Dentro

di Quintessence
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dentro Usagi ***
Capitolo 2: *** Dentro Mamoru ***
Capitolo 3: *** Dentro Pharaoh90 ***
Capitolo 4: *** Fuori ***



Capitolo 1
*** Dentro Usagi ***


Non ho dimenticato gli altri lavori. Solo che questo è uscito più velocemente ancora grazie alla collaborazione di un'amica preziosa. Dentro è la storia di ciò che Usagi ha visto dentro Pharaoh90 e come questa visione l'ha scossa nel profondo. Del motivo per cui i suoi occhi sono così vuoti quando esce dall'orrida sfera rossa, e del motivo per cui si lascia portare via la bambina da Haruka e Michiru. Gli avvertimenti sono validi solo per i capitoli 3/4 di questa fanfiction, che è progettata per essere in quattro capitoli in totale. Quindi non mordetevi troppo il labbro. Conoscerete presto gli orrori che qui sono anticipati. NdA: Consiglio di guardare le puntate 124-125-126-127 prima di leggere la fic. Chi non le ha viste potrebbe avere qualche difficoltà di comprensione visto che la stessa è ambientata fra la 125 e la 126 pressapoco. In quei giorni, insomma. Datevi alla lettura di questa Usagi tutta inedita. E non colpevolizzatela troppo. LoveLove. ;)
 

1/4 ~ DENTRO USAGI


Un minuto passa.
Guarda fuori dalla finestra, Usagi. La luna ne delinea il contorno con delicatezza. Il resto, è completamente nero. Per fortuna c'è, questa notte, la luna. Per fortuna non è tutto buio. Per fortuna il buio non l'avvolge del tutto. Nel cielo, una scia diversa dalle stelle si scioglie in mille piccole luci. Le sue farfalle sono ancora vive, anche se lentamente si stanno spegnendo. E respira più forte, Usagi. Più velocemente. Gli occhi persi nel vuoto della coltre del cielo, comincia a contare le stelle. Uno, due, tre. Le viene la nausea. Smette. Si gira verso l'interno della stanza, seduta sul davanzale freddo. E così, scopre che l'interno della sua camera è scuro, e non c'è la luna. Non ci sono le luci della città a illuminarla, a renderla reale. La sua camera adesso non esiste. Si afferra i gomiti, Usagi, e ci affonda le unghie. Vibra, e serra i denti. Non trattiene un gemito.
Un altro minuto passa.
« Usagi-chan? » -La voce di Luna taglia di netto il buio e il silenzio- « Usagi-chan, che cosa ci fai ancora sveglia? »
Non si muove e non la guarda, Usagi. Non da' cenno d'averla sentita. L'eco nella sua testa occupa tutta la sua attenzione. Rosso. Così rosso, un rosso che fluttua. Qualcuno... no... Qualcosa che nasce. Il battito di un cuore. Un urlo si fa strada verso la sua gola, e lì si gonfia; si chiede se soffocherà per trattenerlo, Usagi, se morirà così. Se il battito l'assorderà. Con fatica, invece, lo ingoia. Prende aria.
Un altro minuto passa.
« Usagi-chan? » -Ripete Luna, e qualcosa nella sua voce rompe l'eco. Lo straccia con forza. Forse è la preoccupazione calda che la permea, forse una nota discordante, forse è il fatto che si è alzata dal cuscino confortevole e si dirige verso di lei. Ma sfonda il muro. Si volta, Usagi, con il respiro così affannoso che pare che abbia corso per milioni di chilometri.
« Luna. Non volevo svegliarti. Scusami » -Luna congela, nel sentire quel tono di voce. Così senza fiato. Così secco, così freddo. Così poco da Usagi. E per qualche strana ragione, improvvisamente ha paura.
« Cosa ci fai ancora sveglia, ho chiesto. » -Afferra la tenda sfumata di rosa con forza, Usagi, e la tira per chiuderla. Sente la ruvidezza del cotone morderle la pelle, e lentamente ordina alle sue dita di smettere di tremare, di rilassarsi, una per una. Con la rigidezza di chi è troppo stanco, o troppo vecchio, si dirige verso il letto. Lascia che la testa le riposi fra le mani e si siede sul materasso, i gomiti fissati alle ginocchia, lo sguardo piantato nel vuoto.
« Sono stanca, Luna. Stanca... »
« Allora forse dovresti andare a dormire » -le fa notare la gatta, un po' stupita. Non è all'altezza della situazione, lo sente. È come se tutto fosse troppo grande per un animale così piccolo. Ma annuisce, Usagi, e Luna fissa la sua giovane padrona ancora per qualche secondo.
Un altro minuto passa.
Si corica allora, Usagi, e solleva fino al mento, con mani cedevoli, la coperta con i conigli; dovrebbe essere confortevole, e morbida. Ma è troppo calda, e in pochi secondi lì sotto diventa tanto rovente che deve tirare fuori le braccia. La coperta l'intrappola, non può uscire. Ma deve resistere, deve, deve mostrare forza. Di fronte a Luna, almeno. Perché se non riesce a farlo con Luna, come potrà farlo con le ragazze? Si rigira, Usagi, e rivolta il cuscino. Il fresco del guanciale le da' sollievo per un momento; e respira. Luna si accuccia nella sua comoda cesta sul tappeto, e sentendo Usagi respirare si tranquillizza piano; il mix di paura e preoccupazione di poco prima sembra svanire, e il sonno prende lentamente il sopravvento su di lei.
Cerca di regolarizzare il respiro, Usagi, rannicchiata sotto le coperte troppo calde, il sudore troppo freddo che le scorre lungo la schiena. Deve ingannare bene, deve provarci almeno, altrimenti come farà domani a ricominciare? Inspira ed espira costantemente, con calma, scossa dai brividi. Ma la gatta non può vederli, per fortuna. Chiude gli occhi solo per un secondo, solo per riposarli un momento. E se gli incubi sono vivi ad occhi aperti, quando li chiude ruggiscono di piacere, le saltano addosso, la divorano, è rosso, tutto rosso, e ci sono quelle... Cose... Spalanca gli occhi di colpo. Guarda verso l'ombra scura della sua gatta sul pavimento, e vede che dorme già di nuovo. Placidamente. Almeno lei trovi la pace, almeno per stanotte.
Si alza di nuovo, Usagi. Si libera della prigione rosa con i coniglietti, e si solleva. Con sollievo riapre le tende. E guarda fuori dalla finestra, Usagi. Per fortuna c'è la Luna, questa sera, o il cielo sarebbe buio, sarebbe nero, sarebbe denso. Sarebbe terrificante. E lo è già abbastanza così. La sua vigilia ricomincia.
E un altro minuto è già passato.

*

L'alba strappa la notte di rosa e di pesca. Con violenza si prende il suo posto. Il fresco ancora agrodolce della notte svanisce lentamente, lasciando il posto al giorno nuovo. Guarda fuori dalla finestra, Usagi, mentre le linee temperate avvolgono il cielo e portano via le sue ultime farfalle. Si chiede come sia possibile che il mondo sia così normale, quando solo pochi giorni fa... Già, solo pochi giorni fa era sull'orlo dell'Inferno. Dovrebbe saperlo, Usagi; in fondo ci è stata, nel suo cuore.
Luna è andata via, presto, per una battuta di caccia notturna. Non ha dubbi su questo, Usagi, e ancora una volta ha finto di dormire. Per il suo bene. Non vuole che la sua leale amica si preoccupi per lei. Non vuole che nessuno si preoccupi per lei. È stato abbastanza, essere testimone dell'orrore; non c'è ragione di condividere un simile peso con loro. Non c'è ragione di condividerlo con nessuno.
Dove c'è innocenza, che resti intatta.
Rimarrebbe lì, di fronte alla finestra, a guardare la storia del giorno che cresce, se non fosse per un rumore di passi piccoli e ansiosi che improvvisamente si fermano raggiungendo la porta della sua stanza. Stringe gli occhi e ricompone subito il suo viso, Usagi, nelle solite linee divertite e allegre, e si volta per accogliere la piccola.
« Buongiorno, Chibi-Usa. Che cosa ci fai in piedi? » -Forse Chibi-Usa si sta chiedendo la stessa cosa. Cosa ci fa, Usagi, in piedi così presto? Oltrepassa il confine, e si getta nella stanza. Il tappeto morbido fa affondare un piede nel pelo; si rende conto solo ora di quanto sia lungo il suo pigiama. Quello di Usagi, invece, le sembra troppo corto: le lascia le caviglie scoperte, e non si è mai resa conto di quanto effettivamente la ragazza sia cresciuta.
« Uhm... Sono solo venuta... a... vedere... Beh, insomma, se stavi bene. Credo. » -Ha una terribile urgenza, Usagi, di collassare sul tappeto, e scoppiare in lacrime, e gridare al mondo che no, non sta bene! Non starà mai più bene. E forse, forse un mese fa solamente avrebbe fatto esattamente così, avrebbe strepitato e pianto, e sarebbe sembrato tutto a posto. Oggi, invece, è tutto diverso. Oggi il grido le cresce in gola, come un'onda, prima che lei lo spinga giù, in fondo, soffocandolo.
« Ma certo. » -Finge una risata malata, Usagi, e cerca di fare qualcosa che sia da lei. Da Usagi. Per un momento1 si chiede dove sia finita Usagi, in effetti. Poi trova un pezzettino di lei, che fluttua da qualche parte nell'oscurità, e lo tira con ogni forza, un pezzo di luce chiara, un pezzo di calore, un abito che l'avvolga, una maschera che l'aiuti.
Improvvisamente, la sua risata diventa più luminosa, e più vera in qualche modo. Il suo sorriso verso la bimba si allarga, e ridacchia soffice, Usagi.
« Ma certo! Dico, mi conosci o no, ragnetto? Anche se cado, rimbalzo e torno su! » -Fa un gesto di vittoria, e subito il senso di colpa cerca di distruggere quel genuino pezzetto di sincerità così faticosamente conquistato. Guarda verso Chibi-Usa, allora, e chiede velocemente- « E tu, come stai? Come... Insomma, sei molto triste per Hotaru, eh? » -Si morde il labbro, Usagi, aspettando una risposta.
Gli occhi di Chibi-Usa brillano per un momento. Di lacrime. Ma anche lei le trattiene, anche lei sorride vincitrice alla donna che un giorno sarà sua madre... Alla ragazza, in effetti. Non importa, adesso, che questa ragazza sarà sua madre, non vuole aggiungere preoccupazione a quegli occhi blu ed estremamente tristi. Occhi che dovrebbero essere felici, oggi.
« Sto bene. So che doveva andare così, e so che ci rivedremo, un giorno! » -Annuisce e poi sorride di nuovo. Sorride meglio. Usagi la fissa- « Ti aspetto giù, Usagi, c'è la colazione! »
Si dilegua prima che Usagi dica qualsiasi cosa. Prima di vedere l'oscurità riversarsi su sua madre. Crolla, Usagi, sotto il peso del dolore, sotto la pressione delle responsabilità e del rimorso che su di lei gravano. Senza un pubblico, può lasciarsi prendere, può lasciare che l'invadano, può lasciarsi cullare dalle lame che sembrano sbriciolarle le ossa.
Hotaru.
Non è stata in grado di salvarla. È entrata, seguendo una ragazza che irradiava forza, ed è uscita con una bambina senza nome fra le braccia. Ha fallito, Usagi, e ha trascinato sua figlia con sé nel fallimento. Allora meccanicamente si getta sul letto, e soffoca il grido nel cuscino, che nessuno lo senta. Poi, un ultimo sguardo alla finestra. È pronta di nuovo.

*

« Non mangia » -Annuncia Chibi-Usa, quel pomeriggio, a un gruppo di ragazze preoccupate e a un Mamoru pericolosamente distante- « è scesa a colazione, stamattina, ma è rimasta ferma. Sorrideva a tutti, scherzava. Ma non ha toccato nulla. Ha scombinato l'omelette, l'ha spinta tutta a destra. Ha detto non ne voglio più alla mamma, ma non ne aveva mangiato nemmeno un pezzo. E quando ho preso l'ultimo biscotto, non ha fiatato »
Le Inner cominciano subito a discutere animatamente della situazione. A volte lanciano uno sguardo all'uomo che se ne sta nell'angolo, e alla piccola dai capelli rosa che stringe la sua mano, nervosamente. Le Outer, o almeno quello che ne è rimasto dopo che Pluto è tornata alle porte del tempo e Hotaru... Beh, Hotaru... guardano le Inner con una leggera disapprovazione.
« Era ora che la ragazza si decidesse a dare un taglio a quelle orribili abitudini alimentari » -Haruka guarda il gruppo con disgusto aperto. Troppo rumore per nulla, per quanto la riguarda. Michiru resta in silenzio, invece, e si rigira lo specchio nelle mani magre e pallide, troppo magre e troppo pallide.
La stanza si ferma. All'improvviso è ferma come la morte. E tutti gli sguardi si puntano su Haruka. Le Inner sembrano tutte congelate nella sorpresa, come se nessuna sapesse come replicare ad un commento del genere. E in effetti, è così, finché un rumore profondo, di bestia si solleva dall'angolo, liberando il silenzio e facendo esplodere un movimento.
Mamoru non lo sa, che cosa sia stato. Sa solo che ha avuto questa sensazione. Questa orribile sensazione tutto il giorno, tutti quei giorni. E che Haruka ha appena insultato il suo... Il suo cuore, la sua vita. In un secondo ha scavalcato il tavolo ed è sopra di lei, la sovrasta, una mano enorme, mano di uomo, che le prende la camicia, stropicciandola sotto le dita forti e ruvide. Tutti i famosi riflessi di Haruka non possono niente contro la sua furia che impazza. Haruka non può che aggrapparsi al suo polso, e intimargli di lasciarla.
« Stà zitta. Stà solo zitta, tu, ingrata... pazza. Non sai niente! Niente! Lei ha salvato le vostre inutili vite, laggiù. Ci ha salvati tutti! Tutti! Di nuovo! Di nuovo! E se tu... Se voi... » -Smette, la sua gola improvvisamente si è chiusa. Haruka forse era spaventata al mostrarsi così improvviso di violenza, ma l'orrore si dipinge sul suo volto quando vede una lacrima formarsi negli occhi scuriti.
Solo allora Minako fa un passo avanti, verso Mamoru, che ancora trema, e gentilmente gli prende il braccio. Gli mette l'altra mano sulla spalla. Sussurra una parola che suona come una sorta di minaccia, nel suo orecchio. Mamoru chiude gli occhi, un muscolo si contrae nella sua mascella prima di lasciarla andare, distogliendo lo sguardo, e fissandolo su sua figlia. Lentamente, e quasi gentilmente, apre le dita. La lascia andare. E poi gira sui tacchi, prende Chibi-Usa fra le braccia, e lascia la stanza. Con lo stesso silenzio, anche le altre ragazze lo seguono, lanciando occhiate gelate alle ragazze più grandi che, invece, restano indietro. Sedute, sole, nella stanza carica d'elettricità.
Quando finalmente restano sole, Michiru si lascia scappare un sorriso all'espressione attonita di Haruka. Poi, le si rivolge con la dolcezza di una maestra che sgrida lo scolaro.
« Haruka, a volte sai essere davvero stupida. »

