Una Casa alla Fine del Mondo di Dira_ (/viewuser.php?uid=35716)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte Prima ***
Capitolo 2: *** Parte Seconda ***
Capitolo 3: *** Parte Terza ***
Capitolo 1 *** Parte Prima ***
Una Casa
alla Fine del Mondo
Hello
darkness my old friend, I've come to talk with
you again
Because
a vision softly creeping , left it's seeds while I was sleeping
(Sound of
Silence, Simon & Garfunkel)
1998
Onestamente
non pensavi saresti sopravvissuto alla guerra.
Nagini
aveva morso, tu avevi detto addio al mondo guardando per
l’ultima volta gli
occhi di Lily sulla faccia del suo irritante moccioso. Fine
della storia.
Una
morte eroica, una morte catartica.
E
invece no.
Qualcuno
ha pensato bene di venir a recuperare il tuo corpo alla Stamberga
Strillante e
– sorpresa! - ha scoperto che nel tuo
vecchio cuore
rinsecchito batteva ancora della vita.
Tenace,
inopportuno, pipistrello.
Madama
Chips ha stabilizzato le tue condizioni e i Guaritori del San Mungo
hanno fatto
il resto.
Quando
hai riaperto gli occhi erano trascorse settimane e molti fiori erano
stati
cambiati nella tua stanza d’ospedale.
Con
autentica irritazione, hai scoperto che la maggior parte di essi veniva
da
Potter e i suoi amici.
Sapevano, hai intuito, avevano visto. Conoscevano la verità.
La
cosa più sensata da fare a quel punto, è stata
rimettersi in posizione
verticale, racimolare i pochi effetti personali scampati al crollo dei
Sotterranei e andarsene. Via.
Non
che qualcuno ti abbia esattamente trattenuto. O cercato. Hai percepito,
anche
senza dover incontrare facce conosciute, l’imbarazzo di
averti malgiudicato.
L’imbarazzo di non saper cosa fare dei vecchi pregiudizi su
di te.
Hai
scelto di rendere le cose facili al Mondo Magico. Sparire dalla vista
comune è
stata la scelta più assennata che potessi fare e, a conti
fatti, l’unica per te
sopportabile.
Scegliere
la tua nuova casa non ti ha preso più di una mezza giornata,
passata a
riflettere nel misero salotto di Spinner’s End; l’Irlanda.
Paese con una buona comunità magica, ma sparsa a manciate
sulle coste. Paese
civile, che comprende il rito del the. Terra in cui la magia si respira
ad ogni
passo, in cui spazi sconfinati spingono lo sguardo più in
là di quanto tu abbia
mai fatto ad Hogwarts o a Cokeworth. Paese per solitari.
E
così, Severus Piton ha lasciato l’Inghilterra. Per
sempre.
Non
è stato difficile. Non è stato doloroso come
avresti pensato; troppi ricordi,
troppo odio e amarezza al di là del mare. La ricostruzione,
la speranza e la
somma di certe melensaggini da propaganda non hanno mai fatto per te.
Dopotutto,
la tua rinnovata vita è stata solo la coincidenza di uno
sciocco ragazzino che
è venuto a recuperare il tuo corpo.
2008
Dieci
anni precisi. Dieci anni di meravigliosa e compatta solitudine.
Il
Connemara¹ è stato amico e complice perfetto per
quello che è diventato un
quieto vivere piuttosto soddisfacente.
La
tua casa è il tuo rifugio; hai adocchiato, non appena messo
piede sulla regione
che ospita la Sky Road² – nome evocativo, bisogna
ammetterlo – poco meno di un villaggio,
un aggregato di
casupole, Ardmore³. Ti
sei fermato per qualche giorno nell’unica locanda della zona, ti
sei guardato
attorno. E poi l’hai trovata; una casa a picco sulla
scogliera, così in cima ad
un crinale che sembrava impossibile credere che qualcuno fosse davvero
riuscito
a costruircela. Lontana, fiera, distante. I muri in pietra grigia, il
tetto
spiovente d’ardesia. E il lento digradare verso gli scogli
perigliosi del mar
d’Irlanda.
L’hai pagata in contanti alla vecchia e confusa proprietaria,
una sciocca
babbana che ha preferito mandarla in rovina piuttosto che impiegarla in
usi
migliori.
Vi
hai lavorato anni, che davvero ce n’era bisogno. Senza la
magia ti sarebbe
crollata in testa alla prima mano d’intonaco.
Ma
il lavoro non ti ha mai spaventato, e attualmente sei il fiero
proprietario di
una casa che rispecchia le tue esigenze.
Ad
Ardmore pochi ti conoscono, e ancor meno ricordano la tua faccia. Ci
vai poco e
preferisci farti spedire i beni essenziali tramite posta. La tecnologia
babbana
si è evoluta rispetto ai tuoi anni inglesi e i babbani hanno
sempre avuto una
deliziosa tendenza all’isolamento che è invece
sempre mancata al Mondo Magico.
In
effetti, in questi anni alcuni dei protagonisti della tua vecchia vita
hanno tentato di riportati indietro.
Minerva,
prima di tutti. Lettere da Caithness⁴ che ti invitavano per una
chiacchierata
tra vecchi amici, lettere da Hogwarts che ti spronavano a tornare alla
tua
vecchia occupazione.
No,
grazie.
Hai
sempre cortesemente rifiutato ogni esortazione e alla fine Minerva ha
smesso.
Continua a scriverti però. Le rispondi e finisci
inevitabilmente per
consigliarla a proposito dell’incompetente che ha assunto per
sostituirti.
Supponi
che non vi sia nulla di male; abbandonare completamente il vecchio
mondo è
impossibile, ma prendervi le distanze è consigliabile.
Poi
c’è Potter; Potter e le cronache familiari che ti
fa recapitare ogni mese, inevitabili
come una bolletta. Non hai idea del perché pensi tu possa
essere interessato al
suo fidanzamento, all’inevitabile matrimonio con la minore
degli Weasley e alla
nascita della sua irritante prole.
(Gli
hai affidato i tuoi ricordi sperando di morire, risparmiandoti
così la sua
inopportuna gratitudine. E invece no.)
Hai
avuto un moto di stizza quando hai scoperto che ha chiamato uno dei
suoi
orribili marmocchi come te. Ti sei controllato. Era una trappola,
chiaro come
il sole.
Non
hai mai risposto alle sue lettere; dare corda
ad un Potter, l’hai imparato sulla tua pelle, è lo
sbaglio peggiore che un uomo
sano di mente possa commettere.
Poi
un giorno, arriva un’altra delle sue rivoltanti missive piene
di buoni
sentimenti. Ed è la peggiore di tutte.
Salve
Professore,
Come
sta? So che non riceverò risposta, ma come
dico ogni volta, sono un tipo testardo. Così ecco qua.
È nata mia figlia, e
spero davvero che sia l’ultima perché abbiamo
raggiunto il limite massimo di
urla infantili. Il battesimo si terrà la settimana prossima
e sarebbe
fantastico se lei potesse partecipare.
Harry
Ps: Si chiama Lily.
Sei
rimasto con la lettera in pugno, mentre dalla brughiera risaliva il
vento
salato del mare, che ha fatto sbattere le ali al Gufo che aspettava la
risposta.
Sei
rimasto fermo per dieci minuti
quasi
ti avessero fulminato sul posto.
Infine hai accartocciato la lettera, questo lo ricordi bene.
Probabilmente hai
anche imprecato come un gentiluomo mai dovrebbe fare. Poi hai congedato
il gufo
senza allungargli un solo croccantino. Era il gufo di Potter, meritava
di rischiare
la morte lungo la traversata.
Hai
cercato di non pensarci, esattamente come avevi fatto per James Sirius
– seriamente? –
e Albus Severus – solo
ripensarci ti dà la bile.
Non
ci sei riuscito.
Due
giorni dopo, come spiritato, sei andato al villaggio,
all’unica libreria ed hai
comprato un ridicolo libretto gommoso con all’interno
un’altrettanto ridicola
storia su un orsetto e la sua sciocca famiglia.
L’hai
gettato nel primo cassonetto che hai trovato sulla via di casa.
Tre
giorni dopo, spinto da una forza che ormai sei certo fosse demoniaca,
sei
tornato alla stessa libreria, ma stavolta hai acquistato il libro
più difficile
possibile per una creatura che dovrà soffrire i geni Potter;
hai semplicemente
attinto dal mucchio.
Con
sgomento, archiviando la ricevuta assieme alle altre che detrarrai
secondo le
leggi della gloriosa repubblica d’Irlanda, ti sei accorto di
aver spedito Cime Tempestose ad una
bambina di pochi
giorni.
Oggi è arrivata la risposta di Potter.
Lei
ha un senso dell’umorismo
davvero malato.
Speri
quindi di esserti liberato di
lui; un regalo inadeguato ad un infante è, per certe
famiglie, punibile quanto
un omicidio a sangue freddo. Damnatio
memoria.
E
invece no.
Arriva
l’autunno e il Connemara
non è mai stato così bello e insieme malinconico.
Si ammanta di bronzo e passi
tutto il giorno a guardare il mare lambire le coste color ruggine
mentre
sorseggi occasionalmente il buon whisky torbato che producono in queste
zone.
La compagnia di un buon libro completa il quadro.
Sei
in contemplazione del tuo
infinito personale quando qualcuno suona alla porta.
La
sorpresa è tale che quasi ti
fa rovesciare il bicchiere panciuto che avevi appoggiato alla vecchia
poltrona
della veranda sul retro.
Non
aspetti la tua spesa
settimanale ed è raro che qualcuno si avventuri fin qua; a
volte però capita
che turisti con un pessimo senso dell’orientamento abbiano
bisogno di aiuto per
tornare in città.
(Cambiano
idea appena ti vedono
in faccia e notano la tua notevole cicatrice.)
Di
pessimo umore, ti appresti al
compito; la sorpresa ti ghiaccia le viscere quando ti trovi di fronte
il
Bambino Che è Sopravvissuto Per Dannarti
l’Esistenza.
“Salve
professore!” Esclama con
quel suo irritante accento che ormai lo colloca nel Devonshire.
“È incredibile,
non è cambiato affatto in questi anni… anzi, la
trovo persino meglio!” Fa una
pausa assolutamente maleducata. “Ha un colorito
sano!”
Avresti voglia di sbattergli la porta in faccia, ma poi noti che ha il
piede in
dirittura dello stipite della porta. Se lo aspetterebbe.
Potresti
romperglielo ma poi è
certo che l’intero Mondo Magico verrebbe a reclamare la tua
testa per aver
fratturato il prezioso piede del Salvatore.
“Cosa
vuoi Potter?” Ti scolli dal
palato. Anche lui è sempre uguale; stessi capelli
impossibili, stessa faccia da
schiaffi… e stessi occhi che ti tolgono il respiro.
Bentornata,
sensazione di aver
sbagliato tutto nella vita.
“Mi
fa entrare? Qua fuori si gela
e…” E poi apre il mantello mostrando un fagottino
che si muove come farebbe un
gattino. Solo che non è un felino, è…
È
sua figlia, realizzi con
orrore, ti ha portato a conoscere
sua figlia.
Potter
sorride a trentadue denti.
La cicatrice non si nota più un granché ma quel
sorriso che è stato di James
sì, eccome.
“Questa
è Lily Luna.” E toglie la
copertina dalla testa della marmocchia.
Ed
ha i capelli rossi. Lo vedi
dalla lanugine che ha sulla testa, abbastanza per vedere che no, non
sono color
carota Weasley.
E
poi spalanca gli occhi, e quasi
urleresti di sollievo, perché li ha celesti.
Un
banalissimo celeste.
Ti
fissa, la marmocchia, ti fissa
con la stessa sfacciata supponenza del padre. Poi ti sorride. O meglio,
fa le
tipiche smorfie che fanno i bambini e a cui gli adulti idioti danno
consapevolezza.
“Le
piace!”
Ecco, per l’appunto. Questo ti permette di ricominciare a
respirare. “Potter,
finalmente la mia posizione mi permette di dirti che sei un imbecille e
che
meriteresti Azkaban. Ti rendi conto che le Passaporte non sono fatte
per
trasportare neonati?”
“Veramente non si è fatto mai problemi a dirmi
come la pensava su di me.”
Replica imperturbabile. “Ed è tutto a posto, a
Lilù è piaciuto.” Soggiunge.
“Però,
se continuiamo a stare qui fuori, si ammalerà.”
Non
hai scelta. Ti senti come se
avessi di nuovo di fronte Voldemort o
Silente.
Nessuno
dei due ha mai avuto
pietà di te. E comprensibilmente, non ne ha Potter.
“Entrate.”
2013
La
bambina continua a venire a farti visita. Lei e il suo irritante padre.
Hai cercato in ogni modo di evitare la cosa, ma Potter non è
esattamente un
campione di empatia umana, e non sembra capire che per te è
un supplizio e per
un bambino passare ore a fissare il tappeto di un salotto
può non essere
esaltante.
Che
poi, per inciso, te la scarica.
Pare
che sia un auror. Per questo ha spesso affari da svolgere al Centro
Operativo
Distaccato di Galway che gli prendono tutta la giornata.
Inizialmente
non riuscivi a capire perché te la lasciasse, quando
è ben chiaro che possa
usufruire di baby-sitter migliori di un arcigno ex-professore.
(Per
esempio, tutto il clan di teste rosse a cui si è affiliato.)
Poi,
un giorno, ti sei accorto che la ragazzina non parla; non che sia muta.
Secondo
Potter – e le sue non richieste chiacchiere – la
mocciosa non ha niente che non
vada, nessuna malattia o deficienza. Semplicemente, non apre bocca.
È
chiaramente viziata, direbbe la parte più carogna della tua
coscienza; la
realtà è che difficile accostare la parola ad una
ragazzina che praticamente
sparisce nella tappezzeria.
Hai temuto che urlasse, pretendesse attenzioni, si annoiasse e volesse
giochi;
invece si limita a colorare di volta in volta degli album disegnati che
si
porta dietro. Punto.
Allora
hai ricordato com’erano gli Weasley; ed hai semplicemente
immaginato che la
ragazzina e il caos che riescono a produrre quando sono concentrati non
andassero d’accordo.
Questo
non significa che non sia irritante come il genitore; hai sperato che
bastasse
darle un tetto sopra la testa, e che non dovesse essere necessaria la
tua
presenza. L’unica volta che hai provato ad allontanarti dal
salotto però, ha
alzato la testa di
scatto e ti ha
fissato sperduta.
Per
inciso, è stato pochi secondi fa.
Vedi
qualcosa tremarle nella piega delle labbra; deve aver capito che avevi
tutte le
intenzioni di piantarla lì per una rinfrancante passeggiata
sulla scogliera.
Non
le è piaciuto.
“Cosa
vuoi?” Dici, e ti senti un idiota. Non sai trattare con i
bambini, e hai la
netta impressione che capiscano solo ciò che fa loro comodo.
La
ragazzina si alza a sedere – colora sempre scompostamente, a
pancia in sotto e
allungata sul tuo tappeto come se fosse un comodissimo materasso, il suo – e aggrotta le
sopracciglia.
È
chiaramente contrariata. Non parlerà, ma sa esprimersi a
dovere.
In
effetti,
sarebbe irresponsabile
lasciare una bambina di cinque anni da sola in una casa piena di
oggetti
pericolosi.
Tipo
quelli presenti nel laboratorio di pozioni.
Non
per lei, per loro.
“Va
bene. Rimarrò qui finché tuo padre non
verrà a prenderti.”
La
marmocchia sembra rasserenata dalle tue parole, e riprende la sua opera
di
colorazione. Stavolta, noti, ha con sé un album di fogli
bianchi. Ha iniziato a
dar forma alle sue idee, supponi sia giunta l’età.
Non sai nulla invece della
sua Magia.
Forse
non ne ha, come non ha parole. Forse è per questo che Potter
se la porta
dietro, con quell’aria ansiosa, come se avesse il terrore che
si potesse
strozzare con il suo stesso respiro. Da quanto hai evinto, il mutismo
della
bambina non è preso con serenità in famiglia. Da
come oggi è venuto cupo e
contratto supponi una nuova lite.
Gli
Weasley hanno più lentiggini che pazienza, e non
è difficile immaginare che, riuniti,
premano affinché la bambina dia prova di poter essere della tribù.
La
guardi distratto e vedi i capelli ramati acconciati in tante morbide
onde –
mani materne, indubbiamente. I vestiti curati, la ruga concentrata che
ha
adesso che sta colorando il contorno di qualcosa di scuro.
Non
sembra una Weasley. Non ha neppure le loro lentiggini.
La
bambina sentendoti fissata, alza
lo
sguardo e ti sorride.
Ti
sovviene un pensiero.
“Forse
tuo padre pensa che portandoti da una persona che parla poco tu sia
stimolata a
colmarne i silenzi…” Osservi. Sai bene di parlare
troppo complicato. È questo
il punto. “… dovrei avvertire Potter che non ho
intenzione di improvvisarmi
logopedista. Del resto, se non parli, suppongo tu abbia le tue
ragioni.”
La
marmocchia batte le palpebre. Ovviamente non ti ha compreso. Sciocco da
parte
tua lasciarti andare a questo sfogo. Vecchio adagio: la solitudine fa
brutti
scherzi.
Lasci che torni al suo disegno mentre tu torni al tuo libro.
Un’ora dopo ti senti tirare la manica. Abbassi lo sguardo e
la ragazzina ti
tende il disegno. Nello stesso momento senti suonare la porta e un
bacio sulla
guancia.
Assieme.
Ti alzi, sdegnato dalla familiarità con cui la ragazzina ti
si è aggrappata
addosso. Apri la porta lanciando un’occhiata distratta al
foglio; è la tua
casa, dato che la scogliera è riconoscibile e
così il picco a cui tende.
E
sotto, la scritta sgranata e incerta di chi ha da poco imparato la
sequenzialità dell’alfabeto.
Mi
piace il silenzio
2015
La
marmocchia ha sette anni. È un anno importante per un
bambino del Mondo Magico.
È a quest’età che si scopre se si ha
poteri o meno, definitivamente.
Se episodi di Magia Accidentale non sono ancora occorsi, è
difficile che il
ragazzino sia un mago. O una strega, nel caso di Lily, che ancora, a
detta del
suo ansiogeno padre, non ha dato prova di nessuna dote magica.
Non
è raro che nasca un Magonò, anche nelle migliori
famiglie magiche. Sai di come
i Malfoy abbiano allontanato i loro ‘piccoli, sporchi
segreti’.
Lily
è nel campo vicino casa. E’ una distesa smeraldo
liquido in questa primavera,
piena di boccioli non ancora schiusi.
Sta leggendo un libro. Non riesci a capire se faccia finta,
perché la vedi più
volte alzare il naso per aria per seguire il volo delle farfalle che
impazzano di
cespuglio in cespuglio.
Potter sta portando la figlia da fior fior di specialisti magici e
babbani.
Niente fino ad adesso l’ha smossa dalla sua idea di tenere la
bocca chiusa.
Ora
sai perché continua a portarla da te; qui la ragazzina non
è forzata a parlare.
Difficilmente apri bocca tu.
A
quanto pare, è per lei un ambiente sereno.
Ti
verrebbe da ridere, ma probabilmente sarebbe la risata disperata di un
uomo
oberato da una corvèe che durerà per il resto
della sua lunga vita da mago.
Badare
ai Potter.
Finisci
di ammucchiare l’erba che è cresciuta
spropositatamente nel tuo prato. Questi
piccoli riti necessari sono parte della tua routine.
Quando fai per rientrare e preparare del the per spegnere la sete
– oggi fa
curiosamente caldo – ti sovviene che stavolta devi preparare due tazze. Ti volti per chiamare la
marmocchia e…
Non
c’è.
Un’ondata di sentimenti non ben identificati ti placca in
pieno petto come un
centauro irascibile; non è facile spaventarsi quando si
è passato una vita a
fingere di non farlo, e diciassette anni a scordarsi come funziona
quella
sensazione.
Corri
– no, sono falcate
– nel campo e la
cerchi. Il libro non c’è e non
c’è lei.
Dove
può essere andata una ragazzina che normalmente ha il
terrore di perderti di
vista per più di mezzo istante?
Torni
in casa, la cerchi in casa. Non è in casa.
Potter tornerà tra un paio d’ore e tu sarai qui,
pronto a spiegargli che hai perso sua figlia.
Forse
è giunta la tua ora. Adesso, durante una gloriosa primavera
del Connemara per
colpa di una ragazzina
che ha il nome
dell’unico amore della tua vita.
Rifletti.
Puoi
averla persa di vista per…
Merlino,
per quasi un’ora. Sei talmente abituato ad avere la certezza
che non si
allontanerà dalla tua ombra che hai dato per scontato non
sarebbe mai scappata;
peccato i bambini lo facciano in continuazione.
Esci
di nuovo e batti palmo a palmo la tua proprietà. Poi guardi
oltre il crinale,
verso il villaggio. Impossibile sia andata così lontano.
Impossibile…
Percorri la strada, a piedi, cercandola. È una bambina ma ha
avuto un’ora per
camminare.
Ardmore ha le prime case a venti minuti da casa tua. Vieni guardato con
perplessità, e salutato. Non ricambi. Non chiedi se
è stata vista una bambina,
perché è semplicemente grottesco
che
sia successo.
Hai
disciplinato per anni mocciosi la cui missione principale era
infrangere le
regole e improvvisamente non sei capace di badare ad una settenne che
non richiede
più di qualche occhiata?
È
umiliante.
Arrivi
fino alla locanda che ti ha ospitato nei primi giorni della tua
permanenza.
“Signor
Piton!” Ti apostrofa la padrona, che sta spazzando
l’ingresso. Non è di molte
parole, ed hai apprezzato il suo servizio discreto quando hai
soggiornato lì. “Bella
giornata, ah?”
“Ha visto una bambina dai capelli rossi? Sette
anni.” Ti scolli dal palato,
riluttante. Non puoi setacciare tutto il villaggio senza scatenare
domande.
“Oh,
come no.” Dice senza scomporsi. “Era con Eamon e
gli altri ragazzini.”
È andata a giocare. Il
sollievo e la
rabbia sono talmente confusi che la donna ti fissa come se stessi per
avere un
infarto. Non sei più l’Occlumante di una volta.
È difficile esercitarsi quando
non c’è nessuno nel raggio di miglia da ingannare.
“È
sua figlia?” Chiede curiosa. Eccola là,
l’indole da paesana. Non puoi ammettere
di non essertelo aspettato.
“No,
è figlia… di un conoscente.” Per
eufemizzare. La tua nemesi non sarebbe suonata
bene alle orecchie di una donna dalle gioie semplici. “Da che
parte?”
“Verso l’Auld Haunt.” Indica addirittura.
“Questi bambini…” Sbuffa
compartecipe.
Non empatizzi e tiri dritto. Arrivi al pub e, a parte il solito
folklore di
vecchi paesani con pinte di lager
alle tre del pomeriggio, non vedi nulla.
Però
senti. Uno strillo, infantile e
femminile.
Vecchi
riflessi – o traumi, più probabile – di
guerra ti fanno estrarre la bacchetta
non appena sei fuori vista.
E quel che vedi, dietro l’angolo del pub, ti sconcerta.
Il
libro che hai dato alla marmocchia è sparso, in pezzi, a
terra. Il lavoro di mostriciattoli
incivili, indubbiamente. Solo che i suddetti non sembrano gioire della
loro
bravata ai danni di una bambina indifesa.
I suddetti non ci sono: ci sono però tre rospi gracchianti .
Lily è al centro del gracidio, con i capelli arruffati e il
viso rosso come una
mela. Ha gli occhi lucidi e l’espressione furiosa.
…
hai già visto un’altra Lily con
quell’espressione e sai esattamente chi sono
quei tre rospi. Chi erano.
Lily
poi ti nota, e apre la bocca. “Zio Severus!” Dice.
Parla. Esprime verbo.
Poi ti placca la vita, ma sei troppo sbalordito per scacciarla.
Naturalmente,
scoppia in lacrime non ha appena a disposizione i tuoi vestiti per
soffiarcisi
il naso.
“Sei stata tu?” Chiedi, anche se è
ovvio. I tre rospi hanno bistrattato la
bambina sbagliata.
“Cattivi!”
Spiega. Ha la voce leggermente roca; non la usa tanto, ma è
evidente che sa usarla. Come
è evidente sia una
strega piuttosto vendicativa.
Potter
avrà un colpo apoplettico per la gioia.
“Immagino
sia una confessione.” Le dai una pacchetta sulla schiena.
È la prima volta che
la tocchi, e, in generale, che lasci avvicinare così tanto
un bambino.
“Era…”
Un singhiozzo. Ha una vocetta infantile, nulla di particolare. Sentirla
per la
prima volta è un po’ straniante però.
“… era il tuo libro.”
Con un colpo di bacchetta incolli le pagine, pulisci la carta e te lo
porti
alla mano. Lily sgrana quei suoi grandi occhi celesti. Forse
è la luce del sole
di questa improbabile primavera che riflette il verde che ingloba
tutto, ma...
sembrano…
Comunque.
Con
un altro colpo di bacchetta riporti i marmocchi paesani alla loro forma
originale e mentre sono ancora storditi ti premuri di cancellar loro la
memoria.
Le espressioni confuse e la momentanea afasia saranno un problema dei
loro
genitori.
“Smettila
adesso.” Le intimi. “Non sono un
fazzoletto.”
“Non sto piangendo.” Prevedibile risposta da
arroganza Potter.
Rassegnato,
lasci che si aggrappi ai tuoi poveri, bistrattati pantaloni mentre
tornate
indietro. L’altra mano è saldamente ancorata al
provato libro. Non ricordi
neppure di cosa tratti. Probabilmente di argomenti che una bambina di
quell’età
non dovrebbe affrontare.
Sei
decisamente un pessimo babysitter – e questo ti dà
molta soddisfazione.
“Credo
sia mio diritto sapere perché hai deciso di scappare,
sciocca ragazzina.”
Lily
si morde un labbro. Non te lo dirà, e in fondo non ti
interessa. C’è altro che
sei curioso di sapere. Pensavi che la curiosità fosse morta
con la tua
adolescenza.
(Non
è che ti abbia precisamente portato fortuna.)
E invece no.
“Sai
parlare.”
La bambina annuisce. “Sì, lo so fare.”
Conferma. “Non mi piace.”
“Curioso,
per una Potter…” Ti esce spontaneo. Il sarcasmo
è l’unico bagaglio che ti sei
portato dietro nella tua nuova esistenza. Quello e le tue pozioni. In
fondo, un
uomo non può mai completamente reinventare se stesso.
Lily
aggrotta le sopracciglia. “Io sono Lily.” Lo
pretende. Il tono è quello.
“Attestazione
superflua.” Ribatti. Perché una replica del genere
ti turbi a distanza di
decenni è cosa che non vuoi indagare.
Sono
i Potter il problema. Da sempre. Voldemort è stato qualcosa
di collaterale; a
posteriori, davvero, lo pensi.
È
Harry Potter e questa ragazzina. Ora le tue nemesi sono ben due.
Ti
afferra la mano, e lo fa con una forza che può avere solo
una bimbetta che non
sa dosare. Non ricordi l’ultima volta che qualcuno ti ha
preso la mano. Forse è
stata un’altra Lily, in un altro tempo.
I
ricordi sono una cosa buffa; a volte sono così nitidi che ti
sembra di
maneggiarli, come fragile vetro che potrebbe tagliarti le mani. A volte
sono
distanti quanto il Connemara lo è da Cokeworth. Ma non ti
serve un Pensatoio
per ricordare la presa tiepida di una mano infantile sulla tua.
Saresti
dovuto morire in quella vecchia catapecchia, con la gola squarciata e
gli occhi
pieni di lei.
Invece
sei qui, con una vecchia cicatrice fibrosa, una casa sul ciglio del
mondo e una
bambina silenziosa che ti tiene la mano ed ha il suo sguardo.
È
chiaro che il Destino, il Fato o chi per lui non ha ancora finito con
te.
Lo senti quasi ridere.
2019
Lily
quest’anno è andata ad Hogwarts.
Passano
i mesi e arrivano le lettere. Sai che è stata smistata, con
gran sorpresa del
suo ottuso branco, a Corvonero. Tu l’avevi intuito; al di
là dell’irritante
faccia da schiaffi che ha ereditato dal padre, la marmocchia Potter
possiede un
cervello. Ha più interesse nella speculazione che
nell’affermarsi con chiasso,
ed era consequenziale che il Cappello scegliesse la Casa delle menti
superiori.
(Che
certo, ha ospitato anche quel babbeo di Allock. Ma
c’è sempre l’eccezione alla
regola.)
Le
sue lettere sono lunghe e piene di dettagli inutili. Le leggi con un
sottile
sconforto; del resto ormai l’intero consesso magico che
ancora ricorda la tua
esistenza, sembra convinto che tu sia il padrino della ragazzina e, che
per
tale motivo, tu sia preoccupato della sua vita scolastica. Lei
compresa.
Non
sei il suo padrino.
E
non sei preoccupato.
Le
giornate scorrono lente, nel Connemara. Le stagioni sembrano
intrappolate in un
ciclo eterno, che non era così immobile neppure nei tuoi
anni scozzesi.
