Between You And The Giant Squid di Sophie Hatter (/viewuser.php?uid=16304)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Complotti ***
Capitolo 2: *** Coda di paglia ***
Capitolo 3: *** Mani nel sacco ***
Capitolo 4: *** Cioccorane in segno di pace ***
Capitolo 5: *** Un bizzarro viaggio di ritorno ***
Capitolo 6: *** Le follie di Albus Silente ***
Capitolo 7: *** L'importanza di essere Caposcuola ***
Capitolo 8: *** Gita a Hogsmeade ***
Capitolo 9: *** Il giorno fortunato di James Potter ***
Capitolo 10: *** Colloportus ***
Capitolo 11: *** Tutta colpa della pelle di Girilacco ***
Capitolo 12: *** Sull'orlo di una crisi di nervi ***
Capitolo 13: *** Coincidenze di luna piena ***
Capitolo 14: *** Lettere a Natale ***
Capitolo 15: *** Il piccolo problema peloso ***
Capitolo 16: *** Un abbraccio e un incanto Patronus ***
Capitolo 17: *** L'Ordine della Fenice ***
Capitolo 1 *** Complotti ***
Capitolo 1
Nota d'inizio fanfiction:
questa storia, per chi se la ricorda, è nata nel lontano
2007 (mamma mia, come sono vecchia ._.) ed era inizialmente divisa in
due, ovvero la versione di James e la versione di Lily. Dopo anni di
assenza ed infruttuosità, qualcosa ha fatto "scattare la
molla"; ho così deciso di riprenderla in mano, revisionarla
e modificarla in modo che risulti compatibile con HP7 (la precedente
versione era stata scritta prima dell'uscita del libro, quindi per
forza di cose conteneva delle incongruenze). Ho anche scelto di unire i
due punti di vista, di modo da dare così una visione
completa del complesso processo di maturazioni e cambiamenti che ho
ideato: spesso mi ritrovavo a dover spiegare dei comportamenti di Lily
nella storia scritta dal solo punto di vista di James, mentre
così, a scapito della maggior lunghezza dei capitoli, quelle
delucidazioni noiose non sono più necessarie. Porto ancora
nel cuore con immenso orgoglio e affetto le bellissime e numerose
recensioni che avevo ricevuto durante la prima pubblicazione, che mi
avevano dato davvero tanto; sperando di ritrovare qualcuno dei vecchi
lettori, inizio col ripubblicare questa storia che tanto mi
è cara, e che mi auguro di aver reso ancora migliore di
prima.
Capitolo 1 - Complotti
“È
quello che accade a tutti, papà; una metà della
gente non
comprende i divertimenti dell’altra
metà”.
(Jane
Austen, Emma)
19
maggio 1977
“Sai
… a vederti così, alle volte, sembra quasi che tu
ci abbia davvero rinunciato”.
Alzo lo sguardo, che
avevo fisso nel vuoto fino a un secondo fa, voltandomi verso Sirius.
“Dici sul
serio?” gli
domando, con una voce che suona intontita alle mie stesse orecchie.
Nemmeno mi ricordo più quello a cui stavo pensando; mi ero
completamente perso fra i miei pensieri dopo che, per
l’ennesima
volta durante il corso di quella noiosa lezione di Incantesimi, avevo
fatto sollevare e muovere il corpo di Peter, alle volte divertendomi a
fargli imitare i saltelli che Vitious eseguiva sulla cattedra mentre ci
spiegava il corretto movimento della bacchetta.
“Già.
Dico sul serio.
Poi però basta aspettare il limpido suono della campanella
di
fine lezione …”
… e la
campanella suona. Mi
domando che razza di poteri di preveggenza abbia acquistato Sirius
tutto d’un colpo, nonostante non abbia mai seguito con
interesse
una sola lezione di Divinazione. Con la coda dell’occhio
catturo
il riverbero di un ammasso di capelli rossi; storco lo sguardo solo
leggermente, prima di tutto perché so che il mio caro
migliore amico è sempre pronto a rimproverarmi per le
eccessive
attenzioni che le dedico e poi perché non voglio stare a
fissarla a bocca aperta per fare davanti a tutti la figura
dell’idiota, come facevo un tempo. Ultimamente, forse ho
imparato
ad acquisire un briciolo di amor proprio.
“…
Lei si alza, tu la osservi …”
Sì, la
osservo cercando di non farmi notare, anche se è
praticamente impossibile. Le sue mostruosamente
pettegole amiche,
nonché nostre compagne di Casa, le stanno sempre attorno con
lo
sguardo puntato su di me, attente ad ogni mia singola mossa, per poi
prendere la rincorsa e andare a riferirle ogni cosa. Le solite
stonature in un panorama che potrebbe essere idilliaco.
“…
e vieni
immancabilmente attirato dal fondo della sua gonna, sperando che una
volta o l’altra si sollevi quel tanto che basta a farti
intravedere qualcosa là sotto”.
La mia faccia
è
pietrificata. Un fuoco mi sale alle guance, percorrendomi le orecchie
fino alla punta. Mi volto lentamente verso Sirius e sono sicuro che in
questo momento il mio sguardo è eloquentissimo.
Sento Peter scoppiare
a ridere di gusto, divertito dalla fine battuta del mio migliore amico.
“Non dargli
corda, Pete, ti prego”, lo imploro.
Torno a concentrarmi
su Sirius, squadrandolo, come se volessi inchiodarlo al muro.
“Non
guardarmi così, non dire che non è
vero”.
Storco lievemente la
bocca in una smorfia di disappunto.
“Stando a
contatto con te, la
tua abitudine legata alle osservazioni pervertite mi è ormai
divenuta disgraziatamente familiare. Tuttavia, in questo caso, posso
assicurarti che non stavo pensando a niente di quel genere”.
Calco le parole,
sperando che
capisca. E che sia in grado di comprendere che la sua indelicatezza non
ha limiti, quando se ne esce con certe battute fuori luogo davanti a
tutta la classe.
“Tranquillo,
tanto non ci fa
più caso nessuno. Il tuo è un classico di
Hogwarts,
ormai. Tra poco diventerai un noioso manoscritto in piena regola: gli sguardi innamorati e i
languidi sospiri non ricambiati del giovane James Potter.
Sicuro di non voler cambiare ragazza?”
Continuo a tenere lo
sguardo puntato su di lui, senza cambiare espressione. È
ovvio che non vuole capire.
“Cominci a
diventare noioso anche tu. Perché non ti trovi un passatempo
più costruttivo, invece?”
In questo momento
vorrei baciare
Moony, per ringraziarlo del suo pronto intervento. Ho sempre pensato
che quelle poche parole che si lascia sfuggire con parsimonia
riscuotano ogni volta la massima efficacia.
“Grazie di
avermelo
ricordato, giusto ieri stavo facendo programmi riguardo alla finale di
Quidditch”, ribatte Sirius, mentre un ghigno compiaciuto gli
affiora sul volto.
“Che
programmi, Pads?” domanda eccitato Peter. Io
inclino il capo, incrociando le braccia con disappunto.
“Non
è ancora detto
tutto e gradirei che tu evitassi di fare la parte
dell’uccello
del malaugurio. Non vorrei dover ricorrere a rimedi estremi per
scongiurare la sfortuna”.
“Vincerete,
razza di idiota, i Serpeverde non sono certo alla vostra
altezza”.
È quasi
amorevole, il mio
Sirius, quando mostra tutta questa sconsiderata e irrazionale fiducia
in me, probabilmente con solo scopo di farmi tacere.
“Dato che
non hai letto il
mio destino nelle foglie di the, con quale giustificazione pensi di
poter già organizzare qualcosa? Se dovessimo …
insomma
…”
“…
perdere?”
“Shh, Pete!
Non dirlo ad alta
voce, non voglio che la sfortuna si abbatta su di me!” intimo
a
Wormtail, abbassando la voce.
“Scusa,
James”.
“Non fa
niente, ma dimenticati di averlo detto”.
“Sono solo
congetture, James, lascia perdere le paranoie”.
“Te ne
faresti anche tu al mio posto, caro Moony”.
“Beh, stammi
a sentire. Ho
pensato a tutto. Se vincete, facciamo scoppiare il casino per
festeggiare e dimostrare la nostra superiorità di
Grifondoro. Se
le cose vanno diversamente, allora il casino scoppia per puro spirito
sovversivo”.
Incrocio lo sguardo
complice di Sirius, con un sorriso di soddisfazione.
“Ho un amico
dotato di un’intelligenza perversa”.
“Non cercare
di passare per
l’angioletto di turno, stai già sbavando
all’idea di
quello che potremo combinare”.
Rido. È
vero, Sirius mi
conosce bene. Adoro questo lato della mia vita, questo modo di
impiegare le mie capacità inventive, di cercare sempre un
modo
per inscenare l’ennesima malandrinata e poi scampare alle
conseguenze. Ma anche quando veniamo inesorabilmente puniti, il castigo
non è mai sufficiente a sedare i nostri spiriti inquieti;
è una sfida costante, qualcosa che ci spinge a voler
superare
noi stessi.
“Che
cos’hai in mente
di preciso?” gli domando, chinandomi sul banco. Il capannello
si
forma in modo del tutto naturale, estraniando di colpo il resto del
mondo. È un gesto automatico, un chiaro segno di
riconoscimento
del fatto che, seppure cercando di essere discreti, stiamo
evidentemente architettando qualcosa di losco.
“Una cosa in
grande stile. Vittoria o no, siamo alla fine dell’anno. Ci
vuole un colpo grosso”.
Annuisco, scrutando
gli occhi
febbrili di Sirius. Probabilmente i miei stanno scintillando allo
stesso modo. Peter fa da spalla a Sirius, che è comodamente
appoggiato su di lui, dato che il nostro Wormtail gli arriva giusto a
quell’altezza. Remus ci osserva tutti con il suo sguardo
ermetico, penetrante. So già che non approva, ma in un modo
o
nell’altro coinvolgeremo anche lui, come al solito.
“Avanti,
voglio i dettagli”.
“Non
preferiresti che sia una sorpresa in tuo onore? Sai, per festeggiare il
nostro Cacciatore preferito …”
Ma non ci penso
neanche, non ho assolutamente voglia di morire dalla
curiosità.
“Poche
storie, vuota il sacco”.
“Bene,
l’hai voluto tu. Allora, dato che è un piano
complicato, sono previste diverse fasi …”
La tensione nel nostro
capannello
si fa palpabile, siamo tutti lì che pendiamo dalle sue
labbra e
lui, orgogliosamente fiero di avere in pugno la nostra attenzione,
lascia che l’attesa ci logori per qualche secondo.
“La fase
uno”, comincia
Padfoot, con una pausa enfatica, “prevede
l’organizzazione
della festa clandestina più grande della storia di Hogwarts.
Il
che implica naturalmente di infiltrarci nelle cucine e di sgraffignare
quanto più cibo possiamo”.
“E dimmi,
Sirius, dove pensi di nascondere tutta questa fantomatica
quantità di cibo, dentro i tuoi calzini?”
“Non fare il
guastafeste, Moony, questi sono dettagli assolutamente irrilevanti al
momento”.
“Come vuoi,
ma ti proibisco di trasfigurare l'armadio del dormitorio in un
frigorifero”.
Osservo divertito
Sirius gettare un’occhiata interdetta a Remus con la fronte
visibilmente corrugata.
“Che diavolo
è un frigorifero?” gli chiede, storcendo la bocca.
“Un
elettrodomestico”.
“Un
che?!”
“Lo usano i
Babbani, serve a … oh, lascia perdere”.
Scoppio a ridere,
è
più forte di me. Remus ci prova a non far sentire Sirius un
ignorante in materia babbana, ma alle volte la tentazione diventa
troppo forte anche per lui.
“La fase
due”,
ricomincia Sirius, catturando di nuovo la mia attenzione
all’istante “prevede che ci intrufoliamo nelle
cantine di
Mielandia per portare via parecchie bottiglie di Idromele”.
Il discorso comincia
ad entrare nel vivo. Sorrido, aspettando il seguito.
“La fase
tre, infine, prevede
che con un piccolo ed innocente incantesimo modifichiamo
l’Idromele per conferirgli tutti gli effetti di una potente
pozione lassativa”.
La risata mi deforma
il viso. Non
ce la faccio a rimanere serio, è più forte di me:
sembriamo un branco di malintenzionati professionisti. È per
questo che amo la vita di Hogwarts. Se c’è
qualcosa che mi
fa girare le scatole, se mi annoio a morte o se banalmente non so come
impiegare il mio tempo in modo costruttivo, so che ho sempre la
possibilità di divertirmi nel modo più eccitante
e
pericoloso possibile. Questo perché solo noi possediamo
delle
menti così diaboliche da inventare passatempi simili,
ovviamente.
“E in che
modo hai intenzione di …”
Un colpo di tosse
volutamente
forzato mi fa sobbalzare in modo talmente violento da farmi picchiare
una ginocchiata contro il banco.
“Evans, che
diavolo
vuoi?” inveisce Sirius, seccato per essere stato interrotto
sul
più bello. Moony abbassa lo sguardo con aria lievemente
contrita, mentre Peter mi si avvicina, come se volesse difendermi.
Io fronteggio
l’oggetto dei
miei più reconditi desideri calandomi sul volto una maschera
di
provocatoria curiosità.
“Potter e
Black, credo debba
esservi sfuggito che abbiamo lezione nei sotterranei, in questo
momento. Slughorn mi ha mandato a cercarvi per assicurarsi che non vi
siate dimenticati di lui”, dice, guardando me e Sirius. La
sprezzante ironia che traspare dalla sua voce con aria di sfida mi fa
quasi sorridere, ma mi mantengo serio e compunto, come ormai mi sono
abituato a fare in sua presenza. Più di una volta mi sono
ritrovato a riflettere sul fatto che crescere significa inevitabilmente
cambiare, andare incontro a una maturazione più o meno
definita.
Ma io alle volte non mi riconosco più e questo fatto ha
dell’incredibile: arrivo a domandarmi quale fosse in
realtà il vero me stesso, quello che davvero rappresentava
la
mia essenza. Dopodiché, mi mando al diavolo. Sono tutte
inutili
elucubrazioni prive di importanza, finché sono soddisfatto
di
quello che sono ora.
“Perdonaci”,
le dico,
fissandola diritto negli occhi, con una sottile sfacciataggine che
rappresenta solo l’ultimo stadio evolutivo di
quell’ingenua
boriosità che sfoggiavo in modo quasi innaturale di fronte a
lei
fino a un anno fa. “Sai com'è, troppe distrazioni.
Colpa
del Quidditch”.
La guardo prendere
fiato e la
blocco sul nascere: “Considera seriamente l’ipotesi
di
trascorrere una notte a sedare i festeggiamenti dei Serpeverde prima di
augurarmi di perdere. Andiamo, Evans, fare un po’ di tifo per
la
tua squadra non ti farebbe male”.
Le sorrido, con aria
totalmente
innocente. Le cose tra noi non vanno granché bene, di
progressi
sostanziali pare che io non ne abbia fatti rispetto agli anni
precedenti. Ora parliamo, ogni tanto, questo sì; ma si
tratta
pur sempre di conversazioni brevi e poco significative, in cui lei
tenta comunque, più o meno sottilmente, di ridurmi al
silenzio
con una delle sue battute ad effetto poco carine. Che devo farci, io la
prendo con filosofia.
Lily sostiene il mio
sguardo con
spavalderia. Una punta d’ira le colora le guance, la sua
occhiata
si fa più intensa, le sue labbra sembrano pronte a
rovesciarmi
addosso altro veleno, ma alla fine si limita ad inspirare
profondamente.
“Se non vuoi
rischiare di
mandare a monte la finale ti conviene muoverti, oggi Slughorn sembra
essere di pessimo umore. Inutile dirti che, se decide di metterti in
punizione, nel migliore dei casi rischi di saltare gli ultimi
allenamenti e di conseguenza di giocare da schifo, nel peggiore invece
ti verrà preclusa anche la possibilità di
partecipare
alla partita, e allora sarai tu a dover fronteggiare i festeggiamenti
dei Serpeverde”.
Rido, divertito.
È sempre
capace di tirare fuori il meglio di sé quando si tratta di
rivolgermi la parola. Alle volte mi viene da pensare che certe frasi se
le studi in segreto durante la notte e le provi davanti allo specchio
tutte le mattine. Nemmeno quando si tratta di rispondere alle domande
dei professori sembra impegnarsi così tanto.
“Grazie di
avere così a cuore le mie sorti, per ripagarti ti
dedicherò la vittoria”.
Lo dico in tono
palesemente
ironico, tenendo per me il fatto che, con ogni probabilità,
tempo fa sarei stato davvero capace di umiliarmi gratuitamente in una
maniera simile. Sorrido del bambino che era in me, che mi ha reso
ridicolo ai suoi occhi. Ero diverso, profondamente diverso da adesso,
ma ormai quel che è fatto è fatto.
“Muoviti,
Potter”, mi
dice, e sembra quasi reprimere un sorrisetto. Forse è appena
un
po’ meno disgustata dei tempi precedenti, o forse
è solo
una mia illusoria impressione. Poco importa, mi alzo e faccio segno ai
miei amici di seguirmi. Giunti ad un bivio, salutiamo Remus e Peter,
che hanno lezione di Cura delle Creature Magiche con Kettlebourne, ora.
Fino al quinto anno abbiamo seguito tutti e quattro le stesse lezioni,
abbiamo persino frequentato tutti Babbanologia per un anno
perché Sirius voleva fare un dispetto alla sua famiglia;
poi,
però, i colloqui di orientamento professionale alla fine del
quinto anno hanno sancito la nostra parziale separazione. Ora finiamo
per ritrovarci tutti insieme a seguire Incantesimi e Difesa contro le
Arti Oscure, ma di certo questo non è stato sufficiente ad
indebolire la nostra attività malandrinesca. Mi volto a
guardare
Sirius con aria complice e lui mi rivolge il suo solito ghigno sinistro
che gli attraversa il volto andando da un orecchio all'altro. Io
gongolo tra me, soddisfatto, ripensando a come ho appena tenuto testa
alla Evans riuscendo abilmente a sviare il discorso dalle nostre
sospettabili macchinazioni. Ho fatto un buon lavoro su me stesso, tutto
sommato.
***
Ero
ancora intenta a perfezionare il
mio Incantesimo Mobilicorpus su Elizabeth Lachey di Corvonero, quando
finalmente è suonata la campanella di fine ora.
Non appena questo
limpido trillo mi
spacca i timpani mi alzo di scatto dal posto, saluto Elizabeth e mi
allontano dal banco, con il desiderio impellente di uscire al
più presto da quell’aula.
Faccio attenzione a non
investire
Vitious che, sgolandosi più che può, con la sua
vocetta
acuta sta cercando di richiamare l’attenzione della
McGranitt. Ma
lei ha appena transitato davanti alla porta dell’aula di
Incantesimi con il suo abituale e sostenuto passo di marcia,
perciò dubito che se anche Vitious si gettasse di corsa al
suo
inseguimento – cosa che sta effettivamente facendo
–
potrebbe mai sperare di raggiungerla.
Pazienza, io voglio
soltanto
andarmene da lì. Non posso permettermi di arrivare tardi a
una
lezione di Slughorn, purtroppo.
Il punto è
che Slughorn mi
perseguita. Crede che io abbia chissà quali doti
straordinarie,
e non fa che pretendere, pretendere, pretendere. E dato che dopo un
po’ diventa ripetitivo continuare a dire che mi avrebbe
preferito
a Serpeverde invece che a Grifondoro, si ingegna per trovare
qualcos’altro su cui avere da ridire nei miei riguardi.
Insopportabile.
Purtroppo per me la sua
materia mi
piace e non ho certo intenzione di mollarla l’anno prossimo,
facendomi stupidamente condizionare da un professore pedante.
L’unico aspetto spiacevole della questione sta nel fatto che
non
devo dargli modo di avere alcunché da ridire sul mio conto.
Motivo per cui non
posso permettermi di perdere tempo, in questo momento.
“Ah, ah. Ho
beccato Potter che
ti guardava, di nuovo”, mi dice Margaret, raggiungendomi con
un
paio di falcate e prendendomi sottobraccio. Non è difficile,
per
Margaret. È alta, ha le gambe lunghe e si sente sempre
perfettamente a suo agio anche con una gonna a pieghe indosso. Io, dopo
sei anni quasi conclusi qui a Hogwarts, ancora non mi ci sono abituata
del tutto.
“Davvero ti
sta
fissando?” domanda Delia, voltandosi platealmente
all’indietro. Alzo gli occhi al soffitto, con aria di
rassegnazione. Se non si facesse notare quando compie gesti poco
opportuni, non sarebbe Delia.
“Ops. Credo
mi abbia beccata
in pieno”, mormora, imbarazzata, voltandosi di nuovo verso di
noi
e indirizzandomi un’occhiata di scusa.
“A giudicare
dalla discrezione
con cui ti sei girata a guardarlo, non l’avrei mai
detto”,
rispondo, sorridendo. In fondo, non è che mi importi quel
granché. E dopo sei anni di amicizia, posso dire di essere
più che abituata a fare i conti con le figuracce di Delia.
Pare
impossibile che sia sempre lei a farle, ma è
così. La
cosa meno umiliante che abbia mai fatto in vita sua credo sia stata
andare a sbattere contro un Thestral durante una lezione di Cura delle
Creature Magiche mentre ne cercava uno a tentoni, non essendo in grado
di vederli, dato che non ha mai avuto la sfortuna di assistere alla
morte di qualcuno. Mentre la cosa più umiliante …
no, non
credo di essere in grado di stabilirlo.
“È
proprio stupido,
comunque. Crede che non si capisca, che ti sbava ancora
dietro?”
sbotta Helen, assumendo un’espressione di sufficienza. Io mi
limito a stringermi nelle spalle.
“Se non
altro,
quest’anno si è risparmiato
l’umiliazione di venire
a chiedermi di uscire. Tutto sommato qualche progresso l’ha
fatto, devo ammetterlo”, affermo, in tono palesemente
ironico. Le
mie amiche ridono di gusto, divertite. Adorano quando mi metto a parlar
male di Potter. Dicono che divento maligna fino
all’inverosimile,
e che qualcuno deve avermi somministrato una pozione che sia
l’inverso del Filtro d’Amore quando ero piccola.
Non hanno
tutti i torti, in effetti.
“Come sei
cattiva. Gli avresti
ancora detto di no?” mi domanda Margaret, mentre ci
incamminiamo
per i corridoi. Le lancio un’occhiata scettica mentre si
sistema
una vistosa spilla a forma di fiore sopra la divisa, che probabilmente
la McGranitt le farà togliere non appena la
noterà.
“Ma dai, in
fondo non è
più così idiota come gli anni scorsi”,
mi dice, e
io intanto stringo le labbra. Mi sa che ci siamo. Sta per ricominciare
la solita crociata
pro-Potter. È una cosa di cui non si
stancheranno mai, non c’è niente da fare.
“Poi
è carino, decisamente carino”.
Ora la strozzo con le
mie mani, se non la pianta.
“Potrebbe
anche essere una
Veela al maschile, la cosa non mi tange”, rispondo,
ostentando
un’espressione di disappunto.
“Tu non sai
apprezzare questo
genere di doni, ragazza mia”, mi dice Delia, assumendo una
finta
aria saccente e scuotendo il dito in segno di diniego. Io mi lascio
sfuggire un sospiro, voltandomi verso Mary.
“Di’,
qualcosa, per
favore. Difendimi. Non ne posso più di queste
qui”, la
imploro, anche se lei non sta seguendo la conversazione. Cammina
reggendo un libro aperto davanti agli occhi, come sempre. Oggi tocca a Il Signore Delle Mosche.
Non ha mai perso l’abitudine di divorare romanzi babbani;
sostiene che i libri della biblioteca di Hogwarts non sono abbastanza
interessanti per sostituire le sue letture di svago. La capisco molto
bene, essendo anch’io figlia di Babbani.
“Fai come
faccio io,
ignorale”, mi dice, senza staccare gli occhi dal libro.
“Lascia che le loro voci si disperdano futilmente
nell’aria e vai a goderti la tua lezione di
Pozioni”.
Mi accorgo che siamo
arrivate al
punto in cui dobbiamo separarci. Non so come abbia fatto Mary a
notarlo, dato che non smette di leggere nemmeno mentre fa le scale.
Certo, ogni tanto questo le fa sfiorare delle cadute pericolose, ma non
c’è mai stato verso di farle cambiare abitudini.
“Comunque,
secondo me dovresti
dargli una possibilità, in fondo è
così tenero, ti
sta ancora aspettando dopo sei anni di insulti di ogni tipo
…”
“Oh, che
peccato, devo proprio scappare. A dopo”.
Mi lascio sfuggire un
sorriso
perfido, mentre la prolissa filippica di Margaret viene bloccata sul
nascere. Lieta di aver terminato il discorso, le abbandono ai piedi
della scalinata che conduce ai sotterranei, lasciandole alle loro
lezioni: Mary e Helen hanno Cura delle Creature Magiche, Delia e
Margaret un’ora buca. Io scendo gli scalini più
velocemente che posso, raggiungo l’aula e mi sistemo
rapidamente
al mio posto. Incrocio le braccia sul banco dopo aver sistemato la mia
roba, ascolto distrattamente le chiacchiere degli altri che stanno
entrando a lezione e sto molto attenta ad eludere lo sguardo di
Slughorn.
Una volta tanto, mi
piacerebbe davvero evitare di polemizzare con lui.
O quantomeno rimandare
il più possibile il momento in cui questo avverrà.
“Signorina
Evans …”
Sapevo che era troppo
bello per essere vero.
“…
sa per caso dirmi dove si sono cacciati Potter e Black?”
Eh?
“Uhm
… no, a dire la
verità …” mi guardo intorno, confusa,
poi
finalmente recupero il controllo di me stessa. “… a dire la verità,
non è un’informazione essenziale per la mia
sopravvivenza”, rispondo, squadrandolo con circospezione.
Slughorn mi fissa con aria poco convinta.
“Li ha visti,
a lezione, stamattina?”
“Sì”,
rispondo.
“Purtroppo”, aggiungo, a bassa voce, rendendomi
conto che
comunque non c’è nessuno in grado di apprezzare il
mio
sarcasmo; sono circondata dai Serpeverde, perché gli unici
altri
Grifondoro che seguono Pozioni guarda caso sono rimasti indietro e gli
altri due Tassorosso che hanno intenzione di prendere un M.A.G.O. nella
materia sono troppo indaffarati a chiacchierare tra loro.
Mi sta quasi venendo
voglia di andare a chiamarli di mia iniziativa.
“Sarebbe
meglio se andasse a
cercarli, signorina Evans”, mi dice Slughorn, con aria
rassegnata. Certo, non è che io abbia bisogno di loro, ma
questa situazione non è divertente.
“Va
bene”, acconsento,
fingendo che la cosa mi pesi. Mi alzo ed esco in fretta dalla classe,
dirigendomi a passo spedito verso l’aula di Incantesimi.
Spero
per il loro bene che siano rimasti lì, perché
altrimenti
credo proprio che li ucciderò con le mie stesse mani. E
sarà una morte lenta, dolorosa e cruda.
Mentre mi avvicino
rapidamente
all’aula mi giungono delle voci e delle risate, segno
inequivocabile del fatto che sono ancora lì dentro. Peccato,
l’idea di trucidarli cominciava a sembrarmi allettante. Se
non
altro, avrei fatto un favore all’intera Hogwarts, anche se
immagino che nessuno avrebbe davvero apprezzato il mio gesto: schiere
di ragazzine inferocite sarebbero corse a cercarmi armate di coltelli
per aver assassinato i loro idoli preferiti …
Sento un borbottio
confuso
dall’aria cospiratoria provenire dall’aula mentre
mi
avvicino. A un certo punto Potter scoppia sonoramente a ridere.
Perfetto. Vuol dire che
ci risiamo.
Di nuovo alla carica
con gli scherzi idioti, di nuovo con questi ridicoli attentati alle
istituzioni.
Quando si dice che la
gente ha la testa dura …
Ma adesso ci penso io.
“E in che
modo hai intenzione di …”
“Ehm”.
Mi affaccio sulla
soglia, osservando
con perverso compiacimento le svariate reazioni che la mia inaspettata
entrata in scena ha provocato. James Potter è stato
letteralmente colto di sorpresa. Sirius Black sembra pronto a
ringhiarmi contro, Peter Minus si è parato di colpo di
fronte a
Potter e Remus Lupin evita il mio sguardo, con l’aria di chi
è stato appena colto con le mani nel sacco.
Magnifico.
“Evans, che
diavolo
vuoi?” mi apostrofa Black, in tono evidentemente ostile.
Potter
assume un’aria attenta, dopo essersi ripreso dallo stupore.
“Potter e
Black, credo debba
esservi sfuggito che abbiamo lezione nei sotterranei, in questo
momento. Slughorn mi ha mandato a cercarvi per assicurarsi che non vi
siate dimenticati di lui”, spiego, rivolta ai due soggetti in
questione, sfoggiando il miglior sarcasmo tagliente di cui sono capace.
Li squadro tutti e quattro con soddisfazione, dandomi l’aria
di
padroneggiare la situazione. In fondo non è altro che una
sfida
a chi esplode per primo.
“Perdonaci”,
mi dice
Potter, con un mezzo sorriso sottilmente sfacciato. “Sai
com'è, troppe distrazioni. Colpa del Quidditch”.
Colpa del QUIDDITCH?!
“Considera
seriamente
l’ipotesi di trascorrere una notte a sedare i festeggiamenti
dei
Serpeverde prima di augurarmi di perdere. Andiamo, Evans, fare un
po’ di tifo per la tua squadra non ti farebbe male”.
Mi sorride di nuovo,
con quella sua
candida faccia da schiaffi. La parte più istintiva e
violenta di
me sta già scalciando per poterlo prendere a pugni. Come se
me
ne potesse importare qualcosa, del suo accidenti di Quidditch. Ma tra
Potter e me corre un’abissale differenza, e cioè
che io
porto la spilla da Prefetto, lui no. Potrei fargli scontare amaramente
ogni parola di troppo che gli esce dalle labbra, se proprio volessi
essere cattiva. Tuttavia, rimango pur sempre una persona ragionevole e,
disgraziatamente, lui non ha detto nulla di male. Ultimamente non posso
più nemmeno zittirlo quando si vanta, perché non
si vanta
più. Si limita ad esibire quell’azzardata ironia
da
sottile provocazione, ma perlomeno dà prova del fatto che
gli si
è affinato il cervello e che ha capito di non essere la
reincarnazione di Godric Grifondoro.
Perciò
sospiro e recupero la calma.
“Se non vuoi
rischiare di
mandare a monte la finale ti conviene muoverti, dato che oggi Slughorn
sembra essere di pessimo umore”, lo avverto, poggiando le
mani
sui fianchi. “Inutile dirti che, se decide di metterti in
punizione, nel migliore dei casi rischi di saltare gli ultimi
allenamenti e di conseguenza di giocare da schifo, nel peggiore invece
ti verrà preclusa anche la possibilità di
partecipare
alla partita, e allora sarai tu a dover fronteggiare i festeggiamenti
dei Serpeverde”.
I miei pronostici
suscitano la sua
ilarità e lo guardo con indulgenza, anche se non capisco
che
cosa ci trovi da ridere. Mi sono persino preoccupata di fornirgli due
previsioni alternative e per questo dovrebbe soltanto ringraziarmi. E
invece no, lui lo trova divertente. Pazzesco. Quando
riuscirò a
scoprire secondo quale astruso meccanismo funziona il suo cervello, mi
riterrò ampiamente soddisfatta di me stessa. Fino ad allora,
per
me Potter rimane un grande punto interrogativo.
“Grazie di
avere così a
cuore le mie sorti, per ripagarti ti dedicherò la
vittoria”, mi risponde, in tono ironico. Io gli sorrido
beffardamente. È anche diventato così educato da
esprimere riconoscenza, ora? No, non mi convince per niente.
È
tutto l’anno che fa così, ma ci
dev’essere di sicuro
qualcosa sotto. Dopotutto, a parte quel modo di fare spontaneo fino
all’irritazione e la tendenza a vivere come se fosse un
gioco,
per certe cose è cambiato davvero radicalmente. Lo stuolo di
ragazzine adoranti lo trova ancora più affascinante, con
questo
nuovo modo di fare decisamente più misterioso ed ermetico,
ma
non ho idea di dove speri di arrivare. L’unica cosa che posso
dire è che perlomeno si è fatto più
sopportabile,
e questo per me è sicuramente un vantaggio. Quindi, se
l’ha fatto per farmi un favore, non posso fare altro che
ringraziarlo.
“Muoviti,
Potter”, gli
intimo. Lui mi risponde con un muto sguardo enigmatico, poi si alza e
i suoi amici lo seguono a ruota. Non mi soffermo ad attendere oltre e
con passo rapido esco dall’aula e mi avvio verso i
sotterranei.
Ad un angolo ci dividiamo; Peter e Remus vanno a seguire Cura delle
Creature Magiche, Potter e Black procedono. Loro camminano alle mie
spalle, stretti l’uno all’altro. Ogni tanto mi
giunge
l’eco di qualche sussurro cospiratore. Come se non avessi
già gli elementi sufficienti per capire l’aria che
tira.
Una cosa è certa: qualsiasi cosa stiano tentando di
organizzare
per la finale di Quidditch, sarà tutta fatica sprecata.
Perché
anch’io ogni tanto mi diverto a mettere i bastoni fra le
ruote.
And
if it makes you less sad, we'll start talking again.
And
you can tell me how vile I already know that I am.
I'll
grow old and start acting my age.
I'll
be a brand new day in a life that you hate.
(Brand New, The Boy Who Blocked His Own Shot)
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Capitolo 2 *** Coda di paglia ***
Capitolo
2 – Coda di paglia
Provare
passione ed essere sincero mi piace, ma mi piace anche fare il cretino.
(Kurt Cobain, Diari)
19
maggio 1977
“Allora...
che stavi dicendo prima?” chiedo a Sirius in un soffio,
scivolandogli accanto con indifferenza mentre mi alzo per andare a
prendere i Grinzafichi dall’armadio.
“Prima
quando?” risponde lui e io scuoto la testa, mentre raggiungo
i rifornimenti. Getto una rapida occhiata in tralice a Slughorn, che
osserva la classe da dietro la cattedra con l’aria di un cane
da guardia, mentre nell’aula riecheggiano solo occasionali
rumori di coltelli uniti al rimescolare dei calderoni.
“Svegliati,
Sirius”, bofonchio, in tono lievemente insofferente. La
curiosità mi sta corrodendo e avrei di gran lunga preferito
farmi togliere un’altra decina di punti per il ritardo,
piuttosto che venire interrotto sul più bello.
“Non
prendertela con me”, ribatte lui. “È
stata colpa della tua amata se non ti ho potuto illustrare fino in
fondo il mio piano geniale”.
Non faccio
granché caso al suo tono caustico. Gettare fango sulla gente
è spesso il passatempo preferito di Sirius.
“Già,
penso anch'io che dovrei scegliermi meglio le persone che
frequento”, insinuo, con implicito riferimento a lui. Padfoot
inarca un sopracciglio, esibendo un sorriso storto. Non sono pochi
quelli che ci ritengono una delle più bizzarre coppie di
amici di tutta la scuola: all’inizio, sembrava davvero che
non avessimo nulla in comune, a parte l’insano desiderio di
trasformare Hogwarts in una specie di campo minato. Ma questi inutili
sentimentalismi mi stanno facendo sbucciare il Grinzafico fin troppo a
fondo e per riprendere il controllo della pressione sul coltello
è necessario che io la smetta di immergermi in simili
riflessioni.
“Comunque,
non posso parlare ora. Potrebbe sentirci chiunque”, mi
sussurra, in un soffio. Io storco la bocca, dandomi un paio di occhiate
intorno. Slughorn tiene lo sguardo fisso su un compito che sta
correggendo, con una larga ruga sulla fronte; i maledetti Serpeverde
sogghignano tra loro, si suggeriscono qualche trucco per preparare la
pozione o si fanno semplicemente i fatti propri; Dave Abbott e
Wilelmina Stern di Tassorosso sono concentrati sui loro calderoni
là nell’angolo; la Evans, alle mie spalle, ha
già praticamente terminato la pozione e ovviamente non ho
la più pallida idea di come ciò sia possibile.
Voglio dire, io sono bravo in Pozioni, me la sono sempre cavata con
buoni voti, e anche Sirius. Ma Lily è qualcosa di
semplicemente formidabile; potrebbe preparare una Felix Felicis ad
occhi chiusi, probabilmente. Credo che per lei sia naturale, come lo
è per me volare su una scopa.
Come al solito non ho
la prontezza necessaria per distogliere subito gli occhi da lei, e un
attimo dopo i nostri sguardi si incrociano. Io le lancio un mezzo
sorriso e fingo di tornare a concentrarmi sul mio intruglio verdastro.
In un certo senso sono fiero di me. Nessuna mano mi sale a spettinarmi
i capelli, nessuna bambinesca esaltazione mi rende sovreccitato per una
cosa assolutamente priva di importanza. Ho acquistato una padronanza di
me stesso che non può fare a meno di rendermi orgoglioso. Il
cuore mi salta sempre un paio di battiti quando si tratta di lei e
l'agitazione mi blocca il respiro quando la sento nominare, ma queste
sono controindicazioni che ho imparato ad arginare. Non lascio
più trasparire l’emozione esternamente, in ogni
caso: anzi, riesco ad apparire calmo e controllato. È stato
un duro lavoro, devo ammetterlo; è come se fossi cresciuto
di colpo, anziché gradualmente, e la
responsabilità, almeno in gran parte, è di Lily.
Sentirmi dire in faccia cosa pensava realmente di me, quel giorno dei
G.U.F.O. dopo l’esame di Difesa, non è stato solo
umiliante, inatteso e sconvolgente. Mi ha, semplicemente, distrutto
ogni convinzione e cioè che, comportandomi in quella
maniera, avessi qualche speranza in più di risultare
speciale ai suoi occhi, quel tanto che bastava da farla cadere fra le
mie braccia. Insomma, il fallimento di cinque anni di corte serrata
deprimerebbe chiunque. Però poi sono andato avanti,
l’ho superata e se non altro adesso sono meno stupido, pur
essendo ancora cotto di lei.
“Da quando
in qua sei diventato così prudente, comunque?”
domando a Sirius dopo aver gettato le mie fette di Grinzafico dentro la
pozione, ricordandomi all’improvviso della nostra
conversazione.
“Non fare
domande, so quello che dico e se ti dico che è meglio
parlarne dopo …”
“…
è perché sei crudele e vuoi condannarmi ad un
destino di sofferenza” .
Ridacchio tra me; mi
diverto da morire a fare la vittima innocente, so che lo fa andare su
tutte le furie.
“Prongs,
cerca di riservare le tue capacità recitative per un altro
momento”, mi sussurra Sirius a denti stretti, ma in quel
momento Slughorn sceglie di alzare gli occhi dalla pergamena e di
fissarci con sguardo truce.
“È
evidente che oggi Grifondoro aspira a perdere molti punti”,
dice, con il suo tono saccente. Io soffoco a stento un sorriso,
immaginandomi l’occhiata assassina con cui Lily mi
starà fulminando alle spalle.
“Avevo solo
bisogno di un mortaio, signore, il mio l’ho
dimenticato”, mi invento su due piedi, giusto per dare mostra
della mia sfacciataggine una volta di più. Spesso non posso
fare a meno di pensare a quanto sono bravo ad inventarmi scuse geniali
in un lasso di tempo minimo, ma c’è da dire che,
in fondo, sei anni trascorsi a Hogwarts con un passato da Malandrino
sono più che sufficienti per apprendere alla perfezione una
pratica del genere. Il professore mi scruta con un’aria che
teoricamente dovrebbe incutermi timore, o almeno così
presumo.
“Signorina
Evans, sarebbe così gentile da prestare il suo mortaio al
signor Potter, dato che ha già egregiamente
terminato?”
Immagino di nuovo
l’occhiata assassina di Lily, con la sola lieve variante che
ora è diretta a Slughorn.
“Se devo
essere sincera, signore, non mi piace che gli
altri lavorino con le mie cose”, la sento
rispondere, seccamente. Sentirla parlare a Slughorn di solito
è quasi divertente come sentirla parlare a me.
“Anche a me
non piace che lei sia stata smistata a Grifondoro quando è
dotata di simili capacità”, le risponde il
professore, con una certa nota di rimpianto, “ma ora, per
favore, faccia come le ho detto”.
Abbasso la testa
mentre sorrido divertito, giusto per non farmi beccare in pieno.
Slughorn va avanti con questa storia più o meno da secoli, a
ripeterle che, fosse stato per lui, Lily avrebbe dovuto stare a
Serpeverde. Tutte le volte ottiene soltanto di farla infuriare.
Mi volto, lentamente.
La mia parte maligna preme per farmi esplodere un ghigno di
soddisfazione sul viso. Ma sono abbastanza assennato da trattenermi,
dato che comunque in questo momento sto sicuramente rischiando di
ricevere una mestolata in testa. In effetti, il faccino di Lily non ha
certo un’espressione cordiale e il gesto con cui mi porge il
mortaio è decisamente secco e rabbioso.
“Gentilissima”,
le dico, con la faccia tosta del mio tono più innocente, e
in tutta risposta la osservo roteare gli occhi. Devo ammetterlo, mi
piace anche quando è arrabbiata con me.
Termino la pozione in
perfetto silenzio; il mio buonsenso mi suggerisce di non farla
infuriare ulteriormente per il mio bene. Decido invece di concentrare
le mie energie nel lanciare ripetute occhiate imploranti a Sirius, per
tentare di smuoverlo e farmi finalmente rivelare che cos’ha
in mente, ma vengo ignorato ogni volta senza alcuna pietà.
No, forse non proprio ogni volta; in un paio di occasioni Pads mi
fulmina con lo sguardo, quasi ringhiando. Dopo un po’ ci
rinuncio; aspetto che la pozione sia pronta, ne imbottiglio una piccola
quantità e la consegno a Slughorn, sentendomi piuttosto
soddisfatto del risultato.
Entro qualche minuto
hanno finito tutti. Mettiamo via le nostre cose e io faccio in modo di
compiere ogni gesto il più lentamente possibile, in modo che
nel frattempo il resto della classe si volatilizzi. Sirius sembra non
poterne più di me e ne sono perfettamente cosciente, ma
persevero nei miei intenti; la curiosità è
davvero troppa. Poco dopo, mentre Slughorn esce per inseguire un gruppo
di Serpeverde urlando loro che non si sono ancora messi
d’accordo per la sua cena degli eletti della prossima
settimana, Remus e Peter fanno ritorno dalla loro lezione per
prelevarci in questo luogo buio e il capannello si ricrea, come
nell’ora precedente. Sirius si guarda attentamente alle
spalle prima di rivolgersi a noi.
“Okay, lo
scopo del piano è far sì che quelle bottiglie le
trovino i nostri migliori amici e se le scolino in compagnia, ignari di
ciò che gli succederà dopo
quell’allegra bevuta. Ovviamente, uno di noi dovrà
fare in modo che le trovino”, sussurra, in modo quasi
impercettibile. Gli occhi mi si illuminano, Sirius è un
genio … ecco a cosa devono servire le mie
capacità recitative.
“Scusa
Sirius, e chi sarebbero i nostri migliori amici? Voglio dire, noi siamo
i nostri migliori amici …”
“Peter, in
sei anni di amicizia ancora non hai imparato ad interpretare il mio
linguaggio?”
“Certo, se
tu non ti esprimessi in maniera così criptica
però …”
“Secondo te
a chi potrei essere felice di fare un simile regalo di fine
anno?”
“Di certo
non a noi, quindi …”
“Prova a
indovinare: sono un branco di brutti ceffi che ci importunano sempre,
uno di loro ha un naso adunco molto lungo e una chioma unticcia
… Non è così difficile, devi
soltanto interpretare il luccichio malvagio che vedi brillare nel mio
sguardo in questo momento …”
“Potter”.
Mi volto di scatto,
sobbalzando di nuovo. Nessuno di noi si è accorto che Lily
fosse ritornata in classe. Vederla comparire in modo così
improvviso mi provoca una brusca accelerazione del battito cardiaco. Da
una parte mi sento uno stupido, dall’altra so benissimo di
avere una coda di paglia chilometrica, pertanto non ritengo di potermi
lamentare più di tanto.
“Sì?”
le rispondo, analizzando lo sguardo fulminante con cui mi sta
squadrando.
“Il mio
mortaio, ti sarei grata se tu potessi ridarmelo”.
“A meno che
tu non abbia intenzione di conservarlo come una reliquia”,
bofonchia Sirius alle mie spalle, ricevendo subito dopo un silenzioso
calcio negli stinchi dal sottoscritto.
Recupero il mortaio e
glielo porgo, stando attento a mantenere le distanze, cosa che so
essere di sacrale importanza per lei quando si tratta di me.
“Grazie”,
le dico.
“Risparmiatelo”,
mi risponde lei.
“Non ti
agitare, te l’ho detto solo prevenire le tue accuse di
maleducazione nei miei confronti”, mi schermisco,
mantenendomi su un piano sarcastico. Il suo difetto è che
prende tutto troppo sul serio, certe volte.
“Non
è … per questo, è che mi ha costretto
Slughorn a prestartelo, tutto qui. Non devi ringraziare me”.
Sembra quasi
imbarazzata mentre lo dice. Sorrido con tenerezza. Se non avessi avuto
i miei amici con il fiato sul collo, forse avrei potuto pensare di
prolungare la conversazione dicendo qualcosa di un po’
più gentile del solito, ma l’unico che riesce a
manifestare un minimo di discrezione in casi simili è Remus;
degli altri due, Peter pende dalle nostre labbra seguendo ogni scambio
di battute con vivo interesse senza preoccuparsi di nasconderlo e
Sirius non perde occasione per borbottare costantemente alle mie spalle
i suoi commenti provocatori.
“Oh. Beh, in
questo caso credo che andrò a cercare Slughorn per lodarlo
della sua gentilezza”, scelgo di rispondere, chiudendo a
malincuore la conversazione. Detto questo, prendo la borsa e le passo
accanto, rapidamente seguito a ruota da tutta la mia banda. Sorrido tra
me della mia stessa ironia, l’unica arma che mi è
rimasta nei suoi confronti. Ormai è una battaglia
all’ultimo sangue tra me e lei e sostanzialmente potrei dire
che siamo in una situazione di parità, se non fosse che lei
ha comunque il vantaggio di essere ancora capace di farmi contorcere le
viscere con una sola occhiata. Mi volto solo di sfuggita ad osservarla
mentre si scuote i capelli sulle spalle; è adorabile, come
sempre. Anche se mi insulta almeno una volta al giorno. A dispetto
dell’orgoglio che ho imparato ad acquistare di fronte a lei,
non posso evitare di perdermi in sua contemplazione almeno quando mi
volta le spalle.
“Credi che
abbia sentito qualcosa?” mi chiede Sirius, avvicinandomisi
con fare circospetto. Io lo guardo con l’aria di essere
appena caduto dalle nuvole.
“Perché?”
“Perché
farebbe di tutto per metterci i bastoni fra le ruote se scoprisse che
stiamo architettando qualcosa … Andiamo, Prongs,
riprenditi!”
Sirius accompagna
l’esclamazione con un enfatico ceffone che arriva dritto
sulla mia nuca.
“AHO! Come
osi fare questo al tuo migliore amico?” grido, in tono
veemente e nel giro di pochi secondi io e Sirius ci stiamo rotolando a
terra fra le risate, con Peter che ci strilla di non farci
male e Remus che ci osserva a distanza di sicurezza con un sorriso
rassegnato sulle labbra. A un certo punto mi accorgo che sopra le
nostre teste c’è anche l’orlo di una
gonna. Fulmineamente mi scrollo Sirius di dosso e mi metto a sedere sul
pavimento del corridoio, sollevando la testa con un sorriso ebete che
mi attraversa il viso da una parte all’altra.
Lily mi fissa negli
occhi a labbra strette, un sopracciglio profondamente inarcato. Io
tento di contenere la mia insensata euforia.
“Non ci
stavamo facendo male sul serio”, provo a spiegarle, con aria
di scusa. Lei non mi risponde, si limita a fissarmi con aria scettica.
“Per
punizione vuoi che ti porti i libri per una settimana?” le
chiedo, il sarcasmo che si mischia alle risate soffocate. Lei quasi
cede per un breve, impercettibile istante e la severità
sul suo volto sembra sciogliersi mentre accenna un lieve sorriso.
“Preferisco
non punirti affatto, se l’alternativa dev’essere
quella di averti alle costole tutti i giorni”, mi risponde,
per poi allontanarsi in fretta. Il suo tono di voce sembrava meno aspro
del solito e io rimango lì seduto sul pavimento, a fare i
conti con quella nuova constatazione, senza riuscire a cancellare il
sorriso dal mio volto. Forse si è ammorbidita nei miei
confronti ancora un pochino, forse ho ancora qualche stupida speranza.
Sirius si rimette in piedi e mi aiuta ad alzarmi e io, quasi
intimidito, riprendo la strada verso i dormitori senza riuscire a
spiccicare una parola, il che, da parte mia, ha davvero
dell’incredibile.
***
Due ore di Pozioni di
fila possono arrivare a risultare pesanti. Soprattutto nei casi in cui
finisco troppo in anticipo la pozione rispetto all’ora di
scadenza. In più considerato che sono sempre in banco da
sola, con dietro i Serpeverde e davanti quei due idioti.
Non è che mi
pesi stare da sola. Non sono una di quelle persone che ha sempre
bisogno di un’appendice umana da tirarsi appresso, o che
necessita di fungere da appendice umana per qualcun altro. Anzi.
Piuttosto spesso ho bisogno di starmene sola, in santa pace, e non
è facile in una situazione in cui non
c’è nemmeno la camera privata. Di solito mi
arrabatto rifugiandomi in biblioteca, ma non sempre funziona. Alle
volte anche la biblioteca viene presa d’assalto.
Ad ogni modo, questa
situazione non mi è mai piaciuta molto. Perché i
momenti in cui mi piace starmene per i fatti miei non comprendono una
lezione di Pozioni, circondata dai Serpeverde, da Slughorn e da una
coppia di scemi. È come una specie di gabbia vivente, in cui
io sono obbligata a rimanere con la testa china sul calderone,
nell’impossibilità di guardarmi serenamente
intorno.
Paradossalmente,
Pozioni è una delle mie materie preferite. Perciò
mi trovo sempre combattuta fra il desiderio che finisca presto e il
desiderio che la materia occupi il cinquanta percento dei programmi di
Hogwarts.
Fastidioso.
Sollevo per un attimo
la testa dal mio calderone fumante. Continuare ad osservare una serie
di bolle e di onde verdastre non è esattamente una cosa che
mi piace fare per più di un paio di minuti di seguito.
Così, do un’occhiata in giro, con circospezione,
cercando di non farmi notare.
E noto immancabilmente
che Potter e Black stanno nuovamente confabulando tra loro in un modo
che non mi piace.
Pazienza, Lily. Quando
sarà il momento opportuno, saprai cosa fare.
Torno a fissare il
calderone, aggiungendo l’ultima dose di polvere di Elleboro.
Mescolo per dieci volte in senso orario e poi dieci volte in senso
antiorario, incrocio le braccia e rimango a fissare il risultato con
aria critica, per evitare di farmi sfuggire qualche anomalia
imprevista, poi rialzo lo sguardo con un gesto istintivo e vedo Potter
che mi sta fissando.
Non ho neanche il tempo
di esibire una delle mie espressioni perplesse, che lui con prontezza
mi rivolge un mezzo sorriso innocente e torna a darmi di nuovo le
spalle, come se niente fosse.
Ormai la drastica
riduzione da lui apportata ai suoi gesti di repertorio ha smesso di
stupirmi, ma non posso ugualmente fare a meno di pensarci e di
esultare. Non si spettina più quei dannati capelli credendo
di fare colpo, sì. Grazie a Godric, anche per Potter
è arrivato il momento di crescere.
Meriterebbe quasi un
applauso.
E se non fosse che
persevera nel parlottare a voce bassa con Black, non lo penserei in
modo così ironico.
“È
evidente che oggi Grifondoro aspira a perdere molti punti”,
li redarguisce ad un certo punto Slughorn, scrutandoli con aria poco
amichevole. Trafiggo la schiena di Potter con uno sguardo di profondo
disappunto, anche se non mi stupisce aver ricevuto l’ennesima
conferma della loro sciocca testardaggine; alle persone normali di
solito basta commettere una banale mancanza per proporsi di fare
attenzione a non ripetere la spiacevole esperienza di far togliere
punti alla propria Casa, ma per loro bazzecole di questo genere non
hanno nessuna importanza. Tanto tutti li amano, figurarsi se qualcuno
potrebbe mai muovere loro delle accuse.
“Avevo solo
bisogno di un mortaio, signore, il mio l’ho
dimenticato” risponde Potter, con il suo tranquillo tono
fanciullesco. Slughorn lo squadra con aria critica,
dopodiché i suoi occhi si posano su di me.
Qualsiasi cosa voglia,
la risposta è NO.
“Signorina
Evans, sarebbe così gentile da prestare il suo mortaio al
signor Potter, dato che ha già egregiamente
terminato?”
Potrei anche essere
così gentile da tirarglielo in testa, se preferisce.
“Se devo
essere sincera, signore, non mi piace che gli
altri lavorino con le mie cose”, rispondo, cercando
di mantenermi su un tono calmo e solo lievemente sprezzante, ma
preoccupandomi di rimarcare in modo netto velato riferimento a Potter.
“Anche a me
non piace che lei sia stata smistata a Grifondoro quando è
dotata di simili capacità, ma ora, per favore, faccia come
le ho detto”.
Ecco, figuriamoci se
non sentiva il bisogno di proferire simili commenti anche questa volta.
Non so esattamente a chi preferirei tirarlo in testa, questo
stramaledetto mortaio. Slughorn è così insistente
da risultare quasi inverosimile, ma Potter, alla fine, è
sempre l’indiretto responsabile di tutte le mie disgrazie.
Il principino si volta,
con tutta calma. Come se avessi tempo da perdere per colpa sua. Afferro
il mortaio e glielo allungo con un gesto secco, osservando con sguardo
truce quel sorriso di soddisfazione che sta cercando di reprimere.
Sarà bene che si astenga dal ridermi in faccia,
perché altrimenti non risponderò più
delle mie azioni.
“Gentilissima”,
osa anche dirmi, all’apice della sua faccia tosta. Roteo gli
occhi con un sospiro, poi decido di tornare calma. Se queste sono le
soddisfazioni che aspira a ricevere dalla vita, beh, che se le goda.
Tanto, ormai non me ne facevo più niente del mortaio.
Dopo questa breve
parentesi, per fortuna, l’atmosfera torna ad essere
silenziosamente statica e l’esuberanza di Potter sembra
essersi magicamente sedata. Imbottiglio con tranquillità una
dose della mia pozione, dopodiché attendo che la lezione
finisca scandendo mentalmente i secondi e dedicandomi a passatempi
futili come tamburellare le dita sulla superficie del banco. Tengo
d’occhio il famigerato duetto, ma non sembra che per il
momento abbiano cattive intenzioni. Forse posso permettermi di lasciar
perdere. In fondo, sono anch’io per il quieto vivere, quando
è possibile.
A fine lezione consegno
la mia provetta, raccolgo velocemente le mie cose e me ne vado,
accelerando il passo quando sento Slughorn uscire dalla classe gridando
a due ragazzi di Serpeverde di fermarsi un momento per fissare insieme
a loro la data della prossima festicciola privata. Più di
una volta ha tentato di invischiarmi in questo genere di cose e pareva
non scoraggiarsi nemmeno di fronte alle mie risposte più
rasenti la maleducazione. È veramente un uomo impossibile,
Merlino.
Quando mi sento
sufficientemente sicura di essere ormai fuori dalla sua portata,
riprendo a camminare più lentamente, libera di rilassarmi un
po’. Incrocio Remus e Peter che vanno a recuperare i loro
amici nei sotterranei e li saluto con cortesia. In questo momento
potrei sentirmi davvero in pace con il mondo e con me stessa, potrei
anche prendere in considerazione l’ipotesi di mangiare in
fretta per poi andare fuori a prendere un po’
d’aria, dato che oggi c’è il sole, ma
all’improvviso mi rendo conto che c’è
qualcosa che non va. Che cosa sia esattamente non lo so, altrimenti
è ovvio che avrei già cercato un modo per porvi
rimedio …
Il mortaio!
Guarda caso,
è sempre colpa di Potter. Accidenti a lui.
Rifaccio la strada
all’inverso quasi di corsa, guardandomi intorno per
individuare il signor Cacciatore dalla vista debole fra gli studenti.
Fortunatamente non mi sono allontanata troppo. Non mi sembra fosse
uscito prima di me, sono quasi sicura di averli visti ancora in classe
mentre me ne andavo … non credo di sbagliarmi, la sua
dannatissima chioma è riconoscibile lontano un miglio anche
in mezzo alla folla affamata che spintona per entrare in Sala Grande
all’ora di pranzo …
Rallento istintivamente
mentre mi avvicino alla classe e, senza che l’avessi previsto,
questo mi permette di udire una conversazione che mi fa passare del
tutto la voglia di lasciare in pace Potter.
“Okay, lo
scopo del piano … è far sì che quelle
bottiglie le trovino i nostri migliori amici e se le scolino in
compagnia, ignari di ciò che gli succederà dopo
quell’allegra bevuta”.
Oh, fantastico. Che
splendida idea, Black. Davvero un perfetto genio del male. È
mai possibile che una persona non possa escogitare altri metodi
più sani per divertirsi?
Li ascolto borbottare
fra loro ancora un po’, poi decido che è giunto il
momento di entrare in azione.
“Potter”.
Lo faccio sobbalzare e
quantomeno ricevo la conferma che non mi hanno sentito mentre tornavo
indietro. Faccio volontariamente finta di non aver udito nemmeno una
parola dei loro loschi piani e gli getto un’occhiata severa
atta a farlo rabbrividire.
“Sì?”
mi risponde lui, ostentando la sua sorpresa nel vedermi lì.
“Il mio
mortaio, ti sarei grata se tu potessi ridarmelo”, gli dico,
facendogli un cenno. Black gli borbotta qualcosa alle spalle insieme a
qualche risata soffocata, ricevendo in cambio un furtivo calcio negli
stinchi. Potter recupera il mio mortaio e me lo porge, mantenendosi a
distanza di sicurezza mentre lo fa. Io inarco un sopracciglio con aria
perplessa. Cos’è, ha paura che lo sbrani per caso?
“Grazie”,
mi dice.
“Risparmiatelo”,
rispondo io, sulla difensiva.
“Non ti
agitare, te l’ho detto solo prevenire le tue accuse di
maleducazione nei miei confronti”, ribatte lui, con una
strana, leggera ironia. Non una sola traccia della sua passata
arroganza. Forse ho esagerato, forse l’ha detto davvero
soltanto per educazione.
“Non
è … per questo, è che mi ha costretto
Slughorn a prestartelo, tutto qui. Non devi ringraziare me”,
gli spiego, tentando di smorzare i toni. Incredibile, mi sento quasi in
colpa per avergli risposto bruscamente. Ma dopotutto non è
colpa mia, è lui che ormai non mi dà
più la soddisfazione di offrirmi su un piatto
d’argento l’occasione di coprirlo
d’insulti …
Anche in passato, rare
volte, faceva così, ma solo quando gli era momentaneamente
passata la voglia di essere fastidioso. Ora fa il borioso soltanto con
i Serpeverde. E mi sorride pure. In modo gentile. Io non ci credo.
“Oh. Beh, in
questo caso credo che andrò a cercare Slughorn per lodarlo
della sua gentilezza”, mi risponde e, senza lasciarmi nemmeno
il tempo di replicare, prende la borsa e si dirige verso
l’uscita, seguito a ruota da tutti i suoi compari. Io rimango
lì ferma come un’ebete per qualche secondo, poi mi
scuoto i capelli sulle spalle per liberare il viso e mi accingo ad
andarmene. Li seguo a distanza di sicurezza, mentre ancora mormorano
tra di loro con aria cospiratoria. Bastano pochi secondi
perché la discussione degeneri e dopo aver alzato la voce
Black e Potter cominciano a picchiarsi, come al solito. Per gioco. Come
i bambini. Se davvero poco fa ho pensato che Potter fosse cresciuto,
chiedo il favore di ritirare immediatamente la mia dichiarazione.
Questo delizioso quadretto mi ha appena fatto cambiare idea.
Scuoto la testa e mi
avvicino per farli smettere.
Nonostante mi sia
fermata esattamente di fronte a loro, ci vuole un po’ prima
che Potter si accorga di me e si scrolli il suo amico di dosso,
mettendosi a sedere sul pavimento. Mi guarda con un sorriso da tonto
che gli attraversa il viso da una parte all’altra, come se
davvero sperasse di impietosirmi.
“Non ci
stavamo facendo male sul serio”, cerca di giustificarsi,
simulando un’espressione da angioletto. Evito di sprecare
fiato per ribattere a questa patetica scusa e mi limito a continuare a
fissarlo, stringendo le labbra.
“Per
punizione vuoi che ti porti i libri per una settimana?” mi
chiede, con un tono autoironico che fa sghignazzare tutti i suoi amici.
Incredibile, ormai si prende persino in giro da solo; fosse stato un
paio di anni fa, questa frase l’avrebbe pronunciata con aria
sincera e convinta. Vorrei riuscire a rimanere seria e cantargliele, ma
è talmente idiota che non ce la faccio e un mezzo sorriso
mi scappa. È inevitabile trovarlo divertente, in queste
condizioni.
“Preferisco
non punirti affatto, se l’alternativa dev’essere
quella di averti alle costole tutti i giorni”, gli rispondo,
poi gli getto un ultimo sguardo e me ne vado, in fretta. Faccio fatica
a trattenere quel sorriso che non dovrebbe esserci e preferisco
troncare la questione, perché proprio non mi posso
permettere di essere indulgente nei confronti di Potter.
Potrà anche essere cambiato, ma sfortunatamente siamo ancora
su due piani ben diversi; lui si ostina ad organizzare scherzi stupidi,
e a me tocca provvedere. Il giorno in cui la smetterà di
provocarmi questi grattacapi infantili, forse potrò anche
pensare di concedergli un periodo di tregua.
“Lily!
LILY!” mi chiama Delia, sporgendosi dal muretto che circonda
il cortile interno.
“Eccomi”,
la rassicuro, andando incontro alle mie amiche. Gli strilli di Delia
hanno fatto voltare nella sua direzione più o meno mezza
scuola, ma alla fine non ha importanza. Le mie compagne sono tutte
strampalate, come le definirebbe mia sorella, ma sono comunque delle
persone gradevoli.
“Cos’è
quell’espressione raggiante? Non dirmi che sei di nuovo
riuscita a preparare una pozione”, mi dice Delia, assumendo
un’aria abbattuta.
“Come se
fosse chissà che cosa, fino all’anno scorso lo
facevi anche tu”, cerco di rincuorarla. Non mi piace vantarmi
della mia abilità in quella materia. Prima di tutto
perché sono convinta che Slughorn esageri e in secondo
luogo perché mi ricorda Severus. Un argomento a cui
decisamente non desidero pensare.
“Sì,
ma lei non preparava pozioni. Lei preparava pastrocchi”, la
prende in giro Margaret, suscitando l’ilarità
generale.
“Se mai ti
passerà per la testa di avvelenare Potter, falle distillare
qualcosa da mettergli nel bicchiere. Non importa cosa, sarà
sicuramente letale”, mi suggerisce Helen, con il suo tono
sempre un po’ distaccato ma proprio per questo estremamente
spassoso. Io rido di gusto, convenendo sul fatto che è
davvero un’ottima idea.
“Va bene,
però prima sperimenterò il mio veleno sulla
McGranitt”, risponde Delia, assumendo un cipiglio torvo.
“Tu ci provi,
e io ti sbatto fuori dal dormitorio”, replica Helen, piccata.
“La McGranitt non me la tocca nessuno”.
“Tu sei
pazza”, commenta Delia, a bassa voce, scuotendo la testa.
Helen le getta un’occhiata di profonda disapprovazione.
“Lei
è l’unica con le palle, qui dentro, oltre
Silente”.
“Sì,
però intanto ci fa sgobbare come degli asini”.
“Mi pare
ovvio, non possiamo mica presentarci ai M.A.G.O. e Trasfigurare gli
oggetti a metà!”
Mary, alla mia destra,
alza gli occhi al cielo, mentre gira pagina. Io le faccio un mezzo
sorriso di comprensione.
“Come ti ho
detto, ignorale. Solo così potrai aspirare ad
un’esistenza tranquilla”, mi dice, accennando a
Helen e Delia.
“Già.
È l’unica cosa da fare”, rispondo,
rassegnata. Margaret mi si avvicina e mi prende sottobraccio,
scostandomi i capelli dal viso.
“Allora,
quand’è che darai una possibilità a
quel povero figliolo? Ormai non sa più cosa inventarsi per
conquistarti. Sono sicura che passa le notti insonni, in lacrime,
pregando che la mattina dopo tu possa accorgerti di lui
…”
Guardo Margaret con un
sopracciglio inarcato, sfoggiando l’espressione
più scettica di cui sono capace. Lei interrompe la sua
scenata melodrammatica e mi rivolge un sorriso a trentadue denti, come
in segno di scusa.
“Perché
ti ostini a dire idiozie?” le chiedo bonariamente.
“Non dico
idiozie, non gli è andata bene quando faceva il buffone da
circo e andava in giro ad appendere la gente a testa in giù,
se non gli va bene nemmeno ora che si comporta da
persona discretamente matura, penso proprio che lo
avrai sulla coscienza, perché quantomeno andrà a
gettarsi dalla Torre di Astronomia … certo, Sirius gli ha
suggerito di buttare al vento tutta la poca dignità che gli
è rimasta e farti una serenata sotto la finestra, ma lui non
mi è sembrato molto convinto, a dire il vero
…”
“Li hai
sentiti parlare?”
“Sì,
stavano parlando appunto di te, l’altro giorno, dopo
Artimanzia, e Sirius diceva che i tuoi gusti sono impossibili
perché non ti va bene proprio niente, nemmeno questa nuova
versione di lui e quindi …”
“Okay,
Margaret, ho afferrato il concetto”.
Alle volte
può sembrare un male che questa benedetta ragazza sia
così incline al pettegolezzo, e soprattutto che sia
così irrimediabilmente logorroica.
Ma stavolta mi
è stata utile per aprire gli occhi.
L’incredibile
cambiamento di Potter è soltanto una tattica.
But
everything inside you knows,
Says
more than what you’ve heard.
So
much more than empty conversations
Filled
with empty words.
(Switchfoot, On Fire)
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Capitolo 3 *** Mani nel sacco ***
Capitolo
3 - Mani nel sacco
“Sa
qual è il bello dei cuori infranti?”
domandò la bibliotecaria.
Scossi
la testa.
“Che
possono rompersi davvero soltanto una volta. Il resto sono
graffi”.
(Carlos Ruis
Zafòn, Il
gioco dell’angelo)
25
maggio 1977
Abbiamo calcolato
tutto, ogni minimo dettaglio è stato curato con una
precisione che supera perfino le pergamene stese da Remus con la sua
calligrafia impeccabile.
E ora, il nostro piano
diabolico sta per andare a segno. I Serpeverde non riusciranno nemmeno
ad alzarsi dal gabinetto per poter correre in infermeria, quando
avranno terminato di scolarsi queste bottiglie.
Ne sto trasportando un
paio al proprio posto giusto in questo momento. Facciamo a turno
portandone due alla volta, perché altrimenti infilarci tutti
sotto il Mantello dell’Invisibilità, con il
pericolo di cozzare l’uno contro l’altro e di
mandarle in frantumi, sarebbe troppo rischioso. Ora tocca a me, e ad
ogni passo che faccio mi sento pervadere da un’esaltazione
estatica.
Mi sono intrufolato
con Peter nelle cantine dei Tre Manici di Scopa ieri sera prima di
cena, dopo gli allenamenti di Quidditch. Ci sono state delle piccole
complicazioni perché io a un certo punto mi sono lasciato
prendere dalla mia vena umoristica e, terminata la mia fantastica
barzelletta su una coppia di Goblin, Wormtail si stava talmente
sforzando di non ridere che ha quasi rischiato di fracassare una cassa
di Burrobirre facendoci scoprire seduta stante, ma per fortuna alla
fine è andato tutto per il meglio. Il problema è
che ci è necessario agire separati, perché Sirius
è entrato in totale paranoia: è convinto che la
Evans o qualcun altro di non ben precisato abbia intenzione di
sabotarci il piano, pertanto ci obbliga a muoverci senza destare
sospetti. Motivo per cui ha mandato Peter con me, invece di venirci
lui. Se fossimo spariti insieme, sarebbe stato come gridare a gran voce
che stiamo architettando qualcosa di losco. A dire la
verità, Sirius ha cercato di mandare Remus con me, cosa che
mi avrebbe reso praticamente inattaccabile; ma lui si è
rifiutato categoricamente, opponendosi con una calma lievemente
stizzosa alla furia di Sirius, e facendogli notare che gridando in quel
modo tutte le sue precauzioni avrebbero finito per risultare inutili.
Io stavo per scoppiare a ridere sonoramente mentre assistevo
all’intera scena, ma per fortuna sono stato in grado di
trattenermi, o il mio migliore amico mi avrebbe fatto a pezzi senza
alcuna pietà.
Ad ogni modo, a
dispetto delle sue preoccupazioni maniacali, sembra stia andando tutto
secondo i piani. Io ho messo in atto le mie capacità recitative con
un successo strabiliante: nel luogo e nel momento studiato, con un tono
di voce perfettamente calibrato e la certezza che in quel momento i
Serpeverde stessero tendendo le orecchie pur facendo di tutto per non
farsi notare, ho rivelato casualmente a
Ernest Larsen, il Battitore della mia squadra, che per festeggiare la
vittoria nella finale ci saremmo impossessati degli alcolici e li
avremmo nascosti nel ripostiglio delle scope del terzo piano. Sirius mi
ha poi riferito che, mentre io parlavo con il mio compagno di
Quidditch, alle mie spalle Mulciber aveva gli occhi fuori dalle orbite
e stava per scoppiare in una colossale sghignazzata, convinto di avermi
fregato per bene. Ci sono cascati in pieno, e possiamo star certi che
il giorno della finale vedremo sparire le nostre scorte di
‘Idromele’.
Siamo perfidi, ma il
divertimento sta proprio in questo.
La pozione
è riuscita magnificamente. Sirius aveva paura che non
funzionasse, così l’ha fatta provare a Peter,
anche se lui non era molto d’accordo con questa sua
imposizione. Solo che poi Sirius ha deciso che non si fidava
perché c’era il rischio che il sapore fosse
cambiato e che Wormtail non se ne fosse accorto con un solo assaggio,
così ne ha bevuta un po’ anche lui. A lezione
aveva i crampi allo stomaco e il viso di una leggera tinta verdastra, e
io sono stato accusato dalla McGranitt di aver passato
un’intera ora a ridere sguaiatamente senza motivo.
Poco importa,
è un piccolo prezzo da pagare in confronto a quanto ci
aspetta.
Facendo attenzione a
dove metto i piedi, attraverso il corridoio deserto, diretto verso il
ripostiglio. Abbiamo deciso di rendere reperibili le bottiglie solo il
giorno della finale, così quelle che abbiamo rubato e
cammuffato nel frattempo le trasfiguriamo in scope. Tutti questi
dettagli maniacali sono stati ovviamente messi a punto da Sirius:
incredibile come in certe occasioni si dimostri di una pignoleria
assurda.
Tutto quello che devo
fare ora è compiere l’incantesimo e nascondere le
‘scope’ nell’angolo più remoto
del ripostiglio, in modo che Gazza non pensi di appropriarsene nel caso
decidesse di piombare proprio qui dentro. Sono sicuro che nessun
Serpeverde mi abbia seguito, perché in questo momento sono
tutti a cena e Sirius li sta tenendo d’occhio peggio di un
cane da guardia, pronto ad avvisarmi tramite lo specchio se qualcuno di
loro si alza da tavola, con o senza un pretesto per farlo.
Potrei compiere queste
operazioni in totale tranquillità, sono più
protetto della Pietra Filosofale.
Mi chino e appoggio a
terra le bottiglie, togliendomi il mantello. Tiro fuori la bacchetta e
mi preparo ad eseguire l’incantesimo, con un senso di potenza
infinita che mi rende un tantino megalomane in questo momento.
“Potter, che
diavolo …”
Faccio un salto
all’indietro che mi fa quasi rovesciare per terra, la
bacchetta che mi vola via di mano. Mi volto, sulla porta del
ripostiglio c’è la Evans in persona. Per Godric,
non è possibile. Sempre nel posto sbagliato al momento
sbagliato.
“Evans,
accidenti … che ci fai qui?! Non costringermi a farti del
male”, balbetto, preso dal panico, mentre cerco di recuperare
la bacchetta in mezzo a tutti questi stracci polverosi. Lei sbuffa
sarcasticamente.
“Non
oseresti”, mi dice, evidentemente per nulla intimorita dalla
mia debole minaccia. Solo che io devo assolutamente sforzarmi di
risultare minaccioso.
“Beh
…” inizio, spazzandomi via la polvere da una
manica del maglione, “credo che tu non ci tenga a scoprirlo,
perciò … se tu potessi …”
“…
cosa, lasciarti in pace? Lo pensi seriamente?”
Già,
immaginavo che avrei preteso un tantino troppo.
“Non vorrei
dover ricorrere a rimedi estremi, sai com’è
…” sbotto, sentendomi alle strette. Lei non
accenna minimamente a cancellarsi quel ghigno di sardonica
soddisfazione dalla faccia.
“Potter, non
mi fai paura. Avanti, dimmi che diavolo stavi combinando con quelle
bottiglie di oscura provenienza e forse sarò clemente e ti
darò io stessa una punizione, evitando di dover passare per
la McGranitt”.
Pensandoci bene,
è lei che fa paura a me.
Perfetto, e ora che
faccio? Che accidenti mi invento per farla stare buona? Questo
è il miglior piano di tutta la mia carriera scolastica, per
quanto la adori non posso permettere che me lo mandi in fumo
…
“E se
facessimo finta che tu non abbia visto niente?” ipotizzo,
alzandomi in piedi e sfoggiando uno dei miei migliori sorrisi.
“Andiamo, non stavo facendo nulla di male
…”
La osservo esibire
un’espressione perplessa mentre ancora mi sto sforzando di
tirar fuori tutta la mia proverbiale sicurezza, e la cosa ha su di me
più o meno lo stesso effetto di un ago che buca un
palloncino.
“Benissimo,
allora spiegami che cosa stavi facendo, per la precisione. Se davvero
non è nulla di male, non hai di che temere”.
Oh, fantastico. Si sta
proprio divertendo, a torturarmi così. Donna senza cuore.
“Non posso
dirtelo”, rispondo, esibendo tutta la mia più
stupefacente e accattivante ingenuità. Lei mi guarda con
un’espressione sconcertata, i suoi bellissimi occhi verdi
completamente spalancati per lo stupore.
“Potter, se
non me lo puoi dire allora la strada che hai di fronte è una
sola: mi segui, ascolti la mia punizione e poi sconti la tua condanna!
Non vedo perché tu debba farla tanto difficile”.
No, no, Lily,
così non va bene, non va bene per niente. Non vuoi proprio
farmela passare liscia, eh?
Decido che la cosa
migliore da fare è cercare di svignarmela. Non ho intenzione
di lanciarle contro un incantesimo, per quanto le circostanze siano
complicate, non ne avrei davvero la forza. Ma anche i miei tentativi di
schivarla vanno a vuoto. Del resto, l’entrata del ripostiglio
non è così enorme.
“Qual
è il tuo problema, accidenti?” le chiedo,
dichiarandomi implicitamente vinto. Lei non mostra il minimo segno di
compassione nei miei confronti.
“Il mio
problema è che tu stai architettando qualcosa che io non
posso lasciarti portare a termine, e mi duole se questo non ti va a
genio, ma la spilla da Prefetto ce l’ho io, non tu”.
Mi sento invadere
dallo sconforto. Non ne uscirò mai indenne, è
impossibile che decida di usarmi clemenza. Ma perché,
accidenti?
“Senti,
Evans, fammi il favore di togliermi una curiosità: che
diamine ti ho fatto di male per guadagnarmi una tale persecuzione da
parte tua? Non credevo di poter meritare una punizione
perché per sei anni sono stato …”
Mi blocco prima di
finire la frase, è più forte di me. Avevo fatto
un sospiro profondo prima di esordire, e avevo deciso che le avrei
detto tutto, ma proprio tutto. Non per una ragione precisa, ma
perché semplicemente ne avrei avuta l’occasione,
una volta tanto. Però poi, tentando di tirar fuori le
parole, mi sono accorto di non esserne in grado. Ha cominciato a
riemergere quella parte timorosa di me che tende a schermarsi dietro le
frasi non dette, le espressioni lasciate a metà. Eppure, so
di non avere niente di cui vergognarmi a riguardo. Sono innamorato di
lei, già, e lo sono fin da quando non ero altro che un
moccioso alto un metro e uno sputo, da quando ho messo piede a Hogwarts
per la prima volta, da quando non sapevo nemmeno da che parte girare
per arrivare in Sala Grande, e me lo sono tenuto dentro, ho iniziato a
reagire al suo disprezzo iniziale trasformandomi sempre di
più in quello che lei odiava maggiormente fino ad arrivare
al momento in cui mi sono sentito descrivere con i peggiori aggettivi
che siano mai stati inventati, cosa che ha avuto su di me un impatto
depressivo non indifferente.
Ho fallito in modo
clamoroso con lei, e nemmeno ho il coraggio di dirglielo.
“Non sono
una perfida aguzzina, sai benissimo che come Prefetto ho il dovere di
tenere d'occhio i soggetti come te”, mi risponde, in tono
glaciale. Io la guardo negli occhi, risoluto a non abbassare
più lo sguardo.
“Come
Prefetto non ti accanisci così nei confronti di nessun
altro. L’unico motivo per cui lo fai è
perché l’hai resa una questione
personale”.
Per un effimero
secondo lei mi fissa con uno sguardo attonito, come se avesse capito
esattamente dove volevo andare a parare. Subito dopo però
recupera la padronanza di sé e mi sfida con un sorriso
irridente.
“Perché
devi far ricadere la responsabilità su di me? Sei tu quello
che si crede il migliore in tutto quello che fa, che deve ottenere il
primato in qualsiasi campo”.
Come, prego?
La confusione si fa
strada dentro di me, mentre scavo alla ricerca di una spiegazione per
questa sua criptica risposta. Ma mi ci vuole poco per arrendermi,
perché in questo momento pare proprio che mi si sia
annebbiato il cervello.
“E questo
cosa vorrebbe dire?” le chiedo, correndo il grosso rischio di
sembrarle un perfetto idiota. Ma lei, inspiegabilmente, diventa
reticente e si morde il labbro, abbassando lo sguardo, piombando in un
imbarazzo che mi lascia ancora più confuso.
“Lo sai
benissimo”, mi risponde, con forzata sfacciataggine. Io
increspo le labbra. Eh no, così non funziona; non vale
affatto giocare su queste implicite consapevolezze.
“No, non lo
so, quindi se vuoi che ti lasci andare devi spiegarmelo”,
rispondo, avanzando e mettendola improvvisamente con le spalle al muro,
con un tono provocatorio che forse va oltre quello che mi posso
permettere. Rischio grosso in questo momento, perché lei
potrebbe reagire con ira e rifilarmi una delle sue rispostacce del tipo "Io non ti devo
nessuna spiegazione, razza di stupido borioso arrogante" e
via su questo tono, anzi, sono praticamente certo che ormai
finirà così. I suoi occhi già
lampeggiano per l’odio che le sta crescendo dentro. Ho almeno
la consolazione di averci provato, il resto imparerò a
superarlo.
“Hai sul
serio la faccia tosta di far finta di niente”, mi dice,
stringendo le labbra, “o forse per te è
così scontato che nemmeno te ne preoccupi. Sei riuscito a
far cadere ai tuoi piedi l’intera scuola, ti trovano tutti
simpatico e divertente, ti adorano tutti, tutti non fanno che dire
quanto sei bravo a Quidditch e quanto sei brillante e carino e tutto il
resto. E ora, l’unica che ti manca da aggiungere alla
collezione sono io. È ovvio dove vuoi arrivare”.
Mentre pronuncia
queste parole sento la sua voce incrinarsi lievemente, e io la fisso
con aria ancora più sbalordita di prima. Allora è
questo che pensa di me? Che per sei anni le abbia sbavato dietro solo
per poterla ottenere come trofeo? Che sia veramente così
assorbito dal fine di gonfiare a dismisura il mio ego da non
considerarla nemmeno una persona, ma un obiettivo a cui puntare per
accrescere la mia reputazione? Okay, tempo fa davo costantemente prova
di una vanità che non aveva limiti quando lei si trovava nei
paraggi, ma tutto quello che facevo lo facevo per impressionarla, per
tentare vanamente di conquistarmi uno sguardo d’ammirazione
da parte sua …
Sento la rabbia
montarmi dentro, e non so davvero se sarò in grado di
arginarla con efficacia. Ma non voglio accanirmi su di lei, per quanto
io possa dimostrarmi per l’ennesima volta stupido e privo di
dignità non ce la faccio a ferirla consapevolmente, per cui
mi faccio indietro e distolgo lo sguardo da lei, distrutto.
“Va bene,
senti … vai. Vai pure a dirlo alla McGranitt. Non mi
importa”.
La sento rimanere
immobile davanti a me, vergognandomi di tutta la triste delusione che
mi sta invadendo, senza che io riesca a mascherarla in alcun modo. Mi
sento più infantile di un bambino a cui hanno rubato le
caramelle e l’attimo dopo vacillo, non mi sento
più le gambe, sono costretto ad appoggiarmi al muro.
Sono semplicemente
sconvolto, ecco la verità.
Non mi credevo capace
di poter crollare di nuovo come mi è successo alla fine del
quinto anno. Allora ero certo di aver toccato il fondo. E invece, mi
ritrovo a scoprire che un fondo non esiste, e che evidentemente io sono
destinato a sperimentarlo sulla mia pelle.
Ma lei non accenna ad
andarsene.
Sollevo lo sguardo per
osservarla, nonostante mi faccia male. Sembra davvero avere
l’aria di non sapere cosa dire. Mi fissa come se le avessi
appena detto che mia madre è stata ricoverata al San Mungo.
Ma fino a un attimo fa era così convinta del giudizio che ha
espresso, che non riesco a trovare nemmeno la forza per difendere la
mia causa.
“Quindi
è questo il motivo per cui ce l’hai con me,
eh?” le domando, senza aspettarmi una risposta. E
d’improvviso vengo assalito dai ricordi di tutte quelle volte
che Sirius mi ha fatto notare quanto lei se la prendesse sempre e solo
con me, e che sicuramente quello doveva essere un segnale positivo,
perché se mi avesse odiato davvero avrebbe fatto di tutto
per evitarmi o mi avrebbe semplicemente ignorato senza perdere tempo ad
instaurare un dialogo con me, reagendo ad ogni minima provocazione. E
io non riuscivo a dargli credito per la colossale paura di montarmi di
nuovo la testa, ma in un certo senso, anche se a parole lo negavo, mi
crogiolavo in quel punto di vista, non riuscendo comunque ad escluderlo
come possibilità … Sono stato davvero un perfetto
idiota. Dove finisce tutta la mia decantata intelligenza quando si
tratta di lei? Sinceramente, non lo so proprio.
Avevo lavorato tanto
per imparare ad essere forte di fronte a lei, a reagire con
abilità ad ogni colpo basso, e adesso tutta la mia fatica va
in fumo lasciandomi in preda alla debolezza più meschina.
Davanti a me ho solo il suo visetto mortificato. Sembra quasi
dispiaciuta di avermi appena pugnalato così violentemente, e
questo mi getta in una confusione che sommandosi al dolore genera uno
sconvolgimento un po’ troppo forte da sopportare.
Se anche sono riuscito
a farle pena, in ogni caso non è quello che volevo.
Devo andarmene da
lì. Ho una faccenda da sbrigare. Non mi importa
più niente ormai di quello che lei potrebbe fare per
sabotarmi, non mi importa più niente dei Serpeverde
né del Quidditch, ho solo bisogno di stare da solo e di
trovare il modo migliore per digerire anche questa batosta. Bei regali
di fine anno ricevo, ultimamente. Il prossimo mi arriva uno schiaffo,
poco ma sicuro.
L’imbarazzo
pesa su di noi come una cappa di nebbia, ma alla fine lei prende
l’iniziativa, e si allontana senza aggiungere altro. Io
decido di non preoccuparmi più di lei, perché
sfortunatamente in questo momento ho la forte necessità di
concentrarmi su me stesso, da bravo egocentrico che sono.
***
Una tattica. Una
stupida, odiosa, prevedibile tattica.
Mi viene voglia di
gridare.
Perché
Potter deve essere così congenitamente idiota, falso,
perfido, e soprattutto, perché dev’essere un
così bravo attore? Perché? È colpa di
sua madre o di suo padre? Dannazione, non mi interessa se non
l’avevano previsto. Hanno generato un essere esecrabile, non
ci sono scuse.
Mi passo le mani fra i
capelli, coprendomi il viso.
L’istinto di
gridare è ancora forte, ma sto riuscendo a dominarlo. Ormai
sono giorni che sto così. Vorrei sfogarmi e prenderlo a
calci, ma ragionandoci sopra in modo lucido e razionale riconosco che
non è la tattica più corretta ed efficace da
adottare, perciò ho deciso di fargliela pagare in un modo
più perfido e calcolato, cosa che riscuoterà
sicuramente più successo di una pubblica scenata.
Non mi interessa un
fico secco se quelli di Serpeverde sono dei gonfiati boriosi
invischiati fino al collo nelle Arti Oscure, farò in modo
che Potter non torca loro un capello.
Non perché
ci tenga a difenderli – anzi, io per prima ho smesso di farlo
ormai diverso tempo fa –, ma perché far fallire
Potter in una delle sue bravate è sicuramente la punizione
peggiore che io possa affibbiargli.
Non può
permettersi di tentare di prendermi in giro così
subdolamente e poi passarla liscia, questo è poco ma sicuro.
Per questo lo sto
tenendo d’occhio.
Mangio distrattamente,
alle volte finisco per sbattere la forchetta contro il piatto nel vano
tentativo di infilzare il cibo. Ogni tanto Margaret mi guarda in modo
strano e mi chiede se ho bisogno di essere imboccata, ma non ho tempo
di spiegare niente a nessuno, quindi mi limito ad imporle di tacere con
un gesto secco. Devo concentrarmi. Se adesso iniziassi a parlarne con
lei, partirebbe immediatamente l’ennesima campagna in difesa
di Potter il Magnifico.
Poco dopo Potter si
alza da tavola, con un’aria da Innocentino che fa quasi
venire il vomito. Rivolge un inchino ai suoi amici e si allontana con
una disinvoltura che non ho mai capito da dove tragga. Cosa faccio,
ora, lo seguo o non lo seguo? Non posso alzarmi subito da tavola, darei
troppo nell’occhio, e sarebbe come sbandierare ai quattro
venti che mi sto apprestando a pedinarlo. Ma così rischio di
perderlo di vista …
“Se ti
può essere utile, credo di sapere dove stia
andando”, mi dice Mary, all’improvviso. Io mi volto
verso di lei, invitandola a proseguire con un cenno incuriosito.
“Oggi a
Difesa li ho sentiti parlare del loro prossimo piano, e di un
ripostiglio per le scope – credo quello del terzo piano, sai,
di solito è poco frequentato. Non sono sicurissima di aver
capito bene, e non ti so dire a cosa gli serva, ma spero ti possa
essere utile”.
“Grazie”.
Mary è
esattamente il tipo di persona che si rivela utile in circostanze del
genere: di solito, standosene sempre in silenzio immersa nel suo libro
della settimana, la gente non fa particolarmente caso ad abbassare il
tono della voce nelle sue vicinanze.
Attendo qualche minuto,
reprimendo con forza quel sorriso di soddisfazione che cerca di farsi
strada sulla mia faccia mentre l’euforia mi pervade.
L’ho praticamente incastrato, non mi resta altro che beccarlo
con le mani nel sacco.
Mi alzo da tavola
insieme a Mary, che si è offerta di accompagnarmi in
dormitorio, perché non ha più fame e deve
assolutamente finire di leggere Il Signore Delle Mosche,
dato che oggi i suoi genitori le hanno inviato via gufo Siddharta, e lei
non si sente fisicamente bene se non ha ancora finito un libro e ne ha
già un altro che la aspetta.
Ci allontaniamo dai
tavoli della Sala Grande facendo finta di niente, conversando in modo
normale. Solo Mary sa che cosa sto andando a fare in realtà.
Alle altre non l’ho detto, tanto conosco già i
commenti che accompagnerebbero il mio ennesimo atto di cattiveria nei
confronti di Potter. Lei è l’unica che per
principio non si intromette e, anzi, mi dà anche una mano,
sebbene magari non capisca esattamente il perché lo faccio.
In questo caso,
però, credo che non comprenderebbe nessuno.
Tutta Hogwarts ama
Potter e i suoi amici, e io sono la pecora nera della situazione; ormai
ci ho fatto l’abitudine, e per me non è
più un problema.
“Ci vediamo
dopo”, dico a Mary al momento di separarci, e con un sorriso
mi avvio verso il corridoio del terzo piano. Cerco di camminare nel
modo più silenzioso possibile, procedendo a passi lenti e
misurati. Questa è la volta buona che becco Potter con le
mani nel sacco, poco ma sicuro. La mia impazienza cresce in modo
spropositato nel momento in cui sento un rumore provenire da un punto
lontano del corridoio, ma mordendomi il labbro mi impongo di fare
piano. Ancora poco e ci
sei, Lily.
Sono davanti alla porta
del ripostiglio. Trattengo il fiato e salto fuori, trovandomi di fronte
proprio l’idiota che stavo cercando. È chino a
terra di fronte a un paio di bottiglie, e tiene in mano una bacchetta,
con l’aria di uno che sta per pronunciare un incantesimo.
“Potter, che
diavolo …”
Lui fa un balzo
all’indietro voltandosi con un’espressione
terrorizzata e facendosi scappare la bacchetta di mano.
“Evans,
accidenti … che ci fai qui?! Non costringermi a farti del
male”, mi dice, cercando di riprenderla.
“Non
oseresti”, lo sfido, a testa alta.
“Beh
… credo che tu non ci tenga a scoprirlo, perciò,
se tu potessi …”
“…
cosa, lasciarti in pace? Lo pensi seriamente?”
“Non vorrei
dover ricorrere a rimedi estremi, sai com’è
…”
“Potter, non
mi fai paura. Avanti, dimmi che diavolo stavi combinando con quelle
bottiglie di oscura provenienza e forse sarò clemente e ti
darò io stessa una punizione, evitando di dover passare per
la McGranitt”.
Ci guardiamo in
silenzio per qualche secondo, io con la soddisfacente sensazione di
averlo in pugno, lui con l’aria di chi non sa che pesci
pigliare. Dopo un po’ di tempo sprecato in questo modo, si
alza in piedi e mi si avvicina con aria accattivante.
“E se
facessimo finta che tu non abbia visto niente? Andiamo, non stavo
facendo nulla di male …”
Inarco un sopracciglio,
assumendo un’espressione profondamente scettica. Forse non ha
ancora capito che le sue tattiche per catturarsi la simpatia altrui con
me non hanno alcuna efficacia.
“Benissimo,
allora spiegami che cosa stavi facendo, per la precisione. Se davvero
non è nulla di male, non hai di che temere”.
Cala un altro silenzio
appesantito dal suo evidente disagio, dato che ancora non è
riuscito a trovare una scusa che regga.
“Non posso
dirtelo”, mi spiega, con candore, alzando le spalle e
appoggiandosi con teatralità allo stipite della porta. Io
sgrano gli occhi, allibita. Chi crede di prendere in giro?
“Potter, se
non me lo puoi dire allora la strada che hai di fronte è una
sola: mi segui, ascolti la mia punizione e poi sconti la tua condanna!
Non vedo perché tu debba farla tanto difficile”.
Lui scuote la testa,
alzando gli occhi al soffitto. Comincia ad essere un tantino
esasperato. Fantastico. Tra poco si stancherà di provare a
farla franca.
Tenta di schivarmi un
paio di volte per sfuggirmi, ma i miei riflessi sono sufficientemente
buoni da sbarrargli la strada. Dopo un po’ desiste, e mette
via la bacchetta.
“Qual
è il tuo problema, accidenti?” mi dice, in tono
lamentoso. Come se potesse riuscire a farmi pena. Ma andiamo.
“Il mio
problema è che tu stai architettando qualcosa che io non
posso lasciarti portare a termine, e mi duole se questo non ti va a
genio, ma la spilla da Prefetto ce l’ho io, non tu”.
Di solito non ne faccio
un vanto, anzi. Non mi aspettavo che Silente scegliesse proprio me.
Mary, ad esempio ha più pazienza, Helen ha più
carisma. E in genere non approfitto del mio potere, tranne quando si
tratta di Potter.
“Senti,
Evans, fammi il favore di togliermi una curiosità: che
diamine ti ho fatto di male per guadagnarmi una tale persecuzione da
parte tua? Non credevo di poter meritare una punizione
perché per sei anni sono stato …”
Si blocca a
metà frase, e io lo osservo con aria apparentemente
perplessa. Intanto, ad un livello più profondo del mio
subconscio, sento esplodere una serie di domande e di dubbi confusi.
Insomma, voglio dire, le sue manie di persecuzione sono semplicemente
ridicole. Non passo tutto il mio tempo a dargli la caccia, per me non
ha tutta questa importanza. Questo è un caso eccezionale, e
potrà anche darsi che io mi stia dando così da
fare perché sotto sotto voglio fargliela pagare per la
recita calcolatrice che ha messo in atto durante tutto
quest’anno nel tentativo di vincere una specie di trofeo
incarnato nella mia persona, ma comunque sia questo è il mio
dovere. Silente non mi ha affidato un incarico di una simile portata
perché mi beassi degli sguardi di chi occhieggia la mia
spilla con invidia o ammirazione e poi mi adagiassi sugli allori
lasciando che Hogwarts andasse alla deriva.
E poi, sono stato cosa?
Un casinista? Una persona assillante? Un insopportabile sbruffone?
“Non sono una
perfida aguzzina, sai benissimo che come Prefetto ho il dovere di
tenere d'occhio i soggetti come te”, gli rispondo, in tono
freddo e asciutto. Non ho la benché minima intenzione di
farmi impietosire da uno che, per presunzione e congenita
incapacità di accettare una sconfitta, ha messo in piedi un
simile teatrino per poi cantare vittoria alle mie spalle una volta che
avessi ceduto.
Se avessi
ceduto.
“Come
Prefetto non ti accanisci così nei confronti di nessun
altro. L'unico motivo per cui lo fai è perché
l'hai resa una questione personale”.
Che diavolo va
blaterando, si può sapere? È impossibile che
abbia scoperto quello che so, perciò mi piacerebbe molto
capire da che cosa ha dedotto che si tratta di una questione personale.
“Perché
devi far ricadere la responsabilità su di me? Sei tu quello
che si crede il migliore in tutto quello che fa, che deve ottenere il
primato in qualsiasi campo”, replico freddamente, con un
sorriso beffardo, sperando che colga l’evidente allusione. Ma
la sua espressione confusa e spiazzata fornisce una prova
più che evidente del fatto che non è in grado di
arrivarci. Oppure fa finta di non capire. Idiota.
“E questo
cosa vorrebbe dire?” mi chiede, con un’incertezza
che sembra quanto mai sincera. È davvero un bravissimo
attore, non c’è che dire. Io non riuscirei mai a
fare come lui.
Poco importa, se vuole
davvero fingere di non arrivarci glielo dico io.
Anche se mi sembra
così presuntuoso. Non ho idea del perché debba
esserci proprio io, invischiata in questa situazione. Mi sembra assurdo.
“Lo sai
benissimo”, ribatto, ostentando un’aria di
sufficienza che in realtà non ho. Avanti, non è
così difficile arrivarci. Nemmeno per uno dotato di
così scarse capacità cerebrali.
“No, non lo
so, quindi se vuoi che ti lasci andare devi spiegarmelo”,
risponde lui, in tono di sfida, mettendomi con le spalle al muro. Si
permette anche di fare lo sbruffone pretenzioso, guardatelo. E va bene,
se proprio vuole sentirlo uscire dalle mie labbra per essere
soddisfatto, gli darò questa soddisfazione. Almeno
capirà che ho compreso il suo gioco, e la farà
finita con questa buffonata.
“Hai sul
serio la faccia tosta di far finta di niente”, gli dico, con
ira, “o forse per te è così scontato
che nemmeno te ne preoccupi. Sei riuscito a far cadere ai tuoi piedi
l’intera scuola, ti trovano tutti simpatico e divertente, ti
adorano tutti, tutti non fanno che dire quanto sei bravo a Quidditch e
quanto sei brillante e carino e tutto il resto. E ora,
l’unica che ti manca da aggiungere alla collezione sono io.
È ovvio dove vuoi arrivare”.
Non riesco a
pronunciare tutto questo brillante discorso con la forza che avrei
dovuto metterci realmente, e la mia voce finisce per spegnersi quasi in
un sussurro una volta arrivata alla fine. Non so cosa mi stia
succedendo, non so perché ho perso tutta la convinzione che
avevo all’inizio.
È che
… la sua faccia.
Ha una faccia sconvolta.
Rimango immobile a
fissarlo impudentemente senza riuscire a togliergli gli occhi di dosso,
perché davvero non riesco a crederci.
Non dice niente, ha
soltanto quell’espressione indefinibile.
Peggio di quando
Grifondoro ha perso il campionato di Quidditch al terzo anno.
È
… terribile. Mi fa star male. Gli sono perfino venuti gli
occhi lucidi.
Non posso crederci, mi
sembra assurdo. Che diavolo gli succede, per Merlino?
Dopo un po’,
abbassa lo sguardo e incassa la testa fra le spalle, indietreggiando.
“Va bene,
senti … vai. Vai pure a dirlo alla McGranitt. Non mi
importa”.
Io non riesco a muovere
un muscolo.
So benissimo che, per
questioni di dignità e di decoro, dovrei troncare
immediatamente questa conversazione e andarmene, fiera del risultato
ottenuto.
Ma non riesco a capire.
Perché ha
quella faccia?
Perché non
tenta nemmeno di difendersi?
Dopo aver organizzato
tutta questa meticolosa messa in scena durata un intero anno
scolastico, per quale motivo ora che l’ho smascherato mi
volta le spalle e mi dice di andarmene?
È lui che ha
qualche rotella fuori posto, o è colpa mia?
Nemmeno una parola.
Nemmeno una stupida scusa. Nemmeno un pallido tentativo di farmi
credere che non è come penso.
Continuo a fissarlo ad
occhi spalancati mentre si appoggia al muro con un braccio,
nascondendovi dietro il viso. Sono sconvolta. Sono semplicemente
sconvolta. Lui, il bamboccio, quello che prende tutto sul ridere e
niente sul serio, che non getta mai la spugna nemmeno di fronte al
‘no’ più secco e glaciale. Non
è possibile. Solo una volta, in tutti questi anni, sono
riuscita a ferirlo, ed è stato un anno fa. Ma poi gli
è passata, come avevo previsto, ed è tornato ad
essere quello di sempre. Beh, non esattamente. È cambiato.
È diventato più maturo, più
ragionevole, più acuto. No, no, un momento.
C’è qualcosa che non va. Doveva essere tutta una
recita.
Possibile che io abbia
frainteso?
Possibile che quella in
torto sia io?
Solleva di nuovo la
testa per guardarmi ancora con quella faccia, e io non riesco a
sostenere il suo sguardo. Fisso una crepa nel pavimento con
ostinazione, costringendomi a pensare a quanto ero convinta, fino a
pochi minuti fa, che la sua fosse tutta una farsa.
Non credo di farcela.
È troppo.
“Quindi
è questo il motivo per cui ce l’hai con me,
eh?” mi domanda, in tono retorico e amaramente disincantato.
Sento l’impellente bisogno di rispondere qualcosa, ma le
parole mi sfuggono e i secondi passano, e mi rendo conto che ho perso
l’occasione. Non saprei nemmeno che dire, in effetti. Non ho
idea di come reagire. Dovrei essere inflessibile, e fregarmene, ma
è troppo. È veramente troppo.
Non ho altro da fare,
lì. Non c’è nient’altro che
io possa fare.
Forse è
davvero il caso che me ne vada.
È evidente
che ha bisogno di stare da solo. E se anche potesse desiderare che ci
sia qualcuno a confortarlo, quel qualcuno non sono certo io.
Basta. Me ne vado.
Lentamente, mi stacco
dallo stipite della porta e arretro, cercando di non far rumore, mentre
lui continua a darmi le spalle. Dopo essere finalmente riuscita ad
uscire dal suo campo visivo, a passi lenti e misurati mi incammino per
andarmene il più lontano possibile da lì,
percorrendo il corridoio deserto fino alla fine, continuando a non
capire un fico secco di quello che è successo.
È piuttosto
ironico che fino a cinque minuti fa fossi così convinta di
saperlo.
Do
you always have to tell him everything on your mind?
You
know that too much honesty can be so unkind?
And
every time you throw him to the floor,
Why
are you surprised to see he’s breakable?
(Fisher, Breakable)
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Capitolo 4 *** Cioccorane in segno di pace ***
capitolo 4
Capitolo
4 – Cioccorane in segno di pace
Chi non
cambia mai la propria opinione ha il dovere assoluto di essere sicuro
di aver giudicato bene sin da principio.
(Jane
Austen, Orgoglio e
pregiudizio)
29
maggio 1977
Ogni volta che
sprofondo nella
poltrona più lontana dalla folla che anima la sala comune,
faccio sempre più fatica a risollevarmi e tornare in mezzo
al
gruppo con un enorme sorriso di circostanza stampato in faccia.
La verità
è che odio
immusonirmi in questo modo. So di risultare fastidioso e preoccupante
quando mi comporto così, e so che razionalmente dovrei
riuscire
ad impormi di essere allegro come la situazione richiede.
Però,
alla fine, non ci riesco veramente. Magari chi non mi conosce non si
accorge di nulla, ma Sirius già mi sta tenendo
d’occhio da
tre giorni a questa parte e lo sguardo muto di Remus mi segue sempre
dovunque vada, troppo buono per rimproverarmi, troppo discreto per
cercare di discutere con me di quello che non va. Anche Peter
è
preoccupato e mi regala ogni genere di sciocchezza per cercare di
tirarmi su: un modellino di Jocunda Sykes a cavallo della sua scopa, un
Avversaspecchio sgraffignato da suo nonno durante le vacanze di Pasqua,
un piccolo Pensatoio (“Perché
sei così pensieroso in questi giorni, ma dato che non ti va
di confidarti con noi …”).
