Chuck vs. The Happy Ending

di LaFolie108
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 prologo

New York,  Quartier generale dell'ONU - 23.58, lunedì

Il corridoio era deserto a quell'ora di notte. Chuck Bartowski, in equilibrio all'interno di un condotto dell'aria, confidava soprattutto in quello, e magari in un provvidenziale colpo di fortuna. Aveva studiato la pianta dell'edificio nei minimi dettagli, sapeva di essere poco ad est del grande ufficio al terzo piano che doveva raggiungere. La scalata attraverso l'impianto d'aerazione era stata un'impresa titanica, continuava a scivolare da un piano all'altro. Aveva rimpianto di non aver utilizzato l'ingresso principale, ma sapeva che sarebbe stato impossibile eludere i due addetti alla sicurezza ben armati senza attirare necessariamente l'attenzione, e non poteva permettersi di attendere il cambio delle sentinelle per sgattaiolare all'interno indisturbato. Inoltre adorava calarsi a testa in giù dal soffitto, come se fosse spider man. Fingersi un supereroe era uno dei lati positivi del suo lavoro. In compenso ce n'erano fin troppi di negativi.
Appeso per le gambe al buco aperto nel soffitto, Chuck valutò che sicuramente qualcosa sarebbe andato storto. Non poteva essere davvero così semplice infiltrarsi nel palazzo di vetro, sicuramente qualche super guerriero ninja sarebbe spuntato da un angolo per catturarlo e metterlo a marcire in una cella buia per il resto dei suoi anni. Finchè si trovava in quell'edificio non era legalmente sul suolo degli Stati Uniti, se l'avessero preso l'avrebbero sicuramente processato come terrorista. Rabbrividì, una goccia di sudore gli imperlò la fronte e scivolò lentamente sui suoi capelli per poi infrangersi con un impercettibile "plic" sul pavimento di linoleum. Trattenne il respiro, aspettando di sentire il suono di una sirena rompere il surreale silenzio che regnava nel palazzo. In attesa, immobile, sentiva il suo respiro rimbombare nelle orecchie. Cercò di concentrarsi per calmare i battiti del cuore che gli impedivano di ascoltare ciò che gli accadeva intorno. Che quelli fossero passi? O forse era solo la sua immaginazione. Doveva mantenere i sensi in allerta.
Sobbalzò spaventato quando sentì l'imbragatura, che lo sosteneva in quella posizione innaturale, gemere, troppo tesa sotto il persistente peso del corpo umano. Chiuse gli occhi e pregò che la corda non cedesse, sperando che qualche entità benefica non meglio definita lo esaudisse. Gettò l'occhio all'orologio, il tempo sembrava non trascorrere mai, eppure due minuti non dovrebbero essere così lunghi. Seguì il quadrante digitale, scandendo gli ultimi secondi che lo separavano alla mezzanotte... 58, 59...
Il blackout lo colse di sorpesa, nonostante lo avesse organizzato proprio lui. Era ciò di cui si era occupato nel pomeriggio, era entrato mimetizzandosi fra un nutrito gruppo di diplomatici europei, per poi utilizzare un pass temporaneo rubato ad uno sventurato elettricista allo scopo di infiltrarsi nei sistemi di sicurezza del palazzo e inserire il timer. Era andato quasi tutto per il verso giusto, era decisamente incredibile, mai un suo piano era andato come previsto. Ormai la sua vita era un continuo colpo di scena. Certe volte avrebbe desiderato solo un po' di tranquillità, una casetta sulla spiaggia, il sole al tramonto, una brezza fresca fra le foglie delle palme, il rumore delle onde, il sorriso della sua Sarah sotto un cielo rosso come il fuoco, le curve del suo corpo infiammate dalle ultime luci del giorno, esattamente come quando in luna di miele erano rimasti soli su quel tappeto di sabbia fine e bianca e...
Un brivido gli attraversò la schiena e spalancò gli occhi sul buio, disorientato. Non poteva perdersi a fantasticare, non ora che il tempo era poco. Aveva esattamente altri nove minuti prima che il programma di Orion riattivasse la corrente cancellandosi automaticamente dal sistema informatico, e quelli che sentiva rimbombare nel corridoio erano decisamente passi. Con un unico tocco si lasciò cadere sul pavimento, atterrando maldestramente in ginocchio.
-Chi va la!- Urlò un uomo di mezza età, dall'altro lato del corridoio. Chuck non poteva vederlo, ma sentiva la sua voce profonda tremare. Doveva essere lui, appurò la spia indossando gli occhiali ad infrarossi. La massiccia mole del diplomatico sessantenne che si stagliava di fronte a lui sembrava rimpicciolire mentre vagliava il buio alla ricerca del suo invisibile nemico.
-Arthur Rosenfeld?- Scandì Chuck, chiedendo una conferma di cui non aveva veramente bisogno. Quell'ometto insulso era un venduto, un traditore, non osava nemmeno lasciare quel palazzo per paura di sfiorare il suolo americano.
-S... si?- Pigolò Mr. Rosenfeld addossandosi alla parete in cerca di un interruttore, una maniglia dell'allarme antincendio, qualunque cosa potesse attirare l'attenzione. Chuck era disgustato da tanta viltà.
