L'onore degli yaut'ja

di Aesir
(/viewuser.php?uid=131092)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Scena Uno (I): LA CACCIA ***
Capitolo 3: *** Scena Due (II): LA PROFEZIA ***
Capitolo 4: *** Scena Tre (III): LA SCOPERTA ***
Capitolo 5: *** Scena Quattro (IV): I MOSTRI ***
Capitolo 6: *** Scena Cinque (V): L'INVASIONE ***
Capitolo 7: *** Scena Sei (VI): LA MISSIONE ***
Capitolo 8: *** Scena Sette (VII): IL RAPIMENTO ***
Capitolo 9: *** Scena Otto (VIII): IL CACCIATORE ***
Capitolo 10: *** Scena Nove (IX): L'INIZIATA ***
Capitolo 11: *** Scena Dieci (X): L'ADDESTRAMENTO ***
Capitolo 12: *** Scena Undici (XI): LEZIONI DI SCHERMA ***
Capitolo 13: *** Scena Dodici (XII): IL CORRIDORE ***
Capitolo 14: *** Scena Tredici (XIII): IL TRIBUTO ***
Capitolo 15: *** Scena Quattordici (XIV): IL SIMBOLO DEL GUERRIERO ***
Capitolo 16: *** Scena Quindici (XV): LA SOGLIA DEL DOLORE ***
Capitolo 17: *** Scena Sedici (XVI): LO SFREGIATO ***
Capitolo 18: *** Scena Diciassette (XVII): IL CONDIZIONAMENTO ***
Capitolo 19: *** Scena Diciotto (XVIII): LA DEBOLEZZA UMANA ***
Capitolo 20: *** Scena Diciannove (XIX): LA PREDA PERFETTA ***
Capitolo 21: *** Scena Venti (XX): QUESTIONI D'ONORE ***
Capitolo 22: *** Scena Ventuno (XXI): PERCHÉ CACCIAMO ***
Capitolo 23: *** Scena Ventidue (XXII): TORNANDO SULLA TERRA ***
Capitolo 24: *** Scena Ventitrè (XXIII): PRESAGI DI MORTE ***
Capitolo 25: *** Scena Ventiquattro (XXIV): OMBRE ***
Capitolo 26: *** Scena Venticinque (XXV): IL MASSACRO ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo: TENEBRE
 
“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo”’

Cesare Pavese, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
 
 

L’alieno si faceva strada lentamente lungo la landa deserta.
Sapeva che quel pianeta, un tempo, era verde e fertile.
Ora non lo era più.
Al posto delle piante, si scorgevano strane costruzioni in un materiale resinoso nero.
I kainde amedha ricoprivano tutto ciò che trovavano di quell’orrenda sostanza scura e leggermente friabile quando era secca.
Il terreno scricchiolava mentre mezza tonnellata di muscoli e armatura metallica si facevano strada attraverso la landa desolata.
La creatura si fermò vicino ad un masso che sporgeva dal terreno.
Normalmente in quella stagione avrebbe fatto caldo, ma una fitta nebbia fredda copriva ogni cosa.
Era appena piovuto, e il terreno fangoso aveva un’aria malsana.
Come tutto, d’altronde.
Si guardò intorno, avvertendo un moto di compassione per il destino di quel mondo, così simile al suo.
La corazza tintinnò leggermente mentre la creatura si sedeva.
Rimase un attimo immobile, poi fece scattare i sigilli e si tolse la maschera.
La prese in mano la guardò un attimo e poi con un moto di odio la scaraventò al suolo.
Il bioelmo cadde nel fango senza essersi fatto neanche un graffio.
L’essere sospirò.
Non sarebbe dovuto essere questo il suo destino.
Fissò intensamente il bracciale attorno al polso, ci fece scorrere sopra la mano, poi si fermò.
No.
Era uno yaut’ja.
 
Non poteva fare una cosa del genere.
No.
Sapeva che cosa era successo, lo sapeva fin troppo bene.
Fissò mestamente il fodero a gamba, sguainò il pugnale cerimoniale e osservò un attimo la luce che, da uno squarcio tra le nubi si rifletteva sulla lama.
Avvertiva un peso, dentro di sé, e sapeva anche cos’era.
Avrebbe voluto piangere, come facevano gli umani, ma non ne era capace.
Era uno yaut’ja.
 
Era una cosa odiosa non essere in grado di liberarsi da una costrizione.
Sarebbe stato così semplice attendere lì seduto che la morte venisse a prenderlo.
Magari sotto forma di una delle oscure creature che aveva intravisto e che, memori delle precedenti esperienza, prudentemente si tenevano alla larga.
Sarebbe stato semplice, sì.
Ma non poteva finire così.
Era uno yaut’ja.
 
Si rialzò.
Mentre si allontanava, raccolse la sua maschera.
Prima di indossarla fece scorrere la mano sui fregi all’esterno, e questo atto da solo gli diede coraggio.
Sfoderò le lame da polso e già si sentì meglio.
Camminando, passò vicino ad un ruscello.
Sulla sponda c’era una sorta di contenitore umano dagli alti bordi.
Osservò l’interno, vi era dell’acqua sporca e molte piccole creature, munite di solo le due zampe posteriori, il corpo relativamente fragile e una coda con cui si spingevano.
L’ambiente in cui erano cresciuti, a quanto pare, era estremamente fragile, e avrebbero avuto scarse probabilità di sopravvivenza.
L’essere afferrò il contenitore e lo rovesciò nel fiume, badando a farvi cadere dentro tutti gli animaletti.
Li osservò scivolare via.
Se creaturine tanto deboli e indifese erano riuscite a sopravvivere in un ambiente così sfavorevole, anche un essere grande e possente come lui poteva farcela.
Per la prima volta, dietro la fredda maschera, sorrise.
Era uno yaut’ja.
Sì. 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Scena Uno (I): LA CACCIA ***


Atto Primo
 
PRIMAEVAL
 
“I Cacciatori insegnarono alle Prede l’arte di costruire[…] le Prede si inchinarono alla loro  divinità .”
 
Iscrizione ritrovata su un frammento di lastra nei pressi della Piramide di  Huitzilopochtli, Messico.
 
“I Deboli saranno abbattuti
dalla mano dei Demoni.”
 
Iscrizione ritrovata su un frammento di lastra nei pressi della Piramide di  Huitzilopochtli, Messico.
 

Scena Uno (I): LA CACCIA
 
12.000 anni fa, Nord Europa.
 
Una forma immobile nella tundra eurasiatica.
Non uno spettacolo inusuale.
Ad apparire strana era l’identità della vittima.
I grandi leoni che vivevano nelle caverne, di un terzo più grossi dei loro consimili africani, erano i predatori più feroci in quella parte del mondo.
Ma quell’esemplare non avrebbe più potuto essere feroce con nessuno.
Particelle gelide coprono leggermente il manto biancastro e leggermente maculato e sugli occhi spalancati.
“Crrrrhhh…”
L’aria tremò mentre una forma trasparente si materializzava dove prima c’erano solo turbini di fredda neve.
Lo yaut’ja si chinò ed estrasse la lancia dal corpo della sua vittima.
Ripulì leggermente la punta dell’arma e poi la ripose.
Pose la mano sul capo del felino abbattuto e staccò la testa.
La ripose, in attesa di poterla ripulire con calma.
Si udì uno scricchiolio.
La creatura balzò in piedi, scandagliando l’ambiente con il filtro termico.
 
L’uomo si immobilizzò dietro un albero.
Aveva messo in allerta la presenza.
Egli non sapeva che cosa sia.
Ma nella sua lunga vita di trent’anni aveva imparato che i grandi leoni erano dei nemici invincibili.
Forza naturali alle quali era meglio sottomettersi se volevano qualcosa.
La tua caverna.
La tua preda.
Uno dei tuoi familiari.
Ora aveva visto il leone morire e poi comparire qualcosa tra la neve turbinante.
Qualcosa dove era certo che prima non ci fosse nulla.
Allungò una mano per asciugarla sulle sue rozze vesti di pelle, per poi fregarsi gli occhi.
No, la presenza era ancora lì.
Questo andava oltre la comprensione del cervello dell’uomo.
Si girò per fuggire.
Fu allora che calpestò un bastoncino seminascosto nella neve.
Si girò in preda al panico.
La creatura svanì di nuovo.
Gli occhi brillarono di giallo.
L’uomo corse.
Corse come non aveva mai fatto, come se avesse avuto un branco di mammouth inferociti alle spalle.
All’improvviso una presa fortissima alla gola.
Venne sollevato da terra.
 
Lo yaut’ja osservava la creatura stretta in mano.
Non era particolarmente forte, non avrebbe potuto di certo essere paragonata a quella uccisa prima.
Eppure, l’alieno riconosceva qualcosa, in quell’essere.
Un grosso cervello.
Intelligenza.
Caratteristiche riscontrate prima solo in alcune creature acquatiche di quel mondo.
Ma sapeva che la civiltà più facilmente si sviluppa in animali terrestri.
Avrebbe potuto essere importante.
Avrebbe potuto essere un’altra Preda.
Utile per inseminare i kainde amedha.
“Crrrhh…” lo yaut’ja lasciò andare l’umano, che cadde a terra stringendosi la gola.
Aprì il computer da polso e lo usò per informare l’astronave madre, che attendeva in orbita, della scoperta.
Ma prima…
Si voltò e bloccò il polso della creatura, che stava cercando di colpirlo con un pugnale fatto di selce.
Sentì le ossa spezzarsi sotto la sua presa.
L’uomo urlò.
Sì, erano decisamente bellicosi.
Sfoderò le lame retrattili dal braccio e le piantò nello stomaco della creatura.
Quando questa si piegò in due le usò per staccargli la testa.
Ringhiò, poi sparì, lasciando al proprio posto solo una chiazza d’aria leggermente scintillante.
Scomparve nel turbinare della neve.
Poco dopo, un’astronave si sollevò dal terreno e svanì nel cielo.
Nello spazio infinito
Chissà quante volte gli umani avrebbero alzato gli occhi, sognando di scoprire che cosa ci fosse al di là di quella coltre nera.
E non immaginando neppure che, forse, sarebbe stato meglio non saperlo… 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Scena Due (II): LA PROFEZIA ***


 Scena Due (II): LA PROFEZIA
 
Passarono migliaia di anni.
I ghiacciai immensi che ricoprivano buona parte dell’emisfero nord del pianeta si erano sciolti.
Una specie si era imposta sulle altre, fino a soggiogarle e a controllare le risorse di questo mondo.
Grandi civiltà erano sorte, fiorite e avevano lasciato spazio ad altre più avanzate.
Di recente, l’umanità addirittura aveva fatto i primi passi nella conquista di quello spazio celeste, tanto agognato.
Ma sempre l’uomo aveva cercato di dimenticare ciò che era, una specie nuova… e fragile.
Un animale come gli altri, parte di un ecosistema.
E tutti gli ecosistemi sono vulnerabili.
Vulnerabili all’invasione di una specie esterna.
Gradualmente, gli umani avevano dimenticato tutto ciò.
Dimenticato gli dei del passato
E dimenticato che, finchè vivevano, vivevano in un tempo preso a prestito ad altre specie.
E non sapendo, che avrebbero dovuto restituirlo…
 
Giorno d’oggi, sito di scavo di Tenochtitlàn, Messico, Terra
 
Dopo giorni e giorni di infruttuose ricerche, finalmente la svolta!
Gli archeologi parlavano concitatamente fra di loro, complimentandosi l’un l’altro.
Vennero stappate bottiglie, addirittura una di costoso champagne francese tenuta miracolosamente al fresco, dono di uno degli sponsor, un grasso uomo d’affari, forse americano, che fumava in continuazione un sigaro e che quella mattina era venuto di persona a complimentarsi.
Che grande giornata che era!
E dire che era cominciato tutto per caso…
Uno di loro che, mentre non potevano scavare per mancanza di fondi, si era messo a passeggiare.
Si era imbattuto nei resti di un sito di qualche anno prima.
Erano circolate parecchie storielle su quell’avvenimento.
Uno stimato archeologo scopre all’interno di una piramide di centinaia di anni fa, un tappo di Pepsi Cola!
Il video del ritrovamento era stato per un po’ di tempo un cult su internet.
Poi la gente, anche a causa della  misteriosa sparizione di Sebastian De Rosa, lo scienziato incaricato del progetto, aveva cominciato a perdere interesse.
Le reti televisive erano scomparse dal sito archeologico.
Non c’era più nessuno da prendere in giro…
Ma ora!
Un giovane ricercatore si era imbattuto in dei frammenti di roccia, su cui si distingueva la scritta, in caratteri aztechi, “In questo cinquecentesimo anno dalla caduta …” poi si interrompeva, ma era comunque straordinario.
Inoltre, al posto delle “classiche divinità si scorgevano solo i disegni di strani dei che combattevano contro mostri mitologici.
Erano riusciti con una sbalorditiva facilità, rispetto a prima, a raggranellare fondi, e ora, in presenza di ben tre reti televisive, il medesimo ricercatore stava traducendo tutti i frammenti che avevano trovato… senza dubbio un testo assai lungo.
“Ecco… vedete questo carattere… è leggermente rovinato dal tempo, ma leggibile… c’è scritto <I Cacciatori insegnarono alle Prede l’arte di costruire> e più avanti <le Prede si inchinarono alla loro divinità>
“Che significa?” chiese un giornalista con un cappello da sole e occhiali scuri.
“Chi sono questi Cacciatori a cui allude il testo?
Degli dei?”
“Probabilmente sì, ma senza ulteriori ricerche non possiamo dirlo.” rispose il giovane archeologo, sentendosi estremamente professionale.
Si stava godendo il suo momento di gloria.
Per la prima volta da quando partecipava agli scavi avrebbe voluto essere meno impolverato, indossare qualcosa di meglio di una maglietta, pantaloncini corti e un paio di vecchie scarpe da ginnastica, e magari aver avuto il tempo di farsi una doccia.
“ Ecco, guardate… quest’altro dice <Sebbene nascano dai corpi di uomini e donne di umano i Demoni non hanno nulla.>
Nonostante non si vedessero altro che ghirigori incomprensibili e quasi del tutto cancellati, subito gli operatori si sbrigarono ad inquadrare il frammento.
 
Ore dopo, era calata la sera.
Alcuni archeologi si stavano attardando a rimettere a posto i tavoli, riporre i tendoni e soprattutto coprire gli scavi.
I ladri di reperti erano purtroppo un problema ancora attuale.
Lo stesso giovane che poche ore prima era apparso in televisione si sentì battere una mano sulla spalla.
“Allora, amigo, ce l’hai avuto il tuo momento di gloria, eh!”
“Ràmos, piantala, ti ho detto mille volte di non fare così, sto trasportando roba fragile!”
Si aggiustò gli occhiali sul naso.
L’altro replicò con un sogghigno: “Sai perché pensavo che ti sarebbe interessato vedere quello che abbiamo trovato… pensavamo fosse senza valore… figurati che uno di quei giornalisti ci si è pure seduto sopra!”
Ma il giovane non  ascoltava più.
Si mise a correre verso il gruppo degli altri archeologi.
 
“Fatemi vedere… cos’è?”
“E’ una lastra” replicò qualcuno “quella da dove è stato copiato quel pezzetto che hai trovato… o magari è questa ad essere stata copiata chissà…”
Ma nessuno ascoltava.
Tutti fissavano la superficie della roccia.
“Guardate com’è conservata…”
Chiari come il sole, brillavano i segni, scritti centinaia di anni prima, eppure perfettamente leggibili.
Ma soprattutto ad attirare l’attenzione fu ciò che c’era scritto.
“Una profezia!”
 
“In questo cinquecentesimo anno
dalla caduta dell’Unico Mondo
i Cacciatori
torneranno ancora sulla Terra,
dai vascelli del cielo
per restaurare il loro onore
calpesteranno i loro nemici
e daranno le Prede in pasto
ai Demoni”
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Scena Tre (III): LA SCOPERTA ***


 Scena Tre (III): LA SCOPERTA
 
Londra, Terra
 
“Allora, non avete capito? Muovetevi!”
Il capocantiere strillava con tutte le proprie forze.
Come se ce ne fosse bisogno, pensavano gli operai.
In quell’estate insolitamente calda, poi, non era il massimo stare a lavorare all’aperto, con quel clima e con solo una striminzita tettoia a proteggere dal sole durante le pause.
“Meno male che domani è sabato…” disse uno dei lavoratori ad un compagno.
“Già…senti, tu ci vieni alla partita, domenica?”
E già subito le condizioni ambientali erano dimenticate, scacciate dall’imminente pensiero del divertimento che li attendeva…altro che costruire un nuovo ramo della metropolitana…come se a Londra non ce ne fossero già…
All’improvviso si sentì un frastuono e uno degli operai gridò “Ehi, venite qui…tutti!”
Concitati i lavoratori si riunirono.
Tutto il suolo, in quella determinata zona, era franato verso l’interno, sprofondando di diversi metri.
“Pensate che sia una grotta naturale?”
“Ma che ci fa qui?”
Dicevano gli operai.
Il capocantiere giunse tutto trafelato e sbraitò “E allora che cosa state…” ammutolì vedendo il crollo.
“Sentire ragazzi” continuò “datemi una corda, così posso calarmi a vedere…”
Detto e fatto, il robusto uomo è calato nella fenditura.
“Allora…cos’è?”
L’uomo non rispose.
Quel luogo sembrava al di là delle sue capacità di comprensione.
Incredibile.
Non può esistere qualcosa di simile, pensò.
Chi potrebbe permettere una mostruosità del genere?
Finalmente ritrovò l’uso della parola.
“E’ meglio che veniate a vedere… tutti!”
“E gli scavi?” fece il suo assistente, un tipo che anch’egli pur apprezzandone la pignoleria e la meticolosità quando si trattava di pianificare, non esitava a definire un rompiscatole coi fiocchi.
“Fanculo gli scavi!” fu l’incredibile risposta.
Gli operai si guardarono l’un l’altro sconcertati.
Per il gran capo gli scavi venivano come prima, seconda e ultima cosa, Natale, Capodanno e Pasqua inclusi.
Doveva esserci qualcosa di davvero straordinario per giustificare tutta questa attenzione.
 
La grotta non era naturale.
No di certo.
Magari un tempo lo era stata, ma si vedeva che era stata ampliata meccanicamente.
Ma non era questa la cosa più straordinaria, quanto che sulle pareti si scorgevano macchinari ignoti e scritte in una lingua sconosciuta.
Le pareti erano ricoperte di un materiale duro e nero… sembravano le costole di qualche animale…
Strani oggetti a forma di fungo che spuntavano dal pavimento, fondendosi a macchinari ignoti… le reliquie di un’avanzatissima razza, della quale oggi non resta nulla.
Quegli umano neanche riuscivano ad immaginare, da quanto tempo fosse lì la struttura… millenni, milioni di anni forse… in attesa che loro la scoprissero.
I lavoratori osservavano a bocca spalancata tutto ciò, finchè…
…qualcosa non ruppe l’incanto.
Si udì il suono di qualcuno che cadeva a terra seguito da un’imprecazione.
Evidentemente uno degli operai si era appoggiato ad una delle varie macchine.
“John, guarda che cosa hai combinato…”
“Sei il solito incapace!”
“Avremmo dovuto lasciarti di sopra!”
“Non è stata colpa mia” si difese l’uomo “e tanto poi queste macchine non torneranno mai in funzione…non c’è da preoccuparsi…”
“Vabbè ma stai più attento la prossima volta, dannazione!”
Accettate le scuse i lavoratori discussero sul dafarsi e tornarono in superficie, pronti ad annunciare la scoperta alle autorità…dopo una meritata notte di riposo.
Forse le cose sarebbero andate in maniera diversa se la faccenda non avesse preso questa strada.
Ma ormai è inutile rinnegare il passato, poiché questo non può cambiare.
E’ una cosa che spesso ci si chiedeva, se la storia possa essere diversa se non fossero accaduti determinati avvenimenti: la morte di Giulio Cesare, la sconfitta di Napoleone a Waterloo e si potrebbe continuare.
Su questo, innumerevoli scrittori avevano costruito le loro prolifiche carriere.
Tuttavia, nessun avvenimento avrebbe influenzato di più la storia del pianeta come quello che già era stato messo in moto da un gruppo di operai inconsapevoli…
 
Nella sala, prima vuota, un lampo saettò nell’aria.
Poi un altro.
Un altro ancora.
Con un movimento meccanico un’intera sezione del pavimento si scostò, dividendosi in tasselli, rivelandola struttura circostante.
Una nera creatura attendeva lì sotto.
Era alta almeno cinque metri, completamente nera.
Una lunga coda si intravedeva dietro di lei, con spuntoni cornei nella parte superiore.
Il corpo è allo stesso modo slanciato, con sei grossi aculei disposti come ali sopra le spalle.
Le zampe posteriori erano lunghe con le ginocchia ripiegate all’indietro.
Quelle anteriori allungate e dotate di dita artigliate.
Sul torace si scorgeva un altro paio di zampe più corte.
La testa, dotata di una chiostra di lunghe zanne affilate, si allungava all’indietro in un lungo scudo cefalico.
La creatura era attaccata ad una sorta di enorme sacca che pendeva dal soffitto.
Il mostro era circondato da copie più piccole di sé stessa, della taglia di un uomo, dotati di un cranio allungato all’indietro, quattro zampe artigliate e una lunga coda puntuta.
C’era qualcosa di spaventosamente inquietante in questi esseri, qualcosa che andava oltre la mancanza di occhi, i denti, gli artigli, il tetro colore.
I mostri sono avvolti in una nebbia azzurrina che si diradò rapidamente.
Un arto ebbe un movimento convulso.
La coda di una delle forme più piccole saettò nell’aria.
Lentamente, tutti le si ridestarono da un sonno durato migliaia di anni.
Sorgeva ormai il sole quando il processo fu ultimato.
Gli esseri uscirono in superficie.
I crani scanalati degli animali furono colpiti da un fascio di luce e la rifletterono, sinistramente.
E quello più grande stava lì, ad osservare le sue creature che sciamavano in superficie…alla conquista di quel mondo…
 
Londra, Terra, un giorno dopo.
 
Era trascorsa una giornata da quando gli umani avevano scatenato una forza incontrollabile sul loro misero pianeta, ma ancora non sapevano nulla.
La vita scorreva tranquilla, a Londra… come al solito.
Certo, furti, stupri e omicidi continuavano ad accadere, ma così era sempre stato.
Ben presto calò la sera e poi la notte.
Fred Wanner, professione guardia notturna, camminava annoiato per le strade, osservando talvolta l’ammiccare delle luci delle telecamere di sicurezza.
Maledette macchine, pensò, se continua così un giorno non ci sarà più bisogno di noi..  e allora che faremo, eh? Ma chi glielo spiega, a loro?; con “a loro” si riferiva ai banchieri.
Su una cosa però Fred aveva ragione.
“Non avrebbe tirato avanti ancora a lungo.
Una nera ombra scivola dietro di lui, gli artigli protesi e le mascelle spalancate grondanti bava…
 
“Ispettore, mi deve credere accidenti!” sbraitò il barbone.
Tutti lì alla centrale lo conoscevano bene, un accattone che viveva di quel che riusciva a procurarsi e che veniva messo in cella quando era inverno per fargli almeno passare la notte al caldo.
Come erano abituati alle sue fantasie.
“Oh certo… tu mi dici di aver visto un uomo in uniforme venire aggredito da una specie di drago, nero e alto più di due metri… ti aspetti che ti creda?”
All’improvviso la luce salta.
“Non preoccupatevi- fa l’ispettore- non è successo niente.”
Ma non è per la luce che si sarebbero dovuti preoccupare…
…bensì per le oscure creature che giungevano a reclamare la loro preda…
 
In una casa, non distante dal cantiere, le finestre, a causa del caldo afoso, erano spalancate.
La zona d’altronde era sempre stata molto tranquilla, e nessun rumore turbava la notte.
All’improvviso l’urlo di una bimba squarciò il silenzio.
“Mamma, mamma! C’è un mostro lì fuori!”
La madre prontamente accorse.
“Sai, quando ero piccola anch’io avevo incubi terribili, ma quando mi svegliavo era tutto finito.
Non esistono i mostri, non quelli veri…”
Un’ombra si stagliò lieve contro la finestra, quasi invisibile.
Un sibilò si ode, sommesso, può essere il vento…
Poi crebbe di tono, improvvisamente…
“Srrrrrrrreeeehhh!!!”
La bambina sussurrò, terrorizzata.
“Invece ci sono…”
 
In quel momento un messaggio cominciò a formarsi nei sogni degli uomini.
Un messaggio senza parole, proveniente da un’entità così strana da essere incomprensibile.
Ma che stranamente era molto chiaro.
Pian piano nella mente di ciascuno si fece strada un’idea.
No, era più una sensazione, come una canzone che si ha l’idea di conoscere ma nessuno sa come continui.
E la gente cominciò ad essere assillata da incubi, nei quali però persistevano le stesse parole.
 
La tua mente è ferita… lascia che la guarisca…
Vieni da me… ho bisogno di te….
Unisciti a me…

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Scena Quattro (IV): I MOSTRI ***


Scena Quattro (IV): I MOSTRI
 
Parigi, Terra
 
“Ma com’è che sono finto a fare questo lavoro de mierda?” si chiese Jacques.
Jacques, a sentire i suoi amici era uno degli uomini più sfortunati del mondo, forse il più sfortunato in assoluto.
Il padrone di casa che lo assillava, una moglie alcolizzata che non gli dava tregua, sempre a lagnarsi di non avere abbastanza soldi, e che tra l’altro da un po’ minacciava di lasciarlo, e ciliegina sulla torta, quel che lui stesso definiva “un lavoro de mierda” .
Ripulire i condotti fognari di Parigi.
Non era esattamente quello che avrebbe voluto quando si era presentato ad un’agenzia per trovare lavoro, ma ci si doveva accontentare.
“Ci si doveva accontentare”.
Aveva tirato avanti anni con quell’eterna cantilena.
E non aveva intenzione di smettere.
Cominciò a canticchiare un motivetto che solo lui conosceva, mentre scrostava viscidume dalle pareti delle fogne.
C’era la storia, sotto Parigi, se si sapeva dove andarla a cercare, bunker improvvisati della seconda guerra mondiale.
Ma soprattutto cunicoli che fornivano rifugio ad eterne comunità di senzatetto.
Eh, a proposito dei senzatetto.
Com’era che non ne aveva visto nessuno?
Di solito si imbatteva in almeno quattro o cinque poveracci, nel corso dei suoi spostamenti sotto la superficie.
Oggi, stranamente, neanche uno.
Meglio, pensò, non devo neanche chiedergli di spostarsi per lavorare.
E magari ricevere per tutta risposta una scarpa e qualche insulto.
Ingrati.
Dopotutto era anche merito suo se non si prendevano la rabbia, la salmonella o Dio sa che altra cosa là sotto.
Vide un movimento, nell’acqua.
Lì per lì non ci badò.
I ratti là sotto potevano diventare davvero grossi.
Per non parlare dei pitoni!
Talvolta questi rettili venivano abbandonati nelle fogne dai loro sconsiderati proprietari.
La maggior parte moriva, ma alcuni riuscivano ad adattarsi.
Ma quella “cosa”, qualunque cosa fosse, era più grossa di qualsiasi pitone.
Ripensò alle storie sul coccodrillo, che, gettato da un gabinetto, era diventato albino e mostruosamente grande…
Ma no.
Fantasie.
Ma lì c’era qualcosa.
Di grosso.
Di spaventoso.
Lentamente, il buio sotto i suoi occhi prese forma…
Una specie di coda calò dal soffitto.
Spostò tremante il raggio della torcia.
“Sssshhhhhhhhhhh…”
Una forma oblunga e semitrasparente.
Una bocca piena di denti che gocciolava bava.
Una bocca che si apriva di scatto.
“Vraaaarrrhhhhh!!!”
 
