La radio sfrigolava monotona
sulle ultime note della canzone, intrecciando le sue scariche con la voce roca
di Bruce Springsteen che urlava al mondo di essere nato negli Stati Uniti,
beato lui. Il tenente Vartan della polizia di New Orleans fece un sospiro
irritato e girò impaziente la manopola della radio alla ricerca di una stazione
decente. Colpa forse del caldo diaccio e torrido, della tarda ora notturna,
della strada umida, invasa dai rifiuti e quasi risucchiata dagli alti muri dei
palazzoni ai suoi lati, ma non si riusciva a beccare una stazione decente
nemmeno a pagarla oro. Quando la radio si sintonizzò magicamente sulla voce
chiara e cristallina di Celine Dion, Vartan si accomodò meglio sul sedile.
Cominciò anche a canticchiare, un po’ perché la canzone gli piaceva, un po’ per
cercare di non pensare al caldo porco che invadeva l’abitacolo della vecchia e
scassata Pinto color ruggine e che gli si infilava subdolo a contatto di pelle.
Il suo autista, un poliziotto giovane dallo sguardo assonnato, frenò
bruscamente dopo una curva quando vide che la strada era bloccata da un paio di
agenti di polizia. Due macchine impedivano la visuale di un vicolo che
pullulava di agenti che sudavano copiosamente infagottati in spesse cerate blu.
Un’ambulanza con gli sportelloni aperti sostava di fianco al blocco in attesa
del suo triste carico. Vartan scese con gratitudine dall’abitacolo soffocante
della Pinto, si diresse con passo spedito verso il gruppo di persone e salutò
con una mano un agente il quale, dopo aver risposto al saluto, spostò la
transenna per farlo passare. Mentre Vartan tirava fuori una sigaretta dal
pacchetto stazzonato (“devo decidermi a comprare i pacchetti rigidi, quelli
morbidi vanno sempre a finire sbriciolati”), un agente gli si avvicinò, scartabellando
su un taccuino consunto con un’espressione alquanto perplessa sul viso.
“Che abbiamo qui?” domandò Vartan
senza tanti preamboli, buttando fuori il fumo della sigaretta insieme alla
voce.
“Un gran casino” rispose
avvilito l’agente, allargando scoraggiato le braccia “Omicidio, stupro,
associazione mafiosa, favoreggiamento della prostituzione, detenzione illegale
di armi da fuoco e chi più ne ha più ne metta. Nessuno parla, ovviamente…e per
terra ci sono almeno dieci litri di sangue di chissà chi.”
Vartan sbirciò da sopra la
spalla dell’agente: effettivamente, l’asfalto umido era intriso di sangue che,
alla potente luce dei fari lampeggianti, risultava quasi violetto. Tre cadaveri
erano stati pietosamente coperti da teli di plastica bianchi, quasi più inquietanti
dei cadaveri stessi.
“Dinamica?” domandò Vartan,
impaziente, mentre i suoi occhi scrutavano con attenzione il terreno
transennato.
“Scontro tra bande,
ovviamente” rispose l’agente, consultando il suo taccuino “Accoltellamento tra
pappa creoli e pappa messicani. Abbiamo tre cadaveri, quattro feriti gravi, sette
persone in stato di arresto e cinque che proprio non la vogliono piantare di
menarsi e sputarsi addosso. Roba da matti…”
L’agente scosse il capo,
avvilito da tanta triviale dimostrazione di bestialità.
“Chi sono le vittime?”
domandò Vartan con accademico disinteresse e l’agente consultò di nuovo il
taccuino.
“Una certa Jeanne Fontelieu
18 anni, creola. Violentata, picchiata a sangue e uccisa con una coltellata
allo sterno. Poi, una certa Estrela, travestito brasiliano; non ha documenti.
Morto (o morta?) per almeno cinque colpi d’arma da fuoco nel petto. Ultima
vittima, una vecchia conoscenza della buoncostume: il signor Xavier LeDuc, 34
anni, ereditato una decina d’anni fa dai quartieri a luci rosse di St.Louis.