-Lei era in affari con un trafficante legato alla mafia russa- la sua voce era di ghiaccio mentre gli elencava le sue colpe -Lei lo usava come tramite. Gli dava informazioni governative segrete, e lui avrebbe portato i suoi nuovi acquisti al suo capo, un brav'uomo Ivan Vassiljevich, ho visto il suo cadavere. Era un uomo di parola.- Si fermò sentendo di nuovo squittire di terrore l'uomo. Sapeva di non avere scampo, ma stava arretrando lentamente verso quello che doveva essere l'ufficio. Chuck estrasse una pistola dalla cintura e gliela punto contro con uno scatto metallico. Il diplomatico dovette riconoscere il rumore perchè si immobilizzò all'istante.
-Eh si, il caro vecchio Ivan. Prima di morire ha dato informazioni importanti alla mia collega, informazioni che ci portavano dritti a lei, Mr. Rosenfeld. In questo momento la CIA. sta elaborando un mandato governativo di estradizione. Domani mattina lei sarà costretto ad uscire da questo edificio e verrà arrestato. Sarà incarcerato in una prigione di massima sicurezza, insieme ai peggiori assassini, che probabilmente si divertiranno molto a fare di lei ciò che vogliono-
-Lei è... è della CIA?- Il terrore si sentiva chiaramente nel tono piagnucoloso della voce di quel verme.
-Io posso offrirle un accordo- Chuck sfuggì volutamente alla domanda. Che credesse pure che era della CIA. Era più veloce e lui non aveva tempo. Mentì con sicurezza, in realtà come spia freelance non aveva alcun potere, men che meno in un momento del genere, ma negli anni aveva imparato a sfruttare l'ignoranza altrui a suo vantaggio. -Ivan e il suo capo non erano in proprio, giusto? C'era qualcuno che li spaventava ben più di un mandato federale. Siamo stati a San Pietroburgo, Mr. Rosenfeld. Sappiamo che non si tratta solo di documenti riservati sfuggiti alla dogana, un complotto internazionale sta per mettere alla prova i governi di tutto il mondo-
Una pausa ad effetto lasciò spazio solamente al silenzio rotto dal ronzio lontano del generatore d'emergenza che scalpitava incapace di entrare in funzione.
-Mi aiuti a fermarli. Mi basta un nome e le farò avere tutto ciò che desidera. Anche la libertà.-
Gli occhietti porcini di Rosenfeld brillarono bramosi attraverso l'oscurità. Chuck non riuscì a reprimere un sorriso soddisfatto, capendo che aveva vinto. Gli avrebbe detto ogni cosa, e ciò che lui sapeva lo avrebbe avvicinato di un passo alla verità, e a Sarah. La sua Sarah, i suoi capelli dorati e il suo sorriso innamorato, che lo aspettavano, da qualche parte.
-Io- balbettò l'uomo, incerto -mi dispiace, io non so nulla di una cospirazione russa, ma se vuole sapere la verità il capo di Ivan si chiamava...-
Rosenfeld cominciò a sputare nomi di mafiosi russi, di altri colleghi corrotti, persino di un trafficante d'armi curdo che gestiva una cellula terroristica nel centro di New York. Per la CIA sarebbe stata una manna dal cielo. Ma a Chuck non importava, ormai non ascoltava più.
Non aveva dubbi, quell'uomo non sapeva nulla. Dalla velocità con cui stava cercando di dare tutte le informazioni di cui era in possesso era chiaro che avrebbe detto qualunque cosa pur di non finire in carcere. Era un debole, in prigione non sarebbe durato nemmeno un giorno, e lo sapeva. La spia guardò l'orologio: 00.09. Ancora un minuto.
Era stato tutto inutile. Risalire a quell'uomo con fatica, trovare un modo per entrare in uno dei palazzi più sorvegliati della costa est, completamente senza supporto, perdere giorni e giorni dietro a quella pista. Non era servito a niente, solo un buco nell'acqua. E ora che la CIA era venuta a conoscenza dello scandalo, lui non aveva più uno straccio di indizio da seguire. Sentì la rabbia montare dentro, l'impotenza era disarmante. Quell'uomo era inutile, Sarah era perduta e lui era completamente solo in un mondo totalmente nemico..
Arthur Rosenfeld stava andora parlando quando la pallottola gli perforò il cranio. L'esplosione rimbombò nel corridoio, subito seguita dal tonfo sordo del corpo morto, ancora con la bocca aperta, a svelare quegli ultimi segreti. Traditore fino alla fine.
Le luci si riaccesero di colpo. Chuck aveva forse ancora trenta secondi prima che anche le telecamere di sorveglianza entrassero nuovamente in funzione.
Tolse il dito guantato dal grilletto e velocemente infilò l'arma in mano al diplomatico, in modo che la posizione potesse far credere ad un suicidio. Forse avrebbe trovato un medico legale abbastanza distratto da non accorgersi che il colpo era stato sparato a distanza, e in ogni caso a nessuno sarebbe dispiaciuto, a nessuno sarebbe mancato quell'essere ignobile. La CIA l'avrebbe prelevato cadavere l'indomani.
Velocemente Chuck si riagganciò alla corda che prontamente si riavvolse riportandolo nella sicurezza del caldo e angusto condotto di lamiera. Solo lì, mentre lentamente si trascinava verso l'uscita, potè lasciarsi andare al senso di nausea che lo assaliva. In parte perchè gli sembrava che gli occhi spalancati di Rosenfeld lo stessero ancora fissando, mentre i resti di sangue e cervello gli colavano piano sulla fronte. E in parte perchè non riusciva a provare nulla, nemmeno il più piccolo rimorso, per aver tolto la vita ad un altro essere umano, a sangue freddo, in una splendida notte di primavera.

