità. Con sua grande sorpresa non avevano nemmeno preteso la barbara, ma consueta indagine mentale del caso. Tutto gli aveva lasciato presagire che avessero preso una decisione prima ancora che fosse atterrato sul pianeta. Tutto… salvo il fatto che al momento erano già due ore che discutevano.

Diede un’occhiata al figlio senza farsi scorgere. Non poteva fare a meno di chiedersi cosa avrebbe fatto il ragazzo, se lui fosse stato espulso. Nei giorni scorsi, l’aveva visto molto meditabondo, ma non avevano mai affrontato l’argomento. Il Jedi era consapevole che tutta la vita di Luke era trascorsa in un ambiente in cui era stato forzatamente condizionato a pensare che i legami affettivi fossero una colpa e l’Ordine solo avesse diritto alla lealtà dei suoi membri. Più di tutto, Anakin ora temeva di scoprire in chi riposasse realmente la fiducia del Padawan.

La porta si aprì dietro a loro. Shaak Ti, tesa, fece loro segno di entrare. Ordinatamente a capo chino si presentarono in mezzo al cerchio, prima il Maestro e qualche passo indietro l’apprendista, come si conveniva.

Tutte le sedie erano occupate, tranne quella del Prescelto che in quel momento sentiva lo stomaco torcersi con la stessa timidezza che da ragazzo aveva provato quando si era trovato ad essere il centro di quegli sguardi severi. Senza esitazione, si presentò rivolto a Yoda, vero dio di quel Tempio, e Windu, suo profeta, alla sua sinistra.

“Skywalker”, iniziò infatti il Maestro korun con il tono grave del giudice che emette una sentenza, “l’infrazione della regola del celibato prevede l’espulsione dall’Ordine. Ma, in questo momento difficile di rilancio delle Istituzioni democratiche, dobbiamo tenere in considerazione questioni di ordine pubblico portate alla nostra attenzione dal Maestro Kenobi”. Rivolse un’occhiataccia a Obi-Wan che non riuscì a mantenere del tutto intatta la sua usuale compostezza e Anakin capì che il suo ex-Maestro si era esposto oltre ogni limite per lui. “Dunque abbiamo deciso”, proseguì Windu, “che finirai la tua carriera nel ritiro di Dovim, dove avrai modo di riposarti, meditando pacificamente sulla Forza unificante.”

Anakin tirò un interiore sospiro di sollievo. La prospettiva di essere incarcerato a vita su un pianeta più squallido di Tatooine non era esattamente esaltante, ma almeno lui e Luke avrebbero potuto trascorrervi una vita normale e, dopo tutto quello che aveva passato, non suonava nemmeno così terribile.

Ma prima che potesse gioire e ringraziare pubblicamente, il korun proseguì: “In quanto al tuo apprendista, sarà riassegnato al Maestro Theremon per aiutarlo nel suo servizio diplomatico. Naturalmente, entrambi siete legati a mantenere il segreto”.

Stordito, Anakin non poteva credere alle sue orecchie. Lui sarebbe finito su Dovim e Luke con Theremon dall’altra parte della Galassia. Significava semplicemente che non avrebbe mai più rivisto il figlio per il resto dei suoi giorni.

Stavano già facendo loro segno di congedarsi quando Anakin alzò la voce: “Non potete dividermi da mio figlio”.

“Il tuo Padawan”, corresse Yoda con gli occhi sottili come una lama nel silenzio imbarazzato.

“Ti aspettavi una promozione?”, aggiunse Plo Koon alla sua destra.

Sentendosi circondato improvvisamente da nemici come mai prima, Anakin si voltò ad affrontarlo, ma le sue parole di sfida erano scandite per il beneficio di tutti presenti: “Piuttosto lascio l’Ordine e me ne vado con lui”.

Luke era d’accordo a seguirlo? Questo non importava: era poco più di un bambino, non poteva decidere da solo. Lo avrebbe poi eventualmente convinto che quella era stata la cosa più giusta da fare.

“E’ tua facoltà lasciare l’Ordine, naturalmente”. Questo era di nuovo Windu, Anakin si voltò nella sua direzione. “Ma Luke è minorenne e sotto la tutela dei Jedi. Non verrà con te”.

Il Prescelto scosse la testa. “Ma io sono il padre!”, urlò più forte. Poi diede un’occhiata rapida a suo figlio che impotente osservava tutti quegli adulti litigare animosamente del suo destino senza rivolgergli neanche la parola.

“Anakin…”, si intromise gentilmente Obi-Wan, pienamente consapevole di essere l’unico con cui avrebbe accettato di ragionare.

Ma questa volta Skywalker non voleva ragionare. Si voltò di scatto: “No! A loro…”, fece un cenno con il capo, “…non interessa nulla di Luke. Me lo portano via solo per principio, senza chiedersi quale sia il suo bene”.

“Così sicuro di sapere tu sei quale il suo bene sia?”, chiese Yoda.

Anakin non rispose: non poteva. No, non lo sapeva quale fosse il bene di Luke o cosa desiderasse, ma sapeva che non se lo sarebbe fatto portare via. Si girò verso l’uscita deciso e, appoggiando un braccio largo sulle spalle del figlio, iniziò a trascinarselo dietro.

Titubanti gli occhi del ragazzo si volsero a cercare una reazione da parte dei Maestri. Che non si fece attendere. Davanti all’incredibile audacia di Skywalker che osava contravvenire alle disposizioni del Consiglio davanti a tutti, Windu si alzò di scatto, facendo qualche passo in avanti, e si rivolse al ragazzo: “Luke, vieni qua”.

