Inside of me - The nest

di Ghirlanda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno: Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo due: Leira ***
Capitolo 3: *** Armadi e muco ***
Capitolo 4: *** Sisters ***
Capitolo 5: *** Le battaglie degli altri ***
Capitolo 6: *** Un sottobicchiere da pagare ***
Capitolo 7: *** Il Macellaio ***
Capitolo 8: *** Pittura e cucina ***
Capitolo 9: *** Colonne sonore ***
Capitolo 10: *** Ermenegilda dorme ***
Capitolo 11: *** Bagni e doppio caramello ***
Capitolo 12: *** Frullati nel retro e contadini ***
Capitolo 13: *** A word in your ear ***
Capitolo 14: *** Forse... ***
Capitolo 15: *** Macchinette e lampi di terrore ***
Capitolo 16: *** Orsacchiotto tenerone ***
Capitolo 17: *** Frullati (di nuovo) e sculacciate ***
Capitolo 18: *** In attesa... ***
Capitolo 19: *** Mimesi e freddo ***
Capitolo 20: *** Tre metri intorno al sasso ***
Capitolo 21: *** Tathiela ***
Capitolo 22: *** Una torre ***
Capitolo 23: *** La casa di Bobby ***
Capitolo 24: *** Stanchezza e mughetto ***
Capitolo 25: *** Colazione con Bobby (e con Leira) ***
Capitolo 26: *** Shopping ***
Capitolo 27: *** Frammenti di passato ***
Capitolo 28: *** Cotte (e crude) ***
Capitolo 29: *** Catalogare: che passione! ***
Capitolo 30: *** Rispettare le regole ***
Capitolo 31: *** Quid pro quo, Leira ***
Capitolo 32: *** Agente Black! Lei è un idiota! ***
Capitolo 33: *** Mangiabambini ***
Capitolo 34: *** Un caso per caso ***
Capitolo 35: *** La vera storia di Leira ***
Capitolo 36: *** La promessa ***
Capitolo 37: *** Problematiche... canine ***
Capitolo 38: *** Il nido ***
Capitolo 39: *** Una vita normale ***
Capitolo 40: *** Un caso da solo ***
Capitolo 41: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno: Prologo ***


Premetto che è la mia prima fanfic su Supernatural (almeno, pubblicata…) ma ho così tante idee che voglio arrivarci in fondo!
Chiunque avesse voglia di commentare… o anche solo di andare avanti è bene accetto! Sono gradite critiche e lodi, non mi faccio problemi!
Grazie a tutti!
 
(ps: RJ si legge àrgei, non erregéi! Poi (se andrete avanti con la lettura) capirete perché! Grazie mille!)
 
Ghirlanda!
 
 
LUI
 
I due ragazzi si chiusero la porta alle spalle. Avevano ancora impressa nella mente l’immagine della bara del padre che veniva calata sottoterra. Tuttavia questo non aveva impedito la loro discussione, in macchina.
-Non ci posso credere, Sam! Non dopo tutto quello che abbiamo passato! Non dopo quello che è successo!- Un ragazzo biondo si slacciò la cravatta nera sfilandosela, incapace di guardare il volto del fratello.
L’altro ragazzo, alto e castano, si tirò indietro i lunghi capelli, guardandolo storto.
-Mi dispiace, ma devi abituarti alla cosa. Non voglio lasciare la mia nuova vita. Voglio finire gli studi e diventare un avvocato.- L'altro lo afferrò per il collo della camicia.
-Nostro padre è morto, Sam. È morto per la causa. E tu... tu non vuoi onorare...?- Sam si divincolò, facendo un passo indietro.
-Non voglio onorare nulla. Non voglio più... avere a che fare con... certe cose.-
-Non puoi tirarti indietro! Non puoi far finta di non sapere nulla, non...-
-POSSO ECCOME. ED ORA... FUORI DA CASA MIA!- Il padrone di casa gesticolò indicando la porta d'ingresso all'altro. Il fratello lo guardò con un'espressione mista tra delusione e risentimento.
-Non avrei mai pensato che mi avresti abbandonato così.- L'altro fece un passo avanti e guardò il fratello dritto negli occhi.
-Io ti sto dando una scelta, Dean. Ti sto dicendo che non esiste solo la nostra stupida guerra, non esistono solo mostri, fantasmi ed altre creature di questo genere. Esistono anche gli umani, Dean. E noi, che tu ci creda o no, ne facciamo parte. E gli umani socializzano, si stabiliscono e mettono su
famiglia...- L’altro lo fulminò con lo sguardo.
-Sì, per poi vedersela portare via dal Poltergeist o dal mostro di turno. Fammi il piacere, Sam. Tu, più di chiunque altro, dovresti sapere che, anche se lo ignori, quello che c'è là fuori è pronto ad uscire dal buio e ad uccidere te o, peggio ancora, qualcuno che ami.-
-E la soluzione, ovviamente, è andarsela a cercare per primi!- Dean sgranò gli occhi verdi.
-Non ci posso credere. Davvero, non ci posso credere. tu... sei diventato un negatore.-
-Un... che cosa?-
-Un negatore! Tu neghi l'evidenza, neghi l'utilità dei cacciatori, neghi la possibilità che anche senza connessioni con le creature della notte esse possano entrare nella tua vita. Credi davvero in questo?!-
-Credo solo che andarsela a cercare non migliori le cose.- Dean abbassò le braccia poi se le strinse al petto, incrociandole di fronte a sé.
-Capisco. Io... sarà meglio che me ne vada, prima di dire cose di cui potrei pentirmi. Ci vediamo, Sam.- L'altro lo guardò, truce.
-Sinceramente... a meno che tu non voglia mettere la testa a posto... spero di no.- Dean ingoiò un boccone amaro, poi aprì la porta e si diresse a passo rapido verso la sua macchina.
Ormai era l'unica cosa che gli restava. Mise in moto, accendendo la radio ed inserendo un nastro degli AC/DC, poi partì a tutta velocità verso l'autostrada.
Sapeva di un caso di demone qualche contea più in là. Si sarebbe distratto combattendo e rischiando la vita.
Da solo.
  

Grazie a tutti di essere arrivati fin qui!
Un bacione!

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Capitolo 2
*** Capitolo due: Leira ***


LEI:
-Grazie! A domani!- Leira uscì dal locale a passo svelto. Quella sera aveva guadagnato 25 dollari di mancia, le era andata bene. Si strinse nella sua felpa grigia e si avviò a passo svelto verso casa.
Viveva da sola da quattro anni, ormai. All’inizio non era stato tutto rose e fiori. Dopo essere andata via ci aveva messo un bel po’ per mettersi in riga.
Tre anni nelle peggiori bettole della città, a nascondere nei posti più impensabili i soldi guadagnati a fatica… ma alla fine ce l’aveva fatta. Aveva messo abbastanza da parte per potersi permettere una piccola casa. Tre stanze. Cucina/salotto, bagno, camera. Non era enorme, un microscopico appartamento, ma le bastava. Il suo progetto di vita ora voleva includere un’altra persona, se ne avesse avuta l’occasione…
-Leira, vuoi che ti accompagni?- La ragazza si voltò.
Lui. Lui le veniva incontro, sorridendole.
Lavorava nel bar di RJ da molto tempo. Era stata uno dei primi lavori ed il meno squallido, tra tutti. aveva iniziato come cameriera, finendo poi per fare anche la barman. Senza l’aiuto di RJ il suo piccolo appartamento non sarebbe stato suo. Era stato proprio lui a trovarle l’affare e le aveva anticipato qualche paga così che lei potesse comprare il suo nido. Come lo chiamava Trisha.
-Stasera non puoi fare la strada con Trisha e queste strade non sono sicure…- Aggiunse il ragazzo.
RJ aveva ventisette anni, era un ragazzo affascinante, con lunghi capelli color del miele e due occhi ambrati che avevano sempre fatto dimenticare il dolore a Leira. Avrebbe potuto perdersi lì dentro e non poterne più uscire, ammaliata.
-RJ, non era il caso… grazie.- Aggiunse poi, per fargli capire che lo voleva con lei. Altrimenti avrebbe potuto prenderla sul serio e non accompagnarla più. RJ era fatto così: non voleva mai essere invadente, ma era pronto a dare una mano a tutti. Leira era cotta di lui dal primo istante in cui le aveva offerto un lavoro, cioè da quando l’aveva trovata davanti al suo bar che cercava di elemosinare qualche spicciolo per comprare un vestito decente per sostenere dei colloqui di lavoro.
-Figurati. Come sta, a proposito?- Leira sorrise.
-Trisha? Meglio. Le sue mani si sono sgonfiate, più o meno… il cortisone aiuta.-
-Dovrebbe farsi vedere da un medico specializzato… non può continuare a gonfiarsi e sgonfiarsi in questo modo.-
-Già, ma lo sai com’è fatta… comunque tra un paio di giorni dovrebbe riprendere. E poi, lo sai, coprire i suoi turni mi fa piacere.-
-Più soldi per allargare… il nido, vero?- Leira sospirò.
-I miei vicini vogliono trasferirsi in Florida, beati loro. Se riuscissi a mettere abbastanza soldi da parte… potrei comprare il loro appartamento. Ho chiesto in giro e mi hanno detto che per come è costruito il palazzo il muro divisorio si può buttare giù. Acquisirei altre quattro stanze e… sì, allargherei il nido.- RJ si fermò. Erano arrivati al portone.
-Sei sempre stata così… caparbia. Ho sempre ammirato il modo in cui tieni in mano la tua vita. Io ho ereditato il bar con la morte dei miei e lo mantengo, ma tu… tu sei partita dal niente ed ora… hai un tetto sopra la testa, un lavoro sicuro ed altri occasionali… ti ho sempre stimata molto.- Leira abbassò lo sguardo, arrossendo lievemente.
-Beh… faccio quello che posso… dopotutto è su questo che si basa l’America, no? Partire dal nulla per ricostruirsi una vita.- Tentò di sorridere, ma era troppo tesa.
-Leira, io…- RJ le carezzò dolcemente una guancia, poi fece un passo avanti. Lei lo guardò negli occhi, poi chiuse i suoi.
“Fallo! Avanti, ti prego, baciami… non aspetto altro… ti prego…” RJ si chinò su di lei e… le diede un bacio sulla fronte. Leira riaprì gli occhi, delusa. –Siamo arrivati. Ci vediamo domani, Leira.- Il ragazzo girò su se stesso, tornando verso il bar.
-G-grazie!- Disse lei. Poi diede una craniata contro il muro. Entrò nel portone, tirando un pugno contro la colonna di granito e saltellando sul posto, maledicendo la sua impulsività. Controllò che la mano non fosse rotta, poi aprì la porta di casa.
Casa dolce casa.
No?
 
 
Grazie a Ros per la recensione!
E grazie a chi ha letto fin qui! 

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Capitolo 3
*** Armadi e muco ***


Grazie a Ros per la recensione!
Presto avremo l’incontro dei protagonisti! Scusate ma ho fatto un pò di casini e invece che una fiction di Supernatural era diventata un'originale... Mio errore, Sorry!
 
Baci,
Ghirlanda
 
 
 
LUI:
-Che scatole… ora mi hai stancato. Fatti uccidere e basta, maledizione!- La bestia lo colpì violentemente. Dean finì di schiena contro un armadio, sfondandolo. -Credi che basti così poco?!- Gridò, rialzandosi. Afferrò l’elsa della spada più saldamente, poi la fece vorticare e tagliò di netto la testa del demone che stava inseguendo da tre giorni. Suo malgrado sorrise. –Visto? Te lo avevo detto.- Guardò il corpo peloso di quella bestia immobile a terra e sospirò. Poi guardò la parete di fronte a sé.
Una coppia di anziani ed una bambina lo osservavano a bocca aperta. Dean sospirò.
-Scusate per l’armadio…- Borbottò.
-Giovanotto, chi ti ha dato il permesso di entrare in casa nostra?!- Sbottò il vecchietto, andandogli incontro. –E di portare questo… cos’è, un orso?- Dean alzò gli occhi al cielo, poi annuì. –E di portare questo orso nella mia camera da letto e tagliargli la testa?- La vecchietta fece un passo avanti.
-Il mio letto!- Strillò, osservando il muco verde che ricopriva la coperta. –Cos’hai fatto al mio letto?!- Dean alzò le mani di fronte a sé, mentre i due vecchietti inferociti avanzavano, urlandogli contro.
-I-io… scusate…- Tentava Dean.
-IL MIO LETTO! BRUTTO RAGAZZACCIO…- Strillava lei, mentre suo marito la imitava:
-…IN CASA MIA E PRETENDERE CHE IO STIA ZITTO…-
-ADESSO BASTA!- Gridò la bambina, zittendoli tutti. si voltarono tutti a guardarla. –Quello… era un demone! E quella roba verde sul copriletto era una trappola per voi due, voleva uccidervi! Quel ragazzo vi ha salvato la vita!- Dean la osservò, alzando un sopracciglio.
Il realtà il demone voleva la bambina. Il muco serviva solo per bloccare i due vecchietti. Ma non osò contraddirla. Le sorrise, andandole incontro.
-Esatto! Grazie, tesoro!- Lei lo fulminò con lo sguardo.
-Non chiamarmi tesoro. E l’armadio lo dovrai pagare, i miei nonni non hanno tanti soldi.- Dean sospirò.
E dire che i bambini e gli anziani avrebbero dovuto essere dolci.
-Ma queste storie chi te le ha dette?- Tentò la nonnina, rivolta alla nipote. Lei sorrise. Dean si fece attento. In effetti faceva impressione che…
-L’ho visto in un film in tv, ieri da Jessica!- I due vecchietti si voltarono simultaneamente verso Dean.
-IL MIO LETTO!-
-LA MIA CASA!- Gridarono entrambi. Dean afferrò la spada e… scattò verso la finestra buttandosi fuori, correndo via nella notte.
Per quella sera ne aveva avuto abbastanza di mostri. 

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Capitolo 4
*** Sisters ***


Salve a tutti!
Ho visto qualche visita, ma pochi commenti…  ç_ç  Vi preeeeeeeego! Mi va bene anche se dite che vi fa schifo!!!
In ogni caso… Vi lascio a Leira…
Baci,
Ghirly
 
LEI:
-E lui ha fatto… cosa?!-
-Mi ha baciata sulla fronte.- Trisha saltò sul letto, stringendo la cornetta come ne andasse della propria vita.
-Ma stai scherzando?-
-No, sono serissima…-
-Ti ha dato un bacio sulla fronte? Uno stupido bacio sulla fronte?-
-Esatto…-
-Vuoi che vada lì con una lavagnetta e che gli faccia uno schemino? Magari si darà un po’ più da fare…- Leira scoppiò a ridere.
-No… grazie. So che ne saresti capace… ma in realtà… sono contenta. Questo gesto… beh, è stato un passo avanti.-
-Sì, certo. Se vuoi arrivare a settant’anni per perdere la verginità.-
-Trish!-
-Eddai, Leira. Non puoi aspettare una vita… non voglio che tu finisca come quella del tg…-
-Chi?-
-Non hai sentito? Hanno ucciso una ragazza in un vicolo. Giovane, carina e… single.-
-Ma è orribile! L’hanno preso?-
-No… ma gli hanno dato un nome carino, macellaio.-
-Macell…?-
-Sis, devi baciarlo tu, per prima. RJ, non il macellaio.-
-Che cosa?!-
-Non dico di saltargli addosso, anche se forse sarebbe la volta buona. Però… devi fare tu il primo passo. Quel ragazzo… ha paura di ferire una persona guardandola. Se non gli fai capire che vuoi le sue mani e le sue labbra su di te non partirà mai da lui. Stasera vengo al bar e… no, anzi. Non vengo. Copri il mio turno! Così ti accompagnerà di nuovo a casa. E, finalmente, arriverete almeno in prima base.- Leira scoppiò a ridere.
-E sia. Dici che… devo davvero…?-
-Non aspetta altro. Ah, e chiamami subito, dopo! Aspetta… a meno che non venga anche lui in casa. Allora aspetterò tutto il tempo che ci vorrà, prima di sentirti.- Entrambe sorrisero.
-D’accordo… allora ci sentiamo dopo il turno…-
-O dopo qualcos’altro. Vai, sis, e torna vittoriosa!- Leira rise, poi mise giù il telefono.
Trisha era la sua migliore amica. L’aveva conosciuta al bar di RJ, dove entrambe lavoravano. Trisha abitava ancora a casa dei suoi, o meglio, di sua madre, e non aveva mai avuto problemi di soldi. Tuttavia le due si erano trovate da subito per le loro personalità ed erano diventate molto confidenti. Da qualche tempo avevano iniziato a chiamarsi sister a vicenda, sorelle. Era così che si sentivano.
Leira sospirò, stesa a pancia in su sul proprio letto, poi prese un bel respiro e si alzò.
-Ok, andiamo a conquistare quel timidone.- Si incoraggiò. Poi afferrò la borsa ed uscì di casa, controllando come al solito che fosse tutto a posto.
Gas chiuso, panni stesi fuori, piatti lavati… tutto in ordine.
Nel caso RJ fosse entrato in casa… Si sentì un’idiota. Spense la luce ed uscì, chiudendo a chiave.
 
Ps: Grazie Ros!!! Trisha è una grande… poi vedrai che ci combinerà! Non è destinata a sparire, anzi…^^
  

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Capitolo 5
*** Le battaglie degli altri ***


Grazie millemila a Jersey per aver salvato la mia ficcina!!!
E grazie a Ros, assidua lettrice… un bacione!
Vi lascio al povero Dean, alle prese con guerre non sue.
Nel prossimo cap ci saranno un bel po’ di novità!
 
Baciozzi a tutti!
 
LUI:
Dean si diresse all’edicola più vicina comprando quanti più quotidiani poteva, poi raggiunse una tavola calda e si accomodò su uno dei divanetti, iniziando a scorrere le notizie.
-Cosa ti porto, caro?- Gli chiese una donna sui quarant’anni. Aveva lunghi capelli rossi raccolti in una coda ed il mascara sbavato sotto gli occhi.
Aveva pianto fino a poco prima.
-Io… ehm… va… tutto bene?- La donna annuì, cercando di sorridere.
-Preferisce qualcosa di salato o di dolce?- Dean la guardò, a disagio, poi osservò il menù.
-Direi… due doppi cheeseburger, una birra media e… la torta di mele è buona?- La donna gli fece l’occhiolino.
-L’ho fatta io con le mie mani.- Dean le sorrise.
-Allora vada per quella.- Lei si allontanò soddisfatta, mentre lui sospirava.
“Non posso salvarli tutti… e soprattutto non da solo. Devo contattare Bobby…” Andò avanti con la lettura dei giornali. C’erano solo tre articoli che sembravano interessanti. Quello che sembrava più urgente era a solo un’ora da lì. Sarebbe partito non appena avesse finito di mangiare.
Arrivò un tizio, porgendogli i cheeseburger, poi glieli lanciò addosso.
-Devi stare lontano da lei, chiaro? E’ la mia donna.- Il termine “mia” diede molto fastidio a Dean, ma lo ignorò, sorridendo placidamente.
-Mi scusi?-
-Sei forse sordo??? Ho detto che lei è la mia donna e che devi starle lontano! Mi ha detto che ci hai provato con lei!- Dean guardò alle spalle del tizio. La cameriera lo guardava con dispiacere, ma la cosa che gli faceva più male era la paura nei suoi occhi. Sospirò.
-Ehi, ehi, calma! Che potevo saperne? L’ho vista lì tutta sola e affascinante… non volevo rimanesse senza un cavaliere.- Lei sgranò gli occhi, ma il suo compagno non la vide, intento a fulminare Dean.
-Esci immediatamente da qui o ti spezzo le gambe.- Dean rifletté. Aveva due scelte: poteva uscire ed ignorarli, oppure poteva provocare quel tipo e fargli molto male, in modo tale che magari non picchiasse lei, cosa che sembrava abituato a fare. E lei a subire.
Stava per controbattere, quando la donna si frappose.
-Eddai, Carl, lascialo stare. Mi ha solo fatto un complimento. Non sei contento che il mondo apprezzi qualcosa di tuo?- Poi lo baciò, profondamente. Dean si alzò, afferrando i giornali.
-Io… tolgo il disturbo.- E se la filò. Non era quella la sua battaglia. E non era la prima volta che si trovava di fronte ad una situazione simile. Aveva provato a salvarla ma lei non aveva accettato il suo aiuto.
Cavoli suoi. 

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Capitolo 6
*** Un sottobicchiere da pagare ***


Arigrazie a Ros per la recensione!
Ok, capitolo con un po’ più d’azione, finalmente la nostra coprotagonista si butterà nella mischia (ma non quella che pensate voi… o sì?)!
Baci baci a tutti!
 
LEI:
Leira entrò al locale e vi trovò il finimondo. RJ le corse incontro.
-Leira! Per fortuna sei arrivata! Trisha?- Lei sospirò.
-Ha le mani ancora troppo gonfie… non viene.- RJ sospirò.
-Stasera siamo davvero messi male. Sei sola al bancone, Roxie ha la febbre… In più ci hanno mandato la metà dell’ordine e ci sono due compleanni uno di trenta e uno di ventun anni…-
-Il che vuol dire minorenni che si spacciano per non e ormoni alle stelle. Capisco. Mi cambio e inizio subito.- RJ le sorrise.
-Sapevo di poter contare su di te, grazie!- Le diede un rapido bacio su una guancia e Leira arrossì, poi corse nello stanzino per indossare la divisa ed iniziare a lavorare.
Verso mezzanotte e mezzo gli animi si accesero. I maschi del tavolo dei trenta puntavano alle ragazzine del tavolo dei venti e le sprovvedute li aizzavano con gesti osé e moine da sciacquette. Persino quelle che non avevano bevuto si comportavano in quel modo.
Leira alzò gli occhi al cielo, osservando il resto della clientela infastidita dal baccano. Sperava che non accadesse di nuovo…
E invece successe, proprio mentre RJ era andato a buttare la spazzatura ed i bodyguard erano fuori per sedare una rissa.
-Ehi tu! Smettila di guardare la mia ragazza!- Sbottò uno dei ragazzi dei venti ad uno dell’altro. Quello si alzò in piedi, o almeno, ci provò, cadendo rovinosamente a terra per l’alcool che aveva in circolo. Il tavolo dei più piccoli scoppiò in una risata fragorosa, il che non andò giù agli altri.
Ed ecco la rissa che iniziava. Un gran vociare cui sarebbe seguita una serie di spintoni e poi… le mani.
Leira saltò agilmente il bancone e si frappose tra i più focosi, sperando che, facendo calmare loro, gli altri li avrebbero imitati.
-Adesso basta! State oltrepassando il limite!- Gridò, cercando di superare il volume di tutti quanti. Poi si buttò direttamente tra i due che avevano già iniziato a prendersi a spintoni, separandoli.
L’uomo più grande tra i due litiganti le sorrise.
-Vuoi un pò di attenzioni anche tu?- Gongolò. Le guance di Leira si tinsero di rosso.
-No, voglio che la facciate finita! Sono ragazzini, non dovete…- Il ragazzo dietro di lei la spintonò in avanti.
-A chi hai dato dei ragazzini, puttana?- Gridò. Leira finì tra le braccia del maggiore, che sorrise, stringendola a sé da dietro.
-Mmm… che buon profumo, hai…- Leira si divincolò inutilmente, poi una mano si posò sulla spalla dell’uomo.
-Io credo che tu debba piantarla, adesso.- Disse una voce. Leira si voltò.
Un ragazzo biondo stava stringendo la spalla dello sconosciuto che la tratteneva. Dalla faccia dell’ubriaco capì che non stava stringendo con delicatezza. –Mi hai sentito?- L’uomo la lasciò andare. In quel momento i due bodyguard entrarono nel locale e si diressero subito verso di loro. Il ragazzo lasciò andare la spalla dell’altro, poi si fece da parte, mentre le due montagne che Leira amava vedere dentro il locale in situazioni come quella intervenivano a finire di raffreddare gli spiriti.
La ragazza tornò dietro al bancone con un lungo sospiro di sollievo, poi riprese a lavorare.
Qualche minuto più tardi rivide il ragazzo biondo seduto di fronte a lei che mangiava noccioline. Sorrise, poi afferrò una birra rossa doppio malto, la stappò e gliela porse.
-Quelle stanno molto meglio accompagnate da una di queste.- Disse, riferendosi alle noccioline e alla birra. Il ragazzo alzò lo sguardo e le sorrise. –Per stasera offro io. Grazie per prima…- Aggiunse Leira, tornando a lucidare un bicchiere con lo straccio.
-Come sapevi che bevo questa birra?- Le chiese.
-Mi dicono che sono brava ad ordinare per gli altri. Mi sei sembrato un tipo da doppio malto.-
-Ed è un male?- Domandò lui. Leira lo guardò negli occhi. Erano verdi e stupendi. Tutto sommato era un bel ragazzo, ma lei non era tipa da provarci con nessuno, neanche con il ragazzo che adorava da anni. Alzò le spalle.
-Non saprei.- Poi si mosse verso l’altro lato del bancone, per far pagare il gruppo dei ventenni.
-LEIRA! Stai bene?- Le chiese RJ raggiungendola in quel momento. –I ragazzi mi hanno detto che…-
-Tranquillo.- Sorrise lei. –Sto bene. Non è successo niente. Sono intervenuti in tempo.- RJ annuì, poi tornò a pulire i tavoli vuoti.
Quando tornò a sistemare i bicchieri il ragazzo era sparito. Osservò il bancone ed afferrò il sottobottiglia che era sottosopra. Era sicura di averlo messo dritto.
“Grazie della birra.
Dean.”
Leira osservò per qualche secondo il sottobottiglia, sorpresa, poi in un impeto di rabbia lo lanciò nella spazzatura.
Le aveva rovinato un sottobicchiere! RJ se la sarebbe presa con lei! Tornò a lavorare infuriata.
Solo a fine serata e dopo essersi cambiata lo riprese e lo osservò attentamente, salutando distrattamente i bodyguard che se ne andavano.
Aveva una bella grafia, quel Dean, se si chiamava davvero così, poi…
-Stanca?- Le chiese RJ, asciugandosi le mani con uno straccio. Leira sospirò.
-Un po’, ma la serata è andata bene. Abbiamo fatto un bell’incasso.- RJ la guardò dritta negli occhi e la afferrò dolcemente per le spalle.
-Leira… quando mi hanno detto che qualcuno ti ha messo le mani addosso, io…- Lei lo guardò, sorpresa.
-Non mi hanno fatto nulla, RJ! Io sto bene!- Lui la scosse, un po’ meno dolcemente. Le sue gote avevano assunto una tonalità rossa che leira non aveva mai visto prima.
-LEIRA! Io non posso… non posso sopportare che tu ti faccia male, io…- La guardò negli occhi, poi la avvicinò rapidamente a sé, baciandola prima con decisione e poi sempre più delicatamente sulle labbra, fino a separarsi da lei.
Fece un passo indietro, aprendo la bocca, sconvolto.
-M-mio… mio Dio… Leira… ti prego di scusarmi…- Fece per correre via ma la ragazza lo afferrò per il polso, impedendoglielo.
-RJ, aspetta!- Gli disse. Lui si voltò, tenendo lo sguardo basso. –Non devi… non devi scusarti di nulla… io… è da tanto che… aspettavo che tu lo facessi…- RJ alzò il volto e incontrò gli occhi di lei.
-T-tu…?-
-Sì, da molto tempo. Ma avevo paura a dirtelo…- Lo abbracciò di slancio. –Sono stata una stupida!- Il ragazzo ricambiò l’abbraccio, come se avesse paura che lei se ne andasse per sempre.
-Leira… Leira…- Cantilenò.
La ragazza si sentiva al settimo cielo.
Finalmente ce l’aveva fatta! Glielo aveva confessato! E lui l’aveva baciata!
Doveva proprio chiamare Trisha…
-Capo, scusa… il netturbino vuole parlarti di qualcosa… scusate l’interruzione.- Disse Darius, uno dei due bodyguard. Leira gli sorrise.
-Tranquillo… io… vado un attimo fuori a fare una telefonata…- Si allontanò a malavoglia da RJ, che seguì l’altro nel vicolo sul retro, mentre Leira uscì dalla porta anteriore. Compose a memoria il numero di Trisha, poi attese due squilli, finchè l’altra non rispose.
-Vi siete baciati?- Disse subito. Leira scoppiò a ridere.
-Eri nascosta nella cassa?-
-No, ma certe cose un’amica se le sente. E com’è stato?! E lui che ha detto? Raccontami tutto! Ma sei già a casa? Sua o tua? Cosa…?-
-Se mi dai il tempo di rispondere almeno ad una delle domande…-
-Scusascusascusa… ma non vedevo l’ora che accadesse…-
-A chi lo dici… comunque sono ancora al locale e lui dovrebbe raggiungermi da un momento all’altro per accompagnarmi a casa.-
-EVVAI! Fallo salire, ovviamente!-
-Certo! Però… sai, lui è uno che le cose le fa con calma…-
-Anche troppo…-
-Già, comunque…- Leira si interruppe, sgranando gli occhi. Sentì degli strani suoni provenire dal vicolo accanto, quello in cui non passava mai perché le metteva i brividi.
-Sis?-
-Ora devo andare, ma appena possibile ti richiamo. Ho sentito qualcosa…-
-E la cosa più ovvia è andarci incontro, vero? Potrebbe essere il Macellaio! Rientra immediatamente nel locale!-
-Tranquilla, sis… a dopo.-
-Uff… ok.- Leira buttò giù, infilando il cellulare in tasca, poi si avvicinò lentamente alla fonte dei suoni. 

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Capitolo 7
*** Il Macellaio ***


Grazie a tutti per le recensioni!!!
Scusate la fretta ma sono iper di corsa!
Baci baci!
 
LUI:
Dean rimase deluso nel vedere la barista carina buttare via il suo sottobottiglia, ma alzò le spalle. Il mare era pieno di pesci. E poi… sembrava avesse un intrallazzo col capo della baracca… ci aveva perso lei, comunque.
Uscì dal locale e respirò l’aria fresca della notte. Forse la soffiata di Bobby si era rivelata una falsa pista. Il Macellaio poteva anche essere un semplice serial killer. Pericoloso ma non rientrava nel suo lavoro. E poi quella città aveva decine di locali notturni pieni di ormoni impazziti. Però pensava di andare sul sicuro con quei due compleanni pieni di giovani arrapati…
-Grrr…- E forse ci aveva imbroccato.
Sentì uno strillo da lì accanto e riconobbe la ragazzetta che aveva provocato la lite tempo prima. Alzò gli occhi al cielo, poi corse in quella direzione.
Un demone degli unicorni.
Santo cielo, ne aveva solo sentito parlare… Puntavano alle giovani, le uccidevano portando via quanti più organi possibile per attirare gli unicorni, i quali, si diceva, adoravano le vergini. Peccato che a quei simpaticoni nessuno avesse mai detto la verità…
-Ehi, tu!- Tentò Dean, per attirare la sua attenzione. Il demone distolse lo sguardo dalla ragazzina, sbuffando. –Non te lo ha mai detto nessuno che gli unicorni non esistono più? Sono estinti da secoli…- Il demone bofonchiò qualcosa di incomprensibile, che Dean interpretò come: “Esistono eccome, ma nessuno ha mai offerto abbastanza organi di vergine per attirarne e catturarne uno!”
-Fidati, ti dico che non ce ne sono più. E tra poco li raggiungerai.- Dean impugnò il coltello che aveva nascosto nella cintura. Gli avevano detto che aveva il potere di uccidere ogni essere vivente semplicemente con un affondo.
E, evidentemente, qualcuno lo aveva detto anche al bestione, perché sgranò gli occhi neri e poi scappò via rapidamente.
Dean fece per seguirlo, ma poi sentì singhiozzare, dall’angolo del muro.
Cosa avrebbe dovuto fare? Quel coso era fottutamente veloce e la ragazza sola e spaventata…
Ovviamente le si avvicinò. –Stia bene? Abiti qua vicino?- Lei annuì. Il ragazzo le porse un braccio per farla alzare. –Andiamo, ti accompagno a casa.- Lei lo ringraziò. Il trucco le colava sulle guance facendola sembrare una di quelle ragazze dark che si truccano troppo pesantemente.
Quando la affidò alle braccia del padre, che lo guardò malissimo, decise di tornare verso il locale, per evitare fraintendimenti. Il Macellaio doveva essere ancora in giro, non aveva avuto il suo quotidiano spargimento di sangue ed urla, e la sua unica pista era quella, purtroppo.
Quando raggiunse la via sgranò gli occhi.
“Recidivo, l’amico…” Pensò. “E anche stupido.” Era appostato in una rientranza del muro, ma le lunghe e pelose braccia spuntavano per mezzo metro buono.
Il passo di Dean si fece silenzioso, mentre afferrava di nuovo il pugnale e si avvicinava alla bestia.
Poi accadde qualcosa che non aveva previsto.
La cameriera carina uscì da sola dal portone e tirò fuori un cellulare, componendo un numero. La bestia fece schioccare la lingua, poi scattò in avanti, verso di lei. Dean lo braccò prima che riuscisse ad entrare nel raggio visivo di lei, trascinandolo nel vicolo buio lì accanto. Non voleva dover accompagnare a casa un’altra donzella spaurita. Nel trambusto la bestia gli fece volare via il pugnale dalla mano, così che il ragazzo si trovò a doverlo affrontare a mani nude.
-Maledetto bestione, fatti uccidere, così posso andare a farmi un panino!- Sbottò Dean.
Ma quello non demordeva.
Unghiate, calci, pugni… sembrava che la lotta fosse pari.
Se non fosse per la stazza del nemico.
-Lo sapevo che avevo bisogno di Sam…- Commentò Dean, sferrando l’ennesimo calcio, cercando di raggiungere il pugnale. Quando si voltò per vedere dove fosse finito si trovò di fronte la cameriera che lo fissava, a bocca aperta. –Ehm…- Commentò Dean. –Se trovi il mio pugnale… potresti passarmelo?- La bestia gli tirò un perfetto pugno alla mandibola, la quale fece un brutto crack, poi Dean cadde a terra. Vide la ragazza cercare il pugnale, poi la bestia annusare l’aria, voltarsi verso di lei e correre nella sua direzione.
Si alzò, ma troppo lentamente, lui l’avrebbe raggiunta in pochi istanti.
Lei si fece indietro, poi sgranò gli occhi. Alla fioca luce del lampione Dean li vide mutare e diventare viola. Totalmente viola. Cornee compresa. Spiccò un salto di un paio di metri, “atterrando” sulla schiena della bestia e girandosi abilmente, poi gli afferrò il testone blaterante e gli spezzò l’osso del collo. Il demone cadde a terra con un tonfo, mentre lei fece un semplice balzo, atterrando in piedi e spolverandosi le mani. Dean continuava a guardarla a bocca aperta. Lei si diresse verso il pugnale e glielo porse, prendendolo dalla lama, poi lo guardò dritto negli occhi.
-Ora vattene e lasciala in pace.-Gli disse, prima di accasciarsi al suolo. Dean la osservò, ancora frastornato, mentre riprendeva conoscenza da sola.
-Mmm…- Si lamentò, tenendosi la testa. –Mi sa che non è la mia serata fortunata…- Poi guardò Dean. –O forse sì. Mi hai salvato per la seconda volta.- Gli sorrise, riconoscente. Lui fece un passo indietro.
-V-veramente…-
-Che sta succedendo là? Leira?- Chiese la voce di RJ da dietro l’angolo. Dean la guardò, poi fece l’unica cosa che poteva fare… la colpì al collo e se la caricò in spalla, iniziando a correre verso la macchina. Un demone poteva affrontarlo, ma lui ed i suoi amichetti erano un po’ troppo per lui. Avrebbe esorcizzato lei, poi sarebbe tornato per gli altri.
Un bar gestito dai demoni? E poi… demoni dagli occhi viola?
Troppe domande, poco tempo.
Ora doveva pensare a correre.
 