Burbank, California, Casa Bartowski - 3.42, martedì

Chuck rientrò in casa fradicio e trafelato. Fuori la pioggia cadeva fitta infrangendosi sui tetti, sugli alberi e su tutti i tiratardi come lui, che ancora non si erano rifugiati fra le mura domestiche. Appoggiò le chiavi sul mobile in entrata, gettò la valigetta contenente il suo portatile sul divano, desiderando solamente togliersi i vestiti bagnati e andare a dormire. Dopo quasi sei ore di volo trascorse ad autocommiserarsi era giunto alla conclusione che non poteva arrendersi.
Non aveva ancora nessuna idea di come fare a trovare Sarah, ma era certo che l'avrebbe raggiunta ad ogni costo. C'era sicuramente un modo, anche se ancora non sapeva quale. Dopotutto glielo aveva giurato, era pronto a dare la vita per salvarla, lo sarebbe stato sempre. E decisamente non avrebbe mollato solo perchè si era ritrovato in un vicolo cieco. La mattina successiva avrebbe ricominciato tutto da zero, avrebbe ricontrollato tutti i fascicoli inerenti San Pietroburgo, avrebbe provato con altri metodi di ricerca. Tutto sarebbe andato bene.
Questo si ripeteva mentre lasciava cadere a terra la giacca e la camicia zuppe d'acqua, rimanendo in maglietta e pantaloni. La casa era talmente buia e silenziosa che non si era nemmeno dato la briga di guardarsi intorno. Non aveva acceso la luce, l'oscurità lo tranquillizzava, e poi non ne aveva bisogno, conosceva ogni angolo di quella stanza, poteva tranquillamente attraversarla ad occhi chiusi.
Per questo motivo quando sentì la voce squillante di Ellie provenire da quello che doveva essere il tavolo da pranzo, si spaventò abbastanza da lasciarsi sfuggire un gemito di sorpresa, prima di rendersi conto che non c'era alcun pericolo.
-Sei impazzito? Lo sai che ore sono?- Lo aggredì la giovane donna, accendendo la luce che, com'era prevedibile, lo accecò per alcuni istanti. -Non puoi andartene senza nemmeno avvisare! Hai idea di quanto io mi sia preoccupata?-
-Ellie, calmati. Sono un uomo adulto e responsabile, ricordi?- Certe volte sua sorella lo trattava ancora come un bambino. Sapeva che si comportava in questo modo solo perchè gli voleva bene e non voleva perderlo, ma a volte avrebbe preferito non dover rendere sempre conto a qualcuno di tutti i suoi spostamenti.
-Un uomo adulto e responsabile non scompare per un giorno intero senza lasciare nemmeno un biglietto!-
-Se eri così preoccupata potevi telefonarmi. I cellulari sono stati inventati proprio per questo- Chuck sospirò esasperato, non era la prima volta quella settimana che era costretto ad affrontare una simile conversazione, e quella sera non era decisamente in vena di discussioni.
-Quale cellulare? Quello che hai dimenticato a casa di Morgan? Tu...- Ellie cercava di mantenere la voce bassa, era pur sempre notte fonda e non aveva intenzione di svegliare tutto il vicinato, ma la voglia di urlare contro il fratello era forte. Era frustrante rimanere a casa ad attendere una telefonata, con il timore che qualcuno potesse ucciderlo e portarglielo via per sempre. Ma lui sembrava non capire, continuava a rischiare la sua vita, anche senza protezione, e lasciava crollare tutto ciò che negli anni Sarah lo aveva aiutato a costruire. Ellie vedeva il suo fratellino andare verso l'autodistruzione e non poterlo salvare la rendeva irritabile e incredibilmente triste.
Voleva parlargli ancora, aiutarlo a sfogarsi, ma fu lui a fermarla. Gli occhi di Chuck sembravano quelli di un vecchio mentre la fissavano. Quegli occhi avevano già visto tutto il dolore possibile, non c'era più paura, non c'erano più lacrime, nè la minima scintilla di gioia in quello sguardo. Le si avvicinò e la cinse in un maldestro abbraccio, il suo corpo umido e freddo la fece rabbrividire. 
-Scusa. Lo so, sto sbagliando tutto. Ma non ce la faccio El- Mormorò, come se avesse paura di confessare questa debolezza che lo rendeva ancora più vulnerabile. 
-Va tutto bene- Sussurrò lei appoggiando la testa sulla sua spalla. -Non importa-
-Ne parleremo domani, ok?- Chuck abbozzò un sorriso di scuse allontanandosì dalle braccia calde e sicure della sorella. Era sicuro che se fosse rimasto in quella posizione anche solo per un altro minuto sarebbe scoppiato in lacrime come un bambino. -Loro...?-
-Stanno dormendo- Ellie sorrise accennando al corridoio che portava alle camere. -Vado, Devon mi avrà data per dispersa. Buonanotte Chuck-
-Buonanotte sorellina- A Chuck non sfuggì lo sguardo triste di Ellie, mentre usciva dal portone per raggiungere la sua abitazione, a pochi metri di distanza. Quella situazione stava divorando la sua famiglia.
L'uomo sospirò e spegnendo la luce dietro di sè imboccò lo stretto corridoio. Si sentiva così stanco che era certo che se la sua testa avesse sfiorato un cuscino avrebbe potuto dormire per anni ininterrottamente, eppure era altrettanto certo che la mattina successiva sarebbe stato sveglio all'alba, tormentato dagli incubi che affollavano le poche ore in cui riusciva a chiudere occhio. Ormai non riposava decentemente da settimane, precisamente due settimane e mezza, anche se a lui sembravano secoli.
Mezzo mese non sembra così lungo in apparenza: diciotto giorni, quattrocentotrentadue ore, venticinquemilanovecentoventi minuti, un milione e cinquecentocinquantacinquemiladuecento secondi senza Sarah. E ogni scatto della lancetta di quel maledetto orologio lo allontanava sempre più da lei.
L'avevano presa. Era in Russia, doveva essere una missione semplice, per questo aveva accettato. Doveva essere a casa per l'ora di cena, invece non era più tornata. Era scomparsa nel nulla.
Più il tempo passava, più girava voce che in realtà l'avessero uccisa, ma Chuck non poteva rassegnarsi. Sapeva bene che i criminali professionisti erano soliti far scomparire i corpi delle loro vittime: un veloce bagno dell'acido e i pochi resti gettati nelle fogne o sepolti nel deserto. Migliaia di "scomparsi" sulla carta erano in realtà solamente morti, perduti per sempre. Rifiutava di credere che sua moglie fosse fra quelli, che della sua pelle candida e sottile non fosse rimasto in realtà più nulla.
Odiava la pietà che lo circondava da giorni. Amici e parenti stavano solo attendendo che impazzisse dal dolore, per questo lo seguivano, cercavano ogni occasione per non lasciarlo solo, quando lui voleva soltanto poter cercare l'amore della sua vita in santa pace. Nessuno gli avrebbe mai fatto accettare una realtà in cui Sarah non esisteva. E se non avesse trovato lei, almeno avrebbe trovato la vendetta.
Chuck si accasciò contro lo stipite della porta di quella che un tempo era stata la sua camera. Sulla destra troneggiava un letto a castello, con due cuscini gemelli e due coperte identiche, azzurre a pallini blu, in perfetto ordine, sulla sinistra invece, incassato nell'armadiatura c'era un letto rialzato, candido e soffice, con le lenzuola a cuoricini di diverse sfumature di rosa. Ovviamente nel buio della stanza lui non poteva distinguere quei colori, ma riusciva ad immaginarli perfettamente, esattamente come immaginava il mucchio indistinto di bambole, pupazzi e robot sicuramente abbandonato sul tappeto nel centro della camera, e il sorriso felice di Sarah nella fotografia adagiata sulla scrivania addossata al muro, accanto alla finestra su cui ancora batteva insistente la pioggia. Prevedibilmente la stanzetta era deserta, ormai stava diventando un'abitudine trovare quei cuscini freddi e vuoti la sera.
Facendosi forza Chuck finì di spogliarsi, si strofinò i capelli bagnati con un asciugamano e indossò una maglietta asciutta e dei pantaloni di una tuta ancora abbandonati sul pavimento dalla sera precedente. Poi con passo strascicato zoppicò lentamente fino all'altra camera, quella sua e di Sarah, nella quale entrò cercando di essere il più silenzioso possibile.
La poca luce bluastra che filtrava attraverso le persiane lasciate socchiuse illuminava tre fagotti indistinti abbandonati sul grande e comodo letto matrimoniale. Chuck si scoprì a sorridere osservandoli, sorridere per il sollievo di vedere quel miracolo con i suoi occhi, sorridere sinceramente per la prima volta negli ultimi giorni.
A destra, con i capelli lunghi e biondi ad incorniciarle il viso, era stesa supina Samantha, dieci anni, una piccola copia di Sarah. Con le sopracciglia aggrottate sussurrava qualcosa nel sonno, come se stesse sognando qualcosa di particolarmente complicato, il volto spigoloso contratto nello sforzo di concentrarsi. Raggomitolato in posizione fetale, giusto accanto a lei e con la testa sprofondata fra i cuscini, stava il piccolo Peter, tre anni appena, gli occhi azzurri e grandi nascosti sotto le palpebre e i capelli corvini incollati alla fronte.
Infine, ad occupare tutto lo spazio rimasto, a pancia in giù e con le gambe e le braccia spalancate, c'era Christopher, sette anni, con i suoi capelli castani arruffati e la bocca aperta, a Chuck ricordava molto sè stesso da piccolo, almeno nell'aspetto.
Quei bambini erano tutta la sua vita, ciò che di più prezioso gli restava, ognuno perfetto nella sua minuscola personalità in formazione.
Sentendo le gambe cedergli per la stanchezza si scavò un buchetto fra i corpicini caldi dei suoi figli, fiduciosi e vivi, e finalmente al sicuro con la sua famiglia, si addormentò.

