Padre e figlio di NonSoCheNickMettere2 (/viewuser.php?uid=10904)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
DICHIARAZIONE L'universo di Star Wars, i suoi personaggi e le vicende sono di proprietà di Lucas. Ho scritto questa fiction solo per divertimento
Ho preso i nomi Yimot, Athor, Dovim e Theremon dal bellissimo romanzo "Notturno" di Asimov e Silverberg. Tuttavia in questa storia non hanno alcuna relazione con i personaggi, le situazioni e i luoghi del libro. Sono solo un omaggio.
RINGRAZIAMENTI Desidero ringraziare Chiara per avermi fatto da beta-reader.
PADRE E FIGLIO - CAPITOLO 1
L’alba doveva ancora illuminare i piani alti dei grattacieli di
Coruscant. Anakin sedeva ad osservare il cielo scuro, punteggiato
persino a quella ora impossibile dal via vai del traffico cittadino e da
migliaia di luci artificiali. A volte quel movimento continuo lo
infastidiva e provava nostalgia per le quiete notti di Tatooine. Eppure
non avrebbe dovuto lamentarsi, considerando che il suo era uno dei rari
appartamenti ad avere una veduta sull’esterno. Un privilegio che pochi
altri Maestri potevano vantare, prova dell’alto status da lui raggiunto
dentro l’Ordine dei Jedi.
Il rumore della maniglia dalla porta alla sua destra lo scosse dai suoi
pensieri e il suo sguardo si spostò verso Luke, che stava uscendo dalla
propria camera. Il Padawan accennò ad un inchino per salutarlo.
Anakin lo esaminò velocemente: la divisa era in ordine, la postura
controllata, la mente concentrata dalla meditazione al risveglio. Non
avrebbe trovato qualcosa da rimproverargli neanche se avesse voluto: suo
figlio era impeccabile come sempre, addestrato dalla lunga disciplina
appresa sotto il Maestro Yoda.
Gli fece cenno di sedersi accanto a lui e fu prontamente obbedito. Ma
notò con un certo divertimento che il ragazzetto si era lasciato
sfuggire per un istante un’espressione curiosa all’inusuale richiesta.
Ne avrebbe avuto da sorprendersi suo figlio, se avesse conosciuto la
loro parentela!
Ma se da un lato non avrebbe desiderato niente di più che rivelargliela,
dall’altro doveva prima assicurarsi la sua totale lealtà, anche contro
il Codice, se necessario. In gioco c’era la sua permanenza dentro
l’Ordine, la fama e il potere che aveva conquistato tredici anni prima,
affondando la sua spada laser su Palpatine davanti agli occhi stupefatti
del Maestro Windu. Quel gesto era stato da tutti interpretato come la
realizzazione della profezia e la sua carriera d’allora in poi era stata
riverita di tutti gli onori.
“Sai che giorno è oggi?”, gli chiese.
Luke rifletté brevemente, poi annuì: “E’ un anno che sono tuo Padawan”.
Anakin sorrise soddisfatto e gli porse una piccola scatola racchiusa in
una carta decorativa verde.
Il figlio la prese con aria interrogativa e se la rigirò tra le mani,
come se volesse studiarla.
“E’ un regalo”, gli spiegò il Maestro.
“Credevo che fossero proibiti”, notò il Padawan imbarazzato, “Il Maestro
Yoda dice sempre che non possiamo possedere oggetti personali”.
Anakin scrollò le spalle: “E’ per questo che lo dovrai tenere segreto”
Luke arrossì visibilmente all’idea, ma nondimeno iniziò ad aprire la
confezione con cautela. I suoi occhi si sgranarono, quando infine dal
pacchetto uscì uno strano pendaglio dorato raffigurante una piccola
corona e, continuando ad osservare l’oggetto, commentò: “Sembra di gran
valore”
“Apparteneva ad una persona a me cara”, spiegò criptico il Maestro.
Il Padawan annuì distratto, mentre fissava con intensità l’oggetto, fino
a venire completamente assorbito nella contemplazione. I suoi occhi si
strinsero e la fronte si corrugò come se si sforzasse di vedere qualcosa
di poco chiaro, finché si scosse. Allora sbatté le palpebre un paio di
volte, mentre sembrava risvegliarsi da un sogno.
Preso in contropiede dalla reazione del figlio, Anakin si chiese se non
fosse stato un errore dargli quel ricordo di Padmé. Luke non aveva mai
conosciuto la madre; possibile che potesse avvertirne la presenza
nell’oggetto a distanza di tanti anni dalla sua morte?
“Io, io…”, iniziò a balbettare infine il Padawan, “mi sembra un grande
onore ricevere un regalo del genere. Non so cosa dire”
“Accettalo… e prometti di tenerlo nascosto”, si affrettò ad aggiungere
il Jedi. Un sorriso complice gli sfuggì, quando vide il figlio annuire
con lo sguardo ancora rivolto al ciondolo. Gli diede una pacchetta sulla
spalla per richiamare la sua attenzione e i due grandi occhi azzurri lo
fissarono. “Ora bisogna che andiamo a colazione o finiremo per far tardi
all’allenamento”, lo esortò.
La palestra dove Anakin aveva prenotato il loro riquadro per quella
mattina era la più ampia del Tempio: divisa in ben quindici spazi
contrassegnati, veniva costantemente rifornita di ogni amena novità in
fatto di attrezzi per il combattimento simulato con la spada laser. Per
questo cercava sempre di accaparrare un posto lì, arrivando a stabilire
le date delle lezioni con anticipi ridicolmente ampi.
Si allacciò l’armatura di protezione salda al petto e alla pancia in
modo che aderisse il più possibile al suo busto, mentre la stanza si
stava affollando con tranquilla rapidità. Salutò Plo Koon ed il suo
giovane Padawan che gli passarono di fianco per recarsi al loro riquadro
e dietro di lui sentì Luke, che non sembrava gradire altrettanto quel
luogo, borbottare controvoglia una specie di “Buongiorno”. Senza dar
troppa mente all’inusuale poca educazione del suo apprendista, si infilò
il casco di protezione, alzando la visiera offuscata.
Accese la spada laser a bassa frequenza, invitando il figlio a fare
altrettanto, e con voce didattica iniziò: “Oggi ti insegno come parare
un colpo al cuore”
“Tutti dicono che è molto difficile”, obiettò subito il Padawan,
dubbioso e vagamente preoccupato.
Anakin scrollò le spalle. “Se fosse facile non avrei bisogno di
insegnartelo”. Visto che il ragazzo non sembrava cambiare espressione,
tentò di incoraggiarlo: “Prima di lavorare solo con la Forza, ti farò
fare delle prove lente con la visiera alzata”
Poco convinto Luke annuì, mettendosi nella posizione base di guardia con
la punta della spada rivolta alla gola dell’avversario.
Il Maestro fece altrettanto, prima di istruirlo: “Ora vieni lentamente
verso di me, mirando al cuore”.
Il Padawan avanzò, spinse la spada verso il centro dell’armatura del suo
opponente con molta calma e altrettanta decisione, ruotando di qualche
grado il polso destro in modo che la punta si dirigesse di poco verso
sinistra, dove avrebbe potuto infilarsi facilmente sotto lo sterno, se
in mano avesse avuto un laser a frequenza d’ordinanza. Ma, prima che la
sua spada toccasse l’armatura del Maestro, questi fece compiere un
piccolo circolo alla lama della propria e con un fastidioso sfrigolio
toccò la punta di quella avversaria, deviando l’attacco. Poi a beneficio
del discepolo ripeté il gesto nell’aria vuota ancora più lentamente.
“Ora prova tu”, sollecitò Anakin riprendendo la posizione di partenza.
Luke annuì, mettendosi in guardia. Quando il Maestro avvicinò la punta
della spada la deviò con la sua.
“Hai ruotato al contrario”, gli fece notare il Jedi.
“Ah… sì!”, ammise il ragazzo visualizzando mentalmente quello che aveva
appena fatto.
Riprovarono diverse volte, ma una su tre, la lama girava in senso
opposto. Anakin iniziava a spazientirsi un po’ e decise che era ora di
riprenderlo: “Sei distratto!”
“No”, negò il Padawan, mettendosi sulla difensiva, “ci sto provando, ma
è un po’ difficile!”
“E’ difficile girare la punta in senso orario, invece che antiorario?”,
lo rimbrottò con acido sarcasmo. “E da quando gli esercizi si provano?
Fare o non fare…” e lasciò in sospeso il detto già conosciuto.
“Scusa, Maestro”, fu l’unica risposta.
“Vediamo se a velocità di combattimento ti concentri di più”, quasi lo
sfidò il Jedi, abbassando la propria visiera e aprendosi completamente
alla Forza per supplire alla momentanea situazione di cecità. Per prima
cosa avvertì Luke che si concentrava a sua volta, poi divenne
consapevole delle altre ventotto persone nella stanza, ognuna immersa
nel suo esercizio e nella sua fatica.
Riportò il fuoco sul suo allenamento e si mise in posizione di guardia.
Senza verificare che il suo apprendista fosse pronto si spinse in avanti
per colpirlo. Mentre la sua lama veniva deviata in maniera scoordinata e
approssimativa, avvertì distintamente la sorpresa del ragazzo
nell’essere stato preso così alla sprovvista.
“Lento”, si limitò a commentare Anakin e subito si rimise in posizione
di partenza, ripetendo l’esercizio.
“Hai girato di nuovo al contrario”, fu la successiva correzione, seguita
da una serie infinita di “Hai colpito quando ero troppo lontano”, “Eri
in ritardo”, “Dovevi colpire con più forza”, “Mettici meno energia”,
“Devi tenere la mano sinistra più centrale”, “Non devi precedere il mio
movimento”, ottenendo lenti, ma significativi miglioramenti.
All’ennesima ripetizione, udì Luke ansimare e percepì la sua fatica. Ma
non era disposto a concedergli una pausa: un giorno suo figlio avrebbe
potuto trovarsi davanti non un Maestro indulgente, ma un avversario
determinato.
Attaccò di nuovo al massimo delle sue capacità. Questa volta non vi fu
neanche la minima deviazione nella traiettoria della lama e udì il laser
infrangersi sull’armatura del Padawan, che sarebbe crollato morto sul
pavimento, se quello fosse stato un combattimento vero.
Innervosito, Anakin urlò: “Ma stai dormendo?!”. Percepì diverse dozzine
di occhi voltarsi nella loro direzione e si morse il labbro, maledicendo
tra sé e sé la sua mancanza di controllo. “Rimettiti in guardia”,
aggiunse, cercando di suonare più conciliante questa volta.
Sentì Luke esitare, prima di udire mentalmente la sua voce. Ma ci stanno
guardando tutti!
Il Maestro non aveva intenzione di dare spalla a certe timidezze e,
senza prendesi il disturbo di rispondere, lasciò che una sensazione di
ostentata indifferenza trasparisse.
Non riesco a concentrarmi: mi sento in imbarazzo, proseguì il Padawan,
evidentemente ignorando il messaggio silenzioso.
Il giorno che ti troverai di fronte un Sith, gli chiederai di poter
cercare un luogo idoneo prima di combattere?, gli rispose con sarcasmo.
Luke sembrò vergognarsi della sua richiesta e si rimise in posizione di
guardia.
Anakin affondò di nuovo, ottenendo solo una deviazione fiacca e
ritardata. Stupito, scandagliò a fondo le sensazioni del figlio,
trovando la sua concentrazione rivolta più alle presenze intorno a loro
che a controllare il loro combattimento. Questo sì che era irritante! E
pensare che gli aveva appena fatto la predica!
Decise di far capire all’insubordinato che non intendeva mollare su
questioni di importanza vitale come quelle e nello stesso tempo dargli
modo di riposarsi. Perciò spense la spada e si tolse il casco.
Luke sollevò la visiera, guardandolo con aria interrogativa.
“Non spreco tempo, se non vuoi concentrarti: l’allenamento è finito”,
spiegò seccamente il Maestro.
“Proverò…farò meglio”, corresse subito il Padawan.
Anakin scosse il capo, lasciando trasparire tutta la sua indignazione
nel tono: “Questo lo vedremo un altro giorno. Adesso voglio che tu
sparisca in biblioteca a finire i tuoi compiti di ricerca”.
Il Jedi si aspettava qualche altra obiezione, ma il ragazzo si limitò ad
abbassare lo sguardo umiliato, fece un breve inchino e, cercando di
tenere sotto controllo la voce rotta, rispose semplicemente: “Come
desideri, Maestro”. Poi guadagnò rapido l’uscita, seguito dagli sguardi
curiosi dei presenti.
Innervosito sia dal figlio, sia dagli astanti, Anakin richiamò con la
Forza tre remoti dalla scaffalatura degli attrezzi e li accese in
contemporanea. I laser piovevano su di lui, ma con rapidità parava i
colpi, lasciando che fosse la sua irritazione a guidare la mano verso le
scie luminose. Dopo qualche minuto, ne ebbe abbastanza di quel esercizio
ridicolmente facile per le sue capacità. Sollevò una mano con
autorevolezza e i remoti fermarono il loro attacco, poi sfilarono
ordinatamente di nuovo verso gli scaffali, mentre lui si tolse anche
l’armatura e uscì di scena con altrettanta velocità del suo Padawan.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
DICHIARAZIONE
L'universo di Star Wars, i suoi personaggi e le vicende sono di proprietà di Lucas. Ho scritto questa fiction solo per divertimento
Ho preso i nomi Yimot, Athor, Dovim e Theremon dal bellissimo romanzo "Notturno" di Asimov e Silverberg. Tuttavia in questa storia non hanno alcuna relazione con i personaggi, le situazioni e i luoghi del libro. Sono solo un omaggio.
RINGRAZIAMENTI
Desidero ringraziare Chiara per avermi fatto da beta-reader.
Grazie anche a Jenny76 per la sua recensione
PADRE E FIGLIO - CAPITOLO 2
Quello che Anakin detestava più di tutto nei rari momenti di tensione
con Luke era il senso di colpa che lo attanagliava dopo averlo punito in
qualche modo, anche se, come in quella occasione, era assolutamente
convinto di aver agito per il suo bene. Se suo figlio si fosse
ribellato, come era solito fare lui alla sua età, forse sarebbe stato
diverso. Ma tutte le volte, il ragazzo aveva solo abbassato il capo,
lasciandolo senza un bersaglio per la sua indignazione.