Non che io non sia
loro grato, ma
la mia situazione, sostanzialmente, non è cambiata. Mi sento
un
inutile peso per tutti, un odiosissimo problema a cui nessuno
può trovare una soluzione efficace. Sono insopportabile ai
miei
stessi occhi, eppure non riesco a darci un taglio e a farmela passare
una buona volta. Sono imprigionato in un’ingiustizia che non
mi
permette di gioire perché abbiamo appena vinto la finale di
Quidditch, perché fino a domani sera i Serpeverde correranno
in
bagno in quattro alla volta, perché i miei esami sono andati
bene, perché anche quest’estate Sirius
starà da me
… in fondo, si tratta di almeno quattro ragioni contro una
per
essere felice, e nonostante questo sembra che io non sia capace di dare
il giusto peso alle cose. Altro che crescita e maturazione. Sono ancora
un bambino, ecco la verità. Mi sento incredibilmente stanco,
non
sono affatto di compagnia, e forse sarebbe davvero il caso che me ne
andassi a dormire.
Mi dispiace,
perché so che
gli altri ci rimarranno male. Sirius si offenderà, e mi
terrà il broncio per un paio di giorni. Ma davvero non posso
farci niente, non riesco a fingere così bene come dovrei, ed
è inutile rimanere lì ancora, ad osservare gli
altri che
si divertono al mio posto.
Il mio tentativo di
concentrazione
per riuscire ad alzarmi senza ricadere a peso morto sulla poltrona non
dura più di una frazione di secondo, perché
l’attimo dopo una persona con una lucente massa di capelli
rossi
si siede rapidamente vicino a me lasciandomi pietrificato e incapace di
muovermi.
Mi sento il suo
sguardo puntato addosso, e io non riesco ad alzare gli occhi per
sostenerlo.
“Oh,
scusami, ti ho lanciato
un incantesimo senza accorgermene?” mi chiede lei, falsando
volutamente un tono di preoccupazione apprensiva. Io mi limito a
increspare le labbra e a corrugare la fronte, continuando a guardare il
vuoto davanti a me.
“Certo, mi
fa piacere che per una volta tu te ne stia zitto, ma hai comunque il
permesso di muoverti”.
Stavolta mi giro a
guardarla,
tentando di impormi di fissarla con uno sguardo di disappunto. In
realtà non capisco assolutamente niente. Lei che di sua
volontà è venuta a sedersi di fianco a me, che di
sua
volontà mi sta rivolgendo la parola …
è
semplicemente qualcosa di estraneo alle mie capacità di
comprensione. Riconosco di avere un’intelligenza limitata,
almeno
in determinati campi, ma tutto questo non riesce a sembrarmi normale, e
penso che potrei essere enormemente grato a chiunque fosse in grado di
fornirmi una spiegazione, anche se si trattasse di Snivellus.
“Questo
è il tuo modo di ringraziarmi per aver fatto vincere a
Grifondoro almeno la
Coppa di Quidditch?” provo ad insinuare, tentando di
risollevarmi dallo shock. Lei si stringe nelle spalle.
“Considerato
che non ritengo
il Quidditch la base della mia esistenza, direi che per quanto mi
riguarda quella coppa è soltanto una magra
consolazione”.
Scuoto la testa,
alzando gli occhi
al soffitto. Va bene che sono pazzo di lei, ma questo non implica che
io debba sempre essere al settimo cielo di sentirmi rivolgere la
parola, se questo significa essere costantemente bersagliato con simili
denigrazioni.
“Avanti,
dimmi che cosa gli
avete fatto”, mi dice, in tono perentorio. Io la fisso a
bocca
aperta, con un’espressione probabilmente ridicola.
“Cosa
abbiamo fatto a chi?”
le chiedo, la mente in preda alla confusione più totale.
“Ai vostri migliori amici”,
risponde lei, con ovvietà. Io mi pietrifico di nuovo. Se mi
ha
appena citato l’espressione usata da Sirius il giorno che
abbiamo
delineato il piano, vuol dire che ha ascoltato l’intera
conversazione senza che noi ce ne accorgessimo. Fantastico. Lily Evans
non è un Prefetto, è un Auror per Malandrini.
“Ah.
Certo”, borbotto,
incupito. Non le bastava aver distrutto il mio orgoglio di uomo, doveva
necessariamente darsi da fare per distruggere anche quello di
Malandrino. Sapere che avrebbe potuto sabotarci con estrema
facilità non mi riempie esattamente di gioia, e
già mi
cadono le braccia al pensiero di quello che dirà Sirius
quando
lo verrà a sapere.
"Lo
vedi che
avevo ragione io? La tua donna è una grandissima bastarda!
Avresti dovuto tapparle la bocca quando potevi, invece di girarle
intorno! E così ero paranoico, eh? La prossima volta invece
di
accusarmi vedi di imparare a contenerti di fronte a lei, o puoi anche
scordarti di divertirti ancora qui dentro!"
Nonostante questo lei
è
ancora lì, a fissarmi in silenzio. Forse dovrei evitare di
farmi
tanti problemi e limitarmi a darle quello che vuole.
“Cosa
credevi che ci fosse in
quelle bottiglie?” le chiedo, in tutta risposta, scegliendo
di
evitare i giri di parole. Lei si stringe nelle spalle.
“Idromele?”
risponde. Io quasi sogghigno.
“Sbagliato.
In realtà
era pozione lassativa. Il fatto è che, anche se te
l’avessi fatto assaggiare, ti posso assicurare che non
avresti
notato la minima differenza. A parte per gli effetti collaterali,
s’intende. Hai notato che l’altro ieri Sirius e
Peter non
stavano tanto bene? Questo perché avevano semplicemente
fatto da
cavie … prova ad immaginarti l’effetto che
potrebbe dare
anche solo un bicchierino di quella roba”.
“E come ci
siete riusciti?” mi chiede, incuriosita. Io la guardo negli
occhi, e stavolta il ghigno mi scappa.
“Trucchi del
mestiere,
sorella. Noi quattro sappiamo fare cose che sui banchi di scuola non si
sognerebbero mai di insegnarci”.
Comincio a pensare che
ora ha davvero un motivo perfetto per farmi una predica interminabile.
“Spero
proprio che si
ubriachino tutti”, sentenzia invece, e io la guardo
sbalordito.
Il secondo dopo un sorriso di sorpresa mi esplode sul volto.
È
assolutamente fuori da ogni logica, Lily Evans approva una nostra
bravata. Mi sarei aspettato di sentirmi dire di tutto, meno che una
cosa di questo genere. “La
tua perfidia è sprecata come Prefetto”, le dico,
dimenticandomi in un attimo delle mie intenzioni di mantenere un
atteggiamento discostato nei suoi confronti. Lei mi lancia un sorriso
obliquo.
“Stai
cercando di corrompermi?” mi chiede. Io mi stringo nelle
spalle, divertito.
“Dovresti
provare a collaborare a uno dei nostri scherzi, sono sicuro che
finirebbe per piacerti”.
La mia fantasia ha
sempre avuto il
vizio di correre troppo. Ora, dopo una proposta del genere,
indubbiamente mi arriverà uno schiaffo.
Ma lei non si muove,
si limita a incrociare le braccia e a fissarmi.
“E che cosa
ci
guadagno?” mi chiede. Io rimango indeciso su cosa rispondere
per
qualche imbarazzante secondo. Un paio di offerte da farle forse le
avrei, ma sono abbastanza sicuro che non apprezzerebbe.
“Beh, di
certo ti faresti un
sacco di risate, cosa che ti fa evidentemente bene perché in
questo momento sei molto più rilassata del solito”.
Lei non risponde e si
limita a
fissare una crepa nel pavimento, con un lieve sorriso che le aleggia
sulle labbra. Devo dire la verità, non ho la più
pallida
idea di quello che sta succedendo in questo momento, ma vederla
così in questo momento riesce a farmi smettere di
scervellarmi.
Alla fine, decido di
gettarmi nel baratro e di provare a risolvere la questione.
“Vuoi
scusarti con me,
vero?” le dico, preparandomi al peggio. In realtà,
è solo un’azzardata intuizione a dirmi che
è
così. Quest’intuizione non tiene conto del fatto
che lei
è l’ultima persona al mondo che metterebbe da
parte il suo
orgoglio per venire a scusarsi con me – un dettaglio non
così trascurabile, dopo tutto. Ma si sa che non ho
mai
imparato bene a tenere a freno la lingua; comincio a sospettare che non
me l’abbiano proprio mai insegnato.
“Tieni”,
mi dice lei,
stendendo bruscamente il braccio e porgendomi un sacchetto che teneva
in grembo. Cioccorane. Da quando sa che ne vado matto? Ne pesco una con
incertezza, e il dubbio che possa essere avvelenata per un attimo mi
attraversa la mente. Lo scaccio via subito sorridendo tra me della mia
stupidità, poi getto un’occhiata di sbieco a Lily,
che mi
tiene d’occhio con un’espressione ermetica.
Continuo a
capirne sempre meno di tutta questa storia, ma evidentemente tutti si
divertono a prendermi in giro.
“Okay,
accetterò la
tua offerta di pace”, le dico infine, stringendomi nelle
spalle e
addentando la Cioccorana. Sul suo volto compare un sorriso vagamente
sinistro, con cui sembra volermi minacciare di picchiarmi se non la
finisco di fare osservazioni di quel genere. In quel momento capisco
che potrei anche farmi prendere di nuovo dalla depressione, mandarla
via e rinchiudermi in me stesso. Non mi ha detto che le dispiace, che
in realtà non pensa davvero quello che mi ha detto qualche
giorno fa e che ha sbagliato a trarre conclusioni affrettate. Mi ha
ferito a morte, e io dovrei essere arrabbiato con lei. E ora, se anche
è vero che le sue intenzioni sono quelle di farsi perdonare,
si
è limitata a sedersi vicino a me di sua iniziativa e a
offrirmi
una Cioccorana. Dovrei pretendere delle scuse in piena regola, con
tanto di dichiarazione scritta e genuflessione. Eppure, istintivamente
so che devo accontentarmi di questo semplice gesto, perché
la
conosco fin troppo bene ormai. Conosco l’orgoglio che le
impedisce di inginocchiarsi e di dire le cose direttamente, mettendo da
parte le complicazioni in nome di una necessità di
chiarezza. So
che non posso pretendere altro, e forse nemmeno lo desidero.
L’ho sempre
amata per quello che è, in fondo.
O forse sono io che
non riesco ad avere un orgoglio.
Sirius direbbe questo,
credo.
“Sai, queste
sono situazioni
piuttosto critiche. Dovremmo evitare di complicarci la vita. La
prossima volta potrei procurarmi del Veritaserum …
così
non dovresti affidarti a una Cioccorana”.
Lei storce gli occhi,
trattenendo un sorriso.
“Hai bisogno
di una pubblica
confessione per sentirti meglio?” mi chiede, ironica. Io la
guardo, tenendola sulle spine per qualche secondo.
“Nah. Mi sto
solo divertendo
un po’”, le rispondo, mettendoci un pizzico di
quella
strafottenza che la fa tanto irritare. Già, devo
riconoscerlo:
sono un vero genio nel provocare l’astio della gente nei miei
confronti. Il problema è che poi le conseguenze che ne
ricavo
non sono molto piacevoli, perciò sarebbe meglio se imparassi
a
tenere la bocca chiusa, dopotutto.
Improvvisamente mi
sento arrivare un pugno sul gomito. I miei nervi registrano il dolore
facendomi emettere un guaito immediato.
“Ahia! Ma
che ho fatto?!”
“Parli
soltanto per dare aria alla bocca!”
“Questa
è soltanto una delle tue teorie
riguardo a me, e io non la condivido affatto”.
Lily torna ad essere
seria di
colpo, fissandomi a labbra strette. Io mi rendo conto
dell’analogia che inconsapevolmente ho stabilito fra quella
sciocchezza di un momento e il motivo per cui siamo arrivati a
discutere qualche giorno addietro.
Sì, sono
sempre estremamente bravo a cacciarmi nei guai.
“E va bene,
scusami, ho
esagerato”, mi dice lei, incrociando le braccia e fissandomi
con
aria seria. Mi sorprendo che abbia deciso di andare direttamente al
punto, questa volta.
“Bene.
Riterrò le
scuse universalmente valide, anche se per il livido che mi
rimarrà sul braccio meriterei probabilmente qualcosa di
più …” - la sua occhiata assassina mi
fulmina di
colpo – “… intendevo un’altra
Cioccorana, non
montarti la testa”, aggiungo, in tono ironico.
La sua espressione, di
colpo,
cambia. Non è più quella di chi ha voglia di
uccidermi in
modo violento e sanguinoso. Sta ridendo, e per quanto possa essere
banale penso soltanto che è bellissima quando ride. In
realtà la trovo sempre bellissima, ma non mi sembra il caso
di
soffermarsi a polemizzare su questo aspetto della questione per farmi
notare quanto io sia monotono e banale.
“Come
vuoi”, mi dice, e
mi porge il sacchetto un’altra volta. L’euforia mi
esplode
dentro in maniera incontrollabile, e il mio viso viene
irrimediabilmente alterato dal classico sorriso ebete che non riesco
mai a trattenere in casi del genere.
È
abbastanza comprensibile,
se consideriamo che non mi capita molto spesso di avere occasioni in
cui sfoggiare un sorriso ebete, almeno con lei.
Mastico in silenzio,
sentendomi per una volta soddisfatto alla fine di una giornata.
Coppa del Quidditch,
scherzo ai
Serpeverde e risata di Lily. Una terna fortunata che probabilmente non
si ripeterà mai più in vita mia. Ma mi sento
così
felice che il pensiero non riesce ad adombrare la mia gioia.
Dopo un po’
vedo che lei fa un cenno, rivolta ad un’amica che la stava
probabilmente cercando.
Non poteva durare in
eterno, me ne rendo conto.
“Ricordati
che in ogni caso
la tua vittoria a Quidditch non compensa le tue malefatte”,
mi
dice, voltandosi indietro quando ormai è già in
piedi e
pronta ad andarsene. Io le sorrido, divertito.
“Troverò
il modo di
farmi perdonare”, rispondo, senza aggiungere altro. Un attimo
dopo lei è già sparita. Mi ricordo
improvvisamente che
circa cinque minuti fa morivo dalla voglia di andare a chiudermi in
camera … ma quale camera? In questo momento non riuscirei a
staccarmi da questa poltrona nemmeno se mi dicessero che Piton sta
ballando sui tavoli in mutande.
***
“Secondo voi
come fanno?”
Mi volto verso Margaret
e la
osservo, perplessa; è completamente assorbita dal gioco,
tiene
lo sguardo fisso sullo sciame di corpi e manici di scopa che si agita
confusamente a mezz’aria e non muove un solo muscolo, proprio
lei
che non riesce a trascorrere un solo quarto d’ora di lezione
senza tirare fuori lo Smalto Cambiacolore per le unghie, il panino con
la marmellata sgraffignato a colazione, le Etichette Canterine da
applicare alle pagine dei libri o una nuova matita da infilarsi nel
naso.
“A fare
cosa?” le
domando, sorridendo mentre ci penso. Fu uno spettacolo disgustoso,
quando lo fece per la prima volta. La Cotton la beccò in
pieno
con quella cosa che le penzolava dalla narice e per poco non scoppiava
a ridere in mezzo alla classe, mentre toglieva cinque punti a
Grifondoro.
“A giocare
tutti impaludati in
quella maniera per ore. Hai presente quella volta, l’anno
scorso,
quando a novembre c’è stata Grifondoro contro
Tassorosso
sotto la pioggia? L’epoca in cui stavo con Brocklehurst, lui
e il
suo nome impossibile. Ecco, quando ci siamo incontrati negli spogliatoi
dopo la partita, lui quasi non riusciva ad alzare un braccio da quanto
era fradicio”.
Cerco di sorridere
mentre Ernest
Larsen sfreccia all’inseguimento di un Bolide a meno di mezzo
metro dal nostro naso. Trovo sempre divertenti i discorsi di Margaret,
solo che da qualche giorno sono davvero di pessimo umore. Ho
attraversato diversi stadi di conflitto interiore per giungere ad un
punto di non ritorno che mi vede inconcepibilmente pentita per
ciò che ho fatto. Incredibile.
“Mio padre
segue il football
americano, e lì giocano in pantaloncini corti. Quelle
sì
che sono divise da gioco”, aggiunge Margaret, con aria
sognante.
Helen si sporge verso di noi con un’espressione
impagabilmente
disgustata al pensiero di un branco di energumeni sudati con le cosce
al vento, e anche questo dovrebbe farmi ridere, perché io
adoro
la sua mimica facciale. Supera perfino la McGranitt, quando ci si
mette. E la McGranitt che squadra dall’alto in basso Potter e
Black mentre tentano di costruire un modellino di Hogwarts utilizzando
le ampolle e le provette di Pozioni è qualcosa di
eccezionale.
Poco importa. Mi
passerà, prima o poi.
“Sfrecciano
tutti a
velocità assurde. Probabilmente prenderebbero freddo alle
gambe,
in pantaloncini”, osserva Mary, alzando lo sguardo dal blocco
da
disegno.
“Un giorno mi
dovrai spiegare
come ci riesci”, le dice Helen, chinandosi per dare
un’occhiata. Mary fa un mezzo sorriso e non dice nulla.
Riesce
sempre a ritrarre Delia nel bel mezzo delle azioni più
assurde.
“Guarda
James!” esclama
eccitato Peter stringendo il braccio di Remus per indicargli Potter che
centra perfettamente l’anello centrale della porta di
Serpeverde,
dopo aver schivato due Bolidi. In condizioni normali avrei incrociato
lo sguardo del mio compagno di sventure per sorridergli con
comprensione. Adesso invece riesco solo a fissare il campo da gioco con
un’espressione vacua, mentre il mio cervello non la smette di
produrre assurdi ragionamenti concatenati affinché io mi
decida
sul da farsi.
Non capisco
granché di
Quidditch, e se vengo alle partite è soltanto per vedere
Delia,
che è in squadra come Battitrice fin dal secondo anno e se
la
cava magnificamente. Però adesso mi ritrovo a pensare che
non
vedo l’ora che Potter scenda da quella scopa. Così
potrò parlargli, almeno.
Inutile dire che per
quella faccenda è andato tutto a ramengo.
Ho lasciato perdere il
loro stupido
scherzo, e a quest’ora l’avranno sicuramente messo
in atto.
La cosa non ha più alcuna importanza e mi dispiace dirlo, ma
ho
ben altro a cui pensare.
Se Potter e i suoi
amici vogliono sfogarsi facendo i teppisti, per questa volta
farò finta di non vedere.
Nei quattro giorni
trascorsi fino ad
ora dalla discussione che abbiamo avuto nel corridoio del terzo piano,
mi sono data alacremente da fare per evitarlo. Ho avuto la netta
impressione che anche lui abbia fatto lo stesso. Di solito, anche se
quest’anno non mi ha più avvicinata una sola volta
per
chiedermi di uscire, mi fermava comunque con una scusa per intrattenere
una breve conversazione sarcastica. E alla fine, tutto sommato, non era
poi così male. Lo so che è assurdo, ma ci avevo
fatto
l’abitudine. Io lo insultavo amichevolmente, lui reagiva con
ironica galanteria, e nessuno pretendeva di più.
In questi tre giorni ho
cercato di stare sola.
In genere mi confido
con le ragazze,
ma queste cose preferisco tenerle per me. Almeno finché non
sarò giunta ad una conclusione che mi permetta di ritornare
a
sentirmi in pace con me stessa.
Per il momento, non ho
trovato una tattica che funzioni.
Alle altre ho detto
soltanto che io
e Potter abbiamo litigato, un’altra volta, e che lui sembra
averla presa piuttosto male. Sono discretamente brava a fare la faccia
di bronzo, quando voglio, e anche se non esprimo un briciolo di quello
che penso e sento ma nascondo tutto sotto uno spesso strato di battute
cattive e discorsi caustici nessuno se ne accorge. Non che sia colpa
loro, comunque. Sono io che sono fin troppo abituata a fingere, da
questo punto di vista. È un vecchio vizio che perdura dai
tempi
in cui mi arrivò a casa la lettera di Hogwarts, e insorse
quindi
la necessità di mascherare i cattivi rapporti con mia
sorella
agli occhi dei miei genitori, comportandomi come se non me ne
importasse niente. Da quando ha iniziato a chiamarmi mostro
e a denigrarmi perché sono una strega, i nostri rapporti si
sono
completamente disgregati. Ormai mi limito a non reagire e a fingere di
non sentire, quando attacca con le sue frecciatine velenose, ma non mi
va di suscitare preoccupazioni e dispiaceri in mamma e papà
anche quelle poche volte che ormai faccio ritorno a casa.
Alla fine, grazie a
questa bravura
di cui dovrei vergognarmi, in merito alle recenti faccende in cui
è implicato Potter sono riuscita ad evitare un numero
eccessivo
di domande. L’unico problema è che non ho ancora
trovato
il modo di risolvere la cosa.
“…
la lotta per il
Boccino è all’ultimo sangue, quando non certe
persone non
vogliono rassegnarsi alla sconfitta diventano davvero insopportabili
…”
“Signor Black
…”
“Professoressa,
non mi dica che non vuole la Coppa!”
“Signor
Black, la smetta di
essere sfacciato e si limiti a riferire le azioni di gioco senza
perdersi in commenti fuori luogo!”
“Va bene, e
allora è
Dobbs, poi Potter, poi Peebles, poi di nuovo Dobbs, poi Jackson
intercetta il tiro e … tsk, dove vuoi andare, idiota
…”
“SIGNOR
BLACK!”
“Il mio era
un commento
giustificato, professoressa, come vede ci è voluto ben poco
perché Matthews lo stendesse con un Bolide!”
“SI CONCENTRI
SUL GIOCO!”
“Okay,
allora, Potter in
possesso di palla, la tecnica dei passaggi sincronizzati
all’attacco dei Battitori funziona perfettamente, direi
…
Dobbs esegue una mezza rovesciata e tenta il tiro, Turpin para, Jackson
parte in controffensiva, Potter gli si para davanti, e …
wow,
James, non ti vedevo così aggressivo da quando
c’era
ancora in squadra Malfoy, vai così … bel tiro,
altri
dieci punti a Grifondoro … suonagliele ancora, James,
così …”
“Signor
Black, le proibisco di istigare alla violenza i giocatori
…!”
“Intanto
Arkwright parte a
razzo e pare dirigersi verso un punto ben preciso, sembra proprio che
abbia avvistato il Boccino, se non fosse che si sta avvicinando
pericolosamente a un Battitore avversario che si prepara a centrarlo in
pieno lo inciterei strappandomi i vestiti di dosso …
Merlino,
quel Bolide! Tieni duro, Hector, non si capisce più niente
… ma che accidenti … Arkwright ha preso il
Boccino,
signore e signori! GRIFONDORO VINCE!”
I miei timpani vengono
immediatamente spaccati dal boato che si alza dalle tribune. Di solito
tento almeno di coprirmi le orecchie, ma questa volta ci rinuncio in
partenza. Tutti si alzano in piedi strillando e applaudendo, Remus e
Peter stanno saltando tanto da rischiare di far crollare lo stadio,
l’intera squadra di Grifondoro si è gettata a
capofitto
sul povero Hector Arkwright rischiando probabilmente di ucciderlo, i
Serpeverde alzano grida di protesta in risposta e Sirius Black impugna
di nuovo il megafono incurante delle opposizioni della McGranitt,
urlando: “TORNATEVENE NEI SOTTERRANEI, PUSTOLE!”
La professoressa ha
tutto il mio
appoggio morale, in questo momento. Immagino si stia maledicendo per
aver acconsentito ad affidare a Sirius in via eccezionale la
telecronaca della partita, ma ormai non c’è
più
nulla da fare. Abbiamo vinto la Coppa del Quidditch, e non credo ci
siano possibilità di riuscire a mandare a dormire la Casa di
Grifondoro prima delle tre di stanotte.
Cominciamo a sciamare
fuori dallo
stadio mentre la gente intorno a noi innalza cori in grado di fare
invidia a quelli dei tifosi Babbani. Io ancora non ho deciso che cosa
fare, ma la calca mi spinge via contro ogni mia volontà e
non mi
resta altra scelta che seguire la massa, dopo aver perso di vista sia
Potter e la sua squadra che Remus e Peter, che non so come devono
essere riusciti ad andare controcorrente per raggiungere il loro amico
negli spogliatoi.
Tocca a me rassettarmi
la spilla di
Prefetto e tentare di farmi ascoltare dalla folla di studenti della mia
Casa, di modo da ricondurli al castello senza incidenti di percorso e
nel modo meno disordinato possibile.
“Vieni in
sala comune, vero?” mi chiede Margaret, saltellando per la
contentezza.
“Credo di
sì”, rispondo, laconica.
“Sì,
mischiamoci alla
folla di esaltati che osanna quattro scemi e i loro manici di
scopa”, commenta Helen, apatica, inarcando un sopracciglio.
“Come sei
perfida. Sono stati bravi, hanno vinto, e noi non facciamo altro che
approfittarne per mangiare a sbafo!”
“Perché,
tu ti fidi di quello che ci offriranno?”
“Dici che non
dovrei?”
“Mah
…”
“Aha! Ti ho
scoperta! Hai
avvelenato il nostro cibo … di’ la
verità, vuoi la
camera tutta per te!”
“Non
ingigantire le cose, io volevo soltanto soffocarti nel sonno”.
Ripenso
all’espressione
serissima e quasi imbronciata con cui Potter ha giocato per tutta la
partita, riuscendo a stamparsi un sorriso in faccia soltanto alla fine,
quando il loro Cercatore ha segnato la vittoria della partita. Il tutto
per colpa mia.
E va bene, lo ammetto.
Mi dispiace.
Devo aver preso una
cantonata colossale.
Riflettendoci con
attenzione, ho
capito che non poteva essere davvero una farsa. Insomma, se gli avessi
rovinato un piano a cui lavorava da un anno con pazienza e costanza,
considerandomi un oggetto e senza che la faccenda implicasse una
qualche partecipazione sentimentale da parte sua, come minimo la sua
reazione sarebbe stata di irritazione, se anche fosse stato
così
stranamente sagace da capire che non c’è verso di
convincermi del contrario di quello che penso. In questi giorni, invece
di evitarmi con quell’aria da cane bastonato, lo sguardo
basso e
una smorfia triste perennemente dipinta in faccia, mi avrebbe come
minimo risposto male alla prima occasione, dato che in via teorica gli
avrei rovinato i progetti. La sua non è una reazione
consona. La
sua è una reazione da persona ferita.
Mi sono sempre imposta
di non
provare pena per lui, nemmeno quando se l’era presa in quel
modo
alla fine dell’anno scorso dopo la sfuriata che gli avevo
fatto
il giorno del G.U.F.O. di Difesa contro le Arti Oscure. Ma ormai, mio
malgrado, non ce la faccio più. Non riesce ad esaltarsi
nemmeno
per il Quidditch, che è la cosa più importante
nella vita
di Potter, da che mondo e mondo.
Quindi, credo proprio
ci sia rimasto male.
Ho provato a domandarmi
il perché, in maniera piuttosto ossessiva.
Perché
l’ho accusato
ingiustamente? No. Anche questo avrebbe dovuto comportare almeno un
briciolo di reazione rabbiosa da parte sua. Voglio dire, Potter non
è una persona che si lascia insultare senza dire niente. E
non
credo che io gli incuta tanto timore da fargli decidere di tenere la
bocca chiusa e non protestare.
Potter la bocca chiusa
non la tiene mai.
Dunque, in fin dei
conti, resta solo
un’opzione. Potter ha dei sentimenti. Di che
intensità non
mi è dato saperlo, ma abbastanza per rimanerci male nel
sentirsi
accusare, da una persona per cui prova qualcosa, di essere un subdolo
doppiogiochista.
Mi ci sono volute la
fatica e la
perseveranza di tre giorni di riflessione per riuscire a vedere la cosa
da un punto di vista esterno. Non lo so, il perché. Sta di
fatto
che evidentemente è così, anche se questo va a
cozzare
contro l’immagine di James Potter che si era costruita nella
mia
testa, e cioè quello che sembrava non essere mai minimamente
toccato da una risposta offensiva, che non si preoccupava minimamente
di quanto io non lo volessi ma, imperterrito, tornava ogni volta alla
carica con nuove energie e nuove speranze conquistate chissà
dove; quello che non riteneva possibile essere rifiutato da me,
perché prima o poi tutti cedono al suo fascino indiscusso.
Ho voluto fargliela
pagare e dimostrargli che così non era, e ce l’ho
messa veramente tutta.
Però ora
sembra davvero aver imparato la lezione.
In fondo,
quest’anno non mi ha
mai chiesto di uscire, né mi ha mai fatto avances di nessun
tipo, per non parlare del fatto che ha smesso di sfoggiare certi doppi
sensi da far venire la pelle d’oca.
E se adesso ci
è rimasto così male, evidentemente una ragione
c’è.
Senza contare che ormai
mi sembra
oggettivamente impossibile che una persona possa fingere
così
abilmente per un anno intero.
Sarebbe disumano.
Inverosimile.
Quindi, quella in torto
sono io.
Sì,
però avevo delle
ragioni per pensarla così, accidenti. Non è che
mi sono
svegliata una mattina e ho deciso che volevo farlo soffrire. Non sono
così cattiva, e non soffro di strane turbe mentali. Quindi,
in
fondo, non è che proprio tutto il
torto stia dalla mia parte. Però come glielo vado a spiegare
senza scatenare l’ennesimo litigio, o senza trovarmi di
fronte
un’altra volta quella sua stramaledetta faccia sconvolta con
gli
occhi lucidi che mi ha perseguitato fino alla nausea in questi tre
giorni d’inferno?
“Ragazze!
Hanno gli Zuccotti di Zucca, io vi saluto e vado a
rimpinzarmi!”
Delia, ricongiuntasi a
noi da poco,
ci abbandona di nuovo, saltellando verso i tavolini della sala comune
con aria famelica. Era prevedibile che l’avremmo persa. Delia
va
matta per i dolci di Mielandia.
“Mary! Ne
vuoi uno?” domanda, e Mary non fa in tempo ad alzare la testa
da Siddharta che
lo Zuccotto le atterra diritto sul libro. Delia diventa immediatamente
bordeaux.
“Scusascusascusa… Gratta e Netta”
dice, sollevando la bacchetta, e il libro torna lindo e pulito, mentre
Mary alza uno sguardo truce su di lei.
“T’è
andata
bene”, le dice, afferrando lo Zuccotto e staccandone un
grosso
morso. Ridono insieme, divertite, e intanto i membri della squadra di
Quidditch si innaffiano con l’Idromele e cantano a
squarciagola.
Condivido uno sguardo amichevole con Remus mentre lui tenta di tenere a
bada un paio di ragazzi del primo anno che si stanno contendendo una
Pluffa sottratta da chissà chi, e con la coda
dell’occhio
riesco a scorgere Potter insieme agli altri due, che lo minacciano
ridendo con una bottiglia in mano.
“Tieni
d’occhio quelli
con l’Idromele, Remus”, dico al mio compagno di
sventure,
osservando con occhio critico Sirius Black che tenta di stappare la
bottiglia con i denti. “Non vorrei che poi ci toccasse
ripulire”.
“Sono
assolutamente d’accordo … ehi!”
Lo sfacciato
studentello del primo
anno gli ha appena sottratto la Pluffa che aveva faticosamente
sequestrato. Ne ridiamo insieme, rassegnati, constatando che nemmeno la
McGranitt riuscirebbe a tenerli a bada.
“Ma
lasciateli urlare”,
mi dice Helen, allargando le braccia con aria rassegnata.
“Domani
mattina si ritroveranno tutti senza voce, e per un po’ ci
sarà pace in questo posto”.
Sorrido di fronte al
suo cinismo
dissacratorio, che tocca il vertice massimo quando si parla di
Quidditch. Comunque sia, non ha tutti i torti. Anch’io li ho
sempre trovati abbastanza esaltati.
Trascorriamo una
mezzora
così, fra i canti di giubilo, gli insulti ai Serpeverde di
cui
Black è ogni volta campione imbattuto e Potter che ogni
tanto si
fa vedere e ogni tanto sparisce, non so dove.
Dopo un po’,
lo scopro: si
cerca una poltrona lontana dal caos, e ci si piazza a sedere con aria
assente, finché non decide che si è concesso il
tempo
massimo di isolamento.
Alzo un sopracciglio,
fissandolo con
aria perplessa mentre ripete questa operazione per quella che
è
almeno la terza volta.
Sicuramente ha dei
problemi.
Ad ogni modo, se questo
è il
suo andazzo non mi resta altro che avvicinarlo in uno di questi
momenti, di modo da potergli far sparire quell’espressione
abbattuta dalla faccia.
Intanto, Delia e Mary
sono sparite
da qualche parte a rimpinzarsi. Margaret trascina via Helen per
mostrarle quel ragazzino del quarto anno che ha iniziato da poco a
piacerle. Anche se Helen, prevedibilmente, non è che approvi
proprio l’idea.
“Ti prego,
non mi interessa chi è. È piccolo. Un
moccioso che si è appena staccato dalla madre. E la
pedofilia è un reato”.
“Ma che
pedofilia, io guardo e basta!”
Sta di fatto che il
momento
favorisce un mio temporaneo allontanamento di cui nessuno potrebbe
accorgersi, e se non lo faccio ora non lo farò mai
più.
Perché tra
poco finisce la
scuola, io me ne torno a Londra e Potter in Galles. E sarà
meglio per me che io mi tolga questo peso dalla coscienza adesso che ne
ho l’occasione.
Intendiamoci, non
è che io
voglia rimangiarmi ogni insulto che gli ho rivolto in tutti questi
anni. Solo che, in questo caso particolare, ho commesso un piccolo
errore di valutazione. Tutto qui. Insomma, non ho alcuna intenzione di
prostrarmi ai suoi piedi. Gli farò semplicemente capire che
so
di aver sbagliato, ed entrambi ci metteremo l’anima in pace,
consentendoci di trascorrere delle vacanze serene e spensierate durante
le quali tutto quello che è successo in questi giorni
verrà dimenticato in un batter d’occhio.
Bene. Potter
è lì
seduto da solo, esattamente dove lo volevo. Perfetto. Mi avvicino ad
uno dei tavolini, afferro un sacchetto di Cioccorane da sotto gli occhi
di alcuni ragazzini delusi che non osano aprir bocca grazie alla mia
ben nota fama di persona che non ama essere contraddetta e mi dirigo
verso quell’angolo solitario della sala comune, tentando di
comportarmi con naturalezza. Cercando di non dare
nell’occhio,
con uno scatto mi avvicino e mi siedo lì di fianco, sperando
che
non gli passi per la testa la pessima idea di prendere e alzarsi
perché non mi vuole parlare.
I miei timori si
placano seduta stante. Altro che alzarsi e andarsene. Sembra
pietrificato.
“Oh, scusami,
ti ho lanciato
un incantesimo senza accorgermene?” gli chiedo, sfoggiando
una
certa dose di ironia per tentare di sdrammatizzare la situazione. Lui
quasi non reagisce: si limita a fare una semplice smorfia, e continua a
guardare fisso davanti a sé.
“Certo, mi fa
piacere che per
una volta tu te ne stia zitto, ma hai comunque il permesso di
muoverti”, preciso. Lui si volta a guardarmi con
un’espressione confusa. Io mi sforzo di mantenermi
professionale
ed educata e di lasciare da parte gli stupidi timori, sostenendo
testardamente il suo sguardo.
“Questo
è il tuo modo di ringraziarmi per aver fatto vincere a
Grifondoro almeno
la Coppa di Quidditch?” mi chiede, in tono incerto. Io mi
stringo nelle spalle, sciogliendomi.
“Considerato
che non ritengo
il Quidditch la base della mia esistenza, direi che per quanto mi
riguarda quella coppa è soltanto una magra
consolazione”.
Lui scuote la testa, e
io reprimo un
mezzo sorriso. Forse non è esattamente il miglior modo di
iniziare una conversazione con uno che ha appena condotto la sua
squadra alla vittoria del campionato scolastico, ma devo cercare di
mettere a suo agio sia lui che me, prima di poter dire quello che ho da
dire.
“Avanti,
dimmi che cosa gli avete fatto”, ordino, con un gesto
sbrigativo. Lui mi guarda a bocca aperta.
“Cosa abbiamo
fatto a chi?”
mi chiede, non avendo evidentemente afferrato il concetto.
“Ai vostri migliori amici”
gli spiego, con leggerezza. Lui sembra cadere di nuovo dalle nuvole.
Evidentemente non si era reso conto che avevo ascoltato praticamente
tutta la loro conversazione, quel giorno dopo Pozioni.
“Ah.
Certo”, risponde, e
non sembra essere molto contento della scoperta. Dovrebbe ringraziarmi
che non sono andata fino in fondo nel tentativo di metter loro i
bastoni fra le ruote, ma tant’è.
“Cosa credevi
che ci fosse in quelle bottiglie?” mi chiede, alla fine,
rassegnato. Io mi stringo nelle spalle.
“Idromele?”
ipotizzo,
riportando alla mente quanto riesco a ricordare di ciò che
ho
visto in quello sgabuzzino. Lui si lascia sfuggire un mezzo sorriso
complice.
“Sbagliato.
In realtà
era pozione lassativa. Il fatto è che, anche se te
l’avessi fatto assaggiare, ti posso assicurare che non
avresti
notato la minima differenza. A parte per gli effetti collaterali,
s’intende. Hai notato che qualche giorno fa Sirius e Peter
non
stavano tanto bene? Questo perché avevano semplicemente
fatto da
cavie … prova ad immaginarti l’effetto che
potrebbe dare
anche solo un bicchierino di quella roba”.
Oh, si è
improvvisamente
sbottonato. Meno male. Non sono mai stata una cima nel trattare con le
persone che ce l’hanno con me, se proprio devo essere
sincera, e
la reazione che Potter sta avendo in questo momento è
decisamente rassicurante rispetto ai miei timori.
“E come ci
siete riusciti?” gli domando, con interesse. Il suo sorriso
di autocompiacimento si fa più grande.
“Trucchi del
mestiere,
sorella. Noi quattro sappiamo fare cose che sui banchi di scuola non si
sognerebbero mai di insegnarci”.
Purtroppo, non posso
non
riconoscerlo. Sono dotati di menti perverse e contorte, ma sono anche
in grado di combinare la loro ingegnosa fantasia con una vasta gamma di
capacità pratiche.
Insomma, un pericolo
pubblico.
Poi penso ai Serpeverde
che fanno a
gara per chiudersi in bagno in preda ad un improvviso attacco di
diarrea, e mi scappa una cattiveria.
“Spero
proprio che si
ubriachino tutti”, gli dico, incrociando le braccia. Sento il
suo
sguardo attonito su di me, mentre mi fissa come se fossi
un’aliena. Ma, da quando si è conclusa la mia
amicizia con
Severus, non ho più pietà per nessuno che faccia
parte di
quella Casa. Fa male, ma evito di pensarci. Meglio sfogarsi con qualche
malignità.
“La tua
perfidia è
sprecata come Prefetto”, mi dice Potter, scuotendo la testa.
Io
mi lascio sfuggire un sorriso.
“Stai
cercando di corrompermi?” domando. Lui si stringe nelle
spalle, con disinvoltura.
“Dovresti
provare a collaborare a uno dei nostri scherzi, sono sicuro che
finirebbe per piacerti”.
Ricominciamo con le
proposte
azzardate. L’avesse detto in un’occasione diversa,
non
credo che l’avrei presa troppo sul ridere. Ma in questo
momento
mi considero in una situazione eccezionale.
“E che cosa
ci guadagno?” gli chiedo, curiosa di sentire fin dove si
spinge la sua sfacciataggine.
“Beh, di
certo ti faresti un
sacco di risate, cosa che ti fa evidentemente bene perché in
questo momento sei molto più rilassata del solito”.
Abbasso lo sguardo e
sorrido,
fissando una crepa nel pavimento. Forse non è poi
così
totalmente incapace di aprire bocca a proposito come sembra.
“Vuoi
scusarti con me,
vero?” mi chiede dopo un po’, fissandomi
attentamente. Io
mi sento improvvisamente avvampare. La mia doveva essere una cosa in
grande stile, una sottigliezza, e invece lui ha già capito
tutto?! Ce l’ho scritto in faccia, per caso? Merlino, ora che
faccio …
“Tieni”
gli dico,
allungandogli con un gesto brusco il sacchetto di Cioccorane che mi ero
portata dietro come offerta di pace, sapendo che lui ne va matto. No,
non voleva essere un gesto di gentilezza. Voleva solo essere un modo
per siglare una tregua tra me e lui. Insomma, erano lì, a
portata di mano, e io ho solo pensato che potessero essermi utili per
raggiungere il mio scopo … niente di speciale.
“Okay,
accetterò la tua
offerta di pace”, dice infine lui, staccando un morso dalla
Cioccorana che ha pescato dal sacchetto. Sorrido minacciosamente,
squadrandolo, nel tentativo di trasmettergli l’implicito
messaggio di chiudere la bocca una volta per tutte. Bravo, Potter,
mangia e taci. Non è difficile.
Ad ogni modo, pare che
abbia accettato. Quindi, posso considerarmi perdonata. Fantastico.
“Sai, queste
sono situazioni
piuttosto critiche. Dovremmo evitare di complicarci la vita. La
prossima volta potrei procurarmi del Veritaserum …
così
non dovresti affidarti a una Cioccorana”.
“Hai bisogno
di una pubblica
confessione per sentirti meglio?” domando, con aria scettica.
Lui
sembra divertirsi perversamente mentre indugia osservandosi le unghie,
con quell’aria da impunito.
“Nah. Mi sto
solo divertendo un po’”.
Ah, è
così? Va bene, Potter, te la sei cercata.
“Ahia! Ma che
ho
fatto?!” osa lamentarsi, dopo che gli ho assestato un bel
pugno
sul gomito per punirlo della sua strafottenza.
“Parli
soltanto per dare aria alla bocca”, gli rispondo, irritata
per la sua evidente mancanza di sagacia.
“Questa
è soltanto una delle tue
teorie riguardo a me, e io non la condivido affatto” ribatte;
inspiegabilmente mi sento punta sul vivo da quella frase, come se in
realtà non fosse altro che una velata accusa nei miei
confronti.
Non mi piace che qualcuno mi critichi, e non mi piace che qualcuno si
senta in diritto di farmi delle osservazioni di questo genere, ma
è inutile, stavolta sono in torto marcio; Potter sembra
avere
l’aria di non aver parlato in modo pienamente consapevole
delle
implicazioni di tale frase e a me, alla fine, non rimane altro che
togliermi questo peso una volta per tutte.
“E va bene,
scusami, ho
esagerato”, ammetto, senza una sola traccia di ironia nella
voce.
Lui mi guarda in serio silenzio per diversi secondi, durante i quali io
mi sento tormentare dalla meschina possibilità che decida di
non
perdonarmi affatto. Ma poi sospira, più serenamente, senza
smettere di fissarmi.
“Bene.
Riterrò le scuse
universalmente valide, anche se per il livido che mi rimarrà
sul
braccio meriterei probabilmente qualcosa di più
…”
La mia espressione si
fa di colpo minacciosa, mentre lo squadro con gli occhi ridotti a
fessure.
“Intendevo
un’altra
Cioccorana, non montarti la testa”, mi dice, ironico, e io
riprendo a respirare, coprendomi gli occhi con la mano. Sarà
anche migliorato, sotto certi aspetti, ma immagino che pretendere di
estirpargli anche questa sua tendenza a un irritante senso
dell’umorismo sia davvero troppo. E alla fine,
paradossalmente,
è riuscito perfino ad evitare di essere prevedibile. Non so
come
ci riesca, considerato che mi ero convinta che non potesse
più
stupirmi. Mi sono sempre fermamente imposta di non dimostrare nemmeno
un briciolo di indulgenza nei suoi confronti, ma adesso proprio non ci
riesco. È talmente sfacciato da risultare divertente.
“Come
vuoi”, rispondo, e
gli allungo di nuovo il sacchetto delle Cioccorane, stavolta in modo
più rilassato. Ne pesco una anch’io e rimaniamo
lì
in silenzio a masticare, in quell’angolo isolato in mezzo ad
una
festa esplosiva, e per un attimo non mi preoccupo
nell’osservare
che un gruppo di ragazzine del quarto anno è salito a
ballare in
piedi sui divani.
Sì, lo so,
è una mia
responsabilità, faccende di mia competenza, e non posso
lasciare
tutto il lavoro a Remus, ma ora, per un momento soltanto, mi sento in
pace con il mondo. Come non mi sentivo da anni, in effetti. La gente
potrà anche avere un’opinione diversa, ma non
credo che,
in fondo, mi sia mai davvero piaciuto litigare; tuttavia, dato che ora
la questione con il mio peggior nemico può considerarsi
risolta,
forse le necessità di impegnarmi in pesanti sfuriate
diminuiranno notevolmente.
A un certo punto, a
risvegliarmi dal
mio turno di pausa, intervengono Margaret e Delia che, sbracciandosi
per attirare la mia attenzione, mi urlano qualcosa di diverso
contemporaneamente, con il risultato che io non capisco una sola parola.
Mi volto verso Potter
per fargli
capire che devo andare, e lui fa un sottile cenno d’assenso
con
un mezzo sorriso, per dirmi che ha compreso la situazione.
Forse un pochino di
sagacia Godric gliel’ha donata, dopotutto.
“Ricordati
che in ogni caso la
tua vittoria a Quidditch non compensa le tue malefatte”, lo
ammonisco, voltandomi mentre sto per andarmene. Lui mi risponde con un
sorriso divertito.
“Troverò
il modo di
farmi perdonare”, afferma, sicuro di sé, e io
corro a
raggiungere le mie amiche, sentendomi finalmente a posto. Non mi
toccherà più vedere in giro la sua espressione
depressa
per causa mia, e questo mi conforta alquanto.
“Che
succede?” domando, avvicinandomi a Delia e Margaret nel
tentativo di recuperare un’aria professionale.
“Oh, beh,
ecco, scusaci se ti abbiamo disturbato …”
Mi sento
improvvisamente assalire
dall’imbarazzo e sto per smentire qualsiasi sospetto possa
essere
nato nelle loro teste bacate, ma Margaret non mi lascia nemmeno il
tempo di aprire bocca.
“…
però abbiamo pensato che fosse proprio il caso di
avvertirti, perché …”
Il suo monologo
stranamente si
interrompe – non è da lei. Corrugo la fronte con
aria
interrogativa, spingendola a continuare con un cenno.
“Sì,
insomma, pare che
dei ragazzi del secondo anno si stiano preparando a una gara di lancio
di torte in faccia a chi avrà la fortuna di passare sotto la
finestra del loro dormitorio in questo preciso momento”.
Per poco gli occhi non
mi schizzano
fuori dalle orbite, mentre sento diminuire notevolmente
l’afflusso di sangue al cervello.
“Grazie per
l’avvertimento, adesso li sistemo io”.
“Posso venire
con te? Sono curiosa di assistere ad una delle tue sfuriate in diretta
…” mi chiede Margaret.
“Non
arrabbiarti troppo, Lily, sono ubriachi!” mi urla dietro
Delia, mentre mi allontano.
E per la prima volta da
quando
l’incarico di Prefetto mi è stato assegnato, sento
che
forse potrò concedermi di essere un pochino più
indulgente del solito.
Questi disperati
tredicenni dovranno ringraziare Potter, immagino.
Nobody's perfect that's
what I say,
No one has hurt me so
much you say,
I'm sorry.
I was afraid to tell you
some things,
But some things all find
a way to get told.
(Snow Patrol, On/Off)
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Capitolo 5 *** Un bizzarro viaggio di ritorno ***
capitolo 5
Capitolo
5 – Un bizzarro viaggio di ritorno
“La
vita non è né brutta né bella, ma
è originale!”
(Italo Svevo, La coscienza di Zeno)
30
giugno 1977
La pressione delle
mani di Mulciber sta per farmi perdere la presa in maniera definitiva.
Porca
miseria.
Lotto con tutte le mie
forze
aggrappandomi con la punta delle dita ai bordi scivolosi del
finestrino, puntando i piedi contro il vetro e ringhiando in faccia ai
maledetti bastardi che stanno cercando di buttarmi giù dal
treno.
Sono in troppi,
è inutile, non riuscirò a resistere ancora per
molto.
Mi sento sollevare le
gambe, e per
l’ennesima volta tento di opporre resistenza con tutta
l’energia che mi è rimasta.
Non credevo che
sarebbero riusciti
a farmela, questa volta. Non che ci fossimo preoccupati di procurarci
una scorta per difendere la nostra incolumità da possibili
rappresaglie, ma avevamo concordato di tenere comunque gli occhi
aperti. Solo che mi ero lasciato prendere la mano, come al solito,
mentre passeggiavo in corridoio con Peter e Sirius, che si stava divertendo come
un matto a produrre soffi di vento gelido che indirizzava con la
bacchetta sotto la porta dello scompartimento a cui ci trovavamo di
fronte, provocando le grida immediate di chi lo occupava.
Ci stavamo proprio
intrattenendo
piacevolmente nei pressi di un reparto occupato principalmente da
Serpeverde quando mi hanno acciuffato.
Si sono organizzati in
stile setta
segreta per venirmi a prendere. Hanno colto di sorpresa sia me che i
miei due amici, hanno disarmato e Schiantato Peter, impegnato Sirius e
acciuffato me, gettandosi addosso al sottoscritto come un branco di
avvoltoi inferociti. Per la verità, non ho ben capito da
dove
sono saltati fuori quelli che mi hanno preso con la forza per
trascinarmi dentro a uno scomparto vuoto, perché io in quel
momento ero sul punto di scagliare una fattura contro Piton e non mi
stavo preoccupando di guardarmi intorno. Credo di poter dire con
sufficiente sicurezza che non erano gli stessi che ci hanno attaccati
di sorpresa.
Il fatto è
che mi hanno fregato, e ora sto lottando con le unghie per tentare di
non finire spiaccicato sulle rotaie.
“Fatti un
bel volo,
Potter!” grida Mulciber mentre mi spinge fuori dal finestrino
fin
quasi alle caviglie. Evidentemente l’ha presa come una
faccenda
personale per essere cascato nella mia farsa come un pesce che abbocca
all’amo (questa similitudine l’ho assimilata da
Remus, in
realtà non ne ho mai colto con esattezza il significato).
“Perché
non mi fai
compagnia?” ribatto, staccando una mano e afferrandolo per il
colletto della camicia. Mossa fin troppo azzardata. Ora sto per perdere
anche quel poco di equilibrio che ero riuscito a conservare.
In quel momento, la
porta dello scomparto si apre di colpo e Nott viene scagliato a terra.
“STUPEFICIUM!
STUPEFICIUM!”
Due raggi rossi
colpiscono in un
lampo i miei aggressori, Mulciber cade all’indietro come un
macigno e io perdo la presa sul colletto della sua camicia, sentendomi
subito dopo risucchiare all’esterno dall’aria
spostata dal
treno in corsa.
Passo qualche secondo
nell’agonia più totale a tenermi aggrappato con la
forza
di sole quattro dita, dopodiché fortunatamente mi sento
afferrare per la maglietta e per il braccio e tirare dentro con un
energico strattone. Riappoggio finalmente i piedi per terra e piombo
addosso alla persona che mi ha appena generosamente tratto in salvo,
non riuscendo a reggermi immediatamente sulle gambe.
“Potter,
accidenti, che diavolo fai … POTTER!”
Oh, cacchio.
Il mio salvatore
è Lily
Evans, e io non solo le sto pesando addosso, ma ho anche le mani in
posti in cui non dovrei nemmeno permettermi di guardare.
Rimango per un attimo
inebetito,
incapace di una qualche reazione, poi lei mi allontana con uno spintone
decisamente energico e io mi affretto a rimettermi in piedi come si
deve, sentendomi avvampare per l’imbarazzo.
“Scusaminonl’hofattoappostatelogiuro”,
le dico con foga, senza respirare. Non ho il coraggio di guardarla in
faccia.
“Non mi
interessa se non
l’hai fatto apposta, ti meriteresti comunque una morte lenta
e
dolorosa! Ma dico, ci fai attenzione a dove metti le mani quando vai in
giro? O hai un problema al sistema nervoso e ti è casualmente sfuggito
il controllo degli arti?”
È furiosa,
totalmente e
definitivamente furiosa. Non sono molto tranquillo per il fatto che mi
stia di fronte con la bacchetta in mano. Temo seriamente per la mia
incolumità, e questo non mi riempie proprio di gioia se si
considera che sono appena stato tratto in salvo mentre stavo per cadere
giù da un treno.
“Va bene,
senti … vuoi
che mi inginocchi? Vuoi che implori il tuo perdono con voce
supplichevole? O preferisci che percorra il treno in ginocchio
implorando perdono, così raddoppio l’umiliazione
solo per
farti contenta?”
Un pizzico di sarcasmo
mi sfugge,
è più forte di me. È che mi sento
ridicolo, e ho
bisogno di schermirmi in qualche maniera. Va bene che rischio di finire
svenuto e disteso per terra come i due che mi stanno ai piedi, ma non
posso nemmeno piegarmi del tutto di fronte alla Evans …
voglio
dire, un minimo devo pur essere in grado di tenerle testa. Anche se,
così facendo, mi metto nei guai fino al collo. Non sono
proprio
lo studente più furbo di Hogwarts, questo mi tocca
ammetterlo.
“Ogni
occasione per te è buona per dare spettacolo”,
replica lei, squadrandomi con aria truce.
“E va bene,
allora prima di
strisciare in ginocchio aspetto di arrivare a Londra e lascio prima che
scendano tutti, così sarai l’unica ad assistere e
non
potrai accusarmi di esibizionismo gratuito”.
Ora mi arriva lo
schiaffo, lo
sento. Altro che fine del settimo anno. Davvero speravo di tirare
avanti fino a quel punto? James Potter è davvero un povero
illuso, signore e signori.
“Dovrai
erigermi un altare
per ringraziarmi”, risponde lei, scuotendo la testa. Niente
schiaffo. Wow. Già sentivo la guancia bruciare. Oso
sollevare lo
sguardo, e osservo ancora confuso e frastornato il rossore che le
colora il volto.
Ho fatto arrossire
Lily Evans. E le
ho anche toc- … no, meglio smetterla. Fortunato come sono,
capirà immediatamente a che cosa sto pensando e lo schiaffo
mi
arriverà ugualmente, anche se non supportato da prove
concrete.
“In ogni
caso, non ti ho
chiesto io di venire a salvarmi. Ti saresti potuta risparmiare questa
seccatura”, replico, tentando di assumere un tono serio e
grave
che mi permetta di riacquistare la mia autorità. Lei mi
fulmina
con un’occhiata di rimprovero.
“Oh,
smettila di fare tante
storie. Se io non fossi riuscita a entrare qui dentro, tu ora saresti
… in non so quale orribile stato” risponde,
lasciandosi
sfuggire un’espressione raccapricciata. Probabilmente sta
pensando all’aspetto che potrebbe avere il mio cadavere
sfracellato sulle rotaie, e la cosa tutto sommato riesce a farmi
sorridere. Vuol dire che, in fondo, un po’ le dispiacerebbe
vedermi morto.
Poi però la
sua espressione
immutata mi fa ritornare con i piedi per terra e sento riemergere
immediatamente la mia vena polemica.
“Beh, scusami,
ma in circostanze normali sarebbe stato più sensato se io
avessi
salvato te”, le faccio notare, cercando di sostenere con
tutta la
sfacciataggine possibile il suo sguardo di disappunto.
“Già,
hai ragione. Ho
irrimediabilmente offeso la tua dignità di uomo. Perdonami,
se
non sono brava come te ad attirarmi addosso le ire dei
Serpeverde”.
Storco la bocca in
un’espressione contrariata. Mai che perda
l’occasione di
avere sempre l’ultima parola. Non ho proprio speranze di
metterla
a tacere un giorno o l’altro.
“In ogni
caso, come hai fatto?” le chiedo, cercando di deviare il
discorso in un’altra direzione.
“A fare
cosa?”
“Beh, a
… fare in modo che io sia in debito con te di un
altare”.
“Oh. Beh,
sono arrivata
quando tu eri già chiuso qui dentro e il tuo amico Sirius si
stava battendo da solo contro quattro Serpeverde. Remus è
andato
ad aiutarlo e stavo per farlo anch’io, ma poi ho sentito le
grida
e Sirius mi ha detto che c’eri tu chiuso qui dentro con Nott,
Avery e Mulciber. Nott bloccava la porta, così gli ho
lanciato
un incantesimo da sotto la porta … non ridere, mi sono
sfracellata le ginocchia per te. Poi sono riuscita a entrare, ho
Schiantato Avery e Mulciber e poi ho … fatto il resto,
insomma
…”
“…
e non hai pensato
nemmeno per un secondo alla possibilità di lasciarmi
lì a
penzolare dal finestrino?” le chiedo, in tono insinuante. Lei
mi
guarda con aria leggermente irritata.
“No, per il
semplice motivo che ti ritengo degno di una morte più
cruenta e plateale”.
Io sorrido, divertito.
“Oh, grazie.
Credo che lo prenderò come un complimento”.
“Non per
distruggere le tue illusioni, ma il giorno in cui ti
rivolgerò un complimento è ancora molto lontano”.
“Arriverà,
ad ogni modo”.
“Perché
invece di continuare a blaterare non ti muovi e mi dai una mano ad
aiutare …”
Un attimo. Davanti a
noi si sono appena parati tre energumeni Serpeverde del settimo anno.
“Oh,
cacchio”.
Mi getto a terra per
evitare uno
Schiantesimo, trascinando Lily insieme a me per fare in modo che non
venga colpita. Con un rapido colpo di bacchetta lei richiude la porta,
sigillandola dall’interno. Ora sono mezzo disteso su uno dei
sedili, la tengo per i fianchi e per giunta vicinissima, mi
è
praticamente caduta addosso.
Ho i suoi capelli in
faccia, un suo
gomito nelle costole e le sue gambe intrecciate alle mie in un intrico
piuttosto confuso. Eppure riesco ugualmente a cadere in un trasporto
idilliaco. Di riflesso stringo le braccia intorno al suo corpo; la mia
coscienza mi mette in allarme riguardo alle possibili conseguenze ma
improvvisamente il mio istinto si ribella e si rifiuta di lasciarla
andare e agire così nella maniera più sicura e
sensata.
Sto diventando incredibilmente patetico, e lei riesce immediatamente a
farmelo ricordare con la sua occhiata di disappunto.
“Ti
ringrazio, ora sei stato
tu a salvare me. Il tuo ego maschile si sente soddisfatto? La mia
schiena non tanto, considerata la botta che mi hai fatto prendere, e la
mia caviglia sta soffrendo sotto il peso della tua gamba”.
Io sorrido
irrimediabilmente, mentre mi affaccendo per liberarle gli arti
inferiori dai miei.
“Sei
insopportabile”,
le dico, sorridendo lievemente. Lei mi guarda male, mentre le sale il
rossore alle guance. Non riesco ad allentare la presa, per quanto
questo non sia minimamente il momento adatto per provarci con lei. Ci
sono tre Serpeverde che stanno cercando di forzare la porta per farci
del male e i miei migliori amici che aspettano di sapere che sono vivo
e incolume.
“Spiacente,
ma non credo che
ti batterò mai nemmeno in questo campo”, mi dice
lei,
rompendo il contatto. Si alza in piedi – premendo
dolorosamente
con il gomito contro il mio torace per farlo – e mi tende la
mano
per aiutarmi. Un gesto completamente automatico. Io mi lascio sfuggire
uno sguardo sbalordito, ma mi affretto a cancellarlo subito dopo per
far sì che lei non se ne renda conto. È meglio
così, dopotutto. In circostanze normali, se ci avesse
pensato
su, probabilmente avrebbe scelto di lasciare che mi arrangiassi da solo
per sollevarmi da terra. O almeno, questo è quello di cui
sono
convinto. Insomma, mi odia. Perché aiutarmi? Di certo non
per
autogratificarsi compiendo un atto caritatevole nei miei confronti, non
è da lei. O forse … no, adesso basta, devo
cercare di
sigillarmi il cervello. Non è il momento di pensare a queste
cose.
“Dove
diamine …”
Mi metto a cercare la
mia
bacchetta, e alla fine la trovo. È finita sopra una delle
reti
portabagagli, e sembra leggermente ammaccata.
“Come mai
Avery e Mulciber non avevano le bacchette?” mi chiede Lily,
dubbiosa. Io esibisco un ghigno di trionfo.
“Mentre mi
trascinavano qui
dentro, Mulciber mi aveva strappato la bacchetta. Quando ancora non
dovevo pensare ad aggrapparmi a qualcosa per non cadere giù
dal
treno, non so come sono riuscito a riprendermela, e con un Incantesimo
di Appello mi sono impadronito anche delle loro. Poi le ho prese e le
ho buttate fuori dal finestrino. Forse è stato questo a dar
loro
l’idea di provare a farmi fare la stessa fine”,
osservo,
facendo spallucce.
Lily ride, scuotendo
la testa.
Rimaniamo un attimo a fissarci. Solo un attimo. Poi ci arrivano le
grida di Sirius, e i tre Serpeverde riescono ad aprire la porta.
Ma io e la Evans non
siamo solo
bravi, abbiamo anche degli ottimi riflessi. Modestia a parte, si
intende. Ne Schiantiamo due, il terzo incrocia l’incantesimo
che
ha lanciato con quello di Lily, entrambi rimbalzano e vanno a colpire
ogni parte della stanza. Ci abbassiamo tutti e tre con le mani sulla
testa. Io mi rialzo di scatto, lancio una fattura che quello riesce a
schivare, ma ormai siamo due contro uno e mentre quello rotola di lato
ci pensa Lily a fregarlo. Usciamo di corsa scavalcando i corpi sul
pavimento. Fuori c’è una confusione pazzesca e
sono appena
arrivati i Capiscuola.
“Adesso basta! BASTA! E va
bene, Accio
bacchette!”
Tutte le bacchette dei
presenti
volano in un istante nelle mani di Gregory Hunt, settimo anno di
Corvonero, e la confusione cessa immediatamente.
Mi sento quasi
lusingato nell’osservare che ha avuto la mia stessa idea.
“SI
PUO’ SAPERE CHI È STATO A FAR SCOPPIARE QUESTO
CASINO?!”
Senza pensarci due
volte afferro
Lily per un braccio e la trascino verso lo scomparto da cui ho visto
sporgere le teste di Remus, Peter e Sirius, e con estrema disinvoltura
scivoliamo lì dentro, richiudendoci la porta alle spalle.
“Ce ne hai
messo di tempo per
salvarlo, Evans!” esclama Sirius, appena ci siamo messi al
sicuro
da possibili rappresaglie. “Cos’è, ti ha
dovuto
ringraziare in qualche modo particolare? Niente da ridire, ma avreste
potuto rimandare a un momento migliore …”
“Sirius!”
In questo momento sono
molto
indeciso se buttarmi giù dal treno di mia iniziativa o
iniziare
a sotterrarmi con le mie mani. Oppure strozzare Sirius. Già,
forse questo gli farebbe tenere la bocca chiusa una volta per tutte.
“Va bene, va
bene, sono
faccende vostre, non mi voglio impicciare”, risponde lui,
sollevando le braccia in aria per chiamarsi fuori.
“Non
c’è nessuna faccenda
nostra, te lo vuoi mettere in testa?”
“Nei tuoi
sogni però non ci giurerei …”
“Oh,
sta’ zitto!”
Gli salto addosso, per
costringerlo ad implorarmi di smetterla e chiedermi scusa
all’istante.
Improvvisamente, la
porta dello
scomparto viene aperta di colpo. Mi fermo e mi volto, trovandomi faccia
a faccia con Gregory Hunt. Ha un’aria truce e irritata e ci
squadra in modo più minaccioso del solito.
“Sarebbe il
caso che la
piantaste”, ci intima, e io trattengo le risate a stento.
Dopo un
attimo di silenzio in cui ritiene di essere stato convincente, richiude
la porta e se ne va.
“Comunque
non siamo stati noi
a far alzare la gonna della tua ragazza!” gli urla dietro
Sirius,
ancora mezzo disteso per terra. Io scoppio a ridere irrefrenabilmente,
mentre il mio amico mi aiuta a rimettermi in piedi.
“Sai,
Sirius, certe volte
potresti davvero evitare di infierire”, osserva Moony,
inarcando
un sopracciglio. Sirius gli lancia un’occhiata scettica.
“Davvero
ritieni la mia intelligenza capace di tanto?”
“Certo.
Peccato che poi tu non sia in grado di farla funzionare come si
deve”.
“Già,
hai ragione. La
prossima volta non venirmi a salvare quando sono accerchiato da tre
Serpeverde e con un amico esanime da difendere”.
Osservo Remus assumere
un’espressione lievemente contrariata.
“Infatti,
non l’ho fatto per te. L’ho fatto per
Peter”.
“Però
ti davi
parecchio da fare, eh? Credo di non averti mai visto far volare
così tanti Schiantesimi, signor Prefetto”.
“La prossima
volta ti guarderò implorare il mio aiuto in ginocchio,
allora!”
“Ah,
dov’è finito ora il signor Remus Lupin Promotore
Della Pace Nel Mondo?”
“Sta
accarezzando la prospettiva di prenderti a pugni!”
“Tsé,
non oseresti mai!”
Mi godo
l’alterco fra i miei
due amici con un sorriso divertito stampato in faccia, allungando le
gambe fino a stenderle sul sedile opposto. Solo in quel momento il mio
cervello comincia a compiere un’associazione logica che mi
lascia
senza parole. Normalmente, scene come questa sono all’ordine
del
giorno di ogni viaggio di ritorno da Hogwarts, ma i partecipanti sono
semplicemente quattro … ora, invece, alla mia destra
è
seduta di fianco la donna della mia vita. Un sorriso enorme mi invade
il viso mentre la osservo di sottecchi. Sta lì, composta,
quasi
intimidita, e non dice una parola. Il che è davvero un
evento
straordinario considerando che di solito non perde mai occasione di
sfoggiare qualche risposta caustica in mia presenza. Senza contare,
poi, che ha sempre volutamente evitato di mischiarsi ai Malandrini per
mantenere le distanze in primis dal sottoscritto, e in secondo luogo
con chiunque si professi suo amico fidato. Continuo a fissarla con
attenzione senza riuscire a darmi un contegno, e riesco così
ad
osservare, senza essere visto, un lieve sorriso che compare sulle sue
labbra e si allarga, a poco a poco, quasi senza che lei se ne renda
conto.
Nonostante corra il
rischio di farmi beccare in pieno, mi ritrovo inevitabilmente a
gongolare come un bambino.
***
La sala
d’ingresso del
castello è incredibilmente più affollata del
solito, in
questo momento. Stiamo tutti aspettando che arrivino le carrozze, e a
me e Remus tocca il disgraziato compito di tenere buoni i nostri
scalpitanti Grifondoro nell’attesa.
Vacanza finalmente,
starà
dicendo qualcuno. A me un po’ dispiace. Ho indubbiamente una
voglia matta di riposarmi dopo la fatica degli esami, ma questi ultimi
giorni, durante i quali le lezioni erano finite e le giornate si erano
allungate, sono stati oltremodo piacevoli. Sempre pieni di impegni, ma
impegni diversi. Andare a Hogsmeade, fare picnic sul prato, scrivere ai
miei genitori, programmare le vacanze, partecipare alla festa di
compleanno clandestina di Delia, badare ai soliti studenti
confusionari, evitare le battaglie di bombe d’acqua e
partecipare
ad un paio di esse. Sì, lo ammetto, mi dichiaro colpevole.
Mi
sono lasciata prendere dall’euforia del momento. La prima
volta
è stata colpa di Potter, ad ogni modo; stavo transitando
spensieratamente sotto le scale del primo piano e mi sono ritrovata
fradicia da capo a piedi nel giro di un nanosecondo. Ho guardato in
alto cercando di non farmi sopraffare dall’ira e
c’era lui,
in cima alla scalinata, con l’aria di uno che avrebbe voluto
trovarsi a centinaia di miglia da lì. Ha detto di avermi
colpito
per sbaglio, ma io non potevo certo lasciarlo impunito dalle sue
malefatte. Lo avevo avvertito, che la sua vittoria a Quidditch non
sarebbe bastata ad assolverlo dalle sue colpe. Per tentare di mettermi
a tacere ha sperimentato su di me un nuovo incantesimo che non
conoscevo, per asciugare le cose bagnate; solo che il signorino
l’ha usato solo sui miei capelli, e non sui miei
vestiti. Appositamente.
Per vendicarmi sono corsa in dormitorio a cambiarmi, ho preso la divisa
fradicia e sono ridiscesa in sala comune per strizzargliela
direttamente sulla testa.
Dopo abbiamo riso, ed
è stato
bello. L’ultimo periodo è stato bello. Provocarsi
solo per
sorriderne insieme, anziché per farsi il sangue amaro come
al
solito. Sono contenta che le cose stiano andando in questo modo, dopo
sei anni passati a litigare. L’anno prossimo perlomeno
avrò un po’ più di pace, e forse
potrò
scampare all’esaurimento nervoso che Helen continua a
pronosticarmi.
In effetti mi ci vuole
proprio una vacanza, tutto considerato.
Al segnale della
McGranitt, usciamo
in cortile e saliamo sulle carrozze trainate da questi Thestral che per
fortuna non riesco a vedere, e dopo pochi minuti siamo alla stazione di
Hogsmeade, tutti quanti. Gli studenti del settimo anno stanno in gruppo
tra loro, molti hanno l’aria commossa. Scambio uno sguardo
complice con Remus, che mi sta a fianco, mentre facciamo salire i
Grifondoro sul treno nella maniera più ordinata possibile.
“Se penso che
l’anno prossimo ci saremo noi, in quelle condizioni
…”
“…
ricordami di non piangere, ti prego”.
Ridiamo insieme,
divertiti.
“Sirius mi
prenderebbe in giro
per tutto il resto della sua vita, probabilmente”, aggiunge
lui,
ironico, lo sguardo perso ad osservare un futuro che ormai non
è
più così lontano.
“Dici che
hanno fatto il conto
alla rovescia, durante quest’ultimo mese?” chiede
improvvisamente qualcuno alle mie spalle, facendomi voltare di scatto.
Sfoggio immediatamente un sorriso obliquo non appena mi rendo conto di
chi si tratta.
“Secondo me,
Gregory Hunt
starà piangendo di gioia. Immagina quanto possa essere
contento
all’idea che l’anno prossimo non dovrà
più
trascinarti da Silente”, ridacchio, in tono scherzoso,
osservando
il Caposcuola abbracciare con sentimento una sua coetanea di
Tassorosso. Potter mi fa una linguaccia con aria fintamente
indispettita, mentre Black si appoggia alla sua spalla con aria
scanzonata.
“Di’
un po’,
perché dovrei prenderti in giro?” domanda a Remus,
con
l’aria di chi ha molta voglia di trovare un motivo per farlo.
Il
mio amico Prefetto incrocia le braccia sul petto con aria dubbiosa.
“Uhm, vediamo
… forse perché sarò l’ultimo
a salire sul treno, che ne dici?”
“Ti teniamo
un posto,
Remus!” gli dice Peter, prima di salire seguito a ruota dagli
altri due. Mi domando che cosa abbia fatto in modo che Sirius si
astenesse miracolosamente dal replicare, ma poi getto
un’occhiata
alla mia destra e credo di averlo capito. Il gruppetto dei Serpeverde
del nostro anno se ne sta lì ad osservarci con aria
piuttosto
sospetta, mentre noi non facciamo altro che il nostro dovere.
Evidentemente, le occhiatacce erano rivolte a Black e Potter.
Pretendere che la smettano con queste infantili rivalità
è ovviamente troppo, immagino.
“Ci siamo
tutti?”
domando a Remus, osservando di sfuggita un trafelato ragazzino del
primo anno che ci sfreccia davanti.
“Credo di
sì”, mi
risponde lui, e dopo esserci guardati intorno per qualche secondo e
aver ricevuto conferma da Hagrid saliamo anche noi, dirigendoci verso
la carrozza dei Prefetti.
La riunione prevista si
prospetta
essere estremamente noiosa, e la trascorro a chiacchierare
distrattamente con Remus di tanto in tanto, aggiornandomi riguardo alle
sue prossime vacanze estive. È da qualche anno che mi ha
confessato il suo desiderio di fare un viaggetto oltre la Manica, ma
pare che la sua famiglia non possa permetterselo. Tuttavia, dati gli
ultimi sviluppi, sembra proprio che il suo desiderio debba avverarsi:
James, Sirius e Peter gli hanno proposto di offrirgli il viaggio come
regalo di compleanno.
“Alla fine,
mi hanno convinto
ad accettare. Non perché volessi davvero far fare loro una
cosa
del genere, ma perché hanno insistito fino a strapparmi la
carne
dalle ossa, metaforicamente parlando”, mi dice, sottovoce, e
io
ridacchio tra me. Non faccio certo fatica ad immaginarmelo.
Provo a figurarmi
questi quattro
soggetti in giro insieme per l’Europa, e la prospettiva non
è molto rassicurante. Meno male che non correrò
il
rischio di incontrarli, altrimenti credo che finirei per dimenticarmi
facilmente di non essere più Prefetto.
Poco dopo ci lasciano
liberi di
andare, o meglio, liberi di pattugliare i vagoni, dato che il fermento
di fine scuola è sempre un dato di fatto impossibile da
trascurare. Considerate poi le occhiate amichevoli che si lanciavano
Serpeverde e Grifondoro poco fa, credo che un giretto di perlustrazione
sia d’obbligo, per noi.
“Tu invece,
dove trascorrerai
i due mesi che precederanno il nostro calvario del settimo
anno?”
mi domanda Remus, una volta fuori, riprendendo il discorso di poco fa.
Io sgrano gli occhi di fronte al suo lieve sorriso.
“Mi prendi in
giro?! Lo sai
benissimo che mi toccherà seppellirmi di nuovo nel solito
postaccio per tutto agosto”, lo rimbrotto, fingendo di
essermela
presa. Lui ridacchia, divertito, camminandomi a fianco.
“Magari
quest’estate non
sarà così terribile”, tenta di
confortarmi, in modo
molto poco credibile.
“Dovrai
scrivermi decine di
lettere con un resoconto talmente dettagliato delle tue vacanze in
Europa che mi dovrà sembrare di essere lì di
persona, per
farmi trascorrere un’estate meno terribile di quanto non
sarà”, lo ammonisco, lanciandogli
un’occhiataccia.
“D’accordo,
ho recepito il messaggio. Ti scriverò, promesso”.
Bene. Almeno qualcuno
mi distrarrà dalla solita monotonia.
“Potresti
cercare un altro posto, magari …”
Stringo le labbra e
sospiro, già rassegnata in partenza. So bene che non ci sono
alternative.
“Finché
sarò
certa che in quel paesino sperduto di montagna la mia famiglia
sarà al sicuro, credo proprio che stringerò i
denti e
andrò avanti. Non voglio rischiare”.
Remus annuisce, e mi
posa una mano sulla spalla.
“Certo, lo
capisco. E al di
là di tutto, fai bene. Non lo dico per essere allarmista, ma
le
notizie di attacchi a famiglie Babbane aumentano di continuo
…”
Non trovo
più la forza di
aggiungere altro. Mi sono soltanto attirata addosso
l’ulteriore
odio di mia sorella con tutte le pressioni fatte sui miei genitori per
indirizzarci verso luoghi isolati, ma se non lo facessi non potrei
dormire tranquilla la notte, pensando ai rischi che la mia famiglia
corre per colpa mia. Alle volte vorrei poter fare qualcosa, prenderli
tutti a schiaffi e sbraitare, perché non è giusto
che
solo per le mie origini le persone che amo debbano
avere
paura di avventurarsi fuori di casa, è semplicemente
ridicolo e
la mia vita dovrebbe poter essere come quella di tutti gli altri. Tutti
questi bei discorsi sulla tolleranza che si sentono pronunciare, a che
servono? Sono ugualmente costretta a nascondere i miei parenti in
luoghi dove spero nessuno li troverà, anche se penso che sia
ingiusto e desidero continuare a vivere a testa alta senza preoccuparmi
di stupidi pregiudizi.
Se penso poi a cosa mi
ha portata
tutto questo dilagante fanatismo, mi viene solamente voglia di gridare.
Se ho perso delle amicizie è solo perché
c’è
gente che davvero crede in queste idiozie, ci crede talmente tanto da
essere pronto a correre dietro a qualcuno che uccide in nome di questi
assurdi ideali.
Come sempre vorrei non
pensarci e
faccio di tutto per ricacciare i ricordi dove dovrebbero stare, ma alle
volte mi riesce proprio impossibile non rammentare certi episodi.
“Che diavolo
è tutto questo baccano?”
Improvvisamente, mi
risveglio dai
miei pensieri. Getto un’occhiata confusa a Remus, provo a
tendere
l’orecchio e mi accorgo anch’io immediatamente che
c’è qualcosa che non va; dal fondo della carrozza
provengono schiamazzi, fumo e lanci di incantesimi, e questo non va per
niente bene. Proprio per niente.
“Merlino, che
stanno facendo … vieni, Lily!”
Gli corro dietro, e in
pochi secondi
uno spettacolo scioccante mi si para davanti. Peter Minus a terra,
Sirius Black che fronteggia da solo metà della Casa di
Serpeverde del settimo anno e tutt’intorno altri Grifondoro
in
stato di agitazione.
Fra i Serpeverde
c’è
anche Severus. Mi ignora completamente e lancia verso Black uno dei
suoi incantesimi, che lo manca di poco, e manda invece in frantumi il
vetro di uno dei finestrini.
È una
visione che assolutamente non sono in grado di tollerare.
Smetto di pensare.
Estraggo la bacchetta e lancio due fulminei Petrificus Totalus contro
Turpin e Jackson, i due energumeni della squadra di Quidditch, che si
sono appena voltati verso di noi. Anche Remus tira fuori la bacchetta e
si getta immediatamente nella mischia affiancando Sirius, senza dire
una sola parola. All’improvviso, una serie di grida
proveniente
da un luogo chiuso attira la mia attenzione, mi guardo intorno con
sguardo febbrile e vedo che c’è uno scomparto
bloccato,
poco più avanti.
“Evans, vai
ad aiutare James! Lo stanno …”
Le parole di Sirius
vengono
interrotte da una fattura che lo colpisce in pieno, e rimango
lì
ferma soltanto il tempo necessario per assicurarmi che Remus
l’abbia rimesso in piedi e abbia risvegliato Peter,
probabilmente
colpito da uno Schiantesimo. Mi lancio di corsa verso lo scomparto e
tento di aprire la porta, ma è evidentemente chiusa
dall’interno; cercando di non farmi prendere dal panico, mi
inginocchio a terra e da sotto la fessura del portello riesco a
lanciare un paio di incantesimi a caso, sperando di aver colpito
qualcuno. Riesco a sbloccare la porta ed entro, dopodiché
punto
la bacchetta contro Mulciber e Avery, dopo aver rapidamente scavalcato
Nott steso a terra.
“STUPEFICIUM!
STUPEFICIUM!”
I miei incantesimi
vanno a segno, e
Mulciber molla la presa su Potter. Grandioso. L’unico piccolo
inconveniente è che ora Potter è appeso al
finestrino in
maniera decisamente troppo precaria.
Per fortuna, ho i
riflessi
abbastanza pronti da raggiungerlo, afferrarlo saldamente e tirarlo
verso di me con forza, riuscendo nel mio intento di riportarlo
all’interno del vagone. Nel fare ciò per poco non
finisco
per terra, mentre il disgraziato che ho appena salvato da morte certa
mi capitombola addosso, apparentemente incapace di reggersi sulle sue
gambe.
Dopo qualche secondo,
per fortuna,
si stabilizza. Dovrebbe essere tutto a posto, se non fosse che avverto
una pressione anomala in una zona del busto leggermente fuori dai
limiti.
“Potter,
accidenti, che diavolo fai … POTTER!”
Mi guarda con gli occhi
sgranati dallo spavento ma mica si sposta, il cretino.
Non posso permettergli
di indugiare
oltre, perciò lo allontano con un violento spintone. Si
è
improvvisamente rimbambito, per caso?
“Scusaminonl’hofattoappostatelogiuro”,
mi dice, tutto d’un fiato, ancora con quell’aria
terrorizzata. Lo squadro di sottecchi, sentendomi improvvisamente
imbarazzata. Colpa sua, io volevo soltanto picchiarlo.
“Non mi
interessa se non
l’hai fatto apposta, ti meriteresti comunque una morte lenta
e
dolorosa! Ma dico, ci fai attenzione a dove metti le mani quando vai in
giro? O hai un problema al sistema nervoso e ti è casualmente sfuggito
il controllo degli arti?” esplodo, passandomi una mano fra i
capelli. Lui sembra fissare con particolare soggezione la mia bacchetta
che si agita in aria mentre gesticolo, e con un sospiro decido di aver
gridato abbastanza.
“Va bene,
senti … vuoi
che mi inginocchi? Vuoi che implori il tuo perdono con voce
supplichevole? O preferisci che percorra il treno in ginocchio
implorando perdono, così raddoppio l’umiliazione
solo per
farti contenta?”
Chissà
perché mi
sembra di cogliere una nota di sarcasmo nella sua proposta di azioni
riparatrici, e la cosa non mi piace per niente. Potter non è
certo nella posizione più adatta per permettersi di fare lo
spiritoso.
“Ogni
occasione per te
è buona per dare spettacolo”, gli faccio notare,
mentre
un’immagine di lui che striscia carponi per il vagone
implorandomi di perdonarlo mi si affaccia alla mente. Devo mantenere
saldo il controllo per non farmi sopraffare dall’improvviso
desiderio di ridere, perché sarebbe veramente inopportuno.
È assolutamente necessario che io conservi la mia posizione
di
persona intransigente, fintanto che il signorino cerca di svicolare.
“E va bene,
allora prima di
strisciare in ginocchio aspetto di arrivare a Londra e lascio che
scendano tutti, così sarai l’unica ad assistere e
non
potrai accusarmi di esibizionismo gratuito”, conclude,
fissandomi
poi con timore. Io inarco le sopracciglia, osservandolo con attenzione.
È incredibile, davvero, non finirò mai di
pensarlo. Fa lo
sbruffone, e poi si comporta come se avesse paura di me. Mi domando se
possieda un qualche senso della coerenza.
“Dovrai
erigermi un altare per
ringraziarmi”, mi arrendo, scuotendo la testa. Lui mi guarda
con
una riconoscenza che gli fa brillare gli occhi, e io mi sento avvampare
di colpo. Che situazione imbarazzante, Merlino. Sono sempre stata
attenta a mantenere le distanze, e ora Potter mi capita addosso
così, senza preavviso, con il suo sguardo colpevole e le sue
battute azzardate. Accidenti. Non so davvero come trattarlo, un momento
vorrei strangolarlo e il momento dopo vorrei non dover trattenere le
risate.
Dire che è
snervante è poco.
“In ogni
caso, non ti ho
chiesto io di venire a salvarmi. Ti saresti potuta risparmiare questa
seccatura”, mi dice poi lui, raddrizzando la postura e
incrociando le braccia dietro la schiena. Ecco, questo è uno
dei
momenti in cui il desiderio di strangolarlo prevale nettamente sulla
voglia di ridere. “Oh, smettila di fare tante storie. Se io
non
fossi riuscita a entrare qui dentro, tu ora saresti … in non
so
quale orribile stato”, gli faccio notare, rabbrividendo
improvvisamente all’idea di cosa sarebbe potuto succedere se
davvero non l’avessi salvato. In genere preferisco non
pensare
affatto a questo genere di cose, ma per un attimo l’impulso
si fa
più forte della mia volontà.
Rischiava seriamente la
pelle, ed è terrificante.
È
terrificante che degli studenti di Hogwarts stiano arrivando a tanto.
Non capisco se davvero
non se ne rendano conto, o se questo fosse il loro preciso intento.
“Beh, scusami,
ma in circostanze normali sarebbe stato più sensato se io
avessi
salvato te”, polemizza lui, cercando di atteggiarsi a
maschilista
convinto. Io mi limito a gettargli uno sguardo torvo.
“Già,
hai ragione. Ho
irrimediabilmente offeso la tua dignità di uomo. Perdonami,
se
non sono brava come te ad attirarmi addosso le ire dei
Serpeverde”, ribatto, non risparmiando l’ironia.
Lui a
quanto pare sembra comprendere che forse è il caso di
lasciar
cadere la discussione, e per un attimo pare particolarmente preso dal
fissarsi le scarpe.
Ovviamente, pretendere
che questo periodo di calma duri a lungo sarebbe utopico.
“In ogni
caso, come hai fatto?” mi chiede, e io lo fisso senza capire.
“A fare
cosa?” domando, in tutta risposta. Lui si stringe nelle
spalle, con sguardo incerto.
“Beh, a
… fare in modo che io sia in debito con te di un
altare”.
Quasi mi lascio
sfuggire un sorriso, mentre penso a lui che mi costruisce davvero un
bell’altare di marmo bianco.
Senza
usare la magia.
“Oh. Beh,
sono arrivata quando
tu eri già chiuso qui dentro e il tuo amico Sirius si stava
battendo da solo contro quattro Serpeverde. Remus è andato
ad
aiutarlo e stavo per farlo anch’io, ma poi ho sentito le
grida e
Sirius mi ha detto che c’eri tu chiuso qui dentro con Nott,
Avery
e Mulciber. Nott bloccava la porta, così gli ho lanciato un
incantesimo da sotto la porta … non ridere, mi sono
sfracellata
le ginocchia per te. Poi sono riuscita a entrare, ho Schiantato Avery e
Mulciber e poi ho … fatto il resto, insomma
…”
Ecco, ovviamente,
ripiombiamo nelle situazioni imbarazzanti. Brava, Lily.
“…
e non hai pensato
nemmeno per un secondo alla possibilità di lasciarmi
lì a
penzolare dal finestrino?” mi domanda Potter, con un mezzo
sorrisetto di insinuazione che gli strapperei via dalla faccia seduta
stante, se fossi una persona meno controllata.
“No, per il
semplice motivo
che ti ritengo degno di una morte più cruenta e
plateale”,
replico, seccamente. Il suo sorriso si allarga, mentre incrocio le
braccia con aria stizzita.
“Oh, grazie.
Credo che lo prenderò come un complimento”,
risponde, con la sua solita sfacciataggine.
“Non per
distruggere le tue illusioni, ma il giorno in cui ti
rivolgerò un complimento è ancora molto lontano”,
lo informo, nel tentativo di farlo scendere dalle nuvole.
“Arriverà,
ad ogni
modo”, ribatte lui, con aria decisamente sicura di
sé. Non
ho idea di dove abbia attinto tali incrollabili certezze.
“Perché
invece di continuare a blaterare non ti muovi e mi dai una mano ad
aiutare …”
Mi blocco seduta
stante, notando che siamo appena stati scovati da tre Serpeverde
dall’aspetto per nulla amichevole.
Vengo trascinata a
terra da Potter
non appena il primo Schiantesimo vola per aria, mancandoci per un
soffio, e rapidamente sigillo la porta davanti alle loro facce, appena
in tempo. Ansimo leggermente e solo dopo qualche secondo mi rendo conto
del compromettente stato di cose; Potter mi tiene stretta per i fianchi
non accennando minimamente a mollarmi, e non so come è
riuscito
ad incastrare le nostre gambe in un perfetto puzzle. Un vero genietto,
non c’è che dire. Ma come gli sarà
venuto in mente
di buttarsi a terra in questo modo, e soprattutto di trascinarmici
insieme a lui? Mi pare di averlo sentito stringere leggermente la
presa, e questo non va bene. Non va affatto bene. Mi sto sentendo in
imbarazzo, e io non ho nessunissima intenzione di sentirmi in imbarazzo.
Deglutisco in totale
silenzio senza
sapere che accidenti fare, e l’unica cosa per cui riesco ad
optare è guardarlo male.
“Ti
ringrazio, ora sei stato
tu a salvare me. Il tuo ego maschile si sente soddisfatto? La mia
schiena non tanto, considerata la botta che mi hai fatto prendere, e la
mia caviglia sta soffrendo sotto il peso della tua gamba”,
gli
elenco, sfoggiando tutto il sarcasmo che ho in corpo per allontanare il
disagio che mi schiaccia. Lo osservo ridere sotto i baffi mentre libera
le gambe dalle mie.
“Sei
insopportabile”,
commenta, in un tono che mi lascia con la gola secca. Si sta prendendo
un po’ troppa libertà, e questo non dovrei
permetterglielo. Avremo anche raggiunto una fase di pacifica
convivenza, ma questo non significa che gli sia concesso sussurrarmi
insulti vari all’orecchio con l’aria di chi sta
pensando
tutt’altro …
“Spiacente,
ma non credo che
ti batterò mai nemmeno in questo campo”, ribatto,
trovando
finalmente la forza di reagire, e appoggiandomi al sedile mi rialzo in
piedi, costringendolo a sciogliermi dalla sua presa. Lui è
ancora lì a terra e senza pensarci gli tendo la mano,
aiutandolo
a risollevarsi, anche se questo, in via teorica, dovrebbe andare contro
i suoi principi maschilisti. Gli getto solo un’occhiata di
sfuggita nel momento in cui torna a torreggiare sopra di me, poi
è lui a voltarsi, guardandosi intorno, come se cercasse
qualcosa.
“Dove diamine
…”
Lo osservo
affaccendarsi per qualche secondo, finché non si volta
sorridente con la sua bacchetta in mano.
“Come mai
Avery e Mulciber non
avevano le bacchette?” gli chiedo, ora che mi viene in mente.
Il
suo sorriso si trasforma immediatamente in un ghigno di perfidia
compiaciuta.
“Mentre mi
trascinavano qui
dentro, Mulciber mi aveva strappato la bacchetta. Quando ancora non
dovevo pensare ad aggrapparmi a qualcosa per non cadere giù
dal
treno, non so come sono riuscito a riprendermela, e con un Incantesimo
di Appello mi sono impadronito anche delle loro. Poi le ho prese e le
ho buttate fuori dal finestrino”.
Lo guardo con una certa
ammirazione, incapace di trattenermi.
“Forse
è stato questo a
dar loro l’idea di provare a farmi fare la stessa
fine”,
osserva poi, e io scoppio a ridere, scuotendo la testa di fronte alla
sua incorreggibilità. Tuttavia, l’attimo dopo
l’effetto del Colloportus finisce,
e i tre Serpeverde riescono ad aprire la porta. Fortunatamente io e
Potter riusciamo a cavarcela, abbattendoli tutti e tre con dei rapidi
Schiantesimi. Proprio nel momento in cui usciamo dallo scompartimento,
i Capiscuola irrompono e ristabiliscono l’ordine
sequestrandoci
tutte le bacchette con un Incantesimo di Appello. Il caos viene
immediatamente sedato, mentre di fianco a me Potter gongola,
sorridente. Non appena iniziano le domande inquisitorie,
però,
mi sento trascinare via a forza e rinchiudere in un altro scomparto,
dove guardandomi intorno mi accorgo che si trovano anche Remus, Sirius
e Peter.
“Ce ne hai
messo di tempo per
salvarlo, Evans!” mi apostrofa il primogenito Black, con un
ghigno malizioso che non mi piace per niente.
“Cos’è, ti ha dovuto ringraziare in
qualche modo
particolare? Niente da ridire, ma avreste potuto rimandare a un momento
migliore …”
“Sirius!”
Non faccio in tempo a
replicare
adeguatamente che, per fortuna, ci pensa Potter a tentare di farlo
stare zitto, vistosamente imbarazzato da questo genere di commenti.
“Va bene, va
bene, sono
faccende vostre, non mi voglio impicciare”, capitola Sirius,
senza smettere di ridacchiare malignamente.
“Non
c’è nessuna faccenda
nostra, te lo vuoi mettere in testa?” esclama
Potter, ancora più infiammato.
“Nei tuoi
sogni però non ci giurerei …”
“Oh,
sta’ zitto!”
Ben pensando di
risolvere la
faccenda con le maniere forti, i due si saltano addosso inscenando una
delle loro solite lotte bambinesche, finché la confusione da
loro prodotta non attira qui il Caposcuola di Corvonero, Gregory Hunt.
Non sembra molto incline a tollerare i loro schiamazzi, a giudicare
dalla sua espressione.
“Sarebbe il
caso che la
piantaste”, avverte, e io prego che Potter non esploda;
l’ilarità sembra averlo invaso improvvisamente, e
lui si
deve costringere a tapparsi la bocca con una mano.
“Comunque non
siamo stati noi
a far alzare la gonna della tua ragazza!” grida Black alle
spalle
di Hunt mentre lascia il nostro scomparto. I due allegri compagni si
rialzano fra le risate, battendosi sonore pacche sulle spalle.
“Sai, Sirius,
certe volte
potresti davvero evitare di infierire”, osserva Remus, con il
suo
pacato tono da sottile rimprovero.
“Davvero
ritieni la mia intelligenza capace di tanto?” domanda Black,
sarcasticamente.
“Certo.
Peccato che poi tu non
sia in grado di farla funzionare come si deve”, risponde
Remus, e
io nascondo un sorriso dietro una mano. Osservati
dall’esterno,
sono decisamente esilaranti. Quasi non li si direbbe nemmeno amici. In
effetti, da un punto di vista caratteriale, sono tremendamente distanti
l’uno dall’altro; eppure non ho mai visto nessuno
dei due
tirarsi indietro per aiutare, difendere o consolare l’altro.
Come
se ci fosse, in fondo, una sorta di tacito accordo.
“Già,
hai ragione. La
prossima volta non venirmi a salvare quando sono accerchiato da tre
Serpeverde e con un amico esanime da difendere”.
Remus sembra
improvvisamente sentirsi punto sul vivo.
“Infatti, non
l’ho fatto per te. L’ho fatto per Peter”,
ribatte, un po’ più seccamente.
”Però
ti davi parecchio
da fare, eh? Credo di non averti mai visto far volare così
tanti
Schiantesimi, signor Prefetto”, obietta Sirius, sfoggiando un
sorrisetto compiaciuto. Remus sembra aver perso la pazienza.
“La
prossima volta ti guarderò implorare il mio aiuto in
ginocchio, allora!”
Sorrido, pensando che
alla fine
Sirius non abbia tutti i torti; sia io che Remus, alla faccia della
nostra carica, oggi ci siamo dati parecchio da fare per difendere
individui di dubbio merito. Una situazione bizzarra, senza ombra di
dubbio. Eppure, la mia condotta mi appare decisamente fuori
discussione, anche se mi ha portato a trovarmi in circostanze per me
inusuali; mai e poi mai mi sarei sognata di trascorrere un simile
viaggio di ritorno, e di intrattenermi in compagnia di questi quattro
disgraziati. In fondo, mi trovo costretta ad ammettere che non
è
poi così male come pensavo; sono piacevoli, a modo loro,
quando
non si impegnano a fare i buffoni e agiscono semplicemente secondo il
loro carattere. Forse mi sto ammorbidendo troppo, ma per una volta
soltanto quello che mi sento portata a fare è sorriderne, e
non
incupirmi; aver scoperto che Potter può risultare
caratterialmente gradevole semplifica di molto le cose, e mi permette
di avere una ragione valida per accantonare il mio astio.
L’ho
sempre detestato in quanto lo ritenevo molto diverso da come
è
in realtà; perciò, se invece il suo modo
d’essere
è tutt’altro, posso sentirmi libera di sorridere e
sedergli a fianco.
Sia chiaro, comunque,
che il mio altare lo esigo ugualmente.
I
know you think you’d never be mine,
Well,
that's okay, baby, I don’t mind.
That
shy smile’s sweet—that’s a fact
Go ahead, I
don’t mind the act.
(Bruce
Springsteen, Sad Eyes)
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Capitolo 6 *** Le follie di Albus Silente ***
Capitolo 6
Capitolo
6 – Le follie di Albus Silente
Vedi
le cose e dici: “Perché?”. Ma io sogno
cose che non sono mai esistite e dico: “Perché
no?”
(George Bernard
Shaw, Torniamo a
Matusalemme)
1
settembre 1977
È il primo
di settembre del mio ultimo, definitivo anno a Hogwarts, sono al
binario 9 e ¾ e sto scandendo mentalmente i secondi con la
schiena appoggiata a uno dei pilastri di mattoni, gli occhi socchiusi e
la testa che scoppia. Sirius non dice più una parola ormai
da diversi minuti, e forse è un bene, dopotutto,
perché questo per me è un serio momento di crisi.
Alcuni al mio posto
farebbero salti di gioia alti decine di metri. Altri sentirebbero il
loro ego gonfiarsi smisuratamente, tronfi del loro successo. Altri
magari si godrebbero quella piccola soddisfazione nel silenzio della
propria solitudine. Io probabilmente sono l’unico che al solo
pensiero si sente letteralmente terrorizzato.
Del resto, vorrei
vedere chiunque altro al mio posto. Con il mio passato sulle spalle,
con lo stupore ancora vivido nella mente. Non solo nessuno avrebbe mai
lontanamente pensato di scommettere su di me, ma la
possibilità di vedermi protagonista di un simile evento non
sarebbe stata mai nemmeno presa in considerazione. Neppure un pazzo ci
avrebbe mai scommesso. Non sto esagerando, purtroppo. Io sono stato
traumatizzato nel profondo, e la colpa è tutta di quella
mente suprema del mondo magico chiamata Albus Silente.
Il giorno in cui mi
è arrivata la lettera, a dire la verità, non mi
ero ancora nemmeno alzato dal letto.
Io e Sirius la notte
prima eravamo rimasti svegli fino a tardi. Non c’è
da stupirsi se alle undici di mattina eravamo ancora riversi sui
materassi con gli arti penzoloni, le coperte gettate a terra per il
caldo, il cuscino finito chissà dove, il respiro pesante e
il desiderio di non muovere un dito fino a dopo pranzo.
Sfortunatamente, i gufi si presentarono a becchettare in modo poco
signorile le finestre delle nostre camere quando ancora non era giunto
il momento di aprire gli occhi. Ad ogni modo, entrambi facemmo lo
sforzo di alzarci (o meglio, Sirius si era svegliato per primo, poi,
constatato che io non avevo fatto altro che rigirarmi
dall’altra parte e nascondere la testa sotto un braccio, si
era precipitato in camera mia e aveva iniziato a strepitare con la sua
voce roca da sonno interrotto); le solite ciance riguardo al materiale
scolastico e all’elenco dei libri di testo erano accompagnati
da un’altra busta indirizzata soltanto a
me, scritta con lo stesso inchiostro verde delle missive di Hogwarts.
Io capivo la metà di quello che mi stava succedendo intorno,
avevo un mal di testa feroce per essere stato buttato giù
dal letto in modo così brusco e spiacevole e non avevo la
benché minima voglia di verificare il contenuto di quella
busta, volevo soltanto tornarmene a dormire. Ma, ovviamente, fu la
curiosità di Sirius a prevalere sul mio spirito di
negligenza. Mi strappò la busta dalle mani e la
aprì, stropicciandosi gli occhi nel tentativo di vedere
meglio. Si mise a declamare il contenuto della lettera strascicando le
parole e ogni tanto interrompendole a metà con aria
svogliata, dopodiché si portò una mano alla bocca
per sbadigliare e mentre io, contagiato, facevo lo stesso, lui
sbiancava completamente in volto ed estraeva dalla busta un oggetto
argenteo, grande abbastanza da essere contenuto in una mano.
“James”,
disse soltanto, rimasto senza parole. I miei pensieri erano ancora
rivolti al tepore del mio letto caldo, e Sirius dovette darmi
un’energica scrollata prima di riuscire a farmi capire che
diavolo stava succedendo.
“Basta
Sirius, voglio andare a dormire”, mi lamentai io, sentendomi
improvvisamente tornare bambino, nei classici momenti in cui imploravo
mia madre di non tirarmi giù dal letto in modo impietoso
chiamandomi poltrone
scansafatiche. Solo dopo qualche secondo iniziai veramente
a far andare il cervello. Il dubbio iniziò ad insinuarsi
nella mia mente, mentre sentivo risuonare come un’eco incerta
le parole della lettera, che ricordavo soltanto per una mera assonanza
colta in un momento di totale disattenzione. Ma l’atroce
sospetto di aver davvero sentito pronunciare quel dato vocabolo, per
quanto fosse obiettivamente inverosimile, mi fece improvvisamente
piombare nel panico. Strappai via la lettera dalle mani di Sirius,
inforcai rapidamente gli occhiali, sforzai la vista nel
tentativo di mettere a fuoco e rilessi tutto da cima a fondo, mentre le
mie capacità di pensiero si risvegliavano lentamente.
Una volta arrivato in
fondo, avevo smesso di respirare.
“È
uno scherzo, vero?” domandai, a mezza voce, prendendo il
distintivo dalle mani di Sirius. Lui avvicinò la testa alla
mia, fissandolo.
“Per la
miseria, se è uno scherzo è fatto veramente bene.
Ti giuro che sembra vero”.
“È
opera tua? Dimmi che sei stato tu, Padfoot, ti prego. Guarda che sta
per venirmi un colpo. Non sarà piacevole avermi sulla
coscienza, una volta che sarò soltanto un cadavere freddo e
rigido disteso sul pavimento …”
“James, che
diamine, non sono stato io”.
Deglutii, mentre
sentivo il terrore bloccarmi il battito cardiaco.
“Non
è possibile. Non può essere vero. Scommetto che
c’è lo zampino di Remus …”
“Non
potrebbe mai elaborare un piano così perfido, lo sai anche
tu”.
“Ma
è assurdo, ti rendi conto?! Deve essere
finto”.
Mi affannai a
confrontare la grafia della lettera che annunciava la mia nomina con il
solito elenco di libri di testo e istruzioni che ero certo fosse giunto
da Hogwarts, poi mi rigirai tra le mani quell’affare per
almeno due buoni minuti.
Il mio cervello era
talmente annebbiato che rimasi immobile e inebetito a fissare il vuoto
per non so quanto tempo, prima che Sirius mi richiamasse alla
realtà.
“Mi dispiace
dirtelo, amico, ma questo coso sembra proprio vero”.
“No, no, no,
no”.
“James”.
“No, no,
NO!”
“James
smettila, mi stai facendo paura adesso!”
“A me fa
paura questo,
Sirius!”
Gli rifilai il
distintivo come se fosse una caccola di Troll, poi mi misi le mani nei
capelli e incominciai a camminare avanti e indietro per tutta la
lunghezza della mia camera.
Sicuramente sembravo
uno squilibrato, ma in quel momento ero troppo preso dallo shock per
riuscire a rendermene conto.
“Su, Prongs,
cerca di darti una calmata ora”.
“Se tu fossi
così gentile da spiegarmi come fare, te ne sarei enormemente
grato”.
“Okay,
cerchiamo di ragionare. Non è una tragedia così
grande, dopotutto”.
Io mi passai per
l’ennesima volta le mani nei capelli.
“Non
è questo il punto, Sirius. Il punto è che non ha
senso. Cioè, questo coso avrebbe dovuto arrivare a Remus. O
a qualcun altro. Insomma, di certo non a me”.
Ho sempre avuto la
tendenza a reagire con attacchi di panico di fronte ai fenomeni privi
di una spiegazione logica, ma quello era senza dubbio il più
grave di cui fossi mai stato protagonista in tutti i miei diciassette
anni suonati.
