Russian Roulette

di Lhea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 20: *** Capitolo XX ***
Capitolo 21: *** Capitolo XXI ***
Capitolo 22: *** Capitolo XXII ***
Capitolo 23: *** Capitolo XXIII ***
Capitolo 24: *** Capitolo XXIV ***
Capitolo 25: *** Capitolo XXV ***
Capitolo 26: *** Capitolo XXVI ***
Capitolo 27: *** Capitolo XXVII ***
Capitolo 28: *** Capitolo XXVIII ***
Capitolo 29: *** Capitolo XXIX ***
Capitolo 30: *** Capitolo XXX ***
Capitolo 31: *** Capitolo XXXI ***
Capitolo 32: *** Capitolo XXXII ***
Capitolo 33: *** Capitolo XXXIII ***
Capitolo 34: *** Capitolo XXXIV ***
Capitolo 35: *** Capitolo XXXV ***
Capitolo 36: *** Capitolo XXXVI ***
Capitolo 37: *** Capitolo XXXVII ***
Capitolo 38: *** Capitolo XXXVIII ***
Capitolo 39: *** Capitolo XXXIX ***
Capitolo 40: *** Capitolo XL ***
Capitolo 41: *** Capitolo XLI ***
Capitolo 42: *** Capitolo XLII ***
Capitolo 43: *** Capitolo XLIII ***
Capitolo 44: *** Capitolo XLIV ***
Capitolo 45: *** Capitolo XLV ***
Capitolo 46: *** Capitolo XLVI ***
Capitolo 47: *** XLVII ***
Capitolo 48: *** XLVIII ***
Capitolo 49: *** Capitolo XLIX ***
Capitolo 50: *** Epilogo ***
Capitolo 51: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


AVVISO

AVVISO

 

Benvenuti nella mia nuova fic!!!

Allora, mi limiterò a un paio di avvertimenti generali, e lascerò il resto per la fine del capitolo, così non vi porto via tempo.

Prima di tutto, questa storia è un seguito, e ritengo che per poterci capire qualcosa e apprezzarla al meglio sia necessario aver letto la prima puntata (intitolata “Il gioco dello Scorpione”, che troverete sempre in “generali”): è abbastanza lunga, ma vi dico che avrete il tempo di leggerla tutta senza perdere molto di questa, perché aggiornerò con molta calma.

Secondo, per il momento il rating rimarrà arancione, e se deciderò di alzarlo provvederò a informarvi con congruo anticipo.

Bene, vi lascio alla lettura. Ci sentiamo alla fine del capitolo!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Russian Roulette

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo I

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 13.10 – Aeroporto di Los Angeles

 

<< Trova l’auto esattamente dove l’ha lasciata, agente >>.

 

Alexander Went strinse il telefono cellulare che aveva in mano e sorrise alle parole di McDonall, il Vicepresidente dell’F.B.I. americana. Trascinò la grossa valigia dietro di lui, gli occhi azzurri che cercavano il box informazioni dell’aeroporto affollato e chiassoso, le grandi vetrate che lasciavano filtrare la luce del sole fino al centro della sala. Un grosso gruppo di turisti asiatici gli passò davanti, tutti eccitati e con le loro inseparabili macchine fotografiche al seguito, tagliandogli per un momento la strada e costringendolo a fermarsi.

 

<< Bene >> disse, gettando uno sguardo all’orologio dalle lancette metalliche della sala, la gente che camminava concitata intorno a lui, << Forse riesco ad arrivare in tempo… >>.

 

Dall’altra parte del telefono, McDonall ridacchiò. << Ha fatto un buon viaggio? >> chiese, << Ho dovuto prenderle il primo volo che ho trovato… Non credevo finisse così in fretta >>.

 

<< Mai stato meglio >> rispose Xander, aggirando un altro gruppo formato da una scolaresca, << Avrei potuto anche viaggiare nella stiva… Mi bastava sapere di essere sulla rotta di casa >>.

 

Individuò il box informazioni vicino all’entrata, e si avvicinò. Lasciò la valigia e si rivolse alla hostess di terra che stava dietro il bancone circolare tirato a lucido, la divisa blu e un sorriso a trentaquattro denti sulle labbra.

 

<< In cosa posso esserle utile? >> chiese tutta zucchero.

 

<< Dovrebbe esserci una busta a nome di Alexander Went >> disse lui, poi si rivolse a McDonall che era rimasto in linea, mentre l’hostess spariva per qualche istante, << Spero mi abbiate anche fatto il pieno… Ho fretta, oggi. Come al solito, d’altronde >>.

 

<< Certo >> ribatté il Vicepresidente, una nota divertita nella voce, << E lei si ricordi che anche se è un agente dell’F.B.I. non può correre sempre a trecento all’ora sull’autostrada… Sta diventando un pirata della strada come quelli che va ad arrestare >>.

 

L’hostess gli consegnò una busta, e Xander le rivolse un cenno di ringraziamento. Afferrò la valigia e si diresse verso i parcheggi dell’aeroporto, una voce di sottofondo che annunciava l’ultima chiamata per un volo diretto a Boston.

 

<< Mi limiterò ad andare a duecentocinquanta, oggi >> ribatté Xander, uscendo nell’aria fresca di novembre, le porte dell’ascensore che si aprirono su un grandissimo parcheggio rialzato, << Sono coperto lo stesso? >>. Stava sorridendo, e sapeva che il Vicepresidente stava facendo altrettanto: ormai era sua abitudine di godere del privilegio di passarla liscia a tutti gli autovelox dello Stato.

 

<< Come sempre agente >> rispose McDonall, << Le auguro buona giornata. E mi raccomando, al massimo a duecentocinquanta, altrimenti le faccio arrivare una multa a casa >>.

 

Xander sorrise, camminando tra le file di auto parcheggiate, un leggero venticello freddo che gli solleticava il collo. << D’accordo, signore. Buona giornata anche a lei. Domani mi prendo un giorno di vacanza >>.

 

Infilò il cellulare in tasca e continuò a camminare, come unico compagno il raspare delle rotelle della valigia sull’asfalto. Accelerò il passo, le auto anonime e scure che sfilavano alla sua destra, finché non la vide in fondo, ferma tra due utilitarie grigie.

 

Rossa come sempre, la sua Ferrari 548 Italia lo stava aspettando, e sembrava scalpitare per la lunga attesa. Bassa, filante, aggressiva, era l’auto che da due anni usava per le sue “scorribande” autostradali, oltre che per fare l’idiota a tutti i semafori che gli capitavano a tiro. I cerchi in lega brillavano nel sole del primo pomeriggio, le pinze dei freni a disco ben in vista, il tetto arcuato pronto a fendere l’aria.

 

Xander aprì la busta che gli aveva dato la hostess, e tirò fuori un paio di chiavi dall’inconfondibile cavallino rampante su fondo giallo. Se le rigirò tra le mani e sorrise tra sé.

 

Come ogni volta che lasciava Los Angeles per andare a portare a termine qualche missione, McDonall gli faceva trovare la sua auto sempre al solito posto, e come sempre lui correva a casa dalla persona che in qualche modo era anche legata a quell’auto, la persona che da due anni a quella parte rappresentava il suo mondo e la sua vita.

 

Irina.

 

Premette il tasto di apertura delle porte e caricò con impazienza la valigia, salendo al posto di guida, il sedile di pelle avvolgente e familiare. Infilò le chiavi nel nottolino e accese il motore.

 

Dopo un mese e mezzo dall’ultima volta, il ruggito della Ferrari tornò a farsi sentire, forte come la sua voglia di tornare a casa. Le raccomandazioni di McDonall erano assolutamente inutili, a quel punto: se c’era qualcosa che non poteva chiedergli era di essere paziente quando era ora di tornare a casa, soprattutto quando c’era Irina ad aspettarlo. Soprattutto quando poteva farle una sorpresa.

 

Sorrise e uscì dal parcheggio, la Ferrari che si muoveva fluida e scattante ai suoi comandi. Guardò l’orologio mentre imboccava il casello autostradale, la radio che diffondeva il cd di Irina e contribuiva a fargliela sentire ancora più vicina.

 

Erano le 13.20…

 

Anche per questa volta, McDonall avrebbe dovuto chiudere un occhio.

 

Sorrise e schiacciò a fondo l’acceleratore, facendo scattare avanti la Ferrari.

 

Arrivo anche questa volta, amore mio”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

13.30 – Università di Los Angeles

 

Jenny si produsse nel miglior sbadiglio della giornata, la mano davanti alla bocca che cercava invano di coprire tutta la sua dentatura. Qualcuno seduto due file davanti a loro fece altrettanto.

 

<< Mamma mia, ma questo non la finisce più… >> sussurrò.

 

Irina guardò il professore, seduto come una statua di pietra alla cattedra, gli occhiali che brillavano sotto i neon, mentre declamava con tono funereo i vari argomenti della giornata. Un paio di ragazzi stavano persino giocando a carte e lui sembrava non essersi accorto di nulla.

 

Come ogni giorno di lezione alla South University of California, verso l’ora di pranzo l’attenzione di quelli che si definivano “studenti” calava in modo vertiginoso, e nemmeno le forti luci al neon che illuminavano l’aula riuscivano a evitare che qualcuno si addormentasse seriamente. Era una sorta di sfida tra il professore e i suoi allievi: chi riusciva a non cedere per primo, vinceva.

 

Gettando un ultimo sguardo ai suoi appunti, Irina rivolse un’occhiata a quelli di Angie, come al solito il doppio di tutti gli altri, e tirò fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni. Si mosse appena per stiracchiare le gambe e guardò il display: nessuna chiamata né alcun messaggio.

 

<< Hai sentito Xander? >> chiese Jenny, completamente disinteressata al resto della lezione. Aveva appena sbirciato dalla sua parte.

 

Irina annuì tristemente. << L’altro ieri >> rispose, << Ha detto che ritardava un’altra settimana… Le cose sembrano più difficili del previsto >>.

 

Xander era tornato a New York, per dare una mano ai servizi segreti per sgominare una banda di narcotrafficanti che spacciava droga proveniente dal Messico. Jess non era andato con lui, perché non necessitava di “supporto informatico”, e la cosa la rendeva ancora più inquieta: quando Xander era da solo era in grado di fare una marea di sciocchezze. Jess avrebbe contribuito a farla stare più tranquilla, perché qualsiasi cosa fosse successa non sarebbe stato completamente da solo.

 

Sospirò. Era passato un mese e mezzo da quando era partito, ma le sembrava un’eternità. Era abituata a condividere ogni cosa con lui, e le mancava persino il modo in cui lasciava in disordine casa sua quando rimaneva da solo e senza Nichole per un pomeriggio.

 

Non era la prima volta che Xander si assentava per così tanto tempo. Da quando stavano insieme, e si erano goduti le vacanze, più volte aveva lasciato Los Angeles per andare in missione per conto dell’F.B.I., senza naturalmente poterla portare con sé.

 

Quella di non vederlo per settimane era una cosa che Irina non aveva considerato all’inizio, e a cui non aveva nemmeno pensato. Le era sembrato tutto così fantastico che non si era soffermata a ragionare su quello che sarebbe successo di lì a qualche mese. Ma Xander doveva pur continuare a lavorare, e lei aveva accettato la cosa senza fare storie: non poteva certo pretendere che fosse sempre e solo a sua disposizione.

 

La prima volta era stata dura non vederlo per settimane, sapendolo in missione e potenzialmente in pericolo lontano da lei, ma aveva creduto di poterci fare l’abitudine. In fondo Xander era in gamba, se l’era cavata quando si era trovato faccia a faccia con William Challagher, e non era uno sprovveduto: sapeva fare il suo lavoro. A distanza di mesi, però, nonostante si fidasse ciecamente di lui, ancora non riusciva a stare tranquilla. Tutte le volte che se ne andava era una mezza coltellata al cuore, e non riusciva nemmeno a dormire tutta la notte di fila.

 

<< Irina? >> qualcuno la chiamò, << Possiamo andare, il professore ha finito >>.

 

La ragazza si riscosse: Jenny l’aveva appena toccata sulla spalla. Si guardò intorno per vedere gli studenti raccogliere borse e quaderni e infilarsi i giacconi, diretti all’uscita dell’aula parlando allegramente tra di loro. Si alzò di scatto e seguì le amiche, la borsa che le pesava sulla spalla.

 

<< Ci è andata bene, questa volta >> stava dicendo Katy, sfogliando un grosso libro dalla copertina blu, la nuova montatura degli occhiali rosso fuoco che scintillava, << Il proff ci ha tolto un sacco di cose… >>.

 

Irina chiuse la cerniera della giacca e ignorò il tema esami. Non era molto di buon’umore, e parlare di esami non la rendeva molto più felice. Al momento desiderava solo che Xander tornasse a casa il più presto possibile.

 

<< Sabato sera andiamo a fare un giro in qualche locale >> disse Jenny raggiungendola, decisa a lasciar perdere le altre due, << Ti va di venire? >>.

 

<< Non lo so >> rispose Irina, << Ci penso… >>.

 

In realtà, non ne aveva molta voglia. Andarci da sola non le piaceva, e oltretutto Xander non sembrava gradire il fatto che ci andasse senza di lui. Visti i suoi precedenti da pilota clandestina, diceva che sarebbe stata in grado di cacciarsi nei guai anche in quel contesto; Irina in realtà aveva capito benissimo che era solo geloso, e ci aveva riso su.

 

Guardò per un momento la fedina d’oro bianco con i tre zaffiri che brillava ancora al suo dito, chiedendosi dove fosse lui in quel momento, e soprattutto se per caso stesse correndo a trecento all’ora su un’autostrada… Era un vizio che non si era mai tolto. E tra i due la pilota clandestina era lei.

 

<< Avanti, non glielo dico mica che sei venuta… >> la incalzò Jenny, ridacchiando, << Ti controlliamo noi, se ha paura che lo fai diventare un cervo >>.

 

Irina sorrise. << Non c’è questo pericolo >> disse, << Dai, ci penso e poi ti faccio sapere, ok? >>.

 

Jenny annuì. << D’accordo… Ricordati che tra poco inizia la sessione esami, e non avremo tempo per divertirci… >>.

 

Irina alzò gli occhi al cielo. << Era l’unica cosa che non volevo mi ricordassi… >> borbottò.

 

Uscirono sul piazzale davanti all’Università insieme a un gruppone di ragazzi. Ne salutarono un paio che conoscevano di vista, poi Irina si guardò intorno, passando in rassegna le auto ferme nel parcheggio, tutte assolutamente anonime e poco vistose. Lo sapeva che Xander non c’era, ma ormai era un gesto che le veniva automatico: era come se si aspettasse si vederlo appoggiato alla sua Ferrari rossa, fermo a bordo strada, lo sguardo azzurro puntato su di lei, in attesa. Ma naturalmente non c’era.

 

<< Ci vediamo domani, ragazze >> disse, salutando le tre amiche. Rivolse un cenno a un ragazzo dai capelli chiari che era appoggiato a una Focus nera e che la stava guardando, come se volesse dirle qualcosa, e attraversò la strada, diretta a casa sua.

 

Sentì la Focus accendere il motore e per qualche istante sperò che Dorian, così si chiamava il ragazzo dai capelli chiari, non le si affiancasse per offrirle un passaggio: lo aveva fatto spesso, quando Xander non si faceva vedere per settimane. Jenny le aveva detto che tutte le volte qualcuno aveva creduto che si fossero lasciati, e molto probabilmente qualche ragazza lo aveva sperato davvero…

 

Con la coda dell’occhio, vide la Focus avvicinarsi lentamente, quasi indecisa se fermarsi o no. Irina continuò dritta per la sua strada, cercando di ignorarlo. Forse avrebbe tirato dritto, e per quel giorno l’avrebbe lasciata in pace.

 

“Quand’è che ti convincerai che non voglio passaggi da nessuno? Casa mia è vicinissima… So arrivarci anche a piedi” pensò infastidita.

 

<< Irina? >>.

 

“Ti pareva… Eccolo di nuovo”.

 

<< Ciao >> lo salutò lei, cercando di non apparire troppo scocciata: non le piaceva ferire la gente. Guardò la Focus ferma vicino al marciapiede, le quattro frecce lampeggianti accese.

 

Dorian le rivolse un sorriso a trentaquattro denti, i riccioli color caramello che svolazzarono quando mosse il capo per indicare la sua auto. << Ciao… Posso offrirti un passaggio, oggi? Oppure aspetti qualcuno? >>.

 

Chiaramente era una domanda provocatoria: non aspettava proprio nessuno, se se ne stava andando. Gli rivolse un mezzo sorriso e pensò: “Casa mia è qua dietro, scemo… E di sicuro l’ultima persona che aspetto sei tu”.

 

All’improvviso, dall’incrocio alle sue spalle, sentì provenire il sibilare acuto di pneumatici che strisciavano sull’asfalto, subito soffocati dal rumore potente di un motore dal ruggito inconfondibile. Si voltò di scatto, e con lei Dorian e metà della gente che ancora sostava davanti all’Università.

 

Una Ferrari 458 Italia rossa inchiodò proprio dietro la Focus, facendo un colpo di abbaglianti alla Ford nera, quasi a volerle intimare di spostarsi dalla strada e lasciarle il campo libero. Il vetro oscurato nascondeva il pilota, ma tutti sapevano di chi si trattava, perché l’intera Università conosceva quell’auto, ormai di casa.  

 

Irina rimase inchiodata dov’era per un momento, gli occhi incollati alla Ferrari ferma al bordo della strada. Il finestrino dell’auto si abbassò silenziosamente, e il volto di Xander comparve con il suo inconfondibile ghigno lupesco, gli occhi nascosti dagli occhiali da sole Ray-Ban.

 

<< Posso offrirle un passaggio, signorina? >> chiese, sporgendosi e ammiccando verso di lei.

 

Solo allora Irina si riscosse. Sul volto le si aprì un sorriso luminoso e si diede della sciocca: doveva aspettarselo, da Xander. Stupirla faceva parte del suo mestiere, e lui era il migliore in quel campo.

 

Guardò Dorian, che fissava la Ferrari dallo specchietto retrovisore con l’espressione scocciata, e sorrise.

 

“Scusami, ma non è per la macchina” pensò divertita, prima di abbassarsi leggermente verso di lui.

 

<< Ti ringrazio, ma penso di non aver bisogno di alcun passaggio >> disse, << Ci vediamo… Forse >>.

 

Raggiunse la Ferrari e montò sopra, lasciandosi avvolgere dal sedile di pelle, una delle sue canzoni preferite diffusa dallo stereo acceso. Guardò Xander sorridendo senza riuscire a smettere, il cuore che batteva a mille dalla felicità, e lui si tolse gli occhiali da sole, scoprendo i suoi incredibili occhi azzurri.

 

<< Avevi detto che saresti tornato tra una settimana! >> disse lei, cercando di resistere ancora un istante prima di saltargli addosso.

 

Xander sorrise, e non rispose. Appoggiò gli occhiali da sole sul cruscotto, si sporse verso di lei e le prese il mento con la mano, per poi baciarla sulle labbra, esattamente come sapeva fare solo lui. Irina si abbandonò a quel sapore che la lasciava stordita, che ogni volta che sentiva sulla lingua era come una droga a cui non poteva resistere.

 

<< Non avevo voglia di aspettare, così ho velocizzato le cose… >> le sussurrò Xander sorridendo, le dita che le solleticavano il collo dandole i brividi. << Come stai? >>.

 

Irina ghignò. << Adesso benissimo >> rispose, poi con la coda dell’occhio vide ancora la Ford Focus nera ferma davanti a loro: Dorian li stava guardando dallo specchietto retrovisore. Xander se ne accorse e suonò il clacson della Ferrari, facendo sussultare il ragazzo che si affrettò a partire, lasciando la strada completamente sgombra.

 

<< Penso non gli siano chiare un paio di cose… >> borbottò Xander, una smorfia infastidita sul volto.

 

Eccolo il suo Xander, il solito istintivo e passionale, sfrontato e a tratti esibizionista, il ragazzo che le aveva rubato il cuore con un solo sguardo. Sempre così diretto, eppure così dolce… Certe volte si chiedeva come avesse fatto a essere così fortunata, per essere riuscita a incrociare la sua esistenza proprio con lui.

 

Irina sorrise di fronte alla sua dimostrazione di gelosia. << Dai, è solo… gentile. Non trattarlo male >> disse, infilandosi gli occhiali da sole di Xander e guardandolo con un’espressione buffa per fargli dimenticare l’episodio, ma lui rimase impassibile.

 

<< Certo… Sbaglia solo persona con cui essere gentile >> disse sarcastico, e infilò la prima.

 

La Ferrari partì lentamente, con Irina che sorrideva troppo contenta che fosse tornato prima del previsto, e anche disposta a sopportare il suo leggero malumore per la faccenda di Dorian… In fondo, le faceva piacere che Xander fosse un pochino geloso di lei. Si mise comoda sul sedile dell’auto e chiese: << Com’è andata, questa volta? >>.

 

Xander svoltò a sinistra. << Tutto bene, come al solito >> rispose, << Pensavo ci fossero ulteriori problemi con un gruppo di trafficanti che stava quasi per scappare, ma sono riuscito a seguirli lungo l’autostrada… >>.

 

Irina alzò le mani. << Ok, ok, ho capito >> disse, allarmata, << Non dire altro. Non voglio sapere che… Che ne so… Sei andato di nuovo contromano o hai attraversato un ponte mentre stava che alzarsi… Mi viene l’angoscia solo a pensarci. E poi sono cose che succedono solo nei film, quindi non ti crederei comunque >>.

 

Riuscì a strappargli un sorriso e a distoglierlo per un attimo dai suoi pensieri omicidi verso Dorian. Le sfiorò una gamba con la mano che teneva sul cambio e la guardò con la coda dell’occhio.

 

<< Si va a casa mia, vero? >> chiese, mentre Irina cambiava la traccia del cd.

 

<< D’accordo… >> mormorò lei, con un mezzo sorriso. Sapeva dove voleva arrivare, il furbone. << Avverto mio padre, allora >>.

 

Mentre frugava nella borsa alla ricerca del cellulare, sentì Xander borbottare: << Eccolo lì… >>.

 

Irina alzò lo sguardo e vide, ferma al semaforo a pochi metri da loro, la Focus nera di Dorian. Alzò gli occhi al cielo, continuando a cercare il telefono.

 

<< Lascialo stare >> disse, << Non fare il bambino dicendogli che deve starmi alla larga o cose del genere… Lo sai che non mi piace >>.

 

Xander fermò la Ferrari proprio di fianco alla Focus, i finestrini alla stessa altezza. << Non gli faccio niente >> disse ridacchiando, << Di solito me la prendo con quelli della mia stazza, non con dei ragazzini… >>.

 

Irina fece una smorfia fintamente divertita. << Spiritoso… Allora sarei una ragazzina anche io? >>.

 

Xander la ignorò. Lo guardò voltarsi verso la Focus e rivolgere un cenno di saluto a Dorian, che era chiaro non sapeva che pesci prendere. Fece un sorrisetto imbarazzato e alzò le dita dal volante per rispondere al segno, indeciso se osare di più o no. Molto probabilmente si stava pentendo per averle offerto un passaggio…

 

Il finestrino della Ferrari si abbassò silenziosamente, e quello della Focus fece altrettanto. Irina si bloccò di colpo, tesa, sperando che nessuno dei due dicesse nulla di stupido. Ci mancava solo che scoppiasse una lite per una scemenza del genere.

 

<< Bella macchina >> disse Xander alla fine, chiaramente sarcastico.

 

Irina gli diede una botta sulla spalla, poi rivolse un sorriso di scuse a Dorian, e appena il finestrino fu tornato completamente chiuso fulminò Xander con gli occhi.

 

<< Sei un bambino, quando fai così >> disse, arrabbiata. << Te la potevi risparmiare, questa… Non è colpa sua se i suoi datori di lavoro non gli danno una Ferrari >>.

 

<< D’accordo, non lo faccio più >> disse lui, l’espressione da cucciolo bastonato a cui lei non riusciva a resistere, << Però lo so che certe volte ti piace che faccia il geloso… >>.

 

Irina alzò gli occhi al cielo e sorrise: se c’era una cosa che Xander aveva imparato a fare alla perfezione, era farsi perdonare. Certe volte forse lo faceva pure apposta a farla arrabbiare, solo per il gusto di vederla capitolare di fronte alle sue scuse.

 

Si sporse e approfittò degli ultimi secondi di semaforo rosso per schioccargli un bacio sulle labbra, poi tornò a cercare il cellulare. Era finito in mezzo a un libro.

 

<< Papà? Sono io >> disse Irina, mentre il lungomare sfilava alla sua destra, l’oceano calmo e freddo sotto il cielo autunnale, << E’ tornato Xander, vado da lui, ok? Ci vediamo stasera >>.

 

<< E’ già tornato? >> disse Todd, il tono di voce sorpreso, << Ma non doveva arrivare tra una settimana? >>.

 

<< Sì, ma ci ha messo meno del previsto >> rispose Irina, << Ti ho lasciato del pollo nel forno, è solo da scaldare… Ma cosa te lo dico a fare che ormai sei un cuoco provetto. Mi riporta Xander stasera, stai tranquillo, ok? >>.

 

<< D’accordo, tesoro >> disse Todd, << Salutamelo, allora >>.

 

Irina chiuse la telefonata e si accorse che Xander la stava guardando di sbieco. << Mio papà ti saluta >> disse lei. Lui borbottò qualcosa, ma non aggiunse niente.

 

Il rapporto tra lei e suo padre era una delle tante cose che in quei due anni erano profondamente cambiate: se per tutta la vita si erano ignorati, disprezzati, quasi odiati, da quel giorno in cui si erano finalmente riappacificati erano tornati a essere padre e figlia. Con i mesi avevano ricominciato a parlare, a fidarsi l’uno dell’altro, a condividere tante cose come non avevano mai fatto. E avevano ricominciato a volersi bene, per davvero. L’unico che non sembrava particolarmente entusiasta della cosa era Xander: continuava a provare un certo risentimento per Todd, e preferiva non vederlo quando era possibile. Il fatto che suo padre avesse ignorato per tanto tempo quello che era successo era per lui imperdonabile.

 

<< Ti daranno una vacanza, spero >> disse Irina, << Sei stato via un mese e mezzo… Stavolta non ti faccio scappare di nuovo, sai? >>.

 

Xander parcheggiò l’auto nel vialetto della sua villetta, la stessa che ormai era diventata la sua vera e propria casa da quando aveva deciso di vivere a Los Angeles. Grande, bianca, bellissima e con tanto di piscina.

 

<< Sì, credo che mi prenderò un periodo di riposo… Tra l’altro, quand’è che Dominic si sposa? >> disse sorridendo.

 

<< Fra due settimane… >> rispose paziente Irina, scendendo dall’auto. Glielo aveva detto un sacco di volte, ma lui sembrava non volerlo ricordare.

 

<< Già, devo andare a prendermi il vestito… >> disse Xander, tirando fuori le chiavi di casa e invitandola a entrare per prima.

 

Irina mise piede in casa, il corridoio illuminato e ordinato, le porte che davano sulle diverse stanze e le scale che portavano al piano di sopra in fondo. La villetta era sempre la stessa, luminosa e accogliente, tranne che per un piccolo particolare: Jess non c’era, e con lui la sua parte di disordine.  

 

Con stupore di tutti, e forse leggermente meno per Irina, Jess e Jenny erano andati a vivere insieme in un bell’appartamento vicino alla spiaggia, per poter godersi la loro tanto sospirata intimità. Come Xander, aveva trovato una ragione in più per rimanere, dopo la storia dello Scorpione.

 

Se per loro due era stato un passo quasi naturale, avventati e frettolosi com’erano, per Irina era tutta un’altra storia: quando Xander si era ritrovato da solo, le aveva subito chiesto di andare a vivere da lui, dicendo che la cosa lo avrebbe reso felicissimo. Lei però aveva rifiutato: non se la sentiva ancora, nonostante fosse già da un po’ che stavano insieme, e non voleva già lasciare suo padre quando lo aveva appena ritrovato.

 

Xander era stato molto dispiaciuto per la sua titubanza, ma non se l’era presa: aveva capito che nella sua ritrovata normalità aveva bisogno di tempo per quel genere di scelte. Per il momento si accontentava del fatto che tre volte a settimana Irina si fermasse a dormire a casa sua.

 

<< Hai fame? >> domandò Irina, mentre Xander posava la valigia nel soggiorno arredato in stile moderno e si sedeva sul divano, lasciandosi andare a un sospiro soddisfatto. << Ti preparo qualcosa… >>.

 

Si avviò verso la cucina ma Xander la acchiappò e la trascinò sul divano, facendola sedere sulle sue gambe. << Non ho fame… >> sussurrò ghignando, << O forse sì… >>.

 

Le sfiorò le labbra e Irina sorrise. << Cosa ti devo, ehm… Preparare? >> mormorò lei, sentendo le sue mani percorrerle i fianchi.

 

Gli occhi azzurri di Xander scintillarono maliziosi, e le sue dita percorsero la sua coscia con malizia. << Qual è il piatto del giorno? >> ribatté, ridacchiando.

 

<< Quello che il cliente desidera… >> disse Irina, stando al gioco esattamente come tutte le altre volte.

 

Un attimo dopo era sdraiata sul divano, Xander sopra di lei con il ghigno lupesco che gli solcava il bel volto. Le scostò una ciocca di capelli dalla spalla e sorrise.

 

<< Mi sei mancata un sacco, piccola >> disse, abbassandosi all’altezza del suo volto, le dita che si insinuavano sotto la sua maglietta.

 

<< Anche tu… >> rispose Irina, mettendogli un braccio dietro il collo e baciandolo delicatamente sulle labbra, per poi lasciarsi andare a un sospiro di impazienza. Ora che se lo sentiva addosso, si rendeva conto di quanto le era mancato davvero.

 

E lui pensava la stessa identica cosa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Irina fissava il display della sveglia che segnava le 4.38, i numeri rossi che brillavano nella penombra. Sentiva la mano di Xander accarezzarle la schiena nuda, il suo cuore battere regolare sotto il suo orecchio. Si strinse il lenzuolo addosso perché aveva un po’ di freddo e continuò a guardare la sveglia.

 

Aveva una strana sensazione, come se si fosse dimenticata di fare qualcosa. Se non se lo ricordava sicuramente non era qualcosa di importante. Si strinse nelle spalle e guardò Xander, la cicatrice bianca sulla spalla in bella vista, il segno che portava anche per colpa sua. La percorse con le dita e poi giochicchiò con la catenella d’argento che portava al collo, a cui erano appesi un quadrifoglio e una fedina d’oro bianco.

 

<< Adesso ho veramente fame… >> disse lui, solleticandole la schiena e attirandola ancora di più verso di sé, << Spero che Nichole mi abbia lasciato qualcosa in frigo >>.

 

Irina sorrise e si mise a sedere. << Ti preparo qualcosa io… Torta al cocco, che ne dici? >>.

 

<< Sai che non so dire di no a quella… >> ribatté Xander, poi la coprì con il lenzuolo per evitare che prendesse freddo.

 

Irina gettò un’ultima occhiata all’orologio, poi fece per scendere dal letto, ma rimase inchiodata dov’era. All’improvviso si ricordò tutto.

 

Sally e l’abito da sposa!

 

<< Oh, cavolo! >> sbottò Irina, saltando in piedi.

 

<< Che c’è? >> domandò Xander allarmato, mettendosi a sedere.

 

Irina raccattò in fretta i suoi vestiti e li ammucchiò sul letto, cercando le calze che erano finite vicino all’armadio.

 

<< Mi sono dimenticata che avevo appuntamento alle quattro e mezza con Sally! >> gridò, infilandosi i jeans, i capelli che svolazzavano di qua e di là. Xander le rivolse un’occhiata interrogativa.

 

<< Le avevo promesso che l’avrei accompagnata a prendere l’abito da sposa! >> spiegò Irina, << Cavolo, sono in ritardassimo! >>.

 

Xander ridacchiò, e le porse la maglietta. << Pensavo fosse qualcosa di veramente importante… >> disse.

 

Irina gli lanciò un’occhiataccia. << E’ colpa tua… Mi fai dimenticare sempre tutto >> ribatté lei, calzando gli stivali. Quando lo rivedeva dopo settimane, non capiva più niente… Non che lui la aiutasse, visto che cinque minuti dopo che si erano ritrovati le saltava addosso!

 

<< Già… Però non è tanto difficile farti dimenticare le cose >> ribatté lui divertito, << Prendi la Ferrari, se vuoi >>.

 

Irina raccattò la borsa dalla sedia e aprì il cassetto del comodino, frugando in mezzo ai caricabatterie dei cellulari e ai vari mazzi di chiavi. << No, prendo la BMW… Vado a farti la spesa, dopo >> disse, leggermente piccata per la sua allusione al fatto che fosse facilmente “condizionabile”, << Ci vediamo >>.

 

Si sporse e lo baciò sulle labbra, poi corse di sotto rischiando di inciampare per le scale. Ma come aveva fatto a dimenticarsi di una cosa così importante? Aveva garantito a Sally che l’avrebbe accompagnata per darle un parere e qualche consiglio, e lei si scordava tutto!

 

Colpa di Xander, lo sapeva. Però le venne da sorridere mentre spalancava la porta del garage: era troppo felice che fosse tornato per potersi arrabbiare veramente con lui… O forse semplicemente non era capace di sgridarlo.

 

La BMW M3 bianca di Xander aspettava nel lato destro del garage, tirata a lucido e con un nuovo motore che aveva sostituito quello che Irina gli aveva rubato, e che era finito sotto il cofano della sua macchina… Una vecchia storia per la quale Xander le aveva dato della pazza, ma che ormai era acqua passata.

 

Di fianco alla BMW, nascosta sotto il suo telo nero, c’era la Fiat Grande Punto bianca che era stata l’auto che l’aveva rappresentata quando era stata Fenice, la numero tre della Black List, e che in qualche modo aveva salvato la vita a lei e alla sua famiglia.

 

Per un istante fu tentata di scoprirla e di prendere quella, per raggiungere Sally, ma si fermò quando la sua mano toccò il cofano coperto dalla stoffa. Non poteva andare in giro con quell’auto: erano due anni che stava chiusa lì dentro, ultimo ricordo di quella che era stata Los Angeles prima dell’arrivo di Xander. Di quella che era stata lei, prima dell’arrivo di Xander.

 

Aveva chiuso con le corse clandestine, con il mondo criminale di cui aveva fatto parte, ma non riusciva a separarsi da quell’auto: era come voler strappare un pezzo della propria anima. L’aveva lasciata a casa di Xander solo perché lui aveva un garage più grande, altrimenti sarebbe rimasta da lei… Eterna tentazione, eterno ricordo di quello che continuava ad amare.

 

L’aveva usata altre volte, su un circuito privato che Xander aveva affittato per una giornata, solo per togliersi quella assurda voglia di correre che aveva. Anche se non era più una pilota clandestina, continuava ad amare le auto e le gare; forse le piacevano ancora di più, ora che era libera di scegliere se correre o no.

 

“Hai chiuso, Irina. Smettila di complicarti sempre le cose. Un giorno la venderai, e metterai la testa a posto”.

 

Aprì la portiera della BMW e saltò in auto. Accese il motore e si diede una rapida pettinata guardandosi nello specchietto di cortesia del parasole, poi partì diretta verso casa di Sally.

 

Un quarto d’ora dopo, fermava la M3 davanti a una piccola villetta nella periferia di Los Angeles: una ragazza piccolina e dai capelli castani aspettava sul vialetto di casa, l’espressione preoccupata sul volto. Appena la vide corse verso di lei e saltò in macchina.

 

<< Iniziavo a preoccuparmi >> disse Sally, accomodandosi con qualche difficoltà nel sedile avvolgente, << Credevo avessi avuto un incidente! >>.

 

<< Scusami >> disse Irina, << Ho avuto un contrattempo… Arriviamo in un minuto >>.

 

Schiacciò l’acceleratore e la BMW schizzò in avanti, mentre Sally piantava un grido spaventato. << Ehi ehi! Piano! Voglio arrivare viva! >>.

 

Irina sorrise tra sé: difficile che una che era stata la numero tre della Black List potesse avere problemi al volante…

 

<< Ok, scusa >> disse, rallentando l’andatura, << Hai ragione… Tommy? >>.

 

Sally si lasciò andare a un sospiro di sollievo. << Sta bene, l’ho lasciato con la baby-sitter… Non era il caso di portarlo, oggi >>.

 

Irina svoltò a sinistra, diretta verso il centro di Los Angeles. Data l’ora, la strada era piena di gente che usciva dall’ufficio e si dirigeva verso casa, insieme con una miriade di bambini che tornavano da scuola.

 

<< Cosa è successo? >> chiese Sally, riferendosi al suo ritardo.

 

<< Oh, è tornato Xander >> rispose Irina, << Doveva arrivare tra una settimana, ma mi ha fatto una sorpresa >>.

 

Sally sorrise. << Ah, ho capito… >> disse, il tono complice, << Ma devi correre proprio così? >>. Si era appena aggrappata alla maniglia della portiera, chiaramente spaventata dalla sua curva a velocità decisamente elevata che aveva appena fatto.

 

<< Così arriviamo prima. Dobbiamo recuperare il tempo perso per colpa mia >> ribatté Irina, guardandosi intorno per cercare un parcheggio. << Nervosa? >>.

 

Sally si strinse nelle spalle. << Un pochino… Spero che questa volta sia quella giusta. Mancano due settimane e io non ho ancora un abito da sposa… >> disse, leggermente in apprensione, << Tra le taglie e i modelli, sono un po’ sfortunata… >>.

 

Irina infilò la BMW in uno spazio angusto tra due furgoncini e controllò che fosse la zona giusta.

 

<< Dai, sento che questa volta troveremo qualcosa >> disse, poi scese dall’auto.

 

Il negozio di abiti da sposa, l’ultimo che non avevano ancora visitato, le aspettava all’angolo della strada. Le vetrine mostravano abiti bianchi e tutti pizzo e trine, e un paio di vestiti di una tonalità di lilla chiaro. Non era certo il più conosciuto della città o il più esclusivo, ma era l’ultima alternativa che avevano. Suonarono il campanello e attesero.

 

Una signora dai vaporosi capelli bianchi e vestita in un bel tailleur beige le accolse con un sorriso cortese. Le fece entrare nel piccolo negozio ordinatissimo e le guardò una a una, poi soffermò il suo sguardo su Irina.

 

<< Posso aiutarvi? >> domandò dolcemente.

 

<< Cercavamo un abito… >> rispose Irina, incerta, << Classico, niente di troppo inusuale… >>.

 

La signora sorrise. << Oh, certo… Che taglia porta, cara? >>.

 

Irina gettò un’occhiata a Sally, che si stava trattenendo dallo scoppiare a ridere. << Oh, no, non è per me >> si affrettò a dire, << E’ per lei >>.

 

Il sorriso della signora non si spense nemmeno un po’. << Ops, chiedo scusa >> disse divertita.

 

Si rivolse a Sally e la accompagnò nel retro per prendere rapidamente le sue misure. Irina si sedette sulla poltroncina lasciata appositamente nell’angolo, guardandosi intorno incuriosita.

 

Non era la prima volta che entrava in un negozio di abiti da sposa, ma questo le sembrava molto più… carino. Forse piccolo rispetto a quelli in cui erano andate, ma stranamente più accogliente. Un bello specchio era appeso al lato, vicino alla vetrina dov’era esposto uno degli abiti lilla, e su uno scaffale erano poggiate varie scarpe bianche con il tacco.

 

<< Guarda questo >> disse Sally, sbucando dal retro con un bell’abito dalla gonna svasata e con il corpetto senza spalline. Era di un bianco perla molto particolare.

 

<< Bellissimo, davvero >> disse Irina, guardandola sfilare al centro del negozio.

 

<< Uhm, le sta bene, ma credo non sia il più adatto… >> si intromise la signora, sempre con un sorriso cortese, << Se posso permettermi, le farei provare qualcos’altro… >>.

 

In effetti, l’abito a Sally stava bene, ma forse era troppo avvolgente per la sua figura non più magrissima. La guardò sparire nel retro un’altra volta, e aspettò pazientemente la prova seguente.

 

Fu davvero strano, ma ogni volta che Sally provava un abito, c’era sempre un particolare che non stava al suo posto: prima la gonna, poi il corpetto, poi la vita. L’anziana signora però non si spazientiva, e cercava sempre qualcosa di nuovo. Alla fine sembrò colta da un’idea improvvisa, e invitò Sally a tornare sul retro per proporle un vestito che era sicura fosse perfetto.

 

Mentre aspettava, Irina si alzò e guardò gli abiti esposti nelle vetrine. Ne trovò uno davvero stupendo, di un bianco perlato e dal corpetto liscio e aderente, senza troppi fronzoli, dallo scollo a V e le spalline sottili sottili. Sulla vita erano cuciti decine di cristalli, che brillavano di mille sfaccettature. Era davvero bellissimo, ma nemmeno per un istante le passò per la testa di immaginarsi con quel vestito addosso: non era lei a doversi sposare.

 

<< E’ davvero un abito bellissimo >>.

 

La proprietaria si avvicinò, con l’espressione divertita. << L’ho messo in vetrina perché so che nessuno la acquisterà, anche se credo sia il più bello che abbia mai visto >> continuò. << Mi dispiaceva lasciarlo nel retro senza che nessuno potesse vederlo >>.

 

<< Come mai crede che nessuno lo compri? >> chiese Irina.

 

<< Oh, è davvero molto costoso >> rispose la signora, passando un dito sulla stoffa liscissima, << Quelli sulla vita sono cristalli preziosissimi. E poi, bisogna avere molta personalità e un volto dai tratti adatti per indossarlo… >>.

 

Irina soffermò lo sguardo sull’abito, notando che i piccoli cristalli erano azzurri e brillavano sotto la luce che filtrava dalla vetrina. Non aveva capito bene la storia dei “tratti adatti”, ma di sicuro per metterlo bisognava avere un certo portamento.

 

<< Vuole provarlo? >>.

 

Si voltò di scatto, lo sguardo sorpreso puntato sulla proprietaria.

 

<< No, no! >> si affrettò a dire, << Non mi devo sposare, io! >>.

 

La signora rise. << E’ questo cosa vuol dire? >> ribatté, << Non la obbligo mica a comprarlo… Ma sono sicura che le starà benissimo >>.

 

Irina rimase interdetta: aveva appena detto che ci voleva una certa personalità per indossarlo, e lei di sicuro non ce l’aveva. Sbirciò per un momento l’abito, quasi timorosa di ritrovarselo davvero addosso.

 

Ci volle un attimo però per farle immaginare lei nella stessa situazione di Sally. Un attimo in cui le venne il panico.

 

Lei, sposata.

 

Con l’unica persona che amava.

 

Xander.

 

Si affrettò a togliersi il pensiero dalla testa: non era il caso. Non voleva mettere troppo avanti le mani, anche se il pensiero la rendeva quasi euforica. Sarebbe stato qualcosa di assolutamente meraviglioso, legare per sempre la sua esistenza a quella di Xander

 

“No. No, Irina, non ci pensare… Non è il momento. A parte che lui non è il tipo da matrimonio, almeno non per adesso… E tu sei ancora troppo giovane per pensarci”.

 

Sorrise all’indirizzo della signora. << La ringrazio infinitamente, ma non me la sento >> disse, << Credo sia… Non so, ho l’impressione che non sia appropriata, come cosa >>.

 

La proprietaria sorrise. << D’accordo, allora >>. Sembrava essersi aspettata una risposta del genere, << Tanto penso che se un giorno le servirà, sarà ancora qui >>.

 

<< Irina, è perfetto! >>.

 

Sally le interruppe, ed entrambe si voltarono verso di lei.

 

Sì, decisamente l’anziana signora ci aveva visto giusto. L’abito dalla lunga gonna dalla tesa piuttosto ampia, ricamata di perline e pizzo fiorito le cadeva a pennello; il corpetto dalle maniche a palloncino le fasciava il busto senza costringerla né facendo pieghe bizzarre. Le stava davvero benissimo.

 

Sorrise di fronte all’espressione estasiata di Sally, e disse: << Sì, questo è il tuo >>. Guardò la signora, in attesa del suo giudizio.

 

<< Sì, questo è perfetto davvero >> convenne.

 

Sally fece un giro su se stessa e si guardò nello specchio nell’angolo, gli occhi che brillavano. Lisciò la gonna e si tirò su i capelli per vedere l’effetto. Irina la guardava con un misto di divertimento e sollievo. La sua entrata l’aveva distolta dai pensieri di matrimonio…

 

<< Però… >> iniziò Sally, guardando il cartellino appeso all’abito, << E’… , è un po’ caro… >>.

 

Guardò la signora come a volersi scusare per il commento, e Irina la raggiunse. Lesse il prezzo e poi rimise il cartellino al suo posto.

 

Sì, in effetti era un po’ caro. Però non era una scusa per non prenderlo: in fondo, avevano girato tutta Los Angeles per trovare l’abito giusto, e non potevano certo mollare proprio ora, anche perché non avevano più molto tempo. Oltretutto, se le piaceva, non poteva rinunciare.

 

<< L’importante è che ti piaccia >> le disse, e la signora attese in cortese silenzio che parlassero della questione.

 

<< Sì, mi piace. E’ stupendo, se devo essere sincera, ma… >>. Sally sembrava a disagio, << Mi sembra un po’ eccessivo… Già tra la cerimonia e il ristorante… >>.

 

Irina la guardò: Sally era sempre stata una brava ragazza, e in qualche modo si riconosceva in lei. Entrambe si erano ritrovate a dover fare qualcosa che non volevano, avevano vissuto per anni nell’illegalità cercando disperatamente di liberarsi… Forse per quel motivo aveva deciso di accompagnarla a cercare l’abito da sposa, a darle una mano per il matrimonio: entrambe erano uscite dal tunnel e stavano vivendo la loro fiaba personale. Perché rovinare tutto proprio nel giorno più bello?

 

<< Se non ti offendi, te lo regalo io >> disse semplicemente.

 

Sally rimase di sasso.

 

<< In fondo, è il migliore regalo che possa farti, no? >> continuò Irina, con un sorriso, << O preferisci che ti regali uno di quegli inutili servizi da te che usavano nell’ottocento? >>.

 

La signora del negozio sorrise a sua volta, e Sally continuò a rimanere senza parole per qualche istante.

 

<< Bé, mi sembra esagerato… Non è un po’ troppo anche per te? >> chiese titubante.

 

Se c’era una cosa di cui in quei due anni non si era dovuta preoccupare, erano stati i soldi: suo padre ormai lavorava regolarmente, esattamente come i suoi due fratelli, e Xander era sempre stato piuttosto generoso con lei… La carta di credito dal budget forse illimitato che le aveva regalato al suo compleanno, e che lei non aveva mai praticamente utilizzato, ne era la conferma. Questa era l’occasione giusta per sfruttarla.

 

<< Consideralo un regalo mio e di Xander >> disse, poi si voltò verso la proprietaria, << Lo prendiamo >>.

 

Sally fece per protestare, ma lei la zittì. << Avanti, mi fa piacere >> disse, << Non ti devi preoccupare. Tu in cambio lasci Tommy da me, quando andrete in viaggio di nozze, ok? >>.

 

<< Oh, va bene, ma… >> fece Sally, imbarazzatissima.

 

<< Non ve lo volete mica portare dietro? >> sorrise Irina, << Potete concedervi una vacanza, ogni tanto. Lo sai che mi fai un grande regalo se lo lasci da me >>.

 

Era la verità. Suo nipote era forse una delle cose più belle che le era capitata nella vita, e averlo di nuovo qualche giorno con lei era davvero una cosa fantastica. Per due anni, quando se ne era presa cura lei, aveva rappresentato la sua luce personale.

 

<< Per quando lo devo preparare? >> domandò la signora.

 

Irina gli porse la fatidica carta di credito, e poi lasciò Sally a sistemare il resto. Mentre aspettava, in piedi di fianco all’abito dai cristalli azzurri, si sentì particolarmente felice. Aveva appena contribuito a rendere il giorno più bello della vita di Sally sempre più simile a una fiaba, e non poteva che pensare che se lo meritava. Anche lei aveva sofferto tanto, e non le interessava cosa fosse successo in passato. L’importante era che tutto stava andando bene, e che sarebbe continuato ad andare così.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Io sono più contenta di voi, ragazzi… Anche se il mio senso del dovere mi sta gridando che non avrei dovuto pubblicare un’altra storia… Ma cosa vi devo dire, la mia vita senza Irina e Xander è vuota.

Quindi, prima di tutto sappiate che per il momento non so quanto sarà lunga Russian Roulette, e non sono nemmeno tanto sicura di come finirà… Ho un po’ di idee, e devo decidere. Poi, questa volta (e stavolta lo faccio davvero, perché di solito dico sempre così ma poi finisce in tutt’altro modo…) aggiornerò con moltissima calma, perché ho fatto un patto con me stessa: se voglio pubblicare una fic, non devo trascurare lo studio (anche perché sono praticamente chiusa tutta la settimana dentro la facoltà… Ditemi voi dove lo trovo il tempo…). Perciò, il massimo che posso garantirvi è un capitolo a settimana, perdonatemi. Sarà così almeno fino all’estate, poi una volta finiti gli esami potrò scatenarmi.

Per il resto… Bé, sono troppo contenta. Passiamo al commento capitolo, che forse è meglio.

Allora… Come vedete siamo tornati nel mondo di Irina, notevolmente diverso da quello in cui l’abbiamo incontrata per la prima volta: sono passati due anni, e finalmente sembra aver ritrovato la pace e la felicità. Oltretutto, matrimonio in vista per il fratello. Tutto scorre tranquillamente, anche se in fondo sia lei che Xander sono rimasti gli stessi…

Ci vorrà qualche capitolo per vedere un po’ di movimento, ma quando le cose inizieranno a farsi serie mi rifarò…

Russian Roulette… Sul titolo non posso dire niente, ma dal prossimo cap credo che inizierete a capire qualcosa. E penso che nessuno di voi si aspetta quello che succederà, perché stavolta stravolgerò davvero tutto…

Adesso, chi ha promesso di commentare se avessi pubblicato un seguito, onori la sua promessa! Naturalmente scherzo, siete liberi di fare quello che volete, ma una recensione sarà graditissima.

Alla prossima settimana (venerdì, presumibilmente )… E sarà la volta di William, eh.

 

La vostra Lhea

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Capitolo II

Capitolo II

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 16.00 – Carcere di San Francisco

 

Duecentonovantasette…

 

Duecentonovantotto…

 

Duecentonovantanove…

 

Trecento.

 

William Challagher si tirò in piedi e stiracchiò il collo, fissando le sbarre di metallo che lo separavano dal corridoio, l’altra cella vicino alla sua ben visibile nella penombra. Il detenuto di fronte a lui, la barba incolta e il buco di un dente mancante, lo guardava fare le sue flessioni giornaliere per nulla impressionato. Fece una smorfia e poi disse, la voce gracchiante: << Scommetto che riesci ad arrivare anche a quattrocento, vero? >>.

 

<< Ne faccio quante ne vuoi >> ribatté William, voltandosi di spalle e afferrando l’asciugamano appoggiato sulla sedia sgangherata a poca distanza da lui. Il piccolissimo scrittoio nell’angolo della cella era illuminato dalla poca luce che filtrava dalla finestrella chiusa dalle inferriate, vicino alla porta scrostata del minuscolo bagno che gli era toccato. 

 

<< Lascia perdere il principino, Fred >> disse una voce che proveniva da uno dei due letti a castello della cella davanti a quella di William, << Lo sai che odia essere importunato quando si allena… >>.

 

William ignorò il commento dell’uomo che faceva di nome John e fissò il riflesso dello specchio appeso nel bagno, sopra il lavandino di ultima scelta che gocciolava ormai da due anni senza alcuna tregua.

 

Tutto sommato, era cambiato poco. Due anni di carcere duro non erano riusciti a piegare il suo fisico, tantomeno la sua anima. La sua bella faccia dai gelidi occhi verdi, conosciuta in tutta Los Angeles, era sempre la stessa, tranne per un piccolo particolare: una cicatrice bianchiccia che tagliava il suo sopracciglio destro in due, rimasta a ricordargli quel giorno sull’autostrada, quando tutto era stato distrutto esattamente come la sua Zonda… Indelebile segno della sconfitta, di tutto ciò che possedeva…

 

Aveva dovuto rinunciare a molto, per riuscire a sopravvivere la dentro. Se prima era abituato a una vita di agi, di lussi, di feste e donne, ora non aveva altro che un cigolante letto a castello, un plico di fogli e una penna per scrivere se ne aveva voglia, e un minuscolo televisore che prendeva un solo canale. E un’ora d’aria ogni giorno. Non era concesso nient’altro a William Challagher, lo Scorpione, uno dei criminali più pericolosi di Los Angeles, condannato all’ergastolo per tanti di quei crimini di cui aveva perso il conto.

 

Chiunque al suo posto, di fronte al pensiero di dover rimanere chiuso tra quelle quattro mura per il resto dei suoi giorni, si sarebbe lasciato andare, avrebbe abbandonato la speranza, il piacere di sentirsi almeno un po’ normale, di poter dare ancora un senso alla sua vita. Lui no, non si era permesso una caduta di stile come quella.

 

Aveva continuato a curarsi, a farsi regolarmente la barba, a fare tutti i giorni e a tutte le ore ginnastica con i pochi strumenti che gli erano concessi, per rimanere esattamente com’era stato fuori da lì. Lo Scorpione non si sarebbe lasciato piegare dalle sbarre e da una cella chiusa e oscura.

 

Si passò una mano sul mento, la pelle ancora liscia, e gettò un rapido sguardo alla W tatuata in nero sul collo. Infilò la maglia e si passò le dita tra i capelli: quelli avevano bisogno di una tagliata. Ci avrebbe pensato più tardi, quando sarebbe tornato dall’ora d’aria che gli era stata accordata.

 

Raggiunse il letto a castello e si sdraiò su quello di sopra, il soffitto freddo non troppo distante da lui, un leggero velo di umidità che bagnava l’intonaco. Si sistemò meglio il cuscino dietro il collo e guardò quello che con pezzo di scotch aveva appeso al muro, e che rappresentavano quasi una finestra sul mondo.

 

Alcuni erano articoli di giornale, ritagliati pochi giorni dopo la sua cattura, quando ancora poteva ricevere i quotidiani in cella. Uno riportava addirittura una foto in bianco e nero della sua Pagani Zonda distrutta, ferma in mezzo all’autostrada; mentre su un altro c’era l’elenco di tutti i piloti clandestini che erano stati arrestati nella retata di Los Angeles dalla quale lui era riuscito a fuggire. E poi ancora la cattura di suo padre, George Challagher, ora sepolto nel cimitero di San Francisco, dopo essersi sentito male tra le sbarre… Sopra a tutti quei ritagli di giornale, come a godere di una posizione privilegiata, c’era una foto a colori, una delle pochissime a cui tenesse, in quel momento.

 

Era l’immagine di una bella ragazza, dai lunghi capelli castani e smossi dal vento, le gambe snelle fasciate da un paio di jeans scuri, gli occhi rivolti alla sua destra. Dietro di lei, un’auto italiana, una Fiat Grande Punto bianca, l’aerografia di una fenice sulla fiancata.

 

Fece una smorfia e mise le braccia dietro il collo. Non gli serviva una foto per ricordare com’era fatta Irina, Fenice, la ragazza di cui si era innamorato e che poi lo aveva mandato in prigione. Ricordava a memoria tutte le sue espressioni, il suo odore dolce e piccante al tempo stesso, ogni lembo della sua pelle liscia e morbida, la consistenza e il profumo dei suoi capelli scuri. Come dimenticare il tono della sua voce, a volte provocatorio a volte insicuro, la luce di sfida nei suoi occhi, il modo con cui beveva dal suo bicchiere, in cui afferrava il volante della sua auto…

 

Ottocentotrentacinque giorni. Dall’ultima volta in cui l’aveva vista, che aveva sentito il suo respiro sul suo viso, che aveva ascoltato la sua voce mentre lui la implorava di darle una scusa per non ucciderla, erano passati ottocentotrentacinque lunghissimi giorni… Eppure sembrava ieri, sembrava ieri che le avesse puntato alla testa quella maledetta pistola, e che avesse esitato come uno stupido.

 

Lasciò vagare gli occhi sul volto di Irina, la bocca che si storceva in una smorfia.

 

“Mai, mai avrei pensato che arrivassi a tanto… Mai avrei pensato che avessi il coraggio di farmi una cosa del genere”.

 

Gli aveva tolto tutto, tutto quello che si era conquistato con la forza e la determinazione.

 

Aveva perso la sua città, aveva perso i suoi piloti, aveva perso la sua reputazione. In un attimo, gli aveva strappato tutto quello che era sempre stato suo di diritto, e che le aveva sempre offerto in cambio della sua fedeltà, e del suo amore.

 

Ora riconosceva che era stato lui stesso a firmare la sua condanna. Se non avesse lasciato Irina diventare la numero tre della Black List, se non l’avesse lasciata entrare nel loro giro, forse in quel momento non si sarebbe trovato lì. Se non si fosse lasciato intenerire da lei, forse sarebbe stato ancora libero.

 

Eppure non riusciva ad attribuirle tutta la colpa: Irina aveva avuto una parte, ma anche lo sbirro di nome Alexander Went aveva contribuito a farlo sbattere dietro le sbarre. E poi c’era Dimitri, l’unica persona di cui si era sempre veramente fidato, e che lo aveva tradito consegnandolo alla polizia.

 

Aveva sempre considerato il russo uno “spirito affine”, uno che la pensava allo stesso modo. Insieme a lui aveva messo su la Black List, aveva cominciato le sue scorribande per Los Angeles, in cerca di piloti validi da sfidare. E poi loro due stessi si erano affrontati in una gara senza esclusione di colpi, per guadagnarsi il primo posto della Lista.

 

Forse, però, avrebbe dovuto aspettarselo: da quando Went era arrivato da quelle parti, le discussioni riguardo al rischio di averlo tra loro erano aumentate, senza contare la sempre dichiarata ostilità di Dimitri verso Irina.

 

Per quale motivo avesse deciso di voltargli le spalle, non lo sapeva, ma c’era una cosa di cui era certo: il russo aveva i giorni contati, esattamente come Went.

 

E Irina…

 

Irina, ovunque fosse stata, ovunque si fosse nascosta, l’avrebbe trovata.

 

Ogni giorno, da quando lo avevano chiuso in quella lurida cella buia, aveva pensato a lei, libera di godersi la sua vita, libera di andare dove e con chi voleva… E lui invece era chiuso in quel buco di carcere, da solo.

 

<< Come hai detto che si chiama, quella ragazza? >>.

 

La voce di Fred arrivò gracchiante e fastidiosa alle sue orecchie. Gli rivolse un’occhiataccia e ringhiò: << Irina >>.

 

Tornò a guardare la foto della ragazza e rimase in silenzio. Odiava quando gli altri detenuti gli chiedevano di lei.

 

Se c’era un’altra cosa che in quei due anni non era cambiata, era quell’assurda voglia di riaverla davanti. Tutte le sere era andato a dormire con quel chiodo fisso, e tutte le mattine si era alzato con l’immagine di Irina nella testa.

 

La odiava. La odiava a morte per averlo tradito, per aver cospirato contro di lui, per averlo rinchiuso lì dentro, ma la odiava soprattutto per essersi innamorata di Went.

 

L’aveva amata, cazzo. L’aveva amata per davvero e lei era andata con lo sbirro dell’F.B.I. Come poteva averlo trattato così, quando si era addirittura umiliato, per lei?

 

Innervosito, scese dal letto e afferrò le sbarre della cella, fissando il pavimento. Lo voleva morto, voleva il suo cadavere davanti agli occhi, voleva piantargli una pallottola in testa e vederlo morire con la consapevolezza di aver fatto il più grande sbaglio della sua vita: portargli via tutto ciò che aveva.

 

<< Ehi, principino, come mai non ti è mai venuta a trovare? >> chiese Fred, maligno, << Avevano detto che era la tua ragazza… >>.

 

William alzò lo sguardo su di lui, fulminandolo con gli occhi.

 

<<Sta zitto… E quando ci daranno l’ora d’aria, vedi di non farti trovare >> ringhiò.

 

Fred sbiancò leggermente, e smise di guardarlo.

 

“Principino” era il soprannome che gli avevano rifilato quando era entrato in carcere i primi giorni, quando ancora nessuno lo conosceva per davvero. Per tutti era il figlio di papà pieno di soldi che per passare il tempo aveva messo su un gruppo di piloti clandestini e si divertiva a gettare un po’ di scompiglio per la città. Lo consideravano solo un ragazzino, e credevano sarebbe crollato già dopo il primo mese passato là dentro.

 

C’era una regola che valeva in ogni tipo di carcere: chi toccava donne o bambini aveva vita dura. Era destinato a doversi guardare le spalle in ogni istante, a dover temere le ore d’aria e la distribuzione dei pasti, possibile bersaglio di ogni genere di attacco da parte degli altri detenuti.

 

Lo avevano fatto anche con lui. O meglio, ci avevano provato. Avevano cercato di “fargli fare ammenda”, di “fargliela pagare per essersela presa” con qualcuno più debole di lui, salvo poi scoprire che rimaneva anche lì dentro lo Scorpione, il boss, quello contro cui non ci si doveva mettere.

 

Fare a botte, per uno come lui abituato alle risse, non rappresentava un problema, nemmeno se si trattava di vedersela con più persone insieme. Un paio erano finiti in infermeria, uno aveva perso tutti i denti e un altro si era ritrovato con un trauma cranico. Alla fine era stato anche un utile sfogo per la rabbia che aveva covato nei primi giorni.

 

E come succedeva sempre, quando non riuscivi a mettere i piedi in testa a qualcuno, dovevi fartelo amico. Con sommo fastidio, William aveva dovuto sopportare anche i tentativi di “stringere amicizia” degli altri detenuti, falsi esattamente come tutte le persone che aveva conosciuto in tutta la sua vita.

 

In diversi gli avevano chiesto di Irina, di chi fosse, e soprattutto come fosse fatta, ma lui non era mai stato troppo eloquente sull’argomento. Quando aveva scoperto che tra i suoi compagni di carcere girava una sua foto, quella che ora lui teneva appesa al muro, era andato su tutte le furie: aveva rotto il naso a quell’idiota di Daniel che si vantava di averla trovata, e le guardie avevano dovuto prenderlo di forza per evitare che lo ammazzasse per davvero. Se c’era qualcosa che detestava con tutto stesso era che qualche detenuto potesse avere fantasie su di lei.

 

Anche se Irina aveva contribuito a mandarlo in carcere, anche se rappresentava il suo errore più grande, anche se lo aveva odiato fino a tentare di ucciderlo, lui continuava a essere ossessionato da lei.

 

Avrebbe dovuto dimenticarla, lo sapeva; avrebbe dovuto rimuoverla completamente dalla sua testa, ma non ci riusciva. Soprattutto ora che Irina era libera, era felice, e stava con quello sbirro di Went. Sua e solamente sua.

 

Ogni giorno, dentro quella cella che assomigliava tanto a un buco, solo, a patire quello che avevano previsto per lui, si era chiesto cosa avrebbe fatto quando fosse uscito fuori di lì, cosa le avrebbe detto quando l’avrebbe trovata, e soprattutto cosa avrebbe provato avendola di nuovo davanti.

 

Se la gente credeva che sarebbe rimasto chiuso in carcere per il resto dei suoi giorni, zitto e buono, si sbagliava di grosso. Sarebbe uscito, in un modo o nell’altro, legalmente o illegalmente, soprattutto perché la fuori c’era qualcuno che poteva farlo fuggire. Qualcuno che tardava a farsi vedere, ma che sapeva essere ancora libero e che un giorno si sarebbe fatto rivedere. Tramite lui avrebbe organizzato la sua fuga, con i soldi che insieme a suo padre aveva nascosto in caso di bisogno.

 

E una volta libero, l’avrebbe cercata. Irina poteva anche nascondersi, scappare, cercare rifugio dal suo caro sbirro dell’F.B.I., ma lui l’avrebbe ritrovata, a qualsiasi costo. Le avrebbe dimostrato che nemmeno le sbarre potevano fermarlo, nemmeno chiudendolo in quella cella buia e spoglia, nemmeno togliendogli tutto potevano piegarlo. Le avrebbe fatto vedere che allo Scorpione non si fugge, mai.

 

“Potrai anche stare con Went, adesso, ma rimani comunque ancora mia. E lo sai meglio di me”.

 

Lui l’aveva trovata, lui l’aveva portata nel suo giro, lui l’aveva “svezzata” trasformandola in Fenice, lui aveva avuto fiducia in lei. Lui l’aveva vista salire sulla sua Punto bianca e scalare la Black List, lui l’aveva scelta come la sua preferita, lui le aveva sempre dato qualsiasi cosa volesse. Lui si era innamorato di lei, a tal punto da decidere di essere quello che lei voleva, a tal punto di implorarle di fare finta di amarlo…

 

Non si era mai perdonato quel cedimento, quella caduta così stupida e disonorevole. L’aveva implorata, le aveva chiesto di dirle cosa voleva in cambio del suo amore, in cambio del suo cuore. E lei aveva chiesto la vita di Went.

 

Eppure sentiva che una come Irina era destinata a lui, che alla fine non si fossero incontrati per caso. Fenice era esattamente quello che lo Scorpione cercava, quello che inconsciamente aveva cercato per tutta la vita: la persona che era in grado di tenergli testa, di sbattergli in faccia quello che pensava di lui, che non era falsa, che non lo compiaceva solo per interessi. Irina era quello: era l’unica persona che durante quei due anni era stata vera con lui.

 

“Puoi essere solo mia, Fenice… E lo sarai, anche se questo vuol dire ucciderti”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 19.30 – Casa di Xander

 

<< Hai comprato un abito da sposa da 7.000 dollari a Sally, con la carta di credito che ti avevo regalato? >> ripeté Xander, un sopracciglio inarcato, la forchetta sospesa a mezz’aria e gli occhi azzurri puntati su di lei. Nella cucina ampia e spaziosa si sentiva solo la voce del mezzobusto del telegiornale.

 

Irina li lasciò andare a una smorfia dispiaciuta, allontanando impercettibilmente la sedia dal tavolo. Il suo sguardo percorse le ante lucide della cucina, poi tornò a soffermarsi su Xander. Forse avrebbe dovuto prima chiedergli il permesso…

 

<< Ehm… Sì >> rispose, << Dai, le stava troppo bene… E poi non si è mai permessa niente di lussuoso… Cavolo, si deve sposare! >>.

 

Xander mandò giù il boccone con deliberata lentezza, distogliendo lo sguardo da lei, forse cercando di non farsi scappare una parolaccia. Irina cercò di scrutare la sua espressione, ma lui sembrava totalmente concentrato sulla sua bistecca.

 

<< Ti sei arrabbiato? >> domandò, titubante.

 

Xander alzò il volto e poi la guardò per un istante, serissimo. Alla fine però sorrise e le diede un buffetto sulla guancia.

 

<< No, non mi sono arrabbiato >> disse, e Irina tirò un sospiro di sollievo, << Solo vorrei che ogni tanto pensassi anche a te stessa… Te l’avevo data per comprarti qualcosa per te. Ma comunque, se ti fa piacere, va bene >>.

 

Irina gli schioccò un bacio sulle labbra e poi sorrise. No, non era mai stata capace di pensare solo a se stessa, e non voleva farlo. Sally si meritava quel regalo, e rinunciare a qualcosa per se stessa non era un prezzo troppo grande da pagare.

 

<< C’è altro che devo sapere? >> chiese Xander, spostando il piatto e fissando il televisore, dove trasmettevano le immagini della Casa Bianca e del Presidente degli Stati Uniti.

 

<< Ho chiesto a Sally se mi lascia Tommy, quando lei e Dominic andranno in viaggio di nozze >> disse Irina, portando in tavola il cesto della frutta.

 

L’espressione di Xander mutò nel giro di un nanosecondo: per un istante sembrò che gli avesse parlato in giapponese. Irina però non si stupì della sua reazione: sapeva benissimo a cosa era dovuta.

 

Se Irina adorava i bambini, e naturalmente suo nipote era al primo posto, Xander non era dello stesso identico parere. Aveva sempre dimostrato una certa insofferenza verso i ragazzini al di sotto dei dieci anni, soprattutto quando distoglievano l’attenzione di Irina da lui, e se poteva cercava di evitarli. Non che odiasse Tommy, certo che no, solo che alla prospettiva di averlo in giro per casa per diversi giorni non lo rendeva proprio felice: Irina non sarebbe stata sempre tutta sua, e sapeva quanto suo nipote certe volte fosse inopportuno.

 

<< Dai, non fare così >> disse Irina, trattenendosi dal ridere di fronte alla sua faccia, << Non ti darà fastidio… Staremo a casa mia >>.

 

<< No, non è per quello… >> disse Xander, poco convinto, cercando il telecomando della tv, << Vabbè, lasciamo perdere. Venite qui da me, così fai felice pure Nichole… >>.

 

Irina gli schioccò un altro bacio sulle labbra, riconoscente. Era uno sforzo enorme, per lui.

 

<< Grazie. Ti amo >> sussurrò.

 

<< Anche io >> disse Xander, << Forse pure troppo… Ti lascio sempre fare quello che vuoi >>.

 

Irina sorrise e guardò l’orologio.

 

<< Lavo i piatti e poi torno a casa >> disse, << Domani ho lezione… Non venirmi a prendere per spaventare la gente, eh >>.

 

<< Ok… >> borbottò Xander, alzandosi e porgendole i piatti, << Mettili nella lavastoviglie, no? Ci penso io a toglierli, dopo >>.

 

Irina gli gettò un’occhiata. Su quello aveva qualche dubbio: se Xander aveva una domestica, una spiegazione c’era. Aveva una totale avversione per ogni faccenda di casa, soprattutto se si trattava di qualcosa che aveva a che fare con la cucina. Fece come lui aveva detto, ma solo perché sapeva che la mattina seguente ci sarebbe stata Nichole a mettere tutto a posto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 9.30 – San Francisco, Sede F.B.I.

 

<< Voleva vedermi, Vicepresidente? >>.

 

Xander varcò la soglia dell’ufficio, chiudendosi la porta alle spalle. Howard McDonall, il Vicepresidente dell’F.B.I. americana, sedeva dietro alla sua bella scrivania di legno scuro, sfogliando un fascicolo rilegato in un cartoncino marrone. Le grandi finestre che davano sul parcheggio interno facevano filtrare la luce fioca di quel giorno uggioso di novembre, lasciando nella penombra il volto segnato dell’uomo. Alzò lo sguardo e sorrise.

 

<< Buongiorno, agente Went >> disse cordiale, << Venga, venga. Si sieda pure… Sono contento di rivederla, soprattutto dopo l’ultimo successo a New York. Ho ricevuto il suo rapporto. Sono molto contento di come ha sistemato la storia >>.

 

Xander sorrise compiaciuto, accomodandosi sulla sedia davanti alla scrivania. << Non è stato facile, ma me la sono cavata >> disse.

 

McDonall mise da parte il fascicolo e lo guardò con espressione quasi paterna. << Immagino abbia intenzione di prendersi qualche giorno di vacanza, vero? >> domandò.

 

<< Sono stato via un mese e mezzo, vorrei passare un po’ di tempo a casa >> rispose Xander, << Oltretutto, tra qualche settimana il fratello di Irina si sposa, e devo essere presente alla cerimonia >>. Non che fosse entusiasta, visto che Todd e il resto della sua famiglia continuavano a essergli poco simpatici, ma non andare sarebbe risultato inopportuno.

 

McDonall sorrise. << Capisco… Come sta Irina, tra l’altro? >> chiese, interessato << E’ passato un po’ di tempo dall’ultima volta che l’ho vista >>.

 

<< Bene, anche se non è proprio contentissima del fatto che continui a rimanere a Los Angeles a mesi alterni… >> rispose Xander, << Per questo vorrei passare un po’ di tempo con lei >>.

 

McDonall si sedette più comodamente sulla sedia. << D’accordo, permesso accordato, per il momento >> disse, << Non era di questo che volevo parlare, però >>.

 

Xander drizzò le orecchie alla frase “per il momento”. Qualcosa gli diede l’impressione che anche questa volta le sue vacanze sarebbero andate a farsi benedire. << E sarebbe? >>.

 

McDonall tirò fuori un altro fascicolo dal cassetto della scrivania, questa volta rilegato in cartoncino nero. Assunse una strana espressione, glielo passò e Xander lo prese.

 

<< Abbiamo avuto contatti con i servizi segreti russi >> spiegò McDonall, << Ci hanno chiesto una mano per risolvere una questione piuttosto spinosa >>.

 

<< Di che si tratta? >> chiese Xander, sfogliando il fascicolo: dentro c’erano alcune foto e diverse schede che raccoglievano informazioni riguardo a una serie di bande che agivano nei pressi di Mosca e di San Pietroburgo.

 

<< Spaccio di droga, gare clandestine, furti di auto di lusso, cose del genere >> disse McDonall, << Niente che non sia nuovo… Sembra però che si siano anche immischiati negli affari di governo >>.

 

Xander smise di sfogliare il fascicolo, e si ritrovò davanti la foto di un volto che conosceva bene. Barba scura, espressione strafottente e dente d’oro in bella vista. Boris Goryalef, il russo che aveva conosciuto più di due anni prima a Las Vegas, e contro cui aveva corso in una gara.

 

<< Ma questo… >> mormorò, prendendo la foto e avvicinandola per esaminarla meglio.

 

<< Sì, è Goryalef >> concluse McDonall, << Pare sia invischiato in questa storia. Il governo russo ci ha chiesto di occuparcene >>.

 

<< Ma non possono pensarci loro? >> chiese Xander, sfogliando le pagine alla ricerca di ulteriori informazioni.

 

<< Ci hanno provato, ma non sono riusciti a infiltrare nessuno >> rispose McDonall, guardando il fascicolo, << I servizi segreti sanno che abbiamo avuto successo due anni fa con Challagher, e pare che la situazione sia molto simile, se non addirittura peggiore… Ci hanno chiesto una mano, nella speranza di riuscire ad arrestarli >>.

 

Xander finì di sfogliare rapidamente il fascicolo, poi alzò lo sguardo sul Vicepresidente. Era chiaro che il candidato per quella missione era lui, visto che era stato lui a occuparsi dello Scorpione.

 

<< Devo andare io >> disse, sapendo di aver colto nel segno.

 

<< No >> rispose McDonall, con uno strano tono di voce, << No, non andrà lei >>.

 

Xander rimase interdetto. << Perché? >>.

 

<< Goryalef la conosce, e anche a Mosca sanno che è invischiato nell’arresto di Challagher >> spiegò McDonall, << Non può infiltrarsi tra di loro, se la conoscono e sospettano che lavori per la polizia o per noi >>.

 

<< Allora chi dobbiamo mandare? Se non posso andarci io… >> iniziò Xander, cercando di capire bene la faccenda.

 

McDonall lo interruppe. << Aspetti. Non intendevo dire questo. Ciò che voglio dire è che lei non può sicuramente infiltrarsi nel giro di Goryalef, ma può comunque fare la sua parte. Dobbiamo trovare qualcuno da mandare a Mosca per scoprire come si muovono >>.

 

<< Allora io cosa c’entro, se non posso andare? >> domandò Xander.

 

<< Deve aiutarmi a trovare qualcuno che abbia i requisiti necessari per riuscire a entrare nel loro giro >> disse McDonall, << Non accettano nessuno che non conoscono, e da quel punto di vista sono ancora più chiusi della Black List e di Challagher. Per avere anche solo a che fare con loro bisogna avere un aggancio, di cui si fidano almeno un minimo… Dobbiamo trovare qualcuno che sia bravo con le auto e sappia muoversi senza destare troppi sospetti >>.

 

Xander strinse il fascicolo: c’era qualcosa in tutta quella storia che non gli piaceva.

 

<< Mi spieghi come dovremmo procedere >> disse.

 

McDonall tirò fuori un foglio con una lista di nomi. << Lei si potrà occuparsi del gruppo che sta a San Pietroburgo, che smercia droga e auto rubate provenienti dall’Europa… E’ gente rude, di cui persino la polizia ha paura, con metodi non proprio gentili. Non sappiamo altro, per il momento. L’altro nostro agente si occuperà di Mosca, e dovrà scoprire chi sono i membri del governo che stanno dalla parte di Goryalef, oltre che scoprire i loro traffici. I gruppi sono comunque tutti collegati tra loro, perché rispondono a un unico capo >>.

 

<< Chi è? >> chiese Xander.

 

<< Non lo sappiamo. Nessuno lo sa, a dir la verità >> rispose McDonall, << Potrebbe anche trattarsi di un gruppo di persone. Chi lo ha visto non è mai sopravvissuto per poterlo raccontare… Si è costruito una rete di intermediari che lo coprono e con i quali conduce i suoi, o i loro, affari. In questo modo nessuno entra mai direttamente in contatto con lui, e si può garantire una certa copertura >>.

 

<< Quindi l’altro agente dovrebbe scoprire di chi si tratta >> concluse Xander. << Trovare il loro capo e minarli dall’interno >>.

 

<< Esatto >>.

 

Era una missione pericolosa, difficile, fatta di gare clandestine… Perfetta per lui. Peccato che Goryalef lo conoscesse, altrimenti quella sarebbe stata pane per i suoi denti.

 

<< Non sarà facile trovare qualcuno che possa andare… >> mormorò, << Se è questa missione è davvero a livello di quella di Challagher, non sarà semplice >>.

 

Non avrebbe fatto lo stesso errore che aveva commesso quando era arrivato a Los Angeles, cioè quello di sottovalutare la cosa. Aveva creduto che la storia dello Scorpione fosse una passeggiata, ma si era sbagliato di grosso. Per le sue leggerezze, Irina ci aveva quasi rimesso la pelle… Chi sarebbe andato non doveva essere uno sprovveduto.

 

<< Dove lo troviamo qualcuno che sia in grado di non destare troppi sospetti… >> borbottò, << Che abbia un aggancio… >>.

 

Guardò McDonall, cercando di spremersi il cervello. A dir la verità, però, non stava cercando la persona da mandare a Mosca… Stava cercando un modo per andare lui, a Mosca. Credeva di essere l’unico abbastanza preparato e motivato per andare. Aveva ancora una pacca sul sedere di Irina da vendicare…

 

<< Agente Went, credo che dovremo avvalerci di una nuova leva >> disse McDonall all’improvviso, scrutandolo negli occhi.

 

Xander lo guardò, quasi aspettandosi che da un momento all’altro qualcuno varcasse l’ufficio, presentandosi come il suo nuovo sostituto. Fissò il Vicepresidente per un istante, in attesa, il sopracciglio inarcato, curioso di sapere chi si trattava, visto che McDonall sembrava avere le idee chiare.

 

Quando vide che il silenzio si prolungava, quasi il Vicepresidente volesse aumentare la sua curiosità, chiese: << E chi sarebbe? >>.

 

<< Esiste qualcuno che ha questi requisiti, ma non è uno dei nostri agenti >> spiegò calmo McDonall, e per un momento i suoi occhi si abbassarono. << Ha la giusta esperienza in fatto di gare clandestine, e saprebbe esattamente come muoversi e come agire… Non desterebbe nemmeno troppa attenzione >>.

 

Xander rimase di sasso. Spalancò la bocca senza riuscire a emettere alcun suono, fissando il suo capo con il cervello che lavorava a mille.

 

Serviva qualcuno che conosceva il modo di agire dei piloti clandestini, che sapeva come agivano, e che godeva di una certa fama anche in Russia per poter entrare senza troppi problemi nel loro giro…

 

E Xander sapeva a chi si stava riferendo, a chi corrispondeva quella descrizione.

 

Irina.

 

<< No >> sbottò, << No, non se ne parla nemmeno. Non manderò la mia ragazza laggiù solo per far arrestare un gruppo di trafficanti… Se lo tolga dalla testa >>.

 

Era un colpo basso che non si era aspettato da McDonall. Chiedergli una cosa del genere equivaleva a chiedergli di uccidere un’innocente. E poi non era nemmeno un’agente dell’F.B.I., e neanche una poliziotta… Cosa centrava lei?

 

<< Irina è perfetta >> disse il Vicepresidente, calmo, << Goryalef la conosce, non si insospettirà quando la vedrà arrivare. Oltretutto è una ragazza, nessuno penserà che lavora per noi… La considereranno troppo inoffensiva per dare qualche problema, potrà… >>.

 

<< No! >> ripetè Xander, arrabbiato, << Non mi interessa, e non ha alcun senso. Non ci penso proprio a mandare Irina in Russia… Non ha esperienza, non saprebbe cosa fare. E poi non voglio certo che rischi la vita >>.

 

Fissò McDonall per fargli capire che la questione era chiusa. Poteva anche dirgli che Irina era l’unica persona sulla faccia della terra a poter andare laggiù, ma non gliene fregava nulla. Non l’avrebbe mandata a farsi ammazzare.

 

Il Vicepresidente trasse un sospiro, poi incrociò le braccia.

 

<< Immaginavo avesse una reazione del genere… >> commentò tranquillamente, << Non posso costringere nessuno a fare qualcosa che non vuole, ma ci troviamo in una situazione in cui Irina sembra l’unica adatta a questa cosa… >>.

 

<< Cosa dovrebbe fare, eh? >> lo interruppe Xander, nervoso, << Andare lì e mischiarsi tra loro nella speranza che nessuno la noti? Lo ha già fatto una volta… L’hanno violentata e per poco non rimaneva uccisa! Ha chiuso con le corse clandestine, e non ci tornerà mai più. Non ho preso Challagher per vederla tornare tra loro! >>.

 

Per la prima volta McDonall lo stava facendo arrabbiare sul serio. Non avrebbe cambiato idea, nemmeno per sogno: non avrebbe messo in pericolo Irina solo perché non c’era nessuno più adatto di lei ad andare in Russia. Sicuramente qualcuno di più preparato c’era.

 

<< Non sto dicendo che deve andare, sto solo dicendo che Irina potrebbe essere una delle alternative… >> disse McDonall, il tono più accondiscente, forse sperando di riuscire a convincerlo.

 

<< Allora la scarti pure >> disse Xander, << Piuttosto vado io, ma lei non si muove da qui >>.

 

<< Dovremmo parlarne anche con Irina, non crede? >> chiese McDonall, serio, << Questo è il suo punto di vista, ma lei potrebbe pensarla diversamente… >>.

 

Xander spalancò gli occhi. No, Irina non avrebbe mai accettato. Aveva sempre odiato il mondo di cui aveva fatto parte, e di sicuro non ci sarebbe mai voluta tornare. Per di più, rischiare la vita non era certo un incentivo a fare la pilota clandestina… Non voleva tornare a esserlo…

 

Oppure no?

 

<< Non è necessario che lo sappia >> disse, gelido, << Non ha la preparazione adatta, è troppo giovane e non sono disposto a mandarla laggiù. Troviamo qualcun altro >>.

 

<< E se non ci riuscissimo? >> ipotizzò McDonall. Appoggiò le mani alla scrivania, come per apparire più convincente.

 

<< Ci andrò io >> ribatté Xander, e con quello aveva chiuso il discorso.

 

<< D’accordo >> disse il Vicepresidente, avvicinando la sedia, << Cercheremo qualcun altro. Abbiamo ancora tre settimane di tempo, poi dovremo mandare un’agente >>.

 

In tre settimane Xander era sicuro di poter trovare sicuramente qualcuno: aveva solo bisogno di una persona che fosse brava al volante, avesse dimestichezza con il mondo delle corse clandestine e fosse disposta a rischiare la vita per una missione come quella… Non esisteva solo Irina, con quei requisiti.

 

<< I servizi segreti russi ci forniranno un appoggio? >> chiese. Cercò di controllare la voce, ma lo sapeva che dal suo tono traspariva ancora molto nervosismo.

 

<< Sì, forse sarete anche affiancati da qualche loro agente >> rispose McDonall, << Questo è un punto su cui dobbiamo accordarci… Verrà il capo dei servizi segreti russi qui, tra un paio di settimane: studieremo meglio la strategia in quell’occasione >>.

 

Xander fece per alzarsi. << Bene. Le troverò la persona adatta >> disse.

 

<< Agente… >> lo chiamò McDonall, e Xander si bloccò sulla porta, << Pensi a quello di cui abbiamo discusso… Lo so che è una proposta inconcepibile per lei, ma non gliela farei se non fossi convinto di ciò che dico. Perlomeno ne parli con Irina >>.

 

Xander guardò il Vicepresidente, con un miscuglio di rabbia e di comprensione. McDonall era uno di cui si era sempre fidato, a cui portava rispetto non solo perché era il membro più importante dell’F.B.I., ma anche perché lo considerava una persona in gamba e dall’indiscussa intelligenza. Sapeva che non gli avrebbe mai chiesto una cosa del genere, ne non fosse stata necessaria, ma questa volta proprio non avrebbe sentito ragioni. Irina era l’unica cosa veramente degna di importanza, nella sua vita, e dopo tutto ciò che era successo non avrebbe permesso che la normalità che si era riguadagnata le venisse tolta.

 

<< No >> ribatté, << Meno sa di questa storia, meglio è >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

<< Ti rendi conto? >> disse Xander, sorseggiando il suo caffè con aria irosa, seduto davanti alla scrivania dell’ufficio di Jess Stone, l’informatico suo migliore amico, << McDonall mi ha chiesto di mandare Irina in Russia… Pensava veramente che la lasciassi andare? >>.

 

Jess mise da parte il portatile e lo guardò, l’espressione seria e divertita al tempo stesso. Negli ultimi due anni aveva preso qualche chilo, merito della cucina di Jenny, e il suo viso appariva ancora più buffo.

 

<< Non ti sembra di essere iper-protettivo? >> chiese, << In questo caso ti capisco, ma mi pare che tu sia un po’ troppo possessivo, nei suoi confronti. Non le hai nemmeno chiesto cosa pensa… >>.

 

Xander accettò il commento solo perché si trattava del suo migliore amico, ma si sentì comunque punto sul vivo. Possessivo lui? Ma se le lasciava sempre fare quello che voleva…

 

, forse pensandoci bene, ogni tanto aveva il vizio di mettersi al suo posto quando era ora di prendere qualche decisione… Però non si era mai lamentata… Lo faceva per lei, per evitare che si cacciasse nei guai… Irina si fidava dei suoi giudizi, perché lo riteneva più esperto di lei…

 

<< Non fa parte dell’F.B.I. >> disse seccato, << Non centra niente… Perché dobbiamo metterla in mezzo? Non si tratta di mandarla per farle fare un giro turistico… Si rischia la vita, lo sai quanto me >>.

 

Jess diventò serio. << Se McDonall te lo ha proposto, significa che evidentemente non ha trovato alternativa migliore >> disse, << Non è uno che fa le cose tanto per farle. Quando è stata ora di lasciarti campo libero per arrestare Challagher, lo ha fatto. Non te lo avrebbe proposto se non ci fossero state altre persone adatte, non credi? >>.

 

Xander tacque. Si era sempre fidato di McDonall, perché il Vicepresidente gli aveva sempre dato fiducia. Nonostante una volta avesse persino insultato un suo superiore, la peggior punizione che gli aveva inflitto era stato far finta di essere finito fuori dall’F.B.I., per poi lasciargli fare quello che aveva in mente, consentendogli persino scavalcare la sua stessa autorità.

 

Sapeva che mandare Irina doveva essere la migliore cosa che si potesse fare in quel momento, ma quando si trattava di lei diventava tremendamente egoista. Finché si trattava di lasciarla a Los Angeles, lontana da lui ma pur sempre al sicuro, era un conto, ma spedirla in Russia era tutta un’altra cosa.

 

<< Non voglio che rischi la vita >> disse lentamente, << Lo ha già fatto una volta, e sappiamo tutti com’è finita… Perché costringerla a tornare a fare la pilota clandestina, quando l’unica cosa che voleva era tornare a essere una ragazza normale? No, non sarò io a proporle una cosa del genere, né nessun altro >>.

 

Jess sorrise. << Allora perché te la prendi così tanto? >> disse, << Se sei sicuro che Irina non accetterà, perché non ne parli con lei? Magari potrebbe darti una mano per sbrogliare la situazione… >>.

 

Anche questa volta Jess aveva intuito qual’era il suo problema, e gli aveva messo davanti la questione.

 

<< Perché non sono sicuro che risponderebbe di no >> disse Xander, sconfortato, << Lo so com’è fatta, e non è in grado di pensare a se stessa. Potrebbe anche accettare per senso del dovere: se dovessero dirle che è l’unica che può andare lì, direbbe di sì, ne sono sicuro >>.

 

In realtà, non era quella la verità. Non era sicuro che Irina non avrebbe accettato per un altro motivo: nonostante avesse chiuso con le corse clandestine, aveva voluto tenere la Grande Punto, e non aveva smesso di usarla, anche se lo aveva fatto saltuariamente. E non aveva nemmeno smesso di amare le gare: quante volte erano andati a provare qualche macchina in un circuito privato? Quante volte l’aveva vista sospirare davanti alla Punto bianca parcheggiata nel suo garage, ferma, eppure sempre così pronta a correre? Perché comportarsi in quel modo, se davvero non voleva più fare parte di quel mondo?

 

Forse, se gareggiare nelle corse clandestine non fosse stato contro la legge, e soprattutto se le gare clandestine ci fossero ancora state a Los Angeles, Irina ci sarebbe andata. Tante volte si era chiesto se per caso Irina desiderasse correre ancora, ma non aveva mai avuto il coraggio di domandarglielo. E se si fosse sentito rispondere che le manca un po’, quel mondo, come avrebbe reagito?

 

Era stato lui a trovarla, imprigionata tra le sbarre di quel bastardo di Challagher, e lui l’aveva vista sperare di poter chiudere veramente con quella vita… Lui l’aveva tirata fuori da lì, con l’anima lacerata e il cuore a pezzi, e lui l’aveva aiutata a ritornare quella di prima… E se si fosse reso conto che Irina si era pentita? Se avesse capito che lei voleva ancora continuare a essere Fenice? Challagher non c’era più, avrebbe potuto correre per il piacere di farlo…

 

Se Irina voleva davvero tornare a essere quello che era stata, allora c’era il rischio che le loro strade si separassero… Significava che si era pentita del suo aiuto, che se non fosse stato per la presenza di Challagher, lei sarebbe rimasta volentieri una pilota clandestina… Significava che fino a quel momento aveva mentito, e che magari era stata con lui solo per il senso di gratitudine…

 

Xander scosse il capo per scacciare quel pensiero, dandosi dello stupido. No, Irina non sarebbe stata in grado di essere così falsa, e sicuramente non voleva tornare a essere una pilota clandestina. E le loro strade non si sarebbero mai potute separare, nemmeno di fronte a quell’alternativa.

 

Ma in ogni caso era meglio che non sapesse niente di quella storia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 16.00 – Casa

 

Irina infilò tutto il bucato nella lavatrice, cercando di chiudere lo sportello che non voleva saperne di andare al suo posto, e poi scese di sotto, dove suo padre stava guardando alla tv un programma che parlava di cucina.

 

<< Uhm, questo deve essere buono… >> stava dicendo, segnando su un blocchetto gli ingredienti per quella che doveva essere una sorta di zuppa di verdure con crostini, << Allora, carote, cipolla… >>.

 

Irina si avvicinò e sbirciò sul foglio, sorridendo. Era assurdo come fossero cambiate le cose, da due anni a quella parte, compreso il fatto che suo padre avesse scoperto di essere davvero bravo in cucina, tanto da andare addirittura a lavorare come cuoco in un ristorante. A cinquant’anni passati di ritrovava a scoprire finalmente in cosa era portato, ma meglio tardi che mai.

 

A un certo punto sbucò dal corridoio Dennis, uno dei suo fratelli, che si lanciò direttamente sul divano senza troppi complimenti.

 

<< Ancora programmi di cucina? >> sbottò, cercando di impossessarsi del telecomando, << Basta, non ne posso più… >>.

 

<< Aspetta, che devo finire di segnarmi gli ingredienti! >> gridò suo padre, strappandogli di mano il telecomando.

 

Irina si mise a ridere davanti alla scena, mentre Dennis borbottava qualcosa a proposito di diventare dei ciccioni, e Todd scriveva convulsamente sul suo blocchetto degli appunti. Avrebbe dovuto farci l’abitudine, ma tutte le volte che vedeva quanto i rapporti tra tutti loro fossero migliorati, le veniva sempre da sorridere. Dennis aveva persino diminuito il numero di parolacce che pronunciava mentre era in casa, il che era davvero un miracolo.

 

Il campanello suonò all’improvviso, e guardò l’orologio. Doveva essere Xander, perché gli aveva promesso che lo avrebbe accompagnato a prendere l’abito da cerimonia per il matrimonio di Sally. Raccolse la borsa e salutò tutti quanti.

 

<< Ci vediamo stasera a cena, papà >> disse, salutandolo con la mano, << Mi raccomando, mi aspetto quella zuppa, eh? Vediamo se è davvero buona come sembra >>.

 

<< Ciao tesoro. Non fare troppo tardi >>, disse Todd, la lingua tra i denti, mentre scriveva il procedimento della ricetta sul foglio e Dennis borbottava come una pentola di fagioli di fianco a lui.

 

Xander la aspettava davanti a casa, questa volta con la BMW M3 per non essere eccessivamente “vistosi”, e gli corse incontro sotto il tenue sole autunnale, che faceva scintillare la vernice bianca della macchina.

 

<< Ciao piccola >> la salutò lui, << Andiamo? >>.

 

Irina montò in auto, per poi stampargli un bacio sulle labbra. << Ciao… Sei andato a San Francisco, stamattina? >>.

 

<< Sì, ho anche visto Jess >> rispose Xander, ma qualcosa nel suo tono le fece capire che era più serio del solito. E in macchina c’era odore di sigaretta, riusciva a sentirlo, il che voleva dire che aveva fumato.

 

E lui fumava solo quando era nervoso.

 

<< Tutto bene? >> chiese, cercando di non dare a vedere che si era accorta della cosa. Con la coda dell’occhio lo guardò girare il volante, gli occhi puntati sulla strada.

 

<< Sì, tutto a posto… >> rispose Xander, avviandosi verso il centro città, << Mi prendo qualche giorno di vacanza, così lo passiamo insieme. Poi devo occuparmi di un nuovo incarico… >>.

 

Ecco forse da dove arrivava il problema che lo rendeva ombroso, anche se di solito non si comportava così al pensiero di una nuova missione.

 

<< No, di già? >> disse Irina, dispiaciuta, << Ma sei appena tornato… Ti mandano di nuovo via? >>.

 

Xander fermò la BMW al semaforo e sorrise, voltando la testa verso di lei. << Non vado già via >> disse, << Devo solo trovare la persona giusta che venga con me… La missione è programmata fra tre settimane, se non di più. Abbiamo ancora un po’ di tempo da passare insieme… Nemmeno io voglio già andarmene >>.

 

<< Dove vogliono mandarti? >> chiese Irina, sentendo già l’ansia crescere, al pensiero di vederlo di nuovo partire. Anche se mancavano ancora un po’ di settimane, sapere che se ne doveva andare non era per niente piacevole.

 

<< In Russia >> rispose atono Xander.

 

Ecco perché sembrava strano. La Russia era lontana, e di sicuro non era un posto tanto “tranquillo”. Doveva essere qualcosa di molto pericoloso e importante, anche perché se no non avrebbero scelto lui.

 

<< Ma non possono mandare qualcun altro? >> domandò Irina, spaventata.

 

Xander fece un sorriso amaro. << No, non questa volta >> rispose lui, << E’ qualcosa di davvero grosso, sembra. Non credo ci sia qualcuno di adatto, oltre a me… >>.

 

Si interruppe, e Irina lo guardò, concentrato, stringere il volante con aria nervosa. Aveva le sopracciglia aggrottate, come ogni volta che c’era qualcosa che lo preoccupava. Questa volta non era entusiasta della nuova missione, diversamente dalle altre volte.

 

<< Ma non sei obbligato ad andarci! >> protestò lei, vedendolo strano, << Ti sbattono sempre di qua e di là, per una volta puoi anche dirgli di no! >>.

 

Xander fece una smorfia. << Non è quello… >> borbottò, << E’ che… Non importa, piccola, lasciamo stare. Voglio solo che queste tre settimane passino molto lentamente… >>.

 

Irina gli strinse la mano appoggiata sul cambio, sentendo le sue dita sotto le sue. Era dura vederlo partire, saperlo lontano e in pericolo, e non era certa di poterlo sopportare ancora… Ma sapeva anche che Xander amava il suo lavoro, amava partire sprezzante del pericolo e amava la sensazione che provava quando andava in missione. In due anni lo aveva capito, e non gli aveva mai impedito di fare quello che voleva: si fidava ciecamente di lui, e sapeva che sarebbe sempre tornato. Ma la Russia era lontana…

 

<< Non ci pensare >> disse lui sorridendo, << Andiamo a prendere questo maledetto vestito… E non mi convincerai a comprarlo grigio, intesi? >>.

 

Irina sorrise, ma non era proprio felice. Avrebbe rinunciato a tutto, pur di evitare che partisse di nuovo, anche a farlo vestire di grigio che gli donava tantissimo… Ma sapeva com’era fatto Xander: non si sarebbe tirato indietro,perché non era proprio capace di farlo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Allora, ecco il ritorno del nostro Scorpione… Come vi è sembrato? E’ rimasto lo stesso, in effetti, o almeno così sembra. Ciò che credo sia più importante sottolineare è il fatto che continua a pensare a Irina, ed è palesemente confuso (anche se lui non lo ammetterebbe mai): la odia perché si è innamorata di Xander, ma non riesce a rassegnarsi; vuole vendetta, ma la considera ancora sua. Dice di volerla uccidere, ma non ne sembra ancora convinto. Ditemi le vostre impressioni.