NOTE
Solo due piccole precisazioni, non per tediarvi, ma perchè sono d'obbligo. Prima che me lo dimentichi, gli orari sono riferiti al luogo indicato, tenendo conto del fuso orario. Non ho inserito riferimenti all'intersect, semplicemente perchè ora come ora non so se Chuck lo recupererà, decidete voi se le sue abilità come cecchino derivano da quindici anni di pratica nello spionaggio o ancora da un aiutino mentale. So che fargli uccidere una persona a sangue freddo è stato un po' azzardato, ma la disperazione spinge a fare cose impensabili, quindi prendetela come una dimostrazione di quanto l'assenza di Sarah possa cambiarlo. Cercherò di essere fedele al telefilm, il prossimo capitolo sarà meno malinconico, conosceremo meglio i piccoli Bartowski, incontreremo lo zio Morgan e farà una capatina anche il caro vecchio Casey.
Spero che interessi a qualcuno, in ogni caso dovevo scriverla, perchè mi frullava in testa da troppo tempo.
Il telefilm Chuck e i suoi personaggi non mi appartengono, sono di chi ne detiene i diritti, e questa storia non è assolutamente a scopo di lucro.  
Sono ben accette (e molto desiderate) le recensioni.
A presto,
M
.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


capitolo 1

Burbank, California, Casa Bartowski - 8.21, martedì

-Sam! Apri la porta!-
Samantha sbuffò al richiamo del padre e si alzò controvoglia da tavola. Stava rigirando i cereali in un'abbondante tazza di latte e ora, a causa di questo contrattempo, si sarebbero sicuramente sciolti facendo diventare la sua colazione una pappetta immangiabile.
Se il buongiorno si vede dal mattino quella sarebbe stata una giornata pessima.
Scocciata si trascinò al portone. Sentiva suo padre richiamare Chris dalla stanza vicina, come al solito erano in ritardo e lui era ancora a letto. Quando mamma era a casa non arrivavano mai in ritardo da nessuna parte.
-Ciao zio Morgan- Borbottò contro voglia vedendo l'ometto barbuto sulla soglia.
Morgan era il migliore amico di suo padre da quando erano bambini, ma lei non riusciva a capire come avessero fatto ad andare d'accordo. Sembravano così diversi! Intanto Morgan era sempre vestito elegante, in giacca e cravatta come se dovesse andare ad un ricevimento, anche quando doveva solamente rimanere tutto il giorno nel suo ufficio al Buy More, poi portava sempre gli occhiali da sole, anche al chiuso e con la pioggia, e le parlava sempre con un tono saccente pur avendo un quoziente intellettivo pari a quello del piccolo Peter. Era decisamente un tipo strano.
-Questo è tutto l'entusiasmo che riesci a metterci signorina? Non è così che si saluta il tuo zio preferito!- Tutta quell'allegria la innervosiva. Stava per rispondergli in malo modo quando arrivò Chuck a soccorrere il malcapitato ospite.
-Hei Morgan! Vieni dentro-
Congedò la figlia con una pacca sulle spalle e frettolosamente si accinse a raccogliere la giacca, ancora per terra dalla notte precedente.
-Fammi indovinare, ieri sera sei tornato tardi- Morgan si chiuse la porta alle spalle osservando le occhiaie ben visibili sul volto dell'amico e collega. Lo preoccupava lo stato di trascuratezza in cui stava crollando Chuck, sapeva bene a quali picchi di autocommiserazione poteva portarlo lo sconforto, ma un conto era osservarlo amoreggiare con le palline al formaggio sul divano, tutt'altra cosa era vederlo trafugare armi di nascosto dall'arsenale della base. E queste sue sparizioni erano pericolose, ormai stavano esaurendo le scuse da usare con i bambini. I loro genitori non li avevano mai lasciati soli per più di due giorni in un mese, e ora all'improvviso mamma era partita per una lunghissima missione e papà si imboscava in incognito più volte alla settimana? Erano piccoli, non stupidi, lo avrebbe capito persino lui che qualcosa non andava.
-Ellie ti ha chiamato vero?-
-Ti ho riportato il cellulare- Chuck strappò il suo Blackbarry dalle mani dell'amico, controllando automaticamente se ci fossero nuovi messaggi.
-Da quanto tempo è che quella camicia non incontra il caro vecchio sapone?- Cambiò argomento Morgan, per distrarre l'altro uomo, che sembrava essersi imbambolato a fissare il piccolo schermo del telefono.
-Perchè? Che ha che non va?-
-Non so... Quella è una macchia d'inchiostro?-
Chuck abbassò gli occhi sul tessuto spiegazzato e sbuffò notando uno scarabocchio in pennarello rosa che decisamente non avrebbe dovuto essere lì.
-Peter disegna praticamente su ogni cosa- Spiegò. Era fin troppo stanco di ripetere al figlio che i colori andavano usati solo sui fogli di carta e non su muri, magliette, giocattoli o tappeti. -Hai portato le ciambelle?-
-Certo che sì, amico! Le tue preferite, quelle di Pink Boy, con gli zuccherini colorati-
Chuck squadrò il sorriso smagliante dell'amico con diffidenza. Pink Boy, oltre che a fare ciambelle strepitose e ad avere un nome ridicolo, era assurdamente lontano dalle loro abitazioni, quindi che Morgan avesse percorso chilometri per un sacchettino di dolci era un indicazione abbastanza certa di guai. Senza contare che ormai quelle ciambelle (cioccolata, granella di nocciola e overdose di zuccheri incluse) erano tradizionalmente un campanello d'allarme. Ricordava ancora quando, a dodici anni, prima di informarlo di aver accidentalmente affogato la sua console di videogiochi con l'aranciata, Morgan gli aveva regalato un vassoio intero di quelle delizie ipercaloriche. Oppure quella volta quando, a diciassette anni, svegliandosi, Chuck aveva trovato una torre di ciambelline sul tavolo, giusto pochi secondi prima di scoprire che tutta la scuola inspiegabilmente lo credeva gay a causa dell'ennesima figuraccia del suo migliore amico.
-Morgan, è successo qualcosa?-
-No! No no no... perchè? Hai qualche motivo per credere che sia successo qualcosa?-
Stavolta era il turno dell'ometto barbuto di essere diffidente, squadrando l'amico in cerca di qualche informazione. La verità era che non avevva la minima idea di come stesse procedendo la ricerca di Sarah, ed era certo che Chuck avrebbe continuato a cercare Sarah fino alla fine, era ovvio che non si sarebbe arreso. Ma ormai anche lui, Morgan Grimes, che si era sempre vantato di conoscerlo meglio di chiunque altro, non lo riconosceva più. Non conosceva i suoi segreti e temeva che l'amico senza il controllo delle persone che lo amavano si sarebbe spinto troppo oltre.
-No. Nulla- Scosse la testa Chuck scrollando le spalle, sempre più confuso.
Prima che potessero approfondire l'argomento un urlo straziante li fece sobbalzare entrambi.
In anni e anni da spie avevano imparato a non sottovalutare mai un grido di terrore. Uno scatto fulmineo li portò entrambi in assetto di battaglia, tuttavia si resero conto che l'unico pericolo imminente da temere era un bambino che scuoteva un pennarello blu decisamente troppo vicino al tessuto che rivestiva il divano.
-Pete! Ti odio! Papà, fai qualcosa! Mi ha rovinato la ricerca, guarda!-
Samantha continuava ad urlare istericamente, le guance arrossate e le pupille dilatate, pronta a scoppiare in lacrime. In mano stringeva un foglio stropicciato colorato di blu al margine superiore. In realtà non era una gran macchia, e Chuck era parzialmente fiero che stavolta il suo bambino avesse almeno centrato un foglio prima di darsi all'arte. Purtroppo però sua figlia era leggermente più melodrammatica del dovuto.
-Devo consegnarla oggi! Prenderò un brutto voto per colpa di quello stupido!- La vocina si stava facendo sempre più acuta, si sarebbe messa a piangere, Chuck lo vedeva, o peggio avrebbe trucidato il fratellino che la fissava con gli occhi sbarrati, con un'estremità del pennarello in bocca e le manine sudice spalmate sui jeans.
-Ok, calma. Ristampiamo la ricerca, ti basta questa pagina, no? E' salvata sul computer, vai ad accenderlo e chiama Chris che siamo in ritardo. E tu Petey...-