Erano passate ore dall’incidente in palestra e iniziava a sentirsi
stanco della lontananza forzata che aveva imposto. Non poteva fare a
meno di chiedersi quale fosse l’umore di Luke. Resistette più volte
all’impulso di sondarlo con la Forza. Ma l’immagine della sua
espressione gli ricorreva nella testa: era consapevole di quanto
disperatamente il figlio desiderasse diventare un Jedi modello e, anche
se non glielo aveva mai confessato in modo diretto, di come fosse
orgoglioso di essere il Padawan del Prescelto, che in pratica idolatrava
come la maggior parte dei ragazzini cresciuti dopo la realizzazione
della Profezia. Quella pubblica umiliazione doveva essergli bruciata più
che un tocco di spada su un braccio.
Anakin sospirò e, decidendo che dopo tante ore aveva tenuto il suo punto
abbastanza, si diresse verso la biblioteca. Arrivato, iniziò a
percorrere i lunghi corridoi tra gli scaffali non riuscendo ad
individuare il figlio. Che fosse alla mensa? Istintivamente diede
un’occhiata ad uno degli orologi appesi alle pareti. Chiuse gli occhi e
si immerse un attimo nella Forza. Ma, non sapendo dove focalizzarsi, non
era facile neanche ricercare la singola presenza di Luke in mezzo alle
altre potenti centinaia che affollavano il Tempio. Allargò di più le
sensazioni, finché la sua attenzione non venne catalizzata dalla
familiarità del segno: con stupore scoprì che il ragazzo si trovava
molto più in alto della biblioteca, nella Torre del Consiglio.
Man mano che si avvicinava, riuscì a circoscrivere sempre meglio la sua
posizione, fino a localizzarlo nel planetario cosmico. Entrò nell’enorme
sala. Il buio completo era rischiarato dalla proiezione della Galassia
che ruotava pigramente intorno alle stelle del nucleo. Nonostante la
fioca luce non riuscì a vedere nessuno, eppure percepiva la vicinanza
del Padawan.
-Luke!- chiamò.
Un debole movimento in un angolino attirò la sua attenzione dall’altra
parte della balaustra. Suo figlio era seduto sul pavimento con le
braccia che stringevano saldamente le ginocchia piegate sul petto e il
mento appoggiato sopra.
Anakin gli si parò davanti, coprendo consapevolmente la visione della
proiezione. Incrociò le braccia e dopo qualche istante di ponderato
silenzio, gli chiese: “E’ così che fai i tuoi compiti?”. Ma era più
stupito che irritato.
Luke alzò lo sguardo oltre misura per riuscire ad incontrare quello del
Jedi. “Scusa, Maestro”.
“Scusa Maestro?!”, ripeté incredulo Anakin, “E’ tutto quello che hai da
dire?”.
Il Padawan abbassò lo sguardo nuovamente e ad Anakin parve con stupore
di veder nella semioscurità gli occhi del ragazzo riempirsi di lacrime.
Il comportamento di suo figlio era stato troppo insolito e forse era
meglio indagare cosa lo turbasse più che continuare a sgridare. Dopo una
breve riflessione gli si sedette accanto, chiedendosi oziosamente se
anche gli altri Maestri si facessero venire tutti quegli scrupoli o
quello fosse un effetto collaterale del suo essere padre. Fissando la
proiezione olografica a sua volta, chiese infine con tono conciliante:
“Allora, mi vuoi spiegare cosa ci fai qui?”
“Sono andato in biblioteca”, iniziò il ragazzo e aggiunse in fretta,
“…lo giuro. Ma, dopo un’ora è arrivato anche Yimot con i suoi amici…”
“Yimot… Yimot…”, ripeté Anakin, tentando di farsi venire in mente chi
diavolo fosse, “Il discepolo di Plo Koon?”
Luke annuì e proseguì nel racconto: “E come al solito hanno iniziato a
prendermi in giro”
“Succede spesso?”
L’apprendista annuì di nuovo e, dopo qualche istante, proseguì: “Dicono
sempre che sono una palla al piede, che non sono neanche capace di
tenere una spada in mano ed è per questo che non mi porti mai in
missione con te. Oggi, hanno detto…”. Esitò di nuovo, cercando di
controllare il magone. “…hanno detto che stamattina tutti hanno visto
quanto ti sei pentito di avermi scelto come Padawan”.
A questo, Anakin si accese d’ira: “Come si permettono? Cosa ne sanno
loro?”.
Vide Luke osservarlo con gli occhi sbarrati dalla sorpresa: “Non è
vero?”
“Certo che no!”, esclamò indignato il Maestro. Poi, fu attraversato da
un dubbio: “Non ci avrai creduto?”
“Io…non sapevo cosa pensare. Non mi porti mai con te”, rispose il
ragazzo, pretendendo di osservare con attenzione la mappa galattica.
“Potevi chiedermene la ragione, invece di saltare alle conclusioni”,
sottolineò il Jedi.
L’apprendista si rifiutò ancora di incontrare il suo sguardo e si
strinse più forte le gambe al petto. “Avevo paura di scoprire la
verità”.
Anakin rimase senza parole. Cercò di vedere la situazione dal punto di
vista di Luke. Più o meno consapevolmente, lui poggiava il suo affetto
sulla parentela, lo dava per scontato data la natura del loro vero
rapporto. Ma suo figlio, del tutto ignorante della situazione, si
riteneva un normale Padawan, che doveva dimostrare qualcosa per essere
meritevole di attenzione e che si vedeva sempre frenato senza una
spiegazione. “Ritengo che tu sia un ottimo combattente per la tua età.
E’ proprio per questo che certe volte, come stamattina, cerco di
spingerti al massimo”
“Allora perché non mi porti mai con te?”, chiese il Padawan.
Il Jedi sospirò. “Sei molto giovane. Non voglio mettere a rischio la tua
incolumità prima che tu sia pronto”.
“Ma gli altri Padawan della mia età seguono già i loro Maestri”,
obbiettò Luke.
“Forse io mi preoccupo di più della tua salute di quanto non facciano
gli altri Maestri con i loro apprendisti”. Anakin iniziava a sentirsi a
disagio, si stavano addentrando su un terreno minato.
Dopo una breve pausa pensosa, il ragazzo scosse il capo. “Perché mai?”
Ora erano davvero andati troppo in là. Il Maestro scrollò le spalle e si
alzò. Un’idea improvvisa gli passò nella mente: avrebbe fatto felice
Luke, rassicurandolo sulle sue capacità, e schiattare d’invidia i suoi
compagni che avevano osato criticarlo.
“Scommetto che c’è qualcosa che nessun altro Padawan della tua età ha
ancora fatto”, disse infine misteriosamente al figlio, guadagnando tutta
la sua attenzione.
Dopo poco più di una mezz’ora, stavano lasciando l’atmosfera di
Coruscant a bordo di una nave da addestramento di volo.
Luke era così elettrizzato che avrebbe potuto accendere una lampadina
solo toccandola. “Davvero mi farai guidare?” continuava ad esclamare ad
intervalli regolari.
Il Maestro si limitava ad annuire, sorridendo al ricordo di come lui
stesso da Padawan si era sentito ogni volta che aveva potuto mettere
mano su un veicolo. Fece gli ultimi aggiustamenti, stabilizzando la nave
su una rotta sicura e poco frequentata, poi iniziò ad istruire il
figlio: “Ok, metti le mani sulla cloche davanti a te”.
Proprio quando il momento tanto atteso fu giunto, Luke sembrò esitare un
attimo. Poi fece come gli era stato detto.
Anakin levò le sue mani dai propri comandi. “Ora vira con delicatezza a
destra”.
Il ragazzo spostò le mani con troppa decisione, la nave fece una curva
eccessivamente aspra per la velocità a cui stavano volando e per un
lunghissimo istante diede l’impressione di partire per la tangente.
“Piano!”, si lasciò sfuggire il Jedi, prima di recuperare velocemente la
propria cloche, correggendo con delicatezza la rotta. Quando furono di
nuovo in una situazione stabile, prese finalmente fiato: non avrebbe mai
creduto che qualcuno potesse spaventarlo tanto in questioni di volo.
Sentì un vago moto di pietà verso Obi-Wan, rendendosi conto di quello
che aveva dovuto passare a suo tempo. Ma forse proprio quel ricordo lo
trattenne dal lanciarsi in un rimprovero ipocrita e si limitò a notare:
“I comandi sono molto, molto sensibili.”
“Anche troppo”, confermò Luke con un pizzico di allarme sotto il tono
pacato.
“Quando ci avrai preso un po’ la mano, ti permetteranno di fare manovre
incredibilmente precise.”, spiegò incoraggiante Anakin. “Ora riprova con
più delicatezza”.
Questa volta l’esecuzione fu perfetta. Il Maestro all’inizio fece
ripetere alcuni esercizi di base e poi lasciò il ragazzo compiere a
piacimento alcune virate. Con malcelato orgoglio paterno, si
autocompiacque della velocità con cui il figlio apprendeva e del talento
naturale che dimostrava. Senza che gli avesse dato nessuna indicazione
in proposito, in breve tempo il Padawan si era immerso con naturalezza
nella Forza, guidando la nave come un’estensione del suo corpo.
Immersi nello spazio, persero la nozione del tempo e quando rientrarono
all’hangar del Tempio il sole stava già tramontando.
Luke scese dalla nave saltellando e con voce eccitata continuava a
ripetere tutte le manovre che aveva eseguito come se il Maestro non
fosse stato presente e avesse avuto bisogno di ragguagli.
Tutt’altro che infastidito, Anakin sorrideva di tanto entusiasmo, mentre
osservava i lavori attorno ad una nave di trasporto truppe. Nel via vai
di gente, incrociò due occhi che stavano osservando lui e Luke con
attenzione. Era il Maestro Yoda. Di tante persone, era l’ultima che
avrebbe voluto incontrare, sicuramente la meno disponibile a comprendere
i motivi delle eccezioni alle regole.
Skywalker non poté fare a meno di notare che il suo mento era stretto e
le orecchie abbassate ed allungate, segno abbastanza inequivocabile di
disapprovazione. Decise di ignorare l’espressione e proseguì come se
niente fosse. |
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
DICHIARAZIONE
L'universo di Star Wars, i suoi personaggi e le vicende sono di proprietà di Lucas. Ho scritto questa fiction solo per divertimento Ho preso i nomi Yimot, Athor, Dovim e Theremon dal bellissimo romanzo "Notturno" di Asimov e Silverberg. Tuttavia in questa storia non hanno alcuna relazione con i personaggi, le situazioni e i luoghi del libro. Sono solo un omaggio.
RINGRAZIAMENTI
Desidero ringraziare Chiara per avermi fatto da beta-reader.
Grazie anche a Chaosreborn e Malkcontent per le recensioni.
PADRE E FIGLIO - CAPITOLO 3
Anakin passeggiava sui Terrazzi di Meditazione, osservando
distrattamente il paesaggio di Coruscant. Più partecipava alle riunioni
del Consiglio, più si convinceva dell’inutilità di convocarle. Che
ironia pensare quanto aveva desiderato farne parte! Ma, dopo anni di
permanenza, era veramente stanco dei discorsi vuoti che non portavano
mai a niente e iniziava a pensare che l’Ordine dei Jedi soffrisse
esattamente dello stesso male della Repubblica: l’eccesso di parola
soffocava qualsiasi intento di azione.
La riunione di quella mattina era stata particolarmente surreale con i
reverendi Maestri che continuavano a ripetere la necessità di indagare
dove si fossero rifugiati gli ultimi capi Separatisti e di come fosse
difficile trovarli ora che, sconfitti, non attentavano più nessuna mossa
da una decina di anni. Tutti annuivano, tutti confermavano, ma nessuno
proponeva. Quando finalmente aveva avuto la possibilità di dire la sua,
aveva subito puntualizzato come l’unico modo fosse iniziare a setacciare
accuratamente la Galassia tramite sonde e interrogatori approfonditi.
Tutti avevano prima concordato che così fosse possibile ottenere dei
risultati, ma poi avevano cominciato a tirar fuori le solite scuse per
non agire, parlando di diritti civili, diritto di non ingerenza nei
Sistemi e mille altri concetti troppo astratti per le sue idee concrete.
Così erano usciti di nuovo con niente di fatto e lui iniziava a sentirsi
veramente stanco e deluso.
Questo era il tipico giorno in cui la tentazione di andarsene appariva
troppo forte. Si trastullò immaginandosi mentre prendeva suo figlio,
andava a prelevare dal suo conto segreto la cospicua eredità lasciatagli
dalla moglie e se ne partiva per la sua strada. Ma per andare dove?
Si svegliò dal suo sogno ad occhi aperti, quando sentì un picchiettio
dietro lui. Si voltò e abbassando lo sguardo vide il Maestro Yoda
cercare la sua attenzione, battendo il bastone sul pavimento. Non
faticava ad immaginare di cosa volesse discutere, ma fece il finto tonto
e lasciò al troll la prima parola.
“A quindici anni l’addestramento di volo cominciare dovrebbe”.
Per un attimo Anakin accarezzò l’idea di dirgli che se ne voleva andare,
poi l'accantonò come ridicola e si preparò ad affrontare la lavata di
capo. “Il mio Padawan si è dimostrato molto in gamba ieri durante
l’addestramento”, si difese.
“Non molta importanza questo ha. Nemmeno lì lui essere dovuto avrebbe”,
puntualizzò Yoda.
“Maestro, io ho iniziato a guidare ben più giovane di Luke”
Il troll meditò un attimo. I suoi occhi divennero sottili come una lama
mentre squadrava il Jedi. “Sfortunatamente, in circostanze particolari
la tua infanzia si è svolta”. Il suo tono era quasi disgustato.
