Che tu sia il mio terzo giorno.

di misslittlesun95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mors tua, vita mea. ***
Capitolo 2: *** Eredità. ***
Capitolo 3: *** E ora ci sei tu. ***
Capitolo 4: *** Iniziare. ***
Capitolo 5: *** Confidenze ***



Capitolo 1
*** Mors tua, vita mea. ***


Titolo: Che tu sia il mio terzo giorno. 
Titolo del capitolo: Mors tua, vita mea.


Non sono siciliana, anzi sono del nord xD quindi è tutta in italiano (i'm sorry). é la prima volta che scrivo su Montalbano, spero vi piaccia. Accetto critice ma devono essere costruttive (ES: scrivi male datti all'ippica - no, grazie, lo so da me questo, quindi evitate)
Per il resto buona lettuta!

 
Montalbano si rigirò nel letto. Faceva freddo come se fosse inverno ma invece erano gli ultimi di agosto. Un agosto caldo, di quelli da passare al mare. Di quelli da ciel sereno.
Ma si sa, ne arrivano un sacco di fulmini a ciel sereno. Come quella telefonata una settimana prima, dall'ospedale di Genova.
Livia. Morta. Aveva parlato al telefono con il medico per venti minuti, ma alla fine gli erano rimaste impresse solo quelle due parole. Neanche abbastanza da formare una frase minima, solo due parole. E potevano due parole uccidere un uomo? A quanto pare si.
Tanta gente c'era al funerale di Livia, tanta gente a dire che non è giusto morire per un ubriaco che guida male (così se ne era andata lei), tanta gente a dirgli parole di conforto. Tanta gente a Genova come ce ne era sempre tanta in Sicilia, a Vigàta. E anche a Vigàta stavano tutti a dargli una mano, a dirgli che ce la doveva fare. Tanta gente che però parlava per sentito dire e non perché c'era passata. E a lui non rimaneva altro che se stesso. Salvo deve salvarsi, Salvo non sa salvarsi.
Ancora un giro nel letto vuoto, anche il pensiero che in quel letto ci aveva dormito lei era doloroso. Era tutto doloroso, il mondo era dolore. Doveva farci l'abitudine, credere che sarebbe passato, sapere che non era vero. Doveva riprendere a vivere, anche se pure la vita gli pareva lontana.
- Salvo sei vecchio! - Gli diceva lei. E allora perché è morta lei che era giovane, si chiedeva. Livia, Livia che non aveva motivo di morire, Livia che era amore. La fidanzata storica, quella con cui prima o poi si sarebbe sposato, o qualcosa di simile, forse. Livia che stava per cadere preda dei vermi. Livia che era tutto e diventava nulla.
Il concetto di morte gli era più vicino del solito, gli passava affianco quasi strisciandosi morbosamente su di lui, come a mostrarsi sua unica compagna. “La sua morte ti accompagnerà” pareva dirgli “come il dolore sarà lei tua compagna d'ora in poi.”
E sembrava aver ragione. E il commissario cominciava a capire i parenti delle vittime, cominciava a capire cosa significasse essere inermi davanti alla vita.
Ma come un lampo la vita tornò a lui vicina. “Via, via concetto di morte, via dolore, via morte stessa. Salvo reagisci, Salvo vivi”. E lui la sentì, sentì la vita forte come gli abbracci di Livia.
E uscì alla ricerca della vita, uscì e andò verso il commissariato.

