The one that got away.

di xwonderdemi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo I. ***
Capitolo 3: *** Capitolo II. ***
Capitolo 4: *** Capitolo III. ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV. ***
Capitolo 6: *** Capitolo V. ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI. ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII. ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII. ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX. ***
Capitolo 11: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Prologo. Nota dell'autrice.
Questa mini-storia è ispirata all'omonima canzone di quella gran donna qual è Katy Perry. A differenza delle altre, non ha lieto fine, come chi ha visto il video o abbia letto il significato della canzone sa.
Sperando che la seguiate o recensiate sia positivamente sia negativamente,
un bacione,
Claudia.

The one that got away.

Prologo.

«Mammina, mammina!», la voce della mia piccola Sophia mi distrasse dal film che guardavo alla televisione.
«Tesoro mio, dimmi.», mormorai in risposta.
«Ho trovato una cosa in soffitta, è tua?», da dietro la schiena, mostrò uno scatolone impolverato con su scritto il suo nome.
Bruno.
La presi delicatamente dalle mani di mia figlia, spostando col dito quel filo di polvere che si era venuto a formare.
«Sì, è mia, amore.», dissi con voce tremante.
Mi sorrise.
«Siccome sto sistemando un pochino le cose sopra, non sapevo di chi fosse e sono venuta a chiedertelo. Be', torno su!», esclamò, sparendo velocemente com'era arrivata.
La mia Sophia aveva cinque anni. Era una bambina dolce, premurosa, ordinata e affettuosa. Era piuttosto alta per la sua età, esile, castana e con due occhi smeraldini brillanti, quasi quanto i suoi.
Ma non era sua figlia, purtroppo. Anche se quello lo avevamo sognato...
Spensi il televisore e mi recai nel mio studio.
Mi sedetti sulla poltrona e posai la scatola sulla scrivania di fronte a me, indecisa se aprirla o meno.
Deglutii a fatica, poi annuii. Dovevo aprirla. Era pur sempre parte di me.
Avvicinai le mie dita tremanti al coperchio della scatola, su cui c'era scritto con elegante calligrafia il nome del mio primo e indimenticabile amore. Arrivata a circa cinque millimetri di distanza, m'arrestai di colpo, avvertendo delle calde lacrime scendere dai miei occhi.
«Bruno...», sussurrai tra i singhiozzi.
Mi morsi un labbro e asciugai fugace quelle lacrime amare, tentando nuovamente di aprire quella scatola e permettendo così a dolorosi e allo stesso tempo meravigliosi ricordi di ritornare, prepotenti, nella mia vita.
Ce la feci e trovai, una dopo l'altra, tutte le nostre foto.
Le foto della nostra breve -troppo breve- storia d'amore.
Ma il destino aveva deciso. Il destino non ci voleva insieme, altrimenti non me lo avrebbe portato via.



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Capitolo 2
*** Capitolo I. ***


1 Mh, niente, eccovi il primo capitolo.
Spero che non vi faccia schifo xD
Credo che tornerò venerdì, buona lettura! (:

T
he one that got away.


Capitolo I.

Afferrai una delle numerose foto tra le mani.
Buffo, era proprio della sera in cui ci conoscemmo.
Io sorridevo tra Caterina e Gonzalo, rispettivamente la mia migliore amica e il mio migliore amico e Bruno mi fissava quasi imbambolato, con un sorriso da ebete e contemporaneamente dolcissimo.
Sì, Gonzalo era il fratello di Bruno. Fu proprio grazie a Gonzalo che lui venne quella sera...
«My God, questa festa è uno sballo!», urlai, mentre bevevo l'ennesimo sorso di coca cola e ballavo con la mia migliore amica.
«Già, dopotutto le feste di Pia sono sempre così!», ribatté lei, ridendo.
Era una serata magica. Pia Sanetti, capo cheerleader, aveva dato una festa per non so che cosa e ci aveva invitate! Una cosa davvero unica, perché di solito non ci andavo, nonostante fossi sempre invitata.
Con me erano venuti Gonzalo e Caterina. Eravamo un trio inseparabile, ci conoscevamo da anni. Gonzalo era l'intruso, aveva ben venticinque anni. Caterina ne aveva compiuti diciotto un mese addietro ed io ne avevo diciassette. Già, la marmocchia.
Ad ogni modo, due mesi e sarei diventata anch'io maggiorenne.
E finalmente avrei potuto prendermi la patente, mi sarei diplomata, avrei avuto la mia indipendenza.
Insomma, sì, la soglia dei diciott'anni era un premio bramato da sempre.
«Miseriaccia!», esclamò Gonzalo, raggiungendoci.
«Ehi, Gon, ma non dovevi andare via?», chiese Caterina.
«Sì, ma la mia auto non parte, maledizione! Ho chiamato mio fratello Bruno, mi viene a prendere lui. Cavolo, che pivellino.», borbottò.
Risi. «Bruno, quel tuo fratello che abita a Barcellona? Come mai qui?», domandai.
«Boh, gli sarà venuta nostalgia, che ne so!», rispose facendo spallucce.
«Dai, aspettiamo fuori con Gonzalo.», propose Caterina.
«Non dovete, ragazze!», esclamò Gonzalo.
Gli feci un occhiolino. «Non ci costa nulla...», presi per un braccio Cate e uscimmo da casa di Pia, «dopotutto, lì dentro stavo morendo di caldo!», aggiunsi, sbottonando leggermente la mia camicetta.
«Certo, anche tu che ti metti le maniche lunghe a fine agosto...», commentò Caterina.
«Che ci posso fare? Era così carina e non l'avevo messa nemmeno una volta.», mostrai il labbro inferiore, facendo ridere Gonzalo.
«Ma sentila, la marmocchia che si atteggia da diva!», esclamò quest'ultimo, abbracciandomi e scompigliandomi i capelli.
Scoppiai a ridere seguita a ruota da lui e da Cate, poi, continuammo a parlare del più e del meno.
Circa dieci minuti dopo, vedemmo un'automobile venire verso di noi e avvicinarsi sempre più. Gonzalo fece un cenno e l'auto si fermò.
Il mio cuore batteva forte come se avesse voluto balzarmi dal petto.
Quella fu la prima volta in cui lo vidi.
Bruno scese dalla macchina. Gon gli corse incontro, mentre prendeva al volo le chiavi che il fratello gli aveva lanciato. Si diedero il cinque, poi fu proprio il mio amico a parlare. «Menomale che ci sei tu, fratellino, altrimenti non so come sarei tornato a casa!».
Bruno sorrise, poi posò per un istante che parve interminabile i suoi occhi nei miei.
Arrossii e abbassai lo sguardo, cercando di prestargli pochissima attenzione, ahimé, senza speranza.
«Che gran figo.», commentò Caterina silenziosamente al mio orecchio.
Mi morsi un labbro violentemente, finché non vidi i due Molina venire verso di noi. L'aria quasi mi mancava.
«Ragazze, vi presento mio fratello Bruno. Loro sono Caterina ed Antonella.», disse Gonzalo.
Bruno m'abbagliò nuovamente con un suo sorriso splendido, poi mi strinse la mano. «Piacere, Bruno.», ripeté.
«Antonella.», biascicai col cuore in gola.
Cavolo, no, non poteva essere.
Io non credevo a quelle cazzate sul colpo di fulmine o cose simili, almeno fino a quella sera.
Sta di fatto che in quel momento, io e Bruno mollammo Caterina e Gonzalo restando in disparte a parlare di noi. Già, raccontai della mia vita a un qualcuno che era pressappoco uno sconosciuto, ma...lui aveva fatto lo stesso.
Bruno abitava a Barcellona con il resto della famiglia Molina per via dell'Università. Lui e Gonzalo non erano mai stati legatissimi, anche perché il mio migliore amico se n'era andato dalla Spagna a diciannove anni perché era stufo della vita che conduceva lì.
Aveva vent'anni. Appena compiuti. Quindi, era due anni e due mesi più grande di me, magnifico.
"Ma chi se ne frega!", gridava la vocina nella mia testa.
Avevo voglia di baciarlo, ma mi trattenni, limitandomi solo a qualche sorrisetto.
«Ehi, Anto, vado via con Caterina!», esclamò Gonzalo.
Annuii, persa negli occhi chiari di Bruno, poi quando sentii il rombo dell'auto partire, rinsavii.
«Che diamine...», imprecai.
Se n'erano andati. Ed ora io come tornavo a casa?
«Accidenti, perché non sono mai attenta?! Stupida sei, Antonella!», urlai, camminando a grandi passi sotto lo sguardo esterrefatto di Bruno.
Mi resi conto della magra figura che stavo facendo e mi girai verso di lui. «Scusa, Bruno, è che sono un'emerita cretina! Come si fa? Ora come torno a casa, uffa? Se chiamo mio padre, che sicuramente ora dorme, sono cavoli miei.», piagnucolai.
Bruno rise. «Non c'è problema, possiamo andare a piedi. Ti accompagno io.», si offrì.
Avvampai da capo a piedi. «Non vorrei disturbarti...», mormorai.
«Ma va!», si mise le mani in tasca e iniziammo a camminare.
Avrei voluto che il tempo si fermasse per restare sempre in sua compagnia.
Sì, ero andata.
Sospirai, con Bruno che ogni tanto se la rideva per i miei momenti di pazzia. Però, ero felice di farlo sorridere.
Arrivammo a casa mia e tutt'un tratto esaurimmo ogni argomento di conversazione. Un silenzio tombale cadde tra di noi, finché, stanca, decisi di entrare e salutarlo.
Mi prese per un braccio, costringendomi a voltarmi verso di lui.
«Penserai male di me se ti dicessi che ho voglia di baciarti sin da quando ti ho vista, appena sceso dall'auto?», chiese, lasciandomi impietrita sul posto.
«E tu penserai che io sia una ninfomane se ti dico che voglio la stessissima cosa?», domandai di rimando.
Mi tappai la bocca con le mani, sgranando gli occhi.
«Non posso credere di averlo detto!», esclamai, scuotendo il capo energicamente.
Lo vidi sorridere. «Sarà meglio che io entri...», conclusi,  «spero che tu non vorrai scappare per via della mia pazzia. Sono sempre così.», feci spallucce.
Lui annuì, sempre con quel sorriso che mi faceva sciogliere stampato in viso. «Va bene, ma prima...», si avvicinò e mi baciò.
Una parte di me, iniziò a pensare cose del tipo: Antonella sei una pazza, lo conosci sì e no da un'ora e te lo stai baciando.
L'altra parte di me, invece, quella che occupava la maggioranza, stava ballando la conga, il tip tap, la samba, la macarena tutt'insieme.
"Ma sì, dopotutto lo voglio anch'io.", pensai, mentre lui mi stringeva a sé.
Ci staccammo per mancanza d'ossigeno e sorrisi radiosa. «Ci si vede, ehm...buonanotte.», sussurrai.
«Buonanotte!», rispose, con un'espressione felice.
Lo vidi andarsene e chiusi la porta, sbrigandomi a correre in camera e mettermi sotto le coperte.
Sta di fatto che, però, quella sera dormii poco e niente, poiché fui troppo occupata a pensare a lui.









Nota dell'autrice.
Primo capitolo. Entrata di colui che è andato via col botto.
Mh, ci tengo a precisare una cosa. Il raiting della storia è giallo per via di alcune tematiche, ma anche per il linguaggio. Infatti, a volte, ci potrebbero essere parolacce per rendere la cosa più credibile -dopotutto chi non ne ha almeno detta una nella sua vita? ._.- ed io ritengo necessario il raiting giallo anche per questa cosa xD 
Nel prossimo capitolo, un'altra storia, un'altro ricordo...
Claudia.

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Capitolo 3
*** Capitolo II. ***


2 Sono tornata presto per via dell'assemblea, quindi...eccomi qua :D
Ho tutto il tempo per scrivere e ne approfitterò per continuare Ritornare a vivere, che ho leggermente abbandonato, ahaha :3
Hasta luego e buona lettura!

T
he one that got away.


Capitolo II.