Si voltò verso il figlio minore con aria esasperata.
-Non puoi colorare tutto quello che vedi, questo lo prendo io- Gli sfilò il colore dalle dita e cercò con gli occhi il tappo che si era perso nel caos. Non fece in tempo a voltarsi che esplose il dramma: Peter cominciò a piagnucolare, derubato del suo preziosissimo tesoro, mentre Sam, tutto tranne che soddisfatta, si lamentava a gran voce del trattamento di favore riservato al fratellino.
Morgan cercava di bloccare il pianto del piccolo offrendogli oggetti a raffica, confondendolo solo di più, mentre Chris, con ancora addosso i pantaloni del pigiama e la maglietta infilata al contrario, barcollava nel soggiorno attratto dal rumore.
L'orologio segnava le 8.32, e le lancette continuavano a procedere inesorabili. Era decisamente tardi, ed ogni minuto sprecato a discutere lo allontanava sempre più da Sarah.
Chuck avrebbe voluto mettere in pausa il tempo, avrebbe voluto gridare, rannicchiarsi sul divano e arrendersi. Rimanere fermo a compiangersi per l'eternità. Sbattere la porta in faccia a tutti i problemi e lasciarsi cadere nel baratro.
Invece prese un respiro profondo e strinse i pugni. Poi si voltò e andò in camera, lasciandosi tutto alle spalle.
Non l'avrebbe data vinta a quelli che credevano sarebbe crollato. Lui era una spia, un marito, un padre, una persona coraggiosa e responsabile. Non una femminuccia che piange come in preda ad una crisi di nervi.
Controllati, Bartowski.
Gli tremavano le mani, se ne accorse solo quando si lasciò cadere sul letto, sfinito.
Gli mancava Sarah, gli mancava così tanto in questi momenti. Si chiese cosa avrebbe fatto lei, ma era ovvio. Lei era quella forte, quella controllata, addestrata a fronteggiare le crisi peggiori. Lei con il suo sorriso avrebbe sistemato tutto: avrebbe messo in riga quello svampito di Chris, appagato l'egocentrica Sam e coccolato il dolce Petey. Non ci sarebbero stati litigi nè disastri di alcun genere. Tutti sarebbero arrivati a scuola e al lavoro in perfetto orario senza pianti o porte sbattute.
Ma lui non era Sarah. Non riusciva ad essere un bravo padre, nè un bravo amico. Non più. Probabilmente non era più nemmeno una brava persona.
Non sapeva da quanto tempo fosse chiuso in quella stanza quando Morgan apparve cautamente nel vano della porta. Una parte della sua mente registrò che nell'altra stanza i bambini avevano smesso di strillare. Doveva essere arrivata Ellie a calmare le acque. Santa Ellie. Non sapeva cosa avrebbe fatto senza di lei.
Chuck alzò gli occhi, ma si accorse che il suo amico evitava il suo sguardo.
-Perchè hai portato le ciambelle?-
La sua voce era spenta, stanca, come quella usata con la sorella la sera prima.
Non era Charles Irving Bartowski a parlare, era la sua ombra, la sua disperazione. Morgan sapeva di non avere abbastanza faccia tosta da mentire ad un uomo distrutto. Stavolta non fece finta di non capire, semplicemente sospirò e si infilò le mani in tasca.
-E' morto Arthur Rosenfeld. All'ONU. L'hanno trovato questa notte, dicono che si è suicidato. Tu ne sai qualcosa?-
-Perchè mai dovrei saperne qualcosa?- La voce di Chuck era totalmente indifferente. Si sentiva un automa, mentire non era più difficile che dire la verità, a questo punto.
Morgan rabbrividì nello scorgere gli occhi dell'amico. Erano gelidi, vuoti. Non c'era nulla di umano in quello sguardo.
-Non so. Era l'unico collegamento con Sarah che avevamo. Pensavo lo sapessi. Mi dispiace-
Chuck rimase immobile. Morgan avrebbe voluto picchiarlo, tirargli uno schiaffo, fare qualcosa per farlo reagire. Lo stava perdendo, stava perdendo il suo migliore amico, l'uomo straordinario che l'aveva salvato almeno un milione di volte. Non poteva lasciarlo andare così.
Non poteva lasciarlo solo.
Fu ancora Sam a colmare quel baratro che divideva i due amici. Aveva ancora il viso rosso dopo la sfuriata di poco prima, però ora aveva le lunghe trecce bionde perfettamente in ordine e teneva uno zaino candido sulle spalle.
-Zia Ellie ci accompagna al bus. Hai stampato la mia ricerca?- Chiese timidamente.
Chuck sospirò rianimandosi, una qualche scintilla si riaccese di colpo nel fondo della sua anima. Solo i suoi bambini ormai lo tenevano ancorato alla vita.
-No, tesoro. Avevo detto a te di accendere il computer- Diede uno sguardo all'orologio da polso. -Ora è troppo tardi, cancellerai la macchia col bianchetto, vedrai che non se ne accorgerà nessuno-
-Ma...- La bambina sembrava veramente sconvolta davanti alla prospettiva di non essere perfetta in qualcosa. Ma la realtà non è perfetta, anzi è ingiusta e spietata. Questo avrebbe voluto dirle Chuck, invece alzà una mano in segno di ammonimento bloccando la piccola nel bel mezzo della frase.
-Nessun ma. Non lamentarti e io non ti chiederò come abbia fatto il tuo fratellino di appena tre anni a raggiungere il tuo preziosissimo compito. Oppure vuoi farmi credere che fra tutti i fogli sparsi per la casa si è messo a frugare proprio nella tua cartella scegliendo casualmente proprio la ricerca che dovevi consegnare?-
-Non è giusto!-
-Sai che non devi lasciare le tue cose in giro- Le ricordò pazientemente il padre.
-Sei cattivo! Non vedo l'ora che mamma torni! Io non ci voglio vivere con te! Io ti odio!-
Sam lasciò la stanza di corsa con le lacrime che le rigavano il volto. Sì, era decisamente una pessima giornata.
Morgan abbassò il volto, imbarazzato. Per quanto potesse essere a tutti gli effetti un membro di quella famiglia non avrebbe mai voluto assistere ad una scena del genere. Sapeva che Chuck si sarebbe sentito ferito per le parole della bambina, e non meritava altri dolori. Sentì il cellulare vibrargli nella tasca. Il messaggio diceva solo "arrivati", ma Morgan sapeva di doversene andare.
-Vai pure- Quando il barbuto alzò lo sguardo dal telefono il suo amico, incredibilmente, sorrideva.
-Mi dispiace, sai com'è il lavoro... Ma sai che se hai bisogno di una mano...-
-Tranquillo, va bene. Non hai motivo di preoccuparti di me-
Morgan annuì, sapeva che l'amico gli stava mentendo e questa consapevolezza lo straziava.
Quando aveva smesso di fidarsi di lui?
Si era già voltato verso l'uscita quando si rivolse di nuovo al l'amico, come se si fosse ricordato di qualcosa all'improvviso.
-Chuck... Rosemberg non si è suicidato. Gli hanno sparato a distanza. La CIA non ammetterà mai una così palese breccia nella sicurezza, ma è stato ucciso. Io lo so-
Non aveva la minima idea del perchè glielo stesse dicendo. Forse voleva metterlo alla prova, oppure dargli un'altra possibilità.
Morgan sperò con tutto il cuore che Chuck almeno stavolta avesse il coraggio di dirgli la verità, ma tutto quello che fece fu scrollare le spalle. I suoi occhi erano di nuovo persi nel nulla.
-Okay. A presto amico-
Morgan lasciò la casa di fretta, quasi a voler scappare. Superò i bambini, Ellie, Fenomeno, come se qualcuno lo stesse rincorrendo con la pistola puntata.
La verità era che lui aveva riconosciuto quella pistola, quella usata a New York. Era la stessa che Chuck aveva preso dall'arsenale della base il giorno precedente, priva di immatricolazione e irrintracciabile.
Aveva controllato i suoi spostamenti sulla costa est, non era proprio un pivello privo di esperienza. Era così che l'aveva scoperto: il suo amico era un assassino.
Ovviamente poi aveva nascosto tutte le prove che potessero condurre degli investigatori scrupolosi alla famiglia Bartowski.
Gli dispiaceva veramente che Chuck fosse arrivato ad un gesto così estremo, e gli faceva ancora più male pensare che non si era confidato con lui. Ma in fondo erano migliori amici, e Morgan avrebbe custodito il suo segreto fino alla morte.
Se proprio Chuck voleva affondare, allora sarebbero andati incontro al peggio insieme. L'avevano giurato col sangue.
Amici per sempre.

