Between You And The Giant Squid

di Sophie Hatter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Complotti ***
Capitolo 2: *** Coda di paglia ***
Capitolo 3: *** Mani nel sacco ***
Capitolo 4: *** Cioccorane in segno di pace ***
Capitolo 5: *** Un bizzarro viaggio di ritorno ***
Capitolo 6: *** Le follie di Albus Silente ***
Capitolo 7: *** L'importanza di essere Caposcuola ***
Capitolo 8: *** Gita a Hogsmeade ***
Capitolo 9: *** Il giorno fortunato di James Potter ***
Capitolo 10: *** Colloportus ***
Capitolo 11: *** Tutta colpa della pelle di Girilacco ***
Capitolo 12: *** Sull'orlo di una crisi di nervi ***
Capitolo 13: *** Coincidenze di luna piena ***
Capitolo 14: *** Lettere a Natale ***
Capitolo 15: *** Il piccolo problema peloso ***
Capitolo 16: *** Un abbraccio e un incanto Patronus ***
Capitolo 17: *** L'Ordine della Fenice ***



Capitolo 1
*** Complotti ***


Capitolo 1
Nota d'inizio fanfiction: questa storia, per chi se la ricorda, è nata nel lontano 2007 (mamma mia, come sono vecchia ._.) ed era inizialmente divisa in due, ovvero la versione di James e la versione di Lily. Dopo anni di assenza ed infruttuosità, qualcosa ha fatto "scattare la molla"; ho così deciso di riprenderla in mano, revisionarla e modificarla in modo che risulti compatibile con HP7 (la precedente versione era stata scritta prima dell'uscita del libro, quindi per forza di cose conteneva delle incongruenze). Ho anche scelto di unire i due punti di vista, di modo da dare così una visione completa del complesso processo di maturazioni e cambiamenti che ho ideato: spesso mi ritrovavo a dover spiegare dei comportamenti di Lily nella storia scritta dal solo punto di vista di James, mentre così, a scapito della maggior lunghezza dei capitoli, quelle delucidazioni noiose non sono più necessarie. Porto ancora nel cuore con immenso orgoglio e affetto le bellissime e numerose recensioni che avevo ricevuto durante la prima pubblicazione, che mi avevano dato davvero tanto; sperando di ritrovare qualcuno dei vecchi lettori, inizio col ripubblicare questa storia che tanto mi è cara, e che mi auguro di aver reso ancora migliore di prima.




Capitolo 1 - Complotti

 
 

 
“È quello che accade a tutti, papà; una metà della gente non comprende i divertimenti dell’altra metà”.

(Jane Austen, Emma)
 
 
 
19 maggio 1977

“Sai … a vederti così, alle volte, sembra quasi che tu ci abbia davvero rinunciato”.
Alzo lo sguardo, che avevo fisso nel vuoto fino a un secondo fa, voltandomi verso Sirius.
“Dici sul serio?” gli domando, con una voce che suona intontita alle mie stesse orecchie. Nemmeno mi ricordo più quello a cui stavo pensando; mi ero completamente perso fra i miei pensieri dopo che, per l’ennesima volta durante il corso di quella noiosa lezione di Incantesimi, avevo fatto sollevare e muovere il corpo di Peter, alle volte divertendomi a fargli imitare i saltelli che Vitious eseguiva sulla cattedra mentre ci spiegava il corretto movimento della bacchetta.
“Già. Dico sul serio. Poi però basta aspettare il limpido suono della campanella di fine lezione …”
… e la campanella suona. Mi domando che razza di poteri di preveggenza abbia acquistato Sirius tutto d’un colpo, nonostante non abbia mai seguito con interesse una sola lezione di Divinazione. Con la coda dell’occhio catturo il riverbero di un ammasso di capelli rossi; storco lo sguardo solo leggermente, prima di tutto perché so che il mio caro migliore amico è sempre pronto a rimproverarmi per le eccessive attenzioni che le dedico e poi perché non voglio stare a fissarla a bocca aperta per fare davanti a tutti la figura dell’idiota, come facevo un tempo. Ultimamente, forse ho imparato ad acquisire un briciolo di amor proprio.
“… Lei si alza, tu la osservi …”
Sì, la osservo cercando di non farmi notare, anche se è praticamente impossibile. Le sue mostruosamente pettegole amiche, nonché nostre compagne di Casa, le stanno sempre attorno con lo sguardo puntato su di me, attente ad ogni mia singola mossa, per poi prendere la rincorsa e andare a riferirle ogni cosa. Le solite stonature in un panorama che potrebbe essere idilliaco.
“… e vieni immancabilmente attirato dal fondo della sua gonna, sperando che una volta o l’altra si sollevi quel tanto che basta a farti intravedere qualcosa là sotto”.
La mia faccia è pietrificata. Un fuoco mi sale alle guance, percorrendomi le orecchie fino alla punta. Mi volto lentamente verso Sirius e sono sicuro che in questo momento il mio sguardo è eloquentissimo.
Sento Peter scoppiare a ridere di gusto, divertito dalla fine battuta del mio migliore amico.
“Non dargli corda, Pete, ti prego”, lo imploro.
Torno a concentrarmi su Sirius, squadrandolo, come se volessi inchiodarlo al muro.
“Non guardarmi così, non dire che non è vero”.
Storco lievemente la bocca in una smorfia di disappunto.
“Stando a contatto con te, la tua abitudine legata alle osservazioni pervertite mi è ormai divenuta disgraziatamente familiare. Tuttavia, in questo caso, posso assicurarti che non stavo pensando a niente di quel genere”.
Calco le parole, sperando che capisca. E che sia in grado di comprendere che la sua indelicatezza non ha limiti, quando se ne esce con certe battute fuori luogo davanti a tutta la classe.
“Tranquillo, tanto non ci fa più caso nessuno. Il tuo è un classico di Hogwarts, ormai. Tra poco diventerai un noioso manoscritto in piena regola: gli sguardi innamorati e i languidi sospiri non ricambiati del giovane James Potter. Sicuro di non voler cambiare ragazza?”
Continuo a tenere lo sguardo puntato su di lui, senza cambiare espressione. È ovvio che non vuole capire.
“Cominci a diventare noioso anche tu. Perché non ti trovi un passatempo più costruttivo, invece?”
In questo momento vorrei baciare Moony, per ringraziarlo del suo pronto intervento. Ho sempre pensato che quelle poche parole che si lascia sfuggire con parsimonia riscuotano ogni volta la massima efficacia.
“Grazie di avermelo ricordato, giusto ieri stavo facendo programmi riguardo alla finale di Quidditch”, ribatte Sirius, mentre un ghigno compiaciuto gli affiora sul volto.
“Che programmi, Pads?” domanda eccitato Peter.  Io inclino il capo, incrociando le braccia con disappunto.
“Non è ancora detto tutto e gradirei che tu evitassi di fare la parte dell’uccello del malaugurio. Non vorrei dover ricorrere a rimedi estremi per scongiurare la sfortuna”.
“Vincerete, razza di idiota, i Serpeverde non sono certo alla vostra altezza”.
È quasi amorevole, il mio Sirius, quando mostra tutta questa sconsiderata e irrazionale fiducia in me, probabilmente con solo scopo di farmi tacere.
“Dato che non hai letto il mio destino nelle foglie di the, con quale giustificazione pensi di poter già organizzare qualcosa? Se dovessimo … insomma …”
“… perdere?”
“Shh, Pete! Non dirlo ad alta voce, non voglio che la sfortuna si abbatta su di me!” intimo a Wormtail, abbassando la voce.
“Scusa, James”.
“Non fa niente, ma dimenticati di averlo detto”.
“Sono solo congetture, James, lascia perdere le paranoie”.
“Te ne faresti anche tu al mio posto, caro Moony”.
“Beh, stammi a sentire. Ho pensato a tutto. Se vincete, facciamo scoppiare il casino per festeggiare e dimostrare la nostra superiorità di Grifondoro. Se le cose vanno diversamente, allora il casino scoppia per puro spirito sovversivo”.
Incrocio lo sguardo complice di Sirius, con un sorriso di soddisfazione.
“Ho un amico dotato di un’intelligenza perversa”.
“Non cercare di passare per l’angioletto di turno, stai già sbavando all’idea di quello che potremo combinare”.
Rido. È vero, Sirius mi conosce bene. Adoro questo lato della mia vita, questo modo di impiegare le mie capacità inventive, di cercare sempre un modo per inscenare l’ennesima malandrinata e poi scampare alle conseguenze. Ma anche quando veniamo inesorabilmente puniti, il castigo non è mai sufficiente a sedare i nostri spiriti inquieti; è una sfida costante, qualcosa che ci spinge a voler superare noi stessi.
“Che cos’hai in mente di preciso?” gli domando, chinandomi sul banco. Il capannello si forma in modo del tutto naturale, estraniando di colpo il resto del mondo. È un gesto automatico, un chiaro segno di riconoscimento del fatto che, seppure cercando di essere discreti, stiamo evidentemente architettando qualcosa di losco.
“Una cosa in grande stile. Vittoria o no, siamo alla fine dell’anno. Ci vuole un colpo grosso”.
Annuisco, scrutando gli occhi febbrili di Sirius. Probabilmente i miei stanno scintillando allo stesso modo. Peter fa da spalla a Sirius, che è comodamente appoggiato su di lui, dato che il nostro Wormtail gli arriva giusto a quell’altezza. Remus ci osserva tutti con il suo sguardo ermetico, penetrante. So già che non approva, ma in un modo o nell’altro coinvolgeremo anche lui, come al solito.
“Avanti, voglio i dettagli”.
“Non preferiresti che sia una sorpresa in tuo onore? Sai, per festeggiare il nostro Cacciatore preferito …”
Ma non ci penso neanche, non ho assolutamente voglia di morire dalla curiosità.
“Poche storie, vuota il sacco”.
“Bene, l’hai voluto tu. Allora, dato che è un piano complicato, sono previste diverse fasi …”
La tensione nel nostro capannello si fa palpabile, siamo tutti lì che pendiamo dalle sue labbra e lui, orgogliosamente fiero di avere in pugno la nostra attenzione, lascia che l’attesa ci logori per qualche secondo.
“La fase uno”, comincia Padfoot, con una pausa enfatica, “prevede l’organizzazione della festa clandestina più grande della storia di Hogwarts. Il che implica naturalmente di infiltrarci nelle cucine e di sgraffignare quanto più cibo possiamo”.
“E dimmi, Sirius, dove pensi di nascondere tutta questa fantomatica quantità di cibo, dentro i tuoi calzini?”
“Non fare il guastafeste, Moony, questi sono dettagli assolutamente irrilevanti al momento”.
“Come vuoi, ma ti proibisco di trasfigurare l'armadio del dormitorio in un frigorifero”.
Osservo divertito Sirius gettare un’occhiata interdetta a Remus con la fronte visibilmente corrugata.
“Che diavolo è un frigorifero?” gli chiede, storcendo la bocca.
“Un elettrodomestico”.
“Un che?!”
“Lo usano i Babbani, serve a … oh, lascia perdere”.
Scoppio a ridere, è più forte di me. Remus ci prova a non far sentire Sirius un ignorante in materia babbana, ma alle volte la tentazione diventa troppo forte anche per lui.
“La fase due”, ricomincia Sirius, catturando di nuovo la mia attenzione all’istante “prevede che ci intrufoliamo nelle cantine di Mielandia per portare via parecchie bottiglie di Idromele”.
Il discorso comincia ad entrare nel vivo. Sorrido, aspettando il seguito.
“La fase tre, infine, prevede che con un piccolo ed innocente incantesimo modifichiamo l’Idromele per conferirgli tutti gli effetti di una potente pozione lassativa”.
La risata mi deforma il viso. Non ce la faccio a rimanere serio, è più forte di me: sembriamo un branco di malintenzionati professionisti. È per questo che amo la vita di Hogwarts. Se c’è qualcosa che mi fa girare le scatole, se mi annoio a morte o se banalmente non so come impiegare il mio tempo in modo costruttivo, so che ho sempre la possibilità di divertirmi nel modo più eccitante e pericoloso possibile. Questo perché solo noi possediamo delle menti così diaboliche da inventare passatempi simili, ovviamente.
“E in che modo hai intenzione di …”
Un colpo di tosse volutamente forzato mi fa sobbalzare in modo talmente violento da farmi picchiare una ginocchiata contro il banco.
“Evans, che diavolo vuoi?” inveisce Sirius, seccato per essere stato interrotto sul più bello. Moony abbassa lo sguardo con aria lievemente contrita, mentre Peter mi si avvicina, come se volesse difendermi.
Io fronteggio l’oggetto dei miei più reconditi desideri calandomi sul volto una maschera di provocatoria curiosità.
“Potter e Black, credo debba esservi sfuggito che abbiamo lezione nei sotterranei, in questo momento. Slughorn mi ha mandato a cercarvi per assicurarsi che non vi siate dimenticati di lui”, dice, guardando me e Sirius. La sprezzante ironia che traspare dalla sua voce con aria di sfida mi fa quasi sorridere, ma mi mantengo serio e compunto, come ormai mi sono abituato a fare in sua presenza. Più di una volta mi sono ritrovato a riflettere sul fatto che crescere significa inevitabilmente cambiare, andare incontro a una maturazione più o meno definita. Ma io alle volte non mi riconosco più e questo fatto ha dell’incredibile: arrivo a domandarmi quale fosse in realtà il vero me stesso, quello che davvero rappresentava la mia essenza. Dopodiché, mi mando al diavolo. Sono tutte inutili elucubrazioni prive di importanza, finché sono soddisfatto di quello che sono ora.
“Perdonaci”, le dico, fissandola diritto negli occhi, con una sottile sfacciataggine che rappresenta solo l’ultimo stadio evolutivo di quell’ingenua boriosità che sfoggiavo in modo quasi innaturale di fronte a lei fino a un anno fa. “Sai com'è, troppe distrazioni. Colpa del Quidditch”.
La guardo prendere fiato e la blocco sul nascere: “Considera seriamente l’ipotesi di trascorrere una notte a sedare i festeggiamenti dei Serpeverde prima di augurarmi di perdere. Andiamo, Evans, fare un po’ di tifo per la tua squadra non ti farebbe male”.
Le sorrido, con aria totalmente innocente. Le cose tra noi non vanno granché bene, di progressi sostanziali pare che io non ne abbia fatti rispetto agli anni precedenti. Ora parliamo, ogni tanto, questo sì; ma si tratta pur sempre di conversazioni brevi e poco significative, in cui lei tenta comunque, più o meno sottilmente, di ridurmi al silenzio con una delle sue battute ad effetto poco carine. Che devo farci, io la prendo con filosofia.
Lily sostiene il mio sguardo con spavalderia. Una punta d’ira le colora le guance, la sua occhiata si fa più intensa, le sue labbra sembrano pronte a rovesciarmi addosso altro veleno, ma alla fine si limita ad inspirare profondamente.
“Se non vuoi rischiare di mandare a monte la finale ti conviene muoverti, oggi Slughorn sembra essere di pessimo umore. Inutile dirti che, se decide di metterti in punizione, nel migliore dei casi rischi di saltare gli ultimi allenamenti e di conseguenza di giocare da schifo, nel peggiore invece ti verrà preclusa anche la possibilità di partecipare alla partita, e allora sarai tu a dover fronteggiare i festeggiamenti dei Serpeverde”.
Rido, divertito. È sempre capace di tirare fuori il meglio di sé quando si tratta di rivolgermi la parola. Alle volte mi viene da pensare che certe frasi se le studi in segreto durante la notte e le provi davanti allo specchio tutte le mattine. Nemmeno quando si tratta di rispondere alle domande dei professori sembra impegnarsi così tanto.
“Grazie di avere così a cuore le mie sorti, per ripagarti ti dedicherò la vittoria”.
Lo dico in tono palesemente ironico, tenendo per me il fatto che, con ogni probabilità, tempo fa sarei stato davvero capace di umiliarmi gratuitamente in una maniera simile. Sorrido del bambino che era in me, che mi ha reso ridicolo ai suoi occhi. Ero diverso, profondamente diverso da adesso, ma ormai quel che è fatto è fatto.
“Muoviti, Potter”, mi dice, e sembra quasi reprimere un sorrisetto. Forse è appena un po’ meno disgustata dei tempi precedenti, o forse è solo una mia illusoria impressione. Poco importa, mi alzo e faccio segno ai miei amici di seguirmi. Giunti ad un bivio, salutiamo Remus e Peter, che hanno lezione di Cura delle Creature Magiche con Kettlebourne, ora. Fino al quinto anno abbiamo seguito tutti e quattro le stesse lezioni, abbiamo persino frequentato tutti Babbanologia per un anno perché Sirius voleva fare un dispetto alla sua famiglia; poi, però, i colloqui di orientamento professionale alla fine del quinto anno hanno sancito la nostra parziale separazione. Ora finiamo per ritrovarci tutti insieme a seguire Incantesimi e Difesa contro le Arti Oscure, ma di certo questo non è stato sufficiente ad indebolire la nostra attività malandrinesca. Mi volto a guardare Sirius con aria complice e lui mi rivolge il suo solito ghigno sinistro che gli attraversa il volto andando da un orecchio all'altro. Io gongolo tra me, soddisfatto, ripensando a come ho appena tenuto testa alla Evans riuscendo abilmente a sviare il discorso dalle nostre sospettabili macchinazioni. Ho fatto un buon lavoro su me stesso, tutto sommato.
 

***

Ero ancora intenta a perfezionare il mio Incantesimo Mobilicorpus su Elizabeth Lachey di Corvonero, quando finalmente è suonata la campanella di fine ora.
Non appena questo limpido trillo mi spacca i timpani mi alzo di scatto dal posto, saluto Elizabeth e mi allontano dal banco, con il desiderio impellente di uscire al più presto da quell’aula.
Faccio attenzione a non investire Vitious che, sgolandosi più che può, con la sua vocetta acuta sta cercando di richiamare l’attenzione della McGranitt. Ma lei ha appena transitato davanti alla porta dell’aula di Incantesimi con il suo abituale e sostenuto passo di marcia, perciò dubito che se anche Vitious si gettasse di corsa al suo inseguimento – cosa che sta effettivamente facendo – potrebbe mai sperare di raggiungerla.
Pazienza, io voglio soltanto andarmene da lì. Non posso permettermi di arrivare tardi a una lezione di Slughorn, purtroppo.
Il punto è che Slughorn mi perseguita. Crede che io abbia chissà quali doti straordinarie, e non fa che pretendere, pretendere, pretendere. E dato che dopo un po’ diventa ripetitivo continuare a dire che mi avrebbe preferito a Serpeverde invece che a Grifondoro, si ingegna per trovare qualcos’altro su cui avere da ridire nei miei riguardi.
Insopportabile.
Purtroppo per me la sua materia mi piace e non ho certo intenzione di mollarla l’anno prossimo, facendomi stupidamente condizionare da un professore pedante. L’unico aspetto spiacevole della questione sta nel fatto che non devo dargli modo di avere alcunché da ridire sul mio conto.
Motivo per cui non posso permettermi di perdere tempo, in questo momento.
“Ah, ah. Ho beccato Potter che ti guardava, di nuovo”, mi dice Margaret, raggiungendomi con un paio di falcate e prendendomi sottobraccio. Non è difficile, per Margaret. È alta, ha le gambe lunghe e si sente sempre perfettamente a suo agio anche con una gonna a pieghe indosso. Io, dopo sei anni quasi conclusi qui a Hogwarts, ancora non mi ci sono abituata del tutto.
“Davvero ti sta fissando?” domanda Delia, voltandosi platealmente all’indietro. Alzo gli occhi al soffitto, con aria di rassegnazione. Se non si facesse notare quando compie gesti poco opportuni, non sarebbe Delia.
“Ops. Credo mi abbia beccata in pieno”, mormora, imbarazzata, voltandosi di nuovo verso di noi e indirizzandomi un’occhiata di scusa.
“A giudicare dalla discrezione con cui ti sei girata a guardarlo, non l’avrei mai detto”, rispondo, sorridendo. In fondo, non è che mi importi quel granché. E dopo sei anni di amicizia, posso dire di essere più che abituata a fare i conti con le figuracce di Delia. Pare impossibile che sia sempre lei a farle, ma è così. La cosa meno umiliante che abbia mai fatto in vita sua credo sia stata andare a sbattere contro un Thestral durante una lezione di Cura delle Creature Magiche mentre ne cercava uno a tentoni, non essendo in grado di vederli, dato che non ha mai avuto la sfortuna di assistere alla morte di qualcuno. Mentre la cosa più umiliante … no, non credo di essere in grado di stabilirlo.
“È proprio stupido, comunque. Crede che non si capisca, che ti sbava ancora dietro?” sbotta Helen, assumendo un’espressione di sufficienza. Io mi limito a stringermi nelle spalle.
“Se non altro, quest’anno si è risparmiato l’umiliazione di venire a chiedermi di uscire. Tutto sommato qualche progresso l’ha fatto, devo ammetterlo”, affermo, in tono palesemente ironico. Le mie amiche ridono di gusto, divertite. Adorano quando mi metto a parlar male di Potter. Dicono che divento maligna fino all’inverosimile, e che qualcuno deve avermi somministrato una pozione che sia l’inverso del Filtro d’Amore quando ero piccola. Non hanno tutti i torti, in effetti.
“Come sei cattiva. Gli avresti ancora detto di no?” mi domanda Margaret, mentre ci incamminiamo per i corridoi. Le lancio un’occhiata scettica mentre si sistema una vistosa spilla a forma di fiore sopra la divisa, che probabilmente la McGranitt le farà togliere non appena la noterà.
“Ma dai, in fondo non è più così idiota come gli anni scorsi”, mi dice, e io intanto stringo le labbra. Mi sa che ci siamo. Sta per ricominciare la solita crociata pro-Potter. È una cosa di cui non si stancheranno mai, non c’è niente da fare.
“Poi è carino, decisamente carino”.
Ora la strozzo con le mie mani, se non la pianta.
“Potrebbe anche essere una Veela al maschile, la cosa non mi tange”, rispondo, ostentando un’espressione di disappunto.
“Tu non sai apprezzare questo genere di doni, ragazza mia”, mi dice Delia, assumendo una finta aria saccente e scuotendo il dito in segno di diniego. Io mi lascio sfuggire un sospiro, voltandomi verso Mary.
“Di’, qualcosa, per favore. Difendimi. Non ne posso più di queste qui”, la imploro, anche se lei non sta seguendo la conversazione. Cammina reggendo un libro aperto davanti agli occhi, come sempre. Oggi tocca a Il Signore Delle Mosche. Non ha mai perso l’abitudine di divorare romanzi babbani; sostiene che i libri della biblioteca di Hogwarts non sono abbastanza interessanti per sostituire le sue letture di svago. La capisco molto bene, essendo anch’io figlia di Babbani.
“Fai come faccio io, ignorale”, mi dice, senza staccare gli occhi dal libro. “Lascia che le loro voci si disperdano futilmente nell’aria e vai a goderti la tua lezione di Pozioni”.
Mi accorgo che siamo arrivate al punto in cui dobbiamo separarci. Non so come abbia fatto Mary a notarlo, dato che non smette di leggere nemmeno mentre fa le scale. Certo, ogni tanto questo le fa sfiorare delle cadute pericolose, ma non c’è mai stato verso di farle cambiare abitudini.
“Comunque, secondo me dovresti dargli una possibilità, in fondo è così tenero, ti sta ancora aspettando dopo sei anni di insulti di ogni tipo …”
“Oh, che peccato, devo proprio scappare. A dopo”.
Mi lascio sfuggire un sorriso perfido, mentre la prolissa filippica di Margaret viene bloccata sul nascere. Lieta di aver terminato il discorso, le abbandono ai piedi della scalinata che conduce ai sotterranei, lasciandole alle loro lezioni: Mary e Helen hanno Cura delle Creature Magiche, Delia e Margaret un’ora buca. Io scendo gli scalini più velocemente che posso, raggiungo l’aula e mi sistemo rapidamente al mio posto. Incrocio le braccia sul banco dopo aver sistemato la mia roba, ascolto distrattamente le chiacchiere degli altri che stanno entrando a lezione e sto molto attenta ad eludere lo sguardo di Slughorn.
Una volta tanto, mi piacerebbe davvero evitare di polemizzare con lui.
O quantomeno rimandare il più possibile il momento in cui questo avverrà.
“Signorina Evans …”
Sapevo che era troppo bello per essere vero.
“… sa per caso dirmi dove si sono cacciati Potter e Black?”
Eh?
“Uhm … no, a dire la verità …” mi guardo intorno, confusa, poi finalmente recupero il controllo di me stessa. “… a dire la verità, non è un’informazione essenziale per la mia sopravvivenza”, rispondo, squadrandolo con circospezione. Slughorn mi fissa con aria poco convinta.
“Li ha visti, a lezione, stamattina?”
“Sì”, rispondo. “Purtroppo”, aggiungo, a bassa voce, rendendomi conto che comunque non c’è nessuno in grado di apprezzare il mio sarcasmo; sono circondata dai Serpeverde, perché gli unici altri Grifondoro che seguono Pozioni guarda caso sono rimasti indietro e gli altri due Tassorosso che hanno intenzione di prendere un M.A.G.O. nella materia sono troppo indaffarati a chiacchierare tra loro.
Mi sta quasi venendo voglia di andare a chiamarli di mia iniziativa.
“Sarebbe meglio se andasse a cercarli, signorina Evans”, mi dice Slughorn, con aria rassegnata. Certo, non è che io abbia bisogno di loro, ma questa situazione non è divertente.
“Va bene”, acconsento, fingendo che la cosa mi pesi. Mi alzo ed esco in fretta dalla classe, dirigendomi a passo spedito verso l’aula di Incantesimi. Spero per il loro bene che siano rimasti lì, perché altrimenti credo proprio che li ucciderò con le mie stesse mani. E sarà una morte lenta, dolorosa e cruda.
Mentre mi avvicino rapidamente all’aula mi giungono delle voci e delle risate, segno inequivocabile del fatto che sono ancora lì dentro. Peccato, l’idea di trucidarli cominciava a sembrarmi allettante. Se non altro, avrei fatto un favore all’intera Hogwarts, anche se immagino che nessuno avrebbe davvero apprezzato il mio gesto: schiere di ragazzine inferocite sarebbero corse a cercarmi armate di coltelli per aver assassinato i loro idoli preferiti …
Sento un borbottio confuso dall’aria cospiratoria provenire dall’aula mentre mi avvicino. A un certo punto Potter scoppia sonoramente a ridere.
Perfetto. Vuol dire che ci risiamo.
Di nuovo alla carica con gli scherzi idioti, di nuovo con questi ridicoli attentati alle istituzioni.
Quando si dice che la gente ha la testa dura …
Ma adesso ci penso io.
“E in che modo hai intenzione di …”
“Ehm”.
Mi affaccio sulla soglia, osservando con perverso compiacimento le svariate reazioni che la mia inaspettata entrata in scena ha provocato. James Potter è stato letteralmente colto di sorpresa. Sirius Black sembra pronto a ringhiarmi contro, Peter Minus si è parato di colpo di fronte a Potter e Remus Lupin evita il mio sguardo, con l’aria di chi è stato appena colto con le mani nel sacco.
Magnifico.
“Evans, che diavolo vuoi?” mi apostrofa Black, in tono evidentemente ostile. Potter assume un’aria attenta, dopo essersi ripreso dallo stupore.
“Potter e Black, credo debba esservi sfuggito che abbiamo lezione nei sotterranei, in questo momento. Slughorn mi ha mandato a cercarvi per assicurarsi che non vi siate dimenticati di lui”, spiego, rivolta ai due soggetti in questione, sfoggiando il miglior sarcasmo tagliente di cui sono capace. Li squadro tutti e quattro con soddisfazione, dandomi l’aria di padroneggiare la situazione. In fondo non è altro che una sfida a chi esplode per primo.
“Perdonaci”, mi dice Potter, con un mezzo sorriso sottilmente sfacciato. “Sai com'è, troppe distrazioni. Colpa del Quidditch”.
Colpa del QUIDDITCH?!
“Considera seriamente l’ipotesi di trascorrere una notte a sedare i festeggiamenti dei Serpeverde prima di augurarmi di perdere. Andiamo, Evans, fare un po’ di tifo per la tua squadra non ti farebbe male”.
Mi sorride di nuovo, con quella sua candida faccia da schiaffi. La parte più istintiva e violenta di me sta già scalciando per poterlo prendere a pugni. Come se me ne potesse importare qualcosa, del suo accidenti di Quidditch. Ma tra Potter e me corre un’abissale differenza, e cioè che io porto la spilla da Prefetto, lui no. Potrei fargli scontare amaramente ogni parola di troppo che gli esce dalle labbra, se proprio volessi essere cattiva. Tuttavia, rimango pur sempre una persona ragionevole e, disgraziatamente, lui non ha detto nulla di male. Ultimamente non posso più nemmeno zittirlo quando si vanta, perché non si vanta più. Si limita ad esibire quell’azzardata ironia da sottile provocazione, ma perlomeno dà prova del fatto che gli si è affinato il cervello e che ha capito di non essere la reincarnazione di Godric Grifondoro.
Perciò sospiro e recupero la calma.
“Se non vuoi rischiare di mandare a monte la finale ti conviene muoverti, dato che oggi Slughorn sembra essere di pessimo umore”, lo avverto, poggiando le mani sui fianchi. “Inutile dirti che, se decide di metterti in punizione, nel migliore dei casi rischi di saltare gli ultimi allenamenti e di conseguenza di giocare da schifo, nel peggiore invece ti verrà preclusa anche la possibilità di partecipare alla partita, e allora sarai tu a dover fronteggiare i festeggiamenti dei Serpeverde”.
I miei pronostici suscitano la sua ilarità e lo guardo con indulgenza, anche se non capisco che cosa ci trovi da ridere. Mi sono persino preoccupata di fornirgli due previsioni alternative e per questo dovrebbe soltanto ringraziarmi. E invece no, lui lo trova divertente. Pazzesco. Quando riuscirò a scoprire secondo quale astruso meccanismo funziona il suo cervello, mi riterrò ampiamente soddisfatta di me stessa. Fino ad allora, per me Potter rimane un grande punto interrogativo.
“Grazie di avere così a cuore le mie sorti, per ripagarti ti dedicherò la vittoria”, mi risponde, in tono ironico. Io gli sorrido beffardamente. È anche diventato così educato da esprimere riconoscenza, ora? No, non mi convince per niente. È tutto l’anno che fa così, ma ci dev’essere di sicuro qualcosa sotto. Dopotutto, a parte quel modo di fare spontaneo fino all’irritazione e la tendenza a vivere come se fosse un gioco, per certe cose è cambiato davvero radicalmente. Lo stuolo di ragazzine adoranti lo trova ancora più affascinante, con questo nuovo modo di fare decisamente più misterioso ed ermetico, ma non ho idea di dove speri di arrivare. L’unica cosa che posso dire è che perlomeno si è fatto più sopportabile, e questo per me è sicuramente un vantaggio. Quindi, se l’ha fatto per farmi un favore, non posso fare altro che ringraziarlo.
“Muoviti, Potter”, gli intimo. Lui mi risponde con un muto sguardo enigmatico, poi si alza e i suoi amici lo seguono a ruota. Non mi soffermo ad attendere oltre e con passo rapido esco dall’aula e mi avvio verso i sotterranei. Ad un angolo ci dividiamo; Peter e Remus vanno a seguire Cura delle Creature Magiche, Potter e Black procedono. Loro camminano alle mie spalle, stretti l’uno all’altro. Ogni tanto mi giunge l’eco di qualche sussurro cospiratore. Come se non avessi già gli elementi sufficienti per capire l’aria che tira. Una cosa è certa: qualsiasi cosa stiano tentando di organizzare per la finale di Quidditch, sarà tutta fatica sprecata.
Perché anch’io ogni tanto mi diverto a mettere i bastoni fra le ruote.
 
 
 
 
And if it makes you less sad, we'll start talking again.
And you can tell me how vile I already know that I am.
I'll grow old and start acting my age.
I'll be a brand new day in a life that you hate.

(Brand New, The Boy Who Blocked His Own Shot)

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Capitolo 2
*** Coda di paglia ***


Capitolo 2 – Coda di paglia




Provare passione ed essere sincero mi piace, ma mi piace anche fare il cretino.

(Kurt Cobain, Diari)




19 maggio 1977

“Allora... che stavi dicendo prima?” chiedo a Sirius in un soffio, scivolandogli accanto con indifferenza mentre mi alzo per andare a prendere i Grinzafichi dall’armadio.
“Prima quando?” risponde lui e io scuoto la testa, mentre raggiungo i rifornimenti. Getto una rapida occhiata in tralice a Slughorn, che osserva la classe da dietro la cattedra con l’aria di un cane da guardia, mentre nell’aula riecheggiano solo occasionali rumori di coltelli uniti al rimescolare dei calderoni.
“Svegliati, Sirius”, bofonchio, in tono lievemente insofferente. La curiosità mi sta corrodendo e avrei di gran lunga preferito farmi togliere un’altra decina di punti per il ritardo, piuttosto che venire interrotto sul più bello.
“Non prendertela con me”, ribatte lui. “È stata colpa della tua amata se non ti ho potuto illustrare fino in fondo il mio piano geniale”.
Non faccio granché caso al suo tono caustico. Gettare fango sulla gente è spesso il passatempo preferito di Sirius.
“Già, penso anch'io che dovrei scegliermi meglio le persone che frequento”, insinuo, con implicito riferimento a lui. Padfoot inarca un sopracciglio, esibendo un sorriso storto. Non sono pochi quelli che ci ritengono una delle più bizzarre coppie di amici di tutta la scuola: all’inizio, sembrava davvero che non avessimo nulla in comune, a parte l’insano desiderio di trasformare Hogwarts in una specie di campo minato. Ma questi inutili sentimentalismi mi stanno facendo sbucciare il Grinzafico fin troppo a fondo e per riprendere il controllo della pressione sul coltello è necessario che io la smetta di immergermi in simili riflessioni.
“Comunque, non posso parlare ora. Potrebbe sentirci chiunque”, mi sussurra, in un soffio. Io storco la bocca, dandomi un paio di occhiate intorno. Slughorn tiene lo sguardo fisso su un compito che sta correggendo, con una larga ruga sulla fronte; i maledetti Serpeverde sogghignano tra loro, si suggeriscono qualche trucco per preparare la pozione o si fanno semplicemente i fatti propri; Dave Abbott e Wilelmina Stern di Tassorosso sono concentrati sui loro calderoni là nell’angolo; la Evans, alle mie spalle, ha già praticamente terminato la pozione e ovviamente non ho la più pallida idea di come ciò sia possibile. Voglio dire, io sono bravo in Pozioni, me la sono sempre cavata con buoni voti, e anche Sirius. Ma Lily è qualcosa di semplicemente formidabile; potrebbe preparare una Felix Felicis ad occhi chiusi, probabilmente. Credo che per lei sia naturale, come lo è per me volare su una scopa.
Come al solito non ho la prontezza necessaria per distogliere subito gli occhi da lei, e un attimo dopo i nostri sguardi si incrociano. Io le lancio un mezzo sorriso e fingo di tornare a concentrarmi sul mio intruglio verdastro. In un certo senso sono fiero di me. Nessuna mano mi sale a spettinarmi i capelli, nessuna bambinesca esaltazione mi rende sovreccitato per una cosa assolutamente priva di importanza. Ho acquistato una padronanza di me stesso che non può fare a meno di rendermi orgoglioso. Il cuore mi salta sempre un paio di battiti quando si tratta di lei e l'agitazione mi blocca il respiro quando la sento nominare, ma queste sono controindicazioni che ho imparato ad arginare. Non lascio più trasparire l’emozione esternamente, in ogni caso: anzi, riesco ad apparire calmo e controllato. È stato un duro lavoro, devo ammetterlo; è come se fossi cresciuto di colpo, anziché gradualmente, e la responsabilità, almeno in gran parte, è di Lily. Sentirmi dire in faccia cosa pensava realmente di me, quel giorno dei G.U.F.O. dopo l’esame di Difesa, non è stato solo umiliante, inatteso e sconvolgente. Mi ha, semplicemente, distrutto ogni convinzione e cioè che, comportandomi in quella maniera, avessi qualche speranza in più di risultare speciale ai suoi occhi, quel tanto che bastava da farla cadere fra le mie braccia. Insomma, il fallimento di cinque anni di corte serrata deprimerebbe chiunque. Però poi sono andato avanti, l’ho superata e se non altro adesso sono meno stupido, pur essendo ancora cotto di lei.
“Da quando in qua sei diventato così prudente, comunque?” domando a Sirius dopo aver gettato le mie fette di Grinzafico dentro la pozione, ricordandomi all’improvviso della nostra conversazione.
“Non fare domande, so quello che dico e se ti dico che è meglio parlarne dopo …”
“… è perché sei crudele e vuoi condannarmi ad un destino di sofferenza” .
Ridacchio tra me; mi diverto da morire a fare la vittima innocente, so che lo fa andare su tutte le furie.
“Prongs, cerca di riservare le tue capacità recitative per un altro momento”, mi sussurra Sirius a denti stretti, ma in quel momento Slughorn sceglie di alzare gli occhi dalla pergamena e di fissarci con sguardo truce.
“È evidente che oggi Grifondoro aspira a perdere molti punti”, dice, con il suo tono saccente. Io soffoco a stento un sorriso, immaginandomi l’occhiata assassina con cui Lily mi starà fulminando alle spalle.
“Avevo solo bisogno di un mortaio, signore, il mio l’ho dimenticato”, mi invento su due piedi, giusto per dare mostra della mia sfacciataggine una volta di più. Spesso non posso fare a meno di pensare a quanto sono bravo ad inventarmi scuse geniali in un lasso di tempo minimo, ma c’è da dire che, in fondo, sei anni trascorsi a Hogwarts con un passato da Malandrino sono più che sufficienti per apprendere alla perfezione una pratica del genere. Il professore mi scruta con un’aria che teoricamente dovrebbe incutermi timore, o almeno così presumo.
“Signorina Evans, sarebbe così gentile da prestare il suo mortaio al signor Potter, dato che ha già egregiamente terminato?”
Immagino di nuovo l’occhiata assassina di Lily, con la sola lieve variante che ora è diretta a Slughorn.
“Se devo essere sincera, signore, non mi piace che gli altri lavorino con le mie cose”, la sento rispondere, seccamente. Sentirla parlare a Slughorn di solito è quasi divertente come sentirla parlare a me.
“Anche a me non piace che lei sia stata smistata a Grifondoro quando è dotata di simili capacità”, le risponde il professore, con una certa nota di rimpianto, “ma ora, per favore, faccia come le ho detto”.
Abbasso la testa mentre sorrido divertito, giusto per non farmi beccare in pieno. Slughorn va avanti con questa storia più o meno da secoli, a ripeterle che, fosse stato per lui, Lily avrebbe dovuto stare a Serpeverde. Tutte le volte ottiene soltanto di farla infuriare.
Mi volto, lentamente. La mia parte maligna preme per farmi esplodere un ghigno di soddisfazione sul viso. Ma sono abbastanza assennato da trattenermi, dato che comunque in questo momento sto sicuramente rischiando di ricevere una mestolata in testa. In effetti, il faccino di Lily non ha certo un’espressione cordiale e il gesto con cui mi porge il mortaio è decisamente secco e rabbioso.
“Gentilissima”, le dico, con la faccia tosta del mio tono più innocente, e in tutta risposta la osservo roteare gli occhi. Devo ammetterlo, mi piace anche quando è arrabbiata con me.
Termino la pozione in perfetto silenzio; il mio buonsenso mi suggerisce di non farla infuriare ulteriormente per il mio bene. Decido invece di concentrare le mie energie nel lanciare ripetute occhiate imploranti a Sirius, per tentare di smuoverlo e farmi finalmente rivelare che cos’ha in mente, ma vengo ignorato ogni volta senza alcuna pietà. No, forse non proprio ogni volta; in un paio di occasioni Pads mi fulmina con lo sguardo, quasi ringhiando. Dopo un po’ ci rinuncio; aspetto che la pozione sia pronta, ne imbottiglio una piccola quantità e la consegno a Slughorn, sentendomi piuttosto soddisfatto del risultato.
Entro qualche minuto hanno finito tutti. Mettiamo via le nostre cose e io faccio in modo di compiere ogni gesto il più lentamente possibile, in modo che nel frattempo il resto della classe si volatilizzi. Sirius sembra non poterne più di me e ne sono perfettamente cosciente, ma persevero nei miei intenti; la curiosità è davvero troppa. Poco dopo, mentre Slughorn esce per inseguire un gruppo di Serpeverde urlando loro che non si sono ancora messi d’accordo per la sua cena degli eletti della prossima settimana, Remus e Peter fanno ritorno dalla loro lezione per prelevarci in questo luogo buio e il capannello si ricrea, come nell’ora precedente. Sirius si guarda attentamente alle spalle prima di rivolgersi a noi.
“Okay, lo scopo del piano è far sì che quelle bottiglie le trovino i nostri migliori amici e se le scolino in compagnia, ignari di ciò che gli succederà dopo quell’allegra bevuta. Ovviamente, uno di noi dovrà fare in modo che le trovino”, sussurra, in modo quasi impercettibile. Gli occhi mi si illuminano, Sirius è un genio … ecco a cosa devono servire le mie capacità recitative.
“Scusa Sirius, e chi sarebbero i nostri migliori amici? Voglio dire, noi siamo i nostri migliori amici …”
“Peter, in sei anni di amicizia ancora non hai imparato ad interpretare il mio linguaggio?”
“Certo, se tu non ti esprimessi in maniera così criptica però …”
“Secondo te a chi potrei essere felice di fare un simile regalo di fine anno?”
“Di certo non a noi, quindi …”
“Prova a indovinare: sono un branco di brutti ceffi che ci importunano sempre, uno di loro ha un naso adunco molto lungo e una chioma unticcia … Non è così difficile, devi soltanto interpretare il luccichio malvagio che vedi brillare nel mio sguardo in questo momento …”
“Potter”.
Mi volto di scatto, sobbalzando di nuovo. Nessuno di noi si è accorto che Lily fosse ritornata in classe. Vederla comparire in modo così improvviso mi provoca una brusca accelerazione del battito cardiaco. Da una parte mi sento uno stupido, dall’altra so benissimo di avere una coda di paglia chilometrica, pertanto non ritengo di potermi lamentare più di tanto.
“Sì?” le rispondo, analizzando lo sguardo fulminante con cui mi sta squadrando.
“Il mio mortaio, ti sarei grata se tu potessi ridarmelo”.
“A meno che tu non abbia intenzione di conservarlo come una reliquia”, bofonchia Sirius alle mie spalle, ricevendo subito dopo un silenzioso calcio negli stinchi dal sottoscritto.
Recupero il mortaio e glielo porgo, stando attento a mantenere le distanze, cosa che so essere di sacrale importanza per lei quando si tratta di me.
“Grazie”, le dico.
“Risparmiatelo”, mi risponde lei.
“Non ti agitare, te l’ho detto solo prevenire le tue accuse di maleducazione nei miei confronti”, mi schermisco, mantenendomi su un piano sarcastico. Il suo difetto è che prende tutto troppo sul serio, certe volte.
“Non è … per questo, è che mi ha costretto Slughorn a prestartelo, tutto qui. Non devi ringraziare me”.
Sembra quasi imbarazzata mentre lo dice. Sorrido con tenerezza. Se non avessi avuto i miei amici con il fiato sul collo, forse avrei potuto pensare di prolungare la conversazione dicendo qualcosa di un po’ più gentile del solito, ma l’unico che riesce a manifestare un minimo di discrezione in casi simili è Remus; degli altri due, Peter pende dalle nostre labbra seguendo ogni scambio di battute con vivo interesse senza preoccuparsi di nasconderlo e Sirius non perde occasione per borbottare costantemente alle mie spalle i suoi commenti provocatori.
“Oh. Beh, in questo caso credo che andrò a cercare Slughorn per lodarlo della sua gentilezza”, scelgo di rispondere, chiudendo a malincuore la conversazione. Detto questo, prendo la borsa e le passo accanto, rapidamente seguito a ruota da tutta la mia banda. Sorrido tra me della mia stessa ironia, l’unica arma che mi è rimasta nei suoi confronti. Ormai è una battaglia all’ultimo sangue tra me e lei e sostanzialmente potrei dire che siamo in una situazione di parità, se non fosse che lei ha comunque il vantaggio di essere ancora capace di farmi contorcere le viscere con una sola occhiata. Mi volto solo di sfuggita ad osservarla mentre si scuote i capelli sulle spalle; è adorabile, come sempre. Anche se mi insulta almeno una volta al giorno. A dispetto dell’orgoglio che ho imparato ad acquistare di fronte a lei, non posso evitare di perdermi in sua contemplazione almeno quando mi volta le spalle.
“Credi che abbia sentito qualcosa?” mi chiede Sirius, avvicinandomisi con fare circospetto. Io lo guardo con l’aria di essere appena caduto dalle nuvole.
“Perché?”
“Perché farebbe di tutto per metterci i bastoni fra le ruote se scoprisse che stiamo architettando qualcosa … Andiamo, Prongs, riprenditi!”
Sirius accompagna l’esclamazione con un enfatico ceffone che arriva dritto sulla mia nuca.
“AHO! Come osi fare questo al tuo migliore amico?” grido, in tono veemente e nel giro di pochi secondi io e Sirius ci stiamo rotolando a terra fra le risate, con Peter che ci  strilla di non farci male e Remus che ci osserva a distanza di sicurezza con un sorriso rassegnato sulle labbra. A un certo punto mi accorgo che sopra le nostre teste c’è anche l’orlo di una gonna. Fulmineamente mi scrollo Sirius di dosso e mi metto a sedere sul pavimento del corridoio, sollevando la testa con un sorriso ebete che mi attraversa il viso da una parte all’altra.
Lily mi fissa negli occhi a labbra strette, un sopracciglio profondamente inarcato. Io tento di contenere la mia insensata euforia.
“Non ci stavamo facendo male sul serio”, provo a spiegarle, con aria di scusa. Lei non mi risponde, si limita a fissarmi con aria scettica.
“Per punizione vuoi che ti porti i libri per una settimana?” le chiedo, il sarcasmo che si mischia alle risate soffocate. Lei quasi cede per un breve, impercettibile istante e la severità sul suo volto sembra sciogliersi mentre accenna un lieve sorriso.
“Preferisco non punirti affatto, se l’alternativa dev’essere quella di averti alle costole tutti i giorni”, mi risponde, per poi allontanarsi in fretta. Il suo tono di voce sembrava meno aspro del solito e io rimango lì seduto sul pavimento, a fare i conti con quella nuova constatazione, senza riuscire a cancellare il sorriso dal mio volto. Forse si è ammorbidita nei miei confronti ancora un pochino, forse ho ancora qualche stupida speranza. Sirius si rimette in piedi e mi aiuta ad alzarmi e io, quasi intimidito, riprendo la strada verso i dormitori senza riuscire a spiccicare una parola, il che, da parte mia, ha davvero dell’incredibile.


***
Due ore di Pozioni di fila possono arrivare a risultare pesanti. Soprattutto nei casi in cui finisco troppo in anticipo la pozione rispetto all’ora di scadenza. In più considerato che sono sempre in banco da sola, con dietro i Serpeverde e davanti quei due idioti.
Non è che mi pesi stare da sola. Non sono una di quelle persone che ha sempre bisogno di un’appendice umana da tirarsi appresso, o che necessita di fungere da appendice umana per qualcun altro. Anzi. Piuttosto spesso ho bisogno di starmene sola, in santa pace, e non è facile in una situazione in cui non c’è nemmeno la camera privata. Di solito mi arrabatto rifugiandomi in biblioteca, ma non sempre funziona. Alle volte anche la biblioteca viene presa d’assalto.
Ad ogni modo, questa situazione non mi è mai piaciuta molto. Perché i momenti in cui mi piace starmene per i fatti miei non comprendono una lezione di Pozioni, circondata dai Serpeverde, da Slughorn e da una coppia di scemi. È come una specie di gabbia vivente, in cui io sono obbligata a rimanere con la testa china sul calderone, nell’impossibilità di guardarmi serenamente intorno.
Paradossalmente, Pozioni è una delle mie materie preferite. Perciò mi trovo sempre combattuta fra il desiderio che finisca presto e il desiderio che la materia occupi il cinquanta percento dei programmi di Hogwarts.
Fastidioso.
Sollevo per un attimo la testa dal mio calderone fumante. Continuare ad osservare una serie di bolle e di onde verdastre non è esattamente una cosa che mi piace fare per più di un paio di minuti di seguito. Così, do un’occhiata in giro, con circospezione, cercando di non farmi notare.
E noto immancabilmente che Potter e Black stanno nuovamente confabulando tra loro in un modo che non mi piace.
Pazienza, Lily. Quando sarà il momento opportuno, saprai cosa fare.
Torno a fissare il calderone, aggiungendo l’ultima dose di polvere di Elleboro. Mescolo per dieci volte in senso orario e poi dieci volte in senso antiorario, incrocio le braccia e rimango a fissare il risultato con aria critica, per evitare di farmi sfuggire qualche anomalia imprevista, poi rialzo lo sguardo con un gesto istintivo e vedo Potter che mi sta fissando.
Non ho neanche il tempo di esibire una delle mie espressioni perplesse, che lui con prontezza mi rivolge un mezzo sorriso innocente e torna a darmi di nuovo le spalle, come se niente fosse.
Ormai la drastica riduzione da lui apportata ai suoi gesti di repertorio ha smesso di stupirmi, ma non posso ugualmente fare a meno di pensarci e di esultare. Non si spettina più quei dannati capelli credendo di fare colpo, sì. Grazie a Godric, anche per Potter è arrivato il momento di crescere.
Meriterebbe quasi un applauso.
E se non fosse che persevera nel parlottare a voce bassa con Black, non lo penserei in modo così ironico.
“È evidente che oggi Grifondoro aspira a perdere molti punti”, li redarguisce ad un certo punto Slughorn, scrutandoli con aria poco amichevole. Trafiggo la schiena di Potter con uno sguardo di profondo disappunto, anche se non mi stupisce aver ricevuto l’ennesima conferma della loro sciocca testardaggine; alle persone normali di solito basta commettere una banale mancanza per proporsi di fare attenzione a non ripetere la spiacevole esperienza di far togliere punti alla propria Casa, ma per loro bazzecole di questo genere non hanno nessuna importanza. Tanto tutti li amano, figurarsi se qualcuno potrebbe mai muovere loro delle accuse.
“Avevo solo bisogno di un mortaio, signore, il mio l’ho dimenticato” risponde Potter, con il suo tranquillo tono fanciullesco. Slughorn lo squadra con aria critica, dopodiché i suoi occhi si posano su di me.
Qualsiasi cosa voglia, la risposta è NO.
“Signorina Evans, sarebbe così gentile da prestare il suo mortaio al signor Potter, dato che ha già egregiamente terminato?”
Potrei anche essere così gentile da tirarglielo in testa, se preferisce.
“Se devo essere sincera, signore, non mi piace che gli altri lavorino con le mie cose”, rispondo, cercando di mantenermi su un tono calmo e solo lievemente sprezzante, ma preoccupandomi di rimarcare in modo netto velato riferimento a Potter.
“Anche a me non piace che lei sia stata smistata a Grifondoro quando è dotata di simili capacità, ma ora, per favore, faccia come le ho detto”.
Ecco, figuriamoci se non sentiva il bisogno di proferire simili commenti anche questa volta. Non so esattamente a chi preferirei tirarlo in testa, questo stramaledetto mortaio. Slughorn è così insistente da risultare quasi inverosimile, ma Potter, alla fine, è sempre l’indiretto responsabile di tutte le mie disgrazie.
Il principino si volta, con tutta calma. Come se avessi tempo da perdere per colpa sua. Afferro il mortaio e glielo allungo con un gesto secco, osservando con sguardo truce quel sorriso di soddisfazione che sta cercando di reprimere. Sarà bene che si astenga dal ridermi in faccia, perché altrimenti non risponderò più delle mie azioni.
“Gentilissima”, osa anche dirmi, all’apice della sua faccia tosta. Roteo gli occhi con un sospiro, poi decido di tornare calma. Se queste sono le soddisfazioni che aspira a ricevere dalla vita, beh, che se le goda. Tanto, ormai non me ne facevo più niente del mortaio.
Dopo questa breve parentesi, per fortuna, l’atmosfera torna ad essere silenziosamente statica e l’esuberanza di Potter sembra essersi magicamente sedata. Imbottiglio con tranquillità una dose della mia pozione, dopodiché attendo che la lezione finisca scandendo mentalmente i secondi e dedicandomi a passatempi futili come tamburellare le dita sulla superficie del banco. Tengo d’occhio il famigerato duetto, ma non sembra che per il momento abbiano cattive intenzioni. Forse posso permettermi di lasciar perdere. In fondo, sono anch’io per il quieto vivere, quando è possibile.
A fine lezione consegno la mia provetta, raccolgo velocemente le mie cose e me ne vado, accelerando il passo quando sento Slughorn uscire dalla classe gridando a due ragazzi di Serpeverde di fermarsi un momento per fissare insieme a loro la data della prossima festicciola privata. Più di una volta ha tentato di invischiarmi in questo genere di cose e pareva non scoraggiarsi nemmeno di fronte alle mie risposte più rasenti la maleducazione. È veramente un uomo impossibile, Merlino.
Quando mi sento sufficientemente sicura di essere ormai fuori dalla sua portata, riprendo a camminare più lentamente, libera di rilassarmi un po’. Incrocio Remus e Peter che vanno a recuperare i loro amici nei sotterranei e li saluto con cortesia. In questo momento potrei sentirmi davvero in pace con il mondo e con me stessa, potrei anche prendere in considerazione l’ipotesi di mangiare in fretta per poi andare fuori a prendere un po’ d’aria, dato che oggi c’è il sole, ma all’improvviso mi rendo conto che c’è qualcosa che non va. Che cosa sia esattamente non lo so, altrimenti è ovvio che avrei già cercato un modo per porvi rimedio …
Il mortaio!
Guarda caso, è sempre colpa di Potter. Accidenti a lui.
Rifaccio la strada all’inverso quasi di corsa, guardandomi intorno per individuare il signor Cacciatore dalla vista debole fra gli studenti. Fortunatamente non mi sono allontanata troppo. Non mi sembra fosse uscito prima di me, sono quasi sicura di averli visti ancora in classe mentre me ne andavo … non credo di sbagliarmi, la sua dannatissima chioma è riconoscibile lontano un miglio anche in mezzo alla folla affamata che spintona per entrare in Sala Grande all’ora di pranzo …
Rallento istintivamente mentre mi avvicino alla classe e, senza che l’avessi previsto, questo mi permette di udire una conversazione che mi fa passare del tutto la voglia di lasciare in pace Potter.
“Okay, lo scopo del piano … è far sì che quelle bottiglie le trovino i nostri migliori amici e se le scolino in compagnia, ignari di ciò che gli succederà dopo quell’allegra bevuta”.
Oh, fantastico. Che splendida idea, Black. Davvero un perfetto genio del male. È mai possibile che una persona non possa escogitare altri metodi più sani per divertirsi?
Li ascolto borbottare fra loro ancora un po’, poi decido che è giunto il momento di entrare in azione.
“Potter”.
Lo faccio sobbalzare e quantomeno ricevo la conferma che non mi hanno sentito mentre tornavo indietro. Faccio volontariamente finta di non aver udito nemmeno una parola dei loro loschi piani e gli getto un’occhiata severa atta a farlo rabbrividire.
“Sì?” mi risponde lui, ostentando la sua sorpresa nel vedermi lì.
“Il mio mortaio, ti sarei grata se tu potessi ridarmelo”, gli dico, facendogli un cenno. Black gli borbotta qualcosa alle spalle insieme a qualche risata soffocata, ricevendo in cambio un furtivo calcio negli stinchi. Potter recupera il mio mortaio e me lo porge, mantenendosi a distanza di sicurezza mentre lo fa. Io inarco un sopracciglio con aria perplessa. Cos’è, ha paura che lo sbrani per caso?
“Grazie”, mi dice.
“Risparmiatelo”, rispondo io, sulla difensiva.
“Non ti agitare, te l’ho detto solo prevenire le tue accuse di maleducazione nei miei confronti”, ribatte lui, con una strana, leggera ironia. Non una sola traccia della sua passata arroganza. Forse ho esagerato, forse l’ha detto davvero soltanto per educazione.
“Non è … per questo, è che mi ha costretto Slughorn a prestartelo, tutto qui. Non devi ringraziare me”, gli spiego, tentando di smorzare i toni. Incredibile, mi sento quasi in colpa per avergli risposto bruscamente. Ma dopotutto non è colpa mia, è lui che ormai non mi dà più la soddisfazione di offrirmi su un piatto d’argento l’occasione di coprirlo d’insulti …
Anche in passato, rare volte, faceva così, ma solo quando gli era momentaneamente passata la voglia di essere fastidioso. Ora fa il borioso soltanto con i Serpeverde. E mi sorride pure. In modo gentile. Io non ci credo.
“Oh. Beh, in questo caso credo che andrò a cercare Slughorn per lodarlo della sua gentilezza”, mi risponde e, senza lasciarmi nemmeno il tempo di replicare, prende la borsa e si dirige verso l’uscita, seguito a ruota da tutti i suoi compari. Io rimango lì ferma come un’ebete per qualche secondo, poi mi scuoto i capelli sulle spalle per liberare il viso e mi accingo ad andarmene. Li seguo a distanza di sicurezza, mentre ancora mormorano tra di loro con aria cospiratoria. Bastano pochi secondi perché la discussione degeneri e dopo aver alzato la voce Black e Potter cominciano a picchiarsi, come al solito. Per gioco. Come i bambini. Se davvero poco fa ho pensato che Potter fosse cresciuto, chiedo il favore di ritirare immediatamente la mia dichiarazione. Questo delizioso quadretto mi ha appena fatto cambiare idea.
Scuoto la testa e mi avvicino per farli smettere.
Nonostante mi sia fermata esattamente di fronte a loro, ci vuole un po’ prima che Potter si accorga di me e si scrolli il suo amico di dosso, mettendosi a sedere sul pavimento. Mi guarda con un sorriso da tonto che gli attraversa il viso da una parte all’altra, come se davvero sperasse di impietosirmi.
“Non ci stavamo facendo male sul serio”, cerca di giustificarsi, simulando un’espressione da angioletto. Evito di sprecare fiato per ribattere a questa patetica scusa e mi limito a continuare a fissarlo, stringendo le labbra.
“Per punizione vuoi che ti porti i libri per una settimana?” mi chiede, con un tono autoironico che fa sghignazzare tutti i suoi amici. Incredibile, ormai si prende persino in giro da solo; fosse stato un paio di anni fa, questa frase l’avrebbe pronunciata con aria sincera e convinta. Vorrei riuscire a rimanere seria e cantargliele, ma è talmente idiota che non ce la faccio e un mezzo sorriso mi scappa. È inevitabile trovarlo divertente, in queste condizioni.
“Preferisco non punirti affatto, se l’alternativa dev’essere quella di averti alle costole tutti i giorni”, gli rispondo, poi gli getto un ultimo sguardo e me ne vado, in fretta. Faccio fatica a trattenere quel sorriso che non dovrebbe esserci e preferisco troncare la questione, perché proprio non mi posso permettere di essere indulgente nei confronti di Potter. Potrà anche essere cambiato, ma sfortunatamente siamo ancora su due piani ben diversi; lui si ostina ad organizzare scherzi stupidi, e a me tocca provvedere. Il giorno in cui la smetterà di provocarmi questi grattacapi infantili, forse potrò anche pensare di concedergli un periodo di tregua.
“Lily! LILY!” mi chiama Delia, sporgendosi dal muretto che circonda il cortile interno.
“Eccomi”, la rassicuro, andando incontro alle mie amiche. Gli strilli di Delia hanno fatto voltare nella sua direzione più o meno mezza scuola, ma alla fine non ha importanza. Le mie compagne sono tutte strampalate, come le definirebbe mia sorella, ma sono comunque delle persone gradevoli.
“Cos’è quell’espressione raggiante? Non dirmi che sei di nuovo riuscita a preparare una pozione”, mi dice Delia, assumendo un’aria abbattuta.
“Come se fosse chissà che cosa, fino all’anno scorso lo facevi anche tu”, cerco di rincuorarla. Non mi piace vantarmi della mia abilità in quella materia. Prima di tutto perché sono convinta che Slughorn esageri e in secondo luogo perché mi ricorda Severus. Un argomento a cui decisamente non desidero pensare.
“Sì, ma lei non preparava pozioni. Lei preparava pastrocchi”, la prende in giro Margaret, suscitando l’ilarità generale.
“Se mai ti passerà per la testa di avvelenare Potter, falle distillare qualcosa da mettergli nel bicchiere. Non importa cosa, sarà sicuramente letale”, mi suggerisce Helen, con il suo tono sempre un po’ distaccato ma proprio per questo estremamente spassoso. Io rido di gusto, convenendo sul fatto che è davvero un’ottima idea.
“Va bene, però prima sperimenterò il mio veleno sulla McGranitt”, risponde Delia, assumendo un cipiglio torvo.
“Tu ci provi, e io ti sbatto fuori dal dormitorio”, replica Helen, piccata. “La McGranitt non me la tocca nessuno”.
“Tu sei pazza”, commenta Delia, a bassa voce, scuotendo la testa. Helen le getta un’occhiata di profonda disapprovazione.
“Lei è l’unica con le palle, qui dentro, oltre Silente”.
“Sì, però intanto ci fa sgobbare come degli asini”.
“Mi pare ovvio, non possiamo mica presentarci ai M.A.G.O. e Trasfigurare gli oggetti a metà!”
Mary, alla mia destra, alza gli occhi al cielo, mentre gira pagina. Io le faccio un mezzo sorriso di comprensione.
“Come ti ho detto, ignorale. Solo così potrai aspirare ad un’esistenza tranquilla”, mi dice, accennando a Helen e Delia.
“Già. È l’unica cosa da fare”, rispondo, rassegnata. Margaret mi si avvicina e mi prende sottobraccio, scostandomi i capelli dal viso.
“Allora, quand’è che darai una possibilità a quel povero figliolo? Ormai non sa più cosa inventarsi per conquistarti. Sono sicura che passa le notti insonni, in lacrime, pregando che la mattina dopo tu possa accorgerti di lui …”
Guardo Margaret con un sopracciglio inarcato, sfoggiando l’espressione più scettica di cui sono capace. Lei interrompe la sua scenata melodrammatica e mi rivolge un sorriso a trentadue denti, come in segno di scusa.
“Perché ti ostini a dire idiozie?” le chiedo bonariamente.
“Non dico idiozie, non gli è andata bene quando faceva il buffone da circo e andava in giro ad appendere la gente a testa in giù, se non gli va bene nemmeno ora che si comporta da persona discretamente matura, penso proprio che lo avrai sulla coscienza, perché quantomeno andrà a gettarsi dalla Torre di Astronomia … certo, Sirius gli ha suggerito di buttare al vento tutta la poca dignità che gli è rimasta e farti una serenata sotto la finestra, ma lui non mi è sembrato molto convinto, a dire il vero …”
“Li hai sentiti parlare?”
“Sì, stavano parlando appunto di te, l’altro giorno, dopo Artimanzia, e Sirius diceva che i tuoi gusti sono impossibili perché non ti va bene proprio niente, nemmeno questa nuova versione di lui e quindi …”
“Okay, Margaret, ho afferrato il concetto”.
Alle volte può sembrare un male che questa benedetta ragazza sia così incline al pettegolezzo, e soprattutto che sia così irrimediabilmente logorroica.
Ma stavolta mi è stata utile per aprire gli occhi.
L’incredibile cambiamento di Potter è soltanto una tattica.



 
 
But everything inside you knows,
Says more than what you’ve heard.
So much more than empty conversations
Filled with empty words.

(Switchfoot, On Fire)

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Capitolo 3
*** Mani nel sacco ***


Capitolo 3 - Mani nel sacco




“Sa qual è il bello dei cuori infranti?” domandò la bibliotecaria.
Scossi la testa.
“Che possono rompersi davvero soltanto una volta. Il resto sono graffi”.

(Carlos Ruis Zafòn, Il gioco dell’angelo)

 



25 maggio 1977

Abbiamo calcolato tutto, ogni minimo dettaglio è stato curato con una precisione che supera perfino le pergamene stese da Remus con la sua calligrafia impeccabile.
E ora, il nostro piano diabolico sta per andare a segno. I Serpeverde non riusciranno nemmeno ad alzarsi dal gabinetto per poter correre in infermeria, quando avranno terminato di scolarsi queste bottiglie.
Ne sto trasportando un paio al proprio posto giusto in questo momento. Facciamo a turno portandone due alla volta, perché altrimenti infilarci tutti sotto il Mantello dell’Invisibilità, con il pericolo di cozzare l’uno contro l’altro e di mandarle in frantumi, sarebbe troppo rischioso. Ora tocca a me, e ad ogni passo che faccio mi sento pervadere da un’esaltazione estatica.
Mi sono intrufolato con Peter nelle cantine dei Tre Manici di Scopa ieri sera prima di cena, dopo gli allenamenti di Quidditch. Ci sono state delle piccole complicazioni perché io a un certo punto mi sono lasciato prendere dalla mia vena umoristica e, terminata la mia fantastica barzelletta su una coppia di Goblin, Wormtail si stava talmente sforzando di non ridere che ha quasi rischiato di fracassare una cassa di Burrobirre facendoci scoprire seduta stante, ma per fortuna alla fine è andato tutto per il meglio. Il problema è che ci è necessario agire separati, perché Sirius è entrato in totale paranoia: è convinto che la Evans o qualcun altro di non ben precisato abbia intenzione di sabotarci il piano, pertanto ci obbliga a muoverci senza destare sospetti. Motivo per cui ha mandato Peter con me, invece di venirci lui. Se fossimo spariti insieme, sarebbe stato come gridare a gran voce che stiamo architettando qualcosa di losco. A dire la verità, Sirius ha cercato di mandare Remus con me, cosa che mi avrebbe reso praticamente inattaccabile; ma lui si è rifiutato categoricamente, opponendosi con una calma lievemente stizzosa alla furia di Sirius, e facendogli notare che gridando in quel modo tutte le sue precauzioni avrebbero finito per risultare inutili. Io stavo per scoppiare a ridere sonoramente mentre assistevo all’intera scena, ma per fortuna sono stato in grado di trattenermi, o il mio migliore amico mi avrebbe fatto a pezzi senza alcuna pietà.
Ad ogni modo, a dispetto delle sue preoccupazioni maniacali, sembra stia andando tutto secondo i piani. Io ho messo in atto le mie capacità recitative con un successo strabiliante: nel luogo e nel momento studiato, con un tono di voce perfettamente calibrato e la certezza che in quel momento i Serpeverde stessero tendendo le orecchie pur facendo di tutto per non farsi notare, ho rivelato casualmente a Ernest Larsen, il Battitore della mia squadra, che per festeggiare la vittoria nella finale ci saremmo impossessati degli alcolici e li avremmo nascosti nel ripostiglio delle scope del terzo piano. Sirius mi ha poi riferito che, mentre io parlavo con il mio compagno di Quidditch, alle mie spalle Mulciber aveva gli occhi fuori dalle orbite e stava per scoppiare in una colossale sghignazzata, convinto di avermi fregato per bene. Ci sono cascati in pieno, e possiamo star certi che il giorno della finale vedremo sparire le nostre scorte di ‘Idromele’.
Siamo perfidi, ma il divertimento sta proprio in questo.
La pozione è riuscita magnificamente. Sirius aveva paura che non funzionasse, così l’ha fatta provare a Peter, anche se lui non era molto d’accordo con questa sua imposizione. Solo che poi Sirius ha deciso che non si fidava perché c’era il rischio che il sapore fosse cambiato e che Wormtail non se ne fosse accorto con un solo assaggio, così ne ha bevuta un po’ anche lui. A lezione aveva i crampi allo stomaco e il viso di una leggera tinta verdastra, e io sono stato accusato dalla McGranitt di aver passato un’intera ora a ridere sguaiatamente senza motivo.
Poco importa, è un piccolo prezzo da pagare in confronto a quanto ci aspetta.
Facendo attenzione a dove metto i piedi, attraverso il corridoio deserto, diretto verso il ripostiglio. Abbiamo deciso di rendere reperibili le bottiglie solo il giorno della finale, così quelle che abbiamo rubato e cammuffato nel frattempo le trasfiguriamo in scope. Tutti questi dettagli maniacali sono stati ovviamente messi a punto da Sirius: incredibile come in certe occasioni si dimostri di una pignoleria assurda.
Tutto quello che devo fare ora è compiere l’incantesimo e nascondere le ‘scope’ nell’angolo più remoto del ripostiglio, in modo che Gazza non pensi di appropriarsene nel caso decidesse di piombare proprio qui dentro. Sono sicuro che nessun Serpeverde mi abbia seguito, perché in questo momento sono tutti a cena e Sirius li sta tenendo d’occhio peggio di un cane da guardia, pronto ad avvisarmi tramite lo specchio se qualcuno di loro si alza da tavola, con o senza un pretesto per farlo.
Potrei compiere queste operazioni in totale tranquillità, sono più protetto della Pietra Filosofale.
Mi chino e appoggio a terra le bottiglie, togliendomi il mantello. Tiro fuori la bacchetta e mi preparo ad eseguire l’incantesimo, con un senso di potenza infinita che mi rende un tantino megalomane in questo momento.
“Potter, che diavolo …”
Faccio un salto all’indietro che mi fa quasi rovesciare per terra, la bacchetta che mi vola via di mano. Mi volto, sulla porta del ripostiglio c’è la Evans in persona. Per Godric, non è possibile. Sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato.
“Evans, accidenti … che ci fai qui?! Non costringermi a farti del male”, balbetto, preso dal panico, mentre cerco di recuperare la bacchetta in mezzo a tutti questi stracci polverosi. Lei sbuffa sarcasticamente.
“Non oseresti”, mi dice, evidentemente per nulla intimorita dalla mia debole minaccia. Solo che io devo assolutamente sforzarmi di risultare minaccioso.
“Beh …” inizio, spazzandomi via la polvere da una manica del maglione, “credo che tu non ci tenga a scoprirlo, perciò … se tu potessi …”
“… cosa, lasciarti in pace? Lo pensi seriamente?”
Già, immaginavo che avrei preteso un tantino troppo.
“Non vorrei dover ricorrere a rimedi estremi, sai com’è …” sbotto, sentendomi alle strette. Lei non accenna minimamente a cancellarsi quel ghigno di sardonica soddisfazione dalla faccia.
“Potter, non mi fai paura. Avanti, dimmi che diavolo stavi combinando con quelle bottiglie di oscura provenienza e forse sarò clemente e ti darò io stessa una punizione, evitando di dover passare per la McGranitt”.
Pensandoci bene, è lei che fa paura a me.
Perfetto, e ora che faccio? Che accidenti mi invento per farla stare buona? Questo è il miglior piano di tutta la mia carriera scolastica, per quanto la adori non posso permettere che me lo mandi in fumo …
“E se facessimo finta che tu non abbia visto niente?” ipotizzo, alzandomi in piedi e sfoggiando uno dei miei migliori sorrisi. “Andiamo, non stavo facendo nulla di male …”
La osservo esibire un’espressione perplessa mentre ancora mi sto sforzando di tirar fuori tutta la mia proverbiale sicurezza, e la cosa ha su di me più o meno lo stesso effetto di un ago che buca un palloncino.
“Benissimo, allora spiegami che cosa stavi facendo, per la precisione. Se davvero non è nulla di male, non hai di che temere”.
Oh, fantastico. Si sta proprio divertendo, a torturarmi così. Donna senza cuore.
“Non posso dirtelo”, rispondo, esibendo tutta la mia più stupefacente e accattivante ingenuità. Lei mi guarda con un’espressione sconcertata, i suoi bellissimi occhi verdi completamente spalancati per lo stupore.
“Potter, se non me lo puoi dire allora la strada che hai di fronte è una sola: mi segui, ascolti la mia punizione e poi sconti la tua condanna! Non vedo perché tu debba farla tanto difficile”.
No, no, Lily, così non va bene, non va bene per niente. Non vuoi proprio farmela passare liscia, eh?
Decido che la cosa migliore da fare è cercare di svignarmela. Non ho intenzione di lanciarle contro un incantesimo, per quanto le circostanze siano complicate, non ne avrei davvero la forza. Ma anche i miei tentativi di schivarla vanno a vuoto. Del resto, l’entrata del ripostiglio non è così enorme.
“Qual è il tuo problema, accidenti?” le chiedo, dichiarandomi implicitamente vinto. Lei non mostra il minimo segno di compassione nei miei confronti.
“Il mio problema è che tu stai architettando qualcosa che io non posso lasciarti portare a termine, e mi duole se questo non ti va a genio, ma la spilla da Prefetto ce l’ho io, non tu”.
Mi sento invadere dallo sconforto. Non ne uscirò mai indenne, è impossibile che decida di usarmi clemenza. Ma perché, accidenti?
“Senti, Evans, fammi il favore di togliermi una curiosità: che diamine ti ho fatto di male per guadagnarmi una tale persecuzione da parte tua? Non credevo di poter meritare una punizione perché per sei anni sono stato …”
Mi blocco prima di finire la frase, è più forte di me. Avevo fatto un sospiro profondo prima di esordire, e avevo deciso che le avrei detto tutto, ma proprio tutto. Non per una ragione precisa, ma perché semplicemente ne avrei avuta l’occasione, una volta tanto. Però poi, tentando di tirar fuori le parole, mi sono accorto di non esserne in grado. Ha cominciato a riemergere quella parte timorosa di me che tende a schermarsi dietro le frasi non dette, le espressioni lasciate a metà. Eppure, so di non avere niente di cui vergognarmi a riguardo. Sono innamorato di lei, già, e lo sono fin da quando non ero altro che un moccioso alto un metro e uno sputo, da quando ho messo piede a Hogwarts per la prima volta, da quando non sapevo nemmeno da che parte girare per arrivare in Sala Grande, e me lo sono tenuto dentro, ho iniziato a reagire al suo disprezzo iniziale trasformandomi sempre di più in quello che lei odiava maggiormente fino ad arrivare al momento in cui mi sono sentito descrivere con i peggiori aggettivi che siano mai stati inventati, cosa che ha avuto su di me un impatto depressivo non indifferente.
Ho fallito in modo clamoroso con lei, e nemmeno ho il coraggio di dirglielo.
“Non sono una perfida aguzzina, sai benissimo che come Prefetto ho il dovere di tenere d'occhio i soggetti come te”, mi risponde, in tono glaciale. Io la guardo negli occhi, risoluto a non abbassare più lo sguardo.
“Come Prefetto non ti accanisci così nei confronti di nessun altro. L’unico motivo per cui lo fai è perché l’hai resa una questione personale”.
Per un effimero secondo lei mi fissa con uno sguardo attonito, come se avesse capito esattamente dove volevo andare a parare. Subito dopo però recupera la padronanza di sé e mi sfida con un sorriso irridente.
“Perché devi far ricadere la responsabilità su di me? Sei tu quello che si crede il migliore in tutto quello che fa, che deve ottenere il primato in qualsiasi campo”.
Come, prego?
La confusione si fa strada dentro di me, mentre scavo alla ricerca di una spiegazione per questa sua criptica risposta. Ma mi ci vuole poco per arrendermi, perché in questo momento pare proprio che mi si sia annebbiato il cervello.
“E questo cosa vorrebbe dire?” le chiedo, correndo il grosso rischio di sembrarle un perfetto idiota. Ma lei, inspiegabilmente, diventa reticente e si morde il labbro, abbassando lo sguardo, piombando in un imbarazzo che mi lascia ancora più confuso.
“Lo sai benissimo”, mi risponde, con forzata sfacciataggine. Io increspo le labbra. Eh no, così non funziona; non vale affatto giocare su queste implicite consapevolezze.
“No, non lo so, quindi se vuoi che ti lasci andare devi spiegarmelo”, rispondo, avanzando e mettendola improvvisamente con le spalle al muro, con un tono provocatorio che forse va oltre quello che mi posso permettere. Rischio grosso in questo momento, perché lei potrebbe reagire con ira e rifilarmi una delle sue rispostacce del tipo "Io non ti devo nessuna spiegazione, razza di stupido borioso arrogante" e via su questo tono, anzi, sono praticamente certo che ormai finirà così. I suoi occhi già lampeggiano per l’odio che le sta crescendo dentro. Ho almeno la consolazione di averci provato, il resto imparerò a superarlo.
“Hai sul serio la faccia tosta di far finta di niente”, mi dice, stringendo le labbra, “o forse per te è così scontato che nemmeno te ne preoccupi. Sei riuscito a far cadere ai tuoi piedi l’intera scuola, ti trovano tutti simpatico e divertente, ti adorano tutti, tutti non fanno che dire quanto sei bravo a Quidditch e quanto sei brillante e carino e tutto il resto. E ora, l’unica che ti manca da aggiungere alla collezione sono io. È ovvio dove vuoi arrivare”.
Mentre pronuncia queste parole sento la sua voce incrinarsi lievemente, e io la fisso con aria ancora più sbalordita di prima. Allora è questo che pensa di me? Che per sei anni le abbia sbavato dietro solo per poterla ottenere come trofeo? Che sia veramente così assorbito dal fine di gonfiare a dismisura il mio ego da non considerarla nemmeno una persona, ma un obiettivo a cui puntare per accrescere la mia reputazione? Okay, tempo fa davo costantemente prova di una vanità che non aveva limiti quando lei si trovava nei paraggi, ma tutto quello che facevo lo facevo per impressionarla, per tentare vanamente di conquistarmi uno sguardo d’ammirazione da parte sua …
Sento la rabbia montarmi dentro, e non so davvero se sarò in grado di arginarla con efficacia. Ma non voglio accanirmi su di lei, per quanto io possa dimostrarmi per l’ennesima volta stupido e privo di dignità non ce la faccio a ferirla consapevolmente, per cui mi faccio indietro e distolgo lo sguardo da lei, distrutto.
“Va bene, senti … vai. Vai pure a dirlo alla McGranitt. Non mi importa”.
La sento rimanere immobile davanti a me, vergognandomi di tutta la triste delusione che mi sta invadendo, senza che io riesca a mascherarla in alcun modo. Mi sento più infantile di un bambino a cui hanno rubato le caramelle e l’attimo dopo vacillo, non mi sento più le gambe, sono costretto ad appoggiarmi al muro.
Sono semplicemente sconvolto, ecco la verità.
Non mi credevo capace di poter crollare di nuovo come mi è successo alla fine del quinto anno. Allora ero certo di aver toccato il fondo. E invece, mi ritrovo a scoprire che un fondo non esiste, e che evidentemente io sono destinato a sperimentarlo sulla mia pelle.
Ma lei non accenna ad andarsene.
Sollevo lo sguardo per osservarla, nonostante mi faccia male. Sembra davvero avere l’aria di non sapere cosa dire. Mi fissa come se le avessi appena detto che mia madre è stata ricoverata al San Mungo. Ma fino a un attimo fa era così convinta del giudizio che ha espresso, che non riesco a trovare nemmeno la forza per difendere la mia causa.
“Quindi è questo il motivo per cui ce l’hai con me, eh?” le domando, senza aspettarmi una risposta. E d’improvviso vengo assalito dai ricordi di tutte quelle volte che Sirius mi ha fatto notare quanto lei se la prendesse sempre e solo con me, e che sicuramente quello doveva essere un segnale positivo, perché se mi avesse odiato davvero avrebbe fatto di tutto per evitarmi o mi avrebbe semplicemente ignorato senza perdere tempo ad instaurare un dialogo con me, reagendo ad ogni minima provocazione. E io non riuscivo a dargli credito per la colossale paura di montarmi di nuovo la testa, ma in un certo senso, anche se a parole lo negavo, mi crogiolavo in quel punto di vista, non riuscendo comunque ad escluderlo come possibilità … Sono stato davvero un perfetto idiota. Dove finisce tutta la mia decantata intelligenza quando si tratta di lei? Sinceramente, non lo so proprio.
Avevo lavorato tanto per imparare ad essere forte di fronte a lei, a reagire con abilità ad ogni colpo basso, e adesso tutta la mia fatica va in fumo lasciandomi in preda alla debolezza più meschina. Davanti a me ho solo il suo visetto mortificato. Sembra quasi dispiaciuta di avermi appena pugnalato così violentemente, e questo mi getta in una confusione che sommandosi al dolore genera uno sconvolgimento un po’ troppo forte da sopportare.
Se anche sono riuscito a farle pena, in ogni caso non è quello che volevo.
Devo andarmene da lì. Ho una faccenda da sbrigare. Non mi importa più niente ormai di quello che lei potrebbe fare per sabotarmi, non mi importa più niente dei Serpeverde né del Quidditch, ho solo bisogno di stare da solo e di trovare il modo migliore per digerire anche questa batosta. Bei regali di fine anno ricevo, ultimamente. Il prossimo mi arriva uno schiaffo, poco ma sicuro.
L’imbarazzo pesa su di noi come una cappa di nebbia, ma alla fine lei prende l’iniziativa, e si allontana senza aggiungere altro. Io decido di non preoccuparmi più di lei, perché sfortunatamente in questo momento ho la forte necessità di concentrarmi su me stesso, da bravo egocentrico che sono.

***

Una tattica. Una stupida, odiosa, prevedibile tattica.
Mi viene voglia di gridare.
Perché Potter deve essere così congenitamente idiota, falso, perfido, e soprattutto, perché dev’essere un così bravo attore? Perché? È colpa di sua madre o di suo padre? Dannazione, non mi interessa se non l’avevano previsto. Hanno generato un essere esecrabile, non ci sono scuse.
Mi passo le mani fra i capelli, coprendomi il viso.
L’istinto di gridare è ancora forte, ma sto riuscendo a dominarlo. Ormai sono giorni che sto così. Vorrei sfogarmi e prenderlo a calci, ma ragionandoci sopra in modo lucido e razionale riconosco che non è la tattica più corretta ed efficace da adottare, perciò ho deciso di fargliela pagare in un modo più perfido e calcolato, cosa che riscuoterà sicuramente più successo di una pubblica scenata.
Non mi interessa un fico secco se quelli di Serpeverde sono dei gonfiati boriosi invischiati fino al collo nelle Arti Oscure, farò in modo che Potter non torca loro un capello.
Non perché ci tenga a difenderli – anzi, io per prima ho smesso di farlo ormai diverso tempo fa –, ma perché far fallire Potter in una delle sue bravate è sicuramente la punizione peggiore che io possa affibbiargli.
Non può permettersi di tentare di prendermi in giro così subdolamente e poi passarla liscia, questo è poco ma sicuro.
Per questo lo sto tenendo d’occhio.
Mangio distrattamente, alle volte finisco per sbattere la forchetta contro il piatto nel vano tentativo di infilzare il cibo. Ogni tanto Margaret mi guarda in modo strano e mi chiede se ho bisogno di essere imboccata, ma non ho tempo di spiegare niente a nessuno, quindi mi limito ad imporle di tacere con un gesto secco. Devo concentrarmi. Se adesso iniziassi a parlarne con lei, partirebbe immediatamente l’ennesima campagna in difesa di Potter il Magnifico.
Poco dopo Potter si alza da tavola, con un’aria da Innocentino che fa quasi venire il vomito. Rivolge un inchino ai suoi amici e si allontana con una disinvoltura che non ho mai capito da dove tragga. Cosa faccio, ora, lo seguo o non lo seguo? Non posso alzarmi subito da tavola, darei troppo nell’occhio, e sarebbe come sbandierare ai quattro venti che mi sto apprestando a pedinarlo. Ma così rischio di perderlo di vista …
“Se ti può essere utile, credo di sapere dove stia andando”, mi dice Mary, all’improvviso. Io mi volto verso di lei, invitandola a proseguire con un cenno incuriosito.
“Oggi a Difesa li ho sentiti parlare del loro prossimo piano, e di un ripostiglio per le scope – credo quello del terzo piano, sai, di solito è poco frequentato. Non sono sicurissima di aver capito bene, e non ti so dire a cosa gli serva, ma spero ti possa essere utile”.
“Grazie”.
Mary è esattamente il tipo di persona che si rivela utile in circostanze del genere: di solito, standosene sempre in silenzio immersa nel suo libro della settimana, la gente non fa particolarmente caso ad abbassare il tono della voce nelle sue vicinanze.
Attendo qualche minuto, reprimendo con forza quel sorriso di soddisfazione che cerca di farsi strada sulla mia faccia mentre l’euforia mi pervade. L’ho praticamente incastrato, non mi resta altro che beccarlo con le mani nel sacco.
Mi alzo da tavola insieme a Mary, che si è offerta di accompagnarmi in dormitorio, perché non ha più fame e deve assolutamente finire di leggere Il Signore Delle Mosche, dato che oggi i suoi genitori le hanno inviato via gufo Siddharta, e lei non si sente fisicamente bene se non ha ancora finito un libro e ne ha già un altro che la aspetta.
Ci allontaniamo dai tavoli della Sala Grande facendo finta di niente, conversando in modo normale. Solo Mary sa che cosa sto andando a fare in realtà. Alle altre non l’ho detto, tanto conosco già i commenti che accompagnerebbero il mio ennesimo atto di cattiveria nei confronti di Potter. Lei è l’unica che per principio non si intromette e, anzi, mi dà anche una mano, sebbene magari non capisca esattamente il perché lo faccio.
In questo caso, però, credo che non comprenderebbe nessuno.
Tutta Hogwarts ama Potter e i suoi amici, e io sono la pecora nera della situazione; ormai ci ho fatto l’abitudine, e per me non è più un problema.
“Ci vediamo dopo”, dico a Mary al momento di separarci, e con un sorriso mi avvio verso il corridoio del terzo piano. Cerco di camminare nel modo più silenzioso possibile, procedendo a passi lenti e misurati. Questa è la volta buona che becco Potter con le mani nel sacco, poco ma sicuro. La mia impazienza cresce in modo spropositato nel momento in cui sento un rumore provenire da un punto lontano del corridoio, ma mordendomi il labbro mi impongo di fare piano. Ancora poco e ci sei, Lily.
Sono davanti alla porta del ripostiglio. Trattengo il fiato e salto fuori, trovandomi di fronte proprio l’idiota che stavo cercando. È chino a terra di fronte a un paio di bottiglie, e tiene in mano una bacchetta, con l’aria di uno che sta per pronunciare un incantesimo.
“Potter, che diavolo …”
Lui fa un balzo all’indietro voltandosi con un’espressione terrorizzata e facendosi scappare la bacchetta di mano.
“Evans, accidenti … che ci fai qui?! Non costringermi a farti del male”, mi dice, cercando di riprenderla.
“Non oseresti”, lo sfido, a testa alta.
“Beh … credo che tu non ci tenga a scoprirlo, perciò, se tu potessi …”
“… cosa, lasciarti in pace? Lo pensi seriamente?”
“Non vorrei dover ricorrere a rimedi estremi, sai com’è …”
“Potter, non mi fai paura. Avanti, dimmi che diavolo stavi combinando con quelle bottiglie di oscura provenienza e forse sarò clemente e ti darò io stessa una punizione, evitando di dover passare per la McGranitt”.
Ci guardiamo in silenzio per qualche secondo, io con la soddisfacente sensazione di averlo in pugno, lui con l’aria di chi non sa che pesci pigliare. Dopo un po’ di tempo sprecato in questo modo, si alza in piedi e mi si avvicina con aria accattivante.
“E se facessimo finta che tu non abbia visto niente? Andiamo, non stavo facendo nulla di male …”
Inarco un sopracciglio, assumendo un’espressione profondamente scettica. Forse non ha ancora capito che le sue tattiche per catturarsi la simpatia altrui con me non hanno alcuna efficacia.
“Benissimo, allora spiegami che cosa stavi facendo, per la precisione. Se davvero non è nulla di male, non hai di che temere”.
Cala un altro silenzio appesantito dal suo evidente disagio, dato che ancora non è riuscito a trovare una scusa che regga.
“Non posso dirtelo”, mi spiega, con candore, alzando le spalle e appoggiandosi con teatralità allo stipite della porta. Io sgrano gli occhi, allibita. Chi crede di prendere in giro?
“Potter, se non me lo puoi dire allora la strada che hai di fronte è una sola: mi segui, ascolti la mia punizione e poi sconti la tua condanna! Non vedo perché tu debba farla tanto difficile”.
Lui scuote la testa, alzando gli occhi al soffitto. Comincia ad essere un tantino esasperato. Fantastico. Tra poco si stancherà di provare a farla franca.
Tenta di schivarmi un paio di volte per sfuggirmi, ma i miei riflessi sono sufficientemente buoni da sbarrargli la strada. Dopo un po’ desiste, e mette via la bacchetta.
“Qual è il tuo problema, accidenti?” mi dice, in tono lamentoso. Come se potesse riuscire a farmi pena. Ma andiamo.
“Il mio problema è che tu stai architettando qualcosa che io non posso lasciarti portare a termine, e mi duole se questo non ti va a genio, ma la spilla da Prefetto ce l’ho io, non tu”.
Di solito non ne faccio un vanto, anzi. Non mi aspettavo che Silente scegliesse proprio me. Mary, ad esempio ha più pazienza, Helen ha più carisma. E in genere non approfitto del mio potere, tranne quando si tratta di Potter.
“Senti, Evans, fammi il favore di togliermi una curiosità: che diamine ti ho fatto di male per guadagnarmi una tale persecuzione da parte tua? Non credevo di poter meritare una punizione perché per sei anni sono stato …”
Si blocca a metà frase, e io lo osservo con aria apparentemente perplessa. Intanto, ad un livello più profondo del mio subconscio, sento esplodere una serie di domande e di dubbi confusi. Insomma, voglio dire, le sue manie di persecuzione sono semplicemente ridicole. Non passo tutto il mio tempo a dargli la caccia, per me non ha tutta questa importanza. Questo è un caso eccezionale, e potrà anche darsi che io mi stia dando così da fare perché sotto sotto voglio fargliela pagare per la recita calcolatrice che ha messo in atto durante tutto quest’anno nel tentativo di vincere una specie di trofeo incarnato nella mia persona, ma comunque sia questo è il mio dovere. Silente non mi ha affidato un incarico di una simile portata perché mi beassi degli sguardi di chi occhieggia la mia spilla con invidia o ammirazione e poi mi adagiassi sugli allori lasciando che Hogwarts andasse alla deriva.
E poi, sono stato cosa? Un casinista? Una persona assillante? Un insopportabile sbruffone?
“Non sono una perfida aguzzina, sai benissimo che come Prefetto ho il dovere di tenere d'occhio i soggetti come te”, gli rispondo, in tono freddo e asciutto. Non ho la benché minima intenzione di farmi impietosire da uno che, per presunzione e congenita incapacità di accettare una sconfitta, ha messo in piedi un simile teatrino per poi cantare vittoria alle mie spalle una volta che avessi ceduto.
Se avessi ceduto.
“Come Prefetto non ti accanisci così nei confronti di nessun altro. L'unico motivo per cui lo fai è perché l'hai resa una questione personale”.
Che diavolo va blaterando, si può sapere? È impossibile che abbia scoperto quello che so, perciò mi piacerebbe molto capire da che cosa ha dedotto che si tratta di una questione personale.
“Perché devi far ricadere la responsabilità su di me? Sei tu quello che si crede il migliore in tutto quello che fa, che deve ottenere il primato in qualsiasi campo”, replico freddamente, con un sorriso beffardo, sperando che colga l’evidente allusione. Ma la sua espressione confusa e spiazzata fornisce una prova più che evidente del fatto che non è in grado di arrivarci. Oppure fa finta di non capire. Idiota.
“E questo cosa vorrebbe dire?” mi chiede, con un’incertezza che sembra quanto mai sincera. È davvero un bravissimo attore, non c’è che dire. Io non riuscirei mai a fare come lui.
Poco importa, se vuole davvero fingere di non arrivarci glielo dico io.
Anche se mi sembra così presuntuoso. Non ho idea del perché debba esserci proprio io, invischiata in questa situazione. Mi sembra assurdo.
“Lo sai benissimo”, ribatto, ostentando un’aria di sufficienza che in realtà non ho. Avanti, non è così difficile arrivarci. Nemmeno per uno dotato di così scarse capacità cerebrali.
“No, non lo so, quindi se vuoi che ti lasci andare devi spiegarmelo”, risponde lui, in tono di sfida, mettendomi con le spalle al muro. Si permette anche di fare lo sbruffone pretenzioso, guardatelo. E va bene, se proprio vuole sentirlo uscire dalle mie labbra per essere soddisfatto, gli darò questa soddisfazione. Almeno capirà che ho compreso il suo gioco, e la farà finita con questa buffonata.
“Hai sul serio la faccia tosta di far finta di niente”, gli dico, con ira, “o forse per te è così scontato che nemmeno te ne preoccupi. Sei riuscito a far cadere ai tuoi piedi l’intera scuola, ti trovano tutti simpatico e divertente, ti adorano tutti, tutti non fanno che dire quanto sei bravo a Quidditch e quanto sei brillante e carino e tutto il resto. E ora, l’unica che ti manca da aggiungere alla collezione sono io. È ovvio dove vuoi arrivare”.
Non riesco a pronunciare tutto questo brillante discorso con la forza che avrei dovuto metterci realmente, e la mia voce finisce per spegnersi quasi in un sussurro una volta arrivata alla fine. Non so cosa mi stia succedendo, non so perché ho perso tutta la convinzione che avevo all’inizio.
È che … la sua faccia.
Ha una faccia sconvolta.
Rimango immobile a fissarlo impudentemente senza riuscire a togliergli gli occhi di dosso, perché davvero non riesco a crederci.
Non dice niente, ha soltanto quell’espressione indefinibile.
Peggio di quando Grifondoro ha perso il campionato di Quidditch al terzo anno.
È … terribile. Mi fa star male. Gli sono perfino venuti gli occhi lucidi.
Non posso crederci, mi sembra assurdo. Che diavolo gli succede, per Merlino?
Dopo un po’, abbassa lo sguardo e incassa la testa fra le spalle, indietreggiando.
“Va bene, senti … vai. Vai pure a dirlo alla McGranitt. Non mi importa”.
Io non riesco a muovere un muscolo.
So benissimo che, per questioni di dignità e di decoro, dovrei troncare immediatamente questa conversazione e andarmene, fiera del risultato ottenuto.
Ma non riesco a capire.
Perché ha quella faccia?
Perché non tenta nemmeno di difendersi?
Dopo aver organizzato tutta questa meticolosa messa in scena durata un intero anno scolastico, per quale motivo ora che l’ho smascherato mi volta le spalle e mi dice di andarmene?
È lui che ha qualche rotella fuori posto, o è colpa mia?
Nemmeno una parola. Nemmeno una stupida scusa. Nemmeno un pallido tentativo di farmi credere che non è come penso.
Continuo a fissarlo ad occhi spalancati mentre si appoggia al muro con un braccio, nascondendovi dietro il viso. Sono sconvolta. Sono semplicemente sconvolta. Lui, il bamboccio, quello che prende tutto sul ridere e niente sul serio, che non getta mai la spugna nemmeno di fronte al ‘no’ più secco e glaciale. Non è possibile. Solo una volta, in tutti questi anni, sono riuscita a ferirlo, ed è stato un anno fa. Ma poi gli è passata, come avevo previsto, ed è tornato ad essere quello di sempre. Beh, non esattamente. È cambiato. È diventato più maturo, più ragionevole, più acuto. No, no, un momento. C’è qualcosa che non va. Doveva essere tutta una recita.
Possibile che io abbia frainteso?
Possibile che quella in torto sia io?
Solleva di nuovo la testa per guardarmi ancora con quella faccia, e io non riesco a sostenere il suo sguardo. Fisso una crepa nel pavimento con ostinazione, costringendomi a pensare a quanto ero convinta, fino a pochi minuti fa, che la sua fosse tutta una farsa.
Non credo di farcela. È troppo.
“Quindi è questo il motivo per cui ce l’hai con me, eh?” mi domanda, in tono retorico e amaramente disincantato. Sento l’impellente bisogno di rispondere qualcosa, ma le parole mi sfuggono e i secondi passano, e mi rendo conto che ho perso l’occasione. Non saprei nemmeno che dire, in effetti. Non ho idea di come reagire. Dovrei essere inflessibile, e fregarmene, ma è troppo. È veramente troppo.
Non ho altro da fare, lì. Non c’è nient’altro che io possa fare.
Forse è davvero il caso che me ne vada.
È evidente che ha bisogno di stare da solo. E se anche potesse desiderare che ci sia qualcuno a confortarlo, quel qualcuno non sono certo io.
Basta. Me ne vado.
Lentamente, mi stacco dallo stipite della porta e arretro, cercando di non far rumore, mentre lui continua a darmi le spalle. Dopo essere finalmente riuscita ad uscire dal suo campo visivo, a passi lenti e misurati mi incammino per andarmene il più lontano possibile da lì, percorrendo il corridoio deserto fino alla fine, continuando a non capire un fico secco di quello che è successo.
È piuttosto ironico che fino a cinque minuti fa fossi così convinta di saperlo.
 
 


Do you always have to tell him everything on your mind?
You know that too much honesty can be so unkind?
And every time you throw him to the floor,
Why are you surprised to see he’s breakable?

(Fisher, Breakable)

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Capitolo 4
*** Cioccorane in segno di pace ***


capitolo 4
Capitolo 4 – Cioccorane in segno di pace
 
 


 Chi non cambia mai la propria opinione ha il dovere assoluto di essere sicuro di aver giudicato bene sin da principio.