Qualche ora più tardi, un altro “operatore ecologico” venne mandato alla sua ricerca.
L’addetto, una donna sulla trentina, che i suoi colleghi guardavano con curiosità chiedendosi perché mai non facesse un lavoro più decoroso, e che aveva il suo bel daffare per respingere le proposte di uomini non sempre perfettamente sobri, caratteristica questa tra l’altro non particolarmente richiesta nel loro lavoro, camminò in mezzo ai cunicoli per più di due ore, fermandosi di tanto in tanto a chiamare il nome del disperso.
Stava per darsi per vinta, quando sentì un rumore.
Incuriosita, svoltò l’angolo.
Le pareti del cunicolo erano coperte da un materiale nero, sembrava quasi di trovarsi nel corpo di qualche gigantesco animale.
Almeno venti persone erano state appese come crocefisse alle pareti, legate da una resina nera.
La maggior parte era morta, aveva il petto squarciato, le costole rivolte in fuori.
Come se qualcosa fosse uscito da quei corpi.
Sul pavimento si scorgevano strani oggetti di un materiale simile al cuoio, alti più di mezzo metro.
Sembravano uova.
Ma ciò che vide dopo le fece scordare le “uova”.
Jacques era bloccato dai medesimi legacci, ma il corpo era intatto.
“Jacques!” chiamò sottovoce la donna.
Lui sollevò spaventato la testa.
“Resisti, cerco di tirarti fuori!”
Ma prima che potesse fare una mossa, uno spasmo attraversò il corpo dell’uomo.
Poi un altro.
Dopo quelle che sembrarono infinite contrazioni, accompagnate da urla strazianti, il torace dell’uomo esplose, e da lì fuoriesce una creatura.
Giallastra, completamente imbrattata di sangue, sembra un serpente.
Completamente privo di occhi, però.
Ma in compenso dotato di una bocca.
E di denti.
Tantissimi denti.
Il mostriciattolo stridette un attimo, poi scivolò al suolo e schizzò via.
La donna lo osservò paralizzata.
Non si accorse che, dietro di lei, uno di quegli oggetti a forma di uovo si era aperto, e che delle zampette simili a dita si agitavano sul bordo…
 
Parecchio fuori di Seward, Alaska, Terra.
 
Gli umani nemmeno si erano resi conto di essere finiti nel territorio dei terribili predatori… finchè non fu troppo tardi.
Fra i sibili e gli stridii e le urla che si alzavano nell’aria, le code saettanti indicavano il luogo dove era avvenuta ogni uccisione.
Metà del gruppo venne macellato prima che ancora si rendessero conto di ciò che accadeva.
Poi, il panico.
Atterriti dall’orrenda sorpresa, gli uomini cominciarono a correre urlando.
Uno di questi, nel fuggi fuggi si voltò… giusto per vedere la creatura balzargli alla gola…
Frank sbadigliò.
Lo scassato apparecchio televisivo stava trasmettendo un qualche film, ma non ci badava troppo.
Come lavoro, affittava mezzi di trasporto sul ghiaccio di inverno e li teneva in custodia per conto di qualcuno in estate.
Nessuno aveva voglia di andare ad impantanarsi nella fanghiglia piena di insettini turbinanti che si formava al disgelo.
Che noia.
Il mondo era sconvolto dall’apparizione di mostri nelle principali città, ma lì, dove le notizie giungevano ancora con la motoslitta del postino con una settimana di ritardo, ancora non si sapeva nulla.
Sbadigliò di nuovo e si aprì una birra.
Stava cominciando a berla quando sentì dei suoni all’esterno.
Non ci badò.
Forse il cane aveva trovato uno scoiattolo sprovveduto.
L’abbaiare cessò, sostituito da un guaito patetico, poi nulla.
Deglutì.
Improvvisamente la birra non aveva più un gran sapore.
Prese il fucile.
Potevano essere dei lupi, sapeva che da un po’ bazzicavano in zona.
Aprì la porta.
Una coda terminante con una punta calò.
L’ultima cosa che vide fu la neve, al suolo, mentre veniva trascinato via.
Era rossa.
Sporca di sangue.
Del suo sangue. 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Scena Cinque (V): L'INVASIONE ***


Scena Cinque (V): L’INVASIONE
 
Whashington DC, Terra
 
“Siete sicuri di quello che dite?”.
Nella Casa Bianca il Presidente stava interrogando un gruppo di scienziati che stavano studiando quelle strane creature osservate recentemente.
Avevano condotto analisi su uno degli esseri simili ad una mano trovato morto e sostenevano di essere in possesso di un altro esemplare che dovevano assolutamente fargli vedere.
“Sì, signore- fece uno di loro- i Linguafoeda acheronsis devono essere senza dubbio alieni, voglio dire, se c’è un Paese con la tecnologia per creare delle creature così questo Paese sono gli USA, ma noi non l’abbiamo fatto… e non avremmo potuto farlo.”
“E che mi dite riguardo contaminazioni di laboratorio, o mutazioni genetiche o cose così?”
“Signore, non avevamo mai visto prima creature del genere.
Sono assolutamente uniche, non sono terrestri.
Il loro sangue è un acido potentissimo che scioglie ogni cosa, sono corazzati con ciò che pare un materiale metallico e hanno una specie di strano paio di mascelle interne.”
“E comunque, , , , ma quante specie aliene ci sono in giro?”
“Signore, non ne abbiamo idea.
Guardi, questo è un esemplare di che abbiamo catturato… al prezzo di dieci vite umane.”
All’interno di una sorta di cilindro di vetro, un drone si guardava intorno, scuotendo il lungo capo semitrasparente.
Il presidente osservò quella creatura da incubo, di colore nero, vagamente umanoide, ma per il resto quasi biomeccanico; le costole spuntavano all’esterno del suo torso e le vertebre, formano una sorta di cresta che ricordava vagamente quella dei coccodrilli, dalla sua coda.
Aveva delle lunghe mani a quattro dita in grado di lacerare il metallo: nonostante l’apparenza esile, il mostro era fortissimo.
La lunga coda frustava l’aria dietro di sé, con la punta armata dell’estesa lama ossea.
Il cranio era la cosa più spaventosa: creatura senza occhi, lo xenomorfo aveva una lunga testa curva che si estendeva all’indietro, e la sua bocca era piena di denti semitrasparenti, con un set di mascelle interne in grado di estendersi per svariati decimetri verso la preda.
Il mostro stridette
“Santa Madre di Dio! E sono quei cosi che stanno invadendo il mondo?”
“Sissignore.
Ora capisce ciò che intendiamo?”
“Certo… certo… è… ma, non è un pericolo, tenerlo lì?”
“Signore non si preoccupi, questo vetro resisterebbe ad un proiettile calibro 9”.
“Mmmh… come li avete chiamati?”
Linguafoeda acheronsis, signore.
Significa , sa il fiume che stava dinnanzi agli inferi.
“Un nome appropriato.”
Lo xenomorfo continuava ad esaminare il vetro.
Focalizzò il suo interesse su un punto apparentemente uguale agli altri.
“Cosa sta guardando?”
La creatura piegò leggermente la testa.
“Non mi piace affatto… uscite di lì!”
Con uno scatto la lingua dentata sfondò il vetro, facendo precipitare frammenti sui presenti.
“Rearrrrghhhhh!!!”
“Oddio! Sta…aaaarghh!”
“Aiuto!”
“No, lascia…arrrrrrrrrghhh!
“Shreeeeeehhhh!!!”
Lo schermo venne inondato di schizzi di sangue.
“Oh, mio Dio”.
 
Los Angeles, Terra
 
Faceva molto caldo e nella chiesa tutti sudavano abbondantemente, nonostante le pale che ronzavano sul soffitto.
Il sacerdote, un robusto nero di mezza età, era costantemente costretto ad asciugarsi la fronte con un fazzoletto.
Un frammento di carta rimase impigliato fra le rughe e il ventilatore lo fece svolazzare.
Ciò non impediva la sua predica infervorata.
“Vi dico, amici miei, che questi mostri sono demoni dell’inferno, venuti a prendersi ciò che gli spetta.
Purificate le vostre anime così da non cadere loro preda.
Così che il Signore abbia pietà di tutti noi…”
Si accorse di una cosa: la folla si era improvvisamente zittita.
Un silenzio terrificante.
Fece per riprendere la sua predica.
Un liquido gli colò sul collo.
La lingua dentata scattò in avanti.
Con un’espressione ebete sul volto, l’uomo cadde in avanti.
Come a rompere l’incantesimo, i fedeli fuggirono in preda al panico, inseguiti dai “demoni”.
Evidentemente il Signore non aveva sentito l’invocazione.
 
E i mostri cominciarono a diffondersi a macchia d’olio sulla superficie del pianeta…
Quando l’umanità si accorse della potenza del nuovo nemico era ormai troppo tardi per combatterlo.
Inizialmente si pensò di tenere facilmente sotto controllo l’invasione.
Alcuni nidi furono distrutti e gli xenomorfi uccisi.
Chi sospettava di essere infetto era subito isolato.
Squadre speciali vennero istituite in modo da poter raggiungere qualunque parte del mondo.
Per un po’ si ritenne di avere in pugno la situazione.
E ancora una volta si ingannavano, gli umani.
Pensavano, che le creature, sì feroci, non fossero in fondo altro che grosse formiche, esseri non intelligenti incapaci di eliminare un’umanità avanzata e diffusa ovunque.
I nidi cominciarono a cambiare… le uova erano nascoste in luoghi inospitali e bizzarri, i territori erano meglio difesi e comunque si fosse giunti a distruggere uno degli alveari non contenevano più di 15 uova ciascuno.
Ma aumentavano sempre di più.
Dalle regioni più periferiche iniziarono a sparire i grossi animali da pascolo e i cani da guardia… nessuno ci fece caso, inizialmente.
Infondo, a chi può interessare la scomparsa di qualche contadinotto ignorante che probabilmente si era solo rotto il collo cadendo in un fossato?
Un altro errore fatale.
Cominciarono ad essere descritti strani xenomorfi.
Le creature si diversificarono, adattandosi ai vari compiti.
E le creature ripresero la loro avanzata…
Fu istituita la legge marziale, ma non servì.
Una religione appena sorta cominciò ad adorare le creature… ma gli adepti si dispersero quando il “sommo sacerdote” venne sbranato dagli oggetti del culto.
Negli Stati Uniti il Presidente fu trascinato fuori dal suo elicottero proprio mentre si apprestava a fuggire alle Hawaii, uno dei pochi luoghi non ancora contaminati.
Nello stesso momento, le cellule terroristiche in Medio Oriente vennero cancellate per sempre dalla faccia della Terra.
Oh ironia del Fato!
Troppo tardi si comprese che gli xenomorfi non erano un semplice nemico, ma una malattia letale, per l’intero pianeta… un perfetto organismo…la loro perfezione strutturale era pari solo alla loro ostilità…creature non offuscate da coscienza, rimorsi o illusioni di moralità.
E non erano stupidi come si pensava all’inizio.
Un drone o un warrior presi singolarmente non erano molto intelligenti, è vero.
Ma le regine, il centro dei nidi, sì.
Nulla di umano poteva competere con loro.
Bombe, carri armati e altro vennero impiegati contro gli xeno.
Invano.
In una sala, posta in una zona segreta degli Stati Uniti, le armi nucleari giacevano inutilizzabili.
Coloro che ne conoscevano i comandi erano morti, e comunque gli xenomorfi avevano ricoperto, dando prova, se non di intelligenza, di una notevole astuzia e capacità di riconoscere le fonti di radiazioni,  tutte le fonti di isotopi anomali, comprese le centrali nucleari, con uno spesso strato della loro secrezione, che, come si scoprì, aveva notevoli capacità antiradioattive.
La gente seppe inoltre che in Cambolgia, in Messico e in Egitto si erano verificate strane esplosioni, enormi scie di devastazione lasciate da ordigni straordinari.
I più pensarono ad armi segrete dell’esercito, poi dimenticarono la cosa.
Non avevano più tempo per pensare a quelle cose.
La popolazione globale, dai sei miliardi che aveva raggiunto, crollò pericolosamente.
Solo pochi luoghi, isole sperdute, le vette più alte, erano al sicuro dai mostri…per ora.
Come un’enorme piovra al centro della quale stavano le regine, i mostri si diffusero ovunque… praticamente nessun habitat era loro inospitale…
UFO, complotti, teorie strampalate vennero abbandonate dinnanzi la terribile realtà.
Qualunque cosa gli umani avessero mai pensato su un’invasione aliena, questa era dieci, cento, mille volte peggio.
Era una guerra.
E l’umanità l’aveva persa.
E la Terra venne conquistata…
 
Somalia, Terra.
 
“Crrrhhh…”
Lo yaut’ja era sceso su quel pianeta per cacciare esseri umani, ma aveva trovato prede molto più appassionanti.
E doveva ammettere che quando si trovavano in un conflitto gli umani diventavano più bellicosi e determinati, altro fattore che l’aveva assai divertito.
Ora era giunto il momento di avvertire gli altri yaut’ja della sciagura capitata al pianeta.
Si immobilizzò un attimo sul tetto di una moschea mentre sotto di lui un gruppo di uomini armati veniva rapidamente massacrato da una decina di xenomorfi.
Poi, con un paio di agili balzi l’alieno raggiunse il luogo in cui era celata la sua astronave.
Partì, senza degnarsi nemmeno di attivare il camuffamento.
Tanto, si disse, ora gli umani non avevano più il tempo di stare con il naso all’insù a cercare i “carri celesti” o in qualunque altro modo chiamassero le Man’daca yaut’ja in quella parte del mondo.
Di quel mondo condannato. 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Scena Sei (VI): LA MISSIONE ***


Atto Secondo
 
AtHANATOI
 
“La Preda vede negli occhi il Cacciatore
solo quando questo viene a ucciderla.”
 
Iscrizione ritrovata su un frammento di lastra nei pressi della Piramide di  Huitzilopochtli, Messico.
 
 Scena Sei (VI): LA MISSIONE
 
C’tanu, pianeta originario degli yaut’ja, ad una distanza incalcolabile dalla Terra.
 
Dall’esterno proveniva una luminescenza arancione.
Tutto era immobile nella sala, finchè un oggetto non calò dal soffitto ponendosi davanti allo yaut’ja seduto sull’ampio scranno.
L’alieno osservò per alcuni istanti le scritte che ricoprivano l’oggetto, poi si alzò.
Si diresse verso una parete, alla quale era appeso un impressionante arsenale di armi, dall’aspetto spaventoso e alcune così complesse che non era possibile neanche immaginarne il funzionamento.
Prese un secondo bracciale di lame retrattili, completo di computer da polso e, sfilato quello comprendente il solo calcolatore, lo infilò sul braccio sinistro.
Quindi prese due maul e li infilò nei dispositivi con già le lame.
Staccò la naginata, la squadrò con aria critica un attimo e poi le depose e prese al suo posto una lancia telescopica.
Incastrò quattro shurikens nei rispettivi supporti e infilò un pugnale cerimoniale nel fodero a gamba.
Infine prese il plasmacaster e lo fece scorrere sulla base mobile fino ad incastrarlo.
Lo fece sollevare e ripiegarsi un paio di volte per controllarne il funzionamento e si voltò.
Aveva avvertito già da tempo la presenza che si era fermata alle sue spalle, perciò non fu una sorpresa per lui voltarsi e trovarsi dinnanzi un pa’ya.
“Ti aspetti guai, Miyrth ‘Feriij?”
“M-m-di H'chak/M-di H'dlak. Non esissste paura senza compassssione" rispose lo yaut’ja più giovane.
“Ragioni bene” osservò il più anziano.
“Non possssso permettermi di fallire ancora”
“Non è stato un fallimento. Nessun bhu'ja ha mai sconfitto una ke’kwei kainde amedha da solo…”
“Non ero esattamente sssolo…”
“Evidentemente è stato il destino a decretare che le cose andassero così. Non era previsto che i Pyode Amedha rubassero le armi che vi spettavano” a questo punto l’anziano, vedendo la fuggevole espressione di sofferenza negli occhi dello yaut’ja, si interruppe un momento “Mi dispiace ancora molto per i tuoi compagni di caccia…”
“Non preoccuparti, pa’ya yaut’ja.
Non ci ssono parole per esprimere quesssto.
Vite ssspezzate prima di poter gioire della vittoria.
Vite andate sssprecate.”
Il pa’ya attese un momento e continuò: “Parole di grande effetto, Miyrth ‘Feriij.
Comunque, andavo dicendo, vi costringessero a combattere i  kainde amedha da soli e quasi disarmati. Mi rammenti una cosa, da tempo desideravo chiedertelo: avevi fra le mani quell’umana, sarebbe stato un tuo diritto ucciderla per vendicare i tuoi compagni, non lo avrebbe messo in dubbio nessuno.
Perché l’hai lasciata vivere e l’hai marchiata?”
Lo yaut’ja più giovane rimase un momento in silenzio, poi replicò “Perché l’ho fatto?
All’inizio è ssstato per convenienza, ero praticamente da sssolo contro i kainde amedha che avevano avuto la possibilità di riprodursssi, mi sssarebbe ssstata utile… sse non altro, come bersssaglio in più per quelle creature. Poi, non lo ssso neanch’io. Forsse da quando l’ho vissta uccidere un kainde amedha con la mia lancia…”
“Abbiamo visto tutto dalla registrazione nella maschera. Anche se non lo avesse ucciso, l’avrebbe distratto a sufficienza da permetterti di alzarti e abbatterlo…”
“Lo ssso… forsse quando mi sono trovato dinnanzi quella devassstazione… è stato un gesssto istintivo…non ne ho idea…Ma non è debolezza, la mia.” Soggiunse, intercettando lo sguardo dell’Elder.
“Lo so… eri uno dei migliori durante l’allenamento e sono migliaia di cacce che non viene compiuta un’impresa come la tua.
E’ per questo che sei tornato a cacciare con noi.”
“Rammento… uno Shin’rah di tempo per riprendere le complete abilità motorie e allenare nuovamente corpo e mente alla caccia… e ora sssono qui… per tornare fra gli umani, casualmente…” Rise, un suono spaventoso dalla bocca di uno yaut’ja, un suono che avrebbe gelato il sudore a tanti umani… ad ogni umano, anzi.
L’anziano rise con lui, e questo sembro smorzare leggermente il freddo suono emesso da Miyrth ‘Feriij.
“Hai compreso in cosa consiste la tua missione, immagino. Sono venuto a darti anche un’altra nuova.”
Il computer, se così può essere definito, calò un’altra volta dal soffitto.
Lo yaut’ja più giovane lo osservò un attimo inclinando il capo lateralmente, poi separò inconsapevolmente le mandibole inferiori, un linguaggio gestuale istintivo per indicare uno scatto d’ira represso.
“Eccellente” sibilò “ti porterò anche la sssua tessssta… in forma riconossscibile”
Il pa’ya fece un cenno d’assenso e guardò l’altro che si voltava per staccare la maschera dall’armeria, la maschera con il marchio del sangue acido degli xenomorfi.
Stava per indossarla quando lo yaut’ja anziano lo fermò.
“Aspetta” disse.
Sollevò un oggetto, una sorta di scrigno metallico finemente decorato.
Fece scattare i sigilli e lo aprì.
Al suo interno stava un bioelmo.
Il pa’ya staccò l’elmo dal supporto e lo porse a Miyrth ‘Feriij.
“Questa è lamsar'cte ornata dai fregi della memoria della tua impresa.”  
Lo yaut’ja la osservò un attimo e poi la voltò.
Sulla parte anteriore della maschera era scolpito, inconfondibile, il cranio di una regina degli xenomorfi, si allungava all’indietro in una forma a scudo.
Emise un suono simile alla battitura di una macchina da scrivere.
Fece per parlare, ma l’anziano lo interruppe.
Gli posò una mano sulla spalla.
Spazzo con la mano l’armatura dell’altro yaut’ja.
Rispetto.
“Porta a termine il tuo obiettivo” gli disse.
Miyrth ‘Feriij si posò il bioelmo sul volto, trasformandolo in una maschera impassibile da cui non traspariva nessuna emozione, se non una fredda determinazione.
“Lo farò.”
“E rendi onore al tuo nome.”
“Sssì, certo…”
Dalla dimora dello yaut’ja osservò la navetta che si allontanava veloce, fra le stelle dello spazio infinito.
Osservò per un attimo la maschera marchiata, duramente conquistata lottando nella piramide di quel lontano pianeta.
Pianeta dove ora tornava, accompagnato dal rancore che provava per gli umani, per la morte di due yaut’ja, anche se involontariamente causata.
Forse sarebbe stato meglio aggiungere qualcos’altro.
“Non fare troppe vittime…” mormorò l’anziano.
Ma sapeva che il giovane non poteva averlo sentito.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Scena Sette (VII): IL RAPIMENTO ***


Scena Sette (VII): IL RAPIMENto
 
Vicino a Washington DC, Terra
 
“Sergente, sergente dovete venire a vedere!”
“Cosa c’è, soldato… e… riposo, soldato.”
“Grazie signore!
Stamattina sono andato con i miei compagni a prestare soccorso sul campo di battaglia….”
“COSA HAI FATTO?! Ma è stato proibito!!!”
“Sì signore, ma io ho prestato il giuramento di Ippocrate, non posso lasciar morire un uomo…”
“Discuteremo più tardi la tua azione.
Ora, cosa devi farmi vedere?”
“E’ qui, signore…”
“Oh mio Dio…”
Lì c’erano i corpi di tre xenomorfi.
Erano già abbastanza ripugnanti senza bisogno di aiuto.
Ma ciò che era davvero orribile era ciò che gli era stato fatto.
Erano stati appesi a testa in giù ad un albero, legati per la coda, come pendagli giganti.
Non parevano colpiti da proiettili, bensì da armi bianche di qualche tipo, eccetto il terzo che aveva un foro grosso come un melone che gli attraversava il torace da insetto.
La carne era cauterizzata, non colava acido.
Anche in questo caso, armi decisamente non convenzionali.
Tutti e tre erano stati privati della testa.
Il sergente deglutì.
“Morris, fa sparire quei corpi, non posso permettere che il morale della truppa venga intaccato.”
“Sì signore”
Bene, poi prenditi una pausa e cerca di capire che cosa potrebbe aver conciato quei mostri così.
Voglio sapere chi sia.”
E voglio il suo autografo, soggiunse mentalmente.
 
La navetta yaut’ja solcava silenziosa ed invisibile l’atmosfera terrestre.
Al suo interno la creatura osservava il risultato della missione secondaria: non solo era stata portata a termine efficacemente, ma riportava anche tre trofei supplementari, ciò che restava degli xenomorfi che avevano commesso l’errore di scambiare un membro della specie più pericolosa dell’universo, assieme alla loro, per un normale umano, probabilmente.
Oppure avevano fatto qualche altro errore di valutazione, come crederlo disarmato.
Comunque fosse, l’avevano pagato con la vita.
I tre crani erano stati accuratamente ripuliti e attendevano solo di essere montati sul giusto supporto, ma di questo si sarebbe occupato una volta tornato sul suo pianeta.
Restava una cosa da fare.
Si diresse verso i comandi dell’astronave, localizzò un particolare segnale e inserì un codice a svariate cifre.
In una cassetta di sicurezza, un tempo tenuta sotto sorveglianza armata in un installazione militare segreta, un’arma yaut’ja si sciolse in una pozza di acido.
Dietro la maschera l’alieno ricontrollava, non senza un certo compiacimento, gli obiettivi della seconda missione.
Presto sarebbe stata portata a termine anch’essa…
 
La ragazza giaceva nel letto in un bagno di sudore.
L’uovo, come i petali di un fiore, cominciava ad aprirsi.
Un lieve movimento si intravedeva appena all’interno.
Zampe simili a dita scavalcarono il bordo.
Il facehugger era pronto a spiccare il balzo.
Urlò, ma nel suo sonno non c’erano suoni...
L’uomo si contorceva, legato alla parete dell’alveare.
Qualcosa si muoveva dentro di lui.
Sentì le sue ossa spaccarsi e vide il chestburster che ne squartava il torace.
Urlò, ma nel suo sonno non c’erano suoni…
Lo xenomorfo, accucciato e pronto a saltare, sembrava quasi sorridere.
Spalancò le fauci mettendo il mostra la lingua dentata interna.
La mascella scattò verso l’esterno.
Urlò, ma nel suo sonno non c’erano suoni…
Si svegliò di soprassalto, i capelli in disordine, i vestiti incollati al corpo.
Respirava in fretta.
Cercò di controllarsi.
Quasi ogni notte era così…da quando quei mostri erano tornati…
Da quando aveva dovuto fingere di vederli la prima volta…
Da quando aveva visto, di persona, uno di quegli esseri, orribili, schifosi mostri.
Ogni giorno si aspettava che sfondassero le fortificazioni e li aggredissero.
Ma finora non era successo niente.
Era solo questione di tempo, lo sapeva.
Era già sfuggita una volta ai mostri, non si aspettava che accadesse di nuovo.
E poi quella volta c’erano i Cacciatori, come chiamava l’altra razza con cui aveva avuto contatto.
I Cacciatori!
Ci sarebbero proprio voluti loro, in quel momento.
Erano di sicuro gli esseri più indicati per trattare con quelle orride bestiacce nere.
Ma stare a supplicare le stelle era inutile, lo sapeva.
Ora era sola.
Sola…
Si riaddormentò a fatica, piangendo.
Ma una cosa non sapeva.
Ad invocare gli dei, questi a volta rispondono.
 
Un’ombra nera come la notte, dall’alto di una sporgenza rocciosa, osservava la fortificazione.
Lo yaut’ja spense lo schermo, poi passò l’ambiente a vari filtri, finchè non trovò quello termico.
Grazie al bioelmo poteva ingrandire senza fatica i dettagli che gli interessavano.
Solo tre guardie.
Nessuno xenomorfo.
Le appendici cutanee sul cranio, simili alle vibrisse dei gatti, gli confermarono quest’opinione.
Sorrise, dietro la maschera.
Ingrandì la visuale.
I tre membri di quella specie inferiore stavano parlando tra di loro.
“Va tutto bene?”
“Sì, certo.
Tutto ciò di cui ho bisogno sarebbe ora un caffè e un letto caldo…”
Si avvicinò alla fortificazione e, dopo averla osservata accuratamente, la scavalcò con un balzo.
In un angolo della sua mente eccezionale, molto più sviluppata di quella umana, rifletté: Di certo il pianeta dei prode amedha è invaso dai kainde amedha, non hanno neppure idea di come difendersi da una simile minaccia. Ringhiò, in segno di disprezzo.
Ripescò un file audio dalla memoria del bioelmo. “chrrrhhh >andiamocene…. Via, via, VIA!!!< crrhh…”
Risaliva alla caccia su quello stesso pianeta, anni prima.
Nel continente ghiacciato che si estendeva molto più a sud.
Adeguato.
Quando le due Prede che gli avevano rubato le armi stavano scappando da lui, e una creatura aveva osato attaccarlo alle spalle nonostante l’avesse risparmiata.
I miei compagni avevano ragione… gli umani non meritano compasssione… affogheranno tutti nel loro sssangue...pensò Miyrth ‘Feriij, irato, dando sfogo per un momento all’odio che provava per quella specie e la loro stupidità …le acque resteranno rosssse, sse quesssto è il colore del liquido che ssscorre nel loro corpo, per sssettimane… chrrrrhhh!!!
Non sarebbero più scappati da nessuna parte.
Riattivò la schermatura e fece scattare le armi.
Le dita delle mani si contrassero.
La stagione di caccia apre di nuovo.
 
La guardia, infagottata nel parka, girava il fucile nell’oscurità.
Aveva visto qualcosa muoversi, ne era sicuro.
“Dio, e se quegli incubi fossero arrivati fin qui?” si chiese.
“Esci, chiunque tu sia, fatti riconoscere!” strillò terrorizzato verso le ombre.
“Crrrrrhhh!” fu la risposta.
Il milite imbracciò il fucile e sparò due volte verso il punto da dove proveniva la voce.
Si sentì qualcosa tintinnare.
”WOOOAARRRHH!!”
Lo yaut’ja ruggì, poi passò a sua volta al contrattacco.
Ritornato invisibile, concentrò i 150 chilogrammi di peso sulla punta delle lame retrattili, una superficie fatta apposta per squarciare carne, ossa e corazzature senza incontrare la minima resistenza.
La forza dell’impatto fu tale da sfondare completamente la cassa toracica dell’uomo, uccidendolo all’istante.
La creatura fece leva un attimo e liberò le lame dal corpo.
Quindi si chinò sul cadavere e gli strappò la testa.
 
I due soldati di guardia conversavano amabilmente, discorrendo di argomenti di massima importanza quali lo sport, la politica e le donne.
In una Terra in mano agli xenomorfi, quei miserabili nemmeno si preoccupavano!
Un fruscio si udì appena, simile a tutti gli altri che occupavano la notte.
Non ci badarono neppure.
Errore fatale.
Uno dei due venne sollevato con violenza da terra, il corpo trafitto dalle lame retrattili, visibili solo in quanto sporche di sangue.
L’altro imbracciò il mitragliatore e fece per sparare ma venne mandato da una forza immensa a sbattere contro la parete di un edificio.
Qualcosa lo trafiggeva.
Era buffo, però non provava alcun dolore.
Strinse le mani attorno al “qualcosa”.
L’invisibilità della lancia rapidamente scomparve.
L’uomo osservò stupito quell’arma di un altro mondo.
Poi giacque, esanime.
Lo yaut’ja si rese di nuovo visibile, e osservò i cadaveri.
Allontanandosi verso l’obiettivo indicato sul segnalatore del bioelmo, si lasciò alle spalle due cadaveri appesi a testa in giù da un albero, lascianti cadere gocce di sangue dai corpi spellati, che toccando la neve esalavano un lieve sbuffo di fumo.
 