-Bobby, sono io…-
-Dean? Ma lo sai che ore sono???- Sbottò l’altro, controllando la sveglia sul proprio comodino.
-Il male non dorme mai, giusto?- Bobby si mise seduto all’istante, stringendo maggiormente il cellulare all’orecchio.
-Che è successo?- Dean prese un respiro profondo, poi gli spiegò per filo e per segno cos’era avvenuto.
-Viola? Ma ne sei sicuro?-
-Al cento per cento. Bobby… io non mi considero un esperto di possessioni, ma… non avrebbero dovuto diventare neri?-
-Avrebbero dovuto. A meno che… Dean, prova farle ingurgitare del sale, ma se non funziona…-
-Cosa vuoi dire con “se non funziona”? E’ posseduta, no?-
-Tu prova. Ma se non riesci… non tentare il rituale per nessun motivo. Legala stretta e portala qui, di filato.-
-Ma ho altri due casi che…-
-Chiameremo qualcun altro.-
-Ma mi sono di strada! E poi… Bobby, cosa mi nascondi?-
-Devo… fare delle ricerche. Però… non chiamarmi più per parlarne. Portala solo qui. E… Dean… tienila sott’occhio.-
-Credi che sia così pericolosa?-
-Non è lei, quella pericolosa. Cerca di muoverti.- Poi Bobby buttò giù, e Dean sospirò.
-Io li odio quelli che fanno i misteriosi. Vediamo… un magazzino abbandonato… sulla sessantesima, perfetto. Vediamo se riesco a far bere un po’ di sale alla bestia, stasera. Così chiamo Bobby e lo insulto per bene.-
Raggiunse il luogo e scaricò la ragazza, poi la portò dentro, legandola ad una sedia. Disegnò il cerchio di contenimento, poi aspettò che riprendesse conoscenza.
 

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Capitolo 8
*** Pittura e cucina ***


Oggi ho meno fretta, per fortuna…
Finalmente abbiamo visto la nostra piccola Leira in una nuova luce… Dean è convinto che lei sia un demone, ma la strada per capire cos’è successo davvero è ancora lunga per i nostri eroi! Moooolto lunga…
Un bacio a tutti i lettori!
Ghirly
 
LEI:
Leira aprì gli occhi a fatica. Il collo le faceva male da morire e sentiva la testa particolarmente confusa. Prima il ragazzo misterioso l’aveva salvata da una strana cosa e poi… l’aveva colpita e portata in…
-Un magazzino?- Chiese, confusa.
-Ce ne hai messo di tempo, bellezza.- Sbottò Dean.
-Potresti spiegarmi? Sei schizofrenico, per caso? Prima mi salvi, poi mi rapisci…? Guarda che non ho abbastanza soldi per pagare un riscatto…- Si guardò intorno, alla ricerca di qualcosa che la tenesse prigioniera, ma inspiegabilmente aveva le mani libere e, a parte un cerchio di sale ed un intricato disegno sul pavimento, nulla la separava dalla porta. Si sedette, cauta.  –Ti sei dato alla cucina e alla pittura assieme?- Gli chiese. Se non fosse stato per la situazione Dean sarebbe scoppiato a ridere.
-Sarei io quello schizofrenico? Prima ammazzi una bestia di un quintale e poi mi ringrazi di averti salvata…- Leira sgranò gli occhi.
-Cos’avrei fatto, scusa?-
-Non sono un novellino, conosco i vostri trucchetti mentali.- Leira iniziò a sentirsi meno spavalda e più spaventata. Soprattutto dal pugnale che il ragazzo impugnava.
-I nostri cosa? Mi dai del voi adesso? Questo gioco non è più divertente. Che diavolo vuoi farmi?- Dean rise, amaramente.
-Diavolo… che parola interessante… Facciamo un giochino…- Le lanciò un sacchetto di sale. –Tu ingoia questo senza sputare fumo nero ed ti faccio uscire di qui sana e salva.- Leira lo guardò, poi annusò il contenuto del sacchetto. Sembrava semplice sale da cucina.
-Che razza di droga è?-
-Simpatica… davvero. Ma sai benissimo di cosa si tratta.- Leira lo guardò, alzandosi in piedi.
-Probabilmente mi hai scambiata per qualcun altro, ma comunque… questo… è sale?-
-Puro e semplice.- Dean ghignò, ma pensò che fosse la migliore attrice che aveva mai visto in vita sua.
-Uff… vabbè.- La ragazza ne afferrò un pugno, poi se lo buttò in gola. Gli occhi le divennero immediatamente rossi e tossicchiò. Dean le lanciò una bottiglietta d’acqua che lei bevve riuscendo a non soffocare ed a riprendersi.
-M-ma… quella era… acqua santa…- Leira lo guardò, cercando di riprendere a respirare normalmente.
-Che c’è? Vuoi che te la ripaghi? Ora… onora il patto e fammi uscire di qua.- Dean boccheggiò nuovamente, poi le fece cenno di uscire pure. Se fosse anche uscita dal cerchio avrebbe voluto dire che non era… -Ehi! Che scherzi sono questi?!- Sbottò lei, colpendo con i pugni una parete trasparente.
Dean fece di nuovo un passo indietro, grattandosi la nuca, confuso.
Sale ed acqua santa no, ma il cerchio sì.
Che cavolo…? –Cos’è? Candid Camera?! Dovrebbe far ridere questa cosa?! Non è divertente! Fammi uscire!- Il ragazzo soppesò attentamente le parole da dire.
-Ehm… qual è il tuo nome?- Lei lo fulminò con lo sguardo.
-Ermenegilda. Ed il tuo?- Lui era talmente sorpreso da non notare il sarcasmo.
-Dean. Te l’ho scritto prima… prima di tutto. Comunque… Ermenegilda, si dà il caso che tu sia una ragazza umana…- Lei alzò gli occhi al cielo.
-Ma dai.-
-…posseduta da un demone che… che non so come, è immune a tutti i classici metodi per farlo manifestare.-
-Io sono… posseduta.- Ripeté lei. Lui annuì, con aria seria.
-Purtroppo al momento non posso lasciarti andare. Hai una forza tale da poter uccidere gli altri con facilità… devo… devo portarti da un mio amico che…- Leira scoppiò a ridere, interrompendolo.
-P-posseduta! Ahahahah!- Balbettò, tra le risate. Dean arrossì per la rabbia.
-Stammi a sentire! È una faccenda seria! Il mio amico sostiene che tu possa essere in pericolo, anche se io credo sia il contrario… in ogni caso devo portarti da lui.- Leira smise di ridere.
-Tu… tu… mi hai mentito! Avevamo un patto!-
-M-mi dispiace, ma… non ti farò del male, se farai la brava…-
-Lo dici a tutte le ragazze che rapisci?!- Sbottò lei. Mentalmente Dean le diede ragione. –Sai cosa credo?!- Continuò lei. –Credo che tu sia il Macellaio e che tu mi voglia uccidere, ma non ti sarà così facile…-
-Il Macellaio è morto, Ermenegilda. E sei stata tu ad ucciderlo.- La ragazza ricominciò a prendere a pugni le barriere invisibili.
-FAMMI TORNARE A CASA!- Gridò, furiosa. Lui sospirò.
-Credimi, lo vorrei, ma…- Si interruppe, sentendo un rumore.
-C-cos’era quel rumore?- Balbettò lei, smettendo di prendere a pugni la sua prigione.
-Non lo so. Ma temo che… siano i veri cattivi. Devo farti uscire da qui e dobbiamo andarcene.-
-No, tu devi andartene. Io devo tornare al locale e godermi finalmente la mia storia con il mio capo. Poco etico, molto pratico.- Dean la guardò, poi avvicinò la mano a quelle di lei, poggiate nel vuoto ed attraversò la barriera che lei non poteva oltrepassare.
-Mi dispiace. Ma se la metti così… indossa questa.- Le disse, porgendole delle manette. Ad un capo era già legata la sua mano. Lei gli tirò uno schiaffo, dato che ora aveva a portata di mano la sua guancia.
-Pervertito!- Poi lo osservò, immobilizzandosi. -Perché tu riesci… riesci ad entrare e io non posso uscire???- Rantolò, con un filo di voce. Iniziava a temere che il ragazzo non stesse dicendo solo menzogne. Sentirono delle urla, poi passi in rapido avvicinamento.
-Ti spiegherò tutto a tempo debito, ora… metti queste e… fidati di me, ti prego.- Lei afferrò la manetta libera e la infilò.
-Ok, ok. Ora che si fa?- Dean scalciò a terra, rompendo il cerchio e cancellando i segni freschi del sigillo.
-Si corre!- La afferrò per il braccio che avevano unito ed iniziarono a scappare dal lato opposto da quello da cui provenivano i passi.
-Stanno scappando!- Gridò qualcuno. –Prendete la ragazza, la voglio viva! Lui potete ucciderlo!-
-Eccheculo.- Commentò Dean, continuando ad avanzare. Lei era veloce, ma i loro inseguitori erano più allenati. Stavano recuperando terreno. –Appena te lo dico inchioda e appiattisciti contro il muro, trattenendo il respiro.- Le sussurrò, il più piano possibile.
-O-ok.-
-Ora!- La loro corsa si arrestò in un punto abbastanza buio perché gli inseguitori passassero oltre e non li notassero. Rimasero immobili per qualche secondo, poi iniziarono a correre da dove erano entrati. Magari dall’altra parte poteva esserci una seconda uscita, ma Dean non se la sentì di rischiare.
Raggiunsero la macchina camminando il più velocemente ma silenziosamente possibile, poi Dean aprì le manette, fissò il polso della ragazza al cruscotto alla bell’e meglio e partì verso casa di Bobby.
  

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Capitolo 9
*** Colonne sonore ***


Inizia qui il lungo viaggio dei nostri amici per raggiungere il caro vecchio Bobby!!!
Buona lettura a tutti!
 
LUI:
Il silenzio in macchina era una delle cose che Dean odiava di più dei viaggi. Un paio di volte aveva avuto la tentazione di accendere lo stereo, ma aveva paura della reazione di lei. Magari c’era qualcosa, qualche parola, che faceva uscire il demone dentro di lei. Ed un paio di manette non le avrebbero fatto un baffo.
La sentiva alternare momenti di puro silenzio e calma a momenti di rabbia feroce.
Videro l’alba, poi l’aria iniziò a farsi più calda.
Dean notò una stazione di servizio e decise di parlare.
-Devo… fare benzina. Tu devi rimanere in macchina… sei più al sicuro.- Lei non lo guardò nemmeno. –Quei tizi… non ti troveranno, ok? Ti porterò da qualcuno che ti potrà aiutare.-
-Non scapperò.- Sbottò lei, guardandosi le ginocchia.
-O-ok… vuoi… vuoi qualcosa da mangiare?- Tentò Dean.
-Nachos al formaggio. E un pacchetto di gomme. Ed un frullato al cioccolato.- L’altro annuì, sorpreso.
Quando tornò alla macchina la trovò nella stessa posizione di prima, che continuava a guardarsi le ginocchia. Chissà cosa c’era di interessante lì sopra…
Le porse quello che gli aveva chiesto, poi mise in moto.
-T-ti spiace se… metto un po’ di musica?-
-La macchina è tua.- Commentò lei, aprendo il pacchetto. Un buon profumino si diffuse per l’abitacolo. Dean si diede mentalmente dello stupido. Era stato talmente occupato a controllare che lei non scappasse o chiedesse aiuto che non aveva preso nulla per sé. Leira sentì distintamente il suo stomaco brontolare. Senza dire nulla gli porse il pacchetto. Dean le sorrise, poi prese un pugno di Nachos, buttandoseli in bocca e masticando sonoramente. Per la prima volta da quando erano partiti lei lo guardò. Aveva una strana espressione.
-He c’hè?- Chiese lui, con la bocca piena.
-Nulla. Avevo capito che volevi mettere della musica.- Dean annuì, soddisfatto, poi accese la radio. Leira sgranò gli occhi.
-Van Hallen…- Commentò. Dean sorrise, continuando a guardare la strada.
-Gli unici ed i soli.-
-Questa è Runnin With the Devil! Sei uno dei puritan convinti che la band si sia sciolta con l’addio di David?- Dean rimase sorpreso.
-S-sì…-
-Concordo appieno. Non dico che gli altri album siano da buttare, però...-
-Come David nessuno mai…-
-Ssssssssht!- Lo zittì lei. –Adoro questo pezzo!- Poi iniziò a canticchiare:
-“I found the simple life ain't so simple
When I jumped out, on that road
I got no love, no love you'd call real
Ain't got nobody, waitin' at home…”
-
(Ho scoperto che la semplice vita non è così semplice,
quando sono saltato su quella strada
non ho avuto amore, nessun amore che tu possa chiamare reale
non c’è nessuno che mi aspetta, a casa)
Dean sorrise.
Che strana ragazza…
Poi la musica continuò e Leira riprese a parlare. –E’ come se i Queen avessero cambiato frontman, non sarebbero mai più stati gli stessi.- Dean si grattò la nuca.
-Io non ascolto i Queen. Li trovo… inquietanti.- Leira si voltò a guardarlo, con espressione neutra. Poi tornò ad abbracciarsi le ginocchia, commentando un semplice:
-Te pareva.- Non aggiunse altro, e Dean non chiese.
Gli dispiaceva.
Finalmente avevano trovato qualcosa di cui parlare, e invece…
Beh, almeno aveva la musica.
  

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Capitolo 10
*** Ermenegilda dorme ***


Di litigio in litigio i nostri eroi proseguono per la loro strada…
 
LEI:
Quell’idiota carino non poteva che essere ignorante, in fatto di musica.
Sarebbe stato troppo bello…
Li aveva definiti inquietanti…
Mmmm… che rabbia.
Dato che l’opportunità di parlare era sfumata e che aveva passato la notte in bianco decise di dormire un po’. In realtà non si fidava molto, dopotutto era in macchina di uno sconosciuto, verso casa di uno sconosciuto, con degli inseguitori sconosciuti alle costole… ma sembrava che Dean volesse arrivare dal suo amico il prima possibile, cosa che lo costringeva a guidare. E, data la fame che Leira aveva, avrebbe potuto solo dormire per ricaricarsi prima che succedesse qualcosa di brutto. O prima che arrivassero a destinazione.
Constatò che la cintura fosse al suo posto, poi sorrise senza farsi vedere.
Era tanto che non saliva su una macchina… erano anni, ormai. Per fortuna abitava vicino ai suoi lavori e non le era mai…
-La signora Mayers!- Esclamò all’improvviso. Dean sbandò per la sorpresa.
-Cosa?-
-Ti prego, devo fare una telefonata. Ci vorrà solo un minuto…-
-Non se ne parla.-
-Non cercherò aiuto! Ma dovevo andare da…- Leira sbuffò, capendo che era inutile. –Vabbè, niente... Cafone.- Poi si voltò, guardando dal finestrino. Dean si infuriò.
-Scusami tanto se cerco di salvarti la vita!- Leira si voltò di scatto, fulminandolo con un’occhiataccia.
-Volevo solo chiamare la signora da cui devo andare a lavorare per avvertirla che…-
-Chiunque ti stia cercando si informerà su di te. Sapranno già tutto! E terranno sotto controllo il telefono di tutti quelli che conosci, in attesa di un modo per rintracciarti!- Leira rimase senza parole.
Potevano arrivare a tanto?
-M-ma perché mi vogliono…?- Dean sospirò.
-Stiamo andando a scoprirlo. Ma fino a quel momento Ermio… Ermann… ehm… Com’era?- Leira alzò un sopracciglio.
-Ermenegilda?-
-Sì! Scusami, è solo che…-
-Eri troppo occupato per registrare il nome della ragazza che stavi rapendo. Capisco.- Si voltò nuovamente, stavolta senza più considerarlo. In parte perché non sopportava più la sua presenza, in parte perché sarebbe scoppiata a ridere per la storia del nome fasullo.
Poggiò la guancia sulla cintura. il punto più alto era all’ombra e non le toccava la spalla.
Era fresco.
Rabbrividì, provando il desiderio di piangere.
Quello era un ricordo doloroso, che avrebbe portato altri ricordi dolorosi.
E non era il momento giusto per tirare fuori certe cose.
Prese un bel respiro tentando di svuotare la mente.
Ci riuscì.
  

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Capitolo 11
*** Bagni e doppio caramello ***


ERMENEGILDA FOREVER!!!
Grazie delle recensioni!!! Scusate la fretta ma c'è un terribile ragno grosso quanto una mano che mi minaccia e mio fratello sta facendo la guardia che non mi arrivi alle spalle!!!
Baciozzi!
 
LUI:
Dean avrebbe voluto fermare la macchina e poi afferrare Ermenegilda per le spalle e scuoterla fino a farla rinsavire.
Una telefonata!
E poi… aveva ben poco da arrabbiarsi, il suo nome era impronunciabile…
Troppo impronunciabile.
Ricordò cos’era successo al bar, quando il capo di lei era comparso all’improvviso.
L’aveva chiamata in un modo diverso… ma com’era…? Eppure i nomi delle ragazze carine li registrava abbastanza bene…
Leira!
Ecco come si chiamava. Sghignazzò, poi si voltò verso di lei, pronto ad esordire con una battutaccia… ma notò che stava dormendo.
Tutta la sua baldanza si sgonfiò come un palloncino.
Sospirò.
Era quasi ora di pranzo, presto avrebbe dovuto fermarsi da qualche parte per rifare il pieno e per comprare qualcosa di pratico e rapido da mangiare.
 
Quando si fermarono nell’aria di servizio Dean aspettò che la ragazza facesse mente locale e tornasse lucida.
-Siamo arrivati?- Tentò lei.
-No, mi spiace. Ma è ora di pranzo ed ho una fame da lupi.-
-I-io… dovrei anche andare in bagno…- Fece notare lei. Dean sospirò. Si sentiva un’idiota.
-Scusami… hai ragione. Andiamo.- Scese dall’auto e le slegò il polso, lasciando le manette fissate all’auto. Si diressero verso la toilette, Dean la seguiva senza un fiato.
Quando arrivarono di fronte alla porta del bagno delle donne Leira entrò e Dean la seguì.
-Non puoi entrare qui!- Gli sussurrò lei, guardando le facce sconvolte attorno a loro.
-Non moriranno.- Sbottò lui. Una vecchietta gli urlò:
-Pervertito!-
-Però muoviti.- Aggiunse Dean. Leira alzò gli occhi al cielo, poi si chiuse in uno degli abitacoli. Niente finestre.
Sbuffò.
Ne uscì poco dopo e si diresse verso i lavandini, dandosi una sciacquata rapida.
-Finito?- Scalpitò lui.
-Sì…- Ora si sentiva decisamente meglio. E pronta.
Tornarono alla macchina e Dean osservò i cartelloni con il cibo, mentre le rimetteva le manette.
 -Che ti porto?- Leira sospirò.
-Un panino… li avranno con la cotoletta?- Dean annuì.
-Credo di sì.-
-Perfetto. Un frullato alla… banana, così magari mi passano i crampi… una bottiglietta d’acqua ed un pacchetto di caramelle gommose alla cola. Ah! Ed un caffè doppio al caramello.- Dean rimase immobile, aspettando che scoppiasse a ridere, ma lei si stiracchiò. –Posso uscire un pochino?-
-Sarebbe meglio di no. Aspettami qui, vado a prendere tutto e ripartiamo.-
-Uff…- Protestò lei.
Dean sparì dentro il locale. Leira lo guardò.
  

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Capitolo 12
*** Frullati nel retro e contadini ***


Ragno imbarattolato e pronto per la macchina fotografica di Federico.
Niente più paura di trovarmelo nel letto… SONO RIUSCITA A DORMIRE! Anche perché con i suoi pelazzi e la modica ampiezza di zampe di 7 centimetri mi fa pensare che lo avrei persino sentito camminare, il maledetto.
A volte vivere in simil-campagna fa schifo.
Svanito l’incubo del ragno passiamo ad Ermenegilda.
Eravamo rimasti che stava guardando Dean… e lo stava facendo per un motivo. (non per quello che pensi tu, maliziosa Ros…)
 
Baciozzi!
 
LEI:
“Ok… i frullati sono quelli sul retro, passerà a prenderlo per ultimo. Ho tempo di…” Mentre guardava all’interno del locale sfoderò la chiave che era riuscita a sfilare a Dean poco prima, mentre la ammanettava di nuovo. Senza guardare in giù aprì le manette con destrezza, poi attese che Dean passasse ai frullati. Lui guardò di nuovo nella sua direzione, poi sparì verso l’interno.
Era il momento. Leira aprì la portiera ed iniziò a correre.
Le gambe intorpidite inizialmente la ostacolarono, ma l’adrenalina fece il suo lavoro e corse più velocemente che poté, senza guardarsi indietro. Se avesse raggiunto un’abitazione in tempo avrebbe potuto chiamare la polizia e…
-EHI!- Sentì gridare Dean.
Se n’era già accorto…
Stava per arrivare alla casa, quando lui la placcò, cadendo a terra, sopra di lei.
-LASCIAMI ANDARE! Voglio tornare a casa…-
-STUPIDA! Ti uccideranno, o ti faranno qualcos’altro, non so! Ma non lo permetterò! Dovessi tenerti legata e…- Si guardarono negli occhi e Dean dovette interrompersi. –E…-
-Perché ti interessa tanto?- Chiese lei.
-Perché credo tu sia in pericolo e… sei una… un innocente, Leira.- La ragazza sgranò gli occhi.
-Come sai il mio nome?-
-Il tuo capo… ti ha chiamata così.-
-T-te lo sei ricordato?-
-Ricordo sempre il nome delle belle ragazze.- Leira arrossì lievemente, poi uno sparo li fece scattare in piedi entrambi.
-FUORI DAL MIO CAMPO DI MAIS!- Gridò un vecchietto, andando loro incontro. Aveva sparato in aria, erano solo colpi di avvertimento, ma quel fucile non piacque per niente agli altri due. Dean alzò le mani di fronte a sé.
-Ci scusi…-
-SEMPRE AD AMOREGGIARE NEI MIEI CAMPI! MA NON AVETE UN PO’ DI DECENZA, VOI GIOVANI?- Leira fece un passo avanti.
-Non stavamo amoreggiando!-
-QUESTA L’HO GIA’ SENTITA!- Sbraitò l’ometto.
-Ce ne andiamo, ce ne andiamo!- Tentò di nuovo Dean, afferrando Leira per una mano. –Ci scusi!- Poi la trascinò via, tornando alla macchina. Leira notò sul cofano le buste con il cibo. Le afferrò, salendo sulla vettura e richiudendosi il polso con le manette, fissandolo allo sportello. Quando Dean salì a bordo gli porse la chiave. –Come hai fatto a prenderla?-
-Per qualche anno ho vissuto per strada. Sono cose che si imparano in fretta.- Borbottò lei. Poi divise le sue cose da quelle di lui e gli porse il suo sacchetto. –Non mi hai preso il caffè.- Gli fece notare. Lui la guardò, sarcastico.
-E tu non sei rimasta dove dovevi.- Le fece notare. Poi poggiò il sacchetto tra i propri piedi e scese.
-Torno fra un attimo. Ho bisogno di caffeina.-
Controllò di avere le chiavi delle manette e della macchina, poi tornò nel locale.
  

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Capitolo 13
*** A word in your ear ***


Peto venia (che sembra una cosa tanto brutta ma è un modo da acculturati per dire “chiedo scusa”) per non aver postato ieri, ma cause di forza maggiore mi hanno impedito di farlo (leggi: ho avuto solo un secondo di tempo per respirare e postare ma il pc della casa in cui mi trovavo non voleva spoilerarmi alcune cose e non ne ha voluto sapere di accendersi).
Però ci sono!
Con un tredicesimo capitolo di chiarimenti e spiegazioni (più o meno)…
Un bacione!
Ghirly
 
 
LUI:
Aveva vissuto qualche anno per strada, eh?
Quello spiegava molte cose. Controllò nuovamente che fosse ancora al suo posto mentre pagava i caffè. La vide chinata, forse le era caduto qualcosa a terra, ma non si fidava più.
-Mancano dieci centesimi.- Lo sgridò la commessa. Dean cercò la moneta nel portafogli senza staccare gli occhi dalla macchina. La ragazza era sempre chinata, ma riconosceva i capelli.
Finì di pagare, poi senza nemmeno ringraziare, uscì, attento a non bruciarsi le mani con i caffè.
Quando salì a bordo la vide sorseggiare amabilmente il frappé.
Le porse il caffè, poi afferrò il proprio panino, addentandolo senza tante cerimonie. Stava morendo di fame.
Leira lo osservò con lo stesso sguardo negli occhi che gli aveva riservato qualche ora prima, mentre masticava rumorosamente i nachos, ma di nuovo non commentò, sorseggiando il frullato.
Quando ebbe finito il panino Dean accese il motore, fece benzina e ripartirono.
-Tieni.- Le disse, porgendole un giornale. Leira lo guardò.
-Cosa dovrei farci?-
-Se vuoi leggerlo… in ogni caso mi serve che tu dia un’occhiata agli articoli, per vedere se c’è qualcosa di strano.-
-Definisci strano.-
-Sparizioni inspiegabili, omicidi particolari, riti satanici… qualcosa di sovrannaturale, insomma.-
-Ovviamente quest’ultimo dettaglio sarà sottolineato più e più volte, immagino…- Commentò lei, sarcastica.
-Devi sapere cosa cercare.- Concordò lui. Leira sbuffò.
-Nel caso tu non te ne sia accorto io non so cosa cercare. Mi sono ritrovata in questa situazione all’improvviso e senza capirci niente.- Dean sospirò.
-Hai ragione. Ok, ti darò qualche spiegazione…- Leira rimase in attesa, mentre Dean cercava le parole giuste. –Allora… nel mondo… esistono tante… cose che le persone normali considerano… leggende…- Leira sopirò.
-Non mettermela giù così facile, che esistono i mostri l’ho capito.- Dean tirò un sospiro di sollievo.
-Bene, allora non devo dire chissà cosa! Io sono un cacciatore di demoni e di quegli esseri che dicevamo prima.-
-Vampiri, licantropi, folletti, Babbo Natale… ok, fin qui ho capito. Ora, la parte più difficile… Cosa sono io?- Dean sospirò.
-Non ne ho la più pallida idea. Di solito i demoni si manifestano con un cambio del colore degli occhi, cosa che ti è successa quando hai ucciso… il Macellaio, giusto?-
-Sì, si chiamava così. In realtà cos’era?-
-Un demone adoratore degli unicorni.-
-Oh.- Gli occhi di Leira si accesero.
-No, non esistono gli unicorni.- La delusione le piombò addosso facendola crollare sul seggiolino.
-Te pareva. Comunque… dimmi di te. Perché sei un cacciatore?- Dean si fece serio, poi borbottò:
-È di famiglia.-
-Esistono famiglie di cacciatori? Tipo…- Leira finse una voce da uomo: -“Bambini stasera la favola della buonanotte non tratterà di unicorni ma di demoni che si impossessano delle ragazze?”- Nonostante il suo umore Dean ridacchiò.
-Qualcosa del genere, suppongo. In ogni caso…-
-…non ne vuoi parlare, ho capito genio. Il tuo sguardo parlava chiaro. non ti forzerò.- Dean la guardò di sbieco.
-Come mai questo repentino cambiamento?-
-Cioè?-
-Stiamo facendo conversazione.- Lei sospirò, alzando le spalle.
-Ogni volta che ti urlo contro o scappo da te qualcuno mi insegue o spara nelle vicinanze. Direi che il destino mi sta lanciando segnali iper luminosi a caratteri cubitali.-
-Finalmente… quindi hai capito che non sono uno dei cattivi?- Leira fece una smorfia sarcastica al 100%.
-Ho solo capito che al momento  sono più al sicuro con te.-
-Ah, simpatica. Quindi mi stai sfruttando?- Sbottò lui.
-Sei tu quello che mi ha rapita.- Gli fece notare lei. –E, se non l’hai notato, avevo una bella vita di fronte, prima di incontrarti.-
-Oh, beh, certo. Sventrata dal Macellaio o rapita da un’orda di uomini che vuole il tuo potere. Bella vita ti aspettava.- Leira rimase qualche secondo in silenzio, poi sospirò.
-Colpita e affondata. Ma questo non fa comunque di te uno dei buoni.- Dean alzò gli occhi al cielo, poi frugò con la mano nella tasca del sedile dov’era seduto. –Che cerchi?- Il ragazzo ne tirò fuori una cassetta, ancora incellophanata.
-L’ho presa prima. Questo cosa fa di me?- Gli occhi di lei si illuminarono di nuovo, mentre scartava rapidamente l’audiocassetta e la inseriva nello stereo.
-Un giovane voglioso di imparare. Zitto e ascolta bene. Ti insegneranno tutto ciò che c’è da sapere sulla musica… e sulla vita.- Rise lei, chiudendo gli occhi, persa nelle note di Procession dei Queen. Durante la riproduzione, però, fu Leira a sovrastare la musica. –Come mai hai preso il secondo cd e non il primo?-
-Mi ha ispirato il titolo Ogre Battle.- Leira scoppiò a ridere, poi iniziò a canticchiare sopra la stupenda voce di Freddie Mercury.
-“A word in your ear… from father to son…”
Dean non stava ascoltando la canzone, né lei che cantava. Però dovette ammettere con sé stesso che quella risata gli aveva dato una fitta al petto che non si aspettava.
  

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Capitolo 14
*** Forse... ***


Dato che mi sento particolarmente in colpa per aver saltato un giorno, posto oggi anche il 14, così rimango in pari con la pubblicazione!
Baciozzi!
Ghirly
 
LEI:
Forse il ragazzo non era poi così irrecuperabile.
E poi quella musica le stava risollevando il morale a mille.
In più, in quell’album, c’erano due tra le sue canzoni preferite…
Forse sarebbe andato tutto bene.
Forse.
 