(Jane Austen, Orgoglio e pregiudizio)




29 maggio 1977

 
Ogni volta che sprofondo nella poltrona più lontana dalla folla che anima la sala comune, faccio sempre più fatica a risollevarmi e tornare in mezzo al gruppo con un enorme sorriso di circostanza stampato in faccia.
La verità è che odio immusonirmi in questo modo. So di risultare fastidioso e preoccupante quando mi comporto così, e so che razionalmente dovrei riuscire ad impormi di essere allegro come la situazione richiede. Però, alla fine, non ci riesco veramente. Magari chi non mi conosce non si accorge di nulla, ma Sirius già mi sta tenendo d’occhio da tre giorni a questa parte e lo sguardo muto di Remus mi segue sempre dovunque vada, troppo buono per rimproverarmi, troppo discreto per cercare di discutere con me di quello che non va. Anche Peter è preoccupato e mi regala ogni genere di sciocchezza per cercare di tirarmi su: un modellino di Jocunda Sykes a cavallo della sua scopa, un Avversaspecchio sgraffignato da suo nonno durante le vacanze di Pasqua, un piccolo Pensatoio (“Perché sei così pensieroso in questi giorni, ma dato che non ti va di confidarti con noi …”).
Non che io non sia loro grato, ma la mia situazione, sostanzialmente, non è cambiata. Mi sento un inutile peso per tutti, un odiosissimo problema a cui nessuno può trovare una soluzione efficace. Sono insopportabile ai miei stessi occhi, eppure non riesco a darci un taglio e a farmela passare una buona volta. Sono imprigionato in un’ingiustizia che non mi permette di gioire perché abbiamo appena vinto la finale di Quidditch, perché fino a domani sera i Serpeverde correranno in bagno in quattro alla volta, perché i miei esami sono andati bene, perché anche quest’estate Sirius starà da me … in fondo, si tratta di almeno quattro ragioni contro una per essere felice, e nonostante questo sembra che io non sia capace di dare il giusto peso alle cose. Altro che crescita e maturazione. Sono ancora un bambino, ecco la verità. Mi sento incredibilmente stanco, non sono affatto di compagnia, e forse sarebbe davvero il caso che me ne andassi a dormire.
Mi dispiace, perché so che gli altri ci rimarranno male. Sirius si offenderà, e mi terrà il broncio per un paio di giorni. Ma davvero non posso farci niente, non riesco a fingere così bene come dovrei, ed è inutile rimanere lì ancora, ad osservare gli altri che si divertono al mio posto.
Il mio tentativo di concentrazione per riuscire ad alzarmi senza ricadere a peso morto sulla poltrona non dura più di una frazione di secondo, perché l’attimo dopo una persona con una lucente massa di capelli rossi si siede rapidamente vicino a me lasciandomi pietrificato e incapace di muovermi.
Mi sento il suo sguardo puntato addosso, e io non riesco ad alzare gli occhi per sostenerlo.
“Oh, scusami, ti ho lanciato un incantesimo senza accorgermene?” mi chiede lei, falsando volutamente un tono di preoccupazione apprensiva. Io mi limito a increspare le labbra e a corrugare la fronte, continuando a guardare il vuoto davanti a me.
“Certo, mi fa piacere che per una volta tu te ne stia zitto, ma hai comunque il permesso di muoverti”.
Stavolta mi giro a guardarla, tentando di impormi di fissarla con uno sguardo di disappunto. In realtà non capisco assolutamente niente. Lei che di sua volontà è venuta a sedersi di fianco a me, che di sua volontà mi sta rivolgendo la parola … è semplicemente qualcosa di estraneo alle mie capacità di comprensione. Riconosco di avere un’intelligenza limitata, almeno in determinati campi, ma tutto questo non riesce a sembrarmi normale, e penso che potrei essere enormemente grato a chiunque fosse in grado di fornirmi una spiegazione, anche se si trattasse di Snivellus.
“Questo è il tuo modo di ringraziarmi per aver fatto vincere a Grifondoro almeno la Coppa di Quidditch?” provo ad insinuare, tentando di risollevarmi dallo shock. Lei si stringe nelle spalle.
“Considerato che non ritengo il Quidditch la base della mia esistenza, direi che per quanto mi riguarda quella coppa è soltanto una magra consolazione”.
Scuoto la testa, alzando gli occhi al soffitto. Va bene che sono pazzo di lei, ma questo non implica che io debba sempre essere al settimo cielo di sentirmi rivolgere la parola, se questo significa essere costantemente bersagliato con simili denigrazioni.
“Avanti, dimmi che cosa gli avete fatto”, mi dice, in tono perentorio. Io la fisso a bocca aperta, con un’espressione probabilmente ridicola.
“Cosa abbiamo fatto a chi?” le chiedo, la mente in preda alla confusione più totale.
“Ai vostri migliori amici”, risponde lei, con ovvietà. Io mi pietrifico di nuovo. Se mi ha appena citato l’espressione usata da Sirius il giorno che abbiamo delineato il piano, vuol dire che ha ascoltato l’intera conversazione senza che noi ce ne accorgessimo. Fantastico. Lily Evans non è un Prefetto, è un Auror per Malandrini.
“Ah. Certo”, borbotto, incupito. Non le bastava aver distrutto il mio orgoglio di uomo, doveva necessariamente darsi da fare per distruggere anche quello di Malandrino. Sapere che avrebbe potuto sabotarci con estrema facilità non mi riempie esattamente di gioia, e già mi cadono le braccia al pensiero di quello che dirà Sirius quando lo verrà a sapere.
"Lo vedi che avevo ragione io? La tua donna è una grandissima bastarda! Avresti dovuto tapparle la bocca quando potevi, invece di girarle intorno! E così ero paranoico, eh? La prossima volta invece di accusarmi vedi di imparare a contenerti di fronte a lei, o puoi anche scordarti di divertirti ancora qui dentro!"
Nonostante questo lei è ancora lì, a fissarmi in silenzio. Forse dovrei evitare di farmi tanti problemi e limitarmi a darle quello che vuole.
“Cosa credevi che ci fosse in quelle bottiglie?” le chiedo, in tutta risposta, scegliendo di evitare i giri di parole. Lei si stringe nelle spalle.
“Idromele?” risponde. Io quasi sogghigno.
“Sbagliato. In realtà era pozione lassativa. Il fatto è che, anche se te l’avessi fatto assaggiare, ti posso assicurare che non avresti notato la minima differenza. A parte per gli effetti collaterali, s’intende. Hai notato che l’altro ieri Sirius e Peter non stavano tanto bene? Questo perché avevano semplicemente fatto da cavie … prova ad immaginarti l’effetto che potrebbe dare anche solo un bicchierino di quella roba”.
“E come ci siete riusciti?” mi chiede, incuriosita. Io la guardo negli occhi, e stavolta il ghigno mi scappa.
“Trucchi del mestiere, sorella. Noi quattro sappiamo fare cose che sui banchi di scuola non si sognerebbero mai di insegnarci”.
Comincio a pensare che ora ha davvero un motivo perfetto per farmi una predica interminabile.
“Spero proprio che si ubriachino tutti”, sentenzia invece, e io la guardo sbalordito. Il secondo dopo un sorriso di sorpresa mi esplode sul volto. È assolutamente fuori da ogni logica, Lily Evans approva una nostra bravata. Mi sarei aspettato di sentirmi dire di tutto, meno che una cosa di questo genere. “La tua perfidia è sprecata come Prefetto”, le dico, dimenticandomi in un attimo delle mie intenzioni di mantenere un atteggiamento discostato nei suoi confronti. Lei mi lancia un sorriso obliquo.
“Stai cercando di corrompermi?” mi chiede. Io mi stringo nelle spalle, divertito.
“Dovresti provare a collaborare a uno dei nostri scherzi, sono sicuro che finirebbe per piacerti”.
La mia fantasia ha sempre avuto il vizio di correre troppo. Ora, dopo una proposta del genere, indubbiamente mi arriverà uno schiaffo.
Ma lei non si muove, si limita a incrociare le braccia e a fissarmi.
“E che cosa ci guadagno?” mi chiede. Io rimango indeciso su cosa rispondere per qualche imbarazzante secondo. Un paio di offerte da farle forse le avrei, ma sono abbastanza sicuro che non apprezzerebbe.
“Beh, di certo ti faresti un sacco di risate, cosa che ti fa evidentemente bene perché in questo momento sei molto più rilassata del solito”.
Lei non risponde e si limita a fissare una crepa nel pavimento, con un lieve sorriso che le aleggia sulle labbra. Devo dire la verità, non ho la più pallida idea di quello che sta succedendo in questo momento, ma vederla così in questo momento riesce a farmi smettere di scervellarmi.
Alla fine, decido di gettarmi nel baratro e di provare a risolvere la questione.
“Vuoi scusarti con me, vero?” le dico, preparandomi al peggio. In realtà, è solo un’azzardata intuizione a dirmi che è così. Quest’intuizione non tiene conto del fatto che lei è l’ultima persona al mondo che metterebbe da parte il suo orgoglio per venire a scusarsi con me – un dettaglio non così trascurabile, dopo tutto. Ma si sa che non ho mai imparato bene a tenere a freno la lingua; comincio a sospettare che non me l’abbiano proprio mai insegnato.
“Tieni”, mi dice lei, stendendo bruscamente il braccio e porgendomi un sacchetto che teneva in grembo. Cioccorane. Da quando sa che ne vado matto? Ne pesco una con incertezza, e il dubbio che possa essere avvelenata per un attimo mi attraversa la mente. Lo scaccio via subito sorridendo tra me della mia stupidità, poi getto un’occhiata di sbieco a Lily, che mi tiene d’occhio con un’espressione ermetica. Continuo a capirne sempre meno di tutta questa storia, ma evidentemente tutti si divertono a prendermi in giro.
“Okay, accetterò la tua offerta di pace”, le dico infine, stringendomi nelle spalle e addentando la Cioccorana. Sul suo volto compare un sorriso vagamente sinistro, con cui sembra volermi minacciare di picchiarmi se non la finisco di fare osservazioni di quel genere. In quel momento capisco che potrei anche farmi prendere di nuovo dalla depressione, mandarla via e rinchiudermi in me stesso. Non mi ha detto che le dispiace, che in realtà non pensa davvero quello che mi ha detto qualche giorno fa e che ha sbagliato a trarre conclusioni affrettate. Mi ha ferito a morte, e io dovrei essere arrabbiato con lei. E ora, se anche è vero che le sue intenzioni sono quelle di farsi perdonare, si è limitata a sedersi vicino a me di sua iniziativa e a offrirmi una Cioccorana. Dovrei pretendere delle scuse in piena regola, con tanto di dichiarazione scritta e genuflessione. Eppure, istintivamente so che devo accontentarmi di questo semplice gesto, perché la conosco fin troppo bene ormai. Conosco l’orgoglio che le impedisce di inginocchiarsi e di dire le cose direttamente, mettendo da parte le complicazioni in nome di una necessità di chiarezza. So che non posso pretendere altro, e forse nemmeno lo desidero.
L’ho sempre amata per quello che è, in fondo.
O forse sono io che non riesco ad avere un orgoglio.
Sirius direbbe questo, credo.
“Sai, queste sono situazioni piuttosto critiche. Dovremmo evitare di complicarci la vita. La prossima volta potrei procurarmi del Veritaserum … così non dovresti affidarti a una Cioccorana”.
Lei storce gli occhi, trattenendo un sorriso.
“Hai bisogno di una pubblica confessione per sentirti meglio?” mi chiede, ironica. Io la guardo, tenendola sulle spine per qualche secondo.
“Nah. Mi sto solo divertendo un po’”, le rispondo, mettendoci un pizzico di quella strafottenza che la fa tanto irritare. Già, devo riconoscerlo: sono un vero genio nel provocare l’astio della gente nei miei confronti. Il problema è che poi le conseguenze che ne ricavo non sono molto piacevoli, perciò sarebbe meglio se imparassi a tenere la bocca chiusa, dopotutto.
Improvvisamente mi sento arrivare un pugno sul gomito. I miei nervi registrano il dolore facendomi emettere un guaito immediato.
“Ahia! Ma che ho fatto?!”
“Parli soltanto per dare aria alla bocca!”
“Questa è soltanto una delle tue teorie riguardo a me, e io non la condivido affatto”.
Lily torna ad essere seria di colpo, fissandomi a labbra strette. Io mi rendo conto dell’analogia che inconsapevolmente ho stabilito fra quella sciocchezza di un momento e il motivo per cui siamo arrivati a discutere qualche giorno addietro.
Sì, sono sempre estremamente bravo a cacciarmi nei guai.
“E va bene, scusami, ho esagerato”, mi dice lei, incrociando le braccia e fissandomi con aria seria. Mi sorprendo che abbia deciso di andare direttamente al punto, questa volta.
“Bene. Riterrò le scuse universalmente valide, anche se per il livido che mi rimarrà sul braccio meriterei probabilmente qualcosa di più …” - la sua occhiata assassina mi fulmina di colpo – “… intendevo un’altra Cioccorana, non montarti la testa”, aggiungo, in tono ironico.
La sua espressione, di colpo, cambia. Non è più quella di chi ha voglia di uccidermi in modo violento e sanguinoso. Sta ridendo, e per quanto possa essere banale penso soltanto che è bellissima quando ride. In realtà la trovo sempre bellissima, ma non mi sembra il caso di soffermarsi a polemizzare su questo aspetto della questione per farmi notare quanto io sia monotono e banale.
“Come vuoi”, mi dice, e mi porge il sacchetto un’altra volta. L’euforia mi esplode dentro in maniera incontrollabile, e il mio viso viene irrimediabilmente alterato dal classico sorriso ebete che non riesco mai a trattenere in casi del genere.
È abbastanza comprensibile, se consideriamo che non mi capita molto spesso di avere occasioni in cui sfoggiare un sorriso ebete, almeno con lei.
Mastico in silenzio, sentendomi per una volta soddisfatto alla fine di una giornata.
Coppa del Quidditch, scherzo ai Serpeverde e risata di Lily. Una terna fortunata che probabilmente non si ripeterà mai più in vita mia. Ma mi sento così felice che il pensiero non riesce ad adombrare la mia gioia.
Dopo un po’ vedo che lei fa un cenno, rivolta ad un’amica che la stava probabilmente cercando.
Non poteva durare in eterno, me ne rendo conto.
“Ricordati che in ogni caso la tua vittoria a Quidditch non compensa le tue malefatte”, mi dice, voltandosi indietro quando ormai è già in piedi e pronta ad andarsene. Io le sorrido, divertito.
“Troverò il modo di farmi perdonare”, rispondo, senza aggiungere altro. Un attimo dopo lei è già sparita. Mi ricordo improvvisamente che circa cinque minuti fa morivo dalla voglia di andare a chiudermi in camera … ma quale camera? In questo momento non riuscirei a staccarmi da questa poltrona nemmeno se mi dicessero che Piton sta ballando sui tavoli in mutande.

***
 
“Secondo voi come fanno?”
Mi volto verso Margaret e la osservo, perplessa; è completamente assorbita dal gioco, tiene lo sguardo fisso sullo sciame di corpi e manici di scopa che si agita confusamente a mezz’aria e non muove un solo muscolo, proprio lei che non riesce a trascorrere un solo quarto d’ora di lezione senza tirare fuori lo Smalto Cambiacolore per le unghie, il panino con la marmellata sgraffignato a colazione, le Etichette Canterine da applicare alle pagine dei libri o una nuova matita da infilarsi nel naso.
“A fare cosa?” le domando, sorridendo mentre ci penso. Fu uno spettacolo disgustoso, quando lo fece per la prima volta. La Cotton la beccò in pieno con quella cosa che le penzolava dalla narice e per poco non scoppiava a ridere in mezzo alla classe, mentre toglieva cinque punti a Grifondoro.
“A giocare tutti impaludati in quella maniera per ore. Hai presente quella volta, l’anno scorso, quando a novembre c’è stata Grifondoro contro Tassorosso sotto la pioggia? L’epoca in cui stavo con Brocklehurst, lui e il suo nome impossibile. Ecco, quando ci siamo incontrati negli spogliatoi dopo la partita, lui quasi non riusciva ad alzare un braccio da quanto era fradicio”.
Cerco di sorridere mentre Ernest Larsen sfreccia all’inseguimento di un Bolide a meno di mezzo metro dal nostro naso. Trovo sempre divertenti i discorsi di Margaret, solo che da qualche giorno sono davvero di pessimo umore. Ho attraversato diversi stadi di conflitto interiore per giungere ad un punto di non ritorno che mi vede inconcepibilmente pentita per ciò che ho fatto. Incredibile.
“Mio padre segue il football americano, e lì giocano in pantaloncini corti. Quelle sì che sono divise da gioco”, aggiunge Margaret, con aria sognante. Helen si sporge verso di noi con un’espressione impagabilmente disgustata al pensiero di un branco di energumeni sudati con le cosce al vento, e anche questo dovrebbe farmi ridere, perché io adoro la sua mimica facciale. Supera perfino la McGranitt, quando ci si mette. E la McGranitt che squadra dall’alto in basso Potter e Black mentre tentano di costruire un modellino di Hogwarts utilizzando le ampolle e le provette di Pozioni è qualcosa di eccezionale.
Poco importa. Mi passerà, prima o poi.
“Sfrecciano tutti a velocità assurde. Probabilmente prenderebbero freddo alle gambe, in pantaloncini”, osserva Mary, alzando lo sguardo dal blocco da disegno.
“Un giorno mi dovrai spiegare come ci riesci”, le dice Helen, chinandosi per dare un’occhiata. Mary fa un mezzo sorriso e non dice nulla. Riesce sempre a ritrarre Delia nel bel mezzo delle azioni più assurde.
“Guarda James!” esclama eccitato Peter stringendo il braccio di Remus per indicargli Potter che centra perfettamente l’anello centrale della porta di Serpeverde, dopo aver schivato due Bolidi. In condizioni normali avrei incrociato lo sguardo del mio compagno di sventure per sorridergli con comprensione. Adesso invece riesco solo a fissare il campo da gioco con un’espressione vacua, mentre il mio cervello non la smette di produrre assurdi ragionamenti concatenati affinché io mi decida sul da farsi.
Non capisco granché di Quidditch, e se vengo alle partite è soltanto per vedere Delia, che è in squadra come Battitrice fin dal secondo anno e se la cava magnificamente. Però adesso mi ritrovo a pensare che non vedo l’ora che Potter scenda da quella scopa. Così potrò parlargli, almeno.
Inutile dire che per quella faccenda è andato tutto a ramengo.
Ho lasciato perdere il loro stupido scherzo, e a quest’ora l’avranno sicuramente messo in atto. La cosa non ha più alcuna importanza e mi dispiace dirlo, ma ho ben altro a cui pensare.
Se Potter e i suoi amici vogliono sfogarsi facendo i teppisti, per questa volta farò finta di non vedere.
Nei quattro giorni trascorsi fino ad ora dalla discussione che abbiamo avuto nel corridoio del terzo piano, mi sono data alacremente da fare per evitarlo. Ho avuto la netta impressione che anche lui abbia fatto lo stesso. Di solito, anche se quest’anno non mi ha più avvicinata una sola volta per chiedermi di uscire, mi fermava comunque con una scusa per intrattenere una breve conversazione sarcastica. E alla fine, tutto sommato, non era poi così male. Lo so che è assurdo, ma ci avevo fatto l’abitudine. Io lo insultavo amichevolmente, lui reagiva con ironica galanteria, e nessuno pretendeva di più.
In questi tre giorni ho cercato di stare sola.
In genere mi confido con le ragazze, ma queste cose preferisco tenerle per me. Almeno finché non sarò giunta ad una conclusione che mi permetta di ritornare a sentirmi in pace con me stessa.
Per il momento, non ho trovato una tattica che funzioni.
Alle altre ho detto soltanto che io e Potter abbiamo litigato, un’altra volta, e che lui sembra averla presa piuttosto male. Sono discretamente brava a fare la faccia di bronzo, quando voglio, e anche se non esprimo un briciolo di quello che penso e sento ma nascondo tutto sotto uno spesso strato di battute cattive e discorsi caustici nessuno se ne accorge. Non che sia colpa loro, comunque. Sono io che sono fin troppo abituata a fingere, da questo punto di vista. È un vecchio vizio che perdura dai tempi in cui mi arrivò a casa la lettera di Hogwarts, e insorse quindi la necessità di mascherare i cattivi rapporti con mia sorella agli occhi dei miei genitori, comportandomi come se non me ne importasse niente. Da quando ha iniziato a chiamarmi mostro e a denigrarmi perché sono una strega, i nostri rapporti si sono completamente disgregati. Ormai mi limito a non reagire e a fingere di non sentire, quando attacca con le sue frecciatine velenose, ma non mi va di suscitare preoccupazioni e dispiaceri in mamma e papà anche quelle poche volte che ormai faccio ritorno a casa.
Alla fine, grazie a questa bravura di cui dovrei vergognarmi, in merito alle recenti faccende in cui è implicato Potter sono riuscita ad evitare un numero eccessivo di domande. L’unico problema è che non ho ancora trovato il modo di risolvere la cosa.
“… la lotta per il Boccino è all’ultimo sangue, quando non certe persone non vogliono rassegnarsi alla sconfitta diventano davvero insopportabili …”
“Signor Black …”
“Professoressa, non mi dica che non vuole la Coppa!”
“Signor Black, la smetta di essere sfacciato e si limiti a riferire le azioni di gioco senza perdersi in commenti fuori luogo!”
“Va bene, e allora è Dobbs, poi Potter, poi Peebles, poi di nuovo Dobbs, poi Jackson intercetta il tiro e … tsk, dove vuoi andare, idiota …”
“SIGNOR BLACK!”
“Il mio era un commento giustificato, professoressa, come vede ci è voluto ben poco perché Matthews lo stendesse con un Bolide!”
“SI CONCENTRI SUL GIOCO!”
“Okay, allora, Potter in possesso di palla, la tecnica dei passaggi sincronizzati all’attacco dei Battitori funziona perfettamente, direi … Dobbs esegue una mezza rovesciata e tenta il tiro, Turpin para, Jackson parte in controffensiva, Potter gli si para davanti, e … wow, James, non ti vedevo così aggressivo da quando c’era ancora in squadra Malfoy, vai così … bel tiro, altri dieci punti a Grifondoro … suonagliele ancora, James, così …”
“Signor Black, le proibisco di istigare alla violenza i giocatori …!”
“Intanto Arkwright parte a razzo e pare dirigersi verso un punto ben preciso, sembra proprio che abbia avvistato il Boccino, se non fosse che si sta avvicinando pericolosamente a un Battitore avversario che si prepara a centrarlo in pieno lo inciterei strappandomi i vestiti di dosso … Merlino, quel Bolide! Tieni duro, Hector, non si capisce più niente … ma che accidenti … Arkwright ha preso il Boccino, signore e signori! GRIFONDORO VINCE!”
I miei timpani vengono immediatamente spaccati dal boato che si alza dalle tribune. Di solito tento almeno di coprirmi le orecchie, ma questa volta ci rinuncio in partenza. Tutti si alzano in piedi strillando e applaudendo, Remus e Peter stanno saltando tanto da rischiare di far crollare lo stadio, l’intera squadra di Grifondoro si è gettata a capofitto sul povero Hector Arkwright rischiando probabilmente di ucciderlo, i Serpeverde alzano grida di protesta in risposta e Sirius Black impugna di nuovo il megafono incurante delle opposizioni della McGranitt, urlando: “TORNATEVENE NEI SOTTERRANEI, PUSTOLE!”
La professoressa ha tutto il mio appoggio morale, in questo momento. Immagino si stia maledicendo per aver acconsentito ad affidare a Sirius in via eccezionale la telecronaca della partita, ma ormai non c’è più nulla da fare. Abbiamo vinto la Coppa del Quidditch, e non credo ci siano possibilità di riuscire a mandare a dormire la Casa di Grifondoro prima delle tre di stanotte.
Cominciamo a sciamare fuori dallo stadio mentre la gente intorno a noi innalza cori in grado di fare invidia a quelli dei tifosi Babbani. Io ancora non ho deciso che cosa fare, ma la calca mi spinge via contro ogni mia volontà e non mi resta altra scelta che seguire la massa, dopo aver perso di vista sia Potter e la sua squadra che Remus e Peter, che non so come devono essere riusciti ad andare controcorrente per raggiungere il loro amico negli spogliatoi.
Tocca a me rassettarmi la spilla di Prefetto e tentare di farmi ascoltare dalla folla di studenti della mia Casa, di modo da ricondurli al castello senza incidenti di percorso e nel modo meno disordinato possibile.
“Vieni in sala comune, vero?” mi chiede Margaret, saltellando per la contentezza.
“Credo di sì”, rispondo, laconica.
“Sì, mischiamoci alla folla di esaltati che osanna quattro scemi e i loro manici di scopa”, commenta Helen, apatica, inarcando un sopracciglio.
“Come sei perfida. Sono stati bravi, hanno vinto, e noi non facciamo altro che approfittarne per mangiare a sbafo!”
“Perché, tu ti fidi di quello che ci offriranno?”
“Dici che non dovrei?”
“Mah …”
“Aha! Ti ho scoperta! Hai avvelenato il nostro cibo … di’ la verità, vuoi la camera tutta per te!”
“Non ingigantire le cose, io volevo soltanto soffocarti nel sonno”.
Ripenso all’espressione serissima e quasi imbronciata con cui Potter ha giocato per tutta la partita, riuscendo a stamparsi un sorriso in faccia soltanto alla fine, quando il loro Cercatore ha segnato la vittoria della partita. Il tutto per colpa mia.
E va bene, lo ammetto. Mi dispiace.
Devo aver preso una cantonata colossale.
Riflettendoci con attenzione, ho capito che non poteva essere davvero una farsa. Insomma, se gli avessi rovinato un piano a cui lavorava da un anno con pazienza e costanza, considerandomi un oggetto e senza che la faccenda implicasse una qualche partecipazione sentimentale da parte sua, come minimo la sua reazione sarebbe stata di irritazione, se anche fosse stato così stranamente sagace da capire che non c’è verso di convincermi del contrario di quello che penso. In questi giorni, invece di evitarmi con quell’aria da cane bastonato, lo sguardo basso e una smorfia triste perennemente dipinta in faccia, mi avrebbe come minimo risposto male alla prima occasione, dato che in via teorica gli avrei rovinato i progetti. La sua non è una reazione consona. La sua è una reazione da persona ferita.
Mi sono sempre imposta di non provare pena per lui, nemmeno quando se l’era presa in quel modo alla fine dell’anno scorso dopo la sfuriata che gli avevo fatto il giorno del G.U.F.O. di Difesa contro le Arti Oscure. Ma ormai, mio malgrado, non ce la faccio più. Non riesce ad esaltarsi nemmeno per il Quidditch, che è la cosa più importante nella vita di Potter, da che mondo e mondo.
Quindi, credo proprio ci sia rimasto male.
Ho provato a domandarmi il perché, in maniera piuttosto ossessiva.
Perché l’ho accusato ingiustamente? No. Anche questo avrebbe dovuto comportare almeno un briciolo di reazione rabbiosa da parte sua. Voglio dire, Potter non è una persona che si lascia insultare senza dire niente. E non credo che io gli incuta tanto timore da fargli decidere di tenere la bocca chiusa e non protestare.
Potter la bocca chiusa non la tiene mai.
Dunque, in fin dei conti, resta solo un’opzione. Potter ha dei sentimenti. Di che intensità non mi è dato saperlo, ma abbastanza per rimanerci male nel sentirsi accusare, da una persona per cui prova qualcosa, di essere un subdolo doppiogiochista.
Mi ci sono volute la fatica e la perseveranza di tre giorni di riflessione per riuscire a vedere la cosa da un punto di vista esterno. Non lo so, il perché. Sta di fatto che evidentemente è così, anche se questo va a cozzare contro l’immagine di James Potter che si era costruita nella mia testa, e cioè quello che sembrava non essere mai minimamente toccato da una risposta offensiva, che non si preoccupava minimamente di quanto io non lo volessi ma, imperterrito, tornava ogni volta alla carica con nuove energie e nuove speranze conquistate chissà dove; quello che non riteneva possibile essere rifiutato da me, perché prima o poi tutti cedono al suo fascino indiscusso.
Ho voluto fargliela pagare e dimostrargli che così non era, e ce l’ho messa veramente tutta.
Però ora sembra davvero aver imparato la lezione.
In fondo, quest’anno non mi ha mai chiesto di uscire, né mi ha mai fatto avances di nessun tipo, per non parlare del fatto che ha smesso di sfoggiare certi doppi sensi da far venire la pelle d’oca.
E se adesso ci è rimasto così male, evidentemente una ragione c’è.
Senza contare che ormai mi sembra oggettivamente impossibile che una persona possa fingere così abilmente per un anno intero.
Sarebbe disumano. Inverosimile.
Quindi, quella in torto sono io.
Sì, però avevo delle ragioni per pensarla così, accidenti. Non è che mi sono svegliata una mattina e ho deciso che volevo farlo soffrire. Non sono così cattiva, e non soffro di strane turbe mentali. Quindi, in fondo, non è che proprio tutto il torto stia dalla mia parte. Però come glielo vado a spiegare senza scatenare l’ennesimo litigio, o senza trovarmi di fronte un’altra volta quella sua stramaledetta faccia sconvolta con gli occhi lucidi che mi ha perseguitato fino alla nausea in questi tre giorni d’inferno?
“Ragazze! Hanno gli Zuccotti di Zucca, io vi saluto e vado a rimpinzarmi!”
Delia, ricongiuntasi a noi da poco, ci abbandona di nuovo, saltellando verso i tavolini della sala comune con aria famelica. Era prevedibile che l’avremmo persa. Delia va matta per i dolci di Mielandia.
“Mary! Ne vuoi uno?” domanda, e Mary non fa in tempo ad alzare la testa da Siddharta che lo Zuccotto le atterra diritto sul libro. Delia diventa immediatamente bordeaux.
“Scusascusascusa… Gratta e Netta” dice, sollevando la bacchetta, e il libro torna lindo e pulito, mentre Mary alza uno sguardo truce su di lei.
“T’è andata bene”, le dice, afferrando lo Zuccotto e staccandone un grosso morso. Ridono insieme, divertite, e intanto i membri della squadra di Quidditch si innaffiano con l’Idromele e cantano a squarciagola. Condivido uno sguardo amichevole con Remus mentre lui tenta di tenere a bada un paio di ragazzi del primo anno che si stanno contendendo una Pluffa sottratta da chissà chi, e con la coda dell’occhio riesco a scorgere Potter insieme agli altri due, che lo minacciano ridendo con una bottiglia in mano.
“Tieni d’occhio quelli con l’Idromele, Remus”, dico al mio compagno di sventure, osservando con occhio critico Sirius Black che tenta di stappare la bottiglia con i denti. “Non vorrei che poi ci toccasse ripulire”.
“Sono assolutamente d’accordo … ehi!”
Lo sfacciato studentello del primo anno gli ha appena sottratto la Pluffa che aveva faticosamente sequestrato. Ne ridiamo insieme, rassegnati, constatando che nemmeno la McGranitt riuscirebbe a tenerli a bada.
“Ma lasciateli urlare”, mi dice Helen, allargando le braccia con aria rassegnata. “Domani mattina si ritroveranno tutti senza voce, e per un po’ ci sarà pace in questo posto”.
Sorrido di fronte al suo cinismo dissacratorio, che tocca il vertice massimo quando si parla di Quidditch. Comunque sia, non ha tutti i torti. Anch’io li ho sempre trovati abbastanza esaltati.
Trascorriamo una mezzora così, fra i canti di giubilo, gli insulti ai Serpeverde di cui Black è ogni volta campione imbattuto e Potter che ogni tanto si fa vedere e ogni tanto sparisce, non so dove.
Dopo un po’, lo scopro: si cerca una poltrona lontana dal caos, e ci si piazza a sedere con aria assente, finché non decide che si è concesso il tempo massimo di isolamento.
Alzo un sopracciglio, fissandolo con aria perplessa mentre ripete questa operazione per quella che è almeno la terza volta.
Sicuramente ha dei problemi.
Ad ogni modo, se questo è il suo andazzo non mi resta altro che avvicinarlo in uno di questi momenti, di modo da potergli far sparire quell’espressione abbattuta dalla faccia.
Intanto, Delia e Mary sono sparite da qualche parte a rimpinzarsi. Margaret trascina via Helen per mostrarle quel ragazzino del quarto anno che ha iniziato da poco a piacerle. Anche se Helen, prevedibilmente, non è che approvi proprio l’idea.
“Ti prego, non mi interessa chi è. È piccolo. Un moccioso che si è appena staccato dalla madre. E la pedofilia è un reato”.
“Ma che pedofilia, io guardo e basta!”
Sta di fatto che il momento favorisce un mio temporaneo allontanamento di cui nessuno potrebbe accorgersi, e se non lo faccio ora non lo farò mai più.
Perché tra poco finisce la scuola, io me ne torno a Londra e Potter in Galles. E sarà meglio per me che io mi tolga questo peso dalla coscienza adesso che ne ho l’occasione.
Intendiamoci, non è che io voglia rimangiarmi ogni insulto che gli ho rivolto in tutti questi anni. Solo che, in questo caso particolare, ho commesso un piccolo errore di valutazione. Tutto qui. Insomma, non ho alcuna intenzione di prostrarmi ai suoi piedi. Gli farò semplicemente capire che so di aver sbagliato, ed entrambi ci metteremo l’anima in pace, consentendoci di trascorrere delle vacanze serene e spensierate durante le quali tutto quello che è successo in questi giorni verrà dimenticato in un batter d’occhio.
Bene. Potter è lì seduto da solo, esattamente dove lo volevo. Perfetto. Mi avvicino ad uno dei tavolini, afferro un sacchetto di Cioccorane da sotto gli occhi di alcuni ragazzini delusi che non osano aprir bocca grazie alla mia ben nota fama di persona che non ama essere contraddetta e mi dirigo verso quell’angolo solitario della sala comune, tentando di comportarmi con naturalezza. Cercando di non dare nell’occhio, con uno scatto mi avvicino e mi siedo lì di fianco, sperando che non gli passi per la testa la pessima idea di prendere e alzarsi perché non mi vuole parlare.
I miei timori si placano seduta stante. Altro che alzarsi e andarsene. Sembra pietrificato.
“Oh, scusami, ti ho lanciato un incantesimo senza accorgermene?” gli chiedo, sfoggiando una certa dose di ironia per tentare di sdrammatizzare la situazione. Lui quasi non reagisce: si limita a fare una semplice smorfia, e continua a guardare fisso davanti a sé.
“Certo, mi fa piacere che per una volta tu te ne stia zitto, ma hai comunque il permesso di muoverti”, preciso. Lui si volta a guardarmi con un’espressione confusa. Io mi sforzo di mantenermi professionale ed educata e di lasciare da parte gli stupidi timori, sostenendo testardamente il suo sguardo.
“Questo è il tuo modo di ringraziarmi per aver fatto vincere a Grifondoro almeno la Coppa di Quidditch?” mi chiede, in tono incerto. Io mi stringo nelle spalle, sciogliendomi.
“Considerato che non ritengo il Quidditch la base della mia esistenza, direi che per quanto mi riguarda quella coppa è soltanto una magra consolazione”.
Lui scuote la testa, e io reprimo un mezzo sorriso. Forse non è esattamente il miglior modo di iniziare una conversazione con uno che ha appena condotto la sua squadra alla vittoria del campionato scolastico, ma devo cercare di mettere a suo agio sia lui che me, prima di poter dire quello che ho da dire.
“Avanti, dimmi che cosa gli avete fatto”, ordino, con un gesto sbrigativo. Lui mi guarda a bocca aperta.
“Cosa abbiamo fatto a chi?” mi chiede, non avendo evidentemente afferrato il concetto.
“Ai vostri migliori amici” gli spiego, con leggerezza. Lui sembra cadere di nuovo dalle nuvole. Evidentemente non si era reso conto che avevo ascoltato praticamente tutta la loro conversazione, quel giorno dopo Pozioni.
“Ah. Certo”, risponde, e non sembra essere molto contento della scoperta. Dovrebbe ringraziarmi che non sono andata fino in fondo nel tentativo di metter loro i bastoni fra le ruote, ma tant’è.
“Cosa credevi che ci fosse in quelle bottiglie?” mi chiede, alla fine, rassegnato. Io mi stringo nelle spalle.
“Idromele?” ipotizzo, riportando alla mente quanto riesco a ricordare di ciò che ho visto in quello sgabuzzino. Lui si lascia sfuggire un mezzo sorriso complice.
“Sbagliato. In realtà era pozione lassativa. Il fatto è che, anche se te l’avessi fatto assaggiare, ti posso assicurare che non avresti notato la minima differenza. A parte per gli effetti collaterali, s’intende. Hai notato che qualche giorno fa Sirius e Peter non stavano tanto bene? Questo perché avevano semplicemente fatto da cavie … prova ad immaginarti l’effetto che potrebbe dare anche solo un bicchierino di quella roba”.
Oh, si è improvvisamente sbottonato. Meno male. Non sono mai stata una cima nel trattare con le persone che ce l’hanno con me, se proprio devo essere sincera, e la reazione che Potter sta avendo in questo momento è decisamente rassicurante rispetto ai miei timori.
“E come ci siete riusciti?” gli domando, con interesse. Il suo sorriso di autocompiacimento si fa più grande.
“Trucchi del mestiere, sorella. Noi quattro sappiamo fare cose che sui banchi di scuola non si sognerebbero mai di insegnarci”.
Purtroppo, non posso non riconoscerlo. Sono dotati di menti perverse e contorte, ma sono anche in grado di combinare la loro ingegnosa fantasia con una vasta gamma di capacità pratiche.
Insomma, un pericolo pubblico.
Poi penso ai Serpeverde che fanno a gara per chiudersi in bagno in preda ad un improvviso attacco di diarrea, e mi scappa una cattiveria.
“Spero proprio che si ubriachino tutti”, gli dico, incrociando le braccia. Sento il suo sguardo attonito su di me, mentre mi fissa come se fossi un’aliena. Ma, da quando si è conclusa la mia amicizia con Severus, non ho più pietà per nessuno che faccia parte di quella Casa. Fa male, ma evito di pensarci. Meglio sfogarsi con qualche malignità.
“La tua perfidia è sprecata come Prefetto”, mi dice Potter, scuotendo la testa. Io mi lascio sfuggire un sorriso.
“Stai cercando di corrompermi?” domando. Lui si stringe nelle spalle, con disinvoltura.
“Dovresti provare a collaborare a uno dei nostri scherzi, sono sicuro che finirebbe per piacerti”.
Ricominciamo con le proposte azzardate. L’avesse detto in un’occasione diversa, non credo che l’avrei presa troppo sul ridere. Ma in questo momento mi considero in una situazione eccezionale.
“E che cosa ci guadagno?” gli chiedo, curiosa di sentire fin dove si spinge la sua sfacciataggine.
“Beh, di certo ti faresti un sacco di risate, cosa che ti fa evidentemente bene perché in questo momento sei molto più rilassata del solito”.
Abbasso lo sguardo e sorrido, fissando una crepa nel pavimento. Forse non è poi così totalmente incapace di aprire bocca a proposito come sembra.
“Vuoi scusarti con me, vero?” mi chiede dopo un po’, fissandomi attentamente. Io mi sento improvvisamente avvampare. La mia doveva essere una cosa in grande stile, una sottigliezza, e invece lui ha già capito tutto?! Ce l’ho scritto in faccia, per caso? Merlino, ora che faccio …
“Tieni” gli dico, allungandogli con un gesto brusco il sacchetto di Cioccorane che mi ero portata dietro come offerta di pace, sapendo che lui ne va matto. No, non voleva essere un gesto di gentilezza. Voleva solo essere un modo per siglare una tregua tra me e lui. Insomma, erano lì, a portata di mano, e io ho solo pensato che potessero essermi utili per raggiungere il mio scopo … niente di speciale.
“Okay, accetterò la tua offerta di pace”, dice infine lui, staccando un morso dalla Cioccorana che ha pescato dal sacchetto. Sorrido minacciosamente, squadrandolo, nel tentativo di trasmettergli l’implicito messaggio di chiudere la bocca una volta per tutte. Bravo, Potter, mangia e taci. Non è difficile.
Ad ogni modo, pare che abbia accettato. Quindi, posso considerarmi perdonata. Fantastico.
“Sai, queste sono situazioni piuttosto critiche. Dovremmo evitare di complicarci la vita. La prossima volta potrei procurarmi del Veritaserum … così non dovresti affidarti a una Cioccorana”.
“Hai bisogno di una pubblica confessione per sentirti meglio?” domando, con aria scettica. Lui sembra divertirsi perversamente mentre indugia osservandosi le unghie, con quell’aria da impunito.
“Nah. Mi sto solo divertendo un po’”.
Ah, è così? Va bene, Potter, te la sei cercata.
“Ahia! Ma che ho fatto?!” osa lamentarsi, dopo che gli ho assestato un bel pugno sul gomito per punirlo della sua strafottenza.
“Parli soltanto per dare aria alla bocca”, gli rispondo, irritata per la sua evidente mancanza di sagacia.
“Questa è soltanto una delle tue teorie riguardo a me, e io non la condivido affatto” ribatte; inspiegabilmente mi sento punta sul vivo da quella frase, come se in realtà non fosse altro che una velata accusa nei miei confronti. Non mi piace che qualcuno mi critichi, e non mi piace che qualcuno si senta in diritto di farmi delle osservazioni di questo genere, ma è inutile, stavolta sono in torto marcio; Potter sembra avere l’aria di non aver parlato in modo pienamente consapevole delle implicazioni di tale frase e a me, alla fine, non rimane altro che togliermi questo peso una volta per tutte.
“E va bene, scusami, ho esagerato”, ammetto, senza una sola traccia di ironia nella voce. Lui mi guarda in serio silenzio per diversi secondi, durante i quali io mi sento tormentare dalla meschina possibilità che decida di non perdonarmi affatto. Ma poi sospira, più serenamente, senza smettere di fissarmi.
“Bene. Riterrò le scuse universalmente valide, anche se per il livido che mi rimarrà sul braccio meriterei probabilmente qualcosa di più …”
La mia espressione si fa di colpo minacciosa, mentre lo squadro con gli occhi ridotti a fessure.
“Intendevo un’altra Cioccorana, non montarti la testa”, mi dice, ironico, e io riprendo a respirare, coprendomi gli occhi con la mano. Sarà anche migliorato, sotto certi aspetti, ma immagino che pretendere di estirpargli anche questa sua tendenza a un irritante senso dell’umorismo sia davvero troppo. E alla fine, paradossalmente, è riuscito perfino ad evitare di essere prevedibile. Non so come ci riesca, considerato che mi ero convinta che non potesse più stupirmi. Mi sono sempre fermamente imposta di non dimostrare nemmeno un briciolo di indulgenza nei suoi confronti, ma adesso proprio non ci riesco. È talmente sfacciato da risultare divertente.
“Come vuoi”, rispondo, e gli allungo di nuovo il sacchetto delle Cioccorane, stavolta in modo più rilassato. Ne pesco una anch’io e rimaniamo lì in silenzio a masticare, in quell’angolo isolato in mezzo ad una festa esplosiva, e per un attimo non mi preoccupo nell’osservare che un gruppo di ragazzine del quarto anno è salito a ballare in piedi sui divani.
Sì, lo so, è una mia responsabilità, faccende di mia competenza, e non posso lasciare tutto il lavoro a Remus, ma ora, per un momento soltanto, mi sento in pace con il mondo. Come non mi sentivo da anni, in effetti. La gente potrà anche avere un’opinione diversa, ma non credo che, in fondo, mi sia mai davvero piaciuto litigare; tuttavia, dato che ora la questione con il mio peggior nemico può considerarsi risolta, forse le necessità di impegnarmi in pesanti sfuriate diminuiranno notevolmente.
A un certo punto, a risvegliarmi dal mio turno di pausa, intervengono Margaret e Delia che, sbracciandosi per attirare la mia attenzione, mi urlano qualcosa di diverso contemporaneamente, con il risultato che io non capisco una sola parola.
Mi volto verso Potter per fargli capire che devo andare, e lui fa un sottile cenno d’assenso con un mezzo sorriso, per dirmi che ha compreso la situazione.
Forse un pochino di sagacia Godric gliel’ha donata, dopotutto.
“Ricordati che in ogni caso la tua vittoria a Quidditch non compensa le tue malefatte”, lo ammonisco, voltandomi mentre sto per andarmene. Lui mi risponde con un sorriso divertito.
“Troverò il modo di farmi perdonare”, afferma, sicuro di sé, e io corro a raggiungere le mie amiche, sentendomi finalmente a posto. Non mi toccherà più vedere in giro la sua espressione depressa per causa mia, e questo mi conforta alquanto.
“Che succede?” domando, avvicinandomi a Delia e Margaret nel tentativo di recuperare un’aria professionale.
“Oh, beh, ecco, scusaci se ti abbiamo disturbato …”
Mi sento improvvisamente assalire dall’imbarazzo e sto per smentire qualsiasi sospetto possa essere nato nelle loro teste bacate, ma Margaret non mi lascia nemmeno il tempo di aprire bocca.
“… però abbiamo pensato che fosse proprio il caso di avvertirti, perché …”
Il suo monologo stranamente si interrompe – non è da lei. Corrugo la fronte con aria interrogativa, spingendola a continuare con un cenno.
“Sì, insomma, pare che dei ragazzi del secondo anno si stiano preparando a una gara di lancio di torte in faccia a chi avrà la fortuna di passare sotto la finestra del loro dormitorio in questo preciso momento”.
Per poco gli occhi non mi schizzano fuori dalle orbite, mentre sento diminuire notevolmente l’afflusso di sangue al cervello.
“Grazie per l’avvertimento, adesso li sistemo io”.
“Posso venire con te? Sono curiosa di assistere ad una delle tue sfuriate in diretta …” mi chiede Margaret.
“Non arrabbiarti troppo, Lily, sono ubriachi!” mi urla dietro Delia, mentre mi allontano.
E per la prima volta da quando l’incarico di Prefetto mi è stato assegnato, sento che forse potrò concedermi di essere un pochino più indulgente del solito.
Questi disperati tredicenni dovranno ringraziare Potter, immagino.
 



 
Nobody's perfect that's what I say,
No one has hurt me so much you say,
I'm sorry.
I was afraid to tell you some things,
But some things all find a way to get told.

(Snow Patrol, On/Off)

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Capitolo 5
*** Un bizzarro viaggio di ritorno ***


capitolo 5
Capitolo 5 – Un bizzarro viaggio di ritorno




“La vita non è né brutta né bella, ma è originale!”

(Italo Svevo, La coscienza di Zeno)



 
30 giugno 1977

La pressione delle mani di Mulciber sta per farmi perdere la presa in maniera definitiva.
Porca miseria.
Lotto con tutte le mie forze aggrappandomi con la punta delle dita ai bordi scivolosi del finestrino, puntando i piedi contro il vetro e ringhiando in faccia ai maledetti bastardi che stanno cercando di buttarmi giù dal treno.
Sono in troppi, è inutile, non riuscirò a resistere ancora per molto.
Mi sento sollevare le gambe, e per l’ennesima volta tento di opporre resistenza con tutta l’energia che mi è rimasta.
Non credevo che sarebbero riusciti a farmela, questa volta. Non che ci fossimo preoccupati di procurarci una scorta per difendere la nostra incolumità da possibili rappresaglie, ma avevamo concordato di tenere comunque gli occhi aperti. Solo che mi ero lasciato prendere la mano, come al solito, mentre passeggiavo in corridoio con Peter e Sirius, che si stava divertendo come un matto a produrre soffi di vento gelido che indirizzava con la bacchetta sotto la porta dello scompartimento a cui ci trovavamo di fronte, provocando le grida immediate di chi lo occupava.
Ci stavamo proprio intrattenendo piacevolmente nei pressi di un reparto occupato principalmente da Serpeverde quando mi hanno acciuffato.
Si sono organizzati in stile setta segreta per venirmi a prendere. Hanno colto di sorpresa sia me che i miei due amici, hanno disarmato e Schiantato Peter, impegnato Sirius e acciuffato me, gettandosi addosso al sottoscritto come un branco di avvoltoi inferociti. Per la verità, non ho ben capito da dove sono saltati fuori quelli che mi hanno preso con la forza per trascinarmi dentro a uno scomparto vuoto, perché io in quel momento ero sul punto di scagliare una fattura contro Piton e non mi stavo preoccupando di guardarmi intorno. Credo di poter dire con sufficiente sicurezza che non erano gli stessi che ci hanno attaccati di sorpresa.
Il fatto è che mi hanno fregato, e ora sto lottando con le unghie per tentare di non finire spiaccicato sulle rotaie.
“Fatti un bel volo, Potter!” grida Mulciber mentre mi spinge fuori dal finestrino fin quasi alle caviglie. Evidentemente l’ha presa come una faccenda personale per essere cascato nella mia farsa come un pesce che abbocca all’amo (questa similitudine l’ho assimilata da Remus, in realtà non ne ho mai colto con esattezza il significato).
“Perché non mi fai compagnia?” ribatto, staccando una mano e afferrandolo per il colletto della camicia. Mossa fin troppo azzardata. Ora sto per perdere anche quel poco di equilibrio che ero riuscito a conservare.
In quel momento, la porta dello scomparto si apre di colpo e Nott viene scagliato a terra.
“STUPEFICIUM! STUPEFICIUM!”
Due raggi rossi colpiscono in un lampo i miei aggressori, Mulciber cade all’indietro come un macigno e io perdo la presa sul colletto della sua camicia, sentendomi subito dopo risucchiare all’esterno dall’aria spostata dal treno in corsa.
Passo qualche secondo nell’agonia più totale a tenermi aggrappato con la forza di sole quattro dita, dopodiché fortunatamente mi sento afferrare per la maglietta e per il braccio e tirare dentro con un energico strattone. Riappoggio finalmente i piedi per terra e piombo addosso alla persona che mi ha appena generosamente tratto in salvo, non riuscendo a reggermi immediatamente sulle gambe.
“Potter, accidenti, che diavolo fai … POTTER!”
Oh, cacchio.
Il mio salvatore è Lily Evans, e io non solo le sto pesando addosso, ma ho anche le mani in posti in cui non dovrei nemmeno permettermi di guardare.
Rimango per un attimo inebetito, incapace di una qualche reazione, poi lei mi allontana con uno spintone decisamente energico e io mi affretto a rimettermi in piedi come si deve, sentendomi avvampare per l’imbarazzo.
“Scusaminonl’hofattoappostatelogiuro”, le dico con foga, senza respirare. Non ho il coraggio di guardarla in faccia.
“Non mi interessa se non l’hai fatto apposta, ti meriteresti comunque una morte lenta e dolorosa! Ma dico, ci fai attenzione a dove metti le mani quando vai in giro? O hai un problema al sistema nervoso e ti è casualmente sfuggito il controllo degli arti?”
È furiosa, totalmente e definitivamente furiosa. Non sono molto tranquillo per il fatto che mi stia di fronte con la bacchetta in mano. Temo seriamente per la mia incolumità, e questo non mi riempie proprio di gioia se si considera che sono appena stato tratto in salvo mentre stavo per cadere giù da un treno.
“Va bene, senti … vuoi che mi inginocchi? Vuoi che implori il tuo perdono con voce supplichevole? O preferisci che percorra il treno in ginocchio implorando perdono, così raddoppio l’umiliazione solo per farti contenta?”
Un pizzico di sarcasmo mi sfugge, è più forte di me. È che mi sento ridicolo, e ho bisogno di schermirmi in qualche maniera. Va bene che rischio di finire svenuto e disteso per terra come i due che mi stanno ai piedi, ma non posso nemmeno piegarmi del tutto di fronte alla Evans … voglio dire, un minimo devo pur essere in grado di tenerle testa. Anche se, così facendo, mi metto nei guai fino al collo. Non sono proprio lo studente più furbo di Hogwarts, questo mi tocca ammetterlo.
“Ogni occasione per te è buona per dare spettacolo”, replica lei, squadrandomi con aria truce.
“E va bene, allora prima di strisciare in ginocchio aspetto di arrivare a Londra e lascio prima che scendano tutti, così sarai l’unica ad assistere e non potrai accusarmi di esibizionismo gratuito”.
Ora mi arriva lo schiaffo, lo sento. Altro che fine del settimo anno. Davvero speravo di tirare avanti fino a quel punto? James Potter è davvero un povero illuso, signore e signori.
“Dovrai erigermi un altare per ringraziarmi”, risponde lei, scuotendo la testa. Niente schiaffo. Wow. Già sentivo la guancia bruciare. Oso sollevare lo sguardo, e osservo ancora confuso e frastornato il rossore che le colora il volto.
Ho fatto arrossire Lily Evans. E le ho anche toc- … no, meglio smetterla. Fortunato come sono, capirà immediatamente a che cosa sto pensando e lo schiaffo mi arriverà ugualmente, anche se non supportato da prove concrete.
“In ogni caso, non ti ho chiesto io di venire a salvarmi. Ti saresti potuta risparmiare questa seccatura”, replico, tentando di assumere un tono serio e grave che mi permetta di riacquistare la mia autorità. Lei mi fulmina con un’occhiata di rimprovero.
“Oh, smettila di fare tante storie. Se io non fossi riuscita a entrare qui dentro, tu ora saresti … in non so quale orribile stato” risponde, lasciandosi sfuggire un’espressione raccapricciata. Probabilmente sta pensando all’aspetto che potrebbe avere il mio cadavere sfracellato sulle rotaie, e la cosa tutto sommato riesce a farmi sorridere. Vuol dire che, in fondo, un po’ le dispiacerebbe vedermi morto.
Poi però la sua espressione immutata mi fa ritornare con i piedi per terra e sento riemergere immediatamente la mia vena polemica.
“Beh, scusami, ma in circostanze normali sarebbe stato più sensato se io avessi salvato te”, le faccio notare, cercando di sostenere con tutta la sfacciataggine possibile il suo sguardo di disappunto.
“Già, hai ragione. Ho irrimediabilmente offeso la tua dignità di uomo. Perdonami, se non sono brava come te ad attirarmi addosso le ire dei Serpeverde”.
Storco la bocca in un’espressione contrariata. Mai che perda l’occasione di avere sempre l’ultima parola. Non ho proprio speranze di metterla a tacere un giorno o l’altro.
“In ogni caso, come hai fatto?” le chiedo, cercando di deviare il discorso in un’altra direzione.
“A fare cosa?”
“Beh, a … fare in modo che io sia in debito con te di un altare”.
“Oh. Beh, sono arrivata quando tu eri già chiuso qui dentro e il tuo amico Sirius si stava battendo da solo contro quattro Serpeverde. Remus è andato ad aiutarlo e stavo per farlo anch’io, ma poi ho sentito le grida e Sirius mi ha detto che c’eri tu chiuso qui dentro con Nott, Avery e Mulciber. Nott bloccava la porta, così gli ho lanciato un incantesimo da sotto la porta … non ridere, mi sono sfracellata le ginocchia per te. Poi sono riuscita a entrare, ho Schiantato Avery e Mulciber e poi ho … fatto il resto, insomma …”
“… e non hai pensato nemmeno per un secondo alla possibilità di lasciarmi lì a penzolare dal finestrino?” le chiedo, in tono insinuante. Lei mi guarda con aria leggermente irritata.
“No, per il semplice motivo che ti ritengo degno di una morte più cruenta e plateale”.
Io sorrido, divertito.
“Oh, grazie. Credo che lo prenderò come un complimento”.
“Non per distruggere le tue illusioni, ma il giorno in cui ti rivolgerò un complimento è ancora molto lontano”.
“Arriverà, ad ogni modo”.
“Perché invece di continuare a blaterare non ti muovi e mi dai una mano ad aiutare …”
Un attimo. Davanti a noi si sono appena parati tre energumeni Serpeverde del settimo anno.
“Oh, cacchio”.
Mi getto a terra per evitare uno Schiantesimo, trascinando Lily insieme a me per fare in modo che non venga colpita. Con un rapido colpo di bacchetta lei richiude la porta, sigillandola dall’interno. Ora sono mezzo disteso su uno dei sedili, la tengo per i fianchi e per giunta vicinissima, mi è praticamente caduta addosso.
Ho i suoi capelli in faccia, un suo gomito nelle costole e le sue gambe intrecciate alle mie in un intrico piuttosto confuso. Eppure riesco ugualmente a cadere in un trasporto idilliaco. Di riflesso stringo le braccia intorno al suo corpo; la mia coscienza mi mette in allarme riguardo alle possibili conseguenze ma improvvisamente il mio istinto si ribella e si rifiuta di lasciarla andare e agire così nella maniera più sicura e sensata. Sto diventando incredibilmente patetico, e lei riesce immediatamente a farmelo ricordare con la sua occhiata di disappunto.
“Ti ringrazio, ora sei stato tu a salvare me. Il tuo ego maschile si sente soddisfatto? La mia schiena non tanto, considerata la botta che mi hai fatto prendere, e la mia caviglia sta soffrendo sotto il peso della tua gamba”.
Io sorrido irrimediabilmente, mentre mi affaccendo per liberarle gli arti inferiori dai miei.
“Sei insopportabile”, le dico, sorridendo lievemente. Lei mi guarda male, mentre le sale il rossore alle guance. Non riesco ad allentare la presa, per quanto questo non sia minimamente il momento adatto per provarci con lei. Ci sono tre Serpeverde che stanno cercando di forzare la porta per farci del male e i miei migliori amici che aspettano di sapere che sono vivo e incolume.
“Spiacente, ma non credo che ti batterò mai nemmeno in questo campo”, mi dice lei, rompendo il contatto. Si alza in piedi – premendo dolorosamente con il gomito contro il mio torace per farlo – e mi tende la mano per aiutarmi. Un gesto completamente automatico. Io mi lascio sfuggire uno sguardo sbalordito, ma mi affretto a cancellarlo subito dopo per far sì che lei non se ne renda conto. È meglio così, dopotutto. In circostanze normali, se ci avesse pensato su, probabilmente avrebbe scelto di lasciare che mi arrangiassi da solo per sollevarmi da terra. O almeno, questo è quello di cui sono convinto. Insomma, mi odia. Perché aiutarmi? Di certo non per autogratificarsi compiendo un atto caritatevole nei miei confronti, non è da lei. O forse … no, adesso basta, devo cercare di sigillarmi il cervello. Non è il momento di pensare a queste cose.
“Dove diamine …”
Mi metto a cercare la mia bacchetta, e alla fine la trovo. È finita sopra una delle reti portabagagli, e sembra leggermente ammaccata.
“Come mai Avery e Mulciber non avevano le bacchette?” mi chiede Lily, dubbiosa. Io esibisco un ghigno di trionfo.
“Mentre mi trascinavano qui dentro, Mulciber mi aveva strappato la bacchetta. Quando ancora non dovevo pensare ad aggrapparmi a qualcosa per non cadere giù dal treno, non so come sono riuscito a riprendermela, e con un Incantesimo di Appello mi sono impadronito anche delle loro. Poi le ho prese e le ho buttate fuori dal finestrino. Forse è stato questo a dar loro l’idea di provare a farmi fare la stessa fine”, osservo, facendo spallucce.
Lily ride, scuotendo la testa. Rimaniamo un attimo a fissarci. Solo un attimo. Poi ci arrivano le grida di Sirius, e i tre Serpeverde riescono ad aprire la porta.
Ma io e la Evans non siamo solo bravi, abbiamo anche degli ottimi riflessi. Modestia a parte, si intende. Ne Schiantiamo due, il terzo incrocia l’incantesimo che ha lanciato con quello di Lily, entrambi rimbalzano e vanno a colpire ogni parte della stanza. Ci abbassiamo tutti e tre con le mani sulla testa. Io mi rialzo di scatto, lancio una fattura che quello riesce a schivare, ma ormai siamo due contro uno e mentre quello rotola di lato ci pensa Lily a fregarlo. Usciamo di corsa scavalcando i corpi sul pavimento. Fuori c’è una confusione pazzesca e sono appena arrivati i Capiscuola.
Adesso basta! BASTA! E va bene, Accio bacchette!
Tutte le bacchette dei presenti volano in un istante nelle mani di Gregory Hunt, settimo anno di Corvonero, e la confusione cessa immediatamente.
Mi sento quasi lusingato nell’osservare che ha avuto la mia stessa idea.
“SI PUO’ SAPERE CHI È STATO A FAR SCOPPIARE QUESTO CASINO?!”
Senza pensarci due volte afferro Lily per un braccio e la trascino verso lo scomparto da cui ho visto sporgere le teste di Remus, Peter e Sirius, e con estrema disinvoltura scivoliamo lì dentro, richiudendoci la porta alle spalle.
“Ce ne hai messo di tempo per salvarlo, Evans!” esclama Sirius, appena ci siamo messi al sicuro da possibili rappresaglie. “Cos’è, ti ha dovuto ringraziare in qualche modo particolare? Niente da ridire, ma avreste potuto rimandare a un momento migliore …”
“Sirius!”
In questo momento sono molto indeciso se buttarmi giù dal treno di mia iniziativa o iniziare a sotterrarmi con le mie mani. Oppure strozzare Sirius. Già, forse questo gli farebbe tenere la bocca chiusa una volta per tutte.
“Va bene, va bene, sono faccende vostre, non mi voglio impicciare”, risponde lui, sollevando le braccia in aria per chiamarsi fuori.
“Non c’è nessuna faccenda nostra, te lo vuoi mettere in testa?”
“Nei tuoi sogni però non ci giurerei …”
“Oh, sta’ zitto!”
Gli salto addosso, per costringerlo ad implorarmi di smetterla e chiedermi scusa all’istante.
Improvvisamente, la porta dello scomparto viene aperta di colpo. Mi fermo e mi volto, trovandomi faccia a faccia con Gregory Hunt. Ha un’aria truce e irritata e ci squadra in modo più minaccioso del solito.
“Sarebbe il caso che la piantaste”, ci intima, e io trattengo le risate a stento. Dopo un attimo di silenzio in cui ritiene di essere stato convincente, richiude la porta e se ne va.
“Comunque non siamo stati noi a far alzare la gonna della tua ragazza!” gli urla dietro Sirius, ancora mezzo disteso per terra. Io scoppio a ridere irrefrenabilmente, mentre il mio amico mi aiuta a rimettermi in piedi.
“Sai, Sirius, certe volte potresti davvero evitare di infierire”, osserva Moony, inarcando un sopracciglio. Sirius gli lancia un’occhiata scettica.
“Davvero ritieni la mia intelligenza capace di tanto?”
“Certo. Peccato che poi tu non sia in grado di farla funzionare come si deve”.
“Già, hai ragione. La prossima volta non venirmi a salvare quando sono accerchiato da tre Serpeverde e con un amico esanime da difendere”.
Osservo Remus assumere un’espressione lievemente contrariata.
“Infatti, non l’ho fatto per te. L’ho fatto per Peter”.
“Però ti davi parecchio da fare, eh? Credo di non averti mai visto far volare così tanti Schiantesimi, signor Prefetto”.
“La prossima volta ti guarderò implorare il mio aiuto in ginocchio, allora!”
“Ah, dov’è finito ora il signor Remus Lupin Promotore Della Pace Nel Mondo?”
“Sta accarezzando la prospettiva di prenderti a pugni!”
“Tsé, non oseresti mai!”
Mi godo l’alterco fra i miei due amici con un sorriso divertito stampato in faccia, allungando le gambe fino a stenderle sul sedile opposto. Solo in quel momento il mio cervello comincia a compiere un’associazione logica che mi lascia senza parole. Normalmente, scene come questa sono all’ordine del giorno di ogni viaggio di ritorno da Hogwarts, ma i partecipanti sono semplicemente quattro … ora, invece, alla mia destra è seduta di fianco la donna della mia vita. Un sorriso enorme mi invade il viso mentre la osservo di sottecchi. Sta lì, composta, quasi intimidita, e non dice una parola. Il che è davvero un evento straordinario considerando che di solito non perde mai occasione di sfoggiare qualche risposta caustica in mia presenza. Senza contare, poi, che ha sempre volutamente evitato di mischiarsi ai Malandrini per mantenere le distanze in primis dal sottoscritto, e in secondo luogo con chiunque si professi suo amico fidato. Continuo a fissarla con attenzione senza riuscire a darmi un contegno, e riesco così ad osservare, senza essere visto, un lieve sorriso che compare sulle sue labbra e si allarga, a poco a poco, quasi senza che lei se ne renda conto.
Nonostante corra il rischio di farmi beccare in pieno, mi ritrovo inevitabilmente a gongolare come un bambino.


***

La sala d’ingresso del castello è incredibilmente più affollata del solito, in questo momento. Stiamo tutti aspettando che arrivino le carrozze, e a me e Remus tocca il disgraziato compito di tenere buoni i nostri scalpitanti Grifondoro nell’attesa.
Vacanza finalmente, starà dicendo qualcuno. A me un po’ dispiace. Ho indubbiamente una voglia matta di riposarmi dopo la fatica degli esami, ma questi ultimi giorni, durante i quali le lezioni erano finite e le giornate si erano allungate, sono stati oltremodo piacevoli. Sempre pieni di impegni, ma impegni diversi. Andare a Hogsmeade, fare picnic sul prato, scrivere ai miei genitori, programmare le vacanze, partecipare alla festa di compleanno clandestina di Delia, badare ai soliti studenti confusionari, evitare le battaglie di bombe d’acqua e partecipare ad un paio di esse. Sì, lo ammetto, mi dichiaro colpevole. Mi sono lasciata prendere dall’euforia del momento. La prima volta è stata colpa di Potter, ad ogni modo; stavo transitando spensieratamente sotto le scale del primo piano e mi sono ritrovata fradicia da capo a piedi nel giro di un nanosecondo. Ho guardato in alto cercando di non farmi sopraffare dall’ira e c’era lui, in cima alla scalinata, con l’aria di uno che avrebbe voluto trovarsi a centinaia di miglia da lì. Ha detto di avermi colpito per sbaglio, ma io non potevo certo lasciarlo impunito dalle sue malefatte. Lo avevo avvertito, che la sua vittoria a Quidditch non sarebbe bastata ad assolverlo dalle sue colpe. Per tentare di mettermi a tacere ha sperimentato su di me un nuovo incantesimo che non conoscevo, per asciugare le cose bagnate; solo che il signorino l’ha usato solo sui miei capelli, e non sui miei vestiti. Appositamente. Per vendicarmi sono corsa in dormitorio a cambiarmi, ho preso la divisa fradicia e sono ridiscesa in sala comune per strizzargliela direttamente sulla testa.
Dopo abbiamo riso, ed è stato bello. L’ultimo periodo è stato bello. Provocarsi solo per sorriderne insieme, anziché per farsi il sangue amaro come al solito. Sono contenta che le cose stiano andando in questo modo, dopo sei anni passati a litigare. L’anno prossimo perlomeno avrò un po’ più di pace, e forse potrò scampare all’esaurimento nervoso che Helen continua a pronosticarmi.
In effetti mi ci vuole proprio una vacanza, tutto considerato.
Al segnale della McGranitt, usciamo in cortile e saliamo sulle carrozze trainate da questi Thestral che per fortuna non riesco a vedere, e dopo pochi minuti siamo alla stazione di Hogsmeade, tutti quanti. Gli studenti del settimo anno stanno in gruppo tra loro, molti hanno l’aria commossa. Scambio uno sguardo complice con Remus, che mi sta a fianco, mentre facciamo salire i Grifondoro sul treno nella maniera più ordinata possibile.
“Se penso che l’anno prossimo ci saremo noi, in quelle condizioni …”
“… ricordami di non piangere, ti prego”.
Ridiamo insieme, divertiti.
“Sirius mi prenderebbe in giro per tutto il resto della sua vita, probabilmente”, aggiunge lui, ironico, lo sguardo perso ad osservare un futuro che ormai non è più così lontano.
“Dici che hanno fatto il conto alla rovescia, durante quest’ultimo mese?” chiede improvvisamente qualcuno alle mie spalle, facendomi voltare di scatto. Sfoggio immediatamente un sorriso obliquo non appena mi rendo conto di chi si tratta.
“Secondo me, Gregory Hunt starà piangendo di gioia. Immagina quanto possa essere contento all’idea che l’anno prossimo non dovrà più trascinarti da Silente”, ridacchio, in tono scherzoso, osservando il Caposcuola abbracciare con sentimento una sua coetanea di Tassorosso. Potter mi fa una linguaccia con aria fintamente indispettita, mentre Black si appoggia alla sua spalla con aria scanzonata.
“Di’ un po’, perché dovrei prenderti in giro?” domanda a Remus, con l’aria di chi ha molta voglia di trovare un motivo per farlo. Il mio amico Prefetto incrocia le braccia sul petto con aria dubbiosa.
“Uhm, vediamo … forse perché sarò l’ultimo a salire sul treno, che ne dici?”
“Ti teniamo un posto, Remus!” gli dice Peter, prima di salire seguito a ruota dagli altri due. Mi domando che cosa abbia fatto in modo che Sirius si astenesse miracolosamente dal replicare, ma poi getto un’occhiata alla mia destra e credo di averlo capito. Il gruppetto dei Serpeverde del nostro anno se ne sta lì ad osservarci con aria piuttosto sospetta, mentre noi non facciamo altro che il nostro dovere. Evidentemente, le occhiatacce erano rivolte a Black e Potter. Pretendere che la smettano con queste infantili rivalità è ovviamente troppo, immagino.
“Ci siamo tutti?” domando a Remus, osservando di sfuggita un trafelato ragazzino del primo anno che ci sfreccia davanti.
“Credo di sì”, mi risponde lui, e dopo esserci guardati intorno per qualche secondo e aver ricevuto conferma da Hagrid saliamo anche noi, dirigendoci verso la carrozza dei Prefetti.
La riunione prevista si prospetta essere estremamente noiosa, e la trascorro a chiacchierare distrattamente con Remus di tanto in tanto, aggiornandomi riguardo alle sue prossime vacanze estive. È da qualche anno che mi ha confessato il suo desiderio di fare un viaggetto oltre la Manica, ma pare che la sua famiglia non possa permetterselo. Tuttavia, dati gli ultimi sviluppi, sembra proprio che il suo desiderio debba avverarsi: James, Sirius e Peter gli hanno proposto di offrirgli il viaggio come regalo di compleanno.
“Alla fine, mi hanno convinto ad accettare. Non perché volessi davvero far fare loro una cosa del genere, ma perché hanno insistito fino a strapparmi la carne dalle ossa, metaforicamente parlando”, mi dice, sottovoce, e io ridacchio tra me. Non faccio certo fatica ad immaginarmelo.
Provo a figurarmi questi quattro soggetti in giro insieme per l’Europa, e la prospettiva non è molto rassicurante. Meno male che non correrò il rischio di incontrarli, altrimenti credo che finirei per dimenticarmi facilmente di non essere più Prefetto.
Poco dopo ci lasciano liberi di andare, o meglio, liberi di pattugliare i vagoni, dato che il fermento di fine scuola è sempre un dato di fatto impossibile da trascurare. Considerate poi le occhiate amichevoli che si lanciavano Serpeverde e Grifondoro poco fa, credo che un giretto di perlustrazione sia d’obbligo, per noi.
“Tu invece, dove trascorrerai i due mesi che precederanno il nostro calvario del settimo anno?” mi domanda Remus, una volta fuori, riprendendo il discorso di poco fa. Io sgrano gli occhi di fronte al suo lieve sorriso.
“Mi prendi in giro?! Lo sai benissimo che mi toccherà seppellirmi di nuovo nel solito postaccio per tutto agosto”, lo rimbrotto, fingendo di essermela presa. Lui ridacchia, divertito, camminandomi a fianco.
“Magari quest’estate non sarà così terribile”, tenta di confortarmi, in modo molto poco credibile.
“Dovrai scrivermi decine di lettere con un resoconto talmente dettagliato delle tue vacanze in Europa che mi dovrà sembrare di essere lì di persona, per farmi trascorrere un’estate meno terribile di quanto non sarà”, lo ammonisco, lanciandogli un’occhiataccia.
“D’accordo, ho recepito il messaggio. Ti scriverò, promesso”.
Bene. Almeno qualcuno mi distrarrà dalla solita monotonia.
“Potresti cercare un altro posto, magari …”
Stringo le labbra e sospiro, già rassegnata in partenza. So bene che non ci sono alternative.
“Finché sarò certa che in quel paesino sperduto di montagna la mia famiglia sarà al sicuro, credo proprio che stringerò i denti e andrò avanti. Non voglio rischiare”.
Remus annuisce, e mi posa una mano sulla spalla.
“Certo, lo capisco. E al di là di tutto, fai bene. Non lo dico per essere allarmista, ma le notizie di attacchi a famiglie Babbane aumentano di continuo …”
Non trovo più la forza di aggiungere altro. Mi sono soltanto attirata addosso l’ulteriore odio di mia sorella con tutte le pressioni fatte sui miei genitori per indirizzarci verso luoghi isolati, ma se non lo facessi non potrei dormire tranquilla la notte, pensando ai rischi che la mia famiglia corre per colpa mia. Alle volte vorrei poter fare qualcosa, prenderli tutti a schiaffi e sbraitare, perché non è giusto che solo per le mie origini le persone che amo debbano avere paura di avventurarsi fuori di casa, è semplicemente ridicolo e la mia vita dovrebbe poter essere come quella di tutti gli altri. Tutti questi bei discorsi sulla tolleranza che si sentono pronunciare, a che servono? Sono ugualmente costretta a nascondere i miei parenti in luoghi dove spero nessuno li troverà, anche se penso che sia ingiusto e desidero continuare a vivere a testa alta senza preoccuparmi di stupidi pregiudizi.
Se penso poi a cosa mi ha portata tutto questo dilagante fanatismo, mi viene solamente voglia di gridare. Se ho perso delle amicizie è solo perché c’è gente che davvero crede in queste idiozie, ci crede talmente tanto da essere pronto a correre dietro a qualcuno che uccide in nome di questi assurdi ideali.
Come sempre vorrei non pensarci e faccio di tutto per ricacciare i ricordi dove dovrebbero stare, ma alle volte mi riesce proprio impossibile non rammentare certi episodi.
“Che diavolo è tutto questo baccano?”
Improvvisamente, mi risveglio dai miei pensieri. Getto un’occhiata confusa a Remus, provo a tendere l’orecchio e mi accorgo anch’io immediatamente che c’è qualcosa che non va; dal fondo della carrozza provengono schiamazzi, fumo e lanci di incantesimi, e questo non va per niente bene. Proprio per niente.
“Merlino, che stanno facendo … vieni, Lily!”
Gli corro dietro, e in pochi secondi uno spettacolo scioccante mi si para davanti. Peter Minus a terra, Sirius Black che fronteggia da solo metà della Casa di Serpeverde del settimo anno e tutt’intorno altri Grifondoro in stato di agitazione.
Fra i Serpeverde c’è anche Severus. Mi ignora completamente e lancia verso Black uno dei suoi incantesimi, che lo manca di poco, e manda invece in frantumi il vetro di uno dei finestrini.
È una visione che assolutamente non sono in grado di tollerare.
Smetto di pensare. Estraggo la bacchetta e lancio due fulminei Petrificus Totalus contro Turpin e Jackson, i due energumeni della squadra di Quidditch, che si sono appena voltati verso di noi. Anche Remus tira fuori la bacchetta e si getta immediatamente nella mischia affiancando Sirius, senza dire una sola parola. All’improvviso, una serie di grida proveniente da un luogo chiuso attira la mia attenzione, mi guardo intorno con sguardo febbrile e vedo che c’è uno scomparto bloccato, poco più avanti.
“Evans, vai ad aiutare James! Lo stanno …”
Le parole di Sirius vengono interrotte da una fattura che lo colpisce in pieno, e rimango lì ferma soltanto il tempo necessario per assicurarmi che Remus l’abbia rimesso in piedi e abbia risvegliato Peter, probabilmente colpito da uno Schiantesimo. Mi lancio di corsa verso lo scomparto e tento di aprire la porta, ma è evidentemente chiusa dall’interno; cercando di non farmi prendere dal panico, mi inginocchio a terra e da sotto la fessura del portello riesco a lanciare un paio di incantesimi a caso, sperando di aver colpito qualcuno. Riesco a sbloccare la porta ed entro, dopodiché punto la bacchetta contro Mulciber e Avery, dopo aver rapidamente scavalcato Nott steso a terra.
“STUPEFICIUM! STUPEFICIUM!”
I miei incantesimi vanno a segno, e Mulciber molla la presa su Potter. Grandioso. L’unico piccolo inconveniente è che ora Potter è appeso al finestrino in maniera decisamente troppo precaria.
Per fortuna, ho i riflessi abbastanza pronti da raggiungerlo, afferrarlo saldamente e tirarlo verso di me con forza, riuscendo nel mio intento di riportarlo all’interno del vagone. Nel fare ciò per poco non finisco per terra, mentre il disgraziato che ho appena salvato da morte certa mi capitombola addosso, apparentemente incapace di reggersi sulle sue gambe.
Dopo qualche secondo, per fortuna, si stabilizza. Dovrebbe essere tutto a posto, se non fosse che avverto una pressione anomala in una zona del busto leggermente fuori dai limiti.
“Potter, accidenti, che diavolo fai … POTTER!”
Mi guarda con gli occhi sgranati dallo spavento ma mica si sposta, il cretino.
Non posso permettergli di indugiare oltre, perciò lo allontano con un violento spintone. Si è improvvisamente rimbambito, per caso?
“Scusaminonl’hofattoappostatelogiuro”, mi dice, tutto d’un fiato, ancora con quell’aria terrorizzata. Lo squadro di sottecchi, sentendomi improvvisamente imbarazzata. Colpa sua, io volevo soltanto picchiarlo.
“Non mi interessa se non l’hai fatto apposta, ti meriteresti comunque una morte lenta e dolorosa! Ma dico, ci fai attenzione a dove metti le mani quando vai in giro? O hai un problema al sistema nervoso e ti è casualmente sfuggito il controllo degli arti?” esplodo, passandomi una mano fra i capelli. Lui sembra fissare con particolare soggezione la mia bacchetta che si agita in aria mentre gesticolo, e con un sospiro decido di aver gridato abbastanza.
“Va bene, senti … vuoi che mi inginocchi? Vuoi che implori il tuo perdono con voce supplichevole? O preferisci che percorra il treno in ginocchio implorando perdono, così raddoppio l’umiliazione solo per farti contenta?”
Chissà perché mi sembra di cogliere una nota di sarcasmo nella sua proposta di azioni riparatrici, e la cosa non mi piace per niente. Potter non è certo nella posizione più adatta per permettersi di fare lo spiritoso.
“Ogni occasione per te è buona per dare spettacolo”, gli faccio notare, mentre un’immagine di lui che striscia carponi per il vagone implorandomi di perdonarlo mi si affaccia alla mente. Devo mantenere saldo il controllo per non farmi sopraffare dall’improvviso desiderio di ridere, perché sarebbe veramente inopportuno. È assolutamente necessario che io conservi la mia posizione di persona intransigente, fintanto che il signorino cerca di svicolare.
“E va bene, allora prima di strisciare in ginocchio aspetto di arrivare a Londra e lascio che scendano tutti, così sarai l’unica ad assistere e non potrai accusarmi di esibizionismo gratuito”, conclude, fissandomi poi con timore. Io inarco le sopracciglia, osservandolo con attenzione. È incredibile, davvero, non finirò mai di pensarlo. Fa lo sbruffone, e poi si comporta come se avesse paura di me. Mi domando se possieda un qualche senso della coerenza.
“Dovrai erigermi un altare per ringraziarmi”, mi arrendo, scuotendo la testa. Lui mi guarda con una riconoscenza che gli fa brillare gli occhi, e io mi sento avvampare di colpo. Che situazione imbarazzante, Merlino. Sono sempre stata attenta a mantenere le distanze, e ora Potter mi capita addosso così, senza preavviso, con il suo sguardo colpevole e le sue battute azzardate. Accidenti. Non so davvero come trattarlo, un momento vorrei strangolarlo e il momento dopo vorrei non dover trattenere le risate.
Dire che è snervante è poco.
“In ogni caso, non ti ho chiesto io di venire a salvarmi. Ti saresti potuta risparmiare questa seccatura”, mi dice poi lui, raddrizzando la postura e incrociando le braccia dietro la schiena. Ecco, questo è uno dei momenti in cui il desiderio di strangolarlo prevale nettamente sulla voglia di ridere. “Oh, smettila di fare tante storie. Se io non fossi riuscita a entrare qui dentro, tu ora saresti … in non so quale orribile stato”, gli faccio notare, rabbrividendo improvvisamente all’idea di cosa sarebbe potuto succedere se davvero non l’avessi salvato. In genere preferisco non pensare affatto a questo genere di cose, ma per un attimo l’impulso si fa più forte della mia volontà.
Rischiava seriamente la pelle, ed è terrificante.
È terrificante che degli studenti di Hogwarts stiano arrivando a tanto.
Non capisco se davvero non se ne rendano conto, o se questo fosse il loro preciso intento.
“Beh, scusami, ma in circostanze normali sarebbe stato più sensato se io avessi salvato te”, polemizza lui, cercando di atteggiarsi a maschilista convinto. Io mi limito a gettargli uno sguardo torvo.
“Già, hai ragione. Ho irrimediabilmente offeso la tua dignità di uomo. Perdonami, se non sono brava come te ad attirarmi addosso le ire dei Serpeverde”, ribatto, non risparmiando l’ironia. Lui a quanto pare sembra comprendere che forse è il caso di lasciar cadere la discussione, e per un attimo pare particolarmente preso dal fissarsi le scarpe.
Ovviamente, pretendere che questo periodo di calma duri a lungo sarebbe utopico.
“In ogni caso, come hai fatto?” mi chiede, e io lo fisso senza capire.
“A fare cosa?” domando, in tutta risposta. Lui si stringe nelle spalle, con sguardo incerto.
“Beh, a … fare in modo che io sia in debito con te di un altare”.
Quasi mi lascio sfuggire un sorriso, mentre penso a lui che mi costruisce davvero un bell’altare di marmo bianco.
Senza usare la magia.
“Oh. Beh, sono arrivata quando tu eri già chiuso qui dentro e il tuo amico Sirius si stava battendo da solo contro quattro Serpeverde. Remus è andato ad aiutarlo e stavo per farlo anch’io, ma poi ho sentito le grida e Sirius mi ha detto che c’eri tu chiuso qui dentro con Nott, Avery e Mulciber. Nott bloccava la porta, così gli ho lanciato un incantesimo da sotto la porta … non ridere, mi sono sfracellata le ginocchia per te. Poi sono riuscita a entrare, ho Schiantato Avery e Mulciber e poi ho … fatto il resto, insomma …”
Ecco, ovviamente, ripiombiamo nelle situazioni imbarazzanti. Brava, Lily.
“… e non hai pensato nemmeno per un secondo alla possibilità di lasciarmi lì a penzolare dal finestrino?” mi domanda Potter, con un mezzo sorrisetto di insinuazione che gli strapperei via dalla faccia seduta stante, se fossi una persona meno controllata.
“No, per il semplice motivo che ti ritengo degno di una morte più cruenta e plateale”, replico, seccamente. Il suo sorriso si allarga, mentre incrocio le braccia con aria stizzita.
“Oh, grazie. Credo che lo prenderò come un complimento”, risponde, con la sua solita sfacciataggine.
“Non per distruggere le tue illusioni, ma il giorno in cui ti rivolgerò un complimento è ancora molto lontano”, lo informo, nel tentativo di farlo scendere dalle nuvole.
“Arriverà, ad ogni modo”, ribatte lui, con aria decisamente sicura di sé. Non ho idea di dove abbia attinto tali incrollabili certezze.
“Perché invece di continuare a blaterare non ti muovi e mi dai una mano ad aiutare …”
Mi blocco seduta stante, notando che siamo appena stati scovati da tre Serpeverde dall’aspetto per nulla amichevole.
Vengo trascinata a terra da Potter non appena il primo Schiantesimo vola per aria, mancandoci per un soffio, e rapidamente sigillo la porta davanti alle loro facce, appena in tempo. Ansimo leggermente e solo dopo qualche secondo mi rendo conto del compromettente stato di cose; Potter mi tiene stretta per i fianchi non accennando minimamente a mollarmi, e non so come è riuscito ad incastrare le nostre gambe in un perfetto puzzle. Un vero genietto, non c’è che dire. Ma come gli sarà venuto in mente di buttarsi a terra in questo modo, e soprattutto di trascinarmici insieme a lui? Mi pare di averlo sentito stringere leggermente la presa, e questo non va bene. Non va affatto bene. Mi sto sentendo in imbarazzo, e io non ho nessunissima intenzione di sentirmi in imbarazzo.
Deglutisco in totale silenzio senza sapere che accidenti fare, e l’unica cosa per cui riesco ad optare è guardarlo male.
“Ti ringrazio, ora sei stato tu a salvare me. Il tuo ego maschile si sente soddisfatto? La mia schiena non tanto, considerata la botta che mi hai fatto prendere, e la mia caviglia sta soffrendo sotto il peso della tua gamba”, gli elenco, sfoggiando tutto il sarcasmo che ho in corpo per allontanare il disagio che mi schiaccia. Lo osservo ridere sotto i baffi mentre libera le gambe dalle mie.
“Sei insopportabile”, commenta, in un tono che mi lascia con la gola secca. Si sta prendendo un po’ troppa libertà, e questo non dovrei permetterglielo. Avremo anche raggiunto una fase di pacifica convivenza, ma questo non significa che gli sia concesso sussurrarmi insulti vari all’orecchio con l’aria di chi sta pensando tutt’altro …
“Spiacente, ma non credo che ti batterò mai nemmeno in questo campo”, ribatto, trovando finalmente la forza di reagire, e appoggiandomi al sedile mi rialzo in piedi, costringendolo a sciogliermi dalla sua presa. Lui è ancora lì a terra e senza pensarci gli tendo la mano, aiutandolo a risollevarsi, anche se questo, in via teorica, dovrebbe andare contro i suoi principi maschilisti. Gli getto solo un’occhiata di sfuggita nel momento in cui torna a torreggiare sopra di me, poi è lui a voltarsi, guardandosi intorno, come se cercasse qualcosa.
“Dove diamine …”
Lo osservo affaccendarsi per qualche secondo, finché non si volta sorridente con la sua bacchetta in mano.
“Come mai Avery e Mulciber non avevano le bacchette?” gli chiedo, ora che mi viene in mente. Il suo sorriso si trasforma immediatamente in un ghigno di perfidia compiaciuta.
“Mentre mi trascinavano qui dentro, Mulciber mi aveva strappato la bacchetta. Quando ancora non dovevo pensare ad aggrapparmi a qualcosa per non cadere giù dal treno, non so come sono riuscito a riprendermela, e con un Incantesimo di Appello mi sono impadronito anche delle loro. Poi le ho prese e le ho buttate fuori dal finestrino”.
Lo guardo con una certa ammirazione, incapace di trattenermi.
“Forse è stato questo a dar loro l’idea di provare a farmi fare la stessa fine”, osserva poi, e io scoppio a ridere, scuotendo la testa di fronte alla sua incorreggibilità. Tuttavia, l’attimo dopo l’effetto del Colloportus finisce, e i tre Serpeverde riescono ad aprire la porta. Fortunatamente io e Potter riusciamo a cavarcela, abbattendoli tutti e tre con dei rapidi Schiantesimi. Proprio nel momento in cui usciamo dallo scompartimento, i Capiscuola irrompono e ristabiliscono l’ordine sequestrandoci tutte le bacchette con un Incantesimo di Appello. Il caos viene immediatamente sedato, mentre di fianco a me Potter gongola, sorridente. Non appena iniziano le domande inquisitorie, però, mi sento trascinare via a forza e rinchiudere in un altro scomparto, dove guardandomi intorno mi accorgo che si trovano anche Remus, Sirius e Peter.
“Ce ne hai messo di tempo per salvarlo, Evans!” mi apostrofa il primogenito Black, con un ghigno malizioso che non mi piace per niente. “Cos’è, ti ha dovuto ringraziare in qualche modo particolare? Niente da ridire, ma avreste potuto rimandare a un momento migliore …”
“Sirius!”
Non faccio in tempo a replicare adeguatamente che, per fortuna, ci pensa Potter a tentare di farlo stare zitto, vistosamente imbarazzato da questo genere di commenti.
“Va bene, va bene, sono faccende vostre, non mi voglio impicciare”, capitola Sirius, senza smettere di ridacchiare malignamente.
“Non c’è nessuna faccenda nostra, te lo vuoi mettere in testa?” esclama Potter, ancora più infiammato.
“Nei tuoi sogni però non ci giurerei …”
“Oh, sta’ zitto!”
Ben pensando di risolvere la faccenda con le maniere forti, i due si saltano addosso inscenando una delle loro solite lotte bambinesche, finché la confusione da loro prodotta non attira qui il Caposcuola di Corvonero, Gregory Hunt. Non sembra molto incline a tollerare i loro schiamazzi, a giudicare dalla sua espressione.
“Sarebbe il caso che la piantaste”, avverte, e io prego che Potter non esploda; l’ilarità sembra averlo invaso improvvisamente, e lui si deve costringere a tapparsi la bocca con una mano.
“Comunque non siamo stati noi a far alzare la gonna della tua ragazza!” grida Black alle spalle di Hunt mentre lascia il nostro scomparto. I due allegri compagni si rialzano fra le risate, battendosi sonore pacche sulle spalle.
“Sai, Sirius, certe volte potresti davvero evitare di infierire”, osserva Remus, con il suo pacato tono da sottile rimprovero.
“Davvero ritieni la mia intelligenza capace di tanto?” domanda Black, sarcasticamente.
“Certo. Peccato che poi tu non sia in grado di farla funzionare come si deve”, risponde Remus, e io nascondo un sorriso dietro una mano. Osservati dall’esterno, sono decisamente esilaranti. Quasi non li si direbbe nemmeno amici. In effetti, da un punto di vista caratteriale, sono tremendamente distanti l’uno dall’altro; eppure non ho mai visto nessuno dei due tirarsi indietro per aiutare, difendere o consolare l’altro. Come se ci fosse, in fondo, una sorta di tacito accordo.
“Già, hai ragione. La prossima volta non venirmi a salvare quando sono accerchiato da tre Serpeverde e con un amico esanime da difendere”.
Remus sembra improvvisamente sentirsi punto sul vivo.
“Infatti, non l’ho fatto per te. L’ho fatto per Peter”, ribatte, un po’ più seccamente.
”Però ti davi parecchio da fare, eh? Credo di non averti mai visto far volare così tanti Schiantesimi, signor Prefetto”, obietta Sirius, sfoggiando un sorrisetto compiaciuto. Remus sembra aver perso la pazienza.
 “La prossima volta ti guarderò implorare il mio aiuto in ginocchio, allora!”
Sorrido, pensando che alla fine Sirius non abbia tutti i torti; sia io che Remus, alla faccia della nostra carica, oggi ci siamo dati parecchio da fare per difendere individui di dubbio merito. Una situazione bizzarra, senza ombra di dubbio. Eppure, la mia condotta mi appare decisamente fuori discussione, anche se mi ha portato a trovarmi in circostanze per me inusuali; mai e poi mai mi sarei sognata di trascorrere un simile viaggio di ritorno, e di intrattenermi in compagnia di questi quattro disgraziati. In fondo, mi trovo costretta ad ammettere che non è poi così male come pensavo; sono piacevoli, a modo loro, quando non si impegnano a fare i buffoni e agiscono semplicemente secondo il loro carattere. Forse mi sto ammorbidendo troppo, ma per una volta soltanto quello che mi sento portata a fare è sorriderne, e non incupirmi; aver scoperto che Potter può risultare caratterialmente gradevole semplifica di molto le cose, e mi permette di avere una ragione valida per accantonare il mio astio. L’ho sempre detestato in quanto lo ritenevo molto diverso da come è in realtà; perciò, se invece il suo modo d’essere è tutt’altro, posso sentirmi libera di sorridere e sedergli a fianco.
Sia chiaro, comunque, che il mio altare lo esigo ugualmente.



 
 
I know you think you’d never be mine,
Well, that's okay, baby, I don’t mind.
That shy smile’s sweet—that’s a fact
Go ahead, I don’t mind the act.

(Bruce Springsteen, Sad Eyes)



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Capitolo 6
*** Le follie di Albus Silente ***


Capitolo 6
Capitolo 6 – Le follie di Albus Silente
 

 

Vedi le cose e dici: “Perché?”. Ma io sogno cose che non sono mai esistite e dico: “Perché no?”