A volte ti accorgi che il tempo scorre solo perché la tua
casa ha continui
bisogni di manutenzione.
Anche distillando pozioni che vendi ad una ditta di Galway passano
comunque
interi giorni senza che tu abbia contatti con l’esterno.
È… strano.
Per anni è stato perfetto; di contatti ne hai avuti fin
troppi, fin troppo
complessi, sbagliati, orribili. C’è stata la
guerra, e la guerra è una fornace,
un mostro che ingloba, tritura e ferisce. Quando ti sei svegliato in un
letto
del San Mungo l’ultima cosa che hai voluto fare è
stata guardanti indietro. O
avanti, se è per questo. Hai preso una pausa dalla vita; del
tutto legittimo.
Poi,
la solitudine.
Intendiamoci,
continua a cullarti. Ma a volte è come se fosse tutto quello
che ti è rimasto.
E
ti interroghi. Spesso. Ti chiedi perché proprio tu sia
sfuggito alla morte,
quel maledetto giorno campale, perché semplicemente non sia
finita lì, come
avrebbe dovuto.
Perché tu e non Lupin e la sua sfacciata compagna, per
esempio; avevano un
bambino.
Dei
tuoi compagni – maldigeriti o meno – non
è più rimasto nessuno.
Potter
non è più il ragazzino che ti urlava contro,
sputando quel ‘signore’ come se
non ci credesse neppure un po’. È un adulto dallo
sguardo sereno, un padre di
famiglia.
La
pace. È arrivata per tutti, meno che per te.
E
ti chiedi come sarebbe stato se Nagini avesse affondato ancora una
volta i
denti nella tua gola.
Qualcuno la chiamerebbe depressione; tu odi certe etichette fatte per
chi ama
crogiolarsi nella propria miseria. Sei solo immensamente annoiato.
E
quella ragazzina era la cosa più snervante, ma perlomeno non
prevedibile, che
avessi nelle tue giornate.
Ma
è la pace; la pace fa andare avanti, ed ecco che tutti
crescono, hanno vite.
Tu? Rimani bloccato.
Arriva
Natale e te ne accorgi solo perché al villaggio hanno issato
un gigantesco e
abete, pieno di decorazioni pacchiane. Riesci a vederlo persino da casa
tua, il
che è notevole. Gli irlandesi hanno questo senso della
teatralità che non
capirai mai.
Stai
tagliando la legna nella rimessa quando senti suonare il campanello.
Non
aprirai, saranno le solite premature carole da parte dei mocciosi del
villaggio.
(Per
inciso hanno cominciato a chiamarti Scrooge.)
“Zio
Severus!”
Solo
una persona al mondo riesce a chiamarti in quel modo senza avere la
minima
consapevolezza dell’assurdità del titolo. Lily
Luna.
“Zio
Severus, so che ci sei!” Continua. “Sono venuta a
trovarti!”
Devi risalire prima che cominci a prendere a calci la porta; non
l’ha mai
fatto, ma sono mesi che non la vedi e Hogwarts gioca brutti scherzi.
Te
la trovi però ordinatamente seduta sulle scale
dell’ingresso. Riconosci la
sciarpa con i colori Corvonero, portata con fierezza.
“Zio
Severus, Buon Natale!” Esclama entusiasta. Le avranno
inculcato nel cervello la
gioia primitiva Weasley per qualsiasi festività.
“Mancano
tre giorni.” Le fai notare.
“Dov’è tuo padre?”
“È dovuto andare. Quelli dell’ufficio di
Galway chiedono sempre di lui…” Si
stringe nelle spalle. È cresciuta: è in
quell’età dove i ragazzini sembrano
piante continuamente innaffiate. Ricordi come ti abbracciava la vita e
ti
ficcava la testa nello stomaco. Ora ti sfonda il plesso solare.
Anche
il viso, prima tondo come una mela, si è affilato. Sta
crescendo.
Tu
stai invecchiando.
“Entra.”
Le dici, e la spingi dentro, rimediando un risolino divertito. Si
guarda
attorno e quasi ficca la testa nel camino per scaldarsi il viso, quando
siete
in salotto.
Poi
ti guarda e ti sorride. Sembra stare … bene. Di certo
Hogwarts deve averla
cullata nella bambagia di chi è figlio d’arte.
Prepari
il the e te la trovi a due passi di distanza, come al solito. Sua padre
ha
blaterato qualcosa sul fatto che ti segua come un pulcino.
L’ha fatto una sola
volta; il tuo sguardo deve averlo dissuaso dal provarci una seconda.
“Due
cucchiai di zucchero, e latte.” Dice, picchiettando sulla
tazza.
Conosci la marmocchia; non lo fa apposta e questo rende estremamente
difficile
riprenderla.
“Ricordo
come prendi il the.” Replichi secco.
“Sono
passati tanti mesi da quanto ci siamo visti…”
Argomenta con naturalezza. “Le
persone dimenticano.”
Se
fosse stupida, non sarebbe una Corvonero. Equazione semplice. Ma Lily
ha una
singolare luce nello sguardo, una serietà che non si addice
ad un undicenne.
(Tu
eri in quel modo alla sua età, ma tu… beh, tu non
eri certo la norma.)
“Mi
sei mancato.” Aggiunge, tirandoti la manica per sottolineare
il concetto.
Non
sai cosa si risponda in questi casi, quindi opti per un doveroso
silenzio e la
spingi con un gesto verso il salotto. Ti obbedisce, ma noti la ruga che
le solca
le sopracciglia.
Quando
qualcosa la contraria le si legge in faccia.
Sugge
il suo the accoccolata vicino al fuoco, lanciandoti occhiate di
sottecchi. Ti
saresti aspettato un fiume di chiacchiere sulla scuola, sui nuovi
compagni.
Niente.
Troppo fortunato per crederci, ti limiti a sederti sulla poltrona e
riprendere
in mano il libro che avevi interrotto.
“L’insegnante
di Pozioni è un cretino.”
Alzi lo sguardo e trovi che ti sta guardando in aspettativa.
Ti ha lanciato un’esca, è talmente palese che non
riesce a trattenere il
sorrisetto monello che le trema all’angolo delle labbra.
“E
questo tuo giudizio è dovuto al
fatto…?”
“… che
ci fa leggere dal libro di testo.
Dice che al Primo anno non c’è bisogno di fare
lezioni operative. Che potrebbe
essere pericoloso.”
Inarca le
sopracciglia. “Gli ho detto che tu avresti detto che
è un incompetente.”
“Hai detto cosa?”
“Mi
ha messo in punizione.” Aggiunge subito vedendo la tua
espressione. “E poi il
Preside ha detto che avrei dovuto chiedere scusa.” Arriccia
il naso. “L’ho
fatto. Però non ci credevo davvero. Vale lo stesso,
no?”
Ti passi una mano sulle labbra nella speranza di trattenere il ghigno
che
affiora prepotente. Hai sempre detto a Minerva che aveva assunto un
incapace.
Sapere che la tua ragazzina…
…
Beh, hai solo avuto conferma da una matricola. Se lo capisce una
matricola, è
palese il fatto. È soddisfacente.
“Mi
aspettavo che tu sapessi cos’è il rispetto per un
insegnante. O un adulto.”
“Lo conosco!” Ribatte. “Ma bisogna
meritarselo. Anche gli adulti. O gli
insegnanti.”
Geni
Potter, indubbiamente; ma il fatto che argomenti con una certa
cognizione di
causa ti lascia sperare che non sia completamente perduta.
“Mostrare
rispetto verso le autorità è un dovere basilare
per una persona educata in una
società civile, e non mi risulta tu sia una
selvaggia.”
Si morde il labbro. Poi sorride di nuovo. “Ma io
l’ho mostrato. Poi se ci
credo, è una cosa mia.”
Quasi provi pena per il poveraccio che se l’è
trovata in classe. O per il nuovo
corpo docenti in toto.
“Finisci
il tuo the.” Ti risolvi a dire. La lasci al compito e ti
immergi nella lettura;
pochi momenti dopo ti senti toccare la mano. Te la trovi a due
centimetri dal
braccio che ti scruta.
“Sì.”
Attesti rassegnato.
“Stai
preparando nuove pozioni?” Captatio
benevolentiae. La ragazzina è sempre stata brava
in questo. Fin troppo,
dice la tua coscienza, che ti sottolinea come potresti tranquillamente
impedirle di infastidirti.
Ci
sei mai riuscito? Onestamente.
“Cosa
ti fa credere che ti lasci entrare nel mio laboratorio?”
Sorride. “Ora so come funziona.”
Quando la vedi sminuzzare con autentica allegria le radici di asfodelo,
pensi
che dovresti davvero prenderti un gatto; perché se non hai
l’urgenza di
spedirla fuori dal tuo spazio più privato, più tuo, beh, significa che la solitudine ti
ha finalmente roso il
cervello.
“Mi
piacciono le pozioni.” Interloquisce. Ecco tornata la
parlantina. Va’ ad
ondate, come le maree. “Sono precise. Mi piacciono le cose
precise.”
I
marmocchi hanno la strabiliante capacità di parlar da soli
per ore intere.
“Mi
piace anche Trasfigurazione. È forte…”
Ci riflette. “È interessante.”
Corregge il tiro a tuo beneficio, lo vedi da come ti
guarda di sottecchi. Controlli la pozioni e la ignori. “E poi
mi piace la
nostra Sala Comune… è in alto, sulla torre
più alta e c’è tanta luce. Quasi
come qui, quando arriva il tramonto.”
Chiacchiere
umane. Certe persone ne sentono la necessità come respirare.
Per te è stato
sempre un fastidio. Ma si dice che invecchiando i gusti cambino
e…
No,
continui a mal tollerare le esternazioni altrui. È Lily che
sopporti, perché è
una bambina, perché è portata in pozioni e Dio,
perché devi davvero prenderti
un gatto.
“Non
mi sono fatta tanti amici.” Sbotta di colpo, dopo un attimo
di silenzio. “Tutti
parlano un sacco. Troppo. Perché tutti sentono sempre la
necessità di dire tutto?
E chiedere… tante cose. Fatti
tuoi.”
I figli d’arte. Non dev’essere facile avere
un’etichetta per una gloria che non
ti appartiene.
Non che ti interessi.
“L’interlocuzione
umana è doverosa se si vuole intraprendere relazioni
sociali.” Ti limiti a
dire. Sembra preso da un libro, è il genere di cosa che
confonderebbe un
bambino e lo farebbe tacere.
Magari
fosse così per Lily.
“A
me non serve parlare con te.” Ti allunga il tagliere con le
radici. “Tu sei mio
amico.”
“La differenza d’età potrebbe al massimo
identificarmi come tuo mentore. E non sento
la necessità di avere un’allieva.”
Sarcasmo. Per fortuna ha ancora problemi a
comprenderlo, perché se così non fosse avresti di
fronte un piccolo specchio di
te stesso, con più sorrisi ma la stessa inquietante
capacità di capire troppo.
Questo
non ti ha fatto avere un’infanzia felice, per inciso.
“Quando
sto con te sono felice, mi piace stare qui.” Replica.
“Mi sei mancato quando ero
ad Hogwarts. Tu sei mio amico.” Attestazione.
Ci
sarebbero molti modi per rispondere e distruggerle infantili speranze
di un
rapporto nato solo perché suo padre non riusciva a gestire
il fatto di avere
una figlia muta.
Ci
sarebbero.
Preferisci
rimanere in silenzio.
La
ragazzina non aggiunge altro; sa quando non insistere con te,
l’ha imparato.
Fingi
di ignorare i suoi occhi lucidi.
Potter
torna a prendersela e non puoi dire di esser sorpreso quando allontana
la
figlia e ti si avvicina con l’aria affranta del genitore che
cerca
rassicurazioni.
“Lilù
le ha detto niente di…” Esita. “Di come
si trova a scuola?”
“Potter, se non smania per avere la luce dei riflettori su di
sé non significa
abbia problemi a scuola.”
“Quindi gliene ha
parlato.” Sembra
davvero sollevato. Hai quasi la certezza che Potter, che ha la
deprecabile
tendenza ad indossare i suoi sentimenti come giacche vistose, non
riesca a capire
sua figlia. Non che non la ami – è un genitore fin
troppo protettivo, come
supponevi sarebbe diventato, del resto. Ma non ha idea di che pesci
prendere
quando è con lei.
Hai
passato anni a scrutare le indoli altrui; sai riconoscere quando
è qualcuno è a
disagio con il suo stesso sangue.
“Sì.”
E non aggiungi altro, beandoti della ruga nervosa che si disegna poco
distante
dalla sua cicatrice. È sparita ormai, ne intravedi solo i
bordi.
“Con
me non parla.” Butta fuori infine.
“È… non è esattamente una
chiacchierona.”
“E questo sarebbe un difetto?”
Schiocca la lingua, stavolta apertamente infastidito. “Lily
ha problemi a
scuola e non ne parla con nessuno. Ma con lei lo fa.”
Noti
un lampo di capelli rossi alla porta dello studio in cui Potter ti ha
costretto
a riceverlo.
“Onestamente,
Potter.” Inarchi le sopracciglia e ti culli in vecchi
ricordi; era dolce
riuscire a fargli abbassare la cresta. “Cosa vorresti fare?
Arrivare in sella
alla tua scopa e risolverle i problemi? Quando presumibilmente uno dei
problemi
è la notorietà della sua famiglia? La
tua?”
Ammutolisce. Sai di averlo colpito a fondo. Sei un vecchio pipistrello
odioso e
amareggiato. Sperava in un consiglio rassicurante?
Forse, da come ti rivolge un’occhiata di fuoco.
“Buon Natale professore.” Borbotta.
Se ne va dal salotto e poi lo senti chiamare Lily, che sarà
tatticamente
scappata dove avrebbe dovuto essere, ovvero all’ingresso.
La
marmocchia in compenso irrompe in salotto pochi secondi dopo. Ti fa un
gran
sorriso. “Allora ciao! Torno a trovarti, okay?”
“C’erano dubbi?” Replichi, facendola
ghignare. Oh, la conosci quella smorfia.
James Potter si rivolterebbe nella tomba. Perché te la sta imitando.
Ti
placca in uno dei suoi abbracci, e sei costretto a darle un colpetto
sulla
spalla per ricordarle che certe manifestazioni hanno una durata. Per
quanto ti
riguarda, brevissima. “Va’ adesso. Tuo padre sta
aspettando.”
“Buon Natale zio Severus!”
Alla
Vigilia arrivano i suoi auguri ufficiali e un nuovo disegno. Sai che
sta
tentando con gli acquarelli. Piuttosto acerba, ma promettente.
Il disegno va’ a finire assieme agli altri. Nessuno entra in
camera tua e
nessuno può sapere dove sono pateticamente appesi.
No,
davvero; l’idea del gatto è ottima.
2021
Tieni
Lily tra le braccia e non hai la minima idea di come tu sia finito in
questa
situazione.
In
realtà lo sai benissimo. Potter ha divorziato da sua moglie.
Questa,
la causa scatenante.
Avevi subodorato già da qualche tempo che il paradiso del
Salvatore aveva
smesso di esser roseo. Le lettere di Lily parlavano di liti sedate con
l’aiuto
dei fratelli, vacanze mortificanti, recriminazioni vecchie di anni e
lettere
separate da parte dei genitori.
Non
puoi dire di esserne stato sorpreso; statisticamente, i matrimoni
contratti in
giovane età sono destinati a non arrivare alla vecchiaia.
Potter è sempre stato
un impulsivo. Sposare la prima donna deputata a sentimenti
più complessi di una
cotta gli sarà sembrata un’idea splendida, specie
perché Weasley.
Questo
pomeriggio - è un estate ordinariamente piovosa - ti sei
trovata Lily di fronte
alla veranda mentre la bufera impazzava, gonfiando il mare e sbattendo
le
persiane delle finestre.
Non
dentro, davanti.
Tremava,
perché indossare un vestito di cotone leggero per affrontare
l’imprevedibilità
irlandese è stupido.
Tremava
e piangeva in mezzo alla pioggia. Non sapevi se era più
acqua piovana o lacrime
quelle che le scorrevano sul viso.
Lily,
come ha dedotto Potter, non è una chiacchierona.
È una ragazza quieta, dai
lunghi silenzi e dagli strani sguardi. Se non si è abituati,
può mettere a
disagio.
Tu
conosci i suoi occhi da tredici anni, e sai accorgersi al volo quando
è il caso
di lasciar perdere i convenevoli e portarla dentro casa.
Una
tazza di the caldo più tardi finalmente parla.
“Si
sono lasciati.” Dice e non c’era traccia di
incredulità o rifiuto. Era chiaro
se lo aspettasse quanto l’avevi intuito tu.
“Papà ha preso le sue cose ed è
andato dagli zii. Stamattina a colazione eravamo solo
…” Si blocca mentre vedi
le unghie che dipinge sempre di colori allegri affondare nel palmo.
“… non ci
ha detto niente. Se n’è andato e basta.”
Non dici nulla, perché supponi che altri abbiano
già detto troppo per cercare
di calmarla. Peccato che con Lily le parole abbiano l’effetto
opposto.
Vedi
i palmi contrarsi, stringere. Stringere e trovare vuoto,
perché nella foga di
uscire e lasciarsi tutto alle spalle si è dimenticata anche
la propria
bacchetta.
Poi
arriva l’urlo. È uno solo, rabbia e frustrazione
pura. Ha tredici anni, e
ricordi i tuoi tredici anni mentre la tazza tra le sue mani si spacca,
mentre
lo specchio sopra il camino si incrina e le fiamme beccheggiano alla
forza
della sua magia.
Avresti
voluto spaccare il mondo a mani nude, e non potevi farlo. Non eri
neppure
capace di difenderti da Tobias.
L’urlo
si quieta com’è iniziato. Con un colpo di
bacchetta asciughi il the che ha
bagnato il tappeto, le sue mani e le gambe nude e sottili, dai ginocchi
sbucciati. È caduta mentre cercava la passaporta con cui lei
e suo padre si
materializzano qui.
(Tra
parentesi, premuroso da parte di Potter lasciarle almeno quella.)
“Tornerà.”
Dici. “Si può dire tante cose di tuo padre, ma non
che sia un codardo o che
lasci le cose a metà.” È la prima volta
che fai un complimento a quell’idiota e
pensi che, dopotutto, non se lo merita.
Ma
ne ha bisogno Lily, che ti guarda con quei suoi occhi troppo grandi,
troppo
vasti, troppo celesti. Ti ricordano il cielo di qui, quando le nuvole
vengono
spazzate via dal vento del Nord. Non sono gli occhi di lei,
sono diversi. Eppure, sono uno dei motivi per cui comprarti un
gatto non ha funzionato come speravi.
Piange.
La vedi singhiozzare mentre i capelli le chiudono il viso allo sguardo
altrui.
Ti
senti sconfortato, perché realizzi che vorresti prendere
Potter per i piedi ed
appenderlo ad un posto alto, con sotto una buca profonda, possibilmente
piena
di creature rivoltanti. E mortali.
Perché
se non è una colpa sposarsi per un’urgenza di
lombi, lo è far piangere sua
figlia, che non lo capisce, che non viene capita, ma che lo adora come
lo stupido
idolo d’oro che è sempre stato per tutti.
“Abbracciami…”
Dice. Le tue riflessioni ti hanno portato di nuovo nella parte meno
piacevole
di te e la guardi senza capire. Si ferma e ripete.
“… abbracciami, per favore.”
Non te l’ha mai chiesto. Te l’ha semplicemente
fatto sopportare, e andava bene.
Severus Piton non è fatto per abbracciare: non ha
abbracciato neppure sua madre
sul letto di morte.
(E se n’è sempre pentito.)
Per
fortuna sei sempre stato un discreto equilibrista con le parole.
“Pensi davvero
che mi voglia sedere per terra?”
(Complimenti per l’equilibrio.)
Lily
ti guarda battendo le palpebre. Poi fa un sospiro e sorride appena.
“Sei
proprio impossibile, zio Severus…”
“Non è la prima volta che mi è stato
fatto notare.” Appunti e poi, semplicemente,
lasci che si sieda sulle tue ginocchia e appoggi la testa contro il tuo
petto.
Non sarebbe il caso, ti dice una voce. Lily comincia a non essere
più una
bambina, sta diventando un adolescente. Un adolescente che sta
abbandonando la
crisalide dell’infanzia e… tutte quelle
sciocchezze. È alta, è sottile come un
giunco e puoi stare certo che i suoi coetanei hanno già
cominciato ad
infastidirla.
Dovresti
farle notare che il modo in cui si accoccola contro di te è
inappropriato.
Però.
Sta piangendo. È una maledetta bambina spaventata, ed
è venuta da te perché è
ovvio che non ha ricevuto a casa ciò di cui aveva bisogno.
È
sempre stato questo il punto.
Non riesci a capire, però, come diavolo riesca ad averlo da te.
Lasci
che riduca la tua camicia ad un disastro, sopportando stoicamente. Hai
affrontato di peggio. Voldemort, ad esempio. Silente e il suo
stramaledetto
Bene Superiore, anche.
“Sono
contenta che tu sia qui, Zio Severus…” Mugugna con
il tono impastato tra il
sonno e il pianto. Una mocciosa che, sfinita, si addormenta dopo
essersi
soffiata il naso addosso a te. Dovresti essere furioso. Da anni, sei
solo rassegnato.
“Non
vedo dove altro dovrei andare. Questa è casa mia.”
Alza
il viso dalla tua spalla. Sorride tanto, ma allo stesso modo
è seria. Un equilibrio
perfetto. “Non qui… non qui a casa tua. Io intendo
dire… che sei ancora
qui.” Le vedi le guance colorarsi
di rosso. “Io… sarebbe stato orribile se tu non ci
fossi stato. Se non ti
avessi mai conosciuto.”
Un
ciocco scoppia nel camino nel mezzo del silenzio che segue.
Niente fiori e onori sulla tua tomba,
Severus. Sei ancora vivo. Congratulazioni. Scusaci. Ora sparisci per
favore; ci
metti a disagio.
Una
strana sensazione, spaventosa e sconcertante ti si diffonde addosso
come
un’improvvisa febbre.
Sconcerto,
spavento. Quand’è stata l’ultima volta
che ti sentito felice, Severus?
Fa
male come usare di nuovo un arto anchilosato.
“Il mondo sarebbe continuato a girare anche senza di
me.” Distanza. Distanza
anche se senti il suo respiro tiepido sulla spalla, e sai che
è viva. Che sei
vivo anche tu.
Ma
come, te n’eri dimenticato?
Sbadato
da parte tua.
(Perché
diavolo la voce della tua coscienza
ha il tono di Albus, adesso?)
Lily
scuote la testa. Sottolinea un concetto. “Non il mio, non
bene. Tu sei il mio
migliore amico, zio Severus.”
Ti sembra che la ferita di Nagini ti blocchi la gola come un laccio. In
tutta
franchezza, anche respirare è difficoltoso.
“Alzati.” Le intimi brusco. Ti guarda confusa, ma
obbedisce come sempre. Non è
stato Potter a dirti come sia testarda e risponda a primo comando solo
a te?
Sicuramente.
“Voglio
restare qui.” Esclama mentre cerchi di trovare un modo per
rispedirla a casa e rimanere
solo con i tuoi pensieri. Stanno premendo per uscire e non puoi
costringerli a
lungo. “Posso dormire qui, stasera?”
No,
neanche tra un milione
di anni.
“…
vado a
prepararti la stanza.” Replichi docile come un povero idiota
che cerca ancora
di capire cosa l’abbia colpito e, soprattutto, dove.
La lasci che sta prendendo in braccio il gatto di casa –
Cagliostro,
scelta sua il nome, per quanto ti riguarda poteva rimanerne privo
– e sali al
piano superiore.
Apri
la finestra della camera degli ospiti, per darle aria. Sa di chiuso,
com’è
naturale: chi ci ha mai soggiornato del resto?
Un
raggio di sole buca le nuvole spesse come acciaio e colpisce il mare
facendolo
esplodere di piccole schegge d’argento.
Non
credi nelle epifanie. Sono idiote.
Ma
per la prima volta in vent’anni – perché
quando qualcosa cambia, deve metterci
così tanto per te? – ti percepisci
respirare.
Sei vivo. Sbadato da parte tua scordarlo.
****
Note:
Woah. Non so davvero cosa ne
potrà venire fuori, perché onestamente il POV di
Piton in seconda persona è…
beh, meno difficile che la prima, ma comunque problematico.
Questa due-episodi è tutta dedicata alla favolosa e neonata
pagina Facebook – e
un po’ anche community –
Repayement Ita, fondata da Emme e che mi vede come
goffa
co-amministratrice.
Cos’è
il Repayement?
Una possibilità. Dare a
Severus un addio o un bentornato come si deve.
Ci sono molti forse: Severus può non essere più
trai vivi, Lily Luna può essere
una figura di contorto, o fondamentale, può essere amore o
solo una possibilità
di riscatto.
In senso romantico o meno, facciamo tutto questo per un personaggio che
forse
doveva morire per riscattarsi, ma forse anche
no.
Passiamo
alle note va’, che i pipponi non piacciano a
nessuno.
Il
titolo è preso da libro di Michael Cunningham, che peraltro
non c’entra un
cavolo. Ma è bello, se avete occasione, leggetelo.
La canzone la potete trovare qui
ma spero anche nei vostri Mp3. ;D
1.Connemara:
Il Connemara
(nome originale, in gaelico irlandese, Conamara)
è una regione selvaggia
e aspra situata nell'Irlanda occidentale, più precisamente
nella Contea di
Galway.
Qui
per maggiori informazioni.
2.Sky
Road: (dall'inglese, "Strada del cielo") è una
strada
costiera del Connemara.
Qui per info.
3. Ardmore:
in realtà non è una vera e propria
località e, suppongo,
neppure un villaggio. È un agglomerato di case nella contea
di Clifden, il
centro culturale e capitale del Connemara. Mi piaceva il nome. :P
4. Caithness:
Dove la Rowling ha rivelato sia nata la McGrannit.
|
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Capitolo 2 *** Parte Seconda ***
Una Casa
alla
Fine del Mondo
And I was talking to you, and I knew then it
would be
a life long thing, but I didn't know that we
could break a silver lining…
(A
Sorta
Fairytale, Tori Amos)
2022
Immagini che non sia normale
che Lily passi tutto questo tempo con te.
Quando ha cominciato
Hogwarts
hai riflettuto pigramente sulla possibilità che si
allontanasse da te, presa
dalle amicizie che non fossero i suoi roboanti cugini e dal crescere.
Invece Lily è
cresciuta, ha
quindici anni ed ogni fine settimana te la trovi sul portico, ora in
uniforme
estiva che porta con l’insofferenza tipica della sua
età, ora imbacuccata nella
sciarpa della sua Casa con il mantello invernale che le svolazza al
vento della
brughiera. Il più della volte porta un ingombrante
cavalletto e una tela nuova.
Quel che non finisce deve sempre riportarselo indietro.
Dice che ama questa natura selvaggia. Comprendi; e dubiti sia solo
questo.
La Passaporta che per la
prima
volta ha portato Potter da te adesso è passata a lei;
è una semplice chiave,
lucida e babbana,
che porta al collo,
fissata con una catenella; l’ha fatta impostare in modo che
ogni sabato mattina
la materializzi ai confini di Ardmore e la riporti in Scozia allo
scadere del
tardo pomeriggio di domenica.
Ha pochi amici, questo lo sai; Corvonero è una casa
competitiva, su molti
fronti. Diversamente da Serpeverde, dove il senso di Casa è
simile a quello di
una setta, e dà la stessa compattezza umana, la casa di
Priscilla ha sempre
preferito allevare cuccioli di inventori, innovatori, strampalati geni
o capaci
accademici.
Ma tutti con una caratteristica comune; il solipsismo.
Lily ha comunque trovato una sua dimensione; ti parla spesso di alcune
amiche i
cui nomi scivolano via nella tua memoria senza imprimersi. Parla poco
di ragazzi.
Molto dei suoi fratelli e del maggiore, James, che in preda ad un
autentico nomen omen si comporta
come se la scuola
fosse il suo parco giochi. Per fortuna quest’anno si
è diplomato.
Tu ascolti mentre si scalda
le
mani al fuoco o prepara il the. Non commenti minimamente mentre la
lasci
trafficare nelle tue pozioni; è brava, ha precisione e un
certo estro che la rende
immagine della sua Casa. E di Lily.
Sai che anche il figlio di mezzo ha eredità la bravura della
nonna. Non l’hai
mai visto e non ti interessa. Ti è stato detto come certe
capacità sembrano
scorrere nei geni.
È un memento che hai sotto gli occhi tutti i
sabati.
Come adesso, che sta facendo
sobbollire una delle pozioni che deve preparare per i suoi compiti di
lunedì.
È silenziosa; non
che sia
esattamente una novità, potete passare ore senza scambiare
una parola. Oggi
però è evidentemente in preda ad un pensiero
fisso e poco piacevole da come si
tormenta le labbra, sondandole piano con i denti. Finirà per
farsele
sanguinare, esattamente come le unghie.
Lasci che passi
un’altra
mezz’ora di quel silenzioso masochismo, prima di sospirare.
“Cosa?”