Recuperai dalla scatola un foglietto piegato e stropicciato.
«E questo cos'è?», mi chiesi.
Lo aprii e restai impietrita.
Era il ritratto.
Il meraviglioso ritratto che mi aveva fatto Bruno.
Sorrisi.
Erano passate due settimane da quando io e Bruno c'eravamo conosciuti.
Lui si era inserito alla perfezione nel trio originario mio, di Gon e Caterina. Quest'ultima aveva saputo tutto riguardo i miei sentimenti verso Bruno e il nostro primo bacio. Lo trovava carino, ma mi aveva lasciato campo libero, dicendo che eravamo «così belli» insieme.
Nonostante tutto, però, non eravamo ancora insieme, per mio enorme dispiacere.
Mi piaceva il fatto di avere un certo tipo di rapporto con lui, ma non si decideva a farsi avanti...sì, perché io speravo almeno che mi chiedesse di essere la sua fidanzata, io...
Io m'ero innamorata di lui.
E perdutamente.
Ma...chissà, forse quel bacio per lui era solo un capriccio. Era davvero quel tipo di persona, Bruno?
In cuor mio speravo vivamente che non si dichiarava solo perché non voleva affrettare le cose. Le cose messe da quel punto di vista sembravano quasi sfiorare la fantasia, ma non volevo assolutamente pensare che lui non fosse uno 'da storia seria'.
Per colpa di quei miei pensieri così controversi e contrastanti, mi allontanai un bel po' da lui, mentre al contrario lui cercava ogni volta un approccio con me.
Le cose cambiarono quando, un pomeriggio, Bruno mi invitò nell'appartamento che aveva comprato.
Avevo accettato riluttante, perché da un lato se non mi fossi lasciata coinvolgere forse avrei potuto dimenticarlo e dall'altro perché avevo paura di soffrire.
Quando arrivai, suonai al campanello e Bruno mi venne ad aprire. Era vestito semplicemente, un paio di jeans e una t-shirt bianca a maniche corte.
«Anto! Entra, su!», m'invitò, mentre sorridevo e facevo un 'ciao ciao' con la manina.
«Bruno. Come mai hai voluto che venissi qui?», chiesi.
«Un momento, tra un po' capirai. Aspettami cinque minuti qui, per favore.», disse, facendomi accomodare sul divano.
Annuii, cercando di impormi di star zitta, ferma e paziente finché non fosse tornato.
Fu rapidissimo e, quando tornò, aveva in mano una tela. «Ta-dan! Ecco la sorpresa.», disse, mostrandomi un...
«E' un mio ritratto! Oh mio Dio, è splendido!», esclamai.
Si sedette accanto a me, per farmelo osservare meglio. Era perfetto, davvero somigliante. «Wow, sei bravissimo.», mormorai.
«Ci credo, ho frequentato un'Accademia.», bofonchiò.
«Quindi tu...».
«Sì, sono un artista.», finì per me.
«Oh.», dissi solamente, contemplando ancora quella meraviglia.
«Sai qual è la cosa bella?», chiese.
«Cosa?», domandai a mia volta.
«Che l'ho fatto senza avere una tua foto o qualcosa che ti raffigurasse. Sono stati i miei ricordi e il mio cuore a parlare.», guardò il dipinto, soddisfatto, «O meglio, a dipingere.», si corresse, scoppiando a ridere.
Risi anch'io, poi rimuginai sulle sue parole. «Momento! Mi stai dicendo che l'hai fatto a mano libera?».
«In poche parole, sì.», rispose.
«Oh God, è davvero identico.», lo elogiai.
«Grazie.», mormorò.
Mi chiedevo, però, perché l'avesse fatto? Forse perché si sentiva legato a me...come amica? O perché sotto c'era qualcosa di più?
Per me Bruno era un arcano, difficilissimo da comprendere. Non so...prima mi baciava, poi faceva finta di niente!
Non potevo mica dirglielo, però. Chissà cosa avrebbe pensato di me...Eppure io ci tenevo a lui, forse non lo aveva capito. «Antonella...», mormorò.
«Sì?», gli prestai attenzione, speranzosa.
«Non so come prenderai questa cosa. E' strano, non m'era mai capitato con nessuna prima d'ora...», sospirò, poi mi prese le mani tra le sue e incatenò il suo sguardo nel mio, «io...credo di essermi innamorato di te.», rivelò.
«Okay, allora siamo proprio due idioti.», m'umettai le labbra. «Anch'io sono innamorata di te.», non so da dove arrivava tutto quel coraggio.
Bruno mi sorrise. «Davvero?», chiese. «E come mai saremmo idioti?», aggiunse.
«Perché è già la seconda volta che pensiamo la stessa cosa e non diciamo nulla.», mormorai, scoppiando a ridere.
«In effetti.», sorrise, poi posò le sue labbra sulle mie.
Quella fu forse diecimila volte meglio della prima volta. Appena ci staccammo, posò la sua fronte sulla mia e sorrise. «Questo significherebbe che ora...», lasciai la frase in sospeso.
«Mh, diciamo che sì, stiamo insieme.», terminò per me.
«Bene, è stato...facile. Chissà gli altri come la prenderanno, soprattutto tuo fratello.», ridacchiai.
«Chi se ne importa del parere degli altri? L'importante è che io amo te e tu ami me.», disse.
«Hai ragione.», lo abbracciai e lui mi baciò ancora.
Presi il ritratto che mi aveva fatto. «Dovrai insegnarmi a disegnare così. Non so nemmeno fare un gattino decente.», mormorai.
«Be', come me proprio no, ma almeno qualcosa te la posso insegnare.», si alzò.
Mi porse la mano. «Vieni con me.», disse.
«C'è da fidarsi?», chiesi.
«Me l'hai chiesto tu di insegnarti.», roteò gli occhi.
Afferrai la sua mano, tenendo sempre nell'altra il ritratto. Mi portò nel suo studio. Era bellissimo. C'erano tantissimi quadri, dipinti, colori, tavolozze, pennelli...
«Che cosa meravigliosa!», esclamai.
Lo vidi ridacchiare. «Questo è il mio posto magico. Sai, disegnare mi piace perché riesco ad esprimermi meglio con un pennello e una tela e non a parole.», si grattò la nuca.
Vederlo così, impacciato, mi fece sciogliere il cuore. «E...sei bravissimo.», ribadii.
«Grazie di nuovo.», ribatté.
Sistemò due tele pulite, mi diede una tavolozza e mi insegnò a disegnare. Passammo un pomeriggio d'arte, insieme. Ogni volta che sbagliavo, si portava dietro di me, mi afferrava il braccio e mi faceva vedere il giusto movimento per ottenere un effetto migliore.
«Però, non c'è male.», disse alla fine, vedendo il mio paesaggio marino.
«Dici sul serio?», mormorai, felice.
Annuì. «Sei brava.», dichiarò.
«Oh!», esclamai, buttandogli le braccia al collo.
«Così mi stritoli!», si lamentò.
«Mh...», bofonchiai, offesa, portandomi le braccia al petto.
Lui mi afferrò per un braccio e mi strinse nuovamente a sé. Posò le sue labbra sulle mie ed ancora non mi sembrava vero che quell'angelo avesse scelto me, che amasse me.
Ricambiai il bacio, poi si staccò da me e mi accarezzò i capelli.
«Ti amo.», sussurrai tra le sue braccia.
«Anche io, anche io, amore.».
«Oh, che tenero, mi hai chiamato amore.», dissi, guardandolo negli occhi.
Sorrise dolcemente.
«Bruno?», lo chiamai, mentre osservavo il mio ritratto posato sulla scrivania vicino all'ingresso.
«Dimmi.».
«Ti prometto che anch'io un giorno, quando diventerò abbastanza brava, ti farò un ritratto.», iniziai, tornando a posare lo sguardo su di lui. «Magari non sarà bello come il tuo, certo, ma lo farò. E lo appenderò accanto al mio, in camera. Per ricordarmi di te, di noi...e di tutto quello che stiamo vivendo ora. Insieme.», terminai, prendendolo per mano e intrecciando le nostre dita.
«Questa cosa è irrazionale. Non si può amare così tanto qualcuno.», borbottò.
«Probabile, ma almeno siamo pazzi insieme.», dissi.
Mi avvicinai a lui e lo baciai di nuovo. «E comunque io ti amo di più.», aggiunsi.
«Non credo sai? Ma non voglio fare discussioni inutili che non vincerebbe nessuno.».
Risi. 
Ritornai alla realtà e fissai quel ritratto come se lo avessi visto per la prima volta, ricordandomi di quanto ne fossi stata catturata all'inizio.
Percorsi con l'indice il contorno del mio viso, poi lo piegai nuovamente e sospirai.
Incredibile quanto ti potesse coinvolgere anche un solo ricordo.









Nota dell'autrice.
Che amori...quasi quasi Bruno non lo faccio morire.
No, scherzo, magari...lo vorrei tanto, ma la trama è quella e tale rimarrà (;
Sperando che vi piaccia,
Claudia.

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Capitolo 4
*** Capitolo III. ***


3 Boh, sì sono impazzita.
Godetevi il capitolo!
The one that got away.

Capitolo III.