Più tardi si fermarono in un’altra piazzola di sosta. C’era persino un karaoke bar, accanto ad uno squallido motel ad ore.
-Vuoi cantare? Freddie ti ha ispirato?- Dean alzò un sopracciglio.
-Direi che non è nel mio stile. Mi sono dovuto fermare qui, la prossima area di sosta è troppo lontana.- Leira si era persa il tramonto, addormentandosi di botto cullata dalla musica.
Dean le tolse le manette, poi fece per andare verso il motel, ma Leira oppose resistenza.
-Sicuramente in quel buco non ci sarà altro da mangiare che patatine e merendine al cioccolato… ti preeeeego…-
-No, non mi convincerai ad entrare nel karaoke bar. Per non parlare del fatto che se non troviamo un bancomat al più presto saremo davvero messi male…-
Leira ridacchiò, entrando dalla porta con lui alle calcagna. Poi perse la sua baldanza e lasciò che fosse lui a parlare.
Sicuramente l’aveva già fatto, prima, ed era più esperto ad inventare delle scuse…
-Buonasera… vorremmo una camera doppia, con due letti singoli. La mia compagna vuole fare la preziosa, stavolta.- Dean alzò le sopracciglia per creare un’intesa con il vecchietto sdentato che lo stava ascoltando, ma che non lo considerò minimamente. Afferrò un mazzo di chiavi e gliele porse.
-Otto dollari l’ora, più dieci per le pulizie. Buonanotte.- Poi tornò a biascicare qualcosa di misterioso che Leira ipotizzò fosse tabacco, guardando la tv.
-Grazie.- Sbottò Dean, afferrando le chiavi e uscendo dalla “reception”, dirigendosi verso la porta con il numero sette. Infilò le chiavi nella toppa ed entrarono.
La carta da parati era color crema, neutra e priva di qualunque attrattiva. Non c’erano nemmeno quadri sulle pareti. Solo due letti, due comodini, un piccolo tavolo con la televisione ed un armadio.
Il bagno era allo stesso livello, ma tutto di un azzurro pallido.
-Faccio la difficile, eh?- Sbottò Leira, quando la porta si fu chiusa alle loro spalle. Dean ghignò.
-Dovevo pur inventare qualcosa.-
-Con la tristezza di questa camera andrai in bianco davvero, stasera.- Ridacchiò lei. Dean si sedette sul letto, sospirando.
-C’è il letto, c’è la doccia… tanto mi basta.- Leira annuì.
-Concordo. In più tu non dormi da… tanto, immagino.- Constatò lei, ricordando che non lo aveva mai visto dormire.
-Già. Quando sono nel bel mezzo di una missione ho una buona resistenza per tutto. Tranne per il cibo.- Lei sospirò.
-A proposito… io avrei un certo languorino…- Disse. Dean alzò le sopracciglia per la sorpresa.
-Dopo tutto quello che ti sei mangiata oggi… mi stupisce.- Leira lo guardò male.
-Quando posso mangiare lo faccio. Se poi sei tu a pagare… ben venga! A proposito… da dove li prendi tutti i soldi? Benzina, cibo, camere in giro per il Paese… suppongo non esista un… fondo comune per i cacciatori.- Dean annuì, osservandola afferrare il blocchetto bianco e la penna che erano vicino alla televisione.
-Già, ognuno deve fare affidamento su se stesso. C’è chi ha un lavoro part time, ma non è il mio caso.-
-E quindi come fai?- Dean ghignò, afferrando le manette e agitandole con la mano. Leira alzò gli occhi al cielo, togliendo le scarpe e sedendosi a gambe incrociate sul letto.
-Scoprilo da sola. Non posso mica dirti tutto io…- Leira sospirò.
-Stupido da parte mia pensare che tu ti fidassi di me.- Sbottò. Dean le sorrise e lei rimase qualche istante senza fiato.
Quel ragazzo era davvero carino… ma doveva mantenere la mente sveglia ed i riflessi pronti, così accantonò quel commento nel suo cervello.
-Mi spiace. Destrorsa o mancina?- Lei lo guardò, interrogativa. –Immagino che tu voglia scriverci, su quel blocco.- Lei sgranò gli occhi, sorpresa.
-Destrorsa.-
-Comunque per ora non posso fidarmi, scusa.- Riprese il discorso lui. -Che ti prendo da mangiare?- Le chiese poi, mentre le ammanettava la mano sinistra alla testata del letto.
-Mmmm… chissà quali meraviglie culinarie hanno i distributori per noi…-
-Ho capito, vuoi venire a vedere?- Sbottò lui. Voleva solo farsi una bella dormita e rilassarsi di fronte a qualche stupido film di guerra… era sfinito.
-Quanto sei burbero… comunque andranno benissimo delle nachos ed un po’ di bollicine arancioni. Ed un gelato.-
-Bollicine cosa?-
-Aranciata. Mi passi il telecomando?- Dean la guardò, porgendole il teleguido a malincuore, vedendo il suo film di guerra allontanarsi.
-Vuoi dire che esistono anche le bollicine marroni, le bollicine gialle…?-
-Esatto. Coca e cedrata, rispettivamente.- Sorrise lei. Poi aggiunse, per chiarire: -E’ una cosa tra me e Trish.-
-Trish?-
-La mia migliore amica. Che mi piacerebbe rivedere prima di morire, tra le altre cose, quindi… spero che la tua fiducia in questo… Bobby, sia ben riposta.- Dean annuì.
-Bobby è a posto.- Poi il ragazzo uscì dalla porta e Leira afferrò telecomando, iniziando a fare zapping tra i vari canali.
  

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Capitolo 15
*** Macchinette e lampi di terrore ***


Ed eccoci nel motel!
Benvenuti a Moffettopoli, signori e signori!
Grazie a tutti delle recensioni e buona lettura!
Ghirly
 
LUI:
Ed il suo bel film di guerra se lo poteva sognare. Sicuramente avrebbe messo un qualche film smielato o una commedia per famiglie… e non gli avrebbe chiesto se a lui andava bene, dando per scontato che erano per famiglie e quindi adatti a tutti… Sbuffò, raggiungendo le macchinette ed inserendo le sue ultime monete per prendere qualcosa di commestibile e che rientrasse nelle richieste della principessina.
Niente gelati.
Alzò gli occhi al cielo, poi li riportò sull’elenco dei dolci disponibili.
Optò per una classica berretta energetica ricoperta di cioccolato al latte. A mal parare avrebbe potuto mangiarla lui, dato che aveva esaurito gli spicci per prenderne una per sé.
Rientrò nella stanza buttando le sue conquiste di cibo sul proprio letto, dividendo le proprie da quelle di lei, sentendo la tv che borbottava qualcosa a volume basso.
Almeno non lo avrebbe stordito con risate di bimbetti e pianti di ragazzine isteriche.
Le porse il pacchetto e la bottiglia, infine la barretta.
-Ma queste cose non le fanno con una catena più lunga?- Commentò lei, muovendo il polso ammanettato. Dean ghignò.
-Certo. Ed anche con delle soffici piume per stare più comodi.- Rispose, sarcastico.
-Mooolto simpatico.- Sbottò lei, aprendo il pacchetto delle patatine. Indugiò osservandone il contenuto, poi ne afferrò un paio e le mise in bocca, iniziando a masticare. –Allora, le scelte sono le seguenti.- Introdusse lei.
-Scelte?-
-Per cosa guardare stasera. La programmazione è un po’ deludente, ma non mi aspettavo molto di più.- Lui si sedette sul letto, sorpreso. Cosa che non sfuggì a Leira. –Ehi! Ok che sono io la rapita, ma hai guidato per un’eternità. Senza contare che hai messo la mia musica nella tua macchina, punto a favore. Comunque…- Iniziò a leggere l’elenco dei possibili programmi che stavano per iniziare, poi sospirò. –Spero tu non sia un tipo da documentari perché ammetto di non aver molta voglia di farmi una cultura…- Dean scosse la testa, masticando il suo tramezzino al tonno sul quale si era buttato come fosse una preda che stava per scappargli dalle mani. –Perfetto. Allora… ci rimangono il film d’azione, il thriller, lo storico e… la commedia per famiglie.- Leira disse le tipologie di film con gli occhi puntati sul volto di lui. –Quindi?- Dean buttò giù un sorso di birra, poi la guardò.
-Fai tu, davvero…- Lei ghignò.
-La commedia per famiglie…- Iniziò con tono neutro, osservandolo. -Eccolo, di nuovo!- Dean la guardò, alzando un sopracciglio.
-Cosa?-
-Il lampo di terrore nei tuoi occhi. Tranquillo, non ho intenzione di sottoporti ad una tortura del genere…- Lui rimase imbambolato a guardarla. Lei abbassò lo sguardo, in imbarazzo. –Per chi mi hai preso? Certi film li guardo solo da sola. Anche perché di solito piango, e mi sento scema già con me stessa. Mi basta. Quindi… azione, thriller o storico. Suppongo tu propenda per l’azione…-
-Sicuramente non per lo storico.- Lei lo guardò.
-Che intendi? Non ti piacciono i vecchi colossal?-
-Intendo cose tipo viva lo sceriffo o Roma imperat? No…- Lei rise.
-No, no! Non storico in quel senso! Intendo dire una pietra miliare del cinema!-
-Sarebbe?-
-“Il silenzio degli innocenti”.- Leira attese un paio di secondi. -Niente lampo di paura, è già un passo avanti…- Commentò.
-Titoli degli altri due?- Lei sospirò.
-“Everybody I wanna kill” e “Panico sul volo 246”. Però ti avviso… non sono molto in vena da thriller staser…- Sorprendentemente Dean si spaventò alla sola idea del film di azione.
-Credo che la pietra miliare andrà bene.- Commentò, interrompendola. Lei sgranò gli occhi, poi scoppiò a ridere.
-Hai paura di volare, per caso?- Dean la guardò male.
-Io sto bene solo sulla mia macchina.- Commentò. Leira annuì.
-E Anthony Hopkins sia.- Decretò cambiando canale e ponendo penna, blocco e telecomando sul comodino. Poi appallottolò il pacchetto ormai vuoto e aprì la barretta, dopo aver bevuto un bel sorso di aranciata. Guardò il ragazzo.
Tramezzino e birra a parte non si era preso nulla. –Vuoi?- Gli propose, spezzando a metà la barretta e porgendogliela dentro l’incarto. Dean allungò la mano ma lei la tirò indietro. –Ad una condizione: che domattina tu mi faccia fare una doccia. E, magari, che ci fermiamo da qualche parte tre secondi per comprare un ricambio di abiti per me. Questi sono davvero messi male.- Dean sorrise, mentre osservava sullo schermo Jodie Foster correre con una felpa troppo larga per lei. Il sorriso si allargò.
-Per domani ti presto quelli che ho, poi troveremo una soluzione.-
  

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Capitolo 16
*** Orsacchiotto tenerone ***


Lasciamo il motel e ci rimettiamo in marcia… i nostri eroi stanno iniziando a legare, finalmente… ma il litigio è sempre dietro l’angolo, fate attenzione…^^
Grazie delle recensioni, al solito!
Ghirly
 
LEI:
Dopo un buon film, una meravigliosa doccia ed una colazione rapida e leggera (pagata con i soldi ritirati ad uno sportello automatico) i due risalirono sulla vettura, procedendo sempre in direzione della casa di Bobby. Leira si tolse le scarpe da ginnastica, abbracciandosi le ginocchia, mentre ascoltavano un vecchio nastro dei Rolling Stones.
Non le stavano particolarmente simpatici, ma non erano poi così male.
La maglia che Dean le aveva dato era grossa quasi il doppio di lei e una spalla rimaneva sempre e comunque irrimediabilmente scoperta.
Sospirò, tirandola su per l’ennesima volta. Dean sorrise.
-Lasciala scoperta. Va di moda, no?- Lei lo guardò male.
-Ti piacerebbe! Non seguo la moda… Sono abituata ad un altro genere di abbigliamento. Anche se devo ammettere che non è male.- Lui ghignò.
-Proprio come quei jeans, ti stanno così bene…- Commentò, perfido. Leira non gli rispose nemmeno, avevano già avuto una discussione al riguardo prima di partire. Per fortuna che Dean aveva una cintura di riserva in macchina, così non le cadevano ad ogni passo. Ma si sentiva una mongolfiera, soprattutto al cavallo.
 
Verso l’ora di pranzo si fermarono nuovamente in una piazzola di sosta e scesero.
Leira si massaggiò il polso destro che ormai mostrava il segno dei ferri.
-Mi spiace per quei segni…- Commentò Dean.
-Lo capisco, tranquillo.- Rispose lei secca. Poi aggiunse: -Andiamo? Devo anche fare un salto alla toilette…-
-Ok. Farai un altro scherzetto, come ieri?- Chiese lui, guardandola negli occhi. Leira sospirò.
-No, tranquillo. Ho imparato la lezione…-
-Mpf, lo spero. Non ho voglia di correre.-
“Finalmente libera dalle manette.” Pensò Leira. Dean però la prese per mano.
-Ma che carino… potrebbero scambiarci per una coppietta.- Borbottò lei, sarcastica.
-Passerò per il ragazzo iper protettivo, allora.- La ragazza alzò gli occhi al cielo.
-Hai intenzione di scortarmi di nuovo fin dentro il bagno, eh?- Dean ghignò.
-Già.-
-E tutte le donnine urleranno per l’intrusione del ragazzone cattivo cattivo.- Dean si grattò la nuca.
-E’ un classico.- Leira sospirò.
-E andiamo.-
 
Dopo essere stati ai servizi lei gli fece gli occhioni da cerbiatta per andare a mangiare nella tavola calda, ma lui scosse la testa.
-No. Non dopo la scenetta nel bagno.- Leira ridacchiò.
-Ma come? Quella signora ci ha fatto anche i complimenti!-
-Sì, ma tu potevi evitare di dire che stavamo andando a sposarci. E, soprattutto, di chiamarmi Orsacchiotto Tenerone.- Leira gli strinse la mano, ponendosi di fronte a lui.
-Perché sei così serio? La copertura ha retto e poi voleva anche che le mandassimo una foto della cerimonia!-
-Sono serio perché questa situazione non mi piace. Non sappiamo chi siano né quanti siano i nostri inseguitori… e dovremmo farci notare il meno possibile.- Leira si fece seria.
-Quindi… anche farci quasi sparare dal contadino, ieri, non è stata proprio un’idea geniale, vero?-
-Già.- Leira perse la sua baldanza.
-Scusami.- Disse, abbassando lo sguardo. –Ti aspetto in macchina, ammanettata.- Prese a camminare verso la vettura, ma Dean la trattenne.
-È solo che non ti capisco. Cioè… quella in pericolo sei tu. Quegli uomini cercano te. E non mi conosci nemmeno, eppure siamo persino stati in un motel, da soli, per una notte, con te che scherzavi come nulla fosse…- Leira sospirò, poi lo tirò verso la macchina, riprendendo a camminare.
-Catapultata in un mondo sconosciuto, tutti possibili nemici attorno a me. Sola. Ci sono già passata, orsacchiotto. E la prima volta ho avuto tanta di quella paura che mi sono ripromessa di riderci sopra, se fosse capitato nuovamente. Solo che non l’ho realizzato fino allo sparo del contadino di ieri.-
-Che cosa non avevi realizzato?- Chiese lui.
-Che sono sola.- Dean rimase in silenzio. Poi borbottò:
-Al momento ci sono io. E anche se non mi conosci devi sapere che puoi fare affidamento su di me…- Leira sorrise.
-Sto tentando in tutti i modi di fidarmi. E poi…- Gli strinse la guancia destra con un pizzicotto, come fanno le nonne ai nipoti. –Tu sei il mio orsacchiotto tenerone, no?- Dean scattò indietro con la testa, liberandosi dalla presa. Poi la fulminò con lo sguardo.
-Rifallo e ti ci lascio, in questa piazzola.- Sbottò. Lei scoppiò a ridere, e di nuovo gli trapanò la coscienza con la grande scritta a caratteri cubitali: “La sua risata è magnifica”, cosa che ovviamente tenne per sé. –Sentiamo… quali cose leggere e per niente pericolose per le tue vene hai voglia di mangiare, oggi?- Leira sospirò.
Sarebbe stato davvero un peccato rovinare la bella opinione che Dean si stava facendo di lei ordinando un cheeseburger…
-Pizza. Un pezzo di pizza con bollicine marroni.-
-E…?- La incitò lui. La ragazza alzò gli occhi al cielo.
-E una brioches alla crema. E delle caramelline gommose alla menta.-
-E un frullato, immagino…-
-Immagini bene.-
-Fammi indovinare… al caffè, stavolta?- Lei lo guardò ammirata.
-Doppio caramello.- Poi decise di dargli corda. -Vedo che impari in fretta…- Lui sorrise, mentre le chiudeva di nuovo le manette.
-Vedo che ho ancora qualche carta da giocare per sorprenderti…- Lei rise, poi chiuse la portiera.
  

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Capitolo 17
*** Frullati (di nuovo) e sculacciate ***


Capitolo brevissimo, ma tra poco inizierà un po’ di azione!
L’orsacchiotto tenerone avrà qualche malattia? Scopriamolo!
Grazie per le recensioni!
Baci!
Ghirly
 
LUI:
Dopo aver mangiato fecero di nuovo benzina, rimettendosi subito in strada.
-Fammi capire…- Cominciò Leira, sorseggiando il suo frullato con gusto. –Mmmm… è divino! Assaggia!- Stava per porgli il bicchiere, poi ci ripensò. –Hai qualche malattia di cui dovrei essere a conoscenza prima che il mio frullato diventi di tua proprietà?-
-A parte che in realtà è di mia proprietà… comunque no, sono sano con un pesce.- Si gongolò lui, tronfio.
-Ok, allora tieni.- Dean prese un bel sorso, poi assaporò lentamente.
-Te ne do atto: non è male.- Lei lo guardò storto.
-È divino, altroché!-
-Che stavi dicendo, comunque?- Leira ci pensò su.
-Oh, già… Bobby abita in Cina, per caso? Dio, la battuta avrebbe avuto più effetto fatta tutta assieme all’improvviso, ma il frullato mi ha distratta.- Dean ridacchiò.
-No, non abita in Cina. Anzi… a dirla tutta entro l’ora di cena dovremmo arrivare…- Leira sgranò gli occhi, aprendosi in un sorriso.
-Davvero?! Non mi stai prendendo in giro, vero? E poi sarò libera?- Dean abbassò lo sguardo.
-Questo… lo sai, non posso assicurartelo.- Leira rise.
-Ehi, tranquillo, cacciatore di demoni. Intendevo libera dalla sola ed unica tua presenza.- Specificò ridacchiando. Dean rise, sollevato.
-Per questa battutaccia ti meriti…- Lasciò la frase in sospeso.
-Cosa stavi per dire? Una sculacciata? Prevedibile…- Lui la guardò male.
-Volevo dire che mi devi almeno altre due sorsate di quel frullato. Me le merito.- Leira scoppiò a ridere, poi gli porse il bicchiere.
-In effetti questo era ancora più prevedibile, ma non ci ho proprio pensato.- Dean rise.
-Maliziosetta.- Sussurrò. 

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Capitolo 18
*** In attesa... ***


L’attesa di Leira… con la classica punta di comicità che tanto la caratterizza!
Baci
Ghirly
 
LEI:
Poche ore. Solo poche ore e… e cosa? Avrebbe scoperto cos’era realmente, e poi dopo?
Se fosse stata pericolosa… cos’avrebbe fatto Dean? L’avrebbe risparmiata in nome della loro amicizia? E poi… c’era l’incognita Bobby. Chissà lui cos’avrebbe voluto fare…
Poggiò la testa al seggiolino, sospirando. Quell’attesa la stava uccidendo.
Ancora poche ore… e poi forse il suo nuovo amico barra rapitore barra compagno d’armi avrebbe potuto puntarle contro una pistola o quel pugnale della prima sera. Avrebbe avuto il coraggio di…?
-No, no!- Esclamò Dean, quasi a risponderle. –Mapporc…- Commentò poi. Leira non capì che diavolo stesse succedendo, finchè non notò che la macchina stava rallentando… fino a fermarsi. Nel bel mezzo del deserto.
Inspiegabilmente le venne da ridere e si guadagnò un’occhiataccia da parte del ragazzo, stile “se-potessi-ti-ucciderei-con-lo-sguardo”.
-Ehm… che succede amico?- Poi la frase appena pronunciata le scatenò un altro attacco di risate incontrollate che riuscì a malapena a sedare.
I suoi nervi erano ormai a pezzi.
-C’è poco da ridere, Bugs.- Sbottò Dean. –Mi sa che la cinghia è andata…- Lei lo guardò, indecisa se essere sollevata o spaventata dalla cosa.
-E…?-
-E se non arriva qualcuno siamo fregati! Non ci sono stazioni di servizio nel raggio di chilometri. Potrei…- Afferrò il cellulare e compose un numero, rimanendo in silenzio. –Niente.- Chiuse il cellulare di scatto. –Bobby non mi risponde, avrà paura che i telefoni siano controllati…- Si voltò e la guardò. –Per caso sai come fare a riparare una cinghia? Se fossi anche una meccanica ti sposerei.- Leira lo guardò a sua volta, con un sopracciglio alzato.
-Spiacente di deluderti. Non so nemmeno accendere una macchina.- Lui la guardò, sorpreso.
-Ma… avrai almeno venticinque anni!- Lei scoppiò a ridere.
-Ventidue. Ma questo non significa che io debba per forza saper guidare.-
-Se questa storia finirà bene ti insegnerò a guidare e farò in modo che tu prenda la patente.- Promise lui. Poi scese, andando a controllare nel cofano. Leira rimase in attesa. Dopo qualche minuto Dean fece capolino nell’abitacolo.
-Mi daresti una mano?- Lei annuì ed aspettò che lui le slacciasse le manette, prima di scendere e stiracchiarsi, seguendolo poi verso il muso della macchina.
-Che devo fare?- Lui le porse una piccola lampadina.
-Puntala più o meno dove metto io le mani.- Leira rimase immobile.
-Ma… il motore è caldo, Dean. Rischi di farti male…- Lui le sorrise.
-Mi curerai tu.- Lei non rispose, accendendo la lampadina ed illuminando il motore. Dean toccò un paio di punti, poi sospirò, pulendosi le mani in un panno.
Rimasero comunque macchiate. –Nulla, non c’è nulla da fare. Si è spezzata.- Lei sospirò.
-Autostop?- Propose. Dean scosse la testa.
-Non voglio lasciare la mia bambina da sola nel deserto…-
-Non credo tu abbia poi una gran scelta…- Sbottò. Lui chiuse il cofano, guardandola male.
-Razionalmente so che hai ragione, ma…-
-Ok, ok, non vuoi abbandonare qui la tua piccola macchina d’epoca, chiaro. Quindi?-
-Potremmo… chiedere a qualcuno che passa se può avvisare un carro attrezzi.-
-E per i nostri inseguitori? Speriamo che si sia rotta la cinghia anche a loro?- Chiese lei, pratica. Dean sospirò.
-Ok, ok. Facciamo l’autostop, hai vinto. Devi prendere qualcosa in macchina?- Lei rise fintamente.
-Molto simpatico. Tutto quello che ho sono i miei vecchi vestiti che, al momento, sono inutilizzabili.- Dean abbassò lo sguardo.
-In realtà… hai anche questo.- Le rivelò, mostrandole il cellulare. Leira sgranò gli occhi.
-Dove…?-
-Quando ti ho portata al magazzino. Lo avevi in tasca, ma non ho potuto lasciartelo, mi dispiace.- Leira lo afferrò al volo, guardando il suo vecchio, caro cellulare… apparteneva ad una vecchia vita… e poi… -Leira, non puoi usarlo.- La ammonì lui. Lei lo guardò negli occhi, poi scagliò l’attrezzo a terra, accanto alla macchina, saltandoci sopra fino a sbriciolarlo. Dean, in tutto questo, si era dimenticato di chiudere la bocca, per la sorpresa. –M-ma che…?-
-Sei un’idiota, Dean! Era un nuovo modello!- Esclamò lei, guardandolo furente. Le sue guance avevano assunto una tonalità di rosso acceso che a Dean parve adorabile, ma anche spaventosa.
-Ehm… ma sei tu che lo hai…- Per un secondo Dean pensò che il demone si fosse manifestato e che Leira non lo ricordasse, finchè non la vide schiacciare nuovamente col piede i resti del povero telefono.
-Avresti dovuto farlo subito o lasciarlo da qualche parte! Dentro c’è un gps sempre attivo, anche se il cellulare è spento… li hai portati finora proprio nella nostra direzione!- Lui rimase interdetto da quella rivelazione. Ora i cellulari avevano un dispositivo gps inserito? Questo non lo sapeva…
-I-io…- Leira si passò una mano sul volto e poi tra i capelli.
-Ok, te lo dico io cosa si fa. Lasciamo qui la tua bambina e ci nascondiamo qua vicino, in attesa che loro raggiungano la macchina ed il cadavere di cellulare. A quel punto penseranno che abbiamo fatto l’autostop e proseguiranno verso il centro più vicino. Ora cerchiamo di fermare qualcuno per chiedergli di far venire il carro attrezzi.-
-E se decidessero di aspettarci qui alla macchina, gli inseguitori?-
-Di solito il carro attrezzi non porta con sé il proprietario dell’auto che va a prelevare…- Replicò lei. Dean rimase nuovamente ammirato dal modo di fare di lei. Aveva organizzato un piano in pochi istanti, nonostante la tensione per tutto quello che le stava succedendo, cosa nuova per lei.
-Ok.- Rispose semplicemente. Entrò nella macchina ed afferrò un paio di giubbotti più pesanti, poi li nascose in un cespuglio e chiuse la macchina.
Attesero in piedi per un’ora e mezzo, poi passò un pick-up con all’interno una coppia di mezza età. I due si scusarono perché non avevano posto per un passaggio, ma gli assicurarono che avrebbero avvisato l’officina del paese più vicino una volta arrivati e ripartirono.
-Perfetto. Così abbiamo anche la scusa per essere rimasti qua…- Leira annuì, d’accordo.
-E se dovessero chiedere al meccanico chi ha richiesto il servizio potrà solo rispondergli una coppia di mezza età che non ci ha potuto dare un passaggio. E gli inseguitori saranno punto e a capo.- Dean sorrise.
  

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Capitolo 19
*** Mimesi e freddo ***


LUI:
-Ok, cerchiamo di mimetizzarci nei pressi della macchina. Qualcosa mi dice che stasera avremo molto freddo…- Commentò Dean, togliendosi la camicia per il caldo e rimanendo solo con una maglietta a maniche corte bianca.
Leira sapeva che al giorno nel deserto faceva caldo e che al contrario la sera si gelava, ma non le era venuta in mente nessun’altra soluzione.
Si nascosero in mezzo a cinque cespugli disposti in cerchio che un minimo li avrebbero riparati dal vento, da sguardi indiscreti e dal freddo.
Ma non abbastanza.
Alle nove e mezza entrambi già battevano i denti, seduti  alle loro postazioni per tenere d’occhio la macchina.
-T-tu… sei sicuro che in macchina non ci siano coperte, vero?- Dean annuì per l’ennesima volta. –Ok, scusa…- Attesero ancora mezzora, poi Dean prese un bel respiro.
-Io… ho sentito dire da qualche parte che i pinguini, per affrontare il freddo, si mettono tutti vicini e si proteggono a vicenda.- Lei lo guardò.
-Quindi?- Gli chiese, pensando di aver capito male. Lui guardò in alto, per non dover guardare lei.
-Quindi… forse dovremmo metterci più vicini… per… tenerci al caldo.- Leira scoppiò a ridere.
-Dean, non ho sei anni. Se sono seduta vicino ad un maschio non mi imbarazzo.- Lui annuì e si avvicinò lentamente, temendo un ripensamento. Poi le si sedette accanto, poggiando il fianco al suo. Leira si strinse nella felpa enorme che lui le aveva dato per la notte. –Certo che… sei diverso da come ti sei presentato.- Lui alzò un sopracciglio.
-Che intendi?-
-Beh… sei venuto nel bar e mi hai salvata. Mi è sembrato giusto offrirti una birra e, forse lo hai preso come un invito, non so, fatto sta che mi hai scritto un ringraziamento smielato.-
-Non era smielato!-
-In ogni caso ci hai sperato, dì la verità.-
-Mi è finita la penna… volevo scriverti il numero di telefono.- Leira rise, poi poggiò la testa alla spalla di lui, cercando più contatto per contrastare quel freddo terribile.
-Lo immaginavo. Ed io mi sono pure arrabbiata perché mi hai rovinato il sottobicchiere. Ora mi sembra una cosa così stupida… e dopo quell’inizio siamo finiti a dormire assieme in uno squallido motel ed ora… nel deserto. Sei diverso dalla prima impressione che fai alle persone. Passi per un latin lover, quando in realtà sei un bravo ragazzo che rispetta le donne.- Dean sospirò, osservando la luna sopra di loro, unica fonte di luce per non essere scoperti con un falò.
-Questa cosa sta diventando romantica.- Notò a voce alta. Poi si morse il labbro inferiore, maledicendosi mentalmente. Leira rimase in silenzio per qualche secondo, poi ghignò.
  

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Capitolo 20
*** Tre metri intorno al sasso ***


Scusate la maleducazione… ieri non ho scritto nessuna introduzione al capitolo… ma avevo la mia cuginetta che voleva farmi giocare con Ken e Barbie… quindi ho dovuto fare in fretta.
Per non parlare del fatto che l’ho aiutata a studiare inglese.
È bello scoprire che continuo a confondere il martedì ed il giovedì…
Ma ora ce li ho ben chiari!
Baciotti
Ghirly
 
LEI:
-Se vuoi so come scaldarci.- Dean si irrigidì, senza replicare. Leira alzò lo sguardo, osservandolo da sotto la curva della mandibola, sempre ghignando. –Dobbiamo correre.-
-C-correre?- Rispose lui.
-Esatto, correre. Facciamo cinque minuti di moto e vedrai che per un po’ il freddo passerà.- Si alzò in piedi, poi iniziò a girare in cerchio, correndo intorno allo stesso diametro di circa tre metri al cui centro aveva posto un sasso. Dean rimase qualche istante a guardarla, poi sorrise e si alzò. Iniziò a correre dietro di lei, seguendo il suo passo. Un po’ lento, ma almeno iniziava a non avere più freddo.
Leira rise, poi iniziò a stringere il diametro giro dopo giro, mentre Dean continuava a seguirla, capendo il gioco.
Si trattava di equilibrio e di ritmo. Poteva farcela.
Continuarono a stringere, finchè le loro braccia quasi si sfiorarono nel movimento rotatorio.
Si guardarono e si sorrisero, poi Leira… inciampò nel sasso che stava al centro della loro “pista”, cadendo rovinosamente a terra, trascinando dietro di sé anche lui, ormai troppo vicino per evitare la gamba tesa di lei.
Le finì precisamente sul fianco e Leira gemette, voltandosi di scatto trovandosi il volto di lui pericolosamente vicino. Lo guardò negli occhi, poi riprese il fiato perso con la caduta e l’impatto di lui.
-L’ultima volta che è successo questo…- Dean fece per avvicinarsi alle labbra di lei, quando sentirono degli pneumatici inchiodare poco distante ed entrambi scattarono a sedere. –Lo sapevo…- Sussurrò lei, seguendolo nella direzione dei cespugli. Si acquattarono entrambi, osservando il furgone nero fiammante che si era fermato proprio accanto all’auto. Ne scesero quattro persone.
Indossavano pantaloni e maglioncini a collo alto rigorosamente neri.
Come i loro anfibi.
Come le loro armi.
-Signore… il cellulare.- Disse uno di loro, indicando l’ammasso di plastica e cavetti che Leira aveva schiacciato poche ore prima. L’uomo chiamato “signore” controllò a terra. Frugò tra i vari pezzi, poi afferrò qualcosa, osservandola alla luce di una minitorcia.
-Sì, era il suo.- Leria sgranò gli occhi. Quei tipi sapevano persino il codice della sua sim. –Questa potrebbe esserci utile.-
-Avranno continuato a piedi, signore?- L’uomo si voltò verso i ragazzi, senza tuttavia vederli. Grazie alla luce artificiale Dean notò che aveva un tatuaggio al centro della fronte. Lo memorizzò: avrebbe potuto essere utile.
Leira, dal canto suo, stava cercando di smettere di tremare.
Dean la guardò, notando che stava battendo i denti.
-Leira?- Tentò, parlando il più piano possibile. La ragazza si strinse le braccia attorno al corpo, cercando di fermare quel… qualcosa che le stava succedendo.
Inutile. 

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Capitolo 21
*** Tathiela ***


Date tutti il benvenuto a…
Beh, scopritelo da soli!
Bacio!
Ghirly!
 