Burbank, California, Carmichael Industries - 9.02, martedì

Morgan fece la sua entrata plateale fasciato nel suo nuovo completo gessato grigio di sartoria. Si sfilò gli occhiali da sole ostentando indifferenza mentre scendeva le scale per raggiungere il centro operativo e con una mossa studiata li infilò nel taschino della giacca.
Poi, tronfio e orgoglioso, si fermò a braccia incrociate ad osservare le due reclute che lo stavano aspettando.
Non c'era niente di meglio che un nuovo giorno di lavoro per dimenticare tutti i problemi con il suo migliore amico, e poi qualcuno doveva pur mandare avanti la baracca, giusto?
Avanzò lentamente, con passo cadenzato, con la testa alta e il petto in fuori, pienamente consapevole del suo ruolo dominante di fronte ai due pivelli che stavano tremanti di fronte a lui, in attesa di direttive.
Adorava poter fare il capo, lo faceva sentire così importante, Chuck diceva che compensava in questo modo la sua scarsa altezza, ma Morgan era certo che fosse solo invidioso del suo inimitabile stile. In effetti chi avrebbe potuto resistere al fascino dell'agente speciale Grimes, coraggioso eroe in perenne lotta contro il crimine?
Con un sorrisetto compiaciuto si fermò davanti al più alto degli agenti.
Era un gigante, un mastino alto un metro e novantotto e dotato di centoventi chili di muscoli e rabbia repressa. Due occhietti piccoli e spietati svettavano sul suo enorme testone pelato e aveva un grugno odioso stampato in volto che non lasciava trapelare emozioni. Nonostante Morgan fosse convinto di incutere abbastanza terrore nei due novellini, l'unico sentimento che il gigantesco soldato riusciva a provare nei confronti di quel nanetto in giacca e cravatta era un profondo fastidio.
-Immagino che lei sia Nickolas Pilkie-
-Sergente. Sergente Nickolas Antony Pilkie-
Puntualizzò l'altro con un tono omicida che non ammetteva repliche. Morgan tuttavia, incapace di cogliere la sfumatura minacciosa nelle parole della nuova recluta, gli sorrise cordialmente e gli diede una pacca scherzosa sul braccio. Al movimento inaspettato il sergente Pilkie dovette impegnarsi con tutto sè stesso per non staccare la mano all'omino barbuto.
-Avanti Nick! Qui siamo tutti una grande famiglia felice, niente formalità!-
Fortunatamente il gioioso supervisore passò subito al secondo agente.
Era una ragazzina dai capelli color fuoco, paffuta, di sicuro non dimostrava i suoi quasi vent'anni, sembrava una scolaretta sperduta. Fissava Morgan con gli occhi sbarrati in preda al panico.
-E tu devi essere Alice McKenzie-
Bastarono quelle poche parole per far tingere di rosso acceso il reticolo di lentiggini che le ricoprivano il volto, il che, grazie anche al maglioncino vermiglio che indossava quel giorno, la faceva sembrare un grande pomodoro maturo.
-S-s-sì- Balbettò sempre più imbarazzata.
Morgan però sembrò non curarsi nemmeno dello strano comportamento della ragazza, troppo preso dal suo ruolo di capo responsabile. Inutile dire che di solito era Chuck ad occuparsi delle formalità come accogliere i nuovi arrivati, dopotutto l'agenzia portava il suo nome. Tuttavia, da quando Sarah era stata presa Morgan si era sentito in dovere di occuparsi personalmente di tutte le fastidiosissime incombenze che avrebbero potuto angustiare il suo amico.
-Allora- Cominciò Morgan con un tono serio che gli dava una strana importanza formale. -Benvenuti alle Carmichael Industries. Voi siete stati selezionati fra una nutrita schiera di aspiranti agenti per diventare parte di uno dei più importanti gruppi di spie freelance al mondo. In questo momento i nostri migliori agenti stanno portando a termine delicatissime missioni in ogni continente. Voi siete stati scelti per le vostre straordinarie capacità e avrete da subito un ruolo di rilievo nell'agenzia. Noi crediamo nei giovani, voi, proprio voi, siete il futuro dello spionaggio internazionale. Non mi resta che augurarvi un'ottima permanenza-
Morgan concluse il suo discorsetto con un sorriso. Aveva passato la notte ad idearlo ed impararlo a memoria, e ora che si era tolto questo peso era sufficientemente soddisfatto di sè stesso da potersi crogiolare per qualche secondo nell'autostima. In effetti lo infastidiva un po' che il suo piccolo pubblico non avesse avuto nessuna reazione, ma in effetti cosa poteva aspettarsi da un soldato imbronciato e da una ragazzina timida? Poi non aveva nemmeno la minima idea di chi avesse selezionato due sfigati del genere. Chi li avrebbe mai voluti come spie? Morgan aveva letto i loro fascicoli in un momento di profonda noia: un ex membro delle delta-force congedato per problemi di controllo della rabbia e un genio precoce con una serie infinita di fobie e nevrosi. Avrebbero combinato solo guai.
-Qualche domanda?-
-Lei è l'agente Carmichael?- Ringhiò il sergente Pilkie, ancora con quell'inquietante scintillio omicida negli occhi.
-No, spiacente. No. Oggi lui... è stato trattenuto. Io sono l'agente Grimes, suo braccio destro-
-Una specie di assistente, quindi?- Il commento della recluta sembrava quasi derisorio.
-No! Io sono l'agente in carica qui. E sarò il vostro supervisore, quindi vi invito a non mancarmi di rispetto visto che sarò io a dovervi valutare-
-Sì, signore- Borbottò ancora il gigantesco agente con aria di superiorità. Morgan decise in quel momento che quel Pilkie sarebbe stata una spina nel fianco. Con un sorrisetto forzato girò intorno ai due novellini per raccogliere qualcosa dal tavolo alle loro spalle. Prese un foglio, in effetti il primo che gli era capitato fra le mani, scelto a caso fra tutti i fax e le e-mail di casi non ancora assegnati. Gli bastò uno sguardò alla foto sulla pagina perchè l'Intersect gli dicesse tutto ciò che doveva sapere sull'energumeno slavo rappresentato.
-Igor Polanski, trafficante d'armi, originario della Repubblica Ceca. Ha ucciso il direttore di una potente multinazionale, senza lasciare indizi alle sue spalle. E' latitante da anni. Pensate di riuscire a trovarlo?- Espose il caso Morgan con aria saccente, cedendo il fascicolo a Pilkie.
Alice sbirciò oltre il possente bicipite del compagno arrossendo un po'.
-P-p-posso us-usare un comp-puter?- Balbettò la rossa abbassando gli occhi. Morgan annuì e la condusse ad una postazione informatica.
Pilkie li seguì poco convinto, studiando il dossier che teneva fra le mani. -O è morto, o ha cambiato identità. In entrambi i casi non lo troveremo- Commentò lapidario con il suo vocione profondo. Il sorriso di Morgan divenne una smorfia infastidita nel sentire la porta di servizio aprirsi.
-In tal caso vi consiglio di darvi da fare. Da questo caso dipende la vostra prima valutazione- Concluse il barbuto mentre si voltava verso l'ospite inatteso che stava scendendo le scale con passo pesante.
Nell'istante in cui Pilkie vide l'uomo che aveva appena fatto il suo ingresso scattò sull'attenti, spaventando così Alice che si alzò di colpo rischiando di far perdere l'equilibrio a Morgan, in piedi dietro di lei.
-Generale- Salutò il sergente con tono riverente. Trapelava rispetto da tutti i pori, quell'uomo era il suo mito. Si sentiva eccitato come una teenager al concerto del suo cantante preferito.
-John, che piacere vederti! Qual buon vento ti porta da queste parti?-
Morgan dedicò a Casey uno dei suoi sorrisi smaglianti mentre faceva qualche passo verso di lui a braccia aperte. L'altro in risposta lo guardò accigliato ringhiando leggermente.
-Grimes. Dobbiamo parlare. Ora- Poi si voltò e lasciò la stanza svanendo in un corridoio.
Morgan rimase impietrito, pensando a cosa diavolo fosse successo stavolta per renderlo così di cattivo umore. Ripercorse mentalmente le ultime giornate ma non gli veniva in mente nessun avvenimento degno di un richiamo ufficiale da parte del generale John Casey in persona. A meno che non fosse lì per Chuck. Rabbrividì pensando al segreto dell'giovane uomo, e si appellò a tutto il suo autocontrollo per non scappare. Si parlava del suo migliore amico, non avrebbe ceduto alle torture di Casey. O almeno così sperava.
Si voltò verso le sue reclute, che lo fissavano inebetite. Sperò di poterle vedere ancora dopo aver parlato col generale.
-Che fate? Andate a lavorare!-
I due si voltarono di colpo verso il computer, parlottando a bassa voce. Morgan invece, pallido e con le mani sudaticce, andò verso il buio corridoio della base, dove il suo destino lo stava aspettando.