Nella scatola, trovai un nastro rosa decorato con delle roselline finte bianche, perfette e bellissime come le avevo lasciate.
Quello era il bracciale della sera del ballo di inizio anno scolastico, dopotutto era l'ultimo anno e le cose si facevano per bene.
Chiusi gli occhi, mentre nella mia mente, un nuovo flashback partiva.
Io e Bruno stavamo insieme da qualche giorno. Il ballo era stato programmato per il 20 settembre. Non ero mai stata un'amante di feste e tanto meno di balli!
Odiavo essere al centro dell'attenzione, così, ogni volta che potevo, me la svignavo.
Bruno occupava ogni mio attimo, ogni mio pensiero ed ogni mia giornata. Ogni giorno mi veniva a prendere da scuola e, dato che Caterina mi copriva, trascorrevo con lui quasi tutto il giorno.
Eravamo davvero innamorati, nonostante sembrasse quasi una pazzia agli occhi degli altri, ma, nella nostra storia, niente era stato normale, sin dall'inizio.
Insomma, sia io, sia lui non avevamo mai baciato qualcuno dopo averlo conosciuto da sì e no sessanta minuti...Era quasi un'idiozia, ma...l'amore in generale sembrava quasi un'idiozia e, comunque, eravamo felici. Chi se ne importava del resto?
Uscii da scuola e lo trovai, come sempre, perfetto, appoggiato alla sua auto, con gli occhiali da sole e la giacca di pelle nera.
Ed era lì per me!
«Solita copertura?», chiese Caterina.
«Solita copertura.», risposi, baciandole una guancia e correndo verso il mio amore.
Aprì le braccia e mi accolse immediatamente. Risi, poi alzai il viso e posai le mie labbra sulle sue.
«Buongiorno, principessa. Com'è andata a scuola?», domandò.
«Buongiorno, mio principe. A scuola tutto bene, quella di musica mi ha interrogato e ho preso un bel 9+.», raccontai fiera di me stessa, mentre aprivo lo sportello posteriore e ci buttavo poco elegantemente il mio zaino.
Salii in macchina accanto a Bruno e partimmo.
«Quest'anno ballo eh?», disse.
«Come fai a saperlo?», chiesi curiosa.
«Gonzalo mi ha raccontato un po' tutto...», borbottò.
«Mh, sì, ma sai...non amo i balli.», mormorai.
«Okay.», assentì solamente, lasciandomi nel mistero.
«Dove andiamo?», domandai, dopo qualche istante di silenzio.
Si voltò verso di me e sorrise. «Siamo quasi arrivati. La pazienza è la virtù dei forti.», rispose solamente, dandomi un buffetto sul naso.
Sorrisi, prendendo la sua mano e baciandola. «Va bene!», esclamai infine, decidendo che -per quel poco che conoscevo Bruno- aspettare sarebbe stata la cosa migliore.
Circa un quarto d'ora dopo, scendemmo dall'auto e percorremmo un breve tratto di strada, tra boscaglia, felci e cespugli. «Ecco, guarda.», disse Bruno, indicando un punto proprio di fronte a me.
Alzai lo sguardo e vidi una splendida radura. Era ancora piena di fiori, nonostante qualche foglia fosse ingiallita per l'imminente autunno. Restai a bocca aperta, mentre il mio ragazzo sorrideva sornione.
«Bello, vero?», chiese.
«Solo? E' un qualcosa di magnifico!», risposi.
«Vengo qui perché mi da' ispirazione quando voglio dipingere. E' sempre stato uno dei miei posti preferiti.», spiegò, prendendomi per mano e camminando verso il centro di quel paradiso.
Ci sdraiammo sull'erba soffice e riscaldata dai tiepidi raggi del sole. Mi sedetti tra le sue gambe e lui mi strinse a sé, mentre poggiavo dolcemente la testa sul suo petto.
Passammo qualche ora in quella radura. Lui, prima che ce ne andassimo, insistette per ritrarmi in mezzo a tutti quei colori.
Gliela diedi vinta, perché sapevo che ne avrebbe fatto un capolavoro.
Infatti, quando vedemmo arrivare la fine di quel pomeriggio splendido, mi porse il disegno. «Oh.», dissi solamente, guardandolo e sorridendo.
Ci aveva scritto una dedica, che diceva: "Solo un minimo della tua bellezza. A proposito, visto che siamo in tema di fiori e tutto...ti andrebbe di venire al ballo con me? Sì, so che è il tuo ballo e che dovresti chiederlo tu a me, ma mi sembrava più tradizionale chiedertelo. Accetto qualsiasi tua risposta. Con amore, il tuo principe.".
Estrasse da una tasca un nastro rosa, con delle roselline bianche al centro. Me lo mise al polso e sorrise speranzoso. «La mia risposta è sì.», dissi.
«Speravo proprio in questa tua scelta.», mi sollevò e mi fece girare per aria, poi mi baciò.
«Sarà un ballo splendido.», mormorai.
«Splendido.», ribadì lui.
Proprio come il mio principe.
Mi asciugai una lacrima, pensando effettivamente a quanto mi divertii la sera del ballo.
Ero terribilmente ansiosa, perché dovevo presentare Bruno a mio padre e mia madre.
Sì, era una cosa ufficiale e finalmente saremmo usciti allo scoperto.
Sentii il campanello suonare, mentre mi stavo legando al polso quel memorabile nastro. Quasi ruzzolai dalle scale per andare ad aprire, quel maledetto vestito rosa confetto mi faceva sembrare una paperotta quando camminavo.
Arrivai alla porta ed aprii.
Il fiato mi si mozzò: Bruno, meraviglioso come sempre, era ancor più divino in smoking.
«Sei bellissima.», disse, facendomi roteare.
Risi. «Anche tu.», mi sporsi per baciarlo, ma dei colpi di voce alle nostre spalle ci costrinsero a rimandare i saluti.
«Oh, ehm, mamma, papà...lui è Bruno. Bruno Molina, fratello di Gonzalo.», mormorai, massaggiandomi una tempia.
Bruno porse la mano ai miei genitori e sorrise cordiale, per nulla turbato. «Piacere, è un onore conoscervi. Ehm...io sono il...», mio padre lo fermò.
«Il fidanzato di nostra figlia, lo sappiamo già.», terminò per lui mio padre, forse un po' troppo brusco.
«Papà...», mormorai a mo' di rimprovero.
Lui mi guardò mortificato, sorridendo impacciato. «E' che quando si tratta della mia bambina fatico a pensare che sia già così grande da avere un ragazzo...Mi raccomando,», sospirò, sapevo quanto gli costava, «abbi cura di lei.».
«Lo farò.», promise Bruno, mentre io stampavo un bacio sulla guancia a papà e lo prendevo sottobraccio.
«Buon divertimento!», ci augurarono.
Appena la porta di casa mia si chiuse alle nostre spalle, sporsi il viso per baciarlo, abbracciandolo stretto. Lui non era da meno, anzi.
«Ce l'abbiamo fatta.», sussurrò.
«Sì, mio padre è un pezzo di pane, tranquillo.», lo rassicurai.
Arrivammo a scuola e trovammo la palestra agghindata con mille e mille ghirigori. Spalancai la bocca dalla sorpresa, mentre Bruno rideva della mia reazione.
Lo presi per un braccio e ci fiondammo subito in pista.
Trovammo Gonzalo con la sua fidanzata, Felicitas, e Caterina con il suo Alan. Chiacchierammo e ballammo, alternando le due cose. Naturalmente, prendemmo anche qualcosa da mangiare dal buffet.
Poi, dopo aver fatto uno spuntino, misero un valzer.
«Bruno?», lo chiamai.
Si girò, poi tese le orecchie a sentire ciò che stava riecheggiando in palestra, spostò lo sguardo tra me e la pista strapiena di piccioncini e scosse la testa. «Te lo scordi, amore mio.», disse.
«Dai, su!», lo pregai.
«Niente da fare.», mormorò deciso.
«Bene, mi hai rovinato il ballo...», borbottai, mettendo il broncio.
Alzò gli occhi al cielo. «Cosa si fa per amore!», esclamò, sollevandosi dalla sedia e porgendomi la mano.
La strinsi volentieri, dirigendomi con molta più enfasi di lui in pista.
Portai le mani dietro il suo collo, mentre lui mi arpionò i fianchi, tenendomi stretta a lui, deciso, ma dolce. Posai la testa sul suo petto, prestando attenzione al battito del suo cuore.
Mi parve la cosa più bella che sentii nella mia vita.
La canzone finì, fin troppo presto. «Ti amo.», bisbigliò lui al mio orecchio.
Sorrisi, ridestandomi da quello stato di trance momentaneo. «Ti amo anch'io.», mormorai, con gli occhi lucidi dall'emozione.
Poi, mi baciò.
Quella fu senz'altro la parte migliore del ballo. Aveva reso la serata indimenticabile, nonostante non fossi mai stata una tipa da feste.
Ma Bruno era così, ti riusciva a convincere su ogni cosa.
Un sorriso spontaneo nacque sul mio volto.









Nota dell'autrice.
Proseguono i ricordi! <3
Okay, sarò ripetitiva, ma li faccio sempre tenerissimi questi due! **
Mh, che ve ne pare?
Alla prossima -che non so quand'è.. D: -,
Claudia.

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Capitolo 5
*** Capitolo IV. ***


4 Non vi abituate troppo a questi aggiornamenti lampo!
Lo faccio solo per farmi perdonare il grandissimo ritardo di Ritornare a vivere! u.u

T
he one that got away.


Capitolo IV.

Be', sì, effettivamente ogni mio ricordo con Bruno era speciale ed unico.
Nonostante fosse venuto a mancare tanto, tanto tempo prima, ancora mi ritrovavo a pensare a lui delle volte. A lui e a tutto quel che avevamo passato.
A tutto quel che avevamo condiviso...ai nostri sorrisi, alle litigate, ai regali, alle foto, ai ritratti, a noi.
Istintivamente mi portai una mano sul collo, dove splendeva costantemente il simbolo dell'infinito fatto interamente di brillantini.
Anche quello era un regalo di Bruno. Oh sì, e ricordavo perfettamente di quando.
Ottobre si avvicinava.
La maggiore età si avvicinava.
Ogni traguardo sarebbe stato raggiunto quel maledettissimo e attesissimo 17 ottobre.
Eppure la desideravo con meno ardore di prima...prima di aver conosciuto Bruno, sì. Perché da quando lui era entrato a far parte della mia vita, tutto era cambiato.
Avevo lui, avevo tutto.
Semplice.
Ad ogni modo, lui riteneva che gli dessi fin troppa importanza, stavo trascurando gli amici per lui e non andava bene. Ma...per me andava benissimo!
Dei miei amici potevo anche farne a meno. Caterina, Gonzalo, mi bastavano e poi erano anche loro fidanzati.
Diceva anche che era impossibile desiderare solo lui e che dovevo pur volere qualcos'altro dalla vita, ma io, davvero, ero felice così.
Bruno comunque insistette per organizzarmi una festa con qualche amico -almeno lui, Gonzalo, Caterina e qualcun'altro...- a casa sua, che, dopotutto, era grandissima.
Feci tante storie, ma la ebbe vinta lui.
Passammo la settimana dal 10 al 17 ad agghindare e preparare tutto. Mi fece comprare persino un abito nuovo che avrei indossato forse solo quella sera.
Era bianco, con il corpetto di pelle e la gonna di tulle di un colore che andava leggermente sul grigio.
Ci abbinai un paio di stivali neri che già avevo e almeno l'estetica era sistemata.
Quella mattina, i miei mi avevano dato gli auguri appena sveglia ed ero troppo rimbecillita per poter realizzare che cosa stesse succedendo. Li ringraziai, feci colazione, mi preparai ed andai a scuola.
Lì, i miei compagni di classe scrissero sulla lavagna un enorme "Auguri, Antonella!", riempiendolo di cuoricini e faccine felici.
Era un pensiero molto carino da parte loro.
Persino gli insegnanti furono clementi e non mi interrogarono quel giorno.
All'uscita, tutto iniziò ad avere senso. Come sempre, trovai il mio Bruno ad aspettarmi ed era più contento degli altri giorni. «Tanti auguri a te...», sussurrò.
Sbuffai. «Oggi tutti mi stanno riempiendo di auguri.», mi arpionai alla sua camicia, abbracciandolo forte.
«Logico, scema, è il tuo compleanno.», ribatté.
«Lo so, è che...mi scoccia avere tutte queste attenzioni.», mi alzai sulle punte e lo baciai.
Mettemmo così fine alla conversazione sul mio compleanno.
Bruno pranzò dai miei quel giorno. Loro lo avevano accettato volentieri e lo ritenevano un bravissimo ragazzo. D'altronde, poteva non esserlo? Era...perfetto, diamine.
Dopo il pasto, presi i vestiti e il necessario per quella sera e andammo a casa sua.
Sì, non era nemmeno una novità che restavo a dormire da lui, ma capitava davvero raramente e poi...dormivamo...per quel momento.
Quello era un argomento tabù per Bruno o almeno, non ne avevamo mai parlato. Sinceramente, nemmeno io ci davo tanta importanza, abituata com'ero a fare mille altre cose.
Erano le sette di sera ed io avevo appena finito di prepararmi.
Mi guardai allo specchio e girai su me stessa per controllare se ero okay. Sì, ero okay.
Raccolsi i capelli in uno chiffon, lasciando cadere alcuni ciuffi dai lati.
Sospirai e scesi in salotto, dove trovai Bruno e Gonzalo che parlottavano tra loro del più e del meno. Bruno alzò lo sguardo, mi vide e sorrise, venendomi incontro.
«Sei splendida.», disse.
Mi morsi un labbro, sorridendo anch'io.
«Woah, ha ragione. Sei davvero bellissima, Anto.», mi elogiò, stritolandomi in uno dei suoi abbracci da orso.
Ridacchiai. «Grazie, Gon.», con la coda nell'occhio notai Bruno osservare la scena geloso, stringendo i pugni e cercando di mantenere la calma.
«Amore, ma sei geloso di tuo fratello?», chiesi, staccandomi dall'abbraccio di Gon e avvicinandomi a lui.
Bruno si mise al mio fianco, stringendomi dai fianchi a lui. «Certo.», rispose solamente.
Mi avvicinai al suo orecchio. «Sai che io amo solo te, però.», sussurrai.
Mi sorrise. «Sì, lo so.», assentì.
«Ah, piccioncini.», borbottò Gonzalo, andando ad aprire la porta: era arrivato già qualcuno.
Erano Caterina, Alan e Felicitas. «Oh, Anto!», esclamò Cate, correndo ad abbracciarmi.
«Ciao, tesoro mio.», dissi.
Mi baciò le guance. «Tantissimi auguri, anche se te li ho già dati a scuola.».
«Grazie.», risi.
E così anche gli altri due. Posarono i regali sul tavolinetto dell'ingresso, dove vi era anche quello di Gonzalo. C'erano tutti tranne quello di Bruno. Che se ne fosse dimenticato?
Non seppi cos'aspettarmi, anche se ero certa che non se n'era affatto dimenticato...solamente, aveva fatto qualcosa di diverso rispetto agli altri.
Arrivarono più o meno tutti quelli che attendevamo e la casa di Bruno sembrava quasi un locale per le feste.
Mi divertii tantissimo.
Quando finimmo di mangiare la torta, prima di aprire i regali, Bruno mi prese per mano e mi portò fuori casa. «Vieni, nessuno si accorgerà che manchiamo.», mormorò.
Rabbrividii. Chissà cosa aveva in mente.
«Hai freddo?», domandò preoccupato e iniziando a sbottonarsi la giacca.
Lo fermai con una mano. «No, t-tranquillo, st-to bene.», risposi.
«Chi credi di prendere in giro?», sospirò, poggiandomi la sua giacca sulle spalle.
Mi avvicinai a lui e mi abbracciò. Almeno non avrebbe preso tanto freddo...
«Come mai mi hai portato qui?», chiesi concisa.
«Volevo darti il mio regalo di compleanno.», disse, sorridendomi.
«Ma...non ce n'è bisogno! Tu sei tutto quel che desidero.», ribadii.
Sbuffò. «Non ostinarti a pensare queste stupidaggini, non esisto solo io nella tua vita.», mi riprese, baciandomi la fronte.
Feci una smorfia. «E' vero, ma tu occupi la parte più importante.», lo sentii sospirare; ero un caso perso, effettivamente.
«Comunque...», iniziò, estraendo un sacchetto dorato dalla tasca del pantalone, «questo è per te.», terminò porgendomelo.
Mi morsi un labbro e lo presi, guardandolo e sorridendo. Sfilai delicatamente e lentamente il nastrino -volevo godermi al meglio quel momento- e poi svuotai il contenuto del sacchetto nel palmo della mia mano sinistra.
Vi era una collanina d'argento con un ciondolo al centro, che raffigurava il simbolo dell'infinito finemente riprodotto accostando tanti brillantini uno accanto all'altro.
«Mio Dio, è...», mentalmente cercavo di dare un aggettivo decente per quel suo piccolo, ma dolce e intenso pensiero, «non ho parole.», dichiarai, guardandolo negli occhi.
Mi sorrise, lo prese dalle mie mani e mi fece voltare. Spostò i miei capelli e rabbrividii quando le sue dita fredde percorsero il mio collo per infilarmi la collanina.
«Per sempre.», mormorai.
«Per sempre.», ripeté. «Ti ho regalato questo ciondolo, perché con te sto iniziando a credere nel 'per sempre'. Spero con tutto il cuore che duri all'infinito per noi, amore mio. Sei davvero unica e...», ormai avevo quasi le lacrime agli occhi.
Mi abbracciò ed io non ce la feci più. Scoppiai a piangere. «Ehi, su, non devi piangere.», cercò di rassicurarmi.
«Io non so davvero cosa dirti. Io...se dovessi perderti, non so cosa farei, sul serio. Non riesco ad immaginare la mia vita con un altro che non sei tu.», alzai lo sguardo. «Dico, quanto ti amo, eh?», trovai la forza di sorridere.
Lui non disse nulla, si abbassò alla mia altezza -da nana- e mi baciò.
«Mai quanto ti amo io.», rispose.
«Antonella, Bruno! I regali!», urlò la voce di Caterina dall'ingresso.
«Sarà meglio andare.», dissi.
Cercai la sua mano e insieme tornammo dentro, dagli altri, alla normalità.
Già, perché in ogni attimo che trascorrevo con lui non mi trovavo a Buenos Aires, Argentina. Mi trovavo con lui nel mio posto felice, dove c'era spazio solo per lui, per me e per il nostro amore.
Mi asciugai una lacrima, riponendo il ciondolo al sicuro e al calduccio del maglioncino. Era proprio accanto al mio cuore e riusciva ad udire alla perfezione ogni suo battito.
Ogni battito di un cuore che aveva patito fin troppe sofferenze.