LUI:
Improvvisamente tutto cessò, così com’era iniziato. E Leira rilassò i muscoli, ghignando perfidamente. Si voltò verso Dean.
-Non ti muovere.- Disse con quel tono di voce che Dean aveva sentito solo una volta da quando la conosceva. Il ragazzo rimase immobile, non riuscendo nemmeno più a parlare. Lei sorrise. –Bravo ragazzo.- Poi si alzò in piedi e si diresse verso gli uomini del furgone. –Vincent.- Disse, semplicemente.
L’uomo tatuato si voltò a guardarla, un enorme sorriso sul volto, poi si inginocchiò, emulato dagli altri. Dean sgranò gli occhi.
-Tathiela, mia signora... Finalmente.- Poi osservò gli abiti di lei. –Ma… come siete vestita?-
-Ventidue anni in questo corpo… e non mi hai mai trovata. Cos’è cambiato?-
-Ho percepito la vostra presenza poche sere fa.-
-Non era la prima volta che mi manifestavo, Vincent.-
-Purtroppo abbiamo perso le vostre tracce ogni volta, mia signora. Ma porto buone notizie: abbiamo trovato un modo per liberarvi dalla ragazza.- Tathiela alzò un sopracciglio.
-Sarebbe?-
-Con un’estrazione demoniaca. Processo particolarmente complicato ma che, per vostra fortuna, ho avuto modo di apprendere negli ultimi dieci anni.- Tathiela ghignò.
-Dieci anni di studio solo per liberarmi da questo corpo? E che fine farà la ragazza?- Vincent abbassò il capo.
-Morirà, mia signora.- Dean si mise pronto a scattare.
Se quella Tathiela voleva liberarsi dal corpo di Leira avrebbe…
Tathiela scoppiò a ridere. I quattro sudditi rimasero immobili ad osservarla, non sapendo che fare. Dean rimase fermo.
-Mia signora…-
-Solo tu, Vincent?- L’uomo la guardò, interrogativo. –Solo tu sai il processo di estrazione?- Lui chinò il capo.
-Sì, mia signora.- Lei gli si avvicinò, carezzandogli il volto.
-Vincent… Il mio fidato Vincent… Dopo Rhodney eri tu l’unico su cui sapevo di poter fare affidamento… e tu hai trovato come fare per liberarmi da questo involucro…- La carezza si trasformò in una lunga ferita sul volto dell’uomo. –E non l’hai condiviso con nessuno. Cosicché se tu morissi nessuno potrebbe salvarmi.-
-M-mia signora…-
-Sono molto delusa.- Proclamò lei, spezzandogli l’osso del collo con minimo sforzo. Poi guardò gli altri tre. –E voi, pusillanimi, portate il mio ultimo messaggio al vostro capo: DEVE LASCIARMI IN PACE!- Poi unì i palmi delle mani ed una luce viola scaturì da essi, colpendo i tre uomini, che caddero all’indietro, privi di vita. Sulla loro fronte, però, apparve un simbolo, diverso da quello che aveva Vincent. Tathiela si avvicinò al furgone e lo fece sparire, solo toccandolo, poi fece lo stesso con i quattro corpi. Infine si voltò verso Dean. –Sei stato bravo, cucciolo, ora devi dormire.- Gli disse. –Ma ci rivedremo, temo.- Lui fece per controbattere, ma perse i sensi istantaneamente. 

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Capitolo 22
*** Una torre ***


“Uuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuh! Barbra Streisand!”
Scusate, ma la follia scorre nelle mie vene, assieme ad una dose massiccia di caffeina per affrontare lo studio di Geologia!
Dato che il capitolo era troppo breve, ne ho uniti due. Mi scuso, ma tra poco inizieranno ad allungarsi… prometto!
Baci a tutti!!!
 
LEI:
-Signorina? Signorina si sente bene?-
Leira riprese conoscenza e si rese conto di essere sdraiata accanto a Dean, addormentata sul suo bicipite destro. Si sedette, confusa.
Cosa era successo?
-I-io…-
-Ci hanno detto che vi si è fermata la macchina.- Disse una voce a lei sconosciuta. –Avete dormito qua fuori? Sarete morti di freddo!- L’uomo la aiutò ad alzarsi, poi cercò di scuotere Dean.
-ODIO IL KAMUT!- Gridò lui, svegliandosi.
Leira sorrise, poi guardò poco distante da sé. Il sasso intorno al quale avevano corso non c’era. Si alzò di scatto, dirigendosi verso l’auto.
Niente segni di frenata sull’asfalto… doveva essere stato un brutto sogno. -È giorno?- Chiese poi Dean. Leira scoppiò a ridere.
-Sì. Ci siamo addormentati… ho fatto un sogno assurdo… ci eravamo messi a correre intorno ad un sasso. E poi sono arrivati i tipi che…- Leira si fermò, osservando l’uomo che li aveva svegliati. –Mi scusi, sono una maleducata. Grazie per l’aiuto… si è rotta la cinghia.- Lui sorrise.
-Sì, lo immaginavo. Infatti l’ho già sostituita… dormivate così bene che non vi ho voluti disturbare. Se mi volete seguire vi porto fino al paese, così potete mangiare qualcosa…- I due annuirono, grati.
-La ringrazio…- Dean si sedette al volante, sentendosi finalmente padrone del proprio destino.
Più o meno.
Il sogno di Leira non era stato un sogno proprio per niente.
Prese un ampio respiro, poi la guardò.
-Non era un sogno.-  Le disse.
-Eh?-
-Noi abbiamo davvero corso intorno ad un sasso. Poi siamo caduti e… sono arrivati quei tizi. È successo davvero.- Lei lo guardò, sconvolta.
-Quindi… l’ho rifatto. Ho perso di nuovo la coscienza… cos’è successo con quei tizi?- Dean buttò giù un boccone amaro.
-Loro… loro non ci daranno più fastidio, tranquilla.- Leira voleva immensamente piangere, ma si trattenne. Doveva sapere cosa aveva fatto.
-L-li ho uccisi io?- Dean sospirò, poi annuì.
-Mi dispiace. Però erano i cattivi, quindi…-
-Ho tolto delle vite… mio Dio… Sono davvero pericolosa…- Osservò in suo polso ammanettato ed i segni che c’erano sopra. Se li meritava tutti. –Cos’altro ho fatto o detto?-
-E’ una cosa lunga, appena finiamo di pranzare e ci rimettiamo in strada ti dirò tutto. E poi raggiungeremo Bobby e lui ci darà una mano, d’accordo? Ora stai tranquilla.-
-È una parola…- Dean sorrise, poi accese lo stereo con il nastro dei Queen. Leira lo guardò, grata, poi cercò di concentrarsi sulla musica, rilassandosi.
 
LUI:
Dopo aver pagato l’officina e mangiato delle crêpes ripiene ai funghi offerte loro dalla moglie del carrozziere, Dean e Leira ripartirono e lei crollò addormentata dopo poco. Dean la guardò.
Ogni volta che si addormentava in macchina poggiava istintivamente la guancia destra sulla cintura di sicurezza.
Il ragazzo si sentiva confuso.
“Perché noto queste piccole cose? L’ho osservata per troppo tempo… con Sammy era diverso, ed anche con papà, loro li conosco da sempre… ma lei… devo arrivare da Bobby il prima possibile.”
Schiacciò sull’acceleratore, poi lo rilasciò, ripensandoci.
Come minimo lo avrebbero fermato, rallentando maggiormente il momento dell’arrivo.
Per fortuna Leira si era addormentata.
Non aveva proprio voglia di raccontarle cos’aveva fatto la sera prima… soprattutto essendo all’oscuro della reazione della… “cosa” dentro di lei.
Se quella Tathiela fosse uscita di nuovo fuori e si fosse infuriata con lui… sarebbe morto in meno di mezzo secondo.
Camminava sul filo del rasoio e lo sapeva bene. Improvvisamente la radio sfrigolò. Dean rallentò immediatamente, accostandosi a bordo strada ed accendendo le quattro frecce. Quello non era mai un buon segno e lo sapeva bene.
Si voltò verso Leira, incerto se svegliarla o meno, poi allungò la mano per toccarle la spalla. La ragazza gliela afferrò all’istante, guardandolo con i suoi intensi occhi viola.
-So cosa ti turba, Dean Winchester.- Lui rimase immobile.
-Mi conosci?-
-Da molto tempo. Sapevo che saresti arrivato a lei, prima o poi, era destino.- Dean la guardò.
-Perché hai ucciso Vincent?- Lei rise.
-Non sono qui per giustificarmi, ma per aiutarti nella tua scelta… puoi dirle tutto.-
-Non so se sarà in grado di…- Tentò lui, ma lei lo interruppe.
-Tu la aiuterai a capire. Il tuo amico Bobby farà il resto. Ma devi renderla partecipe di tutto. Di tutto, tranne di una cosa.- Lui rimase in attesa, in silenzio. –Non devi dirle il mio nome. Né quello di Vincent o di Rhodney… non deve sapere questo.- Dean annuì, tuttavia controvoglia.
-Cioè… posso dirle che ha spezzato l’osso del collo ad uno, ma non come si chiamava?- Lei alzò la voce.
-Ci sono cose in gioco, Dean, che nemmeno tu hai il diritto di stravolgere. Stiamo giocando una partita a scacchi. E loro non erano semplici pedoni. Vincent era un alfiere.- Dean sospirò.
-Ed io cosa sono, per curiosità?- Tathiela gli sorrise, carezzandogli una guancia.
-In questo momento una torre, Dean. Ma tra poco raggiungerete l’altra.- Poi la ragazza tornò nella posizione precedente e Leira si svegliò. Dean sospirò, rimettendo in moto.
-Yawn… perché ci siamo fermati?- Chiese.
-Pensavo di aver sentito un brutto rumore nel motore… ma era solo un ramo che si era infilato nella ruota. Tranquilla, torna a riposare.- Leira annuì, gli occhi già a mezz’asta, e lui ripartì.
Sperava solo che Bobby sapesse dargli qualche spiegazione, perché ogni volta che Tathiela faceva una comparsa le cose si complicavano a dismisura. 

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Capitolo 23
*** La casa di Bobby ***


Finalmente a casa di Bobby!
Baci!
Ghirly
 
LEI:
-Ehi, bell’addormentata?- Leira si riscosse, guardando il ragazzo. –Siamo arrivati.- Le slacciò le manette, poi le aprì la portiera.
La ragazza guardò verso la casa nella quale stavano per entrare. Sulla porta c’era un uomo sulla cinquantina, barba e capelli brizzolati, semicoperti da un cappello, ed un’espressione preoccupata sul volto. Leira si sentì in imbarazzo e distolse gli occhi da quelli dell’uomo, mentre lei e Dean salivano le scale del porticato.
-Ehi, Bobby!- Esclamò Dean, salutandolo.
-Dean…- Lo accolse lui, con un cenno della testa. –Piacere.- Aggiunse poi, tendendo la mano a lei.
Leira gliela strinse, le manette che tintinnavano ancora attaccate al suo polso.
-Salve…- Disse, stringendola.
Il tramonto, alle loro spalle, tingeva tutto di rosso, dandole l’impressione di stare per entrare in una casa di legno ricoperta di sangue.
-Entrate… sarà una lunga notte.- Dean pose una mano sulla schiena di lei e la spinse dolcemente all’interno della caotica abitazione.
-Quanti libri…- Commentò Leira, sussurrandolo a Dean. Lui rise.
-Già. Bobby è un gran ricercatore.-
Dean si sedette su una vecchia sedia, accanto ad un tavolo, dopo aver fissato le manette della ragazza al divano consunto, dove le aveva detto di sedersi.
-Allora… veniamo subito al dunque…- Disse Bobby, porgendo loro dei panini fatti in casa.
Leira era talmente tesa che lo sbocconcellò lentamente, attenta alle parole dei due. –Raccontatemi tutto quello che è successo.- Dean sospirò, poi iniziò ad esporre tutto quello che era accaduto da quando aveva incontrato Leira nel vicolo.
Il rapimento, la fuga, il viaggio. Poi riferì ad entrambi cosa era successo la sera precedente, tralasciando i nomi di tutti.
Leira rimase impassibile, stringendo tuttavia convulsamente il pezzo di carta da cucina in cui fino a poco prima era avvolto il suo panino.
-Quindi… li ho uccisi tutti e quattro. E non so come ho fatto.- Disse, semplicemente. Dean le si sedette accanto, stringendo la birra con una mano e la spalla di lei con l’altra.
-Questo è ciò che è successo, ma non è assolutamente colpa tua.- Le fece notare. Leira sospirò.
-Certo. Sono solo un candido agnello indifeso…- Borbottò lei. –Dean, sono una potenziale assassina! E quel che è peggio… non posso controllarlo!-
-Cosa ricordi delle due volte che ti sei trasformata?- Le chiese Bobby. Leira rifletté.
-La prima volta… beh, ricordo solo che quella bestia mi stava correndo incontro ed ero terrorizzata. La seconda volta… ero spaventata, ma… il cambiamento è avvenuto quando… quando ho visto la faccia del capo. Lui… non so…- Leira si prese la testa tra le mani, cercando di ricordare.
-Ehi, stai calma, questo è già un ottimo indizio. Bobby… tu cosa sai?- Chiese Dean, per distrarla.
-Intanto so che non è posseduta. Quindi quello che hanno detto lei ed i quattro uomini ieri non è corretto.-
-Non è posseduta?-
-La possessione è una semplice presa di controllo di un essere su un altro essere vivente. È volontaria. E il controllo è pieno. Mentre questa… cosa non è finita dentro di lei per sua volontà, ma a causa di qualcos’altro. Leira… cosa mi sai dire sulla tua famiglia?- La ragazza sospirò.
-Intende… i miei genitori?-
-Sì.- Poi Bobby sorrise. -E dammi del tu, per piacere. Mi fai sentire troppo vecchio.-
-O-ok. Beh… dei miei genitori non so… praticamente nulla. Sono cresciuta con mia nonna e mia zia, in realtà.- Dean la guardò. Finalmente stava scoprendo qualcosa.
-Non ti hanno mai detto nulla di…?-
-No. So solo che mia madre era una donna stupenda e mio padre… beh, non doveva essere tanto alto, dato che mia zia era una nanetta ed erano gemelli.-
-Non hai mai visto nemmeno una loro foto?- Si stupì Dean.
-Di mia madre non avevamo nulla, che io sappia. Di mio padre qualcosa c’era, ma… la zia e la nonna soffrivano solo all’idea di tirare fuori il vecchio album. Così non ho mai chiesto. I miei se ne sono andati non appena sono nata e mi hanno lasciato alla zia.- Leira rabbrividì al ricordo del suo passato, ma non ne fece parola.
Non le piaceva parlarne. Solo Trisha sapeva tutto, ed era stata dura aprirsi anche con lei.
-Non sai come si sono conosciuti i tuoi?- Tentò Bobby.
-Beh… so solo che mia madre è entrata all’improvviso nelle loro vite, anche in quella di mio padre, visto che non riusciva a nascondere nulla a mia zia. E dopo un po’… c’ero io e non più loro.- Bobby sospirò.
-Immagino che fosse tua madre, il demone, a questo punto.- Leira annuì.
-Credo anch’io.-
-Quindi… sua madre era un demone. Si è messa con suo padre ed è nata Leira ma gli altri due sono spariti.- Bobby si alzò ed andò a prendere un libro, grattandosi la nuca.
-In realtà… sua madre non è affatto sparita.- Dean e Leira lo guardarono con gli occhi sgranati, in attesa. Bobby tornò a sedersi, aprendo il volume. –Se non vado errato tua madre, Leira, era uno dei quattro demoni sperimentali. Negli anni trenta, con l’inizio degli esperimenti genetici andati a buon fine, i demoni decisero che tutti quegli studi avrebbero potuto portare qualcosa di buono anche per loro. Così si impadronirono di alcuni dei più grandi scienziati dell’epoca e… fecero un tentativo. Se fossero riusciti a creare dei demoni immortali con semplici sembianze umane, di base, avrebbero potuto creare un esercito ed invadere la Terra, per poi aprire i portali a tutti gli altri. Intelligentemente per loro crearono solo quattro individui sperimentali. Un maschio e tre femmine, che avrebbero dovuto dare inizio alla gerarchia demoniaca, accoppiandosi con gli esseri umani. I loro occhi erano stati modificati affinché fossero viola, in modo tale che gli altri demoni potessero riconoscerli. Ma qualcosa non funzionò.- Dean e Leira pendevano dalle labbra di Bobby. La ragazza si impadronì della bottiglia di Dean bevendo un gran sorso di birra. Dean gliela strappò di nuovo di mano, andando a sedersi su una sedia e guardandola storto. –I quattro demoni sperimentali si innamorarono follemente di un umano ciascuno. Avevano una bellezza incomparabile ed una personalità spiccata, motivo per cui tutti loro riuscirono a conquistare l’umano di cui si erano invaghiti.- Leira sospirò, mettendosi sdraiata sul vecchio divano.
-Mia madre e mio padre.- Bobby annuì.
-Esattamente.-
-E poi?- Chiese Dean, in attesa.
-Poi sparirono. Puf! Scomparsi dai radar demoniaci, senza lasciare alcuna traccia, tranne… una progenie.-
-Che sarei io…- Commentò Leira.
-E come te ci dovrebbero essere altri tre ragazzi in giro per il mondo… ma non si sa nulla di loro, né di chi siano, né dove siano… nulla. Però…- Bobby la guardò, poi abbassò il capo. –Non sappiamo se dentro di te ci sia tua… madre, ma nel caso… lei potrebbe voler uscire. Potrebbe voler continuare ciò che le è stato ordinato e conquistare il mondo.- Dean scosse la testa.
-Ha avuto l’opportunità di farlo, ieri sera. Ma ha ucciso l’unico uomo che ne era in grado. L’ha chiamata estrazione demoniaca… In ogni caso non è ciò che lei vuole. Io credo… io credo che lei voglia bene a Leira. E non voglia farla morire.-
-Non è necessario che Leira muoia.- Specificò Bobby. –Magari non vuole farle del male, ma solo uscire di lì. E la trovata di quel tipo non le andava a genio. Però… potrebbe volersene andare per la sua strada. E se troverà come uscire da Leira senza nuocerle lo farà.- Sentenziò Bobby.
Un silenzio pesante calò nella stanza. L’uomo si grattò la testa, dopo essersi tolto il cappello, e si alzò. –Vado a controllare che le trappole siano attive, poi una bella dormita ci chiarirà le idee.- Uscì dalla stanza, capendo che forse lasciarli da soli era una buona idea.
  
 

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Capitolo 24
*** Stanchezza e mughetto ***


Odio la stupida febbricola che non passa mai.
Odio i catarri che si rincorrono amorevolmente nella mia testa facendomi impazzire.
Odio che i furetti siano potenziali prede del raffreddore umano perché ho attaccato il virus anche a Noir, il mio povero cuccioletto.
 
Dopo questo sfogo posso andare avanti.
Finalmente sappiamo qualcosa di Leira e Tathiela! Ma non è ancora tutto chiaro… nel frattempo la nostra povera ragazza ammanettata inizia a sentire la stanchezza di avere sempre i nervi a fior di pelle…
 
Buona lettura,
baci,
Ghirly.
 
Ps: Questo cap ha un finale un po’… diverso.
 
LUI:
Di nuovo quel silenzio odioso.
Dean davvero non lo sopportava più.
-Sarà meglio prepararci per dormire…- Si alzò dalla sedia ed inciampò su una pila di libri, rischiando di finire a terra.
Leira scoppiò a ridere, i nervi che ormai non reggevano più. In breve la risata si trasformò in un pianto silenzioso. Dean le si avvicinò.
Non l’aveva mai vista piangere, nonostante tutto ciò che le era successo. –Leira…-
-Uccidimi.- Disse lei, nell’intervallo tra due singhiozzi.
-Cosa?-
-Uccidimi, ti prego.-
-Leira, non dire stupidaggini…-
-Dentro di me c’è un demone assassino, FALLO!- Gridò lei, afferrandolo per un polso malamente e continuando a piangere, disperata. Bobby, appoggiato allo stipite della porta, nell’altra stanza, sospirò.
Immaginava che la ragazza fosse al culmine delle brutte notizie, ma non aveva voluto nasconderle nulla, non era giusto.
-Ma tu sei umana! Ed io non uccido gli umani! Ho visto umani di ogni genere, ma non ho mai fatto del male a nessuno di loro. Né, tantomeno, lo farò a te.- Lei lo lasciò andare.
-Io ho…- Si asciugò gli occhi con il solito pezzo di carta del panino. -…ho faticato per tutta la vita, Dean. Ho arrancato per troppi anni ed ero quasi riuscita a sistemarmi del tutto. Poi è arrivato il Macellaio… ed è andato tutto a rotoli. Non ce la faccio davvero più a combattere in questo modo, tanto meno ora che… che non so né cosa né come combattere.- Dean le si avvicinò, poi le liberò il polso dalle manette.
-Basta con queste… mi fido di te.- Leira sgranò gli occhi lucidi. -Troveremo assieme una soluzione, è praticamente il mio lavoro, no? Troveremo come liberarci del dem… di tua madre, in modo che non possa più tangere a nessuno. E che tu sia finalmente libera da tutto questo.- Lei lo guardò, poi si alzò di scatto abbracciandolo.
-Dean… Dean…- Lui le carezzò la testa.
-Andrà tutto bene, Leira. Ce la faremo.-
 
Dean era di fronte ad una tavolata di wurstel impanati e fritti ed infilati in uno stecco.
Dio, erano la cosa più buona del mondo… Erano così dorati ed avevano quel buon profumino di pancetta e di… mughetto.
Lui adorava l’odore del mughetto… gli trasmetteva tranquillità, e… e non riusciva più a contenere la fame… Afferrò uno dei wurstel, non premurandosi di prenderlo per lo stecco, poi lo strinse come dovesse saggiarne la consistenza e… addentò.
  

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Capitolo 25
*** Colazione con Bobby (e con Leira) ***


Febbre scesa, probabilmente, ma l’esame è saltato lo stesso. Mi sono ridotta a giocare a The Sims (chiedo scusa a chi ci gioca, ma… non è roba per me…) su Facebook… lalalà…
Comunque vi lascio al cap.
Eravamo rimasti a Dean. E ai wurstel impanati che profumavano di mughetto.
Baci e grazie delle recensioni, o anche a chi legge e basta!
Ghirly
 
LEI:
La mattina seguente Leira si alzò dal vecchio letto dove aveva dormito e si stiracchiò. La crema per i segni delle manette che le aveva dato Bobby la sera prima stava facendo miracoli ed i suoi polsi stavano molto meglio.
Si alzò, indossando i vestiti che Bobby le aveva dato la sera prima e scese. Un buon profumo di pancetta e uova si diffuse nel suo naso.
Aveva una fame da lupi.
Trovò l’uomo che padellava, e si schiarì la voce per farsi sentire. Lui si voltò.
-Buongiorno. Vedo che i miei vecchi vestiti ti vanno…- Lei annuì, grata. –Mangia qualcosa, che non sia comprato in qualche negozio sulla strada...-
-Ok…- Leira sorrise, sedendosi al tavolo. Afferrò un pezzo di pane e si buttò a capofitto sul piatto che Bobby le aveva porto.
-Ehm… avevi fame, per caso?- Si sorprese lui. Leira tirò su la testa e mostrò le guance gonfie. Da un angolo della bocca le usciva un pezzo da pancetta. Annuì, arrossendo lievemente, poi tornò a concentrarsi sulle uova. Riuscì a buttare giù tutto con un lunghissimo sorso di succo d’arancia, poi si pulì la bocca. Bobby la guardava ancora a bocca spalancata. –In vita mia ho visto solo un’altra persona mangiare in questo modo… e mi faresti un gran piacere se andassi a svegliarla. Durante i casi Dean non dorme mai profondamente, ma quando viene qui da me… cade in catalessi…- Leira sorrise, immaginando la cosa.
-Nessun problema, vado subito… Ah, grazie mille, era tutto buonissimo, davvero.- Si alzò da tavola e si avviò verso le scale, mentre Bobby si grattava la nuca, imbarazzato. Poi si fece triste.
Era un peccato che quella ragazza fosse in un pericolo così grande… o potesse gettarci il mondo intero.
 
Dean sembrava un angioletto quando dormiva. Aveva un sorriso rilassato e… beh, sembrava pure un po’ ebete, ma le trasmetteva sicurezza. Un po’ come il profumo della nonna, che per qualche oscuro motivo Bobby teneva nel bagno.
Se n’era dato giusto una spruzzata ed un vagone di ricordi l’aveva travolta, lasciandola senza fiato.
Sospirò.
-Ehm… Dean?- Tentò. Aveva anche bussato ma non c’era stato verso di svegliarlo… -Dean? Dovresti alzarti… Bobby ha preparato la colazione!- Riprovò, pensando che magari prendendolo per la gola…
Niente.
Inspiegabilmente lui le afferrò una mano, o, per la precisione, un dito e lo palpò, come avrebbe potuto fare con un antistress da scrivania. Leira rise, non capendo cosa stava succedendo. Poi lo vide portarselo di scatto verso la bocca e…
-AAAAAAAAH!- Gridò lei, tirando indietro il dito che aveva preso a sanguinare copiosamente.
Bobby salì le scale a tre a tre ed entrò dalla porta, impugnando una calibro 12.
Vide Leira tenersi da mano da cui fuoriusciva sangue e si guardò intorno, non vedendo altri che Dean. Poi focalizzò che il ragazzo aveva la bocca sporca di sangue e si guardava intorno inebetito, con gli occhi ancora semichiusi.
-Mpf… che… che c’è? Ci attaccano?- Bobby gli tirò un coppino in piena regola.
-Stavi sognando di mangiare, per caso?- Dean guardò lui e lei, confuso, poi si passò una mano sulle labbra, vedendo il liquido rosso.
-M-ma che diavolo…?- Poi vide la ragazza, che cercava di fermare l’emorragia. –Oddio, Leira! Ti ho morsa io???- Si sconvolse. Lei annuì, ancora spaventata.
-Sì, ma… non è niente…- Bobby le indicò la porta e la condusse in bagno, dove la medicò rapidamente e con cura. Poi tornarono nella camera, dove Dean si stava vestendo. Lei distolse lo sguardo, imbarazzata. Dean si chiuse la cintura alla vita, poi le si avvicinò.
-Mi dispiace, io… pensavo fossi un wurstel impanato.- Ammise a capo chino. Lei lo guardò, poi… scoppiò a ridere, seguita da Bobby, che si teneva la pancia per le gran risate. Anche Dean si unì al gruppo e rimasero come tre dementi a ridere per cinque minuti buoni, prima che Bobby riuscisse a tornare in sé.
-La colazione è pronta.- Disse, asciugandosi gli occhi. -Mi spiace, ma non ho fatto wurstel…- Leira ridacchiò, toccandosi il dito morso.
Questa non le era mai capitata… 

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Capitolo 26
*** Shopping ***


Ed ecco spiegato il perché del sogno di Dean…
Grazie per i commenti, mi fate sempre sbellicare!
In realtà sto postando nel giro dello stesso giorno, ma non mi interessa, lalala!
Un bacio,
Ghirly
 
LUI:
L’aveva morsa, porco cane!
Come poteva essere stato così… non sapeva nemmeno come descriversi.
Mentre ingurgitava una quantità spropositata di uova nello stesso momento (e vide che lei e Bobby si scambiavano uno strano sguardo d’intesa che non capì) gli venne in mente come rimediare.
Ingoiò rapidamente, poi sorrise, con le uova tra i denti era uno spettacolo atroce.
-Per farmi perdonare oggi ti porto a fare shopping!- Le annunciò. Leira lo guardò con la bocca semiaperta-
-Cosa?-
-Shopping. Voi donne adorate lo shopping… no?- Gli venne il dubbio di essersi sbagliato.
-Ma non dovremmo stare… per esempio nascosti? Lontani da occhi indiscreti…- Replicò lei. Dean sorrise più ampiamente.
-Certo. Ma mi è appena venuta un’idea per renderti irriconoscibile. Anche se comunque i tizi non ci sono più, quindi non credo che qualcun altro verrà a cercarti per un bel po’…- Leira alzò un sopracciglio.
-E l’idea sarebbe?- Dean si voltò verso l’altro, ignorandola.
-Bobby ce l’hai ancora il cappellino dei Red Sox e la maglia enorme coordinata?-
 
-Ancora non capisco come tu mi abbia convinto a farlo…- Disse Leira, mantenendo il maschile per non farsi scoprire.
Dean sorrise.
-Non ho abbastanza vestiti da prestarti. E quelli di Bobby non mi sembravano di tuo gradimento.- Rispose.
-Beh, questo è vero.-
-E poi se io sono potuto entrare in un bagno per donne tu puoi provarti vestiti in un camerino da uomo, no?- Leira sbuffò.
- Non è a questo che mi riferivo. È il maglione rosso. Io odio i maglioni.-
-Se dovessimo andare in una località fredda ti servirà, fidati. Piuttosto… non ti sembra di esserti calato un po’ troppo nella parte del ragazzo? Hai preso solo abiti maschili.- Notò Dean a voce più bassa. Leira uscì dal camerino poggiando sul carrello i vestiti che le andavano bene e sistemandosi il cappellino sulla testa, con la visiera calata sugli occhi. –E poi sembri Flash. Hai già finito?- Si lamentò lui. Aveva adocchiato una commessa particolarmente prosperosa poco più in là. Leira gli tirò un coppino.
-Sì, ho già finito. E chiudi la bocca, per piacere. Stai sbavando.-
-Geloso?- Ghignò Dean. La commessa si avvicinò loro, sorridendo.
-Avete bisogno di aiuto?- Chiese, gentile. Leira scosse la testa, mentre Dean le sorrise.
-In effetti…- Rispose lui. Leira lo colpì con una gomitata.
-No, grazie. Abbiamo trovato tutto quello che ci serviva…- Concluse, simulando una voce un po’ maschile. La commessa sorrise.
-Non sia geloso! Non glielo tocco, il suo ragazzo…- Disse, senza cattiveria. –Complimenti, comunque. Siete proprio una bella coppia!- Dean rimase di sasso, mentre Leira lo afferrava sottobraccio e sorrideva.
-Lo so, grazie. Io ed il mio tortino di mirtilli siamo proprio anime gemelle!- Poi stritolò Dean in un abbraccio. Il ragazzo le diede qualche pacca sulla schiena, poco convinto.
-Sì.- Disse. Poi guardò Leira negli occhi. Lo stava sfidando… -Siamo proprio una coppia fantastica!- Aggiunse con voce fintamente femminile e facendo una moina con la mano. La cassiera sorrise.
-Venite alla cassa, vi faccio il conto.-
Quando uscirono Leira scoppiò a ridere e Dean la fulminò con lo sguardo.
-Questa è una di quelle cose che preferirei evitassi di fare. Non per la copertura ma perché… mi imbarazzano da morire.- Leira gli carezzò una guancia.
-Ma dai, che ti sei divertito a fare il mio compagno…- Dean alzò gli occhi al cielo. Era una battaglia persa.
Leira si diresse verso il portabagagli con le buste, ma Dean la fermò.
-Mettile nei sedili dietro.-
-Perché?- Chiese lei.
-Il bagagliaio è… pieno.- Leira lo guardò, confusa, ma decise di assecondarlo ed approfondire in seguito. Si sedette a bordo della vettura.
-Soddisfatta?- Leira sospirò.
-Sì, anche se…-
-Che ti manca?-
-Una borsa. E… un’altra cosa da indossare. E poi un po’ di biancheria e qualche effetto personale, tipo spazzolino ecc.- Il ragazzo sospirò.
-Ok, ok. C’è un altro negozio sulla tredicesima. Ma stavolta fai da sola, te la senti?-
-Dovrò anche tornare femmina, non credi? Non sarebbe il massimo comprare mutande da donna, altrimenti… Tranquillo, eviterò le videocamere grazie al cappello. L’ho già fatto in passato.- Dean annuì, mettendo in moto l’auto.
-Un giorno, te l’ho già detto, mi racconterai la tua vita.- Leira non rispose, poggiando la guancia sulla cintura.
Arrivarono pochi minuti più tardi.
Leira tirò fuori i capelli dal cappello e fece bene attenzione a non farsi inquadrare dalla videocamera mentre entrava nel grande magazzino per prendere ciò che le serviva, poi uscì di nuovo, entrando in macchina a testa bassa.
-Tutto bene, tranquillo. Però parti, perché ci sono quattro videocamere nel parcheggio, un paio puntate su di noi.-
Poi fece finta di sistemare le cose nei sacchetti, mentre si re immettevano sulla strada.
-Sei incredibile…- Commentò Dean. Leira arrossì lievemente.
-Nulla di che. Ho solo… messo in pratica la mia tattica da taccheggiatrice.-
-Sarebbe?-
-Cappellino da baseball con la coda che esce, per sembrare più piccola. Occhi aperti per la collocazione delle videocamere, attraverso il riflesso delle vetrine e delle superfici riflettenti. Sorridere sempre e far finta che sia tutto ok. Comunque… ti chiami davvero Dean Paquitez?- La ragazza gli porse la carta di credito con cui aveva pagato. Dean sospirò.
-No, mi chiamo Dean Winchester.-
-Quindi… quella carta è falsa.-
-Sì.- Ammise.
-Ok.- Lui la guardò.
-Ok? Cioè… non vuoi sapere altro?-
-Salvi la vita delle persone, tra le altre hai salvato anche me, senza recepire alcuno stipendio. Credo che, alla fine dei conti, sia giusto che tu ti prenda qualcosa in cambio. Altrimenti come potresti procurarti il sale e tutte quelle belle cose che ci sono nel bagagliaio?- Dean sospirò.
-Era tanto evidente?-
-Era l’unico posto dove potevi tenere le armi.- Lui annuì.
-In effetti…-
 
Quando arrivarono a casa di Bobby Leira schizzò al piano di sopra, gridando:
-MI FACCIO UNA DOCCIA!- Dean entrò, chiudendosi la porta alle spalle.
-Pensavo ci avreste messo di più.- Commentò Bobby. Dean fece spallucce.
-Approfittiamo della sua assenza. Devo dirti un paio di cose…-
Si sedettero in cucina, e Dean gli raccontò del terzo incontro con Tathiela e del suo divieto di pronunciare i nomi di fronte a Leira.
-Quindi… mi stai dicendo che quel Vincent…?-
-Sì, era il loro capo. E la conosceva molto bene.-
-Qual’era l’altro nome…?-
-Rhodney.-
-Farò qualche ricerca per capire chi erano quei due. Magari salta fuori qualcosa.-
-D’accordo. Quando scende giù vado a dare una pulita alla macchina e mi faccio aiutare da lei. Così potrai fare le tue ricerche senza intoppi. E speriamo che Tathiela non decida di vendicarsi per il morso di stamani…-
Tump!
Entrambi sentirono un rumore provenire dalle scale.
Si guardarono, poi corsero in quella direzione. 