Alza lo sguardo di scatto, sorpresa. Sembra genuinamente confusa dalla
tua
domanda e per un momento ti chiedi se tu non abbia preso un abbaglio;
no, decidi,
vedendola arrossire e distogliere lo sguardo.
“Va tutto
bene… e comunque.”
Ecco, appunto. “Non voglio angosciarti con i miei
problemi.”
Sorvolando sul lessico barocco, sbuffi. “Non sono angosciato,
sono irritato.”
Il tuo caratteraccio non
è mai
sembrato scalfirla e non lo fa neanche stavolta, dato che ti guarda con
espressione neutra, tipica di quando aspetta la fine di una frase.
“… perché è
evidente che ci sia qualcosa, e quel qualcosa mi ha appena fatto
buttare dodici
galeoni di ingredienti.”
“…Cosa? Oh, no!” Esclama saltando dallo
sgabello e spegnendo il fuoco. Troppo
tardi, e lo constata anche lei con un’espressione affranta.
“Mi dispiace
tanto!”
“Da capo. Hai
tempo.” Tagli
corto. Le finanze sono un problema collaterale quando sei un eroe di
guerra e
il Ministero britannico ti allunga un sostanzioso vitalizio ogni mese.
Lily non replica, ma fa
evanescere il contenuto del calderone e ne fissa il fondo, assorta.
“Ieri mio padre mi ha mandato una lettera… ci
ha mandato una lettera. A me e ad Al. Sai, Jamie si è
diplomato l’anno scorso.”
Aspetti che continui, e la
vedi incrociare le braccia al petto, ma è più un
tentativo di consolarsi, che un
rifiuto. “… si sta frequentando con qualcuno. Ha
detto che era giusto che lo
sapessimo e che ha aspettato finché le cose non sono
diventate serie.” Serra la
mascella e in quell’espressione, c’è lei.
Distogli lo sguardo, voltandoti verso l’armadietto degli
ingredienti.
Lily le somiglia,
è naturale,
te lo ripeti da anni, come se fosse qualcosa a cui puoi abituarti.
Le somiglia, nelle espressioni, a volte nei sorrisi, ma non
è lei. Hai suoi
capelli, ma li ha mossi come le onde del mare, e lei li aveva lisci
come la
sponda di un lago. Non ha i suoi occhi.
Ma Potter l’ha
guardata ed ha
scelto quel nome. E non puoi biasimarlo, purtroppo.
“È
naturale che tuo padre
senta il desiderio di frequentare un'altra donna. Sono passati tre anni
da
quando ha lasciato tua madre.” Ti riallacci al discorso con
naturalezza. Essere
un Occlumante è qualcosa in cui puoi perdere la mano, ma
è come andare in
bicicletta; quando serve, ricordi subito le basi.
“Lo so.”
Sbotta secca. “E so
che si sta comportando bene a dircelo e tutto il resto… lo
dice anche Al.” Si
gira la bacchetta tra le mani e aggrotta le sopracciglia.
“Ma… perché?”
La guardi interrogativo,
allungandole gli ingredienti. A volta la cogli a guardarti. Da bambina
sembrava
semplice curiosità per uno zio burbero, ma adesso ti studia.
Corvonero
nell’anima.
“Intendo
dire…” Riprende, allineando
boccette e fiale sul ripiano di lavoro. “Intendo
dire… perché gli uomini
riescono a dimenticare così facilmente? Mia madre non si
è trovata un altro.”
“Come lo sai?”
“Lo so e basta.” Indurisce lo sguardo e nascondi un
sorrisetto di scherno. Ne
nascondi molti, e quando ti sei accorto di farlo è stato il
giorno che hai
realizzato ad alta voce – nella tua testa – che le
eri affezionato.
Subito dopo hai aperto
quella
bottiglia di Ogden Stravecchio che tenevi per i giorni di
più cupa immersione
nel passato. Può servire anche per il presente, hai pensato.
“Sei arrabbiata
perché tuo
padre ha un’altra donna nella sua vita, ma è
quello che succede nella maggior
parte dei casi. Le persone vanno avanti, trovano nuovi stimoli.
È fisiologico.”
Attesti pacato. I drammi della famiglia Potter dovrebbero esserti
alieni,
finalmente, ma no, perché una delle esponenti più
fragili ti ronza attorno da
un decennio e mezzo.
“Non è
vero.” Replica
stappando una boccetta di essenza di Dittamo. Non ricordi che pozione
debba
preparare, ma sei certo che sia qualcosa con cui
quell’imbecille del suo
professore ha tentato di metterla in difficoltà. Senza
successo. “… Cioè,
credo.” Si gira la boccetta aperta tra le mani. La
quantità esatta è
fondamentale, e sa probabilmente di essere troppo nervosa per dosare
bene. “Io…
io non voglio che qualcuno mi dimentichi com’è
successo a mamma. Non voglio.”
Ripete. “Ma hai ragione tu, zio Severus, le persone fanno
così. Dimenticano.”
Non io.
Lo pensi ed è una freccia che si pianta nella
parte della tua anima che è
rimasta al giorno in cui lei ti ha
voltato alle spalle. Non ti ha mai perdonato, non ha mai voluto, e
quando è
morta è stata solo la summa
finale.
Non
ho dimenticato, Lily. Mai.
Non lo dici,
perché Lily, questa
Lily, è una quindicenne
romantica, ed è normale che la pensi così. Per
adesso. Poi
crescerà ed interiorizzerà che la
volubilità è cifra dell’essere umano.
“La tua
è una visione
romantica. Quando
ti interesserà
qualcuno, capira…”
“Non mi interessa
nessuno.”
Interrompe le tue riflessioni, posando la boccetta al sicuro.
“I ragazzi che
conosco sono stupidi. Sono capaci di chiedermi di uscire, e poi
chiedere subito
a qualcun’altra se dico di no. Ed io dico di no.”
Conclude.
“Ricordami quanti
anni hai,
ragazzina.”
“Non importa! Gli uomini sono tutti così, i
ragazzi della mia scuola, mio padre!”
Esclama. Avvampa, ed è di sdegno; non ha ancora perdonato
del tutto Potter. A
tredici anni è stata tradita dal primo uomo della sua vita;
supponi, senza
essere uno psicologo, che questa faccenda l’abbia un
po’ esacerbata.
“Li
detesto.” Sussurra
abbassando lo sguardo. “Sono tutti
uguali…”
E poi è te che guarda, e quel vago campanello
d’allarme suona di nuovo.
“Ma tu sei diverso.”
Forse qualcuno della sua famiglia dovrebbe chiedersi perché
diavolo Lily, una
ragazzina in apparenza con capacità sociali del tutto
normali, preferisca
passare il finesettimana con te, invece che ad Hogsmeade come il resto
dei suoi
coetanei.
“Se non lo fossi
sarei un
quindicenne o tuo padre, e non so quale delle due opzioni sia
peggiore.”
Replichi, facendola ridacchiare. Poi sai che devi aggiungere qualcosa.
Mantenere le distanze da un adolescente suggestionabile che dichiara di
odiare
l’intero universo maschile tranne te
è raccomandabile. “Inoltre, non sono diverso. Sono
semplicemente più vecchio.”
“Tu non sei vecchio.” Borbotta.
“Cioè sì, insomma… eri il
professore di papà,
ma non hai neanche un capello bianco e più o meno sembrate
avere la stessa
età.”
“Sono un mago. Come spero tu ricordi, il nostro sangue
rallenta la
degenerazione dei tessuti e delle cellule. Invecchio più
lentamente, ma
anagraficamente la questione non cambia.”
“Questo non
c’entra…” Non
demorde. Non l’ha mai fatto da che la conosci, e
sinceramente, neppure ci
speravi. “Perché non ti sei mai sposato, zio
Severus?”
Dannata ragazzina.
Avresti tutto il diritto di
cacciarla fuori dal tuo laboratorio – tuo, di tua
proprietà e quindi soggetto
alle tue regole – e
intimarle di
andare ad importunare altri adulti, o semplicemente suo padre, con
domande
stupide e palesemente atte ad attirare l’attenzione.
Vede la tua espressione e
avvampa. “Scusa…” Mugugna.
“Non sono affari miei, ma… è
che… Jamie dice…”
O sta bluffando molto bene – e ti chiedi perché
quel vecchio straccio non
l’abbia piazzata a Serpeverde all’istante allora
– o davvero quell’idiota di
suo fratello sparge voci su di te.
“Dice cosa?”
“Dice che eri innamorato di una donna e che
lei…” Si corruccia con aria curiosamente
irritata. “… e che lei non ti ha voluto. Per
questo non ti sei mai sposato.”
Quell’imbecille di Potter. Ti aveva promesso, giurato
che non avrebbe mai divulgato quella
parte di storia.
(Non che tu gliel’abbia chiesto. È stata la
conversazione più umiliante della
tua vita, comunque.)
… e pare che
l’abbia
raccontato a quel beota del suo primogenito.
“Tuo fratello non
è forse
famoso per inventarsi storielle prive di fondamento?”
“Sì.” Conferma esitante.
“Però stavolta sembrava…”
“Basta così, sciocca ragazzina!” Sbotti
e non volevi davvero scaricarle
addosso la tua rabbia. Non come facevi con suo
padre. Ma una ferita cicatrizzata continua a dolere, se stuzzicata,
supponi.
Lily serra le labbra.
“Io con
te lo faccio. Sempre. Ti dico tutto.”
“Nessuno te
l’ha chiesto.”
Hai esagerato, e lo sai. Glielo leggi negli occhi, nello sguardo
ferito. Sei un
uomo adulto e dovresti piantarla di
prendertela con mocciosi che non sono in grado di controbattere al tuo
livello.
Non ci riesci. È
quella
ferita, chiusa, sì… ma no, in realtà.
Non lo sarà mai.
Perché la ragazzina ha ragione. Non sei come gli altri, tu
non dimentichi.
E non è che sia
un merito. No,
non lo è.
È una condanna.
Non dice niente mentre si
sbatte la porta del laboratorio dietro, e tu non la insegui. Non
sapresti
neppure cosa dirle, e sai che non sarebbe comunque opportuno.
Gli uomini adulti non
inseguono ragazzine da cui hanno preso, legittimamente, le distanze.
Rimetti a posto calderone ed
ingredienti, pulisci le macchie residue di pozione bruciata –
non ce ne sono, è
più che altro un lucidare il piano di lavoro – e
sali di sopra.
Sai che è seduta
sul portico.
Lo sai perché Cagliostro miagola alla porta e
perché Lily deve aspettare che
quella maledetta Passaporta si attivi. Manca ancora mezz’ora.
Ignori i lamenti del gatto,
metti il the, ordini la posta arrivata, babbana e magica. Sposti di
qualche
millimetro le lancette dell’orologio di quercia del salotto,
che rimane sempre
indietro.
E poi apri la porta mentre
Cagliostro, mercenario, ti si struscia soddisfatto alle gambe.
“Entra dentro.” Dici all’indirizzo della
sua schiena intirizzita. “Tuo padre mi
ucciderà se ti ammali.”
Non si volta, cocciuta. Si stringe solo nella leggera felpa che
indossa. Non le
chiederai scusa. Non hai mai dovuto chiedere scusa.
L’ultima volta che l’hai fatto, comunque, non
è servito a niente.
“Ti sei arrabbiato
perché è
vero. Vero?” Dice invece, con voce tranquilla. Incespica
appena un po’, il
necessario per farti capire che sa
che è un azzardo parlarti così.
(Ma lo fa lo stesso,
perché è
una maledetta Potter ed ha un evidente problema con la disciplina in
generale.)
La ragazzina ha sempre avuto la stramaledetta capacità di
tirarti fuori le
parole. E non pretendendo, semplicemente aspettando.
Non si fa aspettare qualcuno che ti guarda come ti guarda lei, persino
adesso.
E non è giusto,
non è te che
dovrebbe guardare così, ma una persona che se lo merita; un
padre, un fratello,
un amico, un ragazzo.
Non. Te.
Eppure non dici nulla.
“È vero
quello che ha detto
Jamie?” Ripete.
“È
stato molto tempo fa.”
Dici. Tirare fuori le parole, per l’appunto. “Entra
dentro.”
Lily sorride appena ed
è uno
strano sorriso, che una ragazzina che dovrebbe pensare a scuola,
vestiti e
trucchi non dovrebbe avere. Come se avesse appena trovato la chiave di
un
ragionamento che dura da anni.
“Ecco, lo
dicevo.” Ti sorpassa
e prende in braccio Cagliostro. “Tu sei diverso.”
Ti anticipa, dato che coglie
la tua espressione. “Va bene, non ne parliamo più.
Pace?”
“Il the
è sul fuoco.”
Commenti, perché non c’è altro da
commentare.
Hai impressione
però, che sia
solo una tregua temporanea.
… qualche mese dopo.
“Perché
non me l’hai mai
detto?”
Non pensavi ci avrebbe messo così poco a scoprirlo. Ma ci
speravi, in tutta
franchezza.
La guardi sul ciglio della porta, imbronciata, guardarti in viso, senza
timore,
senza pudore. Fuori il solito diluvio irlandese, cocciuto e sempre
uguale. Lily
sembra essersi abituata a suonarti alla porta completamente fradicia.
Le fa sembrare gli occhi
ancora più enormi.
“Detto
cosa?” Chiedi senza
scomporti. Ma sai che sta parlando di quello.
“Di mia
nonna.”
Ecco, per l’appunto.
“C’era
motivo per cui avrei
dovuto parlartene, quando tuo padre sicuramente ti avrà
messo a parte di tutta
la vostra storia familiare?”
“Non della parte in cui c’eri anche tu!”
Sbotta, e ti sposti per lasciarla
passare e secondariamente per evitare qualche maledizione. Sembra
infuriata.
Cagliostro non si vede da
nessuna parte, ed hai impressione che quel maledetto felino sia
più intuitivo
di te. Deve aver fiutato l’aria di tempesta che si porta
dietro l’appena
sedicenne che ti marcia dentro il salotto.
Non capisci francamente
perché
sia così turbata.
No, lo sai. Ma fingi di non saperlo.
“Come ti ho detto,
è stato
molto tempo fa.”
“Era lei!” Inspira. “Era lei la donna
che…” Espira. Ti guarda di sottecchi.
“Avrei voluto saperlo.”
“A che pro?” E veramente, perché avresti
dovuto annoiare una ragazzina con la
tua patetica storia di amore non corrisposto? Oltre al fatto che sono
affari
tuoi, beninteso. Perché avresti dovuto raccontarle di come
sua nonna ti abbia
rovinato la vita e come te l’abbia salvata al tempo stesso?
Lily è giovane, innocente; non capirebbe e non vuoi che capisca.
Sembra ridimensionarsi alla tua ultima battuta; i
sentimenti di una
sedicenne sono come onde sul mare. Veloci, immediati. Soggetti a
continui
cambiamenti. Non ti aspetti che sappia davvero razionalizzare
ciò che prova.
“Io…”
Si morde le labbra. È
cresciuta e la sua presenza non è più
un’ombra leggera sulla parete. Una
ragazzina che si stende sul suo tappeto e non parla per ore.
È una giovane
donna che ti fa domande inopportune. “Adesso capisco
perché sei sempre stato
gentile con papà, nonostante sembrava lo detestassi
tanto…”
“Non mi ricordo di esser mai stato gentile.”
“Ma non gli hai mai chiuso la porta in faccia.”
Obbietta. Touché; la
ragazzina è peggio di uno specchio che riflette la tua
coscienza. Bella pensata Severus, quella di non rompere il piede al
Salvatore e
lasciarlo entrare nella tua vita. Ancora.
“Non ci hai mai impedito di entrare a casa tua… e
non ti sei opposto quando ti
ha chiesto di tenermi qui mentre andava al lavoro.”
“In realtà l’ho fatto. Ma tuo padre non
asc…”
“È
stato per lei.” Ti blocca,
e non riesci a capire la rabbia che le vedi dipinta sul volto, ma
riconosci al
primo colpo l’altra espressione. È dolore, e non
riesci a collocarlo, non
riesci a comprenderlo. Però se ne sta lì e ti
accusa. Sarebbe carino sapere di cosa.
“Non è… non è mai stato per
me.”
Ah. Ci è voluto ben poco a svelare l’arcano.
Ti verrebbe quasi da ridere,
se non fosse che l’atmosfera non è adatta
all’ilarità e la tua sarebbe comunque
una risata amara.
Lily è gelosa di
sua nonna.
Non ti sei mai reputato un profondo conoscitore dell’animo
umano, men che meno
di quello di una donna. Ma la ragazzina è trasparente come
acqua di fiume e il
modo in cui si rifiuta di guardarti adesso, è indicativo.
Ti chiedi se suo padre
sappia
qualcosa di tutto questo; di tutti i finesettimana in cui dorme da te.
Forse, e
forse ne è sollevato. Sei tu a doverti beccare le paturnie
adolescenziali di
sua figlia.
La figura paterna surrogata;
come no. Lily non ti considera manco per sbaglio un padre.
Non sei un idiota; ti sei
accorto che la ragazzina si è presa una cotta per te. Al di
là del fatto che
trovi assurdo che possa trovarti
interessante in quel senso – tanto più vecchio, di
certo non appetibile - hai
interiorizzato la cosa, in questi mesi. Hai capito che è
naturale che abbia
tramutato l’affetto che prova per te, per la tua figura, in
qualcosa di meno
infantile dell’adorazione per un adulto.
Sta diventando
adulta ed è naturale, fisiologico; sai anche le
passerà.
È solo questione di aspettare. Troverà qualche
moccioso dai denti luccicanti e
sufficiente parlantina e dimenticherà tutto.
(Come lei?)
Sarebbe più
semplice se
potessi semplicemente allontanarla. Il
fatto è che non puoi. Non vuoi.
E questo rende ancora
più
urgente il bisogno di cambiare discorso. Di portare di nuovo il vostro
rapporto
in quello strano ibrido di affetto e curiosità che provate
l’uno per
l’altra.
Ma non sei mai stato tipo da
troncare le cose a metà. Specie se vuoi sapere chi ha acceso
la miccia.
“È
stato tuo padre a
parlartene?” Chiedi, e la vedi annuire.
Come sospettavi. Ammazzeresti Potter con le tue mani se fosse qui;
cerca di
spingerti sull’orlo della follia?
“Allora ti
avrà anche detto
che il mio debito nei confronti della tua famiglia si è
estinto alla fine della
guerra. Non faccio tutto questo per lui, né tantomeno per
tua nonna.” Non dover
pronunciare il suo nome, indicarla come semplice progenitrice
è più… semplice.
“Non ho l’abitudine di continuare a pagare il miei
debiti per puro spirito di
carità.”
Le vedi tremare scetticismo
sulle labbra; ha lasciato l’infanzia da un pezzo ormai,
è molto meno incline a
crederti sulla parola. “Ti piaccio allora?”
Adolescenziale.
Sospiri. “Se la
tua compagnia
mi fosse sgradevole in questo momento staresti conversando con una
porta
chiusa.” Fai una pausa per farle assimilare la frase. Non
abbastanza da farcela
fantasticare sopra però. “Togliti il mantello, mi
stai bagnando il tappeto.”
Lily non si muove di un
millimetro, ignorandoti; rimane accanto al fuoco a lasciare che il tuo
salotto
diventi un pantano. Devi farle
togliere quel mantello, farla sedere e parlare d’altro.
O non parlare affatto, sarebbe
perfetto.
“Papà
mi ha detto che la
amavi… e che l’hai protetto per questo, per
onorare la sua memoria.”
Beh, più o meno.
Perlomeno
Potter ha avuto la decenza di servire alla figlia una versione
edulcorata della
faccenda.
“Mi ha detto che
non l’hai mai
dimenticata…”
Sembra parlare
più che altro a
sé stessa, ma le parole hanno un peso e stanno colpendo te
come tanti sassi appuntiti.
Non puoi aspettare che una ragazzina nell’età
più egocentrica della vita se ne
accorga, ma puoi farla smettere.
“Ti ho
già detto che non
discuterò con te dei miei fatti privati.”
“… mi ha detto che sei così gentile con
me perché te la ricordo…”
Cosa?
È ufficiale:
Potter ha
l’empatia di un blocco di granito. Speri che con gli altri
figli sia più
ricettivo, perché qui ha sbagliato su tutta la linea. Lily
è scombussolata e
distrutta solo come un adolescente può esserlo: dal primo
all’ultimo momento,
senza soluzioni di continuità.
Potter l’ha almeno
guardata in
faccia mentre dava aria alla bocca?
“Secondo
Silente…” Inspiri
lentamente, perché aprire quella pagina della tua vita
è qualcosa che avresti
tanto volentieri voluto evitare di fare. Ma.
“… secondo Silente tuo padre doveva ricordarmi tua
nonna Lily. Non l’ha mai
fatto. Se ho aiutato tuo padre per via di tua nonna? Sì. Ma
questo non me l’ha
certo reso caro.”
“Però…”
“Non ti faccio venire qui per via di tua nonna. Ti faccio
venire qui perché
entrambi …” Attento con le parole. Attento.
“… apprezziamo la reciproca
compagnia. Indipendentemente dal cognome che porti. Spero sia
chiaro.”
Si illumina di colpo ed
è come
se l’intera stanza esplodesse in un lumos.
Ma non arrossisce, non è imbarazzata.
Bene, ha afferrato il senso corretto del discorso.
“Okay.” Sorride.
“Okay, ho capito.”
“Lo spero.”
Sempre tre metri di
distanza.
Almeno. Solo due volte l’hai presa in braccio, ma aveva sette
anni e poca
consapevolezza di sé, e a tredici perché il suo
mondo era appena crollato.
Tutto qui.
Non la abbracci e tocchi
mai,
e non lo farai sopratutto adesso, perché ha sedici anni, ed
è un grilletto
pronto a sparare, per usare un paragone babbano.
Sarà un trauma di
guerra o
quel che sia, ma sai che aspetta solo che abbassi le difese per fare qualcosa. Qualcosa che ti
costringerà a
mettere un muro tra di voi perché è giusto
che tu lo faccia.
Un enorme muro che ti
farà
tornare gelido e freddo, esattamente come avresti dovuto essere.
Presumibilmente sotto una lapide.
Oh,
Severus… davvero? Con lei ti senti vivo. È un
bene,
è un bene. Ma non esagerare.
Non
diventare avido.
Questa ragazzina dai grandi
occhi voraci, dai sorrisi appena accennati ed enigmatici come quelli di
un
dipinto di Leonardo è un pericolo. Per la tua
serenità di sicuro. Eppure non
riesci più a farne a meno, come non facevi a meno di lei. Ma lei ti ha abbandonato, e forse
– ti sanguina il cuore
ammetterlo – doveva
farlo. L’avresti
rovinata, e alla fine dei conti, l’hai fatto, anche a
distanza.
Ma non Lily Luna. Non puoi, non vuoi privartene. Il Destino gioca a
dadi e
ghigna, come un baro consumato. Sei sempre stato un burattino; prima
nelle mani
di Tobias, poi in quelle di Silente, alternate a quelle di Voldemort.
Ma forse,
questa mano, solo questa mano, l’ha lasciata a te.
Esita, si sporge appena
verso
di te, tentenna. È timida, non le dai spazio per tentare
qualsiasi cosa. Le hai
dato delle risposte, ma non quelle che voleva.
È perfetto.
“Ora ti togli quel
maledetto
mantello prima di allagarmi la casa?”
Sorride appena. “Scusa.” Sussurra.
“… Posso chiederti una cosa?” Aggiunge
di
colpo, e non aspetta che tu le dia il permesso. Quando mai.
“Ti dà fastidio che
ti chiami zio? Voglio dire, dopotutto non lo sei.”
“Questo non ti ha mai fermato dal chiamarmici.” Lo
hai sempre trovato stonato e
ridicolo, ma oggettivamente, avevi modo di opporti?
“Allora se vuoi…” Dove diavolo
ha
imparato quell’espressione assolutamente inadeguata nei tuoi
confronti? Non può
sbattere le ciglia. “… ti chiamo
Severus.”
Scrolli le spalle, perché qualsiasi parola potrebbe essere
troppo, o troppo
poco.
A sedici anni ti districavi
tra riunioni di Mangiamorte e la presa del Marchio Nero.
Senti quasi nostalgia per
quel
periodo.
“Come
preferisci.”
Cosa dicevi
sull’abbassare le
difese?
2024
Alla
gentile attenzione del Professor Piton…
Sono decenni che nessuno usa
più quella carica per identificarti. A parte Potter.
L’invito
è in color carta da
zucchero: da sempre, il Mondo Magico festeggia così
l’entrata nella maggiore
età dei propri virgulti. Un vezzoso biglietto e volute
d’inchiostro lucente.
Lily ha compiuto diciassette
anni un giorno e dodici ore fa. Svariati minuti, che passi a fissare
l’invito.
…
è invitato alla festa di…
Sei invitato alla sua festa
di
compleanno. Essendo nata nei mesi estivi era ovvio che potesse
festeggiare in
pompa magna con tutto il parentado. Era doveroso.
Immagini la tua ragazzina
imbronciata mentre nota quanti inviti deve spedire.
Detesta le occasioni sociali
quanto le detestavi tu alla sua età; e la detesti
tutt’ora, per inciso. Dar
retta ad una sfilza di parenti con cui deve aver a malapena scambiato
qualche
parola deve indisporla. Noti la firma nervosa, la punta
d’osso della penna che
ha graffiato la carta.
Decisamente nervosa.
Non ci vuoi andare; sono
venticinque
anni che non metti piede in Inghilterra e non vedi motivi per rompere
la
promessa che ti sei fatto non appena hai messo piede fuori dal San
Mungo.
L’Irlanda
è diventata la tua
patria; le sue scogliere brulle, il suo verde senza fine, il suo mare
inospitale e bellissimo. L’odore del sale sui tuoi vestiti e
quello della terra
sotto i tuoi piedi. Non hai legami, non hai doveri. Sei dove vuoi
essere. Sei a
casa.
Però.
Lily ci tiene. Sono mesi che
cerca delicatamente di spingerti verso un assenso vincolante.
È brava a
manipolare i tuoi cattivi umori. Con tutto il tempo che ha passato a
studiarti,
se non fosse diventata un’esperta nel farsi viziare sarebbe
stata una completa
idiota.
Cosa che non è.
L’invito
è per stasera. I Gufi
hanno sempre problemi ad attraversare il mar d’Irlanda, con
le correnti di
vento che lo battono in estate. L’invito è
arrivato in ritardo, ma non
sufficientemente da farti avere una scusa.
La solita fortuna.
Rimani comunque ad oziare
pigramente alla luce mattutina che rende ancora più bianche
le tende mosse
dalla brezza, mentre Cagliostro si lascia accarezzare soddisfatto. Il
mazzo di erica
che Lily ha colto la scorsa settimana si sta seccando sul tavolo della
cucina.
Con i dovuti accorgimenti diventerà un ingrediente per
pozioni. Ne hai sempre
in abbondanza dato che te ne orna la casa, che tu sia
d’accordo o meno.
Ti liberi del peso del gatto
alzandoti – e protesta vivacemente – e prendi gli
steli ormai secchi fragili
passandovi un dito. Qualche bocciolo cade.
Sospiri.
Sei troppo vecchio per una
festa di mocciosi esagitati e genitori fastidiosamente orgogliosi.
Troppo
vecchio ed inadatto.
Ti immagini, nero e distante
dal resto della folla colorata, mentre nessuno osa additarti ma tutti
ti
parlano addosso.
Il
Pipistrello è tornato.
Accartocci
l’invito e fai per
gettarlo nel camino, pronto all’uso quando il tempo si
farà più inclemente, e
per poco non ti becchi una zaffata di polvere magica e fiamme verdi.
Una chiamata via camino;
naturalmente è collegato con la Metropolvere, ma nessuno ha
mai tentato di
contattarti tramite esso.
La tua faccia e la tua
cicatrice mette a disagio la maggior parte degli esseri umani.
Beh, tranne Lily.
“Severus!”
Esclama, mentre le
fiamme la rendono sfuocata, ma sufficientemente decisa. “Non
sei vestito!”
“Mi pare di indossarne, invece.” Obbietti mentre
appallottoli il biglietto in
mano, confidando nella scarsa definizione delle chiamate via camino.
“Sai che
intendo!” Sbuffa. “Mi
avevi promesso…”
“Non l’ho fatto.”
“Okay,
è vero.” Ammette
tranquillamente. Piccola sfacciata. L’hai già
detto? “Ma
…” Si guarda intorno per accertarsi di
essere sola. Non dev’essere semplice con il baobab di albero
genealogico che si
ritrova. “… ma ho bisogno di te.” Non
è una lamentela sterile, leggi sincero
nervosismo nei suoi occhi. La immagini ritagliarsi solo un momento per
parlarti, mentre il magma peldicarota e ribollente della sua famiglia
cerca di inglobarla
per festeggiarla a dovere.
“Lily.”
Non sei mai stato un
tipo paziente. Ad altri questa virtù.
“La festa sta andando fuori controllo!” Riprende
concitata. “Metà delle persone
che hanno invitato neppure le conosco e l’altra
metà ci ho a malapena parlato!”