Note dell'autrice.
L'infinito...
peccato che la loro promessa non sia durata. *sigh*
Alla prossima,
Claudia.

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Capitolo 6
*** Capitolo V. ***


5
The one that got away.

Capitolo V.

Mi accasciai sulla poltrona di pelle rossa dello studio, la scatola ancora aperta davanti a me. Mi ero persa, persa in un mare di ricordi. E quello era solo l'inizio.
Mi voltai e posai lo sguardo sul sole alto nel cielo, perdendomi nella sua immensità. Socchiusi gli occhi e un altro flashback m'invase...
I mesi erano passati molto più velocemente da quando conobbi Bruno.
Lui in teoria sarebbe dovuto tornare in Spagna, ma ad inizio gennaio...cambiò Università e iniziò a frequentare quella di Buenos Aires. Per me.
Quanto poteva essere meraviglioso?
Tanto, troppo.
Ad ogni modo, ormai i miei non si preoccupavano nemmeno del fatto che uscivo e tornavo tardi, sapevano dov'ero e con chi. Con Bruno a casa sua, naturalmente.
Quella mattina, a scuola, Pia aveva raccontato a noi ragazze che...era andata oltre con il suo ragazzo Viny. E che si sentiva una donna, finalmente. Diceva che quello era il passo che ti avrebbe collegato al tuo amore una volta e per sempre.
Mentre ascoltavo quel racconto, iniziai a mordicchiare la matita, immaginando possibili eventi futuri...che alla fine sembravano tanto 'impossibili'.
A Bruno non avevo mai parlato circa il fatto di avere rapporti, né lui lo aveva accennato. Forse, credeva che fossi troppo piccola.
Io non avevo fretta, ma quel racconto mi rimase impresso tutto il giorno.
Riuscii a distrarmi per un secondo quando corsi da Bruno che mi aspettava all'uscita della scuola. «Ciao, amore.», mi salutò.
«Mh, ciao...», mormorai soprappensiero.
Bruno mi guardò stranito, ma non ci diede molto caso all'inizio, dato che a volte mi comportavo così.
Per lui ero una specie di libro aperto. Incredibile come ogni mio più piccolo gesto gli fosse familiare.
Quando arrivammo a casa, prima che potesse chiedermi cosa avessi, parlai. «Hai mai pensato di voler far l'amore con me?», domandai.
Se avesse bevuto qualcosa, l'avrebbe sputata appena udita la mia domanda.
«Come ti vengono in mente certe cose?», chiese, arrossendo, con voce arrocchita.
Abbassai lo sguardo. «Pia l'ha fatto e ce l'ha raccontato, così io...», non trovavo le parole per esprimermi.
«Non pensare a ciò che fa Pia.», disse tranquillo.
«Lo sapevo. Pensi che io sia troppo piccola per certe cose, vero? Eppure, la mia mente non è limitata, non sono nata ieri!», esclamai infervorandomi.
Lo vidi sospirare. «Non sto dicendo niente di questo. Non c'entra se sei grande o piccolo. Tu sei pronta? Se lo sei è un conto, se non lo sei, dovresti pensarci due volte su prima di fare domande del genere.», si spiegò con molta pazienza.
Annuii, grave. «Sì, va bene.», mormorai freddamente, incrociando le mani al petto e mettendomi le cuffiette dell'mp3.
«Anto...», tentò di chiamarmi.
Lo fermai con un gesto della mano. «Va tutto bene. Hai ragione tu.», mentii, spostando lo sguardo.
No, che non andava tutto bene!
Mi sentivo...uno schifo, ecco. Insomma, diceva di amarmi, lo amavo anch'io. Ed io ero pronta, altroché se lo ero! Altrimenti non avrei neppure concepito dei pensieri simili.
E lui...mi aveva rifiutata. Come pretendeva che stessi?
Cercai di reprimere le lacrime.
Okay, forse ero davvero una bambina, però era frustrante. Sembrava che il grattacielo che m'ero formata fosse crollato come fosse stato di sabbia. Un solo soffio di vento aveva rovinato tutto.
Lo osservai, non oppose resistenza, ma accese la televisione e iniziò a guardare una partita di calcio alla televisione.
Restai un quarto d'ora buono ad ascoltare delle canzoni di cui non ricordavo nemmeno l'esistenza, poi non ce la feci più, raccattai le mie cose e mi alzai, andando verso la porta.
Bruno si girò e mi vide correre verso l'ingresso.
«Dove vai?», chiese.
«A casa mia. La bambina torna da mamma e papà. Ciao.», risposi.
Sbattei la porta e iniziai a piangere, mentre tornavo a casa.
Un sorrisetto amaro fece capolino sulle mie labbra quando pensai a quell'accaduto. Menomale che poi le cose si erano aggiustate.
I giorni passavano e di Bruno nessuna traccia. Non sarei stata di sicuro io a cercarlo.
Il pomeriggio di qualche giorno dopo, i miei dovettero andar via per il weekend da mia nonna, che s'era ammalata ed io, per la scuola, rimasi a casa da sola.
Il cellulare squillò. «Ehi, Anto!», era Caterina.
M'ero illusa per un attimo che potesse essere Bruno. «Ah...ciao, Cate. Tutto okay? E' successo qualcosa?», chiesi.
«No, no, tranquilla. Mi chiedevo se ti piacerebbe uscire a fare un po' di shopping.», propose.
Mi massaggiai una tempia nervosa e indecisa se andarci o meno. La voglia mi mancava totalmente. «Mi piacerebbe, ma...sono sola a casa, ho litigato con Bruno e ho un sacco da studiare.», aspettai qualche istante, respirando profondamente. «Magari usciamo durante il weekend, okay?», domandai, sperando vivamente che non se la prendesse.
«Certo! E' perfetto. Mi spiace che tu abbia litigato con Bruno. Vedrai che le cose si sistemeranno.», sorrisi di quella sua spontaneità. Ciao, tesoro! Ci vediamo domani a scuola.», e riattaccò.
Mandai all'aria le pagine di storia di ripetizione e mi buttai a peso morto sul letto.
In mente non mi passavano altro che le immagini della pseudo-discussione con Bruno e il dolore per il suo rifiuto...mi distrassi, sentendo qualcosa alla finestra.
All'inizio immaginai che fosse frutto della mia fantasia, ma il rumore fiebile si ripeté. M'alzai, sbuffando, e andai a vedere chi fosse.
«Ma insomma!», esclamai, guardando giù.
Era Bruno.
Il mio cuore perse un battito. «Ciao!», urlò.
Chiusi la finestra e corsi al piano di sotto per aprirgli. «Cosa...diamine...», sillabai, quando me lo ritrovai davanti.
«Sono venuto a chiederti scusa. So come ti senti. Non volevo trattarti come una bambina, io...ti amo e voglio solo che tu sia pronta prima di affrontare un passo che è quasi più grande della gamba. Capisci?», disse d'un fiato.
Spalancai la bocca, sgranando gli occhi. Poi boccheggiai, in cerca di qualche parola adatta...
«Scuse accettate. Vuoi entrare?», chiesi.
Mi sorrise: era il suo modo di dire sì.
Appena entrò in casa, mi strinse a sé, baciandomi la fronte.
«Mi sei mancata tantissimo in questi giorni.», mormorò.
«Anche tu.», rivelai, poi lui posò le sue labbra sulle mie.
Chissà se...
Provai ad approfondire il bacio e, dopo un attimo di tentennamento, Bruno ricambiò a pieno.
«S-sei davvero sicura stavolta?», domandò, annaspando aria.
Annuii. «Sono sempre stata sicura.», risposi.
E di nuovo mi mise a tacere, quella volta per un lasso di tempo leggermente più lungo.
Eh sì, alla fine ce l'avevamo fatta.
Pia aveva ragione, se condividevi l'esperienza della tua prima volta con una persona che amavi era assolutamente...splendido, un qualcosa di unico e inimmaginabile.
E quel qualcuno non poteva che essere Bruno, per me.
Dopo...
Eravamo io, lui e il mio letto ad una piazza e mezzo -non era affatto scomodo, tutt'altro.
Bruno disegnava piccoli cerchi immaginari sul mio braccio, mentre io me ne stavo in silenzio, pensando a...non ricordo cosa.
Forse a quant'era stato bello. Woah.
«Antonella?», mi chiamò.
Alzai lo sguardo ed incontrai i suoi occhi smeraldini. «Come stai?», chiese.
«Bene, benissimo, mai stata meglio. Sono felicissima, tu?», domandai a mia volta, mostrando un sorriso a trentadue denti.
Ricambiò anche lui il mio sorriso. «Ero preoccupato di averti fatto male, ma visto che dici che stai bene, sto fantasticamente anch'io.», mi baciò per una frazione di secondo.
Ogni bacio mi sembrava sempre troppo corto; forse ero insaziabile.
«Hai mai pensato al nostro futuro?», chiesi all'improvviso.
«No, sinceramente. Preferisco vivere il presente. Tu, qualche programmino speciale?», sorrise.
«Mh, sì. Ci vedo sposati, in una villa a due piani e con due bambini. Un maschietto ed una femminuccia.», risposi.
«Come li chiameremo?», domandò, baciandomi l'incavo della spalla.
«Non so. A me per il maschietto piace il nome Juan, ma per la bimba non ne ho idea...».
Lo guardai. «Se avremo una femminuccia la chiameremo Sophia, come mia madre.», mormorò con voce roca.
Aveva gli occhi lucidi. Ricordai che sua madre era morta qualche mese prima e Bruno ne aveva sofferto tantissimo. Per stare con me non era potuto rientrare in Spagna, ma non mi aveva detto nulla, perché non voleva lasciarmi sola.
Mi strinsi a lui, commovendomi. «Sì, Sophia Molina. Suona splendidamente. La nostra Sophia.», sussurrai.
Si tranquillizzò. «Sto bene, non preoccuparti.», cercò di farmi un sorriso.
«L'importante è stare insieme sempre, non trovi, amore mio? Dopotutto è la nostra promessa.».
Lui annuì. «Come dice il tuo ciondolo. Oh, a proposito, ce l'hai ancora addosso.», notò, giocherellando con l'infinito.
«Non lo toglierò mai. Te lo prometto.».
«Nemmeno se dovessimo lasciarci?», domandò.
«Non pensare nemmeno ad un'eventualità del genere!», esclamai.
Ridacchiò. «Non ho alcuna intenzione di lasciarti andare.», sussurrò al mio orecchio.
«Se è per questo nemmeno io.», sorrisi e lo baciai dolcemente.
Tirai su col naso.
Purtroppo non era andata come avevamo voluto tanto...però almeno nel mio piccolo la promessa l'avevo mantenuta.
Quando scoprii di essere incinta di una bambina, insistetti per il nome Sophia, per il mio Bruno. Nicolas non immaginava nemmeno minimamente il perché, ma approvò la mia scelta, perché alla fin fine Sophia era un nome splendido.
Notai che in ogni cosa, seppur lui non ci fosse, in realtà era presente.
Ogni cosa, persino la mia vita, era condizionata da lui a distanza di anni.