E poi, la rivelazione di McDonall: vorrebbe mandare Irina in Russia, e farla tornare una pilota clandestina… Ora si capisce da dove arriva il titolo, almeno in parte. Chissà come ci arriverà, visto che Xander non sembra proprio disposto a farla muovere da Los Angeles.

Ditemi cosa ne pensate di questa faccenda, ma soprattutto se vi è piaciuto il ritorno di William. Per quello di Dimitri dovrete aspettare ancora qualche capitolo.

 

 

 

Mi scuso con tutti voi, ma non ho proprio la forza fisica di rispondere a tutte le recensioni, ma sono strafelice che abbiate commentato e vi prego di continuare a farlo. Questa settimana è stata orribile, anche perché intere giornate passate in facoltà e litigi fra “amiche” con amiche di vecchia data che hanno la testa più dura del marmo credo che sfinirebbero chiunque…

 

Ora, ho deciso che aggiornerò tutti i venerdì sera, salvo diverso avviso. Vorrei farlo di mattina o nel primo pomeriggio, ma indovinate dove sono? In facoltà. Ma che bravi, ci avete visto giusto! Quindi, a venerdì prossimo, miei amati lettori!

 

Lhea

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Capitolo III

Capitolo III

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 11.00 – San Francisco, Sede F.B.I.

 

Xander gettò malamente il fascicolo che teneva in mano sulla scrivania, innervosito. Attese che l’agente che aveva appena incontrato, un certo Owen Dowson, arrivato dal dipartimento antidroga, si richiudesse alle spalle la porta e poi gettò un’imprecazione.

 

I suoi occhi vagarono sui mobili lucidi dell’ufficio, la persiana di metallo abbassata che lasciava passare la luce autunnale, la pianta abbandonata in un angolo, sola e mezza rinsecchita… Odiava stare in quella stanza, perché era tutto tropo statico e formale e gli dava il nervoso. La leggera trascuratezza del luogo lo confermava.

 

Possibile che non esistesse nessuno che avesse un po’ di esperienza nel settore delle corse clandestine, e che sapesse destreggiarsi tra un gruppo di russi? Che fosse in grado di infiltrarsi tra loro senza destare troppi sospetti e soprattutto senza fare troppo “rumore”?

 

No, forse qualcuno c’era, ma era lui a non volerlo vedere… Non avrebbe mai accettato nessuno come compagno, di tutti quelli che aveva incontrato: o erano troppo incoscienti, o troppo poco preparati… Aveva bisogno di qualcuno di cui fidarsi, di qualcuno che avrebbe seguito i suoi ordini quando era ora, e che al momento opportuno sarebbe stato capace di agire anche da solo…

 

Afferrò il bicchiere del caffè, e appoggiò i piedi sul ripiano della scrivania. Odiava stare seduto lì, soprattutto quando le cose non andavano come voleva lui… Il fatto di essere ancora al punto di partenza lo innervosiva ancora di più… Chi altri poteva chiamare?

 

Tirò fuori dal cassetto l’agenda in cui teneva tutti i contatti che conosceva, e iniziò a sfogliarla, sperando in qualche idea. C’erano un sacco di nomi di persone che aveva incontrato al massimo un paio di volte nella sua carriera, ma che potevano tornagli utili quando era in missione per avere subito informazioni in campi di azione diversi dal suo. Forse tra loro poteva nascondersi il candidato perfetto per quella missione…

 

Jacob Reston?

 

No, si occupava di clandestini e prostituzione, e di sicuro non aveva esperienza nelle corse…

 

Pitt Mastor?

 

No, nemmeno lui. Troppo vecchio…

 

Ad un certo punto arrivò alla C, e un nome gli saltò subito all’occhio, scritto frettolosamente con la penna rossa. Simon Cohen. Perché non ci aveva pensato prima?

 

Simon era un agente dell’F.B.I., aveva svolto un incarico simile in Messico diversi anni prima, e sapeva muoversi tra i piloti clandestini. Per un certo periodo aveva vissuto proprio come loro, per poi tornare a collaborare con la polizia… Forse non era più giovanissimo, ma lo conosceva e poteva fidarsi di lui…

 

Afferrò il telefono e compose il numero del suo cellulare. Poco dopo una voce profonda rispose.

 

<< Pronto? >>.

 

<< Simon, sono Alexander >> disse Xander, << Tutto bene? >>.

 

<< Certo, certo! >> rispose il gigante nero, << Dimmi, hai bisogno di qualcosa? >>.

 

Xander gli spiegò brevemente della missione in Russia, di quello che si doveva fare e di chi serviva, e soprattutto chi era il miglior candidato secondo McDonall.

 

<< Irina? >> sbottò Simon, << Sarà anche indicata, ma equivale a mandarla nella tana del lupo… E’ vero che da quelle parti non sanno che c’entra anche lei con l’arresto di Challagher, ma potrebbero sospettarlo, se la vedono arrivare lì… Mi sembra un po’ troppo avventato >>.

 

<< Tu saresti disposto ad andare? >> chiese Xander, << In fondo non è poi così difficile, non hai bisogno di chissà quale preparazione… >>.

 

<< Io? >> fece Simon, dubbioso, << Non saprei… Ho perso un po’ la mano, e non so se sarei in grado di non farmi beccare. Oltretutto, comincio a essere un po’ anzianotto anche io… >>. Lo disse ridendo, ma nel suo tono c’era una punta di amarezza.

 

Anziano era una parolona: Simon doveva avere più o meno cinquant’anni, e godeva ancora della sua notevole prestanza fisica. Di sicuro non si trattava di un problema legato al corpo, ma alla testa: forse il nero non aveva più voglia di vivere qualche avventura, come un ragazzino incosciente, non dopo tutte quelle che aveva passato.

 

<< Ho bisogno di qualcuno di cui posso fidarmi >> continuò Xander, << Tu sapresti come muoverti… Devi solo cercare di infiltrarti tra di loro e scoprire chi è che sta tradendo persino il Governo… >>.

 

<< Ci penserò, Xander >> disse Simon, << Ma davvero, non me la sento… L’ultima volta che ho preso parte a una missione del genere, non è finita bene. Il mio unico obiettivo era George Challagher, e quando è stato catturato ho deciso di darmi alla vita tranquilla… Non avrei particolari motivi, per accettare >>.

 

Xander ricordò all’improvviso a cosa si riferiva: Magdalena, la donna di cui si era innamorato e che era finita ammazzata mentre lui cercava di arrestare George Challagher… Quando aveva incontrato Irina, per un momento aveva creduto che la loro storia andasse a finire nello stesso modo, ed era stato orribile… No, forse non poteva chiedergli una cosa del genere.

 

<< Va bene, non importa >> disse, << Grazie comunque per averci pensato. Cercherò qualcun’altro >>.

 

Posò il telefono sulla scrivania, e si lasciò andare a un sospiro esasperato. In una settimana non aveva risolto nulla, ma poteva comunque ancora contare su altri sette giorni: qualcuno avrebbe trovato, altrimenti era pronto ad andare di persona, anche se sapeva quanto rischiava. Tutto, pur di non mandare Irina laggiù.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 11.30 – Università

 

Il cellulare nella tasca di Irina iniziò a vibrare, e lei sussultò, seduta al suo solito posto a metà aula. Jenny le rivolse un’occhiata mentre tirava fuori il telefono e guardava di chi si trattava, con il professore che continuava imperterrito a spiegare la sua lezione.

 

Quando vide che il nome che brillava sul display non era quello di Xander, rimase contrariata. Poi però venne attirata dal fatto che il numero lo conosceva, nonostante non fosse memorizzato nella sua rubrica: era Howard McDonall, il Vicepresidente dell’F.B.I.

 

<< Ma che… >> borbottò, alzandosi in piedi. In un attimo, l’ansia le montò addosso: che fosse accaduto qualcosa a Xander? Di solito non le telefonava mai…

 

<< Che succede? >> chiese Katy, alla sua sinistra, posando la penna sul banco.

 

<< Devo rispondere… >> disse Irina, allarmata, trafficando con le giacche e le borse per liberarsi il passaggio, << Fammi passare, per favore >>.

 

Scavalcò Katy e raggiunse rapidamente la porta, sotto lo sguardo di mezza aula, incuriosita dalla sua rapida e silenziosa fuga. Appena fu fuori, nel lungo e deserto corridoio dell’università, rispose, preoccupata, il cuore che batteva un po’ più forte del solito.

 

<< Pronto? >>.

 

<< Irina Dwight? >> chiese la voce dall’altra parte.

 

<< Sì, sono io >> rispose lei, raggiungendo un angolino tranquillo dove poter parlare senza essere ascoltata da nessuno che magari fosse uscito dalle altre aule.

 

<< Sono McDonall >> disse il Vicepresidente, << La disturbo? >>.

 

<< No, ero a lezione… >> rispose Irina, << E’ successo qualcosa? >>.

 

<< No, no >> si affrettò a dire McDonall, << Volevo solo parlare con lei un momento, se ha tempo. Anche adesso, se non le è di troppo disturbo… >>.

 

Era chiaro che a una richiesta del Vicepresidente dell’F.B.I. non si poteva certo dire di no, ma si chiese come mai volesse vederla, se non era successo niente… Le uniche poche volte che si vedevano era in occasione delle cene con i colleghi di Xander, che oltretutto lui amava pochissimo…

 

<< Va-Va bene… >> mormorò, ancora più preoccupata, << Come mai? Xander non mi aveva detto niente, a riguardo… >>.

 

<< Non si preoccupi, non è niente di grave >> disse McDonall, << Vorrei solo parlare con lei circa una questione che ritengo importante… Senza il suo fidanzato, se è possibile >>.

 

Cosa? Senza Xander? Che significava?

 

Perplessa, Irina rimase immobile di fronte alla parete, gli occhi puntati davanti a sé. C’era qualcosa che non le tornava: cosa voleva da lei McDonall, oltretutto senza Xander in mezzo? Quando mai gli nascondeva qualcosa, e soprattutto cosa mai poteva volere da lei?

 

<< D’accordo >> disse lentamente, fissando senza vederlo lo zaino di uno studente che passava di lì, i suoi passi che risuonavano nel corridoio vuoto, << Dove ci dobbiamo incontrare? >>.

 

<< Sul lungomare, all’Ocean Cafè >> rispose il Vicepresidente, << La aspetto lì, fra mezz’ora >>.

 

<< Bene >>.

 

Irina chiuse la telefonata e rimise il cellulare in tasca. Se McDonall poteva arrivare a Los Angeles in solo mezz’ora, significava che era già lì, e che doveva aver programmato quella cosa, il che era ancora più strano. Soprattutto se non voleva Xander tra i piedi.

 

Rientrò in aula ignorando gli sguardi di qualche studente interessato al suo ritorno, e si diresse verso il suo posto. Per fortuna il professore era di spalle e non fece caso a lei, che rapidamente raccolse il quaderno e la borsa. Jenny, Katy ed Angie la guardavano in apprensione. << Vado via, ci vediamo domani >> sussurrò.

 

<< Cosa è successo? >> chiese Angie, preoccupata a tal punto da distogliere l’attenzione dai suoi appunti.

 

<< Niente, devo solo vedere una persona… >> rispose Irina, poi scappò fuori dall’aula e uscì dall’Università.

 

Tutta quella storia era strana, e la preoccupava. Mentre attraversava i corridoi che l’avrebbero portata fuori dall’edificio, schivando gli studenti che cambiavano l’aula, si chiese se fosse il caso di telefonare a Xander e dirgli di McDonall… Alla fine decise di attendere di scoprire di cosa si trattava: magari non era davvero nulla di importante, e rischiava di disturbarlo per niente, oltre che farlo preoccupare inutilmente.

 

Le ci vollero solo dieci minuti per raggiungere casa sua e prendere le chiavi dell’Audi TT, sua compagna di vita come la Punto da più di tre anni. Senza nemmeno posare la borsa dei libri salì in auto e raggiunse il lungomare, tentando inutilmente di tenere a bada la sua preoccupazione: picchiettava sul pomello del cambio come tutte le volte in cui era nervosa.

 

L’Ocean Cafè era un locale molto conosciuto e considerato “d’èlite”, frequentato da gente abbastanza facoltosa e di un certo spessore: di sicuro non era un luogo adatto a piloti clandestini o persone di quello stesso calibro. L’arredamento lucido e sobrio dava l’impressione di un posto frequentato da manager, dottori e ingegneri durante le loro pause pranzo.

 

Al momento però era quasi vuoto, perché era ancora presto per mangiare, e l’unica persona che spiccava tra i tavolini affacciati sulla spiaggia era un uomo dai capelli brizzolati e vestito in un impeccabile completo nero. Sfogliava un fascicolo scuro, una tazza vuota di caffè davanti. 

 

Incerta, Irina entrò nel locale e si diresse lentamente verso McDonall, rivolgendo un cenno di saluto al barista, impegnato a sistemare le bottiglie nello scaffale dietro di lui. Un cameriere stava ripulendo i tavolini vicino all’ingresso.

 

<< Buongiorno… >>. Irina scostò la sedia e guardò il Vicepresidente dell’F.B.I., in soggezione: era pur sempre un alto esponente del governo americano.

 

<< Buongiorno >> disse McDonall, guardandola sedere di fronte a lui, educato come al solito, << La ringrazio profondamente per essere venuta subito. So che questa mattina aveva lezione, ma avevo bisogno di parlarle… >>.

 

<< Non capisco >> disse Irina, ordinando un caffè senza nemmeno pensare a quello che stava facendo, << Perché mi voleva vedere? >>.

 

McDonall spostò la tazzina vuota e appoggiò il fascicolo nero sul tavolino. Divenne improvvisamente serio, il volto segnato quasi inespressivo.

 

<< Ho parlato di questa cosa anche con l’agente Went >> disse, << Ed è per questo motivo che non volevo che ci fosse anche lui: non è d’accordo su quello che sto per proporle >>.

 

<< Di cosa si tratta? >> domandò Irina, insospettita. La faccenda era davvero strana, se non preoccupante. Proposta? Quale proposta?

 

<< I servizi segreti russi ci hanno chiesto aiuto per far arrestare un gruppo di piloti clandestini che ormai ha il controllo di tutti i traffici delle principali città della Russia >> spiegò McDonall, poggiando una mano sul fascicolo scuro.

 

<< Xander me ne ha parlato… >> disse Irina. Cosa centrava con lei?

 

<< E cos’altro le ha detto? >> chiese il Vicepresidente. La guardò con una strana espressione, quasi speranzosa.

 

<< Che doveva trovare qualcuno di adatto ad accompagnarlo… E che sarebbe partito tra qualche settimana >> rispose Irina, fissando l’uomo, senza capire bene dove volesse arrivare. Xander non aveva mica il divieto di parlarle delle sue missioni… O no?

 

McDonall fece una smorfia, quasi si aspettasse una risposta del genere. Lentamente aprì il fascicolo, lo sfoglio e tirò fuori una foto; gli gettò un’occhiata e poi la mostrò a lei.

 

Irina rimase di sasso di fronte all’immagine che si ritrovò davanti. La barba scura, il dente d’oro, il tipico abbigliamento da magnate russo… La prima cosa che le venne in mente fu una Ferrari gialla e una gara a Las Vegas… E dolorose schegge di vetro conficcate nel suo braccio, oltre che una pacca poco simpatica sul suo fondoschiena. Come dimenticarsi di Boris Goryalef?

 

<< Cosa significa? >> chiese, alzando lo sguardo su McDonall.

 

<< Lo riconosce, immagino >> ribatté lui, lasciando la foto sotto i suoi occhi.

 

<< Sì, era uno degli amici di Challagher… >> rispose Irina, e un leggero brivido le percorse la schiena nel pronunciare quel nome.

 

<< Vi conoscevate, quindi >> incalzò il Vicepresidente.

 

<< Sì, ci conoscevamo >>. Irina ignorò la tazzina di caffè che le venne posata davanti, << Non capisco… Cosa sta cercando di dirmi? >>.

 

<< Andrò subito al punto >> disse McDonall, assumendo un’aria professionale, << Dobbiamo mandare qualcuno in Russia per dare una mano ai servizi segreti per fare arrestare Goryalef e la sua gente. Purtroppo però è difficilissimo infiltrarsi tra di loro, perché fanno avvicinare solo chi conoscono… Ci serve qualcuno che sappia muoversi tra di loro senza destare troppi sospetti, qualcuno che sia bravo con le auto >>.

 

Irina fissò il Vicepresidente, mentre nella testa prendeva forma un’idea. Lo sapeva dove voleva andare a parare, adesso. Di sicuro era stato più che chiaro.

 

<< Deve essere qualcuno che sia insospettabile, e tuttavia abbia una certa conoscenza della gente di quelle parti per potersi infiltrare fino ai piani alti >> continuò McDonall, << Sono coinvolti anche membri del Governo, ciò significa che sono molto diffidenti nei confronti degli stranieri… Ci vuole qualcuno che loro conoscono già, almeno di fama >>.

 

Per un momento Irina pensò di aver capito male, di non aver colto il significato di quelle parole. Si mosse sulla sedia, allontanandosi dal tavolino di metallo.

 

<< Lei sta scherzando, vero? >> boccheggiò, gli occhi spalancati. << E’ uno scherzo… Non può dirmi che vuole mandare me! >>.

 

Il barista, dietro al bancone, occupato a servire un paio di caffè, sussultò e guardò verso di loro. Non doveva aver sentito ciò che si erano detti, perché il tono di voce di McDonall era stato abbastanza basso, ma quello di Irina era appena stato isterico.

 

<< Credo sia la candidata più adatta >> disse il Vicepresidente, mantenendo la sua calma. << Goryalef la conosce, non si preoccuperà troppo quando la vedrà arrivare. Sanno che lavorava per Challagher e che era anche la numero tre della Black List. Riuscirebbe a infiltrarsi tra di loro con facilità… >>.

 

<< Un momento >> lo interruppe Irina, confusa e sorpresa dalla cosa, << Xander mi ha detto che ci sarebbe andato lui… Io non sono nemmeno dell’F.B.I.: perché volete me? >>.

 

<< L’agente Went non può andare a Mosca >> spiegò McDonall, << Sanno che è stato lui a far arrestare Challagher. Se avrà un ruolo in questa storia, sarà di minore rilevanza. Gli ho proposto io di mandare lei, o perlomeno di chiederle se era disposta ad accettare, ma mi ha detto che non l’avrebbe mai lasciata andare… >>.

 

Era tipico di Xander sostituirsi a lei nelle decisioni più delicate, come in quel caso. Rimase un attimo in silenzio, gli occhi puntati alle spalle di McDonall, sul mare che si intravedeva attraverso la vetrata, valutando tutte le conseguenze di quello che le era stato detto…

 

<< Allora perché me lo ha chiesto comunque? >> domandò lei, a bassa voce. Si accorse che Xander le aveva mentito, perché le aveva detto che stava cercando un compagno con cui partire, e non che in realtà non ci potesse andare…

 

McDonall divenne serissimo. Teneva le mani sul fascicolo scuro, come se parlare gli fosse quasi difficile.  << So che le posso sembrare insensibile o cattivo >> disse, << Ma ci sono cose che purtroppo prescindono da quello che vorremmo o non vorremo, e questa è proprio una di quelle. Come persona non mi sarei mai sognato di cercarla all’insaputa dell’agente Went per chiederle se vuole prendere parte a questa missione, ma come Vicepresidente dell’F.B.I. sono tenuto a farlo. Il nostro lavoro ci impone di dover rinunciare alla nostra “umanità”, per così dire, e ci costringe a fare scelte che non vorremmo fare… Si tratta di far arrestare della gente che uccide, che spaccia droga, che compie tutti i possibili atti criminali che esistono, e non posso rinunciare a proporle questa cosa solo perché so che uno dei miei sottoposti non la accetterà perché è la sua fidanzata… >>.

 

Irina rimase in silenzio, colpita da quelle parole, mentre si rendeva conto che aveva ragione. Quello che stava dicendo non era sbagliato, anzi: McDonall stava solo facendo il suo lavoro, e non poteva biasimarlo…

 

<< Cosa… Cosa dovrei fare? >> chiese abbassando la voce, più che altro curiosa di sapere di cosa si trattava di preciso.

 

<< Finché non accetta, non posso spiegarle nei dettagli il nostro piano > rispose McDonall, << Si tratta comunque di andare a Mosca e scoprire chi è il capo di tutta quella organizzazione, farci una soffiata e permetterci di arrestarlo. Lo stesso lavoro che ha svolto Went con Challagher quando è venuto a Los Angeles >>.

 

Irina abbassò lo sguardo, senza sapere cosa dire.

 

Mai aveva immaginato che un giorno si trovasse a dover dare una risposta a quella domanda che diverse volte si era posta da sola: voleva tornare a essere una pilota clandestina?

 

Se quando Xander l’aveva salvata e l’aveva fatta tornare a vivere una vita normale aveva creduto di essere stata miracolata, quando si era accorta che le mancava correre si era data della pazza. Era stata prigioniera per due anni di un mondo violento e al limite, aveva pregato notti intere di riuscire a uscirne, eppure ora qualcosa di quella vita le mancava… L’adrenalina che scorreva nelle vene quando correva a duecento all’ora sulla strada… L’odore delle gomme sull’asfalto, il suono dei motori…

 

Non l’aveva mai confessato a nessuno, nemmeno a Xander, ma poter tornare a gareggiare ogni tanto le sarebbe piaciuto davvero, e si vergognava a morte di quella cosa. Ne era uscita viva per miracolo, da quel gioco perverso e pericoloso, eppure rimpiangeva le corse, come una bambina che ancora non sa quello che vuole. Come una stupida che si accorge troppo tardi che quello che voleva lo aveva già…

 

Però sapeva che non poteva correre ancora, perché sarebbe tornata a essere una criminale, e lei non voleva certo esserlo. Non voleva essere la padrona della città, spaventare la gente, come faceva lo Scorpione. Voleva solo gareggiare e basta, senza sentirsi obbligata né prigioniera, senza avere paura delle persone con cui aveva a che fare… Era un’utopia, se ne rendeva conto, e per ciò sapeva di dover rinunciare per sempre alle auto e a tutto il loro mondo.

 

E poi…

 

E poi, essere una ragazza normale non era sempre quello che aveva desiderato? Non aveva sempre voluto vivere una vita tranquilla, con i suoi amici e i suoi affetti, i problemi comuni di una persona comune, le occupazioni normali di una persona normale? Fin da piccola aveva agognato tutto quello, e alla fine era riuscita ad ottenere più di quanto sperasse… Perché rinunciare a ciò che aveva?

 

Quello che però le stava chiedendo McDonall era diverso: si trattava di tornare a fare la pilota clandestina per arrestare dei criminali, e insieme di tornare a rischiare… Le dava uno scopo onorevole, ma anche un pericolo enorme. Le offriva la possibilità di gareggiare ancora, ma le chiedeva di avere di nuovo paura… Paura per sé, per gli altri, per tutto.

 

<< Come fa a credere che ce la possa fare? >> chiese, la voce impastata, << Conosco Goryalef, è vero, ma chi le dice che io sia capace di fare una cosa del genere? Non credo di avere la stoffa per fare l’agente dell’F.B.I. >>.

 

McDonall sorrise. << Ha resistito due anni nella banda di Challagher, ed era la numero tre della Black List: questo già dice molto >> rispose, << E’ sicuramente più preparata di molti nostri agenti. Non vedo perché non dovrei darle fiducia >>.

 

Irina sorrise davanti a quel complimento, ma non si montò la testa. Sapeva cosa significava far parte di quelle bande di matti, e aveva sempre sperato di non doverci tornare… L’unica cosa che rimpiangeva erano le gare, non la gente con cui aveva a che fare.

 

<< Xander che ruolo avrà? >> domandò.

 

<< Lui si muoverà a San Pietroburgo, per raccogliere informazioni da quelle parti >> rispose McDonall, << Le sarà per certi versi vicino, se è questo che le preme sapere >>.

 

Vicino… San Pietroburgo e Mosca non erano proprio vicini, anche se si trovavano entrambe in Russia. Ciò che intendeva il Vicepresidente era che entrambi avrebbero lavorato alla stessa cosa, solo su fronti diversi.

 

Irina abbassò di nuovo il capo, e sul volto le si disegnò una smorfia a metà tra il divertito e l’amareggiato. Tornare a correre significava far tornare a vivere quella parte di sé che aveva voluto lasciare morire quel giorno in cui Xander l’aveva salvata dalle grinfie di Challagher… Fenice sarebbe tornata a vivere, sarebbe rinata come faceva ogni volta. E con lei sarebbe tornata quella sensazione di euforia, l’adrenalina di sentirsi superiore almeno in qualcosa, ma sarebbero tornati anche i suoi incubi, le sue paure, i suoi demoni. I suoi ricordi.

 

Chiudere con le corse l’aveva aiutata anche a dimenticare lui, William, la persona che le aveva completamente cambiato l’esistenza, che l’aveva prima fatta innamorare e che poi l’aveva resa schiava… E che l’aveva anche piegata, in qualche modo, rendendola prigioniera delle sue paure e infliggendole una ferita che aveva lasciato una cicatrice indelebile dentro di lei.

 

<< Non so se me la sento >> disse lentamente, << Credevo di aver chiuso, e Xander la pensava come me… Non so se voglio far parte di questa cosa. Sto bene, sono felice, ho tutto quello che posso desiderare. Non voglio tornare a essere una criminale, anche se per finta >>.

 

<< So cosa comporta per lei, ma non posso fare a meno di chiederle almeno di pensarci >> disse McDonall, chiaro ma non insistente, << Purtroppo il nostro lavoro ci impone scelte che molto spesso non ci piacciono… La prego di pensarci, per favore. Ci occuperemo della sua formazione, non sarà mandata allo sbaraglio >>.

 

Irina tacque, fissando la tazzina ancora piena di caffè, confusa e spaventata. Aveva sempre pensato di aver chiuso, con quel mondo… Perché ora che iniziava a sentirsi veramente normale, le cose dovevano cambiare ancora?

 

“Perché tu non sei capace di essere normale…”.

 

No, non voleva tornare a essere Fenice. Aveva troppa paura di tornare quella di una volta, di sentirsi di nuovo sola e spaventata…

 

L’unica cosa che voleva in quel momento era dire no, non accettare. Rifiutare la proposta di McDonall e dimenticare quell’incontro in fretta, per tornare alla sua vita spensierata e tranquilla… Esattamente come voleva anche Xander. Eppure non ci riusciva.

 

“Non è per te, che lo faresti… Potrebbe esserci qualcun altro in Russia che si trova nella situazione in cui ti trovavi tu. Salveresti delle vite, contribuiresti a mettere dietro le sbarre altra gente come William…”.

 

<< Quanto tempo ho, per pensarci? >> chiese alla fine.

 

<< Una settimana >> rispose McDonall, << Dopodiché dovrà darmi una risposta. Non posso darle più tempo, perché altrimenti non me ne avanzerebbe per cercare qualcun altro… Oppure per preparare lei >>.

 

Lo sguardo di McDonall si soffermò sul suo volto, come a farle intendere che contava molto sulla sua risposta.

 

<< D’accordo… >> sussurrò Irina, << Ci penserò. Immagino di non doverne parlare con Xander, vero? >> chiese, una smorfia sul volto.

 

<< No >> rispose il Vicepresidente, << E’ meglio che l’agente Went non sappia nulla. E’ una decisione che deve prendere da sola. Se accetterà, sarò io a comunicarlo al suo fidanzato. L’unica cosa che deve fare, è valutare attentamente la mia proposta >>. Mise il fascicolo nella valigetta, poi sembrò ripensarci e glielo porse. << Dimenticavo di dirle che naturalmente sarà ben pagata. I dettagli sono tutti qui dentro. Trovi il tempo di dargli un’occhiata, per favore >>.

 

Irina lo guardò alzarsi e sorriderle. << Ci vediamo di nuovo qui, stessa ora, fra una settimana >> continuò, << Le auguro una buona giornata, signorina. Mi dispiace averla turbata in questo modo, ma credo davvero che sia la soluzione migliore >>.

 

Si allontanò, dopo aver pagato le consumazioni di entrambi, e uscì dal locale, sparendo dietro un angolo come un fantasma in un brutto sogno.

 

Irina rimase a fissare il punto dove fino a poco prima McDonall era seduto nel suo completo nero, e si sentì strana. Per una volta, le cose sembravano essersi invertite: era lei a dover fare “l’agente segreto”, e non Xander… Era lei a dover essere l’infiltrata della situazione…

 

Era assurdo. Con quale coraggio McDonall si presentava da lei, proponendole di andare in Russia a sgominare una banda di piloti clandestini, quando sapeva benissimo cosa aveva patito e quanto aveva sofferto prima di riuscire a uscirne? Ci aveva impiegato due lunghi anni a tornare quella di una volta, a ritrovare prima la sua libertà, poi la sua sicurezza, e poi la sua felicità. Non poteva chiederle una cosa del genere… Tornare a essere Fenice.

 

Sapeva cosa avrebbe significato rientrare nel giro, vivere la vita di una volta: tutto sarebbe tornato a essere come due anni prima, quando i suoi ritmi erano scanditi da notti brave, corse in autostrada, il dolore e la paura di essere la ragazza dello Scorpione, il disperato tentativo di non diventare per davvero una criminale come loro…

 

Ma forse non era quello a spaventarla di più. Ciò di cui aveva il terrore era che una volta tornata a essere Fenice, i ricordi sarebbero riaffiorati nella sua mente, gli incubi a tormentare le sue notti, a farla di nuovo sentire nient’altro che un corpo vuoto e stupido.

 

E se le cose sarebbero finite male? E se fosse rimasta di nuovo prigioniera di quel mondo? Era già successo una volta, perché non poteva accadere di nuovo?

 

All’improvviso però si diede della sciocca, e soprattutto della bambina.

 

McDonall non la stava costringendo: le aveva solo proposto la cosa e chiesto di pensarci, anche se aveva cercato di essere il più convincente possibile. Non l’aveva certo minacciata, ed era sembrato anche abbastanza dispiaciuto di domandarle una cosa del genere. Le aveva lasciato la possibilità di scegliere, ma aveva anche fatto leva sul suo senso del dovere…

 

Conosceva poco McDonall, perché Xander non era il tipo da continuare ad avere rapporti con i suoi colleghi fuori dal lavoro, a parte Jess, ma sapeva che era una persona seria, di cui persino Xander si era sempre fidato ciecamente. Vederlo agire di nascosto in quel modo, però, non glielo rendeva diverso. Anche in quella situazione era stato corretto, per certi versi.

 

Non aveva voluto coinvolgere Xander perché sapeva che non le avrebbe lasciato nemmeno il tempo di ribattere, di ascoltare tutto: lui non le avrebbe mai permesso di tornare a fare la pilota clandestina. Infatti, come si era aspettata, aveva già dato anche per lei la risposta: no. Se fosse stato per lui, non si sarebbe mossa da Los Angeles. Ma non dipendeva tutto da Xander, questa volta.

 

Il Vicepresidente, però, aveva anche parlato bene: era vero, nel loro lavoro bisognava fare scelte che spesso possono non piacere, esattamente come quella. McDonall non le avrebbe proposto una cosa del genere, se non fosse stata l’alternativa migliore. C’erano delle vite in gioco, era un lavoro pericoloso, e le scelte che bisognava mettere in atto erano quelle che avrebbero minimizzato i rischi. Evidentemente mandare lei in Russia, anche se esterna all’F.B.I., rappresentava l’alternativa migliore.

 

Comprese subito perché McDonall aveva preso quella decisione: c’erano interessi più grandi, più importanti, rispetto al benessere di una sola persona. Se coinvolgere una ragazza serviva a sbattere dietro le sbarre un gruppo di criminali che ammazzava gente, allora bisognava farlo, anche se qualcuno non sarebbe stato d’accordo.

 

Si alzò lentamente e uscì dal locale, rendendosi conto di quanto le cose fossero cambiate in pochi secondi. Ironia della sorte, lei portava persino un nome russo…

 

Raggiunse la TT parcheggiata vicino alla spiaggia, ma non salì. Rimase appoggiata alla staccionata che la separava dalla battigia, il rumore del mare a cullare i suoi pensieri.

 

Aveva una settimana per pensare, per trovare una motivazione abbastanza convincente per tornare a essere Fenice. Una settimana per decidere se valeva davvero la pena immergersi di nuovo in quel mondo che per due anni era stata la sua gabbia. Se alla fine il gioco valeva la candela.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

<< Irina… Secondo te questo può andare bene? >> chiese Jenny, fissandosi nello specchio del negozio con aria critica, avvolta in un vestitino azzurro chiaro dalle spalline sottili, << Soffrirò il freddo? >>.

 

Irina si riscosse e guardò l’amica, mettendola veramente a fuoco solo in quel momento. Aveva continuato a fissare gli espositori dei vestiti senza vederli per davvero, soprappensiero ormai da ore. Annuì, e disse: << Devi metterti qualcosa sopra… Siamo a novembre, non ad agosto >>.

 

Jenny sbuffò, poi tornò a guardarsi nello specchio. << Ok, questo lo prendo, però >> disse, << Troverò qualcosa di più pesante da mettere… Che hai? Sei distratta… >>.

 

Irina si voltò verso l’amica e scosse il capo stancamente. << Non ho niente… Stavo solo pensando a una cosa. Non è nulla d’importante >>.

 

Jenny chiaramente non bevve la sua bugia ma non fece commenti, e tornò nel camerino per togliersi il vestito. Lei rimase fuori, inquieta, ad aspettare e a cercare di scacciare i pensieri dalla testa. Quando l’amico uscì si avviarono alla cassa, Irina più silenziosa che mai.

 

Era inutile mentire: la proposta di McDonall l’aveva sconvolta. Se il Vicepresidente pensava che lei prendesse la cosa con leggerezza, si sbagliava di grosso. Non poterne parlare con Jenny o con qualcun’altro era ancora peggio, soprattutto quando vedeva Xander frustrato quanto lei. Nessuno dei due aveva parlato dell’argomento, eppure erano entrambi nervosi e pensierosi. Era una gara a chi avrebbe ceduto per primo rompendo il silenzio e ogni promessa di segretezza.

 

Ci aveva pensato e continuava a pensarci, ma non aveva mai trovato il coraggio per dire sì o dire no. Continuava a rimanere nel dubbio, senza riuscire a capire quale fosse la cosa migliore da fare; non poteva nemmeno contare su Xander: era davvero una decisione che doveva prendere da sola, perché era lei a perderci o guadagnarci qualcosa.

 

Chiuse la cerniera del giubbotto e uscì dal centro commerciale, l’amica che camminava al suo fianco carica di sacchetti e particolarmente allegra per le due ore di shopping.

 

<< Sei nervosa per domenica? >> chiese all’improvviso, riscuotendola dai suoi pensieri, << Guarda che si deve sposare Sally, non tu >>.

 

Irina sorrise. << Sì, lo so >> disse, aprendo il baule della TT, << Non è per quello… Xander dovrà andare via di nuovo, fra qualche settimana, e non mi va di stare ancora da sola >>.

 

Jenny diventò seria. << Ti capisco >> disse, << Non deve essere facile. Magari questa volta andrà anche Jess: ci consoleremo a vicenda, dai >>.

 

“E se dovesse essere il contrario? E se fosse Xander, quello da consolare?”.

 

Fece una smorfia senza farsi vedere e salì sulla TT, e solo il quel momento si accorse di una cosa: continuava a impugnare il volante in modo aggressivo, come se dovesse fare una gara, come se dovesse intimidire il suo avversario…. Inconsciamente, non aveva mai smesso di farlo. Continuava a comportarsi come una pilota clandestina.

 

“Forse è veramente quello che sono… O che quello che voglio essere”.

 

Accese il motore, mentre Jenny di fianco a lei si allacciava la cintura. Glielo diceva sempre, che a volte correva troppo, che a volte guidava come una pazza…

 

Scoprire di non essere cambiata significava pur qualcosa…

 

Ma non era abbastanza per decidere di accettare. Non ancora. Non bastava rendersi conto di comportarsi sempre come Fenice: serviva un motivo in più, e qualche paura in meno. Era qualcosa di serio, che non avrebbe potuto cambiare idea se ci avesse ripensato…

 

<< Jenny… Come ti comporteresti se ti trovassi nella situazione di dover fare qualcosa che risulterebbe utile agli altri, ma hai un po’ di paura? >> chiese tutto d’un fiato, rimanendo con lo sguardo concentrato sulla strada, per non dare modo all’amica di vedere la preoccupazione nei suoi occhi. .

 

Jenny tacque un momento, poi rispose lentamente: << Credo… Credo che certe volte le paure bisogna affrontarle, se è qualcosa di davvero utile agli altri. Anche perché penso che poi ci si sentirebbe in colpa >>.

 

Irina strinse il volante.

 

“Uno a zero per lei, McDonall”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 15.00 – Officina

 

<< Ciao Irina! >>.

 

Max, uno dei suoi più vecchi amici, e anche il suo ex meccanico personale, si alzò dal pavimento e le venne incontro, un bel sorriso sul volto simpatico e dagli occhi scuri. La tuta da lavoro era sporca di olio per motori, così evitò di abbracciarla.

 

<< Ciao Max >> disse lei, << Sono venuta a fare un giro. Avevo un pomeriggio vuoto >>.

 

Sorrise e si guardò intorno. L’officina di Max, in cui lavorava con Antony, un messicano dalla battuta sempre pronta, era in disordine come al solito, e sul carrello elevatore c’era una grossa berlina scura che sembrava aver bisogno di qualche riparazione. Il banco degli attrezzi, stipato in fondo al locale, era cosparso di tubi e cacciaviti, e sembrava non vedere uno straccio da diverse settimane.

 

<< Hai fatto bene, oggi sono da solo >> rispose Max, facendo cenno verso l’officina, << Antony è andato a fare rifornimenti di pezzi. E’ un po’ che non ci vediamo, o sbaglio? >>.

 

Irina annuì e si andò a sedere sullo sgabello che era sempre stato riservato a lei, soprattutto quando faceva la pilota, e guardò il meccanico, riportando immediatamente alla mente i giorni in cui lui era il suo confidente principale, e di quando passava il tempo a metterla in guardia dai suoi possibili errori.

 

Anche se all’inizio aveva provato per Max una leggera antipatia, Xander aveva messo una buona parola per lui con il giudice ed era stato assolto dall’accusa di favoreggiamento. In fondo, era stato il meccanico di Irina, che aveva contribuito a far arrestare Challagher, quindi non aveva commesso poi chissà quale reato. Era un modo per ringraziarlo per quello che aveva fatto in quegli anni per lei, contribuendo a evitarle qualche errore, o almeno a tentare di farlo.

 

<< In effetti, siamo stati tutti e due abbastanza impegnati, in queste settimane >> disse Irina, stendendo le gambe e guardandolo tornare al lavoro, << Patt sta bene? >>.

 

<< Sì, benissimo >> rispose Max, la testa infilata sotto l’utilitaria scura, << Voleva invitarti al suo compleanno, a proposito… Non ti conviene rifiutare, sai quanto è permalosa >>. La sua risata finì soffocata sotto la macchina.

 

Alla fine le cose con Angie non erano andate gran che bene: si erano piaciuti, e per un po’ di tempo si erano frequentati assiduamente, ma poi avevano anche scoperto che erano davvero troppo diversi l’uno dall’altro. Angie era la secchiona del gruppo, che di sicuro sarebbe diventata “qualcuno”, e Max era solo un normale meccanico con un passato non proprio limpidissimo. Per fortuna si erano accorti non essere fatti l’uno per l’altro prima di rovinare i rapporti, così riuscivano a trattarsi ancora come amici, anche se si vedevano poco.

 

Patt era la nuova ragazza di Max, una tipa un po’ particolare, permalosissima e modaiola, ma in fondo molto buona. Irina l’aveva conosciuta appena si erano messi insieme, perché il meccanico aveva provveduto subito a presentargliela, e ne era nata un’assurda discussione: Patt era gelosissima, e all’inizio l’aveva quasi aggredita a sentirla definire “la migliore amica di Max”. Quando però aveva capito che Irina era davvero solo un’amica ( e dopo aver visto Xander… ), l’aveva presa in simpatia e molte volte le aveva chiesto di uscire tutti insieme.

 

<< D’accordo, fammi sapere quand’è >> disse Irina, << Però potrei avere un impegno, forse… >>.

 

<< Cioè? >> disse Max, gettando una chiave inglese da una parte, che rimbalzò sul pavimento con un rumore metallico.

 

<< Sto valutando una proposta >> disse Irina, evasiva, fissandosi i piedi.

 

Max tirò fuori la testa da sotto l’auto e la guardò. La macchia scura che si era appena fatta sul naso contribuiva a renderlo più buffo del solito.

 

<< Non puoi dire così e poi fare l’evasiva… >> disse, << Lo sai che ti chiederò di cosa si tratta >>. Sorrise.

 

Irina valutò l’idea di dirgli tutto, ma si trattenne. Finché non avesse preso una decisione, non avrebbe detto nulla a nessuno.

 

<< No, forse parto… Magari mi prendo una vacanza >> rispose, sorridendo.

 

<< Una vacanza? >> ripeté Max, perplesso, << Che vuol dire? >>.

 

<< Niente… >>. Irina continuò a fissarsi i piedi, ma si accorse che il meccanico la stava guardando, sdraiato sul pavimento e con un cacciavite in mano, mezzo infilato sotto l’auto.

 

<< Tu non me la conti giusta >> disse lui. << Cosa vuoi combinare? >>.

 

<< Nulla… >>.

 

<< Giuro che non parlo >> la incalzò Max, << Dai, se è una sorpresa voglio partecipare >>.

 

Irina ghignò per l’ironia della situazione. “Sorpresa? Non so se la definirei esattamente sorpresa…”.

 

<< Se ti chiedessi di dare uno sguardo alla Punto, lo faresti? >> chiese Irina, assumendo un’aria divertita per non fargli capire quanto in realtà fosse spaventata dalle sue stesse parole.

 

<< Conosco quell’auto meglio di me >> rispose Max, << Ci ho messo le mani tante di quelle volte che saprei capire se ha un problema solo con uno sguardo. Ma con questo cosa vuoi dire? >>.

 

<< Vorrei farle fare qualche corsetta >> spiegò Irina, sempre mantenendo il tono divertito, << Magari portarla in un circuito e togliermi un piccolo desiderio… >>.

 

Era quanto di più fosse disposta a dire. Max non avrebbe mai immaginato cosa si celasse dietro le sue parole, ma avrebbe sicuramente capito che l’oggetto della discussione erano le corse, e quindi la sua auto, che era indispensabile. Con quell’aria falsamente divertita voleva fargli intendere che considerava la cosa solo una possibilità, niente di serio né pericoloso…

 

<< Non dirmi che vuoi partecipare a qualche gara privata? >> disse Max, più divertito che preoccupato, << Ti sei fatta organizzare una corsa solo per te e Xander? Vi conosco, sareste capaci di una cosa del genere… >>.

 

<< Più o meno… >> rispose Irina.

 

<< Ti è tornato il vizio di fare la teppista? >> chiese Max, sorridendo, << Stufa di fare la brava ragazza? >>.

 

<< No… Ma mi dispiace lasciare la Punto inutilizzata >> disse Irina, abbassando impercettibilmente lo sguardo, << Sono passati mesi dall’ultima volta che l’ho usata… >>.

 

L’espressione divertita di Max si incrinò leggermente. << Spero non ti torni veramente il vizio, altrimenti ti caccerai nei guai… Meno male che c’è Xander che ti tiene d’occhio >>.

 

<< Già… >> mormorò Irina, << Meno male che c’è lui… >>.

 

Già, Xander… Era stato chiaro, con McDonall: lei non si sarebbe mossa di lì, e il fatto che non le avesse detto nulla di quella storia significava che non valutava proprio l’idea. Non le aveva nemmeno dato la possibilità di scegliere, però… Non voleva nemmeno pensare di vederla tornare una pilota clandestina…

 

<< Nessuno di noi ti vorrebbe di nuovo nei guai >> proseguì Max, tornando ad assumere il tono divertito e canzonatorio, << Anche perché non sei la persona che fa parte di quel genere di gente. E sei molto più simpatica adesso >>.

 

Irina sorrise. << Perché? Prima ero antipatica? >> chiese.

 

<< No, ma eri molto più scontrosa… >> rispose Max ridacchiando, << Non ti ricordi che nell’ultimo periodo litigavamo sempre? A volte eri insopportabile… >>.

 

La ragazza lo guardò, ricordando tutte le volte che avevano discusso su ciò che lei faceva o voleva fare, e soprattutto di quando stava perdendo lui e tutti i suoi pochi amici per come si comportava. Aveva rischiato davvero di rimanere sola, per continuare a tenerli al sicuro e non far sapere veramente chi era.

 

Eccolo, un motivo per continuare a essere Irina e basta: gli amici. Non poteva deluderli, né abbandonarli, perché aveva comunque bisogno di loro. E non voleva perderli, magari metterli in pericolo per la sua avventatezza, e solo per il desiderio di tornare a gareggiare ancora. Tornare a essere Fenice poteva comportare anche quello, non ci aveva pensato prima… No, non voleva.

 

<< Insopportabile? >> ripeté, alzandosi e raggiungendolo, << A chi hai detto insopportabile, scusa? >>. Sorrise e assunse una finta espressione arrabbiata.

 

<< Ma se stavi sempre lì a dire a tutti di non impicciarti nei tuoi affari! >> disse Max, trattenendosi dallo scoppiare a ridere, << Non ti ricordi quando ce l’avevi con Xander? Gli hai persino detto di non mettere più piede nella tua vita! >>.

 

Irina rise, ma dentro si rabbuiò: quello era un grande errore che aveva rischiato di fare quando era Fenice, e che non si sarebbe mai perdonata. Non voleva ripeterlo.

 

<< D’accordo, hai ragione, ero insopportabile >> convenne Irina, alzando le mani, << Allora lasciamo perdere, con la Punto… Non voglio davvero riprendere il vizio. Meglio evitare le tentazioni >>.

 

<< Ecco, brava >> disse Max, dandole una leggera pacca sulla spalla, << Allora dimmi se vuoi venire al compleanno di Patt, se no poi mi mangia vivo perché non te l’ho chiesto >>.

 

<< Ok… >>. Irina si avviò verso l’uscita dell’officina e sorrise al meccanico. << Ci vediamo, allora. Non lavorare troppo e saluta Antony >>.

 

Uscì in strada e si diresse verso il posto in cui aveva lasciato parcheggiata la TT. Mentre camminava si rese conto che quella visita a Max le aveva fatto bene: si era ricordata quanto valevano gli amici, e quando avesse rischiato di perderli. Era una ragione per non tornare a essere Fenice, quella; una ragione molto, molto convincente.

 

Sorrise e aprì la porta dell’Audi, infilandosi dentro.

 

“Uno a uno, McDonall”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Ed ecco come ha fatto Irina a scoprire cosa tramava Xander. Qualcuno di voi si aspettava fosse il caro vecchio e fido McDonall quello che avrebbe catapultato Irina nella “cosa”? Il suo ragionamento però è corretto… E lei non sa cosa rispondere. Perché in fondo le piace ancora correre, ma le piace anche la vita tranquilla che fa; ma ha anche paura di ciò che potrebbe succedere. Alla fine cosa deciderà? Non date tutto troppo per scontato, però. Per Irina non è facile.

Per il resto, c’è poco da dire. Questi capitoli non saranno particolarmente movimentati, quindi l’inizio sarà un po’ lungo. Nel frattempo abbiamo rivisto Max: è sempre lo stesso, forse anche lui più sereno. Nel prossimo cap tocca a Tommy.

Ho notato che il “fedelissimo” di William ha destato la vostra curiosità: non lo avrei mai immaginato… O forse sono io che so già di chi si tratta. Comunque, nessun indizio, se no vi rovino la sorpresa (che sorpresa, poi… ).

 

Supermimmina: ehila! Hai visto, il tanto promesso seguito c’è, l’ho finalmente fatto. Sono una di parola. Anche io vorrei fosse sempre venerdì, perché dopo c’è il finesettimana! Attendi il ritorno di Dimitri? Vedrai, il russo saprà stupirci tutti, compresa Irina. Gli dedicherò un bel po’ di spazio, per raccontare del suo passato e anche del suo “presente”… Svelerò lati del suo carattere che non sono passati nel Gioco dello Scorpione. Ti piacerà, ne sono sicura. Un bacione!

 

Sheba94: che dire, noi ci sentiamo su MSN. Bacio enormemente enorme!

 

CriCri88: pentito? William non conosce la parola pentimento, non per il momento. Di sicuro non potevamo trovarlo seduto tranquillo a sperare di poter chiedere perdono. Però ha riflettuto, questo posso garantirtelo… Si vedrà molto più avanti, ma si vedrà. Per il resto… Grazie della recensione! Baci!

 

Smemo92: prima di tutto devo dire che sono contentissima che tu segua anche questa storia, ormai sei una mia lettrice di “vecchia” data, e ti ringrazio! Purtroppo il “ritorno” di Goryalef era necessario, per così dire, quindi lo dovrai sopportare… Insieme con molta della vecchia combriccola. Mi chiedi perché Xander possa andare a San Pietroburgo? Più avanti sarà spiegato, come sempre in ogni mia storia. E cerca di capirlo, poverino: ha paura che Irina gli venga portata via, o che le succeda qualcosa. Dopo tutto quello che hanno passato, credo sia normale. Il discorso vale anche per Tommy: Xander è un po’ geloso, ma a me fa molta tenerezza. Gli sviluppi di tutto questo si vedranno più avanti, anche quelli. E William teniamolo d’occhio, perché questa volta è davvero impazzito… Bacioni!

 

Marty_odg: aaaah, finalmente qualcuno che mi capisce! Vita dura, quella degli universitari… Sono contenta che i miei capitoli ti rallegrino il venerdì: fanno lo stesso per me le vostre recensioni! Quanto alla storia, anche tu capisci Xander, esattamente come me: lo fa per Irina, e un po’ anche per lui. Grazie per la recensione! Baci!

 

Pinkgirl: sono felice che il mio “genere” ti piaccia: è un po’ particolare, come il mio cervello fuso… E sono ancora più contenta che tu abbia deciso di seguire anche il seguito! William è sempre il solito Scorpione, Xander sempre il solito gelosone, ma in fondo è davvero innamorato di Irina, e non può che comportarsi diversamente, visto anche quello che hanno passato… Continua a recensire, ma soprattutto a leggere! Baci!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV

Capitolo IV

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Easy for a good girl to go bad
And once we gone (gone)
Best believe we've gone forever
Don't be the reason
Don't be the reason
You better learn how to treat us right
'Cause onces a good girl goes bad
We gone forever*

 

[ Good Girl Gone Bad – Rihanna ]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 10.00 – Casa di Xander

 

<< Xander, ci sei? >> chiese Irina, infilando le scarpe bianco perla con il tacco e dandosi una rapida occhiata allo specchio in entrata, << Mi serve il bagno… >>.

 

<< Un momento, ho finito >>.

 

Mentre aspettava che Xander lasciasse libero il bagno, sapendo quanto fosse vanitoso quando era ora di andare a qualche evento importante, continuò a guardarsi nello specchio del corridoio e a studiare il suo riflesso, perplessa.

 

Ricordava benissimo la prima e l’unica volta che aveva indossato quel vestito: più di due anni prima, a Las Vegas, il giorno in cui aveva capito di amare davvero Xander, e di essere veramente prigioniera di William. Quel giorno in cui aveva desiderato ardentemente ricevere il bacio che non aveva avuto, cosa le aveva lasciato l’amaro in bocca per giorni.

 

Blu oceano, attillato, dalla gonna non troppo corta e con piccoli cristalli sullo scollo, era stato un regalo dello Scorpione, uno degli ennesimi doni che le aveva fatto per cercare di comprarla. Per tutto quel tempo era rimasto chiuso nel suo armadio, in mezzo a tutti i suoi normali vestiti, l’unica cosa che aveva voluto tenere in ricordo della sua vecchia vita, senza nemmeno sapere bene perché.

 

Non poté fare a meno di voltarsi di spalle e scostare i capelli, riuscendo a scorgere il tatuaggio che portava tra le spalle, sotto il collo: una fenice tribale, nera, ad ali spiegate e dalla lunga coda piumata. Il segno che si era inferta quando era entrata nel mondo delle corse clandestine, e anche il simbolo che l’aveva sempre rappresentata.

 

Si chiese perché avesse deciso di indossare quell’abito. Perché mettere qualcosa che le ricordava così tanto Fenice? Che le facesse rivivere tanti momenti bui e dolorosi?

 

Fece una smorfia quando si rese conto che era stata la richiesta di McDonall a farla agire così: era una prova che inconsciamente si proponeva per vedere cosa le sarebbe preso, al ricordo della sua vecchia vita. Una sorta di test per essere in grado di capire se fosse in grado di sopportarne ancora alcuni lati…

 

<< Vieni, ho finito >>.

 

Xander uscì dal bagno, ma si bloccò sulla porta, lo sguardo puntato su di lei. Rimase zitto, forse senza sapere cosa dire; e per lei fu la stessa cosa. La squadrò da capo a piedi, ancora stringendo la maniglia, e Irina fece altrettanto con lui.

 

Vestito nel suo completo nero, camicia grigio ghiaccio e cravatta coordinata, era davvero… Bello. E con quegli occhi azzurri che si ritrovava, non poteva far altro che sembrarle perfetto.

 

<< Che c’è? >> fece lui, serio.

 

Irina sorrise divertita. << Non sono abituata a vederti vestito in questo modo… Però… Lo sai che stai proprio bene? >> disse, avvicinandosi.

 

Xander ghignò. << E io mi ricordo di quel vestito >> disse, << Finalmente hai trovato il coraggio di metterlo? >>.

 

Irina arrossì. << Non va bene, vero? >> chiese, domandandosi se forse era troppo, per andare a un matrimonio, oppure se fosse eccessivamente scollato per entrare in chiesa. Come tutte le volte, ci aveva impiegato un’ora a decidere se voleva o non voleva indossarlo… E sono lei sapeva perché. 

 

Xander scoppiò a ridere. << No, no >> disse, avvicinandosi e prendendola per i fianchi, << Sei bellissima, così… Nemmeno io sono abituato a vederti vestita in Dior, no? >>.

 

Sfiorò le labbra con le sue e sorrise. Non sapeva che era stato un regalo di William, perché lei non aveva mai voluto dirglielo, visto che aveva deciso di tenerlo… Molto probabilmente non sarebbe stato altrettanto contento, se fosse venuto a sapere che quello che aveva addosso era un dono dello Scorpione.

 

<< Stai attenta, perché potrei pensare di far celebrare un altro matrimonio, oggi >> sussurrò lui, a un centimetro dal suo viso.

 

Stava chiaramente scherzando, ma Irina si sentì in colpa. Come poteva nascondergli cosa gli aveva chiesto McDonall, quando lui era sempre così dolce con lei?

 

Si scostò dalle sue labbra e fissò il pavimento, sempre più a disagio.

 

<< Cos’hai? >> chiese Xander, le dita sotto il suo mento.

 

<< Niente… >> mormorò Irina, << Solo che… >>.

 

Doveva dirglielo, doveva dirglielo… Ma se glielo diceva, si sarebbe arrabbiato, lo sapeva…

 

<< Che c’è? >> disse Xander, tirandole su il volto, << C’è qualcosa che non va? >>. Era preoccupato, come ogni volta che lei dava segno di non voler parlare: aveva imparato che significava che non stava bene. Era sempre stata un libro aperto, per lui, e sapeva che non avrebbe resistito ancora a lungo…

 

<< No… E’ solo che… >> Irina lo abbracciò, dandosi della codarda, << Non voglio che te ne vada di nuovo… Non ce la faccio a vederti andare via… Voglio che rimani qui ancora per un po’… >>.

 

Stava quasi per mettersi a piangere. Era vero anche quello, non voleva che se ne andasse ancora, a rischiare la vita in Russia. Soprattutto adesso che sapeva precisamente di cosa si trattava…

 

Xander la strinse, appoggiando il mento sui suoi capelli. << Lo so, piccola… Ma non mi posso tirare indietro >> disse, << La Russia è lontana, ma andrà tutto bene… Il mio lavoro mi impone questo genere di scelte, lo sai >>.

 

Certo che lo sapeva, lo sapeva bene anche lei ora. Era lo stesso discorso che le aveva fatto McDonall: alle volte le cose non si devono fare per piacere, ma perché sono necessarie. Significava essere responsabili, essere adulti.

 

Per un istante sperò di perdere il controllo della lingua, di iniziare a raccontargli tutto senza riuscire a fermarsi, ma non accadde. Rimase zitta, perché non aveva preso ancora una decisione, e soprattutto perché non voleva rovinare quel momento. Era un problema suo, questa volta. Per quanto amasse Xander, doveva tenerlo fuori.

 

Sospirò. << E’ meglio che mi prepari… >> sussurrò staccandosi e avviandosi verso il bagno, << Altrimenti facciamo tardi >>.

 

Xander la seguì con lo sguardo, e lei colse nei suoi occhi una strana luce che non riuscì a decifrare. Forse sospettava qualcosa, perché era sempre stata un libro aperto per lui.

 

Quando mezz’ora dopo Irina uscì dal bagno, truccata e pettinata, era riuscita a riguadagnare un po’ della sua serenità, convincendosi che almeno per quel giorno poteva dimenticare tutto e godersi una giornata all’insegna della tranquillità. C’era un matrimonio, da festeggiare, e tutti i problemi dovevano passare in secondo piano.

 

Xander la guardò prendere la borsa e sorrise. << Sei davvero bellissima, piccola >> disse, porgendole la mano, << Quel vestito ti sta benissimo. Vorrei che te lo mettessi un po’ più spesso, solo per me, però >>.

 

Irina gli diede una pacca affettuosa sulla spalla. << Dai, che dobbiamo andare… Prendiamo la BMW, che se no agli amici di Sally viene un infarto, se ci vedono arrivare in Ferrari… Oltretutto ci servono quattro posti: dobbiamo portare Tommy >>.

 

Xander alzò gli occhi al cielo. << Va bene… >>. Forse stava già pregustando una delle sue entrate eccessivamente vistose

 

Parcheggiarono davanti alla chiesa, vicino a un paio di utilitarie scure che dovevano essere degli amici di Sally e dei suoi parenti; Todd, in piedi davanti all’entrata, stranissimo nel completo giacca e cravatta, aspettava con Tommy per mano, controllando l’orologio.

 

Il luogo scelto per celebrare il matrimonio era una di quelle chiese piccole e molto sobrie, senza troppe vetrate e dalle forme semplici, in linea con il gusto di Sally. Le porte, ora aperte, erano però state decorate con mazzi di fiori azzurri e bianchi, e una scatola bianca era adagiata per terra, contenente una sorpresa per gli sposi. Per di più, la bella giornata di sole, rendeva tutto molto allegro e familiare, come sarebbe sicuramente piaciuto a Sally.

 

Irina si affrettò a scendere dall’auto, attenta a non inciampare nei tacchi, e raggiunse il suo per il momento unico nipote.

 

<< Zia!!! >> gridò il bambino, appena la vide, e le corse incontro, impacciato dall’abbigliamento elegante.

 

Ormai Tommy aveva quasi cinque anni, e cominciava a essere pensantuccio per essere preso in braccio, ma Irina non resistette alla tentazione e lo sollevò cercando di non perdere l’equilibrio. Era legatissima a quel bambino, e vederlo ogni volta era una fonte di gioia, per lei.

 

Per l’occasione Tommy era stato vestito con una giacca e un paio di pantaloni azzurri, ma al posto della cravatta portava un simpaticissimo papillon. I capelli chiari erano stati accuratamente pettinati, e sembrava davvero un ometto.

 

<< Come sei bello, oggi >> disse Irina, schioccandogli un bacio sulla fronte, << Papà è già arrivato? >>.

 

<< Sì >> rispose Tommy, ridendo, << Mi porti nella tua macchina? >>.

 

<< Certo che ti porto con me >> disse Irina, guardando poi suo padre, << Dominic è dentro? >>.

 

<< Sì. E’ un po’ nervoso… >> rispose Todd, divertito, facendo cenno verso l’interno della chiesa.

 

Xander arrivò dopo aver parcheggiato l’auto, e rivolse un cenno di saluto abbastanza freddo a Todd, per poi voltarsi verso Irina.

 

<< Quanta gente manca? >> domandò.

 

<< Quasi tutti >> rispose lei, << Anche Jenny. Ma credo arriveranno a momenti… Tieni un attimo Tommy, per favore >>.

 

Gli passò il bambino ed entrò nella chiesa, cercando con lo sguardo suo fratello Dominic. All’interno regnava un silenzio ovattato, e dalla vetrata in fondo filtrava la luce del sole, che illuminava le prime panche di legno.

 

Vide suo fratello in piedi davanti all’altare, in completo nero, lo sguardo rivolto verso il grande crocifisso appeso al soffitto. Non c’era ancora nemmeno il prete, che forse aspettava l’arrivo di tutti gli invitati alla cerimonia.

 

Dominic si voltò di scatto quando la sentì entrare, e le rivolse uno sguardo carico di sollievo. Era teso, la fronte solcata da una ruga che non gli aveva mai visto e gli occhi scuri stranamente lucidi. Oltretutto, vestito con lo smoking gessato e i capelli neri perfettamente pettinati, era quasi irriconoscibile. Irina gli andò incontro, divertita dal suo nervosismo, e si fermò a pochi metri da lui.

 

<< Agitato? >> chiese. La sua voce rimbombò sinistramente nella chiesa deserta.

 

Dominic si strinse nelle spalle. << Penso sia la stessa cosa per tutti >> rispose, atono. I gemelli attaccati alle maniche della camicia risplendettero per un istante.

 

<< Ce ne hai messo di tempo, a fare questo passo >> disse Irina, ma non c’era nota d’accusa nella sua voce: era solo una constatazione molto divertita, nient’altro. Dopo tutto ciò che era successo in passato, vederlo tornare una persona rispettabile era strano e a tratti buffo, soprattutto per lei che era stata coinvolta più di tutti in quella vicenda che aveva radicalmente cambiato le loro vite.

 

<< Ho smesso di fare cavolate >> ribatté Dominic, sorridendo.

 

<< Allora complimenti per aver messo la testa a posto >> disse Irina, e lo abbracciò, << Vi auguro davvero tanta felicità >>.

 

<< E noi a te… Se siamo ancora qui, lo dobbiamo alla nostra sorellina pilota clandestina >> disse lui, cingendola con le braccia.

 

Allora era davvero il destino, a rivolerla di nuovo Fenice. Anche Dominic riportava a galla il suo passato.

 

Lo lasciò andare, turbata, e disse a bassa voce: << Rimani qui, vado fuori ad aspettare gli altri. Hai ancora qualche minuto per stare da solo. Cerca di non scappare, eh? >>.

 

Uscì dalla chiesa, per scoprire che era arrivata un sacco di gente. Parenti, amici e colleghi di Sally e di Dominic, che iniziavano a occupare lo spiazzo che fino a poco prima era vuoto. Jenny aspettava stranamente tranquilla insieme a Jess dall’altra parte dello spiazzo davanti alla chiesa. Ritrovò Xander, con Tommy ancora in braccio, e lo raggiunse, notando divertita la sua espressione poco contenta per dover tenere il bambino a stretto contatto con sé tutto quel tempo.

 

<< Eccomi… Mettilo giù >> disse, prendendo Tommy per mano, << Visto quanta gente? Tra un po’ arriva la tua mamma… Vedrai com’è bella >>.

 

Aspettarono circa venti minuti, durante i quali gli ultimi arrivati fecero in tempo a salutare tutti e a essere presentati a chi non conoscevano, per poi disporsi davanti alla chiesa in attesa dell’ultima arrivata.

 

La sposa non si fece aspettare troppo: a bordo di una Porsche Panamera blu metallizzato, opera di Irina, fece il suo ingresso sullo spiazzo, accolta da una serie di mormorii estasiati. Agli specchietti erano stati attaccati piccoli mazzi di fiori azzurri, insieme con i classici fiocchi bianchi.

 

Alla vista dell’auto, Xander si abbassò su Irina e sussurrò: << E’ stata un’idea tua, quella della macchina, vero? >>.

 

<< Non l’ho mica comprata, l’ho solo affittata >> ribatté Irina, mentre Tommy saltellava di fianco a lei, trepidante d’attesa. << Sai che ho un debole per queste cose… >>.

 

Due signori aprirono le porte dell’auto, e quelle che dovevano essere le sue sorelle aiutarono Sally a scendere dalla macchina.

 

Come aveva previsto, Sally era bellissima nel suo abito bianco, i capelli raccolti in una retina con un fiore anch’esso bianco, gli occhi luminosi di gioia. Si guardò intorno raggiante quanto sentì l’applauso di tutti, e Todd le porse il braccio per accompagnarla dentro la chiesa.

 

Gli invitati presero posto delle panche, mentre Dominic continuava ad attendere di fronte all’altare. Irina gli fece un cenno per dirgli che era tutto pronto e si sedette di fianco a Xander e Tommy in uno dei primi posti. Il prete era arrivato, pronto a celebrare la funzione.

 

Sulle note suonate dall’organo, Sally entrò in chiesa al braccio di Todd, che sostituiva suo padre mancato tanti anni prima, emozionatissima. Il lungo strascico era sorretto dalle sue sorelle, mentre Dominic la guardava sfilare rapito.

 

Irina le rivolse un’occhiata felice, quando le passò vicino, e diede una carezza a Tommy, che salutò la mamma con la manina. Quando raggiunse l’altare, la funzione iniziò, dando inizio a quella stupenda giornata.

 

Xander, di fianco a lei, le stringeva la mano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

<< Non credevo di essere in grado di mangiare così tanto… >> disse Irina, posando le scarpe nell’ingresso, sentendosi stranamente pesante. Aiutò Tommy a togliersi la giacchetta e guardò Xander che si sfilava la cravatta. Il bambino sbadigliò e Irina lo prese per mano, raggiungendo il soggiorno.

 

<< Credo che l’unica cosa che tu voglia in questo momento sia dormire, vero? >> disse, guardando l’orologio, << Non hai mangiato un gran che, oggi. Ti preparo qualcosa >>. Aveva passato tutto il tempo a correre tra i tavoli e a giocare con i figli delle sorelle di Sally, che erano altrettanto scalmanati.

 

Lasciò Tommy davanti ai cartoni animati sperando che non si addormentasse, e andò a togliersi il vestito, i piedi doloranti: non era abituata a portare i tacchi per tutto quel tempo. Xander era in camera a torso nudo, già in jeans, a cercare qualcosa nel cassetto. La guardò litigare con la cerniera dell’abito che si era incastrata e le venne in soccorso.

 

Un brivido passò per la schiena di Irina quando la sua mano calda le sfiorò la pelle, e un attimo dopo si ritrovò con le sue appoggiate al petto di Xander, accaldato e divertito. Si lasciò solleticare per qualche istante, poi si ricordò che c’era Tommy, di sotto.

 

<< Faccio qualcosa da mangiare a Tommy >> disse, << Tu hai ancora fame? >>.

 

<< Stai scherzando, vero? >> ribatté lui, << L’unica cosa che voglio fare è smaltire tutto il pranzo di oggi… >>.

 

Irina sorrise e si staccò, infilandosi la maglietta e i jeans. << C’è un bambino, di sotto >> disse, a mo’ di rimprovero.

 

<< Capisci adesso perché non mi piacciono? >> ribatté Xander, riacciuffandola per un istante e dandole un bacio sulla bocca.

 

<< Se è solo per quello, penso che puoi resistere ancora per un po’ >> disse Irina, dandogli un bacio a sua volta e sparendo di sotto.

 

Tommy stava ancora guardando i cartoni animati, e gli preparò la cotoletta che a lui piaceva tanto e che ormai era di routine quando veniva a stare da loro. Quando gli ebbe dato da mangiare lo portò di sopra, nella camera per gli ospiti, e cercò di metterlo a dormire: peccato che, durante l’attesa della cena, gli fosse passato tutto il sonno.

 

<< Dove è andata la mamma, zia? >> chiese il bambino, sdraiato di fianco a lei nel letto matrimoniale, il volto nascosto nella penombra.

 

<< E’ andata in vacanza con papà per qualche giorno >> rispose Irina, fissando il soffitto in attesa che Tommy si addormentasse. << Sei contento di rimanere con me per un po’? >>.

 

<< Sì… Perché siamo venuti a casa di Alezzander? >>. Irina sorrise di fronte al suo problema con le “x” che si sarebbe risolto da solo di lì a qualche anno.

 

<< Perché lui ha la casa più grande, e così possiamo stare tutti insieme >> rispose Irina, accarezzandogli la testolina. Lo trovava molto tenero quando le poneva quelle strane domande.

 

<< Ah… Ma perché non lo posso chiamare zio? >> chiese Tommy. Sembrava considerare la cosa di vitale importanza, vista la sua espressione corrucciata.

 

<< Perché… Bé, perché non siamo sposati >> rispose Irina, questa volta un po’ a disagio, << Dormi, adesso, altrimenti domani sei troppo stanco per andare all’asilo >>. In tutta sincerità, voleva sorvolare su quell’argomento: non voleva mettergli strane idee in testa…

 

<< Va bene, zia >> disse Tommy, rigirandosi sotto le lenzuola, << Me la racconti una storia, per favore? >>.

 

<< D’accordo, piccolo >>.

 

Irina gli rimboccò la coperta e si mise a raccontare la prima storia che le passò per la testa: un coniglio che aveva problemi con i suoi dentoni e che nessuno voleva fare amico. Ad un certo punto si accorse che Xander era appoggiato allo stipite della porta e li guardava nel buio, le braccia incrociate e l’espressione imperscrutabile. Non si capiva se era divertito o infastidito da quella situazione.

 

Irina avrebbe tanto voluto che li raggiungesse e condividesse con lei quel momento, anche solo stando seduto sul bordo del letto in silenzio, ma non gli chiese nemmeno di avvicinarsi: sapeva che Xander non sarebbe venuto, perché lui non era abituato ad avere a che fare con i bambini, e non si sforzava nemmeno di provarci. Non era proprio il tipo da mettersi a raccontare favole.

 

Continuò a raccontare la sua storia, lanciandogli ogni tanto un’occhiata per capire cosa stesse pensando, e chiedendosi perché a volte si comportasse in quel modo quasi possessivo con lei… Era un bambino, mica un ragazzo che le faceva la corte.

 

Ad un certo punto, Xander sparì silenzioso com’era arrivato, forse diretto in cucina o in soggiorno. Irina accarezzò Tommy, che iniziava a chiudere gli occhi, e attese che si addormentasse.

 

Anche quella giornata era finita, ed era riuscita a passarla senza pensare al suo problema. Ora però doveva veramente trovare una soluzione, perché non poteva continuare a essere così irrequieta senza destare i sospetti di qualcuno…

 

“Che cosa vuoi veramente, Irina? Perché il problema è questo: non sai che cosa vuoi tu… O forse lo sai, ma non lo vuoi ammettere”.

 

McDonall con una frase le aveva fatto capire tutto quello che c’era da capire: alle volte si devono fare scelte che non ci piacciono, per il bene di tutti quanti. Era quello che faceva Xander quando partiva e la lasciava sola: il dovere era una cosa, il piacere un’altra.

 

Perché avere paura, allora? Xander lo faceva sempre, andava in missione senza troppe storie e poi tornava… Perché aveva paura in quel modo?

 

William era in carcere, chiuso nella sua cella di sicurezza e guardato a vista, e tutta la sua banda aveva fatto la stessa identica fine. Non si doveva preoccupare di loro, né del fatto che potessero farle qualcosa. Sarebbe stata al sicuro, in stretto contatto con i membri dell’F.B.I., avrebbe seguito un piano ben congegnato…

 

“La verità è che hai paura di essere contenta di trovarti di nuovo lì. Hai paura di scoprire che rimani comunque Fenice. E questo vorrebbe dire che tutti gli sforzi che hai fatto fino ad adesso per cambiare, per dimenticare, sono stati vani… Sia i tuoi, sia quelli di Xander. Tornerai ad avere tutte le tue paure, tutti i tuoi incubi… E’ questo che ti ha impedito di dire di sì subito”.

 

Sbuffò, frustrata. Dovere, volontà, paura, desiderio… Si mescolava tutto nella sua testa, in quel momento.

 

McDonall l’aveva detto: certe scelte si fanno per dovere.

 

Jenny era stata chiara: le paure vanno affrontate.

 

Max lo aveva predetto: tornare al passato sarebbe stato traumatico.

 

“Se vuoi smettere di avere paura, di rimanere nel dubbio di ciò che sei veramente, l’unica possibilità che hai è quella di provare. Non puoi tirarti indietro: non lo fai solo per te, lo fai anche per chi stava come te… Se è necessario, fai come Xander: non tirarti indietro, anche se hai paura. E’ ora di crescere, Irina”.

 

Crescere… Era cresciuta, in quei due anni? Era cambiata, certo, ma poteva dire di essere maturata, di aver imparato a essere adulta?

 

“Guarda in faccia la realtà, Irina. Sei sempre una bambina: continui a vivere spensierata e lasci che siano gli altri a decidere per te. Continui a fare la vittima, a crogiolarti in quello che sei stata… Non c’è giorno in cui almeno uno dei tuoi pensieri non torna a quella vita… Se vuoi davvero crescere, e dimenticare, allora affronta le tue paure e dimostra a te stessa che sei in grado di guardarti anche da sola”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Xander si fermò di nuovo sullo stipite della porta della camera degli ospiti, lo sguardo puntato sul letto, la lampada accesa sul comodino che rischiarava appena l’ambiente. Irina si era addormentata, con Tommy di fianco a lei, appoggiato alla sua spalla, il respiro leggero leggero. Sapeva che con quel bambino in giro sarebbe finita così, ma non se la prese troppo: in fondo, sarebbe stato solo per un paio di giorni. Poteva sopportarlo.

 

Si avvicinò e rimboccò le coperte a Irina, soffermandosi a guardare il suo volto.

 

Erano stati giorni difficili, per lui. La proposta di McDonall lo aveva lasciato nervoso e arrabbiato, oltre che perplesso. Aveva fatto di tutto per non far capire a Irina che c’era qualcosa che non andava, perché non voleva coinvolgerla, ma sapeva che da quel punto di vista era molto furba, e doveva aver per forza capito che era preoccupato. Forse per non apparirgli troppo apprensiva non aveva voluto chiedergli nulla.

 

Ora che la vedeva dormire tranquilla come una bambina, si rese conto di quanto fosse assurdo prenderla in considerazione per una cosa del genere. Era troppo giovane per essere mandata a rischiare la vita, non l’avrebbe mai permesso. A lui spettava il compito di proteggerla, di prendersi cura di lei. Era uno degli impegni che si era preso quando aveva deciso che sarebbe entrata a far parte della sua vita.

 

“Come posso pensare di lasciarti andare laggiù? Chi ci penserà a te? Ho fatto di tutto per averti, non ti lascerò andare… Non ti farò rischiare la vita. Sei troppo piccola per fare una cosa del genere… Hai già perso troppo, amore mio”.

 

Le sfiorò una guancia e per un momento fu tentato di svegliarla. Aveva voglia di sentirla di nuovo sua, di stringere quel corpo fragile tra le sue braccia… Era un bisogno di cui non si stancava mai, con cui faticava a convivere mentre era via. Ogni giorno che passava, si rendeva sempre più conto di quanto avesse bisogno di lei, di quanto l’amasse veramente.

 

“Il tuo posto è qui, Irina, al sicuro. Non ho combattuto contro i tuoi demoni fino a ora per poi lasciarti di nuovo in loro balìa… Ti voglio così come sei adesso, piccola, fragile, innocente… Non voglio vedere di nuovo quell’espressione nei tuoi occhi, quel dolore che avevi dentro. Non ti deluderò chiedendoti di tornare a essere ciò che non vuoi…”.

 

Le sfiorò di nuovo una guancia, e poi posò lo sguardo su Tommy, che dormiva beato, la manina stretta stretta al lenzuolo. Sapeva di doverlo trovare tenero, ma Irina concentrava tutta la sua attenzione, in quel momento.

 

La ragazza si mosse impercettibilmente, poi aprì gli occhi e lo guardò, chino su di lei, l’espressione per un istante confusa.

 

<< Xander… >> sussurrò, << Scusa, mi sono addormentata… >>.

 

Fece per alzarsi, ma lui la fermò.

 

<< Non importa, piccola >> disse sorridendo, << Sei stanca, dormi… E poi rischi di svegliarlo >>.

 

Indicò Tommy con un cenno del capo e Irina guardò il bambino, un dolce sorriso che le si apriva sul volto, forse ancora più intenerito di quelli che rivolgeva a lui.

 

<< No, non c’è questo pericolo… >> mormorò, << Credo che domani svegliarlo sarà un’impresa >>.

 

Si mise a sedere, i capelli lunghi che le ricadevano sulle spalle, cercando con lo sguardo forse le ciabatte. Xander la guardò alzarsi con un misto di divertimento e tenerezza: era sempre pronta a prendersi cura di chiunque fuorché di se stessa. La prese per mano e la portò in camera.

 

Irina si sedette sul letto, e si lasciò cadere con aria soddisfatta e felice sui cuscini. Mise le braccia dietro la testa e lo guardò abbassare le serrande.

 

<< Oggi è andato tutto bene, per fortuna >> sospirò, << Sono contenta per Sally. Si meritava una giornata così… >>.

 

Xander sorrise e si sdraiò di fianco a lei. << E tu cosa pensi di meritare, per averla aiutata? >> chiese.

 

<< Niente… Ho già tutto quello che voglio >> rispose lei, fissando il soffitto.

 

Anche io, amore mio… Quando ho te, cos’altro posso chiedere?”.

 

Fece per tirarla verso di sé, ma si accorse che aveva chiuso di nuovo gli occhi e che probabilmente si stava riaddormentando. Rimase con la mano bloccata a mezz’aria, quasi contrariato, poi sorrise. Irina era unica anche perché era in grado di accenderlo con un solo sguardo e di spegnerlo altrettanto velocemente.

 

<<Notte, piccola >> sussurrò, e spense la luce.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 11.30 – Los Angeles, Ocean Cafè

 

<< La mia risposta è sì. Accetto la missione >>.

 

Irina guardò McDonall, seduto davanti a lei, l’espressione puntata sul suo volto. Teneva una valigetta ventiquattrore appoggiata sul tavolino dell’Ocean Cafè, la mano sull’apertura. Nel bar deserto non c’era nessuno a parte loro, e il solito barista stava sistemando le sedie qualche tavolino più in là.

 

Quella frase, pronunciata tutta d’un fiato, per un momento le sembrò uscire dalla bocca di qualcun altro, non dalla sua. Fece fatica persino a riconoscere la sua stessa voce.

 

<< Accetto, anche se ho paura >> ripeté.

 

Il Vicepresidente abbassò il capo, serio, ma riuscì comunque a cogliere sul suo volto un sorriso quasi soddisfatto. << Sono contento che abbia preso questa decisione >> disse, << E le sono assolutamente grato… Capisco quanto sia difficile per lei, ma è la soluzione migliore che potevamo prendere >>.

 

Irina si strinse le mani e guardò il pavimento per un istante, preoccupata. Ancora non sapeva se aveva preso la decisione giusta oppure no.

 

Accettare era l’unico modo per sentirsi in pace con stessa, e per affrontare le sue paure… Però non poteva negare di non essere pienamente sicura di quello che stava facendo, soprattutto quando si sarebbe ritrovata faccia a faccia con Xander. Cosa avrebbe detto?

 

<< Posso sapere qual è il vostro piano, ora? >> chiese, per distogliere i suoi pensieri da quell’incontro.

 

<< Le illustrerò il nostro piano quando verrà a San Francisco >> rispose McDonall, << Per il momento mi limiterò a darle le indicazioni di base… >>. Mescolò il suo caffè e la guardò. << Per prima cosa, dobbiamo pensare alla sua preparazione. Le forniremo armi, soldi e auto: tutto ciò di cui avrà bisogno. E ci occuperemo di insegnarle come muoversi. Non ci vorrà molto, anche perché abbiamo solo due settimane a disposizione… Dovremo farci bastare il tempo >>.

 

<< E Xander? >>.

 

McDonall sembrò rabbuiarsi, a quel punto. << Glielo diremo insieme >> rispose, << Non posso nascondergli che ha preso parte alla missione, e in ogni caso la sua reazione sarebbe ancora peggiore. Saprà tutto, e dovrà accettare le cose come stanno >>.

 

“Dubito che accetterà così facilmente… Forse è il caso che nella stanza non ci sia nessuno”.

 

<< Quando devo presentarmi a San Francisco? >> chiese Irina.

 

<< Alle undici di domani mattina >> rispose il Vicepresidente, aprendo la ventiquattrore, << Sistemeremo con calma tutta la faccenda, e avremo modo di parlare con il suo fidanzato… >>. Le porse un navigatore satellitare, che lei prese titubante. << Segua le indicazioni di questo. Arrivata troverà qualcuno che si occuperà di accompagnarla da me… Ah, vorrei solo parlare della sua carriera universitaria, se non le dispiace >>.

 

Irina annuì. << Sì… Ci sono problemi? >>. A dir la verità era l’ultima cosa a cui aveva pensato, in quei giorni.

 

<< So che frequenta regolarmente, e che si trova in pari con gli esami >> disse McDonall, << Mi dispiace che per colpa nostra debba perdere lezioni ed esami… Se non le dispiace, avevo pensato di permettermi di farle un piccolo, per così dire, sconto… >>. Sorrise, le dita che giocavano con la serratura della ventiquattrore.

 

Irina inarcò le sopracciglia, perplessa.

 

<< Supererà tutti gli esami di questo semestre d’ufficio, tutti con un voto che non alteri la sua media >> spiegò McDonall, << Non sappiamo quanto tempo prenderà questa missione, perciò credo che almeno questo le sia dovuto >>.

 

Irina lo fissò stupefatta. << Sta dicendo veramente? >> boccheggiò.

 

<< Certo… Crede che non lo possa fare? >> ribatté il Vicepresidente, divertito, << A quello non dovrà pensare… Sempre che sia d’accordo >>.

 

<< Oh… >>, Irina si strinse le mani, << Ehm, si va bene… Non è proprio corretta, come cosa, ma se posso togliermi almeno questo pensiero… >>.

 

<< Perfetto >> disse McDonall, alzandosi, << La aspetto domani mattina, nel mio ufficio. La prego di non parlare con nessuno di questa missione, anche con i suoi familiari. Venga con la sua vecchia auto, per favore. Le faremo dare una guardata >>.

 

Le strinse la mano e sorrise. << Passi una buona giornata… Domani sarà tutt’altra cosa >>.

 

La salutò e uscì dal bar, lasciandola di nuovo sola. Irina deglutì e guardò il navigatore satellitare che aveva poggiato sul tavolino, senza in realtà vederlo.

 

“E’ fatta, Irina. Ora non si torna più indietro… Adesso sei di nuovo in gioco”.

 

Con stupore, si accorse che ciò che stava provando non era paura, ora… Era… Era eccitazione. Era felicità… Sì, aveva fatto la scelta giusta, questa volta… Tornava a correre.

 

Si alzò di scatto e lasciò il locale, raggiungendo la TT parcheggiata vicino alla spiaggia, sentendosi stranamente leggera.

 

Sorrise, mentre saliva sull’auto, impugnando il volante come non aveva mai smesso di fare, saggiando il pomello del cambio, gli occhi puntati sulle lancette del contagiri. Tutti gesti che aveva imparato tanto tempo prima e che aveva cercato di dimenticare, ma che facevano parte di lei… Ora poteva ripeterli senza vergognarsi di sé stessa… Tornava a essere Fenice…

 

Accese il motore e partì con una sgommata.

 

No, non aveva paura. Non aveva paura di essere di nuovo Fenice, anzi. Stava facendo la cosa giusta: stava tornando a essere una pilota clandestina, ma aveva uno scopo, ora. Salvare delle vite, salvare qualcuno che magari si trovava nella sua stessa situazione… Non lo faceva solo per stessa.

 

“Mi assumerò i miei doveri… E’ ora di crescere, e io crescerò”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 9.00 – Carcere si San Francisco

 

<< Challagher, è ora della doccia >>.

 

Con un rumore metallico, qualcosa venne sbattuto sulle inferriate della cella, e William digrignò i denti per il fastidio. Sfruttò lo specchio che aveva davanti per guardare alle sue spalle, la porta del bagno lasciata aperta, asciugandosi il collo sudato con l’unico asciugamano che aveva.

 

La guardia carceraria fissava le sue spalle tatuate, il manganello in mano e il volto barbuto quasi strafottente. Il cartellino sulla sua camicia verde bottiglia diceva “Jason McCarteer”.

 

William lo aveva visto solo un paio di volte, durante una delle ore d’aria, e normalmente non era lui ad accompagnarlo alle docce. Di solito c’era Reed, a occuparsi di lui. Si chiese come mai quel cambiamento, ma non gli diede troppo peso, visto che alla fine non gliene fregava gran che.

 

Gettò l’asciugamano sul letto e si voltò, guardando McCarteer infilare le chiavi nella serratura e aprire le inferriate, gli occhi puntati su di lui. A William venne da sorridere malignamente: in quel momento sapeva bene che la guardia carceraria temeva qualche sua azione avventata. Challagher era uno da tenere costantemente d’occhio, era un’opinione comune all’interno del carcere.

 

McCarteer lo afferrò per i polsi e lo spinse fuori dalla cella, tenendogli saldamente le mani per evitare per si azzardasse a fare qualcosa.

 

<< Un passo falso e ti ritrovi con un manganello nello stomaco >> lo minacciò, conducendolo lungo il corridoio dalle pareti scrostate e sudice, sotto lo sguardo degli altri detenuti all’interno delle celle. Qualcuno addirittura lo salutò con un grugnito, più per paura che per piacere.

 

William ridacchiò. << Non ti hanno detto che sono buono come un agnellino? >>  apostrofò la guardia, cercando di vedere la sua espressione con la coda dell’occhio.

 

C’era un motivo ben preciso del perché di solito fosse Reed a occuparsi di lui in quella situazione: Reed era un nero alto all’incirca due metri, con due mani grosse come badili e muscoloso quanto un toro. In tutto il carcere era di sicuro quello che avrebbe avuto meno problemi a tenere a bada Challagher, se avesse tentato di attaccar briga, come di solito faceva. Ecco perché McCarteer era decisamente sull’attenti.

 

In ogni caso, William non voleva tentare la fuga. Sapeva che anche se avesse steso la guardia con un colpo in testa ben assestato, non poteva sperare di poter uscire dal carcere senza che nessuno lo fermasse. C’erano diversi corridoi, cinque porte e due inferriate a separarlo dall’esterno, più un numero indefinito di agenti di polizia. Se davvero avesse potuto organizzarsi la fuga da solo, a quell’ora sarebbe stato da tutt’altra parte.

 

Raggiunse le docce nel piano interrato, e sentì una vampa di umidità e calore avvolgerlo. Percorse con lo sguardo la stanza fumosa e illuminata dalle lampadine, lo scrosciare dell’acqua sul pavimento scivoloso. Un poliziotto ciccione stava seduto su una sedia nell’angolo, tenendo d’occhio gli ultimi due detenuti che si stavano ancora lavando, nascosti da un muro piastrellato di beige, basso abbastanza da rendere ben visibili le loro facce e i loro piedi.

 

Uno di loro era Daniel Grey, quello a cui aveva rotto il naso quando lo aveva trovato in possesso della foto di Irina, e l’altro era uno che doveva essere arrivato da poco perché non lo ricordava.

 

<< Datevi una mossa, voi due >> disse il poliziotto grasso in direzione di Daniel.

 

William attese che McCarteer gli procurasse un grosso asciugamano ruvido, poi si andò a sedere dalla parte riservata a spogliatoio e si tolse i vestiti.

 

Le docce comuni erano state l’ultimo dei suoi problemi, in quel posto. Non aveva il minimo senso di vergogna a condividere quel momento con gli altri detenuti, perché l’esibizionismo era sempre stato una delle sue caratteristiche. Tuttavia, trovarsi a fare la doccia con qualche detenuto era un fatto abbastanza raro, per lo Scoprione: dopo qualche episodio piuttosto spiacevole, le guardie del carcere avevano deciso di mandarlo sempre per ultimo, in modo da lasciargli qualche minuto in più ed evitare discussioni.

 

<< Hai finito, oppure devo sbatterti fuori io? >> chiese William rivolto a Daniel, che stava ancora tranquillamente sotto la doccia, mentre l’altro detenuto aveva provveduto a squagliarsela il prima possibile. C’erano altre undici docce libere, ma stava usando la “sua”, e lo sapeva bene.

 

Daniel, un ragazzo più o meno suo coetaneo, capelli scurissimi e occhi castani, era un paio di centimetri più basso di lui e quasi altrettanto muscoloso, e viveva nella ferma convinzione di potergli tenere testa. Si sbagliava, e la gobba che portava sul naso avrebbe dovuto servigli a ricordare che lo Scorpione non amava essere provocato, ne tantomeno sfidato.

 

<< Fottiti, Challagher… >> ribatté l’altro, senza nemmeno guardarlo, << Ci sono le altre docce, libere. Usa una di quelle >>.

 

William si alzò, e con la coda dell’occhio vide McCarteer e il grassone fare un passo verso di lui. Avrebbe tanto voluto saltargli addosso e rompergli un’altra volta il naso, ma quel giorno non aveva voglia di avere un’altra colluttazione con gli sbirri. Voleva solo provocarlo un po’, come faceva sempre, e animare quell’altra giornata piatta e vuota.

 

<< Challagher, Grey, finitela >> disse McCarteer. Aveva la mano appoggiata al manganello, come monito contro ogni tipo di colpo di testa.

 

<< Dimmi, Daniel, cosa ci facevi con la foto della mia ragazza? >> chiese William, apparentemente disinteressato. Le due guardie drizzarono le orecchie, pronte a dividerli.

 

Il ragazzo lo guardò e gli fece un gestaccio, per fargli capire che di sicuro non aveva usato l’immagine di Irina per pregare prima di andare a dormire. William andò su tutte le furie, pur sapendo di essersela cercata.

 

<< Toglitela dalla testa, se non vuoi che sia io a toglierti qualcos’altro >> ringhiò.

 

Daniel sorrise malignamente. << Allora sei davvero cotto di quella lì… >> disse, << Peccato che non si sia mai vista, da queste parti… Sei sicuro che lei sapesse di essere la tua ragazza? >>.

 

William fece un passo verso di lui, e per un momento gli passò per la testa che forse era disposto ad accettare una rissa con gli sbirri, quella mattina.

 

<< Usa la mia ragazza per farti qualche fantasia, e ti faccio diventare gay >> disse.

 

<< Non credo di essere l’unico a farmi qualche fantasia su di lei, Challagher >> ribatté Daniel, gettandogli un’occhiata strafottente.

 

Se c’era una cosa di cui William si ricordava, era il corpo di Irina intrecciato al suo. Non c’era niente come la sensazione di averla avuta solo per lui. Ghignò per dimostrare a Daniel che ciò che aveva detto non lo scalfiva minimamente.

 

<< Non hai nemmeno idea di quello che abbiamo fatto, io e lei >> disse soave, << Sai, un giorno forse te la farò conoscere… Sempre che tu sia ancora vivo, naturalmente >>.

 

<< Avete finito? >>. McCarteer si avvicinò e li guardò male, << Gray, esci di lì e rivestiti. Challagher, fatti questa fottuta doccia e smettila di cercare un pretesto per dare fastidio, chiaro? >>.

 

Daniel richiuse la manopola dell’acqua, gli gettò un’occhiata e poi gli lasciò campo libero. William si piazzò sotto la doccia e iniziò a lavarsi, completamente solo, finalmente.

 

Gli piaceva provocare gli altri detenuti, vederli trattenersi dal saltargli addosso perché avevano troppa paura di lui. Era uno dei suoi passatempi preferiti, insieme a quello di decidere in che modo uccidere Went e Dimitri. Ma odiava a morte quando alludevano al fatto che nessuno credeva per davvero che Irina fosse stata la sua ragazza.

 

“Chissà cosa stai facendo, bambolina mia…” pensò, un sorriso che gli affiorava sulle labbra al pensiero di Irina quel giorno sulla spiaggia, sdraiata sotto di lui, poco dopo che Went se n’era apparentemente andato, “Chissà se con lo sbirro è già finita, oppure ti sta ancora addosso…

 

All’inizio aveva creduto di impazzire, quando non era riuscito a togliersela dalla testa, ma ora si rendeva conto che il pensiero di Irina lo rendeva più vivo che mai, gli permetteva di sapere che non aveva perso completamente tutto. Era un’ossessione che almeno gli serviva a qualcosa, che gli permetteva di non perdere la ragione. E, pateticamente, non riusciva a odiarla per davvero.

 

“Quanto eri bella, bambolina… Avevi un corpo da mozzarmi il fiato. E che gambe… Avrei rinunciato a qualsiasi cosa, pur di averti veramente mia… E quando mi guardavi con quegli occhi? Avevi un’espressione così provocante che bastava uno sguardo a eccitarmi… Dove sei, adesso?”.

 

<< Challagher, non hai tutta la mattina >> ringhiò McCarteer.

 

William fece una smorfia infastidita. Preferiva nettamente Reed: anche se era un gigante, gli lasciava quasi sempre tutto il tempo che voleva, quando faceva la doccia. Gli concedeva almeno quel lusso, per tenerlo buono…

 

Chiuse la manopola dell’acqua e si avvolse nell’asciugamano striminzito. Odiava essere interrotto quando pensava a lei.

 

Si strofinò i capelli e si guardò nello specchio appannato. Aveva davvero bisogno di una tagliata di capelli, altrimenti la W tatuata in nero rischiava di rimanere coperta, di lì a poco. Si rivestì in fretta e tornò dalla sua guardia, un sorriso strafottente sul volto.

 

<< Possiamo andare >> disse.

 

McCarteer lo prese per i polsi e iniziò a condurlo indietro, verso i piani superiori, dove la sua cella lo attendeva come ogni giorno. A metà delle scale, però, incrociarono un altro sbirro.

 

<< Aspetta, Jason >> disse, << Non portarlo già in cella >>.

 

<< Perché? >> chiese McCarteer, fermandosi sui gradini. A William non piacque quel cambio di programma. Sentì la presa della guardia stringersi su i suoi polsi, quando li strattonò impercettibilmente.

 

<< Pare ci sia qualcuno per lui >> rispose l’agente.

 

William lo fissò, e lo stesso fece lo sbirro sulle scale. Lo portavano per ultimo alle docce anche perché sapevano che non c’era mai nessuno in visita, per lo Scorpione. Qualcuno per lui, dopo due anni?

 

Sorrise, e il suo sguardo corse alla finestrella chiusa dalle inferriate di metallo, da cui filtrava la luce del giorno. Finalmente aveva smesso di aspettare, forse.

 

“Era ora, che arrivassi… Ce ne hai messo, di tempo”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 9.00 – Casa di Xander

 

Irina infilò gli stivali e si guardò nello specchio un’ultima volta, sentendosi stranamente lontana dal riflesso che il vetro le mandava: si riconosceva poco nell’immagine della ragazza dal viso pulito che la guardava perplessa. Qualcosa era cambiato dentro di lei, dal momento in cui aveva pronunciato il fatidico “sì” a McDonall… Si diede una sistemata ai capelli e mise a posto il colletto della maglia, dopodiché gettò un’occhiata all’orologio.

 

Tommy era all’asilo, e ci sarebbe rimasto fino alle quattro… Xander era andato a San Francisco, come faceva prima di ogni missione per studiare i vari piani e ottenere istruzioni. Era uscito di casa due ore prima, senza aspettarsi minimamente la sorpresa che McDonall aveva in serbo per lui.

 

Raccolse la borsa e le chiavi della Punto, con una stranissima sensazione addosso. Paura? Eccitazione? Non lo sapeva nemmeno lei… In quelle ventiquattro ore non era riuscita a capire ciò che stava provando, ma sapeva di non essersi ancora pentita della sua scelta, e molto probabilmente non l’avrebbe mai fatto.

 

Scese in giardino, fermandosi davanti alla porta del garage abbassata, il vialetto che portava al cancello sgombro, quasi a invitarla a passare. Rimase immobile per un istante, e tirò un profondo respiro. Tutto sembrava assurdamente tranquillo, in quel momento, come se l’attenzione dell’intero vicinato fosse catalizzata su di lei.

 

“Avanti, avanti… Una volta eri abituata a dare nell’occhio”.

 

Si abbassò, afferrò la maniglia della saracinesca e aprì il garage, inondandolo della luce del mattino. Ferma in un angolo, c’era la BMW bianca, i fari allungati spenti e senza vita, i vetri scuri che non permettevano di vedere all’interno. Al centro, c’era lo spazio vuoto lasciato dalla Ferrari 458 Italia di Xander, ma per terra erano ben visibili le impronte degli pneumatici larghi e dentellati. E in un angolo, coperta dal suo telo nero, la Grande Punto.

 

Si avvicinò con lentezza, i suoi passi che rimbombavano sul pavimento. Rallentò l’andatura, come se qualcuno potesse scoprirla sul fatto, la sensazione di star commettendo un errore sulla pelle. Per un momento la sua mano esitò, a un centimetro dal cofano dell’auto, poi con un gesto secco tirò via il telo e scoprì la macchina.

 

Un brivido di eccitazione le percorse la spina dorsale, quando la vernice bianca brillò abbagliandola: era una sensazione che aveva già provato, e ricordava anche quando. La prima volta che aveva visto la sua auto, completa, pronta a correre nella sua prima gara da Fenice, più di quattro anni prima. Quando ancora non sapeva a cosa andava incontro, quando ancora non sapeva dove sarebbe arrivata, chi sarebbe diventata…

 

Bassa, la vernice perlata lucidissima, i cerchi in lega ribassati, i vetri oscurati e l’aerografia della fenice sulla fiancata… La Punto era cambiata pochissimo, da quel giorno in cui aveva adottato il nome Fenice, da quando era veramente entrata a far parte del mondo delle corse clandestine, e come la prima volta che l’aveva vista, sembrava pronta a scattare, a far vedere di ciò che era capace. Pronta a dimostrare chi era.