“Considerando quanto sei poco incline alle lunghe
conversazioni…”
“Appunto. E comunque senti chi parla.” È
sempre stata impertinente, ma quando è
nervosa travalica la mancanza di rispetto. Se ne accorge subito
però, perché si
morde un labbro. “… vedi?” Mormora.
“Sto peggiorando.”
“Non potrei esserti di aiuto. Forse nel distogliere
l’attenzione. Indubbiamente
la mia apparizione sarebbe notata.” Ribatti sarcastico e la
vedi esitare. Un
punto a favore tuo.
“So che ti sto
chiedendo
molto…” La definizione della Polvere Volante
sarà pessima, ma sai che Lily si è
sporta completamente dentro il camino, nello sciocco tentativo di
raggiungerti
anche se è dall’altra parte del mare.
“Ma non sarebbe una vera festa di
compleanno se non ci fossero le persone a cui tengo di più.
E puoi anche non
farmi il regalo, non mi interessa …” E lascia
cadere la frase.
Hai smesso di lottare. Lasci
semplicemente che Lily ottenga ciò che vuole. E non
è molto, per fortuna. I
suoi acquerelli appesi in camera tua e nel resto della casa, lunghe
passeggiate
in cui ti obbliga a rientrare con quintali di flora tra le braccia,
aiuto nei
compiti, pareri sulla carriera che dovrebbe intraprendere una volta
diplomata. Quando
si fa sera e il tepore del salotto vi culla, lasci che appoggi la
guancia
contro le tue ginocchia; leggi per lei.
Ti trattieni ogni volta da
sfiorarle i capelli. Sai che vorrebbe che tu lo facessi, ma serri le
dita sul
libro, sulla tazza di the, sui braccioli della poltrona. Funziona.
Poi fai fatica a prendere
sonno per il resto della notte.
“Verrò.”
Ti senti dire, come
da molto lontano, come se non fossi tu. Oh, ma sei tu eccome.
“Grazie! Merlino,
ti sarò
grata per sempre!” Ride,
e poi si
guarda indietro. “Devo andare… stasera alle sei,
Severus, non tardare.”
“Non è mia abitudine.” Replichi alle
fiamme che si spengono.
La festa è
l’incubo che
immaginavi.
E ti stanno fissando tutti.
Hai riconosciuto solo poche
facce; Potter, che ti ha accolto con un sorriso sorpreso e impacciato.
Ha
tentato di darti la mano ed ha finito per stringere il vuoto. Quando vi
siete
congedati è sembrato incredibilmente sollevato.
Arthur Weasley,
l’unico che si
sia degnato di un saluto pacato e tranquillo. Hai sopportato le
chiacchiere
infinite di sua moglie e lo sguardo stralunato e stolido di suo figlio,
Weasley
Il Re.
Non hai incrociato altri
sguardi; la sai più lunga di così.
Per la festa è
stato alzato un
enorme e sontuoso tendone azzurro; sembra che l’intero mondo
magico, o comunque
una sua nutrita parte, sia venuto per festeggiare la
maturità di Lily.
Lily non si vede da nessuna
parte.
Hai ignorato l’invito di Molly a consegnarle il tuo regalo
per essere messo
insieme agli altri e hai accettato un calice di vino elfico che
qualcuno ti ha
porto; poi ti sei semplicemente appartato.
“Non sembra
neanche lui con
quei vestiti…”
È la femmina Weasley che lo dice ad uno dei suoi
innumerevoli fratelli.
E ti accorgi,
paradossalmente,
che la cosa che più sconvolge le tue vecchie conoscenze sono
i vestiti babbani
che indossi, non la tua presenza; ti verrebbe quasi da ridere, se non
fosse che
un simile gesto potrebbe far venire un infarto a qualcuno per la
sorpresa.
Ti eri dimenticato come
vestivi ad Hogwarts; da mago, da pozionista, da spia, da cattivo della
storia. Adesso
vesti da babbano, com’è giusto fare quando vivi,
trai babbani.
L’hai dimenticato,
ma la
Granger pensa bene di ricordartelo. “È strano
vederla così, sa. L’ultima volta
indossava vesti da mago.” Dice, affiancandotisi con la
naturalezza che hanno
solo le donne che sanno di avere potere dalla loro. Hai saputo che
è diventato
un magi-avvvocato piuttosto influente all’interno del
Ministero.
“Un inizio
promettente di
conversazione…” Replichi, con il chiaro intento di
metterla a disagio. Sorride,
invece.
“Non è
cambiato affatto nei
modi, vedo.”
“Avrei
dovuto?”
Sorride di nuovo. “Le sta bene questo completo. La rende meno
minaccioso.” Beve
un sorso dal suo cocktail. Non dovrebbero essere analcolici, visto la
festeggiata?
(Ah, no. La festeggiata ora è maggiorenne.)
“Non era nelle mie intenzioni esserlo. Se non le
dispiace…”
“Lily ha cambiato umore di colpo, stamattina.” Ti
interrompe. Sempre questa
mania di non farti finire le frasi. Una volta non sarebbe accaduto; una
volta
non è adesso.
“Di solito è raro che
abbia sbalzi di umore, e questo genere di festa… beh, non
glielo migliora mai.”
Ti lancia un’occhiata. “Poi ci ha detto che lei
sarebbe venuto. Era
felicissima. Le è molto affezionata.”
“Stranamente.” Completi per lei. Scrolla le spalle.
“Non stranamente,
se la tratta
meglio di quanto abbia fatto con noi.” Non sai se arrabbiarti
o ammirare il
modo in cui ti rinfaccia le tue vecchie colpe.
“Lily non
è una mia
studentessa dalla scarsa disciplina…”
La Granger ridacchia. “Touché.”
Ti
tocca appena il braccio. “È bello
rivederla.” Dice e supponi sia una di quelle
frasi fatte. Noti l’anello al dito – davvero, un
peccato che una simile donna abbia
avuto la sfortuna di incontrare Potter e Weasley.
Fai un cenno, tornando al tuo drink.
Il tendone sotto cui siete tutti accomodati straripa gente. Attendono
tutti la
festeggiata, schiamazzando e disinteressandosi del suo ritardo. Per
noia,
cerchi di dare un nome a ciascun nuovo volto. Fallisci e non ti
importa.
Poi senti lo schiamazzare
concentrarsi in un punto preciso.
Ti volti e la vedi; e sei felice di non aver bevuto prima,
perché ti sarebbe
andato sicuramente di traverso.
Un vestito non può cambiare completamente una persona,
pensavi una volta. Ti
hanno appena dimostrato che basta togliersi un vecchio mantello nero
per non
far più paura.
Basta un vestito a rendere
una
ragazzina una donna?
Impedisci ad ogni tua singola funzione biologica di deviare dal
tracciato
dell’assoluta tranquillità. Anche se Lily
è bellissima e tutti trattengono il
fiato. Perché si è abituati a vederli nella
uniforme un po’ larga, in maglioni
sformati e sporchi di pittura. In jeans. Lily indossa la
sua bellezza acerba come se non le
importasse.
Adesso le mani esperte delle donne di casa l’hanno resa
palese ad un intero
consesso di persone, e tu sei l’ultimo, devi
essere l’ultimo a notarlo e, soprattutto, mostrarlo.
Peccato che Lily non sia del
tuo stesso avviso.
“Severus!”
Esclama, districandosi tra genitori, fratelli, parenti e
sconosciuti che cercano la sua attenzione.
Senti le sue braccia sottili
cingerti il collo e abbracciarti stretto come se avesse ancora cinque
anni e
foste gli unici spiriti vivi nella brughiera.
C’è
ancora quell’adolescente
impacciato e spigoloso in te, che non è mai morto
perché dannazione, non è mai
cresciuto. È quell’imbecille che ti fa irrigidire
di fronte a sguardi
divertiti, stupiti e confusi del pubblico.
“Lily.”
Mormori. È un
avvertimento, e lo percepisce, perché si stacca.
Sembra leggermente delusa,
ma
continuano a brillarle gli occhi.
Con tutti i ragazzini
brufolosi che ci
sono, strizzati in vestiti
che odiano in suo onore,
perché
diavolo guarda te?
“Grazie per essere
venuto…”
Dice secondo copione. “Grazie.” Ripete.
“Bene.”
Dici secco, quasi
volessi dirgliene quattro. Sospira appena, poi ti fa un sorriso, si
volta e
torna dagli altri.
È un sollievo.
Davvero.
Finisci il tuo vino elfico e ne prendi un altro da camerieri veloci ed
efficienti.
Una volta c’erano elfi a questo genere di feste; supponi
c’entri la Granger e
le sue iniziative deliranti.
La festa entra nel suo
culmine
e poi lentamente scema. Dopo un po’ la gente è
troppo brilla o troppo occupata
per far altro che lanciarti qualche occhiata. Poi, neppure quelle.
Hai visto Lily interagire
con
i suoi coetanei; sorride molto, scherza. Ride poco ma ascolta tanto.
Sembra
felice.
È ora di tornare
a casa.
Le luci della Tana e del
tendone sfumano mentre ti incammini nel luogo dove sarà
più opportuno attivare
la Passaporta. Già pregusti l’intimità
del tuo salotto, un buon bicchiere di
whiskey e l’ultimo studio sul Distillato della Morte Vivente
ad opera di quel
pregevole pozionista iberico.
Ti giri tra le dita la
Passaporta; sei sufficientemente lontano. Eccellente.
Avresti potuto smaterializzarti anche lì, ma qualcuno ti
avrebbe visto e…
Hai comunque avuto conferma
che il Mondo Magico è andato meravigliosamente avanti senza
di te. Non che ti
aspettassi qualcosa di diverso.
(A parte il fatto che hai
salvato
il collettivo sedere della comunità.)
Potter è il lato
presentabile
della faccenda, tu sei quello oscuro. Quello che nessuno vuole vedere,
o
ricordare.
“Severus.”
Lily è a pochi passi da te. Ha abbandonato le scarpe
dall’aria dolorosa che
indossava e ti ha seguito a piedi nudi. È alta, in ogni caso
non fa molta
differenza.
“Te ne
vai?”
“La festa sta finendo e la mia presenza non è
certo necessaria.”
Si morde un labbro.
L’hanno
lasciata truccare, forse è stata persino sua madre ad
incoraggiarla. Conoscendola,
l’hanno presumibilmente obbligata.
“Non è
vero, lo è per me.”
Ribatte.
“Non mi
sembra.” Patetico.
Quanti anni hai Severus? È ancora quel ragazzino invidioso
che detta legge?
A quanto pare.
Lily sospira. “Se
avessi
voluto passare del tempo con te, tu avresti dovuto passarlo con me e
metà dei
miei parenti… in questo genere di feste è
impossibile non averli tutti con le
orecchie tese.” Fa una smorfia. “Metà
della festa è stata chiedermi dove fosse
il mio principe azzurro.”
“Non sono mancati
gli
aspiranti al titolo.” Ricordi come un ragazzotto biondo dagli
occhi sporgenti
l’abbia quasi requisita, prima che vi fossero veementi
proteste.
Lily sbuffa una risatina.
“Chi, quelli? Sono ragazzini…”
“Hanno la tua età, ad occhio e croce.”
“Appunto.” Replica, e rimane in silenzio.
È piuttosto scomodo. Poi grazie a
Merlino riprende a parlare. “Non ho visto il tuo regalo
insieme a quelli degli
altri.”
“Come sai che non è stato sommerso?”
“So che non l’avresti messo
lì.” Fa spallucce. “Te ne volevi andare
senza
darmelo?”
Effettivamente è un buon punto.
Te n’eri
completamente
dimenticato, vedendo vestiti, costosi set da disegno, gioielli e
tonnellate di
presenti che ha aperto al momento programmato.
Glielo porgi senza una
parola.
In compenso quasi te lo strappa di mano, e si libera della carta che lo
contiene. Scoppia a ridere quando vedere che cos’è.
“Jane
Eyre!” Ti guarda radiosa ed è quasi
insostenibile. “Beh,
perlomeno è una lettura meno tragica di Cime
Tempestose.” Ghigna. “Il regalo
peggiore di sempre, Severus. E non avevo ancora un anno.”
“Adesso hai entrambe le sorelle.” Replichi e non
puoi fare a meno di suonare
divertito. Perché quel maledetto tomo consumato te lo sei
ritrovato ovunque in
casa. In salotto, nella camera degli ospiti, in cucina e persino in
veranda, ad
asciugarsi dalla pioggia improvvisa che aveva investito la sua
proprietaria.
Una volta te lo sei trovato,
beffardo, anche in camera da letto.
“Aspettavo che tu
me lo
regalassi per leggerlo… Ed è bellissima
quest’edizione rilegata” Ridacchia
seppellendo il naso nelle pagine. “Adesso saprò
perché i babbani lo considerano
un’opera minore a Cime Tempestose.”
Glissi sulla prima affermazione.
“Personalmente,
trovo sia
un’opinione ridicola.”
“Ti piacciono i
lieto fine?”
Non è il caso di disquisire di letteratura in mezzo ad un
campo buio, ma Lily
non ha mai avuto senso dell’opportunità. A volte
dovevi prenderla quasi di peso
per riportarla in casa, quando arrivava la pioggia o un vento troppo
forte per
rimaner fuori. Una volta è riuscita a scappare e
l’hai vista correre in mezzo
al temporale e poi buttarsi sull’erba con una risata. Una
cosa sciocca. Poi ti
sei accorto che le stavi sorridendo.
Ti ha visto, e due settimane
dopo ti è stato recapitato un dipinto a tela; tu sulla
veranda della casa, che
guardi fuori, guardi lei. L’hai appeso, perché no,
non potevi farne a meno.
“È
meglio se torni alla festa.
Si staranno chiedendo dove tu sia.”
“Non mi importa.” Fa un passo e improvvisamente ti
rendi conto di quanto
maledettamente sia vicina. “È qui che voglio
stare.”
E poi si sporge e le sue
braccia sono di nuovo attorno al tuo collo, ma stavolta non
è una
manifestazione infantile e un po’ fuori luogo di affetto.
Stavolta ti bacia sulle
labbra, e non può dire che non te lo fossi aspettato.
È da tre anni che
sapevi di
questo momento, quasi l’avessi visto nella sfera di
un’indovina.
Non avresti dovuto darle
tutta
quella confidenza. Non avresti dovuto consolarla dopo la separazione
dei suoi.
Non avresti dovuto lasciarle dare il nome al tuo gatto, preparare
pozioni nel
tuo laboratorio o versarti il the.
Non avresti dovuto lasciare
che ti entrasse dentro come ha fatto l’altra Lily,
perché le labbra morbide che
toccano le tue non hanno nessun diritto di farlo. Perché
è sbagliato e perché è
solo una bambina.
E tutte queste ragioni
dovrebbero fartela respingere con serenità; invece avresti
voglia di urlare
come il giorno che hai scoperto che lei era
morta.
Perché
è appena finita di
nuovo.
La stacchi con sufficiente
gentilezza, e i muscoli tremano oltraggiati, perché
vorrebbero spingerla via,
scaraventarla il più possibile lontano da te.
Ma sei un uomo adulto,
Severus, un uomo che serenamente le dirà come vanno le cose.
Solo, non deve parlare,
è così
brava a rimanere in silenzio, è questo il motivo che te
l’ha resa subito
simpatica.
“Ti amo,
Severus”
Le parole sbagliate.
È finita. Hai
perso la mano.
Ehi, hai giocato bene, ma poi esistono fattori imprevedibili
e…
“Tu non mi
ami.” Ti senti
dire, e il tono è duro come la pietra che senti al posto del
cuore. “Sei
innamorata dell’idea che hai di me… e francamente,
l’idea è parecchio
edulcorata. Sei una bambina, ed io sono un uomo adulto.”
“Anch’io sono adulta!” Sbotta, e poi ci
ripensa, forse è troppo infantile quel
che sta dicendo. Già.
“Dannazione,
sono maggiorenne! Ho aspettato, perché sapevo…
avevo capito che per te era un
problema e…”
“Supponi che sia questo, l’unico
problema?”
Si blocca. Non ci sarebbe neppure bisogno di aggiungere altro,
perché Lily è
intuitiva, dove andrai a parare è palese.
Non era come se
l’era
aspettata. È l’età dei castelli in
aria. I tuoi sono crollati molto prima, ma è
un dettaglio ininfluente, tralasciando che questo ti ha reso duro come
la
pietra.
“Non…
non mi sbaglio.”
Sussurra a mezze labbra, tormentandosi l’orlo della cintura
di stoffa. “Posso
essere una ragazzina, lo so che
sono
una ragazzina… Ma non mi hai lasciato entrare nella tua vita
perché ero carina…
non mi hai lasciato restare
perché ti sono simpatica… L’hai fatto
perché mi volevi lì.” Le trema la voce
ma
è coraggiosa. Merlino, come tu mai lo saresti stato a
quell’età. “Tu mi ami.”
No.
Non la ami. Puoi provare affetto, tiepida simpatia. Un certo debole.
Hai amato
una sola donna e quella è morta proprio per quel motivo.
Tanto, tanto tempo fa.
Amarla sarebbe grottesco,
inadatto. Spaventoso.
Sarebbe come ricadere di nuovo negli stessi errori, con la
consapevolezza di
compierli momento per momento, stavolta.
Un taglio netto. Ne sei
capace. Hai ucciso un uomo guardandolo negli occhi. Un uomo a cui avevi
imparato
a voler bene.
(Un uomo che non ti ha mai amato. Che novità.)
“Basta
così.” Duro, spietato.
Vedere ragazzini in lacrime non era il tuo passatempo preferito,
vecchio
pipistrello? “Questa storia è andata troppo
oltre.” Non è facile trovare le
parole adesso, però. Si può solo agire.
“Dammi la Passaporta.”
“… Quale?” Mormora confusa, prima di
fare mente locale. Se non fosse così buio,
potresti vederla impallidire. L’espressione ne è
corrispondente. “Non…”
“È una Passaporta per casa mia, per una mia
proprietà.” Continui impietoso, e
il tono è meravigliosamente fermo. Non che possa essere
diverso. È un’abilità
consumata quella di sembrare un mostro senza cuore né
sentimenti. “Posso ed ho
il diritto di chiederla indietro in
qualsiasi momento.” Tendi la mano.
Lily ti guarda, e per un
momento sembra quasi che non capisca cosa le stai dicendo. È
colpa tua. Per
anni l’hai abituata ad avere tutto ciò che voleva
da te. La cosa peggiore è che
sapeva che la stavi viziando,
perché
quegli idioti dei suoi parenti le devono aver ripetuto fino alla nausea
quanto
fosse speciale, ad aver ottenuto la
tua benevolenza.
Ma c’è
qualcosa di ancora più
orribile. Il suo clan ha ragione. Lei è
speciale.
“La
Passaporta.”
Alla seconda volta finalmente si muove. Non avresti sopportato
ripeterlo una
terza. Se la stacca dal collo; non ha collane indosso, anche se gliene
hanno
regalate molte.
(Qualcuno ha mai notato che
detesta i gioielli e soprattutto le collane perché le si
impigliano nei capelli?)
Te la porge e le tremano
così
tanto le mani che devi afferrarla tu. “Non voglio
più vederti a casa mia. Non
venirmi a trovare, non mandarmi Gufi.”
Non piange. Forse è questa la cosa più spaventosa
di tutte. Non ha neanche gli
occhi lucidi. È solo pallida. “Non
puoi…”
“Posso.” Te la infili in tasca. È ancora
tiepida. Diventerà fredda, dentro
qualche cassetto. “Quello che non posso, è
permettere che continui. Trovati una
persona adeguata, vivi la tua vita. Sei giovane, è
ciò che devi fare. Io ho già
vissuto la mia.”
“Non è vero.” Sussurra.
“Sopravvivere non è vivere. E tu cos’hai
fatto
fin’ora?”
Sarà l’ultima volta che ti scuoterà nel
profondo così. L’ultima volta che
vedrai i suoi occhi e… beh, non vedrai nulla
perché è tutto ombra.
Adeguato per uno come te.
“Torna alla
festa.” Torna alla tua vita. Torna
al presente. Ti
sto facendo un favore –
vorresti
dirle questo, ma non sei un tipo melodrammatico. Mai stato.
In ogni caso, il Destino ti
ha
lasciato giocare solo per vederti perdere.
Vedi la tua, di Passaporta,
brillare e la stringi. La stringi talmente forte che ti scordi che
è un pezzo
di vetro levigato dal mare e che potrebbe anche tagliarti, dato che non
è tanto levigato.
Lily è davanti a
te, in ombra,
pallida come il fantasma di una donna che hai amato. Ma non
è lei, non è mai
stata lei. Ed era il più dolce balsamo che la vita potesse
donarti.
E purtroppo, oltre ogni
ragionevolezza, il tuo famigerato cuore di pietra, fa male.
“Codardo…”
Sussurra. E una
volta ti saresti rivoltato con furia, a questa accusa.
Ma adesso sai ammettere
quando
è fondata.
Due giorni dopo una lettera
di
Potter ti informa che Lily è partita per una nazione dal
nome impronunciabile, nell’Est
dell’Europa. Senza una spiegazione, senza un
perché. In famiglia sono tutti
sconvolti: deve terminare Hogwarts per i MAGO. Tu non lo sei. Sai da
anni che a
Lily di riconoscimenti accademici non è mai importato molto.
(Questo non ti fa sentire meno in colpa nella tua anima di accademico,
comunque.)
Anche in questo ti assomiglia: mettere miglia, quando si ha il cuore
spezzato.
Strappi la lettera e la
lasci
bruciare nel camino e la guardi ardere fino a che non si consuma in
cenere.
Le previsioni babbane dicono
che pioverà per giorni. Fuori e – commenti tra te
e te – anche dentro.
****
Note:
Vai con l’angst!
Beh, doveva succedere.
Ho detto che sarebbe stata due parti?
Ho mentito.
Il fatto è che ehm… maledetta grafomania. Deve
essere più lunga. Tre parti. Giuro che stavolta dico la
verità! Glargh!
Grazie per le meravigliose recensioni! Non pensavo avrebbe avuto tanto
seguito,
considerano la coppia un bel po’ – tanto
– crack. :D Ma… figata!
Ma se qualcuno credere (come me e le Repayers)
che Severus fosse troppo furbo per morire in quel modo
miserando… beh, potrebbe
anche diventare canon, giusto?
Ricordo ancora la pagina della coppia, gestita da me e Emme su facebook
Repayement Ita. Per chi volesse vedere Lily Luna, ecco qui
Qui
la canzone che mi ha ispirato il capitolo. Meravigliosa Tori. Altra
canzone che
mi ha letteralmente stregato è
questa . Purtroppo non è da youtube, e non
è neanche tutta, ma sono
un gruppo senza etichetta. Consiglio di scaricare da Itunes il loro
album a
chiunque disponga di un po’ d’euro,
perché solo questa canzone li vale tutti.
|
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Capitolo 3 *** Parte Terza ***
Una Casa
alla
Fine del Mondo
E
i giorni che passano sono lunghi
e coperti di nero
E i giorni son secoli aspettando di
poter tornare
di nuovo la fine del mondo cullato dal
canto del mare
(Canzone
dalla fine del Mondo, Modena City Ramblers)
2024
Lily è partita da
due mesi e
oggi ti è arrivata una lettera. Da parte sua.
Le lettere via Gufo sono
randomiche: possono arrivare veloci, come metterci settimane.
La lettera di Lily ti
è stata
recapitata da una civetta che non hai riconosciuto; poi hai notato che
portava
il sigillo delle Poste Magiche Britanniche. Una lettera che deve aver
fatto una
lunga traversata e deve aver toccato molti uffici postali. Ricordi
avesse un
gufo, un piccolo allocco rumoroso che aveva l’abitudine di
schiantarsi contro i
muri di casa tua.
Odiavi quel pennuto, ora
rimpiangi che non ti abbia quasi sfondato la finestra. L’ha
lasciato a casa,
come molti dei suoi effetti personali, a sentire Potter.
La lettera è
posata sul tuo
scrittoio, ancora chiusa. Porta il timbro di un paese che usa ancora il
cirillico. Non hai neppure letto che paese fosse. Non vuoi saperlo.
Naturalmente non sei
contento
che abbia lasciato gli studi e la sua famiglia, ma è una
soluzione comoda: più
miglia ci sono tra di voi, più possibilità ci
sono che la ragazzina si rifaccia
una vita lontana dai fantasmi del passato.
È stato vivere in
quel
santuario alla memoria che è casa di Potter che
l’ha portata a credere di
provare qualcosa per te che andasse oltre l’affetto per un
vecchia conoscenza
burbera.
E poi, hai notato come la
sua
vita la lasciasse insoddisfatta; di come ti parlasse dei suoi MAGO
prossimi, ma
non fosse veramente interessata. La rimproveravi, le davi della zucca
dura,
della Potter. Lei rideva.
“Severus,
non esistono solo i riconoscimenti accademici
nella vita!”
“Ma qualche requisito minimo, sì. Vuoi finire a
lavorare in qualche
retrobottega? A pelare radici, forse?”
“Se le pulissi per te mi andrebbe pure
bene…”
“Lily.”
“Ma dai, scherzo… In realtà vorrei fare
la pittrice, lo sai.”
“Prima prendi il diploma.”
“Sei il solito bacchettone.”
“Ho
più buon senso di te, sciocca ragazzina.”
“Lo
so, lo so.” Un lieve sospiro. “Ne hai tantissimo.”
Stringi la tazza di the tra
le
dita e questa fa resistenza; robusta porcellana inglese. Fa resistenza
e poi
con un rumore impercettibile si crepa, e il liquido comincia a
gocciolare. Con
un gesto stizzito della bacchetta ti asciughi i pantaloni e poi,
inevitabilmente, lo sguardo torna allo scrittoio.
Quella lettera andrebbe
bruciata: dare un taglio netto ti è sempre stato difficile
però.
Come se non bastasse, suo
padre continua a molestarti in cerca di informazioni: ha sguinzagliato
tutte le
sue conoscenze Auror per ritrovarla, ma è difficile avere
controllo su una
ragazza che è appena diventata maggiorenne ed ha perso la
Traccia.
Lily ha voluto perdersi nel
mondo e tu la capisci.
Non sei preoccupato: la
conosci abbastanza per sapere che è in grado di provvedere a
sé stessa, specie
con la possibilità di avere accesso ai galeoni di famiglia.
Non è mai stata una
sciocca. Prima di andarsene si è premurata di mandare una
lettera ai genitori, una
per ciascuno. Lo sai perché Potter te l’ha
sventolata sotto il naso nella sua
ultima, convulsa visita in cerca di indizi che non potevi dargli.
‘Sto
bene, starò bene. Ho solo bisogno di vivere da sola per un
po’. Farò in modo di
farvi sapere sempre dove sono.’
Lily è taciturna
anche nelle
sue lettere.
Ti chiedi cosa abbia scritto
a
te. E potresti saperlo, basterebbe aprire la tua
lettera.
Ma non vuoi. Non puoi. Hai
detto basta, hai sigillato i tuoi pensieri verso quella ragazzina
impossibile.
Si tratta solo di abituarsi all’idea di non averla
più trai piedi.
Si tratta di tenersi
occupato
finché quei pensieri smetteranno di premere come dighe, o
presentarsi
all’improvviso.
Non è facile,
quando la tua
casa è ancora piena della sua presenza; hai buttato i mazzi
di erica, hai
staccato tutti i quadri e li hai messi in cantina.
Tenersi occupato.
Ci sono infusi e pozioni da
preparare, l’erba del prato da falciare e far seccare per
l’inverno, quando la
legna è troppo bagnata dall’umidità
salmastra per accendersi da sola. C’è da
bruciare un nido di vespe nella rimessa degli attrezzi.
C’è
anche il gatto da sfamare,
tra le varie. E visto che è un essere vivente, forse
è prioritario. Vai in cucina
e riempi la sua ciotola. Quando gliela porti noti che è alla
porta. Miagola, ma
non perché ha fame. Miagola perché aspetta.
E di colpo ricordi che
è
sabato, e sabato è il giorno di
Lily,
il giorno in cui l’ingrato riceve una dose fin troppo
eccessiva di coccole e
moine.
Posi la ciotola e incroci il
suo sottile sguardo giallo.
‘Lei
dov’è?’
Sembra chiederti.
Dare un taglio. Afferri la
lettera dallo scrittoio e ti avvicini al camino. Non servirà
molto per
bruciarla, un colpo di bacchetta e poi gettarla nel focolare.
È carta,
dopotutto.
Carta che può
essere
strappata, bruciata, dimenticata. E aperta, scartata, letta.
‘Caro
Severus,
Se riceverai
questa lettera,
significa che le cose non sono andate come speravo.
Mi è stato insegnato che bisogna lottare per ciò
che si ama, e ignorare il
resto del mondo quando ti dice che non è per niente una
buona idea.
Però
è dura quando è proprio la
persona che ami a dirtelo.
E so che me
lo dirai. Lo so adesso
che ti sto scrivendo a poche ore dalla mia festa.
Perché
ci ho provato allora,
sapendo che così avrei distrutto il nostro rapporto?
(Che ne abbiamo uno, è inutile che storci le labbra. Lo stai
facendo anche se
non te ne accorgi.)
Perché
dovevo farlo. La sola idea
di rimanere in questo assurdo limbo dove tu cerchi in ogni modo di
ignorare ciò
che provo era insopportabile.