(George Bernard Shaw, Torniamo a Matusalemme)
 


 
1 settembre 1977

È il primo di settembre del mio ultimo, definitivo anno a Hogwarts, sono al binario 9 e ¾ e sto scandendo mentalmente i secondi con la schiena appoggiata a uno dei pilastri di mattoni, gli occhi socchiusi e la testa che scoppia. Sirius non dice più una parola ormai da diversi minuti, e forse è un bene, dopotutto, perché questo per me è un serio momento di crisi.
Alcuni al mio posto farebbero salti di gioia alti decine di metri. Altri sentirebbero il loro ego gonfiarsi smisuratamente, tronfi del loro successo. Altri magari si godrebbero quella piccola soddisfazione nel silenzio della propria solitudine. Io probabilmente sono l’unico che al solo pensiero si sente letteralmente terrorizzato.
Del resto, vorrei vedere chiunque altro al mio posto. Con il mio passato sulle spalle, con lo stupore ancora vivido nella mente. Non solo nessuno avrebbe mai lontanamente pensato di scommettere su di me, ma la possibilità di vedermi protagonista di un simile evento non sarebbe stata mai nemmeno presa in considerazione. Neppure un pazzo ci avrebbe mai scommesso. Non sto esagerando, purtroppo. Io sono stato traumatizzato nel profondo, e la colpa è tutta di quella mente suprema del mondo magico chiamata Albus Silente.
Il giorno in cui mi è arrivata la lettera, a dire la verità, non mi ero ancora nemmeno alzato dal letto.
Io e Sirius la notte prima eravamo rimasti svegli fino a tardi. Non c’è da stupirsi se alle undici di mattina eravamo ancora riversi sui materassi con gli arti penzoloni, le coperte gettate a terra per il caldo, il cuscino finito chissà dove, il respiro pesante e il desiderio di non muovere un dito fino a dopo pranzo. Sfortunatamente, i gufi si presentarono a becchettare in modo poco signorile le finestre delle nostre camere quando ancora non era giunto il momento di aprire gli occhi. Ad ogni modo, entrambi facemmo lo sforzo di alzarci (o meglio, Sirius si era svegliato per primo, poi, constatato che io non avevo fatto altro che rigirarmi dall’altra parte e nascondere la testa sotto un braccio, si era precipitato in camera mia e aveva iniziato a strepitare con la sua voce roca da sonno interrotto); le solite ciance riguardo al materiale scolastico e all’elenco dei libri di testo erano accompagnati da un’altra busta indirizzata soltanto a me, scritta con lo stesso inchiostro verde delle missive di Hogwarts. Io capivo la metà di quello che mi stava succedendo intorno, avevo un mal di testa feroce per essere stato buttato giù dal letto in modo così brusco e spiacevole e non avevo la benché minima voglia di verificare il contenuto di quella busta, volevo soltanto tornarmene a dormire. Ma, ovviamente, fu la curiosità di Sirius a prevalere sul mio spirito di negligenza. Mi strappò la busta dalle mani e la aprì, stropicciandosi gli occhi nel tentativo di vedere meglio. Si mise a declamare il contenuto della lettera strascicando le parole e ogni tanto interrompendole a metà con aria svogliata, dopodiché si portò una mano alla bocca per sbadigliare e mentre io, contagiato, facevo lo stesso, lui sbiancava completamente in volto ed estraeva dalla busta un oggetto argenteo, grande abbastanza da essere contenuto in una mano.
“James”, disse soltanto, rimasto senza parole. I miei pensieri erano ancora rivolti al tepore del mio letto caldo, e Sirius dovette darmi un’energica scrollata prima di riuscire a farmi capire che diavolo stava succedendo.
“Basta Sirius, voglio andare a dormire”, mi lamentai io, sentendomi improvvisamente tornare bambino, nei classici momenti in cui imploravo mia madre di non tirarmi giù dal letto in modo impietoso chiamandomi poltrone scansafatiche. Solo dopo qualche secondo iniziai veramente a far andare il cervello. Il dubbio iniziò ad insinuarsi nella mia mente, mentre sentivo risuonare come un’eco incerta le parole della lettera, che ricordavo soltanto per una mera assonanza colta in un momento di totale disattenzione. Ma l’atroce sospetto di aver davvero sentito pronunciare quel dato vocabolo, per quanto fosse obiettivamente inverosimile, mi fece improvvisamente piombare nel panico. Strappai via la lettera dalle mani di Sirius, inforcai rapidamente gli occhiali, sforzai la vista nel tentativo di mettere a fuoco e rilessi tutto da cima a fondo, mentre le mie capacità di pensiero si risvegliavano lentamente.
Una volta arrivato in fondo, avevo smesso di respirare.
“È uno scherzo, vero?” domandai, a mezza voce, prendendo il distintivo dalle mani di Sirius. Lui avvicinò la testa alla mia, fissandolo.
“Per la miseria, se è uno scherzo è fatto veramente bene. Ti giuro che sembra vero”.
“È opera tua? Dimmi che sei stato tu, Padfoot, ti prego. Guarda che sta per venirmi un colpo. Non sarà piacevole avermi sulla coscienza, una volta che sarò soltanto un cadavere freddo e rigido disteso sul pavimento …”
“James, che diamine, non sono stato io”.
Deglutii, mentre sentivo il terrore bloccarmi il battito cardiaco.
“Non è possibile. Non può essere vero. Scommetto che c’è lo zampino di Remus …”
“Non potrebbe mai elaborare un piano così perfido, lo sai anche tu”.
“Ma è assurdo, ti rendi conto?! Deve essere finto”.
Mi affannai a confrontare la grafia della lettera che annunciava la mia nomina con il solito elenco di libri di testo e istruzioni che ero certo fosse giunto da Hogwarts, poi mi rigirai tra le mani quell’affare per almeno due buoni minuti.
Il mio cervello era talmente annebbiato che rimasi immobile e inebetito a fissare il vuoto per non so quanto tempo, prima che Sirius mi richiamasse alla realtà.
“Mi dispiace dirtelo, amico, ma questo coso sembra proprio vero”.
“No, no, no, no”.
“James”.
“No, no, NO!”
“James smettila, mi stai facendo paura adesso!”
“A me fa paura questo, Sirius!”
Gli rifilai il distintivo come se fosse una caccola di Troll, poi mi misi le mani nei capelli e incominciai a camminare avanti e indietro per tutta la lunghezza della mia camera.
Sicuramente sembravo uno squilibrato, ma in quel momento ero troppo preso dallo shock per riuscire a rendermene conto.
“Su, Prongs, cerca di darti una calmata ora”.
“Se tu fossi così gentile da spiegarmi come fare, te ne sarei enormemente grato”.
“Okay, cerchiamo di ragionare. Non è una tragedia così grande, dopotutto”.
Io mi passai per l’ennesima volta le mani nei capelli.
“Non è questo il punto, Sirius. Il punto è che non ha senso. Cioè, questo coso avrebbe dovuto arrivare a Remus. O a qualcun altro. Insomma, di certo non a me”.
Ho sempre avuto la tendenza a reagire con attacchi di panico di fronte ai fenomeni privi di una spiegazione logica, ma quello era senza dubbio il più grave di cui fossi mai stato protagonista in tutti i miei diciassette anni suonati.
“Oh, andiamo, non prenderla così male”.
“Devono aver sbagliato a spedire la lettera, è meglio che scriva subito alla McGranitt per informarla”.
Ed era quello che avevo fatto. Preso dalla foga di sentirmi rassicurare da una simile prospettiva, avevo strappato un pezzo di pergamena dal fondo di uno dei miei compiti delle vacanze ancora incompleti, ci avevo scribacchiato sopra qualche confusa parola di scusa con una grafia tremolante e difficilmente comprensibile e l’avevo legato alla zampa del mio gufo, sotto lo sguardo attonito del mio migliore amico. Dopodiché, avevo trascorso il resto della mattinata senza toccare cibo e rispondendo in tono isterico a chiunque mi rivolgesse la parola, rimanendo sordo a ogni tentativo fatto da Sirius per tentare di rassicurarmi in modo ragionevole.
Il mio gufo ritornò dopo qualche ora. Per poco non gli staccai una zampa mentre mi impadronivo della risposta, accingendomi subito dopo a srotolarla con le mani che tremavano.
Non ricordo esattamente cosa dicesse la lettera, mi sono rimaste impresse soltanto espressioni isolate come “nessun errore”, “non dica sciocchezze”, “riceverà istruzioni in proposito”, “si rilassi e si goda le vacanze”.
Quella donna voleva prendermi in giro.
“Non volevo dirtelo prima, avresti dato in escandescenze, ma era più che probabile che non ci fossero errori. C’era il tuo nome sia sulla busta che sulla lettera, e sicuramente Silente ha una spiegazione per tutto questo …”
“Silente ha voglia di scherzare, evidentemente”.
“Oh, beh, può darsi. Ha sempre avuto un marcato senso dell’umorismo”.
“Tutto questo è assurdo, devo parlare con lui”.
“James, ora stai diventando leggermente ossessivo …”
“Per te ha un senso, Sirius? Ha un senso vedermi in possesso del distintivo di Caposcuola?! Silente non ha senso dell’umorismo, Silente è completamente ammattito!”
Ero fuori di me, lo devo ammettere. Ma sfido chiunque a provare a mettersi nei miei panni. Io sono James Potter, Malandrino di professione, irrispettoso di qualsiasi regola, sono fra i primi quattro studenti più combinaguai di tutta Hogwarts e non ho mai dimostrato impegno e dedizione in qualcosa che non sia il Quidditch. E io, io secondo Silente dovrei fare il Caposcuola?
Doveva essersi bevuto il cervello, non c’era altra soluzione.
Gli scrissi immediatamente, sforzandomi di trovare una pergamena integra e di utilizzare una grafia umanamente comprensibile. Lo pregavo in quattro righe di concedermi un colloquio informale prima dell’inizio della scuola, scusandomi per la mia inopportunità e affermando di essere perfettamente cosciente che era sempre molto impegnato, e che il mio problema era del tutto trascurabile in confronto alle faccende importanti di cui doveva prevedibilmente occuparsi.
Ad ogni modo, Silente si comportò ancora nel modo più assurdo e inaspettato possibile: mi rispose che se non c’erano problemi sarebbe passato per una breve visita a casa mia fra un paio di giorni. Diceva di essere da quelle parti per affari riguardanti faccende piuttosto oscure, ma che sicuramente era in grado di dedicarmi il tempo necessario a discutere della questione che mi crucciava.
Io cominciavo a sentirmi seriamente in soggezione.
Ad ogni modo, quando Silente arrivò, cacciai via i miei genitori e Sirius senza ritegno, perché non avevo la benché minima intenzione di svolgere un dialogo del genere alla presenza del mondo intero. La faccenda mi aveva causato un serio trauma psicologico, anche se sarebbe stato mille volte più facile riderci sopra e non porsi domande a riguardo. Ma io volevo delle spiegazioni, e avevo tutti i diritti di sentirmi scombussolato in quel modo.
“Immagino che tu voglia discutere della tua nomina a Caposcuola, James”.
Ovviamente era andato subito al sodo, senza farsi problemi. Fosse stato per me, penso che avrei tentato di infarcire il discorso con qualche elaborato giro di parole, ma lui aveva dato inizio alla conversazione per primo, perciò a me non restava che confermare.
“Sai, James, penso che una delle cose più divertenti dell’essere Preside sia assegnare incarichi di questo tipo. Certe estati trascorro mattinate intere a pensare alla faccia dei miei studenti quando aprono le fatidiche buste e si trovano davanti una spilla o un distintivo; e ti assicuro che più di una volta sono stato velatamente accusato di demenza senile mentre mi facevo quattro risate a riguardo”.
Io ero semplicemente allibito. Quell’uomo si stava prendendo palesemente gioco di me.
“Beh, con tutto il rispetto, io penso che, per quanto si sia sforzato, non sia riuscito ad immaginarsi con esattezza la mia espressione”, gli risposi, a metà fra il timore istintivo nei confronti della sua autorità e la segreta smania di dirgliene quattro.
“Nessun problema. Ti assicuro che in ogni caso mi sono impegnato molto, ma prevedevo fin dall’inizio che non ci sarei davvero potuto riuscire”.
“È per questo che mi ha scelto?”
“Cioè per allietare le mie noiose giornate estive? Oh, no, James, anche se non posso negare che questa decisione abbia comportato un certo divertimento da parte mia”.
“E allora, signore … posso chiederle perché?”
“Secondo te, perché ho scelto te?”
Che cavolo di senso aveva rigirare la domanda a me? Sì, decisamente giocava a prendermi in giro.
“Ho provato a pensarci, davvero, ma non ne ho idea. Ero convinto che ci fosse stato un errore …”
“Oh, sì, la professoressa McGranitt mi ha informato di questo. Hai davvero una così scarsa considerazione di te stesso?”
“Di una cosa sono sicuro, non sono adatto a fare il Caposcuola. Non sono nemmeno stato Prefetto …”
“Non è necessario che tu lo sia stato, come forse già sai. Il passaggio da Prefetto a Caposcuola non è più obbligatorio di quanto lo sia collezionare tutte le figurine delle Cioccorane”.
“Ma Remus si sarebbe meritato questo incarico molto più di me”.
“Remus Lupin ha già avuto il suo bel daffare durante i suoi due anni da Prefetto, nell’inutile tentativo di tenere a bada voialtri”.
“Ma è proprio questo il punto! Lui doveva tenere a bada anche me! E dopo tutto quello che ho fatto durante questi sei anni a Hogwarts, secondo lei io sarei adatto …”
“Sei maturato molto durante lo scorso anno, James”.
Di fronte a quell’osservazione lapidaria, rimasi in silenzio per quasi un minuto intero.
Okay, in certe occasioni anche io avevo notato il cambiamento. Ma sentirselo dire da Silente non è come riconoscerlo implicitamente tra sé. Sentirselo dire da Silente è come ascoltare il Cappello Parlante che urla il nome della Casa in cui desideravi con tutto il cuore essere smistato, quando eri solo un ragazzino di undici anni che aveva appena inaugurato il suo arrivo a Hogwarts con un volo nel lago, trascinando con te un altro ragazzino di undici anni con una massa di capelli quasi più neri dei tuoi, anche se di sicuro non più arruffati.
Era imbarazzante. Imbarazzante perché non riusciva a sembrarmi vero. E perché ero e sono tuttora convinto che maturare interiormente e iniziare a comportarmi in modo più intelligente e sensato non significava che io mi fossi trasformato in uno studente degno di essere nominato Caposcuola. C’era comunque un abisso nel mezzo. Forse avevo smesso di lanciare continuamente incantesimi su chiunque mi capitasse a tiro, ma non avevo certo rinunciato alle malandrinate. Solo durante il sesto anno ero giunto all’apice della mia carriera da Animagus, avevo contribuito a disegnare una Mappa di Hogwarts che includeva perfino il più recondito passaggio segreto, avevo perseverato nel macchinare scherzi di grande portata diretti contro i Serpeverde del mio anno e non avevo smesso di assillare Lily Evans, seppure avessi cessato di declamarlo a gran voce e avessi troncato di netto tutti quei modi di fare che prima mi facevano apparire maledettamente infantile.
“È un tuo diritto conoscere le ragioni per cui ho fatto questa scelta così importante, e non è mia intenzione nascondertele. Non aspiro a trasformarti in uno studente modello, sei già estremamente brillante senza bisogno di un distintivo. Ma hai imparato la modestia e la pazienza, e se ti ho assegnato questo incarico è perché sono convinto che tu possa sostenerlo senza alcun problema. Quello a cui vorrei spingerti è ad aprirti una volta tanto, e a mostrare anche agli altri di che straordinarie qualità sei dotato. Ti sei nascosto abbastanza sotto la tua vecchia maschera, e ora ritengo che tu sia più che pronto per fare un passo del genere”.
Fissai il pavimento in silenzio per un altro minuto buono. Non sapevo più che diavolo dire. Non riuscivo a capire in che modo potesse Silente pretendere di esprimere giudizi su di me con una tale sicurezza e padronanza dell’argomento, come se mi conoscesse bene. Da che cosa aveva tratto tutte quelle conclusioni riguardo al mio carattere? Non riuscii a capirlo sul serio e nemmeno adesso, che ho avuto una settimana per pensarci, sono giunto ad una conclusione soddisfacente. Fatto sta che non aggiunse altro. Dopo avermi chiesto se avevo altre domande, si congedò dai miei genitori e si Smaterializzò due passi fuori dal cancello del giardino. Io rimasi incapace di produrre un solo suono fino a notte inoltrata, quando finalmente mi decisi a raccontare tutto a Sirius senza correre il rischio di tralasciare nemmeno un dettaglio. Lui, in tutta risposta, si è messo a ridere. Mi ha sfottuto per almeno un’ora rotolandosi per terra, finché non ho deciso di suonargliele e abbiamo finito per addormentarci sul pavimento, sfiniti.
Ora sto aspettando di salire su quel maledetto treno, e intanto tutti i miei amici sono fieri di me.
Peter continua a ripetermi che sono grande, grandioso.
Remus che ho un’ottima occasione per fare come ha detto Silente e dimostrare al mondo chi sono.
Sirius che ora posso fornire ai Malandrini una copertura ancora più efficace di quella di Remus quando era Prefetto.
In realtà, penso che ora se ne stia in silenzio solamente perché sta macchinando qualcosa di nuovo per inaugurare l’anno scolastico.
Io ho soltanto una paura tremenda, perché non oso nemmeno immaginare quello che mi aspetta.
Non è tanto l’essere investito di una responsabilità così grande che mi preoccupa.
E nemmeno la prospettiva di dover iniziare a comportarmi bene sul serio.
D’altronde, Silente avrà di sicuro immaginato che non rinuncerò alle malandrinate nemmeno se un giorno dovessi diventare Preside.
Sono ben altre le cose che mi preoccupano.
Una di queste ha i capelli rossi.
Si sta avvicinando, viene verso di noi.
Ha già la divisa indosso. Chiudo gli occhi, non voglio guardare, ma subito dopo l’istinto mi costringe e noto inevitabilmente il distintivo d’argento che si è appuntata sul petto.
Giuro che vorrei sprofondare.
Silente è un sadico. Un sadico perverso. Io e lei Capiscuola. Sono anche disposto a credere ai suoi discorsi ad effetto riguardo alla mia maturazione, ma non posso evitare di pensare che sotto sotto l’abbia fatto apposta.
Il suo piano è far seppellire Hogwarts sotto un mucchio di macerie, di sicuro.
Cos’altro può sperare che riusciamo a combinare io e Lily Evans in coppia con un simile incarico?
“Potter. Pronto a farti togliere punti?”
Io ingoio l’aria, terrorizzato. È diventata anche più carina in questi due mesi, mi duole ammetterlo. Ma il modo di reagire lo devo trovare lo stesso.
“A dire la verità, no”.
Lei mi guarda con aria interdetta, come se non fosse sicura di aver capito bene.
“Come sarebbe a dire no?”
“Sarebbe a dire che potrai prendertela con tutti meno che con me”, le rispondo, cercando di utilizzare un tono piuttosto sfrontato. Devo comunque darmi un contegno, che diamine.
“Che succede, sei esentato dalle regole quest’anno?” domanda lei, corrugando la fronte.
“No, succede che mi è arrivato questo per posta”, replico, sventolandole davanti al naso il distintivo, che fino a un momento fa tenevo ben nascosto nel fondo delle mie tasche. Osservo l’espressione di Lily diventare vacua di colpo.
“Se è uno scherzo, non è divertente”, dice, a mezza voce, improvvisamente pallida. Io mi lascio sfuggire un sorrisetto tirato. Potrei anche trovarlo estremamente esilarante e sfruttare la situazione nel modo migliore, se solo non fossi così nervoso.
“Ti sembrerà strano, ma non sono in vena di scherzare”, le rispondo, stringendomi nelle spalle. Lei sembra aver perso la capacità di respirare. Buffo, mi ricorda un po’ me quando ho ricevuto la lettera. Probabilmente dovevo avere la stessa espressione che ha lei ora.
Forse non proprio così scioccata, devo ammettere.
O forse è solo che adesso quel momento mi sembra già lontano.
“Fossi in te chiuderei la bocca e cercherei di fare almeno un mezzo sorriso per mantenere il contegno”.
“Io … non è possibile, tu mi stai prendendo in giro”.
“Ah, allora forse ti sarà d’aiuto leggere questa per rassicurarti sul fatto che sono serissimo”.
Estraggo di scatto dalla tasca la lettera di risposta della McGranitt e gliela porgo con un gesto a metà tra il brusco e il delicato, cercando di godermi lo spettacolo dell’indecifrabile espressione di Lily.
Mi aspetto un urlo agghiacciante da un momento all’altro.
Bel modo di iniziare l’ultimo anno.
E invece, lei dopo un po’ alza la testa dalla pergamena e mi fissa con aria totalmente confusa. Per un solo, infinitesimo attimo mi sembra quasi di veder passare sul suo volto un’espressione di composta tenerezza appena accennata, che subito dopo torna ad essere mero stupore. Io evito di farmi domande in proposito. Ci ho rinunciato a capirla, da quando ha tentato di scusarsi offrendomi una Cioccorana.
“Non biasimarmi se dimostro scetticismo a riguardo, come vedi non ci credevi nemmeno tu”, commenta, sventolandomi improvvisamente la pergamena davanti agli occhi, con un tono quasi privo di acidità.
“Se davvero ti ritenevi indegno di un incarico del genere, potresti anche indurmi a cambiare opinione su di te”, aggiunge, in tono sarcastico. Io mi stringo nelle spalle e mi accingo a seguirla. Dopotutto, se fossi lasciato a me stesso, non saprei neanche da che parte devo girarmi.
Mi volto un attimo indietro e incrocio lo sguardo del mio migliore amico. Sirius mi guarda con un ghigno dipinto in viso. Io cerco di farmi un’idea di come sarà il mio settimo anno da qui in avanti e una cosa è sicura, non è certo come me lo immaginavo quando alla fine di giugno sono sceso da questo dannato treno.

***

23 agosto 1977

Merlino. C’è qualcosa che picchia alla mia finestra.
Mi sveglio di soprassalto, con un balzo di diversi centimetri.
Calma, Lily, calma. È solo il tuo gufo, accidenti.
Il fatto è che è tutta l’estate che sono agitata. Anzi, dire agitata è un eufemismo bello e buono. È ormai da due mesi interi che continuo a chiedermi se io sia davvero normale.
E tutto questo per colpa di Potter.
Se potessi spegnere il cervello, rilassarmi e godermi le mie meritate vacanze, lo farei senza pensarci due volte. Ma pare che non sia proprio possibile. Il mio cervello è destinato ad un arrovellamento continuo e privo di soste, e sembra che non ci sia quasi niente in grado di distrarmi in modo duraturo.
Mi perdo spesso nei meandri delle mie contorte riflessioni, e i miei mi sorprendono sempre così, con i gomiti sul tavolo e la guancia appoggiata nell’incavo della mano. Dicono che sono strana, ma in realtà è solo che sto pensando troppo a qualcosa che non dovrebbe stare nella mia testa, non più del necessario almeno, perché così mi sta assorbendo tutte le energie mentali di cui dispongo, e mi sta rendendo una persona ripetitiva e noiosa.
Saranno state almeno duemilatrecentoquarantasette le volte in cui mi sono detta che forse era meglio sedersi e riflettere con calma, così da liberarsi definitivamente di quel chiodo fisso.
E invece no. Non ha funzionato. E continua a non funzionare, per qualche inspiegabile ragione.
La faccenda comincia a darmi sui nervi.
Il punto è che io detestavo James Potter, fino a poco tempo fa. Con tutta me stessa. Ora invece il mio odio è sparito chissà dove, inghiottito dalla sua ironia fuori luogo, dal suo vizio di dire sempre la cosa sbagliata, dalla sua candida sfacciataggine, dalla sua spontaneità fanciullesca. Certo, d’accordo, alla fine l’avevo intuito anche in passato, che in fondo il suo vecchio modo di fare – quello da borioso arrogante spaccone egocentrico – era tutta una grande e stupida messa in scena, un modo veramente idiota di mettersi in mostra, ma adesso che ha deciso di crescere e di comportarsi in modo normale comincia quasi a piacermi. E questo ha dell’incredibile.
Non intendo piacermi nel senso più forte del termine. Non è che mi piaccia. Ho sempre giurato e spergiurato che non gli cadrò mai ai piedi, per nessuna ragione al mondo. E infatti non accadrà. Ma se si parla di instaurare con lui un semplice rapporto di pacifica convivenza, non vedo più dove stia il problema, ed è questo che mi preoccupa. Perché c’è una bella differenza tra lo smettere di odiarlo e il desiderare di instaurarci un rapporto. Tuttavia, nell’ultimo periodo di scuola ho manifestato esattamente quest’ultima tendenza.
Voglio dire, pur avendo smesso di odiarlo potrei limitarmi a non avere più attacchi d’isteria in sua presenza, così da mettermi il cuore in pace, vivere e lasciar vivere. Lui per la sua strada, io per la mia. Senza più la necessità di doverlo bacchettare o tenere sott’occhio per assicurarmi che non cominci ad azzuffarsi con qualche Serpeverde non appena io giro l’angolo. Indifferenza, sana e tranquilla indifferenza. Magari abituarmi a salutarlo quando lo incontro, o a parlargli in modo cortesemente neutrale quando l’occasione proprio lo richiede. Ma non è a questo che ho fatto nell’ultimo mese.
Il fatto è che, nonostante sia ancora perfettamente capace di farmi saltare i nervi con le sue battute azzardate, la sua mania di organizzare scherzi idioti e i suoi tentativi di rigirare la frittata affinché la ragione stia sempre dalla sua parte, il mio subconscio lo trova interessante. Ma è così assurdo che io possa affibbiare un tale aggettivo a Potter. È egocentrico, assillante e impudente, non sa mai tenere la bocca chiusa nemmeno quando tutti lo guardano male per tentare di farglielo capire, ha sempre qualcosa di cui lamentarsi e non ha la minima serietà nello studio – se è sempre così brillante è solamente merito della sua provvidenziale intelligenza sopra la media.
In conclusione, non fa per me.
Non che io voglia combinarci qualcosa, assolutamente no. Quest’idea folle se ne sta ben lontana dalla mia testa. Potranno anche adorarlo tutti, ma a parer mio non è neanche questa gran bellezza. Se potessi glieli taglierei in un solo colpo, quei suoi stramaledetti capelli.
E grazie al cielo ha smesso di spettinarseli ogni due secondi.
Insomma, il punto non è questo. Il punto è che mi sono fissata con qualcosa che non ha alcun senso. Voglio dire, posso anche essermi trovata bene con lui e con i suoi amici o anche solo con lui per un po’, possiamo anche aver conversato in modo piacevolmente animato per qualche minuto nel periodo conclusivo dello scorso anno scolastico, posso anche aver ottenuto la prova finale e definitiva del fatto che è davvero una persona sentimentalmente profonda, ma questo non cambia le cose. Sono in grado di lasciarlo vivere in tutta tranquillità, ma non posso pensare seriamente di dare avvio ad una qualche relazione interpersonale che coinvolga lui. È una cosa che non mi porterebbe da nessuna parte. Eppure, durante le ultime settimane di scuola ho agito esattamente in questo senso, non ponendomi alcun problema al riguardo.
A questo punto, sarebbe consono domandarsi il perché.
Ebbene, proverò a rispondere anche a questa domanda. In realtà una vera e propria risposta non ce l’ho, tuttavia mi rendo conto che da un mese e più sto continuando a ripensare ad alcuni episodi del periodo più recente che mi hanno lasciata letteralmente a bocca aperta.
Alla vetta di questa classifica sta il momento in cui ho spiattellato in faccia a Potter quello che pensavo sul suo conto, e cioè che l’unico motivo per cui gli interessasse conquistarmi era perché ormai io ero l’unico trofeo che gli mancava da aggiungere alla collezione.
In tutta risposta, ha esibito un’espressione in grado di far commuovere i sassi.
Credevo che James Potter fosse una specie di maschera di Carnevale, una caricatura priva di reali sentimenti, votata soltanto a ridere e scherzare. E invece, dopo la brutta litigata alla fine del quinto anno, questa mia impressione era stata a poco a poco smentita, anche se me n’ero veramente resa conto solo in quel momento.
Avevo immediatamente intuito di essermi sbagliata di grosso, benché la mia scettica coscienza mi dicesse di non fidarmi. È impossibile non fidarsi quando una persona ti guarda in quel modo. E fu così che capitolai, arrendendomi di fronte all’evidenza. James Potter è umano, non una maschera. E a quanto pare, gli importava veramente della sottoscritta.
Certo, non riesco a fornirmi una spiegazione plausibile per quest’ultima considerazione. Dando per buono il fatto che gli interessasse soltanto vincermi perché ero l’unica che faceva la difficile, tutti i conti tornavano; ma così, non sono proprio in grado di capire perché si fosse talmente fissato con me. Ha trascorso sei anni a farsi insultare in tutti i modi possibili, ad incassare rifiuti su rifiuti, ad assistere a palesi manifestazioni di disprezzo nei suoi confronti, e ancora trovava la forza di provare qualcosa per me … ci fossi stata io al suo posto, non avrei mai resistito così tanto. Qualsiasi persona sana di mente si sarebbe arresa, e se ne sarebbe cercata un’altra più abbordabile. Lui no. Questo può spiegarsi solo ammettendo che soffra di qualche strana disfunzione cerebrale.
E poi, c’era il modo in cui ha cominciato a scherzare con me. Inutile negarlo, l’ho trovato piuttosto piacevole. È capace di tenermi testa, ma senza alcuna traccia di arroganza; quando vuole esagerare e fare un po’ lo sbruffone, si capisce lontano un miglio che lo fa in modo autoironico, e che non ci crede nemmeno lui, nella sua incerta esibizione di fiducia in se stesso. Ormai, di quella sua vanesia e affettata tracotanza non c’è più alcuna traccia.
Insomma, Potter ormai risulta quasi una persona gradevole ai miei occhi.
Forse perché il mistero della sua inspiegabile perseveranza, in un certo senso, mi intriga. O forse perché mi sono resa conto che è davvero diverso da come aveva cercato di sembrare per i nostri primi cinque anni a Hogwarts, e quindi mi incuriosisce l’ipotesi di conoscere meglio un tipo così bizzarro.
Ad ogni modo, mi sento ben disposta nei suoi riguardi. Molto più ben disposta di quanto avessi mai immaginato di poter essere.
Mi rendo conto che, nonostante possa sembrare una scelta di comodo, l’unica soluzione che mi si prospetta davanti è quella di smettere di lambiccarmi il cervello. Non pensarci più, scacciare il chiodo fisso, concentrarmi esclusivamente sulle cose importanti in questo momento. Ho ancora una marea di compiti delle vacanze da finire, tempo da passare con la mia famiglia e lettere a cui rispondere.
A questo proposito, ora che sono riuscita ad alzarmi e ad aprire al mio gufo, sarebbe proprio il caso di dedicarmi a quest’ultimo compito.
Sciolgo la pergamena arrotolata dalla zampa della mia Jenny, accarezzandole lievemente il capo. La foggia sembra essere quella della carta da lettere di Margaret. Le ho scritto quattro o cinque giorni fa, credo. Sospiro e mi accingo ad aprirla, sedendomi alla scrivania sotto la finestra, mentre appoggiate sotto il mio gomito mi attendono altri cinque buste a cui ancora non sono riuscita a buttar giù una risposta decente.
Dispiego la lettera e comincio a leggere.
 
 
22 – 08 – 1977
Liverpool
 
 
Lily, tesoro,
come va? Ti penso sempre, povera … spero che un modo per divertirti tu l’abbia trovato. Lo so che non ti va di uscire con un ragazzo, ma è da un bel po’ che non ti va, e non vedo perché non dovresti. Sono tutti così insopportabili come quello dell’estate scorsa, lì?
Lo dico per te, a parte tutto. Sei una ragazza magnifica, in tutti i sensi, e ti meriti un po’ di felicità … o perlomeno qualche sorta di svago, fintanto che puoi solo gironzolare per i boschi di montagna.
Sono appena tornata dalla Francia, sai. La tua lettera mi è arrivata mentre ero ancora lì. Ho anche incontrato quelli che tu chiami “i quattro disgraziati”, e posso assicurarti che stanno bene, e che nessuno, per il momento, li sta rincorrendo per fargliela pagare per qualche loro malefatta. A Remus piace molto la Normandia. Oh, ma immagino che ti abbia scritto, no? Me l’aveva accennato, se non sbaglio.
Sono sempre i soliti casinisti, mi sono fatta un sacco di risate insieme a loro. Ci siamo incontrati a Orleans per visitare la città. Peter era particolarmente attratto dalle fognature, che cosa bizzarra. Continuava a ripetere che erano pulitissime e che gli piacevano. Ad ogni modo adoro la Francia, sai? Deve avermelo trasmesso mia madre, con la sua abitudine di parlarmi in francese fin da quando ero piccola, ma è davvero un posto stupendo. E non piove tutti i giorni, ci terrei a sottolinearlo. Lo sai che mi sono anche abbronzata?
Devi venirci con me, l’anno prossimo. Ho tutte le intenzioni di ritornarci.
E va bene, magari mi sono un pochino fissata, però pensavo che potrei fermarmici un po’, dopo i M.A.G.O., sarebbe divertente. Alle volte sento proprio il bisogno di cambiare aria. Da noi è tutto così cupo.
Se non riesci ancora a dormire, preparati una Pozione Soporifera … tesoro, tu sei così brava, in Pozioni, perché non sfruttare il tuo talento? Mi dispiace che tu sia tesa, è successo qualcosa? O sei agitata per via della scuola? Lo so che ormai manca così poco e che queste vacanze sembrano essere volate, ma una volta che saremo di nuovo immerse nella vita di Hogwarts tutto tornerà come prima. Poi, quest’anno è l’ultimo, e dobbiamo fare in modo che sia speciale.
 
Mia madre e mio padre ti salutano. Si ricordano sempre di te, di quando sei venuta a trovarmi e gli hai portato quell’enorme cesto di frutta. Ti saluto anch’io, ovviamente, e ci rivediamo prestissimo. Meno male, perché mi mancate tutte quante.
 
Un abbraccio,
Meg

 
 
Sospiro di nuovo. Poso la lettera sulla superficie del tavolo.
Credo che avrò bisogno di rileggere tutti gli arretrati, prima di mettermi al lavoro.
Non è poi così semplice e sbrigativo intrattenere tutta questa corrispondenza.
 
 
20 – 08 – 1977
Manchester
 
Ehi, Lily!!!
Allora, come va dalle tue parti? Sempre una noia mortale? Dai, spero di no … io sono impegnatissima con il campus estivo di Quidditch. Devo praticamente fare i compiti delle vacanze di notte, ma va beh, si tira avanti. A proposito, non è che potresti dirmi che cosa hai scritto nel terzo tema della McGranitt? Mi sa che avrei fatto molto meglio a mollare Trasfigurazione dopo i G.U.F.O … il problema è cominciato tutto con gli incantesimi non verbali, credo proprio che avrò bisogno di una mano da parte tua. Scusami, in realtà non volevo parlare di scuola. È che mi sono fatta prendere la mano, come al solito.
Comunque qui mi piace un sacco, cavoli. Sai che mi hanno proposto un provino per le juniores? Ma te lo immagini?? Però se ne riparlerà l’anno prossimo, quando avrò finito la scuola.
Potter l’hai più sentito?? Lo so, dovrei farmi gli affari miei, hai ragione. È colpa di Margaret se sono diventata pettegola. È solo che mi siete sembrati carini, l’ultimo giorno di scuola. Non ti devi scusare se non hai fatto il viaggio con noi, ho sentito del casino che è scoppiato, me lo sono fatta raccontare da Ernest Larsen, sai, il Battitore della nostra squadra, quello che deve fare il sesto. Sempre che sia stato promosso. Non gliel’ho chiesto, a dire la verità. Se ci ha provato con l’esaminatrice dei G.U.F.O. come ci ha provato con me e Mary l’anno scorso, allora è la fine. Però a parte tutto credo che un briciolo di intelligenza scolastica ce l’abbia, o almeno lo spero per lui.
Non vedo l’ora di tornare a scuola, comunque. Anche se so che morirò per colpa della McGranitt. Però devo scoprire come si chiama il mio moccioso, sai, quello su cui faccio pensieri impuri. Tranquilla, non ho intenzione di scandalizzarti via gufo. Chiariremo meglio la faccenda quando il destino ci avrà riunite.
 
Scrivimi presto, okay??
Un bacione
Delia
 
 
 
 
18 – 08 – 1977
Londra
 
Cara Lily,
grazie per il regalo! Mi hai reso davvero felice, non pensavo che dopo le mie indicazioni ti saresti indirizzata verso un libro simile, ma ti assicuro che lo adoro. Un favoloso mattone fantascientifico. Non avevo mai letto niente del genere, ma sai bene quanto mi piaccia sperimentare nuove letture.
Sono tornata da pochi giorni, e ne sto approfittando per girare Londra da cima a fondo. Ci sono così tanti posti che non avevo mai visto prima. Ho scoperto certi musei meravigliosi, ti ci devo assolutamente portare. La mia mole arretrata di compiti mi perseguita gli occhi ogni volta che rincaso e poso lo sguardo sul baule di Hogwarts mezzo aperto che sbuca da sotto il letto, ma ho ancora bisogno di qualche giorno di stacco totale. Poi, già conosci le mie capacità di applicazione … stendo diligentemente una decina di righe del tema di Difesa contro le Arti Oscure e poi comincio a disegnare dietro la copertina del libro, perdendo ore del mio tempo prezioso. Credo che l’unica materia in cui non incontrerò problemi, come al solito, sarà Divinazione. Tu non l’hai mai frequentata, ma ti posso assicurare che è fantastico. Da una parte c’è Margaret che continua a ripetere che lei a queste cose ci crede davvero, dall’altra Helen che si sforza di discutere con la professoressa Coote per capire se davvero c’è un qualche fondamento scientifico a supporto delle pratiche divinatorie, dall’altra ancora c’è Delia che esamina le foglie di the o la sfera di cristallo e dice di vedere Sirius Black ovunque, e io che mi distacco dalla realtà e comincio ad inventare il mio futuro come se stessi scrivendo una storia. Incredibile ma vero, di solito funziona. La professoressa mi adora. A me del resto serve un M.A.G.O. nella sua materia se voglio aprire davvero quel negozio esoterico a Diagon Alley, quindi diciamo che concilio l’utile con il dilettevole.
Sai, ho incontrato il Prefetto di Grifondoro del nostro primo anno. Te lo ricordi? Un tipo alto, capelli neri e pelle scura. Quello a cui avevo chiesto dove fossero i bagni delle ragazze. L’ho incrociato un paio di settimane fa al Ministero. È diventato Auror da un anno. Non che abbiamo parlato molto, abbiamo soltanto scambiato due chiacchiere mentre mi scortava al suo dipartimento. Me lo ricordavo come uno molto serio, poi invece ho scoperto che ha un bel modo di sorridere. Lascia perdere, in realtà è soltanto un mio occasionale viaggio mentale; è ovvio che non lo rivedrò mai più e che non ha nulla in comune con me, però mi ha fatto piacere rivedere una faccia conosciuta.
Evito di partire per la tangente con rievocazioni della nostra Età dell’Innocenza, quando ancora non pensavamo ai ragazzi se non come possibile progenie degli alieni, per cui ti lascio, anche perché mia madre mi sta chiamando per cena.
Fammi avere presto tue notizie.
 
Con affetto
Mary
 
 
 
 
16 – 08 – 1977
Plymouth
 
Carissima,
la tua fedele compagna di lamentazioni ti scrive, come al solito, sprizzando gioia da tutti i pori; sembrerà incredibile, ma mi sono ammalata e siamo dovuti tornare a casa prima del previsto. Che barba. Hai suggerimenti da darmi su come impiegare il tempo? Per il momento, tutto ciò che mi è venuto in mente è:
1) girarmi i pollici;
2) decidermi a fare il tema di Erbologia;
3) cercare di dormire (inutilmente, dato che l’insonnia mi perseguita anche a casa);
4) giocare a Scacchi Magici con mio fratello;
5) farmi leggere una favola dal mio gnomo da giardino.
Dici che sono un caso disperato, eh?
Sto cominciando seriamente a rimpiangere la scuola, a questo punto. Prendere in giro mio fratello non è altrettanto divertente; comincia Hogwarts quest’anno (Merlino, salvami) ed è completamente esaltato per questo. Non c’è nulla che potrebbe indurlo a reagire alle mie sadiche provocazioni, in questo momento di euforia.
Ho talmente tanto da fare che ho perso circa mezzora ad ipotizzare chi potrebbero essere i Capiscuola di quest’anno. Tu sei praticamente certa, a meno che Silente non abbia deciso di impazzire del tutto. Pensa a come sarà divertente. Tutta la scuola sotto di te, e potrai anche togliere punti. Non parlarmi della tua amica Elizabeth Lachey, sai già che penso che sia una moscia e che non concepisco come possa essere stata nominata Prefetto di Corvonero due anni fa.
Ci troviamo insieme per andare a Diagon Alley, come al solito? Suggerirei di andarci il 27 o il 28 invece che uno degli ultimi giorni di agosto, almeno avremo la possibilità di evitare la calca dell’ultimo minuto. Lo dico a mio favore perché soffro notoriamente di agorafobia, però oggettivamente sarebbe un vantaggio; finiremmo prima con le compere e potremmo andare da Florian a prenderci un gelato in santa pace, senza nessun bambinetto del primo anno tra i piedi, e Delia potrà perdere tutto il tempo che vuole a scegliersi la sua nuova scopa in quel postaccio là, Accessori di prima qualità per il Quidditch.
Merlino, quanto odio lo sport. Rende tutti degli invasati.
Bene, direi che sono giunta in fondo al foglio ed è ora di smetterla di tediarti con le mie chiacchiere, perciò ti saluto. Fammi sapere quando sarai di ritorno a Londra. Aspetto tue notizie.
 
A presto,
Helen
 
 
 
 
 
15 – 08 – 1977
Lione
 
Cara Lily,
ti scrivo nel bel mezzo della nostra piacevole tappa francese. Mi dispiace non averti potuto dare molto spesso mie notizie, ma quando intraprendi un viaggio di due settimane in compagnia di tre svitati puoi facilmente comprendere quanto la cosa si prospetti di difficile realizzazione. Sono costretto a rincasare tutte le notti non prima dello scoccare delle tre – infatti ho ragione di pensare che il proprietario dell’ostello ci detesti a morte, ormai. Sirius non è mai capace di tenere la bocca chiusa quando rientriamo, o perché è ubriaco fradicio o perché semplicemente non è capace di non dare aria al palato. Ma immagino che tu sappia perfettamente di cosa parlo, dopo sei anni passati insieme nella stessa Casa, a maggior ragione dopo due anni da Prefetto.
Ad ogni modo, parliamo di cose più serie. Visitare Parigi è stata un’esperienza unica. Al Louvre i minorenni entrano gratis, pensa un po’; l’unico inconveniente è stato procurarci dei documenti babbani per Sirius, James e Peter. Non abbiamo incontrato grosse difficoltà, comunque, anche se nella foto della carta di identità di Sirius i suoi capelli sono venuti di un eccentrico color carota. Quando la guardia l’ha osservato in maniera dubbiosa, lui ha alzato le spalle e gli ha detto che era uno scherzo di Carnevale.
Siamo perfino saliti sulla Tour Eiffel. James, quel pazzo, ha voluto farsi tutte le scale a piedi. Strano ma vero, una volta che ci siamo ricongiunti in cima non ha avuto di che lamentarsi; quando gli ho chiesto spiegazioni, mi ha detto che era stato peggio fare su e giù cento volte dalla Torre di Grifondoro quella volta che l’avevi punito per averlo beccato fuori dal dormitorio oltre l’orario di coprifuoco.
Credo che tu abbia lasciato davvero un’impronta indelebile su di lui.
A proposito, ha appena sbirciato la mia lettera e mi ha detto di salutarti, oltre ad avermi ordinato di cancellare la frase che ho scritto sopra.
Suppongo che si vergogni, ma ultimamente mi fa piacere vedere che riuscite ad andare d’accordo, sempre nel particolare significato che questo termine può assumere trattandosi di voi due.
Con la macchina nuova di Peter abbiamo fatto un sacco di fotografie, a cui ti farò sicuramente dare un’occhiata nel caso tu abbia voglia di farti due risate. Ne ho fatta una molto divertente a James con gli occhiali rotti. Gli manca una lente e una stecca, e gli occhiali gli pendono tutti da una parte. Sembra una specie di Picasso.
Immagino di averti tediata fin troppo. Indubbiamente voglio anche sapere delle tue vacanze, non cercare di svicolare dicendo che non succede mai nulla di interessante.
Ti saluto, mi stanno chiamando per il pranzo. Ho provato a mandare loro, per una volta, a comprare da mangiare, e credo di dovermi preparare psicologicamente a cibarmi di schifezze. Perciò ti lascio finché sono ancora in buone condizioni.
 
A presto,
Remus

 
 
 
Oh, Merlino. È da più di una settimana che Remus aspetta la mia risposta. Sono vergognosa.
Adesso mi metto subito al lavoro.
Certo, se non fosse che un altro gufo arriva a picchettare alla mia finestra …
Lo osservo con aria un po’ sospetta. È un gufo grande, dall’aria aristocratica, e non appartiene a nessuno dei miei amici. Se ne sta lì, impettito, alla finestra, ad aspettare che gli apra. Chissà che razza di lettera mi dovrà consegnare.
Beh, poco importa. Gli apro, prendo in consegna la busta, la strappo e ne esce qualcosa di strano, argentato.
Abbasso lo sguardo sulla superficie lignea del tavolo per osservarlo.
Oh. Wow.
Credo che a questo punto ucciderò Helen, e dirò alla professoressa di Divinazione di promuoverla immediatamente ad honorem.

 
1 settembre 1977

 
Beh, direi che ci siamo.
I miei genitori mi hanno appena lasciata dietro la barriera del binario 9 e ¾, e io sto per incominciare il mio settimo anno a Hogwarts.
Non avrei potuto essere più in vista di così, ad ogni modo.
Con questo brillantissimo distintivo appuntato sul petto.
E io che avevo pensato di poter aspirare ad una conclusione scolastica tranquilla.
Ovviamente Delia, Helen, Mary e Margaret si sono di nuovo complimentate con me, anche se l’avevano già ampiamente fatto quando ci siamo incontrate per andare a Diagon Alley, facendomi fare delle figuracce assurde di fronte a Florian Fortebraccio della gelateria. Delia ha preso il cono al Firewhisky, solo perché voleva brindare alla mia salute. L’unica piccola controindicazione è che l’alcol le ha fatto venire il singhiozzo.
Mi guardo un po’ intorno, alla ricerca del famigerato ragazzo del settimo anno che porta la mia stessa spilla. Sono quantomeno curiosa di sapere chi dovrà condividere con me questo incarico, sperando che si tratti di una persona simpatica con cui poterci consolare a vicenda.
Scorgo Remus poco lontano che parla allegramente con Peter, e lo saluto calorosamente con la mano, ma non noto nessun distintivo. A quanto pare, quindi, la nostra collaborazione è finita. È un vero peccato, con Remus collaboravo molto bene. Ma ancora non sono riuscita a capire chi sia il mio nuovo compagno di sventure.
Continuo a far scorrere lo sguardo intorno a me con aria pensierosa, finché non vedo qualcuno fermo contro una colonna a qualche metro di distanza, qualcuno con un’espressione un po’ incupita e i capelli più lunghi e più spettinati di due mesi fa.
Qualcosa di totalmente impulsivo mi fa sollevare leggermente gli angoli della bocca, mentre lo osservo.
Dopo un po’, senza pensarci, lascio i bagagli vicino alle mie amiche e mi dirigo verso di lui, per salutarlo.
“Potter. Pronto a farti togliere punti?” lo apostrofo, calma e sicura di me come mi piace essere. È abbronzato, e sembrerebbe che l’Europa gli abbia fatto bene, se non fosse per quello strano modo di guardarsi intorno che non riesco bene a spiegarmi. Lui mi fissa con uno strano timore, prima di raddrizzarsi e assumere un’espressione controversa.
“A dire la verità, no”, mi risponde, con una cert’aria di superiorità. Io lo osservo, confusa, non riuscendo proprio a capire a che diavolo stia pensando.
“Come sarebbe a dire no?” domando, posando le mani sui fianchi.
“Sarebbe a dire che potrai prendertela con tutti meno che con me”, replica lui, ostentando un’aria di trionfo che non ha nulla di rassicurante.
Se prima non lo capivo, ora decisamente brancolo nel buio.
“Che succede, sei esentato dalle regole quest’anno?” gli chiedo, in tono sarcastico.
“No, succede che mi è arrivato questo per posta”, mi risponde, estraendo rapidamente da una tasca un oggetto che mi sventola davanti agli occhi con insistenza. Corrugo la fronte in un attimo di confusione. La bocca mi si spalanca di colpo non appena riesco a mettere a fuoco, rendendomi conto improvvisamente di che cosa ha in mano.
Godric.
Non è possibile. Ci dev’essere sicuramente un errore.
“Se è uno scherzo, non è divertente”, gli faccio presente, sperando con tutto il mio cuore che sia così.
Vuole farmi prendere un infarto, è ovvio.
“Ti sembrerà strano, ma non sono in vena di scherzare”, ribatte lui, con una certa dose di rassegnazione che mi lascia ancora di più a bocca aperta. No, davvero, non può essere. Se Potter fosse stato nominato Caposcuola, a quest’ora gli asini volerebbero.
“Fossi in te chiuderei la bocca e cercherei di fare almeno un mezzo sorriso per mantenere il contegno”, osserva lui, facendomi riscuotere. Non mi ero resa conto di essermi pietrificata così.
“Io … non è possibile, tu mi stai prendendo in giro”, gli dico, incapace di credere a una cosa simile. È assolutamente fuori da ogni logica, che Potter abbia in mano quel distintivo. Voglio dire, mai e poi mai mi sarebbe passato per la testa che la persona che cercavo prima potesse essere lui.
“Ah, allora forse ti sarà d’aiuto leggere questa per rassicurarti sul fatto che sono serissimo”.
Quello che mi porge è un foglio di pergamena ripiegato su se stesso, piuttosto sgualcito, ma di buona qualità. Lo dispiego e riconosco immediatamente la grafia della McGranitt, che con poche e secche righe rassicura Potter sul fatto di essere stato veramente nominato Caposcuola.
Sembra uno strano, grottesco scherzo.
Dunque non esiste più Lily Evans il Prefetto e James Potter il Grande Macchinatore di Scherzi.
Adesso esistono Lily Evans Caposcuola, e James Potter Caposcuola.
Fine delle distanze incolmabili, fine dei privilegi, del potere, della facoltà di accanirmi su di lui.
Silente ci ha messo alla pari. Sullo stesso piedistallo. Allo stesso livello.
Incredibile.
Okay, tentiamo di ragionare con calma. C’è innanzitutto un dato di fatto che mi sembra ovvio: Potter è matematicamente l’opposto di un Caposcuola. Va bene, lo so che è maturato, ma … dopo una carriera scolastica del genere, dopo aver raso al suolo mezza Hogwarts e sconvolto le esistenze di tre quarti dei suoi studenti, dopo aver infranto ogni regola scritta e non scritta, dopo aver fatto diventare isterica la McGranitt, Silente è in grado di fare questo …?
Mi sembra assurdo.
Voglio dire, ho sempre pensato che Silente fosse una delle persone più ragionevoli che io conosca.
Evidentemente mi sbagliavo di grosso.
Ma no, non è possibile. Non può essere pazzo. Se fosse veramente pazzo, Hogwarts sarebbe già stata invasa dai Mangiamorte. E invece, continua ad essere il luogo più sicuro in cui potremmo trovarci, una specie di botte di ferro. Questo perché c’è Silente.
Dunque, Silente non può essere matto.
Ma perché proprio Potter?
Allora, vediamo di analizzare con calma e lucidità le possibili ipotesi.
Primo: Silente vuole farmi soffrire. O vuole far soffrire Potter. Insomma, Silente è un sadico.
Non è che mi convinca granché.
Secondo: Silente vuole dare una possibilità a Potter. Beh, può darsi. In fondo, se si è accorto che è cambiato, magari vuole che la sua maturazione giunga al completo, e per raggiungere questo obiettivo gli affibbia un incarico che è l’emblema di un’enorme responsabilità. Però questo significa che Silente è convinto che Potter sia in grado di seguire la strada su cui lo sta indirizzando. Significa che si fida di lui, e delle sue capacità latenti. Dunque Potter ha delle capacità latenti, ed è potenzialmente in grado di fare il Caposcuola, se solo lo accetterà.
Quindi non è stata tutta una mia illusione, un castello in aria che mi sono costruita durante l’estate.
E questo vuol dire che non mi sta prendendo in giro.
È la seconda volta che arrivo a tacciare Potter di insincerità quando in realtà le sue azioni sono totalmente limpide, e per un attimo mi sento una stupida. Immagino non debba essere poi così piacevole sentirsi accusare ingiustamente dalla sottoscritta. Eppure, a quanto pare, anche lui pensava fosse uno scherzo, o un errore … deve aver scritto alla McGranitt per dirglielo – che follia, solo lui poteva essere capace di fare una cosa così idiota – e dubito che si sarebbe mai azzardato se non fosse stato assolutamente certo della sua opinione, nonostante questa sia stata poi prontamente smentita. Effettivamente, posso capire senza sforzo che per lui sia stata una grossa sorpresa vedersi giungere a casa il distintivo, tant’è vero che nessuno, credo, a Hogwarts se l’aspetterebbe mai; Caposcuola è un incarico impegnativo, difficile, pieno di responsabilità, e lui evidentemente non si sentiva adatto per ricoprirlo. Per quale ragione si sia affannato per cinque anni a fare di tutto per nascondere la sua umiltà e insicurezza di fondo, non riesco proprio a capirlo. Ma alla fine è meglio che io l’abbia scoperto, anche se tardi. Non mi piace giudicare male le persone.
“Non biasimarmi se dimostro scetticismo a riguardo, come vedi non ci credevi nemmeno tu”, tento di giustificarmi, dopo qualche secondo di totale silenzio, agitando per aria la lettera. Uno strano sorriso mi preme sulle labbra, e finalmente, dopo un’estate intera passata a tormentarmi, mi sento sicura. Sicura del mio cambiamento d’opinione. Sicura del fatto che James Potter, in realtà, non è affatto un bulletto idiota che si sente superiore al resto del mondo. È tremendamente, magnificamente umano, e non si sente all’altezza di fare il Caposcuola. Lo capisco da come mi guarda in questo preciso istante, come se stesse disperatamente domandando una spalla a cui appoggiarsi per sostenere un simile peso.
“Se davvero ti ritenevi indegno di un incarico del genere, potresti anche indurmi a cambiare opinione su di te”, gli esplicito, scherzosamente, con non so quale intento; di metterlo a suo agio, forse, o di fare chiarezza con me stessa. Dopodiché mi incammino verso il treno assicurandomi che mi segua, pronta a fargli strada verso il suo nuovo mondo.




It's so easy to laugh,
It's so easy to hate,
It takes strength to be gentle and kind.

(The Smiths, I know it’s over)

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Capitolo 7
*** L'importanza di essere Caposcuola ***


capitolo 7
Capitolo 7 – L’importanza di essere Caposcuola

 
 
Sono più le cose che ci spaventano di quelle che ci minacciano effettivamente, e spesso soffriamo più per le nostre paure che per la realtà.

(Seneca, Lettere a Lucilio – libro II)




1 Settembre 1977
 
Mentre mi siedo finalmente di fianco ai miei amici, mi rendo conto di essere ancora semi-traumatizzato. Forse un po’ meno di quanto lo fossi prima, perché ora, almeno, sono riuscito ad aprire bocca per dire “Passami il succo di zucca” a Remus.
Un notevole passo avanti.
Poco fa, al contrario, ero completamente bloccato. Non riuscivo a spiccicare una parola, mi sentivo una specie di ebete trapiantato in un’altra dimensione, totalmente incapace di calarmi nella parte. E io ero uno di quelli che doveva fare da guida agli studenti del primo anno. Io. Devo assolutamente studiare un metodo per abituarmi all’idea, perché altrimenti Lily mi ucciderà.
Già prima, mentre percorrevamo i corridoi per arrivare in Sala Grande, mi si è avvicinata con aria minacciosa e mi ha rifilato una silenziosa gomitata nelle costole. Quando ho tentato di protestare per ringraziarla di quella violenza gratuita, mi ha semplicemente zittito intimandomi di essere un po’ più attivo. Le ho risposto che non ho deciso io di essere condannato ad un simile supplizio, ma lei mi ha sorriso malignamente e suggerito di fare buon viso a cattivo gioco, e dare prova per una volta della mia intelligenza. Io ho passato tutto il resto del tragitto a domandarmi se questo significa che mi ritiene intelligente.
“La tua bella ti si è scrollata di dosso, finalmente?” mi ha chiesto Sirius non appena ho scostato la sedia dal tavolo. Io mi sono limitato a lanciargli un’occhiataccia. Non voglio parlare di lei, non sono in vena. Tutta questa situazione mi sta mandando in panico.
“Immagino ci sia una riunione con la McGranitt già fissata per stasera”, osserva Remus, cercando di mantenere un tono neutrale che non mi faccia andare in bestia per la paura di continue insinuazioni da parte dei miei amici.
“Immagini bene, infatti ho intenzione di darmi malato”, gli rispondo, riempiendomi il piatto fino all’orlo.
Sento immediatamente piombarmi addosso una delle sue occhiate scettiche.
“Il tuo abbondante appetito non ti rende molto credibile”.
Io storco la bocca, conficcando la forchetta in una braciola.
“Vorrà dire che farò indigestione”, sentenzio, pensando a quanto sono fiero delle mie idee brillanti.
“Non sarà una cosa lunga, vedrai che potrai sopportarla benissimo”, tenta di convincermi Remus, mentre io mi limito ad ingoiare il primo boccone e a gettare un’occhiata torva verso il gruppo delle ragazze del nostro anno, da cui sento mio malgrado giungermi alle orecchie la cristallina risata di Lily.
Figurarsi se quelle oche delle sue amiche non mi stanno prendendo in giro in questo stesso momento, provocando irrimediabilmente la sua ilarità. Davvero magnifico, le mie probabilità di successo con lei aumenteranno in modo vertiginoso grazie alla brillante pensata di Silente.
“Non mi sento a mio agio, alle riunioni”, tento di giustificarmi, notando che Remus mi sta ancora fissando. Il mio amico non batte ciglio, sempre con quell’aria dubbiosa dipinta in viso.
“Ti si raffredda il pasticcio di patate”, aggiungo subito dopo, tentando di distrarlo in qualche maniera. Considerato che non c’è soluzione al mio problema, preferirei di gran lunga essere lasciato in pace a meditare adeguatamente sulla tecnica di fuga migliore da impiegare da qui alla fine dell’anno, ogni volta che mi sarà richiesto di mettere in campo la mia autorità di Caposcuola.
Lily mi odierà ancora di più perché toccherà fare tutto a lei, ma non è che adesso la situazione sia poi così idilliaca.
“Fossi in te, Prongs, non getterei via con una tale leggerezza l’occasione che Silente ti ha fornito quest’anno”, mi dice Remus, impugnando forchetta e coltello e accingendosi finalmente a nutrirsi. Io osservo con un certo sospetto quel suo sopracciglio inarcato e quella lieve piega all’angolo della bocca.
“Mi hai già ampiamente illustrato tutte le possibilità di fare bella figura che la carriera di Caposcuola mi offre, ma preferivo di gran lunga lasciarle a te”, gli rispondo, inghiottendo il boccone. Mi rendo conto che non riesco più nemmeno ad apprezzare il sapore del cibo, in questo momento. E sì che il banchetto di inizio anno è sempre stato una delle mie occasioni di abbuffata preferite.
“Oh, ma io non mi riferivo a quello. Sono perfettamente conscio del fatto di averti già spiegato alcuni dei vantaggi che ti si prospettano per quest’anno grazie alla tua nuova posizione, ma ce ne sono altri che tu sembri non aver affatto considerato”.
Ora quella piega si è trasformata in un ghigno sardonico capace quasi di inquietarmi, e io squadro Remus con aria confusa.
“Non capisco che cosa intendi”, gli faccio presente, perplesso.
“Intendo dire che dovresti ringraziare Silente, di tutto cuore”, replica lui.
“E per quale imperscrutabile ragione dovrei farlo?”
“Perché ti ha dato la possibilità di trascorrere molto più tempo a contatto con il tuo oggetto del desiderio, James”.
La mia bocca si spalanca per lo stupore mentre sto ancora masticando. Pensavo che i calcoli di Silente si fossero limitati ad una pura e semplice condivisone d’incarico, ma in quel momento realizzo che in realtà non avevo affatto considerato i dettagli noiosi quali le riunioni, le convocazioni, le ronde notturne, i turni di vigilanza, e altri aspetti della questione che avevano in parte interessato anche Remus quando era Prefetto.
C’è da dire che sto cominciando ad averne abbastanza, di tutte queste scoperte dell’ultimo minuto.
Il mio doveva essere un semplice e tranquillo ritorno a scuola, immerso nelle fantasticherie da Malandrino e nel senso di superiorità da studente del settimo anno. Ecco che ora invece la mia esistenza scolastica è stata inaspettatamente sconvolta, e io sembro destinato a non avere più un attimo di vuoto mentale in cui non ci sia niente a turbare i miei pensieri.
“Sono sempre più convinto che l’abbia fatto apposta. Vuole vedermi morto per mano di Lily, è evidente”, mugugno, riempiendomi il bicchiere fino all’orlo. “Non poteva semplicemente risparmiarsi di esercitare i suoi nobili intenti nei miei confronti e scegliere qualcun altro al mio posto, graziandomi da questa tortura?”
Remus mi sorride, facendosi passare la brocca.
“Tutto sommato, James, io penso che tu sia inconsciamente un po’ masochista …”
“CHE COSA?”
“… quindi vedrai che finirai per apprezzare questo nuovo incarico. Devi soltanto farci l’abitudine”.
Rimango a fissare Remus con aria esterrefatta mentre lui si serve abbondantemente di verdure grigliate, con quel sorrisetto impunito che gli aleggia ancora sul volto. Il mio braccio che sosteneva la forchetta levata a mezz’aria mi piomba improvvisamente a peso morto sul tavolo, immobilizzandomi in uno stupore sconcertato che non accenna a volermi abbandonare. Mi stanno trattando tutti come un cretino.
Dopo qualche secondo di silenzio tombale, sento lo sguardo di Remus spostarsi dal suo piatto al mio.
“Ti si raffreddano le braciole”, mi fa notare, con il suo tono impeccabilmente neutrale e la sua faccia da Innocentino. Io mi limito a gettargli un’occhiata di sbieco.
“Davvero divertente, grazie mille”, borbotto, e torno a infilzare la carne con violenza, cercando di sfogare la mia frustrazione repressa. Il signor Remus John Moony Lupin, quando ci si mette, sa essere decisamente peggio di tutti i Malandrini messi assieme.
 

 
“Credi di essere capace di stare fermo per altri cinque secondi?” mi sussurra Lily tra i denti, cogliendomi in fallo mentre dondolo una gamba con impazienza.
“Avevi detto che sarebbe durata poco. Io voglio andare a dormire”, replico, in tono lievemente irritato. Finora è stato anche peggio di quanto pensassi. Averla costantemente di fianco per tutto questo tempo mi rende nervoso in maniera incredibile, e in più sono diverse volte che mi rivolge la parola di sua iniziativa. Di questo passo rischio di avere un collasso cardiaco entro la prima serata di scuola.
“Credevo che un Cacciatore dovesse avere pazienza per poter giocare bene una partita, considerato quante volte gli avversari ti rubano la Pluffa mentre tu cerchi di andare a segno”, mi risponde lei, con aria maligna. Io storco la bocca, incrociando le braccia.
“Non è la stessa cosa che giocare a Quidditch”.
“Ah no?”
“No, e se ci tieni a sperimentarlo ti consiglierei di presentarti alle selezioni quest’anno”.
Mi zittisco immediatamente non appena vengo fulminato dall’occhiata assassina della McGranitt.
“… e per sabato 10 è stata organizzata un’uscita a Hogsmeade, al fine di rendervi più piacevole l’inizio dell’anno scolastico. Assicuratevi di affiggere gli avvisi e di raccogliere i permessi degli studenti del terzo anno”.
Io deglutisco pesantemente, rimanendo immobile. Vorrei trovare un modo per bloccare istantaneamente le mie inopportune associazioni di idee, ma è la realtà dei fatti a rendermelo impossibile. Le gite a Hogsmeade sono le occasioni più prolifiche per le uscite di coppia, a Hogwarts. Probabilmente per il semplice fatto che Hogsmeade è l’unica meta interessante che ci sia nei dintorni. Sarebbe piuttosto ridicolo proporre ad una ragazza di fare una passeggiata nella Foresta Proibita o di compiere un giro turistico del castello, del resto. Forse però, proposta da me, l’ultima alternativa potrebbe finire per rivelarsi sorprendente, dato che con ogni probabilità conosco Hogwarts meglio di Silente in persona. Ma sarebbe comunque piuttosto compromettente rivelare una simile verità a Lily.
Il problema è che, considerato lo stato attuale delle cose, prima o poi dovrò decidermi a chiederle di uscire.
E una simile constatazione mi fa sinceramente tremare di paura.
Non sarebbe come le altre volte, no. Questa volta, se deciderò di farlo, glielo chiederò seriamente, sbrigando ogni noiosa formalità. Il fattore che mi desta preoccupazione è che, nelle situazioni precedenti, una sua risposta negativa non mi causava forti traumi psicologici – nel senso che, tutto considerato, non avevo niente da perdere. Se lei rifiutava io incassavo il colpo e poi tornavo all’attacco ricevendo in cambio i soliti insulti irritati, niente di diverso da come già non fosse.
Ora invece le cose sono diverse, e la macroscopica differenza che intercorre fra i due periodi della mia vita è che ora Lily Evans mi parla. E non per rispondermi in malo modo o rivolgermi insulti più o meno articolati, bensì per conversare come due persone normali. Insomma, quasi.
Benissimo, sono patetico, e anche ridicolo, ma resta il fatto che per me il passo avanti è significativo.
“Potete andare”.
La McGranitt finalmente ci congeda, e io smetto di dondolare la gamba. Cerco di riacquistare un minimo di calma interiore, ma il periodo di pausa dura solo qualche secondo, perché subito dopo sento la professoressa chiamarmi e ingiungermi con la sua autorità abituale di trattenermi un attimo nella sala.
“Oh, certo, magnifico, è un complotto contro di me”, borbotto, gettando un’occhiata a malincuore a Lily. Del resto, non posso ignorare la McGranitt per accompagnare fino alla Torre di Grifondoro la donna della mia vita, la professoressa sarebbe capace di uccidermi a sangue freddo.
Fortunatamente, le bastano pochi minuti per liquidarmi subito dopo, lasciandomi andar via con un’espressione sbalordita sul volto.
“Che voleva? Farti firmare degli autografi per conto di alcune ragazzine del primo anno troppo timide per venire a chiedertelo di persona?” mi sento bersagliare, e quella voce mi fa trasalire di colpo. Mi volto, ormai preparato a ciò che mi troverò davanti: una ragazza dai lunghi capelli rossi appoggiata alla parete, con un’espressione lievemente sarcastica che le aleggia in viso.
“No, mi ha solo gettato sulle spalle l’ennesimo incarico di quest’anno”, le rispondo, con un sospiro di rassegnazione. La mia parte più ragionevole mi dice che forse sarebbe meglio evitare di rimuginare sul fatto che lei fosse lì ad aspettarmi, dettaglio che la mia mente ossessiva non poteva certo fare a meno di trascurare pur nel momento di massimo sconvolgimento emotivo.
“Di che si tratta?” mi chiede lei, con aria candida, provocando il mio immediato incupimento.
“Del Quidditch. Ha detto che dovrò essere io il capitano della squadra, quest’anno. E ti sarei grato se evitassi i commenti acidi, in questo momento non ho la forza necessaria per risponderti adeguatamente”.
Incredibile. Pure capitano della squadra. Fosse stato semplicemente l’anno scorso, per una cosa di questo genere avrei fatto salti di gioia alti fino al soffitto. Ora, invece, mi sento soltanto ingiustamente vessato. Mi chiedo come la McGranitt o Silente pensino che io possa sopravvivere fino a giugno, con tutta questa mole d’incarichi che grava sulle mie spalle.
Squadro Lily con un’occhiata di sbieco e la vedo sorridere fissando il pavimento. Ha un sorriso strano, uno di quelli che mi fanno contorcere lo stomaco perché non capisco mai cosa le sta passando per la testa.
“Dovresti essere contento”.
Già, come se non lo sapessi.
“Del resto, una gran parte della tua esistenza si basa sulla gloria del Quidditch”.
In quel momento la mia occhiata diventa minacciosa.
“Avevo detto niente commenti acidi”.
“Non essere suscettibile”.
“Non sono suscettibile, ma ti posso assicurare che non c’è bisogno che tu apra bocca. Sono perfettamente in grado di prevedere qualsiasi tua osservazione a riguardo, perciò puoi anche risparmiarti la fatica”.
Tiro avanti, camminando a testa alta. Mi sto comportando in maniera totalmente infantile, ma non sono mai stato capace di impormi dei limiti ragionevoli, e non credo che lo sarò mai nemmeno a dispetto della grande e profonda maturazione che Silente è riuscito a vedere in me.
“Provaci, allora”, mi risponde lei, affiancandomi, con un ghigno di sfida. Io le rivolgo un’occhiata scettica e poi decido che tutto sommato mi farà bene metterla a tacere una volta tanto.
“Benissimo. Di sicuro vorresti dirmi che mi sono meritato un simile sovraccarico di responsabilità, data la mia scarsa propensione a prendere le cose seriamente, e che nonostante tutto, dopo che avrò smesso di lamentarmi per fare scena, non mi farò problemi a vantarmi della mia nuova posizione, ottenendo di essere incondizionatamente ammirato da tutti e presentandomi al mondo come il modello di perfezione assoluta – mentre in realtà sono solo un insignificante idiota capace di fare il furbo nel momento in cui devo far credere di essere il migliore, solo per potermi beare della mia presunta superiorità”.
Nel momento in cui chiudo la bocca mi rendo conto che, forse, ho un tantino esagerato. Avrei dovuto riflettere meglio sulle mie parole e cercare di esprimermi in un modo che non attirasse troppo le sue ire verso di me. Ma lei nel frattempo si limita a fissarmi, con l’aria di essere assolutamente ed incredibilmente divertita a causa del mio monologo delirante. Sembra quasi sul punto di scoppiare a ridere, ma probabilmente si trattiene soltanto perché ormai sono le dieci di sera e non ci è più permesso fare confusione in giro per il castello. Dopo qualche secondo mi lancia una sfuggente occhiata d’indulgenza, che assomiglia in modo vagamente sospettoso a quel lampo che mi è sembrato di intravedere nel suo sguardo stamattina al binario 9 e ¾.
“Sai, se devo essere sincera ancora non ero cosciente del fatto che tu fossi così paranoico”, mi risponde, allungando il passo l’attimo dopo e lasciandomi indietro con aria inebetita. Se anche io devo essere sincero, questa non era proprio la risposta che mi aspettavo di ricevere. Paranoico, io. Vorrei vedere chiunque altro provare a prendere il mio posto dopo aver trascorso sei interi anni ad essere costantemente insultato da lei.

***

È solo dopo aver condotto i ragazzini del primo anno fino al centro della Sala Grande che a me e Potter viene concesso di sederci con i nostri compagni, di modo da assistere allo Smistamento.
Tutto sommato, sono soddisfatta del modo in cui il signorino ha reagito di fronte a questo primo compito da Caposcuola. Sul treno era letteralmente terrorizzato, e Godric solo sapeva se avrebbe potuto reggere senza svenire non appena sceso dal treno. Così mi sarebbe toccato sorreggerlo e rianimarlo, e poi mi avrebbe di nuovo sgridata perché ho cercato un’altra volta di attentare alla sua virilità salvandogli la pelle.
Lo Smistamento si conclude senza intoppi, e l’attimo dopo Silente ci permette di mangiare strizzandomi l’occhio – o almeno così mi è sembrato. Rimango piuttosto perplessa per qualche secondo, domandandomi se non me lo sono immaginato del tutto, ma alla vista del cibo vengo subito assalita da una fame da lupi; sarà colpa del troppo stress. In effetti, questo non era esattamente il modo in cui pensavo che il mio settimo anno a Hogwarts avrebbe avuto inizio. Comunque sia, ora non ho certo intenzione di rovinarmi il banchetto d’inizio anno; pensare che è l’ultimo mi mette nostalgia, ma tanto sono circondata da persone che riusciranno sicuramente a risollevarmi il morale. Delia e Margaret si sono sedute di fronte a me e a Remus, e subito hanno iniziato a spettegolare. Pare che la loro preda minorenne si sia abbellita, dopo l’estate e, nonostante il ben manifesto disgusto di Helen, queste due non hanno nessuna intenzione di pensare ad altro. Non oserei ripetere i commenti che mi stanno giungendo alle orecchie dall’altro capo del tavolo nemmeno sotto tortura, perciò mi limito a passare a Helen la brocca di succo di zucca, riserbandole un sorriso comprensivo. Lei scuote la testa e alza gli occhi al cielo, rassegnata.
Mi guardo intorno, scrutando le vecchie e le nuove facce di Grifondoro. Remus per il momento sta confabulando con James, e io vengo trascinata in una conversazione con i quattro Prefetti di quest’anno, Darcy Burrow e Annette Roorback del sesto e Bethany Hardiman e Oliver Stevens del quinto. Rimangono piuttosto basiti di fronte ai miei racconti di notti insonni, inseguimenti lungo i corridoi, liti, scazzottate, insurrezioni di massa e battaglie di incantesimi, e la cosa mi permette di realizzare che avere a che fare con individui nemici dell’ordine pubblico come i quattro del mio anno è un privilegio davvero raro. Chissà se qualcuno eguaglierà mai le loro avventurose gesta. Ne dubito, però quel ragazzino di colore con lo sguardo sveglio, che è appena stato Smistato a Grifondoro ed è stato fatto accomodare da Potter alla sua sinistra, già sembra guardarli con ammirazione mentre ridono e scherzano fra loro.
Dopo un po’, un paio di posti alla mia sinistra, noto che Sirius Black e Peter Minus stanno cercando di comporre un’ovazione musicata in onore di James, che pare decisamente scontento della cosa. Helen ovviamente sta dando man forte, giusto per farlo sentire maggiormente in imbarazzo. Quando si tratta di ridere di qualcuno, si può senza dubbio contare sulla sua presenza.
“Allora, per quest’anno ti sei salvato”, dico a Remus sorridendo, mentre mi servo di peperoni alla griglia e pesce affumicato.
“Pare di sì … e grazie al cielo, non avrei mai potuto sopportare tutto questo”, mi confessa con un sorriso, accennando al gruppetto in fase di denigrazione del nuovo Caposcuola.
“Posso soltanto immaginare che sollievo sia”, sospiro, effettivamente invidiosa di un minimo di libertà dagli incarichi. La McGranitt ci ha già convocati a una riunione fissata per stasera, indice del fatto che non ci viene concesso nemmeno il tempo per respirare.
“Sono comunque certo che te la caverai benissimo”, mi rassicura il mio ex compagno di sventure, gentile come sempre. Io gli sorrido e inorridisco l’attimo dopo nel constatare che l’ultima strofa della canzone celebrativa uscita dalla bocca di Sirius Black farebbe venire i capelli bianchi alla McGranitt seduta stante, se solo fosse abbastanza vicina da sentirla.
“Tu invece goditi la libertà al posto mio”, dico, con un buffetto amichevole sulla spalla di Remus.
“Contaci. Ho intenzione di organizzare un festino commemorativo per il mio fallimento in veste di Prefetto, pensi di esserci?”
“Che vuoi dire? Sei stato un ottimo Prefetto, Remus, non ti permetto di denigrarti in questo modo”, affermo, conferendomi un tono autoritario che fa sorridere il mio amico. Nel frattempo, Mary sta correggendo Sirius riguardo alla dizione della parola enciclopedia, e per vendicarsi dell’interruzione il signorino Black ha ben pensato di sottrarle L’amante di Lady Chatterly da sotto il naso.
Errore. Grosso, grossissimo errore. Mary è la persona più tranquilla e pacifica che io conosca ma, se quel libro riporterà una sola scalfittura per mano di Black, temo non lo rivedremo mai più con la testa attaccata al collo.
“Beh, li vedi, no? Silente mi ha confessato di avermi fatto Prefetto perché sperava che potessi … come dire … tenerli a freno”, mi spiega Remus, mentre Margaret si sporge dietro le spalle di Delia e Helen per osservare in diretta l’imminente scazzottata fra Sirius e Mary.
Inutile dire che gli altri stanno assistendo alla scena ridendosela di gusto.
“Sì, capisco cosa intendi”, rispondo, non riuscendo a trattenermi dal sorridere anch’io. Poi però mi viene in mente qualcosa, mentre li guardo.
“Ad ogni modo, non è del tutto vero. Insomma, guarda James …” spiego a Remus, a bassa voce per non farmi sentire, e la sua espressione diventa improvvisamente enigmatica. Io sento qualcosa di strano pizzicarmi le guance.
“Beh, è Caposcuola, no? Non hai mica fallito del tutto. Voglio dire, se non fosse cresciuto e maturato non credo che Silente gli avrebbe affidato questo incarico”, aggiungo, non riuscendo a capire che cosa c’è che non va nella mia così sagace argomentazione.
“Oh. Sì, certo, hai ragione …”
Ecco, sì, infatti, ho ragione. Non c’è alcun bisogno di fare facce strane.
“Quindi, considera la tua carriera con un bilancio positivo. Almeno uno su tre sei riuscito a trarlo sulla retta via”, concludo, soddisfatta. Ma Remus non sembra essere della stessa opinione.
“Se dicessi che è merito mio, sarei davvero un gran presuntuoso”, mi risponde, sorridendo tranquillo mentre infilza una salsiccia alla brace. Quando ci si mette, sa essere davvero enigmatico. Lancio un’altra occhiata furtiva a Potter, domandandomi chi gliel’abbia fatto fare di cambiare così. È una cosa che non avrei mai pensato che potesse accadere; mi sembrava talmente incredibile che ho anche preferito credere che fosse una tattica.
Eppure è vero. Rimane un grosso mistero per me.
Dispiego di nuovo quel pezzo di carta, con aria guardinga.
 
 
Caro Signor Potter,
La prego di smetterla di farneticare. Non c’è stato nessun errore nella consegna del distintivo di Caposcuola, perciò Le do un consiglio amichevole: si rilassi e si goda le vacanze.
 
Cordialmente,
Minerva McGranitt

 
 
Non ci credeva nemmeno lui.
Questa lettera ne è la prova lampante.
Nessun altro, in una simile situazione, sarebbe stato così dannatamente imbecille da pensare che la McGranitt potesse aver compiuto un errore di una simile enormità. Significa che non ha proprio un briciolo di fiducia in se stesso, per essere arrivato a questo.
Lo osservo ancora, senza farmi notare. Ha l’aria tesa, incerta, leggermente cupa. Fa quasi tenerezza. Probabilmente non ci si ritrova, in questa situazione. Così come non mi ci ritrovo io.
Almeno, però, io possiedo una vaga idea di che cosa significhi essere investiti delle responsabilità che una carica scolastica comporta; dopo due anni passati a rincorrere lui e i suoi amici, tentando di districarmi fra affari secondari quali riunioni da frequentare, ragazzini del primo anno da tenere d’occhio, insegnanti da consultare e ordine da mantenere, direi che posso ritenermi psicologicamente preparata ad un simile incarico. Anche se Caposcuola sembra incredibile – voglio dire, solo io e un’altra persona al di sopra di tutti gli altri studenti, con quattro Case da tenere d’occhio, Prefetti da coordinare e dirigere, situazioni d’emergenza da prendere in mano e altre mille incombenze che nemmeno riuscivo ad immaginare – e sarà difficile abituarmi anche per me; figuriamoci per uno che, nel corso della sua carriera scolastica, ha sentito nominare le regole soltanto perché le aveva appena infrante.
Sì, decisamente mi fa tenerezza, poveraccio.
Termino rapidamente la cena ingoiando di fretta una fetta di torta alla crema, poi al segnale di Silente mi alzo in piedi allungando una mano oltre Remus per afferrare James per il colletto della camicia, sorridendo ai Prefetti con l’intento di rassicurarli. Ho detto a Oliver e Bethany che il primo giorno non è mai troppo traumatico, e che non hanno motivo di temere alcun tiro mancino ai loro danni; solo al mio primo giorno da Prefetto poteva succedere che tre idioti in carriera accorressero fra gli studenti del primo anno a seminare il panico sostenendo che un Ungaro Spinato fosse appena atterrato sulla Torre di Grifondoro.
“Sarà una cosa lunga?” mi domanda Potter, a un certo punto, mentre ci incamminiamo verso l’ufficio della McGranitt.
“No, a meno che tu non intervenga in modo inappropriato come al tuo solito”, gli rispondo, con un ghigno sardonico. Lui storce lievemente la bocca riprendendosi da quell’espressione incupita e restituendomi uno sguardo complice, che mi fa immediatamente illuminare. Mi fa piacere vederlo reagire con la sua abituale prontezza di spirito; dopotutto, non desidero certo che questa nuova situazione lo trasformi in una specie di zombie vivente. Devo ammettere che alle volte preferirei che tenesse la bocca chiusa, ma se non parlasse continuamente a sproposito non sarebbe così divertente.
La riunione ha un ritmo particolarmente sostenuto; non si può certo dire che la nostra Vicepreside perda colpi con il passare degli anni. I Prefetti prestano attenzione senza battere ciglio, perfino quelli di Serpeverde; soltanto il signor James Potter, qui, persiste nel tamburellare nervosamente le dita sulla parete.
“Pensi di aver capito tutto?” gli chiedo, per sicurezza.
“Spiacente, credo che su un paio di punti riguardanti il regolamento interno avrò bisogno di qualche ripetizione”, mi annuncia, in tono cupamente sarcastico.
“Stai pensando di tirarti indietro?” gli domando poi, avvicinandomi di qualche centimetro.
“Non se ne parla proprio, la McGranitt mi ucciderebbe”, risponde lui, scuotendo la testa con aria a metà fra il terrore e la determinazione. Sorrido lievemente tra me, riflettendo sul fatto che, effettivamente, non mi sarei aspettata una risposta diversa; al di là di tutto, Potter è un Grifondoro fatto e finito, e l’idea di una vigliaccata non l’avrebbe mai neppure potuto sfiorare.
“E poi”, aggiunge, abbassando il tono della voce, “sinceramente non credo che potrebbe trovare qualcuno disposto a sopportarti come colleg-… AHO!”
La McGranitt s’interrompe momentaneamente squadrandoci con aria per nulla amichevole, e mi tocca sfoggiare il mio miglior sorriso rassicurante per mascherare il lamento di Potter causato dalla gomitata punitiva nello stomaco che gli ho appena rifilato.
“La tua violenza nei miei confronti è assolutamente ingiustificata”, mi dice lui, massaggiandosi la zona colpita con un’espressione melodrammatica.
“Ne dubito. In questo modo, almeno, hai compreso che con il giusto trattamento chiunque sarebbe in grado di sopportarmi”, gli sussurro nell’orecchio, la spalla premuta contro la sua.
“Ti ringrazierò quando alla fine dell’anno mi faranno santo”, replica lui, voltandosi lievemente verso di me per guardarmi negli occhi. Gli sorrido per terminare il discorso e tento di riportare la mia attenzione sulla McGranitt.
Ovviamente, anche questo tentativo di concentrarmi è destinato a non andare a buon fine.
“Credi di essere capace di stare fermo per altri cinque secondi?” gli chiedo qualche attimo dopo, mentre la sua idea di passare il tempo è trasmutata nel dondolare una gamba in maniera decisamente irritante.
“Avevi detto che sarebbe durata poco. Io voglio andare a dormire”, ha il coraggio di rispondermi, palesemente nervoso. Io devo trattenere un sorriso per l’ennesima volta. È che mi ci sto abituando, a vederlo così impacciato.
“Credevo che un Cacciatore dovesse avere pazienza per poter giocare bene una partita, considerato quante volte gli avversari ti rubano la Pluffa mentre tu cerchi di andare a segno”, replico, sapendo di aver usato un linguaggio in cui mi può intendere senza problemi. Il signorino tuttavia non sembra essere felice della metafora, a giudicare dall’espressione del suo volto.
“Non è la stessa cosa che giocare a Quidditch”, tenta di spiegarmi, come se non ci capissi nulla.
“Ah no?”
Del resto, cosa conta avere una compagna di stanza in squadra?
“No, e se ci tieni a sperimentarlo ti consiglierei di presentarti alle selezioni quest’anno”.
Stavolta la McGranitt ci fulmina. Mi astengo dal replicare giusto perché non voglio farla impazzire il primo giorno di scuola.
“… e per sabato 10 è stata organizzata un’uscita a Hogsmeade, al fine di rendervi più piacevole l’inizio dell’anno scolastico. Assicuratevi di affiggere gli avvisi e di raccogliere i permessi degli studenti del terzo anno”.
Perfetto. Le Api Frizzole che ho comprato dal carrello sul treno per Hogwarts non dureranno ancora a lungo, e ho anche bisogno di comprare della carta da lettera per scrivere ai miei.
Senza contare che una giornata di svago alla fine della prossima settimana gioverà sicuramente sia alla mia situazione che a quella di James, dato che i primi giorni del nuovo incarico si riveleranno senza dubbio i più traumatici.
“Potete andare”, ci dice infine la McGranitt, e io mi alzo con rapidità dalla sedia, seguita a ruota dal mio nuovo collega. Ci dirigiamo entrambi verso l’uscita – di sicuro il signorino non vedeva l’ora che arrivasse questo momento – ma, prima che potessimo svignarcela, la nostra Capocasa richiama James e gli chiede di trattenersi un momento.
“Oh, certo, magnifico, è un complotto contro di me”, borbotta lui facendomi sorridere, e mentre si dirige a malincuore verso la professoressa io esco dall’ufficio e mi fermo nell’ingresso, salutando Bethany, Oliver, Darcy e Annette. Dopo poco tempo resto l’unica ancora ferma lì di fianco alla porta, ad attendere una persona con cui non avrei mai pensato di passare il mio tempo fino a pochi mesi fa.
Trascorsi pochi secondi lo vedo uscire trafelato e sconvolto dall’ufficio della McGranitt, tanto che nemmeno si accorge che sono rimasta lì ad aspettarlo.
“Che voleva? Farti firmare degli autografi per conto di alcune ragazzine del primo anno troppo timide per venire a chiedertelo di persona?” lo blocco, facendolo sobbalzare. Si volta verso di me con un’espressione traumatizzata, e io mi domando che cosa possa avergli detto la McGranitt di così scioccante.
“No, mi ha solo gettato sulle spalle l’ennesimo incarico di quest’anno”, mi spiega, con sguardo vacuo.
“Di che si tratta?” gli chiedo, e lui subito assume un’espressione torva.
“Del Quidditch. Ha detto che dovrò essere io il capitano della squadra, quest’anno. E ti sarei grato se evitassi i commenti acidi, in questo momento non ho la forza necessaria per risponderti adeguatamente”, mi dice. Inopportunamente sfacciato, come sempre. Non posso trattenermi dal sorridere, mentre camminiamo fianco a fianco diretti verso la Torre di Grifondoro.
“Dovresti essere contento. Del resto, gran parte della tua esistenza si basa sulla gloria del Quidditch”, lo provoco sarcasticamente.
“Avevo detto niente commenti acidi”, mi redarguisce, ma io ormai sono troppo presa dal gioco.
“Non essere suscettibile”, rispondo, divertita.
“Non sono suscettibile, ma ti posso assicurare che non c’è bisogno che tu apra bocca. Sono perfettamente in grado di prevedere qualsiasi tua osservazione a riguardo, perciò puoi anche risparmiarti la fatica”.
Ormai sono totalmente assorbita dalla piega che la conversazione ha preso. Lo osservo camminare alla mia sinistra con lo sguardo alto, deciso, i capelli sempre così irrimediabilmente spettinati, i pugni stretti e l’andatura veloce, e non sono capace di trattenermi.
“Provaci, allora”, lo sfido, con un ghigno, e lui si ferma a guardarmi perplesso. Dopo un po’ sospira e si decide, incrociando le braccia sul petto.
“Benissimo. Di sicuro vorresti dirmi che mi sono meritato un simile sovraccarico di responsabilità, data la mia scarsa propensione a prendere le cose seriamente, e che nonostante tutto, dopo che avrò smesso di lamentarmi per fare scena, non mi farò problemi a vantarmi della mia nuova posizione, ottenendo di essere incondizionatamente ammirato da tutti e presentandomi al mondo come il modello di perfezione assoluta – mentre in realtà sono solo un insignificante idiota capace di fare il furbo nel momento in cui devo far credere di essere il migliore, solo per potermi beare della mia presunta superiorità”.
Okay, Potter, respira. Ti prego.
Merlino, non ci posso credere. Ma allora è veramente pazzo.
Rimango a fissarlo con il volto deformato da un sorriso divertito per diversi secondi, impressionata, ammirata e assolutamente sbalordita di fronte alla sua strabiliante capacità di gettarsi fango addosso con le sue stesse mani – perfino meglio di quanto avrei saputo fare io. Mi accorgo di provare di nuovo quella strana tenerezza nei suoi confronti perché realizzo che, dopotutto, se è arrivato a questi livelli è soltanto per colpa dei miei ripetuti insulti.
Eppure, in questo periodo, non ho nessuna voglia di insultarlo seriamente. Finché si tratta di scherzare non mi tiro certo indietro, anche lui ha un buon senso dell’umorismo e mi piace che conduciamo conversazioni su questo tono; ma, di spingermi fino a questo punto, non ne avevo davvero alcuna intenzione. Si direbbe che l’allievo ha superato il maestro, oppure che James Potter soffre di uno stratosferico complesso d’inferiorità.
Trovo che sia una cosa così dolcemente bizzarra.
“Sai, se devo essere sincera ancora non ero cosciente del fatto che tu fossi così paranoico”, gli dico, alla fine, riportando il dialogo su un piano scherzoso e lasciandolo lì a fissarmi con aria inebetita. Proseguo lungo la strada per la Torre di Grifondoro, troppo presa dai miei pensieri per aprire ancora bocca; il mio combattuto desiderio di poter conoscere meglio James Potter si sta fortuitamente avverando, e penso che per questo dovrei ringraziare di cuore Silente, anche se non l’avrà certo nominato Caposcuola per fare un piacere a me.
Nonostante tutto, questo sorprendente inizio d’anno scolastico sembra promettere bene.




Every single day, what you say makes no sense to me.
Lettin’ you inside isn’t right, you'’l mess with me.
I’ll never really know what’s really going on inside you.

(The Offspring, (Can’t get my) head around you)

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Capitolo 8
*** Gita a Hogsmeade ***


Capitolo 8
Capitolo 8 – Gita a Hogsmeade



È che non bisognerebbe mai immaginarsi qualcosa troppo nel dettaglio perché l’immaginazione finisce per mangiarsi tutto il terreno su cui una cosa potrebbe accadere.

(Andrea De Carlo, Due di due)



 
8 Settembre 1977
 
Durante questa prima interminabile settimana di scuola sono stati parecchi i giorni in cui mi è capitato di piombare in un cupo malumore privo di senso, che mi rende intrattabile e tendente alla solitudine quasi totale. Giorni in cui riesce a darmi sui nervi qualsiasi cosa, anche solo il timbro di voce della McGranitt. Giorni in cui mi ritrovo a desiderare con tutto il cuore che mi sia data la possibilità di non dover fare quello che mi tocca fare tutte le mattine dopo aver messo piede giù dal letto, ossia lavarmi, vestirmi, caricarmi una decina di libri sulle spalle e percorrere i corridoi di una scuola labirintica fino all’ennesima aula spoglia in cui non riesco a distrarmi nemmeno guardando fuori dalla finestra. Perché, se provo a fantasticare su come potrei svagarmi in quel momento, giuro che non mi viene in mente niente.
Il mio senso di colpa mi obbliga a chiedermi perché sono così scocciato. Stamattina credo di aver decisamente superato ogni limite: ho riserbato ad ognuno dei miei amici una risposta sarcasticamente tagliente e lapidaria senza validi motivi, ho strascicato i piedi per tutta la strada fino alla Sala Grande, ho sbriciolato completamente la torta di mele nel latte senza poi azzardarmi a toccare la brodaglia che ne è risultata, ignorando bellamente le occhiate di rimprovero lanciatemi da Remus di tanto in tanto (come se non sapessi quanto detesti vedere gente che spreca il cibo), ho risposto a monosillabi a tutti i tentativi fatti da Peter per rivolgermi la parola e coinvolgermi in un discorso costruttivo e ho trattato Sirius come se non esistesse, sapendo perfettamente che la cosa lo fa andare in bestia. Mi sento uno schifo per come mi sto comportando, va bene. È proprio impossibile sentirsi di malumore senza ferire nessuno né dover provare dei rimorsi per questo? No, evidentemente. Posso soltanto mandarmi a quel paese e sforzarmi di prendere qualche appunto sulle mille nozioni al minuto che stanno uscendo dalla bocca della McGranitt con una calligrafia tra le più svogliate, orrende e incomprensibili che io abbia mai utilizzato.
Mi faccio seriamente schifo.
Non lo so, davvero. Non so che cos’ho. Sarà che è il settimo anno e mi sono già rotto le scatole di essere messo continuamente sotto pressione da professori ansiogeni che continuano a pronunciare la parola M.A.G.O.. Sarà che il trovarmi per caso faccia a faccia con Snivellus stamattina mi ha fatto passare non solo l’appetito, ma anche la voglia di vivere. Sarà che ho diciassette anni e mezzo e non nutro nessun proposito per il mio futuro, cosa che invece dovrei probabilmente fare. O sarà perché c’è una precisa ragione che suscita in me quotidianamente una serie di cupi e funesti pensieri da depresso incallito.
Questa ragione ha i capelli rossi, ovviamente. E gli occhi verdi. E una capacità di concentrazione che io non possiederò mai, nemmeno se dovessi darne prova per cercare di conquistarla. E riesce a sistemarsi una piega della camicia con una mano e continuare a scrivere con l’altra, senza perdere il filo. E ogni tanto, mentre prende appunti, si morde lievemente il labbro. O si rigira una ciocca di capelli intorno alle dita. Ogni tanto annuisce. Ogni tanto sorride tra sé. Ogni tanto si guarda in giro come per riprendere il contatto con il mondo, e ogni tanto mi illudo che una delle sue occhiate di sottecchi possa essere indirizzata a me.
Dannazione. A lei, ai suoi capelli, ai suoi occhi, al suo modo di fare. Io sto impazzendo per colpa sua.
Sono stato benissimo per tutta l’estate fino al momento in cui non sono venuto a sapere della mia più che inaspettata nomina a Caposcuola, e non lo dico così per dire. Sì, ogni tanto effettivamente sentivo la sua mancanza, tra me e Sirius saltava inevitabilmente fuori l’argomento e finivamo per parlarne per qualche minuto, ma non è stata il centro dei miei pensieri come un qualunque scemo che sa che sono cotto di lei potrebbe essere portato a pensare. Ho una vita, grazie a Godric, ho delle cose da fare che mi distraggono, il mio migliore amico ha vissuto con me per due mesi, figurarsi se passavo ogni singolo momento delle mie giornate a pensare a lei. Mi sono goduto il mio divertimento nullafacente senza nessun rimpianto o desiderio di essere altrove, anche se, per la prima volta alla fine dell’anno scorso, ero riuscito a ricevere il suo saluto, cosa che agognavo in modo struggente ogni fine giugno dall’epoca del secondo anno. Inoltre, avrei tutte le ragioni di questo mondo per ritenermi un uomo fortunato dato che ora, grazie all’incarico in comune, siamo molto più a stretto contatto l’uno con l’altra; senza contare che, a prescindere da questo, fino ad adesso non ho ancora dovuto ascoltare nessuna delle sue sfuriate rabbiose su quanto io sia irrimediabilmente stupido e infantile, e tutte le volte che facciamo conversazione lei accenna almeno un sorriso che non sia puramente sarcastico. Quando mai, nei tempi passati, avrei potuto sperare di arrivare ad un livello simile? La situazione è oggettivamente migliorata, e io dovrei essere in piedi sul banco a fare salti di gioia. E invece no.
La verità è che sono stanco. Stanco di aspettare, di avere pazienza, di sentirmi dire che ci vuole tempo per queste cose. Sono stanco e stufo. Sto aspettando da sei anni, non so se rendo l’idea. Va bene, forse possiamo dire cinque, dato che tanto il primo anno ero talmente giovane e ingenuo che, se anche lei mi avesse dato qualche possibilità, io non avrei saputo che combinarci, ma il concetto, di fatto, non cambia. Sto aspettando da troppo tempo. Tuttavia, se la questione è davvero così semplice, allora non riesco proprio a comprendere perché il pensiero di chiederle di uscire con me in occasione dell’imminente fine settimana a Hogsmeade mi terrorizza in questo modo.
Mi sento male. Lei pensa che io sia così fissato perché voglio porla a coronamento del mio successo. Ma quale successo? Io sono un fallito. Non ho mai avuto altri obiettivi seri nella mia vita se non quello di riuscire a stare con lei, a piacerle, a farla innamorare di me. Mai. E il motivo è che sono un idiota, e che non riesco a trovare il coraggio di compiere un gesto decisivo per uscire da questa situazione di stallo. Giuro che non mi capisco, mi prenderei a sberle se potesse servire a qualcosa. Perché ora posso ammettere che la mia posizione sia un tantino migliorata, ma sono praticamente certo che, se tentassi di spingermi oltre, ne riceverei soltanto un secco rifiuto.
Va bene che io sono un idiota, ma è lei che mi rende tale, in gran parte.
Sono fissato con lei da secoli interminabili e, nonostante abbia fantasticato innumerevoli volte riguardo al coronamento della nostra storia d’amore, ora non so che pesci prendere. Nonostante questo, l’angoscia mi sta assalendo, e il primo passo di questo percorso è il malumore ingiustificato. Il problema è che, per quanto possa essere così dannatamente insicuro, quello che so per certo è che voglio stare con lei, adesso. Non voglio continuare a dannarmi l’anima in eterno, è una cosa che supera le mie capacità di sopportazione.
Devo fare quello che è giusto e consono, l’unica cosa che posso fare in una situazione del genere. Devo, altrimenti mi andrà in fumo il cervello. Devo trovare un modo per convincerla a darmi una possibilità, perché non ho altre speranze di sopravvivenza.
“Signor Potter, che cosa stavamo dicendo?”
Sollevo la testa dal banco, poco incline a sopportare l’accanimento della McGranitt nei miei confronti in questo momento. La stanchezza cerebrale che mi sta invadendo mi impedisce di formulare una risposta che abbia un minimo di senso, e mentre cerco disperatamente di pensare a qualcosa riesco solo a fissarla con uno sguardo vacuo, cosa che le fa assumere un’aria decisamente accigliata.
“Professoressa, James non si sente bene”, scatta Sirius, al mio fianco. Io mi giro inebetito verso di lui. Stupido, sta sempre a difendermi anche quando non me lo merito.
“A mio modesto parere, signor Black, il signor Potter ha il solo problema di non aver dormito a sufficienza per prestare attenzione in classe”.
“Sì, ma è colpa mia”.
“Colpa sua?”
“Sì, l’ho obbligato a restare sveglio fino a tardi per aiutarmi perché non riuscivo a fare il suo tema. Con tutto il rispetto, era troppo difficile”.
“Signor Black, le sembra il caso di fare simili notazioni su un compito da me assegnato? Che sia difficile o meno, quello è un problema suo”.
“Beh, avrò pure il diritto di esprimere un parere in merito, dato che il tema l’ho dovuto fare io”.
“Visto che oggi si sente particolarmente in vena di criticare, che ne dice di svolgere un altro tema per punizione?”
In quel momento suona la campanella. Sento Sirius afferrarmi per un braccio e tirarmi su in piedi, raccogliere tutta la mia roba dentro la mia borsa, infilarmela a tracolla e trascinarmi via di corsa, mentre la McGranitt gli intima di fermarsi immediatamente con un tono di voce che sfiora l’isterico.
Io mi sento morire.
Arriviamo davanti al bagno dei maschi e Sirius mi trascina dentro. Lo seguo come un automa, con il rimorso che mi schiaccia la coscienza sempre di più, finché finalmente trovo il coraggio di guardarlo negli occhi. Lui non dice niente e si china sul lavandino per sciacquarsi la faccia.
“Grazie”, gli dico. “Scusa per stamattina”, aggiungo poi, non sembrandomi sufficiente. “Sirius, mi dispiace …”
“Che barba, sei troppo sentimentale”.
Uno spruzzo di acqua gelida mi raggiunge e mi ghiaccia il viso, facendomi rabbrividire immediatamente.
“Dai, stammi a sentire … mi dispiace, davvero. Sto da schifo, e per riflesso mi sono ridotto a trattarvi da schifo”.
Sirius alza la testa, mi guarda, sospira.
“Non c’è bisogno che tu mi chieda scusa, sai. In fondo, io lo faccio molte volte più di te”, mi dice, come se un po’ gli costasse ammetterlo. Io mi risolvo ad accennare un lieve sorriso.
“Solo che probabilmente tu sei così scemo che nemmeno te ne rendi conto”, aggiunge, e mi getta altra acqua dannatamente fredda addosso. Stando così le cose, non posso non raccogliere la sfida. Cominciamo a bagnarci da capo a piedi, schizzandoci senza tregua, incuranti di chi passando davanti alla porta ci guarda in modo strano o si pronuncia in toni di esasperazione, buttando all’aria qualsiasi cosa ci passi per la testa, la scuola, le lezioni, il Quidditch, la Evans, in quel momento non conta più niente e nessuno dei due ha voglia di ragionare.
Non potrei mai avere un amico migliore di lui.
“Ehi, ora basta, fermati un attimo … che diamine, strilli come una Banshee. È solo qualche goccia d’acqua”.
Mi asciugo le mani sui vestiti, mentre Sirius si pianta sulle gambe e scuote la testa verso il basso scrollandosi via l’acqua di dosso, proprio come farebbe Padfoot.
In pochi secondi il bagno è ridotto ancora peggio di prima, stavolta unicamente grazie al suo contributo.
Rido, incapace di frenarmi. Solo Sirius poteva riuscire a farmi divertire in questo modo dopo che ho iniziato la giornata con un umore del genere.
“Lei è sempre il solito, signor Black. Davvero un irrecuperabile disastro”, sentenzio, sfoggiando un’impeccabile imitazione della McGranitt.
“Ah, piantala, se non ci fossi io tu come diavolo faresti?”
“Non era necessario allagare un bagno per farmelo capire”, gli rispondo mentre, tenendoci sottobraccio come due distinti signori, completamente fradici e con i capelli gocciolanti d’acqua fredda, attraversiamo i corridoi diretti verso la Sala Grande.
“E come avrei potuto sopportare di trovarmi continuamente davanti quella tua faccia da depresso cronico?”
Tutto sommato, per quanto io abbia voglia di fare lo spiritoso, mi tocca ammettere che ha pienamente ragione.
“Okay, diciamo che ti sei trovato una buona scusa. Non ti affibbierò una punizione solo perché altrimenti dovrei punirmi anch’io, in quanto complice del misfatto, e non sarebbe un gesto propriamente furbo”.
Facciamo qualche altro passo in silenzio, mentre intorno a noi tutto è deserto. L’apatia che mi pervadeva fino a poco fa è ormai scomparsa. Non mi importa più se non ho niente da fare, se perdo il mio tempo in modo stupido e faccio uscire dai gangheri i professori. Per una volta faccio quello che mi va di fare, e non c’è nessuno a cui io debba una spiegazione. Perché Sirius non pretende mai che io gli spieghi. Mi capisce e basta, per il semplice fatto che è mio fratello.
“Senti, Prongs … perché non ci dai un taglio e ti decidi a chiederle di uscire?” mi dice lui, d’un tratto, senza nessun preavviso. Io rimango a fissarlo inebetito per qualche secondo; chissà da quanto ha capito che mi comporto così per questo. Non ne ho fatto parola con nessuno, fino a questo momento. Sposto lo sguardo sul pavimento, osservando le gocce d’acqua che cadono a terra ad ogni mio passo.
“Guardiamo in faccia la realtà, Padfoot. Non mi dirà mai di sì”, rispondo, sentendomi ripiombare nel mio drastico pessimismo di poco fa.
“Oh, andiamo, non esagerare … sì, l’anno scorso era da escludere una possibilità del genere, ma adesso sembra che la sua fastidiosa perfidia si sia molto mitigata nei tuoi confronti …”
“Può darsi, ma questo non implica che accetterà”.
“E perché, di grazia?”
"Semplicemente perché sarò io a chiederglielo”.
“James, frena un secondo, Sua Altezza Reale dovrà pur scendere dal piedistallo un giorno o l’altro …”
“No, vedrai. Il quasi impercettibile cambiamento di rapporti che c’è stato non implica che lei accetterà di uscire con me, nel caso in cui io mi decida a chiederglielo di nuovo”.
“Invece di perdere tempo con questi discorsi inutili, cerca di farti venire qualche idea per aggirare l’ostacolo”.
Io mi stringo nelle spalle, rassegnato.
“Mi rincresce dirtelo, ma in questo momento non riesco a pensare proprio a niente”.
“Andiamo, Prongs … di solito sei tu quello che ha le idee brillanti … tu la mente, io il braccio, Peter la fonte d’informazioni e Remus la copertura, ricordi?”
“Tralasciando il dettaglio che ormai sono diventato io la copertura grazie alle geniali trovate del nostro amato Preside, perché per una volta non cerchi di darmi una mano tu?”
“Oh, va bene. Vediamo, modi per far sì che la Evans esca con te … uhm … beh, immagino che per un anticonformista schifoso come te, l’idea di ricorrere a un filtro d’amore sia semplicemente abominevole”.
La falsa innocenza del tono di Sirius mi obbliga subito a gettargli un’occhiata esasperata.
“Sai già come la penso a riguardo”, gli rispondo, cercando di tagliare corto.
“Sì, lo so, ti sembra squallido e meschino e privo di dignità, per non parlare del fatto che la tua nobile aspirazione è di conquistarla con l’unica arma del tuo indiscutibile fascino. Peccato che non sia sufficiente …” – alzo lo sguardo per fulminare immediatamente Sirius con un’occhiata assassina – “… questo solo per colpa dell’ostinazione della tua amata, sia chiaro”, aggiunge lui, cercando di correggere il tiro. Io incrocio le braccia, incupito.
“Cerca di dirlo con un po’ più di serietà la prossima volta”.
Sirius mi guarda con aria di rimprovero.
“Io sono serio”.
“No, tu mi stai velatamente prendendo in giro”.
“Non è vero, non oserei mai!"” replica lui, con una sfacciataggine che non ha limiti.
“Il fatto che tu lo dica ridendo ti rende privo di ogni credibilità”.
“Può darsi, però ho un altro suggerimento che sicuramente non potrai fare a meno di apprezzare, come minimo per l’originalità”.
“Sentiamo”.
“La Maledizione Imperius”.
Il mio sguardo assassino questa volta va a segno, e Sirius riceve immediatamente una delle mie occhiate peggiori.
“Dai, ammettilo, un po’ se lo meriterebbe”, tenta di convincermi lui. Io mi limito a non muovere un muscolo e a continuare a fissarlo, senza dire niente.
“D’accordo, fai conto che io non l’abbia mai detto … ecco, ne ho un’altra: ricatto”.
Questa volta, il mio sguardo è decisamente sbalordito.
“Ricatto? Ma sei scemo?”
“Hai già provato a ricattarla per uscire con te, un paio di anni fa!”
“Appunto, ed è stato un fiasco totale, perciò passa all’idea successiva”, concludo, con un gesto secco.
“Ok, allora … costrizione violenta”.
Io sospiro.
“Bocciata, Lily Evans è perfettamente capace di farmi un occhio nero”.
Sirius mi getta un’occhiata sospettosa.
“Ma di’, sei proprio sicuro che sia una ragazza? Certe volte fa volare calci e pugni a destra e a sinistra quasi come Hagrid quando è ubriaco …”
“Sirius”.
“Va bene. Vediamo … ecco, ci sono: tortura psicologica”.
Non riesco a crederci, il mio sconvolgimento sta superando ogni limite. Sgrano gli occhi, fissando allibito il mio migliore amico.
“Tu sei fuori di testa”.
“No, è perfetto! Io sono un maestro della tortura psicologica, vedrai che andrà benissimo. Basteranno pochi minuti per convincerla”.
“Ora comincio a nutrire dei seri dubbi sulla tua sanità mentale".
"In realtà sei semplicemente affascinato dalla mia intelligenza sbalorditiva”.
“Io non credo proprio”, gli rispondo, inarcando un sopracciglio con aria scettica.
“E invece sì. Ammettilo. A me non puoi nascondere niente, io sono la voce della tua coscienza”.
“Allora ho una coscienza sporchissima”, commento, ridendo. Sirius mi restituisce uno sguardo minaccioso.
“Questa me la paghi, Potter”.
Mi si avventa contro, e prevedibilmente finiamo per fingere di pestarci. Sì, sono cosciente di essere fin troppo cresciuto per divertirmi in maniera così infantile, ma che ci posso fare, è una tentazione a cui non so resistere.
Solo che poi mi giungono alle orecchie delle voci ridenti in diverse tonalità femminili, e mi rendo improvvisamente conto che io e Sirius non siamo gli unici a non essersi ancora presentati a pranzo.
“Sembra davvero che la vostra massima espressione intellettuale sia quella di menare le mani”, mi dice Lily, passandomi di fianco spalleggiata dal suo gruppo di amiche. Io riesco soltanto a storcere la bocca, inebetito, e sguazzando nel mio vuoto mentale non riesco a trovare nessuna formula ad effetto per risponderle adeguatamente a tono. Improvvisamente, però, mi rendo conto che sto soltanto tergiversando. Mi rialzo da terra insieme a Sirius e mi incammino alle loro spalle, stringendo e allentando ritmicamente i pugni. Devo trovare il coraggio di dirglielo, e smetterla di cercare utopicamente un rimedio miracoloso che risolva tutti i miei problemi. Dovrò sopportare il peso di un’esperienza che tutti prima o poi attraversano nel corso della loro vita, e di certo non ne uscirò privo di senno o fisicamente menomato. Una volta che sarò stato capace di compiere il passo iniziale, tutto il resto verrà da sé, e se mi andrà bene potrò anche giungere ad essere contento di me stesso.
Arriviamo in Sala Grande camminando a pochi passi da loro, e prendiamo posto nella solita area del tavolo di Grifondoro. Io mi siedo senza dire niente, e comincio ad imboccarmi come un automa. Alla fine del pranzo vado da lei e glielo dico, senza discussioni. Non importa se mi dirà di no. Almeno potrò affermare di aver tentato.
Ma bastano pochi secondi, e di colpo qualcosa blocca sul nascere la mia furia combattiva. Mi ero quasi deciso ad ignorare l’ostacolo della presenza delle sue amiche, quando ho incominciato a tendere l’orecchio e prestare attenzione ai loro discorsi. Le sento discutere su possibili mete – Mielandia, Zonko. Un paio di loro cinguettano esaltate nominando Madama Piediburro, provocando così la reazione schifata di Lily.
“Non metterò mai piede in quel posto, per nessuna ragione al mondo”.
“Neanche se ti ci invitasse un ragazzo?”
“Considerato che tanto abbiamo già programmato un’uscita tra donne, il problema non si pone affatto”.
Vanno avanti a parlare, e io rimango a fissare il piatto vuoto senza dire niente. Poi mi volto verso Sirius, sospirando con un’espressione vacua.
“Ora capisci perché è inutile che glielo chieda?”
Il mio amico esita qualche secondo e poi apre la bocca per dire qualcosa, ma viene interrotto prima ancora di aver emesso un solo suono dall’arrivo della McGranitt, che gli si para davanti con un’aria impassibile e vagamente sinistra.
“Questa è la consegna per il suo tema supplementare, signor Black. Mi auguro che lo troverà più facile del precedente”, dice a Sirius, porgendogli una pergamena intestata. Io lo guardo esibire un sorrisetto tirato e ringraziare in tonalità esplicitamente ironica, e non posso fare a meno di sentirmi mortificato per essere stato la causa di tutto questo. Dopo che la McGranitt si è allontanata dal tavolo, Sirius si gira verso di me, fissandomi con l’esasperazione negli occhi.
“Donne”, dice soltanto, prima di avventarsi nuovamente sul cibo. Io sospiro, rassegnato, non potendo fare a meno di concordare.