“Oh,
andiamo, non prenderla così male”.
“Devono aver
sbagliato a spedire la lettera, è meglio che scriva subito
alla McGranitt per informarla”.
Ed era quello che
avevo fatto. Preso dalla foga di sentirmi rassicurare da una simile
prospettiva, avevo strappato un pezzo di pergamena dal fondo di uno dei
miei compiti delle vacanze ancora incompleti, ci avevo scribacchiato
sopra qualche confusa parola di scusa con una grafia tremolante e
difficilmente comprensibile e l’avevo legato alla zampa del
mio gufo, sotto lo sguardo attonito del mio migliore amico.
Dopodiché, avevo trascorso il resto della mattinata senza
toccare cibo e rispondendo in tono isterico a chiunque mi rivolgesse la
parola, rimanendo sordo a ogni tentativo fatto da Sirius per tentare di
rassicurarmi in modo ragionevole.
Il mio gufo
ritornò dopo qualche ora. Per poco non gli staccai una zampa
mentre mi impadronivo della risposta, accingendomi subito dopo a
srotolarla con le mani che tremavano.
Non ricordo
esattamente cosa dicesse la lettera, mi sono rimaste impresse soltanto
espressioni isolate come “nessun
errore”, “non dica sciocchezze”,
“riceverà istruzioni in proposito”,
“si rilassi e si goda le vacanze”.
Quella donna voleva
prendermi in giro.
“Non volevo
dirtelo prima, avresti dato in escandescenze, ma era più che
probabile che non ci fossero errori. C’era il tuo nome sia
sulla busta che sulla lettera, e sicuramente Silente ha una spiegazione
per tutto questo …”
“Silente ha
voglia di scherzare, evidentemente”.
“Oh, beh,
può darsi. Ha sempre avuto un marcato senso
dell’umorismo”.
“Tutto
questo è assurdo, devo parlare con lui”.
“James, ora
stai diventando leggermente ossessivo …”
“Per te ha un senso,
Sirius? Ha un senso vedermi in possesso del distintivo di Caposcuola?!
Silente non ha senso dell’umorismo, Silente è
completamente ammattito!”
Ero fuori di me, lo
devo ammettere. Ma sfido chiunque a provare a mettersi nei miei panni.
Io sono James Potter, Malandrino di professione, irrispettoso di
qualsiasi regola, sono fra i primi quattro studenti più
combinaguai di tutta Hogwarts e non ho mai dimostrato impegno e
dedizione in qualcosa che non sia il Quidditch. E io, io secondo
Silente dovrei fare il Caposcuola?
Doveva essersi bevuto
il cervello, non c’era altra soluzione.
Gli scrissi
immediatamente, sforzandomi di trovare una pergamena integra e di
utilizzare una grafia umanamente comprensibile. Lo pregavo in quattro
righe di concedermi un colloquio informale prima dell’inizio
della scuola, scusandomi per la mia inopportunità e
affermando di essere perfettamente cosciente che era sempre molto
impegnato, e che il mio problema era del tutto trascurabile in
confronto alle faccende importanti di cui doveva prevedibilmente
occuparsi.
Ad ogni modo, Silente
si comportò ancora nel modo più assurdo e
inaspettato possibile: mi rispose che se non c’erano problemi
sarebbe passato per una breve visita a casa mia fra un paio di giorni.
Diceva di essere da quelle parti per affari riguardanti faccende
piuttosto oscure, ma che sicuramente era in grado di dedicarmi il tempo
necessario a discutere della questione che mi crucciava.
Io cominciavo a
sentirmi seriamente in soggezione.
Ad ogni modo, quando
Silente arrivò, cacciai via i miei genitori e Sirius senza
ritegno, perché non avevo la benché minima
intenzione di svolgere un dialogo del genere alla presenza del mondo
intero. La faccenda mi aveva causato un serio trauma psicologico, anche
se sarebbe stato mille volte più facile riderci sopra e non
porsi domande a riguardo. Ma io volevo delle spiegazioni, e avevo tutti
i diritti di sentirmi scombussolato in quel modo.
“Immagino
che tu voglia discutere della tua nomina a Caposcuola, James”.
Ovviamente era andato
subito al sodo, senza farsi problemi. Fosse stato per me, penso che
avrei tentato di infarcire il discorso con qualche elaborato giro di
parole, ma lui aveva dato inizio alla conversazione per primo, perciò
a me non restava che confermare.
“Sai, James,
penso che una delle cose più divertenti
dell’essere Preside sia assegnare incarichi di questo tipo.
Certe estati trascorro mattinate intere a pensare alla faccia dei miei
studenti quando aprono le fatidiche buste e si trovano davanti una
spilla o un distintivo; e ti assicuro che più di una volta
sono stato velatamente accusato di demenza senile mentre mi facevo
quattro risate a riguardo”.
Io ero semplicemente
allibito. Quell’uomo si stava prendendo palesemente gioco di
me.
“Beh, con
tutto il rispetto, io penso che, per quanto si sia sforzato, non sia
riuscito ad immaginarsi con esattezza la mia espressione”,
gli risposi, a metà fra il timore istintivo nei confronti
della sua autorità e la segreta smania di dirgliene quattro.
“Nessun
problema. Ti assicuro che in ogni caso mi sono impegnato molto, ma
prevedevo fin dall’inizio che non ci sarei davvero potuto
riuscire”.
“È
per questo che mi ha scelto?”
“Cioè
per allietare le mie noiose giornate estive? Oh, no, James, anche se
non posso negare che questa decisione abbia comportato un certo
divertimento da parte mia”.
“E allora,
signore … posso chiederle perché?”
“Secondo te,
perché ho scelto te?”
Che cavolo di senso
aveva rigirare la domanda a me? Sì, decisamente giocava a
prendermi in giro.
“Ho provato
a pensarci, davvero, ma non ne ho idea. Ero convinto che ci fosse stato
un errore …”
“Oh,
sì, la professoressa McGranitt mi ha informato di questo.
Hai davvero una così scarsa considerazione di te
stesso?”
“Di una cosa
sono sicuro, non sono adatto a fare il Caposcuola. Non sono nemmeno
stato Prefetto …”
“Non
è necessario che tu lo sia stato, come forse già
sai. Il passaggio da Prefetto a Caposcuola non è
più obbligatorio di quanto lo sia collezionare tutte le
figurine delle Cioccorane”.
“Ma Remus si
sarebbe meritato questo incarico molto più di me”.
“Remus Lupin
ha già avuto il suo bel daffare durante i suoi due anni da
Prefetto, nell’inutile tentativo di tenere a bada
voialtri”.
“Ma
è proprio questo il punto! Lui doveva tenere a bada
anche me!
E dopo tutto quello che ho fatto durante questi sei anni a Hogwarts,
secondo lei io sarei adatto …”
“Sei
maturato molto durante lo scorso anno, James”.
Di fronte a
quell’osservazione lapidaria, rimasi in silenzio per quasi un
minuto intero.
Okay, in certe
occasioni anche io avevo notato il cambiamento. Ma sentirselo dire da
Silente non è come riconoscerlo implicitamente tra
sé. Sentirselo dire da Silente è come ascoltare
il Cappello Parlante che urla il nome della Casa in cui desideravi con
tutto il cuore essere smistato, quando eri solo un ragazzino di undici
anni che aveva appena inaugurato il suo arrivo a Hogwarts con un volo
nel lago, trascinando con te un altro ragazzino di undici anni con una
massa di capelli quasi più neri dei tuoi, anche se di sicuro
non più arruffati.
Era imbarazzante.
Imbarazzante perché non riusciva a sembrarmi vero. E
perché ero e sono tuttora convinto che maturare
interiormente e iniziare a comportarmi in modo più
intelligente e sensato non significava che io mi fossi trasformato in
uno studente degno di essere nominato Caposcuola. C’era
comunque un abisso nel mezzo. Forse avevo smesso di lanciare
continuamente incantesimi su chiunque mi capitasse a tiro, ma non avevo
certo rinunciato alle malandrinate. Solo durante il sesto anno ero
giunto all’apice della mia carriera da Animagus, avevo
contribuito a disegnare una Mappa di Hogwarts che includeva perfino il
più recondito passaggio segreto, avevo perseverato nel
macchinare scherzi di grande portata diretti contro i Serpeverde del
mio anno e non avevo smesso di assillare Lily Evans, seppure avessi
cessato di declamarlo a gran voce e avessi troncato di netto tutti quei
modi di fare che prima mi facevano apparire maledettamente infantile.
“È
un tuo diritto conoscere le ragioni per cui ho fatto questa scelta
così importante, e non è mia intenzione
nascondertele. Non aspiro a trasformarti in uno studente modello, sei
già estremamente brillante senza bisogno di un distintivo.
Ma hai imparato la modestia e la pazienza, e se ti ho assegnato questo
incarico è perché sono convinto che tu possa
sostenerlo senza alcun problema. Quello a cui vorrei spingerti
è ad aprirti una volta tanto, e a mostrare anche agli altri
di che straordinarie qualità sei dotato. Ti sei nascosto
abbastanza sotto la tua vecchia maschera, e ora ritengo che tu sia
più che pronto per fare un passo del genere”.
Fissai il pavimento in
silenzio per un altro minuto buono. Non sapevo più che
diavolo dire. Non riuscivo a capire in che modo potesse Silente
pretendere di esprimere giudizi su di me con una tale sicurezza e
padronanza dell’argomento, come se mi conoscesse bene. Da che
cosa aveva tratto tutte quelle conclusioni riguardo al mio carattere?
Non riuscii a capirlo sul serio e nemmeno adesso, che ho avuto una
settimana per pensarci, sono giunto ad una conclusione soddisfacente.
Fatto sta che non aggiunse altro. Dopo avermi chiesto se avevo altre
domande, si congedò dai miei genitori e si
Smaterializzò due passi fuori dal cancello del giardino. Io
rimasi incapace di produrre un solo suono fino a notte inoltrata,
quando finalmente mi decisi a raccontare tutto a Sirius senza correre
il rischio di tralasciare nemmeno un dettaglio. Lui, in tutta risposta,
si è messo a ridere. Mi ha sfottuto per almeno
un’ora rotolandosi per terra, finché non ho deciso
di suonargliele e abbiamo finito per addormentarci sul pavimento,
sfiniti.
Ora sto aspettando di
salire su quel maledetto treno, e intanto tutti i miei amici sono fieri
di me.
Peter continua a
ripetermi che sono grande, grandioso.
Remus che ho
un’ottima occasione per fare come ha detto Silente e
dimostrare al mondo chi sono.
Sirius che ora posso
fornire ai Malandrini una copertura ancora più efficace di
quella di Remus quando era Prefetto.
In realtà,
penso che ora se ne stia in silenzio solamente perché sta
macchinando qualcosa di nuovo per inaugurare l’anno
scolastico.
Io ho soltanto una
paura tremenda, perché non oso nemmeno immaginare quello che
mi aspetta.
Non è tanto
l’essere investito di una responsabilità
così grande che mi preoccupa.
E nemmeno la
prospettiva di dover iniziare a comportarmi bene sul serio.
D’altronde,
Silente avrà di sicuro immaginato che non
rinuncerò alle malandrinate nemmeno se un giorno dovessi
diventare Preside.
Sono ben altre le cose
che mi preoccupano.
Una di queste ha i
capelli rossi.
Si sta avvicinando,
viene verso di noi.
Ha già la
divisa indosso. Chiudo gli occhi, non voglio guardare, ma subito dopo
l’istinto mi costringe e noto inevitabilmente il distintivo
d’argento che si è appuntata sul petto.
Giuro che vorrei
sprofondare.
Silente è
un sadico. Un sadico perverso. Io e lei Capiscuola. Sono anche disposto
a credere ai suoi discorsi ad effetto riguardo alla mia maturazione, ma
non posso evitare di pensare che sotto sotto l’abbia fatto
apposta.
Il suo piano
è far seppellire Hogwarts sotto un mucchio di macerie, di
sicuro.
Cos’altro
può sperare che riusciamo a combinare io e Lily Evans in
coppia con un simile incarico?
“Potter.
Pronto a farti togliere punti?”
Io ingoio
l’aria, terrorizzato. È diventata anche
più carina in questi due mesi, mi duole ammetterlo. Ma il
modo di reagire lo devo trovare lo stesso.
“A dire la
verità, no”.
Lei mi guarda con aria
interdetta, come se non fosse sicura di aver capito bene.
“Come
sarebbe a dire no?”
“Sarebbe a
dire che potrai prendertela con tutti meno che con me”, le
rispondo, cercando di utilizzare un tono piuttosto sfrontato. Devo
comunque darmi un contegno, che diamine.
“Che
succede, sei esentato dalle regole quest’anno?”
domanda lei, corrugando la fronte.
“No, succede
che mi è arrivato questo per posta”, replico,
sventolandole davanti al naso il distintivo, che fino a un momento fa
tenevo ben nascosto nel fondo delle mie tasche. Osservo
l’espressione di Lily diventare vacua di colpo.
“Se
è uno scherzo, non è divertente”, dice,
a mezza voce, improvvisamente pallida. Io mi lascio sfuggire un
sorrisetto tirato. Potrei anche trovarlo estremamente esilarante e
sfruttare la situazione nel modo migliore, se solo non fossi
così nervoso.
“Ti
sembrerà strano, ma non sono in vena di
scherzare”, le rispondo, stringendomi nelle spalle. Lei
sembra aver perso la capacità di respirare. Buffo, mi
ricorda un po’ me quando ho ricevuto la lettera.
Probabilmente dovevo avere la stessa espressione che ha lei ora.
Forse non proprio
così scioccata, devo ammettere.
O forse è
solo che adesso quel momento mi sembra già lontano.
“Fossi in te
chiuderei la bocca e cercherei di fare almeno un mezzo sorriso per
mantenere il contegno”.
“Io
… non è possibile, tu mi stai prendendo in
giro”.
“Ah, allora
forse ti sarà d’aiuto leggere questa per
rassicurarti sul fatto che sono serissimo”.
Estraggo di scatto
dalla tasca la lettera di risposta della McGranitt e gliela porgo con
un gesto a metà tra il brusco e il delicato, cercando di
godermi lo spettacolo dell’indecifrabile espressione di Lily.
Mi aspetto un urlo
agghiacciante da un momento all’altro.
Bel modo di iniziare
l’ultimo anno.
E invece, lei dopo un
po’ alza la testa dalla pergamena e mi fissa con aria
totalmente confusa. Per un solo, infinitesimo attimo mi sembra quasi di
veder passare sul suo volto un’espressione di composta
tenerezza appena accennata, che subito dopo torna ad essere mero
stupore. Io evito di farmi domande in proposito. Ci ho rinunciato a
capirla, da quando ha tentato di scusarsi offrendomi una Cioccorana.
“Non
biasimarmi se dimostro scetticismo a riguardo, come vedi non ci credevi
nemmeno tu”, commenta, sventolandomi improvvisamente la
pergamena davanti agli occhi, con un tono quasi privo di
acidità.
“Se davvero
ti ritenevi indegno di un incarico del genere, potresti anche indurmi a
cambiare opinione su di te”, aggiunge, in tono sarcastico. Io
mi stringo nelle spalle e mi accingo a seguirla. Dopotutto, se fossi
lasciato a me stesso, non saprei neanche da che parte devo girarmi.
Mi volto un attimo
indietro e incrocio lo sguardo del mio migliore amico. Sirius mi guarda
con un ghigno dipinto in viso. Io cerco di farmi un’idea di
come sarà il mio settimo anno da qui in avanti e una cosa
è sicura, non è certo come me lo immaginavo
quando alla fine di giugno sono sceso da questo dannato treno.
***
23
agosto 1977
Merlino.
C’è qualcosa che picchia alla mia finestra.
Mi sveglio di
soprassalto, con un balzo di diversi centimetri.
Calma, Lily, calma.
È solo il tuo gufo, accidenti.
Il fatto è
che è tutta l’estate che sono agitata. Anzi, dire
agitata è un eufemismo bello e buono. È ormai da
due mesi interi che continuo a chiedermi se io sia davvero normale.
E tutto questo per
colpa di Potter.
Se potessi spegnere il
cervello, rilassarmi e godermi le mie meritate vacanze, lo farei senza
pensarci due volte. Ma pare che non sia proprio possibile. Il mio
cervello è destinato ad un arrovellamento continuo e privo
di soste, e sembra che non ci sia quasi niente in grado di distrarmi in
modo duraturo.
Mi perdo spesso nei
meandri delle mie contorte riflessioni, e i miei mi sorprendono sempre
così, con i gomiti sul tavolo e la guancia appoggiata
nell’incavo della mano. Dicono che sono strana, ma in
realtà è solo che sto pensando troppo a qualcosa
che non dovrebbe stare nella mia testa, non più del
necessario almeno, perché così mi sta assorbendo
tutte le energie mentali di cui dispongo, e mi sta rendendo una persona
ripetitiva e noiosa.
Saranno state almeno
duemilatrecentoquarantasette le volte in cui mi sono detta che forse
era meglio sedersi e riflettere con calma, così da liberarsi
definitivamente di quel chiodo fisso.
E invece no. Non ha
funzionato. E continua a non funzionare, per qualche inspiegabile
ragione.
La faccenda comincia a
darmi sui nervi.
Il punto è
che io detestavo James Potter, fino a poco tempo fa. Con tutta me
stessa. Ora invece il mio odio è sparito chissà
dove, inghiottito dalla sua ironia fuori luogo, dal suo vizio di dire
sempre la cosa sbagliata, dalla sua candida sfacciataggine, dalla sua
spontaneità fanciullesca. Certo, d’accordo, alla
fine l’avevo intuito anche in passato, che in fondo il suo
vecchio modo di fare – quello da borioso arrogante spaccone
egocentrico – era tutta una grande e stupida messa in scena,
un modo veramente idiota di mettersi in mostra, ma adesso che ha deciso
di crescere e di comportarsi in modo normale comincia quasi a piacermi. E questo
ha dell’incredibile.
Non intendo piacermi
nel senso più forte del termine. Non è che mi
piaccia. Ho sempre giurato e spergiurato che non gli cadrò
mai ai piedi, per nessuna ragione al mondo. E infatti non
accadrà. Ma se si parla di instaurare con lui un semplice
rapporto di pacifica convivenza, non vedo più dove stia il
problema, ed è questo che mi preoccupa. Perché
c’è una bella differenza tra lo smettere di
odiarlo e il desiderare di instaurarci un rapporto. Tuttavia,
nell’ultimo periodo di scuola ho manifestato esattamente
quest’ultima tendenza.
Voglio dire, pur avendo
smesso di odiarlo potrei limitarmi a non avere più attacchi
d’isteria in sua presenza, così da mettermi il
cuore in pace, vivere e lasciar vivere. Lui per la sua strada, io per
la mia. Senza più la necessità di doverlo
bacchettare o tenere sott’occhio per assicurarmi che non
cominci ad azzuffarsi con qualche Serpeverde non appena io giro
l’angolo. Indifferenza, sana e tranquilla indifferenza.
Magari abituarmi a salutarlo quando lo incontro, o a parlargli in modo
cortesemente neutrale quando l’occasione proprio lo richiede.
Ma non è a questo che ho fatto nell’ultimo mese.
Il fatto è
che, nonostante sia ancora perfettamente capace di farmi saltare i
nervi con le sue battute azzardate, la sua mania di organizzare scherzi
idioti e i suoi tentativi di rigirare la frittata affinché
la ragione stia sempre dalla sua parte, il mio subconscio lo trova
interessante. Ma è così assurdo che io possa
affibbiare un tale aggettivo a Potter. È egocentrico,
assillante e impudente, non sa mai tenere la bocca chiusa nemmeno
quando tutti lo guardano male per tentare di farglielo capire, ha
sempre qualcosa di cui lamentarsi e non ha la minima serietà
nello studio – se è sempre così
brillante è solamente merito della sua provvidenziale
intelligenza sopra la media.
In conclusione, non fa
per me.
Non che io voglia
combinarci qualcosa, assolutamente no. Quest’idea folle se ne
sta ben lontana dalla mia testa. Potranno anche adorarlo tutti, ma a
parer mio non è neanche questa gran bellezza. Se potessi
glieli taglierei in un solo colpo, quei suoi stramaledetti capelli.
E grazie al cielo ha
smesso di spettinarseli ogni due secondi.
Insomma, il punto non
è questo. Il punto è che mi sono fissata con
qualcosa che non ha alcun senso. Voglio dire, posso anche essermi
trovata bene con lui e con i suoi amici o anche solo con lui per un
po’, possiamo anche aver conversato in modo piacevolmente
animato per qualche minuto nel periodo conclusivo dello scorso anno
scolastico, posso anche aver ottenuto la prova finale e definitiva del
fatto che è davvero una persona sentimentalmente profonda,
ma questo non cambia le cose. Sono in grado di lasciarlo vivere in
tutta tranquillità, ma non posso pensare seriamente di dare
avvio ad una qualche relazione interpersonale che
coinvolga lui. È una cosa che non mi porterebbe da
nessuna parte. Eppure, durante le ultime settimane di scuola ho agito
esattamente in questo senso, non ponendomi alcun problema al riguardo.
A questo punto, sarebbe
consono domandarsi il perché.
Ebbene,
proverò a rispondere anche a questa domanda. In
realtà una vera e propria risposta non ce l’ho,
tuttavia mi rendo conto che da un mese e più sto continuando
a ripensare ad alcuni episodi del periodo più recente che mi
hanno lasciata letteralmente a bocca aperta.
Alla vetta di questa
classifica sta il momento in cui ho spiattellato in faccia a Potter
quello che pensavo sul suo conto, e cioè che
l’unico motivo per cui gli interessasse conquistarmi era
perché ormai io ero l’unico trofeo che gli mancava
da aggiungere alla collezione.
In tutta risposta, ha
esibito un’espressione in grado di far commuovere i sassi.
Credevo che James
Potter fosse una specie di maschera di Carnevale, una caricatura priva
di reali sentimenti, votata soltanto a ridere e scherzare. E invece,
dopo la brutta litigata alla fine del quinto anno, questa mia
impressione era stata a poco a poco smentita, anche se me
n’ero veramente resa conto solo in quel momento.
Avevo immediatamente
intuito di essermi sbagliata di grosso, benché la mia
scettica coscienza mi dicesse di non fidarmi. È impossibile
non fidarsi quando una persona ti guarda in quel modo. E fu
così che capitolai, arrendendomi di fronte
all’evidenza. James Potter è umano, non una
maschera. E a quanto pare, gli importava veramente della sottoscritta.
Certo, non riesco a
fornirmi una spiegazione plausibile per quest’ultima
considerazione. Dando per buono il fatto che gli interessasse soltanto
vincermi perché ero l’unica che faceva la
difficile, tutti i conti tornavano; ma così, non sono
proprio in grado di capire perché si fosse talmente fissato
con me. Ha trascorso sei anni a farsi insultare in tutti i modi
possibili, ad incassare rifiuti su rifiuti, ad assistere a palesi
manifestazioni di disprezzo nei suoi confronti, e ancora trovava la
forza di provare qualcosa per me … ci fossi stata io al suo
posto, non avrei mai resistito così tanto. Qualsiasi persona
sana di mente si sarebbe arresa, e se ne sarebbe cercata
un’altra più abbordabile. Lui no. Questo
può spiegarsi solo ammettendo che soffra di qualche strana
disfunzione cerebrale.
E poi, c’era
il modo in cui ha cominciato a scherzare con me. Inutile negarlo,
l’ho trovato piuttosto piacevole. È capace di
tenermi testa, ma senza alcuna traccia di arroganza; quando vuole
esagerare e fare un po’ lo sbruffone, si capisce lontano un
miglio che lo fa in modo autoironico, e che non ci crede nemmeno lui,
nella sua incerta esibizione di fiducia in se stesso. Ormai, di quella
sua vanesia e affettata tracotanza non c’è
più alcuna traccia.
Insomma, Potter ormai
risulta quasi una persona gradevole ai miei occhi.
Forse perché
il mistero della sua inspiegabile perseveranza, in un certo senso, mi
intriga. O forse perché mi sono resa conto che è
davvero diverso da come aveva cercato di sembrare per i nostri primi
cinque anni a Hogwarts, e quindi mi incuriosisce l’ipotesi di
conoscere meglio un tipo così bizzarro.
Ad ogni modo, mi sento
ben disposta nei suoi riguardi. Molto più ben disposta di
quanto avessi mai immaginato di poter essere.
Mi rendo conto che,
nonostante possa sembrare una scelta di comodo, l’unica
soluzione che mi si prospetta davanti è quella di smettere
di lambiccarmi il cervello. Non pensarci più, scacciare il
chiodo fisso, concentrarmi esclusivamente sulle cose importanti in
questo momento. Ho ancora una marea di compiti delle vacanze da finire,
tempo da passare con la mia famiglia e lettere a cui rispondere.
A questo proposito, ora
che sono riuscita ad alzarmi e ad aprire al mio gufo, sarebbe proprio
il caso di dedicarmi a quest’ultimo compito.
Sciolgo la pergamena
arrotolata dalla zampa della mia Jenny, accarezzandole lievemente il
capo. La foggia sembra essere quella della carta da lettere di
Margaret. Le ho scritto quattro o cinque giorni fa, credo. Sospiro e mi
accingo ad aprirla, sedendomi alla scrivania sotto la finestra, mentre
appoggiate sotto il mio gomito mi attendono altri cinque buste a cui
ancora non sono riuscita a buttar giù una risposta decente.
Dispiego la lettera e
comincio a leggere.
22
– 08 – 1977
Liverpool
Lily, tesoro,
come va? Ti
penso sempre, povera … spero che un modo per divertirti tu
l’abbia trovato. Lo so che non ti va di uscire con un
ragazzo, ma è da un bel po’ che non ti va, e non
vedo perché non dovresti. Sono tutti così
insopportabili come quello dell’estate scorsa, lì?
Lo dico per
te, a parte tutto. Sei una ragazza magnifica, in tutti i sensi, e ti
meriti un po’ di felicità … o perlomeno
qualche sorta di svago, fintanto che puoi solo gironzolare per i boschi
di montagna.
Sono appena
tornata dalla Francia, sai. La tua lettera mi è arrivata
mentre ero ancora lì. Ho anche incontrato quelli che tu
chiami “i quattro disgraziati”, e posso assicurarti
che stanno bene, e che nessuno, per il momento, li sta rincorrendo per
fargliela pagare per qualche loro malefatta. A Remus piace molto la
Normandia. Oh, ma immagino che ti abbia scritto, no? Me
l’aveva accennato, se non sbaglio.
Sono sempre i
soliti casinisti, mi sono fatta un sacco di risate insieme a loro. Ci
siamo incontrati a Orleans per visitare la città. Peter era
particolarmente attratto dalle fognature, che cosa bizzarra. Continuava
a ripetere che erano pulitissime e che gli piacevano. Ad ogni modo
adoro la Francia, sai? Deve avermelo trasmesso mia madre, con la sua
abitudine di parlarmi in francese fin da quando ero piccola, ma
è davvero un posto stupendo. E non piove tutti i giorni, ci
terrei a sottolinearlo. Lo sai che mi sono anche abbronzata?
Devi venirci
con me, l’anno prossimo. Ho tutte le intenzioni di ritornarci.
E va bene,
magari mi sono un pochino fissata, però pensavo che potrei
fermarmici un po’, dopo i M.A.G.O., sarebbe divertente. Alle
volte sento proprio il bisogno di cambiare aria. Da noi è
tutto così cupo.
Se non riesci
ancora a dormire, preparati una Pozione Soporifera … tesoro,
tu sei così brava, in Pozioni, perché non
sfruttare il tuo talento? Mi dispiace che tu sia tesa, è
successo qualcosa? O sei agitata per via della scuola? Lo so che ormai
manca così poco e che queste vacanze sembrano essere volate,
ma una volta che saremo di nuovo immerse nella vita di Hogwarts tutto
tornerà come prima. Poi, quest’anno è
l’ultimo, e dobbiamo fare in modo che sia speciale.
Mia madre e
mio padre ti salutano. Si ricordano sempre di te, di quando sei venuta
a trovarmi e gli hai portato quell’enorme cesto di frutta. Ti
saluto anch’io, ovviamente, e ci rivediamo prestissimo. Meno
male, perché mi mancate tutte quante.
Un abbraccio,
Meg
Sospiro di nuovo. Poso
la lettera sulla superficie del tavolo.
Credo che
avrò bisogno di rileggere tutti gli arretrati, prima di
mettermi al lavoro.
Non è poi
così semplice e sbrigativo intrattenere tutta questa
corrispondenza.
20
– 08 – 1977
Manchester
Ehi, Lily!!!
Allora, come
va dalle tue parti? Sempre una noia mortale? Dai, spero di no
… io sono impegnatissima con il campus estivo di Quidditch.
Devo praticamente fare i compiti delle vacanze di notte, ma va beh, si
tira avanti. A proposito, non è che potresti dirmi che cosa
hai scritto nel terzo tema della McGranitt? Mi sa che avrei fatto molto
meglio a mollare Trasfigurazione dopo i G.U.F.O … il
problema è cominciato tutto con gli incantesimi non verbali,
credo proprio che avrò bisogno di una mano da parte tua.
Scusami, in realtà non volevo parlare di scuola.
È che mi sono fatta prendere la mano, come al solito.
Comunque qui
mi piace un sacco, cavoli. Sai che mi hanno proposto un provino per le
juniores? Ma te lo immagini?? Però se ne
riparlerà l’anno prossimo, quando avrò
finito la scuola.
Potter
l’hai più sentito?? Lo so, dovrei farmi gli affari
miei, hai ragione. È colpa di Margaret se sono diventata
pettegola. È solo che mi siete sembrati carini,
l’ultimo giorno di scuola. Non ti devi scusare se non hai
fatto il viaggio con noi, ho sentito del casino che è
scoppiato, me lo sono fatta raccontare da Ernest Larsen, sai, il
Battitore della nostra squadra, quello che deve fare il sesto. Sempre
che sia stato promosso. Non gliel’ho chiesto, a dire la
verità. Se ci ha provato con l’esaminatrice dei
G.U.F.O. come ci ha provato con me e Mary l’anno scorso,
allora è la fine. Però a parte tutto credo che un
briciolo di intelligenza scolastica ce l’abbia, o almeno lo
spero per lui.
Non vedo
l’ora di tornare a scuola, comunque. Anche se so che
morirò per colpa della McGranitt. Però devo
scoprire come si chiama il mio moccioso, sai, quello su cui faccio
pensieri impuri. Tranquilla, non ho intenzione di scandalizzarti via
gufo. Chiariremo meglio la faccenda quando il destino ci
avrà riunite.
Scrivimi
presto, okay??
Un bacione
Delia
18
– 08 – 1977
Londra
Cara Lily,
grazie per il
regalo! Mi hai reso davvero felice, non pensavo che dopo le mie
indicazioni ti saresti indirizzata verso un libro simile, ma ti
assicuro che lo adoro. Un favoloso mattone fantascientifico. Non avevo
mai letto niente del genere, ma sai bene quanto mi piaccia sperimentare
nuove letture.
Sono tornata
da pochi giorni, e ne sto approfittando per girare Londra da cima a
fondo. Ci sono così tanti posti che non avevo mai visto
prima. Ho scoperto certi musei meravigliosi, ti ci devo assolutamente
portare. La mia mole arretrata di compiti mi perseguita gli occhi ogni
volta che rincaso e poso lo sguardo sul baule di Hogwarts mezzo aperto
che sbuca da sotto il letto, ma ho ancora bisogno di qualche giorno di
stacco totale. Poi, già conosci le mie capacità
di applicazione … stendo diligentemente una decina di righe
del tema di Difesa contro le Arti Oscure e poi comincio a disegnare
dietro la copertina del libro, perdendo ore del mio tempo prezioso.
Credo che l’unica materia in cui non incontrerò
problemi, come al solito, sarà Divinazione. Tu non
l’hai mai frequentata, ma ti posso assicurare che
è fantastico. Da una parte c’è Margaret
che continua a ripetere che lei a queste cose ci crede davvero,
dall’altra Helen che si sforza di discutere con la
professoressa Coote per capire se davvero c’è un
qualche fondamento scientifico a supporto delle pratiche divinatorie,
dall’altra ancora c’è Delia che esamina
le foglie di the o la sfera di cristallo e dice di vedere Sirius Black
ovunque, e io che mi distacco dalla realtà e comincio ad
inventare il mio futuro come se stessi scrivendo una storia.
Incredibile ma vero, di solito funziona. La professoressa mi adora. A
me del resto serve un M.A.G.O. nella sua materia se voglio aprire
davvero quel negozio esoterico a Diagon Alley, quindi diciamo che
concilio l’utile con il dilettevole.
Sai, ho
incontrato il Prefetto di Grifondoro del nostro primo anno. Te lo
ricordi? Un tipo alto, capelli neri e pelle scura. Quello a cui avevo
chiesto dove fossero i bagni delle ragazze. L’ho incrociato
un paio di settimane fa al Ministero. È diventato Auror da
un anno. Non che abbiamo parlato molto, abbiamo soltanto scambiato due
chiacchiere mentre mi scortava al suo dipartimento. Me lo ricordavo
come uno molto serio, poi invece ho scoperto che ha un bel modo di
sorridere. Lascia perdere, in realtà è soltanto
un mio occasionale viaggio mentale; è ovvio che non lo
rivedrò mai più e che non ha nulla in comune con
me, però mi ha fatto piacere rivedere una faccia conosciuta.
Evito di
partire per la tangente con rievocazioni della nostra Età
dell’Innocenza, quando ancora non pensavamo ai ragazzi se non
come possibile progenie degli alieni, per cui ti lascio, anche
perché mia madre mi sta chiamando per cena.
Fammi avere
presto tue notizie.
Con affetto
Mary
16
– 08 – 1977
Plymouth
Carissima,
la tua fedele
compagna di lamentazioni ti scrive, come al solito, sprizzando gioia da
tutti i pori; sembrerà incredibile, ma mi sono ammalata e
siamo dovuti tornare a casa prima del previsto. Che barba. Hai
suggerimenti da darmi su come impiegare il tempo? Per il momento, tutto
ciò che mi è venuto in mente è:
1) girarmi i
pollici;
2) decidermi
a fare il tema di Erbologia;
3) cercare di
dormire (inutilmente, dato che l’insonnia mi perseguita anche
a casa);
4) giocare a
Scacchi Magici con mio fratello;
5) farmi
leggere una favola dal mio gnomo da giardino.
Dici che sono
un caso disperato, eh?
Sto
cominciando seriamente a rimpiangere la scuola, a questo punto.
Prendere in giro mio fratello non è altrettanto divertente;
comincia Hogwarts quest’anno (Merlino, salvami) ed
è completamente esaltato per questo. Non
c’è nulla che potrebbe indurlo a reagire alle mie
sadiche provocazioni, in questo momento di euforia.
Ho talmente
tanto da fare che ho perso circa mezzora ad ipotizzare chi potrebbero
essere i Capiscuola di quest’anno. Tu sei praticamente certa,
a meno che Silente non abbia deciso di impazzire del tutto. Pensa a
come sarà divertente. Tutta la scuola sotto di te, e potrai
anche togliere punti. Non parlarmi della tua amica Elizabeth Lachey,
sai già che penso che sia una moscia e che non concepisco
come possa essere stata nominata Prefetto di Corvonero due anni fa.
Ci troviamo
insieme per andare a Diagon Alley, come al solito? Suggerirei di
andarci il 27 o il 28 invece che uno degli ultimi giorni di agosto,
almeno avremo la possibilità di evitare la calca
dell’ultimo minuto. Lo dico a mio favore perché
soffro notoriamente di agorafobia, però oggettivamente
sarebbe un vantaggio; finiremmo prima con le compere e potremmo andare
da Florian a prenderci un gelato in santa pace, senza nessun bambinetto
del primo anno tra i piedi, e Delia potrà perdere tutto il
tempo che vuole a scegliersi la sua nuova scopa in quel postaccio
là, Accessori di prima qualità per il
Quidditch.
Merlino,
quanto odio lo sport. Rende tutti degli invasati.
Bene, direi
che sono giunta in fondo al foglio ed è ora di smetterla di
tediarti con le mie chiacchiere, perciò ti saluto. Fammi
sapere quando sarai di ritorno a Londra. Aspetto tue notizie.
A presto,
Helen
15
– 08 – 1977
Lione
Cara Lily,
ti scrivo nel
bel mezzo della nostra piacevole tappa francese. Mi dispiace non averti
potuto dare molto spesso mie notizie, ma quando intraprendi un viaggio
di due settimane in compagnia di tre svitati puoi facilmente
comprendere quanto la cosa si prospetti di difficile realizzazione.
Sono costretto a rincasare tutte le notti non prima dello scoccare
delle tre – infatti ho ragione di pensare che il proprietario
dell’ostello ci detesti a morte, ormai. Sirius non
è mai capace di tenere la bocca chiusa quando rientriamo, o
perché è ubriaco fradicio o perché
semplicemente non è capace di non dare aria al palato. Ma
immagino che tu sappia perfettamente di cosa parlo, dopo sei anni
passati insieme nella stessa Casa, a maggior ragione dopo due anni da
Prefetto.
Ad ogni modo,
parliamo di cose più serie. Visitare Parigi è
stata un’esperienza unica. Al Louvre i minorenni entrano
gratis, pensa un po’; l’unico inconveniente
è stato procurarci dei documenti babbani per Sirius, James e
Peter. Non abbiamo incontrato grosse difficoltà, comunque,
anche se nella foto della carta di identità di Sirius i suoi
capelli sono venuti di un eccentrico color carota. Quando la guardia
l’ha osservato in maniera dubbiosa, lui ha alzato le spalle e
gli ha detto che era uno scherzo di Carnevale.
Siamo perfino
saliti sulla Tour Eiffel. James, quel pazzo, ha voluto farsi tutte le
scale a piedi. Strano ma vero, una volta che ci siamo ricongiunti in
cima non ha avuto di che lamentarsi; quando gli ho chiesto spiegazioni,
mi ha detto che era stato peggio fare su e giù cento volte
dalla Torre di Grifondoro quella volta che l’avevi punito per
averlo beccato fuori dal dormitorio oltre l’orario di
coprifuoco.
Credo che tu
abbia lasciato davvero un’impronta indelebile su di lui.
A proposito,
ha appena sbirciato la mia lettera e mi ha detto di salutarti, oltre ad
avermi ordinato di cancellare la frase che ho scritto sopra.
Suppongo che
si vergogni, ma ultimamente mi fa piacere vedere che riuscite ad andare
d’accordo, sempre nel particolare significato che questo
termine può assumere trattandosi di voi due.
Con la
macchina nuova di Peter abbiamo fatto un sacco di fotografie, a cui ti
farò sicuramente dare un’occhiata nel caso tu
abbia voglia di farti due risate. Ne ho fatta una molto divertente a
James con gli occhiali rotti. Gli manca una lente e una stecca, e gli
occhiali gli pendono tutti da una parte. Sembra una specie di Picasso.
Immagino di
averti tediata fin troppo. Indubbiamente voglio anche sapere
delle tue vacanze, non cercare di svicolare dicendo
che non succede mai nulla di interessante.
Ti saluto, mi
stanno chiamando per il pranzo. Ho provato a mandare loro, per una
volta, a comprare da mangiare, e credo di dovermi preparare
psicologicamente a cibarmi di schifezze. Perciò ti lascio
finché sono ancora in buone condizioni.
A presto,
Remus
Oh, Merlino.
È da più di una settimana che Remus aspetta la
mia risposta. Sono vergognosa.
Adesso mi metto subito
al lavoro.
Certo, se non fosse che
un altro gufo arriva a picchettare alla mia finestra …
Lo osservo con aria un
po’ sospetta. È un gufo grande,
dall’aria aristocratica, e non appartiene a nessuno dei miei
amici. Se ne sta lì, impettito, alla finestra, ad aspettare
che gli apra. Chissà che razza di lettera mi
dovrà consegnare.
Beh, poco importa. Gli
apro, prendo in consegna la busta, la strappo e ne esce qualcosa di
strano, argentato.
Abbasso lo sguardo
sulla superficie lignea del tavolo per osservarlo.
Oh. Wow.
Credo che a questo
punto ucciderò Helen, e dirò alla professoressa
di Divinazione di promuoverla immediatamente ad honorem.
1 settembre 1977
Beh, direi che ci siamo.
I miei genitori mi
hanno appena lasciata dietro la barriera del binario 9 e ¾,
e io sto per incominciare il mio settimo anno a Hogwarts.
Non avrei potuto essere
più in vista di così, ad ogni modo.
Con questo
brillantissimo distintivo appuntato sul petto.
E io che avevo pensato
di poter aspirare ad una conclusione scolastica tranquilla.
Ovviamente Delia,
Helen, Mary e Margaret si sono di nuovo complimentate con me, anche se
l’avevano già ampiamente fatto quando ci siamo
incontrate per andare a Diagon Alley, facendomi fare delle figuracce
assurde di fronte a Florian Fortebraccio della gelateria. Delia ha
preso il cono al Firewhisky, solo perché voleva brindare alla mia salute. L’unica
piccola controindicazione è che l’alcol le ha
fatto venire il singhiozzo.
Mi guardo un
po’ intorno, alla ricerca del famigerato ragazzo del settimo
anno che porta la mia stessa spilla. Sono quantomeno curiosa di sapere
chi dovrà condividere con me questo incarico, sperando che
si tratti di una persona simpatica con cui poterci consolare a vicenda.
Scorgo Remus poco
lontano che parla allegramente con Peter, e lo saluto calorosamente con
la mano, ma non noto nessun distintivo. A quanto pare, quindi, la
nostra collaborazione è finita. È un vero
peccato, con Remus collaboravo molto bene. Ma ancora non sono riuscita
a capire chi sia il mio nuovo compagno di sventure.
Continuo a far scorrere
lo sguardo intorno a me con aria pensierosa, finché non vedo
qualcuno fermo contro una colonna a qualche metro di distanza, qualcuno
con un’espressione un po’ incupita e i capelli
più lunghi e più spettinati di due mesi fa.
Qualcosa di totalmente
impulsivo mi fa sollevare leggermente gli angoli della bocca, mentre lo
osservo.
Dopo un po’,
senza pensarci, lascio i bagagli vicino alle mie amiche e mi dirigo
verso di lui, per salutarlo.
“Potter.
Pronto a farti togliere punti?” lo apostrofo, calma e sicura
di me come mi piace essere. È abbronzato, e sembrerebbe che
l’Europa gli abbia fatto bene, se non fosse per quello strano
modo di guardarsi intorno che non riesco bene a spiegarmi. Lui mi fissa
con uno strano timore, prima di raddrizzarsi e assumere
un’espressione controversa.
“A dire la
verità, no”, mi risponde, con una
cert’aria di superiorità. Io lo osservo, confusa,
non riuscendo proprio a capire a che diavolo stia pensando.
“Come sarebbe
a dire no?”
domando, posando le mani sui fianchi.
“Sarebbe a
dire che potrai prendertela con tutti meno che con me”,
replica lui, ostentando un’aria di trionfo che non ha nulla
di rassicurante.
Se prima non lo capivo,
ora decisamente brancolo nel buio.
“Che succede,
sei esentato dalle regole quest’anno?” gli chiedo,
in tono sarcastico.
“No, succede
che mi è arrivato questo per posta”, mi risponde,
estraendo rapidamente da una tasca un oggetto che mi sventola davanti
agli occhi con insistenza. Corrugo la fronte in un attimo di
confusione. La bocca mi si spalanca di colpo non appena riesco a
mettere a fuoco, rendendomi conto improvvisamente di che cosa ha
in mano.
Godric.
Non è
possibile. Ci dev’essere sicuramente un errore.
“Se
è uno scherzo, non è divertente”, gli
faccio presente, sperando con tutto il mio cuore che sia
così.
Vuole farmi prendere un
infarto, è ovvio.
“Ti
sembrerà strano, ma non sono in vena di
scherzare”, ribatte lui, con una certa dose di rassegnazione
che mi lascia ancora di più a bocca aperta. No, davvero, non
può essere. Se Potter fosse stato nominato Caposcuola, a
quest’ora gli asini volerebbero.
“Fossi in te
chiuderei la bocca e cercherei di fare almeno un mezzo sorriso per
mantenere il contegno”, osserva lui, facendomi riscuotere.
Non mi ero resa conto di essermi pietrificata così.
“Io
… non è possibile, tu mi stai prendendo in
giro”, gli dico, incapace di credere a una cosa simile.
È assolutamente fuori da ogni logica, che Potter abbia in
mano quel distintivo. Voglio dire, mai e poi mai mi sarebbe passato per
la testa che la persona che cercavo prima potesse essere lui.
“Ah, allora
forse ti sarà d’aiuto leggere questa per
rassicurarti sul fatto che sono serissimo”.
Quello che mi porge
è un foglio di pergamena ripiegato su se stesso, piuttosto
sgualcito, ma di buona qualità. Lo dispiego e riconosco
immediatamente la grafia della McGranitt, che con poche e secche righe
rassicura Potter sul fatto di essere stato veramente nominato
Caposcuola.
Sembra uno strano,
grottesco scherzo.
Dunque non esiste
più Lily Evans il Prefetto e James Potter il Grande
Macchinatore di Scherzi.
Adesso esistono Lily
Evans Caposcuola, e James Potter Caposcuola.
Fine delle distanze
incolmabili, fine dei privilegi, del potere, della facoltà
di accanirmi su di lui.
Silente ci ha messo
alla pari. Sullo stesso piedistallo. Allo stesso livello.
Incredibile.
Okay, tentiamo di
ragionare con calma. C’è innanzitutto un dato di
fatto che mi sembra ovvio: Potter è matematicamente
l’opposto di un Caposcuola. Va bene, lo so che è
maturato, ma … dopo una carriera scolastica del genere, dopo
aver raso al suolo mezza Hogwarts e sconvolto le esistenze di tre
quarti dei suoi studenti, dopo aver infranto ogni regola scritta e non
scritta, dopo aver fatto diventare isterica la McGranitt, Silente
è in grado di fare questo …?
Mi sembra assurdo.
Voglio dire, ho sempre
pensato che Silente fosse una delle persone più ragionevoli
che io conosca.
Evidentemente mi
sbagliavo di grosso.
Ma no, non è
possibile. Non può essere pazzo. Se fosse veramente pazzo,
Hogwarts sarebbe già stata invasa dai Mangiamorte. E invece,
continua ad essere il luogo più sicuro in cui potremmo
trovarci, una specie di botte di ferro. Questo perché
c’è Silente.
Dunque, Silente non
può essere matto.
Ma perché
proprio Potter?
Allora, vediamo di
analizzare con calma e lucidità le possibili ipotesi.
Primo: Silente vuole
farmi soffrire. O vuole far soffrire Potter. Insomma, Silente
è un sadico.
Non è che mi
convinca granché.
Secondo: Silente vuole
dare una possibilità a Potter. Beh, può darsi. In
fondo, se si è accorto che è cambiato, magari
vuole che la sua maturazione giunga al completo, e per raggiungere
questo obiettivo gli affibbia un incarico che è
l’emblema di un’enorme responsabilità.
Però questo significa che Silente è convinto che
Potter sia in grado di seguire la strada su cui lo sta indirizzando.
Significa che si fida di lui, e delle sue capacità latenti.
Dunque Potter ha delle capacità latenti, ed è
potenzialmente in grado di fare il Caposcuola, se solo lo
accetterà.
Quindi non è
stata tutta una mia illusione, un castello in aria che mi sono
costruita durante l’estate.
E questo vuol dire che
non mi sta prendendo in giro.
È la seconda
volta che arrivo a tacciare Potter di insincerità quando in
realtà le sue azioni sono totalmente limpide, e per un
attimo mi sento una stupida. Immagino non debba essere poi
così piacevole sentirsi accusare ingiustamente dalla
sottoscritta. Eppure, a quanto pare, anche lui pensava fosse uno
scherzo, o un errore … deve aver scritto alla McGranitt per
dirglielo – che follia, solo lui poteva essere capace di fare
una cosa così idiota – e dubito che si sarebbe mai
azzardato se non fosse stato assolutamente certo della sua opinione,
nonostante questa sia stata poi prontamente smentita. Effettivamente,
posso capire senza sforzo che per lui sia stata una grossa sorpresa
vedersi giungere a casa il distintivo, tant’è vero
che nessuno, credo, a Hogwarts se l’aspetterebbe mai;
Caposcuola è un incarico impegnativo, difficile, pieno di
responsabilità, e lui evidentemente non si sentiva adatto
per ricoprirlo. Per quale ragione si sia affannato per cinque anni a
fare di tutto per nascondere la sua umiltà e insicurezza di
fondo, non riesco proprio a capirlo. Ma alla fine è meglio
che io l’abbia scoperto, anche se tardi. Non mi piace
giudicare male le persone.
“Non
biasimarmi se dimostro scetticismo a riguardo, come vedi non ci credevi
nemmeno tu”, tento di giustificarmi, dopo qualche secondo di
totale silenzio, agitando per aria la lettera. Uno strano sorriso mi
preme sulle labbra, e finalmente, dopo un’estate intera
passata a tormentarmi, mi sento sicura. Sicura del mio cambiamento
d’opinione. Sicura del fatto che James Potter, in
realtà, non è affatto un bulletto idiota che si
sente superiore al resto del mondo. È tremendamente,
magnificamente umano, e non si sente all’altezza di fare il
Caposcuola. Lo capisco da come mi guarda in questo preciso istante,
come se stesse disperatamente domandando una spalla a cui appoggiarsi
per sostenere un simile peso.
“Se davvero
ti ritenevi indegno di un incarico del genere, potresti anche indurmi a
cambiare opinione su di te”, gli esplicito, scherzosamente,
con non so quale intento; di metterlo a suo agio, forse, o di fare
chiarezza con me stessa. Dopodiché mi incammino verso il
treno assicurandomi che mi segua, pronta a fargli strada verso il suo
nuovo mondo.
It's so easy
to laugh,
It's
so easy to hate,
It
takes strength to be gentle and kind.
(The Smiths, I know
it’s over)
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Capitolo 7 *** L'importanza di essere Caposcuola ***
capitolo 7
Capitolo
7 – L’importanza di essere Caposcuola
Sono
più le cose che ci spaventano di quelle che ci minacciano
effettivamente, e spesso soffriamo più per le nostre paure
che
per la realtà.
(Seneca, Lettere a Lucilio –
libro II)
1
Settembre 1977
Mentre mi siedo
finalmente di
fianco ai miei amici, mi rendo conto di essere ancora
semi-traumatizzato. Forse un po’ meno di quanto lo fossi
prima,
perché ora, almeno, sono riuscito ad aprire bocca per
dire “Passami
il succo di zucca” a Remus.
Un notevole passo
avanti.
Poco fa, al contrario,
ero
completamente bloccato. Non riuscivo a spiccicare una parola, mi
sentivo una specie di ebete trapiantato in un’altra
dimensione,
totalmente incapace di calarmi nella parte. E io ero uno di quelli che
doveva fare da guida agli studenti del primo anno. Io. Devo
assolutamente studiare un metodo per abituarmi all’idea,
perché altrimenti Lily mi ucciderà.
Già prima,
mentre
percorrevamo i corridoi per arrivare in Sala Grande, mi si è
avvicinata con aria minacciosa e mi ha rifilato una silenziosa gomitata
nelle costole. Quando ho tentato di protestare per ringraziarla di
quella violenza gratuita, mi ha semplicemente zittito intimandomi di
essere un po’ più attivo. Le ho risposto che non
ho deciso
io di essere condannato ad un simile supplizio, ma lei mi ha sorriso
malignamente e suggerito di fare buon viso a cattivo gioco, e dare
prova per una volta della mia intelligenza. Io ho passato tutto il
resto del tragitto a domandarmi se questo significa che mi ritiene
intelligente.
“La tua
bella ti si è
scrollata di dosso, finalmente?” mi ha chiesto Sirius non
appena
ho scostato la sedia dal tavolo. Io mi sono limitato a lanciargli
un’occhiataccia. Non voglio parlare di lei, non sono in vena.
Tutta questa situazione mi sta mandando in panico.
“Immagino ci
sia una riunione
con la McGranitt già fissata per stasera”, osserva
Remus,
cercando di mantenere un tono neutrale che non mi faccia andare in
bestia per la paura di continue insinuazioni da parte dei miei amici.
“Immagini
bene, infatti ho intenzione di darmi malato”, gli rispondo,
riempiendomi il piatto fino all’orlo.
Sento immediatamente
piombarmi addosso una delle sue occhiate scettiche.
“Il tuo
abbondante appetito non ti rende molto credibile”.
Io storco la bocca,
conficcando la forchetta in una braciola.
“Vorrà
dire che farò indigestione”, sentenzio, pensando a
quanto sono fiero delle mie idee brillanti.
“Non
sarà una cosa
lunga, vedrai che potrai sopportarla benissimo”, tenta di
convincermi Remus, mentre io mi limito ad ingoiare il primo boccone e a
gettare un’occhiata torva verso il gruppo delle ragazze del
nostro anno, da cui sento mio malgrado giungermi alle orecchie la
cristallina risata di Lily.
Figurarsi se quelle
oche delle sue
amiche non mi stanno prendendo in giro in questo stesso momento,
provocando irrimediabilmente la sua ilarità. Davvero
magnifico,
le mie probabilità di successo con lei aumenteranno in modo
vertiginoso grazie alla brillante pensata di Silente.
“Non mi
sento a mio agio,
alle riunioni”, tento di giustificarmi, notando che Remus mi
sta
ancora fissando. Il mio amico non batte ciglio, sempre con
quell’aria dubbiosa dipinta in viso.
“Ti si
raffredda il pasticcio
di patate”, aggiungo subito dopo, tentando di distrarlo in
qualche maniera. Considerato che non c’è soluzione
al mio
problema, preferirei di gran lunga essere lasciato in pace a meditare
adeguatamente sulla tecnica di fuga migliore da impiegare da qui alla
fine dell’anno, ogni volta che mi sarà richiesto
di
mettere in campo la mia autorità di Caposcuola.
Lily mi
odierà ancora di
più perché toccherà fare tutto a lei,
ma non
è che adesso la situazione sia poi così idilliaca.
“Fossi in
te, Prongs, non
getterei via con una tale leggerezza l’occasione che Silente
ti
ha fornito quest’anno”, mi dice Remus, impugnando
forchetta
e coltello e accingendosi finalmente a nutrirsi. Io osservo con un
certo sospetto quel suo sopracciglio inarcato e quella lieve piega
all’angolo della bocca.
“Mi hai
già ampiamente
illustrato tutte le possibilità di fare bella figura che la
carriera di Caposcuola mi offre, ma preferivo di gran lunga lasciarle a
te”, gli rispondo, inghiottendo il boccone. Mi rendo conto
che
non riesco più nemmeno ad apprezzare il sapore del cibo, in
questo momento. E sì che il banchetto di inizio anno
è
sempre stato una delle mie occasioni di abbuffata preferite.
“Oh, ma io
non mi riferivo a quello. Sono perfettamente conscio del fatto di
averti già spiegato alcuni dei
vantaggi che ti si prospettano per quest’anno grazie alla tua
nuova posizione, ma ce ne sono altri che tu sembri non aver affatto
considerato”.
Ora quella piega si
è
trasformata in un ghigno sardonico capace quasi di inquietarmi, e io
squadro Remus con aria confusa.
“Non capisco
che cosa intendi”, gli faccio presente, perplesso.
“Intendo
dire che dovresti ringraziare Silente, di tutto cuore”,
replica lui.
“E per quale
imperscrutabile ragione dovrei farlo?”
“Perché
ti ha dato la possibilità di trascorrere molto
più tempo a contatto con il tuo oggetto del desiderio,
James”.
La mia bocca si
spalanca per lo
stupore mentre sto ancora masticando. Pensavo che i calcoli di Silente
si fossero limitati ad una pura e semplice condivisone
d’incarico, ma in quel momento realizzo che in
realtà non
avevo affatto considerato i dettagli noiosi quali le riunioni, le
convocazioni, le ronde notturne, i turni di vigilanza, e altri aspetti
della questione che avevano in parte interessato anche Remus quando era
Prefetto.
C’è
da dire che sto cominciando ad averne abbastanza, di tutte queste
scoperte dell’ultimo minuto.
Il mio doveva essere
un semplice e
tranquillo ritorno a scuola, immerso nelle fantasticherie da Malandrino
e nel senso di superiorità da studente del settimo anno.
Ecco
che ora invece la mia esistenza scolastica è stata
inaspettatamente sconvolta, e io sembro destinato a non avere
più un attimo di vuoto mentale in cui non ci sia niente a
turbare i miei pensieri.
“Sono sempre
più
convinto che l’abbia fatto apposta. Vuole vedermi morto per
mano
di Lily, è evidente”, mugugno, riempiendomi il
bicchiere
fino all’orlo. “Non poteva semplicemente
risparmiarsi di
esercitare i suoi nobili intenti nei miei confronti e scegliere qualcun
altro al mio posto, graziandomi da questa tortura?”
Remus mi sorride,
facendosi passare la brocca.
“Tutto
sommato, James, io penso che tu sia inconsciamente un po’
masochista …”
“CHE
COSA?”
“…
quindi vedrai che finirai per apprezzare questo nuovo incarico. Devi
soltanto farci l’abitudine”.
Rimango a fissare
Remus con aria
esterrefatta mentre lui si serve abbondantemente di verdure grigliate,
con quel sorrisetto impunito che gli aleggia ancora sul volto. Il mio
braccio che sosteneva la forchetta levata a mezz’aria mi
piomba
improvvisamente a peso morto sul tavolo, immobilizzandomi in uno
stupore sconcertato che non accenna a volermi abbandonare. Mi stanno
trattando tutti come un cretino.
Dopo qualche secondo
di silenzio tombale, sento lo sguardo di Remus spostarsi dal suo piatto
al mio.
“Ti si
raffreddano le
braciole”, mi fa notare, con il suo tono impeccabilmente
neutrale
e la sua faccia da Innocentino. Io mi limito a gettargli
un’occhiata di sbieco.
“Davvero
divertente, grazie
mille”, borbotto, e torno a infilzare la carne con violenza,
cercando di sfogare la mia frustrazione repressa. Il signor Remus John
Moony Lupin, quando ci si mette, sa essere decisamente peggio di tutti
i Malandrini messi assieme.
“Credi di
essere capace di
stare fermo per altri cinque secondi?” mi sussurra Lily tra i
denti, cogliendomi in fallo mentre dondolo una gamba con impazienza.
“Avevi detto
che sarebbe
durata poco. Io voglio andare a dormire”, replico, in tono
lievemente irritato. Finora è stato anche peggio di quanto
pensassi. Averla costantemente di fianco per tutto questo tempo mi
rende nervoso in maniera incredibile, e in più sono diverse
volte che mi rivolge la parola di sua iniziativa. Di questo passo
rischio di avere un collasso cardiaco entro la prima serata di scuola.
“Credevo che
un Cacciatore
dovesse avere pazienza per poter giocare bene una partita, considerato
quante volte gli avversari ti rubano la Pluffa mentre tu cerchi di
andare a segno”, mi risponde lei, con aria maligna. Io storco
la
bocca, incrociando le braccia.
“Non
è la stessa cosa che giocare a Quidditch”.
“Ah
no?”
“No, e se ci
tieni a sperimentarlo ti consiglierei di presentarti alle selezioni
quest’anno”.
Mi zittisco
immediatamente non appena vengo fulminato dall’occhiata
assassina della McGranitt.
“…
e per sabato 10
è stata organizzata un’uscita a Hogsmeade, al fine
di
rendervi più piacevole l’inizio
dell’anno
scolastico. Assicuratevi di affiggere gli avvisi e di raccogliere i
permessi degli studenti del terzo anno”.
Io deglutisco
pesantemente,
rimanendo immobile. Vorrei trovare un modo per bloccare istantaneamente
le mie inopportune associazioni di idee, ma è la
realtà
dei fatti a rendermelo impossibile. Le gite a Hogsmeade sono le
occasioni più prolifiche per le uscite di coppia, a
Hogwarts.
Probabilmente per il semplice fatto che Hogsmeade è
l’unica meta interessante che ci sia nei dintorni. Sarebbe
piuttosto ridicolo proporre ad una ragazza di fare una passeggiata
nella Foresta Proibita o di compiere un giro turistico del castello,
del resto. Forse però, proposta da me, l’ultima
alternativa potrebbe finire per rivelarsi sorprendente, dato che con
ogni probabilità conosco Hogwarts meglio di Silente in
persona.
Ma sarebbe comunque piuttosto compromettente rivelare una simile
verità a Lily.
Il problema
è che, considerato lo stato attuale delle cose, prima o poi
dovrò decidermi a chiederle di uscire.
E una simile
constatazione mi fa sinceramente tremare di paura.
Non sarebbe come le
altre volte,
no. Questa volta, se deciderò di farlo, glielo
chiederò
seriamente, sbrigando ogni noiosa formalità. Il fattore che
mi
desta preoccupazione è che, nelle situazioni precedenti, una
sua
risposta negativa non mi causava forti traumi psicologici –
nel
senso che, tutto considerato, non avevo niente da perdere. Se lei
rifiutava io incassavo il colpo e poi tornavo all’attacco
ricevendo in cambio i soliti insulti irritati, niente di diverso da
come già non fosse.
Ora invece le cose
sono diverse, e
la macroscopica differenza che intercorre fra i due periodi della mia
vita è che ora Lily Evans mi parla. E non per rispondermi in
malo modo o rivolgermi insulti più o meno articolati,
bensì per conversare come due persone normali. Insomma,
quasi.
Benissimo, sono
patetico, e anche ridicolo, ma resta il fatto che per me il passo
avanti è significativo.
“Potete
andare”.
La McGranitt
finalmente ci congeda,
e io smetto di dondolare la gamba. Cerco di riacquistare un minimo di
calma interiore, ma il periodo di pausa dura solo qualche secondo,
perché subito dopo sento la professoressa chiamarmi e
ingiungermi con la sua autorità abituale di trattenermi un
attimo nella sala.
“Oh, certo,
magnifico,
è un complotto contro di me”, borbotto, gettando
un’occhiata a malincuore a Lily. Del resto, non posso
ignorare la
McGranitt per accompagnare fino alla Torre di Grifondoro la donna della
mia vita, la professoressa sarebbe capace di uccidermi a sangue freddo.
Fortunatamente, le
bastano pochi
minuti per liquidarmi subito dopo, lasciandomi andar via con
un’espressione sbalordita sul volto.
“Che voleva?
Farti firmare
degli autografi per conto di alcune ragazzine del primo anno troppo
timide per venire a chiedertelo di persona?” mi sento
bersagliare, e quella voce mi fa trasalire di colpo. Mi volto, ormai
preparato a ciò che mi troverò davanti: una
ragazza dai
lunghi capelli rossi appoggiata alla parete, con
un’espressione
lievemente sarcastica che le aleggia in viso.
“No, mi ha
solo gettato sulle
spalle l’ennesimo incarico di
quest’anno”, le
rispondo, con un sospiro di rassegnazione. La mia parte più
ragionevole mi dice che forse sarebbe meglio evitare di rimuginare sul
fatto che lei fosse lì ad aspettarmi, dettaglio che la mia
mente
ossessiva non poteva certo fare a meno di trascurare pur nel momento di
massimo sconvolgimento emotivo.
“Di che si
tratta?” mi chiede lei, con aria candida, provocando il mio
immediato incupimento.
“Del
Quidditch. Ha detto che
dovrò essere io il capitano della squadra,
quest’anno. E
ti sarei grato se evitassi i commenti acidi, in questo momento non ho
la forza necessaria per risponderti adeguatamente”.
Incredibile. Pure capitano della squadra.
Fosse stato semplicemente l’anno scorso, per una cosa di
questo
genere avrei fatto salti di gioia alti fino al soffitto. Ora, invece,
mi sento soltanto ingiustamente vessato. Mi chiedo come la McGranitt o
Silente pensino che io possa sopravvivere fino a giugno, con tutta
questa mole d’incarichi che grava sulle mie spalle.
Squadro Lily con
un’occhiata
di sbieco e la vedo sorridere fissando il pavimento. Ha un sorriso
strano, uno di quelli che mi fanno contorcere lo stomaco
perché
non capisco mai cosa le sta passando per la testa.
“Dovresti
essere contento”.
Già, come
se non lo sapessi.
“Del resto,
una gran parte della tua esistenza si basa sulla gloria del
Quidditch”.
In quel momento la mia
occhiata diventa minacciosa.
“Avevo
detto niente
commenti acidi”.
“Non essere
suscettibile”.
“Non sono
suscettibile, ma ti
posso assicurare che non c’è bisogno che tu apra
bocca.
Sono perfettamente in grado di prevedere qualsiasi tua osservazione a
riguardo, perciò puoi anche risparmiarti la
fatica”.
Tiro avanti,
camminando a testa
alta. Mi sto comportando in maniera totalmente infantile, ma non sono
mai stato capace di impormi dei limiti ragionevoli, e non credo che lo
sarò mai nemmeno a dispetto della grande e profonda
maturazione
che Silente è riuscito a vedere in me.
“Provaci,
allora”, mi
risponde lei, affiancandomi, con un ghigno di sfida. Io le rivolgo
un’occhiata scettica e poi decido che tutto sommato mi
farà bene metterla a tacere una volta tanto.
“Benissimo.
Di sicuro
vorresti dirmi che mi sono meritato un simile sovraccarico di
responsabilità, data la mia scarsa propensione a prendere le
cose seriamente, e che nonostante tutto, dopo che avrò
smesso di
lamentarmi per fare scena, non mi farò problemi a vantarmi
della
mia nuova posizione, ottenendo di essere incondizionatamente ammirato
da tutti e presentandomi al mondo come il modello di perfezione
assoluta – mentre in realtà sono solo un
insignificante
idiota capace di fare il furbo nel momento in cui devo far credere di
essere il migliore, solo per potermi beare della mia presunta
superiorità”.
Nel momento in cui
chiudo la bocca
mi rendo conto che, forse, ho un tantino esagerato. Avrei dovuto
riflettere meglio sulle mie parole e cercare di esprimermi in un modo
che non attirasse troppo le sue ire verso di me. Ma lei nel frattempo
si limita a fissarmi, con l’aria di essere assolutamente ed
incredibilmente divertita a causa del mio monologo delirante. Sembra
quasi sul punto di scoppiare a ridere, ma probabilmente si trattiene
soltanto perché ormai sono le dieci di sera e non ci
è
più permesso fare confusione in giro per il castello. Dopo
qualche secondo mi lancia una sfuggente occhiata
d’indulgenza,
che assomiglia in modo vagamente sospettoso a quel lampo che mi
è sembrato di intravedere nel suo sguardo stamattina al
binario
9 e ¾.
“Sai, se
devo essere sincera
ancora non ero cosciente del fatto che tu fossi così
paranoico”, mi risponde, allungando il passo
l’attimo dopo
e lasciandomi indietro con aria inebetita. Se anche io devo essere
sincero, questa non era proprio la risposta che mi aspettavo di
ricevere. Paranoico, io. Vorrei vedere chiunque altro provare a
prendere il mio posto dopo aver trascorso sei interi anni ad essere
costantemente insultato da lei.
***
È solo dopo
aver condotto i
ragazzini del primo anno fino al centro della Sala Grande che a me e
Potter viene concesso di sederci con i nostri
compagni, di
modo da assistere allo Smistamento.
Tutto sommato, sono
soddisfatta del
modo in cui il signorino ha reagito di fronte a questo primo compito da
Caposcuola. Sul treno era letteralmente terrorizzato,
e Godric solo sapeva se avrebbe potuto reggere senza
svenire
non appena sceso dal treno. Così mi sarebbe toccato
sorreggerlo
e rianimarlo, e poi mi avrebbe di nuovo
sgridata perché ho cercato un’altra volta
di
attentare alla sua virilità salvandogli la pelle.
Lo Smistamento si
conclude senza
intoppi, e l’attimo dopo Silente ci permette di mangiare
strizzandomi l’occhio – o almeno così mi
è
sembrato. Rimango piuttosto perplessa per qualche secondo, domandandomi
se non me lo sono immaginato del tutto, ma alla vista del
cibo vengo subito assalita da una fame da lupi;
sarà
colpa del troppo stress. In effetti, questo non era esattamente il modo
in cui pensavo che il mio settimo anno a Hogwarts avrebbe avuto inizio.
Comunque sia, ora non ho certo intenzione di rovinarmi il banchetto
d’inizio anno; pensare che è l’ultimo mi
mette
nostalgia, ma tanto sono circondata da persone che riusciranno
sicuramente a risollevarmi il morale. Delia
e Margaret si
sono sedute di fronte a me e a Remus, e subito hanno iniziato a
spettegolare. Pare che la loro preda minorenne si sia abbellita, dopo
l’estate e, nonostante il ben manifesto disgusto
di Helen,
queste due non hanno nessuna intenzione di pensare ad altro. Non oserei
ripetere i commenti che mi stanno giungendo alle orecchie
dall’altro capo del tavolo nemmeno sotto tortura,
perciò
mi limito a passare a Helen la brocca di succo di
zucca,
riserbandole un sorriso comprensivo. Lei scuote la testa e alza gli
occhi al cielo, rassegnata.
Mi guardo intorno,
scrutando le
vecchie e le nuove facce di Grifondoro. Remus per il momento sta
confabulando con James, e io vengo trascinata in una
conversazione con i quattro Prefetti di
quest’anno, Darcy Burrow e
Annette Roorback del sesto e
Bethany Hardiman e Oliver Stevens del
quinto.
Rimangono piuttosto basiti di fronte ai miei racconti di notti insonni,
inseguimenti lungo i corridoi, liti, scazzottate, insurrezioni di massa
e battaglie di incantesimi, e la cosa mi permette di
realizzare che avere a che fare con individui nemici
dell’ordine pubblico come i quattro del mio anno è
un
privilegio davvero raro. Chissà se qualcuno
eguaglierà
mai le loro avventurose gesta. Ne dubito, però quel
ragazzino di
colore con lo sguardo sveglio, che è appena stato Smistato a
Grifondoro ed è stato fatto accomodare da Potter alla sua
sinistra, già sembra guardarli con ammirazione mentre ridono
e
scherzano fra loro.
Dopo un po’,
un paio di posti
alla mia sinistra, noto che Sirius Black e Peter Minus stanno cercando
di comporre un’ovazione musicata in onore di James, che pare
decisamente scontento della cosa. Helen ovviamente
sta dando
man forte, giusto per farlo sentire maggiormente in imbarazzo. Quando
si tratta di ridere di qualcuno, si può senza dubbio contare
sulla sua presenza.
“Allora, per
quest’anno
ti sei salvato”, dico a Remus sorridendo, mentre mi servo di
peperoni alla griglia e pesce affumicato.
“Pare di
sì … e
grazie al cielo, non avrei mai potuto sopportare tutto
questo”,
mi confessa con un sorriso, accennando al gruppetto in fase di
denigrazione del nuovo Caposcuola.
“Posso
soltanto immaginare che
sollievo sia”, sospiro, effettivamente invidiosa di un minimo
di
libertà dagli incarichi. La McGranitt ci
ha già
convocati a una riunione fissata per stasera, indice del fatto che non
ci viene concesso nemmeno il tempo per respirare.
“Sono
comunque certo che te la
caverai benissimo”, mi rassicura il mio ex compagno di
sventure,
gentile come sempre. Io gli sorrido e inorridisco l’attimo
dopo
nel constatare che l’ultima strofa della canzone celebrativa
uscita dalla bocca di Sirius Black farebbe venire i capelli bianchi
alla McGranitt seduta stante, se solo fosse abbastanza vicina da
sentirla.
“Tu invece
goditi la libertà al posto mio”, dico, con un
buffetto amichevole sulla spalla di Remus.
“Contaci. Ho
intenzione di
organizzare un festino commemorativo per il mio fallimento in veste di
Prefetto, pensi di esserci?”
“Che vuoi
dire? Sei stato un
ottimo Prefetto, Remus, non ti permetto di denigrarti in questo
modo”, affermo, conferendomi un tono autoritario che fa
sorridere
il mio amico. Nel frattempo, Mary sta correggendo Sirius riguardo alla
dizione della parola enciclopedia,
e per vendicarsi dell’interruzione il signorino Black ha ben
pensato di sottrarle L’amante
di Lady Chatterly da sotto il naso.
Errore. Grosso,
grossissimo errore.
Mary è la persona più tranquilla e pacifica che
io conosca ma, se quel libro riporterà una sola
scalfittura
per mano di Black, temo non lo rivedremo mai più con la
testa
attaccata al collo.
“Beh, li
vedi, no? Silente mi
ha confessato di avermi fatto Prefetto perché sperava che
potessi … come dire … tenerli a freno”,
mi spiega
Remus, mentre Margaret si sporge dietro le spalle di
Delia
e Helen per osservare in diretta
l’imminente
scazzottata fra Sirius e Mary.
Inutile dire che gli
altri stanno assistendo alla scena ridendosela di gusto.
“Sì,
capisco cosa
intendi”, rispondo, non riuscendo a trattenermi dal sorridere
anch’io. Poi però mi viene in mente qualcosa,
mentre li
guardo.
“Ad ogni
modo, non è
del tutto vero. Insomma, guarda James …” spiego a
Remus, a
bassa voce per non farmi sentire, e la sua espressione diventa
improvvisamente enigmatica. Io sento qualcosa di strano pizzicarmi le
guance.
“Beh,
è Caposcuola, no?
Non hai mica fallito del tutto. Voglio dire, se non fosse cresciuto e
maturato non credo che Silente gli avrebbe affidato questo
incarico”, aggiungo, non riuscendo a capire che cosa
c’è che non va nella mia così sagace
argomentazione.
“Oh.
Sì, certo, hai ragione …”
Ecco, sì,
infatti, ho ragione. Non c’è alcun bisogno di fare
facce strane.
“Quindi,
considera la tua
carriera con un bilancio positivo. Almeno uno su tre sei riuscito a
trarlo sulla retta via”, concludo, soddisfatta. Ma Remus non
sembra essere della stessa opinione.
“Se dicessi
che è
merito mio, sarei davvero un gran presuntuoso”, mi risponde,
sorridendo tranquillo mentre infilza una salsiccia
alla
brace. Quando ci si mette, sa essere davvero enigmatico. Lancio
un’altra occhiata furtiva a Potter, domandandomi chi
gliel’abbia fatto fare di cambiare così.
È una
cosa che non avrei mai pensato che potesse accadere;
mi
sembrava talmente incredibile che ho anche preferito credere che fosse
una tattica.
Eppure è
vero. Rimane un grosso mistero per me.
Dispiego di nuovo quel
pezzo di carta, con aria guardinga.
Caro
Signor Potter,
La
prego di smetterla di farneticare. Non c’è stato
nessun
errore nella consegna del distintivo di Caposcuola, perciò
Le do
un consiglio amichevole: si rilassi e si goda le vacanze.
Cordialmente,
Minerva
McGranitt
Non ci credeva nemmeno
lui.
Questa lettera ne
è la prova lampante.
Nessun altro, in una
simile
situazione, sarebbe stato così dannatamente imbecille da
pensare
che la McGranitt potesse aver compiuto un errore di
una
simile enormità. Significa che non ha proprio un briciolo di
fiducia in se stesso, per essere arrivato a questo.
Lo osservo ancora,
senza farmi
notare. Ha l’aria tesa, incerta, leggermente cupa. Fa quasi
tenerezza. Probabilmente non ci si ritrova, in questa situazione.
Così come non mi ci ritrovo io.
Almeno,
però, io possiedo una
vaga idea di che cosa significhi essere investiti delle
responsabilità che una carica scolastica comporta; dopo due
anni
passati a rincorrere lui e i suoi amici, tentando di districarmi fra
affari secondari quali riunioni da frequentare, ragazzini del primo
anno da tenere d’occhio, insegnanti da consultare e ordine da
mantenere, direi che posso ritenermi psicologicamente preparata ad un
simile incarico. Anche se Caposcuola
sembra incredibile – voglio dire, solo io e
un’altra
persona al di sopra di tutti gli altri studenti, con quattro Case da
tenere d’occhio, Prefetti da coordinare e dirigere,
situazioni
d’emergenza da prendere in mano e altre mille incombenze che
nemmeno riuscivo ad immaginare – e sarà difficile
abituarmi anche per me; figuriamoci per uno che, nel corso della sua
carriera scolastica, ha sentito nominare le regole soltanto
perché le aveva appena infrante.
Sì,
decisamente mi fa tenerezza, poveraccio.
Termino rapidamente la
cena
ingoiando di fretta una fetta di torta alla crema,
poi al
segnale di Silente mi alzo in piedi allungando una mano oltre Remus per
afferrare James per il colletto della camicia, sorridendo ai Prefetti
con l’intento di rassicurarli. Ho detto
a Oliver e Bethany che il primo
giorno non è
mai troppo traumatico, e che non hanno motivo di temere alcun tiro
mancino ai loro danni; solo al mio primo giorno da Prefetto poteva
succedere che tre idioti in carriera accorressero fra gli studenti del
primo anno a seminare il panico sostenendo che
un Ungaro Spinato fosse appena atterrato sulla Torre
di
Grifondoro.
“Sarà
una cosa
lunga?” mi domanda Potter, a un certo punto, mentre ci
incamminiamo verso l’ufficio della McGranitt.
“No, a meno
che tu non
intervenga in modo inappropriato come al tuo solito”, gli
rispondo, con un ghigno sardonico. Lui storce lievemente la bocca
riprendendosi da quell’espressione incupita e restituendomi
uno
sguardo complice, che mi fa immediatamente illuminare. Mi fa piacere
vederlo reagire con la sua abituale prontezza di spirito; dopotutto,
non desidero certo che questa nuova situazione lo trasformi in una
specie di zombie vivente. Devo ammettere che alle volte preferirei che
tenesse la bocca chiusa, ma se
non parlasse continuamente a
sproposito non sarebbe così divertente.
La riunione ha un ritmo
particolarmente sostenuto; non si può certo dire che la
nostra
Vicepreside perda colpi con il passare degli anni. I Prefetti prestano
attenzione senza battere ciglio, perfino quelli di Serpeverde; soltanto
il signor James Potter, qui, persiste nel tamburellare nervosamente le
dita sulla parete.
“Pensi di
aver capito tutto?” gli chiedo, per sicurezza.
“Spiacente,
credo che su un
paio di punti riguardanti il regolamento interno avrò
bisogno di
qualche ripetizione”, mi annuncia, in tono cupamente
sarcastico.
“Stai
pensando di tirarti indietro?” gli
domando poi, avvicinandomi di qualche centimetro.
“Non se ne
parla
proprio, la McGranitt mi ucciderebbe”,
risponde lui,
scuotendo la testa con aria a metà fra il terrore e la
determinazione. Sorrido lievemente tra me, riflettendo sul fatto che,
effettivamente, non mi sarei aspettata una risposta diversa; al di
là di tutto, Potter è un Grifondoro fatto e
finito, e
l’idea di una vigliaccata non l’avrebbe mai neppure
potuto
sfiorare.
“E
poi”, aggiunge,
abbassando il tono della voce, “sinceramente non credo che
potrebbe trovare qualcuno disposto a sopportarti
come colleg-… AHO!”
La
McGranitt s’interrompe
momentaneamente squadrandoci con aria per nulla amichevole, e mi tocca
sfoggiare il mio miglior sorriso rassicurante per mascherare il lamento
di Potter causato dalla gomitata punitiva nello stomaco che gli ho
appena rifilato.
“La tua
violenza nei miei
confronti è assolutamente ingiustificata”, mi dice
lui,
massaggiandosi la zona colpita con un’espressione
melodrammatica.
“Ne dubito.
In questo modo,
almeno, hai compreso che con il giusto trattamento
chiunque sarebbe in grado di sopportarmi”,
gli sussurro
nell’orecchio, la spalla premuta contro la sua.
“Ti ringrazierò
quando alla fine dell’anno mi faranno
santo”, replica
lui, voltandosi lievemente verso di me per guardarmi negli occhi. Gli
sorrido per terminare il discorso e tento di riportare la mia
attenzione sulla McGranitt.
Ovviamente, anche
questo tentativo di concentrarmi è destinato a non andare a
buon fine.
“Credi di
essere capace di
stare fermo per altri cinque secondi?” gli chiedo qualche
attimo
dopo, mentre la sua idea di passare il tempo
è
trasmutata nel dondolare una gamba in maniera decisamente irritante.
“Avevi detto
che sarebbe
durata poco. Io voglio andare a dormire”, ha il coraggio di
rispondermi, palesemente nervoso. Io devo trattenere un sorriso per
l’ennesima volta. È che mi ci sto abituando, a
vederlo
così impacciato.
“Credevo che
un Cacciatore
dovesse avere pazienza per poter giocare bene una partita, considerato
quante volte gli avversari ti
rubano la Pluffa mentre tu cerchi
di andare a
segno”, replico, sapendo di aver usato un linguaggio in cui
mi
può intendere senza problemi. Il signorino tuttavia non
sembra
essere felice della metafora, a giudicare dall’espressione
del
suo volto.
“Non
è la stessa cosa che giocare a Quidditch”, tenta
di spiegarmi, come se non ci capissi nulla.
“Ah
no?”
Del resto, cosa conta
avere una compagna di stanza in squadra?
“No, e se ci
tieni a sperimentarlo ti consiglierei di presentarti alle selezioni
quest’anno”.
Stavolta la
McGranitt ci
fulmina. Mi astengo dal replicare giusto perché non voglio
farla
impazzire il primo giorno di scuola.
“…
e per sabato
10 è stata organizzata un’uscita a
Hogsmeade, al fine
di rendervi più piacevole l’inizio
dell’anno
scolastico. Assicuratevi di affiggere gli avvisi e di raccogliere i
permessi degli studenti del terzo anno”.
Perfetto.
Le Api
Frizzole che ho comprato dal carrello sul treno per Hogwarts
non
dureranno ancora a lungo, e ho anche bisogno di comprare della carta da
lettera per scrivere ai miei.
Senza contare che una
giornata di
svago alla fine della prossima settimana gioverà sicuramente
sia
alla mia situazione che a quella di James, dato che i primi giorni del
nuovo incarico si riveleranno senza dubbio i più traumatici.
“Potete
andare”, ci dice
infine la McGranitt, e io mi alzo con rapidità
dalla sedia,
seguita a ruota dal mio nuovo collega. Ci dirigiamo entrambi verso
l’uscita – di sicuro il signorino non vedeva
l’ora
che arrivasse questo momento – ma, prima
che potessimo
svignarcela, la nostra Capocasa richiama James e gli
chiede
di trattenersi un momento.
“Oh, certo,
magnifico,
è un complotto contro di me”, borbotta lui
facendomi
sorridere, e mentre si dirige a malincuore verso la professoressa io
esco dall’ufficio e mi fermo nell’ingresso,
salutando Bethany, Oliver, Darcy e
Annette. Dopo poco tempo resto l’unica ancora ferma
lì di fianco alla porta, ad attendere una persona con cui
non
avrei mai pensato di passare il mio tempo fino a pochi mesi fa.
Trascorsi pochi
secondi lo vedo uscire trafelato e sconvolto
dall’ufficio della McGranitt, tanto che nemmeno si accorge
che
sono rimasta lì ad aspettarlo.
“Che voleva?
Farti firmare
degli autografi per conto di alcune ragazzine del primo anno troppo
timide per venire a chiedertelo di persona?” lo blocco,
facendolo
sobbalzare. Si volta verso di me con un’espressione
traumatizzata, e io mi domando che cosa possa avergli detto la
McGranitt di così scioccante.
“No, mi ha
solo gettato sulle spalle l’ennesimo incarico di
quest’anno”, mi spiega, con sguardo vacuo.
“Di che si
tratta?” gli chiedo, e lui subito assume
un’espressione torva.
“Del
Quidditch. Ha detto che
dovrò essere io il capitano della squadra,
quest’anno. E
ti sarei grato se evitassi i commenti acidi, in questo momento non ho
la forza necessaria per risponderti adeguatamente”, mi dice.
Inopportunamente sfacciato, come sempre. Non posso trattenermi dal
sorridere, mentre camminiamo fianco a fianco
diretti verso la Torre di Grifondoro.
“Dovresti
essere contento. Del
resto, gran parte della tua esistenza si basa sulla gloria del
Quidditch”, lo provoco sarcasticamente.
“Avevo detto niente commenti acidi”,
mi redarguisce, ma io ormai sono troppo presa dal gioco.
“Non essere
suscettibile”, rispondo, divertita.
“Non sono
suscettibile, ma ti
posso assicurare che non c’è bisogno che tu apra
bocca.
Sono perfettamente in grado di prevedere qualsiasi tua osservazione a
riguardo, perciò puoi anche risparmiarti la
fatica”.
Ormai sono totalmente
assorbita
dalla piega che la conversazione ha preso. Lo osservo camminare alla
mia sinistra con lo sguardo alto, deciso, i capelli sempre
così
irrimediabilmente spettinati, i pugni stretti e l’andatura
veloce, e non sono capace di trattenermi.
“Provaci,
allora”, lo
sfido, con un ghigno, e lui si ferma a guardarmi perplesso. Dopo un
po’ sospira e si decide, incrociando le braccia sul petto.
“Benissimo.
Di sicuro vorresti
dirmi che mi sono meritato un simile sovraccarico di
responsabilità, data la mia scarsa propensione a prendere le
cose seriamente, e che nonostante tutto, dopo che avrò
smesso di
lamentarmi per fare scena, non mi farò problemi a vantarmi
della
mia nuova posizione, ottenendo di essere incondizionatamente ammirato
da tutti e presentandomi al mondo come il modello di perfezione
assoluta – mentre in realtà sono solo un
insignificante
idiota capace di fare il furbo nel momento in cui devo far credere di
essere il migliore, solo per potermi beare della mia presunta
superiorità”.
Okay, Potter, respira.
Ti prego.
Merlino, non ci posso
credere. Ma allora è veramente pazzo.
Rimango a fissarlo con
il volto
deformato da un sorriso divertito per diversi secondi, impressionata,
ammirata e assolutamente sbalordita di fronte alla sua strabiliante
capacità di gettarsi fango addosso con le sue stesse mani
– perfino meglio di quanto avrei
saputo fare io. Mi
accorgo di provare di nuovo quella strana
tenerezza nei suoi
confronti perché realizzo che, dopotutto, se è
arrivato a
questi livelli è soltanto per colpa dei miei ripetuti
insulti.
Eppure, in questo
periodo, non ho
nessuna voglia di insultarlo seriamente. Finché si tratta di
scherzare non mi tiro certo indietro, anche lui ha un buon senso
dell’umorismo e mi piace che conduciamo conversazioni su
questo
tono; ma, di spingermi fino a questo punto, non ne avevo davvero alcuna
intenzione. Si direbbe che l’allievo ha superato il maestro,
oppure che James Potter soffre di uno stratosferico complesso
d’inferiorità.
Trovo che sia
una cosa così dolcemente bizzarra.
“Sai, se devo
essere sincera
ancora non ero cosciente del fatto che tu fossi così
paranoico”, gli dico, alla fine, riportando il dialogo su un
piano scherzoso e lasciandolo lì a fissarmi con aria
inebetita.
Proseguo lungo la strada per la Torre di Grifondoro, troppo presa dai
miei pensieri per aprire ancora bocca; il mio combattuto desiderio di
poter conoscere meglio James Potter si sta fortuitamente avverando, e
penso che per questo dovrei ringraziare di cuore Silente, anche se non
l’avrà certo nominato Caposcuola per fare un
piacere a me.
Nonostante tutto,
questo sorprendente inizio d’anno scolastico sembra
promettere bene.
Every
single day, what you say makes no sense to me.
Lettin’
you inside isn’t right, you'’l mess with me.
I’ll
never really know what’s really going on inside you.
(The Offspring, (Can’t
get my) head around you)
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Capitolo 8 *** Gita a Hogsmeade ***
Capitolo 8
Capitolo
8 – Gita a Hogsmeade
È
che non bisognerebbe mai immaginarsi qualcosa troppo nel dettaglio
perché l’immaginazione finisce per mangiarsi tutto
il terreno su cui una cosa potrebbe accadere.
(Andrea De Carlo,
Due di due)
8
Settembre 1977
Durante
questa prima interminabile settimana di scuola sono stati parecchi i
giorni in cui mi è capitato di piombare in un cupo malumore
privo di senso, che mi rende intrattabile e tendente alla solitudine
quasi totale. Giorni in cui riesce a darmi sui nervi qualsiasi cosa,
anche solo il timbro di voce della McGranitt. Giorni in cui mi ritrovo
a desiderare con tutto il cuore che mi sia data la
possibilità di non dover fare quello che mi tocca fare tutte
le mattine dopo aver messo piede giù dal letto, ossia
lavarmi, vestirmi, caricarmi una decina di libri sulle spalle e
percorrere i corridoi di una scuola labirintica fino
all’ennesima aula spoglia in cui non riesco a distrarmi
nemmeno guardando fuori dalla finestra. Perché, se provo a
fantasticare su come potrei svagarmi in quel momento, giuro che non mi
viene in mente niente.
Il mio senso di colpa
mi obbliga a chiedermi perché sono così
scocciato. Stamattina credo di aver decisamente superato ogni limite:
ho riserbato ad ognuno dei miei amici una risposta sarcasticamente
tagliente e lapidaria senza validi motivi, ho strascicato i piedi per
tutta la strada fino alla Sala Grande, ho sbriciolato completamente la
torta di mele nel latte senza poi azzardarmi a toccare la brodaglia che
ne è risultata, ignorando bellamente le occhiate di
rimprovero lanciatemi da Remus di tanto in tanto (come se non sapessi
quanto detesti vedere gente che spreca il cibo), ho risposto a
monosillabi a tutti i tentativi fatti da Peter per rivolgermi la parola
e coinvolgermi in un discorso costruttivo e ho trattato Sirius come se
non esistesse, sapendo perfettamente che la cosa lo fa andare in
bestia. Mi sento uno schifo per come mi sto comportando, va bene.
È proprio impossibile sentirsi di malumore senza ferire
nessuno né dover provare dei rimorsi per questo? No,
evidentemente. Posso soltanto mandarmi a quel paese e sforzarmi di
prendere qualche appunto sulle mille nozioni al minuto che stanno
uscendo dalla bocca della McGranitt con una calligrafia tra le
più svogliate, orrende e incomprensibili che io abbia mai
utilizzato.
Mi faccio seriamente
schifo.
Non lo so, davvero.
Non so che cos’ho. Sarà che è il
settimo anno e mi sono già rotto le scatole di essere messo
continuamente sotto pressione da professori ansiogeni che continuano a
pronunciare la parola M.A.G.O..
Sarà che il trovarmi per caso faccia a faccia con Snivellus
stamattina mi ha fatto passare non solo l’appetito, ma anche
la voglia di vivere. Sarà che ho diciassette anni e mezzo e
non nutro nessun proposito per il mio futuro, cosa che invece dovrei
probabilmente fare. O sarà perché
c’è una precisa ragione che suscita in me
quotidianamente una serie di cupi e funesti pensieri da depresso
incallito.
Questa ragione ha i
capelli rossi, ovviamente. E gli occhi verdi. E una capacità
di concentrazione che io non possiederò mai, nemmeno se
dovessi darne prova per cercare di conquistarla. E riesce a sistemarsi
una piega della camicia con una mano e continuare a scrivere con
l’altra, senza perdere il filo. E ogni tanto, mentre prende
appunti, si morde lievemente il labbro. O si rigira una ciocca di
capelli intorno alle dita. Ogni tanto annuisce. Ogni tanto sorride tra
sé. Ogni tanto si guarda in giro come per riprendere il
contatto con il mondo, e ogni tanto mi illudo che una delle sue
occhiate di sottecchi possa essere indirizzata a me.
Dannazione. A lei, ai
suoi capelli, ai suoi occhi, al suo modo di fare. Io sto impazzendo per
colpa sua.
Sono stato benissimo
per tutta l’estate fino al momento in cui non sono venuto a
sapere della mia più che inaspettata nomina a Caposcuola, e
non lo dico così per dire. Sì, ogni tanto
effettivamente sentivo la sua mancanza, tra me e Sirius saltava
inevitabilmente fuori l’argomento e finivamo per parlarne per
qualche minuto, ma non è stata il centro dei miei pensieri
come un qualunque scemo che sa che sono cotto di lei potrebbe essere
portato a pensare. Ho una vita, grazie a Godric, ho delle cose da fare
che mi distraggono, il mio migliore amico ha vissuto con me per due
mesi, figurarsi se passavo ogni singolo momento delle mie giornate a
pensare a lei. Mi sono goduto il mio divertimento nullafacente senza
nessun rimpianto o desiderio di essere altrove, anche se, per la prima
volta alla fine dell’anno scorso, ero riuscito a ricevere il
suo saluto, cosa che agognavo in modo struggente ogni fine giugno
dall’epoca del secondo anno. Inoltre, avrei tutte le ragioni
di questo mondo per ritenermi un uomo fortunato dato che ora, grazie
all’incarico in comune, siamo molto più a stretto
contatto l’uno con l’altra; senza contare che, a
prescindere da questo, fino ad adesso non ho ancora dovuto ascoltare
nessuna delle sue sfuriate rabbiose su quanto io sia irrimediabilmente
stupido e infantile, e tutte le volte che facciamo conversazione lei
accenna almeno un sorriso che non sia puramente sarcastico. Quando mai,
nei tempi passati, avrei potuto sperare di arrivare ad un livello
simile? La situazione è oggettivamente migliorata, e io
dovrei essere in piedi sul banco a fare salti di gioia. E invece no.
La verità
è che sono stanco. Stanco di aspettare, di avere pazienza,
di sentirmi dire che ci vuole tempo per queste cose. Sono stanco e
stufo. Sto aspettando da sei anni, non so se rendo l’idea. Va
bene, forse possiamo dire cinque, dato che tanto il primo anno ero
talmente giovane e ingenuo che, se anche lei mi avesse dato qualche
possibilità, io non avrei saputo che combinarci, ma il
concetto, di fatto, non cambia. Sto aspettando da troppo tempo.
Tuttavia, se la questione è davvero così
semplice, allora non riesco proprio a comprendere perché il
pensiero di chiederle di uscire con me in occasione
dell’imminente fine settimana a Hogsmeade mi terrorizza in
questo modo.
Mi sento male. Lei
pensa che io sia così fissato perché voglio porla
a coronamento del mio successo. Ma quale successo? Io sono un fallito.
Non ho mai avuto altri obiettivi seri nella mia vita se non quello di
riuscire a stare con lei, a piacerle, a farla innamorare di me. Mai. E
il motivo è che sono un idiota, e che non riesco a trovare
il coraggio di compiere un gesto decisivo per uscire da questa
situazione di stallo. Giuro che non mi capisco, mi prenderei a sberle
se potesse servire a qualcosa. Perché ora posso ammettere
che la mia posizione sia un tantino migliorata, ma sono praticamente
certo che, se tentassi di spingermi oltre, ne riceverei soltanto un
secco rifiuto.
Va bene che io sono un
idiota, ma è lei che mi rende tale, in gran parte.
Sono fissato con lei
da secoli interminabili e, nonostante abbia fantasticato innumerevoli
volte riguardo al coronamento della nostra storia d’amore,
ora non so che pesci prendere. Nonostante questo, l’angoscia
mi sta assalendo, e il primo passo di questo percorso è il
malumore ingiustificato. Il problema è che, per quanto possa
essere così dannatamente insicuro, quello che so per certo
è che voglio stare con lei, adesso. Non voglio continuare a
dannarmi l’anima in eterno, è una cosa che supera
le mie capacità di sopportazione.
Devo fare quello che
è giusto e consono, l’unica cosa che posso fare in
una situazione del genere. Devo, altrimenti mi andrà in fumo
il cervello. Devo trovare un modo per convincerla a darmi una
possibilità, perché non ho altre speranze di
sopravvivenza.
“Signor
Potter, che cosa stavamo dicendo?”
Sollevo la testa dal
banco, poco incline a sopportare l’accanimento della
McGranitt nei miei confronti in questo momento. La stanchezza cerebrale
che mi sta invadendo mi impedisce di formulare una risposta che abbia
un minimo di senso, e mentre cerco disperatamente di pensare a qualcosa
riesco solo a fissarla con uno sguardo vacuo, cosa che le fa assumere
un’aria decisamente accigliata.
“Professoressa,
James non si sente bene”, scatta Sirius, al mio fianco. Io mi
giro inebetito verso di lui. Stupido, sta sempre a difendermi anche
quando non me lo merito.
“A mio
modesto parere, signor Black, il signor Potter ha il solo problema di
non aver dormito a sufficienza per prestare attenzione in
classe”.
“Sì,
ma è colpa mia”.
“Colpa
sua?”
“Sì,
l’ho obbligato a restare sveglio fino a tardi per aiutarmi
perché non riuscivo a fare il suo tema. Con tutto il
rispetto, era troppo difficile”.
“Signor
Black, le sembra il caso di fare simili notazioni su un compito da me
assegnato? Che sia difficile o meno, quello è un problema
suo”.
“Beh,
avrò pure il diritto di esprimere un parere in merito, dato
che il tema l’ho dovuto fare io”.
“Visto che
oggi si sente particolarmente in vena di criticare, che ne dice di
svolgere un altro tema per punizione?”
In quel momento suona
la campanella. Sento Sirius afferrarmi per un braccio e tirarmi su in
piedi, raccogliere tutta la mia roba dentro la mia borsa, infilarmela a
tracolla e trascinarmi via di corsa, mentre la McGranitt gli intima di
fermarsi immediatamente con un tono di voce che sfiora
l’isterico.
Io mi sento morire.
Arriviamo davanti al
bagno dei maschi e Sirius mi trascina dentro. Lo seguo come un automa,
con il rimorso che mi schiaccia la coscienza sempre di più,
finché finalmente trovo il coraggio di guardarlo negli
occhi. Lui non dice niente e si china sul lavandino per sciacquarsi la
faccia.
“Grazie”,
gli dico. “Scusa per stamattina”, aggiungo poi, non
sembrandomi sufficiente. “Sirius, mi dispiace
…”
“Che barba,
sei troppo sentimentale”.
Uno spruzzo di acqua
gelida mi raggiunge e mi ghiaccia il viso, facendomi rabbrividire
immediatamente.
“Dai, stammi
a sentire … mi dispiace, davvero. Sto da schifo, e per
riflesso mi sono ridotto a trattarvi da schifo”.
Sirius alza la testa,
mi guarda, sospira.
“Non
c’è bisogno che tu mi chieda scusa, sai. In fondo,
io lo faccio molte volte più di te”, mi dice, come
se un po’ gli costasse ammetterlo. Io mi risolvo ad accennare
un lieve sorriso.
“Solo che
probabilmente tu sei così scemo che nemmeno te ne rendi
conto”, aggiunge, e mi getta altra acqua dannatamente fredda
addosso. Stando così le cose, non posso non raccogliere la
sfida. Cominciamo a bagnarci da capo a piedi, schizzandoci senza
tregua, incuranti di chi passando davanti alla porta ci guarda in modo
strano o si pronuncia in toni di esasperazione, buttando
all’aria qualsiasi cosa ci passi per la testa, la scuola, le
lezioni, il Quidditch, la Evans, in quel momento non conta
più niente e nessuno dei due ha voglia di ragionare.
Non potrei mai avere
un amico migliore di lui.
“Ehi, ora
basta, fermati un attimo … che diamine, strilli come una
Banshee. È solo qualche goccia d’acqua”.
Mi asciugo le mani sui
vestiti, mentre Sirius si pianta sulle gambe e scuote la testa verso il
basso scrollandosi via l’acqua di dosso, proprio come farebbe
Padfoot.
In pochi secondi il
bagno è ridotto ancora peggio di prima, stavolta unicamente
grazie al suo contributo.
Rido, incapace di
frenarmi. Solo Sirius poteva riuscire a farmi divertire in questo modo
dopo che ho iniziato la giornata con un umore del genere.
“Lei
è sempre il solito, signor Black. Davvero un irrecuperabile
disastro”, sentenzio, sfoggiando un’impeccabile
imitazione della McGranitt.
“Ah,
piantala, se non ci fossi io tu come diavolo faresti?”
“Non era
necessario allagare un bagno per farmelo capire”, gli
rispondo mentre, tenendoci sottobraccio come due distinti signori,
completamente fradici e con i capelli gocciolanti d’acqua
fredda, attraversiamo i corridoi diretti verso la Sala Grande.
“E come
avrei potuto sopportare di trovarmi continuamente davanti quella tua
faccia da depresso cronico?”
Tutto sommato, per
quanto io abbia voglia di fare lo spiritoso, mi tocca ammettere che ha
pienamente ragione.
“Okay,
diciamo che ti sei trovato una buona scusa. Non ti
affibbierò una punizione solo perché altrimenti
dovrei punirmi anch’io, in quanto complice del misfatto, e
non sarebbe un gesto propriamente furbo”.
Facciamo qualche altro
passo in silenzio, mentre intorno a noi tutto è deserto.
L’apatia che mi pervadeva fino a poco fa è ormai
scomparsa. Non mi importa più se non ho niente da fare, se
perdo il mio tempo in modo stupido e faccio uscire dai gangheri i
professori. Per una volta faccio quello che mi va di fare, e non
c’è nessuno a cui io debba una spiegazione.
Perché Sirius non pretende mai che io gli spieghi. Mi
capisce e basta, per il semplice fatto che è mio fratello.
“Senti,
Prongs … perché non ci dai un taglio e ti decidi
a chiederle di uscire?” mi dice lui, d’un tratto,
senza nessun preavviso. Io rimango a fissarlo inebetito per qualche
secondo; chissà da quanto ha capito che mi comporto
così per questo. Non ne ho fatto parola con nessuno, fino a
questo momento. Sposto lo sguardo sul pavimento, osservando le gocce
d’acqua che cadono a terra ad ogni mio passo.
“Guardiamo
in faccia la realtà, Padfoot. Non mi dirà mai di
sì”, rispondo, sentendomi ripiombare nel mio
drastico pessimismo di poco fa.
“Oh,
andiamo, non esagerare … sì, l’anno
scorso era da escludere una possibilità del genere, ma
adesso sembra che la sua fastidiosa perfidia si sia molto mitigata nei
tuoi confronti …”
“Può
darsi, ma questo non implica che accetterà”.
“E
perché, di grazia?”
"Semplicemente
perché sarò io a chiederglielo”.
“James,
frena un secondo, Sua Altezza Reale dovrà pur scendere dal
piedistallo un giorno o l’altro …”
“No, vedrai.
Il quasi impercettibile cambiamento di rapporti che
c’è stato non implica che lei accetterà
di uscire con me, nel caso in cui io mi decida a chiederglielo di
nuovo”.
“Invece di
perdere tempo con questi discorsi inutili, cerca di farti venire
qualche idea per aggirare l’ostacolo”.
Io mi stringo nelle
spalle, rassegnato.
“Mi
rincresce dirtelo, ma in questo momento non riesco a pensare proprio a
niente”.
“Andiamo,
Prongs … di solito sei tu quello che ha le idee brillanti
… tu la mente, io il braccio, Peter la fonte
d’informazioni e Remus la copertura, ricordi?”