*

Prende un respiro profondo, Usagi, mentre fissa il Crown come se stesse guardando la bocca spalancata di un drago affamato. Alla fine, si è convinta che presto o tardi dovrà affrontarle tutte. Tutte loro. E Lui. Anche loro hanno le loro storie, da raccontare. Anche loro hanno qualcosa da superare. E lei di certo non negherebbe mai loro il suo supporto. Solo, non è sicura di essere in grado di reggere tutti i loro pesi. Ma prima o poi, in ogni caso, dovrà affrontare questa battaglia.
Così entra, Usagi, con passi misurati e quasi automatici, cammina e si dirige verso l'angolo più in ombra del locale. Muove la bocca senza dire nulla, accertandosi che i muscoli della sua mascella funzionino tutti a dovere. Perché dovrà sorridere, e molto.
Sei paia di occhi l'accolgono con gioia, mentre li stira con un dolore quasi insopportabile. Solleva una mano, Usagi, e accelera il passo, pregando in silenzio che il correttore per occhiaie che ha impiegato una mattinata intera ad applicare sia almeno valso a coprire per metà gli orribili cerchi neri che oramai si sono installati sotto i suoi occhi in pianta stabile.
« Ciao a tutti! » -Scivola al suo solito posto accanto a Mamoru. Rei, Minako, Makoto ed Ami la guardano attraverso il tavolo, mentre Chibi-Usa beve rumorosamente le ultime gocce di milkshake alla fragola con evidente piacere. Si aggrappa al tavolo, Usagi, e stringe fino a spezzarsi un'unghia. Stringe i denti talmente forte, a quel rumore risucchiante, calamitante, famelico, che teme che la sua paura faccia addirittura rumore. Ma deve controllarsi, Usagi; perciò non urla, non fa una piega. Con gentilezza, Mamoru le passa una mano attorno alle spalle. Allora, però, non può farci nulla: sentendo il contatto, salta sulla sedia.
« Usako? Ma che... ? »
Maledice la sua stupidità, Usagi, a voce più bassa di un respiro; la copre con un sorriso che porta più stranezza che sollievo. Guarda Mamoru con naturalezza.
« Niente, Mamo-Chan. Scusa, è stato un brivido. »
Lui annuisce un po' casualmente, ma la sua mano cade accanto alla sedia. Vorrebbe quelle mani calde fra le sue, Usagi, e vorrebbe annodare e sciogliere ogni suo dito, essere una ragazza che rassicura il suo amato. Ma lui è sempre stato in grado di leggere dentro di lei così facilmente attraverso i suoi occhi, la sua voce, il suo tocco. Che cosa leggerebbe questa volta, si chiede Usagi in silenzio, se si lasciasse andare al piacere del suo confortevole calore? Che cosa sentirebbe contorcersi sotto la superficie?
Quando Mamoru alza il braccio di nuovo, lentamente, cercando di non spaventarla, lei si forza a rimanere immobile. Combatte l'urgenza di avvicinarsi e lasciarsi abbracciare, Usagi, con la più pressante sensazione che dovrebbe solo spingerlo via e scappare.
« Allora, Usagi-Chan, vuoi un milkshake? Pago io, oggi! » -Makoto la guarda, e Usagi ha l'impressione che la veda bene, la sua orribile magrezza. Il volto un po' scavato. Makoto la guarda con una speranza nascosta. E la sente, Usagi. La vede.
« Ma certo. Grazie. »
Si sente quasi, il sospiro di sollievo delle ragazze, mentre Ami si volta entusiasticamente verso una cameriera che passa, forse timorosa che Usagi cambi idea. In poco meno di un minuto, un enorme milkshake al cioccolato ha preso il suo posto di fronte a Usagi. Per amore delle amiche, infila la cannuccia nel bicchiere e prende un sorso di quell'orrido intruglio gelido che le sembra polvere di ghiaccio. Non ingoia. Lo risputa nella cannuccia con una perizia che si direbbe maturata negli anni, sentendo il sapore e l'odore sulla lingua scenderle in gola e depositarsi come un grumo nel pozzo vuoto del suo stomaco.
« Allora » -Comincia, rigirandosi la cannuccia fra le dita- « Di che cosa state parlando, di bello? »
« Nulla di importante. Non stavamo dicendo niente di che, solo qualche sciocchezza aspettandoti » -Mente Minako. L'argomento della conversazione fino a solo un secondo prima che entrasse dalla porta era proprio Usagi stessa- « Ma adesso che sei qui, possiamo finalmente scambiarci impressioni sulla battaglia e capire che diavolo è successo »
Ami coglie il segnale di azione e prende il mini computer azzurro che si porta sempre dietro, spacciandolo per un portatile super sottile. Lo apre e comincia a riassumere le poche informazioni già inserite nel computer.
« Allora, come prima cosa ho inserito le nostre varie posizioni. Moon, Uranus, Neptune e Mistress9 erano dentro il palazzo. Noi Inner invece siamo rimaste fuori, cercando di controllare i demoni per evitare che si spargessero ovunque. Mamoru infine era in casa, con Chibi-Usa, per tenerla in vita anche senza il suo cuore puro. Da qui, possiamo cominciare. »
Sbianca, Usagi. Si chiede freneticamente, panicando, come sfuggire a quella situazione. Non vuole, non può parlarne. Non adesso. E forse, mai. Non vede nessuna via d'uscita da quella conversazione in ogni caso, e non vuole comunque impedire alle altre di parlare dei loro problemi. Per loro, è più facile. Se loro hanno sofferto un decimo di ciò che lei ha sopportato, allora i loro fardelli saranno più facili da portare tutte insieme.
Il suo lavoro, pensa Usagi, è solo non aggiungere il suo.
« Comincio io! Allora, inizio da quando ci siamo separate. Vediamo... Okay, allora, in pratica stavamo combattendo quella massa di roba appiccicosa che attaccava » -Dice Makoto.
« Ew, era veramente disgustoso! » -s'intromette Minako.
« Assolutamente. Allora, stavamo combattendo allo stremo, e a un certo punto paf! Una mano esce dal nulla e prende Sailormoon per la gola. La tira in una specie di buco dimensionale, Bum! E noi rimaniamo fregate. Questa enorme massa di roba vischiosa si agglomera ed è troppa per restare nell'area dell'edificio, no? E allora, in pratica abbiamo deciso di tirare su un muro, una specie di barriera, per tenere quei cosi lontani dalla città. »
« E' stato disgustoso! » -Rei si perde un attimo nel ricordo, e poi prende la parola- « Ci siamo messe tutte in ginocchio, ciascuna a un angolo della sorta di quadrato che circondava l'edificio. Ci siamo sostenute. Ma a un tratto... Qualcosa è esploso, e non sono più riuscita a tenerli indietro. Nessuna di noi ce l'ha fatta e... » -Si passa le dita incerte fra i capelli corvini, ridendo in modo vuoto quando si accorge che il silenzio è calato sulla tavola. Ciascuna guarda in basso- « Sono davvero sollevata che sia finalmente finita. »
Ami si allunga ad accarezzare il braccio di Rei, e poi le prende la mano che sta tremando leggermente. « Già, è stato sconvolgente per tutte » -Concorda- « Dubito che lo dimenticheremo presto, ma dobbiamo sempre ricordare un'altra cosa; che abbiamo combattuto come una squadra, e il nostro legame è stato forte. Oggi è ancora più forte, e non si spezzerà. Questo è quello che conta. »
Dal suo lato del tavolo, Usagi osserva in silenzio. Spera più di qualsiasi cosa che una scusa le salga alle labbra quando ne avrà bisogno. Si chiede se non ce ne sia una, anche adesso, per evitare questo orribile rendez-vous per darsi sollievo l'una con l'altra. Ricorda con precisione quel qualcosa che esplode. Ricorda. È stato il momento in cui Pharaoh90 è stato liberato. Ricorda anche cosa ha causato quella rottura, quel rumore di unghia su vetro, mentre tutto si fa rosso. Lei. Usagi. Ricorda con una precisione quasi sconcertante il momento in cui ha donato a Mistress9 il Chalice. Lo vede con chiarezza, come un film di scarsa qualità, correre sotto il suo sguardo. Una volta ancora è stata causa di sofferenza per le sue amiche, Usagi. Una volta ancora, deve aggiungere alla montagna delle colpe che porta un altro sasso.
« In ogni caso » -Sta dicendo Minako- « Dicci un po', che cosa è successo quando quel braccio ti ha afferrata, Usagi-Chan? » -Minako volta la testa e due occhi blu vibranti la guardano con curiosità viva. Quasi si ritira, Usagi. È solo un secondo. Quanto può dire? Quando sarà abbastanza? Quali sono le informazioni utili, quelle che servono alle ragazze? E quali sono quelle utili che non lasceranno che il male le raggiunga, che arrivi fino a loro?
« Uhm... Io... mi sono ritrovata in questa stanza... con Hotaru. Lei... lei sembrava così... così normale, sapete? Voleva sapere come stesse Chibi-Usa... » -Ingoia con fatica, Usagi, ricordando il sapore acre della paura sulle labbra, sapendo che la vita di Chibi-Usa era appesa a un filo. Ricordando come ha dovuto combattere contro il tempo. Ricordando come ha dovuto paragonare il valore di una ragazza innocente a quello di sua figlia e del resto del mondo.
« Io... Io le ho quasi dato il Chalice, ma poi... poi si è trasformata! In quello che era realmente, Mistress9. Uranus e Neptune sono arrivate, allora... insieme al Dottor Tomoe, e allora è stata solo una lotta cieca. Per non permettere che uccidessero Mistress9, e con lei il corpo di Hotaru. »
Può ancora vedere la scena, Usagi, se abbassa la guardia per un secondo. Vede Hotaru nel corpo della Mistress9, cercare di distruggere la sua prigione. Sente la voce infranta del Dottor Tomoe pregarla di salvare sua figlia, combattere contro gli urli rabbiosi di Uranus e Neptune che le ordinano di uccidere, uccidere la donna, prima che scateni Pharaoh90.
Raggiunge con una mano il milkshake, Usagi, ma la ritira subito, rendendosi conto di quanto stia tremando. La unisce con l'altra, sul grembo.
« Ah, insomma, in ogni caso ad un tratto Mistress9 è riuscita a prendere il Chalice... In qualche modo... E ha aperto la via a Pharaoh90. È stato allora che Sailorsaturn è apparsa. Ha ripreso il controllo del suo corpo, ed è saltata dentro... la massa... di... di... oscurità, credo che fosse, e io l'ho seguita. Non ricordo altro. » -Ma ricorda, Usagi. Ogni dettaglio.
Si gira nervosamente per trovare Mamoru a fissarla, con gli occhi di chi ha visto troppo. C'è una luce, dentro di essi, che Usagi teme essere consapevolezza e... comprensione. Prega di essersi sbagliata. Ma in qualche modo, ne è snervata.
« Oh, bene, spero che questo possa esserti utile, Ami-Chan. Io... Io devo andare. Davvero. » -Non dà scuse, Usagi. Perché semplicemente, non ne ha nessuna. Semplicemente vuole andarsene. Via. Lontano. Perché fa male vedere le loro facce, preoccupate e interrogative, sapendo che non potrà mai, mai dir loro la verità. Non a costo della loro salute mentale. Così fugge e si dilegua, Usagi, lasciando il braccio di Mamoru abbandonato sul suo fianco, lasciando che cada seccamente dalla sua spalla.
Mamoru sente un dolore lancinante da qualche parte vicino al cuore. Se solo potesse mettere le dita su questa ferita invisibile, su tutta questa faccenda che sembra così... sbagliata, e se solo capisse perché Usako, la sua Usako sta costruendo un muro invisibile così meticolosamente per tenerlo fuori. Per tenerli tutti fuori. La parte di lui che è sempre connessa a lei, di solito la più vitale, la più pura, la più rumorosa, la parte più luminosa e colorata del suo cuore è semplicemente un cumulo di polvere, grigia e spenta in un plumbeo silenzio di morte. Lo sta cacciando via. Sta scivolando lontano da lui, forse nella speranza che Mamoru non se ne accorgesse. Come se potesse essere possibile non accorgersi di perdere un organo vitale. Come se potesse continuare comunque a vivere.
Mamoru ne è semplicemente terrorizzato.
« Sembra un po' smagrita, ma mi è parsa felice come sempre » -Sta dicendo Makoto.
« No, penso che fosse decisamente tesa. Come se stesse tentando disperatamente di... di... Non so come dire. » -Ami si arrende, per la prima volta nella vita, senza trovare le parole. Chiude il computer, e poggia la fronte sul metallo freddo- « Non lo so. »
« Beh, se qualcuno ha diritto di essere tesa, quella è Usagi-Chan! Senza dubbio sta tentando di minimizzare qualsiasi esperienza abbia appena attraversato. Insomma, tutte noi ricordiamo i suoi occhi inespressivi quando è ricomparsa, avvolta dalla luce del suo Cuore Puro. Una persona come Usagi non dovrebbe davvero... Mai dover avere uno sguardo simile. » -Mormora Minako.
« Non ha nessuna energia negativa in sé, comunque. Non c'è niente di strano o sbagliato in lei, almeno, insomma, non è posseduta. Quando però ho provato ad entrare nella sua psiche in profondità... Sono stata chiusa fuori. Non bruscamente, insomma, è stata più una cosa come... Come se mi avesse chiuso una porta in faccia » -Rei tamburella le dita sulla tavola, senza riposo- « Non sapevo nemmeno che sapesse farlo! Mamoru-San, che ne pensi? »
Lui si appoggia allo schienale, e chiude gli occhi per riposarli. Le ragazze sono tutte impressionate dal dolore così nudo sul suo viso, da una tristezza così disperata.
« Non lo so. Mi ha chiuso fuori. Fa male... Qui. » -Batte il pugno esattamente in mezzo al suo petto.
Un silenzio sbalordito striscia lungo tutto il tavolo. Chibi-Usa testimonia in silenzio le facce preoccupate e sbigottite degli adulti intorno a lei, e sente un brivido correre dritto dal collo alle scarpe. Si spinge vicino a suo padre, e lui l'abbraccia stretta, fin quasi a farle male. E lei sussulta, ma non dice nulla.
« Hey, ragazzi, almeno ha mangiato! » -Cerca di dire Minako con forzato ottimismo. Tutte si voltano verso il posto vuoto di Usagi.
« Sì, » -La sostiene Makoto- « Almeno ha... »
Tutte gelano, fissando il milkshake al cioccolato completamente sciolto nel bicchiere pieno fino all'orlo. La cannuccia, sbrindellata dai morsi all'estremità, giace senza vita, completamente immersa nel liquido marroncino e vischioso.

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Capitolo 2
*** Dentro Mamoru ***


Mmmm, lasciatevi presentare l'infermierina Mamoru. XD Ok vai Mamo sei tutti noi. E' infermiera, cucina, coccola i malati e ti ama... Potrebbe essere uno slogan. Se lo mettessero nella pubblicità di qualsiasi cosa, andrei a comprarla :Q___ sto scherzando, sto scherzando (Mica troppo). Due parti rimaste, una e mezza già scritte. L'horror arriva nel prossimo capitolo. Perciò per adesso andate lisci, prometto comunque un avvertimento nella prossima parte se descriverò cose troppo schifose, e di alzare il rating da arancione a rosso se qualcuno me lo segnala. Per adesso, buona lettura. E LoveLove, come sempre.  




2/4 ~ DENTRO MAMORU


L'acqua è una piscina fredda, di blu placido, l'esatto opposto di quello che sta avvenendo dentro di lei. Un raggio di sole colpisce l'acqua, ignaro.
Guarda nel lago, Usagi. Nelle profondità trasparenti, limpide. Chiare. Guarda in fondo. Sempre più in fondo. Più giù. Giù. Giù... La superficie, come vetro, la taglia dentro. Un blu nebbioso, quasi grigio. E poi un verde acqua, e poi un blu più scuro. E infine, sfuma verso il nero. Il colore degli occhi di lui, quando prova intense emozioni. Il colore dei suoi occhi, quando la stringe. Fissa le sfumature con nostalgia, Usagi.
È esattamente il posto dove deve trovarsi, adesso. È perfetto per quel momento. Quel molo, dove lei e Mamoru hanno passato ore interminabili e felici prima di quel momento. Il molo sempre illuminato di sole e di felicità. Il molo dove la pioggia li ha sorpresi, una volta, e hanno corso ridendo fino a casa. 
Vorrebbe solo e ancora una volta che fosse così, Usagi. Vorrebbe aggrapparsi alle emozioni che permeano quel posto, afferrare un po' della serenità che vi fluttua. Perché, se l'orrore riesce a ossessionare gli abitanti di una casa stregata, l'amore e il calore non riescono a raggiungere il suo cuore anche nel posto in cui dovrebbe essercene di più? Perché se c'è un posto perseguitato dalla felicità, quello è sicuramente il molo.
Ha un disperato bisogno di catturarne un frammento, Usagi, anche solo un pezzetto. Anche solo un minimo barlume di serenità. E se ha paura di andare da Mamo-Chan, dal suo Mamo-Chan, se teme così fortemente di trascinarlo giù, con lei, sul fondo... Allora forse può rubare qualche ricordo dal posto dove le è stata maggiormente vicino, e come un fuoco in una notte di inverno scaldarcisi.
Poiché quello è il posto dove sono andati fuori, con quella piccola barca. E quello è il posto dove Chibi-Usa le è caduta in testa. E quello, quello è il posto in cui si sono baciati per la prima volta, solo Usagi e Mamoru, e nessun altro. Nessuna Serenity a scombinare i piani, nessun Endymion a possedere il cuore del suo amato. Nessun nemico e nessun grido di dolore, come quelli che echeggiano ancora nella sua testa, oggi.
Sembra tutto così lontano, a Usagi. Adesso, Chibi-Usa è a casa. Adesso, non ha più nessuno con cui giocare. Perché Hotaru... Hotaru... E così, così ricomincia. Con Hotaru torna il ricordo di quelle ore infernali. Così torna, e come un artiglio qualcosa l'afferra, tirandolo fuori dallo scrigno nell'anima. Il posto dove l'aveva rinchiuso con così tanta attenzione, Usagi, per evitare che chiunque lo vedesse, per tenere tutti al sicuro... ma non è svanito. È lì, adesso, l'aspetta bramoso, vuole solo che chiuda gli occhi qualche secondo e l'assalirà. Perfino sbattere le palpebre è una tortura, per Usagi. Perfino nel batter di ciglia piccoli flash di quell'orrore l'ossessionano, nel breve momento di oscurità.
Ultimamente, anche senza chiudere gli occhi persiste, tutte le ore stampate nella sua mente, in tutti i suoi appariscenti colori maestosi, i suoi odori, i suoni. Le grida, ancora e ancora. E poi, il dolore che comincia...
Un leggero tremore invade il suo corpo, mentre la sua parte cosciente combatte il subconscio con violenza. Ma è stato abbastanza, quel breve momento di riposo. È sfuggito abbastanza al suo controllo, da farla accasciare per terra, sulle ginocchia, pericolosamente vicina al bordo del pontile. Basta solo che guardi giù, Usagi, e vede il suo riflesso nel blu prepotente delle profondità dell'acqua. Improvvisamente, le sembra così invitante, così promettente. Così fresca, e confortevole, profonda come un oblio. Forse, sarebbe riuscita ad affogare anche le immagini nella sua testa... una mano raggiunge timidamente la superficie, sforzandosi di toccare l'acqua. Ancora pochi centimetri, e il blu potrà prendersela. Blu, sì, solo blu.
Blu come i suoi occhi.
Il brivido diventa quasi tremore, e scuote così violentemente il suo corpo che le sue giunture quasi protestano dal dolore. L'acqua è proprio come i suoi occhi. Potrebbe annegarci davvero. Si strattona via dal bordo, Usagi. C'è una cosa che la ferma. Che le impedisce di gettarsi.
I suoi occhi. Sarebbero tristi, e pieni di rabbia, se si arrendesse ora. Se abbracciasse il sollievo che il lago le promette. Perciò lo rifiuta, Usagi. Perché deve essere forte. Deve sopravvivere a questa cosa, e deve vivere per la sua Chibi-Usa. Per Hotaru. Per le Inner e per le Outer Senshi. E per il suo Mamo-Chan. Perché non sappiano mai che cosa ha veduto.
Inciampa nei suoi stessi piedi, Usagi, e si forza a tornare indietro, ad allontanarsi di più. È un processo lento, e doloroso; l'acqua la chiama ancora, con la stessa voce con cui la morte l'ha chiamata, molto tempo prima, sulla Luna. Quando il suo principe le è stato portato via.
Alla fine, quando finalmente dieci metri la separano dall'acqua si volta, Usagi, per non vedere. E corre, Usagi, corre.