Nota dell'autrice.
Che capitolo eh? Alla fine è molto commovente...lo so ç_ç <3
No, sul serio, io Bruno lo faccio resuscitare, non la posso finire male! *si dispera*
Ah, a questo proposito, voglio raccontarvi una cosa. Siccome nell'ultimo capitolo, Antonella...parlerà con Bruno, una mia compagna di banco, che ha letto tutta la storia, ha detto: "Ho un'idea. Fallo resuscitare, così quando Antonella va a piangere sulla sua tomba se lo ritrova dietro, immagini che figata?".
Sono scoppiata a ridere: "Mi spiace, ma questa storia non è comica, ti ricordo che è drammatica.".
Poverina, stava per piangere xD
Va bién...Alla prossima,
Claudia.



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Capitolo 7
*** Capitolo VI. ***


6 Questo è per le 7 recensioni!
Gosh, vi adoro! **
Iniziate a preparare i fazzoletti per i capitoli che verranno...

T
he one that got away.


Capitolo VI.

Quasi mi veniva da piangere.
Era stato tutto perfetto tra di noi; sin dall'inizio. Perché eravamo finiti così?
Tutta colpa della mia stupidaggine, del mio essere una bambina capricciosa.
Sì, mi comportai esattamente così...ma all'inizio non me l'ero presa. Ero perfino contenta, Bruno stava per avere la sua grande opportunità.
Era estate anche per me, precisamente l'ultimo giorno di scuola superiore: avevo appena terminato il mio esame di maturità. Ero felicissima per quel fatto e perché finalmente avrei potuto dedicare tre interi mesi a Bruno.
Quando uscii dal liceo, tutti vennero ad abbracciarmi entusiasti: i miei genitori, Caterina, Gonzalo, Felicitas, Alan e lui.
«Amore mio, sei stata bravissima. Quel 110 te lo sei meritato.», esclamò, baciandomi la fronte e stringendomi a sé.
«Grazie, amore.», sospirai. «Finalmente tre mesi tutti per noi...», dissi, alzando lo sguardo e sorridendo.
Bruno smise per un attimo di sorridere, poi fece una smorfia, ma già da allora intuii che non prometteva nulla di buono.
Andammo in un ristorante per festeggiare ed io e Caterina, essendo migliori amiche, festeggiammo insieme. C'eravamo tutti, ma proprio tutti, anche Manuel, il padre di Bruno e Gonzalo.
Avevo avuto occasione di conoscerlo: era un tipo simpatico, dolce e solare, solo che si vedeva da un miglio che non stava bene psichicamente.
Già, a quel quadretto mancava sua moglie, nonché madre del mio fidanzato.
Sophia.
Mi dispiacque così tanto per Manuel, ma non sfiorammo l'argomento, perché altrimenti l'atmosfera si sarebbe solamente incupita ed era un giorno di festa: via i musi lunghi!
Alla fine della nostra festicciola, passai a casa a prendere un cambio e il pigiama, perché sarei stata da Bruno quella sera.
Osservai il pigiama color rosa pastello, indecisa se portarlo o meno...dopotutto, non è che mi sarebbe servito a molto.
Lo portai giusto per non far insospettire i miei: non sapevano che ormai non ero più una bambina da qualche mese...anche se forse avrebbero potuto immaginarlo.
Sempre meglio prevenire che curare.
Presi la trousse, cercai di infilare tutto nella sacca e scesi nel vialetto, ad aspettare Bruno.
Erano le dieci e un quarto, era in ritardo! E lui era sempre stato puntuale...
Decisi di chiamarlo. «Pronto?», rispose.
«Amore, ma dove sei finito?!», esclamai cercando di non arrabbiarmi per nulla.
«Dove sono fin...Oh! Scusa, m'ero dimenticato che dovevo venirti a prendere, ho dovuto iniz...no, lasciamo perdere. Cinque minuti e sono da te, scusa ancora amore mio.», e riattaccò.
No, Bruno mi nascondeva decisamente qualcosa. Quell'aria triste la mattina, quei sorrisi forzati, il ritardo...
Increspai le labbra in una smorfia di disapprovazione: mi avrebbe sicuramente detto tutto.
La sincerità era alla base di ogni rapporto, il nostro per primo.
Ed io mi fidavo del mio Bruno.
Dopo qualche minuto arrivò. «Ciao!», esclamò, respirando a fatica.
«Ciao.», dissi freddamente.
Cosa...mi stava succedendo? Avevo anche convinto me stessa che non era niente, che sarebbe passato...ed ora gli rispondevo così? Ma era più forte di me, in quel momento non avevo il controllo di me stessa. «Andiamo.», mormorò solamente, dirigendosi verso la sua auto.
Strinsi la sacca e, dopo un silenzioso sospiro, lo seguii a ruota.
In macchina regnò un religioso silenzio, nessuno dei due aprì bocca. Anche a casa, la stessa cosa. «Vado a...mettermi il pigiama.», sussurrai.
Sentii una pressione sul mio braccio. «Aspetta: scusami, Antonella. Mi dispiace...so che il mio comportamento ti darà da pensare, ma...ti giuro che me n'ero solamente dimenticato, la mia testa è altrove e...», mi voltai e vidi sul tavolinetto uno schizzo, i suoi colori e un...contratto?!
«Cos'è quello?», domandai, lasciando perdere ciò che stava dicendo.
Sobbalzò e deglutì. «Io...», non ebbi tempo di fargli dire o far nulla, presi quel foglio tra le mani e lessi.
Era un contratto, effettivamente. Molto importante. «Devi fare un...ritratto e...», mi portai le mani alla bocca. «Era per questo che eri così strano?», chiesi.
Lui annuì. «Volevo parlartene, ma oggi era il nostro giorno, il tuo e...non volevo rovinartelo.», spiegò.
Lo abbracciai. «Sono così felice per te, amore. Sei bravissimo e meriti che il tuo talento sia scoperto. Come potrei non appoggiare questo progetto?», lo guardai negli occhi.
Ed io che m'ero così preoccupata!
«Ti amo, tantissimo...», sussurrò, poi posò le sue labbra sulle mie, mi prese in braccio con una meta ben precisa: camera da letto.
Au revoir, pigiama!
Lo sapevo che sarebbe stato inutile...
Mi morsi un labbro, rievocando quei ricordi.
Già, ero contentissima per lui e per la sua arte, ma si sa che tutto ha i suoi lati negativi. Anche quella sua scelta.
Ero quasi in fase di dormiveglia, poi Bruno parlò. «Sei davvero felice di quel che ti ho detto, amore?».
M'issai sugli avambracci per guardarlo negli occhi; odiavo parlare senza fissare il mio interlocutore. «Sì, sono sicurissima.», risposi decisa.
«Forse lo sei perché non sai tutto.», sospirò.
«Cosa...cosa vuoi dire con tutto?», chiesi, leggermente preoccupata della sua risposta.
«Voglio dire che non possiamo passare l'estate insieme.», mormorò. «O meglio, non tutta l'estate insieme.», aggiunse, specificando.
Lasciai la coperta che fino a poco prima stavo stringendo tra le mani e mi pietrificai.
«Cosa?», balbettai.
Mi alzai dal letto, chiudendomi in bagno e facendomi la doccia. Misi il pigiama e tornai da Bruno. «Antonella, io...», tentò di giustificarsi.
«Ho capito che è il tuo sogno e sono comunque felice per te...ma Bruno, io questa vacanza insieme la sognavo e la bramavo da mesi. Ci sono solo rimasta male ed ho bisogno di dormirci su, okay?», dissi.
«Okay.», biascicò a bassissima voce.
Gli baciai la fronte e cercai di addormentarmi.
Il giorno dopo, mi alzai per prima e scesi per fare colazione. Ancora non mi sembrava vero...
Avevo programmato tutto, sarebbero stati i tre mesi più belli della mia vita ed ora sapere che quel tempo sarebbe diminuito per un incarico importante mi faceva rimanere di sasso.
Sentii due mani cingermi i fianchi e delle labbra baciarmi la guancia destra. «Buongiorno!», cinguettai, facendo finta di nulla e versando il caffé nella tazzina.
Mi scostai dal suo abbraccio e mi sedetti sulla sedia poggiando la mia colazione sul tavolo.
Bruno sospirò, seguendomi e sedendosi anche lui. «Mi terrai il broncio per sempre?», chiese.
Sbattei una mano sul tavolo. «Io...», balbettai, in cerca di parole. «Sono delusa.», ecco, la bomba l'avevo sganciata.
«Non dipende da me, sai che...», lo fermai.
«Fammi finire, voglio che tu sappia perché.», presi un gran respiro. «Il fatto è che, prima pensavo che questa sarebbe stata la nostra estate ed ora mi vieni a dire di questa cosa. Insomma, non mi ci sono abituata, è strano e mi da' fastidio. Mi da' fastidio il fatto che non me l'hai detto prima, ma anche che mi sono vista crollare tutto quel che avevo sognato.», sospirai.
«Va bene, rinuncerò ed avremo la nostra vacanza.», dichiarò.
«NO!», protestai. «Non voglio nemmeno questo, non ti devi sentire in obbligo di rinunciare per me. Avremo occasione per stare insieme, ma devi promettermi almeno che mi penserai ogni tanto.», affondai la testa nell'incavo della sua spalla.
«Non potrei non pensarti. Ecco che la principessina che spara cavolate ritorna.», ridacchiò.
Sorrisi. «Non sono cavolate.», mi lamentai.
«Quando mai dici qualcosa di serio?», chiese.
«Bruno Molina!», lo ripresi, dandogli un pizzicotto sulla guancia. «Non prendermi in giro.».
«Sarà fatto, sua Altezza.», simulò un inchino e scoppiai a ridere.
«Vieni qui!», esclamai, tirandolo verso di me e dandogli un bacio a fior di labbra.
Sì, forse nemmeno quello ci avrebbe diviso.
Il nostro amore sarebbe stato più forte di tutto, tranne della morte...
...mi ritrovai a pensare malinconicamente, distogliendo lo sguardo dal cielo e tornando alla scatola.









Note dell'autrice.
Okaaaaaaay, è corto ed anticipa il motivo del...NO, NIENTE SPOILER.
Sono cattiva, sì, lo so *odiatemi* <3
Alla prossima,
Claudia.

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Capitolo 8
*** Capitolo VII. ***


7
The one that got away.

Capitolo VII.