Lo yaut’ja osservava l’abitazione.
Riconosceva un primitivo e banale sistema d’antifurto, collegato alla porta.
Un semplice circuito chiuso, del tutto inutile.
Cavi, che barbari.
La sua specie aveva smesso di usare l’elettricità da milioni di anni.
E in ogni caso, non aveva nessuna intenzione di passare per la porta.
Estrasse dal cinturone che portava attorno alla vita un’ampolla di liquido azzurrino, luminescente al buio.
Ne versò poche gocce contro la finestra, e subito questa si dissolse.
Era un acido potentissimo, più potente addirittura di quello che componeva il sangue degli xenomorfi.
Lo yaut’ja scavalcò agilmente il davanzale e penetrò all’interno della casa.
Grazie al rilevatore termico non ci mise molto a trovare la sua preda.
Dormiva.
E si assicurò che continuasse a dormire, con la pressione di un dito artigliato su un nervo alla base della nuca.
La osservò rapidamente.
La bellezza umana non significava assolutamente niente per lui.
Passò ad un altro filtro e non ci mise molto a trovare l’arma yaut’ja che le era stata fatta in dono.
La incastrò in un punto dell’armatura.
“Forsse un dono troppo grande per una ssspecie cossì indegna…” disse fra sé e sé, ma poi scacciò quel pensiero.
Non tutti gli umani erano vili e codardi.
Alcuni sapevano farsi onore.
Come quell’umana in particolare.
L’unica umana marchiata da uno yaut’ja da centinaia di anni terrestri.
Dallo stesso yaut’ja che in quel momento covava pensieri nefasti nei confronti del genere umano.
Ironia della sorte.
Il suo yin’itekai non ne aveva risentito ufficialmente, ma comunque l’orgoglio bruciava, per quell’esperienza.
Avrebbe avuto altre possibilità di redimersi, si disse.
Poi, sollevata la ragazza come se non pesasse più di un cuscino di piume si dileguò nella notte.
E se qualcuno avesse osservato attentamente il cielo avrebbe scorto una stella luminosa che si allontanava rapidamente fino a svanire… diretta verso un pianeta lontano. 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Scena Otto (VIII): IL CACCIATORE ***


Scena Otto (VIII): IL CACCIATORE
 
C’tanu, pianeta originario degli yaut’ja, ad una distanza incalcolabile dalla Terra, svariati anni prima.
 
“Miyrth ‘Feriij, ho sentito che hai fatto la tua scelta.
Intraprendi dunque la strada del cacciatore?”
“Sssì mio pa’ya.”
L’anziano yaut’ja osservò quel giovane che tanto si era distinto rivestirsi dell’armatura.
“Attento… la caccia non è semplice come appare… richiede continua attenzione, sicurezza e…”
“Kv'var-de nrak'ytarayin’itekai” interruppe l’altro.
L’anziano dietro la maschera ebbe un sobbalzo.
Poi comprese.
La vigilanza è custode dell’onore.
“Allora la prossima volta che ti incontrerò sarà per consegnarti la aka’Nagara come uno yaut’ja, Miyrth ‘Feriij.”
“Lo ssspero, pa’ya.”
 
C’tanu, pianeta originario degli yaut’ja, ad una distanza incalcolabile dalla Terra, oggi.
 
Lo yaut’ja lasciò che il ricordo si allontanasse.
C’erano cose più importanti a cui badare.
 
La tua mente è ferita… lascia che la guarisca…
Vieni da me… ho bisogno di te….
Unisciti a me…
La lunga testa lucida si protese in avanti.
Una mano munita di artigli si allungò verso di lei
“No… nooo….”
 
Lex si svegliò di soprassalto.
Non riusciva a distinguere nulla lì intorno.
Nulla, vuoto… e una luce arancione, la cosa peggiore.
Opprimente.
Poi una voce parlò, con tono metallico.
“Shh..crrr…rrggh…gh…”
Rispose qualcuno, le parve chissà perché di riconoscere qualcosa, in quella voce, ma non sapeva darsene una spiegazione.
Non era metallica, ma come la prima sembrava priva di ogni inflessione emotiva.
Come se stesse trasmettendo solo un’informazione, nulla di più.
Comunque, chissà perché, anche così il tono suonava vagamente minaccioso.
“Cchrrr-rrrhhh.”
La prima voce replicò: “Shh’crr…rhh…drh..trgh..shh..dh…”
“rahh c’raa sh’irgh n’rah.”
Ma dov’era?
Chi erano quelle voci?
Gemette un attimo.
La seconda voce: “shh…crrr, ic…jr’t!”
“N’’crahh…ll’Hhd …n’de..”
Cadde nell’incoscienza, per la seconda volta.
Chi erano quelle voci?
Cosa volevano?
Buio.
Nulla.
 
Questa volta si destò lentamente.
Era adagiata su una sorta di piano, ma non riusciva a capire che cosa fosse.
Tutto le sembrava così estraneo.
Alieno.
A cominciare dalla luce.
Arancione.
Non era normale.
Provò ad alzarsi ma un capogiro la costrinse a desistere.
Ci riprovò.
Una fitta le attraversò il collo, poi nulla.
Provò ad avanzare.
Ce la faceva.
Si guardò intorno.
Le pareti erano fatte di uno stano materiale, forse un metallo, e ogni tanto si scorgevano rosse scritte luminose, in un alfabeto sconosciuto.
Continuò ad avanzare.
Svoltò un angolo…
E si trovò davanti a ciò cha mai avrebbe pensato.
Una stanza enorme.
Un’ apertura attraverso la quale passava quella luce innaturale.
Un ambiente stano, alieno, senza nulla di terrestre.
Nel cielo brillavano due soli, tanto per cominciare.
Nella stanza, decine di teschi attaccati alle pareti, alcuni umani, altri di forma assurda e certamente non terrestri.
Alcuni attrassero la sua attenzione: allungati all’indietro, forniti di lunghi denti, sembravano in tutto e per tutto i crani dei mostri che infestavano la Terra.
Altri non avrebbe saputo identificarli: c’erano per citare una strana testa piena di lunghe corna e un’altra che sembrava quella di un dinosauro, con un paio di orbite extra e mascelle aggiuntive.
Sembrava la sala dei trofei di un cacciatore: e che cacciatore doveva essere, per esibire resti di prede così feroci!
Cominciava a farsi una lieve idea di ciò che era successo… “Ma no- si disse –Impossibile!”
Una sorta di trono voltato di spalle rispetto a lei.
Osservava tutto ciò con timore reverenziale, e quasi non si accorse che lo scranno si stava girando nella sua direzione.
Quando lo guardò... non sapeva neanche lei se gioire o tremare.
Sul “trono” sedeva una di quelle creature, uno dei Cacciatori.
Lo osservò con timore, risalendone la figura.
I piedi calzavano una sorta di sandali metallici con grossi artigli, sempre di metallo, posti sopra.
Una protezione risaliva le gambe, per poi cessare all’altezza della vita.
Metallo grigio e lucido, talvolta leggermente ossidato, dalla foggia aggressiva.
Sul torace e sui fianchi, sempre quell’imponente corazza, che copriva anche le braccia, terminanti in delle protezioni sugli avambracci da cui si protendevano due lame per ciascuno.
Attorno al collo aveva una specie di collare nero fatto a quanto pareva di anelli sovrapposti e forse saldati di qualche materiale.
Il colore della creatura era bruno scuro sui fianchi, quasi nero, mentre diventava giallo ocra sul torace, sull’addome e sulla parte interna di braccia e gambe.
Le mani erano coperte di squame, e ricordavano la struttura di quelle umane non fosse stato per gli artigli di cheratina nera, lunghi anche otto centimetri, che le sormontavano; un altro artiglio, o forse un corto spuntone, partiva dal lato esterno di ciascun poso: un dito regredito? Chissà?
Le appendici cutanee del capo erano lunghe e inanellate; ricadevano oltre le spalle.
Quello splendido esemplare di yaut’ja doveva essere alto due metri e oltre.
Com’era grande… e perfetto!
Portava due shurikens allacciati ai fianchi, un paio di lunghissime lame in aggiunta a quelle normali, si scorgeva la punta di una lancia sopra la spalla desta e c’era un plasmacaster su quella sinistra.
Quando arrivò al volto, per poco non ebbe un collasso.
Conosceva quella maschera.
Una maschera sorprendentemente disadorna, un’espressione di sfida e un marchio sulla fronte.
Conosceva quel segno.
Si sfiorò la guancia.
Il simbolo con cui il Cacciatore l’aveva marchiata era ancora lì.
Aveva raccontato, a chi lo chiedeva, di esserselo provocato scivolando sul ghiaccio.
Certo, poteva darsi che ci fossero maschere simili, in circolazione, magari la foggia era come il marchio delle scarpe, ma qualcosa la faceva sperare.
La creatura la osservava.
Poi, pose le mani sui sigilli della maschera e li staccò.
Alloggiò con cura il bioelmo, poi la guardò.
Il volto era più grande di una testa umana, si prolungava verso l’alto in una cresta ossea.
Il colore era sempre ocra, con i bordi nerastri e una fila di macchie nere che scendevano a triangolo fino a metà della fronte alta.
Quattro mandibole ciascuna culminante in una zanna appuntita, circondavano una piccola bocca dotata di cinque denti nell’arcata inferiore e sei in quella superiore, i due più esterni erano maggiormente allungati.
Lo sguardo sinistro proveniva da due gelide ambre, due occhi da predatore, ma per quanto terribili potessero apparire, gli davano comunque un’aria almeno umana, ma guai a chi si fosse fermato a specchiarsi dinnanzi ad essi, al sapere e alla potenza di una razza antichissima, che dell’umanità aveva visto l’ascesa, il culmine e ora il declino.
Spalancò la mandibole.
Incredibile a dirsi, sembrava proprio lo stesso Cacciatore che aveva incontrato in Antartide.
Ma… non era morto?
Lo aveva visto morire, no?
Pensava ormai che nulla potesse stupirla.
Non era così.
Lo yaut’ja non emise di versi incomprensibili.
No, parlò.
Con una voce disumana, sibilante, un suono da incubo, ma pur sempre una voce.
“Sssalve, umana.”
Riconobbe allora la seconda voce…
  

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Scena Nove (IX): L'INIZIATA ***


Scena Nove (IX): L’INIZIATA
 
C’tanu, pianeta originario degli yaut’ja, ad una distanza incalcolabile dalla Terra.
 
“Chi sei?” chiese Lex.
Si diede immediatamente della cretina per aver iniziato così il discorso.
Ma ormai non poteva rimangiarsi ciò che aveva detto.
“Il mio nome è Miyrth ‘Feriij, umana, sse è quessto che vuoi sssapere.
E per rissspondere alla tua prossima domanda inessspressa, ti trovi sssu C’tanu, il pianeta d’origine degli yaut’ja, e ti abbiamo condotta noi qui.”
“Yaut’ja?”
“E’ cossì che ci chiamiamo, sssignifica
La creatura si alzò dal trono e le andò incontro.
I suoi movimenti erano controllati, eleganti, e nessuna emozione traspariva da quel essere.
Le si fermò davanti e le disse.
“Ti pongo ora dinnanzi una ssscelta.
Assscolta attentamente perché da quessssto dipenderà il tuo desssstino.
Quesssste le possssibilità che hai.
Noi possssiamo riportarti sul tuo missserevole pianeta, rimuovere l’impianto di traduzione, cancellare tutto ciò dalla tua mente…” la ragazza fece per interrompere, forse per dire qualche sciocchezza tipo ‘Ecco, così va benissimo’, ma lo yaut’ja continuò “e in tal caso moriressssti in una sssettimana.”
“Come?!”
“Il vossstro rifugio non durerà a lungo e ben presssto i kainde amedha riussciranno a procurarsssi una ssstrada… e questo accadrà fra breve.
Giorni, non ssssettimane.
D’altronde, noi non avremo alcun obbligo nei tuoi confronti e hai la certezza che ti lassceremo morire.”
“Tante grazie…” ironizzò lei.
“Oppure puoi decidere di accettare la mia offerta e di diventare una di noi.
L’impianto diventerà permanente, e altereremo alcune caratterissstiche della tua mente e del tuo corpo, non temere, non te ne accorgerai essssternamente, e sssarà sssolo un miglioramento rissspetto allo standard della tua debole ssspecie, per renderti ssssimile a noi e in grado di cacciare.
Non pretendo che tu diventi uno yaut’ja, non ssssarebbe possibile, quelli della tua razza ssssono inferiori fisssicamente e moralmente a noi.”
Non c’era né scherno né ironia in quelle parole, l’alieno le stava solo dando un’informazione.
“Ma ssse accetterai, la tua vita cambierà completamente.
Noi non sssiamo una razza di assssasssini, come lo è la tua.
Non ci uccidiamo fra di noi… o meglio ci sssono alcuni che lo fanno, ma non sopravvivono mai a lungo.
Ti insssegneremo a ussare le nossstre armi, a padroneggiare il combattimento finchè non diverranno parte di te.
Parteciperai alle nostre cacce e godrai dei doni della vittoria al termine di quessste.
E infine dico ssssolo un’altra cosa perché ssso che tanto è ssstata cercata da voi umani…
Gli yaut’ja non muoiono mai.”
“Ma…cosa?...come è possibile?” non riusciva a credere a quel affermazione, le sembrava inverosimile, ma in fondo in fondo la accettava.
Credeva a quello che le diceva quel gigante alieno.
Ma guarda un po’ cosa le accadeva.
Lo yaut’ja riprese a parlare.
“Fai la tua sssscelta, umana, ma ricorda: nesssssun umano può esssssere marchiato da noi… e vivere un’esssistenza normale.
In una direzione e nell’altra.
Ora decidi.”
Riflettè.
Non che avesse molta scelta.
Però la proposta la attraeva, le piaceva.
Troppo spesso aveva visto e provato quello che la follia umana poteva fare.
Ancora le risuonavano nelle orecchie le parole di Weyland, parole che avevano condannato quasi tutti i membri della spedizione, il giorno in cui la sua vita era cambiata.
“Abbiamo perso troppo per andarcene a mani vuote.”
No, non era quello ciò che voleva.
Sentiva dentro di sé che quella creatura le stava offrendo un’altra possibilità.
Forse aveva bisogno di altri dati per convincersi, si disse.
“Cosa intendi per superiorità della tua specie?”
“Te lo possssso sssubito spiegare, umana…”
L’alieno ringhiò.
Da una parete fuoriuscì una creatura, con il cranio allungato, la coda lunga, nera come la pece.
Uno xenomorfo.
Lo yaut’ja gli balzò addosso ruggendo, la creatura schivò e caddero al suolo.
Prima che il mostro potesse reagire il Cacciatore estrasse le lame retrattili e le piantò nel lucido cranio nero, causando un’esplosione di sangue giallo.
Lo yaut’ja ringhiò qualcosa e la creatura scomparve, era solo una proiezione.
Lex osservò stupita quella scena.
Uno dei mostri che tanto avevano causato problemi ai più potenti eserciti della Terra, eliminato così, in un batter d’occhio.
La creatura fece un cenno e dal soffitto calò un aggeggio di qualche tipo dal quale scaturì una voce metallica: “Fisicamente superiori ad un terrestre, gli yaut’ja possono sconfiggere un kainde amedha all’arma bianca, rimpiazzare qualsiasi atleta terrestre in qualsiasi disciplina, quanto alle idee in fatto artistico possono produrre capolavori ineguagliabili, superare facilmente la capacità di calcolo terrestre, svolgendo equazioni a voi considerate difficilissime senza problemi, posseggono una memoria perfetta e sono in grado di affrontare qualsiasi imprevisto gli si pari davanti.
Inoltre il loro sangue che ai vostri occhi appare verde è in grado di trasportare più efficacemente i nutrienti, ad una pressione che ucciderebbe qualsiasi terrestre, il sistema nervoso comunica venti volte più in fretta del vostro, la sezione triangolare e prismoidale dei muscoli consente maggiore efficienza, il sistema circ…”
Lo yaut’ja fece un cenno come a dire “Basta così”, e l’apparecchi si ritrasse, sparendo.
“Mi auguro che tu ora abbia una rissspossta, umana.”
Lei ripensò a suo padre.
Riflettè su ciò che avrebbe fatto al suo posto.
E comprese quale era la risposta da dare.
La voce che parlava le sembrava quella di un’altra.
Una nuova esistenza la attendeva…  

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Scena Dieci (X): L'ADDESTRAMENTO ***


 Scena Dieci (X): L’ADDESTRAMENTO
 
C’tanu, pianeta originario degli Yaut’ja, ad una distanza incalcolabile dalla Terra.
 
Lo yaut’ja le disse: “Hai fatto la tua ssscelta.”
“E…ora?” rispose lei, solo in quel momento intimorita.
“Ora ti renderemo una di noi.”
E precipitò nell’incoscienza, nella mente continuavano a girare vorticosamente quelle parole.
... Ora ti renderemo una di noi...
…………………Una di noi…………..…………
…………………………………………Una………………………
…………………………………………………..Di……………………………..
………………………………………………………….Noi……………………………………...
………………………………………………………………………………………………………………………………
 
Si risvegliò e questa volta non provò il senso di smarrimento.
Si alzò.
Si sentiva bene, straordinariamente bene.
Davanti a lei con il consueto scintillio dell’aria apparve lo yaut’ja: “Vieni.”
La condusse attraverso una sala, spoglia, disadorna, illuminata da una luce uniforme.
 “Nonostante posssssa ssssembrare cossssa da disssprezzare, umana, difenderssssi è fondamentale durante la caccia.
Per quesssto portiamo l’awu’asa, l’armatura da battaglia.
E’ formata di una lega metallica sssintetica prodotta con un elemento che non ssssi trova ssssul vosssstro pianeta, di eccezionale robussstezza e sssolidità unite alla flessssibilità e alla leggerezza, così da non appessssantire troppo durante la caccia.
Sssolitamente la tenuta diviene essssenziale per lo yaut’ja.”
Solo allora si accorse che la creatura sembrava indossare sempre la stessa corazza.
“Vestite sempre così?”
“Essssenzialmente sì.
Ci ssssono varie fogge di awu'asa, a ssseconda della preda che ssssi deve affrontare, e come per le armi ogni cacciatore ne preferisssce una tipologia.”
Indicò una struttura dentro la quale stava sospesa in una luce azzurra un’armatura, simile a quella dello yaut’ja, sebbene in formato ridotto.
Lei si spogliò in fretta e provò a indossarla.
Sapeva che provare quei sensi di pudore era inutile, con creature tanto diverse dagli umani, ma non potè impedirsi di arrossire.
Il rossore si diffuse quando si accorse di colpo di non avere la minima idea di come si vestisse un’armatura così.
Fortunatamente l’alieno accorse in suo aiuto e nel giro di cinque minuti era completamente vestita.
L’ awu'asa si componeva di una rete che copriva il corpo, protezioni metalliche sulle spalle, sugli avambracci, sul torace e lungo le gambe, una sorta di collana di teschi, e delle armi.
Queste erano lame retrattili di foggia leggermente diversa da come le portava lo yaut’ja, una spada allacciata ad un fodero dietro la schiena, due shurikens e una lancia telescopica, oltre allo spazio per il plasmacaster.
Rivolse uno sguardo interrogativo allo yaut’ja
“Sono armi sssselezionate per essssere adatte al tuo ussso, comunque ssse non ti sssentirai a tuo agio potrai cambiarle quando vorrai.
Avverti il pessso dell’armatura?”
“Un po’…” rispose Lex.
“Normale, ci farai l’abitudine.
Comincia a capire però i cambiamenti che abbiamo apportato al tuo corpo.”
“Cosa intendi dire?”
“L’Awu’asa pesssa, nel vossstro sssissstema di calcolo, circa trecento chilogrammi.
In rapporto al tuo pesso corporeo, è la cifra sssstandard.
Quella che indossso io pessa circa mezza tonnellata. ”
E la creatura si voltò, percorrendo il corridoio, lasciando Lex stupita a considerare ciò che aveva appreso.
Mezza tonnellata di armatura, e correvano e saltavano come se non avessero nessun peso addosso!
Il suo rispetto per quelle creature aumentava sempre di più.
 
Lo yaut’ja la osservò e poi disse “Va bene.
Ora vieni, ti devo far conosssscere coloro che ti inssssegneranno l’arte del combattimento.”
“Chi sono?” chiese la ragazza improvvisamente intimorita.
L’alieno non rispose e si avvicinò ad una porta, lei non potè fare altro che seguirlo.
La creatura digitò qualcosa su una sorta  di pannello e la porta si aprì, ripiegandosi e scomparendo in minuscoli tasselli.
Lex si guardò intorno, ammirata.
Il nuovo ambiente era grigio e spoglio al pari del primo, ma era davvero enorme, tanto che un normale stadio umano ci sarebbe stato dentro senza problemi.
Quasi non si accorge delle due creature che le si stavano avvicinando.
Lo yaut’ja che l’aveva accompagnata finora, e che ormai ha battezzato “Scar”, si avvicinò agli altri due, interrompendo la sua contemplazione.
“Sssalute a voi, mieisain'janain-de .
Asssieme abbiamo sssvolto la Prima Caccia ssu un pianeta lontano… ora vi chiedo di insssegnare a quessst’umana a cacciare…non ssarà difficile, consssiderati i precedenti…”
Parlò lo yaut’ja più alto: “Sssia accettata la tua proposssta, Miyrth ‘Feriij.
Il tuo valore è garanzia più che sssufficiente.” 
Poi parlò di nuovo, rivolto a Lex.
Era leggermente più alto di “Scar”, sui due metri e sessanta circa, e indossava un’armatura diversa, sembrava più antica, riccamente decorata, ma usurata, di colore scuro, bronzeo.
Anche il bioelmo che teneva sotto il braccio aveva un’aria consunta, vissuta.
La fronte della maschera era più inclinata all’indietro del modello portato da Miyrth ‘Feriij e questo assieme alla forma generale gli dava un aspetto feroce.
Una zampa anteriore aveva un’apparenza strana e solo dopo averla osservata un momento comprese che era un arto artificiale, metallico e munito di bizzarre giunture fra e sulle dita.
Chissà quali incredibili armi celava!
La pelle era chiara nella parte anteriore del corpo, grigiastra, più scura sul dorso, e larghe strisce sfumate solcavano i fianchi, mutandone gradualmente i colori. Anche il viso era diverso, i tratti erano più duri, feroci, con un numero di zanne superiore, cinque in ciascuna di quelle inferiori e tre in ciascuna di quelle superiori, mentre le mascelle interne mantenevano la morfologia di ‘Feriij. C’erano due placche ossee poste sulla fronte sopra gli occhi verdi, e non una, ma tre serie di punte ossee che coronavano il cranio, quelle più interne quasi smussate, quelle più esterne larghe e appuntite, e quelle mediane a metà strada. Lungo le punte interne correva una fila di spine cornee.
Ma furono i colori a sorprenderla: il volto era nella parte interna ancora più chiaro del corpo, si scuriva verso l’esterno, ma già le punte delle creste mediane e quasi tutte quelle esterne erano rosse, vermiglie quasi tendenti al magenta, mentre dalla fronte scendeva un motivo regolare a losanghe più o meno simmetriche che riprendevano quel rosso e aggiungevano il grigio e il nero.
Quel disegno a rombi le ricordava molto quello di alcuni serpenti terrestri, per questo prese a chiamare fra di sé quello yaut’ja come “Snake”
Fissò un attimo negli occhi la creatura e comprese di trovarsi davanti ad una creatura antica, e spietata.
C’era qualcosa di spaventoso in quello sguardo.
“Io sssono yeyinde Vor ’tasSkaariij.
Io ti insssegnerò l’usso delle kti’pa, il controllo del sivk'va-tai, del jed-k'targe dell’al’Nagara”
Si fece avanti il secondo.
Se si era stupita di “Snake”, non potè non meravigliarsi vedendo ora questo yaut’ja.
Indossava un’armatura che la prima cosa che le fece pensare fu il giubbotto di un motociclista, solo in metallo.
Era liscia e levigata, di colore grigio bluastro, e spuntavano numerosi fili dalla parte interna, per poi rituffarsi fra le placche, connettendosi non si capiva bene dove.
La maschera, di foggia bizzarra almeno quanto quella di Miyrth ‘Feriij, non appariva molto vecchia, anche se di sicuro era stata usata, come dimostravano leggeri graffi e ammaccature.
Aveva un disegno bombato che rassomigliava all’addome di un coleottero, un incisione a forma di foglia sulle “guance” e una riga più spessa divideva in due la parte del “muso”.
La pelle era verde e gialla, le parti interne più chiare e il dorso più scuro, ma stavolta le strisce erano nette, e il verde scuro spiccava chiaramente sul giallo.
IL cranio era alto, crestato da una doppia fila di punte; il colore di fondo era verde sulla fronte, intersecato con il giallo beige del volto, ma sul cranio vi erano anche in posizione speculare macchie rosse contornate di giallo, a forma di fagiolo, e macchie verdi trilobate, con il contorno sempre delineato in giallo.
Aveva gli occhi arancioni e cinque zanne nelle mascelle inferiori, le due normalmente presenti più lunghe delle altre, le mascelle interne invece avevano due denti sull’arcata superiore e quattro in quella inferiore.
Non portava, a differenza degli altri due yaut’ja, il plasmacaster sulla spalla e impugnava una sorta di lancia cerimoniale che finiva in punta con lo stesso motivo delle lame retrattili, che sembrava fossero state legate in cima.
Sembrava un’arma di fortuna.
Decise di ribattezzarlo “Lost”.
“Benvenuta- disse- io sssono Aesir ‘Kraaliij.
Ti illusssstrerò l’usso delle armi anomale, bizzarre, quelle che pochi yaut’ja ssscelgono di padroneggiare.
Armi forssse ritenute eccentriche ed inutili, ma fedeli in mano esssperta.”
Al suo sguardo interrogativo aggiunse: “Come la thar'n-dha che porti…”
Prima che potesse anche minimamente chiedersi che diavolo fosse una thar’n-dha, il primo yaut’ja si avvicinò agli altri due yaut’ja e disse: “Bene, umana.
Come già sai, il mio nome è Miyrth’ Feriij.
Non lasssciarti confondere dalla ssuddivissione dei ruoli a cui hai asssisstito, ogni yaut’ja potrebbe farti da insssegnante, la nostra abilità è praticamente pari…”
Lex colse uno scambio di sguardi fra gli altri due yaut’ja, che poi ripresero a fissare Scar.
Chissà perché, le parve che ci fosse qualche nesso con il nome dello yaut’ja… Miyrth ‘Feriij… un nome che sebbene le fosse completamente oscuro per significato le aveva fatto provare un involontario fremito di paura.
Quella paura che si prova dinnanzi ad una minaccia sconosciuta ed incombente.
 “Da me imparerai l’ussso delle armi da lancio e a migliorare l’abilità nello ssscagliarle.”
Estrasse due shurikens dai rispettivi supporti e li aprì in un ventaglio di lame.
“Forssse avendo visssto che non sssono in grado di arressstare l’impeto di una ke’kwei kainde kmedha ti sssembreranno armi inutili… nessun arma yaut’ja può definirsi inutile - la voce dello yaut’ja si ridusse, per la prima volta da quando lo sentiva parlare mutava tono, e per certi versi era meglio se non lo avesse fatto, sembrava davvero sibilare- ma posssso farli sssfrecciare accanto alla tua guancia senza ferirti… o tagliarti di netto la tesssta, come preferisci…”
Alexa, intimidita, si ritrasse di scatto.
Lo yaut’ja: “Sssssh… vediamo che sssai fare d’istinto, per cominciare…”
La fece avvicinare alla parete dove c’erano le armi… lance, dischi, lame retrattili, e tante altre a cui non avrebbe saputo dare un nome, alcune così aliene da non poterne intuire nemmeno il funzionamento, tutte allineate con precisione in una sorta di rastrelliera, alcune presenti in due versioni o aperte e chiuse.
Miyrth’ Feriij afferrò il braccio della ragazza e glielo avvicinò al volto, in direzione del dorso delle lame.
“Queste sssono le kti’pa.
Contrai il polssso” le disse, lei eseguì e le lame scattarono fuori.
Lo yaut’ja fece lo stesso, e il rumore suonò chissà perché molto più minaccioso.
Lex si chiese quante creature fossero morte su quelle lame… meglio non indagare…
D’improvviso un manichino grigio di forma umanoide uscì da una parete, brandendo una sorta di bastone metallico.
“Attaccalo” disse lo yaut’ja.
“Cosa?” replicò lei, e intanto il robot le fu addosso mandandola al suolo.
Il Cacciatore lo colpì e questo cadde al suolo, con uno schizzo di sangue rosso molto realistico.
L’alieno le mise la mano sotto il mento e la sollevò in piedi, un gesto dettato probabilmente dalla cortesia, ma che avrebbe spezzato il collo a qualsiasi essere umano normale.
Si sentì sollevare di quasi venti centimetri da terra.
La creatura disse: “Era programmato sssulla forza di un essssere umano maschio adulto del vosstro pianeta… non particolarmente arduo.
Riprova.”
Al secondo tentativo resistette un po’ prima di cadere, al terzo riuscì a danneggiarlo e finalmente al quarto il macinino cadde al suolo e non si mosse più.
“Bene.
Sssorprendentemente bene, per una razza i quali individui più rappresssentativi non sssanno impugnare altro che un foglio coperto di ssscritte.”
Alexa sorrise a quella descrizione del genere umano.
Come hai notato le modifiche che abbiamo compiuto sul tuo corpo migliorano notevolmente le pressstazioni fisssiche…”
Lex non ascoltava.
Si fissava la mano.
Si era fatta un minuscolo taglio combattendo.
Una gocciolina di sangue stillò fuori.
Era verde… 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Scena Undici (XI): LEZIONI DI SCHERMA ***


Scena Undici (XI): LEZIONI DI SCHERMA
 
C’tanu, pianeta originario degli yaut’ja, ad una distanza incalcolabile dalla Terra.
 
