Somewhere I Belong di Lumik Lovefood (/viewuser.php?uid=96127)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'abito non fa il monaco ***
Capitolo 2: *** Le ciliegie si mangano meglio in tranquillità ***
Capitolo 3: *** Chi fa da se.... Non fa un bel niente! ***
Capitolo 5: *** Occhio per occhio... ***
Capitolo 1 *** L'abito non fa il monaco ***
cap 1
Somewhere
I Belong
L’odore
del sangue riempiva l’aria
già satura del campo di battaglia.
I cadaveri giacevano a terra
insozzando il suolo e tingendolo di rosso e rendendolo fango.
I
cuori dei sopravvissuti erano pesanti come quei corpi riversi e
contorti che diventavano a mano a mano più freddi, gelidi;
c’erano
conoscenti, compagni di guerra e dolore, amici.
Il gruppo Joui era
completamente smantellato se non per quattro valorosi samurai, di
fronte a loro due figure sconosciute, oscurate dall’ombra che
man
mano andava a dissolversi.
I samurai alzarono il volto verso di
loro e si scambiarono un’occhiata complice, l’uomo
dai capelli
neri e corti fece un passo avanti e cominciò a parlare.
“Mostrateci
i vostri volti, alieni!”
Il vento scoprì il cielo coperto da
nuvole e rivelò le persone che erano davanti agli occhi
degli umani,
erano un Amanto dalla pelle smeraldo e una ragazza a capo chino con i
capelli raccolti. Avevano entrambi delle spade ma, mentre la donna la
riponeva accuratamente nel fodero, l’alieno la stringeva
fortemente
nella mano e sorrideva cinico.
“Sei stato accontentato…”
rispose calmo questi ghignando verso gli uomini.
Takasugi grugnì
rabbioso ed era pronto a fargli saltare la testa dal collo ma la mano
scarlatta dell’argenteo che l’era affianco, lo
calmò. Gintoki
osservò meglio le due figure di fronte a sé:
l’alieno aveva dei
lunghi capelli grigio topo legati da una coda lenta e bassa, gli
occhi piccoli e neri come la pece erano freddi e distanti, il naso
piccolo e appuntito all’insù, il corpo dallo
strano colore era
muscoloso e coperto da macchie cremisi come il kimono blu elettrico
che lo copriva e cui era fissato il fodero della sua spada. Ai piedi
aveva dei semplici calzai in paglia.
La ragazza che l’era
affianco, sembrava la più strana. Non aveva ancora alzato il
capo e
sembrava fissare imperterrita le punte dei suoi anfibi di pelle nera
indossati su dei calzettoni bianchi, il kimono nero ornato da petali
di ciliegio rosa antico le arrivava fino alla metà delle sue
cosce
bianche come la porcellana ed era legato da un obi del medesimo
colore dei fiori e allacciato con un enorme fiocco in cui vi era la
sua arma risposta accuratamente nel suo giaciglio. I capelli raccolti
a crocchia erano un castano tendente al miele, lucidi come la lama di
una spada. Non era certo un abbigliamento degno di una guerra
così
cruenta e mascolina e in sostanza, una guerra non era un posto adatto
a delle signore.
L’alieno si accorse dell’attenzione che il
giovane samurai degnava alla sua compagna e si porse davanti ad
essa.
“Strana, non trovi?” chiese questi rivolto a
Gintoki,
che increspò le labbra in una smorfia.
“E’ una combattente
della fazione degli Amanto.” intervenne sussurrando Sakamoto
alzandosi l’elmo che gli copriva gli occhi cerulei
“L’ho vista
mentre trucidava alcuni dai nostri compagni, tra cui Akira.”
“Uno
come Akira, battuto da una donna? Com’è mai
possibile?” chiese
uno sconvolto Katsura ai suoi compagni.
“Non lo so Zura. Una
cosa è certa: mai abbassare la guardia, non sembrano dei
semplici
soldati come quelli che abbiamo ammazzato finora.”. Gli mise
in
allerta l’argenteo non togliendo lo sguardo dalla ragazza.
“Hai
ragione umano. Siamo dei capitani infatti e voi morirete. Non avete
nessuna speranza contro di no-Ahhh!” l’alieno, il
cui volto era
dipinto da un’espressione sicura e sadica, gettò
un urlo strozzato
mentre una mano candita gli trapassava il corpo all’altezza
del
petto. Rivoli di uno strano liquido verdognolo colavano dalla ferita
e dalla mano che l’aveva trapassato, che si ritirò
veloce in
direzione del mittente. Il verde si volse lentamente dietro di
sé e
vide gli occhi scarlatti della sua compagna ridotti a una misera
fessura fissarlo con soddisfazione e curiosità, la ragazza
lo vide
accasciarsi a terra mentre si teneva il petto stretto nella mano e
gemere di dolore.
I quattro ragazzi fissavano la scena, interdetti
e sconvolti, la castana chiuse i suoi occhi e gli riaprì
scoprendo
delle perle azzurre come il ghiaccio che fissavano quel corpo esangue
verde contorto e privo di vita; con un passo superò il
cadavere e
cominciò a camminare decisa verso i quattro samurai, che
istintivamente puntarono le loro spade su di essa.
Sorrise
divertita di fronte a quella scena, quattro coraggiosi samurai che si
drizzavano per fronteggiare una ragazza, non capitava tutti i giorni
uno spettacolo del genere.
Continuò la sua passeggiata fino a
trovarsi le armi dei suoi nemici a pochi millimetri dal suo piccolo
naso, chiuse gli occhi e con un dito spostò la spada di
Sakamoto per
poi passare accanto ad esso e Gintoki con calma e mantenendo gli
occhi chiusi. Takasugi si stava innervosendo.
“Ehi tu! Dove
credi di andare?” urlò il moro puntando
l’arma verso le spalle
della ragazza. Essa si voltò a tre quarti e lo
fissò sottecchi per
poi sorridere furba.
“Se state pensando che io sia un Amanto
oppure un’umana passata dalla loro parte, state sbagliando i
vostri
calcoli. Tra poco un’altra truppa verrà a prendere
i cadaveri per
cibarsene ed io non voglio essere coinvolta con
ciò.”. Proferì
decisa la ragazza che aveva stranamente una voce calda e morbida, a
volte roca e continuò la sua camminata per allontanarsi da
quel
luogo. I quattro ragazzi si scambiarono un’occhiata stranita
e
dubbiosa ma l’argenteo, senza proferire parola, la
seguì riponendo
la sua spada nel fodero.
“Ehi Gin, ma che… Anche tu
Sakamoto??” lo richiamò Zura preoccupato ma si
bloccò nel vedere
anche il suo compagno castano seguire l’esempio di Sakata.
“La
ragazza ha ragione. Meglio squagliarcela prima che ne arrivino degli
altri intenti a mangiarsi il nostro corpo…”
rispose Gin non
continuando a camminare senza voltarsi indietro.
“Effettivamente,
non sono tanto buono da mangiare! Ahahahah!” rise Sakamoto
riponendo la sua arma e affiancando il compagno che gli era davanti.
Katsura si scambiò un’occhiata diffidente con
Takasugi e seguirono
l’esempio degli altri due samurai, abbandonando il terreno di
guerra.
La ragazza, che aveva udito tutto, sorrideva.
Attraversarono
un sentiero sperduto per
poi trovarsi all’entrata di una foresta verde e rigogliosa, i
quattro non conoscevano quel sentiero e chiesero subito spiegazioni
alla castana, che invece camminava decisa senza nessun
turbamento.
“Ma questa non è la strada per il nostro campo.
Dove ci stai portando, donna?” chiese Zura, intuendo che ci
fosse
sotto una trappola.
La ragazza si girò verso il moro “Questa
è
una strada secondaria, gli Amanto non la conoscono ed è
molto più
sicura della vostra abitua.
“Come fai tu a conoscerla?”
chiese Takasugi grugnendo.
