Amore Illegittimo

di Talulah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Drury Lane ***
Capitolo 2: *** Passeggiata a St James's Park ***
Capitolo 3: *** Una proposta indecente. ***
Capitolo 4: *** Di dubbia morale ***
Capitolo 5: *** La Via del Peccato ***
Capitolo 6: *** Danze dall'Inferno ***
Capitolo 7: *** A caccia di fanciulle ***
Capitolo 8: *** Le Patronesse ***



Capitolo 1
*** Drury Lane ***


                   Capitolo I

                                Drury Lane

 







Londra, 1812.
 
Mi guardai. Cosa vedevo? Cosa vedevo in quello specchio? L’immagine di una bella donna. Donna. Sapevo di non potermi ancora considerare tale. Ero ancora una ragazzina. A breve avrei compiuto diciannove anni. E a volte mi sembrava di averne dieci, altre quaranta. Ero solo una ragazzina, per l’amor del Cielo.. O almeno mi sentivo tale, ma c’era chi non la pensava come me. Persone come la duchessa, la mia tutrice, che aveva il compito di pensare e badare a me. La duchessa de Polignac. Una delle più grandi amiche di mia madre, Maria Antonietta. Io, la ragazza che si fissava intensamente in quel prezioso specchio ovale, cercando se stessa, ero una figlia illegittima. Lo seppi il giorno dei miei diciotto anni, come regalino di compleanno e, ovviamente, nessuno lo sapeva. Solo io, mia madre e la duchessa, Gabrielle, anche perché la cosa non sarebbe stata vista di buon occhio dall’alta società, quindi il resto del mondo sapeva solo che ero una trovatella che la duchessa aveva deciso di accudire. Ero sempre stata cresciuta in una gabbia dorata, protetta da tutto e da tutti. E ora era arrivato il momento di debuttare in società, e d’ingrandire la mia gabbia. Scossi la testa per allontanare quei pensieri nati solo per mettermi insicurezza. Guardai il ripiano di marmo bianco del mobiletto, e presi la mia spazzola dal manico d’argento, un piccolo pensiero di mia madre. Anche se non avevo avuto la possibilità di crescere con mia madre al mio fianco, lei c’era sempre stata, anche se a modo suo. Era una donna buona e stravagante, con un carattere e un modo di pensare tutto suo. Grazie al suo aiuto avevo avuto un eccellente istruzione che adesso mi sarebbe stata d’aiuto per poter sposare un uomo di buona, anzi ottima dinastia, a detta di mia madre. Guardai il vestito che avevo scelta per la serata. Bustino molto aderente di seta blu scuro con maniche a tre quarti e una profonda scollatura ovale, contornato da pizzo bianco, per poi finire in una lunga gonna a pieghettature di seta blu scuro e di un  pregiato tessuto che dava sull’azzurrino. Mi piaceva. Una voce interruppe i miei pensieri, riportandomi nella mia bella camera.
<< Vostra grazia! >> la mia cameriera, Eveline.
Sentii un lieve bussare incerto alla porta.
<< Avanti Eveline! >> dissi sorridendo, guardando la porta.
<< Vostra grazia.. >> cominciò, per poi bloccarsi di colpo, spalancando leggermente gli occhi e socchiudendo le labbra. Le mie sopracciglia si arcuarono e il mio viso assunse un espressione dubbiosa. A questa mia reazione Eveline arrossì vistosamente per poi abbassare il capo. Incerta poi continuò, << perdonatemi Vostra grazia, ma se posso permettermi, questa sera siete davvero splendida >> disse frettolosamente e bloccandosi incerta e timorosa, per paura di una mia reazione, per poi continuare << la duchessa mi manda a chiamarmi Vostra grazia. >> concluse, rossa in volto, con il respiro affannato e lo sguardo basso.
Quella situazione mi divertiva. Era piacevole fare impressione su qualcuno. Eveline era nuova, ed era la mia cameriera personale a tempo indeterminato, o meglio fino a quando non sarei rimasta a Londra, per la Stagione. Sorrisi ad Eveline. << Grazie Eveline, accompagnami all’uscita. >> le dissi.
La ragazza si fece ancora più rossa. << Subito Vostra grazia >> disse prendendo la mia pochette e il mio scialle, che mi mise sulle spalle con mani delicate e dita fin troppo tremolanti. Eveline si avviò alla porta, l’aprì tenendo il capo basso e mi fece passare per prima. Camminammo lungo i corridoi di quella grande e lussuosa casa. Eveline camminava 3 passi dietro di me. Scendemmo le scale, per poi proseguire lungo un corridoio. Arrivammo all’entrata e io vidi subito la mia tutrice che mi aspettava. La duchessa era una donna dall’innata grazia e bellezza, strana quasi quanto mia madre nel comportamento, ma in modo differente. Quando sentì il rumore dei tacchi sul pavimento di marmo si girò verso di noi, verso di me, con un espressione di disappunto. Ma appena mi vide, un sorrisetto le si dipinse sul volto.
<< Splendida, cara. Davvero splendida. Ma del tuo ritardo non posso dire altrettanto. >> disse con severità e una punta d’irritazione.
<< Desolata, Madame. Non era mia intenzione arrecarvi fastidio. >> dissi facendo un leggero inchino, per poi rimettermi ritta e fiera, puntando il mio sguardo fiero e orgoglioso nel suo.
<< Nessun fastidio cara, ma adesso sbrighiamoci, è già tardi. >> disse, lanciandomi una frecciatina.
Sorrisi e mi affrettai ad uscire dalla casa, rabbrividendo per la fresca aria notturna londinese. Un valletto, prontamente aprì lo sportello della carrozza, chinando il capo e salutando me e la duchessa con il solito e quasi noioso << Vostra grazia >>. Entrammo nella carrozza, e fui felici di avere qualcosa che potesse ripararmi dal vento freddo.
<< Davvero un ottima scelta cara, non mi hai deluso. Sei meravigliosa questa sera. >> mormorò la duchessa con un lieve sorriso, guardando fuori dal finestrino.
<< Mille grazie, Madame. Anche voi siete molto bella questa sera. >> ed era vero. Aveva un vestito semplice, verde scuro, ma con la gonna molto pomposa, e una scollatura quadrata che le donava molto, e quel colore risaltava molto la sua carnagione e il suo colore di capelli.
<< Grazie cara, ma questa sera la protagonista sarai tu >> disse voltandosi a guardarmi, con un sorriso che si allargava piano piano, mettendo in evidenza quelle perle bianche e perfette che erano i suoi denti. Arrossii leggermente ma non abbassai lo sguardo, continuando a fissarla, fino a quando lei continuò, << Questa sera a teatro ho saputo che ci sarà un’ospite molto importante >> disse raggiante.
<< Chi Madame? >> chiesi, più per dovere, che per sincera curiosità.
Evidentemente felice che io le avessi retto il gioco, mi rispose con un’ilarità che stentava a contenere << Il Granduca di Russia! L’erede al trono, il futuro Zar! >>
Sbigottita mi girai verso la duchessa. << Che cosa? >> Il Granduca? A Londra?
Versi ilari di pura gioia provenienti dalla composta duchessa riempirono l’abitacolo, << Proprio così, cara! Potrebbe essere la nostra preda principale, per il tuo futuro matrimonio! >> disse eccitata all’inverosimile. La cosa comunque mi sembrava improbabile. Aleksej Ivan Miroslan Nikolaevic Romanov, futuro Zar a Londra. Era una delle prede più ambite dell’alta società. Divinamente bello, divinamente ricco, divinamente irraggiungibile. Si diceva che fosse stravagante. Ovviamente, divinamente stravagante. Avevo sentito parlare spesso dello zarevic. Ragazze che desideravano conoscerlo, parlarci, o perfino danzare con lui. Non riuscivo a credere che fosse a Londra. Ma comunque il Granduca era destinato ad un brillante matrimonio, con una ragazza di sangue più che nobile e soprattutto, che fosse una figlia legittima. Lui era il Granduca, e io ero solo una ragazza nobile come tante, per di più illegittima, considerata trovatella. Un matrimonio fra me e lo zarevic mi sembrava davvero improbabile. La duchessa continuò con la sua fin troppo ottimistica gioia.
<< Sarebbe fantastico, non trovi cara? >> disse con un enorme sorriso, che venne subito sostituito da un espressione imbronciata e corrucciata, << ma purtroppo si dice che questa sera il Granduca non sarà da solo >> disse concludendo con un espressione triste, con una vena di disappunto.
Appunto. In giro si diceva che lo zarevic fosse un libertino, decisamente poco selettivo.. Ma se la memoria non mi ingannava doveva avere circa ventitré anni, quindi prima o poi avrebbe dovuto sposarsi anche lui e chissà che la nobildonna che aveva come compagna per quella serata non fosse proprio la futura imperatrice. Ero curiosa – e anche se mi infastidiva ammetterlo, perfino eccitata – di vedere lo zarevic di persona, volevo constatare se le voci che lo elogiavano a mio parere in modo troppo esagerato, fossero davvero tali.
<< Tranquilla cara, non tutto è perduto comunque. Sento che sarà una serata diversa questa e la presenza dello zarevic conferma le mie sensazioni >> disse sorridendo.
La carrozza si arrestò, e in quei pochi secondi io e la duchessa ci guardammo intensamente negli occhi e in lei vidi qualcosa di diverso, troppo per essere identificato in quei pochi secondi. Infatti dopo pochissimo, un valletto venne ad aprirci lo sportello della carrozza, inchinandosi rispettosamente. Uscii aiutata dal valletto, e mi strinsi nel mio scialle di seta per il freddo vento. Dopo poco ebbi al mio fianco la duchessa e di fronte a me il Theatre Royal Drury Lane. Cominciammo ad avviarci all’entrata salutando conoscenti che si attardavano fuori dal teatro ancora per qualche attimo. Percorremmo i corridoi che portavano alla platea, fino a raggiungere i nostri posti. Ci sedemmo e attendemmo che lo spettacolo ebbe inizio. Mi accorsi che alcuni posti a fianco a noi erano vuoti. Lanciai uno sguardo interrogativo alla mia tutrice.
<< Oh cara, non te l’ho detto? Non siamo sole questa sera >> disse con un sorriso.
<< Ah, davvero. E chi ci terrà compagnia questa sera, Madame? >> chiesi, anche se la risposta mi era indifferente.
<< Lady Louisa FitzPatrick e sua figlia Lady Jessica FitzMaurice, cara. Ricordi, la marchesina? >> chiese, voltandosi a guardarmi con un sorriso.
<< Si, ricordo Madame. >> dissi sorridendole a mia volta.
La nostra conversazione finì lì e così io ebbi modo di pensare. Ma l’unica cosa che occupava la mia mente era una persona. Il Granduca, la preda più ambita per la caccia al matrimonio. Ero elettrizzata al pensiero di poter finalmente vederlo di persona.
<< Cara non saluti Lady Louisa e sua figlia? >> mi riportò bruscamente alla realtà la voce stizzita della duchessa.
Mi voltai di scatto, per rendermi conto dell’effettivo arrivo delle due donne. Velocemente, mi alzai e mi apprestai a salutare le nuove arrivate.
<< Perdonate la mia distrazione Marchesa, questa sera non so proprio dove ho la testa. >> dissi con un sorriso.
La marchesa sorrise comprensiva, prendendo posto insieme alla figlia.
<< Siete scusata, Vostra grazia. Siamo tutte molto elettrizzate per l’importante ospite di questa sera >> disse gioiosa.
Sorrisi di rimando, ma quando sentii un lieve battere sul braccio, mi girai verso la giovane Lady Jessica.
<< Siete splendida questa sera, Vostra grazia. >> disse con un sorriso, e delle guance paffute e rosse.
<< La ringrazio, ma la prego, di chiamarmi Dominique >> dissi con un sorriso, << almeno fra di noi >> dissi.
<< Va bene >> disse fermandosi incerta, e arrossendo ancora di più << Dominique >>. Ci scambiammo uno sguardo d’intesa e in quei pochi secondi ebbi modo di studiare meglio la marchesina. Era piuttosto paffutella e il suo seno era molto abbondante, come potevo vedere dall’attillato vestito che indossava per la serata. Un seno decisamente troppo grosso per i dettami della moda. Aveva luminosi e gentili occhi verdi, e capelli riccioluti neri coma la pece. Aveva una pelle molto pallida, ma per sua fortuna le sue guance erano rosse proprio come le labbra, piccole, carnose e a forma di cuore. Il vestito color prugna che indossava le donava. La conclusione fu che Jessica era una fanciulla molto graziosa.
<< Anche voi eccitate per stasera, Dominique? >> disse, felice e con gli occhi luminosi.
<< Molto, si >> dissi per poi ricordarmi l’educazione e aggiungere, << e voi? >>
Gli occhi della marchesina, se possibile divennero ancora più gentili << io non vi vedo molto elettrizzata Dominique, ma piuttosto annoiata. >> disse per poi arrossire di botto per la sua sfacciataggine.
Mi voltai a guardarla, ridendo lievemente. << PerdonatemiJessica, anche io sono piuttosto emozionata questa sera, ma sono molto pensierosa. >> dissi concludendo con un sorriso.
<< Il Granduca vero? Oh signorina, non sa quanto sono trepidante al pensiero di vederlo di persona! >> disse con un espressione sognante.
Le sorrisi sincera. Jessica era davvero adorabile. << Anche io lo sono,Jessica! Peccato che non si sappia molto sul suo conto, se non che sia un inguaribile libertino. >> dissi corrucciata.
La marchesina si girò a guardarmi con una malizia e una gioia nello sguardo, che di innocente avevano ben poco. << Oh, ma io so di più signorina! Qualche settimana fa, mia madre invitò alcune sue amiche per il the! E io passavo nelle vicinanze del salone, quando ho sentito che parlavano proprio del Granduca.. >> disse mordendosi il labbro, con gli occhi sempre più luminosi.
<< Avete origliato, signorina? >> le chiesi con un sorriso furbo.
La marchesina arrossì vistosamente, << Oh signorina, origliare è un termine così sgradevole. >> disse facendosi aria con la mano e facendomi un sorriso nervoso per poi riprendere a mordicchiarsi il labbro.
<< Ma è il termine più appropriato, signorina. >> le dissi con un sorriso che si allargò quando la vidi bloccarsi di colpo alla mia sfacciataggine. Ci fissammo, e poi ridemmo divertite.
<< Ma visto che ormai il peccato è stato compiuto, le andrebbe di condividere il mio segreto? >> chieseJessica, con un sorriso raggiante.
<< Non aspetto altro, Jessica>> le dissi avvicinandomi di più a lei, contenta di aver trovato un amica.
La marchesina mi fece un radioso sorriso e contenta, cominciò a raccontarmi del Granduca. << Da quello che ho capito signorina, il Granduca è stato in giro per il mondo negli ultimi due anni, lasciando la sua amata Russia. L’Imperatore non si è opposto più di tanto a questo suo viaggio, esortato dall’Imperatrice che fosse una buona idea per arricchire la cultura del giovane Granduca. Comunque, si dice che dopo questa visita a Londra per la Stagione, lo zarevic ritorni in Russia, poco prima del suo ventiquattresimo compleanno, che verrà festeggiato con una grande e sfarzosa festa! >> disse contenta di parlare del suo evidente bel principe dei sogni, << ma non è tutto signorina! Da alcune fonti ho saputo che lo zarevic si diverte ad organizzare intrattenimenti dissoluti nelle sue case! Incredibile, vero? >> disse, ad occhi sbarrati mordicchiandosi il labbro.
<< Intrattenimenti dissoluti? Sapevo che fosse un libertino, ma non avevo idea.. >> dissi, incredula.
<< Si signorina! Anche io sono scioccata! Comunque questa sera non sarà da solo! E probabile che abbia scelto la futura zarina! Da amici di amici sono venuta a conoscenza che la dama che sarà in sua compagnia questa sera sia un arciduchessa! Ovviamente solo il meglio per il futuro Imperatore >> disse sconsolata, e con un espressione triste, continuando a torturarsi il labbro.
<< E cosa si potrebbe pretendere dal futuro zar, cara? Vi aspettavate una nobile qualunque? Visione piuttosto ottimistica la vostra,Jessica. >> dissi, con un sorriso incerto.
La marchesina arrossì colpevole di quelle speranze, come una bambina che era stata beccata a rubare le caramelle. Sorrise. << Avete ragione voi, Dominique. L’essere fin troppo ottimistica è un mio punto debole. Ma in fondo sapevo di non avere possibilità con il Granduca.. >> disse con un sorriso pensieroso, << beh però posso ancora sperare di poterlo incontrare ad un ballo e danzare con lui! >> disse, sognante.
Risi. Quella ragazzina era davvero adorabile.
<< Quanti anni avete, Jessica? >> chiesi, pur sapendo di poter sembrare scortese.
<< Non è buona regola d’etichetta chiedere l’età ad una signora, Dominique. >> rispose Jessica, fintamente indispettita, con gli occhi divertiti.
<< Ma la curiosità non è peccato, mia cara >> le risposi, sorridendo maliziosa.
<< Dipende da quale punto di vista la vedete, signorina. >> rispose prontamente, senza più nessuna traccia d’ingenuità.
Le rivolsi uno sguardo ammirato. << Sagge parole,Jessica. E voi? Che cosa intendete per peccato signorina? >> le chiesi, interessata e maliziosa.
La marchesina sorrise furba e maliziosa, mentre arrossiva vistosamente. << Ho diciassette anni, Dominique. >> mi rispose infine, sorridendo.
Continuai a fissarla divertita, fino a quando una voce non ci interruppe.
<< Questo si che è peccato, mia bella marchesa >> ci girammo entrambe di scatto per osservare il nostro inopportuno ascoltatore.
Le mie sopracciglia si arcuarono di disappunto.
<< Julian >> disse la marchesina con un lieve sorriso e le guance imporporate.
<< Jessica>> disse con un sorriso sincero, << sempre più graziosa vedo >> disse, prodigandosi in un baciamano da vero galantuomo, << non mi presentate la vostra amica? >> chiese il giovane.
<< Oh perdonatemi. Julian, lei è la duchessina de Polignac. Dominique, mi permetta di presentarvi il duca di Devonshire >> disse timida, sorridendo.
<< Onorato di fare la vostra conoscenza, Vostra grazia. Ho già sentito parlare di voi, e i pettegolezzi per una volta erano giusti. Siete magnifica >> disse percorrendo la mia figura con un intenso sguardo di apprezzamento.
<< Mille grazie, Vostra grazia. Anche io ho sentito parlare di voi, e sapevo della vostra presenza a Londra. La vostra fama vi ha preceduto >> dissi sorridendo.
Il giovane rise ed io lo guardai meglio. Era un ragazzo alto, dalle spalle larghe, e un fisico asciutto e ben delineato da quello che potevo capire. Aveva dei capelli castani mossi, portati a caschetto, e degli impertinenti e vivaci occhi grigi. Era davvero un bel ragazzo, e non sembrava come il padre, che mi avevano descritto come un poco di buono. Ma, si sa, che non si deve mai giudicare un libro dalla copertina. Il giovanotto aveva una fossetta sulla guancia sinistra, labbra giustamente proporzionate rispetto al viso, che quando rideva mostravano una fila perfetta di denti bianchi e dritti.
<< Sono lieto di aver fatto la vostra conoscenza Vostra Grazia, e desolato di essere talmente tanto curioso da non aver fatto a meno di ascoltare il vostro discorso >> disse, fintamente dispiaciuto, con un sorriso e sguardo malizioso e divertito.
<< Desolato eh? Ma la prego Vostra Grazia, mi chiami Dominique >> dissi sorridendo.
<< Acconsento solo se voi mi chiamerete Julian, Vostra grazia >> disse sorridendo gentile.
<< Bene, Julian >> dissi, facendo un lieve sorriso e arrossendo leggermente.
Il giovane duca ricambiò il sorriso per poi continuare, << ho sentito che parlavate del Granduca prima >>  disse, preferendo evitare l’ultimo argomento alquanto poco signorile che si stava affrontando. Saggio.
<< Bravo Julian, sei un ottimo spione >> disse la marchesina, per poi ridere vedendo il duca arrossire vistosamente.
<< E’ una delle mie grandi e tante doti, mia cara Jessica>> rispose a tono il duca, facendo arrossire la marchesina per la malizia contenuta in quell’affermazione, << comunque anche io ho saputo che il Granduca presenzierà allo spettacolo di questa sera e sono curioso quanto voi di vederlo >> concluse pensieroso il giovane.
<< Ma non l’avevate già incontrato voi, Julian? >> chiese incerta la marchesina.
<< Vero mia Jessica, non vi sfugge niente vedo >> disse sorridendo facendo arrossire la ragazza, << comunque si, l’avevo già incontrato in Francia ad una cena a cui partecipava anche lui, ma purtroppo è rimasto molto poco alla serata, e non hanno neanche avuto modo di presentarmi a lui >> disse corrucciato, << peccato però, perché sarebbe stata una bella opportunità. Ma a quanto pare al nostro giovane zarevic non piace molto la vita in società. O almeno non quei tipi di intrattenimenti.. >> disse lanciando un eloquente occhiata alle due ragazze.
<< Ma allora l’hai visto! E dimmi Julian, lui come è? >> chiese infervorata e sognanteJessica.
<< Non credo di essere la persona adatta per descrivervelo, signorina >> disse il giovane duca, lanciando un occhiataccia alla marchesina che subito sbigottita, arrossì fino alla radice dei capelli, ricominciando la tortura al suo povero labbro.
Sia io che il giovane duca ridemmo, mettendo ancora più in imbarazzo la giovane marchesa che ormai cercava disperatamente di sprofondare nella poltrona. All’improvviso però la luce della platea cominciò ad affievolirsi, segno che l’opera stava ormai per cominciare.
Preoccupata, la marchesina chiese << dite che verrà? >>
Ma Jessica fu interrotta mentre stava per specificare chi. Tutto il teatro ferveva di eccitazione, ma poi il fervore si intensificò. Un piccolo movimento fece dirigere gli sguardi di tutti verso uno dei migliori palchi, verso una splendente nobildonna, e un magnifico gentiluomo.
“ Lo zarevic! “ sussurrò qualcuno, “ è arrivato finalmente!”
Un silenzio stupefatto e incantato accolse la loro entrata, e dopo pochi minuti mormorii, bisbigli e sospiri sognanti riempirono la sala.
<< Santo Cielo.. >> sentii mormorare il giovane duca che come noi era rimasto incantato dalla coppia, << quella è l’arciduchessa Adelaide di Baviera.. >> disse stupefatto, << evidentemente il bel principe ha scelto la sua principessa.. >> bisbigliò, continuando a guardare la coppia..
Il teatro sprofondò nel silenzio, tutti erano impegnati a non perdere neanche un attimo di quel raro momento. Lo zarevic si avvicinò lentamente alla sua dama, per poi prendere la sua mano e portarla alle labbra con una naturalezza così elegante e perfetta da essere disarmante. Osservai la scena con una punta di invidia e triste desiderio. Quanto le sarebbe piaciuto ricevere un baciamano così regale, così perfetto, sarebbe stato un sogno se un gentiluomo l’avesse guardata con quell’emozione unica trasmettendole quell’attaccamento profondo. Sarebbe stato il sogno di tutte.. Avevo avuto molti corteggiatori essendo di ricca e nobile famiglia, ma mai nessun uomo mi aveva trattata come il Granduca stava facendo con la sua dama. Che signora fortunata, pensai con la triste invidia che si acuiva sempre più.
Non saprei ben dire quanti cuori sognanti infranti ci furono a teatro quella sera..








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Grazie per aver letto il primo capitolo di questa storia così importante per me :) spero che vi sia piaciuto e che continuerete a seguire la storia! Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate :)

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Capitolo 2
*** Passeggiata a St James's Park ***


 Capitolo II

       Passeggiata a St James’s Park

 