Anakin rimase incredulo un istante, prima di afferrare davvero quello
che sentiva. Circostanze particolari! Vivere con sua madre era stata una
“circostanza particolare”?! Novecento anni dentro il Tempio
evidentemente causavano dei seri problemi mentali. Disdegnò di
rispondere ad una simile assurdità.
“Immediatamente le lezioni di volo interrompere devi”, Yoda stava
proseguendo inesorabile.
“Ma, a questo punto, Luke ne rimarrà molto deluso”, sottolineò il Jedi.
Il troll scosse il capo e puntò il bastone in direzione di Anakin con
tono accusatorio: “Qui per divertirsi i Padawan non sono. Sentito io
avevo che troppo il tuo viziavi. Crederci non volevo”.
A questo il Jedi si risentì vivamente. “In che senso?!”.
Yoda non si fece pregare: “Troppo protetto sempre lo tieni. Di chiedere
la sua opinione troppo ti preoccupi”.
Anakin pensò un attimo, riconoscendo che seppur esagerate, le accuse del
Maestro avevano un fondamento. “Io voglio solo che Luke sia felice”,
tentò di spiegare in tutta onestà.
“Far felice l’apprendista il tuo scopo essere non deve”, puntualizzò il
troll.
Il Jedi non sapeva più cosa rispondere senza rivelare il suo segreto.
Fiaccamente rispose: “Il risultato non mi sembra malvagio”
Ma Yoda non era d’accordo: “Si dice che molto distratto il tuo Padawan
sia”.
Anakin si incupì: questo era semplicemente ingiusto! “Si dice anche che
sia molto bravo con la spada laser?”, chiese con tono più polemico di
quello che intendesse.
Le orecchie del troll si abbassarono impercettibilmente e un muscolo
teso tremò un istante sul suo mento. “Sì. Il suo naturale talento
ringraziare dobbiamo, suppongo”.
Il Jedi distolse lo sguardo verso il paesaggio, accigliandosi. Critiche,
critiche e solo critiche. Possibile che a questa creatura non uscisse
mai niente altro dalla bocca? Quanto avrebbe dato per sapere perché gli
si accaniva sempre così contro.
Ringraziò mentalmente il com-link che si mise a suonare, liberandolo per
il momento dall’obbligo di rispondere. Lo accostò alla bocca: “Sì?!”
“Maestro Skywalker”, la voce di Windu risuonò abbastanza forte da essere
udita anche da Yoda, “dovresti venire in biblioteca”. Il tono era
chiaramente nervoso.
“C’è qualche problema?”. Una vaga sensazione di malessere aveva invaso
Anakin senza una ragione chiara.
“Diciamo che il tuo Padawan ha diverse spiegazioni da dare” fu la
risposta criptica.
“Arrivo”, assicurò il Jedi, imbarazzato davanti a Yoda che, come
prevedibile, si offrì molto gentilmente di accompagnarlo.
Nonostante le dimensioni della biblioteca, non fu difficile per i due
Maestri individuare il crocchio di cinque, sei ragazzini vicino uno dei
tavoli in fondo alla prima sala. Il gruppetto era incredibilmente
tranquillo, anche per un assembramento composto da disciplinati Padawan
del Tempio. Il motivo era facilmente individuabile nel Maestro Windu che
troneggiava in mezzo al gruppo con l’aria più cupa del solito.
Quando la presenza di Skywalker e Yoda venne avvertita il cerchio si
aprì naturalmente e gli apprendisti si disposero su due ali, una a
destra e una a sinistra, per accogliere i nuovi arrivati.
Anakin non poté fare a meno di notare che non erano presenti i Maestri
degli altri Padawan… e che non sembravano nemmeno attesi. D’altronde
vicino al korun, tutta la sagoma minuta di Luke, tesa, pallida e
incapace di sostenere uno sguardo, non lasciava molto spazio ai dubbi su
chi fosse considerato il colpevole della situazione. Anakin, il padre,
più che il Maestro, ne ebbe compassione prima ancora di sapere quale
fosse il capo di imputazione.
Il Jedi nero riservò il primo saluto al più anziano: “Maestro Yoda”.
Quindi, con affettata cortesia si inchinò leggermente anche a lui:
“Maestro Skywalker. Grazie della vostra sollecitudine”. Poi indicò il
discepolo di Plo Koon: “Yimot, ripeti quello che hai detto a me”.
Anakin trasalì e si rese conto che il giorno prima aveva sottovalutato
le parole di Luke, liquidando come semplici maldicenze quelle che in
realtà erano probabilmente le manifestazioni di una guerra silenziosa
fra Padawan. Succedeva più spesso di quanto ai Jedi piacesse
riconoscere. Orgoglio e la mancanza di qualsiasi sfogo al di fuori delle
strettissime regole trasformavano l’apprendistato in una gara senza
tregua nell’unica attività concessa a quei ragazzi: compiacere i Maestri
e venir considerati modelli di virtù.
Con questi foschi pensieri, si aprì alla Forza per tentare di capire
cosa nascondesse sotto la mite parvenza quel apprendista che già per il
secondo giorno di seguito sembrava scontrarsi con suo figlio. Ma trovò
delle barriere sorprendentemente forti per un quattordicenne e non
avrebbe potuto scavalcarle con la necessaria discrezione. Così si limitò
a captare una cupa soddisfazione e sotto sotto un’invidia sorda. Invidia
di che?
“Ero venuto qui per cercare informazioni su Nomi Sunrider per la mia
ricerca di storia”, stava intanto dicendo Yimot, dopo aver fatto un
plateale passo in avanti, “quando ho visto Luke che tirava fuori da
sotto la tunica quel pendaglio”.
Solo allora Anakin si accorse che Windu aveva tenuto il pugno chiuso
fino a quel momento. Lo aprì a conferma delle parole del ragazzo,
mostrando la piccola corona di Padmé, e in un momento fu tutto chiaro.
Infatti Yimot proseguì: “Nessun Jedi può possedere un oggetto del
genere, perciò ho capito che doveva essere rubato”. Il suo viso si
riempì di scrupoli ipocriti. “Sapevo che un’infrazione così grave va
immediatamente riferita ad un Maestro”.
“E così essere deve”, confermò Yoda e il ragazzo sorrise leggermente
all’approvazione del capo dell’Ordine e con un breve inchino ritornò al
suo posto.
Anakin non riuscì a decidere a quale dei due avrebbe preferito sputare
in faccia e prese nota di andare a far presto una chiacchierata a
quattrocchi con Plo Koon.
“Quale spiegazione il giovane Luke dà?”, si informò Yoda pronto ad
emettere sentenze non richieste, dato che non era nemmeno stato
interpellato.
“Che l’ha trovato per strada, ma senza saper dire precisamente né dove,
né come”, rispose Windu al posto del ragazzo, al quale in effetti non
era stata ancora rivolta la parola.
“Non te lo ricordi proprio dove l’hai trovato?”, sollecitò Anakin
rivolto a Luke.
“Non crederai davvero a questa storia?”, lo guardò incredulo Windu.
Anakin strinse le spalle con l’aria più innocente che gli riuscì di
recitare. “Perché no? Non gli hai mica provato il pensiero”. Altrimenti
sapresti già che la verità è ben diversa.
“A questo provvedere si può”, sottolineò Yoda con interesse.
Anakin vide la situazione prendere una gran brutta piega e cercò di
guadagnare tempo per accordare una scusa con suo figlio. “Non sarebbe il
caso di discutere questa faccenda in luogo più riservato e senza…
spettatori?”, indicò quasi sprezzante il piccolo gruppo di apprendisti
che stavano assistendo alla pantomima con malcelato divertimento e alla
sempre più numerosa folla di presenti che si era riunita a una distanza
maggiore, curiosa del perché una questione di Padawan richiedesse
l’attenzione dei tre maggiori esponenti dell’Ordine.
“Perché? Comunque, la cosa risaputa sarebbe”, Yoda dimise l’idea.
Anakin capì che la posizione del ritrovamento casuale era semplicemente
insostenibile. Osservò un istante suo figlio sconsolato, chiedendosi con
stizza come diavolo avesse fatto a cacciarsi in quel pasticcio. Ma
questa era una faccenda che avrebbero poi discusso tra di loro. Ora il
problema era arrivare a quel poi. Si arrese controvoglia a cambiare
strategia: Luke era un Padawan molto giovane, le sue responsabilità
ancora limitate…
“Luke”, richiamò la sua attenzione con molta più comprensione nel tono
di quanto gli astanti si potessero aspettare, “Luke, è vero che l’hai
rubato?”.
Per la prima volta durante tutta la discussione, il ragazzo alzò lo
sguardo e il suo Maestro vi vide l’incredulità e il tradimento per
quella domanda.
“E’ vero che l’hai rubato?”, ripeté Anakin, tentando di comunicare nello
sguardo diretto fiducia. Anche nella Forza, sollecitò a rispondere
affermativamente con tutta la delicatezza necessaria affinché la
percezione fosse sentita solo, e soltanto, al diretto interessato.
Il Padawan capì. Con un soffio di voce appena udibile rispose “Sì… Sì,
l’ho rubato”, prima di abbassare la testa di nuovo e coprirsi la faccia
con entrambe le mani per la vergogna di un crimine mai commesso.
Il viso di Yoda si indurì per la tensione, squadrando incredulo Luke.
Poi batté più volte il suo bastone sul pavimento, prima di far regnare
di nuovo il silenzio nella sala dove ora echeggiavano i commenti di
disapprovazione. “Nella riunione di domani, il Consiglio del tuo destino
deciderà”.
No, non era così che doveva andare! Non potevano essere così duri con un
ragazzo! …O potevano? Anakin capì improvvisamente l’errore commesso.
“Maestro Yoda, io sono il suo Maestro, io penserò a sistemare la
faccenda”
“Quello che è successo è troppo grave per essere risolto senza un
intervento del Consiglio”, intervenne Windu.
“Lo punirò molto severamente”, quasi supplicò Anakin, non avendo la più
pallida idea di cosa si sarebbe poi dovuto inventare per dare la
parvenza di averlo fatto.
Ma né Yoda, né Windu erano convinti. “L’unica punizione adatta al furto
è l’espulsione”, stava dicendo il Maestro korun, mentre l’altro annuiva.
Anakin scosse la testa incredulo, senza sapere se per la propria
ingenuità o per la durezza dei suoi interlocutori. “Luke è solo un
Padawan!”, protestò.
“Questo nessuna differenza fa”, rispose senza minimamente scomporsi
Yoda.
Sembrava che il caso fosse chiuso e che si dovesse solo aspettare la
sentenza definitiva dell’indomani. L’attenzione degli astanti stava già
scemando.
“Io!”, quasi urlò Anakin perché tutti sentissero bene. “Glielo ho
regalato io!”, confermò di nuovo, godendosi per un attimo lo sconcerto e
l’incapacità di reazione dei due infallibili Maestri.
Incerto Windu scrutò cupo prima lui e poi il figlio. “E’ vero, Luke?”
L’apprendista annuì.
“Un attimo fa un furto confessato tu hai”, intervenne Yoda.
“Avresti lasciato che il tuo Padawan si prendesse la colpa?”, ancora più
incredulo Mace aggiunse rivolgendosi ora al Jedi.
Anakin strinse le spalle. Cosa dire? “Pensavo che foste più clementi”?
Gli sguardi che Windu e Yoda si scambiavano spiegavano con eloquenza
come non sapessero più a cosa credere. Silenziosamente arrivarono ad una
decisione, perché il Maestro korun dichiarò in tutta la sua solennità:
“Bene, credo che in mezzo a tanta falsità”, si assicurò che tutti i
presenti sentissero il disgusto nella sua voce, “l’unico mezzo di
assicurarci del vero sia una breve indagine mentale”. E si girò verso
Luke.
Il ragazzo iniziò a tremare vistosamente, ma, senza che fosse aggiunta
altra parola, sottomesso abbassò tutte le difese.
I due Maestri entrarono subito nella sua mente in maniera molto
invasiva. Ma Anakin percepì molte altre presenze avventarsi sul Padawan.
La porta della sua intimità era spalancata e praticamente tutti i
presenti si ritennero autorizzati ad affacciarvisi per gettare uno
sguardo curioso.
Dopo appena pochi secondi, Skywalker era l’unico Jedi della stanza a non
essere dentro la testa di suo figlio. Disgustato, Anakin si chiuse alla
Forza, ma questo non gli impediva di capire la sofferenza che stava
facendo singhiozzare il ragazzo a calde lacrime e di non leggere nei
suoi occhi sbarrati l’orrore di essere penetrato da estranei nel
profondo dell’animo. Strinse le mascelle e i pugni, tentando di
controllare la rabbia furibonda che cresceva dentro lui, rabbia verso il
suo apprendista per essersi fatto scoprire, rabbia verso gli spettatori
divertiti, rabbia alla durezza dei più anziani Maestri dell’Ordine, ma
soprattutto rabbia verso sé stesso per essere finito in quella
situazione e per non essere capace ora di impedire che suo figlio
venisse violentato in quel modo sotto i suoi stessi occhi.
Quando dopo pochi minuti durati un’eternità l’indagine finì, il mormorio
era tornato a crescere nella stanza. Alcuni degli spettatori iniziarono
ad andarsene, avendo già avuto modo di godere abbastanza del diversivo
dentro la mente di Luke.
Il ragazzo dolorosamente rialzò a fatica le sue difese e si strinse tra
le sue stesse braccia, cercando conforto e protezione, mentre dai suoi
occhi scivolavano ancora dei silenziosi rigagnoli salati.
Windu e Yoda si scambiavano sguardi significativi. Nella scena che
doveva essere stata svolta e risvolta dentro l’anima del ragazzo, Anakin
sapeva che erano contenute almeno quattro infrazioni gravi al codice
Jedi da parte propria. I due anziani ne avrebbero contate sicuramente di
più.
“Nel Consiglio di domani, da discutere molto avremo, Maestro Skywalker”,
gli preannunciò infatti il troll.
L’interessato si limitò ad annuire e si inchinò leggermente per salutare
i due aguzzini.
La folla si diradò velocemente tra le chiacchiere. Quella faccenda
avrebbe sicuramente tenuto occupate le bocche e le orecchie dei Jedi per
le settimane a venire. Ora che non c’era più la guerra dovevano pur
distrarsi in qualche modo.