*

Lui l'ha seguita per tutto il tempo, naturalmente. Qualche volta pensa che la sua vita sia fatta di due fasi: quando sta con lei, e quando la insegue. Tutto quello che c'è fra queste due fasi è solo indistinta nebbia sfuocata e insignificante.
Quando si ferma al “loro” molo, non si sorprende affatto. Spesso anche lui va lì, a pensare. Si appoggia ad un albero, rifugiandosi nella sua ombra mentre studia la linea stanca della sua schiena. Lei si avvicina di più al bordo, tesa e rannicchiata come se avesse freddo. Ancora, Mamoru gentilmente cerca di raggiungerla, cerca di toccare la luccicante corda che li collega. E solo quando finalmente crede di esserci arrivato, di averla raggiunta e di poter finalmente condividere le sue emozioni, esattamente come faceva un tempo, un muro invisibile lo ferma.
È un modo fin troppo facile, per descrivere la sensazione, quello del muro, ma la realtà è che è proprio come se due mani calde l'avessero frenato e poi spinto indietro; come a dire non sei il benvenuto. Torna domani, per favore. Riluttante, Mamoru ci prova ancora. E poi di nuovo. Stringendo i denti e cercando disperatamente di ignorare il dolore che germoglia frustrato dentro di lui. Perché? Perché lei non lo lascia entrare? Non si accorge che gli fa male, che lo uccide, in un fisico dolore straziante, dover stare indietro e nell'ombra senza poter avere una connessione completa?
Ma è ovvio che non se ne accorga, Usagi. Lei non è così dipendente da quella connessione, mentre Mamoru l'ha gentilmente e attentamente coltivata in tutti gli anni di solitudine, contandoci come se fosse un salvagente in mezzo al mare, facendo tesoro di quel senso d'appartenenza. Qualche volta, forse, Mamoru ha dato per scontata la sua costante compagnia, ma adesso che il loro legame sembra spezzato si sente come quelle mezze persone di cui parlò Platone: pesante, sgraziato, sciocco, senza senso, un impedito essere con due gambe, che altro non può fare se non cercare la metà che lo renderà la sfera perfetta ancora una volta. E se ha trovato, dopo così tanto tempo, la sua perfetta metà, non ha nessuna intenzione di lasciarla andare, Mamoru. Né adesso, né mai.
La verità è che lei non ha mai provato a nascondersi da lui, e questo è quello che lo spaventa più di ogni altra cosa; nei momenti di grande dolore, Mamoru ha sempre sentito le sensazioni di Lei entrare in lui, e praticamente diventare le sue. E se non ha mai temuto di nascondere quelle, Usagi... Perché ha improvvisamente deciso di cominciare adesso? Tutto quello che gli è rimasto, alla fine, è un senso di disagio, e le ondate di disperazione. Che adesso rischiano di straripare.
Prova ancora a raggiungerla, con forza spinge contro questa invisibile barriera che il subconscio di Usagi ha costruito. All'improvviso la vede cadere sulle ginocchia e abbandona l'intento; preso dal panico, fa per correre verso di lei. Ma si ferma, incerto, quando la vede sporgersi verso l'acqua; le è forse caduto qualcosa?
La guarda, Mamoru, mentre lei si sforza sporgendosi, e una paura incontrollata e disagiante getta le fondamenta nella sua gola quando si accorge di quanto vicina sia al bordo del molo. Questa volta, provando per l'ennesima volta ad entrare e capire, lo fa piano, con cautela, come un'ombra che vuole recuperare il suo legame con il corpo. E la pazienza di Mamoru viene finalmente premiata. Cattura finalmente una sensazione. Una sensazione fluttuante, in mezzo alla nebbia. È un senso di orribile... Malinconia.
Va oltre, Mamoru, ma viene subito spinto fuori. Di nuovo. Fa un passo indietro e torna all'ombra del suo albero quando improvvisamente si alza, Usagi, e corre via dal molo. Gli occhi di lui seguono la sua figura con attenzione, fino a che non arriva ad una curva della strada, e sparisce.
E poi, si muove. Fa un passo avanti. Due. Ed eccolo arrivato al punto dove poco prima c'era la sua altra metà, una mano che assente resta poggiata sul posto vuoto accanto al suo cuore, dove lei manca di più. E se spera di vedere qualunque cosa prima le fosse caduta galleggiare sulla superficie del lago, di sicuro viene invaso da disappunto immediato.
Nulla rovina la placida superficie del lago, eccetto il suo riflesso; un riflesso che lo guarda con ansia e tristezza dalle profondità trasparenti, limpide. Chiare. Turchine, azzurre, e poi blu.
Blu come i suoi occhi.

*

La spazzola morde tutta la pesante lunghezza dei suoi capelli, correndo alle estremità in un movimento calmante e regolare. Il suono dolce delle setole contro la seta la cullano lentamente. Siede fissando il suo riflesso, Usagi, di fronte alla sua piccola toeletta, senza vedere realmente se stessa mentre si spazzola con automatismi forzati i capelli.
Anni di pratica l'hanno resa esperta, Usagi, i suoi movimenti destri a maneggiare l'incredibile lunghezza dei capelli color del grano. La spazzola comincia dal suo scalpo, e poi corre giù lungo i chilometri di tagete prima di lasciarli liberi alle estremità boccolose. E poi ricomincia il processo, Usagi.
Da cima, a fondo. Da cima, a fondo. Ancora, e ancora. Finché non ha caricato talmente tanto di elettricità statica i suoi capelli, Usagi, da farli quasi sfrigolare. È un compito senza fatica e senza che serva pensare per eseguirlo; nella stanchezza che la permea, si lascia cullare in uno stato di sognante sonnolenza, Usagi.
Non si accorge nemmeno di pettinare solo una piccola porzione di capelli, finché le sue membra pesanti non cambiano posizione per un errore, e si spostano su una sezione che precedentemente aveva ignorato. Nel suo stato di mezza veglia, non si ferma a pensare che cosa succederà, muovendo la spazzola velocemente verso il basso sui capelli attorcigliati, e prima che si accorga anche solo dell'esistenza di un grosso nodo si ritrae e grida di dolore, Usagi, disperatamente cercando di tirare via la spazzola dai capelli attorcigliati.
Tira con forza, urlando di panico e di bruciore e di tristezza, Usagi, mentre la spazzola si aggrappa fermamente a quel nodo, senza dar cenno di volerlo abbandonare. Convulsa si agita, Usagi, e con un movimento quasi furioso strappa la spazzola dal groviglio, una piccola lacrima forzata ad uscire mentre si porta via intere ciocche di capelli, vendicandosi per essere stata così violentemente e crudelmente trattata.
Sbattendo i denti, un bruciore cieco installato sulla nuca si porta la spazzola di fronte, Usagi, con l'intento di togliere i capelli dalle setole; ma le sue membra sembrano avere differenti programmi, perché si guarda nello specchio mentre il suo braccio destro percorre un arco verso la sua schiena, e brutalmente lancia la spazzola dietro di lei. E poi chiude gli occhi, Usagi, lasciando fuori la strana ragazza che la guarda dallo specchio, e aspettando il soddisfacente suono dell'oggetto pesante contro l'intonaco.
Un rumore che non arriva, e non arriverà.
« Usako. » -Si gira di scatto, Usagi, le mani che volano alla bocca per soffocare un urlo sorpreso. Imbarazzata, nota immediatamente la spazzola catturata con fermezza in una delle mani guantate di bianco di Tuxedo Mask.
« Mamo-Chan! Che... Che cosa ci fai qui? » -Lui non risponde, scegliendo invece di osservarla con calma, in silenzio, mentre lascia cadere silenziosamente la spazzola sul letto; poi, come se avesse ponderato attentamente quella decisione, si muove deciso verso di lei.
Non riesce a trattenersi, Usagi: si allontana con uno scatto, e subito sente l'angolo affilato della toeletta premere al centro esatto della sua schiena. Il movimento così repentino ferma Mamoru istantaneamente, e lei sente la sua frustrazione montare, mentre si passa una mano fra i capelli, togliendosi il cilindro.
« Perché continui a fare così? » -Chiede. Forza la schiena all'indietro, Usagi, quasi conficcandola nello spigolo.
« Così come? »
« Lo sai, come! » -Ringhia quasi Mamoru- « T'allontani da me! » -E giusto per sottolineare con più veemenza questo punto, si avvicina a lei. Incespica con terrore, Usagi, e si appoggia alla sedia quasi facendola cadere- « Vedi? »
Trasalisce, Usagi, sapendo con precisione che tutta quella rabbia è assolutamente meritata, ma non riesce a spiegargli il perché lo stia tenendo a una così grande distanza fisica ed emotiva. Perciò, nega.
« Non sto facendo niente! »
« Davvero? » -Mamoru si toglie un guanto e raggiunge la sua mano, prima che Usagi si accorga anche solo di che cosa abbia intenzione di fare, e poi la tiene stretta, serrandola più forte quando lei prova a tirarla via dalla sua grande, e avvolgente. E con quella connessione fisica così forte, Mamoru chiude gli occhi, e spinge sul legame: una smorfia di disappunto si dipinge sul suo viso quando si accorge che la sua barriera è ancora alta, anche se è invisibile.
Apre gli occhi per vedere Usagi fissarlo con gli occhi spalancati, e sbarrati, e si risente perché a quanto pare lei non ha nemmeno una vaga idea di cosa lui stia cercando di fare. Forse non si accorge che lui forza la barriera, e soprattutto che lo sta tenendo non solo a una distanza fisica, ma sta ovattando il loro legame. E che questo gli fa male.
Si inginocchia di fronte a lei, e lascia la sua mano, facendo cadere la sua testa lentamente, stancamente sulle sue gambe.
« Devi dirmi cosa c'è che non va » -Mormora.
Siede in una posizione di immobilità marmorea, Usagi, combattendo con ogni forza l'urgenza di tenersi tutto dentro. Come un palloncino troppo gonfio. Ma lo sguardo sul viso del ragazzo è così... disperato. In agonia. Come se gli facesse male.
E lei non vuole far del male al suo Mamo-Chan.
Riesce ad alzare una mano, e a toccare i suoi capelli, prima solo sfiorandoli e poi lasciando correre le dita attraverso l'ebano. La testa di Mamoru giace pesante, e calda sulle sue cosce e lei desidera, con ardore... Desidera così disperatamente... Così tante cose. Si dice che per adesso, lasciar scorrere le dita fra i suoi capelli va bene. Almeno per una volta. E le sue mani ubbidiscono per qualche secondo, finché una voce ansiosa e stridula le invade la testa.
Non farlo. Oppure scoprirà ogni cosa. Lo scoprirà, scoprirà tutto. E quello gli farà male davvero... Poiché questo non è nulla. Non essere debole!
Lascia cadere debolmente la mano al suo fianco, Usagi.
« Non c'è nulla... » -dice, un secco soffio di fiato- « Non c'è nulla che non va. »
A quel punto Mamoru alza la testa, e deve combattere per non accartocciarsi sotto quello sguardo triste e abbattuto, Usagi.
« Non mentirmi. » -Guarda da un'altra parte, Usagi, di lato, e poi in basso il pavimento, l'intonaco. Dovunque, ma non lui. Sente frusciare il suo mantello, mentre se ne sta fermo in quella posizione di fronte a lei, sente il suo sguardo penetrarla, la testa chinata per vedere le piastrelle bianche.
« Va bene. L'hai davvero voluto, questa volta. » -Sussurra, e le parole suonano orribilmente allarmanti e minacciose alle orecchie di Usagi. Pensa, Usagi, che se ne andrà davvero questa volta. In disappunto. Arrabbiato con lei. Qualche tempo prima, l'avrebbe supplicato di fermarsi, l'avrebbe inseguito ovunque, e poi avrebbe fatto qualsiasi cosa per cancellare la sua rabbia contro di lei. Ma in quel momento, quello è il meglio che possa fare. Il meglio per lui, è lasciarla andare.
È già stata fin troppo pericolosamente vicina a trascinarlo con lei nella pazzia.
Lo sente muoversi, Usagi, verso la finestra accanto al letto, ma continua a fissare le sue cosce e il pavimento, senza piangere, cacciando le lacrime lontano mentre un grido silenzioso e inascoltato si fa spazio nel suo cuore. Non andare.
Quando non lo sente saltare giù dalla finestra, comunque, Usagi alza gli occhi; salta quasi di sorpresa nel trovarselo di fronte, con la coperta con i conigli in mano, completamente divelta dal letto. Ha giusto il tempo di rendersi conto di questo inaspettato sviluppo, che la coperta è sulle sue spalle, avvolta tutta intorno a lei, e i suoi piedi non toccano più il pavimento. Senza nemmeno accorgersene, si trova fra le sue braccia.
« Cosa...? » -finalmente riesce a dire- « Io... Cosa stai... Mamo-Chan! » -lo sgrida, cercando di essere autorevole ma con una nota di panico nella voce vedendolo dirigersi verso la finestra, le sue intenzioni più chiare ad ogni passo.
« Mamochan! No! Aspetta... I miei genitori. Mamo-Chan, non posso andarmene così! MAMO-CHAN! Mia madre verrà a controllare! » -Se pensa che le sue proteste siano rivolte a orecchie sorde, si sbaglia. Con un movimento che l'allarma molto più dell'alternativa della finestra, lui si gira e con decisione si dirige verso la porta della sua camera. Non può che piagnucolare, Usagi, e lamentarsi, chiedendo di non farlo. Vuole uscire dalla porta principale!
« I miei genitori! » -ulula con lamentosa sinfonia, tentando senza successo di divincolarsi dalla coperta che l'intrappola. Un solo secondo dopo, troppo breve per i suoi gusti, Tuxedo Mask ha già finito di scendere le scale ed entra con fare sicuro in salone, con un fagotto di una Usagi rossa come un peperone fra le braccia.
« Signor Tsukino, signora Tsukino » -Saluta con gentilezza Tuxedo Mask, con la voce più scura e sobria che riesce a ottenere. Aspetta con pazienza che gli occhi dei genitori di Usagi recuperino il fuoco, e che si sciolgano dallo shock. Shingo è realmente sul punto di diventare blu per la mancanza d'aria. E Chibi-Usa non può che fissarlo con orrore.
Gli occhi di Ikuko vanno dal supereroe alla figlia stretta fra le sue braccia, dalla figlia al supereroe, e poi dal supereroe a... « Sì? » -è grata a se stessa d'essere riuscita a dire anche solo quella parola, vicina com'è ad un arresto cardiaco istantaneo.
« Dovrò prendere in prestito Usagi-San per un po'. Le Senshi ed io abbiamo bisogno della sua esperta opinione riguardo all'ultimo attacco. Mi dispiace che la cosa sia così improvvisa, ma posso assicurarvi che le Senshi si prenderanno sicuramente perfettamente cura di lei nei prossimi giorni. »
Kenji ha solo il tempo di attaccarsi all'unica e più improbabile frase di tutto quell'improbabile discorso. « Opinione... Esperta?! »
Tuxedo Mask annuisce, stringendo a sé con più forza il leggero peso di Usagi e godendosi i perplessi sguardi rapiti della sua famiglia. Continua a restare muta, Usagi, mentre scava una tana per la sua testa sulla sua spalla, per evitare di mostrare il suo sguardo totalmente strabuzzato a Mamoru ascoltando quella scusa così assurda.
« Sì, signor Tsukino. Il contributo di Usagi-San è assolutamente indispensabile per noi. Adesso, se volete scusarci, le Senshi aspettano impazientemente il suo ritorno. »
Di proposito, se ne va prima che chiunque possa dire qualsiasi cosa, uscendo nella fredda aria notturna. I genitori di Usagi restano gelati nel salotto, cercando di sciogliere frasi chiave come “Le Senshi hanno bisogno di Usagi”, ed “Esperta opinione”, e “prossimi giorni”.
Tuxedo Mask continua a camminare lungo la strada, lento abbastanza da sentire il grido che finalmente esplode sulla bocca di Shingo, « E' STATO TROPPO FIGO! »
E finalmente parla, Usagi, uno sbalordito e ammirato stupore che permea la sua voce.
« Non posso credere che tu l'abbia appena fatto. » -Lui guarda in basso, verso di lei, e lei lascia che i suoi occhi facciano capolino dalla coperta. Il suo sorriso è solo un breve lampo di denti bianchi nell'oscurità.
« Ho sempre voluto portarti fuori dalla porta principale. Diamine, credo che Shingo ti porterà rispetto almeno per le prossime due settimane! » -L'emozione sgorga veloce, e spessa dal petto di Usagi, e lei sorprende tutti e due -più se stessa, a dire il vero- quando una risata sana, divertita e luminosa scoppia rombando, libera nella notte. E sembra, mentre getta la testa indietro rischiando quasi di cadere, che sia la prima volta che ride davvero dopo molto, molto tempo.