“Durante le esplorazioni.” rispose
breve proseguendo.
“Come ti chiami?” esordì
l’argenteo
fissandogli le spalle.
“Reiko.”
“Bel nome!” proferì
Sakamoto ridendo ma la ragazza non lo seguì e
continuò a camminare.
Scrutava con i suoi occhi ogni albero e ogni siepe in cerca di
qualche segno o qualsiasi altra cosa. Si appoggiò a un
albero e vi
passò sopra un dito sulla corteccia scura e ne
ispirò il profumo,
cercando di trattenerlo nelle narici, chiuse gli occhi e si
staccò
dalla pianta continuando la sua traversa nella foresta, i Joui erano
sempre più sconcertati.
Katsura non sapeva spiegarsi la sua
presenza, non era certo nata per combattere vedendo il suo corpo
quasi perfetto e privo di ferite o cicatrici e non si fidava di lei.
Militava tra la fazione avversaria ma non ci ha pensato due volte a
uccidere un suo compagno, anche se prima aveva ammazzato altri
samurai suoi compagni. Non prometteva nulla di buono la sua
presenza.
Sakamoto l’aveva vista combattere e abbattere dei suoi
amici, tra cui Akira, con una tale destrezza da poter essere un degno
avversario per qualcuno di loro ma aveva percepito nei suoi occhi che
non c’era divertimento, solo malinconia, una forte
malinconia. Si
chiedeva chi fosse in realtà quella ragazza, apparentemente
così
giovane, e cosa ci facesse in una guerra come quella.
Takasugi la
odiava. Odiava quella sua calma apparente, odiava che guardasse tutti
con sufficienza, odiava la sua voce e il suo profumo che la lieve
brezza tirava nel suo naso, odiavo anche solo che respirasse. Una
leggera nota omicida voleva farle saltare quella testa castana ma per
ragioni sconosciute non era che una voce lontana nella sua testa.
Volava scoprire chi era a tutti i costi e da che parte
stesse.
Gintoki non sapeva spiegarsi l’interesse che aveva per
lei. La domanda sul suo nome era uscita spontanea tra le sue labbra e
voleva sapere sempre di più su di lei, perché si
trovasse lì.
Perché poi proprio tra gli Amanto, anche era loro nemica
visto come
aveva ammazzato quello che doveva essere un suo
“compagno” ma
c’era comunque una leggera inclinazione in quella
curiosità, non
si fidava completamente di lei e per questo fissava imperterrito la
spada di Reiko.
La ragazza non degnava di uno sguardo a quegli
strani tizi che la seguivano nonostante avvertisse un certo astio tra
di loro verso la sua figura, represse ogni pensiero e si
concentrò
sulle varie tracce che aveva lasciato per ricordarsi il sentiero.
“Ragazzi ma qui abbiamo un segugio!”
ironizzò Sakamoto
vedendo la ragazza annusare l’aria e alcuni alberi ma
deglutì a
fatica quando i suoi occhi incontrarono quelli glaciali e rabbiosi di
Reiko. “Scherzavo!” affrettò a dire
questi alzando le mani con
il palmo aperto.
La ragazza grugnì rumorosamente chiudendo svelta
gli occhi, sentendoli vagamente caldi “Ti conviene non farmi
innervosire.”
“Perché?” chiese Katsura guardandola
sottecchi. Reiko aprì nuovamente gli occhi e lo
fissò, poi gli
rivolse nuovamente le spalle e continuò a camminare non
rispondendo
alla domanda del ragazzo.
“Che strana…” commentò Gin
grattandosi freneticamente la nuca con una mano coperta ancora di
sangue.
Reiko osservò il cielo e socchiuse lievemente gli occhi
incontrando la sfera luminosa del sole. C’era un bel sole
nonostante poco prima si fosse combattuta una battaglia cruenta dove
uomini e alieni avevano perso la vita, alcuni a causa sua. Aveva
privato forse una donna di un marito o un bambino di un padre e
questo la rammaricava ma dopotutto quando si va in guerra sai cosa
lasci, ma non sai cosa trovi. Si volse indietro per costatare se quei
quattro fossero ancora alle sue spalle e, quando ne fu certa,
continuò a proseguire verso il loro accampamento, sentiva
stranamente caldo e vide la vista appannarsi a tratti ma
cercò di
continuare incurante di quegli strani avvenimenti. Sakamoto
notò che
la ragazza cominciava a traballare e che si appoggiava pesantemente a
un tronco di un ciliegio e corse verso di lei per aiutarla seguito da
Zura.
“Ehi, tutto bene?” chiese visibilmente preoccupato
tendendogli una mano. La ragazza la scacciò con uno schiaffo
e si
tolse gli anfibi e le calze, per rimanere completamente scalza, e
tornò a seguire la strada che aveva trovato tra gli odori e
i
suoni:
“Propongo di lasciarla, quella ragazza, secondo me, non
sa nemmeno dove ci troviamo.” Esordì Takasugi
incrociando le
braccia al petto.
“Ma che dici?? E poi non sta tanto bene, anche
se non lo vuole dare a vedere, non possiamo abbandonarla. Appena
arriviamo all’accampamento, la facciamo visitare dal
medico.”.
Propose Katsura osservando la figura di Reiko camminare a passi
sbilenchi ma decisi. Attraversarono un prato verde smeraldo
sovrastato da salici e da rocce bianche come la luna, in seguito
attraversarono un fiume. Qui la ragazza dovette accettare a mala
voglia l’aiuto di Sakamoto ad attraversarlo ma non lo
ringraziò,
facendo sbottare il castano in una risata fragorosa. Giunsero in
un’altra foresta, fatta questa volta da ciliegi, e i samurai
la
riconobbero, era quella che c’era nelle vicinanze del loro
accampamento e si dovettero ricredere
sull’affidabilità di Reiko.
Quel profumo così famigliare entrò prepotente
nelle narici di
Gintoki facendolo sorridere, profumo di casa.
Arrivati ad avere
dinanzi ai loro occhi il dojo dove passavano le giornate prive di
guerra, i quattro samurai si voltarono in direzione della ragazza di
spalle che li aveva condotti fino a lì, era stata di parola,
con
grande sorpresa di Takasugi e Katsura.
Zura stava per parlare
quando vide la ragazza accasciarsi a terra priva di sensi con il
kimono nero a fiori macchiato di rosso alla spalla sinistra e il
sangue che scendeva copioso fino al braccio e insozzando la mano
bianca e il suolo. Corsero verso di lei e Sakamoto la alzò
da terra
prendendola in braccio.
“Ha la febbre alta!” gridò questi
sentendo il forte calore che emanava quel corpo e che entrava nella
sua pelle.
“Svelti, al medico!” Gridò Gin entrando
nel dojo
e percorrendo strada ai compagni.
“Ma non sembrava ferita…”
esordì Katsura guadando la ragazza nelle braccia del
compagno che
sembrava realmente preoccupato per quella sconosciuta.
“Che
stupida!” commentò Takasugi seguendo i compagni
verso la stanza
del medico.
I quattro entrarono prepotentemente nella stanza che
il dottore solitamente usava per curare le ferite di guerra e
Sakamoto posò su una lettiga il corpo esile e cinereo di
Reiko
mentre i suoi compagni parlavano con il medico.
“Yasushi, devi
fare qualcosa per questa ragazza!” Esclamò Zura.
“E’ ferita
ma non sappiamo come e dove di preciso.” Continuò
Gintoki
indicando con il capo la ragazza.
Yasushi era un uomo piuttosto
avanti con l’età, un samurai ritiratosi per
inseguire i suoi sogni
di medicina. Posò i suoi occhi grigi come la cenere sul
corpo della
ragazza e le slacciò lievemente il kimono per esaminarla
meglio, si
grattò la testa e si volse sui quattro samurai e li
notò piuttosto
imbarazzati.