Dopo che lo zarevic e l’arciduchessa si misero a sedere ai loro posti, ci fu una calma fittizia nella sala, probabilmente un po’ tutti erano persi nei loro pensieri, presumibilmente sull’evento appena accaduto, sul Granduca.. Lo spettacolo cominciò, ma io non riuscii a seguire nulla della rappresentazione, le parole degli attori mi arrivavano vuote e prive di significato, quasi ovattate, vedevo le loro labbra muoversi ma la mia testa era da tutt’altra parte. Mantenere la testa dritta per cercare di guardare il palco mi era difficilissimo. Qualcosa mi spingeva costantemente a voltare la testa verso uno dei migliori palchi, dove sedevano lo zarevic e la sua dama. Qualcosa dentro di me mi diceva che se mi fossi voltata a guardare sarebbe stata la fine di qualcosa. E io avevo paura, una paura folle ed irrazionale, ma si sa che è difficile resistere al peccato, e proprio come Eva cedette alla tentazione, lo feci anch’io, e lentamente voltai la testa in direzione del Granduca. Appena il mio sguardo si posò su di lui, sussultai – io o il mio cuore? – e cominciai a guardarlo. Non eravamo vicini, ma nemmeno molto lontani, e quindi lo osservai come meglio potevo.  Gli elogi a lui riservati tanto cantati dalle nobildonne non erano affatto esagerati, anzi. Anche da seduto si poteva dedurre quanto fosse smisuratamente alto, e le sue enormi spalle avrebbero dovuto far sentire al sicuro qualsiasi signora. Anche se era grande e muscoloso, aveva lineamenti eleganti, proprio come il suo modo di fare. Portava i capelli lievemente spettinati, di un biondo magnifico che sotto la luce soffusa e leggera delle candele, davano in alcuni punti un colore quasi sul rossastro. Dotato di un viso a cui neanche la poesia più sublime avrebbe potuto rendere giustizia, aveva magnifici occhi azzurri, che da questa distanza potevano anche sembrare di ghiaccio. Da quello che potevo vedere aveva una pelle lattea, e labbra decisamente molto carnose, forse più adatte ad una donna, ma che completavano l’immagine di quel viso perfetto. Con la sua sola presenza sembrava aver riempito il palco e non solo per la sua enorme stazza e statura, ma anche per l’aura che sprigionava. Sembrava fosse indifferente a tutto, quasi annoiato, aveva un espressione impassibile e lo sguardo puntato sugli attori. Vidi distintamente l’arciduchessa voltarsi verso lo zarevic rivolgendogli un dolce sorriso e dirgli qualcosa. Il Granduca posò lo sguardo verso la bella fanciulla rispondendogli con l’ombra di un sorriso, dicendo qualcosa muovendo le sue belle labbra così allettanti da portare alla perdizione anche la più pura delle signore. A quanto pareva il loro scambio di battute finì e proprio quando lo zarevic stava per rivolgere nuovamente il suo guardo e la sua attenzione agli attori, forse il Destino, forse la pura casualità, fece posare lo sguardo del Granduca proprio sul palco in cui sedevo io, e non saprei ben dire se si trattasse di fortuna o sfortuna, ma lo zarevic si accorse del mio sguardo posato su di lui e fissò i suoi occhi proprio su di me. Il mio cuore batteva impazzito, ne sentivo il sordo rimbombo direttamente nelle orecchie, ed era talmente tanto forte che temetti che le mie vicine di posto potessero sentirne il rumore, lo sentivo premere furiosamente contro la cassa toracica, come se volesse schizzare fuori. Sentivo di avere il viso in fiamme e ringraziai mentalmente la penombra che offuscava il mio viso. Una parte di me non vedeva l’ora che il Granduca rivolgesse la sua attenzione altrove per porre fine a quella tortura, l’altra parte di me invece, quella più peccatrice e impura, sperava che quel momento non finisse mai. Forse fu solo la mia immaginazione, ma vidi lo zarevic contrarre lievemente le sopracciglia e fare qualcosa di molto simile ad un sorriso. Sentii tirarmi per il braccio.
<< Oh mio Dio Dominique! Mi sbaglio o lo zarevic sta guardando proprio qui? >> mi chiese al massimo dell’ansia e dell’agitazione Jessica continuando a strattonarmi lievemente il braccio.
<< Non sbagliate, Jessica >> dissi, con il respiro leggermente affannato, distogliendo la sguardo da quella piacevole tortura per puntarlo dritto in quello della mia nuova amica. Ero scossa.
<< Oh santo cielo! E perché guardava qui?! >> disse, e vedendola con il respiro un po’ troppo affannato, mi preoccupai che non stesse per avere un infarto.
<< Puro caso, Jessica >> le risposi trovando poi il coraggio per voltarmi nuovamente verso lo zarevic. Tutto tranquillo, come se nulla fosse successo. E in effetti non era successo nulla. Il Granduca era tornato a rivolgere la sua attenzione agli attori.
Con il respiro ancora un po’ affannato, la marchesina mi rivolse uno sguardo incerto. Ci fissammo cercando entrambe risposte dall’altra, risposte che nessuna di noi due poteva e sapeva dare. All’improvviso ci rendemmo conto dell’assoluto silenzio che si era creato nella sala. L’opera era finita, ma nessuno si permetteva a battere le mani, senza prima aver visto una reazione dallo zarevic, che fosse positiva o negativa. Il Granduca si alzò lentamente dalla sua poltrona e cominciò a battere le mani, seguito subito dopo da tutto il pubblico. Io e Jessica ci alzammo dopo e molto più lentamente degli altri cominciando a battere le mani. Dopo poco però, gli applausi finirono, e lo zarevic rivolgendo un lieve sorriso alla sua dama, si apprestò a dirigersi all’uscita accompagnato da alcuni suoi servi, peccato che una folla di nobildonne e gentiluomini gli si fermarono d’avanti, ostruendogli il passaggio e costringendolo a fermarsi per più della sua volontà.
Due mani delicate si appoggiarono sulla schiena mia e di Jessica. Ci voltammo nello stesso istante, trovando il bel duca sorridente.
<< Mie belle signore, piaciuto lo spettacolo? >> chiese il duca rivolgendosi ad entrambe.
In risposta gli feci un sorriso.
<< Abbastanza, ma non l’ho seguito granchè in realtà.. >> rispose Jessica cominciando ad arrossire, << ero concentrata su altro.. >> concluse vaga.
Feci una risatina, mentre Julian ci guardava con un espressione da bambino perso e confuso.
<< Comunque, dovete sapere che l’arciduchessa è una mia vecchia conoscente. Stavo pensando di andare a salutarla, ma vorrei portare al mio braccio una giovane e avvenente fanciulla >> disse con un sorriso malizioso, squadrando la mia figura.
Jessica, che evidentemente non aveva capito le preferenze del giovane duca, disse << Oh, Julian vi accompagno io! Voglio poterlo vedere da vicino! >> disse sognante con gli occhi luminosi.
Julian le rivolse un sorriso comprensivo annuendo, << ma certo Jessica, sarà un piacere >> disse facendola arrossire fino alla punta dei capelli, per poi rivolgersi a me, << Dominique, se lo desiderate potete venire anche voi >> propose con un sorriso il bel duca.
<< Oh si Dominique venga! Mi farebbe piacere avere un’amica vicino in questo particolare momento! >> disse, con le mani congiunte, occhi grandi e luminosi e labbro inferiore sporgente.
La guardai con un sorriso divertito e una risata che a stento riuscii a trattenere, e non solo perché stava parlando dell’ “avvenimento” come di un lutto, ma perché con quella faccia da cane bastonato avrebbe potuto convincere anche Napoleone a ritirarsi dalla guerra.
<< Perdonatemi, ma temo di dover andare. Sono molto stanca, e la duchessa de Polignac starà ormai cercandomi da un po’.. >> dissi con un sorriso dispiaciuto, << andate voi e divertitevi! >> dissi rivolgendo un sorriso sincero e felice ai miei nuovi amici.
La marchesina e il duca stavano per ribattere quando una voce stizzita li interruppe.
<< Dominique! E’ da una vita che ti cerco! Ma dove eri finita? >> mi chiese innervosita la duchessa.
<< Perdonatemi Madame, mi sono attardata a parlare con i miei giovani amici >> dissi, rivolgendo alla mia tutrice un sorriso di scuse.
<< Amici? >> chiese stranita, per poi continuare, << oh ma certo cara! Sono lieta che tu abbia fatto la conoscenza del duca di Devonshire! Ma dobbiamo proprio andare cara, si sta facendo tardi >> disse con un sorriso piuttosto nervoso, incitandomi a salutare il duca e la marchesina.
<< Bene, vi saluto miei cari amici! Spero di incontrarvi al più presto >> dissi sorridendo facendo una riverenza.
<< Domani! Domani al St James’s Park! Verrò io a prendervi con la mia carrozza >> propose con un lieve sorriso e un guizzo di speranza negli occhi il duca.
Guardai la duchessa de Polignac che, con un sorriso frettoloso, acconsentì.
<< Perfetto allora, domani andrà benissimo >> dissi con un sorriso sincero e contento.
Il duca arrossì lievemente sorridendomi, << Ottimo allora, domani mattina alle nove sarò dai voi, signorina >> disse continuando a fissarmi sorridendo.
Arrossendo lievemente,  ricambiai il sorriso facendo un leggero saluto con il capo, e mi congedai dai miei due nuovi amici. La duchessa camminava frettolosamente verso l’uscita, evidentemente desiderosa di raggiungere al più presto la carrozza, fermandosi a salutare dei conoscenti giusto il tempo necessario. Arrivammo alla carrozza e un valletto venne ad aprirci lo sportello, chinando rispettosamente il capo. Aiutò a entrare nella carrozza prima la duchessa e poi me. Rimaste sole nel fresco abitacolo, nessuna delle due disse niente. Mi aggrappai alla maniglia dello sportello, cercando un qualsiasi tipo di sostegno che potesse davvero essere tale. Avevo dentro di me una logorante sensazione di vuoto. Desideravo anch’io trovare un uomo che potesse farmi sentire una principessa, che mi guardasse come se fossi la cosa più preziosa al mondo. Non volevo un matrimonio di convenienza, volevo sposarmi per amore, non per un titolo nobiliare. Ma avrei mai trovato il vero amore? Quante giovani fanciulle erano state così fortunate da trovarlo in età da matrimonio? Sarei mai stata una di queste? E se così non fosse stato, ero veramente risposta a rinunciare ad un possibile matrimonio, probabilmente o forse no, felice? Solo per non avere trovato il vero amore? Ero disposta a rinunciare a tutto, ad un marito e a dei figli? Sapevo bene quale era la risposta. No. Ma se ero io ad avere fatto questa scelta, ad avere deciso, allora perché mi sentivo incredibilmente infelice?
<< Io proprio non ti capisco. Sei stata una pazza a non accettare l’invito della marchesina e del duca. Pazza.. >> disse con il viso indurito dal fastidio la duchessa de Polignac.
Con il cuore che batteva forte, mi voltai per guardare la mia interlocutrice. Fissava un punto imprecisato fuori dalla carrozza. Il troppo stress si accumulò, e mi fece rispondere con più nervosismo ed enfasi del dovuto.
<< Siete stata voi a portarmi via di tutta fretta! >> le risposi, alzando leggermente la voce, guardandola con occhi sbarrati e stringendo convulsamente la maniglia della carrozza.
La duchessa si voltò a guardarmi con occhi spalancati, e un sorriso stupefatto, << Menzogne cara, sono tutte menzogne e lo sai anche tu >> disse facendo una rumorosa risata sorpresa,<< dovresti ringraziarmi, sai? Ti ho salvato, ed è così che mi ripaghi? >> disse con un espressione divertita e stizzita allo stesso tempo, labbra socchiuse che mostravano l’ombra di un sorriso, o forse una smorfia, e sopracciglio arcuato.
<< Salvata? >> chiesi confusa, con la fronte corrugata.
<< Salvata, si! Dio, possibile che tu non capisca?! >> scattò innervosita per poi riprendere parzialmente la calma e continuare, << ho ascoltato quasi tutto il discorso fra te e i tuoi nuovi amici >> disse calcando sull’ultima parola con un sorrisetto divertito.
Innervosita dissi, << scortese da parte vostra, Madame. Origliare è un atto piuttosto sgarbato, non credete? >> dissi tagliente.
La duchessa mi squadrò da capo a piedi altezzosa e con il sopracciglio che ormai si congiungeva con l’attaccatura dei capelli, continuando come se io non avessi detto nulla, << Hai rifiutato tu stessa il loro invito, per chissà quale stupido motivo! Loro ti avevano praticamente invitata a stare a due metri di distanza dallo zarevic, con la probabilità di conoscerlo, e tu hai rifiutato! Pazzesco! >> disse stupefatta con una vena di rabbia, << non ti facevo così stupida! Non avevo nessuna fretta di andarmene! Proprio non riesci a capire, vero? >> disse guardandomi, divertita dalla mia ingenuità.
La guardai sempre più confusa, infastidita.
La duchessa rise, << Dio, l’ho fatto solo per te! Visto che avevi mandato all’aria la possibilità di incontrare lo zarevic, bisognava rimediare in qualche modo, cercando di salvare il salvabile! Così, dicendo che dovevamo affrettarci ad andarcene, ho messo alle strette il duca di Devonshire, che nell’incertezza ha preferito rischiare e invitarti a passeggiare con lui domani a St James’s Park! Avevo già notato che il duca provava un certo interesse nei tuoi confronti così ho cercato di riparare al danno che tu avevi fatto! Julian è un duca bello, giovane e di ricca famiglia! Potrebbe essere lui il tuo futuro sposo e senza di me non ti avrebbe invitata ad uscire con lui, perché sarebbe stato più calmo e avrebbe avuto l’impressione di avere più tempo >> concluse annoiata, riprendendo a guardare fuori dal finestrino.
Ero sorpresa. Non avevo fatto caso a nulla di tutto ciò, certo mi ero accorta dell’interesse di Julian nei miei confronti, ma non avrei mai immaginato che la duchessa avesse escogitato tutto. La guardai incredula. Avevo davvero sbagliato a non accettare l’invito di Julian ad avvicinarmi allo zarevic? Eppure in quel momento mi era sembrata la salvezza, come una via di fuga. Il pensiero di incontrare da vicino il Granduca mi provocava strane sensazioni oltre che sconvenienti palpitazioni. Forse avrei dovuto ringraziare la duchessa per quello che aveva fatto? Si, forse, ma non lo avrei fatto.
<< Vuoi rimanere zitella per caso? Non è una delle opzioni consigliabili, mia cara. Ti sposerai con un gentiluomo di ricca e nobile famiglia, e gli darai degli eredi. E’ così che andrà mia cara, che ti piaccia o no, che sia amore o meno, non ci sono altre possibilità. E io non ti sto costringendo, Dominique, lo sai bene. Perché non c’è nessun motivo per farlo. Tu sai meglio di me che lo farai di tua spontanea volontà. Forse non felice, forse fintamente contraria, ma lo farai >> disse voltandosi a guardarmi con uno strano sorriso, << lo facciamo tutte >>, concluse con un sospiro che non riuscii bene ad identificare quali emozioni portava con se.
Il peso e la veridicità di quelle parole mi colpì in pieno viso, come se avessi ricevuto un potente schiaffo. Era vero. Era tutto vero e non potevo negare nulla. Avrei rinunciato al vero amore per paura. Ma in questo caso la paura poteva essere considerata una saggia emozione? Senza di essa avrei rischiato di dedicare il resto della mia vita allo zitellaggio, cercando invano un amore destinato a non arrivare? Probabilmente, si. Allora era la decisione più saggia quella che avevo preso. E se era davvero così perché una parte di me urlava a squarciagola la sua disapprovazione per la mia scelta? C’era qualcosa in me che mi diceva che non si poteva rinunciare a vivere e a cercare la vera vita solo per la paura. Ma data la mia decisione, che comunque sapevo bene non sarebbe cambiata, cosa avrei fatto? Mi sarei limitata ad esistere e non a vivere? Era questo il mio destino? O forse sposando un uomo come Julian, l’amore sarebbe nato piano piano, e io avrei potuto avere la possibilità di avere un matrimonio felice? Ero confusa e non riuscii a trovare una soluzione a nulla. L’unica cosa che cambiò, fu che mi venne un terribile mal di testa. La carrozza si arrestò di colpo, e io guardavo ad occhi sbarrati ed espressione persa il mio bel vestito, che adesso per il mio stato d’animo, ritenevo in un qualche modo sbagliato. Presi a massaggiarmi le tempie, ma subito un valletto venne ad aprire lo sportello della carrozza. Mi ripresi e mi feci aiutare a scendere, per poi dirigermi a passo spedito verso la lussuosa e grande casa. Arrivata in cima alle scalinate, mi calmai e mi fermai, voltandomi lentamente verso la duchessa che si dirigeva con tutta calma verso le scale disponendo gli ordini ai servi per il giorno dopo. Appena mi vide ferma, con il viso arrossato e il respiro affannato in cima alle scale, si fermò anche lei a guardarmi, con un sorriso comprensivo e rassicurante.
<< Vi auguro una buonanotte Madame, e con il vostro permesso, mi ritiro nelle mie camere >> dissi con lo sguardo basso.
La duchessa annuì lentamente e io ripresi la mia corsa verso le camere. Ovviamente i servi che mi videro correre con il viso stravolto non fecero una piega. Eveline quando mi vide, mantenendo una distanza di sicurezza, si apprestò a seguirmi lentamente, silenziosa, paurosa di creare danno. Aprii velocemente la porta della mia camera, superai il salottino, e andai a sedermi sulla poltroncina d’avanti al mio specchio. Avevo lo sguardo basso e non riuscivo a guardarmi. Avevo voglia di piangere, ma non trovai nessun valido motivo per farlo, così le calde lacrime che avrei tanto voluto sentirmi scivolare silenziosamente sulle guance, non caddero mai. Eveline entrò silenziosamente nella stanza, sussurrando un << Vostra grazia >> sgraditissimo in quel momento. Non disse nient’altro e io non la guardai. Continuavo a fissare la gamba del mobiletto, con il respiro affannato, senza dare segno di averla sentita. Eveline si avvicinò silenziosamente a me, cominciando a togliere delicatamente le forcine dalla mia elaborata acconciatura. Tolte tutte le forcine i capelli caddero lungo la schiena. Eveline aveva un espressione sorpresa. Era la prima volta che mi pettinava lei i capelli, avevo sempre preferito farlo io, oppure a casa in Francia, adoravo che lo facesse la mia nounou. Eveline guardò estasiata i miei capelli di un biondo talmente tanto chiaro da avvicinarsi al colore dell’avorio, se non fosse stato per alcuni riflessi che davano sull’arancio. Nounou mi aveva sempre detto che i miei capelli erano magnifici, così ero arrivata al punto di crederlo anch’io e adesso mi ritenevo fortunata ad avere una così bella massa setosa che arrivava quasi fino alla fine del mio fondoschiena e che terminava in morbidi boccoli. Eveline prese la spazzola e cominciò delicatamente a pettinare. Tutto il malore che avevo dentro piano piano cominciò a dissiparsi, e io mi rilassai per tutta la durata dei soliti cinquanta colpi di spazzola. Alzai una mano e la scossi leggermente, e Eveline capì che bastava così. Mi alzai lentamente e andai al centro della camera. La giovane mi aiutò a slacciare il vestito e i nastri del corsetto, che caddero quasi contemporaneamente a terra. Rimasi in biancheria intima e mutandoni, che mi tolsi da sola, rimanendo così nuda. Mi voltai verso lo specchio, osservandomi, mentre Eveline rossa dall’imbarazzo teneva lo sguardo basso. Avevo preso molto da mia madre, a partire dai capelli così chiari per finire con il mio fisico. Ero alta e snella, con la vita molto stretta, lunghe gambe con cosce turgide e un seno prosperoso, che era considerato troppo grande per le misure stabilite dalla moda. Voltai la testa verso Eveline, sorridendole e facendole capire di prendere la mia camicia da notte. Dopo poco infatti sentii il tocco familiare della seta fresca contro la mia pelle. La mia giovane cameriera aveva scelto la vestaglia color pesca. Troppo stanca per fare un bagno rigenerante, mi feci fare una treccia veloce ai capelli e mi infilai nel mio comodo e grande letto vuoto. Sospirai con una nota di tristezza.
<< Grazie Eveline, puoi andare adesso. Domani per favore, svegliatemi alle sette >> dissi mentre la giovane spegneva le luci per poi fare una riverenza e chiudere delicatamente la porta. Rimasta sola con la Luna che dava una luce argentea alla mia grande camera, mi addormentai quasi subito, cadendo in un sonno profondo dove non esisteva niente se non il buio. La notte passò portandosi via le insolite emozioni della sera, e la Luna venne presto sostituita dal Sole, che quella mattina era offuscata da alcune nuvole di passaggio, che davano un aspetto incerto alla giornata.
Mi svegliai, con una luce arancione con sfumature rosa. Chiusi gli occhi cercando di rilassarmi, e crogiolandomi nell’illusione di poter rimanere ancora un po’ nel rassicurante calore del mio letto. Ovviamente mi sbagliavo e dopo poco infatti la porta si aprì silenziosamente lasciando passare per prima Eveline, seguita subito da due serve, venute per rassettare la camera che spostarono silenziosamente le tende per fare entrare più luce.
Eveline si avvicinò al letto, << Vostra grazia, sono le sette.. >> mormorò incerta la giovane.
<< Tranquilla, sono sveglia Eveline.. >> dissi sorridendo in un sussurro.
La giovane arrossì ma subito si riprese, scostando le mie lenzuola e aspettando che io mi alzassi. E così feci, svogliatamente ma decisa a cominciare bene la giornata. Le feci un radioso sorriso, cercando di provare ad avere seriamente un umore gioioso.
<< Bene, preparatemi il bagno, ho un appuntamento importante! E cominciate anche a prepararmi la colazione, la voglio pronta fra un’ora >> dissi felice, mentre le ragazze si apprestavano a fare quello che dicevo. Oggi sarebbe stata una bella giornata, doveva essere così.
Dopo poco il bagno fu pronto e con l’aiuto di Eveline che mi tolse la camicia da notte e mi slegò la treccia m’immersi nella vasca piena di oli profumati e acqua calda. Mi rilassai, facendomi lavare e massaggiare. Purtroppo dopo poco dovetti uscire, e le serve furono subito pronte a frizionarmi corpo e capelli con delicatezza, mi avvolsero un asciugamano intorno al corpo e mi portarono in camera dove mi vennero presentati tre vestiti tra i quali dovevo scegliere quello giusto per l’occasione. Uno grigio, uno lilla e uno verde pastello. Il lilla per l’umore che avevo e per il tempo incerto non andava bene, scartai anche il grigio, che con la luce bianca che c’era fuori a causa del Sole coperto mi avrebbe fatto sembrare un fantasma. Verde pastello, quindi. Perfetto. Scelto l’abito Eveline e un’altra serva si apprestarono a prendere della biancheria intima pulita e a mettermela, aiutandomi poi con i mutandoni e il corsetto. Venne poi il momento di indossare l’abito, che fu più semplice e veloce del previsto. Cominciarono ad acconciarmi i capelli, facendo una grande treccia che arrotolarono poi sulla nuca, lasciando libere delle ciocche che facevano da cornice al mio viso e che cadevano in morbidi boccoli lungo la mia schiena. Una volta finito, mi misero un velo di trucco e del colore sulle guance che adesso risaltavano maggiormente sulla mia pallidissima carnagione. A completare il tutto ci fu lo scialle di seta di una tonalità di verde più scuro rispetto al vestito e un cappello e l’immancabile pochette. Quando ebbero finito si allontanarono da me lasciando che mi osservassi per vedere se il tutto andava bene. Il vestito nella parte superiore era molto aderente e accentuava il mio seno importante sottolineando la vita stretta, la scollatura non era troppo bassa ne troppo alta, era giusta e quadrata contornata da merletti bianco panna, proprio come la fine delle aderenti maniche. La gonna invece cadeva lunga morbida e liscia, pomposa nella giusta quantità che si richiedeva per il mattino. Gli accessori davano il tocco finale, compreso il cappello che con il colore bianco panna che aveva richiamava la tonalità dei merletti. Il risultato era piacevole e decente. Feci un sorriso e un cenno di assenso con il capo e le serve fecero un leggero sorriso pieno di rassicurante sollievo. Guardai Eveline che subito mi aprì la porta per poi seguirmi e accompagnarmi nella veranda dove avrei fatto colazione con la duchessa. Percorremmo i grandi, lussuosi e luminosi corridoi della casa dove l’ostentazione della ricchezza regnava sovrana. Pavimenti in marmo e tappeti in tessuto pregiato, grandi finestre con tende in damasco, mobili antichi e nobili, e costosi quadri degli artisti più in voga, il più delle volte raffiguranti mia madre e la duchessa. Continuai a camminare a passo a veloce, fino a quando non arrivammo a destinazione.
<< Grazie Eveline, vai pure >> dissi alla giovane sorridendo. La ragazza si inchinò e andò via.
<< Buongiorno cara, hai fame? La colazione è già pronta.. >> disse con un sorriso Gabrielle, la mia tutrice.
<< Ho un certo appetito in effetti, Madame >> dissi sorridendo, lieta che la duchessa non avesse fatto parola degli avvenimenti della scorsa serata.
<< Perfetto, cara >> disse sorridendo mentre dopo un cenno della sua mano, dei camerieri si affrettavano a mettere in tavola le varie pietanze.
Cominciammo a mangiare in silenzio fino a quando Gabrielle disse, << e così oggi ti vedi con il duca di Devonshire, cara! Chissà se presto non ci sarà una bella proposta di matrimonio.. >> disse sorridendo maliziosa.
Sorrisi, non sapevo bene cosa rispondere a quell’affermazione così la guardai. Era pensierosa. La duchessa si accorse del mio sguardo, che ricambiò interrogativa, così mi apprestai a rispondere.
<< Cerchiamo di non correre troppo, Madame. Non si può mai sapere cosa può succedere.. >> dissi, incerta addentando un bombolone alla crema.
<< Proprio per questo l’ho detto, cara >> disse guardandomi divertita.
Sorrisi di rimando, << non affrettiamo le cose e i giudizi.. La sua futura sposa potrebbe anche essere la signorina Jessica.. >> dissi pensierosa.
La duchessa mi guardò scettica, arcuando le sopracciglia, per poi scuotere leggermente la testa, << no, non è una degna rivale >> disse guardando il bel verde panorama che si trovava dietro di me, addentando una crostatina di mele con espressione sempre più pensierosa.
Arrossii per il sottile complimenti, abbassando lo sguardo, ma non ebbi modo di rispondere. Qualcuno aprì piano la porta della veranda. Una serva.
<< Vostra grazia, c’è il duca di Devonshire che vi aspetta in salone >> disse guardandomi con le guance imporporate ma con una voce ferma.
<< Oh certo, dev’essere in anticipo.. >> dissi, per poi scusarmi con lo sguardo con la duchessa, << perdonatemi Madame, chiedo il vostro permesso di ritirarmi >> dissi guardandola.
Le rimase ferma spostando solo lo sguardo su di me. Evidentemente non doveva aver prestato attenzione alle parole della serva. Come risvegliandosi, disse sorridendo e scuotendo la testa, << ma certo cara, vai pure e non fare aspettare il nostro ospite >> disse sorridendomi e lanciandomi un bacio.
Sentii le guance imporporarsi e le sorrisi di rimando. Mi affrettai a raggiungere il salone, e quando lo raggiunsi dei servi aprirono le porte. Il duca si girò verso di me, arrossendo leggermente e sorridendo nel vedermi avanzare verso di lui con la mano tesa. Si prodigò in un baciamano da vero gentiluomo.
<< Meravigliosa, signorina, davvero meravigliosa >> disse con un intenso sguardo di apprezzamento.
<< Mille grazie Julian. Vogliamo andare? >> proposi sorridendo.
<< Ma certo, mia bella fanciulla >> disse facendomi ridere.
Ci avviammo all’uscita dove faceva bella mostra nel cortile una imponente e lussuosa carrozza, degna di un duca. Un valletto ci aiutò a salire, per poi chiudere lo sportello. La carrozza si mosse.
<< Sono felice che mi abbiate invitato a passeggiare con voi questa mattina >> dissi per spezzare il teso silenzio che si era creato nell’abitacolo.
<< E io sono felice di averlo fatto, Dominique >> replicò il bel duca.
<< Raccontatemi come è finita la vostra serata >> dissi sinceramente incuriosita. Volevo sapere cosa mi ero persa.
Il duca fece una smorfia, << nulla di eclatante signorina. Io e la marchesina siamo andati a salutare l’arciduchessa che era molto più altezzosa del solito con lo zarevic al suo fianco >> disse con un espressione di disgusto, << abbiamo parlato lo stretto necessario, ma non sono stato presentato al Granduca come speravo.. >> disse corrucciato, << era impegnato in una conversazione con il senatore, e a quanto pareva aveva fretta di andare via , e infatti lui e l’arciduchessa hanno lasciato il teatro dopo poco.. >> spiegò facendo un sospirò.
<< Mi dispiace, ma sono sicura che ci saranno altre occasioni Julian, non si abbatta >> dissi rassicurante cercando di infondergli dell’ottimismo di cui in realtà non ero fornita, posandogli una mano sul ginocchio in un tocco piuttosto intimo e spontaneo che mi fece avvampare.
Stavo per ritirare la mano, quando Julian l’afferrò per poi portarsela alle labbra e baciare le nocche, << sono sicuro che è così, mia Dominique >> disse sorridendomi.
L’atmosfera nell’abitacolo era cambiata, e la carrozza che prima mi era sembrata così grande, spaziosa e comoda, adesso mi pareva tutto il contrario, e cominciai ad agitarmi sul sedile come se fossi seduta su tanti piccoli e fastidiosi spilli. Il duca aveva un espressione seria e mi guardava con uno sguardo velato di desiderio, ed io non potevo fare a meno di fissarlo con sguardo perso, ero desiderosa di scoprire quel qualcosa che fino a quel momento non avevo mai potuto esplorare. Spostati lo sguardo sulle labbra del duca, pensando alle sensazioni che avrei potuto provare ricevendo un bacio. Un sobbalzo della carrozza spezzò quello strano incanto e io gli sorrisi nervosa arrossendo, mentre Julian ad occhi spalancati fece un espressione prima sorpresa, poi divertita. Un valletto venne ad aprire la porta a me e a Julian, anche se non mi ero nemmeno accorta che fossimo arrivati a destinazione. Appena scesi, mi ritrovai al mio fianco il duca che presi a braccetto per cominciare a passeggiare. La conversazione fu leggera, e si basò su cose frivole, in qualche modo fu molto rilassante. Parlammo del più e del meno, ridendo poi quando l’argomento cadde sulla marchesina Jessica che, come mi raccontò Julian, aveva definito l’arciduchessa una sgualdrinella con la puzza sotto al naso. Arrivammo nei pressi di un posto particolarmente bello, forse per il verde e i fiori che vi erano, o forse per il rilassante scroscio dell’acqua di una cascata che si udiva in lontananza. Stavamo discutendo dello spettacolo della serata precedente e sulla capacità degli attori, quando in lontananza vedemmo un magnifico gentiluomo decisamente molto alto, con al suo fianco una bellissima nobildonna. Erano molto vicini, l’uno di fronte all’altra, e la fanciulla aveva un sorriso civettuolo, mentre il giovane e splendido uomo aveva un viso serio, ma con un sorriso vagamente divertito. L’Adone biondo si accorse improvvisamente della nostra presenza, fissando i suoi occhi glaciali su di me e perforandomi con lo sguardo.
Era davvero possibile che io fossi così sfortunata? E la mia poi, si trattava veramente di sfortuna?












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Ringrazio tutti quelli che trovano il tempo e la voglia di leggere la mia storia e sopratutto di recensire! Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che continuerete a seguire la storia :) Al prossimo capitolo e un enorme grazie a tutti!

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Capitolo 3
*** Una proposta indecente. ***


Capitolo III

  Una proposta indecente

 