Sì, credevo a quei tempi, che l'amore -soprattutto pensando a me e Bruno- fosse invincibile e riuscisse a tener testa a qualsiasi cosa. Se non ci riusciva, be', semplice...non era amore.
Ma le cose non erano sempre così facili. Si poteva amare alla follia e ritrovarsi a litigare per futili motivi.
Quello m'era capitato. E...l'avevo perso.
I giorni passavano.
Durante le prime due settimane, Bruno ed io trascorremmo molto tempo insieme e accantonò l'incarico, dicendo che s'era notevolmente portato avanti ed ora la sua unica priorità ero io.
Eravamo andati ad alcune feste, in spiaggia, a falò, nella nostra radura...
Ed eravamo nel nostro posto felice.
Ma chissà come mai ne uscimmo. Uscimmo dal posto felice, varcando il confine con la realtà...e con il dolore, le responsabilità.
E l'equilibrio si spezzò.
Come ogni mattina, m'alzai pronta ad affrontare un'altra giornata in compagnia del mio fidanzato, ma quando accesi il cellulare, trovai un messaggio.
Amore mio, mi dispiace, ma oggi non possiamo stare insieme. Devo lavorare al quadro.
Ti amo, Bruno.
«Oh.», mormorai solamente, lasciando cadere il cellulare sul comodino.
Poco male, tanto sarebbe stato un giorno, vero?
Con quella speranza nel cuore, affrontai quella giornata che mi sembrò terribilmente lungo senza di lui.
La cosa però si ripeté anche il giorno dopo, e l'altro ancora, e l'altro ancora...
Finché dopo ben cinque giorni, si fece vivo, dicendo che potevo andare a casa sua. Magari avremmo dipinto un po' insieme, era da tanto che non lo facevamo.
Ero particolarmente euforica e impaziente: mi mancava, mi mancava da morire. Ero stata in astinenza dall'amore ed ora volevo tornare alla normalità, cioè ritornare con lui. Almeno sarei stata felice, lo ero sempre quand'ero con Bruno.
Quando scesi era sotto casa, perfettamente in orario; ciò mi ricordò quella spiacevole volta in cui immaginai di tutto e di più per via di quel ritardo...e alla fine non era niente.
Sorrisi, scuotendo il capo e corsi ad abbracciarlo.
Alzai il viso e lo baciai, il bacio crebbe subito di intensità e dopo qualche secondo mi staccai in cerca di ossigeno. «Wow. Ciao anche a te.», disse Bruno, sorridendo come un ebete.
Gli diedi un buffetto sulla guancia. «Mi sei mancato, tantissimo!», esclamai, buttandogli le braccia al collo.
Mi baciò lui questa volta. «Andiamo, prima che finiamo col dare spettacolo sotto casa tua. Credo che poi non piacerei più ai tuoi genitori.», borbottò.
Risi, facendo il giro della macchina e aprendo lo sportello. «Andiamo!», decretai, chiudendolo dopo il mio passaggio.
Quando arrivammo a casa, si diresse nel suo studio. «Ti va di dipingere?», chiese.
Lo sapevo!
«Certo!», risposi entusiasta.
Amavo dipingere; Bruno era stato un ottimo insegnante e m'aveva fatto scoprire molti trucchi splendidi per migliorare le mie scarse capacità di pittrice. Inoltre, con lui mi divertivo sempre tantissimo. Mentre dipingevamo, parlottavamo tra noi e le risate, quelle, non mancavano mai.
In mezzo allo studio, notai una tela enorme, lavorata per metà e già quella piccola parte era splendida...era il volto di Marilyn Monroe, forse era quello il quadro che doveva...
«Sì, è questo.», rispose, avvicinandosi alla tela e guardandola quasi con devozione.
«Oh, Dio, è...un qualcosa di magnifico!», esclamai.
Mi sorrise, allestì un'altra tela per me accanto alla sua e iniziò a lavorare, come se ad un tratto fossi sparita.
Mi sentii un po' messa da parte, ma ignorai il magone e presi il pennello in mano, cercando ispirazione che puntualmente non arrivava. Con la coda nell'occhio osservai Bruno che era assorto completamente da quel maledetto ritratto.
Era una cosa...insopportabile!
Perché voleva stare con me se poi nemmeno teneva conto della mia presenza?
Mi sentii invidiosa, gelosa...di un quadro, sì, al quale attribuiva un'importanza stratosferica.
Strinsi il pennello tra le mani e decisi di calmarmi, tracciando con il colore blu una linea che rappresentava il punto in cui mare e cielo si incontravano. Iniziai il disegno, fissando sempre Bruno.
«Certo che sei proprio innamorato di quel ritratto, eh?», domandai acida ad un certo punto.
No, non potevo farlo... Mi stavo comportando come una sciocca.
Bruno lasciò il pennello per un attimo e puntò i suoi occhi nei miei. «Sai che è...».
«Importante. Lo so.», terminai per lui, guardandolo con aria di sfida.
«Vuoi litigare per un quadro?», chiese, alzando gli occhi al cielo.
«Non stiamo litigando.», dissi tranquilla, fissando il pastrocchio che stavo combinando.
Bruno venne e prese il mio braccio per aiutarmi, ma mi mossi e rovinai tutto. 
Lo tirai via. «Cosa vuoi da me e quel che disegno?! Guarda che hai fatto! Pensa al tuo ritratto importante e non a quel che faccio io!», urlai, scaraventando via la tavolozza.
Mi fissò sbalordito, poi divenne furioso. «Ti stai comportando come una bambina e non venirmi a rispondere che lo sei, perché mi arrabbio sul serio! Smettila di scappare dalle tue responsabilità e calmati! Dio, che nervi.», gridò.
Si chinò a raccogliere i colori che avevo buttato, mentre io lo fissavo immobile, senza proferire parola.
«Scappo dalle mie responsabilità? Come pretendi, dopo avermi detto questo, che non mi lamenti del fatto che sono una bambina, eh?!», ribattei.
«Io alla tua età non ero così!», sbuffò.
«TU NON SEI ME!», esclamai nervosa.
«Non sto dicendo questo...Cristo, smettila di rivoltare mille volte la frittata e finiamola con questa storia, okay?», tentò di avvicinarsi.
«Non mi toccare!», sibilai, indietreggiando. «Mi stai facendo sentire in colpa, io...», biascicai.
«Ah, sarei io che ti faccio sentire in colpa? Ma ti senti, Antonella? Che diavolo vai ciarlando?», domandò, stringendo i pugni.
Io e Bruno non avevamo mai, mai litigato così in sei mesi e più che stavamo insieme.
«Pensa al tuo incarico e non alla stupida che dice cose senza senso.», mormorai, abbassando lo sguardo.
«Antonella...», sospirò.
«Forse per te non sono proprio stata importante, se per una stupidaggine come questa litighiamo. Perché noi abbiamo litigato ed ancora ora la tensione è palpabile Bruno. Come pretendi di stare con me? Guarda...io...me ne vado.», dissi.
Mi fermò. «Sì, hai detto una cavolata bella grossa ora!», si infervorò. «Vedi che lo stai facendo di nuovo? Hai paura di affrontarmi e scappi.», mi rimbeccò.
Lasciai cadere le mani sui fianchi. «Paura? Di te? Ti sei chiesto che forse lo sto facendo per non continuare ad urlarci contro e scannarci come belve? Oh, giusto, la tua mente è altrove.», indicai il quadro, ironica.
«Basta, ora! Mi sono davvero rotto le palle di questa storia, eh!», gridò, girandosi e afferrando la tavolozza, continuando come se niente fosse la sua opera d'arte. «Se vuoi, vattene pure, quando cresci fammi uno squillo. Quella è la porta.», disse.
«Bene, sai che c'è?», presi un contenitore dove vi era della tinta rossa. «Me ne vado, ma non prima di aver fatto questo!», la versai sul suo quadro.
Avevo rovinato tutto il suo bel quadretto. La tinta colava, come del sangue che sgorgava quando una ferita veniva squarciata, sull'opera, un tempo bella, che m'era diventata rivale.
Bruno si girò e mi guardò non arrabbiato, di più. «Che cazzo hai fatto?! Ti rendi conto di quanto ci avevo lavorato?», esclamò.
«E tu ti rendi conto di quanto mi stia trascurando per colpa di quello?! Bruno, avevo sognato un'estate indimenticabile con te, era tutto programmato, poi, puff, appare questo quadro e va tutto a puttane! Io...sono stata felice per te, ma malissimo per noi. A me non ci pensi? Pensi solo a quel coso? Bene, sei bravo, rifallo, tanto con me non hai impegni. Me ne vado e cresco, proprio come vuoi tu.», sussurrai, mentre le lacrime rigavano il mio viso.
«Non fare la vittima! Se l'avessi finito, sarei stato prima e di più con te. Ma naturalmente questo non l'hai pensato, vero?», disse inquieto, mentre buttava tutte le sue cose in uno zaino.
Lo vidi andare verso l'ingresso e realizzai quel che stava per succedere.
«Per favore, Bruno, no!», urlai.
«Lasciami!», mi strattonò via e caddi per terra, mentre lo vidi andar via, con la porta che si riaprì per la forza con cui era stata sbattuta.
Sentii la sua auto mettere in moto e partire, poi niente.
Solo i miei singulti che squarciavano la notte.
Che stupida ero stata.
Che inutile quella lite.
E poi, ne avevo anche pagato le conseguenze.









Note dell'autrice.
Capitolo un po' forte, specialmente per la violenta litigata.
Bruno se n'è andato ed ora...
Siamo quasi al tragico epilogo, preparate i fazzoletti, anche se penso che vi serviranno anche alla fine di questo capitolo...
Un bacione,
Claudia.

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Capitolo 9
*** Capitolo VIII. ***


8 Scusate il ritardo! D:
The one that got away.

Capitolo VIII.