Lentamente, colei che era stata Alexa Woods si guadagnò, faticando, il rispetto degli yaut’ja.
Gli allenamenti si facevano ogni giorno più pesanti, ma stringeva i denti.
Aveva ormai capito che cosa volesse dire essere uno yaut’ja.
Una yaut’ja, ad essere esatti.
E anche l’unica.
Miyrth ‘Feriij le aveva spiegato che non esistevano yaut’ja femmine, dato un particolare ciclo riproduttivo diviso in tre fasi di cui non aveva capito granchè, ma l’aveva accettato senza obiettare.
Stava imparando.
Sia sul piano fisico sia su quello mentale, ad allenare il corpo e la mente alla caccia, ad usare le loro armi, a sopportare la fatica, a saper correre per ore senza stancarsi e ad essere ancora in grado di combattere, a saper attendere paziente il passaggio della preda e ad andare a cercarla, e in ultima analisi ad uccidere un normale essere umano a mani nude, senza sforzo.
Non sapeva bene a che cosa le sarebbe servita quest’ultima dote, ma non ci stette molto a pensare e la immagazzinò assieme alle altre conoscenze.
Ogni giorno gli allenamenti diventavano più duri e le prove più complesse.
Quando aveva chiesto a Miyrth ‘Feriij il motivo di queste maggiori difficoltà la risposta era stata: “Ti feriremo perché tu diventi capace di ssssopportare le ferite.
Ti faremo combattere fino alla morte per poi riportarti in vita per farti combattere ancora.
Ti terremo in preda alla tenssssione,  dovrai ssstare perennemente attenta, in maniera da essssere pronta ad ogni cosssa, pronta a improvvisssare, e a vincere ad ogni cosssto.
Quesssto è yaut’ja.”
Aveva capito ormai che questo “essere yaut’ja”, non era solo un modo di cacciare, ma l’identità, la sola filosofia e il solo modo di vivere di quegli esseri, un’esistenza dettata dall’onore e da ferree regole da tenere nel corso della Caccia.
Miyrth ‘Feriij e gli altri non si stancavano mai di ripeterle, e alla fine le aveva imparate a memoria anche lei:
-Non uccidere per nessun motivo un altro yaut’ja (eccetto che su richiesta di quest’ultimo).
-Non uccidere nulla che non possa difendersi, se non è un rischio per la tua sopravvivenza;
-Non uccidere nulla che sia ferito o malato, se non è un rischio per la tua sopravvivenza;
-Non estinguere una specie e non esercitare una pressione eccessiva sulla popolazione che cacci.
Non invadere il territorio di caccia di un altro yaut’ja. Se fatto in buona fede, questa regola può ammettere una deroga.
-Non permettere che una preda ti disonori.
-In quest’ultimo caso devi immediatamente porre fine alla tua vita.
Intanto apprendeva dai racconti degli yaut’ja, di cacce compiute su pianeti lontani, con prede terribili… e non le dispiaceva nemmeno sentir raccontare da Scar (aveva impostato il traduttore in maniera che pronunciando il soprannome che aveva affibbiato a ciascun esemplare venisse pronunciato il nome corretto, per evitare quelle sillabe piene di consonanti che sembravano talvolta ringhi soffocati o sibili sommessi.
Lo stesso aveva fatto per i nomi delle armi) il ruolo che aveva avuto, in quel giorno nel quale la sua vita era cambiata.
“Non siamo soli…- si sorprendeva talvolta a pensare –c’è qualcos’altro oltre ai kainde amedha…”
Sempre quel concetto, il nemico del mio nemico è mio amico, ma aveva capito che gli yaut’ja “non prendevano parte alle contese fra le specie inferiori”, quindi…
 
Venne il giorno in cui secondo Miyrth ‘Feriij era pronta ad affrontare in un duello uno yaut’ja, invece che un manichino.
La ragazza e l’alieno entrarono nel Kehe’rte, la sala degli allenamenti, trovandola incredibilmente cambiata.
Era come se qualcuno si fosse divertito a scolpire l’intera zona e a riempirla degli ostacoli più svariati, rocce, tronchi d’albero, avvallamenti del terreno, ogni cosa potesse rendere più difficile il passaggio.
Mentre Lex osservava stupita, Miyrth ‘Feriij sguainò i ki’Kti-pa e ringhiò “Pronta?”
Lei estrasse la thar’n-da, l’arma con cui si trovava più a suo agio e annuì.
Lo yaut’ja le balzò addosso e fu costretta ad usare entrambe le mani per parare il colpo, poi la creatura spiccò un salto all’indietro che lo allontanò di cinque metri.
L’illuminazione era scarsa, ma Lex sapeva che questo non era un intralcio per lo yaut’ja, semmai lo era per lei.
Un attimo di distrazione e la creatura era sparita.
Le arrivò un colpo dietro alle scapole che l’avrebbe tagliata in due se non fosse stata protetta dall’armatura.
Cadde in avanti.
“Rialzati!” sibilò l’alieno e scomparve di nuovo.
Ebbe il tempo di rimettersi in piedi e ki’Kti-pa si incrociarono di nuovo dinnanzi a lei, poi si aprirono bruscamente mandandola al suolo.
Ma ormai aveva capito, si accucciò mentre cadeva e scattò in avanti… accorgendosi che avrebbe colpito un punto a mezzo metro dallo yaut’ja.
Mentre passava incapace di fermarsi la creatura alzò l’arma e la colpì al petto, facendola capitombolare con la schiena al suolo.
La creatura le si avvicinò e le bloccò il braccio con il piede, quindi le avvicinò la punta della lame alla gola.
Mantenne quella posizione per un secondo, come a farle capire che avrebbe potuto ucciderla come e quando avesse voluto, poi balzò di nuovo all’indietro, sparendo nell’oscurità.
Mentre Lex si rimetteva in piedi da un punto imprecisato risuonò la voce dello yaut’ja: “Guarda, umana, perché ora ti ucciderò tre volte”.
“Uno”.
La lama fendette l’aria sopra la sua testa.
“Due”.
Stavolta venne dalla direzione opposta a quella precedente e le sfiorò il fianco.
“Tre”.
Le due lame si incrociarono sul suo petto nell’esatto punto dove c’era il cuore.
Per la sorpresa dell’ultimo assalto lei scivolò finendo di nuovo al suolo.
La creatura le si materializzò davanti con uno scintillio.
“E’ stato un trucco!” si lamentò Lex.
“La vita è crudele, umana.”
Lei scattò in avanti, per avere almeno per un secondo la soddisfazione di toccare lo yaut’ja con la spada…
L’alieno si sposò leggermente di lato.
L’arma gli sibilò innocua accanto.
Agguantò il braccio della ragazza facendole perdere la presa sull’arma e l’equilibrio…
E le avvicinò la lama al collo.
“Esssattamente” sibilò.
“Hai commesssso degli errori che ti sssarebbero cossstati cari.
Non devi lasssciare vantaggi al tuo avversssario, oppure perderai miseramente.
Tutto è legato alla vittoria, ma bassta che qualcosa sssi comporti in maniera leggermente diversssa dalla tua teoria per trasssformare una vittoria in sssconfitta.”
Lex si chiese per quanto sarebbe durata quell’umiliazione, le sembrava che la creatura lo facesse solo per divertirsi, era ovvio che non aveva avuto possibilità contro di lui.
Durante il combattimento l’alieno attaccava sempre per primo, sembrava prevederne le mosse e reagiva ad ogni patetico tentativo di difesa con un assalto devastante.
Alzò lo sguardo.
Lo yaut’ja torreggiante su di lei le tese la mano per aiutarla a rialzarsi.
“Hai combattuto bene, tutto ssssommato.
Hai sssuperato la prova, umana.”
Quale prova?
E poi aveva perso!
Cercò di spiegare il concetto allo yaut’ja.
“Naturale che non ti avessssi detto niente, umana, sse avessssi persso ti ssaresssti avvilita, invece non sssapendo nulla non avresssti potuto ssoffrire per una ferita che non conossscevi.”
“Ma… se non avessi superato la prova?”
“Ti avrei fatto combattere finchè non ce l’avresssti fatta.”
Mentre usciva dalla stanza decise di aver appreso dall’esperienza solo che gli yaut’ja erano imprevedibili.
Che scoperta… 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Scena Dodici (XII): IL CORRIDORE ***


Scena Dodici (XII): IL CORRIDORE
 
Terra, da qualche parte nell’Oregon
 
Rumori…sensazioni…
La regina pensava, cosciente…
Gli altri, migliaia di appendici di un'unica, enorme creatura, ubbidivano.
Nulla valeva il singolo per una specie perfetta.
Rumori…sensazioni…prede.
“Sshhhhrrrhhhh...”
Una creatura scivolò fuori dal nido.
La perfetta macchina di morte era marrone rossiccio, diversa dagli xenomorfi più comuni, neri.
Ma per esseri incapaci di vedere ciò non aveva significato.
Si muoveva a quattro zampe e non aveva le escrescenza sulla schiena delle altre creature che popolavano l’alveare.
Il corridore sibilò.
Si spostava agilmente, come un geco, le quattro zampe facevano presa su ogni superficie.
La lunga coda dotata di una lama ossea all’estremità frustava l’aria alle sue spalle.
Il mostro stridette di nuovo.
Era in caccia…
 
Alex camminava per il sentiero.
Quasi non riusciva a credere alla sua fortuna!
Erano settimane che sperava, che sognava, ma mai avrebbe sperato… beh, insomma per farla in breve Valentine gli aveva chiesto di uscire un attimo dalla fortificazione con lei, per addentrasi tra i boschi.
Con una scusa, ma non importava.
Era un sacco di tempo che voleva chiederle di uscire con lui, ma mai avrebbe trovato il coraggio… e invece era stata proprio lei a chiederglielo.
Si addentrarono nella muraglia di tronchi d’albero, chiaccherando… ma Alex continuava a tenere gli occhi fissi sulla ragazza.
Lei era… era… insomma… beh, una persona qualsiasi non avrebbe potuto forse trovare nulla di speciale in lei… una bella ragazza, davvero bella, ma come tante altre che c’erano… ora un po’ meno, dopo l’infestazione, ma comunque… invece lui aveva imparato a vederla oltre i capelli lisci, gli occhi marroni e l’ovale del volto, e aveva scoperto in lei una persona straordinaria… animata da una tale energia che a volte lo sorprendeva… insomma… era… era…
La sua voce interruppe il flusso dei pensieri.
“Come va?”
“Tutto bene, sì… ecco… dato che ci troviamo a parlare… volevo chiederti se…”
“Se?” chiese lei, fissandolo.
Stava per rispondere quando la ragazza incespicò, scivolando.
La prese per un braccio, salvandola dal terribile precipizio di… trenta centimetri.
“Stai bene?”
Valentine rispose “Sì, sono sicura di sì…”
“Nulla di rotto?”
“N…no.”
All’improvviso si guardarono intorno.
Gli alberi sembravano all’improvviso molto più spaventosi.
I rami sembravano volersi richiudere su di loro.
“Torniamo indietro…” propose la ragazza.
“Non avrai mica paura?!” replicò lui divertito.
“Paura?! Io?!”
“Bene, perché… insomma… dato che siamo qui… come dicevo… volevo dirti…”
Non finì mai la frase.
Qualcosa, mani adunche con affilati artigli lo ghermirono.
Troppo tardi Valentine ricordò le raccomandazioni.
Sgrana bene gli occhi, ragazza, e guarda.
Portiamo indietro questa scena… come un film.
Voi due state parlando tranquilli.
CLICK!
Un altro fotogramma.
Ti guardi attorno atterrita.
CLICK!
Torniamo un attimo indietro.
Vedi l’ombra che si sta precipitando sul tuo amico?
Forse riesci a distinguere un cranio allungato, denti appuntiti, mani artigliate?
Li vedi?
E’ così che attacca il corridore.
Veloce, efficiente e silenzioso.
Di tanti xenomorfi, questo è uno dei peggiori.
E’ più agile, ma soprattutto è veloce.
Così veloce che le lente reazioni umane non riescono a contrastarlo.
E ricorda anche che succede una volta che loro catturano qualcuno.
Se ti uccidono, è meglio.
Se no, è peggio della morte.
Spingono un piccolo essere dentro di te attraverso la gola, e quello cresce nel tuo corpo, ma non te ne puoi accorgere… finchè non è troppo tardi.
Finchè una macchia di sangue non si allarga sulla tua veste e non senti le costole spezzarsi.
Forse, morirai subito, prima di vederlo uscire dal tuo corpo…
Ma non ci contare…
Valentine si accoccolò al suolo, mise la testa fra le ginocchia e pianse.
 
“Sssrrrhhhh…”
Lo xenomorfo fece ritorno al nido.
Aveva portato a termine il suo compito, un’altra preda era stata catturata.
Si accoccolò sulla parete nera e riprese la sua esistenza quiescente… 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Scena Tredici (XIII): IL TRIBUTO ***


 Scena Tredici (XIII): IL TRIBUTO
 
C’tanu, pianeta originario degli yaut’ja, ad una distanza incalcolabile dalla Terra
 
Finalmente Miyrth ‘Feriij decise che era giunto per Lex il giorno di ricevere la nomina ufficiale a yaut’ja.
La ragazza si sentiva leggermente emozionata anche perché non sapeva che cosa le fosse chiesto di affrontare… la creatura le aveva detto che la prova cambiava sempre e che non ci si poteva basare su precedenti noti.
Dunque, riflettendo su ciò che aveva imparato, entrò nella Sala del Consiglio dei Pa’ya.
 
Lo yaut’ja, immenso nella sua armatura avanzava dietro di lei.
La maschera, il bioelmo raffigurante il volto della regina degli xenomorfi, non lasciava trasparire alcuna emozione, ma se anche fosse stata rimossa, il volto rettiloide che celava era assolutamente tranquillo.
Gli yaut’ja non accettano un membro di un’altra specie fra di loro, per poi eliminarlo con una scusa.
Tuttavia, non era male che l’umana, come ogni yaut’ja, provasse un po’ di preoccupazione.
La creatura ricordava ancora il giorno in cui egli stesso aveva varcato quella soglia, portando con sé il cranio della sua prima preda.
Sapeva bene che era del tutto impossibile recuperare il primo kainde amedha ucciso da lei, ma non se ne preoccupava.
Aveva con sé qualcosa che ben lo avrebbe sostituito.
L’obiettivo della seconda missione affidatagli.
 
L’alieno oltrepassò Lex e si inchinò di fronte agli anziani seduti in semicerchio dinnanzi a lui.
Osservò gli altri cacciatori, ma solo uno gli interessava realmente.
Il pa’ya che gli aveva affidato la missione.
Sedeva al centro della curva descritta dagli altri yaut’ja, avvolto in un mantello rosso, la maschera antica appoggiata vicino a sé, con le rune scritte sulla parte superire e la sezione orale mancante, il volto lasciava vedere distintamente i segni dell’età avanzata, nei tratti duri e nelle cicatrici, segno di molte cacce portate a termine.
Il volto presentava spine sottili e molto più numerose di quelle degli altri esemplari.
Portava grossomodo la stessa armatura indossata da Miyrth ‘Feriij, ma molto, molto più antica e usurata..
Lo yaut’ja si alzò e si diresse verso di loro.
Si rivolse a Miyrth ‘Feriij, ma non ci fu bisogno di parlare.
“Ecco il tributo” disse lo yaut’ja.
E gettò un teschio umano ai piedi dell’anziano.
Fu subito seguito da un paio di mostrine.
“Tenente Colonnello Alan Shaefer” c’era scritto sopra.
“Eccellente” disse il pa’ya yaut’ja.
Poi abbandonò quel tono freddo e controllato, era la prima volta che Lex sentiva uno yaut’ja esprimersi in maniera differente.
Sembrava distaccato, ma era difficile da definire.
“Hai avuto qualche problema?”
Scar fece scattare i sigilli del bioelmo e se lo tolse.
Inclinò lateralmente la testa.
Rispetto.
“No, asssssolutamente…” 
 
Alcuni mesi prima, vicino a Washington DC, Terra
 
“Tenente colonnello!” Sono dappertutto!”
“Lo vedo, Willson, quindi piantala di gridare e tieni dritto il mitra, dannazione!”
“Non so se riusciremo a resistere…AAAARGH!!!”
Il warrior era arrivato alle spalle del soldato e gli aveva sfondato il cranio con la lingua retrattile:
“Maledetto! Prendi questo, figlio di *******!!!”
Il tenente colonnello Alan “Dutch” Shaefer imbracciò il mitra e ridusse a pezzi lo xenomorfo, continuando a sparare finchè non esaurì le munizioni.
Tolse il caricatore e ne inserì uno di nuovo.
 
Il tenente colonnello aveva perso un occhio e riportato gravissime lesioni e danni interni mentre era ufficialmente impegnato in una missione in Centroamerica contro dei guerriglieri.
Le cose non erano andate proprio così, ma il governo gli aveva intimato di stare zitto.
Aveva ottenuto un congedo onorevole, ma dopo sei mesi si era stufato della vita tranquilla e si era di nuovo arruolato.
Era salito di grado dopo alcune brillanti operazioni militari in Iraq… ma quello che stavano affrontando era ben peggio di qualsiasi terrorista fanatico.
 
“C****, sergente, quando arrivano quei mezzi pesanti?”
“Sto provvedendo signore… ecco, sono riuscito a far arrivare un carro armato dalla basa vicina sarà qui a momenti.
Contento, signore?”
“Ma va a farti f******!”
“Ecco signore, il mezzo è in movimento, dovrebbe vederlo…”
La radio crepitò.
“Sì, ecco, lo vedo, provo ad avvicinarmi… oh c****!”
“Cosa c’è, signor-Aaaaargh!”
“Sergente, sergente, mi senti?”
“Srrrrrrrreeeehhh!!!”
 “Oh, m****!”
 
Il tenente colonnello non potè fare altro che riprendere a osservare impotente lo spettacolo che aveva di fronte.
I droni, i corridori e i warrior si erano ritirati, era vero.
Ma solo per far spazio agli xenomorfi più grossi che avesse mai visto.
Erano alti alla spalla almeno quanto il mezzo corazzato e altrettanto lunghi se non di più.
I loro crani si appiattivano all’indietro in una sorta di cresta ossea.
I tre pretoriani si lanciarono all’assalto del carro armato.
Questo riuscì ad aprire fuoco e ad abbattere il mostro che aveva davanti, ma gli altri si misero ai lato e cominciarono a colpirlo.
Il pilota del mezzo, probabilmente terrorizzato, invertì la marcia e cercò di fuggire, ma i due giganti correvano agilmente a fianco del veicolo.
Per un attimo non accadde nulla.
Poi con uno scatto scardinarono le portiere, strapparono la torretta armata ad estrassero come acciughe da una vaschetta i marines terrorizzati.
Poi il mezzo si schiantò.
Uno dei pretoriani rimase coinvolto nell’esplosione, l’altro si salvò e si guardò intorno.
Anche Dutch si guardò intorno.
Era l’unico soldato ancora in piedi.
“V*********, mostro!”, urlò, sparando contro il pretoriano… ed esaurendo il suo ultimo caricatore prima di scoprire che uno: l’alieno era immune alle pallottole, due: aveva finito le munizioni.
Cercò di correre via preparandosi a morire.
All’improvviso un’esplosione squarciò l’aria, si arrischiò a guardarsi indietro e vide che da un buco nel terreno era uscita una creatura umanoide che aveva conficcato una lancia in testa al pretoriano.
Un lampo di luce azzurrina e il gigantesco mostro fu storia.
Comprendendo con orrore che aveva barattato un nemico con un altro, riprese la sua corsa, ma la creatura fu più veloce e lo gettò al suolo.
Afferrò un mitra ma un colpo delle lame retrattili lo mandò in frantumi.
Il colpo di grazia però non venne.
Si arrischiò a dare un’occhiata alla creatura: era perfino più grande dell’altro, con un’armatura più pesante, una maschera riccamente ornata e molte armi in più.
Non capiva che cosa volesse, se avesse desiderato ucciderlo avrebbe potuto già farlo, ma chi può dire ciò che passa per la mente di creature così aliene?
L’essere lo fissò, inclinando leggermente il capo.
Quindi fece scattare i sigilli della maschera e se la tolse.
Ruggì.
 
Lo yaut’ja, Miyrth ‘Feriij, osservava quella miserabile preda che si contorceva tremando di paura.
Non poteva dargliene torto.
Era da tempo stabilito il destino di chi cercava di ingannare gli yaut’ja.
Ma quella preda avrebbe meritato anche di più.
Doveva soffrire, oh se doveva.
 
All’improvviso il mostro ringhiò qualcosa.
"Trr-re..rrhhh...rhhrgghh-grrr...rahhh!!!”
"Cosa?" fece Dutch.
Lo yaut'ja spalancò le braccia e ruggì.
Quel gesto era inconfondibile.
Dutch cercando di prendere tempo, cercando con gli occhi un’arma al suolo.
Non ne vide neanche una.
Stramaledisse la sua sorte.
Alla fine poggiò la mano sull’impugnatura del coltello da combattimento.
La creatura ringhiò di nuovo.
"thrrdhr, Shhhr-de pi'd rrgh"
La creatura sprezzante indicò il campo di battaglia.
“Senti, mostro, qui o me ne vado con la pelle addosso o muoio con lo stivale nel tuo c***.
Quindi spicciati che devo andare ad una festa e non voglio far aspettare tua sorella!”
Era certo che lo yaut’ja non avrebbe capito l’insulto, ma si preparò a combattere ed estrasse il coltello.
L’alieno, alzata la gamba in un secondo nella mano fece apparire il pugnale da caccia yaut’ja, una lama di foggia diabolica, divisa in due.
Al primo tocco la miserabile arma umana venne letteralmente tagliata in due.
Dutch sbiancò, ma a quel punto la creatura gli balzò addosso, e non gli rimase altro che gridare i suoi insulti alle stelle del cielo, mentre lo yaut’ja gli stappava crudele la colonna vertebrale.
L'ultima cosa che sentì fu il ruggito della creatura, che sembrava riempire il mondo…

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Scena Quattordici (XIV): IL SIMBOLO DEL GUERRIERO ***


 Scena Quattordici (XIV): IL SIMBOLO DEL GUERRIERO
 
C’tanu, pianeta originario degli yaut’ja, ad una distanza incalcolabile dalla Terra
 
Lo yaut’ja terminò il suo racconto.
Per un attimo nella sala ci fu il silenzio.
Poi Miyrth’ Feriij riprese a parlare.
“Yaut’ja.
Quessst’umana ha era presssente al rito di iniziazione che ho compiuto.
Ha uccisssso un kainde amedha con le nossstre armi.
Assolo grazie al sssuo aiuto ho uccisssso una ke’kwei kainde amedha.
E’ ssstata marchiata con il ssssangue della preda.
Ha accettato di diventare una di noi.
Sssul codice della caccia, sssul ssssangue della preda e sssul mio yin’itekai, garantisco che è diventata come noi.
Ora, vi chiedo di accogliere la mia richiesta.”
Una voce nella sala, dalla parte degli anziani, mormorò, abbastanza alta da farsi sentire.
“Per quel che può valere lo yin’itekai di un bhu'ja…”
Prima che lo si potesse fermare, ‘Feriij replicò, con voce tagliente.
“Osssi dunque mettere in dubbio il mio yin’itekai, Ra’jan,” omettendo di proposito il finale, “l’iij del mio nome non ti dice nulla?”
“Dico solo che so che sei morto durante il rito d’iniziazione e che è solo grazie all’intercessione di Dra’Shraniij che sei qui” commentò secco l’altro.
“iK'cte!
Ra’janiij” fece il pa’ya al quale Miyrth ’Feriij aveva consegnato il trofeo, “sappiamo tutti della tua avversione per il nostro clan…”
“Il VOSTRO clan!?” fece l’altro anziano, apparentemente divertito.
“Esatto, Ra’janiij.
Anche se sono diventato pa’ya yaut’ja, mantengo comunque l’affetto per il Clan delle Lame Nere.
Ora, smetti di offendere i miei…”
“Non c’è bissssogno che tu ti esssponga così, pa’ya yaut'ja” disse ‘Feriij, chiamando l’anziano con il titolo onorifico” non sssarà un problema dimossstrare il mio yin'tekai a Ra’jan.
Ssseguitemi.”
“Sei sicuro, Miyrth’ Feriij?” chiese lo yaut’ja.
“Sssì.
Nel Kehe’rte.
Procurate un kainde amedha, lo combatterò con le sssole lame retrattili.
Bpide del dtain'aun del nav'g-kon Dtai'k-dtaík-dte sa-sa-de.
Nain-desintje-nain-desintje-de.”
Lex si chiese che cosa significasse quell’espressione e perché non fosse stata tradotta.
Il pa’ya replicò “E sia.
Dtai'k-dte sa-de nav'g-kon dtain'aun bpide.
Nau'gkon dtain'aun bpi-de.
Ra’janiij si riterrà soddisfatto dopo questa dimostrazione di yin'tekai?”
“Suppongo di sì” replicò l’altro, “prima però deve darla.”
“iC 'jit!” ringhio Miyrth’ Feriij, ma in un tono così basso che Lex ebbe la certezza di essere la sola ad averlo udito.
 
L’arena non era come al solito grigia e spoglia, ma forse sarebbe stato meglio lo fosse.
L’interno riproduceva ora l’interno di un nido di xenomorfi, nero, le pareti simili alle costole di un essere vivente e i soffitti bassi.
Un mucchio di anfratti e posti ove nascondersi.
Una sensazione di clabustrofobia opprimente.
La dimora delle ombre.
Miyrth ‘Feriij staccò il plasmacaster dalla spalla, sfilò i maul dal braccio, tolse dal fodero il pugnale cerimoniale, lasciò cadere gli shurikens e gettò al suolo la lancia telescopica.
Sfoderò da entrambi i polsi le lame retrattili e ruggì.
 
Lo xenomorfo avanzava silenzioso nel nuovo ambiente, sospettoso, i sensi vigili.
L’oscurità completa non era uno svantaggio per lui come non lo era per la creatura di cui aveva percepito la presenza.
Lentamente, fece scivolare la coda giù dal soffitto e si preparò ad attaccare.
 
Lo yaut’ja sapeva della presenza del kainde amedha, poco distante da lui, come sapeva della mossa che la nera creatura si apprestava a fare.
La coda appuntita del mostro calò dall’alto colpendo il punto esatto in cui si trovava lo yaut’ja… pochi secondi prima.
Miyrth ‘Feriij agguantò l’oscuro essere e lo fece precipitare al suolo, dove si contorse per un attimo, stordito.
“Reaaahhhhhhrrrr!!!”
Lo xenomorfo balzò addosso allo yaut’ja che però aveva previsto la mossa e si scansò, riportando però una ferita al fianco dovuta agli artigli della creatura, non molto profonda, ma dolorosa.
Sangue verde luminescente macchiò il pavimento.
“Crrrrrhh…” l’alieno umanoide ringhiò.
La nera creatura gli balzò addosso un’altra volta, cercando di colpirlo con la coda e con i denti, con la lingua e con gli artigli, ma lo yaut’ja la afferrò, lasciando dei graffi sulla liscia corazza silicea del cranio dello xenomorfo.
“Shrreeeeeeeeehh!”
Il mostro stridette per il dolore, un sono atroce, cercando di divincolarsi e liberarsi, ma lo yaut’ja sfoderò le lame retrattili e gli tagliò la testa con un singolo, fluido movimento.
Il cranio dell’essere restò per un momento al suo posto, poi rotolò al suolo.
Il corpo della creatura si afflosciò.
L’alieno osservò per un attimo il cadavere fumante dello xenomorfo, sollevò il trofeo della sua vittima e ruggì.
 