L'arciduchessa notando di non essere più il centro dell'attenzione del suo bellissimo principe russo, infastidita, seguì la direzione dello sguardo dello zarevic, trovando con disappunto me e il giovane duca. Quando incontrai gli occhi dell'arciduchessa che mi guardavano insistentemente con una malcelata irritazione, avvampai e il mio povero cuore, che già aveva cominciato a pompare furiosamente, aumentò la sua corsa. Cercai di avere una facciata di fredda indifferenza, ma con il rumore sordo ed angosciante che il mio cuore faceva, l'impresa si rivelò difficile.
<< Avete visto Dominique? Forse è il destino davvero! Adelaide ed Aleksej! Forse questa volta potrò conoscerlo! >> disse eccitato Julian, ma io non gli presta molta attenzione.
Vidi lo zarevic farsi serio, con le ciglia leggermente aggrottate, allontanarsi dalla splendida donna al suo fianco e ricominciare a camminare. L'arciduchessa lo raggiunse frettolosamente, prendendogli poi il braccio con un espressione di possesso misto a orgoglio. Si dirigevano verso di noi. Notai che Julian facendo una leggera pressione sulla mia schiena, mi esortava ad andare in contro alla coppia apparentemente perfetta. Avevo le gambe molli, il cuore che batteva furiosamente. Il Granduca stava guardando Julian, ma quando io andai al fianco del duca, spostò lo sguardo indifferente e forse un po' annoiato su di me, solo per pochi secondi, fino a quando non arrivò proprio di fronte a me e Julian. Allora i suoi occhi si posarono nuovamente sul giovane duca al mio fianco. Averlo così vicino, mi faceva sentire così maledettamente tremolante, insicura. Per vedere il suo viso dovevo piegare la testa di un bel po', visto che in altezza superava tutti. Era veramente un gigante. Magnifico. Un leggero movimento al braccio dello zarevic, fece dirigere il mio sguardo su Adelaide, la bellissima arciduchessa. Aveva uno sguardo di ghiaccio velato di disprezzo puntato su di me, ma purtroppo, non per questo la giovane nobildonna era meno bella. Era molto alta per essere una donna, e superava me di qualche centimetro. Era leggermente in carne, dalla pelle chiara e lucente, lunghi e lisci capelli di un castano scuro, occhi a mandorla, di un verde chiarissimo, luminoso e freddo. Un viso bellissimo, dalle labbra rosse e carnose, e un nasino giustamente proporzionato e leggermente all'insù. Dal lussuoso vestito color salmone, si potevano ben vedere dalla bassa scollatura, due seni grandi e paffuti. Era una ragazza davvero splendida, dalla postura altera e fiera, resa ancora più orgogliosa dal meraviglioso nobile al suo fianco. Sospirai impercettibilmente. Perchè avevo voglia di gridare?
<< Buongiorno, Julian >> disse con una voce dolce e melodica Adelaide. Una voce che nascondeva ben altro che la dolcezza.
<< Buongiorno a voi, Adelaide. E' un piacere trovarvi qui >> disse Julian, con un leggero e strano sorriso, e gli occhi quasi socchiusi.
<< La cosa è reciproca. E' una sorpresa vedervi qui con.. >> e il suo sguardo si posò su di me con noncuranza e disinteresse su di me. Aggrottò le sopracciglia.
<< Perdonate la mia mancanza. Lei è Dominique, la duchessina de Polignac. Dominique, mi permetta di presentarle una mia cara amica, Adelaide, l'arciduchessa di Baviera >> disse con un sorriso di scuse.
<< D’Austria, prego. Ormai di Baviera non inganna più nessuno, non vi pare? >> disse con un sorrisetto e un sopracciglio arcuato per poi spostare il suo sguardo su di me, << è un piacere conoscerla Vostra grazia. Ho sentito tanto parlare di voi >> disse con una luce maligna in fondo ai suoi begli occhi.
<< Spero che siano stati commenti positivi Vostra Altezza Reale, è un piacere conoscerla >> le dissi facendo un inchino.
<< Oh quasi tutti mia cara, non preoccupatevi >> disse con una risatina.
Non seppi come rispondere a quell’affermazione, così mi limitai a sorridere.
<< Oh perdonatemi, sono davvero sbadata. Permettetemi di presentarvi, Sua Altezza Reale, lo zarevic Aleksej Ivan Miroslav Nikolaevic Romanov >> disse con la voce piena d’orgoglio.
Il bellissimo zarevic fece una strana espressione, aggrottando leggermente le sopracciglia. Sembrava infastidito.
<< Vostra Altezza Imperiale, è un piacere fare finalmente la vostra conoscenza >> disse Julian, con un inchino.
<< Altrettanto >> disse con un leggero accento russo, << non credo di sapere il vostro nome >> disse, freddo.
<< Scusatemi non so dove ho la testa >> disse con un sorriso di scuse, << Aleksej permettetevi di presentarvi il duca di Devonshire, Julian, mentre invece conosci già il nome della duchessina >> disse, lanciandomi un occhiata che mi fece rabbrividire.
Lo zarevic mi guardò velocemente per poi posare gli occhi nuovamente su Julian, << ma certo, perdonate la mia mancanza. E’ un piacere conoscerla, Vostra Grazia >> disse per poi rivolgersi a me. Il mio cuore cominciò a battere furiosamente, tanto che temetti di svenire, << E’ un onore fare la vostra conoscenza, Vostra Grazia >> per poi prendere la mia mano e baciarla. Rabbrividii al pensiero che quelle meravigliose labbra erano vicinissime alla mia pelle. Bastava così poco per togliere quel guanto, che mai come ora avevo ritenuto così inappropriato, e godermi la sensazione di quelle belle labbra sulla mia pelle. Mentre Aleksej baciava la mia mano, mi guardò. E io avvampai, se possibile, ancora di più. Mi sentivo così fragile, e stare vicino a lui mi faceva sentire debole.
Cercai di fare dei profondi respiri per ricompormi senza attirare l’attenzione. Ma quando mai la fortuna è stata dalla mia parte? Tutti si accorsero di quello che stavo facendo, e quel profondo respiro venuto anche male che mi aveva quasi fatto tossire dalla vergogna, adesso mi aveva fatta sembrare una povera disperata che nutriva sogni e speranze sul bel principe. Poteva andare peggio di così? Lo zarevic rimase impassibile. Non mi degnava di uno sguardo e pensare che io invece lo stavo degnando di fin troppi sguardi mi faceva infuriare. Perché dovevo essere per forza io l’ammiratrice vogliosa e patetica? Lui non mi considerava minimamente, e allora perché dovevo fare la figura della povera scema? Mi rimisi in una postura fiera e decente, a mento alzato. Era il futuro Imperatore di tutte le Russie. E allora? Era magnifico, perfetto, talmente tanto da non sembrare vero. E allora? Sprigionava un’aura che avrebbe fatto rabbrividire chiunque. E allora? Non avrei fatto una pessima figura. Dovevo smetterla di comportarmi come una qualunque ragazzina dai sogni impossibili quanto sdolcinati.
<< Ho sentito molte storie su di lei, Dominique, se posso chiamarla così ovviamente >> disse seria, con un sopracciglio leggermente arcuato, << I pettegolezzi dicono che siete una trovatella di madame de Polignac, la duchessa >> disse con una nota di disprezzo, << un orfanella, insomma >> concluse.
Mi sentii sbiancare, per quella non troppo velata cattiveria. Vidi impercettibilmente il Granduca irrigidirsi al suo fianco.
L’arciduchessa mi fece un radioso sorriso, che non poteva essere più fasullo, << oh cara, ma che bella collana avete? Sembra preziosa.. >> disse pensierosa, continuando a sorridermi e fissandomi con un aria strana.
<< Ce l’ho dalla nascita, Vostra Altezza Reale.. La duchessa mi trovò con questo ciondolo.. >> dissi flebilmente guardandola, con il viso sempre più bianco, e la mano che andava istintivamente a toccare il mio bel ciondolo.
<< Se è della tua vera famiglia, devi essere di nobili origini, cara.. Quello che mi chiedo allora è come mai una famiglia ricca vi abbia abbandonato.. >> disse continuando a farmi quel leggero sorriso, che mi spaventava più di una lama affilata. Mi aveva fatta sentire la più indesiderata. Impallidii ulteriormente, sentendo gli sguardi di Julian e dello zarevic addosso. Mi sentivo spogliata, umiliata.
<< Adesso basta Adelaide >> disse serio lo zarevic, << scusati con la duchessa >> ordinò in tono fermò.
L’arciduchessa sussultò, e con occhi sbarrati guardò frettolosamente lo zarevic. Velocemente, si ricompose.
<< Chiedo venia, se vi ho messi in una situazione di disagio, Julian. Perdonatemi Aleksej >> disse calcando bene i nomi di con chi si stava scusando.
Aleksej s’irrigidì ulteriormente, e la guardò. Vidi Adelaide farsi bianca come uno straccio.
<< Accolgo con piacere le vostre scuse, Vostra Altezza Reale >> dissi, cercando di riprendermi, con un flebile sorriso.
L’arciduchessa avvampò di rabbia, mentre Julian mi mise un braccio in torno alla vita, per poi sorridermi orgoglioso. Lo zarevic rimase impassibile, gelido.
Mi rivolsi poi al duca, << perdonatemi Julian, ma mi sento piuttosto stanca >> dissi, stupendomi io stessa di quanto quelle parole fossero vere.
Il duca mi rivolse un sorriso comprensivo, << ma certo. Spero vogliate scusarci, come spero in un altro incontro >> disse Julian allo zarevic, lanciando un’occhiata all’arciduchessa.
<< Fra poco ripartirò per la mia Russia, non so se ci incontreremo nuovamente >> disse Aleksej.
Ci inchinammo, e salutammo degnamente l’arciduchessa, che ricambiò stizzita. Riprendemmo quindi a camminare, in un silenzio irreale.
<< Nessuno ce l’ha con voi.. >> disse, incerto Julian, rompendo quello strano silenzio, << voglio dire, non dovete prestare attenzione alle cose che ha detto Adelaide.. Lei si diverte così.. E a nessuno importa da dove veniate, Dominque >> disse con un sorriso comprensivo e dispiaciuto allo stesso tempo. Dispiaciuto perché sapeva di aver mentito?
<< Questa è una menzogna, e lo sappiamo entrambi Julian >> dissi con un sorriso rassicurante, facendo arrossire leggermente il bel duca al mio fianco, << ma non importa, ho smesso di preoccuparmi e badare attenzione a certe cose ormai da tempo.. >> conclusi, con un sospiro.
Julian mi fissò per qualche secondo, per poi annuire sommessamente, e tornare ai suoi pensieri con il capo basso, continuando a camminare. Poco dopo arrivammo alla carrozza, dove un valletto venne subito ad aprirci lo sportello. Mi aiutò a salire, e appena fui dentro, con mio grande dispiacere, notai che quella che prima mi sembrava un atmosfera intima e rassicurante, adesso non mi aiutava affatto, anzi mi metteva in una situazione di disagio. Mi aggrappai nervosamente alla maniglia, sospirando impercettibilmente.
<< Jessica sarà invidiosa di voi, Dominique. O perlomeno vi costringerà a raccontarle tutti i dettagli dell’incontro >> disse Julian con una leggera risata, cercando di alleggerire la pesante tensione che si era creata nell’abitacolo.
Gliene fui grata. Risi. << Sarò felice di raccontare ogni cosa a Jessica e lei sarà altrettanto gioiosa di sapere gli ultimi pettegolezzi >> dissi divertita.
<< Ne sono convinto >> convenne ridendo Julian. Poi aggiunse pensieroso, << mi avete portato fortuna voi, Dominique. Con la nostra marchesina il destino non mi ha neanche permesso di avvicinarmi al Granduca.. >> concluse in un sussurro.
<< Credete nel destino, Julian? >> chiesi, voltandomi verso il giovane uomo al mio fianco.
<< Non lo so ancora, Dominique >> disse in un sussurro fissando pensieroso un punto imprecisato fuori dal finestrino, << non so ancora molte cose, in realtà >> concluse ancora pensieroso, voltando il capo verso di me, sorridendo impercettibilmente.
La conversazione finì lì. Riflettei su quelle ultime parole. Il Destino. Esisteva davvero? O la vita era semplicemente fatta di grandi eventi e piccole cose? Magari ognuno di noi ha semplicemente bisogno di credere in qualcosa. Ridestandomi da quello strano stato di torpore in cui ero caduta, mi accorsi che ormai eravamo arrivati al viale alberato che portava alla reggia de Polignac. La carrozza si fermò proprio nel piazzale, di fronte alla porta principale. Un valletto venne ad aprirci lo sportello e mi aiutò a scendere. Il duca mi accompagnò fino all’entrata.
<< Spero di rivedervi presto, Dominique >> disse con un sorriso.
<< Ma certo Julian, sarebbe solo un piacere. Venite a farmi visita quando volete >> dissi con un sorriso, e le guance imporporate.
Il duca accolse con gioia la mia proposta per poi congedarsi. Entrai nell’ingresso, e dopo pochi secondi Eveline mi corse in contro.
<< Vostra Grazia, bentornata! La duchessa sta intrattenendo la marchesina, Lady Jessica FitzMaurice, in salotto. Era venuta a farvi visita, Vostra Grazia >> concluse Eveline rossa in volta e con il respiro affannato.
Le sorrisi. << Grazie mille Eveline, saresti così gentile da accompagnarmi nel salotto? Ho proprio voglia di una buona tazza di the caldo >> le dissi.
<< Subito Vostra Grazia >> disse la giovane, facendosi ancora più rossa e abbassando lo sguardo.
Ci avviammo a passo svelto nel salotto e appena arrivate congedai Eveline con un sorriso e un cenno della mano. La marchesina e la duchessa, appena mi videro si alzarono con un sorriso.
<< Oh Jennifer, spero che possiate perdonarmi! Non sapevo della vostra visita, non avrei mai voluto farvi aspettare >> le dissi con un leggero sorriso. Quella frase era di pura circostanza.
<< Oh cara, per fortuna non sono uscita questa mattina! >> intervenne la duchessa, con una nota di rimprovero nella voce, ma continuando a sorridere dolcemente.
<< Oh sciocchezze, non preoccupatevi, è stato un mio errore non avvisare! Ma ho trovato per fortuna una piacevole compagnia per passare il tempo >> concluse Jessica, rivolgendo un sorriso alla duchessa.
Gabrielle cominciò a far sventolare il suo bel ventaglio, << oh è stato un piacere mia cara. E adesso se volete scusarmi, vado a riposare, sono piuttosto stanca. Au revoir Jessica! >> concluse con una risatina.
Osservai la duchessa uscire dalla stanza con uno sguardo divertito per poi rivolgere la mia attenzione alla mia nuova amica.
<< Allora, vogliamo sederci? >> dissi con un sorriso, per poi continuare, << allora mia cara amica, la vostra visita mi ha sorpreso >> dissi mettendomi comoda e cercando di rilassarmi.
<< Non siete contenta della mia visita, Dominique? >> chiese Jessica, arrossendo lievemente e facendosi aria con il suo ventaglio.
<< Ma no Jessica, sono solo sorpresa >> le dissi con un sorriso, << ma in realtà anche sospettosa, sapete mi pare così strano che voi siate venuta a farmi visita così, senza un avviso, e non credo che la ragione sia una impressionante voglia di rivedermi, soprattutto visto che sono passate poche ore dal nostro incontro >> le dissi tranquilla, continuando a sorriderle.
La marchesina avvampò, per poi sorridere divertita, e dispiaciuta, << avete un ottimo intuito Dominique.. >> disse Jessica, cominciando ad arrossire sempre più, << in realtà sono qui per un motivo ben preciso.. >> concluse bisbigliando.
La curiosità cominciò a serpeggiare in me e mi spinse a chiedere, << e quale sarebbe questo motivo? >> domandai, abbassando anch’io automaticamente la voce e avvicinandomi un po’ alla mia interlocutrice.
<< Beh.. >> cominciò Jessica, rossa in volta per l’imbarazzo, << non pensavo saremmo arrivate al punto così in fretta.. >> disse timida, guardandomi.
<< Mi scusi, i preamboli non sono per me, e poi adesso mi sta anche facendo incuriosire >> le dissi con un sorriso di scuse divertito.
Jessica sorrise. << Dominque, lei ricorda quando ieri sera le parlai di mia madre e delle sue chiacchiere fra amiche? >> mi chiese, le guance imporporate.
Ricordai. Lady Louisa. The. Amiche. Granduca. Accidenti. << Si, certo che ricordo >>.
<< Beh sa… Questa mattina le ho casualmente sentite mentre parlavano.. Di un ballo.. In maschera.. Da quello che ho capito non sarà il massimo del decoro.. >> disse. Ormai il suo volto aveva acquisito varie sfumature di rosso e forse riuscivo a intravedere anche alcune gradazioni di viola.
<< Oh >> dissi confusa aggrottando le sopracciglia, << mi scusi Jessica ma non la seguo.. Non capisco perché dovremmo parlare di queste cose.. Non capisco davvero il motivo per cui lei mi abbia parlato di questo ballo >> le dissi, finendo la frase in un sussurro per la consapevolezza che si stava facendo largo in me.
La guardai. Il mio sopracciglio si arcuò automaticamente. La marchesina arrossì, ma fra la timidezza nel suo volto, c’era una chiara nota di malizia. La voglia di peccare, di poter toccare con la propria mano il proibito era una tentazione per tutti, non solo per Eva.
<< Jessica, di cosa parla esattamente? >> le dissi, questa volta interessata. Avevo intuito quello che la mia amica voleva dirmi, ma sentirselo dire davvero sarebbe stata tutta un’altra cosa.
<< Mio fratello è da poco tornato a casa da un viaggio.. >> cominciò a spiegare con un sorriso allusivo, << lui a volte si diverte a frequentare queste feste, non proprio dignitose, così questa mattina gli ho chiesto alcune informazioni su questo ballo in maschera, gli ho chiesto se lui ne era a conoscenza >> disse rossa in volto. Fece un largo sorriso e delle adorabili fossette spuntarono su quelle guance paffute.
La mia espressione era divertita, stupita e forse anche un po’ sconvolta allo stesso tempo. << E? Parlate chiaro Jessica e non tenetemi sulle spine, la prego >> le dissi, con un sorriso complice.
<< Andrew ovviamente era a conoscenza di questo ballo, ma purtroppo lui non sa ancora se ci andrà, quella sera probabilmente sarà impegnato per lavoro, con il mio fratellastro.. >> disse continuando a sorridere, mordicchiandosi il labbro, << sono riuscita a raccogliere delle informazioni.. Ma il punto è un altro Dominique >> mi disse diretta, guardandomi negli occhi, senza più alcuna traccia di timidezza sul suo volto.
Rimasi colpita da questo repentino cambiamento. Che la nostra dolce e timida Jessica avesse un animo molto meno ingenuo di quanto si pensasse?
<< Vede Dominique, io voglio andare a quel ballo >> disse, con le guance che nuovamente cominciavano ad imporporarsi, << ormai sono in età da matrimonio, ma prima di sposarmi voglio vedere altro che la mia noiosa routine fatta di assoluto decoro >> disse.
Rimasi interdetta per qualche istante. Me lo aspettavo, ma nello stesso momento non mi aspettavo che sarebbe mai successo. << Jessica ma che dite? Quel ballo è per gente diversa da noi.. Gente non dignitosa, capisce? >> le dissi, con uno sguardo di scuse.
<< E perché non possiamo essere anche noi diverse? Solo per una sera, solo per una notte Dominique! Che male potrà mai farci? Vorrei poter vedere con i miei occhi quel mondo! Non voglio perdermi così tante cose dalla vita Dominique! >> concluse, quasi in un sussurro ma continuando a guardarmi negli occhi.
<< Jessica, potrebbe essere rischioso, non credete? Non avendo mai frequentato questo tipo di ambienti io non ho la più pallida idea di come potrà essere.. >> le dissi. Una parte di me scalpitava e urlava di andare e godermi il tutto della vita. L’altra mi intimava di restare nel decoro e nella sicurezza della mia casa, fra le rassicuranti mura che conoscevo bene.
<< Ma Dominique, non capisce?! E’ proprio questo il bello! >> disse Jessica ridendo, << Proprio perché non abbiamo mai frequentato questo tipo di posti dovremmo andarci! Pere vedere il resto della vita, oltre che i salottini da the e le passeggiate mattutine! Non le piacerebbe Dominique? Io in lei sento che c’è la voglia di scoprire, la voglia di peccare, anche solo un po’! >> mi disse con un sorriso, << Santo cielo Dominique! Io non ho mai peccato in vita mia, e non vedo l’ora di farlo! >> concluse ridendo, << venga con me Dominique, la prego >> disse con un lieve sorriso e gli occhi luccicanti.
Stavo sorridendo. Non me ne ero accorta, eppure era proprio un sorriso quello che avevo sulle labbra. Scossi la testa, continuando a sorridere. Forse sorridevo di me stessa, perché anche se non volevo, stavo prendendo in considerazione la proposta di Jessica, << e vostro fratello? Probabilmente andrà anche lui al ballo in maschera. E se dovesse venire? E se dovesse scoprirci? Come vedete il vostro piano non è ben congegnato.. >> le dissi con un sorriso divertito e dispiaciuto.
Lei sorrise, furba. << Mi sottovalutate, Dominique? >> chiese fintamente offesa, << con mio fratello non ci sarà alcun problema.. Lui ha una mente, diciamo molto aperta ecco! Se dovesse andare al ballo semplicemente lo porteremo con noi, e ci farebbe da saggia guida in quel mondo di draghi! >> disse ridendo, << se non verrà non ci sarà bisogno di informarlo! E comunque non dimenticate che sarà un ballo in maschera, quindi nessuno potrà riconoscerci! >> disse sorridendo orgogliosa per aver pensato a tutto.
La guardai ammirata. Dovevo dire di no, lo sapevo, ma non volevo. Ma poi, c’era davvero una ragione per dire di no? I problemi erano pochi e forse anche stupidi.. Che cosa avrebbe pensato il fratello di Jessica di me? Per la prima volta mi avrebbe incontrato e la situazione non sarebbe delle più dignitose. Ma questo sapevo che era una sciocca scusa per dire di no a quell’avventura.. Il problema che mi assillava la mente era un altro.. Finita la serata, sarei stata capace di togliermi la maschera? E se quel mondo mi fosse piaciuto più del previsto? Sarebbe stato facile tornare poi alla solita routine? Non avevo scelta.
<< E quando si terrà questo ballo, Jessica? >> le chiesi, sorridendo timida.
Jessica si lanciò in una serie di gridolini di gioia e battiti di mani, << oh Dominique, sapevo che lei era diversa! >> disse ridendo gioiosa, << il ballo sarà domani sera! >> disse sorridendo, il viso rosso per tutte quelle grida.
Io risi insieme a lei, felice di quella strana situazione e contenta di quella sintonia che si era creata fra noi. Domani sera sarei andata ad un ricevimento dissoluto. Non riuscivo a crederci. Un nuovo problema però, offusco quel momento di incredula felicità.
<< Jessica, c’è un problema.. >> dissi, il viso corrucciato.
Il sorriso di Jessica evaporò, << quale? >> disse, paurosa.
<< Io.. Non ho niente da mettere per questo tipo di intrattenimenti.. >> dissi, guardandola, arrossendo un pochino.
<< Oh >> disse, con un sorriso tirando un sospiro di sollievo, << Dominique non sono una sprovveduta! Neanche io ho quel genere di abiti! E avevo già pensato anche a questo >> disse con un sorriso furbo e alzando due o tre volte le sopracciglia.
Quella scena mi fece ridere. La guardai incuriosita.
<< Ho già avvisato il mio sarto di fiducia, Sir Francis Wilkinson, di venire questa sera alla mia abitazione e di portare tutte le stoffe, gli abiti e le scarpe più belle! >> disse con un enorme sorriso, << quindi ovviamente questa sera Dominique lei dovrà venire da me >> concluse con un sorriso.
Risi per l’assurdo di quella situazione, << Jessica lei aveva già organizzato tutto.. Sapevate già che avrei acconsentito a questa pazzia? >> le dissi, sorriso divertito e sopracciglio arcuato.
La marchesina avvampò, << avevo visto quella particolare scintilla nei vostri occhi signorina, una scintilla che pochi hanno.. Sapevo che non avreste resistito.. >> disse arrossendo, maliziosa.
Feci una risatina, << beh allora non manca proprio niente.. domani andremo al ballo in maschera.. Dissoluto.. Oh santo cielo! >> dissi, per poi scoppiare a ridere seguita a ruota dalla mia amica.
Continuammo per un po’ a parlare della serata che ci aspettava. Non eravamo abituate a tutto questo. Nel nostro mondo era una follia, mai e poi mai avrei pensato che un giorno avrei fatto questo genere di pazzia. Dopo che ci fummo calmate un po’, e la nostra mente si fu abituata all’idea di quello che avremmo fatto, ci rilassammo e l’argomento cadde su cose più banali.
<< Allora Dominique, la duchessa mi ha detto che eravate uscita a fare una passeggiata con Julian! Come è andata? >> mi chiese sorridendo, le guance rosse ma una strana luce negli occhi.
<< Oh, bene bene.. >> dissi avvampando.
<< Voi state arrossendo, signorina! Che cosa è successo? >> chiese, maliziosa più che mai.
Risi nervosa. << Oh Jessica, chissà a quali stramberie la vostra mente starà pensando! >> dissi continuando a ridere e facendo avvampare la marchesina, << in realtà niente di particolare.. Solo un incontro.. >> le dissi, vaga.
Jessica corrugò la fronte. << Un incontro? Con chi? >> chiese, confusa.
Avvampai. << Lo zarevic e l’arciduchessa >> dissi tutto d’un fiato.
Jessica spalancò gli occhi, e la sua mascella capitombolò. << Cosa?!? E non mi dite niente?! Beh?!?! Raccontate! Voglio i dettagli! >> disse avvicinandosi e mettendosi comoda, gli occhi sognanti e luminosi.
<< Niente di che in realtà.. Ho conosciuto lo zarevic e anche Adelaide.. Non saprei bene come descriverli in realtà.. >> dissi con le guance che si imporporavano.
<< Oh io si! Lei è una sgualdrina con la puzza sotto al naso! >> disse infastidita, << lui invece.. E’ così bello.. >> disse con un’espressione sognante, << non capisco proprio cosa ci trovi in lei! >> disse, risvegliandosi da quello strano torpore in cui era caduta.
Per un attimo concordai con lei. Ero ferita e arrabbiata con Adelaide per come mi aveva trattato. Anche se al mondo volevo far credere che non m’importava di quello che diceva la gente, non era vero.. A me importava.. E la verità sbattuta così in faccia, era stato uno schiaffo, << si devo ammettere che l’arciduchessa non è esattamente quello che si dice un mostro di simpatia.. Non è stata molto educata con me in realtà.. >> dissi vergognosa e in imbarazzo per quello che stavo dicendo.
<< Oh, non lo è con nessuno, mia cara, tranne che con il principe ovviamente.. >> disse stizzita, con un sospiro sconsolato.
La conversazione proseguì ma dopo poco ci accorgemmo che il tempo era volato, fin troppo anche.
<< Oh santo cielo! E’ già ora di pranzo! Dominique perdonatemi ma devo scappare, o mia madre mi evirerà >> disse ridendo.
Sorrisi divertita, << allora, a questa sera? >> le chiesi per conferma.
Si fermò d’avanti alla porta d’ingresso. La carrozza già l’aspettava, peccato che il tempo non faceva altrettanto. << Oh ma certo Dominique! Questa sera a casa mia! Alle sei! >> disse alzando un po’ la voce per farsi sentire, mentre frettolosa scendeva gli scalini.
Sorrisi, e guardai la sua carrozza sparire nel viale alberato. Ancora non potevo credere a quello che stavo per fare. Sorridendo contenta davvero dopo non so quanto tempo, mi affrettai a salire la grande scalinata per arrivare alla mia stanza, con Eveline che faceva fatica a seguirmi. Entrai frettolosamente nella mia camera e mi buttai sul letto, sorridendo. Sorridevo. Davvero però. Che bella sensazione. Eveline capendo il particolare momento, con discrezione chiuse la porta e rimase fuori. Dopo poco però qualcuno invase la bolla di sogni che mi ero costruita tutto a torno a me. La duchessa entrò in camera. I tacchi picchiettavano sul pavimento di marmo. Non mi preoccupai di alzarmi felice com’ero, disattenta a tutto se non per il filo dei miei pensieri. Gabrielle si appoggiò alla colonna del letto a baldacchino, guardandomi con un sorriso divertito. La vidi piuttosto rilassata.
<< Sembri felice >> mi disse Gabrielle. Quello in realtà era il suo terzo nome, ma visto che le piaceva, spesso si faceva chiamare così.
Mi rigirai sul fianco, guardandola con un sorriso, << lo sono e sono anche rilassata >> le feci un gran sorriso.
<< Oh sono contenta cara, e c’è un particolare motivo? >> mi chiese sorridendo, sdraiandosi sul letto accanto a me e tenendosi la testa con una mano.
Le mie guance s’imporporarono, << mmmm si, Yolande.. Oggi io e Julian abbiamo incontrato lo zarevic durante la passeggiata.. >> le dissi, trovando subito una scusa. Per quell’avvenimento ero stranita più che felice.
Gli occhi della duchessa s’illuminarono e sorrise gioiosa, << oh davvero cara? >> disse con una risatina, ma i suoi occhi s’incupirono quasi subito, << non era solo però, vero? >> chiese con un espressione lievemente corrucciata.
<< No madame.. >> dissi rossa in volto.
<< Beh almeno l’hai conosciuto, e questo non può che giovare alla tua vita sociale >> disse con un sospiro, accarezzandomi i capelli.
Si alzò dal letto, rimettendosi in piedi e con una giravolta si voltò a guardarmi con un sorriso felice. C’era qualcosa di strano nella sua espressione, ma da molto tempo avevo imparato a non cercare di decifrare il tutto della mia tutrice. Sarebbe stato impossibile.
<< Questa sera uscirai, mia cara? >> disse continuando a sorridere.
Con le guance rosse, le risposi, << si Yolande, stavo giusto per venire a informarvi.. Vado alla reggia dei FitzMaurice questa sera >> le dissi, sorridendo appena.
<< Va bene cara, divertiti allora >> disse, prima sorridendo e poi mettendosi a ridere divertita uscendo poi dalla mia stanza. La sentii divertita dire ad Eveline di farmi preparare un the che avrei gradito sicuramente. La mia tutrice era piuttosto strana.
Dopo poco le cameriere portarono una tazza fumante di the caldo con i pasticcini. Le congedai. Ignorai i pasticcini, l’agitazione era troppo e l’ansia mi riempiva lo stomaco. La fame era ben poca anche se questa volta l’ansia era quasi piacevole. Presi la tazza di the caldo fumante, e la rigirai bene fra le mani per riscaldarmi un po’. Mi alzai e mi andai a sedere di fronte al mio specchio, appoggiai la tazza d’avanti a me sul ripiano di marmo. Mi guardai. Sospettavo che dopo il ballo il mio modo di vedermi sarebbe stato diverso. Forse perché io sarei stata diversa. Mi persi nei miei pensieri, riflettendo a lungo e cercando di immaginarmi in una sala da ballo a divertirmi sul serio, contenta, e a fare nuove conoscenze. Corrugai la fronte. Chissà quali persone avrei incontrato, chissà quali draghi avrei dovuto combattere, chissà se le bestie feroci sarebbero state di cartapesta oppure di carne e denti affilati. Sorrisi divertita per il mio essere così melodrammatica. Spostai lo sguardo sul liquidi ambrato. Chissà se la serata sarebbe stata altrettanto calda.









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Salve a tutti! Mi scuso immensamente per i tempi d'aggiornamento ma fra influenza e vari impegni, il tempo è davvero poco! Comunque spero che il capitolo sia di vostro gradimento! Ringrazio tutti quelli che seguono la storia, e anche chi trova il tempo per leggerla, ma sopratutto chi recensisce! Grazie, mi fa piacere tutto questo sotegno e sono contenta che la storia piaccia così tanto! Grazie mille e al prossimo capitolo! :)

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Capitolo 4
*** Di dubbia morale ***


Capitolo IV

 Di dubbia morale

 
 










Mi svegliai, piano piano, cominciando ad aprire lentamente le palpebre. Con quella vaga sensazione di intorpidimento e stordimento che accompagna sempre il risveglio da un sonno pesante, guardai. Cercavo di ricordare, ma cosa? Poi ebbi un piccolo aiuto. Fissai per qualche secondo la fioca luce sui toni del viola e del blu. Di scatto mi alzai dal letto. Doveva essere tardissimo e io avrei dovuto essere alle sei in punto alla reggia dei FitzMaurice. Corsi alla porta della mia camera, e appena la spalancai, trovai fuori Eveline che era in procinto di bussare. La giovane cameriera arrossì.
<< Vostra Grazia, è tardi. Ero venuta a svegliarvi.. >> bisbigliò, con gli occhi luminosi nel buio della mia camera.
<< E mi vieni a svegliare proprio adesso che è tardissimo?! >> le dissi, arrabbiata. Ero ancora intorpidita e debole per il recente risveglio, avevo gli occhi socchiusi e una gran voglia di tornare a letto. Il nervosismo aveva preso il sopravvento e io volevo solamente tornare nella calda sicurezza del mio lettuccio.
Eveline sbiancò, << ma Vostra Grazia, siete stata voi a dire di non voler essere disturbata.. >> mormorò, pallida.
Maledii la mia impulsività. Adesso ricordavo proprio tutto, compreso quello che Eveline diceva. Le feci un debole sorriso di scuse, << Oh.. Perdonami Eveline, sono piuttosto nervosa questa sera.. Ma adesso, bando alle ciance, aiutami a prepararmi il più velocemente possibile! >> dissi frettolosamente, spingendola all’interno della camera e richiudendo la porta. Mentre Eveline correva alla grande vetrata per spostare le tende e far entrare quella luce buia ma luminosa allo stesso tempo, mi tolsi velocemente la vestaglia, facendola ricadere sul pavimento. Eveline si voltò. Arrossì. Mi vestì rapidamente, aiutandomi a mettere corpetto, giarrettiere e vestito. A lavoro finito mi guardai allo specchio. Per l’uscita di quella sera, avevo scelto un vestito argentato che dava sull’azzurrino, più largo di maniche, ma stretto al punto giusto sulla vita e sul seno. Mi feci rifare la treccia, il più velocemente possibile, sapendo bene del tempo che mi era nemico. Appena Eveline ebbe finito, non mi guardai neanche allo specchio, ma corsi il più velocemente possibile lungo i grandi corridoi della casa, arrivando in pochi minuti all’entrata della casa dove, le serve mi porsero scialle e borsetta, che io strappai loro di mano poco educatamente. Quando vidi la carrozza già pronta ad aspettarmi, ringraziai mentalmente la duchessa. Con un sospiro di sollievo e un sorriso, pensai che forse non sarebbe andato tutto così male, e con questo piccolo pensiero che mi rassicurava, mi affrettai a raggiungere la carrozza. Rapidamente salii, senza l’aiuto di nessuno, e quindi anche questa volta, poco educatamente, ma non m’importava. Ero troppo presa dai folli pensieri che mi affollavano la testa. Stavo per fare qualcosa di assurdo. Ero nervosa, il cuore mi batteva isterico, eppure non mi ero mai sentita così viva. E ne ero felice. Ma la paura non mi abbandonò neanche per un attimo, facendomi pensare a tutti i pericoli che correvo. E se il sarto di fiducia della marchesina,  Sir Francis Wilkinson, sarebbe andato a dire ai quattro venti che avevamo richiesto degli scandalosi abiti per una scandalosa festa? Sarebbe stata la fine. E se alla festa qualcuno ci avrebbe riconosciuto? Sarebbe stata la fine. E se degli ubriaconi ci avessero aggredito al ballo? Sarebbe stata la fine.
Nel panico più assoluto, e con il cuore che mi rimbombava nelle orecchie, chiesi con voce tremolante al cocchiere, << Che ore sono, Sigmund? >>
Il signore, non fece in tempo a rispondere che lo sportello della carrozza si aprì di scatto mostrando una sorridente Jessica, dalle guance paffute imporporate, il naso rosso e gli occhi luccicanti dal freddo. Il vento le scompigliava i bei capelli scuri.
<< Le sei e venti, e tu sei in ritardo! >> disse sorridendo gioiosa. Non sembrava importarle molto del mio ritardo, e in quel momento ero talmente presa dalla situazione che non mi accorsi nemmeno del fatto che eravamo passate dal lei al tu. Le sorrisi, anche io rossa in volto e con i capelli non proprio in ordine. Scesi dalla carrozza, con l’aiuto della mia nuova amica, cosa insolita per entrambe. Ci fermammo a guardarci per qualche istante, prima sorridendoci, poi il nostro sorriso divenne una lieve e bassa risata. Sincera, dopo tanto. Non ci fu bisogno di parole. Jessica mi prese per mano e strattonandomi, corremmo insieme a perdifiato verso l’entrata della grande e luminosa casa. Arrivate alla alta porta, cominciammo a ridere, entrando nella calda casa accogliente. Jessica si affrettò a togliersi lo scialle e quando capii che nessuno mi avrebbe aiutato a farlo, me lo tolsi anche io. Da sola.
<< Sai, questa sera ci siamo solo io, te e mio fratello a casa! Mio padre è all’estero per un viaggio di lavoro e mia madre beh.. The con le amiche >> concluse alzando le spalle, << ehi tutto bene? >> chiese preoccupata mettendomi una mano sulla spalla, notando il mio pallore.
<< T-tuo fratello? >> balbettai pallida e sconvolta.
La marchesina scoppiò a ridere e disse, << Tranquilla, lui sa già tutto! >> disse continuando a ridere.
La testa cominciò a girarmi vorticosamente, sentii le gambe deboli formicolarmi e la mia vista cominciò ad essere offuscata da tanti puntini neri.  Udii in lontananza Jessica smettere di ridere all’istante e aiutarmi a sedere chissà dove.
<< Oh santo cielo, scusami, non avrei dovuto essere così diretta! Adesso metti la testa fra le gambe, così, brava.. >> disse Jessica preoccupata.
Respiravo affannata, le lacrime che mi offuscavano la vista. Alzai la testa, ancora disorientata e con il cuore che batteva a mille. I puntini stavano scomparendo. Alzai lo sguardo verso Jessica che mi guardava pallida e preoccupata, torturandosi le labbra e le mani.
<< C’è anche vostro fratello? E che penserà di me? Che sono una sgualdrina, ecco cosa! Nessuno, nessuno doveva sapere niente Jessica! >> dissi, ormai in preda ad una crisi isterica. La stanza riprese a girare, i puntini ricominciarono ad offuscarmi la vista.
<< Ok, va tutto bene Dominique, calmatevi.. Mio fratello verrà al ballo e appena l’ho saputo ho capito che avevamo due scelte.. Non andare e rinunciare alla nostra avventura, oppure cercare di convincere mio fratello a farci da guida in quel mondo scandaloso.. Mio fratello ha accettato, anzi ha detto che ci divertiremo! Vedrà me, sua sorella, negli stessi abiti in cui vedrà voi! Non penserà assolutamente proprio a nessuna sgualdrina >>, disse dolcemente accarezzandomi il capo, cercando di rassicurarmi. Funzionò.
Mi aiutò lentamente ad alzarmi, ridendo. Io la fulminai con lo sguardo, per poi unirmi alle sue risate. Salimmo piano piano le scale che portavano al piano superiore.
<< Sir Francis è già qui? >> chiesi, timorosa.
<< Si e da un bel po’ anche >> disse, lanciandomi una divertita occhiata di rimprovero.
Le sorrisi. Percorremmo un lungo corridoio e ci fermammo entrambe d’avanti ad una porta da cui provenivano voci concitate, che Jessica spalancò. Sorrise radiosa e si avvicinò ad un uomo sulla quarantina, che portava un vestito colorato, che lo strizzava talmente tanto che mi chiesi se riuscisse a respirare o almeno a far circolare il sangue. Portava una alta parrucca bianca e boccolosa, ed un trucco piuttosto pesante sulle guance. Salutò la marchesina con un finto accento francese. Era buffo e simpatico al primo impatto. Chissà se anche al secondo.
<< Lei è la duchessina de Polignac Francis, trattatemela bene, mi raccomando! E Dominique, lui è Sir Francis Wilkinson, il sarto migliore che ci sia! >> concluse ridendo.
<< Puoi ben dirlo cara, puoi ben dirlo.. >> disse con quel buffo accento, per poi rivolgersi a me, << è un piacere fare la vostra conoscenza mia cara, avevo tanto sentito parlare di voi, e sapevo che eravate bella, ma non immaginavo così tanto >> disse, con un timbro di voce profondo, senza alcuna traccia del ridicolo accento.
Jessica mi fece l’occhiolino divertita, mentre io assumevo un colorito incandescente.
<< Bene signore, ora veniamo a noi! Per quale motivo tanto chic avete chiamato il re delle stoffe? >> chiese, ritornando il buffo personaggio che era e assumendo una posizione piuttosto ridicola.
<< Per un compito speciale Francis.. E abbiamo bisogno di abiti altrettanto speciali.. >> disse la marchesina, arrossendo e con lo sguardo basso.
<< Interessante.. Continuate.. >> chiese con un sopracciglio arcuato.
<< Abbiamo bisogno di abiti meno decenti e più osè! >> disse Jessica tutto d’un fiato e viola dalla vergogna.
Il sarto perse la sua compostezza e per poco non si strozzò con la sua stessa saliva. Dopo varie pacche sulla spalla da parte dei suoi pupilli, ci guardo stranito, stupefatto ma con una nota di malizia nello sguardo.
<< E’ per quel ballo, vero? >> disse ad occhi sbarrati dalla sorpresa, divertito.
<< Si >> rispose Jessica, a testa alta, ma rossa in volto.
Ancora più sorpreso, Francis riprese la sua posizione ritta e altera, << e sia allora! Sarete le più belle donne con abiti indecenti che la Stagione londinse abbia mai visto! >> disse solenne, per poi battere le mani.
I suoi pupilli si affaccendarono per mostrare a noi e al re delle stoffe tutti i tessuti più belli e pregiati, dalla seta al cotone più puro, dagli intricati disegni o dalla semplicità romantica, dal nero onice, al bianco panna. E non potevano mancare scarpe, cappelli, mascherine, parrucche, trucchi, scialli, calze e giarrettiere, dai più strani ai più particolari. Centinaia di stoffe e vestiti già pronti passarono per le nostre mani, senza tregua. Mi stavo togliendo un vestito, troppo colorato, con troppe balze, e con decisamente troppi merletti, con l’aiuti di Paul e Pauline, fratello e sorella davvero simpatici quando qualcuno, senza bussare, irruppe nel nostro intimo angolino dedicato agli abiti scandalosi. Un giovane uomo, bellamente e pigramente appoggiato allo stipite della porta, sgranocchiava una mela a grandi morsi, guardando sfacciatamente prima la marchesina, poi me. L’incredibile somiglianza fra Jessica e quel giovanotto mi portò a pensare che quello fosse Andrew, il fratello della mia amica. L’iniziale rossore, aumentò sempre più quando fui consapevole dei pochi pezzi di stoffa che mi coprivano e delle giarrettiere ben visibili.
Jessica, accortasi subito della presenza del fratello, proruppe, << Va via Andrew, gira a largo! Spaventi la nostra ospite! >> disse arrabbiata.
Il bel giovane, si bloccò con la mano in cui teneva la mela vicino alla bocca semiaperta. Probabilmente stava per addentare l’ennesimo morso, ma la sorella lo aveva interrotto. Spalancò un po’ gli occhi, guardando prima Jessica, poi me. La mano gli ricadde vicino al fianco.
<< Vi sto spaventando? >> mi chiese, gentile e sfacciato allo stesso tempo, con una sincera curiosità nello sguardo. Pareva anche divertito.
Non sapevo cosa rispondere, << n-no, n-non credo.. M-mi sento a disagio p-più che altro.. >> balbettai in un bisbiglio, ancora rossa in volto.
Il marchese mi sorrise divertito, ma stranamente quel sorriso mi rassicurò. Fissai più attentamente il giovane uomo che avevo d’avanti. Era alto e dalle spalle larghe, anche i muscoli erano piuttosto pronunciati. Aveva luminosi occhi verdi, contornati da folte ciglia scure, labbra carnose proprio come quelle della sorella, e un colorito pallido. Dei boccoletti neri come la pece, gli ricadevano sulla fronte, alcuni andavano quasi a coprire gli occhi. Andrew era un bel ragazzo, sicuramente non avrebbe avuto problemi nel trovare una bella fanciulla con una buona dote. Un cuscino volante lanciato dalla marchesina ci ridestò entrambi dai nostri sguardi, e il bel marchese riuscì per un pelo a scansare il proiettile, ridendo divertito, e scansando i successivi cuscini e giornali che la sorella imperterrita gli lanciava contro nel tentativo di colpirlo o almeno di allontanarlo dalla camera.
<< Beh, magari ci presenteremo stasera, Dominique! >> disse Andrew, ridacchiando fra un giornale volante e l’altro.
Fece un cenno con la mano, prima di chinarsi per evitare un cuscino, e scappò via ridendo. Ancora rossa in volto, guardai la marchesina che affannata e rossa in viso, cercava di soffiare via il ciuffo spettinato caduto d’avanti agli occhi. Prima incredula, poi divertita, scoppiai a ridere. Jessica mi guardò sorpresa, per poi unirsi alla mia risata. Sir Wilkinson ci riportò all’attenzione, battendo le mani.
<< Abbiamo troppo lavoro per perderci in chiacchiere e risatine, signorine! >> borbottò, per poi sorridere cercando di non farlo vedere.
Dopo due ore passate ad avvicinare stoffe e tessuti al nostro viso, per vedere quale tonalità si addiceva di più alla nostra carnagione, dopo aver provato decine di vestiti dalle forme diverse per vedere quale di questi esaltava di più le nostre forme generose, io e Jessica decidemmo quello che avremmo indossato l’indomani sera, con l’aiuto di Sir Wilkinson ovviamente, che soddisfatto, raccattò le sue cose per salire con i suoi pupilli nella sua strana e bizzarra carrozza, partendo a gran velocità. Sia io che Jessica, guardandolo andare via, concordammo che non era un gran che come cocchiere. Entrammo in casa infreddolite intenzionate ad andare a metterci vicino al fuoco, quando mi cadde lo sguardo sull’orologio a pendolo. Per poco non mi venne un colpo. Erano quasi le undici. Spalancai gli occhi. Il tempo era davvero volato e solo adesso che mi ero resa conto dell’ora tarda cominciavo a sentire le membra appesantite dalla stanchezza. Frettolosamente, consapevole della possibile strigliata di Gabrielle, mi guardai in torno in cerca del mio scialle e della mia borsetta. Gli afferrai al volo da un semplice attaccapanni. Jessica mi guardò stranita.
<< Vai via? Di già? >> chiese dispiaciuta, facendo un passo verso di me con le sopracciglia contratte e le mani unite in grembo.
<< Si, perdonami Jessica, ma sono veramente in un gran ritardo! >> dissi cercando di aggiustare i capelli.
<< Ma non ti ho offerto nulla! Nemmeno un the? >> chiese speranzosa facendo un altro passo verso di me.
<< Jessica, io.. Davvero.. N-non posso.. >> balbettai a disagio, dispiaciuta.
Lei mi bloccò con una mano, << non dire altro, capisco benissimo, ma domani non mi scappi! >> disse lei con un sorriso, alzando gli occhi al cielo.
Le sorrisi grata e l’abbracciai forte, grata. Chissà perché mi aspettavo che Andrew scendesse a salutare, ma non si fece vivo, riuscivo ad intravedere solo una lama di luce fuoriuscire da una porta socchiusa in cima alle scale. Scrollai le spalle. Salutando un ultima volta la marchesina salii velocemente in carrozza. Dopo pochi secondi sentii lo schiocco della frusta e gli zoccoli dei cavalli che a ritmo sostenuto mi portavano verso casa. Mi avvicinai allo sportello per poter guardare fuori, pensando a mia madre. Chissà cosa avrebbe pensato di me se avesse saputo quali programmi avevo per l’indomani sera. Appena i miei pensieri presero una brutta piega, cercai di scrollarmeli di dosso, ma i pensieri “giusti” non arrivarono, così fissai il cielo notturno, buio e pieno di stelle, contornato dagli alti alberi che si stagliavano nel soffitto buio tempestato di diamanti, come a voler rubare qualche piccola luce da tenere con loro. Pensai a tutto e a niente. Ormai, nonostante la paura, avevo preso la mia decisione e sorprendentemente, non me ne pentivo. Sarei andata al ballo, avrei danzato come non avevo mai fatto in tutta la mia vita, avrei chiacchierato di cose e con persone che non avrei neanche potuto mai immaginare, avrei vissuto un'altra vita. Per poco, ma comunque un  altro mondo. Per poco, ma comunque una diversa me. Forse avrei perfino potuto accarezzare un uomo. Arrossii a quel pensiero spudorato quanto indecente e mi meravigliai di me stessa aggiustandomi a disagio sul sedile, come se qualcuno avesse sentito quel pensiero peccaminoso. Gli zoccoli dei cavalli si fermarono e così la carrozza. Il mio cuore però cominciò la sua corsa e finalmente mi resi conto di una cosa. Quella sera stessa o la mattina dopo, avrei dovuto mentire alla mia tutrice, cosa di cui non ero esattamente capace. Avevo mentito, ma per piccole cose, spesso da bambina per evitare un a sgridata, ma non su una cosa così importante. Mi tremarono le ginocchia al pensiero. Scesi dalla carrozza e velocemente mi diressi verso l’entrata dispensando cenni con il capo e lievi sorrisi ad ogni inchino di cameriere e servitori. Una delle governanti, una donna anziana dall’aria rigida e severa, con una crocchia ben ordinata e una magrezza piuttosto inusuale nelle donne della sua età, mi aiutò a togliermi lo scialle e la borsetta, per poi fare un breve inchino e scomparire nel buio della casa. Faceva piuttosto freddo, avevo le dita dei piedi fredde. Mentre procedevo verso le scale per raggiungere la mia camera, sfregandomi con le mani le braccia fresche, sentii dei rumori sommessi. Non capivo bene di cosa si trattasse, così confusa e incuriosita salii le scale lentamente. I rumori continuarono, intensificandosi sempre più. Mi preoccupai. Probabilmente la duchessa stava male. Affrettai il passo, e riuscii a riconoscere da quale camera venivano precisamente i rumori. Non mi ero sbagliata, era la camera della duchessa. Cercavo di ascoltare attentamente, per capire se aprire la porta si o no. Cercando di fare silenzio, mi avvicinai piano alla porta. Poi una vaga consapevolezza si fece strada fra i miei pensieri. Quelli non erano sospiri di dolore. I restanti dubbi vennero spazzati via, da gemiti di piacere sempre più intensi e gridolini soffocati e non, e ruggiti che sembravano provenire da una bestia. I gemiti divennero più forti e sempre più frequenti, ed io indietreggiai schiaffeggiata dai pensieri e dalle immagini che affollavano la mia mente. Con una mano sulla bocca dischiusa, gli occhi sbarrati e il viso rosso per l’aria che non riuscivo a far entrare nei polmoni, indietreggiai sempre più velocemente, non guardando bene dove mettevo i piedi e dimentica ormai del silenzio da mantenere. I ruggiti e i gridolini si inseguivano e ormai riuscivo a sentire solo quello, mentre l’immagine della mia tutrice in una veste trasparente di un rosa seducente, con le cosce aperte, il viso arrossato e un uomo fra le sue gambe che si muoveva su di lei, mi riempì la mente, spaventandomi. Non avevo mai avuto visioni del genere nella mia testa. Non mi ero accorta di stare indietreggiando ancora, così andai a sbattere contro un mobile antico. Il tintinnio di oggetti caduti, interruppe i gemiti e i ringhi bestiali, che si trasformarono in attento silenzio. Il mio viso prima paonazzo, divenne di un bianco cadaverico mentre il panico si faceva strada fin nelle viscere. Dalla fioca luce che filtrava sotto la porta riuscii a vedere un ombra che cominciava ad avvicinarsi alla porta a grandi passi mentre un sospiro femminile e deliziato si disperdeva nell’aria. Spalancai gli occhi di botto, dimenticai gli oggetti caduti, presi velocemente un lembo del mio vestito e corsi verso le mie camere, più veloce che potevo, con il cuore a mille che insieme al rumore veloce dei miei passi sul tappeto, quasi simile ad un martello che batte su legno ricoperto di stoffa, mi assordavano formando una sintonia perfetta con il mio cuore, anch’esso impazzito. Mi sembrava di aver sentito la porta della duchessa aprirsi e l’inizio del corridoio riempirsi di luce. Sapevo di essere stata vista da chiunque avesse aperto la porta della camera in cui giacevano i due amanti, ma non me ne curai e continuai a correre a perdifiato per raggiungere la mia camera. I polmoni mi bruciavano, non riuscivo a respirare decentemente. Arrivai finalmente alla mia camera, mi ci fiondai dentro, e mentre chiudevo velocemente la porta una risata maschile riecheggiò per i corridoi. Mi appoggiai alla porta con il respiro affannato e tremolante, il seno che si comprimeva dolorosamente nello stretto corpetto, le stecche di quest’ultimo che mi infilzavano la pelle. Mi allontanai dalla porta prendendomi il viso fra le mani tremolanti. Non sapevo come reagire a tutto quello, come comportarmi adesso che la duchessa avrebbe sicuramente saputo, non sapevo cosa pensare. Bussarono alla porta e il mio cuore cominciò a battere all’impazzata, guardai con un misto di panico e angoscia la porta.
<< Vostra Grazia.. Volete che vi aiuti per cambiarvi? >> disse la voce piccola e gentile di Eveline.
Un enorme sospiro di sollievo mi scosse. Portai una mano sul cuore impazzito come se quel banale gesto servisse per calmarlo.
<< N-no grazie Eveline, faccio da sola.. >> dissi con voce tremolante.
Sentii la giovane darmi la buonanotte e allontanarsi. Respirai, come se non lo facessi da anni. Mi buttai sul letto, affondando la faccia nel morbido tessuto. Non riuscivo a vedere niente in quel buio soffocante, solo vari puntini e strisce verdi, arancioni rosse e forse anche blu che mi danzavano scoordinate d’avanti agli occhi. Riemersi dopo qualche minuto. Tutti i pensieri presero una nota angosciante quando mi guardai in torno, ripiombando nella realtà. Feci un sospiro sconsolato, strizzando poi gli occhi e facendo diventare le mie labbra una sottile linea dura e stanca. Va’ a impiccarti, dissi mentalmente non sapendo bene a chi. Forse a me stessa. Mi rialzai lentamente, e con un gemito mi rimisi in piedi. Ero a pezzi, sia dentro che fuori. Svogliatamente mi accinsi a togliermi il vestito. Fin qui tutto liscio. Ma poi, da brava gatta nera, mi si presentò il solito problema. Il corpetto. Non riuscivo a slacciarlo da sola e di dormirci non se ne parlava visto che le stecche mi si conficcavano nella schiena e non volevo ritrovarmi dolorante e piena di brutti segni violacei sulla mia pelle. Pensai per qualche secondo, e poi mi decisi. Mi diressi verso il bagno, presi un rasoio e tagliai il dietro del corpetto, liberandomi da quell’indumento infernale. Tolsi mutandoni, giarrettiere e quant’altro rimanendo nuda. Mi infilai nel letto. La luce filtrava dalla finestra, ma non era certo questo il motivo per cui il sonno tardava ad impossessarsi di me. Pensavo, pensavo, pensavo, arrossendo ogni volta che inevitabilmente i miei pensieri mi portavano ai gemiti di passione della mia tutrice. Un brivido mi percorse, mi morsi le labbra. Nonostante cercavo di non ammettere certe cose a me stessa, uno strano calore formicolante mi aveva scossa mentre sentivo quei gridolini. Era.. Desiderio?  Possibile? Non avevo mai provato quella sensazione riguardante un atto così intimo.. Eppure il liquido calore al basso ventre parlava chiaro. Sentii delle voci sommesse in corridoio. Un uomo e una donna. Poi riconobbi la voce della duchessa. Il cuore prese a tempestarmi di pugni il petto, ma la curiosità ebbe la meglio. Mi alzai silenziosamente dal letto, e mi avvicinai alla porta, aprendola piano e di qualche centimetro, giusto quello che mi serviva per poter sentire e vedere meglio. In  quello strano silenzio, il mio respiro affannato sembrava rumoroso. Vidi un ragazzo molto alto e dalle spalle imponenti, i magnifici capelli rossi illuminati dai raggi argentei della luna. Era sulle scale con la duchessa, si tenevano stretti, mormorandosi parole dolci, come due innamorati. Gabrielle non gli arrivava neanche alla spalla, e lui dovette abbassarsi di parecchio per baciarla. Poi la lasciò, spingendola via bruscamente, e se ne andò. Nel momento in cui si girò, riuscii a vedere due sublimi occhi azzurri e un viso bellissimo. Non doveva avere più di venticinque anni, constatai scandalizzata. Per qualche secondo mi sembrò anche che quegli occhi freddi si puntassero su di me, facendo poi un lieve sorriso divertito. La porta d’ingresso sbattè, e la duchessa fece un sospiro. Poi si girò, e puntò lo sguardo sulla mia porta. Indietreggiai di botto, con la paura che mi avesse vista e corsi nel mio letto, con i passi di Gabrielle che si facevano sempre più vicini. Sentii la porta aprirsi lentamente, e subito mi schiacciai atterrita ai cuscini. Non ero pronta per affrontare la duchessa! Oh, Santo Cielo!
<< Dormi? >> sussurrò con dolcezza Gabrielle.
Dolcezza? No, avrebbe dovuto essere infuriata, quindi era più probabile che mi fossi immaginata quel tono tanto caro.
<< No.. >> risposi nel medesimo tono. Stavo per prendere fiato per cominciare a scusarmi quando lei parlò.
<< Allora, come è andata la serata? Sei tornata piuttosto tardi.. >> disse con voce bassa e flautata con una nota di rimprovero.
<< G-già, i-io.. Ehmm, ho perso la cognizione del tempo.. Scusami.. >> dissi, non sapendo bene cosa dire o come comportarmi. La duchessa invece sembrava a suo agio e rilassata più che mai, con i capelli un po’ arruffati, le gote di un rosso acceso come le labbra, gonfie per i baci. La veste sottile faticava a nascondere le sue sensuali forme, baciate dai raggi argentei della luna.
<< Tu e Jessica state diventando molto amiche vedo >> disse con un sorriso, << ne sono felice >> concluse con una carezza ai miei capelli. Il mio pensiero corse subito a cosa ci avesse fatto con quelle mani prima di accarezzarmi e se almeno le avesse lavate. Gabrielle, come se avesse capito la direzione dei miei pensieri, fece una risatina divertita, per poi accarezzarmi la guancia e strusciare il suo pollice contro le mie labbra, << oh, così bella, così bella.. >> mormorò, sognante.
Non mi stupii. Gabrielle era sempre stata una donna particolare. Peccato che solo quella sera mi fossi resa conto di quanto lo fosse. Chissà se sua madre era a conoscenza di certi comportamenti della sua cara amica. Scossi la testa, liberandomi di quei pensieri e di quelle carezze. La duchessa mi baciò la fronte, mi diede un buffetto sulla testa e poi cominciò ad avviarsi alla porta. Ora o mai più, mi dissi, cercando di accumulare tutto il coraggio di cui disponevo, servendomi del buio per celare un eventuale rossore sul mio viso.
<< Gabrielle.. >> la chiamai a bassa voce, esitante.
Lei si girò di scatto, con un sorriso, i bei capelli scuri le incorniciavano il viso delicato, << Mhm? >>
Presi un respiro, << domani sera, sono stata invitata alla reggia dei FitzMaurice, si prenderà un the con alcune ragazze dell’alta società, e Jessica mi ha invitato a restare a casa sua per la not.. >> fui interrotta bruscamente dalla duchessa.
<< Vai alla festa? >> chiese, alzando di un po’ la voce, ma sempre con un sorriso. Non riuscivo a capire se fosse sincero o meno, ma restai comunque atterrita dalla sua domanda così diretta che proprio non mi aspettavo. Il cuore prese a battermi all’impazzata, ed io non sapevo cosa rispondere. Il sorriso di Gabrielle si affievolì, e arcuò le sopracciglia, << allora? >>, chiese, con voce mielosa.
<< Si.. >> risposi, impotente e atterrita gli occhi spalancati fissi nei suoi.
<< Bene! Divertiti cara, e non provare a mentirmi di nuovo! >> disse ridendo, ma con occhi serissimi.
Non sapendo che dire o cosa fare, mi limitai ad annuire impercettibilmente. Gabrielle uscì dalla stanza a passo svelto, quasi saltellando, mentre ridacchiava. Con la bocca ancora dischiusa, ma gli occhi che ritornavano al loro posto, mi accasciai sui cuscini, dopo aver fissato a lungo la porta chiusa, stupefatta. Cominciai a farmi domande, che richiedevano risposte che non arrivavano. Ma ero davvero pronta a catapultarmi in un mondo di cui non sapevo niente? Ed ero davvero sicura di conoscere il mio mondo? La duchessa si era rivelata una donna piuttosto libera, perfino con ragazzi così giovani, e forse anche Jessica, per quanto avesse un aspetto fragile e delicato, sembrava più esperta su certi argomenti. Ripensai a quel bel ragazzo, dal viso meraviglioso, gli occhi sublimi e dalla stazza imponente. Aveva un accento che mi ricordava tanto qualcosa. Pensavo e ripensavo a quegli occhi glaciali, e alla teoria dei due mondi, riflettendo per la prima volta che forse ne esisteva solo uno ma con tante facce di cui io non ero a conoscenza. Caddi in un sonno profondo, fatto di gemiti di piacere, ringhi, e spalle imponenti. Peccato che nel sogno la duchessa non fosse presente. 