 

La luce che proveniva da fuori fece brillare i fari, come grandi occhi di un felino. Irina sorrise e iniziò a girare intorno alla Punto, lentamente, passando la mano sulla carrozzeria tirata a lucido, ammirandone ogni particolare.

 

“E’ così torniamo a correre, mia cara… Chi lo avrebbe mai detto? Fenice torna di nuovo…”.

 

Passò le dita sullo specchietto esterno, dando uno sguardo ai cerchi in lega bruniti, che facevano parte di uno dei pochi cambiamenti in quegli anni, e tastò le gomme per controllare che non fossero sgonfie.

 

“E se Fenice ritorna, torni anche tu, bella mia. E’ un po’ che non ti faccio fare un giretto… Vediamo se sei ancora brava come ricordo”.

 

Aprì la portiera e salì dentro, ritrovando subito la sua posizione sul sedile avvolgente. Accarezzò la corona del volante, poi il pomello del cambio, osservando le lancette del contagiri e del contachilometri ferme e spente. Infilò la chiave nel nottolino e la girò, gli occhi chiusi e il respiro bloccato in gola. Erano passati mesi dall’ultima volta che si era seduta in quell’abitacolo…

 

Senza esitazioni, il motore si accese con un rombo, inondando il garage con il suo rumore pieno e aggressivo. Le lancette schizzarono in alto, illuminandosi di bianco, e le varie spie prima si accesero tutte insieme, poi si spensero per indicare che non c’era alcun problema.

 

“Lo sapevo, che non mi avresti deluso…”.

 

Con un sorriso, Irina ingranò la prima, poi la seconda, e poi tutte le altre marce per vedere se il cambio era sempre fluido, e accese i fari. Il garage venne illuminato a giorno per un momento, il tempo di provare i led, e tornò rischiarato solo dalla luce del giorno.

 

Perfetto, funzionava tutto. Mise la prima, poi si ricordò di una cosa. Sorrise per aver quasi dimenticato una cosa così importante.

 

La benzina.

 

Guardò la lancetta del serbatoio, che indicava “full”. L’ultima volta che l’aveva usata, si era premurata di farle il pieno… Chiaro segno che desiderava guidarla ancora.

 

“E adesso si va… Come una volta, come sempre”.

 

Tirò fuori il navigatore e lo accese. Il display si illuminò, poi comparve un reticolo di strade e una freccetta rossa: il punto esatto dove si trovava lei. I chilometri che mancavano alla meta erano trecento…

 

Si rese conto con stupore che Xander faceva tre giorni a settimana tutta quella strada, e comprese perché avesse il vizio di correre a trecento all’ora sull’autostrada…

 

Controllò il tempo di percorrenza: circa quattro ore, traffico incluso.

 

Sogghignò. Quattro ore? Quattro ore per una persona normale, ma per una pilota come lei… Guardò l’orologio: le 9.00.

 

“Vediamo se mi ricordo ancora come si guida veramente…”.

 

Uscì dal cancello e si avviò verso l’autostrada, attraversando la città con una strana sensazione addosso. Ne era passato di tempo, da quando girare con un’auto così vistosa era normale, e la gente non si stupiva più di tanto: Challagher e la sua banda erano di casa, da quelle parti. Ma ora che le cose erano cambiate, Irina si rese conto degli sguardi spaventati che qualche automobilista le lanciava, e di quelli ammirati dei gruppetti di ragazzi che la guardavano passare per strada.

 

Si fermò al semaforo, e si accorse che vicino a lei c’era una Mercedes Slk nera, guidata da un ragazzo non molto più grande di lei. Aveva lo sguardo puntato sulla Punto, l’espressione di sfida, la mano appoggiata sul volante con fare provocatorio. Aveva tutta l’aria di voler apparire come un pilota clandestino, ma lei sapeva che era tutta una finta.

 

Sorrise. Sapeva che i vetri oscurati la nascondevano alla vista, e che quel ragazzo credeva di avere di fronte “uno” come lui… Non si aspettava certo che fosse una ragazza, a guidare quell’auto palesemente sportiva e truccata. 

 

“Il papino ti ha lasciato la macchina, oggi? E’ sicuro che tu la sappia guidare?”.

 

Guardò il semaforo: lo sapeva, era da folli, ma un piccolo scatto le sarebbe servito a capire se aveva i riflessi pronti come quelli di una volta… E una prova di velocità era quello che voleva quel ragazzo, lo sapeva. Se credeva di fare il furbo, lei gli avrebbe mostrato cosa significava essere piloti veri.

 

E’ cinque minuti che sei in auto, e già cerchi la sfida. Sei sempre la stessa… Fenice non l’hai mai cancellata”.

 

Diede un colpo di gas per provocarlo: lui fece altrettanto, e fu la conferma che Irina si aspettava. Tornò a guardare il semaforo, ancora rosso, e attese.

 

Un bagliore, e la luce verde si accese. Schiacciò a fondo l’acceleratore, e la Punto schizzò avanti leggera e rapida come sempre, più veloce e più reattiva della Slk. Prima, seconda e terza inserite talmente veloce da sembrare un’unica marcia… Un attimo, ed era davanti, facendo mangiare la polvere alla Mercedes nera.

 

Percorse circa quattrocento metri, poi si fermò al semaforo seguente. Dopo qualche istante, vide il muso della Slk comparire alla sua destra.

 

“Bruciato, carino…” pensò divertita.

 

Vide lo sguardo del ragazzo, ancora puntato sulla Punto. Sicuramente voleva la rivincita, ma Irina non era disposta a dargliela: non poteva dare così tanto dell’occhio già appena uscita di casa.

 

Abbassò il finestrino, per fare in modo che il ragazzo la vedesse e dare così un ultimo colpo alla sua autostima. La sua espressione stupita e confusa fu per Irina la più bella delle soddisfazioni: come aveva previsto, non credeva di trovarsi davanti una ragazza.

 

<< Sicuro di saperla guidare? >> chiese accennando alla Mercedes, un sorriso sulle labbra, senza però essere troppo strafottente.

 

Il ragazzo rimase di sasso, la bocca aperta, e non disse nulla. Irina ghignò, poi partì lentamente quando con la coda dell’occhio di accorse che era scattato il verde, lasciando il ragazzo lì, a leccarsi le ferite.

 

Al casello autostradale si fermò a prendere il cartellino d’entrata, e non riuscì a trattenersi dal sorridere come un’idiota. Non ricordava che guidare la sua Punto fosse così divertente… Né così eccitante. O meglio, lo ricordava, ma si era dimenticata dell’effetto che faceva su di lei.

 

Attese che la sbarra bianca e rossa si alzasse, come un’inusuale linea di partenza, e guardò la strada dritta davanti a lei, poco trafficata, la luce del sole che illuminava la carreggiata pronta ad accoglierla, le auto troppo lente e troppo “normali” per una come lei.

 

Superò il casello, trafficando con la radio. Cercava il suo cd, quello che aveva lasciato dentro il portaoggetti l’ultima volta che aveva preso la Punto per farle fare un giro in circuito. Lo trovò, nascosto sotto il libretto di circolazione, e lo infilò nell’apertura.

 

Quando l’abitacolo venne invaso da una delle sue canzoni preferite, “Welcome to my truth”, qualcosa si accese dentro di lei. Con il volante sotto le dita, la mano appoggiata al pomello del cambio, il motore ancora al minimo della sua potenza mentre percorreva l’autostrada rispettando ancora i limiti di velocità, sembrava non fosse passato nemmeno un giorno da quando era la numero tre della Black List… Da quando quella macchina era la sua fonte di vita, da quando saliva sulla Punto e andava gareggiare a Dalton Beach… Tutto sembrava uguale. Tutto, tranne lei.

 

Cercò una delle tracce del cd che aveva aggiunto, rendendosi conto all’improvviso che forse la rispecchiava più di quanto si sarebbe mai aspettata.

 

“Hai fatto una scelta che nessuno condividerà, Irina. Una scelta che nessuno si sarebbe mai aspettato da te… Fare la brava ragazza non è mai stato qualcosa che ti viene bene. Per quanto tu ti sia sforzata, rimani sempre Fenice. E una ragazza, quando diventa cattiva, lo rimane per sempre…”.

 

Sorrise.

 

<< E adesso si corre per davvero… >> sussurrò.

 

La sentiva scorrere di nuovo. L’adrenalina, quella sensazione mista di eccitazione e paura, di incoscienza e di consapevolezza del rischio…

 

Il suo piede si fece pesante, mentre il volume della radio si alzava… La corsia di sinistra era sua, ora… La lancetta del tachimetro avanzava rapida, sempre più rapida

 

Ed eccola di nuovo sfrecciare lungo la carreggiata sgombra, il guard-rail sempre più sfocato di fianco a lei, il ruggito del motore…

 

130… 140… 150…

 

Il sole sul viso, le altre auto lente, troppo lente per lei… La striscia sull’asfalto che scorreva velocissima sotto la Grande Punto bianca, sotto gli pneumatici ribassati, sotto i suoi 255 cavalli… La “belva” tornava a correre… Fenice tornava a volare…

 

Inforcò gli occhiali da sole regalo di Xander, la radio ad alto volume, il braccio sinistro appoggiato alla portiera, lo sguardo incollato alla strada e un sogghigno sul viso. Non era niente, quello. Sapeva fare ben altro, e ricordava ancora come.

 

“Presto ti pentirai di tutto questo…”.

 

Poi schiacciò l’acceleratore fino a fine corsa, dando inizio alla seconda vita di Fenice.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Traduzione:

“E’ facile per una brava ragazza diventare cattiva,
e una volta che lo siamo diventate,
c'è la speranza che lo saremo per sempre.
Non c'è bisogno di una ragione, non c'è bisogno di una ragione
è meglio che impari a trattarci nel modo giusto
perchè una volta che una brava ragazza diventa cattiva,
lo diventa per sempre per sempre”

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Ed ecco che Irina ha fatto la sua scelta: scelta obbligata, scelta prevedibile, ma pur sempre una scelta difficile. Perché se ora è convinta di quello che sta facendo, è perché non si rende ancora conto di ciò che tutto questo le porterà. La sua missione è andare in Russia e far arrestare Goryalef e la sua banda, non quella di tornare a essere Fenice. E sarà lì che capirà veramente cosa comporta.

E William finalmente sta per ricevere la visita che tanto aspettava: sarà svelato il “mistero” del suo “fedelissimo”, e spero non rimarrete delusi. Vorrei far notare ancora la sua palese confusione riguardo a Irina: sembra che la ami ancora, ma sembra anche che la sua intenzione sia quella di ucciderla. Ciò che è chiaro che è la sta usando per non impazzire, per avere uno scopo che lo tenga in piedi finché non sarà fuori. Si è ritrovato a dover vivere di ricordi, e il suo miglior ricordo è proprio lei, la stessa che lo ha fatto sbattere in carcere…

 

E grazie a tutti voi che recensite, che avete inserito la fic tra le preferite, le seguite e le ricordate. Un grazie enorme!

 

 

 

Supermimmina: purtroppo c’è un solo venerdì a settimana, e quindi devo limitarmi a usare quello. Fosse per me, la settimana sarebbe composta solo da venerdì, sabato e domenica! A parte gli scherzi, ho guardato con interesse le foto dei “personaggi” che mi hai mostrato: quella di Paul Walker potrebbe essere abbastanza somigliante a Xander, ma lui è moro. Irina… Oddio, Irina non è bionda, eh. E purtroppo non ci assomiglia per niente a quella della foto, o almeno non assomiglia a quella che ho immaginato io… Ti lascio libera di vederla come vuoi, ma non credo abbia tanto la faccia d’angelo della biondina: sarà dolce e carina, ma è pur sempre una ex pilota clandestina che ha fatto girare la testa allo Scorpione… William, sì, diciamo che Corona potrebbe essere un degno candidato: a personalità lo è di sicuro al 100%. Non ha gli occhi verdi, ma ci potrebbe stare. Dimitri io lo immaginavo un po’ diverso da quello che mi hai mostrato (capelli più chiari e corti), ma non disdegno nemmeno la tua “interpretazione”: meno freddo. Simon Cohen è abbastanza somigliante, quindi concordo. E l’ultimo, Boris: uhm, direi di no. Io lo vedo più giovane, capelli neri e barba scura, con un’aria più selvaggia e cattiva. Poi, , io ti lascio assolutamente libera di immaginare ogni personaggio come vuoi… Tranne per favore Irina bionda! Non ho niente contro le bionde, lo metto bene in chiaro, ma mi stravolgeresti tutto il mio personaggio… Naturalmente anche qui scherzo, ma la mia Fenice è una bella mora dalla carnagione chiara e dallo sguardo che vale più di mille parole. E non so se esista da qualche parte. Ti ringrazio comunque per avermi mandato la tua interpretazione: è interessante sapere come i lettori vedono i miei personaggi! Un bacione grande!

 

Sheba_94: noi carissima ci sentiamo su Msn. Troverò il modo di collegarmi, prima o poi!

 

CriCri88: Xander non si è comportato bene, ma lo fa per lei. E ti capisco anche se dici di essere filo-William: scoprirai un sacco di cose su di lui, più avanti. Ho intenzione di raccontare qualcosa del suo passato, perché potrebbe essere interessante. E ti piacerà sempre di più, il caro Scorpione. Baci!

 

Marty_odg: McDonall è pur sempre il Vicepresidente dell’F.B.I., ed era sicuro che trovasse un modo per parlare con Irina della missione. Non vedo nulla di sbagliato in quello che ha fatto lui, perché si tratta di qualcosa di molto importante e che trascende la volontà di una sola persona. E Irina ha ragionato fino a decidere qual’era la strada migliore… Forse. Non ci resta che vedere la reazione di Xander. Un bacio grande!

 

Smemo92: William impazzito? Io non credo sia impazzito: anzi, credo che sia più lucido e presente di quanto non lo sia mai stato… Due anni gli sono serviti per pensare, per capire, per scoprire chi è veramente lo Scorpione. Vorrei dire altro, ma rischio di rovinare la sorpresa. In ogni caso, posso dire che il carcere cambierà William, in bene o in male questo è da decidere. Xander sicuramente a Mosca non ci andrà, rischia la pelle, ma piuttosto che mandare Irina è disposto a rischiare. Per una volta le posizioni si invertono, e non è una cosa che gli piace molto. Vedremo la sua reazione nel prossimo capitolo. Bacioni!

 

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Capitolo V

Capitolo V

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 10.50 – San Francisco

 

Irina varcò lentamente l’entrata del parcheggio interrato del quartier generale dell’F.B.I., sentendosi come una bambina che entra in un luogo che sa essere proibito. Le luci al neon illuminavano le pareti di cemento grigio, il soffitto basso e lettere che indicavano i settori appesi al muro. Come le aveva detto la guardia all’entrata, seguì la striscia rossa dipinta per terra che portava a una determinata area del garage sotterraneo.

 

Raggiunse un parcheggio più sgombro rispetto agli altri, e individuò subito la Ferrari di Xander. Rossa, spiccava in mezzo a tutte le altre auto scure, ma non osò parcheggiarsi vicino. Si fermò a una decina di metri di distanza e scese dall’auto.

 

Guardandosi intorno con aria leggermente spaesata, cercò con gli occhi la persona che doveva essere stata mandata per accoglierla. L’unica cosa che vedeva, però, era un luogo piuttosto inospitale e quasi freddo.

 

<< Eccola >> disse una voce di donna alle sue spalle.

 

Si voltò di scatto, per vedere correre a piccoli passi verso di lei una signora vestita con un tailleur azzurro, dai capelli tirati in uno chignon e gli occhi cerchiati dagli occhiali dalla montatura argentata. Le porse la mano con un sorriso sbrigativo, quasi avesse di meglio da fare che venire a cercare lei.

 

<< Benvenuta. Sono Colette Duruois, lei deve essere la signorina Dwight >> disse, << Prego, mi segua >>.

 

Senza nemmeno lasciarle il tempo di salutare, indicò la porta dell’ascensore e la precedette, premendo il tasto di chiamata in modo abbastanza violento.

 

<< McDonall la aspetta nel suo ufficio >> disse la segretaria, visionando alcuni fogli che teneva in  mano, << Mi ha detto di riferirle che la prossima volta le darà un badge per l’entrata… >>.

 

<< Oh, grazie mille >> disse Irina, mettendo piede nell’ascensore, un po’ spaesata.

 

Stava pensando che era arrivata a San Francisco in due ore… Velocità media duecento chilometri all’ora. Decisamente ricordava ancora come si guidava.

 

L’ascensore salì di diversi piani, poi si fermò con un sibilo. Le porte si aprirono su un corridoio lungo e dalle pareti bianche, molto simile a quello di un ospedale.

 

La segretaria indicò la porta in fondo. << Deve andare laggiù >> disse, << Mi dispiace non accompagnarla, ma devo sbrigare alcune faccende di sotto… Buona giornata >>.

 

Ci mancò poco che la spingesse fuori dall’ascensore, e Irina si affrettò a lasciarla andare. Si guardò un momento intorno, poi iniziò ad avvicinarsi alla porta chiusa, incrociando un signore in maniche di camicia a metà strada, che non la calcolò e continuò a sfogliare il suo plico con aria annoiata.

 

Arrivata davanti all’ufficio di McDonall, fissò per un istante il cartellino appeso alla porta, rendendosi improvvisamente conto che quello era il mondo di Xander

 

Lo aveva immaginato tante volte, chiedendosi come fosse il posto in cui Xander passava metà della sua vita e che in qualche modo li aveva anche fatti incontrare… Le sembrava tutto molto strano, quasi si trovasse lì solamente in sogno: si muoveva piano, come se da un momento all’altro tutto potesse crollare o scomparire. Appariva come un sacrilegio, farsi vedere lì dentro.

 

Fissò il battente della porta, incerta; poi si schiarì la voce e bussò.

 

<< Avanti >>.

 

Titubante, aprì la porta ed entrò nell’ufficio, ritrovandosi in una grande stanza illuminata a giorno, con le vetrate che davano sul parcheggio interno del quartier generale. Diversi scaffali di legno pregiato occupavano le pareti, pieni di archivi e libri, e al centro c’era una scrivania di mogano, dall’aria costosissima. Dietro, seduto e con l’espressione amichevole, c’era il Vicepresidente McDonall, una riproduzione della bandiera americana alle sue spalle.

 

<< Benvenuta >> disse alzandosi, << Prego, si sieda… Non abbia paura, nessuno la mangerà, in questo posto >>. Sorrise e le porse la mano.

 

Irina si avvicinò alla scrivania e prese posto, sentendosi stranamente in soggezione. In quella situazione, ricordò che McDonall era il Vicepresidente dell’F.B.I., e dopo di lui c’era solo il Presidente degli Stati Uniti… Sentiva la gola più asciutta del solito, e aveva le mani sudate.

 

<< Ha fatto buon viaggio? >> chiese l’uomo, cercando qualcosa nel cassetto della scrivania.

 

<< Sì, abbastanza >> sorrise Irina, ricordando la puntatina a duecentocinquanta che aveva fatto in un rettilineo piuttosto lungo, e quella sensazione indescrivibile che aveva provato dopo due lunghi anni di digiuno dalle gare…

 

Anche McDonall sorrise. << In effetti, gli autovelox l’hanno rilevata… Niente di problematico, in ogni caso. E’ un vizio anche dell’agente Went, avere il piede pesante >> disse, << Gradisce un caffè? >>.

 

Irina fece segno di no con la testa. McDonall iniziò ad aprire un paio di fascicoli, riordinando una dozzina di fogli. Ne mise da parte alcuni, tutti con il simbolo dell’F.B.I. sul frontespizio, e cercò una penna.

 

<< Bene, allora credo che dovremmo chiarire gli ultimi aspetti >> disse, << Ma per questo ci servirà anche White e l’agente Went… >> Le rivolse un’occhiata, << Dovrà firmare alcuni documenti, per entrare operativamente nel nostro reparto… Vuole farlo ora, che la situazione è tranquilla, oppure preferisce aspettare di conoscere i dettagli? >>.

 

Irina capì a cosa si riferiva. Se dopo ci fosse stato Xander, avrebbe fatto di tutto per impedirle di partecipare, e quindi se non l’avesse fatta firmare lei non avrebbe potuto fare proprio nulla. A “patto” avvenuto, doveva per forza limitarsi ad accettare la cosa.

 

“Questo è proprio un colpo basso. Non mi perdonerà mai. Però ormai ho deciso…”.

 

<< Ehm, credo sia meglio che firmi subito >> disse.

 

<< Lo penso anche io >> disse McDonall, porgendole il primo foglio, << Prego, qui c’è la penna… Si prenda tutto il tempo che vuole >>.

 

Irina prese il foglio e gli gettò un’occhiata: erano tutti i suoi dati, che lei sapeva di non aver mai dato a nessuno… Il potere dell’F.B.I. arrivava anche a quello. Un altro assomigliava molto a un contratto di assunzione, mentre il seguente era riservato a una sorta di regolamento interno.

 

<< Quello è un contratto di assicurazione >> disse McDonall, indicando l’ultimo foglio, << Un’assicurazione sulla vita. Non si spaventi: è una prassi per tutti, da noi >>.

 

Irina guardò il foglio: sotto, c’erano scritti gli importi che sarebbero stati versati in caso di infortunio, danno permanente e morte. Deglutì, più che altro al pensiero che Xander aveva sempre corso tutti quei pericoli… Sapeva cosa rischiava ogni volta, ma vederselo sbattuto freddamente davanti agli occhi, e per di più “convertito” in freddi importi di denaro faceva venire i brividi. Firmò e riconsegnò tutto al Vicepresidente.

 

“E fatta… Adesso non si torna veramente indietro”.

 

McDonall ripose lentamente i fogli in un plico. << Bene. Da questo momento in poi lei è un’agente dell’F.B.I. a tutti gli effetti, e lo sarà fino al termine di questa missione >> disse, << Le verrà pagato uno stipendio in tutto e per tutto uguale a quello dei suoi colleghi, e se porterà a termine la missione sarà ricompensata con un assegno extra. Avrà accesso a tutti i database che possono risultarle utili nel compimento dei suoi incarichi. Sarà tenuta a rispondere a me dei suoi comportamenti, così come sarà tenuta a seguire i miei ordini. E naturalmente non è autorizzata a parlare con nessuno di questa missione finché non saremo noi a deciderlo. Domande? >>.

 

Spiazzata, Irina fece cenno di no con la testa. McDonall sorrise davanti alla sua espressione sempre più confusa.

 

<< Avrà modo di studiare il nostro regolamento più avanti >> continuò, << Per il momento, l’importante è che sappia che sono io il suo referente. Se ha qualche problema, si rivolga pure a me >>.

 

<< Va bene >> mormorò Irina.

 

<< Perfetto. Ora, passiamo ai tanto sospirati dettagli >> disse McDonall, << Ha dato uno sguardo al fascicolo che le avevo lasciato? >>.

 

Irina si diede dell’idiota. Lo aveva nascosto nel bagagliaio della Punto in modo che Xander non lo trovasse, e poi se n’era completamente dimenticata… Il nervosismo di quei giorni l’aveva resa troppo distratta.

 

<< Ehm… No >> rispose, << Più che chiedermi di preciso cosa dovevo fare, mi domandavo se volessi farlo… >>.

 

<< Capisco >>. McDonall annuì con il capo. << Non è niente di grave… La sua destinazione è Mosca, come sa già, e il suo compito è quello di scoprire chi si nasconde dietro il nome di “Lince”… >>.

 

<< Lince? >> ripeté Irina, perplessa.

 

<< Esattamente >> disse McDonall, giocando con il plico di fogli che continuava a tenere in mano, << L’utilizzo dei soprannomi è comune anche tra questi russi… E per l’originalità vale la stessa cosa. Il problema però è qui nemmeno le persone che gli stanno più vicine sanno di chi si tratta, ne tanto meno il suo vero nome. E’ una sorta di fantasma che tira i fili da dietro le quinte… E’ lui che dobbiamo prendere, se vogliamo veramente arrestarli tutti. E’ indispensabile arrivargli vicinissimo, e lei può farlo. Conosce Goryalef, e cosa ancora più importante, Goryalef conosce lei >>.

 

<< Ma siete sicuri che non sappia che sono stata io a tradire Challagher? >> chiese Irina.

 

McDonall scosse il capo. << No. I servizi segreti russi hanno sondato il terreno, è sembra che Goryalef non sappia che lei sia stata la chiave di volta che ha fatto cadere lo Scorpione >> rispose McDonall, gettandole un’occhiata, << Sanno che non è finita in carcere, ma credono che sia riuscita a sfuggire sfruttando la “debolezza” di qualche nostro agente… >>.

 

Irina inarcò un sopracciglio. << Pensano che sia libera perché sono andata a letto con qualcuno di voi? >> chiese, disgustata.

 

<< Così sembra >> rispose McDonall, << Pare siano sempre girate voci false, sul suo conto, quindi non c’è da stupirsi più di tanto >>.

 

La cosa la infastidiva abbastanza, ma evitò commenti. Di voci su di lei ne erano girate parecchie quando faceva parte del giro di Challagher, e aveva imparato a farci l’abitudine, ma la innervosiva molto il fatto che la dipingessero per quello che non era.

 

<< Quando arriverà a Mosca, dovrà raccontare che ha deciso di lasciare gli Stati Uniti perché la situazione stava diventando insostenibile: le autorità la stavano cercando dappertutto e rischiava la cattura, dopo aver capito il suo gioco >> spiegò McDonall, << Dovrà dare l’idea di essere fuggita per salvarsi la pelle, perché in giro credono che abbia davvero aiutato l’F.B.I. ha prendere Challagher, e far credere che in questi due anni si è spostata da uno Stato all’altro per sfuggire sia alla polizia, sia alla poca gente che era ancora fedele allo Scorpione e che voleva vendetta >>.

 

<< Ci crederanno? >> chiese Irina, poco convinta, << Non credo siano così stupidi… Oltretutto, sospettavano già di me da un bel po’… Non sono mai stata vista di buon occhio. Avevano intuito che non ero veramente fedele allo Scorpione >>.

 

McDonall annuì. << E’ vero, ma io penso che ci crederanno >> disse, << Proprio perché lei è la più sospettata, si ricrederanno quando la vedranno arrivare. Perché andare da loro quando avrebbe dovuto essere fuori dal mondo delle corse, visto che ha avuto la possibilità di uscirne? Per quale motivo chiedere rifugio da loro, se collabora con noi? Se davvero non era fedele allo Scorpione, non avrebbe senso che si rechi a Mosca per chiedere il loro aiuto >>.

 

Irina fece un cenno con la testa: aveva capito. Se avesse smesso di correre, non sarebbe certamente andata da loro, come in effetti in quei due anni era successo. Era sparita, si era eclissata, e per loro poteva essersi benissimo nascosta, in attesa di riuscire a lasciare gli Stati Uniti appena la polizia avesse abbassato la guardia. Era molto verosimile, come cosa.

 

<< E quando sarò dovrò chiedere rifugio a loro? >> domandò, << Dovrò farmi passare per una ricercata? >>.

 

<< Sì… E’ se vogliamo fare davvero le cose per bene, dovrà dire che ha bisogno di aiuto per far fuggire Challagher di prigione >>.

 

Irina fissò il Vicepresidente, spiazzata. << Farlo fuggire? >> boccheggiò, e inorridì al pensiero.

 

<< Naturalmente sarà tutto falso, ma dovrà dare l’idea che un giorno o l’altro vorrà aiutarlo a scappare >> spiegò calmo McDonall, << A quel punto, penseranno davvero che gli è ancora fedele, e non si faranno più troppe domande sul suo conto >>.

 

Irina abbassò il capo e guardò per terra. Anche se era una bugia, l’idea di riavere di nuovo William davanti agli occhi la faceva tremare. All’improvviso si accorse che quello era il prezzo da pagare per tornare a essere Fenice.

 

<< Bene… Direi che abbiamo fissato i punti principali >> disse McDonall, prendendo la cornetta del telefono appoggiato sulla scrivania, << Tutto il resto lo vedremo insieme a White, Went e forse al suo collega d’avventura >>. La voce del Vicepresidente subì una leggera inflessione, sull’ultima parola.

 

Irina tornò a guardarlo. << Non andrò da sola? >> chiese.

 

McDonall assunse una strana espressione. << Forse no >> rispose, << Ma è ancora tutto da vedere… E’ qualcosa a cui non è al corrente nemmeno Went, per il momento. Non si preoccupi, parleremo anche di questo >>. Pigiò un numero sulla tastiera, poi le rivolse un’occhiata eloquente, per dirle di prepararsi a quello che di lì a poco sarebbe successo. << Colette? Vada a chiamare l’agente Went, per favore. Gli dica di venire nel mio ufficio, perché ho il nostro agente >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

<< Pare ci sia una segnalazione di qualche pirata della strada lungo l’autostrada verso San Francisco>> disse Jess, seduto davanti al suo pc con l’aria annoiata, mentre Xander stava in piedi di fronte alla finestra, pensando che era una giornata troppo bella per stare chiuso lì dentro. Di sicuro Irina pensava la stessa cosa, inchiodata alla sua sedia, a lezione.

 

Poco interessato, guardò l’informatico, l’arredamento asettico e troppo formale della stanza che lo rendeva quasi depresso. << Davvero? >> disse, leggermente più interessato, << Era da un po’ che qualcuno non faceva il pazzo per strada… >>.

 

Jess mandò giù tutto d’un sorso il suo caffè, appoggiando il bicchiere vuoto sulla scrivania piena di penne e fogli sparsi qua e là. << Già… Pare sia un’auto bianca, che va anche piuttosto forte >> continuò, << Ma non li avevate presi tutti, due anni fa? >>.

 

Xander si strinse nelle spalle. << Sì, credo… Sarà qualcuno che cerca di imitare Challagher e la sua banda >>. Si avviò verso la porta, << Non è la prima volta che succede. Spero non mi chiamino per una cosa del genere, perché se oggi è tutto così tranquillo torno a casa e faccio in tempo ad andare a prendere Irina >>.

 

<< Ok… Beato te che riesci a fare avanti e indietro tutte le volte >> disse Jess, l’espressione scocciata, << A me tocca stare qui almeno tre giorni a settimana. Jenny ha chiesto se può trasferirsi a dormire nel tuo ufficio >>.

 

Xander rise. << Volentieri, se la spediscono in giro per il mondo al posto mio >> ribatté, << Ci vediamo domani, se decido di venire in ufficio. Forse devo andare a vedere se trovo qualcuno da portarmi dietro a Mosca… >>.

 

<< Ok >>. Jess gli fece un cenno di saluto, << Ci vediamo. Se scoprono chi è il pazzo che corre in autostrada, ti chiamo. Magari può interessarti, se è uno che ti è scappato >>.

 

Xander annuì e aprì la porta dell’ufficio, per ritrovarsi faccia a faccia con la segretaria di McDonall, la francese Colette. La sua espressione piuttosto feroce diceva che era stata disturbata mentre faceva qualcosa di importante.

 

<< Ah, è qui! >> abbaiò la donna, << McDonall la vuole vedere nel suo ufficio. Ha detto che le ha trovato un’agente >>.

 

Senza aggiungere altro, Colette gli rivolse un’occhiata di fuoco e gli voltò le spalle, lasciandolo lì fermo come un cretino. Non era mai stata particolarmente affabile, ma certi giorni era davvero insopportabile.

 

Inarcò un sopracciglio e diede un ultimo saluto a Jess, poi si diresse verso l’ufficio del Vicepresidente. Benissimo, gli aveva trovato un compagno… Un problema in meno da risolvere. Il giorno dopo avrebbe potuto benissimo passarlo con Irina…

 

Salì le scale a piedi, e arrivò al lungo corridoio che portava da McDonall. Il suo studio era in fondo, la porta chiusa. Salutò uno dei capi distretto, poi bussò.

 

Chissà di chi si trattava. Non che fosse particolarmente curioso, ma sperava fosse qualcuno che avesse una certa affidabilità e soprattutto seguisse i suoi ordini: gli piaceva avere sempre tutto sotto controllo, e un compagno che faceva di testa sua non gli andava a genio. La parte del piantagrane e del ribelle era la sua, fin da quando era dentro l’F.B.I.

 

<< Avanti >>.

 

Guardò l’orologio, sperando che McDonall non lo tenesse molto, e aprì la porta, borbottando un saluto mentre fissava le lancette argentante

 

<< Buongiorno, agente Went >>.

 

Nella voce del Vicepresidente notò una nota diversa dal solito, così alzò lo sguardo per vedere cosa avesse. Ma i suoi occhi vennero catturati da qualcun altro, decisamente più conosciuto e molto inaspettato.

 

Seduta davanti alla scrivania del Vicepresidente, c’era Irina.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 10.30 – Carcere di San Francisco

 

La “sala per i ricevimenti” era una stanza quadrata e spoglia, dalle pareti stranamente scure e illuminata dalle luci al neon, che facevano brillare i vetri che separavano i detenuti dai loro parenti in modo fastidioso. Agli angoli, quattro poliziotti dotati di pistola e sguardo assassino tenevano d’occhio i carcerati e i loro visitatori. William gettò un’occhiata sprezzante a uno di loro e proseguì guidato dalla sua guardia, che lo teneva stretto per un braccio.

 

<< La in fondo >>.

 

McCarteer gli indicò l’ultima nicchia, quella vicino alla parete, proprio vicino a uno degli sbirri. William lo fissò un momento, come a valutare la sua pericolosità, poi si avviò lentamente, guardando incuriosito le persone con cui stavano parlando gli altri detenuti: la maggior parte erano mogli o figli, tutti incollati al vetro nella speranza di riuscire ad avere un minimo di contatto con il carcerato di turno, la mano appoggiata su ciò che li divideva. Non provava alcuna emozione, a quella vista, ma trovò la situazione per certi versi patetica. Lo Scorpione non avrebbe mai avuto bisogno di una cosa del genere.

 

Mentre raggiungeva il suo posto, si ritrovò a sperare che la persona che si sarebbe ritrovato davanti non fosse il suo “contatto” esterno, ma Irina. Sapeva che non era lei, che non sarebbe mai venuta, perché l’unica persona che aspettava era quella che l’avrebbe portato fuori di lì, ma sorrise comunque al pensiero.

 

“Se davvero venissi, sarei disposto ad aspettare ancora un po’, per uscire…

 

Si fermò davanti e guardò oltre il vetro. Per un attimo faticò a riconoscerlo, ma l’espressione degli occhi era la stessa che ricordava: intelligente e incuriosita. Portava un cappello di feltro, la barba lunga e trascurata, un’anonima camicia a quadrettini stropicciata e i capelli ricci più disordinati del solito. Dava l’idea di essere un mezzo barbone.

 

<< Ce ne hai messo di tempo, Sebastian >> disse William, sedendosi sullo sgabello con una smorfia.

 

Sebastian Mackay, il suo meccanico. L’unico che si era salvato dalla retata degli sbirri perché lo aveva lasciato a Los Angeles quando era fuggito dalla città, portandosi dietro al posto suo Michael, l’agente che gli aveva fatto da talpa durante la missione di Went e che poi era stato ucciso… Paradossalmente, il meccanico era stato l’unico a non essere beccato anche se era stato lasciato in città apposta per tenere d’occhio le mosse dell’F.B.I.

 

<< Dove sei stato fino ad adesso? >> chiese lo Scorpione, a bassa voce, in modo che il poliziotto alle sue spalle non riuscisse a sentire. La lunga attesa lo aveva reso nervoso.

 

<< Mi sono dovuto nascondere >> rispose Sebastian, abbassando la tesa del cappello, << Gli sbirri mi hanno cercato per tutto il tempo… Credimi, sarei venuto prima, se non fossi rimasto bloccato in Colorado >>.

 

William assunse un’espressione fintamente colpita. << Colorado? Che ci facevi lì? >>.

 

<< Ho lasciato Los Angeles per un po’, ma poi hanno raddoppiato i controlli alle frontiere >> spiegò il meccanico, << Non mi sono potuto muovere… Come stai, piuttosto? Non sapevo fossi rinchiuso qui, credevo stessi a New York… >>.

 

<< Come sto? >> ripeté William, << Non mi manca da mangiare, né le occasioni per fare a botte, ma non sto di sicuro bene. Anche se quello che sembra abbia passato due anni in carcere sei tu, a giudicare dall’aspetto… >>.

 

Sebastian fece una smorfia. << Toccherà anche a te camuffarti in questo modo, quando sarai uscito >> sussurrò, << E la tua faccia è molto più conosciuta della la mia… >>.

 

William avvicinò lo sgabello, e con la coda dell’occhio diede uno sguardo allo sbirro alle sue spalle. << Avrai modo di dirmi quello che hai fatto la prossima volta. Adesso ascoltami bene, perché ho fretta, e mi hai fatto perdere già troppo tempo. Hai un foglio per scrivere? >>.

 

Sebastian tirò fuori un pezzo di carta spiegazzato e afferrò la penna lasciata lì da qualcuno.

 

<< Vai >>.

 

William abbassò leggermente la testa, poi gli dettò una serie di numeri. << Sono le coordinate bancarie del conto in banca svizzero che avevamo io e mio padre >> disse, << E’ sotto falso nome, quindi non dovrebbe essere stato toccato dall’F.B.I. Procurati dei soldi, poi vai a cercare un certo Francis Blacktree, e digli che deve organizzarmi la fuga… In fretta. Sono disposto a pagare qualsiasi cifra. Nel frattempo, procurati delle armi e qualche auto… Quando esco di qui, voglio essere pronto a defilarmi appena possibile. E per ultimo, voglio che scopri se Irina è ancora a Los Angeles, se sta ancora con Went, e che cosa sta facendo, chiaro? >>.

 

Al nome della ragazza, Sebastian gli gettò un’occhiata, che lui interpretò come ansia. Non si aspettava che la nominasse, né che la volesse ancora rivedere dopo tutto quello che era successo.

 

<< E’ meglio che prima esci di qui, poi pensi a lei… >> disse, ma il suo tono non era molto convincente. Non osava dirgli di lasciarla perdere, e William lo sapeva, ma proprio per questo era lui a decidere, e lui voleva sapere dove si trovasse.

 

<< Uscirò prima di quanto immagini >> disse, << E quando sarò fuori, vado a riprendermela, chiaro? Non farti rivedere finché non hai fatto tutto quello che ti ho detto, e finché non hai raccolto qualche informazione su Irina… E’ stata lei a farmi sbattere qui dentro, e sarà lei la prima a vedermi libero >>.

 

Sebastian deglutì. << Ok, va bene… C’è altro? >> chiese, gettando uno sguardo alla guardia, per far sembrava che non stavano parlando di niente di importante.

 

<< Sì. Fammi avere un rasoio per capelli, due pesi da cinque chili, e un pacchetto di sigarette >> rispose William, alzando la voce per far vedere che non era niente di pericoloso, << E una rivista di auto, già che ci sei >>.

 

<< D’accordo… Te li faccio avere domani mattina >> rispose Sebastian, iniziando ad alzarsi, << Non so quando passerò la prossima volta >>.

 

<< Vedi che sia il prima possibile… >> sibilò William, guardandolo andare via. Si alzò e fece cenno alla guardia che poteva ricondurlo alla sua cella.

 

Quando fu di nuovo rinchiuso tra le mura umide e scure della sua gabbia, la prima cosa che gli venne automatico fare fu cercare con gli occhi la foto di Irina. Un ghigno gli si dipinse sul volto, mentre si passava la mano sul collo, nel punto esatto dove lei lo aveva graffiato come una gatta l’ultima volta che aveva avuto modo di sentire il suo corpo stretto nelle sue braccia.

 

Finalmente il suo momento era arrivato, finalmente le cose andavano per il verso giusto. Forse tre settimane, forse un mese, ma sarebbe uscito di lì, e il suo primo obiettivo sarebbero stati lei, Went e Dimitri; e poi, sarebbe tornato a riprendersi la sua città, senza che nessuno potesse fare nulla.

 

“Li ucciderò entrambi… E quando avrò davanti te, quando ti avrò dimostrato che non mi puoi scappare, deciderò se ucciderti… O se sarai abbastanza saggia di ammettere di aver sbagliato, potrei anche pensare di riprenderti con me, bambolina mia”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 11.30 – San Francisco, Sede dell’F.B.I.

 

<< No! >> gridò Xander, alla vista di Irina, seduta alla scrivania di McDonall, lo sguardo su di lui, l’espressione tesa e preoccupata.

 

No… Non se lo era aspettato, questo, da McDonall. In un attimo collegò tutto: l’auto bianca che correva sull’autostrada poco prima era la Punto di Irina che si dirigeva lì… E poi quegli strani silenzi, quella malcelata preoccupazione che aveva reso Irina irrequieta e ombrosa per tutta la settimana…

 

Avrebbe dovuto pensarci, avrebbe dovuto capire, ma si era rifiutato di pensare che McDonall si abbassasse a tanto: contattarla senza dirgli niente, metterla in mezzo lasciandolo all’oscuro di tutto, se non a cosa fatta… E invece ne era stato capace.

 

<< Xander… >>.

 

La voce di Irina gli arrivò distante, lì, inchiodato sulla porta, gli occhi piantati addosso a McDonall, furioso. Lo stava guardando, ed era spaventata, forse per la sua reazione o forse solo per la sua rabbia.

 

<< Brava… >> le disse, gelido, << Complimenti a tutti e due… Non me lo aspettavo, davvero, siete riusciti a cogliermi di sorpresa… >>. Gli tremava la mano, stretta a pugno lungo il fianco.

 

<< Chiuda la porta, per favore, agente >> ordinò McDonall.

 

Xander volse lo sguardo sul Vicepresidente, nel più completo silenzio, poi guardò Irina: era seduta in bilico sulla sedia, come se fosse pronta ad alzarsi e scappare. Richiuse malamente la porta dell’ufficio, fissando la ragazza senza nemmeno sedersi di fianco a lei. Era furioso perché non gli avevano detto nulla, perché lo avevano tenuto all’oscuro, e perché avevano deciso senza prendere in considerazione la sua opinione.

 

<< Non può mandarla >> disse subito, inchiodando McDonall con gli occhi alla sua sedia, ringhiando quasi, << Non è un agente, e non ha esperienza… >>.

 

Irina sembrò voler dire qualcosa, le mani strette sui braccioli, ma rimase in silenzio quando lui le lanciò un’occhiata di fuoco.

 

<< Non è l’esperienza che conta, in questa situazione >> ribatté McDonall, << E’ il fatto che lei sia conosciuta e che non avrà alcuna difficoltà a infiltrarsi tra di loro… >>.

 

<< Non me ne frega niente! >> disse Xander, e Irina sussultò, << Non mi interessa che lei pensi che è perfetta per andare laggiù! Non è più una pilota clandestina, non deve niente a nessuno! Non può costringerla a fare una cosa del genere! >>.

 

<< Io non l’ho costretta >> lo interruppe McDonall, secco.

 

<< Ma ha solo ventidue anni, cazzo! >> sbraitò Xander, << E’ uscita viva per miracolo dalla storia di Challagher, e lei la vuole rimandare la in mezzo? Potrebbe essere sua figlia, non… >>.

 

Non stava capendo più niente, tranne che tutta la storia lo mandava in bestia. Voleva tanto scoprire che si trattava tutto di uno scherzo, che lo stessero prendendo in giro, ma sapeva che avrebbe dovuto aspettarselo, che sarebbe successo alla fine… Se il Vicepresidente gli aveva ventilato la possibilità di coinvolgerla nella missione, avrebbe dovuto pensare che sarebbe andato a parlare con lei…

 

<< Si calmi, Went >> disse McDonall, duro, << Si ricordi con chi sta parlando. E smetta di trattare l’agente Dwight come una ragazzina, mi sembra abbastanza grande per poter decidere da sola, non crede? >>.

 

“Agente Dwight? Ma nemmeno per sogno!”.

 

Xander lo ignorò, facendo un passo avanti e mettendo le mani sulla scrivania. << Potrebbe essere sua figlia >> ripeté, << Lei manderebbe sua figlia in Russia a far arrestare dei criminali, solo perché le sembra la più adatta? >>. Voleva proprio vedere cosa gli avrebbe risposto, il Vicepresidente.

 

McDonall lo ignorò a sua volta, la bocca storta in un mezzo sorriso amaro. << Sentiamo cos’ha da dire Irina, piuttosto >>. Guardò la ragazza ancora seduta, facendole cenno di parlare.

 

Xander si voltò verso di lei, furioso. << Lo sai cosa mi fa impazzire? >> ringhiò, senza lasciarle il tempo di parlare, << Il fatto che tu non mi abbia detto nulla! Non mi hai detto niente, capisci? Sei stata una settimana zitta, mentre io mi preoccupavo di non metterti in mezzo! >>.

 

Irina lo fissò, si morse il labbro, poi deglutì. I suoi occhi da cerbiatta si mossero a scatti, prima verso McDonall poi di nuovo su di lui. Per la prima volta, l’espressione dolce della ragazza non riuscì a scalfirlo: era molto, molto arrabbiato, perché nessuno gli aveva detto niente e soprattutto perché Irina si sarebbe messa in pericolo. Stava per continuare, ma lei lo zittì.

 

<< Fammi parlare >> disse, apparentemente sicura.

 

<< Tanto non ti lascio andare >> ribatté lui.

 

Irina scosse il capo. << Nessuno mi sta costringendo a farlo >> disse, << McDonall me lo ha proposto, mi ha spiegato perché ha preso questa decisione, e mi ha dato tempo per pensare… Se sono la persona migliore che può andare laggiù, è giusto che ci vada… >>.

 

Xander si avvicinò a lei, con la voglia di prenderle il viso tra le mani e costringerla a guardare in faccia la realtà, che era chiaro che da sola non riusciva a vedere.

 

<< Tu non sei la persona migliore! >> scandì, << Credi che andare laggiù sia una passeggiata? Pensi che basti arrivare a Mosca e dire: “Oh, scusate, vorrei stare qui con voi perché a Los Angeles era tutto troppo tranquillo”? Se vai laggiù, ti ammazzano alla prima occasione, lo vuoi capire? >>.

 

<< So cosa significa stare la in mezzo >> ribatté Irina, << Pensi che non me lo ricordi? Ho passato due anni della mia vita fare la criminale, e sono sopravvissuta… >>.

 

In un attimo gli balenò di nuovo davanti agli occhi il primo incontro con lei, quando l’unica intenzione che aveva era quella di farsi aiutare nella sua missione… E solo con uno sguardo, aveva capito che Irina non era una qualunque, che dietro il suo viso pulito c’era una ragazza piena di dolore…

 

<< Perché quel figlio di puttana di Challagher ti usava per farci i suoi giochetti, cazzo! >> gridò Xander, << Se non fosse stato per il fatto che ti avesse messo gli occhi addosso… >>. Ripensare a quello che le aveva fatto lo Scorpione lo faceva arrabbiare ancora di più.

 

<< Non parlarmi così >> disse Irina, ferita, << Non sono una bambina, sono consapevole di quello che sto facendo >>.

 

Non era una bambina? Certo che lo era, glielo stava dimostrando proprio ora, comportandosi da avventata e incosciente…

 

<< Ma questo non toglie che tu non sia in grado di guardarti da sola! >> disse Xander, << Non sei preparata, non saprai cosa fare… Sarai indifesa e rischierai di farti male, e questo perché vuoi fare la pilota clandestina! >>.

 

L’espressione di Irina si indurì. << Pensi che io sia così stupida? >> chiese, gelida, << Pensi davvero che io non sia in grado di fare una cosa del genere? Hai così poca fiducia in me? >>.

 

Xander rimase in silenzio. Scosse il capo e percorse l’ufficio su e giù, cercando di calmarsi.

 

Si fidava di Irina, ma sapeva anche che lei non era mai stata in grado di pensare a stessa, nel momento del pericolo. Aveva sempre avuto la tendenza a mettere tutto e tutti prima di lei, dando la priorità agli altri e senza preoccuparsi per se stessa. L’amava alla follia anche per quello, per quella sua capacità innata di essere sempre e comunque altruista.

 

Non le avrebbe permesso di rischiare la vita, non quando aveva fatto tanto per salvarla e soprattutto quando non voleva correre il rischio di perderla. Irina era sua, nessuno doveva portagliela vita, perché sapeva che non avrebbe trovato nessun’altra come lei…

 

Guardò prima Irina, poi McDonall.

 

<< Non ci andrà >> disse solo.

 

<< Tu lo fai sempre, Xander >> disse Irina, guardandolo dritto dritto negli occhi, << Metti in pericolo la tua vita tutte le volte che parti, e io non ti ho mai fermato. Ho sempre avuto fiducia in te, anche se ho paura, e mi sono sempre detta che saresti tornato… Perché tu puoi farlo, e io no? Lo hai detto tu che a volte bisogna fare scelte che non ci piacciono… >>.

 

<< Irina >> Xander afferrò la sedia e si sedette di fronte a lei, guardandola negli occhi, << Ascoltami. Posso accettare il fatto che tu voglia tornare a correre, che le gare in qualche modo ti manchino, ma non posso accettare che tu metta in pericolo la tua vita per arrestare quattro criminali da strapazzo… Può farlo qualcun altro. Magari sarà più difficile, ma non credere di essere l’unica che può cercare di metterli dietro le sbarre. Vado io, piuttosto >>.

 

Doveva farglielo capire, doveva farglielo capire che non voleva correre nessun rischio con lei…

 

<< Perché credi che non possa farcela? >> chiese Irina, la voce sottile, l’espressione ferita. Credeva la reputasse un’incapace, una stupida… Non era vero, ma se serviva a farla desistere…

 

<< Perché io lo so che quando andrai laggiù, quando ti ritroverai in mezzo alla gente che per due anni hai tentato di fuggire, tu starai di nuovo male. Ci ho messo mesi per farti dimenticare cosa è successo quando io non c’ero, e tornerà tutto come all’inizio… E’ questo, che vuoi? >>.

 

La fissò, fregandosene altamente che McDonall fosse lì ad ascoltare tutto, che li stesse guardando bisticciare, cosa che succedeva assai di rado… Conosceva Irina come le sue tasche, e non voleva vedere di nuovo la luce nei suoi occhi spegnersi, la paura farla tornare schiva e ombrosa come era stata in passato…

 

Irina sembrò non sapere cosa dire, ma c’era qualcosa nel suo sguardo che aveva già visto altre volte, e non gli piacque. Sembrava determinata, esattamente come lo era stata quando due anni prima gli aveva detto di andarsene e uscire definitivamente dalla sua vita… E lui era riuscito a farle cambiare idea.

 

<< Non posso continuare a fare la parte della bambina, Xander >> disse lei, << Questa volta tu non centri: io devo andare laggiù perché è l’unico modo che ho per chiudere definitivamente con il mio passato >>.

 

Xander non la capiva. Cosa centrava quello con il suo passato? Buttarsi di nuovo in mezzo a quella gentaglia gliela avrebbe fatta dimenticare? Non aveva senso, soprattutto quando quella gente era praticamente la stessa con cui aveva avuto a che fare…

 

<< Non puoi farcela, da sola >> disse, per cambiare argomento, << Non puoi andare da sola laggiù… Potevo accettarlo se ci fossi stato anche io, ma da sola no >>.

 

<< Ma ci sarai anche tu, no? >> disse lei, quasi fosse scontato, << Sarai a San Pietroburgo… >>.

 

<< Che dista centinaia di chilometri da Mosca! >> sbottò Xander, << Mi ci vorrebbero ore per raggiungerti, se non giorni! Se quella la definisci vicinanza… >>.

 

<< Non puoi pensare di potermi avere sempre sotto controllo >> lo interruppe Irina, arrabbiata, << Quando te ne vai, sono da sola, no? Mica mi tieni d’occhio… In tutto il tempo che te ne sei andato, me la sono cavata da sola… >>.

 

<< Ma è diverso! >> disse Xander, esasperato, << A Los Angeles non sei da sola, c’è tuo padre, c’è Jenny… E non sei in mezzo a una banda di pazzi! L’unico pericolo che corri è quello di bruciarti le dita con la pentola della cucina! >>.

 

L’occhiata che gli lanciò Irina fu talmente carica di risentimento che per un attimo ebbe paura che lo mandasse a quel paese, altra cosa che non era mai successa. Solo che era troppo arrabbiato e spaventato per tenere a freno la lingua: anche se rischiava di offenderla, di ferirla, doveva evitare che accettasse quella missione.

 

<< Tanto ho già firmato >> disse lei, la voce di ghiaccio, << Quindi non posso tornare indietro, ora >>. Guardò McDonall, il mento in alto e l’espressione infuriata.

 

Xander rimase di sasso: aveva già firmato?

 

Si voltò verso McDonall, inferocito, puntando un dito contro di lui. Fino a quel momento, il Vicepresidente non aveva parlato, e secondo lui aveva fatto bene: rischiava davvero di dirgli qualcosa di cui si sarebbe pentito.

 

<< E’ stata un’idea sua, vero? >> lo aggredì, << L’ha fatta firmare prima di parlare con me, perché lo sapeva che glielo avrei impedito. Complimenti, davvero… Questo da lei non me lo aspettavo, né tantomeno da te, Irina >>.

 

Si girò verso la ragazza, rendendosi conto che in quel momento Irina era più distante di quanto non l’avesse mai sentita. Aveva fatto tutto da sola, aveva preso quella decisione senza parlare con lui, gli aveva tenuto segreto tutto quanto, neanche fosse un perfetto sconosciuto… Perché all’improvviso lo trattava così?

 

Per un momento pensò di infilare la porta e uscire, lasciandola lì a rendersi bene conto di quello che aveva appena fatto, ma voleva sentire cosa aveva da dire adesso, voleva che almeno gli chiedesse scusa per essersi comportata da stupida…

 

<< Sei troppo abituato a considerarmi una ragazzina >> furono le sole parole che Irina pronunciò, con una nota amara nella voce.

 

Rimasero a guardarsi in faccia per diversi istanti, in completo silenzio, l’ufficio permeato da quell’atmosfera tesa ed elettrica. McDonall sospirò, e si decise a parlare.

 

<< Mi dispiace per la sua reazione, agente Went, ma credo che debba prendersi qualche minuto per pensare >> disse lentamente, << Sta facendo la cosa più tragica di quanto è. La prego di sedersi e calmarsi… Oltretutto sta mettendo in discussione la mia sanità mentale, non considerando Irina adatta per questa missione. Non credo di essere così stupido da non capire se sto sbagliando… >>

 

“Mi dispiace dirlo, ma in questo momento la sto considerando un traditore…”.

 

Xander gli gettò un’occhiata, si sedette sulla sedia e incrociò le braccia.

 

<< Bene, mi dica cos’avete intenzione di fare, allora >> disse, provocatorio, << Illustratemi il vostro piano perfetto… Voglio proprio sapere cosa avete in mente >>.

 

<< Irina andrà a Mosca, e dirà a Goryalef e gli altri che è fuggita dagli Stati Uniti per scappare dalla polizia >> spiegò il Vicepresidente, << Dovrà far credere che è rimasta fedele a Challagher, e che è sfuggita all’arresto perché ha corrotto alcuni dei nostri agenti… >>.

 

Ma brava… Mi sa tanto che si avvicina molto alla realtà”. Xander fece una smorfia disgustata e rimase in silenzio per continuare ad ascoltare quello che avevano da dire.

 

<< Il suo compito sarà quello di cercare di scoprire chi si cela dietro il soprannome Lince, e fare in modo di entrare in contatto con lui. Dopodiché organizzeremo una retata e lo arresteremo >>.

 

Xander fissò McDonall, il sopracciglio inarcato. << Un bellissimo piano, concordo >> disse, << Tranne per il fatto che non state considerando una cosa: Irina è una ragazza, sarà da sola e non saprà ne potrà guardarsi alle spalle >>.

 

<< Posso capire la sua preoccupazione, da quel punto di vista >> convenne McDonall, << Ma Irina non sarà da sola. Avrà qualcuno che la accompagnerà e che le darà una mano a destreggiarsi nell’ambiente >>.

 

Quel qualcuno non era di certo lui, Xander lo sapeva. E l’unica persona che avrebbe autorizzato a seguire Irina era se stesso, quindi chiunque fosse il compagno della ragazza non gli sarebbe andato a genio.

 

<< Non mi interessa >> disse, << Oltretutto, crede che la sua famiglia la lascerà andare? Come farà con l’Università, eh? Ha una vita da portare avanti, non può abbandonare gli studi… >>.

 

<< A questo ci abbiamo già pensato >> lo interruppe McDonall, << Per quanto riguarda i suoi studi, non ci saranno problemi… Per il resto, potrà dire che partirà per un soggiorno universitario in Europa, e come scusa mi sembra abbastanza verosimile >>.

 

Xander si appoggiò allo schienale della sedia, cercando di trattenersi dall’insultare il Vicepresidente. Se davvero Irina aveva firmato, poteva anche lasciar stare il fatto di cercare di convincerla a tirarsi indietro. In ogni caso, però, la questione non era chiusa: quello che la legava a quella missione era un misero foglio di carta, e lui avrebbe trovato il modo di renderlo inutile.

 

<< D’accordo >> disse, << Perfetto. Avete pensato a tutto… Adesso mi chiedo perché me lo abbiate detto, tanto la mia opinione non conta. Potevate benissimo fare tutto da soli, immagino >>.

 

Silenzio assoluto. In quel momento nella stanza era udibile solo il rumore di un paio di piedi che passavano vicino alla porta, fuori dall’ufficio, e poi nemmeno più quelli. E la temperatura era quella di una cella frigorifera.

 

<< E io cosa dovrei fare, allora? >> domandò Xander.

 

<< Esattamente quello che era stato previsto >> rispose McDonall, << Andrà a San Pietroburgo, e cercherà informazioni che possano tornarci utili. Si occuperà di tenere d’occhio gli eventuali affiliati alla Lince e li arresterà, appena ne avrà la possibilità. Niente di cui non abbiamo già parlato >>.

 

Qualcuno bussò alla porta, con tutta l’intenzione di interrompere quella discussione che sarebbe presto degenerata in un vero e proprio litigio, fosse dipeso da Xander. Si voltò a guardare chi fosse, e vide Franck White entrare nell’ufficio, l’espressione quasi divertita sul volto largo e barbuto.

 

<<Giorno, Vicepresidente >> disse rivolto a McDonall, << Agente Went, ho sentito la sua voce dal fondo del corridoio >>.

 

Xander lo fulminò, poi tornò a guardare il Vicepresidente: ci mancava solo il suo vecchio capo. Ora correva veramente il rischio di finire sbattuto fuori dall’F.B.I. per oltraggio. Da quando lo aveva accusato di essere la talpa di Challagher, tra loro non era mai corso buon sangue.

 

<< Avete già chiarito tutto? >> chiese White, andandosi a piazzare alle spalle di McDonall, in piedi. << Oppure devo aspettarmi qualche insulto a cui credo che questa volta risponderò con una sanzione disciplinare? >>.

 

Xander fece una smorfia. << Poteva esserci solo lei, in questa storia >> borbottò, << Si starà divertendo un sacco, immagino… Vorrei proprio vedere se si fosse trattato di sua figlia >>.

 

White gli rivolse un’occhiataccia. << Rispetto, Went >> disse, << Anche se qui le permettono di fare quello che le pare, con me la lingua la deve tenere a freno, chiaro? >>.

 

<< Tanto io non rispondo più a lei >> ribatté gelido Xander.

 

White sorrise malignamente. << Si sbaglia >> disse, << In questa missione sarò io il suo referente, chiaro? Quindi se non vuole essere sbattuto fuori a calci, tenga la bocca chiusa >>.

 

Xander lo fissò, sentendo che ormai stava arrivando al limite. Stavano complottando contro di lui, o volevano che commettesse un omicidio? No, perché se quella era la loro intenzione, ci stavano arrivando davvero vicini…

 

<< Bene, benissimo >> disse alzandosi, << C’è altro? Altrimenti io andrei nel mio ufficio… E’ stato un piacere parlare con voi. Se vi viene qualche altra bella idea come questa, sapete dove trovarmi >>.

 

Si allontanò in direzione della porta, senza degnare Irina di uno sguardo, ma poi si fermò. Guardò McDonall con un finto sorriso e disse: << Ah, dimenticavo di chiedere chi la accompagnerà… Magari la sua migliore amica, così nessuno sospetterà niente? >>.

 

McDonall non rispose, tantomeno White. Irina lo stava guardando con gli occhi spalancati, e forse iniziava a rendersi conto dell’enorme errore che aveva fatto.

 

<< Allora, chi la accompagnerà? >> abbaiò Xander.

 

McDonall si voltò verso White, e si scambiarono uno sguardo molto strano. Questa volta sembravano davvero titubanti a parlare, come se sapessero bene cosa sarebbe accaduto dopo. Ma non doveva essere l’unico a non conoscere l’identità dell’altro agente, perché anche Irina appariva curiosa di conoscerlo.

 

Alla fine White fece un cenno al Vicepresidente, come se desse il compito a McDonall di dire di chi si trattava. Abbassò il capo per un istante, poi finalmente parlò.

 

<< E’ stata un’idea di White >> disse, << Stiamo ancora vagliando tutti i pro e i contro… Non è una decisione definitiva, la nostra… >>.

 

<< Chi è? >> ringhiò Xander, stufo di tutta quella situazione.

 

<< Dimitri Goryalef >>. A parlare era stato White.

 

<< Cosa? >> disse Xander, ma in realtà aveva capito benissimo quello che era appena stato detto.

 

Si sentì gelare il sangue nelle vene; per un momento credette di essere diventato sordo, di non essere più in grado di capire quello che gli veniva detto. Poi sorrise, troppo arrabbiato e stupito per avere qualsiasi altra reazione coerente.

 

<< Ah, già… Giusto >> disse, tornando sui suoi passi, << Quand’è che pensate di scarcerare anche Challagher? Così li mandiamo in giro tutti e tre insieme, mano nella mano, a farsi una bella vacanza in Russia. Chissà come sono contenti >>.

 

Guardò prima McDonall, poi White, e infine Irina. La ragazza sembrava l’unica condividere il suo pensiero, in quel momento. Appena aveva sentito il nome del russo, si era voltata di scatto verso il Vicepresidente, lo sguardo inorridito. Almeno lei non sembrava al corrente della cosa.

 

<< Dimitri? >> soffiò, poi gli rivolse un’occhiata.

 

<< Non lo sapevi, eh? >> fece Xander, fintamente divertito, << Eh già, se no come facevano a convincerti? Adesso cosa mi dici, eh? >>.

 

<< Agente Went, la smetta di parlare in questo modo, perché rischia seriamente che sia io stesso a radiarla dall’F.B.I. >> ringhiò McDonall, che evidentemente aveva raggiunto anche lui il limite.

 

Irina sussultò e guardò il Vicepresidente, ma Xander non si lasciò intimorire.

 

<< Non me lo aveva detto… >> sussurrò lei.

 

McDonall assunse un’espressione più dolce. << L’idea ci è venuta dopo che sono venuto a parlare con lei >> spiegò, << White ha ritenuto che mandarla con qualcun altro che faceva parte della Lista avrebbe contribuito a destare meno sospetti… Oltretutto, Goryalef viene proprio da Mosca, e sa come ci si deve comportare da quelle parti >>.

 

Xander ascoltò la spiegazione con un mezzo sorriso. Forse era la volta buona che riuscisse a convincerla a tirarsi indietro: non avrebbe sopportato di ritrovarsi di nuovo di fianco a Dimitri. Il problema si stava risolvendo da solo, alla fine.

 

<< Abbiamo parlato con lui >> continuò McDonall, << Ed è disposto ad aiutarci, in cambio di uno sconto sulla pena. Quanto al pericolo di fuga, non c’è da preoccuparsi, perché adotteremo tutte le misure di sicurezza possibili… >>.

 

Irina si voltò a guardarlo, e lui le rivolse un’occhiata come a dire: “Visto? Bella idea, che hai avuto”.

 

<< Va bene, accetto comunque >> disse Irina, a voce bassa.

 

Xander strabuzzò gli occhi, poi si diresse verso la porta e afferrò la maniglia.

 

<< Voi siete tutti pazzi >> disse, << D’accordo, fate che cazzo volete, tanto è chiaro che la mia opinione non conta >>.

 

E uscì, sbattendosi violentemente la porta alle spalle.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Irina fissò la porta dalla quale era appena uscito Xander, rendendosi conto che non aveva previsto che la situazione prendesse quella piega. Non lo aveva mai visto così arrabbiato, e la cosa la spaventava.

 

Qualcosa però riportò la sua attenzione su se stessa: Dimitri. Sarebbe andata in missione con Dimitri, l’ex numero due della Black List, il braccio destro di William e forse una delle persone di cui aveva avuto più paura ai giorni della sua vita di pilota.

 

Forse se McDonall glielo avesse detto prima, non avrebbe accettato. Ma ora che i giochi erano fatti, si rendeva conto che anche quello faceva parte di ciò che voleva lei: affrontare le sue paure, e quindi avere di nuovo a che fare con il russo doveva essere tra quelle.

 

<< Mi dispiace non averglielo detto >> disse McDonall, riportandola alla realtà, << E’ qualcosa che abbiamo deciso solo qualche giorno fa… E comunque, non avrei potuto dirglielo, altrimenti avrei influenzato la sua decisione… Avremo modo di discuterne ulteriormente, perché come ho già detto la nostra non è una decisione definitiva >>. Inarcò le sopracciglia, come a farle intendere che era ancora tutto da vedere. << Se sarà un problema… >>.

 

Irina scosse il capo. << Non fa niente… >> mormorò, << Credo che alla fine non cambi poi molto… Avrei accettato comunque, credo >>.

 

<< L’idea è valida, ma sono ancora propenso a valutare tutti i pro e i contro >> disse McDonall, gettando uno sguardo verso la finestra e poi verso White, << Non voglio correre alcun rischio, e le faremo sapere al più presto se davvero Goryalef sarà il suo compagno >>.

 

<< Ci sono delle possibilità che non lo sia? >> domandò Irina, muovendosi agitata sulla sedia. Non sapeva se esserne contenta oppure no.

 

<< Vista la reazione dell’agente Went, le possibilità ci sono eccome >>. Il Vicepresidente si produsse in un sorrisetto.

 

<< Se Went si comporta in questo modo, ritengo sia il caso di esonerarlo dalla missione >> disse White, cogliendo l’occasione. << Potrebbe diventare un fastidio… >>.

 

<< No >> disse McDonall, << Ha solo bisogno di tempo. Dobbiamo capirlo: stiamo mettendo in pericolo una delle persone a cui tiene di più, e in qualche modo il suo comportamento va perdonato >>. Sorrise. << Signorina, vada a parlare con lui. Gli spieghi con calma perché ha preso questa decisione… Credo che lo troverà nel suo ufficio. Di sotto, al quarto piano >>.

 

Irina annuì e si alzò, mentre tutto si muoveva intorno a lei come se si trattasse di un sogno dai contorni sfocati. Uscì nel corridoio e lo percorse a passo rapido, ma al posto di chiamare l’ascensore prese le scale, scendendo i gradini piano piano, forse per darsi il tempo di pensare a cosa dire a Xander.

 

Non avrebbe mai immaginato che potesse avere una reazione così violenta, tanto di insultare i suoi superiori. Forse questa volta aveva esagerato, lo aveva provocato davvero troppo. Eppure era convinta di quello che stava facendo, era consapevole dei rischi e dei pericoli… E anche se doveva avere come compagno Dimitri, era pronta comunque a fare il suo dovere. Doveva riuscire a farglielo capire.

 

Raggiunse il quarto piano, e si guardò intorno in cerca dell’ufficio di Xander. Sulle porte non vide nessuna targhetta, nessun nome che le permettesse di riconoscerlo. Incerta, si avviò lungo il corridoio, guardando uno a uno gli usci, quasi aspettandosi che Xander saltasse fuori.

 

Alla fine lo trovò. Una piccola targhetta diceva “Alexander Went”, appesa al centro della porta. Rimase a fissarla per qualche istante, il respiro controllato, cercando un’idea per iniziare il suo discorso ed essere il più convincente possibile… Le idee erano poche, inutile che si sforzasse: in quel momento tutto quello che frullava nella sua testa era l’espressione furiosa di Xander.

 

Bussò.

 

Non rispose nessuno, ma sapeva che si trovava la dentro. Mise la mano sulla maniglia, attese qualche istante e poi entrò.

 

Xander era seduto dietro a una scrivania di legno scuro, di spalle, a fissare qualcosa di invisibile fuori dalla finestra. Teneva le braccia incrociate, ed era perfettamente immobile, come se non si fosse accorto che era entrata.

 

<< Complimenti, agente >> disse gelido, << Bel colpo >>.

 

Irina fece un passo avanti. << Xander, ascoltami… >> iniziò.

 

Lui voltò di scatto la sedia. << Siediti >> ribatté, la voce così dura che a Irina venne automatico prendere posto davanti a lui, divisi da quella scrivania che dava a tutto un’aria così formale.

 

Xander piantò i suoi occhi azzurri, ora di ghiaccio, sul suo volto, le braccia ancora incrociate, la mascella contratta.

 

<< Perché non me lo hai detto, eh? >> domandò.

 

<< Perché non mi avresti permesso nemmeno di pensarci >> rispose Irina, cercando di rimanere tranquilla per non farlo arrabbiare ancora di più, << Non mi avresti permesso di scegliere >>.

 

<< Perché tu non sei in grado di prendere una decisione, in questo caso >> ribatté lui, << Perché hai accettato, se sapevi che non sarei stato d’accordo? >>.

 

<< Sono la persona più adatta, per questa cosa, quindi devo andarci >> rispose Irina, risoluta, << Ci ho pensato, e ho capito è una cosa che voglio veramente fare >>.

 

Xander fece una smorfia. << Tu non ci vuoi andare perché lo vuoi veramente >> disse, << Tu ci vuoi andare perché ti senti in dovere di farlo… McDonall ha fatto leva sul tuo senso del dovere, altrimenti non ti avrebbe convinto ad accettare >>.

 

<< Come fai a saperlo? >> ribatté Irina, stizzita, << Non sei nella mia testa, non sai cosa penso veramente >>.

 

<< Lo so perché ti conosco come le mie tasche >> rispose lui, avvicinando la sedia alla scrivania, << Ti conosco meglio di te stessa >>.

 

Irina sentì per la prima volta montare un po’ di rabbia. Si stava sbagliando, non era come diceva lui…

 

<< Allora forse non mi conosci così bene, se non capisci la mia scelta >> sibilò.

 

Un attimo dopo si pentì di quella frase: Xander la fissava, l’espressione arrabbiata e forse anche ferita. Abbassò lo sguardo per un istante, poi disse lentamente: << Evidentemente no, non ti conosco abbastanza… >>.

 

Il tono della sua voce lasciò Irina senza parole: non era arrabbiato, ma profondamente amareggiato, come se all’improvviso si rendesse conto di chi si trovasse davanti.

 

<< Fammi spiegare >> disse in fretta lei, << So benissimo quant’è pericoloso, che gente ci sarà… Ed è vero, ho anche un po’ di paura, ma devo farlo perché sento che è l’unico modo che ho per crescere, per smettere di sentirmi sempre inadeguata… Per dimenticarmi di tutto il mio passato, lo devo affrontare da sola e dimostrare a me stessa che sono abbastanza grande per guardarmi da sola >>.

 

Guardò Xander, sperando di essere riuscita a fargli capire cosa la spingeva a voler tornare a essere Fenice, a voler affrontare quella cosa.

 

<< Non mi sembra il modo migliore per dimostrare di essere “grande” >> disse lui, << Anzi. Mi pare abbastanza infantile che tu voglia cacciarti nei guai per sentirti a posto con te stessa… Da sola cosa pensi di riuscire a fare? >>.

 

<< Ma lo vedi? >> sbottò Irina, << Mi tratti come una bambina, come se avessi sempre bisogno di essere salvata, seguita, aiutata… Perché credi che non possa farcela? Avevo diciotto anni quando sono diventata una pilota clandestina… Forse avevo Challagher dalla mia >> si affrettò ad aggiungere, ricordando le sue parole, << Ma gli altri non giocavano, e ho saputo cavarmela da sola. A Mosca le cose non saranno diverse, non ci sarà nessuno Scorpione, e sarò in stretto contatto con voi dell’F.B.I. Dove sta il problema? >>.

 

Xander sospirò esasperato. << Il problema è che io non voglio che tu rischi la vita >> rispose, secco.

 

Irina sorrise. Lo sapeva, che faceva tutte quelle storie perché non voleva che si cacciasse nei guai, che si facesse male, ma non aveva poi tanta paura per se stessa.

 

<< Tu lo fai sempre >> disse, addolcita, << Vai via per settimane, rischi la vita e mi fai stare male tutte le volte che ti vedo partire… Però non faccio tutte queste storie, quando vieni a casa e mi dici che hai un’altra missione a migliaia di chilometri da qui >>.

 

Xander si passò le mani sul volto, forse per cercare di mascherare un impercettibile sorriso. << D’accordo, è vero, hai ragione >> convenne << Però lì sono io che rischio, mica tu >>.

 

Irina continuò a sorridere. << Per una volta invertiamo le parti >> disse, << Non prenderla così male… E poi ci sei tu, no? Anche a chilometri di distanza arriverai a bordo della tua Ferrari rossa, andrai in contromano sull’autostrada e mi verrai a prendere, no? >>.

 

Xander non sorrise. << E Dimitri? >> chiese.

 

<< Dimitri… Forse non è così male come pensiamo >> disse lei, anche se non era proprio convinta, << McDonall ha detto che deve ancora decidere, e anche se accettasse la proposta di White, sono sicura che andrà tutto bene >>.

 

<< Mi lasci senza parole >> disse Xander, << Per una volta sei più incosciente di me. Andrà tutto bene… Ci sono una miriade di variabili da considerare, non è così semplice >>.

 

Rimasero in silenzio, Irina che guardava Xander e Xander che guardava il ripiano della scrivania, pensieroso. Forse era riuscita a convincerlo almeno un po’.

 

<< E’ una follia >> mormorò lui, << Una folliaMcDonall me la pagherà per questo, e anche quello stronzo di White. Mi sarei aspettato di tutto, ma non questo. Sono usciti di testa… >>.

 

<< Stanno facendo solo il loro lavoro >> li difese Irina, << Dovevano scegliere l’alternativa migliore che potevano, e l’hanno fatto. Per queste cose non si guarda l’affetto o i sentimenti… Me lo hai insegnato tu, no? >>.

 

Xander le gettò un’occhiata. << Torniamo da McDonall >> disse.

 

Si alzò e Irina gli corse dietro, fin nell’ufficio del Vicepresidente senza dire nulla. Aveva paura che Xander ricominciasse a gridare addosso al suo capo, o che facesse qualcosa di ancora peggio. Lo vide spalancare la porta e fiondarsi dentro.

 

McDonall e White erano ancora lì, uno in piedi e l’altro seduto, mentre esaminavano una cartina appoggiata alla scrivania. Alzarono lo sguardo quando Xander entrò come una furia.

 

<< Mi occupo io, di lei >> disse, indicando Irina alle sue spalle, << Dalla sua preparazione alla sua macchina. Tutto quello che la riguarda deve passare prima attraverso di me, compreso Goryalef >>.

 

McDonall non rispose. Irina si morse il labbro, in attesa.

 

<< O così o faro di tutto per non farla partire >> aggiunse Xander, per rendere più incisiva la sua minaccia.

 

McDonall sbatté le palpebre per un momento. << Va bene >> disse, << Ci penserà lei, se è questo che vuole. Irina risponderà a me, però, come lei risponderà a White, ci siamo spiegati? >>.

 

Xander annuì, poi si voltò verso Irina e puntò un dito su di lei.

 

<< E tu >> disse, << Se ti succede qualcosa, te la faccio pagare, capito? >>.

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Ahi ahi ahi… La reazione di Xander era stata tutto tranne che calma. Non l’ha presa per niente bene… Ma ormai i giochi sono fatti, e dovrà accettare la cosa.

Scommetto che qualcuno aveva già intuito che il possibile compagno di Irina potesse essere Dimitri: non c’era nessuno più indicato di lui, in effetti. Ma c’è da fidarsi? McDonall appare dubbioso, e lui è uno che sa cosa fare. Quanto a Xander, è chiaro che lui non lo vorrà… Vedremo come finisce.

 

Supermimmina: ed ecco che Dimitri ricompare, non fisicamente ma quasi. E immagino anche che tu ci abbia azzeccato… Non era un mistero, che fosse il candidato ideale. Però bisogna ancora vedere… E ci saranno un sacco di cose, da vedere. Quanto a Irina, no, non la vedo certo come una bellezza “spregiudicata”, ma nemmeno angelica come una biondina acqua e sapone. Per come la vedo io, è una che attira gli sguardi non per come si veste o per come si comporta, ma perché ha qualcosa di “magnetico” che non ha a che fare con la bellezza fisica. Credi che William non abbia mai incontrato qualche ragazza più bella di lei? Irina ha qualcosa nello sguardo che cattura, altrimenti lo Scorpione non si sarebbe mai innamorato di lei. Questa è la mia Irina: dolce, insicura ma anche forte quando vuole. Ci vediamo al prossimo cap! Baci!

 

Marty_odg: sono contenta che questo seguito per il momento non ti stia deludendo. Molte delle cose che sono successe e che succederanno nei prossimi capitolo forse sono un po’ scontate, ma non può essere altrimenti, e sto cercando di dare comunque un’interpretazione che non le renda troppo automatiche e banali. E vedo che anche tu reputi normale che Xander non ami troppo Tommy: diversamente, sarebbe stato davvero troppo sdolcinato. Non correre troppo in macchina pensando a Irina, eh! Un bacio!

 

Annalisa70: non lo so se mi hai scritto altre volte (ma mi pare di sì), ma sono contenta che tu abbia deciso di farlo: fa sempre piacere sapere che qualcuno apprezza! Io personalmente ti consiglio di non prendere ancora le parti di un personaggio in particolare, perché siamo appena all’inizio, e ci saranno un sacco di cose che credo stravolgeranno molto la vicenda… E naturalmente grazie per i complimenti! Un bacio!

 

CriCri88: certo, la scelta di Irina era scontata, e in effetti forse lei vuole davvero più tornare a essere Fenice, che arrestare i russi… Quanto alla reazione di Xander, in questo capitolo faceva davvero paura: nemmeno Irina lo aveva mai visto così. Per il problema di Tommy, , non si tratta proprio di un problema: il bambino ha sempre rappresentato qualcosa che faceva parte della vita di Irina, e che non doveva esserci semplicemente perché il compito di crescerlo non spettava a lei. Egoisticamente lo ha “tolto di mezzo” perché voleva lasciare Irina libera di prendersi cura di se stessa, e poi anche di lui. In conclusione, è solo un po’ geloso e come ogni uomo che si rispetti non è dotato di spirito materno come Irina… Qualche difetto dovrà pur averlo anche lui! E poi William… William ha ancora molto da mostrare, e lo farà molto presto. Chissà se lo adorerai ancora… Baci!

 

Smemo92: sì, la scelta di Irina era prevedibile, ma per lei non era scontata: sa esattamente cosa significa. Come Xander, che è terrorizzato dal fatto di poterla vedere piombare di nuovo nella stessa spirale di dolore e paura in cui l’ha trovata. Questa volta non ci sarà William a “proteggerla”, ma nemmeno a ostacolarla: dovrà davvero affrontare tutto da sola, ma soprattutto dovrà affrontare stessa. Così come dovrà farlo lo Scorpione, che continua a non impazzire grazie a lei… Mi fermo qui, se no dico troppo. Baci e grazie che mi segui sempre!

 

Sheba_94: lo so, lo so, non mi collego mai… Ma tu non sai com’è sclerata la mia esistenza in questo momento. Vorrei tanto sdraiarmi su una spiaggia assolata e pensare solo a rilassarmi… Oppure usare il vampiro come puncing-ball antistress… E ultimamente sono davvero una Bad Girl, sai? Vabbè, ci sentiamo, baby. Bacioni-oni-oni

 

 

Sorelline koala: hola! Nuove? Sono contentissima! E lo sono ancora di più sapendo che avete apprezzato sia il Gioco dello Scorpione, che questo seguito ancora all’inizio. So che come genere è un po’ particolare, ma la mia intenzione era anche quella di far avvicinare a questo mondo qualcuno che magari lo vedeva con un po’ di perplessità. Se continua a piacervi, fatemelo sapere! Un bacione grande!

 

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Capitolo VI

Capitolo VI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 9.30 – Carcere di San Francisco

 

William afferrò il borsone che la guardia armata gli stava porgendo, sulla soglia della sua cella, e sorrise. Sebastian era stato di parola: gli aveva fatto avere quello che aveva chiesto nel giro di un solo giorno, e almeno in quello non si era fatto attendere.

 

La guardia richiuse velocemente le sbarre, e tornò al suo posto con un grugnito, molto infastidito dalle novità che riguardavano Challagher. In tutto il carcere, speravano sempre che le cose gli andassero male…

 

William appoggiò il pesante borsone a terra, preparandosi ad aprirlo. Qualcuno si mosse nella cella davanti alla sua.

 

<< Da quand’è che ricevi visite? >> gracchiò Fred, appiccicato alle sbarre per cercare di vedere dentro la sua borsa, << Eh? Chi ti ha mandato quella roba? >>.

 

William lo guardò, un sorriso cattivo sul volto. << A differenza di voi, io ho qualcuno la fuori >> disse, e tornò a guardare il borsone.

 

Le cose all’interno erano state gettate alla rinfusa, perché i poliziotti avevano prima controllato che non si trattasse di niente di proibito; però sembrava esserci tutto ciò che aveva chiesto, tranne forse le sigarette: dovevano averle tolte, perché non gli era permesso fumare all’interno nel carcere.

 

Trovò il rasoio per capelli dentro una scatola incartata, e lo appoggiò sul letto. C’era una rivista di auto spessa due dita, la stessa che aveva sempre usato per scegliere le sue macchine, e diverso cibo che non aveva chiesto ma che gradiva comunque. Nel fondo erano adagiati i due pesi da cinque chili, che afferrò e mise da parte: strano che gli sbirri glieli avessero fatti avere. Forse avevano pensato che poteva contribuire a mantenerlo tranquillo.

 

<< Chi ti ha mandato tutta quella roba, eh? >> gracchiò di nuovo Fred, e anche John si fece vedere, facendo spuntare la sua faccia da mezzo indiano dal letto nella penombra del corridoio.

 

William afferrò una scatola di biscotti e gliela lanciò tra le sbarre, riuscendo a centrare la cella in modo assolutamente perfetto. << Tieni, usala per tapparti la bocca >> disse, poi si voltò di spalle e andò verso il lavandino.

 

Infilò la testa sotto il rubinetto, l’acqua gelata che gli scorreva sulla nuca, poi afferrò l’asciugamano e si frizionò i capelli. Prese il rasoio, lo aprì e infilò la spina nella presa della corrente mezza traballante.

 

Rimase a guardarsi per qualche istante allo specchio, i capelli castani incollati alla fronte, per decidere come procedere. L’occhio gli cadde sulla cicatrice che gli tagliava il sopracciglio, che gli dava un aspetto più minaccioso che mai. Tornò a concentrarsi sul rasoio, regolò la lunghezza del taglio e iniziò il suo lavoro.

 

Una decina di minuti dopo, guardò nuovamente il suo riflesso.

 

Forse ci era andato un po’ pesante, questa volta, ma era soddisfatto. Quando aveva ancora il privilegio di poter andare dal parrucchiere ogni qualvolta voleva, era abituato a tenere i capelli leggermente più lunghi, ma stavolta voleva essere più “estremo”. Ancora poco, e si sarebbe rasato a zero.

 

Fece un sorrisetto e si passò una mano tra i suoi nuovi e corti capelli, poi sciacquò il lavandino e rimise il rasoio nella sua scatola, le goccioline che gli solleticavano il collo dandogli i brividi. Sfiorò la W tatuata, che ora si vedeva di nuovo, e tirò un sospiro di soddisfazione. Ancora un po’, e sarebbe stato fuori di lì.

 

Raccolse la rivista di auto lasciata sulla sedia nell’angolo e si arrampicò sul letto a castello, sentendolo cigolare sinistramente. Si mise comodo, le foto e gli articoli di giornale sempre appesi davanti a lui, il soffitto a pochi centimetri dalla sua testa.

 

Cominciò a sfogliare il giornale, ricordando di quando lo faceva al suo tavolino in riva alla spiaggia o nella piscina di casa sua, il sole sulla faccia e un cocktail in mano, per designare l’auto che sarebbe andata a incrementare la sua preziosa collezione. Ogni volta aveva scelto la sua prossima macchina così, anche se in realtà erano quasi tutte rubate e non acquistate. Era il senso della sfida, il piacere dell’adrenalina che scorreva nelle vene a spingerlo a procurarsi in quel modo le sue auto, nient’altro.

 

Ora che non ne aveva nemmeno più una, doveva ricominciare da zero. Una volta uscito di lì, la prima cosa che avrebbe fatto era procurarsi una macchina veloce e non troppo vistosa per fuggire rapidamente dalla California. Doveva solo scegliere quale, e sperare fosse facile da trovare.

 

Aston Martin, Dodge, Porsche, Lamborghini, Ferrari… Tutte auto perfette per lui, ma avrebbero dato troppo nell’occhio, e non poteva sperare di trovarne una parcheggiata fuori dal carcere… Aveva bisogno di qualcosa di meno appariscente, ma abbastanza veloce da permettergli una fuga rapida se fosse stato beccato dagli sbirri.

 

Ad un certo punto arrivò all’immagine di una Lamborghini Revènton grigio carbonio: aveva avuto anche quella. Chissà che fine aveva fatto, visto che non era stata distrutta come la sua adorata Zonda… Forse era finita all’asta, o semplicemente era stata riconsegnata al suo vero proprietario, che aveva speso due milioni di dollari per averla, per poi vedersela rubare in uno spettacolare furto sull’autostrada…

 

Al pensiero del suo garage svuotato, la vena sul suo collo iniziò a pulsare. Gli avevano davvero tolto tutto… La sua Mercedes Slk, l’Aston Martin blu, la Revènton, la Zonda… Qualcuno aveva insinuato che teneva più alle sue auto che ai membri della Black List: forse era davvero così. Almeno le sue macchine non gli avevano voltato le spalle, come quel bastardo di Dimitri…

 

“Non ci pensare… Quando sarai fuori, ti riprenderai tutto. E gliela farai pagare”.

 

Continuò a sfogliare il suo giornale, finché non arrivò ad una pagina che mostrava una strana auto, che lui conosceva perché era sempre stato esperto in quel campo: una Bugatti Veyron, forse l’auto più veloce del mondo.

 

Non ne aveva mai vista una, a parte in foto. Ricordava di averla scartata dai suoi possibili obiettivi di furto perché era difficile da reperire, e perché la sua linea non l’aveva mai particolarmente attratto. Era strana, bassa, dai fari squadrati e una grossa presa d’aria arrotondata che lasciava respirare il motore… Non era una macchina che passava inosservata, ma che non faceva nemmeno intuire quanto fosse potente. Ora che l’aveva di nuovo davanti, e molto tempo a disposizione, decise di dedicargli qualche attenzione.

 

Cercò le specifiche tecniche, riassunte in una tabella sotto la foto: motore W16 di 7.993 cc di cilindrata, 1001 cavalli e coppia massima di 1.250 Nm a 2.200 giri.

 

Velocità massima: 408 chilometri orari.

 

Prezzo: 1.100.000 euro.

 

William sorrise e guardò la foto dell’auto. Quella macchina era più veloce della Revènton, di qualsiasi Ferrari e persino della Zonda… E costosa, molto costosa, anche per uno come lui.

 

Forse non era l’auto che poteva sperare di cercare appena uscito di lì, ma poteva essere una valida sostituta a tutto il suo garage… Se in passato non l’aveva mai presa in considerazione, ora sentiva che era la macchina di cui aveva bisogno per prendersi la sua vendetta.

 

Qualcuno bussò alle sbarre, e William alzò la testa. Era Reed, il nero che si occupava di lui quando usciva dalla cella.

 

<< Ora d’aria, Challagher >> disse la guardia.

 

<< Arrivo >>.

 

William si alzò, ma decise di portarsi il giornale dietro per avere modo di dare un’altra guardata alle auto. La maggior parte del tempo la passava seduto a un angolo del cortile, lo sguardo che diceva chiaramente che non voleva essere disturbato, a fissare la cancellata che lo separava dalla libertà, o a tentare di seguire i detenuti nelle loro misere attività all’esterno.

 

Una volta fuori, sentì la fredda aria frizzante di novembre pungergli la nuca, il cielo nuvoloso che annunciava pioggia. Al centro dello spiazzo, i detenuti più giovani e con più voglia di vivere stavano sfogando le loro energie represse in una violenta partita di pallacanestro, mentre le guardie li tenevano d’occhio. Le alte sbarre con il filo spinato in cima completavano quel paesaggio triste e grigio.

 

William si diresse verso il suo solito angolo, la panca di legno scurita dalle intemperie lasciata sgombra, e si sedette, riaprendo il suo giornale. Alzò il colletto della felpa per proteggersi dall’aria e sfogliò la rivista, lasciandosi cullare per qualche istante nei ricordi della sua vecchia vita.

 

All’improvviso però si accorse che qualcuno lo stava guardando, non molto lontano da lì.

 

Daniel Gray era in piedi vicino ai cancelli, le braccia incrociate e lo sguardo rivolto verso di lui, vicino a Fred, e parlottavano con l’espressione scocciata. William li guardò, infastidito, attendendo che facessero qualcosa. Lui non si sarebbe mosso.

 

Certo che quel Daniel ha un certo fegato…” pensò.

 

Alla fine, gli venne un’idea. Alzò la mano e fece cenno al ragazzo di raggiungerlo.

 

Daniel gli rivolse un’occhiataccia, scambiò qualche parola con Frank e poi iniziò a dirigersi verso di lui, con deliberata lentezza per innervosirlo.

 

<< Cosa vuoi, Challagher? >> chiese, piazzandosi davanti a lui con l’espressione minacciosa.

 

<< Niente… Mi chiedevo cosa avessi da fissare >> ribatté William, posando sulla panchina la sua rivista e incrociando le braccia.

 

<< E io mi stavo chiedendo chi avesse avuto il coraggio di venirti a trovare >> disse Daniel, il tono strafottente.

 

William sorrise. << Pensi davvero che io abbia intenzione di rimanere qui per il resto dei miei giorni? >> chiese, << Credi che starò buono buono dentro la mia cella, a pentirmi di tutti i miei crimini? Ho un sacco di gente la fuori che è pronta a darmi una mano… >>. Fece un cenno verso la cancellata.

 

<< Perché me lo dici? >> abbaiò Daniel, << Non me ne frega un cazzo della gente che conosci… E nemmeno che tu riesca a fuggire >>.

 

William lo guardò, ma capì che stava mentendo: di sicuro, se fosse riuscito a scappare, avrebbe voluto essere al suo posto. Diceva così solo perché voleva provocarlo come al solito-

 

<< Per cosa sei stato condannato, Daniel? >> chiese lo Scorpione, tranquillo.

 

Il ragazzo fece una smorfia. << Omicidio >> rispose compiaciuto. Incrociò le braccia con aria di sfida, come a chiedergli di fare altrettanto.

 

William ridacchiò davanti alla sua baldanza. << Omicidio… >>. Aveva ancora molto da imparare. << Sai, potrei offrirti la possibilità di fuggire… Ho bisogno di qualcuno come te >>.

 

L’espressione sbalordita di Daniel lo fece sorridere. Non se lo aspettava.

 

<< Che cazzo stai dicendo? >> mormorò.

 

William si appoggiò allo schienale della panchina. << Tutti i miei piloti sono stati arrestati >> disse, << Quando uscirò di qui, avrò bisogno di aiuto per farla pagare a chi mi ha fatto rinchiudere qua dentro… Ho bisogno di qualcuno che non abbia paura di prendere un’arma in mano e di usarla, quando sarà necessario. Non mi sembri uno che si lascia intimorire facilmente, quindi potresti fare al caso mio >>.

 

<< Non mi prendere per il culo, Challagher >> sbottò Daniel, << Non credo che tra i tuoi amichetti non c’è ne sia nessuno che abbia questi requisiti… >>.

 

<< Forse ci sono, ma sono io a volere qualcuno di nuovo >> lo interruppe William, << Sono tutti rinchiusi in carceri diversi, e non ho il tempo né la voglia di farli evadere. E poi ho capito che non posso più fidarmi di loro… Ho bisogno di gente nuova. Ci stai? >>.

 

Lo Scorpione guardò il ragazzo in piedi davanti a lui. Era giunto alla conclusione che dopo tutto quello che era successo, non poteva più veramente fidarsi dei suoi vecchi piloti: Dimitri, che aveva sempre considerato il suo braccio destro, lo aveva fatto arrestare… Era ora di trovare gente nuova, più motivata, che lo avrebbe seguito perché aveva solo da guadagnarci.

 

<< Avevo detto che ti avrei fatto conoscere la mia ragazza >> aggiunse alla fine con un mezzo sorriso sardonico, << Ricordi? >>.

 

<< Cosa vuoi che faccia? >> chiese Daniel, sospettoso.

 

<< Niente, per il momento >> rispose William, << Una volta fuori di qui, dovrai darmi una mano a trovare e ammazzare lo sbirro dell’F.B.I. e il russo che mi hanno fatto arrestare… Ciò che ti chiederò sarà di rubare auto, uccidere quando te lo dirò, e darmi una mano quando mi servirà. Sai guidare? >>. Aveva tralasciato il punto Irina perché era una cosa che andava risolta solo tra loro due.

 

<< Abbastanza, ma non ho mai fatto gare >> rispose Daniel, << Cosa ci guadagno, io? >>.

 

<< La libertà, prima di tutto >> rispose William, << E poi, se tutto andrà come prevedo, soldi, donne e auto… E magari un posto d’onore nella mia nuova Lista, se deciderò di ricrearla >>.

 

Daniel rimase in silenzio, fissandolo. Probabilmente stava valutando i pro e i contro di quella proposta, oppure cerca di capire dove fosse la fregatura.

 

Quel ragazzo era forse insopportabile e strafottente, ma proprio per quel motivo poteva rivelarsi adeguato alle sue esigenze. La condanna per omicidio gli confermava che era uno che non aveva paura, che al momento opportuno sarebbe stato in grado di afferrare la pistola e sparare, e che era pronto a tutto, esattamente come lui. Chi aveva la fuori, oltre Sebastian, che sarebbe stato pronto a seguirlo dappertutto?

 

<< Quando progetti di scappare? >> chiese Daniel.

 

<< Un mese al massimo >> rispose allo Scorpione, << Un mese, e saremo fuori di qui, su un auto di lusso, liberi di andare dove ci pare. Trenta giorni, e faremo mangiare la polvere a questi sbirri del cazzo >>.

 

Daniel sorrise. << Forse non sei così male come pensavo, Challagher >> disse, avvicinandosi.

 

<< E’ un sì, il tuo? >>.

 

<< Ci sto >>.

 

William gli porse la mano, e Daniel la strinse.

 

<< Hai appena fatto il migliore affare della tua vita >> disse lo Scorpione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 9.00 – Autostrada

 

Xander non capiva. Non riusciva a capire perché Irina avesse preso quella decisione senza parlare con lui, senza pensare alle conseguenze che avrebbe comportato… Non era da lei essere così frettolosa, incosciente…

 

“Invece lo sai benissimo il perché… Vuole tornare a essere Fenice”.

 

Tante volte ci aveva pensato, e si era sempre dato la stessa risposta: no, Irina non voleva tornare a correre, non quando aveva fatto di tutto per uscire dal giro… Ora si rendeva conto che quella era sempre stata la risposta sbagliata.

 

Schiacciò sull’acceleratore facendo schizzare avanti la Ferrari, l’autostrada abbastanza sgombra da permettergli di correre più del solito. Il guard-rail sfrecciava sfocato alla sua sinistra, sotto il cielo uggioso di quell’orribile giornata.

 

Oltre alla preoccupazione per il pasticcio in cui si era ficcata Irina, era anche molto turbato. Adesso, a qualche ora di distanza, si rendeva conto che la sua reazione era stata violenta ed eccessiva, ma non si vergognava di aver gridato addosso a McDonall. Era chiaro che nessuno a parte lui era in grado di capire di cosa aveva veramente bisogno Irina…

 

Strinse il volante ricordando l’espressione della ragazza, mentre tornavano in garage, nel più completo silenzio dell’ascensore: era arrabbiata, ferita e forse persino delusa. L’aveva offesa, dicendole che non era in grado di guardarsi da sola, ma era davvero quello che pensava e non era disposto a tornare su i suoi passi. Irina, dal canto suo, non sembrava voler cambiare idea.

 

Una volta davanti alle auto, non si erano nemmeno salutati e ognuno se n’era andato, diretto a casa sua. Per la prima volta da quando stavano insieme, nessuno dei due sembrava non aver voglia di passare la serata con l’altro.

 

Avevano già litigato altre volte, ma dopo un paio di ore era tornato tutto come prima, soprattutto perché lei non era capace di tenere il broncio. Eppure stavolta sembrava che tra loro due fosse calato un muro che li facesse viaggiare su due strade differenti. Irina gli aveva spiegato perché aveva fatto quella scelta, ma lui non capiva. O forse semplicemente non voleva capire.