“Cosa c’è?” chiese ingenue
l’uomo passandosi
una mano nei capelli corti e neri come la pece.
“La vuoi
svestire davanti a noi?” chiese acido Takasugi, lievemente
innervosito.
Il medico guardò il corpo svenuto della ragazza cui
aveva quasi scoperto il petto e si rese conto che era una grave
mancanza di rispetto nei confronti di una signorina. Fece cenno con
la mano di uscire ai ragazzi e continuò a occuparsi della
sua
paziente.
Le slacciò completamente il kimono e osservò il
braccio sinistro di Reiko coperto completamente di sangue,
apparentemente non sembrava ferito e passò oltre per
arrivare alla
spalla. Qui spalancò gli occhi, la scapola era stata
completamente
trapassata da una lama, ipoteticamente, e gli aveva creato un grosso
squarcio da cui usciva molto sangue, notò che intorno alla
ferita
c’erano dei residui di fili, evidentemente quella ferita
doveva
essere già stata curata ma i punti avevano ceduto.
Sopirò scuotendo
la testa e pulì il braccio e la ferita con
dell’acqua e del
disinfettante, ringraziando il cielo del fatto che fosse svenuta e
che non potesse gridare o imprecare dal dolore, per poi suturarla
nuovamente e bendarla stretta, affinché i punti non
cedessero più e
limitassero i movimenti della giovane.
Nel cercare di rivestirla,
notò oltre ai vestiti completamente intinsi di sangue, una
strana
cicatrice lunga e stretta che le percorreva la schiena dal costato
fino alla nuca.
“Ma che diavolo è?” esclamò
sorpreso l’uomo.
Piccola
fic trovata nei meandri del mio computer... La sto rivedendo e
soprattutto ricordando cosa volevo scrivere!! XD Spero mi
facciate sapere cose ne pensate, anche perché
è la
prima volta che maneggio questi personaggi! ^_^'
Un
bacione dalla Lu! :*
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Capitolo 2 *** Le ciliegie si mangano meglio in tranquillità ***
Somewhere
I Belonge
La
luce la infastidiva, penetrava tra
le sue palpebre sottili e stuzzicava i suoi occhi chiari sensibili a
quel bagliore. Si portò una mano in volto e si
strofinò i suoi due
cristalli fino a cercare di mettere a fuoco dove si trovasse ma non
riconobbe il luogo: era una stanza con il pavimento verde scuro su
cui era steso un futon di un grigio pallido dove era coricata lei, le
pareti erano bianche e spoglie ed in alcuni punti verdi per via
dell’umidità. Si tirò a sedere e si
guardò intorno con gli occhi
socchiusi: era tutto così strano per lei. Cercò
di muovere il
braccio sinistro ma qualcosa la tirava e le limitava i movimenti,
sbuffò e si guardò intorno. Notò che
seduto all’angoletto c’era
quello strano ragazzo dai capelli strani ricci, intento a dormire
rumorosamente ed affianco a lui, sonnecchiava l’altro ragazzo
con i
capelli castani, quello che è stato tanto gentile con lei.
Spostò
ancora lo sguardo e vide gli altri due samurai dormire compostamente
e tranquilli appoggiati al muro.
Erano rimasti a vegliare su di
lei o non avevano altra stanza per dormire?
Si alzò dal futon e
cercò di aggiustarsi il kimono ma non ci riuscì,
era stato
sostituito da dei boxer enormi con delle fragole e da una maglietta
bianca legata in vita da un laccio. Si guardò i vestiti
sbuffando
nuovamente e si diresse silenziosa alla porta, cercando di non fare
troppo rumore nell’aprirla ed uscì da quella
stanza per capire
dove si trovasse di preciso. Prima rivolse un’occhiata a quei
strani tizi e ricordando i fatti accaduti, dato l’ora molto
probabilmente il giorno prima: li aveva trovati nel campo di
battaglia e condotti nel loro accampamento per la strada secondaria,
svenendo quando si trovò di fronte all’edificio,
poi più nulla.
Sospirò esausta, grattandosi un poco la testa cercando i non
sfaldare lo chignon che legava i suoi capelli castani e
cominciò a
camminare per il lungo corridoio dalle mura identiche a quelle della
stanza, un brivido freddo le attraversò la schiena nel
vedere tanto
gelo in quello strano edificio.
Camminò ancora e raggiunse una
stanza con un piccolo angolo cottura ed un tavolino basso con dei
cuscini intorno. Aprì la porta di quella stanza e vi
entrarono
dentro i raggi del sole, riscaldando quell’ambiente
così tetro e
cupo, e scorse il panorama verde che si vedeva lì fuori ma
una
pianta colpì la sua attenzione: un ciliegio era in frutti ed
il suo
volto s’increspò in un sorriso.
Gintoki
si svegliò grazie ad un odore
dolce che entrava prepotentemente nelle sue narici, era qualcosa di
zuccheroso e molto invitante per la sua voglia matta di dolci e si
alzò dal suo posticino per dirigersi assonnato e traballante
verso
la cucina. Aveva gli occhi chiusi e seguiva la strada attraverso
quell’odore così buono e dolce, evitando ostacoli
e le travi
troppo cigolanti. Arrivò alla cucina ed aprì
completamente gli
occhi magenta, cercando di guardare oltre quella coltre di luce che
riempiva la stanza e trovò quella strana ragazza intenta e
rigirarsi
tra le bacchette una specie di frittata con sopra una salsa rossa.
Reiko alzò lo sguardo dal piatto ed abbozzò un
sorriso rivolto
all’argenteo che si grattava freneticamente la nuca con gli
occhi
ancora impastati dal sonno.
“Buongiorno.” Lo salutò la
castana prima di infilarsi nella bocca un pezzo di cibo.
“Ce ne
è dell’altra?” chiese Gin concentrandosi
più sul piatto che
sulla persona che era di fronte ad esso. La ragazza lo
guardò
interdetta ed indicò con le bacchette il lavabo.
L’argenteo si
avvicinò verso il piano cottura e vi trovò un
piatto largo con
dentro altre sei frittate simili a quella di Reiko. Ne prese una e si
sedette di fronte alla ragazza, che continuava a rigirarsi un pezzo
di pietanza per poi mangiarlo.
“Che cos’è?” chiese
l’argenteo, rivolto alla ragazza, prima di assaggiarlo.
“Frittata
dolce con salsa alle ciliegie.”
Gin affondò le bacchette in
quella roba gialla e ne prese un grande pezzo e lo ingoiò.
Era
squisito, quella ragazza sapeva cucinare benissimo. Sentì
dei passi
pesanti avvicinarsi alla cucina e non doveva essersene accorto solo
lui visto che Reiko lo guardava interrogativamente con i suoi occhi
di ghiaccio.
“Disgraziata! Ti ho visto, sai? Ti sei arrampicata
su quel ciliegio, ignorando le fasciature! Disgraziata che non sei
altro!” Yasushi era entrato come una furia nella stanza e
puntava
un dito verso la castana che non sembrava per niente intimidita dagli
occhi e dal viso paonazzi del medico.
“Perché non prendi una
frittata dolce? Piace anche al ragazzo con la permanente.”
Sorrise
innocentemente Reiko puntando le bacchette al ragazzo di fronte a
sé.
“Ehi, i miei ricci sono naturali.”
Precisò Gintoki
toccandosi la capigliatura argentea. In quel momento entrarono come
razzi Sakamoto e Katsura nella cucina, svegliati di soprassalto a
causa delle urla del medico.
“CHE COSA E’ SUCCESSO??”
urlarono in simbiosi i due samurai con gli occhi spalancati.
“E’
successo che questa ragazzina vuole proprio morire
dissanguata!”
puntualizzò Yasushi, calmatosi.
“Che faccia pure!” commentò
acido Takasugi arrivato anch’esso in cucina ed appoggiatosi
sulla
soglia della porta a braccia incrociate.