Burbank, California, Carmichael Industries - 9.26, martedì

Casey camminava avanti e indietro nervosamente quando Morgan lo raggiunse nel corridoio buio e senza finestre, affiancato da una serie di celle di massima sicurezza, tutte vuote.
-Periodo di magra, Grimes?- John commentò con un sorriso sarcastico la totale assenza di prigionieri.
-Sai, con Chuck e tutto il resto... Abbiamo pensato di fare una pausa e occuparci di altro-
-Occuparvi di Sarah, vorrai dire-
-Già- Morgan rimase congelato mentre un brivido gli attraversava la colonna vertebrale. Abbassò gli occhi, era terrorizzato all'idea di lasciarsi sfuggire qualcosa.
-Ho sentito della morte di Rosemberg-
Morgan si morse la lingua, terrorizzato. Casey continuò come se nulla fosse.
-Quel lurido verme schifoso... Comunque non ci avrebbe detto niente di utile-
-Come lo sai?-
Il generale guardò il vecchio amico con aria sospettosa.
-Sei nervoso, Grimes?-
-Io? No, no- Morgan cercò di controllare il tono stridulo che stava assumendo la sua voce. Si sentiva un idiota.
-Lo vedo- Casey scacciò i sospetti sull'ometto barbuto scuotendo la testa. Grimes era troppo stupido per essersi messo in guai veramente seri. -In ogni caso non sono qui per parlare di questo. Purtroppo non ho nessuna novità su Walker-
Al ricordo della partner gli occhi gli si velarono di tristezza. Si erano sempre coperti le spalle, loro due, e ora, l'idea che lei potesse essere morta chissà dove lo faceva sentire assurdamente impotente. Lui era sempre stato l'uomo d'onore, fedele ai propri principi, e dove l'aveva portato tutto questo? Aveva ottenuto uno stupido titolo ma non riusciva nemmeno ad impedire che una brava agente come Sarah, una sua amica, venisse rapita e cancellata dalla faccia della terra. Dov'era lui quel giorno? Perchè non le stava coprendo le spalle? Non aveva potuto prendere quei bastardi, e ora tre bambini probabilmente non avrebbero mai più visto loro madre. Era per evitare ingiustizie del genere che aveva accettato di rimanere nelle forze armate. Casey scosse la testa, come poteva servire il suo paese da una scrivania? Il lavoro d'ufficio proprio non faceva per lui. Sapeva di non poter tornare sul campo, non dopo quella ferita in Libia che l'aveva quasi ridotto ad un vegetale, ma non ne poteva più di tutta quella burocrazia.
Avrebbe dovuto sentirsi grato e appagato dopo che l'NSA l'aveva riaccolto a braccia aperte, riconoscendo il suo valore e le sue capacità operative anche dopo tutto quello che era successo, ma in realtà si sentiva solo inutile. Per quanto la sua esperienza potesse ancora salvare delle vite, gli mancava terribilmente la scarica di adrenalina che lo attraversava quando puntando un fucile dava inizio ad un inferno di pallottole. E in ogni caso tutti i consigli tattici che avrebbe potuto dispensare non potevano bastare a riportare indietro Sarah Walker.
Mentre Casey era impegnato ad autocolpevolizzarsi silenziosamente, Morgan tentava di riprendersi dal terrore senza dare nell'occhio. Sapere che il generale non era lì per svelare i suoi segreti e sbattere Chuck a marcire in una cella per il resto dei suoi giorni era sicuramente rassicurante. Eppure c'era ancora qualcosa che non quadrava.
-Aspetta. Se non sei qui per Chuck e Sarah... perchè sei qui?-
Casey si risvegliò dalle sue profonde riflessioni e si passò una mano fra i capelli brizzolati, come sempre corti e ordinati, lasciandosi cadere contro la parete alle sue spalle.
-Ho bisogno del tuo aiuto- Borbottò a disagio mentre l'altro lo fissava incredulo e perplesso.
-E' tornata Alex-
Bastò quell'informazione perchè Morgan si sentisse sprofondare, colto di sorpresa. Si schiarì la voce torturandosi nervosamente le mani.
-Ah sì? E perchè lo vieni a dire a me?- Chiese con voce flebile.
-Perchè ha finito il suo corso a Washington e insieme ai souvenir e alle foto ha riportato a me e sua madre anche uno strano regalo. Una sottospecie di ragazzo. Non c'è un modo carino per dirlo. Si sta per sposare, Grimes. Pensavo lo volessi sapere-
Morgan sentì le gambe cedergli e si accasciò senza forze contro la parete opposta a quella contro cui stava ancora appoggiato il marine che continuava a parlare contrariato.
-Dovresti vederlo, sembra un pinguino ingessato. Fa qualsiasi cosa come se gli avessero fatto ingoiare una scopa e poi l'avessero impanato nella brillantina. Poi parla in un modo strano, idiota, mi fa uscire dai gangheri. Giuro che vorrei piazzargli una pallottola in fronte. E quel che è peggio è che Alex lo conosce solo da tre mesi! E lo vuole sposare, ora, senza nessun preavviso. Si sposa fra una settimana e ce l'ha detto solo ieri. Le devono aver fatto il lavaggio del cervello. Credevo che con te avesse toccato il fondo in materia di ragazzi ma a quanto pare... Grimes? Ti senti bene?-