 

Se davvero il desiderio di Irina era quello di tornare a essere una pilota clandestina, significava che tutto quello che aveva fatto per lei era stato inutile, che forse addirittura in qualche modo l’avesse infastidita… Magari lei non voleva che smontasse tutto il mondo di cui aveva fatto parte, che la sradicasse completamente da ciò che era stata…

 

“Non essere idiota. Irina non voleva certo continuare a farsi violentare da Challagher e a fare la pazza per le strade di Los Angeles… Lo fa solo perché si sente in dovere di farlo, perché crede che sia la scelta migliore. Non si rende conto che una volta là ripiomberà di nuovo in mezzo a quello da cui aveva cercato di scappare”.

 

Non era arrabbiato con lei, in fondo. Era solo spaventato a morte per ciò che poteva succederle, per i pericoli in cui poteva incappare. Stare da solo tutta la notte gli era servito per accettare quella cosa, per farsene una ragione… E non ci era riuscito.

 

Irina era sua, non poteva vivere senza di lei. Non avrebbe trovato da nessun’altra parte un’altra ragazza così ingenua, così dolce, così indifesa come lei. Gli bastava niente per farla contenta, anche solo andare a prenderla a lezione; gli bastava averla intorno, con i suoi sorrisi, con i duemila problemi che si faceva per ogni minima cosa, per rendergli la giornata migliore.

 

E se fosse cambiata? Se all’improvviso avesse smesso di essere timida, dolce, tenera come l’aveva sempre vista?

 

Le avevano sempre negato tante cose, a partire dalla sua infanzia, e lui aveva sempre cercato di proteggerla dal mondo, per consentirle di vivere tutto quello che aveva perso. “Iperprotettivo” era il termine giusto per definirlo, lo sapeva, ma non poteva farne a meno: non riusciva vedere il dolore negli occhi di Irina. Ne aveva già visto troppo.

 

Andare laggiù poteva cambiarla, poteva farla tornare a essere l’ombra di stessa, e non era sicuro che Irina lo sopportasse un’altra volta. O magari, al contrario, si sarebbe trovata bene, sarebbe tornata a essere Fenice, la ragazza dai pantaloni aderentissimi, lo sguardo da gatta e l’atteggiamento da dura che le aveva visto la prima volta che si erano incontrati per locali a Los Angeles… La prima volta che gli era stata presentata come Fenice, la ragazza dello Scorpione.

 

Uscì dall’autostrada e raggiunse il quartier generale, lasciando l’auto nel garage sotterraneo. Prima di salire andò al bar a prendersi un caffè, preparandosi alla giornata che era sicuro avrebbe messo a dura prova il suo autocontrollo. McDonall doveva presentargli il capo dei servizi segreti russi, e insieme a Irina avrebbe dovuto mettere a punto la loro strategia.

 

“Qui stanno uscendo tutti pazzi, compreso me che li sto lasciando fare… Goryalef! Massì, mandiamo anche Challagher così siamo a posto. Al russo ci penso io… Rimarrà chiuso nella sua bella cella ancora per un pò”.

 

<< Per quanto riguarda Goryalef, mi lasci dire che non sono pienamente sicuro che sia una buona idea >> disse McDonall poco dopo, un volta arrivato nel suo ufficio, << Per quanto White sia stato convincente, ritengo che sia troppo avventata, come cosa >>.

 

Xander fissò il Vicepresidente, il sopracciglio inarcato. Finalmente sembrava aver ritrovato il senno della ragione e iniziava a dire qualcosa di sensato, e che gli andava anche a genio.

 

<< Se è per questo, anche io >> disse freddamente, seduto piuttosto distante dalla scrivania, << Goryalef mi ha permesso di trovarli, ma non mi fido di lui. Rimane pur sempre un ex-pilota clandestino che è stato anche il braccio destro di Challagher >>.

 

<< Allora la manderemo da sola >> disse McDonall, gettando stancamente la penna che aveva in mano sul ripiano. Tutta quella storia sembrava iniziasse a stufarlo.

 

<< Vado io con lei >> ribatté Xander, << Non può andare da sola >>.

 

McDonall respirò profondamente, come per potersi calmare. Le rughe sul suo volto apparvero più profonde, sotto la luce che proveniva dalla finestra.

 

<< Agente Went, credo di essere stato abbastanza chiaro su questo punto >> disse, << Lei non può andare a Mosca, perché comprometterebbe la missione. Lo sa meglio di me. L’unica cosa che posso lasciargli fare è cercare un possibile compagno per Irina >>.

 

<< Non esiste nessuno che possa tenerla abbastanza d’occhio >> rispose secco Xander, sempre più nervoso. Era sempre stato abituato al fatto che il Vicepresidente accettasse quasi tutte le sue richieste, e il cambiamento che c’era stato dal giorno prima lo rendeva più irascibile di quanto non fosse mai stato.

 

McDonall sembrava sull’orlo di una crisi di nervi quanto lui. << Ha provato a chiedere a Cohen? >> domandò tra i denti.

 

<< Già fatto >> rispose Xander, << Ho contattato tutti i possibili candidati, li ho esaminati e non ne ho trovato nessuno adatto… >>.

 

<< Allora la mandiamo da sola >> disse il Viceprediente, evidentemente esasperato. << Questa è la mia ultima parola >>.

 

Xander incrociò le braccia, per niente intimorito dal tono formale e leggermente teso di McDonall.

 

<< Perché glielo ha chiesto senza dirmelo? >> domandò all’improvviso, deciso a cambiare argomento prima di perdere di nuovo le staffe.

 

<< Perché ero tenuto a farlo >> rispose il Vicepresidente, << Era mio dovere contattarla. Ma ritengo di non doverle dare alcuna spiegazione per il mio comportamento >>.

 

<< Non ha idea in che guaio l’ha messa >> disse Xander, << Si farà male… >>.

 

<< Agente Went >> lo interruppe McDonall, << Sono disposto a parlare con lei di tutta questa storia solo una volta, e sarò chiaro: ho solo proposto a Irina di partecipare, e lei è abbastanza grande per decidere da sola. Non è un problema mio se non ha abbastanza fiducia nella sua fidanzata >>.

 

Fiducia. Non si trattativa di fiducia, si trattava della vita di Irina. Avrebbe tanto voluto continuare a discutere, trovare un modo per costringere McDonall a tirarla fuori da tutto quel casino, ma lavorava la dentro da abbastanza tempo per sapere che il Vicepresidente non sarebbe tornato indietro, esattamente come lui. E fino a prova contraria, non poteva ordinargli nulla.

 

<< L’idea di Goryalef è venuta veramente a White? >> domandò, per cambiare argomento.

 

<< Su questo posso lasciarle carta bianca >> disse McDonall, aprendo le mani, << Se ritiene troppo rischioso mandarlo in Russia, possiamo farne a meno… >>.

 

Almeno su quel punto erano d’accordo, ed era già qualcosa. White doveva aver avuto l’idea di Dimitri solo con l’intento di provocare lui: da quando lo aveva accusato di tradimento, durante la storia di Challagher, non era la prima volta che cercava un pretesto per farlo sbattere fuori dall’F.B.I.

 

<< Voglio che continui a rimanere chiuso nella sua cella >> rispose Xander, << Troverò qualcuno per accompagnarla >>.

 

<< Ha due settimane di tempo >> disse McDonall, << Per preparare Irina, e per trovarle un aiuto. E ricordi che lei dovrà partire per San Pietroburgo, quindi dovrà prepararsi anche lei >>.

 

Xander annuì, alzandosi in piedi. Sapeva cosa doveva fare, e sapeva anche quanto tempo aveva. E di un’altra cosa era pienamente sicuro: Dimitri non si sarebbe mosso dalla sua cella.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 10.00 – San Franscisco, Sede F.B.I.

 

<< Rafail Demidoff, capo dei servizi segreti di Russia >>.

 

Irina strinse con un certo timore la mano dell’uomo che aveva davanti, di circa cinquantacinque anni, alto, dai pochi capelli rossicci ma con folti baffoni. Parlava con uno spiccatissimo accento russo che non riusciva proprio, o forse non voleva, mascherare. Tutto, dal suo perfetto vestito scuro al suo orologio argentato e costosissimo, traspariva una certa freddezza e distacco, in linea con l’unico russo con cui aveva avuto a che fare durante la sua vita.

 

<< Questo è il mio assistente, Georgi Sokolòva >> disse Demidoff, indicando con la mano un altro uomo, più basso e dai capelli scuri, gli occhietti piccoli piccoli, dall’aria meno fredda ma altrettanto rude.

 

<< Irina Dwigth, piacere >>.

 

Si strinsero la mano, poi lei gettò un’occhiata verso McDonall, in piedi di fianco a Xander e White. Trovava i due molto meno amichevoli di quanto pensasse, ma non era il momento di fare la timida: dovevano solo studiare con lei il piano da adottare a Mosca, e da loro aveva bisogno solo di informazioni.

 

<< Se volete accomodarvi… >> disse McDonall, invitandoli a prendere posto al lungo tavolo rettangolare alle loro spalle, il proiettore che illuminava la parete che vibrava nella stanza. Le persiane erano state leggermente abbassate, e al luogo un’atmosfera ancora più formale.

 

Presero posto, Xander di fianco a lei, ancora poco incline a parlare. Non l’aveva presa bene, e anche dopo averci dormito su sembrava considerarla una pazza. Era dispiaciuta per quel fatto, ma sapeva che prima o poi avrebbe accettato la cosa.

 

McDonall attaccò il cavo del suo pc portatile al proiettore e appoggiò le mani sul ripiano di vetro del tavolo, gli occhi puntati su di loro.

 

<< Bene, direi che possiamo cominciare >> disse, << Agente Demidoff, prego, ci illustri le informazioni di cui siete in possesso >>.

 

Il russo si avvicinò con piglio deciso al computer e infilò una chiavetta nella porta Usb. Digitò qualcosa sulla tastiera, poi sulla parete comparve una cartina geografica che mostrava Mosca, alcuni punti indicati con un cerchietto rosso.

 

<< Ciò che sappiamo è poco >> disse, l’accento russo che rendeva la sua parlata molto aggressiva, << I nostri infiltrati sono riusciti ad arrivare fino ad un certo punto della loro piramide organizzativa… >>. Pigiò un tasto del pc e sulla parete comparve una sorta di schema, con in cima il nome “Lince”, << A comandare tutto c’è naturalmente il capo, di cui non conosciamo né il nome né il volto, e non sappiamo nemmeno se si tratta di una singola persona. Egli a sua volta assegna direttamente i compiti ai suoi sottoposti, senza mai entrare direttamente in contatto con loro. Ha tre soli uomini che lavorano direttamente per lui, che si occupano di portare i suoi ordini fino agli interessati. Ogni città ha una sorta di referente, a cui arrivano gli ordini e che procede ad avvisare tutti gli altri… I loro traffici maggiori riguardano partite di droga, contrabbando di armi e di auto di lusso, e naturalmente le gare clandestine >>.

 

Irina guardò i buchi vuoti nello schema, che corrispondevano ai nomi dei tre uomini al servizio diretto della Lince. Xander anticipò la sua domanda.

 

<< Non conoscete i nomi dei suoi tre scagnozzi? >> chiese.

 

<< No >> rispose secco Demidoff, << I nostri agenti sono riusciti a entrare in contatto solo con uno solo dei referenti, e se qualcuno di loro ha avuto l’onore di conoscere uno degli scagnozzi della Lince non è sopravvissuto per raccontarlo… Tra essi vige un patto di ferro che li spinge a difendersi tra di loro, anche se a volte i loro interessi sono contrastanti: chi sa qualcosa non parla, ma nel momento del bisogno potrà contare sull’aiuto della Lince. Ognuno può svolgere i propri affari in autonomia, ma quando se ne presenta l’occasione collaborano per proteggersi a vicenda e per fare più soldi… >>.

 

Irina ascoltò tutto attentamente, trovando la situazione molto differente da quella di Los Angeles: anche lì c’era una sola persona a comandare, ma William aveva dimostrato di avere la fedeltà dei suoi “amici” solo nel momento migliore. Quando le cose erano precipitate, si erano dileguati o lo avevano tradito… Il suo sistema era basato sulla paura, ed era destinato a crollare non appena si fosse dimostrato debole. In Russia, invece, c’era una rete di interessi che legava tutti e bene o male li costringeva a collaborare e guardarsi le spalle a vicenda.

 

<< Per arrivare a uno dei referenti bisogna guadagnarsi la sua fiducia >> disse Demidoff, << E di solito ci vogliono anni di amicizia e di affari andati a buon fine, per sperare di poter parlare direttamente con loro. Dopodiché si entra in contatto con i diretti dipendenti della Lince: appena hanno il sentore o il solo sospetto che li stiano tradendo, li uccidono. E lo fanno con particolare cattiveria: abbiamo trovato il cadavere di uno dei nostri agenti fatto a pezzi e chiuso nel bagagliaio di una Bentley… >>.

 

Irina rabbrividì, ma notò l’occhiata eloquente di Xander. Era seduto rigido sulla sua sedia, l’espressione di ghiaccio.

 

“Non mi spavento solo per questo… Rischiavo la vita anche quando stavo con William. E in ogni caso, quando sei morto non penso che sei in grado di sentire che ti stanno facendo a pezzi…”.

 

<< Irina conosce Boris Goryalef >> disse White, << Era amico di Challagher, prima che finisse dietro le sbarre… Dovrebbe essere uno dei referenti, a giudicare da quella piramide >>.

 

Demidoff annuì. << E’ il referente di Mosca, a quanto ne sappiamo >> disse, << Ed è anche uno dei più facili con cui entrare in contatto… In contatto, non in affari. E’ uno che si fa vedere spesso in giro, ma non si fida mai di nessuno. Soprattutto da quando Challagher è stato arrestato >>.

 

<< L’idea di usare il nipote può essere valida? >> chiese White.

 

<< Forse >> rispose Demidoff, << Da quando sappiamo, nessuno sa bene cosa sia successo a Los Angeles… Sanno solo che Challagher è dietro le sbarre, e con lui tutta la sua Lista. Hanno preferito non intromettersi perché la situazione era troppo tesa e rischiavano di finirci in mezzo. Non sentono il bisogno di tutelare i loro amici americani >>. Il russo gettò un’occhiata a Sokolòva. << Dovremo montare una bella storia, in modo che credano davvero che Dimitri Goryalef sia fuggito dal carcere e che abbia ritrovato Irina con tutta l’intenzione di liberare lo Scorpione… Se il Mastino deciderà di collaborare, suo zio potrebbe lasciargli più spazio e di sicuro si fiderebbe di più. Oltretutto, se sospetta qualcosa di Fenice, in questo modo gli daremo l’idea che sta davvero ancora dalla parte di Challagher >>.

 

Irina si ritrovò a pensare una cosa: se il Mastino deciderà di collaborare… Dimitri era disposto a fare il traditore proprio a casa sua? Certo, alla fine era grazie a lui che Xander aveva scoperto dove si trovava ed aveva arrestato Challagher, ma davvero il Mastino avrebbe aiutato l’F.B.I.?

 

L’idea di averlo di nuovo di fianco non era proprio allettante, ma averlo con lei in Russia poteva rappresentare un notevole aiuto. Di sicuro sapeva meglio di tutti loro come comportarsi e con chi parlare.

 

<< Scartiamo pure l’idea di Dimitri Goryalef >> si intromise Xander, << Per quanto possa risultare utile, non si muoverà dal carcere >>.

 

Demidoff gli rivolse un’occhiata, e Sokolòva sembrò quasi divertito. Irina rimase in silenzio, intuendo che McDonall e Xander dovessero aver parlato di quel particolare, prima di quell’incontro.

 

<< Abbiamo deciso di non utilizzare Goryalef >> spiegò calmo il Vicepresidente, << Non riteniamo il tutto abbastanza sicuro. I benefici potrebbero non compensare i rischi >>. Guardò con la coda dell’occhio Xander, l’espressione soddisfatta.

 

Demidoff si strinse nelle spalle. << L’idea era valida >> disse, << Ma se ritenete inopportuna la cosa, sta a voi deciderlo. Vogliamo solo assicurarci che le possibilità di portare a termine la missione siano le più alte possibili. La situazione potrebbe diventare insostenibile, se non facciamo qualcosa… >>.

 

<< Di questo me ne occuperò io >> ringhiò Xander.

 

McDonall fiutò la situazione. << Procediamo oltre, agente Demidoff >> disse, << Dobbiamo decidere come procedere. Presti molta attenzione, agente Dwight, e se ha qualche domanda non si faccia problemi a porla >>.

 

Irina annuì. Xander non la stava nemmeno guardando.

 

<< Agente Went >> cominciò McDonall, << Sarà agli ordini di White, da questo momento in poi. Sarà di stanza a San Pietroburgo, e avrà carta bianca per quanto riguarda come muoversi. Il suo compito sarà quello di cercare informazioni sulla Lince e cercare di entrare in contatto con essa, se ci riuscirà. Agirà sotto falso nome, per evitare che qualcuno si ricordi di lei, e se lo riterrà opportuno potrà chiedere l’affiancamento di un agente dei servizi segreti russi. Concorda con me, agente Demidoff? >>.

 

Il russo annuì. << L’agente Sokolòva è pronto a darle una mano >> disse.

 

<< D’accordo >> disse Xander, giocando con la penna che aveva in mano, << Ma preferirei essere da solo… Voglio piena libertà di movimento >>. Scoccò un’occhiata verso Irina.

 

<< Come preferisce >> disse Demidoff, << In ogni caso, saremo pronti a darle una mano, quando lo riterrà necessario… Tuttavia, mi chiedevo se non ha problemi con la lingua… >>.

 

Xander gli gettò un’occhiataccia. << So il russo abbastanza bene da capire perfettamente quello che mi stanno dicendo >> sibilò, << Non mi prenda per uno sprovveduto >>.

 

Era evidente che era ancora arrabbiato, e la sua scontrosità lo confermava. Irina si stupì nel sentirlo rivolgersi in quel modo ai suoi superiori, ma soprattutto nello scoprire che conosceva il russo… Chissà quante altre cose di lui non sapeva, nonostante ormai stessero insieme da due anni.

 

<< Non intendevo questo >> disse Demidoff, stizzito per il tono con cui si era rivolto a lui.

 

McDonall si schiarì la voce. << Irina, lei partirà per Mosca, con il compito di arrivare più in alto possibile nella gerarchia dei piloti clandestini e incastrare la Lince. Sarà costantemente controllata: non la lasceremo da sola, anche se a lei potrà sembrare >>. Sorrise incoraggiante, come se fosse il personale responsabile della sua incolumità.

 

Irina annuì. << Però io il russo non lo so… >> disse, imbarazzata.

 

McDonall e White si lasciarono andare a una piccola risata, ma Xander rimase di ghiaccio.

 

<< Non è di vitale importanza >> disse il Vicepresidente, << Sono abituati a trattare con noi americani, e conoscono la nostra lingua. Non si aspettano diversamente, in effetti >>.

 

Irina sorrise impercettibilmente. << D’accordo. Mi servirà un’auto… Posso portare la mia? >>.

 

<< Sì >> rispose secco Xander, guardando White, << Ma alla sua auto ci penso io, come nei patti >>.

 

<< Va bene, agente Went >> disse McDonall, << A lei questo compito, oltre a quello di prepararla. Avrete entrambi il completo appoggio dei servizi segreti russi, quindi se le cose dovessero mettersi male potrete contare sul loro immediato aiuto… Non ci resta ora che dare le ultime dritte alla nostra agente >>. Guardò Irina con un sorriso. << Arrivata dovrà raccontar di essere appena fuggita dagli Stati Uniti. Ci occuperemo di dare l’idea di aver aumentato l’allerta, in modo da fargli credere che la stiamo cercando. Quando sarà certa che le credono, dovrà vagliare l’ipotesi di voler far fuggire Challagher, ma non ha né i mezzi né le capacità per farlo… Non forzi troppo la mano, non deve dare l’impressione di avere fretta, o potrebbero mangiare la foglia. Ricorderanno sicuramente che i vostri rapporti erano tesi, e si chiederanno come mai ora lo rivuole fuori. Cerchi prima di guadagnare la loro fiducia, di mostrare che si è pentita di tutta quella storia, che in realtà non ha avuto alcun beneficio e che per colpa dell’F.B.I. ha rischiato il carcere… Li convinca di essere ancora fedele allo Scorpione, dopodiché cerchi il loro appoggio. Quando si offriranno di aiutarla, chieda di voler entrare in affari con la Lince, assicurando che Challagher la ricompenserà per il favore >>.

 

Irina ascoltò tutto, trovando il piano per certi versi geniale, per altri folle. Far fuggire William… In effetti, era l’unica rimasta fuori che avrebbe potuto farlo scappare, e sarebbe stato molto verosimile… Se lei gli fosse stata ancora fedele.

 

<< Bene… >> Irina guardò il Vicepresidente, << Cosa sarò autorizzata a fare, e cosa non sarò autorizzata a fare? >>. Sorrise.

 

<< Essendo lei pratica del giro, potrà fare qualsiasi cosa ritenga necessaria ad avvicinarsi il più possibile alla Lince >> rispose McDonall, << E naturalmente sarà coperta per qualsiasi azione illegale compirà in quel frangente. In ogni caso, ogni volta che verrà a sapere qualcosa di interessante, o avrà bisogno di informazioni che possiamo procurarle, ci sentiremo per telefono- Verrà dotata di tutti i mezzi adeguati, naturalmente >>.

 

Irina venne folgorata da un pensiero. Xander faceva tante storie per i rischi, per quello che poteva succedere…

 

<< Ma… Sarò armata, vero? >> chiese.

 

<< Ho capito cosa sta pensando >> rispose McDonall, serio, << Sì, è autorizzata a uccidere, se è quello che intende… Tuttavia, se possiamo evitare che qualcuno ci rimetta le penne, è meglio. Rischieremmo di avere ulteriori problemi in questa missione già abbastanza complessa di per sé >>.

 

Irina annuì. Non aveva intenzione di uccidere proprio nessuno, nemmeno se fosse stato necessario. McDonall poteva stare tranquillo: la sua era stata una domanda solo a titolo informativo.

 

<< Per oggi abbiamo finito >> disse White, alzandosi in piedi e avvicinandosi a Demidoff, << Ci vediamo tutti domani, alle nove. Agente Dwight, puntuale perché inizia il suo addestramento >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Xander guardò Irina, ancora seduta al tavolo di vetro, l’espressione stranamente soddisfatta; doveva essere contenta di aver raggiunto il suo obiettivo, nonostante il suo parere contrario. Le fece cenno di seguirlo fuori dall’ufficio, e lei si alzò salutando tutti i presenti.

 

Appena la porta si fu richiusa alle loro spalle, le disse bruscamente: << Dammi le chiavi della Punto >>.

 

Irina lo guardò preoccupata, la mano ancora appoggiata alla maniglia della porta. << Perché? >>.

 

<< La macchina rimane qui, oggi >> rispose secco, << Ti riporto a casa >>.

 

<< Perché? >> domandò di nuovo Irina, senza muoversi.

 

<< Dammi quelle chiavi >> ringhiò lui, infastidito.

 

Irina trattenne il fiato di fronte al suo tono minaccioso, e appoggiò le chiavi nel palmo aperto della sua mano. Lui le soppesò e poi le infilò in tasca dei pantaloni.

 

<< Farò dare una controllata alla Punto >> spiegò, seguendo il corridoio fino all’ascensore, << E rimarrà qua fin quando lo deciderò io >>.

 

<< Ma l’ho già portata da Max, è tutto a posto… >> disse Irina, costretta ad allungare il passo per stargli dietro.

 

“Ma brava, aveva già pensato a tutto… La macchina a posto, McDonall che la sistema con gli esami, White con l’idea di Dimitri… L’unico che è passato per idiota sono io”.

 

Irritato, chiamò l’ascensore. << Non mi interessa. I miei meccanici le daranno uno sguardo e faranno qualche modifica >> disse, riferendosi al personale che gli aveva sempre preparato le auto per le missioni, << E comunque per il momento non ne hai bisogno: volevi per caso fare qualche gara in città, prima di partire? >>.

 

Irina gli lanciò un’occhiataccia. << No… Ma domani come ci torno qui? >> chiese.

 

<< Vieni con me >> rispose lui, mentre la porta dell’ascensore si apriva sul garage sotterraneo, la Ferrari in bella vista.  << E in ogni caso hai ancora la TT >>.

 

<< Ok… >>. Irina sembrava non volerlo provocare ulteriormente, perché sapeva che non avrebbe fatto altro che innervosirlo ancora di più.

 

Le quattro luci arancioni lampeggiarono, mentre l’antifurto della 458 Italia veniva disinserito. Irina raggiunse la porta e salì, in silenzio. Xander fece altrettanto.

 

Mise in moto, il rumore nel motore che descriveva egregiamente il suo umore in quel momento. Fece retromarcia, ignorando completamente la ragazza al suo fianco.

 

Solo quando furono all’entrata dell’autostrada, Irina si decise a dire qualcosa.

 

<< Xander, senti… >> cominciò, titubante.

 

<< Non voglio parlarne >> la zittì lui, << Lasciami stare. E’ meglio che mi ignori, perché non farei altro che incazzarmi… Sembra che tutti stiate facendo a gara per farmi impazzire >>.

 

<< Non fare lo stupido >> disse Irina, << Non posso fare finta di niente… Parliamone e basta >>.

 

Xander sospirò. Aveva ragione lei, in fondo: continuare a lanciare frecciatine, ad arrabbiarsi e a tenere il broncio non lo avrebbe aiutato; anzi, avrebbe contribuito a renderlo ancora più scontroso.

 

<< Non mi va che tu vada a rischiare la vita laggiù, sono stato abbastanza chiaro? >> disse chiaramente, dritto dritto al punto.

 

Irina abbassò il volume della radio.

 

<< Lo so che sei arrabbiato, ma ormai ho preso questa decisione >> disse, << Perché non cerchi di accettarla, invece che tenermi il muso in questo modo? >>.

 

<< Accettarla? >> disse Xander, allibito, << Come pensi che faccia ad accettare il fatto che tu voglia tornare a fare la pilota clandestina, quando credevo volessi chiudere, eh? Come faccio ad accettare che tu ti vada a cacciare nei guai? >>.

 

<< Lo so, hai ragione, ma non mi caccerò nei guai >> disse Irina, << Non sono stupida, farò attenzione… McDonall l’ha detto, non sarò da sola, mi staranno dietro… >>.

 

<< Certo, certo >> disse Xander, superando un’utilitaria nera, << Ti staranno dietro… Nessuno ti starà dietro, quando sarai là. Quando verrà il momento, non potrai certo prendere il telefono e chiamare McDonall per chiedergli cosa dovrai fare, non… >>.

 

<< Allora mi credi così stupida >> lo interruppe Irina, irritata, << Pensi che non sia abbastanza intelligente? Se è così, dillo chiaramente, perché non mi offendo, sai? >>.

 

Xander scosse il capo. << Non penserei mai una cosa del genere… >>.

 

<< Allora smettila di trattarmi così, perché mi fai male! >> gridò Irina.

 

<< Sei tu che non capisci! >> sbottò Xander, portandosi una mano alla fronte, esasperato. Infilò la rampa che portava a una piazzola di sosta e fermò la Ferrari sotto un solitario albero spoglio. Se dovevano chiarire, era meglio farlo in un posto tranquillo e soprattutto non lungo l’autostrada. Spese il motore e si voltò verso Irina.

 

Sperava di poter essere il più chiaro possibile, e che Irina capisse fino in fondo. Lo sapeva che era stato cattivo, aggressivo ed egoista, ma credeva che la sua reazione fosse in parte giustificata da i rischi che lei avrebbe corso.

 

<< Ho paura che ti succeda qualcosa, mi capisci? >> disse guardandola negli occhi da cerbiatta, << E che io sia da tutt’altra parte mentre tu sei in pericolo… >>.

 

Irina si addolcì, le labbra che si piegavano impercettibilmente. << Ma cosa dovrebbe succedermi? >> sussurrò, << Non è che le cose devono sempre andare male… Pensa positivo, no? >>.

 

Xander avvicinò al viso al suo, desideroso di farle sentire tutta la sua preoccupazione. << Senti, io lo so come funzionano le cose… >>.

 

<< Anche io. Ci ho passato due anni della mia vita >>.

 

<< Ecco, appunto >>. Xander era esasperato. << Mi dici dove la trovo un’altra come te, se ti succede qualcosa? >>.

 

<< Da qualsiasi altra parte >> rispose Irina, quasi divertita, << Ci sono migliaia di ragazze che farebbero al caso tuo, molto meno lagnose e problematiche di me >>.

 

<< Non è vero >> ribatté Xander, << Se ti succedesse qualcosa, impazzirei, lo sai? Mi chiedi di capirti, ma tu prova a capire me >>.

 

Irina lo guardò intensamente, gli occhi che si muovevano sul suo volto. Era seria, serissima, quasi addolorata.

 

<< Lo so cosa stai provando, Xander >> sussurrò, << Lo so bene. E’ la stessa cosa che ho sempre sentito io quando te ne andavi… Ma ora so anche cosa provi tu. L’unica cosa che posso dirti è di fidarti di me. Io mi sono sempre fidata di te, no? Provaci, e se mi dovesse succedere qualcosa, potrai dire “te lo avevo detto!” >>. Assunse un’espressione divertita.

 

Xander rimase in silenzio, ma non riuscì a nascondere il sorriso che gli affiorò sulle lebbra. Era incantato dall’espressione innocente di Irina, dalle fossette che gli si erano formate sotto il mento, dalle sue labbra morbide…

 

<< Vorrei dirti che invece non ti verrò a prendere, lo sai? >> sussurrò, << Ma so benissimo che anche se finissi in Siberia e io fossi ancora qui, prenderei la macchina e ti verrei a salvare senza pensarci due volte… >>.

 

Irina gli solleticò il mento. << Per favore, smettila di trattarmi male, ok? Qualche mese e torna tutto come prima >>.

 

Xander sbuffò. << Allora spero che passino in fretta, anche se so che saranno lentissimi… >>. Rimise in moto la Ferrari e fece retromarcia. << Lo hai già detto a tuo padre? >>.

 

<< No >> rispose Irina, << Gli dirò che parto per un soggiorno studio… Non si stupirà troppo: sa che mi sarebbe piaciuto farlo >>.

 

Xander rientrò in autostrada, dubbioso. Se tutto il piano appariva perfetto, di sicuro una falla da qualche parte c’era: aveva abbastanza esperienza da sapere che quando le cose sembravano andare per il verso giusto, da un momento all’altro tutto poteva precipitare. Per il momento, l’unico problema che vedeva era il possibile compagno per Irina.

 

La guardò con la coda dell’occhio, mentre il guard-rail dell’autostrada sfrecciava di fianco a loro. Doveva assolutamente trovare qualcuno da mandare con lei, che fosse abbastanza affidabile. Simon non era disposto ad andare, e non gli rimaneva che riprovare con tutti quelli che aveva già scartato una volta. Prima o poi uno di loro gli sarebbe andato a genio…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 17.00 – Casa

 

<< E così mi stai dicendo che parti qualche mese per andare in Europa per un soggiorno studio? >> disse Jenny, seduta nel soggiorno di casa di Irina, un sopracciglio inarcato e il bicchiere di aranciata in una mano. Sembrava voler scoppiare a ridere, ma evitasse di farlo solo per una sorta di inibizione nei confronti di Todd, in piedi poco più in là.

 

<< Sì >> rispose Irina, sapendo benissimo che l’amica aveva colto già tutto ancora prima che lei provasse a negare.

 

<< Di preciso, dove andrai? >> chiese Todd, che stava ascoltando con interesse e un pizzico di preoccupazione la loro discussione. Gli aveva già anticipato la cosa poco prima, ma aveva tralasciato alcuni dettagli per darsi il tempo di montare una scusa abbastanza convincente.

 

<< In un’università di Parigi >> rispose Irina, ricordando che McDonall le aveva detto di dire così, << Seguirò alcuni corsi, e mi daranno una stanza nell’istituto… Niente di particolarmente preoccupante >>.

 

Jenny posò il bicchiere sul tavolino, lanciandole un’occhiata eloquente. Era brava a riconoscere le sue bugie quasi quanto Xander. Todd, invece, apparve sollevato.

 

<< D’accordo, se ti fa piacere andare è giusto che tu ci vada >> disse, << Quanto starai via? >>.

 

<< Un paio di mesi >> rispose Irina, stringendosi nelle spalle, << Dipende da quando dureranno i corsi e dagli esami che dovrò dare… >>. Jenny sembrava trattenersi dal ridere.

 

<< Va bene >>. Todd sorrise. << Ne riparliamo dopo, ma so che sei abbastanza intelligente da guardarti da sola >>. Le rivolse un cenno e lasciò la stanza, sotto lo sguardo delle due ragazze che non aspettavano altro.

 

<< Davvero credi di potermi fregare con una scusa così scema? >> sussurrò Jenny, appena suo padre fu sparito oltre la porta, << Soggiorno studio… Quando ne hai mai fatto richiesta? >>. Si sporse verso di lei, pronta a condividere tutte le informazioni che era disposta a darle.

 

Irina le rivolse un’occhiata. << Jenny, non rendermi le cose ancora più difficili… >> disse a bassa voce, << Non posso parlarne. Fai almeno finta di credere a quello che ti ho detto >>.

 

L’amica assunse un’espressione complice. << Uhm, segreti… Era da un po’ che non nascondevi qualcosa a qualcuno… Cosa vuoi combinare? >>.

 

<< Non te lo posso dire, Jenny, ma ha a che fare con ciò che ero due anni fa… >> rispose Irina, guardando verso la porta della cucina, sperando che suo padre non decidesse di tornare proprio in quel momento.

 

L’espressione di Jenny mutò in un attimo: dall’estatica che era, divenne spaventata. I suoi occhi scuri la scrutarono, forse incerti di ciò che era appena stato detto.

 

<< Stai scherzando, vero? >> soffiò, un mezzo sorriso sul volto dalla carnagione scura.

 

<< No, non sto scherzando >> disse Irina, seria, << Mi hanno chiesto di fare una cosa, non posso dirti altro. Se saprai qualcosa, sarà Jess a dirtelo, perché io non sono autorizzata a farlo >>.

 

Fece una smorfia. Bene, cominciava a parlare come un’agente dell’F.B.I.: iniziava a calarsi nella parte… Se qualche mese prima avesse saputo di trovarsi in una situazione del genere, non ci avrebbe creduto. Lasciò vagare lo sguardo sui mobili del soggiorno, rendendosi conto che quella era una delle cose che non aveva valutato prima di accettare…

 

<< Ma sei pazza?! >> sibilò Jenny, riscuotendola, << Non puoi rimetterti in quel giro dopo tutto quello che è successo… >>.

 

Stessa identica frase che le aveva detto Xander decine di volte, neanche avesse due anni… Possibile che tutti credevano che non fosse in grado di pensare con la sua testa? La innervosiva molto il fatto che la considerassero quasi un’incosciente… Aveva pensato prima di accettare, aveva ragionato, mica si era lanciata a capofitto in quella cosa…

 

<< Non ti ci mettere anche tu >> la interruppe Irina, << Ci ha già pensato Xander, a farmi la ramanzina. Promettimi solo che farai credere in giro che io sia veramente partita per la Francia… >>.

 

<< E tu non sarai in Francia, immagino >> concluse Jenny, amareggiata.

 

<< No >>.

 

<< Spero che tu sappia veramente quello che stai facendo >> sussurrò l’amica, << Perché io non lo so… Non cacciarti nei guai, solo questo >>.

 

Irina guardò l’amica, ricordando di quando lei era ancora Fenice e di quanti segreti le avesse nascosto. Si ritrovava di nuovo a farlo, a far calare un muro tra loro per salvaguardare Jenny e tutti quelli a cui voleva bene. Ma lo aveva voluto lei, questa volta.

 

<< Non mi caccerò nei guai >> disse, fissando senza vederlo in televisore spento. << Stavolta sarò io a seminare problemi… Le parti si sono invertite, e io so esattamente quello che sto per fare… Anche se tutti pensano il contrario >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Allora… Bé, come vedete i nostri due “piccioncini si trovano in posizioni completamente diverse: Irina è sicura di quello che sta facendo, Xander invece non ci pensa proprio a mandarla in Russia… A parte questo, però, abbiamo avuto modo di vedere cosa ci sarà da fare a Mosca, e abbiamo conosciuto due nuovi personaggi, che non so nemmeno io che ruolo avranno in tutta questa storia ( e meno male che sono l’autrice…).

Quanto a Dimitri, è ancora tutto da vedere, e William… Bé, William sa meglio di tutti quello che vuole in questo momento. La domanda è: cosa farà a scappare? Lo vedrete, e mi direte. Anche perché lo Scorpione non è incline alle cose facili.

Che altro dire? Non saprei, lascio a voi i commenti. E mi scuso perché oggi non rispondo alle recensioni: sono svogliata al massimo, sarò sincera, perché la mia frenetica vita da universitaria mi ammazza… Lasciatemi comunque qualcosa, mi farà molto piacere.

 

Ringrazio tutti coloro che seguono e hanno messo la fic in preferiti, seguite o ricordate.

 

Un bacio a tutti voi!

 

 

P.S.: sto per scendere a correre… Se vedete una che sfreccia come una pazza in mezzo alla strada vestita da rapinatrice sono io, non vi spaventate!

 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Capitolo VII

Capitolo VII

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 14.00 – San Francisco, Sede F.B.I.

 

Irina guardò la pistola che Xander teneva in mano, l’espressione seria e quasi arrabbiata. Le fece cenno di entrare nel cubicolo del poligono di tiro, il bersaglio a forma di sagoma umana a una trentina di metri da loro, e si piazzò dietro di lei. Il suono di un proiettile riverberò tra i muri della stanza, facendola sussultare.

 

<< Ti ricordi ancora come si spara? >> chiese Xander, puntando la pistola per farle vedere la posizione corretta.

 

Irina annuì. << Sì, ma non so se sono ancora capace… >> rispose, ricordando che dall’ultima volta che aveva impugnato una pistola dovevano essere passati più o meno tre anni, e che non aveva mai davvero sparato a nessuno. A parte quella volta che si era trovata faccia a faccia con William, con intenzioni tutt’altro che amichevoli nei suoi confronti…

 

Xander le passò l’arma, e lei imitò la sua posizione: braccia tese, gambe larghe e sguardo puntato sul bersaglio. Per un momento si sentì stupida, ma gli occhi di Xander erano serissimi e non sembravano vedere quanto dovesse essere ridicola.

 

<< Spara >> ordinò secco, << Cerca di colpirlo a una gamba >>.

 

Irina prese per bene la mira, sperando di non andare a colpire qualche lampadario, o ancora peggio, una delle sagome degli altri tiratori. Era il caso di metterci un po’ di impegno, visto che le sarebbe sicuramente tornato utile saper maneggiare un’arma…

 

Deglutì, poi alzò il dito e premette il grilletto.

 

La sala venne invasa dal suono dello sparo, rimbombando per qualche istante sulle pareti grigie. Sentì il contraccolpo tentare di spingerla indietro, ma tenne ferme le gambe e riuscì a non muoversi. Non guardò nemmeno il bersaglio, per paura di scoprire di non averlo nemmeno sfiorato.

 

<< Bé, almeno hai un po’ di mira… >> commentò Xander.

 

Irina gli rivolse un’occhiata interrogativa, e lui le fece cenno di guardare il bersaglio. Con suo grande stupore, notò di aver colpito in modo perfetto la gamba della sagoma, dove campeggiava un bel buco rotondo proprio sopra il ginocchio.

 

<< Oh… >>. Sorrise, soddisfatta. Non era proprio una schiappa, allora.

 

<< Colpisci l’altra >> ordinò Xander, forse convinto che si trattasse tutto di un caso fortuito.

 

Irina tornò a puntare l’arma sul bersaglio, e colpì esattamente i punti che Xander le chiese, senza sbagliare o comunque mancandoli appena, con crescente soddisfazione.

 

<< Bé, non sono andata male… >> disse lentamente, un piccolo sorriso sulle labbra.

 

<< L’importante è che tu sappia colpire per difenderti >> commentò Xander, togliendole la pistola dalle mani, ormai scarica, quasi seccato, << E’ meglio che eviti di ammazzare qualcuno… A quello ci penso io. E in ogni caso ricordati che sparare da fermi e in tutta tranquillità come adesso è molto più facile >>.

 

Irina sbuffò, leggermente contrariata dal fatto che continuava a essere scontroso. << Ok… >>.

 

<< Non dimenticare di mettere la sicura quando non usi la pistola, e cerca di non tenerla a vista >> disse lui, ignorando il suo sbuffo. Le mostrò come fare e rimise in tasca l’arma, , guardandola stranamente. << La tua macchina è a posto >> continuò, << Puoi andare a prenderla, se vuoi >>.

 

Irina sorrise: era una settimana che la vedeva, e si era chiesta con una certa apprensione cosa stessero combinando i meccanici di Xander. << Davvero? Cosa le hai fatto? >> chiese, seguendolo lentamente fuori dal poligono, diretti alla macchinetta del caffè disposta alla fine del lungo corridoio bianco, dove riecheggiavano ancora i rumori attutiti degli spari.

 

<< Solo qualche modifica >> rispose laconico Xander, mettendole una mano dietro la schiena per spingerla verso le scale. << Andiamo di sotto >>.

 

Tornarono nel garage sotterraneo, dove la Punto era stata parcheggiata in un angolo in mezzo a due alte colonne di cemento, tirata a lucido. Le quattro frecce si illuminarono mentre Xander la apriva, e Irina cercò di capire dove fossero le modifiche di cui aveva parlato.

 

<< Sembra uguale a prima… >> mormorò, passando la mano sul cofano.

 

Xander fece una smorfia. << Sembra, appunto >> disse lui. Diede un colpo con la mano al finestrino e commentò: << Vetro antiproiettili >>.

 

Irina fece come lui, accorgendosi che in effetti il parabrezza era più spesso di quanto ricordasse, e anche leggermente più scuro, come se il vetro fosse di una tonalità di grigio chiarissimo.

 

<< Ho fatto montare un antifurto satellitare e una microspia >> disse compiaciuto Xander, << Sapremo sempre dov’è la macchina e cosa viene detto all’interno. Abbiamo cambiato gomme e liquidi del motore, e sotto il sedile anteriore del passeggero c’è un kit di emergenza: pistola e telefono cellulare in caso di evenienza. E un paio di microspie se decidi che possano servirti >>.

 

Irina girò intorno all’auto. << Perché avete cambiato gomme e liquidi? >> chiese.

 

<< In Russia la temperatura è molto diversa da quella che c’è qui >> rispose Xander, << Fa molto più freddo e l’olio e la benzina potrebbero congelarsi. E c’è sempre molta neve, quindi hai bisogno di pneumatici che tengano di più la strada in quelle condizioni >>.

 

<< Oh >>. Irina si diede della sciocca: avrebbe dovuto pensare lei, a quello. << Grazie… >>. Esaminò le nuove gomme Goodyear, notando che erano molto più dentellate delle precedenti, in modo da far scolare via l’acqua e i detriti durante la marcia.

 

Xander fece un’altra smorfia. << Non mi ringraziare >> borbottò, << Era il minimo che potessi fare per renderti le cose un po’ meno pericolose… Ti sto cercando un compagno >> aggiunse all’ultimo.

 

Quando le avevano “proposto” Dimitri, aveva ritenuto che potesse essere utile, anche se aveva ammesso che la cosa la turbava abbastanza. Ora però che sapeva che non sarebbe stato la sua spalla, si sentiva sollevata: non era sicura di essere in grado di tenergli testa, né tantomeno di riuscire a evitare che scappasse o facesse di testa sua. Era meglio qualcuno di meno utile, ma decisamente più collaborativo.

 

<< Hai trovato qualcuno? >> chiese, curiosa. Non aveva problemi a stare con qualcuno che non conosceva, e sperava solo fosse una persona con la testa sulle spalle.

 

<< No >>.

 

Xander sembrava piuttosto scocciato: evidentemente non c’era nessuno che rispondesse ai suoi gusti. Le lanciò le chiavi dell’auto, e lei le prese al volo.

 

<< Andare laggiù non è una passeggiata >> continuò, << E non posso farti accompagnare da qualcuno che potrebbe peggiorare la situazione. E’ tutta gente che non conosci, e potresti anche trovarti male… Ci va una certa conoscenza reciproca, altrimenti finireste per fare due cose diametralmente opposte nello stesso momento. Perché credi che io preferisca lavorare da solo, quando la missione è difficile? >>.

 

<< Se non c’è nessuno, posso anche andare da sola >> propose Irina, avvicinandosi alla Punto. << Desterei meno sospetti, forse… >>. Visto che era l’unica che si era salvata dalla polizia, sarebbe anche stata l’unica a presentarsi a Mosca con l’intento di liberare Challagher.

 

Si aspettava che Xander dicesse subito no, invece lo vide storcere il naso e voltarsi nervosamente, quasi stesse cercando di trattenersi dal dire qualcosa di cui si sarebbe pentito.

 

<< Potrei darti ragione >> borbottò, << Ma ho ancora tempo per pensare a una cosa >>.

 

<< A cosa? >> domandò Irina.

 

Xander scosse il capo. << Ho un’idea, ma non sarebbe da me fare una cosa del genere… >> commentò, << Finché non ho deciso non se ne fa nulla >>.

 

Notando che parlare di quella cosa lo innervosiva ancora di più, Irina decise di lasciar perdere. Sperava solo che Xander non avesse in mente qualche piano folle o avventato che era sicuramente in grado di mettere in atto. Sarebbe tornata all’attacco in un altro momento, quando fosse stato più tranquillo. Aprì la porta della Punto e fece per salire.

 

<< Vorrei provare la macchina. Posso? >> chiese.

 

Xander si avvicinò e si abbassò alla sua altezza, e un piccolo ghigno gli si disegnò sul volto. Doveva avere qualcosa in mente, perché la sua espressione mutò in lampo.

 

<< Anche io ho voglia di sverniciarti >> sussurrò, << Ti meriti una bella lezione, per tutto quello che mi stai facendo passare… >>.

 

Irina sorrise e lo afferrò per il mento, avviluppandolo in un bacio piuttosto passionale.

 

<< Non essere troppo cattivo, però >> soffiò un attimo dopo, solleticandogli la barba corta corta.

 

<< Invece lo sarò >> disse, allontanandosi e raggiungendo la Ferrari, << Chi arriva primo al casello di Livermore vince. E tanto tu mangerai la mia polvere >>. Ghignò.

 

Irina fece rombare il motore della Punto. << Dici? Ti aspetto lì, carino >>.

 

Schizzò avanti, raggiungendo l’uscita del garage. Le ci volle un attimo per imboccare la statale, e ritrovarsi i fari della Ferrari 458 di Xander nello specchietto retrovisore. Quella macchina era dannatamente veloce…

 

Si spostò a destra, cercando di bloccargli la strada e intanto guardava le indicazioni stradali. Per guadagnare qualche metro non aveva avuto modo di impostare il navigatore che le aveva lasciato McDonall. Raggiunse il casello, la Ferrari rossa che andava in quello alla sua sinistra per poter partire fianco a fianco. Lo vide fermarsi poco dopo la barra, in attesa.

 

Irina fermò la Punto alla sua stessa altezza: non era quello che intendeva, dicendo di voler provare la macchina, ma non si sarebbe mai tirata indietro. In fondo, era lì per correre…

 

<< McDonall ci ucciderà >> disse, abbassando il finestrino e lasciando entrare nell’auto un soffio di aria fredda.

 

Xander fece altrettanto, l’espressione furba e provocante quanto faceva finta di fare il duro con lei. << Non ha importanza. Pensa a dimostrarmi che sei ancora brava a guidare >> disse sorridendo.

 

Si stava divertendo anche lui, soprattutto perché sapeva di essere più forte di lei. Merito di tutto l’allenamento che faceva durante le sue missioni… Si sfidavano sempre così, quando affittavano un circuito privato per correre. Ma ora che la gara era veramente clandestina, su una strada pubblica, Irina si sentiva ancora di più nel suo ambiente.

 

<< Non ho mai smesso di esserlo >> ribatté lei, stringendo il volante. Si accorse che il casellante li stava guardando perplesso, intuendo probabilmente cosa avevano intenzione di fare.

 

<< Cosa ci giochiamo, carina? >> domandò Xander, facendole il verso.

 

<< Quello che vuoi >> rispose Irina, ghignando.

 

<< Bene… Se vinco, stasera tu vieni a casa mia >> propose Xander, << E ci rimani tutta la settimana, finché non sarà ora di partire. Tutta a mia disposizione, senza marmocchi di mezzo >>.

 

Irina annuì, trattenendosi dal ridere. << D’accordo >> disse, << Ma se vinco io… Se vinco io mi regali una Ferrari California bianca, ci stai? >>. Era una richiesta eccessiva, ma sapeva che non avrebbe vinto, e lo faceva apposta per rendere tutto più divertente.

 

Xander ammiccò. << D’accordo, carina. Ci vediamo al traguardo >>.

 

Irina affondò il piede sull’acceleratore, facendo scattare avanti la Punto, il rombo inconfondibile della 458 al suo fianco. Avevano già gareggiato l’uno contro l’altro, ma questa volta la competizione aveva lo stesso sapore di quando si erano sfidati due anni prima, quando Xander stava scalando la Black List e le aveva chiesto di non farlo vincere troppo facilmente…

 

Quando affrontò un sorpasso, si accorse della differenza di tenuta dovuta alle gomme diverse: sull’asfalto perfettamente asciutto scivolavano leggeremente, e facevano più rumore mentre rotolavano. Vide il rosso della Ferrari baluginare alla sua sinistra, la mano di Xander stretta sul volante, gli occhi puntati sulla strada.

 

“Eh no, non ci sto a farmi battere così facilmente…”.

 

In un attimo, Irina sentì scorrere di nuovo tutta l’adrenalina che l’aveva sempre accompagnata durante le gare, l’incoscienza che aveva sempre fatto parte di lei e che l’aveva aiutata a diventare la numero tre della Black List. E anche quell’orgoglio che sapeva appartenere a Fenice, che non le avrebbe mai permesso di regalare la vittoria a nessuno.

 

Accelerò e inserì la marcia, il cambio rapissimo e i piedi che si muovevano suoi pedali di alluminio alla velocità della luce. La Punto schizzò ancora in avanti, la lancetta del contagiri che girava impazzita.

 

<< Ora ti faccio vedere io… >> disse tra i denti, gettando uno sguardo verso Xander.

 

Zigzagò tra le poche auto che percorrevano tranquille l’autostrada, il cielo limpido sopra la sua testa. La Ferrari la seguiva a ruota, facendole i fari per provocarla.

 

Se era tornata a essere Fenice per vivere quello, avrebbe dovuto farlo molto prima. Sorrise mentre superava un furgone, fianco a fianco alla 458 di Xander, la radio sparata a tutto volume.

 

“Forse vincerai tu, ma ti assicuro che sarà la vittoria più difficile che tu riuscirai a conquistare…”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 13.00 – San Francisco, Sede F.B.I.

 

“E’ contro ogni logica. Non posso sperare che mandare lui migliori le cose… E dire che ero stato anche categorico: rimarrà nella sua cella…”.

 

Xander lanciò la pallina di carta che aveva fatto con la lista dei possibili compagni per Irina e la lanciò verso il cestino abbandonato in un angolo dell’ufficio, facendo canestro. Teneva i piedi appoggiati alla scrivania come al solito, il monitor del pc spento e senza vita. Il riscaldamento ronzava impercettibilmente e faceva da sottofondo.

 

Dieci giorni. In dieci giorni non aveva trovato nessuno che faceva al caso suo, esattamente come la prima volta. Lasciò vagare lo sguardo per la stanza, innervosito dalla piega che aveva preso quella storia.

 

Alla fine aveva dovuto pensarci, e valutare la proposta: mandare Dimitri insieme a Irina. Era da pazzi, da stupidi, ma era arrivato a porsi quella domanda: meglio mandarla da sola, oppure con il russo che in fin dei conti gliela aveva fatta trovare viva due anni prima?

 

Sicuramente Dimitri conosceva Mosca e i suoi abitanti, ed era oltretutto il nipote di Goryalef: con lui, la strada verso la fantomatica “Lince” era quasi spianata. Ma era anche l’ex braccio destro di Challagher, aveva cercato di ammazzarlo quando avevano gareggiato insieme e non si era mai rivelato molto collaborativo.

 

Però ricordava molto bene il discorso che il russo gli aveva fatto dopo essere stato arrestato: aveva deciso di tradire Challagher perché in qualche modo lo considerava migliore dello Scorpione, come se il nuovo numero uno della Black List fosse lui. Aveva parlato di orgoglio, di fedeltà, e anche di compassione verso di Irina che aveva patito tanto solo perché aveva avuto la sfortuna di imbattersi in Challagher. Gli aveva dato l’idea di non essere poi così male come aveva creduto…

 

“Non è così idiota da lasciarsi sfuggire la possibilità di scappare. Potrebbe mentire e poi approfittare per darsela a gambe… Rimane pur sempre un ex pilota, e dopo due anni in cella sarà disposto a tutto pur di fuggire”.

 

In ogni caso non aveva altra possibilità: l’unico che gli rimaneva era Dimitri. Aveva bisogno di qualcuno che assicurasse Irina di una certa protezione, che conoscesse l’ambiente e che fosse abbastanza bravo da riuscire a cavarsela là in mezzo. Il russo rispondeva a quei requisiti: era stato il numero due della Black List, era nato a Mosca e non sembrava proprio il tipo da dover temere qualcosa stando là in mezzo.

 

Xander sbuffò e prese il telefono fisso in mano, guardando la porta chiusa. Andava contro ogni logica e anche contro il suo orgoglio, e nonostante trovasse Dimitri adatto per quella cosa non si fidava certo di lui. Gli era stato in qualche modo grato per la faccenda di Irina, ma risaliva tutto a due anni prima, e il russo poteva aver benissimo cambiato atteggiamento.

 

“E’ inutile che rimanga qui a filosofeggiare su tutta questa storia. Non mi rimane che andare a parlare con lui, e vedere come reagisce”.

 

Compose il numero interno che corrispondeva all’ufficio di McDonall e attese che il Vicepresidente rispondesse.

 

<< Cosa c’è, agente Went? >> gracchiò il microfono del telefono.

 

<< Devo parlare con Dimitri Goryalef >> rispose Xander, neutro, << Ho bisogno della sua autorizzazione per avere un colloquio privato con lui >>.

 

McDonall tacque per qualche istante, preso alla sprovvista.

 

<< Va bene, passi a ritirarla da me adesso >> disse, << Ma come mai, se non sono indiscreto? >>.

 

<< Le spiegherò tutto più tardi, se questo incontro mi convincerà abbastanza >> rispose Xander, << E’ un problema per lei se vado ora? >>.

 

<< No, no, vada pure >> disse McDonall, << Ma venga a riferirmi il suo piano, perché sono curioso di sapere cosa le passa per la testa >>.

 

<< D’accordo >>.

 

Xander chiuse la telefonata e prese le chiavi dell’auto.

 

“Questa è al conferma che stiamo diventando tutti pazzi, compreso me”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 14.30 – Carcere di Sacramento

 

<< Devo vedere Dimitri Goryalef >> disse Xander, mostrando il tesserino alla guardia che gli sbarrava la strada, davanti alla porta a due battenti che li separava dal corridoio delle celle. << Ho il permesso per una conversazione privata >>. Gli passò il foglio firmato di McDonall e attese.

 

Il poliziotto esaminò il documento, poi tirò fuori un mazzo di chiavi e gli aprì la porta. Il corridoio dal pavimento marrone e poco illuminato si stagliò davanti a loro, desolante, un rumore metallico di qualcosa che sbatteva faceva da sottofondo.

 

<< Ultima cella a sinistra >> disse la guardia, riconsegnandogli il foglio. << Il mio collega le aprirà le sbarre >>.

 

Xander varcò la porta e percorse il corridoio, ignorando tutti gli altri detenuti rinchiusi nei loro buchi, lo sguardo puntato in fondo. Non gli piaceva essere lì, vista la situazione, e odiava il modo con cui i carcerati lo fissavano quasi fosse venuto da un altro mondo. Non se la passavano bene, lo sapeva, ma non provava niente per loro tranne che disprezzo: se erano là dentro, significava che avevano commesso degli errori che dovevano pagare.

 

Arrivò davanti alla cella, l’altro agente che aspettava in piedi nella sua uniforme verde bottiglia, il manganello appeso alla cintura. Attese un istante prima di guardare dentro.

 

Dimitri Goryalef, occhi grigi e capelli castano-ramati, esattamente uguale a come lo ricordava, era sdraiato per terra, le mani dietro la nuca, a fare i piegamenti che forse gli servivano per non perdere del tutto la sua prestanza fisica. Appena il russo lo vide, stagliato in piedi davanti alla sua cella, si bloccò e fece una smorfia.

 

<< Quanto tempo, Went >> disse, il tono di voce roco come sempre, ma stranamente più profondo. Con un mezzo salto si rimise in piedi, e si asciugò il collo con un asciugamano appoggiato al letto singolo che era incastrato in un angolo. Nella cella non c’era quasi nient’altro, a parte la porta del minuscolo bagnetto e un armadio con una sedia.

 

<< Già, è un po’ che non ci vediamo… >> disse Xander, fissandolo poco amichevolmente.

 

Dimitri si voltò di spalle, gettando da parte l’asciugamano, una chiazza di sudore sulla maglietta grigia e stropicciata. << Cosa ci fai qui nei bassi fondi? >> chiese, il tono strafottente.

 

<< Lo sai, perché sono qui >> rispose Xander, e fece cenno alla guardia di aprire le sbarre.

 

Quando Dimitri sentì scattare la serratura si voltò di colpo, e sul viso gli si dipinse un’espressione divertita. Rimase fermo mentre il poliziotto gli metteva le mani dietro la schiena e lo portava fuori, sotto lo sguardo di Xander. Sembrava trovare la sua visita come una sorta di scherzo, ma non accennava a muoversi per tentare qualche gesto strano.

 

Vennero condotti fino a una stanzetta che di solito era usata per gli interrogatori, senza finestre né altro arredamento se non due sedie divise da un tavolino metallico quadrato. Al soffitto era appesa una misera lampadina che illuminava il tutto, gettando bagliori sulle crepe nel muro bianco.

 

Xander scostò la sedia, rompendo il silenzio con lo stridere dei piedini sul pavimento. Senza una parola, Dimitri venne fatto sedere, e la guardia se ne andò in silenzio, facendogli un cenno per dire che se aveva bisogno doveva solo chiamare. Si chiuse la porta alle spalle, e Xander rimase in piedi, lo sguardo fisso sul russo. Era ora di tirare fuori di nuovo le sue doti di mediatore.

 

<< Un certo White è venuto a parlare con te >> disse, << A farti una proposta… >>.

 

Dimitri allungò le gambe, apparentemente disinteressato. Sembrava divertito da quella cosa, come se dentro di sé li stesse prendendo in giro.

 

<< Mi ricordo perfettamente cosa mi ha chiesto >> borbottò, << Immagino tu sia venuto qui per dirmi che non se ne fa nulla… >>. Si stiracchiò il collo, facendo scrocchiare le ossa sinistramente.

 

Xander andò a sedersi di fronte a lui, per nulla stupito dal suo atteggiamento distaccato.

 

<< Infatti McDonall non ti vuole nella missione >> rispose, << E se White non ha la sua autorizzazione deve per forza rinunciare. In poche parole, sei fuori da questa cosa, perché né io né McDonall ci fidiamo abbastanza di te >>.

 

<< Allora perché sei venuto? >> domandò Dimitri, seccato.

 

<< Perché io ti voglio in questa cosa >> ringhiò Xander, fissandolo minaccioso.

 

Il russo gli rivolse un’occhiata, il sopracciglio inarcato davanti al controsenso.

 

<< Cosa vuoi dire? >> biascicò.

 

<< Devi accompagnare Irina in Russia, ma non lo devi fare per White o McDonall. Lo devi fare per me >>.

 

Dimitri fece una smorfia. << Per te? E per quale motivo? >> chiese, sprezzante.

 

<< Lo stesso per il quale hai deciso di aiutarmi quando dovevo prendere Challagher >> rispose Xander.

 

Dimitri sembrò leggermente sorpreso. << Irina? Non sapevo che centrasse anche lei… >> disse.

 

<< Non te lo avevano detto, chi avresti dovuto accompagnare? >> chiese Xander, perplesso e stupito. Dall’espressione del russo capì che non stava mentendo.

 

<< No >>.

 

Forse White non aveva voluto dargli l’idea che il suo compagno era qualcuno che non avrebbe potuto ostacolarlo più di tanto, in modo da non spingerlo ad accettare con l’idea di potersi sbarazzare facilmente dell’agente dell’F.B.I. che avrebbe accompagnato…

 

<< Irina è il nostro agente >> spiegò Xander, << E’ lei che andrà in Russia >>.

 

Dimitri sembrò divertito. << Fenice? Non aveva chiuso, con tutto questo? Non era uscita dal giro? >>.

 

Xander arricciò il labbro. << Sono sorpreso quanto te, da questa cosa >> ammise, << Ma non sono venuto per parlare di lei. Ti sto proponendo di farle da guardia del corpo mentre sarete a Mosca; in cambio, ti faccio dimezzare la pena >>.

 

<< Dovrei rimanere in carcere almeno altri dieci anni >> ribatté Dimitri, << E’ troppo poco per allettarmi per davvero, non credi? >>.

 

Quel russo era furbo. Se gli spettavano trent’anni, ne avrebbe scontati comunque quindici. Erano ancora troppi per indurlo a non fuggire.

 

<< E’ il massimo che posso offrirti >> disse Xander, per vedere come avrebbe reagito.

 

Dimitri si appoggiò allo schienale della sedia, le braccia incrociate.

 

<< Perché dovrei fare da guardia del corpo alla tua ragazza quando lei ci ha fatti sbattere qui dentro? >>. Fece segno con il dito verso il soffitto. << Ha molti più nemici adesso di quando era la cocca dello Scorpione >>.

 

<< Appunto per questo. Se ci sarai tu a darle una mano, rischierà molto di meno >>.

 

Dimitri ghignò. << Ti ringrazio per il complimento, Went, ma non mi sento tentato >> rispose, << Se devo fare da balia a Irina, preferisco starmene qui a farmi i fatti miei. Non ci guadagnerei poi molto >>.

 

<< Ma avresti modo di uscire di qui per un po’, di rimetterti al volante >> ribatté Xander, << Potresti tornare a vivere… Non è una proposta che ti alletta? >>.

 

Dimitri fece una smorfia, e puntò gli occhi grigi su di lui. << Per poi vedermi di nuovo chiuso qui dentro? >> ringhiò, << Vivrei un mese libero e poi verrei riportato in cella. E’ come dire che mi dai altri due giorni di vita e poi mi ucciderai ancora peggio di come avresti fatto prima… Tu cosa sceglieresti, Went? >>.

 

Per quando fosse odioso, in fondo il russo non aveva tutti i torti: sarebbe comunque tornato in carcere, dopo. Perché scomodarsi per fare da spalla a quella che lo aveva fatto arrestare?

 

<< Ti sto offrendo la possibilità di uscire di qui per un paio di mesi, di farti tornare a correre in mezzo alla tua gente e nel tuo paese, e l’unica cosa che ti chiedo è di aiutare Irina >> disse Xander, << In cambio gli anni che ti rimangono da scontare scenderanno a dieci… Non mi sembra un brutto accordo, no? >>.

 

<< Di preciso cosa vuoi che faccia? >> domandò Dimitri.

 

Xander gli rivolse un’occhiata di sottecchi: forse iniziava a essere tentato. Magari avrebbe dovuto scontare ancora dieci anni, ma erano comunque molti meno di quelli che gli spettavano. Se non fosse riuscito a fuggire, e lui si sarebbe assicurato che quello non accadesse, ci avrebbe guadagnato qualcosa in ogni caso.

 

<< Devi tenere d’occhio Irina >> rispose, << Fare in modo che concluda al più presto la sua missione senza farsi male. Sai meglio di me come agiscono i tuoi amici russi… >>.

 

Dimitri arricciò il labbro. << Non definirli miei amici >> ringhiò infastidito, << Se lo fossero stati, a quest’ora forse non sarei qui… >>.

 

<< Perché dici questo? >> chiese Xander, perplesso.

 

<< Avrebbero già provveduto a farmi uscire >> rispose il russo, << Ma non faccio veramente parte del loro giro, siccome lavoravo per Challagher, e quindi hanno ritenuto più saggio lasciarmi qui dentro… >>.

 

C’era una nota amara nella voce di Dimitri, quasi di disprezzo. Era chiaro che i rapporti con suo zio non dovevano essere così idilliaci come li aveva immaginati White.

 

<< Vuoi dire che se ti considerano una sorta di traditore? >> chiese.

 

Dimitri fece un’altra smorfia, questa volta a simboleggiare un sorriso che non campeggiava mai sul suo volto. << Non sono così idiota da farmeli nemici >> rispose, << Non sono un traditore, né loro mi considerano tale. Mi accoglieranno bene, ma non sono uno di loro, quindi potrebbero decidere di trattarmi con diffidenza… >>.

 

<< Tuo zio è uno dei referenti >> disse Xander, << Era anche amico di Challagher… Perché trattarti da straniero? >>.

 

<< Informato, eh? >> commentò il russo, sarcastico, << Boris sarà anche mio zio e uno dei referenti, ma non è l’unico. Per lui è sempre stato indifferente che io me ne sia andato, ma gli altri non si fidano di me… Soprattutto se mi vedranno arrivare con l’ex-ragazza dello Scorpione >>.

 

Xander fece una smorfia davanti all’espressione usata per definire Irina, ma non fece commenti.

 

<< Perché te ne sei andato? >> domandò, incuriosito. Dimitri non era il tipo da scappare davanti al pericolo…

 

<< Perché chiedi a me di fare una cosa del genere? >> ribatté il russo, per sviare la sua domanda.

 

Si fissarono in silenzio per qualche istante. Non voleva rispondere, e doveva aver un buon motivo per farlo…

 

<< Sei l’unico che risponde alle miei caratteristiche >> ringhiò Xander.

 

Dimitri si sporse verso di lui, e il tavolino metallico scricchiolò. Puntò gli occhi grigi nei suoi, gelido.

 

<< Mettiamo in chiaro le cose, Went >> disse, << Potrei anche pensare di accettare, ma sappi che non lo farei né per te, né per la tua ragazza. E non credere che in qualche modo io ti sia fedele per via del fatto che hai battuto Challagher: quella spiegazione te l’ho data due anni fa, e le cose erano completamente diverse. Se lo faccio, è solo perché mi va di farlo >>.

 

<< Allora io ti dico non prendermi per stupido >> ribatté secco Xander, << Se accetti solo per avere la possibilità di scappare, pensaci due volte, perché prenderò tutte le precauzioni possibili e se avrò anche il sentore che tu stia facendo qualcosa di strano ti vengo a prendere personalmente… >>.

 

<< Di solito rispetto i patti >> commentò sarcastico il russo.

 

“Ha tradito Challagher, che era la persona per cui lavorava, figuriamoci se si fa qualche problema a fregare me…”.

 

Gli gettò un’occhiata minacciosa, tenendosi quel pensiero per sé, e poi aggiunse: << E, cosa più importante, Irina non si tocca >>.

 

Dimitri ridacchiò, ora più rilassato. << Se hai paura che cerchi di ammazzarti la ragazza, puoi anche stare tranquillo >> disse, << Non l’ho voluta far fuori quando ne ho avuto la possibilità, e non la farò fuori adesso, anche se ci ha mandati tutti dietro le sbarre. Oltretutto, ti ricordo che sono stato io a permetterti di trovarci >>. Alzò il mento, come a sfidarlo a trovare qualcosa da ribattere.

 

Xander strinse il pugno, innervosito. Sapere che in qualche modo la vita di Irina era dipesa anche da quel russo lo infastidiva. Qualche volta ci aveva pensato, e forse senza Dimitri non l’avrebbe mai trovata in tempo.

 

<< E perché non l’hai mai voluta uccidere? >> chiese.

 

<< Non mi piace prendermerla con chi non si può difendere >> rispose caustico Dimitri, << E anche perché non passo tutto il tempo a pensare alla tua ragazza… Non sono Challagher, io >>.

 

“Cerca di provocarmi in tutti i modi…”.

 

<< White cosa ti aveva chiesto? >> domandò Xander, deciso a evitare quel terreno di scontro.

 

<< Di seguire in Russia uno dei vostri agenti e farlo arrivare il prima possibile alla Lince >> rispose Dimitri, << In cambio mi avrebbe ridotto di un terzo la pena >>.

 

Aveva di fronte due diverse offerte, simili ma non uguali. In una gli veniva chiesto di meno, ma gli veniva anche dato di meno. L’altra lo metteva di fianco alla persona che lo aveva fatto arrestare per salvaguardarne l’incolumità…

 

<< Quale offerta accetti? >> chiese Xander, << La mia, o la sua? >>.

 

Dimitri scosse il capo. << Come fai a sapere che seguirò i tuoi ordini? >> domandò.

 

<< Anche se non sarò con voi, questo non vuol dire che non ti terrò d’occhio >> rispose Xander, << Un passo falso e sei fuori. Ti chiedo di più di White, ti ricompenserò anche di più ma non sono stupido né sprovveduto. Mi servi, questa è la verità, e farò di tutto per incrementare le possibilità di Irina di farcela nella missione… >>.

 

<< Quindi anche se non ti fidi di me sei disposto a mettermi di fianco alla persona a cui tieni di più? >> fece Dimitri, fintamente colpito, << Sapevo che eri un pazzo, Went, ma non così tanto. Se a te va bene così, io accetto. Rispetterò le condizioni che mi detterai, ma non chiedermi di fare da guardia del corpo alla tua ragazza perché non lo farò. Cercherò di non farla ficcare nei guai, è il massimo che mi impegno a fare >>.

 

Non era esattamente quello che voleva lui, ma doveva accontentarsi: già era riuscito a convincerlo, ed era molto. Dimitri gli serviva perché era convinto che in qualsiasi frangente sarebbe stata la persona in grado di prendere la decisione migliore e di metterla anche in atto. Non c’era nessuno più indicato di un pilota clandestino per prevedere le mosse di un altro pilota clandestino.

 

Xander gli porse la mano, l’espressione seria e determinata.

 

<< Allora siamo d’accordo. Si parte tra una settimana. Qualcuno verrà a portarti tutto il necessario >>. Raggiunse la porta, poi aggiunse: << Da domani sei libero. Ti farò trasferire in una stanza d’albergo, per darti tempo di riprendere contatto con la vita normale >>.

 

“E anche per tenerti buono…”.

 

<< E’ un piacere fare affari con te, Went >> lo salutò sarcasticamente Dimitri, mentre lasciava la stanza, l’orgoglio a pezzi e i nervi a fior di pelle.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 20.00 – Casa di Xander

 

Irina si sedette lentamente sul divano, lo sguardo fisso sul tavolino, l’espressione preoccupata.

 

<< Alla fine mi accompagnerà Dimitri… >> disse lentamente, la gola leggermente asciutta.

 

In effetti, era stata contenta quando aveva capito che le possibilità che il russo venisse con lei erano davvero remote, e ora Xander le diceva che invece Dimitri le avrebbe fatto da spalla… Ormai era entrata nell’ottica di dover fare tutto da sola, e sapere di avere il Mastino come compagno la preoccupava un po’. Avrebbe dovuto imparare a trattarlo per il verso giusto…

 

<< Perché hai cambiato idea? >> domandò, guardando Xander mentre si sedeva di fianco a lei. In fondo, sembrava voler uccidere White, quando aveva proposto quella cosa…

 

<< Per quanto mi costi ammetterlo, è quello che sa meglio cosa bisogna fare e cosa non bisogna fare laggiù >> rispose Xander, mettendole una mano sulla spalla, << Potrà dare concretamente una mano… >>.

 

Irina conosceva Xander, e sapeva bene che lui non cambiava mai idea se non ce n’erano fondati motivi: se prima non avrebbe fatto uscire Dimitri dal carcere per tutto l’oro del mondo, e ora accettava che fosse lui ad accompagnarla, sicuramente qualcosa era cambiato. E ancora più chiaro era non le voleva dire nulla.

 

<< Ok, va bene >> disse lei lentamente, << Sono pronta anche a questo, se serve. Però immagino cambierà la tattica, ora che Dimitri sarà con noi… >>.

 

A pensarci bene, con il Mastino dalla loro, potevano sperare in un approccio più rapido con i referenti, perché suo zio era uno di loro.

 

<< Dovrete presentarvi dicendo di essere fuggiti dagli Stati Uniti perché siete ricercati >> rispose Xander, << Che hai saputo che Dimitri era riuscito a fuggire e lo hai voluto incontrare per chiedergli aiuto per far fuggire Challagher… In linea di massima rimarrà tutto uguale a prima, ma dovremo creare per Dimitri l’illusione che sia davvero scappato dal carcere. E’ stato lui a tradire Challagher, ma farà il pentito esattamente come te… Mi è parso di capire che i russi non amassero troppo lo Scorpione, quindi non dovrebbero considerarlo un traditore >>.

 

Doveva ammettere che quei russi erano davvero strani: in due anni non aveva mai capito niente di Dimitri. Era di una freddezza assoluta con tutti, l’aveva sempre disprezzata e poi aveva contribuito a salvarle la vita. Ora si dichiarava pronto a tradire i suoi connazionali in cambio di uno sconto sulla pena… Chissà quante altre sorprese gli avrebbe riservato, in quei due mesi.

 

<< Se hai paura che possa farti qualcosa, non devi temere niente perché ho intenzione di tenerlo d’occhio anche a distanza >> disse Xander.

 

Irina si riscosse. << Oh, no >>. Sorrise. << No, non ho paura di quello. Mi chiedo solo cosa gli passi per la testa. Non lo capisco >>.

 

Xander si appoggiò allo schienale del divano, stanco. << Nemmeno io lo capisco >> disse, << Ma gli auguro di essere stato sincero, perché se cerca di fregarmi se ne pentirà per il resto dei suoi giorni… >>.

 

Irina sorrise, accomodandosi di fianco a lui. Non sarebbe mai cambiato, lo sapeva.

 

<< McDonall cosa ne pensa? >> chiese.

 

Xander sbuffò. << E’ perplesso come tutti >> rispose, << Ma non parliamo di questo… Piuttosto cosa hanno detto gli altri quando gli hai raccontato la tua ingegnosa balla? >>. Alzò gli occhi al cielo, riferendosi alla bugia del soggiorno studio in Europa.

 

<< Mio padre non si è fatto troppe domande >> disse lei, accoccolandosi contro la sua spalla, << Sa che mi sarebbe piaciuto andare all’estero per studiare… Max sembra averci creduto, ma era parecchio sorpreso… E Jenny sa benissimo che le sto nascondendo qualcosa, ma starà al gioco e mi coprirà >>.

 

<< Tanto verrà comunque a saperlo da Jess >> disse Xander, fissando il soffitto, << Basta che non vada a spifferarlo ai quattro venti, poi mi va bene. La prossima settima parti, lo sai? >>.

 

Irina annuì. << Tu quando parti, invece? >>.

 

<< Due giorni dopo >>.

 

Gli venne più angoscia a pensare che doveva andare in missione anche lui, che il fatto di avere Dimitri come spalla. L’unica nota positiva era che almeno sarebbero stati relativamente “vicini”: stavano con i piedi nello stesso continente…

 

<< Che macchina ti danno? >> chiese, per allentare l’apprensione. Era sempre curiosa di scoprire quale supercar si beccasse Xander ogni volta che partiva: sembrava che McDonall gli avesse messo a disposizione un garage infinito, anche se ultimamente non se lo meritava proprio, visto il comportamento che aveva tenuto nei confronti suoi e di White.

 

<< Non lo so, ma se mi rifilano una California bianca cerco di farmela mettere da parte >> disse sorridendo sornione, avvicinando il viso al suo. << Avrai anche perso la nostra gara, ma ti sei rifatta ieri sera… >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Chi si sarebbe mai aspettato che fosse Xander a volere Dimitri nella missione? Invece sì, ha capito che i vantaggi sarebbero stati maggiori dei pericoli: il russo è tra la “sua” gente, sa come muoversi ed è abbastanza pronto e sfrontato per mettere in atto anche le soluzioni più scomode, che di sicuro ci saranno. Il rischio maggiore è che voglia tentare di fuggire, ma Xander ha i suoi metodi, e li sfrutterà fino in fondo.

A parte questo, il prossimo capitolo si va a Mosca… E non anticipo assolutamente nulla. Sappiate solo che ci sarà modo di conoscere molto di Dimitri… Non mi dilungo sull’addestramento di Irina, perché ritengo sia inutile e magari anche noioso: è facile immaginare di cosa si tratta.

 

Naturalmente ringrazio di cuore pinkgirl e Supermimmina per aver espresso la loro preferenza nel concorso “Storia con i migliori personaggi originali” per Il Gioco dello Scorpione: grazie ragazze, non credo vincerò mai, ma mi fa tanto, tanto piacere. Se qualcuno vuole darmi una mano ad arrivare almeno tra i finalisti… Scherzo, non pretendo niente!

 

Pinkgirl: grazie mille per la preferenza! Non me lo aspettavo proprio! Per il resto, preparati perché dal prossimo capitolo ci sarà un po’ più di azione. Fino ad ora non è stato molto avventuroso, ma una volta a Mosca si cambia registro… E, ovvio, sono contenta che ti piaccia! Un bacio grande!

 

EmilyDoyle: cambiano le carte: Dimitri va a Mosca. E cambierà tutto. Eh eh, fammi sapere che ne pensi. Bacio!

 

CriCri88: Xander ha accettato, ma hai visto cosa ha combinato. Ha ingaggiato Dimitri… E Irina la prende molto alla leggera

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Capitolo VIII

Capitolo VIII

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 18.00 – Aeroporto di Los Angeles

 

Xander procedeva spedito lungo il corridoio che li avrebbe portati al gate d’imbarco del volo per Mosca, Irina che gli camminava di fianco silenziosa, e dietro di loro McDonall e Dimitri, più un paio di poliziotti venuti a fare da scorta per il russo. L’altoparlante che annunciava gli orari dei voli che copriva il rumore dei suoi passi sul lucido pavimento di marmo.

 

Era nervoso, e sapeva che tutti se n’erano accorti. Quella storia non gli era piaciuta e continuava a non piacergli, soprattutto ora che doveva lasciare andare Irina e che si rendeva conto di quanta follia ci fosse in quella missione. 

 

Si fermò davanti all’imbarco, dove due hostess erano pronte a effettuare gli ultimi controlli sui biglietti, guardando il tunnel che portava all’aereo con una certa insofferenza. Di solito era lui a passare di lì, l’eccitazione per una nuova missione addosso, e la consapevolezza che Irina era a casa, al sicuro, che dopo aver rischiato la vita fosse pronta a coccolarlo con le sue torte al cocco… Quel cambio non gli piacque per niente.

 

Ad aspettarli, vestito in giacca e cravatta e l’espressione insolitamente truce, c’era Rafail Demidoff, un pesante soprabito appoggiato al braccio e una valigetta ventiquattrore in mano. Fece loro un cenno di saluto, e rimase ad aspettare in silenzio. Come nei patti, avrebbe accompagnato Irina e Dimitri durante il volo, per dargli le ultime dritte ma soprattutto per osservare il comportamento del Mastino e scongiurare eventuali suoi tentativi di fuga.

 

Se prima si era convinto che mandare il russo con Irina fosse la soluzione migliore, ora si rendeva conto che forse non aveva avuto una grande idea. Dimitri si era rivelato poco collaborativo in quei giorni, e particolarmente scontroso oltre che strafottente; però, nonostante lo avessero lasciato in una stanza d’albero da solo, naturalmente controllato a vista, non aveva tentato nemmeno una volta di darsela a gambe. O rispettava davvero i patti, oppure era quello che voleva far pensare.

 

<< Ciò che possiamo fare ora è solo più augurarvi buon viaggio >> disse McDonall, stringendo la mano a Irina, << E chiedervi di usare tutta la prudenza possibile. Al vostro arrivo troverete la Punto nel parcheggio dell’aeroporto di Mosca, e verremo informati su come è andato il viaggio >>. Lanciò un’occhiata a Dimitri. << Dopodichè ci aggiorneremo solo quando necessario. In caso di bisogno, i servizi russi saranno a vostra disposizione >>.

 

Irina annuì. << Va bene… >>. Gettò un’occhiata verso Xander.

 

Lui la ignorò. Voleva salutarla per ultima. Afferrò malamente Dimitri per un braccio e lo trascinò lontano, in modo che nessuno potesse sentire ciò che dicevano.

 

McDonall non era stato particolarmente contento della sua idea sul Mastino, ma aveva accettato solo per farlo stare più tranquillo. Per precauzione, avevano fatto indossare a Dimitri un braccialetto con una microspia e un rilevatore, che glielo avrebbe fatto trovare ovunque e comunque, la cui chiave era in possesso, al momento, solo di McDonall.

 

Il russo ringhiò, fulminandolo con gli occhi. << Finiscila di trattarmi come un cane >>.

 

<<Sta zitto e ascolta cosa ho da dire >>. Xander gli si piazzò davanti, lo sguardo minaccioso. << Fai solo un passo falso, e ti vengo a prendere personalmente, chiaro? Se ho anche solo il sentore che tu stia facendo il furbo, ti chiudo con Challagher per il resto dei tuoi giorni… >>.

 

<< Non sono così idiota da giocarmi la possibilità di uscire prima di prigione >> lo interruppe Dimitri, il labbro arricciato in segno di fastidio. << Non prendertela con me, se la tua ragazza è un’incompetente… >>.

 

<< Invece me la prendo con te >> disse Xander, << Ti mando là solo perché non sarà da sola… La devi tenere d’occhio, chiaro? Sei tu l’esperto di quella zona, quindi fa in modo che non le succeda niente… Se le viene torto anche un solo capello, siete finiti, tutti quanti >>.

 

Il russo doveva avere una incredibile voglia di tirargli un pugno in faccia, a giudicare dalla sua espressione, ma si limitò a guardarlo in cagnesco. Le spalle sotto il suo maglione nero si irrigidirono, mentre i suoi occhi grigi guizzarono per un momento verso McDonall e Irina.

 

<< Se hai così poca fiducia in noi, perché ci stai mandando? >> ringhiò.

 

Xander rimase zitto, colpito da quell’affermazione: Dimitri aveva colto il problema. Però non si aspettava che gli ponesse una domanda del genere.

 

“Appunto, perché vi sto mandando?”

 

Xander lo fissò per un istante, rimanendo il silenzio. La verità era che era l’unica alternativa che aveva, ma non poteva certo dirlo al russo. Doveva dimostrargli che aveva tutto sotto controllo, che non ci fossero margini di errore.

 

<< Controlla tutto quello che fa >> continuò, ignorando la sua domanda, << E soprattutto quello che le danno da bere, chiaro? >>. Ricordava bene cos’era successo quella volta che le avevano rifilato qualcosa di strano nel bicchiere…

 

<< Vuoi anche che la imbocchi quando è ora di mangiare? >> chiese sarcastico Dimitri.

 

<< No >> rispose secco Xander, << Voglio che tu faccia in modo che non le accada niente, sono stato sufficientemente chiaro? Il tuo compito è quello >>.

 

<< Che altro vuoi, Went? >> sbottò Dimitri, << Se mi hai fatto uscire per riempirmi di minacce, potevi lasciarmi la dentro… >>.

 

“E’ una mia impressione, o sembra che preferiva stare in cella?”.

 

<< Tu rispondi a me >> lo interruppe Xander, << Anche se i patti con White non sono questi. Qualsiasi cosa succeda, i miei ordini avranno la priorità su quelli di tutti gli altri, compreso McDonall. Non darmi modo di pentirmi di ciò che ho fatto >>.

 

Dimitri gli diede le spalle senza dire nulla, e raggiunse il gate d’imbarco. Irina li aveva guardati fino a quel momento, gli occhi spaventati puntati su di lui. Xander la raggiunse e la tirò da parte, sentendo che l’ansia saliva.

 

<< Andrà tutto bene, Xander >> disse lei dolcemente, << La stiamo facendo più tragica di quello che è… >>.

 

<< E’ tragico, Irina >> disse lui, << Non voglio che te ne vada laggiù… Potrebbe succedere qualsiasi cosa… >>.

 

Irina sorrise. << Io non faccio tutte queste storie, quando sei tu a partire >> sussurrò, << Starò bene, vedrai. Quando arrivo ti telefono. E poi tra un paio di giorni sarai a San Pietroburgo, magari una volta possiamo incontrarci a metà strada, no? >>.

 

Xander le prese il volto tra le mani, esasperato. Non era così che dovevano andare le cose: avrebbe dovuto essere lui a prendere quell’aereo, e lei a salutarlo…

 

<< Promettimi che non farai sciocchezze, ok? >> disse lui, ignorando lo sguardo di McDonall, << Che farai attenzione, perché ti rivoglio tutta intera come ora, d’accordo? Piuttosto abbandoni la missione, ma ritorni da me… >>.

 

<< Certo che torno da te >> disse Irina, sorridendo quasi pensasse di trovarsi davanti a un bambino, << Non fare così, dai. Tu però nel frattempo non trovarti un’altra ragazza, ok? >>.

 

Xander la tirò vicino e la baciò sulle labbra. << Non posso trovarne un’altra uguale a te… Qualsiasi cosa e ti vengo a prendere >>.

 

Irina li accarezzò la guancia. << Stai tranquillo… E anche tu non fare sciocchezze, quando sarai a San Pietroburgo >> disse, << Non pensare a me, pensa a tornare tutto intero anche tu >>.

 

Xander la abbracciò, l’istinto che gli diceva di non farla partire. Forse era solo suggestione, forse solo il fatto che aveva paura che finisse nei guai, ma aveva un brutto presentimento… Era troppo giovane per andare laggiù…

 

<< Fa’ attenzione, piccola >> sussurrò.

 

<< Anche tu… Ti amo >>.

 

<< Ti amo anche io >>.

 

Irina lo baciò a lungo, esattamente come faceva tutte le volte che si separavano, e Xander assaporò a fondo quel gusto dolce e piccante delle sue labbra, per poterselo portare con sé per un po’ e sentire meno la sua mancanza. Non riusciva a rassegnarsi all’idea di saperla lontana e in pericolo, e non ci avrebbe mai fatto l’abitudine: la conosceva così bene che sapeva che da sola Irina era in grado di combinare qualsiasi danno, soprattutto a se stessa.

 

<< Xander… Dobbiamo andare >> sussurrò Irina, gettando un’occhiata verso l’imbarco, << Lo so che è difficile per te, ma non preoccuparti, ok? Tra due giorni saremo meno distanti, va bene? >>.

 

Lui sfiorò di nuovo le sue labbra. << Cercherò di non farlo, piccola. Quando arrivi telefonami, ok? >>.

 

Irina gli schioccò un ultimo bacio, poi si allontanò di un passo. Aveva gli occhi lucidi, ma non piangeva; cercava di non farlo mai, quando si separavano. Perché Irina era fatta così, donna e bambina al tempo stesso, forte e fragile insieme. Temprata dal dolore ma anche dolce come il miele, con quegli occhi da cerbiatta che gliela facevano apparire come un libro aperto.

 

La guardò abbassarsi e afferrare la piccola valigia che era concessa come bagaglio a mano, i capelli che le nascondevano il volto.

 

“La posso ancora fermare, la posso ancora fermare…”.

 

Rimase inchiodato dov’era, paralizzato. Bastava allungare la mano e afferrarla, prenderla di peso e costringerla a tornare a casa… Era per il suo bene, in fondo.

 

Ma non si mosse. Non si mosse perché sapeva che se si fosse comportato in quel modo, Irina non lo avrebbe mai perdonato: oltre a dimostrarle che non aveva fiducia in lei, l’avrebbe umiliata facendola sentire quasi una bambola. E lui aveva sempre voluto dimostrarle il contrario, da quando stavano insieme.

 

Irina si voltò lentamente, avviandosi verso l’imbarco, con la valigia che sembrava incredibilmente pesante. Xander fissava le sue spalle, senza riuscire a dire nient’altro, finché non la vide inchiodare e girarsi di nuovo verso di lui.

 

“Ci ha ripensato!”.

 

No, Irina non ci aveva ripensato, perché nei suoi occhi, all’improvviso, c’era qualcosa di diverso. Non più da cerbiatta, non più dolci come li vedeva sempre lui… C’era Fenice, dietro quell’espressione determinata.

 

<< Perdonami per quello che sto facendo >> disse lei, << Ma sento che è la cosa migliore per tutti quanti >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Irina guardò il sedile vuoto vicino al finestrino dell’aereo, l’hostess bionda e carina che sorrideva a tutti i passeggeri e indicava i posti a pochi metri da lei, nella sua bella divisa blu oceano.

 

<< Ti siedi, o hai bisogno di una mano anche per questo? >>.

 

Irina si voltò di scatto, Dimitri che le incombeva addosso e Demidoff dietro di lui. Non si era aspettata che il russo fosse migliorato, ma sembrava addirittura più scontroso che in passato, e continuava a esserne ancora intimidita. Quegli occhi grigi sembravano trapassarla da parte a parte nella speranza di fulminarla all’istante.

 

Tuttavia, mostrare paura era l’ultima cosa che doveva fare per dimostrarsi determinata, cosa che in effetti era. Si scostò, alzò il mento per indicare il sedile e disse, serafica: << Quello è il tuo posto >>.

 

Dimitri sbuffò e si sedette, e Irina attese che Demidoff prendesse posto vicino al russo. L’agente però non accennò minimamente a farlo, rivolgendole un’occhiata eloquente.

 

“Ho capito… Tanto vale che scambiamo quattro chiacchere durante il viaggio”.

 

Si sedette di fianco a Dimitri, scrutandolo con la coda dell’occhio. Si erano incontrati qualche giorno prima nell’ufficio di McDonall, ma in quel frangente non si erano praticamente parlati. Visto che dovevano lavorare insieme, forse era meglio che iniziavano a “fare amicizia”.

 

Dimitri si allacciò la cintura, mentre Demidoff si accomodava di fianco a lei e iniziava a sfogliare una rivista. L’hostess stava continuando a mostrare ai passeggeri i loro posti, sorridente, l’orlo della gonna che si muoveva incessantemente mostrando le sue gambe snelle…

 

Metà degli uomini dell’aereo stavano cercando di non farsi vedere mentre sbirciavano ciò che la divisa dell’hostess lasciava vedere, e Irina fece una smorfia. Persino Demidoff, di fianco a lei, gettò un’occhiata.

 

Curiosa di vedere la reazione di Dimitri, lo guardò con la coda dell’occhio. Di sicuro due anni di cella dovevano averlo reso piuttosto famelico, dal quel punto di vista, e Xander doveva saperlo meglio di lei perché l’aveva avvertita di non commettere nessuna imprudenza, ed evitare di provocarlo anche solo inconsciamente.

 

Vide il russo rivolgere lo sguardo sulla ragazza intenta a smistare i passeggeri, squadrarla da capo a piedi con l’espressione imperscrutabile come a valutarla, e poi spostare la propria attenzione fuori dal finestrino dell’aereo, sulla pista.

 

Irina ricordò le voci che giravano su Dimitri riguardo ai suoi gusti difficilissimi in fatto di donne: qualcuno aveva insinuato che fosse gay, ai tempi della Black List, ma lei non ci aveva mai creduto. Challagher una volta le aveva accennato di aver avuto “l’onore” di conoscere una delle ragazze con cui era andato a letto Dimitri, una asiatica di passaggio a Los Angeles.

 

“Non sarà abbastanza carina per i suoi gusti…” pensò.

 

Distese le gambe, guardando svogliatamente gli ultimi passeggeri che prendevano posto lungo l’aereo, la pista che si intravedeva dal finestrino quadrato, il sole ormai basso. Sarebbero state ore molto lunghe, ferma immobile su quella poltrona, perché ci sarebbe voluta tutta la notte per arrivare a Mosca.

 

Appoggiò la testa contro lo schienale, gettando un sospiro a metà tra l’ansioso e il soddisfatto. Era sull’aereo, ormai era fatta.

 

“Chissà quanto tempo ci vorrà prima che mi penta di tutto questo…”.

 

Sbuffò. Si era ripromessa di non pentirsi mai di aver fatto quella scelta, proprio perché aveva sconvolto tutti quanti, persino stessa, ma sapeva che sarebbe stato difficile. Sapeva che, nonostante fosse stata una pilota clandestina per due lunghi anni, non era pienamente conscia a cosa stava andando incontro, che comunque avrebbe sofferto e avrebbe avuto paura…

 

Scosse il capo. No, non ci doveva pensare. Come sarebbero andate le cose, lo avrebbe scoperto presto, e altrettanto presto avrebbe imparato a cavarsela da sola. Solo allora si sarebbe data il privilegio di valutare la sua decisione.

 

Guardò Dimitri, completamente assorto a guardare fuori dal finestrino, e decise di provare a scambiare due parole con lui, visto che Demidoff non sembrava proprio averne l’intenzione: aveva già tirato fuori il suo pc portatile e stava scrivendo qualcosa con aria professionale.

 

<< Di preciso, dove si trova il tuo appartamento? >> domandò Irina, ricordando la faccia che aveva fatto Xander quando White gli aveva detto che, visto l’entrata di Dimitri nella missione, sarebbero andati a stare nel suo appartamento per destare meno sospetti…

 

<< Quando ci arriveremo, lo vedrai >> rispose laconicamente il russo, afferrando la rivista di auto che le venne passata da un’altra hostess, decisamente meno carina della prima.

 

Irina si appoggiò allo schienale, fissando la lampadina al neon nel soffitto dell’aereo. Sarebbe stato un viaggio molto lungo, e anche molto silenzioso…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 16.00 – Carcere di San Francisco

 

<< Sembra sparita dalla circolazione >> disse Sebastian, il volto mezzo coperto dalla sciarpa, << E’ da una settimana che c’erano strani movimenti, a casa sua, e ora sembra scomparsa… >>.

 

William guardò il meccanico oltre il vetro che lo separava dalla libertà, il labbro arricciato per il fastidio di quella notizia. Il borbottare degli altri detenuti che parlavano con i loro parenti copriva le loro voci, le luci che gettavano strane ombre sui volti arcigni degli sbirri a pochi metri da loro.

 

<< Cosa vuol dire scomparsa? >> ringhiò.

 

<< Deve essere partita >> rispose il meccanico, grattandosi la testa, << Ma non so per dove… E’ strano, ma… >>. Si interruppe, lasciando la frase a metà.

 

<< Strano cosa? >>. William gettò uno sguardo verso il poliziotto appoggiato alla parete dietro il meccanico.

 

Sebastian gli lanciò un’occhiata. << Credo stesse preparando qualcosa >> disse, a il tono basso, << Mi sono giunte voci che in questi due anni non ci sono stati movimenti di piloti clandestini, a Los Angeles, ma qualche settimana fa la sua auto è stata vista correre lungo l’autostrada… Più di una volta, verso San Francisco… Adesso sono due giorni che non si vede da nessuna parte, sembra scomparsa nel nulla… >>.

 

William rimase in silenzio, appoggiandosi allo schienale della sedia di legno, perplesso. Il comportamento di Irina era strano, e in più veniva a sapere che aveva ancora la sua auto… E ora spariva?

 

<< Come fai a essere sicuro che sia partita? >> domandò.

 

<< Mi sono appostato davanti a casa sua più di una volta >> rispose Sebastian, << Non c’è. Sono rimasti solo suo padre e i suoi fratelli >>.

 

Strano, davvero strano. Irina che tirava fuori la Punto dopo due anni, e si dirigeva verso San Francisco… Esattamente dove si trovava lui. Si era aspettato di saperla a casa, a frequentare l’università o a cercare un lavoro onesto…

 

<< Went? >> chiese William.

 

<< L’ho visto un paio di volte, le bazzica ancora intorno >> rispose Sebastian, << Ma non è partito con lei. E’ ancora a Los Angeles, di questo sono sicuro. Ho visto la sua Ferrari in giro, in questi giorni >>.

 

“Si sono lasciati” pensò William di getto, poi scosse il capo.

 

Il fatto che si trovassero da due parti differenti non doveva per forza significare che non stessero più insieme, anche se lui lo sperava vivamente. Tuttavia, doveva per forza essere successo qualcosa… Went da una parte, e Irina dall’altra…

 

Possibile che se ne fosse andata? Che lei e lo sbirro si fossero lasciati veramente? E poi era strano che avesse di nuovo messo in circolo la sua auto, quando da due anni non si vedevano piloti clandestini a Los Angeles…

 

<< La fuga? Sai qualcosa? >> chiese, per togliersi quel pensiero dalla testa.

 

<< Blacktree mi ha detto qualcosa, in proposito, ma sta ancora progettando >> rispose Sebastian, << Pare voglia farti uscire facendo credere che tu stia male… Si spaccerà per un medico, o qualcosa del genere… >>. Il suo tono era quasi un sussurro, e si era sporto completamente in avanti per evitare che i poliziotti riuscissero a cogliere cosa stavano dicendo.

 

<< C’è un cambiamento >> disse William, secco, << Voglio far uscire anche un altro detenuto… Deve studiare un altro piano >>.

 

Sebastian lo fissò. << Sei pazzo? Già tanto se riuscirà a far uscire te! >> sussurrò, << Siete tutti controllati a vista, come credi che riuscirà a far scappare due persone di qui? >>.

 

<< Non mi interessa >> ringhiò William, << Lo pago bene apposta. Ha tutti i soldi che gli servono, riuscirà a farci uscire, se vuole >>.

 

Sebastian sembrava poco convinto, ma non insistette.

 

<< La fuga potrebbe slittare, allora >> disse.

 

<< Aspetterò >>. William fece il gesto di stiracchiarsi. << Quando usciremo, avremo bisogno di un auto non troppo vistosa, ma potente. Trova un posto tranquillo per nasconderci un paio di giorni, intanto deciderò cosa fare >>.

 

<< Vuoi lasciare la California? >> chiese Sebastian.