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Capitolo 27
*** Frammenti di passato ***


Oggi ho incontrato una persona che ha avuto tre furetti… di solito, quando dico che ho un furetto, mi rispondono tutti: -UN CHE???-
È bello quando qualcuno condivide le tue passioni.
Ti fa stare bene.
 
Ok, basta chiacchiere, vi lascio al TUMP di prima!
Baci,
Ghirly.
 
LEI:
Finalmente Leira si sentiva a posto, come non le succedeva da giorni.
Era pulita ed indossava abiti della sua misura e comodi.
Un paio di Jeans, una maglietta nera a maniche lunghe, una camicia di flanella a scacchi.
E, soprattutto, mutande da donna.
Meravigliose e proporzionate mutande da donna.
Caricò la lavatrice con i vestiti di Dean e Bobby, poi scese le scale per raggiungerli, radiosa.
Voleva sentire il commento di Dean al suo solito modo di vestirsi.
Stavano parlando e carpì qualche parola.
-…e speriamo che Tathiela non decida di vendicarsi per il morso…-
Leira sgranò gli occhi, che divennero viola per un solo istante, poi si rovesciarono all’indietro e lei cadde dalle scale. Li percepì avvicinarsi, poi il buio.
Non sentì la voce di Dean che diceva, preoccupato:
-Perché i suoi occhi si muovono così a scatti, Bobby???-
 
Leira aprì gli occhi.
 
Si trovava a New York. Riconobbe le torri gemelle. Se ne sorprese: ormai non esistevano più…
Ma in realtà… lei non era in quella città.
Il suo corpo era… trasparente, quasi invisibile. E nudo.
Improvvisamente vide uno squarcio nero nel cielo, poi delle figure che ne uscivano.
Una ragazza ed un uomo.
Iniziarono a scendere verso terra, lentamente.
-Così… questo sarebbe il mondo che dobbiamo prendere? Fa schifo.- Commentò la ragazza.
-Sì, mia signora. È questo. Noi lo renderemo migliore.-
-Sarà dura.- Commentò lei, aspra. Improvvisamente Leira si sentì tirare in avanti.
Chiuse gli occhi, spaventata,poi li riaprì quando si sentì fermare.
 
Era su un prato verde.
Quel posto le ricordava qualcosa, ma non capiva cosa.
Improvvisamente dalla collina accanto a quella dove si trovava spuntò qualcuno.
Era un uomo, un uomo piccoletto, con un sorriso radioso sul volto.
Raggiunse un albero, e solo in quel momento Leira si rese conto che sotto di esso c’era la ragazza di poco prima, seduta.
-Tathiela.- Disse lui, semplicemente. Lei si alzò rapidamente, poi lo abbracciò di slancio.
-Mathias!- Leira sgranò gli occhi (o li avrebbe sgranati se li avesse avuti), osservando l’uomo.
Quello era Mathias, suo padre.
Quindi quella ragazza stupenda… era… sua madre?
Aveva il volto incorniciato dai lunghi capelli castani con riflessi ramati, la carnagione abbronzata ed un sorriso scintillante.
Indossava un vestitino bianco con fiori azzurri semplicissimo, ma che risaltava le sue curve perfette, ed era scalza.
I suoi occhi erano viola.
-M-mamma?- Tentò Leira, ma il suo corpo inconsistente non poteva interagire con la scena cui si stava trovando di fronte.
I due si abbracciarono, poi lei scoppiò a piangere.
Mathias si fece subito preoccupato e la fece sedere, poi le prese il volto e lo poggiò sulle proprie gambe, carezzandole i capelli.
-Amore mio… perché piangi?-
-Mathias… oh, Mathias… la mia amica Rethel… è sparita.-
-Rethel? Quella in Europa?-
-Sì… la sua presenza è sparita stamattina. Lei… mi aveva detto di essersi innamorata… e come me ha smesso di fare Rapporto ai Guardiani. Ma… loro devono averla trovata…- Lui la strinse a sé.
-Non lascerò che ti portino via. Farò tutto quello che potrò per…-
-NO!- Tentò di urlare Leira, sentendosi di nuovo trascinare via.
Voleva vedere di nuovo i genitori che non aveva mai conosciuto, voleva parlare con loro…
 
Si trovava in un magazzino abbandonato. C’erano di nuovo sua madre e quell’uomo, assieme ad altri quattro. Leira li riconobbe come gli inseguitori suoi e di Dean.
-Voi non potete tenermi prigioniera.- Disse sua madre. –Né potete riportarmi indietro.-
I quattro che Leira conosceva si inginocchiarono di fronte a lei.
Ma il quinto no.
-Io solo ho il potere di ricondurti agli inferi e lo userò.- Disse.
-Tu, cane, non vali neanche un mio capello. Io sono parte di una nuova razza, che…-
-UNA RAZZA DIFETTOSA! Dovevamo conquistare questo continente, noi sei, e invece voi vi siete innamorata di quell’umano!- L’uomo ghignò. -Ma noi lo trascineremo agli inferi, assieme a voi. Così potrete rimanere assieme nelle carceri…-
-NO, Rhodney!- Gridò lei, alzandosi dalla sedia su cui era seduta, e sovrastandolo non fisicamente, ma nell’animo. –VOI LO LASCERETE STARE NEL SUO MONDO!-
-Mi dispiace, milady.- Commentò lui, ponendo una nota sarcastica sull’ultima parola. –Non è così che andrà.- Tathiela strinse i pugni.
-Invece sì.- Disse, semplicemente.
Poi fece uno scatto in avanti, sfondando con un pugno il cranio dell’uomo chiamato Rhodney. Si voltò, la furia omicida negli occhi, diretta agli altri quattro. –Non provate a fermarmi. Abbiamo fatto scorribande di ogni genere assieme, e voi siete mortali. Non voglio macchiarmi del vostro sangue. Tornate alle vostre occupazioni, lasciatemi in pace.- L’altro, tatuato, si avvicinò.
-Mia signora. Io ero il vicecapo del vostro gruppo di guardie del corpo. Ora sono il capo. Non possiamo lasciarvi da sola…-
-Potete, invece, Vincent.-
-Ma mia signora… cosa potremmo fare? Tornare in prigione? E voi? Senza di noi non sarete più rintracciabile da nessuno, se non da Lucifero stesso. Potreste essere in pericolo.-
-Lucifero non si muoverà per me. Non sarò più un danno per nessuno. Voi… andate. Siete stati un grande errore, non è stato giusto rendervi miei schiavi.- Concluse, come parlando da sola.
-Noi vi serviremo sempre, mia signora.- Disse Vincent. Lei gli sorrise, poi corse via.
Leira cambiò di nuovo scena.
 
Era nella sua vecchia camera da letto, a casa della nonna.
Sul suo letto notò suo padre e sua madre.
Nudi, stavano facendo l’amore con passione. Imbarazzata tentò di distogliere lo sguardo inutilmente.
Erano così perfetti assieme.
I loro corpi sembravano fatti per quello, per stare assieme abbracciati, fusi assieme in un unico essere.
Poi successe qualcosa. Entrambi gemettero, e poi… una luce azzurra si sprigionò tra loro e… semplicemente sparirono nel nulla.
Al loro posto, piangente e con i pugnetti stretti, c’era una neonata.
Leira si guardò, sconvolta.
-Mi spiace che tu sia  venuta a saperlo così rapidamente, Leira. Speravo che Dean ci mettesse un po’ di più a lasciarselo sfuggire…- Leira si voltò. Accanto a lei, trasparente nello stesso modo in cui era lei, c’era sua madre. –Lo sapevamo. Sapevamo che saremmo spariti per farti nascere. Tuo padre ti avrebbe dato il suo fisico, la sua natura umana, ed io… beh, non sapevamo che io sarei finita dentro la tua anima. La mia amica Rethel era sparita allo stesso modo, lasciando dietro di sé il frutto del suo amore, e così volevamo fare noi. Per sicurezza abbiamo lasciato una lettera a tua nonna ed a tua zia. Erano due care persone e sapevamo che ti avrebbero cresciuta nell’amore. Non immaginavo che avresti passato certi…- La ragazza singhiozzò, cercando di contenersi, inutilmente.
-Voi… avete dato la vostra vita per me… tutto il dolore della nonna… la rabbia della zia… tutto… per me?- Tathiela le carezzò una guancia.
-L’amore costa caro, Leira. E noi eravamo pronti a pagare quel prezzo.- La abbracciò e Leira sentì che tutta la sua vita aveva un senso, adesso.
Era figlia di un demone sperimentale e di un essere umano. I demoni esistevano, i vampiri esistevano, i mostri esistevano… i Cattiviesistevano.
E lei non voleva farne parte. Ora che sapeva tutto… li avrebbe voluti combattere,ma sapendo quello che c’era dietro la facciata del mondo… se la sentiva di mettere a rischio la sua vita, così importante che aveva richiesto il sacrificio di altri due esseri viventi?
Ora aveva paura, ma si sentiva stranamente più forte.
-Grazie, mamma…- L’altra le sorrise.
-Hai sempre una scelta, tesoro.- Le disse. –E puoi sempre cambiare idea, ricordalo. Io sarò con te. Almeno finchè… Lucifero non deciderà di venire a riprendermi. A quel punto sarò io ad andarmene, so di poterti lasciare per salvarti.-
Leira la guardò.
-Dean e Bobby… sono due persone fidate?- Chiese. Tathiela rise, e la sua risata così cristallina e pura ricordò a Leira tante piccole campanelle di cristallo.
-Al momento sono le due persone più simili a degli amici che hai. Fidati di loro. Hanno un passato doloroso ed un’enorme e pesante fardello da portare, entrambi. Ma tu saprai alleviarlo.-
-Io? Sono stata fonte di guai sin dall’inizio, per loro.-
-Per come sono fatti sanno che devono proteggerti. Tu sei il re, nella loro partita a scacchi. E loro due torri.- Ripeté la donna.
-E tu cosa sei, mamma?- La donna guardò in alto, poi ghignò.
-Modestamente… la regina.- Leira le sorrise.
-Sulla mia strada… incontrerò tutta la scacchiera?- Tentò. Ma Tathiela non rispose, continuando a guardare verso di lei, immobile. Leira capì. -Ora devo andare, vero?- Tathiela annuì.
-Ci rivedremo, piccola mia.- Leira annuì.
-Ne sono sicura.- Tathiela la prese per mano.
-E in ogni caso… io sono sempre con te…- Poi le diede una piccola spinta in avanti e sparì.
  

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Capitolo 28
*** Cotte (e crude) ***


Capitolino piccino picciò, ma domani vi ripagherò…
Scusate tanto! >_<
Baci,
Ghirly!
 
LUI:
Niente, nemmeno un bicchiere d’acqua gelata l’aveva fatta tornare in sé.
Dean stava pensando di portarla all’ospedale, magari aveva battuto la testa, ed era già pronto con le chiavi in tasca e la ragazza in braccio, quando Leira aprì gli occhi.
Dean si immobilizzò e lei lo guardò.
-Sto bene, sto bene.- Disse lei. –Puoi mettermi giù.- Il ragazzo la poggiò sul divano.
-Cosa diavolo ti è successo? Mi hai fatto prendere un colpo!-
-A quanto dice mia madre è colpa tua, hai detto qualcosa che non dovevi ancora dirmi.- Disse lei, mettendosi seduta. Dean sgranò gli occhi.
-Tua…?- Leira gli sorrise.
-Tranquillo, non è arrabbiata con te. Però… mi ha fatto vedere delle cose, frammenti del suo passato… non sono in pericolo.- Leira lo disse con sollievo, come lo avesse appena compreso. –Nessuno mi potrà trovare. Tranne Lucifero, ma ora non è interessato a lei.-
Bobby sospirò di sollievo e sorrise.
-È davvero una buona notizia, figliola.-
-La regina e le torri… si può vincere una partita a scacchi con questi tre pezzi soltanto?- Chiese Leira, quasi tra sé e sé. Dean la guardò, poi sospirò.
-Tua madre… è fissata con gli scacchi.- Commentò. Ma Leira nemmeno ci fece caso.
-Potrei… tornare a casa.- Si rese conto, di nuovo a voce alta. Il ragazzo sentì le spalle farsi pesanti, come se un macigno gli fosse calato sulla testa all’improvviso.
Dean sapeva di dover essere felice, ma non ci riusciva. Però le fece un sorrisone.
-Per fortuna.-
-Mi spiace averti fatto spendere soldi, anche se non tuoi, per i miei vestiti… e tutto il resto.- Continuò lei. Dean la osservò. Per lo spavento non aveva nemmeno fatto caso a com’era vestita: Jeans, scarponcini, una maglia nera a maniche lunghe e sopra di essa una camicia di flanella a scacchi rossi. Alzò un sopracciglio.
-Se avessi saputo che ti saresti comprata questi vestiti ti avrei lasciato i miei…- Lei rise.
-Li ho comprati per spacciarmi per tua sorella. O fratello, a seconda del caso.- Dean ingoiò un boccone amaro e lei lo notò. –Oh, oh… tasto dolente… scusami.-
-Non lo potevi sapere.- Borbottò lui. Leira si guardò intorno, una nuova luce negli occhi.
-Ehm… come ci torno a casa?- Chiese.
Bobby scoppiò a ridere, poi tentò il tutto per tutto.
-Potrebbe riaccompagnarti Dean. Per portarti qui ha saltato un po’ di casi… potreste risolverli strada facendo…- Propose. Leira e Dean si guardarono, poi lui sospirò.
-Non credo che Leira abbia ancora bisogno della mia presenza. E poi io me la cavo meglio da solo…- Ma lei sorrise.
-Molto volentieri. Dopotutto ti devo la vita, no? E poi sarà divertente vedere come lavori ai casi normali.- Bobby scoppiò a ridere.
-Beh… divertente non saprei. Però è in gamba.- E lo guardò con quella luce negli occhi tipica dei padri fieri dei propri figli. Dean distolse lo sguardo, mentre Leira ne rimase piacevolmente colpita.
Era bello sapere che dopo averla riportata a casa Dean avrebbe avuto qualcuno da cui tornare e non sarebbe rimasto solo.
Sentì una piccola fitta al cuore, ma non ci volle fare caso più di tanto e si alzò.
-Allora vado a pulire un po’ la casa, tolgo un po’ di polvere, prima di partire. Sono in debito anche con te, Bobby.- Poi sparì nell’altra stanza.
Bobby guardò Dean.
-Glielo dirai?- Lui si voltò con un grande punto interrogativo sul volto.
-Cosa?-
-Che ti piace.- Rispose Bobby, semplicemente. Dean si avviò verso le scale.
-No, perché non è vero. E poi… sarebbe tempo perso. Vado a riposarmi un po’, chiamatemi solo per mangiare.- Ed iniziò a salire le scale.
Bobby rimase seduto sulla sedia, pensieroso.
Povero Dean… Prima Sam, poi Leira… avrebbe cacciato da solo fino alla sua morte.
Era un vero peccato. 

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Capitolo 29
*** Catalogare: che passione! ***


Un po’ di pausa dallo stress della caccia e delle nuove scoperte.
La piccola Leira mostra un po’ delle sue fisse.
Dean? Dean, dove sei? DEAN?!
Niente.
 
Ghirly
 
LEI:
Leira si ritenne abbastanza soddisfatta del risultato del suo lavoro.
La casa di Bobby era ancora disordinata da morire, ma almeno polvere e piatti sporchi erano spariti. Guardò l’uomo seduto al tavolo della cucina che sfogliava un volume che molto probabilmente era più vecchio di lei, Dean e Bobby messi assieme un paio di volte.
-Se per qualche motivo io dovessi tornare in questa casa e dovessi rimanerci per qualche giorno, ti prometto che metterò tutto in ordine, libri compresi. Te li metterei in ordine alfabetico per titolo, o per autore… e poi sistemerei gli amuleti in quella vetrina…- E gli indicò il mobiletto nell’angolo della stanza, -…etichettati. E poi le armi… quelle come sarebbe meglio sistemarle, secondo te?- Bobby sorrise.
-Forse in ordine di pericolosità.- Leira sgranò gli occhi, accendendosi.
-Potrei metterli in ordine per tipologia di essere da uccidere! In una parete quelle per i vampiri, in una quelli per i fantasmi, in una quelle per i licantropi… tutte con una targa al centro, così non ti sbaglieresti! E saresti sempre pronto a qualunque cosa. E poi…- Bobby la interruppe.
-Leira… sei un po’ fissata con l’ordine, per caso?- Lei sorrise.
-Sono una maniaca della catalogazione. Casa mia è… beh, dovresti vederla! Perfetta in ogni angolo, modestia a parte…- Poi Leira si interruppe. –Beh… ora forse ci sarà cattivo odore… avevo dei broccoli pronti nel frigo… e del sugo al tonno… e i panni stesi fuori forse saranno volati via…- Si sedette al tavolo, delusa. –In effetti non vedo l’ora di rimettere tutto a posto. Odio l’idea che il mio nido sia in qualche modo sporco…- Bobby sorrise.
-Ti consiglio di aprire tutte le finestre, prima del frigo.- Leira annuì.
-Già. E comprerò un deodorante per ambienti. Forse ce ne sarà bisogno…-
 
Dopo la cena Dean tornò a letto, borbottando che poi il viaggio sarebbe stato pesante e voleva ricaricarsi il più possibile.
Gli altri due lo salutarono con un cenno della testa e tornarono alle loro occupazioni: Leira stava leggendo una cartina stradale e decidendo quale fosse il percorso più breve per occuparsi dei due casi che Dean doveva affrontare ed arrivare prima a casa; Bobby leggeva un libro, come al solito.
-Credi che a Little Sherbyville ci sia un demone?  Oppure potrebbe trattarsi di qualcos’altro?- Chiese lei. Bobby poggiò il libro ed afferrò il giornale che Leira gli stava porgendo. Lesse l’articolo in questione, poi si grattò la nuca.
-Credo si tratti di un semplice licantropo. Devi sapere che i demoni non sono poi così tanti… di solito si tratta di creature come fantasmi o licantropi, appunto.- Leira annuì.
-Capisco. E come fate ogni volta a capire di che si tratta o come sconfiggerli?-
-Di solito usiamo i libri, o gli appunti di John… o quello che sappiamo. A volte, invece, dobbiamo usare quella scatola infernale.-
-Il computer?- Chiese Leira.
-Sì. Non ci capirò mai nulla. Ma per le notizie è abbastanza utile.-
-Chi è John?- Chiese lei. Bobby si fece triste, ma cercò di nasconderlo.
-Lui era… il padre di Dean. È morto poche settimane fa.- Leira abbassò lo sguardo.
-Mi dispiace molto… immagino fosse un tuo amico…-
-Il migliore tra tutti i cacciatori con cui ho avuto a che fare.- Leira gli afferrò la mano, poi lo guardò negli occhi.
-Sono sicura che si senta più tranquillo, sapendo che tu vegli su suo figlio.- Poi la ragazza si alzò e si stiracchiò. –Credo che andrò a dormire… altrimenti domani passerò il tempo a dormire invece di essere utile a Dean… Buonanotte, Bobby.-
-Notte.- Sorrise lui. Quando la sentì raggiungere il piano superiore e chiudersi in bagno si concesse una lacrima solitaria, di malinconia.
Poi riprese la lettura.
 
-Ti vuoi muovere???- Gridò Dean, già seduto al volante. Leira sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Bobby borbottò qualcosa sulla fretta che uccideva un gatto, poi abbracciò Leira.
-Grazie di tutto, Bobby. Non dimenticherò quest’esperienza… e quando prenderò un po’ di ferie mi piacerebbe venire a trovarti e darti una mano con la catalogazione. Potrei portare anche la mia amica Trisha, se non ti scoccia… potrebbe darmi una mano. Adora anche lei sistemare le cose… o meglio, pulirle.- Specificò, ricordando la camera incasinata dell’amica. –Potremmo fare squadra, insomma. O, nell’eventualità, se vuoi venire tu a trovarmi… beh, di bestie strane non dovrebbero più essercene. Quindi potresti riposare. E poi lavoro in un bar… cocktail gratis e buon vecchio whisky.- Lui le sorrise.
-Non sei in debito con me, Leira.- La ragazza sorrise, gli occhi lucidi.
-Sei stato sincero fin dall’inizio e l’ho apprezzato. E poi mi hai ospitata e sfamata. Direi proprio di sì.- Dean suonò il clacson e borbottò qualcosa di incomprensibile. –Ora vado, altrimenti mi lascia qui… grazie di tutto, di nuovo.- Bobby le diede una pacca sulla spalla, poi la osservò mentre saliva a bordo e iniziava a discutere con Dean, sgridandolo per la sua fretta e dandogli degli appellativi poco carini.
Dean rispose di tutto punto, poi gli fece un cenno di saluto e partì, sgommando.
L’uomo li osservò sparire dietro la prima curva, guardando la polvere che aleggiava pigramente nell’aria, dopo essere stata sollevata dalle ruote di Dean.
Silenziosamente disse una preghiera per quei due, poi entrò in casa, sbarrando la porta. 

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Capitolo 30
*** Rispettare le regole ***


Lasciamo casa di Bobby e rimettiamoci in marcia verso il nido…
Ghirly
 
LUI:
Venti minuti di calorosi saluti ingiustificati.
Cosa gliene fregava a lei di Bobby?
Voleva solo tornare in quella stupida cittadina , alla sua casetta perfetta, al suo lavoro perfetto, dalla sua amica perfetta e dal suo ragazzo/capo perfetto.
Fanculo.
Mise la sua musica a palla senza chiederle niente ed accelerò, sperando che qualcuno li fermasse e che lei arrivasse ancora più tardi a casa.
Alla seconda curva presa al limite possibile della velocità, senza che la macchina uscisse di strada almeno, si voltò e la vide bianca come uno straccio che osservava la strada di fronte a sé.
Ghignò.
-Paura?- Commentò.
-U-un pochino… ma se dobbiamo arrivare il prima possibile per il caso non c’è problema, chiudo gli occhi.- Dean perse la sua baldanza e rallentò.
Quella vendetta era stupida. Lui si sentiva uno stupido.
In effetti poteva sembrare che fosse geloso.
Ok, questa era una cosa ancora più stupida.
Basta col termine stupido! –Cosa credi che sia quello a cui stiamo andando incontro?-
-Credo sia un demone mangiabambini.- Commentò lui. Leira rimase un attimo in silenzio.
-Cioè… li attira e poi se li mangia?- Dean annuì.
-Lentamente.- Aggiunse. Leira strinse i pugni.
-Come lo ammazziamo?- Dean la guardò male.
-Io lo ammazzo, con un lanciafiamme. Tu rimani in macchina ad aspettare, da brava bambina.- Mise in chiaro. Leira lo fulminò con lo sguardo.
-Col crick.- Commentò. –Non ci penso nemmeno! Quell’essere uccide bambini innocenti! Non starò a guardare mentre…- Lui la interruppe.
-Le regole sono queste, Leira. Hai deciso di rimanere un’innocente che sa. Non posso rischiare che tu ti faccia…-
-Cosa? Uccidere?- Leira rise. –Ho mia madre dalla mia parte. Non credo che quell’essere potrebbe farmi alcunché…- Dean si infuriò.
-E ALLORA DOVRESTI VOLER CONTINUARE CON ME E DARMI UNA MANO PER I CASI, INVECE DI VOLER TORNARE A CASA!- Gridò. Poi tornò a concentrarsi sulla strada e Leira mise il muso, non rispondendo a tono.
Lui non poteva sapere cos’avevano dovuto fare i suoi genitori per metterla al mondo.
E poi, sotto sotto, forse aveva ragione.
 
Si fermarono a pranzo e mangiarono in una tavola calda. Leira prese una semplice zuppa di zucca e carote, mentre Dean si buttò su un triplo cheeseburger come fosse il suo ultimo pasto.
Leira era indecisa se ridere per come il ragazzo mangiava o ricominciare a litigare.
Alla fine rimase in silenzio e fece finta di nulla, rubandogli qualche patatina mentre non guardava, concentrato sul suo nuovo giornale.
-Inizio a pensare di aver ragione. C’è stata un’altra sparizione, nella stessa cittadina.- Commentò Dean, all’improvviso. Leira interruppe il taccheggio nel suo piatto e si fece attenta. –Come nel mio piatto, dopotutto.- Borbottò lui. Leira arrossì lievemente.
-Scusa…-
-Avresti potuto dirmi che volevi le patatine.-
-Credevo stessimo giocando al gioco del silenzio.- Lo rimbeccò lei. Ma lui non colse.
-Cosa sarebbe?- Lei lo guardò come fosse un alieno, poi capì.
-Tu… non hai mai frequentato la scuola? Si fa alle elementari!- Dean alzò gli occhi al cielo.
-Mai abbastanza a lungo da fare il gioco del silenzio, a quanto pare.- Commentò, acido. Leira non rispose alla provocazione.
-Quando un insegnante esce dall’aula, per far stare in riga gli alunni, chiede ad uno di essi di andare alla lavagna e dà il via al gioco del silenzio. Se qualcuno parla l’alunno in piedi deve segnare il suo nome sulla lavagna. Al ritorno dell’insegnante chi è stato segnato riceverà una sgridata o una punizione.- Gli spiegò.
-Mi sembra più un grande fratello fatto in casa. E poi dev’essere una cosa orribile… chi sta in piedi si sente al centro dell’attenzione e gli altri lo possono prendere in giro perché raccomandato, o roba così… mi sembra una crudeltà gratuita.- Leira sorrise.
-Io segnavo tutti quelli che facevano anche solo un sussurro.- Ammise. Dean la guardò male.
-Eri una cocca delle maestre?-
-Più o meno. Comunque ero molto ligia alle regole, da piccola.-
-Ora non lo sei più?- Leira ci ragionò.
-Dipende.-
-Da cosa?-
-Dalla regola. E da come mi sveglio.- Dean rise.
-Cos’è cambiato?- Indagò, divertito. Leira abbassò lo sguardo e lui si pentì di averlo chiesto.
-Ho conosciuto qualcuno che non rispettava le regole e qualcuno che le rispettava troppo.- Rispose lei, semplicemente. 

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Capitolo 31
*** Quid pro quo, Leira ***


Capitolo un po’ breve, ma con un bel dialogo tra i nostri amici. Povero Dean, è troppo curioso! Baci!
Ghirly
 
LEI:
Quando uscirono dalla tavola calda risalirono in macchina e ripartirono.
Dopo qualche minuto Dean si voltò verso di lei.
-Allora?- Le chiese. Lei lo guardò.
-Allora cosa?-
-La storia della tua vita… me la vuoi raccontare?- Leira si tolse le scarpe, abbracciandosi le ginocchia. I capelli le ricaddero sul volto.
-Sono cresciuta con mia nonna e mia zia, poi sono andata a lavorare nel bar. Fine.- Dean sospirò.
-Facciamo così… io ti racconto qualcosa di mio, tu qualcosa di tuo.-
-Quid pro quo?-
-Esatto.-
-Quel film ti ha fatto male…- Rise lei, riferendosi al “Silenzio degli innocenti”.
-Forse. Comincio io?-
-Se vuoi…- Commentò lei.
-Ok… sono un cacciatore dall’età di quattro anni.- Iniziò lui. Leira sospirò.
-Lavoro al bar di RJ da quando ne avevo diciassette.-
-Mia madre è morta quando ero piccolo.-
-Anche la mia.- Dean sospirò.
-Mio padre è morto qualche giorno fa.-
-Il mio da più tempo.-
-Ma così non vale!- Scattò lui.
-Non si può fare un gioco del genere, Dean! Non con le nostre storie! Credo di essere nel giusto, dicendo che anche tu ne hai passate tante e troppo brutte per poter essere annoverate in questo modo.- Lui abbassò lo sguardo per un secondo.
Aveva ragione.
-È vero, scusa.- Ammise. Lei sospirò.
-Abbiamo ancora qualche giorno da passare assieme. Qualcosa verrà fuori… no?-
-Già.-
-Sono… mi dispiace per tua padre, Dean. E anche per tua madre, ovviamente…-
-L’ho persa quando ero piccolo… ricordo davvero poco di lei. Mio padre è stato il mio compagno nella caccia per… beh, per tutta la mia vita. È stato un duro colpo.-
-Immagino, mi spiace… e tuo fratello?- Dean rimase per un istante senza parole. –Scusa… non volevo…-
-Ha risposto di no.- Leira lo guardò. –Dopo la morte di papà… ha detto che non voleva più essere un cacciatore. Abbiamo discusso, violentemente. Gli ho dato del codardo. Ma sai… in fondo in fondo lo so che ha ragione. Voglio dire… guardami. Sono una mina vagante… finchè ci sono stati lui e papà al mio fianco la solitudine non si è fatta sentire più di tanto, e…-
-E Bobby?-
-Bobby ha una casa. Lui mi aiuta da lontano. Qualche volta si è unito a me, ma gli piace rimanere sempre collegato alla sua casa, in qualche modo. E poi tornare lì, alla fine del lavoro. Io vago senza meta.- Leira sorrise.
-Anch’io ho vagato senza meta. Beh, non proprio come te… e, devo ammetterlo, per pochi mesi. Ma so che non è una bella sensazione. Fa male essere soli. Ero infreddolita e spaventata. Non avevo nulla in mano… ma lo rifarei all’istante, se sapessi di poter raggiungere di nuovo ciò che ho ottenuto a fatica.- Dean sospirò.
-Capisco.-
-Non hai mai pensato di fare qualcos’altro? Che so… l’architetto… l’astronauta…- Chiese lei.
-L’idea mi ha sfiorato. Ma sapere cosa c’è lì fuori e che siamo così pochi a combatterla… non posso non essere un cacciatore.-
-E se tutto finisse?- La buttò lì Leira.
-Cioè?-
-Se… le porte dell’inferno, se così si possono chiamare, si chiudessero e non ci fossero più i mostri ed i demoni… cosa vorresti fare?- Dean ci pensò su.
-Chissà… forse comprare un ranch. Un piccolo ranch con qualche animale… e poi trovarmi una compagna e fare un mucchio di ragazzini urlanti.- Leira rise. –Lo trovi divertente?- Sbottò lui.
-Mi immaginavo i tuoi figli. Sarebbero delle pesti!- Dean ridacchiò.
-Mi darebbero del filo da torcere, lo ammetto.-
-Sai, Dean… magari verrò a vivere accanto a voi. Avere un ranch è sempre stato anche il mio sogno… con meno ragazzini urlanti e più bestiole, ma… l’ho sempre desiderato. Mi sorprende che anche tu abbia questa fantasia. Le nostre vite sono… così diverse…-
-In effetti… vivere in pace in un ranch non è il sogno dell’americano medio. Forse New York ci si avvicina di più.-
-Già. Però… io mi immagino una sera, al tramonto, sulla veranda, seduta su una sedia a dondolo mentre faccio la maglia, con i miei nipoti che giocano nel cortile di fronte a me e mio marito che li osserva, pacifico e soddisfatto. Poi ci guardiamo e ci sorridiamo… Non credo sia un sogno che svanirà mai.- Dean si era immaginato la stessa cosa, mentre Leira lo raccontava. Con lei di fronte a sé, che sferruzzava amabilmente un maglione. Le rughe ai lati dei suoi occhi che lui aveva visto comparire, adorandole una ad una, ogni volta… Scosse la testa intensamente.
-Sarebbe un bel finale per la storia di chiunque.- Concluse. 

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Capitolo 32
*** Agente Black! Lei è un idiota! ***


Grazie per le recensioni, anche alla nuova arrivata, Wollys (anche se dici di non saper recensire, fidati, mi hai fatto iper piacere! A me basta anche un “bello” o “schifoso”)!
Abbiamo lasciato i nostri paladini alle prese con un sogno nel cassetto… vediamo come procederà il loro viaggio…
Baci!
Ghirly
 
LUI:
La storia del ranch aveva fatto molto male a Dean.
Aveva visto troppa gente cadere sotto il fuoco incrociato del bene e del male.
E tutti loro, ne era convinto, sognavano lo stesso ranch.
Alcuni lo avevano anche avuto e poi perso.
Era un sogno troppo fuori dalle righe, per uno come lui.
Magari Leira ce l’avrebbe fatta, però. Con il suo RJ, forse.
 