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Salve a tutti!
Mi scuso immensamente per il ritardo, ma purtroppo fra feste e salute scadente, il computer l'ho visto poco e niente! Comunque spero che il capitolo vi sia piaciuto! Ringrazio tutti quelli che leggono e recensiscono! Grazie davvero infinite! Un bacione e al prossimo capitolo :)

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Capitolo 5
*** La Via del Peccato ***


Capitolo V

La via del peccato

 
 
 










Un nuovo giorno, in quella Londra sconosciuta. Mi svegliai. Ero scossa, arrossata e palpitante per i vividi sogni fatti durante la notte, ma appena aprii gli occhi, la calda luce accogliente del sole mi schiarì le idee. Sorrisi automaticamente ascoltando gli uccellini che cantavano al nuovo giorno e pensando alla luminosa giornata che si prospettava. Mi stiracchiai con un pigro sorriso che mi abbelliva il volto, quando i pensieri tornarono con violenza a schiaffeggiarmi, facendomi attorcigliare le viscere per l’ansia. Mi immobilizzai fissando nel vuoto. Ricordai la serata al Drury Lane Theater, ricordai il Granduca. Quel bellissimo giovane nobile, che mi aveva sconvolto con una semplice occhiata, che aveva lineamenti troppo perfetti, che sembrava indifferente a tutto, che proveniva da un enorme e bellissimo Paese, su cui un giorno avrebbe regnato. Un brivido mi percorse la spina dorsale. Pensai alla sera precedente, al giovane e bellissimo amante della duchessa. Quella voce profonda, con una nota divertita e quel marcato accento così familiare, mi aveva scosso. Così giovane, con quei meravigliosi occhi azzurri. Pensai allo sguardo adorante di Gabrielle, quando guardava insistentemente il suo giovane amante. Mi riscossi arrossendo. Mi alzai, pensando alla serata che mi aspettava. Non sapevo esattamente a quale ora sarebbe cominciato il ballo, ma Jessica mi aveva raccomandato di essere puntuale: alle sette di sera avrei dovuto essere a casa sua. Mi chiesi quanto tardi potesse cominciare questo ballo. Dalla forte luce del sole che entrava dalla grande finestra, constatai che dovevano essere le dieci. Indossai dei semplici abiti che non ebbi difficoltà ad indossare da sola. Di Eveline nessuna traccia. Non ci pensai. Finito di vestirmi mi feci una semplice e veloce treccia che poi arrotolai sulla nuca. Mi guardai allo specchio, trovandomi decente e composta. Come doveva essere. Sbuffai, notando la castigata scollatura, il bustino aderente, e la gonna liscia ma voluminosa. Sospirai, consolandomi pensando che almeno i colori dell’abito, il rosa e il bianco, mi erano sempre stati bene. Uscii dalla camera, dispensando saluti ai vari servitori mantenendo il passo veloce. Arrivai nei pressi delle cucine. Non avevo voglia di mangiare da sola nella grande sala, e spesso e volentieri, quando non c’era nessuno in giro che mi rimbeccasse, mi piaceva mangiare nelle cucine. Lì dentro l’aria era calda e familiare e tutti erano gentili, soprattutto la mia Margot. Spinsi la pesante porta di legno ed entrai. C’erano pochi servitori nella cucina e un piacevole odore di brioches aleggiava nell’aria. Lunghi banconi sporchi di farina, grandi forni a legna, vassoi impilati riempivano la stanza, e giovani e anziani servitori riordinavano o dispensavano ordini. Appena entrai tutti gli sguardi si puntarono su di me. Era piuttosto insolito che una nobile entrasse nelle cucine, o anche solo che si avvicinasse all'ala della casa riservata ai servitori se non, ovviamente, per eventuali strigliate. Uno strano silenzio regnò nella stanza per una decina di secondi, poi alcuni si riscossero con un lieve movimento del capo. Avrebbero fatto meglio ad abituarsi alla mia presenza lì, le cucine mi erano sempre piaciute. L'odore di pane fresco e brioche mi aveva sempre fatto pensare e ricordare cose belle. Andavo matta per quel profumo così caldo, che sapeva tanto di famiglia. 
<< Allora?! Nessuno qui ha qualcosa da fare?! Riprendete a lavorare! >> intervenne Margot, riportando all'ordine i pochi ragazzi servitori rimasti ancora fermi a fissarmi. Alcuni di loro arrossirono, altri risero, facendo qualche battutina. Tutti volevano bene a Margot, lì dentro era come una mamma, per tutti. 
Mi girai sorridente verso di lei. Margot aveva il tipico aspetto della nonna affidabile, affettuosa, calorosa. I suoi capelli grigi erano legati in una treccia piuttosto disordinata da cui sfuggivano diverse ciocche. Il viso paffuto e rugoso, dalla carnagione bronzea, anche se con qualche traccia di stanchezza era luminoso. Le palpebre ormai dalla pelle slabbrata, le ricadevano leggermente sugli occhi scuri come due pozzi di petrolio. La sua figura bassa e grassottella, quasi sempre adornata da camici da cucina sporchi di farina, era buffa e simpatica, ispirava fiducia. Evidentemente soddisfatta di aver riportato sulla retta via i ragazzi, annuì con un sorriso compiaciuto, per poi rivolgersi a me.
<< Buongiorno cara >> mi disse con un sorriso sinceramente caloroso.
<< Buongiorno Margot! Hai qualcosa di buono per me? Muoio di fame.. >> risposi con una smorfia che sostituì il mio sorriso.
<< Ma certo mia cara! Vieni, vieni con me, così mettiamo un po' di carne su queste ossa! >> disse con un sorriso, portandomi verso un banco meno sporco di farina e gocce d'acqua. Pensai a come Margot si era riferita a me. In realtà di carne sulle ossa ne avevo abbastanza, nella giusta proporzione, visto che avevo sempre adorato ogni forma di bombolone, marmellata, crema, e altre delizie. Tranne il cioccolato. Mi piaceva, certo, ma non mi faceva perdere la testa. I miei pensieri dedicati ad un enorme dolce farcito di crema e panna, furono interrotti dal rumore del piatto in porcellana che era stato posato proprio sotto il mio naso. Mi riscossi, e fissai un po' spaesata Margot che ricambiava insistentemente il mio sguardo, arternandolo poi da me al piatto. Un odore dolce di zucchero mi invase le narici. Abbassai lo sguardo, contenta di trovare la mia semplice ma graditissima colazione. Fette di pane fresco spalmate di burro e marmellata, cereali, bomboloni alla crema riempivano il piatto, con l'aggiunta di una tazza di cioccolata calda con fiocchetti di panna. La mia semplice colazione. Soddisfatta e con lo stomaco che cominciava a mangiarsi da solo, addentai una fetta di pane fresco. Un sapore dolce al punto giusto mi invase il palato e io sorridevo, mentre anche Margot si perdeva in risatine soddisfatte e divertite dalle mie buffe espressioni di beatitudine. Mentre mi concentravo sui vari sublimi sapori, e Margot spolverava qua e la, un piccolo tornado invase la cucina, seguito da servitori che cercavano di acchiapparlo. 
<< Ehi torna qui! >> gridò uno dei ragazzi che stava cercando di acciuffarlo.
Sobbalzai, guardando la causa di tutto quel trambusto. Joseph, chiamato da tutti affettuosamente Josy, una piccola peste di tre anni che appena mi vide si bloccò di colpo con il viso rosso, e il corpicino scosso da spasmi per la lunga corsa. Adoravo quel bambino, era bellissimo, tenero, simpatico, e iperattivo, anche se molto timido. Non si fidava ancora di me, stavamo ancora imparando a conoscerci.
<< Josy! Peste che non sei altro, fai disperare tutti, mascalzone! >> disse con finta severità Margot, avvicinandosi a quel bambino ridacchiante. 
Mi alzai dalla sedia, dimentica ormai del mio bombolone e mi avvicinai a Josy che immediatamente, vedendomi avvicinarmi, si nascose dietro il grande e sgualcito gonnellone di Margot, la sua affettuosa nonna. Sorrisi lentamente, e alzai la mano per fare un piccolo gesto di saluto senza cercare di spaventarlo ulteriormente, ma Josy seppellì ancora di più il suo visino nella stoffa che lui evidentemente doveva trovare molto rassicurante.
<< Timidone! Quando si tratta di combinare guai però, sei sempre pronto! >> disse Margot, prendendo in braccio il frugoletto, che subito gli fece la linguaccia. I ragazzi che avevano cercato di acchiappare quel piccolo tornado e che erano rimasti a guardarlo, scoppiarono in una risata, mentre Margot s'imbronciava. Risi anch’io, seguita subito da Margot che cercava di nascondere il suo divertimento. Ancora ridacchiando, mi avvicinai a Josy che rimase a guardarmi con le gote rosse, la bocca socchiusa, dove sembrava essere indeciso se metterci o meno il suo ditino. Gli feci una lieve carezza sul capo, e il piccolo Joseph a poco a poco, cominciò a rilassarsi, ridacchiando per il solletico che a momenti gli facevo al pancino.
<< Siete brava con i bambini, Vostra Grazia! Joseph non si fida molto delle persone.. >> disse un giovane dalla pelle bronzea per i lavori sotto il sole.
Sorrisi. << Grazie.. >> mormorai, concentrata sui sorrisi che rivolgevo al piccolo Josy.
Il bambino sembrava molto interessato al mio bracciale d’oro, e mentre giocherellava con il mio polso, tenendosi sempre stretto alla nonna che lo fissava con sguardo colmo d’amore e di divertimento, osservai il bimbo. Aveva capelli color cioccolato fondente, due grandi occhi verde scuro con sfumature marroncine, fossetta sulla guancia sinistra, denti piccoli e bianchi, e uno sguardo birichino.
<< Nessuno ha niente da fare qui?! Tornate a lavorare, fannulloni! Quanto tempo avete intenzione di perdere dietro ad una piccola peste?! A lavoro! >> sbraitò una voce che io conoscevo solo da pochi giorni.
Sobbalzai per lo spavento, girandomi per accertarmi di chi fosse la voce severa e roca che aveva interrotto così bruscamente quel momento spensierato. Vidi all’entrata della cucina la governante della casa, Gertrud. Una signora di mezza età, magra come una scopa, dall’aspetto severo. Quella mattina come tutte le altre, indossava un castigato abito grigio scuro che le copriva quasi tutto il collo, la severa e ordinatissima crocchia era come sempre ben fatta e nessuna ciocca marrone-grigia sfuggiva al suo ordine perfetto, le guance incavate rendevano ancora più severa la sua immagine. Appena il suo sguardo si posò su di me, spalancò leggermente gli occhi per la sorpresa. Rimase interdetta per qualche istante, poi recuperò la sua aria gelida, severa ed intransigente.
<< Vostra Grazia, buongiorno.. Non mi aspettavo di trovarvi qui, vi siete forse persa? Una signorina nobile e ben educata come voi non dovrebbe trovarsi nelle cucine, ne tantomeno fra la servitù.. >> disse con un gelido sorriso cordiale che non raggiungeva gli occhi.
Cercai di ignorare la frecciatina e rimasi senza parole, stupita, per qualche momento. Nonostante solo poche e a me vicine persone sapessero che avessi sangue blu nelle vene, nessuno mai mi si era rivolto in quel modo così sfacciato. Ero considerata una trovatella per la società e la gente quando parlava di me, di certo non lo faceva per elogiare il mio modo di vestire ne tantomeno la mia provenienza, ancora dubbia e motivo di pettegolezzi spesso e volentieri maligni. Ma ero pur sempre una duchessa e nella classe sociale ero ai vertici dell’aristocrazia. Ero una duchessa, santo cielo. Tutti mostravano assoluto rispetto nei miei confronti, non certo per benevolenza, visto che il più delle volte avevo letto nei loro sguardi un odio inspiegabile e una malignità non altrettanto inspiegabile, ma perché dovevano. Quell’ordine velato da gelida cortesia mi innervosì terribilmente e risposi non come una duchessa ma come una popolana.
<< Buongiorno anche a voi Gertrud.. La ringrazio del pensiero e della preoccupazione che nutre nei miei confronti, ma questa è la mia casa, e gradisco passare il mio tempo come più mi aggrada. Se poi ci riesco senza ricevere giudizi non richiesti, allora è proprio una splendida giornata. >> conclusi con un sorriso di cortesia.
Gertrud rimase impassibile, ma il suo sorriso evaporò lentamente. << Ma certo Vostra Grazia, come voi preferite, sono qui per servirvi.. Se avete bisogno di qualsiasi cosa.. >> disse con un inchino.
Alzai una mano per interromperla, << certo Gertrud, vi ringrazio. Qualunque problema mi si presenterà, sarò lieta di venire a lamentarmi da voi >> dissi con una risatina, << e adesso, se volete scusarmi, avrei proprio voglia di portare questo bel bambino a fare una passeggiata nella tenuta.. Sempre che a voi vada bene Margot >> dissi voltandomi con un sorriso caloroso verso l’affettuosa nonna che ancora coccolava fra le sue braccia Josy, a cui luccicarono gli occhi alla prospettiva di poter scorrazzare nel boschetto.
<< No affatto Vostra Grazia! Forse si stancherà e la smetterà di combinare guai dopo! >> disse con una finta nota di rimprovero, scuotendo lievemente il piccolo che subito divento paonazzo, per poi nascondersi nell’incavo del collo di Margot, che a quella reazione, rise.
Ridacchiai anche io, per poi sporgermi per prendere Josy fra le mie braccia che stranamente non fece capricci ma che, incantato dai miei capelli, mi strinse un braccino in torno al collo, mentre una manina andava a giocare con una ciocca dei miei capelli. Lo guardai attentamente, e vedendolo così concentrato in quello che faceva, risi.
<< Ma certo Vostra Grazia.. Vi faccio preparare la carrozza, o i cavalli? >> chiese Gertrud, severa e composta.
<< Non credo che Josy sia capace di montare uno stallone, e di certo la carrozza non ci servirà, soprattutto se dobbiamo cercare di stancare questa peste >> dissi con un sorriso, << procederemo a piedi Gertrud >> conclusi decisa.
<< Come voi preferite Vostra Grazia.. Chiamo subito la vostra cameriera per l’occorrente per la passeggiata >> disse Gertrud, inchinandosi prima di congedarsi.
Dopo pochi minuti, sulla soglia della grande cucina comparve Eveline con il fiatone e il viso paonazzo. << Vostra Grazia, buongiorno! Perdonatemi per non essere venuta da voi stamane ma la duchessa mi aveva mandata a fare delle commissioni.. >> disse, arrossendo ancora di più, << ecco a voi Vostra Grazia, il vostro ombrello per la passeggiata, una pelle bella e limpida come la vostra sarebbe un peccato rovinarla! Vi ho portato anche lo scialle.. >> concluse con il fiatone, affannata, e sempre più rossa.
Cercando di trattenere una risata, le sorrisi rassicurante e afferrai ombrello e scialle che mi porgeva. Ero incuriosita da quale commissione avrebbe potuto farle fare la duchessa, ero stupita, di solito mandava le sue cameriere personali a sbrigare le sue faccende, senza privarmi delle mie serve. Scrollai le spalle, quella mattina comunque Eveline non mi sarebbe servita. << Grazie mille Eveline e non preoccuparti per questa mattina.. Questa sera però ho un impegno e vorrei che mi aiutassi a rendermi presentabile! Fatti trovare nelle mie camere per le cinque e trenta di questo pomeriggio. Non tardare >> le raccomandai con un sorriso.
Feci scendere Josy dalle mie braccia ormai indolenzite, gli presi la manina che lui insicuro afferrò e mi avviai verso la porta d’uscita della servitù.
Appena il sole tiepido e inaspettato di quella mattina di gennaio mi colpì, aprii l’ombrello bianco che subito mi offrì un riparo. L’aria era fredda, e in pochi minuti la pelle del viso si fece ghiacciata, e quasi sentii il naso e le guance tingersi di un rosa acceso, causato dal freddo. Il tepore del sole per fortuna, mitigava il tutto. Camminavo tranquilla, guardando il piccolo Josy che incurante di tutto, scorrazzava allegramente da una parte all’altra, facendosi beffe dell’aria gelida. Ci inoltrammo nei curatissimi e vasti giardini, pieni di rose, per poi finire nel grande viale alberato che sapevo portava al boschetto, dove poi si poteva decidere se andare al fiume, al piccolo laghetto artificiale oppure alla radura. Camminavo sorridendo, tranquilla e libera dai pensieri, guardando e assicurandomi che Josy stesse giocando senza correre pericoli. A volte il piccolo si voltava verso di me per assicurarsi di non essere solo. Sentivo il cinguettio degli uccelli, l’odore della terra, e lo scricchiolio dei sassolini, dell’erba e della ghiaia sotto le mie scarpe, vedevo il magnifico gioco di ombre che il sole creava passando attraverso i rami degli alti alberi che facevano come da soffitto, vedevo l’erba e il polline che svolazzava nell’aria alla luce del sole. Sorrisi, rilassata come non lo ero da tempo. La risata limpida e infantile di Josy penetrò fra i miei pensieri, risvegliandomi da quello strano torpore per catapultarmi in un altro. Guardai Josy che correva verso un grande albero per cercare di acchiappare qualche scoiattolino. Fra qualche anno avrei fatto le stesse cose ma con mio figlio? Un figlio nato da un matrimonio combinato, di convenienza, oppure un figlio nato dall’amore? Avrei avuto la possibilità di vedere riflesso negli occhi del mio bambino l’amore della mia vita? Tante domande cominciarono ad affollarmi la testa, domande che avrebbero trovato una risposta soltanto vivendo, soltanto andando avanti. Se avessi fatto un matrimonio di convenienza, sarei riuscita a dare un erede maschio a mio marito? Speravo di si. Alla parola marito, rabbrividii. Chissà con chi avrei dovuto condividere il letto e il mio corpo per il resto dei miei giorni. Guardando Josy, desideravo avere una famiglia piena d’amore, un marito d’amare per tutta la vita, dei figli da crescere e accudire. Mi diedi della stupida, pensando a chissà quante fanciulle avessero i miei stessi sogni il più delle volte irrealizzabili. All’improvviso, nella mia mente si formò l’immagine di un uomo imponente, magnifico, con in braccio uno splendido bambino sorridente, e al fianco una giovane donna, quasi una bambina, che guardava con occhi colmi d’amore l’uomo al suo fianco. Diventai paonazza, appena mi resi conto dei miei pensieri, delle mie fantasie sempre più folli. Immaginare di essere sposata con il magnifico Granduca e di avere dei figli da lui era pura follia. Ci eravamo rivolti a mala pena due sillabe, e lui probabilmente si era già dimenticato della povera orfanella che la sua donna aveva offeso. Era fra gli scapoli più ambiti, se non il più ambito, non si sarebbe mai accorto di me. Sognarlo era innocuo quanto pericoloso. Infatuarsi dello zarevic sarebbe stata una mossa davvero poco intelligente che avrebbe portato ad un cuore spezzato e ad un anima logorata, che sarebbe stata inevitabilmente la mia. Lui aveva così tante nobili e avvenenti fanciulle ai suoi piedi, fra cui proprio Adelaide. Come avrebbe potuto anche solo guardarmi? E se l’avesse fatto, di certo il Granduca avrebbe pensato a che uso fare del suo corpo, e a quanto piacere ricavarne. Nella mia mente si formò l’immagine di due gambe avvinghiate a dei fianchi snelli ma ben delineati, che si muovevano ad un ritmo sostenuto. Arrossii subito e come se nei dintorni ci fosse stato qualcuno che avesse potuto ascoltare i miei pensieri tossii per l’imbarazzo. Peccato che, nei meandri della mia mente, quel fondoschiena sodo continuasse ad andare su e giù. Alzai gli occhi al cielo diventando paonazza. Subito cercai di tornare alla normale decenza. Non avevo mai fatto pensieri del genere, erano cose di cui non mi ritenevo capace, per non parlare del fatto che non avevo mai visto un uomo senza camicia, figurarsi spoglio dalla cintola in giù. Non avevo neanche mai toccato le mani di un uomo, senza indossare i guanti. Ovviamente, visto che sarebbe stato al limite della decenza. Sorrisi scuotendo il capo. Era una cosa impossibile e lontana dal mio ambiente, dal mio mondo, da me. Mi venne in mente l’atteggiamento intimo a cui avevo assistito, fra il Granduca e l’Arciduchessa. Ripensai alle carezze, allo sguardo carico di passione e desiderio malcelato che Adelaide aveva rivolto al suo bel principe, un desiderio malcelato che, a meno che non mi sbagliassi, avevo intravisto anche negli occhi di Aleksej. Quanto mi sarebbe piaciuto ricevere quello sguardo dal russo, quanto! Ma erano solo fantasie, belle ma dolorose. Lui avrebbe passato il resto della sua vita con una moglie bellissima con sangue più che nobile nelle vene al suo fianco, quasi sicuramente con più di un amante, nella sfarzo e nel lusso più assoluto, ma certo con grandi responsabilità ma anche grandi privilegi per il suo ruolo di zar, che prima o poi si sarebbe posato sulla sua testa, con il simbolo di una regale e preziosissima corona. Sospirai. Il vestito di corte gli sarebbe stato sicuramente benissimo. Scrollai il capo, e cercando di togliermi dalla testa come fossero i balli russi, come fosse San Pietroburgo, città natale di quel Dio che così poche volte avevo avuto la fortuna di vedere. Si diceva che le damigelle russe, fossero più aperte, disponibili e perfino libertine. Questo non potevo certo saperlo, ma mi portava inevitabilmente a immaginare il lusso dei balli di quel grande Paese. Sarebbe stato bello andarci, e vedere Aleksej fra la sua gente, nella sua patria. Sarebbe stato bello perfino imparare quella lingua così complicata quanto meravigliosa. Ma era ovviamente impossibile, il mio posto per adesso era la Francia, o d’ovunque ci sarebbe stato il mio futuro e conveniente marito. Svegliandomi da quello strano torpore fatto di pensieri poco casti e sogni poco sicuri, mi accorsi che ormai doveva essere passato un bel po’ di tempo dalla nostra uscita. Ci eravamo inoltrati nel boschetto e la luce scarseggiava a causa della fitta vegetazione. Infilai la mano nel corsetto, dove quotidianamente nascondevo il mio orologio da taschino. Ormai era l’una passata, e io e il piccolo Josy avremmo dovuto affrettarci per il pranzo, o la duchessa si sarebbe preoccupata, insieme a Margot, l’apprensiva nonna della piccola peste. Alzai frettolosamente lo sguardo, alla ricerca di Josy. Dovevamo affrettarci verso casa, anche perché non avremmo potuto comunque continuare ad andare in quella direzione, non la conoscevo, non sapevo dove portava e da quello che potevo vedere, gli alberi e le piante s’infittivano sempre di più rendendo difficile la visuale e, probabilmente, perfino farci una passeggiata sarebbe stato alquanto complicato. Guardai in alto. Non sentivo più quel piacevole tepore sulla pelle e come immaginavo, delle nuvole di un grigio chiaro, cominciavano ad oscurare il sole. Sempre più impaziente di tornare a casa, cominciai a guardarmi in torno. Dovevamo sbrigarci, c’era già poca luce con il sole lì, se le nuvole avrebbero completamente offuscato il cielo, prospettiva probabile in quella strana Londra, la visuale sarebbe stata scarsa e trovare la via del ritorno non sarebbe stato facile e di certo rischioso. Continuai a guardarmi bene in torno, ma di Josy non c’era traccia. Immediatamente mi preoccupai. L’avevo perso di vista pochi secondi, possibile che si fosse allontanato tanto?
Preoccupata, cominciai a chiamarlo, << Josy! >> gridai leggermente allarmata.
Nessuna risposta. Solo i cinguettii degli uccelli, sempre più radi, riempivano l’aria. Chiusi frettolosamente l’ombrello che in mezzo a tutti quegli alberi e rami cadenti cominciava ad essere d’ingombro. A passo svelto avanzai, cercando Josy con lo sguardo. Sentivo il cuore battere a mille e lo stomaco contorcersi per l’ansia. Speravo che non gli fosse successo nulla, che non si fosse fatto male giocando. Al solo pensiero, lo stomaco si contorse e il cuore si strinse in una morsa.
<< Josy! Josy dove sei?! >> gridai con quanto fiato avevo nei polmoni.
Nessuna risposta. Gridai ancora e ancora, i minuti passavano, il cielo s’anneriva, la preoccupazione montava ad onde spaventose. Avevo ormai la gola secca, il respiro affannato, e il corpo accaldato. Gridai ancora. Niente. Il silenzio assoluto mi circondava, neanche più gli uccelli mi tenevano compagnia con i loro canti rassicuranti. Avevo ormai le lacrime agli occhi, e il panico cominciava ad impadronirsi di me.
<< Josy! Josy, ti prego, rispondi! Josy! >> urlai ancora, finendo con un singhiozzo le mie grida.
Avevo voglia di piangere. Possibile che avessi combinato un tale disastro? E il piccolo dov’era finito? Le immagini più atroci, di Josy ferito gravemente e svenuto in chissà quale voragine nel terreno mi riempirono la mente. Calde lacrime scivolarono sulle mie guance, ormai ero disperata e spaventata. La luce cominciava a scomparire ed entro pochi minuti tornare a casa sarebbe stata una vera impresa, come anche trovare Josy. Singhiozzai. Sentii un ridacchiare infantile. Sbarrai gli occhi lucidi e appannati dalle lacrime e subito mi girai in torno alla ricerca di Josy. Se era sano e salvo, c’era ancora una speranza! Potevamo correre ed arrivare a casa prima che il cielo diventasse plumbeo. Maledii me stessa e la mia decisione di non prendere la carrozza. Ancora una volta sentii una risata. Mi girai nella direzione da cui avevo sentito quel versetto infantile, e vidi un ciuffo di capelli scuri nascondersi frettolosamente dietro ad un grande cespuglio. Sospirai, e sorrisi all’ondata di sollievo e gioia che mi pervase. Che Dio sia ringraziato, pensai. Mi avvicinai al cespuglio, asciugandomi alla bell’e meglio le lacrime dalle mie guance. Sorrisi, cercando di fare il giro largo per non farmi vedere dalla piccola peste. Gli arrivai silenziosamente alle spalle, e facendogli il solletico sui fianchi e sul pancino – cosa che considerai una mia piccola vendetta personale per quello che mi aveva fatto passare nell’ultima mezz’ora – lo feci finire a terra, dove dimenandosi come un diavoletto, rideva a crepapelle con il viso paonazzo. Mi fermai anch’io con il fiatone. Lo guardai ridacchiare e mi unii anch’io a lui. Improvvisamente mi resi conto che il tempo passava e la pioggia di certo non aspettava i nostri comodi.
<< Josy, piccolo, è davvero tardi, non hai fame? Non hai voglia di stare con la tua nonna e mangiare tante cose buone? >> gli chiesi con un sorriso invitante. Dovevo affrettarmi e cercare di convincere il bambino, ormai stanco, a mantenere un passo veloce, visto che il tic tac dell’orologio andava altrettanto velocemente.
Vidi Josy sorridere, e alzarsi ancora un po’ affannato, << voglio andare a casa Domy >> bisbigliò, respirando affannosamente ma sorridendo.
Mi sorpresi per quel diminuitivo, << va bene piccolo! Allora andiamo! Ti va una gara a chi arriva prima a casa? >>  chiesi e non vedendolo convinto riprovai, << oppure… Puoi provare ad acchiapparmi mostriciattolo! >> dissi ridendo e cominciando a correre.
Josy sbarrò gli occhi, arrossii e ridendo cominciò a correre per cercare di acchiapparmi. Cercando di evitare radici e quant’altro, arrivammo presto sulla via principale. La luce diminuiva sempre più, ma il percorso era più sicuro da adesso in poi. Cercando di non rovinare scarpe, vestito, ombrello e cappello, continuai a correre. Il petto cominciava a dolermi, avevo il fiatone, ero accaldata, ma non me ne curai e continuai a correre. Mi sentivo più libera e leggera, quasi svuotata. Ridendo sempre più continuai a correre con Josy alle calcagna che strillando e ridacchiando cercava di acchiapparmi. Quel bambino era dannatamente veloce. Continuai a ridere e ormai senza fiato intravidi la casa. Accellerai l’andatura ancora un po’, per quanto il lungo vestito mi permetteva. Arrivata nel grande giardino, ignorai gli sguardi straniti che i servitori ci lanciavano vedendoci così informali. Ridevo davvero! Correvo, correvo e.. A pochi metri dall’entrata della casa una manina afferrò il mio vestito. Mi fermai a guardare quella piccola peste, che felice, saltellava e ridacchiava sul posto. Risi insieme a lui, ma ormai era tardi e dovevamo darci un contegno e possibilmente anche una pulita per il pranzo. Ancora ridacchiando e sorridendo divertita entrai in casa dove, appena oltrepassata la soglia, incontrai la duchessa che, vedendomi in quello stato spalancò gli occhi.
<< Non mi sembra proprio il modo di presentarsi in casa, questo, Dominique! >> disse alzando a voce, con aria nervosa e irritata.
La guardai paonazza, mentre respiravo affannosamente cercando di darmi un contegno. Vidi una giovane serva prendere in braccio Josy, che cominciò a piagnucolare, e portarlo via.
Rimaste sole, risposi, << perdonatemi Gabrielle! Ero andata a fare una passeggiata, ma Josy è un bambino piuttosto attivo, e alla fine ho giocato con lui.. E’ stato divertente.. >> sussurrai, ancora affannata.
La duchessa alzò un sopracciglio, << Divertente? Santo cielo Dom, non puoi comportarti così! Fai colazione nelle cucine, e frequenti la servitù! E adesso scorrazzi e ti rotoli nell’erba come i bambini?! E se ti avesse vista qualcuno?! Se ti fossi avvicinata al confine della nostra proprietà, e uno dei nobili Spencer ti avesse vista conciata in quel modo?! Se proprio il conte ti avesse vista in questo stato e in quegli atteggiamenti?! Quale figura intendi fare?! Quale figura intendi farmi fare?! >> disse arrabbiata, con le labbra strette e le sopracciglia contratte.
<< Perdonatemi.. Io non so cosa mi sia preso.. Ho commesso un errore, mi sono lasciata andare un po’ troppo.. Non accadrà più! >> mi affrettai ad aggiungere, ormai ripreso il controllo di me stessa, e composta, cercai di calmare Gabrielle.
La duchessa, ormai più rilassata, e più disponibile, continuò, << lo spero! E adesso vieni a mangiare, vorrei che tu pranzassi con me >> concluse, prima di entrare nella sala da pranzo, e lasciarmi lì a fissare il vuoto.
Mi riscossi e velocemente lasciai ombrello, cappello e guanti ormai luridi alla serva e mi apprestai a raggiungere la sala da pranzo. Senza i guanti a coprirmi la pelle candida delle mani e delle braccia, mi sentivo terribilmente scoperta e indecente. Per fortuna, dopo poco, una serva me ne portò di nuovi, più aderenti e corti, adatti al pranzo. Entrai nella sala a passo veloce e sicuro. Sul lungo tavolo antico in legno scuro, troneggiava un banchetto degno di un re. O di una regina in questo caso. Io e la mia tutrice condividevamo la passione per il buon cibo. Vari tipi di paste, carni, e frutti – fra cui delle squisitezze asiatiche – abbellivano la tavola. Sia io che la duchessa prendemmo posto e nei primi minuti ci fu un silenzio teso. Gabrielle sembrava pensierosa e infatti, non aveva ancora toccato cibo, quindi neanche io avevo il permesso di farlo. Era buona regola d’etichetta – o meglio, era legge – che la duchessa avrebbe dovuto dare il suo consenso per poter dare inizio al pranzo. Così succedeva ovviamente, nelle famiglie aristocratiche. Il capofamiglia, il padrone di casa, colui che aveva il titolo nobiliare più prestigioso, dava il via a tutto. Perfino ad un applauso. Ricordai lo spettacolo a teatro, l’ansiosa aspettativa degli spettatori e degli attori ad una reazione positiva o negativa che fosse, dello zarevic. Aleksej. Pensare il suo nome, fece tingere le mie guance di un rosa acceso.
<< Oh che sbadata.. Servite pure! >> disse Gabrielle con tono distratto, riportandomi bruscamente alla realtà.
I camerieri servirono una deliziosa pasta al pomodoro. Quella salsa non era fra le mie preferite, ma la gustai con piacere. Il palato si riempì di un gustoso sapore che mi pizzicò lievemente la lingua e il palato. Mentre un altro boccone di pasta raggiungeva la mia bocca affamata, posai il mio sguardo su Gabrielle. C’era una cosa che mi ero appena ricordata e che volevo sapere.
<< Gabrielle.. >> cominciai esitante.
<< Tesoro, lo sai.. >> disse annoiata, portando un boccone di pasta alla bocca e sorridendomi pigra. Il suo primo nome non le piaceva molto.
<< Oh si, scusatemi.. Yolande, questa mattina Eveline non era nelle mie camere per aiutarmi nei soliti servizi della mattina.. Mi sono vestita da sola.. Eveline mi ha informata del fatto che voi l’avevate richiesta per sbrigare delle faccende.. >> dissi vaga. Non volevo sembrare impertinente o ficcanaso, ma ero incuriosita, volevo sapere cosa Eveline avesse fatto e a giudicare dal rossore sulle guance della giovane cameriera, già intuivo che sapere da lei cosa avesse fatto quella mattina sarebbe stato arduo. Odiavo brancolare nel buio.
<< Oh si, scusami cara, ma tanto so già che non ti ha creato alcun disturbo.. Quando rimani nella tenuta, ti vesti sempre da sola.. Eveline non ti serviva quindi non è stato un problema >> disse continuando a sorridermi annoiata.
<< Mmm.. Si forse, ma per quale motivo non avete inviato una delle vostre cameriere personali a sbrigare le vostre faccende? Perché togliermi una delle poche serve di cui dispongo qui a Londra? >> chiesi. Sapevo di poter risultare un po’ viziata nel lamentarmi per l’assenza di qualcosa che non mi era servito, ma volevo sapere. Dopo gli avvenimenti della notte precedente, quando avevo visto o meglio sentito, la duchessa intrattenere un giovane uomo, era nata in me una strana curiosità nei confronti di Yolande. La guardai dritto negli occhi. Forse ero interessata perché lei faceva qualcosa che io neanche nelle mie fantasie più folli ero in grado di fare.
La duchessa, come se avesse intuito la direzione dei miei pensieri, fece uno strano sorriso, << oh cara, ma perché ti lamenti tanto? Anche se Eveline fosse stata qui a tua disposizione, sarebbe stata nelle cucine a sbrigare faccende non sue, visto che tu raramente ti degni di farle fare il suo lavoro! Se ogni tanto la sfrutto un po’ che problema c’è? >> chiese con una risatina e una scrollata di spalle.
Puntai il mio sguardo dritto nel suo, << nessuno Madame, ma credo di avere il diritto di sapere dove la mia serva abbia passato la mattinata >> avevo usato un tono deciso e severo. Ero decisa ad andare fino in fondo alla questione. Volevo sapere, a costo di rimanere delusa nel venire a conoscenza che la mia Eveline era semplicemente andata a comprare della farina.
Yolande rimase interdetta per qualche istante poi riprendendosi sorrise fredda e cordiale, << ma certo Dominique. Eveline è andata a recapitare un messaggio ad una persona da parte mia. Soddisfatta? >> chiese con un sorrisetto nervoso.
Recapitare un messaggio ad una persona. Chi era questa persona? Non potevo di certo chiederglielo, sarei sembrata una scostumata impicciona. Rimasi in silenzio per qualche istante, poi non sapendo bene che dire, la guardai in volto annuendo semplicemente. Yolande mi rivolse un fugace sorriso, e trangugiando voracemente il vino rimasto nel suo bicchiere si alzò, avviandosi poi verso la porta. La guardai immobile, con la bocca socchiusa e gli occhi leggermente spalancati. Speravo di non averla offesa. Avevo cercato di pormi dei limiti e di mantenere un contegno proprio per evitare una sua eventuale reazione negativa.
<< Perdonami Dom, ma sono piuttosto stanca e ho un mal di testa sfiancante! Vado a riposarmi e nel caso non ci vedessimo, mi raccomando, divertiti e scatenati stasera a quella festa! Rendimi fiera e strusciati su qualche bel ragazzone! Chissà che non incontri qualcuno di speciale.. >> disse dirigendosi verso la porta, camminando all’indietro e canticchiando, per poi uscire facendo una giravolta.
Yolande poteva essere un tipo molto particolare. Sospirai. Non ero magrissima come molte ragazze che conoscevo, che sembravano piacere molto agli uomini, mi piaceva mangiare e quindi sfogavo il nervosismo sul buon cibo. Fissai sconsolata con un sospiro la pasta al pomodoro, e visto che ormai ero sola se non per i camerieri, decisi di divorare la pasta restante e di farmi servire la carna. Buonissima, con un sapore dolciastro per via della salsa, era tenerissima. Mi avventai sul piatto senza nessun pudore e finita la pietanza, mi pulii con il fazzoletto in seta, rimettendomi dritta e fissando un punto nel vuoto. Adoravo mangiare, soprattutto i dolci. Cosa ci potevo fare se invece di adorare il trucco e parrucco, amavo i bomboloni alla crema, le torte ripiene di cioccolata e panna, budini e creme di ogni tipo? Era una passione la mia e probabilmente, se qualcuno mi avesse visto mangiare alla mia maniera, sarebbe scappato via terrorizzato, probabilmente con il dubbio che potessi mangiare anche qualche ospite. Sorrisi, buttai il tovagliolo sul tavolo e mi alzai, e a passo svelto raggiunsi la mia camera. Sfinita, non mi spogliai nemmeno, non tolsi nulla. Semplicemente caddi fra i morbidi cuscini, sprofondando nella seta fresca. Dopo pochi secondi di pensieri sconnessi e senza senso, caddi in un sonno profondo.
 