 

<< Sicuramente >> rispose lo Scorpione, << Ce ne andremo finché le acque non si calmeranno… Posso chiedere aiuto a qualche mia vecchia conoscenza, ma non sono sicuro che me lo daranno. Nel frattempo, cerca Irina. Dovunque sia, la voglio ritrovare >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 7.00 – Aeroporto di Mosca

 

Quando Irina mise piede fuori dal tunnel che l’aveva condotta fino al gate di imbarco, la prima cosa che le saltò all’occhio fu l’abbigliamento della gente che camminava intorno a loro. Totalmente diverso dal suo, e notevolmente più pesante.

 

Lasciò vagare lo sguardo nella grande hall dell’aeroporto, incuriosita dall’atmosfera “invernale” che aleggiava; nonostante fosse ancora novembre, sembrava già Natale per via della neve che vedeva brillare dalle ampie vetrate azzurre che davano sulla strada e sui parcheggi.

 

<< Benvenuti a Mosca… >> disse Demidoff, tirando fuori il suo cellulare con aria truce.

 

Irina guardò Dimitri, aspettandosi di vederlo almeno un po’ felice, ma rimase delusa anche questa volta. Il russo non sembrava provare nessuna emozione, e si limitò a raccogliere la sua valigia che aria stanca.

 

<< Qui ci sono le chiavi della vostra auto >> disse Demidoff, consegnando a Irina una busta di carta che aveva tenuto fino a quel momento nella tasca interna della giacca, << L’abbiamo lasciata nel parcheggio sotterraneo. Da questo momento in poi dovete procedere da soli, perché non possiamo rischiare di farci vedere insieme. Sicuramente qualcuno riconoscerà Dimitri, quando si farà vedere in città >>.

 

Irina annuì, accorgendosi di essere molto stanca. Aveva dormito molto poco sull’aereo, ma non poteva dire di essere stata disturbata: Dimitri non aveva spiccicato parola nemmeno una volta.

 

In quel momento il russo si avvicinò, massaggiandosi il polso dove Xander gli aveva legato il braccialetto che lo avrebbe reso sempre reperibile. Fece una smorfia e fissò Demidoff.

 

<< Sappiamo cosa dobbiamo fare >> ringhiò, << Provvederemo ad aggiornarvi quando lo riterremo opportuno >>.

 

<< Quando io lo riterrò opportuno >> specificò Irina, gettandogli un’occhiata in tralice, << Telefonerò io a McDonall per comunicargli come vanno le cose >>.

 

Dimitri si produsse in uno sbuffo irritato e andò verso il nastro trasportatore per recuperare i bagagli che erano finiti nella stiva durante il viaggio, e Irina sentì la rabbia montare. Se era tanto scocciato di fare quella missione con lei, perché aveva accettato?

 

<< Agente Dwight >> chiamò Demidoff, tirando fuori un’altra busta di carta, questa volta con l’espressione di chi sta per rivelare qualcosa di segreto, << L’agente Went mi ha chiesto di darle queste, ma si è raccomandato di non farlo sapere a nessuno >>.

 

Irina prese la busta, soppesandola. Dentro c’erano due piccole chiavi di metallo, che dovevano servire ad aprire qualcosa di altrettanto piccolo.

 

<< Cosa sono? >> chiese.

 

<< Le chiavi del braccialetto di Goryalef >> rispose Demidoff, attento a non farsi sentire da nessuno, << In caso di estrema necessità potrà usarle, ma è necessario che Dimitri non sappia niente per non incentivarlo nella fuga >>.

 

Irina nascose le chiavi nella tasca interna della giacca e annuì.

 

<< Va bene, grazie >> disse, << Se avrò bisogno di lei, la chiamerò >>.

 

Prese la sua borsa e raggiunse Dimitri, che aveva già recuperato tutti i bagagli, tranne naturalmente le valigie di Irina. Lei evitò di commentare, decisa a far vedere a quel russo da strapazzo che non era proprio una stupida, né tantomeno una bambina lagnosa.

 

Una volta presi tutti i loro borsoni, si diressero verso il garage sotterraneo, senza dirsi una parola. Ora che Irina si trovava da sola con lui, provava un po’ di apprensione, soprattutto perché non ricordava che Dimitri fosse così alto, e pure così muscoloso. Eppure, in fondo in fondo, aveva la strana convinzione di potersela cavare, ora che la sua missione era cominciata.

 

Trovarono la loro auto parcheggiata in un angolo in mezzo a due furgoni grigi, ma non come si attendeva Irina. La Grande Punto era stata caricata su un carrello, coperta da un telo scuro, agganciata a un enorme Hummer H2 nero dalle cromature scintillanti con tanto di luci rotonde in bella vista sul tetto, nemmeno dovessero fare un safari notturno.

 

Le quattro luci brillarono quando Irina aprì le portiere dell’Hummer. Dimitri afferrò subito la maniglia del veicolo, senza darle il tempo di decidere chi dovesse guidare.

 

<< Ehi! Aspetta un attimo… >>. Irina si avvicinò rapidamente.

 

Dimitri si voltò di scatto e le lanciò un’occhiataccia. << Non ero io “l’esperto della zona”? >> chiese, sarcastico. Si arrampicò sul veicolo senza aggiungere altro.

 

La ragazza sbuffò, dandogli ragione: in effetti, non sapeva nemmeno dove dovessero andare.

 

<< D’accordo… Ma attento a quello che fai >> disse, e salì al posto del passeggero.

 

Quando Dimitri si mise nel lato guida, Irina si accorse con quanta trepidazione attendesse quel momento: il russo saggiò il volante con una delicatezza quasi impensabile per lui, e gli scappò un sospiro. A quanto vedeva, le gare dovevano essergli mancate più delle ragazze e tutto ciò a loro collegato…

 

Mise in moto l’Hummer e lentamente si diresse verso l’uscita, le luci che illuminavano le pareti di cemento come fari giganteschi.

 

<< In che zona di Mosca abiti? >> chiese Irina, allacciando la cintura.

 

<< A Nord >> rispose rudemente Dimitri, percorrendo la rampa che li avrebbe portati fuori. Le ventole del riscaldamento si accesero tutte di colpo, scaldando subito l’interno del veicolo.

 

Una volta usciti, ciò che colpì di più Irina fu il freddo, e comprese all’istante gli abiti pesanti che aveva visto indossare ai pochi russi che calcavano l’aeroporto a quell’ora di mattina. Non che in auto lo sentisse, ma l’atmosfera che aleggiava era chiaramente già quella invernale, nonostante fosse novembre. C’era uno spesso strato di neve, per terra, e l’aria doveva essere gelida, a giudicare dalla brina che si era formata sui vetri delle macchine parcheggiate.

 

<< Ma quanti gradi ci sono? >> domandò, guardando fuori dal finestrino preoccupata.

 

<< Tre gradi… La media invernale è di meno sette >>. Dimitri svoltò a destra, dimostrando chiaramente che ricordava dove dovesse andare. Sperava fosse il luogo dove dovevano essere diretti, perché poteva benissimo anche aver preso una strada tutta diversa…

 

“Non cominciamo. Sono armata e determinata. Se prova anche a fare di testa sua, gli faccio vedere io che sono rimasta ancora Fenice…”.

 

Cercò di distrarsi pensando a qualcos’altro, Mosca che scorreva fuori dal finestrino, silenziosa e gelida. Fece mente locale, chiedendosi se in valigia avesse messo abiti abbastanza pesanti: correva anche il rischio di finire assiderata, oltre che ammazzata da qualche pilota clandestino… Xander si era premurato di farle avere armi, protezione, aiuto, ma non gli era minimamente passato per la testa di dotarla anche di una pelliccia ultra-pesante.

 

Dimitri imboccò quella che sembrava una grande strada sopraelevata, a velocità sostenuta, il carrello con la Grande Punto che sferragliava dietro di loro. Grossi fuoristrada e utilitarie scure procedevano rapidamente, con i proprietari nascosti dai vetri oscurati, mentre insegne al neon totalmente fuori luogo, come quella di una palma verde, brillavano nell’aria gelida e uggiosa di Mosca.

 

Tutto era molto diverso da Los Angeles, a partire dalla velata aura di freddezza che sembrava trasparire dai russi: persino le signore, tutte imbacuccate in pesanti pellicce, avevano un’espressione piuttosto aggressiva, mentre Irina le guardava attraversare la strada con aria altezzosa. Dimitri non sembrava poi tanto fuori posto, lì in mezzo. Magari per gli standard russi non era nemmeno tanto distaccato.

 

Arrivarono davanti a un palazzo dai mattoni chiari e dall’aria aristocratica, e Dimitri parcheggiò l’Hummer nel cortile interno, deserto. Qualcuno aveva lasciato il cancello aperto, come si aspettasse il loro arrivo. Le luci dell’ultimo piano erano accese, ma gli altri appartamenti sembravano vuoti.

 

Dimitri si slacciò rapidamente la cintura, e rimase un momento a guardare il palazzo con aria assorta. I suoi occhi grigi si soffermarono sulle finestre illuminate, la fronte aggrottata. Poi, di scatto, scese dall’Hummer, raggiungendo la porta d’ingresso dello stabile, la scaletta di marmo lucida di ghiaccio.

 

“Aspettarmi no, eh…”.

 

Irina chiuse la cerniera del giubbotto fino alla fine, si avvolse la sciarpa bene intorno al collo, poi scese dall’auto.

 

La ventata di aria gelida che la colpì le tolse il fiato, ma Dimitri non ebbe la stessa reazione. Lo vide gettarle un’occhiata sprezzante, poi aprì il portone ed entrò nella tromba delle scale quasi fosse arrivato da solo. Irina lo seguì in silenzio, sempre più nervosa.

 

L’interno era molto più caldo, e tornò a respirare. Una ripida scala dal mancorrente elaborato portava ai piani superiori, e la porta dell’ascensore si stagliava in fondo al corridoio. Vide Dimitri iniziare a salire, e gli rimase dietro.

 

Il russo si fermò davanti alla porta del quarto piano, l’ultimo, e invece di tirare fuori le chiavi per aprirlo, suonò. Irina rimase a guardarlo, chiedendosi cosa stesse facendo.

 

Un attimo dopo, la porta venne aperta, e sbucò fuori una donna che doveva avere all’incirca trent’anni, dai capelli castano rossicci legati in una coda bassa, gli occhi scuri dall’espressione minacciosa e le labbra carnose. Era incinta, a giudicare dal ventre ingrossato. Per un istante guardò Dimitri senza vederlo per davvero, poi gridò qualcosa e lo abbracciò.

 

Irina rimase di sasso nel vedere un’espressione di affetto così sfrontata, e per un momento credette che Dimitri la spingesse via, arrabbiato. Il russo però rimase di ghiaccio e si limitò a lasciarsi abbracciare, gli occhi grigi meno aggressivi del solito.

 

La donna disse qualcosa in russo, che naturalmente Irina non capì, ma riuscì a intuire che fosse sorpresa. Non si aspettava l’arrivo di Dimitri, che borbottava con il suo tono rauco e basso, parlando di chissà che cosa. Il fatto di non riuscire a capire la faceva sentire a disagio… Però almeno era sicura che non l’aveva portata in un covo di suoi amici con cattive intenzioni.

 

Dimitri le fece bruscamente cenno di avvicinarsi, e lei mosse il capo in segno di saluto. La donna la guardò per bene, come a sottoporla a un esame, poi sorrise mostrando i suoi regolari denti bianchi.

 

<< Lei è Vilena >> disse Dimitri, << Mia sorella >>.

 

Irina rimase di stucco, rendendosi improvvisamente conto che quella che aveva davanti era una parente stretta del Mastino di cui lei proprio non aveva pensato l’esistenza…

 

<< Oh… Ehm, piacere >>. Strinse timidamente la mano alla donna, convinta di trovarsi davanti un Dimitri in versione femminile.

 

<< Piacere >> disse Vilena con un sorriso, anche se faceva molta fatica a parlare inglese. << Non vi aspettavamo qui… >>. Inciampò nella pronuncia, però sembrava essere consapevole di ciò che aveva detto.

 

Dimitri la interruppe e le disse qualcosa in russo. Vilena annuì, poi dal nulla sbucò una bambina di circa cinque anni, i capelli biondissimi e boccolosi e la carnagione chiara. Indossava un bel vestitino blu, intonato ai suoi occhi chiari, e aveva le guancie rosse come due mele. Irina la trovò dolcissima, e in un baleno le tornò in mente suo nipote Tommy.

 

La bambina guardò prima lei, con l’espressione incuriosita, poi volse gli occhioni verso Dimitri e lo fissò a lungo, quasi riuscisse a trapassarlo da parte a parte. Era assurdo come il suo sguardo fosse pieno di espressività, nonostante fosse così piccola.

 

<< Zio? >> chiese, la vocetta bassa.

 

Irina si aspettava di tutto, tranne quello che accadde. Dimitri si abbassò a livello della bambina e con la mano le fece cenno di avvicinarsi. La piccoletta fece qualche passo incerta, poi si lasciò prendere in braccio come una bambola e disse qualcosa.

 

“Forse non ci vedo più tanto bene… Dimitri gentile con un essere umano?”.

 

Irina guardò la bimba, ora a suo agio, tra le braccia del russo e rimase di sasso. Anche se Dimitri non sorrideva o mostrava alcuna emozione, era chiaro che era contento di rivedere quella bambina. Guardò a lungo il suo volto, come per trovare dove fosse cambiata dall’ultima volta in cui l’aveva vista.

 

<< Yana, mia figlia >> spiegò Vilena, con un marcatissimo accento russo.

 

Quindi la nipote di Dimitri… Era lì da cinque minuti, e già aveva avuto due shock. Non si era aspettata che Dimitri la portasse dritta dritta dalla sua famiglia… A dir la verità, non si aspettava nemmeno che Dimitri l’avesse, una famiglia.

 

<< Torno fra mezz’ora >> disse il russo, mettendo la bambina a terra e tirando fuori un mazzo di chiavi. Si voltò e andò ad aprire l’altra porta sul pianerottolo. << Muoviti, ti faccio vedere dove staremo noi >>. Aveva riacquistato le sue solite maniere.

 

Irina lo seguì nell’appartamento, per scoprire che era molto grande e luminoso, nonostante il cielo scuro di Mosca. L’arredamento era molto moderno e tutto perfettamente in ordine, un ordine a cui non era abituata. Notò subito la scala che portava alla mansarda, il mancorrente di metallo scintillante e i gradini di marmo bianco, la pianta verde e in perfetta forma in un angolo.

 

Sentì un rumore e si voltò di scatto. Dimitri aveva appena gettato le chiavi sul tavolino di vetro del soggiorno, in mezzo ai due divani stile minimalista color cammello. Davanti a loro si stagliava un enorme mobile con televisore al plasma, hi-fi di ultima generazione e una miriade di libri ordinatamente impilati e senza un filo di polvere.

 

Sussultò quando si accorse che dietro di lei c’era Yana, silenziosa, che continuava a guardarla come fosse un’aliena. Irina sorrise e la salutò.

 

<< Ciao >>.

 

La bambina sbatté le palpebre, e molto probabilmente non capì cosa aveva detto. Ma sul suo visetto paffuto si dipinse un sorrisetto.

 

 

<< Come ti chiami? >> chiese.

Bene, la bimba sapeva l’inglese… Quante altre sorprese erano previste per quella giornata?

 

<< Irina >> rispose la ragazza. << Quanti anni hai? >>.

 

Yana fece segno con le dita.

 

<< Sei? >> chiese Irina, vedendola in difficoltà.

 

<< Sei… >> ripeté la bambina, guardandosi le ditina. Forse sapeva solo alcune parole, che dovevano averle insegnato all’asilo.

 

<< Non sa parlare bene l’inglese >> intervenne Dimitri, burbero, << Noi iniziamo a insegnarlo già da piccoli… Ti faccio vedere la tua stanza >>. Sembrava che non volesse che stringesse amicizia con la nipote.

 

La bambina richiamò la loro attenzione. Disse qualcosa in russo e Dimitri fece una smorfia prima di rispondere.

 

<< Cosa ha detto? >> domandò Irina, curiosa. Yana sembrava divertita.

 

Dimitri si voltò di spalle e imboccò il corridoio che portava alle stanze, un grande armadio per riporre i cappotti in un angolo.

 

<< Ha chiesto se sei la mia ragazza… >> ringhiò, infastidito.

 

“Oh oh…”.

 

Irina lo seguì nel corridoio illuminato dai faretti, e le venne mostrata una porta. << La tua camera… >> borbottò Dimitri, lasciandola impalata là davanti.

 

Entrò, incuriosita, e si ritrovò in una bella camera ampia e accogliente, dai mobili di legno scuro e un letto matrimoniale. Doveva essere la camera degli ospiti, perché c’era davvero tutto quello di cui poteva aver bisogno, compreso un pc fisso.

 

<< Il tuo bagno è quello piccolo, in fondo al corridoio >> disse Dimitri, indicandoglielo con un cenno del capo, << E sei pregata di non ficcanasare in giro, chiaro? >>.

 

Irina fece una smorfia.

 

<< Ok, scusami >> disse, << Cercherò anche di non respirare, se possibile >>.

 

Il Mastino le gettò un’occhiataccia e senza rispondere tornò in soggiorno. Iniziò a parlare in russo fitto fitto, forse con Yana.

 

Irina lo seguì, iniziando a sentire la stanchezza di tutto il viaggio caderle addosso. Voleva stendersi in un letto caldo, solo dopo aver telefonato a Xander, e fare mente locale prima di mettersi all’opera.

 

Trovò Vilena in cucina, che curiosava nei mobili, l’aria critica.

 

<< Spesa >> disse, indicando il frigo vuoto.

 

<< Oh… >> Irina si avvicinò. << In effetti, non c’è molto da mangiare… Dove possiamo trovare un supermarket, o qualcosa di simile? >>. Sperò che la donna avesse capito.

 

Vilena sorrise. << Prima riposo, dopo spesa >> disse sorridendo, << E’ ancora presto… >>. Fece cenno verso la fioca luce che illuminava la città.

 

Irina guardò l’orologio, e le diede ragione.

 

<< Andrò a riposare un po’, allora >> disse.

 

Dimitri aveva appena appoggiato le valigie sul pianerottolo, porgendole bruscamente la sua. Irina la prese e andò in camera, sperando di riuscire a dormire qualche ora prima di cominciare la sua nuova, eccitante, vita da Fenice.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 11.00 – Carcere di San Francisco

 

<< E tu chi saresti? >> domandò William, fissando la bella ragazza bionda che sedeva composta davanti a lui, oltre il vetro della sala delle visite. Le carnose labbra rosse erano piegate in un leggero sorriso, il gomito appoggiato al ripiano con aria sensuale.

 

<< Sono l’assistente di quello che hai assoldato per la tua fuga >> sussurrò, chinandosi leggermente. L’occhio dello Scorpione cadde subito nella scollatura della sua camicetta, gli ultimi bottoni lasciati slacciati. << Mi chiamo Marissa… >>.

 

“Si è scelto una bella assistente, quel Blacktreepensò divertito. La ragazza aveva attirato l’attenzione anche degli sbirri, e per la prima volta sembrava non si dovesse preoccupare che si accorgessero di quello che stavano dicendo: i poliziotti sembravano presi molto di più dai pantaloni a vita bassa di Marissa, che dovevano lasciare poco spazio alla fantasia.

 

<< Cosa sei venuta a fare, qui? >> chiese William.

 

<< Sappiamo che vuoi far fuggire qualcun altro, da questo carcere >> rispose Marissa, << Sono qui per capire se è possibile farlo o meno… E naturalmente contrattare sul prezzo >>. Ammiccò e scosse i capelli con noncuranza.

 

<< Credo di pagarvi già abbastanza… Con tutti i soldi che vi do, dovreste far uscire l’intero carcere >> ribatté William, senza farsi ammaliare.

 

<< Non prenderci per il culo, Challagher >> sibilò Marissa, mostrando i denti bianchi, << Non sei chiuso in un carcere qualsiasi… Se vuoi far uscire qualcun altro con te, devi pagarci bene, altrimenti per noi il rischio non vale la candela >>.

 

Lo Scorpione si scostò leggermente dal vetro, pensando. Non era obbligato a portare Daniel con lui, ma sentiva che gli sarebbe tornato utile. Poteva sborsare ancora qualcosa?

 

<< Quanto volete? >> chiese.

 

<< Cinquanta mila dollari in più >> rispose Marissa.

 

<< Quindi in totale duecento mila dollari per far fuggire me e il mio amico? >> domandò lo Scorpione, storcendo il naso.

 

<< Sì >>.

 

<< Sono un po’ troppi, ma mi va bene >> rispose alla fine William, << Basta che mi fate uscire di qui il prima possibile >>.

 

Marissa sorrise, gettandogli un’occhiata strana. << Sarà fatto… Come si chiama il tuo amico? >>.

 

<< Daniel Green >> rispose lo Scorpione, << E’ chiuso nella cella… >>.

 

<< Di questo ci occuperemo noi >> lo interruppe la ragazza, << Fa parte del nostro mestiere. Mi serviva sapere solo di chi si trattava… Nel giro di una settimana sei fuori, Scorpione >>. Ammiccò con aria sensuale.

 

William ghignò. << Solo una settimana? Avevi detto che dovevi verificare se era possibile… >>.

 

La ragazza sorrise a sua volta. << Pura formalità >> rispose, << Tu, piuttosto, tieniti pronto… Ci vediamo tra una settimana, fuori di qui >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

IO VI AMO!

 

No, non sto scherzando. Vi ringrazio infinitamente per aver votato la fic (che ora è una Serie, dal titolo però provvisorio) per farla partecipare al concorso… Non sapevo di aver creato personaggi che vi avessero colpito così tanto. Vi adoro e vi ringrazio ancora.

 

Per il resto, per postare questo cap ho fatto i salti mortali. L’ho letteralmente finito di scrivere cinque minuti fa… Ho avuto una settimana lunga, stressante e pesante. Per questo motivo vi chiedo di poter spostare l’aggiornamento alla domenica, così ho tempo di rivedere i cap con più calma. So che è bello arrivare il venerdì e avere un cap da leggere, ma non riesco proprio a farcela. Gli esami si avvicinano, e inizia il periodo peggiore del semestre. Vi prometto però che se riesco a finire il cap prima, quindi o il sabato o il venerdì, lo posto sicuramente.

 

Bene, passando al commento…

Eccoci finalmente a Mosca, ed ecco finalmente il mondo di Dimitri. Sarà pieno di sorprese, vedrete: non gli ho mai dato molto spazio, ma lo ritengo un personaggio interessante e complesso, forse più dello Scorpione. Mi direte alla fine se sarete rimasti affascinati anche da lui.

Irina intanto è ancora all’oscuro di quello in cui si è cacciata, ma lo scoprirà ben presto. Quando, non lo so, perché non so nemmeno io cosa succederà nel prossimo cap (questo vi deve far capire quando sono incasinata…).

Vi saluto perché sono letteralmente morta

 

 

Un bacio enorme a tutti voi, miei adorati lettori!

 

 

Lhea

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Capitolo IX

Capitolo IX

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 11.00 – Mosca

 

Irina guardò il soffitto della sua nuova stanza, la luce fioca e polverosa che proveniva dalla finestra parzialmente oscurata dalla pesante tenda. Sospirò e allungò le gambe indolenzite, lasciandosi crogiolare nel calduccio del letto, la coperta gettata malamente da una parte, il telefono dall’altra. Aveva telefonato a Xander prima di andare a dormire, ma nonostante lui fosse preoccupato e in ansia e l’avesse sfinita di domande sul viaggio, su Dimitri, sulla zona, e su un’altra marea di cose, lei aveva preso sonno comunque, abbastanza tranquilla. 

 

“E’ il caso di iniziare a mettere a posto qualcosa…” si disse, portando le mani dietro la testa.

 

Come ogni volta che doveva sbrigare qualche faccenda, Irina non amava rimandare. Ormai era totalmente proiettata nella sua missione, e non poteva pensare di rimanere sdraiata tranquilla in quel letto aspettando che fosse qualcun altro a prendere l’iniziativa.

 

Si alzò e si infilò le scarpe, dandosi una rapida pettinata, riflessa nello specchio dell’armadio. Le sue valigie erano appoggiate vicino alla porta chiusa; si avvicinò e le trascinò fino al centro della stanza. Una volta aperta quella più pesante, si sedette per terra, pronta a organizzare il tutto.

 

Avvolte in un panno bianco, c’era le due pistole che le aveva lasciato Xander, con i proiettili di riserva e i ganci per poterle nascondere sotto gli abiti. Ne prese una e controllò che ci fosse la sicura, poi la mise da parte di fianco a lei; l’altra la riavvolse per bene nel pezzo di stoffa e la adagiò sul letto, decisa a trovarle un nascondiglio adeguato.

 

In una scatola di metallo c’erano invece alcune piccolissime microspie, che potevano tornarle utili in qualche occasione, insieme a un kit per fare i calchi delle chiavi, composto da una scatolina che conteneva un materiale spugnoso verdognolo e un sacchetto di gesso. Mise anche quelli sul letto e poi tirò fuori le minuscole chiavi che le aveva lasciato Demidoff, quelle che aprivano il braccialetto di Dimitri.

 

Erano abbastanza piccole da poter passare per ciondoli di una collana, ma non se la sentiva di rischiare a portarle appese al collo: poteva perderle o Dimitri avrebbe sospettato qualcosa. Le soppesò per un momento, poi le venne un’idea.

 

Si alzò e raggiunse l’armadio a specchio; aprì le imposte e trovò una cassettiera interna che doveva servire per contenere la biancheria intima. Raccolse dalla valigia qualche slip, un paio di maglie e il pigiama e li adagiò nel cassetto, nascondendo in mezzo le chiavi.

 

“Ok, adesso tocca alla pistola di scorta…”.

 

Si guardò intorno, cercando un nascondiglio. Dimitri non era autorizzato a portare armi, ma sicuramente sarebbe riuscito a procurarsene qualcuna di straforo… Non voleva certo facilitargli il compito lasciandone una incustodita e in bella vista.

 

Guardò il letto e le venne un’idea. Sollevò leggermente il materasso all’altezza del cuscino e infilò la mano sotto: le doghe di legno erano abbastanza strette da non far cadere la pistola per terra. Recuperò l’arma e la posizionò sotto, rimettendo a posto con cura il lenzuolo, osservando per capire se si notava un rigonfiamento: tutto ok. Difficilmente a qualcuno sarebbe venuto in mente di andare a cercare la sotto.

 

Guardò l’orologio, poi sentì dei rumori provenire dalla cucina. Aveva sbrigato le faccende più urgenti, e ora poteva dedicarsi alla parte iniziale del piano: la ricerca di informazioni.

 

Trovò Vilena indaffarata a riempire i pensili della cucina con scatole di cibo e il frigo con bottiglie di birra e alcolici, più una serie infinita di prodotti tipici russi che Irina non aveva mai visto. Si muoveva con cautela, il pancione che la rendeva più lenta e impacciata di quanto probabilmente fosse normalmente. Non si era accorta di lei, e continuava a ordinare le cibarie con cura e in perfetto ordine.

 

<< Ma non dovevamo andare più tardi? >> chiese Irina con un sorriso, colpita dalla premura della donna.

 

Vilena si voltò di scatto sentendo la sua voce. Chiuse il pensile e sorrise, portandosi una mano al pancione.

 

<< Io ho pensato che era meglio lasciarvi dormire >> disse, inciampando un po’ con le parole, << Hanno saputo del vostro arrivo, e vorranno vedervi >>.

 

Irina inarcò un sopracciglio, senza capire. << Chi ha saputo del nostro arrivo? >> domandò. In realtà sospettava che il loro arrivo non sarebbe passato inosservato, ma non pensava che già qualcuno fosse venuto a conoscenza del loro ritorno. Fare finta di niente però contribuiva a renderla meno sospetta.

 

<< Boris >> rispose Vilena, << Non ci aspettavamo il ritorno di Dimitri, ma qui le notizie corrono veloci… >>. Diventò improvvisamente seria, come se la cosa non la rendesse particolarmente felice.

 

Irina annuì.

 

<< Grazie per averci procurato da mangiare >> disse, << In effetti, non ero ansiosa di affrontare il freddo di queste parti… >>. Guardò oltre il vetro della finestra, il cielo di Mosca grigio e un vento forte che spirava incessantemente, facendo vorticare piccoli fiocchi di neve.

 

Vilena sorrise. << E’ stato un piacere >> disse, poi la voce di una bambina arrivò dal pianerottolo che collegava i due appartamenti. La donna gridò qualcosa in russo come risposta.

 

Yana comparve come una piccola bambola meccanica, un grosso pupazzo a forma di cane tra le braccia e l’espressione incuriosita. Squadrò di nuovo Irina con gli occhioni spalancati, i boccoli dorati che le incorniciavano il visetto paffuto.

 

<< Ciao >> disse Irina.

 

Trovava quella bambina estremamente tenera, ed era sicura che Yana provava nei suoi confronti lo stesso fascino misto a paura che si aveva davanti alle cose sconosciute. Molto probabilmente non osava avvicinarsi, ma se solo avesse avuto meno problemi con la lingua non avrebbe esitato a sommergerla di domande.

 

<< Come si chiama il tuo bel cane? >> chiese Irina, nella speranza che la bambina la capisse.

 

Yana fece qualche passo avanti, dubbiosa, senza rispondere. Irina accarezzò il peluches, e indicandolo disse: << Cane >>.

 

La bambina sembrò comprendere. Scosse il pupazzo e ripeté, concentrata: << Cane… Cane… >>. Guardò la mamma, forse aspettandosi un complimento. Vilena disse qualcosa in russo e Yana tornò a concentrarsi sul pupazzo.

 

<< Si… Chiama… Buck >> scandì con un po’ di difficoltà.

 

Irina sorrise. Quella bambina doveva imparare molto in fretta, com’era tipico di quell’età. Sarebbe stato facile per lei imparare l’inglese, se le veniva insegnato fin da piccola.

 

All’improvviso, Dimitri sbucò a torso nudo e completamente sudato dalle scale che portavano di sopra, nella mansarda, l’espressione come al solito di ghiaccio e lo sguardo sprezzante puntato su di lei. Sembrava appena uscito da una palestra, a giudicare dai pantaloni della tuta Adidas che portava in completa disinvoltura.

 

Irina rimase un momento sconvolta quando si accorse che il torace di Dimitri, diversamente da William e molti degli altri piloti clandestini, non era solcato da nessun tatuaggio… In compenso, era striato di cicatrici.

 

Dimitri le rivolse un’occhiataccia quando la vide indugiare con lo sguardo sui segni bianchi che portava sui muscoli del ventre, sulle spalle, sul fianco destro, sotto il braccio sinistro… L’unico pensiero che la colpì in quell’istante era un’immensa pena: Dimitri aveva un bel fisico completamente rovinato da quelle cicatrici di chissà qualche origine.

 

Fece mente locale, rendendosi conto che da quando lo aveva conosciuto non lo aveva mai visto a torso nudo: si sarebbe certamente ricordata di una cosa del genere. Non che la cosa le fosse mai interessata, perché si era sempre tenuta ben distante da Dimitri, ma ora capiva perché lo aveva sempre visto indossare maglie e camicie quando era in sua presenza.

 

Vilena non sembrava fare caso alle cicatrici di Dimitri, così come Yana, e Irina si ricompose. Se non dicevano niente, significava che quei segni risalivano a prima che diventasse amico di William e che lasciasse la Russia…

 

<< Porta la tua macchina nel garage >> ordinò secco Dimitri, lanciandole un paio di chiavi, << Non è sicuro che rimanga la fuori, anche se ci siamo solo noi in questo palazzo… >>.

 

Imbambolata, Irina afferrò le chiavi e annuì, senza sapere bene cosa dire. Non voleva essere indelicata, ma non poteva che essere colpita da quella novità. Dove si era fatto tutte quelle cicatrici?

 

Decise che non era il caso di fare domande inopportune in quel momento, così ingoiò il magone che le era venuto a quella vista e si diresse verso la porta, aggirando la piccola Yana ancora ferma in mezzo alla cucina.

 

<< Ok… >> disse a bassa voce, << Da dove si entra? >>.

 

<< C’è una rampa che porta di sotto >> rispose Dimitri, aprendo il frigorifero e tirando fuori una bottiglia di acqua, << Parcheggiala in fondo, e non toccare niente >>. Sottolineò l’ultima frase con una inflessione della voce per niente amichevole.

 

Irina sbuffò e si infilò il giubbotto, scendendo di sotto. Ok, era rimasta spiazzata, ma Dimitri poteva cercare di essere almeno un po’ comprensivo: la maltrattava anche in quella situazione, quando sapeva benissimo che lei non aveva mai visto le sue cicatrici che avrebbero sconvolto chiunque.

 

Scoprì che l’aria era meno fredda di quando erano arrivati, ma era comunque una temperatura a cui le non era abituata. Raggiunse l’Hummer con il carrello trasportatore e guardò la Punto, coperta da un sottilissimo strato di neve.

 

Tirare giù una macchina da un carrello non era proprio un lavoro da donna, ma non si sarebbe mai abbassata a chiedere aiuto a Dimitri, visto che stava chiaramente cercando di metterla in difficoltà. Forse era la sua punizione per la sua ultima reazione. Aggirò l’Hummer e con un po’ di difficoltà abbassò le due rampe, adagiandole sul terreno bagnato e scivoloso. Controllò che non si muovessero, rischiando che l’auto cadesse giù mentre la faceva scendere, e poi si arrampicò lungo la fiancata, cercando di entrare dalla portiera.

 

“Avrei dovuto fare un po’ di palestra, prima di partire…” pensò, mentre si issava nella Punto e richiudeva la portiera con un tonfo, il fiatone che si condensava in nuvolette di vapore bianco.

 

Accese il motore, ringraziando che avevano anche cambiato la batteria, e fece retromarcia lentamente, scendendo dal carrello con tutte le precauzioni possibili. Una volta finito, rimise a posto le piccole rampe e si diresse verso la discesa che portava al garage.

 

Una volta di sotto, al riparo dal vento freddo e dalla neve, venne abbagliata dai neon che illuminavano il garage dalle pareti azzurre, più spazioso di quanto si fosse aspettata, e anche più pieno di quanto aveva immaginato.

 

Disposte in ordine perfetto, una di fianco all’altra, c’erano quattro auto dalla carrozzeria scintillante, ognuna con il proprio spazio delimitato da una linea colorata per terra come una sorta di striscia di partenza.

 

La prima era una Chevrolet Camaro argentata, dai cerchi in lega a sette razze e i vetri oscurati; la seconda era una Mitsubishi Lancer rosso rubino, con grosse prese d’aria sul cofano bombato; la terza, una Audi R8 nera, bellissima e sinuosa come un felino; e in fondo… Una Ferrari California bianco ghiaccio.

 

Irina passò lentamente davanti alle quattro auto, raggiungendo lo spazio vuoto lasciato in fondo, che doveva essere appartenuto alla Ford GT rosso scuro che Dimitri aveva usato per scalare la Black List e che era stata anche la sua auto “di rappresentanza” a Los Angeles. Parcheggiò la Punto esattamente al centro del riquadro delimitato, e scese facendo attenzione a non sbattere la portiera contro quella della Ferrari.

 

Non si era aspettata che Dimitri avesse tutte quelle auto, né soprattutto possedesse una Ferrari California. William non aveva mai amato le Ferrari, preferendo nettamente le Lamborghini o la sua Zonda, e credeva fosse la stessa cosa per il russo… Inutile dire che le riservava sempre qualche sorpresa.

 

Si avvicinò all’auto e poggiò la mano sopra il cofano con delicatezza, come se la vernice potesse saltar via da un momento all’altro. La calandra sembrava una bocca pronta a risucchiare tutta l’aria necessaria al potentissimo motore da 460 cavalli, i fari appuntiti come occhi di un felino, il tetto metallico richiuso che la rendeva una normalissima coupé ma che all’occorrenza poteva trasformarla in una spider super veloce… Come sempre, quell’auto sortiva su di lei un fascino che nessun’altra poteva eguagliare.

 

Era solita salire sulla 458 Italia di Xander, ma non si era mai abituata a quella sensazione unica che sentiva quando saliva su una Ferrari. Per chi adorava le auto come lei, la Ferrari era l’auto per eccellenza, e la California era la sua preferita in assoluto. Assurdo che Dimitri ne avesse una parcheggiata nel suo garage e lei non lo avesse mai saputo.

 

Le venne difficile immaginare la Ferrari con il tetto aperto in mezzo alle gelide strade di Mosca: aveva sempre visto una macchina del genere sfilare lungo le strade assolate di Los Angeles, l’aria tra i capelli del fortunato che se la poteva permettere.

 

Dimitri si riconfermava strano come al solito. Gettò un ultimo sguardo alla macchina e individuò una porta che doveva portare alle scale. La raggiunse e si ritrovò di sopra, nell’ingresso del palazzo, illuminato dai neon appesi al soffitto.

 

Quando rientrò in salotto, lo trovò vuoto, senza nessuna traccia né di Dimitri, né di Vilena, né tantomeno di Yana. Lo stereo però era stato acceso, a volume piuttosto alto, e trasmetteva quella che era inconfondibilmente una canzone di Rihanna.

 

Perplessa, Irina si avvicinò alla radio, poggiata sul mobile di legno pregiato, e guardò la traccia del cd sul display illuminato di azzurro: conosceva quella canzone, perché faceva parte di una delle tracce del suo cd. Afferrò la copertina del disco, lasciata in disparte, e lesse i titoli dei brani, curiosa.

 

“Gli piace Rihanna, chi lo avrebbe mai detto…”.

 

L’occhio le cadde sulla collezione di cd ordinatamente impilate sullo scaffale, in ordine alfabetico per artista. Evanescence, Linkin Park, Ne-yo, Phil Collins, Rihanna, U2… Rimase di sasso scoprendo qual’era la musica che piaceva a Dimitri. Il loro era un mondo di discoteche e serate di sballo, che avevano come colonna sonora brani dance e tekno, e non certo musica di quel tipo. Tutti generi diversissimi da quelli che aveva sempre visto ascoltare William.

 

“Bè, Rihanna piace anche a me” pensò, scrollando le spalle.

 

Cercò il telecomando dello stereo, per cambiare canzone, ma si fermò. Dimitri era di sicuro da qualche parte, e non avrebbe gradito che qualcuno toccasse le sue cose, visto com’era fatto. Figuriamoci permettersi di cambiargli brano nella radio.

 

Si voltò e guardò la scala che portava di sopra, nella mansarda, chiedendosi cosa ci fosse in quella parte della casa. Era curiosa, ma decise di seguire la politica del non ficcanasare in giro: se doveva instaurare un buon rapporto con Dimitri, era meglio non innervosirlo troppo. Oltretutto, lui non sembrava quello dei due più propenso ad adattarsi… Fino a prova contraria era sua ospite, anche se in un modo tutto particolare, ed era giusto che osservasse qualche restrizione.

 

<<Stasera ci incontriamo con Boris >>.

 

Irina sussultò per lo spavento. Dimitri spuntò dal corridoio che portava alle camere, ora vestito e con i capelli bagnati e gli occhi grigi piantati su di lei, neanche l’avesse appena sorpresa mettere piede in un posto proibito. Forse voleva intuire quale fosse stata la sua reazione di fronte al suo garage pieno di auto non da poco.

 

Irina annuì. << Bene, volevo chiederti di contattarlo, infatti >> disse, << Sono tutte tue le auto di sotto? >>.

 

Dimitri si strofinò la testa con l’asciugamano, abbassando il volume della radio. << Sì, perché? >> rispose, distaccato.

 

<< Non credevo ti piacessero le Ferrari >> disse Irina, con leggerezza. Non voleva accusarlo né offenderlo, era solo una domanda innocente per togliersi qualche curiosità.

 

<< E io non credevo che potessi essere così irritante >> ribatté lui, secco.

 

Irina rimase interdetta, ferma dov’era. Irritante lei? Certo, forse alcune volte era insopportabile, ma non annoverava tra i suoi difetti il parlare troppo, anzi, di solito secondo Xander non parlava abbastanza. Chiaramente Dimitri voleva provocarla.

 

<< D’accordo, scusa per il disturbo >> disse, << Mi vado a fare una doccia anche io >>. Gli gettò un’occhiataccia, ma il russo stava cambiando traccia del cd.

 

<< Mangiamo da Vilena >> concluse lui, chiudendo quella misera discussione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Irina fissò perplessa la gran quantità di cibo che era stata disposta sul tavolo rettangolare, nella bella cucina dell’appartamento di Vilena, illuminata a giorno dal lampadario che faceva brillare le ante lucide e laccate di blu oceano. Il televisore ultrapiatto appeso alla parete trasmetteva il telegiornale, un russo dall’aria arcigna che declamava le notizie senza che lei ci capisse niente, mentre nel forno rosolavano quelli che sembravano dei fagottini di pasta ripiena.

 

Yana, vestita nel suo completino lilla, era seduta al tavolo con l’aria affamata, e spostava lo sguardo dalla televisione a Irina, da Irina al forno e dal forno a Dimitri, come se volesse dire qualcosa ma non osasse farlo.

 

Dimitri, seduto a capotavola con l’espressione indecifrabile, parlava al cellulare in russo stretto stretto, quasi fosse arrabbiato; Vilena, indaffarata con i fornelli, non gli prestava il minimo ascolto, come se nemmeno ci fosse. Irina ipotizzò che o era abituata agli affari del fratello, o semplicemente non si immischiava.

 

Nonostante si trovasse in un luogo totalmente sconosciuto, a casa di persone che non aveva mai visto, non si sentiva troppo fuori posto. A parte lo scombussolamento dovuto al viaggio, stava bene e non era spaesata come aveva pensato di trovarsi. Vilena era stata gentile e bendisposta nei suoi confronti, e nemmeno lontanamente invadente. Voleva aiutarla in cucina, ma lei riteneva la cosa disdicevole, quindi aveva lasciato perdere.

 

Osservò i tre posti apparecchiati a tavola, chiedendosi se dovevano essere solo loro a cena, quella sera: il cibo che Vilena aveva preparato bastava per il doppio delle persone. Ma quello che si domandò era anche dov’era il padre di Yana, che non era stato ancora menzionato nemmeno una volta.

 

In effetti, c’erano un sacco di cose che avrebbe voluto sapere di Dimitri, ma sapeva che lui non era il tipo da parlare di sé, soprattutto con lei, e non le sembrava educato fare domande inopportune già appena arrivata. Forse avrebbe scoperto qualcosa più avanti, quando avrebbe iniziato a godere della fiducia di Vilena.

 

Con un gesto secco, Dimitri appoggiò il cellulare sul tavolo e puntò gli occhi grigi su di lei, innervosito.

 

<< Boris ci vuole incontrare stasera >> disse, << Solo noi tre… Vuole sapere come abbiamo fatto a fuggire senza farci arrestare, e cosa siamo venuti a fare qui >>.

 

Irina annuì. << D’accordo. Dove dobbiamo incontrarlo? >> chiese.

 

<< A casa sua >> rispose Dimitri.

 

Irina gli lanciò un’occhiata eloquente: Vilena non sapeva e non avrebbe saputo mai qual’era il vero motivo per cui erano tornati a Mosca, ma non sembrava nemmeno curiosa di saperlo, perché non aveva fatto domande. Dimitri gli aveva solo detto che erano tornati per affari loro, o almeno era quello che aveva raccontato a Irina riguardo alla discussione che avevano avuto mentre lei era in garage.

 

Yana si mosse irrequieta sulla sedia, e chiese qualcosa a Dimitri. Il ragazzo arricciò il labbro, poi si rivolse a lei.

 

<< Chiede se sei russa, visto il nome… >> borbottò.

 

Irina sorrise alla bambina, facendo cenno di no con la testa. << Lo ha scelto la mia mamma >> rispose, << Ma non ho proprio nulla di russo >>.

 

Dimitri tradusse con una smorfia, poi tornò a guardare lei. Yana sembrava studiarli come fossero stati due giocattoli particolarmente interessanti. A giudicare da come si comportava, aveva preso molto dallo zio: silenziosa ma anche molto perspicace.

 

<< Vestiti pesante, stasera >> disse Dimitri, osservando le spalle di Vilena che si muovevano davanti ai fornelli.

 

Irina inarcò un sopracciglio: da quando gli interessava come si vestiva? Di sicuro non sarebbe andata in giro con un vestitino di quelli che aveva indossato ai tempi dello Scorpione, ma non era così sciocca da mettersi in tiro già la prima volta che incontrava Boris… Oltretutto, si ricordava che non era molto fine, nei suoi confronti.

 

“Sarà stato Xander a dirgli di controllare anche come mi vesto…” pensò, leggermente divertita.

 

<< Ok… >>.

 

<< E’ pronto >> disse Vilena, appoggiando sul tavolo l’ennesimo vassoio carico di cibarie.

 

Dimitri si sedette più composto e Yana andò a prendere il suo bavaglino, lasciandoselo legare dalla mamma, con aria felice.

 

<< Mia sorella ha insistito perché assaggiassi i piatti tipici russi… >> spiegò Dimitri, a bassa voce e notevolmente irritato.

 

<< Non ti dovevi disturbare >> disse Irina, rivolta a Vilena, << Rimarremo un bel po’ di tempo qui, quindi avrò il tempo di assaggiare tutto quello che preparate… >>.

 

<< Diversamente da tutti gli altri russi, siamo abituati a ricevere ospiti >> spiegò la donna, << Altrimenti siamo molto diffidenti, nei confronti degli stranieri… E poi vogliamo festeggiare il ritorno di Dimitri >>. Si interruppe per rimproverare Yana che aveva cercato di prendere uno degli sformati di pasta sfoglia, e che ora aveva la mano bloccata a mezz’aria. << Assaggia >>.

 

Le mise davanti una zuppa che aveva l’aria di essere stata preparata con carne e verdure, e che Dimitri prese con l’espressione disgustata. Irina la annusò, curiosa, e la assaggiò davanti agli occhi spalancati di Yana.

 

Aveva un sapore forte, molto diverso a quelli a cui era abituata, ma non era sgradevole. Doveva esserci della cipolla dentro, oltre che qualche altra spezia che non riusciva a riconoscere. A quel punto anche Yana iniziò a mangiare, mentre Dimitri si limitò a un paio di cucchiai. Evidentemente non amava quel tipo di piatto. Vilena non ci fece caso e si sedette a tavola, con qualche difficoltà vista la pancia.

 

<< Eri una pilota di Challagher? >> domandò all’improvviso la donna, porgendole una fetta di pane con una salsa giallina. Il suo tono era disinvolto, quindi considerava l’argomento abbastanza “tranquillo”. Dimitri però gettò un’occhiataccia a Irina, come a dirle di fare attenzione a ciò che diceva.

 

<< Sono ancora una sua pilota >> rispose lei, la voce controllata, << Anche se è in carcere, non significa che non gli sia più fedele… >>.

 

<< Voi americani avete un concetto di fedeltà molto diverso dal nostro >> commentò Vilena, e per la prima volta ci fu una nota strana nella sua voce. Guardò Dimitri e disse: << Sei ancora suo amico? >>.

 

<< Hai sentito cosa ha detto >> ribatté Dimitri, << Lo sai come la penso. Iosif quando torna? >>.

 

Il cambio di argomento non sembrò infastidire Vilena, che accettò il tono brusco di Dimitri senza fiatare.

 

<< Domani >> rispose, << Sarà contento di vederti >>.

 

Irina rimase sconcertata da come Vilena accettasse il comportamento scontroso e ombroso di Dimitri senza fare commenti, né rimproverandolo di tanto in tanto. Prese con un po’ di titubanza il dessert che le stava passando la donna e guardò il russo, senza sapere bene cosa pensare.

 

Se c’era una cosa di cui era sicura, era che Dimitri non era particolarmente felice di essere tornato a Mosca, diversamente da quanto si poteva pensare; in più, dimostrava una certa insofferenza verso tutto quello che lo ricollegava al suo paese, compreso Boris… Però era anche palese che c’era un legame particolare tra lui e Yana, un legame che Irina poteva spiegarsi solo come affetto.

 

Anche se li aveva visti insieme solo qualche ora, si era resa conto che quella bambina voleva molto bene a suo zio, nonostante il suo caratteraccio; e Dimitri, dal canto suo, dimostrava il suo affetto verso la nipotina in modo sottile e velato, quasi impercettibile dall’esterno. Ciò che Irina si domandava era: perché Dimitri si comportava, e si era sempre comportato, in quel modo distaccato e freddo?

 

<< Iosif >> disse Yana all’improvviso, rivolta verso di lei, indicandosi il petto, << Mio papà >>.

 

Irina sorrise. Ora sapeva chi era l’individuo di cui aveva parlato Dimitri. Ma quella fu l’unica informazione interessante che riuscì a ottenere durante quella cena, perché né Dimitri né Vilena parlarono d’altro che non fosse terreno neutro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

<< Andiamo con la mia auto >>.

 

Dimitri, in piedi di fronte alla porta dell’appartamento, mostrò le chiavi di una macchina, l’espressione fredda come quella di un ghiacciolo. Si era infilato un giaccone nero dall’aria non troppo pesante, ed evidentemente non pensava di aver freddo.

 

<< Ok >>.

 

Irina chiuse la giacca a vento che aveva tirato fuori dalla valigia e diede un’ultima sistemata alla pistola che aveva nascosto nella tasca interna. Dimitri le lanciò un’occhiata arrabbiata, ma lei lo ignorò: sapeva che non poteva avere armi.

 

<< Non metterti nessuna microspia o qualsiasi affare del genere >> borbottò Dimitri, << Cercheranno di controllarci, se possono >>.

 

<< Siamo appena arrivati, non ci metteranno già le mani addosso… >> commentò Irina, stizzita, << So che non sono stupidi, ma dobbiamo vedere solo Boris: lui si dovrebbe fidare di noi >>.

 

<< Dovrebbe, appunto >> ribatté Dimitri, << Se non vuoi far saltare tutto già all’inizio, fa come ti dico >>.

 

Irina sbuffò, ma non si mosse. Non aveva alcuna microspia addosso, perché non aveva ritenuto necessario utilizzarla e aveva più o meno avuto lo stesso pensiero di Dimitri: non era un’idiota, anche se lui pensava il contrario.

 

<< Non ho niente addosso >> sibilò, spalancando la porta. << Andiamo, altrimenti facciamo tardi >>.

 

Lo precedette fuori dall’appartamento, e non parlarono finché non furono davanti alle quattro belle auto parcheggiate nel garage, sempre in fila una di fianco all’altra. Il russo si diresse sicuro verso la R8 nera, facendo scattare l’antifurto.

 

Quando Dimitri accese il motore della Audi, Irina lo sentì salire su di giri in un attimo. Le lancette rosse del cruscotto si illuminarono sopra il fondo bianco e gli indicatori neri, e i fari proiettarono sul muro la loro luce azzurrina. Fluida, l’auto iniziò a muoversi, Irina che teneva d’occhio il russo.

 

Come si era aspettata, vide un’espressione di soddisfazione dipingersi sul volto di Dimitri: almeno adesso dimostrava che almeno era contento di essere di nuovo libero. Risalì la rampa del garage senza dire niente, saggiando il pomello del cambio in un modo molto simile al suo.

 

<< Ti mancavano, le auto? >> domandò Irina, tranquilla.

 

Era una domanda sciocca, ma voleva trovare un punto di incontro con quel ragazzo così strano e silenzioso che aveva sempre un po’ temuto, per cercare di capire chi si trovava veramente davanti. Continuava a provare un po’ di soggezione nei suoi confronti, ma sentiva anche un po’ di curiosità: ora che ne aveva la possibilità, voleva sapere qualcosa di lui e della sua famiglia.

 

<< A te mancavano? >> ribatté Dimitri, secco.

 

“Cercherò di avere pazienza, con lui…”.

 

<< Mi mancava correre >> rispose Irina, decisa a non sembrargli troppo invadente. << Le auto ho sempre potuto guidarle, ma non come facevo prima >>.

 

Dimitri fece una smorfia, lasciando scivolare rapida e sinuosa la R8 lungo la sopraelevata che portava dall’altra parte della città, il cielo nero e i lampioni che illuminavano la strada bagnata. << Non dirmi che ti sei pentita di essere uscita dal giro >> disse.

 

<< No, non mi sono pentita >> disse Irina, << Non era la vita che volevo fare, quella, ma devo ammettere che mi piaceva correre in auto >>.

 

Dimitri non disse niente, ma sul suo volto sembrò balenare un’espressione a metà tra il divertito e l’esasperato.

 

<< Perché hai accettato di aiutarci? >> domandò Irina, sentendo che era il suo turno, per porre le domande.

 

<< Perché mi andava >> rispose seccato il russo. Inchiodò secco al semaforo, lo sguardo fisso sul rosso.

 

Irina inarcò un sopracciglio. << Cosa significa? >>.

 

<< Mi andava di farlo e basta >> disse Dimitri, << E’ un problema, per te? >>.

 

“Mamma mia, quanto è bravo a fare l’antipatico…”.

 

<< No, non lo è >> sussurrò Irina, mantenendo la calma, << Vorrei solo sapere cosa ti ha spinto ad accettare, visto che si tratta di tradire la tua gente… >>.

 

Dimitri le lanciò un’occhiataccia. << Cosa ti fa pensare che si tratti della “mia gente”, come dici tu? >> ribatté.

 

Irina rimase interdetta. Quelli con cui avrebbero avuto a che fare erano comunque suoi compaesani, alcuni addirittura suoi parenti… Ci andava un bel coraggio a fare la spia per il loro nemico, alla fine.

 

<< Cosa vuoi dire? >> sussurrò lei.

 

<< Se me ne sono andato, un motivo ci sarà pure stato >> rispose secco e irritato il russo.

 

<< E qual è? >> incalzò Irina.

 

<< Sicuramente è qualcosa che tu non puoi sapere >> la zittì Dimitri.

 

Irina abbassò lo sguardo, più che altro turbata per averlo reso così scontroso con qualche domanda. Forse Dimitri non era mai stato particolarmente incline a raccontare i fatti suoi in giro, ma notò l’espressione infastidita e quasi addolorata che gli si dipinse sul volto: doveva essere qualcosa di cui non amava parlare. Decise di non insistere troppo su quel punto, almeno finché non avesse smesso di considerarla un’impicciona rompiscatole.

 

<< Posso chiederti da dove arriva la Ferrari? >> domandò, per cambiare argomento.

 

<< L’ho comprata >> rispose Dimitri, senza che il suo tono di voce cambiasse di una virgola.

 

<< Pensavo l’avessi rubata… >> commentò Irina, << E’ una bella auto, mi piace molto >>.

 

<< Tanto non te la farò guidare >> ribatté il russo.

 

Irina alzò gli occhi al cielo, esasperata. Sembrava che cercasse ogni modo per provocarla e offenderla.

 

<< Non lo dicevo perché volevo che me la facessi guidare… Xander mi fa guidare la sua. Di solito non le compri, le auto; anche William le rubava sempre. Sono solo sorpresa, tutto qui >>.

 

<< Una Ferrari va comprata, non rubata >> ribatté Dimitri.

 

“Adesso se gli do ragione mi dice che lo faccio perché ho secondi fini… Meglio stare zitta”.

 

<< Come funzionano le cose da queste parti? >> chiese Irina.

 

<< In che senso? >>. Dimitri svoltò a sinistra, le ruote dell’Audi che scivolavano sul ghiaccio senza riuscire a scomporlo.

 

<< Che gare si fanno, chi controlla cosa, cose di questo tipo >> disse Irina, << La tua famiglia, per esempio, che ruolo svolge? >>.

 

<< Le gare sono sempre le stesse, ma qui non ci sono canyon >> rispose Dimitri, << Abbiamo delle gare sul ghiaccio, che avrai modo di vedere… Quanto alla mia famiglia, se togli mio zio Boris, non siamo nessuno da queste parti >>.

 

Visti tutti i soldi che sembravano avere, non si sarebbe detto.

 

<< Capito… Come mai in quel palazzo ci siete solo voi? >>.

 

<< Perché è di nostra proprietà >> rispose Dimitri, << Tutti gli appartamenti sono della nostra famiglia, ma non ci viene mai nessuno… Ognuno sta in parti diverse della città, al momento >>.

 

<< Perché? >> chiese Irina, sentendo odore di qualcosa di strano.

 

<< Ognuno si fa i propri affari >> rispose Dimitri, tombale.

 

Irina tacque, accorgendosi che il russo iniziava a innervosirsi di nuovo: il tono basso e irritato della sua voce diceva tutto.

 

<< Ehm… Credi che Boris ci farà gareggiare subito? >> chiese, per cambiare argomento ed evitare che si arrabbiasse ancora.

 

<< Non lo so >> rispose Dimitri, << Non so che reazione avrà quando gli diremo perché siamo qui. Potrebbe anche mandarci via, se volesse >>.

 

Irina lo guardò. << Mandarci via?! >> sbottò, << Stai scherzando, vero? Non siamo venuti qui per farci rimandare indietro dopo un solo giorno! >>.

 

Dimitri arricciò il labbro, infastidito dalla sua voce. << Diversamente da te, abbiamo valutato anche questo >> ringhiò.

 

<< “Abbiamo”? >>.

 

<< McDonall ha voluto esaminare attentamente tutta la questione >>. Il tono con cui stava parlando sembrava voler dire che la cosa gli era costata infinita pazienza, e che il Vicepresidente doveva essere stato piuttosto invadente.

 

<< Ah… Quindi? >> fece Irina, sempre più stupita. Non aveva valutato quella possibilità, e per fortuna qualcuno lo aveva fatto al posto suo… Era un’altra lezione da imparare.

 

<< Quindi sta zitta e lascia parlare me >>.

 

Dimitri fermò la R8 davanti a una villa piuttosto grande, il cui giardino innevato era disseminato di lampioni dalla luce bianca che la rendevano visibile anche molto lontano da lì. Era molto diversa da quella di William, bianca e dall’aria “estiva”: il tetto nero risaltava sui muri grigi dalle finestre di legno scurissimo, il porticato che finiva in una sorta di piazzola con al centro una fontana completamente congelata, ma illuminata di azzurro. Il tutto era contornato da un alto cancello in ferro battuto con punte di freccia alle estremità, e decine di telecamere agganciate ai lampioni e sotto il tetto, dandole l’aria più che altro di un carcere di massima sicurezza. Irina guardò all’interno, incuriosita.

 

Un omone vestito di nero, dai capelli a spazzola, si avvicinò al cancello chiuso fissandoli arcignamente, e Dimitri fece un cenno con le due dita della mano stretta sul volante. La guardia mostrò con aria truce quello che aveva tutta l’aria di essere un mitra e che portava appeso al collo, e mimò un segno a qualcuno alla sua sinistra, invisibile dall’esterno. Un attimo, e il cancello di ferro si aprì lentamente, in un assurdo silenzio ovattato.

 

L’Audi R8 avanzò al minimo lungo il vialetto scivoloso di neve a passo d’uomo, i sassolini che scricchiolavano sotto le ruote, la guardia che camminava al loro fianco con aria assassina. Dimitri parcheggiò la macchina in un piccolo spiazzo, e Irina si accorse che altri tre uomini li stavano tenendo d’occhio da lontano, anche loro armati fino ai denti e vestiti di nero come soldati in incognito.

 

“Boris teme per la sua salute personale… Strano, è uno dei referenti, non dovrebbe correre molti pericoli…”.

 

Irina smontò dall’auto insieme a Dimitri, mentre la guardia li squadrava da capo a piedi. Un altro uomo si avvicinò, e ringhiò qualcosa in russo, agitando l’arma che teneva in mano.

 

Dimitri allargò le braccia con aria insofferente, facendo cenno di venire avanti. Irina lo guardò interrogativa, senza capire cosa si fossero detti.

 

<< Ci vogliono perquisire >> borbottò Dimitri, seccato.

 

Irina lanciò un’occhiataccia al tipo vestito di nero, per fargli capire di non andare a mettere le mani dove non doveva, e si lasciò palpare sotto le braccia, lungo le gambe e sui fianchi, l’irritazione che cresceva. Tra loro due doveva essere quella meno pericolosa, eppure la guardia sembrava avercela soprattutto con lei. Infatti trovò subito la pistola che portava nella tasca interna della giacca. L’uomo le fece cenno di passargliela, e lei ubbidì.

 

Dimitri disse qualcosa, inespressivo. Le due guardie si guardarono in faccia, poi gli passarono la pistola che lui infilò nella tasca dei pantaloni come niente fosse.

 

<< Ehi! >> protestò Irina, << Che stai facendo? >>.

 

<<Sta zitta e non gridare >> la sgridò Dimitri, ignorando gli sguardo divertiti della guardia al loro fianco. << Mi conoscono, ma non conoscono te. Non sanno se sei pericolosa o no. Preferiscono che sia io a portare la pistola, visto che sanno chi sono… >>.

 

Irina rimase in silenzio, infastidita da quella situazione. Non si fidava di Dimitri, soprattutto quando aveva una pistola e lei no. Poteva anche essere un imbroglio…

 

I due uomini li accompagnarono dentro la villa, scortandoli come fossero due carcerati, pronti a qualsiasi loro reazione. Nemmeno quando furono dentro, accennarono a lasciarli soli.

 

Come aveva immaginato Irina, la casa di Boris era un tripudio di lusso ed eccessività: le pareti erano verniciate con colori spatolati molto vistosi, che andavano dal pesca al blu cielo, adornate di quadri enormi di pittori famosi; c’era addirittura quello che sembrava un Picasso. Il lungo corridoio d’ingresso era coperto da un tappeto rosso che portava fino alle scale, illuminato a giorno da lampade elaborate appese alle pareti. Riuscì a intravedere il soggiorno quadrato ed enorme, arredato con mobili antichi e di legno pregiatissimo, e il gigantesco televisore ultrapiatto che faceva uno strano contrasto con l’antichità degli arredi. In un angolo vide quello che doveva essere un autentico triclinium romano, intarsiato d’oro.

 

Le due guardie li portarono davanti a una porta subito dopo aver risalito la scalinata dal mancorrente dorato e lucidissimo. Bussarono e attesero un momento prima di entrare. Dimitri le lanciò un’ultima occhiataccia, prima di sussurrare: << Lascia parlare me, chiaro? >>.

 

<< E se mi chiede qualcosa? >> ribatté Irina.

 

<< Rispondi, ma limitati all’essenziale >> disse Dimitri.

 

La guardia li lasciò entrare, rivelando che la stanza era un altro soggiorno, più piccolo ma ugualmente ricco. Un allegro fuoco scoppiettava nel camino di mattoni, sovrastato da un dipinto di un uomo anziano e dalla foltissima barba grigia in una cornice d’oro massiccio, vestito in abiti che dovevano risalire a una cinquantina di anni prima.

 

Boris, un po’ più grasso di quanto lo ricordava lei, li aspettava seduto su una poltrona di velluto rossa, il dente d’oro in bella vista nel suo sorriso strafottente e un sigaro acceso e fumante nella mano occupata dall’anello d’oro che era solito portare. La barba scura gli incorniciava il volto rugoso e pallido, da vero russo qual’era.

 

<< Dimitri! >> disse alzandosi, << Nipote, che piacere rivederti! >>. Il suo marcatissimo accento fece digrignare i denti a Irina: aveva sempre detestato la sua parlata.

 

Boris abbracciò il ragazzo, che non si mosse nemmeno di un millimetro. Le due guardie si disposero in fondo alla stanza, senza alcuna intenzione di andarsene. Una volta salutato il nipote, il russo concentrò la sua attenzione su di lei, e Irina si sentì ripiombare veramente alla vita di due anni prima.

 

<< Fenice… >> disse Boris, la voce modulata ma il sorriso disgustoso sempre sul volto, << Non mi aspettavo di rivederti più, dopo quello che è successo… >>. Il fumo del sigaro mulinò nell’aria, sparendo un attimo dopo.

 

Irina colse il senso di quell’affermazione: come tutti, Boris aveva sempre sospettato che non voleva continuare a fare la pilota clandestina, e una volta arrestato lo Scorpione avrebbe dovuto defilarsi, vista l’occasione.

 

<< Nemmeno io credevo di vederti ancora >> ribatté Irina, << Ho rischiato la cattura più volte di quante immagini… >>. Si compiacque nel sentire che il suo tono era lo stesso che aveva sempre usato quando si faceva chiamare Fenice: diretto, secco, quasi inespressivo.

 

Boris sorrise ancora di più e fece cenno di sedersi. Irina si accomodò sul divano di velluto rosso di fianco a Dimitri, sentendosi meno in soggezione di quanto pensasse. Aveva un piano preciso che doveva seguire, e aveva scoperto di essere una brava attrice quando voleva. Non sarebbe certo stata zitta come gli era stato ordinato, perché era lei a comandare.

 

Una cameriera vestita un completo blu entrò nella stanza portando un vassoio con tre bicchieri e una bottiglia di liquido bianco, più una scatola di quelli che dovevano essere sigari. Riempì i tre bicchieri poi sparì oltre la porta silenziosa come era arrivata.

 

<< Bene, sono contento di avervi da queste parti >> disse Boris, << Sono curioso di sentire la vostra storia… Vodka? >>.

 

Porse loro i due bicchieri, che presero in contemporanea. Dimitri mandò tutto giù d’un sorso, nemmeno fosse stata acqua, e Irina rimase bloccata. L’ultima volta che aveva ricevuto un bicchiere da Boris, era finita nel letto di Xander cercando di molestarlo…

 

Ingurgitò la vodka tutta d’un fiato, scoprendo che era molto più forte di qualsiasi altra bevanda alcolica avesse mai bevuto. Fece una smorfia sentendo il liquido bruciarle la gola e lo stomaco, ma poggiò il bicchiere sul tavolino senza fare troppe storie. Vide Boris seguire i suoi movimenti con un sorriso, come per essere sicuro che quella che avesse davanti era ancora la vecchia Fenice.

 

<< Come hai fatto a scappare, Dimitri? >> domandò, spostando lo sguardo sul nipote, seduto con l’espressione imperscrutabile come quella di una statua.

 

<< Ho sfruttato un momento di distrazione delle guardie >> rispose lui, atono, << Mi sono fatto dare una mano da un altro paio di detenuti… >>.

 

Boris fece una smorfia. << Non ti controllavano abbastanza bene >> commentò, << Ma non mi stupisce che tu sia riuscito a fuggire… So che sei bravo in questo genere di cose. Ciò che mi incuriosisce è come la nostra cara Fenice sia riuscita a non farsi arrestare dalla polizia… >>. La guardò dritta in faccia, strafottente.

 

<< E’ brava a prendere gli uomini dalla parte giusta >> disse Dimitri, un mezzo ghigno sul volto. Quella doveva essere la parte della loro bugia che lo divertiva di più.

 

“Ah sì, credi che io stia veramente zitta?”. Irina lo fulminò con gli occhi.

 

<< Non è colpa mia se voi uomini siete facili da circuire >> ribatté irritata, << Intanto sono rimasta fuori dalla prigione… E ricordati che l’idea di venire qui è stata mia >>.

 

Dimitri le rivolse un’occhiata incendiaria, ma Boris parlò prima di lui. << E’ stata tua l’idea? >> domandò, interessato, << Come mai? >>.

 

<< Come sai abbiamo avuto dei problemi… >> cominciò Irina, tenendo d’occhio la sua espressione per cogliere eventuali reazioni, << William è stato arrestato, e con lui tutti i membri della Black List… >>.

 

<< Sì, lo so >> la interruppe Boris, << Le notizie sono arrivate anche qui. Sappiamo cosa è successo… Tutta la Black List è finita dietro le sbarre, persino lo Scorpione che era il più astuto e controllava tutto… Tutti arrestati, tranne te >>. Aggiunse alla fine, quasi sarcastico.

 

Davanti a quell’affermazione, Irina non si scompose. Boris era furbo, e stava giocando bene la carta del sospetto: voleva vedere la sua reazione di fronte all’accusa di tradimento, per capire se era c’entrata veramente qualcosa oppure no. Doveva capire di quanto lui fosse al corrente, ma doveva farlo senza essere diretta. Dimitri non poteva impedirle di parlare proprio davanti al russo.

 

<< Se ti aspetti che neghi di aver cercato la protezione dell’F.B.I. ti sbagli di grosso >> ribatté secca, appoggiando la schiena al divano, fintamente rilassata, << Non sono stupida, e non vedo perché non avrei dovuto approfittarne… >>.

 

Boris ridacchiò. << In effetti, sarebbe stato da voi americani fare così… >> commentò, << So che l’agente dell’F.B.I. che si era infiltrato tra voi aveva un debole per te… Era il tipo con la Maserati Granturismo, vero? >>.

 

“Cavolo, si ricorda di Xander…”.

 

Irina sorrise. << Sì, era lui >> rispose, << Mi ha tenuto fuori dalle sbarre, in cambio di un paio di servizietti… >>.

 

“Scusami amore mio, lo so che non sei così”.

 

<< E cosa siete venuti a fare qui? >> chiese Boris, quasi ghignando davanti alla sua ultima affermazione.

 

<< Abbiamo bisogno di aiuto >> rispose Dimitri, secco, guardandolo in faccia, << Siamo ricercati dalla polizia in tutti gli Stati Uniti, e non possiamo sicuramente rimanere a Los Angeles >>.

 

<< Solo questo, volete? >> disse Boris, rivolgendosi a lei, << Ci sono delle cose che non mi sono chiare, e soprattutto che non mi piacciono… Perché sei ricercata ora, se l’F.B.I. ha voluto tenerti fuori? >>.

 

Irina gettò un’occhiata a Dimitri, con in mente un piano. Nessuno avrebbe mai veramente creduto che lui fosse riuscito a scappare da solo, né che fossero tornati in Russia per chiedere il loro aiuto senza rivolgersi a qualcun altro… Se sapevano che era stato proprio Dimitri a tradire Challagher, sarebbe stato poco credibile vederlo arrivare dicendo di voler far fuggire lo Scorpione, portandosi dietro la sua “ex-ragazza”.

 

La sua idea era diversa. Se voleva apparire convincente, doveva far credere che fosse lei la mente tra loro due, che fosse partito tutto da lei, soprattutto la parte della fuga dello Scorpione…

 

<< Sono stata io a far scappare Dimitri >> rispose Irina, mentre il ragazzo al suo fianco spalancava gli occhi, arrabbiato. << Non fare quella faccia, butta giù l’orgoglio e ammetti che sono stata io ad aiutarti a fuggire >> aggiunse, per mascherare la sua espressione furiosa e dargli una giustificazione.

 

Boris guardò prima lei, poi suo nipote. << Sta dicendo la verità? >> chiese, stupito.

 

Dimitri digrignò i denti, poi rispose a bassa voce: << Sì >>. Anche se non era quello il loro piano, doveva per forza starle dietro se non voleva buttare tutto all’aria.

 

<< E’ per questo che me la sono cavata fino ad adesso >> continuò Irina, << Sono stata per due anni in giro, con il benestare dell’F.B.I., con tutta l’intenzione di fargli credere che avevano vinto davvero. Volevo far uscire William, ma è rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di San Francisco, e non so come fare. Nessuno vuole più avere a che fare con lo Scorpione, da quando sanno che è dietro le sbarre… L’unico che mi poteva aiutare era Dimitri, così ho cercato aiuto e ho fatto fuggire lui >>.

 

<< La mia famiglia ti deve un favore, allora >> disse Boris, serio. << Quindi vuoi far scappare Challagher? >>.

 

Irina annuì. << I pochi soldi che avevo li ho usati per ingaggiare dei complici per far scappare Dimitri, e non mi è rimasto più niente >> disse, << La polizia ci ha visti, sa che ci sono io dietro a tutto questo, e ce ne siamo andati… Per qualche tempo è meglio far calmare le acque, ma voglio tornare per liberare lo Scorpione >>.

 

Boris si passò una mano sulla barba scura, accendendo un altro sigaro. << Vuoi il nostro aiuto? >> chiese.

 

<< Il vostro… E quello della Lince >> rispose Irina.

 

Boris tacque, servendosi un altro bicchiere di vodka. << In effetti, abbiamo concluso molti affari vantaggiosi con Challagher e la sua banda… Lui e la Lince si conoscevano, forse potrebbe volerlo tirare fuori… >>.

 

“William conosceva la Lince? Non lo sapevo…”.

 

<< Voglio incontrarlo >> disse Irina, << Credo sia l’unico che abbia abbastanza soldi e potere per aiutarci a tirare fuori William di prigione >>.

 

<< La Lince ha a che fare soltanto con noi referenti >> ribatté Boris, << Se veramente la vuoi incontrare, devi meritarlo; cioè significa che devi prima guadagnare la fiducia di noi referenti, e ti assicuro che non è facile >>. Gettò un’occhiata a Dimitri, sprofondato nel più completo silenzio, come a chiedergli di confermare la cosa.

 

<< Non ho tutto questo tempo >> ribatté Irina, seccata, << Ho già aspettato due anni, non posso attendere ancora >>.

 

<< Perché vuoi Challagher libero, Fenice? >> domandò all’improvviso Boris, << Sappiamo che non eri una dei suoi piloti più fedeli, anche se eri la sua ragazza >>.

 

<< Forse non mi piacevano i suoi metodi, a volte, ma questo non significa che io non volessi più essere del suo giro >> rispose lei, giocando il tutto per tutto, << Anche io avevo i miei affari. In due anni ho riflettuto a lungo, e ho capito di aver commesso un errore con lui… Ma questi sono affari tra me e William >>. Ammiccò, per fargli capire che il rapporto tra lei e lo Scorpione non era finito: Fenice si era vista portare via il suo capo, ma anche il suo uomo. Era quello che dovevano pensare, per crederla determinata e furiosa.

 

Boris sorrise. << Sei sempre la solita “belva”, come amava definirti lui >> commentò, << Posso parlarne con la Lince, ma dovrete comunque fare qualcosa per guadagnare la sua fiducia… Sarà lui ha decidere se incontrarvi o no >>.

 

<< Sono disposta qualsiasi cosa >> disse Irina.

 

Boris si rivolse ora al nipote, rimasto seduto come una statua di pietra.

 

<< In giro non saranno contenti di sapere che vuoi aiutare Challagher >> disse, << Lo sai cosa pensano >>.

 

Irina osservò le loro facce per capire a cosa si riferivano, ma si rese conto di non capirci niente. Stavano parlando della stessa cosa per cui Dimitri se n’era andato, o riguardava qualcos’altro?

 

<< Non me ne frega un cazzo di quello che pensano >> ribatté lui, gelido.

 

Boris ghignò, poi gli passò un altro bicchiere di vodka.

 

<< Brindiamo al vostro ritorno, allora >> disse, alzando il bicchiere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Prima di tutto, mi scuso per l’enorme ritardo con cui ho postato il capitolo: non è da me non rispettare una scadenza, ma purtroppo ho avuto difficoltà a finire a causa di numerosi impegni che sono sopraggiunti e mi accompagneranno fino alla fine delle lezioni. Piuttosto che postare un capitolo breve e di bassa qualità, ho preferito metterti qualche giorno in più.

 

Ora, visto che come avrete capito sono davvero satura di cose da fare, sono costretta a dirvi che posterò solo quando avrò tempo o quando il capitolo sarà pronto. Quindi non vi posso garantire nessun aggiornamento settimanale, almeno fin quando non sarò un po’ più tranquilla, ma naturalmente cercherò di fare del mio meglio e vi garantirò in ogni caso un capitolo degno di questo nome. Vi ringrazio anticipatamente per la comprensione.

 

Adesso, se volete un breve commento sul cap… Bé, Dimitri si sta rivelando un personaggio sempre più complicato e “ombroso”: ci sono un sacco di cose da sapere su di lui, che piano piano verranno fuori. In ogni caso, sta cercando in ogni modo di infastidire Irina, ve lo garantisco e conoscendolo come lo conosco io, ci riuscirà prima o poi. Altra cosa che voglio farvi notare è come Vilena e Yana siano particolarmente tolleranti verso di lui, nonostante a volte sia rude e scontroso. Anche qui c’è un perché, che sarà svelato più avanti…

Xander in questo capitolo non è presente, ma tornerà al più presto, non vi preoccupate. Quanto alle sostenitrici di William, mi frulla per la testa un’ideuzza che potrebbe farvi felici…

 

 

Bene, ora scappo ma vi ringrazio infinitamente tutti, chi segue, chi recensisce, chi ha votato per il concorso e chi semplicemente legge e basta.

 

 

Un bacione grande

 

Lhea

 

 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


Capitolo X

Capitolo X

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Las Vegas – Nove anni prima

 

La luce degli enormi lampioni del circuito illuminano l’asfalto facendolo somigliare a una colata di petrolio nero, un leggero venticello estivo che fa scuotere le chiome degli alberi lungo la carreggiata. L’odore della benzina e di pneumatici bruciati aleggia in mezzo alle grida, agli schiamazzi e agli incitamenti dei ragazzi che stanno a bordo pista, birre in mano e ghigni sul viso.

 

William stringe il volante dell’auto, impaziente. Chiuso nella sua BMW M3 blu metallizzato ascolta la radio, il volume sparato al massimo, osservando i piloti che lentamente raggiungono le loro macchine, disposte di fianco alla sua, pronte per la partenza. Alcuni hanno espressioni strafottenti dipinte sul volto, l’atteggiamento di chi è sicuro di vincere; altri stanno appoggiati alle loro auto, tranquilli, come se quella non fosse altro che una normale serata tra amici.

 

Nonostante sia la sua prima gara “ufficiale”, William non è spaventato né intimorito. Sa di essere il pilota più giovane lì in mezzo, dal basso dei suoi diciotto anni appena compiuti, ma sa anche di essere molto bravo con le auto, perché altrimenti gli amici di suoi padre non gli avrebbero mai permesso di partecipare a una gara clandestina. In quel momento dovrebbero essere seduti sugli spalti riservati al pubblico, per vedere come sarebbe andato.

 

Picchietta il volante con le dita della mano sinistra, poi sbuffa. Ha fretta di iniziare, di potersi misurare con quei piloti che dovrebbero essere più bravi di lui… Lo sa che si tratta di una gara facile, di quelle “aperte”, come dicono quelli del giro, ma è pur sempre una gara, e lui vuole mettersi alla prova. Dubita che qualcuno di loro possa provare la stessa cosa che sente lui quando stringe il volante…

 

<< Ehi, ragazzino, tu chi sei? >> domandò una voce di fianco a lui, che entrava dal finestrino aperto.

 

William si volta e vede un uomo fissarlo dall’alto con aria divertita, quasi lo consideri completamente fuoriposto. Tiene un mano un blocco e porta un marsupio sdrucido alla cintura, una penna dietro l’orecchio e un mezzo ghigno sul volto segnato da qualche ruga.

 

<< Sono William Challagher… >> ringhia il ragazzo, stringendo il volante. Odia sentirsi definire “ragazzino”, anche perché sa di dimostrare qualche anno in più di quelli che ha.

 

L’uomo sembra colto da un pensiero, e il ghigno si restringe un po’. << Challagher? Il figlio di George? >> domanda.

 

<< Sì, sono io >> risponde William, con una nota d’orgoglio nella voce, << Mi aspettavate, no? >>.

 

<< Ah, ma io non sapevo fossi un pivello! >> esclama l’uomo, ridacchiando e attirando l’attenzione della gente lì intorno, << Ma ce l’hai la patente? >>.

 

William fa una smorfia. << Certo che ho la patente, idiota >> ribatte, << Quanto devo aspettare ancora prima che inizi la gara? >>.

 

L’uomo continua a ridacchiare. << Poco… Dammi il libretto della tua auto >> risponde, << Se perdi, perdi anche la macchina, lo sai vero? >>.

 

<< Sì >>.

 

William gli lancia malamente il libretto dell’auto, consapevole di tutte le regole di quelle gare: quella era ufficialmente la sua prima corsa, ma conosce l’ambiente e anche come funzionano le cose. Gli amici di suo padre gli hanno dato qualche dritta.

 

L’uomo batte la mano sulla portiera.

 

<< Bene, ragazzino, sei a posto. Io sono Clark, per la cronaca >> dice, << Ci vediamo al traguardo… Sempre che ci arrivi >>. Si allontana in mezzo alla folla, mentre tutti guardano di lui, incuriositi dalla sua giovane età e soprattutto dal fatto che fosse il figlio di George Challagher.

 

Qualcuno grida qualcosa, e i piloti iniziano a raggiungere le loro auto. Mentre gli passano vicino, alcuni lo sfottono chiamandolo pivello, ma William li lascia perdere. La sua auto risponderà meglio di lui a quegli affronti, una volta accesa.

 

Ci vuole qualche attimo, poi tutti i motori prendono vita, inondando l’aria con i loro rombi potenti e profondi. Qualcuno fischia a bordo pista, incitando il tipo che guida la Ford Shelby argentata con due strisce blu sul cofano, proprio di fianco a lui.

 

William accende il motore, la lancetta del carburante che schizza in alto, i fari della M3 che si accendono di colpo. Fissa il ragazzo di fianco lui, per invitarlo a mostrargli di cosa è capace.

 

<< Mangerai la mia polvere, pivellino >> ribatte l’altro, con un ghigno.

 

Clark si avvia verso il centro della carreggiata, un lungo tubo al neon rosso che gli brilla in mano. Lo alza in aria, facendo cenno di prepararsi, e i motori delle auto ruggiscono, come a segnalare di essere pronte a correre.

 

L’uomo passa in rassegna tutte le macchine, poi cala il braccio e la gara inizia.

 

William preme a fondo l’acceleratore, facendo schizzare avanti al BMW come un proiettile, le ruote che pattinano sull’asfalto, stridendo. E così le altre macchine, in una nuvola di polvere bianca sollevata dagli pneumatici, nel frastuono dei ragazzi che fanno il tifo.

 

Gli ci vuole un attimo per ingranare le marce, svoltare alla prima curva così stretto da tagliare la strada a tutti, portandosi subito dietro la Shelby. E gli ci vuole un attimo per capire che può fare di meglio, che quello è solo l’inizio.

 

E come una droga l’adrenalina gli invade le vene, dandogli la sensazione si essere perfettamente lucido e contemporaneamente preda di una sorta di overdose…

 

E lo capisce in quell’istante che correre in auto è l’unica cosa che vuole fare. Capisce in quel momento che fare il pilota clandestino è il suo destino…

 

Il piede schiaccia il pedale fino a fine corsa, la lancetta del contagiri che brilla impazzita sul cruscotto, il tachimetro che sale… I fari della M3 brillano sul posteriore della Shelby, il motore che ringhia…

 

Si accoda alla Ford, zigzagando dietro di lei per innervosire il pilota, e aspetta la prima curva che si presenterà… I fari posteriori della Shelby si accendono per la frenata, ma lui non rallenta…

 

Poi, sterza bruscamente, la M3 che si sposta a destra, e si affianca all’altra auto… Un momento, e schizza avanti superandola a tutta velocità, lasciando una lunga striscia nera sull’asfalto…

 

Quando William taglia in traguardo, davanti a tutti, le ruote che inchiodano stridendo, la gente che lo guarda stupita, la BMW che si gira di traverso in una perfetta derapata… Lì, in quell’esatto istante di pura gloria ed euforia che si rende conto che ha trovato ciò che sta cercando…

 

Le altre auto si fermano di fianco a lui, mentre scende dalla M3 e si dirige verso Clark a cui ha affidato il libretto della sua macchina. Lo guarda con l’espressione stupefatta, gli occhi che non si staccano da lui, e nessuno lo apostrofa più.

 

<< Ci rivediamo al traguardo… >> commenta William, ghignando. Tende la mano verso di lui, per riavere indietro ciò che gli spetta.

 

L’uomo gli riconsegna il suo libretto, più tutti quelli delle altre auto. La gente continua a guardarlo, senza sapere cosa dire, improvvisamente zitta davanti al ragazzino che fino a poco prima non era altri che il figlio di Challagher, senza arte né parte, senza altra reputazione che non quella di figlio di papà.

 

<< Come hai fatto? >> domanda un ragazzo, forse quello della Audi grigia che è parcheggiata poco più in là, con lo stereo acceso.

 

<< Ho guidato >> risponde William, solamente. << Altra gara? >>.

 

I ragazzi si guardano l’un l’altro, come per valutare se sia sano di mente. O forse solo se stia scherzando.

 

William sorride di fronte alle loro facce. Lo sa di essere forte, lo sa di essere giovane, lo sa di essere temuto, per ciò che è ma anche per ciò che ha appena dimostrato di essere… E si accorge di essere nel suo elemento, nel suo ambiente naturale… Quella gente non è nessuno, in confronto a lui.

 

Non è che l’inizio della sua storia. Ringrazia il giorno in cui pochi anni prima ha preso di nascosto la Lamborghini di suo padre, sempre ferma in garage, e ha provato a guidare, accorgendosi che gli veniva naturale come respirare… Scoprendo che gli piaceva, che voleva continuare, che gli si addiceva.

 

Se solo sapesse cosa sarebbe stato in grado di fare di lì a poco, se solo sapesse cosa avrebbe creato di lì a qualche anno, il suo sorriso sarebbe stato ancora più grande. Ma lo sa già che la gente lo conoscerà dappertutto, lo sa già che sarà temuto, lo sa già che quella BMW sarà solo la prima delle sue auto… Sa tutto, perché nella sua testa si vede già in alto, si vede già forte, il più forte. E sa anche come lo chiameranno, quando tutti avranno paura di lui.

 

<< Sei sicuro, Challagher? >> gli domanda Clark, ora serio.

 

William ghigna.

 

<< Lo Scorpione è sempre sicuro di ciò che fa >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 23.00 – Mosca

 

<< Sei un’idiota >> commentò seccato Dimitri, sbattendo violentemente la portiera della R8, << Ti avevo detto di stare zitta, e di non dire stronzate… >>.

 

Irina si accomodò sul sedile dell’auto, innervosita e intirizzita dal freddo. << Se non te lo ricordi, sono io quella che è venuta in missione qui, non tu >> ribatté, acida, << Il tuo compito è solo quello di darmi le dritte giuste per muovermi da queste parti… >>.

 

Dimitri mise in moto l’Audi, stringendo il volante con aria irata. Il cielo buio e oscuro di Mosca si addiceva molto alla situazione. << Appunto. Ti avevo detto di stare zitta, no? >> ringhiò, fulminandola con gli occhi grigi, << Ero io quello che doveva parlare, non tu >>.

 

Irina lo fissò, e anche se lo vedeva veramente furioso non si lasciò spaventare: se c’era qualcosa di cui era sicura in quel momento, era che si sentiva nel giusto. Dimitri non era lì per tirare le fila del gioco; spettava a lei farlo, e oltretutto non poteva fidarsi di lui lasciandogli fare quello che voleva.

 

<< Se ti rode che gli abbia detto che sono stata io ad aiutarti a fuggire, dillo subito >> sibilò, << Ma sappi che non me ne frega niente, perché come hai visto è andato tutto bene e Boris ha veramente creduto a ciò che gli ho detto >>.

 

Dimitri fece una smorfia, inserendo la retromarcia. Le guardie armate di Boris li seguivano con lo sguardo da lontano, senza per fortuna riuscire a sentire quello che dicevano. << Spero per te che ti abbia veramente creduto, perché altrimenti sono cazzi tuoi >> disse.

 

Irina incrociò le braccia, infastidita dal suo comportamento. Il russo si chiuse in un silenzio carico di risentimento, senza aggiungere altro alla discussione, e lei rimase a guardare i cancelli della villa che venivano aperti per lasciarli uscire, l’uomo che l’aveva perquisita che le rivolse un cenno di saluto divertito.

 

Nel silenzio dell’abitacolo, il cielo nero e stellato di Mosca sopra di loro, Irina si cucì la bocca lanciando al russo qualche occhiata carica di risentimento, senza che lui dicesse niente. Si limitava a guidare con l’espressione distaccata e la mano sul cambio.

 

Boris era stato particolarmente interessato al loro ritorno, e aveva garantito a Irina che avrebbe parlato con la Lince della questione Challagher, per poi riferirgli quello che avrebbe detto. Inoltre, gli aveva anticipato che presto li avrebbe fatti entrare nel loro giro, nella speranza di ottenere la fiducia dei pezzi grossi. Non era apparso diffidente nei suoi confronti, nonostante si fosse ripresentata dopo il casino di Los Angeles con l’idea di liberare lo Scorpione quando era sospettata di averlo fatto arrestare, ma era sicura che avrebbe fatto qualche ricerca su di lei. Doveva riferire anche quello a McDonall, per fare in modo che le garantisse una copertura adeguata anche da quel punto di vista.

 

Dimitri era stato di poche parole tutta la serata, come sempre. Il suo interesse non si era risvegliato nemmeno quando avevano accennato a qualche gara clandestina, ed era rimasto seduto con le braccia incrociate sul divano, forse profondamente offeso dal fatto che Irina avesse detto che era stata lei a farlo fuggire… Doveva essere stato un colpo basso al suo orgoglio accettare la cosa e rimanere in silenzio.

 

All’improvviso il cellulare di Irina iniziò a squillare forte nel silenzio dell’abitacolo, e lei lo afferrò subito. Sul display bianco brillava il nome “Xander”, e sentì la rabbia scemare un po’.

 

<< Pronto? >>.

 

<< Ciao piccola >> la salutò Xander, la voce stranamente modulata, << Stai bene? >>.

 

<< Xander! >> gridò Irina, felice di sentire la sua voce. << Certo che sto bene, ci siamo sentiti stamattina… Sapevi che avrei incontrato Boris? >>.

 

<< Me lo ha detto McDonall >> rispose Xander, << Com’è andata? >>.

 

Irina lanciò un’occhiata a Dimitri, che la stava ignorando ma le cui orecchie dovevano essere ben tese. << Tutto ok, Goryalef sembra aver creduto a quello che gli abbiamo raccontato… Crede che la mia sia una sorta di vendetta personale verso l’F.B.I., per via di William. Nei prossimi giorni ci farà conoscere qualcuno, forse… >>.

 

<< Bene. Adesso dove sei? >> chiese Xander. Sembrava non fosse particolarmente interessato a come fosse andato il tutto, ma solo a come stesse lei.

 

<< Sto tornando a casa >> rispose Irina, guardando fuori dal finestrino la lunga strada sopraelevata di Mosca, << Sono in auto con Dimitri… >>.

 

<< Passamelo >> disse subito Xander.

 

Irina guardò il russo, incerta se passargli o meno il telefono. Non era molto sicura che Dimitri volesse parlare con qualcuno, in quel momento, soprattutto se si trattava di un agente dell’F.B.I.

 

<< E’ Xander, vuole parlare con te >>.

 

Dimitri fermò la R8 al semaforo e afferrò il telefono malamente, portandoselo all’orecchio senza nemmeno guardarla.

 

<< Cosa vuoi, Went? >> ringhiò.

 

Rimase un momento in silenzio, poi rispose: << Sì, sembra che mio zio ci abbia creduto, ma non ti garantisco niente… La tua ragazza ha la brutta abitudine di fare quello che le pare… Vallo a chiedere a lei, cosa ha fatto. No, la responsabilità è solo sua >>.

 

Irina si mise a fissare fuori dal finestrino, per evitare le occhiate cariche d’odio di Dimitri. Chi si credeva di essere, eh? Era lui quello che doveva seguire i suoi ordini, e non viceversa.

 

<< Tranquillo, Went >> continuò Dimitri sarcastico, << Continuerò a farle da baby-sitter finché non si deciderà a capire come si deve comportare >>.

 

Le lanciò il cellulare e Irina fece in tempo a prenderlo al volo.

 

<< Xander? >>.

 

<< Cosa hai combinato? >> chiese lui, paziente.

 

<< Niente, ho solo cambiato un po’ la nostra bugia >> rispose lei, << Ho detto a Boris che sono stata io a far fuggire Dimitri per chiedergli aiuto, e non il contrario. Gli ho raccontato che sono qui soprattutto perché voglio liberare Challagher… Ci ha creduto, pensa di trovarsi davanti una donna disperata e infuriata >>.

 

Xander sembrò sospirare. << Davvero, non credevo potessi avere un’idea del genere >> disse, << Sei stata geniale, lo sai? >>.

 

Irina rimase di sasso.

 

<< Cosa? >> esalò.

 

<< Ho detto che hai avuto un’ottima idea >> disse Xander, divertito, << Hai giocato la parte della donna mafiosa disposta a tutto per riavere indietro il suo uomo… Crederanno che Challagher ti stia aspettando, e non oseranno farti niente se sanno che lo libererai >>.

 

<< Mi stai prendendo in giro? >> chiese Irina, senza riuscire a capire cosa provasse dal suo tono di voce.

 

<< No, non ti sto prendendo in giro >> rispose Xander, << Sto dicendo la verità. Mi sembra una buona idea, davvero >>.

 

<< Ah… >>. Irina si era preparata per una ramanzina colossale con tanto di minaccia di ritorno immediato a Los Angeles, e non si era proprio aspettata una reazione del genere… << Ehm, domani parti? >>.

 

<< Sì, ho già tutto pronto >> rispose Xander, << Dimitri come si sta comportando? >>.

 

Irina fissò il russo. << Continua a provocarmi >> rispose, facendosi sentire per bene, << Credo mi consideri un’idiota, ma non credo che abbia capito ancora con chi ha a che fare… >>. Sorrise provocatoria.

 

<< Ripassamelo >> disse Xander.

 

Irina alzò gli occhi al cielo e porse il cellulare a Dimitri. << Ti vuole parlare di nuovo >> borbottò.

 

Dimitri prese il telefono, e fece una smorfia divertita.

 

<< La tua ragazza non mi sembra solo un’incompetente; lo è a tutti gli effetti >> ringhiò Dimitri, << … Non ti avevo detto che avrei anche fatto il gentiluomo con lei, quindi accontentati di ciò che sto facendo… Tanto avete il vostro bel collare per tenermi d’occhio, no? … Lascia perdere, Went… Hai scelto tu di mandarmi qui, quindi accetta tutte le conseguenze >>. Si voltò verso di lei, porgendole il cellulare. << La tua mammina mi ha fatto la ramanzina, contenta? >>.

 

Irina riprese il telefono, perplessa.

 

<< Sopportalo, piccola >> disse Xander, << E’ il prezzo da pagare per aver deciso di prendere parte a questa missione… >>.

 

“Mi provoca anche lui… Ma bravo”.

 

<< Non ricominciare, eh >> fece Irina, gettando un’occhiata a Dimitri, << Ci sentiamo domani, perché adesso devo andare. Scusami amore, ti amo >>.

 

<< Anche io. Buona notte >>.

 

<<Notte >>.

 

Irina rimise il cellulare in tasca e guardò Dimitri, che aveva appena tirato fuori le chiavi del garage e stava percorrendo la rampa che portava di sotto, lentamente per evitare che la R8 toccasse con i paraurti sul dislivello del pavimento.

 

Era arrabbiata e infastidita. Dimitri la trattava come una stupida, e Xander come una bambina. Il russo la provocava dicendole che era lui quello che conosceva la situazione e che doveva prendere le decisioni; il suo ragazzo accettava i suoi sbagli con accondiscenda come si fa davanti a un bimbo inesperto e maldestro. Lo aveva capito che Xander non era contento di quello che aveva fatto, non era stupida, altrimenti non avrebbe cambiato argomento così in fretta; ci stava insieme da due anni, e lo conosceva molto bene.

 

Tuttavia, il quel momento Dimitri la infastidiva particolarmente: era andato tutto bene, ma lui la faceva tanto lunga. Si era dimenticato che per due anni era stata Fenice, la numero tre della Black List?

 

<< Forse non sarò una spia esperta, ma non sono un’incompetente >> disse seccata, incrociando le braccia.

 

Dimitri parcheggiò l’Audi al suo posto, con precisione millimetrica, e la guardò in faccia.

 

<< Questo lo pensi tu >> ribatté lui, << Credi di sapere come funzionano le cose da queste parti, ma non è come Los Angeles… Non è come da nessun’altra parte. Se uno di noi due fa un passo falso ci ammazzano alla prima occasione; qui non c’è nessuno Scorpione che ti risparmierà solo perché gli piaci, chiaro? Boris può averti creduto, ma gli altri saranno diffidenti. E il fatto che tu sia venuta qui con me non ti agevola le cose >>.

 

<< Allora spiegami dove sta il problema >> sbottò Irina, << Dimmi per filo e per segno come funzionano le cose qui, da chi mi devo guardare. Non posso sapere le cose se tu non me le dici… Cosa significa che anche se sono venuta con te, non sarò agevolata? >>.

 

<< Vuol dire che da queste parti sono un estraneo anche io >> ringhiò Dimitri, << Vuol dire ognuno di noi sta rischiando per gli errori dell’altro >>.

 

Irina rimase in silenzio, colpita da quell’affermazione.

 

<< Cosa significa che sei un estraneo anche tu? >> sussurrò.

 

<< Significa che devi tenere a freno la lingua >> ribatté Dimitri, scendendo dall’auto e sbattendo la porta. Irina si affrettò a seguirlo, ma lui fu più rapido e si avviò verso le scale, richiudendo la porta alle sue spalle. Per un attimo credette che l’avesse chiusa dentro, ma quando mise la mano sulla maniglia scoprì che era solo stata adagiata.

 

Trovò Dimitri già in casa, davanti al frigorifero con una birra ghiacciata in mano. Ne bevve un sorso, poi la guardò mettere piede in cucina, ora più calma.

 

<< Ah, ti avviso che non ho intenzione di darti le chiavi dell’appartamento >> disse lui, << Quindi entri ed esci con me >>.

 

Avrebbe voluto rispondergli, per cercare almeno di fargli abbassare la cresta, ma la frase che aveva detto poco prima l’aveva lasciata con l’amaro in bocca. Annuì in silenzio, e lasciò la cucina. Raggiunse la sua camera e si sedette sul letto, un sospiro che le sfuggiva tra le labbra.

 

“Vuol dire che ognuno di noi sta rischiando per gli errori dell’altro…”.