Miyrth ‘Feriij uscì dal Kehe’rte, il sangue acido della creatura bagnava il pavimento, ma il materiale era trattato per non sciogliersi e non ci sarebbero stati danni.
Gocce del suo stesso sangue verde macchiavano il terreno, provava dolore, ma non importava, era una ferita poco importante che avrebbe medicato dopo.
Si diresse verso gli anziani e gettò dinnanzi a loro il capo mozzato del kainde amedha.
“Nain-desintje-nain-desintje-de.
Ra’janiij, riconossssci ora il mio yin'tekai?”
L’altro yaut’ja ringhiò “iC ‘jit!” e si allontanò.
Miyrth ‘Feriij finse di ignorare l’insulto, ormai Lex era convinta che l’espressione avesse un significato non proprio positivo, rivoltogli.
“Yaut’ja.
Avendo ora dato quessssta prova di valore, accettate la mia parola?
Consssidererete quessst’umana come una di noi?”
All’improvviso un jed-k'targ schizzò nella sala.
Il tiro era veloce, preciso, il bersaglio neanche troppo distante.
Miyrth ‘Feriij si spostò leggermente di lato e lo agguantò al volo, posandolo poi al suolo.
Lo sguardo di tutti i presenti andò nella direzione da cui proveniva il disco, ma a parte un generale indurirsi dello sguardo, non ci furono commenti all’episodio.
Si alzò il pa’ya Dra’Shraniij.
“Accettiamo la tua parola, vor'mekta Miyrth ‘Feriij.”
Poi chiese allo yaut’ja.
“Hai l’arma?”
Con un cenno d’assenso Miyrth ‘Feriij consegnò allo yaut’ja una lancia cerimoniale la stessa che era stata data a Lex sulla Terra.
Sembravano passati secoli!
Lei si inginocchiò e l’anziano gliela tese.
“Ecco l’arma che ti è affidata, servila con onore, Lexiij!”
Per la prima volta lei comprese il significato del suffisso –iij.
Yaut’ja.
‘Feriij parlò di nuovo: “A quale prova dovrà sottoporsi Lexiij per essere pienamente accettata?”
Il pa’ya mormorò qualcosa che lei, assurdamente compiaciuta non colse.
In compenso notò l’atteggiamento di Miyrth ‘Feriij, sembrava… divertito (uno yaut’ja divertito?!), ma con quella maschera addosso non ne era certa.
Quella maschera dava solo una perenne espressione di sfida al volto dello yaut’ja, e capiva, conoscendo il comportamento dell’amico, ormai lo definiva così, perché avesse scelto quella foggia.
Per il resto era sorprendentemente priva degli ornamenti delle altre maschere.
Non prendetemi per ciò che sembro ma per ciò che valgo, sembrava dire il bioelmo.
E soggiungere maliziosamente, ma forse quella era solo una sua impressione: E avanti il prossimo.
Tutto qui?!
Se è così che si fanno onore gli umani…
Lo yaut’ja le si avvicinò fino a pararsi dinnanzi a lei.
Fece uscire le lame retrattili dal polso.
Piegò il braccio indietro.
Per una frazione di secondo Lex vide due punte affilatissime dirigersi verso il suo volto e, sebbene fosse in preda al panico, si costrinse a restare ferma…
Di certo non l’avrebbero portata fino a quel punto per poi ucciderla…
O sì?
Shkunt!!!
Le lame retrattili all’ultimo momento avevano deviato, fendendo l’aria vicino al suo volto e senza ferirla.
Se si fosse mossa come aveva in mente di fare ora sarebbe stata morta.
Comprese quel gesto per quel che era: una dimostrazione di coraggio.
“Andiamo… c’è un’altra prova da ssssuperare…”
Le parole della creatura la riscossero.
Si avviò lungo il corridoio, con lo yaut’ja alle spalle

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Scena Quindici (XV): LA SOGLIA DEL DOLORE ***


Scena Quindici (XV): LA SOGLIA DEL DOLORE
 
C’tanu, pianeta originario degli yaut’ja, ad una distanza incalcolabile dalla Terra.
 
La ragazza chiese all’enorme yaut’ja che camminava al suo fianco.
“In che cosa consiste la prova?”
“Lo sssscoprirai quando verrà il momento, Lexiij” replicò enigmatica la creatura.
Giunsero a quella che sapeva essere la dimora di Miyrth ‘Feriij.
Lo yaut’ja entrò, poi con la solita combinazione di tasti aprì una stanza di cui mai Lex avrebbe sospettato l’esistenza.
Come le altre era decisamente estesa, le pareti fatte del solito materiale che non sapeva se fosse metallo o qualcos’altro, ma una, quella che attirò la sua attenzione era… diversa.
Dopo averla osservata un attimo riconobbe che probabilmente era una lastra in qualche materiale che copriva la parete.
Ma ciò non importava.
Era stata finemente scolpita, modellata o qualsiasi altra cosa fosse stata fatta, a raffigurare uno yaut’ja in posizione di trionfo, con le braccia aperte.
Da alcuni dettagli, ai quali in precedenza come umana non avrebbe dato importanza, riconobbe Miyrth ‘Feriij, Scar.
Ricordò come lo yaut’ja le avesse detto che non erano solo cacciatori.
Ora capiva cosa intendeva.
“E’…è… splendida!” commentò infine. “E’ opera tua?”
“Sssì” replicò l’alieno, senza però dare alcun dettaglio sulla costruzione, vuoi sui materiali, vuoi sulla tecnica impiegata.
 

 
“E’ il momento di ssssottoporti alla prova” disse lo yaut’ja, “sssei pronta?”
“Ora posso chiedere in cosa consiste?” chiese lei.
“Ssssemplicemente, nell’insssserimento dei ch’va” ‘Feriij passò la mano su una delle appendici cutanee attorno al capo, sfiorando la sorta di anello che vi era infilato.
“La procedura, ti informo, è esssstremamente dolorossssa.
Non possssso far nulla per alleviarti il dolore, tuttavia ssse vuoi posssssiamo parlare.
Ti aiuterà a dissstrarti.”
“V-va bene” rispose lei.
Con dei comandi lo yaut’ja fece innalzare al centro della stanza un seggio e la invitò a sedersi.
Prese poi posizione alle sue spalle.
“Dunque che cosa vuoi sssapere?”
Lex ci pensò un attimo e disse “Quando mi hai invitata a diventare una yaut’ja, hai accennato ad alcuni di voi che uccidono i loro simili… è vero?”
Sentì un dolore atroce al capo, ma si costrinse ad ignorarlo e ad ascoltare le parole dello yaut’ja.
“Non sssono yaut’ja… miserabili….
Li definiamo iC ‘jit… il vocabolo ha origine da un pronome dimosssstrativo rafforzato, letteralmente ‘quelli lì’ a indicare il nosssstro rifiuto persssino a riconossscergli un nome… non chiamare mai cosssì uno yaut’ja, equivale ad una dichiarazione di guerra…”
“Perciò quando quel…”
“Sssì, proprio cosssì.
Ma ignoralo, non ha più importanza.
Il punto principale è che per diventare un iC ‘jit bisssogna VOLERLO.
Il modo più ovvio è infrangere il Codice, e come avrai capito una maniera molto ssssemplice di infrangerlo è l’uccisssione volontaria di un altro yaut’ja per puro piacere.
Difatti, non sssono consssiderate infrazioni un’uccisssione accidentale, oppure sssu richiessssta di uno yaut’ja ferito molto gravemente o impossssibilitato di porre fine da sssolo alla propria vita.
Ma ssse invece le uccisssioni sssono un’abitudine e fanno provare piacere non c’è ssscampo…
E’ precissso dovere di ogni yaut’ja uccidere un Sangue Malvagio, altro nome con cui li chiamiamo, non appena lo sssi vede.
Devono morire perché gli altri possssano vivere.”
Un’altra fitta: “E come fate a stabilire se uno yaut’ja è diventato…”
“Le msar'cte.
Le msar’cte regissstrano tutto ciò che vediamo, i sssentimenti che proviamo e inoltre fanno una copia dello ssstato mentale del ssssoggetto.
Dopo la morte uno yaut’ja può esssssere riportato in vita e grazie alla msar’cte sssi può ritrassssferire l’individuo che era nel nuovo corpo.”
La ragazza intuì qualcosa “Vuoi dire che…”
“Ssssì” fece Miyrth ‘Feriij.
“Comunque per tornare all’argomento di prima, vi ssssono alcuni iC ‘jit organizzati in veri e propri clan… alcuni di quessssti ignorano completamente il Codice… non uccidono per onore, sono indisssscriminati e alterano talvolta le proprie caratterisssstiche genetiche per esssssere cacciatori migliori… o almeno loro pensano di essssserlo.
Se ne incontrerai, li riconosssscerai da sssvariati dettagli, le loro armi ssssono più rozze, non sssono come le nosssstre e altre caratterissstiche, ma il modo migliore di capire ssse uno yaut’ja è un iC’jit è vederlo all’opera, renderssssi conto di quant’è dissssonorevole… e poi ucciderlo, è ovvio, così che non infanghi più l’onore della nosssstra sssspecie.”
“Possiamo lasciare quest’argomento sgradevole?” chiese lei.
“Certamente, hai altre domande?” Lei trasalì.
Di nuovo.
“Come avete conosciuto la nostra specie?”
“Ssssecondo il vostro calendario, 12.000 anni fa abbiamo trovato un pianeta incontaminato, il terzo da un ssssole che permette la vita, alla giusssta dissstanza, popolato da essssseri primitivi che però ssssembravano avviati verso la civiltà.
Abbiamo inssssegnato alla tua razza l’arte di cosssstruire, e ci hanno venerati come dei.
Ogni cento dei vosssstri anni ci rechiamo sssu uno dei pianeti che abbiano assssssoggettato per compiere il rito di iniziazione.
Dobbiamo combattere contro i kainde amedha per dimossstrare di esssssere degni di portare il marchio... ma in caso di ssssconfitta, dobbiamo disssstruggere i kainde amedha, perché altrimenti nulla potrebbe ssssopravvivere, in quei luoghi.”
“Questa è –ahi!- la vera storia della mia specie?”
“Sssì, lo è.
Ssssiamo a conoscenza anche di tutti i progresssssi che avete fatto… se cosssì ssi può chiamarli… la vossstra sssspecie, anche sssenza kainde amedha, non avrebbe avuto vita lunga”.
“Almeno ogni giorno c’è… c’era… qualcuno che preannunciava l’Apocalisse… la fine del mondo.”
“Non sssi ssssbagliava.
Siamo una ssspecie antica, Lexiij… la nosssstra razza è numerosssa e diffusssa ovunque, i nosssstri antenati perssssi nella leggenda. Gli umani ssssono molto giovani, creature mossssse dal dessssiderio e dalla ssssuperbia… non hanno la comprensssione derivata da una lunga caccia… sono ssssolo, una buona preda…
Gli umani ssssono una razza divissssa in migliaia di idee ssssulle origini dell’universssso e sul modo di comportarssssi al sssuo interno.
Benchè molti di esssssi abbiano idee in comune, anche quando ssssi verifica una ssssovrapposizione quasssi totale, l’infinitessssimale parte ressstante è ssssufficiente a farli combattersssi, torturarsssssi, ucciderssssi, a caussssa di banali concetti.
E ssse devo dirlo, noi non ci ssssiamo mai combattuti, torturati, uccissssi nel nome di un ‘qualcossssa’ la cui essssisssstenza non è, in fondo, mai sssstata provata.
Inoltre… perché dovremmo avere bissssogno di divinità, sssse le sssspecie inferiori già adorano noi come dei?”
Lex non replicò, perché sentiva che lo yaut’ja aveva ragione.
Ancora dolore… meglio continuare con l’interrogatorio.
“Cosa pensate delle atre razze?”
“Ssssolo delle creature avevano raggiunto la tecnologia come voi… padroneggiavano i viaggi sssspaziali… chiamavano ssssé sssstesssssi Mala'kaks, erano creature non disssssimili a voi, come ssssiete oggi… ssssuperbi e ssssenza leggi… furono loro i ressssponssssabili del diffonderssssi dei kainde amedha per l’universssso, loro i ressssponsabili di una piaga che ancora non ssssi è rimarginata e forssse mai lo farà… loro che con la propria sssstupidità credevano di poter controllare quesssste creature… loro che furono portati ssssulla ssssoglia dell’esssstinzione proprio dal rissssultato degli essssperimenti… pochi rimassssero, su pianeti disperssssi… e ancora crederono di averli in pugno, ancora tentarono di fermare ciò che non può esssssere fermato e ancora produsssssero ssssolo rovina e disssstruzione… per ciò che hanno fatto…naturalmente… noi li uccidemmo.”
Digitò qualcosa su un supporto è apparve un ologramma fluttuante, rappresentante una creatura umanoide, di grande taglia, alta almeno sette metri, con grandi occhi sgranati e neri, una sorta di maschera nella parte inferiore del volto da cui partiva un  tubo per l’aria, apparentemente, che si connetteva al resto del corpo del gigante.
Gli arti anteriori erano lunghi ed esili, e sul corpo si distinguevano innesti biomeccanici, la creatura sembrava una sorta di strano cyberg, che fondeva caratteristiche viventi e meccaniche.
Non aveva affatto arti posteriori e il corpo sembrava terminare improvvisamente.
Ad uno sguardo interrogativo lo yaut’ja rispose “I Mala'kaks avevano unito a ssssé la tecnologia a tal punto da non poterne fare a meno… quando sssse ne ritrovarono privi, per loro fu la fine.
Il crollo di quessssta razza avvenne cinquecento milioni di anni fa, ssssecondo il vosssstro calcolo del tempo, un altro picco ssssi verificò duecentocinquanta milioni di anni dopo e la loro completa esssstinzione circa 65 milioni di anni or ssssono.
Ssssia questo di lezione ad ogni sssspecie.
Quassssi dimenticavo, ssssono loro i ressssponsabili del diffondersssi dei kainde amedha sul vosssstro pianeta… era un loro avampossssto quello che avete sssscoperto, e conteneva… creature che ssssarebbe sssstato meglio restassssssero ssssegrete.”
Lex annuì, poi le giunse un’informazione improvvisa: “Hai detto che avete estinto questi esseri 65 milioni di anni fa?!
Ma da quanto esistono gli yaut’ja?!”
“Come ho già detto, ssssiamo una sssspecie antica, Lexiij, i nosssstri antenati ssssono persi nella leggenda.
Comunque qualcossssa di buono i Mala’kaks l’hanno fatto… dalla loro ssssorte abbiamo tratto un inssssegnamento… mai permettere alla tecnologia di renderci inetti, mai impedirle di poterci difendere, dobbiamo essssssere ssssempre pronti ad affrontare un nemico… anche disssarmati.
Quessssta sssstoria non sssi ripeterà.
Ti farò vedere comunque un th'syra di Mala’kaks, le immagini olografiche li rappressssentano bene, vero, ma il trovarssssi dinnanzi i ressssti…”
Lex riflettè un attimo su quel pensiero, trovarsi davanti ad un gigante alieno morto da decine, se non centinaia, di milioni di anni e ora destinato a restare, per sempre, ricordo della sua specie, nella sala dei trofei di uno yaut’ja… le veniva quasi da piangere al pensiero.
Si sforzò invece di concentrarsi su ciò che diceva Miyrth ‘Feriij.
La creatura continuò: “Ad ogni modo, noi dividiamo le sssspecie conosssssciute in due gruppi, i kainde amedha e i pyode amedha, ovvero prede difficili da cacciare e prede ssssemplici; con il tempo il termine kainde amedha è passsssato ad indicare ssssoprattutto le creature create dai Mala’kaks, ma ha ancora il ssssignificato originario.
Poi ci ssssono due categorie così infime da esssssere al di fuori della classssssificazione… una è la creatura che chiamiamo u'darahje, l’Abomino, il rissssultato dell’infezione di uno yaut’ja da parte di un kainde amedha.
Ssssebbene sssiano odiati e vadano dissstrutti, non sono detesssstati quanto gli iC ‘jit… in fondo, l’Abomio non è una creatura intelligente, non ssssceglie ciò che può fare, è ssssolo un mezzo di disssstruzione… gli iC ‘jit ssssì.
Per quessssto li uccidiamo.”
Apparve un altro ologramma.
Centinaia di teschi di yaut’ja, riconoscibili per le quattro mandibole e la cresta craniale, impilati accuratamente.
“Quessssto è il Maussssoleo degli iC ‘jit, ogni volta che ne uccidiamo uno, poniamo lì il suo tesssschio… un monito e una riflesssssione ssssulla follia di alcune creature…
Ma non ssssono neanche la metà di quanti dovrebbero essssssere, non è ssssempre possibile recuperarli e comunque ogni volta che uno yaut’ja parte in una missssssione contro gli iC ‘jit uno di quei teschi viene disssstrutto, per tradizione…”
Lex colta da un’improvvisa domanda chiese “E le creature, quelle create… puoi dirmi qualcosa su di loro?”
“Non è ancora giunto il momento di quessssto, Lexiij, ma arriverà presto… molto presto.”
Prima che Lex potesse rimuginare su quest’informazione lo yaut’ja si sposò e disse: “Ho terminato.”
Lex si passò una mano sul capo, sentendo le sagome metalliche dei Ch ‘va fra i capelli, raccolti dalle strutture.
“Chissà che aspetto ho” si chiese, “da yaut’ja…”        

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Scena Sedici (XVI): LO SFREGIATO ***


Atto Terzo
 
RELIQUARY
 
“Teschi, migliaia di teschi,
e corpi mutilati
questi gli ornamenti
dei templi degli dei.”
 
Iscrizione ritrovata su un frammento di lastra nei pressi della Piramide di  Huitzilopochtli, Messico.

Scena Sedici (XVI): LO SFREGIATO
 
Astronave yaut’ja, da qualche parte nello spazio.
 
La nave si era staccata rapidamente dal pianeta illuminato dai due soli gemelli, e ora fendeva lo spazio come uno squalo affamato in cerca di preda.
O almeno questo era il paragone migliore che all’unica esponente della specie umana presente sul mezzo sembrava adeguato fare.
Gli altri tre occupanti dell’astronave erano tre creature di stazza superiore a quella umana, i corpi coperti da pesanti corazze, maschere sul volto, appendici simili a capelli spesse un dito e un arsenale fantascientifico addosso.
Yaut’ja.
I quattro esseri erano silenziosi, come il vuoto che colmava il nero infinito fuori dal loro guscio.
All’improvviso uno degli alieni ruppe il silenzio.
“Lexiij, ci sssono eroi nella vossstra ssstoria?”
“Beh, suppongo di sì” replicò l’umana.
Ci sono uomini che in tempo di guerra si sono sacrificati per la salvezza di altre persone, oppure ci sono state delle battaglie combattute molti secoli fa alle quali si dice presero parte dei guerrieri formida…” si interruppe.
Non, non poteva usare tale aggettivo su degli umani dopo aver visto cosa era in grado di fare uno yaut’ja.
Non poteva, nel nome del rispetto che provava per la sua specie adottiva… e che provava per la propria.
Ogni tentativo di paragone sarebbe apparso ridicolo.
“E voi, comunque?” fece per evitare di dover continuare.
I tre yaut’ja ringhiarono qualcosa tra di loro, poi replicarono.
“A te il giudizio, umana…
Quesssti fatti accaddero realmente, e vi è una registrazione a comprovarlo, anche ssse non sssopravvissssse nessssuno per dare una sssseconda verssssione…
Ne fu coinvolto uno yaut’ja di nome Nymr ‘Zahraiij… ma dopo quel fatto tutti lo chiamarono in modo ben diversssso… Shesh’Kuk…”
Lex riflettè un momento… “Tre Mandibole”, come chiamava le appendici simili ad artigli sul volto degli yaut’ja… strano nome….
 
Gallia Belgica, Europa, Terra, 56 a.C.
 
Il giovane yaut’ja  si guardò intorno, spandendo lo sguardo sulle cime che svettavano in lontananza.
Aveva portato a termine vittoriosamente la sua prima caccia ufficiale, e ora dentro alla rete che trasportava c’erano i crani di una ventina di umani, tutti con un elmo in testa, compreso quello di colui che aveva supposto fosse il loro capo, forse un comandante, che ne aveva una variante più decorata e con una sorta di ciuffo di strutture sottili e filiformi in cima, disposte a raggiera.
Ringhiò.
Si fermò un momento, sedendosi su un macigno.
Non era stato ferito, ma la caccia era stata molto faticosa.
Aveva dovuto combattere anche contro uno strano essere peloso e più grosso di lui che non appena lo aveva visto si era drizzato sugli arti posteriori sfoderando lunghi artigli per aggredirlo.
Aveva pagato l’errore con la vita.
Ora il suo cranioavrebbe fatto bella vista di sé nella sala dei trofei del giovane.
“Sssschifosso pianeta” sibilò l’alieno nella sua lingua, rivolto solo a sé stesso, “e ssstupida ssspecie… barbari incivili incapaci di combattere degnamente… “
Si consolò, stava per tornare nella sua terra, C’tanu illuminata da due soli.
Alzò il polso.
Digitò qualcosa sul bracciale dell’armatura.
Era una precauzione che era stata presa dopo i recenti assalti da parte degli iC ‘jit, si era formato un clan un po’ troppo arrogante che aveva preso ad attaccare gli altri yaut’ja.
Il giovane accarezzava l’idea, un giorno o l’altro, quando fosse diventato più esperto, di guidare personalmente una spedizione punitiva contro di loro.
Magari di uccidere il loro capo e riportare il suo cadavere martoriato come trofeo.
Spostò lo  sguardo sul suo avambraccio.
Contrasse le mandibole dietro alla maschera.
Dannazione!!!
 
La situazione era davvero critica.
Quel branco di folli doveva essere atterrato e aver preso di sorpresa il suo, il Clan delle Lame Nere, perché sapeva che altrimenti non avrebbero mai sconfitto un mezzo contenente tra l’altro uno dei più potenti pa’ya di tutti i tempi.
Anche se tutti gli altri yaut’ja fossero caduti, sarebbe bastato lui a eliminarne un numero doppio.
No, dovevano averli presi di sorpresa.
“Codardi asssasssini…” ringhiò irato.
Poi i maledetti dovevano essersi impossessati dell’astronave, di molto migliore della loro, senza sapere a cosa andavano incontro.
Non sapevano nulla dell’incidente che aveva liberato i kainde amedha a bordo costringendoli ad effettuare un atterraggio d’emergenza sulla Terra.
Gli yaut’ja più esperti si stavano occupando dei mostri mentre i giovani erano stati spediti senza tanti complimenti a caccia.
Gli altri non rispondevano, dovevano essere morti.
Fece per sguainare le lame retrattili e ruggire in segno di sfida, gettare via la sua vita combattendo eroicamente i nemici, ma si trattenne.
Bruciava dover fermare l’ira che sentiva montare dentro di se.
Ma on avrebbe mai potuto vincere, così.
Forse, però…
Si rimise il bioelmo, le rune scorrevano sulla parte superire incorniciate da una corona di punte.
Silenzioso, attivò lo schermo e si avviò verso l’astronave.
Dopo un paio di minuti aveva già preso di sorpresa due iC ’jit e li aveva uccisi a sorpresa, rifiutando però sdegnato di vestire le loro armi.
Finalmente trovò ciò che cercava.
Il corpo di uno dei suoi compagni caduti.
Passò un attimo la mano sul bioelmo del morto abbassando il capo in segno di rispetto.
Poi prese le armi che gli servivano.
Questa era l’unica cosa che poteva fare per lui ormai, usare le sue armi per vendicarlo.
Ringhiò.
Era pronto…
 
La sala principale della nave era un massacro, centinaia di corpi di yaut’ja e di xenomorfi, ma nessun mostruoso extraterrestre simile ad un insetto in vista.
In compenso gran parte degli iC ’jit era là.
Ma tutti, qualunque cosa stessero facendo, voltarono il capo.
Sopra di loro torreggiava Nymr ‘Zahra, il bioelmo da cui traspariva solo ira, una lancia telescopica in mano, una frusta nell’altra e le lame retrattili su ciascuno dei polsi estroflesse.
I traditori gli balzarono addosso con un unico movimento, accorgendosi troppo tardi dell’errore.
Due plasmacaster gemelli si alzarono sulle sue spalle, tuonando sfere di plasma che colpivano con precisione letale.
Intanto lo yaut’ja infuriato trafiggeva, sferzava e continuava a sparare, gli shuriken volavano rapidi e precisi decapitando i suoi avversari, e continuò a muoversi e a colpire finchè non caddero tutti i suoi nemici tranne uno.
Il loro capo.
Lo squadrò.
Era più robusto di lui, alto, muscoloso, ma Nymr ‘Zahra aveva il vantaggio dell’agilità e del miglior equipaggiamento.
Si balzarono addosso a vicenda, le lame retrattili che colpivano, si incrociavano, tornavano a colpire.
Alla fine si trovarono dinnanzi alla grande vasca di liquido corrosivo azzurrino, entrambi laceri e sporchi di sangue…
Il furore del giovane non aveva fine, i traditori per troppo si erano ingiustamente attaccati alla vita, ora invece il suo dono per loro sarebbe stata la morte.
Lanciò un urlo, un suono più da animale che da essere intelligente.
L’iC’jit parlò per la prima volta dall’inizio dello scontro: “I miei piedi percorrono un sentiero stabilito; sono una divinità e tu non puoi sconfiggermi!!!”
Il giovane aveva sentito parlare delle follie che spesso colpivano gli iC’jit.
Ma in quel momento nulla gli importava.
L’altro yaut’ja poteva anche avergli elencato le armi che portava, per quel che gli interessava.
Nymr ‘Zahra voleva sangue e sangue avrebbe avuto.
Dunque non rispose e gli piombò addosso, entrambi rotolarono verso la trappola mortale, ma il giovane cacciatore riuscì ad artigliare il bordo e a salvarsi in virtù della maggiore agilità.
Il nemico invece si dissolse nella luminescenza blu.
Lo yaut’ja si alzò e si allontanò, senza guardarsi alle spalle.
“Quanto sssei divino…” sibilò, sprezzante.
 