Aprii pigramente gli occhi, sentendo le palpebre più pesanti che mai, sentivo il corpo intorpidito e il sonno cercava prepotentemente di impadronirsi nuovamente di me. Avevo una sensazione di ansia che mi attanagliava le viscere ma non capivo perché. Non riuscivo a vedere nulla, era tutto buio, immerso nel nero più assoluto. Balzai a sedere di scatto, ad occhi spalancati. Il ballo, Jessica, è tardi!, pensai freneticamente. Il cuore prese a rimbalzarmi nel petto alla velocità della luce e con le gambe che mi tremavano, scesi dal letto. Ero furiosa, era la seconda volta che Eveline non adempiva ai suoi doveri, e per colpa sua avrei tardato per la seconda volta. A passo spedito mi avviai verso le cucine, recuperando dal corsetto mentre camminavamo il mio orologio. Erano le sei e otto minuti. E per fortuna che le avevo raccomandato di non tardare! Furiosa spalancai la pesante porta di legno della cucina. Eveline era lì tranquilla che giocava con Josy. La rabbia aumentò.
<< Come osi! Eveline! >> la richiamai all’ordine. La giovane si voltò verso di me, spaventata ed io continuai, << ti avevo detto di venire nelle mie camere alle cinque e trenta, ti avevo detto di non tardare! E ti trovo qui a giocare?! Questa è la seconda volta che non fai il tuo dovere, e per colpa tua farò ancora una volta una pessima figura facendo ritardo! Se hai voglia solo di oziare allora dimmelo subito, ci sono donne che questo lavoro lo vogliono davvero, che ci tengono a procurarsi il pane! >> la sgridai, con gli occhi che mandavano lampi, respirando affannosamente.
Eveline era silenziosa, con gli occhi sbarrati e lucidi e la bocca stretta. Mi sentii in colpa, ma l’avevo già perdonata la prima volta e lei a quanto pareva era decisa a prendersi tutto il braccio oltre che la mano ed io odiavo le fannullone. Decisa, indurii lo sguardo.
<< Vostra Grazia, perdonatemi! >> disse con le labbra tremolanti. Stava per continuare quando io la bloccai.
<< Taci! Non m’interessa, non voglio scuse, non mi servono e non mi aiuteranno di certo ad arrivare in orario all’appuntamento! E adesso sbrigati, e vieni a fare il tuo dovere! Dovrai farlo alla perfezione e alla velocità della luce! Intesi?! E se non ne hai voglia, prendi la tua roba e va’ fuori di qui! >> le gridai contro. Eveline era una ragazza carina, gentile, ma troppo pigra. Io della gentilezza e della sua bellezza non me ne facevo nulla, mi serviva l’efficienza che evidentemente quella giovane serva non era disposta a dare.
Subito la giovane annuii frettolosamente, seguendomi attraverso i corridoi della casa. Arrivammo nella mia camera. Ero nervosa e tesa. Il comportamento svogliato di Eveline proprio non mi aiutava. 
<< Muoviti! Toglimi questo vestito! E ringrazia che le altre cameriere, ricordandosi di essere qui per lavorare, mi abbiano già preparato il bagno! >> borbottai arrabbiata.
Entro pochi minuti, fui libera dal vestito, corsetto, mutandoni e quant’altro. Eveline, come di routine, arrossì vedendomi nuda. Io invece, mi precipitai nella sala bagno e subito mi immersi nell’acqua calda che emanava un profumo di lavanda. Dopo circa dieci minuti di strofinamento e secchi di acqua calda versati, uscii finalmente dalla sala da bagno, fradicia. Le serve cominciarono a strofinarmi gentilmente mentre io fissavo il vuoto rendendomi conto di che cosa stavo facendo e di dove avevo intenzione di andare. Ormai asciutta, presi il primo vestito che le serve mi porgevano. Era blu e grigio scuro. Poteva andare, in fondo non era l’abito che avrei dovuto indossare quella sera. Velocemente mi feci mettere corsetto, mutandoni, calze, giarrettiere e vestito. Era aderente e freddo sulla pelle. Rabbrividii. Mi feci pettinare i capelli, gentilmente ma alla svelta, e mi feci fare un semplice tuppetto alto e ben ordinato, che risaltava il collo bianco, lungo e sottile, la scollatura generosa, e le spalle delicate. Subito mi precipitai nei corridoi, camminando a passo svelto tenendomi il vestito, scesi la scalinata di tutta fretta e arrivata nell’atrio trovai Eveline che con sguardo e testa bassa, mi porse scialle e borsetta.
<< Passate una bella serata Vostra Grazia, siete splendida.. Sigmund porterà più tardi alla reggia dei FitzMaurice la vostra borsa con l’occorrente per passare la notte e la mattina di domani dalla vostra amica.. >> disse, per poi congedarsi con un inchino.
Non diedi peso allo sguardo ferito che mi rivolse. L’avevo sgridata per un motivo ben preciso. Era molto giovane, ma questo di certo non significava che il suo comportamento così svogliato e distratto potesse essere giustificato. Mi avviai a passo svelto verso la lussuosa carrozza che m’attendeva. Sigmund mi salutò con un cenno del capo e con il solito “Vostra Grazia”. Un valletto mi aiutò a salire nella carrozza e una volta chiuso lo sportello, dopo pochi secondi, sentii la carrozza muoversi, e il rumore degli zoccoli dei cavalli che battevano la terra. Quella sera c’era un particolare odore di terra e legna bruciata nell’aria. Mi rilassai per quanto fosse possibile. Sapevo che quello che stavo facendo era una follia, ma per una volta volevo rischiare. Probabilmente fra un anno non avrei più avuto la possibilità di fare queste pazzie, perché avrei potuto essere maritata e con un figlio in arrivo. Quella prospettiva, così veritiera quanto lontana dalla realtà per me, in quel momento, mi sconvolse. Era vero, tutto vero. Avrei potuto sposarmi in qualsiasi momento. Ormai ero in età da matrimonio. Nulla impediva un eventuale sposalizio. E dovevo cominciare ad abituarmi a questa idea, anche perché le probabilità che il principe azzurro venisse in groppa ad un cavallo bianco per chiedere la mia mano rasentavano il limite dell’impossibile. Era più probabile che alle vacche spuntassero le ali. Sarei andata ad un ballo particolare, con un abito particolare, e avrei incontrato persone particolari. Sempre che una di quelle vacche volanti non mi avesse rapita, s’intende. Ormai mi ero rassegnata, ero più tranquilla, l’idea di andare al ballo era esaltante ed ero decisa a godermi quell’esperienza fino in fondo. Forse non così in fondo da arrivare a strusciarsi contro qualche bel ragazzone, come aveva allegramente suggerito Yolande. Comunque ero decisa a divertirmi e a lasciarmi andare, anche solo un po’. Sentivo il rumore delle ruote e degli zoccoli dei cavalli che calpestavano la terra a ritmo sostenuto, un po’ come il mio cuore. Dopo pochi minuti, il rumore rallentò fino ad arrestarsi del tutto. Improvvisamente ricordai che dovevo essere in forte ritardo. Velocemente cercai di infilare la mano nel corsetto per afferrare il mio orologio e controllare che ore fossero ma, il corsetto era molto stretto e riuscire nell’intento era alquanto difficile.
Lo sportello della carrozza si spalancò di botto, rivelando l’alta, imponente e pallida figura di Andrew. Aveva le guance rosse per il freddo. Questo mi ricordò che, il giorno precedente era avvenuta la stessa situazione ma con sua sorella. Tale sorella, tale fratello. Gli occhi di Andrew d’improvviso si spalancarono leggermente, facendo trasparire dal suo sguardo, malizia e divertimento.
<< Oh mia Dominique, non avevo capito che voi foste così disperata.. Ma comunque, perché farle da sola certe cose, quando ci sono io qui, impaziente e disponibile? Darsi piacere da sola non è cosa da brave signorine ben educate! >> mi schernì divertito, con sguardo traboccante di malizia.
Lo guardai in viso, confusa. Poi capii e abbassai lo sguardo. La mia mano era ancora infilata nel corsetto, in atteggiamenti piuttosto equivoci. Arrossii fino alla punta dei capelli.
<< I-io.. Non mi stavo.. >> balbettai al massimo dell’imbarazzo, << toccando! >> sbottai, infine, diventando paonazza.
<< Oh no, ma certo, figuratevi! In fondo, ci sono tante brave donnine che si palpano il seno, affermando poi di non stare toccandosi. Ovvio. >> mi sbeffeggiò con le sopracciglia arcuate.
Arrossii ancora di più, << n-no, voi non capite! E’ per il mio o-orologio, c-cercavo l’orologio! >> balbettai, sprofondando nel panico e nell’imbarazzo più assoluto.
<< Madame, quello si chiama capezzolo, e non orologio >> mi disse sorridendo e dandomi un buffetto sulla guancia, quasi impietosito dalla mia espressione, << e adesso, se volete scusarmi, vi pregherei di affrettarvi a scendere da questa dannata carrozza, si gela qui fuori e io come tutti, soffro il freddo! >> mi rimbrottò.
Ancora ad occhi spalancati e bocca socchiusa, m’apprestai a scendere, salutai Sigmund ancora molto turbata, e insieme ad Andrew mi affrettai verso l’entrata della casa. Solo dopo mi accorsi che Andrew aveva detto una parolaccia. Arrossii per quella concessione che non avrei dovuto fargli. I gentiluomini non dicevano dannata soprattutto non in presenza di signorine di buona famiglia. I miei pensieri furono spazzati via dal caldo tepore della casa. Sospirai di sollievo, sentendo il calore ricominciare a circolare nel mio corpo. Jessica venne correndo verso di noi con un sorriso raggiante ma con l’ansia dipinta in volto.
<< Oh Dom, ce l’hai fatta, finalmente! Sei in ritardo! Di nuovo! >> disse ridacchiando, poi vedendo la mia espressione turbata, sospirò, scosse la testa e fulminò con lo sguardo il fratello a cui si rivolse acida, << ma non sai fare altro che torturare le persone Andrew?! Finiscila di infastidirla! >> disse arrabbiata.
<< Oh santo cielo! Siete delle donnette! Come farete stasera, se vi scandalizzate anche per una nuova salsa?!? >> disse esasperato.
Jessica arrossì, poi sbuffando, mi prese per mano, e mi tirò su per le scale. La marchesina, forse per sfogarsi, camminava a passo pesante, calpestando il pavimento come un soldato. Ridacchiai. Arrivammo nella sua grande camera, dove ci aspettavano una decina di serve e grandi e colorati scatoloni ricoperti di stoffa. Capii che lì dentro c’erano i vestiti e l’occorrente per il misfatto.
Jessica battè le mani, << bene ragazze mie! A lavoro! Voglio un risultato peccaminoso! >> ridacchiò.
Le mie guance si tinsero di un rosa acceso. Le cameriere cominciarono subito a spogliarci, e a liberarci i capelli da forcine e quant’altro. Quando i miei capelli furono sciolti, vari gemiti di apprezzamento riempirono la camera.
Jessica mi si avvicinò, accarezzò dolcemente i miei capelli, e poi strillò << splendida! >> subito dopo mi strizzò un capezzolo, e tornò alle sue serve, nuda com’era venuta.
D’istinto diventai paonazza. Non avevo mai avuto un rapporto così intimo e confidenziale con nessuno. Mi sentivo a disagio ma ero anche un po’ divertita. Ritornai alla realtà sentendo il rumore degli scatoloni che venivano aperti da alcune serve, che diligentemente fecero uscire i vestiti e gli accessori ordinandoli in modo impeccabile sul letto. Una serva mi legò disordinatamente i capelli in alto, mentre un'altra, si avvicinava con un minuscolo abito aderentissimo, bianco. Lo guardai incuriosita, non avevo mai visto nulla di simile. Me lo infilarono dalle gambe, salendo sempre più. Era di un tessuto molto sottile, e aderiva al corpo come una seconda pelle. Era lungo esattamente fino all’inguine, e aderiva talmente tanto ai seni, da schiacciarli e farli in questo modo risaltare del tutto. Spuntavano dalla profonda scollatura i seni, candidi e paffuti, in tutta la loro grandezza, sembravano due palle perfette. Se avessi fatto un respiro poco più profondo, i capezzoli sarebbero usciti in bella vista senza troppe cerimonie. Quello strano miniabito era senza spalline. Eppure reggeva il mio seno grande e pesante, come neanche i miei corsetti più buoni erano capaci di fare. Subito dopo le serve mi si avvicinarono con delle calze che mi infilarono e subito dopo delle graziosissime giarrettiere viola in pizzo e seta andarono a reggere le calze. Dopo venne il momento del vestito che quando mi fu d’avanti mi fece strabuzzare gli occhi. Era già il momento del vestito?! E i mutandoni?! Sarei dovuta uscire nuda?! Senza l’intimo?! Stavo per parlare, quando Jessica mi sorrise rassicurante. Feci dei respiri profondi, e le serve si accinsero a mettermi il vestito, così fresco e morbido al tatto. Ci vollero una decina di minuti per infilarmelo, e fare gli ultimi ritocchi. Mi girai in torno alla ricerca di uno specchio. Lo trovai alle mie spalle. Ero già terribilmente a disagio e imbarazzata, consapevole del tessuto che si strusciava proprio in quei punti, ma non ero per nulla preparata a quello che vidi nello specchio. Un lungo abito color indaco fasciava completamente, o quasi, la mia figura. Il corpetto aderentissimo e di un indaco scuro con disegnati strani disegni in seta, sottolineava come nessun vestito aveva mai fatto tutte le mie forme, facendo sembrare il mio seno ancora più grosso e la mia vita ancora più sottile, il corpetto dell’abito mi copriva esattamente quanto faceva il miniabito bianco che portavo al di sotto. Il vestito, fasciava alla perfezione anche i fianchi, e perfino il fondoschiena, aderendo come una seconda pelle. Metà schiena era scoperta, e delle sottili bretelle in seta e del medesimo colore del corpetto mi lasciavano scoperte le spalle, coprendo invece la pelle all’altezza delle ascelle, enfatizzando maggiormente le mie spalle bianche e sottili, il collo lungo e candido. La gonna scendeva pomposa e in balze verticali fino al pavimento, coprendomi i piedi. Il colore della gonna variava da un indaco molto scuro, ad uno più chiaro, che risaltava il colore dei miei occhi limpidi. Avanzai di un passo verso lo specchio e con grande terrore mi resi conto che la gonna aveva al lato un grande spacco, che rivelava l’intera gamba e perfino la giarrettiera, la giarrettiera!, il panico mi travolse. Ero nuda! Come potevo uscire conciata in quel modo! Senza mutandoni! Con le caviglie, le ginocchia, le gambe in bella vista! E perfino le giarrettiere! Santo cielo, le giarrettiere! Ansimai, voltandomi verso Jessica, che indossava un abito di velluto verde scuro, dal corpetto aderentissimo, senza maniche, e una gonna pomposa trasparente in alcuni punti. Sbarrai gli occhi.
<< N-no, no! Non posso uscire così! Sono nuda Jessica! Oh santo cielo! Sto per svenire! Non posso, non posso! >> gridai in preda al panico.
Jessica, pallida quasi quanto me, era ancora decisa, e scorgevo sul suo viso, divertimento, eccitazione misto a stupore. Si avvicinò, facendomi sedere sul letto. Le serve immediatamente presero a riordinare la stanza.
<< Dominique, lo sapevi che non sarebbe stato semplice, ma adesso ci siamo quasi! Vuoi davvero rinunciare alla nostra avventura? Fra pochi mesi potremmo essere incastrate in un matrimonio con un ricco cinquantenne, brutto e con la gobba! Non vuoi divertirti al massimo, senza freni, per una volta? Andiamo! E poi sei così bella vestita così.. >> sussurrò dolcemente sorridendomi, accarezzandomi la gamba scoperta.
Con il respiro accelerato, non feci caso alle carezze di Jessica. Aveva ragione. Dovevamo goderci ogni attimo di libertà che ci rimaneva. Mi alzai, mi avvicinai allo specchio e mi guardai nuovamente. A questo punto, vedendomi vestita in quel modo, l’idea delle vacche volanti non sembrava poi così impossibile.














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Salve a tutti! Mi scuso immensamente per il ritardo! L'attesa per il ballo è venuta più lunga del previsto, e per questo vi devo altre scuse, vi sto tenendo sulle spine! Ma nel prossimo capitolo, che posterò a breve, ci saranno molte, molte sorprese...... :) Spero che il capitolo vi sia piaciuto, ringrazio tutti, e se vi va fatemi sapere cosa ne pensate! Al prossimo capitolo!

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Capitolo 6
*** Danze dall'Inferno ***


Capitolo VI

 Danze dall’Inferno

 
 
 