*

La porta in braccio saltando per i tetti e per i piccoli balconi della città, Mamoru, come un tempo, quando ancora non si conoscevano; quando ancora non si amavano. Una sorta di viaggio nel passato, una mimica di un amato che porta la sposa oltre la soglia, pensa lui. Non riesce a ricordare quante volte l'ha fatto, dalle volte in cui lei era ferita o troppo stanca, fino a quelle in cui sembrava semplicemente che non riuscissero a stare lontani abbastanza a lungo... E lui portava una Usagi ridacchiante o adorante in giro per i tetti, saltando dall'uno all'altro nella notte. E quel pensiero -quei pensieri- lo invadono, Mamoru, di un presagio positivo, di gioia e di serenità. Usagi è fra le sue braccia, e finalmente sono insieme, proprio come gli è stato negato tanto tempo fa.
Ma lei non ridacchia, e non è adorante, adesso. Il divertimento che ha illuminato i suoi occhi, poco prima, dopo la breve fuga da casa sua, è sfumato piano piano, e adesso tende al nero cupo del giorno precedente. Da qualche parte lungo il tragitto pare che si sia ricordata di chiudersi di nuovo nel guscio, Usagi.
E questa volta, quando entra in camera di Mamoru si getta disordinatamente lontana dalle sue braccia, rotolando sul pavimento nel disperato tentativo di scappare dalla coperta per non farsi catturare di nuovo da lui.
Sente la sua reticenza, Mamoru, il suo rifiuto, come se fosse un colpo fisico, uno schiaffo in pieno viso, e lo fa vacillare, arretrare, andare via e abbandonare l'idea di forzare il muro invisibile a meno di non desiderare un collasso doloroso.
Gli volta le spalle, Usagi, aggrappandosi alla coperta e gettandosela di nuovo addosso, come uno scudo contro il brivido che la scuote, perpetuo. Si sente sempre fredda, sempre gelata, costantemente, sia dentro che fuori. Ha bisogno di stare sola, Usagi. Sente le stringhe fredde cercare Mamo-Chan, il suo calore, agognarne un pezzo. Fra le sue braccia, è stata una battaglia costante per non avvinghiarcisi, per non stare più vicina, per non provare a farsi scaldare e a fargli portare via quel brivido. Ha paura, Usagi, che il freddo sia troppo; che distrugga il calore di Mamo-Chan, e lo spezzi com'è spezzata lei.
E preferirebbe gelare piuttosto che fargli del male. Piuttosto che far del male a chiunque di loro.
« Usako. »
Stringe più forte la coperta, Usagi.
« Usako. »
Prepara la sua espressione d'acciaio, muove i muscoli del viso e si volta, Usagi.
« Adesso, mi dirai cosa c'è che non va » -Dice Mamoru, e sembra allarmantemente sicuro della sua posizione mentre si toglie la tuba e la maschera, e appende il mantello al muro. Non è affatto una richiesta, la sua.
« Non c'è niente che non va... Sono solo stanca. » -È vero, è una bugia. Ma solo a metà.
Lui si appoggia al muro, e lei non vede la mano che lui tiene ferma e contratta su di esso, preparandosi ad un altro rifiuto, ad essere respinto ancora.
« Allora vieni qui. » -Il cuore di Lei manca due battiti, cominciando a battere con ansia. Quasi panico.
« Che cosa? »
« Se non c'è nulla che non va, vieni qui. » -Ripete Mamoru, la voce ruvida e il buio negli occhi.
« P... Perché? » -Il suo pugno si serra, accanto al muro, e di questo si accorge, Usagi. Combatte una battaglia amara, Mamoru, per controllare le sue emozioni, per non scoppiare e distruggere tutto per la disperazione, e la furia, e la paura.
« Da quando abbiamo bisogno di un motivo, per stare insieme? » -Chiede, e la sua voce sembra di vetro.
Ce la posso fare, si dice Usagi. Se non lo convincerà che non c'è nulla che non va non mollerà, Mamoru, e lo sa bene. Cinque passi misurati la portano da lui, e cerca di mantenere disperatamente un equilibrio, Usagi, mentre lui la stringe con mani che tremano incontrollate. L'attira a sé, più vicina, Mamoru, chiudendo gli occhi -per la gratitudine, o per il sollievo di averla con sé- mentre le braccia di Usagi arrancano sulla sua schiena nel tentativo di catturarlo per un momento. La stringe più forte che può, Mamoru, più stretta che riesce senza farle male, esultando della magnificente sensazione del battito del cuore di lei accanto al suo.
E il suo calore si avviluppa intorno a lei, temporaneamente cacciando il freddo, e da quanto aspettava, Usagi, che succedesse. Si trova quasi drogata dalla sua tenerezza, stremata dalla mancanza di sonno, esausta mentre il gelo lascia le sue membra. E troppo debole, forte abbastanza solo per trattenere le lacrime salate che da giorni premono contro i suoi occhi stanchi senza sgorgare. La sente, Mamoru, la sua voglia di piangere. La sente contro il suo petto e, ancora più potente, la sente nel suo cuore mentre le mura che Usagi ha costruito per circondare il loro legame si fanno più deboli, più basse, forse scalabili.
« Allora me lo dirai, finalmente? Mi lascerai entrare? »
Lo vuole, Usagi. Dio, quanto lo desidera. Desidera gridarglielo, piangere, finalmente sciogliere il nodo del ghiaccio in mille lacrime amare e dolci, che lui avrebbe bevuto per lei. Rimane sul ciglio fra la negazione e l'accettazione per un momento che le sembra un'eternità, Usagi, e proprio quando il suo cuore sta per vincere la battaglia il suo cervello afferra la coppa.
Un'immagine, un ricordo, di sangue e di grida, e di morte. Il gelo la colpisce al centro della pancia, come un pugno improvviso, e la guardia bassa la fa piegare.
Improvvisamente non è più fra le sue braccia, è china in un conato e sta disperatamente incespicando via, lontano da lui, lasciandolo con nulla se non aria fredda fra le braccia. Il suo grido d'angoscia è quasi quello di una bestia, di un animale ferito. Mamoru si allunga su di lei, la segue nella fuga terrificante, sapendo di essere stato così vicino a riuscirci, e invece convinto che qualcosa l'abbia strappata via. Via da lui.
Corre disperata, Usagi, e cade, e a ogni mezzo passo le sembra di cedere e di restare lì per terra, ma deve. Deve farcela. Si getta nel bagno, e chiude la porta a chiave nel momento stesso in cui lui si getta su di essa, picchiando e ruggendo il suo nome contro le sue grida. Si lascia andare sul pavimento, Usagi, e si chiude le orecchie con le mani, mentre la paura, e la voglia si affollano dentro di lei. Gattona verso il lavandino, e poi arriva al water. Le sue mani trovano la strada per aggrapparsi al bordo della tazza, e stringono con forza mentre vomita, Usagi. Vomita tutto quello che non ha mangiato. E poi ricade sul sedere, s'arrampica nella vasca da bagno e serra a sé le ginocchia con le braccia, dondolandosi e canticchiando una nenia antica, nel tentativo di cercare un conforto.
Distanti, sente i pugni sulla porta mentre Mamoru le chiede, poi la prega, e poi la implora di aprire la porta. E poi sente una rottura, e di nuovo ci sono le braccia calde intorno a lei, e mani grandi che la sollevano dalla vasca, cullandola come una bambina. Le labbra di Mamoru si poggiano sulla sua fronte, il tocco di una farfalla che è abbastanza forte da strapparla dal limbo e farle capire ciò che lui sta dicendo. Non abbastanza però, per non fargliene cogliere la durezza.
« D'accordo. Non devi dirmelo, se non vuoi. Ma troverò un modo di risolvere la situazione. Perché tutto questo deve finire. »
Desidera con tutta se stessa che sia così, Usagi.

*

La tazza di cioccolata calda dondola gentile; difficilmente potrebbe distogliere lo sguardo, Usagi, dalle forme danzanti e intrigantemente dolci che il cucchiaino disegna. Se ne sta seduta sul divano come una bambina. Le è stato ordinato di non muoversi. Si chiede se dovrebbe rifiutare l'idea di essere coccolata come un'invalida oppure godersela semplicemente, Usagi. Non fa nessuna delle due cose, in ogni caso; resta solo a fissare la cioccolata e cerca di controllarsi per non rischiare un crollo come quello di poco prima. È stato davvero troppo pericoloso. È stata davvero troppo vicina a lasciarsi andare.
« Si suppone che tu la beva, non che la guardi raffreddarsi, Usako » -La sua voce è tornata gentile, adesso, ma con una vena di paura. È come spaventato che lei si rompa di nuovo. Si accontenta, per il momento, di scaldarsi le mani sulla tazza bollente, Usagi.
« Non ho fame. »
« Bevila. Hai bisogno di mangiare, hai perso peso » -E anche se è ancora gentile, la voce di Mamoru, questa volta non c'è pericolo di equivocare l'acciaio che la permea.
« Non ho... »
« O la bevi, oppure te la farò bere io. » -Così beve, Usagi. Un piccolo pezzetto di Usagi fluttuante, sepolto da qualche parte in profondità, protesta anche per aver solo pensato di rifiutare della cioccolata calda. La sua conchiglia attuale, in ogni caso, non riesce a trovare nemmeno l'energia per curarsene.
La guarda come un falco attraverso il tavolo, Mamoru. Decide che, non potendo curare la malattia interiore, ne curerà i sintomi esterni. Avrebbe mangiato, e avrebbe dormito. Sono passati solo pochi giorni dall'accadimento del Pharaoh90, eppure ha perso peso velocemente, e la fatica è l'unica conduttrice dei suoi movimenti, tanto che ciascuno è misuratamente languido, come se fosse orribile e doloroso muoversi. Come se qualsiasi cosa faccia sia una necessità, e non una scelta.
Si rimprovera d'esser stato troppo superficiale, Mamoru. Doveva accorgersene prima, doveva pensarci subito. Ma quando l'ha vista, dopo la battaglia, viva e senza ferite visibili, il sollievo l'ha accecato completamente. Ha vinto, ha vinto, è salva.
In quel momento, era tutto quello che importava. Poi, con gli sforzi per cercare Hotaru, con quelli per affrontare le Outer Senshi, e assicurarsi che Chibi-Usa stesse bene dopo essere stata tanto tempo senza un cuore, non si era accorto dell'orrido e subdolo male che si è impadronito lentamente di Usagi.
Non finché lei non ha cominciato a sgusciare via da lui. E solo allora si è veramente allarmato, Mamoru; ma allora è stato troppo tardi. Quando ha buttato giù la porta del bagno, e quando l'ha trovata nella sua vasca così, rannicchiata, rattrappita, come una bambola rotta... Forse la morte sarebbe stata più facile d'affrontare, dello sguardo sul viso di Usagi e dell'orrida nenia che canticchiava mentre si dondolava avanti e indietro. E adesso? Se ne sta seduta sul suo divano, Usagi, chissà per quale motivo fingendo che la passata mezz'ora non sia mai accaduta.
Continua a bere tranquilla, Usagi, forzando lo spesso cioccolato in gola mentre quello minaccia di tornare su all'istante. Ha lo stesso gusto della sabbia, per lei. Alla fine, dopo gli ultimi e calibratissimi tre sorsi, poggia la tazza sul tavolo e guarda Mamoru, aspettandosi qualcosa. Un applauso, un complimento.
Come una tata severa, lui prende la tazza dal tavolo e la controlla con sospetto, assicurandosi che sia vuota. Nella sua testa, Usagi vede un'immagine di Mamoru con un grembiule, mentre le porta un cucchiaino alla bocca e le intima di finire la verdura. Quell'immagine buffa le porta un sorriso alle labbra e un orgoglioso sussurro.
« L'ho finita, Mamo-Chan! » -Lui annuisce.
« Te ne porto un'altra. »
« No! » -Lo ferma, Usagi, allungando un braccio e quasi pregando, la nausea crescente alla sola idea di buttarne giù un'altra goccia- « Per favore, basta. Sono piena. »
« Hai bisogno di mangiare. Vuoi del cibo? Posso cucinare dei biscotti, una torta e... »
« No! Sto bene. »
Vuole forzarla, Mamoru. Ha bisogno di forzarla. Di vederla sedere al tavolo della cucina, e aprire tutti gli scaffali e il frigo, e riempire la tavola di tutto il cibo che riesce a trovare. Di vederla creare montagne di cibo ad ogni ora, di abbuffarsi di tutti i salatini che lui compra, di solito con l'intenzione di offrirli ad ospiti occasionali. Di finire tutta la Coca, di farsi una decina di porzioni di patatine fritte alle quattro del pomeriggio perché che c'è di strano? Mi vanno! Ha un bisogno disperato di vederla in forze, con la sua spiccata rotondità, le guance piene, le maniglie dell'amore su cui adora appoggiare le dita. Ha bisogno di sentirsi dire cosa c'è che non va. Ha bisogno di curarla. Ha bisogno che lei lo lasci entrare, così tutto andrà meglio.
Sta stringendo la tazza di cioccolata con tanta energia che quasi le nocche sono sbiancate. Ne fissa l'interno, così faticosamente svuotato
« Ci vorrà solo un minuto. Ti faccio delle... »
« Mamo-Chan. Basta. Non ne voglio, non voglio niente che... »
« Dannazione, Usako! » -E alla fine si rompe anche lui. La tazza serrata fra le mani, si volta e le punta un dito contro. La sua espressione è così rabbiosa che Usagi è terrorizzata- « Io lo so cosa vuoi! Se fosse per te, te ne staresti da sola nella tua cameretta, tenendoti stretti i tuoi segreti, più lontano possibile da me! Mi vuoi lontano, vuoi allontanarti da me! Ma questa volta, lo giuro, non avrai quello che vuoi. » -Lo fissa dal divano, Usagi, le mani intrecciate spasmodicamente con la sua coperta preferita. Non sa cosa dire, non sa cosa fare. Non sa come dirlo. Se anche volesse, non avrebbe le parole. Non sa mantenere la distanza e allo stesso tempo fargli capire. E lui... Le sta gridando contro! Come dovrebbe... Cosa dovrebbe... Perché lui è così testardo? Perché non molla e basta?
« È solo » -Prova a dire, con le lacrime che non si sciolgono ancora, bloccate in gola- « Non c'è nulla che non va »
« Sta' zitta! » -Ruggisce lui, e lei indietreggia, sotterrando la testa nella coperta come una testuggine- « Prova a dirlo ancora una volta, Usa, e giuro che io... » -Si ferma, Mamoru, e la fissa, come se fosse una qualche forma di vita aliena. Improvvisamente, vede la paura nei suoi occhi. Paura di... Lui? Come se potesse farle qualcosa... Ma come può anche solo pensarlo?
Torna in cucina, Mamoru, e poggia la tazza nel lavandino. Da lì la guarda, come da una barriera sicura. Poi sciacqua la tazza, occupandosi per un momento; quando si volta, lei sembra ancora trattenere le lacrime. Ma è ancora immobile, non piange. Quando è sicuro di riuscire a mantenere la sua calma, e di non perdere il controllo, Mamoru torna da lei.
Non s'è mossa, Usagi, nemmeno di un millimetro, anche se il suo sguardo adesso è fisso sulle mani abbandonate in grembo. E resta ferma, non si muove nemmeno quando lui la solleva per portarla in camera da letto. La vecchia Usagi l'avrebbe preso in giro, chiedendogli le sue intenzioni e poi gli avrebbe ricordato di saper camminare da sola, grazie mille. Ma in quel momento, è una straniera quella fra le sue braccia.
Sta per metterla a letto e dirle di dormire, Mamoru, e poi lasciarla stare. Ma le sue intenzioni e le sue azioni sembrano essere di diversa opinione. Al posto di lasciarla sola, anche lui si mette a letto, e si sistema accanto a Usagi, aggiustando le coperte intorno al suo corpo, ai piedi nudi, affondandole sotto i suoi fianchi. In momenti come quello, Mamoru si accorge davvero di quanto sia piccola, e sottile; alla luce del giorno è accecante, più grande della vita, esaltata e straripante, con le sue code fluttuanti e gli occhi curiosi. Si aggrappa alla sua maglietta, Usagi, in una sorta di manifestazione infantile; e lui non la rifiuta, l'avvolge, mentre lei si rilassa sempre di più fra le sue braccia. All'inizio cerca di mandarlo via leggermente, ma poi si arrende. Le sue braccia si lasciano coccolare. E lui inspira il profumo dei suoi capelli.
« Usako, lo sai che è per il tuo bene, vero? Sto cercando di aiutarti, devo capire come comportarmi. Usako... lo sai questo, non è vero? » -cerca di spiegarlo, l'immagine della paura di lei, come se lui potesse farle del male, ancora stampata come un quadro nella sua mente- « Dimmi che... non hai paura... Paura di me. »
Non saprà mai quanto costa, a Usagi, quanto è combattuta dentro di sé, quanto un solo tocco le faccia bene. Non lo saprà mai, ma una mano gentile raggiunge la sua guancia, e scende fino al collo. E sorride, Usagi.
« No, Mamo-Chan. Non potrei mai avere paura di te. » -Di Me stessa. Vorrebbe dirglielo. La cosa di cui è così mortalmente spaventata è... se stessa.
Mamoru non dice nulla, anche se il suo cuore smette di battere per un momento quando le sue dita si attorcigliano sulla sua pelle, e inconsciamente la stringe più forte, dandole più sollievo.
« Non mi dirai comunque cosa c'è che non va, vero? Non mi dirai cosa ti fa così paura? » -Chiede come se le avesse letto l'ultimo pensiero. Non si aspetta una risposta, da lei, e infatti non ne riceve nessuna. Sospira, accarezzandole i capelli con regolarità mentre lei resta in silenzio- « Almeno, dormirai finalmente, Usagi? Lo farai, per me? » -Annuisce, Usagi, contro il suo petto. Senza vedere il viso del suo Mamo-Chan, mentire è anche più facile. Mamoru lentamente si sposta, sollevandosi, e si siede sul bordo del letto per finire di rimboccarle le coperte. In una manciata di secondi si trova sepolta nel letto di lui, Usagi. Da' un'ultima occhiata agli occhi di Mamoru, blu, e tristi. E poi, chiude i suoi. Lui la bacia ancora in fronte, pensando quanto sia sbagliato non poterla nemmeno circondare con le sue braccia, baciarla sulle labbra, informarla che non è più una bambina, santo cielo, e poi aspettare che lei glielo provi.
Esattamente quello che ha fatto, un paio di settimane fa. Fissa quel caldo ricordo nella sua memoria, Mamoru, e promette di riportare la sua Usako indietro. Si stiracchia preparandosi, immergendosi nei suoi ricordi, e poi si ferma sulla porta, abbastanza a lungo per spegnere le luci e bearsi della sua vista; una figura pallida e magra in mezzo al suo letto, illuminata solo da una striscia di luna. Si scalda ancora nell'amore che lo permea, e si siede accanto al letto dopo aver chiuso la porta; le prende la mano mentre piano e con calma intreccia le loro dita.
Prova a sorridere, Usagi, per rassicurarlo, fallendo miseramente. Non ha alcun dubbio, Mamoru, che lei non abbia nessuna intenzione di dormire. Ma non ha alcun dubbio nemmeno su un'altra cosa.
Che lo voglia o meno, Usagi dormirà.