Verso le quattro del pomeriggio raggiunsero Oaktown, la cittadina che doveva essere infestata dal mangiabambini. Scesero dall’auto avviandosi sulla strada principale.
Leira si guardò intorno, poi vide una cabina telefonica e venne fulminata da un’idea.
-Dean… posso fare una telefonata, vero?- Tentò. Il ragazzo la guardò.
-Ovviamente. Se quello che tua madre ha detto è vero sei al sicuro, no?- Leira annuì. –Vado a fare un giro di ricognizione. Quando finisci vai alla macchina ed aspettami lì.- Le diede le chiavi. Leira sgranò gli occhi.
-Mi dai… le chiavi della tua bambina?- Si sorprese. Dean sospirò.
-A malincuore. Ma non so quanto ci metterò e non voglio che tu debba aspettarmi in piedi o in giro.- Leira lo guardò.
-Mi… mi potresti dare qualche dollaro? Non ho nulla per telefonare…- Lui annuì, aprendo il portafogli e tirando fuori una banconota da venti dollari. Nel farlo gli cadde dalla tasca anche un piccolo astuccio di pelle. Leira si chinò a raccoglierlo, poi sgranò gli occhi. –M-ma questo…- Dean glielo prese di mano, senza violenza.
-Come credi che io possa ottenere le informazioni che mi servono?-
-Ma… un distintivo falso… se ti prendessero saresti in grossi guai…- Dean ghignò.
-Non è mai successo.- Leira si grattò una spalla.
-Posso averne uno anch’io?- Tentò.
-Ma anche no! Ora vai a fare la tua telefonata ed aspettami in macchina. Questo mettilo nel cruscotto, tanto devo solo fare un giro di ricognizione. Ci vediamo dopo.- Dean glielo porse nuovamente, poi si allontanò lungo il corso, controllando che la ragazza entrasse in un tabacchino per cambiare la banconota. Una volta che Leira fu al telefono si avviò verso il parco giochi.
Si sedette su una panchina ed iniziò ad ascoltare le chiacchiere delle madri e babysitter che si trovavano al parco.
-Starò solo un’oretta, comunque. In questo periodo non è un parco sicuro, questo…- Stava dicendo una delle madri. Dean aguzzò l’orecchio.
-Già, ho sentito di Danny, il figlio di Pamela… una tragedia.- Rispose la donna seduta accanto a lei.
-Lo hanno ritrovato fatto a pezzi vicino a quel tombino.- Indicò la donna. –Povera Pamela… e dire che aveva faticato così tanto per averlo…-
-Già… anche se la polizia gira da queste parti non mi fido. Tra dieci minuti riporto Sunny a casa.-
-Concordo. Facciamo la strada assieme?-
-Sì! Volevo passare anche da quel negozio nuovo in centro, ho visto delle scarpe in saldo…- L’attenzione di Dean scemò fino a perdersi del tutto, mentre le due iniziavano a discutere di moda. Si alzò, stiracchiandosi, poi si avvicinò al tombino che la donna aveva indicato poco prima, scavalcando il nastro della polizia.
Tirò fuori una provetta e prelevò un po’ del muco che ricopriva il muretto lì a fianco.
Lo annusò, confermando che si trattava del mangiabambini.
Poi sentì una pistola che veniva caricata dietro di lui.
-Metta le mani bene in vista. E si volti lentamente.- Disse un agente. Dean obbedì, voltandosi con un sorriso.
-Mi scusi, agente… che cos’ho fatto di male?- Tentò. L’uomo, con la pistola puntata, lo guardò storto.
-Che sta facendo in questa zona? Non sa che è vietato accedervi? Non ha visto le transenne?- Dean sospirò.
Non aveva dietro il distintivo.
-Io…-
-Mi dia una motivazione per cui non dovrei arrestarla. E cos’ha raccolto, poco fa?-
-Agente, io…- Tentò di nuovo Dean. Ma non gli venne in mente nessuna scusa.
-Agente Black!- Gridò una voce dietro di loro. I due si voltarono nella direzione dalla quale veniva il suono. Leira, con indosso gli occhiali da sole di Dean, gesticolava verso di lui. –Le sembra il caso di raccogliere prove senza l’autorizzazione della polizia locale? E poi… ha lasciato questo in macchina.- E gli sventolò di fronte il distintivo. –Un altro errore del genere e la spedisco a dirigere il traffico. A Detroit.- Aggiunse poi, guardandolo in cagnesco. Il poliziotto abbassò lievemente l’arma. Leira si rivolse a lui, stringendogli una mano, presentandosi. –Lo scusi… sono il detective Monroe, lui è l’agente Black… un novellino, come ha capito. Stiamo indagando sull’omicidio di quei bambini.- Spiegò all’uomo.
L’agente afferrò il distintivo di Dean, guardandolo, poi sospirò, mettendo via l’arma. Con non-chalance Leira mostrò la fondina con la pistola all’interno che le spuntava da sotto la camicia di flanella.
-Mi scusi, signora, non potevo immaginare che…- Tentò, ma lei lo interruppe.
-Ma certo che non lo poteva immaginare! Perché quest’idiota ha pensato bene di fare i conti senza l’oste!- E tirò un coppino a Dean così forte che l’agente distolse lo sguardo, imbarazzato. Dean abbassò gli occhi.
-M-mi scusi, detective.-
-Non scusarti con me, ma con l’agente…- Si interruppe. -Mi scusi, posso vedere il suo distintivo?- L’uomo annuì, impacciato, e le porse l’oggetto. –Raynolds. Agente Raynolds. La ringrazio per la sua pazienza… chiederò un’autorizzazione oggi stesso per poter valicare le transenne ed occuparmi del caso.- L’altro annuì.
-Nessun problema, detective. Se vuole dare un’occhiata anche adesso chiuderò un occhio, per voi.- Poi guardò dritto verso Dean, con aria pietosa. –Ho fatto anch’io la gavetta per una donna…- Gli sussurrò, allontanandosi.
Quando furono rimasti soli Dean si voltò verso di lei, boccheggiando come un pesce.
-Muoviti, genio.- Sussurrò lei. –Prendi quello che ti serve e filiamo. Prima che sia lui a chiedere a me il distintivo.- Dean sospirò.
-Già fatto, è lui, il mangiabambini. Questa…- E le mostrò la provetta, -…è roba sua, non ci sono dubbi.-
-E ora?- Chiese Leira con un brivido che le attraversava la schiena.
-E ora dovremo fare un distintivo anche per te. Perché dobbiamo andare a prendere una cosina carina in prestito alla centrale… e dato che sanno già che sei il mio capo, dovrai venire anche tu.- Sbottò lui.
-Hai poco da fare l’arrabbiato.- Lo guardò male lei. –Se non fosse stato per me ti avrebbe messo dietro le sbarre, quel tipo.- Dean alzò gli occhi al cielo.
-Me la sarei cavata, come al solito.- Sbottò.
-Certo, come no. Dai, andiamo a fare questo… distintivo.- Il volto di lei si accese all’idea di avere tra le mani una cosa del genere. Scavalcarono le transenne incamminandosi verso l’auto.
-Com’è andata la… telefonata?- Tentò Dean. Gli occhi della ragazza si spensero per un istante e li chiuse, fermandosi per la strada. Dean inchiodò, mordendosi la lingua.
-Non era in casa.- Rispose poi lei, ricominciando a camminare. Dean decise di non indagare oltre. Magari, dopo il mangiabambini, gliene avrebbe parlato lei…
Forse RJ l’aveva mandata a quel paese.
Forse si era trovato un’altra…
Forse…
-Allora, come si crea un distintivo dal nulla?- Chiese Leira.
-Non si crea. Si modifica. Ah, quella… ridammela.- Specificò il biondo, indicando la pistola che Leira portava ancora, sotto la camicia.
-Questa e gli occhiali sono stati un colpo di genio.- Lo rimbrottò lei, togliendosi la fondina di dosso e porgendogliela. Dean la mise nel doppiofondo del bagagliaio, sospirando.
-Certo. Ma ricordami di non lasciarti mai più le chiavi dell’auto.- Leira alzò gli occhi al cielo.
-Se vuoi tagliarmi fuori dai casi non potrai farne a meno. Dovrò pur aspettarti da qualche parte.-
-Non fare mai più una cosa del genere, comunque. Ora ci sei di mezzo anche tu, con la polizia. E se ti scoprono finirai nei guai. A quel punto non potrai tornare nella tua casetta piccina picciò per stare rilassata con i tuoi amichetti.- Leira sbuffò, poi afferrò un mazzo di distintivi vuoti dall’angolo del bagagliaio.
-Lasciamo stare. Allora… che dobbiamo fare con questi?- Dean sospirò.
-Cambiare qualche lettera e qualche numero qua e là. E metterci la tua foto.-
-Non ho una mia foto dietro.-
-Esistono le macchinette automatiche per questo. Andiamo, c’è un centro commerciale poco più in là.- 

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Capitolo 33
*** Mangiabambini ***


Piccolo pre appello dell’autrice:
Ho visto che molti leggono i miei capitoli, e di questo sono molto felice (ç.ç), non sapete quanto!
Però, lo ammetto, ho bisogno di avere dei pareri!
Un commento negativo, uno positivo, uno sputo virtuale o una pacca sulle spalle (sempre virtuale…) fa comodo a chiunque!
Se ne aveste voglia, anche solo di una parola, scrivetemi qualcosa! (suggerimenti: bleah, che schifo, fa pietà, banale, carino, divertente, bellissimo…)
Se riesco a raggiungere il doppio dei commenti, rispetto ai capitoli, ho deciso che trasformerò la storia in un’originale da mandare a qualche editore…
Però se avrò poco riscontro capirò che non ne vale la pena e accantonerò questo progetto…
Quindi… PLEAAAAAAAAAAASE!
Grazie comunque a chi ha recensito, e anche a chi ha solo letto fin qui!
Baci,
Ghirly!
 
LEI:
-Eddai, Dean! Prometto che non le faccio vedere a nessuno! È solo per ricordo!- Il biondo scosse la testa.
-Non entrerò lì dentro con te per fare una faccia da cretino che tu possa tenere come ricordo.-
-E allora fai una faccia seria, no?-
-Non mi convincerai a fare questa cosa, rinunciaci.- Leira lo guardò seria.
-Quando arriveremo a casa mia rimarrai solo, Dean. Proprio non ti va di ricordare queste settimane assieme a me?-
-Io…-
-Beh, non mi interessa. Io voglio ricordarmi di te e di Bobby e di tutto quello che è accaduto. Quindi, per piacere, entra in questa stupida macchinetta e facciamola finita.- Gli ringhiò contro. Dean sospirò, poi si sedette sullo sgabello, indeciso.
-E tu dove ti metti? Questi affari sono per una persona sola, non…- Leira gli si sedette in braccio, cingendogli le spalle e stringendolo a sé.
-Devi solo sorridere.- Gli disse poi, guardando verso l’obbiettivo e ghignando. Il ragazzo fece il possibile per sembrare un ragazzo normale, ma tre delle quattro le foto lo facevano sembrare un’idiota. L’unica in cui la sua espressione era un po’ più naturale era l’ultima, quella in cui Leira lo stava baciando sulla guancia. –Sei arrossito!- Esclamò lei, analizzando la foto. –Sei arrossito!- Lui gliele strappò di mano osservando gli scatti. Nell’ultimo le sue gote erano diventate di un rosino acceso.
-E’ questa stupida luce, mi fa sembrare gonfio, come se avessi gli orecchioni.- Sbottò, restituendole gli scatti. Leira sorrise, riguardandoli.
-Secondo me sei venuto benissimo. Sei molto fotogenico, dovresti fare il modello. O l’attore.-
-Ma sono un cacciatore, quindi andiamo a finire il tuo distintivo, così chiudiamo qui la cosa, ok?- Leira annuì, sempre osservando le foto, con un sorrisino.
Dean era… era davvero un ragazzo bellissimo. Quegli occhi verdi, i muscoli, i capelli biondo scuro… e poi era adorabile…
Scosse violentemente la testa.
RJ.
Lo aveva baciato, lui contraccambiava i suoi sentimenti… presto lo avrebbe raggiunto, ed avrebbero potuto condividere la loro esistenza.
Assieme, per sempre.
Dean era stata una parentesi obbligata, nonché il suo rapitore, nonché…
Nonché un grande amico su cui poter fare affidamento…
“Ok, Leira, ora basta.” Si disse. “Ho preso una decisione e la rispetterò, in onore di mia madre e di mio padre…”
Scosse di nuovo la testa e mise in borsa le foto.
Non le avrebbe più guardate per un po’ .
Stranamente le facevano male.
 
-Quindi voi… volete un lanciafiamme.- Chiese l’agente Reynolds, guardandoli di traverso.
-Esatto, agente. Abbiamo scoperto la causa di queste morti, ed è ciò che ci serve per porre fine a tutto questo.- Annuì Leira, convinta.
-E la causa sarebbe…?-
-Gli ordini dall’alto sono di non condividere le informazioni, agente, mi dispiace. Purtroppo sono molto fissati con la segretezza, riguardo certe cose…- Gli occhi dell’uomo si accesero.
-State dicendo che… si tratta forse di… alieni?- Sussurrò. Leira finse uno sguardo di sorpresa diretto a Dean.
-Molto sveglio, agente Reynolds. Però, ovviamente, noi non abbiamo detto nulla...- L’uomo si alzò di scatto dalla sedia.
-Ma certo, certo… venite con me. Lo sapevo che ho sempre avuto ragione… i miei compagni mi hanno sempre preso in giro e mi sono iscritto in polizia per sembrare una persona a posto. Ma lo sapevo, e non ho mai smesso di crederci!- Dean si stava trattenendo a stento dal ridere, ma cercò di riacquistare un contegno una volta raggiunta la stanza delle armi. L’agente aprì la porta blindata e fece loro strada. –Qui dentro abbiamo tutto ciò che vi può servire. Questo è il lanciafiamme più potente e maneggevole. Lo abbiamo sequestrato qualche mese fa da una carico clandestino, giù al porto… ed ora fa parte dei nostri gioielli.- Leira afferrò l’arma un po’ goffamente. Poi guardò l’agente.
-Come…?- Stava per chiedere le istruzioni, ma Dean la fermò.
-Mi lasci provare, detective. Dopotutto mi avete assunto per la mia capacità di maneggiare le armi più impensabili…- Specificò, afferrando il lanciafiamme. –Wow… questo sì che mi piacerebbe poterlo tenere in casa. Ti fa sentire davvero al sicuro… ha persino il dosatore ed il mirino…-
-Esatto.- Replicò l’agente, sempre più convinto che fosse la sua giornata fortunata.
-Questo andrà benissimo. Lo prendiamo.- Disse Dean. L’uomo alzò le braccia.
-Ehm… purtroppo ve l’ho fatto vedere più per vantarmi che altro… sarebbe illegale, se ve lo dessi… non è ancora stato registrato tra…- Ma Leira gli sorrise.
-Agente Reynolds… come avrà capito il nostro lavoro è tutto, tecnicamente, illegale. Se l’agente Black dice che quest’arma è ciò che ci serve… sarà quest’arma ad uscire con noi. Tutto chiaro?- L’uomo quasi scodinzolava per la gioia.
-Sicuro, signora, tutto chiaro. Prendetela pure.- Poi parve rifletterci su. -Però… non vorrei finire nei guai… a fine lavoro me lo riporterete indietro, vero?- Leira sorrise.
-Non vogliamo farla finire nei guai, agente. Non appena avremo finito le riporteremo l’oggetto, non si preoccupi.-
L’uomo annuì e li scortò fuori.
 
-Perfetto, ora che il tuo compito è finito puoi andare alla macchina ed aspettarmi lì.- Disse Dean, imbracciando il lanciafiamme e dirigendosi verso il parco, lasciandole le chiavi.
-Cosa?! No, io…-
-Leira, ascoltami bene.- Fece lui, improvvisamente serio. –Capisco la tua enfasi, capisco la novità, ma tutto questo non è un gioco. Qui rischiamo di farci male sul serio. E, se non lo fai con la consapevolezza di continuare su questa strada, non ti permetterò di uccidere niente e nessuno. Tantomeno di vedere un mangiabambini in azione.-
-Ma Dean, io…-
-Tu niente. Questo è un problema mio. Ho già lavorato in coppia e non è stato facile iniziare a fare le cose da solo. Se ora ti permettessi di aiutarmi ripartirei da zero e non ne ho la forza. Chiaro? mi faresti solo del male.- Leira sospirò, poi annuì, afferrando le chiavi e dirigendosi verso la vettura.
-Ti aspetto qua. Ma torna presto. E integro, d’accordo?- Dean borbottò qualcosa e sparì in direzione del parco.
Leira salì sulla vettura, in attesa.
Dopo un’oretta vide una luce arancione e sentì odore di zucchero bruciato pizzicarle le narici. Poi arrivò Dean.
Salì sull’auto porgendole il lanciafiamme. Poi partì e si fermò di fronte al commissariato, dove stava l’agente Reynolds, in attesa.
-Tieni, bello!- Gli gridò, lanciandogli l’arma. –E grazie!- Poi diede gas, sgommando via nella notte.
-C-com’è andata?- Tentò Leira. Lui scoppiò a ridere, l’adrenalina ancora in circolo.
-Carbonizzato a dovere. E tu sei rimasta in macchina come ti avevo chiesto. Quindi è andato tutto bene… ma ora ho una fame da lupi ed un sonno atroce. Quindi ci fermeremo alla prima zona di sosta, mangeremo come sfondati e ci faremo un bel sonno… contenta?- Leira lo guardò, alzando un sopracciglio. Sembrava un’altra persona, dopo aver risolto un caso…
-Ok, per me va bene.-
 
E così continuarono per la strada verso casa di lei, affrontando dei casi e mangiando come lupi affamati, per circa due settimane.
Leira non si era più azzardata a cercare di aiutarlo nel suo lavoro, anche perché Dean l’aveva tagliata fuori, semplicemente, come fosse una parte della carrozzeria dell’auto che con i casi non c’entrava un bel niente.
  

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Capitolo 34
*** Un caso per caso ***


Spettri, teste volanti, coltelli assassini, fughe rocambolesche e… un mazzo di chiavi.
Cosa volete di più da un capitolo?!
Baci e grazie a tutti per le parole gentili ed i consigli!
Ghirly
 
LUI:
Quella sera si fermarono qualche cittadina prima di quella di Leira.
Era tardi, ormai, e Dean era distrutto dall’ultimo caso che lo aveva impegnato tre giorni di fila, così optarono per una lunga dormita ed un rientro il giorno seguente.
Come al solito, dopo cena, entrarono nella camera doppia e a turno fecero una doccia, poi si infilarono sotto le coperte, con un vecchio film western in sottofondo.
-Quando mi fai provare di nuovo a guidare la macchina?- Tentò Leira.
-E’ successo solo tre volte e solo perché ti sei tenuta fuori dai guai nei casi. Erano premi. Ed i premi vanno guadagnati.-
-Uff…- Sbuffò lei, tuttavia sorridendo. In realtà lui le aveva fatto pure i complimenti per come aveva guidato, sempre nel deserto, nonostante non avesse mai messo in moto un’auto prima di averlo conosciuto. Lasciò perdere quell’argomento, sperando di poterlo tirare fuori il giorno seguente, una volta che il ragazzo fosse più riposato.
Dean crollò quasi subito, mentre Leira rimase ad osservare indiani e cowboy che combattevano per un pezzo di terra da qualche parte.
La sua mente, in realtà, era in tutt’altro luogo.
Stava ricordando com’era iniziato tutto.
La rissa nel bar, Dean che la aiutava, il Macellaio.
Il rapimento, la fuga, la scoperta di sua madre e della sua vera storia.
Sospirò.
Il respiro di Dean aveva un effetto così tranquillizzante che gli occhi di Leira si stavano chiudendo.
Poi d’improvviso li sgranò, colpita dall’idea che la sera successiva, molto probabilmente, non avrebbe avuto altro che il silenzio, attorno a sé.
Non ci sarebbe stato il respiro di Dean, le sue stupide battutine, la sua risata, il suo modo di mangiare così uguale al suo…
Non glielo aveva ancora mostrato, come mangiava in realtà.
Ma tanto non sarebbe cambiato niente.
In un mese a stretto contatto Dean non si era affezionato per niente a lei, anzi. L’aveva tagliata fuori da ogni cosa, da quando era finito il “Caso-Leira”.
La ragazza sospirò, sentendo cocenti lacrime solcarle gli zigomi.
Non aveva alcun diritto di piangere o di arrabbiarsi.
Aveva deciso lei di non continuare sulla strada della caccia.
E sempre lei aveva deciso di lasciare Dean da solo, anche se sapeva che lui soffriva terribilmente la solitudine del cacciatore.
Si sentiva una stronza.
Lui le aveva salvato la vita, aveva scoperto il suo passato e l’aveva messa al corrente di tutto… eppure… lei voleva tornare da RJ e al nido.
E poi… doveva trovare Trisha.
A Dean non aveva raccontato di quella telefonata, ma lei sapeva benissimo che Trisha era scappata di casa. E Leira la conosceva talmente bene da sapere che era colpa sua se era sparita.
E le urla della madre di Trish al telefono… Leira alzò la testa, notando che la televisione non funzionava più. Improvvisamente sentì un freddo glaciale penetrarle le ossa e renderle difficile persino mettersi a sedere.
Quella cosa non era naturale, lo sentiva.
-D-Dean?- Provò a svegliare l’altro, senza risultato. A fatica si alzò dal letto, crollando su quello di lui.
-Che cavolo…?- Scattò a sedere Dean, poi la vide.
Stavolta, almeno, non l’aveva morsa… -Leira ma sei impazzita, non…?- Ma lasciò la frase in sospeso, percependo il freddo e notando la televisione. Scattò subito a sedere. –Maledizione, che ci fa uno spettro, qui?- Corse verso la porta, in boxer, afferrando la pistola carica di sale e tornò verso Leira, afferrandole un polso. –Tu sta ferma immobile. E fai tutto quello che ti dico.- Le disse. Lei annuì, stringendosi le braccia attorno al corpo. –C’è uno spirito, qui dentro. E non so cosa voglia, ma troverà pane per i suoi non-denti.-
-U-uno spirito? E come si combattono?- Sussurrò lei.
-Col sale. E si devono bruciare le ossa del cadavere, dopo avervi sparso il sale, sopra, ovviamente.- Leira rimase in silenzio, mentre Dean si guardava intorno.
-Ma… allora non dovremmo uscire di qui? E cercare la sua tomba?- Dean annuì impercettibilmente, passandole gli abiti che erano sulla sedia. –Non trovo il calz… AH!- Gemette la ragazza, trovandosi di fronte una testa mozzata, che vorticava allegramente nella stanza, accanto al suo calzino. –D-Dean… me lo sta… indicando?- La testa, con la lingua di fuori, stava illuminando il calzino di lei, appallottolato accanto alla scarpa. Dean sgranò gli occhi.
-I-io… sembra di sì…- Leira strinse i pugni, poi fece per avvicinarsi alla testa. -Stà attenta.- La mise in guardia Dean. Leira annuì, poi scese dal letto ed avanzò verso il pezzo di spettro. Afferrò il calzino con mani tremanti, poi scattò indietro, sempre guardando quell’affare. Poi gli sorrise, timidamente.
-Beh… g-grazie…- La testa le sorrise, di rimando, poi sparì nel nulla. Leira si voltò verso Dean. –È… normale che siano gentili?- Dean rimase immobile qualche secondo ad osservare la testa che era ricomparsa, prima di rispondere.
-Di norma… se sono bloccati in questa dimensione è perché hanno un conto in sospeso. E questo non li rende dei bonaccioni in grado di essere gentili…- Leira osservò la testa. Improvvisamente comparve un corpo spettrale, le cui mani afferrarono il capo e se lo posarono sulle spalle. La testa riprese a sorridere. Leira ritrovò la voce e si voltò verso Dean, riuscendo finalmente a staccare gli occhi dallo spettro.
-E-e allora perché…? DEAN! ATTENTO!- Il ragazzo scattò di lato giusto in tempo per evitare che un coltello gli si conficcasse nel collo. Il coltello in questione, sorretto da una mano invisibile, si mosse nel punto dove c’era la testa simpatica. Leira osservò inorridita il coltello conficcarsi nel corpo appena riunito e separarlo di nuovo.
Uno schizzo di sangue argentato, ma comunque dall’odore terribile, colpì i due ragazzi. Leira, istintivamente, abbracciò Dean, cercando protezione.
-Ce ne sono due, Leira. Forse… dovremmo… SCAPPARE!- La afferrò per il polso, trascinandola fuori dalla stanza, mentre la testa sorridente cadeva di nuovo a terra, perdendo il sorriso ed iniziando a singhiozzare.
-Poverino…- Commentò lei, stringendosi nella felpa che aveva afferrato al volo.
Si guardarono.
Dean indossava ancora solo i boxer, mentre lei si copriva con la felpa sopra la maglietta a maniche corte che usava come pigiama. I pantaloni non era riuscita a prenderli.
-Poverino un corno, per poco non finivo come lui: spettro e senza testa!-
-Ma lui non voleva farci del male! È stato l’altro… Dean, dobbiamo aiutarlo!-
-Dobbiamo indagare, prima di tutto. E scoprire chi sono e dove sono sepolti. Una volta dato fuoco ai loro corpi avranno entrambi ciò che si meritano.- Leira rabbrividì.
-Hai le chiavi della macchina? Potremmo… che so? Vestirci.- Dean sbiancò.
-Ehm… sono lì dentro.- Ammise. –Nelle tasche dei miei pantaloni.-
-Ok, ok… basta stare attenti ai coltelli, no?- Dean annuì. –Andiamo.- Lui diniegò.
-No, no. Vado io. Tu coprimi le spalle: dimmi dalla porta se vedi qualche coltello svolazzante. Faccio in un attimo.- Leira sbuffò ma non lo contraddisse. 

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Capitolo 35
*** La vera storia di Leira ***


Il commento alla fine, stavolta.
Ghirly
 
LEI:
Recuperate le chiavi dell’auto i due si vestirono con gli abiti che avevano, poi si sedettero ai loro soliti posti. Dean reclinò il suo sedile per passare il tempo e riposarsi, finchè non avesse aperto il distretto cittadino, per poter iniziare le ricerche.
Una volta chiusa la macchina si sentirono più sicuri.
-Ti era mai capitata una cosa del genere?- Chiese Leira, guardando verso il motel e coprendosi alla bell’e meglio con un’altra felpa. Dean ridacchiò.
-Mi è successo di peggio. Una volta, con Sam…- Ma il ragazzo si bloccò, non riuscendo a parlare del fratello.
-Tuo fratello, immagino…- Dean annuì.
-Che gli è successo?-
-Lui ha… dopo la morte di nostro padre ha deciso di mollare questa vita. È tornato all’università e…-
-Ti ha lasciato da solo.- Dean annuì, grato di non doverle spiegare oltre la cosa.
-Sì. Ma lo capisco, sai? Nel senso… se avessimo quella scelta a disposizione…-
-Tu non lo faresti mai, Dean. Non finché ci sono mostri da combattere e, soprattutto, persone da salvare. O sbaglio?- Dean rimase per qualche istante in silenzio.
-Non sbagli.-
-Ti stimo molto, Dean. Tu… hai capito perché non me la sento di intraprendere questa strada?- Il ragazzo rimase in silenzio. –Ok, ho capito. Ti racconterò una storia, Dean. Se vuoi, ovviamente.-
-Sono settimane che te lo chiedo.- Puntualizzò lui. Leira rise, poi prese un bel fiato.
-Già. Allora… come ben sai, sono cresciuta senza una madre né un padre. Ma ho avuto una zia ed una nonna adorabili. E tutto è andato perfettamente, fino… beh, avevo dieci anni, quando è successo.-
 
Quella mattina Leira si svegliò all’ultimo secondo e salutò la zia talmente di corsa da non essere riuscita neanche a guardarla in faccia.
La nonna le aveva preparato la colazione, ma Leira era in ritardo e non era riuscita nemmeno a sentire la sua filastrocca, com’era sua abitudine.
A scuola quel giorno avrebbero fatto un disegno per la festa della mamma e, come al solito, lei avrebbe disegnato per la sua nonnina. E così fu.
 
Leira, inforcata la sua bici nuova di zecca, corse verso casa. Aveva fatto un disegno bellissimo per la nonna, e sotto aveva scritto la filastrocca che le cantava sempre.
Era talmente soddisfatta di quel lavoro che nemmeno si sccorse di aver bruciato un semaforo rosso, né delle macchine che le suonarono.
La nonna sarebbe stata entusiasta di quel disegno. E la zia, quando sarebbe rincasata nel pomeriggio, le avrebbe carezzato dolcemente la testa, facendole i complimenti.
Quando raggiunse il cancello, però, vide un’ambulanza e sbiancò.
Scese dalla bici correndo a più non posso e si fece strada tra i vicini curiosi, che l’avevano sempre guardata dall’alto in basso, per la sua situazione familiare…
-Nonna!- Gridò, vedendo l’anziana stesa su una barella con una mascherina sulla faccia. –Nonna!- La signora sussurrò qualcosa all’infermiere e quello fece cenno a Leira di salire con loro.
 
-Ovviamente, a distanza di tempo, ho capito che sarei rimasta sola a casa, dato che la zia non c’era. Quindi mi hanno fatta salire…- Specificò Leira, mettendosi la cintura. Dean la guardò di sbieco, ma non la interruppe. Leira vi poggiò la guancia sopra, poi continuò.
 
Leira afferrò la mano alla nonna e la strinse forte fino all’ospedale. Era fredda, gelida, la nonna non era mai stata così fredda…
E Leira era davvero molto spaventata.
E rimase così, spaventata, per ore, seduta su uno scomodo seggiolino della sala di attesa, aspettando che il medico venisse a chiamarla, per farle vedere la sua nonnina… poi arrivò la zia.
-Tesoro!- La abbracciò forte, cercando di tranquillizzarla. –Quella stupida della mia segretaria non mi ha passato le telefonate perché ero ad una stupida riunione! Dico io: si può essere così stupidi?!- Leira sorrise debolmente. Alla zia piaceva tanto la parola “stupido”.
In qualche modo quelle frasi così normali tranquillizzarono la bimba allentando la tensione che l’aveva mantenuta vigile fino a quel momento, e finalmente scoppiò a piangere, tenendo stretta la donna.
Rimasero ancora in attesa, fino alla sera, quando il medico arrivò e disse loro che era debole, ma che potevano entrare. Una alla volta.
Per prima andò la zia, ovviamente.
Leira continuò a muovere le gambe, incessantemente. Voleva vedere la nonna, chiederle cos’era successo, se era stata colpa sua e del fatto che quella mattina non avevano fatto il loro solito rito. Le aveva scombinato la giornata?  C’era rimasta male a tal punto da finire in quel posto che puzzava di ammoniaca e dentista?
Poi la zia uscì.
Cercava di nascondere il volto, ma Leira vide che aveva pianto. Le fece cenno di entrare e la bimba entrò.
Si avvicinò al letto, oberata dalle istruzioni dell’infermiera che le aveva detto cosa fare e cosa non fare…
-Nonna?- Tentò. La donna si voltò verso di lei e le sorrise. Leira corse nella sua direzione e voleva abbracciarla, ma l’infermiera aveva detto che poteva solo stringerle la mano. E Leira lo fece. Ed era ancora così fredda… ma lei era accaldata per l’ansia ed il pianto precedente e quel fresco le fece molto bene, si sentì più lucida. –Ti ho fatto un disegno oggi! C’eravamo io e te e la nostra filastrocca! L’ho scritta tutta da sola! E la maestra non ci credeva che ce l’avrei fatta! E…- La nonna le sorrise di nuovo. Da dietro quella maschera era difficile capire che sorrideva, ma Leira riconosceva le rughe sul suo volto, intorno ai suoi occhi, e lo capì. La nonna le prese la mano e le diede un leggero pizzicotto. Leira capì ed iniziò a recitare, per la prima volta senza la voce della nonna ad accompagnarla. –Pizzica… pizzica… carosello… anima bella, gallina zoppa…- E la nonna la pizzicava, dolcemente, come andava fatto. -…quante penne porti in groppa? Ce ne porto ventiquattro, fa uno, fa due, fa tre, fa quattro…- Poi la nonna le mise una mano a coppa rovesciata e Leira ci mise dentro la sua, a simulare il batacchio della campana, muovendola al ritmo della propria cantilena. –Sotto la pergola nasce l’uva, prima nasce, poi matura, tira il vento la fa cascà…- La nonna le prese il naso tra due dita, muovendolo a destra e poi a sinistra. -…firulì, firulà…- Fu in quell’istante che Leira capì che sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe fatto la sua filastrocca con la nonna. Sgranò gli occhi e iniziò a piangere silenziosamente, mentre la nonna le carezzava una guancia, dandole sollievo. Poi quelle macchinette legate alla nonna attraverso dei fili iniziarono a pigolare, sempre più forte, finché un’infermiera non la portò fuori di lì e la zia la abbracciò e la tenne stretta. Fu questione di pochi minuti. Poi il dottore tornò indietro e disse qualcosa alla zia. Leira non capiva i termini medici, ma capiva che la zia aveva iniziato a singhiozzare forte e che non avrebbe più visto la nonna.
Mai più.
 