Pensierosa, continuavo a fissarmi allo specchio. Ero sicura di quello che volevo fare. Sarei andata a quel dannato ballo, con quel dannato vestito, da cui sbucava la dannata giarrettiera. Si. Niente panico. Il danno, era che non ero altrettanto sicura di riuscire a presentarmi in pubblico senza i mutandoni. Mi avrebbero scambiata per una donnaccia? Al solo pensiero mi venne un capogiro.  Ma che importava? Chi mai avrebbe potuto scambiarmi per una donnaccia nel posto in cui a breve sarei stata? Fra tante donnacce, chi avrebbe notato me? La fasulla? Io avrei portato una maschera quella sera. Dentro e fuori. Altri invece sarebbero stati se stessi. Dentro e fuori. Donnacce e pervertiti. Dentro e fuori. Mi girai lentamente verso Jessica che pensierosa mi sorrideva con una ruga sulla pallida fronte contratta. La guardai per qualche attimo, assaporando quel silenzio teso.
<< Tutto bene, Vostra Grazia? >> mi chiese Jessica con una nota sarcastica nella voce, e un sorriso divertito.
Le feci un lieve sorriso di rimando, << s-si.. >> balbettai, incerta della mia risposta, abbassando il capo, guardandomi i piedi nudi. Un’oscenità. Li rialzai, guardandola in volto. Aveva in viso un espressione di pura curiosità, sopracciglia aggrottate, labbra strette, occhi ben aperti, << andiamo Jess.. Il tempo passa, la carrozza ci aspetta ma il ballo no.. Godiamoci questa cosa, e viviamo. Solo per un po’ >> dissi come a giustificarmi, di un qualcosa che forse, non poteva essere più giusto.
Jessica, dopo un attimo di smarrimento, fece un gran sorriso, gli occhi luminosi di gioia abbellivano maggiormente la sua figura. Si alzò, il seno prosperoso in bella vista nello stretto corpetto, mi venne incontro.
<< Andrà bene >> disse, una mano che si andava a posare delicata sulla mia guancia, << sarà la nostra notte, te lo giuro. Ci divertiremo, sarà una notte speciale. Vivitela Dominique. Devi farmi questa promessa. Vivitela, vivitela come se fosse l’ultima notte della tua vita.. Devi promettermelo.. Che questo significhi innamorarti, piangere, ridere, scherzare, ballare, ubriacarti o fare l’amore.. Non pensare al domani, ma goditi tutto, follia e libertà.. Per una notte. Abbiamo solo questa notte, nulla di più, nulla di meno. Fallo Dom. Vivi, potrebbero non esserci più occasioni per farlo.. Promesso? >> chiese, gli occhi grandi e lucidi.
La guardai per qualche attimo, confusa, sorpresa, con la bocca socchiusa. Che ragazza singolare era Jessica. Durante quel discorso, quel suo bel discorso, qualcosa si era smosso dentro di me, ascoltando quelle parole tanto mature, quanto infantili e dolci. Non riuscii a fare altro. Gli occhi fissi nei suoi, annuii, mentre le sue mani scivolavano via dalle mie spalle con delicatezza, e un sorriso radioso emerse sul bel viso rotondo di Jessica.
<< Bene >> sussurrò, << Perfetto! >> grido alle serve, << continuate ragazze e sbrighiamoci! >> disse con una risatina, raggiungendo una sedia rotonda e senza schienale. Le cameriere si avventarono su di lei, rendendomi difficile vederla. Pochi istanti, e anche io riuscii solo a vedere mani veloci che lavoravano frenetiche sulla mia pelle, sul mio vestito, e sui miei capelli. Mani, alcune nodose e pallide, altre paffute a abbronzate. Alzai il volto, guardando il vuoto, dove mi sentivo, come quello che avevo dentro.
Non sapevo a che ora fosse il ballo, così mi decisi a chiedere informazioni.
<< Jess a che ora comincerà il ballo? >> chiesi, con la mente leggera e ovattata.
<< Oh, comincerà a mezzanotte! Ovviamente molti arriveranno in anticipo, almeno così mi ha riferito Andrew.. >> disse con un sorriso dubbioso. Dubbioso per ogni cosa che potrebbe uscire dalla bocca o semplicemente riguardare il fratello.
Feci una smorfia quando delle mani non troppo delicate cominciarono ad armeggiare con i miei capelli. Uno strattone.
<< E dove si terrà? >> chiesi. Uno strattone.
<< Fuori Londra.. Zona nobile delle campagne presumo.. Andrew ha detto che ci vorranno circa due ore per giungere alla reggia.. >> disse, pensierosa.
Uno strattone. Fulminai con lo sguardo la cameriera poco delicata che subito arrossì.
<< Hai paura? >> chiese la marchesina, son un sorriso strano.
<< Ora no >> dissi ed era la verità, non avevo paura, non ancora forse, o non più probabilmente, solo una vaga e lontana sensazione di ansia, << e tu? >> chiesi con un sospiro.
Con un scatto alzò le spalle, per poi riabbassarle velocemente, facendo scattare la testa da un lato, quel movimento mi ricordava tanto quello degli uccellini, << non lo so ancora >> disse, voltandosi a guardarmi con un sorriso.
Sospirò. Sospirai. E i preparativi continuarono. Mani frenetiche, il ticchettio inesorabile e troppo veloce in alcuni momenti, e troppo lento in altri dell’orologio a pendolo, il mio umore altalenante, l’eccitazione e la speranza. La speranza di incontrare un principe che mi avrebbe rapito dalle grinfie di una vita fin troppo reale. Un principe che nella mia mente, e ahimè, nel mio cuore aveva già una forma e un nome preciso. Il cuore cominciò a battermi più lentamente, ma con più vigore, tanto da sentirlo premere contro il petto con forza. Scossi la testa, cercando di scacciare quei pensieri inopportuni. Infatuarsi del Granduca non era assolutamente una cosa che potevo permettermi, un cuore spezzato, un anima rubata era troppo da sommare al finto matrimonio che a breve sarebbe stato sul mio calendario. Sospirai rumorosamente, la cameriera dalle mani rudi arrossì nuovamente, pensando di aver usato troppa forza un’altra volta.
Un ora dopo, erano ormai le nove e qualche minuto. Io e Jessica, finalmente pronte, ci guardavamo nel grande specchio che le cameriere avevano portato con tanta fatica nella camera. Le serve erano riuscite a fare un lavoro sublime con i capelli. Era un ballo particolare e noi avevamo voluto sbizzarrirci con le acconciature. Jessica aveva richiesto un acconciatura alta, con riccioli perfetti che sfuggivano all’acconciatura, e che andavano ad incorniciarle il bel volto. I miei capelli adesso erano perfettamente lisci, con qualche boccolo sulle punte che soffice andava a posarsi sui fianchi, e alcune ciocche prese dall’altezza delle tempie e legate dietro il capo. Infine indossammo le mascherine, splendide entrambe. Di pizzo nero quella di Jessica, in velluto, seta e pizzo la mia, di un indaco scuro e viola. Entrambe facevano risaltare il nostro colorito pallido e le labbra carnose, aderendo come meglio potevano alla nostra pelle. Ci guardammo. Cominciammo a sorridere, piano, per poi iniziare a ridere, entusiaste e spaventate, Jessica prese a saltellare mentre io scoppiavo a ridere. La marchesina assunse un aria composta, sistemandosi e io la seguii a ruota.
<< Bene, adesso raggiungiamo Andrew, altrimenti minaccerà di lasciarci qui! >> disse con una risatina, precipitandosi alla porta.
Ancora non mi ero abituata all’idea che un uomo mi vedesse in quelle condizioni, vestita in quel modo, ma cercai di non pensarci. Attraversammo i lunghi corridoi, scendemmo le scale che portavano al salottino dell’ingresso dove Andrew impaziente ci aspettava. Sentendo il picchiettio dei nostri tacchi sul pavimento, il marchese si voltò. Ci sorrise, per poi prendere entrambe le nostre mani.
<< Splendide, siete entrambe meravigliose >> si complimentò, lanciandomi una lunga occhiata d’apprezzamento colma di malizia, << e adesso andiamo, è già tardi e potrebbe volerci più tempo del previsto per raggiungere Stockley Manor! Via, alla carrozza! >> aggiunse in tono teatrale dandoci dei pizzicotti sul fondoschiena.
Frettolosamente indossammo i guanti – neri in pizzo per Jessica, in velluto blu scuro con ghirigori in seta viola per me – e recuperammo li scialli sotto lo sguardo trepidante e impaziente di Andrew. A passo svelto ci avviammo alle carrozze, i valletti aiutarono me e Jessica a salire, seguite dal marchese. Una volta sedute nel lussuoso e freddo abitacolo, sia io che la marchesina tirammo un sospiro, mentre Andrew indifferente guardava fuori dal finestrino. Avere solo delle calze velate viola che mi coprivano fino a metà coscia, fermate dalle giarrettiere – il tutto in bella mostra – mi faceva attorcigliare lo stomaco per l’ansia e l’apprensione. Cercai disperatamente di coprirmi, con il corpetto rinunciai quasi subito conscia dell’operazione impossibile per poi arrendermi anche con la gonna. Pensare che le mie cosce fra circa due ore sarebbero state calamita per gli sguardi avidi e depravati di uomini dalla moralità corruttibile mi provocava palpitazioni spiacevoli e cali di pressione. Sentii le guance andarmi in fiamme. I minuti passavano velocemente, l’ansia cresceva di minuto in minuto e futili chiacchiere si disperdevano nell’abitacolo, accompagnate dal rumore degli zoccoli dei cavalli che battevano sulla strada o dal frinire delle cicale.
<< Jessica non mi hai detto nulla su come è stata l’opera al Drury Lane.. Dominique ho saputo che c’eravate anche voi quella sera.. Ho saputo anche del Granduca, era presente anche lui, a quanto si dice.. >> disse pensieroso Andrew.
<< Si è vero Andrew.. Non ricordo molto l’opera ma credo fosse bella >> rispose con una risatina Jessica.
<< Giusto, sicuramente avrai perso il lume della ragione fantasticando sul Principe, non è vero? Sfacciata >> la canzonò con un sorrisetto il fratello.
La marchesina avvampò, << chi non l’avrebbe fatto? Chi non avrebbe sognato avendo il bellissimo Granduca di Russia a pochi passi? >> disse a testa alta, << anche Dominique è rimasta folgorata! Il Principe poi, l’avrà sicuramente notata visto che l’ha guardata intensamente per qualche minuto! >> disse, come per vantarsi, poi arrossendo vistosamente, seguita a ruota da me.
Andrew si voltò verso noi, la noia e il disinteresse sostituti dallo stupore più assoluto che regnava sul suo volto.
<< Il Granduca?! Aleksej vi ha rivoltò la sua attenzione?! >> chiese stupefatto, una nota stridula nella voce.
<< B-beh.. >> intervenni balbettando incerta, << nessuna attenzione, solo qualche minuto di sguardi nulla di più! >> feci una risatina nervosa.
Jessica continuò a tenere lo sguardo basso con gli occhi spalancati, mentre Andrew con un espressione dubbiosa e sospettosa, si rilassava nuovamente sul sedile facendo schioccare la lingua sul palato. Prese il suo orologio da taschino e lo aprì con uno scatto.
<< Sono due ore e trentuno minuti che siamo in viaggio, ho sbagliato le mie previsioni, ma dovremmo arrivare a momenti.. >> disse per poi fermarsi qualche istante a guardarci, << all’inizio sarete spaventate dall’atmosfera del luogo.. Regna l’indecenza in questo tipo di intrattenimenti, inutile fare le puritane, ma credo che questo già lo sappiate >> disse lanciando un’occhiata ai nostri vestiti, << non sarà facile, fareste meglio a restarmi sempre vicino, il tipo di persone che frequentano questo genere di balli non è raccomandabile, come anche quello che si fa.. A voi la scelta, io sono disposto a farvi da guida, cercate di starmi vicino e di divertirvi >> concluse con un sorriso incerto.
Io e Jessica ci guardammo, per poi annuire un cenno d’assenso.
<< Ah, incontreremo un mio amico lì alla festa a cui ho dato appuntamento.. Si chiama Ralph. Nel caso io non sia, ehm, disponibile, sapete con chi restare.. >> disse imbarazzato, arrossendo lievemente.
Jessica strinse le labbra e arcuò un sopracciglio. Arrossii. Dopo poco, in lontananza, si cominciarono a sentire urla, musica, e risate. Io e Jessica ad occhi spalancati spiaccicammo il viso contro il finestrino, proprio come dall’altro lato della carrozza stava facendo Andrew. Mancavano ancora qualche centinaio di metri per raggiungere Stockley Manor, ma una lunga fila di carrozze ci precedeva, carrozze da cui provenivano gemiti, urla, frasi oscene gridate, e grasse risate. Vicino all’entrata della casa gruppi di persone l’affollavano, chi restava fuori sul prato a bere e a rotolarsi nell’erba chi invece decideva di entrare nella casa dai piaceri infernali.
<< Scendiamo, arriveremo a piedi alla villa, faremo più velocemente >> disse Andrew che si accingeva a riferire la decisione al cocchiere per poi scendere dalla carrozza e aiutare me e Jessica a fare altrettanto.
Superammo varie carrozze, da cui spesso dai finestrini sbucava una donna con il seno esposto, che gridava oscenità rivolte ad Andrew.
<< Marchese! Marchese! >> gridò una, prima di essere malamente tirata dentro l’abitacolo dal barbaro di turno che borbottava parole di dissenso.
Andrew ignorava con espressione seria questi richiami, mentre io e Jessica, ad occhi spalancati, non riuscivamo a credere a nulla di tutto ciò, ne capivamo come una signora potesse comportarsi in tale modo. Ma evidentemente non doveva essere una signora quella. Superammo varie carrozze, ignorando le urla per quanto fosse possibile. Avevo il cuore a mille, la testa ovattata e il viso in fiamme.
<< FitzMaurice! Ehi, voi, FitzMaurice! >> gridò un uomo grassoccio dal viso paonazzo, sportosi dal finestrino di una carrozza.
<< Salve Larry! >> gridò in risposta Andrew, senza voltarsi e continuando a camminare velocemente, trascinandoci.
<< FitzMaurice! FitzMaurice, oh vi prego fermatevi! Guardate il culetto della donzella in blu! >> presi a girarmi sconvolta e offesa per dire qualche parola all’uomo grassoccio e brillo quando la mano di Andrew mi strinse ferrea il braccio impedendomi di girarmi e continuando a farmi camminare, << Facciamo a cambio! FitzMaurice, tornate indietro! Mi viene una gran voglia soltanto a guardarlo, così succulento! FitzMaurice! >> gridò, per poi urlare insulti a chiunque e ritornarsene indispettito dalla prostituta che era con lui nella carrozza.
Più mi avvicinavo all’entrata, meglio sentivo la musica dal ritmo veloce, e le urla. Raggiungemmo la fila per entrare. Cercai di mettermi in punta di piedi per vedere meglio chi fosse il padrone di casa che all’entrata accoglieva gli ospiti. Vicino all’uomo, alto e imponente, dalla pancia grande e sporgente, c’era una donna, alta, formosa, e vestita di pochi veli, trasparenti, sui fianchi e sul seno che non lasciavano nulla all’immaginazione. Rideva e si muoveva in modo particolare, quasi sguaiatamente, tutto di lei era fatto per provocare. Anche Jessica la guardava, a bocca socchiusa e sopracciglia aggrottate.
<< Lei è Deborah Turner, Debby, una prostituta dell’alta società >> disse Andrew, rispondendo alle nostre mute domande.
Ci avvicinammo sempre più all’entrata, evitando gli uomini già ubriachi che, eccitati, lanciavano ululi per attirare la nostra attenzione. Avevo il respiro affannato, le guance scarlatte, e mille parole agitavano la mia mente, brutte parole che avrei tanto voluto dire a quei furfanti. Cercando di distrarmi, mi feci tranquillamente trascinare dal braccio da Andrew, rivolgendo poi la mia attenzione verso Debby l’oscena prostituta. Vidi che gli uomini – e talvolta anche le donne – prima di entrare nella casa dei piaceri proibiti, si chinavano per baciare la parte che più gli attirava della prostituta che, tenuta ferma da dietro dal padrone di casa che eccitato teneva i seni della donna sollevati, lanciava urletti e risatine. Sconvolta, sgranai gli occhi e sbiancai paurosamente.
<< Su via Dominique, cosa vi aspettavate di trovare? Forse, uomini e donne che prendevano il thè insieme senza guanti? >> mi derise il fratello della ormai mia cara amica.
Senza sapere cosa replicare, lo guardai semplicemente a bocca socchiusa e occhi ben aperti. Arrivò il nostro turno per entrare e rivolgere i saluti al padrone di casa, Mr Brown. Io e Jessica rimanemmo ferme a bocca socchiusa senza sapere bene cosa dire. Potevamo dire che fosse un piacere conoscere quel certo tipo d’uomo? Che continuava a palpare il seno di Debby senza pietà di fronte alle nostre facce sconvolte?
<< Marchese, ma che piacere averla qui questa notte! Godetevi la vostra permanenza! >> sghignazzò.
<< Oh, il piacere sarà immenso Mr Brown >> sorrise con uno scintillio negli occhi Andrew, << Deborah.. Siete un incanto >> disse finto, con voce torbida e profonda, chinandosi a succhiare le punte rosee dei seni della provocante donna, che fra i risolini, rivolse ad Andrew un lascivo sorriso gongolante per il complimento.
Non sapevo bene chi fra me e Jessica, fosse più sconvolta. La marchesina continuava a guardare suo fratello con un espressione alquanto buffa, sopracciglia aggrottate e labbra che si impegnavano per formare una O perfetta. Mentre frettolosamente cercavamo di spintonare gli altri per entrare finalmente nella enorme villa, Jessica assestò una gomitata al suo fratello.
<< Allora è questo che fai Andrew?! E’ questo?! Wow, i miei complimenti allora! Baciare le tette della prima sconosciuta che ti capita a tiro! Ti conviene aver paura Andrew, perché lo dirò a papà! >> strillò isterica.
Andrew rise, << cosa ti fa pensare che Debby sia una sconosciuta? >> insinuò lascivo facendo l’occhiolino, << ma se questo servirà a farti sentire meglio, dillo pure a nostro padre, come se lui non sapesse nulla >> sghignazzò diabolico, prendendo in giro l’ormai paonazza sorella.
<< Andrew! E va bene! Lo dirò alla mamma allora! >> minacciò trionfante la marchesina.
<< Fa’ pure Jess, così io dirò di questo ballo a cui tu hai insistito tanto per venire. >> le fece l’occhiolino sorridendole.
La marchesina, palesemente sconfitta, sbuffò rumorosamente, pestò il piede al fratello – guadagnandosi un’occhiataccia – e offesa lasciò cadere il discorso, decretando il vincitore di quel battibecco.
Sorrisi divertita per quello bisticciare, io non avevo mai avuto l’opportunità di farlo con nessuno. Non avevo fratelli o sorelle, ero sola, avevo solo Yolande per cui provavo affetto e rispetto, ma ambedue avevamo la nostra privacy che veniva rigorosamente rispettata. Mia madre invece veniva a farmi visita con meno frequenza di quella che avessi voluto, lei spesso cercava un modo per rilassare la situazione tesa, ma spesso, l’aria rimaneva piuttosto fredda. Non conoscevo mia madre, lei nutriva interesse nei miei confronti, e io le rispondevo con cordialità. Ma rimaneva una situazione strana. La musica si fece improvvisamente più forte e acuta. Eravamo finalmente entrati nel vivo della festa. Sfarzo e lusso ovunque, equilibristi volteggiavano in aria con abiti succiniti, lunghe file di banchetti, bevande di ogni tipo, e persone dai più vari costumi e portamenti. Tante, molte prostitute, donne vestite, o forse era meglio dire, svestite. Vedevo cosce, seni, caviglie, pance, inorridendo per tutta quell’impudicizia. Il grande salone era agghindato in rosso, tanto da sembrare l’Inferno, con tanto di fuochi, veri e in cartapesta, alti chi più chi meno. L’atmosfera era tetra e un lieve aroma di garofani e sudore aleggiava nell’aria bollente. Notai strani atteggiamenti negli invitati. Erano ubriachi? Di già? Sospirai con preoccupazione e un pizzico di angoscia. Qualcuno mi urtò violentemente, gridando frasi oscene. Mi voltai per guardare quel gran maleducato. Un uomo. Mezzo nudo. Che rincorreva una donna. Mezza nuda. Un piccolo strattone mi fece girare attirando la mia attenzione. Andrew.
<< Andiamo, dobbiamo incontrare Ralph, ci starà aspettando da un po’ ormai. >> disse corrucciato e alzando un po’ la voce per farsi sentire.
Ci trascinò attraverso la calca. A spintoni ci facemmo strada, tirando gomitate ai proprietari di alcune mani un po’ troppo curiose. Arrivammo ad un grande scalone in penombra alla sinistra del salone, salimmo frettolosamente le scale e camminammo dritto, superando numerose stanze, altre vuote, alcune occupate. Forse da malati a giudicare dagli strani versi che facevano gli ospiti lì dentro. Il mio cervello m’impedì di pensare in maniera così ingenua. Feci una smorfia, ma il capo si girò automaticamente per guardare quelle porte. Mi sentivo strana e una sensazione sconosciuta cominciava a farmi formicolare il ventre. Scossi la testa e affrettai il passo. Jessica si avvicinò a me saltellando un po’, acchiappando poi il mio braccio. Camminammo a braccetto.
<< Che ne pensi, Dom? >> chiese con un lieve sorriso e la voce un po’ affannata.
<< Pensare? Jess, è da quando ho accettato di seguirti in questa pazzia che non penso più >> puntualizzai divertita, fra la burla e il serio.
Lei mi spintonò lievemente con il gomito, sorridendo anche lei divertita.
<< Come pensi che sarà Ralph? Carino? >> mi guardò con occhi grandi e speranzosi. Quasi non me la sentii di deluderla.
<< Mmm, non so Jess, conosco solo il suo nome! >> dissi divertita, guardandola negli occhi.
Era diversi centimetri più bassa di me, e questo la rendeva ancora più tenera e graziosa ai miei occhi. Le sorrisi.
<< Dai, quando pensi ad un uomo di nome Ralph, che tipo d’uomo ti viene in mente? >> la speranza non l’abbandonava, << ho bisogno di una risposta Dom.. Il Granduca non mi guarderà mai, ma vorrei almeno trovare un uomo bello e di buona famiglia che sia disposto a corteggiarmi.. >> disse, con gli angoli della bocca piegati verso il basso.
Sorrisi con compassione aggrottando lievemente le sopracciglia, << vuoi la verità? >> le chiesi con un sorriso.
<< Si, per favore >> disse con un sorriso.
<< Me l’immagino basso, cicciottello, goffo, brutto e squattrinato. Mi dispiace >> aggiunsi vedendo l’espressione quasi ferita e sconvolta della mia migliore amica.
Jessica, ancora dispiaciuta, sospirò sconsolata. << Anch’io.. Oppure come un uomo alto, troppo muscoloso e barbaro. Ma ugualmente squattrinato. Uno stalliere forse.. >> aggiunse dispiaciuta, come se quella fosse la notizia più certa e brutta del mondo. Eppure per quello che ne potevamo sapere, Ralph, era un ricchissimo mercante, terribilmente bello e affascinante, magari anche con i superpoteri. Sospirai.
<< Santo cielo! Possibile che siate così frivole?! >> irruppe Andrew sconvolto.
<< Che vuoi Andrew? Prima o poi dovrò sposarmi sai? Scusa tanto se cerco di trovare un marito che abbia i giusti requisiti, invece di lasciare fare tutto a nostra madre! Occupati dei tuoi affari! >> disse, concludendo il tutto con una linguaccia e uno sguardo risentito.
Andrew assottigliò lo sguardo in modo buffo, << poche chiacchiere donna! Sei terribilmente superficiale! Tuo marito potrebbe anche essere il più bello e ricco del mondo, ma se poi ti trattasse come una sua schiava invece che come sua degna moglie, non ti piacerebbe comunque! Il mio amico, forse non sarà bellissimo, ma è un visconte ed una bravissima persona! >> esclamò impettito.
Jessica che a sguardo indifferente e quasi altezzoso era rimasta ad ascoltare il discorso di suo fratello, mi guardò e disse, << ecco, è brutto, hai sentito Dom? La solita sfortuna >> esclamò scocciata sbuffando.
Risi di gusto, mentre Andrew fulminava con lo sguardo la sorella. Jessica era pur sempre Jessica.
Camminammo per lunghi corridoi, agghindati a festa con i colori del fuoco, qua e la dei servitori monitoravano la situazione, invitati che correvano per raggiungere la privacy o l’incessante musica nel grande salone. Svoltammo a destra, dove i corridoi si facevano più bui e tetri. Alla fine di quel lungo corridoio una sagoma oscura c’aspettava. Assottigliai lo sguardo per riuscire a capire chi fosse quella presenza, se fosse il fantomatico amico a cui Andrew voleva affidarci. Mi corrucciai. Non volevo essere un peso, non avevo bisogno di una badante, maschio o femmina che fosse. La figura oscura alzò una mano in segno di saluto. Contemporaneamente io, Andrew e Jessica affrettammo il passo capendo subito di chi si trattasse. La figurava che andava a schiarirsi sempre di più, era di un uomo basso, alquanto cicciottello, dalla voluminosa pancia, strizzata in abiti fin troppo aderenti, dal viso rubicondo con un accenno di barba e ordinati capelli castani rossicci. Sospirai. Io e Jessica ci guardammo. In fondo, nessuna delle due era rimasta delusa. Ralph fece un gran sorriso luminoso, bello come pochi, con i grandi occhi color dell’ambra. Sorrisi spontaneamente a quella vista.
<< Buonasera signore >> disse facendo un piccolo inchino, << mentre il nostro Andrew farà baldoria, sarò la vostra guida in questo mondo infernale >> disse con voce spettrale, facendoci poi l’occhiolino.
Sorrisi divertita insieme a Jessica.
<< Falla finita Ralph >> sghignazzò Andrew, << spaventi le signore! A proposito, lei è mia sorella Jessica e questa bella fanciulla al mio fianco e la duchessina de Polignac, Dominique >> ci presentò facendosi poi da parte.
Andrew ricevette una gomitata da Jessica, << io qui di belle fanciulle ne vedo due Andrew! Non essere avaro! >> lo spintonò offesa.
Ci lasciammo andare ad una risata mentre Jessica metteva su un adorabile broncio.
<< E’ un piacere conoscerla, milady, ho sentito tanto parlare di voi >> disse con un sorriso gentile Ralph.
Non riuscii a trattenere una leggera smorfia a quelle parole, << spero di fare meglio la vostra conoscenza Ralph! Vogliamo cominciare la serata? >> dissi battendo le mani con un sorriso.
<< Giusto! Il tempo scorre donzelle! >> disse Jessica saltellando sul posto.
<< Io di donzelle ne vedo solo due qui Jessica! Non essere avara! >> la scimmiottò il fratello maggiore.
La marchesina fulminò Andrew con lo sguardo che, subito dopo, propose insieme a Ralph di tenerci ben strette le maschere e di raggiungere il salone centrale. Ci avviammo percorrendo lunghi corridoi dove corpi s’intrecciavano in passionali baci, in parti del corpo proibite. Andrew era costretto a trascinarmi per i corridoi. Non riuscivo a trattenermi, non avevo mai visto nulla di simile e ad ogni comportamento per me ambiguo e inusuale voltavo la testa per guardare meglio e più a lungo. Grida forsennate arrivavano dal fondo del corridoio dove una donna paonazza dal seno nudo schiacciato contro la parete sembrava offrisse il suo fondoschiena all’uomo che muoveva il braccio sotto la voluminosa e colorata gonna della donna che s’agitava sempre di più. Arrossii guardando quella scena.
<< Siete fin troppo interessate a tutto questo Dominique >> mi rimbeccò Andrew.
<< Se mi trovate troppo sfacciata mi scuso, ma non sono abituata all’oscenità.. >> dissi incerta, rossa in volto come una bambina colta sul fatto a rubare le caramelle.
Andrew rise. Un enorme scalone v’era d’avanti a noi dove numerosi erano i giovani che vogliosi si strusciavano sulle fanciulle felici di essere tanto attraenti e desiderate. Scendemmo la grande scalinata, arrivando poi al centro della pista da ballo, dove volteggiavano uomini e donne vestiti con le più varie e accecanti maschere e vestiti – alcuni si, altri meno – con abiti fluorescenti e osceni. Frenetici ballavano senza fermarsi un momento, con la coinvolgente e veloce musica di sottofondo aiutata dai divertiti ed eccitati uomini che incoraggiavano le danze con battiti di mano a tempo di musica. Mi voltai in cerca di Andrew, ma vidi solo Jessica che rapita guardava le danze. Ritornai a guardare quello spettacolo. Sembrava davvero un altro mondo. Le lunghe tende colorate cadevano dal soffitto dove alcuni uomini s’aggrappavano danzando nelle più strane e varie maniere. Andrew ritornò offrendoci da bere.
<< La mistura della casa, signore! Ralph le affido a te, divertitevi >> disse con un sorriso e facendo l’occhiolino a tutti.
Bevvi un sorso della mistura. Poi un altro. Finii il bicchiere. Cominciai a sentire la testa più leggera, il battito veloce del cuore e un languido calore al ventre. Una morsa mi strinse nella mia parte più intima e segreta costringendomi a stringere le cosce per alleviare quel bisogno. Presi un altro drink, bevendolo tutto d’un sorso. Il bisogno aumentava come l’umido fra le cosce, la testa si faceva sempre più leggera. Scossi la testa e strizzai gli occhi vedendo Jessica volteggiare in pista, felice e rossa in volto. Sentii qualcuno prendermi una mano e tirarmi. Non pensai a nulla. Cominciai a ballare a tempo della musica, sentendo toccarmi ovunque e non facendoci caso, la testa leggera, ad ogni volteggio sempre più lontana dalla realtà. Venivo sballottata ad ogni angolo della pista, da un uomo o da un altro, la musica che mi riempiva le orecchie. Non riuscivo a smettere di ridere, l’eccitazione aumentava di minuto in minuto. Dopo poco vidi i ballerini fermarsi, non capii cosa stesse succedendo, mi stavo così divertendo che mi dispiacque fermarmi proprio sul più bello. Jessica paonazza e ridendo a più non posso mi prese per mano e insieme corremmo verso l’entrata. Risi forte.
<< Jessica dove mi porti? Cosa succede? >> dissi a voce alta per farmi sentire non riuscendo a rimanere seria.
Sentivo la mano sudata e accaldata di Jessica che mi teneva stretta, il pavimento appiccicoso per i drink versati sotto le scarpe.
<< Il Granduca Dominique! E’ arrivato! E si mormora che ci sia qualcun altro con lui! >> rise a più non posso, continuando a correre.
Appena varcammo le enormi porte d’entrate , vedemmo l’enorme e splendida carrozza d’oro e di un nero lucente. Socchiusi la bocca per lo stupore di tutto quel lusso sfoggiato con eleganza. Non avevo mai visto nulla del genere. Appena vidi il valletto dirigersi per aprire lo sportello della carrozza. Jessica mi tirò via, dietro un cespuglio dove potemmo guardare tutto senza rischiare di essere scoperte e fare pessime figure. Il fiato sospeso, il cuore che batteva a mille, vidi il valletto aprire lo sportello e fuoriuscire dalla carrozza l’uomo che cominciava ad occupare le mie fantasie e la mia mente sempre di più. Appena lo vidi, l’umido in mezzo alle gambe aumentò e il languore s’intensificò. Meraviglioso, i capelli lucenti risplendevano sotto le fiamme rosse in cartapesta che erano poste a decorare l’entrata, assumendo uno splendido color miele, strabiliata rimasi a fissare il suo corpo statuario fasciato negli aderenti abiti, una camicia blu notte dalle rifiniture d’oro aderentissima e dai primi bottoni lasciati slacciati, lasciava ben poco all’immaginazione coprendosi però con uno stretto gilet dai bottoni d’oro, contribuivano all’immagine di adone i perfetti pantaloni che aderivano alle sue gambe muscolose come un guanto. Aleksej si voltò verso il valletto per lasciargli una generosa mancia ed io ebbi la sublime visione del suo fondoschiena. Arrossii per quell’impudico abbigliamento, lanciando poi uno sguardo a Jessica che, rapita fissava il principe. Una fitta di gelosia mi trapasso da parte a parte. Arrossii maggiormente e cercai di non farci caso. Io e Jessica facemmo per alzarci quando vedemmo un altro uomo uscire dalla carrozza. Strabuzzai gli occhi incredula. Un uomo, più o meno della stessa stazza di Aleksej, dai magnetici capelli rossi, vestito di nero, un nero scandaloso su quel corpo perfetto. Il cuore batteva sempre più forte mentre un’assurda idea cominciava a farsi strada nella mia mente sempre più cosapevole. Come se si sentisse osservato, il ragazzo guardò dove io e Jessica eravamo acquattate. Subito ci appiattimmo sul terreno umido, con il respiro affannato, timorose di essere state scoperte. Quasi riuscivo a vedere il bagliore azzurro di quegli occhi. Ormai certa strabuzzai gli occhi, boccheggiando.
Quell’uomo, quel ragazzo, dai magnifici capelli rossi, così bello, era l’amante con cui la duchessa si era intrattenuta la notte scorsa, che aveva riso di me per la mia pudicizia. Incredula continuai a fissare quel duo di splendidi uomini.
Che il rosso fosse un servitore dello zarevic? A giudicare dal suo lussuoso abbigliamento ne dubitavo fortemente. Che fosse un suo amico? Probabile, anche se la somiglianza fra Aleksej e il rosso era evidente. Un pensiero mi trapassò la mente, ma troppo sconvolta e agitata, non volli ascoltarlo. Le trombe e la musica che precedevano e annunciavano l’arrivo del principe cominciarono a suonare, creando un’atmosfera di puro lusso, austerità e potenza di cui tutti i presenti furono schiacciati.
Furono annunciati.
Il futuro Zar di tutte le Russie, Aleksej Ivan Miroslav Nikolaevic Romanov, figlio dello Zar Nikolaj e suo cugino, Dimitrij Isidor Petrovic Romanov, figlio di Petr, fratello dell’Imperatore.
Sbarrai gli occhi, pallida come un cencio. Yolande andava a letto con un ragazzo appartenente alla famiglia reale russa? Il ragazzo in questione aveva la fama di donnaiolo – come molti della sua famiglia – malizioso, e probabilmente se solo avesse voluto avrebbe potuto comprarsi senza tanti problemi Londra e provincia. Pregai per Yolande, per la sua reputazione, per il suo cuore e per il segreto che speravo sarebbe rimasto sempre tale. Sospirai sconvolta per quello che avevo appena constatato.
<< Sono fantastici vero? Quasi incredibile la loro bellezza.. Dev’essere una cosa di famiglia >> bisbigliò Jessica incantata.
Annuii tremante non sapendo che dire. Era vero. Erano splendidi ragazzi, costretti a diventare uomini prima del tempo. Rimanemmo a guardare i cespugli scuri per qualche minuto, nessuna delle due aveva idea di cosa fare e come comportarsi. Jessica mi prese la mano incitandomi ad alzarmi.
<< Rientriamo in sala, non voglio perdermi la visione dei Granduchi >> disse con un sorriso.
Mi alzai, intenzionata a seguirla. Neanche io volevo perdermi la loro presenza. Rientrammo nella sala, senza cercare di farci vedere. Nonostante sentissi la testa ancora leggera, l’aria fresca mi aveva svegliato un poco. Jessica prese altre due coppe di mistura che bevemmo avidamente, assetate con la gola arida. Un gruppo di nobili d’alto rango accerchiava e chiacchierava con i principi. Mi diressi alla pista da ballo, dove senza pensare, mi feci trasportare dal mio compagno e dalla musica sempre più incalzante. Sudata e con il cuore che batteva a mille, danzavo ad occhi chiusi, passando dalle mani di uomini e uomini. Aprii gli occhi e mi accorsi che molti mi fissavano con ammirazione. Arrossii fino alla punta dei capelli sorridendo, uscendo dalla pista e feci per dirigermi al buffet quando incrociai l’intenso sguardo di Aleksej, che con un cenno della mano in cui teneva una coppa di champagne mi invitò ad avvicinarmi. Feci un inchino al cospetto dei due principi.
<< Buonasera duchessa, non sapevo che voi frequentaste questo tipo di intrattenimenti >> disse freddo Aleksej con il suo accento russo.
Divenni paonazza non sapendo come rispondere a quella che poteva sembrare quasi un’accusa. Aleksej continuava a fissarmi, impassibile. Sentii una risata.
<< Lasciala divertire Vanja! >> disse divertito il cugino.
Aleksej contrasse le sopracciglia, << Dimitrij, ti presento la duchessina De Polignac >> disse continuando a fissarmi.
<< Vostra Altezza >> m’inchinai, rossa in volto. Sapevo che mi aveva riconosciuto.
Dimitrij fece un gesto sbrigativo con la mano, << Ma non mi dire Vanja.. La conosco già >> disse guardandomi malizioso.
Aleksej per la prima volta durante la conversazione distolse l’attenzione dalla mia figura, guardando a sopracciglia contratte il principe rosso.
<< Di che parli, cugino? >> chiese freddo.
Gli altri spettatori della conversazioni ascoltavano e guardavano avidi ogni gesto che i due membri della famiglia imperiale russa facevano.
Dimitrij rise, << tranquillo cugino, nulla che sia degno di nota, ci siamo conosciuti tramite conoscenze in comune >> spiegò con un sorriso, continuando a fissarmi, inclinando la testa e appoggiando il bordo del bicchiere dello champagne alla tempia.
<< Si Vostra Altezza. Non vorrei disturbare la vostra permanenza qui >> dissi facendo per andarmene.
<< Disturbare! >> sputò acido Dimitrij, << voi qui siete l’unica cosa interessante, come potreste disturbare, duchessa? >> mi domandò languido.
Arrossii violentemente, scatenando un sorriso ilare in Dimitrij, e un sospiro da parte di Aleksej.
<< Con il vostro permesso, duchessa.. >> disse Aleksej con un leggero inchino del capo, allontanandosi.
Dimitrij lo guardò andare via allontanarsi, << non ci faccia caso duchessa, è difficile entrare nel suo cuore, se è questo quello che speravate >> mi bisbigliò all’orecchio prima di allontanarsi anche lui.
Con il cuore che batteva a mille e il respiro irregolare mi diressi al buffet dove bevvi altra mistura. La testa cominciava a girarmi, il cuore batteva forsennatamente, il respiro fin troppo irregolare, mi appoggiai al tavolo, cercando di recuperare la lucidità e le forze. Avevo bisogno di silenzio, riposo, lontano da tutto quel trambusto, avevo bisogno di stare da sola e recuperare i miei principi e le mie idee. L’incontro con Aleksej mi aveva sconvolto, non ero riuscita neanche a formulare frasi intelligenti, ma solo una banale scusa per allontanarmi da loro. Con un forte sospiro e la testa che mi girava sempre più, mi allontanai dalla sala cercando di raggiungere e ricordare il percorso fatto poche ore prime con Andrew per trovare Ralph. Avevo bisogno di una camera per stare sola. Le gambe cominciarono a formicolare, un liquido bollente cominciava a colarmi per le cosce, mentre una morsa mi artigliava il ventre, un bisogno primario che cominciava a soffocarmi. Non capivo cosa mi stesse succedendo. Mi avviai quasi correndo verso lo scalone, dirigendomi nei corridoi più bui, da dove sentivo provenire grida di piacere che mi facevano contrarre le cosce in cerca di sollievo. Svoltai a destra e poi a sinistra in un corridoio più silenzioso dei precedenti. Mi catapultai verso una camera che aprii di botto e rimasi pietrificata e sconvolta.
Il principe Aleksej, sopra ad una donna dal prosperoso seno nudo e le gambe spalancate, si muoveva velocemente, con i pantaloni abbassati a lasciare in bella mostre quel fondoschiena sodo e perfetto che si muoveva a ritmo sostenuto. Si accorse della mia presenza, mentre la donna affannata e rossa si muoveva sotto di lui implorandolo di continuare. Ebbi la visione del suo enorme membro per metà dentro alle calde viscere della donna. Divenni paonazza, mentre lo zarevic mi rivolgeva un sorriso che mi parve diabolico con uno sguardo malizioso.
<< Sc-scusate.. >> balbettai sconvolta non riuscendo a distogliere lo sguardo.
Aleksej riprese a muoversi dentro la donna mentre questa cominciava a lanciare urletti e si faceva sempre più rossa in volto. Una morsa spiacevole mi contraeva lo stomaco ed un’altra la mia femminilità ormai grondante. Chiusi con un tonfo la porta correndo per i corridoi, con le gambe che mi tremavano e il cuore che pompava sangue forsennatamente, facendomi venire frequenti capogiri. Rabbrividendo corsi per lo scalone, precipitandomi attraverso la pista da ballo e uscendo fuori nella notte fredda. L’aria mi sferzò il viso, svegliandomi un poco. Continuai a correre, veloce, con il cuore dolorosamente pulsante. Mi aveva eccitata e lui lo sapeva. Ma vederlo fra le cosce di un’altra donna era stata comunque… Una sofferenza. Continuai a correre fino a quando le mie gambe stremate e tremolanti si fermarono nel pieno dell’enorme giardino, vicino al limitare con un boschetto. Respirai convulsamente tremando. Cos’era successo? Mi sentivo stordita. Rividi la scena infinite volte von gli occhi della mente. Quello che poco prima Dimitrij mi aveva detto, mi parve avere maggiore senso.
E’ difficile entrare nel suo cuore, se è questo quello che speravate.
Probabilmente non mi aveva solo tacitamente accusato di essere una cercatrice di dote, ma mi aveva anche messo in guardia. Com’ero stata stupida a nutrire fantasie per un principe, dal carattere così ambiguo e difficile poi. Respirai tremando, cercando di trattenere le lacrime. Mi sentivo vulnerabile. Ecco cosa accadeva se si fantasticava troppo. Ripensai a come il principe rosso aveva chiamato il cugino. Vanja. Che fosse il nome con cui lo chiamano i familiari stretti? In ogni caso mi piaceva, gli stava bene, lo trovavo un nome virile adatto a lui.
Passarono i minuti. Rabbrividii per il freddo, la mente perennemente occupata a pensare al Granduca, al suo corpo, al suo sorriso apparentemente subdolo, all’incalzante movimento del suo fondoschiena. Sentii la mia femminilità tremolare. Rabbrividii ancora, non per il freddo stavolta, cercando di riprendere la normale respirazione e il controllo di me stessa.
<< Vostra Grazia >> disse una voce intensa, roca e profonda, una voce virile, dall’accento russo, di cui sentii il fiato direttamente sul collo.
Rabbrividii violentemente, feci per voltarmi ma delle grandi e forti mani me lo impedirono, stringendomi le spalle nude. Sentii quelle stesse mani, calde sulla mia pelle umida e gelata, carezzarmi le spalle nude, disegnando piccoli cerchi, facendomi venire la pelle d’oca. Sentii tre dita toccarmi la nuca e poi scendere sempre più giù, sulle spalle, percorrere la spina dorsale e fermarsi sulle fossette di Venere. Un dito andò ad insinuarsi dentro il vestito. Rabbrividii violentemente cominciando a tremare. Era terribilmente piacevole e frustrante, volevo di più, le enormi spalle che mi superavano di gran lunga, poste proprio dietro di me erano una tentazione troppo grande. Una mano andò delicatamente ad arrotolarsi i miei lunghi capelli sulla mano e sul polso, mentre sentii dei lievi baci percorrermi la tempia, il lobo dell’orecchio, il collo le spalle. Un gemito mi sfuggì dalle labbra, ed io umiliata divenni paonazza ma non riuscii a scostarmi da quelle carezze tanto agognate. Sentii la lingua calda lambirmi il lobo, fitte di piacere mi trafissero il ventre, mentre una mano andava a carezzare i miei seni coperti dal corsetto e scendeva giù, sullo stomaco fino ad arrivare al ventre dove premette facendomi andare a scontrare contro quel corpo di marmo e contro una potente erezione che premeva sulla mia schiena, mentre la lingua prese a lasciarmi scie di piacere sul collo e umidi baci. Gemetti, dimenandomi contro l’erezione, facendo gemere anche il principe. Sentii il suo sorriso sul mio collo mentre mi baciava.
<< Vi siete eccitata, duchessa? Avreste voluto essere voi la ragazza in cui ero dentro fino a poco fa? Colei che mi ha accolto tanto umida e tanto voracemente dentro di se? >> mi bisbigliò mordicchiandomi un orecchio.
Le sue parole dette da lui, dalla sua voce, con il suo accento mi fecero perdere letteralmente il controllo. Mi appiattii contro di lui, facendo irrigidire se possibile, maggiormente il membro in erezione nascosto solo dai pantaloni. Mi girai verso di lui, velocemente ma con attenzione per via dei miei lunghi capelli intrappolati nelle sue mani. La prima cosa che vidi furono i bottoni d’oro della sua camicia blu notte, le sue enormi spalle e infine il suo viso. Gli occhi chiari, i capelli leggermente scompigliati che ricadevano in ciocche disordinate sulla fronte e andavano a sfiorare i suoi occhi, le labbra gonfie, carnose, e rosee, la sua pelle candida e perfetta. Lo desideravo, come non avevo mai desiderato niente e nessuno nella mia vita. Era bellissimo, perfino da vicino non aveva difetti. Mi strusciai contro la sua erezione, facendogli uscire un sospiro da quelle labbra perfette.
<< Vostra Altezza.. >> bisbigliai affannata, << perché siete qui? >> mormorai affranta dal piacere di stare così vicino all’uomo che mi scatenava reazioni e sentimenti così violenti.
<< Perché siete splendida e vi desidero >> disse serio, freddo, veloce e conciso.
Prima che potessi ribattere, mi prese il mento fra due dita, mi tirò i capelli facendomi piegare il capo e mi baciò, con voracità. Scomparsi letteralmente fra le sue spalle. La sua lingua si insinuò nella mi bocca ed io ricambiai, timida, tenendo gli occhi socchiusi per guardare più da vicino quello splendido e futuro re. Il cuore mi battevo a mille, tremavo mentre lui mi stringeva forte a se, quasi volesse diventassi parte di lui, e l’avrei fatto se avessi potuto. Aveva il sapore della menta e del miele, la cosa più buona che avessi mai assaggiato, la sua lingua mi avvolgeva e mi stuzzicava, mi mordeva le labbra, dolcemente o con furia, avvicinandomi sempre di più a lui, respiravamo entrami l’odore l’uno dell’altro, persi nell’estasi. Aleksej mi afferrò i glutei, alzandomi per farmi sentire la sua erezione potente fra le cosce, ed io mi feci ancora più vicina, mentre il principe mi afferrava la coscia lasciata scoperta dal vestito e me la mise attorno alla sua vita, premendo contro il mio punto sensibile la sua vistosa e marmorea erezione. S’intrufolò con una mano sotto il vestito sfiorandomi le grandi labbra, facendomi rabbrividire e gemere senza ritegno. Gli strinsi i capelli tirandolo a me, bisognosa e vogliosa del suo sapore, il cuore che batteva a mille e il respiro affannato, mentre lui mi strattonava i capelli impedendomi di allontanarmi da lui, ma quella era l’ultima cosa che volevo. Mi artigliava la coscia, mentre la sua lingua entrava in profondità nella cavità umida della mia bocca, e con l’altra mano mi sorreggeva dalla stretta vita. Il controllo ormai perso, feci scivolare la mia mano sulla sua camicia, toccando poi la sua patta dei pantaloni. Come risvegliatosi da un profondo torpore, Aleksej mi tirò i capelli scostandomi da lui e mettendomi a terra. Affannata e rossa in volto, non riuscii a guardarlo, tanta era la vergogna. Cosa avevo fatto? Mi ero comportata come una donna dai facili costumi e lui ora chissà cosa pensava di me. Per un momento, mentre eravamo avvinghiati e stretti l’uno all’altro avevo creduto di amarlo, ma non volli pensarci. Il cuore che batteva a mille, osservai di soppiatto Aleksej aggiustarsi la camicia.
<< Vostra Altezza m-mi dispiace.. >> balbettai incerta, umiliata.
Aleksej mi guardò, freddo e sbrigativo, << di cosa? >> chiese gelido con l’accento russo più marcato del solito.
Lo guardai in volto. L’unico indizione della passione di poco prima erano le labbra gonfie. Era come se non fosse successo nulla.
<< Credo.. Credo d-di aver bevuto troppo, perdonatemi.. >> dissi mordendomi le labbra, guardandolo con gli occhi umidi.
Mi detestavo, e detestavo lui. Il bacio più bello del mondo e lui era così freddo. Mi aveva derubato di una cosa importantissima, e adesso se ne stava lì, dritto ed imponente da vero principe. Volevo ritornasse a stringermi fra le sue braccia per nascondermi da tutto e da tutti, forse e soprattutto anche da lui.
<< Bevuto troppo? >> chiese corrucciando le sopracciglia e indurendo le labbra in una sottile linea.
Annuii mortificata senza sapere che dire.
<< Perdonatemi Vostra Altezza.. >> riuscii a proferire.
<< A questo tipo di feste, si danno delle misture, che sono degli afrodisiaci, se avete sentito amozioni o sensazioni strane, è per colpa della mistura, quella di stasera era potentissima >> spiegò sbrigativo.
Arrossii violentemente. Ero certa che la passione e l’irrefrenabile desiderio provato poco prima non avesse nulla a che fare con la mistura. Lo guardai in viso, mentre lui impassibile si risistemava. Io neanche avevo la forse per aggiustarmi i capelli o il vestito, ormai spiegazzato. Una donna chiamò Aleksej da lontano, agitando le braccia per farsi vedere. Lui sapendo già che si trattava di un’altra donna con cui presto avrebbe fatto sesso violentemente, non si voltò neppure.
<< Passate una buona notte, Vostra Grazia >> disse con un piccolo inchino, allontanandosi e scomparendo nel buio, raggiungendo la donna.
Rimasi sola, svestita e al freddo per non seppi dire quanto tempo.
Non dimenticherò mai il mio primo bacio.