“Tralasciando
il dettaglio che ormai sono diventato io la copertura grazie alle
geniali trovate del nostro amato Preside, perché per una
volta non cerchi di darmi una mano tu?”
“Oh, va
bene. Vediamo, modi per far sì che la Evans esca con te
… uhm … beh, immagino che per un anticonformista
schifoso come te, l’idea di ricorrere a un filtro
d’amore sia semplicemente abominevole”.
La falsa innocenza del
tono di Sirius mi obbliga subito a gettargli un’occhiata
esasperata.
“Sai
già come la penso a riguardo”, gli rispondo,
cercando di tagliare corto.
“Sì,
lo so, ti sembra squallido e meschino e privo di dignità,
per non parlare del fatto che la tua nobile aspirazione è di
conquistarla con l’unica arma del tuo indiscutibile fascino.
Peccato che non sia sufficiente …” –
alzo lo sguardo per fulminare immediatamente Sirius con
un’occhiata assassina – “…
questo solo per colpa dell’ostinazione della tua amata, sia
chiaro”, aggiunge lui, cercando di correggere il tiro. Io
incrocio le braccia, incupito.
“Cerca di
dirlo con un po’ più di serietà la
prossima volta”.
Sirius mi guarda con
aria di rimprovero.
“Io sono
serio”.
“No, tu mi
stai velatamente prendendo in giro”.
“Non
è vero, non oserei mai!"” replica lui, con una
sfacciataggine che non ha limiti.
“Il fatto
che tu lo dica ridendo ti rende privo di ogni
credibilità”.
“Può
darsi, però ho un altro suggerimento che sicuramente non
potrai fare a meno di apprezzare, come minimo per
l’originalità”.
“Sentiamo”.
“La
Maledizione Imperius”.
Il mio sguardo
assassino questa volta va a segno, e Sirius riceve immediatamente una
delle mie occhiate peggiori.
“Dai,
ammettilo, un po’ se lo meriterebbe”, tenta di
convincermi lui. Io mi limito a non muovere un muscolo e a continuare a
fissarlo, senza dire niente.
“D’accordo,
fai conto che io non l’abbia mai detto … ecco, ne
ho un’altra: ricatto”.
Questa volta, il mio
sguardo è decisamente sbalordito.
“Ricatto? Ma
sei scemo?”
“Hai
già provato a ricattarla per uscire con te, un paio di anni
fa!”
“Appunto, ed
è stato un fiasco totale, perciò passa
all’idea successiva”, concludo, con un gesto secco.
“Ok, allora
… costrizione violenta”.
Io sospiro.
“Bocciata,
Lily Evans è perfettamente capace di farmi un occhio
nero”.
Sirius mi getta
un’occhiata sospettosa.
“Ma
di’, sei proprio sicuro che sia una ragazza? Certe volte fa
volare calci e pugni a destra e a sinistra quasi come Hagrid quando
è ubriaco …”
“Sirius”.
“Va bene.
Vediamo … ecco, ci sono: tortura psicologica”.
Non riesco a crederci,
il mio sconvolgimento sta superando ogni limite. Sgrano gli occhi,
fissando allibito il mio migliore amico.
“Tu sei
fuori di testa”.
“No,
è perfetto! Io sono un maestro della tortura psicologica,
vedrai che andrà benissimo. Basteranno pochi minuti per
convincerla”.
“Ora
comincio a nutrire dei seri dubbi sulla tua sanità mentale".
"In realtà
sei semplicemente affascinato dalla mia intelligenza
sbalorditiva”.
“Io non
credo proprio”, gli rispondo, inarcando un sopracciglio con
aria scettica.
“E invece
sì. Ammettilo. A me non puoi nascondere niente, io sono la
voce della tua coscienza”.
“Allora ho
una coscienza sporchissima”, commento, ridendo. Sirius mi
restituisce uno sguardo minaccioso.
“Questa me
la paghi, Potter”.
Mi si avventa contro,
e prevedibilmente finiamo per fingere di pestarci. Sì, sono
cosciente di essere fin troppo cresciuto per divertirmi in maniera
così infantile, ma che ci posso fare, è una
tentazione a cui non so resistere.
Solo che poi mi
giungono alle orecchie delle voci ridenti in diverse
tonalità femminili, e mi rendo improvvisamente conto che io
e Sirius non siamo gli unici a non essersi ancora presentati a pranzo.
“Sembra
davvero che la vostra massima espressione intellettuale sia quella di
menare le mani”, mi dice Lily, passandomi di fianco
spalleggiata dal suo gruppo di amiche. Io riesco soltanto a storcere la
bocca, inebetito, e sguazzando nel mio vuoto mentale non riesco a
trovare nessuna formula ad effetto per risponderle adeguatamente a
tono. Improvvisamente, però, mi rendo conto che sto soltanto
tergiversando. Mi rialzo da terra insieme a Sirius e mi incammino alle
loro spalle, stringendo e allentando ritmicamente i pugni. Devo trovare
il coraggio di dirglielo, e smetterla di cercare utopicamente un
rimedio miracoloso che risolva tutti i miei problemi. Dovrò
sopportare il peso di un’esperienza che tutti prima o poi
attraversano nel corso della loro vita, e di certo non ne
uscirò privo di senno o fisicamente menomato. Una volta che
sarò stato capace di compiere il passo iniziale, tutto il
resto verrà da sé, e se mi andrà bene
potrò anche giungere ad essere contento di me stesso.
Arriviamo in Sala
Grande camminando a pochi passi da loro, e prendiamo posto nella solita
area del tavolo di Grifondoro. Io mi siedo senza dire niente, e
comincio ad imboccarmi come un automa. Alla fine del pranzo vado da lei
e glielo dico, senza discussioni. Non importa se mi dirà di
no. Almeno potrò affermare di aver tentato.
Ma bastano pochi
secondi, e di colpo qualcosa blocca sul nascere la mia furia
combattiva. Mi ero quasi deciso ad ignorare l’ostacolo della
presenza delle sue amiche, quando ho incominciato a tendere
l’orecchio e prestare attenzione ai loro discorsi. Le sento
discutere su possibili mete – Mielandia, Zonko. Un paio di
loro cinguettano esaltate nominando Madama Piediburro, provocando
così la reazione schifata di Lily.
“Non
metterò mai piede in quel posto, per nessuna ragione al
mondo”.
“Neanche se
ti ci invitasse un ragazzo?”
“Considerato
che tanto abbiamo già programmato un’uscita tra
donne, il problema non si pone affatto”.
Vanno avanti a
parlare, e io rimango a fissare il piatto vuoto senza dire niente. Poi
mi volto verso Sirius, sospirando con un’espressione vacua.
“Ora capisci
perché è inutile che glielo chieda?”
Il mio amico esita
qualche secondo e poi apre la bocca per dire qualcosa, ma viene
interrotto prima ancora di aver emesso un solo suono
dall’arrivo della McGranitt, che gli si para davanti con
un’aria impassibile e vagamente sinistra.
“Questa
è la consegna per il suo tema supplementare, signor Black.
Mi auguro che lo troverà più facile del
precedente”, dice a Sirius, porgendogli una pergamena
intestata. Io lo guardo esibire un sorrisetto tirato e ringraziare in
tonalità esplicitamente ironica, e non posso fare a meno di
sentirmi mortificato per essere stato la causa di tutto questo. Dopo
che la McGranitt si è allontanata dal tavolo, Sirius si gira
verso di me, fissandomi con l’esasperazione negli occhi.
“Donne”,
dice soltanto, prima di avventarsi nuovamente sul cibo. Io sospiro,
rassegnato, non potendo fare a meno di concordare.
***
10
settembre 1977
Trascorsa poco
più di una settimana dall’inizio della scuola,
direi che posso trarre un bilancio piuttosto positivo della situazione.
Voglio dire,
l’incarico di Caposcuola procede bene, e non devo nemmeno
preoccuparmi troppo riguardo a Potter. Nonostante la consistente
titubanza, posso affermare che impara in fretta, e grazie a Godric non
c’è bisogno che io controlli ogni sua azione con
il terrore che combini qualcosa di sbagliato. Vederlo assistere i
ragazzini del primo anno quando hanno bisogno di qualcosa, poi,
è decisamente esilarante. Quelli sono ancora più
tesi di lui.
Certo, continua ad
avere i suoi momenti di distrazione più totale, come
è successo l’altro ieri durante la lezione della
McGranitt. Fortuna che lui e Sirius Black sono così amici,
altrimenti non credo che qualcuno avrebbe avuto la
sfacciataggine di salvargli la pelle come ha fatto lui.
Non so esattamente che
gli abbia preso, so solo che non era la prima volta che si incantava a
guardare fuori dalla finestra. Non con aria
trasognata, anzi, sembra sempre piuttosto incupito. Forse non riesce a
dormire. Ad ogni modo, durante l’ultima lezione di
Incantesimi, ho tentato di avvicinarmi e rassicurarlo, in tono
scherzoso, sul fatto che non deve avere troppa paura di me.
Speriamo che abbia
capito.
Al momento sono troppo
occupata a cercare le confezioni di Api Frizzole per
andare a ripeterglielo.
E poi, qui in giro non
lo vedo. Sarà sicuramente da qualche parte a divertirsi con
i suoi amici.
Devo ammettere che un
po’ è strano, comportarci in modo cordiale.
Implica una rivoluzione
dei nostri rapporti interpersonali su scala mondiale.
Un po’ di
tempo fa io ero quella con cui litigava, ora sono quella con cui
trascorre diversi minuti del suo tempo libero a parlare di bagni
intasati, di Pix a piede libero, di quadri che si
rifiutano di fare il loro dovere, di insegnanti che non hanno mai tempo
per ascoltare le nostre esigenze e di Silente che, tutte le volte che
ci vede, ci offre da bere una bibita al caramello.
Insomma, chi se
l’aspettava?
“Secondo
te ce l’hanno ancora il cioccolato al riso
soffiato?” mi domanda Delia, venendomi incontro, con aria
incerta. Io sorrido e annuisco, convinta.
“Dopo tutte
le scorte che hai comprato l’anno scorso, non credo che
abbiano rinunciato ad una simile occasione di fare affari”,
le rispondo, in tono scherzoso.
“Sarà.
Io non lo vedo da nessuna parte” ribatte lei, per poi girarsi
e andarci a sbattere contro. Un paio di tavolette finiscono a terra, e
io per poco non scoppio a ridere nell’osservare il modo in
cui tenta di far finta di niente e le rimette a posto guardandosi
intorno, per accertarsi che nessuno oltre me
l’abbia vista combinare quel pasticcio.
“Ehi,
lumache, avete finito o no?” ci apostrofa Margaret,
in fondo alla fila per pagare alla cassa.
“Hai urgenza
di cercarti qualcuno da sbaciucchiare?” le
chiede Helen, due scaffali più in là di
noi.
“No, voglio
andare a prendermi un tè da
Madama Piediburro e farmi del male, osservando tutte
le coppiette lì riunite”,
risponde Margaret. Helen sbuca dallo
scaffale e si affaccia sul corridoio, con un’espressione che
parla da sé.
“Ci risiamo.
Ti prego, falle cambiare idea. Sei tu che intrattieni i rapporti
diplomatici”, mi dice, con un’espressione a
metà fra il disperato e il disgustato. Io ridacchio tra me.
Ne abbiamo discusso giusto ieri a pranzo, di questo argomento.
“Meg, la tua
proposta è stata boicottata”, annuncio alla mia
amica, rifornendomi di piume di zucchero filato.
“Il
boicottaggio richiede in cambio che voi mi facciate copiare il tema
della McGranitt”, risponde lei,
mentre Helen si mette a sbattere la testa contro uno
scaffale per la disperazione. Sto giusto preparando una
replica adeguata quando sopraggiunge Mary, sbucando
da chissà dove, e porge a me e a Helen due
confezioni di dolci che non ho mai visto, Topoghiacci e Piperille nere.
“Sono nuovi.
Potete minacciarla di farla squittire o farle sputare fuoco per
un’intera giornata sciogliendoli nel suo succo di
zucca”, ci dice, in un tono professionale degno di fare
invidia ai commessi del negozio. Per poco non mi piego in due dalle
risate mentre Helen afferra entrambe le confezioni
con aria soddisfatta e si dirige trionfante verso la cassa. Mary
osserva la scena con un sorrisetto e poi torna a
girare per gli scaffali, reggendo un cestino mezzo pieno di dolciumi
con una mano e Camera
con vista nell’altra, mentre io scuoto
la testa e riprendo a guardarmi intorno, domandandomi se a mio padre
potrebbero piacere i Rospi alla Menta.
Ogni tanto, se ci
ripenso, mi sembra così strano ritrovarmi ad andare in giro
con loro per Hogsmeade, ridendo e scherzando in maniera così
spensierata.
Voglio dire, non siamo
sempre state in così buoni rapporti. All’inizio
non legammo affatto: trovavo Margaret troppo superficiale, Helen troppo
scontrosa, Delia troppo appassionata di Quidditch e quindi con pochi
interessi da spartire con me e Mary troppo difficile da avvicinare,
sempre così assorta nel suo mondo di libri babbani e di
blocchi da disegno. Dopo i primi tempi di diffidenze si instaurarono
dei rapporti cordiali, ma non molto stretti; avevo ancora Severus e di
conseguenza il mio confidente era lui. Era come se non avessi bisogno
di nessun altro. Poi, quando Mary venne attaccata da Mulciber, che
cominciò ad insultarla perché faceva cose da Sanguesporco, io
mi misi in mezzo per difenderla, e da quel momento entrammo
più in confidenza. Cominciai ad aprirmi con lei, e fu
piacevole; non ero decisamente abituata ad instaurare un forte legame
con una ragazza. Probabilmente mi sentivo condizionata dai pessimi
rapporti con mia sorella, a cui un tempo volevo così bene e
che invece, a lungo termine, mi aveva tremendamente delusa e ferita; ma
poi, una volta che i miei rapporti con Severus si conclusero, fu quasi
inevitabile avvicinarsi anche alle altre mie compagne di Casa. Tutte
loro mi confessarono che non avevano mai visto di buon occhio la nostra
amicizia, e non per causa mia. Probabilmente nessuno ne ebbe mai un
giudizio positivo. Solo io restavo l’unica stupida che si era
ostinata a pensare che ci fosse qualcosa di speciale in lui, qualcosa
che lo rendeva diverso dagli altri Serpeverde, tutti così
boriosi, arroganti e con la mania del sangue puro. E invece mi ero
sempre sbagliata di grosso.
Ad ogni modo, ora,
ognuno di noi due sta con la gente che si merita. E, per quanto mi
riguarda, sto bene così. Ho imparato a conoscere meglio le
ragazze, oltre che Remus, con cui ho condiviso piacevolmente i due anni
dell’incarico di Prefetto. Al contrario di quanto sosteneva
Severus, Remus non è affatto “un ragazzo subdolo e
strano, e maligno almeno quanto i suoi amichetti, anche se finge di non
esserlo”. Al contrario, con me è
sempre stato una persona dolce, gentile, educata e disposta ad
ascoltare in qualsiasi circostanza. Anzi, ora che ci penso vorrei
vedere che razza di faccia farebbe Severus se potessi porlo davanti
all’evidenza del fatto che nemmeno Potter è come
lo ha sempre dipinto lui. Ma è stata una sua scelta quella
di abbracciare un’altra visione delle cose, pertanto non
potrò mai saperlo. Non importa. Io sono contenta, tutto
sommato, di aver cambiato idea su Potter. L’avevo giudicato
male, ed è un errore di cui mi pento; non che lui, in
passato, facesse qualcosa per aiutarmi a pensarla in maniera differente
– anzi, direi tutto l’opposto –, ma ora
le cose sono diverse da com’erano un tempo, ed è
meglio così per tutti. Anche se ci ho rimesso un amico,
l’unico vero amico che ho avuto per diversi anni.
È stato doloroso, ma ormai mi sono ripresa.
Qualche minuto dopo
usciamo da Mielandia, sotto il cielo nuvoloso d’inizio
settembre. Facciamo tappa ai Tre Manici di Scopa per bere qualcosa, e
lì Margaret e Delia scoprono, con
grandissimo rammarico, che il loro
moccioso del quinto anno si vede con una ragazza (inutile dire che
sulla testa della poveretta sono piovuti ogni genere
d’improperi); stranamente, però, non si sentono
risate simili a squittii o latrati provenire dalle bocche mai chiuse di
Peter Minus e Sirius Black, e nemmeno i rimproveri ironici dispensati a
mezza voce da Remus o le battute azzardate di uno che è
capace di attirarsi addosso le ire di un gruppo
di Goblin – sì, sto parlando di
Potter, ed è davvero riuscito
a fare una cosa del genere, al terzo anno. Io non ci volevo credere, ma
è la verità.
La cosa, comunque, mi
suona leggermente strana.
Voglio dire,
è la prima uscita a Hogsmeade dell’anno,
alzi la mano chi li crederebbe capaci di perdersi
un’occasione del genere …! Di solito, facendo la
spola tra Zonko, Mielandia e la Testa di Porco, quei quattro
girano Hogsmeade da cima a fondo per ore. Sanno
perfino chi abita dove, nella zona residenziale. E poi, Sirius si
diverte sempre da matti a provarci con Rosmerta, la figlia del
proprietario dei Tre Manici di Scopa.
Se non avessi visto
Potter in quello stato emotivo durante tutta la settimana, direi che
stanno architettando qualcosa di molto losco. Ma, di solito, sono
sempre tutti allegri e pimpanti quando questo succede. Quindi non credo
di aver trovato una spiegazione soddisfacente per i miei dubbi amletici.
Ad ogni modo, non
voglio avere alcun tipo di preoccupazione per la testa, almeno per
questo pomeriggio. Questa è una delle poche occasioni che ho
per rilassarmi prima di darci dentro con uno studio massacrante in
vista dei M.A.G.O., perciò ritengo
doveroso sfruttarla. Evito comunque di tracannarmi
quattro Burrobirre di fila come ha appena fatto Delia
e di farmi presentare all’ex fidanzato
di Margaret come lei insiste che io faccia,
nonostante mi abbia assicurato che sia veramente un bravo ragazzo e che
sia stata lei a lasciarlo perché ancora le
piaceva Hunt, il Caposcuola dell’anno scorso. Le ho
suggerito, in tutta risposta, di provare ad aprire un’agenzia
matrimoniale per maghi e streghe quando uscirà da Hogwarts,
ma lei persiste nella sua aspirazione di lavorare presso
l’Ufficio Relazioni Internazionali del Ministero.
È con mio
sommo sollievo che riesco a sottrarmi alla visita da
Madama Piediburro nel momento in cui Delia
e Margaret ritirano fuori l’argomento, e mentre loro
si trascinano dietro Mary con la scusa che andarci in due sarebbe un
po’ troppo triste (“Non
mi interessa, basta che mi lascino leggere in pace”,
mi dice lei, stringendosi nelle spalle), io
e Helen ci dirigiamo verso Hogwarts.
“Comunque
grazie, mi hai fatto vincere una scommessa”, mi dice Helen, a
un certo punto.
“Che
scommessa?” le domando, dubbiosa.
“Oh, quelle
due hanno rotto le scatole per giorni – Delia e Margaret, lo
sai anche tu quanto sono pettegole. Continuavano a dire che da un
momento all’altro Potter sarebbe venuto a chiederti di
uscire, questo sabato. Alla fine, per farle stare zitte, mi
è toccato scommetterci su”.
Io scuoto la testa,
sorridendo.
“Meno male
che almeno tu ci hai visto giusto”, dico a Helen. Era
piuttosto lampante, del resto. Potter ha smesso di chiedermi di uscire
da un anno, perché avrebbe dovuto tornare alla carica ora?
Tanto più che, evidentemente, aveva ben altri pensieri per
la testa, data l’aria incupita e assente che ha avuto dipinta
in faccia per tutta la settimana. Tutto sommato, credo che gli sia
passata; avrà capito di aver soltanto sprecato tutti questi
anni passati a starmi dietro e avrà deciso di dedicarsi a
cose più importanti. Quali siano queste cose, non mi
è dato saperlo. I M.A.G.O.? Ne dubito. Nonostante tutto,
Potter non si è trasformato nella brutta copia di Remus.
È sempre il solito, per quanto riguarda
l’andamento scolastico: gli interessa fare pratica, non
perdere tempo con i temi lunghi chilometri e chilometri di pergamene.
Nonostante ciò riesce bene comunque in praticamente tutte le
materie, dato che Merlino l’ha dotato di
un’intelligenza, inutile negarlo, estremamente acuta. Ma
escluderei che tutt’ad un tratto abbia iniziato a crucciarsi
per la scuola. Non è da lui.
E allora, che diavolo
avrà? Qualche problema in famiglia? Spero di no. Se non
ricordo male ho intravisto i suoi genitori a King’s Cross la
scorsa settimana, e mi sembrava che entrambi stessero bene.
Forse è
davvero soltanto troppo angosciato per il nuovo incarico. Non
è difficile intuire che, per uno come lui, sia stato
spiazzante ricevere quel distintivo. Però almeno un
po’ dovrebbe andarne fiero, suvvia. Fra tutti gli studenti
del settimo anno, Silente ha scelto lui. Da questa prospettiva, non mi
sembra una cosa così negativa. E poi sta iniziando ad
abituarcisi, o almeno così mi è parso.
“Credo che
andrò a farmi un bagno prima che tornino tutti ad
assediarlo”, mi annuncia Helen, interrompendo i miei pensieri
vaganti.
“Ottima idea.
Io farò un giro di ricognizione per ammazzare il tempo.
Forse riuscirò a trovare la forza di seppellirmi sotto quel
gigantesco tomo di Pozioni, alla fine”.
Mi farà
sicuramente bene fare due passi, oltre al fatto che ci tengo ad
adempiere ai miei doveri; prevedibilmente, nessuno dei Prefetti si
è perso l’occasione di una gita a Hogsmeade, e la
scuola è stata abbandonata nelle mani di Merlino. Qualcuno
dovrà pur pensarci, in fondo.
Inoltre, in dormitorio
c’è una ricerca sugli usi ed effetti del
Veritaserum che mi aspetta e una serie di dolci da impacchettare e
spedire alla mia famiglia, ma io non sono assolutamente brava nel fare
i pacchetti. E odio Slughorn per avermi già affidato una
ricerca di Pozioni. Lui e le sue stramaledette manie di persecuzione.
Try,
cry, why try?
That
was just a dream,
Just
a dream, just a dream,
Dream.
(R.E.M.,
Losing My Religion)
|
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Capitolo 9 *** Il giorno fortunato di James Potter ***
Capitolo 9
Capitolo 9 – Il giorno
fortunato di James Potter
Devo
ancora imparare, che proprio nel momento in cui la logica, combattendo
con la passione, crede d'aver acciuffata la vittoria, la passione con
una manata improvvisa gliela ristrappa, e poi a urtoni, a pedate, la
caccia via con tutta la scorta delle sue codate conseguenze.
(Luigi Pirandello, Quaderni
di Serafino Gubbio operatore)
10
Settembre 1977
Oggi è il
giorno del mio più grande fallimento, signore e signori.
Davvero una meraviglia. Non aspettavo altro, a dire la
verità: almeno, una volta che sarà finito, non mi
sentirò più addosso gli sguardi preoccupati e
silenziosi dei miei amici. La mia è pura ingratitudine,
perché sono perfettamente conscio del fatto che si sentano
dispiaciuti per la mia situazione e che provino il desiderio di starmi
vicino, pur senza riuscire a trovare le parole per confortarmi, ma
nonostante questo io mi sento solo vanamente pressato e compianto.
Inutile dire che il
rimedio migliore sarebbe di piantarla con tutta questa storia. In
più di sei anni non ho ottenuto niente di concreto, e
già da tempo la mia perseveranza ha valicato il confine con
la stupidità. Ma non me la sento di mettermi a riflettere su
un argomento così cruciale in questo momento; la cosa
migliore da fare, per ora, è interrompere qualsiasi flusso
di idee che coinvolga Lily Evans e concentrarmi sulla messa in atto
della prima malandrinata del settimo anno.
È stata la
migliore soluzione per cui optare, su questo non ci sono dubbi. Ho
scartato immediatamente l’ipotesi di andare a Hogsmeade
trascinandomi dietro gli altri, considerato che non ho assolutamente
voglia di essere protagonista di una di quelle classiche scene
melodrammatiche secondo cui io e Lily dovremmo incontrarci per caso
(che poi caso non lo sarebbe davvero, dato che io so che lei
è a Hogsmeade e che il villaggio è piccolo,
motivo per cui le probabilità di incontrarsi sono
estremamente alte) e, per farla breve io dovrei finire per dichiararle
il mio amore eterno. Col cavolo. Il destino ha voluto che lei dovesse
essere già impegnata quando io avrei potuto sfruttare
l’occasione per chiederle di uscire, perciò,
pazienza. Non ho intenzione di mettermi contro il fato. Ho accantonato
anche la possibilità di rimanere in sala comune per tutto il
pomeriggio davanti a un camino spento, girandomi i pollici e sospirando
malinconicamente; non nutro certo il desiderio di trasformarmi in un
patetico vittimista. Non voglio discutere di me e di lei, non voglio
rimanere inattivo e non voglio andare a cercarla di proposito,
perciò non vedo prospettiva migliore di questa, a conti
fatti. Così, non ci ho pensato su due volte e mi sono messo
a pianificare alacremente, cominciando forse a sentirmi finalmente
meglio.
Peter mi ha chiesto
perché non l’ho invitata lo stesso, fingendo di
non sapere niente. Figurarsi. Non solo c’era la forte
probabilità che, anche senza avere alcun impegno
programmato, lei riuscisse a trovare qualche pretesto o qualche insulto
efficace per respingermi ma, considerato che con il suo gruppo avevano
già pianificato tutto fin nei minimi dettagli, sarei stato
davvero un imbecille ad ignorare la cosa e presentarmi davanti a lei
con le mie assurde pretese, sapendo che non c’era bisogno di
inventarsi una scusa per dirmi di no. Sirius mi ha detto di consolarmi
perché almeno non ci va con un altro, e io dopo quella frase
ho categoricamente imposto di chiudere il discorso, una volta per tutte.
Ora devo solamente
cercare di concentrarmi. Abbiamo deciso di optare per un piano semplice
e lineare. Entrare nelle cucine durante il pomeriggio e Pietrificare
gli Elfi Domestici, poco prima che venga servito il the delle cinque, e
rendere quello destinato ai Serpeverde assolutamente disgustoso;
dopodiché risveglieremo gli Elfi e modificheremo loro la
memoria, attendendo con estrema soddisfazione che i nostri acerrimi
nemici si gustino la loro merenda.
È stata la
decisione di non buttare lo scherzo sul personale che ha convinto Remus
a collaborare, e ora, mentre lui studia gli incantesimi che possono
fare al caso nostro e Sirius sta a controllare che ne scelga uno
abbastanza perfido, io e Peter stiamo compiendo qualche giro di
ricognizione nella zona delle cucine, per assicurarci di avere campo
libero per domani a quest’ora.
“Peccato che
non siamo andati a Mielandia. Sarebbe stato soddisfacente abbuffarci di
biscotti al cioccolato mentre i Serpeverde verranno presi da conati di
vomito”, commenta Peter, in tono sognante. Io sorrido.
“Sempre a
pensare al cibo, eh?” gli dico, spettinandogli
affettuosamente i capelli. Lui però assume un’aria
mortificata.
“Non volevo
certo fartene una colpa, capisco benissimo che tu non voglia andarci
…”
“Oh, no, non
ti devi preoccupare …”
D’un tratto,
un’idea fulminante mi attraversa la mente.
“Hai
ragione. Senti, perché non finisci tu il giro di
ricognizione mentre io mi intrufolo nelle cantine e porto via qualcosa
per domani?”
In fondo non
è mica come andare davvero a Hogsmeade, e nelle cantine non
corro certo il rischio di incontrare Lily.
Mi ci vuole poco a
convincere Peter, e tempo qualche minuto ho già raggiunto il
passaggio segreto. Mi sono riempito le tasche e le braccia fino a
scoppiare, vivendola quasi come una possibilità di
espiazione per le colpe che ho accumulato nei confronti dei miei amici
in questi giorni di intrattabilità. Riemergo dal passaggio
segreto tentando di nascondere il carico di dolci e sacchetti vari
sotto il mantello della divisa, dato che ho lasciato a Wormtail quello
dell’Invisibilità. Ringrazio Merlino che siano
tutti a Hogsmeade e che i ragazzini del primo e secondo anno non si
azzardino a spingersi in zone così lontane, quando
improvvisamente mi capita di svoltare un angolo e di sfiorare lo
scontro frontale con una persona alta diversi centimetri meno di me.
“Potter, che
diavolo fai?!”
Eh no, non
è possibile. Questa è una persecuzione.
Perché accidenti ho lasciato la Mappa del Malandrino e il
Mantello nelle mani di Peter? Perché sono stupido,
è l’unica ragione evidente.
“Niente che
tu disapproveresti, se questo può rassicurarti”,
rispondo, cercando di mantenere salda la voce. Ho a malapena la forza
di guardarla mentre incrocia le braccia sul petto e mi squadra con i
suoi occhi verdissimi, e sento che la gola mi si è
totalmente seccata.
“Ti
è caduto qualcosa”, mi dice lei, con voce
neutrale, chinandosi a raccogliere uno dei numerosi frutti della mia
rapina a Mielandia che mi sono volati via dalle braccia al momento
dell’impatto mancato. Come diavolo ho fatto a non sentirla
arrivare? Non ci si può Materializzare e Smaterializzare
all’interno di Hogwarts, che diamine …
“Da dove
arrivi con questa roba? Non ti ho visto a Hogsmeade”, mi
chiede, osservandomi con aria sospettosa. Io cerco di infilarmi tutto
quanto nelle tasche, in preda all’imbarazzo più
totale.
“Tu che ci
fai qui?” chiedo in tutta risposta, bruscamente. La sua
espressione confusa si spiana all’istante in un profondo
scetticismo perplesso.
“Io pattuglio
i corridoi, compito che tu
ti preoccupi di eseguire soltanto sotto mia
costrizione”, mi risponde, posandosi le mani sui fianchi. Io
sto per avere un collasso emotivo, considerando che non avevo nessuna
intenzione di incontrarla e che ho preso ogni precauzione per far
sì che ciò non avvenisse, eppure è
successo ugualmente. Perché, per Merlino, devo essere sempre
così dannatamente sfortunato?
“Chi ti dice
che non lo stessi facendo anch’io, in questo
momento?” le chiedo, cercando di non suonare troppo ironico. Lei
piega le labbra in un sorriso appena accennato che mi fa quasi andare
fuori di testa.
“È
piuttosto divertente vedere quanto nemmeno tu ci creda, di potermi
prendere in giro con queste scuse campate in aria”, mi
risponde, con quel tono bonario e sarcastico che ha
l’abitudine di assumere con me ultimamente. Io deglutisco a
vuoto, cercando di pensare a come tirarmi fuori dai guai in modo rapido
ed indolore.
“Vuoi una
Cioccorana?” le chiedo, ostentando l’aria
più sfacciata di questo mondo. Lei mi guarda con
un’espressione a metà fra la risata e lo
sbigottimento, e io mi chino a raccogliere un paio di altri pacchetti
da terra.
“Se non ti
va, ho anche le gelatine Tuttigusti +1 … beh, diciamo che ho
più o meno tutto”.
“Vanno bene
le Cioccorane, grazie”, mi dice lei, con un sorriso e uno
sguardo quasi imbarazzato. Io sono ancora piuttosto traumatizzato. Apro
il sacchetto e glielo allungo e lei, dopo averne presa e scartata una,
rimane a fissare la figurina di Dylis Derwent con ancora quello strano
sorriso. Per non rimanere a fissarla inebetito mentre mangia, mi
affaccendo a cercare uno spazio per le mie scorte anche nelle tasche
interne del mantello, di modo da non starmene lì in piedi
con delle riserve di dolci tra le braccia.
“Sai, in
certi momenti riesci perfino a farmi dimenticare quanto tu riesca ad
essere insopportabile”, mi dice, nel momento in cui io ho
appena finito di imbottirmi dappertutto. All’inizio rimango a
fissarla sbalordito, poi ritorno in me e scrollo la testa, esasperato.
“Suppongo
che questi momenti in genere corrispondano alle mie pause di
silenzio”, borbotto, e sento che lei scoppia a ridere di
gusto. Ispiro proprio ilarità, non c’è
che dire.
“Oh, no, per
una volta ti giuro che non volevo essere cattiva …”
Io sbarro gli occhi
senza ritegno, stupefatto. Non riesco a credere alle mie orecchie,
è impossibile che abbia davvero detto una cosa del genere.
Una frase simile non può realmente essere uscita
dalla sua bocca.
E a giugno aveva anche dichiarato che il giorno in cui mi avrebbe
rivolto un complimento era ancora molto lontano …
Ci guardiamo per
qualche istante, senza dire niente, mentre lei sorride ancora. Io non
ce la faccio. Non ce la faccio a stare fermo. Devo assolutamente fare
qualcosa, perché o lo faccio ora o non lo farò
mai più, ho dovuto aspettare più di sei anni per
avere una simile occasione e adesso che ce l’ho non posso
permettermi di sprecarla. Quel poco di follia necessaria a tradurre i
propositi in atto mi scorre dentro tutto d’un colpo, e mi
dà la forza di far compiere al mio corpo i gesti che mi sono
prefigurato. Faccio un passo avanti, la prendo per un braccio, la
avvicino a me posandole una mano tremante sulla schiena e scacciando la
vergogna che sto provando mi chino su di lei con rapidità, e
arrivo a sfiorarle le labbra. Cerco di darmi maggiore impeto per non
sembrare uno scemo, ma dopo appena un secondo di cocente imbarazzo lei
si stacca bruscamente da me, spingendomi via con un gesto secco.
Lo sapevo, che sarebbe
stato un fiasco totale.
“Come
diavolo ti è saltato in mente di prenderti simili
libertà solo perché per un momento ho abbassato
la guardia?”
Alzo lo sguardo, la
fisso negli occhi. È infuriata. Io vorrei solo poter
cancellare quello che ho appena fatto, oppure sentirmi aprire una
voragine sotto i piedi e scomparire provvidenzialmente dalla sua vista.
Ma qualcosa mi spinge inaspettatamente a reagire, come se mi stesse
venendo un violento bruciore di stomaco.
“Oh, ti
prego. Non è mica una guerra”.
“Ti sembra
una scusa accettabile?! Da che cosa hai dedotto di poter fare quello
che hai appena fatto?”
“È
ridicolo, non l’ho dedotto proprio da un bel niente!
L’ho fatto e basta, perché volevo, e anche se
l’avessi fatto per qualsiasi altra ragione non ti deve
importare, io non ti devo nessuna spiegazione!”
Mi rendo conto
perfettamente del modo in cui sto gridando contro di lei, ma non ce la
faccio a trattenermi. L’umiliazione mi brucia dentro in
maniera esorbitante, è più forte di me.
“Oh, certo,
allora usami pure come un oggetto, io me ne starò buona e
zitta e ti assicuro che non farò domande”, ribatte
lei, in tono pesantemente sarcastico. Non è giusto, non
è affatto giusto. Perché, per una volta, non
può semplicemente chiudere la bocca e risparmiarsi di
gettarmi fango addosso?
“Come se tu
non lo sapessi, perché l’ho fatto”,
commento, in tono aspro. Lei si blocca e mi guarda smarrita, e per un
attimo la rabbia cede il posto alla confusione nei suoi occhi.
“Tu mi hai
colto di sorpresa, non è giusto, io …”
“Sì,
tu avresti dovuto scegliere la data e l’ora con una settimana
di preavviso per prepararti psicologicamente all’evento!
Così avresti potuto allenarti meglio a darmi uno spintone
non appena avrei deciso di provare a baciarti!”
Lei mi guarda, con
aria ferita.
“Certo,
parla pure quanto vuoi”.
“Sì,
perché sono stufo, Evans! Mi sono rotto le scatole di
logorarmi l’anima per te e ricavarne soltanto i tuoi
umilianti rifiuti!”
Sto esagerando, non le
ho mai detto cose del genere in vita mia e so che otterrò
soltanto di farla arrabbiare ancora di più, ma ormai il mio
istinto di prevaricazione è più forte di
qualsiasi cosa; il mio unico desiderio è quello di sbatterle
in faccia la realtà, di farle capire quanto accidenti ci sto
male per colpa sua.
“Nessuno ha
stabilito che io ti debba un premio per il tuo impegno,
Potter!”
“Non la sto
mettendo su un piano competitivo, non ti scaldare …
l’ho capito tempo fa che ti facevo schifo, ne ho preso atto
e, per quanto tu possa pensare che la mia vanità sia
infinita, mi sono dato da fare e sono cambiato, e il fatto che tu non
te ne sia accorta è solo dovuto ai tuoi ottusi
pregiudizi!”
“I
miei ottusi
pregiudizi li hai creati tu con i tuoi cinque
anni di massima odiosità!”
“Benissimo,
allora se ti risulto odioso non rivolgermi più la
parola”.
“Con
piacere!”
Questa volta me la
sono proprio cercata, davvero.
Lei se ne va, girando
sui tacchi e dandomi le spalle, i capelli che le ondeggiano sulla
schiena. Io distolgo lo sguardo, mentre un misto di rabbia e di dolore
lancinante mi fa pizzicare gli occhi di lacrime. Impreco mentalmente
contro me stesso fissando il vuoto e stringendo i pugni, quasi
ansimando per lo sfogo, sentendomi contorcere le viscere e il volto.
Sono stato davvero bravo. L’ho insultata, umiliata e cacciata
nel momento in cui, forse, lei si stava davvero avvicinando a me. Ho
rovinato tutto credendo che fosse l’unica
possibilità di poter avere successo con lei e di realizzare
finalmente il sogno della mia vita, e ora tutto quello che posso fare
è piangermi addosso. Patetico. Mi sono voltato per non dover
stare a guardarla andare via, e con le mani che mi tremano raccolgo i
resti dei miei furti dal pavimento, per poi rigettarceli e mettermi a
fissare il muro imprecando mentalmente.
Non riesco a
trattenermi e tiro un pugno violento al muro. È finita.
Meglio che cominci a mettermi il cuore in pace sul serio,
perché da oggi in poi non potrò più
illudermi di avere speranze. Mi sono esposto nel modo più
esplicito possibile e lei ha dimostrato di non gradire, e questo
significa che non c’è altro da fare. Tutti quei
segnali ambigui che Remus e Peter si sono divertiti ad interpretare,
sicuri di avere ragione, erano solo stupidi e banali fraintendimenti,
patetici tentativi di ricercare un significato nascosto che non
c’era.
Sento dei passi alle
mie spalle. Non muovo un muscolo, volontariamente; non mi interessa
sapere chi sia né che vuole da me, per una volta voglio
soltanto essere lasciato in pace. Non riuscirei a non scaricare la mia
rabbia su di un altro essere umano, di chiunque si tratti. Ma
all’improvviso catturo un movimento con la coda
dell’occhio, mi sento afferrare per la spalla e voltare
bruscamente indietro, faccio appena in tempo a sollevare lo sguardo per
trovare una risposta adeguatamente tagliente da rifilare alla persona
in questione che subito sento una mano afferrarmi la nuca e
costringermi a chinarmi con un gesto secco, ho solo una visione
momentanea e sfuggente che non mi permette di cogliere i dettagli
né di ragionare su quanto sta accadendo e poi avverto
un’inspiegabile pressione sulle labbra – Godric,
che cavolo sta succedendo?
Chiudo gli occhi
mentre lo stomaco mi si contorce e il cuore per poco non mi si ferma
per lo spavento. Capisco che non sto sognando nel momento in cui
riconosco istintivamente quelle labbra, anche se il bacio di prima
è stato il più umiliante e il più
breve della mia vita. Le immagini fugaci dell’attimo
precedente mi ripassano nella mente a velocità
stratosferica, ma per quanto siano confuse ho il ricordo sicuro di quei
capelli rossi e di quegli occhi fiammeggianti, e giuro che tra poco mi
viene un infarto se non la smette. Mi sta baciando. Io non riesco a
crederci, non riesco nemmeno a pensare. Mi sento battere il cuore
all’impazzata. Non può essere vero. Sono rigido
come un manico di scopa, e provo a sciogliermi un po’, per
quanto possibile, ma sono troppo occupato ad impegnarmi per baciarla
bene. Questo non me lo doveva fare. Avevo sempre immaginato di poter
riuscire a baciarla dopo averla incantata con il mio fascino,
calibrando i gesti, decidendo coraggiosamente di prendere in mano la
situazione e osservando compiaciuto che la mia sicurezza e la mia
prontezza l’avrebbero resa improvvisamente docile e disposta
a farsi guidare da me, a farsi chiudere nel mio abbraccio, a prendere
parte alla mia iniziativa dopo un primo momento di smarrimento del
tutto naturale, in cui comunque io avrei detenuto il controllo
superiore. E invece no. Lei mi ha afferrato rudemente, mi ha abbassato
la testa con un gesto secco e perentorio per arrivare alla mia altezza
e mi ha baciato. E poi dicono che gli uomini sono dei bruti. Lei la
delicatezza femminile se l’è scordata chiusa in un
libro, probabilmente.
Il problema
è che devo per forza reagire, o ci faccio la figura dello
stupido. E alla fine reagisco. Approfondisco il bacio, con la massima
delicatezza ma con decisione, e per poco non ho un collasso constatando
che lei mi lascia fare senza opporre resistenza – sembra
soltanto trattenere il fiato. Mi schiodo dalla mia posizione di massima
tensione e mi sistemo meglio sulle gambe, posandole una mano sulla
schiena e attirandola verso di me, mentre con l’altro braccio
le circondo le spalle e le accarezzo lievemente la testa, riuscendo
finalmente a sentire quanto sono lisci i suoi capelli …
Poi lei si allontana
di nuovo, e toglie dalla mia nuca quella mano che mi faceva scorrere
brividi violenti lungo la spina dorsale, a contatto diretto con la
pelle. L’altra rimane ancora per un breve secondo poggiata
sulla mia spalla, quel tanto che basta perché mi renda conto
di quanto mi stesse tenendo stretto. Non voglio aprire gli occhi ma
alla fine lo faccio, e mi trovo davanti il suo viso sconvolto, come
prevedibile.
Solo che questo ero
preparato ad affrontarlo nella situazione in cui ero io a
baciare lei.
Credo di averle appena
lanciato uno sguardo disperato. Non voglio che vada via. Sto per avere
un crollo psicologico, ma è stato troppo bello
perché finisca subito, e devo riprovarci per rendermi
finalmente conto che è tutto vero.
“Non dire
niente, per favore”.
“Come
sarebbe a dire non …”
“Sarebbe a
dire che non è il momento!” strilla lei, con
un’intonazione quasi isterica. Io la guardo, mentre lo
sconforto mi invade. Lo sapevo. Ora comincerà a pentirsene.
È inevitabile, ma nemmeno a questo ero preparato.
“Devo
andare, scusami”.
Prevedibile. Davvero
troppo prevedibile. Non riesco a sostenere il suo sguardo, e mi limito
ad annuire lievemente fissando una qualsiasi delle crepe nel muro.
È sufficiente qualche secondo e poi lei se ne va davvero,
camminando in fretta. Questa volta rimango a guardarla in silenzio
finché non scompare dalla mia vista. Il cuore mi pesa come
un macigno. Non riesco a crederci, questo è
l’unico pensiero coerente che riesco a formulare.
***
Mentre procedo a passo
misurato per la mia strada, a un certo punto, mi pare di sentire il
distinto rumore di uno scalpiccio in uno dei corridoi laterali. Mi
affretto in quella direzione per andare a controllare, e un momento
dopo ringrazio Godric di essermi fermata
esattamente un passo prima di finire addosso a una
persona che ha ben pensato di svoltare l’angolo nello stesso
momento in cui l’ho fatto io.
Alzo lo sguardo e per
poco non trasecolo.
“Potter, che
diavolo fai?!”
Va bene, avevo intuito
senza problemi che non si trovasse a Hogsmeade, ma di
sorprenderlo a bazzicare da quelle parti non me l’aspettavo
proprio.
“Niente che
tu disapproveresti, se questo può rassicurarti”,
tenta di tranquillizzarmi, con un’aria schiva molto
poco convincente. Lo osservo con attenzione per qualche secondo,
dopodiché mi do per caso un’occhiata attorno.
“Ti
è caduto qualcosa”, gli faccio notare, chinandomi
a raccogliere un pacchetto che sembra contenere i dolci
di Mielandia. La faccenda non mi quadra.
“Da dove
arrivi con questa roba? Non ti ho visto a
Hogsmeade”, gli domando, e lui sembra essere
improvvisamente impossessato da un’ansia frenetica di
nascondere nelle tasche del mantello tutti i suoi beni sparsi a terra.
“Tu che ci
fai qui?” mi chiede, di rimando, cogliendomi assolutamente di
sorpresa. Sbaglio o ero io che facevo le domande, tra i due?
Poi comprendo che
è soltanto un altro dei suoi tentativi di svicolare.
“Io pattuglio
i corridoi, compito che tu
ti preoccupi di eseguire soltanto sotto mia costrizione”,
rispondo, osservando la sua espressione farsi sempre più
smarrita. Sembra essere stato colto da una crisi di panico. Forse, da
brava Caposcuola, dovrei perquisirlo per verificare che non se ne stia
andando in giro con fuochi d’artificio del
dottor Filibuster o roba del genere; tuttavia, averlo
davanti con quell’aria così vulnerabile riesce a
intenerirmi.
“Chi ti dice
che non lo stessi facendo anch’io, in questo
momento?” mi domanda, in tono incerto, lasciandosi sfuggire
l’ombra di un sorriso involontario a fine frase. Come se si
fosse reso conto di aver detto un’assurdità. Non
riesco a trattenermi e sorrido anch’io, scuotendo la testa.
“È
piuttosto divertente vedere quanto nemmeno tu ci creda, di potermi
prendere in giro con queste scuse campate in aria”, gli
rispondo, con un’indulgenza che non sono capace di frenare.
“Vuoi
una Cioccorana?” mi domanda lui, dopo qualche
secondo, e io per poco non scoppio a ridere per la sorpresa. Se
c’era una cosa che non mi aspettavo certo di sentirmi dire,
quella era proprio “vuoi
una Cioccorana”.
“Se non ti
va, ho anche le gelatine Tuttigusti +1 …
beh, diciamo che ho più o meno tutto”, dice lui,
gettando un’occhiata ai due pacchetti che ha appena raccolto
da terra.
“Vanno bene
le Cioccorane, grazie”, rispondo, in tono pacato. Mi
porge il pacchetto e io pesco un cioccolatino e lo scarto, rimanendo a
fissare imbambolata la figurina
di Dylis Derwent che ci ho trovato dentro.
Ne ho già un paio sue, ma penso proprio che la
conserverò ugualmente. Mi sembra talmente incredibile di
essere lì a mangiare una Cioccorana dietro
offerta di Potter; fosse stato appena un anno fa, probabilmente gli
avrei suggerito di ficcarsela su per qualche orifizio. Immancabilmente,
poi, penso a
quando la Cioccorana gliel’ho
offerta io, quel giorno che mi è toccato scusarmi con lui
per averlo calunniato ingiustamente; ormai, pare sia diventato il
nostro simbolo riconosciuto della richiesta di cessare le
ostilità. Non è passato molto tempo da
quell’episodio, eppure le cose sono cambiate in maniera quasi
radicale; ora è persino piacevole fermarsi a parlare con
lui, anche se continuano ad esserci delle volte in cui riesce a farmi
venire voglia di prenderlo a pugni.
Sollevo di nuovo
lo sguardo mentre si imbottisce le tasche interne del
mantello con i restanti pacchetti di dolciumi, e in quel momento mi
sento improvvisamente ed inspiegabilmente disposta a scucirmi le labbra.
“Sai, in
certi momenti riesci perfino a farmi dimenticare quanto tu riesca ad
essere insopportabile”, gli dico, con un sorriso, scatenando
la sua reazione più sbalordita. Un attimo dopo,
però, stranamente, s’incupisce, e incrocia le
braccia con rassegnazione.
“Suppongo che
questi momenti in genere corrispondano alle mie pause di
silenzio”, bofonchia con delusione, e io scoppio a ridere
divertita; inutile, pare non ci sia proprio verso di
far cessare il suo immotivato autolesionismo. E va bene, indubbiamente
negli scorsi sei anni ho ampiamente contribuito a ledere la sua
autostima, ma adesso che è cresciuto non
c’è motivo di infierire ancora così
tanto.
“Oh, no, per
una volta ti giuro che non volevo essere cattiva …”
È strano il
modo in cui mi guarda, ora, con quegli occhi sgranati. Sembra davvero
sorpreso, tanto da non riuscire a riprendersi per poter cominciare a
vantarsi ironicamente della sua avvenenza e piacevolezza, e
probabilmente il suo stupore mi contagia, perché quando si
avvicina facendo un passo verso di me rimango perfettamente immobile,
senza riuscire a capire che cosa gli stia passando
per la testa. Sembra aver ingaggiato una profonda lotta fra imbarazzo e
determinazione nel momento in cui mi prende per un braccio portandomi
ancora più vicino, e …
E l’attimo
dopo sta tentando di baciarmi.
No, un momento. Qui
c’è qualcosa che non va. Non gli
ho detto che poteva baciarmi, per la barba di Merlino, gli ho soltanto
detto che riesce ad essere una persona piacevole … Tutto
questo è un grosso, clamoroso equivoco, io non pensavo che
potesse farlo, io …
Miseriaccia, Lily,
fa’ qualcosa!
La mia paralisi presto
svanisce, la reazione si innesca e mi stacco bruscamente da lui.
“Come diavolo
ti è saltato in mente di prenderti simili libertà
solo perché per un momento ho abbassato la
guardia?”
È
incredibile. Incredibile.
Non ho avuto la forza di reagire per almeno una decina di
secondi in cui avrei potuto benissimo capire che diavolo
stesse cercando di fare, e invece ho lasciato che si
avvicinasse e poi sono caduta dal pero, sbattendo violentemente
l’osso sacro.
“Oh, ti
prego. Non è mica una guerra”, sbotta lui,
assumendo un tono sprezzantemente scostante. Il riemergere di quella
traccia della sua arroganza mi fa subito infuriare, e non riesco a fare
a meno di attaccarlo.
“Ti sembra
una scusa accettabile?! Da che cosa hai dedotto di poter fare
quello che hai appena fatto?”
“È
ridicolo, non l’ho dedotto proprio da un bel niente!
L’ho fatto e basta, perché volevo, e anche se
l’avessi fatto per qualsiasi altra ragione non ti deve
importare, io non ti devo nessuna spiegazione!”
Eccolo lì di
ritorno, il bulletto sbruffone che riteneva di non
dover rendere conto a nessuno delle sue azioni sconsiderate. Merlino,
solo ora riesco a ricordarmi quanto lo odiassi.
“Oh, certo,
allora usami pure come un oggetto, io me ne starò buona e
zitta e ti assicuro che non farò domande”,
replico, sfoggiando tutto il mio sarcasmo più sferzante. Se
crede davvero di poter fare tutto quello che vuole con me, beh, allora
gli dimostrerò che si sbaglia di grosso.
“Come se tu
non lo sapessi, perché l’ho fatto”, mi
accusa, con un’intonazione che di colpo mi provoca un tonfo
al cuore, ricordandomi immediatamente l’espressione ferita
con cui ha reagito alle mie querele al termine dello scorso anno. Il
bilancio che avevo tratto da quegli eventi era che Potter avesse dei
sentimenti, e anche profondi, e ora, in un momento così
imbarazzante, lui è qui a rinfacciarmelo, e io non so
assolutamente che cosa dire.
“Tu mi hai
colto di sorpresa, non è giusto, io …”
“Sì,
tu avresti dovuto scegliere la data e l’ora con una settimana
di preavviso per prepararti psicologicamente all’evento!
Così avresti potuto allenarti meglio a darmi uno spintone
non appena avrei deciso di provare a baciarti!”
Riesco a pensare
soltanto una cosa, in questo momento.
Se
solo non avesse deciso tutto così su due piedi, dannazione
…
“Certo, parla
pure quanto vuoi”, gli rispondo, amaramente, sentendomi
sferzata nel profondo da quella sua accusa. Come se davvero non me ne
importasse niente dei suoi sentimenti, e mi divertissi a calpestarli,
anche ora che so che sono sinceri. Ma per favore. Non ho un cuore di
pietra, che diamine.
“Sì,
perché sono stufo, Evans! Mi sono rotto le scatole di
logorarmi l’anima per te e ricavarne soltanto i tuoi
umilianti rifiuti!”
Soltanto i miei
…
Dopo che ormai non
riesco a pensare altro se non che mi fa tenerezza – cosa
inaudita e assolutamente non
da me – e che mi fa piacere passare del tempo con lui, dopo
che finalmente stavo riuscendo ad aprirmi di mia spontanea
volontà, dopo che avevamo iniziato, in un certo senso, ad
avvicinarci è inaudito che osi infamarmi in un modo simile.
“Nessuno ha
stabilito che io ti debba un premio per il tuo impegno,
Potter!” esclamo, tentando di fargli abbassare di nuovo la
cresta. Lui risponde con una risata beffarda.
“Non la sto
mettendo su un piano competitivo, non ti scaldare …
l’ho capito tempo fa che ti facevo schifo, ne ho preso atto e
per quanto tu possa pensare che la mia
vanità sia infinita, mi sono dato da fare e sono cambiato, e
il fatto che tu non te ne sia accorta è solo dovuto ai tuoi
ottusi pregiudizi!”
Ah, non me ne sarei
accorta, eh?! E di chi sarebbe la colpa se lui, povero caro,
si è comportato in maniera sufficientemente insopportabile
da farmi desiderare di preferirgli una Piovra
Gigante per tutto questo tempo?
“I
miei ottusi
pregiudizi li hai creati tu con i tuoi cinque
anni di massima odiosità!” gli ricordo, ormai
sgolandomi senza remore.
“Benissimo,
allora se ti risulto odioso non rivolgermi più la
parola”, ribatte lui, chiudendosi nella sua irritazione.
“Con
piacere!” lo accontento, senza problemi, e mi allontano
immediatamente, a passi rapidi, stringendo i pugni per cercare di
incanalare la rabbia sorda che mi cresce dentro.
È assurdo,
semplicemente assurdo.
Ma Potter ce l’ha un cervello, che diamine?! Se
n’è accorto che ho smesso di insultarlo, e che
avevamo cominciato – per quanto paradossale potesse sembrare
– ad andare d’accordo? Ha notato,
dall’alto del suo piedistallo, che per amor suo gli stavo
davvero dando la possibilità di riscattarsi con me? Non sono
il tipo che cambia facilmente idea, e questo lo sanno tutti,
perciò non riesco proprio a capire che
diavolo volesse che facessi o dicessi di
più per farglielo capire. Lui e i suoi complessi da
strapazzo, ma sentilo un po’! Io potrò anche aver
sbagliato a giudicare il suo cambiamento come una farsa, ma ho
riconosciuto il mio errore e ho cercato di rimediare, e non
l’avrei fatto con chiunque, nossignore, quindi, per la barba
di Merlino, si può sapere che diavolo gli è
preso? E va bene, è incommensurabilmente idiota e questo
l’ho sperimentato in più di
un’occasione, ma mi sembrava che la faccenda fosse
intelligibile anche per chi non possiede capacità cerebrali
troppo elevate …! Non sono un essere senza cuore, che
diamine, e non ho … va bene, non ci ho pensato, non ho
pensato che potesse tornare a farsi coraggio e provarci così
apertamente, non me l’aspettavo e non mi sembrava di
aver ricevuto nessun segnale particolare, anche perché era
da tanto che non mi chiedeva più neanche di uscire, ed
è vero, non mi piace essere colta di sorpresa
perché poi non so mai come reagire e vado in panico, ma
questo non significa un bel niente! Lui e tutte le sue presupposizioni
del cavolo, vorrei prenderlo a schiaffi, o a pugni, a pugni nello
stomaco, sì, esatto, in modo da fargli male, un male cane,
così forse il dolore gli aprirebbe gli occhi e la
pianterebbe di essere così stupido …
No, non esiste. Ora
glielo vado a dire. Ora torno indietro e gliene dico quattro, e poi
voglio proprio vedere cos’avrà il coraggio di
rispondere. Come se io fossi così crudele
da permettermi di giocare con lui a mio piacimento, come se fossi
così perfida da volerlo vedere strisciare ai miei piedi per
poi respingerlo per chissà quale ragione, ma si rende conto
delle fesserie stratosferiche che gli sono uscite di
bocca?! Ora me la paga, questo è poco ma sicuro.
Gliela faccio vedere io …
Eccolo, non si
è mosso da lì. Fissa il muro con le lacrime agli
occhi, atteggiandosi a supremo incompreso di turno. Idiota, razza di idiota totale,
ottuso come pochi riescono ad essere, mi verrebbe voglia di farti a
brandelli, di farti capire le cose come stanno lasciandoti talmente a
bocca aperta da non riuscire a pronunciare nemmeno una sillaba, io
…
Io non so che diavolo
sto facendo.
Lo sto baciando. Oh,
Merlino, lo sto baciando davvero. No, un momento. Ci
dev’essere qualcosa che non va. Non posso
averlo fatto io, tutto questo. Me lo sto immaginando, devo cercare di
tornare in me …
La rabbia deve avermi
accecata, ma questa non è una reazione normale. Io volevo
suonargliele, non baciarlo. Però è quello che ho
fatto. Strattonarlo, alzarmi in punta di piedi e baciarlo. In modo rude
e violento. Lo so che è paradossale. Lo so che i baci non li
hanno inventati per sfogare la propria rabbia, ma in quanto dolci
dimostrazioni di affetto. Eppure, in qualche
modo realizzo che gli sto proprio esprimendo affetto
… me ne accorgo quando lui comincia a riprendersi dalla
sorpresa iniziale, e dal baciarmi per reazione in maniera sconnessa
prende a baciarmi con più emozione e con più
abilità, in quello che ormai non è più
uno scontro di labbra in cui io lo assalgo con veemenza, ma un qualcosa
che, perso l’impeto iniziale, sta assumendo dei connotati
pericolosamente passionali. Sento che mi sto lentamente lasciando
andare, che questa cosa mi piace. Mi sento bene, per qualche
paradossale istante mi sto davvero sentendo bene, accetto il contatto
della sua mano sulla mia schiena e delle sue dita fra i miei capelli
senza problemi, è come se tutto il nonsenso e la rabbia
fossero stati inghiottiti da un vortice che mi fa quasi rabbrividire, e
mi accorgo che di nuovo mi fa tenerezza, ma una tenerezza in grado di
farmi martellare il cuore e sentirmi sciogliere le ginocchia, una
tenerezza che non ho mai provato, che sento di voler ricambiare con
tutte le mie forze perché anch’io voglio essere in
grado di esprimergli una cosa del genere, una cosa che lasci senza
fiato e annulli la capacità di pensare in modo coerente
…
Per questo mi
interrompo. Bruscamente, senza concedermi la possibilità di
esitare. Non posso permettermi di perdere il controllo e di lasciarmi
sopraffare da qualcosa di cui nemmeno conoscevo l’esistenza.
Devo essere impazzita. Non mi ero resa conto che mi piacesse.
Non avevo mai contemplato la possibilità di baciarlo,
né soprattutto di prendere io l’iniziativa.
È mai possibile che non l’abbia capito? Che io non
sia riuscita a comprendere qualcosa di me stessa? E poi, posso essere
davvero così sicura della conclusione raggiunta? Magari ho
soltanto agito per inerzia, magari in realtà non significa
niente …
Ho un violento tuffo
al cuore quando i suoi occhi incontrano i miei.
Sembra spaventato, ha il fiato corto come se si fosse dimenticato di
respirare. Ha un’espressione implorante che riesce a farmi
male per la sua intensità, e improvvisamente mi ritrovo a
pensare che davvero non avevo capito quanto mi
piacesse, quanto fosse in grado di incantarmi con quella sua aria
così scoperta e vulnerabile.
Ho bisogno di calmarmi
e di recuperare il controllo, altrimenti è la fine.
“Non dire
niente, per favore”, gli chiedo, e lui mi fissa confuso.
“Come sarebbe
a dire non …”
“Sarebbe a
dire che non è il momento!” lo interrompo,
bruscamente, e lui s’intristisce di colpo. Vorrei seppellirmi
seduta stante. Ci sta male e non capisce, me ne rendo conto,
ma santo cielo, è Potter, io ho
baciato Potter, e credo di avere tutti i diritti di essere sconvolta.
Non l’avevo previsto, non pensavo che avrei mai potuto
desiderare una cosa del genere, la situazione è mi
completamente sfuggita di mano e io sto iniziando a non sentirmi bene.
“Devo andare,
scusami”, gli dico, dopo aver esalato un profondo sospiro.
Non posso fare altro, in questo momento.
Gli parlerò.
Giuro che gli parlerò. Appena avrò le idee
chiare, non mi tirerò indietro – non ho nessuna
intenzione di comportarmi da vigliacca e di ignorare tutto
ciò che è successo – ma adesso
è veramente troppo, non riuscirei a mettere insieme una
frase di senso compiuto, e non sarei capace di fornirgli spiegazioni
soddisfacenti. Lui non mi guarda e annuisce, ed è
sconcertante l’impulso che provo di fargli
almeno una carezza per farlo sentire meglio, per fargli capire che ci
tengo e non voglio vederlo così, ma poi mi rendo conto che
se lo facessi sembrerei davvero una stupida. Meglio che me ne vada.
Meglio che mi sbrighi a riflettere su questa cosa. Se non capisco in
fretta cosa mi sta succedendo, giuro che impazzisco.
It’s
not what you thought
When
you first began it.
You
got what you want,
Now
you can hardly stand it through.
(Aimee Mann, Wise
Up)
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Capitolo 10 *** Colloportus ***
Capitolo 10
Capitolo
10 - Colloportus
“Ti
piaccio perché sono una canaglia. Non ci sono canaglie nella
tua vita”.
(George
Lucas, Star Wars
– The Empire Strikes Back)
10
settembre 1977
Devo riconoscere che
forse questa è davvero la prima volta nella mia vita in cui
mi rendo conto di non sapere assolutamente che
cosa fare. Non nel senso che mi ritrovo a scartare mentalmente varie
ipotesi perché non le ritengo accettabili una volta
sottoposte
ad un attento esame riflessivo, ma che sono proprio in preda ad un
completo vuoto mentale.
Sono bastati pochi
minuti, durante
i quali sono rimasto fermo nella stessa posizione senza muovere un solo
muscolo, per far sì che cominciassi a domandarmi se ho
davvero
vissuto quel momento. Cerchiamo di vedere la situazione in
un’ottica razionale: non può essere successo
veramente. Io
e lei avevamo appena finito di urlarci contro. Avevo fatto di tutto per
evitarla. Circa un anno e mezzo fa, lei aveva dichiarato che avrebbe
preferito una Piovra Gigante a me.
Ora basta, devo andare
dagli altri.
Attraverso i corridoi
deserti con
un’aria da spiritato che potrebbe benissimo farmi scambiare
per
un fantasma, riesco a malapena a sussurrare con voce roca Schiopodo Sparacoda di
fronte alla Signora Grassa – che non manca di consigliarmi
premurosamente di prepararmi una pozione per il mal di gola –
e
finalmente raggiungo la sala comune, dove Sirius, Remus e Peter,
tranquillamente accomodati sul divano, sollevano la testa
all’unisono dalla Mappa del Malandrino e mi scrutano con aria
perplessa.
“Perché
sei rimasto fermo per dieci minuti nella zona della Strega
Orba?”
“E
perché il puntino nero della Evans era pericolosamente
vicino al tuo, prima di quei dieci minuti?”
Le parole non mi
escono dalla gola.
Tutto quello che riesco a fare è sorridere nervosamente,
reagendo nel modo più stupido e insensato possibile, quindi
raggiungere una poltrona e sedermici sopra a peso morto, fissando il
vuoto.
Sento immediatamente
piombarmi
addosso gli sguardi preoccupati e perplessi dei miei amici che, dopo
essersi guardati tra loro a vicenda, come per convenire silenziosamente
sulla mia irrimediabile pazzia, si alzano dal divano e mi si avvicinano
a passi furtivi, come se temessero di spaventarmi con movimenti troppo
bruschi.
“James”,
mi chiama Remus, in tono incerto.
“James
…”
“Prongs
…”
“Chi
è stato a farti
diventare sordo?” urla Sirius, rompendo di colpo la
trepidazione
apprensiva del momento. Deglutisco pesantemente, risoluto a smettere di
comportarmi da idiota e a ritrovare la forza per mettere insieme una
frase sensata.
“Lily”,
bofonchio, gettandomi a peso morto contro lo schienale. Sirius mi
guarda storto.
“La Evans ti
ha fatto
diventare sordo? Beh, c’è da dire che diventa
sempre
più simpatica ogni giorno che passa …”
“Sirius, se
James ti ha risposto significa che non
è sordo”, osserva Remus, sfoggiando la sua
perplessità in quel suo tipico sopracciglio inarcato. Sirius
lo
squadra con un’occhiata minacciosa.
“Sei
l’unico qui dentro
che non ha colto il tono ironico del mio commento, signor
Sapientino”, ribatte, seccamente.
“Non
…”
I miei amici mi stanno
mettendo
addosso ancora più ansia di quanta già io non ne
abbia in
corpo, e improvvisamente sento di avere soltanto bisogno
d’aria.
“Andiamo
via”,
sentenzio, poi mi alzo e afferro Sirius per una manica, mi accerto che
Remus e Peter mi seguano, mi dirigo verso il buco del ritratto e li
guido verso l’ingresso del passaggio segreto che porta alla
Stamberga Strillante. Facciamo tutta la strada in silenzio,
finché l’aria fredda della sera non mi sferza la
faccia
una volta usciti dall’ingresso del Platano Picchiatore. Mi
dirigo
a passi rapidi verso il limitare della Foresta Proibita, stringendomi
nel mantello per ripararmi dal vento.
“Che sta
succedendo?”
mi chiede Remus, con gentilezza, posandomi una mano sulla spalla. Io lo
guardo con aria smarrita, non riuscendo a fare altro.
“Io
… non lo so. Giuro
che non capisco. Non c’è una spiegazione logica,
non ci
può essere …”
“Saresti
così gentile da informarci? Altrimenti, puoi scordarti che
capiamo a che cosa tu ti stia riferendo”.
Ricambio con
incertezza lo sguardo
di Sirius, poi cerco di infondermi un minimo di coraggio per mettere
insieme una frase di senso compiuto.
“Beh, ecco,
diciamo che Lily mi ha …”
“Ti ha
violentato?”
“SIRIUS!”
“Guardalo,
è sconvolto! Mi sembra l’unica causa
possibile!”
“Rendi la
cosa un po’ meno drastica”, dico debolmente al mio
migliore amico. Lui mi guarda con aria dubbiosa.
“Ti
è saltata addosso, allora”.
Annuisco appena,
sentendomi opprimere dall’imbarazzo.
“Più
o meno”.
Alzo lo sguardo, e
noto che i miei
tre amici mi stanno fissando con gli occhi fuori dalle orbite e privi
di qualsiasi riguardo nei miei confronti, come se non avessero colto il
mio disagio già piuttosto consistente.
“Fammi
capire … ti
è saltata addosso in questo modo?” mi chiede
Sirius
avvinghiandosi di colpo a Remus, come se si fosse trasformato nella
reincarnazione della Piovra Gigante. Io li osservo con aria critica,
passando dallo sguardo interrogativo di Sirius
all’espressione
allibita di Remus, fino a quella meravigliata di Peter.
“Uhm
… è stata
una cosa leggermente più violenta”, rispondo,
mentre Moony
si gira verso Pads e, constatando che la sua faccia si trova a pochi
centimetri di distanza, se lo scrolla di dosso con disinvoltura.
Non faccio nemmeno in
tempo ad
aprire la bocca per aggiungere qualcosa che smorzi la tensione, prima
che Sirius guardi Remus con aria minacciosa, poi si giri verso Peter e
scoppi fragorosamente a ridere, coinvolgendo anche gli altri due nella
sua esplosione di ilarità.
“Non posso
crederci, la Evans
che ti salta addosso! Amico, dovevi chiamarmi, non posso essermi perso
una scena simile!” esclama Sirius. Io storco la bocca, senza
proferire una sola parola. Mi limito ad osservarli ostentando tutto il
mio disappunto mentre loro quasi si rotolano a terra dalle risate, in
preda a violente crisi convulsive. Peter ridacchia in
tonalità
acutissime, Sirius sta latrando indecentemente, Remus si preme le mani
sullo stomaco. Non posso crederci, mi stanno deridendo apertamente nel
momento in cui io avrei maggiormente bisogno del loro sostegno.
“Scusami,
Prongs
…” mi dice Moony che, preso da un vago senso di
colpa,
sembra aver cominciato a porsi un freno. “Mi spieghi come
è potuto succedere? Lily doveva essere a Hogsmeade
…”
“Infatti, ma
evidentemente era appena tornata. Mi ha detto che non mi aveva visto
là”.
Il mio amico si lascia
sfuggire un sorriso strano, quasi malizioso, il che non è
assolutamente da lui.
“Ci siamo
incontrati per
caso, lei era in giro a pattugliare i corridoi”, mi affretto
a
spiegargli, per chiarire ogni suo dubbio. “Sai
com’è
fatta, non si dimentica mai di fare il suo dovere”.
Mentre gli altri due
continuano a
burlarsi di me, battendosi pacche sulle spalle a vicenda con le lacrime
agli occhi, Remus si ricompone tentando di riacquistare il suo contegno
abituale e di prestarmi un minimo di doverosa attenzione.
“Ci sono
stati dei segnali
che ti permettono di spiegarti un simile comportamento da parte di
Lily?” mi chiede, rinnovando il suo tono compunto e
professionale. Io scrollo le spalle, con aria scettica.
“Beh, prima
che provassi a
baciarla io e che litigassimo furiosamente mi aveva detto che in certi
momenti riuscivo anche a farle dimenticare quanto io possa essere
insopportabile … che poi, accidenti, ti sembra che sia un
complimento serio?!”
“Quella non
sa che cosa siano
i complimenti, il suo repertorio di espressioni comprende soltanto una
vastissima gamma di insulti”, commenta Sirius,
improvvisamente
ripresosi dalla sua crisi isterica. Remus gli getta
un’occhiata
dubbiosa.
“James,
considera che Lily tende a non dire in modo diretto quello che pensa,
soprattutto quando si tratta di te, per cui un
simile giro di parole da parte sua è più che
interpretabile come un complimento, credimi”.
“Ah,
andiamo, non le
costerebbe niente imparare ad esprimersi come un normale essere umano,
ogni tanto”, sbotta Sirius, con il suo solito tono
insofferente.
“Lo dici
soltanto
perché non sei capace di entrare nell’ottica di
un’altra persona che non sia tu”.
“Remus,
piantala, tu con le donne non ci sai fare”.
“Ragazzi,
non credo che possiamo essere d’aiuto a James, se ci mettiamo
a litigare …”
Sbuffo sonoramente,
voltandomi a
fissare il vuoto. Non è proprio possibile instaurare una
discussione costruttiva con tutti i miei amici messi assieme. Presi
singolarmente forse possono anche riuscire a produrre qualche perla di
saggezza particolarmente adatta all’occasione, ma in mezzo ad
una
simile confusione non posso nutrire nessuna speranza di ricavarci
qualcosa di buono.
“Beh,
Prongs, ormai è fatta. Ci sei riuscito. Hai irretito Lily
Evans, dobbiamo assolutamente festeggiare”.
“Fossi in te
frenerei il tuo entusiasmo, Padfoot”.
“Perché,
c’è qualcosa che non va?” mi chiede
Peter, ansioso.
Io mi stringo nelle spalle, accorgendomi di quanto mi stia bruciando
dover ammettere che quanto è successo non ha niente di
paradisiaco.
“Quando
… beh, quando
la cosa ha avuto fine, lei è … se
n’è andata
con aria decisamente sconvolta, il che significa che a
quest’ora
se ne sarà già pentita”.
I miei amici ora mi
guardano senza
fiatare. C’è comprensione nei loro occhi,
perché
sanno come mi sento, lo sanno fin troppo bene ormai. Sono sei anni che
riempio loro la testa con le mie montagne di paranoie e vane speranze,
e in ogni situazione in cui potrei assumere un atteggiamento quantomeno
ottimista riesco sempre a tirare fuori l’aspetto
più
negativo che possa contribuire al mio malumore incondizionato.
“Senti,
Prongs, non ci
pensare adesso. Vedrai che si sistemerà tutto”, mi
dice
Sirius, con una sorta di tenerezza che non gli ho mai sentito usare con
nessuno in vita mia. Sento finalmente che posso permettermi di
prenderla alla leggera, e di non logorarmi l’anima in maniera
eccessiva senza alcuno scopo.
“E va bene.
Statemi a
sentire, ora però pretendo dei seri festeggiamenti in mio
onore.
Con tutto il cerimoniale. Dovrete darvi da fare per soddisfarmi, e
domani mattina voglio essere trasportato in trionfo per tutta la Sala
Grande … il mio bellissimo fondoschiena non dovrà
toccare
terra nemmeno per un istante”.
Ormai, anche volendo,
mi
risulterebbe impossibile abbandonarmi al mio dolore senza speranza: ho
riacquistato di colpo la mia abituale propensione a fare lo scemo, e
questo particolare mi preclude qualsiasi traccia di tristezza anche
solo nel mio tono di voce. Non per niente, abbiamo trascorso diverse
ore della notte a far ammattire Gazza, nascosti sotto il Mantello
dell’Invisibilità, obbligandolo a correre da una
parte
all’altra del castello, abbiamo dovuto minacciare la Signora
Grassa di mandarle a fuoco il quadro per costringerla a farci rientrare
nella Torre di Grifondoro, e per il resto della notte ci siamo sfidati
a non addormentarci per primi, ma considerato che ho vergognosamente
perso nutro il forte sospetto che Sirius mi abbia lanciato un
incantesimo di nascosto.
12
settembre 1977
È un mogio
e sordido
lunedì sera, io sono stravaccato su una poltrona cigolante
con
le gambe che quasi bloccano il passaggio e senza nutrire il
benché minimo proposito di spostarmi da quella posizione,
quando
una fastidiosa ventata causata dal passaggio rapido di una persona al
mio fianco mi desta improvvisamente dal torpore; il secondo dopo, mi
sento afferrare bruscamente per un braccio e sollevare in piedi, e
sotto gli sguardi sbalorditi di Sirius, Remus e Peter una ragazzina
violenta dai capelli rossi mi trascina verso il buco del ritratto senza
dire una sola parola, rischiando più volte di farmi
inciampare
nel tappeto.
“Che diavolo
succede,
Evans?” sbotto, mentre il ritratto ci lascia campo libero per
uscire dalla sala comune. Lei si volta di scatto verso di me,
fulminandomi con aria truce.
“Ti sei
già
dimenticato tutto di quello che ha detto la McGranitt alla riunione di
ieri, o conservi ancora un briciolo di memoria per ricordarti che dalle
nove alle dieci dobbiamo pattugliare i corridoi?”
Mi sento cadere le
braccia a peso
morto lungo i fianchi, rendendomi improvvisamente conto che il
comportamento di Lily ha un senso. Ieri sera, mentre le stavo di fianco
sentendomi totalmente fuori posto e terribilmente frustrato
perché fra di noi sembrava essere scesa una cappa di
silenzio e
formalità incredibilmente spessa, avevo ascoltato la
McGranitt
soltanto in maniera distratta, e le sue affermazioni mi erano, in tutta
sincerità, entrate da un orecchio e uscite
dall’altro.
Non è colpa
mia se c’erano ben altri problemi che mi angustiavano, in
quel momento.
Purtroppo per me,
però,
conservo ancora una vaga reminiscenza dei suoi lunghi discorsi, che in
sintesi comprendevano il fatto che la situazione nel mondo magico si
stesse decisamente aggravando, che non si poteva stabilire quanto
ciascuno di noi si trovasse in pericolo anche se protetto dalle mura di
Hogwarts, e che pertanto ai Capiscuola e ai Prefetti era stato
assegnato il compito di intensificare le ronde serali con frequenza
quotidiana, per cercare di garantire un minimo di sicurezza agli
studenti della scuola.
Questo, comunque, non
implica che
mi aspettassi di vedermi piombare la Evans di fronte e di essere
trascinato via da lei per starle ulteriormente a contatto. Considerato
che durante la giornata precedente mi aveva a stento rivolto la parola,
e nei momenti in cui l’aveva fatto si era dimostrata
impeccabilmente formale e distaccata, non era proprio il mio
più
grande desiderio vedermi costringere da lei stessa ad affrontare
un’ora intera di silenzio imbarazzante.
Ma dopo quindici
minuti di questa
situazione mi accorgo di essermi già rotto le scatole e,
considerato che tanto ormai non ho più niente da perdere
né in dignità né in orgoglio maschile,
decido di
seguire il suo esempio e passare all’azione diretta, motivo
per
cui con un gesto rapido e inaspettato la spingo dentro
un’aula
vuota e mi chiudo la porta alle spalle, voltandomi finalmente pronto a
fronteggiare la sua ira.
“Che cosa
diavolo staresti facendo?”
“Sto
cercando di ottenere un
po’ di privacy per noi due, perché è
evidente che
ne abbiamo bisogno”.
Trascorro diversi
secondi ad
osservare il suo sguardo confuso d’ira e
d’imbarazzo prima
di rendermi conto dell’ambiguità della frase che
ho appena
pronunciato, e darmi da fare di conseguenza per tentare di correggere
il tiro.
“Per
parlare, ovviamente”, mi affretto ad aggiungere, cercando di
conferirmi un tono neutrale.
“E tu sei
davvero convinto che per farmi aprire bocca ci sia bisogno di
rinchiudermi in un’aula?”
“Sì,
perché
altrimenti avresti continuato ad ignorarmi come hai fatto ieri, e io
non avrei saputo come smuoverti riuscendo contemporaneamente a non
farti irritare …”
“E prima di
approvare
mentalmente questo piano geniale che hai appena messo in atto, non hai
pensato che forse una soluzione di questo genere mi avrebbe fatto
irritare ancora di più?”
“Io
… in realtà
l’ho fatto senza pensarci, quindi puoi pure mettere da parte
i
tuoi subdoli giochetti di parole”.
Lei con un gesto
rapido si siede su un banco e poi mi guarda con aria imbronciata,
incrociando le braccia sul petto.
“E poi io
non ti ho ignorato, è che molto semplicemente
…”
“…
non sono il centro dell’universo, sì, lo
so”.
Il suo sguardo ora
è di puro rimprovero.
“A dire la
verità,
quello che intendevo era che mi serviva un po’ di tempo prima
di
poter affrontare l’argomento, ma tu come al solito hai
provveduto
ad offenderti brillantemente da solo. È mai possibile che
qualunque cosa tu dica finisca sempre per farmi uscire dai
gangheri?!”
Mi strofino la nuca
con una mano, sentendomi improvvisamente a disagio.
“Beh,
potresti apprezzare
almeno l’originalità della mia unica
dote”, le
rispondo, tornando a sfoggiare il mio lieve sarcasmo insicuro che mi ha
reso ormai completamente vulnerabile di fronte a lei. Lily nel
frattempo si è messa le mani nei capelli, chinando il volto
verso il basso, sulle ginocchia.
“Una volta
tanto potresti
anche darmi pace ed evitare di replicare”, mormora, con un
filo
di voce. Io mi sento incredibilmente a disagio. Per
l’ennesima
volta, le sue reazioni mi stanno sconvolgendo la psiche lasciandomi del
tutto spiazzato, dato che a tutto avevo pensato meno che a questo. Le
mie fantasiose elucubrazioni mi avevano portato alla conclusione che,
probabilmente, avrebbe fatto di tutto per negare quanto era successo,
oppure che, nel caso l’imbarazzo avesse finito per prevalere
sull’orgoglio, mi avrebbe evitato finché io avessi
deciso
di rispettare il suo silenzio; dopodiché, mi avrebbe chiesto
in
tono contrito di rimanere soltanto amici, perché quello
dell’altra sera non era stato altro che uno stupido sbaglio
– chi di noi due l’avesse commesso, ovviamente, non
sarebbe
mai stato chiarito. E invece stiamo soltanto litigando come al solito,
come facciamo sempre, senza di fatto dirci nulla di concreto. A questo
punto, posso anche tentare il tutto per tutto.
“Senti,
dimmelo chiaramente,
io ti piaccio? Perché …” - forse dovrei
rendermi un
po’ meno drastico - “… beh,
sì, ammetto di
essere decisamente fascinoso, ma …” - okay, forse
dovrei
anche imparare a contenere la mia inadeguata tendenza
all’ironia
gratuita, se ci tengo a non rimanere fulminato dalle sue occhiate
assassine - “Non guardarmi così, per favore.
Andiamo, non
hai il minimo senso dell’umorismo”.
“Mi duole
contraddirti,
Potter, ma io il senso dell’umorismo ce l’ho
eccome, sei tu
che sembri essere particolarmente propenso a fare lo scemo nelle
situazioni più inopportune!”
“Non mi
piace sentirmi in imbarazzo, vuoi farmene una colpa? Puoi anche
fustigarmi, se ci tieni!”
Lei sembra quasi
arrossire, confusa, prima di ricominciare ad urlarmi contro.
“Non ho
nessuna intenzione di fustigarti!”
“Grazie, lo
considererò come una dimostrazione della tua
magnanimità nei miei confronti”.
“Prego, per
una volta hai colto nel segno”.
Il suo tono
pesantemente sarcastico
questa volta sembra aver assunto il tipico suono di chi l’ha
presa sul personale, cosa che non può fare a meno di
generare la
mia occhiata confusa e perplessa.
“Che
significa?”
“Lascia
perdere”.
Perfetto, lascio
perdere. Affondo
le mani nelle tasche, appoggiandomi con un fianco al bordo del banco
alla mia sinistra. La guardo, e per un attimo non mi sento
più
arrabbiato, deluso o frustrato, soltanto incredibilmente serio.
“Sapevi di
cioccolato”,
le dico. Lei arrossisce di colpo, violentemente, spalancando gli occhi
di fronte alla mia sfacciataggine.
“Questo che
cosa
c’entra con tutto il resto?!” esclama,
indispettita. Io
scrollo le spalle, allargando le braccia.
“Lo vedi?
Nemmeno a te piace sentirti in imbarazzo”.
“Hai
ragione, in questo momento mi piacerebbe torcerti il collo!”
“Mi
sorgerebbe spontaneo
chiederti se sei sempre così violenta in tutto quello che
fai,
ma ho già sperimentato a mie spese che è davvero
così”.
Stavolta
l’ho davvero sparata grossa. E, come al solito, me ne rendo
conto solamente all’ultimo minuto.
Ma lei non sembra
arrabbiata, solo
incredula. Per poco non le scappa da ridere, a un certo punto. Poi mi
guarda dritto negli occhi, le labbra lievemente dischiuse –
ancora non riesco a crederci che l’ho davvero baciata, e se
il
mio cervello assimila le esperienze con una simile lentezza
chissà quando potrò sperare di realizzarlo
pienamente.
“Tu
… sei
semplicemente assurdo. Invece di … rinchiudermi qui dentro a
forza, avresti potuto ricattarmi in modo subdolo, o andare in giro a
vantartene … del resto, è quello che sai fare
meglio,
no?”
Non capisco
assolutamente dove
voglia andare a parare. Mi rendo conto che potrei scegliere di
prendermela a male, ma per qualche strana e incomprensibile ragione
decido di non farlo e le sorrido in modo caustico.
“E tu
avresti potuto
continuare ad ignorarmi o ricominciare a trattarmi male …
del
resto, è quello che sai fare meglio”.
Anche lei si lascia
sfuggire un debole sorriso, prima di tornare a guardarmi.
“Ti
ringrazio, io ti ho almeno lasciato la possibilità di
replicare”.
“Non ti
offendere, Evans, non
baci male, ma come mi offendi tu, non l’ha mai fatto
né lo
farà nessuno”.
Non so spiegare
perché mi fa
questo effetto. In fondo, lei non è una ragazzina ingenua
che
pende dalle mie labbra e cade in estasi per ogni mia velata allusione,
anzi, nella maggior parte dei casi reagisce a questi miei
pseudo-tentativi di addolcire la conversazione con distacco e
sufficienza – se non con sferzante sarcasmo –, ma
c’è quella piccola percentuale di occasioni in cui
mi sono
visto rivolgere un mezzo sorriso quasi gentile e ho smesso per un
attimo di sentirmi un fallito.
Questa è
una di quelle occasioni.
“Ad ogni
modo … non
hai ancora risposto alla mia domanda”, le faccio notare,
facendo
un paio di passi in avanti e appoggiandomi blandamente alla cattedra,
ostentando un atteggiamento tranquillo e sicuro di me. In
realtà
sono terrorizzato. Ho paura che, continuando ad insistere nel volerla
forzare a rendere esplicito qualcosa di cui lei probabilmente si
vergogna, finirò soltanto per farla ulteriormente irritare.
Ma a me servono delle
dannate risposte e in un modo o nell’altro devo riuscire ad
estorcergliele.
Per qualche secondo
lei mi guarda diritto negli occhi, cercando di contenere al massimo
l’imbarazzo.
“Tu quale
pensi che sia la
risposta?” mi chiede, ostentando una semplicità
che non ha
pari. Eh no, così non vale.
“Che diavolo
vuol dire? Se
dico di sì, allora mi reputerai troppo sicuro di me e di
conseguenza penserai che sia necessario punire la mia vanità
e
la mia arroganza con la tua negazione, mentre se dico di no
suonerò soltanto come il falso modesto che subdolamente
aspira
ad essere confortato da una risposta positiva cercando di farti
pietà, cosa che tu non saresti disposta a concedermi neanche
sotto tortura”.
Lei rimane a fissare
obliquamente
un punto imprecisato sul pavimento. Maledetta sadica. Scommetto che in
realtà si sta divertendo, a farmi dannare così.
“E va bene,
senti, cerchiamo
di chiarire questa situazione una volta per tutte, perché
per
farlo non ho intenzione di rivolgermi al Wizengamot. Se ci hai
riflettuto abbastanza e hai intenzione di dirmi che di me non ne vuoi
sapere …”
“Ma tu non
ritenevi impossibile che qualcuno non cedesse al tuo fascino
indiscusso?”
La guardo con aria
titubante,
sentendomi improvvisamente spogliato di tutte le mie maschere
così abilmente costruite nel corso degli anni.
“Beh, sai,
è sempre
meglio concedersi il beneficio del dubbio”, balbetto.
Improvvisamente osservo sbalordito le sue labbra incurvarsi in un
sorriso, un sorriso aperto, vero, senza veli, che non ha niente di
ironico o di amaro, e le fa brillare gli occhi di una luce che non ho
mai visto.
“Mi duole
ammetterlo, ma in
effetti, prima che ti venisse la brillante idea di rinchiudermi qui
dentro, nutrivo ancora il sospetto che tu potessi esserti montato la
testa di nuovo”.
Sogghigno lievemente,
annuendo tra
me. Devo concederle che anch’io sono riuscito a sorprendermi
parecchio della mia reazione. Fosse successa la stessa cosa qualche
anno fa, penso che avrei finito per appendere striscioni commemorativi
in tutta Hogwarts.
Ma ormai non sono
più quel
bambino con la testa fra le nuvole, incline all’esaltazione
ingiustificata e all’ottimismo tipico delle persone
infantili.
Per quanto possa risultare paradossale, considerato che mi sono evoluto
in senso diametralmente opposto, forse il risultato di questo mio
cambiamento ha finito per giovarmi, tutto sommato.
“A questo
punto, potresti
anche ammettere che ti piaccio”, le dico, in tono malizioso,
staccandomi dal bordo della cattedra e avvicinandomi lentamente a lei.
La osservo compiaciuto restituirmi uno sguardo piuttosto turbato e
confuso, mentre si stringe nelle sue stesse braccia con
l’aria di
voler rimpicciolire.
“Non credo
che ti darò
mai questa soddisfazione”, mi risponde, con un filo di voce,
squadrandomi da sotto in su. Il mio sorriso si allarga, poi faccio
ancora un passo avanti e le prendo una mano con un gesto deciso.
“Andiamo”,
le dico. Lei mi guarda interdetta, corrugando la fronte.
“Andiamo
dove?”
Io mi crogiolo un
attimo nel mio silenzio criptico, poi mi decido a farle la grande
rivelazione.
“Andiamo di
corsa alla Torre
di Grifondoro, perché sono già le dieci e la
nostra ronda
serale avrebbe dovuto essersi appena conclusa”.
Sono davvero bravo a
riportare la gente con i piedi per terra nei momenti di maggiore
tensione idilliaca, mi tocca ammetterlo.
Lily stringe
convulsamente la mia mano e salta giù dal tavolo.
“Avresti
almeno potuto avvisarmi con cinque minuti di anticipo, siamo
dall’altra parte del castello!”
“E
rinunciare a sentire i tuoi complimenti velati? Perdonami, ma non ci
sarei mai riuscito!”
Ridendo di gusto,
vengo trascinato
con foga da Lily attraverso i corridoi della scuola, su per le
scalinate, senza che lei mi permetta di fermarmi un minuto a riprendere
fiato.
Quando arriviamo al
buco del
ritratto, i sorrisetti ammiccanti della Signora Grassa al nostro
indirizzo ricevono in tutta risposta le peggiori occhiate assassine di
cui Lily Evans possa essere capace.
“È
assurdo, avremmo
dovuto collaborare alla sicurezza della nostra scuola invece di
restarcene lì a discutere”, borbotta, sfoggiando
il suo
caratteristico e immancabile senso del dovere. Di sicuro non penso di
offendermi, so perfettamente che non potrei mai pretendere di sentirmi
dire cose del tipo “Sono
stata davvero bene con te stasera, James”,
o “È stata
davvero una grande fortuna essere nominati Capiscuola insieme, non
trovi?”.
Queste sono soltanto le tipiche frasi che potrebbero uscire di bocca a
una qualsiasi ragazza che non si chiami Lily Evans, ma il punto
è che io sono innamorato proprio di lei.
“Rilassati e
va’ a
dormire, riesco a sentire Sirius che russa fino da quaggiù,
e se
è nella sua stanza a dormire vuol dire che non è
scoppiato nessun incendio a causa della nostra negligenza …
in
caso contrario la McGranitt avrebbe già fatto evacuare ogni
angolo di Hogwarts, perfino i passaggi segreti”.
“Ci sono dei
passaggi segreti nella scuola?”
Sbianco, desiderando
di poter avere
in mano una vanga per sotterrarmi. In tutti questi anni di
attività clandestine speravo di aver almeno imparato a
tenere la
bocca chiusa, e invece risulta evidente che così non
è
… Sirius mi ucciderà, stavolta non posso
augurarmi di
farla franca.
Ma Lily sorride della
mia espressione terrorizzata, e fortunatamente decide di non indagare
oltre.
“Ho capito,
lascia perdere. Vattene a letto, e cerca di non avere incubi”.
Io guardo per terra
con aria imbarazzata, sentendomi avvampare.
“Grazie”,
mormoro, evitando di incontrare il suo sguardo. Meno male che ha deciso
di farmela passare liscia.
Improvvisamente mi
sento sollevare
il mento con un gesto che riesce quasi a non essere brusco, poi lei mi
si avvicina e mi posa un lieve e breve bacio a fior di labbra.
Io rimango
lì fermo,
completamente inebetito, finché lei non mi dà una
spintarella per convincermi a muovere le gambe.
“Ti ho detto
di andartene a letto, Potter”.
Inizio a risalire le
scale,
trascinandomi verso il mio dormitorio. Mi volto solo un attimo per
augurarle rapidamente la buonanotte con appena un filo di voce,
dopodiché vengo preso dall’imbarazzo
più folle e mi
precipito dentro la mia stanza, non prima di aver ingaggiato una lotta
feroce con la maniglia che non ne voleva sapere di aprirsi.
Perché
niente va mai come ti aspettavi, questa è una prassi che non
manca mai di riconfermarsi.
***
11
settembre 1977
“Wow. Wow,
wow,
wow. Guarda un po’ chi c’è. Sta
arrivando
l’uomo capace di scatenare la bestia che è in te
…”
“Smettila
immediatamente, se non vuoi che faccia un uso improprio del mio
coltello”.
“Okay”.
Getto
un’occhiataccia coi
fiocchi a Margaret, tentando di assicurarmi che abbia adeguatamente
recepito il messaggio. L’alta quantità di teina
che ho
ingurgitato durante la colazione probabilmente mi ha innervosita, ma ci
tengo a preservare quel poco di dignità che mi resta.
“Comunque,
pensavo che
potresti farci una replica della scena … sai, giusto
perché io mi possa rendere conto di che cosa si prova a
vivere
in una specie di mondo alla rovescia”.
Sbriciolo il biscotto
che avevo
appena pescato dal vassoio senza alcuna pietà, ignorando i
miei
retti principi riguardo al non sprecare il cibo. Non oso alzare lo
sguardo verso James; mi limito a tenerlo sotto controllo con la coda
dell’occhio. Sono sicura che se lo fissassi ora potrei morire
d’infarto, o di vergogna, o essere travolta dalla perversa
euforia della mia vicina, qui, che teoricamente dovrebbe anche essere
mia amica, e di conseguenza sforzarsi di evitare che io mi senta ancor
più in imbarazzo per colpa sua.
C’è
Sirius Black che si
è seduto vicino a Delia e ha cominciato ad ammiccare dandole
di
gomito guardando nella mia direzione, o almeno così mi
è
sembrato. Delia si è sforzata di dargli dello scemo e di
cambiare discorso concentrandosi sul suo tema di Erbologia pieno di
macchie di tè, ma conosco Delia e so quanto poco siano
efficaci
i suoi sforzi di farmi credere che non le interessi affatto rivolgere
la parola a Sirius. Ha sempre tentato di negare, ma da quando
l’ho beccata a fissarlo spudoratamente con aria imbambolata
durante i G.U.F.O. di Difesa non c’è
più stata
scusa che reggesse.
Ad ogni modo, tutto
ciò
è davvero grandioso. Ora si metteranno a spettegolare
riguardo a
quello che è successo ieri e io comincerò a
desiderare di
poter fuggire a scavarmi una fossa al limitare della Foresta Proibita;
dopodiché, dovrò ricordarmi che sono Caposcuola e
che la
McGranitt si metterebbe le mani nei capelli se io mi seppellissi viva e
lasciassi soltanto Potter a prendersi cura di Hogwarts.
Ecco, dannazione. Lo
sto rifacendo.
Mi sto facendo trascinare nel baratro dei miei ragionamenti privi di un
vero senso logico, mentre in realtà per il momento vorrei
non
pensare a niente.
Questo non è
il momento
adatto per riflettere. Sono stressata, emotivamente confusa, non ho
dormito se non per un paio d’ore in cui la spossatezza fisica
e
psicologica l’ha avuta vinta su di me, ho una riunione questa
sera alle nove e ho una relazione di Pozioni da iniziare.
Okay, potrei cominciare
da stamattina, ma durante la colazione mi risulterebbe impossibile
isolarmi dal resto del mondo.
“Come
stai?”
Mi volto di scatto,
colta alla sprovvista, e per poco la fetta di pane con la marmellata
non mi finisce diritta nel tè.
“Oh
– parli con me?” dico a Helen, tentando di
recuperare la padronanza di me stessa.
“No, hai
ragione, in
realtà stavo cercando di parlare con quella che
cade-in-trance-appena-apre-un-libro”, ribatte lei, mentre
Mary,
seduta di fronte, le allunga un calcio sotto il tavolo. Io mi passo le
mani fra i capelli e sospiro, chinandomi sulla mia tazza fumante con
aria disperata.
“Sto
diventando stupida.
Davvero. Ci dev’essere qualcosa che non va in me, devo aver
bevuto decisamente troppa Burrobirra l’altro giorno, ai Tre
Manici di Scopa”, esalo, a fatica, chiedendomi dove sia
finita
tutta la mia inesauribile prontezza di spirito. Mi sento come svuotata,
a malapena riesco a reggermi in piedi.
“Penso che
dovresti tornare a dormire. Lascia perdere il tricheco”.
“Oh, non
tentarmi. Non ho assolutamente voglia di pensare a Pozioni, in questo
momento, ma …”
“Lily, sul
serio, lascia
stare. Puoi anche raccontargli che hai scoperto il nuovo antidoto
contro il morso dell’Acromantula, lui ti crederebbe e ti
lascerebbe in pace per il resto della vita”.
Soffio sulla mia tazza,
a corto di
parole, concentrandomi sulle pieghe della tovaglia. Effettivamente sono
distrutta, e per riuscire a pensare con un po’ di metodo e
razionalità avrei bisogno di essere più riposata.
Ma so
di non avere sonno, nonostante la stanchezza, perché ormai
la
luce di questa assolata domenica mattina mi ha invaso le palpebre, e la
seconda tazza di tè che sto trangugiando mi farà
stare
sull’attenti per almeno cinque o sei ore. Godric, che
situazione
impossibile.
“Credo che
andrò a fare
una passeggiata fuori”, annuncio quindi, optando per
l’unica soluzione ragionevole. Helen annuisce e mi batte
amichevolmente una mano sulla spalla; per quanto possa sembrare poco
affettuoso, so che questo è il suo modo per dirmi che ci
tiene a
me.
Alzarmi da sola da
tavola è
piuttosto imbarazzante, mi sembra di avere gli occhi di tutti puntati
addosso. Di solito ignoro queste mie fisime senza alcuna
difficoltà, ma il pensiero di poter essere oggetto di
qualche
stupido pettegolezzo mi manda il cervello in fiamme. Questa
è
una faccenda che riguarda solo me e Potter, che diamine, nessuno ha il
diritto di sbandierarla ai quattro venti e di discuterne pigramente
come se avesse appena letto la notizia sulla Gazzetta del Profeta.
Che cavolo. Mi sto
lasciando
prendere dall’isteria, ed è davvero meglio per
tutti se mi
allontano, ma ormai mi sembra chiaro che non posso pretendere la grazia
di un’improvvisa illuminazione per capire che diamine mi
è
successo.
Insomma, non ho
ragionato, non ci ho
riflettuto sopra a sufficienza, a mente lucida non avrei mai potuto far
precipitare le cose in quel modo, compromettendomi così
apertamente quando nemmeno avevo ancora realizzato di provare qualcosa
per lui …
Un momento, cerchiamo
di fare ordine.
Forse qualcosa
nell’aria
già c’era: l’atmosfera era cambiata, mi
faceva
persino piacere passare del tempo da sola con lui.
Eppure sembrava tutto
così
normale. Non mi stavo nascondendo dietro una cortesia di convenienza,
non mi ero ammorbidita nei suoi confronti senza un motivo sensato,
stavo soltanto lasciando che le cose seguissero il loro corso senza
più ostinarmi a trovare una falla nella sua avvenuta
maturazione. Non stavo mentendo a me stessa. Nonostante ciò,
qualcosa deve essermi sfuggito.
Se ci penso, mi sento
male. E
sì che ho sempre creduto di non essere una persona ottusa
… come ho fatto a non notare una cosa del genere? Come ho
potuto
iniziare a provare qualcosa soltanto in modo inconscio e non rendermene
conto?
Fuori si sta bene. Non
fa ancora
freddo, nemmeno c’è bisogno del mantello. Sono
uscita dal
cortile secondario, lasciandomi alle spalle i portici ogivali e la
quercia che ombreggia il prato. Ho voglia di camminare.
In cinque minuti
raggiungo le sponde
erbose del lago. Incredibile, in giro non c’è
quasi
nessuno. Il castello sembra lontano, visto da qui, per quanto riesca
ancora a rispecchiarsi nell’acqua. Per un attimo, mi sento
come
se parte del peso che mi grava addosso si fosse temporaneamente
allontanato.
Vado a sedermi sotto
l’albero. Già, quell’albero.
Al diavolo I G.U.F.O. di Difesa contro le Arti Oscure, non ho voglia di
ricordarlo. Non mi va di rivivere quel momento. Non so più
dire
se ho sbagliato o no, se è per colpa mia che io e Severus
non
siamo più amici, se ho fatto qualcosa di male
perché
Potter provi dei sentimenti forti nei miei confronti che non mi ero
resa conto di ricambiare, non so più niente di niente.
“Lily
…”
Mi volto di scatto,
sentendomi
chiamare. Non avevo udito arrivare nessuno. Ma c’è
Margaret che mi fissa, alle mie spalle, con le maniche del maglione
risvoltate fino al gomito e la frangia che svolazza mossa dal vento,
lasciandole scoperta la fronte.
“Mi dispiace,
tesoro, sono
stata davvero stupida”, mi dice, sedendosi di fianco a me e
mettendomi un braccio intorno alle spalle, con affetto. Io scuoto la
testa.
“Non ti devi
scusare, non mi
hai fatto niente di male”, rispondo, stringendomi un
po’ di
più a lei. Riesce ad essere così dolce, alle
volte.
“No, davvero,
lo so che
è un problema serio”, ribatte, e io per un momento
non
riesco a fare altro che sospirare. È vero, purtroppo.
È
un problema serio.
“Non ho idea
di come abbia
potuto succedere”, mormoro, pronunciando ogni parola con
fatica.
Mi riesce enormemente difficile parlarne ad alta voce, abituata come
sono a non esprimermi e a dominare i sentimenti forti. Non fa per me.
Tutto questo non fa per me.
“L’importante
è
che ora tu ti permetta di essere in crisi”, mi risponde
Margaret,
accarezzandomi i capelli. Io mi giro per guardarla negli occhi,
leggermente sorpresa.
“Che vuoi
dire?”
Lei sorride,
stringendosi nelle spalle.
“Che ti
è concesso non
controllare più la situazione, ogni tanto. È
normale. Se
il tuo rapporto con Potter deve subire una svolta … beh, di
sicuro devi essere tu a deciderlo, ma nessuno ti metterà
fretta”.
Lentamente, annuisco.
Comprendo che
cosa sta cercando di dirmi. Mi conosce bene, ormai, dopo tutti gli anni
passati nello stesso dormitorio.
“Sono
contenta per te, comunque”.
“Meg, lo so
che ci stai male
perché Gregory è andato via e non ho nessuna
intenzione
di monopolizzare l’attenzione di tutti con i miei stupidi
problemi …”
“Smettila di
dire scempiaggini. Fosse stato per te, ti saresti rinchiusa nella
Guferia per tutta la notte”.
“Ad ogni
modo, non c’è nulla per cui essere
contenti”.
Margaret sorride di
nuovo, in quel modo strano.
“Invece
sì. È la
prima volta che prendi tu l’iniziativa. Scelta bizzarra o no,
credimi, per te è una buona cosa”.
12
settembre 1977
Alla fine, neanche a
farlo apposta,
due giorni sono già volati. Mi sono trattenuta a stento dal
mozzare la testa di Sirius e Peter con un netto colpo di mannaia
durante le lezioni di oggi, ma alla fine ho visto che Potter era poco
preso da quel coro di battute maschie e ho deciso di lasciar perdere.
Tanto, figuriamoci se poteva non raccontargli quanto è
successo.