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Capitolo 3
*** Dentro Pharaoh90 ***


Si va al termine ... In realtà ancora una volta il capitolo termina con una rottura che spero non vi dispiacerà ma almeno vi terrà sulle spine fino alla prossima settimana. Eh, sì, lo so... Prima di Domenica prossima di sicuro niente aggiornamenti; domenica prossima c'è Lucca e io sarò presente... Quindi prendetevi 9 giorni di Karma. Bimbarossa che mi ha recensito mi ha fatto anche riflettere su diverse questioni che legano l'horror a Sailormoon, quindi volevo ringraziarla anche qui del suo commento, e spero che questo capitolo possa affascinarla almeno un po'. Chiaramente spero questo per tutti voi, che ringrazio sentitamente per la vostra partecipazione, gentilezza, presenza. Una ultima cosa; il capitolo è quello che determina il genere della storia, per cui ha elementi di horror che forse potrebbero disturbare una lettura giovane. Considererei la storia una PG13 perché non è una rating rosso... In ogni caso, se questo dovesse essere un problema per chiunque o reputate che abbia fatto male i miei conti, segnalatemelo. LoveLove.


3/4 ~ DENTRO PHARAOH90


La porta si chiude con una sorta di nota definitiva, che la lascia nervosa nel letto.
Sembra stranamente grande, a Usagi, quella montagna di larghe lenzuola setose, quel materasso morbido, tanto da sprofondarci. Vuole il suo Mamo-Chan vicino, per non sentircisi persa, e piccola, e insignificante. Sarebbe facile chiamare il suo nome, adesso. Anche solo sussurrarlo... Sa che lui lo sentirebbe nel cuore e nella mente e che accorrerebbe, subito. Che le direbbe che l'ama, Mamoru, e lentamente la sua voce succhierebbe via la paura.
Le sue braccia la avvolgerebbero per coccolarla, per allontanarla dal freddo, il suo caldo respiro che gioca sopra le sue orecchie mentre si attorciglia fra le pieghe del suo cuore, che pompa sicuro e con forza sotto la pelle pallida. Lentamente, realizzerebbe che i loro cuori battono all'unisono. Si sorprenderebbe, come sempre, di essere così perfetta fra le sue braccia. Il suo respiro si calmerebbe, le sue palpebre stanche scaverebbero il loro percorso e...
No! Svegliati! Non puoi dormire!
...si chiuderebbero placidamente, e il suo cervello cadrebbe nell'oblio del riposo...
Non provarci nemmeno! Non osare addormentarti!
Ma è impossibile ascoltare quella voce urgente e pungente nel retro della sua mente, mentre il limbo sembra diventare il letto, il letto un dolce turbinio di niente. Non importa che sappia che l'orrore l'aspetta dall'altra parte della coscienza, il suo corpo si rifiuta di muoversi. I suoi occhi, di stare aperti. Con un senso di panico crescente cerca di aprirli, Usagi, per evitare quella letargia che piano afferra il suo corpo. Ma anche il panico sembra ovattato sotto chili, e chili di cotone di inconscio. Si focalizza sull'immagine del suo Mamo-Chan, che la stringe mentre si addormenta e il respiro si fa più regolare, e il suo corpo annega, così stanco, nel sollievo del sonno.
SVEGLIATI!
Così si addormenta, Usagi.

*

Alla fine, il sonnifero funziona anche se mischiato alla cioccolata. Finisce la sua tazza di tè, Mamoru, e poi l'appoggia vuota sul comodino. E finalmente, quando Usagi dorme, non c'è più il muro subconscio che ha tirato su attorno a sé; il terrore, la disperazione, la speranza perduta che fluttuano dentro di lei corrono come belve lungo il legame, entrando anche in lui con la forza di un tornado, lungo le braccia, sulle mani grandi, tanto che improvvisamente è costretto a lasciare la mano di Usagi, a cadere sul pavimento, la testa fra le mani.
Non ha pensato -non ha immaginato- nemmeno per un secondo, Mamoru, che Usagi nascondesse una cosa simile.

*

Dolore. Era la prima cosa che ricordava. E l'ultima che avrebbe dimenticato. Le fiamme le bruciavano la pelle, ghiaccio plumbeo le scuoteva le vene. E nel frattempo, la sua testa sembrava in procinto di spezzarsi nettamente. Se la luce flebile del suo Cuore Puro l'aveva tenuta in vita con le forze che proteggevano l'universo intero, non faceva nulla per lenirle il dolore. Lo sforzo sciolse immediatamente la sua trasformazione, e tutta l'energia si perse nel cercare un sentiero in quella sconosciuta dimensione. I livelli che il dolore aveva raggiunto erano talmente alti che Usagi non riuscì nemmeno a considerare l'idea di urlare -In effetti, era così catturata da quell'agonia da riuscire a malapena a pensare forza, devi rimanere cosciente.
Un secondo dopo il dolore se n'era andato, lasciandola barcollante, ansimante, quasi impazzita. L'improvviso attraversamento della parete della bolla che aveva provocato quell'orribile sofferenza aveva atrofizzato gli altri sensi completamente; le orecchie le fischiavano e non vedeva nulla. Deglutì, mentre con le unghie scavava un passaggio verso la coscienza, verso la fine di quella inaspettata agonia. Fortunatamente, anche se con una esasperante lentezza, il processo ebbe successo. La sua forza, e la luce del suo cuore l'aiutarono a rialzarsi. Sfortunatamente, ebbe anche l'effetto collaterale di farle recuperare lentamente l'udito e, con enorme disappunto, l'olfatto.
Il tanfo la raggiunse per primo, un misto di cenere, carne putrefatta, sangue, e la schifosa, oscura e basilare essenza di morte. La raggiunse come un colpo fisico, come un ceffone, come una mano che prende la gola e stringe, sempre più forte, talmente forte che per un momento le sembrò di avere le vie respiratorie intasate. Usagi esitò, incespicò, cadde di nuovo.
Si coprì il naso con tutte e due le mani, e disperatamente cominciò a tentare di prendere respiri corti e poco intensi, e solo attraverso la bocca. L'aria era così spessa che quasi riusciva a sentirla, mentre le inondava il palato e la lingua: un gusto di fango, una coltre di invisibile bava non sua. Smise di respirare, il conato di vomito chiarissimo nello stomaco e sul viso. Non respirò finché il viso non divenne quasi completamente ceruleo. E solo allora, boccheggiò in uno spontaneo riflesso. Solo per soffocare, di nuovo. Riprese fiato e lo bloccò ancora. Il ciclo si ripeté per diversi minuti.
È solo puzza, solo odore, dovette dirsi con forza, se solo un fetore ti butta giù in questo modo come puoi anche solo sperare di salvare Hotaru?
Si ordinò di alzarsi, e le sue membra ubbidirono; prese un respiro profondo, cercando di adattarsi al fetore. Quasi le fece male, quando si calò nei suoi polmoni, il fumo che le bruciava gli occhi e il sapore che le invadeva la bocca.
Abituatici. Abituatici e basta, e vai avanti.
La testa le girava come una bobina, la vista sfuocata e le ginocchia deboli. Mise con difficoltà un passo davanti all'altro, e lentamente si drizzò sulla schiena, abbandonando la pancia con le mani. Quei movimenti meccanici e ordinati l'aiutarono a concentrarsi; un momento dopo la sua percezione oculare aveva messo a fuoco diversi elementi, e l'odore migliorava secondo dopo secondo, sfumando più lontano. Rallegrata da quella piccola vittoria, Usagi raggiunse la spilla e provò a trasformarsi. Nulla accadde. Disorientata, staccò il cuore dal fiocco e prese a scuoterlo, come se ci fosse qualche strano pezzetto magico rotto all'interno, che agitandolo potesse tornare a posto. Di nuovo, nulla.
Si concesse una rassegnata alzata di spalle prima di pinzare di nuovo la spilla sull'uniforme. Sperò almeno che, se avesse avuto bisogno di combattere, il potere sarebbe venuto spontaneo ad obbedirle.
Con cautela -anche più del necessario, visto che la fuku non la proteggeva più- Usagi si avventurò verso il fulcro della bolla, la luce scoppiettante prima lontana e poi, passo dopo passo, sempre più vicina. Anche se da lontano sembrava bianca, appena mosse qualche passo si accorse che non lo era. Era rossastra, lungo i bordi, e più si avvicinava più il rosso si faceva distinto, forte. Qualcosa dentro di lei le disse di prepararsi. Un odore come quello doveva avere sicuramente una fonte. E di sicuro, non si sarebbe rivelato nulla di piacevole.
Il buio intorno a lei si era rischiarato adagio, mentre camminava, diventando ombra più che oscurità. Quando si fermò per cercare di mettere a fuoco qualche elemento in più, riuscì a distinguere solo figure scure, che si contorcevano lungo i lati della sorta di strada che stava percorrendo. Allarmata dal fatto che -perché subito credette che fossero umani- potessero essere in pericolo, si avvicinò in fretta ad uno qualsiasi di loro, e si inginocchiò alla distanza di un braccio. Era ancora molto buio, si rese conto, non riusciva a capire che cosa ci fosse di sbagliato, e perché quel poveretto stesse emettendo suoni soffocati che altro non potevano essere, se non manifestazioni di dolore.
« Va tutto bene? » -Sussurrò Usagi, non abbastanza coraggiosa da scommettere e allungare una mano, perché una vocetta cavillante le suggeriva di stare lontana... Ma loro potevano essere feriti, e...
Stai lontana.
...e se lei avesse potuto aiutarli, forse...
Stai lontana!
Ma Usagi non era mai stata una di quelle che se ne sta lontana, che si volta e se ne va. Allungò la mano, e la figura si voltò verso di lei con straordinaria rapidità, afferrandole il polso con una forza sorprendente. Usagi cadde all'indietro, con un suono acuto, più di sorpresa che di dolore, strattonando il braccio disperatamente mentre il suono che quella cosa stava emettendo diventava più chiaro. Era una risata. Stava ridendo -una risata gorgogliante, rauca, che la investì completamente e le fece rombare il sangue nelle orecchie.
Usagi, così abituata alle risate e a ridere lei stessa, non avrebbe mai creduto che un giorno avrebbe preferito un grido di dolore ad una risata.
« Lasciami! » -Gridò con forza, e continuò a tirare, scalciando quella massa indefinita, presa improvvisamente dal panico, vedendo altre di quelle cose... centinaia di quelle cose fare il loro percorso doloroso verso di lei, verso il punto in cui era stata afferrata. La cosa le morse il polso. Usagi gridò di dolore, questa volta, e di angoscia, mentre le risate intorno a lei crescevano, ruggendo di piacere.
Liberati! Forza! Fagli del male se è necessario!
Sì, annuì, e la sua mano libera raggiunse con uno scatto secco la testa -testa...?- della cosa, mentre quella continuava a tenere i denti affondati e a contorcerli convulsamente nella sua mano. Sentì la sua stessa carne completamente lacerata, il dolore lancinante le fece quasi perdere conoscenza. Tutto intorno a lei era viscido, e scivoloso, non riusciva a muoversi adeguatamente, in mezzo a quella melma, e... Trovò i capelli in qualche modo, nel buio, li afferrò con determinata disperazione, e tirò. Con grande sollievo del suo polso, la cosa smise di mordere. Alzò la testa china, mentre Usagi tirava con più veemenza, piegandogli il collo, allontanandola da sé, via, portandola sotto la flebile luce che la strada emanava; e all'improvviso, vide esattamente che cosa l'aveva attaccata.
Era la faccia di Naru, che stava fissando. La sua amica di infanzia, che le sorrideva largamente, maligna, in silenzio, con la bocca striata del suo sangue. Lo sguardo serrato, di chi è pronto a uccidere. Le labbra di Usagi si spalancarono, ma non ne uscì nulla. Il grido le si bloccò in gola. Tutto dentro di lei si ghiacciò per lo stupore. No. Non poteva essere lei.
« Naru-Chan...? » -Riuscì a sussurrare, senza credere, senza capire, mentre Naru si leccava le labbra impregnate di liquido rosso, fissando con desiderio un'altro pezzo del braccio di Usagi, prendendolo di mira. Lei ebbe solo il tempo di accorgersi che stava per attaccare ancora, e la testa scattò di nuovo, affondò di nuovo i denti, mordendola con forza. Da destra, un'altra di quelle cose l'attaccò. Il suo cervello, del tutto ovattato dalla sorpresa, dal dolore del nuovo morso e dal terrore, vide solo la luce riflettersi sugli spessi e pesanti occhiali che solo Umino avrebbe mai potuto portare.
E questa volta, il grido di Usagi esplose con violenza. Tirò di colpo i capelli di Naru, concentrando tutta la forza che aveva in corpo nella mano sana, sentendo le sottili ciocche rossicce rompersi sotto il pugno serrato con un suono malato, netto. Sentì il suo stesso urlo rotto nelle orecchie dalla risatina divertita di Naru, in una macabra e devastante melodia. Usagi non seppe nemmeno come, ma riuscì convulsamente a liberarsi; un secondo dopo, i suoi occhi guardavano il centro della strada, le sue gambe correvano ad una velocità che non credeva di poter raggiungere, il polso sanguinante giaceva nella mano sinistra, e i singhiozzi senza lacrime la scuotevano tanto violentemente da doversi costringere a restare in piedi. Si fermò un centinaio di metri dopo. Sebbene non fosse nei suoi piani, si voltò. La penombra le impedì di vedere qualunque cosa che fosse più distante di un centimetro.
« N-Naru-Chan? »
La sua amica non doveva essere lì. Come era possibile che l'avessero portata lì? Doveva salvarla. Doveva uscire di lì al più presto, con Hotaru-Chan, e poi tutto sarebbe stato a posto. Naru... Naru-Chan non l'avrebbe mai attaccata di proposito. Doveva tornare indietro a prenderla. Dio, non voleva tornare indietro.
Non farlo, non tornare, è una trappola. Ti fa vedere ciò che vuole che tu veda.
Usagi gelò, e l'orrore le invase le membra. Come poteva anche solo pensare di non tornare indietro? Che razza di persona era, anche solo considerare l'idea di non tornare indietro era vomitevole! Si forzò sui suoi piedi, e si precipitò nel buio della strada che aveva appena percorso, la luce del suo cuore unica e debole guida.
« Naru-Chan! Naru-Chan!!! » -Dov'erano finite tutte quelle figure? Ce n'erano così tante solo poco tempo prima, tutte sdraiate sul ciglio della strada. Non riuscivano nemmeno a camminare! Dov'erano finite, tutte? Aveva corso così veloce, era andata così lontano? Spiccò una corsa disperata al contrario, verso il suo punto di partenza, gridando.
« NARU-CHAN! UMINO-KUN! » -Si avventurò ancora più in là, con strilla sempre più acute, grida sempre più roche, drammaticamente vuote e la cui unica risposta era un'eco silenziosa, serrandosi il polso che continuava a pulsare di dolore e perdere sangue. Non riusciva a trovarli. Era sicura, non era la strada sbagliata, o sì? Forse nel buio aveva girato in tondo, credendo di andare dritta. Era come se non ci fosse mai stato nulla. Perché, perché non c'erano?
Perché non sono reali, Usagi... Accettalo. Accettalo e basta, e vai avanti!
Senza sapere cosa stesse facendo, il suo cervello padrone delle sue membra e il cuore distante chilometri, si ritrovò sulla strada. Non conosceva il posto e non aveva idea di dove dirigersi esattamente; solo seguire la luce e gli scoppiettii della battaglia le sembrò plausibile. Si ritrovò a fissarsi il braccio insanguinato. Come poteva essere sicura che fossero solo illusioni? Se non erano reali, perché aveva ancora i segni dei morsi sul braccio? E se l'unico motivo per cui non riusciva a trovarli fosse stato che era scappata, la prima volta? Come faceva a sapere che Naru, e Umino, e forse altri innocenti non erano là fuori, da qualche parte, e che l'unico motivo per cui non avrebbero mai avuto aiuto era... La sua codardia?
Rassegnati. Accettalo e basta, e vai avanti!
Di loro spontanea volontà, i suoi piedi cominciarono a muoversi. In avanti. Verso la luce. Verso Hotaru. Doveva ricordare, Hotaru.
Non erano reali. Non erano reali. Accettalo.
Ma il dubbio che lo fossero, e che avesse abbandonato i suoi amici, i suoi compagni, la seguiva ad ogni passo.