 

Ciò che le aveva detto Dimitri la fece riflettere su ciò che aveva appena fatto: aveva preso una decisione da sola, senza però tenere conto di chi stava con lei. Era stata impulsiva come Xander, senza però avere il suo stesso istinto innato.

 

In effetti, in quella missione erano in due, non c’era solo lei, e le conseguenze di ogni sua scelta sarebbero ricadute su entrambi… Se lei rischiava, rischiava anche Dimitri. E per quanto il russo fosse disprezzabile, non voleva certo che venisse ferito o ucciso per colpa sua.

 

“Bambina. Sei una bambina” si disse.

 

Non si era comportata bene, in effetti. Avrebbe dovuto parlarne con lui, prima, o almeno proporgli la cosa… Solo che in quel frangente non aveva potuto davvero farlo. Questa volta era andata bene perché la sua bugia era stata molto piccola e insignificante, ma avrebbe anche potuto combinare un guaio…

 

“D’ora in poi, quando predi una decisione, tieni conto anche di chi ci finirà in mezzo… E non lasciare che Xander ti protegga come mamma chioccia con i suoi pulcini”.

 

Sentì un moto d’orgoglio invaderla. In effetti, non le era piaciuto il comportamento di Xander: aveva sgridato Dimitri per essersi comportato male con lei, come se non fosse in grado di gestire la situazione da sola… Stupida lei che lo aveva lasciato fare, e che prima ancora si era lamentata.

 

Si lasciò cadere sul letto, le braccia dietro la testa.

 

Come giornata non era stata gran che, e non era finita meglio. La convivenza con Dimitri si preannunciava difficile e molto tesa, e il freddo di Mosca non aiutava. Non le rimaneva che darsi da fare prima di ritrovarsi pentita della sua folle scelta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 10.30 – San Francisco, Carcere di Massima sicurezza

 

<< Sono riuscito a scoprire dov’è andata Irina >> disse Sebastian, calandosi leggermente il cappello di feltro sulla fronte, << E’ stato difficile, ma ce l’ho fatta… >>. Gli sbirri ai lati della sala dei ricevimenti spostavano lo sguardo di qua e di là, svogliatamente, le luci al neon che si riflettevano sul pavimento a rendere l’atmosfera fastidiosa e stranamente asettica.

 

William si sedette meglio sulla sedia e alzò il mento, appoggiando i gomiti vicino sul ripiano vicino al vetro.

 

<< Dov’è? >> chiese, impaziente.

 

<< A Parigi >> rispose il meccanico, compiaciuto.

 

<< A Parigi? >> ripeté William, perplesso, << Sei sicuro di ciò che dici? >>.

 

<< Certo >> rispose Sebastian, << E’ partita per un soggiorno studio in Europa, diretta in Francia… Una roba dell’università, credo. Non tornerà per un paio di mesi almeno >>.

 

William si portò una mano al mento, poco convinto. Aveva molto senso, certo: Went era rimasto a Los Angeles da solo, e lei era partita senza nessun’altro: lo sbirro non l’avrebbe lasciata andare da nessuna parte se non fosse stato sicuro che sarebbe stato un posto sicuro. Un soggiorno studio era una cosa da Irina, e Went non le avrebbe precluso quell’opportunità se a lei faceva piacere andare…

 

<< Sei sicuro che si trovi a Parigi? >> domandò.

 

<< E’ quello che dicono i suoi parenti >> rispose Sebastian, << Ho visto suo padre, è sembra tranquillo… Non lo sarebbe, se sua figlia avesse in mente qualcosa di strano >>. Aveva parlato con tranquillità, quasi fosse scontato ciò che aveva detto.

 

William inarcò un sopracciglio. << Suo padre non si è mai accorto di un cazzo, figuriamoci se si renderebbe conto di qualcosa… >> ribatté, ricordando i segreti che Irina era riuscita a nascondergli. << Sicuramente se ha messo in atto qualcosa, non lo avrà detto a nessuno… >>.

 

<< Will, forse non sta davvero facendo niente >> lo interruppe Sebastian, il tono stranamente conciliante, << Forse è solo un caso che la sua auto si sia vista in giro… Magari voleva farsi un giro prima di partire per quel suo soggiorno studio. La macchina non poteva certo portarsela dietro… >>.

 

Lo Scorpione lo fulminò con gli occhi. Forse il meccanico aveva ragione, ma lui aveva il sentore che Irina non stava facendo la brava, che non si era completamente dimenticata chi era… Era sicuro che stava combinando qualcosa, ovunque fosse andata. In due anni la sua auto non si era mai vista in giro, e in tutto quel tempo non le era mai venuta voglia di farsi un giro?

 

Poi, improvvisamente, si diede dello stupido.

 

No, era lui quello che sbagliava. Irina era a Parigi a fare la sua vacanza studio, ed era lui che sperava non fosse veramente così; era lui, che nel profondo di se stesso, sperava che Irina non avesse cancellato tutto il suo passato e fosse ancora Fenice… Lo sperava, perché era l’unica cosa che poteva dare un senso alla sua vita in quel momento, chiuso dietro quelle sbarre metalliche a sognare il mondo di fuori… In fondo era lei che aveva usato per tenersi vivo, per non lasciarsi sopraffare dal torpore e dall’angoscia che aveva minacciato di distruggerlo in carcere. Era lei che senza saperlo gli aveva dato uno dei motivi per uscire da lì, per farlo riflettere in qualche modo.

 

<< D’accordo, forse hai ragione >> disse stancamente, << Ma se scopri qualcos’altro fammelo sapere. Magari era Went ad andare in giro con la sua auto, e non lei… Sai qualcosa di Dimitri? >>.

 

Sebastian scosse il capo. << So che è rinchiuso nel carcere di Sacramento, ma non sono riuscito ad avvicinarmi >> rispose, << Anche lui è ben sorvegliato. Posso provare a chiedere di incontrarlo, ma non credo voglia vedermi, dopo quello che è successo… >>.

 

William si produsse in un ghigno. << No, vallo a trovare >> disse, << Informalo che ci vedremo molto presto, e sarà la prima è l’ultima volta che ci incontreremo dopo la faccenda di Irina >>.

 

<< Ah proposito… >>. Sebastian si gettò un paio di occhiate intorno, frugando nella tasca dei pantaloni, << Marissa mi ha dato una cosa da parte di Blacktree… >>.

 

Mostrò un pacchetto di quelle che erano caramelle alla frutta, perfettamente sigillato nella carta trasparente. Lo agitò facendo rumoreggiare il contenuto, per far capire che era pieno.

 

William inarcò un sopracciglio. << Che cazzo significa? Cosa me ne faccio di caramelle? >>.

 

<< In mezzo ce ne sono due particolari >> sussurrò Sebastian, << Sono le uniche due completamente bianche. Marissa mi ha detto che tu e Grey dovete prenderle per la fuga… >>.

 

Interessato, William si avvicinò al vetro, per permettergli di parlare ancora più piano.

 

<< Allora è tutto pronto? >> domandò a bassa voce.

 

Sebastian annuì. << Pare di sì >> rispose, << Non conosco nei dettagli il piano, ma mi ha detto che vi farà uscire facendo credere che state male… Dovete prendere quella pillola subito dopo pranzo, fra una settimana esatta. Si è raccomandata che lo facciate insieme… >>.

 

William arricciò il labbro. Non gli piaceva tutta quella storia… Doveva prendere una pastiglia per sentirsi male? Non potevano cercare un altro modo per farlo uscire?

 

<< Sono sicuri che funzionerà? >> chiese, << Non ci voglio lasciare le penne… >>.

 

<< Non lo so, ha detto che non vi dovete preoccupare >> rispose Sebastian, scrollando le spalle, << Che dovete prendere la pastiglia e al resto ci pensano loro. Probabilmente svenirete, non lo so, o avrete una sorta di attacco… Non è stata particolarmente eloquente su questo punto >>.

 

William strinse il pugno, infastidito dal tono leggero del meccanico: se trovava la cosa divertente, lui pensava diversamente. Voleva uscire di lì, ma non voleva farlo in una cassa da morto.

 

<< Digli che se mi succede qualcosa, non vedranno nemmeno un soldo >> ringhiò.

 

<< Ok… >>.

 

Sebastian si voltò verso il poliziotto alle loro spalle, agitando il pacchetto di caramelle per mostrarglielo.

 

<< Posso darglielo? >> chiese, accennando verso William.

 

Lo sbirro si avvicinò con aria assassina, gli tolse la scatoletta di mano e la aprì; guardò dentro, agitando le caramelle come per rimestarle e controllare che non ci fosse niente nascosto in mezzo. Gettò un’occhiata verso di loro, poi annusò il contenuto continuando a guardarli, forse per cogliere una qualche loro reazione.

 

<< Puoi darglielo >> disse alla fine, lanciando il pacchetto a Sebastian. Si voltò e tornò al suo posto, continuando a tenerli d’occhio.

 

Il meccanico tornò a guardare William, facendogli l’occhiolino. Gli passò il pacchetto sotto la feritoia del vetro, e lui le prese malamente, facendole sparire in un attimo nella sua tasca.

 

<< Ancora una settimana, allora? >> domandò riferendosi alla fuga, innervosito da quella storia.

 

<< Sì >>.

 

<< Allora ci vediamo >>.

 

<< Forse è l’ultima volta che incontriamo qui >> sussurrò Sebastian, avvicinandosi di nuovo al vetro, << Marissa mi ha consigliato di stare lontano da qui per un po’, in modo da non insospettire gli sbirri… >>.

 

<< Allora fatti trovare preparato quando sarò fuori >> sibilò lo Scorpione, << Trovali tutti >>.

 

Si alzò e fece cenno al meccanico per dirgli che poteva andare, e che il loro colloquio era terminato. Si girò e si diresse verso l’uscita della stanza, giocando con il pacchetto di caramelle; Reed, l’agente che di solito lo accompagnava, lo seguì in silenzio, lasciandolo camminare in pace fino alla sua cella, sapendo che non avrebbe tentato la fuga.

 

Ancora una settimana… Sette giorni…

 

Sentiva l’impazienza renderlo nervoso, ma non poteva fare altro che stare tranquillo in quel momento, per non rendere sospettosi i poliziotti… Se doveva aspettare ancora un po’ prima di uscire definitivamente, non poteva che accettare in silenzio: in fondo aveva pazientato due anni, e oltretutto le cose sembravano procedere per il verso giusto. Una settimana lì dentro non passava in fretta, ma poteva occuparla pensando a come uccidere Went e Dimitri, come farla pagare a Irina.

 

Perché in ogni caso, anche se aveva ancora un legame con lei, Fenice non poteva passarla liscia del tutto… Non dopo quello che gli aveva fatto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 12.00 – Mosca

 

Irina guardò il frigorifero strapieno di cibo, e inarcò un sopracciglio. Vilena lo aveva davvero riempito per bene: sembrava che i russi avessero quasi paura di rimanere senza niente da mangiare… O che mangiassero il doppio degli americani, che sembrava più verosimile.

 

Lo stereo in soggiorno trasmetteva la più famosa stazione russa a volume soffuso, lo speaker che parlava veloce senza lei che ci capisse nulla, ma almeno molte delle canzoni che trasmettevano le conosceva. Si era permessa di accendere la radio perché Dimitri era sparito al piano di sopra, e sembrava non voler farsi vedere ancora per un po’.

 

Doveva preparare il pranzo, ma non sapeva bene da dove cominciare. Sapeva cucinare, anche abbastanza bene a detta di Xander, e il suo problema era un altro: il russo sembrava essere piuttosto schizzinoso in fatto di cibo. La sera prima, a casa di Vilena, aveva mangiato solo quello che gli piaceva, quindi non più di due pietanze.

 

“Mi ha proibito di salire di sopra, ma dovrò pur chiedergli cosa vuole da mangiare… Anche se credo che in ogni caso non gli vada bene niente. Come potrà mai apprezzare la mia cucina, quando a mala pena gradisce della di sua sorella?”.

 

Il campanello della porta suonò all’improvviso, e lei sussultò. Dandosi della stupida andò ad aprire la porta, e per vedere di chi si trattava dovette abbassare di molto il suo campo visivo: Yana, gli occhioni che la scrutavano curiosi, sorrise con aria innocente. Niente scuola di sabato anche da loro.

 

<< Ciao piccolina >> la salutò Irina, << Cosa c’è? >>.

 

<< Voglio… Vedere… Zio… Dimitri >> rispose tutta contenta per essere stata in grado di farsi capire.

 

<< Oh, va bene >>.

 

Irina si fece da parte e la lasciò entrare. La bambina si diresse saltellando verso le scale che portavano di sopra, come se sapesse esattamente dove stava Dimitri in quel momento. Iniziò a salire, quando Irina si ricordò che il russo le aveva praticamente proibito di farsi vedere la sopra… Forse Yana aveva una sorta di permesso speciale.

 

Preoccupata, attese qualche minuto guardando la scala vuota, i gradini lucidi e deserti. La bambina non si fece vedere, né scese di sotto piangendo: Dimitri non l’aveva sgridata, almeno a lei.

 

Tirando un sospiro di sollievo, tornò in cucina e si decise a preparare qualcosa di semplice, fregandosene di quello che avrebbe detto Dimitri. Stava apparecchiando, quando il suo telefono squillò.

 

<< Pronto? >>.

 

<< Fenice, ti interessano ancora le gare di auto? >>.

 

Era Boris, il tono divertito con il suo accento russo. La ragazza sorrise.

 

<< Certo… Sono già invitata? >> chiese, guardando l’orologio.

 

<< Se desideri gareggiare, te ne do la possibilità >> rispose Boris, << E ti farò conoscere qualcuno che potrebbe aiutarti. Naturalmente, l’invito è valido anche per Dimitri >>.

 

<< D’accordo >> disse Irina, << Dove ci troviamo? >>.

 

<< Testovskaya, Mosca ovest >> rispose Boris, << Dimitri sa a cosa mi riferisco >>.

 

Perplessa per la risposta, Irina annuì.

 

<< Ok, quando? >>.

 

<< Domani sera, alle undici >>.

Salutò velocemente il russo e poi posò il cellulare sul ripiano della cucina. Bene, doveva essere stata abbastanza convincente la sera prima, perché le veniva già data la possibilità di gareggiare… Di sicuro ci sarebbe stata gente, e altrettanto sicuramente avrebbe avuto modo di trovare qualcuno che l’avrebbe avvicinata alla Lince…

 

<< Era Boris, immagino >>.

 

Irina sussultò di nuovo, ritrovandosi alle spalle Dimitri, comparso come un fantasma dall’espressione burbera. Aveva l’assurda capacità di apparire senza fare il minimo rumore, e la cosa la innervosiva parecchio.

 

<< Si, era lui >> rispose arricciando il labbro, << Domani sera gara, in un certo Testovoskyay o una roba del genere… >>.

 

Dimitri inarcò un sopracciglio, e Irina lo trovò per la prima volta abbastanza “umano”. A pensarci bene, non l’aveva mai visto lasciarsi andare a un’espressione diversa dalle sue smorfie fosche.

 

<< Testovskaya… >> la corresse, << Di già? A che ora? >>.

 

<< Alle undici >> rispose Irina, incrociando le braccia.

 

Dimitri fece un’altra smorfia, tornando alla sua solita espressione. << Bene, non mi resta che dirti che sei entrata nel giro… E in più stasera vengono i miei cugini >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 21.00 - Mosca, Casa di Dimitri

 

Irina aspettava impaziente seduta nel soggiorno, gli occhi incollati a Dimitri, perfettamente seduto sul divano di pelle nera, gli occhi grigi inespressivi. C’era solo  la televisione accesa a fare da sottofondo.

 

<< Non parlare più del necessario >> disse il russo, << Anche se sono miei parenti, non sono tolleranti come me… >>.

 

<< Se tu ti definisci tollerante… >> commentò sarcastica Irina.

 

Dimitri le lanciò un’occhiataccia. << Ti sto dicendo che stavolta non devi inventarti altre cose strane, chiaro? >>.

 

<< D’accordo, starò zitta >> ribatté Irina, infastidita, << Non li conosco, non so chi sono, quindi non saprei come comportarmi… Starò buona, contento così? >>.

 

Dimitri non si degnò di rispondere e si alzò di scatto. Raggiunse il mobile del soggiorno e tirò fuori una bottiglia di vodka insieme a un paio di bicchierini. Li riempì, poi tornò a sedersi con aria funerea.

 

<< Forse ti conviene rimanere con mia sorella… >> borbottò, agitando il contenuto del bicchiere e guardandoci dentro, improvvisamente pensieroso.

 

Irina spalancò gli occhi. << Addirittura? >> sbottò, << Siete così terribili, o siete solo maschilisti? >>.

 

L’occhiata di Dimitri avrebbe potuto ucciderla all’istante.

 

<< Maschilisti… No, non siamo maschilisti, ma odiamo le persone invadenti e che parlano troppo >> ribatté, poi buttò tutto giù d’un sorso la vodka.

 

Irina sbuffò e fece per prendere il bicchierino lasciato sul tavolino, ma Dimitri fu più veloce e lo afferrò prima che lo facesse lei, senza nemmeno sfiorarla.

 

<< L’alcool scioglie la lingua >> disse.

 

Irina lo fissò allibita, poi tornò ad appoggiarsi con la schiena al divano, irritata. Incrociò le braccia e iniziò a guardarlo con insistenza, sperando di riuscire a farlo innervosire abbastanza da fargli spostare lo sguardo da un’altra parte. Dimitri non si scompose, buttò giù il secondo bicchierino di vodka e aggiunse: << Andiamo di sotto >>.

 

<< Perché? >> sibilò Irina.

 

<< Ci incontriamo dell’appartamento di sotto >> rispose Dimitri, << E’ più adatto a questo genere di visite… >>.

 

<< Vilena? Viene anche lei? >> chiese Irina.

 

<< No. Passeranno a salutarla come fanno sempre, ma non si unirà ai nostri affari >> disse Dimitri.

 

Irina non disse niente e si limitò a fissare le lancette dell’orologio, pensando che di lì a qualche ora Xander avrebbe preso il suo aereo e sarebbe stato un po’ meno lontano di quanto era in quel momento… Come sempre, cominciava a sentire la sua mancanza dopo solo un paio di giorni, ma in quel caso c’era anche il “fattore” tensione tra lei e Dimitri: aveva bisogno di sentirsi un po’ coccolata, forse.

 

Sussultò quando il campanello della porta suonò, e sul pianerottolo si sentirono dei rumori. Un gruppo di persone stava parlando ad alta voce.

 

Dimitri si alzò e Irina lo seguì fino alla porta.

 

Il drappello di persone che si erano ammassate sul pianerottolo era formato da sei uomini di tutte le età, vestiti di scuro, di cui due ammantati in pellicce pesantissime e con un colbacco calato sulla testa a coprire pure le orecchie. Stavano salutando Vilena e Yana, e quando videro Dimitri iniziarono a gridare allegramente, parlando in russo stretto stretto e senza degnare Irina di uno sguardo, nemmeno avesse fatto parte della parete.

 

Nel trambusto generale, si ritrovò al piano inferiore, nel soggiorno dell’appartamento sotto quello in cui stavano loro, a osservare incuriosita il lungo tavolo da biliardo con il triangolo di palline pronto al centro del tappetino verde; il tavolo rotondo e ampio che doveva servire a giocare a carte; il divano angolare di pelle marrone trapuntata con il tavolino di vetro e ferro battuto, e l’angolo bar con tanto di credenza piena di bottiglie di alcolici. Il gruppo l’aveva preceduta parlando ad alta voce, continuando a ignorarla.

 

“Ora ho capito perché aveva detto che questo posto era più adatto…” pensò Irina, immaginando già a cosa dovesse servire quell’appartamento… Molto in stile William, notò.

 

<< Irina >> la chiamò Dimitri, secco.

 

La ragazza si voltò. I sei uomini ora la stavano guardando interessati, come se fosse comparsa solo in quel momento, ma dalle loro espressioni riuscì a leggere molta diffidenza nei suoi confronti. Solo quello più giovane, con ancora una vistosa acne a ornargli la faccia, sembrava il meno distaccato.

 

Dimitri le fece cenno di avvicinarsi, i suoi occhi grigi che brillavano di una strana luce, ma imperscrutabile come al solito.

 

<< Parlano tutti inglese, quindi vi potete capire >> disse.

 

Irina annuì, poi puntò lo sguardo sull’uomo che sembrava essere in qualche modo il più vecchio, con la barba striata di bianco.

 

<< Piacere di conoscervi, sono Irina Dwight, Fenice, ex numero tre della Black List americana >>.

 

Lungo la schiena le passò un brivido quando pronunciò quelle parole, la voce ferma e quasi fredda, ma non fu per l’espressione lievemente colpita di quei russi di fronte al suo nome: fu per la sensazione stranissima che la prese allo stomaco, come se una morsa le si fosse serrata nelle viscere… Adesso era veramente Fenice, era veramente di nuovo la numero tre della Black List

 

<< Sei la donna di Challagher? >> domandò il ragazzo più giovane, facendosi avanti, gli occhi che la scrutavano come a soppesarla.

 

Irina esitò. << Sì >> rispose solo, ma la sua voce questa volta tremò impercettibilmente di fronte al peso dei ricordi che riaffiorarono per un secondo nella sua mente.

 

<< Yulian >> si presentò il più anziano, porgendole la mano, << Abbiamo sentito parlare di te anche da queste parti, Fenice… Sei famosa per essere la pilota donna più forte in tutti gli Stati Uniti >>.

 

<< Mi fa piacere che mi conosciate anche qui >> ribatté Irina, << Però non sono venuta per vantarmi delle mie capacità al volante… >>. Dimitri le gettò un’occhiata. << Ma avremo modo di parlarne dopo… >>.

 

<< Infatti >> disse Yulian, << Lasciaci presentare, prima di passare agli affari >>. Indicò uno a uno gli uomini di cui pronunciava il nome. << Radim… >>. Quello con i capelli biondicci e i tratti affilati che ricordavano quelli di Dimitri, << Ivan… >>. Il ragazzo più giovane, quello con l’acne, << Gavriil… >>, Un ragazzo poco più grande di lei, dagli occhi verdi, << Kazimir… >>, l’altro uomo con la pelliccia, << Emilian… >>.

 

Arrivata all’ultimo, Irina non poté che fissare la sua faccia per qualche istante, cercando di non mostrarsi troppo inorridita. Emilian, che doveva avere pressappoco la stessa età di Dimitri, aveva la parte sinistra del volto completamente sfigurata, come se fosse stata consumata dall’acido. L’unica cosa rimasta sana da quella parte della sua faccia era l’occhio, di un azzurro brillante e più chiaro di quello di Xander. Come aveva fatto a non notarlo prima, quando erano arrivati?

 

<< Sediamoci >> disse Dimitri, forse per darle modo di riprendersi.

 

I sei uomini si andarono ad accomodare sul divano angolare che li accoglieva comodamente tutti, e Dimitri iniziò a tirare fuori una grossa bottiglia di vodka, tutta elaborata e filigranata d’argento. Posò otto bicchierini sul tavolino di vetro, e li riempì uno a uno sotto lo sguardo dei suoi cugini, fermandosi però al settimo. Le lanciò un’occhiata di ammonimento, poi riempì anche l’ottavo e richiuse la bottiglia.

 

“Ok, quello è il mio, immagino”.

 

Irina prese il bicchiere, seguita da tutti gli altri, e notò che in effetti non era stato riempito fino all’orlo come gli altri… Dimitri aveva paura che iniziasse a delirare, forse.

 

Yulian alzò il bicchierino, poi disse qualcosa in russo e tutti, insieme come se fossero stati sincronizzati, buttarono giù la vodka tutta d’un fiato, come Irina aveva imparato fosse usanza da quelle parti.

 

Questa volta non riuscì a non farsi scappare una smorfia di dolore, dopo aver ingurgitato la bevanda: se quella che aveva assaggiato da Boris era forte, quella lo era il doppio. Le scivolò lungo l’esofago bruciandole la gola e lo stomaco, stordendola in un attimo. Scosse il capo per riprendersi, guardando sbalordita il bicchiere vuoto, e udì qualcuno ridacchiare.

 

<< Forte, la ragazza… >> commentò Ivan, il giovane.

 

Irina lo ignorò, ma Yulian sorrise. Era chiaro che quei russi la stavano prendendo in giro, ma dubitava che le loro donne fossero in grado di reggere quella roba molto più di lei…

 

<< Allora, Dimitri, finalmente sei tornato >> disse Gavriil, allargando le braccia sullo schienale del divano, << Non dire che non ti avevamo avvertito, quando ti dicevamo di non avere niente a che fare con quell’americano… >>.

 

Irina drizzò le orecchie, pronta a cogliere qualsiasi informazione sul passato di Dimitri, ma il russo arricciò il labbro.

 

<< Non sono venuto qui per farmi fare la ramanzina… >> ringhiò.

 

Gavriil ridacchiò. << Ok, cugino, non ti arrabbiare >> disse, << Come te la sei passata, fin’ora? >>.

 

<< Meglio di come sarei stato qui >> rispose Dimitri, << Come vanno le cose da queste parti? >>.

 

<< Bene, se parliamo di affari >> rispose Yulian, appoggiando la pelliccia sul bracciolo del divano, << Abbiamo il monopolio in alcuni settori della città e di alcuni territori a est… Ma se ti riferisci alle cose con Vladimir, , allora non vanno molto bene >>.

 

<< Ci sono stati ancora scontri? >> chiese Dimitri, evidentemente sapendo benissimo a cosa si riferivano.

 

<< Roman e Seren sono morti >> rispose secco Kazimir, << Li hanno uccisi in un’imboscata qualche mese fa… Noi abbiamo ammazzato un paio dei loro, ma non è ancora finita. Appena potranno si faranno vedere da queste parti, soprattutto quando sapranno che sei di nuovo a Mosca >>.

 

Dimitri non si lasciò intimorire. << Che vengano… >> ringhiò, << Non avranno il coraggio, visti i precedenti… >>.

 

Irina osservò attentamente l’espressione del russo, accorgendosi che era furioso, in quel momento. Chiunque fossero quelli di cui stavano parlando, doveva odiarli a morte.

 

<< Figli di puttana, Seren centrava poco e niente >> sussurrò Yulian, << Era troppo giovane per dare fastidio… >>.

 

<< Lo sai come sono fatti >> commentò funereo Ivan.

 

<< Tanto non finisce qui >> disse Radim.

 

L’unico a rimanere in completo silenzio era Emilian, che fissava Irina con gli occhi di ghiaccio, minaccioso. La sua faccia non contribuiva a renderlo amichevole, e il suo atteggiamento confermava che tra tutti doveva essere il più pericoloso.

 

<< Cosa sei venuta a fare qui, Fenice? >> domandò all’improvviso, rivelando una voce roca e bassissima.

 

L’attenzione di tutti si spostò su di loro, come se il fatto che Emilian avesse parlato fosse qualcosa di cui temere. Irina cercò di non fissare la parte della sua faccia sfregiata, mentre rispondeva.

 

<< Sono scappata dalla polizia di Los Angeles, perché sono ricercata per aver fatto fuggire Dimitri dal carcere >>.

 

<< Sappi che non abbiamo intenzione di dare asilo a una fuggiasca >> ribatté Emilian, << Abbiamo già abbastanza problemi senza un’americana in mezzo ai piedi >>.

 

<< Non sono qui per chiedere asilo >> disse Irina, incrociando le braccia e avvicinandosi, << Ho bisogno di una mano per far scappare William Challagher dal carcere >>.

 

Tutti la fissarono in silenzio, compreso Dimitri che non sembrava voler aggiungere niente al suo discorso.

 

All’improvviso, Radim si rivolse in russo a Yulian, il tono che sembrava infastidito e irato; entrambi si voltarono verso Dimitri, chiedendogli qualcosa, e Irina si accorse dell’occhiataccia che Emilian le lanciò, segno che l’argomento non era particolarmente gradito.

 

Dimitri si limitò a parlare a bassa voce, come se volesse quasi dissociarsi da tutto quello che era stato appena detto, ma non sembrava temesse la reazione dei suoi cugini, perché li guardava con aria per niente intimorita.

 

<< Challagher non c’entra niente con noi >> disse secco Kazimir, << Non ci interessa se sta dietro le sbarre o se è libero. Lui ha i suoi affari negli Stati Uniti, e se la deve sbrigare da solo… Sappiamo che è amico anche di Dimitri, ma non ci possiamo occupare di lui >>.

 

<< Non vi sto chiedendo di occuparvi di lui, infatti >> ribatté Irina, << Ho solo bisogno di soldi e dei contatti giusti… Voglio incontrare la Lince, e Boris mi ha detto che è possibile che voglia aiutarmi >>.

 

<< Avete già parlato con lui? >> chiese Yulian.

 

<< Sì, >> rispose Dimitri, << La Lince e Challagher si conoscevano, potrebbe essere disposto ad aiutarlo… Per il momento, comunque, abbiamo le mani legate e l’unica cosa che vogliamo è nasconderci dalla polizia e racimolare qualche soldo >>.

 

Kazimir disse qualcosa a Yulian, poi gettarono un’occhiata verso di lei.

 

<< Dobbiamo parlarne >> disse il più anziano.

 

<< Ok… >> fece Irina.

 

<< Non con te >> aggiunse Emilian.

 

Irina li fissò uno a uno, notando le loro espressioni serie e distaccate. Chiaramente non la volevano tra loro, mentre parlavano dei loro affari, ma era anche necessario che rimanesse: era lei la diretta interessata della cosa, e aveva molte cose da dire in proposito.

 

Il suo sguardo si soffermò su Dimitri, e si accorse che nei suoi occhi grigi non c’era la stessa aria scocciata dei suoi cugini: forse aveva previsto che non la volessero, ma non sembrava ritenere necessario che se andasse.

 

“Adesso mi sentono, questi russi da strapazzo… Sono talmente maschilisti che non mi vogliono nemmeno che ascolti ciò che dicono. Pensavano mi limitassi a servigli da bere come una brava cameriera?”.

 

<< Sali da Vilena >> ordinò Dimitri.

 

Per un attimo, Irina fu sul punto di rispondergli per le rime e rifiutarsi categoricamente di andarsene, ma nell’occhiata del russo lesse qualcosa di strano. Da quello che aveva capito, i cugini nutrivano una sorta di particolare rispetto per Dimitri, e non poteva fargli fare una figuraccia tentando di mettergli i piedi in testa…

 

“Vediamo se le cose migliorano, facendo ciò che dice… Tanto qui non parleranno sicuramente di fronte a me…”.

 

<< Ok… >> disse alla fine, avviandosi verso la porta, ma sentendosi come una bambina che viene mandata a letto troppo presto senza riuscire a finire di vedere il suo film preferito…

 

Si accorse che Dimitri la seguì fin sul pianerottolo, la strana espressione che non riusciva a decifrare ancora sul volto.

 

<< Rimani un po’ da mia sorella, poi vai a dormire >> disse a voce bassa, per non farsi sentire da nessuno, << Non so quanto ci metteremo, quindi non mi aspettare per sommergermi di domande, anche perché non sarò dell’umore giusto per risponderti >>.

 

Irina lo guardò, notando per la prima volta il suo tono stanco e scocciato, e almeno non minaccioso.

 

<< Va bene >> disse, << Buona notte, allora >>.

 

Risalì le scale e bussò alla porta dell’appartamento di Vilena, molto simile a quello di Dimitri ma dall’aria decisamente più vissuta e più disordinata. La donna stava guardando la televisione, la coperta sulle gambe e sul pancione, i capelli legati con una pinza. Fece per mettere tutto a posto, forse per dare alla stanza un aria meno informale, ma Irina la fermò.

 

<< Lascia pure stare tutto così >> disse sorridendo, << Anzi, sdraiati pure sul divano e mettiti comoda. Non credo che quel pancione sia particolarmente confortevole >>.

 

Vilena sorrise a sua volta. << Grazie >> disse, << Non vedo l’ora che nasca, così mi sentirò meno pesante >>.

 

<< A che mese sei? >> chiese Irina, sedendosi su una sedia lì di fianco.

 

<< Al sesto >> rispose Vilena, << Ci vorrà ancora un po’, ma né varrà la pena… E’ un maschietto >>.

 

Irina sorrise. << Hai già scelto il nome? >> domandò Irina, trovando molto dolce l’espressione di Vilena, intenta a carezzarsi il ventre con fare materno.

 

<< Io e Iosif vorremmo chiamarlo Sergey >> rispose, << Anche se ci sarebbe piaciuto di più Dimitri, come suo zio. Ma lui naturalmente non vuole >>.

 

Incuriosita dalla storia, Irina la guardò interessata. << Come mai? >>.

 

Vilena si strinse nelle spalle. << Non vuole che nessuno possa essere ricollegato a lui >> rispose, noncurante.

 

“Tipico… Figuriamoci se Dimitri sopporterebbe mai che qualcuno si chiamasse come lui…”.

 

<< Sì, forse è meglio chiamarlo Sergey >> commentò, << Altrimenti rischia di diventare come suo zio… >>.

 

<< Se dici così, significa che ancora non conosci mio fratello >> disse Vilena. Le lanciò un’occhiata, come per dire che Dimitri nascondeva molti segreti che a lei non spettava di rivelare.

 

<< Diciamo che non aiuta certo a farsi conoscere… >> sussurrò Irina, con una strana sensazione addosso.

 

<< Mio fratello è fatto così >> commentò Vilena, con tranquillità, << Si fa conoscere solo da chi lo vuole veramente >>.

 

E con quella frase enigmatica, chiusero l’argomento Dimitri, passando la serata a parlare del più e del meno, senza toccare questioni riguardanti i russi o i loro affari, ma Irina rimase con la strana sensazione che ci fossero un sacco di cose non dette, soprattutto sull’ex Mastino.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Ed ecco il cap… Anche stavolta scriverlo è stata un’impresa, ma comunque adesso è fatta.

 

Che dire.

 

Il Gioco dello Scorpione partecipa ufficialmente al concorso per il miglior personaggio originale, e tutto questo grazie a voi che avete votato. Non mi aspettavo di arrivare in “finale,”, se così la posso definire, quindi per me è già un buon traguardo. Ora non mi resta che sperare che qualcuno voti anche questa volta per me, e sperare di arrivare almeno tra le prime dieci… Previsione molto ottimistica, sapendo che la mia dovrebbe essere la fic con il pubblico più ristretto, ma la speranza è l’ultima a morire. Se qualcuno di voi ha voglia e piacere di farlo, potrebbe consigliare qualche cap della storia, almeno da avvicinare qualche altro lettore.

 

Come avrete notato, ho inserito uno stralcio del passato di William, che non sarà né il primo né l’ultimo. Voglio dare il modo a tutti di capire come ha fatto a diventare ciò che è stato, e ciò che è ora. Non solo dal punto di vista delle gare e della sua fama, ma anche di ciò che è caratterialmente. Sarà interessante.

 

Supermimmina: lo so, lo so, Dimitri è intrigante… Io lo adoro, personalmente. Spero per il concorso vada bene… Baci!

 

Smemo92: grazieeee!!! Mi sto dando da fare, ora, per rendere le cose un po’ più movimentate… Entreremo in una fase un po’ meno tranquilla. Dimitri è fatto così, è un pezzo di ghiaccio, e ci sono pochissimi modi per scioglierlo… Yana è uno di quelli, sembra, e Irina deve scoprire gli altri. Il suo passato verrà fuori, e scopriremo chi è in realtà: sarà una sorpresa, vedrai. Un bacio grande!

 

CriCri88: potresti ipotizzare giusto su Dimitri, ma credo che ti stupirà la sua storia… Vedrai. Quanto a William, hai visto l’inizio del cap? William definito “pivellino”… Fa impressione. Dimmi tu cosa ne pensi, che lo adori. Sarà un William inedito, sotto alcuni punti di vista. Baci!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


Capitolo XI

Capitolo XI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 9.30 – Mosca

 

Irina rimase a fissare l’orologio appoggiato sul comodino, sdraiata sul fianco, la coperta a scaldarla e la pochissima luce che filtrava dalle tapparelle a disegnare lamine bianche sul pavimento.

 

Non aveva voglia di alzarsi, anche se voleva sapere da Dimitri come erano andate le cose la sera prima. Verso mezzanotte aveva lasciato Vilena ed era andata a dormire, chiedendosi cosa stessero facendo i russi di sotto… E non aveva nemmeno sentito Dimitri rientrare in casa, anche se non si era stupita perché lui sapeva aleggiare come un fantasma con perfetta maestria…

 

Sapeva a cosa era dovuta quella sua apatia: era la crisi del terzo giorno, come la definiva lei. Dopo tre giorni di lontananza da Xander, cominciava a sentire la sua mancanza, ma questa volta si aggiungeva anche la nostalgia per tutto il resto della sua famiglia… Per fortuna, di lì a qualche ora almeno Xander sarebbe atterrato in Russia, e poteva sperare di riuscire a vederlo, in qualche modo.

 

Aveva una strana sensazione addosso, però, che non dipendeva dalla mancanza della sua solita vita… Era qualcosa che riguardava la missione, una sorta di “imperfezione” nei suoi comportamenti…

 

Fece mente locale, per cercare di capire se avesse dimenticato di fare qualcosa. McDonall lo aveva avvisato, mettendolo al corrente dell’incontro con i cugini di Dimitri che avrebbe avuto la sera precedente; Xander lo aveva sentito, e sapeva nella minuscola variazione del suo piano… Sembrava tutto a posto.

 

“Sarà solo una sensazione…” si disse, girandosi nel letto e sprimacciando il cuscino, sentendo il bozzo nel materasso dovuto alla pistola che aveva nascosto qualche giorno prima.

 

“Un attimo…”.

 

Rimase inchiodata, fissando il cuscino, i capelli davanti agli occhi e l’espressione confusa.

 

<< La pistola! >> gridò all’improvviso, ricordando tutto.

 

Dimitri non le aveva ridato la pistola!

 

Scattò in piedi, i pantaloni bianchi della tuta che svolazzarono mentre saltava le ciabatte e scalza usciva dalla stanza come fosse impazzita. Il cuore accelerò i battiti, mentre si dava della stupida.

 

“Idiota! Mi sono dimentica di farmi ridare la pistola, l’altra sera dopo che abbiamo lasciato Boris!”.

 

Entrò in cucina come una furia, cercando Dimitri con gli occhi ma senza vederlo da nessuna parte. Non sapeva nemmeno che ore erano, ma doveva per forza essere lì…

 

“E se fosse scappato?!”.

 

Magari i suoi cugini lo avevano aiutato a levarsi il braccialetto, e l’avevano mandata via per poter fuggire in pace… Perché non ci aveva pensato?

 

Tornò nel corridoio, innervosita e preoccupata. La luce del bagno era spenta, il soggiorno vuoto… Per un attimo le venne l’idea di salire di sopra, luogo off-limits per lei, poi si ricordò che forse Dimitri aveva una camera, e che magari stesse ancora dormendo.

 

Spalancò la porta della stanza del russo, senza pensare di poterlo svegliare, infastidire o semplicemente farlo arrabbiare. Puntò dritta al letto, accorgendosi con un balzo al cuore che era vuoto.

 

<< Cosa vuoi? >>.

 

La camera era rischiarata dalla luce del giorno, e Dimitri stava in piedi a torso nudo e in pantaloni della tuta da ginnastica, lo sguardo fisso su di lei, infastidito per la sua rumorosa e poco gradita entrata. Teneva in mano una maglia, nell’atto di piegarla.

 

<< La pistola >> disse Irina, guardandolo in faccia, arrabbiata ma anche sollevata per averlo trovato ancora lì.

 

Dimitri inarcò un sopracciglio, poi continuò a piegare la sua maglia con noncuranza.

 

<< E’ nel cassetto del mobile del soggiorno, sotto lo stereo >> rispose, secco, senza nemmeno guardarla, << Avevi paura che ti sparassi alle spalle? >>.

 

Irina rimase inchiodata dov’era, interdetta.

 

<< No… Cioè, sì… Vado a riprendermela >> borbottò, lasciando la stanza.

 

Raggiunse il soggiorno e trovò la pistola esattamente dove le aveva detto Dimitri, ancora carica e con la sicura inserita, segno che non era stata utilizzata. La afferrò e se la mise in tasca, dandosi della stupida.

 

Prima di tutto si era dimenticata di farsela ridare, e quello avrebbe potuto costarle la vita… Secondo, aveva fatto la mezza isterica quasi aggredendo Dimitri, quando lui alla fine non l’aveva usata…

 

Tornò davanti alla porta della camera del russo, incerta se entrare o meno. Le sarebbe costato molto, ma forse doveva chiedergli scusa…

 

Bussò sulla porta accostata, per dimostrargli un minimo di educazione, e sperando che non si fosse arrabbiato troppo.

 

<< Entra… >>.

 

Dimitri era di spalle, ancora con le cicatrici in bella vista, e stava riponendo qualcosa nel mobile sopra la scrivania di legno nero, come se non l’avesse sentita entrare. Irina ebbe modo di gettare uno sguardo intorno, per la prima volta nella “tana” del lupo da quando era arrivata. Si era sempre tenuta lontana, dalla sua stanza, visto che lui aveva detto di gradire così.

 

La camera del russo era ordinatissima, pulita, e limitata all’essenziale. Il letto a due piazze era incassato nell’armadio a ponte laccato di nero, una poltrona di pelle rosso scuro in un angolo, una lampada da terra in quel momento accesa e qualche mensola alle pareti. Un pc portatile era aperto e spento sulla scrivania, vicino un portafoto con un’immagine di due persone… Dimitri e una ragazza.

 

<< Cosa vuoi ancora? >> chiese bruscamente il russo, voltandosi di scatto.

 

Irina si morse il labbro, distogliendo immediatamente gli occhi dalla foto che non poteva che catturare la sua attenzione. << Ehm… Scusa per prima >> disse a bassa voce, << Forse ho un po’ esagerato… Non volevo piombare nella tua stanza così… >>.

 

Dimitri fece una smorfia. << Lascia perdere… Siete tutti fissati con la storia che voglia fuggire… >> commentò.

 

Irina gli gettò un’occhiata, turbata da tutte quelle cicatrici e dalla sua affermazione.

 

<< No, e solo che… >> disse, ma poi rimase in silenzio.

 

Sì, in effetti tutti pensavano che Dimitri fosse pronto a fuggire alla prima occasione, a fare del male a qualcuno per di riguadagnare la libertà… Xander era stato piuttosto paranoico, su quel punto; McDonall non si fidava di lui, e White aveva preso tutte le precauzioni possibili per non farlo scappare… Possibile che avessero esagerato, che magari Dimitri non fosse poi tanto in malafede? Magari aveva voluto collaborare solo per ottenere davvero il suo sconto sulla pena, e nient’altro…

 

<< Ok, scusa, forse hai ragione >> mormorò Irina, abbassando lo sguardo, << Però me la potevi ridare di tua spontanea volontà, invece di lasciarla lì… >>.

 

<< Poteva sempre tornarmi utile, se passava qualcuno a trovarci >> ribatté lui, << E prima che ci convincessi a darmela, ci avrebbero fatti fuori tutti e due >>.

 

“Ah, ma allora lo fa apposta… Gli ho appena chiesto scusa e lui infierisce?”.

 

Irina si morse la lingua per non rispondergli male, visto che questa volta era lei quella dalla parte del torto, e lasciò correre. Sostenne il suo sguardo per non dargli vinta almeno quella e disse: << Ieri sera come è andata a finire? >>.

 

<< Per il momento non se ne parla del loro aiuto >> rispose Dimitri, senza accennare a muoversi, << Per la faccenda di Challagher, si intende. Per quanto riguarda me, gli va bene che io sia qui; di te non si fidano, invece >>.

 

Irina sbuffò.

 

<< Ti pareva… >> disse, << Devo guardarmi le spalle, allora? >>.

 

Dimitri incrociò le braccia, la cicatrice sul petto che sembrò squarciarsi di nuovo. << Non da loro, almeno >> rispose.

 

L’occhio di Irina cadde di nuovo sul petto di Dimitri, quei segni bianchi ben visibili a deturparlo, in grado di colpire chiunque.

 

Ma non si può vestire?” pensò.

 

Poi si accorse che Dimitri lo stava facendo apposta a rimanere a torso nudo. Molto probabilmente voleva turbarla e costringerla a chiedergli dove si fosse fatto tutte quelle ferite, e ribadire così la sua natura impicciona. L’ennesimo modo per provocarla.

 

“Non ci cado. Mi cucio la lingua, su questo punto”.

 

<< Vorresti uscire, per favore? >> la svegliò Dimitri, falsamente educato, << O hai altro da chiedermi? >>.

 

<< Ok… >>.

 

Irina si voltò e lasciò la camera, mezza stordita. Per un attimo, un piccolissimo attimo, aveva creduto di aver trovato un punto di incontro con Dimitri, e lui non faceva che trattarla male… Se c’era una cosa di cui era sicura, era che ci voleva molta, molta pazienza con lui.

 

Davanti a una tazza di caffè caldo si strinse nelle spalle, ripensando a ciò che era successo. Forse era il caso che rinunciasse a stringere un buon rapporto con Dimitri, visto che il russo non sembrava proprio averne voglia; oltretutto, era chiaro che lo faceva apposta a farla arrabbiare, magari nella speranza di farlo tornare a Los Angeles… Che poi, avrebbe dovuto essere contento di stare un po’ fuori dalla cella, no?

 

Dimitri ricomparve all’improvviso, questa volta con un maglione addosso, e le chiavi del garage in mano. Vide brillare il braccialetto di controllo che portava al polso, segno che lo aveva ancora e non aveva cercato di toglierlo.

 

<< Vado a preparare la macchina per stasera >> disse, prendendo una bottiglia di birra dal frigo per portarsela dietro.

 

Irina annuì e non commentò, anche se trovava eccessivo mettersi a trafficare con l’auto già di prima mattina: non c’era niente da preparare, visto che l’Audi, la Camaro, la Lancer e soprattutto la Ferrari erano perfettamente in grado di correre. Forse era solo una scusa per starsene da solo in pace, senza che ci fosse lei a rompergli le scatole.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 10.00 – Aeroporto di San Pietroburgo

 

Nel momento esatto in cui Xander mise piede nella hall dell’aeroporto, sentì un po’ dell’ansia che lo aveva attanagliato nei giorni precedenti sciogliersi. Fu come una boccata di ossigeno dopo una lunga apnea. Perfetto, era in Russia, sempre molto distante da Mosca, ma si trovava comunque nella stessa nazione, nello stesso continente e nello stesso ambiente di Irina. Ovunque fosse, era sempre meno lontana di prima.

 

Si guardò intorno, innervosito dalla poca gente che camminava lì in giro, e individuò l’agente Sokolòva fermo vicino a una colonna di marmo, che guardava l’orologio con aria seccata. Aveva detto che non aveva bisogno di essere accolto all’aeroporto, ma era chiaro che non lo avevano ascoltato molto. Si diresse verso di lui, la valigia in una mano e l’espressione scocciata.

 

<< Buongiorno >> salutò.

 

<< Agente Went… >> fece Sokolòva, con un cenno del capo, << Ha fatto buon viaggio? >>.

 

<< Abbastanza >> rispose Xander, scrocchiando il collo indolenzito dalle molte ore seduto immobile, << Avevo detto che potevo sbrigarmela da solo… >>.

 

Sokolòva fece un cenno verso il bar. << Andiamoci a prendere un caffè, mentre parliamo >> disse, avviandosi con aria tranquilla. Xander lo seguì, insospettito.

 

<< Sono solo venuto a portarle le chiavi della sua auto >> continuò il russo, mentre si accomodavano a uno dei tavolini dell’aeroporto, nel bar poco affollato, << Ce ne siamo occupati noi, come era previsto >>.

 

Gli passò una busta di carta e Xander la prese, mentre guardava con scarso interesse il gruppo di piloti in divisa che facevano colazione seduti al bancone, forse anche loro appena sbarcati come lui.

 

<< Altro? >> domandò, ritornando a guardare il russo.

 

La cameriera portò loro i due caffè che avevano ordinato, e Sokolòva gli gettò un’occhiata.

 

<< No. Volevamo solo accertarci che usi tutte le precauzioni possibili, in questa missione >> disse, << Non possiamo permetterci nessun errore, soprattutto visto che ci siamo dovuti appoggiare a voi… >>.

 

“Non gli va che ce ne occupiamo noi americani, in conclusione” pensò Xander.

 

Lo sapeva che i russi erano sempre stati sulle loro, che non avevano mai amato chiedere aiuto al di fuori del loro paese, ed era preparato alla loro diffidenza. McDonall stesso gli aveva detto che sicuramente avrebbero cercato di intromettersi in qualche modo, per controllare la situazione. Fosse stato per loro, non avrebbero mai contattato gli americani… Evidentemente l’ordine arrivava da qualcuno che per fortuna la pensava diversamente.

 

<< Ok, non c’era bisogno di ricordarmelo >> disse Xander, << Sono qui per lavorare, non per divertirmi. Oltretutto, siete stati voi a chiedere il nostro aiuto, e presuppongo che dobbiate fidarvi… Tra l’altro, le chiavi del mio appartamento? >>.

 

<< Sono insieme a quelle della macchina >> rispose Sokolòva, facendo un cenno verso la busta, << D’accordo, non la trattengo oltre, allora. Faccia solo attenzione quando entrerà in contatto con i primi piloti: saranno molto diffidenti, potrebbero risultare più pericolosi di quanto già non lo siano >>.

 

<< Lo ricorderò >> disse Xander, alzandosi, << Arrivederci >>.

 

Riprese la valigia e si diresse verso il parcheggio esterno, spazzato da un vento gelido e da fiocchi di neve piccoli e vorticanti. Il cambio di clima lo lasciò un attimo stordito: Los Angeles era tutt’altra cosa. Guardò un momento il cielo grigio sopra la sua testa, poi cercò il settore indicato sulla busta, dove doveva essere parcheggiata la sua auto: B 12.

 

Raggiunse uno spiazzo pieno di vetture parcheggiate l’una di fianco all’altra, deserto e silenzioso.

 

Vagò con lo sguardo in cerca della Ferrari che aveva chiesto come auto, ma non vide nessun rosso brillante svettare lì in mezzo, né tantomeno un cavallino rampante magari su fondo giallo. L’unica auto degna di nota, tra quelle assolutamente anonime, era una Volkswagen Scirocco nera con i cerchi ribassati.

 

Riguardò la busta, chiedendosi se avesse sbagliato per caso settore. No, sembrava quello giusto. Tirò fuori le chiavi e rimase incerto a guardare la Scirocco nera, perplesso.

 

“Facciamo una prova… Se la mia auto è qui, si dovrà per forza aprire…”.

 

Schiacciò il tasto dell’antifurto, e le quattro frecce della Scirocco baluginarono un istante, con il tipico bip dell’apertura delle porte. Xander sbuffò.

 

“Non è possibile, non possono avermi dato una Scirocco… McDonall lo sa che volevo una Ferrari come al solito, o una Lamborghini… Questa me la segno”.

 

Andò verso l’auto e infilò la valigia nel baule, scoprendo che almeno era più spazioso di quello di una macchina da corsa. Si accomodò sul sedile e accese il navigatore, che indicava la strada per il suo appartamento nel centro di San Pietroburgo.

 

Mentre percorreva le strade di San Pietroburgo, poco affollate di gente per via della temperatura molto bassa, si guardò intorno per capire in che ambiente si trovasse. I suoi abitanti sembravano freddi quanto il clima, e l’assenza del sole splendente a cui era abituato rendeva tutto molto simile ai paesi del nord Europa dove era già stato.

 

Presto scoprì che il suo appartamento si trovava in quella che doveva essere la zona più malfamata di San Pietroburgo, a giudicare dall’aspetto dei palazzi fatiscenti e dai brutti ceffi che si aggiravano per le strade. Molti negozi avevano le vetrine sprangate e i vetri rotti, e in alcuni angoli erano ammucchiati cumuli di spazzatura. La carcassa di un’auto bruciata giaceva abbandonata nel parcheggio di un supermercato, quasi deserto.

 

Ora capiva perché i russi gli avevano dato un’auto poco appariscente: con una Ferrari o una Lamborghini la in mezzo sarebbe subito saltato all’occhio, e non sembrava una buona idea, al momento. Raggiunse un quartiere piuttosto anonimo e parcheggiò a bordo strada.

 

Si guardò intorno, notando che il palazzo dove si trovava il suo appartamento era leggermente meno mal tenuto degli altri, anche se l’intonaco color panna si stava scrostando. Recuperò la valigia e si diresse verso il portone, che si aprì cigolando su un minuscolo corridoio che odorava di muffa.

 

L’ascensore che lo portò al quinto piano arrivò sferragliando, dandogli l’impressione di essere sul procinto di effettuare uno dei suoi ultimi viaggi: si infilò dentro, dove era stato appeso un cartello scritto in modo incomprensibile, e attese di arrivare su.

 

L’appartamento che gli era stato destinato era piccolo, composto da una sala da pranzo che faceva anche da soggiorno, una misera camera da letto e il bagno. L’odore di chiuso aleggiava nell’aria, mischiandosi al consueto sentore di muffa.

 

Sospirò, lasciando cadere le valigie per terra, e andò ad aprire le finestre, incurante del freddo che poteva entrare. Poteva dirsi tutto, tranne che soddisfatto.

 

“Ho l’impressione che questa sarà la più difficile missione della mia vita…”.

 

Il tutto era iniziato già male, con Irina tirata in mezzo; poi era stata la volta dell’entrata in scena di Dimitri, che anche se era opera sua, era pur sempre qualcosa di cui avrebbe fatto a meno; poi Irina iniziava a fare di testa sua, ancora prima di cominciare qualcosa, fingendosi la donna inferocita di Challagher, cosa che lo infastidiva anche abbastanza; e ora gli rifilavano un’auto al di sotto dei suoi standard e un appartamento di ultima classe.

 

“Così imparo a pretendere troppo… Irina ha ragione: McDonall mi ha abituato troppo bene. Ma lo sapeva meglio di me qual è il prezzo da pagare, adesso: non farò il bravo, con questi russi…”.

 

Tirò fuori il portatile e lo appoggiò sul tavolo della cucina, attaccandolo alla presa. Sbirciò nel frigo, trovandolo vuoto, e diede uno sguardo fuori dalla finestra: dava sulla strada, e riusciva a vedere la Scirocco di sotto.

 

Si sedette al tavolo, pregustando già una bella dormita in un letto che sperava fosse almeno pulito dopo tutte quelle ore passate sull’aereo. Prima però doveva darsi da fare per trovare già il primo contatto tra i russi, e non c’era modo migliore che scovare una gara.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 23.00 – Mosca, Quartiere di Testovskaya

 

Irina strinse la mano poggiata sul volante, e con l’altra accarezzò il pomello del cambio, la musica della radio a cullarla qualche istante prima della partenza. Teneva lo sguardo fisso fuori, per osservare i russi che erano venuti ufficialmente a vedere la gara di Fenice, la ex numero tre della Black List americana.

 

Era strano vedere quanto interesse destasse la ragazza dello Scorpione, quando sembrava che Challagher non godesse di buona nomea da quelle parti. C’erano un ventina di persone a occupare il lungo marciapiede alla sua sinistra, sotto la luce fioca dei lampioni e il cielo stellato di Mosca; ma dall’altra parte, dove c’era il parcheggio dell’area industriale dove si trovavano, dovevano esserci assiepate almeno una cinquantina di persone, imbacuccate in giubbotti pesanti e avvolte da una nuvola di fumo che si sollevava dai sigari accesi.

 

Boris, venuto a bordo di una Bentley Arnage nera e avvolto in una pelliccia scura, stava parlando con un altro uomo della sua età, anche lui venuto con una mezza-limousine e dall’aria altrettanto importante e cattiva: portava due rigidi baffi a spazzola e cortissimi capelli grigi. Fumava un grosso sigaro che continuava a sventolare mentre parlava animatamente con Goryalef.

 

Irina spostò lo sguardo sull’auto vicina alla sua, la Mitsubishi Lancer di Dimitri: il russo, seduto tranquillo dentro, stava trafficando con qualcosa nel sedile del passeggero. Alla sua sinistra, i loro quattro avversari: una Volkswagen Golf blu, una Mazda RX-8 grigia, una Dodge Avenger rossa e una Nissan 350Z.

 

Era nervosa, ma sperava non si notasse troppo. Erano passati due anni dall’ultima volta che aveva preso parte a una corsa clandestina, e il tempo si faceva sentire: per quanto si fosse tenuta discretamente in allenamento, la situazione era comunque diversa dal circuito dove aveva corso con Xander

 

“Avanti, lo hai sempre fatto… Il tempo di partire, e ti sentirai come una volta”.

 

Deglutì, sperando che le sue doti di pilota clandestina si facessero vive come al solito, e tornò a guardare verso Dimitri. Il russo le rivolse un cenno, tranquillo.

 

L’esito di quella gara era già deciso: il vincitore sarebbe stato il Mastino, che lo meritasse o meno. Prima di recarsi a Testovskaya loro due si erano messi d’accordo: il russo era sicuro che i piloti contro qui avrebbero gareggiato non sarebbero stati i migliori, perché si trattava di una gara di poca importanza, e c’era pubblico solo perché sapevano dell’arrivo di Fenice…

 

<< Non puoi dimostrarti troppo pericolosa >> aveva detto Dimitri, << Sanno che sei brava, ma sanno anche che sopra di te c’ero io, quando esisteva ancora la Lista. Dobbiamo fargli credere che io abbia un margine di controllo su di te >>.

 

A quella frase Irina era inorridita: controllo su di lei? Ma lei aveva cercato di far capire il contrario a Boris!

 

<< Sai che non è questo che volevo… >> aveva ribattuto, per non farlo arrabbiare di nuovo.

 

<< Ma è quello che voglio io in questo momento >> aveva detto Dimitri, << Gli dimostrerai comunque cosa sai fare, ma non possiamo dargli l’idea che tu sia una che vuole dare fastidio. Sei qui per Challagher, non per infilarti tra loro >>.

 

Innervosita, Irina aveva accettato la cosa, ma prima di salire in auto, aveva domandato, strafottente: << Non pensavo arrivassi a chiedermi di lasciarti vincere… Hai paura di non riuscire a superarmi? >>.

 

<< Infatti non ho bisogno di chiedertelo >> aveva ribattuto Dimitri, irritato, << Ma sono convinto che tu non sappia come vanno le cose da queste parti… >>.

 

Irina tornò al momento presente e gettò uno sguardo ai suoi avversari: tutti ragazzi abbastanza giovani, dall’aria baldanzosa che aveva sempre visto anche a quelli di Los Angeles, forse con più soldi in banca che cervello. Non sembravano eccessivamente pericolosi, ma decise di essere prudente: l’esperienza le diceva di non badare solo alle apparenze.

 

Finalmente vide un uomo avviarsi al centro della strada, un neon blu in mano e una sigaretta in bocca. Fece cenno a tutti di prepararsi, e Irina accese il motore, facendolo salire di giri un paio di volte.

 

“Avanti, bella mia, diamoci da fare”.

 

Un ultimo controllo alle varie spie, poi fissò lo sguardo sull’uomo davanti a lei e attese.

 

Tre…

 

Due…

 

Uno…

 

Il neon venne calato verso il basso, e come proiettili le sei auto partirono, lasciandosi dietro l’odore delle gomme e il suono degli pneumatici sull’asfalto. Un attimo, e la Punto era davanti, disegnando alla perfezione la traiettoria della curva, subito dietro di lei Dimitri, a sfruttare la sua scia.

 

Irina accelerò, sentendo il motore dell’auto farsi invadente, gli occhi incollati sulla strada semibuia, la tensione alle stelle ma la strana sensazione di trovarsi nel suo elemento… I suoi piedi giocarono sui pedali, le marce inserite una dopo l’altra, in rapida successione.

 

Guardò nello specchietto retrovisore, per scoprire che Dimitri si stava affiancando e che dietro di lei c’era la Golf blu, i fari accesi ad abbagliarla, i capannoni industriali che sfrecciavano ai loro lati.

 

Si spostò a destra, studiando come affrontare la curva successiva, e vide Dimitri rallentare impercettibilmente, forse deciso a sfruttare ancora la sua scia.

 

Improvvisamente, sentì lo sterzo farsi leggerissimo, il posteriore dell’auto sbandare verso sinistra… Afferrò il volante, cercando di capire cosa non andasse, la curva che si faceva sempre più vicina…

 

Schiacciò a fondo il freno, la Punto che scodò con violenza, le ruote che si bloccarono, stridendo sull’asfalto…

 

Sotto la luce del lampione, Irina capì cosa le aveva fatto perdere il controllo dell’auto.

 

Ghiaccio.

 

La strada era coperta da un sottilissimo velo di acqua gelida, lucido e ben visibile, ma di cui lei non aveva nemmeno immaginato l’esistenza.

 

La Punto rallentò abbastanza da farle riprendere il controllo, ma allargò la curva e le cinque auto la superarono con facilità, il russo sempre in testa. Imprecò per la sua stupidità, e premette a fondo l’acceleratore.

 

Per fortuna non si era fermata completamente, altrimenti partire da ferma sarebbe stato peggio. Riuscì a riprendere il gruppo, la Nissan a chiudere la fila.

 

“Ok, se devo dimostrare cosa so fare, adesso è il momento giusto”.

 

Si piazzò dietro la Nissan, così vicina da trovare fastidiose le luci posteriori rosse, e scalò di una marcia, poi scartò di lato e la superò in un attimo, lasciandola a mangiare la sua polvere…

 

“Ah ah, non ho perso la mano!”.

 

Ora toccava alla Avenger… Sfruttò la sua scia per guadagnare velocità, e questa volta attese la curva seguente per sfilargli vicino e dileguarsi a velocità sorprendente, senza nemmeno darle in tempo di capire cosa stava accadendo.

 

Si ritrovò davanti il posteriore della RX-8, che zigzagava forse per cercare di confondere il pilota della Golf, davanti a loro. Dimitri nemmeno si vedeva, in testa alla gara come una sorta di capo-fila.

 

Rimase incollata alla Mazda, intuendo cosa volesse fare. I muri che delimitavano i capannoni scorrevano loro vicinissimi, una macchia indistinta nella notte di Mosca…

 

“Chissà se hanno mai visto un doppio sorpasso, da queste parti…”.

 

Appena la RX-8 accelerò di colpo, scartando di lato per superare la Volkswagen, Irina la seguì a ruota, sfilando di fianco alla Golf e sfruttando la scia dell’altra auto, guadagnando velocità…

 

Un colpo rapido ai freni, una sterzata a destra e la Punto passò tra le due macchine, infilandosi nello spazio di un secondo di fianco alla Mazda e schizzando avanti, guadagnando la seconda posizione.

 

Irina sorrise: mossa azzardata la sua, ma degna di Fenice. Svoltò a sinistra e ritrovò davanti a lei la Lancer di Dimitri, e fu costretta a frenare per non andargli addosso.

 

Dimitri doveva aver rallentato per vedere cosa succedeva dietro, e Irina ne approfittò per superarlo. Forse doveva vincere lui, ma non le aveva chiesto di rendergli le cose facili, né che non se la dovesse guadagnare veramente, quella vittoria…

 

Sentì il motore della Mitsubishi salire di giri, recuperando terreno, e premette l’acceleratore…

 

Irina non sapeva quanto mancava alla fine, ma ciò che vide distintamente fu un’altra lastra di ghiaccio lucida e nera sull’asfalto, proprio più avanti, una trentina di metri prima di una curva…

 

Capì in quel momento perché Dimitri non avesse preso la R8 o la Ferrari, ma avesse scelto un’auto meno potente ma più leggera: il ghiaccio era una costante nelle loro gare, e la Lancer poteva godere del maggior grip sul terreno dovuto alla trazione integrale… Ecco a cosa si riferiva, quando le aveva detto che non conosceva come andavano le cose, da quelle parti.

 

Rallentò, sperando che la Punto non scivolasse di nuovo, e vide la Mitsubishi superarla a sinistra, come un proiettile. Irina accelerò, ma sentì le ruote perdere aderenza e l’auto iniziare a girarsi di lato, abbastanza da costringerla a controsterzare.

 

La Punto strattonò a sinistra, poi tornò a mordere l’asfalto riguadagnando il controllo. Irina infilò la traiettoria perfetta della curva, poi ritrovò Dimitri che zigzagava di qua e dì la.

 

“Mi sta sfidando…” pensò irritata. La prendeva anche in giro.

 

Iniziò a muoversi da una parte all’altra anche lei, pronta a qualsiasi manovra. Appena Dimitri si spostò di lato per preparare la svolta seguente, si infilò a sinistra e lo superò, tirando il freno a mano per non schiantarsi nella curva…

 

Di nuovo, il ghiaccio le giocò un brutto scherzo, facendo girare la macchina di lato. Frenò, sentendo le ruote inchiodare ma continuare a scivolare come se non lo avesse fatto, e Dimitri la superò ancora con facilità, tirando dritto verso il traguardo.

 

Irina sterzò bruscamente, accorgendosi della Golf che si era nuovamente avvicinata, e accelerò anche se sapeva di rischiare. Per fortuna la Punto tornò dritta e tagliò il traguardo, seconda.

 

Un rumoroso applauso esplose dalla gente assiepata sui marciapiedi, il fumo dei sigari ancora a impestare l’aria, mentre le auto si fermavano oltre la linea del traguardo, in fari accesi ad abbagliare il pubblico. Boris sorrideva divertito, sventolando la mano con l’anello d’oro.

 

Irina spense il motore, poco soddisfatta da quella gara: non aveva immaginato che il ghiaccio rappresentasse così tanto un problema, da quelle parti. A dir la verità non ci aveva nemmeno pensato, e ringraziava davvero il fatto che Xander avesse provveduto a farle montare le gomme invernali.

 

Aspettò che fosse Dimitri il primo a scendere dalla sua auto, poi fece altrettanto, osservando le facce delle persone intorno a lei.

 

Com’era abituata, i suoi avversari la fissavano in cagnesco, profondamente offesi che una ragazza potesse dargli filo da torcere, ora più che mai visto che si trattava anche di una straniera. Quelli che avevano assistito alla corsa invece sembravano molto diffidenti, e nessuno commentò la sua prestazione, come se non ne valesse nemmeno la pena. Un tipo con un basco in testa borbottò qualcosa nella sua direzione, ma finì tutto lì.

 

“Mi sa che non ho fatto una buona impressione…” pensò, stringendosi nel giubbotto.

 

<< Fenice! >> gridò qualcuno.

 

Boris la stava chiamando dall’altra parte del marciapiede, di fianco a lui Dimitri e l’altro uomo con la pelliccia dall’aria minacciosa che Irina aveva visto prima della gara. Li raggiunse, sperando di non riceve solo commenti poco carini sulla sua gara.

 

Dimitri le rivolse un’occhiata imperscrutabile mentre Boris le rifilava una pacca sulla spalla e ridacchiava con aria divertita.

 

<< Bella gara, Fenice >> disse, << Pensavamo non arrivassi nemmeno al traguardo, visto che gli stranieri che terminano la prima gara da queste parti sono davvero pochi >>.

 

<< Per un momento l’ho pensato anche io… >> mormorò Irina, gettando uno sguardo verso l’uomo di fronte a lei, imbacuccato nella sua pelliccia.

 

<< Irina Dwight >> la presentò Boris, << Arriva da Los Angeles… Lui è Nikodim Todorov, un mio caro amico >>.

 

L’uomo le porse con distacco la mano, e lei gliela strinse, intuendo che non doveva essergli simpatica vista la freddezza del suo saluto.

 

<< Sappiamo che sei la donna di Challagher >> disse l’uomo, con una voce roca ma senza strane pronunce o intonazioni. << Hai fegato a presentarti qui da sola >>.

 

Il tono seccato di Nikodim le diede da pensare: non ricordava che William avesse fatto qualcosa per farsi odiare così tanto. In fin dei conti, però, lei non era mai stata in Russia con lui… Forse aveva qualche conto in sospeso che non aveva ancora saldato.

 

<< Non credo di meritarmi l’odio di nessuno, visto che non vi ho fatto niente >> ribatté lei, infastidita, << Anche se per voi è un problema che io rimanga qui, non me ne andrò comunque >>.

 

Dimitri le lanciò un’occhiataccia, ma lei non ci fece caso. Non poteva fare la figura della ragazzina che si lasciava comandare: in qualità di “donna dello Scorpione”, aveva una certa reputazione da difendere. Il suo tono sicuro attirò l’attenzione di qualche persona nelle vicinanze.

 

<< Non è il caso di parlarne qui >> li interruppe Boris, un po’ meno scherzoso di prima, << Troviamoci al solito posto qui vicino, così avremo modo di parlare con calma… Dimitri, fai tu strada a Irina >>.

 

La ragazza guardò i tre russi poi annuì, innervosita. Forse davanti a un bicchiere di vodka sarebbero stati meno scontrosi…

 

Raggiunse l’auto mentre la gente iniziava ad andarsene, forse con la stessa idea di trovarsi un posto caldo dove parlare, e seguì Dimitri per una decina di minuti, fino ad arrivare nella periferia dell’area industriale, dove iniziavano le case. Parcheggiarono le auto vicino a un palazzo piuttosto lussuoso e dall’aria aristocratica, dove tutte le finestre, chiuse da pesanti tende color porpora, erano illuminate nonostante l’ora.

 

Irina scese dall’auto, accorgendosi che c’erano solo lei, la Lancer, la Bentley e l’altra limousine di Nikodim… Tutti gli altri dovevano essere andati in un altro posto.

 

All’improvviso, sentì un po’ di apprensione montarle addosso: tutto stava filando troppo liscio, nessuno sembrava sospettare troppo… La gara, l’incontro con Todorov… Potevano essere una trappola? Magari la stavano attirando lì per toglierla dai piedi e liberare Dimitri…

 

Controllò di avere la pistola ancora ben nascosta addosso e tirò un respiro profondo per calmarsi. Bastava essere prudenti, e non sarebbe successo niente…

 

<< Cosa stai aspettando? >>.

 

Irina sussultò quando si accorse che Dimitri le era comparso davanti e stava fermo sul marciapiede, fissandola freddamente. Boris e Nikodim erano davanti al portone del palazzo, in attesa.

 

<< Ehm… Sì, arrivo >>.

 

Chiuse l’auto e insieme a Dimitri raggiunse i due, che stavano parlando in russo senza darle modo di capire. Suonarono al campanello, e il portone venne aperto, introducendoli in un bel corridoio tirato a lucido, con l’ascensore e le scale che portavano ai piani di sopra. A uno sportello incassato nella parete foderata di legno c’era un uomo a fare da portinaio, lo sguardo da avvoltoio che li fissava di sbieco. Fece un cenno di saluto, e Boris ricambiò aggiungendo qualcosa in russo.

 

Una volta di sopra, al primo piano, trovarono la porta spalancata dell’appartamento sulla destra, un bel tappeto rosso ad accoglierli che si dipanava sul pavimento. Entrarono, e subito una bella donna dai capelli color del rame, un trucco pensate a renderle lo sguardo sensuale, venne loro incontro sorridente, fluttuando con maestria sui tacchi vertiginosi.

 

La ragazza disse qualcosa, mostrando i denti bianchissimi, poi dopo un paio di frasi scambiate con Boris li invitò ad avanzare. Irina si guardò intorno incuriosita, sentendosi stranamente fuoriposto… Quell’appartamento assomigliava di più a una sorta di hall, che a una casa, a giudicare dall’aspetto dell’arredamento e dall’atmosfera che aleggiava.

 

Quando misero piede nel soggiorno, trasformato in una sala d’aspetto, Irina capì dove si trovava: era una casa per incontri. Incontri a pagamento per gente facoltosa e annoiata che voleva evidentemente provare qualche nuova “emozione”.

 

La ragazza rossa cercò sotto il piccolo bancone usato come scrivania un paio di chiavi, dove c’era anche quello che sembrava un registro, e le porse a Nikodim con un sorriso. Non li accompagnò: probabilmente il russo sapeva già dove andare.

 

Mentre uscivano dall’appartamento, diretti ai piani superiori, Irina si affiancò a Dimitri, preoccupata. Una ragazza inguainata in un vestito blu cobalto tagliò loro la strada, diretta di sotto.

 

<< Non dirmi che hanno intenzione di parlare di affari in un posto come questo… >> sussurrò, per non farsi sentire dagli altri. << Qui puoi fare di tutto, tranne che parlare di cose importanti… >>.

 

<< Non sono stato io a decidere >> rispose Dimitri, a voce bassa, << Prevedono di rimanere qui a lungo, forse… E poi è un posto più sicuro di molti altri, a dispetto delle apparenze >>.

 

“Sì, e io ci credo anche… Sono tutti e tre qui per divertirsi, altro che affari”.

 

L’appartamento in cui entrarono era lussuosamente arredato, a partire dai mobili per finire con le quattro ragazze in abiti succinti pronte a servire i loro “ospiti”, una più bella dell’altra. Sorrisero tutte contente sfilando le pellicce a Boris e Nikodim, e salutandoli con aria festosa come se si conoscessero già. Probabilmente dovevano essere clienti abituali, e avevano le loro preferenze anche lì dentro. A lei riservarono un’occhiata sprezzante, e Dimitri ricevette solo un cenno del capo quasi fosse conosciuto ma non abbastanza da permettersi di più.

 

Irina seguì le quattro ragazze fin nel soggiorno, dove li fecero accomodare su poltrone di pelle morbide e accoglienti, il fuoco nel camino che scoppiettava e la vetrina piena di bottiglie di alcolici e liquori. Una porta dava sul corridoio che doveva portare alle camere da letto.

 

<< Bene, qui possiamo parlare con più calma >> disse Boris, sedendosi su una poltrona e fissando spudoratamente il fondoschiena di una delle ragazze, quella bionda, mentre si chinava sul tavolino per riempire i bicchieri di vodka.

 

“Ma guarda te dove sono finita…”.

 

Irina accettò il bicchierino sentendosi fuori posto, lì in mezzo. Sicuramente non c’entrava assolutamente nulla in una casa di incontri, per di più con tre russi uno più scontroso dell’altro. Almeno però di una cosa era sicura: non erano lì per ucciderla. C’erano troppi testimoni. O almeno era quello che sperava.

 

Ingurgitò la vodka tutta d’un fiato e guardò le quattro ragazze iniziare il loro lavoro: due si occuparono di Boris, le altre due di Nikodim. Dimitri, invece, rimase da solo seduto nella sua poltrona, lo sguardo infastidito, come se si trovasse nell’ultimo posto in cui voleva stare.

 

“Certo che è strano… Inizio a pensare che sia veramente dell’altra sponda, come mormorava qualcuno…”.

 

Dimitri notò che lo stava studiando, seduta sulla poltrona, e lei spostò immediatamente lo sguardo: non voleva provocarlo, visto che era così suscettibile.

 

<< Aaaaahhh… >> mormorò Boris, mentre la ragazza bionda gli massaggiava le spalle, << Adoro le tue mani, Galina… >>.

 

<< Sei venuta per chiedere aiuto per liberare Challagher? >> domandò improvvisamente Nikodim, mentre una delle ragazze gli sfilava il bicchiere dalle mani per riempirglielo nuovamente.

 

“Se lo sa già, perché me lo chiede?”.

 

<< Sì, sono qui per quello >> rispose Irina. Il suo tono non gli piaceva particolarmente: doveva essere un tipo viscido.

 

<< E Dimitri cosa c’entra? >> chiese il russo.

 

Irina lanciò un’occhiata verso Dimitri, ma lui rispose prima di lei. << Non c’entro niente, infatti >>.

 

La ragazza lo fulminò con lo sguardo. Cosa voleva fare?

 

Nikodim inarcò un sopracciglio. << Non capisco >> disse.

 

<< Io non sono qui per liberare Challagher >> spiegò calmo Dimitri, << Sono qui semplicemente perché ho avuto modo di fuggire dal carcere, ed è stata lei a farmi scappare… Per me che Challagher sia dentro o fuori non fa differenza >>.

 

“Lo uccido, lo uccido, lo uccido! Cosa fa?!”.

 

Irina strinse il bracciolo della poltrona, sentendo la tensione salire. Non potevano dare l’impressione che non avevano le idee ben chiare in testa…

 

<< Sei sempre il benvenuto tra noi, Dimitri, lo sai >> disse Nikodim, con un ghigno davanti a quella notizia, << Tuttavia mi stai dicendo che la aiuterai perché hai un debito nei suoi confronti, giusto? >>.

 

<< E’ evidente >> disse Dimitri, giocando con il bicchiere che teneva in mano.

 

<< Non è quello il problema >> si inserì Boris, << Dimitri è libero di fare quello che vuole… Irina vuole l’aiuto della Lince, per questo l’ho portata da te >>.

 

Irina gettò un’occhiata a Nikodim, intuendo che dovesse essere qualcuno di grosso, lì in mezzo… Poteva essere lui la Lince?

 

<< Sai meglio di me come funziona >> disse Nikodim, rivolto a Boris, << Nessuno ha contatti con la Lince, se non noi referenti… E lo facciamo indirettamente, perché ci sono le Sentinelle di mezzo. E poi perché vuole proprio il suo aiuto? >>.

 

Irina drizzò le orecchie alla definizione “Sentinelle”: dovevano essere i tre che trasmettevano gli ordini dalla Lince fino ai Referenti… Gli unici che l’avevano vista veramente.

 

<< Lo Scorpione è rinchiuso nel Carcere di Massima Sicurezza di San Francisco, e non sarà facile farlo uscire >> rispose lei, << Ho bisogno di soldi, di conoscenze e di aiuto… Era anche amico suo, oltretutto, no? >>.

 

Nikodim arricciò il labbro. << Amico… Americani… >> borbottò, come parlando con se stesso, << La Lince non si fa vedere da nessuno, figuriamoci da una ragazzina come te >>.

 

<< Far uscire Challagher potrebbe essere vantaggioso anche per voi >> si intromise Dimitri, all’improvviso, << Avete fatto un sacco di affari, con lui. Potrebbe volervi ricompensare, per l’aiuto >>.

 

Nikodim e Boris si guardarono in faccia per un attimo, le ragazze che si muovevano intorno a loro come sagome indistinte, completamente estranee alla discussione.

 

<< Ci divertivamo, a Las Vegas >> commentò Boris, << In effetti, un po’ mi mancano quelle trasferte… >>.

 

<< Non ci dobbiamo intromettere >> ringhiò Nikodim, << Non possiamo metterci in mezzo per degli americani. Ci porteranno solo guai >>.

 

<< Di preciso, cosa volete? >> domandò Boris, rivolta a lei.

 

<< Abbiamo bisogno di aiuto, e basta. I soldi posso racimolarli gareggiando; mi serve qualcuno che possa organizzare la fuga perfetta, e tenga nascosto William per un po’ di tempo… La Lince saprà sicuramente come fare >>.

 

<< Non mi sembra una richiesta esagerata >> disse Boris, rivolto a Nikodim, << Potremmo trarne dei vantaggi, dopo >>.

 

Nikodim fece un sorrisetto. << Puoi trattare per Challagher? >> chiese, rivolta a lei.

 

<< In che senso? >> domandò Irina.

 

<< Nel senso che noi ti aiutiamo ad arrivare alla Lince >> rispose Nikodim, << E voi ci garantite contatti con i contrabbandieri messicani… Mi sembra che lo Scorpione fosse in affari con loro, mi sbaglio? >>.

 

“Cavolo, e io che ne so, ora?”pensò Irina, disperata, “Sono passati due anni, potrebbero aver deciso di non avere più niente a che fare con William, visto che è stato arrestato…”.

 

Gettò una rapida occhiata verso Boris, senza sapere che dire. La bionda gli stava ancora massaggiando le spalle.

 

<< E’ passato molto tempo da quando era in affari con loro >> disse lentamente, << Non posso garantirvi che… >>.

 

<< Va bene >> la interruppe Dimitri, << Possiamo farlo. Lei non prendeva parte agli affari di Challagher se non in modo marginale, ma io sapevo tutto. Posso mettervi in contatto con loro… >>.

 

<< E liberarti del tuo debito >> concluse per lui Nikodim, << Come sempre non ami avere questioni in sospeso… Se mi garantisci che possiamo fare affari con i messicani, accetto. Boris? >>.

 

<< Accordo accettato >>.

 

<< Ti contatteremo quando sapremo come agire >> disse Nikodim, rivolto di nuovo a lei, << Fino ad allora, non farti più vedere da nessuna parte >>.

 

Irina annuì, guardando una delle ragazze, dai capelli neri, massaggiare le tempie del russo e rivolgerle un’occhiata eloquente: era di troppo, da quelle parti.

 

<< Quanto dovrò aspettare? >> chiese.

 

<< Il tempo necessario >> rispose Nikodim, << Parlerò con qualcuna delle mie conoscenze e vediamo cosa possiamo fare >>.

 

Irina si alzò, intuendo che la loro discussione dovesse essere finita, e con una disperata voglia di andarsene. La faccenda si preannunciava lunga, e doveva aggiornare McDonall.

 

<< Credo di potervi lasciare >> disse, avviandosi verso la porta, << Buona serata… >>.

 

Sentì qualcuno alzarsi e seguirla: Dimitri la raggiunse in soggiorno e la superò con aria irritata. Lo guardò uscire dall’appartamento e prendere le scale.

 

<< Non… Non rimani? >> domandò, perplessa.

 

<< No >>.

 

Irina lo seguì fino al piano di sotto, cercando di capire qualcosa dalla sua solita espressione indecifrabile, ma non colse niente. Sembrava solo scocciato.

 

Dovette correre per stargli dietro, uscendo dal palazzo senza salutare nessuno. Lo vide dirigersi verso la Lancer, le chiavi che gli tintinnavano in mano.

 

<< Dimitri, aspetta un attimo! >> disse, avvicinandosi.

 

<< Cosa vuoi? >>. Il russo aprì la porta dell’auto, guardandola in faccia.

 

<< Veramente puoi metterti in contatto con i messicani? >> domandò lei, << Oppure stavi bluffando? >>.

 

Dimitri arricciò il labbro. << Potrei farlo, ma sono due anni che Challagher non sta più nei loro giochi >> rispose, << Non vorranno fare affari con noi. Ma questo non vuole dire che non possiamo far finta di essere ancora in contatto con loro… >>.

 

Irina lo guardò prima perplessa, poi comprese. Sì, aveva bluffato, ma l’F.B.I. avrebbe potuto usare qualche agente per fingerlo un esportatore di droga messicano, accontentando i russi e aiutando ulteriormente loro.

 

<< Perché gli hai detto che non ti interessa se Challagher è fuori o no? >> chiese.

 

<< Perché è la verità >> rispose secco Dimitri, entrando in auto, << Sono l’unica persona che qui in mezzo non ha da temere niente, nemmeno lui >>.

 

Accese il motore e partì con una sgommata, lasciandola lì a fissare la strada con aria confusa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Bene, pure questo è fatto. Lo so, faccio schifo in quanto ad aggiornamenti, ma pazientate ancora qualche settimana, poi penso che i miei ritmi si faranno meno stressanti e avrò tempo per scrivere di più.

 

Che dire… Gara di Irina, arrivo di Xander, eccetera. Niente di che, alla fine. Dimitri, invece, è sempre più strano, non vi pare? Ah, se sapeste quello che so io (e lo saprete)… Si accettano scommesse sul suo passato e sulla sua vita!

 

DarkStar: non ti preoccupare, adoro le recensioni lunghe! La tua ipotesi su Irina può essere in parte azzeccata: in fondo, sì, troppa tranquillità dopo una vita passata in mezzo al casino era un po’ strana per lei. Per quanto volesse essere una “brava ragazza”, rimane comunque Fenice: e Fenice non è proprio un angioletto. Xander, invece, sa che Irina può cavarsela da sola in molte situazioni… In molte, non in tutte, ed è terrorizzato dall’idea di poterla vedere di nuovo nei guai, ma soprattutto di vederla di nuovo stare male come quando l’ha conosciuta: sa meglio di tutti quanto sia stata dura farle trovare un equilibrio, farle perdere quell’oscurità che aveva nello sguardo. Per questo la vuole tenere in quasi in una campana di vetro, credendo di preservarla da tutto e da tutti: il problema è che non la preserva da se stessa. Ma questa è un’altra storia, e questo aspetto verrà fuori nella fic. Quanto a William… Bé, in realtà con Sebastian esisteva un accordo molto prima che lui venisse catturato, un accordo che lo avrebbe aiutato proprio nel caso fosse finito dietro le sbarre. In ogni caso, sarà spiegato meglio nella storia, però sì, c’è una piccola componente di fiducia che lo Scorpione ha dovuto riporre nel suo meccanico, cosa molto rara per William, che alla fine conta solo e sempre su se stesso. Dimitri, invece, verrà fuori piano piano, ma io lo adoro già… baci!

 

CriCri88: ah ah, lo sapevo che il flashback di William ti sarebbe piaciuto! Pure da giovane si faceva distinguere, e aveva la stessa testa… Però vedrai anche altri aspetti di lui, che non potranno che piacerti, credo. Vedrai! E soprattutto, quando uscirà dal carcere, ne combinerà delle belle. Baci!

 

Darkraimbow: hola! Bé, grazie, speriamo che il concorso vada bene e non mi classifichi proprio ultima! William è vero, è un personaggio molto complesso, molto più di quanto ci si potrebbe aspettare da un cattivo; ed è anche vero che molti dei miei personaggi hanno due facce, perché io adoro la dualità del carattere nelle persone: fa parte di tutti, soprattutto di gente come loro. Poi Xander e William sono simili sotto molti aspetti, e qui ci addentriamo in un vero e proprio trattato… Meglio tagliare, ne parlerò più avanti. Quando al delirio che la Lince sia una donna… Bé, su quello puoi fantasticare quanto vuoi, quello che mi ha fatto ridere era la possibile storia William/Lince: uhm, la donna perfetta lo Scorpione l’ha già incontrata, e finché non riuscirà ad averla non potrà trovarne una che fa al caso suo, se capisci cosa intendo… Rimaniamo nel vago, vah… Baci!

 

Mantovanina: ciao! Sono contentissima che la storia ti sia piaciuta e ti stia piacendo, soprattutto per averti acquisito come nuova lettrice! Mi dici che vedi Xander come un puma? Uhm, io in realtà non gli ho mai associato nessun animale, quindi ti lascio libera di vederlo come vuoi… E’ l’unico a cui non ho affibbiato un soprannome! Quanto al resto, posso solo dirti: attendi e vedrai… Baci e grazie ancora!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


Capitolo XII

Capitolo XII

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 15.30 – Mosca, Casa di Dimitri

 

<< Quindi le sembra che i russi rimangano comunque diffidenti, nei suoi confronti? >> disse McDonall dall’altra parte del telefono, pensieroso. << In parte lo sono di natura, ma strano che lo siano così tanto… Evidentemente credono che ci sia qualcosa sotto >>.

 

Irina spostò la sedia dal tavolo della cucina, giocando con il telecomando del televisore spento.

 

<< Forse non siamo stati abbastanza convincenti >> disse lentamente, << Io e Dimitri non siamo stati lineari: all’inizio sembrava che fossi io a dettare le regole tra noi due, ora lui si dice perfettamente libero di fare quello che vuole, e che collabora con me solo per liberarsi del debito che dovrebbe avere nei miei confronti, visto che dovrei averlo fatto scappare… Boris e Todorov avranno sicuramente intuito che c’è qualcosa di strano, no? >>.

 

<< Può darsi >> convenne McDonall, << Se date l’idea che in realtà non collaboriate per davvero, potrebbero accorgersi di qualcosa. Sapevo che il russo sarebbe stato un problema… >>.

 

Irina guardò istintivamente verso le scale che portavano di sopra, dove c’erano sia Dimitri sia Yana, chiusi in quella sorta di camera privata come quasi tutti i pomeriggi che avevano trascorso lì.

 

<< Fino ad ora si è comportato abbastanza… bene, a parte qualche “piccolo episodio” >> disse, << Non mi ha dato modo di pensare che stia tramando qualcosa… >>. Le venne in mente l’episodio della pistola, ma quello era colpa sua. E anche se qualche volta aveva pensato di avergli lasciato troppa libertà, tipo lasciarlo da solo con i suoi cugini, a mente fredda si rendeva conto si essere troppo apprensiva.

 

<< D’accordo, ma dovete chiarire cosa c’è sotto >> disse McDonall, << Se c’è qualcosa del passato di Dimitri che dobbiamo sapere, deve venire fuori. Se ha un vero motivo per volersi mantenere “indipendente”, deve farcelo sapere. Non possiamo rischiare… Chiaritevi e decidete come muovervi >>.

 

<< Ci proverò, ma non credo sarà facile >>.

 

<< Il patto era chiaro: Goryalef doveva collaborare >> ribatté McDonall, << Se è venuto lì per fare di testa sua, lo facciamo tornare negli Stati Uniti immediatamente… E la prossima volta, consultatevi prima di avere la brillante idea di farci organizzare anche un finto gruppo di messicani spacciatori di droga… >>.

 

Irina fece una smorfia, imbarazzata. Ne aveva parlato con White poco prima, e anche lui non era stato particolarmente entusiasta della cosa: la trovata di Dimitri era geniale solo per lui…

 

<< D’accordo, ha ragione… >> convenne, << Dovremmo essere una squadra, e agire di comune accordo, e non continuare a darci addosso >>.

 

Salutò il Vicepresidente e sospirò: sì, sicuramente Dimitri nascondeva qualcosa del suo passato, che aveva a che fare con ciò che era ma soprattutto sul perché se ne fosse andato dalla Russia. Qualcosa che non lo rendeva entusiasta al cento per cento di essere tornato a casa.

 

“Dobbiamo parlare, questo è sicuro. Se vuole dare l’idea di essere completamente libero, devo sapere perché”.

 

Era il caso di approfittarne, visto che si sentiva abbastanza determinata da poter affrontare le frecciatine del russo. Qualunque cosa stesse facendo la sopra, doveva scendere e parlare con lei. Bisognava solo capire come farlo nel migliore dei modi.

 

Salì le scale che portava di sopra e fissò la porta chiusa. Non voleva che entrasse? Non sarebbe entrata, allora.

 

“Ok, non lo far innervosire… Meglio essere cauti e non irritarlo”.

 

Bussò alla porta, rimanendo ferma ad aspettare. Venne ad aprirle Yana, fissandola stupita nel suo vestitino blu. Si vede che non si aspettava di vederla lì.

 

<< Devo parlare con Dimitri >> disse Irina lentamente, affinché capisse quello che aveva detto.

 

La bambina annuì, poi dietro di lei comparve il russo, di nuovo a torso nudo e striato di sudore: sicuramente dovevano esserci degli attrezzi da palestra, la sopra. Le rivolse un’occhiata infastidita, si piazzò davanti a Yana e si gettò la maglia sulla spalla.

 

<< Cosa c’è? >> fece, secco.

 

<< Dobbiamo parlare di una cosa che ci riguarda >> rispose Irina, sostenendo il suo sguardo, << Che ti riguarda, soprattutto >>.

 

Dimitri disse qualcosa a Yana, e la bambina tornò nella mansarda senza fiatare. Lui si richiuse la porta alle spalle, e la seguì fino in soggiorno, infilandosi la maglietta. Si sedette sul divano e la guardò in faccia.

 

<< Di cosa dobbiamo parlare? >> chiese, il tono strafottente.

 

Irina rimase in piedi, risoluta.

 

<< Perché te ne sei andato dalla Russia? >> domandò, diretta e senza alcun giro di parole.

 

<< Perché non volevo più rimanere qui >> rispose Dimitri, secco.

 

<< E perché non volevi rimanere qui? >>.

 

<< Perché mi ero stufato di questo posto >>.

 

Irina gli rivolse un’occhiataccia. Forse era il caso di andare dritta al punto, visto che faceva il furbo cercando di prenderla in giro in quel modo…

 

<< Senti, posso capire che non devo permettermi di intromettermi nella tua vita, ma come hai detto tu l’altra volta, ci mettiamo in pericolo a vicenda, con i nostri comportamenti >> disse, ricordandogli le sue stesse parole, << Quindi se c’è qualcosa che ti riguarda che può compromettere la missione, penso di doverlo sapere >>.

 

Dimitri la guardò, l’espressione imperscrutabile, senza dare segno di essere minimamente colpito da ciò che aveva detto.

 

<< Quello che mi riguarda non mette in pericolo la missione >> disse solo.

 

<< Questo lo pensi tu, ma potrebbe non essere così >> ribatté Irina, sentendo l’impazienza salire.

 

Dimitri rimase un attimo in silenzio, rivolgendo lo sguardo intorno come per calmarsi. << Vuoi sapere qualcosa del mio passato? >> domandò.

 

<< Sì >>.

 

<< Bé, credo siano fatti miei >> ribatté, secco e diretto come sempre.

 

Irina sbuffò, con la voglia matta di tirargli una sberla per vedere se riusciva a essere più convincente, ma si trattenne. Ci andava pazienza con lui, c’era poco da fare.

 

<< Perché non vuoi che nessuno sia collegato a te? >> chiese, cercando di aggirare l’argomento. Magari messo alle strette sotto quel punto di vista sarebbe stato più eloquente.

 

<< Cosa te lo fa pensare? >> chiese Dimitri. La guardava con aria di sfida, gli occhi grigi più gelidi del ghiaccio.

 

<< Tua sorella me lo ha lasciato intendere; ed è chiaro che sei uno che qui gode di stima, ma non frequenti nessuno… >> disse Irina, << E’ strano, non ti pare? Sembra quasi che tu non voglia far sapere che sei tornato >>.

 

Dimitri cambiò posizione sul divano, inarcando un sopracciglio, e Irina notò la vena che si contrasse sul suo collo taurino. << Ho dei nemici qui, come tutti >> soffiò, come per non farsi sentire da nessuno.

 

<< Per quale motivo? >> domandò lei, sempre più incuriosita.

 

<< Abbiamo dei conti in sospeso >> spiegò Dimitri, la voce stranamente neutra, << Che risalgono ad alcuni anni fa… Io e la mia famiglia >>.

 

“Non mi sta dicendo niente di nuovo, in fondo… Non era difficile capire che aveva questioni ancora aperte con qualcuno del posto…”.

 

Irina studiò la sua espressione, per capire cosa stesse pensando: fu inutile, perché aveva l’espressività di una statua. Dimitri sembrava fatto di pietra, a parte gli occhi che si muovevano su di lei e poi sulla stanza.

 

<< Si può sapere cosa? >> chiese a bassa voce, conoscendo già la risposta che lui le avrebbe dato.

 

<< No >>.

 

“Ok, meglio non insistere troppo… Magari me lo dice da solo più avanti”.

 

<< Chi era quello di cui ho sentito parlare l’altra volta dai tuoi cugini? Un certo Vladimir… >>.

 

Si era tenuta quella domanda per un momento migliore, e non sembrargli eccessivamente impicciona. Forse su quello le avrebbe detto qualcosa.

 

Dimitri fece una smorfia, come se avesse capito dove stava andando a parare.

 

<< Vladimir Buinov? >> disse, << E’ uno da cui dobbiamo tenerci alla larga, se è questo che vuoi sapere >>.

 

Irina inarcò un sopracciglio, avvicinandosi di un passo al divano.  << E’ uno dei Referenti? >>.

 

Dimitri scosse il capo. << No, non è un Referente… Controlla la parte Sud di Mosca, ed è da anni in lotta con tutti gli altri quartieri della città >>.

 

<< Perché? >>.

 

<< Vuole il pieno controllo delle partite di droga e delle corse clandestine >> rispose Dimitri, << Ma non vuole collaborare con nessuno… E’ una mina vagante, se così possiamo dire. Non sta con nessuno, a parte il suo ristretto gruppo di amici, e molti lo temono, perché non ha alcuna pietà per niente e per nessuno >>.

 

Il tono di Dimitri divenne improvvisamente più freddo del solito, e il suo sguardo si rabbuiò. Qualcosa disse a Irina che quel Vladimir doveva centrare qualcosa con lui… E molto probabilmente con il fatto che volesse far sapere che era tornato.

 

<< Ha a che fare con te, vero? >> domandò lei.

 

Dimitri si alzò di scatto, e per un attimo ebbe paura di una qualche sua reazione violenta; lui però si limitò a ringhiare e a sussurrare un secco “Non ha alcuna importanza” prima di risalire di sopra, lasciandola nel soggiorno da sola.

 

“Ecco, lo sapevo… Perché è così maledettamente suscettibile?”.

 

Irina sospirò, accorgendosi di aver di nuovo sbagliato l’approccio con Dimitri. Non era uno che amava parlare, che sembrava disprezzare tutto e tutti, e a cui non importava molto del parere degli altri… Era sempre stato così, anche ai tempi di Challagher. Inoltre, molto probabilmente era abituato a vivere da solo, e non con una ragazza tra i piedi a occupargli la casa, e lei avrebbe dovuto tenerne conto… Forse alla fine era stato più gentile del solito, a rispondere a qualcuna delle sue domande.

 

“Deve essere qualcosa di molto doloroso, se non ne vuole parlare… Dovrei mettermi nei suoi panni”.

 

Se qualcuno in quel momento le avesse domandato qualcosa su ciò che era successo tra lei e William, anche se era passato del tempo, non ne avrebbe parlato sicuramente con piacere… Anzi, ricordare era già abbastanza doloroso.

 

Si sedette sul divano, sospirando. Afferrò il telecomando dello stereo e lo accese, cercando di distrarsi un po’: finché lasciava i cd che gli piacevano, Dimitri non aveva niente da dire.

 

Aveva appena appoggiato la testa sul divano, quando il suo cellulare squillò forte, vibrando sul ripiano dove lo aveva lasciato. Lo acchiappò prima che potesse cadere e rispose.

 

<< Pronto? >>.

<< Ovunque tu sia, per qualunque motivo tu sia lì, non lo voglio sapere… Ma non potevo resistere senza sapere se stavi bene o no >>.