In quel gruppo solamente Remus conosce il significato della
parola discrezione,
ma dopotutto, per quanto possa darmi fastidio, riconosco che in
virtù del loro essere amici è normale che si
confidino
l’uno con l’altro.
Forse avrei anche
potuto cercare di parlarci, con James, se avessi avuto
l’occasione giusta per avvicinarlo.
Ovviamente,
però, l’occasione giusta non è mai
arrivata.
C’è
stata la riunione
indetta dalla McGranitt, ieri pomeriggio, ma non era il momento adatto.
Ci stava parlando di cose serie e importanti, e non mi sembrava giusto
mettermi a chiacchierare. Per di più, avrei dovuto
sbandierare i
fatti miei nelle strette vicinanze di altri sedici ragazzi che con me
non hanno nulla a che vedere. Senza contare che quell’idiota
si
è presentato nell’ufficio della Vicepreside senza
neppure
venire a chiamarmi, e perfino in anticipo rispetto a me. Ero talmente
nervosa e inviperita che, una volta terminato il discorso, sono uscita
quasi di corsa e mi sono rifugiata in Biblioteca a cercare di spremere
qualcosa di utile per la relazione di Pozioni da un grosso libro
polveroso che mi ha fatto starnutire per almeno una decina di volte,
attirandomi addosso l’implacabile ira di Madama Pince. Va
tutto
storto, dannazione, tutto storto.
E oggi, oggi non se ne
parlava
neanche, di avvicinarmi a Potter. Davanti a tutta la classe, per
alimentare le risate dei suoi amici. Se c’è una
cosa a cui
tengo, quella è la mia dignità, strettamente
legata ad
un’assoluta riservatezza per quanto riguarda i fatti miei. E
poi,
lui non ha mosso un dito per venirmi incontro. Lo so, lo so, il dubbio
che si aspettasse una mossa da parte mia mi è sorto, visto
come
l’ho piantato in asso sabato pomeriggio, ma tentare di
comunicargli in maniera non verbale che desideravo parlargli era
davvero pretendere troppo.
Ora, fantasticamente,
sono appena
scoccate le nove di sera. Il che vuol dire che è finalmente
giunta l’occasione che è andata persa per tutto il
giorno,
l’occasione di parlarci e chiarire questa faccenda. Ho una
scusa
grossa come una casa, perciò non c’è
nulla di cui
preoccuparsi.
Uscendo dalla stanza
saluto con
perfetta calma le ragazze, impegnate ad allenarsi
nell’Incanto
Proteus per la lezione di Incantesimi di domani, e una sorta di
rinnovata fiducia in me stessa ritorna a scorrermi nelle vene. Prendere
l’iniziativa, ha detto Margaret. E ha ragione. Mi fa bene
prendere l’iniziativa.
Scendo di sotto, e per
fortuna mi
rendo conto che non dovrò inoltrarmi nei meandri del
dormitorio
maschile per ripescare Potter e trascinarlo via. Lui e i suoi allegri
compagni sono seduti intorno al fuoco con i libri di Artimanzia sulle
ginocchia, e sul momento il signor Cacciatore nemmeno si accorge di me.
Ignoro deliberatamente le tre paia di occhi che si sollevano ad
osservarmi con una buona dose di sconcerto mentre, senza dire una sola
parola, afferro il braccio di James e lo obbligo ad alzarsi dalla
poltrona, riuscendo anche a sfilargli il libro da sotto il naso e ad
appoggiarlo sul tavolino lì di fianco.
Prendere
l’iniziativa mi appaga decisamente.
“Che diavolo
succede,
Evans?” riesce finalmente a sillabare il mio sveglissimo
collega
Caposcuola, mentre la Signora Grassa ci lascia passare dal buco del
ritratto con un’espressione piuttosto perplessa. No, non
riesco a
crederci che se ne sia davvero scordato. Un’occhiataccia se
la
merita tutta.
“Ti sei
già dimenticato
tutto di quello che ha detto la McGranitt alla riunione di ieri, o
conservi ancora un briciolo di memoria per ricordarti che dalle nove
alle dieci dobbiamo pattugliare i corridoi?” gli faccio
presente,
e tutt’a un tratto sembra che una lampadina si sia accesa
nella
sua testa. Mi fissa come se gli avessi appena rivelato il trucco per
scorrazzare fuori dai dormitori a notte fonda senza essere beccato da
Gazza, e io gongolo silenziosamente, per qualche istante.
Poi però ci
avviamo per i corridoi dando avvio alla famigerata ronda, e tutta la
mia sicurezza si svuota di colpo.
Okay, si tratta solo di
aprire la
bocca e parlare. Non sarà difficile, una volta iniziato.
È la prima, maledettissima volta che mi trovo in una
situazione
del genere in vita mia, e mi rendo conto che nemmeno so come iniziare.
O con che cosa iniziare. Per di più lui persiste nel suo
mutismo
più ostinato e non fa neppure un segno
d’incoraggiamento,
al che la mia strada verso la paranoia comincia a spianarsi molto
rapidamente.
Se non fosse che dopo
qualche minuto
mi sento afferrare per un braccio e spingere con ben poca delicatezza
dentro un’aula vuota.
“Che cosa
diavolo staresti facendo?” lo aggredisco.
“Sto cercando
di ottenere un
po’ di privacy per noi due, perché è
evidente che
ne abbiamo bisogno”.
EEH?
Mi sento
improvvisamente avvampare,
al pensiero di che cosa gli stia passando per la testa. Merlino
benedetto. Dubito che Godric Grifondoro, quando stabilì le
caratteristiche della sua casa, per ‘audacia’
intendesse
‘totale mancanza di buonsenso e di decoro’.
“Per parlare,
ovviamente”, aggiunge poi, smentendo l’equivoco.
Beh, non
che questo lo giustifichi maggiormente. Mi ha comunque segregata contro
la mia volontà.
“E tu sei
davvero convinto che
per farmi aprire bocca ci sia bisogno di rinchiudermi in
un’aula?” gli domando, sarcastica. Prima o poi
sarei
esplosa e avrei aperto bocca, lo so.
“Sì,
perché
altrimenti avresti continuato ad ignorarmi come hai fatto ieri, e io
non avrei saputo come smuoverti riuscendo contemporaneamente a non
farti irritare …”
Ieri? Accidenti, ieri
ero in
confusione, avevo bisogno di riflettere, non ero certo nello stato
mentale più adatto per dare retta a lui, e anche se mi fossi
decisa non c’è stata praticamente occasione!
“E prima di
approvare
mentalmente questo piano geniale che hai appena messo in atto, non hai
pensato che forse una soluzione di questo genere mi avrebbe fatto
irritare ancora di più?” provo ad ipotizzare,
mantenendomi
su un tono sferzante. Lui si gratta una tempia, confuso.
“Io
… in realtà
l’ho fatto senza pensarci, quindi puoi pure mettere da parte
i
tuoi subdoli giochetti di parole”, ribatte, con una
sfacciataggine che supera ogni limite, e io alzo gli occhi al cielo.
Ovviamente, potevo forse pretendere che compisse una qualsiasi azione
dopo aver riflettuto attentamente a riguardo?
Mi sento profondamente
a disagio, in
questo momento. Mi siedo su un banco incrociando le braccia, e
tento di radunare le idee per cercare di spiegarmi.
“E poi io non
ti ho ignorato, è che molto semplicemente
…”
“…
non sono il centro dell’universo, sì, lo
so”.
Ma allora davvero non
pensa quando parla.
“A dire la
verità,
quello che intendevo era che mi serviva un po’ di tempo prima
di
poter affrontare l’argomento, ma tu come al solito hai
provveduto
ad offenderti brillantemente da solo. È mai possibile che
qualunque cosa tu dica finisca sempre per farmi uscire dai
gangheri?!” esplodo, alzando le braccia in un gesto di
disperazione. È terribile il modo in cui riesce a rivoltare
il
significato di ogni mia mezza frase.
“Beh,
potresti apprezzare
almeno l’originalità della mia unica
dote”, mi
risponde, azzardando un certo sarcasmo insicuro che evito di
considerare come una provocazione per il suo bene. Mi metto le mani fra
i capelli per lo sconforto, continuando a riflettere su quanto sia
idiota.
“Una volta
tanto potresti
anche darmi pace ed evitare di replicare”, gli faccio
presente,
persa nel tentativo di calmare la mia agitazione. Non posso provare
tutti questi sentimenti contrastanti nei suoi confronti, è
semplicemente ridicolo. Anche solo scrutarlo di sottecchi mi manda in
confusione, e quell’irrazionalità che
l’altro ieri
mi ha spinto a baciarlo si rifà viva. Vedo che mi guarda con
la
sorpresa negli occhi, e mi rendo conto, ora che ho affrontato una certa
esperienza traumatica, che mi fa battere il cuore come una stupida
ragazzina. I suoi occhi sono tremendamente espressivi, ed è
solo
ora che lo realizzo in maniera esplicita. E tutto sommato riesce ancora
a farmi tenerezza, anche adesso che stiamo litigando furiosamente. Mi
assale il pensiero di non poter più fare a meno di lui,
ormai,
di aver investito una quantità enorme di energie nel nostro
controverso rapporto, sia nel bene che nel male. Non
c’è
mai stata indifferenza fra noi, non sono mai stata in grado di ignorare
la sua presenza, le sue azioni o le sue parole, neppure quando lo
detestavo. E ora che so di non detestarlo, è ancora
più
sconvolgente constatare una cosa del genere. È tutto
così
assurdo, ma anche intenso al punto tale da farmi sentire male.
“Senti,
dimmelo chiaramente, io ti piaccio?”
Oh,
Merlino.
“Perché
… beh, sì, ammetto di essere decisamente
fascinoso, ma …”
Lo fulmino con uno
sguardo truce seduta stante, causando un suo blocco momentaneo.
“Non
guardarmi così,
per favore. Andiamo, non hai il minimo senso
dell’umorismo”, mi dice, sarcastico. Io mi sento
assalire
dall’ira.
“Mi duole
contraddirti,
Potter, ma io il senso dell’umorismo ce l’ho
eccome, sei tu
che sembri essere particolarmente propenso a fare lo scemo nelle
situazioni più inopportune!” esclamo, scostandomi
furiosamente i capelli dal volto.
“Non mi piace
sentirmi in imbarazzo, vuoi farmene una colpa? Puoi anche fustigarmi,
se ci tieni!”
Possibile che debba
sempre tirar fuori idiozie così colossali?
“Non ho
nessuna intenzione di fustigarti!” gli faccio presente,
adirata.
“Grazie, lo
considererò
come una dimostrazione della tua magnanimità nei miei
confronti”, mi risponde, incrociando le braccia.
“Prego, per
una volta hai
colto nel segno”, ribatto, sentendomi offesa. Finalmente
l’ha capito, che non ho intenzione di insultarlo ogni volta
che
apro bocca. Magari ora la pianterà di tirarsi addosso gli
insulti da solo.
“Che
significa?” mi chiede, perplesso.
“Lascia
perdere”, lo
zittisco, con un gesto secco. Inutile che glielo spieghi, continuerebbe
a pensare che sia troppo strano da parte mia l’aver smesso di
considerarlo una persona spregevole. Lo osservo affondare le mani nelle
tasche, incrocio il suo sguardo e noto che ha un’espressione
strana, ermetica.
Per un attimo mi sembra
di aver smesso di respirare.
“Sapevi di
cioccolato”, mi dice poi, e io improvvisamente sento che
vorrei sprofondare.
“Questo che
cosa c’entra
con tutto il resto?!” grido, rendendomi conto di avere le
guance
infiammate. Lui si stringe filosoficamente nelle spalle.
“Lo vedi?
Nemmeno a te piace sentirti in imbarazzo”, osserva, con
candore.
“Hai ragione,
in questo momento mi piacerebbe torcerti il collo!” lo
minaccio, digrignando i denti.
“Mi
sorgerebbe spontaneo
chiederti se sei sempre così violenta in tutto quello che
fai,
ma ho già sperimentato a mie spese che è davvero
così”, ribatte, poi si rinchiude in un silenzio
quasi
contrito. Io rimango semplicemente sbalordita di fronte a tanta
sfacciataggine, poi però mi rendo conto che, dopotutto, non
ha
davvero tutti i torti. Non avevo mai immaginato di poter baciare una
persona in quel modo, lo ammetto. Nemmeno di poter prendere
l’iniziativa. È stato davvero un gesto impulsivo
dettato
da chissà quale follia momentanea, che tuttora persiste nel
tentare di prendere possesso della mia razionalità
così
solida. Mi rendo improvvisamente conto che mi ha rinchiuso qui dentro
perché davvero ci teneva a sapere se mi piace,
perché si
è fatto prendere dall’insicurezza e dalla paura
che
potessi ripensarci.
È una cosa
dolce, a suo modo.
“Tu
… sei semplicemente
assurdo. Invece di … rinchiudermi qui dentro a forza,
avresti
potuto ricattarmi in modo subdolo, o andare in giro a vantartene
… del resto, è quello che sai fare meglio,
no?” gli
dico, in tono sarcastico, ripensando al suo definirsi estremamente fascinoso.
E intanto mi sento
risalire il rossore alle guance.
Non è la
stessa cosa che
provano le ragazzine che gli stanno dietro, quelle che nemmeno lo
conoscono e si sciolgono semplicemente di fronte alla sua
popolarità e alla sua bravura a Quidditch. Io ora lo
conosco, e
ho più di un valido motivo per trovarlo affascinante. Che
Merlino mi salvi, ho appena pensato che Potter sia attraente. Mi
aspetto di essere fulminata da un momento all’altro.
“E tu avresti
potuto
continuare ad ignorarmi o ricominciare a trattarmi male …
del
resto, è quello che sai fare meglio”, mi risponde
lui, a
tono, e io mi lascio sfuggire un sorriso.
“Ti
ringrazio, io ti ho almeno lasciato la possibilità di
replicare”.
“Non ti
offendere, Evans, non
baci male, ma come mi offendi tu, non l’ha mai fatto
né lo
farà nessuno”.
Ci mancherebbe altro.
Per anni ne sono andata fiera, altroché. Rimane comunque uno
dei miei indiscussi primati.
“Ad ogni modo
… non hai
ancora risposto alla mia domanda”, mi ricorda, avvicinandosi
di
qualche passo. Apparentemente sembra del tutto tranquillo, ma la cosa
non mi rassicura per niente. Perché io invece sto andando a
fuoco. Mi sento come se fossi costretta ad ammettere una cosa che so
essere vera ma che mi renderebbe svantaggiosamente vulnerabile.
“Tu quale
pensi che sia la
risposta?” gli domando, nel tentativo di sondare il terreno.
Lui
per poco non sviene per lo sconcerto.
“Che diavolo
vuol dire? Se
dico di sì, allora mi reputerai troppo sicuro di me e di
conseguenza penserai che sia necessario punire la mia vanità
e
la mia arroganza con la tua negazione, mentre se dico di no
suonerò soltanto come il falso modesto che subdolamente
aspira
ad essere confortato da una risposta positiva cercando di farti
pietà, cosa che tu non saresti disposta a concedermi neanche
sotto tortura”.
Non riesco a guardarlo
negli occhi,
tanto sono sorpresa. Rimango a fissare il pavimento, con la testa
invasa da una serie di pensieri più o meno coerenti che non
ne
vogliono sapere di disporsi in maniera ordinata.
Lo fa ancora, il
contrario di quello che faceva anni fa. Il contrario
dell’atteggiarsi a maschio seducente e talentuoso.
È
decisamente sbalorditivo.
“E va bene,
senti, cerchiamo
di chiarire questa situazione una volta per tutte, perché
per
farlo non ho intenzione di rivolgermi al Wizengamot. Se ci hai
riflettuto abbastanza e hai intenzione di dirmi che di me non ne vuoi
sapere …”
Sollevo la testa,
guardandolo diritto in faccia.
“Ma tu non
ritenevi
impossibile che qualcuno non cedesse al tuo fascino
indiscusso?”
gli domando, con un tono a metà tra l’ironico e
l’insicuro.
“Beh, sai,
è sempre
meglio concedersi il beneficio del dubbio”, risponde lui, con
lo
stesso, identico tono. Io sorrido. Non ce la faccio più.
Basta,
ne ho piene le scatole di tutte queste barriere. È
così
adorabile che mi riesce davvero impossibile trattenermi.
“Mi duole
ammetterlo, ma in
effetti, prima che ti venisse la brillante idea di rinchiudermi qui
dentro, nutrivo ancora il sospetto che tu potessi esserti montato la
testa di nuovo”, gli confesso, e lui annuisce, perso nel suo
mondo. Non so a che cosa pensa, ma ormai è tutto a posto,
credo.
La mia storica diffidenza può anche cessare di esistere.
“A questo
punto, potresti
anche ammettere che ti piaccio”, mi dice poi, avvicinandosi
di
qualche passo. Io mi sento improvvisamente avvampare, nel vedermelo
davanti con quel sorrisetto stampato in faccia.
“Non credo
che ti darò
mai questa soddisfazione”, gli annuncio, tenendo gli occhi
puntati nei suoi e sentendomi ancora più confusa riguardo
alle
reali implicazioni di questa frase. Scherzi a parte, allora mi piace.
Credo di doverlo ammettere, almeno con me stessa.
Dopo qualche secondo,
mi si avvicina
ancora di più e mi prende la mano, facendomi immediatamente
domandare che diavolo abbia intenzione di fare.
“Andiamo”,
mi dice, enigmatico. Io gli restituisco uno sguardo dubbioso.
“Andiamo
dove?”
Rimane per un attimo in
silenzio assumendo quasi un’aria costernata, poi sospira e si
decide a spiegarmi.
“Andiamo di
corsa alla Torre
di Grifondoro, perché sono già le dieci e la
nostra ronda
serale avrebbe dovuto essersi appena conclusa”.
Oh,
cacchio.
“Avresti
almeno potuto avvisarmi con cinque minuti di anticipo, siamo
dall’altra parte del castello!”
Lui esibisce un ghigno
compiaciuto, che tutto sommato non riesco a trovare irritante.
“E rinunciare
a sentire i tuoi complimenti velati? Perdonami, ma non ci sarei mai
riuscito!”
Molto divertente,
Potter.
Adesso ti faccio vedere
io.
Lo trascino di corsa
per i corridoi
della scuola senza lasciargli riprendere fiato nemmeno una volta,
saltando su un pianerottolo da una scala che aveva appena cominciato a
spostarsi e risollevandolo ridendo dopo averlo fatto inciampare in un
tappeto. Quando torniamo in sala comune, scuoto la testa, rassegnata al
fatto che non abbiamo combinato un bel niente.
“È
assurdo, avremmo
dovuto collaborare alla sicurezza della nostra scuola invece di
restarcene lì a discutere”, mormoro, tra me.
È
incredibile come stare in compagnia di Potter comporti sempre dei
risvolti del tutto imprevedibili.
“Rilassati e
va’ a
dormire, riesco a sentire Sirius che russa fino da quaggiù,
e se
è nella sua stanza a dormire vuol dire che non è
scoppiato nessun incendio a causa della nostra negligenza …
in
caso contrario la McGranitt avrebbe già fatto evacuare ogni
angolo di Hogwarts, perfino i passaggi segreti”.
Lo squadro con lo
stupore negli occhi, voltandomi verso di lui.
“Ci sono dei
passaggi segreti nella scuola?”
È con mio
sommo divertimento
che si porta una mano alla bocca con l’aria di voler morire,
e io
proprio non riesco a trattenermi dallo scoppiare a ridere di gusto.
“Ho capito,
lascia perdere.
Vattene a letto, e cerca di non avere incubi”, gli dico,
sorridendo, finalmente rilassata. Anche se mi sento strana, e ho
ammesso che mi piace.
“Grazie”,
mi dice lui,
intimidito dalla mia clemenza, e io mi sento di nuovo prendere da
quell’impulso, quel desiderio di agire. Lo assecondo senza
nemmeno pensarci. Mi avvicino, gli poso una mano sulla spalla, mi
sollevo leggermente in punta di piedi, socchiudo gli occhi e gli sfioro
le labbra, in un qualcosa che dovrebbe assomigliare a un bacio della
buona notte.
Quando mi stacco, lui
rimane
lì fermo, come pietrificato, guardandomi in un modo tale che
subito l’imbarazzo mi brucia come le ceneri di una fenice.
Così sono
costretta a
riportarlo su questo pianeta con le maniere forti, dandogli una
spintarella. Ma se l’è cercata, la colpa non
è mia.
“Ti ho detto
di andartene a
letto, Potter”, gli ordino, lasciandomi sfuggire un sorriso,
e
lui finalmente si decide ad avviarsi verso le scale che portano al
dormitorio maschile.
“Buonanotte”,
mi dice,
dopo aver indugiato ancora un attimo di fronte alla porta. Io gli
faccio un cenno con la mano, e nel voltarmi il cuore mi salta un paio
di battiti.
Ad ogni modo, per un
po’ di tempo credo che eviterò di farmene un
problema.
Have
heart, my dear
We're
bound to be afraid,
Even
if it's just for a few days,
Making
up for all this mess.
(Snow Patrol, Run)
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Capitolo 11 *** Tutta colpa della pelle di Girilacco ***
Capitolo 11
Capitolo
11 – Tutta colpa della pelle di Girilacco
Certe
cose è meglio intraprenderle che rifiutarle, anche se il
loro esito è oscuro.
(J.R.R. Tolkien, Il
Signore Degli Anelli)
13 settembre 1977
Quanto può risultare maledettamente difficile essere
costretti
dalle circostanze a trascorrere ogni ora della propria vita scolastica
a stretto contatto con la ragazza dei propri sogni?
Sulla risposta a questa domanda non ho dubbi, ed è parecchio. Non
ho più un solo attimo di pace e tranquillità da
quasi tre
giorni, ormai, ma oggi credo proprio di aver varcato ogni limite. Per
un normale studente del settimo anno, la serenità
psicologica
è una condizione indispensabile alla sopravvivenza,
considerato
che i requisiti minimi da possedere spaziano da una costante
capacità di concentrazione a lungo termine alla prontezza
necessaria per raggiungere la Sala Grande dopo una lezione di Pozioni
nei sotterranei in un tempo sufficiente a non farti fregare tutte le
patate arrosto dai tuoi famelici compagni di Casa. E come accidenti
può essere possibile che io mantenga tutta questa
elasticità mentale quando il mio cervello è
costantemente
occupato da pensieri di ben altra natura e il mio stomaco continua a
contorcersi su se stesso provocando una serie di rumori poco dignitosi,
senza contare che, ogni volta che una certa persona rientra nel mio
campo visivo, mi sento come se dovessi avere un arresto cardiaco da un
momento all’altro?
Certo, non è che io abbia mai potuto vantarmi di detenere
una
totale serenità psicologica, nel corso dei miei sei anni
suonati
già trascorsi a Hogwarts. Fondamentalmente direi che
è
per colpa sua, di quella ragazza seduta poco distante da me che si sta
già servendo il dolce quando io sono ancora intento a
rimescolare il roast beef nel piatto, ma fino a qualche giorno fa
potevo quantomeno vantarmi di aver acquisito un certo controllo sulle
mie emozioni – cosa che, per quanto mi sia costata un arduo
lavoro interiore, alla fine mi ha permesso di impormi un contegno che
mi concedeva di sobbalzare soltanto quando lei mi rivolgeva
direttamente la parola, o di farmi aumentare il battito cardiaco
unicamente nelle occasioni in cui decidevo – o per meglio
dire,
ubbidivo all’impulso – di essere io a
rivolgerle direttamente la parola.
Ora, la situazione attuale mi ha fatto andare talmente su di giri che
ha dovuto richiamarmi perfino Vitious. Roba da matti, Vitious non
richiama mai nessuno. Non in modo perentorio, perlomeno. Insomma, ho
toccato il fondo. Lily Evans mi ha fatto andare fuori di testa. Mi sto
convincendo che, se Snivellus decidesse di organizzare un agguato ai
miei danni in questo stesso momento, tutta la mia prontezza di riflessi
andrebbe a farsi benedire e io non sarei in grado di reagire nemmeno a
un Expelliarmus.
Ridicolo.
“Sì, è davvero amorevole. Ora
però mi stai a sentire?”
Mi volto di scatto verso Sirius, sentendomi sprofondare per la
vergogna. Devo essermi incantato a fissarla per l’ennesima
volta,
e il suo tono irridente ha provveduto a riportarmi
all’istante
con i piedi per terra.
“Scusami”, gli dico, mortificato. Chissà
quante
altre volte mi sono comportato così, nel corso della
giornata.
È più che comprensibile che i miei amici mi
detestino, a
questo punto.
“Certo, dato che sono infinitamente misericordioso ti
perdono, ma
solo se sei in grado di dirmi di che cosa stavo parlando”.
Storco la bocca. Sirius è perfido, l’ho sempre
sostenuto e
non mancherò mai di farlo, anche se è il mio
migliore
amico e non mancherà mai di esserlo.
“Uhm …” devo essere sincero, non me lo
ricordo
affatto. “… Stavi insultando la McGranitt
perché ti
ha dato solo ‘Accettabile’ per il tema di
punizione,
no?”
“Quello l’ho detto diversi minuti fa,
spiacente”.
“Beh, sì, adesso stavi … deridendo la
nuova acconciatura di Snivellus”.
Dall’espressione piatta di Sirius capisco che ho sbagliato
completamente. Il panico comincia a invadermi.
“Okay, scherzavo, stavi prendendo in giro tuo fratello e i
suoi propositi vendicativi nei tuoi confronti”.
Sbagliata anche questa.
“Mi stavi proponendo la tua idea per la prossima luna piena.
Stavi elogiando il roast beef. Mi stavi dicendo quanto sono bello
quando mi incanto a fissare la Evans”.
Un ghigno malamente represso deforma il viso di Sirius, fino a sfondare
le sue resistenze e provocare la nascita di una risata senza freni.
“Certo che la tua sfacciataggine non ha proprio
limiti”.
Mi stringo nelle spalle, ormai rassegnato ad accettare la mia colossale
figuraccia.
“Fingi almeno di apprezzare lo sforzo, non mi sarei dato
così tanto da fare se si fosse trattato di qualcun
altro”,
ribatto, lasciandomi scappare un mezzo sorriso volto ad accattivarmi
nuovamente la simpatia di Sirius.
“Comunque, per la cronaca, Padfoot stava soltanto cercando di
coinvolgerti nella sua ennesima polemica”, mi dice Remus,
inarcando appena un sopracciglio.
“La mia ennesima
polemica è
nata per un motivo del tutto giustificato, e si dà il caso
che
la causa sia proprio tu”, replica Sirius, rivolto a Moony.
“Qual è il problema?” domando io.
“Il signorino non ha ancora trovato il momento buono per
introdursi nell’ufficio di Slughorn e prendere quello che ci serve per la
prossima lezione di Pozioni”.
Padfoot calca le ultime parole a denti stretti, per assicurarsi che io
capisca a che cosa si sta riferendo. Ma è ovvio che lo so.
Non
per niente, sono un Malandrino.
Il fatto è che, quando il primo di settembre io attendevo
terrorizzato l’arrivo di Lily, impegnato a immaginarmi ogni
possibile reazione di violento isterismo che, secondo le mie
previsioni, avrebbe dovuto seguire la rivelazione della mia nomina a
Caposcuola, Sirius se ne stava in silenzio perché la sua
mente
malvagia stava veramente macchinando
qualcosa in quel momento. Solo che io avevo potuto verificare
l’esattezza di quella mia ipotesi soltanto dopo aver
trascorso
una buona mezz’ora chiuso in un altro scompartimento a sudare
freddo di fianco all’oggetto dei miei desideri, sentendomi un
pesce fuor d’acqua. Ad ogni modo, quando finalmente ero
riuscito
a tornare dai miei amici, avevamo intavolato un generico discorso
riguardo a futuri progetti per una splendida malandrinata
d’inizio anno. Era venuto fuori che Sirius aveva preso
decisamente sul serio quello che i Serpeverde avevano cercato di farmi
alla fine dello scorso anno scolastico, e in più era da
tempo
interminabile che cercava un pretesto qualsiasi per farla pagare anche
a quell’idiota di suo fratello, che non solo era
indicibilmente
rompiscatole, ma aveva anche finito per diventare l’esatto
opposto di Sirius: adesso, aveva il vanto di annoverare tra le sue
amicizie tutti i peggiori soggetti appartenenti alla sua Casa,
Snivellus compreso. Così, nel corso di quella prima
settimana e
mezzo di scuola, il nostro piano aveva cominciato a delinearsi: per
fargliela pagare, avevamo deciso che li avremmo provocati in ogni
misura fino a quando non avrebbero deciso di reagire in modo attivo. Ma
noi, le menti supreme del crimine, li avremmo fregati
un’altra
volta: venerdì scorso, infatti, avevamo dato avvio alla
preparazione di una stratosferica Pozione Polisucco, che sarebbe
servita a trasformarci in due Serpeverde a scelta, mescolarci agli
altri nel momento in cui avrebbero deciso di farcela pagare e
attaccarli alle spalle con loro enorme sbigottimento. A dire la
verità, stiamo ancora discutendo per decidere chi di noi
dovrà assumere le sembianze dei nostri odiati compagni di
scuola, perché se scomparissimo tutti e quattro non
risulterebbe
nemmeno lontanamente credibile. Ma il problema, ora, a quanto mi sembra
di capire, è di ben altra natura.
“Vuoi che ci vada io, Moony? Non preoccuparti, non ho
più fame”, dico a Remus, facendo per alzarmi da
tavola.
“James, sei impazzito per caso? Vorresti andarci adesso?”
Io mi stringo nelle spalle, perplesso.
“Sì, perché no? Se non vogliamo che
Slughorn o
qualcun altro ci scopra, è questo il momento migliore. Sono
tutti troppo presi dal cibo per badare a un misero studente che si alza
da tavola”, rispondo, riavvicinando teatralmente la sedia al
tavolo.
“Prongs, non era quello a cui volevo arrivare
…”
“Andiamo, che problema c’è? Anche
Snivellus è seduto a tavola da bravo scolaretto”.
Remus sospira, rassegnato.
“Sta’ attento”.
“Certo, mamma”.
Improvvisamente mi sento afferrare per il maglione, e Sirius mi riporta
con un gesto secco al suo fianco.
“Prendi il Mantello e la Mappa, e controlla che nessuno ti
segua”.
Il solito inguaribile paranoico. Chi accidenti potrebbe essere
così scemo da abbandonare tutta quell’abbondanza
di
pudding per correre a spiare le mie mosse?
“Scusami, vuoi che chiami mamma anche te?” insinuo,
in tono
zuccheroso, stritolandogli le guance con quel gesto odioso che si
riserba abitualmente ai bambini piccoli. In tutta risposta ricevo una
manata sulla schiena.
“Muoviti, stupido quadrupede cornuto”, mi dice
Sirius,
ridendo. Io mi volto e mi incammino verso l’uscita, cercando
di
non dare troppo nell’occhio. Getto solo una brevissima
occhiata
di sbieco a Lily, che sembra particolarmente impegnata a sedare il coro
di risate delle sue amiche e a cancellarsi un insolito e improvviso
rossore dal volto.
Ah, la vita dello studente medio.
Decidi di fondare un gruppo di giovani malintenzionati inclini al
divertimento malsano e distruttivo per cercare di ovviare alla noia
scolastica e alla ripetitività che caratterizza qualsiasi
normale routine, e nonostante questo ti ritrovi al settimo anno di
scuola con un fastidioso distintivo da appuntarti al petto la mattina
– come se non fosse già abbastanza seccante dover
perdere
tempo a infilarsi la divisa – e un compito da svolgere
quotidianamente che non può essere evitato per nessuna
ragione
al mondo, e in cui un ritardo ti costerebbe la testa. Questo per la
semplice ragione che è Lily Evans a fare da sovrintendente,
perché altrimenti dubito che il sottoscritto potrebbe
dimostrare
un simile zelo in un’attività così
terribilmente
ciclica. Però devo ammettere che finora non mi sono affatto
annoiato, nel tentativo di applicarmi per svolgere un simile compito.
Una situazione di questo genere non può fare altro che
aumentare
le mie già interminabili elucubrazioni mentali riguardo al
perché Silente abbia potuto compiere coscientemente la
scelta di
nominarmi Caposcuola. Se non ci fosse stata Lily a farmi da
controparte, dubito fortemente che il senso del dovere mi avrebbe
costretto ad obbedire alle regole in maniera così precisa e
impeccabile. Voglio dire, io non sono avvezzo ad avere una gran memoria
per questo genere di cose, perciò se ieri sera Lily non
fosse
sopraggiunta a schiodarmi dalla mia poltrona io nemmeno me ne sarei
ricordato, della ronda. Certo, il discorso della McGranitt alla
riunione mi ha inquietato non poco sullo stato delle cose nel mondo
magico, in quanto essendo la mia casa decisamente lontana e isolata da
focolai di qualsiasi genere la mia estate l’ho trascorsa un
po’ fuori dal mondo, ignaro di quanto realmente la situazione
si
sia aggravata – del resto, i miei si limitano a farsi spedire
la Gazzetta del
Profeta per
informarsi, ma il Ministero, con le sue fobie contorte e la sua
irritante censura, non contribuisce di certo a dare una mano in questo
campo – e quindi, se devo mettermi a pensare in grande, non
posso
evitare di ammettere che non sono affatto tranquillo, dato che perfino
Silente si preoccupa di incrementare la sorveglianza anche a Hogwarts;
tuttavia, per quanto questo possa avermi toccato, mi ci vuole del tempo
per assimilare le cose. Ultimamente, poi, non ci sono molto con la
testa, considerati gli avvenimenti tumultuosi degli scorsi giorni.
Parliamoci chiaro, non riesco ancora a capacitarmi
dell’incarico
che mi è stato assegnato. Sembra quasi che Silente ci tenga
a
far incrementare rapidamente la mia autocoscienza.
Immerso come sono in simili riflessioni inconcludenti, faccio appena in
tempo a muovere tre o quattro passi in direzione dei miei amici una
volta rientrato in Sala Comune, sfoggiare il mio classico sorriso da “I Malandrini hanno
colpito ancora”,
gettare il vasetto con la pelle di Girilacco a Moony, impossessarmi di
una poltrona e appressarmi a sedermici dopo aver ripiegato con cura il
mio adorato Mantello – che ho amorevolmente appoggiato su un
bracciolo – prima che mi accorga di Lily, che mi si sta
avvicinando con un’espressione muta dipinta in volto.
Mi rialzo dalla poltrona con uno scatto improvviso. Lily ha incontrato
il mio sguardo e si è fermata a pochi passi da me,
incrociando
le braccia e mordendosi il labbro.
Mi volto verso i miei amici, non sapendo che dire. Sirius ha
già
storto la bocca, mentre Remus e Peter si limitano a guardare da
un’altra parte.
“Vi aggiorno più tardi”, mormoro,
sentendomi
sprofondare anch’io nel disagio più profondo,
anche se in
quel momento non riesco a comprenderne realmente la ragione. Mi avvio
verso Lily e mi fermo bruscamente a qualche passo di distanza da lei,
realizzando immediatamente che non so affatto come comportarmi.
“Dopo di te”, le dico, cercando di recuperare un
briciolo
di prontezza e animosità. Lei scatta in avanti come se
volesse
lasciarmi a distanza, e attraversa il buco del ritratto prima che io
riesca a dire Quidditch.
Devo essere sincero, nemmeno oggi mi ero accorto che fossero
già le nove.
Il fatto è che stamattina mi sono svegliato con la testa fra
le
nuvole, ancora sovreccitato per la positiva conclusione della scorsa
serata in compagnia di Lily, ancora immerso nella fase di sogno ad
occhi aperti. Ero dello stesso umore quando, la mattina a colazione,
l’ho salutata come sono solito fare da quest’anno;
quando
ho assistito ad ogni singola lezione con le mie abituali
capacità di concentrazione ridotte al minimo; quando mi sono
ritrovato a camminarle a fianco mentre ci recavamo alla lezione di
Incantesimi e l’ho fatta ridere con una battuta di
circostanza su
Slughorn, che per l’ennesima volta le aveva ripetuto che
avrebbe
desiderato averla a Serpeverde. Insomma, mi sono sforzato di essere
normale, di comportarmi in modo normale. Ho fatto quello che faccio
sempre, cioè fare il buffone, far dannare Moony durante le
lezioni di Incantesimi, inscenare uno dei miei classici teatrini in
coppia con Sirius (di solito fingiamo di litigare, e ci riusciamo
talmente bene che una volta persino la McGranitt si è
preoccupata), intrattenere una breve chiacchierata con Hagrid durante
la pausa pranzo, lavorare ad una malandrinata. Io e Lily, durante le
giornate di scuola, non abbiamo mai parlato granché, e io
non ho
nemmeno preso in considerazione l’ipotesi di stravolgere
tutte le
mie convenzioni dall’oggi al domani né, men che
meno, di
cominciare ad assillarla con la mia presenza o a rivolgerle
costantemente sorrisi ammiccanti, dato che non mi è ancora
ben
chiaro come stanno esattamente le cose tra noi. Ora, però,
il
nostro incarico ci obbliga a starcene faccia a faccia l’uno
con
l’altro per un’ora intera, e io non so ancora come
devo
comportarmi con lei. Posso permettermi di starle vicino fisicamente, o
rischio ancora di essere preso a pugni? Devo pensare che posso
concedermi certe libertà, prendere l’iniziativa e
avvinghiarmi a lei non appena siamo soli, oppure lasciarle il suo
spazio e aspettare che sia lei a compiere qualsiasi tipo di passo nella
mia direzione, ostentando una timidezza che non so nemmeno quanto sia
davvero consona al mio carattere?
In questo momento di panico totale, riesco ad intravedere
un’unica certezza di fronte a me, che mi impedisce di perdere
l’equilibrio e di ruzzolare giù per i gradini
della scala
che conduce al corridoio: io e lei dobbiamo parlare, e chiarire le cose
una volta per tutte. Devo soltanto dirle quello che penso.
Per esempio … non lo so, qualcosa del tipo: “Lily,
tesoro, stammi a sentire. Tu mi hai baciato, e secondo i canoni
tradizionali questo significa che almeno un po’ ti piaccio e
che
hai smesso di disprezzarmi come facevi un tempo, e, beh, per quanto mi
riguarda tu mi sei sempre piaciuta, quindi non vedo perché
non
dovremmo cominciare a uscire insieme, ora, o quantomeno a considerarci
una coppia felice … che ne dici?”
Forse però sarebbe meglio se introducessi il discorso in
maniera più morbida.
“Ma … esattamente cos’è che
dovremmo pattugliare?”
Forse però sarebbe meglio se evitassi di andare fuori tema.
“Non saprei, io pensavo di cominciare dai ripostigli per le
scope …”
Ironica, la ragazza. Tutt’a un tratto sembra aver ritrovato
la
scioltezza verbale. Magari è un buon segno, potrebbe essere
solo
il primo passo verso un recupero di quella straordinaria intraprendenza
che l’ha portata a baciarmi …
… e allora per quale motivo la tensione sembra pesarmi
addosso come un enorme macigno?
“Oh, beh, se preferisci questo genere di posto io posso
sempre adattarmi, su queste cose sono piuttosto flessibile”.
“Che non fosse il posto il tuo chiodo fisso l’avevo
già capito, ti ringrazio”.
Certe volte sarebbe davvero meglio per me se imparassi a tenere la
bocca chiusa. Evidentemente ho sbagliato del tutto approccio,
perché con due misere frasi di circostanza, di cui
l’ultima pronunciata solo in tono vagamente malizioso,
sono già riuscito a ridestare il suo abituale modo di fare
caustico e indispettito, quello a cui sono talmente abituato da poterlo
percepire nell’aria.
Forse la mia adorata Lily non ha tutti i torti a definirmi competente
solo nell’ambito del Quidditch. In questo momento, in cui il
Quidditch non c’entra un accidenti di niente, sto facendo
fiasco
totale e non riesco nemmeno ad individuare un metodo di condotta che
possa risollevarmi ai suoi occhi.
E va bene, basta. Adesso mi metto a parlare chiaro una volta per tutte.
“Senti un po’ … tu cosa …
insomma, tu dove pensi che andremo a finire?”
Le sue labbra tirate in una smorfia indecifrabile mi fanno scorrere un
paio di violenti brividi lungo la schiena. La osservo inarcare le
sopracciglia e piegare gli angoli della bocca in un lieve sorriso
niente affatto rassicurante, mentre i suoi occhi continuano a guardare
fisso davanti a lei.
“Se continuiamo per questa strada dovremmo arrivare dritti
nei
sotterranei, quindi forse sarebbe meglio se salissimo di un paio di
piani”.
La squadro con aria incredula, esterrefatto. È evidente che
ha
volutamente ignorato la mia velata vaghezza per scegliere di
rispondermi nuovamente per le rime. Lo ammetto, per quanto mi riguarda
non sono mai stato capace di esprimermi direttamente in modo efficace e
comprensibile, ma un tentativo, per quanto squallido, lo sto facendo, e
lei sembra totalmente intenzionata ad ignorarmi senza mezzi termini. Di
questo passo mi prosciugherà di qualsiasi buona intenzione
io
potessi nutrire fino a questo momento, così come di
qualsiasi
aspirazione a compiere quel passo che ci separa fisicamente e
disintegrare la cappa di disagio che ci avvolge.
Devo farmi forza per ricordarmi che è stata lei a baciarmi,
perché con il suo comportamento è quasi riuscita
a
farmelo scordare. Ma di colpo quel piccolo ed insignificante dettaglio
mi torna alla mente, e mi fa di nuovo scorrere il sangue nelle
vene. Diavolo
Prongs, cerca di ragionare con un po’ di sana e semplice
logica. Se ti ha baciato lei significa che le piaci.
Assurdo, che fatichi così tanto a rendermene conto: ma
probabilmente è soltanto colpa della mia ristrettezza
mentale.
Abituato come sono ad essere detestato da lei, non riesco proprio a
capacitarmi del fatto di poter esercitare una qualche influenza sulla
sua psiche, alla stessa maniera in cui lei da sempre influenza la mia.
È inconcepibile, mi sembra di essere tornato ad essere il
piccolo presuntuoso di qualche anno fa, a cercare di farmi coraggio con
questo pensiero: il mio cupo realismo si è talmente radicato
nel
mio animo da rendermi modesto oltre ogni limite immaginabile,
nonostante io perseveri nell’ironizzare su questo punto
facendo
credere al resto del mondo che mi credo ancora una specie di
divinità scesa ad illuminare Hogwarts. Merlino, mi sento un
idiota coi fiocchi. È assurdo, James Potter non
può
essersi trasformato in un simile rammollito.
“Che ti succede?”
Sollevo di scatto lo sguardo dal pavimento, rendendomi conto di essermi
fermato nel bel mezzo del corridoio. Lily è qualche passo
avanti
a me e mi fissa con aria dubbiosa, e con ogni probabilità
sta
riflettendo sulle molteplici sfaccettature della mia
stupidità
congenita.
“Niente”, le rispondo, sbrigativo.
Bugiardo. Non
è affatto vero, e lo sai benissimo.
“Pensi di essere in grado di muovere le gambe?” mi
chiede
lei, in tono vagamente incerto. La guardo fare un passo verso di me, le
mani puntate sui fianchi, la sua camminata leggermente strascicata che
me la rende riconoscibile in mezzo a una folla di cento persone, i suoi
occhi fissi nei miei, con quell’espressione carica di
ermetismo
che per quanto mi sforzo non riesco a decifrare …
“Che razza di domande fai, Evans? È ovvio che
riesco a
muovere le gambe … se ti stavi preoccupando per me ti
ringrazio
di cuore, ma davvero non ne ho bisogno”, replico, usando
tutta la
sfrontatezza di cui sono capace. Sono ancora così ingenuo da
credere che mettendola alle strette in questo modo infantile
riuscirò ad ottenere qualcosa di concreto?
“Benissimo, se allora ritieni di non avere problemi motori
schiodati da terra e cammina, grazie”.
La rabbia le tinge le guance mentre si volta per riprendere a
camminare, e a quel punto io decido di mandare tutto al diavolo e di
fare quello che veramente mi va di fare. La raggiungo in due falcate e
la blocco, non ho nemmeno la cognizione dei miei gesti ma non mi
interessa perché comunque riesco ad agire
d’impulso in
modo rapido ed efficace. Una frazione di secondo dopo la sto baciando,
e per poco non mi si mozza il respiro stroncando la mia giovane vita in
un modo tutt’altro che dignitoso e virile. Godric, devo
frenarmi
o finisco per soffocare anche lei. Ma Lily non si tira indietro. Non lo
fa, per quanto ne avesse tutte le ragioni, per quanto il mio gesto sia
stato irrimediabilmente stupido e irrazionale, per quanto
l’atmosfera fosse soltanto carica di tensione, e non di
quella
complicità che serve per cose di questo genere. Non ha una
logica. Possibile che quando ci sia di mezzo lei non ci sia niente che
abbia una logica?
Stavolta sono molto più preparato psicologicamente. La
stringo a
me in maniera quasi irruente, e continuo a baciarla premendo
completamente contro il suo corpo. Dopo qualche secondo anche le sue
braccia mi cingono, provocandomi un immediato e vertiginoso aumento
della frequenza cardiaca. Non riesco più a pensare a niente.
Penso soltanto che sono follemente innamorato di lei, che lei
è
capace di togliermi il senno, e che non riesco a non starle attaccato.
È qualcosa di quasi inconcepibile, che mi fa girare la testa.
Dopo un po’ interrompo il bacio, perché se non lo
faccio
rischio di non sopportare il peso di tutto questo carico emotivo.
Rimango con il viso a pochi centimetri dal suo, stringendola ancora con
forza fra le braccia, riuscendo a percepire pienamente le sue mani
sulla mia schiena, sulle mie spalle. La accarezzo lievemente, in modo
ritmico. Non ho la più pallida idea di che cosa io possa
dire di
appropriato in questo momento.
Lei non mi guarda. Tiene gli occhi fissi in un punto imprecisato.
Quanto diavolo riescano ad essere espressivi i suoi occhi lei
probabilmente non se lo immagina nemmeno, anche se nella maggior parte
dei casi non riesco davvero a capire che cosa le passi per la testa.
Resto immobile, lì, a contemplarla.
Un angolo della sua bocca si increspa verso l’alto, poi
finalmente i suoi occhi incontrano i miei. Muove le labbra,
sussurrandomi una semplice parola.
“Idiota”.
“Grazie”.
Le sorrido, con un ghigno divertito. Ormai un briciolo della mia scarsa
fiducia in me stesso l’ho riacquistato, per quanto questo le
possa dispiacere. La osservo scuotere la testa e stringere gli occhi
mentre continua a fissarmi.
“Ti odio quando fai così”.
“Hai ragione, sono davvero insopportabile”.
Starle così vicino per più di una frazione di
secondo
prima di ricevere uno spintone in pieno petto da lei non riesce a
sembrarmi vero, e l’esaltazione sta rischiando di mandarmi il
sangue alla testa.
“Sai una cosa, Evans? Se anche non mi dai la soddisfazione di
dirmi apertamente che ti piaccio, per me va bene lo stesso”.
Lei sospira, esasperata, stringendo le labbra in
un’espressione
di disappunto, ma non maschera abbastanza bene tutto quello che le sta
passando per la testa perché riesco a cogliere uno sprazzo
di
sentimento nei suoi occhi, anche se so che vorrebbe mostrarmi soltanto
il fastidio che le causa la mia ironia eccessivamente sfrontata. Questo
è sufficiente a farmi fremere come un bambino.
“Spero per te che tu non pretenda che ci teniamo per mano
quando
camminiamo, o che per questo ti senta in diritto di appiccicarti a me
durante ogni intervallo tra le lezioni, o di assillarmi costantemente
con qualsiasi tipo di attenzione morbosa …”
Un sorriso immenso mi allarga il volto da un orecchio
all’altro,
mentre la osservo scrutarmi dal basso in alto con
un’incertezza
quasi intimidita che stona completamente con il suo tentativo di darsi
un tono di voce severo e deciso, e mi sento travolgere da
un’ondata di sentimento che non ha pari.
“Non preoccuparti, sono perfettamente conscio del fatto che
ti gratifica dettare le regole”.
Una lieve risata le affiora sul volto, e capisco che ormai ho vinto.
Sono riuscito a farle cancellare anche l’ultima traccia di
rabbia
e diffidenza. Ora posso arrischiarmi a baciarla di nuovo, sentendomi
finalmente un pochino fiero di me stesso.
Non saprei spiegare perfettamente per quale motivo mi abbia preso
questo attacco di solitudine. Abitualmente tendo ad isolarmi dai miei
amici e a trascorrere del tempo per i fatti miei solo quando sono
particolarmente arrabbiato, perché avverto la
necessità
istintiva di sbollire la cosa da solo. In quel momento, invece, ero
soltanto euforico. Non che la situazione tra me e Lily si fosse
sbloccata in modo completo, a voler entrare nel dettaglio e analizzare
le cose come stanno realmente: dopo quei minuti di
complicità
che siamo riusciti a condividere, abbiamo trascorso il resto della
ronda cercando disperatamente di parlare del più e del meno
per
nascondere l’imbarazzo che avevamo provato nel separarci (il
che
implicava che entrambi dovessimo tornare a comportarci da Capiscuola e
ristabilire quella distanza che avevamo fatto così fatica a
colmare), e quando siamo tornati in dormitorio lei ha fatto fatica a
congedarsi da me perfino sfiorandomi soltanto il braccio, ma almeno
siamo riusciti a non ricadere nei nostri abituali alterchi e abbiamo
mantenuto un tono di discussione che sfiorava l’amichevole.
Però ormai sono sicuro che ci sia qualcosa tra noi, e anche
se
ci vorrà del tempo perché lei si abitui
all’idea,
io farò il bravo e non le metterò fretta.
Questo soltanto perché anch’io devo abituarmi
all’idea.
Non so se qualcuno riesca ad immaginare che cosa possa significare per
me, ma anche volendo provare a spiegarmi non riuscirei a rendere
perfettamente il concetto nella sua vera essenza. Da una parte mi sento
decisamente esaltato perché erano anni che aspettavo questo
momento. Da un’altra, provo un’incertezza mista a
un certo
grado di paura perché ho il terrore di fare qualcosa di
sbagliato, considerato che non mi è mai capitato prima di
dover
affrontare una storia seria. Anzi, diciamo una storia e basta. Devo
ammetterlo, per quanto Sirius mi desse dell’inguaribile scemo
e
per quanto anch’io mi sentissi effettivamente tale per il mio
comportamento ostinato e poco realistico, non ho mai voluto stare con
nessun’altra ragazza che non fosse Lily, e mai l’ho
fatto.
Certo, sono stato convinto a fare almeno un po’ di pratica in
fatto di baci, e ho sempre saputo che un certo numero di ragazze ha
sbavato per me nel corso degli anni precedenti, e diciamo anche che non
ho mai disdegnato questo aspetto della mia popolarità
(tradotto,
me ne sono ampiamente vantato a destra e a manca), ma affermare che io
ne abbia approfittato è decisamente una balla colossale. Io,
povero scemo, volevo Lily e non mi sono mai saputo accontentare, non ho
mai nemmeno concepito l’idea di poter ripiegare su di
un’altra. Per me le altre non esistevano. Quanto Padfoot
abbia
riso di me per questo, probabilmente non riesco nemmeno a ricordarlo.
Insomma, improvvisamente sono diventato come una delle pozioni che mi
tocca preparare a lezione, vale a dire incredibilmente complicato. Ho
provato il bisogno di riflettere per i fatti miei perché
sapevo
che altrimenti non sarei riuscito a dormire, e prima di sentirmi pronto
a rispondere alle domande degli altri è comunque necessario
che
abbia io le
idee
chiare. Solo che forse avrei potuto evitare di tenere la testa
eccessivamente fra le nuvole, facendo sì che Gazza mi
beccasse
ancora in giro a mezzanotte passata.
Ho protestato in tutti i modi, giuro. Gli ho mostrato il distintivo,
gli ho detto che ero autorizzato alle ronde serali. Ma lui ha insistito
in ogni modo per sequestrarmi la Mappa del Malandrino.
L’avevo
appena estratta di tasca quando mi ha beccato, perché
tramite
non so quale assurda associazione di idee mi sono ricordato in quel
momento che non l’avevo cancellata. Sta di fatto che,
avendomi
sorpreso nel momento stesso in cui declamavo “Fatto il
misfatto” e
la pergamena tornava ad essere vuota, lui si è messo a
sbraitare
riguardo al fatto che ne stessi sicuramente facendo una delle mie con
quel foglio magico in mano, che non voleva sentire
ragioni a
riguardo e che il pezzo di carta riceveva l’onore di finire
nel
cassetto delle cose requisite, perché ormai lui mi conosceva
bene. Purtroppo per me, su questo non ho potuto dargli torto: sono
finito talmente tante volte nell’ufficio di Gazza da poter
affermare di conoscere a memoria tutti i rapporti che il custode ha
steso nel corso della sua lunga carriera a Hogwarts. Insomma, alla fine
sono riuscito a filarmela perché i miei tre amici,
evidentemente
preoccupati per il fatto che ancora non ero tornato in dormitorio,
avevano deciso di venire a cercarmi; fortunatamente sono riusciti a
distrarre Gazza, permettendomi di fuggire mentre era ancora a
metà del suo rapporto. Solo che poi ho dovuto fronteggiare
gli
sguardi perplessi di Sirius, Remus e Peter e spiegare loro che, in un
attimo di distrazione, mi ero fatto sequestrare la Mappa del Malandrino.
Peter ha cercato fin da subito di difendermi di fronte a Sirius, che
sembrava in procinto di esplodere, ma Remus è riuscito a
salvarmi la vita facendo notare a tutti che, ad ogni modo, ormai la
Mappa la sappiamo a memoria, e perciò in un certo senso era
diventata praticamente inutile.
A questo punto, posso soltanto guardare Sirius con aria supplichevole
ed implorare il suo perdono, desistendo da qualsiasi tentativo di
discolparmi ai suoi occhi.
“E va bene”, mi dice infine, con un sospiro. Io lo
guardo, con aria leggermente incredula.
“Sul serio?”
“No, ti sto prendendo per i fondelli”.
“Oh, andiamo!”
“Sì, James, sono serio, ma se entro un paio
d’anni
non vi vedo davanti a un altare a giurarvi amore eterno nel sacro
vincolo del matrimonio ti terrò il broncio per i secoli a
venire, ricordatelo!”
Ho decisamente portato tutti all’esasperazione con questa
storia, devo riconoscerlo.
“E va bene, ti prometto che mi impegnerò al
massimo”, gli dico, poi assumo un’espressione
incerta.
“Ma scusa, Padfoot … tra due anni non ti sembra un
po’ troppo presto per costringermi a sistemarmi sotto tua
diretta
minaccia?”
Ce ne andiamo a dormire ridendo, profondendoci in battute a sfondo
matrimoniale che non risparmiano nessuno di noi. Certo, per quanto non
aspirassi a concludere la mia giornata con una visita
all’ufficio
di Gazza, devo riconoscere che immaginarmi uno qualsiasi dei miei amici
con addosso un abito da cerimonia e un’aria terrorizzata
dipinta
in volto è talmente paradossale da riuscire a farmi cadere
in un
sonno profondo dopo un dormiveglia di silenziose risate.
***
Stanotte credo di aver
dormito
piuttosto bene. La cosa mi sembra strana, considerato che è
da
sabato sera che sono affetta da una grave forma di insonnia nervosa, ma
in questo momento mi sento abbastanza riposata. E stamattina,
guardandomi allo specchio, non sono stata spaventata a morte dalle mie
occhiaie come mi è disgraziatamente accaduto nei giorni
scorsi.
Sarà un
segno del fatto che io e il signor Potter abbiamo finalmente sistemato
le cose?
Può darsi.
Per il momento,
non mi sento angosciata all’idea di incontrarlo a colazione
in
Sala Grande. Ci siamo chiariti per quello che è successo,
sono
riuscita a fargli capire che non è vero che non me ne
importa
niente e ho anche ammesso con me stessa che tutto sommato lui
–
sì, proprio lui –
mi piace, e da ora in poi non dovrò fare altro che lasciare
che le cose seguano il loro corso.
Indosso la divisa con
sicurezza,
sentendomi affiorare il sorriso sulle labbra. Non è
necessario
che sia sempre tutto complicato, tra noi due. Siamo riusciti a venirci
incontro, in qualche modo, e da ora in poi tutto sarà
soltanto
più facile. L’importante era superare lo scoglio
post-bacio, anche perché lui, da quanto mi è
parso, aveva
davvero paura che io mi tirassi indietro o che cercassi di negare.
Forse avrei potuto farlo, è vero, ma l’idea non mi
è passata neppure per l’anticamera del cervello;
immagino
che fosse una cosa troppo sconvolgente per essere negata.
E ho sempre pensato di
essere il
tipo di persona che non ritratta ipocritamente ciò che ha
fatto,
anche se le circostanze sono … particolari come queste.
Perché, alla
fine, anche se
il mio è stato un gesto dettato dall’impulso, la
mia
volontà l’ha assecondato.
Bene, non ho
assolutamente nulla da
temere. Lascerò che le cose vadano come devono andare, senza
preoccuparmi troppo del domani o del dopodomani, per quanto
l’idea di poter cominciare ad uscire insieme a Potter mi
suoni
decisamente bizzarra e inaspettata … ma ci sarà
tempo,
per pensarci. Ora devo solamente pensare a rimanere in perfetto
equilibrio con me stessa.
È con il
sorriso sulle labbra
che mi dirigo in Sala Grande con le mie amiche, scherzando insieme loro
e sentendomi di nuovo invadere da tutta la mia voglia di vivere.
Nessuno fa alcun accenno all’argomento Potter né
tenta di
strapparmi qualche informazione in più su quanto
è
successo ieri sera, ma tutte si accorgono che sono tornata nella mia
forma più smagliante, ed è con immenso piacere
che dedico
alcune battute acide ai Serpeverde del nostro anno in compagnia di
Helen, che discuto entusiasticamente di
Charlotte Brontë con Mary, che mi consacro
ad una
colazione decisamente poco sana con Margaret imburrando una fetta di
pane e cospargendola di zucchero e che cerco di insegnare a Delia a
fare il giocoliere con le mele del cesto di frutta, attirandomi addosso
le occhiatacce della McGranitt.
Vedo James entrare con
i suoi amici
un po’ di tempo dopo, e lascio che i nostri sguardi si
incrocino
per un momento senza sentirmi necessariamente in imbarazzo.
Ci salutiamo,
cortesemente, come forse non abbiamo mai fatto.
Ed è allora
che i miei propositi di non pensare al futuro vanno completamente in
frantumi.
Oggi ci esercitiamo con
gli
Incantesimi di Protezione di livello elementare,
che Vitious vuole vederci compiere in maniera
impeccabile
entro la fine della settimana. Non sono sicura di aver compiuto proprio
una mezza rotazione del polso durante il mio ultimo tentativo, e
infatti Elizabeth riesce a spezzarlo quasi
subito. Vitious saltella freneticamente sopra la
cattedra,
continuando a ripetere che questi incantesimi sono fondamentali per
noi, e che se non riusciamo ad eseguire correttamente quelli di livello
più semplice non riusciremo mai a superare
i M.A.G.O.
Certo, me ne rendo
conto, ma un
professore che mi mette l’ansia addosso non è
esattamente
ciò che mi serve per imparare a padroneggiare
l’incantesimo.
“Adesso
scambiatevi con il
vostro vicino, rapidi, rapidi! Dovete avere la stessa padronanza di
fronte a chiunque, forza!”
Sorrido ad Elizabeth e
mi giro verso
destra: di fronte a me c’è un Peter esitante e
quasi
intimorito, che ha appena abbandonato James a fronteggiare Jonathan
Rigby, un altro Corvonero.
“Prego, prima
tu”, lo invito, gentilmente, sorridendo per cercare di
metterlo a suo agio.
“Davvero?”
domanda lui, dubbioso.
“Certo,
Peter, di che cosa hai
paura?” gli domando, divertita. Lui esegue il suo incantesimo
in
maniera praticamente impeccabile. La McGranitt avrebbe ben poco da
lamentarsi di lui, se lo vedesse ad una delle lezioni di Vitious.
“Di
nulla, scusami …”
“E
di che?”
“Di
… di nulla”.
Sorrido di fronte ai suoi modi impacciati. Certo che la vita
è
proprio strana. Dubito seriamente che James, Sirius, Remus e Peter
avrebbero mai finito per diventare così amici, diversi come
sono
l’uno
dall’altro,
se non si fossero mai ritrovati a condividere un dormitorio a Hogwarts.
“Sì,
lo so che molte
volte sembro un cane da guardia, ma credimi, non ho mai chiesto nemmeno
per sogno a Silente di ricevere certe nomine”, lo rassicuro.
In
fondo, non penso male di Peter. Non è un cattivo ragazzo.
È che si fa trascinare fin troppo da un certo signor Potter,
sia
nel bene che nel male.
“Beh, adesso
che tu e James state insieme le cose cambieranno, no?” mi
dice lui, con aria speranzosa.
Stiamo insieme?
Bella domanda.
Davvero una bella
domanda.
Una domanda a cui non
credo di avere uno straccio di risposta.
“Non lo so,
immagino dovremo parlarne per … chiarire la
situazione”.
Godric. L’ho
sempre saputo,
che non mi fa bene parlare troppo dei fatti miei. Finisco per non
sapere cosa dire, o cosa fare. Finisco per sentirmi giudicata.
Soprattutto per una cosa del genere, che diamine. Non è
propriamente una notizia che uno studente medio di Hogwarts dei nostri
anni si aspetterebbe di ricevere, considerato che la mia avversione per
James Potter è sempre stata ampiamente manifesta. Basti
pensare
che, quando gli ho detto che mi dava la nausea, quel giorno del quinto
anno, in riva al lago o in quella zona del parco c’era
praticamente mezza scuola.
Realizzo ora che, se
vado avanti con
questa cosa, il mio destino è praticamente segnato. La mia
vita
cambierà in modo radicale e mi toccherà
rivoluzionare dei
rapporti che non sono stati per nulla idilliaci, nel corso dei
precedenti sei anni.
Non so se sono pronta
per questo.
L’ho dato per scontato nel momento in cui sono stata io a
baciarlo, ma forse dovrei chiedermelo, prima di fare un errore
madornale e dovermene pentire successivamente.
Chino la testa,
fissando una crepa nel pavimento.
“Suppongo che
ora sia il mio
turno di ritentare con l’incantesimo”, mormoro,
sforzandomi
di esibire un sorriso.
Credo di essere appena
entrata in
piena crisi esistenziale quando sento scoccare le nove e cerco di
raccogliere le forze per uscire dal dormitorio e avviarmi verso il
patibolo. Magnifico, davvero. Sono proprio dello spirito giusto per
andare di sotto e trascinare di nuovo via Potter, nella prospettiva di
dover affrontare una conversazione della massima importanza come
probabilmente sarà quella che si svolgerà fra me
e lui
questa sera. Via il dente, via il dolore, diceva qualcuno. E sono
d’accordo. Meglio risolvere subito la questione,
così da
avere ben chiaro il quadro generale; e se non fossi così in
confusione, non avrei affatto paura di tutto questo.
Scendo le scale a passi
rapidi,
quasi per abbreviare la mia agonia. Potter, ovviamente, è
lì, in sala comune, si sta stravaccando giusto ora su una
delle
poltrone, circondato da tutti i suoi amici.
Oh, ecco, fantastico.
Arrivo giusto
in tempo per interrompere il suo convegno fraterno. Merlino, mi sento
uno schifo, e non dovrei, perché in fondo, a ben guardare,
non
sto davvero facendo nulla di male. Però non fatico certo a
supporre che ora Sirius, Remus e Peter mi etichetteranno di comune
accordo
come quella-che-trascina-via-Potter-nei-momenti-meno-opportuni,
e
già immagino quanto sarà divertente interpretare
tutti i
giorni il ruolo della rompiscatole.
James mi guarda,
comprende e, per
fortuna, si alza. Mormora a malapena una frase che non riesco a
sentire. Sembra a disagio almeno quanto me, considerando che mi si
blocca davanti con una mancanza di naturalezza non da poco.
“Dopo di
te”, mi dice, e
io colgo al volo l’occasione per fuggire di corsa dal
dormitorio
di Grifondoro. Lontano dal camino, fuori dal buco del ritratto,
giù per le scale. Prima siamo soli, meglio è. La
smetterò di sentirmi il mostro della situazione, perlomeno.
E
non appena avremo parlato, la smetterò anche di farmi dei
problemi riguardo a cosa ne sarà di noi.
E va bene, credo che mi
piaccia.
Penso di esserne abbastanza convinta, dopo il modo in cui mi agito
tutte le volte che incrocio il suo sguardo da quando ci siamo baciati.
Penso anche di essere abbastanza forte da fregarmene delle eventuali
chiacchiere della gente, perché ormai lo conosco e so che si
merita il mio affetto, al di là di tutto. Sì,
Severus lo
detesta, ma non siamo più amici da tempo, ormai, pertanto
non
è un dettaglio che devo prendere in considerazione per
decidere
se posso uscire con Potter oppure no. E poi, anche se i rapporti fra me
e Severus non si fossero interrotti, penso che mi sarei sforzata in
ogni modo di fargli capire che il suo giudizio su James è
sbagliato, completamente sbagliato. È maturato, non
è
più un bambino ed è in grado di affrontare una
cosa come
questa con il giudizio necessario.
“Ma
… esattamente cos’è che dovremmo
pattugliare?”
Dopo questa frase,
però, potrei seriamente cominciare a ricredermi.
“Non saprei,
io pensavo di
cominciare dai ripostigli per le scope”, borbotto, in tono
decisamente caustico, mentre svolto un angolo ascoltando i miei passi
che rimbombano sul terreno. Gli riesce così difficile
comprendere che dovremmo dare inizio ad una conversazione seria?
“Oh, beh, se
preferisci questo
genere di posto io posso sempre adattarmi, su queste cose sono
piuttosto flessibile …”
Sì, infatti
ieri mi ha rinchiusa in un’aula vuota.
“Che non
fosse il posto il tuo chiodo fisso l’avevo già
capito, ti ringrazio”.
In questo momento
vorrei davvero
fermarmi e mettermi a prendere a testate la parete. Forse aiuterebbe a
rendere la situazione meno divertente per il signor Cacciatore.
“Senti un
po’ … tu cosa … insomma, tu dove pensi
che andremo a finire?”
Ah, lo dovrei
sapere io?
Dovrebbe pesare su di me la condanna di esprimere per prima un giudizio
su questa faccenda, così come è toccato a me
espormi per
prima per portare la nostra relazione ad un livello più
elevato?
Vorrei che non fosse così, ma in questo momento non riesco a
pensare ad altro che all’espressione allibita e disgustata di
Severus dopo avergli detto che ho baciato James Potter. Non che mi
interessi della sua opinione, ma perché è
oggettivamente assurdo che
proprio io abbia preso una tale iniziativa nei suoi confronti.
“Se
continuiamo per questa
strada dovremmo arrivare dritti nei sotterranei, quindi forse sarebbe
meglio se salissimo di un paio di piani”.
Non sono pronta a
buttarmi nelle
fauci della Piovra Gigante, va bene? Non sono mai passata attraverso
una cosa del genere e non so se due giorni di tachicardia costante
possono essere considerati sufficienti per giudicarmi pronta ad
iniziare una storia con lui, non so se posso fidarmi di un istinto che
mi ha portato a baciarlo senza mezzi termini e senza preavvisi di alcun
tipo. Non lo so. Non ho alcun termine di paragone. Per lui
probabilmente è più facile, immagino che sappia
cosa
vuole dopo avermi guardata in quel modo quando gli ho detto che pensavo
che la sua fosse tutta una tattica per conquistarmi come una specie di
trofeo, ma per me non è così. Io sono stata
gettata nel
bel mezzo di questa cosa senza che nessun campanello
d’allarme
suonasse nella mia testa. E decidere se stare insieme a James Potter o
no vuol dire tutto. Perché sarebbe una cosa seria, ma una
cosa
che ha alle spalle sei anni di ostilità. Perché
per ora
soffro di palpitazioni come una stupida ragazzina, ma stando insieme
potremmo scoprire che non riusciamo ad andare per niente
d’accordo. E allora, mi ritroverò con una
disfunzione
cardiaca e un impegno serio naufragato nel nulla più
assoluto. O
peggio, in un odio ancora più profondo di quello dei sei
anni
passati. E da ultimo, se veramente una parte di me era ancora
così stupida da sperare che un giorno io e Severus saremmo
tornati ad essere amici, cominciando a frequentare Potter
equivarrà ad annullare completamente questa
possibilità.
Probabilmente non ci guarderemo neppure più in faccia, dopo
che
la notizia gli sarà giunta alle orecchie. No, peggio ancora,
perché già adesso non ci guardiamo in faccia. Dal
momento
in cui ne verrà messo al corrente, Severus mi
odierà
tanto quanto odia James. Sono cosciente del fatto che sia
incredibilmente idiota pensarci ancora, ma passare dal considerarlo il
mio migliore amico alla consapevolezza di essere disprezzata non
è proprio così facile da mandar giù.
Non avrei mai
voluto che le cose finissero così, tra me e lui.
È solo dopo
qualche attimo
che mi accorgo di non sentire più i passi di Potter fare eco
ai
miei, per cui mi volto e me lo vedo lì, fermo in mezzo al
corridoio, probabilmente assorto nel contare le piastrelle del
pavimento.
“Che ti
succede?” gli domando, facendolo riscuotere di colpo. Mi
guarda con una strana espressione smarrita.
“Niente”,
risponde, e a me sembra di sprofondare. Ecco, come riusciamo a
comunicare bene.
“Pensi di
essere in grado di
muovere le gambe?” gli chiedo, accantonando in buona parte il
sarcasmo. Mi avvicino, non so perché, forse
perché
è ora o mai più, e se non riusciamo a sbloccarci
è
la fine.
“Che razza di
domande fai,
Evans? È ovvio che riesco a muovere le gambe … se
ti
stavi preoccupando per me ti ringrazio di cuore, ma davvero non ne ho
bisogno”.
Per diversi secondi lo
squadro da capo a piedi con il volto contratto dall’ira,
sforzandomi di non esplodere.
“Benissimo,
se allora ritieni
di non avere problemi motori schiodati da terra e cammina,
grazie”, ribatto, poi mi giro e me lo lascio alle spalle,
più decisa che mai a lasciar perdere con tutta questa
storia.
È ridicolo, i fatti lo dimostrano, più evidente
di
così non potrebbe essere. Non riusciremmo ad avere la nostra
storia seria per neppure cinque minuti. Non so nemmeno come ho fatto a
crederci, davvero. Sei anni di ostilità non si cancellano
così facilmen- …
Che diavolo
…?
Un secondo. In un
secondo mi ha
afferrata per un braccio, mi ha bloccata sul posto, mi ha sollevato il
volto con una mano e mi ha baciata. La tachicardia aumenta a livelli
vertiginosi. Sento la pressione delle sue labbra e le sue braccia che
mi stringono come non ha mai fatto, come nessuno ha
mai
fatto. Finisco aggrappata alle sue spalle, in punta di piedi, e lui
quasi mi solleva da terra, abbracciandomi così forte.
Stupido.
Come l’altra
volta, la rabbia
svanisce. Quasi di colpo. Tutto quanto perde d’importanza.
Che
valore può avere se non riusciamo a comunicare verbalmente,
o se
per sei anni non abbiamo fatto altro che litigare? Già
soltanto
il fatto che riusciamo a baciarci è qualcosa di
rivoluzionario.
Perché è qui che capisco. Perché non
mi fa schifo,
nemmeno un po’. Perché mi fa girare la testa.
Perché stare così attaccati non mi soffoca.
Perché
corro il rischio di cominciare a desiderare che duri per sempre. Questo
dovrà pur significare qualcosa, qualcosa di importante.
Ci stacchiamo dopo un
po’, anche se rimaniamo abbracciati. Non potrei sfuggirgli
nemmeno se volessi, stavolta.
L’ho sentito
di nuovo, come
tre giorni fa. Dal modo in cui rispondeva al mio bacio inaspettato e
violento manifestava un sentimento di una forza impressionante, che non
ho istintivamente potuto fare a meno di ricambiare. È
più
forte di me, più forte della mia volontà e della
mia
logica, del mio giudizio e delle mie paure. E non
c’è una
ragione particolare per questo. È semplicemente colpa sua.
Di
questo stupido che ho odiato per anni e anni, con tutte le mie forze.
La verità è che non mi è mai stato
indifferente,
nel bene o nel male. È sempre riuscito a conquistarsi una
buona
fetta delle mie energie e dei miei sentimenti.
Sorrido
involontariamente, mentre torno a guardarlo.
“Idiota”.
“Grazie”.
Sorride anche lui, con
quella sua snervante aria da impunito.
“Ti odio
quando fai così”, gli sussurro.
“Hai ragione,
sono davvero insopportabile”, risponde lui, ancora a pochi
centimetri di distanza.
Riesco quasi a sfiorare
le sue labbra incurvate verso l’alto.
“Sai una
cosa, Evans? Se anche
non mi dai la soddisfazione di dirmi apertamente che ti piaccio, per me
va bene lo stesso”, mi dice poi, ancora con
quell’espressione. Quindi questo è il suo stupido
modo per
dirmi che è una cosa seria?
“Spero per te
che tu non
pretenda che ci teniamo per mano quando camminiamo, o che per questo ti
senta in diritto di appiccicarti a me durante ogni intervallo tra le
lezioni, o di assillarmi costantemente con qualsiasi tipo di attenzione
morbosa …” gli dico, cercando implicitamente una
conferma
al mio dubbio. Lui sorride, divertito, mentre io attendo una sua
risposta al mio modo contorto di porgli una domanda.
“Non
preoccuparti, sono
perfettamente conscio del fatto che ti gratifica dettare le
regole”, risponde, e finalmente posso ridere
anch’io. E va
bene, Potter, allora che sia una cosa seria. Ci baciamo di nuovo.
È tutto chiarito, per quanto in maniera decisamente bizzarra
e
poco usuale. Ma, del resto, ho sempre detestato le discussioni condotte
per mezzo di luoghi comuni.
Waste
the hours with talking, talking,
These
twisted games we're playing.
We're
strange allies,
With
warring hearts.
(Dave Matthews
Band, The Space Between)
Nota di fine capitolo:
preannuncio che dal prossimo capitolo inizieranno i cambiamenti
più importanti per la trama (finora si è trattato
di
piccole cose, soprattutto con il fine di inserire l'amicizia fra
Severus e Lily che nella versione precedente della storia era assente,
dato che l'avevo scritta prima che fosse uscito HP7). Le cose tra Lily
e James andranno sempre nello stesso modo, ma ci saranno modifiche e
arricchimenti, soprattutto dal punto di vista di Lily, inerenti
soprattutto il capitolo The
Prince's tale
di Deathly Hallows (inventarmi una spiegazione plausibile per
tutto è stata una vera e propria fatica). Ulteriori
spiegazioni verranno aggiunte a tempo debito; per adesso posso
smetterla di tediarvi :)
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Capitolo 12 *** Sull'orlo di una crisi di nervi ***
Capitolo 12
Capitolo
12 – Sull’orlo di una crisi di nervi
E
io pensai a ... a quella vecchia barzelletta, sapete, quella, quella
dove uno va dallo psichiatra e dice: “Dottore, mio fratello
è pazzo, crede di essere una gallina”. E il
dottore gli
dice: “Perché non lo interna?”. E quello
risponde:
“E poi, a me, le uova chi me le fa?”. Beh, credo
che
corrisponda molto a quello che penso io dei rapporti uomo - donna. E
cioè che sono assolutamente irrazionali e ... e pazzi. E
assurdi. Ma credo che continuino, perché la maggior parte di
noi
ha bisogno di uova.
(Woody Allen, Io e Annie)
13 Ottobre 1977
Non è la
prima volta che mi
ritrovo a dover fare i conti con il desiderio di fare un bilancio della
mia misera ed infinitesima esistenza ma, diversamente rispetto alle
altre occasioni, ora mi accorgo che non sto riuscendo nel mio intento
di mettere ordine nei ricordi, nelle date, negli avvenimenti.
Potrà anche essere possibile che io soffra di qualche tipo
di
limitatezza mentale, ma non posso farci niente, giuro; è
complicato. E lo dico nella coscienza del fatto che la maggior parte
delle volte affermare che è complicato è
solamente la
più efficace e meschina delle scuse. Può
risultare
incredibile, ma non è il mio caso; nell’ultimo
mese me ne
sono capitate talmente tante che ormai non so nemmeno che cosa prendere
in considerazione e che cosa no, di tutta questa valanga di dati che mi
intasano il cervello.
Ora forse comincio a
capire come
deve sentirsi il Cappello Parlante quando viene posato sulla testa di
uno studente, e implicitamente gli viene richiesto di classificarlo in
una precisa categoria in base all’analisi attenta di una
personalità. Beh, se ci riesce il Cappello Parlante non vedo
perché non dovrei riuscirci io, che sono James Potter il
Caposcuola, il capitano della squadra di Quidditch di Grifondoro, il
Malandrino e l’Animagus non registrato.
Ecco,
perché non concentrarsi per prima cosa su
quest’ultimo aspetto?
Ora, posso capire che
Padfoot, non
avendo mai nutrito l’intenzione di avviare una relazione
seria
con una qualsiasi ragazze a cui ha di rado concesso le proprie preziose attenzioni tanto agognate, non si sia
mai posto il problema in vita sua, e che altrettanto abbiano fatto
Moony e Wormtail, l’uno troppo schivo per ronzare intorno a
una
donna con delle serie e precise intenzioni e l’altro troppo
avvezzo ad essere messo in soggezione da qualunque essere di sesso
femminile che pretenda di rivolgergli la parola (io e Sirius sosteniamo
che Peter sia stato condizionato negativamente in questo senso dal
terrore che gli incute la McGranitt, ma credo che il vero motivo non lo
scopriremo mai), ma io, dicevo, sono stato posto dalle circostanze
nella diretta necessità di riflettere molto attentamente
riguardo alla mia doppia natura, in virtù del fatto che ora
ho
una ragazza e che logicamente sto facendo sul serio.
Il problema, per dire
le cose come
stanno, non si è presentato subito. Ma il 27 settembre
c’era la luna piena, e io, per mancanza di inventiva e di
collaborazione da parte dei miei amici, che mi hanno –
più
o meno gentilmente – invitato a sbrigarmela da solo, mi sono
dovuto inventare una scusa patetica per mollare Lily a pattugliare i
corridoi da sola e recarmi di corsa nella Stamberga Strillante, dove
Remus era già in piena trasformazione. Come se non
bastasse, mi sono ricordato di trasformarmi in Prongs appena in tempo,
prima di piombare dentro la stanza in sembianze umane (il che, compiuto
di fronte ad un Lupo Mannaro, sarebbe stato un po’ come
offrirgli
il piatto forte su un vassoio d’argento). Ma questi sono
aspetti
del tutto secondari. Il punto cruciale della questione è che
ho
dovuto mentire a Lily in modo spudorato, e per una volta può
anche essermi andata bene che ci sia cascata, ma la prossima Luna piena
è il 26 ottobre, e dopo oggi mancano tredici giorni, io che
cavolo mi invento? È ovvio che non ho la benché
minima
intenzione di rinunciare alle nostre uscite notturne con scadenza
mensile solo perché adesso sto con lei, mi sono dannato
l’anima per tre anni insieme a Sirius e Peter per riuscire a
diventare un Animagus in modo da aiutare Remus e non l’avrei
mai
fatto per qualcun altro di cui non mi fosse importato un accidente, ma
quello che mi preoccupa è che Lily è
spaventosamente
intelligente. Certo, sono obiettivamente lieto che Madre Natura le
abbia conferito questo dono; tuttavia, in una situazione come questa,
la cosa non fa altro che preoccuparmi. Non ci metterà molto
a
capire che c’è qualcosa che non va,
così come io,
Padfoot e Wormtail ci siamo accorti che qualcosa non andava in Moony e
nelle sue regolari sparizioni motivate da pretesti poco convincenti, e
che ci ha portati a scoprire tutto quando ancora eravamo soltanto tre
giovani e innocenti scolaretti del secondo anno; figurarsi quanto ci
impiegherà Lily ora. Per cause fortuite, quando ancora lei
frequentava Snivellus (Merlino, che orrore, ma chi me l’ha
fatto
fare di ripensarci?), era già capitato che noi Malandrini
avessimo con lei una discussione riguardante Remus. In tali frangenti
le dicemmo che il nostro amico aveva una malattia molto seria (il
merito di questa idea geniale fu tutto di Peter, ancora adesso gli
facciamo i complimenti per la prontezza con cui si inventò
quella frottola); così rendemmo giustificabile il fatto che
spesso avesse quell’aria pallida e stanca e i suoi soggiorni
periodici in Infermeria. Perfino Madama Chips, cogliendo la vitale
importanza di quella messinscena, confermò la nostra
versione
senza fare una piega, aiutandoci così a depistare
completamente
Lily. Mi viene quasi da ridere a ricordare quell’improvvisato
teatrino da noi allestito in tali circostanze: Remus ci
confessò
che, quando annunciai che avremmo spiegato a Lily cos’aveva,
era
quasi svenuto per lo shock (come se mi sarebbe mai potuto passare per
l’anticamera del cervello di dirle la verità,
suvvia
… sono solo innamorato di lei, ma non totalmente scemo e
menefreghista). Lei non aveva colpa, si era ritrovata in mezzo a quella
situazione soltanto perché il suo odioso ex-amico Snivellus
continuava a ficcare il suo disgustoso e lunghissimo naso negli affari
di Remus. Però, in tali circostanze, sembrava che
l’avessimo convinta. Tuttavia, un conto era giustificare
davanti
a lei i malesseri di Remus, tutt’altra questione è
invece
fornirle una scusa per le mie
concomitanti sparizioni. Ho cercato di parlarne con i miei amici, ma
all’incirca, seppure in tonalità diverse, mi sono
sentito
rispondere sempre con la stessa formula mascherata da luogo
comune: “Ci
penseremo quando sarà il momento”. Mi
sembra giusto, tanto non è nessuno di loro tre quello che
deve
fare i conti con una ragazza che ha il fiuto di un segugio per i loschi
affari dei Malandrini e in più, dati i recenti sviluppi,
anche
la possibilità di tenere sotto stretto controllo il
sottoscritto, di cui percepisce il tono da balla colossale con una
facilità che ormai mi terrorizza. A dire la
verità,
Sirius ha anche proposto di Schiantarla tutte le volte che mi
è
necessario allontanarmi per raggiungere Remus così da non
dovermi inventare una scusa per farla star buona, e poi –
forse
– di risvegliarla al ritorno e riportarla in sala comune.
Inutile
dire che l’idea è stata bocciata in partenza. Ma
questa
considerazione mi permette di ricollegarmi ad un altro degli aspetti
che mi preoccupa di tutta questa faccenda, e cioè Padfoot.
Che si fosse ormai
stufato della
mia perenne infatuazione per Lily fin dagli anni precedenti
l’avevo già intuito, ma ne avevamo parlato
più di
una volta e l’avevo rassicurato sul fatto che, se anche il
sogno
della mia vita avesse finito per avverarsi, mai e poi mai avrei messo
da parte i miei amici per dedicarmi univocamente a lei. Solo che lui
sembra esserselo scordato, di tutte le volte che gliel’ho
detto.
Il nostro rapporto non ne ha risentito, con me è sempre lo
stesso; ma quella diffidenza di fondo che ha ininterrottamente permeato
l’argomento Lily si fa sempre ed immancabilmente viva ogni
volta
che, per colpa della mia situazione con lei, finisco per combinare dei
pasticci. Giuro che ora ci sto attentissimo, e che ci provo a non
cacciarmi nei guai, ma è anche vero che non possediamo una
seconda Mappa del Malandrino che io possa farmi sequestrare, e che
quindi mettere in campo frasi fatte del tipo “Ti assicuro che non
si ripeterà più” non
ha molto valore pratico, in fondo. Comunque sia, ce la sto mettendo
tutta. Non voglio dover scegliere tra l’una e
l’altra gioia
della mia vita: voglio soltanto poter trovare il modo di coltivarle
entrambe, se Merlino me lo concede. Per ora posso solo sperare che con
il tempo il contrasto si attenui; Lily per fortuna non se la prende e
io mi sforzo di dividere il mio tempo libero in parti più
uguali
possibile, nonostante questo mi stia trascinando sull’orlo di
una
crisi di nervi.
Già,
perché non
bastano queste ordinarie complicazioni a rendermi la vita difficile, in
aggiunta alla considerevole mole di studio, agli allenamenti di
Quidditch e ai miei incarichi da Caposcuola, no: ci si devono mettere
anche quei piccoli e subdoli incidenti di percorso che in genere non
posso prevedere, e di fronte a cui ogni volta mi trovo totalmente
impreparato.
Il peggiore, comunque,
credo sia stato quello con la McGranitt.
Era una delle tante
sere
d’autunno che si sono accavallate fino ad oggi nei miei
ricordi,
e io ero particolarmente in vena di fare lo scemo. Le lezioni erano
appena terminate, io e Lily dovevamo recarci alla riunione dei
Capiscuola e in giro non c’era praticamente nessuno,
perciò, nel tragitto che ci doveva condurre dalla Sala
Comune
all’ufficio della McGranitt, avevo cominciato a provocarla in
tutti i modi possibili e immaginabili, giocando sul fatto che ormai non
ci riesce più ad arrabbiarsi seriamente con me per queste
facezie. Sta di fatto che avevo appena dato voce ad una frase che
suonava più o meno come “Non
preoccuparti se alla riunione preferisci mantenere le distanze, in ogni
caso abbiamo sempre l’ora della ronda in cui
spassarcela”,
che mi vedo uscire da un’aula vuota in quel preciso e
definito
istante la McGranitt in persona, con uno sguardo molto cattivo puntato
dritto su di me.
Inutile dire che io
avrei tanto voluto sotterrarmi con le mie stesse mani.
Sulle prime penso
abbia preferito
non dire niente, si è semplicemente limitata a scortarci
fino al
suo ufficio con le labbra ridotte ad una fessura, mentre io incassavo
con un gemito strozzato un violento gancio sul torace affibbiatomi da
Lily, mentre il mio cervello era entrato in crisi e continuava a
ripetermi “Idiota,
idiota, idiota”, intervallato ogni tanto da
un “Ma
quando diavolo imparerai a tenere la bocca chiusa?”.
E del resto, quale
può
essere la soluzione per evitare che si ripetano episodi di questo
genere? Anche volendo, ormai non posso più nemmeno andare in
giro con la Mappa del Malandrino costantemente sotto il naso. Alla
fine, comunque, conclusasi la riunione, la McGranitt mi chiese di
trattenermi un secondo e, una volta che le fui di fronte, squadrandomi
da capo a piedi con quel suo sguardo assassino, mi fece un discorsetto
molto teso e imbarazzante in cui mi consigliò in tono di
velata
minaccia di non portare Lily sulla cattiva strada. Io mi strinsi nelle
spalle cercando di scacciare il disagio opprimente e le dissi “Beh,
professoressa, dato che lei indubbiamente considera Lily una ragazza
assennata converrà con me che se è andata a
scegliersi
uno come me significa che non mi ritiene in grado di portarla su una
qualsiasi cattiva strada”. Gli occhi della
McGranitt si
erano ridotti a due fessure e io avevo preferito filarmela, sentendomi
gridare alle spalle che questo implicava anche “non fare della ronda
serale un’occasione per dedicarsi ad attività poco
decorose”.
Io ormai avevo già intenzione di andare a cercare una vanga
per
sotterrarmi, se non fosse stato per il fatto che Lily mi aspettava
dietro la porta pronta a darmi una mano scavando a mani nude (vale a
dire che mi prese a pugni per tutta la strada di ritorno, ingiuriandomi
in ogni maniera possibile, salvo poi saltarmi al collo nei pressi dei
gradini che conducono alla Torre di Grifondoro; non ho ancora capito
per quale strano meccanismo, ma sembra sempre propensa a questo tipo di
iniziative nelle occasioni in cui sono appena riuscito a farla
infuriare a morte).
Un altro episodio
particolarmente
imbarazzante si è verificato la mattina del 28 settembre, il
giorno successivo alla luna piena. In genere, le nottate di luna piena
le trascorriamo quasi completamente insonni perciò, se il
giorno
dopo siamo particolarmente stanchi, saltiamo un paio di lezioni e ci
barrichiamo in dormitorio a giocare a chi russa più forte.
Quest’anno, però, con i M.A.G.O. alle porte, Remus
ci ha
fatto promettere che ci impegneremo al massimo per perdere il minor
numero di lezioni possibile; perciò, la mattina dopo mi sono
trascinato verso l’aula di Erbologia in uno stato vegetativo
che
faceva pietà, carico del fascino delle occhiaie incipienti e
di
una chioma particolarmente in disordine. I miei amici hanno sempre
retto piuttosto bene il peso di una nottata di sonno perso, ma io, per
mia grande sfortuna, non sono mai stato dotato di questa
capacità; quindi, il massimo che quel giorno sono riuscito a
fare è stato nascondermi dietro la mia pianta e trascorrere
l’intera lezione a sbadigliare senza ritegno. Il bello
è
che è stato proprio durante uno sbadiglio particolarmente
smascellato che Lily ha deciso di volgersi verso di me e chiedermi se
potevo sbrigarmi a restituirle le sue forbici da potatura –
ovviamente gliele avevo chieste in prestito con la scusa di rivolgerle
la parola. Sì, perché ancora adesso necessitiamo
di
simili espedienti per instaurare una comunicazione: di sicuro ho
sviluppato un’immaginazione fuori dal comune, considerate
tutte
le scuse che ogni volta mi premuro di inventare, ma ho anche imparato a
mie spese che la situazione è ben lontana dai vagheggiamenti
idilliaci che riempivano le mie fantasie quando ancora vivevo nel mondo
dei sogni. È davvero complicato. E il peso
dell’abitudine
è forte. Come può riuscire spontaneo instaurare
un
rapporto di immediatezza dall’oggi al domani con una persona
che
fino al giorno prima ti insultava costantemente? Che poi non
è
che adesso abbia smesso di farlo, la mia cara, dolce Lily. Nei momenti
in cui riusciamo ad entrare in sintonia e forse avrebbe
l’occasione di dirmi qualcosa di carino, non parla. Ma quando
io
dico qualcosa per spezzare il silenzio e lei mi risponde a monosillabi
con la sua tonalità ironica, io mi sento come se avessi
appena
vinto la finale di Quidditch.
Di altre conseguenze
tragicomiche
ce ne sono state parecchie. Per esempio, quando abbiamo messo in atto
lo scherzo ai Serpeverde, lei per poco non Schiantava me e Peter
trasformati in Nott e Avery, mentre rientravamo nei dormitori di
Grifondoro seguiti da Remus e Sirius e tenendoci la pancia per le
risate. Comprensibile che un qualsiasi Grifondoro sano di mente avesse
pensato male notando un paio di Serpeverde entrare nel dormitorio
altrui, ma per evitare di finire male abbiamo dovuto raccontarle tutto
e attendere che gli effetti della pozione Polisucco svanissero
completamente prima che lei mi credesse davvero. Alla fine
però
siamo riusciti a farla ridere, anche se dalle occhiate e dal mutismo
iniziali risultava evidente che non approvava la nostra bravata. Se
anche le fosse passato per l’anticamera del cervello di
tenere
fede al suo incarico di Caposcuola e punirci tutti e quattro seduta
stante, sono riuscito a farle cambiare idea nel giro di qualche minuto,
e in separata sede Sirius ha finalmente convenuto con me che a qualcosa
è servito, che io e lei iniziassimo ad uscire insieme. Non
sono
molto sicuro di quanto i miei occhi abbiano brillato in quel momento,
ma dev’essere stato parecchio, perché Padfoot ha
cercato
di soffocarmi con un cuscino non appena ha notato in che modo lo stessi
guardando.
Devo dire che,
comunque, sono
riuscito a comprendere quale sia il comportamento più
adeguato
che posso assumere in casi come questo, o dopo che Lily mi ha beccato a
discutere pesantemente con Snivellus nell’aula di Pozioni, o
che
alcune ragazzine del terzo anno evidentemente invaghite del
sottoscritto hanno tentato di pedinarci mentre ci appartavamo dopo
cena, o che un Bolide mi ha rotto un braccio durante
l’allenamento di Quidditch in cui avevo supplicato Lily di
fare
un salto a vedermi giocare. Insomma, sto imparando a destreggiarmi in
mezzo a questo percorso a ostacoli perché, per quanto un
bilancio del genere possa apparire disastroso, la mia mente contorta si
limita ad accettare lo stato delle cose e ad andare avanti come se
niente fosse. Che diamine, questa è la vita di Hogwarts; non
c’è niente che io possa fare per eliminare del
tutto il
rischio di questi incidenti
di percorso,
perciò tanto vale che ci faccia l’abitudine. Del
resto, ho
imparato ad adattarmi a molti aspetti della mia vita che non mi
andavano giù, nel corso di questi anni: e se non
l’avessi
fatto, adesso non starei qui a crogiolarmi nel pensiero di essere
frequentare Lily ormai da un mese.
Bene, a questo punto
posso
ritenermi soddisfatto del mio esame di coscienza. Scanso le coperte e
mi alzo silenziosamente, considerato che tanto ormai non potrei sperare
di riaddormentarmi sfruttando il tempo che manca all’ora
della
sveglia collettiva per riposarmi ancora un po’: nelle
situazioni
in cui il mio cervello è bombardato da un sovraccarico di
pensieri di portata simile, per riuscire a cadere di nuovo nel mondo
dei sogni dovrei strisciare fino all’infermeria e implorare
Madama Chips di concedermi il beneficio di una Pozione Soporifera.
Considerato però che solo una settimana fa ha dovuto
riaggiustarmi le ossa del braccio, non credo sarebbe molto propensa a
compiere un altro atto di carità nei miei confronti in un
arco
di tempo così breve.
Senza contare che devo
ancora
finire il tema di Difesa contro le Arti Oscure, miseriaccia. Non che la
materia in sé mi preoccupi, l’ho sempre saputa
cantando:
il fatto è che, per quanto io possa essere cerebralmente
sveglio, non lo sono proprio così tanto da poter affermare
di
essere nelle condizioni adatte a mettermi a fare i compiti. Ma che
importa, quest’anno ho deciso di fare il bravo bambino e di
applicarmi un po’ di più, anche se la mia
smisurata
intelligenza non lo richiederebbe (sì, sono sempre stato uno
di
quegli odiosi individui
immeritatamente dotati
che è in grado di leggiucchiare un libro di Artimanzia una
mezzoretta prima della prova in classe e riuscire comunque a prendere
il massimo dei voti; so che Lily mi detesta ancora per questo).
Scendo le scale del
dormitorio con
passo estremamente strascicato, gettando un’occhiata
distratta
fuori dalla grande finestra che si affaccia sulla sala comune. Non
dev’essere nemmeno l’alba, considerato che ancora
non
giunge nemmeno uno sprazzo di luce mattutina. Poco importa, riaccendo
il fuoco nel camino e sprofondo su una poltrona insieme a piuma,
calamaio e pergamena, poi cerco di aprire gli occhi quel tanto che mi
è necessario per smetterla di vederci sfuocato anche con gli
occhiali al loro posto. È deprimente, ma che ci posso fare
se
ieri sera ho dovuto condurre degli allenamenti di doppia durata in
vista della prima partita del campionato scolastico?
Mi piacerebbe tanto
sapere che
diavolo di ore sono. Sbadiglio, srotolo la pergamena e mi accingo a
riprendere da dove mi ero interrotto la sera prima, senza badare al
fatto che la mia grafia si sta facendo sempre più simile a
quella buffa e tremolante di Peter che alla mia solita. Devo rileggere
il mio componimento un paio di volte prima di capire esattamente di che
dovessi ancora parlare per finire quell’accidenti di tema,
quando
mi rendo conto che nell’intestazione è richiesta
anche la
casistica dell’uso delle Maledizioni Senza Perdono nel nostro
secolo … va bene che sono intelligente, ma non fino al punto
da
saper snocciolare una serie di nomi mai sentiti prima attingendo
informazioni da chissà dove. Questo significa che devo come
minimo tornare di sopra a recuperare il mio libro di Difesa contro le
Arti Oscure. Magnifico.
Sto per alzarmi dopo
aver
sbadigliato di nuovo quando un tonfo sordo nelle immediate vicinanze mi
fa compiere un salto di un metro e mezzo per lo spavento. Un paio di
libri sono atterrati sul pavimento vicino ai miei piedi producendo quel
fracasso infernale e io, per riflesso condizionato, mi volto di scatto
nella direzione da cui sono giunti.
“Che pigiama
adorabile”, mi apostrofa Lily, squadrandomi con quel
sorrisetto compiaciuto stampato sul volto.
Io smetto di
trattenere il fiato,
una volta appurato che non si tratta di nessun soggetto pericoloso per
la mia incolumità. Solo che non posso fare a meno di
domandarmi
comunque che diavolo ci faccia lei lì.
“Non essere
invidiosa, te ne
regalerò uno uguale per il tuo compleanno, se
vuoi”,
replico, tentando di recuperare la mia dignità attraverso
una
qualche battuta insicura. Il suo sorriso si allarga ancora di
più, mentre si avvicina e si siede sulla poltrona di fianco
alla
mia.
“Come facevi
a sapere … voglio dire, non ti sembra un po’
presto per alzarti?”
Lei non accenna a
voler eliminare quel ghigno dalla faccia.
“Considerato
che ieri sera te
ne sei dovuto andare quando eravamo ancora tutti a metà del
tema, ho ipotizzato che l’avresti finito adesso”.
“E come
facevi ad essere sicura di trovarmi qui?”
“Beh,
diciamo che hai il passo piuttosto pesante”.
“E che tu
non dormivi, ad ogni modo”.
Lei abbassa gli occhi,
fissando il
tappeto. Sorrido anche io. A distanza di un mese, ancora ci sono dei
momenti in cui mi sembra tutto un incredibile sogno.
“Pensavo ti
servissero i libri”.
“Mi inchino
di fronte alla tua perspicacia”.
“Lo
prenderò come un ringraziamento”.
Per certi aspetti, non
sembra
affatto trascorso un mese. Tuttora continuiamo a lanciarci frecciatine
di questo tipo, senza mai toccare un argomento serio, e senza fornirci
spiegazioni del perché continuiamo a perseverare in questo
tipo
di atteggiamenti. Non ho mai frequentato il corso di Antiche Rune, ma
forse avrebbe potuto finire per piacermi, perché tradurre
quello
strambo linguaggio dovrebbe essere più o meno come cercare
di
interpretare i comportamenti di Lily nei miei confronti: e non posso
non ammettere che lo trovo estremamente stimolante.
Raccolgo uno dei libri
da terra,
poi però mi accorgo che lo sguardo penetrante di Lily
è
direttamente puntato su di me.
“Che
c’è?” le chiedo, con aria
inevitabilmente sospettosa. Lei mi osserva con una punta di scetticismo.
“Non
preferiresti copiarlo, il tema?”
Sgrano gli occhi, in
un’espressione confusa.
“Perché,
tu mi diresti di sì?”
Lily si stringe nelle
spalle con aria candida.
“Beh,
può darsi”.
Io rimango in silenzio
per qualche
secondo. Continuo a fissarla attentamente, concentrandomi su quella
piega della sua bocca che nasconde un sorriso molto poco innocente.
“Oh,
piantala. Questa volta non ci casco”.
Lei ride, di gusto,
gettando indietro la testa. I capelli le scivolano sulla schiena.
Merlino, deve essere
un sogno. Ora arriverà Sirius a buttarmi giù dal
letto con una cuscinata, ne sono certo.
“Sei
perfida. Tutti ti credono un angelo, ma io la so la verità,
Evans”.
Lily termina la sua
risata, poi si alza dalla poltrona e raccoglie l’altro libro
che io ho lasciato a terra.
“Non cercare
di passare per
il povero innocente della situazione”, mi dice, rimanendo
inginocchiata sul pavimento di fronte a me, “come sai la
McGranitt è convinta che sia stato tu a traviarmi”.
Io alzo le braccia,
come per difendermi e chiamarmi fuori.
“Ehi, non te
l’ho chiesto io di comparirmi di fronte in camicia da
notte”.
Lei mi allunga un
buffetto sul braccio, rialzandosi, e io prontamente la afferro e la
costringo a sedersi sulle mie ginocchia.
“Se ti fa
piacere te ne
comprerò anch’io una uguale per il
compleanno”,
ribatte lei, facendomi il verso, con tutta la sua abituale dolcezza.
“Sai, non sarebbe una cattiva idea. Potresti sfoggiarla in
Sala
Grande, renderesti tutti un po’ più allegri.
Sarebbe un
gesto molto altruista da parte tua”.
Storco la bocca in una
finta espressione offesa, avvicinando di più il volto al suo.
“Il tuo
spirito filantropo mi
lascia davvero a bocca aperta”, le rispondo, abbassando la
voce e
prendendo a giocare distrattamente con i suoi capelli. Inutile dire che
mi piace anche così, spettinata e con l’aria
così
tipica di chi ha dormito poco, aria che peraltro devo probabilmente
avere anch’io, e non so quante delle ragazze che mi corrono
ancora dietro mi troverebbero oggettivamente attraente se avessero la
possibilità di osservarmi in simili condizioni.
Per qualche minuto
finalmente ci
abbandoniamo ai baci, senza perderci in altre chiacchiere, e senza
badare al nostro aspetto dovuto alla carenza di sonno. Ormai, in
privato stiamo acquistando un briciolo di confidenza. In pubblico
continuiamo a comportarci da persone rispettabili, ma ho sempre trovato
che non ci sia gusto a sbaciucchiarsi costantemente sotto gli occhi di
tutti.
Dopo un po’,
comunque, mi
costringo a ritornare con i piedi per terra e mi stacco da lei, seppure
questo mi costi uno sforzo di volontà non indifferente.
“Dovresti
fare il tema,
ora”, mi fa prontamente notare lei, prima che io possa aprire
bocca. Inarco un sopracciglio, stringendola a me ancora per un attimo.
“Stavo
pensando che potrei continuare così, e poi dare la colpa a
te”.
Lei mi guarda
malissimo, storcendo la bocca in una smorfia di disappunto.
“E poi tra
noi due sarei io quella perfida?”
Io rido,
divertito.
“Certo, il
mio sarebbe solo
un modo di denunciarlo. Così finalmente i professori
capirebbero
che sei tu che porti me sulla cattiva strada, e non viceversa
…”
In un attimo Lily si
alza, prende i
libri e me li sbatte con violenza sulle gambe, provocandomi un dolore
non indifferente. Le getto un’occhiata sofferente, e lei,
senza
battere ciglio, si limita a riaccomodarsi sulla sua poltrona
accavallando le gambe con grazia.
“Non
prendertela, l’ho fatto solo per obbligarti a fare il tuo
dovere”.
“Ti
ringrazio”,
biascico, riprendendo in mano pergamena e calamaio. Apro il libro di
Difesa contro le Arti Oscure e tento di ricordarmi dove diavolo fossi
arrivato, riflettendo sul fatto che sono davvero un caso disperato.