Dopo una tale dimostrazione di forza, sconfiggere gli xenomorfi fu relativamente semplice.
Nessun alieno riusciva a sottrarsi a quella furia scatenata desiderosa di vendicare i propri compagni caduti.
Alla fine riuscì ad abbattere anche la regina, servendosi dei due plasmacaster, ma quando giunse ai pretoriani che erano giunti a difenderla si accorse di avere ormai una sola scelta da fare.
Si guardò intorno, poi spostò lo sguardo su di sé.
Soppesò le sue possibilità.
Lacero e sporco di sangue.
Tutti i suoi amici erano caduti.
Era lei la sua sola compagna ora, la morte.
Ruggì contro i suoi avversari.
Ruggì come fa una bestia ferita messa in trappola.
Ruggì tutto il dolore che provava e che non era stato soddisfatto dalla morte dell’iC ‘jit.
Si strappò di dosso la maschera e la gettò al suolo, sguainò le lame retrattili e si scagliò contro i nemici, proiettando loro addosso tutta la sua ira.
Uno dei pretoriani prima di morire riuscì a schizzargli addosso il suo acido, sfregiandolo, i vapori lo resero cieco da un occhio, ma neanche questo bastò.
Se anche ci fosse stato un numero doppio di xenomorfi, non sarebbero riusciti a fermare quell’unico yaut’ja.
Alla fine rimase in piedi, da solo, tutto intorno a lui solo morti, il pavimento che fumava per il sangue acido degli alieni.
Lanciò un ruggito che riecheggiò per diversi chilometri.
Poi crollò al suolo, stremato.
Lo trovarono ancora incosciente su una catasta di nemici trucidati.
Quella prova gli valse il suo nome da cacciatore, Nymr ‘Zahraiij, ma il suo soprannome ormai era un altro e sarebbe sempre restato tale.
Shesh’Kuk.
Tre Mandibole.
Lo Sfregiato. 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Scena Diciassette (XVII): IL CONDIZIONAMENTO ***


Scena Diciassette (XVII): IL CONDIZIONAMENTO
 
Astronave yaut’ja, da qualche parte nello spazio
 
Mancava ormai solo un giorno alla loro destinazione, anche se Lex ignorava ancora quale fosse.
Gli yaut’ja sembravano attendere con impazienza il momento.
Miyrth ‘Feriij si alzò dalla sua postazione dirigendosi verso di lei.
Chiese con il solito tono di voce freddo e insensibile: “Tutto bene, Lexiij?”
Alla sua risposta affermativa continuò.
“Ci sssstiamo dirigendo versssso un dto’luar-ke per farti compiere il primo rito di caccia.
Ressssterai sssu quel pianeta con due ssssole armi finchè non ssssarai riuscita ad abbattere la tua prima preda.
Le armi che ti sssarà lecito impugnare ssaranno le kti’pa e il sivk'va-tai.
Hai qualche domanda sssull’utiizzo di quessste armi prima di trovarti a cacciare?”
“Mmmh… sì” disse lei, “perché le kti’pa sono disegnate così… per curiosità…”
“La forma delle lame è sssstudiata per penetrare sssenza sssforzo nei tessssuti, per poi causssare il massssimo danno ussscendo.
Perché lo hai chiessssto?”
“Credevo fosse così per eleganza…”
L’alieno emise un basso suono gorgogliante.
Dopo un istante Lex capì che stava ridendo.
Sentire ridere uno yaut’ja.
Decisamente non una cosa che capita tutti i giorni.
La creatura replicò: “Le armi sssono ssstrumenti, e ssse ssono piacevoli allo sssguardo è perché sssono funzionali al loro ssscopo. Una lama che non è in grado di adempiere il proprio compito apparirà sssempre inadeguata anche ssse fosssse forgiata con i materiali più preziosi.
Una lama è per prima cosssa un mezzo...”
Lo yaut’ja sfoderò le lame retrattili.
“Due n’k di metallo per ssstrappare la vita dal profondo della preda” sibilò.
Lex rabbrividì dentro di sé, come sempre quando sentiva un esponente di quella terribile razza di predatori esprimersi così.
“Devi entrare in empatia con la tua preda, comprenderla come lei comprende sssé stessssa, amarla come ama sé sstessssa, per poi ucciderla.”
“Come farò a uccidere qualcuno dopo averlo conosciuto e aver vissuto dentro di lui, come tu dici ?”
“Come facciamo noi.”
Lo yaut’ja cambiò tono, si avvicinò ad uno schermo a parete e disse: “Vieni.”
Con un gesto fece apparire un ologramma di una maschera a mezz’aria, poi le prese i polsi e li collegò all’interfaccia.
“Grazie a quesssto sssistema puoi modellare la tuamsar'cte in basse alle tue preferenze, poi il programma la ssscolpirà e te ne consssegnerà la copia.”
Lex si avvicinò alla proiezione e, fattasi spiegare i comandi, si mise a lavorare, sperando di realizzare un bioelmo che non la facesse sfigurare davanti agli altri yaut’ja.
La solita vanità umana che riemerge…pensò divertita.
 
 “Il duro allenamento sssta dando i risssultati sssperati.”
Miyrth ‘Feriij si avvicinò agli altri due yaut’ja.
“Non le ssstai insssegnando tutto” osservo Vor ‘tasSkaariij.
“Non ti fidi di lei?”
“Non mi sssono mai fidato completamente di nesssssuno, yeyinde.
Gli umani ssssono una razza giovane…. Creature mosssse dal desssiderio e dalla ssssuperbia.
Non lo ritengo affatto probabile, ma un giorno Lexiij potrebbe volerci tradire.
Sssspero fortemente per lei che non accada, perché sssignificherebbe che abbiamo fallito.
Ma sse verrà quel giorno capirà di aver commesssso un grosssso errore, e che non avrà possibilità di porvi rimedio.
Sssiamo una razza antica compagni miei… antica e terribile nella sssua ira verssso chi tradissssce.
Né onore né pietà.
Noi ressstiamo i più forti.”
“E il condizionamento?” chiese Aesir ‘Kraaliij.
“Ssssicuro che abbia agito come deve?”
“Abbasssstanza sssicuro…
In ogni casssso, ciò che accadrà le toglierà ogni illusssione sssulla moralità di quell’infida ssspecie.
Pertanto non ritengo affatto probabile di dover giungere a sssopprimerla”
Miyrth ‘Feriij riflettè su ciò che aveva appena detto.
Era il momento in cui un parere oggettivo non avrebbe guastato.
Sapeva anche come ottenerlo.
 
“Ssssei sssicuro che il condizionamento abbia funzionato come deve?”
“Più che sicuro mio padrone” squittì un robottino alto circa un metro.
La sua apparenza ridicola e il suo comportamento servile non erano casuali.
Gli yaut’ja avevano volontariamente simulato la presenza di una coscienza, ma in realtà nessuna macchina possedeva sentimenti e non poteva fare nulla che potesse costituire un problema per i suoi padroni.
Da ciò proveniva l’abituale sgarbatezza quando uno yaut’ja si rivolgeva ad una macchina, che a tutti gli effetti erano dei semplici giocattoli nelle mani degli alieni.
Capitava spesso ed era ritenuto divertente che uno yaut’ja chiamasse un robot con una scusa per poi tagliargli la testa non appena si avvicinava.
Le macchine non se la prendevano.
Non potevano.
Erano paragonabili ad un computer o ad una lavatrice in grado di scegliere da un archivio pressoché infinito la maniera in cui rispondere, una più ossequiosa dell’altra.
Esistevano per servire gli yaut’ja e null’altro.
“Ssspero sssia davvero cosssì perché in cassso non lo fossssse avremo qualche difficoltà a ripetere la prova.”
Il robottino si sforzò di assumere un aria comprensiva, per quanto gli fosse possibile.
Contrariare Miyrth ‘Feriij non era una buona idea.
 
Dopo un’ora, stimata, di fatica, Lex riuscì a completare il lavoro.
Guardò con soddisfazione l’ologramma che le girava davanti.
Aveva dato al bioelmo una forma simile a quello basale di Miyrth ‘Feriij, addolcendone però l’espressione e adattandone la forma ad un cranio umano.
Per questa ragione era grande poco più della metà della maschera di uno yaut’ja.
Tuttavia, ne era abbastanza soddisfatta.
Diede il comando per ultimare il processo e nel giro di tre secondi si trovò in mano l’oggetto.
Lo indossò, sfiorandone i contorni.
Provò i vari filtri visivi, notando con piacere che gli alieni dovevano aver tenuto conto delle diversità di visione e perciò le avevano fornito alcune modalità visive paragonabili alla visione umana, a colori.
Fu però sorpresa dei colori sorprendentemente vividi e della perfezione dell’immagine.
I filtri infrarossi erano così potenti da poter vedere il calore attraverso pareti sottili… o così le avevano garantito i tre yaut’ja, dato che l’astronave era fornita di muri troppo spessi per collaudare questo dettaglio.
Grazie al proiettore posto sull’avambraccio inviò davanti a sé un’immagine di sé stessa.
Contemplo per qualche istante la maschera, poi soddisfatta si diresse verso gli altri yaut’ja.
 
“Bene Lexiij, vedo che sssei riusssscita a create una msar'cte che sssoddisssfa i tuoi ssssentimenti e” lieve piega ironica della voce, “i tuoi gusssti essstetici.
Ora comincia a prendere confidenza con il tuo sivk'va-tai.”
Le consegnò un piccolo plasmacaster, appiattito, vagamente triangolare in sezione, sembrava un cellulare.
Lex alzò il dispositivo di aggancio e lo incastrò - dovette guardare per compiere questo gesto che per quanto avesse provato e riprovato ancora non le veniva naturale come lo era per gli yaut’ja.
“Cominciamo dunque” le altre due creature interruppero ciò che stavano facendo per osservare.
Davanti a lei apparve una proiezione.
Il plasmacaster si alzò sulla sua spalla sinistra come dotato di vita autonoma.
“Continua a sssparare finchè non l’avrai colpita… non sssorprenderti ssse ti ci vorranno diverssse ore…”
L’alieno si allontanò mentre la ragazza imprecava cercando di colpire l’immagine che si spostava sempre all’ultimo secondo.
“Muori, dannatissimo…”
 
Miyrth ‘Feriij raggiunse i suoi compagni mormorando, ad un tono di voce troppo basso perché Lex lo potesse udire.
Osservò anche lui l’umana che si sforzava.
Tutto ciò aveva lo scopo di farla sopravvivere, e lo yaut’ja in fondo era orgoglioso di essere riuscito a cavare fuori un cacciatore da un’umana spaurita che si era alleata con lui per paura dei neri kainde amedha.
Non una motivazione futile, ma neanche particolarmente onorevole.
“Ssssì, direi che il condizionamento sssta andando come previssssto… ora sssi attende sssolo la conferma finale…” 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Scena Diciotto (XVIII): LA DEBOLEZZA UMANA ***


Scena Diciotto (XVIII): LA DEBOLEZZA UMANA
 
Dto’luar-ke, ossia riserva di caccia yaut’ja, da qualche parte nello spazio
 
Lo vide staccarsi dalla parete.
Vieni da me…
Lo vide prendere forma lentamente.
Ho bisogno di te…
Lo vide trasformarsi in un incubo nero.
La tua mente è ferita…
Lo vide in volto, e anche se non aveva occhi sapeva che anche lui la stava guardando.
Lascia che la guarisca…
Lo vide stridere nell’oscurità.
Non aver paura…
Lo vide spalancare le mascelle e far scattare la lingua all’esterno…
Unisciti a me…
E capì di essere morta.
“Shhhreeeeeekkkkk!!!”
 
“Umana alzati… è ora di andare….”
“Cosa?!”
Si alzò bruscamente dalla posa a gambe incrociate con cui era solita riposare… non dormiva più da quando era diventata una yaut’ja, entrava in una sorta di stato di veglia dalla quale poteva entrare e uscire volontariamente.
“La prima caccia Lexiij…”
Aprì gli occhi, davanti a lei stava Aesir ‘Kraaliij, le tendeva la mano.
Lei si fece aiutare a rimettersi in piedi e si guardò intorno.
L’astronave era apparentemente ferma, su una superficie stabile.
Doveva aver raggiunto un pianeta, forse il luogo della caccia.
Al centro della sala davanti a lei stava Miyrth ‘Feriij, in atteggiamento rilassato, apparentemente stava conducendo un qualche esercizio.
Lo osservò ammirata eliminare a velocità stupefacente una serie di nemici immaginari, per poi fermarsi appoggiandosi con la gamba allargata lateralmente, in una posizione che ricordava che il proprio insegnante di yoga faticava a tenere per più di trenta secondi.
Dopo cinque minuti di assoluto silenzio lo yaut’ja allargò di colpo le braccia, estroflettendo le lame retrattili (e decapitando qualunque umano fosse stato così sprovveduto da arrivargli alle spalle, soggiunse), e con un balzò si rimise in piedi.
Il tutto senza fare un gemito, quando qualsiasi umano ne avrebbe conseguito almeno un dolorosissimo stiramento.
Solo in quel momento Lex si accorse che Vor ‘tasSkaariij non c’era, doveva essere da qualche altra parte dell’astronave.
L’imponente yaut’ja dal bioelmo decoratole si avvicinò.
“M-di H’chak\M-di H’dlak!”
Secondo le sue conoscenze della lingua, la frase doveva significare qualcosa come ‘non avere pietà\ non mostrare paura’.
Si era spesso chiesta perché alcune frasi e parole non fossero tradotte, riflettendoci era giunta alla conclusione si trattasse di speciali usi idiomatici dello yaut’ja e perciò intraducibili.
E non era così insensato, dopotutto anche sulla Terra aveva detto “katana” invece di “spada giapponese”.
Comunque, la frase sembrava un buon augurio, forse per l’impresa imminente.
Sorrise leggermente e si mise la maschera, poi controllò per l’ennesima volta le proprie armi.
Estrasse e retroflesse le lame retrattili un paio di volte per controllarne il funzionamento, prima di ritenersi soddisfatta. 
Si guardò intorno notando che era arrivato anche il terzo yaut’ja.
Le creature la osservarono in silenzio.
Si sentiva strana, emozionata ed euforica da un lato, terrorizzata dall’altro.
In fondo, si disse, cercando di controllarsi, si tratta solo di trovare una preda, una qualsiasi, ucciderla e riportarla a loro… non devo combattere contro i mostri neri…
Rabbrividì ancora al ricordo del sogno.
Vieni da me…
Unisciti a me…
Gli incubi che la tormentavano sulla Terra si erano affievoliti, nel pianeta dei Cacciatori, ma ogni tanto tornavano.
Scacciò i pensieri raminghi e si sforzò di guardare gli yaut’ja negli occhi.
Mostrare debolezza era proprio quello che non doveva fare.
Senza che le tre creature parlassero si aprì una porta.
Dopo un ultima occhiata all’interno, forse era l’ultima volta che li avrebbe rivisti, l’ultima volta che le sarebbe capitato di vederli, perché sarebbe mort… no, basta piagnucolare.
Lieta che la maschera le celasse il volto, uscì.
 
“E’ giovane, troppo giovane.”
“Può farcela.
Non è per la caccia che è qui.
Non sssolo.”
“Appunto.
Sssarà molto più duro per lei.”
“Non ha mai protessstato… è ora che capisssca a chi deve andare fino in fondo la sssua lealtà.”
“Già…  maledetti umani sssenza onore!”
 
L’aria era diversa, il sole era diverso…
L’acqua limpida tremolava…
C’erano stani edifici alieni in lontananza…
Rovine…
Le strade brillavano…
La foresta intorno a lei la invocava…
Paura.
No, terrore cieco.
Poi ricordi…
“Sssei aliena in quesssto mondo.
Non limitarti a vincere… a catturare la tua preda…
Ssssopravvivi…”
Non sapeva da dove venissero quelle parole ma vi si aggrappò con tutte le proprie forze.
Lentamente, ma con decisione, estrasse le lame retrattili e si addentrò nel fogliame…
 
“Forssse faresssti meglio a ssseguirla… impedire che sssi metta nei guai… in fondo, è un’umana…”
“Cosss’è all’improvvissso tutta quesssta pietà nei confronti degli umani?”
“Non lo ssso, se è quesssto che intendi.
Devo ammettere di sssentirmi un po’in colpa per averla sssbattuta cosssì in un luogo del genere…”
“Mi sssorprende: sssemmai dovrei essere io a provare pietà… in fondo, ssono più giovane di te, e quindi meno portato al controllo acquisssito dalla lunga esssperienza.”
“La pietà porta alla rovina.”
“Certo.”
Silenzio.
“E va bene, yeyinde, farò come tu dici… ma non dividerò i doni della vittoria con lei.”
Un’ombra imponente si allontanò dall’astronave.
 
Lex avanza fra i vegetali, silenziosa come uno spettro, come le avevano insegnato gli yaut’ja.
Passò l’ambiente a vari filtri visivi, scelse quello termico e il mondo si colorò di sfumature di rosso più o meno intense.
Dopo essersi arrampicata con grande agilità sugli alberi si fermò su un ramo sporgente e fece correre la mano sui contorni del bioelmo, per poi toglierselo.
Così sapeva di mettersi in una condizione di svantaggio, ma non ne poteva più di tenerlo addosso.
Si chiese come facessero i cacciatori alieni a vivere rinchiusi per tutta la vita in corazze di metallo.
Abitudine, probabilmente.
Aveva anche il vantaggio di curare qualsiasi forma di claubustrofobia si potesse presentare.
Ridacchiò al pensiero.
All’improvviso un rumore.
Qualcosa, qualcosa di grosso, non un insetto o un animaletto come tanti che aveva visto finora, che cercava di passare inosservato, ma i suoi nuovi sensi straordinariamente acuti l’avevano avvertita.
Balzò sul terreno.
Ripassando mentalmente tutto ciò che aveva appreso, estrasse le lame retrattili e urlò al misterioso avversario la sua sfida.
 
I nemici le si presentarono davanti.
Erano quanto più diverso da ciò che si sarebbe aspettata.
Umani.
Indossavano delle ormai rovinate divise dell’esercito degli Stati Uniti d’America, e portavano sottobraccio dei grossi mitragliatori.
Parlarono, in inglese.
Si sorprese che il traduttore glielo facesse capire ma accantonò mentalmente il problema per ascoltare ciò che avevano da dire.
Non buone notizie.
 
“Ma guarda un po’.
Il primo essere umano che incontriamo da un bel pezzo è una ragazza.
E porta l’armatura di quei bastardi fottuti.”
Disse quello che pareva il loro capo.
Gli altri ridacchiarono.
“Perché non te la togli così da farci vedere come sei fatta sotto?”
“Non è affatto una buona idea” ringhiò lei.
Intanto pensava furente: Gli yaut’ja hanno ragione, eccome.
Ecco che cos’è l’umanità, ecco cosa pretendeva di essere.
Questi miserabili ne sono un esempio più che adatto.
Bene, se questa è l’umanità… io sono una yaut’ja.
Io VOGLIO essere una yaut’ja!
E so ben io che cosa fanno gli yaut’ja agli umani!
“Ah, parli, adirittura!
Su vieni qui e non…” 
Non riuscì a finire la frase.
Le lame retrattili gli squarciarono la gola.
Un fiotto di sangue cremisi le schizzò sul braccio, imbrattandolo, ma ciò che un tempo le avrebbe fatto orrore ora non fu neanche notato.
Ringhiò.
Gli altri soldati troppo stupiti imbracciarono le armi ma lei con un gesto rapidissimo della mano spezzò il collo ad uno e scaraventò l’altro per terra.
Gli si avvicinò.
Il soldato, troppo stordito per comprendere, mugugnò: “Ah, vieni da me? Mi preferisci agli altri?”
Lei con un’espressione furente lo prese per il colletto della giacca e sibilò, mettendogli le lame accanto al collo.
“Ascoltami bene perché questa sarà l’ultima cosa che sentirai.
Una yaut’ja ti ha ucciso.”
E lo decapitò con un colpo netto.
Infuriata raccolse i teschi delle vittime in una rete, si rimise la maschera e pensò.
Adesso mi resta un’ultima cosa da fare… voglio trovare una preda terribile, una preda degna di uno yaut’ja, per dimostrare a me stessa che sono una di loro.
Guardò i tre cadaveri, aprì le braccia, le lame ancora coperte di sangue e RUGGI’.
Poi si allontanò, alla ricerca del suo primo, vero trofeo.
 
Su un albero poco distante, dietro una gelida maschera di metallo, le zanne di Miyrth ‘Feriij si dischiusero in un freddo sorriso… 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Scena Diciannove (XIX): LA PREDA PERFETTA ***


Scena Diciannove (XIX): LA PREDA PERFETTA

 Dto’luar-ke, ossia riserva di caccia yaut’ja, da qualche parte nello spazio

Lex si spostava tra il fogliame, furibonda, trafiggendo le foglie come se avesse avuto un conto aperto con ognuna di loro.
Aveva abbandonato tutti i propri propositi di trovare qualcosa di non particolarmente pericoloso e di catturare una creatura che corrispondesse a tale descrizione, ora voleva dimostrare a sé stessa, più che agli yaut’ja, quanto valeva.
Intanto pensava, furiosamente: Maledetti, maledetti, era questa la mia specie?
Mi pare impossibile.
Ringraziava di indossare la maschera, così almeno nessuno avrebbe potuto vedere le lacrime che le scivolavano giù dalle guance.
Così che si comportano?
Maledetti, ora vi farò vedere io… non sono umana… non più…
Non voglio più esserlo.
Gli yaut’ja hanno sempre avuto ragione a proposito.
E in quanto yaut’ja… voglio cacciarli, gli umani…
Quest’ultimo pensiero accese in lei una scintilla di piacere.
Si fermò un attimo.
Si slegò un oggetto dal collo e lo lanciò in aria.

 Venti metri più in alto, una creatura simile ad un grosso insetto lo agguantò e si allontanò ronzando.
Ad un certo punto si fermò per esaminarlo.
Era duro, metallico, non un buon cibo per lei.
Deluso, l’animaletto lo lasciò andare e si allontanò alla ricerca di altro nutrimento.
L’oggetto perforò gli strati del fogliame fermandosi in una pozzanghera del terreno.
Era un pezzo di metallo di forma circolare, dal bordo dentellato.
Sopra si distinguevano, consunte, strisce bianche, blu e rosse e una scritta svolazzante.
Era un tappo di Pepsi Cola.
Addio, umanità…
Benvenuta, Lexiij la yaut’ja!

 Un movimento attraversò il fogliame.
Finalmente!
Ancora foglie svolazzanti.
Rami spezzati.
Avanti, fatti vedere…
Le lame retrattili scattarono fuori.
La ragazza assunse una posa aggressiva.
Poi la creatura irruppe dal fogliame e la guardò.
Camminava eretta sulle due zampe posteriori, era alta circa due metri, di colore marrone grigiastro, coperta da una specie di esoscheletro.
Mani” a tre dita terminanti in lunghi artigli.
Mentre la osservava Lex ebbe un tuffo al cuore.
Sperò follemente di essersi sbagliata, ma in fondo sentiva di aver ragione.
Aveva già visto il teschio di una di quelle creature.
Nella bacheca dei trofei di Vor ‘tasSkaariij.
E lo yaut’ja era un cacciatore abilissimo, veterano di migliaia di battaglie.
E se lo teneva come trofeo voleva dire che…
E poi non ci fu più tempo per pensare perché si trovò a lottare per la vita.
La creatura era forte quanto lei, e quanto alla velocità le era addirittura superiore.
Si ritrovò sballottata ovunque, le lame turbinavano e scintillavano nel colpire quella bestia orrenda.
Poi, dolore.
Terribile dolore.
Un colpo degli artigli affilati sull’addome, non protetto dall’armatura.
Il suo corpo che protestava mentre i suoi visceri si trovavano improvvisamente feriti dalla luce accecante.
Abbassò lo sguardo, un largo squarcio slabbrato le attraversava la pancia.
Ansimò, rantolando.
Strinse i denti sentendo il sangue impregnare la rete che la ricopriva e il terreno sotto di lei.
Era una ferita gravissima e lo sapeva.
Spinse in avanti le lame retrattili cercando almeno, se doveva morire, di morire con onore, sul corpo del nemico ucciso.
Ruggì furibonda e sentì la corazza ossea della creatura cederle e un liquido schizzarle addosso.
Guardò come in un sogno l’essere che ferito a morte alzava la zampa artigliata per darle il colpo di grazia..
Ci fu un lampeggiare di luce coloro argento e vide un disco di metallo affilato, un ventaglio fatto di lame d’argento, sibilare in direzione della testa del mostro.
Poi il buio calò su di lei.

Umana, sssvegliati.”
No, non credo proprio.
Sssvegliati altrimenti non ti rialzerai più.”
E che me ne importa?
Sssssvegliati!”
Proprio ora che avevo imparato a non respirare?
Proprio ora che stavo…

Dolore accecante, come una spada infuocata piantata nel suo braccio.
Spalancò gli occhi.
Lo yaut’ja sibilò e alzò l’artiglio macchiato da una gocciolina di sangue dal lato interno del gomito della ragazza.
Lo ripulì con noncuranza.
Finalmente.”

 Lex si mise a sedere e a quanto pare Aesir ‘Kraaliij non ebbe nulla da obiettare.
Lo yaut’ja si allontanò.
Lei ne approfitto per controllarsi la ferita, si aspettava di vedere bendaggi, una copertura metallica, una struttura organica, insomma qualunque cosa usassero gli alieni per curarsi le ferite e invece vi trovò solo la pelle liscia.
Incredula si passò la mano sul ventre, ma il tatto confermò il parere della vista.
Solo allora si accorse di indossare l’armatura, ripulita dalle insozzature lasciate dallo scontro con il mostro, e la rete a maglie.
Si guardò intorno.
Conosceva quell’ambiente dell’astronave.
Si alzò e constatato che i piedi la reggevano si diresse dove sperava di trovare gli yaut’ja.

 
Le tre creature erano come si aspettava nella larga sala, destinata al tempo libero, o almeno così l’aveva classificata.
Appena la vide Miyrth ‘Feriij si alzò e le andò incontro.
Sssalve, Lexiij.”
Con un cenno indicò una struttura sulla quale era depositato il cadavere dell’orrendo essere.
A quanto pare il Ma’ltar è ssssstata la tua prima preda.
Un’ottima caccia.”
Sei stato tu a salvarmi da quel… Mal’tar?”
Sssssì… ho ritenuto fosssse il cassso di intervenire.
Tuttavia, gli ho sssolo impedito di ucciderti, le ferite che gli avevi inflitto sssarebbero ssstate sssufficienti a finirlo.”
Anche quelle che lui aveva inflitto a me, però.”
Anche quesssto è vero, umana, tuttavia ritengo che tu preferisssca esssssere ancora viva, non è cosssì?”
Sì è vero, e devo dire che essere una yaut’ja…. mi piace…. è divertente cacciare… sai, avevi ragione a proposito dell’umanità… sono dei miserabili che non meritano nulla!”
Ho vissto” replicò lo yaut’ja, accennando alle tre teste che Lex teneva nella rete.
Lei arrossì.
N
on si era accorta di averle ancora lì appese.
Miyrth ‘Feriij disse: “Vieni umana, è il momento di inssssegnarti come ssssi preparano i trofei.

 Lo yaut’ja sollevò il cranio di un essere orrendo, munito di corna, un muso a becco e denti aguzzi.
La testa sembrava l’incrocio fra quello di un lupo e quello di una lucertola.
L’alieno aprì una scatola presa da dietro l’armatura, ne estrasse uno strumento che usò per rompere il cranio, poi ripulì con una specie di aspiratore i resti di materia cerebrale e di sangue, quindi tenendolo con delle pinze lo immerse in un liquido, facendolo uscire completamente sbiancato.
Ringhiò soddisfatto e andò a riporlo nella bacheca dell’astronave.
Lex, che aveva seguito con attenzione le istruzioni fece lo stesso con i suoi trofei.
Al ritorno sul pianeta ognuno li avrebbe posti fra le proprie conquiste.
I tre yaut’ja si avvicinarono e dissero: “Ora devi sssolo sssscegliere un nome adatto da preporre a quello che già hai.Hai tutto il tempo che vuoi per trovarlo.”

 Tre ore terrestri dopo Lex si avvicinò agli alieni.
Non era stato facile trovare qualcosa che si adattasse a lei e allo stesso tempo suonasse bene, ma pensava d’esserci riuscita.
Disse: “Ho scelto il mio nome.
Sarà Pyode ‘Lexiij, per ricordarmi sempre di dover maledire quella specie da cui sono nata… quella specie di vili umani senza onore.”
Miyrth ‘Feriij la guardò un momento, poi replicò: “Non è mia intenzione contrassstare la tua ssscelta, ma ssse vuoi darmi assscolto ti sssuggerirei di cercare qualcosa che ti ricordi il fatto di essssere una yaut’ja, non di essssere un’umana.”
Hai ragione, Miyrth Feriij.
Solo… non sapresti consigliarmi qualcosa tu… la mia conoscenza dello yaut’ja è incompleta e….”
N'ritja.” rispose l’alieno.
Che significa?”
E’ un nome di un’antica pratica religiosa, rissssalente ai tempi di quando adoravamo ancora degli dei… e parlo di milioni e milioni dei vosssstri anni fa… ssssignifica, molto liberamente, .”
Sì, va bene, mi piace.”
E quanto al problema del ssssaper parlare lo yaut’ja…” la creatura ringhiò sotto voce qualcosa.
Lex sentì una fitta alla gola e poi un atroce mal di testa, ma fu per solo un momento.
Quando aprì bocca si sentì con sorpresa pronta a parlare la lingua… senza il solito senso di incertezza… le sembrava di conoscerla da una vita… semplicemente, non avrebbe saputo descrivere cos’era successo.
L’alieno intuì la sua curiosità e disse: “Abbiamo sssscoperto da molto tempo che ssssono dei recettori possssti nel vostro cervello e collegati al vossstro orecchio i ressssponsssabili dell’apprendimento di una lingua… sssuppongo ci sssiano giunti anche gli umani, ormai… alterandoli, ssssi posssssono ottenere sssimili rissssultati.
Alcuni termini e vocaboli ressssteranno intraducibili, ma non aver timore di chiedere ssssspiegazioni quando sssserve.
Ssssse dessssssidererai parlare nella tua lingua originale ti basssssterà pensssssarlo- Lex fece per interrompere ma lo yaut’ja continuò –non fraintendermi, ci sssssono motivi molto utili… e sssorpendentemente divertenti e crudeli… per parlare la lingua delle proprie prede, comprendi?”
Lei annuì: “Ssssì.”  