Leira si asciugò una lacrima solitaria e si schiarì la voce, non sapendo come andare avanti. Dean le sorrise.
-Ora capisco. È per questo che appoggi sempre la guancia sulla cintura. E’ fresca e ti ricorda tua nonna… vero?- Leira annuì.
-Ti sembrerà strano, ma quello, per quanto terribile, è stato l’ultimo momento di gioia che avuto per molto molto tempo. Perché poi è arrivato lui.-
-Lui?-
-Già. Mia nonna ha fatto promettere a mia zia che avrebbe trovato un compagno, anche per me. E per farmi vedere com’è stare in una vera famiglia. Si sa, le promesse fatte sul letto di morte si mantengono. Così, qualche mese dopo, mia zia è rincasata con Nicholas…-
 
Leira stava lavando il pavimento. Si fermò un secondo ad asciugarsi la fronte, poi ricominciò. La zia lavorava e non aveva tempo di stare dietro alla casa come voleva la nonna, così Leira le dava una mano, fin quanto riusciva. E poi i suoi voti a scuola erano calati e doveva dare una brutta notizia alla zia, riguardante geografia… riprese a ramazzare con foga.
Poco dopo la zia era rincasò e con lei c’era un uomo. Puzzava di sigaro e vecchia acqua di colonia e a Leira scappò uno starnuto, non proprio contenuto. La nonna diceva sempre che era meglio farli grossi che non farli affatto e Leira aveva iniziato a seguire alla lettera le indicazioni della nonna, che fino alla sua morte non aveva ascoltato poi molto.
-Leira, ciao! Lui è Nicholas, un mio collega di lavoro…- La bimba gli porse la mano coperta di gomma gialla ed un sorrisetto di circostanza. Lui la guardò storto.
-Non è educato dare la mano con un guanto, signorinella. Ma provvederemo a farti perdere le cattive abitudini, io e tua zia…- Poi mise un braccio sopra le spalle della zia. E Leira capì, di nuovo, che la sua vita sarebbe stata sconvolta da qualcosa, in questo caso da qualcuno, che lei non voleva.
Ingoiò un boccone amaro e corse in camera sua.
 
I mesi passarono e la zia decise di sposarsi. Leira le augurò tutto il bene del mondo, mentre dentro di sé sentiva di non sopportare quell’uomo con tutta se stessa.
Ma fece finta di niente.
Dopo il loro matrimonio Nicholas iniziò a rincasare sempre prima della zia e la sgridava ogni volta di aver fatto qualcosa di sbagliato. Un piatto asciugato male, una camicia stesa di traverso, una pentola lavata rapidamente. La bimba fece di tutto per non replicare ed annuire, mentre Nicholas le dava delle pacche poco gentili sulla testa ed iniziava a guardare la tv.
Dopotutto la zia sembrava felice, e Leira non voleva farla soffrire.
 Poi accadde quello che ci si poteva aspettare da mesi.
Leira, un giorno, dopo anni di silenzio, esplose.
Aveva passato tutto il giorno a pulire lo schifo che “lo zio” aveva lasciato a marcire nel forno a microonde. Così, quando lui rincasò, si fece vedere con il sapone in mano ed uno degli stracci che aveva usato per pulire. Voleva che, per una volta, lui la lodasse. Invece Nicholas la guardò malissimo.
-Cos’è questo disastro, Leira?! Possibile che non ti si possa lasciare la casa in mano per un’ora o due?! Tutti questi stracci… cos’hai rotto, stavolta?- La ragazzina rimase immobile, non sapeva che dire. Dopo tutta quella fatica…
-I-io… ho pulito il microonde.- Tentò.
-E ti ci volevano tutti questi stracci? Cosa ci hai cucinato? Un vitello intero?- Inspiegabilmente quell’immagine penetrò a forza nella testa di Leira, che iniziò a ridacchiare. Nicholas lo prese come un affronto. –Ridi di me?! Signorinella, stai ridendo di me?- Gridò.
-NO! Io…- Cercò di spiegare lei. Ma alzare il tono della voce fu un grave errore. Nicholas la afferrò per un braccio, portandola nel salotto di peso.
-Sei una persona cattiva, Leira! Noi adulti ci facciamo in quattro per te e tu non hai il minimo rispetto! Dovresti vergognarti!-
-MA IO HO SOLO PULITO LO SPORCO CHE HAI FATTO TU!- Gridò lei.
Finalmente era riuscita ad esprimersi. Aveva quattordici anni, ormai, e sapeva di avere il diritto di esprimere la sua opinione.
Peccato fosse il momento sbagliato.
Nicholas la prese di peso, ponendola sulle sue ginocchia ed iniziando a colpirla al sedere.
-Le persone cattive, che dicono le bugie, vanno punite, Leira! Ti ho vista sfrecciare in mezzo al traffico con la tua biciclettina, convinta che il resto del mondo dovesse fermarsi perché passavi tu… non sei al centro del mondo e questo LO DEVI IMPARARE!- Gridava Nicholas, mentre la colpiva.
Inizialmente Leira cercò di opporsi, poi rimase immobile a prenderle, piangendo silenziosamente.
Quando la zia rincasò, quella sera, la trvò sdraiata a pancia in su nel suo letto. Leira si rifiutò di scendere a cena e di uscire dalla sua camera per giorni, finché non riuscì a confessare alla zia cos’era successo.
 
-Quella è stata la prima volta che hanno litigato.- Ammise Leira. –Mia zia urlò come una pazza per tutta la notte e lo sbatté fuori di casa. Pensavo di essermi liberata di lui.- Dean sospirò.
-Lasciami indovinare: hanno fatto pace e sono rincasati mano nella mano la sera successiva.- Leira scosse la testa.
-Lui è rincasato, dicendo che avevano fatto pace. Ma mia zia non è mai più tornata.-
-Cosa?- Si sconvolse Dean.
-Già.-
 
Leira tornò a casa il giorno dopo, in bici. Aveva paura di tornare perché temeva che lui fosse riapparso. Poi vide i lampeggianti blu.
Temette subito che si trattasse di ambulanze, ma notò che erano solo auto della polizia. Tirò un sospiro di sollievo, poi l’ansia tornò.
Perché la polizia era davanti casa?
Corse verso l’ingresso, lasciando nuovamente la bici come fosse un sacchetto della spazzatura. Le sue speranze di libertà svanirono quando vide Nicholas, sulla soglia, che piangeva.
Si vedeva lontano un miglio che stava fingendo, ma per qualche motivo una poliziotta gli stava porgendo un bicchiere di tea, fumante.
Leira indugiò sul da farsi. Se luiera lì voleva dire che era successo qualcosa alla zia…
-Leira! Oh, tesoro!- Le corse incontro, abbracciandola. Lei rimase immobile, senza ricambiare la stretta. –Piccola… vieni in casa… questi agenti… devono dirti una cosa…-
 
Dean aspettò che Leira continuasse, poi capì che stava cercando di non scoppiare a piangere e che andare avanti avrebbe significato il crollo. Si mise seduto e l’abbracciò, la ragazza cercò di smettere di lacrimare, ma era tanto, troppo doloroso, ricordare…
-Quid pro, quo, giusto? Adesso tocca a me, raccontare.- Disse lui.
 
 
 
 
Post-commento:
Lo ammetto… nello scrivere questo capitolo ho pianto. Non perché io ci sia passata, per fortuna questa non mi è mai capitata, ma mi sono immedesimata un po’ troppo nella piccola Leira… ed il risultato sono state tante lacrime ed un capitolo più lungo negli altri.
Spero vi sia piaciuto…
Un bacio,
Ghirly

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Capitolo 36
*** La promessa ***


Continua la storia di Leira… dopo quella di Dean…
Meno lacrime, più rabbia.
Grazie dei complimenti!
Buona lettura.
Ghirly
 
LUI:
Dean iniziò la storia d’accapo, dalla morte della madre. Poi l’inizio della caccia con il padre e Sam, la rinuncia di quest’ultimo ed il suo ritorno. La sconfitta del demone dagli occhi gialli, la morte del padre e l’abbandono finale di Sam.
Poi si erano incontrati.
Leira sorrise.
-Capisco… ecco perché non ti piace poi tanto l’idea che io non voglia unirmi a te… con il mio potenziale.- Commentò lei, ormai calmatasi per l’ascolto.
-Già… comunque… eravamo rimasti a tua zia. Era…?- Chiese Dean.
 
-Morta? Ma come può essere morta? Stamattina stava bene, è andata a lavorare e…-
-Ha avuto un incidente con la macchina. Forse aveva preso troppi tranquillanti ieri sera, glielo dicevo sempre che…- Poi Nicholas riprese a piangere, afferrando un kleenex dal tavolo del salotto.
-La zia non ha mai preso dei tranquillanti!- Esclamò Leira. Nicholas le sorrise dolcemente.
-Certo, tesoro… lei… no, non è niente…- Concluse, con uno sguardo carico di significato rivolto all’agente. Poi si soffiò il naso. -Mio Dio…- Commentò, di nuovo.
Un agente gli diede una pacca sulla spalla, poi sospirò.
-Signore… dobbiamo chiederglielo, purtroppo… la ragazzina…- Leira sgranò gli occhi. Parlavano di lei come nemmeno fosse lì.
-Lei…- Singhiozzò Nicholas, -…lei è sotto la mia tutela, ovviamente. Sua zia era la sua tutrice ed io ero suo m-marito…- Riprese a frignare. Leira si alzò in piedi.
-Io con te non ci voglio stare! E poi ieri sera lei ti ha sbattuto fuori di casa! Avrà valore questo, no? Questa è casa mia ed io non ti voglio più qui!- Strillò.
 
-A distanza di tempo capisco che quel comportamento è stato stupido, ma ero fuori di me.- Ammise Leira. –Comunque… ovviamente lui rimase ed io passai i due anni peggiori della mia vita, nell’incubo della sua presenza. Mi chiudevo a chiave in camera, in bagno, ovunque. Cercavo di rincasare sempre più tardi per non doverlo vedere troppo e ovviamente anche questo lo faceva infuriare… quando ho compiuto sedici anni ho fatto fagotto e me ne sono andata. Non dovevo più reggerlo per la zia ed ero maggiorenne, quindi scappai. Inforcai la bici e raggiunsi un’altra cittadina pedalando. Cominciai a lavorare, inizialmente dovetti rubacchiare di qua e di là, lo ammetto. Ed ecco svelato da dove nasce la mia capacità di taccheggio.- Sorrise Leira. –Poi conobbi RJ che mi diede un lavoro e mi aiutò a comperare casa. Ho faticato così tanto per averla… impazzirei se la perdessi. A proposito…- E guardò il ragazzo. –Vuoi fermarti un po’ da me? Non dico per mesi, ma almeno qualche giorno… per riposarti… come fosse casa di Bobby…- Dean scosse la testa.
-Non voglio rovinarti l’esistenza. E se poi RJ fosse geloso?- Leira lo guardò.
-Se fosse geloso del fatto che tu stia a casa mia, tu che mi hai salvato la vita, tu cha hai fatto tutto questo per me… vorrebbe dire che non è degno di quello che provo per lui.- Disse, risoluta. Dean annuì, colpito dalla sua sicurezza.
-Se la pensi così… vedrò se fermarmi o meno. Magari mentre cerco un nuovo caso…-
-A proposito di caso. L’alba è già passata da un po’. Ci conviene andare a cercare informazioni, no?- Dean annuì, poi sbuffò.
-E tanti saluti al sonno ristoratore. Che vita…- Leira gli sorrise, dandogli un buffetto sulla spalla.
-Ti ho fatto perdere del sonno prezioso, con la mia storiella, eh? Mi spiace. Ma hai insistito così taaaanto…-
-Non è colpa tua, ma che c’entra?!- Scattò lui, colto sul vivo. –Dai, andiamo. Prima bruciamo quei resti prima possiamo riposare.-
-Un secondo, Dean. Prima riflettevo… prima dello spettro.-
-E…?-
-Voglio chiederti di farmi una promessa.-
-Mmmm… so già che non mi piacerà questa cosa.-
-Vedremo. Allora…- Gli afferrò una mano. –Promettimi che se diventerai vecchio e non riuscirai più a cacciare, se non morirai in una pazza missione, se rimarrai solo… e se io non riuscirò a creare il ranch con RJ o chiunque altro o non morirò… promettimi che lo faremo assieme, quel ranch.- Dean la guardò male.
-Cosa dovrei fare?- Leira sbuffò.
-Stringi semplicemente la mia mano e promettilo. Farei un giuramento con il sangue ma… non sia mai che comporti davvero qualcosa di terribile…-
-Quindi… prometto che se tutti quei se che hai elencato prima non diverranno realtà… faremo un ranch assieme ed avvereremo in un modo o nell’altro il nostro sogno?-
-Dillo in modo più convinto!-
-Quello era il mio modo più convinto.- La rimbeccò lui. Leira sospirò nuovamente.
-Vabbè, mi ritengo soddisfatta. Guarda che hai fatto un patto, Dean! Ed i patti vanno rispettati.-
Scesero dall’auto e si diressero verso il commissariato, iniziando a fare ricerche sull’hotel.
-Senti qui: nel 1999 nell’hotel ci fu un grande incendio. I pompieri trovarono tre corpi carbonizzati, si pensò ad un barbone che gironzolava da quelle parti e due uomini, uno dei quali trovato con… beh, la testa staccata. Bleah, c’è anche la foto delle vittime e del ritrovamento. In alta qualità.- Disse Leira. Poi continuò a leggere. –L’uomo assassinato era stato rapito pochi giorni prima dal mafioso ritrovato con lui carbonizzato… bla, bla, bla… cimitero cittadino. Sono lì. Nessuno ha rivendicato il cadavere del mafioso e la famiglia della vittima credeva che i morti dovessero giacere dove perdevano la vita. Un fortuna per noi. I nomi sono Simon Gussler e Triton Lars. Che razza di nome è, Triton?-
-Un nome da mafioso. Andiamo a recuperare le nostre cose all’hotel ed aspettiamo che faccia buio. Poi andiamo al cimitero e la facciamo finita.- Organizzò Dean. Leira scattò in piedi, con la mano sulla fronte.
-Sissignore!- Esclamò, seguendolo fuori con un sorriso.
Quella vita non era male… ma il nido la stava aspettando e si avvicinava sempre di più.
E la sicurezza che le dava quell’idea…
-Sbrigati, Leira!- La rimbeccò Dean. Lei gli corse affianco, sempre sorridendo.

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Capitolo 37
*** Problematiche... canine ***


Ragazzi miei siamo in dirittura d’arrivo con questa storia…
Finalmente Leira è impelagata in un caso e Dean non le ha vietato di aiutarlo…
Enjoy!
Ghirly
 
LEI:
-Ok, allora… io vado a cercare un posto non infestato dove riposare un po’ oggi pomeriggio. Tu pensi di riuscire a trovare del cibo decente e ad aspettarmi in macchina senza finirlo tutto?- Leira sbuffò, pur sorridendo, poi annuì.
-Certo…-
-Allora ci vediamo tra mezzora. Ah, Leira?- Lei si voltò, un’aureola che le si accendeva sulla testa.
-Sì?-
-Se compri gli anelli di cipolla poi lasciamene un po’. Non è bello sentirne il profumo ma non poterli mangiare.- Leira scoppiò a ridere ma annuì, poi saltellò in direzione del fast-food più vicino.
 
Mezz’ora dopo raggiunse la macchina, piena di sacchetti profumati di fritto. Li poggiò a terra –non sia mai che gli ungesse la bimba, Dean l’avrebbe scuoiata viva- poi sospirò. Non aveva le chiavi.
Si appoggiò al fianco dell’auto, incrociando le braccia.
Però qualche anellino di cipolla… mentre aspettava… Si chinò per prendere il cibo, e fece un salto quando le comparve di fronte un barbone.
-Signorina… ha qualche moneta?- Leira annuì e gli porse il resto del pranzo.
Forse Dean si sarebbe infuriato, ma non le importava.
Sapeva cosa voleva dire non avere nulla e dover mendicare.
-Grazie… grazie mille…- L’uomo fece per allontanarsi, poi Leira lo richiamò.
-Ehi! Senta, se vuole…- Gli porse il sacchetto con gli anelli di cipolla. –Non sarà nouvelle cousine, ma…- L’uomo afferrò il sacchetto come ne andasse della sua vita, poi la ringraziò nuovamente e si allontanò.
 Dean arrivò in quel momento, annusando l’aria.
-Mmmm… li hai trovati…?- Leira abbassò lo sguardo, colpevole.
-Ehm…- Rispose. Lui la fulminò con lo sguardo.
-Li hai già fatti fuori, eh?- Leira annuì, colpevole, poi salirono a bordo e mangiarono, parlando dell’hotel che aveva trovato Dean e di come si sarebbero dovuti muovere quella notte.
 
La mattina seguente ripartirono, alla volta della cittadina di Leira.
Quando Dean parcheggiò di fronte alla sua casa fece un lungo fischio.
-Mica male, il tuo nido. Sembra un bel quartiere.-
-E’… tranquillo. Più o meno. Le case costavano poco. Ed è vicino al locale e agli altri lavori... Oddio, la signora Mayers.-
-La signora Maya?-
-La signora Mayers. Sarà infuriata con me per la mia sparizione! E come gliela giustifico? Mi scusi, sono stata rapita da uno che voleva salvarmi la vita, poi ho scoperto che mia madre era una demone e sono andata a caccia con lui…- Dean la interruppe.
-A questo proposito, mi pare ovvio dirtelo, anche se spero tu lo abbia già capito… tutto quello che è successo deve rimanere un segreto.- Leira rimase immobile.
-Non posso dirlo a nessuno?-
-No.-
-Nessuno nessuno?-
-Ti crederebbero?-
-Trisha sì.- Rispose lei, convinta.
-A maggior ragione non gliene devi parlare.-
-Dean, non posso! Trisha… è come se vivesse in simbiosi con me, non posso non raccontarle cosa mi è successo… sempre se la ritroverò, in ogni caso.-
-Ritroverai?- Chiese Dean.
-Già… quella telefonata che avevo fatto… ho cercato di contattarla. Ma sua madre mi ha… attaccata ferocemente, dicendo che era scappata di casa svuotando la cassaforte. E che era colpa mia. Cosa che, ovviamente, so essere vera. La conosco e so che non sarebbe scappata di casa se non per qualcosa di legato a me. RJ deve averle detto che ti ha visto mentre mi rapivi…- Dean la guardò, alzando le sopracciglia.
-Cioè… vuoi dirmi che hai fatto solo una telefonata in un mese di lontananza ed era destinata alla tua migliore amica? E non ad RJ?- Leira lo guardò storto.
-L’amicizia è più importante dell’amore. Quella non muore mai.- Dean fischiò sonoramente.
-Non hai ancora conosciuto il vero amore, baby.- Le disse, alzando ed abbassando le sopracciglia.
-Non fare il cascamorto con me solo perché sono tornata a casa, Dean. Ti conosco bene, ricordi?- Lui alzò le braccia in segno di resa.
-D’accordo, d’accordo! Allora, me lo fai vedere questo nido, sì o no?- Leira alzò gli occhi al cielo, poi si incamminò verso l’entrata dal palazzo. –Come pensi di entrare, senza le chiavi?- Leira sospirò teatralmente.
-Per chi mi hai presa, Orsetto Tenerone?- Poi si avvicinò ad un enorme vaso con una palma di tre metri all’interno. Dean alzò un sopracciglio.
-La chiave sarebbe lì sotto? Ce l’hai messa quando era ancora un fuscello?- Leira ghignò.
-Ripeto: ma per chi mi hai preso?- Poi infilò le mani in mezzo alle enormi fronde, estraendone una chiave nera. Si appostò accanto al portone, facendo finta di niente. Dietro di loro arrivò un’adorabile vecchietta con un piccolo bassotto tedesco che scodinzolava. -Salve signora! Oh, Giorgina!- Leira si chinò ad accarezzare la cagnolina. –Sei cresciuta, eh?-
-Salve signorina! È tornata? Oh, che gioia vederla! E questo giovanotto chi sarebbe? Il suo ragazzo?- Chiese lei, gentilmente.
-Oh, no! Lui è un mio caro amico! Sono stata via con lui… è… un amico di famiglia.- Risolse la ragazza, al volo.
-E’ un piacere signora…- Affermò Dean. –Ha bisogno di una mano con quelle?- Le chiese poi, indicando le borse della spesa.
-Oh, se fosse così gentile… la ringrazio!- Dean afferrò le buste e le sue ginocchia cedettero lievemente.
Che razza di forza aveva quella signora???
I due entrarono dietro alla donna e la accompagnarono fino al secondo piano, sull’ascensore.
La salutarono gentilmente e Giorgina smise finalmente di annusare i pantaloni di Dean, che aveva cercato per tutto il tragitto di dividersi tra il reggere i pacchi della spesa e scrollarsi il naso della bestiola di dosso.
-Arrivederci…- Disse Leira, mentre lei e Dean risalivano sull’ascensore, mentre la signora afferrava con due dita le buste ed entrava dal portone salutandoli calorosamente. Poi scoppiò a ridere. –Giorgina ti trovava particolarmente attraente…- Commentò, premendo il tasto del sesto piano.
-Sé… giusto i cani, eh? Che mondo…- Sbottò lui, controllando che non gli fossero usciti i muscoli dalla mano per lo sforzo. –Comunque che c’era in quelle buste? Mattoni?- Leira rise nuovamente, aprendo le porte dell’ascensore.
-Conoscendo la signora… chili di cibo per i cani… tratta quella bestiola come una principessa… ha perso suo marito l’anno scorso… ed anche il suo primo cane. Quando il figlio le ha regalato Giorgina sono stata davvero contenta per lei.-
-Non mi piacciono i cani. Sono… imprevedibili.- Leira si bloccò a metà corridoio.
-Stai scherzando? Si vede che non hai mai avuto a che fare con un cane… i cani sono… davvero affidabili! Non per niente sono i migliori amici dell’uomo da… beh, da sempre!-
-Mai sentito parlare degli Egizi e dei gatti?- Commentò Dean, sarcastico.
-Oh, beh. Quelle sì che sono bestie prevedibili… gli gira male tre secondi e ti ritrovi con un occhio in meno!- Aprì il portone con lentezza. Adorava sentire le serrature che scattavano. –Abbiamo un grosso problema.- Disse poi.
-La chiave non apre?-
-Oh, no! Intendevo per il progetto del ranch. Io il cane ce lo voglio.- Poi aprì la porta.
  

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Capitolo 38
*** Il nido ***


Finalmente il nido…^^
Grazie mille a Ros per le dritte (ho dei GROSSISSIMI problemi con le descrizioni… quindi apprezzate il mio sforzo per questo cap!) e a tutti per commenti e sole letture, grazie!
Finale un po’ secco…
Baci!
Ghirly
 
LUI:
Dean doveva riconoscerglielo.
Il gusto per l’arredamento ce l’aveva ben sviluppato.
Si ritrovarono in un salotto con angolo cottura. Leira rimase senza fiato nel rivedere il suo piccolo nido…
La stanza era tutta divisa tra il bianco ed il nero, un lungo bancone divideva la stanza in due, quasi creando una cucina a sé stante.
I muri erano bianchi, ma qualcuno ci aveva dipinto delle piume bianche; in alcune zone ce n’erano poche, in altre dei veri e propri cumuli.
Il pavimento era costituito di piastrelle a scacchi bianchi e neri, mentre il soffitto era bianco immacolato. Dietro al bancone un piano cottura nero, come il frigo, il lavandino, la lastra di marmo sul bancone e gli sgabelli sul lato del salotto. Il divano, addossato alla parete opposta al bancone ed alla cucina, era di pelle nera e si intonava perfettamente al mobile con la piccola tv che vi stava sopra davanti.
Il tavolo (bianco, con un ripiano in marmo nero) era lì accanto, con quattro sedie bianche con cuscini neri.
Le tende alla finestra erano bianche, con le aste che le sorreggevano dello stesso colore, per spiccare rispetto al muro colorato di nero.
-M-mio Dio, Leira… questa stanza è… è davvero bellissima…- Commentò Dean. Leira arrossì come un peperone e lui scoppiò a ridere. –Ti ho detto cose molto più imbarazzanti… e non ti ho mai vista così rossa…- Lei gli tirò un pugnetto alla spalla.
-E’ che… questa casa… è il mio orgoglio… l’ho fatta tutta da sola… avresti dovuto vedere com’era prima… la carta da parati che veniva giù… muffa e pezzi di calce ovunque…-
-Questi disegni… li hai fatti tu?- Chiese lui, indicando i muri. Leira diniegò.
-Trisha. Lei è… una maga con il disegno. Ha delle mani d’oro. Vieni, ti mostro il resto… cioè… camera e bagno, insomma.- Dean le strinse dolcemente il braccio.
-Ehi… io ho una macchina e basta, non sfiguri con me.- La rassicurò. Leira annuì, conducendolo nel bagno, cui si accedeva da un piccolo corridoio tutto colorato di viola, fatta eccezione per il battiscopa bianco come il pavimento ed il soffitto. La porta del bagno, ovviamente bianca, era la prima sulla sinistra, poi veniva quella della camera. Leira aprì la porta del bagno, mostrando una piccola stanza tutta sul verde salvia ed il beige. C’erano una doccia striminzita dipinta di beige in un angolo, con la tenda verde, e poi i classici servizi, in ceramica beige anch’essi. La lavatrice, quasi invisibile, sovrastata da un classico mobiletto per il bagno verde chiaro, era l’unica cosa che stonava per il bianco quasi accecante, in quel buco di colori così tenui. La finestra, ovviamente con tende verdi, che riprendevano le mattonelle. Il pavimento era in lucide piastrelle beige, mentre il soffitto era bianco immacolato.
-Questo è il bagno…- Era semplice e molto piccolo. –So che è un buco, ma per una persona basta… ora ti mostro la camera. Così abbiamo finito.- Tornarono nel corridoietto ed entrarono nell’ultima porta.
Stavolta fu Dean a rimanere senza fiato.
Leira si diresse verso la parete che… beh, di parete non aveva nulla. Era piena zeppa di foto e di scritte, per non parlare di cannucce e scontrini vari. Piccoli poster ogni tanto che spiccavano e colori di ogni tipo, su una parete che un tempo era stata semplicemente bianca.
Dean si distrasse mentre Leira afferrava dello scotch da un piccolo scrittoio lì di fianco e si guardò in giro. A parte quella strana parete tutto il resto era rosso e nero. Le pareti erano nere, soffitto e pavimento compresi, fatta eccezione per delle piccole impronte rosse che attraversavano il tutto da una parete all’altra, girando attorno un paio di volte al lampadario rosso con pendenti neri che stava al centro esatto del soffitto. Alla parete opposta a quella delle scritte stava un’enorme libreria di legno massiccio, colorata di rosso, piena zeppa di libri di ogni genere, ordinati per grandezza e, come Dean notò immediatamente, persino per autore, per quanto questo concordasse con l’altro ordine.
Le altre due pareti erano occupate interamente da una portafinestra con tendaggi rossi, ovviamente, e da una cassettiera rossa enorme e l’ultima da un letto a baldacchino a due piazze con struttura rossa e tendaggio e coperte interamente neri. Il ragazzo si immaginò mentre si rotolava tra quelle lenzuola nere con lei…
Cercò di chiudere la bocca, inutilmente.
Quella stanza… era stupenda
Leira sorrise.
-Sì, questa stanza è un po’ diversa. Cioè… questa parete e un po’ diversa.- Dean si avvicinò e toccò il muro. Non era la parete ad essere bianca! –Trish mi ha regalato questo foglio di cartoncino enorme dopo che è stata agli studi televisivi di Los Angeles qualche anno fa. Mi ha detto che, nel caso io riesca ad allargare il nido e debba buttare giù questa parete… potrò semplicemente staccare il foglio e riattaccarlo da qualche altra parte.-
-Allargare il nido?- Leira sorrise.
-I miei vicini se ne vanno e c’è la possibilità che io riesca a comprare il loro appartamento. Sono tre semplici stanze come questo, ma… il corridoio si allargherebbe. Ed il loro appartamento è speculare al mio…-
-Non vedi l’ora, eh?- Leira sospirò.
-Beh, non vedevo l’ora. Ma adesso che so la maschera che c’è su questo mondo… probabilmente mi fermerò spesso a pensare a cosa c’è oltre queste mura.- Dean guardò il punto in cui si trovava Leira. Mentre lui era distratto a guardare il resto della stanza lei aveva appiccicato subito tre delle quattro foto che si erano scattati in uno dei piccoli spazi ancora vuoti.
Ecco cos’era lui per lei.
Una foto da aggiungere alla collezione sul suo stupido finto muro.
Lo stupore lasciò il posto alla rabbia. –Puoi dormire nel divano, si apre e diventa un letto a due piazze. Di solito io dormo nel letto con Trish, quando viene da me. Questo era suo… l’ho solo colorato di rosso ed ho aggiunto i tendaggi. Non ti dico la fatica per portarlo su per le scale, dato che non entrava nell’ascensor… Dean?- Il ragazzo stava stringendo i pugni con violenza.
-No, io… me ne vado subito. Credo di aver trovato uno spettro in un motel di una cittadina qua vicino, in April’s Road.- Leira rimase immobile.
-Ah.-
-Già, il lavoro mi chiama.- Disse lui, grattandosi la nuca. –Quindi…-
-Ti accompagno alla macchina.- Disse lei.
-Conosco la strada.- Replicò lui, scontroso. Leira ridacchiò nervosamente.
-A meno che non ti piacciano i miei vestiti o peggio, ti entrino, vengo a riprendere le mie cose, se non ti spiace.- Gli spiegò lei.
-Oh, già, beh… allora ok.- Leira sbuffò silenziosamente, afferrando un mazzo di chiavi da un piccolo coccio nel salotto-
Quando giunsero alla macchina Leira afferrò il sacchetto nero che conteneva le sue cose e sospirò. –Non mi sembri un tipo da abbracci…- Dean stava per risponderle che aveva ragione ma lei lo strinse a sé prima che lui potesse ritrarsi. –Ma io sì…- Poi lo lasciò andare, gli occhi lucidi. –Dean… grazie. Grazie davvero. E… per qualunque cosa… io sarò qui. Non mi muovo.-
“E non è proprio questo il problema?” Si trovò malignamente a pensare lui. Ma non le rispose, se non con un microscopico:
-Mh.- Poi salì a bordo.
Leira gli sorrise, una lacrima che le solcava la guancia mentre lo salutava con la mano, finché non lo vide sparire all’orizzonte. –Giusto le lacrime… ipocrita.- Sbottò lui.
  

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Capitolo 39
*** Una vita normale ***


Il penultimo capitolo ragazziiiiiii!
Che emozione!
Ciancio alle bande vi lascio a Leira ed al suo difficoltoso rientro nella vita normale!
Baci e grazie a tutti!
Ghirly
 
LEI:
Leira tornò in casa e si sedette sul divano, sospirando.
Dean…
Lui… lui era stato così buono, così altruista… così coraggioso…
Scosse violentemente la testa ed andò in camera.
Osservò a lungo le foto attaccate alla sua “parete magica”.
-Dovrò cambiarle il nome…- Mormorò. –Di magico non ha proprio niente, rispetto a quello che ho visto in questo mese…- Sorrise, riguardando un’istantanea di lei, Trisha e RJ.
Quella foto era stata scattata pochi mesi prima della sua “partenza” da Darius, il buttafuori. Trisha aveva provato a fare un cocktail inverosimile, ma il miscelatore si era aperto mentre faceva una delle sue solite evoluzioni, ed il miscuglio era finito sulle loro teste. RJ aveva riso così tanto da farsi venire le lacrime e alla fine anche loro due avevano iniziato a ridere come sceme.
Sorrise, mentre una lacrima le solcava la guancia.
Era davvero possibile tornare ad una vita “normale”, dopo aver passato un mese del genere?
Sarebbe mai riuscita a non pensare a cosa c’era là fuori ed a cosa si stava perdendo?
Guardò il dolce volto di RJ e quello da pazza di Trisha, mentre facevano le boccacce alla macchina fotografica.
Per loro… per loro avrebbe dovuto farcela.
Per loro e per i suoi genitori.
Già.
Si riscosse e tornò in cucina.
Aprì tutte le finestre e poi si avventurò nell’apertura del frigo. –BLEAH!- Esclamò, scattando indietro. Broccoli avariati e sugo al tonno che aveva praticamente preso vita.
Leira ripulì tutto con cura, l’idea avuta con Bobby di comprare un deodorante per ambienti non era poi malvagia… -Oddio! I panni!- Corse in camera ed aprì la portafinestra. Osservò lo stendino. Per un qualche miracolo i panni erano ancora tutti lì. Molti si erano sbiaditi e doveva esser piovuta terra, dato lo stato in cui versavano. Però c’era ancora tutto.
Leira si ritrovò a sorridere.
Li prese e li infilò nella lavatrice, buttandoci anche tutti i vestiti comprati con Dean che avevano bisogno di una lavata seria. Mise un lavaggio a bassa temperatura, poi tornò a sedersi sul divano.
Ok, forse avrebbe dovuto fare la spesa.
Entrando non aveva controllato la cassetta delle lettere.
Iniziò ad agitarsi.
Aveva perso il ritmo.
Si concesse una doccia, per calmarsi.
 