Nessuna persona sana di mente avrebbe mai potuto innamorarsi in modo
così folle di una simile sadica perversa.
***
Stamattina mi sono
alzata dal letto
con una consapevolezza che mi ha decisamente sorpresa: io e James
Potter ci frequentiamo ormai da un mese.
Non so come tutto
questo tempo sia potuto volare senza che io neanche me ne accorgessi.
Dopo che la cosa
è stata
ufficializzata, le nostre giornate hanno iniziato ad essere ancora
più impegnative, per via della necessità di
imparare a
far fronte ad una costante vicinanza che in parte ci imbarazza, in
parte ci fa sorridere. Ogni momento durante le lezioni si è
trasformato in un’occasione per scrutarsi di sottecchi,
osservare
le rispettive mosse, imprimersele nella mente per abituarsi a stare
fianco a fianco. Abbiamo preso ad occupare posti abbastanza vicini,
anche se non direttamente a contatto. Io ho la mia vita e James ha la
sua; so benissimo che non troncherebbe mai tutti i rapporti con i suoi
tre amici soltanto per starsene con me, e io la penso allo stesso modo
per quanto riguarda Helen, Delia, Mary e Margaret. È
complicato,
perché mi trovo costretta a suddividere il mio tempo libero
fra
le innumerevoli incombenze della vita a Hogwarts, le mie amiche e lui,
e spesso ci capita di trascorrere insieme soltanto l’ora
della
ronda serale, che non mi va di impiegare in altro modo; farmi gli
affari miei sapendo che la sicurezza degli studenti è stata
riposta nelle mie mani non è un lusso che posso concedermi
senza
provare rimorso, e quindi i nostri giri di pattuglia si risolvono in
lunghe chiacchierate, periodicamente interrotte da qualche tentativo di
distrarmi. Se c’è una qualità di James
che posso
affermare di aver scoperto in lui, è la perseveranza.
Perseveranza che degenera senza freni in tenace insistenza e
inguaribile testardaggine, all’occasione; ma è
proprio
vero che non si arrende mai, Merlino. Non che a me, personalmente,
servissero altre conferme, dopo tutti questi anni trascorsi ad
aspettare un mio sì; ma dopo aver sperimentato tutti i suoi
metodi escogitati per attirare la mia attenzione, direi che posseggo
una panoramica più completa di questo aspetto del suo
carattere.
Non so da dove tragga
tutta questa
incapacità di arrendersi, ancora non l’ho
scoperto. Certo
è che pare felice come una pasqua; sprizza
vitalità e
gioia da tutti i pori in ogni momento della giornata, e ha talmente la
testa fra le nuvole che mi consente di batterlo sul tempo nelle
risposte alle domande della McGranitt durante Trasfigurazione, cosa che
è sempre stata un primato indiscutibile suo e di Sirius
Black
all’incirca da sempre.
La mia esistenza,
insomma, ha assunto ritmi strani. Come se, a una lista dei miei impegni
quotidiani, avessi aggiunto la voce Potter;
voce che però, nonostante sia ormai trascorso un mese,
continuo
ad osservare ad occhi sgranati tutte le volte che lo sguardo vi cade
sopra.
È talmente
bizzarro che davvero non so quando arriverò ad abituarmici.
Tuttavia,
c’è qualcosa
che mi ha spinto ad aggiungere volontariamente quel nome sulla mia
ipotetica agenda degli impegni quotidiani. Perché, superato
il
primo momento di totale incertezza e massima confusione, mi sono resa
conto che volevo provarci davvero. Mettermi in gioco. Dargli una
possibilità. Non per pietà o per esasperazione,
no; avevo
giurato che non l’avrei fatto, e infatti non sono queste le
mie
motivazioni. È che mi affascina. È talmente
assurdo,
incomprensibile e sorprendente da riuscire a lasciarmi a bocca aperta
anche quando penso di aver perfettamente compreso il suo gioco. Mi sono
accorta che si è rivelato una persona totalmente diversa da
quello che pensavo che fosse, e che il suo vero modo d’essere
mi
piace tanto quanto odiavo il suo atteggiamento da stupido sbruffone. Mi
sono sempre sforzata di non giudicare mai le persone dalle semplici
apparenze, consapevole del fatto che nessun essere umano, Babbano o
mago che sia, possiede una personalità priva di un minimo
spessore; ma constatare che esiste qualcuno dotato di tutte le
molteplici sfaccettature di James mi lascia semplicemente a bocca
aperta.
È
l’esempio vivente di ciò che significa crescere.
Sta di fatto che,
grazie al contatto
più intenso che la nostra relazione sta promuovendo, mi
ritrovo
a scoprire che abbiamo un sacco di piccole cose in comune che fanno
davvero sorridere.
Per esempio, anche lui
fa la
collezione di figurine delle Cioccorane; collezione seria, intendo, il
che significa che ne ha a mucchi, che le tiene riposte con cura in
fondo al baule, che ha perfino due copie di Phineas Nigellus Black, che
per quanto ne so è assolutamente introvabile. E poi, ho
scoperto
anche che gli piace il mare, come a me. E che sarebbe capace di
divorare muffin fino a rimettere. E che ha un padre che va pazzo per la
musica classica Babbana. E che per lui il sonno è qualcosa
di
sacrosanto e intoccabile. E che gli piacciono i maglioni a righe e le
calze colorate. E che adora scrivere lettere – a questo quasi
non
ci volevo credere, ma Sirius, Remus e Peter me ne hanno dato le prove.
Pacchi di una ventina di lettere ciascuno per ogni estate trascorsa
dall’inizio del nostro primo anno fino ad oggi. Sono rimasta
a
fissarli a bocca aperta per una manciata di secondi, incapace di
qualsiasi reazione; dire che non me lo sarei mai aspettato da uno come
lui è davvero poco. I suoi tre amici me ne hanno letta
qualcuna
ad alta voce, una sera che non avevamo nulla da fare, prima della
ronda; è stato un autentico spasso. James scrive tutto
ciò che gli passa per la testa; è incredibilmente
logorroico, come quando parla.
Poi, beh, ci sono tanti
altri
dettagli che invece ci vedono schierati su fronti completamente
opposti: io sopporto poco il Quidditch, lui lo adora; io detesto andare
fuori con la pioggia, lui ci starebbe a prendere acqua per ore; a me
affascina la nebbia, lui la odia perché dice che non si
riesce a
giocare bene; a me non piace farmi fotografare, lui starebbe ore
davanti a un obiettivo a fare facce sceme (anche in questo caso ne ho
ricevuto ampie prove, ovvero due intere scatole piene di fotografie di
loro quattro in ogni posa possibile e immaginabile). Però
quello
che è incredibile è che in un mese sono riuscita
a
scoprire un numero spropositato di cose di lui che prima non conoscevo
affatto, nonostante comunque siano sette anni che condividiamo la
stessa Casa, frequentiamo le stesse lezioni e gli stessi ambienti per
dieci mesi su dodici.
Certo, continuo a
strabiliarmi del
fatto che proprio io esca con lui, perché andiamo, chi
l’avrebbe mai detto, ma una volta superato
l’imbarazzo
iniziale diventa tutto più facile. Nel senso che, a parte
baciarci e passare del tempo insieme e sentirci imbarazzati, il
rapporto di prima è rimasto, e non potrei esserne
più
felice, perché è stato proprio quel tipo di
rapporto che
mi ha portato ad impazzire di colpo e baciarlo. Continuiamo a scherzare
allo stesso modo, a prenderci allegramente in giro, a cercarci con dei
pretesti, a farci le boccacce da una parte all’altra della
classe
davanti a un Vitious leggermente scioccato dal nostro comportamento, a
farci dispetti del tipo rubarci le cose dal piatto a colazione o
spedirci bigliettini con le nostre caricature o fare a gara a chi
risponde prima alle domande della McGranitt, però poi, in
più, ci sono quei momenti in cui mi sento nelle ossa un
bisogno
impellente ed assurdo di essere tenera, il che mi sorprende
tutte
le volte. A dispetto del mio aver voluto mettere le mani avanti
riguardo al baciarci in pubblico o al tenerci per mano nei corridoi,
ogni tanto sento l’impulso di farlo, e lo faccio. Agisco
d’istinto. Di solito sono una persona molto controllata e mi
capita davvero di rado, ma James evidentemente ha questo strano potere,
perché di solito quando agisco d’istinto
c’è
di mezzo lui.
Se tuttavia avessi
saputo che tutto
quel pensare quanto mi facesse tenerezza fosse soltanto il preludio di
tutto ciò, credo che sarei andata nel panico più
completo. Non sono affatto brava in questo genere di cose, inutile
negarlo, James mi è decisamente superiore. Ha quella
capacità di avvicinarmi anche quando sono
dell’umore
peggiore, di riuscire a strapparmi un sorriso in ogni occasione,
perfino di entrare in contatto fisico con me con la disinvoltura
necessaria a farmi vedere la cosa come estremamente naturale.
È
strano come ora mi sembri di vedere le cose da tutt’altra
prospettiva rispetto a qualche tempo fa, ma è solo standoci
insieme che mi sto rendendo conto di quanto sia realmente profondo
quello che prova; probabilmente è per questo che mi sento in
svantaggio, perché lui convive con questa cosa da anni,
mentre
io ho iniziato a farci i conti soltanto ora.
Se
c’è una cosa che
però farei molto, molto volentieri, sarebbe dimenticare il
passato, o quantomeno solo quella parte scomoda che, inevitabilmente,
produce delle ombre sullo stato attuale delle cose.
Non so se il mio
desiderio arrivi
anche a voler cancellare la mia passata amicizia con Severus;
è
una questione troppo delicata, riguardo alla quale non avrò
mai
una risposta certa. Preferisco non pensarci e far finta di nulla, ma
scordare completamente tutto non so se mi farebbe bene. Ad ogni modo,
un simile Incantesimo di Memoria sarebbe troppo complesso per chiunque,
presumo, perfino per Silente, quindi non vale nemmeno la pena di porsi
il problema. È che inevitabilmente ora sono passata dalla
parte
opposta rispetto a quella da cui stavo un tempo, e conoscere entrambe
le versioni dei fatti non mi è d’aiuto per
formulare un
giudizio su certi episodi che ancora aleggiano nella mia memoria.
Ad esempio, tutta
quell’assurda, insistente questione di Remus.
Sapevo già
da tempo che era
malato. E non perché avessi voluto impicciarmi dei fatti
suoi,
anzi, personalmente ero ben lungi dall’intromettermi nella
sua
vita privata; Remus mi piaceva, essere stata nominata Prefetto insieme
a lui ci aveva avvicinati molto già durante il quinto anno e
lo
ritenevo una persona assolutamente degna della mia stima, anche se
davvero non capivo che ci trovasse di così entusiasmante in
James Potter e Sirius Black. Certo, non ero così ottusa da
non
aver notato che con lui, quando non si sentivano in obbligo di dare
spettacolo, si comportavano in tutt’altro modo:
più volte
li avevo visti accorrere in sua difesa per giustificare le sue assenze
di fronte ai professori, o per sedare le malelingue dei Serpeverde che
udivano parlar male di lui. Erano veri amici e quello lo si intuiva
facilmente, non solo perché Remus era Prefetto e quindi
costituiva una valida copertura per le loro malefatte, altrimenti,
negli anni precedenti alla sua nomina, non si sarebbero neppure
parlati. E Remus, nella sua infinita pazienza, non era da meno. Quelle
poche volte che avevamo toccato l’argomento – tra
noi, in
genere, vigeva il tacito accordo di non discutere di James, considerato
che la mia opinione riguardo a lui era ben nota –
l’avevo
sentito difendere con assoluta sincerità il loro buon cuore,
pur
non nascondendo di non condividere alcuni comportamenti per lui un
po’ troppo estremi. Insomma, al di là di tutto,
non avevo
mai avuto nulla da ridire su di lui. Il motivo per cui sapevo della sua
malattia non dipendeva da me, ma da Severus. Mi brucia tremendamente
ricordare tutto ciò, perché la figura che ci feci
non fu
certo delle migliori e ancora adesso mi pento di avergli concesso anche
solo il beneficio del dubbio; ma ultimamente non ho potuto fare a meno
di notare alcuni dettagli che mi hanno fatto riflettere ancora su
questo argomento, mio malgrado.
Tuttora non capisco
perché
Severus abbia dovuto impuntarsi con tanta forza.
L’infantilismo
raggiunto negli scontri fra lui e James ha toccato vette finora mai
esistite, credo. Si comportavano come bambini dell’asilo,
sempre
a guardarsi in cagnesco e a cercare lo scontro, sia verbale che fisico.
James ce la metteva davvero tutta per offenderlo, riusciva ad essere
veramente perfido e il fatto che Sirius e Peter lo spalleggiassero
sempre rendeva il conflitto impari, a parere mio. Ma, con il senno del
poi, devo riconoscere che Severus se l’andava a cercare. Li
aveva
detestati fin dal primo momento, senza concedere mai tregua a nessuno
di loro, neppure con me; e sebbene giustificare le loro
malignità sia una cosa che tuttora non mi riesce, non posso
non
capire il punto di vista di James. Ha sempre avuto in odio le Arti
Oscure, sempre, fin dal primo anno a Hogwarts. E, infatti, non
è
che se la prendesse solo con Severus. Non c’è mai
stata
pace neppure con tutti gli altri Serpeverde del nostro anno.
Però, in particolar modo, a lui non concedeva un attimo di
respiro – tuttora me ne domando il perché, in
effetti.
Grazie a Godric, però, dall’anno scorso si
è dato
una calmata e, almeno per quanto mi è dato vedere, risponde
solo
se provocato. So che non c’è alcuna
possibilità che
arrivi a reagire con indifferenza totale, ormai lo conosco fin troppo
bene. Non importa più di tanto, ormai, visto che io e
Severus
non siamo più amici e soprattutto che non desidera essere
difeso
da una come me.
Ad ogni modo, se James
dal canto suo
non si risparmiava offese e lanci di incantesimi, Severus si appigliava
a qualsiasi cosa per cercare di far espellere lui o uno degli altri
tre. Era diventata una questione ossessiva, carica di un accanimento
che mi lasciava totalmente interdetta, perché non ne capivo
il
senso. Soprattutto considerato che Remus, ad esempio, non gli aveva mai
fatto nulla di male, non personalmente almeno. In genere si teneva alla
larga da quegli scontri o, se interveniva, lo faceva in
qualità
di Prefetto. Certo nessuno ignorava che Sirius, Peter e James fossero i
suoi migliori amici, ma non per questo mi sentirei di accusarlo di
favoritismi; faceva quello che doveva fare, fine della discussione.
Quindi, un conto era il rancore che Severus covava nei confronti di
James e Sirius, che non si risparmiavano mai un colpo, ma
tutt’altra questione, per me, era estendere quel risentimento
anche a Remus.
Tuttavia, non riuscii
in alcun modo
a far ragionare Severus. Lui diventava un’altra persona
quando mi
parlava di loro in quel tono. Era irriconoscibile, e la cosa mi faceva
stare male. Aveva notato che Remus, una volta al mese, spariva, o
meglio, semplicemente non si presentava a lezione per uno o due giorni.
Mi disse che probabilmente era assente perché si trovava in
Infermeria (non era riuscito ad avvicinarsi perché era stato
cacciato da Madama Chips, ma più volte sosteneva di aver
visto
Potter, Black e Minus fare avanti e indietro da lì; non che
questo provasse qualcosa, ma secondo lui era un elemento schiacciante).
Mi fece notare che prima di queste giornate di assenza non aveva mai
un’aria molto sana: appariva pallido, stanco, leggermente
più inquieto del solito. Beh, nel fatto che fosse di salute
cagionevole io non ci trovavo nulla di così eclatante. Mi
dispiaceva per lui, ma la cosa finiva lì. E invece no, non
era
una spiegazione sufficiente per Severus; un giorno, dopo una lezione di
Difesa Contro le Arti Oscure, mi piantò in asso per correre
in
Biblioteca e tornò a cercarmi, qualche ora dopo, dicendo che
aveva finalmente risolto quell’enigma che tanto lo
angustiava.
Remus, secondo lui, era un Lupo Mannaro. Avevamo appena trattato
l’argomento a lezione con il professor Robbins, un giovanotto
un
po’ montato che sosteneva di avere sangue di vampiro nella
sua
famiglia, per cui gli dissi che stava esagerando e che si era
semplicemente fatto suggestionare dalla lezione. Lui non mi diede mai
retta, neppure per un secondo. Continuò a propinarmi indizi,
nel
corso degli anni, che secondo lui provavano la sua teoria; faceva
insinuazioni su Silente, mettendo in dubbio il suo essere un buon
Preside visto che esponeva i suoi studenti ai rischi che poteva
comportare un Lupo Mannaro che si aggirava nella scuola …
finché, un giorno, ne ebbi decisamente abbastanza. Prima
l’avevo ascoltato pazientemente, smentendolo su ogni punto ma
senza arrabbiarmi; ora, però, era tempo di farla finita con
quella storia. Ritenevo Remus un bravo ragazzo e non potevo accettare
che il mio migliore amico se la prendesse in quel modo con uno che non
gli aveva fatto nulla – se non infilargli una bacchetta nel
naso
al primo anno durante una piccola rissa per difendere i suoi amici,
cosa del tutto accidentale e priva d’importanza
(sì, in
fondo mi aveva fatto ridere).
Il caso volle che,
durante i primi
giorni d’inverno del quinto anno, mi colpì una
brutta
influenza. Fui trascinata in Infermeria da una preoccupatissima
Margaret, che mi aveva trovata a mezzanotte passata, rientrando da un
appuntamento clandestino con il suo ragazzo di allora, rotolata
giù dal letto, in preda più al delirio che al
sonno, con
la fronte che scottava e il respiro affannoso.
Il giorno dopo, quando
mi svegliai,
verso le sei di mattina, mi trovai di fronte Potter, Black e Minus che
avanzavano furtivamente verso un letto distante dal mio, isolato da una
tenda protettiva.
“Che diavolo
ci fate qui? Non
è neanche l’alba!” esclamai, piuttosto
sorpresa. Che
violassero le regole del coprifuoco non era certo una
novità, ma
per quale ragione avrebbero dovuto recarsi in Infermeria? Per rubare le
scorte di cioccolato di Madama Chips? Era troppo perfino per loro.
“Ehm
… Peter sì
è … fatto male a un piede”,
farfugliò Black,
al che Minus, schiacciandosi il piede sinistro, prese a saltellare
simulando una smorfia di dolore.
Io corrugai la fronte
in una delle
mie migliori espressioni scettiche, tentando di far loro capire che non
mi ero affatto bevuta quella scusa.
“Stavo
perdendo sangue dal
naso, ne ho persi a litri, ha smesso proprio pochi secondi
fa”,
aggiunse Potter, cercando di sembrare più convincente.
“Oh. Che
caso”, commentai, sarcastica. “E tu,
Black?”
“Io? Nulla di
che, mi sono
guardato allo specchio e non mi sono sentito abbastanza bello,
così ho pensato che dovesse esserci qualcosa che non
andava”, rispose Sirius, con aria sprezzante. Io inarcai
ancora
di più il sopracciglio, stringendo le labbra.
“Tu
piuttosto, perché
da queste parti, Evans?” mi chiese James, nel tentativo di
rigirare la frittata. Io gli feci un sorrisetto prima di rispondere.
“Influenza,
Potter. Qualcosa
di cui le divinità non possono ammalarsi”,
risposi, in
tono palesemente ironico.
“Ci hai visto
giusto, ma le
divinità hanno anche il potere di guarire, quindi
perché
non esci con me? Ti garantisco che non ti ammaleresti mai
più”, disse lui, con quell’odioso tono
di velata
superbia, mentre Black e Minus si rotolavano dalle risate.
“Pronuncia
solo un’altra
parola fuori luogo e non mi ci vorrà niente a farvi beccare
fuori dai dormitori a quest’ora”, replicai,
freddamente. Il
suo vanesio sorriso si congelò all’istante.
“E dai,
Evans, potrei offrirti anche l’immortalità
…”
“Potter, ti
avevo avvertito …”
“No, Lily,
per favore!”
L’ultima voce
che mi giunse
alle orecchie era del tutto inaspettata in quel momento. Guardai dal
punto in cui l’avevo sentita provenire e vidi che le tende di
quel letto isolato si scostavano, lasciando uscire un Remus malconcio,
pieno di graffi e mortalmente pallido, a malapena in grado di reggersi
in piedi.
“Sono
… sono venuti a
trovare me. Lo so, non è l’orario giusto ma per
piacere,
non punirli, è solo colpa mia se sono venuti qui”,
mi
pregò, ansante. Subito Madama Chips corse verso di lui, con
aria
preoccupata.
“Signorino
Remus, torni subito
a letto! E voi tre”, aggiunse, rivolgendosi a James, Sirius e
Peter, “che cosa vi ho sempre raccomandato? È mai
possibile che non riusciate a rispettare gli orari delle visite?
Signorino Remus, mangi un po’ di cioccolato, le
farà bene
…”
Non sapevo
più che dire.
Remus mi guardava con aria mortificata; gli altri tre si erano
ammutoliti di colpo, come se qualcuno avesse eseguito su di loro un
Incantesimo di Silenzio.
“Ciao, Remus,
non sapevo che fossi qui”, dissi infine, tentando di esibire
un sorriso forzato.
“Andatevene
via, di
corsa!” sbraitò Madama Chips verso gli altri tre.
“La signorina ha ragione, dovreste essere nel vostro
dormitorio a
quest’ora!”
“Ma Poppy,
con tutta la strada
che ho fatto per vederla, ora mi caccia via così?”
replicò Sirius, sfoggiando un’aria da cane
bastonato. Davvero un
brillante attore, commentai fra me e me.
“Evans, per
favore, non dire niente a Snivellus …” mi disse
intanto Peter, implorando anche lui.
“Shh, che
dici, Pete?”
“Ma
sì, James, sono
amici, glielo andrà a dire di sicuro che Remus è
qui, ti
prego, convincila tu …”
“Hai ragione
… ok, Evans, tu non hai visto niente”.
Lo fissai senza sapere
come replicare, evidentemente perplessa.
“Senti, non
guardarmi
così! A parte che sei bellissima anche quando stai male
…” – lo fulminai con lo sguardo
istantaneamente, e a
quel punto anche lui decise che era ora di smetterla –
“… insomma, per favore, di’ a
quell’essere
viscido di piantarla di ficcare il suo orrido naso nei nostri affari.
Il nostro amico non ha niente che non va”.
Guardai di nuovo Remus
e non riuscii a sembrare per nulla convinta di quest’ultima
affermazione.
“Remus
è soltanto
malato. Snivellus deve lasciarlo in pace”, aggiunse Peter.
Sirius
e James si guardarono, e un’indecifrabile espressione
affiorò di colpo sul volto di entrambi.
“Giusto. Dato
che sei una brava persona, Evans, a te diremo che cos’ha
Remus”.
Mi sistemai meglio a
sedere, ancora troppo stupita per trovare delle risposte adatte.
“Va
bene”, dissi
soltanto. Un silenzio tombale aleggiò in Infermeria per
alcuni
secondi. Madama Chips sembrava aver perso colore di colpo.
“Ascolta, non
è una
bella cosa, quindi se ci tieni a lui non devi andare a dirlo in giro.
Remus ha … una malattia autolesionistica. Una cosa rara, per
fortuna”, mi spiegò Black, con serietà.
Sbirciai di
sottecchi il mio collega Prefetto e mi sembrò quasi che
avesse
smesso di respirare.
“Ascoltate,
davvero, io non ho niente contro di lui, non voglio impicciarmi dei
suoi affari …”
“Evans, so
che sei una persona
ragionevole”, intervenne Potter, guardandomi negli occhi.
Aveva
abbandonato di colpo l’aria altezzosa con cui usava
rivolgersi a
me di solito. “Se ti spieghiamo questa faccenda, potrai
tenere il
tuo amico Snivellus lontano da Remus. Credimi, non è
piacevole
avere questa malattia. Lui … si fa del male.
Involontariamente.
È per questo che è sempre così pieno
di ferite e
di graffi. E deve andare a fare dei controlli periodici al San Mungo,
per cui Madama Chips lo accompagna. Non ci si può fare
niente,
ce l’ha fin da quando era piccolo. È una malattia
dei
maghi. Noi tentiamo di stargli vicino, ma non c’è
una
cura. Vero, Madama Chips?”
“Sì,
purtroppo è vero”, rispose la donna, in un soffio.
“Mi dispiace
tanto,
Remus”, dissi, rivolta a lui, sentendomi incredibilmente
stupida
e meschina. Era una cosa seria, molto seria. Una cosa terribile.
Meritava di essere lasciato in pace, nella maniera più
assoluta.
“Bene, ora
che lo sai, di’ al tuo amico
che dovrebbe vergognarsi”, concluse Potter, sempre con lo
sguardo fisso su di me. Io annuii, lentamente.
“Lo faccio
solo per lui, sia
chiaro”, lo avvertii, facendo cenno verso Remus. James si
passò una mano fra i capelli, tornando di colpo ad assumere
la
sua espressione noncurante.
“Benissimo.
Magari quando
sarai guarita scompariranno le fette di salame che hai negli occhi e ti
renderai conto di quanto sono bello e di quanto valga la pena di uscire
con me, senza fare tutte queste storie …”
“Le fette di
salame sono sugli
occhi, James”, lo corresse Remus, con un sorriso. Sirius e
Peter
colsero l’occasione per scoppiare a ridere sonoramente,
rompendo
la cappa di tensione che si era creata; anche a me, tutto sommato,
sfuggì un mezzo ghigno divertito.
Seriamente, non era
stata mia
intenzione costringerli a rivelare che cosa avesse Remus. Ero
lì
per puro caso, per giunta. Ma mi rimase impressa la serietà
con
cui lo difesero. Fu una delle poche volte in cui vidi James Potter
trattenersi dal fare battute idiote per più di cinque
secondi di
fila.
Ad ogni modo, questa
stupida
polemica finì per trascinarmi in mezzo a molti
più
alterchi fra James e Severus di quanto io non avessi desiderato; non
era mia intenzione mettermi in mezzo, nella maniera più
assoluta. Tuttavia, quando riferii a Severus il mio dialogo con madama
Chips, lui se ne infischiò bellamente e fece come se non
avesse
sentito, continuando a portare avanti le indagini sulla sua assurda
teoria finché, una notte del quinto anno, successe una cosa
estremamente strana. Non riuscivo a dormire, perciò avevo
occupato la sala comune – grazie a Godric, deserta
– per
tentare di farmi venire sonno leggendo. Non mi andava di tenere accesa
la luce in dormitorio, avrei disturbato tutte le mie compagne; allo
stato attuale, se mi succede una cosa del genere, sono loro le prime a
voler restare sveglie con me a chiacchierare, ma all’epoca
non
eravamo ancora così in confidenza.
Di fatto, comunque,
avevo ciondolato
in preda all’inquietudine fino a mezzanotte inoltrata. Era un
motivo stupido che non mi faceva prendere sonno: di lì a
poco
sarebbe stato il compleanno di mia sorella e, come sempre ormai da
quando ero entrata a Hogwarts, non sapevo se comprarle un regalo, che
probabilmente sarebbe rimasto impacchettato con la scusa che Petunia
temeva di vedersi recapitare una cosa magica,
che lei notoriamente non gradiva. Cominciava a farsi strada in me
l’idea che fosse giunta finalmente l’ora di lasciar
perdere, e che avrei dovuto smetterla di fare tentativi inutili di
saldare la frattura che si era creata fra noi. Ma se non le avessi
preso niente sarei risultata scortese. E poi, i miei cosa avrebbero
detto? Loro non capivano, pensavano fosse l’adolescenza,
qualcosa
che prima o poi sarebbe passato. Invece, era sempre peggio e io me ne
rendevo conto, mio malgrado.
Avevo lasciato la
finestra aperta
per far circolare un po’ d’aria, però ad
un certo
punto decisi di alzarmi e chiuderla, dato che cominciava a fare
freddino. Ma proprio mentre mi affacciavo ad osservare la luna, mi si
presentò uno spettacolo decisamente bizzarro.
C’era un
gruppetto di gente
che stava tornando verso il castello, facendo un certo trambusto.
Purtroppo erano troppo lontani e non riuscivo a capire di che
parlassero, ed era anche troppo buio per distinguere bene le figure.
Sporgendomi meglio, però, riuscii a vederli mentre passavano
dal
portone principale, dove le torce accese li illuminarono per qualche
secondo: quello in testa era sicuramente Silente, e gli altri
…
gli altri sembravano Potter, Black, Minus e – per la barba di
Merlino – Severus.
Mi sentii pervadere
dall’angoscia. Se erano insieme al Preside, era probabile che
fosse successo qualcosa di grave. Mi chiesi dove fosse Remus, ma poi
guardai di nuovo la luna e vidi che era piena; di sicuro si trovava in
Infermeria. Ad ogni modo, non potevo lasciare che facessero
ingiustamente del male a Severus. In barba ad ogni regola e alla mia
spilla di Prefetto mi precipitai di corsa fuori dalla sala comune,
giù per le scale della torre di Grifondoro e poi per altre
scale
e corridoi, fin quando non scorsi da lontano il gruppetto di persone
guidato da Silente che saliva, presumibilmente, verso il suo ufficio.
Rimasi nascosta,
ansimando. Ci avevo
visto giusto: insieme al Preside c’era Severus, e poi James,
Sirius e Peter. Volevo correre da loro, intervenire, difendere Severus,
ma poi ci ripensai. Se erano con Silente, di sicuro nessuno poteva
fargli del male. E poi non avevo idea di quello che fosse successo,
né del perché si trovassero fuori dalla scuola a
quell’ora. In più, rischiavo grosso a farmi
beccare in
giro a quell’ora di notte; Gazza era un vero piantagrane, e
di
sicuro non aspettava altro che sorprendere qualche studente fuori dal
proprio letto. Decisi che sarei tornata alla torre di Grifondoro e che
avrei aspettato alzata; prima o poi quei tre sarebbero pur tornati a
dormire. A quel punto, mi sarei fatta dare delle spiegazioni.
Attesi per quasi due
ore, alla fine.
Cominciavo ad essere stanca, ma l’adrenalina mi scorreva in
corpo
e mi sarebbe stato comunque impossibile prendere sonno. Non mi resi
neanche conto di essere in camicia da notte; con aria probabilmente
molto poco dignitosa, mi parai davanti a quei tre non appena rimisero
piede in sala comune.
“Evans, che
ci fai in piedi?” mi chiese James, in tono piatto.
“Si
può sapere che diavolo ci fate voi tre
in giro a quest’ora di notte? E perché eravate con
Severus
da Silente? Se gli avete fatto qualcosa, Potter, non sperare di
passarla liscia …”
“Lascialo in
pace”,
ringhiò Sirius, e solo in quel momento notai che aveva
un’aria decisamente più sconvolta del solito; la
sua
abituale smorfia strafottente era sparita chissà dove,
inghiottita da una strana espressione.
“Perché
dovrei?”
gli chiesi comunque di rimando, piccata. Lui mi guardò
storto,
senza la minima traccia di sarcasmo.
“Perché
James ha appena
salvato la vita al tuo adorato Snivellus, quindi dovresti soltanto
ringraziarlo”, rispose Sirius, con astio. Io rimasi in
silenzio
totale per qualche secondo, non sapendo esattamente come avrei dovuto
reagire.
“Che cosa
è
successo?” chiesi soltanto, sentendomi incredibilmente
stupida.
Spostai lo sguardo su James, ma anche lui si comportava in modo
completamente diverso dal solito: sembrava turbato e aveva assunto
un’espressione contrariata alle parole di Sirius, come se non
avesse voluto che mi dicesse quelle cose.
“Niente che
ti riguardi, ma
tieni presente questo: il tuo amichetto ha rischiato grosso ad entrare
nel tunnel del Platano Picchiatore, stanotte, e se è ancora
vivo per
raccontarlo è solo per merito di James. Quindi, da ora in
poi
dovresti consigliargli di baciare la terra su cui James cammina,
capito?”
“Sirius,
basta, andiamocene a
letto”, intervenne lui, interrompendo l’amico.
Sembrava
distrutto, gravato da un peso inspiegabile. Continuavo a non capire
assolutamente un accidenti di niente: le cose stavano davvero
così? Né lui né Peter avevano negato
l’affermazione di Sirius. E tutti e tre avevano delle facce
che
non dimostravano certo molta voglia di scherzare. Ma Severus
dov’era? Cosa c’era nel Platano Picchiatore che
aveva
rischiato di ucciderlo? E per quale accidenti di motivo James Potter,
che notoriamente lo detestava, si era preso la briga di salvargli la
pelle?
“È
tardi, Evans,
va’ a dormire”, mi disse quindi James, ma senza una
sola
traccia della sua abituale arroganza. Sospirai, non sapendo che altro
dire, e alla fine mi scostai per lasciarli passare.
“Grazie”,
mi
sussurrò Peter, timidamente, passandomi a fianco. Lo vidi
correre a fianco di James e sorreggerlo, mentre parlottavano tra loro a
bassa voce. Riuscii a distinguere nettamente solo una frase: James si
voltò verso Sirius, dal quale finora si era tenuto ad una
certa,
anomala distanza e gli annunciò, con una serietà
quasi
rabbiosa, “sarai
tu a dirglielo”.
Non seppi mai a chi si
riferiva,
perché l’attimo dopo decisi di correre verso il
mio
dormitorio, prima che potessero accusarmi di essere ancora
lì a
farmi gli affari loro.
Una cosa fu certa: dal
giorno
seguente, per un mese buono, mi sembrò evidente che
c’era
qualcosa di strano fra loro. Remus sembrava più chiuso,
James
più arrabbiato, Sirius più frustrato, Peter
più
mortificato e insicuro – come se non sapesse bene da che
parte
stare. Nonostante ciò, stavano tutti ben attenti a non dare
adito a chiacchiere; se avevano qualche problema, era molto probabile
che ne discutessero in privato. Io non domandai nulla a Remus,
perché non eravamo ancora in grande confidenza e di sicuro
non
desideravo impicciarmi in cose che non mi riguardavano. Però
un
pizzico di curiosità era inevitabile. Severus divenne, se
possibile, ancora più astioso nei loro confronti; eppure,
nemmeno dalla sua bocca uscì qualcosa di più.
Negò
soltanto la versione dei fatti che Sirius mi aveva riferito, ovvero che
James gli avesse salvato la vita. Ma del resto, se anche fosse stato
davvero così, quando mai l’avrebbe ammesso?
Resta il fatto che non
mi parlò mai di quello che successe quella notte nel Platano
Picchiatore.
“Posso?”
mi domanda
improvvisamente una voce, e io di colpo alzo la testa dal libro di cui
avevo smesso persino di continuare a rileggere la stessa riga senza
capire un accidenti.
James scansa la sedia
di fianco alla mia e ci si accomoda con perfetta nonchalance.
Io inarco un
sopracciglio.
“Non mi
sembra di averti dato una risposta”, gli faccio notare,
sforzandomi di esibire una certa severità.
“Perché,
avresti osato
negarmi questo privilegio?” mi chiede lui, stravaccandosi
sulla
sedia. Io lo osservo con aria critica, cercando di mantenermi seria.
“Sei una
potenziale distrazione in questo momento”.
“Ma io sono
qui per studiare”.
“Oh,
davvero?”
“Davvero”.
Il mio scetticismo
congenito mi impedisce di credergli sulla parola.
“Non hai
pretese o speranze di
alcun genere?” domando, facendomi più vicina per
tenere
d’occhio i possibili segni di una bugia sul suo volto.
“Assolutamente
no”,
risponde lui, tirando fuori un paio di libri dalla borsa, sempre con
quel sorrisetto indifferente.
Mordicchio la punta
della piuma con un’espressione concentrata, mentre continuo a
fissarlo.
“Che cosa
c’è sotto?” domando. Finalmente lui si
gira a guardarmi.
“Pensavo di
aiutarti a finire
il tema”, risponde. Io corrugo la fronte, perplessa. La sua
capacità di spiazzarmi non si indebolisce mai.
“Perché?”
gli chiedo.
“Perché
così fai
più in fretta”, mi spiega lui, cominciando a
sfogliare le
pagine del manuale di Trasfigurazione.
“E
quindi?” ribatto io.
“E quindi hai
più tempo
libero … ti facevo più perspicace, Evans, ma
credo
proprio di essermi sbagliato”.
L’occhiata
fulminante lo colpisce in pieno, senza possibilità di
appello.
“Va
bene, Evans: stiamo insieme, stasera, ti va?”
Ancora una volta mi
coglie impreparata. Poi per fortuna mi ricordo che cosa dovrei
rispondere ad una proposta del genere.
“Abbiamo la
ronda”, gli faccio notare. James esibisce un sorriso alquanto
soddisfatto.
“Ho
già chiesto ai
Prefetti di Grifondoro se coprono anche le nostre aree”, mi
dice,
e continua a sorridere. Io cerco di prepararmi psicologicamente al
fatto che entro una frazione di secondo gli occhi mi schizzeranno fuori
dalle orbite.
“Non
guardarmi così. A
cosa credi che serva essere Caposcuola?” tenta di
giustificarsi,
inclinando il viso verso il mio e giocando con le dita della mia mano
destra. Io sento scorrermi nelle vene il solito impulso di strangolarlo.
“Di certo non
ad esentarti dalle tue responsabilità!” esclamo,
stringendogli la mano con veemenza.
“Ah, ah,
buona questa”.
Si libera dalla mia
presa, mi dà un bacio veloce e si alza, raccogliendo la sua
roba.
“Ti aspetto
in sala comune
alle otto e mezzo”, mi dice, strizzandomi l’occhio.
Io gli
getto un’occhiata di rimprovero.
“Tecnicamente
non ti ho risposto”, gli faccio notare. Lui sorride,
stringendosi nelle spalle.
“Non
preoccuparti, io sono abbastanza perspicace per
capire che ti va”.
La parte di me che si
irrita
facilmente vorrebbe insultarlo, ora, lo so. Però qualcosa me
lo
impedisce. Accondiscendenza, forse. O la forza dell’abitudine.
“Mi
piacerebbe sapere che
accidenti stai architettando” gli dico. Lui fa vagare lo
sguardo
intorno, sforzandosi ben poco di nascondere la sua gaiezza.
“Nulla
… solo una scorpacciata di muffin in coppia”.
Ecco, ci risiamo. Di
nuovo gli occhi
che stanno per schizzarmi fuori dalle orbite. Se già dopo un
mese la situazione appare così critica, non oso pensare a
quale
sarà il mio stato psicofisico fra un anno.
“Cosa
…?”
“Sono andato
a fare un giro
nelle cucine, stamattina. Mi sono messo d’accordo con un paio
di
Elfi Domestici, e mi hanno assicurato che ti prepareranno anche quelli
con la tua odiosa uvetta. E non dirmi che poi ingrassi
perché me
ne fregherei”.
Mi sembra di fissare il
vuoto, in
questo momento, ma in realtà sto fissando lui. I suoi
stramaledetti occhi scuri dietro le lenti degli occhiali, il ciuffo di
capelli spettinatissimi che gli ricade sulla fronte, le labbra
incurvate in un ghigno di esaltazione pura.
Dopo un mese, ancora
non ho deciso se ridere o strozzarlo quando fa così.
“Tu sei
pazzo”.
“No. Sono un
genio incompreso”.
“Va bene,
genio incompreso, ci
vediamo stasera” cedo, alla fine, ormai conquistata da tutto
quel
macchinoso processo finalizzato a farmi venir meno ai miei doveri per
festeggiare il mio primo mese insieme a James Potter in compagnia di
qualche vassoio di muffin.
Prima che James
sparisca, mi alzo e
lo blocco per un braccio, per poi baciarlo gentilmente, in una sorta di
tacito ringraziamento. Continuo a pensare che sia pazzo, ma le energie
fisiche e mentali che impiega per organizzare le sue pazzie sono
decisamente degne di nota.
I'm
only here for this moment.
I
know everybody here wants you,
I
know everybody here thinks he needs you.
I'll
be waiting right here just to show you
How
our love will blow it all away.
(Jeff Buckley, Everybody Here Wants You)
Nota di fine capitolo:
ecco, ci siamo, qui ho fornito il grosso delle spiegazioni da me
inventate di sana pianta. Le cose che dovevo giustificare ai sensi del
canon erano due:
1.
Perché Lily sostenesse con tanto fervore con Piton
che
Remus era malato (notare che Lily dice, in originale, “they
say” e non “he
sais”, pertanto ne ho dedotto che non
sia stato Remus a giustificarsi di fronte a lei, ma che qualcun altro
si fosse inventato una balla per proteggerlo);
2.
Come
facesse Lily a sapere dello scherzo di Sirius ai danni di Piton, posto
che Silente si era raccomandato che la faccenda restasse segreta;
dubito che fosse stato James a vantarsene direttamente con lei (Lily
sembra molto convinta quando dice a Piton che sa che James gli ha
salvato la vita; se Prongs gliel’avesse detto per darsi delle
arie, più probabilmente lei gli avrebbe riso in faccia e non
gli
avrebbe creduto, a maggior ragione sentendosi smentire la faccenda da
Severus, che invece era il suo migliore amico. In questo caso, al
contrario, Lily ha intuito che quello che le ha detto Sirius
è
la verità, pertanto ha ragione di credere che sia Severus
quello
che mente, visto che, come anche lei sa, non avrebbe mai ammesso di
essersi fatto salvare da James).
Devo dire la
verità:
non mi ero mai posta questi problemi al fine della trama
perché
ero stra-convinta – non so se per un errore mio originario o
perché l’avessi letto dal Lexicon – che
lo scherzo
di Sirius a Piton fosse avvenuto al sesto anno dei Malandrini a
Hogwarts, cioè quando Lily e Piton già non si
parlavano
più (per cui, nella mia testa, lei non sapeva nulla di
questi
avvenimenti). Poi ho letto Deathly
Hallows ed ecco che tutte le mie
convinzioni sono crollate XD quindi, per forza di cose, ho dovuto
rimaneggiare un po’ la trama.
Insomma, spero di
esserci
riuscita e che questa versione risulti convincente. Resta comunque il
fatto che Lily non è stupida e che, inevitabilmente, si fa
delle
domande su quegli avvenimenti, per i quali nessuno le ha mai fornito
una spiegazione (anzi, hanno tutti eluso ogni interrogativo in merito);
pertanto, in seguito scoprirete il resto.
Al prossimo
capitolo!
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Capitolo 13 *** Coincidenze di luna piena ***
Capitolo 13
Capitolo
13 – Coincidenze di luna piena
Nella
condizione umana c'è una sola verità, che tutti
gli
uomini mentono. La sola variabile è su cosa mentono.
(David Shore, Dr.
House, M.D.)
10
dicembre 1977
“Nervoso?”
“Nah”.
“Ma non mi
dire”.
“È
la verità, non sono nervoso”.
“Oh,
andiamo, a chi vuoi darla a bere? Si vede lontano un chilometro che ti
tremano le gambe!”
“E allora se
ne sei così convinto perché diavolo me
l’hai chiesto?”
“Semplice,
perché è divertente”.
“Che cosa
è divertente?”
“Vedere come
cerchi di negare l’evidenza!”
“Io non
sto negando
l’evidenza, sto semplicemente cercando di
… Moony, aiutami, per favore!”
Un sospiro e un
fruscio di bacchetta mi giungono alle orecchie, seguite da una secca
sentenza.
“Silencio!”
“Ah,
finalmente”.
Sospiro di sollievo,
tornando a
concentrarmi sulla mia immagine riflessa nello specchio. Mi getto
un’occhiata critica, osservando senza nessun tipo di
compiacimento che le lenti degli occhiali amplificano in modo
terrificante le borse che ho sotto gli occhi. Nel frattempo, una
raffica di parole senza voce escono incessantemente dalla bocca di
Sirius, zittito proprio al momento opportuno da
quell’incantesimo
prodigioso. Devo riconoscere che Moony è sempre un pizzico
più sagace di me, quando si tratta di escogitare un metodo
per
far tacere Padfoot.
Il mio migliore amico
continua ad
inveire nei miei confronti per qualche altro minuto agitando
convulsamente le braccia a vuoto mentre io cerco di sistemarmi questi
stramaledetti capelli, dopodiché decide finalmente di
rivolgersi
al diretto responsabile della sua mancanza di voce, lasciandomi libero
di dedicarmi alla mia acconciatura in santa pace. Mi volto solo un
attimo a godermi la scena di Sirius che sbraita mutamente alle spalle
di Remus, chino sopra il suo volume di Cura delle Creature Magiche;
senza fare una piega, Moony si scompone solamente per rivolgersi a
Peter e domandargli se non percepisce anche lui un fastidioso
spostamento d’aria.
Sghignazzando
soddisfatto, torno ad occuparmi dei miei affari.
“Che
programmi avete, James?” mi domanda Peter.
“Oh, beh,
non lo so di
preciso … la porterò a fare un giro, poi forse ci
apparteremo in qualche posto isolato …” sghignazzo
io,
divertito.
“E lei
è d’accordo per quanto riguarda
l’appartarsi?”
“Che
domande, Peter, certo che è d’accordo!”
“Quindi non
dovrai inventarti nessuna scusa, questa volta?”
“Certo che
no, dopo aver
accettato di suggellare la nostra unione con la nostra prima uscita
ufficiale non credo ci sarà più bisogno di simili
espedienti …”
In realtà,
ho il forte
sospetto che queste mie audaci speranze siano decisamente ben lontane
dalla possibilità di un’effettiva realizzazione.
Ma sono aperto alla possibilità di ricevere una sorpresa, per cui staremo a vedere.
E poi, ora sono
decisamente troppo teso
ed emozionato per potermi permettere di perdere tempo con questi
pensieri inconcludenti. Più i minuti passano, più
la mia
situazione sembra essere irrimediabilmente tragica: non riesco a
trovare un maglione decente da mettermi addosso, la mia camicia ha
perso un bottone al polsino che nemmeno Wormtail è stato
capace
di ritrovare pur avendo strisciato fino negli angoli più
polverosi della stanza, i miei dannatissimi capelli non ne vogliono
sapere di starsene al proprio posto per farmi apparire almeno vagamente
presentabile e Sirius mi ha trasfigurato lo spazzolino da denti in una
Puffola Pigmea. Di questo passo, non solo continuerò ad
essere
impresentabile, ma scenderò anche in disastroso ritardo, e
Lily
mi ucciderà. Me lo sento. È stato bello
finché
è durato, ora forse sarebbe meglio sbrigarsi a fare
testamento e
a dettare le disposizioni per il mio funerale. Penso che a mia madre
piacerebbe se facessi disporre di adornare la mia tomba con quei fiori
Babbani dallo strano nome, le begonie, lei le adora …
“Ti prego.
Non puoi davvero pensare di metterti addosso un maglione con un enorme
Boccino”.
Getto
l’indumento sul mio letto con aria affranta, lasciandomi
ricadere le braccia lungo i fianchi.
“Per quale
oscuro motivo ti è tornata la voce?”
Setaccio il baule
sentendomi ormai
privo di qualsiasi speranza, rovistando alacremente in mezzo a quel
groviglio insensato di vestiti di ogni genere.
“Ho promesso
di fare il bravo”.
“Ah,
davvero?”
“Sì,
e per
dimostrarmelo mi ha minacciato di versarmi un intero vasetto di
inchiostro sopra un libro che ho preso in prestito dalla
biblioteca”.
Guardo Remus, e
insieme conveniamo
immediatamente sul fatto che non ci possa essere soluzione ad un simile
caso disperato. Mi osservo con sguardo critico, cercando di individuare
quale sia l’elemento che stona maggiormente in
quell’ennesimo abbinamento: forse l’oro del Boccino
che non
si adatta alle stringhe delle mie scarpe …?
“Va bene,
genio, dimmi ora
che cosa c’è che non va”, sospiro, in un
moto di
rassegnazione. I miei genitori me l’hanno sempre detto, che
sono
un ragazzo troppo trascurato per quanto riguarda il mio aspetto fisico;
ma io non ne ho mai voluto sapere di dare loro retta.
“Andiamo,
James … non puoi metterti addosso quel coso”.
Inarco un
sopracciglio, sforzandomi in tutti i modi possibili per non sentirmi
uno stupido.
“E
perché no?”
Sirius sbuffa, alzando
le braccia al soffitto.
“Merlino,
perché sei antiestetico!”
“Beh, ti
ringrazio!”
“James,
prova a cercare qualcosa di un po’ meno sportivo”.
“Saggia
proposta, Moony. Ma
sono pronto a scommettere dieci Galeoni che non troverai niente che non
abbia almeno un manico di scopa ricamato sul risvolto della
manica”.
Storco la bocca,
gettandomi a
sedere sul letto con una caduta a peso morto. Ci sprofondo dentro,
facendo scricchiolare le molle del materasso in modo pericolosamente
sinistro. Sirius mi fissa con aria scettica.
“Continua a
saltarci sopra in questo modo, sei sulla buona strada per sfondare
anche il pavimento”.
Mi stringo nelle
spalle, ormai
completamente avulso dalla realtà. Sarò orribile
e
l’appuntamento andrà malissimo, non vedo
perché
dovrei darmi ulteriormente pena per cercare di cambiare un destino che
era già stato stabilito fin dal momento in cui ho tentato di
usare il pettine.
“Andiamo,
James, non ti abbattere così”.
“Grazie del
sostegno morale, Peter”.
“Se vuoi
posso prestarti qualcosa di mio …”
“Sì,
ti ci vedo
proprio con un maglione che ti arriva all’ombelico, Prongs.
Senza
contare le maniche al gomito … scusa, Wormtail, non
è per
offendere te, ma l’immagine che si è formata nella
mia
testa di James con i tuoi vestiti è così
esilarante che
…”
“Invece di
criticare, perché non gli presti qualcosa tu?”
Alzo lo sguardo,
osservando con
curiosità lo scambio di occhiate perplesse che intercorre
per
qualche secondo tra Sirius e Remus. Alla fine, stranamente senza
opporre nessun tipo di replica campata in aria, Sirius si china sul suo
baule, lo spalanca e comincia a gettare all’aria tutti i suoi
capi d’abbigliamento, seppellendo ulteriormente la stanza
sotto
un cumulo di vestiti e cianfrusaglie varie. Riemerge dal caos dopo
qualche secondo, tenendo fra le mani come un trofeo un maglione nero
che sembra essere stranamente in buone condizioni.
“Provati
questo,
Casanova”, mi dice, gettandomelo. Io mi limito ad infilarmelo
senza fiatare, constatando che fortunatamente non mi arriva
all’ombelico, né le maniche al gomito. Dopotutto,
Sirius
ha più o meno la mia stessa altezza e corporatura,
perciò
non c’è da sorprendersi se il maglione mi calza
perfettamente. Mi rimetto davanti allo specchio con un’aria
leggermente più soddisfatta di poco fa, sistemandomi il
colletto
della camicia con gesti calibrati, in cui cerco di infondere un minimo
di determinazione.
“Visto? Ti
sta bene”.
“Wow, James!
Vedrai che Lily rimarrà incantata!”
“Sì,
dallo splendore della tua chioma”.
“Oh,
smettila. Non è colpa mia se non ne vogliono sapere di stare
a posto …”
“E va bene,
ho capito, lascia fare a me”.
Terrorizzato, osservo
impotente
Sirius che mi si avvicina e mi strappa di mano il pettine, piegandomi
la testa all’indietro con un gesto secco e cercando di
sperimentare su di me le sue abilità di parrucchiere.
“Ahia
… Pads … smettila, ti prego!”
“Ma io lo
faccio per il tuo
bene! Guarda, questo ciuffo è riuscito a star giù
per
qualche secondo, forse se ci metto un po’ più di
forza
…”
“Te lo proibisco!”
Con una torsione
azzardata riesco
ad afferrare il braccio di Sirius e a bloccarlo in aria,
dopodiché finiamo inevitabilmente a lottare per il possesso
di
quell’attrezzo infernale, fino a che Sirius non riesce a
immobilizzarmi un braccio dietro la schiena.
“Oh,
andiamo, sembra che io ti debba scuoiare vivo!”
“Non sei
certo l’incarnazione della delicatezza, va bene?”
“Sei tu che
ti lamenti dei tuoi capelli”.
“Voi dite
che in giro così non ci posso andare …!”
“Beh, in
effetti …”
“Ma sono
sempre andato in giro così, e nessuno mi ha denunciato per
oltraggio al pubblico pudore!”
“Sirius,
finiscila. Non puoi passargli i capelli sotto un ferro da
stiro”.
“Escludendo
il fatto che rinuncerò a chiederti che cosa sia un ferro da stiro,
ti faccio presente che comunque è Prongs che sta facendo
storie
per imbellettarsi a tutti i costi come una stupida
femminuccia”.
“Questo non
è assolutamente vero!”
“Andiamo,
ragazzi, James sta benissimo così …”
“Ecco, hai
sentito Peter? Ora per piacere smettila di tentare di slogarmi una
spalla”.
“Come vuoi.
Ad ogni modo, sei in ritardo”.
“Perché,
a che ora le avevo detto?”
“Le undici,
James, le undici”.
“Appunto, le
undici, e ora
sono le …” getto uno sguardo
all’orologio, e il
secondo dopo mi prende il panico.
“Porca
…!”
“Prongs!”
“Devo
andare, scusatemi, c’è in ballo la mia vita e sono
davvero troppo giovane per morire!”
Mi fiondo fuori dal
dormitorio a
velocità massima rischiando di perdere gli occhiali durante
la
corsa, scendo le scale a rotta di collo correndo il pericolo di
incespicare ad ogni gradino, saltando i tre finali e atterrando sul
pavimento con un tonfo secco, e mentre mi guardo intorno con il fiato
corto rifletto sul fatto che forse, se anche sono riuscito a scendere
in orario, questo appuntamento non sarà certo il migliore
del
mondo, considerate le modalità con cui io e la mia adorabile
fidanzata l’abbiamo concordato.
“Senti,
Lily …”
“Che
c’è?”
“Niente,
è solo che, io volevo chiederti una cosa
…”
“Qualcosa
per cui rischi la morte?”
“No”.
“E
allora chiedimelo e basta, James. Prometto di non ucciderti”.
“E
va
bene. Vorresti … andare a fare una passeggiata a Hogsmeade
il
prossimo fine settimana, cosa alquanto tipica e scontata, in effetti,
solo che … la parte non tipica e scontata sarà
che io ti
accompagnerò?”
“Oh,
beh,
sai, a dire la verità mi faresti proprio comodo. Ho un
po’
di regali di Natale da acquistare … e pesano,
ecco”.
“Cioè,
dovrei accompagnarti per farti da portapacchi?”
“Non
ho intenzione di trasfigurarti in un carrello per la spesa, se
è questo che ti spaventa”.
“Senti,
lo so che sarebbe la prima volta che io e te … non importa,
comunque non è necessario che tu ti cerchi una
scusa”.
“Ma
la mia non è una scusa. I regali li devo comprare
davvero”.
“Va
bene, però io non faccio da portapacchi”.
“La
galanteria non te l’ha insegnata proprio nessuno in vita
tua?”
“Non
è questo, è solo che …”
“Avrai
il permesso di aprire bocca”.
“Davvero?
E posso anche baciarti in pubblico?”
“Mi
sembra che ci stiamo allargando un po’ troppo”.
“Sei
impossibile”.
“Può
darsi, ma sono anche quella che detta le regole”.
“Tanto
vedrai che alla fine dell’appuntamento sarai talmente presa
dal
sottoscritto che sarai tu a volermi baciare in pubblico”.
“Prova
a scendere dal piedistallo per vedere che effetto ti fa, ogni tanto
…”
“E
tu prova ad essere un po’ meno frigida”.
“Ma
… come diavolo ti permetti?!”
“Ahia!”
“Non
osare lamentarti, Potter, lo sai benissimo che per ogni offesa me la
devi pagare!”
“Ciò
non toglie che tu mi faccia male!”
“Ma
infatti è per questo che ricevi botte e non
carezze”.
“Tu
le carezze non sai neanche che cosa siano …”
“Ma
davvero?”
“Davvero!”
“Benissimo,
se ne sei tanto convinto allora non riesco a capire secondo quale
logica tu possa sperare di ricevere un bacio in pubblico”.
“Secondo
la stessa logica per cui tu sei finita abbarbicata al sottoscritto tre
mesi fa”.
“Ora
hai superato ogni limite!”
“Rimando
ogni ulteriore discussione a domani, dato che hai accettato di uscire
con me”.
“Sta’
molto attento a quello che dirai, perché se ci tieni ad
aprire bocca ne pagherai le conseguenze!”
“Ti
ringrazio per il gentile interessamento. Ci vediamo qui sotto alle
undici, e vedi di non farti aspettare”.
“Figurati,
sarai tu ad arrivare tardi”.
“Vedremo!”
Magari mi sta ancora
tenendo il
broncio, dopotutto. Non ci siamo rappacificati alla fine di questo
astruso battibecco, perché ieri sera abbiamo finito di
discutere
amabilmente su questi toni non proprio cordiali nel momento in cui
stavamo rientrando dalla ronda serale, e stamattina a colazione la mia
presenza in Sala Grande si è protratta soltanto per dieci
minuti
scarsi – giusto il tempo di ingozzarmi di frittelle per
placare i
morsi della fame mattutina – per cui, alla fine, non
l’ho
nemmeno incrociata. Non è propriamente un gesto degno di
furbizia uscire insieme per la prima volta dopo aver lasciato irrisolto
un simile alterco, ma come posso tirarmi indietro adesso, dopo che ho
trascorso un’ora intera a prepararmi per lei, anche se non ho
proprio ottenuto i risultati sperati? Devo essere forte, sentirmi
sicuro di me stesso e di quello che sto facendo, stringere i denti e
cercare di tenerle testa, sforzarmi di tenere sempre a mente che le
piaccio.
Le
piaccio, dannazione.
Non può
sempre mettermi i
piedi in testa, preso atto di questo. Ogni tanto dovrà
cedere
anche lei. Si tratta solo di escogitare un metodo efficace per far
sì che questo accada … e devo ammettere che la
prospettiva mi stimola più del pensiero di una partita di
Quidditch.
Mi guardo intorno in
cerca di Lily,
ma mi ci vuole poco per accorgermi che non è da nessuna
parte.
Una coppietta di Grifondoro del sesto anno sta bloccando il buco del
ritratto scambiandosi effusioni alquanto imbarazzanti, alcuni
studentelli del primo anno si stanno consolando del fatto che la loro
giovane età ancora non permetta loro di recarsi a Hogsmeade
intrattenendosi in una noiosa partita a Scacchi, e un gruppetto di
ragazzine ridenti mi sciama davanti fermandosi a pochi passi da me,
tenendomi sotto stretto controllo visivo. Come se non bastasse, ci
mancavano anche le guardone. Al diavolo, ora l’unica cosa
veramente importante sarebbe riuscire a capire dove accidenti sia Lily
…
“Oh, sei
qui”.
È appena
saltata giù
dall’ultimo gradino della scalinata che conduce al dormitorio
femminile, e io mi sento percorrere da una scarica di tensione
stratosferica. Penso ai miei capelli disastrosi e mi sento pervadere
dall’imbarazzo mentre la guardo, e osservo che i suoi capelli
sono perfettamente in ordine, compresi i vestiti e il mantello. Di
fronte ad un simile spettacolo posso soltanto sprofondare.
“Sei in
ritardo, ad ogni
modo”, le faccio notare, raddrizzando le spalle e tentando di
ergermi in altezza per conferirmi un’aria dignitosa. Lei
sembra
intimidirsi, soltanto per un secondo.
“Non sono in
ritardo. Avevo
scordato una cosa di sopra”, afferma poi, piantandosi
saldamente
sulle gambe e incrociando le braccia sul petto. Io mi limito a
corrugare la fronte con aria perplessa.
“Ah
sì? E cosa?” le chiedo, in tono di sfida.
“La mia
ascia
preferita”, mi risponde lei, stampandosi in faccia un
sorrisetto
compiaciuto e carico di perfidia. Touché.
“E va bene,
uno a zero per
te. E ora, dato che ti ho concesso la vittoria, potresti gentilmente
accantonare qualsiasi tuo proposito omicida nei miei
confronti?”
“Ne
riparliamo a fine giornata, se ti sarai comportato bene forse potrai
sperare nella mia clemenza”.
Devo constatare che ce
la sta davvero mettendo tutta per non mettermi sotto pressione.
Mi affretto a
seguirla,
affiancandola in quel breve tratto che deve condurci fino al buco del
ritratto, e le poso con tranquillità una mano sulla schiena,
sfiorandola appena, nello stupido tentativo di instaurare un
infinitesimo contatto fisico. Sono comunque totalmente irrigidito,
perciò, se il mio fine nascosto era quello di dimostrarmi
sciolto e spontaneo, risulta evidente anche da lontano un miglio che ho
clamorosamente fallito.
Voglio una Pozione
Tranquillante.
Il nervosismo mi sta
uccidendo.
“James, impiccati”.
“Dopo di
te, tesoro.
Prima però fammi pagare”.
“Ti ho detto
di no, accidenti!”
“Oh,
davvero? Scusami, non ti stavo ascoltando …”
“Sei proprio
una testa di …”
“Lily, ti
prego, non in pubblico”.
“Sono dieci
falci, grazie”.
“A
lei”.
Esco con passo spedito
dai Tre
Manici di Scopa praticamente trascinandomi dietro la mia adorabile
fidanzata, che per fortuna ha smesso di gridarmi contro improperi di
vario genere e si sta limitando a tenere la bocca chiusa e serrata fra
le labbra strette in un’espressione di disappunto. Mi pianto
saldamente di fronte a lei poggiandole le mani sui fianchi, e la guardo
dritto negli occhi sfoggiando uno dei miei sguardi ammiccanti e
maliziosi da Malandrino.
“Non
preoccuparti, non sarai più costretta ad insultarmi anche perché
voglio pagarti una Burrobirra. L’ho fatto solo per
dimostrarti che so comportarmi da cavaliere”.
Un angolo della sua
bocca si
solleva ad illuminarle l’espressione cupa con un mezzo
sorriso
che lei ha evidentemente tentato di reprimere, ma senza risultati
soddisfacenti. Il mio ghigno di soddisfazione si allarga. Per fortuna
che non sono stato dotato di un carattere suscettibile,
perché
altrimenti resistere ai suoi continui attacchi senza prendermela
neanche un po’ mi sarebbe risultato veramente impossibile.
Ma ormai
l’ho capito che mi insulta tanto perché sotto
sotto ci tiene.
“Bene, ora
che mi hai caricato come una bestia da soma con i tuoi regali di
Natale, cosa proponi di fare?”
“Facciamo un
giro fuori città, tutta questa folla mi sta dando il mal di
testa”.
Annuisco in silenzio e
mi incammino
verso il limitare del paese, dando libero sfogo ai miei silenziosi
pensieri. Finora non è stato facile, per niente. La tensione
è rimasta ad avvolgerci come una cappa per molto tempo, a
volte
provocando reazioni sul confine dell’isteria, ma tutto
sommato
non è stato poi così disastroso: il
più delle
volte, l’unico segreto per mantenere l’equilibrio
adatto
è riuscire a prenderla con filosofia. Dopotutto, una volta
scoperto il trucco per scalfire la patina di sarcasmo tagliente,
diffidenza scontrosa e tendenza alla polemica acuta, e dopo aver
imparato a decifrare le sue modalità espressive decisamente
mai
semplici e scontate, sono riuscito ad afferrare qualche piccolo segnale
del fatto che non le dispiace essere qui proprio con me, come invece
vorrebbe far credere.
“Lily?”
“Che
c’è?”
“Sai,
secondo me non ce l’hai veramente un’ascia nascosta
lì sotto …”
“Ah,
davvero?”
“Scommettiamo?”
Lei si ferma,
poggiando il peso
sulla gamba destra e le mani sui fianchi, guardandomi con quel
sorrisetto ironico che la rende così irresistibile. Non lo
ammetterà mai, di questo ne sono certo, ma con il tempo si
è addolcita con me. Solo un pochino, è vero, ma
l’ha fatto. Anche se si sforza sempre di dimostrarmi il
contrario, con ogni mezzo possibile.
“Se ho
ragione io, mi dai un
bacio in pubblico”, azzardo. Vengo immediatamente fulminato
da
un’occhiata truce, che tuttavia non è
più
sufficiente ad intimidirmi quel tanto che basta da convincermi che sia
meglio starle alla larga.
“Se non
sbaglio, ti avevo fatto notare che ti stavi allargando
troppo”.
Già,
perché adesso so di potermelo permettere.
“Vuoi
davvero costringermi a perquisirti piuttosto che darmela
vinta?”
Lily mi fissa con aria
divertita, incrociando le braccia e sostenendo il mio sguardo senza una
minima traccia di indugio.
“Finché
sarai
obbligato a portarmi i regali, non credo che tu possa essere in grado
di usare le mani in qualsiasi modo ti passi per la testa”.
Storco la bocca,
abbassando lo
sguardo verso i sacchetti che mi tocca sorreggere. Un regalo per
ciascuna delle sue amiche, uno per sua madre, uno per suo padre
… sì, sono davvero diventato una specie di strana
bestia
da soma. E lei mi comanda con una frusta, senza concedermi riposo
nemmeno per un secondo.
“E va bene,
torniamo indietro”.
Lily si gira verso di
me, fissandomi con aria perplessa.
“Come
sarebbe a dire torniamo
indietro?” mi chiede, corrugando la fronte. Io mi limito a
stringermi nelle spalle con espressione neutrale.
“Così
posso scaricare questi pacchi da qualche parte e perquisirti come si
deve”.
L’espressione
che nasce sul
suo volto è una buffa via di mezzo fra lo scioccato, il
divertito e l’imbarazzato.
“Mi trovi
d’accordo
solamente perché ormai sta facendo buio. Per quanto riguarda
il
resto, dato che sei così bravo a prevedere le mie reazioni,
lascio tutto alla tua immaginazione …”
Orgoglioso di aver
trovato
finalmente una soluzione efficace al mio problema, mi incammino verso
la strada di ritorno, lanciando solo uno sguardo fugace alla Stamberga
Strillante, avvolta nel cielo nuvoloso che si sta già
tingendo
di scuro. Finalmente, dopo aver sudato freddo per un’intera
giornata nel terrore che qualcosa potesse andare storto, mi sento in
diritto di affermare che non ho combinato nessun tipo di disastro; mi
sono comportato da gentiluomo e non mi sono ingozzato con gli Zuccotti
di Zucca, riuscendo così ad evitare di provocarmi il
singhiozzo.
Finalmente, dopo aver
salito una
miriade di gradini con le gambe intorpidite dal freddo di dicembre, il
tepore della sala comune mi invade da capo a piedi, facendomi sospirare
di sollievo. Sto per mollare tutto a terra e stravaccarmi su una delle
poltrone, quando mi torna in mente il proposito che ho deciso di
attuare nonostante le velate minacce di Lily, perciò mi
avvicino
a lei con fare apparentemente indifferente e faccio per aiutarla a
togliersi il mantello, impregnato dal gelo, quando lei si volta verso
di me con un’espressione seria e grave che mi fa sgranare gli
occhi per la sorpresa.
“C’è
qualcosa
che non va?” chiedo, non riuscendo affatto a nascondere la
mia
confusione. Lily solleva lievemente il capo, guardandomi dritto negli
occhi.
“Dove
sparisci una volta al mese?”
Sicuramente devo aver
sentito male;
il freddo mi avrà otturato le orecchie, altrimenti se non
è così la mia vita sta per finire.
“Beh, ecco
…”
“Non pensi
di potermelo dire?”
“Io non
… non è che sparisco, è che, vedi
…”
“James?”
Dalla vocetta acuta
direi che
è sicuramente Peter, quello che ha aperto in questo momento
la
porta del dormitorio e si sta fiondando goffamente giù per
le
scale.
“Ciao,
James! Ragazzi, è tornato James!”
Mi infilo le mani in
tasca,
sentendomi avvampare per l’imbarazzo. Non poteva esserci
metodo
migliore per salvarmi dalle grinfie di Lily in questo momento, ma non
riesco a non sentirmi colpevole per quello che le sto involontariamente
facendo.
“Allora, vi
siete divertiti? Com’è andata?”
“Tutto bene,
grazie …”
Stanno scendendo anche
Moony e
Padfoot, e non riesco a trattenermi dall’indirizzare loro uno
sguardo di pura gratitudine. Sirius mi strizza l’occhio in
modo
quasi impercettibile, e intuisco all’istante che
c’è
una ragione sensata per quell’intervento così
provvidenzialmente opportuno. Temo l’esplosione furiosa di
Lily
da un momento all’altro, ma inaspettatamente lei mantiene un
autocontrollo impeccabile, risponde con cortesia sorridente alle
domande invadenti dei miei migliori amici e prima di ritirarsi nella
sua stanza mi si avvicina comunque per permettermi di darle un lieve
bacio di congedo, cosa che mi dà l’occasione di
sussurrarle all’orecchio che non percepisco la presenza di
nessun’ascia nascosta sotto i suoi vestiti. Lei riesce a
riserbarmi uno dei suoi soliti sorrisi contrariati e quasi mi sembra di
poter dire che non sia arrabbiata, ma la preoccupazione mi rode
comunque le viscere e mi impedisce di prendere parte con vero trasporto
alla serata di festeggiamenti privati in mio onore.
***
In questo momento,
chiunque abbia
provato almeno una volta in sette anni di scuola l’esperienza
di
un appuntamento galante a Hogsmeade è oggetto di tutta la
mia
più segreta e controversa invidia. Perché io ho
sempre
rifiutato di uscire con i miei compagni di scuola. Ho preferito vivere
le gite a Hogsmeade con la spensieratezza derivante dal sentirmi libera
e priva di impegni, dopo settimane passate a limare un compito scritto
di Pozioni all’ultimo minuto o a cenare in fretta per
riuscire a
presentarmi a una riunione della McGranitt. Poi però, ieri
sera,
James mi si è presentato davanti per domandarmi di uscire, e
a
me è toccato accettare. Non che non volessi, ovvio; ma ora
mi
sento nervosa, e questo non mi piace proprio per niente. Mi impedisce
di ragionare in modo lucido, di pettinarmi in maniera decente e di non
mordermi continuamente le labbra.
Il problema, oltre a
questo,
è che ho intenzione di parlare a James di una questione
piuttosto seria. Due settimane fa è successo di nuovo, da
quando
ci siamo messi insieme; è sparito per la terza volta, senza
una
spiegazione soddisfacente, oltre l’orario in cui agli
studenti
è consentito gironzolare indisturbati per il castello. Passi
che
lui è Caposcuola, ma questo non significa certo che
è
libero di fare ciò che vuole.
Quello che mi preoccupa
non è
essere a conoscenza di tutto ciò che fa.
All’inizio avevo
pensato che si trattasse di una delle losche attività in cui
lui
e i suoi amici si dilettano ad impegnarsi, ma poi, nei giorni
successivi, non ho avuto sentore di nessuna catastrofe naturale. E
neppure la volta dopo. E quella dopo ancora. Certo, nel frattempo
Sirius e Remus sono stati coinvolti in una rissa con i Serpeverde del
nostro anno, ma è stata una cosa nata sul momento
perché
in questa scuola si persiste nell’atteggiarsi da bulli invece
che
comunicare in maniera semplice e diretta. E poi ho inevitabilmente
notato una cosa, una di quelle volte che ero stata piantata in asso
così su due piedi a pattugliare i corridoi … mi
ero
affacciata fuori dalla finestra e di fronte a me c’era la
luna
piena. Sorta da poco, di quel bel colore infuocato, senza una sola
nuvola a farle ombra.
Tutte le discussioni
con Severus
portate avanti fino allo stremo negli anni precedenti mi tornarono di
colpo alla mente, in quell’istante. Poteva essere un caso,
questo
è sicuro. Ma per tre volte di seguito James si era dileguato
senza darmi neppure uno straccio di spiegazione. Mi disturba non
riuscire a capire che diavolo sta succedendo. La mia fervida
immaginazione mi ha fatto ipotizzare dozzine e dozzine di possibili
scenari, uno meno rassicurante dell’altro; tra tutte queste
bizzarre congetture, ho anche finito per domandarmi se James
c’entri qualcosa con i ricoveri mensili di Remus. So che lui
è malato, ma James che c’entra? A questo punto, ho
deciso
che correrò il rischio di passare per
un’impicciona ma che
chiederò un chiarimento al diretto interessato, che essendo
il
mio ragazzo dovrebbe sentirsi un minimo in dovere di dirmi la
verità. Tanto, se non c’è nulla di male
in
ciò che fa quando sparisce, non sarà un problema
mettermene al corrente.
“Non fare
quella faccia da
funerale. Se avrai bisogno di noi, ci troverai senza
difficoltà
… Hogsmeade la si gira tutta in quattro passi”, mi
dice
Margaret, facendomi una carezza sulla testa. Sta volteggiando da una
parte all’altra della stanza senza interruzione da
più o
meno mezzora.
“La
girerà tutta in
quattro passi il tuo uomo spilungone”, le fa eco Helen, da
sotto
il letto. Lei invece sta cercando di recuperare qualcosa dal baule da
più o meno mezzora.
“Almeno non
potrai prendermi in giro come quando uscivo con Jordan
Steeval”.
“La cosa mi
usciva naturale, considerato che era più basso di te di
almeno dieci centimetri”.
Margaret fa la faccia
imbronciata, pettinandosi freneticamente i capelli.
“Aveva altre
doti”, ribatte, e Helen sbuca da sotto il letto con una
faccia schifata.
“Non voglio
sapere quali”
dice, e Mary ridacchia da dietro I
Tre Moschettieri.
“Chi ha delle
doti?” chiede Delia, ad alta voce, da dietro la porta del
bagno.
“Sirius
Black!” grida Margaret, per prenderla in giro.
“Eeh? Cosa?!
Ahia, porca di quella …”
Scoppiamo a ridere
tutte insieme.
Delia deve aver appena sbattuto per la cinquantesima volta contro
l’anta dell’armadietto rimasta aperta.
Per fortuna, il clima
che mi
circonda in questi attimi cruciali non è asfissiante. Mi
sono
espressamente pronunciata in proposito non appena ho comunicato loro la
notizia che io e James oggi saremmo usciti insieme, e grazie a Godric
hanno tutte rispettato la mia volontà. So di aver posto un
freno
pesante alla loro curiosità, ma non ho per nulla voglia di
parlare di come mi sento o cose del genere. Soprattutto
perché
l’appuntamento è stato concordato litigando,
anziché in mezzo a piacevoli imbarazzi.
E va bene, magari in
parte è
stata anche colpa mia. Ma James alle volte mi fa venir voglia di
strapparmi i capelli. Riesce a rendere complicata ogni cosa, come se
già non lo fosse abbastanza per il fatto che fino
all’altro anno i nostri rapporti erano tutt’altro
che dolci
e amorevoli.
Perlomeno, possiamo
essere certi di una cosa: il primato come coppia più
originale di Hogwarts va sicuramente a noi.
Sono le undici e cinque
minuti
quando mi accingo a scendere la scala a chiocciola che porta in sala
comune. Mi maledico silenziosamente per aver concesso a Margaret di
darmi la sistemata dell’ultimo minuto ai capelli,
perché
ora, nonostante le trecce che mi ha fatto siano perfette, io sono in
ritardo, e non dovevo permettermelo. Avevo detto a James che sarebbe
stato lui ad arrivare tardi, e non posso assolutamente lasciargli
cantar vittoria. E – dannazione – è
già
lì che mi aspetta, per mia somma sfortuna.
“Oh, sei
qui”, mi dice,
quando finalmente lo raggiungo. A giudicare dall’aria
smarrita
che aveva fino a un attimo fa, prima che arrivassi era immerso nei suoi
pensieri. Di che natura, non mi è dato saperlo.
“Sei in
ritardo, ad ogni
modo”, aggiunge, riacquistando immediatamente la sua aria da
sbruffoncello. Per un attimo penso di lasciar perdere e di ammetterlo,
ma poi il mio spirito battagliero ha la meglio, e gli restituisco
l’occhiata di sfida.
“Non sono in
ritardo. Avevo scordato una cosa di sopra”, ribatto,
incrociando le braccia.
“Ah,
sì? E cosa?”
Un ghigno sardonico mi
compare sul volto.
“La mia ascia
preferita”, rispondo, lasciando che lui saluti il mio trionfo
con espressione di muto disappunto.
Lo adoro quando fa
così.
“E va bene,
uno a zero per te.
E ora, dato che ti ho concesso la vittoria, potresti gentilmente
accantonare qualsiasi proposito omicida nei miei confronti?”
Penso a che cosa muoio
dalla voglia
di chiedergli in cambio, ma decido che è meglio giocarmi
quella
carta come ultima risorsa.
“Ne
riparliamo a fine
giornata, se ti sarai comportato bene forse potrai sperare nella mia
clemenza”, gli dico, avviandomi verso il buco del ritratto.
Mentre oltrepassiamo la
Signora
Grassa, sento che mi posa una mano sulla schiena. Espiro tutto
d’un colpo dopo aver trattenuto il fiato per qualche secondo
e mi
rilasso, appoggiandomi in silenzio al suo fianco e domandandogli
implicitamente di tenermi vicino a lui.
Nessuno ha detto che
debba per forza andare male, dopotutto.
“Sai una
cosa?” mi sento
chiedere a un certo punto, mentre mi sono incantata a fissare le
bollicine della mia Burrobirra.
“Cosa?”
domando, alzando
lo sguardo. Noto che James mi guarda come quando ha paura che io pensi
che quello che dirà sia una cosa stupida, ma allo stesso
tempo
il suo narcisismo velato gli impedisce di tacere. Mi sorprendo a
constatare quanto ormai lo conosco bene.
“In cinque
ore e mezzo di appuntamento non abbiamo ancora avuto una di quelle
conversazioni da appuntamento”.
Lo osservo con aria
incuriosita,
chiedendomi a che diavolo stia pensando. Forse ancora non lo conosco
così bene da riuscire a leggergli nella mente.
“E quali
sarebbero le conversazioni da appuntamento?”
“Beh, sai,
quelle cose tipo dove
sei nato o che lavoro fanno i tuoi genitori o che cosa ti piace fare nel tempo
libero”.
Sorrido, giocando con
il manico del boccale.
“È
un bene che tutte queste cose le sappia già … non
mi piacciono le domande”.
“Anche io lo
sapevo
già, questo … cavolo, ma sai anche dove sono
nato?”
mi chiede, con aria meravigliata. Io mi stringo nelle spalle, per
scacciare l’imbarazzo.
“Nella tenuta
irlandese della
tua famiglia. Anche se non era previsto. Lo stavi dicendo a Remus, alla
fine di una lezione, quella volta che lui per scherzo ti ha detto che
non ti ricordavi nemmeno da dove provieni”.
“Il che
è successo
più o meno quando facevamo il quarto anno, ma
farò finta
di non stupirmi … lo sapevo già che nel tuo
cervello si
immagazzina tutto”.
È strano
sentirlo parlare come se fosse, non so, fiero di me. Non credo
l’abbia mai fatto prima.
“Quindi
potresti rinfacciarmi
a vita il fatto che ti abbia detto che tu le carezze non sai neanche
che cosa siano, ad esempio”, mi dice, con
quell’aria a
metà fra il timoroso e il furbo.
“Esatto,
quindi puoi scordarti
che io ti faccia mai questo”, rispondo, sfiorandogli il
ginocchio
sotto il tavolo con una mano.
“Wow.
Però ora
l’hai fatto”, ribatte lui, guardandomi con gli
occhi che
brillano da dietro le lenti. Io mi sento avvampare
dall’imbarazzo
seduta stante.
“Era una
dimostrazione
esplicativa, non una carezza nel vero senso del termine”,
cerco
di difendermi, ma lui non accenna a diminuire la sua esaltazione.
Merlino,
quant’è amorevolmente insopportabile.
“Ritiro
tutto. Ne sei capace. Mi perdoni?”
“Ma brutto
idiota”, lo
insulto, scoppiando a ridere, mentre nasconde il viso
nell’incavo
tra la mia spalla e il mio collo. Mi accorgo che la cosa è
sorprendentemente naturale. Mi scordo di tutta la gente che ci sta
attorno, di tutti quegli impiccioni che magari non si stanno facendo i
fatti propri, del fatto che prima o poi dovrò decidermi a
fare
domande, anche se non mi piace farne.
Smetto di sentire il
bisogno di
parlare per riempire dei vuoti. Non abbiamo fatto altro che parlare per
ore e ore, ironizzando sulla nostra vita e sul nostro futuro,
sfiorandoci in maniera fintamente distratta di tanto in tanto,
lasciandoci prendere da attacchi di risa incontrollati. Ma ora
è
ancora meglio. È un vero passo avanti. Sono rilassata e gli
accarezzo i suoi stupidi capelli spettinati.
“Ci ho
provato a rendermi presentabile. Lo giuro. Ma non ne vogliono sapere di
stare giù”.
Scoppio a ridere,
immaginandomelo davanti allo specchio a fare smorfie di disappunto.
“Non importa.
Era una battaglia persa in partenza”, rispondo.
“Tradotto in
un linguaggio
meno allusivo significa che sono bello anche se sono
spettinato?”
mi domanda James, sollevandosi dalla mia spalla per guardarmi con aria
giuliva.
Io assumo
un’aria marcatamente perplessa.
“Non credo di
averti mai visto
pettinato in vita mia”, affermo, mentre un ricordo mi
sopraggiunge alla mente: mi ero trovata costretta a partecipare a uno
dei festini di Slughorn una volta, al quarto anno, e ovviamente avevo
dovuto vestirmi bene perché era richiesto l’abito
da
cerimonia. E poi, non so come, James e Sirius erano riusciti ad
infiltrarsi, pur non avendo ricevuto alcun invito, appena dopo aver
portato a termine una punizione della McGranitt, che aveva fatto loro
pulire il camino del suo ufficio senza magia. E i capelli di James, in
quell’occasione, erano terribili, dato che
aveva trascorso mezzora a scuoterseli dalla cenere.
“Credo che
dovrai raparmi a
zero se mai vorrai vedermi con i capelli in ordine”, sospira
lui,
stravaccandosi sulla panca a cui siamo seduti. Mi si è messo
di
fianco con la scusa di rubarmi un po’ di semifreddo, ma
così è più facile che stare faccia a
faccia.
Sembra di essere sui banchi di scuola, ed è così
che
abbiamo convissuto per sei anni e più. Stando a stretto
contatto, imparando silenziosamente tante cose l’uno
dell’altra e facendo finta di non averle mai sapute.
“Sta
cominciando a fare troppo
caldo qui dentro”, osservo, sentendo che le guance di James
scottano. Non so come ci sia arrivata la mia mano sulla sua guancia. So
solo che siamo entrambi stravaccati sulla panca, ora, con le gambe
stese sotto il tavolo e i gomiti appoggiati alla sommità
dello
schienale.
“Anche se hai
appena mangiato un semifreddo a dicembre inoltrato?” mi
domanda lui, tentando di farmi il solletico.
“A dire il
vero l’ho
mangiato all’incirca un’ora fa”, gli
faccio notare,
guardando l’orologio. Lui sgrana gli occhi, come un bambino.
Già, il
tempo è decisamente volato.
“Andiamo a
fare un
giro?” mi propone, e io annuisco. Anche le mie guance
scottano, e
imbacuccarmi in sciarpa e mantello mi costa un incredibile sforzo.
“Dove stai
andando?”
chiedo a James, notando che si allontana senza nemmeno aspettarmi. Si
gira per rivolgermi un sorriso fugace, poi si dirige verso il bancone.
Comprendendo nel giro di un istante le sue intenzioni, lascio perdere
il laccio del mantello e lo inseguo di corsa, facendomi largo a forza
fra la gente che affolla i Tre
Manici di Scopa.
Sfortunatamente, arrivo
quando la giovane figlia del proprietario sta già facendo il
conto.
“Dimmi
quant’è la
metà”, ordino al mio testardissimo ragazzo,
nonostante
avessimo concordato che non mi sarei fatta offrire nulla appena entrati
nel locale.
“Non posso,
è un calcolo troppo difficile”, mi risponde,
simulando un’aria desolata.
Credo che potrei
strozzarlo con le mie stesse mani.
“James, impiccati”,
gli sussurro, con aria truce.
“Dopo di
te, tesoro”,
mi risponde lui, con incuranza. “Prima però fammi
pagare”.
“Ti ho detto
di no, accidenti!”
“Oh, davvero?
Scusami, non ti stavo ascoltando …”
Mi farà
impazzire, prima o poi.
“Sei proprio
una testa di …”
“Lily, ti
prego, non in pubblico”.
Mi zittisco, assumendo
un’aria imbronciata. Ormai è inutile insistere,
ovviamente. La battaglia è persa.
“Sono dieci
falci, grazie”.
“A
lei”.
Alle volte, mi domando
di chi
è la colpa se finiamo a bisticciare in questo modo ogni
cinque
minuti. Può darsi che io sia troppo cattiva con lui,
è
vero. Ma mi è ancora difficile mostrargli apertamente quanto
ormai tengo a questa specie di storia che abbiamo costruito. E nel
rendermi conto che mi risulta difficile, reagisco nella maniera
totalmente opposta. Se poi aggiungiamo il fatto che anche lui ce la
mette tutta per farmi saltare i nervi, forse la colpa può
non
essere considerata soltanto mia.
Una volta fuori, questo
subdolo infingardo mi abbraccia e mi sorride.
“Non
preoccuparti, non sarai più costretta ad insultarmi anche perché
voglio pagarti una Burrobirra. L’ho fatto solo per
dimostrarti che so comportarmi da cavaliere”.
Ricordo bene di avergli
domandato se
la galanteria non gliel’avesse insegnata nessuno, in vita
sua,
quando ieri sera abbiamo concordato la nostra uscita tra ferro e fuoco.
È tutto un gioco di rimandi sottili, perché per
quanto
James sembri tutt’altro che attento e concentrato
è dotato
di una memoria forse anche migliore della mia. Alla fine, non ce la
faccio a non sorridere.
“Bene, ora
che mi hai caricato
come una bestia da soma con i tuoi regali di Natale, cosa proponi di
fare?” mi dice poi, facendo brillantemente finta che non sia
accaduto nulla. Ecco perché il nostro rapporto funziona: si
litiga per ogni facezia, ma poi non c’è bisogno di
grandi
gesti per passarci sopra.
“Facciamo un
giro fuori
città, tutta questa folla mi sta dando il mal di
testa”,
rispondo, accorgendomi di essere un pochino destabilizzata.
Dev’essere lo sbalzo di temperatura.
Camminiamo in silenzio,
per un
po’, fino al limitare del paese. James trasporta tutti i
sacchetti dei miei regali di Natale, e mi sento dispiaciuta
perché sta prendendo freddo alle mani, così ogni
tanto,
tra un passo e l’altro, lo sfioro di sfuggita.
Non so veramente dire
che cosa mi abbia preso.
“Lily?”
mi chiede, dopo un po’.
“Che
c’è?”
“Sai, secondo
me non ce l’hai veramente un’ascia nascosta
lì sotto …”
Sorrido, di fronte alla
sua aria da finto innocente.
“Ah,
davvero?” gli chiedo.
“Scommettiamo?”
ribatte lui. Io mi fermo e lo guardo, cercando di intimidirlo.
“Se ho
ragione io, mi dai un bacio in pubblico”.
Evidentemente, il mio
tentativo non ha avuto successo.
“Se non
sbaglio, ti avevo
fatto notare che ti stavi allargando troppo”, osservo,
facendo di
nuovo riferimento alla conversazione di ieri sera. Quella era la parte
in cui mi ero davvero arrabbiata. Se è abbastanza bravo da
capirlo, il farvi riferimento significa che deve smetterla.
“Vuoi davvero
costringermi a perquisirti piuttosto che darmela vinta?”
È davvero
impossibile. Ma stavolta sono io ad avere il coltello dalla parte del
manico.
“Finché
sarai obbligato
a portarmi i regali, non credo che tu possa essere in grado di usare le
mani in qualsiasi modo ti passi per la testa”.
La sua aria sconsolata
mi fa davvero
tenerezza, ora. Lo osservo contemplare i sacchetti dei miei regali con
l’aria di chi si sta pentendo di aver voluto fare il
cavaliere,
ma poi rialza lo sguardo e la delusione è svanita di colpo.
“E va bene,
torniamo indietro”, mi dice. Io rimango a fissarlo interdetta.
“Come sarebbe
a dire torniamo indietro?”
“Così
posso scaricare questi pacchi da qualche parte e perquisirti come si
deve”.
Ah, è
così … accidenti a lui.
“Mi trovi
d’accordo
solamente perché ormai sta facendo buio. Per quanto riguarda
il
resto, dato che sei così bravo a prevedere le mie reazioni,
lascio tutto alla tua immaginazione …”
Ci incamminiamo verso
il castello
ridendo, divertiti. Siamo decisamente bravi a fingere di detestarci
ancora, dopo quasi tre mesi che stiamo insieme. Nonostante Peter ci
sproni sempre ad essere più buoni e Delia mi continui a dire
che
i miei ormoni funzionano in modo strano, tutto questo mi piace. Non si
dà mai nulla per scontato, neppure il modo in cui afferro
James
per un braccio intimandogli di rallentare, neppure le spallate che ci
diamo nel tentativo di passare contemporaneamente dal buco del
ritratto, costringendomi ad aggrapparmi a lui per non cadere a terra.
Poi però mi
rendo conto che siamo tornati al castello, e che io ancora non gli ho
chiesto quello che devo chiedergli.
Ci dev’essere
sempre qualcosa di spiacevole che si intromette nelle situazioni
migliori.
Ma se non
avrò una risposta non mi darò pace,
già lo so.
“C’è
qualcosa che
non va?” mi chiede James, voltandosi verso di me, dopo
essersi
tolto il mantello e aver appoggiato i pacchi a terra, vicino alla sua
poltrona preferita. Sospiro, poi lo guardo negli occhi.
“Dove
sparisci una volta al mese?”
La mia domanda fa
calare un silenzio tombale, e toglie ogni traccia di colore dalla
faccia di James.
Ancora peggio di quanto
mi aspettassi, Merlino.
“Beh, ecco
…”
Gli do tempo qualche
secondo per perpetrare il suo balbettio sconclusionato, poi scelgo di
insistere.
“Non pensi di
potermelo dire?”
Ora l’ho
davvero mandato in panico.
“Io non
… non è che sparisco, è che, vedi
…”
“James?”
La voce proviene dalla
sommità delle scale che portano al dormitorio maschile.
James si
volta, e io capisco che ho perso. La mia possibilità di
avere
delle spiegazioni svanisce nel momento in cui Peter saluta il suo amico
con espressione euforica, affrettandosi a scendere i gradini.
“Ciao, James!
Ragazzi, è tornato James!”
Non smetto di
osservarlo, nonostante
lui eviti palesemente di guardarmi per non sentirsi ancora
più a
disagio per il fatto che la nostra conversazione sia stata casualmente
interrotta proprio sul più bello. Non me la sento di
insistere
ancora e sospiro, costringendomi ad accantonare il pensiero, dicendomi
che forse dovrei semplicemente farmi gli affari miei e smetterla di
voler sapere tutto ad ogni costo.
Saluto anche Sirius e
Remus, che con
più calma si uniscono a noi, e mi comporto come se nulla
fosse
successo. So che preferirei aver trovato una risposta alle mie domande,
ma questo non mi ha impedito di stare bene per tutta la giornata,
finora.
Take your
medicine and I won't ask
where
you've been.
Live
your lost weekend,
because
I know you've wanted it
to
get big, little kid.
(Okkervil River, Get Big)
|
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Capitolo 14 *** Lettere a Natale ***
Capitolo 14
Capitolo 14 –
Lettere a Natale
Posso
sopravvivere, col pilota automatico, ma vivere è un'altra
cosa. Da quando ci siamo addomesticati a vicenda, è logico,
per restare a un certo livello non posso più fare a meno di
lei. E per lei è lo stesso, anche se ho bisogno di
sentirmelo ripetere cento volte di fila, perché la paura
è troppa.
(Enrico Brizzi, Jack Frusciante è
uscito dal gruppo)
25
– 12 – 1977, Hogwarts
Ciao, Evans.
Volevo solo
farti gli auguri di Natale, quindi frena tutti i tuoi pensieri
ingiuriosi … niente lettere sdolcinate, solo due righe per
rispettare le tradizioni. Se devo essere sincero comincio a sentire un
po’ la mancanza dei tuoi insulti quotidiani, e gli ematomi
che mi hai provocato prima di partire ormai si stanno riassorbendo
… ma non importa, sopravviverò. Sono forte, io.
Faccio solo il conto alla rovescia, quando hai detto che torni
…?
(E va bene,
fine dei sentimentalismi. Sicuramente ti ho già provocato la
tua dose quotidiana d’irritazione, quindi posso ritenermi
soddisfatto e cambiare registro).
L’avete
fatto l’albero, lì a casa tua? Ai miei genitori
piacciono queste usanze … infatti io, da bravo pargolo
rispettoso delle tradizioni, ho deciso che anche noi quattro dovevamo
farci un albero di Natale tutto nostro, da mettere in dormitorio: solo
che non potevamo andare a sradicarne uno dalla Foresta Proibita, e
così abbiamo deciso di fare un albero vivente; abbiamo preso
i nostri calzini e abbiamo agghindato Peter di tutto punto, avresti
dovuto vederlo. Purtroppo potevamo usufruire solo delle calze mie e di
Sirius, perché quelle di Remus sono tutte nere e grigie, sai
che tristezza di albero sarebbe uscito. Peccato che Peter non
è riuscito a rimanere immobile per molto. Se ti
può consolare, però, gli abbiamo fatto una foto.
Così potrai dirci che ne pensi, del resto sei tu
l’esperta di queste cose.
Senti, sono
riuscito a procurarmi un regalo per te … ho mandato i miei
genitori a comprarlo, io non avevo la più pallida idea di
dove avrei dovuto cercare, però spero ti possa piacere. Non
so nemmeno se te lo ricordi, a dire la verità. Al primo
anno, mentre eravamo in classe ad aspettare che tornasse la McGranitt,
tu ti sei messa a fare quelle strane figure di carta, Remus mi aveva
detto che si chiamano origami … solo che io mi stavo
dondolando sulla sedia mentre ti guardavo e a un certo punto ho perso
l’equilibrio. Ho sbattuto la faccia sul banco e mi sono quasi
rotto il naso. È stato atroce. Però mi sono
ricordato che ti piacevano questi cosi, questi origami, così
ho chiesto ai miei genitori di comprarli. Non ti sto a spiegare che
razza di macello abbiano fatto per riuscire a farsi capire dal Babbano
che vendeva queste cose; probabilmente li avrà presi per
pazzi. Io ancora non riesco a capire come tu facessi a fare tutte
quelle cose con dei pezzetti di pergamena, però spero ti
piaccia ancora farli, altrimenti so già che mi rincorrerai
con un randello per tutta la Sala Grande.
Okay, credo
di averti annoiato a sufficienza. E meno male che doveva essere un
semplice bigliettino d’auguri. Se vuoi impormi un massimo di
centimetri da rispettare per la prossima volta, vedrò di
adeguarmi, e mi sforzerò per scrivere cose più
intelligenti e sensate … è che adesso
è quasi ora di pranzo e sto morendo di fame, quindi immagino
sia ora di staccare. Ti farò sapere
com’è andata. Sirius vuole far ubriacare la
McGranitt, ma io ti posso assicurare che non mi unirò a
questo proposito (semplicemente perché penso che sia
un’impresa impossibile, quella donna non riuscirebbe a
lasciarsi andare nemmeno dopo cinque bottiglie di Firewhisky. Oh,
certo, e poi ho anche paura della tua reazione. Una paura terribile.
Tremo al solo pensiero …).
Vado, mi
brontola lo stomaco e mi sento piuttosto ridicolo, perché
qui dentro nessuno sta fiatando e quindi l’unico rumore che
si sente è quello dei miei borborigmi. Se il mio gufo ti
becca sulla testa, è perché vuole essere grattato
dietro l’orecchio.
A presto.
James
26
– 12 – 1977, Londra
Ciao, Potter,
immagino ve
la starete spassando come due piccoli scolaretti eccitati al loro primo
giorno di scuola in questo momento. Non voglio essere messa al corrente
dei dettagli, preferisco rimanere all’oscuro e trascorrere in
santa pace le mie innocenti vacanze, senza il pensiero di voi due che
vagate per i corridoi di Hogwarts ubriachi fradici. Mi auguro solo per
il vostro bene che Gazza non vi abbia seguiti per farvi fuori.
Sì, se te lo stai chiedendo ti rispondo subito: ho scoperto
che cosa gli avete fatto l’ultimo giorno prima delle
vacanze,ma preferisco limitarmi a tacere, altrimenti non
finirei più di insultarti. Ma c’è chi
va in giro a gridare a squarciagola che a Natale si è tutti
più buoni, perciò, per darti prova del fatto che
riesco a controllare la mia acidità, me ne starò
in silenzio e ti grazierò dall’ennesimo rimprovero.
Mi piacerebbe
poterti dire che mi sto divertendo da matti anch’io, ma
purtroppo sarebbe una balla colossale. Mia madre ha assunto un
atteggiamento a metà fra l’euforico e
l’inquisitorio e continua a farmi domande su di te, sempre le
stesse per di più. Piango per l’eccesso di
sincerità che mi ha spinto a rivelarle il mittente di quel
bigliettino d’auguri. E il bello è che non coglie
nemmeno l’ironia: continuo a ripeterle ormai da stamattina
che in realtà sei un teppista psicotico che mi ha incantata
con una qualche magia oscura, e ormai ci è cascata talmente
tante volte che non serve a niente nemmeno spiegarle che stavo
scherzando. Non c’è gusto a prenderla in giro.
Almeno tu capisci le mie battute, tranne nei casi in cui sei reduce da
un allenamento di Quidditch o da una delle tue sparizioni notturne.
Mio padre
credo non veda l’ora di conoscerti, ma per la tua
incolumità fisica tenderei a rimandare l’incontro
il più possibile. Assume sempre un’aria vagamente
minacciosa quando salta fuori il tuo nome, e quelle poche volte che mi
fa domande non ha un tono molto amichevole. Sembra che non abbia preso
molto bene il fatto che io ora esca con qualcuno. Per non parlare di
mia sorella, che non fa altro che bersagliarmi con battute velenose.
Insomma, non ho più un attimo di pace in questa casa. Certo,
non vorrei dire che la colpa è tua, ma …
sì, in effetti è proprio colpa tua. Ad ogni modo,
il tuo bigliettino mi ha fatto ridere. Il regalo mi ha quasi commossa
(sottolineo il quasi!), erano secoli che non facevo più gli
origami, e non ho la più pallida idea di come facessi tu a
ricordartelo. Non diventare ansiogeno, non ti rincorrerò per
la Sala Grande con un randello. Però credo di ricordarmi il
tuo incidente, in effetti. Forse è stata una delle prime
volte in cui ti ho pensato come ad uno degli esseri più
idioti mai esistiti sulla faccia della terra … ma erano
decisamente altri tempi. Insomma, consideralo un ringraziamento, ma non
ti montare troppo la testa.
Ad ogni modo,
torno il 31. I miei genitori vogliono passare il Capodanno in montagna,
ma io non ho la benché minima intenzione di andare con loro.
Non ho mai sopportato i viaggi vacanzieri, e ho una particolare
allergia per le feste quindi, se anche mi trascinassero insieme a loro,
potrebbero stare certi che rimarrei barricata in camera mia fino
all’ora di pranzo del primo gennaio. Voglio augurarmi che per
quella data voi due siate già riusciti a scegliere un
appartamento; altrimenti, vorrà dire che ti
manderò una lettera sdolcinata per consolarti.
Ah, senti
… dato che mi disgustava l’idea del povero Peter
inghirlandato con i vostri calzini (voglio perlomeno sperare che
abbiate usato quelli puliti, altrimenti ti ripudio), ho pensato di
comprarti un albero … l’ho rimpicciolito con un
incantesimo e l’ho acconciato con qualche gingillo, non
è niente di che, ma se ti piace tanto meglio. Mi basta
sapere che per lo meno non compirete più gesti
così poco igienici.
Mi spiace non
poter provvedere a rinnovare i tuoi lividi per via aerea,
però mi sono raccomandata al tuo gufo perché ti
becchetti per bene. Consideralo una specie di surrogato, e non ti
preoccupare, mi prudono già le mani e non vedo
l’ora di potermi nuovamente sfogare su di te.
Ah,
un’ultima cosa … è inutile che fai
dell’ironia. Dovresti avere paura di me sul serio, Cacciatore
dei miei stivali.
Passa delle
buone vacanze.
A presto,
Lily
27
– 12 – 1977, Hogwarts
Lily, tesoro
…
credimi, io
ho seriamente paura di te. Tu sei il mio incubo costante. Se prima del
tredici settembre di quest’anno ti sognavo ogni notte come la
più dolce delle visioni, da quando ho iniziato a
sperimentare sulla mia pelle che cosa significa veramente stare con te
non sono più riuscito a dormire sonni tranquilli.
Sono contento
che il regalo ti sia piaciuto. Anche il tuo mi è piaciuto.
Certo, sei sempre la solita polemica … un albero di Natale
vivente è un’idea originale, no? Però
è sicuramente meglio il tuo. Credo non avessimo usato
calzini sporchi, se la cosa ti può rassicurare; di solito,
durante il periodo delle vacanze il nostro dormitorio è
più simile ad un enorme ammasso di vestiti e
quant’altro, perciò non posso essere sicurissimo,
ma dato che Peter non è svenuto ne devo dedurre che i tuoi
timori non abbiano ragione di esistere.
Comunque,
dato che sembro essere sempre io la mente diabolica della coppia,
lasciami dire un paio di cose in mia discolpa:
1)
È stato Gazza ad aprire il contenzioso nei miei confronti,
quest’anno. Non posso spiegarti la faccenda nei dettagli (ci
sono cose di è meglio che tu non venga a conoscenza, ma lo
dico solo per il tuo bene: potresti svenire per lo shock), ma, ad ogni
modo, ti basti sapere che non ho iniziato io. Lui doveva pagarmi
l’affronto, perciò ho ritenuto doveroso agire in
tal senso. O forse nemmeno la vendetta è accettabile?
2) Se i tuoi
ti tartassano, non è colpa mia. Sono sicuro che se mi
conoscessero mi troverebbero un angioletto, e tutti i loro dubbi
verrebbero dissolti all’istante. Sono un bravo ragazzo, io.
Quella perfida e violenta sei tu!
3) Anche
quello che è successo al primo anno non è stato
colpa mia. Tu avresti dovuto essere meno affascinante, ecco
… sapessi quanti incidenti di quel genere mi hai causato!
Bene, ho deciso: come risarcimento morale per tutti questi anni
d’inferno voglio una dichiarazione d’amore in
pubblico. Scegli tu se preferisci metterti in piedi su un banco durante
l’ora della McGranitt o salire sul tavolo da pranzo in Sala
Grande.