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Scena Venti (XX): QUESTIONI D'ONORE ***


Scena Venti (XX): QUESTIONI D’ONORE
 
Astronave yaut’ja, da qualche parte nello spazio
 
Più freddo delle comete che solcavano senza meta le galassie.
Più freddo di pianeti che mai avrebbero conosciuto la luce di un sole.
Più freddo del vuoto dello spazio infinito.
Più freddo di tutto ciò era lo sguardo di Miyrth ‘Feriij.
Lex osservò la creatura immensa, avvolta nella sua armatura, un dio della guerra giunto a portare morte e distruzione a chi lo aveva offeso.
Ma descriverlo come una divinità era alquanto riduttivo… quell’essere era molte volte più micidiale di tutti gli dei immaginati da Omero.
Cosa terribile poteva essere l’onore degli yaut’ja.
Un ira lenta a guarire e che avrebbe mietuto molte vittime prima di dichiararsi sazia.
Un uragano di dolore e morte stava per investire quel pianeta lontano.
Un pianeta maledetto, culla di una specie doppiamente maledetta.
E ancor più disprezzato in quanto ora covo dei reietti di quella razza terribile.
La Terra…
Qualche giorno terrestre prima, C’tanu, pianeta originario degli yaut’ja, ad una distanza incalcolabile dalla Terra.
 
L’astronave bucò l’atmosfera del pianeta, poi, senza rallentare e con una grazia che nessun mezzo umano avrebbe mai euguagliato, curvò dirigendosi verso un punto ben preciso.
A bordo di questo straordinario veicolo, una certa umana osservava stupefatta l’esterno.
All’andata era troppo preoccupata per pensare ad osservare il paesaggio, ma ora...
Solo ora si rendeva conto di quanto belle e grandiose fossero le costruzioni degli yaut’ja, che si innalzavano dal suolo del pianeta come le città di un popolo di dei.
E in fondo, non era tanto lontana dalla realtà… con quella strana luce arancione che conferiva un’eterna aria di crepuscolo al pianeta, dovuta alla posizione dei due soli.
In un ambiente del genere vedere a colori era inutile per non dire dannoso, ecco perché gli yaut’ja avevano evoluto una vista sensibile al calore.
Con un’ultima manovra impossibile ma eseguita con la grazia di una libellula che si posa su uno stagno, la navicella atterrò.
Ad attenderla, schermandosi dal vento provocato dall’atterraggio stava un alieno.
All’inizio le proporzioni ingannarono Lex, ma quando scese si rese conto che quello era senza dubbio lo yaut’ja più grosso che avesse mai visto.
Misurava circa tre metri d’altezza, portava una corazza costituita da piastre sovrapposte che gli coprivano il lato sinistro del torace, sul destro vi era una rete metallica che arrivava all’altezza del diaframma.
Portava protezioni alle braccia e alle gambe, all’altezza delle spalle e delle ginocchia si allungavano spine metalliche alte almeno trenta centimetri, su quella che si alzava dalla spalla destra portava infilzato un teschio umano.
Un altro teschio faceva da fibbia alla cintura, e un ulteriore collana di crani pendeva dal collo.
La maschera era decorata, sembrava raffigurare una versione stilizzata e idealizzata del volto di uno di quegli esseri, sulla zona della fronte del bioelmo sporgeva una serie di quattro spine metalliche.
Portava addosso un vero e proprio arsenale, oltre alle lame retrattili e al plasmacaster aveva un maul, un glaive, un bastone telescopico, una balestra, un disco della morte e svariati shurikens.
Quando si tolse il bioelmo Lex vide che era cieco dall’occhio sinistro.
Miyrth ‘Feriij gli andò incontro.
Per quanto imponente fosse sembrava svanire di fronte all’enorme yaut’ja.
“Yeyinde Skaer ‘Feisiij… i miei onori…”
Lo yaut’ja rispose con un cenno del capo e con il gesto di saluto tipico, portandosi la destra sullo sterno ed estraendo le lame retrattili.
 Gli altri due salutarono a loro volta, poi Miyrth ‘Feriij parlò: “La tua visssita è gradita, ma ssso che non sssaresssti mai venuto sssenza un motivo essssterno… non preoccuparti, non mi sssono offessso… mi assspetto di vederti però nel Kehe’rte, in uno dei prossimi giorni…”
L’altro lo guardò un momento e rispose: “Ti ringrazio per la tua offerta Miyrt ‘Feriij… ma non ssso sssse sssarà ancora valida a breve termine, dopo aver assscoltato ciò che ho da dirti.”
Prima che qualcuno potesse proferire parola disse: “Sssseguitemi…”
 
Si trovarono in una stanza, che Lex non aveva mai visto… almeno di persona.
Centinaia di teschi di yaut’ja, accuratamente ripuliti, impilati a formare una sorta di piramide.
La ragazza calcolò che un solo lato della base dovesse essere formato da più di cinquecento teschi.
Un monumento alla legge feroce che oramai da milioni di anni governava i cacciatori intergalattici, il Codice della Caccia.
Il Mausoleo degli iC ‘jit, i traditori.
Letteralmente “quelli là” ad indicare il disprezzo assoluto tale da negare loro un nome.
Il grande yaut’ja si fermò davanti alla montagna di teschi.
“Giorni fa, il pa’ya Dra’Shraniij –cominciò- partì per condurre i bhu'ja alla loro Prima Caccia.
Una normale procedura.”
Lanciò una maschera a Miyrth ‘Feriij.
Era un bioelmo disadorno, probabilmente appartenuto ad uno yaut’ja di grado decisamente non elevato, molto danneggiato, in quanto le msar’cte date a chi non aveva ancora ottenuto il primo sangue non erano trattate come quelle dei cacciatori, praticamente indistruttibili.
Il cacciatore lo prese al volo e, intuendo la curiosità degli altri, lo accese  usando il bracciale per proiettare l’immagine a mezz’aria.
Quel che vide Lex… no, era impossibile.
Il video mostrava degli yaut’ja…. che ne uccidevano altri.
Gli aggressori portavano strane armature e a quanto pareva solo una lama retrattile, dettaglio che la incuriosì oltremodo, dato che sapeva che normalmente gli alieni ne portavano due.
Nel video si vedeva uno yaut’ja combattere contro alcune di queste… aberrazioni, le avrebbe chiamate… ucciderne alcune per poi essere abbattuto.
Poco dopo anche la proiezione cessò.
“Abbiamo trovato ssssolo quesssto… oltre ai corpi…
Il pa’ya era circondato da i cadaveri di cinque di loro, e ssembra sssia ssstato colpito alle ssspalle.”
Lex vide le mani di Miyrth ‘Feriij stringersi in un gesto d’ira.
“Ma i miserabili iC ‘jit senza yin’tekai hanno commesso un grave errore che cossssterà loro caro..
Ci dev’essssere un’arma o qualcossss’altro appartenente ad uno dei bhu’ja, forssse presssa imprudentemente come trofeo, perché riusciamo a rilevare dov’è andata.
Sssssi sssono diretti al pianeta degli umani.”
Gli yaut’ja ringhiarono il loro disappunto.
Ma il yeyinde non aveva ancora finito.
“Assscoltando i loro dialoghi sssembrerebbe che gli iC ‘jit ssssi sssiano alleati con degli umani.
E quesssto è DISSSONORE!”
Miyrth ‘Feriij non sembrava ascoltare.
Si diresse verso il Mausoleo, e, strappato un teschio, lo strinse fra le mani fino a ridurlo in polvere.
L’altro yaut’ja, rimasto impassibile dinnanzi a questa dimostrazione di furia a stento repressa chiese freddamente: ”Come intendi comportarti?”
Miyrth ‘Feriij rispose con uguale freddezza.
“Cossssa intendo fare? Sssscenderò sssu quel pianeta disssgraziato e ucciderò ogni ssssingolo umano, iC ‘jit o kainde amedha che mi ssssi parerà davanti.
Quessssto è yaut’ja.”
Skaer ‘Feisiij replicò: ”Non mi asssspettavo nulla di meno.”
Miyrth ‘Feriij si voltò verso gli altri alieni: “Intendete aiutarmi a portare a termine quesssta vendetta?”
Questi non risposero limitandosi ad eseguire il gesto di fedeltà, traducibile liberamente come “Combatterò con te”.
“Vi ringrazio. Uman…. N'ritja Lexiij?
“Sssì, Miyrth ‘Feriij, verrò con te.”
“Ti esssterno la mia gratitudine per avermi dato quesssta notizia, yeyinde Skaer ‘Feisiij, qualora esssssa non mi arrechi alcuna gioia.
N'dhi-ja rah amedha shin”.
“Kv'var-de nrak'ytara yin’itekai” rispose Skaer ‘Feisiij. ”Ti auguro di trovare quegli iC ‘jit e di ussssare sssu di loro le tue kti’pa.”
“Sssì, lo farò di certo.”
“Vieni un momento con me; ho alcune informazioni da darti e vorrei disssscuterne in privato.”
“Certo… vogliate sssscussssarmi….”
 
“Allora? Che cosss’è tanto importante da non esssssere pronunciabile davanti agli altri yaut’ja?”
“Un’informazione che non ssso se ti farà piacere o meno.
A te poi la ssscelta ssse rivelarla agli altri o meno.
Non è posssto sssu un’arma il rilevatore che ho intercettato.
Vi è uno dei bhu’ja a bordo del loro mezzo… ma è sssolo rilevabile, non riesssco a comunicare con lui.
Ho il sssossspetto che i missserbili lo tengano legato a sssè in qualche misssteriosssa maniera.”
“Farò tutto il possibile per liberarlo o ssse quessto non sssi rivelerà possssssibile almeno per dargli una morte onorevole.”
“Ti ringrazio Miyrth ‘Feriij.”
“Non c’è di che ringraziare.
Farò di tutto per sssstrappare quello ssssfortunato ai maledetti iC’jit.
E ssse sssarà morto… avrà la ssssua vendetta, puoi contarci.”
“Pressto nuovi crani adorneranno il Mausssoleo e il tuo nome sssarà onorato, Miyrth ‘Feriij.”
“Sssolo la loro morte sssarà il mio trionfo…”
“E… c’è un’altra cosa che devi sssapere…”
 
Astronave yaut’ja, da qualche parte nello spazio
 
Più freddo delle comete che solcavano senza meta le galassie.
Più freddo di pianeti che mai avrebbero conosciuto la luce di un sole.
Più freddo del vuoto dello spazio infinito.
Più freddo di tutto ciò era lo sguardo di Miyrth ‘Feriij… 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Scena Ventuno (XXI): PERCHÉ CACCIAMO ***


Ammetto che il discorso di 'Feriij è ripreso da AVP Il brivido della caccia... buona lettura.

Scena Ventuno (XXI): PERCHÉ CACCIAMO
 
Astronave yaut’ja, da qualche parte nello spazio
 
Lo yaut’ja era immobile al centro della sala.
Fredde luci azzurre lo illuminavano, scorrendo sulla sua possente figura.
La creatura teneva un ginocchio appoggiato, la testa china, sembrava riposare, o forse esaminare qualcosa, chissà.
All’improvviso un rumore, l’alieno sollevò la testa di scatto, mentre tutto il suo corpo assumeva d’istinto una postura difensiva.
Gli yaut’ja odiavano che qualcuno arrivasse loro alle spalle.
Una presenza.
Un’umana.
La creatura si rilassò.
Lex gli si avvicinò, inginocchiandosi accanto a lui.
“Ssssono giorni che non apri bocca.
Perché?”
Chiese la ragazza con voce dolce.
S era preoccupata molto del mutismo dello yaut’ja e delle cupe riflessioni in cui pareva indugiare.
“Ti brucia forse il fatto che un pa’ya ssia rimassssto uccisso?
Che sssia morto?”
Lo yaut’ja la guardò con aria strana.
“Non voglio la tua compasssssione e nemmeno l’ho chiesssta.
Ciò che è accaduto è un abomino.
La morte è normale.
Bisssogna accettarla, e non temerla.
La morte è un’amica, quando viene con yin’tekai.
Noi viviamo per lo yin’tekai… N'ritja.
È il nossstro sssangue e non possiamo farci nulla.
Per quesssto caccciamo.”
“Traete piacere dall’uccidere, quindi…” non avrebbe voluto dirlo, ma le era uscito quasi spontaneo.
“La caccia non è uccidere.
La morte è l’atto finale, ma non lo ssscopo ultimo.
Cacciare è vivere nella sssua forma più antica e remota.
Cacciare è giocare con l’immortalità e l’esssenza ssstessa della vita.
Cosss’è in fondo una vita eterna ssse non si può perderla in ogni issstante?
La caccia è una celebrazione della nosssstra natura, una concretizzazione dei nossstri più remoti issstinti… cacciare è onorare tutte quessste cose.”
Lex sapeva che avrebbe dovuto mordersi la lingua, ma…
“Ciò che dici è molto poetico, ma resssta il fatto che privi qualcuno della sssua vita.”
“Come la natura fa miliardi di volte ogni isssstante.”
Fece una pausa.
“Ecco.
Migliaia di vite che sssi ssspengono, migliaia che ssssorgono. 
Ognuna essiste per rissspondere ad una necessità, nell’universo, rafforzando ogni altra creatura con cui viene a contatto.”
“Ma comprendete ciò che dite voi yaut’ja? Sssstai praticamente affermando un diritto di poter uccidere ogni cossa ti sssi pari davanti!”
“Mi cossstringi a ripetermi… la caccia non è l’uccidere… denigri forssse un predatore perché uccide la sssua preda?”
“Ma loro uccidono per sssopravvivere, nutrirsssi, difendersssi… voi non sssiete obbligati a fare ciò…”
“Credi in ciò che dici?
Anche noi fronteggiamo sssfide, anche noi esssistiamo in quesssto mondo… noi potremmo non cacciare, è vero, ma… in fondo… non essssigiamo mai un tributo troppo pesssante ad una ssspecie, non uccidiamo mai individui che non possono difendersssi.
Anche noi abbiamo un ruolo nell’equilibrio dell’universo.
Non dissssonoriamo mai la nossstra sssstirpe.
Non condurremo mai all’esssstinzione una creatura che cacciamo.
Il nossstro intervento è irrilevante, per la ssspecie, alla fine.
Ma per noi, è la vita…”
Pausa.
“La vita di ogni creatura avviene in uno stato di pericolo cossstante.
Che venga dalle zanne dei kainde amedha che si celano nelle tenebre o da qualche altro essere che non conosssciamo, la lotta per la sopravvivenza è eterna.
Non è crudeltà ciò che facciamo.
Quella che fat… che fanno gli umani è crudeltà…”
“Non che io voglia difendere l’umanità, sssia chiaro, ma… cossa intendi…”
“Gli umani sssoffrono di  nozioni egocentriche sssullla natura della vita.
Gli umani pensssano che una forma di vita a loro aliena debba per forza conformarssssi a ssstandard sssimili ai vosss… loro, tra cui la logica è la moralità.
Anche tra gli umani logica e moralità vengono troppo ssspessso ignorate quando opportuno.
Quella che chiamano ‘moralità’… è un inssssieme di principi arbitrari, basata su norme ssstabilite da loro ssstessi.
Perché dovrebbero asssspettarsssi da una forma di vita aliena ciò che non sssanno nemmeno chiedere a sssè ssstesssi?”
Silenzio.
“Comprendi?”
Lex annuì in silenzio.
“Ci sssarebbero almeno due cosse che però sssono evidenti in una forma di vita aliena…
Per prima cosssa, non ssssaranno mai come loro.
Per sssseconda, comprenderli appieno sssarà per loro impossibile…”
Silenzio.
Lex riflettè su questa frase.
Già, comprenderli appieno sarebbe stato impossibile… comprendere gli xenomorfi e… comprendere gli yaut’ja…
“I kainde amedha non hanno dissstruttto l’umanità… esssa ha dissstrutto sssè ssstessa.”
Pausa.
“Mentre eravamo sssu C’tanu, ti ho promesso che in futuro ti avrei parlato dei kainde amedha… forssse non avrei immaginato tutto ciò, allora, ma manterrò la parola data…”
Lex si sporse in avanti per ascoltare meglio; non le dispiaceva aver abbandonato così quell’argomento e inoltre molte domande erano ancora senza risposta, sugli xenomorfi.
“Il ciclo vitale dei kainde amedha è divissso in due parti; può essssere così essssemplificato: l’uovo è deposssto dalla ke’kwei kainde amedha; tale forma può ressstare in uno sssstato di quiesssscenza per un tempo indefinito; quando l’osssspite si avvicina, l’uovo sssi apre e libera l’h’kei; tale forma sssi aggrappa al volto dell’ossspite inoculandogli in gola un embrione; al termine del processo l’h’kei ssi ssstacca e muore.
Quessssta è la fassse larvale della vita del kainde amedha, la parte relativamente pacifica del sssuo ciclo vitale. L’h’kei non danneggia in alcun modo l’osssspite, anzi può aiutarlo a sssopravvivere in condizioni ossstili; in un tempo relativamente breve ma variabile l’embrione cresssce diventando uno z'skvy-de; a quel punto essso sssi fa ssstrada attraverssso il torace dell’ossspite… uno yaut’ja può sssopravvivere a quesssto processo, un umano no…; la creatura compie varie mute raggiungendo infine lo ssstadio di kainde amedha… e ve ne sssono diversssi tipi, anche a non pressscindere dalla ssspecie dell’ossspite.”
Mentre spiegava, lo yaut’ja si aiutava con una proiezione proveniente dal bracciale dell’armatura.
Uova, facehuggers e chestbursters si alternavano in un caleidoscopio da incubo.
Quando arrivò a parlare degli xenomorfi adulti, apparve un’immagine di una creatura dalla testa liscia e lucida.
“Quesssto è un l’de kainde amedha… ssssvolge una funzione di operaio all’interno del nido ed è l’unica forma in grado di produrre la ssssecrezione con cui ricoprono le pareti e i pavimenti.”
Un’altra immagine; stavolta il cranio del mostro era solcato da scanalature ossee.
“Quesssta è l’altra forma adulta, il ver’kainde amedha; esso ha una funzione di protettore e cacciatore.
Tutto ciò non ti tragga in inganno: entrambe le forme sssono ugualmente letali sssse affrontate… a proteggere la ke’kwei kainde amedha ci sssono poi tali esssseri” apparve l’ologramma di uno xenomorfo di tagli anomala, il doppio degli altri, il cranio allungato all’indietro in un modo che ricordava le regine: un pretoriano; “Sssono meno agili delle altre forme, in compenssso sssono essstremamente forti e dotati di un’armatura ossea molto resssissstente.”
Un’ultima immagine: una creatura gigantesca e mostruosa, la stessa imprigionata dentro la piramide in Antartide.
“Quesssta è la ke’kwei kainde amedha… è del tutto indifferente la sssscelta del consssiderare quesssta creatura come il primo o l’ultimo ssstadio… è un ciclo chiusssso…. quesssta è la forma che dà origine ad ognuna delle altre… la creatrice di tutti i kainde amedha…”
Pausa, un silenzio apparentemente imbarazzato, quasi avesse rivelato troppo, o così parve a  Lex… ma che cosa può capire un’umana di ciò che passa per la mente di uno yaut’ja?
L’alieno continuò.
“Nonosssstante non sssiano evoluti tecnologicamente, né dotati di armamenti artificiali, i kainde amedha ssssono allo ssstessso modo dei terribili avversssari… Esssi non sssi consssiderano degli organisssmi unici, pertanto non posssono esssere intimiditi, ssspaventati o convinti a non attaccare. Nulla è in grado di mitigare la loro aggresssività. La paura di una preda li induce sssolamente a farsssi più feroci. Anzi, quasssi ritengo di poter dire che esssi sssentono la paura, e ssscelgono le prede in bassse a quel criterio... mi sssegui?”
“Più o meno.”
Ssssono rapidi, assstuti, dotati di un’enorme resssissstenza alle ferite e al dolore, e i loro corpi sssono esssi ssstesssi delle armi… I loro artigli posssono trapasssare la più resssissstente delle armature, e la lama posssta alla fine della coda può impalare sssenza sforzo uno yaut'ja...” Lex rabbrividì: se lo ricordava bene. “E nonossstante tutto, anche qualora tu riesssca ad evitare le loro armi e a trafiggere il loro essssossscheletro, che, ti ricordo, è composssto di sssilicio, avresti comunque da sssuperare l'ossstacolo del sssangue acido. Sssolo alcuni metalli adeguatamente trattati, e ovviamente i materiali che compongono gli ssstessi kainde amedha, posssono resssissstervi. Sssono letali tanto in piena sssalute quanto quando ssstanno sssanguinando a morte, e perfino nella morte posssono trovare la forza di portare lo sssprovveduto con sssé. Sssono la nossstra preda perfetta… il nosstro eterno avversario… nesssun rimorso, nesssuna paura,  nessuna compasssione. Non lasssciare mai che ti catturino viva; ssse necessario poni fine tu ssstessa alla tua vita. Altrimenti, ti attende sssolo la morte. E non una bella morte. Il loro è un mondo ssspietato… un mondo sssenza rimorsssi, cossscienza o illussssioni di ‘moralità’… un mondo in cui la vita nasssce dalla morte e la morte genera nuova vita…”
“Sssembra quasi che tu ammiri quei mossstri…”
“Non per quello che fanno… per quello che sssono… non c’è disssonore nel rissspettare una preda impegnativa… e ‘quei mossstri’, come li chiami, lo sssono più di tutte le altre.
Chi li caccerà avrà onore… ma chi li sssssottovaluterà dovrà perire…”
Silenzio.
Lo yaut’ja sembrava perso nei suoi pensieri, mille miglia distante…
Intere galassie, chissà…
Solo una cosa lo attendeva ora.
Un pianeta.
Il pianeta, per gli umani.
Per gli yaut’ja un insieme di coordinate come un altro.
Ma per quello yaut’ja, la possibilità di vendicarsi.
La luce azzurra ne illuminava il profilo della bella e glaciale maschera.
Lex guardò negli occhi il bioelmo e, come la prima volta che se l’era trovato davanti, rabbrividì.
Anche i colori le ricordavano quel momento…
Una luce fredda, l’azzurro, il grigio, il nero, il bianco, i colori dell’Antartide.
Lo yaut’ja alzò le lame fino a portarsele davanti al volto e le estrasse, facendole scattare per la lunghezza di più di un metro
Un ringhiò gli sgorgò dalla gola.
Non una parola.
Il verso di un animale feroce.
Sarebbe stato un piacere giungere al pianeta dei miserabili umani senza onore.
E ucciderli tutti… 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Scena Ventidue (XXII): TORNANDO SULLA TERRA ***


Capitolo un pochino demenziale. Per la musica andate su Youtube e guardate il Trailer di AVP Redemption

Scena Ventidue (XXII): TORNANDO SULLA TERRA
 
Astronave yaut’ja, da qualche parte nello spazio, in direzione del pianeta Terra.
 
L’astronave si spostava nello spazio come uno squalo affamato in cerca di prede negli oceani.
Silenziosa, elegante e letale.
Anche qualcosa nel suo disegno, la linea affusolata, la parvenza minacciosa, rammentava un predatore.
Lo yaut’ja guardava fuori dalla navicella.
Presto, molto presto sarebbe giunta al pianeta degli umani…
E lui avrebbe avuto la sua vendetta.
Si diresse verso la sala dei trofei e cominciò a ripulire il teschio di una creatura non meglio identificata…
 
Nella sala di controllo, gli altri due yaut’ja e Lex scrutavano una mappa della zona.
 
Era strano… nel silenzio… sembrava quasi di sentire un coro d’organi nelle sale…
 
Con un ringhio Miyrth ‘Feriij ripose il teschio nella bacheca…
 
Era stata ottenuta da dati orbitali che individuavano le fonti anomale di energia riconducibili agli alieni.
 
La musica continuava…
 
Le quattro mascelle ticchettarono…
 
In seguito erano stati elaborati da un calcolatore per ottenere l’immagine in tre dimensioni che era proiettata dinnanzi ai tre.
 
Crescendo…
 
Sapeva cosa gli si chiedeva di fare…
 
Nessuno parlava.
 
Lenta scala…
 
Aveva chiesto agli altri di seguirlo, era vero… ma la missione restava la sua vendetta…
 
L’umana avrebbe voluto chiedere qualcosa, provare a fare conversazione, qualsiasi cosa per rompere quel silenzio, ma la concentrazione degli yaut’ja era assoluta.
 
Momento di sospensione…
 
La creatura si alzò, impugnando le sue armi.
Controllandole una dopo l’altra…
 
La proiezione mostrava in maniera estremamente precisa lo stato della zona presa in esame: era un complesso forse di origine militare, ed oltre un certo raggio era completamente circondato da uova di xenomorfi.
 
La musica continua sullo stesso tono…
 
Sembravano tutte a posto…
 
L’immagine aveva qualcosa di strano…
 
Quasi una lenta e macabra reinterpretazione de Le quattro stagioni di Antonio Vivaldi…
 
Le lame retrattili vennero estroflesse…
 
La ragazza si chiedeva perché le uova si trovassero solo lì e non oltre, perché non oltrepassassero quel raggio, come potesse l’installazione essere ancora in piedi e apparentemente illesa, in mezzo alla
devastazione totale.
 
Si sente l’avicinarsi di un momento importante…
 
La lancia telescopica si chiuse…
 
Osservando meglio la figura notò che qualcosa si era staccato dalla superficie per poi spiccare il volo, qualcosa che di sicuro non era un uccello per quanto si sforzasse di assomigliargli nell’aspetto generale.
 
Perfino le note sembravano averne timore…
 
I maul scattarono…
 
Forse era il caso di avvertire gli yaut’ja…
Ma no, si disse subito dopo, un dettaglio così è impossibile non notarlo…
 
Sembravano rifugiarsi davanti alla creatura…
 
Il plasmacaster si alzò sulla sua spalla…
 
Chissà che cos’era poi…
 
Fuggire alla sua vista…
 
Il pugnale cerimoniale scivolò nel suo fodero…
 
Una nuova forma di kainde amedha…
 
Quasi una musica religiosa, ora…
 
Gli shurikens si aprirono con uno scatto sinistro…
 
O qualche altra creatura ancora?
 
Il momento culminante…
 
Sollevò il bioelmo decorato…
Si fermò…
 
Probabilmente non l’avrebbe mai saputo…
 
La canzone silenziosa sembra non aver aspettato altro che questo momento…
 
Prese l’altra maschera, quella spoglia, con il solo marchio del sangue acido dei kainde amedha a farle da ornamento.
 
E non aveva il coraggio di chiederlo, no, non con quel silenzio di tomba, quel silenzio che ghiacciava il sangue nelle vene…
 
Ecco… il momento culminante… l’apice…
 
Miyrth ‘Feriij indossò il bioelmo, lentamente, alzando il capo verso la fonte luminosa…
 
Gli alieni si staccarono dalla postazione.
Non ci fu bisogno di parole.
 
Meravigliosa musica…
 
Un cacciatore che prende le sue armi…
 
Sapevano tutti lo scopo della missione…
 
Per restaurare…
 
Tutti sembravano attendere con il fiato sospeso… stare… a sentire ciò che sarebbe venuto…
 
L’ONORE…
 
Sì… sì… sì…
 
DEGLI YAUT’JA…
 
La musica si acquieta…
 
[…] s’udì un lungo rombo tumultante
come la voce di mille cascate d’acqua;
e lo stagno cupo e profondo ai miei piedi
si chiuse ad un tratto, silenziosamente,
sulle rovine della Casa degli Usher
 
-Edgar Allan Poe, La Rovina di Casa Usher 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Scena Ventitrè (XXIII): PRESAGI DI MORTE ***


Scena Ventitré (XXIII): PRESAGI DI MORTE
 
Zona un tempo conosciuta come ‘New Mexico’, Nordamerica, Terra.
 