*

Il polso pulsa, doloroso. Lo prende con l'altra mano, Mamoru, e lo abbraccia stringendolo sul suo corpo. Non riesce a fare molto di più che starsene sul pavimento, mentre onde di emozione si riversano su di lui, minacciando di affogarlo. Vede quello che lei ha veduto, sente ciò che lei ha sentito. Sta camminando, adesso, lo vede nella sua testa. È una strada buia, quella che sta percorrendo, e gli occhi sono strabuzzati dal terrore sul viso pallido. Il sangue le scorre dal braccio dai buchi di molti morsi, ma lei sembra non accorgersene.
Nella lotta, uno dei due codini si è quasi sciolto, e una ciocca lascia una scia nella polvere dietro di lei. La luce con cui il cuore l'avvolge fa sembrare le trecce due corde dorate, come corde da impiccagione.
Con un rumore angoscioso arranca, Mamoru, finché non riesce a sdraiarsi sul pavimento, la pancia verso il basso. Cerca di orientarsi, di trovare la porta della camera con gli occhi, ma è troppo difficile distinguere la realtà dalla fantasia, dal terribile momento, con l'immagine di Usagi che si manifesta sotto i suoi occhi e il mobilio della camera. Decide di chiudere gli occhi; le scene continuano a correre, dietro le palpebre, come un film dell'orrore, ma almeno la vista del suo appartamento non interferisce e non gli dà la nausea.
Il peso delle emozioni di questo fantasma di Usagi lo schiaccia al suolo, ma in qualche modo vuole raggiungere la Usagi vera, quella nel suo letto, per prenderle la mano, lenire l'incubo; si sforza di muoversi, Mamoru. Prima senza successo.
Poi, un centimetro alla volta. I pochi metri di tappeto che lo separano dal letto sembrano infiniti chilometri. Focalizza la sua attenzione su di lei, Mamoru.
Perché un centimetro alla volta, ha intenzione di raggiungerla.

*

Non sapeva quanto a lungo avesse camminato per quella strada anonima e vuota. Quelli che potevano essere minuti sembravano eoni, senza un riferimento. Non aveva nemmeno un punto di aggancio noto per misurare la distanza. Per quanto ne sapeva, nell'ombra poteva muoversi in cerchio e non accorgersene, anche se seguiva con meticolosa attenzione la luce rossa. Poteva essere distante abbastanza da ingannarla, e spostarsi per farla impazzire in quel labirinto. Ma non c'era null'altro a cui aggrapparsi, null'altro a fare da bussola. Solo polvere sotto i suoi piedi, e una oscurità infinita a destra e a sinistra. La luce rossa si faceva più pungente, e la puzza più insopportabile ad ogni passo. Più d'una volta dovette fermarsi perché le tempie smettessero di pulsare.
È la direzione giusta. Se la luce si avvicina, se le cose peggiorano, è giusto. Coraggio, vai avanti.
Forzò tutta l'attenzione sui suoi piedi, la fatica di sollevarli quasi insormontabile; le sue Mary-Janes insozzate oramai strascicavano nella polvere, sollevandone pezzi e sbuffi. Grigio. Grigio, grigio, grigio; ogni tanto si fermava, di nuovo, per sfregarsi gli occhi e guardarsi la divisa, il blu della gonna e il rosso del fiocco, solo per assicurarsi che altri colori esistessero.
Con gli occhi puntati verso il basso, l'improvvisa intrusione di una linea di austero giallo in quella che era stata fino a quel momento una infinita distesa senza colore la fece esitare. La polvere diventava asfalto solo pochi passi dopo il punto in cui si era fermata. Confusa, alzò lo sguardo e si accorse di essere nel bel mezzo di una strada di città, contornata da edifici che si stagliavano in alto, emergendo dalle ombre intorno a lei. Sollevò del tutto la testa, e si voltò per guardare la via da cui era venuta; dovette strizzare gli occhi più volte prima di rendersi conto di quello che stava guardando. I suoi occhi avevano incontrato una strada continua, affiancata da negozi, e lampioni, proprio come se avesse sempre camminato nel centro della città.
La strada polverosa che aveva appena finito di percorrere era semplicemente svanita.
In qualche modo, non ne fu del tutto sorpresa.
Piuttosto rassegnata, riprese a camminare in avanti, cercando qualche riferimento familiare per capire in quale parte della città si trovava. Sapeva che era Tokyo, anche se la sua mente non era in grado di distinguere il distretto. Intorno a lei tutti i palazzi erano in rovina, derelitti, inquietantemente fermi. Agitandosi nervosamente, si fermò di nuovo in mezzo alla strada, il suo cervello in attesa. Come se Ami potesse spuntare fuori, e gridare Hey Usagi! Ho capito tutto, seguimi!
Che cosa avrebbe dato per avere Ami con sé. Chiunque di loro, in realtà. Era passato tanto tempo, da quando aveva affrontato l'oscurità da sola. E forse era stato un male. Era diventata coccolata, sicura che un arcobaleno magico l'avrebbe sempre salvata. Se si fosse trovata in pericolo, il fulmine avrebbe distrutto la minaccia, trattenendola finché Usagi non fosse fuggita. Se fosse stata confusa, e senza idee, la nebbia rilassante l'avrebbe protetta e le avrebbe dato tempo di pensare. Se avesse avuto bisogno di caricare un attacco, di prendere la mira, catene dorate avrebbero tenuto fermo il nemico. E se fosse stata con le spalle al muro, un anello di fuoco l'avrebbe circondata come un muro gentile, le fiamme respingenti il pericolo.
E, sopra qualunque altra cosa, velluto nero sarebbe accorso a un suo solo cenno. Di forza, coraggio e giustizia... la sua ombra protettrice. Sempre al suo fianco.
Ma lui non c'era, adesso, forse quando lei ne aveva più bisogno. Nessuno di loro era con lei; era sola, con le ginocchia screpolate e le mani sanguinanti, e il coraggio che piano piano stava venendo meno.
Avrai presto Hotaru, con Te -si forzò a dirsi, con fermezza- E se sei qui da sola, probabilmente c'è un motivo.
Rimise insieme i nervi scoperti, e si avvolse di una invisibile, e immaginaria, e invincibile armatura. E si convinse -doveva convincersi- che sarebbe stato abbastanza.

*

Restava poco, della città che un tempo era stata Tokyo. Orgogliosa, mentre rizzava la schiena nella grandezza del vetro scintillante delle torri, le strade con tinte al neon, la metropolitana fitta come un labirinto, e il guazzabuglio di persone... Tutto quello che di lei era restato erano palazzi scheletrici, e strade che minacciavano di crollare. E per quanto riguardava l'umanità, erano tutti rimasti. In pile grottesche di corpi alte quanto un albero, gettati uno sopra l'altro disordinatamente, come rifiuti a ricoprire la strada. Qualcuno era stravaccato sulle porte, nel gesto di aprirle, come se un confuso uomo di sabbia avesse sbagliato momento per fare visita. Molti erano stati impiccati, a qualsiasi cosa che offrisse un appiglio. Lampioni, grondaie, tetti, balconi. Alcuni con il filo di ferro, altri con quello spinato. Qualcuno aveva avuto la sfortuna di essere stato trucidato; gli erano stati cavati gli occhi, e poi ficcati in bocca, oppure la pelle gli era stata divelta, pezzo a pezzo, da qualche animale. Qualcuno era morto con piaghe orribili sul corpo, bolle di pus sulla faccia o sulla pancia. Alcuni di loro erano stati colti dalla morte nel tentativo di strapparsele di dosso, con le unghie e con i denti, tanto che avevano la bocca e le dita impastate del proprio stesso sangue e del proprio stesso pus. Si vedeva che alcuni si erano ammazzati. Giacevano con coltelli piantati in pancia, ancora fra le mani, oppure con le ossa scomposte e fuori dal corpo, bianchi luccichii macabri, dopo essersi gettati dalla finestra. Qualcun altro infine giaceva in pezzi, tagliato in due o tre o quattro o mille parti. Le mani a metri di distanza dalle braccia, i moncherini preda delle formiche e delle mosche affamate. E non c'era nessun dubbio che fossero stati macellati da una forza sconosciuta. Nessuno era stato tanto fortunato da meritare una sepoltura. Non c'era nessun nesso né logica per quella orribile distruzione. Solo una triste e definitiva nota perentoria.
E attraverso tutto questo, Usagi camminava in avanti, terrorizzata in modo quasi malsano. Si faceva strada fra le macerie, senza osare neppure alzare lo sguardo in qualsiasi direzione. C'erano molti corpi lungo il suo cammino. Qualche pezzo, una testa o un braccio, giacevano sulla strada. Fortunatamente la maggior parte erano stati ammazzati sui marciapiedi e non era costretta a guardarne le agonie.
Cadaveri. Sono solo cadaveri. Cadaveri.
Si ripeteva quella parola, nella mente, perché doveva costantemente ricordarsi di non soffermarsi sul fatto che era tutto quello che rimaneva di persone che aveva conosciuto, o che un tempo avevano attraversato la sua strada, o che semplicemente erano esistite insieme a lei. E finché sarebbe stata in grado di non fare attenzione, di camminare con cura e di non guardare, sarebbe stata anche in grado di evitare il peggio. Stava attraversando il distretto della Juuban, ma non se ne accorse finché non passò accanto al Crown Arcade. Non si fermò, passo oltre, gli occhi fermamente puntati in avanti, proibendosi mentalmente di gettare occhiate all'interno.
Non guardare.
Non avrebbe guardato...
NON guardare!
La sua testa la tradì abbastanza a lungo da dirigere lo sguardo dentro per un secondo, da vedere oltre le finestre macchiate di una indefinita sporcizia. E poi, i suoi piedi la seguirono come in trance, camminando oltre i pezzi di metallo attorcigliato e il vetro distrutto, ultimi residui di una porta scorrevole.
Il Crown era spaventosamente silenzioso e in pace. Nessun campanello, nessun suono di gettoni buttati nelle macchine, e niente parolacce di ragazzini troppo giovani, dopo una sconfitta ad un videogioco di lotta. Le ci volle un momento per interpretare quello che stava vedendo; per un minuto pieno di speranza, aveva pensato che la sala giochi fosse ancora viva. Cominciò a camminare, nel grande spazio, prima di fermarsi a fissare lo sguardo in una sorta di affascinata nausea.
All'interno, forme rivoltate erano congelate in una strana imitazione della vita. Erano morti tutti in modo particolarmente violento, bruciati fino ad essere irriconoscibili, semplicemente sadicamente fortunati ad essere ridotti ad un cumulo di cenere che avesse ancora una parvenza umana. Quelli che potevano essere due ragazzini stavano ancora giocando una partita. E un gruppo di ragazze sedeva in un angolo, a mangiare indisturbato. I corpi ancora sporti l'uno verso l'altro, a formare un guscio protettivo per i loro segreti importantissimi, come qualsiasi cricca di ragazze farebbe, come se qualcuno fosse in pericoloso ascolto.
E quando si voltò verso il bar... Il caro Motoki, in piedi, immobile e senza vita accanto al suo amato bancone, una statua fatta di cenere, una mano stesa a pulire lo spesso strato di polvere accatastato dappertutto.
Usagi non riuscì a piangere. Non aveva niente da versare, lo scenario era troppo tragico anche per le lacrime. Stanca, solo stanca, si concesse un momento di riposo sul suo sgabello solito, vicino al bancone, e guardò l'espressione vuota e scolpita nella cenere che un tempo doveva essere il suo viso.
« Ciao, Motoki-Senpai. Un Choco-Shake Deluxe, per favore. Sai come mi piace! » -Chiuse gli occhi e immaginò la risposta.
« Ma certo, Usagi! » -L'avrebbe messo proprio di fronte a lei, un enorme bicchiere colmo di una torre di cioccolato, panna montata, una spolverata di cacao e una ciliegia immersa nella nutella. Quasi quasi, le sarebbe spuntata la bava, e avrebbe sorriso nel modo che era solita fare in direzione della sua prima cotta da cuore tredicenne- « Ecco qua! Non bere troppo veloce, Usagi, o ti verrà il mal di testa! »
Ma quando aprì gli occhi, il bancone era vuoto di tutto, tranne dello spesso strato di vomitevole sporcizia, e Motoki continuava a sorriderle con una bocca senza denti su un viso senza espressione, catturato per sempre nell'atto di pulire ciò che non sarebbe mai più stato pulito. Usagi non avrebbe mai più guardato il Crown nello stesso modo.
« Arigatou, Motoki... » -Si alzò lentamente, si mise una mano in tasca e ne cavò gli ultimi 500 Yen che vi erano rimasti. Divertente. Anche in quella situazione non ne aveva abbastanza. Come sempre.
« Tieni il resto » -Sussurrò, e mise le monete gentilmente sul tavolo.
Quando uscì, non si voltò nemmeno una volta.