Famosissimo pappa di Storyville, controllava la prostituzione della metà del
Vieux Carré. Ucciso da un numero indefinito di colpi d’arma da fuoco.”
Vartan, finito di
radiografare la scena del crimine, alzò improvvisamente il capo, come se
annusasse l’aria.
“Cos’è questa puzza?” domandò
seccamente girandosi di scatto verso l’agente che sembrò incassarsi nelle
spalle.
“Ecco…” balbettò confuso
“Volevo giusto parlargliene…intorno alle transenne…non potevamo mandarle via,
c’è in mezzo anche la madre di una delle vittime…e una certa Mama Dubois ha
assicurato che lei avrebbe capito…”
Gli occhi di Vartan
lampeggiarono a sufficienza per ammutolire l’agente che chiuse di scatto la
bocca.
“Merda.” sibilò il tenente
avviandosi a lunghi passi rabbiosi verso l’angolo opposto della scena del
crimine.
Subito fuori dalle transenne,
sedute a terra a semicerchio intorno ad un fuoco improvvisato, un gruppo di
donne dagli abiti colorati intonava nenie sommesse, muovendo con indolenza la
testa seguendo un silenzioso ritmo interiore. Una delle donne piangeva e si
lamentava, sostenuta da altre due compagne: Vartan la individuò subito come la
madre di una delle vittime. Al centro del cerchio, quasi a contatto col fuoco,
una donna avvolta in un lungo abito di tela e con la testa coperta da un
turbante bianco mormorava a bocca semichiusa quella che sembrava una preghiera.
Tra le mani aveva un vaso di terracotta dall’aria semplice e antica: ogni
tanto, la donna buttava nel fuoco un pugno di semi raccolti dal vaso e questi
assumeva una colorazione rossastra prima di riprendere a scoppiettare con
un’allegria davvero fuori luogo. La donna, come sentendosi osservata, aprì di
scatto gli occhi, rivelando due pupille dall’inquietante luminosità gialla dei
felini; li posò immediatamente su Vartan e sorrise, come aspettandosi di
trovarlo lì. Vartan incrociò lo sguardo per un attimo i suoi grandi occhi
saputi prima di girarsi con rabbia verso l’agente che l’aveva seguito con aria
colpevole.
“Perché diavolo non le avete
fatte sgombrare da qui?” abbaiò furioso e l’agente si agitò sul posto come uno
scolaretto colto in fallo.
“Non…stanno violando nessuna
legge…” balbettò senza guardare Vartan negli occhi “L’ha chiesto espressamente
la madre… sono fuori dal perimetro…”
“Hai una qualche vaga idea di
cosa stiano facendo?” ruggì ancora più arrabbiato Vartan.
“M-mi sembra che stiano
p-pregando…” rispose l’agente, allarmato e confuso.
Vartan fece un verso
disgustato e gli girò le spalle.
“Si vede proprio che non sei
di New Orleans, pivello” sputò fuori con disprezzo “Adesso, fammi il santo
favore di andare alla radio più vicina, chiamare la centrale e dì loro di
mandare al più presto qualcuno della SREC.”
“SREC?” domandò l’agente,
ormai completamente alla deriva.
Vartan si girò un’ultima
volta verso di lui, scoccandogli un lungo sguardo impaziente.
“Sì, SREC” berciò alla fine,
riottoso “Che il cielo ti fulmini! Per colpa tua abbiamo proprio bisogno di
loro.”
NOTE DELL’AUTRICE:
Innanzi tutto, grazie di
essere passato di qui, volente o nolente, per sbaglio o per pietà, per caso o
volutamente….comunque sia, grazie!
Se questa storia in qualsiasi
maniera ti avesse incuriosito, ti avviso che sarebbe il seguito naturale di una
one shot intitolata S.R.E.C. che ti consiglio di leggere, per avere una
migliore visione dei personaggi.
Se volessi lasciare un
commento te ne sarei davvero grata: so che sei passato di qui, ma sarei anche
felice di sapere cosa pensi del mio “lavoro”.
Grazie mille in anticipo!!
Elfie
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