Una notte senza stelle, la luna coperta.
La costruzione umana si presentava come un prisma a base quadra sorretto da una struttura a cubo e con vari parallelepipedi posti ai lati, probabilmente altri edifici minori.
Si innalzava sul terreno piatto occupando un’area di circa 100.000 metri quadrati, terreno circostante compreso.
Questo era l’orgoglio dell’esercito degli Stati Uniti prima dell’invasione.
Ora, era il covo di una banda di maledetti traditori…
 
Dall’alto del colle lo yaut’ja scrutava la pianura.
Vedeva una figura tracciare nel cielo dei segni che conosceva bene.
Vedeva la recinzione che circondava l’edificio e recava chiari segni di tecnologia non umana.
Vedeva ciò che avevano fatto gli iC ’jit per tenere lontani i kainde amedha.
Vedeva disonore.
Vedeva quelle strutture pulsare della vita di centinaia di umani: quasi riusciva a scorgerli, a individuarli mentre si credevano al sicuro.
Li vedeva e pensava che presto sarebbero morti…
 
I tre yaut’ja e l’umana si avvicinarono lentamente.
Sapevano che cosa c’era da fare.
Azzurro scintillò nella notte…
Ora il contenimento non esisteva più…
 
In un luogo non distante, in una grotta creata da resina nera, centinaia di xenomorfi alzarono il capo oblungo.
Qualcosa era cambiato.
Nuove prede ora erano disponibili…
I neri esseri attendevano da molto tempo un passo falso che sapevano sarebbe venuto.
Non avevano che da scegliere il momento propizio, ora.
Presto… molto presto…
 
L’entrata prescelta si diramava in tre lunghi condotti.
Vi erano umani lì e gli alieni lo sapevano.
Due in ciascuno di quelli laterali e tre nel principale.
Guardie… pericolosi… elementi da eliminare.
Una figura, la più alta, fece un cenno, e imbocco le due diramazioni assieme ad una di quelle più basse, anche se ciò aveva solo un significato relativo: tutti e tre gli esseri erano molto più grossi di un comune umano..
 
I due soldati, nella loro uniforme mimetica color oliva, marciavano avanti e indietro per i corridoi.
Non avevano mai conosciuto gli xenomorfi, era chiaro, ma i neri angeli della distruzione erano l’argomento del loro dialogo.
Come già era accaduto, la presunzione li induceva a credere che i mostri non fossero in fondo altro che strani animali, un’esotica minaccia, una specie di insetti che si sarebbero facilmente lasciati uccidere dai loro ‘avanzati’ armamenti.
Poveri illusi.
Avrebbero dovuto sperimentare sulla loro carne la fulminea letalità degli xeno, la loro forza, la loro fredda efficienza.
Ma non sarebbero stati i kjainde amedha a gloriarsi della morte di quegli umani.
Uno dei soldati si bloccò.
Il corpo ebbe uno spasmo involontario.
Lentamente venne sollevato a mezz’aria mentre un rantolo gli uscì dalla bocca.
L’altro si affrettò a fare luce con la torcia.
Dei sottilissimi fili gli fuoriuscivano dal petto, gli stessi che lo tenevano sospeso.
Uno scatto metallico e i fili si ritrassero… assieme a degli artigli che stringevano il cuore pulsante dell’uomo.
L’organo andò a collegarsi ad una mano uscita dalle ombre, un arto di metallo color bronzo.
L’altro preso dal terrore non fece a tempo ad urlare…
Una lama metallica gli entrò nella nuca.
 
Nel secondo condotto i soldati subirono un’analoga sorte… se non ancora peggiore.
Morirono senza mai sapere che cosa li avesse uccisi.
Trafitti da freddo metallo yaut’ja.
Come era stato deciso.
 
Le creature si alzarono dai cadaveri insanguinati dei quattro e digitarono qualcosa su dei dispositivi posti sul polso.
Il terzo yaut’ja visionò un momento gli ologrammi, poi fece un cenno all’umana per dirle di restare dov’era e si incamminò.
 
I tre marines erano in preda al terrore.
Avevano perso il contatto con i loro compagni e la radio si ostinava a non rispondere.
Quando lungo il corridoio risuonarono dei passi pesanti, metallo contro metallo, il terrore ebbe il sopravvento sui loro nervi.
Ma non fecero a tempo a fuggire…
Un rumore metallico fendette l’aria.
Il corpo di uno dei tre ebbe uno spasmo, una scossa violenta che partiva dal torso per scaricarsi sulle altre membra, per poi cessare com’era cominciato.
Per un momento il corpo rimase fermo e in piedi.
Poi, venne sollevato per più di mezzo metro, con un’altra convulsione… mentre due lame retrattili yaut’ja gli uscivano dal diaframma, attraversandolo come un coltello fende il burro.
Le armi erano visibili solo per il sangue che le macchiava, dando l’impressione che fossero fatte di ghiaccio.
Bruscamente, le kti’pa furono ritratte all’interno del corpo, per poi scattare al doppio della loro lunghezza originaria, venire spinte verso l’alto con volontaria e deliberata crudeltà, attraversando i polmoni dell’uomo e fuoriuscendo dalla sua gola.
Dopo averlo per qualche secondo tenuto così, un monumento all’agonia, vennero strappate via, violentemente, lasciando cadere il marine rantolante al suolo.
I due soldati fecero ciò che la natura aveva insegnato agli uomini di fare in quei casi.
Fuggirono.
 
“Chrrrrhhhh”.
Lo yaut’ja, lentamente si mosse all’inseguimento, oltrepassando la sua prima vittima, le lame gocciolanti.
Il ferito non si accorse nemmeno del piede calzante uno stivale di metallo che gli calò sul torace, sfondandoglielo e ponendo fine alla sua esistenza…
 
“Ascolta… non ce la faccio più a scappare… io torno indietro!”
“Cosa?! Sei impazzito?!”
“Senti, quell’essere, qualunque cosa sia, un programma segreto dell’esercito o Dio sa cosa, quel f****** bastardo, ha ucciso Dieter.
Devo fargliela pagare.
Tu va avanti, avverti gli altri e digli…”
“Chrrrrhhhh…”
Il marine prese a correre mentre sentiva il suo compagno urlare: “Sono qui, maledetto figlio di p******! Vieni a prendermi! Avanti, f****** bastardo! Avan…”
Un ruggito.
Raffiche di mitra.
E poi un urlo, umano, terrificante.
Il soldato corse come non aveva mai corso, senza voltarsi indietro…
 
Lo yaut’ja guardò il miserabile che gli stava d’innanzi…
Disattivò l’invisibilità.
Era stanco di nascondersi.
Doveva vederlo…
Voleva che lo vedesse…
L’umano era lì a strillare, stupidamente.
Che armeggiassero con i loro inutili apparecchi di trasmissione.
Non sapevano che le comunicazioni erano state brutalmente troncate grazie alla tecnologia dell’astronave madre.
Ora gli umani erano davvero soli.
Soli e sperduti com’era giusto che fosse.
Finalmente.
Sentiva l’odio che provava per quella razza concretizzarsi in una gelida ira.
L’alieno aprì le braccia e ruggì la sua sfida.
E mentre l’umano sparava proiettili che si fermavano inermi contro la sua corazza gli fu addosso.
Mezza tonnellata di yaut’ja furibondo.
Polverizzò la sua arma…
Sollevò le lame e lo gettò innanzi a sé, guardandolo.
Prese a colpirlo.
Ogni volta era gratificato dall’espressione di dolore che compariva sugli occhi del debole pyode amedha, dalla sua sofferenza.
Lo ricoprì con centinaia di piccole ferite, lo riprese quando cercava di fuggire, gli spezzò le gambe così che cadesse in ginocchio davanti a lui, umiliato.
In tutto questo tempo l’umano non smise di urlare.
E quando fu stanco di quel macabro gioco, lo yaut’ja allungò la mano e con il pollice artigliato gli squarciò la trachea.
Lo lasciò lì a soffocare, respirando il proprio sangue spumeggiante.
Aveva ucciso quegli umani in maniera tremenda e lo sapeva.
Non provava il minimo rincrescimento.
Ringhiò, ticchettando con le zanne.
No, l’unica sensazione che provava era una macabra soddisfazione…
Osservò la traccia termica sul terreno e si accinse a seguirla.
L’avrebbe condotto dalla sua prossima preda….
 
Il terzo marine si guardò intorno, disperato.
Doveva aver sbagliato svolta da qualche parte.
Aveva gettato tutto, armi, munizioni, perfino la giubba per correre più in fretta e sfuggire al misterioso assassino invisibile.
Se ne sentiva ad ogni attimo il fiato sul collo.
Perché, perché la radio non rispondeva?
Cos’era successo?
Non lo avrebbe mai saputo.
Gli urli in lontananza erano cessati.
Provò ancora più paura perché ora sapeva che colui che ormai era convinto fosse Satana in persona stava venendo a prenderlo.
Si rannicchio.
Come un bimbo spaurito.
Paura…
Paura…
Una sensazione di freddo improvviso…
Il buio che sembrava materializzarsi davanti a lui…
Le ombre lo circondavano.
Cos’era che gli premeva sulla nuca?
E quel liquido che gli colava nel colletto?
Acqua?
O era…
CRACK! 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Scena Ventiquattro (XXIV): OMBRE ***


Scena Ventiquattro (XXIV): OMBRE
 
Zona un tempo conosciuta come ‘New Mexico’, Nordamerica, Terra.
 
RAPPORTO STILLATO IN RELAZIONE ALLE FERITE RIPORTATE DA ESEMPLARI DA ORA CONOSCIUTI COME 1        , 2, 3, 4, 5, 6, 7 PRESUMIBILMENTE ATTORNO ALLE ORE 23.00 DEL GIORNO…
 
Lo scienziato si fermò.
No, non andava ancora bene…
Fece per premere il tasto ‘delete’ del computer.
Il marine nella sua uniforme color oliva gli si avvicinò che potesse farlo.
I gradi lo indicavano come un capitano.
“Allora, ci sono novità?”
“Abbiamo ultimato le analisi, capitano Wicham, stiamo finendo di stillare il rapporto.”
Il soldato sbirciò, al di sopra delle spalle dell’uomo, il computer.
“Volete dire che non avete ancora iniziato, dannazione!”
Il ricercatore sospirò.
Errore.
“Senta, mi stia ad ascoltare, va bene?” sbottò il capitano.
“Lei è il nostro medico forense? Sì.
A lei è stata attribuita questa responsabilità? Sì.
E allora perché diavolo non è riuscito a combinare nulla?”
“Deve capire, signore… sono ferite assurde!”
“Ossia?” fece sarcastico l’altro.
“Beh, per cominciare sono stati uccisi con delle armi da taglio, o a quanto pare a mani nude.
Erano soldati esperti.
Le ferite da armi bianche sembrerebbero provenire da delle lame che non hanno lasciato residui nelle ferite…”
Si interruppe vedendo l’espressione interrogativa del soldato.
“Tutte le lame lasciano dietro di sé delle particelle.
Poi… oh, la vittima numero uno ha il cuore strappato, la numero due è stata dimezzata da una qualche arma affilata.
La numero tre presenta strane lesioni che non siamo riusciti ad identificare, la numero quattro è stata attraversata da un colpo dalla spalla destra al fianco sinistro. 
Nessuno di questi presenta il cranio.
In alcuni casi manca anche la colonna vertebrale.”
“Sono stati decapitati con le stesse armi usate per ucciderli?”
“Le teste e le colonne vertebrali non sono state tagliate… sono state strappate via
E anche così, non oso immaginare la forza che ci vorrebbe per farlo.
Le ultime tre vittime…” il ricercatore roteò gli occhi.
La quinta è stata infilzata da dietro con un’arma tagliente.
Le ferite sono parallele e la lama era seghettata.
Sembra averlo trafitto due volte.
Inoltre, ha il torace sfondato.
La sesta vittima… è stata torturata, a quanto pare…
Centinaia di ferite, nessuna di queste letali… a parte una.
Aveva la trachea squarciata, è soffocato lentamente in cinque minuti.
L’ultima… la settima… è insolitamente pulita… in confronto alle altre… ha il collo spezzato.
Anche qui, niente teste.”
“Fantastico… ma chi può aver ridotto in questo stato dei soldati armati?
Jack lo Squartatore alleato con la Delta Force?”
Lo scienziato ridacchiò: “Se esistono ancora, sono stati mangiati da quei mostri neri…”
Poi tornò serio.
“Ma la faccenda più inquietate è un’altra…”
“Mi dica…” disse il militare, improvvisamente aveva la gola secca.
“Su tutti i corpi è stato inciso uno strano disegno…
Una sorta di J o di T.
Non abbiamo la minima idea di cosa rappresenti.
Sembrerebbe un simbolo tribale di qualche tipo.
Abbiamo trovato lo stesso segno sulle pareti dei corridoi.
Vergato con sangue umano.”
“Mi sta dicendo che chiunque sia stato qui ha massacrato uomini addestrati come se niente fosse, li ha mutilati e ha usato il loro sangue per scarabocchiare sui muri?!”
“Esattamente.
Aggiunga che ha lasciato intendere che avrebbe potuto massacrarci tutti e se non lo ha fatto è perché non lo vuole.”
“Forse ci teme, quando siamo in superiorità numerica…”
Il medico forense fece una risata stanca.
“Abbiamo trovato numerosi proiettili.
Un caricatore da cento era vuoto per poco più di tre quarti.
Qualunque cosa sia si è preso 75 colpi di un M-16 senza farsi un graffio.”
“Come fate a dirlo?”
“Il sangue trovato apparteneva tutto ai soldati uccisi.”
Il capitano guardò fuori dalle finestre dell’edificio.
“Non deve preoccuparsi, comunque” disse infine.
“Abbiamo messo tutti i nostri uomini migliori la fuori.
Nulla di questo mondo potrebbe oltrepassarli.”
Già, nulla di questo mondo, pensò il ricercatore.
Meglio far arrivare quel rapporto ai piani alti in fretta.
E prepararsi ad una giornata di superlavoro.
Sarebbe andato a prendersi un caffè, decise.
Magari ne avrebbe bevuti anche due.
 
“Crrrrhhhh…”
Lo yaut’ja sollevò il cranio lucido e sbiancato del marine.
Vi passò la mano sopra, come ad accarezzarlo.
Poi lo incastrò sulla parete dinnanzi a lui.
Assieme a molti altri…
 
L’uomo scese nel seminterrato.
Non avrebbe dovuto essere lì, l’accesso era interdetto ai non addetti ai lavori, ma era l’unico luogo dove la temperatura fosse sopportabile.
Camminò un poco, immerso nei suoi pensieri.
Strano…
Sembrava più buio del solito…
Si voltò.
La porta si era chiusa.
Dannazione.
Poteva tornare indietro e riaprirla o andare avanti fino a quella di servizio.
Decise per quest’ultima alternativa.
Strano, però… avrebbe già dovuto incontrare degli addetti.
Saranno andati a fare una pausa, decise.
In effetti era quasi mezzogiorno.
Camminava da qualche secondo, cercando di andare il più in fretta possibile quando un’ombra lo distrasse.
Si fermò, raggelato dal terrore.
Per una frazione di secondo fu come se il buio avesse assunto una forma.
Battè gli occhi e la sagoma scomparve.
Si rilassò.
Ma le ombre continuavano a sembrare allungarsi nella sua direzione.
Da piccolo ne aveva sempre avuto paura.
Strano come tornino in mente certe cose nei momenti meno opportuni.
Abbassò lo sguardo.
La torcia elettrica che teneva in mano si stava scaricando.
Ecco perché.
Fece per proseguire…
Una goccia d’acqua gli si spiaccicò ai piedi.
La osservò, toccandola.
Non era acqua.
Era un liquido vischioso, dall’odore metallico.
Oddio.
Puntò la torcia in alto, un gesto istintivo.
Uno dei tubi che correvano lungo il soffitto si staccò dalla superficie.
Non era un tubo, bensì una testa oblunga, liscia, semitrasparente, perfettamente mimetizzata.
Gettò al suolo la torcia, proiettando strane ombre sulle pareti.
Corse, corse, corse.
Terrore puro.
Per la prima volta, paura di morire.
Corse più rapidamente possibile.
Ma le ombre furono più veloci di lui…  

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Scena Venticinque (XXV): IL MASSACRO ***


 

Atto Quarto

 

CENERI ALLE CENERI

 

 

In questo cinquecentesimo anno

dalla caduta dell’Unico Mondo

i Cacciatori

torneranno ancora sulla Terra,

dai vascelli del cielo

per restaurare il loro onore

calpesteranno i loro nemici

e daranno le Prede in pasto

ai Demoni”

 

Iscrizione ritrovata su un frammento di lastra nei pressi della Piramide di Huitzilopochtli, Messico.

 

 Scena Venticinque (XXV): IL MASSACRO

 Zona un tempo conosciuta come ‘New Mexico’, Nordamerica, Terra.

 “Signore… signore…”
Cosa c’è, soldato?”
Ho visto qualcosa, signore.”
Certo, adesso perché- sbirciò le mostrine del marine- Leaster Connors ha visto qualcosa è la fine del mondo, eh?”
Il soldato lo guardò stupito.
Il sergente, un uomo robusto con due folti baffoni a manopola che infondeva fiducia a chiunque lo guardasse, non si era mai espresso in quei termini.
Ah… scusa, soldato… è che siamo tutti un po’ nervosi, capisci… prima quelle morti, poi il comandante che dice di voler fare un annuncio… ce n’è abbastanza da far uscire di testa chiunque.”
Certo… grazie, signore.”
Non c’è di che.”
Seguì una pausa, poi l’uomo sbottò: “E’ proprio necessario che cammini così su e giù in mezzo al corridoio d’accesso?”
Il marine trasalì: “No, signore.”
"
Idiota!” mormorò il sergente sottovoce.
L’altro rise…

 Tre metri più in alto, su un albero, una sagoma li osservava.
> E’ proprio necessario che cammini così su e giù in mezzo al corridoio d’accesso?<
>No, signore.<
>Idiota!<
Una risata.
Ridevano e scherzavano…
Miserabili…
Li avrebbe affogati tutti nel loro sangue…
Crrrhhhh….”
Due lame retrattili scattarono…
Presto… molto presto…

 “Soldati, ascoltate.
State per affrontare dei nemici come non ne avete mai incontrati.
Sono grandi forti e astuti.
Potrebbero spiaccicare cento esseri umani normali come si schiaccia un insetto.
Ma voi non siete uomini normali, siete marines.
E loro sanguinano.
E se sanguinano…”
Vi fu un lampo azzurro e la testa dell’uomo, un piccoletto dall’aria odiosa, esplose in una vampata di sangue.
Crrrrrhhh… rrrrrhhhh…”

 I soldati uscirono in fretta dalla tenda.
Al di fuori, videro un veicolo stranissimo, più grande di un’automobile, sollevato a mezz’aria.
Intorno, nella calura notturna, si scorgevano delle strane sagome.
SONO QUI!!! SPARATE!!!” Nessuno avrebbe saputo dire da chi provenisse la voce, ma quasi d’istinto alzarono le loro armi e fecero fuoco.
In quel frangente dal mezzo partirono dei fasci di plasma che andarono a colpire con letale precisione i soldati, bruciandone le carni, attraversandoli da parte a parte.
Un odore nauseabondo si diffuse nell’aria.
Gli uomini, intimoriti, tentennarono.
Dall’aria si materializzò una sagoma…
Poi un’altra….
E una terza, che guardò nella loro direzione sibilando.
Sollevò un oggetto.
Tutti si protesero incuriositi per poi ritrarsi in preda all’orrore.
Era un cranio umano, con attaccata la colonna vertebrale, ancora sanguinolento.
Non servirono ordini.
Il destino dei loro compagni e la certezza della stessa sorte erano incentivi sufficienti.
I soldati si slanciarono come un sol uomo…
Azione lodevole, ma inutile.

 I colpi sparati dagli umani si fermavano a mezz’aria, respinti dagli scudi energetici che armavano il veicolo.
Un espediente insolito, ma come era stato osservato, non erano in caccia.
Lex si guardò intorno.
Avvertiva l’immensa presenza di Miyrth ‘Feriij accanto a lei.
Si preparò ad attaccare, ma ancora prima che riuscisse a muoversi l’alieno scattò in avanti, travolgendo due soldati.
Strappò la mandibola ad un terzo e uccise a mani nude in analoghe maniere altri dieci uomini, coprendo il terreno di sangue, senza riportare una sola ferita.
A quel punto ruggì e sguainò le lame da polso.
La ragazza sobbalzò: non si era mai resa davvero conto di quanto fosse letale uno yaut’ja.
Non che avesse nulla in contrario, anzi.
Scuotendo il capo, si riscosse, calando la spada sui soldati.

 Iniziò a cadere una pioggerellina fitta fitta, alquanto fastidiosa.
Le armi degli umani erano rese quasi inutilizzabili a causa del tempaccio, ma non così quelle degli alieni.
Neanche le schermature venivano danneggiate, in quanto si trattava di un modello più resistente di quello che normalmente si usava in caccia.
In quella situazione, infatti, era uso dare alla preda almeno una possibilità di vincere, per quanto remota.
Stavolta non ce ne sarebbero state.
Era un massacro, punto e fine.

 Lo yaut’ja guardava dritto innanzi a sé.
Affondò le lame nel corpo di un umano, straziandolo orribilmente, spalancò le braccia uccidendone un altro e tornò a dare il colpo di grazia al primo.
Decapitò con un gesto crudele altri tre soldati, usando i maul.
Intanto la sua mente vagava.
Un soldato armato di lanciafiamme gli si avvicinò.
Sciocco.
Lo yaut’ja lasciò che le fiamme lo lambissero, senza provocargli danno, prima disintegrarlo con un colpo di plasmacaster.
Ripensava a ciò che avevano fatto quegli umani, celare dei traditori, dei miserabili che erano la feccia della loro razza.
Mentre i colpi tintinnavano innocui sulla sua armatura, affondava ripetutamente le sue armi, riducendo quei corpi indegni di vita a membra straziate.
Come ovvio, le loro inconsistenti armature di stoffa non offrivano alcuna resistenza.
Ripensava a ciò che avevano fatto gli iC ‘jit.
Ad ogni colpo che sferrava, immaginava di averli già sotto le sue lame, di sentirli morire centinaia e centinaia di volte.
Sentiva la carne degli umani straziarsi.
Piantò le lame retrattili negli occhi di un soldato e, attiratolo a sé, lo decapitò.
Sentiva le loro urla di dolore mentre cadevano, uno dopo l’altro.
Bene.
Uno dei marine si voltò urlando “Oh mio Di…” ma il grido si interruppe quando una lancia invisibile gli sbucò dal torace.
Avvertiva la presenza dell’umana, di quell’unica umana che rispettava, della quale riconosceva l’onore, la sentiva ansimare per la fatica mente affondava la sua arma.
Non era ancora yaut’ja fino in fondo, ma d’altronde non aveva poi così importanza.
Non si era sbagliato, a risparmiarle la vita…
Un altro marine dinnanzi a lui cadde…

 N'ritja Lexiij sogghignò mentre letteralmente falciava con rapidi fendenti i soldati che aveva davanti.
Dunque era così semplice uccidere.
Semplice… e divertente.
Sì.
Ancora si stupiva della propria velocità, il suo colpire gli umani anticipandoli sempre.
Per uno yaut’ja è normale, pensò.
Rise.
Sentiva il sangue schizzarle addosso, il calore di corpi morti sommarsi al suo e un ringhio le uscì dalla gola, un verso da yaut’ja più che da umano.
Non meritavano alcuna pietà.
Una razza… degenerata… ecco cos’erano.
Ed ora, erano prede.
Sangue per gli dèi del sangue, teschi per il loro trono, si stupì a pensare.
Hahaha.
Come una delle Furie, una divinità dell’Ade, si fece strada attraverso i nemici…
Ma per quanto letale, non era ancora nulla paragonata alla lucida ferocia dei tre yaut’ja…

 Vor ‘tasSkaarj ringhiò.
Si era trovato all’improvviso dinnanzi un manipolo: non gli piacevano gli imprevisti.
Alzò la mano destra, sibilando chiaramente parole incomprensibili…
I soldati lo guardarono in preda al terrore, dando così tempo allo yaut’ja di eliminarli con pochi colpi.
Mille e quattrocento dei loro anni e continuano ad essere terrorizzati da un trucchetto idiota: una specie stolta è sempre condannata…, pensò.

 Miyrth ‘Feriij strappò con un colpo le lame dal corpo di un marine, facendo rotolare il cadavere al suolo.
Ancora sangue gli sprizzò addosso, lo ignorò.
Si fermò un momento.
I soldati non riuscivano a usare le loro primitive armi, incalzati com’erano dai letali fasci di plasma, che partivano automaticamente guidati dal loro calore.
Attorno a lui si udivano urla e gemiti, un silenzio esperto dall’altra parte; i suoi compagni stavano facendo un buon lavoro.
Anche lui.
Nel raggio di sei, sette metri non c’era un nemico vivo.
Tutti caduti…
Vide il plasma degli scudi scintillare mentre assorbivano i colpi.
Non c’è onore senza onore, pensò.
Agguantò per il collo un umano e gli strappò la testa, gustando la sua espressione sofferente e il sangue caldo sulle sue mani.
Era da questa gioia di uccidere, questo perverso piacere, che si diventava iC ‘jit?
Nonostante il Codice della Caccia?
No, quella che stava portando a compimento era giustizia, la giustizia di una razza antica e spietata.
Secondo la quale, tra l’altro, il complice dell’assassino era assassino anch’esso.
Ringhiò.
Attivò l’invisibilità, ricomparendo alle spalle di un manipolo stupefatto e sgominandolo con pochi colpi di lancia telescopica.
Alzò la lama per trafiggere un altro uomo quando un colpo di frusta lo avvolse per un attimo, tagliandolo in due.
Rivolse lo sguardo ad Aesir ‘Kraaliij, chinando il capo in una forma di rispetto.
L’altro ripetè il gesto, sguainando nel contempo un’ascia e scagliandola contro un soldato, abbattendolo sul colpo…

 “Siamo una ssspecie antica, Lexiij… la nosssstra razza è numerosssa e diffusssa ovunque, i nosssstri antenati perssssi nella leggenda. Gli umani ssssono molto giovani, creature mossssse dal dessssiderio e dalla ssssuperbia… non hanno la comprensssione derivata da una lunga caccia… sono ssssolo, una buona preda…”
Come quelle parole le tornavano in mente!
Era… come dopo essersi ubriacati, pensò.

La stessa ebbrezza…
La prima volta che ho bevuto champagne è stato a quattordicimila e quattrocento piedi d’altezza…”
Sembravano passati secoli.
La prima volta che ho compreso davvero che volesse dire vivere, è stata oggi.
Con gli yaut’ja, non con gli umani…

 Era ormai mattina, e in tutto quel tempo non aveva ancora smesso di piovigginare, quando gli ultimi soldati tentarono l’assalto.
A loro onore si dovette ammettere che non chiesero pietà, e non la ricevettero neppure.
Caddero come erano caduti tutti gli altri prima di loro.
Lex si sentì posare una mano sulla spalla.
Puoi fermarti, N'ritja ‘Lexiij.
Ssssono morti tutti.”
Davvero?” si stupì lei, poi scorse l’albeggiare.
Aveva combattuto per ore senza fermarsi, e non era neanche stanca!
Avrebbe potuto continuare così ancora per delle ore, sentiva l’adrenalina scorrerle impetuosa nel sangue.
Lo yaut’ja, attratto da un minimo rumore, colpì con lo stivale corazzato il corpo di un soldato superstite.
L’uomo urlò mentre volava per aria.
Il suono si interruppe bruscamente quando le lame retrattili calarono.
La porta è ssstata aperta, gli ossstacoli rimosssssi; i cadaveri cedono il passso, inchinatevi al vossstro desssstino!”
Rise crudelmente, era, come le parole appena pronunciate, un suono da gelare il sangue nelle vene.
Poi, rivolto a Lex.
Hai mancato di ripulire le tue armi.” Le fece freddamente notare lo yaut’ja.

Oh!”
Se fosse stata ancora umana, sarebbe arrossita, dato che non lo era si limitò a fare ciò che le era chiesto, imbarazzata.
Quanti ne abbiamo uccissssi?” chiese, per coprire il suo disagio.
Quattrocento, circa.
Ma sssssono.. erano… divisssssi in due fronti.
I kainde amedha devono aver approfittato della confusssssione per sssssferrare a loro volta l’assssssalto.
Non odi?”
In effetti si sentivano delle deboli urla di dolore e dei sibili riconducibili certamente agli xenomorfi.
Decise che era meglio sloggiare prima di incontrarli.
Era la cosa più saggia da fare ma… come dirlo agli yaut’ja?

 Intanto Aesir ‘Kraaliij si aggirava per il campo di battaglia.
Sollevò tre soldati, tenendoli per la nuca.
Si udirono dei gemiti di dolore, subito sedati con la pressione su un certo nervo alla base del collo.
Ssssono ancora vivi.
Dobbiamo interrogarli, ci sono molte cose che abbiamo da sapere.”
Yeyinde Vor ‘TasSkaariij replicò. “Come ritieni meglio opportuno; sei tu a sapere come far parlare gli umani…”
Essssattamente: confessseranno tutto ciò che sssanno, e se sssaranno cosssì ssstolti da resssistere tanto peggio per loro.
Sul volto di Lex si allargò un sorrisetto: aveva perfettamente compreso cosa intendessero dire… 

 

 

 

 

 

 

 


 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=709256