4) Non fare
la finta dura, non mi inganni, il mio regalo ti ha commossa senza il
quasi. E il perché è molto semplice: io ti
piaccio. In fondo, se ora – finalmente, dopo anni e anni di
sofferenze immeritate per il sottoscritto – stiamo insieme,
ci dovrà pur essere un motivo.
E ad ogni
modo, sei sadica. Hai corrotto persino il mio Rufus. La mia fedele
bestiola, che mi ha servito con onore fin da quando ero soltanto un
bimbetto gracilino con troppi capelli in testa, mi ha davvero beccato
la mano, e non con la dolcezza che ci si aspetterebbe da un simpatico
animaletto domestico. No, mi ha lasciato un livido verdastro per niente
piacevole da vedere. Mi ha quasi compromesso l’uso del
pollice opponibile, ti rendi conto? Questo significa guerra. Preparati
a una battaglia a palle di neve all’ultimo sangue, appena
sarai di ritorno.
Cordialmente,
James Potter
28
– 12 – 1977, Londra
Potter,
sei proprio
sicuro di volere la guerra? Io fossi in te ci rifletterei attentamente
… Ricordi che cosa sono riuscita a farti con una palla di
neve al sesto anno? Non credere che il nostro cambiamento di rapporti
sia sufficiente a farmi desistere dal ripetere l’esperienza,
perché ricordo ancora quanto ho riso e appena
sarò di ritorno avrò decisamente voglia di
divertirmi, dato che qui sto iniziando a sentire la mancanza perfino di
Slughorn. Ogni santa volta che mi siedo a scriverti, l’intera
famiglia trova una scusa per passarmi dietro le spalle e tentare di
leggere, senza il benché minimo senso del pudore. Ringrazio
Godric di aver sempre avuto una grafia microscopica, cosa che dovrebbe
in teoria essere sufficiente a scoraggiare questi patetici tentativi.
Purtroppo, pare che la tentazione sia fin troppo forte. Tra poco mi
obbligheranno anche a sottoporre le mie lettere a una censura. Sto
diventando isterica, non ne posso più.
Fortuna che
fra tre giorni me ne vado.
Riguardo alle
questioni che hai sollevato, avrei un paio di punti su cui ribattere:
1) Non posso
parlare per esperienza personale – altrimenti tu non saresti
ancora vivo per raccontarlo – ma non credo di condividere
esattamente il tuo concetto di vendetta. Pertanto al mio ritorno mi
spiegherai per quale oscuro motivo dovevi farla pagare a Gazza, ti
assicuro che non rischierò di svenire.
2) Tu con la
tua faccia da santarellino incanteresti chiunque … ma io so
cose di te che la gente comune stenta ad immaginare, perciò
pensaci bene prima di propormi di conoscere i miei.
3) Puoi anche
scordartelo. Ti posso assicurare che mi ribellerei persino sotto la
maledizione Imperius.
4) Credimi,
anch’io non riesco ancora a capacitarmi di stare davvero
insieme a te. Forse per ragioni leggermente diverse dalle tue, ma
sembra che abbiamo qualcosa in comune, dopotutto.
Ad ogni modo,
se nonostante i miei avvertimenti la saggezza stenta ancora a scendere
su di te, mi trovi dispostissima ad accettare la tua dichiarazione di
guerra. Sappi che però in caso di vittoria
esigerò un premio, e non sarai in grado di dettare
condizioni in proposito.
Cordialmente,
Lily Evans
29
– 12 – 1977, Hogwarts
Evans cara,
me lo ricordo
bene cosa mi hai fatto al sesto
anno, tu e le tue stramaledette palle di neve truccate. Mi ricordo il
dolore lancinante che ho provato e anche la tua espressione
malignamente compiaciuta quando sei scesa da quell'albero. Ma quello era GIOCO SPORCO. Non era valido.
Perciò, se ci tieni alla guerra, sottoscriverai a delle
regole che non contemplano la possibilità di lanciarmi palle
di neve con dentro i sassi. Mi hai preso in fronte, quella volta, e mi
è rimasto il segno per una settimana intera. I miei amici mi
hanno preso in giro per due mesi e sono stato canzonato perfino da
Madama Chips, quando le ho dovuto spiegare la causa della mia ferita;
non so se ho reso l’idea. Sarò lieto di
prometterti un premio in caso di vittoria, cosa che anche tu ti
impegnerai a promettermi nel caso in cui vincessi io (e ti assicuro che
ho già un paio di idee da farti drizzare i capelli in
testa, amore), ma non voglio vedere l’ombra di un
dannato sasso.
E comunque,
Remus una volta mi ha citato un proverbio Babbano che risponde
perfettamente al tuo punto 4: chi disprezza compra. Perciò
potrai anche fare tutte le storie che vuoi, ma alla fine il mio fascino
innato ti ha conquistata. Rassegnati.
Ci vediamo
tra un paio di giorni,
James
P.S.= credo
che andrò a comprare una lente di ingrandimento. Posso
capire che i tuoi siano un tantino ossessivi e che tu ci tenga alla tua
privacy, ma io sono miope, Evans, dannazione!
30
– 12 – 1977, Londra
Potter,
Siete ancora
vivi lì a Hogwarts o siete morti soffocati dalla valanga dei
vostri vestiti sporchi?
Comunque sia,
nel tuo caso io non parlerei di tanto di fascino innato, quanto di caso
paradossale. Sei riuscito ad ottenere qualcosa solamente nel momento in
cui hai smesso di provarci. Non credo che molti altri possano vantare
un’esperienza simile: solitamente, i perseveranti vengono
premiati, come succede nelle favole per bambini, in modo proporzionato
alla loro costanza. E non posso certo dire che tu di costanza non ne
abbia avuta. Ma è stato solo deponendo l’uso del
tuo famigerato fascino che hai ricevuto il tuo premio.
Mi dispiace
per la tua vista, ma non essere così drastico …
non credo che soltanto a causa delle mie lettere la tua miopia peggiori
fino a costringerti a portare gli occhiali ventiquattro ore su
ventiquattro. E poi, quando porti gli occhiali hai un’aria
quasi intelligente. Credo sia questo che trae in inganno i professori.
Se proprio
insisti, rinuncerò alle palle di neve con i sassi dentro;
però ti avverto che questo non sarà certo
sufficiente a garantirti la vittoria. Posso farti fuori senza avvalermi
dei sassi, stanne certo. Anche se l’idea di rispedirti di
nuovo in infermeria con una tale motivazione mi diverte non poco,
soprattutto ora che ho saputo che perfino Madama Chips ti ha deriso, ma
riuscirò a farne a meno … però non
darmi della sadica. L’unico motivo per cui mi sono sentita
autorizzata a giocare sporco è stato
perché tu avevi osato bersagliarmi deliberatamente mentre io
stavo camminando da quelle parti senza nessuna intenzione ostile,
perciò avresti dovuto aspettartelo. Tuttavia, se vuoi una
guerra alla pari, allora farò lo sforzo di abbassarmi al tuo
livello.
A presto,
Lily
31
– 12 – 1977, Hogwarts
Lily cara,
come puoi
notare dal fatto che ti sto scrivendo, siamo ancora vivi. Abbiamo
deciso di schiavizzare gli Elfi Domestici affinché ci
pulissero la stanza (sì, lo so, siamo degli esecrabili
mostri eccetera eccetera. Ma ti assicuro che loro erano contentissimi
del fatto che li avessimo chiamati a fare qualcosa!).
Immagino che
ormai tu stia facendo i preparativi, perciò non ti
annoierò a lungo. Ad ogni modo, la nostra sfida è
concordata. Mi auguro che la neve che è caduta in questi
giorni rimanga, perché non vedo l’ora di batterti.
Non farti prendere dal panico, forse sarò clemente e non ti
chiederò una dichiarazione pubblica. Ma ho comunque delle
alternative interessanti, che spaziano dalle cose banali come copiare i
tuoi compiti fino alla fine dell’anno a quelle meno banali
come … beh, evito di scriverlo. Non si sa mai che qualcuno
della tua famiglia riesca a sbirciare e mi giudichi un pervertito.
A presto,
James
***
26 dicembre 1977
Il Natale, a casa mia,
è stato tranquillo come sempre, quest’anno.
È quasi bizzarro tornare dopo mesi e constatare che quasi
nulla è cambiato: mamma è costantemente
indaffarata, papà approfitta delle ferie per mettersi a
lavorare alle cose più inutilmente divertenti
(quest’anno, ho scoperto, si è dato alle sculture
di ghiaccio. Ho sempre pensato che fosse sprecato a fare il contabile)
e Petunia persiste nello starmi lontano il più possibile. Il
pranzo con i parenti è stato comunque un successo, grazie
all’anatra all’arancia che mamma ha cucinato;
papà mi ha confidato in gran segreto che era da almeno una
settimana che comprava anatre e faceva esperimenti e che, ovviamente,
alla fine toccava a lui mangiare tutti gli avanzi. È
piacevole constatare che, al di là di tutto, continuo ad
avere un posto in cui tornare; la mia camera mi accoglie ogni volta
come la precedente, tirata a lucido da mamma che ci tiene a farmi stare
bene, con i miei vecchi libri ordinatamente impilati sugli scaffali e i
vestiti della mia infanzia ancora chiusi negli armadi, impregnati di
naftalina. Inoltre, le tradizioni di famiglia continuano ad essere
rispettate in maniera rigorosa: anche quest’anno i miei zii
irlandesi si sono presentati con una cassa di birra al seguito,
rimproverando scherzosamente mia mamma che si ostina a conservare in
casa il minor numero possibile di alcolici. Non sapevo che
papà avesse una così vasta cultura musicale
riguardo alle canzoni popolari del suo paese finché non si
è messo a cantare ubriaco, uno degli scorsi Natali. A quel
punto, con le lacrime agli occhi dal ridere, ho compreso il
perché della contrarietà di mamma di fronte
all’enorme quantità di birra che gli zii ci
portano sempre in omaggio.
Rimettere piede nella
mia stanza dopo tanto tempo è ciò che mi fa
più effetto. Forse perché sembra ancora una
stanza da bambina, con il lampadario a forma di mongolfiera, il
castello in legno che papà mi ha costruito per uno dei miei
compleanni passati, le lenzuola a fiorellini e i libri di Luisa May
Alcott sul comodino. Uno dei miei rituali preferiti è
proprio rileggere per l’ennesima volta Piccole donne, tra
una pausa dai compiti e l’altra; mi ricorda quando non
immaginavo nemmeno lontanamente che quei fuochi d’artificio
che facevo scoppiare ogni tanto in maniera del tutto inconsapevole
fossero uno dei segni del fatto che in realtà ero una
strega. “Una
strega coi fiocchi”, aveva detto Hagrid quando
si era presentato a casa nostra per portarmi la lettera da Hogwarts.
Ieri sera, sul tardi,
un gufo bruno è comparso alla mia finestra. Non avevo
assolutamente idea di chi potesse essere; avevo già sbrigato
tutta la mia corrispondenza con Margaret, Delia, Mary e Helen, eppure
doveva essere un mago quello che mi mandava un gufo, a meno che qualche
Babbano non avesse deciso di lanciare una nuova moda. Mi sono sorpresa
non poco, ad ogni modo, di trovarmi davanti un biglietto di James.
Voglio dire, io e lui non ci eravamo mai scritti; piuttosto logico,
d’altronde, considerato che i nostri rapporti passati erano
pessimi, ma il fatto che avesse preso l’iniziativa di
mandarmi gli auguri e persino un regalo mi ha lasciato piacevolmente
stupita. Durante i tre giorni che avevo trascorso qui, non avevo potuto
fare a meno di domandarmi in continuazione che diavolo stesse
combinando quello scapestrato. Sono andata a dormire con il sorriso
sulle labbra nonostante fossi distrutta per aver cucinato,
apparecchiato, sparecchiato e lavato i piatti tutto il giorno, e ora
che mi sono alzata per fare i compiti ho ritrovato il biglietto
infilato fra le pagine del libro di Erbologia. Mentre lo rileggo, penso
che James è sempre il solito. La sua buffonaggine
è una specie di malattia cronica, ma mi auguro seriamente
che non guarisca mai.
“Hm.
È una grafia maschile, quella, o mi sbaglio?”
Mi volto quasi di
scatto, spostando un gomito sopra il foglio di pergamena con un gesto
secco. I miei occhi sono leggermente sgranati; il fatto che mia madre
si impicci senza pudore degli affari miei riesce ancora a stupirmi,
dopo tutti questi anni. Devo sicuramente aver preso da papà,
in questo senso, perché io non sono
così.
“Purtroppo
sì”, rispondo, rassegnata. Tentare di mentire non
servirebbe a nulla.
“Purtroppo?
È un ammiratore sgradito?”
“No, no
… ma ora mi toccherà subire il solito processo
d’inquisizione, perciò ti conviene cominciare ora
che sono abbastanza disponibile a risponderti”.
“Tesoro, non
farla così tragica! Non ho intenzione di sottoporti ad un
processo”.
Sfortunatamente, mia
madre non coglie l’ironia. Anche in questo devo aver preso da
papà.
“Beh, allora
se non hai nulla da chiedermi mi rimetto a studiare”,
concludo, aprendo il libro di Erbologia e seppellendovi sotto la
lettera per metà. Il silenzio cala sulla stanza mentre mia
madre si affaccenda a spolverare le mensole circostanti; non mi sembra
vero che abbia realmente deciso di desistere. Sarebbe un evento storico
di portata mondiale.
“Un
po’ disordinato, il ragazzo”.
Ecco, lo sapevo.
Era tutta
un’illusione tattica per tornare all’attacco al
momento opportuno.
“È
una cosa che riflette le sue turbe mentali”, commento,
ridacchiando. Mia madre scuote la testa, sospirando.
“Io non ti ho
educata così”, afferma, gettando
un’occhiata torva verso la stanza in cui mio padre sta
tentando di costruire dei razzi per Capodanno mentre fischietta la
marcia turca.
Cerco di trattenermi
dal ridere perché mi sentirei troppo irriverente se lo
facessi.
“Allora, come
si chiama il giovanotto?”
Ritorno immediatamente
seria, constatando che l’attenzione è tornata a
focalizzarsi su di me.
“Uh, James
… James Potter”, rispondo, dandomi
l’aria di una che non conferisce a quel nome nessuna
importanza, poi torno a chinarmi sul libro, nella speranza che questo
basti.
“Dunque
uscite insieme, tu e questo … James Potter?”
Sollevo gli occhi
lentamente, oltre la mia spalla, incontrando lo sguardo indagatore di
mia madre fisso su di me. Immagino sia inutile tentare di mascherare la
cosa.
“Uhm. Beh,
sì”, rispondo, stringendomi nelle spalle, come se
fosse una cosa inevitabile. Magari questo le farà passare la
voglia di fare domande.
“James
Potter. Chissà perché il nome mi suona
familiare”, dice lei a un certo punto, portandosi una mano al
mento con aria pensierosa. Io sospiro, rassegnata. Mi
toccherà raccontare tutta la storia.
“L’avrai
sentito nominare quando l’anno scorso sono venute a trovarci
Delia e Margaret”, rispondo, provando a rimanere sul vago.
Magari funziona.
“Oh,
sì, quelle due graziose ragazze … le frequenti
ancora?”
“Certo che le
frequento ancora, mamma. Sono nella mia stessa Casa. Anche se Petunia
ha praticamente terrorizzato Delia, perciò non credo che
rimetterà piede qui …”
Mi mordo il labbro
inferiore, cercando di soffocare quell’attimo di frustrazione.
“Le
dirò di scriverti, se ti fa piacere”, aggiungo,
cercando di cambiare argomento.
“Vedrai che
cambierà idea, se le dirai che per la prossima volta le
preparerò di nuovo quella torta di mirtilli che le era
piaciuta tanto”.
L’immediata
associazione di idee mi porta a pensare alla faccia di Delia quando,
dopo essersene divorata almeno la metà del dolce, mi aveva
guardata con aria dubbiosa e mi aveva domandato “scusa,
potevo?”.
“Sì,
in effetti questo cambierebbe le carte in tavola”, ammetto,
sorridendo tra me. Mia madre annuisce, soddisfatta, rassettandosi il
grembiule davanti allo specchio. Immagino che il momento difficile sia
passato e che io possa ritenermi al sicuro. Prendo la lettera di James
e mi accingo a riporla nel cassetto della scrivania, quando mi sento di
nuovo un paio d’occhi puntati addosso.
“Comunque,
dicevamo …”
Fingo indifferenza
mentre richiudo il cassetto, voltandomi rapidamente l’attimo
dopo.
“Che
cosa?” chiedo, in tono di cortesia.
“Di questo
ragazzo, James”, dice mia madre, in un tono che vorrebbe
incoraggiarmi a parlare. Ma la mia riservatezza è la prima a
farsi viva, sfortunatamente per lei. Immagino che se prendesse un paio
di pinze e provasse ad estrarmi le confessioni di bocca otterrebbe
più risultati.
“Sì”,
rispondo, sistemandomi nervosamente sulla sedia.
“Come mai ne
parlavate spesso? Ti piaceva?”
Sgrano gli occhi,
esterrefatta.
“Assolutamente
no!”
“Ma andiamo,
Lily, ora uscite insieme! Come può essere che non ti
piaccia?”
Stringo le labbra con
un’espressione confusa, rendendomi conto che effettivamente
non è facile da spiegare.
“All’epoca
non lo sopportavo”, dico a mia madre, stringendomi nelle
spalle. Lei fa uno strano sorrisetto mentre mi guarda.
“Oh,
già, ora ho capito. Era lui quello di cui parlavi in quel
tono così poco simpatico, giusto?”
La
maliziosità del suo tono non mi piace per nulla.
“Sì,
è altamente probabile”, rispondo, in preda al
più cupo imbarazzo. Lei annuisce, soddisfatta.
“Sono
contenta che ora le cose siano diverse. Sai, mi riusciva
così strano credere che proprio tu potessi parlare tanto
male di qualcuno. Tu non hai mai odiato nessuno”.
“Beh, James
non … mi andava molto a genio, diciamo. Cioè,
più che altro non mi andava a genio il modo in cui si
atteggiava. Perché in realtà non era davvero
così presuntuoso. Solo che era convinto che in questo modo
avrebbe attirato di più la mia attenzione”.
Seriamente, sta
diventando complicato. Parecchio complicato. Se dovessi presentarglielo
ora, andrebbe avanti giorni e giorni a domandarmi come accidenti era
possibile che non mi andasse a genio un ragazzo così. Ne
sono certa. Perché James ora è adorabile, ed
è tutto così diverso da qualche anno fa. Dunque,
finisce che io ci
faccio la figura della stupida.
“Ti faceva
una corte serrata, eh?” ammicca mia madre, con aria di
complicità. Io ci ripenso e un po’ mi viene da
ridere, mentre ripenso a che sfilza di risposte poco gentili sono stata in
grado di sfoggiare. A mia madre sarebbero venuti i capelli bianchi, se
mi avesse sentita.
“Praticamente
mi chiedeva di uscire come se rispondere di sì fosse
l’unica possibilità che avessi”,
commento, in tono ironico.
“Beh, alla
fine ha avuto successo”.
Sì, alla
fine. Ma la cosa è decisamente bizzarra.
“Ha avuto
successo quando ha smesso di chiedermelo”, spiego, rendendomi
conto di quanto sia buffo raccontarlo.
“Strano,
sì … ma decisamente carino”, commenta
infine mia madre.
“Mi fa
piacere che la pensi così”, rispondo, per farla
sentire contenta. E comunque, in fondo è vero. È
il caso che la mia famiglia approvi il fatto che ho un ragazzo,
considerato che è una cosa seria.
“E non mi
dici niente di più?” mi sento chiedere
all’improvviso, mentre già me ne stavo immersa nei
miei pensieri.
“Che
cos’altro dovrei dirti, mamma?” domando, lievemente
polemica.
“Oh, non
saprei, per esempio dove abita, quanto è alto, cosa vuole
fare nella vita, se è carino, se è bravo a
scuola, se ha animali domestici, se fa sport …”
Sospiro pesantemente.
Allora è una specie di tortura.
“Abita in
Galles. Vicino a Swansea, se non sbaglio. È alto una
quindicina di centimetri in più di me. Non so cosa voglia
fare dopo Hogwarts, penso qualcosa di avventuroso in cui si rischia
l’osso del collo ogni nanosecondo. Ha praticamente il massimo
dei voti in tutte le materie pur applicandosi il minimo indispensabile.
Gioca a Quidditch ed è un’impresa degna di nota
staccarlo dal suo manico di scopa, ha un gufo nome Rufus e
sì, è carino, ti piacerebbe”.
Spero almeno di averla
fatta felice, con questa sequela di esaurienti risposte.
“Non hai una
sua fotografia?”
No, ancora non basta.
“Ehm
…”
Sì, ho una
sua fotografia. Il problema è trovare quella adatta da
mostrare ad un genitore. Mia madre è mia madre, non la mia
vicina di banco. Mi accingo a frugare nel baule alla ricerca di
qualcosa di guardabile, pregando che non saltino fuori certi scatti
particolarmente imbarazzanti. Scarto quella in cui lo sto soffocando
con un cuscino sul divano della sala comune, quella in cui prima di
partire per tornare a casa gli spiaccico una palla di neve in testa,
quella in cui James mi bacia a tradimento sotto il vischio e quella in
cui stiamo facendo la lotta sul suo letto. Tutte troppo violente o
troppo compromettenti. Rimane quella in cui io sono in infermeria con
l’influenza e lui sta vegliando al mio capezzale rileggendomi
gli appunti di Storia della Magia e sbadigliando in continuazione e, dato che
non ho altre opzioni disponibili, è quella che mostro a mia
madre.
“Hai ragione,
è carino. E ha anche una notevole apertura
mascellare”, commenta lei, divertita.
Io mi passo una mano
sul volto per la disperazione.
“Era stanco,
mi stava aiutando a ripassare”, cerco di spiegare, per
rendere plausibile una situazione ridicola.
“Molto dolce
da parte sua”, è il verdetto, e non posso che
sospirare di sollievo.
“E questi chi
sono?” mi sento domandare, e vedo che mia madre sta fissando
la foto che stava sotto a quella che le ho mostrato; ci siamo io, James
e Peter sul divano della sala comune, Remus in piedi alle nostre spalle
e Sirius davanti al camino che declama una delle lettere estive di
James a gran voce, facendo sghignazzare come dei matti noi e vergognare
da morire lui.
“I suoi
amici”, rispondo, con un sorriso.
“Oh, davvero
dei bei ragazzi … potremmo presentarne qualcuno a Petunia
…” propone maliziosamente mia madre.
“Non uscirei
con uno di quei mostri nemmeno per tutto l’oro del
mondo!” risponde mia sorella, dalla stanza di fronte. Non
credo fosse legittimo nutrire dubbi in proposito, del resto.
“Tranquilla,
tesoro, stavamo solo scherzando …” tenta di
rassicurarla mia madre, ma io scuoto la testa.
“Perfetto,
perché non ci tengo a finire come lei”.
“Lascia
perdere, mamma”, le dico, ben sapendo che è una
battaglia persa. Petunia ormai non cambierebbe idea per tutto
l’oro del mondo.
“Perché
non ci provi lo stesso, cara? Magari se li vedesse potrebbe cambiare
idea … bisogna trovare un ragazzo anche a lei, ora
…”
“Davvero, non
penso che sia il caso di farle venire un attacco isterico”.
Già,
preferisco l’indifferenza e il quieto vivere al litigio
continuo, almeno in casa mia. Perché non mi dà
nessuna soddisfazione rispondere a frecciatine del genere, mi fa
soltanto male.
Purtroppo per me,
l’ultrasensibilità l’ho ereditata
sicuramente da mia madre.
Ad ogni modo, credo che
risponderò a questa lettera quando avrò la
possibilità di essere sola. Ora come ora la cosa
è da escludersi e, per quanto abbia già la
risposta pronta da quando ieri sera mi sono messa a leggere sotto le
coperte, non credo che sarebbe molto funzionale al mantenimento della
mia privacy se prendessi in mano piuma e pergamena in questo momento.
Sarebbe come invitare mia madre alla fiera del pettegolezzo,
più o meno.
“Comunque
sono molto fiera di te, tesoro mio”, mi dice mia mamma,
accarezzandomi il braccio. “Ti sei sistemata proprio
bene”.
Mi sento andare le
guance in fiamme seduta stante, mentre già la immagino fare
i preparativi per il nostro matrimonio. Annuisco, ringraziandola con un
filo di voce e torno a chinare la testa sul mio foglio di pergamena,
mentre mi auguro che il supplizio sia finalmente giunto al capolinea.
In un paio
d’ore riesco a terminare il tema di Erbologia, ma la mia
concentrazione è decisamente salpata da questi lidi. Nella
mia testa ci sono quei quattro disgraziati a trasformare Hogwarts in un
parco giochi e questa strana sensazione di farfalle nello stomaco;
è indubbiamente una novità, rispetto agli anni
passati. E non mi dispiace affatto che sia così.
Wherever
you will ever be,
You're
never getting rid of me.
You
own me,
There's
nothing you can do.
(The National, Lucky
You)
Nota
di fine capitolo: per fare le doverose
precisazioni, un dettaglio di questo capitolo (ovvero Sirius e James
che andavano a Londra perché Sirius, ricevuta
l’eredità di zio Alphard, voleva comprarsi un
appartamento e andare a vivere da solo) è stato eliminato
per esigenze di trama di un’altra fanfiction, che poi sarebbe
il seguito di questa. Sia perché preferivo utilizzare questo
espediente in un altro modo più approfondito (e
più Sirius/Remus XD), sia perché alla fine,
ragionandoci su, non è che a Sirius servisse molto comprarsi
una casa a Natale per poi non usarla, verosimilmente, fino a Pasqua o
addirittura le vacanze estive.
Inoltre, per dare
i doverosi crediti, vi sono due citazioni contenute in questo capitolo:
una è riferita alle palle di neve con i sassi dentro,
dettaglio assai divertente che ho “preso in
prestito” dal musical Sette
spose per sette fratelli – era una cosa
troppo cattiva e geniale per non farla fare anche a Lily – e
poi, più avanti, la frase di Lily (“sembra
che abbiamo qualcosa in comune, dopotutto”) viene pronunciata dal
personaggio di Sawyer in una – perdonate, non ricordo
esattamente quale – puntata di Lost.
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Capitolo 15 *** Il piccolo problema peloso ***
Capitolo
15 – Il piccolo problema peloso
Mistero non
è che un termine altisonante per dire pasticcio.
(Edward
Morgan Forster, Passaggio
in India)
31
dicembre 1977
In un momento in cui
pareva essere particolarmente in vena di confidenze amichevoli, Sirius
mi ha chiesto che cosa si prova a starle lontano.
Suppongo avesse colto
la mia agitazione; senza dubbio aveva ricevuto ampie testimonianze
della mia euforica tensione nei momenti in cui, nei giorni precedenti,
mi ritrovavo ad aprire una sua lettera.
Gli ho risposto
alzando le spalle, cercando di barcamenarmi in mezzo a un mare di
luoghi comuni. Non mi aspettavo una domanda simile, nel momento in cui
avevo appena finito di lucidarmi gli occhiali e mi ero reso conto che
della lunga lista di compiti per le vacanze noi non ne avevamo
cominciato nemmeno mezzo. Penso fosse soltanto curiosità, la
sua. Non si è mai fatto problemi nel comunicarmi tutto
ciò che gli passa per la mente, anche i pensieri
più irriverenti, sconci e offensivi. Non ha censura, Sirius,
quando si tratta di parlare con me.
Solo che io non sapevo
affatto che cosa rispondergli.
Non è che
tutt’a un tratto appoggio i gomiti sul davanzale della
finestra, osservo il cielo stellato sospirando in preda alla malinconia
e mi metto a pensare a quanto mi manca lo scintillio dei suoi occhi, la
dolcezza della sua voce, la morbidezza della sua pelle, i suoi baci e
le sue carezze, e altre emerite idiozie di questo genere.
Lily non è
né dolce né affettuosa. O per lo meno, mi
dimostra dolcezza in un modo tutto suo. Ho imparato ormai da tempo che
se dice che vuole picchiarmi per lei è un segno
d’affetto. Come è un segno d’affetto
quando si limita a sfiorarmi appena il braccio alla fine di una delle
riunioni dei Capiscuola, per farmi cenno che è ora di
andare. O quando mi scuote per le spalle, mi tira gomitate nello
stomaco, mi trascina da un corridoio all’altro durante la
ronda, mi fulmina con uno sguardo bieco e impietoso in risposta a una
mia battuta un po’ troppo azzardata.
Non potrei mai finire
a pensarle in termini sdolcinati, ecco.
E poi, non le penso
nei ritagli di tempo. Non sono capace di concentrarmi, e di dedicarmi
per un determinato numero di minuti ad una sola e precisa
attività. Io le penso praticamente sempre. Lei mi salta alla
mente in modo automatico, per delle assolute sciocchezze, in genere a
causa di un collegamento logico che nemmeno io riesco a spiegarmi tanto
bene. Non è che non faccio altro che pensare a lei, non sono
così monotematico. È che ricollego la sua
immagine a più o meno tutto quello che faccio, in maniera
assolutamente inconscia e involontaria.
Non è molto
coerente, come idea.
Pretendere anche che
io riesca a spiegarla a qualcuno è un po’ troppo.
Forse dovrei rimanere
sul classico, e inventarmi qualche panzana. Ma non ci sono abituato, e
non vedo la necessità di mentire a Sirius. Forse il mio
unico problema è che non so esprimermi a parole.
“Non lo so,
Padfoot. È solo che … beh, si sente, quando non
c’è”.
Sirius mi guarda
pensieroso, annuendo un paio di volte. Io non posso fare a meno di
sentirmi irrimediabilmente stupido.
“Beh, lo sai
cosa intendo … non c’è nessuno che
irrompe in sala comune come una furia per trascinarmi fuori alle nove
di sera, o che mi minaccia di morte per farmi stare zitto, o che mi
urla di tenere le mani a posto e cose del genere …”
Merlino, sono davvero
patetico. Tutto il mio orgoglio di Malandrino è andato
perduto in un cumulo di polvere.
“Non
è che io sia masochista. Anche se Remus sostiene il
contrario. È solo che … beh, lei è
violenta per natura. Non posso farci niente”.
“Avresti
dovuto frequentare un corso di sopravvivenza prima di mettertici
insieme”.
“Già,
hai ragione”, sospiro, guardando con incertezza il sorriso
appena accennato dipinto sul volto del mio migliore amico. Ancora non
sono riuscito a capire dove diavolo vuole andare a parare, e questo mi
terrorizza non poco. Voglio dire, con me Sirius preferisce di gran
lunga parlare di tutt’altro, perciò non mi
aspettavo che fosse lui stesso ad introdurre l’argomento; e
anche se, forse, potrei considerarlo un segno del fatto che magari sta
cercando di accettare il mio rapporto con lei, io come al solito ho il
timore di aprire bocca in maniera eccessiva e farmi trascinare verso
livelli di esagerazione che sarebbe meglio evitare di raggiungere.
Insomma, sono
lievemente nei pasticci.
“Sai cosa
sembrate? Una vecchia coppia sposata da una ventina
d’anni”.
Una mezza risata
forzata mi sfugge dalla gola. Mi torco le mani, sentendomi attanagliare
dalla tensione.
“Sì,
ecco …”
“Ormai ti
conviene pensare ad accasarti, sei merce avariata sul mercato della
fauna maschile”.
“Non dire
idiozie, Padfoot. Sono ancora troppo giovane per pensare a certe
cose”, rispondo, ormai definitivamente in preda al panico.
Che razza di discorsi sono questi, da fare nel bel mezzo di un
silenzioso pomeriggio immerso nel grigiore vacanziero di fine dicembre?
“E tutta la
tua euforia per aver finalmente raggiunto la maggiore età
dove è andata a finire?” mi chiede Sirius, in tono
lievemente canzonatorio.
“Guarda che
se per caso dovessi compiere un gesto simile avrei bisogno della tua
presenza al mio fianco ventitré ore su
ventiquattro”, gli annuncio, incupito.
“Per quale
motivo?”
“Beh,
perché non sopravviverei al primo giorno di matrimonio senza
una guardia del corpo! Quindi metti in conto di essere già
stato assunto per questo compito …”
“E la
ventiquattresima ora?”
Uno strano e
formicolante imbarazzo mi blocca per un momento, prima che io
deglutisca e mi senta pronto a fare la mia sparata.
“Mi
piacerebbe almeno poter consumare senza terzi incomodi presenti sulla
scena, se non ti dispiace”.
Sirius scoppia a
ridere fragorosamente, reggendosi con le mani sulle cosce. Io abbasso
gli occhi a fissare il pavimento e mi lascio coinvolgere dalla sua
ilarità, sollevato per non aver provocato tensioni con le
mie parole riguardo ad un argomento così delicato. Credo che
dopotutto Padfoot si senta meglio, se lo coinvolgo. Nei giorni scorsi,
ogni tanto, gli leggevo le lettere di Lily, e gli permettevo di dare
un’occhiata alle mie risposte. Però per scriverle
le scrivevo io. Ho conservato comunque un certo numero di
capacità, anche se mi sono leggermente rammollito sotto
determinati punti di vista. E poi, Sirius non è mai stato
capace di scrivere delle lettere come si deve, è fin troppo
svogliato per portare a termine un compito del genere. Le sporadiche
occasioni in cui si è sforzato di farmi pervenire un pezzo
di carta scritto di suo pugno durante le vacanze estive, più
che di un semplice e lineare resoconto informativo, si trattava di una
specie di dialogo cartaceo instaurato con un me immaginario.
“E va bene,
mi basta avere la garanzia che non mi userai come scudo durante gli
attacchi isterici della Evans”.
“Merlino,
Pads, ma te lo immagini? Se io e lei fossimo costretti a dividere lo
stesso appartamento ogni santo giorno non ne uscirei vivo
…”
“Non
preoccuparti, ci penserei io a chiamare il San Mungo”.
“Non sei
affatto spiritoso”, obietto, corrugando la fronte e
incrociando le braccia. Ma Sirius non sembra affatto condividere la mia
opinione, tant’è vero che continua a ridacchiare a
scatti come in preda ad un’irrazionale euforia.
“Pensa se
durante un litigio facesse levitare un armadio e te lo facesse cadere
in testa …”
“SIRIUS!”
“Okay,
okay”.
Raggiungo la parete
del dormitorio in un paio di passi distratti e appoggio la schiena al
muro ruvido, sentendomi graffiare i gomiti. C’è
qualcosa di preoccupante che mi tormenta, e non sono molto sicuro di
quanto il discuterne o meno con Sirius possa rivelarsi una mossa
astuta. Ma alla fine decido di darci un taglio e di parlargliene
ugualmente, non essendo particolarmente incline alle riflessioni a
lungo termine.
“Comunque,
c’è una cosa che devo dirti
…” esordisco, lievemente incerto. “In
realtà dovrei dirlo anche a Moony e Wormtail.
Cioè, volevo che ne parlassimo insieme. Però ora
ci metterei troppo tempo ad andare a cercarli. Insomma
…”
Sirius mi guarda
leggermente storto, non riuscendo a capire dove voglio arrivare.
“Ti ricordo
che non mordo, almeno non in forma umana”.
“Oh, non ci
giurerei”.
“Va bene,
James, ma va’ avanti! Qual è questo accidenti di
problema?”
“Beh, ecco
… un po’ di giorni fa Lily ha iniziato a fare
domande”.
Padfoot
s’incupisce di colpo. Ecco, lo sapevo. Pessima mossa. Dovevo
aspettare che ci fossero anche Remus e Peter, così
l’avrebbero calmato. Invece no, ho voluto fare di testa mia,
come al solito. Dannata impazienza.
“Che genere
di domande?” mi domanda Sirius. A quel punto,
però, esplodo.
“Sai, io vi
avevo avvertiti! Non prendertela con me ora. Vi avevo chiesto una mano,
ma voi mi avete detto che era inutile pensarci subito. Ora siamo
totalmente impreparati, è un disastro!”
“Prongs.
Idiota. Ti ho chiesto che
genere di domande”.
“Beh, mi ha
chiesto dove sparisco una volta al mese, molto semplicemente.
L’avevo detto che ci sarebbe arrivata, essendo
tutt’altro che stupida e per giunta avendo la
possibilità di tenermi direttamente sotto controllo adesso
che ci frequentiamo. Eh no, ma indubbiamente sono io che sono paranoico
…”
“Ora datti
una calmata”.
“SONO
CALMISSIMO!”
Sirius mi lancia un
cuscino in testa, evidentemente esasperato, ottenendo soltanto di farmi
volar via gli occhiali.
“Allora,
testa di rapa, ora ascoltami. Nessuno sta dando la colpa a te. La
questione è che la tua adorata Evans prima era amica di
Snivellus, lo difendeva,
capisci? E soprattutto, nonostante dicesse che non era sua intenzione,
anche lei ha sempre ficcato il naso, sia quella volta in Infermeria sia
quando siamo finiti da Silente per il motivo che sappiamo. In ogni
caso, lei ha sempre
fatto domande. Quindi, magari la pensa esattamente come lui”.
“Non dire
assurdità!” esclamo, piuttosto piccato. Ora mi
sembra proprio che Sirius stia esagerando. E va bene, erano amici, e
ricordarlo mi provoca il disgusto più totale – se
solo scopro che le ha mai messo le mani addosso, lo ammazzo –
ma che addirittura lei fosse d’accordo con lui su certe cose
è davvero impensabile.
“Lily ha
sempre difeso anche Remus. E poi ora non ci parla più, con
Snivellus. Non sappiamo cosa le abbia detto dopo lo scherzo, ma farsi
delle domande è normale, di fronte a cose che non si
capiscono. Anche noi, quando non sapevamo di Remus, ci siamo chiesti
cosa avesse, perché non ne parlasse. L’abbiamo
praticamente costretto a dircelo”.
Quasi sorrido
ricordando lo sfacciato candore con cui, ancora dodicenni imberbi, io,
Sirius e Peter avevamo pedinato Remus fino in Infermeria e atteso che
Madama Chips si assentasse un momento prima di comparirgli di fronte e
dirgli che eravamo preoccupati per lui. Probabilmente Moony in quel
momento aveva desiderato di poter torcere tutti e tre i nostri colli
con una sola mano.
“Comunque
ora è probabile che Snivellus le abbia detto la
verità”.
“Non
è detto, Silente si era raccomandato di
…”
“Sì
ma, Prongs, loro erano amici”.
“Grazie di
avermelo ricordato per l’ennesima volta”, brontolo,
decisamente seccato. E va bene, è la verità. E
probabilmente è anche per questo che odio tanto Snivellus:
non capivo assolutamente perché Lily dovesse provare piacere
nel passare il suo tempo con lui e non con me. Tutta la scuola mi
trovava simpatico. Quello là, invece, la simpatia ce
l’aveva infilata su per il naso, per non dire di peggio.
L’avevo inquadrato da subito, quando sul treno per Hogwarts,
al primo anno, aveva annunciato, tutto tronfio, di voler
andare a Serpeverde.
“Se sa di
Remus, dobbiamo farla tacere”, sentenzia Sirius,
abbandonandosi a sedere sul letto.
“Non credo
proprio che sia necessario, Pads. Se anche Snivellus
gliel’avesse detto, lei se l’è tenuto
per sé. Altrimenti, considerando quanto tempo è
passato da quell’episodio, a quest’ora tutta la
scuola sarebbe corsa a protestare da Silente e metà degli
alunni sarebbero stati ritirati dai loro ottusi e perbenisti
genitori”.
“Sì,
ma comunque, se lo sa, quanto credi che le ci voglia a fare due
più due sommando le tue sparizioni? Non è stupida
e in quanto a tendenze paranoiche è forse quasi pari a te,
quindi potrebbe arrivarci”.
A quel punto cerco di
raccogliere il coraggio necessario ad esporre la mia proposta, anche se
so che Sirius mi ucciderà non appena sentirà
uscire tali parole dalla mia bocca.
“Forse
dovremmo dirglielo e basta”.
Il mio migliore amico
mi fissa ad occhi sgranati per qualche secondo, presumibilmente
domandandosi se ha sentito bene. Con uno scatto fulmineo afferro il
cuscino che mi ha tirato poco fa e mi ci nascondo dietro, per cercare
di proteggermi da altri probabili attacchi.
“James, ti
sei per caso bevuto il cervello? Per quale razza di motivo idiota
dovremmo dirle di nostra spontanea volontà che siamo degli
Animagi non registrati?!”
“L’hai
detto tu, prima o poi ci arriverebbe da sola!”
“Ma la
strategia che volevo suggerire non era certo quella di andare a
consegnarci direttamente nelle sue mani!”
“E allora
che cosa dovremmo fare, secondo te?”
“Non lo so,
farle un Incantesimo di Memoria, dirle che Piton ha dei problemi
mentali, inventarci qualcosa, qualsiasi cosa … ma di sicuro
NON DIRGLIELO!”
“Se devo
essere sincero, Pads, mi sfugge il motivo di tutta questa tua
diffidenza”.
Sospiro, sentendo di
essere arrivato finalmente al punto. Non capisco, ci ho provato a
pensare a cosa possa esserci che non va per Sirius ma non ho trovato
una valida ragione. Non ho messo da parte né lui
né Peter e Remus, non ho smesso di essere quello che sono e
Lily, soprattutto, non è quel genere di persona che va in
giro a dire a tutti che Remus è un Lupo Mannaro. Posso
giurarlo sul mio manico di scopa, una cosa simile non la farebbe mai. E non credo
che Sirius non lo sappia. Voglio dire, è sotto i suoi occhi!
Lily ora non mi odia, anzi, si potrebbe dire che provi qualche sorta di
contorto affetto per me, dato che usciamo insieme e tutto il resto.
Perciò davvero, mi sfugge quale sia questo gigantesco ed
imprescindibile problema.
“Mi duole
fare il guastafeste e distruggere in un solo colpo il tuo perfetto
mondo in cui tutti sono buoni e gentili, Prongs, ma devi tenere
presente questo fatto: lei non
è un Malandrino. È la tua ragazza, o come cavolo
vuoi chiamarla. Certo, ora ti sembrerà la soluzione
più facile e più corretta non avere segreti con
lei, ma ci hai pensato a cosa succederà se un giorno doveste
lasciarvi? Beh, quasi di sicuro lei se la prenderà con te.
Dicendole che sei un Animagus non registrato le fornisci su un piatto
d’argento l’occasione di vendetta, nel caso in cui
le cose vadano così. Ed è una
possibilità che devi considerare”.
Mi passo una mano fra
i capelli, rimanendo in silenzio. Non riesco a capire se Sirius ha
ragione o meno. Il suo è un discorso logico, da persona con
i piedi per terra; potrebbe andare esattamente così, per
quanto ne so io. Nessuno, per quanto possa essere il mio più
forte ed atavico desiderio, ha stabilito che io e Lily resteremo
insieme per il resto della vita. Una tale eventualità mi
getta nello sconforto più profondo, ma potrebbero esserci
mille motivi che concorreranno a promuovere la nostra rottura. Ed
è facile immaginare che, se e quando si arriverà
a questo punto, lei riprenderà ad odiarmi ancora
più di prima.
“Dai, ora
non ti deprimere. Te l’ho detto soltanto per metterti in
guardia. E poi, anche se finirà, te ne troverai
un’altra”.
“Non
c’è … non c’è
un’altra”, mormoro, sentendomi incredibilmente
patetico. Però non posso fare a meno di pensarla
così, neppure sforzandomi al massimo. Lo so che ho solo
diciassette anni e che è ridicolo, ma io lo so, so che
è lei la donna della mia vita e non posso cancellare questa
consapevolezza con un colpo di bacchetta, semplicemente non posso.
“Beh, amico
… sei messo proprio male, allora”, commenta
Sirius, con un sorrisetto.
In quel momento,
però, vengo assalito da un moto di ribellione.
Che diamine, Lily non
è una persona così meschina. Lo so che stiamo
insieme solo da qualche mese, ma in realtà sono sette anni
che la conosco, e posso giurarlo, non è come Snivellus. E io
devo fare in modo che Sirius lo capisca.
“Senti. Ti
chiedo solo questo favore: dalle una possibilità”,
sentenzio, calandomi sul volto un’espressione seria.
“Cioè,
che dovrei fare? Andiamo, Prongs …”
“Passa del
tempo con noi e conoscila meglio. Così capirai che non
corriamo rischi a dirle la verità”.
Sirius mi guarda con
espressione scettica, mostrando di non essere per nulla allettato dalla
mia proposta.
“Moony e
Wormtail avranno bisogno di una mano con quei fuochi
d’artificio, perciò scusami ma devo declinare la
tua offerta”.
“Oh,
piantala, Pads, vorresti davvero togliere a Wormtail tutto il
divertimento del suo esplosivo regalo di compleanno?”
“Remus si
starà annoiando a fare da supervisore, vado a dargli il
cambio”.
“Come sei
egoista, lascialo divertire una volta tanto!”
Sirius sbuffa
sonoramente, scocciatosi della mia insistenza.
“Non mi
piace fare il terzo incomodo, preferisco starmene per i fatti
miei”.
“Non se ne
parla neanche”.
“Accidenti,
perché devi insistere? Ti ho detto di no!”
“Perché
…” – il mio cervello si affanna a
trovare subito un’idea brillante che risolva la situazione,
altrimenti posso anche considerarmi un fallito –
“… diavolo Sirius, mi serve almeno un giudice di
gara per la battaglia a palle di neve, altrimenti Lily si
sentirà autorizzata a barare per averla vinta, e io ho
bisogno di qualcuno che la faccia rimanere al suo posto. Per questo ho
pensato a te. Ci stai?”
Osservo con ansia
decrescente un sorriso maligno affiorare sul volto di Sirius, mentre si
sistema a sedere sul letto tenendo lo sguardo fisso nel mio.
“Beh, se la
metti così … allora mi sta bene”.
Fantastico. Sono un
genio, signore e signori. Un vero genio. Voglio un applauso,
un’ovazione, un coro di gente che esulta gridando il mio nome
…
“Toglimi una
curiosità, che diavolo pensi di chiederle in premio se vinci
tu?”
Mi sento affogare
nell’imbarazzo come un timido ragazzino del primo anno,
mentre mi stringo nelle spalle ostentando la massima indifferenza
possibile.
“Preferisco
essere scaramantico e non rilasciare dichiarazioni, per il
momento”, rispondo, optando per la scusa più
credibile.
“Oh, dai,
non ti sembra il caso di confidarti con tuo fratello?”
“Se vai
avanti ad insistere poi finirò per perdere,
vedrai”.
“Andiamo,
Prongs, se ci tieni davvero che sia io a farti da assistente coniugale
non puoi certo tenermi all’oscuro di queste bazzecole
…”
“Mi brontola
lo stomaco, che ne dici di andare a fare un salto nelle
cucine?”
“Sì,
così tu ne approfitti per prendere lezioni di spina dorsale
dagli Elfi Domestici”.
“Cosa ti fa
pensare che gli Elfi Domestici abbiano spina dorsale?”
“Uhm,
lasciami pensare … forse il fatto che abbiano il coraggio di
avvicinarsi ai miei effetti personali buttati all’aria e
più o meno imputriditi alla fine di ogni anno
scolastico”.
Ci avventuriamo
giù per le scale ridendo come due idioti, nel momento in cui
ormai ci abbiamo definitivamente preso gusto con quel genere di battute
disgustose riguardanti vestiti e biancheria sporca, proprio quel genere
di battute che un qualsiasi diciassettenne medio non vorrebbe mai
ritrovarsi a fare di fronte alla propria ragazza, per non dover
osservare con imbarazzo misto a senso di colpa il suo sopracciglio
destro che si inarca con disappunto dando spazio ad
un’occhiata di totale disapprovazione, proprio una di quelle
occhiate in grado di abbattere anche un Troll di montagna.
E invece, guarda caso,
è esattamente quello che accade a me. Perché come
in certi strani romanzi Babbani che mia madre tiene nascosti nel terzo
cassetto della scrivania, l’eroe della situazione (vale a
dire, ovviamente, io), accingendosi a compiere la sua tradizionale
impresa eroica (okay, non è che ci voglia tutto questo
eroismo ad intrufolarsi nelle cucine di Hogwarts, ma basta usare un
po’ di fantasia e immaginare di dover affrontare lungo il
percorso dei temibili mostri con nomi altisonanti quali Minerva la
Furiosa, Horace il Terribile, Argus il Malefico e Albus il Negromante),
sul suo cammino si imbatte per un fortuito caso in una splendida
donzella in pericolo, nel caso specifico una certa Lily Evans con
troppi bagagli da trasportare in camera.
Solo che
l’eroe dalla chioma impeccabile stava usando un linguaggio
poco consono al suo rango, e la bella fanciulla ha fatto sparire
l’espressione candida e ingenua tipica delle belle fanciulle
per lasciare posto a quel sopracciglio inarcato e a
quell’occhiata fulminante, e dato che io sono decisamente
più mingherlino di un Troll di montagna non le ci vuole poi
molto per colpire e affondare.
“Vi
ringrazio, non vedevo l’ora di vomitare”, commenta,
caustica come al solito.
Io nel frattempo ho
già dimenticato i Troll di montagna e ho soltanto un enorme
sorriso ebete stampato in faccia.
“Capiti a
sproposito, Evans. Noi stavamo andando a mangiare”.
“Oh, certo,
la vostra discussione alimenta sicuramente
l’appetito”.
Adoro il suo sarcasmo.
La adoro. Come diavolo faccio a non saltarle addosso seduta stante?
E
va bene, Potter. Contegno. Dimostra al mondo che sei un uomo. Scendi
con calma questa accidenti di scala a chiocciola che sembra non finire
più, cerca di ritrovare la capacità di parola e
mostrati audace e sicuro di te, come si richiede ad un vero eroe.
Peccato che
nell’impresa inciampo e rischio quasi di fare gli ultimi
gradini rotolando.
Cerco di recuperare la
padronanza fisica il più rapidamente possibile, mentre uno
sbuffo di risa mezzo soffocato mi deride alle mie spalle. Fulmino
rapidamente Sirius con un’occhiataccia, quindi riesco
finalmente a raggiungere il pavimento incolume.
Wow. Non credevo fosse
così … voglio dire, rivederla dopo aver passato
una settimana lontano da lei. Nonostante la figuraccia sfiorata, non
sento più la benché minima traccia di imbarazzo
nei paraggi. Dopo aver fatto tabula rasa di qualsiasi pensiero
momentaneamente inutile, le vado incontro con un paio di falcate decise
e la abbraccio bruscamente, stringendola a me di colpo, ed è
nel momento in cui sto per svolgere correttamente la mia parte e
baciarla con passione che lei mi blocca poggiandomi le mani sulle
spalle, mentre un anomalo sorrisetto perfido le affiora sul volto.
“Che cosa
c’è?” domando, in una
tonalità che non si preoccupa affatto di celare la mia
delusione.
“Voglio la
guerra, Potter. Subito”.
“Ma
…”
La fisso, allibito,
mollando la presa. È impazzita, per caso?
“Ma Lily,
che cosa …”
“Pensi di
non essere pronto, per caso?”
Oh, allora
è una sfida. Una sfida all’orgoglio virile del
sottoscritto. Col cavolo che le do la soddisfazione di averla vinta.
“Non ho
certo bisogno di allenarmi, dato che se non ricordo male
l’ultima volta ti ho centrata in pieno al primo
colpo”, replico, gonfiando il petto. Lei allarga il suo
sorriso in un ghigno ancora più perfido. Alle volte riesce
quasi a farmi paura.
“Benissimo,
allora in campo. Muoviti”, mi dice, in tono perentorio.
Ancora in preda alla perplessità, mi permetto di trattenerla
un attimo per un braccio cercando di scacciare il timore di venire
sbranato.
“Sei appena
arrivata, non credi che sia meglio riposarti un
po’?” le chiedo, con aria incerta. Lei si stringe
nelle spalle, assumendo improvvisamente un’aria che vorrebbe
sembrare ingenua.
“Se non
ricordo male, l’ultima volta ti ho spedito in
Infermeria”, mi sussurra, facendomi raggelare. Getto
un’occhiata spaventata a Sirius, che mi tiene
d’occhio alle spalle di Lily. Ma il mio fidato migliore
amico, detto anche Padfoot dalle mille risorse, non sa fare altro che
fissarmi con aria sorniona e tendere teatralmente un braccio in
direzione del buco del ritratto.
“Oh, e va
bene, vuoi fare la donna di ferro? Vedremo, quanto sarai in grado di
resistere”.
Lei sembra
soddisfatta. Annuisce, una volta soltanto, in segno di approvazione,
poi mi dà un bacio a fior di labbra e si svincola dalla mia
stretta, afferrando saldamente le sue valigie e accingendosi a
trasportarle di sopra.
Io la osservo in
silenzio mentre sale la scala a chiocciola che conduce al dormitorio
femminile, scuotendosi i capelli sulle spalle con un gesto aggraziato.
Oh, al diavolo. Quanto mi piace. Merlino …
Contegno,
Potter.
“Ahia!
Sirius, annulla il tiro! Mi ha preso in un occhio, non vale!”
“Non dire
stupidaggini, non ci sono regole su dove io ti possa colpire!”
“Ma mi hai
fatto male!”
“Sono cose
che capitano!”
“Grazie
tante!”
“Prego!”
“Avete
finito?”
“NO!”
“Sentite, a
voi due non serve un arbitro per mantenere la disciplina. Vi serve un
domatore con una frusta!”
“No grazie,
ci pensa già lei a infliggermi dolore fisico”.
“E a me
infliggono dolore fisico le tue lagne!”
“Voi due
siete pazzi”.
“Non
è vero, è colpa sua!”
“Intanto chi
è che sta vincendo?”
“Oh, uffa
… Sirius, fa’ qualcosa!”
“James
piantala, non sono mica tua madre!”
“Infatti,
attribuiscimi il punteggio che mi spetta per averlo preso in pieno per
l’ennesima volta e finiamola qui”.
“E va bene,
Evans, ma ti prego, smettila di strillare come una Banshee”.
“SIRIUS!”
“Che
vuoi?!”
“È
… ma … credevo di essere il tuo migliore
amico!”
“Oh, sentite
… ora basta, mi sono davvero stufato”.
“Io
no”.
“Nella tua
suprema sagacia hai per caso notato che ormai è praticamente
buio?”
“Non sono
certo io ad avere problemi di vista!”
“Ah, ah, ah,
questa sì che era una gran battuta”.
“Va bene,
basta, chiuso. I giochi sono finiti, signori. Adesso fatemi fare i
conti, e per piacere, regalate anche qualche secondo di sollievo alle
mie povere orecchie”.
Sprofondo con la
schiena nel cumulo di neve che mi sono eretto come barriera protettiva,
passandomi una mano tra i capelli. Non per spettinarli, no.
Semplicemente per levarmi un po’ di neve dalla testa.
Ho il fiatone, sono
invaso dal ghiaccio e dal nevischio in posti che non nomino per non
fare brutta figura, non riesco più a muovere un muscolo e ho
la testa che mi scoppia per l’evidente mancanza di ossigeno.
E ho anche una gran
paura, perché con ogni probabilità la mia fine
sta per avvicinarsi a momenti. Posso solo sperare che il fatto di avere
Sirius come arbitro finisca per giocare in mio favore, e in effetti
…
“Mi
dispiace, Evans. Vince James”.
Respiro di sollievo.
Una risata incredula gli fa immediatamente eco.
“Non dire
stupidaggini”.
“Lo so, la
verità fa male. Ma vince James comunque, che tu sia disposta
ad accettarlo o meno”.
Deglutisco
pesantemente, sollevandomi dal mucchio di neve per seguire meglio la
scena.
“Avevo
previsto che avresti tentato di favorirlo. Per questo i punti li ho
segnati anch’io”.
Lo sguardo di Sirius
si fa truce, mentre lo avverto ribollire nel tentativo di non perdere
la calma.
“E, di
grazia, chi mi garantisce che non possa aver barato anche tu?”
“Perché
io non sono una persona che racconta frottole!”
“Se non
ricordo male tempo fa dicevi di odiare James, eppure ultimamente hai
dimostrato esattamente il contrario … io questo lo chiamo
raccontare frottole”.
Lily sbarra gli occhi,
arrossendo violentemente.
“Io non
… allora, stammi bene a sentire. Se lui”,
inizia, puntandomi un dito contro, “si atteggiasse ancora a
bulletto presuntuoso, arrogante, infantile e vanesio come faceva fino a
non molto tempo fa, ti posso assicurare che non l’avrei mai
sfiorato con un dito, pur avendo comunque compreso che la sua era tutta
una squallida messa in scena per tentare di farsi notare e non, grazie
a Godric, la sua reale personalità!”
Allora aveva capito
… un attimo. Frena, qui c’è qualcosa
che non mi quadra. Ho bisogno di un momento per rifletterci …
Già, forse
è questo che non mi quadra. Che non mi sono mai chiesto
veramente – né mi sono preoccupato di domandarlo a
lei – per quale effettiva ragione abbia cambiato idea
riguardo al sottoscritto.
Mi rendo conto che
è una strana visione, quella che lei ha di me.
Però forse non è nient’altro che la
verità. Vengo colto da un misto di confusione ed emozione
che mi fa girare la testa, e preso da questa euforia momentanea mi
lascio trascinare in un mio mondo di fantasticherie che non tiene
più conto né delle grida che riecheggiano nella
mia testa, né della palpabile irritazione della mia ragazza
e del mio migliore amico, e nemmeno di quella palla di neve che ancora
prima che io riesca a realizzarlo compiutamente mi raggiunge e mi si
spiaccica su una guancia …
Ahia.
“LILY!”
“Per fortuna
sei tornato tra noi”, borbotta Sirius. Mi massaggio la
guancia, imbronciato.
“E
c’era bisogno di colpirmi di nuovo per attirare la mia
attenzione?”
“Almeno in
questo modo è chiaro a tutti che la vittoria è
mia!”
“No, senti,
Evans, qui l’arbitro sono io, e adesso siamo fuori gara
…”
“Avevamo
fatto un patto!”
“Oh, e va
bene, va bene … facciamo così, siete pari.
Regolatevi di conseguenza. Tu, Evans, chiedi a James di esaudire il tuo
desiderio, e James farà altrettanto dopo di te”.
“Per quale
motivo io dovrei essere secondo?”
“Beh,
perché si usa lasciare per prime le signore!”
“Oh, certo,
parli proprio tu, il galantuomo per eccellenza”.
“Già,
Black, su questo mi duole ma devo dargli ragione”.
“Benissimo,
allora dato che finalmente vi siete riconciliati …”
“Non ci
siamo riconciliati!”
“E chi se ne
frega! Siete riusciti a trovarvi d’accordo su un argomento
almeno per un nanosecondo! Bene, allora sfruttiamo
l’occasione ed esplicitiamo i patti. Evans, che cosa vuoi da
James?”
Alzo lo sguardo,
preparandomi psicologicamente alla mia fine. Lily mi fissa con occhi di
fuoco e un’espressione dura dipinta sul volto.
“Voglio
sapere che cosa fai quando sparisci tutti i mesi, James”.
Me lo dice in tono
grave, preoccupato. Ecco, lo sapevo, la mia fine è giunta.
Vorrei potermi mettere le mani nei capelli. Ora che diavolo faccio, che diavolo faccio?
“Aspetta un
attimo, Evans … puoi chiedergli tutto tranne questo”.
Lo sguardo di Lily si
sposta immediatamente su Sirius, assumendo di colpo una luce bieca.
“E per quale
motivo non potrei chiederglielo?”
“Beh, tanto
per cominciare perché non sono affari tuoi”.
Lily torna a fissarmi
per un attimo, corrugando la fronte in uno spasimo di indecisione.
“Potranno
anche non essere affari miei”, dice, scandendo con lentezza
le parole, “ma se ci sono delle ragioni per cui James me lo
debba nascondere significa che non c’è sotto
qualcosa di buono”.
Non
aprire bocca. Non osare aprire bocca, Potter. Lo stai facendo per
Remus. E per Sirius, e Peter, e anche per te stesso, perché
sarete tutti in guai grossi se ti lasci sfuggire qualcosa. Non
sarà certo una donna a piegarti …
“Non
è vero, ascoltami, non c’è sotto nulla
di losco. Non posso dirtelo semplicemente perché ci andrebbe
di mezzo qualcun altro che non se lo merita …”
“Fantastico,
James, già che ci sei a questo punto dille tutto”,
commenta sarcastico Sirius, gettandomi un’occhiata truce.
Voglio morire, qui, adesso. Mi trovo più o meno tra
l’incudine e lo scalpello. Ah no, forse era tra
l’incudine e il martello. O forse era tra il chiodo e il
martello … al diavolo i fraseologismi Babbani, Merlino
santissimo.
“Va bene,
lascia perdere, le spiegherò io”.
Smetto di respirare
come se qualcuno mi avesse appena afferrato saldamente per la gola. Molto saldamente.
“Non
stiamo facendo niente di male, Evans, che diamine. Il fatto
è che Remus, come già ti avevamo spiegato,
è malato … e quindi, visto che siamo preoccupati
per lui, quando va a fare i controlli al San Mungo lo accompagniamo,
così non si sente solo e non si agita”.
Ora credo di essere in
procinto di svenire.
“Madama
Chips ci ha dato il permesso, dopo che abbiamo insistito fino a
strapparle la carne dalle ossa. Silente questo non lo sa. So che
è probabile che tu, dall’alto della tua
impeccabile posizione, non approvi il fatto che infrangiamo le regole,
ma lo facciamo per lui, perché vogliamo stargli vicino
… e ti sfido a trovare qualcosa di male in questo”.
Wow. Sembra quasi
commovente. Ora posso soltanto pregare in silenzio. Merlino,
fa’ che ci caschi, fa’ che ci caschi …
“Avreste
potuto dirmelo subito”, dice lei, mordendosi il labbro e
incrociando le braccia. In preda all’imbarazzo più
nero, io mi stringo nelle spalle tenendo lo sguardo basso.
“Ero
abbastanza sicuro che ti saresti arrabbiata”, mormoro, non
sapendo se sentirmi un verme o meno.
“Certo.
Capisco. Ma lo fate per Remus, quindi me lo terrò per
me”.
“Già,
ora che non c’è più Snivellus con cui
confidarsi …” commenta Sirius, in tono irridente.
Lily lo fulmina con lo sguardo seduta stante.
“Questa
è una cosa che non ti riguarda, Black”, replica,
freddamente. Non vorrei dirlo, ma ho la sensazione che questa volta
Sirius si sia spinto un po’ troppo in là. O
almeno, questo è quanto riesco a dedurre
dall’espressione contratta di Lily.
È
indubbiamente vero che ho intimamente esultato non poco quando mi sono
accorto che avevano smesso di rivolgersi la parola, e so anche che
è stato per via dell’insulto che lui aveva osato
rivolgerle, ma non le ho mai fatto domande specifiche su come siano
esattamente andate le cose. Non saprei dire, ad esempio, quanto ci sia
rimasta male, o quanto ci tenesse. In fondo, sembravano molto amici,
per quanto la cosa mi risulti totalmente incomprensibile e detestabile.
“Per quello
che ti può interessare, comunque, ho sempre difeso Remus con
lui, ed ero estremamente contraria al fatto che cercasse a tutti i
costi di scoprire qualcosa su di voi per mettervi in cattiva luce. Gli
ho perfino detto che era un ingrato a non dimostrarsi riconoscente
verso James, quella volta che gli ha salvato la vita nel Platano
Picchiatore, anche se lui ha negato che le cose stessero come tu mi
avevi raccontato”.
Sirius la fissa in
silenzio per qualche secondo. Sembra piuttosto sorpreso da quelle
parole.
“Pensavo che
non mi avresti creduto”, commentò, e
l’espressione dura di Lily pare quasi attenuarsi lievemente.
“E io
pensavo tu fossi più intelligente”, replica lei.
Io trattengo il fiato, teso come per la finale di Quidditch.
A quel punto, Sirius
scoppia in una sonora risata.
Rido
anch’io, sentendo dissolversi la cappa di angoscia che si era
creata. Finalmente, avevo i nervi talmente tesi che rischiavano di
spezzarsi.
“E va bene,
Evans, un po’ di stima da parte mia te la sei
guadagnata”, dice Padfoot, e anche Lily, alla fine, si
scioglie in un lieve sorriso.
Mi chino a sfiorarle
le labbra con un bacio, posandole le mani sulle spalle.
“Ora
però tocca a me chiederti una cosa, se non
sbaglio”, dico, ansioso di cambiare discorso. In risposta
ricevo un lieve sorriso ad occhi bassi, cosa che mi fa andare
letteralmente fuori di testa.
“E che cosa
diavolo vorresti, Potter?”
“Okay,
allora, vediamo …”
È per
questo che non riesco mai ad averla vinta con lei. Mi irretisce
talmente tanto che riesco a smettere del tutto di formulare pensieri
coerenti. E sì che mi sono sempre sforzato di non essere
patetico.
Forse è il
ghiaccio infilato dappertutto che mi fornisce l’idea.
“Un bagno
caldo, insieme, io e te. Stasera”.
Non credo di averla
mai vista arrossire così di colpo. Gongolo soddisfatto,
posandole le mani sui fianchi.
Alle mie spalle,
Sirius scoppia a ridere fragorosamente.
“Stavolta ti
ha fregato, Evans”.
“Non puoi
avanzare queste pretese. La battaglia l’ho vinta io”.
“L’arbitro
dice che siamo pari”.
“L’arbitro
è VENDUTO!”
“Avresti
dovuto farlo presente prima di dare inizio ai giochi. Ormai
è troppo tardi”, le faccio notare, stringendomi
nelle spalle. Lei sembra in preda all’imbarazzo
più cocente. Okay, forse non sarò la creatura
più intelligente che abbia mai visto la luce su questa
Terra, ma quando mi vengono questi lampi di genio dovrebbero davvero
erigermi un monumento …
“Ti odio. Lo
sai che ti odio, vero?”
Sorrido con aria
furbastra, sfoggiando tutta la mia pacata indifferenza.
“Ti
piacerebbe, ma non ce la fai ad odiarmi”.
“Ne sei
proprio sicuro?”
“Indicativamente
direi di sì …”
Non faccio nemmeno in
tempo a finire di parlare che una quantità di neve
inverosimile mi viene rovesciata sulla nuca, entrandomi dentro il
golfino. Mentre sono impegnato a contorcermi e a guaire, Lily mi fissa
con aria compiaciuta tenendo salda la bacchetta nella mano destra.
“Bene,
vorrà dire che oltre al bagno dovrai anche curarmi i
geloni”.
“Troppo
tardi, non puoi ampliare le richieste come ti pare e piace”.
“Avete per
caso intenzione di diventare delle statue di ghiaccio?”
“Certo che
no!”
“E allora,
io suggerirei che sia il caso di rientrare nella nostra stramaledetta
sala comune, se davvero non vi aggrada l’idea di continuare a
ibernare qui fuori. Posso capire che i vostri bollenti spiriti vi
tengano caldo, ma io non condivido questo speciale privilegio
…”
Ci allontaniamo dal
campo di battaglia infradiciati, inzaccherati e infreddoliti,
praticamente in condizioni penose. Tuttavia, proprio non ci riesco a
vedere il lato negativo delle cose, in questo momento. Sono troppo
impegnato ad escogitare un metodo efficace per trascinare Lily nel
bagno con me riuscendo contemporaneamente ad evitare lo scontro fisico.
***
Sono piuttosto convinta
del fatto che in questo momento dovrei pensare a tutt’altro.
Ho ancora le guance che
mi scottano per il bagno caldo che ho fatto con James poco fa, tra
qualche ora devo essere pronta ad uscire per andare da Hagrid a
festeggiare il nuovo anno insieme a quattro scapestrati totali e, da
ultimo, credo di essermi presa un raffreddore per il brusco passaggio
dalla cappa di vapore ai gelidi corridoi del castello.
Eppure, mi è
bastato un nanosecondo di riflessioni inappropriate per farmi
immediatamente piombare in un mutismo che risulta fastidioso ai miei
stessi occhi.
Sapevo che non avrei
dovuto mettermi a fare domande. O meglio, non pensavo che fosse la
soluzione migliore, ma con il senno del poi ho acquisito questa
certezza. Avrei dovuto semplicemente fidarmi di James e lasciar
perdere, oppure aspettare il momento in cui lui stesso avrebbe deciso
di spiegarmi la faccenda di sua spontanea volontà.
Perché ora, dopo aver scelto di sfruttare la mia
possibilità per chiedergli come impiega il suo tempo quelle
notti in cui sparisce, mi è rimasto soltanto il doppio dei
dubbi di prima. Probabilmente è ingiusto che io sia
così sospettosa, ma non riesco a persuadermene: è
tutto troppo, troppo strano. Innanzitutto non è stato lui a
rispondermi direttamente, ma Sirius. E io non mi fido assolutamente di
Sirius. James se n’è stato zitto tutto il tempo,
annuendo debolmente alla fine e senza quasi guardarmi negli occhi; per
il resto ha sempre fissato il suo amico con gli occhi sbarrati e una
profonda ruga sulla fronte, ovvero con la classica espressione che
assume quando è profondamente preoccupato. Secondo: questa
storia ha qualcosa che non mi quadra. Potranno anche essere preoccupati
quanto vogliono per Remus, ma perché dovrebbe essere
così necessario accompagnarlo fino al San Mungo quando
c’è già Madama Chips a fargli da
scorta? E poi, per quanto le suppliche al suo indirizzo possano essere
state commoventi, non mi convince il fatto che abbia accordato loro il
permesso di uscire dalla scuola all’oscuro del Preside. Se
venisse scoperta rischierebbe di sicuro il licenziamento, contando che
fuori da Hogwarts c’è la guerra e, pertanto,
nessuno può ritenersi al sicuro. Se, per disgrazia,
accadesse qualcosa di male a uno di loro, nei suoi confronti verrebbero
presi provvedimenti molto seri. Infine, non riesco a togliermi dalla
testa l’immagine della luna piena che mi sono ritrovata
davanti agli occhi una delle notti in cui James si era dileguato
improvvisamente. Quando Severus sosteneva che Remus sparisse ogni
plenilunio avevo pensato che esagerasse e che volesse vedere per forza
cose che, in realtà, non c’erano, solo per trovare
un pretesto con cui attaccare una persona che odiava. Ora,
però, mio malgrado, sto iniziando a domandarmi se invece non
avesse ragione.
La questione
è che non me ne importerebbe niente. Se Remus fosse davvero
un Lupo Mannaro, intendo. E dico sul serio. Grazie a Godric non sono
stata cresciuta in una famiglia di maghi e quindi sono totalmente
immune dagli stupidi, obsoleti ed irritanti pregiudizi che la
comunità magica condivide e alimenta. Con ciò non
voglio assolutamente affermare che i Babbani siano migliori da questo
punto di vista, no di certo: ognuno dei due mondi ha la propria
abbondante dose di stupidità collettiva. Però, in
questo caso, nella mia posizione parto indubbiamente avvantaggiata. Non
ho paura dei Lupi Mannari così come non ne ho dei Giganti o
dei Vampiri, se questi non me ne danno motivo per diretta esperienza
personale. Remus, in questo caso, non è assolutamente uno di
cui aver paura. È una persona buona e gentile e, se davvero
le cose stessero così, capirei perché ogni tanto
ha quell’aria un po’ triste e perché,
all’inizio della scuola, era un ragazzino così
timido e restio a fare amicizia, almeno finché gli altri tre
non si sono messi a trascinarlo quasi a forza nelle loro spericolate
disavventure; non dev’essere affatto facile convivere con una
natura del genere, soprattutto per una persona d’indole
razionale com’è lui. E neppure
dev’essere facile temere costantemente di rivelare ad altri
questa condizione per la paura di essere giudicato male, o doversi
inventare delle scuse per coprire le trasformazioni. Vengo assalita da
un moto di rabbia viscerale all’idea che Severus possa
essersi biecamente messo a ficcare il naso nella vita di Remus
sospettando una cosa del genere: che diamine gli passava per la testa,
Merlino? Aveva veramente intenzione di rivelare il segreto a tutta la
scuola, se l’avesse scoperto? Ma, un momento …
quella notte in cui è rientrato al castello insieme a
Silente, accompagnato da Sirius, Peter e James, è possibile
che …? Sirius mi aveva detto che James gli aveva salvato la
vita nel tunnel del Platano Picchiatore. È impossibile che
Remus, quando si trasforma, resti in Infermeria; di sicuro
verrà accompagnato da qualche parte dove possa trascorrere
la notte da solo, presumibilmente da Madama Chips. E se …
oh, no, non ci posso credere. Se le cose stessero davvero
così, avrei bisogno di sedermi un momento per riprendermi.
“Ti senti
bene?” mi domanda improvvisamente James, facendomi sobbalzare
di colpo. Fino a quel momento, il silenzio era stato riempito soltanto
dal rumore del pettine che passavo freneticamente tra i capelli, in
piedi davanti allo specchio.
“Credo di
essere un po’ scombussolata”, confesso, in un
momento di totale vulnerabilità che non avevo previsto di
concedermi. James esibisce un ghigno a trentadue denti che scorgo
chiaramente grazie al suo riflesso nello specchio, poi si alza e mi si
avvicina per cingermi in un abbraccio.
“Ammettilo,
la mia richiesta è stata molto più divertente
della tua”, mi sussurra all’orecchio, e per un
momento mi sento scorrere un brivido lungo la schiena. Sarà
il freddo.
“Comunque
devo dirti una cosa …” esordisco, mentre una
vocina nella mia testa mi domanda se sia giusto saltare a conclusioni
così affrettate solo sulla base di una serie di sospetti non
accompagnati da prove valide ed oggettive, quando invece potrei aver
semplicemente preso un granchio gigantesco. Ma ormai ci sono in mezzo.
“…
se Remus fosse un Lupo Mannaro non ci sarebbe nulla di male, per
me”, continuo dunque, osservando James diventare di un
pallore quasi cadaverico seduta stante. Boccheggia per qualche secondo
prima di riprendere a respirare, mentre la consapevolezza di averci
azzeccato si fa sempre più strada dentro di me.
“Che
… che cos’hai detto?” mi domanda,
infine, guardandomi come se fosse sul punto di mettersi a piangere. Io
avverto i sensi di colpa affiorare e intimarmi di smetterla, ma alla
fine non ci riesco.
“Senti,
James, facciamo le persone serie, per una volta. Se mi stai riempiendo
di bugie solo per proteggere Remus, ti prego, risparmiamelo. Se le cose
stessero così io non cambierei opinione su di lui, non ne
sarei spaventata e non andrei in giro a dirlo a nessuno.
Però credo di non avere tutti i torti ad essere poco
contenta del fatto che tu mi racconti frottole, anche se capisco il
perché. Lo so, non ho nessun diritto di farmi gli affari
suoi, al massimo dovrebbe venire a dirmelo lui, ma i suoi amici siete
voi, quindi è giusto che abbia selezionato le persone con
cui confidarsi. E lo so che sembra che … no, senti, non fa
niente, lascia perdere”.
In tutto questo mio
fiume di parole James è rimasto perfettamente immobile, a
fissarmi con aria attonita, come se gli avessi appena riferito che il
campionato di Quidditch della scuola è stato ufficialmente
sospeso. Merlino, che avrò mai detto di così
anormale?
“James”.
“No, ecco,
Lily, senti … devo andare a chiamare gli altri”.
“Che cosa
– ti ho appena detto di lasciar perdere, mi ascolti quando
parlo?”
“No
…”
“Ah, no? Beh,
complimenti!”
“No, non in
quel senso, Lily, ti ho ascoltato, ma ora devo andare a chiamare gli
altri e dobbiamo parlare … tutti insieme”.
Non faccio in tempo ad
aggiungere altro che è già uscito di corsa dal
dormitorio maschile di Grifondoro, precipitandosi giù per le
scale, senza neppure preoccuparsi di aver lasciato la porta spalancata.
Uno spiffero gelido mi investe in pieno, facendomi starnutire.
Magnifico, ci mancava solo questo. Spero per James che non sia corso a
nascondersi da me, altrimenti mi toccherà andare a cercarlo
chissà dove.
“Bene,
è giunto il momento di affrontare un argomento molto, molto,
molto, molto, molto spinoso … Lily, per favore,
siediti”, esordisce James, tentando di nascondere quel lieve
tremolio della voce sotto la teatralità dei suoi gesti
mentre mi indica il bordo del letto. Io passo in rassegna una ad una le
loro facce: Peter è una versione più pallida e
ansiosa di James, Sirius resta in disparte con aria astiosamente
contrariata e Remus si sta sforzando di apparire calmo e controllato.
Credo proprio di aver
combinato un bel pasticcio, ma ormai, al diavolo. Vorrei semplicemente
che si fidassero di me, che capissero che non ho alcuna cattiva
intenzione.
È ridicolo
che sotto questo profilo io debba essere assimilata a Severus soltanto
perché ero sua amica.
“Io continuo
a non essere d’accordo, tienilo presente”, fa
notare Sirius, quasi ringhiando. Non si rivolge a me ma a James, come a
voler implicitamente affermare che non sono neppure degna delle sue
attenzioni. Merlino, in questo momento lo strozzerei con le mie stesse
mani, anche se so bene che James non me lo perdonerebbe mai.
“Pads,
abbiamo fatto una votazione. Siccome siamo in democrazia
…”
“Non
è vero, i Babbani qui hanno la regina, ce l’ha
spiegato il professor Radley al primo anno!”
“Sollevi un
quesito interessante: hai mai veramente
seguito una lezione di Babbanologia?”
“Certo che
sì, Remus, ogni tanto stavo anche attento! Non ho
frequentato quel corso solo per fare un dispetto alla mia cara mammina,
trovavo l’argomento profondamente interessante
…”
“…
mai quanto il disegnare caricature di Piton sulla pagina del mio libro,
però. O sbaglio?”
“Non
è il momento di essere così pignoli!”
“Oh, statemi
a sentire …”
“No, James,
io NON SONO D’ACCORDO! E ti ho anche già spiegato
il perché! Possibile che tu davvero non voglia
capirlo?!”
“Sirius, non
puoi modificare la votazione, ormai è stata fatta e come hai
potuto vedere non sono il solo a pensarla così!”
“Beh,
dobbiamo rivotare, perché Wormtail ha cambiato
idea”, sbotta Sirius, posando un braccio intorno alle spalle
del povero Peter, che guarda Remus e James con aria disperata.
“Ehm,
veramente io … dai, ragazzi, non c’è
bisogno di litigare per queste sciocchezze …”
“Wormy, non
capisci che se glielo diciamo lei potrebbe andare in giro a spifferarlo
a chiunque?
A cosa sarebbe servito, a quel punto, sforzarci per tanti anni di
mantenere il segreto?”
Peter ha
l’aria di volersi tirare indietro, ma Sirius lo sta
investendo con tutta l’aggressività di cui
è capace.
“Forse sei un
po’ troppo prevenuto, Padfoot …”
“…
e comunque”, interviene Remus, una ruga profonda che
è comparsa a segnargli la fronte, “da questo punto
di vista non sei assolutamente nella posizione migliore per poter
parlare, Sirius”.
Per qualche secondo il
signorino sta zitto. Remus deve aver evidentemente toccato un punto
debole.
“Pensavo che
quella questione fosse chiusa”, replica Sirius, voltandosi
verso di lui. Mentre si guardano negli occhi, io scuoto
inconsapevolmente la testa. C’è così
tanto, fra questi quattro, innumerevoli segreti e avvenimenti passati e
voti di lealtà e gesti d’amicizia che li
renderanno per sempre incomprensibili ai miei occhi, almeno in parte.
Sarebbe impossibile farmi raccontare ogni dettaglio, anche volendo. Io
non posso dire di possedere nulla di simile, purtroppo.
“Va bene,
possiamo lasciar perdere, per
favore? Ora dobbiamo tener fede alla nostra
decisione”, sentenzia James, impaziente. Sul volto di Peter
compare un accenno di speranza. Remus stringe le labbra e distoglie lo
sguardo da Sirius.
“Prego,
James, continua pure”, dice, quasi in un sussurro. Sirius si
volge altrove, furente.
“Va bene,
dunque … Lily, non ti avevo detto di sederti?”
“Fa
differenza?”
“Uhm, no, non
proprio, lo dicevo per te … potrebbe essere una cosa lunga
…”
“Prima che tu
mi riveli alcunché, ho una condizione da porre”,
lo interrompo io, dopo che la giusta soluzione mi è
finalmente balenata nella mente. È una sciocchezza,
un’immane follia, e non ho idea di come posso essere convinta
di volerlo fare davvero, ma ormai ho deciso, così
sarà.
“Quale
sarebbe?” mi chiede James, perplesso. Io mi scosto i capelli
dal viso, fissandolo con la massima serietà.
“Una volta
che tu mi avrai detto la verità, stringerò il
Voto Infrangibile”.
“Il
… LILY, SEI PER CASO IMPAZZITA?!”
Le facce dei quattro
presenti mi squadrano con espressione profondamente sconvolta, ma non
ho intenzione di farmi influenzare da nessuno di loro.
“Lily, non
è assolutamente necessario arrivare a tanto”,
interviene Remus, in tono estremamente preoccupato. “Il Voto
Infrangibile è una Magia Oscura, e tu moriresti se
…”
“…
se non manterrò il giuramento, sì, esatto. Ma
è l’unico modo per assicurarvi che non ti
tradirò mai, Remus, dato che la mia parola non
basta”.
“Non
è vero, Lily, è pericoloso, noi non vogliamo che
tu lo faccia”, mi supplica Peter. Io sospiro, poi mi volto
verso Sirius.
“Può
bastarti?” gli domando, con asprezza. Lui mi osserva con uno
sguardo di ghiaccio, impenetrabile.
“Sì,
può bastarmi”, risponde infine. Annuisco,
cogliendo l’occhiata fulminante di James.
“Non
succederà mai, è assurdo …”
“Tu
diglielo”.
James torna a guardare
me. Ha il volto contratto, la fronte corrugata, gli occhi
fiammeggianti. Poche volte l’ho visto così serio.
“Va bene,
allora poniamo fine a questa faccenda. Lily, hai ragione, Remus
è un Lupo Mannaro, ne abbiamo parlato e abbiamo deciso, a
maggioranza, che potevamo metterti al corrente della cosa. Ma
c’è dell’altro, e anche su questo siamo
concordi nel rivelartelo, così non ci saranno più
bugie e segreti. Disapproverai nella maniera più assoluta
quello che sto per dirti, per cui, per la terza volta, Lily, per
favore, siediti”.
Questa volta decido di
ubbidire a James. Ha assunto un tono anormalmente adulto e maturo
iniziando questa discussione, non posso negarlo.
“Ottimo. La
storia sarà lunga, te la racconterò fin
dall’inizio. Dunque, era il primo anno di scuola qui a
Hogwarts …”
“Prongs, non
farla troppo
lunga”, lo redarguisce Sirius, con aria scettica. James gli
lancia un’occhiataccia, evidentemente ancora troppo
infervorato.
“Dicevo, era
il primo anno di scuola e io, Sirius e Peter avevamo fatto amicizia fin
da subito. Trovavamo tutti e tre che fosse particolarmente divertente
far venire i capelli bianchi alla McGranitt prima del tempo. Finimmo in
punizione insieme un’innumerevole quantità di
volte, ma questo è poco importante. La cosa fondamentale
è che, all’inizio, il signor Remus John Lupin non
si univa alle nostre scorribande”.
“Probabilmente
ci giudicava degli idioti”, disse Peter, sorridendo.
“Già,
glielo si leggeva in faccia”, confermò James.
“Però
era sempre così solo …”
“Non aveva
fatto amicizia con nessuno, e a noi dispiaceva, perché non
è che ci stesse antipatico, semplicemente non si faceva mai
coinvolgere”.
Remus scosse la testa,
alzando gli occhi al soffitto.
“È
così inverosimile non provare l’ardente desiderio
di raggiungere il record di visite nell’ufficio di
Gazza?”
“La
verità è che eri un piccolo asociale”,
commenta Sirius, con un ghigno storto.
“Più
semplicemente, non
ero un teppista”, obietta Remus, inarcando un sopracciglio.
“Se vogliamo
dire davvero come stanno le cose”, dice Sirius, rivolgendosi
a me, “in realtà lui avrebbe pagato non so quanti
Galeoni per unirsi a noi e divertirsi un po’, ma credeva che
fossimo dei piccoli scemi pieni di pregiudizi e che per lui fosse
meglio starsene da parte”.
“Beh,
insomma, chi se ne importa. Il punto è che noi, senza che
lui lo sapesse, lo tenevamo d’occhio”.
“Eravamo
preoccupati”.
“Avevamo
notato che ogni tanto sembrava non sentirsi bene, o che cercava di
nascondere graffi e tagli di vario genere. Sai, puoi riuscirci
finché ti trovi a lezione, ma in dormitorio, dovendoti
spogliare quantomeno per metterti il pigiama, è un
po’ difficile”.
“Mi
sbirciavate mentre mi svestivo?!”
“Ma no,
Moony, però è inevitabile che possa cadere
l’occhio, così, per caso …”
“Siete dei
maniaci”.
“Non
è rilevante! Dov’ero rimasto? Ah, sì,
ora inizia la parte divertente. Senza che lui ce l’avesse
chiesto, cominciammo a preoccuparci seriamente. Lo pedinavamo, ogni
tanto. Perché sai, capitavano anche dei giorni in cui non
passava la notte in dormitorio, e per noi era inevitabile accorgercene.
Quindi, visto che avevamo scoperto che quando non dormiva con noi era
in Infermeria, un giorno ci rovesciammo apposta del Pus di Bubotubero
sulle mani per avere una scusa plausibile per andarci anche
noi”.
“Voi
… cosa?”
Li fisso, attonita,
incapace di completare la frase. Va bene, avevo già capito
che sono pazzi, ma in certi momenti riescono ancora a stupirmi.
“Ammettilo,
è stata una trovata geniale”, mi dice James,
sfoggiando finalmente un sorriso.
“Oh,
sì … genialmente idiota”, commento io,
divertita. Anche gli altri tre sorridono. Posso solo immaginare
l’espressione sbalordita che Remus deve aver esibito di
fronte ad una simile rivelazione, in un periodo in cui ancora non erano
neppure amici.
“Beh,
insomma, ovviamente facemmo gli impiccioni e chiedemmo a Remus per
quale motivo ogni tanto spariva”, riprese James.
“Lui disse che sua madre era ammalata e che doveva andare a
trovarla, e che era un caso che si trovasse in Infermeria quel giorno.
Noi sapevamo che non era esattamente vero, però ritenemmo
più saggio cucirci le bocche”.
“Strano”.
“È
che ancora non avevamo abbastanza confidenza. Perciò, nel
periodo successivo, cercammo di guadagnarci un po’ di
attenzioni da parte sua”.
“Praticamente
lo obbligavamo a stare con noi, o gli parlavamo anche quando magari non
voleva essere disturbato …”
“…
finché non iniziammo a coinvolgerlo nei nostri diabolici
piani. Lì iniziò la vera perdizione”.
“Un momento
catartico. La prima volta mi fecero rubare degli ingredienti
dall’armadio dell’aula di Pozioni”.
“Un’altra
volta gli facemmo fare lo sgambetto a Malfoy”.
“Ci stava
enormemente sulle scatole, si credeva un grande Battitore a Quidditch,
non potevo suonargliele sul campo soltanto perché io ero
troppo piccolo per entrare in squadra”.
“Poi quella
volta che infilò la bacchetta nel naso di Snivellus
… Merlino, non fatemici pensare!”
Cominciarono a
rotolarsi in preda a convulse risate, Remus compreso. Io scossi la
testa. Era quasi assurdo che fossero diventati amici in quel modo
così bizzarro, considerato quanto erano diversi
l’uno dall’altro. Eppure, allo stesso tempo, non
avrei potuto aspettarmi nulla di meno originale.
“Beh, per
farla breve, fino al secondo anno riuscii a tenerli buoni con quella
scusa … dopo un po’, però, decisero di
pedinarmi di nuovo e scoprirono che, quando sparivo, andavo nel tunnel
del Platano Picchiatore accompagnato da Madama Chips. Ovviamente fu
solo grazie al Mantello dell’Invisibilità di James
che riuscirono a sgattaiolare così impunemente fuori dalla
scuola”.
“Che dici,
Moony, eravamo dei veri detective coi fiocchi!”
“Comunque,
alla fine ci arrivammo. Non servì molto tempo”.
“Non mi
lasciavano in pace, certo che fu facile …”
“Moony, non
fare la lagna!”
“Non andammo
a dirglielo subito, quando ci arrivammo. Dovevamo discuterne insieme,
sai, per decidere cosa fare. Di sicuro la nostra reazione non fu quella
che Remus si aspettava … voglio dire, sì, veniamo
da famiglie di maghi e mio padre mi aveva sempre detto che farsi
mordere da un Lupo Mannaro era pericoloso, ma mi aveva anche detto che
alcuni di questi vanno in giro a cercare bambini da mordere per pura
cattiveria, per rovinare loro la vita … e quindi mi ero
detto, quei bambini mica se lo meritavano. E anche mio padre mi aveva
detto che infatti quelli non diventano malvagi, non per forza almeno, e
che poi soffrono per tutta la vita. Lui voleva inventare una Pozione
per annullare la trasformazione, ma finora non ci è mai
riuscito. Insomma, io pensai che magari Remus era proprio uno di quei
bambini che erano stati morsi per cattiveria, e allora scrissi a mia
madre chiedendole di fare delle indagini, perché lei scrive
libri e quindi è abituata a fare ricerche e roba simile, e
poi conosce un sacco di maghi. Beh, lei riuscì a confermarmi
questa storia. A quel punto, non potevamo certo aver paura di Remus.
Potevamo solo sentirci dispiaciuti per lui, perché non se
l’era andata a cercare, e ora era costretto ad inventarsi
tutte quelle scuse su sua madre che stava male soltanto
perché era certo che, altrimenti, avremmo smesso di
parlargli. Del resto, quasi nessuno vuole parlare con un Lupo Mannaro,
perché pensano che siano tutti cattivi e che mordano apposta
la gente. Ma noi avevamo iniziato a parlare con Remus prima di
scoprirlo e sapevamo che, a parte per il modo un po’ strano
in cui si comportava certe volte, era a posto. Aveva perfino avuto il
fegato di fare lo sgambetto a Malfoy. Quindi ne parlammo per un sacco
di tempo, quando lui non c’era. Rubammo i libri dal reparto
proibito, costruendoci una cultura che nemmeno un professore di Difesa
potrebbe avere a riguardo. Finché, un bel giorno, ci venne
l’idea più geniale di tutta la nostra vita. Ed
è qui che ti arrabbierai di grosso, ne sono certo,
perciò non ti offendere se mi allontano per guadagnare una
certa distanza di sicurezza”.
James fa un paio di
passi indietro, e io non posso fare a meno di osservarlo con aria
perplessa. Per che diavolo dovrei infuriarmi a tal punto da desiderare
di fargli del male fisico? Beh, sì, solitamente basta poco.
Ma in genere mi rimane a fianco lo stesso, anche se sa che
riceverà qualche botta. Adesso, invece, ha perfino
premeditato di darsela a gambe.
Remus sembra trattenere
il fiato, Peter guarda nervosamente James e Sirius ha ancora la sua
espressione impenetrabile dipinta ostinatamente in volto. Aspetto,
mentre la tensione si fa sempre più forte, ma James si torce
le mani e si spettina i capelli invece di continuare.
“Perché
dovrei disapprovare così tanto questa …
cosa?” gli domando, a quel punto. “Avete infranto
delle regole, fatto azioni pericolose, rischiato la vita per la vostra
avventatezza, o che altro?”
“Direi
tutte”, risponde lui, con un sospiro.
“Beh, me
l’aspettavo”.
“No, non
credo che tu possa aver capito esattamente cosa
c’è in ballo, Evans. Ci andiamo di mezzo tutti,
nessuno escluso”, interviene Sirius.
“Va bene, non
posso tirare a indovinare. Di che si tratta?”
“Beh, il
secondo anno ci venne un’idea”.
“Me
l’hai già detto, James”.
“Sì,
ecco … l’ispirazione ci arrivò da varie
fonti … i libri, le lezioni della McGranitt … non
credo di aver mai passato così tanto tempo in Biblioteca,
anche se completamente all’oscuro della povera Madama Pince
… credo che alle volte lo sospetti, sarà per
questo che ce l’ha tanto con me …”
“Prongs,
andiamo, dacci un taglio!”
“E va bene,
va bene! La cosa per cui ti arrabbierai tanto è che
cercavamo un modo per aiutare Remus, perché eravamo
diventati amici e ci dispiaceva vederlo così giù
e sapevamo che le trasformazioni erano molto dolorose, ma gli esseri
umani non possono stare vicino a un Lupo Mannaro senza rischiare di
essere morsi, e ovviamente Remus non voleva questo … per cui
decidemmo di diventare Animagi”.
Rimango a fissare James
a bocca aperta per qualche secondo di totale immobilità. No,
non è possibile, devo aver sentito male. Sono assolutamente
sicura che quello che James ha appena detto non possa essere vero.
“No, andiamo,
non è … è troppo difficile come magia
…”
“TROPPO
DIFFICILE?!”
L’attimo dopo
James scompare, non ci sono più i suoi occhiali e i suoi
capelli ritti e le sue mani affusolate ma c’è un
animale con quattro zampe e un paio di corna che mi fissa negli occhi,
sì, mi fissa,
ed è enorme, Merlino, potrebbe buttare giù la
porta in un paio di colpi con quelle corna, o quelle zampe.
Sono totalmente
scioccata.
“James?”
Che cosa idiota, di
sicuro non può rispondermi.
No, non può
essere veramente lui. Dev’essersi nascosto sotto il letto.
Vorrei tanto dirgli che non è divertente giocarmi scherzetti
del genere, ma poi lo guardo meglio e noto una cosa: intorno agli occhi
del cervo ci sono dei leggeri segni rotondi, delle linee più
scure, come una sorta di residuo dei suoi occhiali.
Tutto questo
è assurdo.
Il cervo scalpita un
po’ sul pavimento, poi torna di colpo ad essere James. Le
orecchie pelose ed appuntite ci mettono qualche secondo di
più a scomparire.
“Niente
è troppo difficile per i Malandrini”, sentenzia
lui, con una sorta di orgoglio liberatorio. Io sono ancora senza parole.
“Come avrai
facilmente potuto intuire, il Ministero non sa della nostra
esistenza”, dice Sirius, ironico.
“E non lo
dovranno mai sapere!” esclama Peter. “Voglio dire,
noi l’abbiamo fatto per Remus, ma se qualcuno ne venisse a
conoscenza ci espellerebbero tutti e quattro …”
“…
per mandarci direttamente a trascorrere qualche mese ad Azkaban,
probabilmente”, commenta Remus, asciutto.
“Ora non
esageriamo, Moony, siamo troppo belli per finire ad Azkaban!”
replica Sirius, ridendo.
“Peccato che
i Dissennatori non ci vedano”, bofonchia Remus, e a quel
punto tutti e quattro si girano verso di me, fissandomi con quelle
facce da Animagi.
Tuttavia, ancora non
riesco a trovare qualcosa di intelligente da dire.
“Scusate, sto
ancora cercando di metabolizzare la cosa”.
“Sconvolgente,
eh?”
“Certo, non
avrei mai pensato che voi tre avreste potuto … tutti i libri
la descrivono come una magia estremamente complessa
…”
“Beh,
sì, lo è. Ma non così impossibile. Non
ci siamo arrivati subito, ovviamente, abbiamo prima dovuto ruba-ehm
… prendere in prestito altri libri del reparto proibito per
capire come fare. Poi, il quinto anno, siamo rimasti a scuola durante
le vacanze di Natale. Sapevamo che nessuno ci avrebbe tenuto
d’occhio più di tanto, data la situazione. Ci
siamo accampati un paio di giorni nella Stamberga Strillante e abbiamo
dato inizio all’incantesimo”.
“È
stato terribile, non potevamo mangiare, dovevamo stare al buio, sempre
a concentrarci sull’immagine dell’animale in cui
volevamo trasformarci … alla fine non ne potevo davvero
più”.
“Ahah,
è vero! Continuavo a urlargli Peter, dannazione, devi
concentrarti!”
“Già,
Sirius era preso malissimo”.
“E Remus ha
dovuto fare la guardia tutto il tempo, senza dormire, perché
se fosse entrato qualcuno ad interferire con l’incantesimo
c’era il rischio che rimanessimo per sempre metà
animali e metà uomini …”
In questo momento non
posso davvero fare a meno di osservarli con un moto di ammirazione. Non
avevo idea che potessero arrivare a tanto: non per quanto riguarda lo
sfidare le regole – questo penso che li abbia assai
divertiti, conoscendoli – ma per il gesto che hanno fatto nei
confronti di Remus. Si sono impegnati a tal punto solamente per
potergli stare vicino durante le trasformazioni, per non lasciarlo solo
a soffrire … questa cosa è decisamente commovente.
“Beh, mi
avete sorpreso”, ammetto, alla fine. “Non vi
credevo capaci di un gesto così rischioso”.
“Se te lo
stai chiedendo, io all’inizio non ero
d’accordo”, mi dice Remus, con un debole sorriso.
“Ma non c’è stato verso di far cambiare
idea a queste zucche vuote”.
“Sì,
come no. In realtà non ha fatto i salti di gioia quando gli
abbiamo annunciato il nostro proposito solamente perché era
a letto in Infermeria”, commenta Sirius, sarcastico.
“Lily, vuoi
vedere in che animale mi trasformo io?” mi chiede Peter,
saltellando entusiasta. Annuisco, sorridendo, e Peter di colpo si
rimpicciolisce; al suo posto resta una minuscola palletta di pelo
grigio che corre da una parte all’altra della stanza agitando
freneticamente la coda.
“Wormtail non
si controlla benissimo quando è in forma di topo”,
mi dice James, ridendo. “Si infila sempre in ogni angolo e se
sente odore di cibo impazzisce”.
“È
così carino”, commento, divertita. Se lo venisse a
sapere la McGranitt sono sicura che, prima di ucciderli, non potrebbe
fare a meno di complimentarsi con loro. Non è mai stato un
mistero che molti insegnanti li ritengano degli alunni estremamente
brillanti. Ma questo supera ogni limite, è un record
straordinario per dei ragazzini di quindici anni. Roba che perfino
Silente stringerebbe loro la mano.
“Oh, Evans,
per la barba di Merlino … non siamo carini”,
commenta Sirius, storcendo la bocca. Io gli lancio
un’occhiata scettica.
“Perché,
tu ti trasformi in un eterocefalo glabro?”
“Un che?!”
“Oh, una
specie di grossa talpa senza peli e con i denti storti”.
“In questo
caso preferisco essere giudicato carino!”
“Il giudizio
è mio, quindi perché non ti mostri?”
E infine si trasforma
anche Sirius, assumendo le sembianze di un enorme cane nero dalla coda
lunga e folta che mi squadra con aria minacciosa. O, certo, solo
perché è grosso crede di farmi paura. Adesso gli
faccio vedere io.
Prendo la bacchetta e
gliela lancio lontano, e lui con un salto acrobatico la afferra tra le
zanne e me la riporta, trotterellando con aria tronfia.
“Molto
divertente”, sussurro, con un sorrisetto, per poi recuperare
la bacchetta e ripulirla in un fazzoletto. James, Peter e Remus
scoppiano a ridere mentre Sirius torna in forma umana.
“Bene. Ora
che ho visto tutto, vuoi il tuo Voto Infrangibile? Lo avrai”,
gli dico, fissandolo con durezza in quegli sprezzanti occhi grigi.
“Non ci penso
nemmeno, Evans, non ho nessuna intenzione di utilizzare la Magia
Oscura. Era solo un modo per metterti alla prova”.
“E quindi? Mi
farai seguire per essere sicuro che non corra a dirlo a
nessuno?”
“Non ho tutte
queste energie da sprecare”.
“Adesso
basta”, interviene Remus, e tutti ci voltiamo verso di lui.
“Lily, se hai cambiato il modo di vedere le persone qui
presenti dopo quello che hai saputo, ti capisco …”
“Assolutamente
no! Lo so
che tu sei una brava persona, l’ho sempre saputo! Non ho mai
approvato che Severus si impicciasse dei tuoi affari, l’ho già spiegato a
James e Sirius poco fa. Ho tentato di dissuaderlo più e
più volte. Ma anche lui è stato zitto, alla fine,
no?”
Tutti ammutoliscono di
colpo, Remus compreso. Allora avevo ragione anche su quello. Severus ha
davvero visto Remus trasformato, quella notte. Silente
l’avrà scoperto e gli avrà intimato di
tacere, in qualche maniera. E James … James gli ha salvato
la vita da un Lupo Mannaro che rischiava di farlo a brandelli, anche se
Severus non era certo lì per caso o con buone intenzioni.
Già allora mi ero sorpresa che avesse compiuto
un’azione simile nei confronti di una persona che detestava
apertamente, ma ora lo sono ancora di più. È
l’ennesima conferma del fatto che James è sempre
stato così, in fondo. Una persona con dei principi, non un
arrogante presuntuoso che si diverte a lanciare incantesimi su chiunque.
“È
una storia di cui non vado fiero”, mormora Remus, alla fine.
Tutti hanno assunto delle espressioni contrite, neppure James mi guarda
più in faccia. Forse c’è qualcosa che
mi sfugge, ma non capisco cosa.
“Beh, Remus,
di sicuro non è stata colpa tua, ma di Severus. E James,
sono fiera di te per avergli comunque salvato la vita. Possiamo
considerare questa faccenda come chiusa, da ora in poi …
saprò dove sei quando scappi via la sera e potrò
eventualmente coprirti se la McGranitt dovesse fare domande circa la
tua assenza durante la ronda”.
James mi fissa con gli
occhi che brillano dietro le lenti degli occhiali, in silenzio. Poi,
all’improvviso, mi si avvicina e mi bacia con trasporto.
Dagli altri tre partono fischi e applausi e io non posso fare a meno di
scoppiare a ridere sulle labbra di James, che ancora mi sfiorano. Gli
passo una mano fra i capelli per accarezzargli la nuca.
“Credimi,
volevo dirtelo da tanto, tanto tempo”, mormora lui, in tono
compunto.
“Oh, di
sicuro. Quale modo migliore per vantarti di essere più bravo
di me in Trasfigurazione?”
Scoppiamo a ridere
entrambi, ancora così vicini. Credo di dovermi ancora
abituare all’idea che James sia capace di farsi spuntare una
coda e un paio di corna, ma ora più che mai mi rendo conto
di quanto poco sapessi di lui fino al momento in cui abbiamo cominciato
a frequentarci. È strano. Ha sempre avuto un cuore, e io non
me n’ero mai accorta.
I
can't get to sleep,
I
think about the implications
Of
diving in too deep
And
possibly the complications.
I
know I'll be alright,
Perhaps
it's just imagination.
(Colin Hay, Overkill)
Nota di fine capitolo:
un po’ mi è dispiaciuto cancellare completamente
una parte di questo capitolo, ma per come ho deciso di re-impostare la
storia da questo punto di vista era necessario. Ovviamente, la
questione di Remus e degli Animagi non è conclusa; i
Malandrini non amano avere vita facile, si sa.