*

Ore dopo, era sicura che sarebbe presto impazzita davvero.
Pensava di poter fare finta di nulla, dopo il fruit parlor, pensava di essere più forte di quanto avesse pensato prima. Che potesse ignorare la distruzione intorno a lei, la crudeltà senza senso, mettendo semplicemente un piede davanti all'altro. Attraversò strade che avevano nomi familiari, ma che non emanavano nessuna luce familiare nel suo cervello spento. Tutto, lentamente, sembrava chiudersi su di lei; edifici, e alberi, e lampioni, guardie del suo cammino come maligne sentinelle.
Idee formate a metà fluttuavano accendendosi nella sua testa, e spegnendosi subito dopo come lucciole malate. Aveva provato ad andare a casa. E poi, a casa di Mamo-Chan. Dopo aver cercato per ore la strada giusta, aveva capito che la città in cui camminava era deformata, la teneva prigioniera, e la guidava esattamente dove la città voleva, non dove lei desiderava. Perciò, si era detta semplicemente di andare dritta. Di continuare. Come una sonnambula. Come intorpidita.
Se avesse sentito qualcuno che singhiozzasse a destra, o un colpo alla sua sinistra, oppure un grido di aiuto... Usagi, Usagi... che poteva essere il vento, o la sua mente spezzata... Sarebbe semplicemente andata avanti, ignorandoli, e continuando a contare ogni passo con andatura disordinata, sull'asfalto incrinato.
« Ussss... saag...iiii... »
Corri.
Esplose in una corsa sbandata, incespicante, slittante, testa china, e sentì la pelle strapparsi sui suoi palmi, sulla guancia, sui gomiti e sulle ginocchia quando alla fine rovinò a terra.
« Vorrei che fossi qui... » -Mormorò a se stessa, mentre sentiva il sangue cominciare a gocciolare pigramente dalle ferite. Il sapore salato delle lacrime, però, non venne. Sentì il sangue entrarle in bocca, mentre riposava una guancia bruciata sulla strada lurida. Perché non le era stato concesso di portarlo con lei, in quell'agonia? Perché? Perché non poteva essere lì, a rassicurarla di non essere impazzita, che tutto intorno a lei era falso, a controllarle i nervi con la preoccupazione nei suoi occhi blu profondi?
« Vorrei che fossi qui » -Ripeté ancora, cercando di alzarsi dolorosamente. Senza accorgersi di cosa l'aveva fatta inciampare- « Vorrei... »
« vorreichefossiquivorreichefossiquivorreichefossiquivorreichefossiquivorreichefossiqui... » -La frase diventò una gorgheggiante litania che lei respirava, attraverso le labbra screpolate. Anche se, naturalmente, non voleva davvero che lui fosse lì. Quanto terribile per lui sarebbe stato testimoniare gli edifici distrutti, la città morta, i cadaveri lungo la strada, e il cielo che bruciava, come una sorta di quadro che non si vuole fissare troppo a lungo.
E allora, al posto di desiderarlo, Usagi finse che lui fosse lì con lei, a condurla avanti, a guidare i suoi passi mano nella mano, un vestito giallo apposta per una festa. Cadde in ginocchio, accanto ad un accatastato e impolverato e vetroso frammento di innocenza rubata, e un conato la scosse miserabilmente. Singhiozzò più volte per cerare di vomitare, senza successo. Si aggrappò ad un lampione per non svenire, ferma sulle ginocchia, la nenia intorno a lei sempre più forte.
« vorreichefossiquivorreichefossiquivorreichefossiquivorreichefossiquivorreichefossiqui... »
Quando riuscì finalmente a vuotare lo stomaco, si pulì la bocca con una mano lercia di polvere e si alzò ancora, ancora una volta, con l'aiuto del palo: si voltò a guardare cosa l'aveva fatta cadere. Ogni millimetro del suo corpo gelò, il cuore le saltò in gola tanto velocemente da farla sobbalzare. Il rombo della paura la pervase ancora, scuotendola incontrollatamente.
I suoi occhi si posarono su quello che era uno spettro -doveva essere uno spettro- probabilmente esistente solo nella sua mente. Il suo Mamo-Chan, riverso in mezzo alla strada. Senza nemmeno sapere come, strisciò fino al suo corpo, dondolando, mentre la folla di cadaveri sordi registrava il suo grido senza speranze. E gli echi tornarono da lei, a ricordarle la sua frase, a ricordarle il suo pensiero, la sua nenia.
« vorreichefossiquivorreichefossiquivorreichefossiquivorreichefossiqui... » -Si chiuse le orecchie con insistenza, senza riuscire a fermare la voce nella sua testa.
Non toccarlo! Mamo-Chan è a casa, a casa! Sta tenendo viva Chibi-Usa! Non è lui, lascialo stare! Stai lontana, e vai avanti.
E poi, mentre la voce si spegneva e la sua gola bruciava di fiamme infernali per lo sforzo, tutto il corpo fisso su un unico dolore, lui aprì gli occhi. Un'espressione sofferente e nauseata gli permeava il viso, e gli occhi blu erano contornati di rosso.
Non toccarlo!
Usagi respirò più forte, si chinò su di lui stringendogli la mano con forza, cercando di fare uscire le parole.
« Mamo-Chan... Mamo-Chan...? »
« vorreichefossiquivorreichefossiquivorreichefossiqui... » -E finalmente, nell'oscuro silenzio brulicante di echi spaventosi, lui mosse la bocca a fatica. Respirava con un rumore graffiante, roco e infermo, quasi mugolante. Un grumo di sangue gli si formò piano in bocca. Usagi lo sollevò.
« U... ssssssaaaa... Koooo... »
Corri! Vattene!
« Mamo-Chan, Mamo-Chan, è tutto a posto... Sono qui, io... » -Lui si piegò in avanti, in un movimento scomposto e malato. Lei lo aiutò, sorreggendolo, cercando di tenerlo fermo. Un conato rischiò di soffocarlo. Stava soffrendo orribilmente, e Usagi lo vedeva con precisione. Immagini dei cadaveri appesi, squartati e bruciati le invasero la testa, e avevano tutti il viso del suo Mamo-Chan. Strozzò la voce per parlare.
« Mamo-Chan, cosa c'è? Cosa... » -Aveva qualcosa in gola, si accorse Usagi, ma era troppo terrorizzata e dolorante per cercare di tirarlo fuori, per aiutarlo. Mamoru finì il lavoro da solo, gli occhi riversi e la faccia paonazza. Con uno spasmo definitivo, dalla sua bocca uscì una massa informe, molliccia, pulsante e grande più o meno come una palla da tennis, coperta di sangue e polvere, che poteva benissimo essere uno dei suoi organi interni- « Mamo-Chan! »
E allora Mamoru parlò, la voce aspra, rigata, satinata, gli occhi iniettati di sangue. Lei gli serrò la mano, e lui tentò di rispondere al tocco. Disse una sola parola, otto lettere che le invasero il cervello chiudendolo in una morsa devastante, sommergendolo di gelo e di disorientamento, oscurandole quasi il cuore per l'orribile peso che portavano.
« Ucci... dimi. »

*

Pochi passi e molte dimensioni più in là, Mamoru si spinge verso il bordo del letto, trasformato in una sfera tremolante mentre le lacrime cadono, in armonia con le straziate grida di Usagi.
La sua mano è stretta sul nulla.  

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Capitolo 4
*** Fuori ***


Boh pubblico di mattina, dai che non ci sono tutto il giorno, magari vi lascio un link poi... Spero che qualcuno veda questo aggiornamento finale. Ho perso tutti i dati e ho dovuto riscrivere tutto, purtroppo, ma credo che sia venuto ancora meglio. Le parti fondamentali erano messe a mano, quindi per fortuna le ho potute copiare nuovamente. Il capitolo finale è il capitolo dell'uscita, e non voglio dire molto di più perché banalmente non ho molto da dire, che non sia spoiler o parolacce per OpenOffice. Mi dispiace che il capitolo sembra un po' breve, ma dopo tutto il tempo che ho impiegato a farlo, aggiunte di qualsiasi genere mi sembrerebbero superflue. Speriamo solo che almeno questa settimana di attesa ne valga la pena. LoveLove.
 



4/4 ~ FUORI


Per la seconda volta in poche ore, Usagi dovette lottare disperatamente con se stessa per restare cosciente. Gli occhi continuavano a mandarle immagini come in un disturbato televisore degli anni ottanta, e se c'era un'unica ragione per cui non collassava, quella era l'immagine di Hotaru. Impressa nel suo cuore puro, la sosteneva come una stampella malferma. Si costrinse a non guardare la sfera di sangue e colla, e di fissare lo sguardo solo su Mamoru. Solo sul suo Mamo-chan. Deglutì senza riuscirci davvero; tutta la saliva accumulata le tornò sul palato insieme al conato di vomito. Sputò quello che le era rimasto in bocca, senza mollare per un attimo la mano del suo amato, le nocche sbiancate per lo sforzo di trattenerlo a sé. La voce le diceva con insistenza che era tutto frutto della sua immaginazione, che era una creazione del Pharaoh90. Usagi non le credette.
« Adesso... Adesso... Ti porto fuori... Fuori di qui... » -Ignorò deliberatamente quello che Mamoru aveva sputato, e lo sollevò quasi di peso.
« Non vedi, Usako... Non vedi...? È malato... Sono malato... Non voglio morire così... Non voglio soffrire... Ti prego... Ti prego... » -Parlava con fatica immane, e Usagi glielo lesse negli occhi, e nella voce, Usagi che lo aveva visto dirle che non l'amava più, Usagi che aveva sempre intuito ogni sua bugia in fondo al cuore; intuì la verità. Non voleva davvero continuare. Non l'avrebbe seguita. Voleva davvero morire.
Lascialo lì, basta. Non ti angosciare. È solo un inganno della tua mente. Vattene!
« Ucci... dimi... » -Ripeté ancora quella parola, e spalancò la bocca sbarrando gli occhi. Lei scosse la testa, un guscio vuoto. Era così, aveva ragione, il suo corpo era malato; nella sua bocca cominciava a formarsi una strana sostanza nera troppo simile a quello che aveva appena sputato. Se non si fosse sbrigata, qualsiasi cosa quella roba fosse, lo avrebbe squartato dall'interno.
E poi, probabilmente, avrebbe ucciso anche lei.
Uccidilo. Non puoi più tirarti indietro, adesso. Uccidilo o quella cosa ucciderà te.
Usagi si lasciò fare un passo indietro. Automaticamente, senza averlo programmato, senza che il suo cervello o il suo cuore seguissero le sue mosse, si stava guardando intorno in cerca di una qualsiasi arma. La ribellione di tutti i suoi sensi la fece gridare, orrendamente.
« Uccidimiuccidimiuccidimi » -Si chiuse le orecchie con veemenza, premendo le mani così forte da farsi male. Ma la voce entrava dai suoi pori, nella sua testa, in tutte le sue membra- « Uccidimiuccidimiuccidimi »
L'affanno si prese il suo respiro senza farsi remore; la gola prese a bruciarle, e il suo grido nel silenzio fu senza echi. Sbandò a destra e a sinistra priva di equilibrio, scuotendo la testa con forza. Trovò con gli occhi un pezzo di ferro affilato, e fu in quel momento preciso che si accorse che lo avrebbe fatto. In quell'istante si rese conto che avrebbe ucciso quell'uomo, chiunque fosse. Perché ai suoi occhi non era più Mamoru. Non c'era più niente che lo legasse all'uomo che aveva amato, e lei lo avrebbe ucciso. E lo avrebbe fatto per salvare Hotaru, per salvare se stessa, per salvarsi da quel silenzio straziante, rotto solo dall'orribile voce del silenzio che ancora sussurrava cantilenante...
« Uccidimiuccidimiuccidimiuccidimiuccidimi » -Si mosse altalenante, incespicando. La cosa stava cominciando a uscire dalla bocca di Mamoru. Era informe, nera, più simile alla pece che a qualsiasi altra cosa. Gli occhi iniettati di sangue e l'espressione di lui le comunicarono che riusciva a malapena a respirare. Usagi distolse lo sguardo, si vietò di guardare. Cominciò a contare lentamente i passi che la separavano dall'unica arma che avrebbe potuto possedere. Sette...
Non guardare.
Sei... Cinque... Quattro...
NON guardare!
Tre... Due... Uno... Non era più lei, definitivamente. Si rese conto all'improvviso che non era più lei a impartire ordini al suo corpo scombinato, martoriato, slogato. La sensazione delle dita che si chiudevano contro l'acciaio era l'unica cosa che del suo corpo senziente era rimasta. Solo i suoi cinque sensi. Cinque sensi non sarebbero bastati mai, per descrivere l'enormità di quello che si stava formando nel suo cuore, gonfio abbastanza da farle pensare che la stessa sostanza avesse messo radici dentro di lei.
Si voltò nel momento in cui la cosa usciva da Mamoru e il ronzio si faceva insopportabile nelle sue orecchie.
Uccidilo.
« No... » -Le vennero in mente molte parole, mentre la sostanza nera diventava grande come una persona, e cominciava a prendere la forma di qualcosa di sembiante. Erano tutte preghiere. Pregò qualsiasi cosa fosse simile a un Dio, a una forma superiore. Pregò il suo cuore. E sperimentò per la prima volta in lunghi anni il silenzio della sua anima, il vuoto più immenso che potesse provare.
« NO! » -Cercò di rompere quel silenzio che l'agghiacciava, sperò di sentire ancora la voce insistente, pressante, polemicamente pretenziosa, tediosa e precisa, che pareva non avere niente per lei, se non un ordine.
Uccidilo.
Fece crollare su di lui l'arma pesante e rugginosa, tagliandosi le mani. Affondò il paletto con i palmi, mentre tutto intorno a lei urlava di dolore e sollievo, in un religioso silenzio stridulo, mentre le voci si ritraevano nel guscio, mentre un grazie appena accennato, prigioniero del suo sorriso, la attraversava da parte a parte, doloroso molto più di qualsiasi taglio sanguinante.

*

Il dolore non è più solo mentale ma tremendamente fisico; lo prende allo stomaco, e anche se cerca di sollevarsi, Mamoru, ancora non ci riesce. Un formicolio sordo gli ha pervaso le membra, e non riesce a fare a meno di gemere. Afferra il bordo del letto, ma scivola e rovina sul tappeto, le mani strette sulla pancia nel disperato tentativo di fermare quel bruciore. Si chiede se sarà mai più in grado di mangiare. Comprende piano, e con strazio infinito quanto impossibile sia descrivere una sensazione simile. Quanto impossibile sia anche solo pensarla, la ruggine del sangue del tuo amato. Quanto avrebbe agognato protezione per sempre, e quanto non avrebbe potuto mai averne una totale. Perché da se stessi non si scappa.
Respira, Mamoru. Con difficoltà, respira. Ai piedi del letto, chiude gli occhi per riposare ancora un po' prima dell'atto finale.