 

Irina rimase di sasso quando riconobbe la voce squillante e acuta della sua migliore amica, dall’altra parte della linea telefonica e a migliaia di chilometri di distanza.

 

<< Jenny?! >> gridò, saltando in piedi.

 

<< In persona >> rispose l’amica, << Prima dimmi come stai, poi pensiamo al resto >>.

 

Irina sorrise, senza parole. La sua amica non doveva contattarla, lo sapeva, ma non poteva essere che felice che lo avesse fatto: era l’unica con cui poteva parlare senza essere giudicata, ma soprattutto senza dover discutere di quella missione più complessa del previsto.

 

<< Sto bene, meglio di quanto pensassi… >> disse, divertita, << E tu? Tutti bene laggiù? >>.

 

<< Certo, qui noi ce la spassiamo >> rispose Jenny, << Esami a parte, tutti bene, anche tuo papà, l’ho incontrato l’altro giorno >>.

 

<< Bene, grazie della notizia… Gli telefonerò appena posso >>.

 

<< Brava… Ah proposito, cosa stai facendo di bello? >> chiese Jenny, tutta zucchero. Anche se diceva che non le interessava, Irina la conosceva troppo bene: stava sicuramente morendo dalla curiosità.

 

<< Lo sai che non te lo posso dire >> sorrise, << Come hai fatto ad avere questo numero di telefono? >>.

 

<< Jess >> rispose Jenny, << Xander è stato qui, prima di partire, e ce lo ha lasciato… Veramente lo ha lasciato solo a Jess, ma non riuscita a estorcerglielo… Sai che Xander mi sembrava abbastanza nervoso? Aveva i nervi a fior di pelle… Cosa gli hai combinato? >>.

 

Il sorriso di Irina si incrinò un po’, al ricordo del suo rocambolesco arruolamento nell’F.B.I.

 

<< Non voleva che partissi >> rispose lentamente, << Abbiamo bisticciato un po’ su questo… >>.

 

<< Lo so cosa stai facendo, Irina >> disse improvvisamente Jenny, seria, << Lo so che sei tornata a fare la pazza in macchina… Non me lo hanno detto, ma lo so, ti conosco troppo bene >>.

 

Irina non si stupì che lo avesse intuito: se non andava via per un soggiorno studio, non c’era altro motivo che potesse spingerla a partire per un posto sconosciuto, soprattutto lasciando all’oscuro praticamente tutti. Ora arrivava il momento per lei di sorbirsi la ramanzina di chi le voleva bene e teneva alla sua salute molto più di lei.

 

<< Jenny… >>.

 

<< Irina, sei grande abbastanza da decidere da sola, e so che sei in gamba… Ormai sei lì, nessuno ti può più fermare, e spero che non ti pentirai della tua scelta. Cerca di fare attenzione >>.

 

<< E’ quello che ho intenzione di fare. Quando torno ti racconterò tutto >> disse Irina, sedendosi si nuovo sul divano, sentendosi un pochino in colpa per non averle detto proprio nulla. << Poi ora Xander non è più tanto lontano da me, quindi… >>.

 

<< Dove sei, più o meno? >> chiese Jenny, curiosa, cambiando tono. Non voleva metterla sotto torchio e farla stare male, ora che i giochi erano già fatti.

 

<< Europa dell’Est >> rispose Irina, rivolgendo un’occhiata verso la finestra, oltre la quale vorticavano i fiocchi di neve, << Un posto dove fa molto freddo… >>.

 

<< Sarebbe stato meglio Parigi, mi sa >> commentò l’amica, << Sei sola? Vivi in qualche villa superlusso o una cosa così… Raccontami qualcosa, sono curiosa >>.

 

Irina sorrise, valutando ciò che poteva raccontarle senza mettere in pericolo la sua copertura, nel remotissimo caso che quella telefonata fosse intercettata. Si guardò intorno, lo sguardo che vagava per il soggiorno.

 

<< Sto in un appartamento abbastanza bello, di quelli stile minimalista, se capisci cosa intendo… In compagnia di un russo di ghiaccio e parecchio scontroso, più sua nipote e sua sorella >>.

 

<< Ma dove cavolo sei finita? >> chiese Jenny, << Un russo? Che ci fai con un russo? >>.

 

<< E’ un vecchio amico… >> sussurrò Irina, sperando che Dimitri non piombasse lì da un momento all’altro: di sicuro non avrebbe gradito sentirsi chiamare “amico”.

 

<< Tu non hai amici russi… >> disse Jenny, quasi fosse scontato, << Ora però capisco perché Xander era così infuriato… Si può sapere come si chiama, almeno? >>.

 

<< No >> rispose Irina, trattenendosi dal ridere.

 

<< Allora cosa fa lì con te? >>.

 

<< Mi deve aiutare >>.

 

<< Ah… Non ci capisco niente, ma mi basta sapere che stai bene >> commentò Jenny, confusa ma anche divertita, << E che Xander non è più tanto lontano… Non è che quel tipo allunga le mani? >>.

 

Irina sorrise: ecco il solito commento di Jenny. Questa volta però non c’era da preoccuparsi, perché per Dimitri doveva avere l’attraenza di una porzione di cavoli andati a male…

 

Passarono la mezz’ora successiva a parlare del più e del meno, con Irina che chiedeva informazioni su come stavano Kety e gli altri, e come andavano le cose all’Università. Fu piacevole tornare per qualche momento a Los Angeles, anche solo con la mente. Jenny aveva la dote di ricordarsi tutti i pettegolezzi che riguardavano praticamente tutta la città, quindi ebbe da parlare abbastanza da consumare tutto il credito della sua scheda telefonica.

 

Appena rimise il cellulare sul tavolino, rincuorata da quella chiacchierata all’insegna della leggerezza, Irina si accorse che Yana stava sulle scale, un grosso libro colorato in mano, e la faccetta incuriosita: doveva essere rimasta ad ascoltare cercando di capire cosa stava dicendo, o con chi stesse parlando.

 

Irina le sorrise, intenerita dalle guancette rosse della bimba, e Yana saltellò sugli ultimi gradini fino a raggiungerla, sventolando il librone davanti al suo naso.

 

<< Cos’è? >> chiese.

 

La bambina lo aprì, mostrando l’immagine di un paesaggio di campagna e di una fattoria con tantissimi animali, con le didascalie in russo che dovevano rappresentarne il nome. Indicò alcune delle figure e disse, con un’ottima pronuncia inglese: << Cane… Gatto… Cavallo… Mucca… Toro >>.

 

Irina capì: usava il libro per imparare le parole… Doveva ammettere che quella bambina aveva proprio voglia di studiare, già così piccola!

 

<< Mi insegni? >> chiese Yana, gli occhioni che luccicavano.

 

<< Va bene >> sorrise Irina, seguendola fino al tavolino e guardandola appoggiare per bene il libro sul ripiano, tutta concentrata. Lo sfogliò velocemente e si fermò a una pagina piena di immagini sulla cucina e i cibi. Indicò le fragole dentro un cestino e la guardò interrogativa.

 

<< Fragole >> disse Irina, scandendo bene le lettere, << Fragole… >>.

 

<< Fra-go-le >> ripeté Yana, aggrottando buffamente la fronte, << Queste? >>.

 

Indicò le mele, rosse e gialle, poi le banane, poi tutti gli altri frutti sparsi per la cucina, con Irina che le diceva il nome in inglese. Faceva tutto con serietà, come una bambina molto più grande della sua età, e come se ne andasse del suo onore… Irina non poteva che sorridere, di fronte al suo impegno.

 

Nel giro di mezz’ora, si trasformò tutto in un gioco divertente anche per Irina, che rideva per la difficoltà di pronuncia di Yana di alcune parole, e anche per il fatto che la bambina ogni tanto cercava di insegnarle qualche termine russo che per lei risultavano assolutamente impronunciabili. In più, per ogni dieci parole che memorizzava Yana, lei ne imparava una: era decisamente brava, quella bambina.

 

<< Dimitri ti insegna le parole, quando stai sopra con lui? >> chiese Irina, incuriosita; si era sempre chiesta cosa facessero là sopra. Dimitri non era certo uno di molta compagnia.

 

<< Sì >> rispose Yana.

 

<< E poi cosa fa? >>. Irina non se lo vedeva proprio ad aiutare una bambina a studiare…

 

Yana si strinse nelle spalle. << Palestra >> rispose, mulinando le braccia per mimare il sollevamento di un bilanciere.

 

Guardò la bambina, impensierita, poi gettò una rapida occhiata all’orologio.

 

<< Senti un po’, ti piacerebbe fare merenda? >> chiese.

 

La bambina annuì.

 

<< E se mi aiutassi a fare una torta? >> domandò Irina, con un sorriso, << Potresti imparare un sacco di parole… >>.

 

Yana annuì con più vigore, gli occhietti illuminati.

 

<< Vieni >>.

 

Andarono in cucina, e Irina si mise a frugare nei cassetti in cerca di un grembiule per Yana, in modo che non si sporcasse il vestitino. Glielo fece indossare e poi tirò fuori l’occorrente per la torta, dicendo al alta voce di cosa si trattava, gli occhi di Yana che non la abbandonavano nemmeno un attimo.

 

<< Uova… Farina… Latte… >>.

 

Dispose tutto sul tavolo, dopo aver tolto la tovaglia, e fece cenno a Yana di avvicinarsi, spiegandole cosa dovevano fare.

 

Se dapprima Yana era parsa un po’ perplessa all’idea di dover maneggiare la farina, appena Irina le mostrò come fare, cambiò totalmente espressione, assumendo la tipica faccetta divertita dei bambini che pasticciano con le cose da mangiare, e persino le sue amate parole passarono in secondo piano. Iniziò spargere il latte dappertutto, rovesciando qualche ingrediente qua e là per il tavolo, ma ridendo di gusto.

 

Irina sorrise di fronte allo sbaffo di farina che aveva sul naso, e l’aiutò a scegliere gli ultimi ingredienti per la torta, che Yana volle con le mele e le pesche tagliate a pezzettini. Diedero un’ultima mescolata all’impasto, poi versarono tutto nella teglia e misero in forno.

 

<< E ora non ci resta che aspettare che sia pronta >> disse Irina, osservando il tavolo cosparso di farina e il grembiule di Yana completamente impiastricciato… Ma niente era divertente come la sua faccetta soddisfatta e divertita, gli occhietti che guardavano l’evolversi della loro torta all’interno del forno.

 

In quello stesso momento, Dimitri entrò in cucina, goccioline di sudore che gli scendevano lungo il collo e l’espressione rabbuiata, come se stesse pensando a qualcosa di brutto.

 

<< Ah, sei qui… >> borbottò quando vide Yana appiccicata al forno. Poi si accorse del pasticcio sul tavolo e rivolse un’occhiata perplessa a Irina, quasi spiazzato nel trovarle in quella situazione.

 

<< Abbiamo fatto una torta… >> spiegò lei, sperando la cosa non gli desse troppo fastidio.

 

Yana a quel punto si girò e lo guardò in faccia, lo sbaffo di farina ancora sul nasino e l’espressione orgogliosa. Irina non poté che sorridere, trovando quella bambina sempre più tenera ogni attimo che passava, e per un momento le sembrò di cogliere un velato, velatissimo sorriso anche sul volto di Dimitri, che provvide subito a nascondere dietro la sua solita maschera. O forse si trattava solo di una smorfia più amichevole del solito, perché lui non sorrideva mai.

 

<< Vado a farmi una doccia… >> disse, dopo aver recuperato dal frigo una bottiglia di acqua ghiacciata. Sparì nel corridoio lasciandole in attesa che il loro “capolavoro” finisse di cuocere.

 

<< Come mai ti piace tanto imparare l’inglese? >> chiese Irina, rivolta alla bambina, mentre ripuliva il tavolo e rimetteva tutto in ordine.

 

<< Perché non voglio stare qui >> rispose Yana, serissima, << Voglio andare con lo zio Dimitri dove fa caldo e c’è il mare… Dove sta sempre lui quando non viene qui >>.

 

La risposta lasciò Irina stupita: Yana da dove arrivava Dimitri, e sembrava reputarlo un posto migliore di dove viveva lei. Non voleva rimanere lì… Scosse il capo: forse si trattava solo di un’idea di una bambina di sei anni. Difficilmente si rendeva conto di cosa implicava.

 

Lasciò perdere l’argomento e controllò la torta: doveva essere pronta. Afferrò il guantone e la tirò fuori, inondando la cucina di un dolce profumo. La dispose sul piatto e guardò Yana contemplare soddisfatta il dolce.

 

<< La tagliamo? >>.

 

La bambina annuì.

Irina tagliò una bella fetta e gliela porse, avvolta da un pezzo di carta da cucina per non farla bruciare. Yana addentò un boccone e si illuminò.

 

<< E’ buona! >> gridò.

 

<< Certo che è buona, l’abbiamo fatta noi >>.

 

Irina si tagliò una piccola fettina e la assaggiò, scoprendo che in effetti era davvero deliziosa, più di quanto si fosse aspettata dall’abbinamento mele-pesche idea di Yana.

 

<< Né tagliamo un pezzo e la porti alla tua mamma, così le fai vedere quanto sei stata brava >> disse Irina, disponendone una grossa fetta su un altro piatto e coprendola con un tovagliolo.

 

<< Allo zio? >> chiese Yana.

 

<< Se la vuole, sì >>.

 

“Dubito che voglia assaggiare qualcosa che proviene per la maggior parte dalle mie mani… Ma comunque potrebbe fargli bene, magari si addolcisce”.

 

Yana uscì di corsa dalla stanza, per poi tornare trascinando Dimitri per un braccio, l’espressione abbastanza scocciata. Se fosse stato chiunque altro a tirarlo in quel modo, e non Yana, di sicuro gli avrebbe tirato un pugno. La bambina lo spinse davanti al tavolo e disse: << Mangia >>.

 

Dimitri rivolse un’occhiata prima alla torta poi a Irina, gli occhi di ghiaccio. Molto probabilmente se non ci fosse stata Yana avrebbe fatto uno dei suoi commenti acidi o avrebbe declinato tutt’altro che gentilmente l’offerta, ma si trattenne.

 

<< Non è velenosa, l’abbiamo mangiata anche noi >> disse Irina, seria, << E poi l’ha fatta lei, non io >>.

 

Dimitri fece una smorfia, come a dire “E io ci credo anche…” e prese la fetta di torta che le porse Yana con insistenza. Le diede un rapido morso, poi abbassò gli occhi sulla bambina.

 

<< E’ buona >> borbottò, << Brava… >>.

 

“Oddio cosa sentono le mie orecchie! Forse ho capito male?”.

 

Yana saltellò contenta e prese il piatto con l’altro pezzo di dolce.

 

<< Lo porto alla mamma >>. Era talmente contenta che rischiò di farlo cadere dal piatto.

 

Sparì correndo dalla cucina e li lasciò da soli, a guardarsi in faccia poco amichevolmente. Irina incrociò le braccia e fece un mezzo sorriso, tutt’altro che divertito.

 

<< Non sei obbligato a mangiarla, se non ti piace >> disse, accennando alla fetta di torta che aveva ancora in mano. << Era solo per essere carini con Yana, tutto qui >>.

 

<< Di solito dico quel che penso… >> commentò Dimitri, secco.

 

<< Cioè? >>.

 

<< E’ buona, non sto dicendo una stronzata >>.

 

<< Ok… >> fece diffidente Irina.

 

Però io ci credo poco…”.

 

Si voltò un momento, e bastò quell’attimo di distrazione a Dimitri per sparire dalla cucina. Sentì la porta dell’appartamento chiudersi.

 

Irina si strinse nelle spalle: non sarebbe mai riuscita a capirlo, forse. Doveva essere andato in garage, dove probabilmente le auto gli facevano una compagnia più gradita della loro.

 

Tornò in soggiorno e gettò un’occhiata allo stereo, approfittando del fatto che non ci fosse Dimitri: inserì il cd che aveva tolto dalla radio della Punto e si lasciò cullare dalle sue canzoni preferite, sentendosi per un momento quasi a casa. Mancava solo l’abbraccio di Xander, per farla stare davvero bene.

 

“Spero che non faccia stupidaggini e che la sua copertura tenga…”.

 

Sospirò: sì, Xander era in gamba, sarebbe andato tutto bene. Era lei quella che doveva impegnarsi e fare attenzione.

 

Vagò con lo sguardo per la stanza, pensando a cosa potesse fare: non poteva farsi vedere in giro, aveva detto Dimitri, soprattutto con la sua macchina. Solo che starsene tutto il tempo in casa non era un bel passatempo.

 

All’improvviso si accorse di una cosa: sul mobile dello stereo mancavano le chiavi del cancello del garage, che rimanevano lì anche quando Dimitri stava in garage…

 

Si alzò e guardò se per caso non fossero in giro, ma non le vide da nessuna parte.

 

“Non dirmi che è uscito…”.

 

Fin da quando erano arrivati, Dimitri non si era mai allontanato da casa senza di lei, perché McDonall gli aveva proibito di andarsene in giro da solo, anche se avrebbero comunque potuto rintracciarlo. E, viceversa, il russo non voleva che se ne andasse in giro per in fatti suoi, per evitare che facesse stupidaggini…

 

Forse la prima cosa che avrebbe dovuto fare era preoccuparsi, ma stranamente rimase tranquilla. C’era qualcosa che le diceva che doveva esserci una spiegazione. E agitarsi non la aiutava… Doveva o non doveva imparare a cavarsela anche nelle situazioni più inaspettate?

 

“Prima è il caso che vada a controllare se è veramente uscito…”.

 

Chiese a Vilena, nell’altro appartamento, se Dimitri stava da lei, ma scoprì che non c’era; allora scese in garage, dove mancava il bianco dell’inconfondibile Ferrari. Le altre auto erano al loro posto, ma era chiaro che Dimitri era uscito.

 

“Ok, non mi resta che fare una cosa…”.

 

Risalì a casa, andò a frugare nella valigetta che si era portata dietro e che conteneva un cd che le aveva lasciato Jess, il quale si era occupato di rendere Dimitri sempre reperibile. Si sedette alla scrivania di camera sua e aprì il portatile, anche quello compreso nel kit del “perfetto agente segreto”, fissando lo schermo che si accendeva.

 

Avrebbe dovuto avvertire qualcuno, ma non voleva farlo. McDonall era stato chiaro: se il russo dava segni di strani comportamenti, voleva essere avvertito. La missione non poteva saltare per lui.

 

Eppure, anche se aveva voluto fare un po’ di testa sua ed era stato poco collaborativo, Dimitri non le aveva dato l’idea di essere davvero pronto a pugnalarla alle spalle… E in più, prima di accusarlo di qualcosa, doveva essere sicura di quello che diceva. Magari alla fine non c’era niente di cui preoccuparsi.

 

Le ci vollero cinque minuti per installare il programma di Jess, fortunatamente di facile comprensione anche per una profana di informatica come lei, e lo lanciò. Sullo schermo comparve una sorta di cartina stilizzata di Mosca, con i nomi delle vie e un puntino rosso che si muoveva abbastanza velocemente lungo la strada. Dimitri e la sua Ferrari.

 

“Dove starà andando?”.

 

Seguì con gli occhi il puntino, fino a che non vide fermarsi davanti a quello che era il Cimitero di Novodevicij, e rimanere inchiodato lì.

 

“Cosa ci fa Dimitri in un cimitero?”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 18.00 – San Pietroburgo

 

<< E tu chi saresti? >> domandò il russo che aveva davanti, la barba sfatta e gli occhi iniettati di sangue di chi non ha dormito per tutta la notte. Il fumo della sua sigaretta si disperdeva nell’aria stantia del bar, il televisore nell’angolo che gracchiava su una partita di calcio.

 

<< Uno che vuole correre >> rispose Xander, fissandolo negli occhi, << Che vuole fare molti soldi, correndo >>. La gente che sta nel bar, tutti uomini dall’aria poco raccomandabile, non li degnano di uno sguardo.

 

<< Come ti chiami? >>.

 

<< Mark Dowson >> rispose Xander. Orribile nome, ma necessario per la sua copertura.

 

<< Sei quello di ieri sera, allora >> disse l’uomo, alzando lo sguardo dal bicchiere di birra che aveva davanti, << Quello che ha vinto con la Scirocco nera… >>.

 

<< Sì, sono io. Mi hanno mandato da te >> disse Xander, << Dicono che puoi farmi conoscere subito qualcuno di interessante… >>.

 

L’uomo sorrise, poi gli porse la mano. Abbandonò la sua aria insofferente e apparve più interessato. << Io sono Ermil… Mi chiamano “l’Amico”, però >> si presentò.

 

<< L’Amico? >>.

 

<< Sono io che mi occupo dei nuovi arrivati da queste parti, e posso essere considerato il russo più amichevole nel giro di centinaia di chilometri qui attorno >> spiegò Ermil, prendendo il bicchiere di birra, divertito. << Da dove arrivi? >>.

 

<< Stati Uniti >>.

 

<< Di preciso? >>.

 

<< New York >>.

 

<< Credevo Los Angeles… C’era gente forte, da quelle parti >>.

 

Xander drizzò le orecchie. Qualcuno nella sala gridò qualcosa, attirando l’attenzione del barman.

 

<< Ci sono stato, infatti >> disse, sperando che qualcosa non fece mangiare la foglia al russo.

 

<< Davvero? Allora non sei uno che scherza… Conoscevo di fama i piloti di quelle parti. Peccato abbiano fatto una brutta fine… >>. Ermil sembrava dispiaciuto, dal tono di voce, ma la sua espressione distaccata non sembrava dire altrettanto. << Sai come sono stati arrestati? >>.

 

Xander si strinse nelle spalle. << Pare ci fosse un traditore tra loro >> rispose, << Sono stato lì molto prima che gli sbirri li beccassero, quindi non so come è andata. Non faceva per me, il posto, così sono tornato a New York >>.

 

<< E hai deciso di venire fin qui… >> disse Ermil, << Scelta migliore, davvero >>.

 

<< Con chi puoi farmi entrare in contatto? >> chiese Xander, cogliendo l’occasione per allontanarsi dal terreno minato di Los Angeles, << Sono qui per diventare qualcuno, e non voglio fare la fine di quegli americani… >>.

 

<< Frena, ragazzo >> disse Ermil, sorridendo, << So dove vuoi arrivare… Sei qui perché vuoi diventare uno dei Referenti della Lince, come tutti gli stranieri che si addentrano in Russia… In effetti, è una posizione piuttosto allettante… >>. Mescolò il contenuto del bicchiere, rivolgendo un’occhiata disinteressata alla televisione.

 

<< Puoi aiutarmi? >> domandò Xander.

 

<< Forse… Ma prima fai ancora un paio di gare >> rispose Ermil, << Dopo ti mando da qualcun altro, se mi sembrerai affidabile >>. Ammiccò, come se già sapesse che era uno forte. << Fatti vedere sabato sera in questo locale… Potrebbe esserci qualcuno di interessante >>.

 

Xander sorrise: doveva essere simpatico, a quel tipo. Oppure aveva fiutato qualcosa, e gli stava tendendo una trappola.

 

<< Qui? >> disse, guardandosi intorno, perplesso, << Non mi sembra il posto migliore per gente “interessante”, come dici tu… Siamo nel più anonimo locale di San Pietroburgo >>.

 

<< Appunto >> ribatté Ermil, << Vedrai… Fatti vivo, se la cosa ti interessa ancora >>.

 

Ermil si alzò e lo salutò, lasciando il bar. Xander finì il suo drink dal gusto piuttosto amarognolo, e passò la mano sul tavolo traballante, riflettendo.

 

Aveva fatto una sola gara, ma gli era bastata per farsi notare, il che non era altro che un bene. Se quell’Ermil faceva sul serio, poteva sperare di essere già a cavallo.

 

Lasciò il locale e si diresse fuori, verso l’auto. La Scirocco era parcheggiata all’angolo della strada, tra due vecchie auto arrugginite. Anche se non era una macchina di lusso, là in mezzo faceva la sua bella figura: in quel quartiere le poche auto che c’erano, a parte quelle dei piloti, erano rottami che andavano avanti per miracolo. Molto probabilmente era capitato nel più povero angolo si San Pietroburgo.

 

Si avvicinò alla Scirocco, e si accorse di una cosa: uno dei finestrini dell’auto era spaccato, i pezzi di vetro sparsi sul sedile del passeggero.

 

<< Ma che… >>.

 

Imprecò, rendendosi conto che qualcuno gli aveva voluto fare un bello scherzo. Dovevano averlo spaccato con un sasso per cercare di rubarla…

 

Entrò nell’auto, e notò un pezzo di carta buttato malamente sul cruscotto nero. Lo afferrò, arrabbiato, e lo aprì.

 

C’era una sola parola, scritta in inchiostro rosso, in russo. Una parola che sarebbe riuscito a comprendere anche senza sapere un minimo di russo.

 

“Vattene”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 19.00 – Mosca, Casa di Dimitri

 

Irina guardò la Ferrari entrare nel garage, i fari accesi nella già buia della sera di Mosca, appoggiata al davanzale della finestra. L’auto attese che il cancello si aprì prima di avviarsi sinuosa lungo la rampa e sparire di sotto, il tetto ricoperto di neve fresca.

 

Alla fine era tornato, cosa che non aveva dato proprio per scontata. Un po’ della tensione che l’aveva accompagnata fino a quel momento si sciolse, lasciando il posto alla rabbia.

 

Lo aveva tenuto d’occhio per tutto il tempo, cercando di capire cosa ci potesse fare in un cimitero e se per caso si fosse spostato da lì. Diversamente da quanto aveva creduto, Dimitri era rimasto tutto il tempo nello stesso punto, senza accennare a muoversi se non per tornare a casa.

 

Era giunta alla conclusione che doveva aver incontrato qualcuno, e che avesse scelto un cimitero come luogo di incontro perché era praticamente insospettabile. Non c’erano altre spiegazioni al fatto che era rimasto per più di un’ora fermo nello stesso posto. Doveva aver per forza incontrato qualcuno.

 

Ma era giunta anche a un’altra conclusione: non avrebbe parlato. Avrebbe fatto finta di niente, non gli avrebbe chiesto dov’era andato e perché non le avesse detto niente.

 

Aveva capito una cosa di Dimitri: più domande gli si faceva, meno risposte si ottenevano. Se gli avesse detto che lo aveva controllato, sicuramente si sarebbe arrabbiato e non le avrebbe detto niente. Anzi, avrebbe sicuramente peggiorato ancora di più la situazione e la loro convivenza poteva diventare insostenibile.

 

E nemmeno McDonall, né White, avrebbero saputo della cosa. Doveva comportarsi come se non fosse mai successo niente, come se non avesse alcun sospetto, e far sentire Dimitri tranquillo. Lo avrebbe osservato, tenuto d’occhio, pronta a qualsiasi sua mossa, nella speranza che se stesse veramente tramando qualcosa si tradisse. A quel punto, anche se rischiava di essere troppo tardi, lo avrebbe incastrato. Finché il russo sarebbe risultato utile alla missione, con le sue conoscenze, doveva per forza usarlo, anche se il termine non gli piaceva.

 

Guardò Dimitri entrare in casa cercando di prestargli poca attenzione, mentre lui non la calcolò proprio. Gettò le chiavi di casa sul mobile e si tolse la giacca, in silenzio. Dalla sua faccia non traspariva niente, come sempre.

 

<< Si è sentito qualcuno? >> chiese il russo, riferendosi a Nikodim. Accese la televisione e gettò il telecomando sul divano, quasi stizzito.

 

<< No >> rispose Irina, senza guardarlo. Cercò di mantenere neutro il tono, perché non voleva che si accorgesse di qualcosa.

 

Dimitri le rivolse un’occhiata, poi si diresse verso la sua stanza.

 

<< Cosa c’è? >> domandò, seccato, all’improvviso.

 

Irina cercò di mantenersi impassibile, ma che lui si fosse accorto che aveva qualcosa che non andava la stupì parecchio. Dimitri non le dava l’idea di essere particolarmente intuitivo, per quanto riguardava i sentimenti umani…

 

<< Niente >> rispose atona.

 

<< Allora me ne vado in camera mia >> disse Dimitri, ma si mosse verso il mobile dello stereo, e Irina si accorse che aveva adagiato le chiavi del cancello senza nemmeno tentare di celare il suo movimento. Anzi, la guardò un momento come a sfidarla a dire che lo sapeva che era uscito.

 

Lei però rimase zitta, uno sguardo di sfida che le si dipinse sul volto, mentre Dimitri lasciava il soggiorno.

 

“Tanto scoprirò cosa mi stai nascondendo”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 13.00 – Carcere di San Francisco

 

“Il piano è questo: tu e il tuo amico dovrete prendere questa, stessa ora. Vi sentirete male tutti e due, gli sbirri saranno costretti a chiamare un’ambulanza. In quell’ambulanza ci saremo noi”.

 

William fissò perplesso la pillola bianca che teneva nascosta nel palmo della mano, chiedendosi se in quel piano non ci fosse una falla già in partenza… Non era proprio sicuro di voler scappare dal carcere dentro un’ambulanza: non è che rischiava di uscire chiuso dentro una bara?

 

<< Sei sicuro che funzionerà? >> domandò a bassa voce Daniel, seduto di fronte a lui. Il ragazzo sembrava nervoso quanto lui.

 

William gettò un’occhiata alla mensa affollata, attento che nessuna delle guardie li guardasse. Per fortuna un paio di detenuti avevano da ridire sulle razioni, e gli agenti erano concentrati su di loro per evitare che si scatenasse una rissa.

 

<< Spero di sì… Anche perché se qualcosa va storto ammazzo Blacktree >> sussurrò, stringendo la pillola.

 

<< E io ammazzo te >> ribatté Daniel.

 

William ignorò la minaccia. << Mandala giù senza storie, e ringrazia che abbia scelto te, tra tutti i rifiuti della società che ci sono in questo carcere del cazzo… >> disse.

 

<< Di preciso, cosa ci dovrebbe succedere? >> domandò Daniel, rigirandosi la pillola tra le dita.

 

<< Non lo so… E non lo voglio sapere >> rispose lo Scorpione, ingoiando la pastiglia con un gesto secco. Sentì la pillola scendere lungo la sua gola, e un brivido gli percorse la schiena. Rivolse un’occhiata a Daniel e lo guardò fare altrettanto, l’ultimo sorso del bicchiere ad aiutarlo nell’impresa.

 

<< Stando a quello che ha detto Marissa, dovremmo sentirci male… >> sussurrò William, guardandosi intorno, << L’effetto non è immediato, dovrebbe accadere tra qualche ora… Quindi vedi di non trovarti in una situazione scomoda: sta buono per un po’, e pensa che dopo sarai fuori di qui >>.

 

Il ragazzo si abbassò verso di lui. << Spero tu non lo abbia ancora pagato, quel Blacktree >> ringhiò, << E’ facile che ci abbia fregato… >>.

 

<< Non dire stronzate >> sibilò lo Scorpione, << Non ho scelto uno caso: è il migliore sulla piazza. E con tutti i soldi che mi ha chiesto, sarà anche tenuto a farci uscire nel migliore dei modi… Me ne torno nella mia cella. Ci vediamo fuori di qui. Liberi >>.

 

Si alzò e salutò Daniel con un cenno, lasciando il vassoio con i piatti vuoti al tavolo, come faceva sempre. Avrebbe dovuto riportarlo ai cuochi, ma lo Scorpione non si abbassava a una cosa del genere, era una regola che aveva creato proprio lui.

 

Una volta nella penombra della sua cella, si ritrovò sdraiato nel suo letto a pensare che finalmente tutto andava per il verso giusto.

 

“E’ praticamente fatta… Si ricomincia, finalmente” pensò, guardando i ritagli di giornale appesi al muro, che gli ricordavano la sua cattura.

 

Avrebbe riavuto tutto: la sua libertà, le sue auto, il suo potere, la sua vendetta… E forse anche lei. La sua Fenice.

 

Anche se aveva lasciato la città, era sicuro di poterla ritrovare. Soprattutto se Went era rimasto a Los Angeles… Ovunque fosse, era senza di lui.

 

Qualcosa gli diceva che le cose tra loro stavano andando male: perché dividersi? Perché lasciare il suo adorato sbirro da solo, se lo amava così tanto? E poi la sua auto… Perché all’improvviso la Punto ricompariva?

 

Cosa stai facendo, Irina? Sembri sparita, proprio adesso che uscirò di qui… Abbiamo un conto da chiudere, non mi puoi scappare…”.

 

Guardò la foto della ragazza ancora una volta, un ghigno sul volto. Se non fosse riuscito a rintracciarla, gli bastava avere Went: con lui sotto tiro, Irina si sarebbe fatta sicuramente viva. Solo Dimitri necessitava di un po’ più di ricerche, ma non poteva essere troppo lontano da lì: anche lui era rinchiuso in un carcere, ed era l’unico che non si sarebbe potuto muovere.

 

Due anni di carcere erano stati lunghi, faticosi, frustranti, ma gli avevano insegnato qualcosa, qualcosa che non avrebbe mai dimenticato. Fuori di lì, come lì dentro, mai avere pietà. Per niente e per nessuno.

 

Lo Scorpione sarebbe tornato più determinato, più forte e più spietato di prima. Niente errori, da parte sua; niente errori da chi gli stava intorno. Questa volta si sarebbe fidato solo e sempre di se stesso, anche se significava rimanere da soli.

 

All’improvviso, avvertì una strana fitta ai polmoni. Si portò la mano al petto, iniziando a tossire, e si mise a sedere.

 

La pillola iniziava a fare il suo effetto… E non era piacevole.

 

Scese dal letto, appoggiandosi al muro, in cerca di aria… Qualcosa gli bloccava i polmoni, il cuore che batteva impazzito, forse per via della tensione…

 

Stava soffocando?

 

Sentì qualcuno gridare qualcosa, ma non capì. Iniziava a vedere puntini rossi agli angoli del suo campo visivo, ora offuscato… Tossì ancora, annaspando…

 

<< Chiamate qualcuno! >>.

 

Un attimo, e vide tutto nero.

 

Poi, crollò a terra, privo di sensi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Buonasera, miei cari lettori!

Allora, partiamo prima di tutto dal concorso: disastro totale! Ultima classificata praticamente in tutto… , a dir la verità non mi aspettavo un risultato migliore, visto il pubblico numerosissimo delle altre storie: avevano il vantaggio di aver una schiera di fan sfegatatati, e il genere era quello che va di più in questo sito: Twilight (Non me ne vogliate, ma inizio a soffrirlo un po’… Vi prego non mi linciate, eh!). A parte questo, comunque, ringrazio i sette che hanno votato il Gioco dello Scorpione, e ringrazio anche coloro che in ogni caso hanno reso possibile la candidatura della storia. Inoltre, spero che il concorso sia servito a qualcuno per conoscere questa fic e magari apprezzarla.

 

Secondo, il cap… Bé, poca azione, mi rifaccio nel prossimo. E Dimitri… , è sempre Dimitri. Non la conta giusta, ma è fatto così. Dove sarà andato? Irina inizia a entrare nella sua ottica, e ha capito come trattarlo: forse riuscirà a capire come comportarsi con lui, e il primo passo è non fare domande. Il secondo è lasciarlo in pace. Vedremo se ci saranno progressi.

Penso che le fan di William si staranno strappando i capelli: sta scappando! Finalmente! Quindi credo che buona parte del prossimo cap sarà dedicata a lui…

 

Terzo: vorrei solo avvisarvi che dal 19 di giugno al 2 luglio mi prendo una vacanza (non so quanto sia meritata, ma me la prendo lo stesso…), quindi sparirò dalle scene per due settimane e sarò irreperibile. Sicuramente aggiornerò almeno una volta prima di partire, e cercherò appena tornata di mettermi al lavoro per non farvi aspettare troppo. In ogni caso, vi dirò tutto nel prossimo cap.

 

DarkStar: amica mia, adoro le tue recensioni chilometriche! E alla fine di tutto quello che scrivi, non so più cosa dire: praticamente cogli tutto quello che c’è da cogliere! Per esempio, hai capito in pieno la personalità di Dimitri… E se diventasse il tuo personaggio preferito dopo William, ne sarei contentissima. Il suo passato ti svelerà molto di lui e del suo carattere, e sono sicuro che molti cambieranno opinione su di lui. Mi dirai più avanti, comunque. Quanto all’ambientazione, mi hai tolto un peso: io sono sempre convinta di essere poco “eloquente” per quanto riguarda le descrizioni delle cose (a parte le macchine dove sono logorroica…), ma è più forte di me. Mi concentro molto sui personaggi e sulle loro espressioni, più che sull’ambiente. Ma se mi dici che si coglie tutto abbastanza bene, sono contenta! Aspetto con ansia la tua prossima recensione papiro! Un bacio grande! Ps: spero che il “lavoro” proceda bene e non ti prenda troppo tempo!

 

CriCri88: non senti la mancanza di Xander? In parte è voluto, perché voglio concentrare l’attenzione su Dimitri, e ci sto riuscendo. William sta uscendo, quindi immagino fremerai! Un bacio!

 

Supermimmina: ah ah ah, sei la mia schiava? Bé, dovresti solo preparare per me (e quindi sostenere) almeno un paio di esami… Sono solo due o tre libroni belli pesanti, niente di che! A parte gli scherzi, il periodo esami sta per finire, quindi dopo mi darò più da fare (prima però mi prendo due settimane di vacanza… Sole e mare, nient’altro). E sono contenta che Dimitri ti intrighi… Io lo adoro. Baci!

 

EmilyDoyle: e no, stare a casa sarebbe stato troppo facile, per Irina. Ha la propensione a cacciarsi nei guai, quindi è il caso che si prepari per il ritorno di William, molto vicino. Baci!

 

Smemo92: grazie, speravo di capisse la situazione nuova: siamo a Mosca, le gare non possono essere uguali a quelle di Los Angeles. E Dimitri si riconferma un’incognita. Sta dando molti grattacapi a Irina, e deve trovare il modo, da sola, di affrontarlo. Vedremo i riscontri più avanti… William sta uscendo, visto? Ahi ahi ahi, non so come finirà… Baci!

 

 

 

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


Capitolo XIII

Capitolo XIII

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Los Angeles – Otto anni prima

 

William butta giù d’un sorso il drink che la ragazza bionda seduta a sinistra di fianco a lui le ha appena porto, e sorride sentendo sotto le dita la pelle dell’altra ragazza, quella seduta alla sua destra. Gli solletica una spalla sorridendogli da sotto il volto truccato e incorniciato dai boccoli castani, l’espressione sensuale a dirgli che se vuole può osare di più. La bionda lo distrae mettendogli una mano sul collo.

 

Nel Gold Bunny, locale che ormai è diventato la sua base durante le serate fuori casa, l’atmosfera è la solita del sabato: gente ovunque, musica sparata ad alto volume, alcool che scorre a fiumi, e piloti da tutte le parti, pronti a risolvere qualche discussione a suon di gare in auto. Più un innumerevole numero di ragazze, la maggior parte delle quali sono venute per vedere lui.

 

Non ha immaginato che in meno di un anno riuscisse a guadagnare tanta fama da diventare il più famoso pilota di Los Angeles e dintorni, ma ora che si trova a festeggiare la sua ennesima vittoria, si rende conto che in fondo da uno come lui non ci si sarebbe aspettato di meno. Ormai non c’è più nessuno che osa chiamarlo “novellino”, perché chi ha un po’ di cervello ci pensa due volte a sfidarlo.

 

<< Will, vuoi qualcos’altro da bere >> domanda la bionda di fianco a lui, tutta zucchero, solleticandogli le labbra con le dita.

 

<< Fammi fare un Bacardi >> risponde William, sfiorando la sua bocca e poi spingendola verso il bancone. Il suo sguardo indugia sul fondoschiena della ragazza, fasciato dalla minigonna, prima di essere distratto dalla bruna, che inizia a baciarlo con passione, approfittando dell’assenza dell’altra.

 

Anche quello, avere donne a palate, è uno degli ulteriori vantaggi che ha ottenuto diventando il miglior pilota clandestino in circolazione: non che prima non ne avesse, ma adesso ogni settimana passano per il suo letto così tante ragazze che della maggior parte non ricorda nemmeno il nome.

 

<< William, c’è tuo padre, fuori >> dice all’improvviso qualcuno, abbastanza vicino da riuscire a sovrastare la musica.

 

Lo Scorpione si scosta dalla ragazza bruna e vede Hanck, il tipo che ha conosciuto da poco e che gli fa da “assistente”, gli fa cenno di uscire.

 

<< Cosa vuole? >> domanda William, liberandosi malamente della bruna e alzandosi in piedi. Suo padre di solito non viene mai lì, e non gli va di essere disturbato mentre festeggia.

 

Hanck si stringe nelle spalle, senza rispondere.

 

A passo rapido William esce dal locale, nella notte calda e stellata di Los Angeles, e vede la limousine con cui di solito viaggia suo padre parcheggiata a pochi metri di distanza, i fari accesi a illuminare le numerose macchine ferme nei dintorni. Si avvicina ed entra dentro, nella parte posteriore, ritrovandosi in quello che è un vero e proprio salotto viaggiante, con tanto di televisore e frigobar.

 

George Challagher, suo padre, è seduto sul sedile di pelle nera con l’aria soddisfatta, la cravatta slacciata e la camicia stropicciata, ma l’aria particolarmente sveglia. Uomo di bell’aspetto, guarda il figlio salire in auto con l’espressione di chi ha una buona notizia da dare.

 

<< Che fai da queste parti? >> chiede William, sapendo bene che di solito il sabato sera suo padre va a spassarsela in qualche club con qualche donna molto più giovane di lui. La stessa identica cosa che fa sua madre, in effetti. Nessuno dei due ha mai conosciuto la parola “fedeltà”, e non se ne rammaricano. Cosa che William condivide.

 

<< Volevo parlare un attimo con te >> rispose suo padre, riallacciandosi la cravatta, << Ho concluso quell’affare di cui ti parlavo, quello dei casinò di Las Vegas >>. A giudicare dall’aria, non aveva comunque rinunciato all’incontro con le sue “amichette”.

 

<< Alla fine hai preso anche il Royal? >> domanda William, ricordando che ha in trattativa l’acquisto di uno dei più grossi casinò della città.

 

<< Meglio >> dice George, soddisfatto, << Ora siamo proprietari del Royal, ma anche del Poker d’Assi e del Blu Beach >>.

 

William sorride: suo padre è sempre stato in gamba, quando si tratta di affari. << Come lo hai convinto? >> chiede, riferendosi a Jefferson, ora ex proprietario dei casinò.

 

<< Aveva troppi debiti, e soprattutto non voleva che si venisse a sapere che aveva fatto le corna a sua moglie… >> risponde divertito George, sventolando una videocassetta che ha in mano, << Come se sua moglie non gliele facesse… >>.

 

Ridono entrambi, brindando alle loro nuove proprietà acquistate a prezzo irrisorio e che gli avrebbero fruttato molti, moltissimi soldi.

 

<< Sei venuto solo per questo? >> domanda lo Scorpione, posando il bicchiere di champagne sul tavolino della limousine.

 

<< No. Ora che siamo proprietari della maggior parte dei casinò di Las Vegas, ho intenzione di trasferirmi là >> dice George, versandosi dell’altro champagne, << Quindi io e tua madre ce ne andiamo lì, in modo da poter controllare meglio gli affari e vedere se possiamo incrementare ancora di più i nostri guadagni. Tu cosa vuoi fare? >>.

 

William non si stupisce di quella scelta: era nell’aria da tempo. Ne hanno già parlato quando si sono messi in testa di comprare il Royal.

 

<< Non me ne voglio andare da Los Angeles ora che ho una certa fama >> risponde, serio, << E comunque, non possiamo lasciare la zona… Se ce ne andiamo, il giro delle corse potrebbe ridursi, e non è mia intenzione perdere la possibilità di gareggiare quando mi pare >>. In fondo, a lui non interessa particolarmente occuparsi di casinò e denaro sporco: preferisce le auto, lo sanno tutti.

 

George sorride. << Allora il controllo della città passa a te >> dice, << Come avevamo già pensato… Qual’era il piano che avevi in mente, per mantenere il controllo della città? >>.

 

William guarda suo padre, senza provare nei suoi confronti chissà quale gratitudine: sa che il potere sarebbe passato anche a lui, un giorno, ed è da tempo che pensa come aumentare la sua fama, la sua influenza e soprattutto come superare suo padre in fatto di soldi. Non vuole dipendere da nessuno, nemmeno da lui.

 

L’idea che ha in mente è qualcosa di eccezionale, qualcosa a cui mai nessuno ha pensato né lì né da nessun’altra parte; qualcosa che gli permetterà di avere il controllo di tutte le gare, dei piloti e tutto ciò che gira intorno a loro; qualcosa che gli permetterà di diventare più influente persino di suo padre, e di controllare tutte le corse clandestine, non solo quelle di Los Angeles.

 

La polizia ha una lista dei piloti più ricercati, una lista che contiene le loro taglie e le loro caratteristiche… Una lista che li mette in ordine di forza e pericolosità solo virtualmente, perché alcuni di loro nemmeno si conoscono, nemmeno si sono mai sfidati… Ma lui quella lista la vuole vedere diventare realtà, vuole che quei piloti vengano riuniti sotto lo stesso nome e sotto una sola persona.

 

Lui. Quello che doveva diventare il numero uno della sua stessa creazione, lui che era il migliore pilota in circolazione e che doveva comandare la città.

 

<< La Black List >> dice, fissando suo padre negli occhi, << Voglio creare la Black List >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 16.00 - Autostrada

 

<< Lo sapevo, cazzo. Qualcosa doveva per forza andare storto… >>.

 

Le orecchie di William captarono una voce distante, ma chiaramente quella di un uomo. Era sdraiato, gli occhi ancora chiusi, sentendosi dondolare su e giù come fosse su una giostra… Aveva i sensi troppo intorpiditi per capire dove si trovava, e la testa troppo pesante per volersi alzare…

 

<< Che facciamo? >>. Questa volta era una ragazza.

 

William aprì gli occhi, e si rese conto di essere dentro una specie di furgone bianco, pieno di mobiletti e di strani strumenti… Sentiva suonare una sirena… Era un’ambulanza. Si mise a sedere, un forte mal di testa che lo attanagliava, e si guardò intorno, cercando di capire come fosse arrivato lì.

 

Un attimo, e il veicolo scartò di lato, sballottando tutto di qua e di là. Si tenne stretto alla barella, e imprecò, improvvisamente più sveglio.

 

<< Che cazzo succede… >>.

 

Vide Daniel sdraiato di fianco a lui, come addormentato. Gli diede uno strattone, poi sentì di nuovo la voce della ragazza.

 

<< Si è svegliato >>.

 

William si voltò di scatto. Alla guida dell’ambulanza c’era un uomo che tutto gli sarebbe sembrato tranne un esperto in evasioni. Incontrandolo in un’altra situazione lo avrebbe scambiato per un normalissimo impiegato statale con gli occhi ingranditi dalle lenti degli occhiali vecchio tipo, la cravatta ben legata e ormai pochi capelli sulla testa… Di fianco a lui, Marissa, vestita da infermiera.

 

<< Che cazzo mi avete dato? >> ringhiò lo Scorpione, << Mi sembra di aver beccato una martellata sulla testa… >>.

 

<< Poche storie, Challagher >> disse Marissa, << La polizia ci segue… >>.

 

William si mise in piedi, accorgendosi solo in quel momento che a pochi metri da loro correva una volante della polizia a sirene spiegate, e due sbirri intimavano l’alt. Vedeva i poliziotti dal piccolo vetro nella fiancata dell’ambulanza.

 

Qualcosa gli diede una scossa, come se finalmente si fosse accorto di essere vivo, e fissò le pareti del veicolo, le mani strette sulla barella…

 

Ora che era fuori, non sarebbe di certo bastata una semplice pattuglia a rimetterlo dietro le sbarre… Non era disposto a perdere di nuovo la libertà ora che l’aveva riguadagnata…

 

<< Avete una pistola? >> domandò, alzandosi.

 

Marissa gli passò l’arma, e lui la afferrò malamente. << Tutto questo influirà sulla vostra paga… >> aggiunse.

 

Raggiunse il fondo dell’ambulanza, mentre Daniel iniziava a svegliarsi. Guardò dal piccolo vetro la volante dietro di loro, le luci bianche, blu e rosse che si illuminavano a intermittenza.

 

“Sono fuori! Sono fuori!”.

 

La consapevolezza gli si riversò addosso come un torrente in piena, facendogli solo sentire quella sensazione di appagamento che non avvertiva più da tempo… Persino la testa smise di fargli male, rendendosi conto di tutto quello che la sua rinnovata libertà gli avrebbe riportato…

 

Non c’era rischio abbastanza grande, azione abbastanza folle da impedirgli di perdere quello che aveva appena riottenuto…

 

Tolse la sicura dalla pistola e gettò un’occhiata a Daniel.

 

<< Che vuoi fare? >> chiese lui, che ancora non aveva capito dove si trovava. Fu costretto ad aggrapparsi a quello che doveva essere un defibrillatore per evitare di cadere, quando il veicolo scartò di lato all’improvviso, tra il frastuono dei clacson.

 

<< Tenermi stretta la mia nuova libertà >> rispose lo Scorpione.

 

Poi spalancò la porta posteriore dell’ambulanza, l’asfalto che scorreva velocissimo sotto di loro, l’auto della polizia con le sirene spiegate che li seguiva a rotta di collo. Vide l’espressione stupita dei poliziotti e ghignò, afferrandosi a una maniglia di ferro del veicolo, prendendo la mira con la pistola…

 

<< Che cazzo fai, Challager?! >> gridò qualcuno da dietro.

 

<< Torno a essere lo Scorpione… >> sussurrò, la lingua tra i denti.

 

La volante scartò di lato, ma non abbastanza veloce da sfuggire al proiettile che si conficcò nel cofano, lasciando un buco circolare nella carrozzeria. Le auto civili dietro di loro inchiodarono, facendo stridere le gomme sull’asfalto…

 

<< Challagher, torna dentro! >> gridò Marissa.

 

“Non mi faccio prendere, fosse l’ultima cosa che faccio… Dovranno mobilitare tutta l’F.B.I. per farmi tornare dietro le sbarre…”.

 

Si tenne saldo alla porta, e si sporse fuori, la pistola alzata e lo sguardo puntato sulla volante. Sentiva il vento sferzargli il viso, il guard-rail che scorreva veloce alla sua destra, ma non aveva paura di cadere e sfracellarsi sull’asfalto… Non poteva avere paura di niente, in quel momento, nemmeno di farsi ammazzare.

 

Uno degli sbirri tirò fuori un’arma, con tutta l’intenzione di rispondere al fuoco. Spalancò il finestrino della volante, il compagno che parlava alla ricetrasmittente…

 

Un attimo, e William aveva premuto il grilletto, colpendo in pieno il poliziotto dal lato del passeggero. L’auto sbandò di lato, misero tentativo di schivare il colpo, e l’arma cadde lungo l’autostrada, finendo sotto le ruote di un’utilitaria grigia…

 

Lo sbirro alla guida afferrò di nuovo la ricetrasmittente, per chiamare rinforzi, gli occhi incollati su di loro… Il braccio dell’altro che pendeva lungo la fiancata dell’auto, sanguinante…

 

Prese la mira, deciso a fermarli definitivamente…

 

La volante iniziò a zigzagare, le ruote che strisciavano sull’asfalto sibilando, forse sperando di scoraggiarlo… Volevano aspettare i rinforzi.

 

Qualcuno lo afferrò dalla spalla, per tirarlo dentro l’ambulanza, ma lui scostò malamente la mano.

 

<< Challagher, sei un pazzo! Adesso… >>. Era Daniel, che lo stava trattenendo per le spalle.

 

<< Sta zitto e fammi finire… >> ringhiò William. Marissa si voltò un momento per vedere cosa stavano facendo, mentre Blacktree continuava a guidare, gocce di sudore che gli colavano sulla fronte.

 

Si sporse di nuovo dall’ambulanza, le porte del veicolo che sbattevano violentemente per via dell’aria… Alzò la mano, la pistola in pugno, lo sbirro che continuava ad andare di qua e di là, convinto di poter evitare i suoi colpi…

 

Sparò tre proiettili a ripetizione, uno dietro l’altro, con tre traiettorie diverse. Come aveva previsto, almeno uno andò a segno, conficcandosi nel parabrezza della volante e mandando il vetro in mille pezzi. L’auto sbandò di nuovo, poi si girò su se stessa e finì di traverso lungo la carreggiata, le ruote che pattinavano sull’asfalto.

 

Soddisfatto, William guardò le auto inchiodare di botto, cercando di evitare l’impatto le une contro le altre. Due finirono lungo il guard-rail, e un tir travolse un furgoncino sbalzandolo in avanti come fosse fatto di carta…

 

<< Andiamocene >> ordinò secco, mentre Daniel lo guardava allucinato.

 

L’ambulanza accelerò, e lui chiuse le porte, nascondendo il caos causato dall’incidente dietro di loro. Nessuno disse niente riguardo a ciò che era appena successo, ma si sentì chiaramente il respiro di sollievo di Marissa.

 

William gettò la pistola di lato, sulla barella, e si sedette appoggiando la testa alla parete del veicolo, un ghigno soddisfatto sul volto e gli occhi chiusi, l’ambulanza che correva ancora sull’autostrada con le sirene spiegate.

 

Respirò un paio di volte, prima di lasciarsi andare a quel pensiero che gli martellava nella testa, incessante, incredibile, vero…

 

Era fuori. Era fuori, era libero… Si sarebbe ripreso tutto, tutto ciò che gli era stato tolto…

 

<< Sei un pazzo, Challagher >> mormorò Daniel.

 

William riaprì gli occhi, e guardò il suo compagno di fuga, ancora seduto sulla sua barella, senza riuscire a smettere di sorridere.

 

<< Mi stai facendo un complimento >> ribatté soave, << E adesso… Dove siamo diretti, Marissa? >>.

 

La ragazza si voltò, l’espressione ancora spaventata. << A cinque chilometri da qui… >> rispose, << C’è l’auto che abbiamo preparato, ad aspettarci… >>.

 

William guardò dal piccolo vetro della porta dell’ambulanza, il traffico dietro di loro praticamente inesistente: l’incidente della volante aveva bloccato il flusso di auto, e potevano sperare che nessun’altro sbirro li seguisse.

 

<< Abbiamo cinque minuti prima che la polizia ci sia di nuovo addosso >> disse, secco, << Blacktree, datti una mossa a guidare, altrimenti mettono dentro pure voi >>.

 

L’uomo borbottò qualcosa, e William sentì l’ambulanza accelerare. Mentre sobbalzava seduto sul sedile, si portò una mano alla testa dolorante, a cui aveva smesso di fare caso quando l’adrenalina era entrata in circolo.

 

<< Che cos’era quell’affare? >> ringhiò, chiudendo gli occhi. Non pensava che quella dannata piccola potesse dargli così fastidio.

 

<< Ti fa male perché sei caduto e hai sbattuto contro il letto >> spiegò Marissa, tenendosi alla parete del veicolo, << Ti avevo detto di tenerti lontano da oggetti pericolosi… >>.

 

William ringhiò infastidito, Daniel davanti di fronte e ancora più stordito di lui. Forse non si rendeva ancora conto di essere libero…

 

<< E se ci lasciavamo le penne, con quella cazzo di pastiglia? >> sibilò il ragazzo, guardandola in cagnesco.

 

<< Era uno dei rischi… >> commentò Marissa, come se fosse ovvio.

 

In quel momento l’ambulanza si fermò, e William spalancò la porta. Il venticello fresco dell’autunno diminuì il pulsare alla testa, e si guardò intorno, assaporando quella incredibile sensazione che aveva addosso: persino l’aria aveva un sapore diverso, ora.

 

Si trovavano in una piazzola deserta, forse un’area di sosta dove si fermavano a dormire di notte i camionisti, circondata da campi d’erba alta e incolta. Si sentiva solo il rumore delle auto che correvano lungo l’autostrada, poco lontano, seminascoste dal guard-rail. A qualche metro era parcheggiata una BMW serie 7, nera e dall’aria abbastanza ordinaria, con Sebastian appoggiato alla fiancata, in attesa.

 

<< Siete arrivati, finalmente >> disse, mentre si avviavano verso di lui. << Problemi? >>.

 

William allungò il passo. << Dobbiamo andarcene, abbiamo gli sbirri alle calcagna >> spiegò.

 

Stava per aprire il baule dell’auto per tirare fuori la valigetta che conteneva i soldi per pagare Blacktree e la sua assistente, quando un rumore sordo e intermittente gli arrivò alle orecchie, facendogli gelare il sangue nelle vene.

 

Alzò lo sguardo, e poco lontano vide un elicottero della polizia dirigersi verso di loro.

 

<< Via! Via! >> gridò, saltando in macchina.

 

Mise in moto l’auto, Sebastian già seduto di fianco a lui, e Daniel, Marissa e Blacktree che si infilarono dietro. Fece retromarcia e schizzò via sgommando, verso l’autostrada.

 

<< Come hanno fatto a beccarvi?! >> gridò Sebastian, tenendosi stretto alla maniglia della portiera, << Avevate detto che non dovevano esserci problemi! >>.

 

<< Uno degli sbirri all’uscita dal carcere si è insospettito! >> rispose Marissa, schiacciata in mezzo a Daniel e Blacktree, sempre assurdamente fuori posto tra loro, << Cazzo, adesso che facciamo? Dovevi lasciarci lì… >>.

 

<< Con quello che vi abbiamo pagato avreste dovuto prevederlo, idioti! >> gridò Daniel, << Che razza di fuga è questa?! >>.

 

<< Eravate chiusi in un carcere di massima sicurezza, come potevate pensare che non ci sarebbero stati problemi?! >> ringhiò Marissa in risposta.

 

<< Allora dovevate preparare un piano d’emergenza! >> urlò Daniel.

 

<< Infatti, ma… >> iniziò Marissa, sempre più arrabbiata.

 

<< State zitti, porca puttana! >> gridò lo Scorpione, all’improvviso.

 

Nell’abitacolo calò il silenzio, di fronte al suo tono infuriato. Aveva bisogno di pensare, ed era già nervoso per via del mal di testa… E quelli si mettevano pure a gridare. Non si era aspettato un fuga del genere, ma l’adrenalina che ricominciava a scorrergli addosso gli diceva che qualsiasi cosa sarebbe successa, lui non sarebbe mai tornato dietro le sbarre.

 

Imboccò l’autostrada, il cervello a mille e il cuore che batteva forte nella cassa toracica, facendolo sentire più vivo che mai…

 

<< Dimmi che l’hai modificata >> sussurrò a Sebastian nel silenzio generale, riferendosi all’auto.

 

<< Sì, come mi avevi chiesto… >> rispose il meccanico, quasi perplesso.

 

William sorrise, rendendosi improvvisamente conto di essere al volante di un’auto… La sua vita, la sua fama… Dipendevano tutto da quello che sapeva fare meglio: guidare. E guidare era la cosa che gli era mancata di più, in quei due lunghi anni… E ora, era libero e guidava… Cosa poteva chiedere di più?

 

Schiacciò a fondo l’acceleratore, sentendo la BMW guadagnare velocità. Scartò di lato, mettendosi nella corsia di sorpasso, il guard-rail che sfrecciava alla sua sinistra, il traffico meno intenso di quanto aveva sperato…

 

<< Challagher, ti ordiamo di fermarti! >>.

 

Dall’altoparlante sull’elicottero arrivò la voce chiara di uno sbirro, le pale dell’elicottero che sferzavano l’aria sopra di loro con un rumore sordo.

 

<< Fermatevi o apriamo il fuoco! >>.

 

William digrignò i denti, il volante stretto tra le mani, e schiacciò ancora l’acceleratore, infilandosi tra due auto civili. I poliziotti non gli avrebbero mai sparato finché ci fosse stato il pericolo di provocare incidenti a catena…

 

<< Cosa vuoi fare? >> chiese Marissa, sporgendosi dai sedili posteriori, spaventata.

 

<< Li semino, poi vi lascio da qualche parte >> rispose William.

 

Sentire di nuovo un’auto sotto le sue mani lo faceva tornare indietro nel tempo, quando gli inseguimenti erano il suo pane quotidiano…

 

<< Ma come fai?! >> gridò la ragazza, << Quelli hanno un elicottero! >>.

 

<< Non sei mai stato in auto con lo Scorpione… >> mormorò William.

 

Quella era una vera e propria sfida, e lui amava le sfide. Se non fosse stato per Went, non lo avrebbero mai preso… Ma questa volta Went non c’era, e lui non si sarebbe lasciato scoffiggere

 

Fece mente locale, cercando di studiare un piano. Doveva seminarli il più in fretta possibile, altrimenti rischiava di trovarsi addosso anche le volanti, e lì le cose si sarebbero fatte difficili. Gli serviva un tunnel, un sottopassaggio, qualcosa in cui un elicottero non poteva entrare…

 

<< Dove lo trovo un tunnel? >> domandò, rimanendo incollato a un furgoncino per evitare che gli sparassero addosso.

 

<< C’è il sottopassaggio a nord della città. Devi uscire tra due svincoli… >> rispose Blacktree, dando segni di vita.

 

<< Pregate che il mio piano funzioni… >>.

 

<< Challagher, accosta e scendi con le mani in alto! >>.

 

Un altro avvertimento degli sbirri arrivò alle sue orecchie, chiaro e forte, ma non abbastanza convincente.

 

“Col cazzo che mi fermo…”.

 

Controllò che non ci fossero auto della polizia dietro di loro, ma non ne vide. L’incidente doveva averli in qualche modo bloccati, oppure dovevano ancora arrivare…

 

<< La prossima… >> mormorò Sebastian.

 

<< Lo so… >>.

 

William superò il furgoncino, imboccando la rampa di decelerazione e ritrovandosi lungo la superstrada che portava dritto dritto in centro città. Si mise sulla corsia di emergenza per superare le auto che lo avrebbero rallentato, e mirò verso il tunnel in lontananza.

 

<< Questo è l’ultimo avvertimento che ti diamo, Challagher! >> gridarono gli sbirri, forse intuendo il suo piano, << Ferma l’auto o apriamo il fuoco! >>.

 

Per tutta risposta, William schiacciò l’acceleratore fino a fine corsa, il motore della BMW che ruggiva, il tunnel sempre più vicino…

 

Il primo proiettile si conficcò nell’asfalto, sibilando, e Marissa gridò. Un altro colpo fischiò a pochi metri dal suo finestrino, e lo Scorpione iniziò a zigzagare tra le auto dei civili…

 

<< Ci sparano addosso! >> gridò Daniel.

 

Un altro proiettile prese in pieno il baule della BMW, procurandole un foro rotondo nella carrozzeria, le macchine della gente lì intorno che iniziavano a inchiodare, suonando il clacson, il sottopassaggio sempre più vicino…

 

<< Questi ci fanno secchi! >> gridò Sebastian, perdendo per un momento il controllo.

 

Un attimo, e William era sotto il tunnel, finalmente al riparo, le luci dei lampioni che si riflettevano sul cruscotto dell’auto, i fari delle macchine che provenivano dalla direzione opposta che lo abbagliavano…

 

Individuò ciò che gli interessava: lo svincolo da cui provenivano le auto dall’autostrada sud… C’era solo un problema: c’era divieto di accesso, dalla sua parte. Doveva imboccarlo contro mano, e lo aveva appena superato…

 

<< Cosa vuoi fare? >> domandò allarmato Sebastian, << Ci staranno aspettando all’uscita… Crederanno che miriamo alla città nella speranza di seminarli più facilmente da lì… >>.

 

William sorrise. << Appunto >>.

 

Si accorse dello sguardo che gli lanciò il meccanico, intuendo cosa volesse fare, ma lo ignorò. Aveva lui il volante in mano, e sarebbe stato lui a farli scappare…

 

Tirò il freno a mano con un gesto secco, sentendo una scarica di adrenalina percorrergli le vene.

 

Con uno strattone tremendo, la BMW si girò di lato, lo stridore delle gomme che rimbombò nella galleria, il suono dei clacson che si confuse con le grida di Marissa. Scivolò per diversi metri, andando in testa coda e sfiorando un camion per pochi centimetri, poi William riprese il controllo del veicolo e infilò lo svincolo, dritto, rapido e sicuro.

 

<< Stai andando contro mano! Stai andando contro mano! >> urlò disperata Marissa.

 

William strinse il volante, incollato al guard-rail di sinistra per evitare un’eventuale auto che arrivasse dalla parte opposta e accelerò, sudando freddo. Vide baluginare i fari accesi di una macchina a pochi metri e scartò di lato tra i colpi di clacson, evitandola per un pelo.

 

Finalmente si ritrovò sull’autostrada, e rapidamente si immise nel traffico, tra gli sguardi allibiti degli altri automobilisti, sorpresi di vederlo entrare dall’uscita…

 

I suoi occhi corsero allo specchietto retrovisore, per controllare che non ci fossero sbirri… Niente. Nessuna traccia di elicottero.

 

<< Ci hanno seguito? >> domandò, per avere un’ulteriore conferma.

 

Sebastian si sporse e guardò in alto. << No… >> rispose, a voce bassa.

 

Il cuore di William iniziò a battere più lentamente, la stretta sul volante più leggera. Contò fino a cento, prima di lasciarsi andare a un sorriso.

 

Ce l’aveva fatta… Li aveva seminati. Era libero.

 

Mentre sorrideva superando le altre auto, nell’abitacolo della BMW regnava il silenzio. Erano tutti troppo spaventati, per poter dire qualcosa.

 

<< Porca puttana, Challagher, ma tu guidi sempre così? >> esalò Daniel, sedendosi meglio sul sedile. William lo guardò dallo specchietto retrovisore, ghignando.

 

<< Faccio il pilota clandestino >> ribatté, divertito.

 

<< Adesso… Adesso cosa facciamo? >> domandò Marissa, appoggiandosi allo schienale, il fiato corto. Aveva gridato come una disperata dalla paura… Irina non avrebbe mai fatto così.

 

<< Dobbiamo nasconderci >> rispose William, << Lasciamo calmare un po’ le acque, poi prendiamo l’altra auto e ce ne andiamo… Avete la targa di ricambio per questa? >>.

 

<< E’ nella valigetta dietro >> rispose Blacktree, riemergendo dal nulla, il occhiali storti sul naso, << Insieme ai documenti falsi >>.

 

<< Ok, allora mi fermo e cambiamo la targa, così ci riconosceranno più difficilmente, se incontriamo degli sbirri >> disse William, << Dov’è l’appartamento dove dovevamo nasconderci? >>.

 

<< Non troppo lontano da qui >> rispose Blacktree, << Nel paesino di Santa Cruz. Mancheranno una ventina di chilometri >>.

 

<< Bene, speriamo di non avere ulteriori problemi >> commentò William, raggiungendo la corsia di sorpasso dell’autostrada, cercando di non andare troppo forte per non destare sospetti, << Vi pago e poi decidete cosa volete fare, visto che mi è parso di capire che non avevate previsto che le cose andassero in questo modo… >>.

 

<< Ok >>. Marissa guardò Blacktree, incerta.

 

<< E non provare a chiedermi dei soldi in più per via dell’inseguimento >> aggiunse William, minaccioso, << Ringrazia che vi ho salvato il culo facendovi venire con me >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 19.00 – Mosca, Casa di Dimitri

 

Qualcuno suonò alla porta proprio mentre Irina apparecchiava la tavola, momento decisamente inopportuno. Si bloccò un istante, chiedendosi chi fosse, poi ricordò che Yana era solita fargli visita alle ore più strane del giorno. Doveva essere lei, che ci aveva preso gusto a farsi insegnare qualche nuova parola da Irina.

 

<< Apro io >> disse, mentre raggiungeva il soggiorno. Dimitri doveva essere in camera sua, nel suo eremo off-limits.

 

Quando si ritrovò davanti quella che non era sicuramente Yana, ma un omone alto e barbuto, vestito di scuro e con gli occhi neri come la pece, rimase di sasso. Il russo, perché lo era chiaramente, sembrò stupito quanto lei: le rivolse un’occhiata a dir poco esterrefatta.

 

<< Iosif >> disse Dimitri, comparendo improvvisamente alle sue spalle, facendola sussultare, << Ti aspettavamo un po’ di giorni fa… >>.

 

Irina si fece immediatamente da parte, mentre l’uomo continuava a fissarla stralunato, accorgendosi a malapena del saluto di Dimitri.

 

<< Ho avuto qualche problema… >> rispose, studiando Irina da capo a piedi. Poi aggiunse, questa volta rivolto direttamente a lui: << Ma lei… Tu e lei… >>. Li indicò con il dito, come se non avessero capito che stava parlando di loro.

 

Dimitri sembrò emettere un ringhio degno di una tigre. << No, hai capito male >> disse.

 

Iosif, il padre di Yana, annuì e si strinse nelle spalle, e sembrò tornare in se stesso. Irina rimase ferma a guardarli, senza sapere bene cosa fare.

 

<< Mi fa piacere rivederti >> disse l’uomo, << Come stai? >>. Non provò nemmeno ad abbracciarlo, perché doveva già sapere che era una cosa che Dimitri odiava.

 

<< Bene… >> rispose il russo, a bassa voce. << Tu? >>.

 

<< Anche… >>. L’uomo guardò nuovamente Irina. << E tu chi sei? >> domandò, diretto ma non per questo con tono scortese. Sembrava stranamente incuriosito dalla sua presenza.

 

<< Irina Dwight >> rispose lei, << Vengo da Los Angeles, sono una pilota clandestina >>.

 

Lanciò un’occhiata a Dimitri, per vedere se come presentazione gli andava bene… Non disse niente, quindi doveva essere soddisfatto.

 

<< Ah… >> fece Iosif, << Dimitri, devo dirti una cosa piuttosto urgente… >>. Ennesima occhiata nella sua direzione.

 

<< Allora vi lascio da soli >> disse Irina, intuendo che volevano che se ne andasse. I due uscirono sul pianerottolo, e lei fece finta di tornare in cucina.

 

Appena la porta venne chiusa, si precipitò di nuovo in soggiorno, pronta a spiare la loro conversazione. Non amava origliare, ma non poteva fare finta di niente e accettare che Dimitri si facesse tranquillamente i fatti suoi senza dirle niente… Meglio essere troppo prudenti, che troppo incoscienti.

 

Appoggiò l’orecchio alla porta, pronta a scappare se fossero rientrati, e cercò di cogliere cosa si stavano dicendo.

 

<< …Vladimir ha saputo che sei tornato >> stava dicendo Iosif, serio e preoccupato, << Ho incontrato alcuni dei suoi tornando qui da San Pietroburgo… >>.

 

<< Immagino ti abbiano detto qualcosa… >> grugnì Dimitri, come se se lo aspettasse.

 

<< Lo sai meglio di me cosa potrebbero avermi detto >> rispose Iosif, << Abbiamo cercato di non farlo sapere in giro, che eri di nuovo a Mosca… Credo sia stato qualcuno che c’era alla gara dell’altra volta, a riferirglielo. Non avresti dovuto andarci… >>.

 

<< Non importa >> disse Dimitri, << Tanto non credo che avrà il coraggio di farsi vedere già adesso, soprattutto qui. Aspetterà il momento migliore… >>.

 

<< Non questa volta >> ribatté Iosif, << Lo sai che ti vuole morto, ed è pronto a venire dritto dritto da te… Sei sparito per più di due anni, non si lascerà sfuggire l’occasione di averti qui a portata di mano… >>.

 

<< Allora che venga pure >> disse Dimitri, freddo come il ghiaccio, << E che si porti pure dietro tutti i suoi amici. Sa meglio di me che lo voglio morto anche io >>.

 

Irina rimase impalata lì, incollata alla porta, il cervello che lavorava a mille. Cosa era successo tra quel Vladimir e Dimitri, per metterli così palesemente l’uno contro l’altro? Ma soprattutto, perché sembrava che il russo non volesse far sapere di essere tornato, eppure si augurava che Buinov si facesse vivo? Non era un controsenso?

 

<< Sei tornato per lui, quindi? >> domandò Iosif.

 

<< No >> rispose Dimitri, << Non sono tornato per lui, non questa volta… Non in questa situazione. Ma se me lo ritroverò davanti, non cercherò certo di fuggire… >>. Il suo tono minaccioso diceva tutto.

 

<< Dobbiamo aspettarci guai, allora? >> fece Iosif, abbassando la voce.

 

<< Forse… Se venite a sapere che si trova da queste parti, avvertitemi. E cercate di non fargli sapere di… >>. Dimitri si zittì, molto probabilmente per rivolgere un’occhiata eloquente al russo: dovevano sapere entrambi di cosa si trattava.

 

<< D’accordo >> disse Iosif, << Ci proveremo >>.

 

Irina si scollò dalla porta, rendendosi conto che la conversazione era terminata. Corse in cucina, stampandosi in faccia un’espressione neutra e attese che Dimitri tornasse. Erano bastate un paio di frasi per darle parecchio da pensare.

 

Avvertì che la porta venne aperta, e afferrò il telecomando della tv per dare l’idea di essere interessata ad altro. Fece zapping tra i canali, cercandone uno che potesse fintamente cogliere la sua attenzione, ma notò che Dimitri la stava guardando fisso.

 

Appena gli rivolse un’occhiata, lui sembrò trattenere una smorfia; si voltò e tornò in camera sua. E Irina non poté fare a meno di pensare: “Lo sa… Sa che ho origliato”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 21.30 – Santa Cruz

 

<< Qual è il tuo piano, ora che la polizia ci starà addosso? >> chiese Sebastian, seduto al tavolo di fronte a lui, nella spartana cucina della villetta che Blacktree gli aveva preparato come rifugio temporaneo, la luce fioca del lampadario sopra le loro teste. Daniel stava in piedi, una birra in mano e l’espressione interessata, appoggiato al sudicio ripiano di marmo pieno di righe. Marissa e Blacktree, ancora con loro, erano nel soggiorno.

 

William sputò una boccata di fumo in direzione del soffitto, e avvicinò il posacenere, tranquillo. Anche quella sigaretta aveva il sapore della vittoria, e se la stava gustando come mai aveva fatto fino a quel momento.

 

<< Dobbiamo lasciare lo Stato prima che l’F.B.I. sguinzagli tutti i suoi agenti per cercarci >> rispose, << Cerchiamo un posto dove non possono trovarci e rimaniamo lì finché non so dove sono Dimitri, Went e Irina >>.

 

<< Dove pensi di trovarlo, un posto del genere? >> chiese Sebastian, << E per scoprire dove sono potresti metterci mesi… Non possiamo rimanere qui a lungo, lo sai. Dobbiamo lasciare gli Stati Uniti per un bel po’ prima di poterci ritenere tranquilli >>.

 

William spense la sigaretta e gettò un’occhiata a Daniel.

 

<< C’è gente in Messico che conosco e che potrebbe ospitarci >> disse tranquillamente, << Lì la polizia non è particolarmente invadente, perché i Narcos gli danno del filo da torcere e ne fanno fuori a bizzeffe… E da lì possiamo sicuramente prendere un aereo che ci porti il più lontano possibile da qui >>.

 

Forse in quel momento, fuggire dagli Stati Uniti era l’ultima cosa di cui si preoccupava: aveva ancora molte conoscenze in giro, e sicuramente avrebbe trovato il modo per scappare. Con i soldi che gli rimanevano poteva procurarsi biglietti per l’aereo e organizzarsi ancora meglio la fuga. I suoi problemi erano due, per ora: trovare Irina, e sbarazzarsi del meccanico.

 

<< Sei riuscito a capire dove si trova Irina? >> domandò. Notò lo sguardo di Daniel su di lui, come se avesse intuito che tra lui e la “sua ragazza” c’era qualcosa che non andava.

 

<< No, a parte quello che sai già >> rispose Sebastian, << Nessuna traccia di Went… E Dimitri è chiuso in carcere, per il momento >>.

 

William arricciò il labbro, infastidito dal fatto che non era riuscito a trovare altre informazioni. << D’accordo, me ne occuperò io >> disse, << Dammi il tuo cellulare… Hai ancora i numeri dei nostri vecchi amici? >>.

 

Il meccanico gli porse il telefono. << Non di tutti, ma di quelli migliori sì >> rispose sorridendo.

 

William cercò nella rubrica, individuando il numero di Garcìa “Il Camaleonte”, quello che gli aveva sempre fornito la droga da smistare a Los Angeles, e che conosceva ormai da diversi anni. Sicuramente sarebbe stato pronto a nasconderlo dalle sue parti.

 

<< Pronto? >>.

 

La voce roca del messicano dall’altra parte della linea gli arrivò lontana ma comprensibile.

 

<< Garcìa… Ti ricordi ancora di me? >> chiese sorridendo William.

 

<< Challagher? >> fece il messicano, quasi stordito, riconoscendo la sua voce, << Sei tu? >>.

 

<< Lo Scorpione in persona >> disse William, << Sorpreso di sentirmi? >>.

 

<< Ma non dovevi essere chiuso in una cella, chico? >> domandò Garcìa, un tono divertito nella voce, << Come hai fatto ad uscire? >>.

 

<< Lo sai che per uno come me, non esistono cose che non si possono fare >> rispose William, appoggiando i piedi sul tavolo, rilassato, << Guarda il telegiornale, stasera, e dimmi se la mia fuga non ti lascia senza parole >>.

 

<< Allora sei scappato… >> commentò pensieroso Garcìa, << Ora dove ti trovi? >>.

 

<< Non molto lontano da San Francisco >> rispose William, << Ma naturalmente devo sparire dalla circolazione per un po’… Mi serve il tuo aiuto >>.

 

Garcìa rimase zitto, come se non sapesse cosa dire.

 

<< Hai un posto dove nascondermi? >> chiese lo Scorpione.

 

<< No >>.

 

<< “No” cosa? >> ringhiò William, improvvisamente innervosito. Non gli andava che qualcuno gli negasse qualcosa.

 

<< Non posso aiutarti, Challagher >> disse Garcìa, e non stava scherzando, << Non c’è nessun posto dove tu possa nasconderti sperando che la polizia non ti trovi… >>.

 

In un attimo, la situazione gli parve chiara: il messicano non lo voleva laggiù, non gli voleva dare il suo aiuto.

 

<< Ti ricordo che stai parlando con lo Scorpione >> ringhiò, minaccioso, << E che abbiamo concluso tanti di quegli affari che è per merito mio che ora sguazzi in mezzo al denaro… >>.

 

<< Gli affari di soldi sono affari di soldi, Challagher >> ribatté Garcìa, << Non farti vedere da queste parti, altrimenti saremo costretti a ucciderti >>.

 

A William venne quasi da ridere: non era mai stato minacciato in tutta la sua vita, e anche adesso che qualcuno trovava il coraggio di farlo non aveva paura. Anche se non era certo quello che si era aspettato.

 

<< Se vieni qui ti porterai dietro tutti gli sbirri e metà dell’F.B.I. >> proseguì Garcìa, << Non vogliamo guai per colpa tua… >>.

 

<< Che figlio di puttana… >> mormorò William, << Invece di guai ne avrete comunque, anche se non mi aiutate. Questa me la paghi, Garcìa… Lo sai che non mi si deve rifiutare mai niente >>.

 

<< Ah >> Garcìa sembrò divertito quanto lui poco prima, << Challagher, non sei più nessuno, renditene conto. Sappiamo che i tuoi amici sono dietro le sbarre, e che ti hanno sequestrato tutto… Chi pensi di poter minacciare, eh? Così vanno le cose: finché ci sono i soldi, sono tutti amici, non lo sapevi? >>.

 

William digrignò i denti, furioso. Sebastian e Daniel, rimasti lì ad ascoltare, si guardarono l’un l’altro, facendolo innervosire ancora di più.

 

<< Forse non avrò più i miei piloti, ma io rimango sempre lo Scorpione >> disse, << E tu non sei nessuno >>.

 

Gli chiuse il telefono in faccia, fissando il display colorato con il fiato corto. Odiava sentirsi dire no, odiava sentirsi preso in giro e odiava quando le cose non andavano come voleva lui.

 

<< Cosa succede? >> domandò Sebastian, anche se aveva già intuito tutto.

 

William cercò di riguadagnare un po’ di calma, prima di rispondere.

 

<< Garcìa mi ha negato il suo aiuto >> rispose solo, il tono neutro.

 

Avvertì gli sguardi del meccanico e di Daniel su di lui, ma li ignorò. Non si era aspettato un rifiuto del genere, non quando aveva dato per scontato che il messicano, almeno in nome di tutti gli affari che avevano concluso, fosse pronto a offrirgli rifugio.

 

Era chiaro che anche Sebastian non sapeva cosa dire: stava zitto, a guardarlo preoccupato e in attesa che lui facesse qualcosa. Daniel non sembrava particolarmente colpito, forse perché non si rendeva conto di ciò che quello comportava.

 

<< Provo con gli altri >> disse all’improvviso William, riafferrando il cellulare, << Uscite >>.

 

I due lo lasciarono solo, nella cucina silenziosa e spoglia, e lui cercò un altro numero nella rubrica, sicuro che questa volta avrebbe trovato il suo aiuto. Garcìa in fondo doveva sempre averlo invidiato, e quella era una ripicca per gelosia… Chi, di tutti quelli che aveva conosciuto, non avrebbe dovuto invidiarlo?

 

Però, con rabbia e fastidio, scoprì che Garcìa era stato solo il primo a lasciarlo in balia dei suoi guai… Nessuno, degli altri quattro “vecchi amici” che contattò, fu disposto a nasconderlo, a trovargli un posto dalle loro parti dove stare per un po’ di tempo, a offrirgli un minimo di protezione. E ben presto, si rese conto che doveva cavarsela da solo.

 

Di fronte all’ennesimo rifiuto, gettò il telefono sul tavolo con stizza e rimase a guardarlo forse sperando di poterlo distruggere con lo sguardo. Era furioso, furioso perché le cose con andavano come voleva lui. Furioso, perché tutti gli avevano dato la stessa motivazione: niente soldi, niente potere, niente amicizia.

 

“Finché gli garantivo clienti e favori erano sempre pronti a fare gli amiconi… Che bastardi”.

 

Finché non c’erano stati problemi, finché i poliziotti di Los Angeles e dintorni si erano lasciati corrompere da lui, tutto era andato bene. Gli faceva comodo nascondersi sotto l’ala dello Scorpione, che nel bene e nel male poteva garantirgli sempre una via di fuga… Se c’era qualche problema, bastava rivolgersi a lui…

 

All’improvviso, si rese conto delle parole di Garcìa: “Non sei più nessuno, fattene una ragione”.

 

“Se non fossi veramente più nessuno, gli sbirri non mi starebbero alle calcagna…”.

 

Forse no, rimaneva ancora lo Scorpione, ma ciò non toglieva che non aveva davvero più niente. Tutti i suoi piloti, i suoi scagnozzi, stavano dietro le sbarre; tutte le sue auto erano state sequestrate e molto probabilmente rivendute; aveva perso tutti i contatti con le sue conoscenze più influenti; e non poteva più contare sulla montagna di soldi che aveva avuto fino a due anni prima. E in fondo, cos’era sempre interessato ai suoi “amici”?

 

Il suo potere, nient’altro.

 

Lo sapeva, lo aveva sempre saputo, che i soldi compravano la fedeltà e l’aiuto, e ne aveva fatto la sua forza. Ci aveva sempre visto giusto, sotto quel punto di vista… Tranne con Irina, ma quella era un’altra storia.

 

Ora che non aveva più il suo potere, nessuno voleva più avere a che fare con lui. Era diventato un personaggio scomodo, perché la polizia lo inseguiva e perché non aveva più niente da offrire. Finché non fosse tornato quello di una volta, non avrebbe più potuto contare su nessuno.

 

Però, c’era una cosa di cui non avevano tenuto conto: forse non aveva più i suoi soldi e la sua Black List, ma rimaneva sempre e comunque lo Scorpione. E non avrebbe dimenticato; non avrebbe perdonato. Con o senza auto di lusso, avrebbe sempre agito nello stesso identico modo.

 

Ghignò, tirando fuori la pistola che aveva in tasca.

 

“Non ho bisogno di nessuno, posso cavarmela da solo. Ma in ogni caso, una visitina di cortesia la faccio comunque, dalle loro parti”.

 

Si passò una mano sul volto e decise di rimandare quella questione a più tardi. Ora doveva occuparsi di Blacktree e della sua paga.

 

Andò in soggiorno, una misera stanza con un divano e qualche sedia, più un vecchissimo televisore rotto e una vetrina piena di bicchieri impolverati, e si sedette, la valigetta dei soldi in mano. La appoggiò sul tavolino traballante e la aprì lentamente. Marissa, Blacktree, Sebastian e Daniel lo guardavano in silenzio.

 

<< Come abbiamo pianificato, vi devo i vostri centomila dollari, più i cinquantamila per la fuga supplementare di Daniel >> disse, serafico, << Contando l’acconto di altri cinquantamila, siamo a duecento… Corretto? >>.

 

Blacktree, da dietro i suoi occhiali, assunse un’aria famelica e annuì.

 

William contò le mazzette di denaro e gliele passò. Blacktree allungò la mano e le prese, lasciandone una per Marissa. La ragazza la incassò con aria soddisfatta.

 

<< Ora siamo a posto, le nostre strade si dividono >> concluse William, assumendo un’espressione seria.

 

Marissa e Blacktree si guardarono in faccia.

 

<< Avevamo idea di rimanere qui per la notte >> disse l’uomo, << Domani mattina prendiamo un taxi e ci facciamo portare a San Francisco… Non avevamo previsto che fossimo costretti a seguirvi >>.

 

William guardò l’uomo, infastidito. Averlo ancora tra i piedi non era nei suoi piani, soprattutto quando aveva in progetto un’ultima cosa per l’indomani mattina. Poi spostò lo sguardo su Marissa, e ci ripensò: l’occhiata languida che gli lanciò la ragazza lo convinse a cedere a quella richiesta in vista di una più che lauta “contropartita”.

 

<< Fate quello che volete >> disse, alzandosi. << Noi domani mattina ce ne andiamo… Buona notte >>.

 

Raggiunse la camera da letto, dimessa come tutto il resto della casa, e si guardò nello specchio appeso all’armadio. Ora che era la tensione si era allentata, iniziava a sentirsi di nuovo dolorante: i muscoli del collo erano indolenziti, e la testa gli pulsava ancora un po’.

 

Notò con piacere che c’era un televisore, e che aveva l’aria di essere funzionante. Lo accese, curioso di vedere cosa avrebbero detto di lui.

 

Il mezzobusto del telegiornale della notte salutò il suo pubblico con aria annoiata, poi passò a commentare le notizie più importanti. I servizi dei vari inviati passarono sullo schermo un po’ più scoloriti del normale, mentre William li guardava con scarso interesse, sdraiato sul letto molle e quasi sfondato.

 

<< E questo pomeriggio, lungo l’autostrada in direzione Sud, si è verificato uno spaventoso incidente a catena, che ha coinvolto diverse auto >> disse finalmente il mezzobusto, e William drizzò le orecchie, << Il bilancio è di tre morti e dodici feriti, e il traffico è rimasto bloccato per diverse ore. La causa pare sia il colpo di sonno di un’autista… >>.

 

William rimase interdetto: colpo di sonno? Ma quale colpo di sonno: e la sua spettacolare fuga che fine aveva fatto?

 

Deluso, ascoltò il giornalista spiegare in modo spiccio di come si era verificato l’incidente, e poi passare a notizie meno importanti. Del suo inseguimento lungo l’autostrada nemmeno l’ombra.

 

“Non vogliono far sapere in giro che sono scappato…” pensò, L’F.B.I. vuole insabbiare la cosa… Tanto meglio: nessuno saprà che sono fuori e che sto per andare a prendermi la mia vendetta”.

 

Si alzò e spense il televisore, di cui non aveva il telecomando, ei stiracchiò, sentendo scrocchiare le ossa; poi si accorse che c’era qualcuno appoggiato allo stipite della porta, nella penombra. Era Marissa.

 

Sorrise. In fondo, se lo aspettava. La squadrò, sentendo che i due anni chiuso in cella si facevano sentire anche da “quel” punto di vista, e il suo sguardo famelico indugiò sulle sue gambe fasciate dai jeans aderenti.

 

“Non è Irina, ma è comunque una donna…” si ritrovò a pensare, prima ancora di rendersene conto.

 

<< Nemmeno tu riesci a prendere sonno? >> chiese la ragazza, gettandogli un’occhiata eloquente.

 

William ghignò. << Ho dormito due anni di fila, chiuso in cella >> rispose, sapendo dove sarebbero andati a parare.

 

<< Credo di conoscere un metodo per aiutarti… >> sussurrò Marissa, avvicinandosi.

 

William sorrise: quello era l’unico fuori programma del suo piano che poteva gradire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Oh, ed eccomi qui. Questa volta ci ho messo un po’ di meno, perché ero particolarmente ispirata: praticamente un intero capitolo su William. Le sue fan saranno entusiaste, immagino…

Allora, a parte la fuga in vero stile Scorpione, ciò su cui vorrei mettere l’accento è il fatto che William pensava di uscire e avere tutti ai suoi piedi, invece sembra proprio che nessuno voglia avere più a che fare con lui… Non che la cosa lo spaventi più di tanto, ma sarà di vitale importanza per fargli capire alcune cose… Vedrete. Poi, avete notato verso chi è andato a finire il suo pensiero, quando si è trovato davanti Marissa? Eh, è partito il paragone con Irina, e William non si rende conto di cosa significa (io naturalmente sì… J )…

 

Per il resto, cercherò di scrivere il prossimo cap e postarlo prima di partire (cioè sabato prossimo), per poi eclissarmi per due settimane: farò del mio meglio, ma non garantisco niente.

 

Dust_and_Diesel: perché lo chiami delirio? E’ tutto molto verosimile, ciò che dici. Sì, Dimitri vuole bene a Yana, e naturalmente cerca di nasconderlo in tutti i modi. Il suo passato è contorto, ma è proprio quello che lo ha reso quello che è ora… Per capirlo, bisogna conoscere ciò che ha vissuto. E credo che sia chiaro che è qualcosa anche di molto doloroso. Per quanto riguarda Twilight, sono contenta che tu sia d’accordo con me: ho letto tutti i libri anche io, e non nego che mi siano piaciuti, e su questo sito un terzo delle fic sono su quello… Penso che ormai possa uscirci benissimo dalle orecchie. Ma sono gusti, alla fine ( e poi, non mi piacciono le storie con personaggi già inventati: meglio essere originali, no? ). Baci!

 

Supermimmina: eh eh, vedo che l’argomento “fantomatica donna di Dimitri” ti attira molto… Non ne dubito, visto come è fatto il russo: come mai potrebbe essere la sua donna ideale? Ma soprattutto esiste, e l’ha già incontrata? Io ti consiglierei di non soffermarti solo su questo, perché la storia non è così scontata come appare. Ci sono molte cose sotto, e Dimitri non è poi così schizzinoso come sembra… Ti ho dato abbastanza da pensare? Per il momento fai quello, ti schiavizzerò più avanti J! Bacioni!

 

Noemi_lii: ah ah ah, ma grazie! Mi dispiace che tu abbia perso una notte di sonno pur di leggere le mie storie (però sto gongolando…), però se ti sono piaciute… E mi fa anche piacere che tu mi abbia lasciato una recensione, naturalmente. Continua a seguirmi, e a farmi sapere se continua a piacerti! Baci!

 

DarkStar: perché quando vedo le tue recensioni, mi si illuminano gli occhi? E non ti preoccupare proprio del ritardo, perché quella è l’ultima cosa a cui penso. Ahahah, non pensavo che bastasse un cimitero per farti frullare di idee così, su Dimitri: potresti azzeccarci come no, ma non nego che tu abbia intuito parte del suo passato. Il nostro russo di ghiaccio ha un bel po’ di cose da nascondere… Ti chiedi se Irina potrebbe prendere una cotta per lui? Uhm, ora come ora non saprei, ma mi chiedo cosa mai accadrà se dovesse succedere “qualcosa” tra i due: Xander sarebbe l’ultimo dei problemi. Dovrei vedermela con metà delle fan di William che direbbero: perché con lui no e con Dimitri sì? E poi con le fan di Irina, che penserebbero: gli mette le corna a Xander, ma siamo matti???? E le fan di Xander che direbbero… ma lo consoliamo noi!!! Ah ah ah,, a parte gli scherzi, si vedrà… E se Xander non ti manca, devo ammettere che non manca molto nemmeno a me. Ora sono presa da Dimitri e William (sono abbastanza volubile, eh?). Fammi sapere se ti è piaciuto questo cap tutto dedicato allo Scorpione! Baci!

 

CriCri88: anche tu non senti la mancanza di Xander… Nemmeno io, a essere sincera, ed è un pensiero abbastanza diffuso. Povero, mi dispiace per lui, ma Dimitri gli sta rubando le fan… Non le biasimo, comunque. Il russo ha un certo fascino… Come il suo passato misterioso, d’altronde. Ma non pensare alla fedeltà, questa volta non centra… Perché? Lo scoprirai più avanti… Baci!

 

 

 

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


Capitolo XIV

Capitolo XIV

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 7.00 – Santa Cruz

 

William gettò un’occhiata a Marissa, addormentata tra le lenzuola sfatte, i capelli biondi sparsi sul cuscino, e si infilò la maglia nella penombra della stanza, rischiarata solo dalle lame di luce che filtravano tra le tapparelle. Raccolse la cintura e la riallacciò, distaccato e stranamente freddo.

 

Quando andava a letto con una ragazza, al risveglio non provava mai niente oltre il senso di appagamento e di soddisfazione che gli dava il fatto di averne avuta un’altra. Tutte le volte era il primo a svegliarsi e andarsene, senza commenti né coccole come la maggior parte delle donne si aspettava. Non faceva parte della sua natura, indugiare per troppo tempo su qualcosa che non aveva futuro, che non avrebbe mai più rivisto: le aveva sempre e solo usate, le ragazze.

 

Anche questa volta non sarebbe stato diverso. Non gli interessava molto di Marissa, di quello che avrebbe detto o di quello che avrebbe fatto, ed era convinto che lei la pensava nello stesso modo. Chi ragionava come loro, non chiedeva e non si aspettava di più che una notte avventurosa.

 

Lasciò la stanza senza degnarla di un’ulteriore occhiata e andò in soggiorno: Daniel e Sebastian lo stavano aspettando in piedi, pronti ad andarsene. Blacktree stava dormendo nell’altra stanza, completamente all’oscuro della loro partenza mattutina.

 

Sistemò la pistola che gli aveva dato il meccanico nella tasca dei pantaloni e afferrò la valigetta per controllare quanto era rimasto dentro: abbastanza da permettergli di fare quello che aveva in mente.

 

<< Ok Daniel, andiamocene >> disse, facendogli un cenno.

 

Si avviarono verso la porta, diretti al garage di sotto, ma come aveva previsto Sebastian li seguì, sistemandosi il suo cappello sulla testa con aria stanca. William si bloccò sulla porta e alzò il braccio, appoggiando la mano sullo stipite della porta, bloccandogli la strada. Sebastian inchiodò e lo guardò, perplesso.

 

<< Che c’è? >>.

 

<< Ho detto Daniel… >> rispose William, il tono basso ma chiarissimo.

 

Il meccanico cambiò espressione, come se non avesse capito quello che aveva detto. Daniel, che li aveva preceduti e stava fermo sulle scale ripide e piene di ragnatele, li guardava, in attesa.

 

<< Cosa stai dicendo? >> borbottò Sebastian.

 

William fece un cenno a Daniel, la pistola in mano. << Aspettami in garage >>.

 

Il ragazzo annuì e sparì di sotto, lasciando la scala nel completo silenzio. William si voltò completamente, e Sebastian arretrò di qualche passo, intuendo quello che stava per succedere…

 

<< Cosa vuoi fare? >> domandò, la voce rotta, << Non puoi… Dopo tutto quello che ho fatto… >>.

 

William guardò il meccanico, con un misto di fastidio e divertimento. Aveva previsto quella reazione, e non era preoccupato: sapeva cosa fare, ma soprattutto cosa dire. Sperava solo che non si lasciasse prendere da un attacco di isteria e iniziasse a gridare svegliando tutto il vicinato…

 

<< Esisteva un patto tra noi, ricordi? >> disse, ricordando quella sera di diversi anni prima, in cui aveva preparato un “piano di salvataggio” solo per lui, << Io sono il capo, tu sei il meccanico. Tra noi due quello che avrebbe rischiato di più la cattura sarei stato io, perché la polizia non si sarebbe soffermata su un solo meccanico, quando avrebbe dovuto catturare dei piloti clandestini… Ricordi? In base a questo ragionamento, abbiamo deciso che io avrei fatto in modo di salvarti la pelle, nel caso le cose fossero precipitate e io sarei finito dietro le sbarre. In cambio, tu mi avresti cercato e mi avresti aiutato a scappare… Un accordo abbastanza equo, mi pare. In più ti avevo garantito una cospicua somma di denaro per il disturbo, ti ricordi, vero? >>.

 

Aveva sempre ritenuto fosse un piano perfetto: era necessaria un minimo di fiducia reciproca, ma si era premunito di mettere sul piatto anche un bel po’ di dollari, che avrebbero fatto gola a chiunque e avrebbero scongiurato fastidiosi “colpi di testa” del meccanico. Come aveva previsto, infatti, aveva funzionato.

 

<< Sì, mi ricordo…>> disse Sebastian, a bassa voce, << Dove vuoi andare a parare, eh? >>.

 

Era inutile girare intorno alla questione, in quella situazione. Era meglio farla finita prima che si svegliassero Blaktree e Marissa

 

William ghignò. << Non mi servi più >> disse.

 

La faccia di Sebastian cambiò nuovamente espressione, passando dallo spavento al vero e proprio terrore. Indietreggiò ancora, poi sembrò capire all’improvviso e disse: << Dovevo aspettarmelo… Mi ucciderai, vero? >>.