Morgan era finito accucciato sul pavimento, pallido come un cencio, e pareva non aver sentito una sola parola del discorso del soldato.
-Si... si sposa?-
Casey. rendendosi conto all'improvviso di essersi dimostrato troppo loquace, emise in risposta un grugnito d'assenso.
-E... a cosa ti servo io? So che io e Alex... insomma... Ma ormai è parte del passato. Cosa potrei fare ora?-
-Non so Grimes. Parlale, fa qualcosa! Persino tu sei meglio di quel figlio di papà rammollito che ha scelto stavolta-
Morgan alzò gli occhi verso il suo vecchio amico e mentore. Doveva essere proprio disperato per ridursi a chiedere aiuto a lui. Abbassarsi a tanto doveva essere stata una bella pugnalata al suo orgoglio. Certo, non era giusto che si immischiasse nella vita sentimentale di Alex, non ora che, almeno in teoria, si stavano finalmente ricostruendo una vita. Lei e Morgan avevano passato degli anni meravigliosi insieme, ma non aveva più alcun diritto di far parte della sua esistenza.
O si sbagliava? Forse se avesse lottato di più, se avesse avuto una seconda opportunità...
No. Si maledì mentalmente per averci anche solo pensato. Era finita.
Lui non era più succube della sofferenza, e se Alex davvero voleva sposarsi lui non si sarebbe opposto, sarebbe stato solo felice per lei.
Morgan alzò gli occhi sul padre della sua ex in attesa di una risposta.
Voleva che le parlasse. Parlare non implicava necessariamente l'umiliazione, no?
Non doveva per forza scongiurarla in lacrime di tornare insieme a lui, non era obbligato a strisciare in ginocchio urlandole che non aveva mai smesso di amarla.
Poteva mentire, poteva porgerle le sue più liete felicitazioni di fronte alla benedetta unione del matrimonio. Poteva comportarsi da persona responsabile, volendo.
Forse finalmente avrebbero concluso anche quel paio di questioni irrisolte che ancora li tenevano legati. Forse sarebbe persino stato utile rivederla ora.
Sì, probabilmente era così.
Morgan si ripromise di parlarne al suo analista, poi si alzò di nuovo in piedi. Si sentiva indolenzito e imbarazzato.
Perchè diamine quando si parlava di Alex doveva essere sempre così debole? Sarebbe quasi stato meglio se Casey lo avesse torturato a morte.
-Okay, John. Le parlerò- decise in un impeto di coraggio -ma non ti assicuro niente. Se lei davvero vuole sposare questo tipo, non sono io a doverle far cambiare idea-
-Lo so. Ma sei la mia ultima possibilità. Mi rifiuto di diventare suocero di quel damerino che sembra uscito da un film inglese-
-Ehi! Dagli una chance! A me l'hai data e non ero tanto male, no?-
Casey gli rispose con uno sguardo disgustato.
-Oh, avanti! Lo so che ti piacevo! Almeno un pochino...?-
Nell'osservare il barbuto che sorrideva sperazoso, il generale alzò gli occhi al cielo rassegnato. Eh già, Morgan Grimes non cambiava davvero mai.
E anche se non l'avrebbe mai ammesso Casey lo sapeva. Non avrebbe mai potuto desiderare un ex genero migliore.

NOTE
In questo momento non dovrei assolutamente essere qui. Dovrei studiare per l'interrogazione di storia, oppure giacere moribonda in un letto. In ogni caso non dovrei essere a scrivere davanti ad un computer. Il fatto è che qualche giorno fa mi sono accorta di quelle due bellissime recensioni che aveva ricevuto il prologo. E subito dopo mi sono resa conto anche che ben cinque persone hanno inserito la storia fra le seguite, tre fra le preferite e una fra le ricordate.
E allora non ho potuto fare a meno di rianimarmi e rimettermi a scrivere come una dannata. Ho raccolto le molteplici note sul mio cellulare in cui avevo disseminato questo primo capitolo e le ho trascritte in ordine nel computer.
Le scuse per il ritardo colossale sono d'obbligo, ma gli impegni e il blocco dello scrittore hanno ordito una congiura contro di me in questo periodo. Mi riprometto di aggiornare presto (datemi una, al massimo due settimane) e vi avviso che se recensite ci metterò di meno a scrivere, perciò avanti, non siate timidi!
In questo capitolo, come avevo avvisato precedentemente, abbiamo molto Morgan, che sì, ha ancora l'intersect -ho deciso che non mi importa di ciò che accadrà nella quinta stagione, e mi dispiace per aver spoilerato tutti quelli che non avevano visto il finale della quarta-, e sì, non sta più con Alex, poi abbiamo un po' di Casey, addirittura generale, un po' meno burbero del solito, e con i capelli brizzolati! E poi abbiamo i miei piccoli Bartowski, Samantha è una rompiscatole, Peter è l'amore della mia vita, Chuck dovrà fare i conti con un po' di rimorsi per ciò che ha fatto nel prologo. Fatemi sapere che ne pensate. se c'è qualcosa che non quadra fatemelo notare che correggo e perdonatemi, sono febbricitante e confusa.
A presto (si spera più presto dell'ultima volta)
M.

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