***

10 settembre 1977

Trascorsa poco più di una settimana dall’inizio della scuola, direi che posso trarre un bilancio piuttosto positivo della situazione.
Voglio dire, l’incarico di Caposcuola procede bene, e non devo nemmeno preoccuparmi troppo riguardo a Potter. Nonostante la consistente titubanza, posso affermare che impara in fretta, e grazie a Godric non c’è bisogno che io controlli ogni sua azione con il terrore che combini qualcosa di sbagliato. Vederlo assistere i ragazzini del primo anno quando hanno bisogno di qualcosa, poi, è decisamente esilarante. Quelli sono ancora più tesi di lui.
Certo, continua ad avere i suoi momenti di distrazione più totale, come è successo l’altro ieri durante la lezione della McGranitt. Fortuna che lui e Sirius Black sono così amici, altrimenti non credo che qualcuno avrebbe avuto la sfacciataggine di salvargli la pelle come ha fatto lui.
Non so esattamente che gli abbia preso, so solo che non era la prima volta che si incantava a guardare fuori dalla finestra. Non con aria trasognata, anzi, sembra sempre piuttosto incupito. Forse non riesce a dormire. Ad ogni modo, durante l’ultima lezione di Incantesimi, ho tentato di avvicinarmi e rassicurarlo, in tono scherzoso, sul fatto che non deve avere troppa paura di me.
Speriamo che abbia capito.
Al momento sono troppo occupata a cercare le confezioni di Api Frizzole per andare a ripeterglielo.
E poi, qui in giro non lo vedo. Sarà sicuramente da qualche parte a divertirsi con i suoi amici.
Devo ammettere che un po’ è strano, comportarci in modo cordiale.
Implica una rivoluzione dei nostri rapporti interpersonali su scala mondiale.
Un po’ di tempo fa io ero quella con cui litigava, ora sono quella con cui trascorre diversi minuti del suo tempo libero a parlare di bagni intasati, di Pix a piede libero, di quadri che si rifiutano di fare il loro dovere, di insegnanti che non hanno mai tempo per ascoltare le nostre esigenze e di Silente che, tutte le volte che ci vede, ci offre da bere una bibita al caramello.
Insomma, chi se l’aspettava?
“Secondo te ce l’hanno ancora il cioccolato al riso soffiato?” mi domanda Delia, venendomi incontro, con aria incerta. Io sorrido e annuisco, convinta.
“Dopo tutte le scorte che hai comprato l’anno scorso, non credo che abbiano rinunciato ad una simile occasione di fare affari”, le rispondo, in tono scherzoso.
“Sarà. Io non lo vedo da nessuna parte” ribatte lei, per poi girarsi e andarci a sbattere contro. Un paio di tavolette finiscono a terra, e io per poco non scoppio a ridere nell’osservare il modo in cui tenta di far finta di niente e le rimette a posto guardandosi intorno, per accertarsi che nessuno oltre me l’abbia vista combinare quel pasticcio.
“Ehi, lumache, avete finito o no?” ci apostrofa Margaret, in fondo alla fila per pagare alla cassa.
“Hai urgenza di cercarti qualcuno da sbaciucchiare?” le chiede Helen, due scaffali più in là di noi.
“No, voglio andare a prendermi un tè da Madama Piediburro e farmi del male, osservando tutte le coppiette lì riunite”, risponde Margaret. Helen sbuca dallo scaffale e si affaccia sul corridoio, con un’espressione che parla da sé.
“Ci risiamo. Ti prego, falle cambiare idea. Sei tu che intrattieni i rapporti diplomatici”, mi dice, con un’espressione a metà fra il disperato e il disgustato. Io ridacchio tra me. Ne abbiamo discusso giusto ieri a pranzo, di questo argomento.
“Meg, la tua proposta è stata boicottata”, annuncio alla mia amica, rifornendomi di piume di zucchero filato.
“Il boicottaggio richiede in cambio che voi mi facciate copiare il tema della McGranitt”, risponde lei, mentre Helen si mette a sbattere la testa contro uno scaffale per la disperazione. Sto giusto preparando una replica adeguata quando sopraggiunge Mary, sbucando da chissà dove, e porge a me e a Helen due confezioni di dolci che non ho mai visto, Topoghiacci e Piperille nere.
“Sono nuovi. Potete minacciarla di farla squittire o farle sputare fuoco per un’intera giornata sciogliendoli nel suo succo di zucca”, ci dice, in un tono professionale degno di fare invidia ai commessi del negozio. Per poco non mi piego in due dalle risate mentre Helen afferra entrambe le confezioni con aria soddisfatta e si dirige trionfante verso la cassa. Mary osserva la scena con un sorrisetto e poi torna a girare per gli scaffali, reggendo un cestino mezzo pieno di dolciumi con una mano e Camera con vista nell’altra, mentre io scuoto la testa e riprendo a guardarmi intorno, domandandomi se a mio padre potrebbero piacere i Rospi alla Menta.
Ogni tanto, se ci ripenso, mi sembra così strano ritrovarmi ad andare in giro con loro per Hogsmeade, ridendo e scherzando in maniera così spensierata.
Voglio dire, non siamo sempre state in così buoni rapporti. All’inizio non legammo affatto: trovavo Margaret troppo superficiale, Helen troppo scontrosa, Delia troppo appassionata di Quidditch e quindi con pochi interessi da spartire con me e Mary troppo difficile da avvicinare, sempre così assorta nel suo mondo di libri babbani e di blocchi da disegno. Dopo i primi tempi di diffidenze si instaurarono dei rapporti cordiali, ma non molto stretti; avevo ancora Severus e di conseguenza il mio confidente era lui. Era come se non avessi bisogno di nessun altro. Poi, quando Mary venne attaccata da Mulciber, che cominciò ad insultarla perché faceva cose da Sanguesporco, io mi misi in mezzo per difenderla, e da quel momento entrammo più in confidenza. Cominciai ad aprirmi con lei, e fu piacevole; non ero decisamente abituata ad instaurare un forte legame con una ragazza. Probabilmente mi sentivo condizionata dai pessimi rapporti con mia sorella, a cui un tempo volevo così bene e che invece, a lungo termine, mi aveva tremendamente delusa e ferita; ma poi, una volta che i miei rapporti con Severus si conclusero, fu quasi inevitabile avvicinarsi anche alle altre mie compagne di Casa. Tutte loro mi confessarono che non avevano mai visto di buon occhio la nostra amicizia, e non per causa mia. Probabilmente nessuno ne ebbe mai un giudizio positivo. Solo io restavo l’unica stupida che si era ostinata a pensare che ci fosse qualcosa di speciale in lui, qualcosa che lo rendeva diverso dagli altri Serpeverde, tutti così boriosi, arroganti e con la mania del sangue puro. E invece mi ero sempre sbagliata di grosso.
Ad ogni modo, ora, ognuno di noi due sta con la gente che si merita. E, per quanto mi riguarda, sto bene così. Ho imparato a conoscere meglio le ragazze, oltre che Remus, con cui ho condiviso piacevolmente i due anni dell’incarico di Prefetto. Al contrario di quanto sosteneva Severus, Remus non è affatto “un ragazzo subdolo e strano, e maligno almeno quanto i suoi amichetti, anche se finge di non esserlo”. Al contrario, con me è sempre stato una persona dolce, gentile, educata e disposta ad ascoltare in qualsiasi circostanza. Anzi, ora che ci penso vorrei vedere che razza di faccia farebbe Severus se potessi porlo davanti all’evidenza del fatto che nemmeno Potter è come lo ha sempre dipinto lui. Ma è stata una sua scelta quella di abbracciare un’altra visione delle cose, pertanto non potrò mai saperlo. Non importa. Io sono contenta, tutto sommato, di aver cambiato idea su Potter. L’avevo giudicato male, ed è un errore di cui mi pento; non che lui, in passato, facesse qualcosa per aiutarmi a pensarla in maniera differente – anzi, direi tutto l’opposto –, ma ora le cose sono diverse da com’erano un tempo, ed è meglio così per tutti. Anche se ci ho rimesso un amico, l’unico vero amico che ho avuto per diversi anni. È stato doloroso, ma ormai mi sono ripresa.
Qualche minuto dopo usciamo da Mielandia, sotto il cielo nuvoloso d’inizio settembre. Facciamo tappa ai Tre Manici di Scopa per bere qualcosa, e lì Margaret e Delia scoprono, con grandissimo rammarico, che il loro moccioso del quinto anno si vede con una ragazza (inutile dire che sulla testa della poveretta sono piovuti ogni genere d’improperi); stranamente, però, non si sentono risate simili a squittii o latrati provenire dalle bocche mai chiuse di Peter Minus e Sirius Black, e nemmeno i rimproveri ironici dispensati a mezza voce da Remus o le battute azzardate di uno che è capace di attirarsi addosso le ire di un gruppo di Goblin – sì, sto parlando di Potter, ed è davvero riuscito a fare una cosa del genere, al terzo anno. Io non ci volevo credere, ma è la verità.
La cosa, comunque, mi suona leggermente strana.
Voglio dire, è la prima uscita a Hogsmeade  dell’anno, alzi la mano chi li crederebbe capaci di perdersi un’occasione del genere …! Di solito, facendo la spola tra Zonko, Mielandia e la Testa di Porco, quei quattro girano Hogsmeade da cima a fondo per ore. Sanno perfino chi abita dove, nella zona residenziale. E poi, Sirius si diverte sempre da matti a provarci con Rosmerta, la figlia del proprietario dei Tre Manici di Scopa.
Se non avessi visto Potter in quello stato emotivo durante tutta la settimana, direi che stanno architettando qualcosa di molto losco. Ma, di solito, sono sempre tutti allegri e pimpanti quando questo succede. Quindi non credo di aver trovato una spiegazione soddisfacente per i miei dubbi amletici.
Ad ogni modo, non voglio avere alcun tipo di preoccupazione per la testa, almeno per questo pomeriggio. Questa è una delle poche occasioni che ho per rilassarmi prima di darci dentro con uno studio massacrante in vista dei M.A.G.O., perciò ritengo doveroso sfruttarla. Evito comunque di tracannarmi quattro Burrobirre di fila come ha appena fatto Delia e di farmi presentare all’ex fidanzato di Margaret come lei insiste che io faccia, nonostante mi abbia assicurato che sia veramente un bravo ragazzo e che sia stata lei a lasciarlo perché ancora le piaceva Hunt, il Caposcuola dell’anno scorso. Le ho suggerito, in tutta risposta, di provare ad aprire un’agenzia matrimoniale per maghi e streghe quando uscirà da Hogwarts, ma lei persiste nella sua aspirazione di lavorare presso l’Ufficio Relazioni Internazionali del Ministero.
È con mio sommo sollievo che riesco a sottrarmi alla visita da Madama Piediburro nel momento in cui Delia e Margaret ritirano fuori l’argomento, e mentre loro si trascinano dietro Mary con la scusa che andarci in due sarebbe un po’ troppo triste (“Non mi interessa, basta che mi lascino leggere in pace”, mi dice lei, stringendosi nelle spalle), io e Helen ci dirigiamo verso Hogwarts.
“Comunque grazie, mi hai fatto vincere una scommessa”, mi dice Helen, a un certo punto.
“Che scommessa?” le domando, dubbiosa.
“Oh, quelle due hanno rotto le scatole per giorni – Delia e Margaret, lo sai anche tu quanto sono pettegole. Continuavano a dire che da un momento all’altro Potter sarebbe venuto a chiederti di uscire, questo sabato. Alla fine, per farle stare zitte, mi è toccato scommetterci su”.
Io scuoto la testa, sorridendo.
“Meno male che almeno tu ci hai visto giusto”, dico a Helen. Era piuttosto lampante, del resto. Potter ha smesso di chiedermi di uscire da un anno, perché avrebbe dovuto tornare alla carica ora? Tanto più che, evidentemente, aveva ben altri pensieri per la testa, data l’aria incupita e assente che ha avuto dipinta in faccia per tutta la settimana. Tutto sommato, credo che gli sia passata; avrà capito di aver soltanto sprecato tutti questi anni passati a starmi dietro e avrà deciso di dedicarsi a cose più importanti. Quali siano queste cose, non mi è dato saperlo. I M.A.G.O.? Ne dubito. Nonostante tutto, Potter non si è trasformato nella brutta copia di Remus. È sempre il solito, per quanto riguarda l’andamento scolastico: gli interessa fare pratica, non perdere tempo con i temi lunghi chilometri e chilometri di pergamene. Nonostante ciò riesce bene comunque in praticamente tutte le materie, dato che Merlino l’ha dotato di un’intelligenza, inutile negarlo, estremamente acuta. Ma escluderei che tutt’ad un tratto abbia iniziato a crucciarsi per la scuola. Non è da lui.
E allora, che diavolo avrà? Qualche problema in famiglia? Spero di no. Se non ricordo male ho intravisto i suoi genitori a King’s Cross la scorsa settimana, e mi sembrava che entrambi stessero bene.
Forse è davvero soltanto troppo angosciato per il nuovo incarico. Non è difficile intuire che, per uno come lui, sia stato spiazzante ricevere quel distintivo. Però almeno un po’ dovrebbe andarne fiero, suvvia. Fra tutti gli studenti del settimo anno, Silente ha scelto lui. Da questa prospettiva, non mi sembra una cosa così negativa. E poi sta iniziando ad abituarcisi, o almeno così mi è parso.
“Credo che andrò a farmi un bagno prima che tornino tutti ad assediarlo”, mi annuncia Helen, interrompendo i miei pensieri vaganti.
“Ottima idea. Io farò un giro di ricognizione per ammazzare il tempo. Forse riuscirò a trovare la forza di seppellirmi sotto quel gigantesco tomo di Pozioni, alla fine”.
Mi farà sicuramente bene fare due passi, oltre al fatto che ci tengo ad adempiere ai miei doveri; prevedibilmente, nessuno dei Prefetti si è perso l’occasione di una gita a Hogsmeade, e la scuola è stata abbandonata nelle mani di Merlino. Qualcuno dovrà pur pensarci, in fondo.
Inoltre, in dormitorio c’è una ricerca sugli usi ed effetti del Veritaserum che mi aspetta e una serie di dolci da impacchettare e spedire alla mia famiglia, ma io non sono assolutamente brava nel fare i pacchetti. E odio Slughorn per avermi già affidato una ricerca di Pozioni. Lui e le sue stramaledette manie di persecuzione.




Try, cry, why try?
That was just a dream,
Just a dream, just a dream,
Dream.

(R.E.M., Losing My Religion)

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Capitolo 9
*** Il giorno fortunato di James Potter ***


Capitolo 9
Capitolo 9 – Il giorno fortunato di James Potter



Devo ancora imparare, che proprio nel momento in cui la logica, combattendo con la passione, crede d'aver acciuffata la vittoria, la passione con una manata improvvisa gliela ristrappa, e poi a urtoni, a pedate, la caccia via con tutta la scorta delle sue codate conseguenze.

(Luigi Pirandello, Quaderni di Serafino Gubbio operatore)




10 Settembre 1977
 
Oggi è il giorno del mio più grande fallimento, signore e signori. Davvero una meraviglia. Non aspettavo altro, a dire la verità: almeno, una volta che sarà finito, non mi sentirò più addosso gli sguardi preoccupati e silenziosi dei miei amici. La mia è pura ingratitudine, perché sono perfettamente conscio del fatto che si sentano dispiaciuti per la mia situazione e che provino il desiderio di starmi vicino, pur senza riuscire a trovare le parole per confortarmi, ma nonostante questo io mi sento solo vanamente pressato e compianto.
Inutile dire che il rimedio migliore sarebbe di piantarla con tutta questa storia. In più di sei anni non ho ottenuto niente di concreto, e già da tempo la mia perseveranza ha valicato il confine con la stupidità. Ma non me la sento di mettermi a riflettere su un argomento così cruciale in questo momento; la cosa migliore da fare, per ora, è interrompere qualsiasi flusso di idee che coinvolga Lily Evans e concentrarmi sulla messa in atto della prima malandrinata del settimo anno.
È stata la migliore soluzione per cui optare, su questo non ci sono dubbi. Ho scartato immediatamente l’ipotesi di andare a Hogsmeade trascinandomi dietro gli altri, considerato che non ho assolutamente voglia di essere protagonista di una di quelle classiche scene melodrammatiche secondo cui io e Lily dovremmo incontrarci per caso (che poi caso non lo sarebbe davvero, dato che io so che lei è a Hogsmeade e che il villaggio è piccolo, motivo per cui le probabilità di incontrarsi sono estremamente alte) e, per farla breve io dovrei finire per dichiararle il mio amore eterno. Col cavolo. Il destino ha voluto che lei dovesse essere già impegnata quando io avrei potuto sfruttare l’occasione per chiederle di uscire, perciò, pazienza. Non ho intenzione di mettermi contro il fato. Ho accantonato anche la possibilità di rimanere in sala comune per tutto il pomeriggio davanti a un camino spento, girandomi i pollici e sospirando malinconicamente; non nutro certo il desiderio di trasformarmi in un patetico vittimista. Non voglio discutere di me e di lei, non voglio rimanere inattivo e non voglio andare a cercarla di proposito, perciò non vedo prospettiva migliore di questa, a conti fatti. Così, non ci ho pensato su due volte e mi sono messo a pianificare alacremente, cominciando forse a sentirmi finalmente meglio.
Peter mi ha chiesto perché non l’ho invitata lo stesso, fingendo di non sapere niente. Figurarsi. Non solo c’era la forte probabilità che, anche senza avere alcun impegno programmato, lei riuscisse a trovare qualche pretesto o qualche insulto efficace per respingermi ma, considerato che con il suo gruppo avevano già pianificato tutto fin nei minimi dettagli, sarei stato davvero un imbecille ad ignorare la cosa e presentarmi davanti a lei con le mie assurde pretese, sapendo che non c’era bisogno di inventarsi una scusa per dirmi di no. Sirius mi ha detto di consolarmi perché almeno non ci va con un altro, e io dopo quella frase ho categoricamente imposto di chiudere il discorso, una volta per tutte.
Ora devo solamente cercare di concentrarmi. Abbiamo deciso di optare per un piano semplice e lineare. Entrare nelle cucine durante il pomeriggio e Pietrificare gli Elfi Domestici, poco prima che venga servito il the delle cinque, e rendere quello destinato ai Serpeverde assolutamente disgustoso; dopodiché risveglieremo gli Elfi e modificheremo loro la memoria, attendendo con estrema soddisfazione che i nostri acerrimi nemici si gustino la loro merenda.
È stata la decisione di non buttare lo scherzo sul personale che ha convinto Remus a collaborare, e ora, mentre lui studia gli incantesimi che possono fare al caso nostro e Sirius sta a controllare che ne scelga uno abbastanza perfido, io e Peter stiamo compiendo qualche giro di ricognizione nella zona delle cucine, per assicurarci di avere campo libero per domani a quest’ora.
“Peccato che non siamo andati a Mielandia. Sarebbe stato soddisfacente abbuffarci di biscotti al cioccolato mentre i Serpeverde verranno presi da conati di vomito”, commenta Peter, in tono sognante. Io sorrido.
“Sempre a pensare al cibo, eh?” gli dico, spettinandogli affettuosamente i capelli. Lui però assume un’aria mortificata.
“Non volevo certo fartene una colpa, capisco benissimo che tu non voglia andarci …”
“Oh, no, non ti devi preoccupare …”
D’un tratto, un’idea fulminante mi attraversa la mente.
“Hai ragione. Senti, perché non finisci tu il giro di ricognizione mentre io mi intrufolo nelle cantine e porto via qualcosa per domani?”
In fondo non è mica come andare davvero a Hogsmeade, e nelle cantine non corro certo il rischio di incontrare Lily.
Mi ci vuole poco a convincere Peter, e tempo qualche minuto ho già raggiunto il passaggio segreto. Mi sono riempito le tasche e le braccia fino a scoppiare, vivendola quasi come una possibilità di espiazione per le colpe che ho accumulato nei confronti dei miei amici in questi giorni di intrattabilità. Riemergo dal passaggio segreto tentando di nascondere il carico di dolci e sacchetti vari sotto il mantello della divisa, dato che ho lasciato a Wormtail quello dell’Invisibilità. Ringrazio Merlino che siano tutti a Hogsmeade e che i ragazzini del primo e secondo anno non si azzardino a spingersi in zone così lontane, quando improvvisamente mi capita di svoltare un angolo e di sfiorare lo scontro frontale con una persona alta diversi centimetri meno di me.
“Potter, che diavolo fai?!”
Eh no, non è possibile. Questa è una persecuzione. Perché accidenti ho lasciato la Mappa del Malandrino e il Mantello nelle mani di Peter? Perché sono stupido, è l’unica ragione evidente.
“Niente che tu disapproveresti, se questo può rassicurarti”, rispondo, cercando di mantenere salda la voce. Ho a malapena la forza di guardarla mentre incrocia le braccia sul petto e mi squadra con i suoi occhi verdissimi, e sento che la gola mi si è totalmente seccata.
“Ti è caduto qualcosa”, mi dice lei, con voce neutrale, chinandosi a raccogliere uno dei numerosi frutti della mia rapina a Mielandia che mi sono volati via dalle braccia al momento dell’impatto mancato. Come diavolo ho fatto a non sentirla arrivare? Non ci si può Materializzare e Smaterializzare all’interno di Hogwarts, che diamine …
“Da dove arrivi con questa roba? Non ti ho visto a Hogsmeade”, mi chiede, osservandomi con aria sospettosa. Io cerco di infilarmi tutto quanto nelle tasche, in preda all’imbarazzo più totale.
“Tu che ci fai qui?” chiedo in tutta risposta, bruscamente. La sua espressione confusa si spiana all’istante in un profondo scetticismo perplesso.
Io pattuglio i corridoi, compito che tu ti preoccupi di eseguire soltanto sotto mia costrizione”, mi risponde, posandosi le mani sui fianchi. Io sto per avere un collasso emotivo, considerando che non avevo nessuna intenzione di incontrarla e che ho preso ogni precauzione per far sì che ciò non avvenisse, eppure è successo ugualmente. Perché, per Merlino, devo essere sempre così dannatamente sfortunato?
“Chi ti dice che non lo stessi facendo anch’io, in questo momento?” le chiedo, cercando di non suonare troppo ironico. Lei piega le labbra in un sorriso appena accennato che mi fa quasi andare fuori di testa.
“È piuttosto divertente vedere quanto nemmeno tu ci creda, di potermi prendere in giro con queste scuse campate in aria”, mi risponde, con quel tono bonario e sarcastico che ha l’abitudine di assumere con me ultimamente. Io deglutisco a vuoto, cercando di pensare a come tirarmi fuori dai guai in modo rapido ed indolore.
“Vuoi una Cioccorana?” le chiedo, ostentando l’aria più sfacciata di questo mondo. Lei mi guarda con un’espressione a metà fra la risata e lo sbigottimento, e io mi chino a raccogliere un paio di altri pacchetti da terra.
“Se non ti va, ho anche le gelatine Tuttigusti +1 … beh, diciamo che ho più o meno tutto”.
“Vanno bene le Cioccorane, grazie”, mi dice lei, con un sorriso e uno sguardo quasi imbarazzato. Io sono ancora piuttosto traumatizzato. Apro il sacchetto e glielo allungo e lei, dopo averne presa e scartata una, rimane a fissare la figurina di Dylis Derwent con ancora quello strano sorriso. Per non rimanere a fissarla inebetito mentre mangia, mi affaccendo a cercare uno spazio per le mie scorte anche nelle tasche interne del mantello, di modo da non starmene lì in piedi con delle riserve di dolci tra le braccia.
“Sai, in certi momenti riesci perfino a farmi dimenticare quanto tu riesca ad essere insopportabile”, mi dice, nel momento in cui io ho appena finito di imbottirmi dappertutto. All’inizio rimango a fissarla sbalordito, poi ritorno in me e scrollo la testa, esasperato.
“Suppongo che questi momenti in genere corrispondano alle mie pause di silenzio”, borbotto, e sento che lei scoppia a ridere di gusto. Ispiro proprio ilarità, non c’è che dire.
“Oh, no, per una volta ti giuro che non volevo essere cattiva …”
Io sbarro gli occhi senza ritegno, stupefatto. Non riesco a credere alle mie orecchie, è impossibile che abbia davvero detto una cosa del genere. Una frase simile non può realmente essere uscita dalla sua bocca. E a giugno aveva anche dichiarato che il giorno in cui mi avrebbe rivolto un complimento era ancora molto lontano …
Ci guardiamo per qualche istante, senza dire niente, mentre lei sorride ancora. Io non ce la faccio. Non ce la faccio a stare fermo. Devo assolutamente fare qualcosa, perché o lo faccio ora o non lo farò mai più, ho dovuto aspettare più di sei anni per avere una simile occasione e adesso che ce l’ho non posso permettermi di sprecarla. Quel poco di follia necessaria a tradurre i propositi in atto mi scorre dentro tutto d’un colpo, e mi dà la forza di far compiere al mio corpo i gesti che mi sono prefigurato. Faccio un passo avanti, la prendo per un braccio, la avvicino a me posandole una mano tremante sulla schiena e scacciando la vergogna che sto provando mi chino su di lei con rapidità, e arrivo a sfiorarle le labbra. Cerco di darmi maggiore impeto per non sembrare uno scemo, ma dopo appena un secondo di cocente imbarazzo lei si stacca bruscamente da me, spingendomi via con un gesto secco.
Lo sapevo, che sarebbe stato un fiasco totale.
“Come diavolo ti è saltato in mente di prenderti simili libertà solo perché per un momento ho abbassato la guardia?”
Alzo lo sguardo, la fisso negli occhi. È infuriata. Io vorrei solo poter cancellare quello che ho appena fatto, oppure sentirmi aprire una voragine sotto i piedi e scomparire provvidenzialmente dalla sua vista. Ma qualcosa mi spinge inaspettatamente a reagire, come se mi stesse venendo un violento bruciore di stomaco.
“Oh, ti prego. Non è mica una guerra”.
“Ti sembra una scusa accettabile?! Da che cosa hai dedotto di poter fare quello che hai appena fatto?”
“È ridicolo, non l’ho dedotto proprio da un bel niente! L’ho fatto e basta, perché volevo, e anche se l’avessi fatto per qualsiasi altra ragione non ti deve importare, io non ti devo nessuna spiegazione!”
Mi rendo conto perfettamente del modo in cui sto gridando contro di lei, ma non ce la faccio a trattenermi. L’umiliazione mi brucia dentro in maniera esorbitante, è più forte di me.
“Oh, certo, allora usami pure come un oggetto, io me ne starò buona e zitta e ti assicuro che non farò domande”, ribatte lei, in tono pesantemente sarcastico. Non è giusto, non è affatto giusto. Perché, per una volta, non può semplicemente chiudere la bocca e risparmiarsi di gettarmi fango addosso?
“Come se tu non lo sapessi, perché l’ho fatto”, commento, in tono aspro. Lei si blocca e mi guarda smarrita, e per un attimo la rabbia cede il posto alla confusione nei suoi occhi.
“Tu mi hai colto di sorpresa, non è giusto, io …”
“Sì, tu avresti dovuto scegliere la data e l’ora con una settimana di preavviso per prepararti psicologicamente all’evento! Così avresti potuto allenarti meglio a darmi uno spintone non appena avrei deciso di provare a baciarti!”
Lei mi guarda, con aria ferita.
“Certo, parla pure quanto vuoi”.
“Sì, perché sono stufo, Evans! Mi sono rotto le scatole di logorarmi l’anima per te e ricavarne soltanto i tuoi umilianti rifiuti!”
Sto esagerando, non le ho mai detto cose del genere in vita mia e so che otterrò soltanto di farla arrabbiare ancora di più, ma ormai il mio istinto di prevaricazione è più forte di qualsiasi cosa; il mio unico desiderio è quello di sbatterle in faccia la realtà, di farle capire quanto accidenti ci sto male per colpa sua.
“Nessuno ha stabilito che io ti debba un premio per il tuo impegno, Potter!”
“Non la sto mettendo su un piano competitivo, non ti scaldare … l’ho capito tempo fa che ti facevo schifo, ne ho preso atto e, per quanto tu possa pensare che la mia vanità sia infinita, mi sono dato da fare e sono cambiato, e il fatto che tu non te ne sia accorta è solo dovuto ai tuoi ottusi pregiudizi!”
“I miei ottusi pregiudizi li hai creati tu con i tuoi cinque anni di massima odiosità!”
“Benissimo, allora se ti risulto odioso non rivolgermi più la parola”.
“Con piacere!”
Questa volta me la sono proprio cercata, davvero.
Lei se ne va, girando sui tacchi e dandomi le spalle, i capelli che le ondeggiano sulla schiena. Io distolgo lo sguardo, mentre un misto di rabbia e di dolore lancinante mi fa pizzicare gli occhi di lacrime. Impreco mentalmente contro me stesso fissando il vuoto e stringendo i pugni, quasi ansimando per lo sfogo, sentendomi contorcere le viscere e il volto. Sono stato davvero bravo. L’ho insultata, umiliata e cacciata nel momento in cui, forse, lei si stava davvero avvicinando a me. Ho rovinato tutto credendo che fosse l’unica possibilità di poter avere successo con lei e di realizzare finalmente il sogno della mia vita, e ora tutto quello che posso fare è piangermi addosso. Patetico. Mi sono voltato per non dover stare a guardarla andare via, e con le mani che mi tremano raccolgo i resti dei miei furti dal pavimento, per poi rigettarceli e mettermi a fissare il muro imprecando mentalmente.
Non riesco a trattenermi e tiro un pugno violento al muro. È finita. Meglio che cominci a mettermi il cuore in pace sul serio, perché da oggi in poi non potrò più illudermi di avere speranze. Mi sono esposto nel modo più esplicito possibile e lei ha dimostrato di non gradire, e questo significa che non c’è altro da fare. Tutti quei segnali ambigui che Remus e Peter si sono divertiti ad interpretare, sicuri di avere ragione, erano solo stupidi e banali fraintendimenti, patetici tentativi di ricercare un significato nascosto che non c’era.
Sento dei passi alle mie spalle. Non muovo un muscolo, volontariamente; non mi interessa sapere chi sia né che vuole da me, per una volta voglio soltanto essere lasciato in pace. Non riuscirei a non scaricare la mia rabbia su di un altro essere umano, di chiunque si tratti. Ma all’improvviso catturo un movimento con la coda dell’occhio, mi sento afferrare per la spalla e voltare bruscamente indietro, faccio appena in tempo a sollevare lo sguardo per trovare una risposta adeguatamente tagliente da rifilare alla persona in questione che subito sento una mano afferrarmi la nuca e costringermi a chinarmi con un gesto secco, ho solo una visione momentanea e sfuggente che non mi permette di cogliere i dettagli né di ragionare su quanto sta accadendo e poi avverto un’inspiegabile pressione sulle labbra – Godric, che cavolo sta succedendo?
Chiudo gli occhi mentre lo stomaco mi si contorce e il cuore per poco non mi si ferma per lo spavento. Capisco che non sto sognando nel momento in cui riconosco istintivamente quelle labbra, anche se il bacio di prima è stato il più umiliante e il più breve della mia vita. Le immagini fugaci dell’attimo precedente mi ripassano nella mente a velocità stratosferica, ma per quanto siano confuse ho il ricordo sicuro di quei capelli rossi e di quegli occhi fiammeggianti, e giuro che tra poco mi viene un infarto se non la smette. Mi sta baciando. Io non riesco a crederci, non riesco nemmeno a pensare. Mi sento battere il cuore all’impazzata. Non può essere vero. Sono rigido come un manico di scopa, e provo a sciogliermi un po’, per quanto possibile, ma sono troppo occupato ad impegnarmi per baciarla bene. Questo non me lo doveva fare. Avevo sempre immaginato di poter riuscire a baciarla dopo averla incantata con il mio fascino, calibrando i gesti, decidendo coraggiosamente di prendere in mano la situazione e osservando compiaciuto che la mia sicurezza e la mia prontezza l’avrebbero resa improvvisamente docile e disposta a farsi guidare da me, a farsi chiudere nel mio abbraccio, a prendere parte alla mia iniziativa dopo un primo momento di smarrimento del tutto naturale, in cui comunque io avrei detenuto il controllo superiore. E invece no. Lei mi ha afferrato rudemente, mi ha abbassato la testa con un gesto secco e perentorio per arrivare alla mia altezza e mi ha baciato. E poi dicono che gli uomini sono dei bruti. Lei la delicatezza femminile se l’è scordata chiusa in un libro, probabilmente.
Il problema è che devo per forza reagire, o ci faccio la figura dello stupido. E alla fine reagisco. Approfondisco il bacio, con la massima delicatezza ma con decisione, e per poco non ho un collasso constatando che lei mi lascia fare senza opporre resistenza – sembra soltanto trattenere il fiato. Mi schiodo dalla mia posizione di massima tensione e mi sistemo meglio sulle gambe, posandole una mano sulla schiena e attirandola verso di me, mentre con l’altro braccio le circondo le spalle e le accarezzo lievemente la testa, riuscendo finalmente a sentire quanto sono lisci i suoi capelli …
Poi lei si allontana di nuovo, e toglie dalla mia nuca quella mano che mi faceva scorrere brividi violenti lungo la spina dorsale, a contatto diretto con la pelle. L’altra rimane ancora per un breve secondo poggiata sulla mia spalla, quel tanto che basta perché mi renda conto di quanto mi stesse tenendo stretto. Non voglio aprire gli occhi ma alla fine lo faccio, e mi trovo davanti il suo viso sconvolto, come prevedibile.
Solo che questo ero preparato ad affrontarlo nella situazione in cui ero io a baciare lei.
Credo di averle appena lanciato uno sguardo disperato. Non voglio che vada via. Sto per avere un crollo psicologico, ma è stato troppo bello perché finisca subito, e devo riprovarci per rendermi finalmente conto che è tutto vero.
“Non dire niente, per favore”.
“Come sarebbe a dire non …”
“Sarebbe a dire che non è il momento!” strilla lei, con un’intonazione quasi isterica. Io la guardo, mentre lo sconforto mi invade. Lo sapevo. Ora comincerà a pentirsene. È inevitabile, ma nemmeno a questo ero preparato.
“Devo andare, scusami”.
Prevedibile. Davvero troppo prevedibile. Non riesco a sostenere il suo sguardo, e mi limito ad annuire lievemente fissando una qualsiasi delle crepe nel muro. È sufficiente qualche secondo e poi lei se ne va davvero, camminando in fretta. Questa volta rimango a guardarla in silenzio finché non scompare dalla mia vista. Il cuore mi pesa come un macigno. Non riesco a crederci, questo è l’unico pensiero coerente che riesco a formulare.
 

***

Mentre procedo a passo misurato per la mia strada, a un certo punto, mi pare di sentire il distinto rumore di uno scalpiccio in uno dei corridoi laterali. Mi affretto in quella direzione per andare a controllare, e un momento dopo ringrazio Godric di essermi fermata esattamente un passo prima di finire addosso a una persona che ha ben pensato di svoltare l’angolo nello stesso momento in cui l’ho fatto io.
Alzo lo sguardo e per poco non trasecolo.
“Potter, che diavolo fai?!”
Va bene, avevo intuito senza problemi che non si trovasse a Hogsmeade, ma di sorprenderlo a bazzicare da quelle parti non me l’aspettavo proprio.
“Niente che tu disapproveresti, se questo può rassicurarti”, tenta di tranquillizzarmi, con un’aria schiva molto poco convincente. Lo osservo con attenzione per qualche secondo, dopodiché mi do per caso un’occhiata attorno.
“Ti è caduto qualcosa”, gli faccio notare, chinandomi a raccogliere un pacchetto che sembra contenere i dolci di Mielandia. La faccenda non mi quadra.
“Da dove arrivi con questa roba? Non ti ho visto a Hogsmeade”, gli domando, e lui sembra essere improvvisamente impossessato da un’ansia frenetica di nascondere nelle tasche del mantello tutti i suoi beni sparsi a terra.
“Tu che ci fai qui?” mi chiede, di rimando, cogliendomi assolutamente di sorpresa. Sbaglio o ero io che facevo le domande, tra i due?
Poi comprendo che è soltanto un altro dei suoi tentativi di svicolare.
Io pattuglio i corridoi, compito che tu ti preoccupi di eseguire soltanto sotto mia costrizione”, rispondo, osservando la sua espressione farsi sempre più smarrita. Sembra essere stato colto da una crisi di panico. Forse, da brava Caposcuola, dovrei perquisirlo per verificare che non se ne stia andando in giro con fuochi d’artificio del dottor Filibuster o roba del genere; tuttavia, averlo davanti con quell’aria così vulnerabile riesce a intenerirmi.
“Chi ti dice che non lo stessi facendo anch’io, in questo momento?” mi domanda, in tono incerto, lasciandosi sfuggire l’ombra di un sorriso involontario a fine frase. Come se si fosse reso conto di aver detto un’assurdità. Non riesco a trattenermi e sorrido anch’io, scuotendo la testa.
“È piuttosto divertente vedere quanto nemmeno tu ci creda, di potermi prendere in giro con queste scuse campate in aria”, gli rispondo, con un’indulgenza che non sono capace di frenare.
“Vuoi una Cioccorana?” mi domanda lui, dopo qualche secondo, e io per poco non scoppio a ridere per la sorpresa. Se c’era una cosa che non mi aspettavo certo di sentirmi dire, quella era proprio “vuoi una Cioccorana”.
“Se non ti va, ho anche le gelatine Tuttigusti +1 … beh, diciamo che ho più o meno tutto”, dice lui, gettando un’occhiata ai due pacchetti che ha appena raccolto da terra.
“Vanno bene le Cioccorane, grazie”, rispondo, in tono pacato. Mi porge il pacchetto e io pesco un cioccolatino e lo scarto, rimanendo a fissare imbambolata la figurina di Dylis Derwent che ci ho trovato dentro. Ne ho già un paio sue, ma penso proprio che la conserverò ugualmente. Mi sembra talmente incredibile di essere lì a mangiare una Cioccorana dietro offerta di Potter; fosse stato appena un anno fa, probabilmente gli avrei suggerito di ficcarsela su per qualche orifizio. Immancabilmente, poi, penso a quando la Cioccorana gliel’ho offerta io, quel giorno che mi è toccato scusarmi con lui per averlo calunniato ingiustamente; ormai, pare sia diventato il nostro simbolo riconosciuto della richiesta di cessare le ostilità. Non è passato molto tempo da quell’episodio, eppure le cose sono cambiate in maniera quasi radicale; ora è persino piacevole fermarsi a parlare con lui, anche se continuano ad esserci delle volte in cui riesce a farmi venire voglia di prenderlo a pugni.
Sollevo di nuovo lo sguardo mentre si imbottisce le tasche interne del mantello con i restanti pacchetti di dolciumi, e in quel momento mi sento improvvisamente ed inspiegabilmente disposta a scucirmi le labbra.
“Sai, in certi momenti riesci perfino a farmi dimenticare quanto tu riesca ad essere insopportabile”, gli dico, con un sorriso, scatenando la sua reazione più sbalordita. Un attimo dopo, però, stranamente, s’incupisce, e incrocia le braccia con rassegnazione.
“Suppongo che questi momenti in genere corrispondano alle mie pause di silenzio”, bofonchia con delusione, e io scoppio a ridere divertita; inutile, pare non ci sia proprio verso di far cessare il suo immotivato autolesionismo. E va bene, indubbiamente negli scorsi sei anni ho ampiamente contribuito a ledere la sua autostima, ma adesso che è cresciuto non c’è motivo di infierire ancora così tanto.
“Oh, no, per una volta ti giuro che non volevo essere cattiva …”
È strano il modo in cui mi guarda, ora, con quegli occhi sgranati. Sembra davvero sorpreso, tanto da non riuscire a riprendersi per poter cominciare a vantarsi ironicamente della sua avvenenza e piacevolezza, e probabilmente il suo stupore mi contagia, perché quando si avvicina facendo un passo verso di me rimango perfettamente immobile, senza riuscire a capire che cosa gli stia passando per la testa. Sembra aver ingaggiato una profonda lotta fra imbarazzo e determinazione nel momento in cui mi prende per un braccio portandomi ancora più vicino, e …
E l’attimo dopo sta tentando di baciarmi.
No, un momento. Qui c’è qualcosa che non va. Non gli ho detto che poteva baciarmi, per la barba di Merlino, gli ho soltanto detto che riesce ad essere una persona piacevole … Tutto questo è un grosso, clamoroso equivoco, io non pensavo che potesse farlo, io …
Miseriaccia, Lily, fa’ qualcosa!
La mia paralisi presto svanisce, la reazione si innesca e mi stacco bruscamente da lui.
“Come diavolo ti è saltato in mente di prenderti simili libertà solo perché per un momento ho abbassato la guardia?”
È incredibile. Incredibile. Non ho avuto la forza di reagire per almeno una decina di secondi in cui avrei potuto benissimo capire che diavolo stesse cercando di fare, e invece ho lasciato che si avvicinasse e poi sono caduta dal pero, sbattendo violentemente l’osso sacro.
“Oh, ti prego. Non è mica una guerra”, sbotta lui, assumendo un tono sprezzantemente scostante. Il riemergere di quella traccia della sua arroganza mi fa subito infuriare, e non riesco a fare a meno di attaccarlo.
“Ti sembra una scusa accettabile?! Da che cosa hai dedotto di poter fare quello che hai appena fatto?”
“È ridicolo, non l’ho dedotto proprio da un bel niente! L’ho fatto e basta, perché volevo, e anche se l’avessi fatto per qualsiasi altra ragione non ti deve importare, io non ti devo nessuna spiegazione!”
Eccolo lì di ritorno, il bulletto sbruffone che riteneva di non dover rendere conto a nessuno delle sue azioni sconsiderate. Merlino, solo ora riesco a ricordarmi quanto lo odiassi.
“Oh, certo, allora usami pure come un oggetto, io me ne starò buona e zitta e ti assicuro che non farò domande”, replico, sfoggiando tutto il mio sarcasmo più sferzante. Se crede davvero di poter fare tutto quello che vuole con me, beh, allora gli dimostrerò che si sbaglia di grosso.
“Come se tu non lo sapessi, perché l’ho fatto”, mi accusa, con un’intonazione che di colpo mi provoca un tonfo al cuore, ricordandomi immediatamente l’espressione ferita con cui ha reagito alle mie querele al termine dello scorso anno. Il bilancio che avevo tratto da quegli eventi era che Potter avesse dei sentimenti, e anche profondi, e ora, in un momento così imbarazzante, lui è qui a rinfacciarmelo, e io non so assolutamente che cosa dire.
“Tu mi hai colto di sorpresa, non è giusto, io …”
“Sì, tu avresti dovuto scegliere la data e l’ora con una settimana di preavviso per prepararti psicologicamente all’evento! Così avresti potuto allenarti meglio a darmi uno spintone non appena avrei deciso di provare a baciarti!”
Riesco a pensare soltanto una cosa, in questo momento.
Se solo non avesse deciso tutto così su due piedi, dannazione …
“Certo, parla pure quanto vuoi”, gli rispondo, amaramente, sentendomi sferzata nel profondo da quella sua accusa. Come se davvero non me ne importasse niente dei suoi sentimenti, e mi divertissi a calpestarli, anche ora che so che sono sinceri. Ma per favore. Non ho un cuore di pietra, che diamine.
“Sì, perché sono stufo, Evans! Mi sono rotto le scatole di logorarmi l’anima per te e ricavarne soltanto i tuoi umilianti rifiuti!”
Soltanto i miei …
Dopo che ormai non riesco a pensare altro se non che mi fa tenerezza – cosa inaudita e assolutamente non da me – e che mi fa piacere passare del tempo con lui, dopo che finalmente stavo riuscendo ad aprirmi di mia spontanea volontà, dopo che avevamo iniziato, in un certo senso, ad avvicinarci è inaudito che osi infamarmi in un modo simile.
“Nessuno ha stabilito che io ti debba un premio per il tuo impegno, Potter!” esclamo, tentando di fargli abbassare di nuovo la cresta. Lui risponde con una risata beffarda.
“Non la sto mettendo su un piano competitivo, non ti scaldare … l’ho capito tempo fa che ti facevo schifo, ne ho preso atto e per quanto tu possa pensare che la mia vanità sia infinita, mi sono dato da fare e sono cambiato, e il fatto che tu non te ne sia accorta è solo dovuto ai tuoi ottusi pregiudizi!”
Ah, non me ne sarei accorta, eh?! E di chi sarebbe la colpa se lui, povero caro, si è comportato in maniera sufficientemente insopportabile da farmi desiderare di preferirgli una Piovra Gigante per tutto questo tempo?
“I miei ottusi pregiudizi li hai creati tu con i tuoi cinque anni di massima odiosità!” gli ricordo, ormai sgolandomi senza remore.
“Benissimo, allora se ti risulto odioso non rivolgermi più la parola”, ribatte lui, chiudendosi nella sua irritazione.
“Con piacere!” lo accontento, senza problemi, e mi allontano immediatamente, a passi rapidi, stringendo i pugni per cercare di incanalare la rabbia sorda che mi cresce dentro.
È assurdo, semplicemente assurdo. Ma Potter ce l’ha un cervello, che diamine?! Se n’è accorto che ho smesso di insultarlo, e che avevamo cominciato – per quanto paradossale potesse sembrare – ad andare d’accordo? Ha notato, dall’alto del suo piedistallo, che per amor suo gli stavo davvero dando la possibilità di riscattarsi con me? Non sono il tipo che cambia facilmente idea, e questo lo sanno tutti, perciò non riesco proprio a capire che diavolo volesse che facessi o dicessi di più per farglielo capire. Lui e i suoi complessi da strapazzo, ma sentilo un po’! Io potrò anche aver sbagliato a giudicare il suo cambiamento come una farsa, ma ho riconosciuto il mio errore e ho cercato di rimediare, e non l’avrei fatto con chiunque, nossignore, quindi, per la barba di Merlino, si può sapere che diavolo gli è preso? E va bene, è incommensurabilmente idiota e questo l’ho sperimentato in più di un’occasione, ma mi sembrava che la faccenda fosse intelligibile anche per chi non possiede capacità cerebrali troppo elevate …! Non sono un essere senza cuore, che diamine, e non ho … va bene, non ci ho pensato, non ho pensato che potesse tornare a farsi coraggio e provarci così apertamente, non me l’aspettavo e non mi sembrava di aver ricevuto nessun segnale particolare, anche perché era da tanto che non mi chiedeva più neanche di uscire, ed è vero, non mi piace essere colta di sorpresa perché poi non so mai come reagire e vado in panico, ma questo non significa un bel niente! Lui e tutte le sue presupposizioni del cavolo, vorrei prenderlo a schiaffi, o a pugni, a pugni nello stomaco, sì, esatto, in modo da fargli male, un male cane, così forse il dolore gli aprirebbe gli occhi e la pianterebbe di essere così stupido …
No, non esiste. Ora glielo vado a dire. Ora torno indietro e gliene dico quattro, e poi voglio proprio vedere cos’avrà il coraggio di rispondere. Come se io fossi così crudele da permettermi di giocare con lui a mio piacimento, come se fossi così perfida da volerlo vedere strisciare ai miei piedi per poi respingerlo per chissà quale ragione, ma si rende conto delle fesserie stratosferiche che gli sono uscite di bocca?! Ora me la paga, questo è poco ma sicuro. Gliela faccio vedere io …
Eccolo, non si è mosso da lì. Fissa il muro con le lacrime agli occhi, atteggiandosi a supremo incompreso di turno. Idiota, razza di idiota totale, ottuso come pochi riescono ad essere, mi verrebbe voglia di farti a brandelli, di farti capire le cose come stanno lasciandoti talmente a bocca aperta da non riuscire a pronunciare nemmeno una sillaba, io …
Io non so che diavolo sto facendo.
Lo sto baciando. Oh, Merlino, lo sto baciando davvero. No, un momento. Ci dev’essere qualcosa che non va. Non posso averlo fatto io, tutto questo. Me lo sto immaginando, devo cercare di tornare in me …
La rabbia deve avermi accecata, ma questa non è una reazione normale. Io volevo suonargliele, non baciarlo. Però è quello che ho fatto. Strattonarlo, alzarmi in punta di piedi e baciarlo. In modo rude e violento. Lo so che è paradossale. Lo so che i baci non li hanno inventati per sfogare la propria rabbia, ma in quanto dolci dimostrazioni di affetto. Eppure, in qualche modo realizzo che gli sto proprio esprimendo affetto … me ne accorgo quando lui comincia a riprendersi dalla sorpresa iniziale, e dal baciarmi per reazione in maniera sconnessa prende a baciarmi con più emozione e con più abilità, in quello che ormai non è più uno scontro di labbra in cui io lo assalgo con veemenza, ma un qualcosa che, perso l’impeto iniziale, sta assumendo dei connotati pericolosamente passionali. Sento che mi sto lentamente lasciando andare, che questa cosa mi piace. Mi sento bene, per qualche paradossale istante mi sto davvero sentendo bene, accetto il contatto della sua mano sulla mia schiena e delle sue dita fra i miei capelli senza problemi, è come se tutto il nonsenso e la rabbia fossero stati inghiottiti da un vortice che mi fa quasi rabbrividire, e mi accorgo che di nuovo mi fa tenerezza, ma una tenerezza in grado di farmi martellare il cuore e sentirmi sciogliere le ginocchia, una tenerezza che non ho mai provato, che sento di voler ricambiare con tutte le mie forze perché anch’io voglio essere in grado di esprimergli una cosa del genere, una cosa che lasci senza fiato e annulli la capacità di pensare in modo coerente …
Per questo mi interrompo. Bruscamente, senza concedermi la possibilità di esitare. Non posso permettermi di perdere il controllo e di lasciarmi sopraffare da qualcosa di cui nemmeno conoscevo l’esistenza. Devo essere impazzita. Non mi ero resa conto che mi piacesse. Non avevo mai contemplato la possibilità di baciarlo, né soprattutto di prendere io l’iniziativa. È mai possibile che non l’abbia capito? Che io non sia riuscita a comprendere qualcosa di me stessa? E poi, posso essere davvero così sicura della conclusione raggiunta? Magari ho soltanto agito per inerzia, magari in realtà non significa niente …
Ho un violento tuffo al cuore quando i suoi occhi incontrano i miei. Sembra spaventato, ha il fiato corto come se si fosse dimenticato di respirare. Ha un’espressione implorante che riesce a farmi male per la sua intensità, e improvvisamente mi ritrovo a pensare che davvero non avevo capito quanto mi piacesse, quanto fosse in grado di incantarmi con quella sua aria così scoperta e vulnerabile.
Ho bisogno di calmarmi e di recuperare il controllo, altrimenti è la fine.
“Non dire niente, per favore”, gli chiedo, e lui mi fissa confuso.
“Come sarebbe a dire non …”
“Sarebbe a dire che non è il momento!” lo interrompo, bruscamente, e lui s’intristisce di colpo. Vorrei seppellirmi seduta stante. Ci sta male e non capisce, me ne rendo conto, ma santo cielo, è Potter, io ho baciato Potter, e credo di avere tutti i diritti di essere sconvolta. Non l’avevo previsto, non pensavo che avrei mai potuto desiderare una cosa del genere, la situazione è mi completamente sfuggita di mano e io sto iniziando a non sentirmi bene.
“Devo andare, scusami”, gli dico, dopo aver esalato un profondo sospiro. Non posso fare altro, in questo momento.
Gli parlerò. Giuro che gli parlerò. Appena avrò le idee chiare, non mi tirerò indietro – non ho nessuna intenzione di comportarmi da vigliacca e di ignorare tutto ciò che è successo – ma adesso è veramente troppo, non riuscirei a mettere insieme una frase di senso compiuto, e non sarei capace di fornirgli spiegazioni soddisfacenti. Lui non mi guarda e annuisce, ed è sconcertante l’impulso che provo di fargli almeno una carezza per farlo sentire meglio, per fargli capire che ci tengo e non voglio vederlo così, ma poi mi rendo conto che se lo facessi sembrerei davvero una stupida. Meglio che me ne vada. Meglio che mi sbrighi a riflettere su questa cosa. Se non capisco in fretta cosa mi sta succedendo, giuro che impazzisco.


 
It’s not what you thought
When you first began it.
You got what you want,
Now you can hardly stand it through.

(Aimee Mann, Wise Up)

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Capitolo 10
*** Colloportus ***


Capitolo 10
Capitolo 10 - Colloportus




“Ti piaccio perché sono una canaglia. Non ci sono canaglie nella tua vita”.

(George Lucas, Star Wars – The Empire Strikes Back)




10 settembre 1977
 
Devo riconoscere che forse questa è davvero la prima volta nella mia vita in cui mi rendo conto di non sapere assolutamente che cosa fare. Non nel senso che mi ritrovo a scartare mentalmente varie ipotesi perché non le ritengo accettabili una volta sottoposte ad un attento esame riflessivo, ma che sono proprio in preda ad un completo vuoto mentale.
Sono bastati pochi minuti, durante i quali sono rimasto fermo nella stessa posizione senza muovere un solo muscolo, per far sì che cominciassi a domandarmi se ho davvero vissuto quel momento. Cerchiamo di vedere la situazione in un’ottica razionale: non può essere successo veramente. Io e lei avevamo appena finito di urlarci contro. Avevo fatto di tutto per evitarla. Circa un anno e mezzo fa, lei aveva dichiarato che avrebbe preferito una Piovra Gigante a me.
Ora basta, devo andare dagli altri.
Attraverso i corridoi deserti con un’aria da spiritato che potrebbe benissimo farmi scambiare per un fantasma, riesco a malapena a sussurrare con voce roca Schiopodo Sparacoda di fronte alla Signora Grassa – che non manca di consigliarmi premurosamente di prepararmi una pozione per il mal di gola – e finalmente raggiungo la sala comune, dove Sirius, Remus e Peter, tranquillamente accomodati sul divano, sollevano la testa all’unisono dalla Mappa del Malandrino e mi scrutano con aria perplessa.
“Perché sei rimasto fermo per dieci minuti nella zona della Strega Orba?”
“E perché il puntino nero della Evans era pericolosamente vicino al tuo, prima di quei dieci minuti?”
Le parole non mi escono dalla gola. Tutto quello che riesco a fare è sorridere nervosamente, reagendo nel modo più stupido e insensato possibile, quindi raggiungere una poltrona e sedermici sopra a peso morto, fissando il vuoto.
Sento immediatamente piombarmi addosso gli sguardi preoccupati e perplessi dei miei amici che, dopo essersi guardati tra loro a vicenda, come per convenire silenziosamente sulla mia irrimediabile pazzia, si alzano dal divano e mi si avvicinano a passi furtivi, come se temessero di spaventarmi con movimenti troppo bruschi.
“James”, mi chiama Remus, in tono incerto.
“James …”
“Prongs …”
“Chi è stato a farti diventare sordo?” urla Sirius, rompendo di colpo la trepidazione apprensiva del momento. Deglutisco pesantemente, risoluto a smettere di comportarmi da idiota e a ritrovare la forza per mettere insieme una frase sensata.
“Lily”, bofonchio, gettandomi a peso morto contro lo schienale. Sirius mi guarda storto.
“La Evans ti ha fatto diventare sordo? Beh, c’è da dire che diventa sempre più simpatica ogni giorno che passa …”
“Sirius, se James ti ha risposto significa che non è sordo”, osserva Remus, sfoggiando la sua perplessità in quel suo tipico sopracciglio inarcato. Sirius lo squadra con un’occhiata minacciosa.
“Sei l’unico qui dentro che non ha colto il tono ironico del mio commento, signor Sapientino”, ribatte, seccamente.
“Non …”
I miei amici mi stanno mettendo addosso ancora più ansia di quanta già io non ne abbia in corpo, e improvvisamente sento di avere soltanto bisogno d’aria.
“Andiamo via”, sentenzio, poi mi alzo e afferro Sirius per una manica, mi accerto che Remus e Peter mi seguano, mi dirigo verso il buco del ritratto e li guido verso l’ingresso del passaggio segreto che porta alla Stamberga Strillante. Facciamo tutta la strada in silenzio, finché l’aria fredda della sera non mi sferza la faccia una volta usciti dall’ingresso del Platano Picchiatore. Mi dirigo a passi rapidi verso il limitare della Foresta Proibita, stringendomi nel mantello per ripararmi dal vento.
“Che sta succedendo?” mi chiede Remus, con gentilezza, posandomi una mano sulla spalla. Io lo guardo con aria smarrita, non riuscendo a fare altro.
“Io … non lo so. Giuro che non capisco. Non c’è una spiegazione logica, non ci può essere …”
“Saresti così gentile da informarci? Altrimenti, puoi scordarti che capiamo a che cosa tu ti stia riferendo”.
Ricambio con incertezza lo sguardo di Sirius, poi cerco di infondermi un minimo di coraggio per mettere insieme una frase di senso compiuto.
“Beh, ecco, diciamo che Lily mi ha …”
“Ti ha violentato?”
“SIRIUS!”
“Guardalo, è sconvolto! Mi sembra l’unica causa possibile!”
“Rendi la cosa un po’ meno drastica”, dico debolmente al mio migliore amico. Lui mi guarda con aria dubbiosa.
“Ti è saltata addosso, allora”.
Annuisco appena, sentendomi opprimere dall’imbarazzo.
“Più o meno”.
Alzo lo sguardo, e noto che i miei tre amici mi stanno fissando con gli occhi fuori dalle orbite e privi di qualsiasi riguardo nei miei confronti, come se non avessero colto il mio disagio già piuttosto consistente.
“Fammi capire … ti è saltata addosso in questo modo?” mi chiede Sirius avvinghiandosi di colpo a Remus, come se si fosse trasformato nella reincarnazione della Piovra Gigante. Io li osservo con aria critica, passando dallo sguardo interrogativo di Sirius all’espressione allibita di Remus, fino a quella meravigliata di Peter.
“Uhm … è stata una cosa leggermente più violenta”, rispondo, mentre Moony si gira verso Pads e, constatando che la sua faccia si trova a pochi centimetri di distanza, se lo scrolla di dosso con disinvoltura.
Non faccio nemmeno in tempo ad aprire la bocca per aggiungere qualcosa che smorzi la tensione, prima che Sirius guardi Remus con aria minacciosa, poi si giri verso Peter e scoppi fragorosamente a ridere, coinvolgendo anche gli altri due nella sua esplosione di ilarità.
“Non posso crederci, la Evans che ti salta addosso! Amico, dovevi chiamarmi, non posso essermi perso una scena simile!” esclama Sirius. Io storco la bocca, senza proferire una sola parola. Mi limito ad osservarli ostentando tutto il mio disappunto mentre loro quasi si rotolano a terra dalle risate, in preda a violente crisi convulsive. Peter ridacchia in tonalità acutissime, Sirius sta latrando indecentemente, Remus si preme le mani sullo stomaco. Non posso crederci, mi stanno deridendo apertamente nel momento in cui io avrei maggiormente bisogno del loro sostegno.
“Scusami, Prongs …” mi dice Moony che, preso da un vago senso di colpa, sembra aver cominciato a porsi un freno. “Mi spieghi come è potuto succedere? Lily doveva essere a Hogsmeade …”
“Infatti, ma evidentemente era appena tornata. Mi ha detto che non mi aveva visto là”.
Il mio amico si lascia sfuggire un sorriso strano, quasi malizioso, il che non è assolutamente da lui.
“Ci siamo incontrati per caso, lei era in giro a pattugliare i corridoi”, mi affretto a spiegargli, per chiarire ogni suo dubbio. “Sai com’è fatta, non si dimentica mai di fare il suo dovere”.
Mentre gli altri due continuano a burlarsi di me, battendosi pacche sulle spalle a vicenda con le lacrime agli occhi, Remus si ricompone tentando di riacquistare il suo contegno abituale e di prestarmi un minimo di doverosa attenzione.
“Ci sono stati dei segnali che ti permettono di spiegarti un simile comportamento da parte di Lily?” mi chiede, rinnovando il suo tono compunto e professionale. Io scrollo le spalle, con aria scettica.
“Beh, prima che provassi a baciarla io e che litigassimo furiosamente mi aveva detto che in certi momenti riuscivo anche a farle dimenticare quanto io possa essere insopportabile … che poi, accidenti, ti sembra che sia un complimento serio?!”
“Quella non sa che cosa siano i complimenti, il suo repertorio di espressioni comprende soltanto una vastissima gamma di insulti”, commenta Sirius, improvvisamente ripresosi dalla sua crisi isterica. Remus gli getta un’occhiata dubbiosa.
“James, considera che Lily tende a non dire in modo diretto quello che pensa, soprattutto quando si tratta di te, per cui un simile giro di parole da parte sua è più che interpretabile come un complimento, credimi”.
“Ah, andiamo, non le costerebbe niente imparare ad esprimersi come un normale essere umano, ogni tanto”, sbotta Sirius, con il suo solito tono insofferente.
“Lo dici soltanto perché non sei capace di entrare nell’ottica di un’altra persona che non sia tu”.
“Remus, piantala, tu con le donne non ci sai fare”.
“Ragazzi, non credo che possiamo essere d’aiuto a James, se ci mettiamo a litigare …”
Sbuffo sonoramente, voltandomi a fissare il vuoto. Non è proprio possibile instaurare una discussione costruttiva con tutti i miei amici messi assieme. Presi singolarmente forse possono anche riuscire a produrre qualche perla di saggezza particolarmente adatta all’occasione, ma in mezzo ad una simile confusione non posso nutrire nessuna speranza di ricavarci qualcosa di buono.
“Beh, Prongs, ormai è fatta. Ci sei riuscito. Hai irretito Lily Evans, dobbiamo assolutamente festeggiare”.
“Fossi in te frenerei il tuo entusiasmo, Padfoot”.
“Perché, c’è qualcosa che non va?” mi chiede Peter, ansioso. Io mi stringo nelle spalle, accorgendomi di quanto mi stia bruciando dover ammettere che quanto è successo non ha niente di paradisiaco.
“Quando … beh, quando la cosa ha avuto fine, lei è … se n’è andata con aria decisamente sconvolta, il che significa che a quest’ora se ne sarà già pentita”.
I miei amici ora mi guardano senza fiatare. C’è comprensione nei loro occhi, perché sanno come mi sento, lo sanno fin troppo bene ormai. Sono sei anni che riempio loro la testa con le mie montagne di paranoie e vane speranze, e in ogni situazione in cui potrei assumere un atteggiamento quantomeno ottimista riesco sempre a tirare fuori l’aspetto più negativo che possa contribuire al mio malumore incondizionato.
“Senti, Prongs, non ci pensare adesso. Vedrai che si sistemerà tutto”, mi dice Sirius, con una sorta di tenerezza che non gli ho mai sentito usare con nessuno in vita mia. Sento finalmente che posso permettermi di prenderla alla leggera, e di non logorarmi l’anima in maniera eccessiva senza alcuno scopo.
“E va bene. Statemi a sentire, ora però pretendo dei seri festeggiamenti in mio onore. Con tutto il cerimoniale. Dovrete darvi da fare per soddisfarmi, e domani mattina voglio essere trasportato in trionfo per tutta la Sala Grande … il mio bellissimo fondoschiena non dovrà toccare terra nemmeno per un istante”.
Ormai, anche volendo, mi risulterebbe impossibile abbandonarmi al mio dolore senza speranza: ho riacquistato di colpo la mia abituale propensione a fare lo scemo, e questo particolare mi preclude qualsiasi traccia di tristezza anche solo nel mio tono di voce. Non per niente, abbiamo trascorso diverse ore della notte a far ammattire Gazza, nascosti sotto il Mantello dell’Invisibilità, obbligandolo a correre da una parte all’altra del castello, abbiamo dovuto minacciare la Signora Grassa di mandarle a fuoco il quadro per costringerla a farci rientrare nella Torre di Grifondoro, e per il resto della notte ci siamo sfidati a non addormentarci per primi, ma considerato che ho vergognosamente perso nutro il forte sospetto che Sirius mi abbia lanciato un incantesimo di nascosto.
 


12 settembre 1977
 
È un mogio e sordido lunedì sera, io sono stravaccato su una poltrona cigolante con le gambe che quasi bloccano il passaggio e senza nutrire il benché minimo proposito di spostarmi da quella posizione, quando una fastidiosa ventata causata dal passaggio rapido di una persona al mio fianco mi desta improvvisamente dal torpore; il secondo dopo, mi sento afferrare bruscamente per un braccio e sollevare in piedi, e sotto gli sguardi sbalorditi di Sirius, Remus e Peter una ragazzina violenta dai capelli rossi mi trascina verso il buco del ritratto senza dire una sola parola, rischiando più volte di farmi inciampare nel tappeto.
“Che diavolo succede, Evans?” sbotto, mentre il ritratto ci lascia campo libero per uscire dalla sala comune. Lei si volta di scatto verso di me, fulminandomi con aria truce.
“Ti sei già dimenticato tutto di quello che ha detto la McGranitt alla riunione di ieri, o conservi ancora un briciolo di memoria per ricordarti che dalle nove alle dieci dobbiamo pattugliare i corridoi?”
Mi sento cadere le braccia a peso morto lungo i fianchi, rendendomi improvvisamente conto che il comportamento di Lily ha un senso. Ieri sera, mentre le stavo di fianco sentendomi totalmente fuori posto e terribilmente frustrato perché fra di noi sembrava essere scesa una cappa di silenzio e formalità incredibilmente spessa, avevo ascoltato la McGranitt soltanto in maniera distratta, e le sue affermazioni mi erano, in tutta sincerità, entrate da un orecchio e uscite dall’altro.
Non è colpa mia se c’erano ben altri problemi che mi angustiavano, in quel momento.
Purtroppo per me, però, conservo ancora una vaga reminiscenza dei suoi lunghi discorsi, che in sintesi comprendevano il fatto che la situazione nel mondo magico si stesse decisamente aggravando, che non si poteva stabilire quanto ciascuno di noi si trovasse in pericolo anche se protetto dalle mura di Hogwarts, e che pertanto ai Capiscuola e ai Prefetti era stato assegnato il compito di intensificare le ronde serali con frequenza quotidiana, per cercare di garantire un minimo di sicurezza agli studenti della scuola.
Questo, comunque, non implica che mi aspettassi di vedermi piombare la Evans di fronte e di essere trascinato via da lei per starle ulteriormente a contatto. Considerato che durante la giornata precedente mi aveva a stento rivolto la parola, e nei momenti in cui l’aveva fatto si era dimostrata impeccabilmente formale e distaccata, non era proprio il mio più grande desiderio vedermi costringere da lei stessa ad affrontare un’ora intera di silenzio imbarazzante.
Ma dopo quindici minuti di questa situazione mi accorgo di essermi già rotto le scatole e, considerato che tanto ormai non ho più niente da perdere né in dignità né in orgoglio maschile, decido di seguire il suo esempio e passare all’azione diretta, motivo per cui con un gesto rapido e inaspettato la spingo dentro un’aula vuota e mi chiudo la porta alle spalle, voltandomi finalmente pronto a fronteggiare la sua ira.
“Che cosa diavolo staresti facendo?”
“Sto cercando di ottenere un po’ di privacy per noi due, perché è evidente che ne abbiamo bisogno”.
Trascorro diversi secondi ad osservare il suo sguardo confuso d’ira e d’imbarazzo prima di rendermi conto dell’ambiguità della frase che ho appena pronunciato, e darmi da fare di conseguenza per tentare di correggere il tiro.
“Per parlare, ovviamente”, mi affretto ad aggiungere, cercando di conferirmi un tono neutrale.
“E tu sei davvero convinto che per farmi aprire bocca ci sia bisogno di rinchiudermi in un’aula?”
“Sì, perché altrimenti avresti continuato ad ignorarmi come hai fatto ieri, e io non avrei saputo come smuoverti riuscendo contemporaneamente a non farti irritare …”
“E prima di approvare mentalmente questo piano geniale che hai appena messo in atto, non hai pensato che forse una soluzione di questo genere mi avrebbe fatto irritare ancora di più?”
“Io … in realtà l’ho fatto senza pensarci, quindi puoi pure mettere da parte i tuoi subdoli giochetti di parole”.
Lei con un gesto rapido si siede su un banco e poi mi guarda con aria imbronciata, incrociando le braccia sul petto.
“E poi io non ti ho ignorato, è che molto semplicemente …”
“… non sono il centro dell’universo, sì, lo so”.
Il suo sguardo ora è di puro rimprovero.
“A dire la verità, quello che intendevo era che mi serviva un po’ di tempo prima di poter affrontare l’argomento, ma tu come al solito hai provveduto ad offenderti brillantemente da solo. È mai possibile che qualunque cosa tu dica finisca sempre per farmi uscire dai gangheri?!”
Mi strofino la nuca con una mano, sentendomi improvvisamente a disagio.
“Beh, potresti apprezzare almeno l’originalità della mia unica dote”, le rispondo, tornando a sfoggiare il mio lieve sarcasmo insicuro che mi ha reso ormai completamente vulnerabile di fronte a lei. Lily nel frattempo si è messa le mani nei capelli, chinando il volto verso il basso, sulle ginocchia.
“Una volta tanto potresti anche darmi pace ed evitare di replicare”, mormora, con un filo di voce. Io mi sento incredibilmente a disagio. Per l’ennesima volta, le sue reazioni mi stanno sconvolgendo la psiche lasciandomi del tutto spiazzato, dato che a tutto avevo pensato meno che a questo. Le mie fantasiose elucubrazioni mi avevano portato alla conclusione che, probabilmente, avrebbe fatto di tutto per negare quanto era successo, oppure che, nel caso l’imbarazzo avesse finito per prevalere sull’orgoglio, mi avrebbe evitato finché io avessi deciso di rispettare il suo silenzio; dopodiché, mi avrebbe chiesto in tono contrito di rimanere soltanto amici, perché quello dell’altra sera non era stato altro che uno stupido sbaglio – chi di noi due l’avesse commesso, ovviamente, non sarebbe mai stato chiarito. E invece stiamo soltanto litigando come al solito, come facciamo sempre, senza di fatto dirci nulla di concreto. A questo punto, posso anche tentare il tutto per tutto.
“Senti, dimmelo chiaramente, io ti piaccio? Perché …” - forse dovrei rendermi un po’ meno drastico - “… beh, sì, ammetto di essere decisamente fascinoso, ma …” - okay, forse dovrei anche imparare a contenere la mia inadeguata tendenza all’ironia gratuita, se ci tengo a non rimanere fulminato dalle sue occhiate assassine - “Non guardarmi così, per favore. Andiamo, non hai il minimo senso dell’umorismo”.
“Mi duole contraddirti, Potter, ma io il senso dell’umorismo ce l’ho eccome, sei tu che sembri essere particolarmente propenso a fare lo scemo nelle situazioni più inopportune!”
“Non mi piace sentirmi in imbarazzo, vuoi farmene una colpa? Puoi anche fustigarmi, se ci tieni!”
Lei sembra quasi arrossire, confusa, prima di ricominciare ad urlarmi contro.
“Non ho nessuna intenzione di fustigarti!”
“Grazie, lo considererò come una dimostrazione della tua magnanimità nei miei confronti”.
“Prego, per una volta hai colto nel segno”.
Il suo tono pesantemente sarcastico questa volta sembra aver assunto il tipico suono di chi l’ha presa sul personale, cosa che non può fare a meno di generare la mia occhiata confusa e perplessa.
“Che significa?”
“Lascia perdere”.
Perfetto, lascio perdere. Affondo le mani nelle tasche, appoggiandomi con un fianco al bordo del banco alla mia sinistra. La guardo, e per un attimo non mi sento più arrabbiato, deluso o frustrato, soltanto incredibilmente serio.
“Sapevi di cioccolato”, le dico. Lei arrossisce di colpo, violentemente, spalancando gli occhi di fronte alla mia sfacciataggine.
“Questo che cosa c’entra con tutto il resto?!” esclama, indispettita. Io scrollo le spalle, allargando le braccia.
“Lo vedi? Nemmeno a te piace sentirti in imbarazzo”.
“Hai ragione, in questo momento mi piacerebbe torcerti il collo!”
“Mi sorgerebbe spontaneo chiederti se sei sempre così violenta in tutto quello che fai, ma ho già sperimentato a mie spese che è davvero così”.
Stavolta l’ho davvero sparata grossa. E, come al solito, me ne rendo conto solamente all’ultimo minuto.
Ma lei non sembra arrabbiata, solo incredula. Per poco non le scappa da ridere, a un certo punto. Poi mi guarda dritto negli occhi, le labbra lievemente dischiuse – ancora non riesco a crederci che l’ho davvero baciata, e se il mio cervello assimila le esperienze con una simile lentezza chissà quando potrò sperare di realizzarlo pienamente.
“Tu … sei semplicemente assurdo. Invece di … rinchiudermi qui dentro a forza, avresti potuto ricattarmi in modo subdolo, o andare in giro a vantartene … del resto, è quello che sai fare meglio, no?”
Non capisco assolutamente dove voglia andare a parare. Mi rendo conto che potrei scegliere di prendermela a male, ma per qualche strana e incomprensibile ragione decido di non farlo e le sorrido in modo caustico.
“E tu avresti potuto continuare ad ignorarmi o ricominciare a trattarmi male … del resto, è quello che sai fare meglio”.
Anche lei si lascia sfuggire un debole sorriso, prima di tornare a guardarmi.
“Ti ringrazio, io ti ho almeno lasciato la possibilità di replicare”.
“Non ti offendere, Evans, non baci male, ma come mi offendi tu, non l’ha mai fatto né lo farà nessuno”.
Non so spiegare perché mi fa questo effetto. In fondo, lei non è una ragazzina ingenua che pende dalle mie labbra e cade in estasi per ogni mia velata allusione, anzi, nella maggior parte dei casi reagisce a questi miei pseudo-tentativi di addolcire la conversazione con distacco e sufficienza – se non con sferzante sarcasmo –, ma c’è quella piccola percentuale di occasioni in cui mi sono visto rivolgere un mezzo sorriso quasi gentile e ho smesso per un attimo di sentirmi un fallito.
Questa è una di quelle occasioni.
“Ad ogni modo … non hai ancora risposto alla mia domanda”, le faccio notare, facendo un paio di passi in avanti e appoggiandomi blandamente alla cattedra, ostentando un atteggiamento tranquillo e sicuro di me. In realtà sono terrorizzato. Ho paura che, continuando ad insistere nel volerla forzare a rendere esplicito qualcosa di cui lei probabilmente si vergogna, finirò soltanto per farla ulteriormente irritare.
Ma a me servono delle dannate risposte e in un modo o nell’altro devo riuscire ad estorcergliele.
Per qualche secondo lei mi guarda diritto negli occhi, cercando di contenere al massimo l’imbarazzo.
“Tu quale pensi che sia la risposta?” mi chiede, ostentando una semplicità che non ha pari. Eh no, così non vale.
“Che diavolo vuol dire? Se dico di sì, allora mi reputerai troppo sicuro di me e di conseguenza penserai che sia necessario punire la mia vanità e la mia arroganza con la tua negazione, mentre se dico di no suonerò soltanto come il falso modesto che subdolamente aspira ad essere confortato da una risposta positiva cercando di farti pietà, cosa che tu non saresti disposta a concedermi neanche sotto tortura”.
Lei rimane a fissare obliquamente un punto imprecisato sul pavimento. Maledetta sadica. Scommetto che in realtà si sta divertendo, a farmi dannare così.
“E va bene, senti, cerchiamo di chiarire questa situazione una volta per tutte, perché per farlo non ho intenzione di rivolgermi al Wizengamot. Se ci hai riflettuto abbastanza e hai intenzione di dirmi che di me non ne vuoi sapere …”
“Ma tu non ritenevi impossibile che qualcuno non cedesse al tuo fascino indiscusso?”
La guardo con aria titubante, sentendomi improvvisamente spogliato di tutte le mie maschere così abilmente costruite nel corso degli anni.
“Beh, sai, è sempre meglio concedersi il beneficio del dubbio”, balbetto. Improvvisamente osservo sbalordito le sue labbra incurvarsi in un sorriso, un sorriso aperto, vero, senza veli, che non ha niente di ironico o di amaro, e le fa brillare gli occhi di una luce che non ho mai visto.
“Mi duole ammetterlo, ma in effetti, prima che ti venisse la brillante idea di rinchiudermi qui dentro, nutrivo ancora il sospetto che tu potessi esserti montato la testa di nuovo”.
Sogghigno lievemente, annuendo tra me. Devo concederle che anch’io sono riuscito a sorprendermi parecchio della mia reazione. Fosse successa la stessa cosa qualche anno fa, penso che avrei finito per appendere striscioni commemorativi in tutta Hogwarts.
Ma ormai non sono più quel bambino con la testa fra le nuvole, incline all’esaltazione ingiustificata e all’ottimismo tipico delle persone infantili. Per quanto possa risultare paradossale, considerato che mi sono evoluto in senso diametralmente opposto, forse il risultato di questo mio cambiamento ha finito per giovarmi, tutto sommato.
“A questo punto, potresti anche ammettere che ti piaccio”, le dico, in tono malizioso, staccandomi dal bordo della cattedra e avvicinandomi lentamente a lei. La osservo compiaciuto restituirmi uno sguardo piuttosto turbato e confuso, mentre si stringe nelle sue stesse braccia con l’aria di voler rimpicciolire.
“Non credo che ti darò mai questa soddisfazione”, mi risponde, con un filo di voce, squadrandomi da sotto in su. Il mio sorriso si allarga, poi faccio ancora un passo avanti e le prendo una mano con un gesto deciso.
“Andiamo”, le dico. Lei mi guarda interdetta, corrugando la fronte.
“Andiamo dove?”
Io mi crogiolo un attimo nel mio silenzio criptico, poi mi decido a farle la grande rivelazione.
“Andiamo di corsa alla Torre di Grifondoro, perché sono già le dieci e la nostra ronda serale avrebbe dovuto essersi appena conclusa”.
Sono davvero bravo a riportare la gente con i piedi per terra nei momenti di maggiore tensione idilliaca, mi tocca ammetterlo.
Lily stringe convulsamente la mia mano e salta giù dal tavolo.
“Avresti almeno potuto avvisarmi con cinque minuti di anticipo, siamo dall’altra parte del castello!”
“E rinunciare a sentire i tuoi complimenti velati? Perdonami, ma non ci sarei mai riuscito!”
Ridendo di gusto, vengo trascinato con foga da Lily attraverso i corridoi della scuola, su per le scalinate, senza che lei mi permetta di fermarmi un minuto a riprendere fiato.
Quando arriviamo al buco del ritratto, i sorrisetti ammiccanti della Signora Grassa al nostro indirizzo ricevono in tutta risposta le peggiori occhiate assassine di cui Lily Evans possa essere capace.
“È assurdo, avremmo dovuto collaborare alla sicurezza della nostra scuola invece di restarcene lì a discutere”, borbotta, sfoggiando il suo caratteristico e immancabile senso del dovere. Di sicuro non penso di offendermi, so perfettamente che non potrei mai pretendere di sentirmi dire cose del tipo “Sono stata davvero bene con te stasera, James”, o “È stata davvero una grande fortuna essere nominati Capiscuola insieme, non trovi?”. Queste sono soltanto le tipiche frasi che potrebbero uscire di bocca a una qualsiasi ragazza che non si chiami Lily Evans, ma il punto è che io sono innamorato proprio di lei.
“Rilassati e va’ a dormire, riesco a sentire Sirius che russa fino da quaggiù, e se è nella sua stanza a dormire vuol dire che non è scoppiato nessun incendio a causa della nostra negligenza … in caso contrario la McGranitt avrebbe già fatto evacuare ogni angolo di Hogwarts, perfino i passaggi segreti”.
“Ci sono dei passaggi segreti nella scuola?”
Sbianco, desiderando di poter avere in mano una vanga per sotterrarmi. In tutti questi anni di attività clandestine speravo di aver almeno imparato a tenere la bocca chiusa, e invece risulta evidente che così non è … Sirius mi ucciderà, stavolta non posso augurarmi di farla franca.
Ma Lily sorride della mia espressione terrorizzata, e fortunatamente decide di non indagare oltre.
“Ho capito, lascia perdere. Vattene a letto, e cerca di non avere incubi”.
Io guardo per terra con aria imbarazzata, sentendomi avvampare.
“Grazie”, mormoro, evitando di incontrare il suo sguardo. Meno male che ha deciso di farmela passare liscia.
Improvvisamente mi sento sollevare il mento con un gesto che riesce quasi a non essere brusco, poi lei mi si avvicina e mi posa un lieve e breve bacio a fior di labbra.
Io rimango lì fermo, completamente inebetito, finché lei non mi dà una spintarella per convincermi a muovere le gambe.
“Ti ho detto di andartene a letto, Potter”.
Inizio a risalire le scale, trascinandomi verso il mio dormitorio. Mi volto solo un attimo per augurarle rapidamente la buonanotte con appena un filo di voce, dopodiché vengo preso dall’imbarazzo più folle e mi precipito dentro la mia stanza, non prima di aver ingaggiato una lotta feroce con la maniglia che non ne voleva sapere di aprirsi.
Perché niente va mai come ti aspettavi, questa è una prassi che non manca mai di riconfermarsi.


***

11 settembre 1977
 
“Wow. Wow, wow, wow. Guarda un po’ chi c’è. Sta arrivando l’uomo capace di scatenare la bestia che è in te …”
“Smettila immediatamente, se non vuoi che faccia un uso improprio del mio coltello”.
“Okay”.
Getto un’occhiataccia coi fiocchi a Margaret, tentando di assicurarmi che abbia adeguatamente recepito il messaggio. L’alta quantità di teina che ho ingurgitato durante la colazione probabilmente mi ha innervosita, ma ci tengo a preservare quel poco di dignità che mi resta.
“Comunque, pensavo che potresti farci una replica della scena … sai, giusto perché io mi possa rendere conto di che cosa si prova a vivere in una specie di mondo alla rovescia”.
Sbriciolo il biscotto che avevo appena pescato dal vassoio senza alcuna pietà, ignorando i miei retti principi riguardo al non sprecare il cibo. Non oso alzare lo sguardo verso James; mi limito a tenerlo sotto controllo con la coda dell’occhio. Sono sicura che se lo fissassi ora potrei morire d’infarto, o di vergogna, o essere travolta dalla perversa euforia della mia vicina, qui, che teoricamente dovrebbe anche essere mia amica, e di conseguenza sforzarsi di evitare che io mi senta ancor più in imbarazzo per colpa sua.
C’è Sirius Black che si è seduto vicino a Delia e ha cominciato ad ammiccare dandole di gomito guardando nella mia direzione, o almeno così mi è sembrato. Delia si è sforzata di dargli dello scemo e di cambiare discorso concentrandosi sul suo tema di Erbologia pieno di macchie di tè, ma conosco Delia e so quanto poco siano efficaci i suoi sforzi di farmi credere che non le interessi affatto rivolgere la parola a Sirius. Ha sempre tentato di negare, ma da quando l’ho beccata a fissarlo spudoratamente con aria imbambolata durante i G.U.F.O. di Difesa non c’è più stata scusa che reggesse.
Ad ogni modo, tutto ciò è davvero grandioso. Ora si metteranno a spettegolare riguardo a quello che è successo ieri e io comincerò a desiderare di poter fuggire a scavarmi una fossa al limitare della Foresta Proibita; dopodiché, dovrò ricordarmi che sono Caposcuola e che la McGranitt si metterebbe le mani nei capelli se io mi seppellissi viva e lasciassi soltanto Potter a prendersi cura di Hogwarts.
Ecco, dannazione. Lo sto rifacendo. Mi sto facendo trascinare nel baratro dei miei ragionamenti privi di un vero senso logico, mentre in realtà per il momento vorrei non pensare a niente.
Questo non è il momento adatto per riflettere. Sono stressata, emotivamente confusa, non ho dormito se non per un paio d’ore in cui la spossatezza fisica e psicologica l’ha avuta vinta su di me, ho una riunione questa sera alle nove e ho una relazione di Pozioni da iniziare.
Okay, potrei cominciare da stamattina, ma durante la colazione mi risulterebbe impossibile isolarmi dal resto del mondo.
“Come stai?”
Mi volto di scatto, colta alla sprovvista, e per poco la fetta di pane con la marmellata non mi finisce diritta nel tè.
“Oh – parli con me?” dico a Helen, tentando di recuperare la padronanza di me stessa.
“No, hai ragione, in realtà stavo cercando di parlare con quella che cade-in-trance-appena-apre-un-libro”, ribatte lei, mentre Mary, seduta di fronte, le allunga un calcio sotto il tavolo. Io mi passo le mani fra i capelli e sospiro, chinandomi sulla mia tazza fumante con aria disperata.
“Sto diventando stupida. Davvero. Ci dev’essere qualcosa che non va in me, devo aver bevuto decisamente troppa Burrobirra l’altro giorno, ai Tre Manici di Scopa”, esalo, a fatica, chiedendomi dove sia finita tutta la mia inesauribile prontezza di spirito. Mi sento come svuotata, a malapena riesco a reggermi in piedi.
“Penso che dovresti tornare a dormire. Lascia perdere il tricheco”.
“Oh, non tentarmi. Non ho assolutamente voglia di pensare a Pozioni, in questo momento, ma …”
“Lily, sul serio, lascia stare. Puoi anche raccontargli che hai scoperto il nuovo antidoto contro il morso dell’Acromantula, lui ti crederebbe e ti lascerebbe in pace per il resto della vita”.
Soffio sulla mia tazza, a corto di parole, concentrandomi sulle pieghe della tovaglia. Effettivamente sono distrutta, e per riuscire a pensare con un po’ di metodo e razionalità avrei bisogno di essere più riposata. Ma so di non avere sonno, nonostante la stanchezza, perché ormai la luce di questa assolata domenica mattina mi ha invaso le palpebre, e la seconda tazza di tè che sto trangugiando mi farà stare sull’attenti per almeno cinque o sei ore. Godric, che situazione impossibile.
“Credo che andrò a fare una passeggiata fuori”, annuncio quindi, optando per l’unica soluzione ragionevole. Helen annuisce e mi batte amichevolmente una mano sulla spalla; per quanto possa sembrare poco affettuoso, so che questo è il suo modo per dirmi che ci tiene a me.
Alzarmi da sola da tavola è piuttosto imbarazzante, mi sembra di avere gli occhi di tutti puntati addosso. Di solito ignoro queste mie fisime senza alcuna difficoltà, ma il pensiero di poter essere oggetto di qualche stupido pettegolezzo mi manda il cervello in fiamme. Questa è una faccenda che riguarda solo me e Potter, che diamine, nessuno ha il diritto di sbandierarla ai quattro venti e di discuterne pigramente come se avesse appena letto la notizia sulla Gazzetta del Profeta.
Che cavolo. Mi sto lasciando prendere dall’isteria, ed è davvero meglio per tutti se mi allontano, ma ormai mi sembra chiaro che non posso pretendere la grazia di un’improvvisa illuminazione per capire che diamine mi è successo.
Insomma, non ho ragionato, non ci ho riflettuto sopra a sufficienza, a mente lucida non avrei mai potuto far precipitare le cose in quel modo, compromettendomi così apertamente quando nemmeno avevo ancora realizzato di provare qualcosa per lui …
Un momento, cerchiamo di fare ordine.
Forse qualcosa nell’aria già c’era: l’atmosfera era cambiata, mi faceva persino piacere passare del tempo da sola con lui.
Eppure sembrava tutto così normale. Non mi stavo nascondendo dietro una cortesia di convenienza, non mi ero ammorbidita nei suoi confronti senza un motivo sensato, stavo soltanto lasciando che le cose seguissero il loro corso senza più ostinarmi a trovare una falla nella sua avvenuta maturazione. Non stavo mentendo a me stessa. Nonostante ciò, qualcosa deve essermi sfuggito.
Se ci penso, mi sento male. E sì che ho sempre creduto di non essere una persona ottusa … come ho fatto a non notare una cosa del genere? Come ho potuto iniziare a provare qualcosa soltanto in modo inconscio e non rendermene conto?
Fuori si sta bene. Non fa ancora freddo, nemmeno c’è bisogno del mantello. Sono uscita dal cortile secondario, lasciandomi alle spalle i portici ogivali e la quercia che ombreggia il prato. Ho voglia di camminare.
In cinque minuti raggiungo le sponde erbose del lago. Incredibile, in giro non c’è quasi nessuno. Il castello sembra lontano, visto da qui, per quanto riesca ancora a rispecchiarsi nell’acqua. Per un attimo, mi sento come se parte del peso che mi grava addosso si fosse temporaneamente allontanato.
Vado a sedermi sotto l’albero. Già, quell’albero. Al diavolo I G.U.F.O. di Difesa contro le Arti Oscure, non ho voglia di ricordarlo. Non mi va di rivivere quel momento. Non so più dire se ho sbagliato o no, se è per colpa mia che io e Severus non siamo più amici, se ho fatto qualcosa di male perché Potter provi dei sentimenti forti nei miei confronti che non mi ero resa conto di ricambiare, non so più niente di niente.
“Lily …”
Mi volto di scatto, sentendomi chiamare. Non avevo udito arrivare nessuno. Ma c’è Margaret che mi fissa, alle mie spalle, con le maniche del maglione risvoltate fino al gomito e la frangia che svolazza mossa dal vento, lasciandole scoperta la fronte.
“Mi dispiace, tesoro, sono stata davvero stupida”, mi dice, sedendosi di fianco a me e mettendomi un braccio intorno alle spalle, con affetto. Io scuoto la testa.
“Non ti devi scusare, non mi hai fatto niente di male”, rispondo, stringendomi un po’ di più a lei. Riesce ad essere così dolce, alle volte.
“No, davvero, lo so che è un problema serio”, ribatte, e io per un momento non riesco a fare altro che sospirare. È vero, purtroppo. È un problema serio.
“Non ho idea di come abbia potuto succedere”, mormoro, pronunciando ogni parola con fatica. Mi riesce enormemente difficile parlarne ad alta voce, abituata come sono a non esprimermi e a dominare i sentimenti forti. Non fa per me. Tutto questo non fa per me.
“L’importante è che ora tu ti permetta di essere in crisi”, mi risponde Margaret, accarezzandomi i capelli. Io mi giro per guardarla negli occhi, leggermente sorpresa.
“Che vuoi dire?”
Lei sorride, stringendosi nelle spalle.
“Che ti è concesso non controllare più la situazione, ogni tanto. È normale. Se il tuo rapporto con Potter deve subire una svolta … beh, di sicuro devi essere tu a deciderlo, ma nessuno ti metterà fretta”.
Lentamente, annuisco. Comprendo che cosa sta cercando di dirmi. Mi conosce bene, ormai, dopo tutti gli anni passati nello stesso dormitorio.
“Sono contenta per te, comunque”.
“Meg, lo so che ci stai male perché Gregory è andato via e non ho nessuna intenzione di monopolizzare l’attenzione di tutti con i miei stupidi problemi …”
“Smettila di dire scempiaggini. Fosse stato per te, ti saresti rinchiusa nella Guferia per tutta la notte”.
“Ad ogni modo, non c’è nulla per cui essere contenti”.
Margaret sorride di nuovo, in quel modo strano.
“Invece sì. È la prima volta che prendi tu l’iniziativa. Scelta bizzarra o no, credimi, per te è una buona cosa”.
 