Salve a tutti lettori :) lo so, mi dispiace per l'incredibile ritardo spero di essermi fatta perdonare con questo capitolo più lungo del solito! Spero vi sia piaciuto, da qui cominceranno tante cose :) adesso che ho più tempo dovrei tornare a postare con regolarità! Fatemi sapere cosa ne pensate di questo nuovo capitolo se vi va :) Prima di lasciarvi faccio pubblicità alle altre mie storie in corso:

The Muse of Genius (storia originale, raiting rosso)

In Bellum et in Amoris - Passionem Celts (storia originale, raiting rosso)

Black Soul (FanFiction Harry Potter, raiting arancione)

Sadistic Love (FanFiction Twilight, raiting rosso)



Grazie a tutti, siete la mia soddisfazione! Al prossimo capitolo :)

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Capitolo 7
*** A caccia di fanciulle ***


Capitolo VII

A caccia di fanciulle

 















Mi guardai attorno, aspettando di riuscire a riprendere ed elaborare quello che era appena successo.
Guardai il mio vestito. Era tutto così terribilmente sbagliato. O era la mia vita ad essere talmente sbagliata da farmi sembrare ciò che era giusto sbagliato? Non lo sapevo. Sapevo soltanto che quello non era il mio mondo, che volevo tornare nella mia casa decente con i quotidiani abiti decenti.
Tutto quello.. Non ero io, non era per me, non era dove sarei dovuta essere. Così ingenua ero stata. Un’avventura del genere avrebbe potuto rovinare il modo di vedere le cose.. Il modo giusto. Se poi giusto era.
Mi toccai le labbra, sentii quella bocca calda, morbida e carnosa premuta contro la mia, quei capelli così soffici fra le mie dita. Mi morsi il labbro inferiore, cercando di trattenere un gemito e qualche lacrima di frustrazione. Avevo dato il mio primo bacio ad un uomo che, probabilmente, fra qualche ora non avrebbe ricordato neanche il proprio nome. Serrai le labbra, mi sistemai il vestito, e raccolsi in una disordinata pettinatura i miei capelli. Volevo andare via di lì, sentirmi nuovamente al sicuro. A passo svelto mi avviai verso la grande villa in fiamme. Entrai, ritrovandomi numerosi intrecci di corpi, balli sudici e scandalosi. Aggrottai la fronte, cercando in mezzo a quella folla di poco raccomandabili,  Ralph, oppure Jessica.
Sussultai improvvisamente sentendo una mano poggiarsi sulla mia spalla. Mi voltai di scatto verso una Jessica pallida e disordinata. Annuii, avendo capito cosa volesse. Dovevamo trovare Ralph ed Andrew e andarcene al più presto da quel posto così dissoluto. Presi per mano Jessica, avendo individuato Ralph bere e chiacchierare con un uomo mascherato. Di tutta fretta arrivammo di fianco a lui. Lo scossi per un braccio attirando la sua attenzione.
<< Ralph, vogliamo andare via.. Vi prego ci porti via da qui, subito. >> dissi ferma e risoluta cercando di non fare tremolare la voce.
I miei sforzi erano vani. Ralph era brillo, e di certo la mia voce non gli interessava. << Ma certo belle donzelle, trottiamo verso il tramonto! >> disse con la voce impastata, rivolgendo un veloce cenno di saluto all’uomo mascherato, per poi avviarsi traballante verso la pista da ballo.
Un po’ incerti uscimmo dalla villa.
<< Ralph, mio fratello, dove si trova? >> chiese la marchesina con gli occhi rossi  e lucidi che parevano ancora più grandi su quel volto così pallido.
<< Non preoccupatevi signorina! Vostro fratello rimarrà qui fino all’alba temo, me l’ha riferito poco fa! Affitterà una carrozza.. >> borbottò perplesso aggrottando le sopracciglia, come se non riuscisse ad afferrare il senso delle sue stesse parole.
Jessica annuì ed io, stanca, non feci domande. Pagammo lo stalliere per recuperare la nostra carrozza. In pochi minuti fummo all’interno del sicuro abitacolo, in cui mi catapultai sollevata.
Sospirai guardandomi il vestito. Come ero stata stupida, indecente. Eppure non riuscivo a pentirmi proprio di tutto. Quel bacio, aveva risvegliato qualcosa dentro di me, forse la mia anima. Sentivo il cuore pompare forte al solo pensiero. Come era stato bello quel bacio. Sicuramente la colpa era tutta di quella mistura..
Mi addormentai rigida, stringendo forte la maniglia dello sportello.
 
 
 
<< Vostra Grazia? Signorina? >> sentii scuotermi. Ralph, la voce di Ralph.
Socchiusi gli occhi, con il cuore che batteva forte per lo spavento del brusco risveglio.
<< Siamo quasi arrivati.. Svegliatevi Vostra Grazia >> sussurrò l’uomo.
Spalancai gli occhi di botto, raddrizzandomi e vergognandomi immediatamente per essermi addormentata. Che maleducata, pensai avvampando. Nel dormiveglia raccomandai a me stessa che l’indomani sarei stata una perfetta giovane donna.
Ringraziai Ralph e scendemmo dalla carrozza. Vidi Jessica sempre più pallida e tesa. Non ebbi la forza di chiederle cosa le fosse accaduto. Il sonno cominciava a divorarmi. Le serve ci portarono in una grande stanza con un letto altrettanto spazioso. Ci spogliarono, struccarono e pettinarono, mettendoci poi le nostre vestaglie, senza intimo: oramai Jessica ed io non riuscivamo neanche a reggerci in piedi. Mi misi nel grande letto, sotto le coperte fresche. Sentii Jessica addormentarsi al mio fianco e stringermi il busto. Il sonno, nero e pesante, ci avvolse immediatamente.
 
 
 
Mi risvegliai, confusa e stordita, udendo dei rumori. Socchiusi gli occhi. Splendenti lame di luce filtravano dalle tende. Doveva essere mattino inoltrato, il sole era già forte e caldo, alto nel cielo. Mi voltai verso le due serve che avevano cominciato a ripulire la stanza, mi misi seduta passandomi una mano sul volto, cercando di fermare il fiume di ricordi della notte appena passata.
<< Ben svegliata milady >> mi disse una serva con tono dolce. Una giovane ragazza.
<< Che ore sono? >> mormorai, cercando di sbarazzarmi della pesantezza dalle membra, dell’intorpidimento della mente.
<< L’orologio ha rintoccato il mezzogiorno circa mezz’ora fa, milady >> mi rispose, ritta e composta con un sorriso sul volto.
Sbarrai gli occhi, rendendomi conto dell’orario. Cielo, sarei dovuta essere a casa per l’ora di pranzo. Mi alzai immediatamente dal letto, traballando per le vertigini.
<< I miei abiti.. Mi servono i miei abiti e qualcuno che mi aiuti ad indossarli! >> dissi con tono autoritario. Il tempo scarseggiava, la fame m’attanagliava.
<< Immediatamente milady, il vostro bagno è già pronto >> mi sorrise, scortandomi in una grande stanza piena di vapore.
Feci una smorfia ricordando Eveline e la sua inefficienza.
<< Perfetto, ti ringrazio. Una di voi dovrà recuperare i miei abiti ed aiutarmi ad indossarli, fate in fretta >> raccomandai, sciogliendo i lacci della vestaglia facendola scivolare fino alle mie caviglie, e slegando i miei capelli che morbidi e spettinati caddero in onde scomposte.
Mi immersi nella vasca, velocemente mi passai gli oli profumati sulla pelle e sui capelli. Alcune serve mi risciacquarono fino a quando, pronta, non mi avvolsi in un panno e non venni scortata all’interno della stanza.
Dopo circa un quarto d’ora ero pronta. Andai allo specchio, beandomi soddisfatta del risultato. Adesso si che parevo una signora composta. I capelli erano stati legati in una lunga ed unica treccia che solcava tutta la schiena, il corpo era fasciato da un delizioso abito celeste pastello, dalla gonna non troppo voluminosa, un corpetto rigido che fasciava la stretta vita, maniche in pizzo che ricoprivano appena i gomiti, e una scollatura quadrata, composta. Dei quanti bianchi in pizzi ricoprivano le mie mani, e al mio collo faceva bella mostra di se un girocollo di perle, abbinato gli orecchini. Gli occhi, parevano più splendenti e chiari che mai. Ringraziai le serve, e a passo svelto mi avviai fuori dalla camera, scesi le scale e proseguii dritto, ritrovandomi nella sala accanto alla cucina. L’odore del latte caldo e del pane appena sfornato mi fece luccicare gli occhi. Mi feci servire del latte, con pane e marmellata; per il momento era il meglio per recuperare le energie perse.
Finito di mangiare il più velocemente e compostamente possibile la mia scarsa colazione, mi misi subito alla ricerca di Jessica. Dopo qualche minuto di ricerca in giro per la magione decisi di chiedere ad una cameriera che, paonazza in volto mi rispose che la marchesina era andata a fare una passeggiata nel parco con la severa richiesta di non essere disturbata per nessun motivo. Ritta sul posto congedai la serva. Il comportamento di Jessica era strano, dalla notte scorsa avevo trovato fin troppo anomalo il suo volto pallido e tirato per il carattere allegro della marchesina… Velocemente gettai un’occhiata all’orologio a pendolo che confermò le mie peggiori ipotesi: il tempo non era dalla mia parte. Corsi verso il portone principale della grande casa, richiamando il maggiordomo e dicendo di riferire alla marchesina che ero dovuta andare via e di ringraziare sia Jessica sia Andrew per la cortese ospitalità. Entro pochi minuti fui nella mia carrozza, pronta a ripartire alla volta della mia solita casa, della mia solita vita.
Guardai fuori dal finestrino improvvisamente triste. Avrei mai potuto essere me stessa con un uomo? Un uomo che mi sarebbe piaciuto? Avevo visto fin troppe donne tristi, ferite, tradite e sole, nonostante la presenza di mariti e servitù… Era quello il mio destino? Una vita così triste? Cominciavo a sentire il mio cuore… Che voleva essere con un solo giovane uomo.
Un solo giovane, pericoloso, impossibile uomo. Se mi fossi innamorata… Se ero così stupida da star già cominciando ad innamorarmi…
Al solo pensiero, mi presi il capo fra le mani, cercando di calmare i brividi ed il batticuore, la fame improvvisamente scomparsa sostituita da una fastidiosa stretta allo stomaco. La carrozza s’arrestò di colpo, ed io rizzai il capo di scatto, cercando di sistemarmi. Un valletto venne ad aprire lo sportello e ad aiutarmi a scendere, ed io trafelata corsi attraverso il piazzale e l’entrata della grande reggia. Mi diressi in cucina, dove vidi sul grande tavolaccio di legno le portate ormai fatte ritirare dalla sala da pranzo. Mi sentii in colpa per il ritardo e feci una sospiro. Feci per andare nella mia camera a riposare quando sentii dei singhiozzi. Subito riconobbi la piccola voce e, preoccupata, mi avvicinai verso la porta sul retro della cucina che dava sul vasto giardino e, seguendo attentamente il flebile pianto, arrivai ad un fagotto di vestiti infangati. Il cuore mi si strinse.
<< Josy.. >> chiamai dolcemente cercando di non spaventarlo.
Il bambino sollevò di scattò il capo, i grandi occhi lucidi e arrossati per il pianto. Grandi lacrime gli solcavano il piccolo viso.
Mi avvicinai con cautela, accovacciandomi con difficolta per la vaporosa gonna. Gli carezzai il capo e la schiena, sussurrandogli parole dolce per tranquillizzarlo. I singulti si calmarono nel piccolo corpicino e Josy finalmente rialzò il capo.
<< Cosa c’è che non va, tesoro? >> gli sussurrai, preoccupata.
A quella domanda il mento del piccolo Josy riprese a tremolare e gli angoli della piccola bocca s’inclinarono pericolosamente verso il basso. Lo abbracciai baciandogli il capo.
<< Va bene, potrai parlarmene quando vorrai tu, d’accordo? >>
Josy in risposta abbassò il capo in un muto assentimento.
Mi morsi il labbro, pensando velocemente, << ti va di venire con me a fare una passeggiata? Oltrepasseremo il bosco… C’è un gran bel ruscello sai… >> buttai fintamente a caso l’informazione.
Josy s’illuminò in viso, asciugandosi poi con la piccola mano sudicia il bel visetto tondo, e annuendo restio. Si alzò e cominciando a correre si allontanò da me. Mi alzai subito, cercando di raggiungerlo.
Josy si fermò per aspettarmi, e una volta vicina mi prese per mano in silenzio. A passo calmo superammo il piccolo boschetto, arrivando ad uno grande spazio aperto, pieno di fiori e erba verde, fin troppo alta per me. Vidi poco più in là il ruscello.
<< Visto? >> gli dissi con un sorriso puntando il ruscello con un dito, << eccolo lì Josy! >> gli strinsi un poco la manina.
Josy ridacchiò e subito corse in direzione del corso d’acqua. Lo seguii, pensando che lì, in quel piccolo posto nascosto agli occhi del mondo, non sarebbe stato grave divertirsi solo un po’. Raggiunsi Josy che ormai aveva i vestiti fradici, ma almeno il visetto limpido e pulito. Ridacchiava mentre si spruzzava i vestiti di acqua e appena fui a portata di schizzo, fui preda del piccolo Josy che senza pietà m’infradiciò il vestito ed i capelli. Cercando di contenere le risate assunsi una finta espressione sconvolta che fece ridere Josy ancora di più. Dopo essermi vendicata con qualche schizzo e cercando di acchiappare la piccola peste incredibilmente agile e veloce, mi avvicinai al ruscello mentre Josy intraprendeva qualche giravolta sporcandosi nuovamente di fango.
Facendo attenzione presi un fazzoletto di stoffa da una delle tasche nascoste della gonna bagnata, e me lo premetti sul viso, tamponando, cercando di asciugare l’acqua. Ma non bastava: i capelli gocciolavano e infradiciavano nuovamente il viso, ed i vestiti erano ancora bagnati, tardavano ad asciugarsi in quella fredda giornata di inizio febbraio. Per fortuna indossavo molteplici strati di tessuto, altrimenti un brutto malore sarebbe stato assicurato. Buttando frequenti occhiate a Josy,  assicurandomi di essere ad una distanza di sicurezza, mi allontanai di un po’, dando le spalle al piccolo ma tenendo le orecchie ben in ascolto.
Raggiunta una tranquilla e non troppo lontana sponda del piccolo corso d’acqua, cominciai a sbottonarmi il vestito, giusto quello che bastava a tamponarmi il corpetto bagnato e appiccicoso al contatto della serica pelle.
Il fazzoletto s’inumidì subito, così non persi altro tempo e in fretta alzai la gonna strizzando i lembi più fradici e così notai che le calze era rovinate, graffiate e sporche di fango e per di più, terribilmente irritanti al contatto con la pelle. Prima di avere l’opportunità di ripensarci, afferrai una giarrettiera per tirarla giù. Chi mai avrebbe potuto vedermi, in ogni caso?
Il fragore di uno sparo si diffuse nell’aria. Lanciai un gridolino spaventato, scivolando sul terreno bagnato per lo spavento e finendo con le ginocchia per terra. Sorreggendomi con le mani, il mio sguardo si precipitò immediatamente su Josy che sembrava spaventato, ma illeso. Sembrava guardare con intensità un punto preciso.
La furia m’invase. Chi diavolo aveva l’ardire di cacciare in quei posti? Ero quasi sicura di essere ancora sulla mia proprietà ed in ogni caso, non era forse pericoloso cacciare nelle vicinanze di abitazioni? Inspirai furibonda, sentendo delle grida di uomini in lontananza. Oh, gliene avrei dette quattro a quei mascalzoni! Improvvisamente, mentre cercavo di tirarmi su mi ricordai improvvisamente dello stato poco signorile in cui mi trovavo: i capelli fradici e disordinati erano ormai slegati, sentivo che il petto e il viso avevano assunto varie sfumature di rosso in maniera poco protocollare, le mani erano infangate, le calze strappate che non avevano minimamente attutito la caduta e che per questo avevano sbucciato le mie care ginocchia, il vestito era lercio, umido e spiegazzato e le mie adorabili scarpine erano in riva al ruscello.
Come se non bastasse, lo scalpitio degli zoccoli dei cavalli si faceva sempre più vicino.
Questa era sicuramente una di quelle situazioni che Yolande avrebbe definito… Spiacevoli. 
Restai paralizzata per qualche secondo per poi togliermi in fretta e furia le calze. Una giarrettiera si strappò e rimase umida e pizzicante attaccata alla coscia, ma non v’era tempo! Le appallottolai buttandole poi in un cespuglio e corsi al ruscello per recuperare le scarpette, recuperai la prima e con il panico che dilagava e che insieme al freddo mi faceva battere i denti, cercai freneticamente l’altra scarpetta. Sentii i veloci piedini di Josy che correvano per raggiungermi e nascondersi dietro la mia gonna. Tremando dal freddo immersi un piede nell’acqua gelata intenzionata a raggiungere quello che ormai rimaneva di quella che una volta era un’elegante scarpetta da passeggio. Mentre tentavo di avvicinarmi, cercai di dare una parvenza di compostezz ai capelli umidicci, legandoli in una lunga treccia un po’ sformata.
Non feci in tempo ad acchiappare la mia scarpetta ed uno dei cacciatori mi raggiunse. M’immobilizzai per la furia, lo spavento e l’umiliazione, lo sguardo basso fisso sulla scarpetta.
Sentii distintamente degli uomini gridare in lontananza, ma uno era già lì, lo sapevo, lo sentivo.
Appena all’inizio di quello spiazzo erboso, si avvicinava lentamente a cavallo di una grande bestia scura, un giovane uomo dai capelli biondo rossicci.
Alzai lentamente lo sguardo e il fiato mi si mozzò incontrando un viso cupo dagli adombrati occhi color blu cobalto. Lo sguardo insolente mi squadrò da capo a piedi e le viscere mi si contorsero spasmodicamente.
Possibile che il mio destino fosse incontrarlo ovunque mi ritrovassi e in stati quasi sempre pietosi?
La grande bestia avanzò ancora pericolosamente ed io incespicai sul terreno freddo respirando affannosamente e rendendomi conto solo in quel momento di stringere ancora in mano la scarpetta. Il tremore aumentò e sentii anche Josy scosso da qualche sporadico singhiozzo, terrorizzato dalla vista di quel gigantesco uomo a cavallo.
<< State spaventando il bambino, Vostra Altezza, vi prego di fare indietreggiare il… Cavallo…>> mormorai poco convinta ma guardandolo negli occhi.
Sotto la luce di quel flebile, freddo e grigio sole, la sua pelle pareva d’alabastro, incredibilmente perfetta. Ricordai come sotto le dita aveva la consistenza della seta, così liscia, morbida e delicata.
Era un viso così giovane, quello e che pareva anche in gran forma, anche dopo una notte come quella appena passata.
Aleksej mi rivolse un sorriso beffardo, << qui la più spaventata mi sembrate voi, duchessa >> disse in tono ironico.
Espirai con forza, cercando di mantenere la calma e controllare il tremore. Feci per aprire la bocca e rispondere per le rime a quel principe presuntuoso, ma il Granduca mi battè sul tempo, con quel freddo accento russo.
<< Shchekolda*! Così finirete per fare congelare voi ed il bambino! >> proruppe con una luce strana negli occhi, smontando da cavallo.
Lo sguardo di Aleksej si era soffermato fin troppo sulla candida pelle scoperta del mio corpo ma in quell’istante non gli diedi la giusta importanza, troppo presa dal brivido che mi aveva percorsa al suono di quella parola così…
<< Cosa vuol dire? >> mormorai.
<< Cosa? >> chiese distratto, aprendo un borsa al lato del cavallo, da cui ne uscì una coperta.
<< Quella parola… Quella che avete detto prima… >>
Rimase interdetto per un attimo, come se non si fosse neppure accorto di aver parlato nella sua lingua madre << Niente che una signorina per bene dovrebbe sapere >> disse lanciandomi un’occhiata, << ma voi non credo siate una signorina per bene, in effetti >> mormorò con un sopracciglio alzato.
Avvampai sconvolta, << ma come osate! H-ho avuto la migliore educazione che una giovane donna d’Inghilterra possa desiderare! >> risposi affannata pensando che questo ovviamente non cambiava il fatto che il giovane principe mi aveva già sorpreso in atteggiamenti indecenti… Sentii il sangue affluire alla testa, << e poi voi non sembrate avere freddo, vestito così leggero! Perché dovrei averne io? >> borbottai, pentendomi immediatamente per quel tono e quella risposta da fanciulla lagnosa.
Lo sguardo dello zarevic si fece di pietra,
<< Io sono abituato a ben altre temperature, Vostra Grazia! E adesso smettetela di parlare e prendete questa dannata coperta, la porto sempre con me in caso di emergenza quando vado a cacciare, non sarà un granché ma almeno è pulita! Se non per voi, almeno per quel vostro povero bambino che sembra stia congelando! Avanti, non vi scotterà le dita! >> sbottò brusco, tendendolo con uno brusco gesto del braccio.
<< Non imprecate contro di me! >> dissi, il viso in fiamme.
Sotto lo sguardo freddo e scrutatore di Aleksej, accettai di malavoglia la coperta e con tutta la dignità che mi era rimasta, mi accovacciai vicino a Josy e gli avvolsi con cura la coperta sui vestitini fradici. Il piccolo nascose la testa nella coperta.
<< Attento tesoro, non sporcare la coperta, dobbiamo ridarla al Signore… >>
Josy nascose il viso ancora di più.
<< Non importa >> disse Aleksej, guardando attentamente il bambino.
Si avvicinò a Josy, gli si accovacciò accanto e scostando le coperte gli prese il piccolo volto pallido e bagnato di grosse lacrime fra una grande mano pallida, osservandolo.
<< Non v’assomiglia >> disse in tono piatto, << e cosa dice vostro marito a proposito delle vostre scorribande? O il poveretto è forse all’oscuro di ogni cosa? E quando mettete in pericolo la vita del suo erede, facendogli rischiare di buscarsi una polmonite, vi sorride comprensivo? >>
A quel tono e a quelle parole così taglienti, impallidii e balbettai una risposta incerta, << N-non è mio figlio… Ed io non posseggo un marito, Vostra Altezza… >>
Le sopracciglia del principe si aggrottarono e sotto quello sguardo così schietto, abbassai il capo, torturandomi la gonna.
<< E allora chi è il ragazzo? >> borbottò.
<< Il nipote della mia cuoca, Vostra Altezza >>
Mi guardò stranito, come se non avesse mai visto nessuno che perdesse il proprio tempo con i figli della servitù. Poi annuì distrattamente, inclinando leggermente il capo e continuando a guardare Josy che ormai non sapeva più dove nascondersi per evitare quello sguardo.
Spostò lo sguardo su di me, guardandomi attentamente gli occhi, i capelli, la bocca, il seno e ciò che rimaneva della mia bella gonna. Poi fissò lo sguardo… Sul mio braccio?
<< Sono calze, quelle? >> domandò con una smorfia, osservando in realtà un punto alle mie spalle.
Avvampai violentemente e non riuscii a trattenere una risatina nervosa, coprendomi gli occhi con le mani.
Avrei tanto voluto morire.
Si sentì poco lontano lo scalpitio di alcuni cavalli ed alcune grida in quello che doveva essere russo.
<< YA zdes’*! >> gridò Aleksej ed io sentii di nuovo quel brivido, mentre i suoi occhi erano sempre fissi su di me.
I cavalli si fecero sempre più vicini, fino a quando all’inizio del piccolo spiazzo erboso, spuntarono quelle che dovevano essere le guardie personali di Aleksej.
Una delle guardie, si avvicinò di un poco rivolgendosi poi al principe, << Bud'te zdorovy, Vashe Vysochestvo? >>
<< Da >> disse non staccando mai lo sguardo da me, << aspettatemi lì >> disse facendo un gesto con la mano verso un posto della radura da cui sbucò un altro uomo elegantemente vestito, a cavallo e che, incredibilmente, non aveva l’aria di essere russo. Si avvicinò ed io in fretta cercai di riabbottonarmi il vestito e rassettarmi la gonna. Ero fradicia e sporca, ma almeno coperta.
L’uomo mi lanciò un’occhiata stranita che poi si trasformò in una lunga occhiata d’apprezzamento, mentre Aleksej sospirava pesantemente.
<< Vostra Altezza, ero così preoccupato, pensavo vi fosse accaduto qualcosa… >> disse l’uomo con aria apprensiva.
<< E’ tutto ok, John, sto bene >> sospirò come infastidito da tutta quell’eccessiva preoccupazione nei suoi confronti.
<< Ne sono lieto, Altezza… E voi, signorina, chi siete e cosa fate qui? Questa è proprietà privata… >> disse in tono di rimprovero.
D’improvviso mi ricordai dei nostri vicini. Quello doveva essere John Fane, il conte di Westmorland. Ed io ero ridotta in stracci, d’avanti a lui, per di più sulla sua proprietà a quanto pareva.
<< Oh, perdonatemi signore, io non sapevo di essere sulla vostra proprietà, credevo di essere ancora sulle mie terre in realtà.. Scusate, andrò via immediatamente…>> mormorai pallida, facendo per chinarmi su Josy che osservava interessato.
<< Le vostre terre? Non vi è un uomo a badare a voi, duchessa? >> replicò Aleksej, stizzito.
<< In realtà, Vostra Altezza, vi è una donna a badare alla mia fragile persona >> risposi piccata con un lieve sospiro mentre il Granduca continuava a guardarmi con espressione sempre più dubbiosa, << e ora, vogliate scusarmi per avere disturbato la vostra battuta di caccia signori, è un errore che non si ripeterà più e con il vostro permesso, vi lascio ai vostri impegni… >> mormorai non sapendo che altro aggiungere, vista la precaria situazione, cominciando a sollevare la malandata gonna e carezzando il capo del piccolo Josy, ancora intimorito.
 << Un momento.. >> disse l’uomo scendendo da cavallo, << voi siete la duchessina de Polignac, vero? La trovatella di Gabrielle! >> proruppe improvvisamente illuminato.
Strinsi le labbra a quell’appellativo. Venivo chiamata “trovatella” dagli aristocratici che, spesso e volentieri, si divertivano a mettermi a disagio. Mi sentivo esausta, troppo stanca anche solo per lenire il mio orgoglio ferito, ma forse qualcosa nell’espressione del mio volto balenò.
<< John >> sentì quella voce riprenderlo in maniera brusca.
<< Oh perdonatemi Vostra Grazia >> replicò il conte, con un espressione di puro dispiacere, << a volte parlo senza prima riflettere… Accettate le mie scuse, vi prego >> disse con le sopracciglia aggrottate, la bocca socchiusa e torturandosi le mani mentre mi scrutava bene in volto.
Trovai alquanto ilare la situazione, quindi, con un mezzo sorrisetto, accettai le scuse.
<< Non mi avete ancora perdonato, milady, me ne accorgo dal vostro sguardo >> disse con un sorriso cordiale il conte.
Arrossii leggermente non sapendo bene cosa dire, perdendo tempo nel torturare la gonna già malconcia.
Sentii Aleksej sospirare, << che cosa avete in mente, John? >> domandò freddo.
<< Mi è venuta un’ottima idea per farmi perdonare >> disse con un luccichio negli occhi, << milady, so che siete qui a Londra da poco e dovreste sentirvi un pesce fuor d’acqua credo…Fermatevi se mi ritenete inopportuno milady, alle volte lo sono senza accorgermene >> rispose arrossendo un poco ma mantenendo lo sguardo fermo.
<< Continuate pure, Lord Fane >> dissi con un sorriso timido e curioso.
<< Avete mai sentito parlare di Almack’s, milady? >> domandò curioso il conte che, vedendomi strabuzzare gli occhi, sorrise con un luccichio malizioso nello sguardo, << oh ma certo che ne avete sentito parlare! >> si rimbeccò allegramente.
<< Per l’amor di Dio John! Dove volete arrivare? >> lo riprese brusco Aleksej.
<< Vostra Altezza, avevo pensato di invitare Sua Grazia da Almack’s domani sera. Non ci siete mai stata milady, vero? >> domandò con un sorriso.
<< No milord, ne ho sentito parlare, ma non ho ancora avuto il piacere di partecipare ad una serata del Club… >> mormorai arrossendo un poco.
Il Conte però, era particolarmente schietto, e infatti… << Immagino che non sarebbe stato facile per voi parteciparvi, vista la situazione… Gli aristocratici sono così pignoli sui titoli nobiliari e più antichi sono e più gli aggrada >> disse con un sospiro.
Aleksej era rimasto in silenzio ad ascoltare, le sopracciglia leggermente aggrottate e dritto come un fuso.
<< Milord, voi sapete già quindi che nonostante il mio titolo riuscire a fare parte del club, per me, non sarebbe facile… >> borbottai in imbarazzo sperando che la conversazione si chiudesse il prima possibile.
<< Milady, con delle degne raccomandazioni, anche voi potreste avere le giuste opportunità che vi spettano >> sorrise.
Sussultai, avvampando al pensiero. Era umiliante aver bisogno di raccomandazioni per entrare a fare parte della società decente. Ma io ero solo una trovatella. A labbra strette, mentre la mente divagava pensando che tutto questo stesse succedendo proprio davanti a lui, proprio davanti al Principe e che il conte aveva implicitamente consigliato una raccomandazione del Granduca… Mi ritornarono alla mente le immagini della precedente nottata, e un violento rossore si impadronì del mio volto. Non riuscivo ancora a crederci, se fossi stata nel pieno delle mie facoltà non mi sarei mai lasciata andare fra le sue braccia in quel modo, come una donna di malaffare.
E ora un’altra umiliazione, pensai mordendomi le labbra mentre mi accorgevo con grande pena della mia vista appannata. Abbassai immediatamente lo sguardo, pregando che nessuno si fosse accorto di niente, uomini della scorta inclusi.
Nel preciso istante in cui mi ritrovai ad abbassare lo sguardo per la vergogna, sentii l’imponente presenza di Aleksej avvicinarmisi. Non mi toccava, ma mi era vicino.
Fu piacevole e spiacevole nello stesso momento. Era bello pensare che potesse essere così dolce, ma atroce credere che lo stesse facendo solo per compassione, pensai con una smorfia che cercai di mascherare con un blando sorriso.
<< Lord Westmorland dice il vero, Vostra Grazia. Se lo desiderate, naturalmente… Organizzare un incontro con le Patronesse non sarà difficile >> mormorò con un sospiro.
<< Di certo non per Sua Altezza >> concordò il conte per rasserenare la situazione.
Sentii il Granduca allontanarsi e dire con voce fredda e impassibile, << allora è deciso, Vostra Grazia. Passerò a prendervi questo pomeriggio, così che voi possiate partecipare al thè di questo pomeriggio con le Patronesse. La carrozza sarà da voi alle quattro, ora andate a prepararvi >> mi congedò con una fredda cordialità nella voce.
<< Splendido! >> propruppe il conte con eccessiva contentezza, << non vedo l’ora di passare più tempo con voi, milady e salutate da parte mia la vostra tutrice, sarà un piacere trascorrere la serata con due così belle donne >> sorrise gentile, << e buona fortuna per il vostro incontro con le Patronesse, Vostra Grazia! >> si congedò salendo in groppa al suo stallonee partendo via al galoppo raggiungendo dei servi poco più in la.
Fatta la dovuta riverenza, mi voltai vrso il Granduca, profundendomi in ringraziamenti con voce bassa ma ferma, per fortuna.
Con viso impassibile, Aleksej inclinò lievemente il capo per poi salire in groppa al suo bellissimo stallone e partendo al galoppo.
Non ero sicura di riuscire a muovermi senza inciampare, visto il tremore che affliggeva il mio corpo, così mi voltai lentamente verso Josy, il cui viso spuntava dalla coperta del Granduca.
Solo dopo mi accorsi di avere freddo.
Solo dopo mi accorsi di stare tremando.
Solo dopo mi accorsi che quel suono che mi rimbombava nelle orecchie, non era lo scalpitio degli zoccoli dei cavalli, ma il mio cuore. 