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Capitolo 2
*** Eredità. ***


Capitolo due.
Chi più chi meno in commissariato tutti tentavano di aiutare Montalbano. E il primo aiuto che potevano dargli era quello di farlo stare a casa. Ma a casa si sentiva solo. Aveva anche provato a parlare con Ingrid e a passare del tempo con lei, ma era tutto inutile. Pure circondato dalla gente si sentiva solo.
Si chiuse così nel suo ufficio, dicendo di disturbarlo solo in caso di gravi problemi. Poi però disse a Fazio e Mimì Augello di passare ogni tanto a trovarlo, giusto per fare quattro chiacchiere, per far finta di non essere solo, malgrado lo fosse.
A mezzogiorno Fazio e Augello erano già passati due volte l'uno e per il resto del tempo Salvo Montalbano era stato praticamente inerme e apatico seduto alla sua scrivania. Aveva posto lì sopra una foto sua e di Livia e la guardava cercando di imparare a non piangere davanti ai ricordi. Ci stava quasi riuscendo quando entrò Catarella.
- Dottori dimanno pirdonanza, c'è una picciotta che vuole parlare con lei in pirsona pirsonalmente.-
- Catarè guarda lo sai, non è proprio il momento. Dì a Fazio di occuparse ne lui. Ti ho detto di venire solo per cose importanti, te ne prego. -
- Dottori, la picciotta non vuole parlare con lei pirchì è il commissario Salvo Montalbano, ma soli pirchì lei è Salvo Montalbano. -
- E tu dille che non ci sono. Ma ti ha detto chi è? -
- Maria si chiama, ma il cognome non me lo ha voluto dire. Ma proprio una picciotta è, penso che neanche vota. -
- Catarella sei sicuro? - Gli domandò.
- Si dottori! - Rispose quello.
- Bene, allora falla entrare. - Catarella uscì, e poco dopo tornò accompagnato da una ragazza. Era bella, alta, magra, bionda. Giovane? Giovane era eufemistico, non le dava diciassette anni il commissario. Il volto coi tipici tratti nordici, quelli che aveva visto spesso anche quando andava a Genova. Lo sguardo spaesato, preoccupato. Indossava jeans scuri e una maglietta a manica corta, con un giacchino più pesante in mano, probabilmente era arrivata da poco a Vigàta. Teneva con un braccio una borsetta bella piena, di marca. Come dovevano essere di marca i suoi vestiti e i suoi trucchi, e infine anche il profumo.
Montalbano la fece sedere davanti alla sua scrivania.
- Mi hanno detto che mi volevi parlare. - Cominciò. - Come ti chiami? -
- Maria, ma non mi chieda il cognome per favore. -.
- Perché? Sei figlia a un mafioso? -
- No, anzi. - Montalbano preferì non proseguire in quel discorso.
- Di dove sei? - Le chiese.
- Milano... - Nordica, aveva ragione.
- E perché sei a Vigàta? -
- Mia madre è morta poco tempo fa, e so che qui vive mio padre, anche se non lo conosco. - Il commissario la scrutò, aveva gli occhi simili a quelli di Livia, o almeno gli sembrava.
- Ma hai una vaga idea di chi sia tuo padre? -
- Si, sicuro. Ce l'ho difronte. -
Il commissario cacciò un urlo. 

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Capitolo 3
*** E ora ci sei tu. ***


Titolo del capitolo: E ora ci sei tu.

Tutti corsero nell'ufficio del commissario. - Che successe? Commissario bene sta? - La stessa domanda fu fatta da tutti al povero Montalbano, il quale decise di inventarsi una storia per dire la verità senza però rendersi ridicolo per quell'urlo.
- Si, tutto bene. Volevo chiamarvi nel mio ufficio e ho pinsato che questo fosse il metodo migliore. Volevo presentarvi mia figlia, Maria Montalbano. -
- Ma Salvo, non ci avevi detto di avere una figlia! - Maria, persa la timidezza iniziale, si mise a parlare. - Oh, ma neanche mia madre Livia glielo aveva detto se è per questo. - Il commissario sentì la sua faccia avvampare.
- Si bhè ma è un'altra storia. Comunque lei è Maria, e da adesso in poi vivrà con me, dato che non ha altri parenti. Ve la volevo presentare e vi volevo dire che per oggi io stacco e vado a casa con lei. Nei prossimi giorni avrò da fare, quindi per favore almeno che non ammazzino qualcuno non chiamatemi se non sono in commissariato.
Fazio, lascio tutto in mano a te! - Dopo il discorso di Salvo Catarella scoppiò in un fragoroso applauso. - Bravo dottori! Che bella picciotta è! - In quel momento fu Maria ad arrossire.
- Bhè, io vado di la a prendere la mia roba. L'aspetto fuori commissario.- Disse la ragazza.
Aspettò oltre dieci minuti ma poi il padre andò a prenderla. I due stettero zitti fino all'arrivo alla macchina. Maria era tornata timida come quando era appena arrivata.
- Allora, vedo che sei di poche parole quindi inizio io... - Propose Montalbano.
- Guardi, non c'è problema. Io sono una ragazzina calma, o almeno penso. Non mi piace uscire la sera, non mi piace bere. - Maria si era messa sulla difensiva.
- No, no, non parlavo di quello. O almeno non solo di quello. Per esempio, intendevo, potresti darmi del tu, o addirittura chiamarmi papà. Lo so che è difficile, ma almeno al tu ci possiamo arrivare. Dopo tutto se la memoria delle poche lezioni di scienze fatte a scuola non mi inganna metà del tuo patrimonio genetico è mio, o qualcosa del genere. - Maria rise.
- Si, posso darti del tu. E... bhè, forse tra un po' potrò chiamarti anche papà, ma adesso mi sa che è ancora meglio di no. Dopo tutto io non so nulla di te e tu nulla di me. E in più io non so neanche nulla di questo posto dove vivi e dove vivrò io d'ora in poi. - Salvo Montalbano deglutì. A quello non aveva ancora pensato, d'altra parte era solo poco più di un'ora che conviveva con l'idea di avere una figlia, ma sapeva che per una ragazzina cresciuta al nord, a Milano poi, una metropoli, l'arrivo in un posto come quello poteva essere quanto meno traumatico.
- Il tutto sta nell'avere una buona guida. Nel senso, se ti va posso aiutarti a capire come pensa la gente qua prima ancora di mandarti a scuola. - “Si” pensò Salvo. “Devo mandarla a scuola, ma dopo che si è ambientata”.
- Se per te non è un disturbo... - Rispose la figlia.
- Tranquilla devi stare, l'ho detto prima in commissariato, ricordi? - Maria annuì e poi dolcemente sorrise.
Era uguale a sua madre, e quello era un buon motivo per aiutarla.  