 
12 settembre 1977
 
Alla fine, neanche a farlo apposta, due giorni sono già volati. Mi sono trattenuta a stento dal mozzare la testa di Sirius e Peter con un netto colpo di mannaia durante le lezioni di oggi, ma alla fine ho visto che Potter era poco preso da quel coro di battute maschie e ho deciso di lasciar perdere. Tanto, figuriamoci se poteva non raccontargli quanto è successo. In quel gruppo solamente Remus conosce il significato della parola discrezione, ma dopotutto, per quanto possa darmi fastidio, riconosco che in virtù del loro essere amici è normale che si confidino l’uno con l’altro.
Forse avrei anche potuto cercare di parlarci, con James, se avessi avuto l’occasione giusta per avvicinarlo.
Ovviamente, però, l’occasione giusta non è mai arrivata.
C’è stata la riunione indetta dalla McGranitt, ieri pomeriggio, ma non era il momento adatto. Ci stava parlando di cose serie e importanti, e non mi sembrava giusto mettermi a chiacchierare. Per di più, avrei dovuto sbandierare i fatti miei nelle strette vicinanze di altri sedici ragazzi che con me non hanno nulla a che vedere. Senza contare che quell’idiota si è presentato nell’ufficio della Vicepreside senza neppure venire a chiamarmi, e perfino in anticipo rispetto a me. Ero talmente nervosa e inviperita che, una volta terminato il discorso, sono uscita quasi di corsa e mi sono rifugiata in Biblioteca a cercare di spremere qualcosa di utile per la relazione di Pozioni da un grosso libro polveroso che mi ha fatto starnutire per almeno una decina di volte, attirandomi addosso l’implacabile ira di Madama Pince. Va tutto storto, dannazione, tutto storto.
E oggi, oggi non se ne parlava neanche, di avvicinarmi a Potter. Davanti a tutta la classe, per alimentare le risate dei suoi amici. Se c’è una cosa a cui tengo, quella è la mia dignità, strettamente legata ad un’assoluta riservatezza per quanto riguarda i fatti miei. E poi, lui non ha mosso un dito per venirmi incontro. Lo so, lo so, il dubbio che si aspettasse una mossa da parte mia mi è sorto, visto come l’ho piantato in asso sabato pomeriggio, ma tentare di comunicargli in maniera non verbale che desideravo parlargli era davvero pretendere troppo.
Ora, fantasticamente, sono appena scoccate le nove di sera. Il che vuol dire che è finalmente giunta l’occasione che è andata persa per tutto il giorno, l’occasione di parlarci e chiarire questa faccenda. Ho una scusa grossa come una casa, perciò non c’è nulla di cui preoccuparsi.
Uscendo dalla stanza saluto con perfetta calma le ragazze, impegnate ad allenarsi nell’Incanto Proteus per la lezione di Incantesimi di domani, e una sorta di rinnovata fiducia in me stessa ritorna a scorrermi nelle vene. Prendere l’iniziativa, ha detto Margaret. E ha ragione. Mi fa bene prendere l’iniziativa.
Scendo di sotto, e per fortuna mi rendo conto che non dovrò inoltrarmi nei meandri del dormitorio maschile per ripescare Potter e trascinarlo via. Lui e i suoi allegri compagni sono seduti intorno al fuoco con i libri di Artimanzia sulle ginocchia, e sul momento il signor Cacciatore nemmeno si accorge di me. Ignoro deliberatamente le tre paia di occhi che si sollevano ad osservarmi con una buona dose di sconcerto mentre, senza dire una sola parola, afferro il braccio di James e lo obbligo ad alzarsi dalla poltrona, riuscendo anche a sfilargli il libro da sotto il naso e ad appoggiarlo sul tavolino lì di fianco.
Prendere l’iniziativa mi appaga decisamente.
“Che diavolo succede, Evans?” riesce finalmente a sillabare il mio sveglissimo collega Caposcuola, mentre la Signora Grassa ci lascia passare dal buco del ritratto con un’espressione piuttosto perplessa. No, non riesco a crederci che se ne sia davvero scordato. Un’occhiataccia se la merita tutta.
“Ti sei già dimenticato tutto di quello che ha detto la McGranitt alla riunione di ieri, o conservi ancora un briciolo di memoria per ricordarti che dalle nove alle dieci dobbiamo pattugliare i corridoi?” gli faccio presente, e tutt’a un tratto sembra che una lampadina si sia accesa nella sua testa. Mi fissa come se gli avessi appena rivelato il trucco per scorrazzare fuori dai dormitori a notte fonda senza essere beccato da Gazza, e io gongolo silenziosamente, per qualche istante.
Poi però ci avviamo per i corridoi dando avvio alla famigerata ronda, e tutta la mia sicurezza si svuota di colpo.
Okay, si tratta solo di aprire la bocca e parlare. Non sarà difficile, una volta iniziato. È la prima, maledettissima volta che mi trovo in una situazione del genere in vita mia, e mi rendo conto che nemmeno so come iniziare. O con che cosa iniziare. Per di più lui persiste nel suo mutismo più ostinato e non fa neppure un segno d’incoraggiamento, al che la mia strada verso la paranoia comincia a spianarsi molto rapidamente.
Se non fosse che dopo qualche minuto mi sento afferrare per un braccio e spingere con ben poca delicatezza dentro un’aula vuota.
“Che cosa diavolo staresti facendo?” lo aggredisco.
“Sto cercando di ottenere un po’ di privacy per noi due, perché è evidente che ne abbiamo bisogno”.
EEH?
Mi sento improvvisamente avvampare, al pensiero di che cosa gli stia passando per la testa. Merlino benedetto. Dubito che Godric Grifondoro, quando stabilì le caratteristiche della sua casa, per ‘audacia’ intendesse ‘totale mancanza di buonsenso e di decoro’.
“Per parlare, ovviamente”, aggiunge poi, smentendo l’equivoco. Beh, non che questo lo giustifichi maggiormente. Mi ha comunque segregata contro la mia volontà.
“E tu sei davvero convinto che per farmi aprire bocca ci sia bisogno di rinchiudermi in un’aula?” gli domando, sarcastica. Prima o poi sarei esplosa e avrei aperto bocca, lo so.
“Sì, perché altrimenti avresti continuato ad ignorarmi come hai fatto ieri, e io non avrei saputo come smuoverti riuscendo contemporaneamente a non farti irritare …”
Ieri? Accidenti, ieri ero in confusione, avevo bisogno di riflettere, non ero certo nello stato mentale più adatto per dare retta a lui, e anche se mi fossi decisa non c’è stata praticamente occasione!
“E prima di approvare mentalmente questo piano geniale che hai appena messo in atto, non hai pensato che forse una soluzione di questo genere mi avrebbe fatto irritare ancora di più?” provo ad ipotizzare, mantenendomi su un tono sferzante. Lui si gratta una tempia, confuso.
“Io … in realtà l’ho fatto senza pensarci, quindi puoi pure mettere da parte i tuoi subdoli giochetti di parole”, ribatte, con una sfacciataggine che supera ogni limite, e io alzo gli occhi al cielo. Ovviamente, potevo forse pretendere che compisse una qualsiasi azione dopo aver riflettuto attentamente a riguardo?
Mi sento profondamente a disagio, in questo momento. Mi siedo su un banco incrociando le braccia, e  tento di radunare le idee per cercare di spiegarmi.
“E poi io non ti ho ignorato, è che molto semplicemente …”
“… non sono il centro dell’universo, sì, lo so”.
Ma allora davvero non pensa quando parla.
“A dire la verità, quello che intendevo era che mi serviva un po’ di tempo prima di poter affrontare l’argomento, ma tu come al solito hai provveduto ad offenderti brillantemente da solo. È mai possibile che qualunque cosa tu dica finisca sempre per farmi uscire dai gangheri?!” esplodo, alzando le braccia in un gesto di disperazione. È terribile il modo in cui riesce a rivoltare il significato di ogni mia mezza frase.
“Beh, potresti apprezzare almeno l’originalità della mia unica dote”, mi risponde, azzardando un certo sarcasmo insicuro che evito di considerare come una provocazione per il suo bene. Mi metto le mani fra i capelli per lo sconforto, continuando a riflettere su quanto sia idiota.
“Una volta tanto potresti anche darmi pace ed evitare di replicare”, gli faccio presente, persa nel tentativo di calmare la mia agitazione. Non posso provare tutti questi sentimenti contrastanti nei suoi confronti, è semplicemente ridicolo. Anche solo scrutarlo di sottecchi mi manda in confusione, e quell’irrazionalità che l’altro ieri mi ha spinto a baciarlo si rifà viva. Vedo che mi guarda con la sorpresa negli occhi, e mi rendo conto, ora che ho affrontato una certa esperienza traumatica, che mi fa battere il cuore come una stupida ragazzina. I suoi occhi sono tremendamente espressivi, ed è solo ora che lo realizzo in maniera esplicita. E tutto sommato riesce ancora a farmi tenerezza, anche adesso che stiamo litigando furiosamente. Mi assale il pensiero di non poter più fare a meno di lui, ormai, di aver investito una quantità enorme di energie nel nostro controverso rapporto, sia nel bene che nel male. Non c’è mai stata indifferenza fra noi, non sono mai stata in grado di ignorare la sua presenza, le sue azioni o le sue parole, neppure quando lo detestavo. E ora che so di non detestarlo, è ancora più sconvolgente constatare una cosa del genere. È tutto così assurdo, ma anche intenso al punto tale da farmi sentire male.
“Senti, dimmelo chiaramente, io ti piaccio?”
Oh, Merlino.
“Perché … beh, sì, ammetto di essere decisamente fascinoso, ma …”
Lo fulmino con uno sguardo truce seduta stante, causando un suo blocco momentaneo.
“Non guardarmi così, per favore. Andiamo, non hai il minimo senso dell’umorismo”, mi dice, sarcastico. Io mi sento assalire dall’ira.
“Mi duole contraddirti, Potter, ma io il senso dell’umorismo ce l’ho eccome, sei tu che sembri essere particolarmente propenso a fare lo scemo nelle situazioni più inopportune!” esclamo, scostandomi furiosamente i capelli dal volto.
“Non mi piace sentirmi in imbarazzo, vuoi farmene una colpa? Puoi anche fustigarmi, se ci tieni!”
Possibile che debba sempre tirar fuori idiozie così colossali?
“Non ho nessuna intenzione di fustigarti!” gli faccio presente, adirata.
“Grazie, lo considererò come una dimostrazione della tua magnanimità nei miei confronti”, mi risponde, incrociando le braccia.
“Prego, per una volta hai colto nel segno”, ribatto, sentendomi offesa. Finalmente l’ha capito, che non ho intenzione di insultarlo ogni volta che apro bocca. Magari ora la pianterà di tirarsi addosso gli insulti da solo.
“Che significa?” mi chiede, perplesso.
“Lascia perdere”, lo zittisco, con un gesto secco. Inutile che glielo spieghi, continuerebbe a pensare che sia troppo strano da parte mia l’aver smesso di considerarlo una persona spregevole. Lo osservo affondare le mani nelle tasche, incrocio il suo sguardo e noto che ha un’espressione strana, ermetica.
Per un attimo mi sembra di aver smesso di respirare.
“Sapevi di cioccolato”, mi dice poi, e io improvvisamente sento che vorrei sprofondare.
“Questo che cosa c’entra con tutto il resto?!” grido, rendendomi conto di avere le guance infiammate. Lui si stringe filosoficamente nelle spalle.
“Lo vedi? Nemmeno a te piace sentirti in imbarazzo”, osserva, con candore.
“Hai ragione, in questo momento mi piacerebbe torcerti il collo!” lo minaccio, digrignando i denti.
“Mi sorgerebbe spontaneo chiederti se sei sempre così violenta in tutto quello che fai, ma ho già sperimentato a mie spese che è davvero così”, ribatte, poi si rinchiude in un silenzio quasi contrito. Io rimango semplicemente sbalordita di fronte a tanta sfacciataggine, poi però mi rendo conto che, dopotutto, non ha davvero tutti i torti. Non avevo mai immaginato di poter baciare una persona in quel modo, lo ammetto. Nemmeno di poter prendere l’iniziativa. È stato davvero un gesto impulsivo dettato da chissà quale follia momentanea, che tuttora persiste nel tentare di prendere possesso della mia razionalità così solida. Mi rendo improvvisamente conto che mi ha rinchiuso qui dentro perché davvero ci teneva a sapere se mi piace, perché si è fatto prendere dall’insicurezza e dalla paura che potessi ripensarci.
È una cosa dolce, a suo modo.
“Tu … sei semplicemente assurdo. Invece di … rinchiudermi qui dentro a forza, avresti potuto ricattarmi in modo subdolo, o andare in giro a vantartene … del resto, è quello che sai fare meglio, no?” gli dico, in tono sarcastico, ripensando al suo definirsi estremamente fascinoso.
E intanto mi sento risalire il rossore alle guance.
Non è la stessa cosa che provano le ragazzine che gli stanno dietro, quelle che nemmeno lo conoscono e si sciolgono semplicemente di fronte alla sua popolarità e alla sua bravura a Quidditch. Io ora lo conosco, e ho più di un valido motivo per trovarlo affascinante. Che Merlino mi salvi, ho appena pensato che Potter sia attraente. Mi aspetto di essere fulminata da un momento all’altro.
“E tu avresti potuto continuare ad ignorarmi o ricominciare a trattarmi male … del resto, è quello che sai fare meglio”, mi risponde lui, a tono, e io mi lascio sfuggire un sorriso.
“Ti ringrazio, io ti ho almeno lasciato la possibilità di replicare”.
“Non ti offendere, Evans, non baci male, ma come mi offendi tu, non l’ha mai fatto né lo farà nessuno”.
Ci mancherebbe altro. Per anni ne sono andata fiera, altroché. Rimane comunque uno dei miei indiscussi primati.
“Ad ogni modo … non hai ancora risposto alla mia domanda”, mi ricorda, avvicinandosi di qualche passo. Apparentemente sembra del tutto tranquillo, ma la cosa non mi rassicura per niente. Perché io invece sto andando a fuoco. Mi sento come se fossi costretta ad ammettere una cosa che so essere vera ma che mi renderebbe svantaggiosamente vulnerabile.
“Tu quale pensi che sia la risposta?” gli domando, nel tentativo di sondare il terreno. Lui per poco non sviene per lo sconcerto.
“Che diavolo vuol dire? Se dico di sì, allora mi reputerai troppo sicuro di me e di conseguenza penserai che sia necessario punire la mia vanità e la mia arroganza con la tua negazione, mentre se dico di no suonerò soltanto come il falso modesto che subdolamente aspira ad essere confortato da una risposta positiva cercando di farti pietà, cosa che tu non saresti disposta a concedermi neanche sotto tortura”.
Non riesco a guardarlo negli occhi, tanto sono sorpresa. Rimango a fissare il pavimento, con la testa invasa da una serie di pensieri più o meno coerenti che non ne vogliono sapere di disporsi in maniera ordinata.
Lo fa ancora, il contrario di quello che faceva anni fa. Il contrario dell’atteggiarsi a maschio seducente e talentuoso.
È decisamente sbalorditivo.
“E va bene, senti, cerchiamo di chiarire questa situazione una volta per tutte, perché per farlo non ho intenzione di rivolgermi al Wizengamot. Se ci hai riflettuto abbastanza e hai intenzione di dirmi che di me non ne vuoi sapere …”
Sollevo la testa, guardandolo diritto in faccia.
“Ma tu non ritenevi impossibile che qualcuno non cedesse al tuo fascino indiscusso?” gli domando, con un tono a metà tra l’ironico e l’insicuro.
“Beh, sai, è sempre meglio concedersi il beneficio del dubbio”, risponde lui, con lo stesso, identico tono. Io sorrido. Non ce la faccio più. Basta, ne ho piene le scatole di tutte queste barriere. È così adorabile che mi riesce davvero impossibile trattenermi.
“Mi duole ammetterlo, ma in effetti, prima che ti venisse la brillante idea di rinchiudermi qui dentro, nutrivo ancora il sospetto che tu potessi esserti montato la testa di nuovo”, gli confesso, e lui annuisce, perso nel suo mondo. Non so a che cosa pensa, ma ormai è tutto a posto, credo. La mia storica diffidenza può anche cessare di esistere.
“A questo punto, potresti anche ammettere che ti piaccio”, mi dice poi, avvicinandosi di qualche passo. Io mi sento improvvisamente avvampare, nel vedermelo davanti con quel sorrisetto stampato in faccia.
“Non credo che ti darò mai questa soddisfazione”, gli annuncio, tenendo gli occhi puntati nei suoi e sentendomi ancora più confusa riguardo alle reali implicazioni di questa frase. Scherzi a parte, allora mi piace. Credo di doverlo ammettere, almeno con me stessa.
Dopo qualche secondo, mi si avvicina ancora di più e mi prende la mano, facendomi immediatamente domandare che diavolo abbia intenzione di fare.
“Andiamo”, mi dice, enigmatico. Io gli restituisco uno sguardo dubbioso.
“Andiamo dove?”
Rimane per un attimo in silenzio assumendo quasi un’aria costernata, poi sospira e si decide a spiegarmi.
“Andiamo di corsa alla Torre di Grifondoro, perché sono già le dieci e la nostra ronda serale avrebbe dovuto essersi appena conclusa”.
Oh, cacchio.
“Avresti almeno potuto avvisarmi con cinque minuti di anticipo, siamo dall’altra parte del castello!”
Lui esibisce un ghigno compiaciuto, che tutto sommato non riesco a trovare irritante.
“E rinunciare a sentire i tuoi complimenti velati? Perdonami, ma non ci sarei mai riuscito!”
Molto divertente, Potter.
Adesso ti faccio vedere io.
Lo trascino di corsa per i corridoi della scuola senza lasciargli riprendere fiato nemmeno una volta, saltando su un pianerottolo da una scala che aveva appena cominciato a spostarsi e risollevandolo ridendo dopo averlo fatto inciampare in un tappeto. Quando torniamo in sala comune, scuoto la testa, rassegnata al fatto che non abbiamo combinato un bel niente.
“È assurdo, avremmo dovuto collaborare alla sicurezza della nostra scuola invece di restarcene lì a discutere”, mormoro, tra me. È incredibile come stare in compagnia di Potter comporti sempre dei risvolti del tutto imprevedibili.
“Rilassati e va’ a dormire, riesco a sentire Sirius che russa fino da quaggiù, e se è nella sua stanza a dormire vuol dire che non è scoppiato nessun incendio a causa della nostra negligenza … in caso contrario la McGranitt avrebbe già fatto evacuare ogni angolo di Hogwarts, perfino i passaggi segreti”.
Lo squadro con lo stupore negli occhi, voltandomi verso di lui.
“Ci sono dei passaggi segreti nella scuola?”
È con mio sommo divertimento che si porta una mano alla bocca con l’aria di voler morire, e io proprio non riesco a trattenermi dallo scoppiare a ridere di gusto.
“Ho capito, lascia perdere. Vattene a letto, e cerca di non avere incubi”, gli dico, sorridendo, finalmente rilassata. Anche se mi sento strana, e ho ammesso che mi piace.
“Grazie”, mi dice lui, intimidito dalla mia clemenza, e io mi sento di nuovo prendere da quell’impulso, quel desiderio di agire. Lo assecondo senza nemmeno pensarci. Mi avvicino, gli poso una mano sulla spalla, mi sollevo leggermente in punta di piedi, socchiudo gli occhi e gli sfioro le labbra, in un qualcosa che dovrebbe assomigliare a un bacio della buona notte.
Quando mi stacco, lui rimane lì fermo, come pietrificato, guardandomi in un modo tale che subito l’imbarazzo mi brucia come le ceneri di una fenice.
Così sono costretta a riportarlo su questo pianeta con le maniere forti, dandogli una spintarella. Ma se l’è cercata, la colpa non è mia.
“Ti ho detto di andartene a letto, Potter”, gli ordino, lasciandomi sfuggire un sorriso, e lui finalmente si decide ad avviarsi verso le scale che portano al dormitorio maschile.
“Buonanotte”, mi dice, dopo aver indugiato ancora un attimo di fronte alla porta. Io gli faccio un cenno con la mano, e nel voltarmi il cuore mi salta un paio di battiti.
Ad ogni modo, per un po’ di tempo credo che eviterò di farmene un problema.
 


 
Have heart, my dear
We're bound to be afraid,
Even if it's just for a few days,
Making up for all this mess.

(Snow Patrol, Run)

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Capitolo 11
*** Tutta colpa della pelle di Girilacco ***


Capitolo 11
Capitolo 11 – Tutta colpa della pelle di Girilacco


 
 
Certe cose è meglio intraprenderle che rifiutarle, anche se il loro esito è oscuro.

(J.R.R. Tolkien, Il Signore Degli Anelli)



 

13 settembre 1977
 
Quanto può risultare maledettamente difficile essere costretti dalle circostanze a trascorrere ogni ora della propria vita scolastica a stretto contatto con la ragazza dei propri sogni?
Sulla risposta a questa domanda non ho dubbi, ed è parecchio. Non ho più un solo attimo di pace e tranquillità da quasi tre giorni, ormai, ma oggi credo proprio di aver varcato ogni limite. Per un normale studente del settimo anno, la serenità psicologica è una condizione indispensabile alla sopravvivenza, considerato che i requisiti minimi da possedere spaziano da una costante capacità di concentrazione a lungo termine alla prontezza necessaria per raggiungere la Sala Grande dopo una lezione di Pozioni nei sotterranei in un tempo sufficiente a non farti fregare tutte le patate arrosto dai tuoi famelici compagni di Casa. E come accidenti può essere possibile che io mantenga tutta questa elasticità mentale quando il mio cervello è costantemente occupato da pensieri di ben altra natura e il mio stomaco continua a contorcersi su se stesso provocando una serie di rumori poco dignitosi, senza contare che, ogni volta che una certa persona rientra nel mio campo visivo, mi sento come se dovessi avere un arresto cardiaco da un momento all’altro?
Certo, non è che io abbia mai potuto vantarmi di detenere una totale serenità psicologica, nel corso dei miei sei anni suonati già trascorsi a Hogwarts. Fondamentalmente direi che è per colpa sua, di quella ragazza seduta poco distante da me che si sta già servendo il dolce quando io sono ancora intento a rimescolare il roast beef nel piatto, ma fino a qualche giorno fa potevo quantomeno vantarmi di aver acquisito un certo controllo sulle mie emozioni – cosa che, per quanto mi sia costata un arduo lavoro interiore, alla fine mi ha permesso di impormi un contegno che mi concedeva di sobbalzare soltanto quando lei mi rivolgeva direttamente la parola, o di farmi aumentare il battito cardiaco unicamente nelle occasioni in cui decidevo – o per meglio dire, ubbidivo all’impulso – di essere io a rivolgerle direttamente la parola.
Ora, la situazione attuale mi ha fatto andare talmente su di giri che ha dovuto richiamarmi perfino Vitious. Roba da matti, Vitious non richiama mai nessuno. Non in modo perentorio, perlomeno. Insomma, ho toccato il fondo. Lily Evans mi ha fatto andare fuori di testa. Mi sto convincendo che, se Snivellus decidesse di organizzare un agguato ai miei danni in questo stesso momento, tutta la mia prontezza di riflessi andrebbe a farsi benedire e io non sarei in grado di reagire nemmeno a un Expelliarmus. Ridicolo.
“Sì, è davvero amorevole. Ora però mi stai a sentire?”
Mi volto di scatto verso Sirius, sentendomi sprofondare per la vergogna. Devo essermi incantato a fissarla per l’ennesima volta, e il suo tono irridente ha provveduto a riportarmi all’istante con i piedi per terra.
“Scusami”, gli dico, mortificato. Chissà quante altre volte mi sono comportato così, nel corso della giornata. È più che comprensibile che i miei amici mi detestino, a questo punto.
“Certo, dato che sono infinitamente misericordioso ti perdono, ma solo se sei in grado di dirmi di che cosa stavo parlando”.
Storco la bocca. Sirius è perfido, l’ho sempre sostenuto e non mancherò mai di farlo, anche se è il mio migliore amico e non mancherà mai di esserlo.
“Uhm …” devo essere sincero, non me lo ricordo affatto. “… Stavi insultando la McGranitt perché ti ha dato solo ‘Accettabile’ per il tema di punizione, no?”
“Quello l’ho detto diversi minuti fa, spiacente”.
“Beh, sì, adesso stavi … deridendo la nuova acconciatura di Snivellus”.
Dall’espressione piatta di Sirius capisco che ho sbagliato completamente. Il panico comincia a invadermi.
“Okay, scherzavo, stavi prendendo in giro tuo fratello e i suoi propositi vendicativi nei tuoi confronti”.
Sbagliata anche questa.
“Mi stavi proponendo la tua idea per la prossima luna piena. Stavi elogiando il roast beef. Mi stavi dicendo quanto sono bello quando mi incanto a fissare la Evans”.
Un ghigno malamente represso deforma il viso di Sirius, fino a sfondare le sue resistenze e provocare la nascita di una risata senza freni.
“Certo che la tua sfacciataggine non ha proprio limiti”.
Mi stringo nelle spalle, ormai rassegnato ad accettare la mia colossale figuraccia.
“Fingi almeno di apprezzare lo sforzo, non mi sarei dato così tanto da fare se si fosse trattato di qualcun altro”, ribatto, lasciandomi scappare un mezzo sorriso volto ad accattivarmi nuovamente la simpatia di Sirius.
“Comunque, per la cronaca, Padfoot stava soltanto cercando di coinvolgerti nella sua ennesima polemica”, mi dice Remus, inarcando appena un sopracciglio.
“La mia ennesima polemica è nata per un motivo del tutto giustificato, e si dà il caso che la causa sia proprio tu”, replica Sirius, rivolto a Moony.
“Qual è il problema?” domando io.
“Il signorino non ha ancora trovato il momento buono per introdursi nell’ufficio di Slughorn e prendere quello che ci serve per la prossima lezione di Pozioni”.
Padfoot calca le ultime parole a denti stretti, per assicurarsi che io capisca a che cosa si sta riferendo. Ma è ovvio che lo so. Non per niente, sono un Malandrino.
Il fatto è che, quando il primo di settembre io attendevo terrorizzato l’arrivo di Lily, impegnato a immaginarmi ogni possibile reazione di violento isterismo che, secondo le mie previsioni, avrebbe dovuto seguire la rivelazione della mia nomina a Caposcuola, Sirius se ne stava in silenzio perché la sua mente malvagia stava veramente macchinando qualcosa in quel momento. Solo che io avevo potuto verificare l’esattezza di quella mia ipotesi soltanto dopo aver trascorso una buona mezz’ora chiuso in un altro scompartimento a sudare freddo di fianco all’oggetto dei miei desideri, sentendomi un pesce fuor d’acqua. Ad ogni modo, quando finalmente ero riuscito a tornare dai miei amici, avevamo intavolato un generico discorso riguardo a futuri progetti per una splendida malandrinata d’inizio anno. Era venuto fuori che Sirius aveva preso decisamente sul serio quello che i Serpeverde avevano cercato di farmi alla fine dello scorso anno scolastico, e in più era da tempo interminabile che cercava un pretesto qualsiasi per farla pagare anche a quell’idiota di suo fratello, che non solo era indicibilmente rompiscatole, ma aveva anche finito per diventare l’esatto opposto di Sirius: adesso, aveva il vanto di annoverare tra le sue amicizie tutti i peggiori soggetti appartenenti alla sua Casa, Snivellus compreso. Così, nel corso di quella prima settimana e mezzo di scuola, il nostro piano aveva cominciato a delinearsi: per fargliela pagare, avevamo deciso che li avremmo provocati in ogni misura fino a quando non avrebbero deciso di reagire in modo attivo. Ma noi, le menti supreme del crimine, li avremmo fregati un’altra volta: venerdì scorso, infatti, avevamo dato avvio alla preparazione di una stratosferica Pozione Polisucco, che sarebbe servita a trasformarci in due Serpeverde a scelta, mescolarci agli altri nel momento in cui avrebbero deciso di farcela pagare e attaccarli alle spalle con loro enorme sbigottimento. A dire la verità, stiamo ancora discutendo per decidere chi di noi dovrà assumere le sembianze dei nostri odiati compagni di scuola, perché se scomparissimo tutti e quattro non risulterebbe nemmeno lontanamente credibile. Ma il problema, ora, a quanto mi sembra di capire, è di ben altra natura.
“Vuoi che ci vada io, Moony? Non preoccuparti, non ho più fame”, dico a Remus, facendo per alzarmi da tavola.
“James, sei impazzito per caso? Vorresti andarci adesso?”
Io mi stringo nelle spalle, perplesso.
“Sì, perché no? Se non vogliamo che Slughorn o qualcun altro ci scopra, è questo il momento migliore. Sono tutti troppo presi dal cibo per badare a un misero studente che si alza da tavola”, rispondo, riavvicinando teatralmente la sedia al tavolo.
“Prongs, non era quello a cui volevo arrivare …”
“Andiamo, che problema c’è? Anche Snivellus è seduto a tavola da bravo scolaretto”.
Remus sospira, rassegnato.
“Sta’ attento”.
“Certo, mamma”.
Improvvisamente mi sento afferrare per il maglione, e Sirius mi riporta con un gesto secco al suo fianco.
“Prendi il Mantello e la Mappa, e controlla che nessuno ti segua”.
Il solito inguaribile paranoico. Chi accidenti potrebbe essere così scemo da abbandonare tutta quell’abbondanza di pudding per correre a spiare le mie mosse?
“Scusami, vuoi che chiami mamma anche te?” insinuo, in tono zuccheroso, stritolandogli le guance con quel gesto odioso che si riserba abitualmente ai bambini piccoli. In tutta risposta ricevo una manata sulla schiena.
“Muoviti, stupido quadrupede cornuto”, mi dice Sirius, ridendo. Io mi volto e mi incammino verso l’uscita, cercando di non dare troppo nell’occhio. Getto solo una brevissima occhiata di sbieco a Lily, che sembra particolarmente impegnata a sedare il coro di risate delle sue amiche e a cancellarsi un insolito e improvviso rossore dal volto.
 
Ah, la vita dello studente medio.
Decidi di fondare un gruppo di giovani malintenzionati inclini al divertimento malsano e distruttivo per cercare di ovviare alla noia scolastica e alla ripetitività che caratterizza qualsiasi normale routine, e nonostante questo ti ritrovi al settimo anno di scuola con un fastidioso distintivo da appuntarti al petto la mattina – come se non fosse già abbastanza seccante dover perdere tempo a infilarsi la divisa – e un compito da svolgere quotidianamente che non può essere evitato per nessuna ragione al mondo, e in cui un ritardo ti costerebbe la testa. Questo per la semplice ragione che è Lily Evans a fare da sovrintendente, perché altrimenti dubito che il sottoscritto potrebbe dimostrare un simile zelo in un’attività così terribilmente ciclica. Però devo ammettere che finora non mi sono affatto annoiato, nel tentativo di applicarmi per svolgere un simile compito.
Una situazione di questo genere non può fare altro che aumentare le mie già interminabili elucubrazioni mentali riguardo al perché Silente abbia potuto compiere coscientemente la scelta di nominarmi Caposcuola. Se non ci fosse stata Lily a farmi da controparte, dubito fortemente che il senso del dovere mi avrebbe costretto ad obbedire alle regole in maniera così precisa e impeccabile. Voglio dire, io non sono avvezzo ad avere una gran memoria per questo genere di cose, perciò se ieri sera Lily non fosse sopraggiunta a schiodarmi dalla mia poltrona io nemmeno me ne sarei ricordato, della ronda. Certo, il discorso della McGranitt alla riunione mi ha inquietato non poco sullo stato delle cose nel mondo magico, in quanto essendo la mia casa decisamente lontana e isolata da focolai di qualsiasi genere la mia estate l’ho trascorsa un po’ fuori dal mondo, ignaro di quanto realmente la situazione si sia aggravata – del resto, i miei si limitano a farsi spedire la Gazzetta del Profeta per informarsi, ma il Ministero, con le sue fobie contorte e la sua irritante censura, non contribuisce di certo a dare una mano in questo campo – e quindi, se devo mettermi a pensare in grande, non posso evitare di ammettere che non sono affatto tranquillo, dato che perfino Silente si preoccupa di incrementare la sorveglianza anche a Hogwarts; tuttavia, per quanto questo possa avermi toccato, mi ci vuole del tempo per assimilare le cose. Ultimamente, poi, non ci sono molto con la testa, considerati gli avvenimenti tumultuosi degli scorsi giorni. Parliamoci chiaro, non riesco ancora a capacitarmi dell’incarico che mi è stato assegnato. Sembra quasi che Silente ci tenga a far incrementare rapidamente la mia autocoscienza.
Immerso come sono in simili riflessioni inconcludenti, faccio appena in tempo a muovere tre o quattro passi in direzione dei miei amici una volta rientrato in Sala Comune, sfoggiare il mio classico sorriso da “I Malandrini hanno colpito ancora”, gettare il vasetto con la pelle di Girilacco a Moony, impossessarmi di una poltrona e appressarmi a sedermici dopo aver ripiegato con cura il mio adorato Mantello – che ho amorevolmente appoggiato su un bracciolo – prima che mi accorga di Lily, che mi si sta avvicinando con un’espressione muta dipinta in volto.
Mi rialzo dalla poltrona con uno scatto improvviso. Lily ha incontrato il mio sguardo e si è fermata a pochi passi da me, incrociando le braccia e mordendosi il labbro.
Mi volto verso i miei amici, non sapendo che dire. Sirius ha già storto la bocca, mentre Remus e Peter si limitano a guardare da un’altra parte.
“Vi aggiorno più tardi”, mormoro, sentendomi sprofondare anch’io nel disagio più profondo, anche se in quel momento non riesco a comprenderne realmente la ragione. Mi avvio verso Lily e mi fermo bruscamente a qualche passo di distanza da lei, realizzando immediatamente che non so affatto come comportarmi.
“Dopo di te”, le dico, cercando di recuperare un briciolo di prontezza e animosità. Lei scatta in avanti come se volesse lasciarmi a distanza, e attraversa il buco del ritratto prima che io riesca a dire Quidditch.
Devo essere sincero, nemmeno oggi mi ero accorto che fossero già le nove.
Il fatto è che stamattina mi sono svegliato con la testa fra le nuvole, ancora sovreccitato per la positiva conclusione della scorsa serata in compagnia di Lily, ancora immerso nella fase di sogno ad occhi aperti. Ero dello stesso umore quando, la mattina a colazione, l’ho salutata come sono solito fare da quest’anno; quando ho assistito ad ogni singola lezione con le mie abituali capacità di concentrazione ridotte al minimo; quando mi sono ritrovato a camminarle a fianco mentre ci recavamo alla lezione di Incantesimi e l’ho fatta ridere con una battuta di circostanza su Slughorn, che per l’ennesima volta le aveva ripetuto che avrebbe desiderato averla a Serpeverde. Insomma, mi sono sforzato di essere normale, di comportarmi in modo normale. Ho fatto quello che faccio sempre, cioè fare il buffone, far dannare Moony durante le lezioni di Incantesimi, inscenare uno dei miei classici teatrini in coppia con Sirius (di solito fingiamo di litigare, e ci riusciamo talmente bene che una volta persino la McGranitt si è preoccupata), intrattenere una breve chiacchierata con Hagrid durante la pausa pranzo, lavorare ad una malandrinata. Io e Lily, durante le giornate di scuola, non abbiamo mai parlato granché, e io non ho nemmeno preso in considerazione l’ipotesi di stravolgere tutte le mie convenzioni dall’oggi al domani né, men che meno, di cominciare ad assillarla con la mia presenza o a rivolgerle costantemente sorrisi ammiccanti, dato che non mi è ancora ben chiaro come stanno esattamente le cose tra noi. Ora, però, il nostro incarico ci obbliga a starcene faccia a faccia l’uno con l’altro per un’ora intera, e io non so ancora come devo comportarmi con lei. Posso permettermi di starle vicino fisicamente, o rischio ancora di essere preso a pugni? Devo pensare che posso concedermi certe libertà, prendere l’iniziativa e avvinghiarmi a lei non appena siamo soli, oppure lasciarle il suo spazio e aspettare che sia lei a compiere qualsiasi tipo di passo nella mia direzione, ostentando una timidezza che non so nemmeno quanto sia davvero consona al mio carattere?
In questo momento di panico totale, riesco ad intravedere un’unica certezza di fronte a me, che mi impedisce di perdere l’equilibrio e di ruzzolare giù per i gradini della scala che conduce al corridoio: io e lei dobbiamo parlare, e chiarire le cose una volta per tutte. Devo soltanto dirle quello che penso.
Per esempio … non lo so, qualcosa del tipo: “Lily, tesoro, stammi a sentire. Tu mi hai baciato, e secondo i canoni tradizionali questo significa che almeno un po’ ti piaccio e che hai smesso di disprezzarmi come facevi un tempo, e, beh, per quanto mi riguarda tu mi sei sempre piaciuta, quindi non vedo perché non dovremmo cominciare a uscire insieme, ora, o quantomeno a considerarci una coppia felice … che ne dici?”
Forse però sarebbe meglio se introducessi il discorso in maniera più morbida.
“Ma … esattamente cos’è che dovremmo pattugliare?”
Forse però sarebbe meglio se evitassi di andare fuori tema.
“Non saprei, io pensavo di cominciare dai ripostigli per le scope …”
Ironica, la ragazza. Tutt’a un tratto sembra aver ritrovato la scioltezza verbale. Magari è un buon segno, potrebbe essere solo il primo passo verso un recupero di quella straordinaria intraprendenza che l’ha portata a baciarmi …
… e allora per quale motivo la tensione sembra pesarmi addosso come un enorme macigno?
“Oh, beh, se preferisci questo genere di posto io posso sempre adattarmi, su queste cose sono piuttosto flessibile”.
“Che non fosse il posto il tuo chiodo fisso l’avevo già capito, ti ringrazio”.
Certe volte sarebbe davvero meglio per me se imparassi a tenere la bocca chiusa. Evidentemente ho sbagliato del tutto approccio, perché con due misere frasi di circostanza, di cui l’ultima pronunciata solo in tono vagamente malizioso, sono già riuscito a ridestare il suo abituale modo di fare caustico e indispettito, quello a cui sono talmente abituato da poterlo percepire nell’aria.
Forse la mia adorata Lily non ha tutti i torti a definirmi competente solo nell’ambito del Quidditch. In questo momento, in cui il Quidditch non c’entra un accidenti di niente, sto facendo fiasco totale e non riesco nemmeno ad individuare un metodo di condotta che possa risollevarmi ai suoi occhi.
E va bene, basta. Adesso mi metto a parlare chiaro una volta per tutte.
“Senti un po’ … tu cosa … insomma, tu dove pensi che andremo a finire?”
Le sue labbra tirate in una smorfia indecifrabile mi fanno scorrere un paio di violenti brividi lungo la schiena. La osservo inarcare le sopracciglia e piegare gli angoli della bocca in un lieve sorriso niente affatto rassicurante, mentre i suoi occhi continuano a guardare fisso davanti a lei.
“Se continuiamo per questa strada dovremmo arrivare dritti nei sotterranei, quindi forse sarebbe meglio se salissimo di un paio di piani”.
La squadro con aria incredula, esterrefatto. È evidente che ha volutamente ignorato la mia velata vaghezza per scegliere di rispondermi nuovamente per le rime. Lo ammetto, per quanto mi riguarda non sono mai stato capace di esprimermi direttamente in modo efficace e comprensibile, ma un tentativo, per quanto squallido, lo sto facendo, e lei sembra totalmente intenzionata ad ignorarmi senza mezzi termini. Di questo passo mi prosciugherà di qualsiasi buona intenzione io potessi nutrire fino a questo momento, così come di qualsiasi aspirazione a compiere quel passo che ci separa fisicamente e disintegrare la cappa di disagio che ci avvolge.
Devo farmi forza per ricordarmi che è stata lei a baciarmi, perché con il suo comportamento è quasi riuscita a farmelo scordare. Ma di colpo quel piccolo ed insignificante dettaglio mi torna alla mente, e mi fa di nuovo scorrere il sangue nelle vene. Diavolo Prongs, cerca di ragionare con un po’ di sana e semplice logica. Se ti ha baciato lei significa che le piaci.
Assurdo, che fatichi così tanto a rendermene conto: ma probabilmente è soltanto colpa della mia ristrettezza mentale. Abituato come sono ad essere detestato da lei, non riesco proprio a capacitarmi del fatto di poter esercitare una qualche influenza sulla sua psiche, alla stessa maniera in cui lei da sempre influenza la mia. È inconcepibile, mi sembra di essere tornato ad essere il piccolo presuntuoso di qualche anno fa, a cercare di farmi coraggio con questo pensiero: il mio cupo realismo si è talmente radicato nel mio animo da rendermi modesto oltre ogni limite immaginabile, nonostante io perseveri nell’ironizzare su questo punto facendo credere al resto del mondo che mi credo ancora una specie di divinità scesa ad illuminare Hogwarts. Merlino, mi sento un idiota coi fiocchi. È assurdo, James Potter non può essersi trasformato in un simile rammollito.
“Che ti succede?”
Sollevo di scatto lo sguardo dal pavimento, rendendomi conto di essermi fermato nel bel mezzo del corridoio. Lily è qualche passo avanti a me e mi fissa con aria dubbiosa, e con ogni probabilità sta riflettendo sulle molteplici sfaccettature della mia stupidità congenita.
“Niente”, le rispondo, sbrigativo.
Bugiardo. Non è affatto vero, e lo sai benissimo.
“Pensi di essere in grado di muovere le gambe?” mi chiede lei, in tono vagamente incerto. La guardo fare un passo verso di me, le mani puntate sui fianchi, la sua camminata leggermente strascicata che me la rende riconoscibile in mezzo a una folla di cento persone, i suoi occhi fissi nei miei, con quell’espressione carica di ermetismo che per quanto mi sforzo non riesco a decifrare …
“Che razza di domande fai, Evans? È ovvio che riesco a muovere le gambe … se ti stavi preoccupando per me ti ringrazio di cuore, ma davvero non ne ho bisogno”, replico, usando tutta la sfrontatezza di cui sono capace. Sono ancora così ingenuo da credere che mettendola alle strette in questo modo infantile riuscirò ad ottenere qualcosa di concreto?
“Benissimo, se allora ritieni di non avere problemi motori schiodati da terra e cammina, grazie”.
La rabbia le tinge le guance mentre si volta per riprendere a camminare, e a quel punto io decido di mandare tutto al diavolo e di fare quello che veramente mi va di fare. La raggiungo in due falcate e la blocco, non ho nemmeno la cognizione dei miei gesti ma non mi interessa perché comunque riesco ad agire d’impulso in modo rapido ed efficace. Una frazione di secondo dopo la sto baciando, e per poco non mi si mozza il respiro stroncando la mia giovane vita in un modo tutt’altro che dignitoso e virile. Godric, devo frenarmi o finisco per soffocare anche lei. Ma Lily non si tira indietro. Non lo fa, per quanto ne avesse tutte le ragioni, per quanto il mio gesto sia stato irrimediabilmente stupido e irrazionale, per quanto l’atmosfera fosse soltanto carica di tensione, e non di quella complicità che serve per cose di questo genere. Non ha una logica. Possibile che quando ci sia di mezzo lei non ci sia niente che abbia una logica?
Stavolta sono molto più preparato psicologicamente. La stringo a me in maniera quasi irruente, e continuo a baciarla premendo completamente contro il suo corpo. Dopo qualche secondo anche le sue braccia mi cingono, provocandomi un immediato e vertiginoso aumento della frequenza cardiaca. Non riesco più a pensare a niente. Penso soltanto che sono follemente innamorato di lei, che lei è capace di togliermi il senno, e che non riesco a non starle attaccato. È qualcosa di quasi inconcepibile, che mi fa girare la testa.
Dopo un po’ interrompo il bacio, perché se non lo faccio rischio di non sopportare il peso di tutto questo carico emotivo. Rimango con il viso a pochi centimetri dal suo, stringendola ancora con forza fra le braccia, riuscendo a percepire pienamente le sue mani sulla mia schiena, sulle mie spalle. La accarezzo lievemente, in modo ritmico. Non ho la più pallida idea di che cosa io possa dire di appropriato in questo momento.
Lei non mi guarda. Tiene gli occhi fissi in un punto imprecisato. Quanto diavolo riescano ad essere espressivi i suoi occhi lei probabilmente non se lo immagina nemmeno, anche se nella maggior parte dei casi non riesco davvero a capire che cosa le passi per la testa. Resto immobile, lì, a contemplarla.
Un angolo della sua bocca si increspa verso l’alto, poi finalmente i suoi occhi incontrano i miei. Muove le labbra, sussurrandomi una semplice parola.
“Idiota”.
“Grazie”.
Le sorrido, con un ghigno divertito. Ormai un briciolo della mia scarsa fiducia in me stesso l’ho riacquistato, per quanto questo le possa dispiacere. La osservo scuotere la testa e stringere gli occhi mentre continua a fissarmi.
“Ti odio quando fai così”.
“Hai ragione, sono davvero insopportabile”.
Starle così vicino per più di una frazione di secondo prima di ricevere uno spintone in pieno petto da lei non riesce a sembrarmi vero, e l’esaltazione sta rischiando di mandarmi il sangue alla testa.
“Sai una cosa, Evans? Se anche non mi dai la soddisfazione di dirmi apertamente che ti piaccio, per me va bene lo stesso”.
Lei sospira, esasperata, stringendo le labbra in un’espressione di disappunto, ma non maschera abbastanza bene tutto quello che le sta passando per la testa perché riesco a cogliere uno sprazzo di sentimento nei suoi occhi, anche se so che vorrebbe mostrarmi soltanto il fastidio che le causa la mia ironia eccessivamente sfrontata. Questo è sufficiente a farmi fremere come un bambino.
“Spero per te che tu non pretenda che ci teniamo per mano quando camminiamo, o che per questo ti senta in diritto di appiccicarti a me durante ogni intervallo tra le lezioni, o di assillarmi costantemente con qualsiasi tipo di attenzione morbosa …”
Un sorriso immenso mi allarga il volto da un orecchio all’altro, mentre la osservo scrutarmi dal basso in alto con un’incertezza quasi intimidita che stona completamente con il suo tentativo di darsi un tono di voce severo e deciso, e mi sento travolgere da un’ondata di sentimento che non ha pari.
“Non preoccuparti, sono perfettamente conscio del fatto che ti gratifica dettare le regole”.
Una lieve risata le affiora sul volto, e capisco che ormai ho vinto. Sono riuscito a farle cancellare anche l’ultima traccia di rabbia e diffidenza. Ora posso arrischiarmi a baciarla di nuovo, sentendomi finalmente un pochino fiero di me stesso.
 
Non saprei spiegare perfettamente per quale motivo mi abbia preso questo attacco di solitudine. Abitualmente tendo ad isolarmi dai miei amici e a trascorrere del tempo per i fatti miei solo quando sono particolarmente arrabbiato, perché avverto la necessità istintiva di sbollire la cosa da solo. In quel momento, invece, ero soltanto euforico. Non che la situazione tra me e Lily si fosse sbloccata in modo completo, a voler entrare nel dettaglio e analizzare le cose come stanno realmente: dopo quei minuti di complicità che siamo riusciti a condividere, abbiamo trascorso il resto della ronda cercando disperatamente di parlare del più e del meno per nascondere l’imbarazzo che avevamo provato nel separarci (il che implicava che entrambi dovessimo tornare a comportarci da Capiscuola e ristabilire quella distanza che avevamo fatto così fatica a colmare), e quando siamo tornati in dormitorio lei ha fatto fatica a congedarsi da me perfino sfiorandomi soltanto il braccio, ma almeno siamo riusciti a non ricadere nei nostri abituali alterchi e abbiamo mantenuto un tono di discussione che sfiorava l’amichevole. Però ormai sono sicuro che ci sia qualcosa tra noi, e anche se ci vorrà del tempo perché lei si abitui all’idea, io farò il bravo e non le metterò fretta.
Questo soltanto perché anch’io devo abituarmi all’idea.
Non so se qualcuno riesca ad immaginare che cosa possa significare per me, ma anche volendo provare a spiegarmi non riuscirei a rendere perfettamente il concetto nella sua vera essenza. Da una parte mi sento decisamente esaltato perché erano anni che aspettavo questo momento. Da un’altra, provo un’incertezza mista a un certo grado di paura perché ho il terrore di fare qualcosa di sbagliato, considerato che non mi è mai capitato prima di dover affrontare una storia seria. Anzi, diciamo una storia e basta. Devo ammetterlo, per quanto Sirius mi desse dell’inguaribile scemo e per quanto anch’io mi sentissi effettivamente tale per il mio comportamento ostinato e poco realistico, non ho mai voluto stare con nessun’altra ragazza che non fosse Lily, e mai l’ho fatto. Certo, sono stato convinto a fare almeno un po’ di pratica in fatto di baci, e ho sempre saputo che un certo numero di ragazze ha sbavato per me nel corso degli anni precedenti, e diciamo anche che non ho mai disdegnato questo aspetto della mia popolarità (tradotto, me ne sono ampiamente vantato a destra e a manca), ma affermare che io ne abbia approfittato è decisamente una balla colossale. Io, povero scemo, volevo Lily e non mi sono mai saputo accontentare, non ho mai nemmeno concepito l’idea di poter ripiegare su di un’altra. Per me le altre non esistevano. Quanto Padfoot abbia riso di me per questo, probabilmente non riesco nemmeno a ricordarlo.
Insomma, improvvisamente sono diventato come una delle pozioni che mi tocca preparare a lezione, vale a dire incredibilmente complicato. Ho provato il bisogno di riflettere per i fatti miei perché sapevo che altrimenti non sarei riuscito a dormire, e prima di sentirmi pronto a rispondere alle domande degli altri è comunque necessario che abbia io le idee chiare. Solo che forse avrei potuto evitare di tenere la testa eccessivamente fra le nuvole, facendo sì che Gazza mi beccasse ancora in giro a mezzanotte passata.
Ho protestato in tutti i modi, giuro. Gli ho mostrato il distintivo, gli ho detto che ero autorizzato alle ronde serali. Ma lui ha insistito in ogni modo per sequestrarmi la Mappa del Malandrino. L’avevo appena estratta di tasca quando mi ha beccato, perché tramite non so quale assurda associazione di idee mi sono ricordato in quel momento che non l’avevo cancellata. Sta di fatto che, avendomi sorpreso nel momento stesso in cui declamavo “Fatto il misfatto” e la pergamena tornava ad essere vuota, lui si è messo a sbraitare riguardo al fatto che ne stessi sicuramente facendo una delle mie con quel foglio magico in mano, che non voleva sentire ragioni a riguardo e che il pezzo di carta riceveva l’onore di finire nel cassetto delle cose requisite, perché ormai lui mi conosceva bene. Purtroppo per me, su questo non ho potuto dargli torto: sono finito talmente tante volte nell’ufficio di Gazza da poter affermare di conoscere a memoria tutti i rapporti che il custode ha steso nel corso della sua lunga carriera a Hogwarts. Insomma, alla fine sono riuscito a filarmela perché i miei tre amici, evidentemente preoccupati per il fatto che ancora non ero tornato in dormitorio, avevano deciso di venire a cercarmi; fortunatamente sono riusciti a distrarre Gazza, permettendomi di fuggire mentre era ancora a metà del suo rapporto. Solo che poi ho dovuto fronteggiare gli sguardi perplessi di Sirius, Remus e Peter e spiegare loro che, in un attimo di distrazione, mi ero fatto sequestrare la Mappa del Malandrino.
Peter ha cercato fin da subito di difendermi di fronte a Sirius, che sembrava in procinto di esplodere, ma Remus è riuscito a salvarmi la vita facendo notare a tutti che, ad ogni modo, ormai la Mappa la sappiamo a memoria, e perciò in un certo senso era diventata praticamente inutile.
A questo punto, posso soltanto guardare Sirius con aria supplichevole ed implorare il suo perdono, desistendo da qualsiasi tentativo di discolparmi ai suoi occhi.
“E va bene”, mi dice infine, con un sospiro. Io lo guardo, con aria leggermente incredula.
“Sul serio?”
“No, ti sto prendendo per i fondelli”.
“Oh, andiamo!”
“Sì, James, sono serio, ma se entro un paio d’anni non vi vedo davanti a un altare a giurarvi amore eterno nel sacro vincolo del matrimonio ti terrò il broncio per i secoli a venire, ricordatelo!”
Ho decisamente portato tutti all’esasperazione con questa storia, devo riconoscerlo.
“E va bene, ti prometto che mi impegnerò al massimo”, gli dico, poi assumo un’espressione incerta. “Ma scusa, Padfoot … tra due anni non ti sembra un po’ troppo presto per costringermi a sistemarmi sotto tua diretta minaccia?”
Ce ne andiamo a dormire ridendo, profondendoci in battute a sfondo matrimoniale che non risparmiano nessuno di noi. Certo, per quanto non aspirassi a concludere la mia giornata con una visita all’ufficio di Gazza, devo riconoscere che immaginarmi uno qualsiasi dei miei amici con addosso un abito da cerimonia e un’aria terrorizzata dipinta in volto è talmente paradossale da riuscire a farmi cadere in un sonno profondo dopo un dormiveglia di silenziose risate.

***
 
Stanotte credo di aver dormito piuttosto bene. La cosa mi sembra strana, considerato che è da sabato sera che sono affetta da una grave forma di insonnia nervosa, ma in questo momento mi sento abbastanza riposata. E stamattina, guardandomi allo specchio, non sono stata spaventata a morte dalle mie occhiaie come mi è disgraziatamente accaduto nei giorni scorsi.
Sarà un segno del fatto che io e il signor Potter abbiamo finalmente sistemato le cose?
Può darsi. Per il momento, non mi sento angosciata all’idea di incontrarlo a colazione in Sala Grande. Ci siamo chiariti per quello che è successo, sono riuscita a fargli capire che non è vero che non me ne importa niente e ho anche ammesso con me stessa che tutto sommato lui – sì, proprio lui – mi piace, e da ora in poi non dovrò fare altro che lasciare che le cose seguano il loro corso.
Indosso la divisa con sicurezza, sentendomi affiorare il sorriso sulle labbra. Non è necessario che sia sempre tutto complicato, tra noi due. Siamo riusciti a venirci incontro, in qualche modo, e da ora in poi tutto sarà soltanto più facile. L’importante era superare lo scoglio post-bacio, anche perché lui, da quanto mi è parso, aveva davvero paura che io mi tirassi indietro o che cercassi di negare. Forse avrei potuto farlo, è vero, ma l’idea non mi è passata neppure per l’anticamera del cervello; immagino che fosse una cosa troppo sconvolgente per essere negata.
E ho sempre pensato di essere il tipo di persona che non ritratta ipocritamente ciò che ha fatto, anche se le circostanze sono … particolari come queste.
Perché, alla fine, anche se il mio è stato un gesto dettato dall’impulso, la mia volontà l’ha assecondato.
Bene, non ho assolutamente nulla da temere. Lascerò che le cose vadano come devono andare, senza preoccuparmi troppo del domani o del dopodomani, per quanto l’idea di poter cominciare ad uscire insieme a Potter mi suoni decisamente bizzarra e inaspettata … ma ci sarà tempo, per pensarci. Ora devo solamente pensare a rimanere in perfetto equilibrio con me stessa.
È con il sorriso sulle labbra che mi dirigo in Sala Grande con le mie amiche, scherzando insieme loro e sentendomi di nuovo invadere da tutta la mia voglia di vivere. Nessuno fa alcun accenno all’argomento Potter né tenta di strapparmi qualche informazione in più su quanto è successo ieri sera, ma tutte si accorgono che sono tornata nella mia forma più smagliante, ed è con immenso piacere che dedico alcune battute acide ai Serpeverde del nostro anno in compagnia di Helen, che discuto entusiasticamente di Charlotte Brontë con Mary, che mi consacro ad una colazione decisamente poco sana con Margaret imburrando una fetta di pane e cospargendola di zucchero e che cerco di insegnare a Delia a fare il giocoliere con le mele del cesto di frutta, attirandomi addosso le occhiatacce della McGranitt.
Vedo James entrare con i suoi amici un po’ di tempo dopo, e lascio che i nostri sguardi si incrocino per un momento senza sentirmi necessariamente in imbarazzo.
Ci salutiamo, cortesemente, come forse non abbiamo mai fatto.
Ed è allora che i miei propositi di non pensare al futuro vanno completamente in frantumi.
 
 
Oggi ci esercitiamo con gli Incantesimi di Protezione di livello elementare, che Vitious vuole vederci compiere in maniera impeccabile entro la fine della settimana. Non sono sicura di aver compiuto proprio una mezza rotazione del polso durante il mio ultimo tentativo, e infatti Elizabeth riesce a spezzarlo quasi subito. Vitious saltella freneticamente sopra la cattedra, continuando a ripetere che questi incantesimi sono fondamentali per noi, e che se non riusciamo ad eseguire correttamente quelli di livello più semplice non riusciremo mai a superare i M.A.G.O.
Certo, me ne rendo conto, ma un professore che mi mette l’ansia addosso non è esattamente ciò che mi serve per imparare a padroneggiare l’incantesimo.
“Adesso scambiatevi con il vostro vicino, rapidi, rapidi! Dovete avere la stessa padronanza di fronte a chiunque, forza!”
Sorrido ad Elizabeth e mi giro verso destra: di fronte a me c’è un Peter esitante e quasi intimorito, che ha appena abbandonato James a fronteggiare Jonathan Rigby, un altro Corvonero.
“Prego, prima tu”, lo invito, gentilmente, sorridendo per cercare di metterlo a suo agio.
“Davvero?” domanda lui, dubbioso.
“Certo, Peter, di che cosa hai paura?” gli domando, divertita. Lui esegue il suo incantesimo in maniera praticamente impeccabile. La McGranitt avrebbe ben poco da lamentarsi di lui, se lo vedesse ad una delle lezioni di Vitious.
“Di nulla, scusami
“E di che?
“Di di nulla”.
Sorrido di fronte ai suoi modi impacciati. Certo che la vita è proprio strana. Dubito seriamente che James, Sirius, Remus e Peter avrebbero mai finito per diventare così amici, diversi come sono l
’uno dall’altro, se non si fossero mai ritrovati a condividere un dormitorio a Hogwarts.
“Sì, lo so che molte volte sembro un cane da guardia, ma credimi, non ho mai chiesto nemmeno per sogno a Silente di ricevere certe nomine”, lo rassicuro. In fondo, non penso male di Peter. Non è un cattivo ragazzo. È che si fa trascinare fin troppo da un certo signor Potter, sia nel bene che nel male.
“Beh, adesso che tu e James state insieme le cose cambieranno, no?” mi dice lui, con aria speranzosa.
Stiamo insieme?
Bella domanda.
Davvero una bella domanda.
Una domanda a cui non credo di avere uno straccio di risposta.
“Non lo so, immagino dovremo parlarne per … chiarire la situazione”.
Godric. L’ho sempre saputo, che non mi fa bene parlare troppo dei fatti miei. Finisco per non sapere cosa dire, o cosa fare. Finisco per sentirmi giudicata. Soprattutto per una cosa del genere, che diamine. Non è propriamente una notizia che uno studente medio di Hogwarts dei nostri anni si aspetterebbe di ricevere, considerato che la mia avversione per James Potter è sempre stata ampiamente manifesta. Basti pensare che, quando gli ho detto che mi dava la nausea, quel giorno del quinto anno, in riva al lago o in quella zona del parco c’era praticamente mezza scuola.
Realizzo ora che, se vado avanti con questa cosa, il mio destino è praticamente segnato. La mia vita cambierà in modo radicale e mi toccherà rivoluzionare dei rapporti che non sono stati per nulla idilliaci, nel corso dei precedenti sei anni.
Non so se sono pronta per questo. L’ho dato per scontato nel momento in cui sono stata io a baciarlo, ma forse dovrei chiedermelo, prima di fare un errore madornale e dovermene pentire successivamente.
Chino la testa, fissando una crepa nel pavimento.
“Suppongo che ora sia il mio turno di ritentare con l’incantesimo”, mormoro, sforzandomi di esibire un sorriso.
 
 
Credo di essere appena entrata in piena crisi esistenziale quando sento scoccare le nove e cerco di raccogliere le forze per uscire dal dormitorio e avviarmi verso il patibolo. Magnifico, davvero. Sono proprio dello spirito giusto per andare di sotto e trascinare di nuovo via Potter, nella prospettiva di dover affrontare una conversazione della massima importanza come probabilmente sarà quella che si svolgerà fra me e lui questa sera. Via il dente, via il dolore, diceva qualcuno. E sono d’accordo. Meglio risolvere subito la questione, così da avere ben chiaro il quadro generale; e se non fossi così in confusione, non avrei affatto paura di tutto questo.
Scendo le scale a passi rapidi, quasi per abbreviare la mia agonia. Potter, ovviamente, è lì, in sala comune, si sta stravaccando giusto ora su una delle poltrone, circondato da tutti i suoi amici.
Oh, ecco, fantastico. Arrivo giusto in tempo per interrompere il suo convegno fraterno. Merlino, mi sento uno schifo, e non dovrei, perché in fondo, a ben guardare, non sto davvero facendo nulla di male. Però non fatico certo a supporre che ora Sirius, Remus e Peter mi etichetteranno di comune accordo come quella-che-trascina-via-Potter-nei-momenti-meno-opportuni, e già immagino quanto sarà divertente interpretare tutti i giorni il ruolo della rompiscatole.
James mi guarda, comprende e, per fortuna, si alza. Mormora a malapena una frase che non riesco a sentire. Sembra a disagio almeno quanto me, considerando che mi si blocca davanti con una mancanza di naturalezza non da poco.
“Dopo di te”, mi dice, e io colgo al volo l’occasione per fuggire di corsa dal dormitorio di Grifondoro. Lontano dal camino, fuori dal buco del ritratto, giù per le scale. Prima siamo soli, meglio è. La smetterò di sentirmi il mostro della situazione, perlomeno. E non appena avremo parlato, la smetterò anche di farmi dei problemi riguardo a cosa ne sarà di noi.
E va bene, credo che mi piaccia. Penso di esserne abbastanza convinta, dopo il modo in cui mi agito tutte le volte che incrocio il suo sguardo da quando ci siamo baciati. Penso anche di essere abbastanza forte da fregarmene delle eventuali chiacchiere della gente, perché ormai lo conosco e so che si merita il mio affetto, al di là di tutto. Sì, Severus lo detesta, ma non siamo più amici da tempo, ormai, pertanto non è un dettaglio che devo prendere in considerazione per decidere se posso uscire con Potter oppure no. E poi, anche se i rapporti fra me e Severus non si fossero interrotti, penso che mi sarei sforzata in ogni modo di fargli capire che il suo giudizio su James è sbagliato, completamente sbagliato. È maturato, non è più un bambino ed è in grado di affrontare una cosa come questa con il giudizio necessario.
“Ma … esattamente cos’è che dovremmo pattugliare?”
Dopo questa frase, però, potrei seriamente cominciare a ricredermi.
“Non saprei, io pensavo di cominciare dai ripostigli per le scope”, borbotto, in tono decisamente caustico, mentre svolto un angolo ascoltando i miei passi che rimbombano sul terreno. Gli riesce così difficile comprendere che dovremmo dare inizio ad una conversazione seria?
“Oh, beh, se preferisci questo genere di posto io posso sempre adattarmi, su queste cose sono piuttosto flessibile …”
Sì, infatti ieri mi ha rinchiusa in un’aula vuota.
“Che non fosse il posto il tuo chiodo fisso l’avevo già capito, ti ringrazio”.
In questo momento vorrei davvero fermarmi e mettermi a prendere a testate la parete. Forse aiuterebbe a rendere la situazione meno divertente per il signor Cacciatore.
“Senti un po’ … tu cosa … insomma, tu dove pensi che andremo a finire?”
Ah, lo dovrei sapere io? Dovrebbe pesare su di me la condanna di esprimere per prima un giudizio su questa faccenda, così come è toccato a me espormi per prima per portare la nostra relazione ad un livello più elevato? Vorrei che non fosse così, ma in questo momento non riesco a pensare ad altro che all’espressione allibita e disgustata di Severus dopo avergli detto che ho baciato James Potter. Non che mi interessi della sua opinione, ma perché è oggettivamente assurdo che proprio io abbia preso una tale iniziativa nei suoi confronti.
“Se continuiamo per questa strada dovremmo arrivare dritti nei sotterranei, quindi forse sarebbe meglio se salissimo di un paio di piani”.
Non sono pronta a buttarmi nelle fauci della Piovra Gigante, va bene? Non sono mai passata attraverso una cosa del genere e non so se due giorni di tachicardia costante possono essere considerati sufficienti per giudicarmi pronta ad iniziare una storia con lui, non so se posso fidarmi di un istinto che mi ha portato a baciarlo senza mezzi termini e senza preavvisi di alcun tipo. Non lo so. Non ho alcun termine di paragone. Per lui probabilmente è più facile, immagino che sappia cosa vuole dopo avermi guardata in quel modo quando gli ho detto che pensavo che la sua fosse tutta una tattica per conquistarmi come una specie di trofeo, ma per me non è così. Io sono stata gettata nel bel mezzo di questa cosa senza che nessun campanello d’allarme suonasse nella mia testa. E decidere se stare insieme a James Potter o no vuol dire tutto. Perché sarebbe una cosa seria, ma una cosa che ha alle spalle sei anni di ostilità. Perché per ora soffro di palpitazioni come una stupida ragazzina, ma stando insieme potremmo scoprire che non riusciamo ad andare per niente d’accordo. E allora, mi ritroverò con una disfunzione cardiaca e un impegno serio naufragato nel nulla più assoluto. O peggio, in un odio ancora più profondo di quello dei sei anni passati. E da ultimo, se veramente una parte di me era ancora così stupida da sperare che un giorno io e Severus saremmo tornati ad essere amici, cominciando a frequentare Potter equivarrà ad annullare completamente questa possibilità. Probabilmente non ci guarderemo neppure più in faccia, dopo che la notizia gli sarà giunta alle orecchie. No, peggio ancora, perché già adesso non ci guardiamo in faccia. Dal momento in cui ne verrà messo al corrente, Severus mi odierà tanto quanto odia James. Sono cosciente del fatto che sia incredibilmente idiota pensarci ancora, ma passare dal considerarlo il mio migliore amico alla consapevolezza di essere disprezzata non è proprio così facile da mandar giù. Non avrei mai voluto che le cose finissero così, tra me e lui.
È solo dopo qualche attimo che mi accorgo di non sentire più i passi di Potter fare eco ai miei, per cui mi volto e me lo vedo lì, fermo in mezzo al corridoio, probabilmente assorto nel contare le piastrelle del pavimento.
“Che ti succede?” gli domando, facendolo riscuotere di colpo. Mi guarda con una strana espressione smarrita.
“Niente”, risponde, e a me sembra di sprofondare. Ecco, come riusciamo a comunicare bene.
“Pensi di essere in grado di muovere le gambe?” gli chiedo, accantonando in buona parte il sarcasmo. Mi avvicino, non so perché, forse perché è ora o mai più, e se non riusciamo a sbloccarci è la fine.
“Che razza di domande fai, Evans? È ovvio che riesco a muovere le gambe … se ti stavi preoccupando per me ti ringrazio di cuore, ma davvero non ne ho bisogno”.
Per diversi secondi lo squadro da capo a piedi con il volto contratto dall’ira, sforzandomi di non esplodere.
“Benissimo, se allora ritieni di non avere problemi motori schiodati da terra e cammina, grazie”, ribatto, poi mi giro e me lo lascio alle spalle, più decisa che mai a lasciar perdere con tutta questa storia. È ridicolo, i fatti lo dimostrano, più evidente di così non potrebbe essere. Non riusciremmo ad avere la nostra storia seria per neppure cinque minuti. Non so nemmeno come ho fatto a crederci, davvero. Sei anni di ostilità non si cancellano così facilmen- …
Che diavolo …?
Un secondo. In un secondo mi ha afferrata per un braccio, mi ha bloccata sul posto, mi ha sollevato il volto con una mano e mi ha baciata. La tachicardia aumenta a livelli vertiginosi. Sento la pressione delle sue labbra e le sue braccia che mi stringono come non ha mai fatto, come nessuno ha mai fatto. Finisco aggrappata alle sue spalle, in punta di piedi, e lui quasi mi solleva da terra, abbracciandomi così forte.
Stupido.
Come l’altra volta, la rabbia svanisce. Quasi di colpo. Tutto quanto perde d’importanza. Che valore può avere se non riusciamo a comunicare verbalmente, o se per sei anni non abbiamo fatto altro che litigare? Già soltanto il fatto che riusciamo a baciarci è qualcosa di rivoluzionario. Perché è qui che capisco. Perché non mi fa schifo, nemmeno un po’. Perché mi fa girare la testa. Perché stare così attaccati non mi soffoca. Perché corro il rischio di cominciare a desiderare che duri per sempre. Questo dovrà pur significare qualcosa, qualcosa di importante.
Ci stacchiamo dopo un po’, anche se rimaniamo abbracciati. Non potrei sfuggirgli nemmeno se volessi, stavolta.
L’ho sentito di nuovo, come tre giorni fa. Dal modo in cui rispondeva al mio bacio inaspettato e violento manifestava un sentimento di una forza impressionante, che non ho istintivamente potuto fare a meno di ricambiare. È più forte di me, più forte della mia volontà e della mia logica, del mio giudizio e delle mie paure. E non c’è una ragione particolare per questo. È semplicemente colpa sua. Di questo stupido che ho odiato per anni e anni, con tutte le mie forze. La verità è che non mi è mai stato indifferente, nel bene o nel male. È sempre riuscito a conquistarsi una buona fetta delle mie energie e dei miei sentimenti.
Sorrido involontariamente, mentre torno a guardarlo.
“Idiota”.
“Grazie”.
Sorride anche lui, con quella sua snervante aria da impunito.
“Ti odio quando fai così”, gli sussurro.
“Hai ragione, sono davvero insopportabile”, risponde lui, ancora a pochi centimetri di distanza.
Riesco quasi a sfiorare le sue labbra incurvate verso l’alto.
“Sai una cosa, Evans? Se anche non mi dai la soddisfazione di dirmi apertamente che ti piaccio, per me va bene lo stesso”, mi dice poi, ancora con quell’espressione. Quindi questo è il suo stupido modo per dirmi che è una cosa seria?
“Spero per te che tu non pretenda che ci teniamo per mano quando camminiamo, o che per questo ti senta in diritto di appiccicarti a me durante ogni intervallo tra le lezioni, o di assillarmi costantemente con qualsiasi tipo di attenzione morbosa …” gli dico, cercando implicitamente una conferma al mio dubbio. Lui sorride, divertito, mentre io attendo una sua risposta al mio modo contorto di porgli una domanda.
“Non preoccuparti, sono perfettamente conscio del fatto che ti gratifica dettare le regole”, risponde, e finalmente posso ridere anch’io. E va bene, Potter, allora che sia una cosa seria. Ci baciamo di nuovo. È tutto chiarito, per quanto in maniera decisamente bizzarra e poco usuale. Ma, del resto, ho sempre detestato le discussioni condotte per mezzo di luoghi comuni.



 
Waste the hours with talking, talking,
These twisted games we're playing.
We're strange allies,
With warring hearts.

(Dave Matthews Band, The Space Between)




Nota di fine capitolo: preannuncio che dal prossimo capitolo inizieranno i cambiamenti più importanti per la trama (finora si è trattato di piccole cose, soprattutto con il fine di inserire l'amicizia fra Severus e Lily che nella versione precedente della storia era assente, dato che l'avevo scritta prima che fosse uscito HP7). Le cose tra Lily e James andranno sempre nello stesso modo, ma ci saranno modifiche e arricchimenti, soprattutto dal punto di vista di Lily, inerenti soprattutto il capitolo The Prince's tale di Deathly Hallows (inventarmi una spiegazione plausibile per tutto è stata una vera e propria fatica). Ulteriori spiegazioni verranno aggiunte a tempo debito; per adesso posso smetterla di tediarvi :)

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Capitolo 12
*** Sull'orlo di una crisi di nervi ***


Capitolo 12
Capitolo 12 – Sull’orlo di una crisi di nervi


 
E io pensai a ... a quella vecchia barzelletta, sapete, quella, quella dove uno va dallo psichiatra e dice: “Dottore, mio fratello è pazzo, crede di essere una gallina”. E il dottore gli dice: “Perché non lo interna?”. E quello risponde: “E poi, a me, le uova chi me le fa?”. Beh, credo che corrisponda molto a quello che penso io dei rapporti uomo - donna. E cioè che sono assolutamente irrazionali e ... e pazzi. E assurdi. Ma credo che continuino, perché la maggior parte di noi ha bisogno di uova.

(Woody Allen, Io e Annie)




13 Ottobre 1977
 
Non è la prima volta che mi ritrovo a dover fare i conti con il desiderio di fare un bilancio della mia misera ed infinitesima esistenza ma, diversamente rispetto alle altre occasioni, ora mi accorgo che non sto riuscendo nel mio intento di mettere ordine nei ricordi, nelle date, negli avvenimenti. Potrà anche essere possibile che io soffra di qualche tipo di limitatezza mentale, ma non posso farci niente, giuro; è complicato. E lo dico nella coscienza del fatto che la maggior parte delle volte affermare che è complicato è solamente la più efficace e meschina delle scuse. Può risultare incredibile, ma non è il mio caso; nell’ultimo mese me ne sono capitate talmente tante che ormai non so nemmeno che cosa prendere in considerazione e che cosa no, di tutta questa valanga di dati che mi intasano il cervello.
Ora forse comincio a capire come deve sentirsi il Cappello Parlante quando viene posato sulla testa di uno studente, e implicitamente gli viene richiesto di classificarlo in una precisa categoria in base all’analisi attenta di una personalità. Beh, se ci riesce il Cappello Parlante non vedo perché non dovrei riuscirci io, che sono James Potter il Caposcuola, il capitano della squadra di Quidditch di Grifondoro, il Malandrino e l’Animagus non registrato.
Ecco, perché non concentrarsi per prima cosa su quest’ultimo aspetto?
Ora, posso capire che Padfoot, non avendo mai nutrito l’intenzione di avviare una relazione seria con una qualsiasi ragazze a cui ha di rado concesso le proprie preziose attenzioni tanto agognate, non si sia mai posto il problema in vita sua, e che altrettanto abbiano fatto Moony e Wormtail, l’uno troppo schivo per ronzare intorno a una donna con delle serie e precise intenzioni e l’altro troppo avvezzo ad essere messo in soggezione da qualunque essere di sesso femminile che pretenda di rivolgergli la parola (io e Sirius sosteniamo che Peter sia stato condizionato negativamente in questo senso dal terrore che gli incute la McGranitt, ma credo che il vero motivo non lo scopriremo mai), ma io, dicevo, sono stato posto dalle circostanze nella diretta necessità di riflettere molto attentamente riguardo alla mia doppia natura, in virtù del fatto che ora ho una ragazza e che logicamente sto facendo sul serio.
Il problema, per dire le cose come stanno, non si è presentato subito. Ma il 27 settembre c’era la luna piena, e io, per mancanza di inventiva e di collaborazione da parte dei miei amici, che mi hanno – più o meno gentilmente – invitato a sbrigarmela da solo, mi sono dovuto inventare una scusa patetica per mollare Lily a pattugliare i corridoi da sola e recarmi di corsa nella Stamberga Strillante, dove Remus  era già in piena trasformazione. Come se non bastasse, mi sono ricordato di trasformarmi in Prongs appena in tempo, prima di piombare dentro la stanza in sembianze umane (il che, compiuto di fronte ad un Lupo Mannaro, sarebbe stato un po’ come offrirgli il piatto forte su un vassoio d’argento). Ma questi sono aspetti del tutto secondari. Il punto cruciale della questione è che ho dovuto mentire a Lily in modo spudorato, e per una volta può anche essermi andata bene che ci sia cascata, ma la prossima Luna piena è il 26 ottobre, e dopo oggi mancano tredici giorni, io che cavolo mi invento? È ovvio che non ho la benché minima intenzione di rinunciare alle nostre uscite notturne con scadenza mensile solo perché adesso sto con lei, mi sono dannato l’anima per tre anni insieme a Sirius e Peter per riuscire a diventare un Animagus in modo da aiutare Remus e non l’avrei mai fatto per qualcun altro di cui non mi fosse importato un accidente, ma quello che mi preoccupa è che Lily è spaventosamente intelligente. Certo, sono obiettivamente lieto che Madre Natura le abbia conferito questo dono; tuttavia, in una situazione come questa, la cosa non fa altro che preoccuparmi. Non ci metterà molto a capire che c’è qualcosa che non va, così come io, Padfoot e Wormtail ci siamo accorti che qualcosa non andava in Moony e nelle sue regolari sparizioni motivate da pretesti poco convincenti, e che ci ha portati a scoprire tutto quando ancora eravamo soltanto tre giovani e innocenti scolaretti del secondo anno; figurarsi quanto ci impiegherà Lily ora. Per cause fortuite, quando ancora lei frequentava Snivellus (Merlino, che orrore, ma chi me l’ha fatto fare di ripensarci?), era già capitato che noi Malandrini avessimo con lei una discussione riguardante Remus. In tali frangenti le dicemmo che il nostro amico aveva una malattia molto seria (il merito di questa idea geniale fu tutto di Peter, ancora adesso gli facciamo i complimenti per la prontezza con cui si inventò quella frottola); così rendemmo giustificabile il fatto che spesso avesse quell’aria pallida e stanca e i suoi soggiorni periodici in Infermeria. Perfino Madama Chips, cogliendo la vitale importanza di quella messinscena, confermò la nostra versione senza fare una piega, aiutandoci così a depistare completamente Lily. Mi viene quasi da ridere a ricordare quell’improvvisato teatrino da noi allestito in tali circostanze: Remus ci confessò che, quando annunciai che avremmo spiegato a Lily cos’aveva, era quasi svenuto per lo shock (come se mi sarebbe mai potuto passare per l’anticamera del cervello di dirle la verità, suvvia … sono solo innamorato di lei, ma non totalmente scemo e menefreghista). Lei non aveva colpa, si era ritrovata in mezzo a quella situazione soltanto perché il suo odioso ex-amico Snivellus continuava a ficcare il suo disgustoso e lunghissimo naso negli affari di Remus. Però, in tali circostanze, sembrava che l’avessimo convinta. Tuttavia, un conto era giustificare davanti a lei i malesseri di Remus, tutt’altra questione è invece fornirle una scusa per le mie concomitanti sparizioni. Ho cercato di parlarne con i miei amici, ma all’incirca, seppure in tonalità diverse, mi sono sentito rispondere sempre con la stessa formula mascherata da luogo comune: “Ci penseremo quando sarà il momento”. Mi sembra giusto, tanto non è nessuno di loro tre quello che deve fare i conti con una ragazza che ha il fiuto di un segugio per i loschi affari dei Malandrini e in più, dati i recenti sviluppi, anche la possibilità di tenere sotto stretto controllo il sottoscritto, di cui percepisce il tono da balla colossale con una facilità che ormai mi terrorizza. A dire la verità, Sirius ha anche proposto di Schiantarla tutte le volte che mi è necessario allontanarmi per raggiungere Remus così da non dovermi inventare una scusa per farla star buona, e poi – forse – di risvegliarla al ritorno e riportarla in sala comune. Inutile dire che l’idea è stata bocciata in partenza. Ma questa considerazione mi permette di ricollegarmi ad un altro degli aspetti che mi preoccupa di tutta questa faccenda, e cioè Padfoot.
Che si fosse ormai stufato della mia perenne infatuazione per Lily fin dagli anni precedenti l’avevo già intuito, ma ne avevamo parlato più di una volta e l’avevo rassicurato sul fatto che, se anche il sogno della mia vita avesse finito per avverarsi, mai e poi mai avrei messo da parte i miei amici per dedicarmi univocamente a lei. Solo che lui sembra esserselo scordato, di tutte le volte che gliel’ho detto. Il nostro rapporto non ne ha risentito, con me è sempre lo stesso; ma quella diffidenza di fondo che ha ininterrottamente permeato l’argomento Lily si fa sempre ed immancabilmente viva ogni volta che, per colpa della mia situazione con lei, finisco per combinare dei pasticci. Giuro che ora ci sto attentissimo, e che ci provo a non cacciarmi nei guai, ma è anche vero che non possediamo una seconda Mappa del Malandrino che io possa farmi sequestrare, e che quindi mettere in campo frasi fatte del tipo “Ti assicuro che non si ripeterà più” non ha molto valore pratico, in fondo. Comunque sia, ce la sto mettendo tutta. Non voglio dover scegliere tra l’una e l’altra gioia della mia vita: voglio soltanto poter trovare il modo di coltivarle entrambe, se Merlino me lo concede. Per ora posso solo sperare che con il tempo il contrasto si attenui; Lily per fortuna non se la prende e io mi sforzo di dividere il mio tempo libero in parti più uguali possibile, nonostante questo mi stia trascinando sull’orlo di una crisi di nervi.
Già, perché non bastano queste ordinarie complicazioni a rendermi la vita difficile, in aggiunta alla considerevole mole di studio, agli allenamenti di Quidditch e ai miei incarichi da Caposcuola, no: ci si devono mettere anche quei piccoli e subdoli incidenti di percorso che in genere non posso prevedere, e di fronte a cui ogni volta mi trovo totalmente impreparato.
Il peggiore, comunque, credo sia stato quello con la McGranitt.
Era una delle tante sere d’autunno che si sono accavallate fino ad oggi nei miei ricordi, e io ero particolarmente in vena di fare lo scemo. Le lezioni erano appena terminate, io e Lily dovevamo recarci alla riunione dei Capiscuola e in giro non c’era praticamente nessuno, perciò, nel tragitto che ci doveva condurre dalla Sala Comune all’ufficio della McGranitt, avevo cominciato a provocarla in tutti i modi possibili e immaginabili, giocando sul fatto che ormai non ci riesce più ad arrabbiarsi seriamente con me per queste facezie. Sta di fatto che avevo appena dato voce ad una frase che suonava più o meno come “Non preoccuparti se alla riunione preferisci mantenere le distanze, in ogni caso abbiamo sempre l’ora della ronda in cui spassarcela”, che mi vedo uscire da un’aula vuota in quel preciso e definito istante la McGranitt in persona, con uno sguardo molto cattivo puntato dritto su di me.
Inutile dire che io avrei tanto voluto sotterrarmi con le mie stesse mani.
Sulle prime penso abbia preferito non dire niente, si è semplicemente limitata a scortarci fino al suo ufficio con le labbra ridotte ad una fessura, mentre io incassavo con un gemito strozzato un violento gancio sul torace affibbiatomi da Lily, mentre il mio cervello era entrato in crisi e continuava a ripetermi “Idiota, idiota, idiota”, intervallato ogni tanto da un “Ma quando diavolo imparerai a tenere la bocca chiusa?”.
E del resto, quale può essere la soluzione per evitare che si ripetano episodi di questo genere? Anche volendo, ormai non posso più nemmeno andare in giro con la Mappa del Malandrino costantemente sotto il naso. Alla fine, comunque, conclusasi la riunione, la McGranitt mi chiese di trattenermi un secondo e, una volta che le fui di fronte, squadrandomi da capo a piedi con quel suo sguardo assassino, mi fece un discorsetto molto teso e imbarazzante in cui mi consigliò in tono di velata minaccia di non portare Lily sulla cattiva strada. Io mi strinsi nelle spalle cercando di scacciare il disagio opprimente e le dissi “Beh, professoressa, dato che lei indubbiamente considera Lily una ragazza assennata converrà con me che se è andata a scegliersi uno come me significa che non mi ritiene in grado di portarla su una qualsiasi cattiva strada”. Gli occhi della McGranitt si erano ridotti a due fessure e io avevo preferito filarmela, sentendomi gridare alle spalle che questo implicava anche “non fare della ronda serale un’occasione per dedicarsi ad attività poco decorose”. Io ormai avevo già intenzione di andare a cercare una vanga per sotterrarmi, se non fosse stato per il fatto che Lily mi aspettava dietro la porta pronta a darmi una mano scavando a mani nude (vale a dire che mi prese a pugni per tutta la strada di ritorno, ingiuriandomi in ogni maniera possibile, salvo poi saltarmi al collo nei pressi dei gradini che conducono alla Torre di Grifondoro; non ho ancora capito per quale strano meccanismo, ma sembra sempre propensa a questo tipo di iniziative nelle occasioni in cui sono appena riuscito a farla infuriare a morte).
Un altro episodio particolarmente imbarazzante si è verificato la mattina del 28 settembre, il giorno successivo alla luna piena. In genere, le nottate di luna piena le trascorriamo quasi completamente insonni perciò, se il giorno dopo siamo particolarmente stanchi, saltiamo un paio di lezioni e ci barrichiamo in dormitorio a giocare a chi russa più forte. Quest’anno, però, con i M.A.G.O. alle porte, Remus ci ha fatto promettere che ci impegneremo al massimo per perdere il minor numero di lezioni possibile; perciò, la mattina dopo mi sono trascinato verso l’aula di Erbologia in uno stato vegetativo che faceva pietà, carico del fascino delle occhiaie incipienti e di una chioma particolarmente in disordine. I miei amici hanno sempre retto piuttosto bene il peso di una nottata di sonno perso, ma io, per mia grande sfortuna, non sono mai stato dotato di questa capacità; quindi, il massimo che quel giorno sono riuscito a fare è stato nascondermi dietro la mia pianta e trascorrere l’intera lezione a sbadigliare senza ritegno. Il bello è che è stato proprio durante uno sbadiglio particolarmente smascellato che Lily ha deciso di volgersi verso di me e chiedermi se potevo sbrigarmi a restituirle le sue forbici da potatura – ovviamente gliele avevo chieste in prestito con la scusa di rivolgerle la parola. Sì, perché ancora adesso necessitiamo di simili espedienti per instaurare una comunicazione: di sicuro ho sviluppato un’immaginazione fuori dal comune, considerate tutte le scuse che ogni volta mi premuro di inventare, ma ho anche imparato a mie spese che la situazione è ben lontana dai vagheggiamenti idilliaci che riempivano le mie fantasie quando ancora vivevo nel mondo dei sogni. È davvero complicato. E il peso dell’abitudine è forte. Come può riuscire spontaneo instaurare un rapporto di immediatezza dall’oggi al domani con una persona che fino al giorno prima ti insultava costantemente? Che poi non è che adesso abbia smesso di farlo, la mia cara, dolce Lily. Nei momenti in cui riusciamo ad entrare in sintonia e forse avrebbe l’occasione di dirmi qualcosa di carino, non parla. Ma quando io dico qualcosa per spezzare il silenzio e lei mi risponde a monosillabi con la sua tonalità ironica, io mi sento come se avessi appena vinto la finale di Quidditch.
Di altre conseguenze tragicomiche ce ne sono state parecchie. Per esempio, quando abbiamo messo in atto lo scherzo ai Serpeverde, lei per poco non Schiantava me e Peter trasformati in Nott e Avery, mentre rientravamo nei dormitori di Grifondoro seguiti da Remus e Sirius e tenendoci la pancia per le risate. Comprensibile che un qualsiasi Grifondoro sano di mente avesse pensato male notando un paio di Serpeverde entrare nel dormitorio altrui, ma per evitare di finire male abbiamo dovuto raccontarle tutto e attendere che gli effetti della pozione Polisucco svanissero completamente prima che lei mi credesse davvero. Alla fine però siamo riusciti a farla ridere, anche se dalle occhiate e dal mutismo iniziali risultava evidente che non approvava la nostra bravata. Se anche le fosse passato per l’anticamera del cervello di tenere fede al suo incarico di Caposcuola e punirci tutti e quattro seduta stante, sono riuscito a farle cambiare idea nel giro di qualche minuto, e in separata sede Sirius ha finalmente convenuto con me che a qualcosa è servito, che io e lei iniziassimo ad uscire insieme. Non sono molto sicuro di quanto i miei occhi abbiano brillato in quel momento, ma dev’essere stato parecchio, perché Padfoot ha cercato di soffocarmi con un cuscino non appena ha notato in che modo lo stessi guardando.
Devo dire che, comunque, sono riuscito a comprendere quale sia il comportamento più adeguato che posso assumere in casi come questo, o dopo che Lily mi ha beccato a discutere pesantemente con Snivellus nell’aula di Pozioni, o che alcune ragazzine del terzo anno evidentemente invaghite del sottoscritto hanno tentato di pedinarci mentre ci appartavamo dopo cena, o che un Bolide mi ha rotto un braccio durante l’allenamento di Quidditch in cui avevo supplicato Lily di fare un salto a vedermi giocare. Insomma, sto imparando a destreggiarmi in mezzo a questo percorso a ostacoli perché, per quanto un bilancio del genere possa apparire disastroso, la mia mente contorta si limita ad accettare lo stato delle cose e ad andare avanti come se niente fosse. Che diamine, questa è la vita di Hogwarts; non c’è niente che io possa fare per eliminare del tutto il rischio di questi incidenti di percorso, perciò tanto vale che ci faccia l’abitudine. Del resto, ho imparato ad adattarmi a molti aspetti della mia vita che non mi andavano giù, nel corso di questi anni: e se non l’avessi fatto, adesso non starei qui a crogiolarmi nel pensiero di essere frequentare Lily ormai da un mese.
Bene, a questo punto posso ritenermi soddisfatto del mio esame di coscienza. Scanso le coperte e mi alzo silenziosamente, considerato che tanto ormai non potrei sperare di riaddormentarmi sfruttando il tempo che manca all’ora della sveglia collettiva per riposarmi ancora un po’: nelle situazioni in cui il mio cervello è bombardato da un sovraccarico di pensieri di portata simile, per riuscire a cadere di nuovo nel mondo dei sogni dovrei strisciare fino all’infermeria e implorare Madama Chips di concedermi il beneficio di una Pozione Soporifera. Considerato però che solo una settimana fa ha dovuto riaggiustarmi le ossa del braccio, non credo sarebbe molto propensa a compiere un altro atto di carità nei miei confronti in un arco di tempo così breve.
Senza contare che devo ancora finire il tema di Difesa contro le Arti Oscure, miseriaccia. Non che la materia in sé mi preoccupi, l’ho sempre saputa cantando: il fatto è che, per quanto io possa essere cerebralmente sveglio, non lo sono proprio così tanto da poter affermare di essere nelle condizioni adatte a mettermi a fare i compiti. Ma che importa, quest’anno ho deciso di fare il bravo bambino e di applicarmi un po’ di più, anche se la mia smisurata intelligenza non lo richiederebbe (sì, sono sempre stato uno di quegli odiosi individui immeritatamente dotati che è in grado di leggiucchiare un libro di Artimanzia una mezzoretta prima della prova in classe e riuscire comunque a prendere il massimo dei voti; so che Lily mi detesta ancora per questo).
Scendo le scale del dormitorio con passo estremamente strascicato, gettando un’occhiata distratta fuori dalla grande finestra che si affaccia sulla sala comune. Non dev’essere nemmeno l’alba, considerato che ancora non giunge nemmeno uno sprazzo di luce mattutina. Poco importa, riaccendo il fuoco nel camino e sprofondo su una poltrona insieme a piuma, calamaio e pergamena, poi cerco di aprire gli occhi quel tanto che mi è necessario per smetterla di vederci sfuocato anche con gli occhiali al loro posto. È deprimente, ma che ci posso fare se ieri sera ho dovuto condurre degli allenamenti di doppia durata in vista della prima partita del campionato scolastico?
Mi piacerebbe tanto sapere che diavolo di ore sono. Sbadiglio, srotolo la pergamena e mi accingo a riprendere da dove mi ero interrotto la sera prima, senza badare al fatto che la mia grafia si sta facendo sempre più simile a quella buffa e tremolante di Peter che alla mia solita. Devo rileggere il mio componimento un paio di volte prima di capire esattamente di che dovessi ancora parlare per finire quell’accidenti di tema, quando mi rendo conto che nell’intestazione è richiesta anche la casistica dell’uso delle Maledizioni Senza Perdono nel nostro secolo … va bene che sono intelligente, ma non fino al punto da saper snocciolare una serie di nomi mai sentiti prima attingendo informazioni da chissà dove. Questo significa che devo come minimo tornare di sopra a recuperare il mio libro di Difesa contro le Arti Oscure. Magnifico.
Sto per alzarmi dopo aver sbadigliato di nuovo quando un tonfo sordo nelle immediate vicinanze mi fa compiere un salto di un metro e mezzo per lo spavento. Un paio di libri sono atterrati sul pavimento vicino ai miei piedi producendo quel fracasso infernale e io, per riflesso condizionato, mi volto di scatto nella direzione da cui sono giunti.
“Che pigiama adorabile”, mi apostrofa Lily, squadrandomi con quel sorrisetto compiaciuto stampato sul volto.
Io smetto di trattenere il fiato, una volta appurato che non si tratta di nessun soggetto pericoloso per la mia incolumità. Solo che non posso fare a meno di domandarmi comunque che diavolo ci faccia lei lì.
“Non essere invidiosa, te ne regalerò uno uguale per il tuo compleanno, se vuoi”, replico, tentando di recuperare la mia dignità attraverso una qualche battuta insicura. Il suo sorriso si allarga ancora di più, mentre si avvicina e si siede sulla poltrona di fianco alla mia.
“Come facevi a sapere … voglio dire, non ti sembra un po’ presto per alzarti?”
Lei non accenna a voler eliminare quel ghigno dalla faccia.
“Considerato che ieri sera te ne sei dovuto andare quando eravamo ancora tutti a metà del tema, ho ipotizzato che l’avresti finito adesso”.
“E come facevi ad essere sicura di trovarmi qui?”
“Beh, diciamo che hai il passo piuttosto pesante”.
“E che tu non dormivi, ad ogni modo”.
Lei abbassa gli occhi, fissando il tappeto. Sorrido anche io. A distanza di un mese, ancora ci sono dei momenti in cui mi sembra tutto un incredibile sogno.
“Pensavo ti servissero i libri”.
“Mi inchino di fronte alla tua perspicacia”.
“Lo prenderò come un ringraziamento”.
Per certi aspetti, non sembra affatto trascorso un mese. Tuttora continuiamo a lanciarci frecciatine di questo tipo, senza mai toccare un argomento serio, e senza fornirci spiegazioni del perché continuiamo a perseverare in questo tipo di atteggiamenti. Non ho mai frequentato il corso di Antiche Rune, ma forse avrebbe potuto finire per piacermi, perché tradurre quello strambo linguaggio dovrebbe essere più o meno come cercare di interpretare i comportamenti di Lily nei miei confronti: e non posso non ammettere che lo trovo estremamente stimolante.
Raccolgo uno dei libri da terra, poi però mi accorgo che lo sguardo penetrante di Lily è direttamente puntato su di me.
“Che c’è?” le chiedo, con aria inevitabilmente sospettosa. Lei mi osserva con una punta di scetticismo.
“Non preferiresti copiarlo, il tema?”
Sgrano gli occhi, in un’espressione confusa.
“Perché, tu mi diresti di sì?”
Lily si stringe nelle spalle con aria candida.
“Beh, può darsi”.
Io rimango in silenzio per qualche secondo. Continuo a fissarla attentamente, concentrandomi su quella piega della sua bocca che nasconde un sorriso molto poco innocente.
“Oh, piantala. Questa volta non ci casco”.
Lei ride, di gusto, gettando indietro la testa. I capelli le scivolano sulla schiena. Merlino, deve essere un sogno. Ora arriverà Sirius a buttarmi giù dal letto con una cuscinata, ne sono certo.
“Sei perfida. Tutti ti credono un angelo, ma io la so la verità, Evans”.
Lily termina la sua risata, poi si alza dalla poltrona e raccoglie l’altro libro che io ho lasciato a terra.
“Non cercare di passare per il povero innocente della situazione”, mi dice, rimanendo inginocchiata sul pavimento di fronte a me, “come sai la McGranitt è convinta che sia stato tu a traviarmi”.
Io alzo le braccia, come per difendermi e chiamarmi fuori.
“Ehi, non te l’ho chiesto io di comparirmi di fronte in camicia da notte”.
Lei mi allunga un buffetto sul braccio, rialzandosi, e io prontamente la afferro e la costringo a sedersi sulle mie ginocchia.
“Se ti fa piacere te ne comprerò anch’io una uguale per il compleanno”, ribatte lei, facendomi il verso, con tutta la sua abituale dolcezza. “Sai, non sarebbe una cattiva idea. Potresti sfoggiarla in Sala Grande, renderesti tutti un po’ più allegri. Sarebbe un gesto molto altruista da parte tua”.
Storco la bocca in una finta espressione offesa, avvicinando di più il volto al suo.
“Il tuo spirito filantropo mi lascia davvero a bocca aperta”, le rispondo, abbassando la voce e prendendo a giocare distrattamente con i suoi capelli. Inutile dire che mi piace anche così, spettinata e con l’aria così tipica di chi ha dormito poco, aria che peraltro devo probabilmente avere anch’io, e non so quante delle ragazze che mi corrono ancora dietro mi troverebbero oggettivamente attraente se avessero la possibilità di osservarmi in simili condizioni.
Per qualche minuto finalmente ci abbandoniamo ai baci, senza perderci in altre chiacchiere, e senza badare al nostro aspetto dovuto alla carenza di sonno. Ormai, in privato stiamo acquistando un briciolo di confidenza. In pubblico continuiamo a comportarci da persone rispettabili, ma ho sempre trovato che non ci sia gusto a sbaciucchiarsi costantemente sotto gli occhi di tutti.
Dopo un po’, comunque, mi costringo a ritornare con i piedi per terra e mi stacco da lei, seppure questo mi costi uno sforzo di volontà non indifferente.
“Dovresti fare il tema, ora”, mi fa prontamente notare lei, prima che io possa aprire bocca. Inarco un sopracciglio, stringendola a me ancora per un attimo.
“Stavo pensando che potrei continuare così, e poi dare la colpa a te”.
Lei mi guarda malissimo, storcendo la bocca in una smorfia di disappunto.
“E poi tra noi due sarei io quella perfida?”
 Io rido, divertito.
“Certo, il mio sarebbe solo un modo di denunciarlo. Così finalmente i professori capirebbero che sei tu che porti me sulla cattiva strada, e non viceversa …”
In un attimo Lily si alza, prende i libri e me li sbatte con violenza sulle gambe, provocandomi un dolore non indifferente. Le getto un’occhiata sofferente, e lei, senza battere ciglio, si limita a riaccomodarsi sulla sua poltrona accavallando le gambe con grazia.
“Non prendertela, l’ho fatto solo per obbligarti a fare il tuo dovere”.
“Ti ringrazio”, biascico, riprendendo in mano pergamena e calamaio. Apro il libro di Difesa contro le Arti Oscure e tento di ricordarmi dove diavolo fossi arrivato, riflettendo sul fatto che sono davvero un caso disperato. Nessuna persona sana di mente avrebbe mai potuto innamorarsi in modo così folle di una simile sadica perversa.