 









MiniWiki:

*1) "
Shchekolda" significa "diamine"
*2) "YA zdes'" significa "sono qui"
*3) "Bud'te zdorovy, Vashe Vysochestvo?" significa "state bene, Vostra Altezza?"

*4) "Da" significa "sì" 

Premetto un cosa... Potrei tranquillamente aver sbagliato, visto che ho fatto molto affidamento sulle traduzioni sul web (in mia difesa non mi sono buttata solo su Google Traduttore perché sappiamo tutti che la qualità di quelle traduzioni è pessima)... Quindi, abbiate pietà, e ovviamente, se ho sbagliato qualcosa fatemelo sapere e provvederò a correggere il prima possibile :D









L'angolino di Mrs Johnson

Salve a tutti, carissimissimissimi lettori... :D
E via con le lapidazioni giustificate. So perfettamente che con questa storia i tempi di aggiornamento sono stati a dir poco (pochissimo, in realtà) vergognosi ma purtroppo ci sono stati vari problemi che mi hanno tenuta molto lontana da questa storia... Forse c'è qualcuno che mi capirà, ma, in breve, non è facile continuare una storia i cui personaggi sono ispirati a persone realmente esistenti nella mia vita, di cui fanno e 
facevano parte del mio mondo... Per cui un po' per voglia di non ritirarla del tutto fuori, un po' per alcuni scopiazzamenti che ci sono stati, avevo fermato le pubblicazioni qui su EFP, me ne sono dispiaciuta tantissimo, ma per il momento era meglio così... Anche perché un conto è scrivere una schifezza e leggerla da soli, un conto è farla leggere a voi... Ci ho messo e ci metto tanto impegno in questa storia, quindi darvi da leggere dei capitoli squallidi, scritti forzatamente, tanto per mi avrebbe spezzato il cuore, mmmmaaaaaaa, dicendo qualcosa di meno deprimente, la storia l'ho continuata per conto mio :D è cresciuta e finita sul mio computer, ora che ho deciso di ricominciare a pubblicare qui su EFP, devo solo rivedere, correggere e rifinire i capitoli, ma per il resto è tutto fatto e infatti il secondo volume della saga dei Romanov è già avviato :D Quindi in marcia,e rimettiamoci al passo! Mi scuso ancora immensamente... Spero di riuscire ad aggiornare ogni settimana, ma essendo i capitoli abbastanza lunghi e la mia vita abbastanza impegnata, non posso promettervi che non ci saranno altri ritardi D: 
Detto questo, ovviamente, ringrazio a più non posso Coglilarosa che nonostante tutto il tempo passato mi ha invogliato a ritornare qui su EFP con Amore Illegittimo... E' fantastico sapere che ci sono lettrici a cui è piaciuta talmente tanto AI da non averla abbandonata... Grazie davvero, siete un'enorme soddisfazione! 
Al prossimo capitolo :) 

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Capitolo 8
*** Le Patronesse ***


Capitolo VIII

Le Patronesse

 
 











Il clima di Londra aveva smesso di essere indulgente.
Le ultime giornate erano state fredde e secche, permettendo l’uso di abiti meno ingombranti.
Tornando a casa, avvertendo fin troppo bene il vento freddo infilarsi fra i vestiti e l’umida treccia di capelli, mi resi conto che il periodo di “calore” doveva essere passato. Invidiavo Josy e la coperta con cui si era avvolto. Sospirai impercettibilmente, pensando che una signorina non avrebbe mai dovuto imprecare e che era venuto il momento di tornare a comportarsi con compostezza.
Cominciavo seriamente a detestare Londra, l’Inghilterra, la Stagione, l’ambiguo clima di quei posti e ogni cosa che mi aveva portata lì, a quel momento.
Non riuscivo a comprendere come le ragazzine potessero sognare di passare del tempo fra gli avvoltoi di Londra.
Mi mancava la Francia, le mie cose, la mia casa, la mia sicurezza, la mia ingenuità, la mia nounou e perché no, forse perfino mia madre.
Ero stanca di dover pensare e programmare ogni cosa, e di finire sempre ad un unico pensiero. Serrai le labbra, decisa ad arrivare all’incontro di quel pomeriggio tutta intera e perfettamente composta.
Gabrielle mi aveva già parlato e riparlato del Club Almack’s ma aveva concordato insieme a Maria Antonietta che fosse meglio presentarmi alle Patronesse con assoluta calma e non in piena Stagione per non attirare troppa attenzione. Nonostante tutto erano convinte che io riuscissi a trovare marito.
Ovviamente, ora che lo zarevic aveva detto di voler la mia partecipazione alla serata di Almack’s i piani erano cambiati. Non si poteva andare contro ad un Principe, sarebbe stato decisamente inappropriato e sconveniente. Era una delle regole vitali da tenere sempre in considerazione.
Sentii addosso una stanchezza infinita. Mi sentivo divisa in due. Avrei voluto sfuggire da tutto e da tutti, da lui e da come mi faceva sentire eppure una parte di me fremeva all’idea di rivederlo, ne avevo il bisogno, cominciava a piacermi incredibilmente guardarlo e cercare di decifrare i suoi occhi.
Mi morsi il labbro come punizione, sperando che la fitta di dolore mi riportasse con i piedi per terra. Rivederlo era stato davvero… Straziante.
Lasciai Josy nelle cucine dove avrebbe potuto riscaldarsi accanto al forno. Sentivo una forte pressione allo stomaco e incapace di mandare giù perfino la mia stessa saliva, rifiutai il pranzo dall’aspetto invitante che Margot mi mise sotto gli occhi.
Tutto ciò che desideravo era un bagno caldo e avrei dovuto sbrigarmi visto che dovevo essere pronta per le quattro in punto e non avrei di certo potuto farmi trovare ancora con la chioma bagnata.
Intercettai Gertrud, dall’aspetto severo ma questa volta decisamente più rispettoso e le dissi di fare portare l’acqua calda al piano di sopra, perché desideravo farmi un bagno.
Eveline si precipitò a salutarmi con un inchino e un lieve sorriso, dicendomi che aveva già fatto scaldare l’acqua prevedendo i miei bisogni. Ne fui piacevolmente sorpresa e sorrisi mandando il volto della giovane in fiamme.
Circa un quarto d’ora dopo ero immersa nella vasca, fra l’acqua calda che andava a raffreddarsi prima di quanto avessi sperato. Il vapore si sollevava dalla vasca facendomi sentire un po’ intontita. Avrei dovuto alzarmi il prima possibile altrimenti avrei finito per addormentarmi. Il profumo che aleggiava nell’aria e il dolce massaggio fattomi al capo ed ai capelli per lavarmeli mi aveva rilassata fin troppo, e sentivo un dolce intorpidimento nelle membra.
Ma ormai era arrivato il momento. Sbuffando mi alzai, sentendo la camiciola bagnata terribilmente pesante sul mio corpo stanco. Subito venni avvolsa da teli, e rabbrividendo cominciai ad asciugarmi, diedi istruzioni di farlo con molta delicatezza: la pelle non doveva arrossarsi.
Asciugare i capelli fu la parte più difficile. Erano incredibilmente lunghi e pesanti, tenerli bagnati era decisamente faticoso, così una volta sedutami vicino al fuoco presi a farmi spazzolare i capelli, lamentandomi e sussultando quando arrivavano i momenti più dolorosi. Non  avrei potuto muovermi dal fuoco, non senza rischiare un malanno e non ero mai stata un tipo paziente, così sbuffai per tutto il tempo. D’estate appoggiavo i capelli ad un tavolaccio o li muovevo possibilmente al sole per cercare di farli asciugare il prima possibile e funzionava. Costretta vicino al fuoco con i capelli freddi e bagnati era un’agonia. Avevo le punte dei piedi e delle mani gelide.
Ogni tanto avevo voglia di tagliare la chioma ma poi mi sentivo in colpa: tenevo molto ai miei capelli, come ci teneva Gabrielle, mia madre, e nounou.
Il tempo sembrava non passare, eppure, passò e i capelli furono asciutti. In realtà non lo erano completamente, sentivo ancora qualche punta umida e la nuca fredda ma ero troppo annoiata per continuare a stare ferma, ansiosa com’ero avevo bisogno di muovermi e trovare sfogo, e di certo non l’avrei trovato immobile come una statua con la mente libera di girovagare.
Velocemente indossai camiciola e busto e nel frammente, Gabrielle, ovviamente deliziata dagli ultimi avvenimenti quasi mi costrinse ad indossare alcuni abiti che lei scelse.
Era così contenta che fosse stato lo zarevic in persona a dare l’ordine di presentarmi alle Patronesse di Almack’s, talmente tanto da aver dimenticato di chiedermi in quali cirostanze avessi incontrato il Granduca. Questo era un bene per entrambe ovviamente, ma gli ordini che volarono per darmi un’apparenza assolutamente incantevole mi infastidirono alquanto. Ma cosa non mi infastidiva nelle ultime giornate? Sospirai mentre venivo strizzato in un abito che speravo avrebbe dato un po’ di colore al mio viso pallido.
Era taffeta, di colore grigio e arancio ramato, le maniche erano lunghe e aderenti, il collo alto aveva i bordi in pizzo, proprio come le maniche, e sul petto aveva fronzoli e ricami qua e là. Ero troppo stanca anche solo per prestare davvero attenzione al mio vestito. Mi misi distrattamente a sedere su di una sedia sentendomi tirare i capelli, mentre venivano acconciati: ovviamente non avrei mai potuto presentarmi alle Patronesse con una chioma selvaggia, sciolta e spettinata, così Gabrielle aveva dato l’ordine di costringerli in una treccia raccolta sulla nuca.
Non ci volle molto, così entro poco fui pronta per guardarmi allo specchio. Il risultato finale era severo eppure giovanile, dava tutta l’importanza che una duchessa avrebbe dovuto avere. Alle orecchie facevano bella mostra delle perle con dei fiocchi di diamanti, abbinati ad un grosso e pesante anello con perle.
Avevo un’aria composta e raffinata. Provai ad addolcire il viso sorridendo lievemente. Nonostante il candore dei capelli, dovevo pur riuscire a dare colore alla mia presenza.
Mancavano pochi minuti alle quattro così mi affrettai ad allacciare la cuffietta, a scendere la grande scalinata, ed infilarmi la mantella.
Dopo poco Gertrud venne ad avvisarmi con gli occhi lucidi per l’emozione e nella voce un leggero tremolio che la carrozza del Granduca era arrivata e m’aspettava. Sospirai per cercare di dissipare il nodo d’angoscia che mi opprimeva lo stomaco.
Mentre Gabrielle mi raccomandava caldamente di comportarmi da brava e composta signora, pensai che quello doveva essere un supplizio: ascoltare raccomandazioni e ordini mentre il capo sembrava scoppiare e lo stomaco risalire sempre più verso la gola. Com’avrei fatto ad ingurgitare anche solo del the, quel pomeriggio?
Sospirai impercettibilmente mentre ascoltavo Gabrielle che si rammaricava per non essere potuta presenziare al the con le Patronesse ma il primo incontro era meglio che andasse così ed il Granduca era stato chiaro: la carrozza e l’incontro erano per me.
Appena riuscii a liberarmi di Gabrielle mi avviai a passo svelto al grande portone d’entrata della casa e appena uscii, la grande carrozza lussuosa con lo stemma reale e il valletto rigido ed impettito che m’aspettavano, quasi mi causarono un mancamento.
L’agitazione mi travolse, ma cercai di sembrare tranquilla e composta: questa volta non avevo scelta, dovevo dare sfoggio di un educazione impeccabile.
Appena riuscii a fare entrare aria nei polmoni m’accorsi che non vi era Il granduca ad aspettarmi fuori dalla carrozza, e neppure era entrato per salutare la padrona di casa. Possibile che nel Paese natio del Principe si usassero maniere tanto differenti? Avrebbe quasi potuto passare per un maleducato. Quasi. Se non fosse stato un principe, ovviamente.
Accortami di aver aggrottato la fronte, provvidi subito ad assumere un atteggiamento tranquillo e pacato.
A qualche metro dalla carrozza uno dei valletti mi venne incontro con un sorriso gentile e postura ritta informandomi che il Granduca era addolorato ma che purtroppo non avrebbe potuto presenziare al the di quel pomeriggio per urgenti impegni.
Contenni a stento una smorfia quando sentii la parola addolorato.
Davvero, non credevo che fosse addolorato per tutto ciò. L’indignazione e la rabbia cominciarono a fluire nell’anima mentre mal volentieri e con assoluta vergogna accettavo l’aiuto del valletto. Ero quasi certa che lo zarevic si fosse ritirato all’ultimo momento, forse perché non riteneva la situazione abbastanza importante, o forse pentitosi di essersi offerto di presentarmi lui stesso alle Patronesse. Probabilmente pensava che la sua reputazione avrebbe potuto risentirne.
L’educazione impartitami non mi permise di non sentirmi in colpa nel pensare male del Granduca. Era peccato, lo sapevo, eppure non potevo farne a meno.
L’umiliazione per il rifiuto bruciava come le fiamme dell’inferno.
Sospirai sconsolata. Ora dovevo farmi forza e coraggio da sola, e non mi era facile, vista l’importanza della situazione a cui andavo incontro.
Ero una duchessa, non avrei dovuto preoccuparmi di nulla, ma la mia era una situazione delicata.
Mi ricordai improvvisamente che ero lì su esplicita richiesta del Granduca di Russia in persona; mi sembrava incredibile, eppure era così.
Feci un mezzo sorriso sentendomi più sicura.
Dopo poco mi accorsi che non eravamo diretti al Club Almack’s. Non vi eravamo nemmeno vicini. Non era forse lì, il luogo d’incontro per il the?
Mi sporsi nella grande e spaziosa carrozza, bussando alla cassetta per attirare l’attenzione dei due valletti seduti davanti.
<< Milady? >> chiese il signore che mi aveva comunicato l’addoloramento dello zarevic, alzando un po’ la voce per farsi ben sentire nonostante lo scalpitio degli zoccoli dei cavalli, << desiderate forse fermarvi, Vostra Grazia? >> chiese corrucciato, con una nota d’ansia nella voce.
<< No, desideravo solo sapere dove fossimo diretti >> risposi arricciando lievemente il naso.
<< Oh, ma certo Vostra Grazia, perdonatemi, avrei dovuto avvisarvi… Il Granduca ha chiesto un incontro privato per voi, che non si terrà in King Street! >> m’informò con un sobbalzo della voce.
<< Capisco… E allora dove si terrà, di grazia? >> domandai con le sopracciglia aggrottate.
<< Nella casa di Lady Amelia Stewart, milady >> concluse con un sorriso soddisfatto.
<< Oh >> dissi sbarrando lievemente gli occhi, << la ringrazio >> mormorai, sperando riuscisse a sentirmi visto che la mia voce in quel momento non era nulla più che un alito di vento.
Ero preparata per l’austerità di Almack’s, non a cotanta intimità.
Mi sentii terribilmente a disagio e spaventata. In quel momento mi avrebbe fatto piacere aver qualcuno al mio fianco, anche solo per delle futili chiacchiere da signora.
E invece ero lì, da sola, ferita nell’orgoglio.
Sentii una vampata di rabbia e pensai che era molto meglio non soffermarsi sul Granduca.
Speravo ardentemente che l’argomento dello zarevic non saltasse fuori ma sapevo che era estremamente improbabile. Chi non avrebbe voluto parlare di una tale presenza?
Mi concessi di sbuffare.
Dopo poco arrivammo in uno dei più lussuosi quartieri di Londra e la carrozza si arrestò.
Mi permisi di provare un brivido di terrore. Ero molto in ansia e preoccupata per la posizione sociale che avrei finito per occupare alla fine di quell’incontro.
Le duchesse non avrebbero mai dovuto preoccuparsi di queste cose. Ma io non ero una duchessa qualunque.
Serrai le labbra mentre un valletto mi aiutava a scendere.
Mi sembrava di soffocare con quel busto così stretto!
Il valletto tanto gentile che si era premurato di scusarsi da parte del suo padrone mi informò che sarebbero rimasti certamente ad aspettarmi e con un inchino si congedò.
Alla porta vi era ovviamente ad accogliermi una governante, seria, compunta ed impettita che inchinandosi mi informò che Sua Signoria e le altre dame si erano già riunite e che il the stava per essere servito. Notai le labbra strette in una linea sottile e gli occhi piccoli e veloci della governante saettavano qua e là, ansiosi.
Perplessa, assunsi un atteggiamento di posa formale e cordiale e venni accompagnata in un salotto da the, arredato con lusso e decisamente grazioso anche se troppo sfarzoso per i miei gusti.
Lady Amelia era senz’altro riuscita a dare una parvenza di calore e il camino scoppiettante aiutava di certo.
Appena feci il mio ingresso tutte le Patronesse si alzarono dal loro posto, alcune più fredde e non proprio benigne nei miei confronti ma sempre beneducate, altre invece decisamente più calorose.
Alcuni sorrisi, quasi mi sembravano sinceri. Una sola cosa le accumunava tutte, ed era ben evidente: la mia entrata solitaria aveva creato del disappunto e certamente, della delusione. Alcune si ripresero più velocemente di altre dal piccolo cambiamento di programma.
Gabrielle mi aveva ovviamente parlato delle Patronesse, ridendo sulla bizzarra situazione: nonostante io fossi quello che fossi, erano state costrette ad un incontro con me, nonostante avessero in antipatia Gabrielle e la sua alta posizione sociale. Ovviamente la mia tutrice era stata ben attenta nel dirmi che sono sempre state educate con lei ma che le parole non dette per una signora, sono quelle che contano di più.
Ora mi sentivo a disagio ed indesiderata, nonostante i sorrisi.
La padrona di casa, Lady Amelia Stewart mi venne incontro con un grande sorriso, accompagnata dalle altre Patronesse, chi più giovane, chi più vecchia.
<< Duchessa! E’ un piacere conoscervi finalmente ed avervi qui, nella mia casa >> proprurre la viscontessa.
Aveva una voce tonante e forte per essere una signora e nonostante non fosse più nel fiore degli anni, era una donna composta, aggraziata e dagli occhi vispi. Non doveva essere stata una grande bellezza alla sua prima Stagione, ma la ritenevo certamente affascinante.
Riconobbi le altre donne a cui non avevo mai avuto l’ansioso piacere di essere presentata.
Sorrisi cordiale. Ma non troppo. Sorridere troppo sarebbe stato considerato sconveniente.
Dopo che i primi convenevoli furono stati fatti, prendemmo posto al tavolo, imbandito con un grande candelabro splendente ed un centrotavola di bellissimi fiori freschi. Il servizio in porcellana era certamente lussuoso e vi erano vari piattini con frutta, canditi, biscotti al burro, pane, marmellata, prosciutto e formaggio. Vedevo perfino delle noccioline.
Evidentemente le Patronesse si erano premurate di non farmi mancare nulla, o forse di ostentare una ricchezza non comune. O semplicemente, volevano attirare l’attenzione di qualcuno di più importante. Quasi mi dispiacque per tutto l’inutile lavoro di Lady Amelia. Senza il Granduca, tutto quello andava sprecato.
Sorrisi, pensando ai the di Maria Antonietta.
Vi era anche una caraffa con cioccolata calda e appena la vidi mi ricordai delle raccomandazioni di Gabrielle.
Non mostrarti troppo ghiotta Dominique, o avrebbero senz’altro qualcosa su cui sparlare!
Adoravo mangiare, e il the pomeridiano era uno dei momenti che più preferivo, proprio per le ghiottonerie su cui potevo fiondarmi, ma sapevo che non avrei potuto ingrassare, visto che non ero magra come fili d’erba, come molte ragazzine erano.
Avrei dovuto controllarmi.
Notai che la tavola era imbandita alla perfezione, in modo che ciascuna di noi non fosse intralciata da niente e da nessuno e potesse servirsi da sola di ciò che più desiderava senza alcun problema.
Proprio quando cominciai a temere che il mio stomaco cominciasse a brontolare vivacemente, le altre signore cominciarono a servirsi, conversando nei momenti di pausa, mai con la bocca piena e oziando su argomenti come Londra, il tempo, le campagne… Nessun pettegolezzo.
Ovviamente sapevo dell’esame che stavo subendo, non credevevo davvero che le Patronesse non spettegolassero.
Ma fu ugualmente piacevole; spettegolare poteva essere interessante, ma solo ogni tanto. Troppi pettegolezzi, erano come troppi biscotti: rischiavano di nausearti.
Ogni cosa era squisita e fresca, il profumo dei fiori addolciva il tutto con i suoi effluvi.
Con disappunto, trovai la cioccolata troppo liquida ma trattenni il sorrisetto che cercava di affiorare a quella scoperta. Cioccolata annacquata per il Granduca.
Non eravamo in molte, quindi nessuna di noi dovette aspettare per il the che, una volta servito venne messo sopra ad un fuocherello per non raffreddarsi.
Avevo ordinato che la mia cioccolata calda fosse con la crema, ed ora il the lo chiesi con la panna. Alcune mi lanciarono sguardi di disappunto che subito si apprestarono a coprire. Ognuna di loro condì il proprio the con poco zucchero e solo una mise una buona quantità di latte nel proprio the: la contessa di Sefton, Maria Molyneux, che si apprestò a lanciarmi un sorriso bonario.
La più chiacchierona del gruppo era sicuramente la contessa di Jersey, Sarah Villiers. La giudicai come una donna piuttosto eccentrica, gioviale, sorridente, ma scaltra e attenta. Non vedevo cattiveria nei suoi occhi, neanche quando, quasi innocentemente, cominciarono le domande.
<< Allora Vostra Grazia, dove avete imparato le vostre squisite maniere? Siete francese, giusto? >> domandò la contessa di Jersey.
<< Oui Madame, sono qui in visita a Londra per la Stagione, e penso sia una città davvero splendida nonostante io a volte senta l’acuta mancanza della mia casa >> dissi con un sorriso.
Quella città era splendida quanto angosciante. Ma ovviamente, questo lo tenni per me.
<< Il vostro accento è delizioso, Vostra Grazia >> disse con un sorriso Lady Amelia.
Ringraziai calorosamente, sperando che fosse davvero un complimento.
Il discorso si spostò poi sulla incresciosa situazione in cui si trovava la Francia, e ovviamente – chi l’avrebbe mai detto? – sui rapporti con gli altri Paesi.
Come la Russia.
<< Mi è dispiaciuto davvero molto non aver avuto l’onore di poter bere questo the con il Granduca, oltre che con voi signore >> sospirò esageratamente sconsolata - o forse no – la padrona di casa.
<< Ah davvero, che cosa incresciosa, voglio sperare che il Granduca possa dedicarci qualche ora prima di ripartire >> commentò una giovane e austera donna alla mia sinistra. Il suo nome era Clementina, ed era una delle più impettite fra le Patronesse.
<< Io, signore, sono certamente sicura che al prossimo ballo al Club ci dedicherà certamente qualche momento della sua piacevolissima compagnia >> cinguettò la contessa di Jersey.
Sembravano riporre molte speranze nello zarevic e mi chiesi se fosse per impressionarmi o perché avessero una notevole confidenza con lui.
Trattenni una smorfia quando immediatamente l’argomento venne spostato altrove: era stato indelicato parlare del Club visto che, probabilmente, io non ci avrei mai messo piedi.
Avevo voglia di sospirare ma non potevo. Dovevo tenere per me l’acuto senso di mancanza che provavo verso il mio Paese. Che gran voglia di tornare a casa! Mi sentivo sciocca a pensare e desiderare certe cose, ogni ragazza avrebbe fatto di tutto per essere dove ero io e invece mi lamentavo.
<< Dicono che il clima, lassù, non sia dei migliori >> disse Emily Lamb, con un lieve sorriso mentre sorseggiava il suo the.
<< Oh si signore mie, fa proprio un gran freddo lì, proprio un gran freddo! Ho ragione, Dorothea cara? >> la padrona di casa sembrava saperne molto su quel freddo.
<< Ma certo >> Dorothea Lieven, moglie dell’ambasciatore russo, aveva un forte accento del suo paese natio, dava molta enfasi ad alcune consonanti, proprio come… << La Russia è un Paese molto freddo, con tradizioni e cultura abbastanza diverse dall’amata Inghilterra >> rispose con un sorriso freddo e qualche cenno del capo.
Mi accorsi improvvisamente del mio mutismo.
<< Per mia disgrazia, non ho viaggiato molto, non so come sia la Russia, ma mi affascina senza alcun dubbio, Madame >> risposi con un sorriso.
<< Visitai il Grande Nord quand’ancora non sapevo che fosse! Ricordo bene il freddo che trovammo al nostro arrivo però, non eravamo provviste di abiti tanto pesanti, qui in Inghilterra il freddo non è mai così scioccante… Gli uomini parevano tutti dei grandi orsi, così coperti! >> raccontò divertita Lady Amelia.
L’immagine che avevo fin ora della Russia era composta da un gran freddo, uomini fin troppo coperti, e…
<< Ma gli uomini russi hanno la fama di essere certamente speciali >> commentò con voce dolce la contessa di Jersey.
Uomini speciali.
<< Oh si, certamente speciali >> disse con un lieve rossore diffuso Dorothea, << e il Granduca ne è certamente la prova >> ridacchiò.
<< E’ proprio un gran bel principe, cielo! Viene proprio dai racconti che si narrano alle fanciulle >> disse Maria sorridendo.
<< La mia curiosità verso la Russia cresce a dismisura ma, con sincero dispiacere, devo ammettere di non credermi capace nel poter sopportare un tale clima rigido! >> dissi con un sospiro dispiaciuto.
La Russia mi interessava davvero, e tanto anche, ma questo mi infastidiva. Non avrebbe dovuto interessarmi, l’unico Paese di cui davvero avrei dovuto preoccuparmi era la Francia.
<< Oh certo cara, voi venite dalla Francia e i francesi sono stati graziati dal Signore per il così bel clima che vi è lì! >> disse Mrs Drummond.
<< Concordo con voi Madame, mi ritengo molto fortunata >> ed era vero. Almeno prima di venire in Inghilterra.
<< Certo che lo siete! >> la rimbeccò dispettosa Theresa, moglie dell’ambasciatore austriaco, << in Austria fa molto freddo! Non so quanto freddo faccia in Russia ma in Austria fa molto freddo! >> disse con enfasi sconsolata annuendo con il capo.
Si dibatté sul tempo per momenti infiniti, mi pareva che avessimo discusso di ogni minimo particolare del clima dei vari Paesi.
Ne ero decisamente stufa ma, sebbene non partecipassi attivamente alla conversazione mi sforzai di sembrare almeno interessata.
<< Allora, duchessa, tutte noi siamo davvero molto curiose di sapere come ha conosciuto il Granduca… Non è una persona facile da farsi presentare e in più, lui sembra proprio essere un uomo del nord! >> disse con una risatina Mrs Drummond.
Non capii esattamente in che cosa consistesse essere “un uomo del nord” ma sorrisi ugualmente, << beh Madame, io ero al Drury Lane all’ultima rappresentazione teatrale e vi era anche lui >>.
<< Ma non è lì che lo avete conosciuto, vero? >> disse la contessa Esterhàzy.
Era un affermazione camuffata in domanda. Avrei dovuto immaginare dei tanti pettegolezzi.
<< No Madame, ho avuto il piacere di conoscere il Granduca a St James Park >> risposi dolce e cauta, sorseggiando il mio the, con cui, quasi mi strozzai quando la conversazione continuò.
<< Ma certo! La mia cara amica Adelaide mi ha parlato di quell’incontro! >> rispose con un luccichio negli occhi.
Fingendo che il turbamento causatomi da quella frase non esistesse, sorrisi cordiale, << spero che le vostre orecchie abbiano sentito solo elogi allora >>.
<< Oh, ma certamente >> rispose la contessa con un bel sorriso e occhi socchiusi.
Avrebbe mai potuto essere più lungo quel pomeriggio?
 
 
 
Un’ora più tardi, presi congedo dalla bella casa di Amelia Stewart, dopo aver parlato e spettegolato un po’, specialmente sul Granduca e sul mio nuovo amico, nonché accompagnatore a St James Park, Julian. Le Patronesse trovavano inopportuno che lui ancora non avesse preso moglie, ma era figlio di un Duca e poteva fare ciò che più gli aggradava.
Le sette Gran Dame avevano deciso che ero di loro gradimento. O, meglio dire, che la mia conoscenza con il Granduca, era di loro gradimento per cui avrei partecipato a questo primo ballo da ospite con il mio Stranger’s Ticket. Una sorta di iniziazione, immaginai. Ma con lo zarevic di mezzo, di certo non avrebbero potuto sfoggiare la loro puzza sotto al naso.
Appena mi ritrovai nella strada buia ed elegante, mi strinsi nella mia mantella, toccandomi con mano gelida la cuffia che mi copriva il capo.
Proprio non sarei mai riuscita ad abituarmi al clima dell’Inghilterra.
Con i denti che battevano per il freddo individuai subito il valletto che mi scortò alla carrozza. Bene, avrei almeno potuto ripararmi da quel vento pungente.
Ad un tiro di schioppo da ciò che rappresentava la mia salvezza in quel momento, lo sportello della carrozza si spalancò.
Sussultai per la sorpresa ed il cuore cominciò a battermi all’impazzata.
C’era lui, lì dentro?
A quella prospettiva l’idea di rimanere lì fuori al freddo si fece più confortante e straziante nel medesimo istante.
Mi feci forza e misi il piede sul primo gradino e subito una grande mano, bianca e robusta, mi venne porsa.
Con la testa che girava, mi imposi di andare avanti e, per non risultare maleducata, accettai quella mano.
Ah, dannati guanti! Com’era calda e forte quella mano! La stretta ferrea con cui mi sostenne fece svolazzare il mio povero cuore.
Appena fui dentro, la prima cosa che notai fu la sua grande presenza.
Possibile che quella carrozza mi fosse parsa tanto imponente? Con lui lì dentro, pareva minuscola, io stessa mi sentivo così, accanto a lui e sotto i suoi occhi.
Capii comunque il perché di una carrozza tanto spaziosa per il giorno: probabilmente il Granduca non sarebbe entrato in una più piccola e maneggevole e, se già ora il suo capo quasi sfiorava il soffitto, in un modello più piccolo avrebbe certamente avuto problemi con gli scossoni: battere il capo sul soffitto più e più volte avrebbe innervosito chiunque, specialmente un Granduca.
Inchinai il capo per qualche secondo, mormorando un saluto e odiando la mia voce flebile.
Vidi il Granduca inclinare lievemente la testa rispondendo al mio saluto.
Cercai di non notare il grosso collo che spuntava dal collo della camicia.
O il fatto che mi stesse fissando senza alcun riguardo per l’etichetta mettendomi terribilmente a disagio.
Cielo se era enorme quell’uomo.












L'angolino di Mrs Johnson


E rieccomi qui con questo benedetto capitolo, finalmente! Ormai è quasi un'impresa dedicarmi a EFP, il tempo scarseggia davvero e mi scuso per chi segue la storia e sopporta i ritardi! Grazie sul serio, non smetterò mai di dirlo... Spero il capitolo vi sia piaciuto e di aggiornare presto, magari un miracolo sposterà i miei esami chi lo sa :'D 
Al prossimo capitolo, un grosso GRAZIE  a tutti!
 

 

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