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Capitolo 4
*** Iniziare. ***


Capitolo quarto: Iniziare. 

Passate tre settimane dal suo arrivo a Vigàta finalmente Maria aveva cominciato ad ambientarsi. A casa del padre aveva una camera tutta sua e arrivati al venti settembre aveva cominciato a frequentare il liceo classico di Montelusa. Faceva la prima liceo, ovvero il terzo anno (la sua scuola aveva ancora la divisione tra ginnasio e liceo).
Il suo primo giorno non era di certo andato male, anche se come tutto in quella nuova realtà l'aveva stranita. Era stata presentata rapidamente dalla professoressa di latino e greco durante la prima ora e fino all'intervallo non era riuscita a parlare con nessuno dei suoi nuovi compagni.
- Piacere, Nunzia. - Le aveva finalmente detto una ragazzina dopo il suono della campanella delle dieci.
- Sono Maria, Maria Montalbano. - Aveva risposto lei sorridendo a quella nuova compagna.
- Si, lo so. Lo sanno tutti. Vieni da Milano, giusto? -
- Si, da Milano. È molto diverso da qua. -

- Io una volta ci sono stata! C'è pure la metropolitana! - La voce di un'altra ragazzina fece girare Maria. - Io sono Laura, e non farti ingannare da Nunzia, perché il suo nome vero è Annunziata, anche se immagino che per te sia un nome poco comune. A dire la verità il mio è il nome più normale di tutta la classe. -
- Però dille picchè ti chiami Laura! Non mentire! - Maria scoppiò a ridere. Aveva capito subito che quelle due erano amiche per la pelle, perché anche lei giocava a prendersi in giro con Sabrina, la sua migliore amica di Milano.
- Va bene. Mi chiamo Laura perché di cognome faccio Pretacca, che è simile a Petrarca, il poeta innamorato di Laura appunto. E ai miei pareva figo chiamarmi così. -

- Però... usate anche la parola “figo” qua? - Chiese Maria per gioco.
- Ahaha guarda che prima scherzavo sulla storia della metropolitana, sappiamo cos'è e tutto il resto. Qui fa solo più caldo. Poi abbiamo il governatore della regione che si chiama Lombardo, direi che da Milano non siamo molto lontani. - Maria annuì, e il suono della campanella la costrinse a tornare a posto. Laura e Nunzia non erano male, anzi. Probabilmente sarebbero diventate ottime amiche.
Alle dodici, quando finirono le lezioni, le due l'aspettarono per andare insieme a prendere il pullman per Vigàta. Maria si sarebbe incontrata lì con il padre per raccontargli del primo giorno di scuola e andare a mangiare insieme alla trattoria di Enzo.
La sera, invece, si sarebbero goduti una delle leccornie di Adelina. Al contrario del rapporto che aveva con la madre questa era subito andata d'accordo con la figlia del commissario. Probabilmente la vedere piccola e indifesa, o forse era semplicemente diversa da Livia più di quanto Salvo non vedesse.

Certo era che Adelina non aveva comunque gioito per la morte della morosa di Montalbano, non si augurano mai disgrazie agli altri.
Salvo Montalbano l'aspettava all'arrivo della corriera. La ragazzina appena lo vide gli corse incontro e gli saltò al collo. In pochissimo si era affezionata al padre tanto che dopo due settimane aveva cominciato a chiamarlo papà.
Arrivati alla trattoria si misero subito a parlare e lei gli raccontò di Laura, di Nunzia, degli altri compagni, dei professori.
A scuola non era proprio una cima, o almeno a Milano era così, ma se la cavava.
Alle tre il padre la riaccompagnò alla fermata per tornare a casa, promettendole che non avrebbe fatto troppo tard
i.