E
sì, so che ai tuoi occhi sono
una sciocca ragazzina infatuata.
È
più facile se sono sciocca, se
sono una ragazzina e se sono infatuata, giusto?
Scusa, adesso
ti starai
arrabbiando.
Severus, hai
mai avuto
l’impressione di essere nato per un motivo?
Sarà una cosa di famiglia, ma io sì.
Io sono nata per te. Ne sono sempre stata convinta fin da quando ero
una
bambina. E questo significa qualcosa, giusto?
Tu non fai
che respingere il
mondo, allontanarlo come se non te ne importasse nulla.
Vivi come se
avessi un cuore solo
per pompare sangue. Ma io ti ho conosciuto, sono cresciuta con te ed ho
visto
che un cuore, quel
tipo di cuore, ce l’hai invece,
eccome.
Ne hai
talmente tanto che credo tu
ne abbia paura e per questo tu voglia tenerlo in gabbia.
Non credo che
ci sia qualcun altro
al mondo che l’abbia capito. Non penso tu
gliel’abbia permesso.
Però
l’hai lasciato fare a me.
Se fossi una
buona amica, direi
che mi basterebbe vederti felice con qualcuno in grado di amarti e
farti amare
di nuovo. Perché te lo meriteresti, maledizione.
(Impreco
perché hai la testa dura.
Tu sei convinto del contrario, ci scommetto.)
Peccato sia
davvero pessima perché
vorrei che quella persona fossi io.
Vorrei che tu
abbracciassi me, che
baciassi me, che toccassi me. Adesso tirerai fuori la storia che sei
troppo
vecchio. Indovina un po’? Se volessi un ragazzo della mia
età, l’avrei già
trovato.
Sei tu
l’uomo che voglio.
Dovevo
dirtelo. Probabilmente non
sarò capace di farlo come si deve stasera, mi
limiterò a stare zitta, come
sempre. Forse ti bacerò. Ho tanta voglia di baciarti.
Le parole per
noi sono sempre
state un problema, vero? Spesso sfuggono, spesso mancano, spesso vanno
fuori
controllo. Non mi piacciono le parole.
Ce la siamo
sempre cavata meglio
con i silenzi, io e te.
Se ti
è arrivata questa lettera, è
probabile che io sia già lontana dall’Inghilterra.
Era una cosa che volevo fare
da un po’e credo che se non ci sarai tu, con me, dopo la
festa, avrò una spinta
per andarmene.
Non
è che abbia rinunciato a te. E
che non è ancora abbastanza,
immagino.
Per me non
è finita, è solo l’inizio.
Sempre tua,
Lily
Una sciocca lettera di
adolescente. Un sacco di frasi pretenziose. Un sacco di frasi che con
il tempo
cadranno nel vuoto e moriranno tra carta e inchiostro.
Non che ti aspettassi di meglio. Non che ti aspettassi di peggio.
La lettera è
semplicemente
Lily Luna. La ragazzina senza l’intrinseca quietezza
d’animo che si impone da
quando era bambina. La ragazzina a nudo, pura e semplice.
Ignori il sapore amaro che
ti
sale alle labbra; bentornato, ti verrebbe da dire, è un bel
po’ che non senti
il sapore di aver perso qualcosa sulle labbra.
(Chissà se tutti
possono
assaggiare il sapore del fallimento. Tu sì. Oh, fortunato.)
Il gatto ti si struscia alle
gambe, chiede cibo e ti riporta alla realtà.
Posi la lettera al davanzale
della finestra. Sai che ci farà la polvere perché
non avrai più il coraggio di
prenderla o di rileggerla. Forse dovresti davvero bruciarla.
Forse.
Il gatto non smette di miagolare ed hai l’ impulso di
calciarlo via, di sbarazzartene
con un semplice colpo di bacchetta. Perché anche lui ti
ricorda Lily.
Ed è diverso stavolta, diverso da quello che è
successo con l’altra Lily. Perché
stavolta hai fatto le cose a dovere. Tutto maledettamente opportuno, e
complimenti Severus, era ciò che dovevi fare. Per una volta
hai fatto la cosa giusta.
“Lei non
tornerà più.” Dici a
Cagliostro e sai che non può capirti, ma ritieni terapeutico
dirlo ad alta
voce. Tanto nessuno può sentirti e dire che la stai
prendendo troppo seriamente.
Sei un uomo adulto Severus.
Perché sei tanto scosso per la cotta di una ragazzina?
Severus, hai
mai avuto
l’impressione di essere nato per un motivo?
Io sono nata per te.
Adolescenziale, prevedibile.
Inadatta. Sei sempre stato un maestro con gli aggettivi.
Sei una persona come si deve
adesso, Severus. Nessuno potrebbe dire il contrario. Paghi le tasse
babbane,
hai un lavoro onesto, ti fai i fatti tuoi e ti ricordi sempre di
differenziare
la spazzatura. Ti stai godendo la tua maturità magica che
declina lentamente ma
inesorabilmente verso la vecchiaia. Il tuo comportamento con Lily
è stato forse
brusco, ma ineccepibile.
La ragazzina
vivrà nel mondo e
vedrà che c’è di meglio di un vecchio
pipistrello della scogliera, di un
reduce, di un uomo pieno di cicatrici e amarezza che non sa amare in
modo
normale.
Severus, hai
mai avuto
l’impressione di essere nato per un motivo?
Io sono nata per te.
“Lei non
tornerà.” Ripeti e
allunghi la mano per accarezzare il gatto, per dargli ciò
che vuole. Soffia, si
ritrae. Ti guarda diffidente e poi scatta via. Quando l’avete
visto in mezzo al
fango di Ardmore, Lily l’ha preso in braccio esclamando che
ti somigliava. Ha
riso e gli ha baciato il muso. Aveva dodici anni. Ricordi di esserti
indispettito per quel paragone; le hai anche intimato di lasciarlo,
prima di
beccarsi qualche malattia tipica dei randagi.
Hai finito per portarli entrambi a casa.
Lily è stata
l’unica a poter
toccare Cagliostro senza farsi soffiare addosso. Per
l’appunto, ne hai avuto
adesso la riprova.
Lily è stata
l’unica a poterti
avvicinare senza farsi allontanare, senza farsi soffiare contro dal
vecchio e
ridicolo randagio che sei.
Beh.
Almeno tu non miagoli ad una
porta che d’ora in poi rimarrà chiusa.
Severus, hai
mai avuto
l’impressione di essere nato per un motivo?
Io sono nata per te.
2025
Non ti sei mai ritenuto un
santo.
Essere un santo significa,
secondo l’ideologia babbana, esser privo di vizi, di impulsi
e desideri.
Praticamente, non essere
umano.
E tu lo sei stato
dolorosamente, e lo sei ancora.
Un anno passato in asettica
solitudine. Tredici mesi per essere
precisi. Potter non ti viene certo a trovare, dopo che l’hai
mandato al diavolo
quando ha tentato di coinvolgerti fisicamente nella ricerca. Non deve
aver
aiutato averti visto stringere la bacchetta. Si è fermato
dallo squadernare la
sua perché probabilmente pensa che la guerra ti abbia
portato via qualche
rotella.
Premuroso da parte sua.
Ti sta succedendo di nuovo.
Non sei più un ventenne dal cuore dilaniato, ma non
è questo il punto, supponi;
perché ti sembra di avere di nuovo
quell’età e di trascinare le tue serate a
Notturn Alley, quando il silenzio di Hogwarts rischiava di farti
impazzire.
Invece sei un adulto fatto e
finito e non hai più bisogno che Silente ti prenda per mano
per evitare che tu
segua l’orma genitoriale: Tobias, con una cirrosi epatica che
l’ha fatto morire
tra le sofferenze che si meritava. Tua madre, morta per inerzia, priva
di un
carnefice ma anche di una ragione per andare avanti.
Quindi trovarti al porto di
Galway
con uno dei loro whiskey a tre fermentazioni in mano è una
cosa che puoi
controllare. Ne hai solo bisogno ogni tanto.
Quel che è
patetico è che sei
qui perché vuoi sentire la gente attorno a te parlare.
Vuoi sentirti irritato,
importunato vuoi provare disgusto per l’essere umano tuo
simile.
Così puoi tornare
a casa,
rinfrancarti nel silenzio pulito della brughiera; ma è solo
per pochi giorni;
poi senti di nuovo quel vuoto che ti scava il cuore, ancora.
E torni qui.
Non sei un santo; ma pure
come
eremita, diciamocelo, hai sempre fatto schifo.
Come dopo la prima guerra ti
senti un vuoto dentro e vorresti che qualcuno ti spiegasse come
riempirlo. Non
c’è modo, ti aveva detto Albus, puoi solo
proteggere il figlio di Lily.
L’hai protetto.
Hai fatto
tutto ciò che potevi per quella maledetta famiglia. Sei
quasi morto.
Allora perché ti
senti così? Stavolta
non hai nessuna colpa atroce da scontare.
La sensazione si declina
allo
stesso modo però.
Una donna ti si avvicina, ti
tocca con il gomito e ti sorride. L’hai già vista
un paio di volte e l’hai doverosamente
ignorata. Presumi di essere l’unica persona con cui
può avviare una
conversazione, data l’ora tarda e il tasso etilico degli
altri avventori.
“Vieni qui
spesso… mi han
detto che sei inglese.” Dice, toccando il bicchiere con il
tuo. Il suo è vuoto.
“Mi piacciono gli inglesi.” Non aspetta la tua
risposta, che comunque non
arriverà. “Mi offri qualcosa da bere,
inglese?”
La guardi e poi guardi il
bicchiere vuoto. Realizzi che sei troppo ubriaco per articolare una
risposta
gelida e spiazzante, quindi ti limiti a tirare fuori il portafoglio
– babbano, per
non dare nell’occhio – e allunghi un paio di
banconote per una nuova dose di White Bush¹
alla signora.
“Grazie. Un vero
gentiluomo…”
Ti tocca il braccio e senti un brivido di disgusto scuoterti. Non
è bella, ma
abbastanza piacente per scaricare un’urgenza di lombi. Un
tempo forse, non
adesso. Non perché te ne manchi la voglia, ma
perché certi rabbiosi coiti non
ti soddisfano più. Hai avuto modo di notare quanto ti
rendessero ancor più miserabile.
“La gente viene
qui per due
motivi.” Pontifica, agitando il bicchiere e facendolo
riverberare di riflessi oro
pallido. “Per ricordarsi il passato e per dimenticarlo. Tu
perché sei qui?”
Hai trovato una donna facile da bar con velleità
filosofiche. Fai un mezzo
sorriso, tuo malgrado.
(Sì, sei ubriaco.)
“Per entrambi i
motivi,
immagino.” Ti senti rispondere, e ti complimenti per il tono
assolutamente non
impastato.
“Non
male…” Ti passa le dita sulla
spalla. “Questa cicatrice… come te la sei
fatta?” È la prima cosa che si nota
di te. Per quanto indossi maglioni a collo alto, rimane scoperta una
porzione
di pelle dilaniata che arriva poco sotto il mento. Nagini mordeva per
uccidere.
Oltre ad avere un morso velenoso che non ha favorito la cicatrizzazione
corretta della pelle.
Giusto per.
“In
guerra.” Vuoti il tuo
bicchiere e fai cenno al barista di versartene un altro.
Sarà l’ultimo, ti
riprometti.
(Chissà se Tobias
si
riprometteva le stesse cose. Stesso sangue, stesso alcool.)
“Quindi sei un
soldato.”
Esclama adattando la tua realtà alla sua.
“Affascinante… me lo offri un altro
bicchiere, soldato?” Non fai in tempo a pensare ad un modo
per scrollartela di
dosso che ti sfila il portafoglio con una certa abilità, a
giudicare dai drink
che deve essersi scolata nel corso della serata.
“Restituiscimelo.”
La donna ride e il suo
rossetto è volgare. Anche dietro l’ebbrezza lo
vedi luccicare e sai che è di
poco prezzo, come è di poco prezzo tutto quello che ti
circonda. Al
momento ti ci senti anche tu; bella gloria
di guerra.
Devi ricordarti di non
tirare
fuori la bacchetta e ti sporgi per riprendertelo; la coordinazione non
è il tuo
forte al momento e la donna può aprirlo ed estrarre altre
banconote senza che
tu possa farci niente.
Ti senti un idiota.
Ti senti un idiota
perché stai
così ed è riprovevole; ti senti un idiota
perché aspetti ancora che Lily
compaia dalla brughiera, che ti sorrida e ti corra incontro.
Non avresti mai pensato che
la
solitudine avrebbe finito per ritorcertisi contro.
Così, poi.
Ti senti un idiota
perché non
dovresti sentirtici più. Dovresti aver quietato il tuo
cuore, averlo seppellito
nella pace di una vita vissuta.
E
invece.
“Lei è
il motivo per cui sei
qui?” Dice la voce lontana della donna. Ti costringi a
rimettere a fuoco il
mondo, e vedi che tiene in mano una fotografia. Senti come se
l’alcool ti fosse
appena stato strappato dalle vene. Sai che cosa
c’è nel tuo portafoglio; non
molto, documenti per la tua vita babbana, contanti, una carta di
credito
intestata alla tua nuova identità di invalido civile
– almeno si spiega così il
tuo vitalizio al fisco irlandese.
E due foto.
La prima è di
Lily, una metà
strappata che la coglie mentre tende le mani a qualcuno che non sei tu
– a
Potter e più in là, a James.
E un'altra più
recente, sempre
magica. Lily Luna, alla vigilia del suo compleanno, che siede accanto a
te sul
portico della casa. Non la vedi, ma la ricordi perfettamente: ti
stringe un
braccio e ride felice per esser riuscita a convincerti. Indica
l’obbiettivo e
ti costringe a non andartene dalla cornice.
La foto che la donna tiene
in
mano è proprio quest’ultima.
“Bella ragazza, la
tua. Hai
l’aria così innocente… un
agnellino.” Ridacchia.
Poi aggrotta le sopracciglia. “Ma la foto si
muo…”
Gliela strappi di mano ignorando il tuo codice d’onore su
come trattare una
donna, per quanto sgradevole essa sia – diavolo, eri riuscito
ad applicarlo persino
a Bellatrix.
“Non
toccarla.” Ringhi e la donna impallidisce.
È rassicurante
sapere di poter ancora far paura. “Sparisci dalla mia
vista.” Aggiungi.
“Razza di
squilibrato…” Sibila
tra lo spavento e l’umiliazione. Afferra la sua borsa e se ne
va, lasciando finalmente
solo.
Ha afferrato con malagrazia la fotografia e si è creata
un’orecchia. La lisci
con le dita, e ti rimetti seduto. Lily agita la mano, saluta, come sei
certo
che ormai l’altra Lily non faccia più. Il sangue
di drago con cui sono animate
le foto magiche dopo qualche decennio si guasta e i soggetti ritratti
perdono
colori, forme, espressioni.
Sono anni che non la guardi, anche se è lì, in
quella piega di cuoio che è sua
di diritto. La tiri fuori.
Lei
non
si
muove più, come supponevi. La sua espressione è
cristallizzata in un sorriso
lontano, distante. Intoccabile. Con sgomento ti accorgi che non ti fa
più male
guardarla. Solo nostalgia e un vago dolore, gentile.
Sembravi
felice Lily… lo eri, vero?
È la prima volta
che lo pensi
senza aver voglia di distruggere tutto perché non eri tu la sua felicità.
La rimetti al suo posto.
Ti passi tra le dita l’altra foto, l’altra Lily.
Gli occhi le brillano e
riflettono il cielo acutamente azzurro dietro il tetto di ardesia.
Ci dev’essere
dell’ironia amara
nel vuoto che ti senti scavare di nuovo – di
nuovo, di nuovo, di nuovo, è un mantra ormai -
dentro, come una tenia.
2027
Minerva è stata
ricoverata al
San Mungo.
La sorpresa di vedere la sua solita lettera firmata da qualcun altro,
il
fratello, ti lascia una spiacevole sensazione di malessere.
È una strana amicizia la vostra, nata sulle ceneri della
guerra; prima Minerva
era solo una professoressa, poi collega, poi rivale in un antico gioco
di rappresaglia
tra Case. È stata una nemica, per un certo periodo. Ricordi
ancora lo scontro
che vi ha coinvolti e il tuo disperato tentativo di non ucciderla senza
insospettire i Carrow.
Lo ricorda anche lei e forse
è
per questo che è cominciata.
Il fratello accenna ad una
malattia e al fatto che abbia chiesto di te.
Non volevi tornare, ma
l’hai
fatto. È stato un imperativo talmente forte che ti ha
letteralmente strappato
da casa per farti Materializzare a Galway, di fronte al centro
Smistamento
Passaporte.
Il San Mungo assomiglia
sempre
a sé stesso: odore di erbe mediche, campionario di idioti
colpiti da fatture
maldestre che affollano il triage e
la solita, insopportabile, strega all’accettazione.
“Cerco la stanza
della profes...”
Ti blocchi, ricordando come quel titolo non appartenga né a
te né a lei, non più.
“… di Minerva McGrannit.”
“Parente?”
Chiese senza alzare
lo sguardo da una rivista che sfoglia distratta.
“Amico.” È quello che siete e
ricordartelo di colpo, per colpa di una domanda
posta con tono di rito, ti fa sentire anche peggio.
Sei davvero stato un buon
amico per Minerva? Dubiti. Quella donna è tutto
ciò che di vivo ti
rimane del passato, la parte che ti provoca quasi un
sorriso quando la ricordi, e non una smorfia. Eppure non sei mai andata
a
trovarla, a volte ti sei persino dimenticato di rispondere alle sue
lettere. A
volte non hai direttamente voluto.
“Non siamo
autorizzati a
rilasciare informazioni a chi non è della
famiglia.”
In un istinto che ripeschi
dalle tue antiche lezioni, sbatti la mano sul tavolo. “Mi
ascolti bene.”
Articoli con il tuo tono migliore, quello che congelava letteralmente
intere
scolaresche. Finalmente ti guarda e quando ti riconosce, assume anche
un
delizioso pallore cadaverico. “Sono un suo ex-collega, sono
un amico ed ha espressamente
richiesto la mia
presenza.” La lasci assorbire le informazioni e poi concludi.
“Se non le è di
troppo disturbo, il numero della stanza, prego.”
“Secondo piano, stanza 201.” Mormora. “Mi
scusi Professor Piton, io…”
La lasci al suo sgomento e ti rechi verso gli ascensori. Forse
è stata una tua
studente, a giudicare da come ti ha chiamato. Non puoi fare a meno di
stirare
un sorrisetto.
È stato piuttosto divertente. Ti eri dimenticato la
piacevole sensazione di
farti temere.
“Signor
Piton?” Ti volti e ti
trovi di fronte ad un mago piuttosto anziano dall’aria
rigorosa. Ti ricorda un
pastore presbiteriano. “Malcolm McGrannit.” Si
presenta tendendoti la mano.
“Sono io che le ho scritto.”
“Naturalmente.” Replichi stringendogliela. Gli
mancano solo gli occhiali per
essere la versione maschile di sua sorella.
“Minnie
sarà felice di averla
qui.” Sorride, premendo il pulsante di chiamata ascensore.
“Anche se non ha
fatto altro che rimproverarmi da quando le ho scritto.”
“Mi aveva detto
che era un suo
espresso desiderio vedermi…” Non essere il
benvenuto non è ciò che ti
aspettavi. Ed ignori la sensazione di delusione che ti investe.
Niente è facile per te: persino un quieto rapporto di stima
ed amicizia con una
donna che conosci da decenni riesce a essere complicato.
“Oh no, non mi
fraintenda, vuole
vederla.” Scuote la testa. “Ma mi
ha avvertito della sua riluttanza a tornare in Inghilterra.”
Spiega
stringendosi nelle spalle.
Non commenti, limitandoti a
classica domanda. “Come sta?”
“Meglio.” Ti rincuora. “Ma glielo dica,
per cortesia, che a me non dà retta…
sa, essendo suo fratello minore la mia parola, ahimè, ha
meno peso.” Sospira. “Essere
un Animagus alla sua età non è come esserlo in
gioventù. Glielo dica.” Ripete.
Tipico di Minerva e della sua anima stupidamente Grifondoro. Mai
arrendersi all’evidenza
della sua caducità personale. Probabilmente si è
ammalata sotto forma di gatto.
Merlino, se detesti gli
Animagi.
“Farò
il possibile.” Ti fai
scortare fino alla camera e poi l’uomo apre la porta.
“Minnie, hai
visite!” Esclama
e noti quanto sia forte l’accento scozzese. Riabituarti alle
varie inflessioni
del tuo paese è straniante.
La tua vecchia rivale di
Casa
è stesa su cuscini ed ha la solita, fidata, vestaglia
tartan. La camera è piena
di luce, gomitoli di lana e fiori. Quando ti vede ti sorride e
improvvisamente
ti senti meno inadeguato.
(Dio, Severus, cresci.)
“Severus.”
Ti apostrofa,
tendendo una mano. “Che piacere. Perdona mio
fratello… gli ho detto che ti
avrei dato un disturbo a farti venire fin qui, ma non mi ha
ascoltato.”
La raggiungi e le prendi rigidamente la mano. “Nessun
disturbo.” Reciti con un
tono meccanico da manuale. “Come ti senti?”
“Meravigliosamente.”
Replica e
l’occhiataccia è tutta per il fratello.
“Un infreddatura, nulla di più.”
“Hai avuto la febbre molto alta per giorni
…” Tenta timidamente l’uomo.
“E
anche adesso…”
“Onestamente,
Malcolm, stai
esagerando. Mi sento benissimo.” È la replica
secca. Vedi ragnatele di rughe sul
suo viso, i capelli ormai bianchi e la mano che stringe la tua
è sottile e
fragile come pergamena. La bacchetta è posata sul comodino,
ed ha l’aria di non
essere stata toccata da giorni.
Ti lascia la mano e fa cenno
di sedersi. “Spero non sia stata una Materializzazione
faticosa.”
“No.” Scuoti la testa, non sapendo bene cosa dire,
o fare. Forse avresti dovuto
portare dei fiori.
“Malcolm,
va’ a prendere del
the e qualche pasticcino al Quinto piano.” Esordisce dopo un
breve, imbarazzato
silenzio.
“Agli
ordini.” Sospira, e vedi
la complicità un po’ fanciullesca trai due. Sapevi
che Minerva aveva due fratelli
e qualche nipote sparso per la Gran Bretagna.
Non li hai mai conosciuti.
Realizzi quanto poco sai di lei come donna. Non siete in quel genere di
confidenza, non lo siete mai stati.
Ti senti ingombrante, e
quindi
ti limiti a sistemare una falda del mantello che ti sei riposto tra le
braccia.
Soli, ti sorride di nuovo.
“È bello
rivederti Severus.”
Ti limiti ad un cenno affermativo. “Tuo fratello mi ha detto
che era grave.” E
accusare qualcun altro del tuo imbarazzo. Molto serpeverde. Molto
inappropriato.
Scuote appena la testa,
apparentemente senza essersela presa. “Sia lui che Bobby sono
tremendamente
apprensivi. È vero, non sono stata bene.” E lo
senti dalla voce che ha perso la
forza di un tempo o dalla stanchezza con cui si chiude la vestaglia.
“Ma sto
meglio.”
“Ne sono lieto.”
Ti scruta ancora un po’. “Sei
cambiato…” Mormora speculativa.
“… direi che non
è solo il taglio di capelli o i vestiti, vero?”
Tuo malgrado abbozzi un sorriso. “No, direi di no. Sto
invecchiando.”
“Carino da parte tua farmelo notare, considerando che sono
stata una tua
professoressa.”
Vi scambiate uno sguardo ed è lei la prima a ridere. Tu ti
limiti al solito
ghigno demotivante. Che lei conosce e glissa.
“So che non ami
venire in
Inghilterra… da quando sono ricoverata, posso quasi dire di
capirti. Dopo due
giorni qui già rimpiangevo la pace della mia
Caithness.” Fa un cenno, indicando
l’intero negozio di fiori che le è stato scaricato
in stanza. “Sono pensieri
apprezzabili, se non mi venissero recapitati in
continuazione.” Sospira. “Ora
che sei qui penso che il Profeta tenterà
un’irruzione per un intervista
combinata.”
“Ancora?” Ti senti salire l’irritazione,
e ti chiude la gola.
“Harry ha fatto un
buon lavoro
a mantenere viva la memoria di ciò che è
successo. Senza sotterfugi, senza
armadi della vergogna.” Notando il tuo sguardo, sbuffa.
“Non puoi pensare che
sia una colpa, Severus. È un uomo eccellente. In questi anni
lui e gli altri
hanno fatto molto per il Mondo Magico.”
“Non lo metto in dubbio, ma la cosa non mi
interessa.” Ribatti sarcastico. Per
questo non vuoi tornare. Ogni volta è ricordare come non ci
sia più posto per
te, qui.
Minerva fa un vago cenno
disimpegnato. “Lo immaginavo.” Continua a scrutarti
e davvero, puoi capire
perché lo faccia; l’ultima volta che ti ha visto
eri lo spettro di te stesso,
un uomo fagocitato dalle proprie ombre. Sicuramente godi di migliore
salute,
migliore stabilità fisica ed emotiva.
Più o meno.
“Avrei voluto che
tu non
partissi…” Si ferma, perché sa di stare
avventurandosi in un territorio troppo
intimo. Riprende, perché i Grifondoro hanno la deprecabile
abitudine a
terminare tutto ciò che iniziano. Anche quando potrebbero
evitare. “Il nostro
mondo è rinato. È diventato diverso e per certi
versi, migliore. Perché te ne
sei andato?”
“Lo sai meglio di me.” Ribatti aspro, alzandosi e
avvicinandoti alla finestra.
Mazzi di fiori danno alla camera un odore dolciastro, fruttato. Minerva
non
avrebbe mai il cuore di buttare presenti da parte di suoi vecchi alunni
o
amici.
“Ti sbagli,
Severus.” Sospira.
“Avresti avuto la giustizia che meritavi. La puoi ancora
avere…”
Non demorde.
“Forse non la voglio.” E non la vuoi, non ti
interessa. Vorresti solo essere
lasciato in pace.
Ma non è stato possibile. Ti sono stati dati solo dieci
anni. E poi, una nuova
ferita.
“Non credo che sia
del tutto vero.”
Replica quieta. Ti volti per fronteggiarla, per rivendicare il tuo
diritto a
non volere la pietà di chicchessia, compresa la sua.
Trovi solo una vecchia
amica,
stanca e pallida, che ti osserva gentile.
La vecchiaia ha smussato gli
angoli della temibile McGrannit. O forse, non vuole essere dura con te.
Dovrebbe.
“Adesso predici
anche i miei
pensieri, Minerva? Ammirevole.” Fai vagare lo sguardo sulla
stanza e di colpo
un maglio, un uncino ti aggancia il cuore e dà un potente
strappo.
C’è una
tela, parzialmente
occultata da mazzi di fiori sgargianti. Una tela piccola, non
più grande di un
foglio di pergamena standard. Raffigura un paesaggio esotico, animali
che non
conosci. Ciò che conosci è la mano, il modo in
cui stende il colore e lo rende
brillante accostando combinazioni multiformi.
L’ha dipinto Lily.
Senti Minerva muoversi sul
letto; forse si chiede cosa tu stia guardando così
attentamente da averti fatto
congelare come sotto Incantesimo di Pastoia.
“Oh…”
Dice, e la voce sembra
provenire da lontano. “… quello me l’ha
mandato la figlia di Harry, Lily Luna.
Cara ragazza. Ha una bella mano, credo sia in Giappone ora. Ma tu la
conosci,
no?”
“Sì.”
Dici, sentendoti parlare
da una caverna molto profonda. “In Giappone?”
Altro che Irlanda. La
ragazzina ha superato il maestro.
“Credo di sì, almeno a quanto mi ha detto
Potter.” C’è una pausa molto
silenziosa. “Severus, ti senti bene?”
Non ti sei accorto di aver portato il tono di voce prossimo allo zero
assoluto.
Né che i tuoi pugni si siano serrati come in attesa di un
colpo.
Ma se ne deve essere accorta
Minerva.
“Sì,
naturalmente.” Ti volti
con la tua migliore espressione composta. “Forse dovrei
lasciarti riposare, ti
vedo provata.”
“Forse sei tu a doverti sedere. Sei pallido come un
morto.” Il tono è quello
dei vecchi tempi, e per un attimo vorresti risponderle a tono che non
hai
bisogno delle premure di una madre, alla tua età.
“Siediti.” Ripete.
Ti siedi obbediente come lo studente che sei stato. Anche essere
scandagliato
da dietro le lenti sottili dal suo sguardo acuto ti riporta indietro a
vecchie
memorie.
“È andata via due anni fa, mi sembra.”
Dice. “Suo padre mi ha detto che è
scappata di casa senza alcun motivo. Ha anche aggiunto, con una certa
veemenza devo
ammettere…” Fa un sorriso. “…
che tu dovevi saperne qualcosa e che non volevi
dirglielo. Mi ha detto che eravate molto legati.”
Dannato Potter. Supponi che
non sia totalmente idiota come ti piacerebbe credere.
Dopotutto è a capo dell’Ufficio Auror. Ed
è pure bravo, sembra.