Anakin si limitò ad aspettare che un’apparente normalità tornasse nella
sala e poi si avvicinò a Luke che, ancora in evidente stato di shock,
non diede neanche segno di aver notato il movimento. Si chinò ad
abbracciare il figlio, accarezzandogli i capelli, indifferente se
qualcuno avrebbe poi mormorato che era troppo protettivo.
Improvvisamente era così disarmato il suo ragazzo! Ad Anakin parve di
riavere tra le braccia il neonato indifeso che tredici anni prima aveva
accudito per pochi giorni, prima di doverlo a malincuore lasciare come
un trovatello ai piedi delle grandi colonne di ingresso del Tempio.
“Mi dispiace” fu tutto quello che riuscì a mormorargli. Poi gli appoggiò
il braccio sulle spalle, stringendolo vicino come una chioccia tiene il
suo pulcino sotto le ali e lo condusse fuori.
La boccata d’aria fresca dei giardini del Tempio ebbe qualche effetto
sul Padawan che sembrò ritornare presente. Ma per un po’ continuarono a
camminare così, senza una meta, senza aprire bocca. Quando furono in
prossimità del laghetto, si sedettero su una panca. Anakin si aprì
nuovamente alla Forza e con molta cautela tentò di ispezionare lo stato
del figlio. Appena la presenza di Luke gli divenne minimamente
tangibile, la sentì ritirarsi impaurita, nello stesso modo in cui si
ritrae un arto ferito e dolorante dal tocco di un estraneo.
“Ssh! Non ti faccio niente.”, sussurrò il Maestro.
Il Padawan annuì debolmente. I suoi occhi si incantarono un attimo a
studiare il dondolio delle onde, prima che con voce colpevole trovasse
la forza per parlare: “Scusami Maestro”.
Anakin non aveva l’intenzione di infierire su di lui con alcun tipo di
rimprovero. “Non ti preoccupare delle scuse. Prendi quello che è
successo come una dura lezione”.
Il ragazzo inghiottì vistosamente. “Ma domani in Consiglio cosa farai…?”
“Non ti preoccupare di questo”, lo interruppe immediatamente il Maestro,
“E’ meno grave di quello che sembra”. Sollevò il braccio destro sullo
schienale della panchina e si adagiò indietro comodamente, in una posa
che trasmettesse più sicurezza di quella che in realtà provava.
Dopotutto lui era il Prescelto e sapeva che nella testa di Luke i
Prescelti erano onnipotenti.
E infatti suo figlio annuì. Poi sorprendentemente proseguì: “Avevo
nascosto il pendaglio bene, non volevo disobbedirti, e sono andato in
biblioteca solo con l’intenzione di fare la mia ricerca sulla vita di
Palpatine”
Anakin ascoltò in silenzio. Non gli interessavano le spiegazioni, né
sapere perché il Padawan non avesse tenuto il segreto. Qualunque cosa
fossa accaduta prima del suo arrivo non poteva essere sufficiente a
giustificare la violenza che era stata inflitta al ragazzo.
Ma evidentemente per il suo apprendista era importante quella
confessione non richiesta, perché man mano che raccontava le parole
iniziavano ad uscirgli come un fiume in piena con un’incredibile dovizia
di particolari: “…mi ero ricordato di ieri e avevo deciso di
concentrarmi solo sul mio lavoro senza neanche guardare chi fosse o non
fosse nella stanza. Avevo aperto il dischetto dei Trattati e mentre
percorrevo i file, ho notato una foto in cui il cancelliere e la regina
di Naboo si stringevano la mano. La regina portava un pendaglio proprio
simile a quello che mi hai regalato…”
L’attenzione di Anakin si risvegliò involontariamente, mentre i ricordi
iniziavano a fluire dentro di lui: Tieni. Come mio segno d’amore in
cambio del japor. Desidero che tu lo abbia. E’ un ricordo del periodo in
cui ci siamo incontrati: quel simbolo viene usato solo dalle Regine.
Ignaro Luke proseguiva senza sosta: “…ho letto la didascalia, ma diceva
soltanto: La Regina di Naboo, Padmé Amidala, e il Cancelliere, Cos
Palpatine, firmano il Trattato di Athor”
Improvvisamente, il Jedi intervenne bruscamente: “Ripeti?!”
Preso alla sprovvista, il ragazzo ebbe un attimo di esitazione prima di
riuscir a riavvolgere il nastro del suo stesso discorso. “La Regina di Naboo, Padmé Amidala, e il Cancelliere, Cos Palpatine, firmano il
Trattato di Athor”.
L’ultima volta che lo usai fu quando concessi al Cancelliere l’usufrutto
di un pianetino disabitato per quando necessita di ritirarsi in un luogo
tranquillo.
Un’idea colpì Anakin. No, non un’idea, un’intuizione.
“…Allora, senza pensare, ho tirato fuori il mio per confrontarlo con
quello della foto”, stava dicendo Luke. A questo punto, ebbe un attimo
di pausa e poi sospirò, prima di proseguire: “E Yimot mi ha visto”.
Ma il Maestro non lo stava più seguendo, la sua mente era totalmente
concentrata su altro. Possibile che fosse sempre stato lì sotto il loro
naso?
Quando finalmente divenne consapevole del silenzio, Anakin vide Luke
studiarlo.
“Ti senti meglio, adesso?”, chiese spiccio al figlio.
Il ragazzo annuì un po’ stupito al rapido cambio di tono.
Ma senza tante spiegazioni il Jedi si alzò in piedi e, dopo aver
rassicurato il figlio con una pacchetta sulle spalle, si limitò a
dirgli: “Bene! Ti lascio in libertà per il resto della giornata”. Poi
aggiunse criptico: “Scusa ma devo andare urgentemente a verificare una
cosa”. Si girò e prese il viottolo che portava all’interno del Tempio.
Dopo pochi passi, esitò un istante e, rivolgendosi velocemente indietro
al Padawan che ancora sedeva sulla panca, lo esortò: “E non ti
preoccupare troppo per domani: il mio istinto mi dice che avrò ottimi
argomenti da mettere in tavola”. Detto questo, sparì. |
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
DICHIARAZIONE
L'universo di Star Wars, i suoi personaggi e le vicende sono di proprietà di Lucas. Ho scritto questa fiction solo per divertimento
Ho preso i nomi Yimot, Athor, Dovim e Theremon dal bellissimo romanzo "Notturno" di Asimov e Silverberg. Tuttavia in questa storia non hanno alcuna relazione con i personaggi, le situazioni e i luoghi del libro. Sono solo un omaggio.
RINGRAZIAMENTI
Desidero ringraziare Chiara per avermi fatto da beta-reader.
RECENSIONI
Ringrazio Jenny76, Silvì76 e Hakka per le recensioni.
Non vi preoccupate Obi-Wan è ancora in gamba: lo iniziamo a vedere proprio in questo capitolo. Semplicemente finora non era stato coinvolto nella vicenda.
Poveri Yoda e Windu! Lo so che li ho resi antipatici, ma purtroppo il loro è proprio il ruolo di garanti dell'Ordine: non è che la flessibilità sia la loro migliore virtù e Anakin si è preso un bel rischio a tenere il figlio lì sotto il naso di tutti.
Verso la fine si capirà anche la vera ragione del comportamento di Yimot.
PS per Silvì76: mi raccomando leggi IL CATALIZZATORE. Il mio ego di scrittrice soffre nel dirlo, ma quella fiction da' dieci a uno alla mia e sinceramente è stata uno sprone per migliorare il più possibile la qualità della mia prosa: non mi darò pace finché non saprò scrivere così :) !
PADRE E FIGLIO - CAPITOLO 4
Il caldo vento artificiale dei motori in riscaldamento increspava i
capelli di Anakin e rigonfiava il suo mantello. L’hangar del Tempio era
in fermento come non si vedeva da una decade. Le tre navi d’assalto
repubblicane erano quasi al completo, mentre gli ultimi plotoni di cloni
si imbarcavano e i tecnici effettuavano i controlli finali.
“Ma gli altri Padawan vengono”, stava lagnandosi Luke davanti a lui,
quasi urlando per essere udito sopra il rumore assordante delle navi.
“Ho detto di no”, ribadì la sua prima decisione il Maestro, mentre
osservava impaziente lo stato di avanzamento dei preparativi. Doveva
recarsi immediatamente da Obi-Wan, che attendeva di fianco alla seconda
nave, per controllare un’ultima volta i piani di volo.
Vide il figlio sospirare deluso, distogliendo lo sguardo per osservare
un gruppetto di Padawan che attendevano istruzioni dai loro Maestri
prima di imbarcarsi. Alcuni guardavano nella loro direzione con
divertita curiosità.
“Non è giusto!”, infine proruppe Luke irritato.
Dopo una breve esitazione davanti all’inaspettata ribellione, Anakin
rispose con una calma che sorprese persino lui: “Non-Mi-In-te-res-sa”.
Scandì bene le parole, affinché fossero definitive e aggiunse: “Adesso
vattene!”.
Luke annuì debolmente, tenendo lo sguardo abbassato e mordendosi con
rabbia il labbro per controllare l’irritazione. “Che la Forza sia con
te, Maestro!”, mormorò, mentre si allontanava stizzito. Poco più in là
nel gruppetto dei Padawan c’era chi stava ridendo apertamente adesso.
Al diavolo!, pensò Anakin, voltandosi e dirigendosi verso la nave dove
Obi-Wan lo attendeva. Non avrebbe messo a rischio la vita di suo figlio,
portandolo in zona di guerra, solo perché tutti gli altri Maestri erano
tanto incoscienti da rischiare quella dei loro apprendisti!
Passò sotto la nave che sarebbe stata al suo comando, incantato per un
attimo dalla improvvisa svolta degli eventi. Tutti presi dal cercare i
capi separatisti in lungo e in largo, nessuno di loro aveva pensato che
una semplice ricerca d’ufficio avrebbe potuto fornire l’indizio
decisivo. Eppure era esattamente quello che era successo. Quando appena
una settimana prima Luke aveva pronunciato il nome di Athor, tutto era
sembrato dipanarsi con logica ferrea nella mente di Anakin.
Athor era un pianetino praticamente sconosciuto dell’orlo esterno con
poche terre emerse coperte da una splendida flora tropicale e abitate
solo da una razza molto primitiva. Era stato concesso in usufrutto a
Palpatine, ma nessuno aveva pensato di andarne a reclamare la proprietà
dopo la sua morte, né ce ne si era ricordati dopo la battaglia di Mustafar, allorché il gruppo dirigente residuo della Confederazione
dei Sistemi Indipendenti era sfuggito all’attacco dell’esercito
repubblicano.
Le immagini spedite dalle sonde negli ultimi giorni mostravano come in
quei nove anni il comando separatista fosse riuscito ad adattarvisi
ottimamente. Le semplici, ma assai confortevoli palazzine immerse nel
verde delle palme, che gli ologrammi avevano proiettato davanti agli
occhi sconcertati dei Jedi, avevano poco da invidiare ai sontuosi
appartamenti di Coruscant. Dopo tanti anni, i vecchi signori della
guerra dovevano sentirsi ormai al sicuro, considerando le scarse difese
rilevate dalle sonde spia, e si godevano una tranquilla pensione in un
confortevole paesaggio, dopo aver causato, direttamente o
indirettamente, milioni di vittime in giro per la Galassia.
A quel pensiero, la mano artificiale di Anakin si strinse a pugno.
Quanto avrebbe desiderato serrare le dita d’acciaio intorno al collo di Nute Gunray e la sua cricca, guardando gli schifosi volti verdi
impallidire, mentre gli occhi terrorizzati avrebbero implorato la pietà
che non avevano avuto per le loro vittime e i corpi flaccidi si
sarebbero spenti, inginocchiandosi davanti a lui!
Improvvisamente spaventato dalla sua stessa fantasia, scacciò l’idea e
si avvicinò velocemente ad Obi-Wan per non doversi chiedere da dove era
nato quel desiderio di odio e potere.
Il generale Kenobi, tutto intento ad osservare le mappe, si accorse solo
in quel momento della sua presenza. Ma lo conosceva troppo bene per non
accorgersi che qualcosa aveva turbato il suo ex-apprendista.
“Tutto a posto?”, gli chiese con il tono ancora un po’ apprensivo del
Maestro.
Anakin annuì, ma sapeva che la sua fronte aggrottata diceva ben altro e
tentò di scusarsi: “Spero solo che questa volta sia quella buona per
davvero”.
Obi-Wan lo studiò un attimo. Il suo stesso sguardo si incupì un istante,
mentre si accarezzava la barba.“Anch’io”, ammise infine. Poi, il suo
volto si tornò ad illuminare di quella serena pace del cavaliere Jedi
maturo, quella tranquilla espressione che Anakin sospettava di non poter
mai raggiungere davvero.
Paternamente, Kenobi gli aveva allungato un braccio sulla spalla per
invitarlo ad avvicinarsi alla mappa. “Se ci atteniamo al piano
prestabilito, li possiamo davvero cogliere di sorpresa questa volta”,
affermò convinto, “L’importante è che non agiamo scoordinati, ripetendo
lo stesso errore di Mustafar”.
“Non falliremo questa volta”, confermò Anakin determinato. “Posso vedere
gli ultimi aggiustamenti?”
“Prego”, gli sorrise Obi-Wan e premette alcuni pulsanti del proiettore
della mappa per far comparire una serie infinita di numeri con le
correzioni di rotta, che il suo ex-apprendista iniziò a studiare con
attenzione, immergendosi totalmente nello studio dei dati.
Dieci ore dopo, Anakin era straiato sulla scomoda branda nella sua
cabina a bordo della nave d’assalto Nemesis. Mancavano ancora parecchie
ore all’uscita dall’iperspazio e sapeva che avrebbe fatto meglio a
dormire almeno un po’ prima dell’inizio della battaglia. Ma non era la
solita inquietudine precedente una missione importante a tenerlo
sveglio, né l’eccitazione per la vittoria che percepiva così vicina e
sicura. Sentiva agitarsi dentro di sé qualcosa di spaventoso, ma non
riusciva a delinearne i contorni.