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Capitolo 5
*** Confidenze ***


Confidenze

- Maria! - Silenzio. - Maria sono a casa. - Niente.
Salvo appoggiò le chiavi di casa sul tavolo della cucina. Ma dove si era cacciata sua figlia? Si erano salutati quel pomeriggio, dopo aver pranzato insieme. Lui le aveva promesso che sarebbe tornato presto e lo aveva fatto. Ma in casa sua non c'era nessuno.
Nel forno c'era l'arrosto preparato da Adelina e la tavola era apparecchiata.
Adelina non apparecchiava mai, lasciava solo il cibo.
Quindi Maria aveva apparecchiato e poi era sparita. Diede un'occhiata in camera sua, ma lì non era.
Buttando un occhio sul muro si accorse che l'aveva ascoltato, aveva tolto la foto di Bossi.
Tre giorni prima aveva scoperto di avere una figlia leghista. Cosa terribile vivendo nel profondo sud!
Incapace di farle cambiare idea politica, e d'altronde sarebbe stato sbagliato, l'aveva solo pregata di levare la foto del Senatur appesa in camera sua come il poster di un attore.
Non l'aveva fatto tanto per lui, che pur non condividendo le idee di Maria avrebbe lasciato correre, ma per Adelina, perché non sapeva che avrebbe pensato e non voleva rischiare che finisse come la storia delle bambole gonfiabili di oltre un anno prima.
Ora al posto di Bossi c'era un cantante; Max Pezzali, o almeno così c'era scritto.
Il commissario lasciò la camera di Maria e andò sul terrazzo, cercando anche lì sua figlia.
Non la trovò, ma in compenso sul tavolo c'era un biglietto scritto da una bella grafia femminile. “Ciao papà sono Maria. Volevo dirti che sono andata al mare. - C'era scritto proprio AL, non A come era solito dire lui. - Nel forno c'è l'arrosto di Adelina e ho apparecchiato la tavola in cucina perché prima c'era vento.
Ci vediamo dopo, ti voglio bene.
Maria”

Il commissario voltò lo sguardo verso il mare. Due lunghe gambe ben dritte uscivano dall'acqua poco lontano dalla riva e da casa sua .
Il commissario, spinto da un amore paterno nato tutto insieme, prese l'arrosto di Adelina, dall'acqua, piatti, posate e bicchieri di plastica, una tovaglia, e improvvisò una cena sulla spiaggia.
Maria lo vide arrivare e gli corse incontro, felice di ciò che stava per accadere.
Si misero sulla sabbia e cominciarono a parlare. Salvo cominciò a chiederle cosa stesse facendo in acqua e lei gli raccontò che, anni prima, era stata una ginnasta.
- Andava tutto benissimo, ero quasi all'agonismo....-

- E poi? - Chiese il padre.
- E poi sono caduta male dalle parallele e mi sono distrutta per sempre. Ho fatto parecchia riabilitazione ma non sono tornata quella di prima. Mi ero rotta, male, parecchie ossa e tutti i miei sogni sono andati in frantumi...-

Montalbano guardò la figlia con aria triste, doveva essere stato un duro colpo per lei.

- Mi spiace Maria, davvero! -
- È successo, successo e basta. A qualcuno doveva accadere e il destino ha scelto me. Con tutte le cose realmente brutte che esistono in questo mondo questa è una cavolata.
E poi comunque l'incidente, per farla breve lo chiamo sempre così, mi ha reso più matura. Ho capito che anche se amavo la ginnastica, come potevo amare qualunque altra cosa, dovevo essere curiosa e aprirmi a più strade.

Per questo poi mi sono iscritta al liceo classico.
Da allora ho cominciato a cercare di fare più cose possibile, a inventarmi diversa ogni giorno.

Non potevo lasciarmi andare, non potevo aver perso tutto insieme.
E ora, a distanza di quasi quattro anni, posso dire di non aver perso ma bensì guadagnato anche dal quel disgraziato pomeriggio. - Salvo l'ascoltava con passione e ammirazione, come si può fare in questi casi.
Dopo cena, siccome non si era ancora fatto del tutto buio, la ragazza propose al padre di fargli vedere quello che era ancora in grado di fare, assicurandolo che sulla spiaggia non si sarebbe fatta male.
Il commissario aveva accettato e si era goduto lo spettacolo.
Maria era davvero molto brava, e malgrado tutto aveva una forza inimmaginabile.
Forse anche la morte di Livia, per quanto dolorosa e ingiusta, aveva portato a qualcosa di buono.

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