Quella sera controllò che tutto fosse finalmente in ordine, poi andò al locale.
Indossava un vestitino bianco con grandi fiori azzurri che le arrivava alle ginocchia e che metteva in risalto le sue curve. Era uno dei pochi capi d’abbigliamento così femminili che possedeva, ma voleva fare una sorpresa a RJ… lasciò i capelli sciolti ed indossò le ballerine blu che Trisha l’aveva obbligata a comprare.
Quando arrivò di fronte all’entrata Darius strabuzzò gli occhi, dietro alle sue lenti scure, e la stritolò in un abbraccio terribile. Leira sentì qualche osso scricchiolare, ma sorrise.
-Dove sei stata? Che ti è successo? Cosa…?- Ma l’uomo si interruppe. –Sarà meglio che entri lì dentro. C’è qualcuno che era più in ansia di me…- Leira annuì, sempre sorridendo.
-Poi ti spiego tutto, promesso!- Disse, entrando dalla porta.
C’era il solito casino e Leira sentì il cuore gonfiarsi come un palloncino.
RJ era dietro al bancone che asciugava i bicchieri con uno straccio, assieme a Roxy ed una ragazza sconosciuta, proprio come quella che serviva ai tavoli. Leira fece loro un cenno con la mano. Roxy spalancò la bocca, sbracciandosi per salutarla. Poi fu la vota di RJ.
Il ragazzo gettò lo straccio sul bancone con poca grazia, poi osservò il bicchiere in controluce. Nel farlo mise a fuoco la sua figura. Si bloccò, immobilizzandosi con il bicchiere a mezz’aria, poi lo lasciò cadere, si sentì il suono dei vetri a terra e la gente fischiò, com’era tipico in quel genere di locale. E RJ iniziò a camminare verso di lei. Leira fece per avanzare, ma sentiva che c’era qualcosa di terribilmente sbagliato in quello che stava succedendo.
Non era così che aveva previsto il suo ritorno.
Non era così che voleva sentirsi
RJ la raggiunse, con gli occhi di chi ha visto un fantasma (e Leira lo sapeva bene) e non vuole perderlo di vista per paura che scompaia.
-Leira… sei… sei proprio tu?- Tentò lui. Lei annuì, incapace di fare o dire altro, mentre RJ la abbracciava, scoppiando in un pianto disperato. Leira si sbloccò e lo trascinò nella saletta privata, cercando di tranquillizzarlo.
-Ehi, RJ, mi spiace… io… è successo tutto all’improvviso…- Lui cercò di riprendersi, asciugandosi gli occhi con un fazzoletto che la ragazza gli aveva porto.
-Sei… sparita, così, all’improvviso. Io… io ho pensato che… quel bacio… e poi c’era quella bestia, dove ti ho vista l’ultima volta, era una cosa enorme e… si è sciolta, pensa! Di fronte ai miei occhi è diventata una pozza di qualcosa di nero e viscido… non so cosa fosse, con la pioggia è sparita. E tu… mi era sembrato che tu fossi in braccio ad un ragazzo, ma poi non capivo, e…- Leira gli carezzò la schiena dolcemente.
-Sì, ero con Dean.- Il ragazzo alzò lo sguardo, osservandola in attesa che continuasse. Leira prese un respiro profondo. –Dean era… è un amico di famiglia. Sapeva delle cose del mio passato… e mi ha aiutata con le ricerche per trovare i miei genitori.-
-Tu… li stavi cercando?- Leira ingoiò un boccone amaro.
-Sì.- Mentì. –Ho fatto delle ricerche e, una sera, è comparso lui e mi ha detto che sapeva delle cose. Delle cose importanti che mi doveva dire. Però… lui fa un lavoro un po’ particolare, per cui non può fermarsi nello stesso posto troppo a lungo…-
-Che lavoro fa, scusa?- Chiese RJ, meno sconvolto e più… arrabbiato.
-Lui… è un investigatore privato.- Improvvisò Leira. –Era… alle prese con un caso e l’ho dovuto seguire. Mi spiace per la lunga assenza… e per non essermi fatta sentire… ma il mio cellulare si è rotto, e per rotto intendo spaccato di brutto, e… e non sono riuscita a contattare nessuno. Neanche Trisha, che…-
-Trisha è partita.- Le spiegò lui.
-Partita?- RJ si mise ad armeggiare dentro il suo scrittoio caotico, cercando qualcosa.
-Se n’è andata circa una settimana dopo che sei sparita. Le ho detto quello che avevo visto e… ha fatto un paio di ricerche ed è sparita. Sua madre era pazza, è venuta qui urlando di tutto, ma le ho spiegato che non ne sapevo nulla…-
-Ho provato a contattarla anch’io e mi ha gridato insulti irripetibili. Ora capisco.- RJ afferrò un pacco di buste.
-Già. Quando sei sparita siamo venuti a controllare a casa tua e siamo entrati con le chiavi di Trisha. Abbiamo preso la posta, tieni…- E gliele porse, -…ho pagato le bollette del mese, in attesa che tu tornassi… anche se iniziavo a temere che…- Leira lo abbracciò.
-Oh, RJ, grazie! Sapevo di poter contare su di te… mi dispiace così tanto…- Poi fece per baciarlo, ma lui si scostò.
-Lo capisco, davvero. Ora… vuoi riprendere il lavoro? La ragazza nuova non si trova molto bene, nel fare i cocktails. Metà se li beve e metà finiscono a terra. Speravo di non doverla licenziare, lo sai che non mi piace, ma a quanto dice Roxy vuole licenziarsi da sola, perché non è quello che si aspettava dalla vita.- Leira sorrise forzatamente.
-La vita può sorprenderti, a volte.- Commentò, amaramente.
 
Verso metà serata entrarono nel locale tre signore con la puzza sotto il naso. Erano già le undici e mezza e Leira tutto si aspettava tranne che vedere quelle tre lì dentro.
Sarebbe stato più appropriato un vampiro. Scosse di nuovo la testa cacciando via quell’immagine.
“Una vita normale, una vita normale, una vita normale…” Pensava, incessantemente.
Una delle tre signore era… beh, enorme era un complimento. Infatti optò per il divanetto da tre e lo occupò da sola. I capelli erano corti e la sua testa sembrava… una castagna. La seconda aveva un naso incredibilmente lungo ed era secca come un chiodo, con un monocolo attaccato al naso a coprirle l’occhio sinistro; i capelli grigi erano raccolti in una crocchia talmente tirata che Leira si chiese come facesse a non soffrire di mal di testa. La terza, con ancora più sorpresa di Leira, era una donna sui quarantanni dai lunghi capelli rossi e due occhi verdi stupendi.
Sembravano uscite da un fumetto. O un cartone della Disney.
-Signorina… vorremmo dello sherry. Lasci pure una bottiglia.- Le disse una delle tre, quella più corpulenta. Leira annuì, poi preparò il vassoio e portò loro salatini, bicchieri e la bottiglia richiesta. La donna le allungò una banconota da 100 dollari. Leira sgranò gli occhi.
-Le porto subito il resto.- Disse. Ma la donna la bloccò, afferrandola dolcemente per un braccio.
-Niente resto, li tenga! Di soldi ne abbiamo a bizzeffe!-
-M-ma… sono almeno… 80 dollari di mancia!- La castagna-ormai Leira le aveva dato questo nomignolo, assieme a chiodo e rossa per le altre due- le sorrise.
-Ti serviranno, tesoro. Sei così smunta…- Poi iniziò a ridere con le altre due e si aprirono la bottiglia dello sherry.
Venti minuti più tardi, dopo che Leira aveva pulito l’ennesimo disastro della ragazza nuova, Pinky, si voltò in direzione del tavolo.
La bottiglia era finita, e così le altre due che Roxy aveva portato loro. Le signore ridevano bellamente. La collega le si avvicinò.
-Che taccagne, quelle tre! Gli ho portato altre due bottiglie dopo la tua e non mi hanno lasciato neanche tre centesimi di mancia… io la gente ricca non la sopporto!- Poi riprese a fare il frullato e Leira guardò di nuovo le signore.
Si stavano alzando.
Avevano bevuto una bottiglia di sherry a testa, per la miseria, e si alzavano come niente fosse!
Andò loro incontro.
-Signore, chiedo scusa… avete qualcuno che vi possa accompagnare?- Il chiodo la fulminò con lo sguardo.
-Di che ti impicci, ragazzina?- Le chiese in maniera sgarbata. –Abbiamo la macchina.- Leira sgranò gli occhi.
-Ma… qualcuna di voi è in condizioni di guidare?- La castagna le sorrise.
-Reggiamo molto bene l’alcool, bocciolo di rosa, non preoccuparti.- E barcollò. Leira la trattenne a fatica.
-Vi chiamo un taxi. Per piacere…-
-Non abbiamo più soldi!- Sbottò il chiodo. –Ci avete prosciugate!- Leira sospirò.
-Ve lo pago io!-
-Abitiamo lontanucce, tesoro! Ci vorranno più dei tuoi 100 dollari!- Esclamò castagna.
-Non ci sono problemi, davvero, ma non vorrei vi faceste mal…-
-Io non ho bevuto, sta tranquilla.- La interruppe la rossa. Leira non l’aveva mai sentita parlare e ne rimase sorpresa. Aveva un sorriso ed una voce stupendi, come burro caldo che scendeva in gola. –Ci penso io a riaccompagnarle.- Leira rimase immobile e le osservò salire sulla vettura, una semplice Ford Mondeo nera. La castagna, ovviamente, si mise dietro.
Mentre saliva il chiodo borbottava tra sé e sé.
-Ma tu guarda! Ci ha preso per delle barbone? Ci voleva pagare il taxi! Le ragazzine di oggi! Che maleducate! Ci ha trattato come barbone…- Poi Leira non sentì più nulla dei suoi commenti, mentre la macchina si allontanava, ma le orecchie presero a fischiarle.
C’era qualcosa… qualcosa che aveva dimenticato…
Sgranò gli occhi.
-MAPPORC…!- Gridò, correndo dentro al locale.
Si fiondò nel retro e si collegò ad internet.
Come si chiamava…?
Ecco, sì!
Cliccò un paio di volte, rileggendo rapidamente i titoli di giornale del posto. –MALEDIZIONE!- Gridò.
Corse di nuovo fuori, poi andò dritta da Darius.
-Dammi le chiavi della macchina.-
-Cosa?!- Si sorprese lui. –Tu non hai la patente, Leira!-
-Darius dammi le chiavi o sali in macchina e preparati a guidare come non hai mai fatto in vita tua.- L’uomo ingoiò rumorosamente, spaventato dalla furia di lei, poi le diede le chiavi. –Grazie!- Poi Leira salì a bordo e scomparve nel nulla, con la macchina di Darius. RJ uscì fuori in quel momento.
-Che sta succedendo qui?!- Chiese. Darius si grattò la nuca, imbarazzato.
-Credo… credo che Leira sia uscita di senno una volta per tutte.- 

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Capitolo 40
*** Un caso da solo ***


A.s.: Scusate l’attesa ma… cause di forza maggiore mi hanno costretta a Genova, per i disastri che ben sapete… Grazie a Federico per avermi ospitata!
 
Gran finale.
Leira è tornata a casa, con tutti i problemi che ne sono susseguiti, Dean è ripartito per nuove avventure… da solo.
Ringrazio di cuore tutti quelli che hanno letto, quelli che hanno recensito, quelli che mi hanno consigliata e quelli che mi hanno dato la carica…
Alla prossima ragazzi…
(anche se… ^^)
BACIONISSIMI!
Ghirly
 
LUI:
Dean raggiunse la cittadina, in cui aveva trovato tracce dello spettro sul giornale, nel pomeriggio.
Paradossalmente era proprio accanto a quella dove avevano affrontato lo spettro lui e Leira.
Leira…
Scosse la testa.
Si fermò ad una tavola calda e si concesse una lunga e lenta merenda, poi si recò alla sede del giornale cittadino per raccogliere qualche informazione sullo spettro.
Doveva essere un novellino, aveva solo spaventato a morte una coppietta, ma non si poteva mai sapere come la cosa si sarebbe evoluta. Era meglio estirpare le erbacce sul nascere.
Trovò le informazioni che gli servivano, poi si recò direttamente al cimitero, nascondendosi accanto ad una cripta vicina alla lapide del mattacchione che, aveva scoperto, era morto per infarto durante un incontro amoroso extraconiugale.
Si sedette su un muretto, la pala ben nascosta in un cespuglio, aspettando.
Quella ragazza era stata davvero la goccia, per lui.
Prima la mamma, poi suo padre, poi Sam… e ora lei.
Forse avrebbe fatto meglio a trovarsi una casa e a fare come Bobby, appoggiando qualche nuovo cacciatore, di tanto in tanto.
Ma di nuovi cacciatori non ce n’erano poi molti.
In effetti Dean conosceva solo persone dell’età di suo padre che facevano quel “lavoro”.
Forse era colpa del fatto che era sempre rimasto nell’ombra del padre.
Anche la sua amicizia con Bobby era frutto del lavoro del grande John Winchester.
Certo era che, a meno che il caso non gli avesse dato una mano a conoscere qualcuno in una missione, sarebbe stato difficile incontrare qualcuno.
Cioè… non poteva di certo andare alla sede del giornale e mettere un annuncio.
E cosa avrebbe scritto?
“AAA Cercasi aiutante cacciatore di demoni per aitante esperto”?
Smise di ridere.
Magari avrebbe funzionato…
Ok, ok, stava degenerando e lo sapeva bene.
Ed era tutta colpa di Leira, che per poco tempo non gli aveva fatto sentire la solitudine. Solitudine che gli era poi crollata addosso come un palco malmesso con troppa gente saltellante sopra.
Sospirò.
Leira era in gamba, in effetti.
Aveva passato momenti brutti ma si era ricostruita una vita e voleva preservarla, anche per i suoi genitori che erano morti per lei.
In un certo senso era come Sam.
Anche lui aveva rinunciato, dopo aver saputo che la madre era morta per lui.
Due sconosciuti così simili…
Un giorno, forse, il destino li avrebbe fatti incontrare.
E chissà che RJ non sarebbe sfumato di fronte all’alto e tenebroso Sam, dai poteri mistici e dallo sguardo truce.
Dean tornò a ridacchiare.
Lo sguardo truce… in effetti ce l’aveva quell’aria da giovane pirata maledetto.
Già maledetto.
Il sorriso si spense di nuovo.
Il custode aspettò circa venti minuti, guardando quel ragazzo, seduto su un muretto, che rideva, poi tornava serio, poi rideva di nuovo, indeciso se dirgli che il cimitero era chiuso o chiamare la neuro e farlo portare via.
-Ehm… ragazzo?- Dean saltò sul muretto, finendo a gambe all’aria a terra.
Era talmente preso dai suoi pensieri che non aveva neanche notato il custode avvicinarsi. –Il cimitero sarebbe chiuso… ma se vuoi restare ancora un pochino io posso…- Dean scosse la testa.
-Mi scusi! Non mi sono reso conto del tempo che passava. Sa… il dolore…- E finse una faccia contrita. L’uomo gli sorrise poi, gentilmente, gli indicò l’ultimo cancello da chiudere.
-È brutto quando un ragazzo così giovane ha pensieri così profondi sulla perdita, figliolo. Dovresti svagarti, prenderti una sbronza… ai miei tempi si faceva così. Oggi avete quella cosa… imprendet, perché non giochi un po’ con quella scatola?- Dean gli sorrise.
-Ha ragione, devo distrarmi!- Ridacchiò sotto i baffi per l’errore dell’uomo.
-Bravo, faccia così. E ricordi…- Detto questo chiuse il cancello e si avvicinò alla propria auto, -…che per quante persone si possono perdere l’importante è avere una casa dove tornare, quando ci si sente soli o stanchi, dopo un lavoro.- Dean annuì. –Bisogna sempre avere un nido dove potersi rifugiare! Buona serata, giovanotto…- Poi mise in moto e partì, lasciando il ragazzo a pensare, mentre saliva sulla sua macchina.
Bisogna sempre avere un nido dove potersi rifugiare…
Già.
Un nido.
 
Quando fu notte fonda Dean si svegliò ed uscì dall’auto, controllando che non ci fosse più nessuno in giro.
Scavalcò il muro, cercando di recuperare la pala, poi raggiunse la tomba del burlone ed iniziò a scavare.
Dopo una mezz’ora sentì il classico suono che la pala emetteva nello scontrarsi con una bara e finì di ripulire la terra, poi, con i classici suoi attrezzi, aprì il coperchio.
-Bleah… cadavere in putrefazione…- Iniziò a spargere il sale sopra il corpo in decomposizione, poi afferrò la tanica di benzina.
O meglio… provò ad afferrarla. –Dove diavolo…?- La domanda gli morì in gola, mentre uno spettro, munito di pistola, avanzava verso di lui.
La tanica della benzina era dietro il suo corpo vitreo.
-Tu sei lo stronzo che ha fatto passare al di là il mio fidato cagnolino. Dean, se non sbaglio.- Disse l’essere. Dean sgranò gli occhi.
Che razza di potere aveva quello spettro? Di solito si limitavano ad aleggiare nella stanza, al massimo afferrando qualche oggetto a caso e minacciando.
Ma quello… non solo non era nel suo luogo di infestazione, ma lo stava anche minacciando chiaramente.
Lo aveva seguito fin lì.
-Non sbagli. Dimmi, chi sei tu?-
-Lo spettro che ucciderà il vivo.- Il calcio della pistola scattò indietro e Dean si guardò intorno.
Come si sfuggiva ad una pistola infernale???
Si gettò nel buco, entrando nella bara rapidamente.
Se aveva riconosciuto il modello non era di semplice legno, ma aveva una lamina di acciaio come rivestimento esterno. –Credi davvero di poter rimanere chiuso lì dentro con quel cadavere bello fresco a farti compagnia fino a domattina?-
-Piuttosto che morire…- Borbottò Dean.
-Ma dai!- Commentò lo spettro. –La morte non è poi così male… sempre se hai qualcuno che ti fa compagnia. Ti faccio una proposta: tu esci fuori, io ti uccido e tu rimpiazzerai il mio cagnolino.-
Divertente…
-Non hai alcun potere, al riguardo! Non puoi tenermi bloccato in questa realtà!- Gridò Dean. Gli mancava l’aria…
-Ne sei sicuro? Come eri sicuro che io fossi legato ad un solo posto?-
-Mi dai la possibilità di uscire e spiegarti?- Lo spettro sospirò.
“Gli spettri sospirano?” Si trovò a pensare Dean.
-Andiamo, vieni. Anche se… mi sa che sarò io a spiegare qualcosa a te, bamboccio.-
Dean uscì lentamente, inspirando abbondante aria pura.
-Tu… non sei uno spettro normale.- Comprese Dean.
-Sì e no. Sono uno spettro, questo sì, ma l’umano che ero prima… aveva raggiunto un livello di crudeltà tale da permettermi di essere ciò che sono: uno spettro superiore.-
-Ma tu… che c’entravi con i due spiriti dell’altro giorno?- Dean si sedette sul bordo dello scavo, come fosse a fare una semplice conversazione.
Già, una semplice conversazione con uno spettro superiore, seduto sul bordo di una tomba fresca appena aperta e con pezzi di cadavere sulla giacca.
-Quello carino, che ha cercato di ucciderti col coltello… lui era un mio sottoposto. Il tizio senza testa era solo una vittima… avrei dovuto bruciarli vivi entrambi, con quell’incendio…-
-Anche il tuo sottoposto?-
-Aveva fatto accordi con il capo della mia banda rivale.-
-Quindi… sei tu che lo hai ucciso… e lui ti ha aiutato per anni, senza saperlo?-
-Uno stupido rimane uno stupido. Ma anch’io ho fatto il mio errore… e quando l’incendio è divampato sono rimasto intrappolato. Ma questa nuova condizione… direi che ottima. O almeno, lo era… finchè tu non lo hai eliminato. Ed ora mi tocca fare tutto il lavoro sporco, da solo. Ho bisogno di un collaboratore. E tu… hai molte faccende in sospeso. Tra le ultime quella ragazzetta che portavi con te. Sappi che se passerai dall’altra parte farò visita anche a lei. Era così deliziosa…- Dean ghignò. Lui non sapeva niente di Leira.
-Credi davvero che sia una sprovveduta?-
-Quella cosa dentro di lei… non ha potere sugli spettri.- Dean sgranò gli occhi.
-L’ho vista spezzare colli umani come fossero kit-kat e non ha potere su uno come te?-
-No.- Lo spettro ridacchiò. –Comunque basta parlare…- Lo spettro puntò di nuovo la pistola.
Dean afferrò la pala, giusto in tempo per parare la prima pallottola e correre via. Si rifugiò dietro una lapide piuttosto alta, afferrando la pistola carica a sale dai pantaloni, poi fece capolino, puntandola contro lo spettro. Lo colpì in pieno e lo vide perdere la presa sulla pistola e gemere, poi sparire.
Dean si guardò intorno.
-Qui, biondino.- Lo spettro riapparve velocemente, troppo velocemente perché Dean potesse prevederlo. –Ora sta buono e muori.- La pistola puntò verso la testa di Dean.
Il ragazzo cercò di scattare di lato, ma una mano spettrale lo ghermì per la spalla, immobilizzandolo. –Dai, non è così doloroso il trapasso… AAAAAAAAARGH!- Gridò lo spettro. –Chi? CHI OSA BRUCIARE I MIEI RESTI?! CHI OSAAAAAAAAAAAA?!- Lo spettro sparì in una luce blu accecante e Dean cadde a terra, tremando.
-M-ma c-che…?-
Poi sgranò gli occhi, capendo.
Corse verso la tomba ancora aperta e ci gettò dentro la giacca dove erano rimasti impigliati pezzi del cadavere poco prima, senza tante cerimonie, dando fuoco al tutto poi corse via.
Salì a bordo dell’auto e mise in moto, accelerando come un pazzo.
Guidò per venti minuti, poi inchiodò, lasciando l’auto aperta e correndo dentro il cimitero, dopo aver scavalcato la debole recinzione.
Si bloccò all’improvviso, vedendola.
Leira stava lì, in piedi, poggiata alla pala, che guardava il piccolo incendio di fronte a sé.
I lunghi capelli ed il vestito sporchi di terra, così come la sua guancia destra.
Le lingue di fuoco che disegnavano strane ombre arancioni sulla sua figura.
Dean rimase imbambolato a guardarla.
Poi Leira alzò gli occhi e lo notò.
Lasciò cadere la pala con uno scatto e poi iniziò a camminare verso di lui, una ballerina al piede, un’altra che pendeva appesa ad un suo dito.
-Perché sei qui?- Le chiese Dean.
-Io… Mi sono ricordata del barbone.- Spiegò lei.
-Il barbone?-
-Sì, la terza vittima dell’incendio… nelle foto indossava una… strana collana fatta di palline di plastica gialla grosse come noci… il giorno stesso in cui abbiamo scoperto il tutto l’ho rivisto… gli ho… offerto gli anelli di cipolla. Solo che non ho collegato le due cose fino a stasera, quando una signora, che indossava la stessa collana, mi ha detto la parola barbone. A quel punto mi è scattata la molla. Pensavo che quello spettro fosse rimasto nella stessa stanza degli altri due, poi però mi sono ricordata che lui non era comparso, così mi sono preoccupata ed ho pensato che… avrebbe potuto girare libero. E venire a cercarti. Così sono venuta a bruciare i suoi resti.- La ragazza cercò di rinfilarsi la scarpa, appoggiandosi ad una lapide.
Gli occhi di Dean si illuminarono.
-Sei… sei tornata…- Le disse. Lei sospirò.
-Questo è il motivo per cui non volevo che mi trovassi qui… ma sono rimasta incantata a guardare le fiamme… e, in fondo, speravo che tu non fossi in pericolo.-
-Mi hai salvato la vita.- Ammise Dean. –Quello spettro mi ha trovato mentre stavo per bruciare l’altro… e stava per spararmi, quando gli hai dato fuoco… mi hai salvato.- Leira sorrise.
-Mi spiace, Dean, davvero…-
-Di avermi salvato?- Si stupì lui.
-No! Certo che no, di quello sono molto contenta! Però… ora soffrirai di nuovo… perché la mia idea non è cambiata. Non voglio andarmene.- Il ragazzo rimase sorridente e le mise una mano sulle spalle.
-È ancora libero il tuo divano, per stanotte?- Leira lo guardò, sorpresa. –Sono stanco e devo dormire. E già tornare a casa tua è lunga… mi fai strada con la tua auto?- Lei annuì, poi si mise una mano sulla bocca.
-Oddio… Darius…-
-Chi?- Chiese Dean.
 
 
 
L’ALTRO:
Darius si grattò la testa, indeciso.
-Ehi, Romeo, me lo daresti un passaggio?- Chiese poi all’altro buttafuori.
-E la tua macchina?- Darius alzò le spalle. –Vieni, dai! Ma domani mi offri da bere!-
Darius annuì.
  

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Capitolo 41
*** EPILOGO ***


Non  potevo concluderla in quel modo così… orribile…
Quindi vi lascio qui un piiiiiiccolo epilogo che mi ha tanto divertita, mentre lo scrivevo!
GRAZIE ANCORA DI CUORE A TUTTI, nello specifico a Dart1 e a Ros, per avermi seguita così costantemente…
Grazie.
Ghirly
 
EPILOGO:
Dean si risvegliò il mattino seguente con un profumino di pancetta e di uova ben cotte.
Si mise seduto e lentamente si ricordò dov’era e perché era lì.
-Buongiorno… scusa se ti ho svegliato, ma è uno degli aspetti negativi di avere il salotto e la cucina assieme…- Dean sorrise, poi si alzò e si avvicinò al tavolo. Leira alzò un sopracciglio. –Non ci provare… primo: la colazione si fa sul ripiano, seduti sugli sgabelli. Secondo: almeno mettiti qualc…-
Din don!
Leira andò ad aprire, facendo cenno a Dean di andare a vestirsi, ma il ragazzo non la vide, intento già a mangiare le uova, appollaiato sullo sgabello, con i soli boxer addosso.
Quando la porta si aprì RJ entrò come una furia nell’appartamento, senza nemmeno chiedere il permesso.
-Io… io non ti capisco più, Leira! Prima sparisci per un mese, poi torni come nulla fosse e riprendi a lavorare… poi, nel bel mezzo della serata sparisci con la macchina di Darius e non hai nemmeno la paten… oh.- Dean si voltò, facendo un cenno di saluto, con la bocca piena di toast e bacon. –E POI PASSI LA NOTTE NEL TUO APPARTAMENTO CON UN ALTRO!?- Gridò RJ, viola in faccia.
Leira sospirò.
-RJ lui è Dean, quel mio amico di famiglia di cui ti ho parlato, quello che fa l’investigatore privato e che viaggia per il paese in lungo ed in largo.- Specificò, nel caso Dean avesse avuto in mente di inventare qualcos’altro. –Dean, lui è RJ e… beh, lo sai.- RJ non ci vide più.
-LUI LO SA? Perché lui sa chi sono io ed io non conosco niente di l…?-
Dean si indicò con i pollici interrompendolo, poi ingoiò il boccone.
-Investigatore privato.- Ripeté, semplicemente. Leira scoppiò a ridere, non riuscendo a contenersi, poi fece cenno a RJ di sedersi con loro e gli versò uova e pancetta, con tranquillità.
Sarebbe stato più utile far vedere ad RJ chi era Dean, piuttosto che cercare di dargli spiegazioni.
RJ ci mise qualche minuto per riuscire a trovare qualcosa da dire.
-Perché sei mezzo nudo?- Chiese poi. Dean alzò le spalle.
-Mi piace sentirmi libero.- Leira cercò di trattenere un’altra risata, mentre RJ tornava ad arrossire.
-Santo cielo, ma conosci Leira da… un mese! Ti sembra il caso di…?-
-Ehi, ehi! Lei non si imbarazza più a vedermi in mutande, tu dovresti farci anche meno caso!- RJ sgranò gli occhi.
-Non si imbarazza… più…?- Pigolò. Leira decise di intervenire prima che ricominciasse ad urlare.
-Dean vuole dire che, dato che abbiamo viaggiato assieme per tanto, qualche volta è capitato che lo vedessi in questa… “mise”… e per questo non mi imbarazza più di tanto.- RJ se la prese con lei, a quel punto.
-Leira… io e te ci conosciamo da… da più di sei anni e non ho mai avuto la faccia tosta di farmi vedere da te con questa… “mise”, come la chiami tu. Ed ho anche dormito a casa tua, qualche volta…- Leira sospirò, mentre Dean gli dava una pesante pacca sulla schiena.
-Ehi, ehi! Mica siamo tutti dei timidoni come te! Il mondo è bello perché è vario!- RJ lo guardò truce, poi ringhiò:
-Non si tratta di timidezza, ma di rispetto!- Leira alzò gli occhi al cielo.
-Ora basta, voi due. RJ smettila di criticare Dean, è un ragazzo per bene, non ha mai approfittato per un solo istante di me, anche se siamo stati soli a lungo. E, in più, è un mio grande amico. Dean, tu…- Rimase un secondo a pensare. -…non insultare RJ e mangia composto. E magari vatti a vestire, hai creato fin troppi danni, stamani.- Dean annuì, poi ingurgitò l’ultimo pezzo di bacon e si diresse nel bagno, afferrando dei vestiti al volo.
-Leira ma quel tipo… è davvero un amico di famiglia?- La ragazza sospirò.
-Purtroppo… però sono sincera: è davvero un bravo ragazzo.- RJ abbassò lo sguardo.
-Ok, mi scuserò con lui quando torna.- Leira gli sorrise, poi lo abbracciò, facendolo arrossire.
-È per questo che ti adoro!-
RJ si mise a lavare i piatti e Leira ricompose il letto di Dean.
Il ragazzo tornò poco dopo, stavolta vestito. RJ fece per andargli incontro per scusarsi.
-Ehi, Leira, ti ho usato lo spazzolino, scusa. Il mio l’ho dimenticato in macchina.- Poi la guardò, con un ghigno. –Certo che sei una grande bugiarda! Avevi detto di aver comprato quei vestiti per somigliare a mia sorella, ma nel tuo cassettone ci sono solo camicie di flanella e jeans dello stesso genere! Oltre a dei tanga meravigliosi, ovviamente. Quelli non li ho.- RJ aveva stretto i pugni fin quasi a ferirsi i palmi con le unghie e fronteggiò Dean dall’alto dei suoi dieci centimetri in più.
-TU…- Gli ringhiò. Dean lo guardò dal basso con un sorriso strafottente sul volto.
-Sì?- Chiese, con voce angelica.
-TU SEI UN PORCO E MALEDUCATO!- Gridò RJ, tirandogli un pugno sull’occhio sinistro.
Dean barcollò e cadde all’indietro, gemendo e ridendo allo stesso tempo. Leira corse nella loro direzione, aiutandolo a rialzarsi.
-RJ!- Esclamò. –MA SEI IMPAZZITO?!- Dean sorrise.
-Lascialo stare, aveva ragione, in effetti. E poi doveva sfogarsi.- Le sussurrò nell’orecchio. Lei lo guardò, con un’occhiata del genere: “l’hai fatto apposta a provocarlo? Ma sei matto?” e lui le sorrise, come a risponderle: “lo scopri solo adesso?”.
Ma tutto questo avvenne solo nelle loro teste, mentre RJ blaterava delle scuse piuttosto goffe a Dean. Il biondo gli diede una manata sulla schiena, poi gli sorrise.
-Tranquillo, RJ, ti capisco. A volte mi darei un pugno anch’io!- Lo giustificò. –Ora, però, sarà meglio che io parta. Le indagini non si svolgono da sole…-
Leira sentì una punta di freddo al centro della spina dorsale ma fece buon viso a cattivo gioco e sorrise.
Con RJ alle costole i due scesero dabbasso, alla macchina di Dean e lui salì a bordo. Leira si morse un labbro per cercare di calmarsi.
-Dean… promettimi che se avrai bisogno mi chiamerai…- Lui sorrise.
-Tranquilla, bambola. Nessun problema.- Leira alzò un sopracciglio.
-Dean… non hai il mio numero.- Lui sorrise.
-Ma tu hai quello di Bobby, se dovremo rivederci accadrà.- Poi le sussurrò: -Ora fammi partire, prima che mister simpatia mi dia un altro pugno.- Leira gli sorrise, complice, poi lo baciò sulla guancia, evitando abilmente l’occhio con il ghiaccio secco che gli aveva dato.
-Torna, Dean.- Lui annuì.
-Contaci.- Poi mise su il nastro dei Queen, le sorrise e diede gas, facendo un cenno con la mano prima di sparire del tutto.
RJ attese qualche secondo, poi sospirò.
-Lo rivedremo mai più?- Leira soffocò un singhiozzo.
-Io penso proprio di sì.- Rispose.
Poi si voltò e rimase impietrita.
-Che c’è?- Le chiese RJ. Leira lo guardò.
-La macchina di Darius…- Disse, indicandola. RJ alzò un sopracciglio.
-Sì, e quindi?-
-Ieri sera… avevo una botta di adrenalina ed era l’unico modo per… aiutare Dean, ma adesso… non me la sento di guidare…- RJ le sorrise, dolcemente.
-Dammi le chiavi, la porto io al locale.- Leira gli sorrise, sollevata.
-Grazie, RJ…- Poi si incamminarono verso il portone e tornarono al nido.
Finalmente, al nido. 

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