Si obbligò a calmarsi e iniziò una profonda meditazione nel buio della
sua stanza, concentrandosi solo sul ritmo del suo respiro. Immerso nella
Forza, ripiegato su sé stesso, sentì il suo animo rilassarsi e le membra
diventare finalmente torpide, pronte al sonno, finché perse ogni
consapevolezza e si addormentò.
Il volto familiare di Luke invase presto i suoi sogni.
“Maestro, Maestro,…”, lo chiamava sussurrando, ma con una certa urgenza
nella voce.
Anakin era troppo impegnato per porgli la giusta attenzione, finché un
urlo di dolore lo obbligò a voltarsi verso suo figlio e con orrore lo
vide tremante tenersi le mani imbrattate di sangue su un’ampia ferita
nell’addome.
Il Jedi si svegliò di soprassalto. Si sollevò a sedere sul letto. Tentò
riprendere fiato e di rallentare il suo cuore impazzito, mentre il suo
corpo continuava a coprirsi di mille gocce gelide di sudore.
“Luke”, fu tutto quello che gli uscì dalla voce strozzata.
No, per la Forza, non poteva morire anche Luke!
Si mise la mano vera sugli occhi e iniziò a piangere come un bambino.
Per un folle attimo desiderò quasi che fosse già successo, che non
dovesse di nuovo attraversare mesi di angosciosi incubi e
l’insopportabile dolore del distacco. Poi prese fiato e si alzò. Quello
che stava pensando era del tutto irrazionale. Non era ancora successo
nulla, perciò poteva ancora tentare di cambiare le cose. Ma poteva
veramente?
Si infilò la tunica per recarsi al ponte di comando. Non doveva ormai
mancare molto all’uscita dall’iperspazio. Presto avrebbe potuto
contattare Coruscant e chiedere a qualcuno di tenere sempre d’occhio il
Padawan fino al suo ritorno.
Non era un granché come piano, ma non poteva fare di più, finché la sua
visione non avesse delineato più precisamente la fonte di pericolo.
Chiuse per un istante gli occhi, concentrandosi per rievocare la
spiacevole immagine alla ricerca di indicazioni utili. Con la mente
rivolta a focalizzare i lineamenti del figlio avvertì improvvisamente la
sua traccia nella Forza. Non il ricordo della sua traccia, ma la traccia
viva e presente.
Riaprì gli occhi con l’angoscia che tornava a montare più di prima, finì
di corsa di vestirsi e si diresse verso il comparto merci. La presenza
di Luke si faceva più chiara ogni metro che si avvicinava e Anakin si
chiese come avesse fatto a non accorgersene prima. La sua visione ora
era minacciosamente vicina e il pericolo reale della battaglia incombeva
sulla vita di suo figlio.
Terrorizzato da questa prospettiva, aprì il portellone della stiva,
accese i lunghi neon abbaglianti e, furibondo all’avventatezza del
Padawan, urlò: “Luke, vieni fuori!”.
Ma dalla penombra dei cassoni che ricopriva buona parte del
compartimento non venne nessuna risposta. Eppure sentiva chiara e vicina
la sua sagoma nascosta tra le attrezzature dell’esercito.
“Luke, pensi che non ti avverta?”, ripeté sempre più arrabbiato, mentre
non poteva cancellare dai suoi occhi la visione del ragazzo ferito a
morte.
Dopo qualche altro istante di silenzio assoluto, ci fu qualche piccolo
rumore, poi da dietro una cassa comparve il Padawan che titubante si
avvicinò.
Anakin non era mai stato così arrabbiato con lui e, quando gli fu di
fronte, tutto quello che riuscì a dire fu “Sei impazzito?!” prima di
rifilargli un sonoro schiaffo. La guancia del figlio arrossì velocemente
per il colpo e con rammarico si avvide di non aver moderato l’impatto
delle sue dita d’acciaio sulla faccia.
Ma il ragazzo non emise alcun lamento e si limitò ad abbassare lo
sguardo colpevole, mentre i suoi occhi divennero lucidi.
La rabbia del Jedi si moderò, lasciando posto a qualcosa di peggio:
l’angoscia. “Hai una vaga idea del pericolo in cui ti sei messo?”, gli
chiese.
“Scusa”, mormorò il Padawan.
Anakin scosse il capo. No, non l’aveva, pensò.
Il tempo stringeva, perché ormai erano vicini all’obiettivo e doveva
trovare il sistema di impedire a Luke di mettersi in ulteriore pericolo.
“Seguimi”, si limitò ordinare.
Percorsero i corridoi in silenzio tra l’indifferenza delle truppe,
abituate a vedere gli apprendisti Jedi in zone di guerra. Il Maestro
procedeva a lunghi passi, ignorando la difficoltà del suo Padawan nel
seguirlo, la curiosità e il timore che percepiva provenire da dietro di
lui. Non aveva intenzione di sprecare tempo in spiegazioni e
discussioni.
Passarono i comparti dei veicoli, le stanze delle truppe, l’infermeria e
giunsero alla zona detentiva. Il Jedi infilò il primo blocco che
incontrarono e fece gesto a Luke di entrare in una delle celle,
completamente spoglia a parte un lettino duro.
Il Padawan esitò, evidentemente sorpreso, spostando il suo sguardo dalla
prigione al Maestro. “Non vorrai mica arrestarmi?”, chiese infine
incredulo, sbattendo gli occhi.
Anakin scosse il capo. “Mi assicuro solo che non prenderai altre
iniziative”, spiegò.
“Non potresti rinchiudermi nel tuo alloggio?”, propose conciliante il
Padawan.
Il Maestro incrociò le braccia. “Per darti l’opportunità di fuggire
meglio?”
“No. E’ solo che…Ti prego! Giuro che non ti disobbedirò più”, implorò
Luke con tanta innocenza che il Jedi fu quasi sul punto di cedere.
Ma dentro di lui continuava ad agitarsi la sensazione di pericolo.
Indicò l’interno della cella, intimando: “Fila!”
Luke fece una smorfia di disappunto, ma rassegnato entrò nella celletta
senza ulteriori commenti.
Il padre provvide a chiudere la porta a scorrimento e digitò il suo
codice segreto di autorizzazione per bloccarne l’apertura, come se
all’interno vi fosse rinchiuso un terribile criminale. Non che adesso si
sentisse veramente tranquillo, ma almeno aveva impedito che il figlio si
avventurasse nella linea di fuoco. |
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
DICHIARAZIONE
L'universo di Star Wars, i suoi personaggi e le vicende sono di proprietà di Lucas. Ho scritto questa fiction solo per divertimento.
Ho preso i nomi Yimot, Athor, Dovim e Theremon dal bellissimo romanzo "Notturno" di Asimov e Silverberg. Tuttavia in questa storia non hanno alcuna relazione con i personaggi, le situazioni e i luoghi del libro. Sono solo un omaggio.
RINGRAZIAMENTI
Desidero ringraziare Chiara per avermi fatto da beta-reader.
RECENSIONI
Jenny76: Grazie per la recensione e sì, naturalmente quando Anakin sogna ci sono guai in arrivo!
PADRE E FIGLIO - CAPITOLO 5
Anakin aveva appena finito di digitare il codice che un forte e
improvviso scossone alla nave gli fece quasi perdere l’equilibrio,
seguito dal trillo del suo com-link prima ancora che avesse il tempo di
elaborare coscientemente la sua sorpresa.
“Signore, siamo usciti dall’iperspazio”, gracchiò qualcuno dall’altra
parte.
“Arrivo immediatamente”, rispose senza obbiettare che quella non era una
normale decelerazione.
Si voltò un attimo verso la porta della cella dietro lui, chiedendosi se
Luke fosse stato in grado di mantenere l’equilibrio. Probabilmente era
già seduto sulla brandina e, se non lo fosse stato, al massimo si era
fatto un livido sul ginocchio. Scrollò le spalle e si diresse verso il
ponte di comando.
Arrivò al ponte superiore mentre la nave veniva scossa di nuovo,
chiaramente questa volta da un colpo di laser. Quando il
portellone di ingresso si aprì, la prima cosa che vide fu la battaglia che era
iniziata davanti a loro e, cosa più sorprendente ancora, la sagoma
enorme di Athor che faceva da sottosfondo per più di metà della
finestra.
“Cosa succede?”, chiese dirigendosi verso il Capitano della nave.
“Appena siamo usciti dall’iperspazio abbiamo trovato una difesa pronta”,
rispose trafelato l’ufficiale, prima di ritornare a urlare degli ordini
ai suoi sottoposti.
Confuso dalla risposta, Anakin analizzò con rapidità i dati di volo,
digitando i tasti di controllo di uno dei notepad di registrazione. La
sua faccia si incupì man mano che leggeva. Si avvicinò all’uomo e lo
studiò incredulo. Abituato ai docili cloni che obbedivano sempre, non
aveva mai pensato che questi nuovi ufficiali, reclutati tra la
popolazione comune per rinvigorire quello che era ormai l’esercito fisso
della Repubblica, avrebbero potuto far di testa loro.
Quando il Capitano si accorse di lui, il Jedi gli gettò con disprezzo
sul petto il pad, che quasi cadde per i riflessi lenti dell’uomo. “Siete
uscito dall’iperspazio troppo vicino al pianeta”, lo accusò.
“L’ho fatto per coglierli di sorpresa…”, si scusò l’ufficiale.
Anakin lo fulminò con lo sguardo e con una glaciale calma minacciosa
commentò: “Imbecille!”
Un teso imbarazzo ammutolì il ponte. Il Capitano si mise un dito
all’altezza del colletto per allargarlo, come se sentisse
improvvisamente venir meno l’aria, mentre il suo viso diventava sempre
più agitato.
Un nuovo colpo scosse la nave, richiamando tutti i presenti a faccende
ben più importanti. Anakin camminò oltre l’uomo, che sembrò riprendere
fiato, per dirigersi al comunicatore.
“Maestro Kenobi, Maestro Windu, qui è Skywalker”, chiamò, “Siamo sotto
attacco. Ripeto, siamo sotto attacco”
“Anakin, cosa ci fate così in basso?”, chiese la voce di Obi-Wan.
“Un’iniziativa privata del Capitano, mentre io ero impegnato… in altre
faccende”, rispose vagamente il Jedi, mentre riservava un ultima
occhiataccia torva al suo ufficiale.
“Sono molto più pronti di quello che le sonde facessero prevedere”, si
inserì Mace.
“O le nostre sonde non sono state così discrete come pensavamo”, azzardò
Kenobi.
“Ad ogni modo, tutta la tattica è fallita”, fece notare senza ulteriori
preamboli Anakin. “A questo punto, noi siamo la nave più bassa e quindi
noi scenderemo”
“Non potete farcela sotto tutto quel fuoco”, gli fece notare il Maestro
korun.
Anakin si voltò un attimo verso la grande vetrata per studiare la
situazione. “Sì, se lasciate le vostre posizioni e ci coprite
dall’alto”.
“Lasceremo scoperte molte vie fuga sul resto dell’emisfero”, obiettò
Obi-Wan.
“Maestro Kenobi, se scendiamo con i Jedi delle nostre navi, lasciando in
orbita solo i militari, potremo evitare la fuga dei Separatisti da
terra”, disse la voce di Windu.
Ci fu un attimo di esitazione dall’altra parte della linea, prima che
Kenobi confermasse: “Non vedo alternative valide. Affiancheremo i nostri
caccia alla nave di Skywalker”
“Ok, do l’ordine di iniziare la discesa…”, confermò il Jedi.
“Anakin”, lo richiamò Obi-Wan con urgenza, “mi raccomando, sii
prudente”.
Il Jedi scosse il capo divertito e gli scappò il primo sorriso da quando
si era alzato da letto. “Non ti preoccupare, Maestro. Chiudo”.
Ritornò verso gli ufficiali superiori e rivolto al Capitano ordinò:
“Faccia scendere la nave nella pista centrale di atterraggio e intanto
prepari le truppe per lo sbarco”.
L’ufficiale spalancò gli occhi: “Sotto questo fuoco?!”
Lo sguardo di Anakin si indurì. “Cerchi di non deludermi di nuovo”,
rispose minaccioso.
Lentamente il Capitano annuì e si girò a dare ordini ai suoi sottoposti.
Non appena l’intenzione di sbarco fu chiara anche ai loro avversari, il
fuoco si intensificò. La nave ballò ripetutamente, mentre gli scudi
iniziavano a cedere e si potevano udire delle esplosioni sulla struttura
esterna.
Nel ponte di comando era un susseguirsi di ordini e di rapporti sempre
più veloci e tesi sui volti preoccupati delle truppe.
Dall’alto, finalmente, arrivarono gli aiuti delle altre navi e la loro
situazione divenne meno precaria. Ormai mancavano pochi minuti
all’atterraggio e Anakin dovette lasciare il ponte per recarsi al
portellone di sbarco, dove i cloni erano già disposti in file ordinate.
Vi si mise alla testa, tentando di nascondere la tensione che quella
attesa gli procurava. Pochi momenti e si sarebbero trovati a sfidare di
nuovo la morte.
Ma c’era di più questa volta. Quella sensazione angosciosa che non
voleva sapere di andarsene: il pensiero di Luke in zona di guerra,
sebbene protetto dalla massiccia struttura della nave.
Un rumore sordo e un brusco dondolio del pavimento indicarono
l’atterraggio e i cloni prepararono i fucili. Anche Anakin sfilò la sua
spada e l’accese. Il portellone si aprì, vomitando fuori le truppe sotto
un inferno di fuoco. Uscito, parò agevolmente i colpi casuali con il suo
laser e, lasciando la fanteria al suo compito di prendere possesso del
complesso residenziale dei Separatisti, si diresse verso i caccia, da
cui stavano scendendo Obi-Wan, Windu, Plo Koon, Shaak Ti, Ki-Adi-Mundi e
i loro apprendisti: in tutto erano sei Jedi e cinque Padawan, una
dimostrazione di forza del Consiglio Jedi, soprattutto considerando che
non era possibile uscire dal pianeta, se non da quel luogo. E, infatti, in breve tempo le truppe occuparono il minuscolo villaggio intorno allo spazio-porto.