*

« No... No... » -Continuò a ripetersi lei, nel silenzio completo, le mani segate e le voci cessate, a metà fra un grido e un sussurro. Il corpo di Mamoru che faticosamente cercava di trasportare, trafitto dal suo fortuito stiletto, ostacolava in modo orribilmente pesante i suoi movimenti. Fu costretta più volte a fermarsi, e alla fine a cedere sulle gambe, troppo indebolita dall'acidità di stomaco, dall'odore e dalla vista del corpo inerte di Mamoru, oltre che dal suo peso. Rovinò a terra maldestramente, il corpo piegato su se stessa. Il dolore della caduta si fece sentire come una scossa che si propagò lungo tutto il corpo. Temette di non riuscire più a muoversi, per un secondo.
L'asfalto sotto la faccia la fece sentire sconfitta. Accettò il sapore in bocca con una sensazione molto, troppo simile al sollievo. Aveva fallito. Aveva finalmente fallito, era finita. Non doveva più agognare alla vittoria, non doveva più preoccuparsi di rialzarsi. Non doveva più soffrire oltre. Era lì che sarebbe morta, decise. Lì nella sua città, lì nella sua strada, lì fra le familiari facce. Lì, accanto a Motoki. Lì, accanto a Mamoru. Lì era il suo posto, e lì sarebbe morta. Chiuse gli occhi docilmente. Lì si sarebbe addormentata. Fra le familiari mura. A casa sua. Erano morti tutti, e allora che senso aveva restare viva anche lei? Che senso aveva continuare? Non c'era più niente da salvare.
Inspirò la polvere.
No! Devi restare cosciente! C'è ancora Hotaru! C'è lei, che ti aspetta... Non vorrai mollare?
Sì, voleva mollare, le membra invase da un torpore familiare e il corpo di Mamoru accanto al suo, gli occhi riversi, chiusi, la bocca spalancata innaturalmente, la mascella in briciole. La mano ancora fissata, il braccio destro teso ad intrecciare le dita.
Non sei da sola. Non essere egoista!
Quella voce cominciava a diventare pressante. Troppo. Qualcosa cominciò a muoversi dentro di lei: un animale agonizzante, ululante, una bestia che non aveva mai conosciuto prima, che mai prima di allora aveva sciolto le sue briglie nel suo cuore. Un nome. Hotaru, Hotaru, doveva focalizzarla. Doveva visualizzarla, anche se i suoi occhi avevano perso il fuoco a causa della sporcizia e delle lacrime.
Alzati!
Lentamente, cominciò ad ubbidirsi.
ALZATI!
Un mugugno di sofferenza le sfuggì dalle labbra mentre con un ritmo esasperante poggiava prima i gomiti e poi le ginocchia per terra e riprendeva a respirare normalmente. Di nuovo, non pianse. Il dolore era troppo ghiacciato per potere anche solo pensare di sciogliersi in quel momento. Aveva pensato di provare a gridare e piangere fino allo stremo. Invece, una insana determinazione si era impossessata di lei, impossibile da scacciare. Faceva troppo freddo per sciogliere quel tormento gelato. Era troppo buio per vedere al di là della flebile luce. Ma un pensiero, e quella voce le riscaldavano le vene, aiutando il sangue a circolare.
Si bendò le mani con i movimenti saldi e circoscritti di chi ha ceduto alla pazzia, usando un pezzo della camicia di Mamoru. Lo prese come un rituale, un modo per portare con sé il corpo, anche se non l'avrebbe seppellito.
Ci sono io, con te.
In qualche modo, l'idea di essere con se stessa la fece sentire meno sola. Un piede prima, dopo l'altro, e ancora e probabilmente per l'ultima volta era in piedi. Ancora una volta, si stupì della incredibile forza che era in grado di reggerla. E per la prima volta nella vita, comprese che voleva distruggere. Distruggere Pharaoh90. Distruggerlo per tutto quello che le aveva fatto. Distruggerlo, vederlo soffrire come aveva visto soffrire Mamoru. Il suo scopo primo, la salvezza di un'innocente, diventò improvvisamente secondo. Prima, avrebbe pensato alla vendetta.
Bastarono una decina di passi calibrati per accorgersi che la luce rossa era vicina molto più di quanto in realtà avesse creduto all'inizio. Scoppi a fasi alterne le fecero intuire che lì dentro si stava svolgendo una battaglia. Probabilmente, una in cui era coinvolta Hotaru.
Corri!
La rabbia che aveva contenuto esplose in un grido di battaglia; il cristallo del suo cuore l'assecondò volentieri, avvolgendola di nastri e di luce. Ebbe la fuku, e non fu più Usagi. Sailormoon prese il suo posto in una vampata di luci e colori. Usagi fu relegata in un angolo di anima, a cullare il dolore per la perdita dell'amato. La voce era diventata Usagi, e Usagi era divenuta la voce. Il Silver Crystal aveva, alfine, avuto la meglio sul suo debole corpo. Sollevata, Usagi scivolò nel suo stesso inconscio. Sailormoon sfondò la parete color rubino con un solo taglio di scettro, come un raggio di sole che squarcia le nubi. E come aveva previsto, Hotaru era lì. Probabilmente anche lei relegata nel fondo dell'inconscio di Sailorsaturn, si disse. La guerriera della distruzione la fissò per un momento con aria sbigottita negli occhi spenti, ogni attenzione focalizzata su quello che pareva un cuore pulsante. Il cuore di Pharaoh90.
L'uscita!
Sailormoon avanzò con passo cadenzato e deciso: Sailorsaturn reggeva uno scudo difensivo contro le ondate di energia che arrivavano dal centro della creatura aliena.
« Che cosa ci fai qui? Non ti avevo forse proibito di seguirmi? » -Sailormoon si fermò di colpo. Non rispose. Non aveva risposte. Non sapeva cosa stesse facendo lì. Lo sguardo sul suo viso fece intuire in qualche modo a Sailorsaturn quello che doveva aver veduto- « Non avere paura. Presto tutto sarà concluso. »
« Aspetta. » -Nella sua voce ci fu un tremito che fermò la falce, che fece vibrare per un momento le dita della ragazza dai capelli d'ebano. Che le fece percepire la sua terribile paura- « Anche tu hai visto... hai sentito tutto questo... Non è vero? » -La vide deglutire con la stessa pesantezza. Le ferite, il viso straziato e gli occhi infermi le dicevano che anche lei aveva veduto l'inferno stesso. Non servì guardarla annuire lentamente, non servirono le due lacrime silenziose, perle d'ostrica che subito le scivolarono sulle guance.
« Lo sai, Lui ha sempre voluto solo una cosa, da me... Da noi. Forse, in questo momento, è ciò che desideri anche tu. E comprenderai, con tutte queste voci... che adesso è ciò che cerco anche io. » -Sailormoon si avvicinò pacatamente alla guerriera della distruzione. Questa volta, lei non la respinse- « Silenzio. »
E fu allora che Sailormoon comprese, e non ci fu bisogno di una falce perché arretrasse.
No! Fermala! Ti prego, fermala!
Annuì in direzione di Sailorsaturn, lo sguardo fisso sul nulla. La falce si sollevò.
Devi fermarla, ti supplico! Ginzuishou...
« Silence Glaive... »
Ginzuishou!
« ...Surprise! »
Il cuore di Pharaoh esplose con uno schianto quasi secco, quasi silenzioso. Mentre il colpo andava a segno, Usagi sentì anche il suo cuore andare in pezzi. Frantumarsi in mille scaglie di luce, rompersi con un ultimo, assestato colpo netto. Infrangersi disperatamente, creparsi per avere uno spiraglio d'aria. Schegge iridescenti l'avvolsero proteggendola. E in quel momento avrebbe giurato di vederle prendere la forma di una miriade di farfalle sfolgoranti.
Quando Usagi ebbe riguadagnato il controllo del suo corpo, non esisteva altro che un fagotto addormentato e una città che si stava richiudendo su se stessa in un crollo impulsivo. Serrò i pugni. E così, Hotaru aveva avuto ciò che desiderava. E così, aveva avuto il suo silenzio. E così, almeno una di loro avrebbe avuto il sollievo dell'oblio. L'afferrò a mani basse, senza farsi domande, e fuggì dallo straziante grido silenzioso del Pharaoh. Non avrebbe mai creduto che il silenzio potesse essere così rumoroso mentre correva, il fagotto premuto sul cuore e l'esplosione alle sue spalle che distruggeva tutto quello che di Tokyo era restato. Superò il corpo di Mamoru, il Crown, superò la scuola, mentre la luce dell'esplosione lentamente mangiava ogni pezzo della creatura aliena, del suo inferno personale. Quando la strada terminò, si trovò di nuovo immersa nel buio e nella raccapricciante consapevolezza di aver completamente perso la strada.
« No... » -Da che parte, da che parte?
Freneticamente il suo cervello lavorò nell'adrenalina, per portarla fuori. Corse alla cieca, senza riuscire a trovare un sentiero. Dopo qualche secondo, si rese conto di aver girato in tondo. Lo scoppio si espandeva nella sua direzione, e lei era tornata a guardare la strada principale di Tokyo.
« No... Non può finire così... » -Non schiacciata dalla loro stessa esplosione. Si premette la bambina sul petto, e si accorse che dormiva beata. Forse era così, che Hotaru voleva morire. E forse così voleva morire anche lei. Forse era quello, il suo Destino, quell'istante infinito, in cui l'esplosione si prendeva i corpi e le case e le strade.
Forse era quella, la visione. La profezia. La fine. L'uscita. La morte. Il silenzio.
Ma Usagi non era mai stata una che se ne sta in silenzio. Voleva gridare, parlare, raccontare ancora mille e poi ancora mille storie. Voleva uscire per non essere mai più costretta a non riuscire a urlare. Perché il silenzio, per lei, significava essere da sola.
Ma tu non sei da sola.
I frammenti del suo cuore, le ali sfolgoranti delle sue farfalle la portarono in alto. Premette Hotaru sul suo cuore. E si sentì cadere.

*

È così che si sveglia, Usagi. Proiettando il suo corpo in avanti in una artificiosa posa di fuga, sbarazzandosi delle coperte, dimenandosi disperata. Immediatamente si porta la mano destra sul cuore, Usagi. Non per controllare che ci sia ancora, questo no, come potrebbe non esserci quando lo sente battere a un ritmo così folle e squilibrato? Per cercare di domarlo, piuttosto. Cerca di spostare anche la sinistra, Usagi, per sorreggere il petto. La trova incastrata nella mano di Mamoru, che in quel momento stesso spalanca gli occhi.
Basta un secondo occhi negli occhi a capire che ha vissuto il suo stesso incubo; la paura li corrode, li calpesta. Può sentire ancora l'acido in bocca, Usagi, il fetore nelle narici. Può ancora udire la lagna agghiacciante. E può ancora vedere, negli occhi di Mamoru, lo straziante spettacolo dell'inferno.
Restano così per lunghi minuti, Usagi e Mamoru. Occhi riflessi in specchi rotti, la mano di lui che tiene salda quella di lei, per non lasciarla precipitare nell'abisso; a muoversi per prima, poi, è Usagi. Fa un movimento quasi impercettibile, che chiunque altro riterrebbe insignificante ma che per Mamoru ha tutta la grazia, la dolcezza e la luminosità dell'amata. Stringe le dita sulla mano del suo adorato Mamo-Chan, Usagi. Piano, senza fretta, una alla volta, le piega tutte per chiudere nell'abbraccio amorevole della sua stretta la sua mano. 
È per terra, Mamoru. Solo il busto spunta grottescamente sul materasso, e pensa che debba essere una posizione davvero scomoda, Usagi. Ogni muscolo di Lui grida pietà, in effetti, per quella posizione ostica; ma non si sposta, Mamoru, e non si sposterebbe per tutto l'oro del mondo. Ha il suo trofeo, la mano di Usagi. L'ha presa, conquistata, l'ha raggiunta, l'ha illuminata. E di sicuro non la lascerà andare facilmente.
Nessuno dei due proferisce parola.
Semplicemente adesso non hanno importanza, semplicemente adesso c'è il silenzio.
Non è il silenzio delle aspettative, quello che grava sulle loro spalle. Non è nemmeno il silenzio delle attese. Non è il silenzio dei colpevoli, non è il silenzio della morte, e non è neppure il silenzio di una verifica. Non è un silenzio comune, quello che esiste in quell'istante. È un silenzio che racchiude tutte le parole che non si sono detti in quei giorni, un silenzio che chiede di non dimenticare Hotaru. Un silenzio che chiede di non dimenticare e basta. È un silenzio che parla fin troppo forte, e con parole troppo forti per pensare anche solo per un istante di essere interrotto. E infatti, per lunghi minuti, entrambi temono quasi di vibrare, temono quasi di incrinarlo per errore, perfino il respiro sembra profanare la sacralità di ciò che quel silenzio sta cercando di dire, soffocando.

*

« Mamo-Chan? » -Chiama con un certo timore Usagi, dalla cucina. L'orario è poco importante, anche se è discretamente tardo; entrambi hanno fame.
« Sì, cosa c'è, Usako? » -Il suo tono è tornato luminoso. Il legame è tornato ad esistere, debole connessione fra due corpi. Ha fiducia, Mamoru, perché lo nutrirà con gentilezza. Perché se ne prenderà cura.
« Non riesco ad arrivare al sale e... » -Si blocca, Usagi, e si irrigidisce quando un trillo rompe il silenzio della casa. Credeva di essere uscita, credeva di essere fuori, Usagi, invece il sordo terrore le accappona la pelle quando sente il suono stridulo del campanello. Deve ancora placare il respiro, ancora controllare il battito del suo cuore prima di essere pronta ad affrontare la porta chiusa, Usagi. Arriva alla maniglia quasi contemporaneamente a Mamoru; l'afferra con dita tremanti, Usagi, davanti agli occhi immagini di Naru con gli occhi vuoti, con la bocca impastata di sangue. Quando tira verso di sé, però, non c'è niente di spaventoso o di innaturale nelle quattro ragazze che la fissano da dietro un piccolo pacchetto di quelli che devono essere dolci, ipotizza Usagi.
« Uh, è davvero come sembra? » -Dice Minako, vedendola completamente imbrattata di farina. 
Restano tutte sulle scale, a guardare dentro la casa. È paralizzata, Usagi. Rei ha messo a letto il nonno, e le altre l'hanno seguita sapendo precisamente dove sarebbe andata. Queste sono le tesi confuse, quel pacchetto è una torta al cioccolato, se la vuole è per lei. Le guarda ancora, Usagi, come se potessero dissolversi da un momento all'altro, sostituite dalla polvere, o come se potessero improvvisamente sputare quella pece nera, appiccicosa.
« Che... cosa? » -La cosa più difficile è vedere Minako seria. Quando succede, la sua bocca scivola in un'espressione accigliata, e sembra molto più alta di quanto sia in realtà. Sembra anche esausta. Sembrano tutte davvero esauste. Riesce solo a pensare a quel Dentro, Usagi, e il momento è di silenzio di nuovo. Si chiede se alle altre sembra persa nei ricordi oppure solo un po' stralunata, un po' sbalordita. Rei si prende la parola.
« Non devi parlarcene, se non vuoi... » -Ridacchia, ma il suono è troppo soffice. Le dita corrono a toccare la spalla della ragazza. C'è una sorta di durezza in quella stretta, nel modo in cui la stringe. Poi fa un passo indietro- « Ci dispiace di non essere state abbastanza forti, Usagi-Chan »
« No, non dovete rimproverarvi » -La voce esce ruvida e la stessa Usagi se ne sorprende- « Non siete voi... Sono io. Io sono il problema. Non sono forte abbastanza, e a volte... credo di sapere dov'è Hotaru, altre volte no. Non sono... Abbastanza forte, i ricordi sono troppo spaventosi, e vecchi, e nuovi, e la testa non smette di girarmi e- sono io, Rei-Chan. Non è colpa di nessuna di voi. »
Makoto le afferra la mano.
« No » -Dice solo quello, e poi sorride- « Non è colpa tua. Risolveremo questa cosa insieme. Lo promettiamo, tutte, promettiamo che riusciremo a risolverla. »
La sua voce è ferma e sicura, e si sente cominciare a tremare, Usagi, il suo sguardo cade e fissa la mano di Makoto sulla sua. Minako le prende il braccio, entra in casa e la guarda. La seria fermezza nei suoi occhi l'intimorisce, Usagi.
« Non ce ne staremo fuori a guardare. »
Si allunga in avanti, Usagi, mentre Minako preme la testa contro la sua, tenendosela vicina vicina, stretta. Per non lasciarla andare. È allora che le altre ragazze entrano in casa, e si uniscono a loro. Makoto la abbraccia di lato, e preme le labbra contro la sua guancia. C'è Ami, poi, che se ne sta un po' in disparte, solo una mano sulla spalla di Usagi e il suo sguardo fisso e soffice, e Rei. Le braccia di Rei l'avvolgono quasi completamente. Intorno al petto, da dietro, Mamoru abbraccia la sua schiena e lascia giacere la sua testa contro l'incavo del suo collo.
C'è calore, tepore, e luce. Ci sono le farfalle. Il nodo si scioglie.
Ed è così che finalmente comincia a piangere, Usagi.

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