Delle lacrime iniziarono a rigarmi il viso, ricordando quel giorno. Il più brutto di tutta la mia vita.
Talmente impressionante che lo ricordavo perfettamente, in ogni suo singolo dettaglio, anche tantissimi anni dopo.
Ero rimasta a casa di Bruno quella notte, aspettandolo in piedi se solo fosse ritornato.
Ma non tornò.
Forse, e dico forse, era stato via per pensare e sarebbe tornato presto.
Alle otto del mattino, decisi di andarmene. Probabilmente mi avrebbe contattata lui...
Vivevo con quella speranza.
Andai a casa di Caterina, avevo assolutamente bisogno di qualcuno che mi potesse star vicino e chi meglio della mia migliore amica poteva farlo?
«Antonella? Che succede?», chiese, aprendo la porta e vedendo che mi stavo per buttare tra le sue braccia.
Ricominciò il pianto. «Ehi, su, entriamo in casa e ne parliamo davanti a un buon cioccolato caldo, ti va?», chiese.
Annuii debolmente, mentre chiudevo la porta dietro di me.
«Allora, cos'è successo?», domandò, apparendo in soggiorno qualche minuto dopo con due tazze fumanti.
Ne presi una, la ringraziai ed iniziai a raccontare. «Ieri io e Bruno abbiamo litigato...ha avuto un'offerta molto vantaggiosa, ma mi stava trascurando, così gliel'ho detto e...», i singulti si riappropriarono di me.
Caterina mi diede delle pacche amichevoli sulla spalla. «Non avevamo mai e dico mai litigato così. E' stato terribile, sembravamo volerci scannare come delle bestie. Ti rendi conto?», mormorai.
«E poi?», chiese triste.
«Poi...ho buttato della vernice sul suo quadro e ho rovinato tutto il suo lavoro. Lo so, sono stata un'emerita cogliona senza cuore, ma la testa mi diceva di far quello...appena ho realizzato cos'era accaduto, lui ha ricominciato ad urlare e...», alzai lo sguardo.
«E se n'è andato, lasciandomi sola. L'ho aspettato tutta la notte, ma non è tornato.», sussurrai.
Caterina mi strinse a sé e mi sfilò delicatamente la tazza dalle dita tremanti. «Shh, shh, andrà tutto bene, te lo prometto. Bruno ti ama, capirà di aver sbagliato ad inveirti contro e tu gli chiederai scusa.», mi alzò il viso con due dita sotto il mento e sorrise.
«Probabilmente non mi vorrà nemmeno vedere ed ha ragione. Sono stata una persona orribile, ho rovinato tutto...e lui...», ricominciai a piangere.
Non ero mai stata fragile come in quel momento.
«Eh, no, Antonella. Ora mi ascolti. Non sei stata mai così triste e una litigata non cambierà il tuo modo di essere. So che è difficile, ma voglio che tu ti riprenda. Non è bello per me vederti così, sei la mia migliore amica e se piangi tu, io non rido di sicuro.», mi prese il viso tra le mani.
«Avanti, sorridi!», esclamò.
Feci una smorfietta che doveva assomigliare ad un sorriso, perché Caterina rise e batté le mani. «Non è difficile. Ora, stiamo un po' insieme. Questa tristezza non la voglio vedere.», mi prese per mano e mi trascinò via.
Infatti fino a quando stetti con lei andò tutto bene.
Non sorrisi di certo ricordando tutti i casini che combinammo in una sola mattinata, la sessione di shopping e tutto il resto.
Le cose presero una brutta piega, quando...
Tornammo a casa.
M'ero dimenticata il cellulare ed era pure spento. Quando lo accesi, trovai due messaggi.
Erano uno di Bruno ed uno di Gonzalo.
Lessi quello di Bruno, risaliva alle dieci circa del mattino.
Amore mio, mi dispiace davvero per quel che è successo ieri. 
Stanotte sono stato fuori ed ho pensato a noi e a tutto quel che c'eravamo promessi la sera della nostra prima volta.
Io quel futuro non l'ho dimenticato e non deve essere distrutto per via di una litigata futile come quella di ieri.
Il quadro lo rifarò, ma non posso riportarti indietro con la stessa facilità. Ti prego, dimmi che non sei arrabbiata, sistemiamo tutto.
Sto tornando a casa.
Ti amo, Bruno.
Sorrisi ebbra di gioia. Non potevo crederci...era tutto sistemato!
Avevo avuto tanta, tanta paura di perderlo e invece no! Saremmo tornati insieme e più forti di prima.
Però, poi, mi chiesi cosa voleva Gonzalo.
Quel messaggio me l'aveva inviato un quarto d'ora prima.
Antonella, Bruno ha avuto un incidente mentre stava tornando a casa.
Ti supplico, vieni presto in clinica, è questione di vita o di morte.
Gon.
La felicità diede spazio ad un dolore incommensurabile. Improvvisamente fu come se mi avessero squarciato il petto e strappato via il cuore con violenza.
No, no, non poteva essere!
Lasciai cadere il cellulare per terra e mi portai le mani alla bocca, mentre le lacrime uscivano di loro spontanea volontà dai miei occhi già rossi per la notte insonne.
Caterina mi raggiunse perché aveva sentito lo schianto del telefono. Quando mi vide in lacrime, capì che c'era qualcosa che non andava.
Ebbi la forza di sussurrare appena tre parole: Bruno, incidente, clinica.
Lei mi prese quasi con la forza e ci dirigemmo al capezzale del mio unico amore.
Intanto, mentalmente, una sola preghiera aleggiava, speranzosa.
Ti prego, non portarlo via da me. Abbiamo ancora un futuro da vivere insieme. Ti prego, ti prego...
Sperai solo che non fosse troppo tardi.
Quando arrivammo in clinica, mi fiondai in ascensore senza nemmeno aver fatto finire l'infermiera di parlare riguardo alla stanza o al piano dov'era Bruno. Non m'importava, l'avrei trovato. Non poteva andarsene, non poteva lasciarmi sola.
Era stato tutto un terribile sbaglio, la sera prima, io...non volevo, non volevo litigare e soprattutto ora non volevo che morisse.
Corsi, con Caterina che faticava a tenere il mio passo, e trovai Gonzalo in sala d'aspetto con Felicitas. «Gon!», esclamai, abbracciandolo di slancio.
«Anto...», sussurrò.
Aveva gli occhi gonfi per via del pianto.
«Dov'è?», chiesi.
«Di là, non so se ti fanno entrare.», rispose.
«Al diavolo, io entro lo stesso, non lo lascio andar via, no!», gridai quasi, dirigendomi verso la sua stanza.
In quel preciso istante una dottoressa uscì. «Signorina, non può entrare.», disse categorica.
«La prego.», iniziai. «La prego. Quel ragazzo lì dentro è tutta la mia vita. Ieri abbiamo litigato, non posso dirgli addio senza avergli chiesto scusa o aver detto che lo amo. E' mai stata innamorata? L'amore porta anche a questo. Mi faccia entrare, solo qualche minuto.», ero sull'orlo delle lacrime.
Sorrise timidamente, lasciandomi passare.
Bruno era sveglio.
Si voltò per controllare chi fosse entrato e, appena mi vide, cercò di sorridere.
Ma era pieno di tubi e legato a delle flebo. «Amore mio!», esclamai.
«Antonella, mi dispiace.», sussurrò.
«No, amore, no. E' a me che dispiace.», gli strinsi una mano e me la portai sulla guancia. «Ora tu devi fare il bravo ed essere forte, abbiamo ancora un futuro insieme, amore mio. Ricordi? L'abbiamo programmato di già. I nostri Juan e Sophia, la villa a due piani...», sorrisi a malapena, come egli, che, per quanto gli costasse, increspò le labbra in una smorfietta di gioia.
«Sono stata davvero una stronza a buttare all'aria il tuo lavoro, ero stata accecata dalla gelosia, io...sì, ero gelosa di un quadro!», risi, scoppiando a piangere.
Uno strano paradosso, lo sapevo.
Bruno passò la mano non legata alla flebo sul mio viso e asciugò le lacrime. «Fammi parlare ogni tanto. Antonella, mi spiace davvero per come è andata ieri...ricorda che io ti amo ora e per sempre e...», tossì. «se non dovessi farcela, devi andare avanti senza di me...», parlava a fatica, bloccandosi ogni tanto.
«Come posso, amore mio? Non pensare a cose del genere, ti prego...», mormorai.
«Invece le penso. Amore, io voglio che tu sia felice. Se non con me, con qualcun altro.», annaspò aria. «Promettimelo.».
Con le lacrime agli occhi, annuii. «Te lo prometto.».
Sorrise.
«Mi dai un bacio?», chiese.
«Amore, pensi a questo proprio ora?».
«Potrebbe essere l'ultima volta. Almeno morirei felice.», rispose.
«Non morirai!», esclamai convinta.
S'issò con la poca forza che aveva abbastanza per posare le sue labbra sulle mie. Fu un bacio dolce, intenso, carico di tristezza...
«Avrei voluto avere una macchina del tempo, almeno non saresti ridotto così. Sono così stupida.», mi rimproverai.
«Non sei stupida. Smettila di prenderti la colpa, sono stato io distratto e poi...non ce l'ho con te, amore mio. Grazie per questi sei mesi insieme, è stato il periodo più felice della mia vita.», sussurrò.
«Tu sei la mia felicità.», ribattei.
«Dobbiamo operarlo, per favore, esca signorina.», mi avvertì una voce maschile.
«Fa' il bravo. Mi raccomando, torna vincitore.», dissi, baciando la fronte di Bruno.
I suoi occhi verdi erano più spenti del solito, lui era fiacco e debole. Stirò le labbra in un tenero sorriso. «Farò di tutto. Ti amo.», mormorò.
«Ti amo anch'io, amore.», e, con la testa bassa, uscii da quella stanza, non sapendo che era l'ultima volta in cui ci avrei parlato.
Aspettai con Gonzalo, Felicitas e Caterina, facendo avanti e indietro per il breve tratto di corridoio davanti alla stanza.
Furono ore di pura ansia, non sapevo se il mio unico amore fosse sopravvissuto o meno...
Se non fosse sopravvissuto, gli avevo promesso di rifarmi una vita, cercare di sembrare felice con qualcuno che non fosse lui...ma in quel momento sembrava una cosa così remota ed improbabile che cercai di non pensarci.
Ad un certo punto mi misi in disparte e pregai.
«Se ci sei lassù, ti prego con tutto il mio cuore di farlo vivere. Non ho bisogno di niente come ho bisogno di lui. Abbiamo tante cose da condividere, un futuro da passare insieme...so che non sono molto dedica alla preghiera, però...», non ce la feci.
Iniziai a singhiozzare e terminai in quel modo la mia assurda supplica.
Respirai convulsamente e cercai di calmarmi, poi tornai dagli altri.
Li vidi piangere. Gonzalo stringeva a sé Felicitas che era in lacrime come non l'avevo mai vista. Caterina aveva gli occhi lucidi. Temei il peggio.
«C-cosa succede?», domandai inquieta.
«Bruno...Bruno è morto.», mormorò Caterina in risposta.
Il mondo mi crollò addosso.
Era morto. Mi aveva lasciata.
Fu allora che urlai ed il mio pianto fu ancor più forte di prima.
Gonzalo mi abbracciò, ma ciò non servì affatto a tranquillizzarmi. Ero fuori di me; mai piansi lacrime tanto amare e dolorose in tutta la mia vita.
Stavo piangendo anche in quel momento, era inevitabile.
Ogni volta che ci pensavo, il dolore tornava sempre e sembrava quasi pugnalarmi senza sosta o pietà.
E in quell'attimo mi ricordai di quanto fossi stata passiva dopo la notizia...
«La prego, mi dica che non è vero. Lui ha superato l'operazione ed è vivo, non è vero?», chiesi disperata al chirurgo che aveva operato Bruno.
Non rispose.
Sospirò, si scostò delicatamente e lo sentii biascicare un "povera ragazza".
Noncurante di quel che sarebbe potuto succedere, entrai nella stanza di Bruno e lo trovai sdraiato su quel maledetto letto, bianco e pallido come un lenzuolo e, soprattutto, privo di vita.
«Bruno, avevi detto che saresti stato forte. Me l'avevi promesso...», sussurrai prendendo la sua mano fredda tra le mie.
Le mie lacrime salate la bagnarono, poi non so chi mi trascinò via.
Cosa vivevo a fare? Per chi vivevo, ormai?
Caddi in un sonno profondo, dal quale mi svegliai tantissime ore dopo, con il mal di testa che mi tormentava ed il cuore che non era più nel petto.
Era morto anche lui, con Bruno.
Era stato terribilmente difficile, ma dopo tanto tempo riemersi dal baratro in cui ero caduta.
Anche se non del tutto.









Note dell'autrice.
Okay, potete anche linciarmi adesso, maledirmi e insultarmi in tutti i modi possibili. E' morto...ma, ringraziatemi, perché volevo farlo morire come nel video di Katy Perry, cioè con uno schianto netto, senza che potesse chiarirsi con Antonella.
Invece si sono anche baciati ç_ç
Va bene, uccidetemi lo stesso...vi capisco.
Un bacione,
Claudia.

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Capitolo 10
*** Capitolo IX. ***


9
The one that got away.

Capitolo IX.