La voce del Comandante Codi gracchiò nel com-link: “Il Comando dei
Separatisti è asserragliato dentro l’edificio est e chiede di negoziare
la resa”
“Niente negoziati”, rispose di impulso Anakin.
Ma immediatamente Windu lo scavalcò: “No, aspetta Codi”
Skywalker si girò interrogativo verso Mace.
“A questo punto sono in trappola”, intervenne Obi-Wan, “evitiamo altri
spargimenti di sangue”
“Dovremmo anche starli a sentire?”, chiese incredulo Anakin.
“Il nostro compito è portarli davanti ad un tribunale, non
giustiziarli”, confermò Shaak Ti.
“E’ semplicemente assurdo”, protestò il Prescelto.
Ma in pratica Windu gli aveva già strappato di mano il com-link. “Digli che il Maestro Kenobi, il Maestro Skywalker ed io stiamo venendo a
negoziare, ma che qua fuori rimangono altri Jedi a sorvegliare la
situazione”.
Indispettito, Anakin si unì senza un commento alla appena autonominata
delegazione. Salirono su una ripida scala, circondata da strane palme
verdi che sarebbero state belle se si fossero potute ammirate in altre
situazioni. Un intero plotone di truppe puntava il fucile verso uno
stretto porticato ad arco. Sul pavimento giacevano tre corpi di cloni,
sopra all’arco erano facilmente percepibili le presenze di diversi
cecchini separatisti. Un silenzio irreale e carico di tensione accolse i
Jedi.
Stando ben attento a non sporgersi nemmeno di un centimetro sotto il
portico, il Comandante Codi urlò dentro: “Sono arrivati i negoziatori”.
“Va bene, fateli passare”, rispose una voce cavernosa dall’interno.
I tre Maestri Jedi accesero le loro spade e totalmente aperti alla Forza
si spinsero in avanti con prudenza ma decisione, affinché i loro
avversari, che sicuramente li tenevano sotto tiro, sapessero che loro
non li temevano. Percorsero diverse decine di metri prima di giungere ad
un ampio portone, che si schiuse non appena vi si trovarono davanti.
Entrarono in un’ampia sala dove furono accolti da un piccolo gruppo di
capi della Confederazione dei Sistemi Indipendenti. Oltre a Nute Gunray
e al suo segretario, Rune Haako, della Federazione dei Mercanti, Anakin
riconobbe il capo della Tecno Unione, Wat Tambor, e l’amministratrice
della Gilda Commerciale, Shi Mai. Gli altri personaggi presenti dovevano
far parte del Clan Bancario. Apparentemente a difenderli vi erano solo
due guardie Nemoidiane armate di blaster. Non una gran minaccia
evidentemente per Windu e Kenobi che spensero le spade non appena la
porta dietro di loro si chiuse… senza però rifoderarle.
Dopo qualche secondo di esitazione Anakin li seguì.
Il Vicerè era quasi rosa dalla paura: era notorio che aveva un timore
leggendario dei Jedi. Era altrettanto notorio che questo non l’aveva
fermato dal provocare una guerra contro l’Ordine stesso.
Quando iniziò a parlare, la sua voce tremante disgustò Anakin. “Maestri,
siamo pronti ad arrenderci immediatamente, purché ci garantiate un
processo giusto in cui una parte della Corte sia composta da Nemoidiani”
“La Repubblica garantisce sempre processi giusti…”, iniziò Obi-Wan.
Quasi, corresse mentalmente Anakin, ripensando alla fine di Palpatine.
“…avrete gli avvocati difensori che più riterrete idonei”, proseguì il
negoziatore, “ma in quanto alla composizione della Corte non è in nostro
potere garantire nulla”.
“Potrete sicuramente comunicare con Coruscant”. Le mani viscide di
Gunray fecero un vago gesto in direzione dei com-link.
Kenobi scambiò un’occhiata con Windu per decidere quanto dare corda al
Nemoidiano, mentre Anakin lo sopravanzò di diversi passi avvicinandosi
molto all’umanoide. Le guardie puntarono i blaster con più precisione
verso di lui.
Il Jedi fece finta di non darsene a vedere e minaccioso si rivolse al
Viceré: “Non mi sembrate nella posizione di avanzare delle pretese”.
“Anakin…”, lo interruppe Mace in tono severo, ma prima di poter
aggiungere altro fu interrotto dal rombo assordante di una violentissima
esplosione nello spazio-porto, seguita dal frastuono del fuoco che si
rianimava all’esterno e del metallo che cadeva.
Un’ondata di dolore acutissimo invase la mente di Anakin e sentì dentro
di sé il terribile urlo di Luke, la sua faccia sconvolta come nella
visione e gli occhi terrorizzati che guardavano increduli il sangue
uscire dal suo addome.
Immediatamente capì che la sua nave era stata colpita a tradimento e,
senza più controllo, recuperò in un attimo i pochi passi che lo
separavano dal Vicerè, accese la spada e urlandogli “Bastardo!” lo
trafisse ad una velocità che lui stesso non sapeva di possedere.
Troppo lente nei riflessi, le guardie iniziarono a sparare ad esecuzione
già avvenuta e incontrarono in scia le lame pronte di Kenobi e Windu.
Altro fuoco iniziò a piovere dall’alto, mentre il com-link gracchiava
per avvisare che una nuova nave era spuntata fuori da dietro il pianeta.
Nella confusione generale, Anakin poteva pensare solo al dolore pulsante
di Luke, ferito e impossibilitato a cercare aiuto, perché
rinchiuso…proprio da lui. Per la Forza, cosa aveva fatto?
Da dietro la porta comparvero finalmente gli altri Jedi a dar mano
forte. Tutti insieme, si fecero strada tra l’inferno di fuoco che si era
scatenato, lentamente avanzando per raggiungere il comando separatista
che aveva preso la fuga da una porta sul lato opposto della stanza.
Tutti tranne Anakin che si girò per tornare al porto.
“Dove vai?”, gli urlò Obi-Wan, continuando a concentrarsi nel deviare i
colpi.
“Devo salvare Luke. E’ sulla nave”, spiegò di fretta.
“Credevo l’avessi lasciato a casa”, notò Kenobi, quasi urlando per
superare il frastuono del fuoco.
“E’ una storia lunga”, rispose Anakin che era già arretrato di diversi
passi.
“La missione prima di tutto”, gli ricordò Windu.
Ma Anakin scosse il capo: percepiva le forze del suo apprendista
diventare sempre più deboli.
“Non puoi andartene”, gli ricordò Obi-Wan, “So quanto tieni a Luke, ma
la missione deve venire prima”.
Una predica! Kenobi gli faceva una predica mentre erano sotto tiro e suo
figlio poteva morire dissanguato. Disgustato il Jedi continuò a
retrocedere.
Windu lo seguì e lo afferrò per un braccio: “Skywalker questo è un
ordine!”
Ansioso e nervoso, Anakin strattonò per liberarsi e con tutta la rabbia
che aveva in corpo urlò: “Non mi impedirete di salvare mio figlio!”. E
tanto per chiarire meglio il concetto, mise la lama azzurra tra di loro.
Un attimo di confusione dopo, scioccato capì cosa aveva fatto e detto.
Vide il Maestro korun più sconcertato di lui e incapace di reagire.
Scappò definitivamente fuori verso il porto. Nessuno dei Jedi lo seguì:
la missione prima di tutto.
Skywalker si fece strada deviando i colpi che ormai venivano sparati
quasi a casaccio e raggiunse la sua nave. La preoccupazione per la sorte
di Luke lo teneva impegnato, facendogli dimenticare per il momento cosa
poteva accadergli dopo quello che aveva appena rivelato.
Corse per i corridoi, tentando di orientarsi nella calca, mentre
spingeva e si faceva largo tra i soldati che, nella confusione,
correvano di qua e di là. Raggiunse le prigioni vuote e si diresse alla
cella di Luke. Ora che era così vicino poteva sentirne il dolore con
tanta violenza che gli sembrava di essere lui stesso ferito. Digitò il
codice, ma nella fretta si sbagliò. Con irritante lentezza il computer
avvisò dell’errore prima di concedergli la seconda possibilità. Anakin
si obbligò a calmarsi, prese fiato e poi ritentò con mente più lucida,
mentre la fatica e la tensione gli addensavano sul viso mille gocce di
sudore.
La porta si aprì. Entrò, gettandosi sul figlio che giaceva in un angolo,
cosciente, ma debole. Per quanto avesse avvertito la situazione precaria
di Luke, la visione della tunica imbrattata di rosso dall’addome fino
alla coscia lo sconvolse. Al fianco del Padawan vi era un pezzo
acuminato di lamiera, evidentemente saltato dalla
parete di fronte, coperto anch'esso di sangue.
Il ragazzo si voltò nella sua direzione e gli fece un debole sorriso.
Anakin gli tastò la fronte, poi con attenzione gli strappò la tunica per
esaminare meglio la ferita. Ripulì la pelle il più possibile tra i
lamenti di Luke, finché non trovò un taglio di una trentina di
centimetri tanto profondo che una piccola parte dei visceri era
leggermente fuoriuscita.
Il Jedi distolse un attimo lo sguardo per l’orrore e si obbligò ad
essere forte, più di quanto non lo fosse già stato nella sua lunga
carriera. Poi rivolse di nuovo gli occhi lucidi alla ferita e vi posò
sopra la mano, tentando di infondere tutta la sua Forza. Il flusso del
sangue rallentò un po’, ma non era sufficiente a bloccare l’emorragia.
“Dobbiamo raggiungere subito l’infermeria”, comunicò a Luke.
“Sono riuscito a togliere il pezzo”, rispose debolmente il figlio,
indicando un attimo con gli occhi la lamiera accanto “ma non posso
camminare”.
“Non ti preoccupare”, mormorò Anakin e lo sollevò tra le sue braccia con
la maggior delicatezza possibile, in modo da evitare la fuoriuscita di
altri visceri. Luke gemette per il movimento, ma il padre fece finta di
niente e corse fuori, cercando di non squassarlo troppo.
Nonostante l’infermeria fosse proprio lì accanto, arrivarvi sembrò
un’eternità. Ad ogni passo, ad ogni scontro casuale con un soldato che
correva in direzione opposta, il Padawan sobbalzava e si contorceva. Il
Maestro riservava metà della sua attenzione all’obiettivo e con l’altra
metà tentava una meditazione per mostrare al ragazzo il modo di
alleviare il dolore attraverso la Forza.
Quando finalmente giunsero a destinazione, non trovarono poco più che un
cumulo di macerie.
Anakin provò a digitare il codice di autorizzazione vicino alla porta,
ma nessun droide prese vita. Con il figlio ancora fra le braccia,
scavalcò uno scaffale rovesciato e andò dall’altra parte della stanza
per verificare le cure rimaste disponibili. Adagiò con delicatezza Luke
su una brandina impolverata dalle macerie e ritornò davanti al panello,
digitando ansiosamente la richiesta di un aiuto qualsiasi. Ma i
controlli di tutto il settore erano saltati.
“Ho freddo”, mormorò il ragazzo.
Il Jedi gli si avvicinò di nuovo. “Stai perdendo molto sangue”, si
limitò a constatare impotente.
Luke annuì con gli occhi impauriti per la piena realizzazione di quello
che stava accadendo.
Suo padre rivolse l’attenzione al pavimento. Si inginocchiò a rovistare
tra mille attrezzi di funzione sconosciuta e riuscì a recuperare un po’
di garze, del cotone e un rotolo dei cerotti. Le confezioni aperte
avevano perso la sterilizzazione, ma era consapevole che, se non
riusciva a tamponare, non ci sarebbe stato modo di preoccuparsi delle
infezioni. Ritornò al lettino e iniziò a comprimere con forza il taglio,
mentre vi stendeva sopra a strati tutte le garze che aveva a
disposizione, senza prestar mente alle suppliche di fermarsi del
ragazzo. Ma non faceva in tempo ad appoggiarvene una nuova che la
precedente era già inzuppata di sangue.
Quando finì l’ultimo inutile pacchetto, tirò indietro il braccio in un
gesto di disperazione e urtò la sua spada laser agganciata al fianco.
La fissò un attimo: quella avrebbe cauterizzato la ferita e i visceri
eventualmente tranciati avrebbero potuto essere bypassati da una
successiva operazione.
Nel petto il cuore iniziò a battergli con violenza per l’indecisione, ma
non riusciva a vedere soluzioni alternative: in gioco c’era la vita di
Luke. Estrasse la spada e l’accese.
“Mi dispiace, non ho alternative. Aggrappati dove riesci”, mormorò al
figlio che lo guardava con gli occhi sbarrati dal terrore, stringendo
nervosamente la struttura metallica del lettino.
Senza troppi complimenti, Anakin pose l’ampia mano sinistra sul torace
del Padawan, cercando di immobilizzarlo il più possibile e si immerse
nella Forza per assicurarsi di essere veloce e preciso. Un secondo dopo,
affondò la lama nel ventre del ragazzo il minimo sufficiente e le fece
compiere un rapidissimo circolo per tutto l’interno della ferita,
ignorando l’urlo di agonia di Luke e l’odore di carne bruciata.
Quando ebbe finito, spense la spada, si voltò e vomitò sul pavimento. Si
pulì la faccia sull’ampia manica della tunica, già inzuppata di sangue.
Riprese fiato, tornò dal figlio, ora muto per lo sfinimento, e gli
accarezzò i capelli, mentre verificava il lavoro eseguito. La sua vista
era offuscata dalle lacrime che non riusciva a controllare, ma
l’emorragia si era bloccata per il momento, sostituita dall’ampia
bruciatura.
“Adesso ho il tempo di cercare un medico”, lo incoraggiò, quasi
implorando perdono.
Ma Luke non rispose.
Sempre più spaventato, Anakin gli diede un buffetto sulla guancia,
cercando di tenerlo sveglio. Improvvisamente, realizzò che se il figlio
fosse morto non avrebbe mai neanche saputo della loro parentela. Si
avvicinò ancora di più al ragazzo, scuotendolo delicatamente.