“Perché? Cos’ha?”
chiese un Sakamoto preoccupato al medico.
“Gli hanno squarciato
una spalla e lei tranquillamente si arrampica sugli alberi a cogliere
ciliegie! Secondo te a cosa ti servono le fasciature che hai sulla
spalla?” chiese il medico rivolto a Reiko.
“Ma con quelle non
potevo muovermi…” ammise la castana grattandosi la
nuca.
“Appunto! A quello servivano e tu le hai tolte! Ma dico,
sei pazza o scema?” urlò Yasushi diventando viola
dalla
rabbia.
“Su, ora non litigate, piuttosto Reiko come stai?”
chiese Zura osservando il piatto della ragazza con fare
voglioso.
“Bene. Lì ce ne è anche per
voi.” Disse alzandosi
dalla tavola e posando il piatto sporco nel lavabo. Si sedette ad un
angolo della stanza guardando fuori la porta che dava al giardino.
Socchiuse gli occhi perdendosi in quel paesaggio così bello
e
fresco, non sentendo i commenti dei samurai che si facevano sentire a
gran voce.
“Squisita questa frittata!” esclamò
felice come un
bambino Sakamoto divorando il dolce.
“Molto buono! Complimenti
Reiko!” squittì Zura.
Sentite quelle parole, Reiko sorrise
appena e voltò lo sguardo verso Takasugi che mangiava
tranquillo la
frittata, i loro sguardi s’incontrarono per un istante ma la
ragazza lo tolse immediatamente sentendo una mano posarsi leggera
sulla sua spalla.
“Andiamo a medicare la ferita.” La
invitò
Yasushi a seguirlo. Annuì lievemente e si alzò
dal suo posto,
seguendo il dottore nella sua stanza.
“Posso
farti una domanda?” chiese
Yasushi mentre passava un unguento dal dubbio odore sulla spalla
sinistra di Reiko, intenta a fissarlo intensamente. Annuì
drizzando
le orecchie per sentire meglio l’uomo.
“Dove te la sei fatta
quella cicatrice?” La ragazza sgranò gli occhi e
guardò a terra
mortificata non rispondendo alla domanda dell’uomo.
“Scusami,
io…” affrettò a dire ma fu bloccato
dalla mano alzata di
Reiko.
“No, non si preoccupi. Diciamo che ho avuto dei brutti
avvenimenti in passato.” Rispose questa, tirando un sorriso e
Yasushi non indagò oltre per non turbarla più del
dovuto. Era così
giovane, così piccola, le ricordò lievemente la
sua piccola
bambina, Ai, ma si ripercosse dai suoi pensieri sentendo la domanda
di Reiko.
“Posso chiederle una cortesia?”
“Dimmi pure,
cara.” Sorrise l’uomo completando la fasciatura
alla
spalla.
“Potrebbe insegnarmi l’arte medica? Vorrei
diventare
un medico anch’io e rendermi utile.”
Confessò la ragazza
sorridendo.
“Quindi hai intenzione di rimanere qui, nella
fondazione Joui?”
“Se non è’ un problema. Purtroppo non ho
più nessuno o un posto dove tornare e vorrei ringraziarvi
per
esservi preso cura di me, non sono tanto brava a
parole…”
“Per
me non ci sono problemi, ragazza!” sorrise Yasushi battendole
una
pacca sulla spalla appena fasciata, la ragazza chiuse un occhio dal
dolore e gli sorrise riconoscente.
“Dov’è il mio kimono?”
chiese poi la castana mettendosi in piedi di fronte al medico,
l’uomo
le sorrise e l’accompagnò verso il giardino sul
retro. In quel
momento si stavano allenando Katsura e Takasugi mentre Sakamoto li
osservava e Gintoki dormiva, Reiko vide il suo kimono appeso ad un
filo ma era troppo in alto e non poteva cerco arrampicarsi con le
fasciature appena ultimate, decise di sedersi vicino al castano ed
osservare l’allenamento.
“Ciao piccola Keiko!” la
salutò felice come un bambino il ragazzo “Stai
meglio?”
“Si.
Oggi non c’è nessuna guerra?”
“Strano ma degli Amanto
nessuna traccia ma è meglio non farsi trovare impreparati.
Ahahah!”
rise di gusto Sakamoto svegliando il povero Gin che ormai aveva la
bava alla bocca.
“Eh?” disse l’argenteo beccandosi
un’occhiata interrogativa dalla ragazza.
E questi avrebbero
sconfitto alcuni eserciti degli Amanto? Pensò
sconvolta la
ragazza cercando di non far trapelare le sue emozioni. Ad un tratto
le venne in mente una cosa e si rivolse al castano affianco.
“Ehi
tu! Come ti chiami? E loro?”
“Ah giusto! Non ci siamo
presentati. Allora, io mi chiamo Sakamoto, quello lì che
dorme
sempre Kintoki, quella con i capelli lunghi Zura e l’altro
Takasugi!”
“E senti Saka, avete per caso il
bagno?”
“Tranquilla piccola, ti hanno lavato ieri sera. Eri
messa maluccio ed avevi anche la febbre ma grazie a Yasushi sei
tornata come nuova.”
“Ehi tu, ragazza!” sbraitò Kintoki
agitando una mano “Cucina stasera!”
“Non sono mica la donna
delle pulizie o delle cucine!” ribatté acida la
ragazza che si
stava innervosendo. Ma per chi l’avevano presa? Yasushi
intervenne
in suo aiuto.
“Gin non passerà tutta la sua convalescenza a
preparare da mangiare oppure a rassettare, sarà mia allieva
e le
insegnerò tutto ciò che bisogna sapere sulla arte
della medicina!”
rispose gonfio d’orgoglio l’uomo e sorridendo a
trentadue denti.
In quel momento sopraggiunsero anche Zura e Takasugi, stremati
dall’allenamento.
“Quindi, questa mocciosa rimarrà qui.”
Concluse acido il moro asciugandosi il volto con uno straccio. La
ragazza per tutta risposta si alzò dal suo posto e
tornò nel dojo,
imprecando dentro di lei nel non potergli spaccare la faccia come si
deve.
Yasushi cominciò a ridere come un pazzo seguito a sua volta
da Sakamoto, anche se non ne capiva il senso.
“Perché ridete?”
osservò calmo Katsura con una gocciolina di sudore che gli
colava
dall’attaccatura dei capelli.
“Ahahah! Quella ragazza ha
carattere! Comunque sia Takasugi, si rimarrà qui. Diciamo
che è il
suo modo per dirvi grazie.”
“Per me è solo una mocciosa che
ha avuto fortuna nell’ammazzare un Amanto!”
continuò Takasugi
con il suo solito tono “pacato”.
“Vi ho sentito, brutti
bastardi!” strillò Reiko, tornata
nell’entrata che dava al
giardino sul retro, con due occhi che non promettevano nulla di
buono.
“L’ho fatto apposta, mocciosa!”
“Senti
Bakasugi, a me non importa un fico secco di quello che pensi su di me
ma ti avverto, se mi farai arrabbiare non risponderò delle
mie
azioni, che non sono semplici colpi di fortuna, chiaro?”
“Come
mi hai chiamato? Non solo eri nello schieramento degli Amanto ma ora,
dopo esserti intrufolata nel nostro accampamento, offendi anche? Vedi
di fare attenzione a come usi la tua lingua o te la
taglio!”
“Provaci, che ti cavo gli occhi!” i due ormai erano
a pochi centimetri di distanza e si guardavano negli occhi, o almeno
fin quanto Reiko potesse alzarsi sulle punte e potesse raggiungere
l’altezza di Takasugi. Il ragazzo notò che le sue
iridi stavano
cambiando colore e da azzurre stavano diventando viola e man mano
andavano a schiarirsi, prendendo sfumature scarlatte.
“Che hai
agli occhi?” domandò Takasugi osservandoli meglio.