***
 
Stamattina mi sono alzata dal letto con una consapevolezza che mi ha decisamente sorpresa: io e James Potter ci frequentiamo ormai da un mese.
Non so come tutto questo tempo sia potuto volare senza che io neanche me ne accorgessi.
Dopo che la cosa è stata ufficializzata, le nostre giornate hanno iniziato ad essere ancora più impegnative, per via della necessità di imparare a far fronte ad una costante vicinanza che in parte ci imbarazza, in parte ci fa sorridere. Ogni momento durante le lezioni si è trasformato in un’occasione per scrutarsi di sottecchi, osservare le rispettive mosse, imprimersele nella mente per abituarsi a stare fianco a fianco. Abbiamo preso ad occupare posti abbastanza vicini, anche se non direttamente a contatto. Io ho la mia vita e James ha la sua; so benissimo che non troncherebbe mai tutti i rapporti con i suoi tre amici soltanto per starsene con me, e io la penso allo stesso modo per quanto riguarda Helen, Delia, Mary e Margaret. È complicato, perché mi trovo costretta a suddividere il mio tempo libero fra le innumerevoli incombenze della vita a Hogwarts, le mie amiche e lui, e spesso ci capita di trascorrere insieme soltanto l’ora della ronda serale, che non mi va di impiegare in altro modo; farmi gli affari miei sapendo che la sicurezza degli studenti è stata riposta nelle mie mani non è un lusso che posso concedermi senza provare rimorso, e quindi i nostri giri di pattuglia si risolvono in lunghe chiacchierate, periodicamente interrotte da qualche tentativo di distrarmi. Se c’è una qualità di James che posso affermare di aver scoperto in lui, è la perseveranza. Perseveranza che degenera senza freni in tenace insistenza e inguaribile testardaggine, all’occasione; ma è proprio vero che non si arrende mai, Merlino. Non che a me, personalmente, servissero altre conferme, dopo tutti questi anni trascorsi ad aspettare un mio sì; ma dopo aver sperimentato tutti i suoi metodi escogitati per attirare la mia attenzione, direi che posseggo una panoramica più completa di questo aspetto del suo carattere.
Non so da dove tragga tutta questa incapacità di arrendersi, ancora non l’ho scoperto. Certo è che pare felice come una pasqua; sprizza vitalità e gioia da tutti i pori in ogni momento della giornata, e ha talmente la testa fra le nuvole che mi consente di batterlo sul tempo nelle risposte alle domande della McGranitt durante Trasfigurazione, cosa che è sempre stata un primato indiscutibile suo e di Sirius Black all’incirca da sempre.
La mia esistenza, insomma, ha assunto ritmi strani. Come se, a una lista dei miei impegni quotidiani, avessi aggiunto la voce Potter; voce che però, nonostante sia ormai trascorso un mese, continuo ad osservare ad occhi sgranati tutte le volte che lo sguardo vi cade sopra.
È talmente bizzarro che davvero non so quando arriverò ad abituarmici.
Tuttavia, c’è qualcosa che mi ha spinto ad aggiungere volontariamente quel nome sulla mia ipotetica agenda degli impegni quotidiani. Perché, superato il primo momento di totale incertezza e massima confusione, mi sono resa conto che volevo provarci davvero. Mettermi in gioco. Dargli una possibilità. Non per pietà o per esasperazione, no; avevo giurato che non l’avrei fatto, e infatti non sono queste le mie motivazioni. È che mi affascina. È talmente assurdo, incomprensibile e sorprendente da riuscire a lasciarmi a bocca aperta anche quando penso di aver perfettamente compreso il suo gioco. Mi sono accorta che si è rivelato una persona totalmente diversa da quello che pensavo che fosse, e che il suo vero modo d’essere mi piace tanto quanto odiavo il suo atteggiamento da stupido sbruffone. Mi sono sempre sforzata di non giudicare mai le persone dalle semplici apparenze, consapevole del fatto che nessun essere umano, Babbano o mago che sia, possiede una personalità priva di un minimo spessore; ma constatare che esiste qualcuno dotato di tutte le molteplici sfaccettature di James mi lascia semplicemente a bocca aperta.
È l’esempio vivente di ciò che significa crescere.
Sta di fatto che, grazie al contatto più intenso che la nostra relazione sta promuovendo, mi ritrovo a scoprire che abbiamo un sacco di piccole cose in comune che fanno davvero sorridere.
Per esempio, anche lui fa la collezione di figurine delle Cioccorane; collezione seria, intendo, il che significa che ne ha a mucchi, che le tiene riposte con cura in fondo al baule, che ha perfino due copie di Phineas Nigellus Black, che per quanto ne so è assolutamente introvabile. E poi, ho scoperto anche che gli piace il mare, come a me. E che sarebbe capace di divorare muffin fino a rimettere. E che ha un padre che va pazzo per la musica classica Babbana. E che per lui il sonno è qualcosa di sacrosanto e intoccabile. E che gli piacciono i maglioni a righe e le calze colorate. E che adora scrivere lettere – a questo quasi non ci volevo credere, ma Sirius, Remus e Peter me ne hanno dato le prove. Pacchi di una ventina di lettere ciascuno per ogni estate trascorsa dall’inizio del nostro primo anno fino ad oggi. Sono rimasta a fissarli a bocca aperta per una manciata di secondi, incapace di qualsiasi reazione; dire che non me lo sarei mai aspettato da uno come lui è davvero poco. I suoi tre amici me ne hanno letta qualcuna ad alta voce, una sera che non avevamo nulla da fare, prima della ronda; è stato un autentico spasso. James scrive tutto ciò che gli passa per la testa; è incredibilmente logorroico, come quando parla.
Poi, beh, ci sono tanti altri dettagli che invece ci vedono schierati su fronti completamente opposti: io sopporto poco il Quidditch, lui lo adora; io detesto andare fuori con la pioggia, lui ci starebbe a prendere acqua per ore; a me affascina la nebbia, lui la odia perché dice che non si riesce a giocare bene; a me non piace farmi fotografare, lui starebbe ore davanti a un obiettivo a fare facce sceme (anche in questo caso ne ho ricevuto ampie prove, ovvero due intere scatole piene di fotografie di loro quattro in ogni posa possibile e immaginabile). Però quello che è incredibile è che in un mese sono riuscita a scoprire un numero spropositato di cose di lui che prima non conoscevo affatto, nonostante comunque siano sette anni che condividiamo la stessa Casa, frequentiamo le stesse lezioni e gli stessi ambienti per dieci mesi su dodici.
Certo, continuo a strabiliarmi del fatto che proprio io esca con lui, perché andiamo, chi l’avrebbe mai detto, ma una volta superato l’imbarazzo iniziale diventa tutto più facile. Nel senso che, a parte baciarci e passare del tempo insieme e sentirci imbarazzati, il rapporto di prima è rimasto, e non potrei esserne più felice, perché è stato proprio quel tipo di rapporto che mi ha portato ad impazzire di colpo e baciarlo. Continuiamo a scherzare allo stesso modo, a prenderci allegramente in giro, a cercarci con dei pretesti, a farci le boccacce da una parte all’altra della classe davanti a un Vitious leggermente scioccato dal nostro comportamento, a farci dispetti del tipo rubarci le cose dal piatto a colazione o spedirci bigliettini con le nostre caricature o fare a gara a chi risponde prima alle domande della McGranitt, però poi, in più, ci sono quei momenti in cui mi sento nelle ossa un bisogno impellente ed assurdo di essere tenera, il che mi sorprende tutte le volte. A dispetto del mio aver voluto mettere le mani avanti riguardo al baciarci in pubblico o al tenerci per mano nei corridoi, ogni tanto sento l’impulso di farlo, e lo faccio. Agisco d’istinto. Di solito sono una persona molto controllata e mi capita davvero di rado, ma James evidentemente ha questo strano potere, perché di solito quando agisco d’istinto c’è di mezzo lui.
Se tuttavia avessi saputo che tutto quel pensare quanto mi facesse tenerezza fosse soltanto il preludio di tutto ciò, credo che sarei andata nel panico più completo. Non sono affatto brava in questo genere di cose, inutile negarlo, James mi è decisamente superiore. Ha quella capacità di avvicinarmi anche quando sono dell’umore peggiore, di riuscire a strapparmi un sorriso in ogni occasione, perfino di entrare in contatto fisico con me con la disinvoltura necessaria a farmi vedere la cosa come estremamente naturale. È strano come ora mi sembri di vedere le cose da tutt’altra prospettiva rispetto a qualche tempo fa, ma è solo standoci insieme che mi sto rendendo conto di quanto sia realmente profondo quello che prova; probabilmente è per questo che mi sento in svantaggio, perché lui convive con questa cosa da anni, mentre io ho iniziato a farci i conti soltanto ora.
Se c’è una cosa che però farei molto, molto volentieri, sarebbe dimenticare il passato, o quantomeno solo quella parte scomoda che, inevitabilmente, produce delle ombre sullo stato attuale delle cose.
Non so se il mio desiderio arrivi anche a voler cancellare la mia passata amicizia con Severus; è una questione troppo delicata, riguardo alla quale non avrò mai una risposta certa. Preferisco non pensarci e far finta di nulla, ma scordare completamente tutto non so se mi farebbe bene. Ad ogni modo, un simile Incantesimo di Memoria sarebbe troppo complesso per chiunque, presumo, perfino per Silente, quindi non vale nemmeno la pena di porsi il problema. È che inevitabilmente ora sono passata dalla parte opposta rispetto a quella da cui stavo un tempo, e conoscere entrambe le versioni dei fatti non mi è d’aiuto per formulare un giudizio su certi episodi che ancora aleggiano nella mia memoria.
Ad esempio, tutta quell’assurda, insistente questione di Remus.
Sapevo già da tempo che era malato. E non perché avessi voluto impicciarmi dei fatti suoi, anzi, personalmente ero ben lungi dall’intromettermi nella sua vita privata; Remus mi piaceva, essere stata nominata Prefetto insieme a lui ci aveva avvicinati molto già durante il quinto anno e lo ritenevo una persona assolutamente degna della mia stima, anche se davvero non capivo che ci trovasse di così entusiasmante in James Potter e Sirius Black. Certo, non ero così ottusa da non aver notato che con lui, quando non si sentivano in obbligo di dare spettacolo, si comportavano in tutt’altro modo: più volte li avevo visti accorrere in sua difesa per giustificare le sue assenze di fronte ai professori, o per sedare le malelingue dei Serpeverde che udivano parlar male di lui. Erano veri amici e quello lo si intuiva facilmente, non solo perché Remus era Prefetto e quindi costituiva una valida copertura per le loro malefatte, altrimenti, negli anni precedenti alla sua nomina, non si sarebbero neppure parlati. E Remus, nella sua infinita pazienza, non era da meno. Quelle poche volte che avevamo toccato l’argomento – tra noi, in genere, vigeva il tacito accordo di non discutere di James, considerato che la mia opinione riguardo a lui era ben nota – l’avevo sentito difendere con assoluta sincerità il loro buon cuore, pur non nascondendo di non condividere alcuni comportamenti per lui un po’ troppo estremi. Insomma, al di là di tutto, non avevo mai avuto nulla da ridire su di lui. Il motivo per cui sapevo della sua malattia non dipendeva da me, ma da Severus. Mi brucia tremendamente ricordare tutto ciò, perché la figura che ci feci non fu certo delle migliori e ancora adesso mi pento di avergli concesso anche solo il beneficio del dubbio; ma ultimamente non ho potuto fare a meno di notare alcuni dettagli che mi hanno fatto riflettere ancora su questo argomento, mio malgrado.
Tuttora non capisco perché Severus abbia dovuto impuntarsi con tanta forza. L’infantilismo raggiunto negli scontri fra lui e James ha toccato vette finora mai esistite, credo. Si comportavano come bambini dell’asilo, sempre a guardarsi in cagnesco e a cercare lo scontro, sia verbale che fisico. James ce la metteva davvero tutta per offenderlo, riusciva ad essere veramente perfido e il fatto che Sirius e Peter lo spalleggiassero sempre rendeva il conflitto impari, a parere mio. Ma, con il senno del poi, devo riconoscere che Severus se l’andava a cercare. Li aveva detestati fin dal primo momento, senza concedere mai tregua a nessuno di loro, neppure con me; e sebbene giustificare le loro malignità sia una cosa che tuttora non mi riesce, non posso non capire il punto di vista di James. Ha sempre avuto in odio le Arti Oscure, sempre, fin dal primo anno a Hogwarts. E, infatti, non è che se la prendesse solo con Severus. Non c’è mai stata pace neppure con tutti gli altri Serpeverde del nostro anno. Però, in particolar modo, a lui non concedeva un attimo di respiro – tuttora me ne domando il perché, in effetti. Grazie a Godric, però, dall’anno scorso si è dato una calmata e, almeno per quanto mi è dato vedere, risponde solo se provocato. So che non c’è alcuna possibilità che arrivi a reagire con indifferenza totale, ormai lo conosco fin troppo bene. Non importa più di tanto, ormai, visto che io e Severus non siamo più amici e soprattutto che non desidera essere difeso da una come me.
Ad ogni modo, se James dal canto suo non si risparmiava offese e lanci di incantesimi, Severus si appigliava a qualsiasi cosa per cercare di far espellere lui o uno degli altri tre. Era diventata una questione ossessiva, carica di un accanimento che mi lasciava totalmente interdetta, perché non ne capivo il senso. Soprattutto considerato che Remus, ad esempio, non gli aveva mai fatto nulla di male, non personalmente almeno. In genere si teneva alla larga da quegli scontri o, se interveniva, lo faceva in qualità di Prefetto. Certo nessuno ignorava che Sirius, Peter e James fossero i suoi migliori amici, ma non per questo mi sentirei di accusarlo di favoritismi; faceva quello che doveva fare, fine della discussione. Quindi, un conto era il rancore che Severus covava nei confronti di James e Sirius, che non si risparmiavano mai un colpo, ma tutt’altra questione, per me, era estendere quel risentimento anche a Remus.
Tuttavia, non riuscii in alcun modo a far ragionare Severus. Lui diventava un’altra persona quando mi parlava di loro in quel tono. Era irriconoscibile, e la cosa mi faceva stare male. Aveva notato che Remus, una volta al mese, spariva, o meglio, semplicemente non si presentava a lezione per uno o due giorni. Mi disse che probabilmente era assente perché si trovava in Infermeria (non era riuscito ad avvicinarsi perché era stato cacciato da Madama Chips, ma più volte sosteneva di aver visto Potter, Black e Minus fare avanti e indietro da lì; non che questo provasse qualcosa, ma secondo lui era un elemento schiacciante). Mi fece notare che prima di queste giornate di assenza non aveva mai un’aria molto sana: appariva pallido, stanco, leggermente più inquieto del solito. Beh, nel fatto che fosse di salute cagionevole io non ci trovavo nulla di così eclatante. Mi dispiaceva per lui, ma la cosa finiva lì. E invece no, non era una spiegazione sufficiente per Severus; un giorno, dopo una lezione di Difesa Contro le Arti Oscure, mi piantò in asso per correre in Biblioteca e tornò a cercarmi, qualche ora dopo, dicendo che aveva finalmente risolto quell’enigma che tanto lo angustiava. Remus, secondo lui, era un Lupo Mannaro. Avevamo appena trattato l’argomento a lezione con il professor Robbins, un giovanotto un po’ montato che sosteneva di avere sangue di vampiro nella sua famiglia, per cui gli dissi che stava esagerando e che si era semplicemente fatto suggestionare dalla lezione. Lui non mi diede mai retta, neppure per un secondo. Continuò a propinarmi indizi, nel corso degli anni, che secondo lui provavano la sua teoria; faceva insinuazioni su Silente, mettendo in dubbio il suo essere un buon Preside visto che esponeva i suoi studenti ai rischi che poteva comportare un Lupo Mannaro che si aggirava nella scuola … finché, un giorno, ne ebbi decisamente abbastanza. Prima l’avevo ascoltato pazientemente, smentendolo su ogni punto ma senza arrabbiarmi; ora, però, era tempo di farla finita con quella storia. Ritenevo Remus un bravo ragazzo e non potevo accettare che il mio migliore amico se la prendesse in quel modo con uno che non gli aveva fatto nulla – se non infilargli una bacchetta nel naso al primo anno durante una piccola rissa per difendere i suoi amici, cosa del tutto accidentale e priva d’importanza (sì, in fondo mi aveva fatto ridere).
Il caso volle che, durante i primi giorni d’inverno del quinto anno, mi colpì una brutta influenza. Fui trascinata in Infermeria da una preoccupatissima Margaret, che mi aveva trovata a mezzanotte passata, rientrando da un appuntamento clandestino con il suo ragazzo di allora, rotolata giù dal letto, in preda più al delirio che al sonno, con la fronte che scottava e il respiro affannoso.
Il giorno dopo, quando mi svegliai, verso le sei di mattina, mi trovai di fronte Potter, Black e Minus che avanzavano furtivamente verso un letto distante dal mio, isolato da una tenda protettiva.
“Che diavolo ci fate qui? Non è neanche l’alba!” esclamai, piuttosto sorpresa. Che violassero le regole del coprifuoco non era certo una novità, ma per quale ragione avrebbero dovuto recarsi in Infermeria? Per rubare le scorte di cioccolato di Madama Chips? Era troppo perfino per loro.
“Ehm … Peter sì è … fatto male a un piede”, farfugliò Black, al che Minus, schiacciandosi il piede sinistro, prese a saltellare simulando una smorfia di dolore.
Io corrugai la fronte in una delle mie migliori espressioni scettiche, tentando di far loro capire che non mi ero affatto bevuta quella scusa.
“Stavo perdendo sangue dal naso, ne ho persi a litri, ha smesso proprio pochi secondi fa”, aggiunse Potter, cercando di sembrare più convincente.
“Oh. Che caso”, commentai, sarcastica. “E tu, Black?”
“Io? Nulla di che, mi sono guardato allo specchio e non mi sono sentito abbastanza bello, così ho pensato che dovesse esserci qualcosa che non andava”, rispose Sirius, con aria sprezzante. Io inarcai ancora di più il sopracciglio, stringendo le labbra.
“Tu piuttosto, perché da queste parti, Evans?” mi chiese James, nel tentativo di rigirare la frittata. Io gli feci un sorrisetto prima di rispondere.
“Influenza, Potter. Qualcosa di cui le divinità non possono ammalarsi”, risposi, in tono palesemente ironico.
“Ci hai visto giusto, ma le divinità hanno anche il potere di guarire, quindi perché non esci con me? Ti garantisco che non ti ammaleresti mai più”, disse lui, con quell’odioso tono di velata superbia, mentre Black e Minus si rotolavano dalle risate.
“Pronuncia solo un’altra parola fuori luogo e non mi ci vorrà niente a farvi beccare fuori dai dormitori a quest’ora”, replicai, freddamente. Il suo vanesio sorriso si congelò all’istante.
“E dai, Evans, potrei offrirti anche l’immortalità …”
“Potter, ti avevo avvertito …”
“No, Lily, per favore!”
L’ultima voce che mi giunse alle orecchie era del tutto inaspettata in quel momento. Guardai dal punto in cui l’avevo sentita provenire e vidi che le tende di quel letto isolato si scostavano, lasciando uscire un Remus malconcio, pieno di graffi e mortalmente pallido, a malapena in grado di reggersi in piedi.
“Sono … sono venuti a trovare me. Lo so, non è l’orario giusto ma per piacere, non punirli, è solo colpa mia se sono venuti qui”, mi pregò, ansante. Subito Madama Chips corse verso di lui, con aria preoccupata.
“Signorino Remus, torni subito a letto! E voi tre”, aggiunse, rivolgendosi a James, Sirius e Peter, “che cosa vi ho sempre raccomandato? È mai possibile che non riusciate a rispettare gli orari delle visite? Signorino Remus, mangi un po’ di cioccolato, le farà bene …”
Non sapevo più che dire. Remus mi guardava con aria mortificata; gli altri tre si erano ammutoliti di colpo, come se qualcuno avesse eseguito su di loro un Incantesimo di Silenzio.
“Ciao, Remus, non sapevo che fossi qui”, dissi infine, tentando di esibire un sorriso forzato.
“Andatevene via, di corsa!” sbraitò Madama Chips verso gli altri tre. “La signorina ha ragione, dovreste essere nel vostro dormitorio a quest’ora!”
“Ma Poppy, con tutta la strada che ho fatto per vederla, ora mi caccia via così?” replicò Sirius, sfoggiando un’aria da cane bastonato. Davvero un brillante attore, commentai fra me e me.
“Evans, per favore, non dire niente a Snivellus …” mi disse intanto Peter, implorando anche lui.
“Shh, che dici, Pete?”
“Ma sì, James, sono amici, glielo andrà a dire di sicuro che Remus è qui, ti prego, convincila tu …”
“Hai ragione … ok, Evans, tu non hai visto niente”.
Lo fissai senza sapere come replicare, evidentemente perplessa.
“Senti, non guardarmi così! A parte che sei bellissima anche quando stai male …” – lo fulminai con lo sguardo istantaneamente, e a quel punto anche lui decise che era ora di smetterla – “… insomma, per favore, di’ a quell’essere viscido di piantarla di ficcare il suo orrido naso nei nostri affari. Il nostro amico non ha niente che non va”.
Guardai di nuovo Remus e non riuscii a sembrare per nulla convinta di quest’ultima affermazione.
“Remus è soltanto malato. Snivellus deve lasciarlo in pace”, aggiunse Peter. Sirius e James si guardarono, e un’indecifrabile espressione affiorò di colpo sul volto di entrambi.
“Giusto. Dato che sei una brava persona, Evans, a te diremo che cos’ha Remus”.
Mi sistemai meglio a sedere, ancora troppo stupita per trovare delle risposte adatte.
“Va bene”, dissi soltanto. Un silenzio tombale aleggiò in Infermeria per alcuni secondi. Madama Chips sembrava aver perso colore di colpo.
“Ascolta, non è una bella cosa, quindi se ci tieni a lui non devi andare a dirlo in giro. Remus ha … una malattia autolesionistica. Una cosa rara, per fortuna”, mi spiegò Black, con serietà. Sbirciai di sottecchi il mio collega Prefetto e mi sembrò quasi che avesse smesso di respirare.
“Ascoltate, davvero, io non ho niente contro di lui, non voglio impicciarmi dei suoi affari …”
“Evans, so che sei una persona ragionevole”, intervenne Potter, guardandomi negli occhi. Aveva abbandonato di colpo l’aria altezzosa con cui usava rivolgersi a me di solito. “Se ti spieghiamo questa faccenda, potrai tenere il tuo amico Snivellus lontano da Remus. Credimi, non è piacevole avere questa malattia. Lui … si fa del male. Involontariamente. È per questo che è sempre così pieno di ferite e di graffi. E deve andare a fare dei controlli periodici al San Mungo, per cui Madama Chips lo accompagna. Non ci si può fare niente, ce l’ha fin da quando era piccolo. È una malattia dei maghi. Noi tentiamo di stargli vicino, ma non c’è una cura. Vero, Madama Chips?”
“Sì, purtroppo è vero”, rispose la donna, in un soffio.
“Mi dispiace tanto, Remus”, dissi, rivolta a lui, sentendomi incredibilmente stupida e meschina. Era una cosa seria, molto seria. Una cosa terribile. Meritava di essere lasciato in pace, nella maniera più assoluta.
“Bene, ora che lo sai, di’ al tuo amico che dovrebbe vergognarsi”, concluse Potter, sempre con lo sguardo fisso su di me. Io annuii, lentamente.
“Lo faccio solo per lui, sia chiaro”, lo avvertii, facendo cenno verso Remus. James si passò una mano fra i capelli, tornando di colpo ad assumere la sua espressione noncurante.
“Benissimo. Magari quando sarai guarita scompariranno le fette di salame che hai negli occhi e ti renderai conto di quanto sono bello e di quanto valga la pena di uscire con me, senza fare tutte queste storie …”
“Le fette di salame sono sugli occhi, James”, lo corresse Remus, con un sorriso. Sirius e Peter colsero l’occasione per scoppiare a ridere sonoramente, rompendo la cappa di tensione che si era creata; anche a me, tutto sommato, sfuggì un mezzo ghigno divertito.
Seriamente, non era stata mia intenzione costringerli a rivelare che cosa avesse Remus. Ero lì per puro caso, per giunta. Ma mi rimase impressa la serietà con cui lo difesero. Fu una delle poche volte in cui vidi James Potter trattenersi dal fare battute idiote per più di cinque secondi di fila.
Ad ogni modo, questa stupida polemica finì per trascinarmi in mezzo a molti più alterchi fra James e Severus di quanto io non avessi desiderato; non era mia intenzione mettermi in mezzo, nella maniera più assoluta. Tuttavia, quando riferii a Severus il mio dialogo con madama Chips, lui se ne infischiò bellamente e fece come se non avesse sentito, continuando a portare avanti le indagini sulla sua assurda teoria finché, una notte del quinto anno, successe una cosa estremamente strana. Non riuscivo a dormire, perciò avevo occupato la sala comune – grazie a Godric, deserta – per tentare di farmi venire sonno leggendo. Non mi andava di tenere accesa la luce in dormitorio, avrei disturbato tutte le mie compagne; allo stato attuale, se mi succede una cosa del genere, sono loro le prime a voler restare sveglie con me a chiacchierare, ma all’epoca non eravamo ancora così in confidenza.
Di fatto, comunque, avevo ciondolato in preda all’inquietudine fino a mezzanotte inoltrata. Era un motivo stupido che non mi faceva prendere sonno: di lì a poco sarebbe stato il compleanno di mia sorella e, come sempre ormai da quando ero entrata a Hogwarts, non sapevo se comprarle un regalo, che probabilmente sarebbe rimasto impacchettato con la scusa che Petunia temeva di vedersi recapitare una cosa magica, che lei notoriamente non gradiva. Cominciava a farsi strada in me l’idea che fosse giunta finalmente l’ora di lasciar perdere, e che avrei dovuto smetterla di fare tentativi inutili di saldare la frattura che si era creata fra noi. Ma se non le avessi preso niente sarei risultata scortese. E poi, i miei cosa avrebbero detto? Loro non capivano, pensavano fosse l’adolescenza, qualcosa che prima o poi sarebbe passato. Invece, era sempre peggio e io me ne rendevo conto, mio malgrado.
Avevo lasciato la finestra aperta per far circolare un po’ d’aria, però ad un certo punto decisi di alzarmi e chiuderla, dato che cominciava a fare freddino. Ma proprio mentre mi affacciavo ad osservare la luna, mi si presentò uno spettacolo decisamente bizzarro.
C’era un gruppetto di gente che stava tornando verso il castello, facendo un certo trambusto. Purtroppo erano troppo lontani e non riuscivo a capire di che parlassero, ed era anche troppo buio per distinguere bene le figure. Sporgendomi meglio, però, riuscii a vederli mentre passavano dal portone principale, dove le torce accese li illuminarono per qualche secondo: quello in testa era sicuramente Silente, e gli altri … gli altri sembravano Potter, Black, Minus e – per la barba di Merlino – Severus.
Mi sentii pervadere dall’angoscia. Se erano insieme al Preside, era probabile che fosse successo qualcosa di grave. Mi chiesi dove fosse Remus, ma poi guardai di nuovo la luna e vidi che era piena; di sicuro si trovava in Infermeria. Ad ogni modo, non potevo lasciare che facessero ingiustamente del male a Severus. In barba ad ogni regola e alla mia spilla di Prefetto mi precipitai di corsa fuori dalla sala comune, giù per le scale della torre di Grifondoro e poi per altre scale e corridoi, fin quando non scorsi da lontano il gruppetto di persone guidato da Silente che saliva, presumibilmente, verso il suo ufficio.
Rimasi nascosta, ansimando. Ci avevo visto giusto: insieme al Preside c’era Severus, e poi James, Sirius e Peter. Volevo correre da loro, intervenire, difendere Severus, ma poi ci ripensai. Se erano con Silente, di sicuro nessuno poteva fargli del male. E poi non avevo idea di quello che fosse successo, né del perché si trovassero fuori dalla scuola a quell’ora. In più, rischiavo grosso a farmi beccare in giro a quell’ora di notte; Gazza era un vero piantagrane, e di sicuro non aspettava altro che sorprendere qualche studente fuori dal proprio letto. Decisi che sarei tornata alla torre di Grifondoro e che avrei aspettato alzata; prima o poi quei tre sarebbero pur tornati a dormire. A quel punto, mi sarei fatta dare delle spiegazioni.
Attesi per quasi due ore, alla fine. Cominciavo ad essere stanca, ma l’adrenalina mi scorreva in corpo e mi sarebbe stato comunque impossibile prendere sonno. Non mi resi neanche conto di essere in camicia da notte; con aria probabilmente molto poco dignitosa, mi parai davanti a quei tre non appena rimisero piede in sala comune.
“Evans, che ci fai in piedi?” mi chiese James, in tono piatto.
“Si può sapere che diavolo ci fate voi tre in giro a quest’ora di notte? E perché eravate con Severus da Silente? Se gli avete fatto qualcosa, Potter, non sperare di passarla liscia …”
“Lascialo in pace”, ringhiò Sirius, e solo in quel momento notai che aveva un’aria decisamente più sconvolta del solito; la sua abituale smorfia strafottente era sparita chissà dove, inghiottita da una strana espressione.
“Perché dovrei?” gli chiesi comunque di rimando, piccata. Lui mi guardò storto, senza la minima traccia di sarcasmo.
“Perché James ha appena salvato la vita al tuo adorato Snivellus, quindi dovresti soltanto ringraziarlo”, rispose Sirius, con astio. Io rimasi in silenzio totale per qualche secondo, non sapendo esattamente come avrei dovuto reagire.
“Che cosa è successo?” chiesi soltanto, sentendomi incredibilmente stupida. Spostai lo sguardo su James, ma anche lui si comportava in modo completamente diverso dal solito: sembrava turbato e aveva assunto un’espressione contrariata alle parole di Sirius, come se non avesse voluto che mi dicesse quelle cose.
“Niente che ti riguardi, ma tieni presente questo: il tuo amichetto ha rischiato grosso ad entrare nel tunnel del Platano Picchiatore, stanotte, e se è ancora vivo per raccontarlo è solo per merito di James. Quindi, da ora in poi dovresti consigliargli di baciare la terra su cui James cammina, capito?”
“Sirius, basta, andiamocene a letto”, intervenne lui, interrompendo l’amico. Sembrava distrutto, gravato da un peso inspiegabile. Continuavo a non capire assolutamente un accidenti di niente: le cose stavano davvero così? Né lui né Peter avevano negato l’affermazione di Sirius. E tutti e tre avevano delle facce che non dimostravano certo molta voglia di scherzare. Ma Severus dov’era? Cosa c’era nel Platano Picchiatore che aveva rischiato di ucciderlo? E per quale accidenti di motivo James Potter, che notoriamente lo detestava, si era preso la briga di salvargli la pelle?
“È tardi, Evans, va’ a dormire”, mi disse quindi James, ma senza una sola traccia della sua abituale arroganza. Sospirai, non sapendo che altro dire, e alla fine mi scostai per lasciarli passare.
“Grazie”, mi sussurrò Peter, timidamente, passandomi a fianco. Lo vidi correre a fianco di James e sorreggerlo, mentre parlottavano tra loro a bassa voce. Riuscii a distinguere nettamente solo una frase: James si voltò verso Sirius, dal quale finora si era tenuto ad una certa, anomala distanza e gli annunciò, con una serietà quasi rabbiosa, “sarai tu a dirglielo”.
Non seppi mai a chi si riferiva, perché l’attimo dopo decisi di correre verso il mio dormitorio, prima che potessero accusarmi di essere ancora lì a farmi gli affari loro.
Una cosa fu certa: dal giorno seguente, per un mese buono, mi sembrò evidente che c’era qualcosa di strano fra loro. Remus sembrava più chiuso, James più arrabbiato, Sirius più frustrato, Peter più mortificato e insicuro – come se non sapesse bene da che parte stare. Nonostante ciò, stavano tutti ben attenti a non dare adito a chiacchiere; se avevano qualche problema, era molto probabile che ne discutessero in privato. Io non domandai nulla a Remus, perché non eravamo ancora in grande confidenza e di sicuro non desideravo impicciarmi in cose che non mi riguardavano. Però un pizzico di curiosità era inevitabile. Severus divenne, se possibile, ancora più astioso nei loro confronti; eppure, nemmeno dalla sua bocca uscì qualcosa di più. Negò soltanto la versione dei fatti che Sirius mi aveva riferito, ovvero che James gli avesse salvato la vita. Ma del resto, se anche fosse stato davvero così, quando mai l’avrebbe ammesso?
Resta il fatto che non mi parlò mai di quello che successe quella notte nel Platano Picchiatore.


“Posso?” mi domanda improvvisamente una voce, e io di colpo alzo la testa dal libro di cui avevo smesso persino di continuare a rileggere la stessa riga senza capire un accidenti.
James scansa la sedia di fianco alla mia e ci si accomoda con perfetta nonchalance.
Io inarco un sopracciglio.
“Non mi sembra di averti dato una risposta”, gli faccio notare, sforzandomi di esibire una certa severità.
“Perché, avresti osato negarmi questo privilegio?” mi chiede lui, stravaccandosi sulla sedia. Io lo osservo con aria critica, cercando di mantenermi seria.
“Sei una potenziale distrazione in questo momento”.
“Ma io sono qui per studiare”.
“Oh, davvero?”
“Davvero”.
Il mio scetticismo congenito mi impedisce di credergli sulla parola.
“Non hai pretese o speranze di alcun genere?” domando, facendomi più vicina per tenere d’occhio i possibili segni di una bugia sul suo volto.
“Assolutamente no”, risponde lui, tirando fuori un paio di libri dalla borsa, sempre con quel sorrisetto indifferente.
Mordicchio la punta della piuma con un’espressione concentrata, mentre continuo a fissarlo.
“Che cosa c’è sotto?” domando. Finalmente lui si gira a guardarmi.
“Pensavo di aiutarti a finire il tema”, risponde. Io corrugo la fronte, perplessa. La sua capacità di spiazzarmi non si indebolisce mai.
“Perché?” gli chiedo.
“Perché così fai più in fretta”, mi spiega lui, cominciando a sfogliare le pagine del manuale di Trasfigurazione.
“E quindi?” ribatto io.
“E quindi hai più tempo libero … ti facevo più perspicace, Evans, ma credo proprio di essermi sbagliato”.
L’occhiata fulminante lo colpisce in pieno, senza possibilità di appello.
 “Va bene, Evans: stiamo insieme, stasera, ti va?”
Ancora una volta mi coglie impreparata. Poi per fortuna mi ricordo che cosa dovrei rispondere ad una proposta del genere.
“Abbiamo la ronda”, gli faccio notare. James esibisce un sorriso alquanto soddisfatto.
“Ho già chiesto ai Prefetti di Grifondoro se coprono anche le nostre aree”, mi dice, e continua a sorridere. Io cerco di prepararmi psicologicamente al fatto che entro una frazione di secondo gli occhi mi schizzeranno fuori dalle orbite.
“Non guardarmi così. A cosa credi che serva essere Caposcuola?” tenta di giustificarsi, inclinando il viso verso il mio e giocando con le dita della mia mano destra. Io sento scorrermi nelle vene il solito impulso di strangolarlo.
“Di certo non ad esentarti dalle tue responsabilità!” esclamo, stringendogli la mano con veemenza.
“Ah, ah, buona questa”.
Si libera dalla mia presa, mi dà un bacio veloce e si alza, raccogliendo la sua roba.
“Ti aspetto in sala comune alle otto e mezzo”, mi dice, strizzandomi l’occhio. Io gli getto un’occhiata di rimprovero.
“Tecnicamente non ti ho risposto”, gli faccio notare. Lui sorride, stringendosi nelle spalle.
“Non preoccuparti, io sono abbastanza perspicace per capire che ti va”.
La parte di me che si irrita facilmente vorrebbe insultarlo, ora, lo so. Però qualcosa me lo impedisce. Accondiscendenza, forse. O la forza dell’abitudine.
“Mi piacerebbe sapere che accidenti stai architettando” gli dico. Lui fa vagare lo sguardo intorno, sforzandosi ben poco di nascondere la sua gaiezza.
“Nulla … solo una scorpacciata di muffin in coppia”.
Ecco, ci risiamo. Di nuovo gli occhi che stanno per schizzarmi fuori dalle orbite. Se già dopo un mese la situazione appare così critica, non oso pensare a quale sarà il mio stato psicofisico fra un anno.
“Cosa …?”
“Sono andato a fare un giro nelle cucine, stamattina. Mi sono messo d’accordo con un paio di Elfi Domestici, e mi hanno assicurato che ti prepareranno anche quelli con la tua odiosa uvetta. E non dirmi che poi ingrassi perché me ne fregherei”.
Mi sembra di fissare il vuoto, in questo momento, ma in realtà sto fissando lui. I suoi stramaledetti occhi scuri dietro le lenti degli occhiali, il ciuffo di capelli spettinatissimi che gli ricade sulla fronte, le labbra incurvate in un ghigno di esaltazione pura.
Dopo un mese, ancora non ho deciso se ridere o strozzarlo quando fa così.
“Tu sei pazzo”.
“No. Sono un genio incompreso”.
“Va bene, genio incompreso, ci vediamo stasera” cedo, alla fine, ormai conquistata da tutto quel macchinoso processo finalizzato a farmi venir meno ai miei doveri per festeggiare il mio primo mese insieme a James Potter in compagnia di qualche vassoio di muffin.
Prima che James sparisca, mi alzo e lo blocco per un braccio, per poi baciarlo gentilmente, in una sorta di tacito ringraziamento. Continuo a pensare che sia pazzo, ma le energie fisiche e mentali che impiega per organizzare le sue pazzie sono decisamente degne di nota.




I'm only here for this moment.
I know everybody here wants you,
I know everybody here thinks he needs you.
I'll be waiting right here just to show you
How our love will blow it all away.

(Jeff Buckley, Everybody Here Wants You)




Nota di fine capitolo: ecco, ci siamo, qui ho fornito il grosso delle spiegazioni da me inventate di sana pianta. Le cose che dovevo giustificare ai sensi del canon erano due:
1.    Perché Lily sostenesse con tanto fervore con Piton che Remus era malato (notare che Lily dice, in originale, “they say” e non “he sais”, pertanto ne ho dedotto che non sia stato Remus a giustificarsi di fronte a lei, ma che qualcun altro si fosse inventato una balla per proteggerlo);
2.    Come facesse Lily a sapere dello scherzo di Sirius ai danni di Piton, posto che Silente si era raccomandato che la faccenda restasse segreta; dubito che fosse stato James a vantarsene direttamente con lei (Lily sembra molto convinta quando dice a Piton che sa che James gli ha salvato la vita; se Prongs gliel’avesse detto per darsi delle arie, più probabilmente lei gli avrebbe riso in faccia e non gli avrebbe creduto, a maggior ragione sentendosi smentire la faccenda da Severus, che invece era il suo migliore amico. In questo caso, al contrario, Lily ha intuito che quello che le ha detto Sirius è la verità, pertanto ha ragione di credere che sia Severus quello che mente, visto che, come anche lei sa, non avrebbe mai ammesso di essersi fatto salvare da James).
Devo dire la verità: non mi ero mai posta questi problemi al fine della trama perché ero stra-convinta – non so se per un errore mio originario o perché l’avessi letto dal Lexicon – che lo scherzo di Sirius a Piton fosse avvenuto al sesto anno dei Malandrini a Hogwarts, cioè quando Lily e Piton già non si parlavano più (per cui, nella mia testa, lei non sapeva nulla di questi avvenimenti). Poi ho letto Deathly Hallows ed ecco che tutte le mie convinzioni sono crollate XD quindi, per forza di cose, ho dovuto rimaneggiare un po’ la trama.
Insomma, spero di esserci riuscita e che questa versione risulti convincente. Resta comunque il fatto che Lily non è stupida e che, inevitabilmente, si fa delle domande su quegli avvenimenti, per i quali nessuno le ha mai fornito una spiegazione (anzi, hanno tutti eluso ogni interrogativo in merito); pertanto, in seguito scoprirete il resto.
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 13
*** Coincidenze di luna piena ***


Capitolo 13
Capitolo 13 – Coincidenze di luna piena



Nella condizione umana c'è una sola verità, che tutti gli uomini mentono. La sola variabile è su cosa mentono.

(David Shore, Dr. House, M.D.)
 


 
10 dicembre 1977
 
“Nervoso?”
“Nah”.
“Ma non mi dire”.
“È la verità, non sono nervoso”.
“Oh, andiamo, a chi vuoi darla a bere? Si vede lontano un chilometro che ti tremano le gambe!”
“E allora se ne sei così convinto perché diavolo me l’hai chiesto?”
“Semplice, perché è divertente”.
“Che cosa è divertente?”
“Vedere come cerchi di negare l’evidenza!”
“Io non sto negando l’evidenza, sto semplicemente cercando di … Moony, aiutami, per favore!”
Un sospiro e un fruscio di bacchetta mi giungono alle orecchie, seguite da una secca sentenza.
Silencio!”
“Ah, finalmente”.
Sospiro di sollievo, tornando a concentrarmi sulla mia immagine riflessa nello specchio. Mi getto un’occhiata critica, osservando senza nessun tipo di compiacimento che le lenti degli occhiali amplificano in modo terrificante le borse che ho sotto gli occhi. Nel frattempo, una raffica di parole senza voce escono incessantemente dalla bocca di Sirius, zittito proprio al momento opportuno da quell’incantesimo prodigioso. Devo riconoscere che Moony è sempre un pizzico più sagace di me, quando si tratta di escogitare un metodo per far tacere Padfoot.
Il mio migliore amico continua ad inveire nei miei confronti per qualche altro minuto agitando convulsamente le braccia a vuoto mentre io cerco di sistemarmi questi stramaledetti capelli, dopodiché decide finalmente di rivolgersi al diretto responsabile della sua mancanza di voce, lasciandomi libero di dedicarmi alla mia acconciatura in santa pace. Mi volto solo un attimo a godermi la scena di Sirius che sbraita mutamente alle spalle di Remus, chino sopra il suo volume di Cura delle Creature Magiche; senza fare una piega, Moony si scompone solamente per rivolgersi a Peter e domandargli se non percepisce anche lui un fastidioso spostamento d’aria.
Sghignazzando soddisfatto, torno ad occuparmi dei miei affari.
“Che programmi avete, James?” mi domanda Peter.
“Oh, beh, non lo so di preciso … la porterò a fare un giro, poi forse ci apparteremo in qualche posto isolato …” sghignazzo io, divertito.
“E lei è d’accordo per quanto riguarda l’appartarsi?”
“Che domande, Peter, certo che è d’accordo!”
“Quindi non dovrai inventarti nessuna scusa, questa volta?”
“Certo che no, dopo aver accettato di suggellare la nostra unione con la nostra prima uscita ufficiale non credo ci sarà più bisogno di simili espedienti …”
In realtà, ho il forte sospetto che queste mie audaci speranze siano decisamente ben lontane dalla possibilità di un’effettiva realizzazione. Ma sono aperto alla possibilità di ricevere una sorpresa, per cui staremo a vedere.
E poi, ora sono decisamente troppo teso ed emozionato per potermi permettere di perdere tempo con questi pensieri inconcludenti. Più i minuti passano, più la mia situazione sembra essere irrimediabilmente tragica: non riesco a trovare un maglione decente da mettermi addosso, la mia camicia ha perso un bottone al polsino che nemmeno Wormtail è stato capace di ritrovare pur avendo strisciato fino negli angoli più polverosi della stanza, i miei dannatissimi capelli non ne vogliono sapere di starsene al proprio posto per farmi apparire almeno vagamente presentabile e Sirius mi ha trasfigurato lo spazzolino da denti in una Puffola Pigmea. Di questo passo, non solo continuerò ad essere impresentabile, ma scenderò anche in disastroso ritardo, e Lily mi ucciderà. Me lo sento. È stato bello finché è durato, ora forse sarebbe meglio sbrigarsi a fare testamento e a dettare le disposizioni per il mio funerale. Penso che a mia madre piacerebbe se facessi disporre di adornare la mia tomba con quei fiori Babbani dallo strano nome, le begonie, lei le adora …
“Ti prego. Non puoi davvero pensare di metterti addosso un maglione con un enorme Boccino”.
Getto l’indumento sul mio letto con aria affranta, lasciandomi ricadere le braccia lungo i fianchi.
“Per quale oscuro motivo ti è tornata la voce?”
Setaccio il baule sentendomi ormai privo di qualsiasi speranza, rovistando alacremente in mezzo a quel groviglio insensato di vestiti di ogni genere.
“Ho promesso di fare il bravo”.
“Ah, davvero?”
“Sì, e per dimostrarmelo mi ha minacciato di versarmi un intero vasetto di inchiostro sopra un libro che ho preso in prestito dalla biblioteca”.
Guardo Remus, e insieme conveniamo immediatamente sul fatto che non ci possa essere soluzione ad un simile caso disperato. Mi osservo con sguardo critico, cercando di individuare quale sia l’elemento che stona maggiormente in quell’ennesimo abbinamento: forse l’oro del Boccino che non si adatta alle stringhe delle mie scarpe …?
“Va bene, genio, dimmi ora che cosa c’è che non va”, sospiro, in un moto di rassegnazione. I miei genitori me l’hanno sempre detto, che sono un ragazzo troppo trascurato per quanto riguarda il mio aspetto fisico; ma io non ne ho mai voluto sapere di dare loro retta.
“Andiamo, James … non puoi metterti addosso quel coso”.
Inarco un sopracciglio, sforzandomi in tutti i modi possibili per non sentirmi uno stupido.
“E perché no?”
Sirius sbuffa, alzando le braccia al soffitto.
“Merlino, perché sei antiestetico!”
“Beh, ti ringrazio!”
“James, prova a cercare qualcosa di un po’ meno sportivo”.
“Saggia proposta, Moony. Ma sono pronto a scommettere dieci Galeoni che non troverai niente che non abbia almeno un manico di scopa ricamato sul risvolto della manica”.
Storco la bocca, gettandomi a sedere sul letto con una caduta a peso morto. Ci sprofondo dentro, facendo scricchiolare le molle del materasso in modo pericolosamente sinistro. Sirius mi fissa con aria scettica.
“Continua a saltarci sopra in questo modo, sei sulla buona strada per sfondare anche il pavimento”.
Mi stringo nelle spalle, ormai completamente avulso dalla realtà. Sarò orribile e l’appuntamento andrà malissimo, non vedo perché dovrei darmi ulteriormente pena per cercare di cambiare un destino che era già stato stabilito fin dal momento in cui ho tentato di usare il pettine.
“Andiamo, James, non ti abbattere così”.
“Grazie del sostegno morale, Peter”.
“Se vuoi posso prestarti qualcosa di mio …”
“Sì, ti ci vedo proprio con un maglione che ti arriva all’ombelico, Prongs. Senza contare le maniche al gomito … scusa, Wormtail, non è per offendere te, ma l’immagine che si è formata nella mia testa di James con i tuoi vestiti è così esilarante che …”
“Invece di criticare, perché non gli presti qualcosa tu?”
Alzo lo sguardo, osservando con curiosità lo scambio di occhiate perplesse che intercorre per qualche secondo tra Sirius e Remus. Alla fine, stranamente senza opporre nessun tipo di replica campata in aria, Sirius si china sul suo baule, lo spalanca e comincia a gettare all’aria tutti i suoi capi d’abbigliamento, seppellendo ulteriormente la stanza sotto un cumulo di vestiti e cianfrusaglie varie. Riemerge dal caos dopo qualche secondo, tenendo fra le mani come un trofeo un maglione nero che sembra essere stranamente in buone condizioni.
“Provati questo, Casanova”, mi dice, gettandomelo. Io mi limito ad infilarmelo senza fiatare, constatando che fortunatamente non mi arriva all’ombelico, né le maniche al gomito. Dopotutto, Sirius ha più o meno la mia stessa altezza e corporatura, perciò non c’è da sorprendersi se il maglione mi calza perfettamente. Mi rimetto davanti allo specchio con un’aria leggermente più soddisfatta di poco fa, sistemandomi il colletto della camicia con gesti calibrati, in cui cerco di infondere un minimo di determinazione.
“Visto? Ti sta bene”.
“Wow, James! Vedrai che Lily rimarrà incantata!”
“Sì, dallo splendore della tua chioma”.
“Oh, smettila. Non è colpa mia se non ne vogliono sapere di stare a posto …”
“E va bene, ho capito, lascia fare a me”.
Terrorizzato, osservo impotente Sirius che mi si avvicina e mi strappa di mano il pettine, piegandomi la testa all’indietro con un gesto secco e cercando di sperimentare su di me le sue abilità di parrucchiere.
“Ahia … Pads … smettila, ti prego!”
“Ma io lo faccio per il tuo bene! Guarda, questo ciuffo è riuscito a star giù per qualche secondo, forse se ci metto un po’ più di forza …”
Te lo proibisco!
Con una torsione azzardata riesco ad afferrare il braccio di Sirius e a bloccarlo in aria, dopodiché finiamo inevitabilmente a lottare per il possesso di quell’attrezzo infernale, fino a che Sirius non riesce a immobilizzarmi un braccio dietro la schiena.
“Oh, andiamo, sembra che io ti debba scuoiare vivo!”
“Non sei certo l’incarnazione della delicatezza, va bene?”
“Sei tu che ti lamenti dei tuoi capelli”.
“Voi dite che in giro così non ci posso andare …!”
“Beh, in effetti …”
“Ma sono sempre andato in giro così, e nessuno mi ha denunciato per oltraggio al pubblico pudore!”
“Sirius, finiscila. Non puoi passargli i capelli sotto un ferro da stiro”.
“Escludendo il fatto che rinuncerò a chiederti che cosa sia un ferro da stiro, ti faccio presente che comunque è Prongs che sta facendo storie per imbellettarsi a tutti i costi come una stupida femminuccia”.
“Questo non è assolutamente vero!”
“Andiamo, ragazzi, James sta benissimo così …”
“Ecco, hai sentito Peter? Ora per piacere smettila di tentare di slogarmi una spalla”.
“Come vuoi. Ad ogni modo, sei in ritardo”.
“Perché, a che ora le avevo detto?”
“Le undici, James, le undici”.
“Appunto, le undici, e ora sono le …” getto uno sguardo all’orologio, e il secondo dopo mi prende il panico.
“Porca …!”
“Prongs!”
“Devo andare, scusatemi, c’è in ballo la mia vita e sono davvero troppo giovane per morire!”
Mi fiondo fuori dal dormitorio a velocità massima rischiando di perdere gli occhiali durante la corsa, scendo le scale a rotta di collo correndo il pericolo di incespicare ad ogni gradino, saltando i tre finali e atterrando sul pavimento con un tonfo secco, e mentre mi guardo intorno con il fiato corto rifletto sul fatto che forse, se anche sono riuscito a scendere in orario, questo appuntamento non sarà certo il migliore del mondo, considerate le modalità con cui io e la mia adorabile fidanzata l’abbiamo concordato.
 
“Senti, Lily …”
“Che c’è?”
“Niente, è solo che, io volevo chiederti una cosa …”
“Qualcosa per cui rischi la morte?”
“No”.
“E allora chiedimelo e basta, James. Prometto di non ucciderti”.
“E va bene. Vorresti … andare a fare una passeggiata a Hogsmeade il prossimo fine settimana, cosa alquanto tipica e scontata, in effetti, solo che … la parte non tipica e scontata sarà che io ti accompagnerò?”
“Oh, beh, sai, a dire la verità mi faresti proprio comodo. Ho un po’ di regali di Natale da acquistare … e pesano, ecco”.
“Cioè, dovrei accompagnarti per farti da portapacchi?”
“Non ho intenzione di trasfigurarti in un carrello per la spesa, se è questo che ti spaventa”.
“Senti, lo so che sarebbe la prima volta che io e te … non importa, comunque non è necessario che tu ti cerchi una scusa”.
“Ma la mia non è una scusa. I regali li devo comprare davvero”.
“Va bene, però io non faccio da portapacchi”.
“La galanteria non te l’ha insegnata proprio nessuno in vita tua?”
“Non è questo, è solo che …”
“Avrai il permesso di aprire bocca”.
“Davvero? E posso anche baciarti in pubblico?”
“Mi sembra che ci stiamo allargando un po’ troppo”.
“Sei impossibile”.
“Può darsi, ma sono anche quella che detta le regole”.
“Tanto vedrai che alla fine dell’appuntamento sarai talmente presa dal sottoscritto che sarai tu a volermi baciare in pubblico”.
“Prova a scendere dal piedistallo per vedere che effetto ti fa, ogni tanto …”
“E tu prova ad essere un po’ meno frigida”.
“Ma … come diavolo ti permetti?!”
“Ahia!”
“Non osare lamentarti, Potter, lo sai benissimo che per ogni offesa me la devi pagare!”
“Ciò non toglie che tu mi faccia male!”
“Ma infatti è per questo che ricevi botte e non carezze”.
“Tu le carezze non sai neanche che cosa siano …”
“Ma davvero?”
“Davvero!”
“Benissimo, se ne sei tanto convinto allora non riesco a capire secondo quale logica tu possa sperare di ricevere un bacio in pubblico”.
“Secondo la stessa logica per cui tu sei finita abbarbicata al sottoscritto tre mesi fa”.
“Ora hai superato ogni limite!”
“Rimando ogni ulteriore discussione a domani, dato che hai accettato di uscire con me”.
“Sta’ molto attento a quello che dirai, perché se ci tieni ad aprire bocca ne pagherai le conseguenze!”
“Ti ringrazio per il gentile interessamento. Ci vediamo qui sotto alle undici, e vedi di non farti aspettare”.
“Figurati, sarai tu ad arrivare tardi”.
“Vedremo!”
 
Magari mi sta ancora tenendo il broncio, dopotutto. Non ci siamo rappacificati alla fine di questo astruso battibecco, perché ieri sera abbiamo finito di discutere amabilmente su questi toni non proprio cordiali nel momento in cui stavamo rientrando dalla ronda serale, e stamattina a colazione la mia presenza in Sala Grande si è protratta soltanto per dieci minuti scarsi – giusto il tempo di ingozzarmi di frittelle per placare i morsi della fame mattutina – per cui, alla fine, non l’ho nemmeno incrociata. Non è propriamente un gesto degno di furbizia uscire insieme per la prima volta dopo aver lasciato irrisolto un simile alterco, ma come posso tirarmi indietro adesso, dopo che ho trascorso un’ora intera a prepararmi per lei, anche se non ho proprio ottenuto i risultati sperati? Devo essere forte, sentirmi sicuro di me stesso e di quello che sto facendo, stringere i denti e cercare di tenerle testa, sforzarmi di tenere sempre a mente che le piaccio.
Le piaccio, dannazione.
Non può sempre mettermi i piedi in testa, preso atto di questo. Ogni tanto dovrà cedere anche lei. Si tratta solo di escogitare un metodo efficace per far sì che questo accada … e devo ammettere che la prospettiva mi stimola più del pensiero di una partita di Quidditch.
Mi guardo intorno in cerca di Lily, ma mi ci vuole poco per accorgermi che non è da nessuna parte. Una coppietta di Grifondoro del sesto anno sta bloccando il buco del ritratto scambiandosi effusioni alquanto imbarazzanti, alcuni studentelli del primo anno si stanno consolando del fatto che la loro giovane età ancora non permetta loro di recarsi a Hogsmeade intrattenendosi in una noiosa partita a Scacchi, e un gruppetto di ragazzine ridenti mi sciama davanti fermandosi a pochi passi da me, tenendomi sotto stretto controllo visivo. Come se non bastasse, ci mancavano anche le guardone. Al diavolo, ora l’unica cosa veramente importante sarebbe riuscire a capire dove accidenti sia Lily …
“Oh, sei qui”.
È appena saltata giù dall’ultimo gradino della scalinata che conduce al dormitorio femminile, e io mi sento percorrere da una scarica di tensione stratosferica. Penso ai miei capelli disastrosi e mi sento pervadere dall’imbarazzo mentre la guardo, e osservo che i suoi capelli sono perfettamente in ordine, compresi i vestiti e il mantello. Di fronte ad un simile spettacolo posso soltanto sprofondare.
“Sei in ritardo, ad ogni modo”, le faccio notare, raddrizzando le spalle e tentando di ergermi in altezza per conferirmi un’aria dignitosa. Lei sembra intimidirsi, soltanto per un secondo.
“Non sono in ritardo. Avevo scordato una cosa di sopra”, afferma poi, piantandosi saldamente sulle gambe e incrociando le braccia sul petto. Io mi limito a corrugare la fronte con aria perplessa.
“Ah sì? E cosa?” le chiedo, in tono di sfida.
“La mia ascia preferita”, mi risponde lei, stampandosi in faccia un sorrisetto compiaciuto e carico di perfidia. Touché.
“E va bene, uno a zero per te. E ora, dato che ti ho concesso la vittoria, potresti gentilmente accantonare qualsiasi tuo proposito omicida nei miei confronti?”
“Ne riparliamo a fine giornata, se ti sarai comportato bene forse potrai sperare nella mia clemenza”.
Devo constatare che ce la sta davvero mettendo tutta per non mettermi sotto pressione.
Mi affretto a seguirla, affiancandola in quel breve tratto che deve condurci fino al buco del ritratto, e le poso con tranquillità una mano sulla schiena, sfiorandola appena, nello stupido tentativo di instaurare un infinitesimo contatto fisico. Sono comunque totalmente irrigidito, perciò, se il mio fine nascosto era quello di dimostrarmi sciolto e spontaneo, risulta evidente anche da lontano un miglio che ho clamorosamente fallito.
Voglio una Pozione Tranquillante.
Il nervosismo mi sta uccidendo.
 
“James, impiccati”.
“Dopo di te, tesoro. Prima però fammi pagare”.
“Ti ho detto di no, accidenti!”
“Oh, davvero? Scusami, non ti stavo ascoltando …”
“Sei proprio una testa di …”
“Lily, ti prego, non in pubblico”.
“Sono dieci falci, grazie”.
“A lei”.
Esco con passo spedito dai Tre Manici di Scopa praticamente trascinandomi dietro la mia adorabile fidanzata, che per fortuna ha smesso di gridarmi contro improperi di vario genere e si sta limitando a tenere la bocca chiusa e serrata fra le labbra strette in un’espressione di disappunto. Mi pianto saldamente di fronte a lei poggiandole le mani sui fianchi, e la guardo dritto negli occhi sfoggiando uno dei miei sguardi ammiccanti e maliziosi da Malandrino.
“Non preoccuparti, non sarai più costretta ad insultarmi anche perché voglio pagarti una Burrobirra. L’ho fatto solo per dimostrarti che so comportarmi da cavaliere”.
Un angolo della sua bocca si solleva ad illuminarle l’espressione cupa con un mezzo sorriso che lei ha evidentemente tentato di reprimere, ma senza risultati soddisfacenti. Il mio ghigno di soddisfazione si allarga. Per fortuna che non sono stato dotato di un carattere suscettibile, perché altrimenti resistere ai suoi continui attacchi senza prendermela neanche un po’ mi sarebbe risultato veramente impossibile.
Ma ormai l’ho capito che mi insulta tanto perché sotto sotto ci tiene.
“Bene, ora che mi hai caricato come una bestia da soma con i tuoi regali di Natale, cosa proponi di fare?”
“Facciamo un giro fuori città, tutta questa folla mi sta dando il mal di testa”.
Annuisco in silenzio e mi incammino verso il limitare del paese, dando libero sfogo ai miei silenziosi pensieri. Finora non è stato facile, per niente. La tensione è rimasta ad avvolgerci come una cappa per molto tempo, a volte provocando reazioni sul confine dell’isteria, ma tutto sommato non è stato poi così disastroso: il più delle volte, l’unico segreto per mantenere l’equilibrio adatto è riuscire a prenderla con filosofia. Dopotutto, una volta scoperto il trucco per scalfire la patina di sarcasmo tagliente, diffidenza scontrosa e tendenza alla polemica acuta, e dopo aver imparato a decifrare le sue modalità espressive decisamente mai semplici e scontate, sono riuscito ad afferrare qualche piccolo segnale del fatto che non le dispiace essere qui proprio con me, come invece vorrebbe far credere.
“Lily?”
“Che c’è?”
“Sai, secondo me non ce l’hai veramente un’ascia nascosta lì sotto …”
“Ah, davvero?”
“Scommettiamo?”
Lei si ferma, poggiando il peso sulla gamba destra e le mani sui fianchi, guardandomi con quel sorrisetto ironico che la rende così irresistibile. Non lo ammetterà mai, di questo ne sono certo, ma con il tempo si è addolcita con me. Solo un pochino, è vero, ma l’ha fatto. Anche se si sforza sempre di dimostrarmi il contrario, con ogni mezzo possibile.
“Se ho ragione io, mi dai un bacio in pubblico”, azzardo. Vengo immediatamente fulminato da un’occhiata truce, che tuttavia non è più sufficiente ad intimidirmi quel tanto che basta da convincermi che sia meglio starle alla larga.
“Se non sbaglio, ti avevo fatto notare che ti stavi allargando troppo”.
Già, perché adesso so di potermelo permettere.
“Vuoi davvero costringermi a perquisirti piuttosto che darmela vinta?”
Lily mi fissa con aria divertita, incrociando le braccia e sostenendo il mio sguardo senza una minima traccia di indugio.
“Finché sarai obbligato a portarmi i regali, non credo che tu possa essere in grado di usare le mani in qualsiasi modo ti passi per la testa”.
Storco la bocca, abbassando lo sguardo verso i sacchetti che mi tocca sorreggere. Un regalo per ciascuna delle sue amiche, uno per sua madre, uno per suo padre … sì, sono davvero diventato una specie di strana bestia da soma. E lei mi comanda con una frusta, senza concedermi riposo nemmeno per un secondo.
“E va bene, torniamo indietro”.
Lily si gira verso di me, fissandomi con aria perplessa.
“Come sarebbe a dire torniamo indietro?” mi chiede, corrugando la fronte. Io mi limito a stringermi nelle spalle con espressione neutrale.
“Così posso scaricare questi pacchi da qualche parte e perquisirti come si deve”.
L’espressione che nasce sul suo volto è una buffa via di mezzo fra lo scioccato, il divertito e l’imbarazzato.
“Mi trovi d’accordo solamente perché ormai sta facendo buio. Per quanto riguarda il resto, dato che sei così bravo a prevedere le mie reazioni, lascio tutto alla tua immaginazione …”
Orgoglioso di aver trovato finalmente una soluzione efficace al mio problema, mi incammino verso la strada di ritorno, lanciando solo uno sguardo fugace alla Stamberga Strillante, avvolta nel cielo nuvoloso che si sta già tingendo di scuro. Finalmente, dopo aver sudato freddo per un’intera giornata nel terrore che qualcosa potesse andare storto, mi sento in diritto di affermare che non ho combinato nessun tipo di disastro; mi sono comportato da gentiluomo e non mi sono ingozzato con gli Zuccotti di Zucca, riuscendo così ad evitare di provocarmi il singhiozzo.
Finalmente, dopo aver salito una miriade di gradini con le gambe intorpidite dal freddo di dicembre, il tepore della sala comune mi invade da capo a piedi, facendomi sospirare di sollievo. Sto per mollare tutto a terra e stravaccarmi su una delle poltrone, quando mi torna in mente il proposito che ho deciso di attuare nonostante le velate minacce di Lily, perciò mi avvicino a lei con fare apparentemente indifferente e faccio per aiutarla a togliersi il mantello, impregnato dal gelo, quando lei si volta verso di me con un’espressione seria e grave che mi fa sgranare gli occhi per la sorpresa.
“C’è qualcosa che non va?” chiedo, non riuscendo affatto a nascondere la mia confusione. Lily solleva lievemente il capo, guardandomi dritto negli occhi.
“Dove sparisci una volta al mese?”
Sicuramente devo aver sentito male; il freddo mi avrà otturato le orecchie, altrimenti se non è così la mia vita sta per finire.
“Beh, ecco …”
“Non pensi di potermelo dire?”
“Io non … non è che sparisco, è che, vedi …”
“James?”
Dalla vocetta acuta direi che è sicuramente Peter, quello che ha aperto in questo momento la porta del dormitorio e si sta fiondando goffamente giù per le scale.
“Ciao, James! Ragazzi, è tornato James!”
Mi infilo le mani in tasca, sentendomi avvampare per l’imbarazzo. Non poteva esserci metodo migliore per salvarmi dalle grinfie di Lily in questo momento, ma non riesco a non sentirmi colpevole per quello che le sto involontariamente facendo.
“Allora, vi siete divertiti? Com’è andata?”
“Tutto bene, grazie …”
Stanno scendendo anche Moony e Padfoot, e non riesco a trattenermi dall’indirizzare loro uno sguardo di pura gratitudine. Sirius mi strizza l’occhio in modo quasi impercettibile, e intuisco all’istante che c’è una ragione sensata per quell’intervento così provvidenzialmente opportuno. Temo l’esplosione furiosa di Lily da un momento all’altro, ma inaspettatamente lei mantiene un autocontrollo impeccabile, risponde con cortesia sorridente alle domande invadenti dei miei migliori amici e prima di ritirarsi nella sua stanza mi si avvicina comunque per permettermi di darle un lieve bacio di congedo, cosa che mi dà l’occasione di sussurrarle all’orecchio che non percepisco la presenza di nessun’ascia nascosta sotto i suoi vestiti. Lei riesce a riserbarmi uno dei suoi soliti sorrisi contrariati e quasi mi sembra di poter dire che non sia arrabbiata, ma la preoccupazione mi rode comunque le viscere e mi impedisce di prendere parte con vero trasporto alla serata di festeggiamenti privati in mio onore.

***

In questo momento, chiunque abbia provato almeno una volta in sette anni di scuola l’esperienza di un appuntamento galante a Hogsmeade è oggetto di tutta la mia più segreta e controversa invidia. Perché io ho sempre rifiutato di uscire con i miei compagni di scuola. Ho preferito vivere le gite a Hogsmeade con la spensieratezza derivante dal sentirmi libera e priva di impegni, dopo settimane passate a limare un compito scritto di Pozioni all’ultimo minuto o a cenare in fretta per riuscire a presentarmi a una riunione della McGranitt. Poi però, ieri sera, James mi si è presentato davanti per domandarmi di uscire, e a me è toccato accettare. Non che non volessi, ovvio; ma ora mi sento nervosa, e questo non mi piace proprio per niente. Mi impedisce di ragionare in modo lucido, di pettinarmi in maniera decente e di non mordermi continuamente le labbra.
Il problema, oltre a questo, è che ho intenzione di parlare a James di una questione piuttosto seria. Due settimane fa è successo di nuovo, da quando ci siamo messi insieme; è sparito per la terza volta, senza una spiegazione soddisfacente, oltre l’orario in cui agli studenti è consentito gironzolare indisturbati per il castello. Passi che lui è Caposcuola, ma questo non significa certo che è libero di fare ciò che vuole.
Quello che mi preoccupa non è essere a conoscenza di tutto ciò che fa. All’inizio avevo pensato che si trattasse di una delle losche attività in cui lui e i suoi amici si dilettano ad impegnarsi, ma poi, nei giorni successivi, non ho avuto sentore di nessuna catastrofe naturale. E neppure la volta dopo. E quella dopo ancora. Certo, nel frattempo Sirius e Remus sono stati coinvolti in una rissa con i Serpeverde del nostro anno, ma è stata una cosa nata sul momento perché in questa scuola si persiste nell’atteggiarsi da bulli invece che comunicare in maniera semplice e diretta. E poi ho inevitabilmente notato una cosa, una di quelle volte che ero stata piantata in asso così su due piedi a pattugliare i corridoi … mi ero affacciata fuori dalla finestra e di fronte a me c’era la luna piena. Sorta da poco, di quel bel colore infuocato, senza una sola nuvola a farle ombra.
Tutte le discussioni con Severus portate avanti fino allo stremo negli anni precedenti mi tornarono di colpo alla mente, in quell’istante. Poteva essere un caso, questo è sicuro. Ma per tre volte di seguito James si era dileguato senza darmi neppure uno straccio di spiegazione. Mi disturba non riuscire a capire che diavolo sta succedendo. La mia fervida immaginazione mi ha fatto ipotizzare dozzine e dozzine di possibili scenari, uno meno rassicurante dell’altro; tra tutte queste bizzarre congetture, ho anche finito per domandarmi se James c’entri qualcosa con i ricoveri mensili di Remus. So che lui è malato, ma James che c’entra? A questo punto, ho deciso che correrò il rischio di passare per un’impicciona ma che chiederò un chiarimento al diretto interessato, che essendo il mio ragazzo dovrebbe sentirsi un minimo in dovere di dirmi la verità. Tanto, se non c’è nulla di male in ciò che fa quando sparisce, non sarà un problema mettermene al corrente.
“Non fare quella faccia da funerale. Se avrai bisogno di noi, ci troverai senza difficoltà … Hogsmeade la si gira tutta in quattro passi”, mi dice Margaret, facendomi una carezza sulla testa. Sta volteggiando da una parte all’altra della stanza senza interruzione da più o meno mezzora.
“La girerà tutta in quattro passi il tuo uomo spilungone”, le fa eco Helen, da sotto il letto. Lei invece sta cercando di recuperare qualcosa dal baule da più o meno mezzora.
“Almeno non potrai prendermi in giro come quando uscivo con Jordan Steeval”.
“La cosa mi usciva naturale, considerato che era più basso di te di almeno dieci centimetri”.
Margaret fa la faccia imbronciata, pettinandosi freneticamente i capelli.
“Aveva altre doti”, ribatte, e Helen sbuca da sotto il letto con una faccia schifata.
“Non voglio sapere quali” dice, e Mary ridacchia da dietro I Tre Moschettieri.
“Chi ha delle doti?” chiede Delia, ad alta voce, da dietro la porta del bagno.
“Sirius Black!” grida Margaret, per prenderla in giro.
“Eeh? Cosa?! Ahia, porca di quella …”
Scoppiamo a ridere tutte insieme. Delia deve aver appena sbattuto per la cinquantesima volta contro l’anta dell’armadietto rimasta aperta.
Per fortuna, il clima che mi circonda in questi attimi cruciali non è asfissiante. Mi sono espressamente pronunciata in proposito non appena ho comunicato loro la notizia che io e James oggi saremmo usciti insieme, e grazie a Godric hanno tutte rispettato la mia volontà. So di aver posto un freno pesante alla loro curiosità, ma non ho per nulla voglia di parlare di come mi sento o cose del genere. Soprattutto perché l’appuntamento è stato concordato litigando, anziché in mezzo a piacevoli imbarazzi.
E va bene, magari in parte è stata anche colpa mia. Ma James alle volte mi fa venir voglia di strapparmi i capelli. Riesce a rendere complicata ogni cosa, come se già non lo fosse abbastanza per il fatto che fino all’altro anno i nostri rapporti erano tutt’altro che dolci e amorevoli.
Perlomeno, possiamo essere certi di una cosa: il primato come coppia più originale di Hogwarts va sicuramente a noi.
 
Sono le undici e cinque minuti quando mi accingo a scendere la scala a chiocciola che porta in sala comune. Mi maledico silenziosamente per aver concesso a Margaret di darmi la sistemata dell’ultimo minuto ai capelli, perché ora, nonostante le trecce che mi ha fatto siano perfette, io sono in ritardo, e non dovevo permettermelo. Avevo detto a James che sarebbe stato lui ad arrivare tardi, e non posso assolutamente lasciargli cantar vittoria. E – dannazione – è già lì che mi aspetta, per mia somma sfortuna.
“Oh, sei qui”, mi dice, quando finalmente lo raggiungo. A giudicare dall’aria smarrita che aveva fino a un attimo fa, prima che arrivassi era immerso nei suoi pensieri. Di che natura, non mi è dato saperlo.
“Sei in ritardo, ad ogni modo”, aggiunge, riacquistando immediatamente la sua aria da sbruffoncello. Per un attimo penso di lasciar perdere e di ammetterlo, ma poi il mio spirito battagliero ha la meglio, e gli restituisco l’occhiata di sfida.
“Non sono in ritardo. Avevo scordato una cosa di sopra”, ribatto, incrociando le braccia.
“Ah, sì? E cosa?”
Un ghigno sardonico mi compare sul volto.
“La mia ascia preferita”, rispondo, lasciando che lui saluti il mio trionfo con espressione di muto disappunto.
Lo adoro quando fa così.
“E va bene, uno a zero per te. E ora, dato che ti ho concesso la vittoria, potresti gentilmente accantonare qualsiasi proposito omicida nei miei confronti?”
Penso a che cosa muoio dalla voglia di chiedergli in cambio, ma decido che è meglio giocarmi quella carta come ultima risorsa.
“Ne riparliamo a fine giornata, se ti sarai comportato bene forse potrai sperare nella mia clemenza”, gli dico, avviandomi verso il buco del ritratto.
Mentre oltrepassiamo la Signora Grassa, sento che mi posa una mano sulla schiena. Espiro tutto d’un colpo dopo aver trattenuto il fiato per qualche secondo e mi rilasso, appoggiandomi in silenzio al suo fianco e domandandogli implicitamente di tenermi vicino a lui.
Nessuno ha detto che debba per forza andare male, dopotutto.
 
 
“Sai una cosa?” mi sento chiedere a un certo punto, mentre mi sono incantata a fissare le bollicine della mia Burrobirra.
“Cosa?” domando, alzando lo sguardo. Noto che James mi guarda come quando ha paura che io pensi che quello che dirà sia una cosa stupida, ma allo stesso tempo il suo narcisismo velato gli impedisce di tacere. Mi sorprendo a constatare quanto ormai lo conosco bene.
“In cinque ore e mezzo di appuntamento non abbiamo ancora avuto una di quelle conversazioni da appuntamento”.
Lo osservo con aria incuriosita, chiedendomi a che diavolo stia pensando. Forse ancora non lo conosco così bene da riuscire a leggergli nella mente.
“E quali sarebbero le conversazioni da appuntamento?”
“Beh, sai, quelle cose tipo dove sei nato o che lavoro fanno i tuoi genitori o che cosa ti piace fare nel tempo libero”.
Sorrido, giocando con il manico del boccale.
“È un bene che tutte queste cose le sappia già … non mi piacciono le domande”.
“Anche io lo sapevo già, questo … cavolo, ma sai anche dove sono nato?” mi chiede, con aria meravigliata. Io mi stringo nelle spalle, per scacciare l’imbarazzo.
“Nella tenuta irlandese della tua famiglia. Anche se non era previsto. Lo stavi dicendo a Remus, alla fine di una lezione, quella volta che lui per scherzo ti ha detto che non ti ricordavi nemmeno da dove provieni”.
“Il che è successo più o meno quando facevamo il quarto anno, ma farò finta di non stupirmi … lo sapevo già che nel tuo cervello si immagazzina tutto”.
È strano sentirlo parlare come se fosse, non so, fiero di me. Non credo l’abbia mai fatto prima.
“Quindi potresti rinfacciarmi a vita il fatto che ti abbia detto che tu le carezze non sai neanche che cosa siano, ad esempio”, mi dice, con quell’aria a metà fra il timoroso e il furbo.
“Esatto, quindi puoi scordarti che io ti faccia mai questo”, rispondo, sfiorandogli il ginocchio sotto il tavolo con una mano.
“Wow. Però ora l’hai fatto”, ribatte lui, guardandomi con gli occhi che brillano da dietro le lenti. Io mi sento avvampare dall’imbarazzo seduta stante.
“Era una dimostrazione esplicativa, non una carezza nel vero senso del termine”, cerco di difendermi, ma lui non accenna a diminuire la sua esaltazione.
Merlino, quant’è amorevolmente insopportabile.
“Ritiro tutto. Ne sei capace. Mi perdoni?”
“Ma brutto idiota”, lo insulto, scoppiando a ridere, mentre nasconde il viso nell’incavo tra la mia spalla e il mio collo. Mi accorgo che la cosa è sorprendentemente naturale. Mi scordo di tutta la gente che ci sta attorno, di tutti quegli impiccioni che magari non si stanno facendo i fatti propri, del fatto che prima o poi dovrò decidermi a fare domande, anche se non mi piace farne.
Smetto di sentire il bisogno di parlare per riempire dei vuoti. Non abbiamo fatto altro che parlare per ore e ore, ironizzando sulla nostra vita e sul nostro futuro, sfiorandoci in maniera fintamente distratta di tanto in tanto, lasciandoci prendere da attacchi di risa incontrollati. Ma ora è ancora meglio. È un vero passo avanti. Sono rilassata e gli accarezzo i suoi stupidi capelli spettinati.
“Ci ho provato a rendermi presentabile. Lo giuro. Ma non ne vogliono sapere di stare giù”.
Scoppio a ridere, immaginandomelo davanti allo specchio a fare smorfie di disappunto.
“Non importa. Era una battaglia persa in partenza”, rispondo.
“Tradotto in un linguaggio meno allusivo significa che sono bello anche se sono spettinato?” mi domanda James, sollevandosi dalla mia spalla per guardarmi con aria giuliva.
Io assumo un’aria marcatamente perplessa.
“Non credo di averti mai visto pettinato in vita mia”, affermo, mentre un ricordo mi sopraggiunge alla mente: mi ero trovata costretta a partecipare a uno dei festini di Slughorn una volta, al quarto anno, e ovviamente avevo dovuto vestirmi bene perché era richiesto l’abito da cerimonia. E poi, non so come, James e Sirius erano riusciti ad infiltrarsi, pur non avendo ricevuto alcun invito, appena dopo aver portato a termine una punizione della McGranitt, che aveva fatto loro pulire il camino del suo ufficio senza magia. E i capelli di James, in quell’occasione, erano terribili, dato che aveva trascorso mezzora a scuoterseli dalla cenere.
“Credo che dovrai raparmi a zero se mai vorrai vedermi con i capelli in ordine”, sospira lui, stravaccandosi sulla panca a cui siamo seduti. Mi si è messo di fianco con la scusa di rubarmi un po’ di semifreddo, ma così è più facile che stare faccia a faccia. Sembra di essere sui banchi di scuola, ed è così che abbiamo convissuto per sei anni e più. Stando a stretto contatto, imparando silenziosamente tante cose l’uno dell’altra e facendo finta di non averle mai sapute.
“Sta cominciando a fare troppo caldo qui dentro”, osservo, sentendo che le guance di James scottano. Non so come ci sia arrivata la mia mano sulla sua guancia. So solo che siamo entrambi stravaccati sulla panca, ora, con le gambe stese sotto il tavolo e i gomiti appoggiati alla sommità dello schienale.
“Anche se hai appena mangiato un semifreddo a dicembre inoltrato?” mi domanda lui, tentando di farmi il solletico.
“A dire il vero l’ho mangiato all’incirca un’ora fa”, gli faccio notare, guardando l’orologio. Lui sgrana gli occhi, come un bambino.
Già, il tempo è decisamente volato.
“Andiamo a fare un giro?” mi propone, e io annuisco. Anche le mie guance scottano, e imbacuccarmi in sciarpa e mantello mi costa un incredibile sforzo.
“Dove stai andando?” chiedo a James, notando che si allontana senza nemmeno aspettarmi. Si gira per rivolgermi un sorriso fugace, poi si dirige verso il bancone. Comprendendo nel giro di un istante le sue intenzioni, lascio perdere il laccio del mantello e lo inseguo di corsa, facendomi largo a forza fra la gente che affolla i Tre Manici di Scopa.
Sfortunatamente, arrivo quando la giovane figlia del proprietario sta già facendo il conto.
“Dimmi quant’è la metà”, ordino al mio testardissimo ragazzo, nonostante avessimo concordato che non mi sarei fatta offrire nulla appena entrati nel locale.
“Non posso, è un calcolo troppo difficile”, mi risponde, simulando un’aria desolata.
Credo che potrei strozzarlo con le mie stesse mani.
“James, impiccati”, gli sussurro, con aria truce.
“Dopo di te, tesoro”, mi risponde lui, con incuranza. “Prima però fammi pagare”.
“Ti ho detto di no, accidenti!”
“Oh, davvero? Scusami, non ti stavo ascoltando …”
Mi farà impazzire, prima o poi.
“Sei proprio una testa di …”
“Lily, ti prego, non in pubblico”.
Mi zittisco, assumendo un’aria imbronciata. Ormai è inutile insistere, ovviamente. La battaglia è persa.
“Sono dieci falci, grazie”.
“A lei”.
Alle volte, mi domando di chi è la colpa se finiamo a bisticciare in questo modo ogni cinque minuti. Può darsi che io sia troppo cattiva con lui, è vero. Ma mi è ancora difficile mostrargli apertamente quanto ormai tengo a questa specie di storia che abbiamo costruito. E nel rendermi conto che mi risulta difficile, reagisco nella maniera totalmente opposta. Se poi aggiungiamo il fatto che anche lui ce la mette tutta per farmi saltare i nervi, forse la colpa può non essere considerata soltanto mia.
Una volta fuori, questo subdolo infingardo mi abbraccia e mi sorride.
“Non preoccuparti, non sarai più costretta ad insultarmi anche perché voglio pagarti una Burrobirra. L’ho fatto solo per dimostrarti che so comportarmi da cavaliere”.
Ricordo bene di avergli domandato se la galanteria non gliel’avesse insegnata nessuno, in vita sua, quando ieri sera abbiamo concordato la nostra uscita tra ferro e fuoco. È tutto un gioco di rimandi sottili, perché per quanto James sembri tutt’altro che attento e concentrato è dotato di una memoria forse anche migliore della mia. Alla fine, non ce la faccio a non sorridere.
“Bene, ora che mi hai caricato come una bestia da soma con i tuoi regali di Natale, cosa proponi di fare?” mi dice poi, facendo brillantemente finta che non sia accaduto nulla. Ecco perché il nostro rapporto funziona: si litiga per ogni facezia, ma poi non c’è bisogno di grandi gesti per passarci sopra.
“Facciamo un giro fuori città, tutta questa folla mi sta dando il mal di testa”, rispondo, accorgendomi di essere un pochino destabilizzata. Dev’essere lo sbalzo di temperatura.
Camminiamo in silenzio, per un po’, fino al limitare del paese. James trasporta tutti i sacchetti dei miei regali di Natale, e mi sento dispiaciuta perché sta prendendo freddo alle mani, così ogni tanto, tra un passo e l’altro, lo sfioro di sfuggita.
Non so veramente dire che cosa mi abbia preso.
“Lily?” mi chiede, dopo un po’.
“Che c’è?”
“Sai, secondo me non ce l’hai veramente un’ascia nascosta lì sotto …”
Sorrido, di fronte alla sua aria da finto innocente.
“Ah, davvero?” gli chiedo.
“Scommettiamo?” ribatte lui. Io mi fermo e lo guardo, cercando di intimidirlo.
“Se ho ragione io, mi dai un bacio in pubblico”.
Evidentemente, il mio tentativo non ha avuto successo.
“Se non sbaglio, ti avevo fatto notare che ti stavi allargando troppo”, osservo, facendo di nuovo riferimento alla conversazione di ieri sera. Quella era la parte in cui mi ero davvero arrabbiata. Se è abbastanza bravo da capirlo, il farvi riferimento significa che deve smetterla.
“Vuoi davvero costringermi a perquisirti piuttosto che darmela vinta?”
È davvero impossibile. Ma stavolta sono io ad avere il coltello dalla parte del manico.
“Finché sarai obbligato a portarmi i regali, non credo che tu possa essere in grado di usare le mani in qualsiasi modo ti passi per la testa”.
La sua aria sconsolata mi fa davvero tenerezza, ora. Lo osservo contemplare i sacchetti dei miei regali con l’aria di chi si sta pentendo di aver voluto fare il cavaliere, ma poi rialza lo sguardo e la delusione è svanita di colpo.
“E va bene, torniamo indietro”, mi dice. Io rimango a fissarlo interdetta.
“Come sarebbe a dire torniamo indietro?”
“Così posso scaricare questi pacchi da qualche parte e perquisirti come si deve”.
Ah, è così … accidenti a lui.
“Mi trovi d’accordo solamente perché ormai sta facendo buio. Per quanto riguarda il resto, dato che sei così bravo a prevedere le mie reazioni, lascio tutto alla tua immaginazione …”
Ci incamminiamo verso il castello ridendo, divertiti. Siamo decisamente bravi a fingere di detestarci ancora, dopo quasi tre mesi che stiamo insieme. Nonostante Peter ci sproni sempre ad essere più buoni e Delia mi continui a dire che i miei ormoni funzionano in modo strano, tutto questo mi piace. Non si dà mai nulla per scontato, neppure il modo in cui afferro James per un braccio intimandogli di rallentare, neppure le spallate che ci diamo nel tentativo di passare contemporaneamente dal buco del ritratto, costringendomi ad aggrapparmi a lui per non cadere a terra.
Poi però mi rendo conto che siamo tornati al castello, e che io ancora non gli ho chiesto quello che devo chiedergli.
Ci dev’essere sempre qualcosa di spiacevole che si intromette nelle situazioni migliori.
Ma se non avrò una risposta non mi darò pace, già lo so.
“C’è qualcosa che non va?” mi chiede James, voltandosi verso di me, dopo essersi tolto il mantello e aver appoggiato i pacchi a terra, vicino alla sua poltrona preferita. Sospiro, poi lo guardo negli occhi.
“Dove sparisci una volta al mese?”
La mia domanda fa calare un silenzio tombale, e toglie ogni traccia di colore dalla faccia di James.
Ancora peggio di quanto mi aspettassi, Merlino.
“Beh, ecco …”
Gli do tempo qualche secondo per perpetrare il suo balbettio sconclusionato, poi scelgo di insistere.
“Non pensi di potermelo dire?”
Ora l’ho davvero mandato in panico.
“Io non … non è che sparisco, è che, vedi …”
“James?”
La voce proviene dalla sommità delle scale che portano al dormitorio maschile. James si volta, e io capisco che ho perso. La mia possibilità di avere delle spiegazioni svanisce nel momento in cui Peter saluta il suo amico con espressione euforica, affrettandosi a scendere i gradini.
“Ciao, James! Ragazzi, è tornato James!”
Non smetto di osservarlo, nonostante lui eviti palesemente di guardarmi per non sentirsi ancora più a disagio per il fatto che la nostra conversazione sia stata casualmente interrotta proprio sul più bello. Non me la sento di insistere ancora e sospiro, costringendomi ad accantonare il pensiero, dicendomi che forse dovrei semplicemente farmi gli affari miei e smetterla di voler sapere tutto ad ogni costo.
Saluto anche Sirius e Remus, che con più calma si uniscono a noi, e mi comporto come se nulla fosse successo. So che preferirei aver trovato una risposta alle mie domande, ma questo non mi ha impedito di stare bene per tutta la giornata, finora.
 
 
Take your medicine and I won't ask
where you've been.
Live your lost weekend,
because I know you've wanted it
to get big, little kid.

(Okkervil River, Get Big)

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Capitolo 14
*** Lettere a Natale ***


Capitolo 14
Capitolo 14 – Lettere a Natale
 

 
Posso sopravvivere, col pilota automatico, ma vivere è un'altra cosa. Da quando ci siamo addomesticati a vicenda, è logico, per restare a un certo livello non posso più fare a meno di lei. E per lei è lo stesso, anche se ho bisogno di sentirmelo ripetere cento volte di fila, perché la paura è troppa.

(Enrico Brizzi, Jack Frusciante è uscito dal gruppo)
 

 
 
25 – 12 – 1977, Hogwarts
 
Ciao, Evans.
Volevo solo farti gli auguri di Natale, quindi frena tutti i tuoi pensieri ingiuriosi … niente lettere sdolcinate, solo due righe per rispettare le tradizioni. Se devo essere sincero comincio a sentire un po’ la mancanza dei tuoi insulti quotidiani, e gli ematomi che mi hai provocato prima di partire ormai si stanno riassorbendo … ma non importa, sopravviverò. Sono forte, io. Faccio solo il conto alla rovescia, quando hai detto che torni …?
(E va bene, fine dei sentimentalismi. Sicuramente ti ho già provocato la tua dose quotidiana d’irritazione, quindi posso ritenermi soddisfatto e cambiare registro).
L’avete fatto l’albero, lì a casa tua? Ai miei genitori piacciono queste usanze … infatti io, da bravo pargolo rispettoso delle tradizioni, ho deciso che anche noi quattro dovevamo farci un albero di Natale tutto nostro, da mettere in dormitorio: solo che non potevamo andare a sradicarne uno dalla Foresta Proibita, e così abbiamo deciso di fare un albero vivente; abbiamo preso i nostri calzini e abbiamo agghindato Peter di tutto punto, avresti dovuto vederlo. Purtroppo potevamo usufruire solo delle calze mie e di Sirius, perché quelle di Remus sono tutte nere e grigie, sai che tristezza di albero sarebbe uscito. Peccato che Peter non è riuscito a rimanere immobile per molto. Se ti può consolare, però, gli abbiamo fatto una foto. Così potrai dirci che ne pensi, del resto sei tu l’esperta di queste cose.
Senti, sono riuscito a procurarmi un regalo per te … ho mandato i miei genitori a comprarlo, io non avevo la più pallida idea di dove avrei dovuto cercare, però spero ti possa piacere. Non so nemmeno se te lo ricordi, a dire la verità. Al primo anno, mentre eravamo in classe ad aspettare che tornasse la McGranitt, tu ti sei messa a fare quelle strane figure di carta, Remus mi aveva detto che si chiamano origami … solo che io mi stavo dondolando sulla sedia mentre ti guardavo e a un certo punto ho perso l’equilibrio. Ho sbattuto la faccia sul banco e mi sono quasi rotto il naso. È stato atroce. Però mi sono ricordato che ti piacevano questi cosi, questi origami, così ho chiesto ai miei genitori di comprarli. Non ti sto a spiegare che razza di macello abbiano fatto per riuscire a farsi capire dal Babbano che vendeva queste cose; probabilmente li avrà presi per pazzi. Io ancora non riesco a capire come tu facessi a fare tutte quelle cose con dei pezzetti di pergamena, però spero ti piaccia ancora farli, altrimenti so già che mi rincorrerai con un randello per tutta la Sala Grande.
Okay, credo di averti annoiato a sufficienza. E meno male che doveva essere un semplice bigliettino d’auguri. Se vuoi impormi un massimo di centimetri da rispettare per la prossima volta, vedrò di adeguarmi, e mi sforzerò per scrivere cose più intelligenti e sensate … è che adesso è quasi ora di pranzo e sto morendo di fame, quindi immagino sia ora di staccare. Ti farò sapere com’è andata. Sirius vuole far ubriacare la McGranitt, ma io ti posso assicurare che non mi unirò a questo proposito (semplicemente perché penso che sia un’impresa impossibile, quella donna non riuscirebbe a lasciarsi andare nemmeno dopo cinque bottiglie di Firewhisky. Oh, certo, e poi ho anche paura della tua reazione. Una paura terribile. Tremo al solo pensiero …).
Vado, mi brontola lo stomaco e mi sento piuttosto ridicolo, perché qui dentro nessuno sta fiatando e quindi l’unico rumore che si sente è quello dei miei borborigmi. Se il mio gufo ti becca sulla testa, è perché vuole essere grattato dietro l’orecchio.

A presto.
James
 
 
 
 
26 – 12 – 1977, Londra
 
Ciao, Potter,
immagino ve la starete spassando come due piccoli scolaretti eccitati al loro primo giorno di scuola in questo momento. Non voglio essere messa al corrente dei dettagli, preferisco rimanere all’oscuro e trascorrere in santa pace le mie innocenti vacanze, senza il pensiero di voi due che vagate per i corridoi di Hogwarts ubriachi fradici. Mi auguro solo per il vostro bene che Gazza non vi abbia seguiti per farvi fuori. Sì, se te lo stai chiedendo ti rispondo subito: ho scoperto che cosa gli avete fatto l’ultimo giorno prima delle vacanze,ma preferisco limitarmi  a tacere, altrimenti non finirei più di insultarti. Ma c’è chi va in giro a gridare a squarciagola che a Natale si è tutti più buoni, perciò, per darti prova del fatto che riesco a controllare la mia acidità, me ne starò in silenzio e ti grazierò dall’ennesimo rimprovero.
Mi piacerebbe poterti dire che mi sto divertendo da matti anch’io, ma purtroppo sarebbe una balla colossale. Mia madre ha assunto un atteggiamento a metà fra l’euforico e l’inquisitorio e continua a farmi domande su di te, sempre le stesse per di più. Piango per l’eccesso di sincerità che mi ha spinto a rivelarle il mittente di quel bigliettino d’auguri. E il bello è che non coglie nemmeno l’ironia: continuo a ripeterle ormai da stamattina che in realtà sei un teppista psicotico che mi ha incantata con una qualche magia oscura, e ormai ci è cascata talmente tante volte che non serve a niente nemmeno spiegarle che stavo scherzando. Non c’è gusto a prenderla in giro. Almeno tu capisci le mie battute, tranne nei casi in cui sei reduce da un allenamento di Quidditch o da una delle tue sparizioni notturne.
Mio padre credo non veda l’ora di conoscerti, ma per la tua incolumità fisica tenderei a rimandare l’incontro il più possibile. Assume sempre un’aria vagamente minacciosa quando salta fuori il tuo nome, e quelle poche volte che mi fa domande non ha un tono molto amichevole. Sembra che non abbia preso molto bene il fatto che io ora esca con qualcuno. Per non parlare di mia sorella, che non fa altro che bersagliarmi con battute velenose. Insomma, non ho più un attimo di pace in questa casa. Certo, non vorrei dire che la colpa è tua, ma … sì, in effetti è proprio colpa tua. Ad ogni modo, il tuo bigliettino mi ha fatto ridere. Il regalo mi ha quasi commossa (sottolineo il quasi!), erano secoli che non facevo più gli origami, e non ho la più pallida idea di come facessi tu a ricordartelo. Non diventare ansiogeno, non ti rincorrerò per la Sala Grande con un randello. Però credo di ricordarmi il tuo incidente, in effetti. Forse è stata una delle prime volte in cui ti ho pensato come ad uno degli esseri più idioti mai esistiti sulla faccia della terra … ma erano decisamente altri tempi. Insomma, consideralo un ringraziamento, ma non ti montare troppo la testa.
Ad ogni modo, torno il 31. I miei genitori vogliono passare il Capodanno in montagna, ma io non ho la benché minima intenzione di andare con loro. Non ho mai sopportato i viaggi vacanzieri, e ho una particolare allergia per le feste quindi, se anche mi trascinassero insieme a loro, potrebbero stare certi che rimarrei barricata in camera mia fino all’ora di pranzo del primo gennaio. Voglio augurarmi che per quella data voi due siate già riusciti a scegliere un appartamento; altrimenti, vorrà dire che ti manderò una lettera sdolcinata per consolarti.
Ah, senti … dato che mi disgustava l’idea del povero Peter inghirlandato con i vostri calzini (voglio perlomeno sperare che abbiate usato quelli puliti, altrimenti ti ripudio), ho pensato di comprarti un albero … l’ho rimpicciolito con un incantesimo e l’ho acconciato con qualche gingillo, non è niente di che, ma se ti piace tanto meglio. Mi basta sapere che per lo meno non compirete più gesti così poco igienici.
Mi spiace non poter provvedere a rinnovare i tuoi lividi per via aerea, però mi sono raccomandata al tuo gufo perché ti becchetti per bene. Consideralo una specie di surrogato, e non ti preoccupare, mi prudono già le mani e non vedo l’ora di potermi nuovamente sfogare su di te.
Ah, un’ultima cosa … è inutile che fai dell’ironia. Dovresti avere paura di me sul serio, Cacciatore dei miei stivali.
Passa delle buone vacanze.

A presto,
Lily
 
 
 
 
27 – 12 – 1977, Hogwarts
 
Lily, tesoro …
credimi, io ho seriamente paura di te. Tu sei il mio incubo costante. Se prima del tredici settembre di quest’anno ti sognavo ogni notte come la più dolce delle visioni, da quando ho iniziato a sperimentare sulla mia pelle che cosa significa veramente stare con te non sono più riuscito a dormire sonni tranquilli.
Sono contento che il regalo ti sia piaciuto. Anche il tuo mi è piaciuto. Certo, sei sempre la solita polemica … un albero di Natale vivente è un’idea originale, no? Però è sicuramente meglio il tuo. Credo non avessimo usato calzini sporchi, se la cosa ti può rassicurare; di solito, durante il periodo delle vacanze il nostro dormitorio è più simile ad un enorme ammasso di vestiti e quant’altro, perciò non posso essere sicurissimo, ma dato che Peter non è svenuto ne devo dedurre che i tuoi timori non abbiano ragione di esistere.
Comunque, dato che sembro essere sempre io la mente diabolica della coppia, lasciami dire un paio di cose in mia discolpa:
1) È stato Gazza ad aprire il contenzioso nei miei confronti, quest’anno. Non posso spiegarti la faccenda nei dettagli (ci sono cose di è meglio che tu non venga a conoscenza, ma lo dico solo per il tuo bene: potresti svenire per lo shock), ma, ad ogni modo, ti basti sapere che non ho iniziato io. Lui doveva pagarmi l’affronto, perciò ho ritenuto doveroso agire in tal senso. O forse nemmeno la vendetta è accettabile?
2) Se i tuoi ti tartassano, non è colpa mia. Sono sicuro che se mi conoscessero mi troverebbero un angioletto, e tutti i loro dubbi verrebbero dissolti all’istante. Sono un bravo ragazzo, io. Quella perfida e violenta sei tu!
3) Anche quello che è successo al primo anno non è stato colpa mia. Tu avresti dovuto essere meno affascinante, ecco … sapessi quanti incidenti di quel genere mi hai causato! Bene, ho deciso: come risarcimento morale per tutti questi anni d’inferno voglio una dichiarazione d’amore in pubblico. Scegli tu se preferisci metterti in piedi su un banco durante l’ora della McGranitt o salire sul tavolo da pranzo in Sala Grande.
4) Non fare la finta dura, non mi inganni, il mio regalo ti ha commossa senza il quasi. E il perché è molto semplice: io ti piaccio. In fondo, se ora – finalmente, dopo anni e anni di sofferenze immeritate per il sottoscritto – stiamo insieme, ci dovrà pur essere un motivo.
E ad ogni modo, sei sadica. Hai corrotto persino il mio Rufus. La mia fedele bestiola, che mi ha servito con onore fin da quando ero soltanto un bimbetto gracilino con troppi capelli in testa, mi ha davvero beccato la mano, e non con la dolcezza che ci si aspetterebbe da un simpatico animaletto domestico. No, mi ha lasciato un livido verdastro per niente piacevole da vedere. Mi ha quasi compromesso l’uso del pollice opponibile, ti rendi conto? Questo significa guerra. Preparati a una battaglia a palle di neve all’ultimo sangue, appena sarai di ritorno.
 