“Sì, mi si era affezionata
inspiegabilmente.” Devi averlo già detto a
qualcuno,
ma non ricordi. Il tuo sguardo va di nuovo al quadro.
È migliorata,
puoi dirlo anche
senza essere un esperto. Il tratto è più fermo,
pulito e sgombro da volute
eccessive. Ridotto al minimo, quasi scarno. Eppure sono i colori che
calamitano
l’attenzione, non il tratto. Il nero pastoso, le ali
bianchissime, il tramonto
che si sfibra in volute rosa ed arancioni.
Sono i colori che hanno
sempre
reso la pittura di Lily viva.
Ti muovi a disagio come se
sotto la sedia che ti ospita ci fossero carboni ardenti.
“Sono felice di vedere
che Lily sta bene.”
Da quando le parole ti
scivolano via dalle labbra senza che tu possa farci niente?
Non vuoi che nessuno sappia dei ridicoli sentimenti che ti si agitano
dentro da
troppo tempo.
Inadeguati, sciocchi, sei troppo vecchio.
“Non so dirti come
stia, mi ha
semplicemente fatto recapitare questo ritratto tramite i genitori,
quando ha
saputo che ero ricoverata. Si dice che le gru giapponesi simboleggino
un
augurio di pronta guarigione.” Lo guarda, poi scuote la
testa. “Non la senti da
così tanto tempo?”
“Già.”
“Glielo hai imposto tu, vero?”
Alzi lo sguardo e ti scontri
con il fatto che Minerva ha capito.
Non hai la minima idea di come abbia fatto dato che sei certo di non
aver
lasciato trasparire nulla; persino Potter ti ha accusato di essere un
‘insensibile bastardo’ alla vostra ultima
chiacchierata.
Non sai perché
non ti alzi e
le auguri ogni bene prima di andartene.
“Sì.” Dici invece. “Dovevo.
È forse la
scelta migliore che abbia fatto in questi anni. Non potevo permettere
che
continuasse. Ho dovuto allontanarla prima che la situazione diventasse
ingestibile.”
Aprire il cuore ad una donna
che non ti vede da anni e con cui non hai mai scambiato reali
confidenze, potrebbe
ritorcertisi contro. Ma comunque lo fai, perché questa cosa
ti sta rodendo
dentro. E non hai la minima intenzione di affidare altri ricordi
tramite
Pensatoio a chicchessia.
Specialmente a Potter, dato il soggetto.
“Non dirmi
che…” Ha almeno il
buongusto di non urlarti contro e darti del degenerato. Lo apprezzi,
specie
conoscendo il suo alto senso morale che la fa tendere le labbra in una
linea
sottile.
Poi capisci cosa
esattamente ha frainteso.
“Non l’ho mai toccata.” Ringhi e la fai
trasalire. “Era una bambina, per l’amor
di Merlino!”
“No, non intendevo dire…” Si schiarisce
la voce, imbarazzata quanto e più di
te. Ben le sta. “Devi ammettere che avevi posto la frase in
maniera ambigua.”
“Si era invaghita di me, ecco tutto. Non le ho certo dato
udienza.” Sbotti e
Merlino, se ti senti ridicolo. Si sente di professori o figure
assimilabili che
diventano mire sentimentali di minorenni con una fantasia troppo
fervida.
Tu non sei mai stato uno di quei professori.
“Hai
agito… bene.” Mormora
lentamente. Non capisci perché non si congratuli con te con
la leggerezza
dovuta a queste situazioni e poi cambi discorso.
“Ne sono
consapevole.”
Replichi freddo. “Ora, se non ti spiace…”
“Dio, Severus.” Sentire Minerva che invoca il nome
della divinità babbana per
eccellenza è sempre stato strano. Ed era riservata, ai tempi
d’oro, ai momenti
di sommo sgomento. “Ecco cos’hai. Sei
infelice.”
La fissi come se le fosse
andato di volta il cervello. Dal tuo punto di vista è
così.
“Prego?”
“Non riuscivo a capire la tua espressione.”
Aggrotta le sopracciglia. “Mi sembri
in forma migliore di quando ci siamo lasciati l’ultima volta,
certo. L’Irlanda
ti ha fatto bene… ma hai ancora l’aria tormentata,
e non capivo. Pensavo fosse
dovuto al fatto che ti manca l’Inghilterra,
ma…”
“Non mi manca l’Inghilterra.” Sottolinei.
“Ti manca quella
ragazzina.”
Finisce per te e magari una
voragine
si aprisse facendoti finire all’inferno,
immediatamente…
Invece no.
“Questo è ridicolo.”
“Severus…”
Vorresti andartene ma hai il terrore di scontrarti con Malcolm
McGrannit carico
di pasticcini. O chiunque altro. Se potessi ti smaterializzeresti
all’istante.
Ma non puoi, dato che in Inghilterra non hai un solo posto in cui
tornare e
l’Irlanda è un po’ troppo distante per
tentare una mossa del genere e uscirne
vivo.
Quindi racimoli tutta la tua
dignità e cerchi di dare un taglio alla conversazione
più disagiante della tua
vita da quando hai confermato a Potter che amavi sua madre.
Corsi
e ricorsi storici… Cos’ha che non va il mio
karma?
“È poco
più di una bambina,
Minerva. Sarebbe inappropriato se provassi per lei qualcosa oltre
l’affetto. E
ti assicuro che è stato difficile provare anche quello, dato
il padre.”
“Assomiglia a
Lily.”
Le metteresti le mani al
collo
se non fosse che si suppone siate amici.
“Lily non
assomiglia a sua
nonna.” Sei stufo che in qualche modo, da chiunque,
quell’argomento venga
tirato fuori. “Sono diverse. Fisicamente forse si somigliano,
ma per esperienza
posso dirti che le somiglianze fisiche non dicono nulla di una
persona.”
O saresti morto di cirrosi in qualche vicolo sudicio.
Ha il buongusto di sembrare
dispiaciuta. “Scusami, sono stata indelicata.”
Sì, lo è stata. Sembrava una
delle tue vecchie conversazioni con Silente. “Posso farti una
domanda?”
No – avresti voglia di
urlarle. Ma la
buona educazione ti stringe il collo come un cappio.
“Ho modo di
evitarla?” Ma il
sarcasmo è un buon palliativo.
“Ti ho parlato di
affetto e
sembra che ti abbia appena accusato di un terribile crimine,
Severus.” Fa una
pausa. “Perché sei così
spaventato?”
“Non sono spaventato.” Replichi sconcertato, prima
di accorgerti che sì, hai
una paura del diavolo addosso. Ma mai dimostrarla, mai.
“Penso soltanto che questa
conversazione debba terminare qui.” Tenti un’ultima
volta.
“La tua vita
privata non è
affar mio…” A quasi l’aria di recitare
“… sì, il messaggio è
chiaro. Mi
dispiace davvero ricordarti che siamo amici e che ti conosco da una
vita. E no,
non sta funzionando.”
Segue un lungo silenzio.
“Cosa vuoi,
Minerva?” Mormori
sentendoti di colpo stanco. La verità è che lo
sei sul serio. I sentimenti sono
stancanti.
“Capire
perché un amico che
avrebbe dovuto raggiungere la serenità si comporta come se
cercasse ancora
qualcosa. Hai di nuovo l’espressione di quando hai cominciato
ad insegnare,
Severus.” Fa una pausa mentre la tua faccia deve aver perso
totalmente colore.
Lo senti. “…
solo che stavolta non
dovresti.”
“Lo decidi tu?”
“Non è così orribile come lo
dipingi.” Cosa?
– ti verrebbe da chiedere, ma non vuoi saperlo. “Ti
conosco. Immagino tu ti sia
comportato in modo assolutamente irreprensibile con lei. Ma adesso sei
infelice.”
“Mi stai forse suggerendo di intraprendere una relazione con
una ragazza di
svariati anni più giovane di me?”
Hai voluto calare le carte in tavola. Non esattamente una cosa da te,
ma si
suppone che le persone cambino.
Una volta Minerva non era
così
impicciona. Sarà l’età? Anche Silente
peggiorava negli anni.
“Severus…”
Potrebbe anche
piantarla con la condiscendenza. Preferivi i suoi sguardi fulminanti.
“… non
hai mai conosciuto mio marito Elphinstone, vero?”
“Non ne ho avuto l’occasione.”
È stato un matrimonio breve, per quanto ricordi,
e in quegli anni evitare le occasioni sociali per te era un dovere. E
un
piacere.
“Aveva
quarant’anni più di
me.”
Sarà il quarto
silenzio da
quando hai aperto la porta, ma questo è più denso
degli altri. Estremamente
tale.
“Era il mio
superiore al
Dipartimento di Applicazione Legge sulla Magia.” Continua
tranquilla. “Abbiamo
avuto un matrimonio breve, ma molto felice.” Stira con le
dita il risvolto
della vestaglia. “Quando mi si dichiarò la prima
volta, gli dissi di no. Ma non
per via della differenza di età …”
“Minerva.” Tenti di fermarla. “Non ha
senso quello che…”
“Quello che non ha senso, Severus, è ignorare il
proprio cuore.” Ti ferma dal
ribattere con un gesto imperioso. Da quando ha ritrovato tono e piglio?
“E so
che è una sciocca frase fatta, ma ha il pregio
d’esser vera. Non mi interessava
l’età di Elphinstone quando l’ho
sposato. Sapevo, per esperienza, che non
dovevo lasciare che i pregiudizi delle persone mi frenassero una
seconda
volta.”
“Una
seconda?” Ormai non ti
interessa più mantenere la facciata. Vuoi sapere.
Alla tua domanda tace, e di colpo hai la percezione di non essere il
solo ad
avere il cuore malmesso in quella stanza.
Non hai mai pensato a
Minerva
come ad una donna, ti duole ammetterlo ma è vero. Non hai
mai pensato che anche
lei potesse avere una sua storia in quel senso.
“Ho lasciato andar
via la
felicità la prima volta, con un’altra
persona…” Fa un mezzo sorriso amaro.
“Non
ho permesso che accadesse di nuovo. Non so cosa ti leghi a quella
ragazza,
Severus, e non pretendo che tu me lo dica. Solo, non voglio che
perseveri nel
mio stesso errore.”
Non sai che dire. Non vuoi
dire niente, meglio.
Minerva non torna sul discorso; finalmente comincia a parlare di niente
in
particolare, e ti lascia solo con i tuoi pensieri.
2028
“Severus,
è davvero sleale da
parte tua.”
“Gli scacchi non sono un gioco di cortesia.”
“Lo rendi palese.”
Sorridi beffardo mentre Minerva fissa con stizza la scacchiera che ti
dà
vincente in tre mosse; come tutti gli ex-Grifondoro non sa perdere. E
tu non
hai mai perso a scacchi con un grifondoro. Mai.
“Bene.”
Sospira infine, vinta
dall’evidenza. “Che ne dici di una tazza di
the?”
“Vado a prepararne.”
“Severus…”
Ignori il suo richiamo e vai nella piccola cucina del cottage scozzese
che, a
quanto hai capito, è la vecchia casa della famiglia materna.
È un basso cottage
dai muri bianchi e il tetto robusto, ben diverso dalla tua austera casa
in
pietra, ma comunque confacente alla tranquillità di
un’anziana insegnante in
pensione.
Da quando Minerva
è stata
dimessa le tue visite sono state frequenti; poco dopo il vostro
colloquio al
San Mungo ti sei svegliato nel cuore della notte, realizzando che
avrebbe
potuto essere l’ultima volta che parlavi con lei.
Un tempo sarebbe stato un
pensiero volatile, ma non è più quel tempo, il
tempo dell’orgoglio ostinato.
Che ti piaccia o no, alcuni angoli del tuo carattere si sono smussati;
qualcuno
potrebbe chiamarla debolezza, ma forse si sono solo erosi al
trascorrere del
tempo.
“Non
c’è bisogno che mi tratti
come un’inferma!” Esclama dal salotto; tipico suo
pretendere che tu non abbia capito;
non ha recuperato completamente
la salute, e ti scopri spesso a spiare ogni sua mossa.
È forse poco
sensibile da
parte tua, ma hai il terrore che se ne vada. E che tu diventi
l’ultimo emblema
della vecchia generazione di maghi.
Hai paura di rimanere solo,
detto fuori dai denti.
Ti ringrazia con un sorriso
quando le porgi la tazza di the e la sorseggia quietamente.
“Mi dai mai
ascolto?”
Il vostro rapporto ormai è quello di due vecchi rivali che
si riscoprono amici.
E il punzecchiarsi fa parte dell’equazione. Albus
ne sarebbe stato estasiato.
“No.”
Replichi senza
scomporti. “So che ascoltare una grifondoro è
esercizio sterile.” Ghigni perché
sai che Minerva rimarrà fiero vessillo della casa di Godric
fino al suo ultimo
respiro.
E la prende sul personale.
Infatti ti lancia
un’occhiataccia.
“Quanto parlare ad un serpeverde.”
“Assolutamente vero.”
Fuori un acquazzone estivo
lava i cespugli di ginestra che ornano il giardino. Certe volte ti
chiedi come
sarebbe stato vivere in un posto dove la pioggia non è parte
integrante delle tue
giornate.
Forse saresti stato una persona più allegra. Ti soffermi,
ogni tanto su
sciocchi pensieri del genere.
“Ieri mi
è arrivato un
invito…”
Riporti l’attenzione su Minerva, che sta osservando con aria
critica i biscotti
un po’ bruciati che una delle sue bisnipoti le ha portato dal
corso di cucina
che frequenta – senza troppo successo, pare.
“Se è
una di quelle patetiche
commemorazioni, scordatelo.” Ribatti senza pensare. “In
realtà si tratta di una mostra di pittura a
Diagon Alley.”
Un allarme suona remoto nella tua testa. Fai finta di esser
completamente
assorbito nella prossima mossa – anche se la partita
è tua.
“Severus, la
mostra è di Lily
Luna. È tornata in Inghilterra.”
Brutale e diretta.
Non alzi lo sguardo dalla
scacchiera, mentre pensi a cosa dire per non tradirti.
Sai che Lily è tornata in Inghilterra; due settimane fa ti
è arrivato un
biglietto dal Giappone. Hai passato le dita sulla leggera carta di riso
che
usano al posto delle pergamene. Profumava di colori ad olio. Hai
immaginato Lily
vergare lettere con le dita sporche di pittura ancora fresca, come a
volte
faceva durante l’adolescenza.
Severus,
Sto tornando. Pensavo, chissà come, che volessi saperlo.
Lily
Non hai capito se il
biglietto
fosse ironico.
Cinque anni. Sono passati
cinque
anni. Se tu sei un uomo dalle lunghe distanze ormai, lo stesso non
può dirsi di
Lily.
Cinque anni sono tanti per
una
ragazza così giovane. A quell’età si
possono accumulare esperienze che
cancellano con un colpo di spugna l’infanzia e
l’adolescenza.
Ti chiedi se dal Giappone, oltre alla sua nuova, declamata tecnica
– la
Gazzetta del Profeta si aggrappa a tutto ciò che
è targato Potter – abbia
portato anche qualcuno.
Magari un fidanzato.
Fai una smorfia; tipico di
te
elucubrare nelle direzioni più disparate senza avere il
minimo indizio. Rimasugli
del tuo passato da spia.
“Severus?”
Alzi lo sguardo e noti che Minerva ha finito il the e anche i biscotti
scampati
alla cottura inesperta della bis-nipote. Per quanto diavolo sei stato
perso nei
tuoi pensieri?
“Cosa?”
Sbotti sgarbatamente. Essere
colto con le mani nel sacco ti da ancora fastidio.
“Dovremo
andarci.”
“Non sono stato
invitato.”
“In realtà sì.” Ti stupisce.
Appella il biglietto e te lo porge. “Leggi.”
A tono imperioso, la guardi male, ma apri la lettera.
L’Accademia
Magiche di Arti Drammatiche & Figurative H. Beery
Ha
il piacere di invitare la S.V. più accompagnatore
all’inaugurazione della
mostra di
Lily
Luna Potter
Sabato
21 Luglio ore 16,30
presso la Galleria
d’Arte Magica Moderna in Diagon Alley.
Lily ha una mostra tutta
sua.
Immagini che ha ventun’anni sia un traguardo ragguardevole,
considerando quanto
siano conservatori in Inghilterra sulla pittura.
I dipinti di Lily non raffigurano vecchi maghi o streghe morte, come
tradizione
vuole. Lily dipinge il presente.
Le ripassi il biglietto.
“Non
vedo il mio nome.”
“Severus, sulla busta.” Ti apostrofa con la
pazienza riservata ad un bambino irritante.
Le lanci un’occhiata di avvertimento, ma obbedisci.
All’attenzione
di
Minerva McGrannit e Severus Piton
“… come
fanno a sapere che…”
“Che spesso sei qui? Non sono gli organizzatori a
saperlo.” Replica quieta,
guardandoti come se fossi una curiosa creatura da catalogare. Ti chiedi
che
espressione tu stia facendo per causarle una simile reazione.
“E come fa Lily a
saperlo?” È
impossibile. Neppure Potter sa che visiti frequentemente la casa di
Minerva. E
né vuoi che lo sappia; meglio che tutti siano convinti che
passi i tuoi giorni
nel Connemara a marcire in solitudine.
Realizzi di colpo.
“Le
hai scritto.” Ringhi alzandoti di colpo in piedi.
“Con quale
diritto…”
“Severus, calmati ed ascoltami.” Replica senza
scomporsi. Ti freni dall’attaccarla
verbalmente solo perché è donna, è
anziana ed ha una coperta sulle gambe.
Tralasciando che
è la solita,
maledetta, McGrannitt.
“Sono
calmo.”
“Non
direi.” Ti apostrofa con
leggerezza. “Non sono stata io a contattare lei, ma lei a
contattare me dopo
che le avevo spedito un innocente…”
Si sofferma sulla parola con una certa malignità.
“… Gufo Intercontinentale per
ringraziarla del quadro. Voleva sapere se potevo consigliarle dei libri
di
testo sulla Trasfigurazione sperimentale.”
“Per farci cosa?”
“Per i suoi dipinti.” Sì, sei
consapevole del fatto di star ragionando come un
grifondoro decerebrato, ma non puoi evitare di sentire
l’urgenza di strangolare
Minerva e le sue stupide, impiccione, alzate di ingegno.
“È decisamente una
Corvonero. Pochi piedi per terra, molta testa tra le nuvole…
ma le sue idee
sono indubbiamente…”
“Minerva.”
Neppure ti importa di
alzare la voce e sentirla raschiare la gola, uno dei simpatici effetti
collaterali del morso di Nagini. Hai spaventato più di un
ragazzino ad Ardmore.
“Perché diavolo c’è il mio
nome su quell’invito?”
“Ti avrebbe invitato comunque, con o senza di me.”
Scrolla le spalle. “Ed io ho
bisogno di un accompagnatore, dato che ho tutta l’intenzione
di andarci.”
“Non ti è mai interessata la pittura.”
“Si dice che con l’età i gusti cambino.
Mi interessa adesso.” E
sorride come una donna della sua età non dovrebbe fare.
Sembra una ragazzina divertita e … Merlino benedetto, maliziosa.
Forse è la
demenza senile.
“Non ci
andrò.” Decreti,
sentendoti rigido come una lapide, seduto dritto sulla tua sedia con
tutte le
ragioni del mondo. Non può obbligarti, e non
funzionerà recitare la parte della
povera vecchia con ormai poche distrazioni nella vita.
Silente non ti ha mai
smosso,
non lo farà lei.
“Non devi farlo
per me,
Severus…” Dice con tono grave. Detesti quando usa Il Tono McGrannit con te, quasi
facessi qualcosa di riprovevole,
come sottrarre punti alle Case altrui per divertimento.
Cosa che comunque hai fatto,
ma sorvoliamo.
“Per me stesso
allora?”
Replichi sarcastico. “In quanti modi devo dirti che non ho
nessun interesse a
rivedere quella ragazzina?”
Minerva non ribatte. Anzi, con tuo grande sgomento, sorride.
“Non era questo
che intendevo, Severus.” Fa una pausa ponderata.
“Dovresti farlo per lei.
Mi hai scritto che l’hai molto
incoraggiata a seguire le sue ambizioni…”
“Le ho solo consigliato di adoprarsi dove era più
portata. E per tutta risposta
non è neanche arrivata ai MAGO.” Sbotti.
“Verrai, non
è vero?”
“No.”
Minerva annuisce.
“Come
preferisci. La scelta è tua. Se non vuoi,
chiederò a Robbie o Malcolm di
accompagnarmi.”
Detesti questo atteggiamento
passivo-aggressivo. Deve aver seguito un corso accelerato da Silente.
Deve, o
non ti sentiresti preso in trappola come ti sentivi con lui.
(O forse ti conosce troppo
bene, e sa che lasciarti solo con i tuoi pensieri è
l’arma migliore per farti
capitolare.)
Non andrai a quella mostra;
sarebbe un faux-pas, e non puoi
permettertelo.
Non dopo che hai passato cinque anni a cercare di dimenticarne quasi
diciassette.
Non che tu abbia la ridicola convinzione che Lily provi ancora
sentimenti
dettati dalla vostra inadeguata vicinanza. È cresciuta;
supponi abbia scoperto
che al mondo ci sono persone di gran lunga migliori di te.
Qualcuno, anzi, molti si
saranno innamorati di lei. E lei si sarà innamorata di
qualcuno. È bellissima,
intelligente e piena di talento, perché non avrebbe dovuto?
È giusto,
è doveroso. È normale.
Non puoi andarci.
Sei venuto a trovare
l’altra Lily.
L’ultima volta che ci sei andato hai quasi avuto un collasso.
Avevi ventun’anni
e la tomba ancora aveva la terra morbida della sepoltura. Silente ti ha
trovato
piegato in due davanti alla lapide, e ti ha portato via tenendo per un
braccio
come se fossi un moccioso. Piangevi, come un moccioso.
È passato tanto
tempo.
La tomba è
pulita, ben tenuta.
Immagini che Potter vi faccia costante manutenzione. Nella visuale
entra anche
il nome di James. Pensi che dopotutto hai incontrato persone peggiori
di lui.
Pensi che dopotutto non hai voglia di perdonarlo, non ancora.
Pensi anche che non
c’è un
vero motivo per cui sei qui.
Forse perché Lily
ti è sta
amica quando non lo era nessuno. Forse perché ti senti
infuriato e confuso e
vorresti che qualcuno ti dicesse cosa fare, come Silente ha fatto per
tanto,
troppo tempo.
Crescere non è un
fatto
cronologico. Si può restare, a conti fatti, un marmocchio
spaventato; lo sei stato
ben oltre l’età anagrafica.
Con il tempo hai compreso
che
ci sarà sempre, in te, quel ragazzino sporco e malnutrito
che si rifugiava
dietro i cespugli per spiare la gente normale.
Quel ragazzino si crogiola
nelle sue miserie; non hai meritato Lily Evans e non meriti Lily, ti
sussurra
all’orecchio.
Non
meriti amore. Neppure chi ti ha dato la vita si è
sprecato a farlo.
Perché
qualcun altro dovrebbe?
Te l’ha detto per
anni, dopo
la morte di Lily Evans. Ci hai creduto. Hai smesso di importarti. Ha
ricominciato.
Componi una ghirlanda di
gigli
attorno alla tomba e lasci che ne goda anche quell’idiota di
Potter; ricordi
con amaro divertimento che era allergico.
Vorresti che Lily fosse qui,
con i suoi grandi occhi verdi e un sorriso comprensivo. Vorresti
chiederle come
agire, cosa fare. Se è giusto quel che provi.
Vorresti chiederle se puoi provare ciò che provi.
Ma non avrebbe senso; hai
sempre disprezzato gli idioti che parlavano a tombe come se i defunti
fossero
lì ad ascoltarli. Lily Evans è morta.
Una folata di vento caldo ti
scompiglia i capelli. Alzi il viso sorpreso al breve calore. Aria di
Scirocco,
la chiamava la tua piccola amica d’infanzia con aria saputa.
Hai insegnato a
Lily cosa fosse quando ha soffiato sulle coste del Connemara, per
qualche strano
fenomeno di correnti.
Un bocciolo di giglio si
stacca dalla corona e rotola fino alla tua scarpa e vi si posa sopra.
Lo
prendi.
Non che sia fenomeno ricorrente lo Scirocco in queste zone. Non che
voglia dire
niente. Neppure che un fiore si sia staccato da una corona di fiori
freschi,
creati con la magia.
Però.
Posi il fiore sul bordo
della
lapide. È lì che deve stare. Assieme alla bambina
che ti è stata amica e quel
moccioso che la spiava di nascosto.
Alla fine non sei andato
all’inaugurazione.
Hai pensato a tutta la gente
presente, al chiasso, al clan dei Potter che si stringe attorno a Lily
come un
muro protettivo.
Hai pensato alla sua
indifferenza, al suo saluto cortese e un po’ imbarazzato.
Alle brevi parole che
vi sareste rivolti prima che qualcuno la richiamasse altrove.
Hai quasi sentito la sua
voce
chiamarti ‘zio Severus’.
Ti è venuta la
nausea.
Adesso, a quattro ore
dall’inizio della mostra, è troppo tardi; apri
così una bottiglia di whisky
incendiario delle grandi occasioni.
Cagliostro ti fissa con grandi occhi gialli, tondi come lune. Dovrebbe
essere
morto da un pezzo, secondo la caducità felina. Sospetti, a
questo punto, che
sia un mezzo-kneazle.
Ti sembra quasi di vedere
Lily
salutare gli ultimi ospiti, chiacchierare con il curatore della mostra.
Raggiungere
poi fratelli e amici per bere qualcosa in uno di quei locali alla moda
nati
sulle ceneri di quelli devastati dalla guerra.
Potresti ancora tentare.
Basterebbe entrare nel focolare, prendere della polvere magica e
scandire l’indirizzo;
la comunità irlandese ha dotato, sotto richiesta, tutti i
camini di
collegamenti minimi per l’Inghilterra. L’hai fatto
creare per andare da Minerva
durante la sua degenza al San Mungo.
Altrettanto facilmente potresti andarci a Diagon Alley.
Potresti, ma…
Vuoti le due dita di whisky
che fin’ora hanno stanziato tra le tue dita e ti alzi in
piedi.
Rivederla ti
permetterà di far
finire tutto. Troverai una ragazza cambiata. Troverai una persona che
non ha
più niente a che fare con te e va
bene
così.
Devi andarci.
Quando getti la polvere nel
focolare il lampo verde che ne scaturisce quasi ti acceca. Sono anni
che non la
usi, e ricordi perché non appena le scarpe affondano nella
cenere.
Dopo un viaggio a
velocità
molto più sgradevole di quanto ricordassi, ti ritrovi nella
cappa di un camino
che non conosci.
(Non la prenderai mai
più, mai
finché avrai vita.)
C’è silenzio, ed è la prima cosa che
noti. La seconda sono le luci soffuse che
significano prossima chiusura. La terza è che i quadri
devono essere nella
saletta attigua per evitare disastri con la fuliggine. Vedi infatti rimasugli di un Buffett e
senti il pavimento
appiccicoso per i troppi drink maneggiati maldestramente.
Sei arrivato troppo tardi.
Non vuoi che qualcuno ti
veda,
il curatore, un addetto, chiunque e ti faccia domande. Saresti capace
di
schiantarlo senza colpo ferire, al momento; vuoi solo tornare dove
dovresti
essere. Lontano da qui.
“Severus!”
Riconosceresti quella voce
tra
mille. Il particolare timbro di chi per sette anni della sua vita non
ha aperto
bocca.
Lily Luna Potter.
Ti volti e ti trovi di
fronte
Lily. Cinque anni, pensi di colpo, cinque anni dovrebbero cambiare una
ragazza.
E l’hanno cambiata. È una donna adesso, nessun
dubbio su questo. Alta e dalle
forme statuarie noti che indossa un vestito dal taglio orientale,
terribilmente
azzurro. Un kimono, supponi.
Sembra uno dei suoi dipinti.
Però i capelli sono sempre il manto di fiamme che ricordi,
libero e privo di
costrizioni dovute alla moda. Gli occhi sono sempre enormi, forse
ancora di più
dato che il viso le si è affilato in un ovale maturo.
Una banalità dire
che è bella
da togliere il fiato. Ma in effetti ti senti in carenza di ossigeno, e
dubiti che
sia per la fuliggine che il viaggio ti ha fatto ingoiare.
Rimanere fermo come un
povero
idiota non è consigliabile, quindi ti spazzoli con
leggerezza i vestiti.
“Lily.” Esordisci. “Perdona il
ritardo.” È una frase stupida, lo capisci non
appena la pronunci. Hai ritardato perché non volevi venire.
Non dice nulla e non riesci
a
decifrare la sua espressione nella penombra. Non parlerà per
prima; continua infatti
a fissarti con le labbra serrate in un’ostinazione che te la
ricorda bambina.
Non che ti aspettassi ti
gettasse le braccia al collo, come alla festa dei suoi diciassette
anni, ma una
parte di te ne rimane ferita.
Ovvio,
Severus. Non ti vede da anni e le spunti da un
camino con l’aria di averla lasciata dieci minuti fa. Cosa ti
aspetti?