La ragazza gli
chiuse immediatamente e ispirò a fondo, per quanto si era
innervosita non si era accorta che erano cominciati a scaldarsi ed a
cambiare. Si allontanò dal ragazzo e corse via, per
raggiungere la
camera da letto e sedendosi all’angoletto. Gli
aprì lentamente e
cercò di tastarsi le iridi, togliendo immediatamente le dita
per il
troppo calore emanato, ispirò a fondo varie e varie volte
prima di
farli almeno intiepidire. Si alzò da terra e
cercò per la stanza
qualcosa che potesse riflettere la sua immagine, trovando solo un
catino d’acqua fredda. Si sporse lievemente su quello
specchio
improvvisato e trovò due ametiste posate sugli occhi.
Sospirò
soddisfatta e sentì la porta aprirsi alle sue spalle, scorse
la
capigliatura castana di Sakamoto che era entrato nella stanza per
vedere come stesse la ragazza e la trovò chinata su un
catino
d’acqua a fissarsi gli occhi.
“Ehi piccola!”
“Che c’è?”
rispose brusca chiudendo gli occhi.
“Ho visto i tuoi occhi,
erano rossi come il sangue. Perché?”
“Non sono affari tuoi,
anzi vostri!” sbottò la ragazza alludendo ai tre
che udivano
dietro la porta. Da questa entrarono i samurai entrarono abbassando
il capo e grattandosi la nuca freneticamente. La ragazza
alzò gli
occhi al cielo e sorrise lievemente ma si bloccò.
Sentiva uno
strano odore portato dall’aria, sgranò gli occhi
riconoscendone il
proprietario e cominciò ad indietreggiare per allontanarsi
da
Sakamoto e gli altri. In quel momento comparve Yasushi ed in mano
aveva il kimono scuro della ragazza, essa glielo strappò di
mano e
lo indossò, togliendosi con foga quegli stracci che la
coprivano e
cercò con gli occhi i suoi anfibi ma non li
trovò. La sua schiena
chiarissima era segnata di cicatrici più o meno profonde,
come tutto
il corpo fragile e pallido. Quella scena era sia bellissima che
fastidiosa, dava un senso di macabro e di tristezza.
“Devo
andare.” Disse uscendo dalla finestra e cominciando a correre
verso
gli alberi.
“Tornerai?” quella domanda era uscita di getto
dalla bocca di Gintoki, che fu colpito da sguardi incuriositi e
stupiti.
La ragazza si bloccò di scatto ma non si volse verso i
samurai “Chiedilo ai ciliegi…”
mormorò prima di scappare
nuovamente.
“Aspetta! Le fasciature…”
provò a dire il
medico chiamandola, ma non riuscì a bloccarla.
Salve
eccomi qui di nuovo!
Non ho molto da dire, solo che ho allegerito un po' i toni
con i boxer con le fragole... Chissà a chi apparterranno! XD
Yasushi fa del "Disgraziata" la propria filosofia di vita (tale mia
madre!), ma mi piace come personaggio!
Bakasugi è un soprannome che mi piace troppo! Ahahahah!
Beh,
spero che il cpaitolo vi piaccia e che mi farete sapere una vostra
opinione! Ringrazio Silver Fede che ha recensito lo scorso capitolo! =)
Un
bacione forte dalla Lu! =*
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Capitolo 3 *** Chi fa da se.... Non fa un bel niente! ***
cap.3
Somewhere
I Belonge
Reiko
correva, correva a perdi fiato
tra gli alberi che la dividevano dalla persona che emanava
quell’odore familiare. Sentiva quella fragranza sempre
più vicina,
la sua irrequietezza prendere il sopravvento sulla sua
razionalità,
il calore pervadergli le iridi turchesi colorandole di rosso vivo e
fremiti che le innervosivano le dita delle mani.
I fusti verdi
degli alberi le sembravano tutti uguali e tutti fastidiosi,
impedendole di vedere cosa ci fosse davanti a sé, tutto le
scorreva
veloce ma lei voleva raggiungere ancora più velocemente
quell’odore,
voleva vedere quegli occhi maligni.
Arrivò ad una radura
circondata da salici e si guardò intorno ispirando con il
naso,
trattenendo l’aria e quell’odore che
l’aveva spinta fino
lì.
“Ben arrivata, Reiko.” tuonò una voce
alle sue spalle.
Yasushi
camminava sotto e sopra per la
cucina imprecando di continuo verso la ragazza:
“Quella
disgraziata! Le avevo appena finito le fasciature, se si riaprisse la
ferita morirebbe di sicuro!”
“Yasu calmati, avrà avuto le sue
buone ragioni.” Cercò di calmarlo Katsura mentre
seguiva i passi
del medico con lo sguardo.
“Forse perché puzziamo! Ahahah!”
“Sakamoto smettila!” lo rimbeccò
Takasugi.
“Non si è
portata nemmeno la katana” osservò Gin guardando
la spada che
Reiko aveva lasciato nel dojo. L’elsa era intrecciata con
nastri
neri e magenta mentre il fodero era di un marroncino-rossiccio lucido
come la lama, sicuramente. Non seppe spiegarsi la preoccupazione che
aveva sulla pelle ed aveva anche un brutto presentimento che sperava
andasse via subito.
“Se mi ritorna con la fasciatura sfatta, mi
arrabbio seriamente e se la vedrà con me!”
sbraitò Yasushi
inveendo verso il cielo.
Sakamoto e Gin risero sommessamente
mentre Takasugi e Katsura tirarono un sorriso.
Reiko
guardava quella figura nera
avvicinarsi verso di lei a passo lento ma deciso, lo strano cappello
di bambù a coprirgli il viso e gli occhi, il kimono bianco e
nero a
fasciargli stretta la vita e le spalle.
“Non dici niente, cara?”
le chiese il tizio con un sorriso falso.
“Perché sei qui?”
grugnì arrabbiata, nervosa.
“Solo questo? Pensavo fossi
contenta di vedere una persona a te cara…”
“Cara?” quella
parola le era uscita come un sibilo. Come si permetteva di definirsi
anche lontanamente una persona?
“Ricorda che con noi hai un
legame che va ben oltre il normale legame tra soldati.”
“Noi
non abbiamo alcun legame, Shinji!”
“Che peccato...” mormorò
l'Amanto mettendo la mano sull'elsa della sua spada, togliendola dal
suo giaciglio, e mostrando la lama agli occhi rossi di Reiko.
“Mi
attirano sempre i tuoi occhi rosso sangue... Forse perché
assomigliano ai miei, Reiko.”
La ragazza grugnì ed
istintivamente portò la mano al suo fianco alla ricerca
della spada
ma non la trovò. Maledizione! Sarebbe
morta di certo, non
avrebbe avuto speranze: Shinji era invincibile con la spada. Un vero
demonio.
Deglutì a fatica non togliendo gli occhi dalla lama.
Ripensò alla sua vita fino ad allora: niente di buono aveva
fatto.
Niente. L'unica cosa che poteva fare era allontanarlo dalle vicinanze
dell'accampamento Joui: l'avevano salvata, curata e accolta
nonostante prima facesse parte dell'esercito degli Amanto. Aveva
ucciso un capitano degli alieni ed era considerato alto tradimento
questo: era condannata a morte in pratica e gliela avrebbe data
Shinji.
“Sai, per ora nessuno sa che hai ammazzato uno dei
nostri comandanti... Puoi sempre redimerti se vuoi... Prima che ti
ammazzi...”
“MAI!” urlò Reiko, con gli occhi ormai
neri,
correndo contro l'alieno con tutta la forza che le era
rimasta.
Shinji ghignò.
Erano
passati due giorni da quando
Reiko aveva abbandonato il dojo dei Joui e gli Amanto avevano fatto
una scaramuccia di poco conto, fortunatamente sedata da Sakata e
Kotaro. C'era una calma irreale e di solito non era un buono auspicio
per i samurai.