P.s. = sono stata
informata che la fanfiction è stata aggiunta fra le storie
scelte di EFP. Non so chi devo ringraziare di preciso, ma grazie
comunque, di cuore.
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Capitolo 16 *** Un abbraccio e un incanto Patronus ***
Capitolo 16
Capitolo 16 – Un abbraccio e un incanto Patronus
Non si è mai abbastanza attenti nella scelta dei propri
nemici.
(Oscar Wilde, Il
ritratto di Dorian Gray)
24
febbraio 1978
Il signor James Potter
è pregato di concentrarsi sulla sua pozione.
E va bene, va bene.
Ora mi
concentro, giuro. Il mio cervello può benissimo starsene
tranquillo e smetterla di inviarmi questi ridicoli messaggi di servizio.
Mi concentro.
Mi sto concentrando.
“James.
Ripetimi quello che ti ho appena detto”.
Alzo lo sguardo su
Lily, che mi
tiene d’occhio con espressione dura. È la prima
volta in
sette anni che lavoro in coppia con lei a Pozioni. È stato
Slughorn a stabilirlo, dopo averci visti scambiarci un innocentissimo
bacio sulla porta, mentre passavamo il tempo in sua attesa. Era tutto
fiero del fatto che la sua alunna migliore continuasse a mantenere dei
voti così stratosfericamente alti pur avendo recentemente
impegnato parte del suo tempo in una relazione amorosa (non
l’aveva detto esplicitamente, ma sapevo benissimo che, in
realtà, intendeva dire che perdeva tempo con uno
scansafatiche
indolente come me eppure, nonostante ciò, continuava ad
essere
straordinariamente brillante. Non che questo potesse fargli pensare
che, forse, dopotutto anch’io non ero uno studente
così
poco incline all’impegno). Insomma, si era messo a
sbandierare
allegramente la faccenda ai quattro venti, incurante del fatto che non
importasse un fico secco a nessuno, se non forse a Snivellus, il quale,
però, non sembrò gradire molto la cosa.
Anzi, in
tutta risposta mi degnò di un gelido sguardo probabilmente
volto, secondo lui, ad incutermi timore. Per quanto la tentazione di
andargli a chiedere che diamine avesse da guardare fosse estremamente
forte, mi imposi di resistere; era dall’inizio
dell’anno
che non attaccavo briga con lui di fronte a Lily e non volevo cedere
proprio ora che tra noi le cose stavano definitivamente andando per il
verso giusto. Non so perché non trovassi più
divertente
attaccar briga con lui; non l’avevo fatto per far colpo sulla
mia
donna, in tutta sincerità. Avevo smesso di divertirmi in
quel
modo già l’anno scorso, suscitando lo sconcerto di
Sirius,
la sorpresa di Peter e l’approvazione di Remus, e per quanto
trovassimo comunque molto divertente giocare i nostri tiri ai
Serpeverde, scagliare incantesimi su Snivellus quando mi annoiavo aveva
smesso di avere il suo fascino. Molto probabilmente perché
avevo
scoperto che Lily mi odiava proprio per questo. Anche per questo.
Insomma, credo si trattasse di una delle ragioni principali.
“James”.
Oh, cacchio. Mi ero
completamente dimenticato del fatto che mi avesse fatto una domanda.
“Sì,
ehm, vuoi il mestolo? Il contagocce? Il barattolo della pelle di
Avvincino?”
Osservo Lily roteare
gli occhi, e capisco di non averci azzeccato per nulla.
“No, ti
stavo semplicemente
chiedendo come hai fatto produrre subito il Patronus. A me è
uscita soltanto una nuvoletta di fumo per tutta la lezione,
è stato veramente frustrante. E non osare
metterti a fare i salti di gioia perché per una volta ti sto
chiedendo un consiglio, questa cosa non si ripeterà mai
più … aspetta, quanti secondi sono passati da
quando ha
iniziato a bollire?”
“Ehm
… una trentina?”
“Oh,
accidenti …”
“Attento,
Potter … si avvicina la vostra ‘T’ in
Pozioni”.
Senza volerlo mi
ritrovo a
ringhiare contro Mulciber. È da quando è iniziata
la
lezione che mi ridacchia alle spalle insieme al suo amichetto
Snivellus. Oggi potrò anche essere un po’ nervoso
e
distratto, ma loro stanno decisamente superando il mio limite di
sopportazione. E la cosa paradossale è che so che lo fanno
apposta a provocarmi. Perché domani c’è
la partita,
e se vince Tassorosso noi siamo tagliati fuori.
Non-devo-rispondere.
“Vuoi che ti
affetti le code di ratto?” chiedo a Lily.
“Sì,
grazie”.
“Che dire,
qui c’è qualcosa che non va, si sono ribaltati i
ruoli … come mai sei tu che la servi,
Potter?”
Vorrei tanto che la
sua faccia
fosse uno di questi semi di Manticora che adesso schiaccerò,
riducendoli in polvere. Forse, se mi impegnassi, potrei farcela. Sono
un asso in Trasfigurazione, dopotutto.
“Senti,
Potter, qui ce lo
stiamo chiedendo tutti. È così divertente
sbattersi una
Sanguesporco? Magari almeno in quelle
cose sono brave …”
No, questo non lo
tollero, nemmeno per sogno.
Mi sollevo di scatto
dalla sedia
voltandomi verso Mulciber, e senza che lui abbia il tempo di reagire
gli punto la bacchetta diritta in faccia. Ora voglio proprio sentire
che altro ha da dire, questo lurido figlio di puttana.
“Signor
Potter, vuole per favore tornare a sedersi o deve costringermi a
toglierle dei punti per convincerla?”
“Impari a
sturarsi le
orecchie, così la prossima volta sentirà senza
problemi
che genere di frase mi ha spinto ad alzarmi in piedi”.
Sposto lo sguardo su
Slughorn solo dopo aver pronunciato a raffica quella fantastica frase
ad effetto, girandomi lentamente.
Non so da dove mi sia
uscita, in
effetti. Sono piuttosto sorpreso di me stesso. Di solito è
Sirius quello che si diletta a formulare risposte di questo calibro, o
quantomeno a pronunciarle ad alta voce. Solo che, sorpreso o no, non ho
tenuto in conto il fatto che mi sono rivolto in tono estremamente
irriverente a un professore, e che l’ho fatto senza pensarci
due
volte.
Infatti, ora, il
suddetto
professore mi sta fissando con gli occhi ridotti a due fessure,
tentando di sbrindellarmi con lo sguardo.
“Lei
è in punizione,
signor Potter. Si presenti alle cinque nel mio ufficio”, mi
dice,
con voce tremolante d’ira. Ho quasi paura che scoppi, e a
giudicare da come è diventato rosso, direi che ci
è molto
vicino.
“Complimenti,
James”,
mi sussurra Sirius, in tono sarcastico, passandomi a fianco con la
scusa di andare a prendere qualcosa nell’armadio.
“Oh, tu
… considerati morto”, ringhia poi,
voltandosi verso
Mulciber con aria quasi distratta e casuale. Lentamente rilasso i
muscoli, smettendo di stringere convulsamente i pugni, e poco dopo sono
tornato a sedermi con la testa incassata fra le spalle, senza guardare
in faccia nessuno. Sento i bastardi ridacchiare gongolanti,
perfettamente consci di avermela fatta. Alla fine, sono riusciti ad
ottenere quello che volevano: mettermi nei guai, in guai seri, prima
della partita di domani contro Tassorosso.
Evito di perdere tempo
a cercare
con lo sguardo il sostegno di Lily. So perfettamente che detesta essere
difesa, ma io non sono davvero stato in grado di trattenermi. Vorrei
soltanto poter spaccare la faccia ad un paio di loro a mani nude,
così, giusto per dare loro una dimostrazione di che cosa
significa dare della Sanguesporco alla mia ragazza solo per tentare di
coinvolgermi in una rissa e farmi finire in infermeria per un tempo
sufficiente a perdere la partita di Quidditch … che cosa ho
fatto, Merlino santissimo, per vedermi imprigionare nel ruolo del bravo
ragazzo che deve dimostrarsi superiore e non reagire alle provocazioni?
Non solo non ne sono capace, ma nemmeno ci tengo particolarmente. Ho un
disperato bisogno di prenderli a calci, perché
più mi
sforzo di non pensarci, più la frustrazione mi riempie il
cervello senza darmi tregua.
Ma la
realtà è semplice da riconoscere, stavolta
l’ho fatta grossa.
Lo riconosco da solo,
senza che qualche persona responsabile debba intervenire a farmelo
notare.
Rischio di saltare la
partita per
colpa di Slughorn, di litigare furiosamente con la mia ragazza e di
trascorrere un’interminabile punizione lontano da Sirius. Che
esempio di fulgida furbizia che sono. Ma ora, dato che la cosa mi
incuriosisce, alzi la mano chi, al mio posto, sarebbe stato in grado di
mantenere la padronanza di sé.
25
febbraio 1978
Credo di aver appena
trascorso la
peggiore settimana del mio settimo anno di scuola. O forse, allargando
il discorso, sarebbe meglio dire il peggior inizio di secondo semestre
di tutto il mio ciclo di studi. No, suona meglio il peggior periodo
della mia vita. Non sono drastico, è la verità.
Con che
razza di coraggio riuscirò a scendere in campo fra un paio
d’ore, davvero non ne ho idea.
Il pane con la
marmellata mi balla
dentro lo stomaco. Remus, in uno dei suoi slanci materni, ha ben
pensato di farmi ingoiare la colazione a forza, perché io
non ne
volevo sapere di toccare cibo prima della partita. Probabilmente
è stato il mio aspetto orribile che l’ha spinto a
ricorrere alle maniere forti. In effetti, mi sono davvero svegliato con
una faccia in grado di spaventare un Troll. Sono rimasto a fissarmi
allo specchio per circa un quarto d’ora stamattina, appena mi
è stato possibile l’accesso al bagno, chiedendomi
quante
persone sarebbero fuggite a gambe levate incrociandomi in Sala Grande
una volta che mi sarei degnato di metterci piede. Dire che sono pallido
e ho le occhiaie è un semplice eufemismo. Senza contare che
i
miei capelli hanno assunto una piega mostruosamente verticale, in
quanto ho passato tutta la notte a cercare di dormire stando sdraiato a
pancia in giù e schiacciando la faccia contro il cuscino.
Questo
mi ha anche provocato dei problemi respiratori, ma si tratta di un
aspetto del tutto secondario.
Nascondo la faccia tra
le mani, in preda alla disperazione.
Solo adesso mi accorgo
che sto sudando freddo.
Magnifico, davvero.
Non vedevo l’ora. A quando le convulsioni e gli attacchi di
panico?
Mi sento pesare il
silenzio sulle
spalle. Sono chiuso in un ripostiglio per le scope e non ho nessuna
intenzione di uscirvi, so che voglio restare da solo. Ma questo mi fa
paura. Non sono mai stato così solo prima di una
stramaledetta
partita di Quidditch.
Dannazione, il
Quidditch dovrebbe
essere divertente. Soprattutto per uno come me che ce l’ha
nel
sangue, che sperava di essere ammesso in squadra prima ancora di
mettere piede a Hogwarts. E invece, ora si è trasformato in
una
specie di guerra, in un gioco di sabotaggio, in un tiro al bersaglio in
cui io sono l’obiettivo principale, in quanto capitano e
acerrimo
nemico dei maledetti Serpeverde.
Dovrei evitare di
navigare nel
pessimismo, se voglio scendere in campo con l’umore adatto a
sostenere la tensione che mi peserà addosso, ma la caterva
di
disgrazie che mi pesa sulle spalle continua a tormentarmi in svariati
modi senza che io riesca ad imporvi un freno. Mi sento il classico
disadattato che non riesce a fare a meno di odiare il mondo intero, non
so se mi spiego. Forse dovrei prendere in considerazione
l’idea
di farmi ricoverare al San Mungo.
Il punto è
che la cosa che
mi ha fatto infuriare più di tutte, forse anche
più delle
offese che Mulciber si è permesso di lasciarsi uscire di
bocca,
è stato quel viscido, meschino ed odioso essere che risponde
al
nome di Snivellus. Perché se fino a un paio d’anni
fa era
sempre appiccicato alla gonna di Lily, ora quantomeno, in rispetto
dell’amicizia che condividevano, avrebbe dovuto prodigarsi di
fermare quell’imbecille
che se la stava prendendo con lei sotto il suo orrido naso,
perché non c’entrava assolutamente niente in tutta
questa
storia. Oltre al fatto che colpire una persona che mi sta a cuore per
danneggiare me, e quindi il risultato della partita, è la
mossa
più subdola e deplorevole che io abbia mai visto fare, e per
quanto sia probabile che un Serpeverde a questo non riesca ad
arrivarci, beh, lui avrebbe dovuto. Perché fino a un
po’
di tempo fa l’avrebbe difesa, forse. Ora, invece, se ne lava
le
mani. D’accordo, potrà anche essere stata lei a
decidere
che non gli avrebbe più rivolto la parola, se è
andata
come Lily stessa mi ha raccontato. Ma l’ha fatto per dei
motivi
più che validi. Anzi, avrebbe dovuto farlo fin da subito,
perché era chiaro dove sarebbe andato a finire Snivellus.
Già per il semplice fatto che bramava con tutto se stesso di
essere Smistato a Serpeverde fin da quando non era che un lurido
nanerottolo con l’unto che gli colava dai capelli. Ma in
fondo
può capitare a chiunque di sbagliarsi sul conto di una
persona,
e l’importante è che Lily alla fine se ne sia resa
conto.
Doverla dividere con lui sarebbe stato insopportabile, quindi tanto
meglio per me se non sono più amici, ma prima di tutto
è
un bene per lei. Se non fosse successo quel giorno dei G.U.F.O. vicino
al lago, sarebbe saltato fuori un’altra volta che lui la
consideri soltanto una Sanguesporco,
ne sono sicuro. Non poteva essere altrimenti, considerate le idee che
abbracciava fin da allora. Tuttavia, se già mi faceva
abbastanza
schifo perché aveva osato rivolgersi a lei con un simile
appellativo in quell’occasione, continua a farmi schifo
tuttora
perché, evidentemente, la cosa che mirava ad ottenere
comportandosi da amico intimo di Lily era solo una. Voleva avere lei.
Era evidente, l’ho sempre sospettato. Le stava costantemente
attaccato, la guardava in quel modo, le si rivolgeva con quel tono di
voce così mellifluo … e le parlava costantemente
male di
me perché sapeva benissimo che miravo al suo stesso
obiettivo.
Ma ora ha reso il tutto ancora più ovvio comportandosi in
quel
modo, ieri. Perché adesso che ha capito che non ha
più
alcuna speranza, neppure la più piccola ed insignificante,
di
conquistare il cuore di Lily, allora se ne frega se i suoi amici la
insultano. Dubito che non l’avesse
già capito, ma Slughorn ieri ha praticamente messo in piazza
la
cosa, mettendosi a parlare a Lily ad alta voce fuori dall’aula
di quanto fosse lodevole da parte sua essere una studentessa modello
pur non concentrando tutta la sua esistenza sullo studio. Magari quell’imbecille di
Snivellus pensa
anche che lei se lo meriti, dato che non solo di lui non ne vuole
più sapere, ma che oltretutto ha cominciato ad uscire con il
suo
peggiore ed acerrimo nemico, ovvero me. Beh, in ogni caso è
davvero ridicolo. Se non ci fosse andata di mezzo Lily sono sicuro
che avrei ignorato sia il suo amichetto che lui –
sì,
forse non risulta del tutto credibile detto da me, ma da quando sto con
lei non mi interessa più un fico secco di rivaleggiare con
Snivellus. A lui, invece, è evidente che rode. Eccome se
rode.
Nonostante
ciò, purtroppo,
devo riconoscere che non è solo colpa dei Serpeverde se in
questi giorni ho raggiunto l’apice del nervosismo. Il
problema
è che alle già innumerevoli
responsabilità che mi
pesano sulle spalle quest’anno se n’è
aggiunta
un’altra, ovvero quella delle rivelazioni che abbiamo fatto a
Lily durante le vacanze di Natale. A dire la verità io mi
sento
molto meglio ora, all’idea che lei sappia tutto e che io non
sia
più costretto ad inventarmi bugie di dimensioni colossali
per
giustificare le mie sparizioni mensili, ma Sirius continua a non essere
convinto e a lanciare frecciatine in proposito, perché
secondo
lui, quando io e Lily ci lasceremo, questa faccenda
diventerà un
problema molto serio, di cui al momento non ci stiamo occupando
abbastanza. Io, francamente, non ho nessuna intenzione di pensare a
quando Lily mi lascerà, semplicemente perché non
voglio
che accada, perciò sentirmi tirare in ballo la questione
ogni
giorno da Sirius non mi mette per nulla di buonumore; resta il fatto
che, almeno in parte, il mio migliore amico ha ragione quando dice che
non ho nessuna garanzia della durata eterna della nostra relazione.
Voglio dire, lei non mi ha nemmeno mai detto che mi ama. Non che fosse
obbligata, no di certo, in fondo ci frequentiamo da cinque mesi e per
lei potrebbe essere passato troppo poco tempo. È stato
Sirius
che mi ha creato delle paranoie su questa cosa; io, a dirla tutta,
nemmeno ci pensavo. Mi bastava sfiorarle la mano sotto il banco con
aria fintamente casuale durante un’ora di Trasfigurazione,
passare di fianco a un’aula vuota e vederla sorridermi con
aria
complice prima di chiuderci dentro, baciarla mentre si distrae a
fissare il fuoco in sala comune mentre studiamo, e altre bazzecole del
genere. E invece no, a quanto pare non basta per dimostrare che
facciamo sul serio. Da che pulpito, poi … proprio Sirius che
non
si è mai impegnato seriamente con una ragazza. E nonostante
i
continui tentativi di mediazione di Remus e Peter, questa cosa ci ha
messo un po’ in crisi.
Oh, lo so benissimo
che in realtà dovrei ritenermi baciato dalla fortuna.
Perché il
maledetto
Slughorn, con una mossa così pateticamente prevedibile,
aveva
già in programma di piazzarmi la sua punizione proprio
questa
mattina. Solo che la McGranitt è insorta con una serie di
urla
selvagge a gridare che era un’ingiustizia, qualcosa che non
avrebbe danneggiato tanto me quanto l’intera Casa di
Grifondoro,
e che pertanto era assurdo ricorrere ad una misura di quel genere, in
quanto il colpevole, in questo caso, ero soltanto io. Siamo finiti
davanti a Silente, perché i miei due adorabili professori
non
riuscivano a raggiungere un accordo. E Silente, quel Silente che tutti
credono tanto buono ma di cui io conosco alla perfezione la portata
sadica, in cambio del permesso di giocare la partita mi ha obbligato a
sottoscrivere una punizione di un intero mese. In pratica, per
un’ora al giorno sarò costretto a starmene chiuso
nell’ufficio di Slughorn a fissarlo nelle palle degli occhi.
Sì, perché la sua opinione è che la
peggiore
punizione per uno con un’indole come la mia sia essere
costretti
ad una frustrante inattività. E per quanto mi scocci
ammetterlo,
ci ha preso in pieno.
Forse, a questo punto,
avrei fatto
meglio a gettare la spugna qualche giorno fa. Quando sono iniziate le
battutine velenose, le insinuazioni, le risate di scherno. Tutte cose
che sono sempre stato in grado di fronteggiare senza problemi. Erano
ridicoli, a tentare di sabotarmi soltanto perché, se oggi
perdessimo contro Tassorosso, loro avrebbero praticamente
già
vinto il campionato di Quidditch. Ma poi hanno tirato in mezzo Lily, e
io non ci ho visto più. Perché lei non
c’entrava
niente, e nessuno si deve permettere di toccarmela. Sarò
anche
stato un persecutore della pratica dell’insulto gratuito in
passato, ma prima di tutto non ne vado fiero, e secondo detesto con
tutto il cuore queste disgustose offese razziali. Lasciamo perdere, io
non ce la faccio a giocare, oggi. Se anche sarò in grado di
scendere in campo, credo che mi limiterò a puntare dritto
contro
Piton e la sua banda per prenderli a calci dall’alto della
mia
scopa. O magari il manico di scopa potrei ficcarglielo direttamente su
per il …
“James, apri
immediatamente questa dannatissima porta”.
Sobbalzo
violentemente,
risvegliandomi di colpo da quella specie di trance. Sto per chiedermi
come abbia fatto a trovarmi, ma mi rendo conto che sarebbe inutile. Non
riuscirei mai a comprendere tutti i suoi complicati meccanismi
d’azione, anche restando insieme a lei cent’anni.
Anche se
– forse – ho il sospetto che possa esserci lo
zampino di
Sirius, stavolta. Mi ha cercato poco fa con lo specchio dicendo che
doveva assolutamente rifugiarsi tra le mie braccia per evitare una
punizione con frustate da parte di Gazza, ma ancora non l’ho
visto nei paraggi.
“No,
preferisco lasciarti
l’onore di mettere alla prova le tue brillanti
capacità di
strega”, rispondo, in tono da ironia amara. Diciamo che non
ho
molta voglia di scherzare in questo momento, e in più non
saprei
nemmeno come comportarmi, se me la trovassi di fronte. Dopo
l’episodio di ieri abbiamo accuratamente evitato di
rivolgerci la
parola per non metterci a litigare nel momento sbagliato, cosa che non
mi rende affatto contento del modo in cui sto portando avanti la mia
relazione con lei.
Solo che poi mi sembra
di sentirla pronunciare un incantesimo.
“Lily, no,
aspetta, stavo
scherzando. Sono in uno stato pietoso. Lily … Lily!
Possibile
che tu non voglia mai darmi retta?”
Mi sta di fronte e mi
fissa, con lo sguardo duro di chi vorrebbe farmi a pezzi.
“Sì,
lo so, avrei
almeno potuto tentare di pettinarmi. Ma tanto lo sapevo che era una
causa persa”, le dico, nel pallido tentativo di
sdrammatizzare la
situazione. Lei sembra non avermi nemmeno sentito. Rimane lì
ferma per un attimo a torcersi le mani, dopodiché mi si
avvicina
e mi getta le braccia al collo. Io sono pietrificato. Non riesco ad
emettere un solo suono, e sono sicuro che tra poco scoprirò
che
l’ha fatto perché in realtà era il modo
migliore
per pugnalarmi ad un fianco senza che me ne accorgessi, o per
attaccarmi un cartello denigratorio dietro la schiena …
Insomma, dai.
Non può
essere un gesto d’affetto.
Non ci credo. Non me
la fa. Sono diventato fin troppo furbo per farmi prendere per il naso
in questo campo, ormai.
Fisso un punto
imprecisato del muro
che mi sta di fronte con uno sguardo che avverto farsi sempre
più vacuo, mentre mi sento avvolgere dal silenzio
più
impenetrabile.
E alla fine, lo
faccio. Cedo. Mi
arrendo. Sarà anche uno scherzo, ma io non ce la faccio
più. Era esattamente quello di cui avevo bisogno in questo
momento, anche se fino a un attimo fa non lo sapevo nemmeno io. Non
c’è bisogno di dire niente. Non ci
rimarrò male se
c’è sotto qualcosa, la prenderò alla
leggera, come
sempre. La mia versatilità non ha limiti. Ma ora, voglio
soltanto stare così per un po’. È
sempre tutto
così concitato e frenetico intorno a me, che non ho neanche
il
tempo di soffermarmi ad assaporare la dolcezza di un contatto fisico.
Ora invece posso permettermelo, senza distrazioni o imprevisti.
Sento che ho disteso
il viso in
un’espressione che probabilmente non è
d’altro che
di serenità, o forse ho semplicemente la solita immancabile
faccia da ebete.
Chi se ne frega.
Le stringo le braccia
intorno al
corpo, lentamente, intrecciandole sulla sua schiena. Salgo con una mano
ad accarezzarle la testa, perché so che le piace, anche se
non
me l’ha mai detto. E figurarsi se me lo dirà mai.
Mi
rilasso gradualmente, sentendomi sciogliere i muscoli. Un torpore
formicolante mi percorre da capo a piedi, mentre mi godo la sensazione
di quell’abbraccio. È una banalità, ma
io adoro
questo tipo di banalità. Perché da parte sua
è
tutt’altro che banale. È una dimostrazione
d’affetto
bella e buona. Potrei addirittura ricattarla, per una cosa del genere
…
Sorrido tra me e me.
Appoggio
meglio il mento sulla sua testa. Non la vedo in faccia, ma non mi
serve. La sento respirare piano contro di me. Riesco a percepire le sue
labbra che mi sfiorano la clavicola.
Chi se ne frega se
perdo. Davvero.
Mi basta questo, averla vicino in un momento simile, quando ero
talmente perso nei miei pensieri cupi che credevo di non riuscire
più a venirne fuori. Fosse per me, penso che potrei
rimanerle
attaccato in modo così viscerale fino a notte inoltrata
…
come una Piovra Gigante.
“Che
c’è da ridere?”
“Come?”
“Hai
riso”.
“Oh.
Sì, beh, stavo pensando, e mi è scappato da
ridere”.
“Questo
perché non hai filtro tra il cervello e la bocca”.
“Sì,
lo so”.
Le poso le mani sui
fianchi, mentre lei si scosta dalla mia spalla per guardarmi dritto
negli occhi.
“Perché
non la smetti di fare l’asociale recluso e vai a giocare
quell’accidenti di partita?”
Un ghigno malefico mi
attraversa il volto, mentre sento di nuovo scorrere dentro di me il mio
spirito di Malandrino.
“Solo se mi
improvvisi un balletto propiziatorio”.
“Va bene,
forse in un’altra vita ci farò un pensierino. Ora
muoviti”.
“Nemmeno se
mi accontento di un balletto piccolo piccolo?”
“Ho
detto muoviti,
Potter”.
“Uff, come
sei fiscale”.
“Non sono io
che sono fiscale, sei tu che sei in ritardo pauroso”.
“Oh,
andiamo, lo dici solo per farmi paura”.
“Ti assicuro
che invece la mia osservazione è del tutto gratuita e
spassionata”.
Il sorriso mi sparisce
all’istante dalla faccia. Scosto la manica per guardare
l’orologio, e mi rendo conto che per l’ennesima
volta
è lei ad avere ragione.
“Oh,
cacchio”.
Mi fiondo fuori dal
ripostiglio,
cominciando a correre come un pazzo. Se non che, dopo una decina di
metri, per poco non mi scontro con tre persone.
“Ciao,
Prongs”.
Mi blocco,
immobilizzandomi seduta stante. Di fronte a me ci sono nientemeno che
Moony, Wormtail e Padfoot.
Li fisso, a bocca
aperta. Possibile che stiano venendo a vedere me …?
“Che ci fate
qui?” chiedo loro, boccheggiando.
“Oh, sai,
vanno tutti alla
partita, pensavamo di conformarci alla massa … ma pensavamo
anche di essere in ritardo pauroso”.
“Non
rinfrancatevi troppo, è proprio così”.
“Oh. Allora,
James, tu sei un po’…”
“…
in ritardo, sì. Grazie per avermelo ricordato,
Wormtail”.
“Ehi,
aspetta, dove corri?”
“A picchiare
Snivellus!”
“Come, senza
di me?!”
“Ma
… James!”
“Potter, non
ti azzardare!”
“E dai,
Lily, stavo scherzando! Vado a cambiarmi, posso o devi rilasciarmi un
permesso scritto?”
“Sparisci,
idiota!”
“Grazie,
amore!”
“Non
c’è di che!”
“Come siete
dolci e gentili tra voi”.
Sorrido come un ebete,
mentre mi lancio in una folle corsa verso il campo di Quidditch.
Forse non sta andando
tutto così male, in fin dei conti.
***
24 febbraio 1978
Se non ci fosse stata la pausa pranzo dopo questa interminabile lezione
di Pozioni, ora non potrei essere corsa qui. E forse, dato che James ha
pensato bene di seguirmi, avrei fatto meglio a non farlo affatto, e a
tener fede all’accordo preso con le ragazze di trovarci in
sala
comune per darci una mano con il tema di Incantesimi. Volevo
semplicemente stare un po’ sola a tentare di controllare la
mia
rabbia e cercare di riflettere, e invece, maledizione, lui sa sempre
dove trovarmi quando sparisco. Ormai però
quest’aula, la
stessa in cui abbiamo animatamente discusso una lontana sera di
settembre, ha assunto per me i connotati del rifugio.
“Senti, lo so che ce l’hai a morte con me, ma non
potevo
fare finta di niente”, mi dice James, trafelato,
affacciandosi
alla porta dell’aula. Io sollevo lo sguardo dalla crepa nel
pavimento che stavo fissando ostinatamente, con aria decisamente poco
incline alla diplomazia.
“Se sai che ce l’ho a morte con te, allora sai
anche che
non è il momento buono per parlare”, rispondo,
seccamente.
“Beh, per te non è mai il momento buono per
parlare”, replica lui, tentando una specie di risatina
ironica,
ma la mia occhiataccia riesce a spegnerla immediatamente. E sono troppo
arrabbiata per farmi impietosire dall’aria mesta con cui
china il
capo.
“Perché te la prendi tanto?”
“Perché me la prendo … ti sembra una
domanda
sensata, dopo che per la tua mania di non darmi mai ascolto ti sei
appena fatto mettere in punizione?”
“Magari non sarà poi così
grave”.
Okay, ho capito. Sta giocando a mettere alla prova la mia pazienza.
È l’unica spiegazione sensata per il fatto che
continui ad
insistere.
“Ne riparliamo dopo che Slughorn avrà decretato la
tua
sorte”, gli rispondo, con astio. Mi domando
perché,
Merlino, perché deve essere così ottuso e
così
bambino alle volte? È chiaro come il sole che reagendo alle
provocazioni dei Serpeverde ha soltanto fatto il loro gioco. Possibile
che debba proprio spiegargli tutto, a diciassette anni suonati?
“Fino ad allora mi terrai il broncio?”
“Sì, sperando che nel frattempo
un’illuminazione divina ti apra gli occhi una volta per
tutte”.
“Io volevo solo difenderti”.
“James, a me non
serviva essere
difesa! Possono dire quello che vogliono di me, non me ne importa un
accidenti di niente!” esclamo, stringendo forte le mani
intorno
al bordo del banco su cui sono seduta.
“Ma io …”
“… tu devi sempre fare l’avvocato delle
cause perse!”
“Spiacente, su questo ti sbagli. L’avvocato delle
cause perse qui sei tu”.
Lo squadro, furiosa, come se volessi inchiodarlo sul posto. Oh, certo,
ora la colpa sarebbe mia perché gli ho dato il cattivo
esempio.
“Io non ho reagito di fronte ad una provocazione che era
evidentemente volta a farmi cascare in una trappola come un pesce che
abbocca all’amo”, replico, tagliente.
“No, ma mi pare di ricordare che nemmeno Snivellus volesse
essere difeso, in quell’occasione”.
Qualcosa mi si spezza dentro, inevitabilmente. Il dolore è
improvviso e fortissimo. I ricordi mi invadono la mente senza che io
sia in grado di fermarli, e mi ritrovo a fissare James furente e con le
lacrime agli occhi.
“Non ne hai il diritto”, mormoro, con voce rotta.
Lui ha
un’esitazione, sul momento, ma poi è il suo
orgoglio
maschile che lo fa reagire.
“Ho detto soltanto la verità”, mi
risponde, secco,
stringendosi nelle spalle con aria forzatamente indifferente. Io mi
porto una mano alla bocca per nascondere una smorfia di pianto.
“Lasciami stare, per favore”, gli dico, senza
guardarlo in
faccia. Quando si decide ad uscire, sbattendo rumorosamente la porta,
mi sento la mente annebbiata e gli occhi umidi. L’attimo dopo
sto
piangendo, disgustata di me stessa per la mia debolezza.
Non so che cosa pensavo. Forse che saremmo riusciti a non dover mai
affrontare direttamente l’argomento, anche se stava sospeso
sulle
nostre teste come una tagliente spada di Damocle. Ora invece quel
momento è arrivato e non l’abbiamo saputo
affrontare, e
tutto l’affanno che ho represso dentro per mesi e mesi mi sta
sfuggendo di mano, senza che io sia in grado di fermarmi.
La gente che amo finisce inevitabilmente per allontanarsi da me, senza
che io l’abbia voluto. È successo con Petunia, poi
con
Severus. E adesso succederà anche con James.
Perché
dovrebbe andare diversamente?
Non volevo che finisse così. Quando sono arrivata a
Hogwarts,
ero convinta che sarebbe stato tutto bellissimo e che avrei vissuto
degli anni eccezionali, i migliori della mia vita. E invece, ho perso
mia sorella, ho perso il mio migliore amico e ora rischio di perdere
anche l’unica persona che io sia mai riuscita ad accettare
come
parte integrante della mia vita sentimentale.
Non ha senso restare qui. Mi sforzo di asciugarmi la faccia nel miglior
modo possibile e poi prendo i libri sottobraccio, raccolgo il calderone
con dentro tutti gli strumenti di Pozioni e mi trascino verso il
dormitorio di Grifondoro.
25 febbraio 1978
È il giorno di un’importante partita di
Quidditch,
oggi. A me non importerebbe un fico secco, come al solito, se non fosse
per il fatto che James giocherà comunque, a dispetto della
punizione affibbiatagli da Slughorn. Ovviamente, ne sono al corrente
soltanto perché mi sono giunte le voci che la McGranitt sia
andata a sbraitare perfino davanti a Silente in persona per impedire
che James fosse costretto a non giocare. Figurarsi se gli allievi di
Hogwarts potevano perdersi un pettegolezzo del genere.
Non ho idea di come l’abbia presa James. È da ieri
a
pranzo che non ci rivolgiamo più la parola. L’ho
visto da
lontano in sala comune, mentre rientravo dalla Biblioteca: stava
correndo in dormitorio a cambiarsi in vista di un probabile allenamento
serale, dato che l’intera squadra si trovava riunita
lì ad
attenderlo. Ho fermato Delia e le ho chiesto di riferire al signor
capitano Potter che quella sera mi sarei occupata della ronda insieme
ai Prefetti, e che pertanto non doveva disturbarsi a raggiungermi.
Sapevo che sarebbe stato distrutto di ritorno dal campo di Quidditch,
perciò usai un tono secco e perentorio, di modo da lasciare
intendere che non doveva passargli neppure per l’anticamera
del
cervello di venire con me. Volevo che andasse a letto e si riposasse,
senza dover portare altri fardelli, ed ero disposta a lasciargli
credere che fossi ancora arrabbiata con lui e non desiderassi averlo
fra i piedi piuttosto che non riuscire nel mio intento.
Ora, all’alba delle dieci di mattina, non ho ancora
preso
una decisione, mentre tutte le mie amiche si sono già recate
sugli spalti, pronte a fare il tifo per Grifondoro. Per giunta, non ho
neppure fatto colazione. I libri non mi distraggono, in questo momento,
e ho già tergiversato abbastanza passando circa
un’ora
sotto il getto caldo della doccia.
Sospiro, rassegnata; lo stomaco ha iniziato a brontolarmi furiosamente,
quindi, forse, è meglio andare a raccattare qualche avanzo
in
Sala Grande per evitare di affrontare una giornata in ipoglicemia
severa. Quando avrò finito, se il destino mi
guiderà
all’uscita del castello, forse andrò a vedere
quella
stramaledetta partita.
Mi avvio di corsa verso la mia destinazione, scendendo i gradini della
Torre di Grifondoro a due a due e pregando di non essere fermata da
nessuno che conosco – non sono dell’umore migliore,
in
questo momento, per affrontare conversazioni spinose – se non
che, giunta ai piedi della rampa di scale, incrocio uno stranito Sirius
Black che sembra avere l’aria di vagare alla cieca per i
corridoi
di Hogwarts.
Lo squadro con aria sospetta, finché lui non si accorge
della
mia presenza, circa una decina di centimetri al di sotto del suo naso.
Certe volte mi piacerebbe essere alta come Margaret, lo confesso.
Così la gente come lui non potrebbe pensare di intimidirmi
semplicemente torreggiando su di me con aria arrogante, cosa che,
inutile dirlo, non sortisce nessun effetto sulla sottoscritta.
“Oh, ecco, stavo giusto cercando te …”
La mia espressione si fa perplessa. Che significa che stava cercando me? Vuole fare a
botte?
“Devi riferirmi qualcosa di urgente? Scusa, ma avrei una
certa
fame …” rispondo, cercando di mantenermi il
più
possibile su un tono freddo e cordiale. Potrei scommetterci la
bacchetta che mi ritiene responsabile per la punizione di James e che
perciò, in questo momento, mi detesta ancor più
del
solito. Ma non voglio dargli modo di attaccarmi, quindi decido di
rimanere neutrale, almeno per ora.
“Ah, certo, che te ne importa se c’era gente che si
stava
chiedendo se tu fossi ancora viva”, replica lui, in un tono
sarcastico che mi fa immediatamente girare le scatole.
“E tu non avevi nulla di meglio da fare che essere spedito in
perlustrazione? Perfetto, puoi riferire che sto bene e non mi sono
gettata dalla Torre di Astronomia. Buona giornata”.
Faccio per superarlo, ma Sirius mi si para davanti di colpo. Sospira,
rassegnato, scuotendo la testa, poi abbassa lo sguardo e mi punta
addosso i suoi occhi grigi e sprezzanti.
“E va bene, Evans, sono qui soltanto per porgerti le mie
scuse
perché è solo a causa mia – beh, non
soltanto mia,
diciamo principalmente
mia – che James ultimamente è più
nervoso del solito, e mi dispiace se avete litigato. Addio”.
Fa per andarsene, ma io mi riscuoto in fretta
dall’incredulità destata in me dal fatto di averlo
sul
serio sentito pronunciare delle scuse.
“Com’è riuscito Remus a costringerti sul
serio ad
umiliarti con un simile teatrino?” gli domando, in tono
provocatorio. Lui si ferma e si volta a guardarmi con aria indignata.
“Non … che diamine, Evans, non sono il cagnolino
di Remus,
mettitelo in testa! Anche se potresti pensarlo dato che …
beh,
non lo sono!”
“Come vuoi, Sirius, ma la questione non ti
riguarda”, gli
faccio presente. Non capisco proprio perché ci tiene tanto a
mettersi in mezzo. Chi diavolo gliel’ha fatto fare, allora,
di
scendere dal trono per venire a degnarmi della sua parola?
“Mi riguarda eccome invece!” replica lui, stizzito.
In quel momento, mi coglie l’illuminazione. Già,
certo, perché non ci ho pensato prima?
“Oh, capisco, hai ancora paura che corra a dire in giro certe
cose? Perché non fai quel Voto Infrangibile come ti avevo
suggerito, allora?”
Una smorfia di disgusto compare istantaneamente sul suo volto,
contorcendogli i lineamenti.
“Io non uso la Magia Oscura, te l’ho già
detto”, mi risponde, sprezzante. Io alzo le spalle.
“Sarebbe a fin di bene, però, visto che ci tieni
tanto”.
Lui mi fulmina con lo sguardo. Per quanto ci tenga a sottolineare in
ogni suo gesto il disprezzo nei confronti dei suoi legami di sangue, in
questo momento ha tutta l’aria di un aristocratico in
collera,
non c’è nulla da fare.
“Io non sono come loro, per Merlino! Non lo sono e non lo
diventerò mai! Mi fanno schifo
dal primo all’ultimo, con le loro smanie del sangue puro e le
loro espressioni felici quando gira la notizia che Voldemort ha
compiuto l’ennesima atrocità nei confronti dei
figli di
Babbani, e ora staranno gongolando all’idea che anche mio
fratello sia stato accolto in mezzo a quella feccia, a
quell’orda
di fanatici … ma non potranno mai avere me! Non mi
abbasserò mai al loro livello! Perciò scordati
quel Voto Infrangibile, toglitelo dalla testa”.
Lo osservo attentamente, inarcando le sopracciglia con espressione
scettica. Si è infervorato non poco nel pronunciare
quell’enfatico discorso. Il piccolo dettaglio è
che io non
gli avevo assolutamente richiesto una simile apologia della sua
posizione. Probabilmente per chi vive immerso nel mondo delle famiglie
di maghi il suo nome fa un effetto non indifferente, ma per me che sono
figlia di Babbani non ha mai significato nulla, e di sicuro non
è mai stato il mio metro di giudizio nei suoi confronti. Che
James e i suoi amici fossero dichiaratamente schierati contro le Arti
Oscure non l’ho mai negato, anzi. Lo facevo notare spesso a
Severus, quando si lanciava in una delle sue ardenti filippiche dirette
contro di loro. Perciò non era assolutamente necessario che
Sirius mi manifestasse la sua presa di distanza nei confronti di quella
gentaglia, avevo già ben chiaro il fatto che lui
appartenesse a
tutt’altro schieramento.
“Non c’era bisogno di scaldarsi tanto”,
gli faccio presente, in tono pacato.
“E invece io mi scaldo, io … pensi che sia come
loro
perché ho rischiato di far uccidere il tuo amico Snivellus,
eh?
Ma sai che ti dico? Se lo meritava.
Non voglio che ti passi neppure per l’anticamera del cervello
che
Remus possa mai essere stato d’accordo con quella faccenda,
lui
non sapeva niente ed è toccato a me dirglielo, a me
è
toccato sentirmi il verme della situazione quando la realtà
è che la colpa era tutta di quel dannato ficcanaso. Lui aveva cattive
intenzioni, non io!”
La mia espressione si fa ancora più perplessa.
Così oggi
è la giornata delle rivelazioni e nessuno si è
prodigato
di avvertirmi?
Che cavolo significa che ha rischiato di far uccidere Severus? Che
tutto quel misterioso macello fu merito suo? Merlino, non pensavo che
potesse arrivare a tanto.
“A dire la verità non avevo assolutamente idea del
fatto
che fossi stato tu l’artefice di quello spiacevole
incidente”, gli faccio presente, stringendo le labbra.
Lui mi fissa in silenzio per qualche secondo. Sembra quasi pentito di
essersi scucito troppo la bocca, per una volta nella sua vita.
“Ah, sì? Beh, infatti non avresti dovuto
saperlo”.
“Sei stato tu
ad avermelo appena rivelato, razza d’idiota!”
È incredibile, con che razza di educazione è
stato cresciuto? Chi diavolo è stato ad insegnargli che ha sempre ragione lui?
“Ehi, abbassa il tono con me, non m’interessa un
fico secco
se sei Caposcuola”, replica lui, azzardando un tono arrogante
che
mi dà immediatamente sui nervi.
“E tu allora smettila di rigirare le frittate! Stavolta io
non mi
sono impicciata di nulla, credevo fosse stato un caso e che Severus
avesse scoperto dove si nascondeva Remus, che fosse successo
perché l’aveva semplicemente seguito”,
sbotto,
guardandolo con ira. Sirius mi rivolge un sorriso beffardo, facendo
scomparire per qualche secondo quell’espressione contrita che
fino a poco tempo fa aveva solo tentato di nascondere malamente.
“Mi duole informarti che il tuo amico non è
così
furbo e neppure così coraggioso. Non si è mai
spinto a
tal punto, ma continuava a darci fastidio, a starci perennemente alle
costole. Un giorno se l’era presa con Remus davanti a tutti,
l’aveva umiliato soltanto perché era arrivato
tardi a una
lezione della Sprite e secondo lui significava chissà che
cosa,
e io non ci ho più visto. La sera ci sarebbe stata la luna
piena
e gli ho detto come fare per entrare nel Platano Picchiatore. A dire il
vero non pensavo nemmeno che potesse essere così imbecille
da
seguire alla lettera le mie parole, e invece lo fu …
incredibile. Tutto per la sua meschina e lurida smania di farci
cacciare dalla scuola”.
Non so davvero che pensare. Sirius Black è un totale
imbecille,
questo è certo. Cerca di difendersi con foga, come a voler
dimostrare che la colpa non è stata soltanto sua. Ma gli ho
creduto nel momento in cui ha difeso a spada tratta Remus. Era sincero.
“Avresti dovuto prevedere le conseguenze delle tue
azioni”, gli dico infine, semplicemente.
“Togliercelo dai piedi sarebbe stato solo un bene”,
obietta
lui, ancora ostinato a voler dimostrare di aver agito per una buona
causa. Ma stavolta, mi dispiace, ha completamente toppato.
“E non hai pensato a Remus? A come si sarebbe
sentito?” gli
faccio presente, e per un attimo nei suoi occhi lampeggia
un’espressione ferita, come se si fosse sentito toccare
improvvisamente nel punto più delicato della faccenda.
Per un attimo smette di guardarmi e fissa un punto imprecisato sulla
parete di mattoni; poi sospira, prima di rispondermi.
“No, o meglio, pensavo che in fondo sarebbe stato contento di
non
avere più quell’essere odioso alle calcagna,
pensavo che
sapere di averlo spaventato lo avrebbe fatto ridere e basta, pensavo
che … pensavo male. E doverglielo dire, doverlo guardare in
faccia e raccontargli tutto quello che era successo e sentirmi addosso
tutto il suo disprezzo è stata la cosa più brutta
che io
abbia mai dovuto affrontare in tutta la mia vita. Quindi non pensare
nemmeno per mezzo secondo che lui fosse complice di tutta questa
faccenda, cosa che Snivellus potrebbe fin troppo facilmente averti
detto”.
Non è possibile. Ma allora è veramente imbecille.
“Ti vuoi far entrare in quel cervello pieno di Vermicoli il
fatto che io e Snivellus
non ci rivolgiamo più la parola?! Dovresti essere abbastanza
intelligente da essertene già accorto da solo, ma mi sembra
evidente che tu non ci riesca, perciò te lo dico chiaro e
tondo:
non ho intenzione di avere mai più avere nulla a che fare
con
lui. Non siamo più amici. Lui ha scelto le Arti Oscure, io ho
scelto
di stare dalla parte opposta. Non ho nessun rimpianto per aver preso
questa decisione. E dato che ci tieni tanto a precisare che non sei
uguale ai membri della tua famiglia nonostante il vostro legame di
parentela, tieni presente questo: io non sono come Severus, anche se un
tempo eravamo amici. Ostinandoti a credere il contrario ti dimostri
soltanto una persona piena di pregiudizi, proprio come lo sono quelli
che giudicano te per il tuo cognome e il tuo sangue puro.
Non ti dà onore predicare bene e razzolare male. E
soprattutto,
ogni tanto, essere un po’ meno ottuso ti farebbe
bene”.
A questo punto, Sirius Black fa una cosa che assolutamente non avevo
previsto o considerato: scoppia sonoramente a ridere, di gusto, con
quella risata così simile a un latrato che solo ora, dopo
anni,
collego alla sua forma di Animagus. Resto a fissarlo con aria perplessa
mentre getta indietro la testa e si porta un braccio attorno allo
stomaco, in quell’esplosione di ilarità. Non
capisco. Che
ci sarà di tanto divertente in quello che ho detto?
“Hai ragione, Evans, forse dovrei darti una
possibilità”.
Oh, che gentile concessione da parte sua.
“Ma se pensi di non amare sul serio James, ti consiglio di
lasciar perdere in partenza. Ho dovuto sorbirmi per anni le sue crisi
depressive causate dai tuoi persistenti rifiuti, perciò ora
non ti
conviene illuderlo”.
Perché questo improvviso ed inopportuno cambio di discorso,
ora?
“Oh, stammi a sentire … piantala di fare
l’avvocato
difensore di James, non ce n’è bisogno. Lo so che
ti senti
realizzato in questo ruolo, ma …”
“Lo ami?”
Sgrano gli occhi, fissandolo con aria allibita. La sua sfacciataggine
non ha davvero alcun limite.
“Io … sì, ma non sono affari
tuoi!” replico,
piccata. Lui in tutta risposta si dipinge sul volto un ghigno
sardonicamente soddisfatto, di fronte al quale non riesco a non
arrossire. Ho appena ammesso di amare James Potter, e non di fronte a
lui stesso o ad un mio confidente, bensì davanti a uno che
mi
detesta con tutto il cuore e probabilmente, se potesse, mi farebbe
sparire con un distratto colpo di bacchetta. Ma per quanto sia assurdo,
mi rendo conto che è vero. Non potevo raccontargli una
frottola,
sarebbe stato come dire che Silente è un incompetente mago
da
quattro soldi. Non mi ero mai posta il problema di doverlo ammettere,
perché James non me l’ha mai chiesto. Sembra
felice
così, al settimo cielo soltanto perché,
finalmente, esco
con lui. E nonostante i mesi siano ormai volati, ancora fatico a
rendermene conto. Però i tremori continui alle gambe quando
si
limita anche solo a sfiorarmi, il cuore che accelera i battiti, il
sentirmi andare in frantumi quando mi bacia o quando, dal nulla, si
presenta con una sorpresa per me dopo aver litigato furiosamente
… non può essere altrimenti. Non ho mai provato
un
sentimento del genere in vita mia.
“Hai detto di sì, bada bene”, mi dice
Sirius, come a
voler sincerarsi della veridicità della mia affermazione. Io
sospiro e mi metto le mani nei capelli, totalmente esasperata.
“Sì, Sirius, ho detto di sì! Ti prego,
ora possiamo finirla
con questo teatrino? È ammirevole che tu voglia preservare
James
da sofferenze future, ma noi due non siamo in competizione per il primo
posto. L’amicizia e l’amore sono due cose
totalmente
differenti”.
Sul suo volto affiora un sorrisetto criptico, che non riesco ad
interpretare.
“Non necessariamente lo sono”, afferma
enigmaticamente,
“ma in questo caso non ti devi preoccupare, non vorrei
assolutamente essere nei tuoi panni. Abbiamo due ruoli diversi, e mi
sta bene”.
Annuisco vigorosamente, constatando con piacere che almeno su una cosa
siamo d’accordo. Ma allora, quale diamine è il
problema?
“Magnifico. A questo punto la domanda sorge spontanea:
cos’è che non ti sta bene?”
Lui si stringe nelle spalle con un’espressione dubbiosa,
forse
preparandosi a sciorinare un elenco infinito di motivi per cui mi
staccherebbe la testa dal collo. Ma la sua risposta, al contrario, mi
sorprende totalmente.
“Non saprei. Credo niente”.
Ora sì che vorrei strozzarlo, lo vorrei davvero.
“Merlino, sei … impossibile. Non ho mai fatto
fatica a
capire perché tu e James siate così
amici”.
“Sapessi invece quante cose non sai …”
commenta lui,
divertito, sempre con quel tono fastidiosamente ermetico.
“Oh, non penso di volerne essere messa al corrente tanto
quanto
immagini tu”, ribatto, scuotendomi i capelli sulle spalle con
un
gesto di stizza. E meno male che James vorrebbe che diventassimo amici.
Sembra un’impresa piuttosto impossibile, nonostante abbia
appena
affermato di non avere nient’altro contro di me.
“Comunque, non credo che per te vada bene pensare al momento
in
cui hai ricevuto la lettera da Hogwarts, come ricordo felice per il
Patronus”, mi dice improvvisamente, scompigliandosi i
riccioli
neri con apparente noncuranza.
“Come, scusa?” gli domando, interdetta. Sicuramente
devo
aver sentito male. Come fa a sapere che non mi riesce bene
quell’incantesimo? D’accordo, era anche lui a
lezione
quando ci siamo esercitati, ma non avevo certo contemplato la
possibilità che Sirius Black si fosse accorto di qualcosa
che
riguardava me.
“Sì, Flanders è un idiota, non ha molta
fantasia”, risponde lui, scrollando le spalle.
“Puoi
pensare a qualsiasi altro momento felice, ma quello … per te
non
credo che funzioni. Sai, la storia di tua sorella. E poi lo ricolleghi
inconsciamente ad un’amicizia che hai perso, e che in quel
momento per te era importante. Sul momento potrà anche
essere
stato eccitante e divertente, ma non puoi impedirti di ricollegare quel
preciso ricordo con altri più spiacevoli, quindi non
funziona”.
Sirius Black mi sta dando dei consigli, provando a comportarsi in modo
civile. Probabilmente in questo momento mi trovo su un altro pianeta.
“E tu come sai di mia sorella?” gli domando, ancora
incerta
su quanto possa essere sincero quel suo tentativo di venirmi incontro.
“Oh, beh … James parla troppo”, risponde
lui, alzando le spalle.
“Certo, capisco”.
Rimaniamo in silenzio per qualche secondo, mentre ancora mi domando
cos’è che l’ha fatto smuovere oggi.
Autoaccusarsi di
essere stato l’indiretto responsabile della mia lite con
James,
ammettere quanto gli sia pesato confessare quello scherzo a Remus,
darmi consigli su un incantesimo che non riesco ad eseguire
…
davvero non riesco a capire che diavolo gli è preso. Nessuno
di
noi due ha mai avuto una grande opinione dell’altro, questo
è certo. Ma è il migliore amico di James e, in
fondo, non
ho mai pensato che sia davvero una persona così spregevole
come
voglia far credere di essere, comportandosi in questo modo
così
idiota solo per fare scena. Posso anche capire che mi tema come una
minaccia dal momento in cui sono entrata nella vita di James, dato
tutto ciò che rappresenta per lui. Ma per aprire le
ostilità contro di me non si è basato su come
sono e su
come mi comporto, bensì meramente sul ruolo che ricopro in
quanto fidanzata del suo migliore amico, il che non significa
necessariamente che io sia una persona possessiva che mira ad
allontanare James dai suoi amici per avere il pieno comando della sua
vita e dei suoi affetti.
Forse si è reso conto di essere partito con il piede
sbagliato, dopotutto.
“Guarda che neanche per me funziona quel ricordo, se ti ci
fissi
non ci riuscirai mai”, mi dice, camminando avanti e indietro
lentamente, con le braccia dietro la schiena. Io mi lascio sfuggire un
sorrisetto.
“Già, non dev’essere piacevole
l’associazione
di quell’episodio con la Strillettera di tua madre che ti
è arrivata via gufo il giorno dopo essere stato Smistato a
Grifondoro”.
Lui si ferma a guardarmi negli occhi ed ammutolisce, diventando serio
di colpo. Io mi stringo nelle spalle, con apparente nonchalance.
“James parla troppo. L’hai detto tu”.
“Già”.
Per un attimo, che forse non si ripeterà mai più,
non
c’è ostilità fra noi. Sembra quasi
incredibile.
Dopodiché, Sirius sfoggia un sorrisetto compiaciuto.
“Beh, credo che potresti guadagnarti il tuo ricordo felice
per il
Patronus andando a cercarlo e facendo pace con lui”.
“Che vuoi dire? Non dovrebbe essere alla partita?!”
“No, si è fatto prendere dal panico e si
è nascosto
chissà dove. Perciò, forse, faresti meglio ad
andare a
cercarlo. Potreste anche prendervi per mano e ballare,
perché
no. Ma penso che sarà sufficiente un commovente abbraccio e,
che
ne so, un bacio con un po’ di lingua …”
“Ok, Sirius, grazie ho afferrato il concetto!”
Lui scoppia a ridere sonoramente, divertito dalla sua stessa impudenza.
“Beh, che aspetti? Vai a cercarlo”, mi dice poi.
“Ma non ho idea di dove sia!” obietto io. Non posso
certo perlustrare l’intera Hogwarts, che diamine.
“E va bene, aspetta solo un secondo …”
Lo osservo frugarsi nella tasca della divisa alla ricerca di qualcosa;
dopo qualche secondo ne estrae un piccolo specchio rettangolare e un
po’ consunto, esattamente identico a quello che ho
già
visto diverse volte in mano a James.
Oh, sì, sono davvero teneri.
“Prongs … Prongs, rispondimi! È
urgente, sono nei
guai, sto rischiando la vita e se non mi rispondi immediatamente mi
avrai sulla coscienza per il resto dei tuoi giorni!”
“Che vuoi, Pads?”
“Senti, l’ho combinata grossa, Gazza mi sta alle
costole!
Dove sei? Devo correre a nascondermi da te, dato che sei Caposcuola gli
dirai di non mettermi in punizione”.
“A dire il vero l’ultima volta che ho tentato di
discutere
con Gazza mettendo in campo la mia autorità di Caposcuola
non
è servito a non farmi restituire la Mappa del Malandrino, se
ti
ricordi …”
“Beh, stavolta dovrai essere convincente, ha minacciato di
frustarmi!”
“Oh, e va bene, grandissimo rompiscatole, sono nel
ripostiglio per le scope del sesto piano …”
“Perfetto! Dammi un minuto e sono da te!”
Sirius si rimette in fretta e furia lo specchietto in tasca, poi si
volge verso di me.
“Hai sentito? Vallo a recuperare e, già che ci
sei,
convincilo ad alzare il culo e ad andare alla partita, altrimenti siamo
rovinati. Io intanto vado a chiamare Remus e Peter”.
“Ai tuoi ordini”.
Lo saluto con un sorrisetto, poi mi dirigo a passo spedito verso il
sesto piano.
“James, apri immediatamente questa dannatissima
porta”.
È incredibile che a pochi minuti dall’inizio della
partita
questo idiota se ne stia chiuso qui dentro. Tutti si aspettano una
lotta all’ultimo sangue, l’intera Hogwarts
è
già allo stadio a gremire le tribune, e il Capitano della
nostra
squadra dov’è? In un ripostiglio per le scope.
“No, preferisco lasciarti l’onore di mettere alla
prova le
tue brillanti capacità di strega”, mi sento
rispondere,
dall’interno. È da ieri che non ci parliamo, e
questo
è tutto quello che ha da dire. Davvero carino da
parte sua.
“E va bene, l’hai voluto tu”.
Estraggo la bacchetta dalla tasca della divisa e mi piazzo a gambe
leggermente divaricate davanti alla porta, agitando il polso per
riscaldarmi.
“Lily, no, aspetta, stavo scherzando. Sono in uno stato
pietoso. Lily …”
Con un gesto solenne ed un perfetto incantesimo non verbale, faccio
scattare la serratura della porta.
“Lily! Possibile che tu non voglia mai darmi retta?”
Compio il mio teatrale ingresso nel ripostiglio, e mi trovo davanti il
James Potter con l’aspetto più sciupato che mi sia
mai
capitato di vedere. Non solo è mortalmente pallido, ha gli
occhi
segnati da cerchi profondi e l’espressione di chi sta per
andare
al patibolo, ma ha anche, non so come, i capelli ridotti in uno stato
ancora più pietoso del solito.
Nonostante questo, quando incrocio il suo sguardo sento un nodo alla
gola e mi sembra sempre bellissimo. Ripenso a quello che Sirius mi ha
costretto a confessare, e per quanto possa sembrare assurdo, incoerente
o esagerato, non posso negare che sia vero. Forse dovrò
dirlo
anche a lui, un giorno o l’altro.
“Sì, lo so, avrei almeno potuto tentare di
pettinarmi. Ma
tanto lo sapevo che era una causa persa”, tenta di
giustificarsi,
con il suo solito maledetto vizio di fare dell’ironia in ogni
momento. Rimango lì a fissarlo, incapace di muovermi, senza
sapere che accidenti dire. È da ieri che ci evitiamo, da
ieri
che nessuno dei due ha il coraggio di fare un passo avanti e chiedere
scusa. È stato un arco di tempo infernale. Non credo di
farcela
a restargli lontana ancora per molto. Trattengo il fiato, muovo quel
dannato passo in avanti, lo raggiungo e faccio quello che avrei voluto
fare da due giorni: abbracciarlo.
Lo so che ho sbagliato, che l’ho attaccato per qualcosa che
tempo
addietro avevo fatto anch’io, accecata dal bene che volevo a
un’altra persona. So che è stata la stessa
motivazione a
smuoverlo, che sono io che mi comporto sempre come se ogni cosa fosse
la fine del mondo. Fosse stato per me, l’intero universo
avrebbe
dovuto autodistruggersi il giorno in cui, rivoltandomi contro ogni
regola della logica, ero tornata sui miei passi e l’avevo
baciato. Quello era
qualcosa di sconvolgente. Ma non me ne sono affatto pentita, lo so e
l’ho sempre saputo, lo sapevo anche mentre lo facevo,
inconsciamente; posso anche essere stata io a mettere in moto tutto
questo, posso anche essere stata io a perdere Severus, anche se lui
comunque aveva già scelto e sarebbe stata solo questione di
tempo prima che passasse definitivamente dalla loro parte,
e può anche darsi che questo continuerà a farmi
male
finché avrò vita, ma poi quello che è
successo mi
ha portato ad avere James, e non tornerei mai indietro
se dovessi rinunciare a lui. Non potrei. Mi sono sforzata con tutta me
stessa di stargli lontana in queste ore, perché altrimenti
sapevo che avrei finito per attaccarlo con rabbia soltanto per il fatto
che mi stava lontano. E non potevo rischiare di ripetere di nuovo lo
stesso errore.
Potrei stare così per ore, per giorni interi. Mi basta
questo:
stringerlo forte senza il timore di fargli male, avvertire prima la sua
sorpresa e poi il suo abbandono, sentire il suo respiro sui capelli.
Fargli capire che è un idiota quando si comporta
così.
Insinuare sottilmente che mi dispiace.
A un certo punto, lo sento ridacchiare tra sé.
“Che c’è da ridere?” gli
domando, divertita.
“Come?” mi chiede lui.
“Hai riso”, gli faccio notare.
“Oh. Sì, beh, stavo pensando, e mi è
scappato da
ridere”, mi risponde, e io curvo le labbra in un ghigno
ironico.
“Questo perché non hai filtro tra il cervello e la
bocca”, commento.
“Sì, lo so”, mi risponde lui, rassegnato
a
riconoscere la verità. È un piacere sentire che
mi
dà ragione senza cercare una scusa per ribattere.
Dev’essere proprio a pezzi. Chissà quali
acrobatici salti
di gioia farebbe se sapesse che ho ammesso di amarlo … ma
ora
non c’è più tempo da perdere. Mi stacco
dalla sua
spalla per cercare il suo sguardo, e quando lo trovo non sono
più dolce né divertita, sono semplicemente dura.
“Perché non la smetti di fare l’asociale
recluso e
vai a giocare quell’accidenti di partita?” gli
chiedo, in
tono di sfida. Lui risponde con una smorfia perfida.
“Solo se mi improvvisi un balletto propiziatorio”,
afferma, deciso.
“Va bene, forse in un’altra vita ci farò
un
pensierino”, gli concedo, roteando gli occhi. “Ora
muoviti”.
“Nemmeno se mi accontento di un balletto
piccolo piccolo?” mi domanda, implorante.
“Ho detto muoviti,
Potter”, replico, seccamente.
“Uff, come sei fiscale”, si lamenta lui.
“Non sono io che sono fiscale, sei tu che sei in ritardo
pauroso”, gli faccio notare, inarcando un sopracciglio. Lui
in
tutta risposta scoppia a ridere, divertito.
“Oh, andiamo, lo dici solo per farmi paura”,
ribatte.
“Ti assicuro che invece la mia osservazione è del
tutto
gratuita e spassionata”, ribadisco io, non sapendo se ridere
o
piangere per il modo in cui è rimbambito. Fortunatamente,
quando
capisce che non sto scherzando, smette di sorridere come un idiota e
pensa bene di guardare l’orologio per verificare;
l’espressione di panico che gli compare istantaneamente sulla
faccia mi fa capire che ha finalmente riconosciuto chi tra noi due ha
ragione – di
nuovo.
“Oh, cacchio”, commenta, prima di lasciarmi e
correre a gambe levate fuori dal ripostiglio.
Rimango ferma lì per qualche secondo, scuotendo la testa con
aria rassegnata. È incorreggibile, ma se così non
fosse
non sarebbe più lui, e non lo troverei altrettanto
divertente ed
imbranato e adorabile.
Mi decido ad uscire dal ripostiglio anch’io, con un grosso
sorriso stampato in faccia che manifesta chiaramente il mio attuale
stato d’animo; dopo oggi sarà tutto sistemato, fra
noi,
non ci sarà bisogno di noiosi chiarimenti e di scuse
forzate, ma
ogni cosa tornerà come prima alla sua naturalezza abituale.
Stare con lui è bello anche per questo: i problemi si
risolvono,
ma in maniera niente affatto tradizionale.
Avviandomi lungo il corridoio, mi giungono le voci di Remus, Sirius e
Peter; evidentemente ci siamo incontrati tutti al momento giusto.
Quando li raggiungo, il signor Capitano si sta velocemente congedando
da loro.
“Ehi, aspetta, dove corri?” grida Peter a James.
“A picchiare Snivellus!” risponde lui, di rimando.
“Come, senza di me?!” si lamenta Sirius.
“Ma … James!” gli fa eco Remus.
“Potter, non ti azzardare!” lo minaccio io.
“E dai, Lily, stavo scherzando! Vado a cambiarmi, posso o
devi
rilasciarmi un permesso scritto?” mi dice lui, fermandosi in
fondo al corridoio per rivolgermi un sorriso smagliante da finto
seduttore incallito.
“Sparisci, idiota!” gli ordino, in tono perentorio.
“Grazie, amore!” mi risponde lui, ridendo.
“Non c’è di che!” gli grido
io, mentre si
allontana di corsa. Lo osservo sparire con il sorriso sulle labbra,
sentendo che tutta l’angoscia è finalmente sparita.
“Come siete dolci e gentili tra voi”, osserva
Sirius,
sarcastico, incrociando il mio sguardo dopo che James si è
definitivamente dileguato. Ma, per quanto si sforzi di nasconderlo, non
c’è malignità nel suo tono di voce,
soltanto
divertimento. Forse, finalmente, anche con lui le ostilità
sono
cessate. Per quanto sia probabile che l’abbia fatto solo per
il
bene di James, non posso fare a meno di tirare un grosso sospiro di
sollievo. Anche se ho il sospetto che mi chiederà qualcosa
in
cambio per quel suggerimento sul Patronus. A tal proposito, ora
potrebbe essere il momento giusto per provare e vedere se funziona.
“Vi raggiungo subito”, dico a Peter, che si
è
voltato con aria interrogativa verso di me, domandandosi probabilmente
perché non li stavo seguendo.
Aspetto che si siano allontanati a sufficienza prima di concentrarmi
profondamente sul ricordo più felice che riesco a far
riaffiorare alla mente.
Quel giorno che più di tutti ha cambiato la mia vita, il
giorno
in cui ho scoperto di essere una persona totalmente diversa da
ciò che avevo sempre creduto. Il giorno in cui, molto
probabilmente, sono andata molto vicino al collasso cardiaco. E non per
colpa di qualcun altro, no. Ho fatto tutto completamente da sola,
quella volta.
Si tratta del giorno in cui ho baciato James Potter, al di
là di ogni umana comprensione.
Sorrido. Ricordo tutto. La sua espressione allibita nel momento in cui
gli posavo una mano sulla spalla e lo costringevo a voltarsi verso di
me. Il contatto con le sue labbra, la voglia che avevo di sentirmi
stringere e, allo stesso tempo, di fargli del male. La sensazione che
stessi cadendo in una voragine senza fine – eppure era
così piacevole, così liberatorio. Per una volta,
avevo
assecondato il giusto impulso, pur sentendomi schiacciare dalla
consapevolezza improvvisamente acquisita del fatto che lui non
riuscisse ad essermi indifferente.
Sospiro, buttando fuori tutta l’aria che ho nei polmoni.
Chiudo
gli occhi e alzo la bacchetta. Sento una lunga serie di brividi
scorrermi lungo le braccia, arrivare fino alla punta delle dita. Questa
volta posso farcela.
“Expecto
Patronum!”
Apro gli occhi bruscamente. L’onda d’urto mi ha
scagliato
indietro, per poco non sono finita a sbattere contro il muro. La
bacchetta mi è sfuggita di mano ed è caduta a
terra.
È lì, riesco a vederla. Alzo gli occhi e davanti
a me
c’è una grossa nuvola bianco-argentea, eterea ed
indefinita, che a poco a poco si dirada per lasciar emergere una figura
sottile, che si allontana al ritmo di una corsa elegante.
La guardo bene, incredula, finché non svanisce in un soffio
di
polvere, infrangendosi contro il vetro della finestra. Decisamente non
me l’aspettavo, ma la sorpresa mi strappa un sorriso.
Il mio Patronus è una cerva.
And
I know I make you cry,
And
I know sometimes you want to die,
But
do you really feel alive without me?
(Damien Rice, Accidental Babies)
Nota di fine capitolo:
chiedo venia per il mostruoso ritardo, ma se da una parte avevo
l’ansia di un esame imminente a portarmi via tempo,
dall’altra ho anche dovuto revisionare quasi completamente
anche
questo capitolo per esigenze di trama. Non odio affatto il personaggio
di Piton, anzi, lo trovo davvero interessante sotto molti punti di
vista, ma è chiaro che dalla prospettiva di James non ci
possa
essere che odio nei suoi confronti, soprattutto dato che, stando a
dichiarazioni della Rowling, Prongs sospettava che Piton provasse
qualcosa per Lily, e quindi questo alimentasse ancora di più
la
rivalità tra i due. Da quando ho letto questa cosa mi sono
domandata se non lo sospettassero anche gli altri Malandrini; sono
piuttosto sicura che Remus lo sapesse, data la convinzione in cui
afferma di fidarsi di Piton in HP6, prima che uccida Silente.
Probabilmente era a conoscenza del fatto che lo facesse per Lily, e per
questo non dubitava di lui. Se invece anche Sirius aveva qualche
sospetto a riguardo, beh, allora per una volta ha dimostrato
maturità da adulto, dato che non l’ha mai usata
come
argomentazione per offendere o istigare Piton nei momenti in cui ha
avuto a che fare con lui nel post-Azkaban XD
Qui chiudo gli
sproloqui, al
prossimo capitolo, sperando di riuscire a completarlo presto
– e
come sempre grazie davvero, davvero tanto per le bellissime recensioni.
A presto!
Jane
|
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Capitolo 17 *** L'Ordine della Fenice ***
Nota
d’inizio: non posso non scusarmi per l’enorme
ritardo con cui pubblico questo capitolo. Purtroppo, come ho accennato
a chi mi ha chiesto novità negli scorsi mesi, sono stata
parecchio incasinata con gli esami, iniziandoli a maggio e finendo per
trascinarmene due a settembre, e durante le vacanze estive non ho
sempre avuto il pc a disposizione; senza contare che, anche stavolta,
più che una semplice correzione del capitolo si è
trattato di una ristesura completa. Ora che ho terminato gli esami ho
ritrovato il giusto tempo da dedicare alla storia e,
contemporaneamente, ho “partorito” una nuova
versione che mi soddisfa abbastanza; spero possiate perdonarmi e avere
pazienza, anche se ormai mancano pochi capitoli alla conclusione di
questa fic e, quindi, mi auguro davvero di riuscire ad ultimarla prima
della prossima sessione XD
Fine delle noiose
comunicazioni di servizio, vi lascio al capitolo.
Buona lettura.
Capitolo
17 – L’Ordine della Fenice
Mentre
si ride si pensa che c'è sempre tempo per la
serietà.
(Franz Kafka, Diari)
13
marzo 1978
Ci sono state delle
volte – diverse volte, in realtà, più
di quanto la maggior parte della gente sarebbe pronta a scommettere
– in cui mi sono reso conto che il mio infrangere le regole
si stava spingendo un po’ troppo oltre quanto fosse
mediamente consentito. Anche quando ero soltanto un bambinetto smilzo e
chiassoso che si divertiva a sperimentare, ogni volta, quante nuove
rughe riuscivano a comparire sulla fronte e ai lati della bocca della
professoressa McGranitt prima che esplodesse pronunciando le fatidiche
parole: “Signor
Potter, punizione!”.
Se ogni giorno facevo
casino per un minuto in più, il numero di rughe che
compariva prima dell’esplosione diminuiva. Se invece per un
paio di lezioni facevo finta di essere diventato improvvisamente buono
e tranquillo, la volta successiva ottenevo quasi di tirarla per le
lunghe fino al suono della campana. Ma non riuscivo quasi mai a farla
franca. Perché l’adorata Minerva era capace di
rincorrermi fino in capo al mondo, se necessario. Il numero di
punizioni scontate per lei nei miei sette anni di carriera a Hogwarts
era sostanzialmente infinito, anche se negli ultimi due le avevo dato
parecchia tregua. Ora che ci penso, in teoria, la cara e dolce Minerva
avrebbe dovuto abbracciarmi come un figlio e ringraziarmi
perché, finalmente, mi ero deciso a darmi una calmata e a
smetterla di tirare la corda contando le sue rughe.
Insomma, tutta questa
pappardella per spiegare che in teoria anch’io, James Potter
Malandrino di professione, so quando è il momento di
fermarmi.
Solo che, alla fine,
le circostanze non mi aiutano mai a concretizzare questa teoria.
È per questo che finisco nei guai, non perché io
sia così incosciente ed irresponsabile.
Qualche volta si
tratta di Sirius, al quale non so mai dire di no.
Quando poi,
finalmente, riusciamo a tirare in mezzo Remus, la voglia di non
fermarsi raddoppia.
Senza contare che
Peter ci incoraggia sempre, con il massimo dell’entusiasmo, e
diventa davvero difficile deluderlo.
Ok, questa volta non
c’era di mezzo nessuno di loro. Ho fatto tutto da solo.
In realtà
non è proprio vero: la parte divertente, in questo ennesimo
guaio in cui mi sono cacciato, è che Lily è
colpevole almeno quanto me. Perciò, per una volta, non
rischio di essere trucidato in Sala Grande o decapitato nel sonno o
centrato da una raffica di Bolidi liberati abusivamente
mentre mi alleno nel campo di Quidditch.
Questo, devo
ammetterlo, mi fa quasi venire voglia di ghignarmela immensamente.
Però poi
ripenso alle rughe della McGranitt e al fatto che, con quelle rughe ben
accentuate sul viso, ieri notte ci ha detto che verremo convocati da
Silente.
A me sembra davvero
molto, molto esagerato, che diamine.
Era più che
sufficiente una semplice punizione, come le innumerevoli che
già mi ha affibbiato nel corso degli anni. È
vero, forse se n’è dovuta inventare talmente tante
che ormai ha perso la fantasia. Però scomodare addirittura
Silente …
… e va
bene, lo sapevo che prima o poi questo momento sarebbe arrivato. Quello
in cui il nostro amabile Preside, di fronte alla nuda e cruda
realtà, dovrà rendersi conto di aver commesso un
terribile errore e, di conseguenza, per quanto gli dolga, sospendermi
dall’incarico di Caposcuola. Anzi, forse addirittura
sostituirmi. Sostituirmi con Snivellus, perché no. Questo
sì che mi farebbe desiderare istantaneamente la morte.
Però
suvvia, non è che io abbia combinato dei disastri clamorosi
in questi sei mesi d’incarico.
Sono sempre stato
super-mega-gentile con gli studentelli del primo anno –
sì, anche con i Serpeverde. Lily può
testimoniarlo. Non ho reagito neppure quando quelli del nostro anno me
ne hanno aizzati contro un paio durante un gruppo di ripasso prima
delle verifiche trimestrali (questo, ovvero obbligarmi a tenere delle
lezioni di ripasso di Trasfigurazione e Incantesimi a dei piccoli
odiosi Serpeverde, è stato uno degli ultimi colpi di genio
della McGranitt, prima che evidentemente la sua fantasia si esaurisse).
Ho sempre scortato con garbo le scolaresche fino ai confini di
Hogsmeade senza lanciarmi in avanti correndo come un ossesso per
arrivare primo da Mielandia. Ho portato comunicazioni
dall’uno all’altro professore, anche se
Kettlebourne ogni tanto si spaventa ancora nel vedermi comparire nel
suo ufficio. Non ho smesso di pattugliare regolarmente i corridoi
neppure adesso che sto ancora scontando l’odiosa, ingiusta e
meschina punizione di Slughorn, riuscendo comunque a mantenere alta la
mia media scolastica. Insomma, finora sono stato un dio Caposcuola.
Godric Grifondoro sarebbe stato fiero di me, eccome.
Nonostante
ciò, sono stato così sfortunato da essere beccato
in giro di notte oltre l’orario consentito in compagnia della
mia ragazza.
Già,
perché purtroppo non abbiamo il permesso di restare fuori
dai dormitori tutta la notte. Le dieci erano passate da un pezzo quando
è successo tutto il trambusto. Il motivo per cui ci siamo per così dire
trattenuti, posso assicurarlo, non è colpa mia: è
che Lily, ultimamente, con l’arrivo della primavera sta
diventando assatanata. Giuro, non scherzo. E quindi cosa dovrebbe fare
un povero diavolo come me, sobbarcato tutto il giorno di lezioni,
allenamenti, punizioni e compiti, che per giunta la notte è
costretto a rientrare in un dormitorio abitato da altri tre maschi
russanti (e di conseguenza totalmente privo di privacy)?
Certo, non le ho detto
di no. Anche se avevo guardato l’orologio e avevo visto che
era tardi. Va bene tutto, ma non sono mica scemo. E non ho nemmeno
l’autorità sufficiente a tenere fuori Sirius,
Remus e Peter dalla nostra stanza durante il giorno. Sempre se avessi
molto tempo per queste cose, durante il giorno.
Posso comunque
assicurare che avevamo pattugliato tutti i corridoi e i piani di nostra
competenza. Solo che, mentre ci accingevamo a tornare in dormitorio, ci
siamo ritrovati a passare (grazie ad una scala che non ne voleva sapere
di farci salire) nei pressi della Sala Grande. E lì
è finalmente accaduta una cosa che in sei mesi non si era
mai degnata di succedere: sono dovuto intervenire durante una ronda
serale.
Anche se in teoria si
era già conclusa da un pezzo, ma questi sono dettagli
irrilevanti.
Insomma, quello che
è successo è che, passando di lì,
abbiamo sentito delle grida, e come dei pugni che battevano sul
massiccio portone d’ingresso. Lily si è bloccata
con un’espressione piuttosto terrorizzata e io,
all’inizio, ho tentato di sdrammatizzare dicendole che,
probabilmente, si trattava soltanto del Barone Sanguinario.
Ma i colpi non
cessavano, le grida neppure, perciò cominciai a pensare che
forse c’era qualche problema serio.
“Dobbiamo
andare a vedere”, ho detto a Lily. Lei ha annuito e sfoderato
la bacchetta, e io ho fatto lo stesso, dopo aver creduto per un attimo
di averla persa – in realtà ce l’avevo
nella tasca sbagliata. Ho messo via il Mantello
dell’Invisibilità, dopodiché ci siamo
avviati verso l’ingresso. Man mano che ci avvicinavamo,
scendendo le scale di marmo dell’enorme atrio, ci rendevamo
conto che le grida e i colpi dovevano provenire per forza da fuori.
Qualcuno voleva entrare nel castello, disperatamente.
E chissà
chi diamine poteva mai essere, a quell’ora di notte.
A un certo punto,
però, la voce ha urlato “APRITE!”, e a
me è parso proprio che fosse quella di Hagrid. Ho dato una
gomitata a Lily e l’ho messa a parte del mio sospetto,
evitando di soffermarmi sulla sua occhiata fulminante.
“Può
darsi che tu abbia ragione, ma potrebbe essere una trappola”,
mi ha risposto lei, in un sussurro.
“Lo so, ma
Hogwarts dovrebbe essere ben protetta …”
“Non
possiamo dirlo con sicurezza”.
“…
inoltre, secondo te, quale persona con intenti poco amichevoli
è così idiota da venire a bussare direttamente
alla porta?”
“Dobbiamo
fare in modo che si faccia riconoscere, potrebbe benissimo aver preso
le sembianze di Hagrid per ingannarci”.
“Certamente.
Qualche idea su come fare?”
Lily non ha risposto.
I miei tentativi di rassicurare sia lei che me stesso non erano andati
molto bene. Ci siamo avvicinati ancora di più, mentre il
portone veniva scosso da colpi sempre più forti.
Quell’idiota di Gazza, dove si era cacciato in un momento
come questo? Non che potesse rivelarsi utile in qualche maniera, ma
chissà perché, invece, quando ero io quello che
faceva casino in giro per il castello lui finiva sempre per capitare
dalle mie parti …
“APRITE!”
“Oh,
accidenti, Lily, sembra nei guai, dobbiamo farlo!”
“E va bene,
James, va bene! Ma tieni la bacchetta alzata, prima che questa si
riveli l’idea peggiore che tu abbia mai avuto”.
Ovviamente non si
trattava di un inganno. Era veramente Hagrid: siamo rimasti immobili
per dieci secondi con le bacchette puntate, ma lui non ha fatto
assolutamente niente di pericoloso. Si è limitato a
guardarci con espressione disperata, chiedendo che lo portassimo da
Silente.
Ho notato subito che
trasportava una persona a forza di braccia: era una donna con uno
scialle verde, in stato di incoscienza.
“Che
è successo?” gli ho chiesto, incerto, mentre
avanzavamo nella direzione dell’ufficio di Silente.
“Mi spiace,
James, non posso dirvi niente”.
“Ma come?
Quella donna è ferita? Sta bene?”
“Non lo so,
è per questo che ho bisogno di Silente. Eravamo di
pattuglia, stanotte, io e lei e Dedalus, e poi siamo stati attaccati,
Emmeline ha perso i sensi e non ho idea di che tipo di incantesimo
l’abbia colpita … sapete, io … sono
stato espulso e certe cose … certe cose non le ho mai
imparate …”
Gli occhi di Hagrid
avevano iniziato ad inumidirsi di lacrime. Lily, a fianco a me, non
diceva una parola.
“Non volevo
che morisse solo perché io non sapevo cosa fare, lo capite,
vero? È per questo che sono scappato, non perché
avessi paura dei Mangiamorte. Ma quando sono arrivato davanti al
portone di Hogwarts mi sono ricordato di aver perso le chiavi qualche
giorno fa, per questo mi sono messo ad urlare …
scu-scusate”.
A dispetto del fatto
che avesse affermato di non poterci dire niente, Hagrid ci aveva appena
raccontato tra le lacrime quasi tutto ciò che era successo.
Quando eravamo quasi arrivati da Silente, tuttavia, abbiamo incontrato
la McGranitt. È stata lei a prendersi carico di Hagrid, ma
prima di allontanarsi con lui ci ha rispediti immediatamente a letto e
ha detto che domani ci avrebbe portati dal Preside.
Lily ha continuato ad
essere taciturna durante tutto il tragitto di ritorno fino alla Torre
di Grifondoro e non sono riuscito a renderla granché
partecipe della discussione – o meglio, del monologo
– su quale diamine fosse questa segreta occupazione di Hagrid
e sul perché si fosse trovato in una situazione del genere.
Probabilmente, era preoccupata di vedersi revocare il distintivo di
Caposcuola almeno tanto quanto me.
*
Il giorno dopo, mentre
usciamo dalla lezione di Erbologia, Lily aspetta un po’ prima
di farmi notare quanto sono stato eccezionalmente silenzioso durante
tutta la prima ora della mattinata. Mi sono accorto che lei, dopo
averci dormito su, sembra aver preso abbastanza con filosofia la
convocazione di stasera nell’ufficio del Preside, non essendo
incline all’impazienza come il sottoscritto; tuttavia, per me
la faccenda è un pochino diversa. L’ultima volta
che mi sono trovato faccia a faccia con Silente, lui mi ha praticamente
riassunto la mia vita senza in realtà avervi mai preso parte
in chissà che maniera.
“Lily”.
“Uh?”
“Non ti
è mai capitato di essere convocata da Silente da
sola?”
“In
effetti, ora che ci penso, no”.
“E la cosa
non ti spaventa neanche un po’?”
“Non riesco
a capire dove vuoi arrivare. Mi stai dicendo che dovrei avere
paura?”
Mi stringo nelle
spalle, lievemente contrariato.
“Io ne
ho”.
Ride. Lo sapevo, che
l’avrei fatta ridere. Mi si avvicina e mi prende
sottobraccio, accarezzandomi una guancia con il dorso della mano.
“Povero
piccolo. Non ti devi preoccupare, lo stregone cattivo non ti
farà del male. Ci penserà la mamma a proteggerti
…”
“Oh, come
sei rassicurante. Non potresti mai sperare di trarre in inganno tuo
figlio con questo tono così apertamente
sarcastico”, borbotto, scuotendo la testa. Nonostante si
tratti di una palese presa in giro nei miei confronti, non riesco a
fare a meno di emozionarmi ancora per qualche stupida carezza.
Sì, sono pazzamente innamorato, va bene? Non vedo
perché io debba sentirmi così ridicolo. La gente
cade dalle scale, si ustiona la lingua con il the bollente, riceve un
predicozzo dalla Vector durante una lezione noiosa, si perde a
Hogsmeade quando ci mette piede per la prima volta e si innamora anche
… non è mica così anormale, la mia
vita.
“Scherzi a
parte, perché hai paura di Silente?” mi chiede
Lily, ritornando immediatamente seria e fissandomi con la
curiosità nello sguardo. Io cerco di tergiversare,
bofonchiando qualche scusa e facendo smorfie incerte.
Ma lei non demorde.
“Dai,
dimmelo. Non ti prendo in giro”.
Le riserbo
un’occhiata scettica. Crede davvero che abbocchi
così facilmente?
“Davvero.
Promesso”.
“Aspetta a
promettere. Devo assicurarmi che non incroci le dita”.
“I cinque
anni li ho passati da un pezzo, James”.
“E va bene.
Ma se sento anche solo un accenno di risata, avrai il piacere di farti
un altro bagno insieme al sottoscritto”.
La osservo
trasformarsi in una maschera di rossore e mi metto a gongolare
silenziosamente. Evans zero, Potter uno.
“In fondo
non dovrebbe dispiacerti, l’altra volta ci siamo
divertiti”.
“L’altra
volta mi hai tolto i vestiti di dosso contro la mia
volontà!”
Due ragazze di
Tassorosso del quarto anno ci passano di fianco guardandoci di
sottecchi, nel tentativo di reprimere una risata maliziosa.
“Ben fatto,
cara. Ora tutta la scuola penserà che sono uno stupratore
provetto”.
“Che dovevo
fare, inventarmi su due piedi una versione edulcorata della
faccenda?”
“Ma hai
rovinato la mia, di reputazione! Crederanno sicuramente che tu sia
stata in grado di difenderti. Fidati, nessuno scoprirà mai
che in realtà alla fine hai capitolato e sei scivolata in
quella vasca di tua spontanea volontà …”
Non facciamo nemmeno
in tempo a girare l’angolo che ci troviamo davanti un gruppo
di ragazzi di Grifondoro del quinto anno, che cominciano a fischiare al
nostro passaggio.
Mentre continuo a
camminare, mi volto verso Lily. Sembra quasi non respiri, nello sforzo
di trattenere la rabbia.
“Ti conviene
stare molto attento alla prossima cosa che dirai, perché ho
la bacchetta a portata di mano e non ho paura di usarla”,
sibila, minacciosa. Io ridacchio, divertito.
“Grazie per
avermi avvisato”.
“Non
c’è di che!”
Imperturbabile, mi
avvicino e le metto un braccio intorno alle spalle.
“Non vuoi
sapere di Silente?”
“Oh, e va
bene, va bene”.
Sogghigno sotto i
baffi, soddisfatto. Evans zero, Potter due. Oggi è proprio
la mia giornata.
Tuttavia, adesso viene
la parte peggiore.
Ma James Potter
è coraggioso. James Potter è l’orgoglio
di Grifondoro. James Potter non ha paura del Preside.
“Uhm, ti
ricordi di quando ti è arrivato il distintivo di
Caposcuola?”
Lily annuisce.
“Come hai
reagito?”
La osservo chinare la
testa, facendo vagare lo sguardo sul pavimento in un attimo di
incertezza.
“Beh, ho
semplicemente tentato di nasconderlo alla mia famiglia,
perché volevo evitare altre manifestazioni di gioia che
avrebbero finito per farmi guadagnare di nuovo il disprezzo di mia
sorella. Non volevo seccature, mettiamola così”.
Rimango a fissarla in
silenzio, rendendomi conto che non mi aspettavo di certo una risposta
del genere. Avevo già intuito varie volte che i suoi
rapporti con la sorella non erano dei migliori, ma non avevo
esattamente idea di che cosa ci fosse che non andava. Pensavo si
trattasse di semplice antipatia familiare.
“Che
aspetti? Va’ avanti”, mi riprende lei un attimo
dopo, risvegliandomi di colpo dai miei pensieri. La mia innata sagacia
mi permette di comprendere che non ne vuole parlare, perciò
mi schiarisco la gola e ritorno al discorso iniziale.
“Bene, ecco,
la mia reazione è stata di pensare che Silente fosse
diventato pazzo. Gli ho scritto per chiedere chiarimenti e lui si
è presentato a casa mia, abbiamo parlato e … a
parte il fatto che è veramente
pazzo, mi ha detto delle cose di me, che non ho mai capito da che cosa
abbia potuto dedurre …”
Lily inarca lievemente
un sopracciglio.
“Che Silente
sia un Legilimens molto abile non è certo un
mistero”.
“Sì,
ma se mi ha già esaminato i pensieri una volta niente gli
impedisce di farlo di nuovo, e se lo fa, addio al nostro piccolo
segreto”.
“Vuoi dire
Remus?”
“Aha”.
“Quindi
vorresti metterti a studiare Occlumanzia in vista della convocazione di
stasera?”
“No, no
… sono solo un po’ nervoso”.
Mi infilo le mani in
tasca, rallentando il passo. Lily mi getta un’occhiata di
sbieco.
“Cosa ti ha
detto Silente di così terribilmente scioccante?”
“Beh, ecco,
niente di che … mi ha detto che ho scarsa stima di me
stesso, che sono maturato in questi anni, e poi qualcosa a proposito
della necessità di gettare la mia vecchia
maschera”.
Lily assume
un’espressione intenerita. Io mi sento terribilmente in
imbarazzo. Non mi piace pensare a com’ero e a come mi
comportavo prima di arrivare a capire che in quel modo ottenevo
soltanto di farmi detestare da lei, e soprattutto non mi piace
ricordarglielo. Probabilmente avrà anche fatto fatica a
sopportare tutte le volte in cui le sue amiche saranno andate a
chiederle cose del tipo “Ma
stai davvero con quell’idiota di James Potter? Ma mica lo
odiavi?”. Insomma, sono a disagio. Profondamente
a disagio.
“Chissà
che faccia devi aver fatto, povero piccolo”, mi dice lei,
accarezzandomi la nuca. Io stringo le labbra. I suoi istinti materni
oggi sembrano essere particolarmente acuti.
“Dev’essere
stato traumatizzante sentirsi dire la pura e semplice
verità, in effetti”.
“Non puoi
capire. Tu magari te l’aspettavi, io non me l’ero
nemmeno mai sognato di diventare Caposcuola. Mi sarei stupito di meno
se mi avessero detto che Vitious è cresciuto di trenta
centimetri”, bofonchio, indispettito. Lei mi sorride,
tenendomi la mano.
“Beh, mi
pare che finora tu non ti sia rivelato proprio un completo disastro.
Perciò smettila di essere così pessimista, muovi
le gambe e andiamo in classe”.
E va bene, va bene.
Evans uno, Potter due. Ma quello in vantaggio, per il momento, sono
sempre io.
*
Ultimamente mi succede
spesso di trascorrere una quantità considerevole del mio
tempo insieme a James, Sirius, Peter e Remus. Non saprei dire con
esattezza come ho fatto ad entrare nel giro, ma probabilmente
è stato merito di James: se lui non avesse deciso di darmi
fiducia agli occhi di tutti loro mettendomi a parte dei loro segreti,
non credo che mi avrebbero mai accolta in maniera assoluta
all’interno della cerchia più esclusiva di tutta
Hogwarts. L’alone di mistero che li ha sempre circondati ha
inevitabilmente interessato anche me, ogni tanto; era impossibile non
domandarsi mai per quale motivo, a un certo punto, avessero iniziato a
chiamarsi con degli strani soprannomi, o perché trovassero
così interessante andare sempre in giro per la scuola. Ora
che so tutto, inevitabilmente, non posso più considerarmi
una Caposcuola ligia al dovere. O forse, addirittura, dovrei iniziare a definirmi – come
dice James – il
quinto Malandrino.
Merlino, chi
l’avrebbe mai detto che sarei finita in una situazione del
genere.
In ogni caso, questo
nuovo cambiamento è piacevole: tutti e quattro messi insieme
sono spassosi e non cessano di esserlo neppure a fine giornata. Sono
terribilmente diversi l’uno dall’altro, eppure
condividono gli stessi ideali: è proprio per questo che io e
James non abbiamo avuto un attimo di esitazione nel correre da Sirius,
Remus e Peter per metterli al corrente di quanto Silente ci ha rivelato
durante il colloquio.
“Siete sicuri
di potercene parlare?” domanda Remus, con aria lievemente
incerta. Io faccio un gesto con la mano per tranquillizzarlo.
“Puoi contarci, ci ha
detto lui di discuterne con chi avessimo ritenuto degno di assoluta
fiducia”.
Lui annuisce,
dopodiché restiamo in silenzio per qualche secondo, seduti
sopra i letti del dormitorio maschile del settimo anno. La confusione
regna sovrana: cuscini sulle scrivanie, libri gettati dentro i
calderoni di Pozioni, pacchetti di caramelle di Mielandia sopra pile di
calzini piegati, figurine delle Cioccorane appiccicate sulle testate
dei letti, il manico di scopa di James infilato nel portaombrelli e
agghindato con un cappello e una sciarpa di lana. Sospiro tra me,
rassegnata; in fin dei conti, non c’era un altro luogo
privato dove svolgere quella conversazione senza infrangere il
coprifuoco serale.
“Beh, dai,
non teneteci sulle spine”, ci esorta Sirius. “Siete
riusciti a capire cosa sia successo esattamente ieri notte?”
“Sì,
diciamo di sì”, gli rispondo io. “La
donna che Hagrid ha portato al castello si chiama Emmeline Vance ed
è una persona che Silente conosce molto bene. È
stata ferita durante uno scontro, ma Silente e la McGranitt
l’hanno soccorsa in tempo. Ora si trova al San Mungo e
dovrebbe essere fuori pericolo”.
“E
perché Hagrid diceva che non poteva raccontarvi niente, se
Silente invece l’ha fatto?” domanda Peter, curioso.
“È
una storia piuttosto lunga”, gli rispondo. “Spieghi
tu, James?” lo invito, allungandogli un buffetto sul braccio.
Ci scambiamo un’occhiata d’intesa,
dopodiché lui inizia il suo discorso, calandosi in pieno
nella sua nuova parte: quella della persona seria.
“Insomma,
ragazzi … Silente ci ha raccontato un po’ di cose,
cose terribili, a dire la verità. Dice che tutte quelle
sparizioni misteriose, di cui parla il Profeta, sono persone che
vengono messe fuori gioco da un solo mago, quello che chiamano
Colui-che-non-deve-essere-nominato”.
“Nessuno
conosce il suo vero nome?” domanda Peter.
“Voldemort.
Si fa chiamare così”, risponde Sirius, attirando
tutti gli sguardi su di sé. Lui si stringe nelle spalle,
ostentando noncuranza.
“Non
stupitevi se vi dico che la mia famiglia lo sostiene da sempre. Sperano
che dia una bella ripulita al mondo magico, cacciando dalla
comunità tutti i figli di Babbani”.
“Allora
è per questo che tuo fratello sta con quella
gente?”
“Probabile,
anche se principalmente credo che lo faccia perché
è un povero scemo bisognoso di sentirsi qualcuno. Ma, ehi,
qui stiamo uscendo fuori tema. Dicevi, James?”
Lo osservo prendere
fiato, per l’ennesima volta.
“Insomma,
Silente ha detto che Voldemort …”
“Non
chiamarlo così, James, mette i brividi”, implora
Peter, con aria preoccupata.
“Andiamo,
Wormtail, se lo nomini non si Materializzerà di certo
davanti a te!” sbotta Sirius, sarcastico. Peter assume
un’aria contrita.
“Ci
sarà un motivo se nessuno lo chiama per nome
…”
“Non fa
niente, non è questo il punto”, riprende James.
“Il fatto è che la situazione è molto
più grave di quello che scrivono sui giornali.
Voi-sapete-chi non ha solo intenzione di conquistare il mondo magico:
ha anche intenzione di distruggere ogni contaminazione esistente fra i
maghi e i Babbani. Un sacco di sparizioni e omicidi di Babbani sono
collegate a lui, anche se i nostri giornali non ne parlano. Inoltre,
sta arruolando seguaci ovunque. Vuole avere dalla sua parte i Giganti,
i Dissennatori, i Vampiri e perfino gli studenti di Hogwarts
– quelli che secondo lui ne sono meritevoli,
ovviamente”.
“E vogliamo
provare ad indovinare quali siano questi studenti?” domanda
Sirius, retorico.
“Intendi
quelli di Serpeverde?” risponde Peter. “Sarebbe per
questo che hanno sempre quell’aria cospiratoria e che si
fanno chiamare ‘gli aspiranti’, perché
vogliono unirsi a Voi-sapete-chi?”
“Esatto.
Aspiranti Mangiamorte. È così che si definiscono
i seguaci di Voldemort – ehm, sì, scusa, Pete.
Comunque, Silente ha detto che i Mangiamorte non sono così
pochi come si legge sui giornali. Un sacco di persone nel mondo magico
stanno iniziando ad unirsi a Voi-sapete-chi, perché pensano
che le sue idee siano giuste”.
“Prongs, noi
potremmo fare dei nomi a Silente senza pensarci due volte”.
“Gliel’ho
detto anch’io, ma ha ragione lui … non si
può agire preventivamente contro qualcuno. In fondo, noi non
abbiamo prove. Sappiamo che usano le Arti Oscure, ma non assisteremo
certo alla loro iniziazione”.
Non posso fare a meno
di pensare che Severus sia uno di loro, e a quest’idea mi si
stringe il cuore. Non so davvero come ho fatto a non rendermene conto
fin dall’inizio, come ho potuto essere così cieca
ed ingenua.
“Ad ogni
modo, la donna che ieri sera è stata portata al castello da
Hagrid è rimasta ferita in uno scontro con i Mangiamorte.
Silente ci ha raccontato tutto perché ormai avevamo visto e
sentito ogni cosa, ma poi il discorso è andato avanti. Ed
è ora che inizia la parte più
interessante”.
Il silenzio che
è calato nella stanza è oltremodo innaturale. In
tutte le mie visite al dormitorio maschile non ho mai sentito una tale
calma, neppure nei momenti in cui abbiamo deciso di dedicarci allo
studio. Hanno tutti assunto la stessa espressione concentrata.
“Silente ci
ha spiegato che Emmeline Vance è rimasta ferita non
perché sia capitata per caso sulla strada dei Mangiamorte,
ma perché ha scelto di far parte di
un’organizzazione che cerca di combattere
Voldemort”.
Mi soffermo ad
osservare James, rendendomi conto che quasi non sembra lui. Non
c’è più alcuna traccia, sul suo volto e
nel suo tono di voce, della sua abituale ironia fanciullesca. Mi sembra
quasi di avere accanto un’altra persona, più
adulta, più matura.
“Che genere
di organizzazione?” domanda Remus.
“Niente di
ufficiale. Non dipendono dal Ministero. Silente ha radunato intorno a
sé gente di cui sapeva di potersi fidare, persone che non
avevano dubbi riguardo alla parte da cui stare. L’ha chiamato
l’Ordine della Fenice”.
“E cosa fanno
di preciso?” chiede Peter.
“Beh, un
sacco di cose”, risponde James. “Si infiltrano fra
i Mangiamorte, fanno in modo di prevedere i loro piani. Proteggono chi
si trova in pericolo. Cercano di evitare che la gente passi dalla parte
di Voldemort. Si impegnano per togliergli ogni arma possibile,
insomma”.
Sirius,
improvvisamente, solleva un angolo della bocca in un sorriso sghembo,
guardando James negli occhi.
“Credo di
aver capito dove vuoi arrivare”, gli dice, e James in tutta
risposta esibisce un sorriso molto simile, quasi speculare.
È incredibile il modo in cui questi due si riescono ad
intendere all’istante.
“Insomma,
qualcuno vuole spiegare anche a noi?” chiede Peter,
impaziente.
“Abbiamo
chiesto a Silente di entrarci”, gli spiego io. Lui sgrana gli
occhi, sorpreso.
“Cosa
… perché?”
“Beh,
perché sarebbe sicuramente meglio che stare a
guardare”, risponde James, semplificando in maniera efficace il
moto impulsivo che ci ha spinti, dopo esserci scambiati
un’occhiata, a non trattenerci dal fare quella proposta al
Preside.
“Ma
sarà pericoloso”, obietta Peter.
“Sarà
pericoloso in ogni caso, una volta che saremo usciti da Hogwarts. Chi
non è con lui è contro di lui, e non credo
proprio che nessuno di noi intenda stare dalla sua parte”.
“Questo
è assolutamente fuori discussione”, commenta
Remus, dando verosimilmente voce ai pensieri di tutti, nonostante
nessuno di noi, probabilmente, avesse mai pensato ad attuare una
prospettiva del genere una volta fuori da Hogwarts. Qui dentro siamo ci
sono mille cose di cui occuparsi che non riguardano il mondo esterno, e
noi siamo ancora gli studenti che beneficiano della protezione degli
adulti, anche se siamo ormai quasi tutti maggiorenni. Ma il giorno dopo
il diploma ci ritroveremo abbandonati a noi stessi, fuori da queste
mura, armati soltanto delle nostre bacchette e di ciò che
avremo imparato qui dentro.
“C’è
dell’altro, James?” chiede Remus, risvegliandomi
dai miei pensieri.
“Silente era
contento della nostra proposta, ma ha detto che dobbiamo pensarci bene.
L’importante è mantenere il segreto e avere
coscienza della responsabilità che comporta una scelta di
questo genere”.
“Quindi
potremo riparlarne una volta finiti gli esami”, osserva Remus.
“Sì,
penso sia meglio così”, rispondo io, poi torno a
guardare James negli occhi; fino a quel momento abbiamo parlato
entrambi, cercando di usare un tono consono ma non eccessivamente
allarmante, però ora ho bisogno di sentirmi rassicurata dal
suo sguardo, di leggervi calma e sicurezza. Dalla sua espressione mi
accorgo che lui sta cercando la stessa cosa in me, perciò
finiamo per rinfrancarci silenziosamente a vicenda, rendendoci conto
che abbiamo entrambi paura del futuro, di quel futuro.
Stringo forte le dita
intorno alle sue. È l’unica strada possibile:
nessuno di noi due accetterebbe mai di stare dall’altra parte.
Immagino che sia anche
per questo che lo amo.
“Comunque,
per quanto mi riguarda è già deciso”,
sentenzia Sirius, con solennità. “Combatteremo
insieme e poi probabilmente faremo una fine orrenda, ma non prima di
aver spaccato il culo ad un bel po’ di Mangiamorte”.
James scoppia a ridere
e l’attimo dopo lo imitano tutti quanti, rompendo
così la cappa di tensione che fino a quel momento gravava su
di loro. Forse è la reazione più giusta, per
quanto le parole di Sirius non avessero il sapore di una battuta: per
il momento siamo ancora a Hogwarts, possiamo concederci senza troppi
rimorsi gli ultimi mesi di spensieratezza.
Mi ritrovo ad
accarezzare il braccio di James con aria distratta, trovando conforto
nel suo sorriso di gratitudine per quel piccolo gesto.
Oh,
all that I know
There’s
nothing here to run from.
'Cos
yeah, everybody here's got somebody to lean on.
(Coldplay, Don’t
panic)
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