Inspiri.
Non potete certo rimanere a
guardarvi come due allocchi.
“Ho ricevuto il
tuo invito
tramite Minerva… ma ho avuto dei contrattempi e non sapevo
se ti avrei trovato.
Sono felice di essermi sbagliato.” Il tuo tono più
distaccato, le tue
intenzioni migliori. “Congratulazioni.”
“Sì…”
Mormora di colpo ed è un
sollievo. “La mostra però è
finita.”
“L’ho notato. Vorrei vedere i tuoi dipinti
comunque.” La interrompi. “Credi sia
possibile?”
Batte le palpebre, poi annuisce. “Sì,
certo… il Signor Collins, il curatore… mi
ha lasciato ad occuparmi della chiusura.” Ti spiega.
“Non credo ci siano
problemi.” Ti fa cenno di seguirla.
Con colpi leggeri di
bacchetta
riaccende tutte le luci. Lo fa con sicurezza; sta riprendendo il
controllo di
sé. Noti che ai polsi ha due braccialetti
d’argento, ma nessun altro gioiello. È
rimasta spartana.
“Non è molto, sono solo una dozzina di
tele.” Dice facendosi da parte per
lasciarti esplorare l’ambiente. “Non è
tutto quello che ho dipinto, ho dovuto
selezionarli.”
“Capisco.”
Come supponevi è in imbarazzo. Non ti guarda, il suo tono
è neutro, quasi fossi
uno sconosciuto capitato lì per caso o curiosità;
sperava non venissi, è ovvio.
Metti a tacere la delusione
che ti brucia dentro in maniera piuttosto dolorosa e rivolgi la tua
attenzione alla
mostra.
Paesaggi, animali, persone. Se non fosse che è una mano
umana ad averli creati,
penseresti di trovarteli di fronte in carne ed ossa. I dipinti si
muovono sulla
tela, cangiando colori e ombre. Non sono dotati di parola o verbo, ma
senti il
vento frusciare trai bambù e lo scorrere
dell’acqua limpida di un ruscello.
Non sei mai stato in
Giappone
e dubiti che vi metterai mai piede; eppure sei rapito dalla sensazione
di
trovarti esattamente lì, e di vederlo con gli occhi di una
ragazza appena
arrivata.
Gli occhi di Lily.
“Che te ne
sembra?” La sua
voce ti riscuote e ti accorgi di averla accanto. Le sue dita ti
sfiorano inavvertitamente
il risvolto della giacca. Non tocca te, ma è come se lo
facesse.
Non saresti dovuto venire.
“Sono…
d’effetto.” Ti scolli
dal palato con estrema cura. Sono parole sterili e te ne accorgi dallo
sguardo
di Lily. “Sei migliorata.” Cerchi di rimediare.
“Ma l’avevo notato già dal
dipinto che hai spedito alla professoressa McGrannitt.”
Batte le palpebre.
“Oh,
quello. Ne ho una copia esposta qui. Ti è
piaciuto?”
“Non c’è niente che non mi piaccia qui
dentro.” Dici e ti mangeresti la lingua.
Merlino, come un ragazzino alle prime armi.
(Pur vero che non ti sei mai allenato particolarmente nei complimenti.)
Sembri non essere poi così terribile, perché Lily
si illumina. Una volta era
totalmente aperta nel farlo, era quasi doloroso notare quanto le tue
parole le facessero
effetto. Adesso è più contenuta.
Come immaginavi.
Ciò che
provava per te è passato come passa una brutta malattia.
Eccellente.
“C’è
un dipinto…” Inizia dopo
un breve silenzio dove tu hai guardato una natura morta di melograni
sentendo
l’amarezza seccarti la bocca.
“C’è un dipinto che non ho esposto, ma
che volevo
vedessi. L’ho portato. Vuoi…?”
“Naturalmente.”
Convieni con
educazione da vecchio zio di famiglia. Ti fissa un po’
stranita e ti senti
improvvisamente in imbarazzo. Stai solo cercando di mantenere le
distanze. Non
dovrebbe esserti grata? Fai un cenno brusco. “Fa’
strada.”
Lily ha un curioso guizzo di
sorriso, poi annuisce e procede verso quello che sembra il magazzino
della galleria,
un angusto sottoscala.
Non dovresti essere qui,
pensi. Non dovresti essere qui e sentirti completamente agitato e fuori
assetto.
Percepisci la vena del collo pulsare e diavolo, sarebbe il momento
perfetto per
un colpo apoplettico.
“Non vorrei farti
tardare,
immagino tu abbia una festa a cui attendere.” Dici mentre
sparisce sotto le
scale.
“I miei cugini
avranno già
aperto le danze.” È la replica attutita.
“Tra mezz’ora saranno tutti talmente
brilli da non ricordarsi chi o cosa festeggiano.”
“Capisco.”
La senti quasi ridacchiare. Sta ridacchiando. “Credimi
Severus, mi
stai facendo un favore.”
La prima cosa che esce dal sottoscala è una tela coperta; la
prendi e poi ti
vedi tendere la sua mano. Una mano forte da artista, non esile come
quella di
una ragazza che non hai mai usato le dita come strumenti, come fa lei.
La
prendi per aiutarla a salire e la stretta è sempre tiepida e
salda come un
tempo.
Non sai se questo
è un bene
però.
“Non ho voluto
esporlo, anche
se il Signor Collins ha fatto di tutto
per convincermi.” Dice con un sorrisetto divertito.
“Secondo lui è uno dei miei
pezzi migliori.”
Aggrotti le sopracciglia confuso; il punto di questo genere di
manifestazioni è
farsi conoscere, specie se si è giovani e alle prime armi.
“Perché hai rifiutato?”
“Perché è un regalo per te e non volevo
che qualcuno ci mettesse gli occhi
sopra.”
La risposta ti secca le
parole
sulla punta della lingua. Ti prende la tela tra le mani e si sposta
nell’angolo
più luminoso della sala. “Ci vuole la luce
giusta!” Ti spiega con le guance
colorate per lo sforzo.
“Non
c’era bisogno…” Inizi quasi
ti facesse uno sgarbo. Non hai mai saputo come gestire la gentilezza
quando non
la meriti. E collateralmente, non sai gestire la giovane donna che hai
di
fronte.
“Sì
invece.” Ti interrompe. “Mi
piace fare regali ai miei amici.” Come può avere
quel tono scanzonato, come se
tutto fosse semplice?
Non è te, molto
semplicemente.
“Temo di non
averti preso nulla
in cambio.” Avresti dovuto, ti castighi silenziosamente. Ti
dimentichi sempre
dei maledetti fiori.
“Non dovevi.
Dovevi solo
venire qui.” Posa la cornice su uno dei supporti vuoti. Ha
venduto qualcosa, ti
fa piacere. Davvero. Ti aggrappi a tutto pur di non guardarla
direttamente. “Sei
qui, no?”
“Così sembra.” Convieni.
Lily sorride e con un colpo
di
bacchetta scioglie lo spago che chiude l’imballaggio.
La prima cosa che vedi
è il
verde che si mischia all’azzurro. E poi una macchia scura,
forte ed immobile.
È un vecchio
soggetto. È il
Connemara, è la scogliera di Ardmore, è casa tua.
È il vostro Connemara, realizzi.
Perché è quello che vedevate entrambi
con gli stessi occhi.
“Non aveva molto
senso
disegnassi il Giappone per te, se non ci sei mai stato. Ma potevo
disegnare te. E visto che non ti
piacciono i
ritratti…” Mormora toccandoti di nuovo il risvolto
della giacca con le dita. Ed
è intenzionale stavolta, può darsi lo fosse anche
alla prima.
Ti eri scordato quanto fosse
capace d’esser sottile.
“Ho visto molti
posti, molti
paesaggi…” Continua con sguardo assorto nel
dipinto. “… sul serio, tanti. Ma
questo rimane il mio preferito. Forse perché lo sento anche
un po’ mio.” Ti
scocca un’occhiata delle sue, trasparenti come se ti
rispecchiassi in una polla
d’acqua. “Tu che ne pensi? Lo senti tuo,
Severus?”
Una delle sue dannate
domande
scomode. Non rispondi.
Essere investiti da
più di un
emozione, da un’intera, dannata sinfonia dà lo
stesso effetto che venir colpiti
da uno schiantesimo. Per te è stato sempre così.
È così
adesso.
Istintivamente cerchi la
bacchetta per difenderti, ma quello che ti trovi a stringere
è un palmo caldo.
La mano di Lily.
“Sapevo che
saresti
venuto, magari in
ritardo, magari quando
non c’era più nessuno, ma saresti
venuto.” Dice stringendo la presa,
impedendoti di sfuggirle. Vorresti dirle che non ne hai la minima
intenzione,
ma non è il caso. Davvero no. “Pensi che di solito
il curatore lasci chiudere
ad una delle espositrici? L’ho supplicato di lasciarmi
rimanere.” Fa un
sorrisetto saputo.
“Non hai una festa
a cui
andare?”
“Non c’è nessuna festa.”
Ribatte. “Ho chiesto agli altri di non farla.
Aspettavo te.”
Ti ha fregato. E in maniera
piuttosto magistrale.
È sempre stata
maledettamente
sicura di sé; è una Potter, non potevi aspettarti
niente di meno.
Quello che non ti eri preparato ad affrontare è che ti aspettasse. Che ti sorridesse con lo
stesso calore e affetto di una
volta.
“Fa freddo
qui… possiamo
andare a casa tua?”
“Lily.”
Tenti. Che sia messo
agli atti che tenti. Non sai se riuscirai a mantenere lo stesso
distacco che
hai qui, quando sarete soli in un ambiente che ti è
familiare e che ti porta
automaticamente ad abbassare le difese. Non sai come potresti reagire
perché
non sai cosa vuole da te.
È spaventoso.
“Ho tante cose da
raccontarti.” Replica stringendosi nelle spalle. “E
non voglio farlo rischiando
un raffreddore.” Ti scocca un’occhiata.
“Non è come se fosse la prima volta che
vengo a casa tua, no?”
Non ha intenzione di mollare
la presa. Sospiri. E capitoli.
Il fuoco scalda i piedi nudi
di Lily. Noti che non ha smesso di dipingerli di tutti i colori dello
spettro
percepibile da un essere umano e forse anche da qualche insetto.
Mentre le unghie delle mani ne sono ormai sfornite, le dita dei piedi
si
mostrano ancora orgogliosamente arcobaleno.
Sono passate ore e la tazza
di
the con cui la casa l’ha accolta ora riposa vuota tra le sue
mani.
Avete parlato o meglio, Lily
ha parlato tanto. Ti ha raccontato del suo anno in Ucraina –
ecco qual’era il
paese con i timbri postali in cirillico - presso un’amica di
piuma. Ti racconta
di come abbia deciso di spostarsi in Giappone quando l’amica
in questione si è
rivelata poco amichevole
all’idea che
il suo fidanzato si fosse invaghito di lei.
‘Non
gli ho dato la minima corda, credimi Severus! Quel
tipo era matto come un calderone scoppiato!’
Di come poi si sia
trasferita
in Giappone, a Kyoto, e di come si sia innamorata delle sue atmosfere
antiche
millenni.
‘Ho
trovato la mia ispirazione lì, Severus… credo di
aver dipinto qualcosa come centinaia di
quadri, o tele. Ho dipinto tanto da farmi
venire i calli!’
Hai idea che ometta molte
parti della storia; dubiti che il suo trasferirsi all’altro
capo del mondo sia
stato così agevole. Le mani, ad osservarle giocherellare con
la tazze e
accarezzare Cagliostro, sono rovinate sulle unghie. Ha lavorato, ed ha
lavorato
per babbani, forse. Anche la sua bacchetta sembra raccontare una
storia, quando
l’ha gettata distratta sulla credenza, al suo vecchio posto.
Ti parla con la solita
confidenza sfacciata di un tempo, continua a mangiarsi le parole quando
si
emoziona troppo nel raccontare.
Ma è tutta una
finzione. Sono
passati cinque anni, e l’ultima volta che vi siete visti
è stata con
l’intenzione di dirvi addio. Almeno da parte tua.
E lei non può non
ricordarlo.
“Hai intenzione di
aprire una
galleria?”
Lily fa una smorfia, baciando il muso di Cagliostro, che fa le fusa
senza sosta
da quando l’ha vista. Speravi morisse di gioia. Letteralmente.
“Non lo so. In
realtà non so
se voglio vendere quello che dipingo.” Si mordicchia un
labbro. “Ci ho provato.
Anche stasera, ho venduto due tele. Ma solo a mio fratello Al e ai
nonni.”
“Se adottassi alcuni accorgimenti…”
“Non so se voglio dipingere per vivere, Severus. Farci soldi,
intendo.” Ti
interrompe, guardandoti. “Mi infastidisce farmi pagare per
quello che creo. Donarli
magari, ma solo a chi voglio io.”
“Molto idealista, ma come pensi di guadagnarti da
vivere?”
Sospira, ravviandosi una ciocca di capelli. Li ha sempre tenuti lunghi,
e
continua a farlo. Senti le dita formicolare dalla voglia di toccarli.
Ricordi
che erano morbidi.
Merlino,
datti una calmata. Non sei una bestia in preda
agli istinti.
Sei
un uomo razionale.
“Non lo so. Il
Signor Collins
mi ha proposto di lavorare per lui. Non sarebbe male.”
Mormora. “Non
dipingendo, comunque. È una cosa che faccio, che faccio per
sentirmi bene. Mi aiuta,
è chi sono.” Sovrappone
di nuovo le parole. Al contrario la sua pittura è sempre
stata chiarissima.
“Non mi piace l’idea di vendere i miei dipinti a
gente che magari li
infilerebbe tra due orrendi ritratti storici delle guerre dei
folletti.”
Inarchi appena le
sopracciglia. “Di cattivo gusto.”
“Sarei capace di spedir loro una fattura.” Sbuffa
divertita, lanciandoti
un’occhiata. “Non hai mai provato fastidio a
vendere pozioni a gente che
sicuramente non saprà assumerle a dovere?”
“Continuamente.” Replichi tuo malgrado divertito.
“Mi appaga però sapere che
gli effetti collaterali saranno tutti loro.”
Ride e ti senti il cuore caldo come se te l’avessero appena
buttato nel fuoco.
Non resterà. Ti
ripeti che non
resterà e che devi custodire questi ultimi momenti,
perché poi tornerà alla sua
vita, e tu alla tua.
“Non è
che hai un posto come
pela-radici?” Dice di colpo. Sei talmente spiazzato che per
un momento la
guardi senza parlare.
Poi capisci che è
una battuta
e il sangue ricomincia a circolare a dovere.
Non resterà qui,
non pensarci
neanche. Non osare illuderti, vecchio sciocco.
“Le tue
capacità devono essere
peggiorate drasticamente da quando non correggo più i tuoi
errori. Mi faresti
esplodere il laboratorio, sciocca ragazzina.” Sbuffi come da
copione.
Quello che non ti aspetti
è il
sorriso caldo che ti investe come lo Scirocco.
“Merlino,
Severus… mi è
mancato da morire, intendo dire… tutto questo.”
Sì,
lo so. Che cinque anni pensi abbia passato, Lily?
Non lo dici però,
limitandoti
ad un lieve cenno rigido. “Se non vuoi dipingere per
commissione, cosa hai
intenzione di fare?”
Scrolla le spalle, e non ti sfugge il lampo deluso che le passa nello
sguardo.
Non ricorda che tu non rispondi mai a certe esternazioni?
“Non ne ho idea.
Non so
neanche se mi fermerò in Inghilterra dopo il compleanno di
papà.”
Il compleanno di Potter
è tra
meno di due settimane.
Annuisci, sentendoti un peso in fondo allo stomaco. “Tornerai
in Giappone?”
“Non è che abbia molto da fare anche
là.” Posa Cagliostro a terra e gli dà
un’ultima carezza prima di guardarlo andare via.
“Forse potrei andare in
Francia da mia cugina Victoire. Sono anni che mi invita.”
La Francia è
meglio del
Giappone, ma per te non c’è molta differenza. Che
siano poche miglia di Oceano
a separarvi, o un intero continente … non sarà
qui, ecco tutto.
“Perché
sei tornata?” Sbotti
aggressivo e quasi ti stupisci di un tono che credevi aver perso
all’epoca
della guerra.
Ma ti senti male come
allora.
Ti senti furioso come allora. Non esattamente, non precisamente. Ma la
deriva è
quella.
Lily ti guarda attentamente,
poi si volta verso di te con tutto il corpo. “Tu
perché pensi che sia tornata?”
“Non ne ho la minima idea.”
“Non è vero.”
“Per il compleanno di tuo padre?” Azzardi sapendo
di sbagliare.
“Mio padre compie gli anni ogni anno, Severus. È
il punto dei compleanni, ho
idea.” Sorride appena.
Non si è cambiata dal kimono che indossava per la mostra.
Non è un vestito
aderente, ma neppure qualcosa che copre quanto dovrebbe. Ha allentato
la cintura
alla vita per sedersi in libertà ed ora una porzione di
pelle, dal collo alla
clavicola è scoperta. È bianca, è
morbida, puoi immaginare, e liscia. E non ci
vuole immaginazione neppure per proseguire con lo sguardo.
Fissi il fuoco come se
volessi
gettarci i bulbi oculari.
“Vuoi infastidirmi
ancora per
molto? Dimmelo e basta.”
“Ho ricevuto una proposta di matrimonio.”
Registri la notizia e poi
senti un dolore acuto alla mano. Ti accorgi di aver spaccato il
bicchiere – il
tuo bicchiere da whisky preferito peraltro – tra le mani.
Imprechi doverosamente,
recuperando la bacchetta e pulendoti la mano dal sangue e le schegge di
vetro.
Fai evanescere quel che resta del bicchiere e fermi il sangue con un
breve
incantesimo curativo.
In tutto questo Lily ha
avuto
uno scatto – uno solo, quando si è rotto il
bicchiere – si è alzata in
ginocchio, pronta a correre in tuo aiuto.
Poi deve aver realizzato che hai spaccato un bicchiere proprio mentre
ti
annunciava del suo prossimo matrimonio.
Coincidenza curiosa, no?
“Congratulazioni.”
Mormori e
non ci crede più nessuno. Tu per primo.
Razza di idiota.
“Non mi
sposo.” La fissi e ti
sta sorridendo con aria divertita.
“Hai appena detto
che ti è
stata fatta una proposta di matrimonio.”
“Proposta che non ho accettato.” Replica alzandosi
in piedi e stiracchiandosi.
Dovrebbe davvero sistemarsi quella cintura. Dovrebbe perché
il caldo che senti
al viso non è il fuoco, dato che non è quel
tipo di calore.
“È una
specie di scherzo?”
Sibili con il tuo tono peggiore. Sei infuriato, oltre a tante altre
cose. Sta
giocando con te, ti sta stuzzicando. E tu hai sempre detestato i
giochetti.
Lily batte le palpebre e
sembra leggere la tua rabbia, perché assume
un’aria colpevole. “No, io… era
solo. Non mi sto sposando. Non voglio sposarmi.” Aggiunge
frettolosa. “C’era
questa… persona… che mi è stata molto
d’aiuto in Giappone.”
Che bruci tra le fiamme dell’inferno.
“Mi è
stato amico, e gli sono
sinceramente affezionata. Avevo capito da un po’ che si era
… diciamo invaghito
di me?” Scruta la tua espressione, ma la rendi anodina come
Occlumanzia vuole.
Benedetta arte del saper nascondere. “E… niente.
Non lo amo, quindi gli ho
detto di no.”
“Questo non spiega perché tu sia tornata
qui.” Rifletti. “Ti ha forse costretto
in qualche modo a lasciare il paese?”
No, che non bruci tra le fiamme dell’inferno. Gli spauracchi
babbani non sono
poi così efficaci.
Che incontri te.
“No!”
Scuote la testa con forza.
“Merlino, no, assolutamente! È solo che ho
pensato…” Esita, poi si fa forza. E
ti sembra di aver già visto questa scena. Oh, sì.
Compleanno. Il suo. “Ho
pensato che non potevo restare in Giappone a ricevere proposte di
matrimonio da
persone che non amavo, quando l’unica persona con cui volevo
stare era lontana
miglia. Quando Eisuke mi si è proposto ho pensato che non
era lì che dovevo
stare. Ma qui, con te. È sempre qui che sono voluta
stare.”
Il bastardo ha un nome. Ridicolo peraltro. E comunque…
E comunque Lily
l’ha fatto di
nuovo. Incredibilmente, assurdamente è di nuovo di fronte a
te e ti si sta dichiarando.
È ancora
innamorata di te.
E tu stavolta ti senti
ancora
peggio, perché non c’è più
quella meravigliosa remora morale che ti frena
dall’alzarti per toccarla, stringerla e…
… e rovinare
tutto.
Non ti dà tempo
di dire
niente. Tira invece fuori una chiave. E con sgomento, la riconosci come
la
vecchia Passaporta di Potter. Ricordi di avergliela lanciata addosso
durante la
vostra ultima conversazione.
Ora ce l’ha di
nuovo Lily.
“La
riconosci?” Fa pendere la
catenella tra le dita. “Ti ricordi quando ero piccola? Era
programmata per
attivarsi ad una certa ora. L’ho fatto mentre
parlavamo.” Non coccolava
Cagliostro, incantava la chiave. “Tra pochi secondi si
attiverà, e tornerò a
casa di mia madre.”
Perché?
Poi capisci perché. Ti
sta dando un
ultimatum. Un conto alla rovescia come nel peggiore dei film babbani.
“Questa
è l’ultima volta
Severus. Ti ho aspettato stasera, ieri sera, una settimana fa e per
cinque
anni… sono tanti.” Sussurra e la chiave continua
ad ondeggiare. Comincia a
brillare, lo vedi dalla poltrona in cui ti senti ancorato.
“Non aspetterò se deve continuare a fare
così male. Perché
fa male non sapere se mi ami o meno. A diciassette anni forse volevi
proteggermi… ma non adesso.”
Ti
amo
– urla
quel bambino malmesso, quel ragazzo spaventato e solo, quel giovane
tormentato
e te, l’adulto cinico e rovinato.
Ma dalla tua bocca non esce
un
suono. Chissà se era così che si sentiva, quando
tutti le intimavano di parlare
e lei non voleva?
“Ti ho dato del
codardo, ma
non è vero.” Mormora piano, quasi un sussurro, che
però ti rimbomba addosso
come se stesse gridando. “Sei solo spaventato. Posso avere
coraggio per
entrambi, se me lo permetti. Posso, Severus.” Fa una pausa e
la voce si
incrina, come il suo sorriso, la sua espressione. “Ti
prego.”
Ti
prego amami
– diceva quel ragazzo cresciuto male come una pianta in un
armadio –
Vi
prego, qualcuno mi ami. Perché a tutti e non a me?
Ed ora ecco qua. Qualcuno
finalmente ti ama, Severus. Cosa intendi fare?
La chiave brilla
violentemente
e tra pochi secondi, solo tra pochi attimi, Lily verrà
scaraventata a miglia da
qui.
La chiave ha un lampo. E poi
senti il suo rumore attutito sul pavimento mentre rotola sotto la
poltrona.
Senti il peso di Lily tra le braccia e la catenella che le hai
strappato di dosso
tra le dita.
Percepisci anche il tuo
respiro affannato. Percepisci il modo in cui il suo petto si alza e si
abbassa
contro la tua camicia.
Non ci sono altri rumori
all’infuori di voi. Voi.
Lily è
ancora qui.
La Passaporta non si attiva
senza qualcuno che la tocchi e Lily sta toccando te, non la chiave: ti
ha
passato le braccia attorno al busto e ti ha posato il viso sulla
spalla. Ha
serrato la presa quando l’hai strattonata contro di te.
Sei consapevole di quello
che
hai appena fatto. Lei ne è consapevole.
Ne siete consapevoli.
Molto lentamente alza il
viso
e ti guarda. “È un sì?” Dice
piano, quasi avesse paura di svegliare qualcuno.
Il tuo buonsenso,
probabilmente.
“Stupida
ragazzina.” Ringhi, e
non ottieni un’espressione spaventata come al solito, ma una
risata sommessa.
“Ho sempre sognato
di avere
una dichiarazione così.”
Se la stringi ancora
più forte
finirai per farle male. Ma è difficile non farlo, vero?
Quand’è
l’ultima volta che sei
stato in una situazione intima come una donna? C’erano
già i telefoni
cellulari?
Ti fai questo genere di
domande totalmente imbecilli e poi ti accorgi che Lily ti sta
già baciando.
Alla fine non ha aspettato.
Prevedibile.
È
l’ultima cosa che pensi,
perché non sei un pezzo di granito e perché una
donna che ti bacia come ti sta
baciando lei non è qualcosa da cui distogliere
l’attenzione.
Rispondi e non dovresti,
è
sbagliato è… meraviglioso.
Ti eri dimenticato della
sensazione appagante che può dare un bacio. Meglio, non
l’hai mai avuta a
pieno, perché non hai mai baciato una donna che era per te
il significato
stesso della vita.
Perché Lily è vita.
Staccarti è un
supplizio, ma
ci sono cose che devono essere dette. Fatte. Pianificate.
Non hai la minima intenzione
di vederla partire per la Francia, da nessuna dannata cugina.
“Oh…”
Mormora ed ha le guance
rosse e gli occhi liquidi. Ringrazi il tuo lungo addestramento al
controllo
degli impulsi, perché ne stai disciplinando almeno una cinquantina.
“Non vorrei annoiarti elencando
gli stereotipi da letteratura romantica che stai appena
incarnando…” Bisbiglia
sognante. “Ma wow.”
“Sì,
certo.” Borbotti
sentendoti quasi lusingato. “Dobbiamo…”
“Se mi dici che dobbiamo fermarci, giuro che ti
schianto.” Ti apostrofa con
aria così determinata che contempli sinceramente
l’opzione lo faccia davvero.
“Dovremo…”
Metti le mani
avanti ed è un sollievo che non abbia la bacchetta a portata
di mano; non ha
un’espressione rassicurante. Potter e Weasley insieme creano
progenie facili
allo scatto. “… rallentare.” Proponi
saggiamente. “I sentimenti che proviamo
adesso sono esasperati dalle contingenze.”
“Col cavolo.” Sbotta, poi sospira vedendoti
inarcare le sopracciglia
all’inflessione da Devonshire profondo che le è
appena sfuggita. “Okay.
Ascolta. I miei sentimenti non sono esasperati né acerbi. Ho
avuto anni per rendermi conto che
ti voglio. E
adesso, aggiungerei, da morire.”
“Cinque
anni…” Resistere alla
tentazione. I babbani hanno scritto molto su questo tema; vi hanno
anche
fondato una religione. Vedere le sue labbra rosse, umide, dischiuse e
notare
come il maledetto kimono ormai assomigli ad una vestaglia
semi-aperta…
‘Resistere
è futile’.
“Non cinque anni,
Severus. È
da quando ho capito cosa significava volere un uomo che voglio te,
razza di
insopportabile testardo.” Sussurra, ed è quasi
minacciosa mentre ti si
avvicina. “Solo
te.” Ti passa le dita
sul risvolto della camicia e le punte toccano la base della cicatrice.
“Adesso.”
Ah.
L’inadeguatezza ti
striscia
addosso improvvisa come una brutta febbre. Da
quant’è che non tocchi una donna?
Come dicevi, anni. Alcuni dicono sia come montare su una scopa dopo
un’inattività prolungata. Si ricorda tutto.
Non ne sei tanto sicuro. E
comunque, non vuoi dare a Lily quel genere di esperienza.
Hai fatto sesso con donne
per
urgenza, per bisogno, per calore. Non che non sia stato
piacevole…
… ma piuttosto
che farle
provare un briciolo della desolazione che hai provato tu dopo,
ti ammazzeresti con le tue mani.
Ti scruta. “Cosa
c’è?”
Intuitiva come sempre.
“Non
credo di essere all’altezza delle tue aspettative.”
Se un fulmine ti stroncasse
sul colpo, quasi ringrazieresti il tuo karma disgustoso. “Ho
fatto sesso, Lily.
Tutto qui. Niente di più che appagare un istinto.”
Ti passa le mani lungo le
spalle e poi le ritira, lasciandole lungo i fianchi.
Oh, fa freddo.
D’improvviso.
“Vuoi fare sesso
con me?” Il
candore con cui lo pronuncia ti fa deglutire a vuoto.
“No.
Ti ho appena detto che non voglio affrettare le cose, e
tantomeno in quel modo. Fingi di
non
capire?!” Stringi i pugni e la vorresti fuori di casa. No,
dentro casa.
Stai avendo una crisi di nervi.
(Alla tua età.
Essendo un
uomo. Con esperienze. Complimenti.)
“Cerco
di capire. Non sei un uomo facile da decifrare.” Replica
senza battere ciglio. È l’espressione che le
scorgi negli occhi a farti abbassare
di colpo i toni. “Mi ami?”
Non vorrà fartelo
ammettere.
Per fortuna, no. “Se mi ami, non puoi voler fare sesso con
me. Con me farai
l’amore… ed è quello che vogliamo
entrambi, se interpreto bene.” Ventun’anni.
Immaginavi
che avesse imparato ad usare le parole meglio di quando era una timida
diciassettenne.