Yasushi ogni sera rimaneva per circa mezz'ora ad
osservare il bosco nella speranza di vedere la figura della ragazza
in ritorno, ma niente di niente. Sperava solo che non le fosse
successo niente di grave e che fosse ancora viva. Gli doveva delle
spiegazioni e tante. I quattro samurai che conoscevano la ragazza
non cercavano di farlo desistere, anche se Takasugi gli ripeteva
continuamente che era completamente inutile e che molto probabilmente
non sarebbe mai tornata oppure era morta.
La terza notte, come al
solito, il medico era seduto ad osservare l'orizzonte nell'attesa che
una figura si stagliasse ai sui occhi. Attese ancora un po' ma poi
decise di rientrare ed aspettare che arrivasse il giorno seguente per
ripetere ormai quello che era diventato un rito.
Un rumore di rami
lo fermò all'improvviso. Si volse alle sua spalle e
sgranò gli
occhi: era Reiko completamente coperta di sangue che si trascinava
lenta e zoppicante verso il dojo. Sorrise lievemente appena i suoi
occhi affaticati incontrarono quelli stupiti di Yasushi avvicinarsi
velocemente e prenderla prima che potesse toccare il suolo con la
faccia.
“Scusami... Le.. Le fasciature... Sono sfatte...”
mormorò prima di svenire.
Yasushi entrò come una furia nel
casolare e tra le braccia stringeva il corpo di Reiko privo di
conoscenza. Attraversò il corridoio diretto nella sua sala
medica ed
incrociò Sakamoto in compagnia di Katsura.
“REIKO!” gridò
Tatsuma preoccupato “Cosa l'è successo?!”
“Non lo so... E'
arrivata così! Aiutatemi!”
I due samurai l'aiutarono a
stenderla sulla lettiga ed a spogliarla: il suo corpo era
completamente coperto da tagli, lividi e contusioni, la pelle era
completamente rossa per quanto sangue aveva perso.
“Maledizione!
Ha un emorragia al ventre ed un infezione alla spalla...”
disse
Yasushi esaminandola “Una braccio rotto ed alcune costole
fratturate... Ma contro cavolo ha lottato? Presto Zura! Acqua calda e
molte pezze pulite! Veloce!” urlò il medico
arrabbiato.
“Mi
chiamo Katsura, no Zura!” precisò il samurai
correndo a prendere
l'occorrente.
“Cosa cavolo vuoi che me ne freghi di come ti
chiami, razza d'idiota!”
“Yasushi cerca di calmarti...”
provò Sakamoto ma fu zittito dall'urlo dell'uomo.
“Idiota! Sai
che potrebbe morire? Vammi a prendere dei vestiti puliti e vedi dove
cavolo è finito quel capellone!”
Il samurai annuì mesto e
corse fuori dalla stanza. Yasushi cominciò a premere sul
ventre per
cercare di fermare l'emorragia ed intanto parlava alla giovane
“Non
morire! Se muori giuro che ti ammazzo!”
Reiko
era finalmente stabile ed al suo
capezzale erano presenti anche Gintoki e Takasugi. Il primo era
preoccupato per le condizioni della giovane mentre l'altro era
stupito del ritorno della ragazza, che molto probabilmente si era
scontrata con un macellaio per come era ridotta.
“Ora come sta?”
chiese Sakamoto cercando di formulare la domanda lentamente per non
far scattare la molla di Yasushi.
“E' stabile. Purtroppo ci
vorrà un bel po' prima che recuperi coscienza... Ha avuto
una brutta
battaglia... Vorrei proprio prendere il responsabile di
ciò!”
“Forse
è un alieno?” propose Takasugi.
“Magari qualcuno deciso a
vendicare il suo tradimento...”
“Non credo, Zura. Se fosse
stato così sarebbero venuti per tutti non solo per
lei...” disse
Gintoki.
“Non si chiama Zura... Ma... Katsura...”
Un
mormorio provenne dal futon dove giaceva Reiko completamente bendata.
I quattro uomini si chinarono verso di lei, curiosi di sapere le sue
condizioni.
“Come stai, bambina?” chiese il medico, che era
più vicino a lei.
“Come... Un... Un...” deglutì a fatica
“Uno straccio...”
“Non dovresti sforzarti...” le suggerì
Sakamoto non appena la vide che voleva mettersi seduta.
“No...
Ce la faccio...”
“Dove sei stata per tutto questo tempo?” le
chiese nuovamente Yasu.
“Ero troppo... Stanca per tornare
subito... Qui... Ci ho messo... Più tempo” rispose
mesta la
ragazza chiudendo gli occhi ogni tanto.
“Contro chi hai
combattuto?” chiese Gin avvicinandosi un po' di
più al
letto.
“Era... Un'Amanto... Stava per avvicinarsi qui... Al
dojo...”
“E tu l'hai allontanato?”
“Si, Katsura...”
sorrise appena nel pronunciare il vero nome del samurai.
“Sei
una stupida!” gridò Yasushi “Potevi
morire! Hai presente che
significa?”
“Una sola azione non basta... Per rimediare mille
cattive... Ma è sempre meglio compierla una
buona...”
“Chi
era quello che ti ha ridotto così?” chiese
Takasugi.
“Non
posso... Dirlo...”
“Parla!” le ordinò il moro.
“No...
No...” gli occhi della ragazza erano terrorizzati, aveva
paura e
molta. Ora che Gin l'osservava, sembrava davvero una bambina
minuscola... Troppo piccola per saper combattere e per poter vivere
la realtà della guerra.
“Devi dircelo! Ti vendicheremo noi...”
“No... Morireste Sakamoto.... E' troppo... Troppo per
voi...”
mormorò piena di paura Reiko “E poi...”
“Poi?” dissero
l'unisono i samurai.
“Non posso dirvelo... Non posso...”
“Dillo
a me.” propose Yasu.
Reiko lo guardò attentamente, gli occhi
completamente sgranati dal terrore “No... Morirete! Lui
è uno dei
capi... Tendoshu... Controlla i fili... Ogni Amanto...”
assemblava
parole senza un filo logico, era completamente scossa.
Cominciò a
tremare e si prese il capo tra le mani “La sua voce... i suoi
occhi... Rossi...”
“Meglio che le dia un po' di calmante... E'
troppo impaurita...” suggerì il medico alzandosi
per prendere il
necessario.
“Reiko... Reiko!” la chiamò Sakamoto
togliendole
le mani dalla testa “Ora tu riposa, ma dopo vogliamo quel
nome...”.
La ragazza annuì sommessamente e si stese nel suo
futon, aspettando il medicinale di Yasushi.
Ciau a tutti! ho
avuto un po' di impegni ma il capitolo era già scritto e
allora non ho fatto tanta fatica... ^^'
Qui piano piano si svela il passato di Reiko e ciò che la
lega con gli Amanto... Mi piaceva il fatto che lei chiami Zura con il
suo vero nome... boh, son strana io! xD
Grazie mille a chi ha recensito lo scorso capitolo ed a chi lo ha
letto! Alla prossima!
Un bacione forte dalla Lu! :*
P.S. Ho ripostato il capitolo perché alcuni non lo riuscivano a visualizzare correttamente! V.V
|
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Capitolo 5 *** Occhio per occhio... ***
cap. 4
Somewhere
I Belonge
Rumori.
Tantissimi rumori le arrivavano nelle orecchie. Risate e tintinnio di
bicchieri.
Aprì gli occhi a mala voglia e notò che la sua
stanza
era completamente buia; chissà da quanto dormiva?
Si mise a
sedere sul suo futon e si stropicciò gli occhi ancora
impastati dal
sonno, provò ad alzarsi, ma una mano le fu praticamente
inutilizzabile e bendata e non poteva appoggiarla a terra. Era anche
la destra.
Maledizione! Con che impugnava ora la spada?
Riuscì
ad alzarsi e provò a fare dei passi verso la porta;
lentamente
arrivò ad essa e l'aprì. Camminò lenta
per il corridoio, seguendo
quelle voci allegre che si facevano sempre più forti.