Cordialmente,
James Potter
 
 
 
 
28 – 12 – 1977, Londra
 
Potter,
sei proprio sicuro di volere la guerra? Io fossi in te ci rifletterei attentamente … Ricordi che cosa sono riuscita a farti con una palla di neve al sesto anno? Non credere che il nostro cambiamento di rapporti sia sufficiente a farmi desistere dal ripetere l’esperienza, perché ricordo ancora quanto ho riso e appena sarò di ritorno avrò decisamente voglia di divertirmi, dato che qui sto iniziando a sentire la mancanza perfino di Slughorn. Ogni santa volta che mi siedo a scriverti, l’intera famiglia trova una scusa per passarmi dietro le spalle e tentare di leggere, senza il benché minimo senso del pudore. Ringrazio Godric di aver sempre avuto una grafia microscopica, cosa che dovrebbe in teoria essere sufficiente a scoraggiare questi patetici tentativi. Purtroppo, pare che la tentazione sia fin troppo forte. Tra poco mi obbligheranno anche a sottoporre le mie lettere a una censura. Sto diventando isterica, non ne posso più.
Fortuna che fra tre giorni me ne vado.
Riguardo alle questioni che hai sollevato, avrei un paio di punti su cui ribattere:
1) Non posso parlare per esperienza personale – altrimenti tu non saresti ancora vivo per raccontarlo – ma non credo di condividere esattamente il tuo concetto di vendetta. Pertanto al mio ritorno mi spiegherai per quale oscuro motivo dovevi farla pagare a Gazza, ti assicuro che non rischierò di svenire.
2) Tu con la tua faccia da santarellino incanteresti chiunque … ma io so cose di te che la gente comune stenta ad immaginare, perciò pensaci bene prima di propormi di conoscere i miei.
3) Puoi anche scordartelo. Ti posso assicurare che mi ribellerei persino sotto la maledizione Imperius.
4) Credimi, anch’io non riesco ancora a capacitarmi di stare davvero insieme a te. Forse per ragioni leggermente diverse dalle tue, ma sembra che abbiamo qualcosa in comune, dopotutto.
Ad ogni modo, se nonostante i miei avvertimenti la saggezza stenta ancora a scendere su di te, mi trovi dispostissima ad accettare la tua dichiarazione di guerra. Sappi che però in caso di vittoria esigerò un premio, e non sarai in grado di dettare condizioni in proposito.
 
Cordialmente,
Lily Evans
 
 
 
 
29 – 12 – 1977, Hogwarts
 
Evans cara,
me lo ricordo bene cosa mi hai fatto al sesto anno, tu e le tue stramaledette palle di neve truccate. Mi ricordo il dolore lancinante che ho provato e anche la tua espressione malignamente compiaciuta quando sei scesa da quell'albero. Ma quello era GIOCO SPORCO. Non era valido. Perciò, se ci tieni alla guerra, sottoscriverai a delle regole che non contemplano la possibilità di lanciarmi palle di neve con dentro i sassi. Mi hai preso in fronte, quella volta, e mi è rimasto il segno per una settimana intera. I miei amici mi hanno preso in giro per due mesi e sono stato canzonato perfino da Madama Chips, quando le ho dovuto spiegare la causa della mia ferita; non so se ho reso l’idea. Sarò lieto di prometterti un premio in caso di vittoria, cosa che anche tu ti impegnerai a promettermi nel caso in cui vincessi io (e ti assicuro che ho già un paio di idee da farti drizzare i capelli in testa, amore), ma non voglio vedere l’ombra di un dannato sasso.
E comunque, Remus una volta mi ha citato un proverbio Babbano che risponde perfettamente al tuo punto 4: chi disprezza compra. Perciò potrai anche fare tutte le storie che vuoi, ma alla fine il mio fascino innato ti ha conquistata. Rassegnati.
 
Ci vediamo tra un paio di giorni,
James
 
P.S.= credo che andrò a comprare una lente di ingrandimento. Posso capire che i tuoi siano un tantino ossessivi e che tu ci tenga alla tua privacy, ma io sono miope, Evans, dannazione!
 
 
 
 
30 – 12 – 1977, Londra
 
Potter,
Siete ancora vivi lì a Hogwarts o siete morti soffocati dalla valanga dei vostri vestiti sporchi?
Comunque sia, nel tuo caso io non parlerei di tanto di fascino innato, quanto di caso paradossale. Sei riuscito ad ottenere qualcosa solamente nel momento in cui hai smesso di provarci. Non credo che molti altri possano vantare un’esperienza simile: solitamente, i perseveranti vengono premiati, come succede nelle favole per bambini, in modo proporzionato alla loro costanza. E non posso certo dire che tu di costanza non ne abbia avuta. Ma è stato solo deponendo l’uso del tuo famigerato fascino che hai ricevuto il tuo premio.
Mi dispiace per la tua vista, ma non essere così drastico … non credo che soltanto a causa delle mie lettere la tua miopia peggiori fino a costringerti a portare gli occhiali ventiquattro ore su ventiquattro. E poi, quando porti gli occhiali hai un’aria quasi intelligente. Credo sia questo che trae in inganno i professori.
Se proprio insisti, rinuncerò alle palle di neve con i sassi dentro; però ti avverto che questo non sarà certo sufficiente a garantirti la vittoria. Posso farti fuori senza avvalermi dei sassi, stanne certo. Anche se l’idea di rispedirti di nuovo in infermeria con una tale motivazione mi diverte non poco, soprattutto ora che ho saputo che perfino Madama Chips ti ha deriso, ma riuscirò a farne a meno … però non darmi della sadica. L’unico motivo per cui mi sono sentita autorizzata a giocare sporco è stato perché tu avevi osato bersagliarmi deliberatamente mentre io stavo camminando da quelle parti senza nessuna intenzione ostile, perciò avresti dovuto aspettartelo. Tuttavia, se vuoi una guerra alla pari, allora farò lo sforzo di abbassarmi al tuo livello.
 
A presto,
Lily
 
 
 
 
31 – 12 – 1977, Hogwarts
 
Lily cara,
come puoi notare dal fatto che ti sto scrivendo, siamo ancora vivi. Abbiamo deciso di schiavizzare gli Elfi Domestici affinché ci pulissero la stanza (sì, lo so, siamo degli esecrabili mostri eccetera eccetera. Ma ti assicuro che loro erano contentissimi del fatto che li avessimo chiamati a fare qualcosa!).
Immagino che ormai tu stia facendo i preparativi, perciò non ti annoierò a lungo. Ad ogni modo, la nostra sfida è concordata. Mi auguro che la neve che è caduta in questi giorni rimanga, perché non vedo l’ora di batterti. Non farti prendere dal panico, forse sarò clemente e non ti chiederò una dichiarazione pubblica. Ma ho comunque delle alternative interessanti, che spaziano dalle cose banali come copiare i tuoi compiti fino alla fine dell’anno a quelle meno banali come … beh, evito di scriverlo. Non si sa mai che qualcuno della tua famiglia riesca a sbirciare e mi giudichi un pervertito.
 
A presto,
James

***

26 dicembre 1977

 
Il Natale, a casa mia, è stato tranquillo come sempre, quest’anno. È quasi bizzarro tornare dopo mesi e constatare che quasi nulla è cambiato: mamma è costantemente indaffarata, papà approfitta delle ferie per mettersi a lavorare alle cose più inutilmente divertenti (quest’anno, ho scoperto, si è dato alle sculture di ghiaccio. Ho sempre pensato che fosse sprecato a fare il contabile) e Petunia persiste nello starmi lontano il più possibile. Il pranzo con i parenti è stato comunque un successo, grazie all’anatra all’arancia che mamma ha cucinato; papà mi ha confidato in gran segreto che era da almeno una settimana che comprava anatre e faceva esperimenti e che, ovviamente, alla fine toccava a lui mangiare tutti gli avanzi. È piacevole constatare che, al di là di tutto, continuo ad avere un posto in cui tornare; la mia camera mi accoglie ogni volta come la precedente, tirata a lucido da mamma che ci tiene a farmi stare bene, con i miei vecchi libri ordinatamente impilati sugli scaffali e i vestiti della mia infanzia ancora chiusi negli armadi, impregnati di naftalina. Inoltre, le tradizioni di famiglia continuano ad essere rispettate in maniera rigorosa: anche quest’anno i miei zii irlandesi si sono presentati con una cassa di birra al seguito, rimproverando scherzosamente mia mamma che si ostina a conservare in casa il minor numero possibile di alcolici. Non sapevo che papà avesse una così vasta cultura musicale riguardo alle canzoni popolari del suo paese finché non si è messo a cantare ubriaco, uno degli scorsi Natali. A quel punto, con le lacrime agli occhi dal ridere, ho compreso il perché della contrarietà di mamma di fronte all’enorme quantità di birra che gli zii ci portano sempre in omaggio.
Rimettere piede nella mia stanza dopo tanto tempo è ciò che mi fa più effetto. Forse perché sembra ancora una stanza da bambina, con il lampadario a forma di mongolfiera, il castello in legno che papà mi ha costruito per uno dei miei compleanni passati, le lenzuola a fiorellini e i libri di Luisa May Alcott sul comodino. Uno dei miei rituali preferiti è proprio rileggere per l’ennesima volta Piccole donne, tra una pausa dai compiti e l’altra; mi ricorda quando non immaginavo nemmeno lontanamente che quei fuochi d’artificio che facevo scoppiare ogni tanto in maniera del tutto inconsapevole fossero uno dei segni del fatto che in realtà ero una strega. “Una strega coi fiocchi”, aveva detto Hagrid quando si era presentato a casa nostra per portarmi la lettera da Hogwarts.
Ieri sera, sul tardi, un gufo bruno è comparso alla mia finestra. Non avevo assolutamente idea di chi potesse essere; avevo già sbrigato tutta la mia corrispondenza con Margaret, Delia, Mary e Helen, eppure doveva essere un mago quello che mi mandava un gufo, a meno che qualche Babbano non avesse deciso di lanciare una nuova moda. Mi sono sorpresa non poco, ad ogni modo, di trovarmi davanti un biglietto di James. Voglio dire, io e lui non ci eravamo mai scritti; piuttosto logico, d’altronde, considerato che i nostri rapporti passati erano pessimi, ma il fatto che avesse preso l’iniziativa di mandarmi gli auguri e persino un regalo mi ha lasciato piacevolmente stupita. Durante i tre giorni che avevo trascorso qui, non avevo potuto fare a meno di domandarmi in continuazione che diavolo stesse combinando quello scapestrato. Sono andata a dormire con il sorriso sulle labbra nonostante fossi distrutta per aver cucinato, apparecchiato, sparecchiato e lavato i piatti tutto il giorno, e ora che mi sono alzata per fare i compiti ho ritrovato il biglietto infilato fra le pagine del libro di Erbologia. Mentre lo rileggo, penso che James è sempre il solito. La sua buffonaggine è una specie di malattia cronica, ma mi auguro seriamente che non guarisca mai.
“Hm. È una grafia maschile, quella, o mi sbaglio?”
Mi volto quasi di scatto, spostando un gomito sopra il foglio di pergamena con un gesto secco. I miei occhi sono leggermente sgranati; il fatto che mia madre si impicci senza pudore degli affari miei riesce ancora a stupirmi, dopo tutti questi anni. Devo sicuramente aver preso da papà, in questo senso, perché io non sono così.
“Purtroppo sì”, rispondo, rassegnata. Tentare di mentire non servirebbe a nulla.
“Purtroppo? È un ammiratore sgradito?”
“No, no … ma ora mi toccherà subire il solito processo d’inquisizione, perciò ti conviene cominciare ora che sono abbastanza disponibile a risponderti”.
“Tesoro, non farla così tragica! Non ho intenzione di sottoporti ad un processo”.
Sfortunatamente, mia madre non coglie l’ironia. Anche in questo devo aver preso da papà.
“Beh, allora se non hai nulla da chiedermi mi rimetto a studiare”, concludo, aprendo il libro di Erbologia e seppellendovi sotto la lettera per metà. Il silenzio cala sulla stanza mentre mia madre si affaccenda a spolverare le mensole circostanti; non mi sembra vero che abbia realmente deciso di desistere. Sarebbe un evento storico di portata mondiale.
“Un po’ disordinato, il ragazzo”.
Ecco, lo sapevo.
Era tutta un’illusione tattica per tornare all’attacco al momento opportuno.
“È una cosa che riflette le sue turbe mentali”, commento, ridacchiando. Mia madre scuote la testa, sospirando.
“Io non ti ho educata così”, afferma, gettando un’occhiata torva verso la stanza in cui mio padre sta tentando di costruire dei razzi per Capodanno mentre fischietta la marcia turca.
Cerco di trattenermi dal ridere perché mi sentirei troppo irriverente se lo facessi.
“Allora, come si chiama il giovanotto?”
Ritorno immediatamente seria, constatando che l’attenzione è tornata a focalizzarsi su di me.
“Uh, James … James Potter”, rispondo, dandomi l’aria di una che non conferisce a quel nome nessuna importanza, poi torno a chinarmi sul libro, nella speranza che questo basti.
“Dunque uscite insieme, tu e questo … James Potter?”
Sollevo gli occhi lentamente, oltre la mia spalla, incontrando lo sguardo indagatore di mia madre fisso su di me. Immagino sia inutile tentare di mascherare la cosa.
“Uhm. Beh, sì”, rispondo, stringendomi nelle spalle, come se fosse una cosa inevitabile. Magari questo le farà passare la voglia di fare domande.
“James Potter. Chissà perché il nome mi suona familiare”, dice lei a un certo punto, portandosi una mano al mento con aria pensierosa. Io sospiro, rassegnata. Mi toccherà raccontare tutta la storia.
“L’avrai sentito nominare quando l’anno scorso sono venute a trovarci Delia e Margaret”, rispondo, provando a rimanere sul vago. Magari funziona.
“Oh, sì, quelle due graziose ragazze … le frequenti ancora?”
“Certo che le frequento ancora, mamma. Sono nella mia stessa Casa. Anche se Petunia ha praticamente terrorizzato Delia, perciò non credo che rimetterà piede qui …”
Mi mordo il labbro inferiore, cercando di soffocare quell’attimo di frustrazione.
“Le dirò di scriverti, se ti fa piacere”, aggiungo, cercando di cambiare argomento.
“Vedrai che cambierà idea, se le dirai che per la prossima volta le preparerò di nuovo quella torta di mirtilli che le era piaciuta tanto”.
L’immediata associazione di idee mi porta a pensare alla faccia di Delia quando, dopo essersene divorata almeno la metà del dolce, mi aveva guardata con aria dubbiosa e mi aveva domandato “scusa, potevo?”.
“Sì, in effetti questo cambierebbe le carte in tavola”, ammetto, sorridendo tra me. Mia madre annuisce, soddisfatta, rassettandosi il grembiule davanti allo specchio. Immagino che il momento difficile sia passato e che io possa ritenermi al sicuro. Prendo la lettera di James e mi accingo a riporla nel cassetto della scrivania, quando mi sento di nuovo un paio d’occhi puntati addosso.
“Comunque, dicevamo …”
Fingo indifferenza mentre richiudo il cassetto, voltandomi rapidamente l’attimo dopo.
“Che cosa?” chiedo, in tono di cortesia.
“Di questo ragazzo, James”, dice mia madre, in un tono che vorrebbe incoraggiarmi a parlare. Ma la mia riservatezza è la prima a farsi viva, sfortunatamente per lei. Immagino che se prendesse un paio di pinze e provasse ad estrarmi le confessioni di bocca otterrebbe più risultati.
“Sì”, rispondo, sistemandomi nervosamente sulla sedia.
“Come mai ne parlavate spesso? Ti piaceva?”
Sgrano gli occhi, esterrefatta.
“Assolutamente no!”
“Ma andiamo, Lily, ora uscite insieme! Come può essere che non ti piaccia?”
Stringo le labbra con un’espressione confusa, rendendomi conto che effettivamente non è facile da spiegare.
“All’epoca non lo sopportavo”, dico a mia madre, stringendomi nelle spalle. Lei fa uno strano sorrisetto mentre mi guarda.
“Oh, già, ora ho capito. Era lui quello di cui parlavi in quel tono così poco simpatico, giusto?”
La maliziosità del suo tono non mi piace per nulla.
“Sì, è altamente probabile”, rispondo, in preda al più cupo imbarazzo. Lei annuisce, soddisfatta.
“Sono contenta che ora le cose siano diverse. Sai, mi riusciva così strano credere che proprio tu potessi parlare tanto male di qualcuno. Tu non hai mai odiato nessuno”.
“Beh, James non … mi andava molto a genio, diciamo. Cioè, più che altro non mi andava a genio il modo in cui si atteggiava. Perché in realtà non era davvero così presuntuoso. Solo che era convinto che in questo modo avrebbe attirato di più la mia attenzione”.
Seriamente, sta diventando complicato. Parecchio complicato. Se dovessi presentarglielo ora, andrebbe avanti giorni e giorni a domandarmi come accidenti era possibile che non mi andasse a genio un ragazzo così. Ne sono certa. Perché James ora è adorabile, ed è tutto così diverso da qualche anno fa. Dunque, finisce che io ci faccio la figura della stupida.
“Ti faceva una corte serrata, eh?” ammicca mia madre, con aria di complicità. Io ci ripenso e un po’ mi viene da ridere, mentre ripenso a che sfilza di risposte poco gentili sono stata in grado di sfoggiare. A mia madre sarebbero venuti i capelli bianchi, se mi avesse sentita.
“Praticamente mi chiedeva di uscire come se rispondere di sì fosse l’unica possibilità che avessi”, commento, in tono ironico.
“Beh, alla fine ha avuto successo”.
Sì, alla fine. Ma la cosa è decisamente bizzarra.
“Ha avuto successo quando ha smesso di chiedermelo”, spiego, rendendomi conto di quanto sia buffo raccontarlo.
“Strano, sì … ma decisamente carino”, commenta infine mia madre.
“Mi fa piacere che la pensi così”, rispondo, per farla sentire contenta. E comunque, in fondo è vero. È il caso che la mia famiglia approvi il fatto che ho un ragazzo, considerato che è una cosa seria.
“E non mi dici niente di più?” mi sento chiedere all’improvviso, mentre già me ne stavo immersa nei miei pensieri.
“Che cos’altro dovrei dirti, mamma?” domando, lievemente polemica.
“Oh, non saprei, per esempio dove abita, quanto è alto, cosa vuole fare nella vita, se è carino, se è bravo a scuola, se ha animali domestici, se fa sport …”
Sospiro pesantemente. Allora è una specie di tortura.
“Abita in Galles. Vicino a Swansea, se non sbaglio. È alto una quindicina di centimetri in più di me. Non so cosa voglia fare dopo Hogwarts, penso qualcosa di avventuroso in cui si rischia l’osso del collo ogni nanosecondo. Ha praticamente il massimo dei voti in tutte le materie pur applicandosi il minimo indispensabile. Gioca a Quidditch ed è un’impresa degna di nota staccarlo dal suo manico di scopa, ha un gufo nome Rufus e sì, è carino, ti piacerebbe”.
Spero almeno di averla fatta felice, con questa sequela di esaurienti risposte.
“Non hai una sua fotografia?”
No, ancora non basta.
“Ehm …”
Sì, ho una sua fotografia. Il problema è trovare quella adatta da mostrare ad un genitore. Mia madre è mia madre, non la mia vicina di banco. Mi accingo a frugare nel baule alla ricerca di qualcosa di guardabile, pregando che non saltino fuori certi scatti particolarmente imbarazzanti. Scarto quella in cui lo sto soffocando con un cuscino sul divano della sala comune, quella in cui prima di partire per tornare a casa gli spiaccico una palla di neve in testa, quella in cui James mi bacia a tradimento sotto il vischio e quella in cui stiamo facendo la lotta sul suo letto. Tutte troppo violente o troppo compromettenti. Rimane quella in cui io sono in infermeria con l’influenza e lui sta vegliando al mio capezzale rileggendomi gli appunti di Storia della Magia e sbadigliando in continuazione e, dato che non ho altre opzioni disponibili, è quella che mostro a mia madre.
“Hai ragione, è carino. E ha anche una notevole apertura mascellare”, commenta lei, divertita.
Io mi passo una mano sul volto per la disperazione.
“Era stanco, mi stava aiutando a ripassare”, cerco di spiegare, per rendere plausibile una situazione ridicola.
“Molto dolce da parte sua”, è il verdetto, e non posso che sospirare di sollievo.
“E questi chi sono?” mi sento domandare, e vedo che mia madre sta fissando la foto che stava sotto a quella che le ho mostrato; ci siamo io, James e Peter sul divano della sala comune, Remus in piedi alle nostre spalle e Sirius davanti al camino che declama una delle lettere estive di James a gran voce, facendo sghignazzare come dei matti noi e vergognare da morire lui.
“I suoi amici”, rispondo, con un sorriso.
“Oh, davvero dei bei ragazzi … potremmo presentarne qualcuno a Petunia …” propone maliziosamente mia madre.
“Non uscirei con uno di quei mostri nemmeno per tutto l’oro del mondo!” risponde mia sorella, dalla stanza di fronte. Non credo fosse legittimo nutrire dubbi in proposito, del resto.
“Tranquilla, tesoro, stavamo solo scherzando …” tenta di rassicurarla mia madre, ma io scuoto la testa.
“Perfetto, perché non ci tengo a finire come lei”.
“Lascia perdere, mamma”, le dico, ben sapendo che è una battaglia persa. Petunia ormai non cambierebbe idea per tutto l’oro del mondo.
“Perché non ci provi lo stesso, cara? Magari se li vedesse potrebbe cambiare idea … bisogna trovare un ragazzo anche a lei, ora …”
“Davvero, non penso che sia il caso di farle venire un attacco isterico”.
Già, preferisco l’indifferenza e il quieto vivere al litigio continuo, almeno in casa mia. Perché non mi dà nessuna soddisfazione rispondere a frecciatine del genere, mi fa soltanto male.
Purtroppo per me, l’ultrasensibilità l’ho ereditata sicuramente da mia madre.
Ad ogni modo, credo che risponderò a questa lettera quando avrò la possibilità di essere sola. Ora come ora la cosa è da escludersi e, per quanto abbia già la risposta pronta da quando ieri sera mi sono messa a leggere sotto le coperte, non credo che sarebbe molto funzionale al mantenimento della mia privacy se prendessi in mano piuma e pergamena in questo momento. Sarebbe come invitare mia madre alla fiera del pettegolezzo, più o meno.
“Comunque sono molto fiera di te, tesoro mio”, mi dice mia mamma, accarezzandomi il braccio. “Ti sei sistemata proprio bene”.
Mi sento andare le guance in fiamme seduta stante, mentre già la immagino fare i preparativi per il nostro matrimonio. Annuisco, ringraziandola con un filo di voce e torno a chinare la testa sul mio foglio di pergamena, mentre mi auguro che il supplizio sia finalmente giunto al capolinea.
In un paio d’ore riesco a terminare il tema di Erbologia, ma la mia concentrazione è decisamente salpata da questi lidi. Nella mia testa ci sono quei quattro disgraziati a trasformare Hogwarts in un parco giochi e questa strana sensazione di farfalle nello stomaco; è indubbiamente una novità, rispetto agli anni passati. E non mi dispiace affatto che sia così.



Wherever you will ever be,
You're never getting rid of me.
You own me,
There's nothing you can do.

(The National, Lucky You)




Nota di fine capitolo: per fare le doverose precisazioni, un dettaglio di questo capitolo (ovvero Sirius e James che andavano a Londra perché Sirius, ricevuta l’eredità di zio Alphard, voleva comprarsi un appartamento e andare a vivere da solo) è stato eliminato per esigenze di trama di un’altra fanfiction, che poi sarebbe il seguito di questa. Sia perché preferivo utilizzare questo espediente in un altro modo più approfondito (e più Sirius/Remus XD), sia perché alla fine, ragionandoci su, non è che a Sirius servisse molto comprarsi una casa a Natale per poi non usarla, verosimilmente, fino a Pasqua o addirittura le vacanze estive.
Inoltre, per dare i doverosi crediti, vi sono due citazioni contenute in questo capitolo: una è riferita alle palle di neve con i sassi dentro, dettaglio assai divertente che ho “preso in prestito” dal musical Sette spose per sette fratelli – era una cosa troppo cattiva e geniale per non farla fare anche a Lily – e poi, più avanti, la frase di Lily (“sembra che abbiamo qualcosa in comune, dopotutto”) viene pronunciata dal personaggio di Sawyer in una – perdonate, non ricordo esattamente quale – puntata di Lost.

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Capitolo 15
*** Il piccolo problema peloso ***


Capitolo 15 – Il piccolo problema peloso




Mistero non è che un termine altisonante per dire pasticcio.

(Edward Morgan Forster, Passaggio in India)
 



 
31 dicembre 1977
 
In un momento in cui pareva essere particolarmente in vena di confidenze amichevoli, Sirius mi ha chiesto che cosa si prova a starle lontano.
Suppongo avesse colto la mia agitazione; senza dubbio aveva ricevuto ampie testimonianze della mia euforica tensione nei momenti in cui, nei giorni precedenti, mi ritrovavo ad aprire una sua lettera.
Gli ho risposto alzando le spalle, cercando di barcamenarmi in mezzo a un mare di luoghi comuni. Non mi aspettavo una domanda simile, nel momento in cui avevo appena finito di lucidarmi gli occhiali e mi ero reso conto che della lunga lista di compiti per le vacanze noi non ne avevamo cominciato nemmeno mezzo. Penso fosse soltanto curiosità, la sua. Non si è mai fatto problemi nel comunicarmi tutto ciò che gli passa per la mente, anche i pensieri più irriverenti, sconci e offensivi. Non ha censura, Sirius, quando si tratta di parlare con me.
Solo che io non sapevo affatto che cosa rispondergli.
Non è che tutt’a un tratto appoggio i gomiti sul davanzale della finestra, osservo il cielo stellato sospirando in preda alla malinconia e mi metto a pensare a quanto mi manca lo scintillio dei suoi occhi, la dolcezza della sua voce, la morbidezza della sua pelle, i suoi baci e le sue carezze, e altre emerite idiozie di questo genere.
Lily non è né dolce né affettuosa. O per lo meno, mi dimostra dolcezza in un modo tutto suo. Ho imparato ormai da tempo che se dice che vuole picchiarmi per lei è un segno d’affetto. Come è un segno d’affetto quando si limita a sfiorarmi appena il braccio alla fine di una delle riunioni dei Capiscuola, per farmi cenno che è ora di andare. O quando mi scuote per le spalle, mi tira gomitate nello stomaco, mi trascina da un corridoio all’altro durante la ronda, mi fulmina con uno sguardo bieco e impietoso in risposta a una mia battuta un po’ troppo azzardata.
Non potrei mai finire a pensarle in termini sdolcinati, ecco.
E poi, non le penso nei ritagli di tempo. Non sono capace di concentrarmi, e di dedicarmi per un determinato numero di minuti ad una sola e precisa attività. Io le penso praticamente sempre. Lei mi salta alla mente in modo automatico, per delle assolute sciocchezze, in genere a causa di un collegamento logico che nemmeno io riesco a spiegarmi tanto bene. Non è che non faccio altro che pensare a lei, non sono così monotematico. È che ricollego la sua immagine a più o meno tutto quello che faccio, in maniera assolutamente inconscia e involontaria.
Non è molto coerente, come idea.
Pretendere anche che io riesca a spiegarla a qualcuno è un po’ troppo.
Forse dovrei rimanere sul classico, e inventarmi qualche panzana. Ma non ci sono abituato, e non vedo la necessità di mentire a Sirius. Forse il mio unico problema è che non so esprimermi a parole.
“Non lo so, Padfoot. È solo che … beh, si sente, quando non c’è”.
Sirius mi guarda pensieroso, annuendo un paio di volte. Io non posso fare a meno di sentirmi irrimediabilmente stupido.
“Beh, lo sai cosa intendo … non c’è nessuno che irrompe in sala comune come una furia per trascinarmi fuori alle nove di sera, o che mi minaccia di morte per farmi stare zitto, o che mi urla di tenere le mani a posto e cose del genere …”
Merlino, sono davvero patetico. Tutto il mio orgoglio di Malandrino è andato perduto in un cumulo di polvere.
“Non è che io sia masochista. Anche se Remus sostiene il contrario. È solo che … beh, lei è violenta per natura. Non posso farci niente”.
“Avresti dovuto frequentare un corso di sopravvivenza prima di mettertici insieme”.
“Già, hai ragione”, sospiro, guardando con incertezza il sorriso appena accennato dipinto sul volto del mio migliore amico. Ancora non sono riuscito a capire dove diavolo vuole andare a parare, e questo mi terrorizza non poco. Voglio dire, con me Sirius preferisce di gran lunga parlare di tutt’altro, perciò non mi aspettavo che fosse lui stesso ad introdurre l’argomento; e anche se, forse, potrei considerarlo un segno del fatto che magari sta cercando di accettare il mio rapporto con lei, io come al solito ho il timore di aprire bocca in maniera eccessiva e farmi trascinare verso livelli di esagerazione che sarebbe meglio evitare di raggiungere.
Insomma, sono lievemente nei pasticci.
“Sai cosa sembrate? Una vecchia coppia sposata da una ventina d’anni”.
Una mezza risata forzata mi sfugge dalla gola. Mi torco le mani, sentendomi attanagliare dalla tensione.
“Sì, ecco …”
“Ormai ti conviene pensare ad accasarti, sei merce avariata sul mercato della fauna maschile”.
“Non dire idiozie, Padfoot. Sono ancora troppo giovane per pensare a certe cose”, rispondo, ormai definitivamente in preda al panico. Che razza di discorsi sono questi, da fare nel bel mezzo di un silenzioso pomeriggio immerso nel grigiore vacanziero di fine dicembre?
“E tutta la tua euforia per aver finalmente raggiunto la maggiore età dove è andata a finire?” mi chiede Sirius, in tono lievemente canzonatorio.
“Guarda che se per caso dovessi compiere un gesto simile avrei bisogno della tua presenza al mio fianco ventitré ore su ventiquattro”, gli annuncio, incupito.
“Per quale motivo?”
“Beh, perché non sopravviverei al primo giorno di matrimonio senza una guardia del corpo! Quindi metti in conto di essere già stato assunto per questo compito …”
“E la ventiquattresima ora?”
Uno strano e formicolante imbarazzo mi blocca per un momento, prima che io deglutisca e mi senta pronto a fare la mia sparata.
“Mi piacerebbe almeno poter consumare senza terzi incomodi presenti sulla scena, se non ti dispiace”.
Sirius scoppia a ridere fragorosamente, reggendosi con le mani sulle cosce. Io abbasso gli occhi a fissare il pavimento e mi lascio coinvolgere dalla sua ilarità, sollevato per non aver provocato tensioni con le mie parole riguardo ad un argomento così delicato. Credo che dopotutto Padfoot si senta meglio, se lo coinvolgo. Nei giorni scorsi, ogni tanto, gli leggevo le lettere di Lily, e gli permettevo di dare un’occhiata alle mie risposte. Però per scriverle le scrivevo io. Ho conservato comunque un certo numero di capacità, anche se mi sono leggermente rammollito sotto determinati punti di vista. E poi, Sirius non è mai stato capace di scrivere delle lettere come si deve, è fin troppo svogliato per portare a termine un compito del genere. Le sporadiche occasioni in cui si è sforzato di farmi pervenire un pezzo di carta scritto di suo pugno durante le vacanze estive, più che di un semplice e lineare resoconto informativo, si trattava di una specie di dialogo cartaceo instaurato con un me immaginario.
“E va bene, mi basta avere la garanzia che non mi userai come scudo durante gli attacchi isterici della Evans”.
“Merlino, Pads, ma te lo immagini? Se io e lei fossimo costretti a dividere lo stesso appartamento ogni santo giorno non ne uscirei vivo …”
“Non preoccuparti, ci penserei io a chiamare il San Mungo”.
“Non sei affatto spiritoso”, obietto, corrugando la fronte e incrociando le braccia. Ma Sirius non sembra affatto condividere la mia opinione, tant’è vero che continua a ridacchiare a scatti come in preda ad un’irrazionale euforia.
“Pensa se durante un litigio facesse levitare un armadio e te lo facesse cadere in testa …”
“SIRIUS!”
“Okay, okay”.
Raggiungo la parete del dormitorio in un paio di passi distratti e appoggio la schiena al muro ruvido, sentendomi graffiare i gomiti. C’è qualcosa di preoccupante che mi tormenta, e non sono molto sicuro di quanto il discuterne o meno con Sirius possa rivelarsi una mossa astuta. Ma alla fine decido di darci un taglio e di parlargliene ugualmente, non essendo particolarmente incline alle riflessioni a lungo termine.
“Comunque, c’è una cosa che devo dirti …” esordisco, lievemente incerto. “In realtà dovrei dirlo anche a Moony e Wormtail. Cioè, volevo che ne parlassimo insieme. Però ora ci metterei troppo tempo ad andare a cercarli. Insomma …”
Sirius mi guarda leggermente storto, non riuscendo a capire dove voglio arrivare.
“Ti ricordo che non mordo, almeno non in forma umana”.
“Oh, non ci giurerei”.
“Va bene, James, ma va’ avanti! Qual è questo accidenti di problema?”
“Beh, ecco … un po’ di giorni fa Lily ha iniziato a fare domande”.
Padfoot s’incupisce di colpo. Ecco, lo sapevo. Pessima mossa. Dovevo aspettare che ci fossero anche Remus e Peter, così l’avrebbero calmato. Invece no, ho voluto fare di testa mia, come al solito. Dannata impazienza.
“Che genere di domande?” mi domanda Sirius. A quel punto, però, esplodo.
“Sai, io vi avevo avvertiti! Non prendertela con me ora. Vi avevo chiesto una mano, ma voi mi avete detto che era inutile pensarci subito. Ora siamo totalmente impreparati, è un disastro!”
“Prongs. Idiota. Ti ho chiesto che genere di domande”.
“Beh, mi ha chiesto dove sparisco una volta al mese, molto semplicemente. L’avevo detto che ci sarebbe arrivata, essendo tutt’altro che stupida e per giunta avendo la possibilità di tenermi direttamente sotto controllo adesso che ci frequentiamo. Eh no, ma indubbiamente sono io che sono paranoico …”
“Ora datti una calmata”.
“SONO CALMISSIMO!”
Sirius mi lancia un cuscino in testa, evidentemente esasperato, ottenendo soltanto di farmi volar via gli occhiali.
“Allora, testa di rapa, ora ascoltami. Nessuno sta dando la colpa a te. La questione è che la tua adorata Evans prima era amica di Snivellus, lo difendeva, capisci? E soprattutto, nonostante dicesse che non era sua intenzione, anche lei ha sempre ficcato il naso, sia quella volta in Infermeria sia quando siamo finiti da Silente per il motivo che sappiamo. In ogni caso, lei ha sempre fatto domande. Quindi, magari la pensa esattamente come lui”.
“Non dire assurdità!” esclamo, piuttosto piccato. Ora mi sembra proprio che Sirius stia esagerando. E va bene, erano amici, e ricordarlo mi provoca il disgusto più totale – se solo scopro che le ha mai messo le mani addosso, lo ammazzo – ma che addirittura lei fosse d’accordo con lui su certe cose è davvero impensabile.
“Lily ha sempre difeso anche Remus. E poi ora non ci parla più, con Snivellus. Non sappiamo cosa le abbia detto dopo lo scherzo, ma farsi delle domande è normale, di fronte a cose che non si capiscono. Anche noi, quando non sapevamo di Remus, ci siamo chiesti cosa avesse, perché non ne parlasse. L’abbiamo praticamente costretto a dircelo”.
Quasi sorrido ricordando lo sfacciato candore con cui, ancora dodicenni imberbi, io, Sirius e Peter avevamo pedinato Remus fino in Infermeria e atteso che Madama Chips si assentasse un momento prima di comparirgli di fronte e dirgli che eravamo preoccupati per lui. Probabilmente Moony in quel momento aveva desiderato di poter torcere tutti e tre i nostri colli con una sola mano.
“Comunque ora è probabile che Snivellus le abbia detto la verità”.
“Non è detto, Silente si era raccomandato di …”
“Sì ma, Prongs, loro erano amici”.
“Grazie di avermelo ricordato per l’ennesima volta”, brontolo, decisamente seccato. E va bene, è la verità. E probabilmente è anche per questo che odio tanto Snivellus: non capivo assolutamente perché Lily dovesse provare piacere nel passare il suo tempo con lui e non con me. Tutta la scuola mi trovava simpatico. Quello là, invece, la simpatia ce l’aveva infilata su per il naso, per non dire di peggio. L’avevo inquadrato da subito, quando sul treno per Hogwarts, al primo anno, aveva annunciato, tutto tronfio, di voler  andare a Serpeverde.
“Se sa di Remus, dobbiamo farla tacere”, sentenzia Sirius, abbandonandosi a sedere sul letto.
“Non credo proprio che sia necessario, Pads. Se anche Snivellus gliel’avesse detto, lei se l’è tenuto per sé. Altrimenti, considerando quanto tempo è passato da quell’episodio, a quest’ora tutta la scuola sarebbe corsa a protestare da Silente e metà degli alunni sarebbero stati ritirati dai loro ottusi e perbenisti genitori”.
“Sì, ma comunque, se lo sa, quanto credi che le ci voglia a fare due più due sommando le tue sparizioni? Non è stupida e in quanto a tendenze paranoiche è forse quasi pari a te, quindi potrebbe arrivarci”.
A quel punto cerco di raccogliere il coraggio necessario ad esporre la mia proposta, anche se so che Sirius mi ucciderà non appena sentirà uscire tali parole dalla mia bocca.
“Forse dovremmo dirglielo e basta”.
Il mio migliore amico mi fissa ad occhi sgranati per qualche secondo, presumibilmente domandandosi se ha sentito bene. Con uno scatto fulmineo afferro il cuscino che mi ha tirato poco fa e mi ci nascondo dietro, per cercare di proteggermi da altri probabili attacchi.
“James, ti sei per caso bevuto il cervello? Per quale razza di motivo idiota dovremmo dirle di nostra spontanea volontà che siamo degli Animagi non registrati?!”
“L’hai detto tu, prima o poi ci arriverebbe da sola!”
“Ma la strategia che volevo suggerire non era certo quella di andare a consegnarci direttamente nelle sue mani!”
“E allora che cosa dovremmo fare, secondo te?”
“Non lo so, farle un Incantesimo di Memoria, dirle che Piton ha dei problemi mentali, inventarci qualcosa, qualsiasi cosa … ma di sicuro NON DIRGLIELO!”
“Se devo essere sincero, Pads, mi sfugge il motivo di tutta questa tua diffidenza”.
Sospiro, sentendo di essere arrivato finalmente al punto. Non capisco, ci ho provato a pensare a cosa possa esserci che non va per Sirius ma non ho trovato una valida ragione. Non ho messo da parte né lui né Peter e Remus, non ho smesso di essere quello che sono e Lily, soprattutto, non è quel genere di persona che va in giro a dire a tutti che Remus è un Lupo Mannaro. Posso giurarlo sul mio manico di scopa, una cosa simile non la farebbe mai. E non credo che Sirius non lo sappia. Voglio dire, è sotto i suoi occhi! Lily ora non mi odia, anzi, si potrebbe dire che provi qualche sorta di contorto affetto per me, dato che usciamo insieme e tutto il resto. Perciò davvero, mi sfugge quale sia questo gigantesco ed imprescindibile problema.
“Mi duole fare il guastafeste e distruggere in un solo colpo il tuo perfetto mondo in cui tutti sono buoni e gentili, Prongs, ma devi tenere presente questo fatto: lei non è un Malandrino. È la tua ragazza, o come cavolo vuoi chiamarla. Certo, ora ti sembrerà la soluzione più facile e più corretta non avere segreti con lei, ma ci hai pensato a cosa succederà se un giorno doveste lasciarvi? Beh, quasi di sicuro lei se la prenderà con te. Dicendole che sei un Animagus non registrato le fornisci su un piatto d’argento l’occasione di vendetta, nel caso in cui le cose vadano così. Ed è una possibilità che devi considerare”.
Mi passo una mano fra i capelli, rimanendo in silenzio. Non riesco a capire se Sirius ha ragione o meno. Il suo è un discorso logico, da persona con i piedi per terra; potrebbe andare esattamente così, per quanto ne so io. Nessuno, per quanto possa essere il mio più forte ed atavico desiderio, ha stabilito che io e Lily resteremo insieme per il resto della vita. Una tale eventualità mi getta nello sconforto più profondo, ma potrebbero esserci mille motivi che concorreranno a promuovere la nostra rottura. Ed è facile immaginare che, se e quando si arriverà a questo punto, lei riprenderà ad odiarmi ancora più di prima.
“Dai, ora non ti deprimere. Te l’ho detto soltanto per metterti in guardia. E poi, anche se finirà, te ne troverai un’altra”.
“Non c’è … non c’è un’altra”, mormoro, sentendomi incredibilmente patetico. Però non posso fare a meno di pensarla così, neppure sforzandomi al massimo. Lo so che ho solo diciassette anni e che è ridicolo, ma io lo so, so che è lei la donna della mia vita e non posso cancellare questa consapevolezza con un colpo di bacchetta, semplicemente non posso.
“Beh, amico … sei messo proprio male, allora”, commenta Sirius, con un sorrisetto.
In quel momento, però, vengo assalito da un moto di ribellione.
Che diamine, Lily non è una persona così meschina. Lo so che stiamo insieme solo da qualche mese, ma in realtà sono sette anni che la conosco, e posso giurarlo, non è come Snivellus. E io devo fare in modo che Sirius lo capisca.
“Senti. Ti chiedo solo questo favore: dalle una possibilità”, sentenzio, calandomi sul volto un’espressione seria.
“Cioè, che dovrei fare? Andiamo, Prongs …”
“Passa del tempo con noi e conoscila meglio. Così capirai che non corriamo rischi a dirle la verità”.
Sirius mi guarda con espressione scettica, mostrando di non essere per nulla allettato dalla mia proposta.
“Moony e Wormtail avranno bisogno di una mano con quei fuochi d’artificio, perciò scusami ma devo declinare la tua offerta”.
“Oh, piantala, Pads, vorresti davvero togliere a Wormtail tutto il divertimento del suo esplosivo regalo di compleanno?”
“Remus si starà annoiando a fare da supervisore, vado a dargli il cambio”.
“Come sei egoista, lascialo divertire una volta tanto!”
Sirius sbuffa sonoramente, scocciatosi della mia insistenza.
“Non mi piace fare il terzo incomodo, preferisco starmene per i fatti miei”.
“Non se ne parla neanche”.
“Accidenti, perché devi insistere? Ti ho detto di no!”
“Perché …” – il mio cervello si affanna a trovare subito un’idea brillante che risolva la situazione, altrimenti posso anche considerarmi un fallito – “… diavolo Sirius, mi serve almeno un giudice di gara per la battaglia a palle di neve, altrimenti Lily si sentirà autorizzata a barare per averla vinta, e io ho bisogno di qualcuno che la faccia rimanere al suo posto. Per questo ho pensato a te. Ci stai?”
Osservo con ansia decrescente un sorriso maligno affiorare sul volto di Sirius, mentre si sistema a sedere sul letto tenendo lo sguardo fisso nel mio.
“Beh, se la metti così … allora mi sta bene”.
Fantastico. Sono un genio, signore e signori. Un vero genio. Voglio un applauso, un’ovazione, un coro di gente che esulta gridando il mio nome …
“Toglimi una curiosità, che diavolo pensi di chiederle in premio se vinci tu?”
Mi sento affogare nell’imbarazzo come un timido ragazzino del primo anno, mentre mi stringo nelle spalle ostentando la massima indifferenza possibile.
“Preferisco essere scaramantico e non rilasciare dichiarazioni, per il momento”, rispondo, optando per la scusa più credibile.
“Oh, dai, non ti sembra il caso di confidarti con tuo fratello?”
“Se vai avanti ad insistere poi finirò per perdere, vedrai”.
“Andiamo, Prongs, se ci tieni davvero che sia io a farti da assistente coniugale non puoi certo tenermi all’oscuro di queste bazzecole …”
“Mi brontola lo stomaco, che ne dici di andare a fare un salto nelle cucine?”
“Sì, così tu ne approfitti per prendere lezioni di spina dorsale dagli Elfi Domestici”.
“Cosa ti fa pensare che gli Elfi Domestici abbiano spina dorsale?”
“Uhm, lasciami pensare … forse il fatto che abbiano il coraggio di avvicinarsi ai miei effetti personali buttati all’aria e più o meno imputriditi alla fine di ogni anno scolastico”.
Ci avventuriamo giù per le scale ridendo come due idioti, nel momento in cui ormai ci abbiamo definitivamente preso gusto con quel genere di battute disgustose riguardanti vestiti e biancheria sporca, proprio quel genere di battute che un qualsiasi diciassettenne medio non vorrebbe mai ritrovarsi a fare di fronte alla propria ragazza, per non dover osservare con imbarazzo misto a senso di colpa il suo sopracciglio destro che si inarca con disappunto dando spazio ad un’occhiata di totale disapprovazione, proprio una di quelle occhiate in grado di abbattere anche un Troll di montagna.
E invece, guarda caso, è esattamente quello che accade a me. Perché come in certi strani romanzi Babbani che mia madre tiene nascosti nel terzo cassetto della scrivania, l’eroe della situazione (vale a dire, ovviamente, io), accingendosi a compiere la sua tradizionale impresa eroica (okay, non è che ci voglia tutto questo eroismo ad intrufolarsi nelle cucine di Hogwarts, ma basta usare un po’ di fantasia e immaginare di dover affrontare lungo il percorso dei temibili mostri con nomi altisonanti quali Minerva la Furiosa, Horace il Terribile, Argus il Malefico e Albus il Negromante), sul suo cammino si imbatte per un fortuito caso in una splendida donzella in pericolo, nel caso specifico una certa Lily Evans con troppi bagagli da trasportare in camera.
Solo che l’eroe dalla chioma impeccabile stava usando un linguaggio poco consono al suo rango, e la bella fanciulla ha fatto sparire l’espressione candida e ingenua tipica delle belle fanciulle per lasciare posto a quel sopracciglio inarcato e a quell’occhiata fulminante, e dato che io sono decisamente più mingherlino di un Troll di montagna non le ci vuole poi molto per colpire e affondare.
“Vi ringrazio, non vedevo l’ora di vomitare”, commenta, caustica come al solito.
Io nel frattempo ho già dimenticato i Troll di montagna e ho soltanto un enorme sorriso ebete stampato in faccia.
“Capiti a sproposito, Evans. Noi stavamo andando a mangiare”.
“Oh, certo, la vostra discussione alimenta sicuramente l’appetito”.
Adoro il suo sarcasmo. La adoro. Come diavolo faccio a non saltarle addosso seduta stante?
E va bene, Potter. Contegno. Dimostra al mondo che sei un uomo. Scendi con calma questa accidenti di scala a chiocciola che sembra non finire più, cerca di ritrovare la capacità di parola e mostrati audace e sicuro di te, come si richiede ad un vero eroe.
Peccato che nell’impresa inciampo e rischio quasi di fare gli ultimi gradini rotolando.
Cerco di recuperare la padronanza fisica il più rapidamente possibile, mentre uno sbuffo di risa mezzo soffocato mi deride alle mie spalle. Fulmino rapidamente Sirius con un’occhiataccia, quindi riesco finalmente a raggiungere il pavimento incolume.
Wow. Non credevo fosse così … voglio dire, rivederla dopo aver passato una settimana lontano da lei. Nonostante la figuraccia sfiorata, non sento più la benché minima traccia di imbarazzo nei paraggi. Dopo aver fatto tabula rasa di qualsiasi pensiero momentaneamente inutile, le vado incontro con un paio di falcate decise e la abbraccio bruscamente, stringendola a me di colpo, ed è nel momento in cui sto per svolgere correttamente la mia parte e baciarla con passione che lei mi blocca poggiandomi le mani sulle spalle, mentre un anomalo sorrisetto perfido le affiora sul volto.
“Che cosa c’è?” domando, in una tonalità che non si preoccupa affatto di celare la mia delusione.
“Voglio la guerra, Potter. Subito”.
“Ma …”
La fisso, allibito, mollando la presa. È impazzita, per caso?
“Ma Lily, che cosa …”
“Pensi di non essere pronto, per caso?”
Oh, allora è una sfida. Una sfida all’orgoglio virile del sottoscritto. Col cavolo che le do la soddisfazione di averla vinta.
“Non ho certo bisogno di allenarmi, dato che se non ricordo male l’ultima volta ti ho centrata in pieno al primo colpo”, replico, gonfiando il petto. Lei allarga il suo sorriso in un ghigno ancora più perfido. Alle volte riesce quasi a farmi paura.
“Benissimo, allora in campo. Muoviti”, mi dice, in tono perentorio. Ancora in preda alla perplessità, mi permetto di trattenerla un attimo per un braccio cercando di scacciare il timore di venire sbranato.
“Sei appena arrivata, non credi che sia meglio riposarti un po’?” le chiedo, con aria incerta. Lei si stringe nelle spalle, assumendo improvvisamente un’aria che vorrebbe sembrare ingenua.
“Se non ricordo male, l’ultima volta ti ho spedito in Infermeria”, mi sussurra, facendomi raggelare. Getto un’occhiata spaventata a Sirius, che mi tiene d’occhio alle spalle di Lily. Ma il mio fidato migliore amico, detto anche Padfoot dalle mille risorse, non sa fare altro che fissarmi con aria sorniona e tendere teatralmente un braccio in direzione del buco del ritratto.
“Oh, e va bene, vuoi fare la donna di ferro? Vedremo, quanto sarai in grado di resistere”.
Lei sembra soddisfatta. Annuisce, una volta soltanto, in segno di approvazione, poi mi dà un bacio a fior di labbra e si svincola dalla mia stretta, afferrando saldamente le sue valigie e accingendosi a trasportarle di sopra.
Io la osservo in silenzio mentre sale la scala a chiocciola che conduce al dormitorio femminile, scuotendosi i capelli sulle spalle con un gesto aggraziato. Oh, al diavolo. Quanto mi piace. Merlino …
Contegno, Potter.
 

“Ahia! Sirius, annulla il tiro! Mi ha preso in un occhio, non vale!”
“Non dire stupidaggini, non ci sono regole su dove io ti possa colpire!”
“Ma mi hai fatto male!”
“Sono cose che capitano!”
“Grazie tante!”
“Prego!”
“Avete finito?”
“NO!”
“Sentite, a voi due non serve un arbitro per mantenere la disciplina. Vi serve un domatore con una frusta!”
“No grazie, ci pensa già lei a infliggermi dolore fisico”.
“E a me infliggono dolore fisico le tue lagne!”
“Voi due siete pazzi”.
“Non è vero, è colpa sua!”
“Intanto chi è che sta vincendo?”
“Oh, uffa … Sirius, fa’ qualcosa!”
“James piantala, non sono mica tua madre!”
“Infatti, attribuiscimi il punteggio che mi spetta per averlo preso in pieno per l’ennesima volta e finiamola qui”.
“E va bene, Evans, ma ti prego, smettila di strillare come una Banshee”.
“SIRIUS!”
“Che vuoi?!”
“È … ma … credevo di essere il tuo migliore amico!”
“Oh, sentite … ora basta, mi sono davvero stufato”.
“Io no”.
“Nella tua suprema sagacia hai per caso notato che ormai è praticamente buio?”
“Non sono certo io ad avere problemi di vista!”
“Ah, ah, ah, questa sì che era una gran battuta”.
“Va bene, basta, chiuso. I giochi sono finiti, signori. Adesso fatemi fare i conti, e per piacere, regalate anche qualche secondo di sollievo alle mie povere orecchie”.
Sprofondo con la schiena nel cumulo di neve che mi sono eretto come barriera protettiva, passandomi una mano tra i capelli. Non per spettinarli, no. Semplicemente per levarmi un po’ di neve dalla testa.
Ho il fiatone, sono invaso dal ghiaccio e dal nevischio in posti che non nomino per non fare brutta figura, non riesco più a muovere un muscolo e ho la testa che mi scoppia per l’evidente mancanza di ossigeno.
E ho anche una gran paura, perché con ogni probabilità la mia fine sta per avvicinarsi a momenti. Posso solo sperare che il fatto di avere Sirius come arbitro finisca per giocare in mio favore, e in effetti …
“Mi dispiace, Evans. Vince James”.
Respiro di sollievo. Una risata incredula gli fa immediatamente eco.
“Non dire stupidaggini”.
“Lo so, la verità fa male. Ma vince James comunque, che tu sia disposta ad accettarlo o meno”.
Deglutisco pesantemente, sollevandomi dal mucchio di neve per seguire meglio la scena.
“Avevo previsto che avresti tentato di favorirlo. Per questo i punti li ho segnati anch’io”.
Lo sguardo di Sirius si fa truce, mentre lo avverto ribollire nel tentativo di non perdere la calma.
“E, di grazia, chi mi garantisce che non possa aver barato anche tu?”
“Perché io non sono una persona che racconta frottole!”
“Se non ricordo male tempo fa dicevi di odiare James, eppure ultimamente hai dimostrato esattamente il contrario … io questo lo chiamo raccontare frottole”.
Lily sbarra gli occhi, arrossendo violentemente.
“Io non … allora, stammi bene a sentire. Se lui”, inizia, puntandomi un dito contro, “si atteggiasse ancora a bulletto presuntuoso, arrogante, infantile e vanesio come faceva fino a non molto tempo fa, ti posso assicurare che non l’avrei mai sfiorato con un dito, pur avendo comunque compreso che la sua era tutta una squallida messa in scena per tentare di farsi notare e non, grazie a Godric, la sua reale personalità!”
Allora aveva capito … un attimo. Frena, qui c’è qualcosa che non mi quadra. Ho bisogno di un momento per rifletterci …
Già, forse è questo che non mi quadra. Che non mi sono mai chiesto veramente – né mi sono preoccupato di domandarlo a lei – per quale effettiva ragione abbia cambiato idea riguardo al sottoscritto.
Mi rendo conto che è una strana visione, quella che lei ha di me. Però forse non è nient’altro che la verità. Vengo colto da un misto di confusione ed emozione che mi fa girare la testa, e preso da questa euforia momentanea mi lascio trascinare in un mio mondo di fantasticherie che non tiene più conto né delle grida che riecheggiano nella mia testa, né della palpabile irritazione della mia ragazza e del mio migliore amico, e nemmeno di quella palla di neve che ancora prima che io riesca a realizzarlo compiutamente mi raggiunge e mi si spiaccica su una guancia …
Ahia.
“LILY!”
“Per fortuna sei tornato tra noi”, borbotta Sirius. Mi massaggio la guancia, imbronciato.
“E c’era bisogno di colpirmi di nuovo per attirare la mia attenzione?”
“Almeno in questo modo è chiaro a tutti che la vittoria è mia!”
“No, senti, Evans, qui l’arbitro sono io, e adesso siamo fuori gara …”
“Avevamo fatto un patto!”
“Oh, e va bene, va bene … facciamo così, siete pari. Regolatevi di conseguenza. Tu, Evans, chiedi a James di esaudire il tuo desiderio, e James farà altrettanto dopo di te”.
“Per quale motivo io dovrei essere secondo?”
“Beh, perché si usa lasciare per prime le signore!”
“Oh, certo, parli proprio tu, il galantuomo per eccellenza”.
“Già, Black, su questo mi duole ma devo dargli ragione”.
“Benissimo, allora dato che finalmente vi siete riconciliati …”
“Non ci siamo riconciliati!”
“E chi se ne frega! Siete riusciti a trovarvi d’accordo su un argomento almeno per un nanosecondo! Bene, allora sfruttiamo l’occasione ed esplicitiamo i patti. Evans, che cosa vuoi da James?”
Alzo lo sguardo, preparandomi psicologicamente alla mia fine. Lily mi fissa con occhi di fuoco e un’espressione dura dipinta sul volto.
“Voglio sapere che cosa fai quando sparisci tutti i mesi, James”.
Me lo dice in tono grave, preoccupato. Ecco, lo sapevo, la mia fine è giunta. Vorrei potermi mettere le mani nei capelli. Ora che diavolo faccio, che diavolo faccio?
“Aspetta un attimo, Evans … puoi chiedergli tutto tranne questo”.
Lo sguardo di Lily si sposta immediatamente su Sirius, assumendo di colpo una luce bieca.
“E per quale motivo non potrei chiederglielo?”
“Beh, tanto per cominciare perché non sono affari tuoi”.
Lily torna a fissarmi per un attimo, corrugando la fronte in uno spasimo di indecisione.
“Potranno anche non essere affari miei”, dice, scandendo con lentezza le parole, “ma se ci sono delle ragioni per cui James me lo debba nascondere significa che non c’è sotto qualcosa di buono”.
Non aprire bocca. Non osare aprire bocca, Potter. Lo stai facendo per Remus. E per Sirius, e Peter, e anche per te stesso, perché sarete tutti in guai grossi se ti lasci sfuggire qualcosa. Non sarà certo una donna a piegarti …
“Non è vero, ascoltami, non c’è sotto nulla di losco. Non posso dirtelo semplicemente perché ci andrebbe di mezzo qualcun altro che non se lo merita …”
“Fantastico, James, già che ci sei a questo punto dille tutto”, commenta sarcastico Sirius, gettandomi un’occhiata truce. Voglio morire, qui, adesso. Mi trovo più o meno tra l’incudine e lo scalpello. Ah no, forse era tra l’incudine e il martello. O forse era tra il chiodo e il martello … al diavolo i fraseologismi Babbani, Merlino santissimo.
“Va bene, lascia perdere, le spiegherò io”.
Smetto di respirare come se qualcuno mi avesse appena afferrato saldamente per la gola. Molto saldamente.
 “Non stiamo facendo niente di male, Evans, che diamine. Il fatto è che Remus, come già ti avevamo spiegato, è malato … e quindi, visto che siamo preoccupati per lui, quando va a fare i controlli al San Mungo lo accompagniamo, così non si sente solo e non si agita”.
Ora credo di essere in procinto di svenire.
“Madama Chips ci ha dato il permesso, dopo che abbiamo insistito fino a strapparle la carne dalle ossa. Silente questo non lo sa. So che è probabile che tu, dall’alto della tua impeccabile posizione, non approvi il fatto che infrangiamo le regole, ma lo facciamo per lui, perché vogliamo stargli vicino … e ti sfido a trovare qualcosa di male in questo”.
Wow. Sembra quasi commovente. Ora posso soltanto pregare in silenzio. Merlino, fa’ che ci caschi, fa’ che ci caschi …
“Avreste potuto dirmelo subito”, dice lei, mordendosi il labbro e incrociando le braccia. In preda all’imbarazzo più nero, io mi stringo nelle spalle tenendo lo sguardo basso.
“Ero abbastanza sicuro che ti saresti arrabbiata”, mormoro, non sapendo se sentirmi un verme o meno.
“Certo. Capisco. Ma lo fate per Remus, quindi me lo terrò per me”.
“Già, ora che non c’è più Snivellus con cui confidarsi …” commenta Sirius, in tono irridente. Lily lo fulmina con lo sguardo seduta stante.
“Questa è una cosa che non ti riguarda, Black”, replica, freddamente. Non vorrei dirlo, ma ho la sensazione che questa volta Sirius si sia spinto un po’ troppo in là. O almeno, questo è quanto riesco a dedurre dall’espressione contratta di Lily.
È indubbiamente vero che ho intimamente esultato non poco quando mi sono accorto che avevano smesso di rivolgersi la parola, e so anche che è stato per via dell’insulto che lui aveva osato rivolgerle, ma non le ho mai fatto domande specifiche su come siano esattamente andate le cose. Non saprei dire, ad esempio, quanto ci sia rimasta male, o quanto ci tenesse. In fondo, sembravano molto amici, per quanto la cosa mi risulti totalmente incomprensibile e detestabile.
“Per quello che ti può interessare, comunque, ho sempre difeso Remus con lui, ed ero estremamente contraria al fatto che cercasse a tutti i costi di scoprire qualcosa su di voi per mettervi in cattiva luce. Gli ho perfino detto che era un ingrato a non dimostrarsi riconoscente verso James, quella volta che gli ha salvato la vita nel Platano Picchiatore, anche se lui ha negato che le cose stessero come tu mi avevi raccontato”.
Sirius la fissa in silenzio per qualche secondo. Sembra piuttosto sorpreso da quelle parole.
“Pensavo che non mi avresti creduto”, commentò, e l’espressione dura di Lily pare quasi attenuarsi lievemente.
“E io pensavo tu fossi più intelligente”, replica lei. Io trattengo il fiato, teso come per la finale di Quidditch.
A quel punto, Sirius scoppia in una sonora risata.
Rido anch’io, sentendo dissolversi la cappa di angoscia che si era creata. Finalmente, avevo i nervi talmente tesi che rischiavano di spezzarsi.
“E va bene, Evans, un po’ di stima da parte mia te la sei guadagnata”, dice Padfoot, e anche Lily, alla fine, si scioglie in un lieve sorriso.
Mi chino a sfiorarle le labbra con un bacio, posandole le mani sulle spalle.
“Ora però tocca a me chiederti una cosa, se non sbaglio”, dico, ansioso di cambiare discorso. In risposta ricevo un lieve sorriso ad occhi bassi, cosa che mi fa andare letteralmente fuori di testa.
“E che cosa diavolo vorresti, Potter?”
“Okay, allora, vediamo …”
È per questo che non riesco mai ad averla vinta con lei. Mi irretisce talmente tanto che riesco a smettere del tutto di formulare pensieri coerenti. E sì che mi sono sempre sforzato di non essere patetico.
Forse è il ghiaccio infilato dappertutto che mi fornisce l’idea.
“Un bagno caldo, insieme, io e te. Stasera”.
Non credo di averla mai vista arrossire così di colpo. Gongolo soddisfatto, posandole le mani sui fianchi.
Alle mie spalle, Sirius scoppia a ridere fragorosamente.
“Stavolta ti ha fregato, Evans”.
“Non puoi avanzare queste pretese. La battaglia l’ho vinta io”.
“L’arbitro dice che siamo pari”.
“L’arbitro è VENDUTO!”
“Avresti dovuto farlo presente prima di dare inizio ai giochi. Ormai è troppo tardi”, le faccio notare, stringendomi nelle spalle. Lei sembra in preda all’imbarazzo più cocente. Okay, forse non sarò la creatura più intelligente che abbia mai visto la luce su questa Terra, ma quando mi vengono questi lampi di genio dovrebbero davvero erigermi un monumento …
“Ti odio. Lo sai che ti odio, vero?”
Sorrido con aria furbastra, sfoggiando tutta la mia pacata indifferenza.
“Ti piacerebbe, ma non ce la fai ad odiarmi”.
“Ne sei proprio sicuro?”
“Indicativamente direi di sì …”
Non faccio nemmeno in tempo a finire di parlare che una quantità di neve inverosimile mi viene rovesciata sulla nuca, entrandomi dentro il golfino. Mentre sono impegnato a contorcermi e a guaire, Lily mi fissa con aria compiaciuta tenendo salda la bacchetta nella mano destra.
“Bene, vorrà dire che oltre al bagno dovrai anche curarmi i geloni”.
“Troppo tardi, non puoi ampliare le richieste come ti pare e piace”.
“Avete per caso intenzione di diventare delle statue di ghiaccio?”
“Certo che no!”
“E allora, io suggerirei che sia il caso di rientrare nella nostra stramaledetta sala comune, se davvero non vi aggrada l’idea di continuare a ibernare qui fuori. Posso capire che i vostri bollenti spiriti vi tengano caldo, ma io non condivido questo speciale privilegio …”
Ci allontaniamo dal campo di battaglia infradiciati, inzaccherati e infreddoliti, praticamente in condizioni penose. Tuttavia, proprio non ci riesco a vedere il lato negativo delle cose, in questo momento. Sono troppo impegnato ad escogitare un metodo efficace per trascinare Lily nel bagno con me riuscendo contemporaneamente ad evitare lo scontro fisico.

***

Sono piuttosto convinta del fatto che in questo momento dovrei pensare a tutt’altro.
Ho ancora le guance che mi scottano per il bagno caldo che ho fatto con James poco fa, tra qualche ora devo essere pronta ad uscire per andare da Hagrid a festeggiare il nuovo anno insieme a quattro scapestrati totali e, da ultimo, credo di essermi presa un raffreddore per il brusco passaggio dalla cappa di vapore ai gelidi corridoi del castello.
Eppure, mi è bastato un nanosecondo di riflessioni inappropriate per farmi immediatamente piombare in un mutismo che risulta fastidioso ai miei stessi occhi.
Sapevo che non avrei dovuto mettermi a fare domande. O meglio, non pensavo che fosse la soluzione migliore, ma con il senno del poi ho acquisito questa certezza. Avrei dovuto semplicemente fidarmi di James e lasciar perdere, oppure aspettare il momento in cui lui stesso avrebbe deciso di spiegarmi la faccenda di sua spontanea volontà. Perché ora, dopo aver scelto di sfruttare la mia possibilità per chiedergli come impiega il suo tempo quelle notti in cui sparisce, mi è rimasto soltanto il doppio dei dubbi di prima. Probabilmente è ingiusto che io sia così sospettosa, ma non riesco a persuadermene: è tutto troppo, troppo strano. Innanzitutto non è stato lui a rispondermi direttamente, ma Sirius. E io non mi fido assolutamente di Sirius. James se n’è stato zitto tutto il tempo, annuendo debolmente alla fine e senza quasi guardarmi negli occhi; per il resto ha sempre fissato il suo amico con gli occhi sbarrati e una profonda ruga sulla fronte, ovvero con la classica espressione che assume quando è profondamente preoccupato. Secondo: questa storia ha qualcosa che non mi quadra. Potranno anche essere preoccupati quanto vogliono per Remus, ma perché dovrebbe essere così necessario accompagnarlo fino al San Mungo quando c’è già Madama Chips a fargli da scorta? E poi, per quanto le suppliche al suo indirizzo possano essere state commoventi, non mi convince il fatto che abbia accordato loro il permesso di uscire dalla scuola all’oscuro del Preside. Se venisse scoperta rischierebbe di sicuro il licenziamento, contando che fuori da Hogwarts c’è la guerra e, pertanto, nessuno può ritenersi al sicuro. Se, per disgrazia, accadesse qualcosa di male a uno di loro, nei suoi confronti verrebbero presi provvedimenti molto seri. Infine, non riesco a togliermi dalla testa l’immagine della luna piena che mi sono ritrovata davanti agli occhi una delle notti in cui James si era dileguato improvvisamente. Quando Severus sosteneva che Remus sparisse ogni plenilunio avevo pensato che esagerasse e che volesse vedere per forza cose che, in realtà, non c’erano, solo per trovare un pretesto con cui attaccare una persona che odiava. Ora, però, mio malgrado, sto iniziando a domandarmi se invece non avesse ragione.
La questione è che non me ne importerebbe niente. Se Remus fosse davvero un Lupo Mannaro, intendo. E dico sul serio. Grazie a Godric non sono stata cresciuta in una famiglia di maghi e quindi sono totalmente immune dagli stupidi, obsoleti ed irritanti pregiudizi che la comunità magica condivide e alimenta. Con ciò non voglio assolutamente affermare che i Babbani siano migliori da questo punto di vista, no di certo: ognuno dei due mondi ha la propria abbondante dose di stupidità collettiva. Però, in questo caso, nella mia posizione parto indubbiamente avvantaggiata. Non ho paura dei Lupi Mannari così come non ne ho dei Giganti o dei Vampiri, se questi non me ne danno motivo per diretta esperienza personale. Remus, in questo caso, non è assolutamente uno di cui aver paura. È una persona buona e gentile e, se davvero le cose stessero così, capirei perché ogni tanto ha quell’aria un po’ triste e perché, all’inizio della scuola, era un ragazzino così timido e restio a fare amicizia, almeno finché gli altri tre non si sono messi a trascinarlo quasi a forza nelle loro spericolate disavventure; non dev’essere affatto facile convivere con una natura del genere, soprattutto per una persona d’indole razionale com’è lui. E neppure dev’essere facile temere costantemente di rivelare ad altri questa condizione per la paura di essere giudicato male, o doversi inventare delle scuse per coprire le trasformazioni. Vengo assalita da un moto di rabbia viscerale all’idea che Severus possa essersi biecamente messo a ficcare il naso nella vita di Remus sospettando una cosa del genere: che diamine gli passava per la testa, Merlino? Aveva veramente intenzione di rivelare il segreto a tutta la scuola, se l’avesse scoperto? Ma, un momento … quella notte in cui è rientrato al castello insieme a Silente, accompagnato da Sirius, Peter e James, è possibile che …? Sirius mi aveva detto che James gli aveva salvato la vita nel tunnel del Platano Picchiatore. È impossibile che Remus, quando si trasforma, resti in Infermeria; di sicuro verrà accompagnato da qualche parte dove possa trascorrere la notte da solo, presumibilmente da Madama Chips. E se … oh, no, non ci posso credere. Se le cose stessero davvero così, avrei bisogno di sedermi un momento per riprendermi.
“Ti senti bene?” mi domanda improvvisamente James, facendomi sobbalzare di colpo. Fino a quel momento, il silenzio era stato riempito soltanto dal rumore del pettine che passavo freneticamente tra i capelli, in piedi davanti allo specchio.
“Credo di essere un po’ scombussolata”, confesso, in un momento di totale vulnerabilità che non avevo previsto di concedermi. James esibisce un ghigno a trentadue denti che scorgo chiaramente grazie al suo riflesso nello specchio, poi si alza e mi si avvicina per cingermi in un abbraccio.
“Ammettilo, la mia richiesta è stata molto più divertente della tua”, mi sussurra all’orecchio, e per un momento mi sento scorrere un brivido lungo la schiena. Sarà il freddo.
“Comunque devo dirti una cosa …” esordisco, mentre una vocina nella mia testa mi domanda se sia giusto saltare a conclusioni così affrettate solo sulla base di una serie di sospetti non accompagnati da prove valide ed oggettive, quando invece potrei aver semplicemente preso un granchio gigantesco. Ma ormai ci sono in mezzo.
“… se Remus fosse un Lupo Mannaro non ci sarebbe nulla di male, per me”, continuo dunque, osservando James diventare di un pallore quasi cadaverico seduta stante. Boccheggia per qualche secondo prima di riprendere a respirare, mentre la consapevolezza di averci azzeccato si fa sempre più strada dentro di me.
“Che … che cos’hai detto?” mi domanda, infine, guardandomi come se fosse sul punto di mettersi a piangere. Io avverto i sensi di colpa affiorare e intimarmi di smetterla, ma alla fine non ci riesco.
“Senti, James, facciamo le persone serie, per una volta. Se mi stai riempiendo di bugie solo per proteggere Remus, ti prego, risparmiamelo. Se le cose stessero così io non cambierei opinione su di lui, non ne sarei spaventata e non andrei in giro a dirlo a nessuno. Però credo di non avere tutti i torti ad essere poco contenta del fatto che tu mi racconti frottole, anche se capisco il perché. Lo so, non ho nessun diritto di farmi gli affari suoi, al massimo dovrebbe venire a dirmelo lui, ma i suoi amici siete voi, quindi è giusto che abbia selezionato le persone con cui confidarsi. E lo so che sembra che … no, senti, non fa niente, lascia perdere”.
In tutto questo mio fiume di parole James è rimasto perfettamente immobile, a fissarmi con aria attonita, come se gli avessi appena riferito che il campionato di Quidditch della scuola è stato ufficialmente sospeso. Merlino, che avrò mai detto di così anormale?
“James”.
“No, ecco, Lily, senti … devo andare a chiamare gli altri”.
“Che cosa – ti ho appena detto di lasciar perdere, mi ascolti quando parlo?”
“No …”
“Ah, no? Beh, complimenti!”
“No, non in quel senso, Lily, ti ho ascoltato, ma ora devo andare a chiamare gli altri e dobbiamo parlare … tutti insieme”.
Non faccio in tempo ad aggiungere altro che è già uscito di corsa dal dormitorio maschile di Grifondoro, precipitandosi giù per le scale, senza neppure preoccuparsi di aver lasciato la porta spalancata. Uno spiffero gelido mi investe in pieno, facendomi starnutire. Magnifico, ci mancava solo questo. Spero per James che non sia corso a nascondersi da me, altrimenti mi toccherà andare a cercarlo chissà dove.


“Bene, è giunto il momento di affrontare un argomento molto, molto, molto, molto, molto spinoso … Lily, per favore, siediti”, esordisce James, tentando di nascondere quel lieve tremolio della voce sotto la teatralità dei suoi gesti mentre mi indica il bordo del letto. Io passo in rassegna una ad una le loro facce: Peter è una versione più pallida e ansiosa di James, Sirius resta in disparte con aria astiosamente contrariata e Remus si sta sforzando di apparire calmo e controllato.
Credo proprio di aver combinato un bel pasticcio, ma ormai, al diavolo. Vorrei semplicemente che si fidassero di me, che capissero che non ho alcuna cattiva intenzione.
È ridicolo che sotto questo profilo io debba essere assimilata a Severus soltanto perché ero sua amica.
“Io continuo a non essere d’accordo, tienilo presente”, fa notare Sirius, quasi ringhiando. Non si rivolge a me ma a James, come a voler implicitamente affermare che non sono neppure degna delle sue attenzioni. Merlino, in questo momento lo strozzerei con le mie stesse mani, anche se so bene che James non me lo perdonerebbe mai.
“Pads, abbiamo fatto una votazione. Siccome siamo in democrazia …”
“Non è vero, i Babbani qui hanno la regina, ce l’ha spiegato il professor Radley al primo anno!”
“Sollevi un quesito interessante: hai mai veramente seguito una lezione di Babbanologia?”
“Certo che sì, Remus, ogni tanto stavo anche attento! Non ho frequentato quel corso solo per fare un dispetto alla mia cara mammina, trovavo l’argomento profondamente interessante …”
“… mai quanto il disegnare caricature di Piton sulla pagina del mio libro, però. O sbaglio?”
“Non è il momento di essere così pignoli!”
“Oh, statemi a sentire …”
“No, James, io NON SONO D’ACCORDO! E ti ho anche già spiegato il perché! Possibile che tu davvero non voglia capirlo?!”
“Sirius, non puoi modificare la votazione, ormai è stata fatta e come hai potuto vedere non sono il solo a pensarla così!”
“Beh, dobbiamo rivotare, perché Wormtail ha cambiato idea”, sbotta Sirius, posando un braccio intorno alle spalle del povero Peter, che guarda Remus e James con aria disperata.
“Ehm, veramente io … dai, ragazzi, non c’è bisogno di litigare per queste sciocchezze …”
“Wormy, non capisci che se glielo diciamo lei potrebbe andare in giro a spifferarlo a chiunque? A cosa sarebbe servito, a quel punto, sforzarci per tanti anni di mantenere il segreto?”
Peter ha l’aria di volersi tirare indietro, ma Sirius lo sta investendo con tutta l’aggressività di cui è capace.
“Forse sei un po’ troppo prevenuto, Padfoot …”
“… e comunque”, interviene Remus, una ruga profonda che è comparsa a segnargli la fronte, “da questo punto di vista non sei assolutamente nella posizione migliore per poter parlare, Sirius”.
Per qualche secondo il signorino sta zitto. Remus deve aver evidentemente toccato un punto debole.
“Pensavo che quella questione fosse chiusa”, replica Sirius, voltandosi verso di lui. Mentre si guardano negli occhi, io scuoto inconsapevolmente la testa. C’è così tanto, fra questi quattro, innumerevoli segreti e avvenimenti passati e voti di lealtà e gesti d’amicizia che li renderanno per sempre incomprensibili ai miei occhi, almeno in parte. Sarebbe impossibile farmi raccontare ogni dettaglio, anche volendo. Io non posso dire di possedere nulla di simile, purtroppo.
“Va bene, possiamo lasciar perdere, per favore? Ora dobbiamo tener fede alla nostra decisione”, sentenzia James, impaziente. Sul volto di Peter compare un accenno di speranza. Remus stringe le labbra e distoglie lo sguardo da Sirius.
“Prego, James, continua pure”, dice, quasi in un sussurro. Sirius si volge altrove, furente.
“Va bene, dunque … Lily, non ti avevo detto di sederti?”
“Fa differenza?”
“Uhm, no, non proprio, lo dicevo per te … potrebbe essere una cosa lunga …”
“Prima che tu mi riveli alcunché, ho una condizione da porre”, lo interrompo io, dopo che la giusta soluzione mi è finalmente balenata nella mente. È una sciocchezza, un’immane follia, e non ho idea di come posso essere convinta di volerlo fare davvero, ma ormai ho deciso, così sarà.
“Quale sarebbe?” mi chiede James, perplesso. Io mi scosto i capelli dal viso, fissandolo con la massima serietà.
“Una volta che tu mi avrai detto la verità, stringerò il Voto Infrangibile”.
“Il … LILY, SEI PER CASO IMPAZZITA?!”
Le facce dei quattro presenti mi squadrano con espressione profondamente sconvolta, ma non ho intenzione di farmi influenzare da nessuno di loro.
“Lily, non è assolutamente necessario arrivare a tanto”, interviene Remus, in tono estremamente preoccupato. “Il Voto Infrangibile è una Magia Oscura, e tu moriresti se …”
“… se non manterrò il giuramento, sì, esatto. Ma è l’unico modo per assicurarvi che non ti tradirò mai, Remus, dato che la mia parola non basta”.
“Non è vero, Lily, è pericoloso, noi non vogliamo che tu lo faccia”, mi supplica Peter. Io sospiro, poi mi volto verso Sirius.
“Può bastarti?” gli domando, con asprezza. Lui mi osserva con uno sguardo di ghiaccio, impenetrabile.
“Sì, può bastarmi”, risponde infine. Annuisco, cogliendo l’occhiata fulminante di James.
“Non succederà mai, è assurdo …”
“Tu diglielo”.
James torna a guardare me. Ha il volto contratto, la fronte corrugata, gli occhi fiammeggianti. Poche volte l’ho visto così serio.
“Va bene, allora poniamo fine a questa faccenda. Lily, hai ragione, Remus è un Lupo Mannaro, ne abbiamo parlato e abbiamo deciso, a maggioranza, che potevamo metterti al corrente della cosa. Ma c’è dell’altro, e anche su questo siamo concordi nel rivelartelo, così non ci saranno più bugie e segreti. Disapproverai nella maniera più assoluta quello che sto per dirti, per cui, per la terza volta, Lily, per favore, siediti”.
Questa volta decido di ubbidire a James. Ha assunto un tono anormalmente adulto e maturo iniziando questa discussione, non posso negarlo.
“Ottimo. La storia sarà lunga, te la racconterò fin dall’inizio. Dunque, era il primo anno di scuola qui a Hogwarts …”
“Prongs, non farla troppo lunga”, lo redarguisce Sirius, con aria scettica. James gli lancia un’occhiataccia, evidentemente ancora troppo infervorato.
“Dicevo, era il primo anno di scuola e io, Sirius e Peter avevamo fatto amicizia fin da subito. Trovavamo tutti e tre che fosse particolarmente divertente far venire i capelli bianchi alla McGranitt prima del tempo. Finimmo in punizione insieme un’innumerevole quantità di volte, ma questo è poco importante. La cosa fondamentale è che, all’inizio, il signor Remus John Lupin non si univa alle nostre scorribande”.
“Probabilmente ci giudicava degli idioti”, disse Peter, sorridendo.
“Già, glielo si leggeva in faccia”, confermò James.
“Però era sempre così solo …”
“Non aveva fatto amicizia con nessuno, e a noi dispiaceva, perché non è che ci stesse antipatico, semplicemente non si faceva mai coinvolgere”.
Remus scosse la testa, alzando gli occhi al soffitto.
“È così inverosimile non provare l’ardente desiderio di raggiungere il record di visite nell’ufficio di Gazza?”
“La verità è che eri un piccolo asociale”, commenta Sirius, con un ghigno storto.
“Più semplicemente, non ero un teppista”, obietta Remus, inarcando un sopracciglio.
“Se vogliamo dire davvero come stanno le cose”, dice Sirius, rivolgendosi a me, “in realtà lui avrebbe pagato non so quanti Galeoni per unirsi a noi e divertirsi un po’, ma credeva che fossimo dei piccoli scemi pieni di pregiudizi e che per lui fosse meglio starsene da parte”.
“Beh, insomma, chi se ne importa. Il punto è che noi, senza che lui lo sapesse, lo tenevamo d’occhio”.
“Eravamo preoccupati”.
“Avevamo notato che ogni tanto sembrava non sentirsi bene, o che cercava di nascondere graffi e tagli di vario genere. Sai, puoi riuscirci finché ti trovi a lezione, ma in dormitorio, dovendoti spogliare quantomeno per metterti il pigiama, è un po’ difficile”.
“Mi sbirciavate mentre mi svestivo?!”
“Ma no, Moony, però è inevitabile che possa cadere l’occhio, così, per caso …”
“Siete dei maniaci”.
“Non è rilevante! Dov’ero rimasto? Ah, sì, ora inizia la parte divertente. Senza che lui ce l’avesse chiesto, cominciammo a preoccuparci seriamente. Lo pedinavamo, ogni tanto. Perché sai, capitavano anche dei giorni in cui non passava la notte in dormitorio, e per noi era inevitabile accorgercene. Quindi, visto che avevamo scoperto che quando non dormiva con noi era in Infermeria, un giorno ci rovesciammo apposta del Pus di Bubotubero sulle mani per avere una scusa plausibile per andarci anche noi”.
“Voi … cosa?”
Li fisso, attonita, incapace di completare la frase. Va bene, avevo già capito che sono pazzi, ma in certi momenti riescono ancora a stupirmi.
“Ammettilo, è stata una trovata geniale”, mi dice James, sfoggiando finalmente un sorriso.
“Oh, sì … genialmente idiota”, commento io, divertita. Anche gli altri tre sorridono. Posso solo immaginare l’espressione sbalordita che Remus deve aver esibito di fronte ad una simile rivelazione, in un periodo in cui ancora non erano neppure amici.
“Beh, insomma, ovviamente facemmo gli impiccioni e chiedemmo a Remus per quale motivo ogni tanto spariva”, riprese James. “Lui disse che sua madre era ammalata e che doveva andare a trovarla, e che era un caso che si trovasse in Infermeria quel giorno. Noi sapevamo che non era esattamente vero, però ritenemmo più saggio cucirci le bocche”.
“Strano”.
“È che ancora non avevamo abbastanza confidenza. Perciò, nel periodo successivo, cercammo di guadagnarci un po’ di attenzioni da parte sua”.
“Praticamente lo obbligavamo a stare con noi, o gli parlavamo anche quando magari non voleva essere disturbato …”
“… finché non iniziammo a coinvolgerlo nei nostri diabolici piani. Lì iniziò la vera perdizione”.
“Un momento catartico. La prima volta mi fecero rubare degli ingredienti dall’armadio dell’aula di Pozioni”.
“Un’altra volta gli facemmo fare lo sgambetto a Malfoy”.
“Ci stava enormemente sulle scatole, si credeva un grande Battitore a Quidditch, non potevo suonargliele sul campo soltanto perché io ero troppo piccolo per entrare in squadra”.
“Poi quella volta che infilò la bacchetta nel naso di Snivellus … Merlino, non fatemici pensare!”
Cominciarono a rotolarsi in preda a convulse risate, Remus compreso. Io scossi la testa. Era quasi assurdo che fossero diventati amici in quel modo così bizzarro, considerato quanto erano diversi l’uno dall’altro. Eppure, allo stesso tempo, non avrei potuto aspettarmi nulla di meno originale.
“Beh, per farla breve, fino al secondo anno riuscii a tenerli buoni con quella scusa … dopo un po’, però, decisero di pedinarmi di nuovo e scoprirono che, quando sparivo, andavo nel tunnel del Platano Picchiatore accompagnato da Madama Chips. Ovviamente fu solo grazie al Mantello dell’Invisibilità di James che riuscirono a sgattaiolare così impunemente fuori dalla scuola”.
“Che dici, Moony, eravamo dei veri detective coi fiocchi!”
“Comunque, alla fine ci arrivammo. Non servì molto tempo”.
“Non mi lasciavano in pace, certo che fu facile …”
“Moony, non fare la lagna!”
“Non andammo a dirglielo subito, quando ci arrivammo. Dovevamo discuterne insieme, sai, per decidere cosa fare. Di sicuro la nostra reazione non fu quella che Remus si aspettava … voglio dire, sì, veniamo da famiglie di maghi e mio padre mi aveva sempre detto che farsi mordere da un Lupo Mannaro era pericoloso, ma mi aveva anche detto che alcuni di questi vanno in giro a cercare bambini da mordere per pura cattiveria, per rovinare loro la vita … e quindi mi ero detto, quei bambini mica se lo meritavano. E anche mio padre mi aveva detto che infatti quelli non diventano malvagi, non per forza almeno, e che poi soffrono per tutta la vita. Lui voleva inventare una Pozione per annullare la trasformazione, ma finora non ci è mai riuscito. Insomma, io pensai che magari Remus era proprio uno di quei bambini che erano stati morsi per cattiveria, e allora scrissi a mia madre chiedendole di fare delle indagini, perché lei scrive libri e quindi è abituata a fare ricerche e roba simile, e poi conosce un sacco di maghi. Beh, lei riuscì a confermarmi questa storia. A quel punto, non potevamo certo aver paura di Remus. Potevamo solo sentirci dispiaciuti per lui, perché non se l’era andata a cercare, e ora era costretto ad inventarsi tutte quelle scuse su sua madre che stava male soltanto perché era certo che, altrimenti, avremmo smesso di parlargli. Del resto, quasi nessuno vuole parlare con un Lupo Mannaro, perché pensano che siano tutti cattivi e che mordano apposta la gente. Ma noi avevamo iniziato a parlare con Remus prima di scoprirlo e sapevamo che, a parte per il modo un po’ strano in cui si comportava certe volte, era a posto. Aveva perfino avuto il fegato di fare lo sgambetto a Malfoy. Quindi ne parlammo per un sacco di tempo, quando lui non c’era. Rubammo i libri dal reparto proibito, costruendoci una cultura che nemmeno un professore di Difesa potrebbe avere a riguardo. Finché, un bel giorno, ci venne l’idea più geniale di tutta la nostra vita. Ed è qui che ti arrabbierai di grosso, ne sono certo, perciò non ti offendere se mi allontano per guadagnare una certa distanza di sicurezza”.
James fa un paio di passi indietro, e io non posso fare a meno di osservarlo con aria perplessa. Per che diavolo dovrei infuriarmi a tal punto da desiderare di fargli del male fisico? Beh, sì, solitamente basta poco. Ma in genere mi rimane a fianco lo stesso, anche se sa che riceverà qualche botta. Adesso, invece, ha perfino premeditato di darsela a gambe.
Remus sembra trattenere il fiato, Peter guarda nervosamente James e Sirius ha ancora la sua espressione impenetrabile dipinta ostinatamente in volto. Aspetto, mentre la tensione si fa sempre più forte, ma James si torce le mani e si spettina i capelli invece di continuare.
“Perché dovrei disapprovare così tanto questa … cosa?” gli domando, a quel punto. “Avete infranto delle regole, fatto azioni pericolose, rischiato la vita per la vostra avventatezza, o che altro?”
“Direi tutte”, risponde lui, con un sospiro.
“Beh, me l’aspettavo”.
“No, non credo che tu possa aver capito esattamente cosa c’è in ballo, Evans. Ci andiamo di mezzo tutti, nessuno escluso”, interviene Sirius.
“Va bene, non posso tirare a indovinare. Di che si tratta?”
“Beh, il secondo anno ci venne un’idea”.
“Me l’hai già detto, James”.
“Sì, ecco … l’ispirazione ci arrivò da varie fonti … i libri, le lezioni della McGranitt … non credo di aver mai passato così tanto tempo in Biblioteca, anche se completamente all’oscuro della povera Madama Pince … credo che alle volte lo sospetti, sarà per questo che ce l’ha tanto con me …”
“Prongs, andiamo, dacci un taglio!”
“E va bene, va bene! La cosa per cui ti arrabbierai tanto è che cercavamo un modo per aiutare Remus, perché eravamo diventati amici e ci dispiaceva vederlo così giù e sapevamo che le trasformazioni erano molto dolorose, ma gli esseri umani non possono stare vicino a un Lupo Mannaro senza rischiare di essere morsi, e ovviamente Remus non voleva questo … per cui decidemmo di diventare Animagi”.
Rimango a fissare James a bocca aperta per qualche secondo di totale immobilità. No, non è possibile, devo aver sentito male. Sono assolutamente sicura che quello che James ha appena detto non possa essere vero.
“No, andiamo, non è … è troppo difficile come magia …”
“TROPPO DIFFICILE?!”
L’attimo dopo James scompare, non ci sono più i suoi occhiali e i suoi capelli ritti e le sue mani affusolate ma c’è un animale con quattro zampe e un paio di corna che mi fissa negli occhi, sì, mi fissa, ed è enorme, Merlino, potrebbe buttare giù la porta in un paio di colpi con quelle corna, o quelle zampe.
Sono totalmente scioccata.
“James?”
Che cosa idiota, di sicuro non può rispondermi.
No, non può essere veramente lui. Dev’essersi nascosto sotto il letto. Vorrei tanto dirgli che non è divertente giocarmi scherzetti del genere, ma poi lo guardo meglio e noto una cosa: intorno agli occhi del cervo ci sono dei leggeri segni rotondi, delle linee più scure, come una sorta di residuo dei suoi occhiali.
Tutto questo è assurdo.
Il cervo scalpita un po’ sul pavimento, poi torna di colpo ad essere James. Le orecchie pelose ed appuntite ci mettono qualche secondo di più a scomparire.
“Niente è troppo difficile per i Malandrini”, sentenzia lui, con una sorta di orgoglio liberatorio. Io sono ancora senza parole.
“Come avrai facilmente potuto intuire, il Ministero non sa della nostra esistenza”, dice Sirius, ironico.
“E non lo dovranno mai sapere!” esclama Peter. “Voglio dire, noi l’abbiamo fatto per Remus, ma se qualcuno ne venisse a conoscenza ci espellerebbero tutti e quattro …”
“… per mandarci direttamente a trascorrere qualche mese ad Azkaban, probabilmente”, commenta Remus, asciutto.
“Ora non esageriamo, Moony, siamo troppo belli per finire ad Azkaban!” replica Sirius, ridendo.
“Peccato che i Dissennatori non ci vedano”, bofonchia Remus, e a quel punto tutti e quattro si girano verso di me, fissandomi con quelle facce da Animagi.
Tuttavia, ancora non riesco a trovare qualcosa di intelligente da dire.
“Scusate, sto ancora cercando di metabolizzare la cosa”.
“Sconvolgente, eh?”
“Certo, non avrei mai pensato che voi tre avreste potuto … tutti i libri la descrivono come una magia estremamente complessa …”
“Beh, sì, lo è. Ma non così impossibile. Non ci siamo arrivati subito, ovviamente, abbiamo prima dovuto ruba-ehm … prendere in prestito altri libri del reparto proibito per capire come fare. Poi, il quinto anno, siamo rimasti a scuola durante le vacanze di Natale. Sapevamo che nessuno ci avrebbe tenuto d’occhio più di tanto, data la situazione. Ci siamo accampati un paio di giorni nella Stamberga Strillante e abbiamo dato inizio all’incantesimo”.
“È stato terribile, non potevamo mangiare, dovevamo stare al buio, sempre a concentrarci sull’immagine dell’animale in cui volevamo trasformarci … alla fine non ne potevo davvero più”.
“Ahah, è vero! Continuavo a urlargli Peter, dannazione, devi concentrarti!
“Già, Sirius era preso malissimo”.
“E Remus ha dovuto fare la guardia tutto il tempo, senza dormire, perché se fosse entrato qualcuno ad interferire con l’incantesimo c’era il rischio che rimanessimo per sempre metà animali e metà uomini …”
In questo momento non posso davvero fare a meno di osservarli con un moto di ammirazione. Non avevo idea che potessero arrivare a tanto: non per quanto riguarda lo sfidare le regole – questo penso che li abbia assai divertiti, conoscendoli – ma per il gesto che hanno fatto nei confronti di Remus. Si sono impegnati a tal punto solamente per potergli stare vicino durante le trasformazioni, per non lasciarlo solo a soffrire … questa cosa è decisamente commovente.
“Beh, mi avete sorpreso”, ammetto, alla fine. “Non vi credevo capaci di un gesto così rischioso”.
“Se te lo stai chiedendo, io all’inizio non ero d’accordo”, mi dice Remus, con un debole sorriso. “Ma non c’è stato verso di far cambiare idea a queste zucche vuote”.
“Sì, come no. In realtà non ha fatto i salti di gioia quando gli abbiamo annunciato il nostro proposito solamente perché era a letto in Infermeria”, commenta Sirius, sarcastico.
“Lily, vuoi vedere in che animale mi trasformo io?” mi chiede Peter, saltellando entusiasta. Annuisco, sorridendo, e Peter di colpo si rimpicciolisce; al suo posto resta una minuscola palletta di pelo grigio che corre da una parte all’altra della stanza agitando freneticamente la coda.
“Wormtail non si controlla benissimo quando è in forma di topo”, mi dice James, ridendo. “Si infila sempre in ogni angolo e se sente odore di cibo impazzisce”.
“È così carino”, commento, divertita. Se lo venisse a sapere la McGranitt sono sicura che, prima di ucciderli, non potrebbe fare a meno di complimentarsi con loro. Non è mai stato un mistero che molti insegnanti li ritengano degli alunni estremamente brillanti. Ma questo supera ogni limite, è un record straordinario per dei ragazzini di quindici anni. Roba che perfino Silente stringerebbe loro la mano.
“Oh, Evans, per la barba di Merlino … non siamo carini”, commenta Sirius, storcendo la bocca. Io gli lancio un’occhiata scettica.
“Perché, tu ti trasformi in un eterocefalo glabro?”
Un che?!”
“Oh, una specie di grossa talpa senza peli e con i denti storti”.
“In questo caso preferisco essere giudicato carino!”
“Il giudizio è mio, quindi perché non ti mostri?”
E infine si trasforma anche Sirius, assumendo le sembianze di un enorme cane nero dalla coda lunga e folta che mi squadra con aria minacciosa. O, certo, solo perché è grosso crede di farmi paura. Adesso gli faccio vedere io.
Prendo la bacchetta e gliela lancio lontano, e lui con un salto acrobatico la afferra tra le zanne e me la riporta, trotterellando con aria tronfia.
“Molto divertente”, sussurro, con un sorrisetto, per poi recuperare la bacchetta e ripulirla in un fazzoletto. James, Peter e Remus scoppiano a ridere mentre Sirius torna in forma umana.
“Bene. Ora che ho visto tutto, vuoi il tuo Voto Infrangibile? Lo avrai”, gli dico, fissandolo con durezza in quegli sprezzanti occhi grigi.
“Non ci penso nemmeno, Evans, non ho nessuna intenzione di utilizzare la Magia Oscura. Era solo un modo per metterti alla prova”.
“E quindi? Mi farai seguire per essere sicuro che non corra a dirlo a nessuno?”
“Non ho tutte queste energie da sprecare”.
“Adesso basta”, interviene Remus, e tutti ci voltiamo verso di lui. “Lily, se hai cambiato il modo di vedere le persone qui presenti dopo quello che hai saputo, ti capisco …”
“Assolutamente no! Lo so che tu sei una brava persona, l’ho sempre saputo! Non ho mai approvato che Severus si impicciasse dei tuoi affari, lho già spiegato a James e Sirius poco fa. Ho tentato di dissuaderlo più e più volte. Ma anche lui è stato zitto, alla fine, no?”
Tutti ammutoliscono di colpo, Remus compreso. Allora avevo ragione anche su quello. Severus ha davvero visto Remus trasformato, quella notte. Silente l’avrà scoperto e gli avrà intimato di tacere, in qualche maniera. E James … James gli ha salvato la vita da un Lupo Mannaro che rischiava di farlo a brandelli, anche se Severus non era certo lì per caso o con buone intenzioni. Già allora mi ero sorpresa che avesse compiuto un’azione simile nei confronti di una persona che detestava apertamente, ma ora lo sono ancora di più. È l’ennesima conferma del fatto che James è sempre stato così, in fondo. Una persona con dei principi, non un arrogante presuntuoso che si diverte a lanciare incantesimi su chiunque.
“È una storia di cui non vado fiero”, mormora Remus, alla fine. Tutti hanno assunto delle espressioni contrite, neppure James mi guarda più in faccia. Forse c’è qualcosa che mi sfugge, ma non capisco cosa.
“Beh, Remus, di sicuro non è stata colpa tua, ma di Severus. E James, sono fiera di te per avergli comunque salvato la vita. Possiamo considerare questa faccenda come chiusa, da ora in poi … saprò dove sei quando scappi via la sera e potrò eventualmente coprirti se la McGranitt dovesse fare domande circa la tua assenza durante la ronda”.
James mi fissa con gli occhi che brillano dietro le lenti degli occhiali, in silenzio. Poi, all’improvviso, mi si avvicina e mi bacia con trasporto. Dagli altri tre partono fischi e applausi e io non posso fare a meno di scoppiare a ridere sulle labbra di James, che ancora mi sfiorano. Gli passo una mano fra i capelli per accarezzargli la nuca.
“Credimi, volevo dirtelo da tanto, tanto tempo”, mormora lui, in tono compunto.
“Oh, di sicuro. Quale modo migliore per vantarti di essere più bravo di me in Trasfigurazione?”
Scoppiamo a ridere entrambi, ancora così vicini. Credo di dovermi ancora abituare all’idea che James sia capace di farsi spuntare una coda e un paio di corna, ma ora più che mai mi rendo conto di quanto poco sapessi di lui fino al momento in cui abbiamo cominciato a frequentarci. È strano. Ha sempre avuto un cuore, e io non me n’ero mai accorta.



I can't get to sleep,
I think about the implications
Of diving in too deep
And possibly the complications.
I know I'll be alright,
Perhaps it's just imagination.

(Colin Hay, Overkill)




Nota di fine capitolo: un po’ mi è dispiaciuto cancellare completamente una parte di questo capitolo, ma per come ho deciso di re-impostare la storia da questo punto di vista era necessario. Ovviamente, la questione di Remus e degli Animagi non è conclusa; i Malandrini non amano avere vita facile, si sa.
P.s. = sono stata informata che la fanfiction è stata aggiunta fra le storie scelte di EFP. Non so chi devo ringraziare di preciso, ma grazie comunque, di cuore.