Non così tanto
però.
“Non ho ancora
detto niente,
mi pare.” Ultima strenua difesa mentre il resto di te sembra
aver lava al posto
delle vene. Non pensavi di poter provare di nuovo un desiderio
così forte, così
totalizzante, non dopo tanti anni.
Ma l’hai mai
provato, poi?
“Non hai detto
niente…” Si
allaccia alla tua vita. “… ma mi dispiace
avvertirti, Severus, non sei più il
grande Occlumante che credi.”
Ti dispiace? Era uno dei
tuoi
più grandi vanti. Ti ha salvato la pelle innumerevoli volte.
No, non ti dispiace
– realizzi
quando hai Lily tra le braccia, senti scivolare via il suo kimono e
realizzi
che non ne hai più bisogno.
“Sei arrabbiato
con me?”
La domanda si insinua nella penombra della tua stanza da letto. Pensata
per un
uomo privo di compagnia affettiva, è piuttosto desolante .
Il kimono di Lily,
posato sulla sedia dello scrittoio è però una
macchia di colore.
Non ha voluto che spegnessi
la
luce. Il tuo pudore ti ha subito fatto andare
all’interruttore, ma ti ha
fermato con la mano, quasi ti avesse letto nel pensiero.
“No.” Ti
ha detto
semplicemente, prima di baciarti di nuovo. Ed hai scoperto o meglio,
ricordato,
come non sei mai stato in grado di negarle nulla.
Socchiudi gli occhi e la
trovi
accoccolata al tuo petto che ti fissa estremamente seria.
“C’è
un motivo particolare per
cui dovrei esserlo?” Sospiri, sapendo che potrebbero, in
effetti, esservene
molti.
Stranamente non ti senti
neppure un’oncia di rabbia addosso. È qualcosa
dovuta ad un processo meramente
fisiologico, certo, ma provi anche quiete.
Ecco come ti senti. Ed
è
simile all’ebbrezza che deve provare un ragazzetto alla sua
prima sbronza.
Lily segue il contorno del
tuo
viso con un dito, e ricordi faccia così anche con pennello e
tela. È tanto che
non lasci entrare qualcuno nel tuo spazio vitale, e ti scopri a pensare
che
forse, così, non l’hai mai fatto.
Entra sottopelle, Lily Luna.
“Ho giocato
sporco…” Sussurra
con un sorriso che non sfigurerebbe sulla Monna Lisa.
“Sì,
non c’è dubbio.”
“Tu non avresti
fatto niente.”
Aggrotta le sopracciglia. “Mi avresti lasciata
andare.”
Non replichi. Il fatto che non smetta un secondo di sfiorarti il viso
ti fa
intuire che in qualche modo sta cercando rassicurazioni.
Non sei un uomo semplice.
Non
sei neanche un uomo giusto. Non c’è niente che
dovrebbe attrarre una ragazza
come Lily ad uno come te.
“L’avrei
fatto. E forse dovrei
anche adesso.”
Non sei abituato a pensare che le cose belle possano succedere a te.
Cose
tranquille, magari. Ma non cose belle come avere la donna che ami tra
le tue
braccia.
Non questo genere di cose,
no.
E infatti, credi sia tutta
una
gigantesca allucinazione indotta dal whisky incendiario a cui hai dato
fondo.
Lily non dice niente, ma si
sporge per un bacio. È uno sfiorarsi di labbra, e il sangue
si accende di nuovo
e … le prendi il viso tra le mani e la allontani appena.
Sospira, appoggiando la fronte contro la tua. “Non me ne vado
da nessuna
parte.”
“Sì.”
“Severus, sul serio. Non me ne vado. Non voglio.”
Ti bacia ancora e non riesci
ad allontanarla di nuovo. “Cosa devo fare per
convincerti?”
Il mondo fuori potrebbe
essere
di parere diverso.
Detesti il mondo fuori.
L’hai
sempre detestato. Vorresti, in questo momento, che sparisse, cancellato
da
qualche enorme, spaventosa magia.
“Non
sono…” Sospiri. Ah, le
parole. La ragazzina aveva ragione a dire che siete pessimi. Diventi un
virtuoso solo quando si tratta di fingere. O insultare.
“… non sono
particolarmente bravo in questo genere di pensieri.”
“Pensieri felici?” Indovina.
“Esattamente.”
Un’altra donna ti
avrebbe
giustamente mandato al diavolo per immalinconire un momento perfetto.
La luce
della luna – coreografica al punto giusto – il
rumore delle onde. Il silenzio
in cui è immerso Ardmore e le sue scogliere.
Fortunatamente – o
sfortunatamente per la tua pace interiore – Lily non
è quel genere di donna.
“Posso essere io
il tuo
pensiero felice?”
C’è
stata un’altra donna che
ti ha difeso dai Dissennatori. L’unico Mangiamorte in grado
di produrre un
Patronus.
(Ti chiedi perché quegli idioti non abbiano mai sospettato
nulla.)
Non che tu non ne abbia
avuti,
di pensieri felici. Solo che erano a senso unico, vecchi e dolorosi.
“Lo
sei.” E da molto più
tempo di quel che sospetti – vorresti aggiungere,
ma
lasci perdere. È probabile che lo sappia già.
Ti senti sorridere e dal
modo
in cui ricambia Lily – le leggi sollievo in viso –
sai che almeno questo, lo
stai facendo giusto.
“Stasera non hai
una festa?”
Lily alza il viso dalla Gazzetta, mentre si pulisce da una briciola con
il
lembo di una tua vecchia camicia che ha preteso
di indossare.
(Ha addotto spiegazioni come
la preziosità del kimono e il terrore che ha di sporcarlo.
Certo. Lily che si
preoccupa di un vestito. Credibile.)
È mattina, siete
in cucina e la
ragazzina ha preparato quantità da reggimento. Ti eri
scordato quanto cibo
riuscisse a processare con la leggerezza di un uccellino.
(Digestione Weasley, senza
ombra di dubbio.)
È una di quelle
mattine
gloriose per il Connemara, in cui persino tu apri le finestre per dar
aria alla
casa.
Comunque. Ti senti un
idiota.
Hai finto
di leggere la rubrica di Pozioni per tutta la colazione. La
triste realtà? Hai fissato la giovane donna che hai davanti
per tutto il tempo.
Fortuna ha voluto che non se
ne sia accorta, troppo occupata a divorare un articolo su
chissà cosa.
“Ah,
già…” Borbotta
disinteressata girando una pagina. “La
cancellerò.”
“Lily.” Richiamarla all’ordine
è qualcosa che forse non dovresti fare, dato che
è maggiorenne. Ma ti diverte ancora.
Fa una smorfia afferrando un
altro scone e dandoci un morso.
“Non
ci voglio andare. Di solito è tutta una congiura per farmi
conoscere qualcuno.
Non penso sarà diverso stavolta.”
Accartocci tra le dita la pagina dell’inserto. Immagini
ragazzotti con la bava
alla bocca all’idea di carpire una briciola del suo interesse. “Capisco.”
“Io ho te, che bisogno ho di conoscere ragazzi? Mai avuto,
per inciso.” Replica
ed è surreale come se ne esca con certe frasi che
spiazzerebbero un uomo con uno
sviluppo emotivo normale.
Figurarsi te.
“A proposito di
questo…”
Schiarirsi la voce sarebbe da completi idioti. Riesci a trattenerti.
“Dobbiamo
parlare.”
Inarca le sopracciglia perplessa. “Stiamo
parlando.”
“Seriamente.” E il tuo tono sembra infine
scalfirla, perché hai la sua
attenzione. “Questa situazione va definita.”
Inspiri. Cerchi di scacciarti via
la strana euforia che ti accompagna da ieri sera, orrenda
perché ti rende un
rammollito che fissa una ragazza per un quarto d’ora come se
fosse la cosa più
interessante dell’universo. “Suppongo tu ti renda
conto che avere una relazione
significherebbe andare incontro a molti ostacoli.”
Lily abbandona la lettura del giornale e si appoggia allo schienale
della
sedia. “Ci ho pensato, sì…”
Mormora seria, e per un momento un idiotica
sensazione di panico ti assale.
Comprensibile ci abbia pensato; sei più vecchio di lei,
talmente vecchio che
probabilmente se fossi un babbano potrebbe essere considerata pedofilia
visiva.
Sanno tutti chi sei, e tutti
sanno chi è lei.
Oltre a questi trascurabili
particolari, ci sei tu: un agglomerato di amarezze, rimpianti,
problemi, con un
carattere che è quanto più lontano
dall’essere amabile.
“E sei giunta a
qualche
conclusione, che non sia indossare le mie camicie e depredarmi la
dispensa?”
Benedetto sarcasmo. Lo accogli come un vecchio e complice amico.
Lily ti spiazza con un
sorriso
disarmante. La cosa più sorprendente di lei è che
non si è mai offesa da che la
conosci. Sembra che le tue frecciatine le scivolino addosso.
Meglio. Sembra che la divertano.
Frecce spuntate al tuo arco.
“Sono giunta alla
conclusione
che non ne importa nulla.” Replica serafica e prima che tu
possa chiedere
delucidazioni o imporle serietà, ti afferra la mano al di
là del tavolo e
stringe. “Severus.”
Ed ecco che ha la tua
completa
attenzione. Vecchio pipistrello idiota.
“Mi conosci. Ho
sempre
detestato essere al centro dell’attenzione e le
persone… Quindi, immaginati
quanto mi importa della loro opinione. Non sei ciò che
l’opinione pubblica
vuole per me? Perché dovrebbe importarmi?”
“Ti importerà.”
“Mai importato e dubito che cambierò idea nei
prossimi ventuno, quarantuno e
cento anni.” Mormora sfiorandoti le dita. È buffo
notare come entrambi le
abbiate macchiate oltre ogni speranza: tu dalle pozioni, lei dalla sua
pittura.
È una cosa che ti
fa stare
bene, per quanto sia assurdo.
“E la tua
famiglia?” Sai
quanto vi è legata, a modo suo. Lo sai da come parla
entusiasta dei fratelli
maggiori, di come si sia sempre lamentata dei cugini troppo invadenti.
Da come,
infine, sia in conflitto con Potter perché non riesce a non
volergli bene,
anche se hanno due caratteri incompatibili.
A questo si rabbuia appena.
“A
loro parlerò. Non sono terribili come ti immagini, sono
solo…”
“Weasley e Potter.” Ti esce naturale.
“Precisamente.”
Ghigna. Poi si
alza in piedi e per qualche motivo trovi del tutto ragionevole
lasciarle
sedertisi in grembo. “Non preoccuparti. Posso gestire la mia
famiglia.”
E poi il suono del
campanello squarcia
il silenzio perfetto della casa.
Lily sobbalza, non essendoci più abituata, ma il tuo sguardo
va invece alla
bacheca magica appesa sul frigorifero, ingegnoso artefatto che ti
permette di
sapere esattamente chi è alla porta di casa.
E come nelle peggiori
commedie
babbane, si tratta di Harry Potter.
“Alzati.”
Ordini e Lily,
intuitiva, balza giù guardandoti confusa.
“È tuo padre.”
“Al diavolo!” Esclama di nuovo con quel suo accento
del Devonshire va-e-vieni.
“Come cavolo ha fatto…” Fa una smorfia.
“Ah, giusto. È un Auror.”
Questo spiega molto, in
effetti.
Devi aprire perché hai l’impressione che Potter
entrerebbe comunque, trovando
così la sua adorabile ultimogenita seminuda nella tua
cucina. Con una tua
camicia addosso, tra l’altro.
Oltre ogni
possibilità di
fraintendimento.
Intimi a Lily di non
muoversi
con uno sguardo. Apre la bocca per dire qualcosa, ma non la ascolti,
tirando
dritto verso la porta.
Potter è vestito
a festa ma ha
il solito covone incolto al posto dei capelli; hai notato, dopo la sua
separazione da Ginny e la maretta che ne deve essere conseguita con il
Clan
Weasley, che ha preso a vestirsi come un essere umano.
Supponi che la persona con
cui
convive non tolleri vederlo con accostamenti che pure un barbone
londinese
avrebbe remore ad indossare.
“Professore…”
Mormora
inspirando con la bocca. Materializzazione vivace.
“Lilù è qui?”
Sì, è qui e
starà qui per ancora molto
tempo, se dipende da me. Addio – ma naturalmente
non è il mondo delle
intenzioni, ma dei fatti.
“È di
nuovo scappata?” Chiedi
urbanamente, beandoti del suo viso paonazzo di irritazione e imbarazzo.
Non vi siete lasciati
esattamente in buoni termini: l’ultima cosa che ricordi e che
gli lanciavi
addosso la Passaporta e lo minacciavi di ritorsioni fisiche. Peraltro,
minaccia
ricambiata.
“Non
scherzi.” Sei colpito dal
fatto che non ti abbia colpito; dall’espressione sembrava
averne tutte le
intenzioni. “Ieri sera doveva andare a dormire da Ginny, ma
non si è fatta
vedere… e non ha mandato neppure un Gufo per avvertire sua
madre, o i suoi
fratelli!”
“E perché pensa che possa essere qui, Signor
Potter?”
Tituba di colpo e si passa una mano trai capelli.
“Oh… non.” Si blocca,
realizzando. “Ecco, sì … immagino di
aver pensato che fosse da lei, per
abitudine.” Quasi ti dispiace vederlo così
mortificato per aver pensato la cosa
giusta. “È che
ho paura sia partita
di nuovo senza dire niente a nessuno.”
“Il suo bagaglio è ancora a casa della
madre?”
“Sì, certo.”
“E allora ritengo che non sia salpata per nuove terre, ma che
sia semplicemente
a casa di amici.” Osservi pieno di spirito caritatevole.
Potter annuisce con un
sospiro. “Naturalmente. Mi scusi… è che
sono preoccupato. Le ho anche mandato
dei Gufi ma sono tutti tornati indietro. A parte uno, il suo vecchio
alloco, se
lo ricorda? Magari Ginny ha già avuto risposta.”
“Ne sono
sicuro.” Fai per
augurargli una buona giornata e sbattergli finalmente la porta in
faccia quando
noti la sua espressione. Fissa un punto sopra il tuo tetto e lo fissa
come se
avesse appena visto qualcosa di assolutamente inaspettato.
Segui il suo sguardo e per un attimo persino il tuo consumato aplomb si
incrina.
Il maledetto allocco di Lily
è
appollaiato sul tuo tetto. E
stringe
una dannata lettera nel becco.
“Perché
l’allocco di Lily è
qui?” Si volta verso di te e a questo punto, non resta che
l’onestà.
Edulcorata.
“Lily è
qui.” Dici con tutta
la calma possibile, dato che hai davanti un Auror con licenza di
lanciare
incantesimi mortali e sua figlia in déshabillé
a solo un paio di stanze di distanza. “Non voleva essere
disturbata.”
“Voglio vederla.”
“Pensa l’abbia usata come ingrediente per qualche
pozione? Non sia ridicolo
Potter, sta bene. Sta facendo colazione.” Lo apostrofi con il
tuo miglior tono
gelido. Tentenna per un attimo, ma poi lo sguardo si fa di nuovo
d’acciaio.
“Voglio
vederla.” Ripete
ottuso.
Non ti resta che scostarti
per
farlo passare. Hai la singolare impressione che sia un po’
troppo ansioso dato
le contingenze.
Per quanto ne sa lui, sei solo un vecchio amico d’infanzia.
O per quanto ne sai tu?
“Lily!”
Sbraita. Per un momento
ti chiedi se non si sia davvero convinto che tu l’abbia
uccisa, fatta a pezzi e
nascosta.
E Lily appare. E tu senti il
fiato scivolare via. La sciocca ragazzina non si è
rivestita. È sempre
comodamente infilata nella tua camicia.
E certo, potresti avergliela
prestata in mancanza di pigiama, ma…
“Ciao
papà.” Dice come se
l’avesse incontrato per sbaglio in un caffè,
completamente vestita e da sola.
E poi guardi Potter, pronto
a
qualsiasi reazione inconsulta; perché ha
capito, gli si legge in faccia, nel misto di sgomento,
realizzazione e
orrore che compone la sua espressione.
Grifondoro; sono libri
aperti
e a colori.
Poi accade
l’impensabile; non
urla, non dà di matto come ricordavi amasse fare durante
l’adolescenza. Non
tenta neanche di schiantarti sul colpo.
Perde semplicemente colore.
Diventa talmente pallido che sembra una comparsa di un vecchio film in
bianco e
nero.
“Papà?”
Lily ha un moto di
preoccupazione e diventa un’esclamazione quando lo vedi
appoggiarsi al muro e
inspirare profondamente.
Il-Ragazzo-che-è-sopravvissuto-per-essere-stroncato-da-un-infarto.
“Papà!”
Esclama Lily e gli corre incontro. Si volta verso di te, con
lo sguardo tra lo sgomento e lo spaventato. “Che
cos’ha?”
“Una realizzazione in corso.” Mormori tranquillo, perché sei un
orrendo insensibile. E perché
conosci la progenie di James. “Potter, respira. Dobbiamo
parlare.” Gli intimi
sbrigativo. “Mi seccherebbe conversare con un
morto.”
Potter, che è
sempre lo stesso
ragazzo insopportabile e arrogante, pare riscuotersi di colpo. Riprende
colore,
perlomeno quello sufficiente a riuscire a raddrizzarsi e parlare.
“Lilù, puoi
lasciarci soli?” Mugugna.
“Certo, così tirate fuori le bacchette!”
Esclama, e non ha tutti i torti. Anche
tu pensavi ad una risoluzione simile. I maghi non hanno molti modi per
confrontarsi quando sono in preda a forti emozioni, e i Duelli sono
ancora
estremamente in voga.
Specie tra gli ex-Grifondoro.
Lanci un’occhiata
a Potter e
rifletti. “Lily, non credo ci scontreremo a suon di
incantesimi. Esci.”
“Di casa? Neanche per sogno!”
“Esci.” Le intimi senza mezzi termini, e ti fissa
come per dirtene quattro, ma
alla fine capitola con un sospiro. Ha capito che la sua presenza per il
momento
è più o meno come un Molliccio per il padre.
‘La
mia più grande paura? Oh, vedere mia figlia andare
a letto con il mio ex-professore.’
“Resterò
nei paraggi. E…”
Esita. “… vacci piano con lui, okay?”
“Naturalmente.” Menti con disinvoltura.
Quando si è
chiusa la porta
alle spalle, Potter riprende a respirare come un uomo normale e non
come un
moribondo.
“Lei…”
Esordisce. Fa una lunga
pausa. “Ha qualcosa di forte in casa?”
Lo scruti perplesso, ma dopotutto è quasi una domanda
legittima data la
situazione. “Whisky incendiario.”
“È perfetto. Ha anche un salotto?”
“Ho una casa,
Potter.”
Si infila in salotto senza una parola e quasi non te la senti di
riprenderlo.
Lo segui e versi due bicchieri, allungandogliene uno.
Il fatto che non abbia
ancora
iniziato ad urlare come una banshee, vomitandoti addosso tutto quello
che già
sai… non sai se è un bene o un male.
Vuota di un colpo il
bicchiere. E poi ti pianta gli occhi addosso.
Per anni è stata
una tortura
guardarlo in faccia. Anche solo cercarlo tra la folla. Un supplizio a
cui ti
sottoponevi ogni giorno che il ragazzo metteva piede nei tuoi spazi
vitali. Per
espiare.
Adesso ti scopri a notare
che
ha solo gli occhi verdi. Quegli
occhi. Ma occhi.
“C’è
andato a letto?”
Non ti aspettavi fosse così diretto, ma dopotutto
è quasi un sollievo.
“Sì.”
Una semplice sillaba e
Potter potrebbe ammazzarti seduta stante e probabilmente
l’opinione pubblica lo
giustificherebbe.
Riprovevole.
Un uomo così vecchio, con quel passato poi…
con ragazza così giovane, così innocente.
Che
cosa disgustosa.
Lo vedi stringere il
bicchiere
e quasi ti aspetti che lo rompa. Invece no. Ha miglior controllo di te,
è
shockante.
Lo è sul serio.
“Voglio solo
sapere una cosa…”
Il suo tono è estremamente basso, e per un momento immagini
che Voldemort abbia
sentito proprio questo timbro ad un passo dalla fine.
È piuttosto
credibile.
“…
è perché vuole trovare un
surrogato di mia madre?”
Non sai neanche come sei scattato in piedi. Ti trovi a stringere il
pugno e poi
ricordi che la bacchetta è rimasta in cucina, vicino al
bollitore del the.
Potter non si è mosso e continua a fissarti.
“Come
osi…”
“Oso eccome.” Replica asciutto. “Stiamo
parlando di mia figlia. E non sarò il
padre migliore del mondo, ma è mia
figlia, e lei è stato incapace di amare chiunque tranne mia
madre. Oso eccome.”
Ripete. “Non permetterò che lei la
usi…”
“Potter, un’altra parola e giuro che dovranno
ripescare il Bambino
Sopravvissuto nelle profondità
dell’Atlantico!” Ringhi. Senti la rabbia
scorrerti addosso come da anni non ti succedeva. “Se pensi
che sia così
meschino da investire Lily di un peso simile, allora non ha avuto il
minimo
senso che ti abbia dato quei ricordi.”
È il momento di parlare. Odi esporti, ti sembra di
strapparti la carne di
dosso, ma devi.
Per Lily. Questa Lily. La tua Lily.
Potter ti fissa e batte
velocemente le palpebre. “Non credo di aver
capito…”
“Ho amato tua madre, ma lei non mi ha mai amato.”
Ispiri lentamente e vedi una
vaga scintilla di pena brillare nello sguardo di Potter. Vorresti
ammazzarlo,
ma continui. “… è una cosa con cui sono
venuto a patti, da anni ormai. Non la
incolpo, a quel tempo ero oltre la possibilità di essere
perdonato. O amato,
per quanto vale.”
Continua a non parlare e
gliene sei grato, perché una sola obiezione ti farebbe fare
qualcosa di
inconsulto.
Certe cose non cambiano mai.
‘Posso
essere io il tuo ricordo felice?’
Inspiri lentamente, e
continui
più calmo. “So il motivo per cui l’hai
chiamata Lily. O perché hai dato una
sfilza di nomi ingombranti agli altri due.”
Lo vedi sussultare appena.
“Non le somiglia affatto. Perché è
così che funziona, Potter. Ogni persona è
unica. Nel bene e nel male.” Dici e poi, semplicemente,
concludi. “Lei è morta.
Non tornerà.”
Segue un lungo silenzio.
“Lo so.”
Sussurra infine, e il
lampo di dolore che gli cogli nell’espressione, beh, lo
condividete tutto. “Merlino…”
Si passa una mano trai capelli. “… ho detto una
cosa orribile di mia figlia,
non è vero?”
“Se fossi stato un
uomo
diverso avrei preso la bacchetta, Potter.” Replichi, ed
è un sì, ma sei
abbastanza magnanimo da girarci intorno. “Fortunatamente
conosco la tua
riprovevole inclinazione a dar aria alla bocca.”
Fa un mezzo sorriso, stanco. “Sì, immagino di
averlo fatto.” Fissa il bicchiere
vuoto. “Mi dispiace.”
Di tutte le cose che avresti pensato sarebbero uscite dalla bocca di
Potter,
questa era l’ultima. Anzi, non era direttamente contemplata.
Ti siedi di nuovo e vieni
ghiacciato da una nuova domanda. “La ama? Perché
per Lilù… lei è…
più o meno la
cosa più importante del mondo.” Sospira ed
è incredibile, sta sorridendo.
“All’inizio pensavo fosse
perché era l’unico che non rimaneva male ai suoi
silenzi … perché la capiva. Ma
c’è di più, vero? Ecco
perché mi ha aggredito in quel modo, l’ultima
volta.”
Annuisci, troppo sbalordito
dalle sue capacità di deduzione. E dal fatto che non stia
cercando di
ucciderti.
“La
ama?” Di nuovo.
“No, mi
è indifferente. Ho
rischiato di provocare un infarto all’Eroe del Mondo Magico
per un capriccio.”
Sbotti e ti aggrappi alle profondità del tuo whisky.
Senti un rumore provenire
dalla sua poltrona, e speri che si sia strozzato con la sua saliva.
Invece sta ridacchiando.
“Sa…”
Dice ed è certo,
qualcuno ha corretto il whisky con un potente allucinogeno.
“Se si va oltre il
fatto che insulta praticamente chiunque ogni volta che le si fa una
domanda, ha
un senso dell’umorismo niente male.”
Oh, per la barba di Merlino.
“Potter, non
l’ho sviluppato
negli ultimi anni. L’ho sempre avuto.”
“Non avevo un gran senso dell’umorismo da
ragazzo.” Sorride quieto. “Uno
psicopatico cercava di uccidermi e dominare il Mondo Magico. Non suona
molto
divertente, no? E poi lei era davvero odioso con me.”
Potter conosce la sottile
arte
dell’ironia. Ed è simile a quella di Lily,
perché è l’unico motivo per cui ti
senti quasi bendisposto nei suoi confronti.
Oltre al fatto che non ti ha
giustiziato.
“Le
sta… bene?” Chiedi, perché
ormai la curiosità va oltre il tuo naturale riserbo.
Scrolla le spalle.
“Ho
sconfitto Voldemort perché sapevo che amare qualcuno
è qualcosa più forte del
buonsenso o della propria stessa vita. Di tutto, in realtà.
Sarei un ipocrita
se impedissi ai miei figli di amare chi amano.” Si toglie gli
occhiali e li
pulisce con il fazzoletto del taschino. Un fazzoletto; chi se
l’è preso in casa
l’ha addomesticato.
“E poi… so cos’è
capace di fare lei, per amore.”
Lui e Lily hanno la stessa
capacità di dire cose pesanti con la leggerezza di una
conversazione da bar.
Si rinfila gli occhiali, e
si
alza. Lo imiti per non restare a fissarlo come la statua di sale che ti
senti
di essere.
“Credo…
mi ci vorrà un po’ per
digerire l’intera faccenda.” Ammette con una
smorfia imbarazzata. “E conoscendo
Lily, finiremo per litigare se… Beh. Cercherò di
forzare le cose.” Sbuffa. “Può
dirle che…” Esita.
“Le
dirò che tornerà a
trovarla.” Decifri.
Harry Potter Il-Dannato-Ragazzo-Sconcertante sorride.
“Grazie.” Ti tende la
mano e non c’è nulla da fare. Devi stringerla. La
stringi.
Devi ammettere che Potter ha
gli occhi che si merita. Ma non lo ammetterai mai ad alta voce.
“Si prenda cura di lei.” Stringe e poi lascia la
presa.
“È mia
precisa intenzione.”
Annuisce e poi, con un colpo
di vento, si è smaterializzato.
Lily è seduta in
mezzo
all’erba, nel digradare lento che porta alla scogliera. Si
alza in piedi quando
ti sente arrivare. Ovviamente ti avrà sporcato tutta la
camicia d’erba. Puoi
fartene una ragione.
“Va tutto
bene?” Ti scruta.
“Sei tutto intero.” Mormora meravigliata.
“Tuo padre è un Auror, non un
macellaio.” Replichi.
Ti scruta diffidente. “Tu che lo difendi? Che vi siete
detti?”
“Alcune cose.”
“E me le dirai?”
“Alcune di esse, sì. A tempo debito.”
Sbuffa, ma sorride. Le
brillano gli occhi in quest’estate irlandese. Ed
è, in effetti, estate
finalmente. Anche per te.
Le tendi la mano e lasci che
si stringa in un abbraccio, baciandoti il viso e le labbra quante volte
vuole.
Le baci i capelli rossi come il fuoco, ricci, ribelli.
Lily è una figlia
del
Connemara. Ha avuto natali altrove, certo, ma sembra che sia sempre
stata qui.
In un certo senso, ti senti figlio anche tu di questa terra aspra, che
ha
saputo accoglierti e perdonarti.
“Sembri
felice.” Dice
accoccolata al tuo petto. “Lo sei o mi sbaglio?”
“Non ti sbagli.” Ammetti.
“D’ora
in poi lo sarai
sempre.” Ti mormora all’orecchio. “Saremo
felici sempre, te lo prometto.”
Sei quasi incline a crederle.
Saresti dovuto morire in
quella vecchia catapecchia, con la gola squarciata e gli occhi pieni di
una
donna che hai amato senza speranza.
Invece sei qui, con una
vecchia cicatrice fibrosa, una casa sul ciglio del mondo e una donna
che ti
promette quel sempre che hai
cercato
per tutta la vita.
È chiaro che il
Destino, il
Fato o chi per lui, non aveva ancora finito con te.
Lo senti quasi sorridere.
E
i giorni
passavano e l'oceano li stava a cullare
e
il vento alla fine del mondo portava un canto del mare…
****
Note:
Un’epopea
praticamente. Argh. Però mi son
divertita da matti.
La realtà è che la seconda persona è
uno spasso. Ed è peggio di una droga.
Questa
la canzone che fa da colonna sonora al capitolo. Di
solito non uso
canzoni italiane, lo trovo… inadatto. Però
questa, cavolo, è perfetta.
1.White
Bush: variante del Bushmill, whiskey irlandese della Contea
di Antrim, dove
si trova l’omonima città.
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