“Kintoki!
Kintoki sta vomitando!”
“Ho bevuto troppo... Mamma mia! Zura!
Maledetto stronzo!”
“Non
mi chiamo Zura. Sono Katsura, idiota!”
Stavano...
Bevendo?
Entrò nella stanza e
trovò i quattro samurai completamente ubriachi: Sakamoto
gridava e
rideva come un pazzo mentre Gintoki vomitava anche l'anima dentro un
catino aiutato da Yasushi, Zura era accanto a Takasugi intenti a
scolarsi a testa una bottiglia di saké bianco. Non appena
notarono
la sua entrata, Sakamoto e Yasushi l'accolsero.
“Ti sei
ripresa!” ululò il capellone.
“Disgraziata, devi stare a
riposo...” continuò Sakamoto.
“Ma se ha dormito per due
giorni di seguito, Yasu...”
“Due... Due giorni?” si stupì
Reiko “E' tantissimo...”
“Abbiamo anche vinto una
battaglia!” squittì felice come un bambino
Sakamoto “Dovevi
vedere Kintoki e Zura sterminare un'intera guarnigione di
Amanto.”
“Cretino! E' Gintoki! Gintoki!” urlò
l'argenteo
straziato dall'alcol.
Reiko fissò il samurai: come poteva uno
come lui essere considerato il Demone Bianco? Ormai era una leggenda
tra gli Amanto, le sue vittime erano innumerevoli e le voci su di lui
erano arrivate anche ai vertici dell'esercito, toccando anche le sue
orecchie da capitano. Shinji anche ne aveva parlato in uno dei suoi
allenamenti.
“E'
uno
dei più temibili samurai che ci poteva capitare, insieme a
quello
con quel ridicolo fundoshi bianco... Quest'uomo, con i suoi capelli
d'argento macchiati di sangue sul campo di battaglia,è in
realtà un
demonio! Presta bene attenzione, però, e non lasciarti
intimorire: è
solo un umano e tu sei molto di più!”
Girò
lo sguardo verso Takasugi e lo trovò a bere come una spugna
il suo
saké, il moro si accorse dello sguardo della giovane e le
lanciò
un'occhiataccia.
“Che hai da guardare?”
Reiko si volse da
un'altra parte senza nemmeno rispondergli e cercò un posto
tranquillo per potersi sedere in pace e magari bere un bicchierino
per riprendersi un po'. Prese un bicchiere di liquore e decise di
sedersi vicino la finestra, così da poter vedere il panorama
che
c'era all'esterno. Si portò il bicchiere vicino alle labbra,
ma
questi le fu tolto da una mano più veloce della sua.
“Non devi
bere sotto calmanti.”
“Signor Yasushi...” mormorò Reiko
stupita.
L'uomo si sedette affianco a lei e si tracannò il
saké
in un solo sorso “Come ti senti?”
“Un po' stordita... Ma
sostanzialmente bene, grazie...”
“Figurati... Solo, che non te
la caverai con delle scuse... Ci devi delle spiegazioni, e
tante!”
“Yasushi,
voi non dovete intromettervi, è molto pericoloso e potreste
morire
sul serio. Io ci sono andata vicina...E voi lo avete notato!”
disse
decisa la ragazza “Non si sta parlando di un semplice Amanto
o di
un capitano, come lo ero io o come lo era quello che ho ucciso
davanti a loro...”. Indicò i quattro Joui, ma si
dovette ricredere
alle sue parole:non erano in condizioni da essere presi come esempi,
dato che erano completamente ubriachi e si erano addormentati.
“Io
mi chiedo perché bevono se non hanno il fisico...”
mormorò
rassegnato il medico. Si alzò dal suo posto ed
aiutò a fare
altrettanto Reiko “Tu va' a riposarti... Riprenderemo il
discorso
domani...”
“C'è un motivo per cui non ne voglio parlare con
loro...” esordì all'improvviso la ragazza. Yasushi
la guardò
interrogativamente e con lo sguardo le chiese di andare
avanti.
“L'Amanto contro il quale ho combattuto, si chiama
Shinji ed è... E' il mio creatore... Mio padre, in
sostanza...” La
ragazza cominciò a raccontare il suo passato al medico, che
ascoltava attentamente nonostante l'iniziale sgomento.
Quando
ebbe finito il suo racconto, Yasushi sgranò gli occhi, ma
non disse
niente, limitandosi a darle una pacca sulla spalla “Non siamo
noi a
decidere chi soni nostri genitori...”
Reiko sorrise appena,
sicura che l'avesse sentita solo Yasushi.
Nei
giorni seguenti, Reiko si riprese decisamente, anche se era non
ancora del tutto in forma ma comunque seguiva ancora le lezioni di
Yasushi con lo stesso entusiasmo che aveva dimostrato all'inizio.
I
ragazzi purtroppo avevano ripreso delle battaglie e sempre di meno
tornavano indietro di quanti ne partivano. Quel giorno, Zura e
Gintoki avevano iniziato un'animata discussione che era partita tutta
da Sakamoto e dalla sua idea di abbandonare il campo di
battaglia.
“Sono stufo di vedere i miei compagni morire in
un'inutile e già persa in partenza di battaglia!”
aveva detto
rivolto ai suoi amici di guerra. Katsura si era precipitato subito
nel dire la sua e sputare un discorso su una patria libera e senza
occupazione aliena, che di certo gli avrebbe compromesso il futuro.
Era
subito stato appoggiato da Takasugi con parole certamente meno
più
rosee delle sue, ma essenzialmente ripetevano il concetto dell'amico.
Quello
che stupì più di tutti fu Gintoki, a dirla tutta,
appoggiò in
pieno le idee di Sakamoto e ripeté all'infinito che la
guerra era
un'inutile perdita di tempo e di zuccheri.
“I
miei zuccheri mi servono e non voglio sprecarli per una guerra che
non ha né capo né coda.” ripeteva fino
alla nausea “E' meglio
abbandonarla prima di perdere qualcosa di serio.”
Yasushi
però non era d'accordo “Gintoki, ma ti senti
quando parli? Proprio
tu che dichiarasti che gli Amanto non avrebbero mai e poi mai
occupato il nostro pianeta, ora blateri queste cose senza
senso?”.
Reiko fissò gli occhi di Gintoki, stupefatta.
“E'
solo un codardo!” sibilò velenoso Takasugi
“Mettendoti i
paraocchi, non risolverai un bel niente! Non hai il coraggio di
affrontare la realtà e di cambiarla!”
“Codardo? A me?” urlò
Gintoki Sakata spazientito “ La mia non è
codardia, è l'istinto
di sopravvivenza che parla e che mi dice che perderemo! Tanto vale
fare seppuku, non è vero, Zura?”
“Meglio il seppuku,
piuttosto che finire i miei giorni comandato e trattato come una
bestia dagli Amanto!” replicò asciutto Katsura
“meglio la morte,
che la rovina!”
“Ma
sentitelo...” mormorò incredulo Gintoki
“Io me ne vado!”
enunciò senza troppe cerimonie e si avviò verso
il bosco.
“Non
puoi scappare da una realtà che ti seguirà fino
alla morte!
Ricordatelo razza di baka!” gli urlò alla schiena
Takasugi, più
irritato che mai, poi si volse ai compagni “Io e il mio
Kiheitai
andiamo a pattugliare i confini... Molto meglio che stare qui a
sentir idiozie!” ed uscì dalla stanza.
Reiko
balzò in piedi e seguì Gintoki nel bosco.
“Parruccone!”
urlò alle sue spalle “Gintoki! Fermati!”
Lui si fermò e si
volse verso di lei con molta calma “Che cosa vuoi?”
“Non
puoi andartene... Così! Su due piedi! E non dopo aver detto
quelle
cose!” spiegò la ragazza con il fiatone.