“Luke, Luke”, lo chiamò, “Resisti, Luke. C’è qualcosa che ti devo dire.
Luke, tu non sei solo il mio Padawan. Luke, io… io sono tuo padre”. Lo
squassò di nuovo. “Mi hai capito? Luke, resisti! Fallo per me… per tuo
padre”, insistette e gli parve di scorgere una scintilla di comprensione
negli occhi del ragazzo, prima che la spossatezza avesse definitivamente
la meglio di su di lui e svenisse.
Anakin lo raccolse nuovamente tra le sue braccia. Pregando
silenziosamente, corse verso l’uscita dalla nave.
Nello spiazzo del porto, esitò un istante per vagliare le opzioni.
Sicuramente c’era un centro medico lì nella struttura, ma trovarlo in
mezzo alla battaglia avrebbe richiesto tempo e, considerando che i
residenti erano tutti alieni, non poteva neanche dare per scontato che i
database dei droidi contenessero informazioni sugli esseri umani. Vide
il nuovo Ala-X di Obi-Wan. Forse nel piccolo spazio dietro al seggiolino
avrebbe potuto adagiare il corpo esile di Luke per il breve viaggio fino
ad una delle due navi in orbita.
La seconda possibilità gli sembrò la più ragionevole. Corse verso il
caccia e senza troppa fatica vinse le deboli resistenze del droide
astromeccanico che lo riconobbe come amico fidato di Obi-Wan. Più
complicato fu fare entrare il ragazzo evitando che urtasse sul fondo e
dovette aiutarsi con la Forza. Senza perdere ulteriormente tempo, partì,
prendendo quota rapidamente. Ma quando uscì dall’atmosfera, si rese
conto che la battaglia spaziale stava infuriando peggio di quella
terrestre. Alzò i suoi scudi e iniziò a lanciarvisi in mezzo. Evitare i
colpi, cambiare di traiettoria, sparare rischiavano di tenerlo impegnato
a lungo prima di riuscir anche solo ad avvicinarsi ad una delle navi.
Riversò una parte delle sue percezioni sullo stato del figlio,
sentendolo sempre più debole, e con l’attenzione che gli rimaneva
evitò per un soffio un colpo al motore destro. Prima di tentare una mossa
diversiva, lanciò una ricerca sulla piccola mappa di bordo dei Sistemi
vicini. Inseguì un caccia nemico davanti a sé e sparò, proprio mentre il
computer visualizzava i risultati di ricerca.
Anakin scorse la lista e, quando i suoi occhi scivolarono su qualcosa
che gli sembrava finalmente interessante, lasciò la zona di battaglia,
cercando di non essere inseguito.
Polis Massa era una buona opportunità. Confermò la lettura dei dati
aggiuntivi. Polis Massa, piccolo centro minerario dell’orlo esterno.
Coordinate: zona gamma, 124, 134, 567. Era tutto quello che il database
diceva, ma ad Anakin non serviva di più. Una comunità di qualsiasi tipo
disponeva di un pronto soccorso e il sito era molto vicino, con un
rapido salto nell’iperspazio sarebbe arrivato là in meno di mezz’ora,
molto prima di quanto probabilmente gli avrebbe richiesto infilarsi
dentro le navi sotto fuoco nemico.
Prese la direzione corretta e iniziò il calcolo per il salto. Ma la
procedura automatica era lunga e il tempo stringeva. La interruppe,
prese un profondo respiro e immergendosi completamente nella Forza entrò
quasi in tranche, digitando i numeri di traiettoria a mano. Quando ebbe
finito diede l’avvio.
Era semplicemente una follia, anche per un Cavaliere Jedi, anche su una
distanza così breve e priva di ostacoli significativi. Un errore banale
significava morte certa.
L’astrodroide gli chiese la conferma, dopo avergli enumerato i pericoli
a cui sarebbero andati incontro. Come se non li avesse conosciuti!
Ma preferiva disintegrarsi insieme a Luke in quel disperato tentativo di
salvarlo, piuttosto che stare impotente a guardarlo morire. Perciò
chiuse gli occhi un attimo, cercando la Fede in quello che la Forza gli
aveva fatto scrivere nel computer e premette il bottone di conferma.
Le stelle sembrarono allungarsi all’infinito, mentre lasciavano dietro
di loro l’incubo di Athor.
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
DICHIARAZIONE
L'universo di Star Wars, i suoi personaggi e le vicende sono di proprietà di Lucas. Ho scritto questa fiction solo per divertimento
Ho preso i nomi Yimot, Athor, Dovim e Theremon dal bellissimo romanzo "Notturno" di Asimov e Silverberg. Tuttavia in questa storia non hanno alcuna relazione con i personaggi, le situazioni e i luoghi del libro. Sono solo un omaggio.
RINGRAZIAMENTI
Desidero ringraziare Chiara per avermi fatto da beta-reader.
RECENSIONI
Grazie a Therealpisces, Jenny76, Hakka, Silvì76 per le recensioni. Lato Oscuro o Lato Chiaro non è che la pazienza sia la miglior virtù di Anakin. Peccato che il capitano non possa sapere quanto è fortunato: in universi paralleli non se la sarebbe cavata con qualche insulto ;) !! Che dite, non è ora che Luke riceva qualche spiegazione da suo padre?!
PADRE E FIGLIO - CAPITOLO 6
Anakin sedeva già da una mezz’ora davanti al sistema di comunicazione
interplanetario messo a disposizione dal centro medico di Polis Massa.
Dalla grande finestra di fronte vedeva solo il cielo stellato e due
asteroidi minori della Fascia.
Prese fiato e si decise finalmente a premere i tasti di chiamata, prima
che passasse l’ora utile per contattare il Tempio di Coruscant. Ci fu
qualche bip per la sintonizzazione del canale di comunicazione, poi
comparve l’ologramma disturbato di Obi-Wan.
Kenobi lo osservò dapprima con un po’ di stupore, poi con un’espressione
di tesa gioia.
“Anakin, dove sei?”, fu tutto quello che riuscì a dire.
“A Polis Massa, vicino ad Athor. C’è un buon centro medico”, rispose
Skywalker.
Obi-Wan lo fissò serio. “Luke sta bene?”
Anche se non lo diede a vedere, Anakin fu veramente grato che la prima
preoccupazione del suo ex-Maestro fosse per suo figlio. “Sì. Aveva una
bruttissima ferita e ha fatto quattro giorni di coma profondo, ma adesso
sta bene. Secondo i medici, dovrebbe riprendere conoscenza molto
presto”.
“Ne sono contento”, disse Obi-Wan e parve persino sincero.
“I Separatisti?”, chiese Anakin, continuando ad evitare il problema
vero.
“Sono stati arrestati”, rispose l’altro, “La Corte sta attendendo gli
avvocati e un paio di giurati da Nemoidia per iniziare il processo”
Anakin fece un grugnito a metà strada tra una smorfia e un sorriso
amaro. Infine, decise di affrontare direttamente il suo destino. “E io
avrò diritto ad un avvocato di Tatooine?”, tentò senza successo
di buttarla sull’ironico.
Obi-Wan scosse il capo amaro. “Sai che il Consiglio Jedi procede in un
altro modo rispetto ai Tribunali”. Esitò, ma davanti alla mancanza di
reazione del suo ex-Padawan proseguì. “Dopo questa intera settimana,
iniziavamo a pensare che non saresti più tornato”
Anakin distolse lo sguardo. Era molto difficile tirar fuori quelle
parole, anche se Obi-Wan sapeva a cosa stava pensando: più si era giunti
in alto, più la caduta poteva essere rovinosa. “Sarò coperto di
infamia”, sospirò.
Gli occhi di Kenobi si riempirono di compassione e si guardò
furtivamente attorno. Quando fissò di nuovo il trasmettitore, il suo
insolito atteggiamento era cospiratorio e la sua voce appena più di un
sussurro: “E’ un momento ancora delicato per la Repubblica: ai Jedi non
conviene che il suo più illustre rappresentante venga espulso con
disonore… Se rientri presto, forse posso addolcire le decisioni del
Consiglio”
Skywalker scosse il capo. “Addolcire? Finirò a fare il negoziatore in
qualche posto remoto per il resto dei miei giorni?”
Il viso di Kenobi divenne subito duro. “Cosa ti aspetti dopo tredici
anni di bugie?”.
Non era il Maestro, né il Generale a parlare, ma l’amico ferito e Anakin
si sentì colpito nel profondo. Distolse lo sguardo. “Diciassette”,
corresse. Quella confessione lo fece sentire meglio e gli
diede la forza per il passo successivo: “Tra pochi giorni Luke dovrebbe
essere in grado di affrontare il viaggio e allora rientrerò subito a
Coruscant”
Kenobi apparve leggermente sorpreso. “Anakin, io sono tuo amico. Sai che
puoi contare su di me”, dichiarò dopo una breve esitazione.
Skywalker annuì fiducioso un “Grazie”, prima di chiudere la
comunicazione. Si alzò con il cuore pesante e la determinazione di un
secondo prima ad affrontare la sua punizione iniziava a vacillare. Ma
non importava quello che sarebbe accaduto, si disse infine. L’importante
era che questa volta aveva salvato davvero la persona che amava.
Al pensiero di Luke, qualcosa risuonò dentro di lui e sentì la presenza
del ragazzo distintamente come non era mai accaduto prima nell’ultima
settimana. Dimenticando il processo che lo attendeva a Coruscant, si
sentì pieno di gioia: suo figlio era tornato cosciente.
Si recò nella stanza dove era ricoverato ed infatti lo trovò che si
guardava intorno dubbioso. Gli si avvicinò. “Come ti senti?”
“Un po’ stanco, ma bene”, sussurrò il ragazzo.
“Sei ancora debole”, confermò Anakin, mentre avvicinava la sedia per
mettersi di fianco a lui.
“Dove siamo?”, chiese il Padawan ancora confuso.
“In un centro medico, non troppo lontano da Athor”, rispose il padre.
Luke sembrò meditare, i suoi occhi si fecero distanti come se tentasse
di rivedere gli eventi che lo avevano portato in quel letto. “La
battaglia contro i Separatisti”, mormorò tra sé e sé, finché sembrò
soffermarsi. Divenne imbarazzato e senza guardare il Maestro disse,
scuotendo leggermente il capo: “Avevi ragione a lasciarmi sempre al
Tempio. Io pensavo di potermela cavare e invece…”.
Anakin strinse le spalle. “Hai fatto una cosa molto avventata, ma forse
non saresti stato neanche ferito se non ti avessi rinchiuso in quella
cella”, concesse accomodante.
“Maestro…”, iniziò Luke, ma qualcosa catturò la sua
concentrazione un istante. Poi cercò lo sguardo di Anakin e incerto
corresse: “Pa…?!”
Il padre annuì sorridendo.
“…dre.”, finì Luke. Dopo un attimo per assorbire davvero l’informazione,
scosse il capo. “Come è possibile?”
Anakin non fu colto di sorpresa dalla domanda prevedibile. “Io e tua
madre eravamo molto innamorati e così ci sposammo in segreto. Dopo
qualche anno, lei rimase incinta, ma…”
Anakin si alzò e incrociò le braccia. Iniziò a camminare a disagio,
dando le spalle al ragazzo. Il suo mantello scuro strisciò un paio di
volte avanti e indietro per la stanza, prima che riuscisse a dare voce a
un dolore che aveva dovuto nascondere per più di una decade.
“La tua nascita è stata semplice. Sembrava tutto a posto. Invece, quando
è stata ora della tua sorella gemella, qualcosa non ha funzionato e sono
morte entrambe”.
Anakin si perse nei pensieri che tante volte l’avevano già roso: il
dubbio tornava a scavare dentro di lui per farsi strada, sussurrandogli:
“E se…?”.
E se Darth Sidious avesse avuto davvero il potere di salvare Padmé? E se
avesse ucciso Windu, invece che Palpatine? E se, in ultima analisi,
fosse stato lui il vero responsabile della morte della moglie, avendo
scelto l’Ordine dei Jedi sopra la sua famiglia?
Tormentato da quel inferno che era diventato ormai parte della sua vita
quotidiana, si dimenticò quasi del figlio che dietro lui attendeva
ancora delle risposte, finché non udì la sua voce: “Chi era mia madre?”
Si scosse dal suo inutile lutto. Voltandosi di nuovo verso Luke,
rispose: “Padmé Amidala, prima Regina, poi Senatrice di Naboo”
Il ragazzo si limitò ad annuire, conoscendo dai suoi studi storici di
chi si stava parlando.
Il Jedi si stupì. Si era aspettato un commento o altre domande sul conto
della madre, ma forse Luke stava ancora tentando di assorbire
completamente tutta quella massa di informazioni che rivoluzionavano il
suo mondo. “Ad ogni modo, non sapevo più cosa fare da solo con un
neonato. Non potevo semplicemente entrare nel Tempio cullando un figlio
tra le braccia”.
A questo punto, esitò su come procedere, poi con un sospiro decise che
non avrebbe più usato alcun sotterfugio. “Avevo anche pensato di darti
in adozione. Era l’unico modo per garantirti una famiglia vera”, si
affrettò a spiegare, studiando il ragazzo, che però non dava segni di
essersi risentito, ma continuava a seguire attentamente. “Ma capii che
non era giusto, perché nel bene e nel male io ero la tua famiglia vera,
anche se non potevo dirlo a nessuno. Così feci controllare il valore dei
tuoi midichlorian. Era straordinariamente alto, quasi quanto il mio. E
così decisi di abbandonarti davanti al Tempio. Sapevo che ti avrebbero
immediatamente arruolato nel gruppo dei bambini e avrei potuto riaverti
come mio Padawan, quando avresti avuto l’età giusta. Come in effetti è
stato”.
Luke meditò un attimo su quelle parole. Poi chiese: “Perché non me l’hai
detto prima?”
Anakin sorrise debolmente. “Te l’avrei detto presto. Volevo solo assicurarmi
che non mi avresti denunciato”
Il figlio lo guardò incredulo e con una serietà che quasi lo spaventò
rispose: ”Non l’avrei mai fatto”. E in fondo al tono pacato sentì la
stessa sensazione di tradimento che Obi-Wan aveva palesato in maniera
più esplicita mezz’ora prima.