Effettivamente la via per la guarigione era stata particolarmente lunga.
Ricordai com'ero ridotta qualche giorno dopo.
Bruno non c'era più.
Quel pensiero non faceva altro che vorticare nella mia testa e ricordarmi che ero sola, lui era morto.
Ora, io come sarei andata avanti? La forza per continuare chi me l'avrebbe data?
Certo, avevo promesso che sarei stata forte e non avrei vissuto col suo ricordo, ma...vedermi insieme ad un altro -anche solo immaginarlo- era orribile.
Ero passiva, totalmente.
Mi alzavo la mattina, tardi.
Facevo colazione, tornavo a letto e piangevo.
Mi alzavo qualche ora dopo, mi sciacquavo un po' la faccia, pranzavo con la mia famiglia, mi chiudevo in camera e piangevo...piangevo fino allo sfinimento, poi crollavo dal sonno.
Saltavo quasi ogni giorno la cena. Ero dimagrita di circa otto chili. Sì, stavo diventando anoressica, ma se fossi morta tanto meglio. Non sarebbe cambiato nulla, nulla.
Quella doveva essere la nostra estate.
E invece...era l'estate più brutta della mia vita.
Mi rifiutai di andare al funerale di Bruno. Vederlo così, privo di vita e immobile mi avrebbe solo procurato altro dolore.
Gonzalo e Felicitas partirono e tornarono in Spagna, per dare un po' di conforto a Manuel. Non sapeva che era morto suo figlio, inoltre era ancora in lutto per la moglie. Sarebbe stato un colpo molto duro e avrebbe avuto bisogno di qualcuno.
Caterina era l'unica che ogni tanto riusciva a tirarmi un po' su di morale.
Finché, un giorno, circa un anno dopo, il giorno dell'anniversario della sua morte, mi rimproverai per quel comportamento stupido che avevo assunto.
Avevo promesso a Bruno di non vivere all'ombra del suo spettro. Dovevo vivere la vita che m'era stata donata e che a lui era stata tolta.
Dovevo andare avanti, trascorrere ogni giorno con spensieratezza. Avevo solo diciannove anni ed ero ridotta come una povera vedova.
No, lui non sarebbe stato felice così. Mi voleva vedere sorridere, non produrre quotidianamente del male a me stessa.
Iniziai a mangiare di più, uscii con Caterina e cercai di distrarmi.
Ma ogni volta che lei provava a presentarmi un ragazzo, mi sentivo quasi in trappola e fuggivo.
Smettila di scappare...
La frase di Bruno mi tornò in mente, mentalmente sapevo di dover impegnarmi con tutta me stessa per trovare quel qualcuno che mi avrebbe reso felice, però il mio cuore si opponeva.
Il mio piccolo, fragile cuore era già stato martoriato abbastanza. L'amore l'aveva ridotto così ed ora non voleva dimenticare la ragione di quel dolore: Bruno.
Ogni ragazzo...aveva il suo volto, o per lo meno le sue caratteristiche.
Un pomeriggio di settembre, andai ad una mostra d'arte. Quella passione era rimasta indelebile dentro di me e in un certo qual modo mi ricordava Bruno.
Per quanto facessi non potevo non vivere all'ombra del suo ricordo. Mi manteneva in vita.
Mentre passeggiavo diretta verso la galleria d'arte moderna, sbattei contro un ragazzo.
«Oh Dio, mi scusi, io...», alzai lo sguardo ed incrociai due splendide pozze verdi.
Boccheggiai in cerca di una qualsiasi scusa, mentre lo sconosciuto di fronte a me sorrideva, meno teso di me di fronte a quella situazione.
«Non preoccuparti, non è niente.», mi porse la mano e la strinsi.
«Piacere, Nicolas Ivanichivic.», si presentò.
«Antonella, Antonella Lamas Bernardi.», mormorai a mia volta.
E, per la prima volta dopo la morte di Bruno, sorrisi.
Sorrisi sincera.
Eh sì, quella fu la prima volta in cui incontrai il mio attuale marito, nonché padre di Sophia, Nicolas.
La mostra continuammo a visitarla insieme. Iniziammo ad uscire per un po' come amici e gli raccontai tutto di Bruno e di come ero rimasta provata.
Forse, fu l'unica volta dopo Bruno che m'innamorai nuovamente.
Svelò i suoi sentimenti per me, portandomi a cena nel mio ristorante preferito; anch'io dissi che ero innamorata di lui e ci fidanzammo.
Poi...qualche anno dopo, mi chiese la mano e lo sposai.
E, circa cinque mesi dopo le nozze, scoprii di aspettare Sophia.
Sì, Bruno non c'era più, ma anche Nicolas mi faceva stare bene. Certo, non si poteva avere tutto dalla vita; ero stata fin troppo fortunata.
Con Gonzalo e Felicitas tornammo a sentirci qualche anno dopo la morte di Bruno. Proprio la settimana precedente, scoprii che il mio migliore amico stava per diventare papà.
Di un bellissimo maschietto.
E lo avrebbero chiamato Bruno.
Gonzalo era sempre stato incredibilmente legato al fratello, anche se non l'aveva mai confessato. Quando Bruno morì, lui fu quello che, oltre a me, ne soffrì di più e cercò di non darlo a vedere.
Era difficile tornare a vivere sapendo che tuo fratello, la persona con cui eri cresciuto e maturato, non c'era più.
«Antonella, mi spiace davvero per come è andata ieri...ricorda che io ti amo ora e per sempre e...se non dovessi farcela, devi andare avanti senza di me...».
«Come posso, amore mio? Non pensare a cose del genere, ti prego...»
«Invece le penso. Amore, io voglio che tu sia felice. Se non con me, con qualcun altro. Promettimelo.».
«Te lo prometto.».
Nonostante tutto, ce l'avevo fatta.
Mi sentii in dovere di fare un'ultima cosa, però.
Diedi un'ennesima occhiata alle cose nella scatola.
"Sicura di quel che vuoi fare, Antonella?", mi dissi. "Sei pronta a dirgli addio una volta per sempre?".
Chiusi gli occhi, asciugandomi le lacrime repentine che erano sfuggite al mio autocontrollo.
Sì, l'avrei fatto.
Dopotutto, era quello che lui voleva.
Glielo dovevo.
Presi il coperchio della scatola e la richiusi, conservando solamente quattro cose.
Il ritratto, il nastro, una nostra foto e il ciondolo dell'infinito, che non avevo mai tolto.
Afferrai un pennarello indelebile nero e ripassai la scritta Bruno, poi accanto ci scrissi delle cose.
Fin troppo breve è stato il nostro percorso.
E indelebile come questo pennarello resterai, nel mio cuore.
Va bene, vado avanti, ma, se permetti, non voglio dimenticarmi di te.
Grazie di tutto, Bruno.
Grazie delle risate, delle emozioni, dei pianti e anche delle litigate.
Come ti amavo ieri, ti amo oggi e ti amerò domani.
Tua per sempre,
Antonella.
Tirai su col naso e misi la scatola sotto la scrivania.
Andai dritta dritta in bagno e mi sciacquai il viso, poi mi rifeci il trucco.
Sospirai ed andai in soggiorno, dove Sophia stava guardando un cartone, Peter Pan, il suo preferito.
«Mammina!», esclamò, vedendomi.
Sorrisi e mi sedetti accanto a lei. «E' così triste, sai? Eppure mi sembrava che le favole fossero tutte felici. Perché Peter e Wendy devono separarsi, alla fine?», chiese, puntando i suoi smeraldi nei miei occhi.
«Amore mio, non tutte le favole sono con un lieto fine. Di solito il finale è felice perché almeno il mondo della fantasia deve essere felice. Ma, la realtà è totalmente diversa.», risposi, baciandole i capelli color del grano.
«Mammina...», mi chiamò. «Ma hai pianto? Cosa c'era in quella scatola? Chi è Bruno? Non era papà il tuo principe?», domandò.
Risi, a quanto pare il trucco non era bastato a mascherare il mio dolore. «Una cosa alla volta. Sì, papà è il mio secondo principe. Bruno è stato il primo e in quella scatola c'erano i nostri ricordi.», mormorai.
«Non hai avuto il tuo finale felice, mamma?», aveva gli occhi lucidi.
Scossi la testa. «No. Sono come Wendy. Ho detto addio al mio principe perché sono stata costretta. Ci siamo separati per qualcosa più forte di noi. Tranquilla, amo tuo padre più di me stessa, ma ripensare a Bruno ogni tanto mi fa venire un po' di tristezza.», spiegai con dolcezza.
«Mammina, mi racconti di Bruno?», domandò.
«Forse la mia favola renderà meglio con le immagini, non credi?», estrassi dalla tasca la foto.
«Oh, che bello che è!», disse, indicando Bruno.
«Già.», ridacchiai.
E via di nuovo, con il racconto alla mia Sophia, ma voi lo sapete già, non c'è bisogno che mi ripeta.









Nota dell'autrice.
Secondo voi, quale sarà l'ultima cosa che Antonella farà?
Lo scopriremo insieme nell'epilogo.
Un bacione,
Claudia.

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Capitolo 11
*** Epilogo. ***


10
The one that got away.

Epilogo.

"Sicura di quel che vuoi fare, Antonella?", mi dissi. "Sei pronta a dirgli addio una volta per sempre?".

Chiusi gli occhi, asciugandomi le lacrime repentine che erano sfuggite al mio autocontrollo.

Sì, l'avrei fatto.

Dopotutto, era quello che lui voleva.
Era domenica. Dovevamo andare a pranzare dai miei genitori.
Mi stavo preparando, quando Nicolas mi chiamò. «Amore mio!», disse, spuntando da dietro la porta e posando un bacio sulla mia guancia. «Che fai, vieni con noi o ci raggiungi dopo?», chiese.
«Mh, a dir la verità devo fare una cosa. Poi vi raggiungo.», risposi, posando le mie labbra sulle sue.
«Non fare tardi.», si raccomandò, poi prese per mano Sofi e andarono via.
Presi un gran respiro e buttai l'aria fuori. «Ce la farai, Antonella.», mormorai.
Mi diressi in camera ed indossai le mie Louboutin a tacco alto, poi aprii la porta dello studio e presi la scatola da sotto la scrivania.
«Ci siamo.», dichiarai.
Uscii di casa e mi diressi al cimitero.
***
Con grande fatica, trovai la sepoltura di Bruno. Era all'aperto, con una lapide per terra in marmo bianco, una sua foto sorridente e la sua data di nascita e di morte...
C'erano dei fiori finti, ma aggiunsi anche delle rose rosse.
«Ciao, Bruno.», esordii, sorridendo e anche un po' commossa.
Mi sedetti sull'erba resa piuttosto calda dal sole cocente. «Come stai, amore mio? Mi dispiace tanto non essere venuta prima, ma venire a trovarti mi procurava tanto, tanto dolore.», iniziai. «Sai, quante cose sono cambiate...come ti avevo promesso mi sono rifatta una vita. Sono sposata con un uomo fantastico quasi quanto te, si chiama Nicolas ed ho una bellissima bambina di nome Sophia. Sì, l'ho scelto io, si chiama come la tua mamma, amore...», sussurrai, mentre delle lacrime scendevano silenziose sulle mie guance.
«Lo sai che diventerai zio? E' un maschietto. Gon è così felice, lo chiameranno Bruno, come te. Ti vuole tanto bene quel tuo fratellone. E' dolcissimo e sono sicura che sarà un ottimo padre. Anche tu lo saresti stato. Saremmo stati nel nostro posto felice, con i nostri bambini e nella nostra bella villetta a due piani. Tu saresti sicuramente stato un artista famosissimo.», mi asciugai le lacrime.
Accarezzai la foto sulla sua lapide. «Mi manchi tanto, Bruno. Vorrei tornare indietro per non litigare, per non commettere quel fottuto errore. Ma l'ho fatto e vedi come siamo ora?», sospirai, scuotendo il capo. «Giuro che ti amo con tutta me stessa e avrei dato la mia vita per te. Tu saresti riuscito a ricominciare daccapo, io forse mi sono solo illusa. Non posso dimenticarti, capisci?», sapevo che era uno spreco di fiato, ma avevo bisogno di parlargli, anche solo così -come una povera pazza-.
Presi la scatola e iniziai a scavare accanto alla sua lapide una piccola fossa. La deposi lì, vicino a lui. «Qui ci sono i nostri ricordi, amore mio. Non tutti, perché quelli più speciali li ho conservati. Tipo la collanina con l'infinito. Io, te, noi siamo infiniti. Non potrei mai scordarti. Le tue parole, le tue labbra sulle mie, le nostre risate, i nostri pianti, le nostre pazzie...mai. Nemmeno se mi facessero un lavaggio del cervello.», ridacchiai, tirando su col naso.
Rimisi la terra al suo posto e riempii il vaso d'acqua per le rose. «Ti prometto che torno presto, non farò l'errore di abbandonarti qui. Magari porterò anche Sophia. Lei sa tutto di noi, ha detto anche che sei bellissimo.», mi rifiutavo categoricamente di parlare al passato.
Mi alzai e mi pulii le mani con delle salviettine umidificate e profumate.
«Ora devo andare, Nico mi starà aspettando. Torno presto, amore mio. Non sarà mai un addio, non ce la farei. Ciao, Bruno, alla prossima.», mormorai, chiudendo gli occhi e respirando profondamente.
E mi allontanai da lui.









Nota dell'autrice.
Lo so, la fine è quasi penosa. Ahahaah :|
Comunque, bando alle ciance. E' finita, questa volta davvero. Non è stata felice e sono consapevole di avervi fatto piangere nonostante non lo vogliate ammettere! (?)
Un grazie speciale a chi ha recensito, letto, messo la storia tra preferite, ricordate o seguite!
Vi voglio bene,
Claudia.

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