Il Padawan si arrestò confuso.

“Nessuno ti ritiene responsabile per questa situazione”, proseguì, “e hai ancora un dovere nei confronti dell’Ordine”.

Luke si accigliò e, liberandosi dalla debole presa del padre, tornò indietro verso il centro della sala.

La mascella di Anakin si serrò. “Io sono tuo padre”, rivendicò con voce strozzata.

Gli occhi del ragazzo corsero velocemente da un Jedi all’altro, mentre sembravano troneggiare entrambi sulla sua minore statura. Alla fine abbassò il capo, concentrando tutta la sua attenzione su un particolare del grande mosaico. “Io… io voglio stare con mio padre”, mormorò alla fine.

Trionfante per la vittoria, Anakin gli allungò una mano.

Ma prima che potesse prenderla, Windu aveva afferrato il braccio del ragazzo, dicendogli: “Ciò nondimeno il tuo legale tutore è ancora l’Ordine dei Jedi”

“Lascialo!”, intimò cupo Anakin.

Windu strinse la presa.

“Lascialo”, ripeté il Jedi, mentre tutta la sua tensione, la rabbia e la paura gli si incanalarono sul braccio sinistro e sulla mano tanto violentemente che, senza averne neanche una piena coscienza, un fulmine azzurro uscì dalle sue dita, colpendo il Maestro korun e mandandolo a cadere indietro.

Immediatamente tutte le spade laser della stanza furono accese e, per un istante, il silenzio teso fu rotto solo dal ronzio delle lame di ogni colore.

Stravolto da quello che lui stesso non avrebbe mai immaginato di poter fare, Anakin accese lentamente anche la sua spada. Allungò il braccio verso Luke che ancora stava immobile pochi passi avanti e con la mano ampia afferrò con decisione la spalla del ragazzo che docilmente si fece trascinare dietro di lui. In posizione di guardia, iniziò ad arretrare verso l’uscita, pronto, se necessario, a combattere contro tutto il Consiglio.

Quando fu quasi con le spalle contro la porta, diversi Maestri iniziarono ad avvicinarglisi. Ma Kenobi gridò: “Per carità, non vorrete duellare dentro il Tempio?!”

Nell’attimo di distrazione che seguì, Anakin uscì, spingendo fuori a forza anche il ragazzo, e appena si fu allontanato un po’, constatata la riluttanza dei Maestri a seguirlo per paura di scatenare la guerra dentro l’edificio, spense la spada, tenendola in mano pronta all’azione, e iniziò a correre seguito dal figlio.

Corse a più non posso, attraversando i corridoi, spintonando i Jedi stupefatti, ma ancora ignari, che casualmente si trovavano sulla sua traiettoria, scese la Torre del Consiglio, attraversò la ziggurat sottostante e passò le grandi colonne.

Nessuno aveva dato ordine di fermarli e continuarono correndo fuori. E poi via per le strade affollate di Coruscant, dove nulla sembrava strano ai passanti imperturbabili. Percorsero ancora parecchia strada per il terrore che qualcuno ci avrebbe ripensato, finché, esausto, Anakin si fermò in un viottolo secondario. Piegandosi in avanti, cercò di ritrovare aria, mentre il sudore gli colava sugli occhi e i polmoni gli dolevano per lo sforzo.

Quando riuscì a rimettersi in posizione verticale, si voltò verso Luke. Il figlio era adagiato contro un muro. Più affaticato di lui, sedeva, stringendo la ferita non ancora del tutto guarita.

Anakin gli si avvicinò, chinandosi, e lo esaminò velocemente, senza trovare per fortuna alcun segno di sangue. Gli appoggiò una mano sulla spalla e infuse un po’ della sua Forza dentro il ragazzo che visibilmente si distese. Lo guardò con orgoglio e con affetto più di quanto avesse mai fatto prima.

Ma Luke era troppo perso per vederlo. Iniziò a tremare debolmente, guardandosi in giro confuso.

“Cosa faremo, adesso?”, chiese con un filo di voce e solo in quel momento il padre realizzò quanto fosse costato al figlio lasciare per sempre il Tempio che era tutto il suo mondo.

Anakin lo squassò leggermente. “Quello che ci pare. Siamo liberi adesso”

“Liberi?!”, ripeté confuso il ragazzo come se avesse le vertigini ad ammirare la libertà.

“Luke”, lo chiamò il padre tentando di trasmettere coraggio e sicurezza a quello sguardo smarrito, “la vita esiste anche al di fuori del Tempio”.

Il figlio annuì debolmente. “Ma non useremo più la Forza?”, gli chiese angosciato.

Anakin si abbassò ancora di più, finché non ebbe incontrato i suoi occhi. “La Forza non è di proprietà privata dell’Ordine dei Jedi. La Forza è dappertutto. E quando ne avrai bisogno, la troverai sempre dentro di te”, concluse toccandogli il petto con l’indice.

Lo sguardo di Luke seguì il dito del padre, mentre i suoi pensieri si focalizzarono chiaramente dentro sé stesso. Poi annuì convinto e sorrise.

Anakin gli arruffò velocemente i capelli e si alzò in piedi. Gli allungò una mano per aiutarlo ad alzarsi a sua volta e lo sollecitò: “Andiamo a cercare un trasporto per lasciare il pianeta”.

Luke prese la mano invitante del padre e, riportando a fatica il peso sui suoi piedi doloranti, iniziò ad osservare incuriosito quel universo che gli era totalmente nuovo.

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Grazie ancora a tutti quelli che hanno seguito la fiction e recensito. Spero che il finale vi sia piaciuto :)

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