A disagio, Anakin si voltò nuovamente di spalle, cercando un modo per
spiegare i dubbi che lo avevano dilaniato nell’ultimo anno.
“Luke Skywalker”, sentì il figlio dire e si voltò con aria
interrogativa.
“Luke Skywalker”, ripeté quello. “WOW! Suona bene”, disse sorridendo.
“Beh, sicuramente meglio di Luke (sconosciuto) ”, rise infine, guardando
il padre con occhi piena di gioia.
Anakin annuì sollevato.
“Peccato solo che non posso andare a vantarmene in giro”, sospirò con
finta tristezza. “Ti immagini la faccia di Yimot? Quello già schiatta di
invidia perché il Prescelto ha preso me come Padawan, invece che lui.
Pensa se sapesse la verità!”, sorrise pieno di malizia all’idea. “Credi
che in futuro ci sarà modo di poter ammettere in pubblico la nostra
parentela?”
Anakin esitò. Non voleva rovinare così presto quel momento, ma tra pochi
giorni avrebbero dovuto affrontare lo scandalo davanti al Consiglio ed
era necessario che il ragazzo sapesse a cosa stavano andando incontro.
“Vedi Luke, quando ho deciso di rientrare alla nave per venirti a
salvare, ho avuto una discussione con gli altri Jedi, perché stavo
abbandonando la missione e nella lite mi sono lasciato sfuggire la
verità”
Luke lo guardò inorridito, ma Anakin proseguì: “Proprio in questo
momento stanno aprendo un’inchiesta disciplinare contro di me”.
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
DICHIARAZIONE
L'universo di Star Wars, i suoi personaggi e le vicende sono di proprietà di Lucas. Ho scritto questa fiction solo per divertimento
Ho preso i nomi Yimot, Athor, Dovim e Theremon dal bellissimo romanzo "Notturno" di Asimov e Silverberg. Tuttavia in questa storia non hanno alcuna relazione con i personaggi, le situazioni e i luoghi del libro. Sono solo un omaggio.
RINGRAZIAMENTI
Desidero ringraziare Chiara per avermi fatto da beta-reader.
RECENSIONI
Grazie a Jenny76 e BiP per le recensioni.
PADRE E FIGLIO - CAPITOLO 7
Cinque giorni dopo, Luke giocava nervosamente con la manica della sua
tunica nel corridoio di accesso alla sala del Consiglio Jedi.
Qualche metro in là, ancora più agitato di lui, Anakin camminava avanti
e indietro. Aveva fatto e rifatto tante volte quel breve tragitto che si stupiva di non aver già scavato il solco. Il Jedi non riusciva a
comprendere perché il Consiglio ci mettesse tanto a decidere. Durante
l’interrogatorio gli avevano fatto poche domande a cui aveva risposto
velocemente e in totale sincerità. Con sua grande sorpresa non avevano
nemmeno preteso la barbara, ma consueta indagine mentale del caso. Tutto
gli aveva lasciato presagire che avessero preso una decisione prima
ancora che fosse atterrato sul pianeta. Tutto… salvo il fatto che al
momento erano già due ore che discutevano.
Diede un’occhiata al figlio senza farsi scorgere. Non poteva fare a meno
di chiedersi cosa avrebbe fatto il ragazzo, se lui fosse stato espulso.
Nei giorni scorsi, l’aveva visto molto meditabondo, ma non avevano mai
affrontato l’argomento. Il Jedi era consapevole che tutta la vita di
Luke era trascorsa in un ambiente in cui era stato forzatamente
condizionato a pensare che i legami affettivi fossero una colpa e
l’Ordine solo avesse diritto alla lealtà dei suoi membri. Più di tutto,
Anakin ora temeva di scoprire in chi riposasse realmente la fiducia del
Padawan.
La porta si aprì dietro a loro. Shaak Ti, tesa, fece loro segno di
entrare. Ordinatamente a capo chino si presentarono in mezzo al cerchio,
prima il Maestro e qualche passo indietro l’apprendista, come si
conveniva.
Tutte le sedie erano occupate, tranne quella del Prescelto che in quel
momento sentiva lo stomaco torcersi con la stessa timidezza che da
ragazzo aveva provato quando si era trovato ad essere il centro di quegli
sguardi severi. Senza esitazione, si presentò rivolto a Yoda, vero dio
di quel Tempio, e Windu, suo profeta, alla sua sinistra.
“Skywalker”, iniziò infatti il Maestro korun con il tono grave del
giudice che emette una sentenza, “l’infrazione della regola del celibato
prevede l’espulsione dall’Ordine. Ma, in questo momento difficile di
rilancio delle Istituzioni democratiche, dobbiamo tenere in
considerazione questioni di ordine pubblico portate alla nostra
attenzione dal Maestro Kenobi”. Rivolse un’occhiataccia a Obi-Wan che
non riuscì a mantenere del tutto intatta la sua usuale compostezza e
Anakin capì che il suo ex-Maestro si era esposto oltre ogni limite per
lui. “Dunque abbiamo deciso”, proseguì Windu, “che finirai la tua
carriera nel ritiro di Dovim, dove avrai modo di riposarti, meditando
pacificamente sulla Forza unificante.”
Anakin tirò un interiore sospiro di sollievo. La prospettiva di essere
incarcerato a vita su un pianeta più squallido di Tatooine non era
esattamente esaltante, ma almeno lui e Luke avrebbero potuto
trascorrervi una vita normale e, dopo tutto quello che aveva passato,
non suonava nemmeno così terribile.
Ma prima che potesse gioire e ringraziare pubblicamente, il korun
proseguì: “In quanto al tuo apprendista, sarà riassegnato al Maestro
Theremon per aiutarlo nel suo servizio diplomatico. Naturalmente,
entrambi siete legati a mantenere il segreto”.
Stordito, Anakin non poteva credere alle sue orecchie. Lui sarebbe
finito su Dovim e Luke con Theremon dall’altra parte della Galassia.
Significava semplicemente che non avrebbe mai più rivisto il figlio per
il resto dei suoi giorni.
Stavano già facendo loro segno di congedarsi quando Anakin alzò la voce:
“Non potete dividermi da mio figlio”.
“Il tuo Padawan”, corresse Yoda con gli occhi sottili come una lama nel
silenzio imbarazzato.
“Ti aspettavi una promozione?”, aggiunse Plo Koon alla sua destra.
Sentendosi circondato improvvisamente da nemici come mai prima, Anakin
si voltò ad affrontarlo, ma le sue parole di sfida erano scandite per il
beneficio di tutti presenti: “Piuttosto lascio l’Ordine e me ne vado con
lui”.
Luke era d’accordo a seguirlo? Questo non importava: era poco più di un
bambino, non poteva decidere da solo. Lo avrebbe poi eventualmente
convinto che quella era stata la cosa più giusta da fare.
“E’ tua facoltà lasciare l’Ordine, naturalmente”. Questo era di nuovo
Windu, Anakin si voltò nella sua direzione. “Ma Luke è minorenne e sotto
la tutela dei Jedi. Non verrà con te”.
Il Prescelto scosse la testa. “Ma io sono il padre!”, urlò più forte. Poi
diede un’occhiata rapida a suo figlio che impotente osservava tutti
quegli adulti litigare animosamente del suo destino senza rivolgergli
neanche la parola.
“Anakin…”, si intromise gentilmente Obi-Wan, pienamente consapevole di
essere l’unico con cui avrebbe accettato di ragionare.
Ma questa volta Skywalker non voleva ragionare. Si voltò di scatto: “No!
A loro…”, fece un cenno con il capo, “…non interessa nulla di Luke. Me
lo portano via solo per principio, senza chiedersi quale sia il suo
bene”.
“Così sicuro di sapere tu sei quale il suo bene sia?”, chiese Yoda.
Anakin non rispose: non poteva. No, non lo sapeva quale fosse il bene
di Luke o cosa desiderasse, ma sapeva che non se lo sarebbe fatto
portare via. Si girò verso l’uscita deciso e, appoggiando un braccio
largo sulle spalle del figlio, iniziò a trascinarselo dietro.
Titubanti gli occhi del ragazzo si volsero a cercare una reazione da
parte dei Maestri. Che non si fece attendere. Davanti all’incredibile
audacia di Skywalker che osava contravvenire alle disposizioni del
Consiglio davanti a tutti, Windu si alzò di scatto, facendo qualche
passo in avanti, e si rivolse al ragazzo: “Luke, vieni qua”.
Il Padawan si arrestò confuso.
“Nessuno ti ritiene responsabile per questa situazione”, proseguì, “e
hai ancora un dovere nei confronti dell’Ordine”.
Luke si accigliò e, liberandosi dalla debole presa del padre, tornò indietro verso il centro della sala.
La mascella di Anakin si serrò. “Io sono tuo padre”, rivendicò con voce
strozzata.
Gli occhi del ragazzo corsero velocemente da un Jedi all’altro, mentre
sembravano troneggiare entrambi sulla sua minore statura. Alla fine
abbassò il capo, concentrando tutta la sua attenzione su un particolare
del grande mosaico. “Io… io voglio stare con mio padre”, mormorò alla
fine.
Trionfante per la vittoria, Anakin gli allungò una mano.
Ma prima che potesse prenderla, Windu aveva afferrato il braccio del
ragazzo, dicendogli: “Ciò nondimeno il tuo legale tutore è ancora
l’Ordine dei Jedi”
“Lascialo!”, intimò cupo Anakin.
Windu strinse la presa.
“Lascialo”, ripeté il Jedi, mentre tutta la sua tensione, la rabbia e la
paura gli si incanalarono sul braccio sinistro e sulla mano tanto
violentemente che, senza averne neanche una piena coscienza, un fulmine
azzurro uscì dalle sue dita, colpendo il Maestro korun e mandandolo a
cadere indietro.
Immediatamente tutte le spade laser della stanza furono accese e, per un
istante, il silenzio teso fu rotto solo dal ronzio delle lame di ogni
colore.
Stravolto da quello che lui stesso non avrebbe mai immaginato di poter
fare, Anakin accese lentamente anche la sua spada. Allungò il braccio
verso Luke che ancora stava immobile pochi passi avanti e con la mano
ampia afferrò con decisione la spalla del ragazzo che docilmente si fece
trascinare dietro di lui. In posizione di guardia, iniziò ad arretrare
verso l’uscita, pronto, se necessario, a combattere contro tutto il
Consiglio.
Quando fu quasi con le spalle contro la porta, diversi Maestri
iniziarono ad avvicinarglisi. Ma Kenobi gridò: “Per carità, non vorrete
duellare dentro il Tempio?!”
Nell’attimo di distrazione che seguì, Anakin uscì, spingendo fuori a
forza anche il ragazzo, e appena si fu allontanato un po’, constatata la
riluttanza dei Maestri a seguirlo per paura di scatenare la guerra
dentro l’edificio, spense la spada, tenendola in mano pronta all’azione,
e iniziò a correre seguito dal figlio.
Corse a più non posso, attraversando i corridoi, spintonando i Jedi
stupefatti, ma ancora ignari, che casualmente si trovavano sulla sua
traiettoria, scese la Torre del Consiglio, attraversò la ziggurat
sottostante e passò le grandi colonne.
Nessuno aveva dato ordine di fermarli e continuarono correndo fuori. E
poi via per le strade affollate di Coruscant, dove nulla sembrava strano
ai passanti imperturbabili. Percorsero ancora parecchia strada per il
terrore che qualcuno ci avrebbe ripensato, finché, esausto, Anakin si
fermò in un viottolo secondario. Piegandosi in avanti, cercò di
ritrovare aria, mentre il sudore gli colava sugli occhi e i polmoni gli
dolevano per lo sforzo.
Quando riuscì a rimettersi in posizione verticale, si voltò verso Luke.
Il figlio era adagiato contro un muro. Più affaticato di lui, sedeva,
stringendo la ferita non ancora del tutto guarita.
Anakin gli si avvicinò, chinandosi, e lo esaminò velocemente, senza
trovare per fortuna alcun segno di sangue. Gli appoggiò una mano sulla
spalla e infuse un po’ della sua Forza dentro il ragazzo che
visibilmente si distese. Lo guardò con orgoglio e con affetto più di
quanto avesse mai fatto prima.
Ma Luke era troppo perso per vederlo. Iniziò a tremare debolmente,
guardandosi in giro confuso.
“Cosa faremo, adesso?”, chiese con un filo di voce e solo in quel
momento il padre realizzò quanto fosse costato al figlio lasciare per
sempre il Tempio che era tutto il suo mondo.
Anakin lo squassò leggermente. “Quello che ci pare. Siamo liberi adesso”
“Liberi?!”, ripeté confuso il ragazzo come se avesse le vertigini ad
ammirare la libertà.
“Luke”, lo chiamò il padre tentando di trasmettere coraggio e sicurezza
a quello sguardo smarrito, “la vita esiste anche al di fuori del
Tempio”.
Il figlio annuì debolmente. “Ma non useremo più la Forza?”, gli chiese
angosciato.
Anakin si abbassò ancora di più, finché non ebbe incontrato i suoi
occhi. “La Forza non è di proprietà privata dell’Ordine dei Jedi. La
Forza è dappertutto. E quando ne avrai bisogno, la troverai sempre
dentro di te”, concluse toccandogli il petto con l’indice.
Lo sguardo di Luke seguì il dito del padre, mentre i suoi pensieri si
focalizzarono chiaramente dentro sé stesso. Poi annuì convinto e
sorrise.
Anakin gli arruffò velocemente i capelli e si alzò in piedi. Gli allungò
una mano per aiutarlo ad alzarsi a sua volta e lo sollecitò: “Andiamo a
cercare un trasporto per lasciare il pianeta”.
Luke prese la mano invitante del padre e, riportando a fatica il peso
sui suoi piedi doloranti, iniziò ad osservare incuriosito quel universo
che gli era totalmente nuovo.
---------------------------------------------------- Grazie ancora a tutti quelli che hanno seguito la fiction e recensito. Spero che il finale vi sia piaciuto :)
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