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Capitolo 16
*** Un abbraccio e un incanto Patronus ***


Capitolo 16
Capitolo 16 – Un abbraccio e un incanto Patronus


 
Non si è mai abbastanza attenti nella scelta dei propri nemici.

(Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray)



24 febbraio 1978
 
Il signor James Potter è pregato di concentrarsi sulla sua pozione.
E va bene, va bene. Ora mi concentro, giuro. Il mio cervello può benissimo starsene tranquillo e smetterla di inviarmi questi ridicoli messaggi di servizio.
Mi concentro.
Mi sto concentrando.
“James. Ripetimi quello che ti ho appena detto”.
Alzo lo sguardo su Lily, che mi tiene d’occhio con espressione dura. È la prima volta in sette anni che lavoro in coppia con lei a Pozioni. È stato Slughorn a stabilirlo, dopo averci visti scambiarci un innocentissimo bacio sulla porta, mentre passavamo il tempo in sua attesa. Era tutto fiero del fatto che la sua alunna migliore continuasse a mantenere dei voti così stratosfericamente alti pur avendo recentemente impegnato parte del suo tempo in una relazione amorosa (non l’aveva detto esplicitamente, ma sapevo benissimo che, in realtà, intendeva dire che perdeva tempo con uno scansafatiche indolente come me eppure, nonostante ciò, continuava ad essere straordinariamente brillante. Non che questo potesse fargli pensare che, forse, dopotutto anch’io non ero uno studente così poco incline all’impegno). Insomma, si era messo a sbandierare allegramente la faccenda ai quattro venti, incurante del fatto che non importasse un fico secco a nessuno, se non forse a Snivellus, il quale, però, non sembrò gradire molto la cosa.  Anzi, in tutta risposta mi degnò di un gelido sguardo probabilmente volto, secondo lui, ad incutermi timore. Per quanto la tentazione di andargli a chiedere che diamine avesse da guardare fosse estremamente forte, mi imposi di resistere; era dall’inizio dell’anno che non attaccavo briga con lui di fronte a Lily e non volevo cedere proprio ora che tra noi le cose stavano definitivamente andando per il verso giusto. Non so perché non trovassi più divertente attaccar briga con lui; non l’avevo fatto per far colpo sulla mia donna, in tutta sincerità. Avevo smesso di divertirmi in quel modo già l’anno scorso, suscitando lo sconcerto di Sirius, la sorpresa di Peter e l’approvazione di Remus, e per quanto trovassimo comunque molto divertente giocare i nostri tiri ai Serpeverde, scagliare incantesimi su Snivellus quando mi annoiavo aveva smesso di avere il suo fascino. Molto probabilmente perché avevo scoperto che Lily mi odiava proprio per questo. Anche per questo. Insomma, credo si trattasse di una delle ragioni principali.
“James”.
Oh, cacchio. Mi ero completamente dimenticato del fatto che mi avesse fatto una domanda.
“Sì, ehm, vuoi il mestolo? Il contagocce? Il barattolo della pelle di Avvincino?”
Osservo Lily roteare gli occhi, e capisco di non averci azzeccato per nulla.
“No, ti stavo semplicemente chiedendo come hai fatto produrre subito il Patronus. A me è uscita soltanto una nuvoletta di fumo per tutta la lezione, è stato veramente frustrante. E non osare metterti a fare i salti di gioia perché per una volta ti sto chiedendo un consiglio, questa cosa non si ripeterà mai più … aspetta, quanti secondi sono passati da quando ha iniziato a bollire?”
“Ehm … una trentina?”
“Oh, accidenti …”
“Attento, Potter … si avvicina la vostra ‘T’ in Pozioni”.
Senza volerlo mi ritrovo a ringhiare contro Mulciber. È da quando è iniziata la lezione che mi ridacchia alle spalle insieme al suo amichetto Snivellus. Oggi potrò anche essere un po’ nervoso e distratto, ma loro stanno decisamente superando il mio limite di sopportazione. E la cosa paradossale è che so che lo fanno apposta a provocarmi. Perché domani c’è la partita, e se vince Tassorosso noi siamo tagliati fuori.
Non-devo-rispondere.
“Vuoi che ti affetti le code di ratto?” chiedo a Lily.
“Sì, grazie”.
“Che dire, qui c’è qualcosa che non va, si sono ribaltati i ruoli … come mai sei tu che la servi, Potter?”
Vorrei tanto che la sua faccia fosse uno di questi semi di Manticora che adesso schiaccerò, riducendoli in polvere. Forse, se mi impegnassi, potrei farcela. Sono un asso in Trasfigurazione, dopotutto.
“Senti, Potter, qui ce lo stiamo chiedendo tutti. È così divertente sbattersi una Sanguesporco? Magari almeno in quelle cose sono brave
No, questo non lo tollero, nemmeno per sogno.
Mi sollevo di scatto dalla sedia voltandomi verso Mulciber, e senza che lui abbia il tempo di reagire gli punto la bacchetta diritta in faccia. Ora voglio proprio sentire che altro ha da dire, questo lurido figlio di puttana.
“Signor Potter, vuole per favore tornare a sedersi o deve costringermi a toglierle dei punti per convincerla?”
“Impari a sturarsi le orecchie, così la prossima volta sentirà senza problemi che genere di frase mi ha spinto ad alzarmi in piedi”.
Sposto lo sguardo su Slughorn solo dopo aver pronunciato a raffica quella fantastica frase ad effetto, girandomi lentamente.
Non so da dove mi sia uscita, in effetti. Sono piuttosto sorpreso di me stesso. Di solito è Sirius quello che si diletta a formulare risposte di questo calibro, o quantomeno a pronunciarle ad alta voce. Solo che, sorpreso o no, non ho tenuto in conto il fatto che mi sono rivolto in tono estremamente irriverente a un professore, e che l’ho fatto senza pensarci due volte.
Infatti, ora, il suddetto professore mi sta fissando con gli occhi ridotti a due fessure, tentando di sbrindellarmi con lo sguardo.
“Lei è in punizione, signor Potter. Si presenti alle cinque nel mio ufficio”, mi dice, con voce tremolante d’ira. Ho quasi paura che scoppi, e a giudicare da come è diventato rosso, direi che ci è molto vicino.
“Complimenti, James”, mi sussurra Sirius, in tono sarcastico, passandomi a fianco con la scusa di andare a prendere qualcosa nell’armadio. “Oh, tu … considerati morto”, ringhia poi,  voltandosi verso Mulciber con aria quasi distratta e casuale. Lentamente rilasso i muscoli, smettendo di stringere convulsamente i pugni, e poco dopo sono tornato a sedermi con la testa incassata fra le spalle, senza guardare in faccia nessuno. Sento i bastardi ridacchiare gongolanti, perfettamente consci di avermela fatta. Alla fine, sono riusciti ad ottenere quello che volevano: mettermi nei guai, in guai seri, prima della partita di domani contro Tassorosso.
Evito di perdere tempo a cercare con lo sguardo il sostegno di Lily. So perfettamente che detesta essere difesa, ma io non sono davvero stato in grado di trattenermi. Vorrei soltanto poter spaccare la faccia ad un paio di loro a mani nude, così, giusto per dare loro una dimostrazione di che cosa significa dare della Sanguesporco alla mia ragazza solo per tentare di coinvolgermi in una rissa e farmi finire in infermeria per un tempo sufficiente a perdere la partita di Quidditch … che cosa ho fatto, Merlino santissimo, per vedermi imprigionare nel ruolo del bravo ragazzo che deve dimostrarsi superiore e non reagire alle provocazioni? Non solo non ne sono capace, ma nemmeno ci tengo particolarmente. Ho un disperato bisogno di prenderli a calci, perché più mi sforzo di non pensarci, più la frustrazione mi riempie il cervello senza darmi tregua.
Ma la realtà è semplice da riconoscere, stavolta l’ho fatta grossa.
Lo riconosco da solo, senza che qualche persona responsabile debba intervenire a farmelo notare.
Rischio di saltare la partita per colpa di Slughorn, di litigare furiosamente con la mia ragazza e di trascorrere un’interminabile punizione lontano da Sirius. Che esempio di fulgida furbizia che sono. Ma ora, dato che la cosa mi incuriosisce, alzi la mano chi, al mio posto, sarebbe stato in grado di mantenere la padronanza di sé.
 
 
25 febbraio 1978
 
Credo di aver appena trascorso la peggiore settimana del mio settimo anno di scuola. O forse, allargando il discorso, sarebbe meglio dire il peggior inizio di secondo semestre di tutto il mio ciclo di studi. No, suona meglio il peggior periodo della mia vita. Non sono drastico, è la verità. Con che razza di coraggio riuscirò a scendere in campo fra un paio d’ore, davvero non ne ho idea.
Il pane con la marmellata mi balla dentro lo stomaco. Remus, in uno dei suoi slanci materni, ha ben pensato di farmi ingoiare la colazione a forza, perché io non ne volevo sapere di toccare cibo prima della partita. Probabilmente è stato il mio aspetto orribile che l’ha spinto a ricorrere alle maniere forti. In effetti, mi sono davvero svegliato con una faccia in grado di spaventare un Troll. Sono rimasto a fissarmi allo specchio per circa un quarto d’ora stamattina, appena mi è stato possibile l’accesso al bagno, chiedendomi quante persone sarebbero fuggite a gambe levate incrociandomi in Sala Grande una volta che mi sarei degnato di metterci piede. Dire che sono pallido e ho le occhiaie è un semplice eufemismo. Senza contare che i miei capelli hanno assunto una piega mostruosamente verticale, in quanto ho passato tutta la notte a cercare di dormire stando sdraiato a pancia in giù e schiacciando la faccia contro il cuscino. Questo mi ha anche provocato dei problemi respiratori, ma si tratta di un aspetto del tutto secondario.
Nascondo la faccia tra le mani, in preda alla disperazione.
Solo adesso mi accorgo che sto sudando freddo.
Magnifico, davvero. Non vedevo l’ora. A quando le convulsioni e gli attacchi di panico?
Mi sento pesare il silenzio sulle spalle. Sono chiuso in un ripostiglio per le scope e non ho nessuna intenzione di uscirvi, so che voglio restare da solo. Ma questo mi fa paura. Non sono mai stato così solo prima di una stramaledetta partita di Quidditch.
Dannazione, il Quidditch dovrebbe essere divertente. Soprattutto per uno come me che ce l’ha nel sangue, che sperava di essere ammesso in squadra prima ancora di mettere piede a Hogwarts. E invece, ora si è trasformato in una specie di guerra, in un gioco di sabotaggio, in un tiro al bersaglio in cui io sono l’obiettivo principale, in quanto capitano e acerrimo nemico dei maledetti Serpeverde.
Dovrei evitare di navigare nel pessimismo, se voglio scendere in campo con l’umore adatto a sostenere la tensione che mi peserà addosso, ma la caterva di disgrazie che mi pesa sulle spalle continua a tormentarmi in svariati modi senza che io riesca ad imporvi un freno. Mi sento il classico disadattato che non riesce a fare a meno di odiare il mondo intero, non so se mi spiego. Forse dovrei prendere in considerazione l’idea di farmi ricoverare al San Mungo.
Il punto è che la cosa che mi ha fatto infuriare più di tutte, forse anche più delle offese che Mulciber si è permesso di lasciarsi uscire di bocca, è stato quel viscido, meschino ed odioso essere che risponde al nome di Snivellus. Perché se fino a un paio d’anni fa era sempre appiccicato alla gonna di Lily, ora quantomeno, in rispetto dell’amicizia che condividevano, avrebbe dovuto prodigarsi di fermare quellimbecille che se la stava prendendo con lei sotto il suo orrido naso, perché non c’entrava assolutamente niente in tutta questa storia. Oltre al fatto che colpire una persona che mi sta a cuore per danneggiare me, e quindi il risultato della partita, è la mossa più subdola e deplorevole che io abbia mai visto fare, e per quanto sia probabile che un Serpeverde a questo non riesca ad arrivarci, beh, lui avrebbe dovuto. Perché fino a un po’ di tempo fa l’avrebbe difesa, forse. Ora, invece, se ne lava le mani. D’accordo, potrà anche essere stata lei a decidere che non gli avrebbe più rivolto la parola, se è andata come Lily stessa mi ha raccontato. Ma l’ha fatto per dei motivi più che validi. Anzi, avrebbe dovuto farlo fin da subito, perché era chiaro dove sarebbe andato a finire Snivellus. Già per il semplice fatto che bramava con tutto se stesso di essere Smistato a Serpeverde fin da quando non era che un lurido nanerottolo con l’unto che gli colava dai capelli. Ma in fondo può capitare a chiunque di sbagliarsi sul conto di una persona, e l’importante è che Lily alla fine se ne sia resa conto. Doverla dividere con lui sarebbe stato insopportabile, quindi tanto meglio per me se non sono più amici, ma prima di tutto è un bene per lei. Se non fosse successo quel giorno dei G.U.F.O. vicino al lago, sarebbe saltato fuori un’altra volta che lui la consideri soltanto una Sanguesporco, ne sono sicuro. Non poteva essere altrimenti, considerate le idee che abbracciava fin da allora. Tuttavia, se già mi faceva abbastanza schifo perché aveva osato rivolgersi a lei con un simile appellativo in quell’occasione, continua a farmi schifo tuttora perché, evidentemente, la cosa che mirava ad ottenere comportandosi da amico intimo di Lily era solo una. Voleva avere lei. Era evidente, l’ho sempre sospettato. Le stava costantemente attaccato, la guardava in quel modo, le si rivolgeva con quel tono di voce così mellifluo … e le parlava costantemente male di me perché sapeva benissimo che miravo al suo stesso obiettivo. Ma ora ha reso il tutto ancora più ovvio comportandosi in quel modo, ieri. Perché adesso che ha capito che non ha più alcuna speranza, neppure la più piccola ed insignificante, di conquistare il cuore di Lily, allora se ne frega se i suoi amici la insultano. Dubito che non l’avesse già capito, ma Slughorn ieri ha praticamente messo in piazza la cosa, mettendosi a parlare a Lily ad alta voce fuori dall’aula di quanto fosse lodevole da parte sua essere una studentessa modello pur non concentrando tutta la sua esistenza sullo studio. Magari quell’imbecille di Snivellus pensa anche che lei se lo meriti, dato che non solo di lui non ne vuole più sapere, ma che oltretutto ha cominciato ad uscire con il suo peggiore ed acerrimo nemico, ovvero me. Beh, in ogni caso è davvero ridicolo. Se non ci fosse andata di mezzo Lily sono sicuro che avrei ignorato sia il suo amichetto che lui – sì, forse non risulta del tutto credibile detto da me, ma da quando sto con lei non mi interessa più un fico secco di rivaleggiare con Snivellus. A lui, invece, è evidente che rode. Eccome se rode.
Nonostante ciò, purtroppo, devo riconoscere che non è solo colpa dei Serpeverde se in questi giorni ho raggiunto l’apice del nervosismo. Il problema è che alle già innumerevoli responsabilità che mi pesano sulle spalle quest’anno se n’è aggiunta un’altra, ovvero quella delle rivelazioni che abbiamo fatto a Lily durante le vacanze di Natale. A dire la verità io mi sento molto meglio ora, all’idea che lei sappia tutto e che io non sia più costretto ad inventarmi bugie di dimensioni colossali per giustificare le mie sparizioni mensili, ma Sirius continua a non essere convinto e a lanciare frecciatine in proposito, perché secondo lui, quando io e Lily ci lasceremo, questa faccenda diventerà un problema molto serio, di cui al momento non ci stiamo occupando abbastanza. Io, francamente, non ho nessuna intenzione di pensare a quando Lily mi lascerà, semplicemente perché non voglio che accada, perciò sentirmi tirare in ballo la questione ogni giorno da Sirius non mi mette per nulla di buonumore; resta il fatto che, almeno in parte, il mio migliore amico ha ragione quando dice che non ho nessuna garanzia della durata eterna della nostra relazione. Voglio dire, lei non mi ha nemmeno mai detto che mi ama. Non che fosse obbligata, no di certo, in fondo ci frequentiamo da cinque mesi e per lei potrebbe essere passato troppo poco tempo. È stato Sirius che mi ha creato delle paranoie su questa cosa; io, a dirla tutta, nemmeno ci pensavo. Mi bastava sfiorarle la mano sotto il banco con aria fintamente casuale durante un’ora di Trasfigurazione, passare di fianco a un’aula vuota e vederla sorridermi con aria complice prima di chiuderci dentro, baciarla mentre si distrae a fissare il fuoco in sala comune mentre studiamo, e altre bazzecole del genere. E invece no, a quanto pare non basta per dimostrare che facciamo sul serio. Da che pulpito, poi … proprio Sirius che non si è mai impegnato seriamente con una ragazza. E nonostante i continui tentativi di mediazione di Remus e Peter, questa cosa ci ha messo un po’ in crisi.
Oh, lo so benissimo che in realtà dovrei ritenermi baciato dalla fortuna.
Perché il maledetto Slughorn, con una mossa così pateticamente prevedibile, aveva già in programma di piazzarmi la sua punizione proprio questa mattina. Solo che la McGranitt è insorta con una serie di urla selvagge a gridare che era un’ingiustizia, qualcosa che non avrebbe danneggiato tanto me quanto l’intera Casa di Grifondoro, e che pertanto era assurdo ricorrere ad una misura di quel genere, in quanto il colpevole, in questo caso, ero soltanto io. Siamo finiti davanti a Silente, perché i miei due adorabili professori non riuscivano a raggiungere un accordo. E Silente, quel Silente che tutti credono tanto buono ma di cui io conosco alla perfezione la portata sadica, in cambio del permesso di giocare la partita mi ha obbligato a sottoscrivere una punizione di un intero mese. In pratica, per un’ora al giorno sarò costretto a starmene chiuso nell’ufficio di Slughorn a fissarlo nelle palle degli occhi. Sì, perché la sua opinione è che la peggiore punizione per uno con un’indole come la mia sia essere costretti ad una frustrante inattività. E per quanto mi scocci ammetterlo, ci ha preso in pieno.
Forse, a questo punto, avrei fatto meglio a gettare la spugna qualche giorno fa. Quando sono iniziate le battutine velenose, le insinuazioni, le risate di scherno. Tutte cose che sono sempre stato in grado di fronteggiare senza problemi. Erano ridicoli, a tentare di sabotarmi soltanto perché, se oggi perdessimo contro Tassorosso, loro avrebbero praticamente già vinto il campionato di Quidditch. Ma poi hanno tirato in mezzo Lily, e io non ci ho visto più. Perché lei non c’entrava niente, e nessuno si deve permettere di toccarmela. Sarò anche stato un persecutore della pratica dell’insulto gratuito in passato, ma prima di tutto non ne vado fiero, e secondo detesto con tutto il cuore queste disgustose offese razziali. Lasciamo perdere, io non ce la faccio a giocare, oggi. Se anche sarò in grado di scendere in campo, credo che mi limiterò a puntare dritto contro Piton e la sua banda per prenderli a calci dall’alto della mia scopa. O magari il manico di scopa potrei ficcarglielo direttamente su per il …
“James, apri immediatamente questa dannatissima porta”.
Sobbalzo violentemente, risvegliandomi di colpo da quella specie di trance. Sto per chiedermi come abbia fatto a trovarmi, ma mi rendo conto che sarebbe inutile. Non riuscirei mai a comprendere tutti i suoi complicati meccanismi d’azione, anche restando insieme a lei cent’anni. Anche se – forse – ho il sospetto che possa esserci lo zampino di Sirius, stavolta. Mi ha cercato poco fa con lo specchio dicendo che doveva assolutamente rifugiarsi tra le mie braccia per evitare una punizione con frustate da parte di Gazza, ma ancora non l’ho visto nei paraggi.
“No, preferisco lasciarti l’onore di mettere alla prova le tue brillanti capacità di strega”, rispondo, in tono da ironia amara. Diciamo che non ho molta voglia di scherzare in questo momento, e in più non saprei nemmeno come comportarmi, se me la trovassi di fronte. Dopo l’episodio di ieri abbiamo accuratamente evitato di rivolgerci la parola per non metterci a litigare nel momento sbagliato, cosa che non mi rende affatto contento del modo in cui sto portando avanti la mia relazione con lei.
Solo che poi mi sembra di sentirla pronunciare un incantesimo.
“Lily, no, aspetta, stavo scherzando. Sono in uno stato pietoso. Lily … Lily! Possibile che tu non voglia mai darmi retta?”
Mi sta di fronte e mi fissa, con lo sguardo duro di chi vorrebbe farmi a pezzi.
“Sì, lo so, avrei almeno potuto tentare di pettinarmi. Ma tanto lo sapevo che era una causa persa”, le dico, nel pallido tentativo di sdrammatizzare la situazione. Lei sembra non avermi nemmeno sentito. Rimane lì ferma per un attimo a torcersi le mani, dopodiché mi si avvicina e mi getta le braccia al collo. Io sono pietrificato. Non riesco ad emettere un solo suono, e sono sicuro che tra poco scoprirò che l’ha fatto perché in realtà era il modo migliore per pugnalarmi ad un fianco senza che me ne accorgessi, o per attaccarmi un cartello denigratorio dietro la schiena …
Insomma, dai.
Non può essere un gesto d’affetto.
Non ci credo. Non me la fa. Sono diventato fin troppo furbo per farmi prendere per il naso in questo campo, ormai.
Fisso un punto imprecisato del muro che mi sta di fronte con uno sguardo che avverto farsi sempre più vacuo, mentre mi sento avvolgere dal silenzio più impenetrabile.
E alla fine, lo faccio. Cedo. Mi arrendo. Sarà anche uno scherzo, ma io non ce la faccio più. Era esattamente quello di cui avevo bisogno in questo momento, anche se fino a un attimo fa non lo sapevo nemmeno io. Non c’è bisogno di dire niente. Non ci rimarrò male se c’è sotto qualcosa, la prenderò alla leggera, come sempre. La mia versatilità non ha limiti. Ma ora, voglio soltanto stare così per un po’. È sempre tutto così concitato e frenetico intorno a me, che non ho neanche il tempo di soffermarmi ad assaporare la dolcezza di un contatto fisico. Ora invece posso permettermelo, senza distrazioni o imprevisti.
Sento che ho disteso il viso in un’espressione che probabilmente non è d’altro che di serenità, o forse ho semplicemente la solita immancabile faccia da ebete.
Chi se ne frega.
Le stringo le braccia intorno al corpo, lentamente, intrecciandole sulla sua schiena. Salgo con una mano ad accarezzarle la testa, perché so che le piace, anche se non me l’ha mai detto. E figurarsi se me lo dirà mai. Mi rilasso gradualmente, sentendomi sciogliere i muscoli. Un torpore formicolante mi percorre da capo a piedi, mentre mi godo la sensazione di quell’abbraccio. È una banalità, ma io adoro questo tipo di banalità. Perché da parte sua è tutt’altro che banale. È una dimostrazione d’affetto bella e buona. Potrei addirittura ricattarla, per una cosa del genere …
Sorrido tra me e me. Appoggio meglio il mento sulla sua testa. Non la vedo in faccia, ma non mi serve. La sento respirare piano contro di me. Riesco a percepire le sue labbra che mi sfiorano la clavicola.
Chi se ne frega se perdo. Davvero. Mi basta questo, averla vicino in un momento simile, quando ero talmente perso nei miei pensieri cupi che credevo di non riuscire più a venirne fuori. Fosse per me, penso che potrei rimanerle attaccato in modo così viscerale fino a notte inoltrata … come una Piovra Gigante.
“Che c’è da ridere?”
“Come?”
“Hai riso”.
“Oh. Sì, beh, stavo pensando, e mi è scappato da ridere”.
“Questo perché non hai filtro tra il cervello e la bocca”.
“Sì, lo so”.
Le poso le mani sui fianchi, mentre lei si scosta dalla mia spalla per guardarmi dritto negli occhi.
“Perché non la smetti di fare l’asociale recluso e vai a giocare quell’accidenti di partita?”
Un ghigno malefico mi attraversa il volto, mentre sento di nuovo scorrere dentro di me il mio spirito di Malandrino.
“Solo se mi improvvisi un balletto propiziatorio”.
“Va bene, forse in un’altra vita ci farò un pensierino. Ora muoviti”.
“Nemmeno se mi accontento di un balletto piccolo piccolo?”
“Ho detto muoviti, Potter”.
“Uff, come sei fiscale”.
“Non sono io che sono fiscale, sei tu che sei in ritardo pauroso”.
“Oh, andiamo, lo dici solo per farmi paura”.
“Ti assicuro che invece la mia osservazione è del tutto gratuita e spassionata”.
Il sorriso mi sparisce all’istante dalla faccia. Scosto la manica per guardare l’orologio, e mi rendo conto che per l’ennesima volta è lei ad avere ragione.
“Oh, cacchio”.
Mi fiondo fuori dal ripostiglio, cominciando a correre come un pazzo. Se non che, dopo una decina di metri, per poco non mi scontro con tre persone.
“Ciao, Prongs”.
Mi blocco, immobilizzandomi seduta stante. Di fronte a me ci sono nientemeno che Moony, Wormtail e Padfoot.
Li fisso, a bocca aperta. Possibile che stiano venendo a vedere me …?
“Che ci fate qui?” chiedo loro, boccheggiando.
“Oh, sai, vanno tutti alla partita, pensavamo di conformarci alla massa … ma pensavamo anche di essere in ritardo pauroso”.
“Non rinfrancatevi troppo, è proprio così”.
“Oh. Allora, James, tu sei un po’…”
“… in ritardo, sì. Grazie per avermelo ricordato, Wormtail”.
“Ehi, aspetta, dove corri?”
“A picchiare Snivellus!”
“Come, senza di me?!”
“Ma … James!”
“Potter, non ti azzardare!”
“E dai, Lily, stavo scherzando! Vado a cambiarmi, posso o devi rilasciarmi un permesso scritto?”
“Sparisci, idiota!”
“Grazie, amore!”
“Non c’è di che!”
“Come siete dolci e gentili tra voi”.
Sorrido come un ebete, mentre mi lancio in una folle corsa verso il campo di Quidditch.
Forse non sta andando tutto così male, in fin dei conti.

***

24 febbraio 1978

Se non ci fosse stata la pausa pranzo dopo questa interminabile lezione di Pozioni, ora non potrei essere corsa qui. E forse, dato che James ha pensato bene di seguirmi, avrei fatto meglio a non farlo affatto, e a tener fede all’accordo preso con le ragazze di trovarci in sala comune per darci una mano con il tema di Incantesimi. Volevo semplicemente stare un po’ sola a tentare di controllare la mia rabbia e cercare di riflettere, e invece, maledizione, lui sa sempre dove trovarmi quando sparisco. Ormai però quest’aula, la stessa in cui abbiamo animatamente discusso una lontana sera di settembre, ha assunto per me i connotati del rifugio.
“Senti, lo so che ce l’hai a morte con me, ma non potevo fare finta di niente”, mi dice James, trafelato, affacciandosi alla porta dell’aula. Io sollevo lo sguardo dalla crepa nel pavimento che stavo fissando ostinatamente, con aria decisamente poco incline alla diplomazia.
“Se sai che ce l’ho a morte con te, allora sai anche che non è il momento buono per parlare”, rispondo, seccamente.
“Beh, per te non è mai il momento buono per parlare”, replica lui, tentando una specie di risatina ironica, ma la mia occhiataccia riesce a spegnerla immediatamente. E sono troppo arrabbiata per farmi impietosire dall’aria mesta con cui china il capo.
“Perché te la prendi tanto?”
“Perché me la prendo … ti sembra una domanda sensata, dopo che per la tua mania di non darmi mai ascolto ti sei appena fatto mettere in punizione?”
“Magari non sarà poi così grave”.
Okay, ho capito. Sta giocando a mettere alla prova la mia pazienza. È l’unica spiegazione sensata per il fatto che continui ad insistere.
“Ne riparliamo dopo che Slughorn avrà decretato la tua sorte”, gli rispondo, con astio. Mi domando perché, Merlino, perché deve essere così ottuso e così bambino alle volte? È chiaro come il sole che reagendo alle provocazioni dei Serpeverde ha soltanto fatto il loro gioco. Possibile che debba proprio spiegargli tutto, a diciassette anni suonati?
“Fino ad allora mi terrai il broncio?”
“Sì, sperando che nel frattempo un’illuminazione divina ti apra gli occhi una volta per tutte”.
“Io volevo solo difenderti”.
“James, a me non serviva essere difesa! Possono dire quello che vogliono di me, non me ne importa un accidenti di niente!” esclamo, stringendo forte le mani intorno al bordo del banco su cui sono seduta.
“Ma io …”
“… tu devi sempre fare l’avvocato delle cause perse!”
“Spiacente, su questo ti sbagli. L’avvocato delle cause perse qui sei tu”.
Lo squadro, furiosa, come se volessi inchiodarlo sul posto. Oh, certo, ora la colpa sarebbe mia perché gli ho dato il cattivo esempio.
“Io non ho reagito di fronte ad una provocazione che era evidentemente volta a farmi cascare in una trappola come un pesce che abbocca all’amo”, replico, tagliente.
“No, ma mi pare di ricordare che nemmeno Snivellus volesse essere difeso, in quell’occasione”.
Qualcosa mi si spezza dentro, inevitabilmente. Il dolore è improvviso e fortissimo. I ricordi mi invadono la mente senza che io sia in grado di fermarli, e mi ritrovo a fissare James furente e con le lacrime agli occhi.
“Non ne hai il diritto”, mormoro, con voce rotta. Lui ha un’esitazione, sul momento, ma poi è il suo orgoglio maschile che lo fa reagire.
“Ho detto soltanto la verità”, mi risponde, secco, stringendosi nelle spalle con aria forzatamente indifferente. Io mi porto una mano alla bocca per nascondere una smorfia di pianto.
“Lasciami stare, per favore”, gli dico, senza guardarlo in faccia. Quando si decide ad uscire, sbattendo rumorosamente la porta, mi sento la mente annebbiata e gli occhi umidi. L’attimo dopo sto piangendo, disgustata di me stessa per la mia debolezza.
Non so che cosa pensavo. Forse che saremmo riusciti a non dover mai affrontare direttamente l’argomento, anche se stava sospeso sulle nostre teste come una tagliente spada di Damocle. Ora invece quel momento è arrivato e non l’abbiamo saputo affrontare, e tutto l’affanno che ho represso dentro per mesi e mesi mi sta sfuggendo di mano, senza che io sia in grado di fermarmi.
La gente che amo finisce inevitabilmente per allontanarsi da me, senza che io l’abbia voluto. È successo con Petunia, poi con Severus. E adesso succederà anche con James. Perché dovrebbe andare diversamente?
Non volevo che finisse così. Quando sono arrivata a Hogwarts, ero convinta che sarebbe stato tutto bellissimo e che avrei vissuto degli anni eccezionali, i migliori della mia vita. E invece, ho perso mia sorella, ho perso il mio migliore amico e ora rischio di perdere anche l’unica persona che io sia mai riuscita ad accettare come parte integrante della mia vita sentimentale.
Non ha senso restare qui. Mi sforzo di asciugarmi la faccia nel miglior modo possibile e poi prendo i libri sottobraccio, raccolgo il calderone con dentro tutti gli strumenti di Pozioni e mi trascino verso il dormitorio di Grifondoro.

 
25 febbraio 1978
 

 È il giorno di un’importante partita di Quidditch, oggi. A me non importerebbe un fico secco, come al solito, se non fosse per il fatto che James giocherà comunque, a dispetto della punizione affibbiatagli da Slughorn. Ovviamente, ne sono al corrente soltanto perché mi sono giunte le voci che la McGranitt sia andata a sbraitare perfino davanti a Silente in persona per impedire che James fosse costretto a non giocare. Figurarsi se gli allievi di Hogwarts potevano perdersi un pettegolezzo del genere.
Non ho idea di come l’abbia presa James. È da ieri a pranzo che non ci rivolgiamo più la parola. L’ho visto da lontano in sala comune, mentre rientravo dalla Biblioteca: stava correndo in dormitorio a cambiarsi in vista di un probabile allenamento serale, dato che l’intera squadra si trovava riunita lì ad attenderlo. Ho fermato Delia e le ho chiesto di riferire al signor capitano Potter che quella sera mi sarei occupata della ronda insieme ai Prefetti, e che pertanto non doveva disturbarsi a raggiungermi. Sapevo che sarebbe stato distrutto di ritorno dal campo di Quidditch, perciò usai un tono secco e perentorio, di modo da lasciare intendere che non doveva passargli neppure per l’anticamera del cervello di venire con me. Volevo che andasse a letto e si riposasse, senza dover portare altri fardelli, ed ero disposta a lasciargli credere che fossi ancora arrabbiata con lui e non desiderassi averlo fra i piedi piuttosto che non riuscire nel mio intento.
Ora, all’alba delle dieci di mattina, non ho ancora preso una decisione, mentre tutte le mie amiche si sono già recate sugli spalti, pronte a fare il tifo per Grifondoro. Per giunta, non ho neppure fatto colazione. I libri non mi distraggono, in questo momento, e ho già tergiversato abbastanza passando circa un’ora sotto il getto caldo della doccia.
Sospiro, rassegnata; lo stomaco ha iniziato a brontolarmi furiosamente, quindi, forse, è meglio andare a raccattare qualche avanzo in Sala Grande per evitare di affrontare una giornata in ipoglicemia severa. Quando avrò finito, se il destino mi guiderà all’uscita del castello, forse andrò a vedere quella stramaledetta partita.
Mi avvio di corsa verso la mia destinazione, scendendo i gradini della Torre di Grifondoro a due a due e pregando di non essere fermata da nessuno che conosco – non sono dell’umore migliore, in questo momento, per affrontare conversazioni spinose – se non che, giunta ai piedi della rampa di scale, incrocio uno stranito Sirius Black che sembra avere l’aria di vagare alla cieca per i corridoi di Hogwarts.
Lo squadro con aria sospetta, finché lui non si accorge della mia presenza, circa una decina di centimetri al di sotto del suo naso.
Certe volte mi piacerebbe essere alta come Margaret, lo confesso. Così la gente come lui non potrebbe pensare di intimidirmi semplicemente torreggiando su di me con aria arrogante, cosa che, inutile dirlo, non sortisce nessun effetto sulla sottoscritta.
“Oh, ecco, stavo giusto cercando te …”
La mia espressione si fa perplessa. Che significa che stava cercando me? Vuole fare a botte?
“Devi riferirmi qualcosa di urgente? Scusa, ma avrei una certa fame …” rispondo, cercando di mantenermi il più possibile su un tono freddo e cordiale. Potrei scommetterci la bacchetta che mi ritiene responsabile per la punizione di James e che perciò, in questo momento, mi detesta ancor più del solito. Ma non voglio dargli modo di attaccarmi, quindi decido di rimanere neutrale, almeno per ora.
“Ah, certo, che te ne importa se c’era gente che si stava chiedendo se tu fossi ancora viva”, replica lui, in un tono sarcastico che mi fa immediatamente girare le scatole.
“E tu non avevi nulla di meglio da fare che essere spedito in perlustrazione? Perfetto, puoi riferire che sto bene e non mi sono gettata dalla Torre di Astronomia. Buona giornata”.
Faccio per superarlo, ma Sirius mi si para davanti di colpo. Sospira, rassegnato, scuotendo la testa, poi abbassa lo sguardo e mi punta addosso i suoi occhi grigi e sprezzanti.
“E va bene, Evans, sono qui soltanto per porgerti le mie scuse perché è solo a causa mia – beh, non soltanto mia, diciamo principalmente mia – che James ultimamente è più nervoso del solito, e mi dispiace se avete litigato. Addio”.
Fa per andarsene, ma io mi riscuoto in fretta dall’incredulità destata in me dal fatto di averlo sul serio sentito pronunciare delle scuse.
“Com’è riuscito Remus a costringerti sul serio ad umiliarti con un simile teatrino?” gli domando, in tono provocatorio. Lui si ferma e si volta a guardarmi con aria indignata.
“Non … che diamine, Evans, non sono il cagnolino di Remus, mettitelo in testa! Anche se potresti pensarlo dato che … beh, non lo sono!”
“Come vuoi, Sirius, ma la questione non ti riguarda”, gli faccio presente. Non capisco proprio perché ci tiene tanto a mettersi in mezzo. Chi diavolo gliel’ha fatto fare, allora, di scendere dal trono per venire a degnarmi della sua parola?
“Mi riguarda eccome invece!” replica lui, stizzito.
In quel momento, mi coglie l’illuminazione. Già, certo, perché non ci ho pensato prima?
“Oh, capisco, hai ancora paura che corra a dire in giro certe cose? Perché non fai quel Voto Infrangibile come ti avevo suggerito, allora?”
Una smorfia di disgusto compare istantaneamente sul suo volto, contorcendogli i lineamenti.
“Io non uso la Magia Oscura, te l’ho già detto”, mi risponde, sprezzante. Io alzo le spalle.
“Sarebbe a fin di bene, però, visto che ci tieni tanto”.
Lui mi fulmina con lo sguardo. Per quanto ci tenga a sottolineare in ogni suo gesto il disprezzo nei confronti dei suoi legami di sangue, in questo momento ha tutta l’aria di un aristocratico in collera, non c’è nulla da fare.
“Io non sono come loro, per Merlino! Non lo sono e non lo diventerò mai! Mi fanno schifo dal primo all’ultimo, con le loro smanie del sangue puro e le loro espressioni felici quando gira la notizia che Voldemort ha compiuto l’ennesima atrocità nei confronti dei figli di Babbani, e ora staranno gongolando all’idea che anche mio fratello sia stato accolto in mezzo a quella feccia, a quell’orda di fanatici … ma non potranno mai avere me! Non mi abbasserò mai al loro livello! Perciò scordati quel Voto Infrangibile, toglitelo dalla testa”.
Lo osservo attentamente, inarcando le sopracciglia con espressione scettica. Si è infervorato non poco nel pronunciare quell’enfatico discorso. Il piccolo dettaglio è che io non gli avevo assolutamente richiesto una simile apologia della sua posizione. Probabilmente per chi vive immerso nel mondo delle famiglie di maghi il suo nome fa un effetto non indifferente, ma per me che sono figlia di Babbani non ha mai significato nulla, e di sicuro non è mai stato il mio metro di giudizio nei suoi confronti. Che James e i suoi amici fossero dichiaratamente schierati contro le Arti Oscure non l’ho mai negato, anzi. Lo facevo notare spesso a Severus, quando si lanciava in una delle sue ardenti filippiche dirette contro di loro. Perciò non era assolutamente necessario che Sirius mi manifestasse la sua presa di distanza nei confronti di quella gentaglia, avevo già ben chiaro il fatto che lui appartenesse a tutt’altro schieramento.
“Non c’era bisogno di scaldarsi tanto”, gli faccio presente, in tono pacato.
“E invece io mi scaldo, io … pensi che sia come loro perché ho rischiato di far uccidere il tuo amico Snivellus, eh? Ma sai che ti dico? Se lo meritava. Non voglio che ti passi neppure per l’anticamera del cervello che Remus possa mai essere stato d’accordo con quella faccenda, lui non sapeva niente ed è toccato a me dirglielo, a me è toccato sentirmi il verme della situazione quando la realtà è che la colpa era tutta di quel dannato ficcanaso. Lui aveva cattive intenzioni, non io!”
La mia espressione si fa ancora più perplessa. Così oggi è la giornata delle rivelazioni e nessuno si è prodigato di avvertirmi?
Che cavolo significa che ha rischiato di far uccidere Severus? Che tutto quel misterioso macello fu merito suo? Merlino, non pensavo che potesse arrivare a tanto.
“A dire la verità non avevo assolutamente idea del fatto che fossi stato tu l’artefice di quello spiacevole incidente”, gli faccio presente, stringendo le labbra.
Lui mi fissa in silenzio per qualche secondo. Sembra quasi pentito di essersi scucito troppo la bocca, per una volta nella sua vita.
“Ah, sì? Beh, infatti non avresti dovuto saperlo”.
“Sei stato tu ad avermelo appena rivelato, razza d’idiota!”
È incredibile, con che razza di educazione è stato cresciuto? Chi diavolo è stato ad insegnargli che ha sempre ragione lui?
“Ehi, abbassa il tono con me, non m’interessa un fico secco se sei Caposcuola”, replica lui, azzardando un tono arrogante che mi dà immediatamente sui nervi.
“E tu allora smettila di rigirare le frittate! Stavolta io non mi sono impicciata di nulla, credevo fosse stato un caso e che Severus avesse scoperto dove si nascondeva Remus, che fosse successo perché l’aveva semplicemente seguito”, sbotto, guardandolo con ira. Sirius mi rivolge un sorriso beffardo, facendo scomparire per qualche secondo quell’espressione contrita che fino a poco tempo fa aveva solo tentato di nascondere malamente.
“Mi duole informarti che il tuo amico non è così furbo e neppure così coraggioso. Non si è mai spinto a tal punto, ma continuava a darci fastidio, a starci perennemente alle costole. Un giorno se l’era presa con Remus davanti a tutti, l’aveva umiliato soltanto perché era arrivato tardi a una lezione della Sprite e secondo lui significava chissà che cosa, e io non ci ho più visto. La sera ci sarebbe stata la luna piena e gli ho detto come fare per entrare nel Platano Picchiatore. A dire il vero non pensavo nemmeno che potesse essere così imbecille da seguire alla lettera le mie parole, e invece lo fu … incredibile. Tutto per la sua meschina e lurida smania di farci cacciare dalla scuola”.
Non so davvero che pensare. Sirius Black è un totale imbecille, questo è certo. Cerca di difendersi con foga, come a voler dimostrare che la colpa non è stata soltanto sua. Ma gli ho creduto nel momento in cui ha difeso a spada tratta Remus. Era sincero.
“Avresti dovuto prevedere le conseguenze delle tue azioni”, gli dico infine, semplicemente.
“Togliercelo dai piedi sarebbe stato solo un bene”, obietta lui, ancora ostinato a voler dimostrare di aver agito per una buona causa. Ma stavolta, mi dispiace, ha completamente toppato.
“E non hai pensato a Remus? A come si sarebbe sentito?” gli faccio presente, e per un attimo nei suoi occhi lampeggia un’espressione ferita, come se si fosse sentito toccare improvvisamente nel punto più delicato della faccenda.
Per un attimo smette di guardarmi e fissa un punto imprecisato sulla parete di mattoni; poi sospira, prima di rispondermi.
“No, o meglio, pensavo che in fondo sarebbe stato contento di non avere più quell’essere odioso alle calcagna, pensavo che sapere di averlo spaventato lo avrebbe fatto ridere e basta, pensavo che … pensavo male. E doverglielo dire, doverlo guardare in faccia e raccontargli tutto quello che era successo e sentirmi addosso tutto il suo disprezzo è stata la cosa più brutta che io abbia mai dovuto affrontare in tutta la mia vita. Quindi non pensare nemmeno per mezzo secondo che lui fosse complice di tutta questa faccenda, cosa che Snivellus potrebbe fin troppo facilmente averti detto”.
Non è possibile. Ma allora è veramente imbecille.
“Ti vuoi far entrare in quel cervello pieno di Vermicoli il fatto che io e Snivellus non ci rivolgiamo più la parola?! Dovresti essere abbastanza intelligente da essertene già accorto da solo, ma mi sembra evidente che tu non ci riesca, perciò te lo dico chiaro e tondo: non ho intenzione di avere mai più avere nulla a che fare con lui. Non siamo più amici. Lui ha scelto le Arti Oscure, io ho scelto di stare dalla parte opposta. Non ho nessun rimpianto per aver preso questa decisione. E dato che ci tieni tanto a precisare che non sei uguale ai membri della tua famiglia nonostante il vostro legame di parentela, tieni presente questo: io non sono come Severus, anche se un tempo eravamo amici. Ostinandoti a credere il contrario ti dimostri soltanto una persona piena di pregiudizi, proprio come lo sono quelli che giudicano te per il tuo cognome e il tuo sangue puro. Non ti dà onore predicare bene e razzolare male. E soprattutto, ogni tanto, essere un po’ meno ottuso ti farebbe bene”.
A questo punto, Sirius Black fa una cosa che assolutamente non avevo previsto o considerato: scoppia sonoramente a ridere, di gusto, con quella risata così simile a un latrato che solo ora, dopo anni, collego alla sua forma di Animagus. Resto a fissarlo con aria perplessa mentre getta indietro la testa e si porta un braccio attorno allo stomaco, in quell’esplosione di ilarità. Non capisco. Che ci sarà di tanto divertente in quello che ho detto?
“Hai ragione, Evans, forse dovrei darti una possibilità”.
Oh, che gentile concessione da parte sua.
“Ma se pensi di non amare sul serio James, ti consiglio di lasciar perdere in partenza. Ho dovuto sorbirmi per anni le sue crisi depressive causate dai tuoi persistenti rifiuti, perciò ora non ti conviene illuderlo”.
Perché questo improvviso ed inopportuno cambio di discorso, ora?
“Oh, stammi a sentire … piantala di fare l’avvocato difensore di James, non ce n’è bisogno. Lo so che ti senti realizzato in questo ruolo, ma …”
“Lo ami?”
Sgrano gli occhi, fissandolo con aria allibita. La sua sfacciataggine non ha davvero alcun limite.
“Io … sì, ma non sono affari tuoi!” replico, piccata. Lui in tutta risposta si dipinge sul volto un ghigno sardonicamente soddisfatto, di fronte al quale non riesco a non arrossire. Ho appena ammesso di amare James Potter, e non di fronte a lui stesso o ad un mio confidente, bensì davanti a uno che mi detesta con tutto il cuore e probabilmente, se potesse, mi farebbe sparire con un distratto colpo di bacchetta. Ma per quanto sia assurdo, mi rendo conto che è vero. Non potevo raccontargli una frottola, sarebbe stato come dire che Silente è un incompetente mago da quattro soldi. Non mi ero mai posta il problema di doverlo ammettere, perché James non me l’ha mai chiesto. Sembra felice così, al settimo cielo soltanto perché, finalmente, esco con lui. E nonostante i mesi siano ormai volati, ancora fatico a rendermene conto. Però i tremori continui alle gambe quando si limita anche solo a sfiorarmi, il cuore che accelera i battiti, il sentirmi andare in frantumi quando mi bacia o quando, dal nulla, si presenta con una sorpresa per me dopo aver litigato furiosamente … non può essere altrimenti. Non ho mai provato un sentimento del genere in vita mia.
“Hai detto di sì, bada bene”, mi dice Sirius, come a voler sincerarsi della veridicità della mia affermazione. Io sospiro e mi metto le mani nei capelli, totalmente esasperata.
“Sì, Sirius, ho detto di sì! Ti prego, ora possiamo finirla con questo teatrino? È ammirevole che tu voglia preservare James da sofferenze future, ma noi due non siamo in competizione per il primo posto. L’amicizia e l’amore sono due cose totalmente differenti”.
Sul suo volto affiora un sorrisetto criptico, che non riesco ad interpretare.
“Non necessariamente lo sono”, afferma enigmaticamente, “ma in questo caso non ti devi preoccupare, non vorrei assolutamente essere nei tuoi panni. Abbiamo due ruoli diversi, e mi sta bene”.
Annuisco vigorosamente, constatando con piacere che almeno su una cosa siamo d’accordo. Ma allora, quale diamine è il problema?
“Magnifico. A questo punto la domanda sorge spontanea: cos’è che non ti sta bene?”
Lui si stringe nelle spalle con un’espressione dubbiosa, forse preparandosi a sciorinare un elenco infinito di motivi per cui mi staccherebbe la testa dal collo. Ma la sua risposta, al contrario, mi sorprende totalmente.
“Non saprei. Credo niente”.
Ora sì che vorrei strozzarlo, lo vorrei davvero.
“Merlino, sei … impossibile. Non ho mai fatto fatica a capire perché tu e James siate così amici”.
“Sapessi invece quante cose non sai …” commenta lui, divertito, sempre con quel tono fastidiosamente ermetico.
“Oh, non penso di volerne essere messa al corrente tanto quanto immagini tu”, ribatto, scuotendomi i capelli sulle spalle con un gesto di stizza. E meno male che James vorrebbe che diventassimo amici. Sembra un’impresa piuttosto impossibile, nonostante abbia appena affermato di non avere nient’altro contro di me.
“Comunque, non credo che per te vada bene pensare al momento in cui hai ricevuto la lettera da Hogwarts, come ricordo felice per il Patronus”, mi dice improvvisamente, scompigliandosi i riccioli neri con apparente noncuranza.
“Come, scusa?” gli domando, interdetta. Sicuramente devo aver sentito male. Come fa a sapere che non mi riesce bene quell’incantesimo? D’accordo, era anche lui a lezione quando ci siamo esercitati, ma non avevo certo contemplato la possibilità che Sirius Black si fosse accorto di qualcosa che riguardava me.
“Sì, Flanders è un idiota, non ha molta fantasia”, risponde lui, scrollando le spalle. “Puoi pensare a qualsiasi altro momento felice, ma quello … per te non credo che funzioni. Sai, la storia di tua sorella. E poi lo ricolleghi inconsciamente ad un’amicizia che hai perso, e che in quel momento per te era importante. Sul momento potrà anche essere stato eccitante e divertente, ma non puoi impedirti di ricollegare quel preciso ricordo con altri più spiacevoli, quindi non funziona”.
Sirius Black mi sta dando dei consigli, provando a comportarsi in modo civile. Probabilmente in questo momento mi trovo su un altro pianeta.
“E tu come sai di mia sorella?” gli domando, ancora incerta su quanto possa essere sincero quel suo tentativo di venirmi incontro.
“Oh, beh … James parla troppo”, risponde lui, alzando le spalle.
“Certo, capisco”.
Rimaniamo in silenzio per qualche secondo, mentre ancora mi domando cos’è che l’ha fatto smuovere oggi. Autoaccusarsi di essere stato l’indiretto responsabile della mia lite con James, ammettere quanto gli sia pesato confessare quello scherzo a Remus, darmi consigli su un incantesimo che non riesco ad eseguire … davvero non riesco a capire che diavolo gli è preso. Nessuno di noi due ha mai avuto una grande opinione dell’altro, questo è certo. Ma è il migliore amico di James e, in fondo, non ho mai pensato che sia davvero una persona così spregevole come voglia far credere di essere, comportandosi in questo modo così idiota solo per fare scena. Posso anche capire che mi tema come una minaccia dal momento in cui sono entrata nella vita di James, dato tutto ciò che rappresenta per lui. Ma per aprire le ostilità contro di me non si è basato su come sono e su come mi comporto, bensì meramente sul ruolo che ricopro in quanto fidanzata del suo migliore amico, il che non significa necessariamente che io sia una persona possessiva che mira ad allontanare James dai suoi amici per avere il pieno comando della sua vita e dei suoi affetti.
Forse si è reso conto di essere partito con il piede sbagliato, dopotutto.
“Guarda che neanche per me funziona quel ricordo, se ti ci fissi non ci riuscirai mai”, mi dice, camminando avanti e indietro lentamente, con le braccia dietro la schiena. Io mi lascio sfuggire un sorrisetto.
“Già, non dev’essere piacevole l’associazione di quell’episodio con la Strillettera di tua madre che ti è arrivata via gufo il giorno dopo essere stato Smistato a Grifondoro”.
Lui si ferma a guardarmi negli occhi ed ammutolisce, diventando serio di colpo. Io mi stringo nelle spalle, con apparente nonchalance.
“James parla troppo. L’hai detto tu”.
“Già”.
Per un attimo, che forse non si ripeterà mai più, non c’è ostilità fra noi. Sembra quasi incredibile. Dopodiché, Sirius sfoggia un sorrisetto compiaciuto.
“Beh, credo che potresti guadagnarti il tuo ricordo felice per il Patronus andando a cercarlo e facendo pace con lui”.
“Che vuoi dire? Non dovrebbe essere alla partita?!”
“No, si è fatto prendere dal panico e si è nascosto chissà dove. Perciò, forse, faresti meglio ad andare a cercarlo. Potreste anche prendervi per mano e ballare, perché no. Ma penso che sarà sufficiente un commovente abbraccio e, che ne so, un bacio con un po’ di lingua …”
“Ok, Sirius, grazie ho afferrato il concetto!”
Lui scoppia a ridere sonoramente, divertito dalla sua stessa impudenza.
“Beh, che aspetti? Vai a cercarlo”, mi dice poi.
“Ma non ho idea di dove sia!” obietto io. Non posso certo perlustrare l’intera Hogwarts, che diamine.
“E va bene, aspetta solo un secondo …”
Lo osservo frugarsi nella tasca della divisa alla ricerca di qualcosa; dopo qualche secondo ne estrae un piccolo specchio rettangolare e un po’ consunto, esattamente identico a quello che ho già visto diverse volte in mano a James.
Oh, sì, sono davvero teneri.
“Prongs … Prongs, rispondimi! È urgente, sono nei guai, sto rischiando la vita e se non mi rispondi immediatamente mi avrai sulla coscienza per il resto dei tuoi giorni!”
“Che vuoi, Pads?”
“Senti, l’ho combinata grossa, Gazza mi sta alle costole! Dove sei? Devo correre a nascondermi da te, dato che sei Caposcuola gli dirai di non mettermi in punizione”.
“A dire il vero l’ultima volta che ho tentato di discutere con Gazza mettendo in campo la mia autorità di Caposcuola non è servito a non farmi restituire la Mappa del Malandrino, se ti ricordi …”
“Beh, stavolta dovrai essere convincente, ha minacciato di frustarmi!”
“Oh, e va bene, grandissimo rompiscatole, sono nel ripostiglio per le scope del sesto piano …”
“Perfetto! Dammi un minuto e sono da te!”
Sirius si rimette in fretta e furia lo specchietto in tasca, poi si volge verso di me.
“Hai sentito? Vallo a recuperare e, già che ci sei, convincilo ad alzare il culo e ad andare alla partita, altrimenti siamo rovinati. Io intanto vado a chiamare Remus e Peter”.
“Ai tuoi ordini”.
Lo saluto con un sorrisetto, poi mi dirigo a passo spedito verso il sesto piano.

 “James, apri immediatamente questa dannatissima porta”.
È incredibile che a pochi minuti dall’inizio della partita questo idiota se ne stia chiuso qui dentro. Tutti si aspettano una lotta all’ultimo sangue, l’intera Hogwarts è già allo stadio a gremire le tribune, e il Capitano della nostra squadra dov’è? In un ripostiglio per le scope.
“No, preferisco lasciarti l’onore di mettere alla prova le tue brillanti capacità di strega”, mi sento rispondere, dall’interno. È da ieri che non ci parliamo, e questo è tutto quello che ha da dire. Davvero carino da parte sua.
“E va bene, l’hai voluto tu”.
Estraggo la bacchetta dalla tasca della divisa e mi piazzo a gambe leggermente divaricate davanti alla porta, agitando il polso per riscaldarmi.
“Lily, no, aspetta, stavo scherzando. Sono in uno stato pietoso. Lily …”
Con un gesto solenne ed un perfetto incantesimo non verbale, faccio scattare la serratura della porta.
“Lily! Possibile che tu non voglia mai darmi retta?”
Compio il mio teatrale ingresso nel ripostiglio, e mi trovo davanti il James Potter con l’aspetto più sciupato che mi sia mai capitato di vedere. Non solo è mortalmente pallido, ha gli occhi segnati da cerchi profondi e l’espressione di chi sta per andare al patibolo, ma ha anche, non so come, i capelli ridotti in uno stato ancora più pietoso del solito.
Nonostante questo, quando incrocio il suo sguardo sento un nodo alla gola e mi sembra sempre bellissimo. Ripenso a quello che Sirius mi ha costretto a confessare, e per quanto possa sembrare assurdo, incoerente o esagerato, non posso negare che sia vero. Forse dovrò dirlo anche a lui, un giorno o l’altro.
“Sì, lo so, avrei almeno potuto tentare di pettinarmi. Ma tanto lo sapevo che era una causa persa”, tenta di giustificarsi, con il suo solito maledetto vizio di fare dell’ironia in ogni momento. Rimango lì a fissarlo, incapace di muovermi, senza sapere che accidenti dire. È da ieri che ci evitiamo, da ieri che nessuno dei due ha il coraggio di fare un passo avanti e chiedere scusa. È stato un arco di tempo infernale. Non credo di farcela a restargli lontana ancora per molto. Trattengo il fiato, muovo quel dannato passo in avanti, lo raggiungo e faccio quello che avrei voluto fare da due giorni: abbracciarlo.
Lo so che ho sbagliato, che l’ho attaccato per qualcosa che tempo addietro avevo fatto anch’io, accecata dal bene che volevo a un’altra persona. So che è stata la stessa motivazione a smuoverlo, che sono io che mi comporto sempre come se ogni cosa fosse la fine del mondo. Fosse stato per me, l’intero universo avrebbe dovuto autodistruggersi il giorno in cui, rivoltandomi contro ogni regola della logica, ero tornata sui miei passi e l’avevo baciato. Quello era qualcosa di sconvolgente. Ma non me ne sono affatto pentita, lo so e l’ho sempre saputo, lo sapevo anche mentre lo facevo, inconsciamente; posso anche essere stata io a mettere in moto tutto questo, posso anche essere stata io a perdere Severus, anche se lui comunque aveva già scelto e sarebbe stata solo questione di tempo prima che passasse definitivamente dalla loro parte, e può anche darsi che questo continuerà a farmi male finché avrò vita, ma poi quello che è successo mi ha portato ad avere James, e non tornerei mai indietro se dovessi rinunciare a lui. Non potrei. Mi sono sforzata con tutta me stessa di stargli lontana in queste ore, perché altrimenti sapevo che avrei finito per attaccarlo con rabbia soltanto per il fatto che mi stava lontano. E non potevo rischiare di ripetere di nuovo lo stesso errore.
Potrei stare così per ore, per giorni interi. Mi basta questo: stringerlo forte senza il timore di fargli male, avvertire prima la sua sorpresa e poi il suo abbandono, sentire il suo respiro sui capelli. Fargli capire che è un idiota quando si comporta così. Insinuare sottilmente che mi dispiace.
A un certo punto, lo sento ridacchiare tra sé.
“Che c’è da ridere?” gli domando, divertita.
“Come?” mi chiede lui.
“Hai riso”, gli faccio notare.
“Oh. Sì, beh, stavo pensando, e mi è scappato da ridere”, mi risponde, e io curvo le labbra in un ghigno ironico.
“Questo perché non hai filtro tra il cervello e la bocca”, commento.
“Sì, lo so”, mi risponde lui, rassegnato a riconoscere la verità. È un piacere sentire che mi dà ragione senza cercare una scusa per ribattere. Dev’essere proprio a pezzi. Chissà quali acrobatici salti di gioia farebbe se sapesse che ho ammesso di amarlo … ma ora non c’è più tempo da perdere. Mi stacco dalla sua spalla per cercare il suo sguardo, e quando lo trovo non sono più dolce né divertita, sono semplicemente dura.
“Perché non la smetti di fare l’asociale recluso e vai a giocare quell’accidenti di partita?” gli chiedo, in tono di sfida. Lui risponde con una smorfia perfida.
“Solo se mi improvvisi un balletto propiziatorio”, afferma, deciso.
“Va bene, forse in un’altra vita ci farò un pensierino”, gli concedo, roteando gli occhi. “Ora muoviti”.
“Nemmeno se mi accontento di un balletto piccolo piccolo?” mi domanda, implorante.
“Ho detto muoviti, Potter”, replico, seccamente.
“Uff, come sei fiscale”, si lamenta lui.
“Non sono io che sono fiscale, sei tu che sei in ritardo pauroso”, gli faccio notare, inarcando un sopracciglio. Lui in tutta risposta scoppia a ridere, divertito.
“Oh, andiamo, lo dici solo per farmi paura”, ribatte.
“Ti assicuro che invece la mia osservazione è del tutto gratuita e spassionata”, ribadisco io, non sapendo se ridere o piangere per il modo in cui è rimbambito. Fortunatamente, quando capisce che non sto scherzando, smette di sorridere come un idiota e pensa bene di guardare l’orologio per verificare; l’espressione di panico che gli compare istantaneamente sulla faccia mi fa capire che ha finalmente riconosciuto chi tra noi due ha ragione – di nuovo.
“Oh, cacchio”, commenta, prima di lasciarmi e correre a gambe levate fuori dal ripostiglio.
Rimango ferma lì per qualche secondo, scuotendo la testa con aria rassegnata. È incorreggibile, ma se così non fosse non sarebbe più lui, e non lo troverei altrettanto divertente ed imbranato e adorabile.
Mi decido ad uscire dal ripostiglio anch’io, con un grosso sorriso stampato in faccia che manifesta chiaramente il mio attuale stato d’animo; dopo oggi sarà tutto sistemato, fra noi, non ci sarà bisogno di noiosi chiarimenti e di scuse forzate, ma ogni cosa tornerà come prima alla sua naturalezza abituale. Stare con lui è bello anche per questo: i problemi si risolvono, ma in maniera niente affatto tradizionale.
Avviandomi lungo il corridoio, mi giungono le voci di Remus, Sirius e Peter; evidentemente ci siamo incontrati tutti al momento giusto. Quando li raggiungo, il signor Capitano si sta velocemente congedando da loro.
“Ehi, aspetta, dove corri?” grida Peter a James.
“A picchiare Snivellus!” risponde lui, di rimando.
“Come, senza di me?!” si lamenta Sirius.
“Ma … James!” gli fa eco Remus.
“Potter, non ti azzardare!” lo minaccio io.
“E dai, Lily, stavo scherzando! Vado a cambiarmi, posso o devi rilasciarmi un permesso scritto?” mi dice lui, fermandosi in fondo al corridoio per rivolgermi un sorriso smagliante da finto seduttore incallito.
“Sparisci, idiota!” gli ordino, in tono perentorio.
“Grazie, amore!” mi risponde lui, ridendo.
“Non c’è di che!” gli grido io, mentre si allontana di corsa. Lo osservo sparire con il sorriso sulle labbra, sentendo che tutta l’angoscia è finalmente sparita.
“Come siete dolci e gentili tra voi”, osserva Sirius, sarcastico, incrociando il mio sguardo dopo che James si è definitivamente dileguato. Ma, per quanto si sforzi di nasconderlo, non c’è malignità nel suo tono di voce, soltanto divertimento. Forse, finalmente, anche con lui le ostilità sono cessate. Per quanto sia probabile che l’abbia fatto solo per il bene di James, non posso fare a meno di tirare un grosso sospiro di sollievo. Anche se ho il sospetto che mi chiederà qualcosa in cambio per quel suggerimento sul Patronus. A tal proposito, ora potrebbe essere il momento giusto per provare e vedere se funziona.
“Vi raggiungo subito”, dico a Peter, che si è voltato con aria interrogativa verso di me, domandandosi probabilmente perché non li stavo seguendo.
Aspetto che si siano allontanati a sufficienza prima di concentrarmi profondamente sul ricordo più felice che riesco a far riaffiorare alla mente.
Quel giorno che più di tutti ha cambiato la mia vita, il giorno in cui ho scoperto di essere una persona totalmente diversa da ciò che avevo sempre creduto. Il giorno in cui, molto probabilmente, sono andata molto vicino al collasso cardiaco. E non per colpa di qualcun altro, no. Ho fatto tutto completamente da sola, quella volta.
Si tratta del giorno in cui ho baciato James Potter, al di là di ogni umana comprensione.
Sorrido. Ricordo tutto. La sua espressione allibita nel momento in cui gli posavo una mano sulla spalla e lo costringevo a voltarsi verso di me. Il contatto con le sue labbra, la voglia che avevo di sentirmi stringere e, allo stesso tempo, di fargli del male. La sensazione che stessi cadendo in una voragine senza fine – eppure era così piacevole, così liberatorio. Per una volta, avevo assecondato il giusto impulso, pur sentendomi schiacciare dalla consapevolezza improvvisamente acquisita del fatto che lui non riuscisse ad essermi indifferente.
Sospiro, buttando fuori tutta l’aria che ho nei polmoni. Chiudo gli occhi e alzo la bacchetta. Sento una lunga serie di brividi scorrermi lungo le braccia, arrivare fino alla punta delle dita. Questa volta posso farcela.
Expecto Patronum!”
Apro gli occhi bruscamente. L’onda d’urto mi ha scagliato indietro, per poco non sono finita a sbattere contro il muro. La bacchetta mi è sfuggita di mano ed è caduta a terra. È lì, riesco a vederla. Alzo gli occhi e davanti a me c’è una grossa nuvola bianco-argentea, eterea ed indefinita, che a poco a poco si dirada per lasciar emergere una figura sottile, che si allontana al ritmo di una corsa elegante.
La guardo bene, incredula, finché non svanisce in un soffio di polvere, infrangendosi contro il vetro della finestra. Decisamente non me l’aspettavo, ma la sorpresa mi strappa un sorriso.
Il mio Patronus è una cerva.

 


And I know I make you cry,
And I know sometimes you want to die,
But do you really feel alive without me?

(Damien Rice, Accidental Babies)




Nota di fine capitolo: chiedo venia per il mostruoso ritardo, ma se da una parte avevo l’ansia di un esame imminente a portarmi via tempo, dall’altra ho anche dovuto revisionare quasi completamente anche questo capitolo per esigenze di trama. Non odio affatto il personaggio di Piton, anzi, lo trovo davvero interessante sotto molti punti di vista, ma è chiaro che dalla prospettiva di James non ci possa essere che odio nei suoi confronti, soprattutto dato che, stando a dichiarazioni della Rowling, Prongs sospettava che Piton provasse qualcosa per Lily, e quindi questo alimentasse ancora di più la rivalità tra i due. Da quando ho letto questa cosa mi sono domandata se non lo sospettassero anche gli altri Malandrini; sono piuttosto sicura che Remus lo sapesse, data la convinzione in cui afferma di fidarsi di Piton in HP6, prima che uccida Silente. Probabilmente era a conoscenza del fatto che lo facesse per Lily, e per questo non dubitava di lui. Se invece anche Sirius aveva qualche sospetto a riguardo, beh, allora per una volta ha dimostrato maturità da adulto, dato che non l’ha mai usata come argomentazione per offendere o istigare Piton nei momenti in cui ha avuto a che fare con lui nel post-Azkaban XD
Qui chiudo gli sproloqui, al prossimo capitolo, sperando di riuscire a completarlo presto – e come sempre grazie davvero, davvero tanto per le bellissime recensioni. A presto!
Jane

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Capitolo 17
*** L'Ordine della Fenice ***


Nota d’inizio: non posso non scusarmi per l’enorme ritardo con cui pubblico questo capitolo. Purtroppo, come ho accennato a chi mi ha chiesto novità negli scorsi mesi, sono stata parecchio incasinata con gli esami, iniziandoli a maggio e finendo per trascinarmene due a settembre, e durante le vacanze estive non ho sempre avuto il pc a disposizione; senza contare che, anche stavolta, più che una semplice correzione del capitolo si è trattato di una ristesura completa. Ora che ho terminato gli esami ho ritrovato il giusto tempo da dedicare alla storia e, contemporaneamente, ho “partorito” una nuova versione che mi soddisfa abbastanza; spero possiate perdonarmi e avere pazienza, anche se ormai mancano pochi capitoli alla conclusione di questa fic e, quindi, mi auguro davvero di riuscire ad ultimarla prima della prossima sessione XD
Fine delle noiose comunicazioni di servizio, vi lascio al capitolo.
Buona lettura.



Capitolo 17 – L’Ordine della Fenice

 
 
Mentre si ride si pensa che c'è sempre tempo per la serietà.

(Franz Kafka, Diari)

 
 

13 marzo 1978
 
Ci sono state delle volte – diverse volte, in realtà, più di quanto la maggior parte della gente sarebbe pronta a scommettere – in cui mi sono reso conto che il mio infrangere le regole si stava spingendo un po’ troppo oltre quanto fosse mediamente consentito. Anche quando ero soltanto un bambinetto smilzo e chiassoso che si divertiva a sperimentare, ogni volta, quante nuove rughe riuscivano a comparire sulla fronte e ai lati della bocca della professoressa McGranitt prima che esplodesse pronunciando le fatidiche parole: “Signor Potter, punizione!”.
Se ogni giorno facevo casino per un minuto in più, il numero di rughe che compariva prima dell’esplosione diminuiva. Se invece per un paio di lezioni facevo finta di essere diventato improvvisamente buono e tranquillo, la volta successiva ottenevo quasi di tirarla per le lunghe fino al suono della campana. Ma non riuscivo quasi mai a farla franca. Perché l’adorata Minerva era capace di rincorrermi fino in capo al mondo, se necessario. Il numero di punizioni scontate per lei nei miei sette anni di carriera a Hogwarts era sostanzialmente infinito, anche se negli ultimi due le avevo dato parecchia tregua. Ora che ci penso, in teoria, la cara e dolce Minerva avrebbe dovuto abbracciarmi come un figlio e ringraziarmi perché, finalmente, mi ero deciso a darmi una calmata e a smetterla di tirare la corda contando le sue rughe.
Insomma, tutta questa pappardella per spiegare che in teoria anch’io, James Potter Malandrino di professione, so quando è il momento di fermarmi.
Solo che, alla fine, le circostanze non mi aiutano mai a concretizzare questa teoria. È per questo che finisco nei guai, non perché io sia così incosciente ed irresponsabile.
Qualche volta si tratta di Sirius, al quale non so mai dire di no.
Quando poi, finalmente, riusciamo a tirare in mezzo Remus, la voglia di non fermarsi raddoppia.
Senza contare che Peter ci incoraggia sempre, con il massimo dell’entusiasmo, e diventa davvero difficile deluderlo.
Ok, questa volta non c’era di mezzo nessuno di loro. Ho fatto tutto da solo.
In realtà non è proprio vero: la parte divertente, in questo ennesimo guaio in cui mi sono cacciato, è che Lily è colpevole almeno quanto me. Perciò, per una volta, non rischio di essere trucidato in Sala Grande o decapitato nel sonno o centrato da una raffica di  Bolidi liberati abusivamente mentre mi alleno nel campo di Quidditch.
Questo, devo ammetterlo, mi fa quasi venire voglia di ghignarmela immensamente.
Però poi ripenso alle rughe della McGranitt e al fatto che, con quelle rughe ben accentuate sul viso, ieri notte ci ha detto che verremo convocati da Silente.
A me sembra davvero molto, molto esagerato, che diamine.
Era più che sufficiente una semplice punizione, come le innumerevoli che già mi ha affibbiato nel corso degli anni. È vero, forse se n’è dovuta inventare talmente tante che ormai ha perso la fantasia. Però scomodare addirittura Silente …
… e va bene, lo sapevo che prima o poi questo momento sarebbe arrivato. Quello in cui il nostro amabile Preside, di fronte alla nuda e cruda realtà, dovrà rendersi conto di aver commesso un terribile errore e, di conseguenza, per quanto gli dolga, sospendermi dall’incarico di Caposcuola. Anzi, forse addirittura sostituirmi. Sostituirmi con Snivellus, perché no. Questo sì che mi farebbe desiderare istantaneamente la morte.
Però suvvia, non è che io abbia combinato dei disastri clamorosi in questi sei mesi d’incarico.
Sono sempre stato super-mega-gentile con gli studentelli del primo anno – sì, anche con i Serpeverde. Lily può testimoniarlo. Non ho reagito neppure quando quelli del nostro anno me ne hanno aizzati contro un paio durante un gruppo di ripasso prima delle verifiche trimestrali (questo, ovvero obbligarmi a tenere delle lezioni di ripasso di Trasfigurazione e Incantesimi a dei piccoli odiosi Serpeverde, è stato uno degli ultimi colpi di genio della McGranitt, prima che evidentemente la sua fantasia si esaurisse). Ho sempre scortato con garbo le scolaresche fino ai confini di Hogsmeade senza lanciarmi in avanti correndo come un ossesso per arrivare primo da Mielandia. Ho portato comunicazioni dall’uno all’altro professore, anche se Kettlebourne ogni tanto si spaventa ancora nel vedermi comparire nel suo ufficio. Non ho smesso di pattugliare regolarmente i corridoi neppure adesso che sto ancora scontando l’odiosa, ingiusta e meschina punizione di Slughorn, riuscendo comunque a mantenere alta la mia media scolastica. Insomma, finora sono stato un dio Caposcuola. Godric Grifondoro sarebbe stato fiero di me, eccome.
Nonostante ciò, sono stato così sfortunato da essere beccato in giro di notte oltre l’orario consentito in compagnia della mia ragazza.
Già, perché purtroppo non abbiamo il permesso di restare fuori dai dormitori tutta la notte. Le dieci erano passate da un pezzo quando è successo tutto il trambusto. Il motivo per cui ci siamo per così dire trattenuti, posso assicurarlo, non è colpa mia: è che Lily, ultimamente, con l’arrivo della primavera sta diventando assatanata. Giuro, non scherzo. E quindi cosa dovrebbe fare un povero diavolo come me, sobbarcato tutto il giorno di lezioni, allenamenti, punizioni e compiti, che per giunta la notte è costretto a rientrare in un dormitorio abitato da altri tre maschi russanti (e di conseguenza totalmente privo di privacy)?
Certo, non le ho detto di no. Anche se avevo guardato l’orologio e avevo visto che era tardi. Va bene tutto, ma non sono mica scemo. E non ho nemmeno l’autorità sufficiente a tenere fuori Sirius, Remus e Peter dalla nostra stanza durante il giorno. Sempre se avessi molto tempo per queste cose, durante il giorno.
Posso comunque assicurare che avevamo pattugliato tutti i corridoi e i piani di nostra competenza. Solo che, mentre ci accingevamo a tornare in dormitorio, ci siamo ritrovati a passare (grazie ad una scala che non ne voleva sapere di farci salire) nei pressi della Sala Grande. E lì è finalmente accaduta una cosa che in sei mesi non si era mai degnata di succedere: sono dovuto intervenire durante una ronda serale.
Anche se in teoria si era già conclusa da un pezzo, ma questi sono dettagli irrilevanti.
Insomma, quello che è successo è che, passando di lì, abbiamo sentito delle grida, e come dei pugni che battevano sul massiccio portone d’ingresso. Lily si è bloccata con un’espressione piuttosto terrorizzata e io, all’inizio, ho tentato di sdrammatizzare dicendole che, probabilmente, si trattava soltanto del Barone Sanguinario.
Ma i colpi non cessavano, le grida neppure, perciò cominciai a pensare che forse c’era qualche problema serio.
“Dobbiamo andare a vedere”, ho detto a Lily. Lei ha annuito e sfoderato la bacchetta, e io ho fatto lo stesso, dopo aver creduto per un attimo di averla persa – in realtà ce l’avevo nella tasca sbagliata. Ho messo via il Mantello dell’Invisibilità, dopodiché ci siamo avviati verso l’ingresso. Man mano che ci avvicinavamo, scendendo le scale di marmo dell’enorme atrio, ci rendevamo conto che le grida e i colpi dovevano provenire per forza da fuori. Qualcuno voleva entrare nel castello, disperatamente.
E chissà chi diamine poteva mai essere, a quell’ora di notte.
A un certo punto, però, la voce ha urlato “APRITE!”, e a me è parso proprio che fosse quella di Hagrid. Ho dato una gomitata a Lily e l’ho messa a parte del mio sospetto, evitando di soffermarmi sulla sua occhiata fulminante.
“Può darsi che tu abbia ragione, ma potrebbe essere una trappola”, mi ha risposto lei, in un sussurro.
“Lo so, ma Hogwarts dovrebbe essere ben protetta …”
“Non possiamo dirlo con sicurezza”.
“… inoltre, secondo te, quale persona con intenti poco amichevoli è così idiota da venire a bussare direttamente alla porta?”
“Dobbiamo fare in modo che si faccia riconoscere, potrebbe benissimo aver preso le sembianze di Hagrid per ingannarci”.
“Certamente. Qualche idea su come fare?”
Lily non ha risposto. I miei tentativi di rassicurare sia lei che me stesso non erano andati molto bene. Ci siamo avvicinati ancora di più, mentre il portone veniva scosso da colpi sempre più forti. Quell’idiota di Gazza, dove si era cacciato in un momento come questo? Non che potesse rivelarsi utile in qualche maniera, ma chissà perché, invece, quando ero io quello che faceva casino in giro per il castello lui finiva sempre per capitare dalle mie parti …
“APRITE!”
“Oh, accidenti, Lily, sembra nei guai, dobbiamo farlo!”
“E va bene, James, va bene! Ma tieni la bacchetta alzata, prima che questa si riveli l’idea peggiore che tu abbia mai avuto”.
Ovviamente non si trattava di un inganno. Era veramente Hagrid: siamo rimasti immobili per dieci secondi con le bacchette puntate, ma lui non ha fatto assolutamente niente di pericoloso. Si è limitato a guardarci con espressione disperata, chiedendo che lo portassimo da Silente.
Ho notato subito che trasportava una persona a forza di braccia: era una donna con uno scialle verde, in stato di incoscienza.
“Che è successo?” gli ho chiesto, incerto, mentre avanzavamo nella direzione dell’ufficio di Silente.
“Mi spiace, James, non posso dirvi niente”.
“Ma come? Quella donna è ferita? Sta bene?”
“Non lo so, è per questo che ho bisogno di Silente. Eravamo di pattuglia, stanotte, io e lei e Dedalus, e poi siamo stati attaccati, Emmeline ha perso i sensi e non ho idea di che tipo di incantesimo l’abbia colpita … sapete, io … sono stato espulso e certe cose … certe cose non le ho mai imparate …”
Gli occhi di Hagrid avevano iniziato ad inumidirsi di lacrime. Lily, a fianco a me, non diceva una parola.
“Non volevo che morisse solo perché io non sapevo cosa fare, lo capite, vero? È per questo che sono scappato, non perché avessi paura dei Mangiamorte. Ma quando sono arrivato davanti al portone di Hogwarts mi sono ricordato di aver perso le chiavi qualche giorno fa, per questo mi sono messo ad urlare … scu-scusate”.
A dispetto del fatto che avesse affermato di non poterci dire niente, Hagrid ci aveva appena raccontato tra le lacrime quasi tutto ciò che era successo. Quando eravamo quasi arrivati da Silente, tuttavia, abbiamo incontrato la McGranitt. È stata lei a prendersi carico di Hagrid, ma prima di allontanarsi con lui ci ha rispediti immediatamente a letto e ha detto che domani ci avrebbe portati dal Preside.
Lily ha continuato ad essere taciturna durante tutto il tragitto di ritorno fino alla Torre di Grifondoro e non sono riuscito a renderla granché partecipe della discussione – o meglio, del monologo – su quale diamine fosse questa segreta occupazione di Hagrid e sul perché si fosse trovato in una situazione del genere. Probabilmente, era preoccupata di vedersi revocare il distintivo di Caposcuola almeno tanto quanto me.

*


Il giorno dopo, mentre usciamo dalla lezione di Erbologia, Lily aspetta un po’ prima di farmi notare quanto sono stato eccezionalmente silenzioso durante tutta la prima ora della mattinata. Mi sono accorto che lei, dopo averci dormito su, sembra aver preso abbastanza con filosofia la convocazione di stasera nell’ufficio del Preside, non essendo incline all’impazienza come il sottoscritto; tuttavia, per me la faccenda è un pochino diversa. L’ultima volta che mi sono trovato faccia a faccia con Silente, lui mi ha praticamente riassunto la mia vita senza in realtà avervi mai preso parte in chissà che maniera.
“Lily”.
“Uh?”
“Non ti è mai capitato di essere convocata da Silente da sola?”
 “In effetti, ora che ci penso, no”.
“E la cosa non ti spaventa neanche un po’?”
“Non riesco a capire dove vuoi arrivare. Mi stai dicendo che dovrei avere paura?”
Mi stringo nelle spalle, lievemente contrariato.
“Io ne ho”.
Ride. Lo sapevo, che l’avrei fatta ridere. Mi si avvicina e mi prende sottobraccio, accarezzandomi una guancia con il dorso della mano.
“Povero piccolo. Non ti devi preoccupare, lo stregone cattivo non ti farà del male. Ci penserà la mamma a proteggerti …”
“Oh, come sei rassicurante. Non potresti mai sperare di trarre in inganno tuo figlio con questo tono così apertamente sarcastico”, borbotto, scuotendo la testa. Nonostante si tratti di una palese presa in giro nei miei confronti, non riesco a fare a meno di emozionarmi ancora per qualche stupida carezza. Sì, sono pazzamente innamorato, va bene? Non vedo perché io debba sentirmi così ridicolo. La gente cade dalle scale, si ustiona la lingua con il the bollente, riceve un predicozzo dalla Vector durante una lezione noiosa, si perde a Hogsmeade quando ci mette piede per la prima volta e si innamora anche … non è mica così anormale, la mia vita.
“Scherzi a parte, perché hai paura di Silente?” mi chiede Lily, ritornando immediatamente seria e fissandomi con la curiosità nello sguardo. Io cerco di tergiversare, bofonchiando qualche scusa e facendo smorfie incerte.
Ma lei non demorde.
“Dai, dimmelo. Non ti prendo in giro”.
Le riserbo un’occhiata scettica. Crede davvero che abbocchi così facilmente?
“Davvero. Promesso”.
“Aspetta a promettere. Devo assicurarmi che non incroci le dita”.
“I cinque anni li ho passati da un pezzo, James”.
“E va bene. Ma se sento anche solo un accenno di risata, avrai il piacere di farti un altro bagno insieme al sottoscritto”.
La osservo trasformarsi in una maschera di rossore e mi metto a gongolare silenziosamente. Evans zero, Potter uno.
“In fondo non dovrebbe dispiacerti, l’altra volta ci siamo divertiti”.
“L’altra volta mi hai tolto i vestiti di dosso contro la mia volontà!”
Due ragazze di Tassorosso del quarto anno ci passano di fianco guardandoci di sottecchi, nel tentativo di reprimere una risata maliziosa.
“Ben fatto, cara. Ora tutta la scuola penserà che sono uno stupratore provetto”.
“Che dovevo fare, inventarmi su due piedi una versione edulcorata della faccenda?”
“Ma hai rovinato la mia, di reputazione! Crederanno sicuramente che tu sia stata in grado di difenderti. Fidati, nessuno scoprirà mai che in realtà alla fine hai capitolato e sei scivolata in quella vasca di tua spontanea volontà …”
Non facciamo nemmeno in tempo a girare l’angolo che ci troviamo davanti un gruppo di ragazzi di Grifondoro del quinto anno, che cominciano a fischiare al nostro passaggio.
Mentre continuo a camminare, mi volto verso Lily. Sembra quasi non respiri, nello sforzo di trattenere la rabbia.
“Ti conviene stare molto attento alla prossima cosa che dirai, perché ho la bacchetta a portata di mano e non ho paura di usarla”, sibila, minacciosa. Io ridacchio, divertito.
“Grazie per avermi avvisato”.
“Non c’è di che!”
Imperturbabile, mi avvicino e le metto un braccio intorno alle spalle.
“Non vuoi sapere di Silente?”
“Oh, e va bene, va bene”.
Sogghigno sotto i baffi, soddisfatto. Evans zero, Potter due. Oggi è proprio la mia giornata.
Tuttavia, adesso viene la parte peggiore.
Ma James Potter è coraggioso. James Potter è l’orgoglio di Grifondoro. James Potter non ha paura del Preside.
“Uhm, ti ricordi di quando ti è arrivato il distintivo di Caposcuola?”
Lily annuisce.
“Come hai reagito?”
La osservo chinare la testa, facendo vagare lo sguardo sul pavimento in un attimo di incertezza.
“Beh, ho semplicemente tentato di nasconderlo alla mia famiglia, perché volevo evitare altre manifestazioni di gioia che avrebbero finito per farmi guadagnare di nuovo il disprezzo di mia sorella. Non volevo seccature, mettiamola così”.
Rimango a fissarla in silenzio, rendendomi conto che non mi aspettavo di certo una risposta del genere. Avevo già intuito varie volte che i suoi rapporti con la sorella non erano dei migliori, ma non avevo esattamente idea di che cosa ci fosse che non andava. Pensavo si trattasse di semplice antipatia familiare.
“Che aspetti? Va’ avanti”, mi riprende lei un attimo dopo, risvegliandomi di colpo dai miei pensieri. La mia innata sagacia mi permette di comprendere che non ne vuole parlare, perciò mi schiarisco la gola e ritorno al discorso iniziale.
“Bene, ecco, la mia reazione è stata di pensare che Silente fosse diventato pazzo. Gli ho scritto per chiedere chiarimenti e lui si è presentato a casa mia, abbiamo parlato e … a parte il fatto che è veramente pazzo, mi ha detto delle cose di me, che non ho mai capito da che cosa abbia potuto dedurre …”
Lily inarca lievemente un sopracciglio.
“Che Silente sia un Legilimens molto abile non è certo un mistero”.
“Sì, ma se mi ha già esaminato i pensieri una volta niente gli impedisce di farlo di nuovo, e se lo fa, addio al nostro piccolo segreto”.
“Vuoi dire Remus?”
“Aha”.
“Quindi vorresti metterti a studiare Occlumanzia in vista della convocazione di stasera?”
“No, no … sono solo un po’ nervoso”.
Mi infilo le mani in tasca, rallentando il passo. Lily mi getta un’occhiata di sbieco.
“Cosa ti ha detto Silente di così terribilmente scioccante?”
“Beh, ecco, niente di che … mi ha detto che ho scarsa stima di me stesso, che sono maturato in questi anni, e poi qualcosa a proposito della necessità di gettare la mia vecchia maschera”.
Lily assume un’espressione intenerita. Io mi sento terribilmente in imbarazzo. Non mi piace pensare a com’ero e a come mi comportavo prima di arrivare a capire che in quel modo ottenevo soltanto di farmi detestare da lei, e soprattutto non mi piace ricordarglielo. Probabilmente avrà anche fatto fatica a sopportare tutte le volte in cui le sue amiche saranno andate a chiederle cose del tipo “Ma stai davvero con quell’idiota di James Potter? Ma mica lo odiavi?”. Insomma, sono a disagio. Profondamente a disagio.
“Chissà che faccia devi aver fatto, povero piccolo”, mi dice lei, accarezzandomi la nuca. Io stringo le labbra. I suoi istinti materni oggi sembrano essere particolarmente acuti.
“Dev’essere stato traumatizzante sentirsi dire la pura e semplice verità, in effetti”.
“Non puoi capire. Tu magari te l’aspettavi, io non me l’ero nemmeno mai sognato di diventare Caposcuola. Mi sarei stupito di meno se mi avessero detto che Vitious è cresciuto di trenta centimetri”, bofonchio, indispettito. Lei mi sorride, tenendomi la mano.
“Beh, mi pare che finora tu non ti sia rivelato proprio un completo disastro. Perciò smettila di essere così pessimista, muovi le gambe e andiamo in classe”.
E va bene, va bene. Evans uno, Potter due. Ma quello in vantaggio, per il momento, sono sempre io.
 
*

Ultimamente mi succede spesso di trascorrere una quantità considerevole del mio tempo insieme a James, Sirius, Peter e Remus. Non saprei dire con esattezza come ho fatto ad entrare nel giro, ma probabilmente è stato merito di James: se lui non avesse deciso di darmi fiducia agli occhi di tutti loro mettendomi a parte dei loro segreti, non credo che mi avrebbero mai accolta in maniera assoluta all’interno della cerchia più esclusiva di tutta Hogwarts. L’alone di mistero che li ha sempre circondati ha inevitabilmente interessato anche me, ogni tanto; era impossibile non domandarsi mai per quale motivo, a un certo punto, avessero iniziato a chiamarsi con degli strani soprannomi, o perché trovassero così interessante andare sempre in giro per la scuola. Ora che so tutto, inevitabilmente, non posso più considerarmi una Caposcuola ligia al dovere. O forse, addirittura, dovrei iniziare a definirmi – come dice James – il quinto Malandrino.
Merlino, chi l’avrebbe mai detto che sarei finita in una situazione del genere.
In ogni caso, questo nuovo cambiamento è piacevole: tutti e quattro messi insieme sono spassosi e non cessano di esserlo neppure a fine giornata. Sono terribilmente diversi l’uno dall’altro, eppure condividono gli stessi ideali: è proprio per questo che io e James non abbiamo avuto un attimo di esitazione nel correre da Sirius, Remus e Peter per metterli al corrente di quanto Silente ci ha rivelato durante il colloquio.
“Siete sicuri di potercene parlare?” domanda Remus, con aria lievemente incerta. Io faccio un gesto con la mano per tranquillizzarlo.
“Puoi contarci, ci ha detto lui di discuterne con chi avessimo ritenuto degno di assoluta fiducia”.
Lui annuisce, dopodiché restiamo in silenzio per qualche secondo, seduti sopra i letti del dormitorio maschile del settimo anno. La confusione regna sovrana: cuscini sulle scrivanie, libri gettati dentro i calderoni di Pozioni, pacchetti di caramelle di Mielandia sopra pile di calzini piegati, figurine delle Cioccorane appiccicate sulle testate dei letti, il manico di scopa di James infilato nel portaombrelli e agghindato con un cappello e una sciarpa di lana. Sospiro tra me, rassegnata; in fin dei conti, non c’era un altro luogo privato dove svolgere quella conversazione senza infrangere il coprifuoco serale.
“Beh, dai, non teneteci sulle spine”, ci esorta Sirius. “Siete riusciti a capire cosa sia successo esattamente ieri notte?”
“Sì, diciamo di sì”, gli rispondo io. “La donna che Hagrid ha portato al castello si chiama Emmeline Vance ed è una persona che Silente conosce molto bene. È stata ferita durante uno scontro, ma Silente e la McGranitt l’hanno soccorsa in tempo. Ora si trova al San Mungo e dovrebbe essere fuori pericolo”.
“E perché Hagrid diceva che non poteva raccontarvi niente, se Silente invece l’ha fatto?” domanda Peter, curioso.
“È una storia piuttosto lunga”, gli rispondo. “Spieghi tu, James?” lo invito, allungandogli un buffetto sul braccio. Ci scambiamo un’occhiata d’intesa, dopodiché lui inizia il suo discorso, calandosi in pieno nella sua nuova parte: quella della persona seria.
“Insomma, ragazzi … Silente ci ha raccontato un po’ di cose, cose terribili, a dire la verità. Dice che tutte quelle sparizioni misteriose, di cui parla il Profeta, sono persone che vengono messe fuori gioco da un solo mago, quello che chiamano Colui-che-non-deve-essere-nominato”.
“Nessuno conosce il suo vero nome?” domanda Peter.
“Voldemort. Si fa chiamare così”, risponde Sirius, attirando tutti gli sguardi su di sé. Lui si stringe nelle spalle, ostentando noncuranza.
“Non stupitevi se vi dico che la mia famiglia lo sostiene da sempre. Sperano che dia una bella ripulita al mondo magico, cacciando dalla comunità tutti i figli di Babbani”.
“Allora è per questo che tuo fratello sta con quella gente?”
“Probabile, anche se principalmente credo che lo faccia perché è un povero scemo bisognoso di sentirsi qualcuno. Ma, ehi, qui stiamo uscendo fuori tema. Dicevi, James?”
Lo osservo prendere fiato, per l’ennesima volta.
“Insomma, Silente ha detto che Voldemort …”
“Non chiamarlo così, James, mette i brividi”, implora Peter, con aria preoccupata.
“Andiamo, Wormtail, se lo nomini non si Materializzerà di certo davanti a te!” sbotta Sirius, sarcastico. Peter assume un’aria contrita.
“Ci sarà un motivo se nessuno lo chiama per nome …”
“Non fa niente, non è questo il punto”, riprende James. “Il fatto è che la situazione è molto più grave di quello che scrivono sui giornali. Voi-sapete-chi non ha solo intenzione di conquistare il mondo magico: ha anche intenzione di distruggere ogni contaminazione esistente fra i maghi e i Babbani. Un sacco di sparizioni e omicidi di Babbani sono collegate a lui, anche se i nostri giornali non ne parlano. Inoltre, sta arruolando seguaci ovunque. Vuole avere dalla sua parte i Giganti, i Dissennatori, i Vampiri e perfino gli studenti di Hogwarts – quelli che secondo lui ne sono meritevoli, ovviamente”.
“E vogliamo provare ad indovinare quali siano questi studenti?” domanda Sirius, retorico.
“Intendi quelli di Serpeverde?” risponde Peter. “Sarebbe per questo che hanno sempre quell’aria cospiratoria e che si fanno chiamare ‘gli aspiranti’, perché vogliono unirsi a Voi-sapete-chi?”
“Esatto. Aspiranti Mangiamorte. È così che si definiscono i seguaci di Voldemort – ehm, sì, scusa, Pete. Comunque, Silente ha detto che i Mangiamorte non sono così pochi come si legge sui giornali. Un sacco di persone nel mondo magico stanno iniziando ad unirsi a Voi-sapete-chi, perché pensano che le sue idee siano giuste”.
“Prongs, noi potremmo fare dei nomi a Silente senza pensarci due volte”.
“Gliel’ho detto anch’io, ma ha ragione lui … non si può agire preventivamente contro qualcuno. In fondo, noi non abbiamo prove. Sappiamo che usano le Arti Oscure, ma non assisteremo certo alla loro iniziazione”.
Non posso fare a meno di pensare che Severus sia uno di loro, e a quest’idea mi si stringe il cuore. Non so davvero come ho fatto a non rendermene conto fin dall’inizio, come ho potuto essere così cieca ed ingenua.
“Ad ogni modo, la donna che ieri sera è stata portata al castello da Hagrid è rimasta ferita in uno scontro con i Mangiamorte. Silente ci ha raccontato tutto perché ormai avevamo visto e sentito ogni cosa, ma poi il discorso è andato avanti. Ed è ora che inizia la parte più interessante”.
Il silenzio che è calato nella stanza è oltremodo innaturale. In tutte le mie visite al dormitorio maschile non ho mai sentito una tale calma, neppure nei momenti in cui abbiamo deciso di dedicarci allo studio. Hanno tutti assunto la stessa espressione concentrata.
“Silente ci ha spiegato che Emmeline Vance è rimasta ferita non perché sia capitata per caso sulla strada dei Mangiamorte, ma perché ha scelto di far parte di un’organizzazione che cerca di combattere Voldemort”.
Mi soffermo ad osservare James, rendendomi conto che quasi non sembra lui. Non c’è più alcuna traccia, sul suo volto e nel suo tono di voce, della sua abituale ironia fanciullesca. Mi sembra quasi di avere accanto un’altra persona, più adulta, più matura.
“Che genere di organizzazione?” domanda Remus.
“Niente di ufficiale. Non dipendono dal Ministero. Silente ha radunato intorno a sé gente di cui sapeva di potersi fidare, persone che non avevano dubbi riguardo alla parte da cui stare. L’ha chiamato l’Ordine della Fenice”.
“E cosa fanno di preciso?” chiede Peter.
“Beh, un sacco di cose”, risponde James. “Si infiltrano fra i Mangiamorte, fanno in modo di prevedere i loro piani. Proteggono chi si trova in pericolo. Cercano di evitare che la gente passi dalla parte di Voldemort. Si impegnano per togliergli ogni arma possibile, insomma”.
Sirius, improvvisamente, solleva un angolo della bocca in un sorriso sghembo, guardando James negli occhi.
“Credo di aver capito dove vuoi arrivare”, gli dice, e James in tutta risposta esibisce un sorriso molto simile, quasi speculare. È incredibile il modo in cui questi due si riescono ad intendere all’istante.
“Insomma, qualcuno vuole spiegare anche a noi?” chiede Peter, impaziente.
“Abbiamo chiesto a Silente di entrarci”, gli spiego io. Lui sgrana gli occhi, sorpreso.
“Cosa … perché?”
“Beh, perché sarebbe sicuramente meglio che stare a guardare”, risponde James, semplificando in maniera efficace il moto impulsivo che ci ha spinti, dopo esserci scambiati un’occhiata, a non trattenerci dal fare quella proposta al Preside.
“Ma sarà pericoloso”, obietta Peter.
“Sarà pericoloso in ogni caso, una volta che saremo usciti da Hogwarts. Chi non è con lui è contro di lui, e non credo proprio che nessuno di noi intenda stare dalla sua parte”.
“Questo è assolutamente fuori discussione”, commenta Remus, dando verosimilmente voce ai pensieri di tutti, nonostante nessuno di noi, probabilmente, avesse mai pensato ad attuare una prospettiva del genere una volta fuori da Hogwarts. Qui dentro siamo ci sono mille cose di cui occuparsi che non riguardano il mondo esterno, e noi siamo ancora gli studenti che beneficiano della protezione degli adulti, anche se siamo ormai quasi tutti maggiorenni. Ma il giorno dopo il diploma ci ritroveremo abbandonati a noi stessi, fuori da queste mura, armati soltanto delle nostre bacchette e di ciò che avremo imparato qui dentro.
“C’è dell’altro, James?” chiede Remus, risvegliandomi dai miei pensieri.
“Silente era contento della nostra proposta, ma ha detto che dobbiamo pensarci bene. L’importante è mantenere il segreto e avere coscienza della responsabilità che comporta una scelta di questo genere”.
“Quindi potremo riparlarne una volta finiti gli esami”, osserva Remus.
“Sì, penso sia meglio così”, rispondo io, poi torno a guardare James negli occhi; fino a quel momento abbiamo parlato entrambi, cercando di usare un tono consono ma non eccessivamente allarmante, però ora ho bisogno di sentirmi rassicurata dal suo sguardo, di leggervi calma e sicurezza. Dalla sua espressione mi accorgo che lui sta cercando la stessa cosa in me, perciò finiamo per rinfrancarci silenziosamente a vicenda, rendendoci conto che abbiamo entrambi paura del futuro, di quel futuro.
Stringo forte le dita intorno alle sue. È l’unica strada possibile: nessuno di noi due accetterebbe mai di stare dall’altra parte.
Immagino che sia anche per questo che lo amo.
“Comunque, per quanto mi riguarda è già deciso”, sentenzia Sirius, con solennità. “Combatteremo insieme e poi probabilmente faremo una fine orrenda, ma non prima di aver spaccato il culo ad un bel po’ di Mangiamorte”.
James scoppia a ridere e l’attimo dopo lo imitano tutti quanti, rompendo così la cappa di tensione che fino a quel momento gravava su di loro. Forse è la reazione più giusta, per quanto le parole di Sirius non avessero il sapore di una battuta: per il momento siamo ancora a Hogwarts, possiamo concederci senza troppi rimorsi gli ultimi mesi di spensieratezza.
Mi ritrovo ad accarezzare il braccio di James con aria distratta, trovando conforto nel suo sorriso di gratitudine per quel piccolo gesto.







Oh, all that I know
There’s nothing here to run from.
'Cos yeah, everybody here's got somebody to lean on.
(Coldplay, Don’t panic)

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