“E
perché non potrei, di grazia? Non mi pare di aver firmato un
contratto...”
“E invece si, con la tua anima! Non puoi
piegarla al volere di qualcun altro, perché è
quello che stai
facendo!”
“Tu
saresti proprio l'ultima che dovrebbe parlare... Tu stavi con gli
Amanto!”
Colpita
ed affondata. “E' vero! Ero con gli Amanto... Ed a essere
sincera,
tu avevi molti ammiratori nel mio dipartimento... Eri temuto,
rispettato... Elogiato...” scandì ogni parola con
dolcezza “Ma
ora, vedo solo un'egoista fifone... Che delusione...”
“Come
hai detto?”
“Tutti quegli Amanto che provavano paura per te...
Se scoprissero la verità, riderebbero per quanto erano scemi
ad
avere paura di te!”.
“Come
osi, ragazzina?” esclamò adirato Gintoki, colpito
in pieno al suo
orgoglio.
“Oso
eccome! Io ho avuto il coraggio di perseguire nelle mie scelte ma tu
no! Ti stai nascondendo nella maschera dell'indifferenza e della
rassegnazione!”
“Tu mi conosci?”
Reiko
rimase spiazzata da quella frase “No, ma...”
“Allora
faresti bene a chiudere quella bocca.”
“No,
non la chiudo. Nemmeno tu non mi conosci, ma cavolo non posso
sopportare chi abbandona i suoi compagni e non lotta per realizzare i
propri obiettivi! Avete iniziato questa guerra insieme, ed è
giusto
che la finiate insieme!”
“Potremo
morire tutti...”
“Anche
loro ne sono consci... Ed anch'io.” mormorò la
ragazza.
“Beh...”
sospirò Gintoki grattandosi svogliatamente la capigliatura
ribelle
ed incamminandosi verso il dojo “Come minimo, mi merito tre
di
quelle frittate dolci che fai tu...”
“Troppi zuccheri fanno
male e lo sai!” sorrise Reiko.
“Allora
facciamo cinque!”
“Ascolti
quando parli?”
Stavano
ancora ridendo, quanto tornarono nel dojo del gruppo Joui. Le acque
si erano calmate e il silanzio regnava nell'edificio.
“Takasugi
che fine ha fatto?” chiese Gintoki guardandosi intorno.
“E'
in perlustrazione...” gli rispose Reiko.
“Ho
un brutto presentimento...” mormorò a bassa voce
l'argenteo.
“Eh?”
“Niente! Ci vediamo tra un po'...”
Reiko
non ebbe il tempo di chiedergli niente che Sakata era già
lontano.,
sospirò facendo spallucce e raggiunse Yasushi nel suo
studio,
sperando che il fiuto del ragazzo si sbagliasse.
“Presto!
Perde molto sangue!” una voce gridò nel corridoio
e fece
sobbalzare Reiko che aveva un bisturi in mano, pronta per tagliare la
buccia di una banana, diretta dal medico suo maestro. I due medici
uscirono dalla loro stanza in fretta e si trovarono Gintoki sporco ed
affaticato che sorreggeva un Takasugi completamente coperto di sangue
in viso e privo di sensi.
“Che
cosa è successo?” chiede Yasushi facendolo entrare
nella stanza e
posandolo sulla lettiga che c'era.
“Sono
stati attaccati... Il presentimento che avevo era fondato!”
mormorò
l'argenteo.
Yasushi
pulì la ferita sotto gli occhi vigili di Reiko, che
l'assisteva, e
di Gintoki, visibilmente preoccupato per il compagno anche se
cercò
di mascherarlo il più possibile.
Il
medico sobbalzò nel vede il volto del moro.
“Santi numi!”
esclamò la ragazza portandosi una mano sulla bocca
“L'occhio...”
“Dammi
del disinfettante.” le disse Yasushi ma, vedendo che la
ragazza non
si muoveva, le urlò poi “Ora!”
Si
riscosse e, oltre al disinfettante, gli passò anche tutti
gli altri
strumenti che potessero servirgli ed assisteva il medico meglio che
poteva, anche se non poteva vedere la faccia di Takasugi per quanto
era...
“Che diavolo gli è successo all'occhio?”
urlò
Gintoki, che era stato tenuto all'oscuro di tutto.
I due medici
non gli risposero e continuarono il loro operato, lasciando il
samurai come un fesso, all'ignaro del vero.
Quando
ebbero finito, Yasushi prese di parte Gintoki e lo portò
fuori dalla
stanza, lasciando Reiko a finire le ultime cosa ed al bendaggio.
Gintoki vide il medico visibilmente scosso e si passava
frequentemente una mano sulla testa, da cui gocciolavano delle perle
di sudore.
“Yasushi...”
mormorò piano il samurai.
“L'occhio... E' andato perduto... Non
può più vederci da lì...”
La
verità gli venne gettata addosso come dell'acido.
Se
fosse arrivato prima...
Se
non se ne fosse andato per la rabbia e sarebbe rimasto nel dojo,
forse l'avrebbe fermato...
Se fosse stato più forte, l'avrebbe sconfitto, vendicato il
suo compagno...
“Se...
Se...” cominciò a dire Gintoki incredulo.
“E'
inutile affogare nei “se” o nei
“forse”... E' andata così...”
mormorò rassegnato Yasushi “Ma dimmi... Contro chi
ha combattuto?”
Reiko
fasciva l'occhio sinistro di Takasugi, ancora privo di conoscenza, e
non poteva non provare tristezza per quello che gli era accaduto. Non
si erano mai sopportati a dir la verità, ma comunque erano
“compagni” ora, e le sofferenze di uno
appartenevano anche
all'altro; era la regola.
Quando ebbe finito, stava per andarsene
dalla stanza ma qualcosa le afferrò il polso e la costrinse
a
voltarsi verso la lettiga.
“Non dovresti sforzarti...” mormorò
Reiko con la voce più dolce che potesse avere.
Takasugi la fissò,
con l'unico occhio che gli rimaneva, e le fece una muta domanda solo
con il suo sguardo olivastro.
“Si...
Quell'occhio... E' cieco. Mi dispiace.” gli disse mortificata
“Yasushi ha fatto il possibile, davvero!”
“Non
ce l'ho con lui... E nemmeno con te...” tossicchiò
il moro “Solo
con una persona...”
“Chi ti ha fatto questo?”
Takasugi
fissò negli occhi Reiko e prese fiato “Tu
padre.”
Sentì la
terra caderle da sotto i piedi “Ma che dici... Io
non..” tentò
di giustificarsi la ragazza, ma lui fu più veloce.
“Ti ho
sentito, mentre ne parlavi con Yasushi...” spiegò
Takasugi “Quel
Shinji... Ci ha attaccato e purtroppo non sono riuscito a
sconfiggerlo... Era davvero... Forte... Ma, d'altronde, che altro
c'è
da aspettarsi da un Tendoshu?” sorrise amaramente.
“Scusami...”
mormorò Reiko mordendosi il labbro inferiore
“Io...”
“Non
l'ho fatto per te!” esclamò il samurai
“Lui, ci aveva già
attaccato... Anni prima, quando frequentavamo un'accademia
samurai...” raccontò “E' per colpa sua,
che io ho perso il mio
maestro di spada!” sputò con l'ira.
“Chi
era il tuo maestro?” chiese la ragazza.
“Si
chiamava Shouyou.”
Salve!
Scusate la lunghissima assenza, ma l'università è
iniziata anche per me e mi trovavo un po' indietro con tutte le fic che
sto cercando di proseguire. ^_^ Diciamo che questo capitolo fa
riferimento al primo film di Gintama, che conosco diciamo a grandi
linee e che ho voluto interpretare in questo modo... ho la sensazione
che questo capitolo sia spoglio... Mmh! .-.
Comunque
sia ringrazio sempre chi legge! =) Alla prossima!
Un bacione dalla Lu! :*
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