 

Il corridoio sembrò farsi ancora più buio di prima, e per qualche istante aleggiò la stessa atmosfera che ci poteva essere in un cimitero. William giocò con la pistola che aveva in mano, gettandole uno sguardo.

 

Ci aveva pensato molto, prima di prendere quella decisione. Sebastian era stato il suo meccanico, e gli aveva sempre preparato le auto per le gare… In minima parte aveva contribuito a renderlo lo Scorpione; aveva mantenuto il patto, venendolo a cercare, anche se ci aveva impiegato due lunghi anni… Però se voleva essere coerente con ciò che aveva pianificato, cioè ricominciare da zero, doveva fare a meno di lui… E in fondo, non aveva nemmeno un’auto da modificare.

 

Ucciderlo era la scelta migliore: non avrebbe lasciato tracce, non avrebbe corso il rischio che Sebastian che facesse la spia e lo facesse catturare… La sua fuga sarebbe stata perfetta, a quel punto.

 

<< No >> disse alla fine, fissandolo negli occhi, << Non ti ucciderò, perché non mi sono mai lamentato di ciò che hai fatto per me. Ammetto che sarebbe la scelta migliore, ma per questa voglio essere buono… Prenditi i tuoi soldi, e vattene per i fatti tuoi >>.

 

William sapeva di non essere coerente con ciò che aveva deciso, che lasciare Sebastian vivo e fuori controllo equivaleva ad accettare un rischio altissimo, ma non lo voleva morto. Alla fine gli era rimasto fedele molto più di altri, e doveva in qualche modo ricompensarlo.

 

Sebastian sembrò sbalordito. << Ma… Ho fatto tutto questo per farti uscire, e ora tu mi lasci in mezzo alla strada? >> esalò, << Chi ti farà da meccanico, eh? Chi ti preparerà le auto, eh? Perché questa decisione? Non avevi detto che rivolevi tutto indietro? >>.

 

<< Ho chiuso con la gente che faceva parte del mio giro >> rispose seccato William, << Ho chiuso, volto pagina. Mi sono sempre fidato di pochi, e quei pochi mi hanno tradito… Ricomincio da zero: cercherò altra gente, e questa volta non mi fiderò più di nessuno… >>.

 

<< Non ha senso! >> ribatté Sebastian, << Credevo che… >>.

 

<< Zitto >> ringhiò William, agitando la pistola, << Ringrazia che non ti abbia voluto uccidere, perché sarebbe stata la scelta più scontata. Ma non azzardarti ad andare dagli sbirri per dirgli dove sono diretto, perché altrimenti tornerò indietro e questa volta ti ammazzerò sul serio >>.

 

Sebastian sembrava davvero sorpreso, ma mai quanto lo stesso William: non era da lui prendere una decisione del genere, ma era sicuro che sarebbe filato tutto liscio. C’erano i soldi, in mezzo, e quando il denaro faceva da intermediario, niente poteva andare storto.

 

<< Qui ci sono i tuoi soldi, più un piccolo extra >> disse a bassa voce, << Fatteli bastare. Trovati qualcun altro a cui modificare le auto… Non dovrebbe essere difficile, se sul tuo curriculum compare il mio nome >>.

 

Gettò la valigetta ai piedi del meccanico, poi si voltò senza aggiungere altro. Sebastian non cercò di seguirlo, ma rimase lì impalato, come se non sapesse più davvero cosa fare, il corridoio deserto e silenzioso.

 

Una volta sotto, William si sentì finalmente tranquillo: non aveva davvero più legami con nessuno, e poteva dirsi veramente libero. Avrebbe messo in atto il suo piano da solo, eccetto un minimo di aiuto da parte di Daniel.

 

L’auto che Sebastian gli aveva fornito era una BMW M6, grigio titanio, abbastanza rapida e potente da permettergli di viaggiare com’era solito fare, cioè molto veloce. Daniel stava già guardando nel bagagliaio, dove c’erano due grosse valige piene di armi e di vestiti per camuffarsi in caso di bisogno. Prese una cartella di pelle marrone e la aprì: conteneva i loro documenti falsi, compreso il passaporto che gli sarebbe sicuramente servito.

 

Incuriosito, aprì la carta di identità: mancava la foto, perché quella doveva essere inserita all’ultimo, quando avrebbe deciso come travestirsi per uscire dagli Stati Uniti. Stando a quello che c’era scritto, si chiamava Henry Goldsack, ed era nato a New York.

 

Fece una smorfia divertita, nello scoprire che come stato civile era stato inserito “Sposato”: ma quando mai? Visto come era andato a finire il matrimonio tra suo padre e sua madre…

 

In quel momento gli venne in mente che suo padre era sepolto nel cimitero di San Francisco, e che sua madre era finita a scontare gli arresti domiciliari in una misera casa da qualche parte vicino a Boston… Nessuno di loro avrebbe mai avuto modo di riscattarsi, tranne lui.

 

Non sarebbe andato a trovarli, né l’uno né l’altro. Prima di tutto perché non poteva rischiare di farsi trovare in uno dei posti che sicuramente gli sbirri avrebbero tenuto d’occhio, e secondo perché non aveva voglia di scoprire quanto la sua famiglia fosse caduta in basso.

 

<< Possiamo andarcene >> disse, raggiungendo la portiera dell’auto.

 

<< Il tuo amico non viene? >> chiese Daniel, chiudendo il bagagliaio dopo essersi scelto una pistola e averla intascata con un ghigno.

 

<< No >> rispose secco William.

 

Daniel non fece commenti. << Dove andiamo? >> domandò,.

 

William fece retromarcia e imboccò la rampa del garage, salendo lentamente mentre la luce del mattino li abbagliava.

 

Ghignò, al pensiero del piano che aveva studiato appena aveva capito che i messicani non volevano aiutarlo, e che se la sarebbe dovuta vedere da solo… La sua vita sarebbe ricominciata alla grande, ne era sicuro.

 

<< In Messico >> rispose, << Andiamo a trovare alcuni miei vecchi amici… Hanno una piccola lezione da imparare >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 22.00 – San Pietroburgo

 

Xander strizzò gli occhi per individuare nella penombra del locale Ermil, che gli aveva dato appuntamento lì dopo l’ennesima vittoria in gara, e lo vide seduto in fondo, a un tavolo circolare e appartato, un bicchiere di birra in mano e l’espressione pensierosa.

 

Notò che nel bar c’era più gente del solito, infatti il bancone era completamente occupato e molti dei tavoli che di solito erano liberi ospitavano uomini dall’aspetto poco raccomandabile. Il tavolo da biliardo, al centro della sala e illuminato dai lampadari polverosi, era preso d’assalto da un gruppo di ragazzi, che ridevano e bevevano tra un tiro e l’altro.

 

Xander si fece largo tra la gente, attraversando una nuvola di fumo di sigaro, e raggiunse il russo.

 

<< Siediti >> disse Ermil, vedendolo arrivare, << Prendi da bere, mentre aspettiamo >>.

 

Xander prese posto e ordinò il suo solito Martini con ghiaccio, osservando con attenzione la gente che si trovava nel locale. La persona che gli aveva fatto trovare il biglietto minatorio nell’auto poteva essere lì in mezzo.

 

Non era la prima volta che riceveva una minaccia, ma non gli era mai successo in quel modo né così presto. Di solito venivano a dirglielo in faccia, che non lo volevano in giro o che dava fastidio, e doveva ammettere che non sapere da chi doversi guardare lo rendeva nervoso. Aveva fatto solo qualche gara e non si era fatto vedere nemmeno molto, eppure già si erano accorti di lui… Gli sembrava un po’ troppo strano.

 

<< Hai ricevuto altre minacce? >> domandò Ermil, sorseggiando la sua birra apparentemente tranquillo.

 

Xander glielo aveva raccontato, più che altro per sentire cosa aveva da dire: McDonall, a cui aveva raccontato l’accaduto più per scrupolo che per altro, gli aveva consigliato di indagare sulla faccenda, perché poteva essere che la sua faccia fosse conosciuta, e che qualcuno potesse sapere che in realtà non si chiamava Mark Dowson.

 

<< No, per il momento nient’altro >> rispose Xander, secco.

 

<< Non preoccuparti, si tratta di una minaccia senza fondamento >> disse Ermil, usando esattamente le stesse parole dell’altra volta, << Vogliono solo intimidirti un po’ perché sei forte e sei americano, ma non ti faranno niente >>.

 

“Su questo dubiterei… Da quello che ha detto Demidoff, mi è parso di capire che qui fanno sul serio. E sinceramente non vorrei essere ritrovato chiuso dentro il bagagliaio di una Bentley”.

 

<< Chi stiamo aspettando? >> chiese Xander, per cambiare argomento.

 

<< Una persona che può aiutarti a entrare nella cerchia giusta… >> rispose Ermil, nascondendo un sorriso, << Ti dirà cosa devi fare… >>.

 

<< Di preciso chi è? >> domandò Xander, per non farsi trovare impreparato.

 

Ermil sembrò molto divertito. << Non voglio rovinarti la sorpresa >> disse, evasivo.

 

Xander bevve un sorso della sua birra, preoccupato. Sperava non si trattasse di qualcuno che avesse già conosciuto nella missione di Challagher, altrimenti rischiava davvero la pelle.

 

Il loro contatto si fece aspettare per più di un’ora, come se ritenesse la puntualità qualcosa di poca importanza. Xander rimase seduto al suo tavolo, parlando con Ermil della situazione piuttosto tesa che c’era in quel momento in Russia, per via di alcune faide fra le famiglie più potenti che si occupavano dello spaccio di droga. Tra le righe riuscì a intuire che centrasse in qualche modo anche Boris Goryalef, e qualcuno dei piloti suoi amici. Sperò che Irina non ci finisse in mezzo, visto che aveva l’innata capacità di infilarsi nei guai.

 

<< Come mai c’è tutta questa gente, stasera? >> chiese, ordinando il secondo Martini per occupare l’attesa. Dal tavolo da biliardo si levò un brusio concitato per via di un tiro per riuscito.

 

Ermil si mise comodo, forse intuendo che l’attesa si sarebbe fatta lunga. << Si è sparsa la voce che la persona che aspettiamo sarebbe venuta qui >> spiegò, inarcando un sopracciglio mentre guardava il barista, << Non è di questa zona, quindi è sempre un evento quando si fa vedere… >>.

 

Xander controllò che la pistola che portava nascosta addosso fosse ancora al suo posto, perché tutto quel mistero gli dava un brutto presentimento. C’era davvero il rischio che si trattasse di Boris Goryalef, che sicuramente si sarebbe ricordato di lui, quando avrebbe visto la sua faccia: gli doveva la fiancata di una Ferrari gialla.

 

Ad un certo punto sentì la porta del locale aprirsi e poi chiudersi, e notò che tutta l’attenzione venne rivolta verso l’entrata, nel silenzio generale. Il gruppo del biliardo gli sbarrava la vista, così si sporse per vedere di chi si trattava, pronto a una fuga rapida nel caso ce ne fosse stato bisogno.

 

<< Era ora… >> borbottò Ermil, facendo lo stesso.

 

Se si era aspettato un russo barbuto, scontroso e magari anche ubriacone, non poteva essersi sbagliato di più. Perché, prima di tutto, il loro contatto non era barbuto, né particolarmente minaccioso a vedersi. Secondo, perché era una donna.

 

“Cavolo, questo non me lo aspettavo proprio…” pensò, basito, gli occhi incollati sulla figura della nuova arrivata, esattamente come tutto il resto del bar.

 

La ragazza, che dimostrava all’incirca venticinque anni, si stagliava alta e slanciata all’entrata del locale, avvolta in una pelliccia bianca che non l’avrebbe mai fatta passare inosservata, i lunghi capelli biondi mossi le ricadevano sulle spalle in morbide onde, avvolgendo la sua figura snella e asciutta. Non c’era altro modo se non definirla bellissima, perché i tratti del suo viso sembravano scolpiti da uno scultore, perfetti, senza un difetto; e gli occhi erano di un azzurro così intenso da sembrare quelli di un angelo. Le labbra erano delineate dal rossetto rosso scuro, le unghie perfettamente curate che si stringevano sulla borsetta di Prada con aria letale. Il tutto condito da movenze feline, aggraziate e sensuali al tempo stesso.

 

La ragazza si tolse rapidamente la pelliccia, l’espressione infastidita forse per il fatto di trovarsi in un locale di poco conto e scialbo come quello, e la consegnò a uno dei camerieri che si premurò di riporla al sicuro. Gettò uno sguardo intorno, ignorando completamente la gente che la fissava, poi puntò dritta e sicura dalla loro parte, l’abitino aderente che seguiva i suoi movimenti come una seconda pelle.

 

Una volta di fronte a loro, in perfetto equilibrio sui vertiginosi tacchi a spillo degli stivali, rivolse un’occhiata sprezzante verso Ermil, poi si sedette, infastidita.

 

<< Ho poco tempo >> disse, rivelando una voce cristallina quanto il colore dei suoi occhi, << Diamoci una mossa, anche perché odio venire qui… >>. Il suo tono però non sembrava ammettere repliche, e aveva molto l’aria di un ordine.

 

Xander rimase a guardarla, stupito da quanto fosse bella. Molto probabilmente era la più bella donna che avesse mai incontrato… Persino da vicino non sembrava avere alcun difetto, e da così si notava anche quanto fosse liscia la sua pelle, e il suo profumo sensuale. Cosa centrasse lì in mezzo, era difficile da capire, perché sembrava davvero un pesce fuor d’acqua. Per un momento gli ricordò Irina e il loro primo incontro, quando con un’occhiata aveva intuito che non stava tra i piloti clandestini per piacere. C’era però una sottile differenza, in quella circostanza: se lo sguardo di Irina era pervaso da tristezza e sconfitta, quello di quella ragazza era tutto il contrario. Se c’era una cosa che gli era chiara, era che non aveva paura di nessuno, lì dentro, e che si aspettava di essere rispettata.

 

<< Lei è Nina Kraracova >> la presentò Ermil, << Nina… Lui è Mark Dowson, quello di cui ti ho accennato >>.

 

La ragazza sembrò improvvisamente accorgersi di lui. Lo squadrò per un momento, come a valutarlo, poi sorrise mostrando i denti bianchi, facendo mutare radicalmente la sua espressione.

 

<< Mi fa piacere conoscerti, Mark >> disse, improvvisamente ingentilita, << Ero curiosa di incontrarti… >>.

 

“Non mi sembrava molto entusiasta, fino a poco fa…” pensò Xander.

 

<< E’ un piacere anche per me >> disse, << Anche io avevo voglia di scoprire chi era il famoso contatto di cui mi ha parlato Ermil… >>. Sorrise, facendo un cenno verso di lei, per dimostrarle che era sorpreso di trovarsi davanti una ragazza.

 

Nina rise divertita, e Xander si accorse che molti degli sguardi erano inesorabilmente puntati su di lei. << Bene. Mi dispiace, ma questa sera ho molto poco tempo da dedicarvi, quindi credo che dobbiamo subito passare alle questioni più importati >> disse, facendo ondeggiare la sua chioma bionda, << Avremo modo di conoscerci meglio la prossima volta >>. Ammiccò con aria complice, rivolgendogli un’occhiata molto eloquente.

 

La prossima volta… Quindi gli stava già dicendo che si sarebbero incontrati di nuovo…

 

Xander non seppe cosa dire, perché le possibilità erano due: o Nina era molto espansiva e amava conoscere nuova gente, oppure doveva aver in qualche modo fatto colpo su di lei… Cosa che non era sua intenzione.

 

Uno dei camerieri si avvicinò con aria intimorita, il blocchetto delle ordinazioni in mano, sfoderando un sorriso d’ordinanza. Domandò qualcosa in russo alla ragazza, forse per chiederle se voleva qualcosa da bere. Lei gli gettò un’occhiata infastidita e rispose seccamente che non voleva niente, facendogli imperiosamente cenno con la mano di andare via.

 

<< Odio venire qui… >> borbottò, appoggiando la sua borsetta sul tavolo e ignorando le occhiate della gente: evidentemente non le importava di poter risultare scortese. Tirò fuori un cellulare e mentre tornava a guardarlo cambiò espressione, nuovamente gentile.

 

<< Allora, so che sei bravo con le auto >> disse, << Vuoi diventare uno dei Referenti, mi hanno detto… >>.

 

Xander annuì. << Sono qui per questo >> disse, << Puoi aiutarmi? >>.

 

La ragazza gli lanciò un’occhiata maliziosa. << Certo che posso aiutarti >> ribatté, divertita, << Ma come mai sei venuto qui, da queste parti? Non si stava meglio in America? Mi sembra che lì le gare di auto siano ancora più diffuse che da queste parti… >>. Accavallò le gambe snelle, e tutto il bar catalizzò la propria attenzione da quella parte, ben consapevole dell’effetto che stava provocando.

 

Xander si strinse nelle spalle, mantenendo lo sguardo dritto sul suo viso.

 

<< Non tira buona aria, laggiù >> rispose, << Era il caso di sparire per un po’… >>.

 

La ragazza sorrise. << Capisco… Sappi solo che la strada è particolarmente difficile. Oltretutto sei anche uno straniero, e la gente di qui non sarà particolarmente contenta di vedere un americano tra noi… E’ una bella sfida, te ne rendi conto, vero? >>. Parlò con leggerezza, come se in realtà considerasse l’avvertimento solo di routine, e non credesse veramente alle proprie parole.

 

Xander ghignò. << Dove sta il problema? Adoro le sfide… >>.

 

Nina si lasciò scappare un ghigno palesemente divertito. << Chissà perché mi aspettavo un risposta del genere… >> disse, << D’accordo, domani sera c’è una gara piuttosto importante dalle parti del Park Tikhiy, se ti fai notare puoi meritarti l’invito a una delle nostre feste… >>. Dalla sua faccia si capì che in realtà l’invito era già pronto, e che non era necessaria nessuna gara.

 

<< Feste? >>.

 

<< Oh, siamo freddi nell’accoglienza, ma amiamo particolarmente divertirci >> rispose Nina, sporgendosi verso di lui, e lanciò un’occhiata a Ermil, rimasto fino a quel momento in silenzio. << E poi, non frequentiamo gentaglia del genere… >>.

 

Il russo non diede nemmeno segno di aver sentito: aveva lo sguardo puntato sullo scollo dell’abito di Nina, e molto probabilmente non gli interessava nemmeno quello che aveva detto. Xander rimase interdetto di fronte al comportamento di quella ragazza, che mutava di secondo in secondo, e che non sembrava avere problemi a dire tutto quello che pensava.

 

Nina ammiccò, poi domandò: << Che auto hai? >>.

 

<< Una Volkswagen Scirocco >> rispose Xander. Qualcosa stridette nella sua testa.

 

Nina arricciò il naso, gli occhi azzurri ridotti a due fessure. << Troppo ordinaria >> commentò, << Ma se non hai di meglio… >>.

 

Xander fece una smorfia, infastidito. Nessuno aveva mai giudicato “troppo ordinaria” una delle sue auto, anche perché era abituato a ben altre macchine; e il commento, anche se veniva da una bella ragazza, non gli andò giù per niente.

 

<< E’ importante che auto io abbia? >> chiese, neutro.

 

Nina sorrise di fronte alla sua espressione, come se se la fosse aspettata. << Oh, no, non ha importanza >> rispose, << Non è l’auto che fa il pilota, ho sentito dire da voi americani… Era solo una mia curiosità >>.

 

A Xander tornò in mente Challagher: aveva detto la stessa identica frase a lui, in uno dei loro incontri. E quella ragazza per certi versi gli assomigliava: aveva l’aria di essere una importante, a cui era permesso tutto…

 

<< Sei una Referente? >> domandò secco, per vedere cosa le avrebbe risposto.

 

Nina ghignò. << Una Referente? Io? >> fece, divertita, << Uhm… Potrei anche esserlo, ma non mi sembra il caso di dirlo al primo arrivato, no? >>. Afferrò il suo bicchiere di Martini lasciato a metà e lo vuotò in un sorso, poi si alzò e raccolse la sua borsetta, lanciandogli un’occhiata maliziosa.

 

<< Ci vediamo, Mark >> lo salutò, dirigendosi verso la porta. Inutile dire che tutto il locale seguì i suoi movimenti fino all’uscita, e perfino mentre si infilava la pelliccia bianca con impazienza, facendo ondeggiare i suoi capelli come una cascata di oro liquido.

 

Xander rimase seduto a fissare la porta da dove era uscita la ragazza, perplesso e anche un po’ colpito. Se c’era una cosa che aveva capito in poche occhiate, era che a Nina piaceva giocare, sotto tutti gli aspetti. Chiunque fosse, aveva una certa popolarità, e non si faceva nessun problema a usarla. Così come le era chiaro che le piaceva attirare l’attenzione, visto che non disprezzava gli sguardi degli uomini, anzi, li incoraggiava anche.

 

<< Hai visto che roba? >> chiese Ermil, tutto eccitato, riprendendosi dallo shock dell’uscita della ragazza, << L’hai mai vista una così, in giro? >>. Ancora un po’, e avrebbero dovuto asciugargli la bava…

 

Xander si riscosse e lo guardò, accorgendosi che Ermil non era l’unico in quelle condizioni: gli altri non erano da meno.

 

<< No >> rispose in tutta sincerità.

 

Il russo ghignò. << E non sai ancora chi è… >> sussurrò. Il quel momento l’attività al tavolo da biliardo riprese il suo corso.

 

<< Perché, chi è? >>.

 

Ermil gettò un’occhiata in giro, poi rispose sotto voce: << Bé, è la figlia del Primo Ministro Krarakova >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 22.00 – Mosca

 

“Non mi frega, non mi frega…”.

 

Irina scalò di una marcia così veloce che temette che il pomello del cambio le rimasse in mano, poi schiacciò l’acceleratore fino a fine corsa, sentendo la Punto schizzare avanti, il motore che ruggiva. Si affiancò alla Skyline blu e tentò il sorpasso, la stretta strada sopraelevata che gli dava poco spazio di manovra.

 

Nikodim aveva chiamato, alla fine. E l’aveva invitata a quella gara che sapeva molto di una prova di bravura e fedeltà.

 

Inchiodò quando si accorse che stava per passare su una spessa lastra di ghiaccio, la strada che curvava rapida verso destra, e lasciò che fosse la Skyline a passare per prima. Aveva imparato la lezione, e non si sarebbe lasciata prendere alla sprovvista.

 

Rimase incollata al paraurti della Nissan, gettando una rapida occhiata allo specchietto: vedeva in lontananza i fari dei loro avversari, rimasti indietro, che però non rappresentavano più il suo vero problema. Doveva solo superare quello che aveva davanti e vincere, per dimostrare a quei russi che non aveva perso lo smalto e che era meritava tutto il loro rispetto.

 

Svoltò a sinistra, sentendo le ruote scivolare appena, e decise di tentare il tutto per tutto. Affiancò la Skyline, stringendola a sinistra per costringerla a rallentare, e la superò in un attimo, lasciandosi dietro solo la polvere di ghiaccio della neve.

 

Cento metri, e tagliava il traguardo in testa, sotto lo sguardo di Dimitri, rimasto a bordo strada ad assistere con l’aria infastidita, Boris e Nikodim, più un altro gruppo di persone tra cui alcuni dei cugini di Dimitri. Aspettavano al freddo, avvolti dalla nuvola di fumo che proveniva dai sigari accesi.

 

Scese dall’auto guardandosi attorno, l’espressione tranquilla per dare l’idea che doveva essere stata tutta una passeggiata. Attese che il tipo della Skyline scendesse dalla sua macchina e gli rivolse un cenno per fargli capire che aveva apprezzato la gara, com’era sempre stata abituata a fare: quello si limitò a grugnire e a rientrare in auto.

 

<< Bene, bella gara, Fenice >> disse Nikodim, avvicinandosi avvolto nella sua pelliccia scura, << Ora, se vuoi seguirci… >>. Alzò una mano per indicare oltre i capannoni della zona industriale.

 

<< Dove andiamo? >> chiese lei.

 

<< In un locale qui vicino >> rispose Boris, che li aveva raggiunti sventolando il suo sigaro, << Beviamo qualcosa e vediamo cosa possiamo fare per aiutarti >>.

 

Con la coda dell’occhio guardò Dimitri, che però aveva gli occhi rivolti da un’altra parte: fissava una Subaru Impreza nera con due strisce gialle sul cofano, ferma non molto lontano da lì, i fari e il motore accesi. Non aveva preso parte alla gara, perché Irina non l’aveva vista prima.

 

La Subaru rimase ferma ancora qualche momento, mentre lei raggiungeva la Punto, come se il pilota stesse seguendo i suoi movimenti. Tentò di capire chi fosse, ma l’auto aveva i vetri completamente oscurati, e non riusciva nemmeno a intravedere qualche sagoma all’interno. Nel momento esatto in cui lei aprì la portiera della Punto, l’Impreza si defilò rapidamente, senza che nessuno se ne accorgesse, sparendo in un vicolo, silenziosa e solitaria.

 

Risalì in auto, chiedendosi chi mai fosse il pilota dell’Impreza, e notò che Dimitri continuava a guardare prima lei e poi il punto in cui si era volatilizzata la Subaro nera, rigido come una statua. Allora non era l’unica che trovava strana e inquietante quell’apparizione.

 

Seguì il corteo di auto fino al bar che le avevano indicato, sperando che l’incontro con i russi portasse a qualcosa e non risultasse un’altra perdita di tempo, come invece si prospettava. Guadagnare la loro fiducia era più difficile del previsto.

 

Parcheggiò l’auto vicino a un vicolo, dietro la R8 di Dimitri, e una volta scesa se lo ritrovò di fianco senza che nemmeno si fosse accorta che era uscito dalla macchina. Era più inquietante di un fantasma, certe volte.

 

<< Anche stasera non caveremo un ragno dal buco >> borbottò, quasi irritato, << Vogliono solo dirti cosa hanno deciso >>.

 

<< Non possiamo metterci tutto questo tempo >> sussurrò lei, mentre lentamente si avvicinavano all’entrata del locale, << Non puoi forzarli un po’? Cavolo, sono tutti amici tuoi… >>.

 

Dimitri arricciò il labbro. << No, non posso e non voglio >> rispose, << Sei tu quella che deve guadagnarsi la loro fiducia. E poi non mi ascolterebbero >>.

 

<< Sì, ok, lo so già… >> borbottò Irina, annoiata, << Piuttosto, hai notato anche tu la Subaru nera? Per caso ha a che fare con te? >>.

 

Da quando aveva capito che Dimitri le nascondeva qualcosa, e da quando aveva origliato la loro conversazione senza che lui facesse alcun commento, osservava attentamente il russo e tutte le persone che lo circondavano e che avevano a che fare con lui. Se non voleva parlare con lei, avrebbe almeno cercato di capire cosa ci fosse dietro al fatto che Dimitri doveva guardarsi le spalle da qualcuno, e soprattutto perché.

 

<< No >> rispose seccato il russo.

 

Era chiaro che il suo “no” era assolutamente una bugia. Non si sarebbe soffermato a guardare l’auto se non ne avesse avuto alcun motivo, lui che non degnava di attenzione mai nessuno. Ma siccome ormai iniziava a conoscerlo, capì che non voleva parlarne.

 

<< Ah, ok >> fece lei, fintamente noncurante, << L’ho trovato molto strano, credevo potessi saperne qualcosa. Sarà stato qualcuno che è rimasto colpito dalla mia immensa bravura… >>. Sorrise, sperando che Dimitri desse segno di non essersela presa, ma lui rimase di ghiaccio.

 

Arrivarono all’ingresso del locale, che aveva l’aria di essere piuttosto esclusivo: c’era un tizio vestito di scuro a controllare chi entrava, dall’espressione minacciosa. Dimitri disse qualcosa senza nemmeno guardarlo, e l’uomo li lasciò entrare senza aggiungere niente al cenno del capo che aveva fatto.

 

Si trattava di un pub di lusso, ampio e illuminato da luci azzurre e bianche, un lunghissimo bancone che correva alla loro sinistra, nero, dietro al quale diversi ragazzi si esibivano in spettacolari acrobazie con le bottiglie di alcolici, al ritmo della musica non troppo alta da coprire le loro voci.

 

Irina si guardò intorno: la gente che frequentava quel posto era molto diversa da quella che aveva visto negli altri locali. Lì sembravano esserci persone più facoltose e più sofisticate, sedute ai bei divanetti di pelle blu scuro, intente a bere i loro cocktail in bicchieri di cristallo decorati.

 

<< Dove sono? >> chiese Irina, riferendosi a Nikodim e agli altri. Non li vedeva da nessuna parte.

 

<< In una delle salette in fondo >> rispose Dimitri, precedendola, << Laggiù >>.

 

Irina lo seguì fino al fondo del locale, notando che i ragazzi che lavoravano lì sembravano conoscere tutti Dimitri, perché gli rivolgevano cenni di saluto appena passava. Arrivarono a una saletta sempre illuminata di blu e di bianco, con un grande tavolo per giocare a poker e un biliardo nell’angolo. Nikodim li aspettava in piedi, fumando un grosso sigaro che aveva già saturato l’aria con il suo odore di tabacco.

 

<< Sedetevi, che ci facciamo quattro chiacchere >> disse il russo, accennando al tavolo da poker, già occupato da Boris e Yulian.

 

Fece per raggiungerli, quando sentì che Dimitri la afferrava per un braccio facendola inchiodare sul posto.

 

A parte la sorpresa che si fosse abbassato a toccarla, cosa che non aveva mai fatto fino a quel momento, rimase di sasso nel sentire che la mano di Dimitri era bollente, e non gelida come aveva sempre pensato, visto il tipo che era…

 

<< Non dire niente di avventato, chiaro? >> sussurrò lui, minaccioso come al solito.

 

<< Ok… Tranquillo >>.

 

Dimitri la lasciò di colpo, e in quello stesso istante verso di loro arrivarono Gavriil, il cugino che era facile riconoscere per via dell’acne, e un altro ragazzo che sembrava avere sui trent’anni, piuttosto robusto, dai cortissimi capelli neri e la carnagione scura.

 

<< Ehi, sei tu quella della Grande Punto?! >> gridò il ragazzo, fissandola incomprensibilmente sbalordito. Venne verso di lei seguito da Gavriil, eccitato quanto lui.

 

<< Ehm… Sì >> rispose Irina, senza capire quell’interesse nei suoi confronti: non l’aveva visto alla gara, come faceva a sapere chi era?

 

Il ragazzo le porse la mano con aria felice, presentandosi.

 

<< Sono Daniele, è un piacere conoscerti >> disse, con uno stranissimo accento che non aveva sentito da nessuna parte, << Ma chiamami Dan, come fanno qui… Odiano il mio nome italiano >>. Lanciò un’occhiata a Gavriil, alla sua sinistra. Poi sorrise a quarantaquattro denti, lasciando Irina spiazzata: a giudicare dall’accoglienza festosa, non era un russo.

 

<< Piacere, io sono Irina >> disse, << Ma dovresti conoscermi già, visto che sai che auto ho… >>. Sorrise. Dimitri di fianco a lei fece una smorfia, e si defilò verso il biliardo, raggiungendo Emilian, il cugino dal volto sfregiato, che era appena arrivato.

 

<< Certo che so che auto hai! >> esclamò Dan, estasiato, << Da queste parti non si vedono auto italiane neanche a pagarle oro… Una Fiat Grande Punto… Roba da pazzi, come hai fatto a modificarla così? >>.

 

A Irina venne da ridere: quel ragazzo sembrava apprezzare più la sua auto che lei, e la cosa la incuriosì molto. Si chiese chi mai fosse, e soprattutto cosa ci facesse lì, in mezzo a quel gruppo di ghiaccioli impellicciati.

 

<< Opera del mio meccanico >> rispose, pensando un momento a Max, a Los Angeles, << Scusa se te lo chiedo, ma sei italiano? >>.

 

Dan gonfiò il petto inorgoglito, e annuì. << Certo >> rispose, poi si avvicinò e aggiunse sussurrando: << E continuo a preferire l’Italia… Qui si muore di freddo e basta >>.

 

Irina sorrise. << In effetti, pensavo la stessa cosa… >>. La sua attenzione però venne attirata da Dimitri, che parlava fitto fitto con Emilian, e l’argomento sembrava essere la Subaru di poco prima.

 

<< Poteva anche non essere lui >> stava dicendo Emilian, il volto sfregiato imperscrutabile, << Avrà mandato qualcuno dei suoi a controllare che fossi veramente tornato… >>.

 

<< Non è questo il problema… >> ringhiò Dimitri, afferrando la stecca da biliardo, << Non mi interessa se sa o non sa che sono qui, o che vuole uccidermi o meno. Quello che non voglio è che ci finisca in mezzo qualcun altro, chiaro? >>.

 

Emilian alzò lo sguardo dal tavolo da biliardo, beccandola mentre origliava. Lei si riscosse, distolse lo sguardo e fissò Dan.

 

<< Ehm… Ci sediamo? >> disse, cercando di mascherare l’imbarazzo.

 

<< Ok >>.

 

Lei e Dan raggiunsero il tavolo, lo sguardo di Emilian che la trapassava da parte a parte anche se lei era di spalle; aveva la sensazione di essersi appena fatta un altro nemico.

 

<< L’avrai fatta importare, la Punto >> disse Dan, mentre prendevano posto uno di fianco all’altro, << Mi piacerebbe sapere che modifiche sono state fatte al motore, perché quando vi ho visti passare credevo fosse tutto tranne che una Fiat… >>.

 

Irina gli lanciò un’occhiata perplessa, senza capire, anche se era più interessata a quello che stavano dicendo Dimitri ed Emilian. Solo che ora erano troppo lontani per riuscire a cogliere qualcosa della loro conversazione.

 

<< Non ero alla gara, ma vi ho visti passare lungo il ponte >> spiegò Dan, incuriosito dal fatto che sembrava un po’ confusa, << Stavo venendo qui, perché avevo un appuntamento e mi è saltata all’occhio la tua auto. Non sapevo che Fenice avesse un’auto italiana >>.

 

<< Sembri esperto… >> disse Irina, sbirciando verso Dimitri: le aveva appena lanciato un’occhiata, << Sei il primo che mi fa un complimento per l’auto… >>.

 

Dan sorrise. << Sono appassionato di auto italiane, quindi le conosco tutte >> rispose, << Ho una Grande Punto anche io, sai? >>.

 

<< Ah sì? >> fece Irina, stupita, tornando a interessarsi a quello che diceva.

 

<< Sì >> annuì Dan, << Ho solo auto italiane nel mio garage, quindi anche una Punto… Però è ancora in fase di modifica, la sto preparando >>.

 

Strano personaggio, quel Dan, però molto simpatico. Nikodim si schiarì la voce per interrompere la loro conversazione e lui fece una smorfia infastidita, come a dire: “I soliti russi…”.

 

<< Dopo le farai tutte le domande che vuoi, sulla sua auto >> disse Nikodim, << Siamo venuti per dirle quello che deve fare, quindi facciamo in fretta… >>.

 

Irina rivolse l’attenzione ai russi seduti a guardarla in cagnesco, mentre uno dei camerieri che aveva salutato Dimitri gli serviva da bere: vodka con ghiaccio, come sempre. Il Mastino però era rimasto in piedi al biliardo, a parlare ancora con Emilian. La questione doveva essere molto importante, perché continuavano a discutere anche mentre colpivano le palline con le stecche.

 

Boris riportò la sua attenzione al tavolo, alzando il bicchiere di vodka mentre iniziava a parlare.

 

<< Abbiamo parlato con gli altri Referenti >> disse, << E gli abbiamo detto che vuoi incontrare la Lince. Non si fidano di te, non ti conoscono, a parte le voci che sono giunte fino a qui quando Challagher era ancora libero… E non gli basta nemmeno il fatto che io possa garantire sul tuo passato da pilota clandestina. Abbiamo messo la cosa hai voti, ed è stato deciso chel’unico modo che hai per poter sperare di incontrare la Lince è guadagnarti la nostra fiducia come fanno tutti: ti affideremo dei compiti che dovrai portare a termine seguendo le nostre precise istruzioni. Dopodiché, quando lo riterremo opportuno, ti porteremo dalle Sentinelle, le uniche che possono entrare direttamente in contatto con la Lince >>.

 

Era chiaro che fingersi la donna di Challagher non le era servito a molto; anzi, forse li aveva resi ancora più diffidenti. Molto probabilmente si chiedevano come mai lei fosse riuscita a rimanere fuori di prigione tutto quel tempo e invece lo Scorpione era finito in carcere… Forse avevano già mangiato la foglia.

 

<< Ok >> disse Irina, << D’accordo, se vogliono così, non posso che accettare le loro condizioni… Cosa devo fare? >>.

 

Vide Dimitri rivolgerle un’occhiata, mentre con un colpo solo faceva cadere tutte le palline del biliardo nei buchi del tavolo; forse ora era lui a origliare, nonostante volesse mostrarsi disinteressato.

 

<< Dan >> chiamò Nikodim, agitando la mano per attirare l’attenzione dell’italiano, che stava guardando fuori dalla finestra, forse nella speranza di riuscire a vedere la Punto di Irina.

 

Si riscosse e spiegò, il tono serio e professionale: << Per cominciare, devi consegnare un pacco al Ministro Buraschenko >>. Quando vide l’espressione stupita di Irina nello scoprire che anche il governo russo era invischiato nei loro traffici, continuò: << Ci sono molte persone insospettabili che fanno parte del nostro giro; lui è uno di quelli. Buraschenko e alcuni dei suoi parenti sono nostri assidui clienti, per quanto riguarda droga e compagnie femminili. A parte questo, il tuo compito sarà recapitargli la sua partita settimanale di coca, senza che nessuno si accorga di niente, soprattutto la polizia. Purtroppo, per questioni di sicurezza, è molto controllato, quindi c’è una precisa procedura da seguire per fargli le consegne senza che gli sbirri si accorgano di qualcosa >>.

 

<< Ho capito >> disse Irina, << Quando? >>. Notò che Dimitri continuava a guardare dalla loro parte, ignorando il cameriere che gli stava porgendo un bicchiere di vodka.

 

<< Domani >> rispose Nikodim, << Andrai da Dan, che ti consegnerà il pacco, e seguirai le istruzioni che ti verranno date. Niente che tu non riesca a fare >>. Ghignò, come se pensasse tutto il contrario.

 

Irina rimase in silenzio, aspettando che dicesse altro. Le sembrava stranamente facile, come cosa: anche William le dava compiti del genere, quando faceva parte della Black List. Però il ghigno del russo non le piacque per niente: doveva esserci qualcosa, sotto.

 

<< Tutto chiaro? >> fu la sola domanda di Nikodim.

 

<< Sì >> rispose Irina, << Mi sono già occupata di cose del genere, quando William era libero >>.

 

<< Non potrai avere l’aiuto di nessuno, questo è ovvio >> aggiunse Boris, gettandole un’occhiata. Almeno lui non ghignava.

 

<< Lo so >>. Irina afferrò il suo bicchiere di vodka, assumendo un’espressione distaccata. << Mi chiedo solo perché siano tanto diffidenti nei miei confronti… William conosceva la Lince, no? Voglio liberarlo, non voglio fare altro di pericoloso >>.

 

Nikodim gettò un’occhiata a Boris, e tutta l’attenzione del tavolo venne rivolta su di lei, come se avesse detto qualcosa di enormemente sbagliato.

 

<< Non sappiamo davvero se sei ancora la donna di Challagher >> fu la risposta di Nikodim, il tono sprezzante, << E nessuna donna si azzarderebbe mai a mettersi in testa un piano come il tuo, da queste parti. Oltretutto, il fatto che tu sia libera e che Challagher sia dietro le sbarre è già sospetto, non credi? >>.

 

Irina sostenne il suo sguardo, ma dentro di lei sentì montare l’ansia. Non poteva essere più chiaro di così: sicuramente sospettavano qualcosa. Era del tutto plausibile che la scusa delle prove e della fiducia gli servisse solo per coglierla in fallo, per smascherarla: volevano farle commettere un errore e poi magari ucciderla come avevano fatto con tutti gli altri agenti dell’F.B.I. russa.

 

<< Quello che stai dicendo sono tutte stronzate >> intervenne Dimitri all’improvviso, pulendo la punta dell’asta da biliardo, senza degnare di uno sguardo Nikodim, << E se credi veramente in ciò che dici, significa che stai dicendo che vi sto tradendo anche io… Ti da solo fastidio che Challagher torni libero, perché hai un debito con lui. Quindi, smettila di comportarti come se fossi qualcuno, perché in realtà lo sai meglio di me che non sei nessuno >>.

 

Irina rimase di sasso di fronte al tono imperioso di Dimitri, e all’occhiata di puro disprezzo che aveva rivolto a Nikodim. Non pensava osasse rivolgersi così al russo, che sembrava avere una certa influenza, da quelle parti. E questa volta tutto il tavolo fissò Dimitri.

 

<< Non sto dicendo questo >> ribatté Nikodim, voltandosi verso di lui, << Mi ha chiesto perché non ci fidiamo di lei, e le ho risposto. Se Challagher è libero o no, non mi interessa >>.

 

Dimitri passò l’asta a Emilian, e guardò Nikodim dritto in faccia.

 

<< Allora ‘sta zitto >> disse, secco, << ‘Sta zitto e non mettere più in dubbio la mia lealtà. Le hai spiegato cosa deve fare, ora puoi anche andartene >>.

 

L’espressione di Nikodim non cambiò, ma non osò nemmeno aggiungere qualcosa. Il tono di Dimitri era stato talmente freddo e minaccioso, che Irina si spaventò per lui. Non lo aveva mai visto così arrabbiato, per di più per qualche semplice parola.

 

<< Andiamocene >> disse Nikodim, rivolto a Boris.

 

I due russi ripresero le loro pellicce e lasciarono il locale, sotto lo sguardo dei cugini di Dimitri, di Irina e di Dan, rimasti in silenzio senza sapere cosa dire.

 

Dimitri riprese a giocare a biliardo insieme a Emilian, come se non fosse mai successo niente; Irina non riuscì a staccargli gli occhi di dosso, però: la sua reazione l’aveva davvero lasciata senza parole, ma l’aveva stupita ancora di più la completa remissività di Nikodim, che non aveva fiatato quando lui gli aveva detto di stare zitto e di andarsene.

 

<< Dove eravamo rimasti? >> fece Dan, alzandosi dal tavolo, forse per sciogliere un po’ la tensione, << Devi passare da casa mia domani, Irina. Ti spiegherò con calma ciò che devi fare, e ne approfitterò per dare un’occhiata da vicino alla tua Punto. Non ti dispiace, vero? >>.

 

<< Ehm… No, no >> rispose Irina, tornando a guardarlo, << Va bene… Verso che ora? >>.

 

<< Dopo pranzo >> rispose Dan, << E non ti spaventare per quello che ha detto Nikodim, non è così difficile come sembra >>.

 

<< E’ solo un’idiota… >> borbottò Dimitri, allungandosi sul tavolo da biliardo per prendere la mira, << Non c’era bisogno di fare tutto questo casino per incontrare la Lince… Sta solo cercando di ostacolarci >>.

 

<< Perché dovrebbe farlo? >> chiese Irina.

 

<< Deve dei soldi a Challagher >> rispose Yulian, noncurante, << Niente di troppo grosso, ma ha paura che lo Scorpione si vendichi per avergli soffiato un paio di auto… >>.

 

Irina lo guardò senza capire.

 

<< Ha fatto rubare due auto a Challagher, l’ultima volta che è venuto qui >> spiegò Dan, << E lui se n’è accorto quando ormai era a Los Angeles, ma immagino voglia vendicarsi >>.

 

<< Perché gli ha rubato due auto? Non poteva comprarsele? >> domandò Irina. Nikodim andava in giro con una Bentley, sicuramente aveva abbastanza soldi per comprarsi tutte le macchine che voleva.

 

<< Lo fa perché è un’idiota… >> borbottò Dimitri.

 

<< E’ una fissa, la sua >> rispose Yulian, << Lo fa per senso di sfida, credo. Non gli servono assolutamente a nulla, ma adora collezionare le auto degli altri… >>.

 

Irina non seppe che dire, ma comprese almeno il disprezzo di Nikodim dei suoi confronti: magari alla fine nessuno sospettava davvero nulla.

 

Fu costretta a parlare con Dan per la mezz’ora successiva della sua Punto, finché l’italiano non lasciò il locale per andare a un altro appuntamento dall’altra parte della città. Rimase da sola, appoggiata alla parete, aspettando che Dimitri le rivolgesse lo sguardo. Voleva sapere come mai aveva avuto una reazione del genere.

 

Il russo sembrò accorgersi che lo stava aspettando, e per un bel po’ fece finta di non averla notata. Solo quando decise di bersi un drink, si decise ad avvicinarsi.

 

<< Soddisfatta? >> domandò, senza nemmeno guardarla. Il suo tono era a metà tra il serio e lo scocciato.

 

<< Sì… >> rispose Irina, poi aggiunse a bassa voce: << Perché hai reagito così, con Nikodim, se posso chiedertelo? >>.

 

Si aspettava che Dimitri sviasse la domanda o che semplicemente le dicesse che non erano fatti suoi. Invece, finì il suo drink e disse, quasi sussurrando: << Perché ti stupisci? Non mi conosci ancora? >>.

 

Irina rimase interdetta, e gli rivolse un’occhiata di sottecchi.

 

<< No, però non pensavo che potessi rivolgerti così a lui e passarla liscia… >> mormorò lentamente, sperando di non innervosirlo, visto che quella sera sembrava avere i nervi a fior di pelle. Più del solito.

 

Dimitri non sembrò prendersela, stranamente. Anzi, per un attimo a Irina parve di veder affiorare una smorfia divertita, sul suo volto.

 

<< Sono libero di fare quello che voglio, da queste parti >> rispose, << E odio chi approfitta della propria autorità. Nikodim non è un Referente, sta qui in mezzo a noi solo perché è amico di mio zio, e non può permettersi di spaventare nessuno, soprattutto chi considera inferiore >>.

 

Le lanciò un’occhiata talmente intensa che Irina rimase paralizzata, cercando di capire cosa avesse detto. O meglio, quale fosse il significato nascosto in quelle parole.

 

<< Quando vuoi andare a casa, dimmelo >> aggiunse Dimitri, tornando alla sua maschera di ghiaccio e dandole le spalle. Raggiunse il tavolo da biliardo e riprese la sua partita, sotto lo sguardo di Irina, incollata alla parete e il con il cervello in panne.

 

Se c’era una cosa che non aveva ancora capito, era chi era veramente Dimitri. Prima era stato il braccio destro di Challagher, a detta di tutti spietato e dal cuore di ghiaccio, pronto a eseguire qualsiasi ordine dello Scorpione; poi, si era rivelato come l’insospettabile traditore di Challagher, contribuendo ad arrestarlo e a salvare lei; ora, diventava una sorta di “intoccabile” tra i suoi stessi connazionali, libero di fare e dire quello che voleva, ma perseguitato da qualcuno con cui aveva qualche conto in sospeso…

 

Troppe erano le cose che non sapeva di lui, troppi i dubbi che aveva sul suo passato… Poteva veramente fidarsi, oppure quella missione si trattava di un vero e proprio suicidio?

 

“…E non può permettersi di spaventare nessuno, soprattutto chi considera inferiore”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Allora, come vedete sono riuscita a postare un altro capitolo prima di partire. E guarda caso, si tratta di un capitolo molto particolare.

Prima di tutto, due nuovi personaggi, che credo non vi abbiano lasciato indifferenti… Soprattutto Nina, vero? Chissà cosa state pensando di lei, ora… Ma soprattutto se avete capito il genere di ragazza che è. , inutile dire che dovete tenerla d’occhio, perché comparirà abbastanza spesso…

Secondo, le frasi enigmatiche di Dimitri… Secondo voi cosa voleva dire, con quelle parole?

Qualcuno di voi mi ha esposto una sorta di “teoria” sul suo passato: donna amata uccisa da qualche russo, fedeltà che dura fino ad ora e conseguente voglia di vendetta. Uhm, forse sarebbe bello, ma non sono così scontata, mi conoscete… Niente a che vedere con la fedeltà, comunque. Anche se una donna centra in ogni caso.

Terzo, , avete ben due settimane per lambiccarvi il cervello su cosa potrebbe succedere: e mi sa che non sarà tutto piacevole. Magari esponetemi le vostre teorie, sono curiosa dei vostri pareri.

 

Mi perdonerete se non rispondo alle vostre recensioni, ma devo terminare le valigie, e intanto con la testa sono già al prossimo capitolo. Al mio ritorno cercherò di scriverlo e postarlo il prima possibile. Però aspetto comunque le vostre recensioni.

 

Un bacio a tutti e voi e un ringraziamento grande per il fatto che continuate a seguirmi!

 

Lhea

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo XV ***


Capitolo XV

Capitolo XV

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 10.00 – San Pietroburgo

 

<< Quindi lei vorrebbe un’altra auto? >> chiese Demidoff, dall’altra parte del telefono, lievemente stizzito. Non era una domanda, piuttosto una constatazione poco amichevole.

 

Xander spense il televisore, facendo piombare l’appartamento freddo e spoglio nel silenzio. La lama di luce che filtrava dalla finestra illuminava la cucina rendendola stranamente sinistra, così vuota e anonima. Si mise più comodo sulla sedia traballante e guardò fisso il muro, come se avesse il russo davanti.

 

<< Sì, voglio un’altra auto >> ribatté, << Non posso andare in giro con una Scirocco, per di più con un vetro rotto… Se devo farmi notare, ho bisogno di un’altra macchina >>.

 

Demidoff sembrò ghignare, quasi avesse a che fare con un bambino capriccioso. << E cosa vorrebbe? >>.

 

<< Quello che potete darmi >> rispose Xander, << Avevo chiesto una Ferrari, ma non mi è stata fornita. Se non posso avere quella, mi va bene un’altra auto, basta che non sia un’utilitaria qualsiasi… >>. C’erano un sacco di macchine che potevano fare al caso suo, e nemmeno troppo costose: non gli sembrava di chiedere troppo.

 

<< Per quando le serve? >> domandò Demidoff, e questa volta gli sembrò serio.

 

<< Per stasera >> rispose Xander.

 

Ci fu un attimo di silenzio, poi il russo disse, divertito: << Ah, Went… Per stasera. Mi dica, agente, ha altre richieste? Non si è chiesto perché le abbiamo dato un’utilitaria poco appariscente, come la definisce lei? >>.

 

Xander arricciò il labbro: non era uno stupido, sapeva qual’era il piano e come funzionavano le cose. Forse non era un veterano dell’F.B.I., ma in quel campo poteva vantare una certa esperienza.

 

<< So che non devo dare troppo nell’occhio, ma in questo caso le cose sono diverse >> rispose, cercando di non sembrare troppo piccato, << Non mi prenderanno mai sul serio se arrivo con una Scirocco in allestimento base e con il finestrino sfondato, non le pare? Oltretutto, anche con quella che voi considerate un’auto “discreta sono già stato oggetto di minaccia… Mi considerano già pericoloso così, è chiaro. Che differenza fa che auto io abbia? >>.

 

<< Lei non conosce il campo, agente Went >> commentò Demidoff, una nota infuriata nella voce, << Non sa come pensano, come la stanno valutando… >>.

 

Xander si sentì punto sul vivo. << Se hanno mandato me, un motivo c’è >> ribatté, << Sono uno dei migliori agenti specializzati in questo campo, e so esattamente come pensano i piloti clandestini, non fa differenza di dove sono. Devono capire che sto facendo sul serio, che non sono un pivellino, e mi serve un’altra auto… Sono io che devo portare a termine la missione, e mi sembra di essere in grado di capire cosa devo fare >>.

 

Sin dalla prima volta che lo aveva visto, Demidoff non gli era stato particolarmente simpatico, ma ora capiva che viaggiavano anche su due onde completamente diverse: il piano dei russi era quello di fare tutto con discrezione, di non dare nell’occhio e agire di soppiatto, mentre la sua era quella di “prendere il toro per le corna” e sbattere tutti dentro in men che non si dica. Aveva sempre agito in quel modo e aveva sempre avuto ragione: non ci stava a farsi riprendere come un bambino da un russo a cui non doveva nemmeno rispondere.

 

<< D’accordo, agente Went, se vuole un’altra auto, la avrà >> concluse Demidoff, << Raggiunga Sokolòva ai nostri uffici e si faccia dare la sua auto… Ma mi lasci dire che ha commesso un errore >>.

 

<< Quale? >> fece Xander, sperando che non gli desse modo di perdere di nuovo la pazienza.

 

<< Non è lei che deve portare a termine questa missione >> rispose Demidoff, una punta di divertimento nella voce, << E’ l’agente Dwight che ha l’incarico principale di arrestare la Lince… Lei è superfluo, lo ricordi >>.

 

Xander rimase zitto, spiazzato. Che Demidoff avesse o meno ragione, odiava il fatto che si permetteva di parlargli in quel modo. Non era abituato a sentirsi dire di non essere necessario, e detto da un russo la cosa gli andava giù ancora di meno.

 

<< Vediamo se mi considererà superfluo quando le consegnerò la Lince su un piatto d’argento… >> ringhiò, chiudendo la telefonata.

 

Arrabbiato, gettò un rapido sguardo all’orologio e poi rimase a fissare la stanza vuota e spoglia. Qui russi non facevano altro che dargli fastidio, come se avessero preferito non averlo tra i piedi. Ora si rifiutavano anche di dargli un’altra auto…

 

Superfluo, lui… Ma quando mai era capitato? Era un esperto, nel suo campo, e i suoi piani non fallivano mai…

 

Improvvisamente però gli venne da sorridere, quando scoprì che era stato messo in diretta competizione con Irina. Era lei che doveva portare a termine la missione, sì, certo…

 

Sbuffò, ricordandosi improvvisamente che iniziava a mancarle davvero, e si alzò. Sperava che almeno ci fosse una nota positiva in quella storia, e che i russi gli dessero un’auto degna di quel nome, e non che Sokolòva gli riservasse una brutta sorpresa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 14.00 – Mosca

 

Irina fece rallentare la Punto in mezzo al grande garage sotterraneo illuminato dai neon, la luce che si rifletteva fastidiosamente sul liscio pavimento verdognolo e sulle lucide carrozzerie delle auto parcheggiate lì in intorno, in perfetto ordine e più numerose di quanto si era aspettata. Oltre che dalle linee stranamente inusuali.

 

Dan, in piedi vicino al muro, le indicò con la mano uno spazio lasciato vuoto vicino alla parete, vicino a un’innumerevole serie di strumenti da lavoro e di componenti per auto. Irina parcheggiò la Punto e scese, guardandosi intorno incuriosita.

 

Come aveva detto, Dan era un appassionato di auto italiane, ma non aveva creduto che nel suo garage contasse così tante macchine da far invidia persino a William, soprattutto in quanto a bellezza.

 

A poca distanza da lei, c’era quella che era una vecchia Fiat 500 bianca, di quelle che negli anni ’60 avevano rappresentato l’Italia in tutto il mondo. La riconobbe perché l’aveva giù vista in una foto in bianco e nero, ma dal vivo la trovò sorprendentemente simpatica, come se si trattasse di una persona che le veniva presentata e che trovava amichevole al primo sguardo. Era buffa in mezzo a tutte le altre auto super moderne e sportive, alcune delle quali lei non aveva mai nemmeno visto.

 

<< Scommetto che quella la conosci >> disse Dan, quasi orgoglioso, mostrando la 500 come se di trattasse di una Ferrari, << Fiat 500 del ’66, con gli interni addirittura in simil-pelle, una rarità. La sto restaurando, quando avrò finito sarà un capolavoro >>.

 

Irina si lasciò scappare un sorriso, osservando i fari tondi come due occhietti della macchina, e i baffi cromati sul muso davanti.

 

<< E poi c’è una Lancia Delta del ’90, quella con gli adesivi >> continuò Dan, sventolando la mano estasiato dalle sue stesse auto, << Una Alfa 147 modificata, una Ferrari 348 del ’93… L’ultima arrivata è quella, un’Alfa Romeo Mi.To, già pronta per correre >>.

 

Irina guardò le varie macchine, accorgendosi che avevano tutte una linea particolarmente gradevole. Gli italiani erano bravi in fatto di auto, soprattutto per quanto riguardava il desing… Poi ricordò che uno dei motivi per cui aveva scelto la Punto era proprio la bellezza.

 

<< Questo è il mio garage >> concluse Dan, allargando le braccia per mostrare tutte le macchine, << Che ne dici? >>.

 

Irina sorrise di nuovo, individuando la Grande Punto simile alla sua parcheggiata in fondo, il cofano aperto sul motore che sembrava ancora non essere stato modificato. A differenza della sua, però, la vernice era blu metallizzato e i fari leggermente bruniti. Molte parti erano ancora quelle originali, e forse a parte il nome non aveva nulla in comune con la sua Punto.

 

<< Bé, sono senza parole >> disse Irina, poi indicò la Fiat, << E’ quella l’auto di cui mi parlavi, vero? >>.

 

<< Sì >>, Dan si avviò verso la Punto, << Ma come vedi è ancora in fare di costruzione. Prenderò qualche spunto dalla tua, se mi dai il permesso di darle un’occhiata >>. Ammiccò amichevolmente.

 

<< Fai pure >> disse Irina, notando in mezzo alle altre un’auto particolare, che catturò la sua attenzione. Si avvicinò.

 

Era un’Alfa Romeo, color rosso rubino metallizzato, compatta, dalla linea fluente e originale, con i fari contornati da bordini cromati: una 8C Competizione, arrivata dritta dritta dall’Italia.

 

Irina ricordò di averla già vista su Internet, ma l’aveva sempre immaginata più grande: dal vivo era più piccola, meno imponente di quanto aveva creduto, però le trasmetteva un’incredibile sensazione di velocità e agilità. Cercò di guardare dentro, ma i vetri erano oscurati e non le permettevano di scorgere come fosse all’interno.

 

<< Alfa Romeo 8C Competizione >> disse Dan, notando il suo interesse, << Prodotta in soli 500 esemplari, esclusiva quanto una Ferrari, se non addirittura di più >>. Passò una mano sulla carrozzeria luccicante, gli occhi che brillavano: doveva essere una delle sue auto preferite.

 

<< Come te la sei procurata? >> chiese Irina, guardandolo stupita.

 

Dan si strinse nelle spalle. << L’ho trovata in uno spaccio di auto rubate >> rispose, << Così l’ho comprata. L’ho pagata anche poco: non la voleva nessuno… Se vuoi salire è aperta >>.

 

Irina aprì delicatamente la portiera dell’auto, infilandosi dentro. I morbidi sedili in pelle rossa erano avvolgenti, il logo impresso a caldo sul poggiatesta, il cruscotto in fibra di carbonio nero e con le spie colorate in quel momento spente; i bocchettoni dell’aria cromati e il volante a tre razze ricoperto anch’esso in pelle. Nel complesso, tutto sportivo al punto giusto.

 

Quell’auto le piacque subito: non era troppo grande, come potevano esserlo una Ferrari o Lamborghini, e le diede una sensazione immediata di padronanza, nonostante non l’avesse nemmeno accesa. Come facilità di guida doveva avvicinarsi molto alla Punto.

 

“Forse sarebbe un’ottima sostituta, in caso di bisogno…” pensò, poi aggiunse: Naaah, nessuna è come la mia Punto”.

 

Scese, guardando i cerchi in lega diamantati, poi cercò con lo sguardo Dan: aveva la testa infilata nel cofano della sua Grande Punto.

 

<< Ma che motore è, questo?! >> lo sentì esclamare, la voce stranamente soffocata, << Ecco perché riuscivi a superare i duecentocinquanta come niente… >>.

 

Irina si avvicinò, ricordando all’improvviso di non avergli mai detto che la sua Punto aveva il motore di una BMW…

 

<< Il mio meccanico ha dovuto farle una modifica un po’ particolare, qualche anno fa… >> spiegò lei, guardandolo mentre metteva le mani sulla scatola del turbo, << Sono rimaste delle componenti originali, ma il motore è quello di una M3… >>.

 

Dan fischiò. << Ahi, ahi… Per un purista come me, questo è un sacrilegio >> borbottò, << Non si può avere un’auto italiana con un motore tedesco. Però mi incuriosisce… Come mai questa modifica? >>.

 

Leggermente rabbuiata, Irina riportò alla mente ciò che era successo.

 

<< Ho avuto un incidente, e la macchina ne è uscita distrutta >> rispose, variando un po’ i fatti, << Ha preso fuoco, e il motore è andato perso… Mi serviva in fretta, così ho fatto montare il motore di un’altra macchina che avevo a disposizione in quel momento. Non potevo aspettare i ricambi >>.

 

Dan inarcò un sopracciglio. << E usare direttamente la M3? >> fece.

 

Irina sorrise. << Era una questione di principio… Volevo la mia auto >>.

 

Dan sembrò accettare la risposta, gettandole un’occhiata perplessa.

 

<< , come cosa non mi fa impazzire, però l’estetica non è male >> disse, tornando a guadare la Punto, << Prenderò spunto dalla tua, per modificare la mia… Vieni, ti spiego quello che devi fare per l’incarico che ti hanno dato. Meglio passare alle cose serie, altrimenti poi se la prendono con me  se arrivi in ritardo >>.

 

La condusse verso il bagagliaio della piccola 500, che poi non era altro che il cofano anteriore, come si usava una volta, e lo aprì. Tirò fuori un pacco rettangolare, avvolto in carta marrone e ben sigillato con del nastro adesivo.

 

<< Buraschenko vive in un bel palazzo nel centro della città >> spiegò Dan, << Ed è il nostro ministro dell’interno… Ma lasciamo stare i dettagli. Quello che devi fare tu è consegnargli questo, seguendo passo passo quello che ti dirò: la procedura è semplice, ma deve essere corretta, altrimenti la consegna non va a buon fine >>.

 

<< Ok, ti ascolto >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 18.00 – Mosca

 

Irina fermò la Punto esattamente dove Dan gli aveva indicato, lasciandola in un vicolo buio e vuoto, dove le era stato assicurato che nessuno l’avrebbe toccata. Afferrò la valigetta in cui era stato infilato il pacco di coca e scese dall’auto, gettando una rapida occhiata all’alto palazzo che si parava dall’altra parte della strada, nel pieno centro di Mosca.

 

Faceva molto freddo, come al solito, e il buio era già sceso per le vie della città. L’edificio a cui era diretta aveva l’aria di essere piuttosto lussuoso, con le balconate sorrette da sculture antiche e piccoli capitelli in marmo bianco, molto antichi. Le alte finestre, con pesanti tende pregiate, erano illuminate. A una era affacciato un uomo, che teneva gli occhi puntati su di lei, studiandola attentamente.

 

Rimase trenta secondi ferma sul ciglio della strada, come le aveva detto Dan, per permettere al tizio, che altri non era che una delle guardie del corpo di Buraschenko, di identificarla: doveva solo fare finta di telefonare al cellulare e passeggiare avanti e indietro per due volte, con un per un esatto numero di passi.

 

Irina prese il telefono, lo portò all’orecchio e poi tornò sui suoi passi; si voltò di scatto e ne fece altri tre, poi guardò dritto dritto verso la finestra: l’uomo la fissò ancora un istante, poi le fece un cenno con il capo. Era il segnale che poteva passare.

 

Chi faceva le consegne naturalmente non poteva passare dalla porta principale, dove c’era una coppia di poliziotti a fare sempre la guardia, ma doveva entrare da quella di servizio, collegata con la scala antincendio. Irina imboccò una piccola viuzza buia, al lato del palazzo, e raggiunse l’ingresso.

 

Una volta davanti ai battenti, Irina li trovò aperti. Si infilò dentro, e risalì rapidamente la scala metallica fino al terzo piano, sentendo solo i suoi passi rimbombare leggeri sulla lamiera, e il battito leggermente più rapido del solito del suo cuore. Anche se doveva essere una cosa facile, provava un minimo di apprensione.

 

Una volta sul pianerottolo, di fronte alla porta antipanico, si fermò e riprese fiato, il pacchetto ben stretto in mano. Poi bussò per quattro volte, a intervalli sempre più lunghi, e attese.

 

Poco dopo uscì il Ministro Buraschenko in persona, il completo blu scuro e l’espressione da politico navigato; dietro di lui intravide la guardia del corpo di prima, che la scrutava feroce, forse insospettito dal fatto che non era la solita persona a effettuare la consegna.

 

Buraschenko le rivolse un’occhiata poco più che incuriosita e Irina gli porse la valigetta, senza che si dicessero nulla come era stato stabilito. Il tutto doveva avvenire nel più completo silenzio, per evitare che la loro conversazione venisse registrata da qualche microspia nascosta, di cui né il politico né la sua guardia erano al corrente, messa lì dalla polizia con lo scopo di proteggerlo. Come se ne avesse bisogno…

 

Il russo aprì rapidamente la valigetta, controllò che ci fosse tutto, poi le passò una busta di carta bianca piuttosto pesante che conteneva il denaro. Irina non controllò se ci fosse tutto, perché Dan le aveva detto di non farlo: Buraschenko si sarebbe offeso e poteva credere che non fosse venuta da parte delle solite persone.

 

Il politico le rivolse un’altra occhiata, poi tornò da dove era arrivato insieme alla sua guardia, lasciandola sola per le scale, nel più completo silenzio.

 

, è stato più facile di quanto avrei immaginato. Nikodim voleva solo spaventarmi, allora”, pensò, mentre scendeva di sotto. Notò una videocamera di sorveglianza appesa al muro, ma sapeva che in quel momento era spenta: la guardia del corpo di Buraschenko la spegneva il tempo necessario per la consegna.

 

Risalì sulla Punto, ora molto più rilassata, e fece retromarcia. Mentre usciva lentamente da vicolo, per vedere se passava qualcuno, una Subaru Impreza nera le passò davanti a velocità sostenuta, sparendo subito dopo oltre l’angolo della strada, facendola tornare di nuovo deserta.

 

Irina rimase a fissare qualche istante il punto in cui era sparita l’auto, incuriosita. Quella era sicuramente la stessa Impreza che aveva visto la sera della sua gara: aveva le stesse strisce gialle sul cofano. Chissà cosa ci faceva da quelle parti…

 

Mentre ripercorreva la strada diretta al garage di Dan, per portargli i soldi, si chiese chi fosse il tipo che guidava la Subaru, e cosa avesse a che fare con Dimitri. Perché sicuramente il russo le nascondeva qualcosa anche su quella faccenda…

 

<< Visto, non è stato troppo difficile >> fece l’italiano, vedendola rientrare, << E’ filato tutto liscio come sempre. Stasera darò i soldi a Nikodim e vedremo se sarà soddisfatto… Ma da quello che ho capito, non gli sei molto simpatica, quindi non sarà particolarmente contento del risultato della tua missione >>. Ammiccò, divertito.

 

<< No… >> borbottò Irina, poi le venne in mente una cosa: aveva davanti qualcuno che sicuramente conosceva qualcosa in più su Dimitri, e che non era un russo. Forse avrebbe avuto la lingua più sciolta, visto che sembrava decisamente più amichevole…

 

 << Senti >> continuò, avvicinandosi, << Forse tu che sei di queste parti da diverso tempo, puoi aiutarmi a capire una cosa… Più che altro si tratta di una curiosità >>. Assunse un’aria noncurante, per fargli capire che la questione era si scarsa importanza per lei.

 

Dan la guardò interessato.

 

<< Dimmi >>.

 

<< Per caso sai qualcosa del passato di Dimitri? >> chiese Irina, appoggiandosi alla Punto e soppesando le parole, << Intendo dire: da quello che ho capito, deve guardarsi le spalle da qualcuno. Come mai? Ne sai niente? >>.

 

Dan assunse una strana espressione, come se in qualche modo si fosse già posto quella domanda.  << A dir la verità, non so molto di lui >> rispose, << Su questo aspetto, intendo. Quando sono arrivato da queste parti, qualche anno fa, lui viveva a Los Angeles… E qualsiasi cosa sia successa prima, nessuno dei russi che stanno qui è disposto a parlarne >>.

 

<< Perché? >> domandò Irina. Non gli sembrava che Dan stesse mentendo, e sembrava curioso quanto lei.

 

<< L’unico che può parlare del suo passato è Dimitri stesso >> rispose il ragazzo, << Rispettano una sua richiesta, da quello che ho capito. Lui non vuole che altri sappiano cosa è successo, o semplicemente ama essere riservato >>. Fece spallucce.

 

Irina rimase in silenzio, delusa. A quanto pare Dimitri non voleva proprio che il suo passato venisse a galla… Gettò un’altra occhiata a Dan, chiedendosi se stava mentendo… Poteva anche lui rispettare la richiesta del russo, di non parlare.

 

<< Ora voglio farti io una domanda >> la richiamò l’italiano, mostrando un sorriso. << Come sei riuscita a farti accettare da lui? Di solito non si accompagna mai con nessuna… La gente è più curiosa di sapere esattamente chi sei, che di quello che vuoi fare. Quando mai si è visto Dimitri con una ragazza al seguito? >>. Sembrava quasi lo stesse prendendo in giro.

 

<< Oh… >> Irina gli rivolse un’occhiata, leggermente imbarazzata, << , non c’è niente tra me e lui, se è questo che intendi… Ci conosciamo da molto tempo, visto che era il migliore amico di William: per questo mi tollera, altrimenti mi avrebbe già mandato a quel paese >>. Sorrise, anche pensando alla faccia di Xander se fosse stato presente.

 

Dan sembrò divertito. << Già… Dimenticavo che sei la donna di Challagher. Non credo che Dimitri si metterebbe mai contro l’unica persona con cui ha legato un minimo, in questi anni >>.

 

Irina si trattenne dal prodursi in una smorfia. “Mi sa che ti sbagli… Ti stupirebbe sapere che è anche merito suo se William è in carcere”.

 

<< Sembri conoscerlo molto bene, anche se non sai niente del suo passato… >> commentò lei, sempre con noncuranza. Forse poteva scoprire comunque qualcosa di interessante, indagando sulla personalità di Dimitri.

 

<< Tutti lo conoscono, qui >> disse Dan, << Sanno come è fatto: è un russo un po’ atipico, anche se non sembra. Molti dei suoi stessi connazionali non lo capiscono, ma nessuno osa giudicare quello che fa. E’ un pezzo di ghiaccio, ma credimi, il rispetto che gli portano se l’è meritato tutto >>.

 

L’ultima frase fece capire a Irina che Dan aveva mentito: in realtà, qualcosa sapeva, ma non era autorizzato a parlare. Forse temeva che Dimitri si vendicasse, e in effetti c’erano ampie possibilità che lo facesse, visto il tipo.

 

Gli rivolse un’occhiata, poi annuì e risalì in macchina, dubbiosa.

 

Più andava avanti, più il profilo di Dimitri si faceva confuso: quando sarebbe riuscita a cogliere qualcosa su di lui?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 22.00 – San Pietroburgo, Park Tikhiy

 

Xander fermò la Porsche Cayman blu che era riuscito a recuperare nel garage dei poliziotti russi nel bel mezzo di un piazzale gremito di gente imbacuccata e illuminata dalla fioca luce dei lampioni in ferro battuto di Park Tikhiy, senza che nessuno lo degnasse di un’occhiata. Diverse belle auto di lusso erano parcheggiate in disparte, vicine ai proprietari che fumavano tranquilli grossi sigari, e si rese conto che aveva fatto bene a insistere per cambiare la Scirocco: non avrebbe proprio fatto una bella figura…

 

Scese dalla macchina guardandosi intorno, per individuare qualche faccia conosciuta. Ermil non sembrava esserci, e nemmeno Nina.

 

<< Già qui, americano? >>.

 

Xander si voltò di scatto: non si era accorto che una Audi TT bianca si era appena fermata di fianco a lui, silenziosissima. Nina, avvolta nella sua vaporosa pelliccia immacolata, lo guardava sorridente, gli occhi azzurri che brillavano, i boccoli biondi adagiati sulle spalle.

 

Il fatto che la russa avesse una Audi TT lo colpì inspiegabilmente: la stessa auto di Irina, ma di un colore totalmente opposto. Nina l’aveva scelta bianca, vistosa, appariscente e, per così dire, “impegnativa”; Irina l’aveva preferita nera, più discreta, in linea con la sua intenzione di non voler farsi notare.

 

Sorrise, mentre nella sua testa si formava un pensiero: “Me lo sarei dovuto aspettare, che avesse qualcosa in comune con Irina”.

 

<< Perché stai sorridendo? >> domandò Nina, guardandolo e avvicinandosi. Xander riuscì a sentire il suo profumo dalle note speziate.

 

<< Niente… Notavo l’auto >> rispose lui, accennando alla TT, << Le ragazze che fanno parte di questi giri hanno gusti molto simili >>.

 

<< Perché? >> domandò Nina, senza capire.

 

<< Non è la prima TT che vedo >>.

 

Nina assunse un’espressione infastidita, come se scoprire che non era l’unica ad avere quel tipo di auto fosse sgradevole. Poi però tornò alla sua solita faccia angelica.

 

<< E io noto che hai cambiato macchina >> commentò, passando una mano sulla Cayman, << Sei come tutti gli uomini che conosco: orgoglioso. Piccato dal fatto che abbia giudicato la tua auto “ordinaria”, vero? >>. Ghignò, muovendosi intorno alla Porsche con fare aggraziato.

 

Xander non potè fare a meno di farsi scappare un sorriso: quella ragazza aveva il vizio di provocare la gente.

 

<< Non ho bisogno di dimostrare nulla, con la macchina che ho >> rispose lui, deciso a stare al gioco, << Potrei vincere anche con un macinino a pedali >>.

 

<< Ma quanto siamo sicuri di noi stessi… >> fece Nina, continuando a mostrare i suoi denti bianchissimi, girando intorno alla macchina ondeggiando, << Avanti, dimostrami cosa sai fare, americano. Se riesci a colpirmi, dopo ti porto in un posto che potrebbe piacerti… >>.

 

Nina si allontanò dandogli le spalle, ma non senza rivolgergli un’ultima occhiata abbastanza languida. Xander si allarmò: non è che aveva strane idee, per la testa?

 

Portò la mano al collo, dove teneva appesa la catenina che anni prima era stata di Irina, con il ciondolo a forma di quadrifoglio che avrebbe dovuto portarle fortuna, e a cui lui aveva aggiunto la fedina d’oro bianco, identica a quella che lei portava al dito, simbolo del loro legame indissolubile.

 

Improvvisamente, sentì la sua mancanza: il suo profumo, il suo modo di fare dolce e anche le coccole che gli riservava quando stavano insieme, le sue labbra morbide e l’odore della sua pelle… Quella Nina poteva anche essere bellissima, ma Irina era l’unica ad avergli davvero trafitto il cuore, e non avrebbe voluto nessun’altra. Conosceva bene il significato di fedeltà, e non lo avrebbe dimenticato nemmeno in missione.

 

<< Preparati, americano >>.

 

Un russo dall’aria bellicosa gli indicò la linea di partenza, dove c’erano schierate diverse auto di lusso. Xander risalì sulla Porsche e si posizionò, in attesa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 22.00 – Mosca

 

Irina guardò perplessa il grande edificio che si stagliava davanti ai suoi occhi, illuminato a giorno da luci al neon bianche e azzurrine, che facevano brillare le carrozzerie delle auto parcheggiate alle sue spalle, nel piazzale adiacente.

 

Non aveva mai immaginato che un casinò potesse essere così grande, anche se era stata diverse volte a Las Vegas e ne conosceva bene i locali. Il Black Diamond li superava tutti, forse anche perché era l’unico della zona, ed era quello che faceva da principale luogo di divertimento dei russi annoiati e pieni di soldi.

 

Era assolutamente gigantesco, e doveva contare almeno una decina di piani. L’edificio era stato costruito tutto in vetro, ma dall’esterno non era possibile vedere niente perché era stato oscurato, ma sul tetto si intravedevano le luci colorate del bar all’ultimo piano, che doveva avere la vista su tutta Mosca.

 

Si strinse nel cappotto nero che era stata costretta a comprare per essere un minimo elegante come richiedeva l’occasione, e trasse un sospiro profondo per entrare nella parte. La guardia all’ingresso le gettò un’occhiata perplessa.

 

Nikodim era stato soddisfatto del suo lavoro, e questa volta l’aveva autorizzata a far parte di uno dei loro incontri. Molto probabilmente ci sarebbe stata gente importante, se non tutti i Referenti al completo.

 

Dimitri non c’era; quando aveva saputo che il Black Diamond sarebbe stato il luogo della loro prossima riunione, aveva deciso di andarci per i fatti suoi in un secondo momento. Come scusa aveva addotto che doveva sbrigare una faccenda, ma Irina non gli aveva creduto. In silenzio aveva accettato la decisione, ma si era premurata di lasciare il pc portatile acceso con il programma di Jess in funzione: avrebbe saputo dov’era andato.

 

Si avvicinò all’ingresso, il rumore dei tacchi attutito dal tappeto di velluto, e la guardia domandò qualcosa in russo. Lei fece cenno di non aver capito.

 

<< Nome >> borbottò l’uomo, intuendo fosse straniera.

 

<< Irina Dwight >> rispose lei, poi aggiunse: << Fenice >>.

 

L’uomo annuì e le fece cenno di entrare.

 

Una volta dentro, si ritrovò nella hall, immensa come si era aspettata. A destra c’era un bancone dove era possibile lasciare in custodia borse e giacche, mentre dall’altra parte, a sinistra, ci si procurava le fiches e tutto il necessario per giocare a una cassa dove le hostess sorridevano amabilmente alla gente vestita elegantemente e dall’aria aristocratica. Una grande porta ad arco si apriva su quella che doveva essere la Sala Bianca, quella dove era diretta lei, e ai suoi lati due enormi ascensori metallici portavano ai piani superiori. Il tutto, innegabilmente moderno e lussuoso, era illuminato da una luce chiara e non troppo forte che proveniva dai lampadari di cristallo appesi al soffitto.

 

Gettò una rapida occhiata intorno, constatando che molta della gente che stava lì faceva parte dell’alta borghesia russa, e diversi dovevano anche avere le mani in pasta nella politica, come le era stato detto precedentemente. C’erano anche molte donne, tutte avvolte in costosissime pellicce di visone ed ermellino, tutte con l’aria altezzosa e distaccata.

 

Lasciò il cappotto e la borsa al bancone d’ingresso, ma si mise il cellulare in tasca per averlo a portata di mano in caso di bisogno. Si accorse dell’occhiata incuriosita che la ragazza addetta al guardaroba le lanciò di sottecchi, come se si fosse accorta che non era della zona. In effetti, in quanto ad abbigliamento si capiva che non faceva sicuramente parte del gruppo delle giovani russe che erano appena entrate: pelliccia bianca, abitino scuro avvolgente e stivali con tacco a spillo, con coordinata la immancabile costosissima borsetta molto probabilmente piena di carte di credito. E per finire, erano tutte ulteriormente accomunate dalla lunga, lucida cascata di capelli biondo miele.

 

Forse in altre circostanze si sarebbe potuta sentire fuori posto, nei suoi pantaloni neri e camicia bianca, ma in quel momento aveva altro a cui pensare che farsi problemi sul suo abbigliamento poco provocante. E in ogni caso non voleva attirare l’attenzione infilandosi una minigonna e andando in giro praticamente in mutande.

 

Raggiunse la Sala Bianca, mentre il gruppetto di russe, dopo essersi procurato fiches in abbondanza, prese l’ascensore sulla sinistra, portandosi dietro la cagnara da gita scolastica che le circondava.

 

Una volta dentro, con stupore scoprì che in realtà non c’erano tavoli da gioco, slot machines o qualsiasi altra cosa avesse a che fare con i giochi d’azzardo; sembrava più una sorta di palestra o stadio, con un vero e proprio ring al centro, attorniato da centinaia di sedie che ospitavano russi eccitati e rumorosi e illuminato dai riflettori appesi al soffitto, vicino a un tabellone luminoso, spento.

 

Per un attimo credette di essere arrivata nel posto sbagliato. Incerta, rimase ferma all’ingresso, guardandosi intorno. In quel momento, sul ring stavano combattendo due russi grossi come armadi, in calzoncini e guantoni, dandosele veramente di santa ragione. La gente intorno gridava facendo il tifo, mentre l’arbitro osservava la scena per segnalare eventuali irregolarità.

 

Cosa centra tutto questo con Nikodim e gli altri?” pensò, dubbiosa.

 

Come in risposta alla sua domanda, vide comparire Dan, con la solita aria fuori posto che aveva quando stava in mezzo ai russi. Le sorrise e le si avvicinò.

 

<< Sei arrivata >> disse, << Vieni, devi sederti laggiù >>. Indicò le sedie vicino al ring, nelle prime file, in quel momento ancora vuote.

 

<< Allora non ho sbagliato… >> disse Irina, << Che ci facciamo qui? >>.

 

<< Nikodim e i suoi la frequentano abitualmente >> rispose Dan, mentre raggiungevano le sedie, << Ma non sono ancora arrivati. Si faranno vedere al termine di questo incontro >>.

 

Si sedettero, notando che in effetti la sala non era ancora tutta piena. I due russi sul ring continuavano a darsele, senza che Irina riuscisse a capire chi stesse veramente vincendo. Ma quello vestito di blu sembrava quello messo meno peggio.

 

<< Come mai vengono spesso qui? >> chiese Irina, gridando per sovrastare un boato che provenne dalle sue spalle.

 

<< Amano questo genere di sport >> rispose Dan, facendo spallucce, << E scommettono. E’ la loro principale attività, dopo le corse clandestine e la droga… >>.

 

Irina guardò i due russi che combattevano, uno dei quali stava per stramazzare al suolo. Distolse lo sguardo, infastidita da quella violenza che le sembrava particolarmente stupida. Cosa ci trovavano di divertente, era un mistero.

 

<< Hai visto Dimitri? >> domandò, per cambiare argomento.

 

<< No, ma sarà qui in giro. Non siete venuti insieme? >>. Dan sembrava poco interessato.

 

<< No >>.

 

Dall’altoparlante venne annunciato il nome del vincitore dell’incontro, e Irina si arrischiò a guardare: il russo più grosso, quello in calzoncini blu, aveva vinto, come le era parso prima. L’altro era steso al suolo, forse svenuto. L’arbitro lo stava schiaffeggiando.

 

<< E’ boxe? >> domandò, rivolta a Dan.

 

<< No, è più simile alla Kickboxing >> rispose l’italiano, << Non so dirti esattamente cosa sia, perché credo che se lo siano inventati qui… Praticamente non ci sono regole, se non che sono vietati colpi all’inguine. Per il resto, vale tutto: pugni, calci, prese. Vince chi non molla >>.

 

“Proprio nel loro stile…”.

 

<< Ma sono tutti così violenti, qui? >> chiese Irina, impressionata. A giudicare da quello che aveva detto, ci si poteva benissimo rimettere le penne.

 

<< Sono russi >> ribattè solo Dan, come se quello spiegasse tutto,  << Ah, ecco Nikodim… >>.

 

Nikodim si stava avvicinando attorniato da Yulian e Radim, i due cugini di Dimitri, l’espressione piuttosto infastidita. Era stato costretto ad ammetterla tra loro, alla fine, e la cosa chiaramente non gli faceva piacere.

 

Si sedette senza nemmeno salutarla nella fila di fronte alla sua, mentre gli altri due le fecero un cenno abbastanza amichevole per i loro standard, ma non aggiunsero altro.

 

Nel frattempo, un signore stava ripulendo il ring, in preparazione dell’incontro seguente. Fecero in tempo ad arrivare anche Ivan, Kazimir e Gavriil. Poi giunse Boris, accompagnato da una ragazza giovane e carina, e infine Emilian, lo sfregiato, che si sedette defilato in prima fila.

 

<< Guardiamo l’incontro e poi andiamo di sopra >> fu il commento di Nikodim, rivolto soprattutto a lei.

 

Irina annuì, chiedendosi perché mai dovessero assistere a quella cosa, visto che il russo sembrava farne a meno. Rimase zitta, in attesa.

 

<< Avete scommesso? >> chiese Ivan all’improvviso, rivolto un po’ a tutti quanti, mentre trafficava nelle tasche dei pantaloni.

 

<< Non ha senso… >> rispose Yulian, incrociando le braccia, << Sai già che Jusalov perderà… E poi le quotazioni sono basse >>.

 

<< Ma è un po’ che non combatte, magari… >> borbottò Ivan, dubbioso. Forse si era pentito della sua scommessa.

 

Yulian fece per dirgli qualcosa, ma Irina venne distratta dalla voce dello speaker che annunciava i due nuovi contendenti. Non riuscì a distinguere niente tra le parole in russo, tranne il nome del primo sfidante: un certo Donat Jusalov, che fece il suo ingresso con aria trionfale dal fondo della sala, un accappatoio scuro addosso, i guantoni rossi a fasciargli le mani e il naso che doveva essere stato rotto decisamente troppe volte, vista la sua forma irregolare. Al suo fianco lo seguiva quello che doveva essere il suo allenatore, un uomo basso e tarchiato vestito in giacca e cravatta.

 

<< Sono professionisti? >> bisbigliò Irina, rivolta a Dan.

 

<< Alcuni di loro sì >> rispose l’italiano, << Ma la maggior parte è gente che ha un minimo di allenamento e tanta voglia di fare a botte… >>.

 

<< … Se sa che gli hai puntato contro, ti ammazza… >> sentì dire Yulian, divertito.

 

Jusalov raggiunse il ring, ci salì sopra e alzò i pugni, scatenando la folla che gridò e applaudì più forte. Ci fu qualche istante tutto dedicato a lui, poi i riflettori si accesero nuovamente sull’ingresso, per illuminare il secondo contendente.

 

Irina rimase di sasso, quando si accorse di chi si trattava, e non poteva sbagliarsi perché lo speaker aveva pronunciato forte e chiaro il suo nome.

 

Dimitri, l’accappatoio nero a nascondere le sue cicatrici, avanzò solo, a passo rapido e lo sguardo basso di chi è infastidito da tutte quelle cerimonie, come se avesse decisamente evitato quell’ingresso trionfale. Portava i guantoni appesi al collo, e la sua espressione era talmente feroce che avrebbe spaventato chiunque.

 

Dapprima la gente sembrò stupita quanto lei, infatti per un paio di secondi regnò il silenzio più assoluto, poi una parte del pubblico, tra cui tutti quelli che le stavano intorno, scoppiò in un boato fragoroso, assordandola.

 

Dimitri salì agilmente sul ring, senza degnare di uno sguardo il suo avversario, che sembrava poco intimorito da lui, e si tolse l’accappatoio, mettendo in mostra le decine di cicatrici che gli sfregiavano il busto. Anche lui portava dei calzoncini, neri come l’accappatoio, e sembrava essere in forma, a giudicare dai muscoli ben allenati. Emilian lo raggiunse e parlò per qualche istante con lui, come una sorta di allenatore mancato.

 

Solo in quel momento Irina si riprese dalla sorpresa.

 

<< Ma cosa fa?! >> gridò, allarmata, guardandolo prendere confidenza con i guantoni. Qualcuno le rivolse un’occhiata perplessa.

 

<< Combatte >> fu la risposta divertita di Gavriil.

 

Irina fissò prima Jusalov, alto, grosso come un toro e dall’aria davvero assassina; poi guardò Dimitri, muscoloso, gelido come il ghiaccio, e pieno di quelle assurde cicatrici che chissà come si era procurato… E il primo pensiero che le venne in mente fu che quel russo lo avrebbe fatto a pezzi.

 

<< Bisogna fermarlo! >> gridò, saltando in piedi.

 

Dan la afferrò per un braccio. << Dove vuoi andare?! >>.

 

<< Quello lo ammazza! >> esalò Irina, sventolando la mano, << Lasciate che lo riduca a pezzi?! >>.

 

Nikodim si voltò verso di lei, stizzito, mentre gli altri si limitavano a guardarla divertiti o distaccati.

 

<< Se ti avvicini a quel ring, è lui che ammazza te >> sibilò, gelido.

 

Irina rimase ferma, in piedi, e vide Dimitri gettare una rapida occhiata dalla loro parte. I loro sguardi si incrociarono per una frazione di secondo, abbastanza per farle notare il fastidio negli occhi del russo.

 

<< Ma… >> mormorò.

 

Dan la tirò a sedere.

 

<< Guarda che non è certo la prima volta che combatte >> disse, e sembrava molto divertito, << Non si farà ammazzare, se è questo che temi >>.

 

Irina rimase zitta, senza sapere bene come comportarsi. Non poteva non ammetterlo: era un po’ preoccupata per quello che stava per succedere, anche se si trattava di Dimitri, il russo che fino a quel momento l’aveva mal sopportata. Non poteva certo definirlo simpatico o gentile, ma era da stupidi farsi del male in quel modo, senza un motivo, e a lei la cosa non piaceva affatto.

 

Improvvisamente però capì perché William aveva sempre usato Dimitri come il suo “persuasore” personale.

 

<< Non ti intromettere negli affari di Dimitri, se non vuoi passare dei guai con lui >> disse Dan, ora serio, << E soprattutto, non dirgli mai cosa deve fare >>.

 

Irina tornò a guardare il ring, mentre i due russi si fissavano in cagnesco, pronti a darsele di santa ragione. Sentì una stretta allo stomaco, una strana apprensione salirle addosso…

 

“Lo so, è insopportabile, freddo e distaccato, ma mi dispiacerebbe se gli accadesse qualcosa… In fondo, mi ha pur sempre salvato la vita, due anni fa”.

 

Già… Improvvisamente ricordò che era anche per merito di Dimitri se si trovava lì, viva e vegeta, e a rischiare consapevolmente la vita per portare a termine una missione… Durante la loro convivenza non ci aveva mai pensato, lo aveva sempre guardato con sospetto, pensando che da un momento all’altro potesse tradirla…

 

Per un attimo si sentì un’ingrata, ma poi si riprese. In fondo, aveva rispettato i suoi spazi e aveva sopportato le sue frecciatine… Che altro poteva fare? Grazie glielo aveva già detto…

 

<< Spero solo che non si faccia male… >> mormorò, e Dan le gettò una strana occhiata. Forse era da lì che arrivavano le sue cicatrici…

 

Suonò l’inizio del primo round, e Irina sentì la morsa allo stomaco crescere: non era pronta per vedere Dimitri e quell’altro Jusalov farsi violentemente a pezzettini. Ma non potevano scegliersi un altro sport?

 

I due russi si fronteggiarono in silenzio, un ghigno dipinto sul volto di Jusalov, una maschera di ghiaccio quello di Dimitri. Stavano in posizione di difesa, i pugni alzati, le spalle raccolte.

 

“Qui sono tutti fuori di testa…”.

 

Fu Jusalov a cominciare, mirando un dritto allo stomaco di Dimitri, che il russo schivò con facilità; poi passò a una serie di colpi in rapida successione, senza riuscire a prenderlo.

 

I due si scambiarono qualche parola, e dal tono sembrava che Jusalov lo stesse provocando. Dimitri lo ignorò, però fece una smorfia come divertito: forse considerava tutto patetico.

 

Infatti, senza che Irina lo prevedesse, lo prese dritto dritto nello stomaco, strappandogli un gemito e facendolo piegare in due; rimase a guardare la sua faccia, invitandolo a parlare ancora.

 

A quel punto, Jusalov si scatenò come un vero e proprio toro alla vista di un drappo rosso. Iniziò a menate colpi a destra e sinistra, con una forza degna davvero di un animale, saltando addosso a Dimitri come una furia.

 

Irina si morse il labbro di fronte alla scena, sussultando quando vide che Dimitri era stato preso in piena faccia, abbastanza forte da rompergli la mandibola. Il russo si liberò della stretta in cui era stato intrappolato e si riservò un momento per stiracchiarsi il collo.

 

All’improvviso, sul volto dell’ex Mastino si disegnò un’espressione che Irina non gli aveva mai visto: un vero e proprio ghigno, gelido ma divertito.

 

Un attimo dopo, erano di nuovo l’uno addosso all’altro, mentre iniziavano a volare anche calci ad altezza delle gambe. Irina iniziò a sentire lo stomaco ormai chiuso in una morsa di ferro, e la voglia matta di andare la e dividerli. Solo che aveva capito che se si fosse azzardata a farlo, Dimitri avrebbe provveduto a cercare una tomba adatta…

 

<< Lo ammazza… Lo ammazza… >> mormorò di nuovo, vedendo il naso di Dimitri perdere sangue, esattamente come quello di Jusalov. A giudicare dalle grida di divertimento della folla, era l’unica che vedeva la drammaticità della scena.

 

<< No che non lo ammazza >> la rassicurò Dan, con una punta di divertimento, << Davvero non lo conosci… Stai tranquilla, lo ritrovi tutto intero >>.

 

Di fronte al destro che Dimitri si beccò in pieno stomaco, Irina ebbe qualche dubbio. Cercò di pensare che in fondo si trattava di uno stupido incontro di arti marziali, che nessuno avrebbe ammazzato nessun’altro, ma le venne da distogliere lo sguardo. Provò una fitta piuttosto dolorosa, di fronte al sangue che colava dal naso di Dimitri.

 

<< Quando hanno finito, dimmelo >> borbottò, rivolta a Dan.

 

<< Ok >> sghignazzò lui.

 

Fissò il pavimento ai suoi piedi, cercando di distrarsi, anche se con la gente che esultava di fianco era difficile.

 

“Devo pensare a qualcosa… Qualcosa… Xander! Dov’è, cosa starà facendo, starà bene?”. Assurdamente, non riuscì a rincuorarsi, anzi: la stretta allo stomaco si rafforzò ancora di più, come se avesse un brutto presentimento anche su di lui… “Uno si fa ammazzare da questa parte a suon di botte, e l’altro su un’auto in mezzo ad una gara clandestina… Cavolo, dovrei esserci abituata, a queste cose!”.

 

Alla fine si decise a guardare, perché la folla stava gridando estasiata, e molto probabilmente uno dei due se la stava vedendo davvero brutta.

 

Con sollievo, notò che Jusalov era inginocchiato a terra, tenendosi lo stomaco, Dimitri ancora in piedi a guardarlo contorcersi dal dolore…

 

“Forse hanno finito”.

 

Con uno scatto, però, Jusalov si tolse un guantone gettandolo di lato, e afferrò Dimitri per una caviglia, riuscendo a tirarlo a terra con violenza e gettandosi sopra di lui. Irina si morse di nuovo il labbro, mentre la folla gridava.

 

<< Ma non vale! >> sbottò lei, preoccupata, << E’ senza un guanto… >>.

 

<< Te l’ho detto, vale tutto >> disse Dan, << Anche questo >>.

 

Avvinghiato sotto il corpo di Jusalov, Dimitri si sfilò anche lui i guanti e con una forza inaudita alzò il russo, buttandolo di lato. Poi gli rifilò una gomitata nello stomaco, facendolo piegare per il dolore, e infine lo afferrò per il collo, tenendolo fermo in ginocchio.

 

Rimasero qualche secondo in quella posizione, poi Jusalov alzò una mano per fare cenno di essersi arreso. L’arbitro fischiò la fine dell’incontro, e Dimitri lo lasciò andare, allontanandosi rapidamente da lui. Senza celebrare la sua vittoria scese dal ring a testa bassa e se ne andò, mentre la folla del settore di Irina applaudiva sonoramente.

 

<< Te l’ho detto che vinceva… >> disse Yulian, mentre lei si alzava di nuovo per vedere dove andava il Mastino, ora più tranquilla.

 

Se McDonall avesse saputo quello che aveva appena fatto, non ne sarebbe stato contento: Dimitri non era autorizzato a prendere parte a quel genere di incontri, soprattutto senza avvertire, e non era nemmeno autorizzato a mettere in pericolo la sua vita in cose così stupide.

 

Il fastidio prese il posto dell’apprensione, e Irina si arrabbiò. Non poteva comportarsi così, fare sempre quello che voleva senza discuterne con lei o almeno avvertirla, e poi pretendere che si comportasse da brava bambina, senza combinare casini. Ok, conosceva la zona, conosceva la gente, ma questo non gli permetteva di infischiarsene altamente di quello che pensava lei, o ancora peggio di quello che voleva. Fino a prova contraria, era lei la titolare della missione, e questo presupponeva che Dimitri rispondesse ai suoi ordini. Forse era il caso di mettere in chiaro le cose una volta per tutte. Il limite piuttosto elevato della sua pazienza era stato superato.

 

<< Devo andargli a parlare >> borbottò, attraversando la sala mentre veniva preparato l’incontro seguente. Fece finta di non sentire Dan che gli chiedeva cosa volesse fare e percorse la strada che aveva fatto Dimitri, all’incontrario, per arrivare in un lungo corridoio sul quale si aprivano numerose porte, quasi deserto, che sembrava quello di un dietro le quinte televisivo stranamente vuoto.

 

C’era una sola persona a controllare, un uomo tarchiato vestito in uniforme blu, così la raggiunse e domandò: << Sto cercando Dimitri Goryalef, dov’è? >>. Non gli interessava se sapeva o meno parlare inglese, in quel momento.

 

L’uomo le rivolse un’occhiata stranita, poi rispose inciampando nelle parole: << Ultima porta, in fondo >>. Indicò con il dito.

 

Irina annuì e la raggiunse, a passi rapidi. Non si rese nemmeno conto di essere negli “spogliatoi” dei concorrenti al ring.

 

“Adesso mi sente, non può comportarsi in questo modo da irresponsabile…”.

 

Spalancò la porta senza tanti complimenti, sorprendendo Dimitri di spalle allo specchio, ancora in calzoncini da combattimento, l’asciugamano sulle spalle macchiato di rosso. Stava esaminando una brutta abrasione che aveva sul fianco, ma appena la vide entrare distolse lo sguardo e lo puntò su di lei, gli occhi grigi spalancati.

 

<< Tu! >> gridò Irina, puntando il dito contro di lui, inviperita, << Sei impazzito, per caso? Cosa ti salta in mente di metterti a fare a botte su un ring, per di più senza avvertirmi? Ti sembra discrezione, questa, eh? >>.

 

La faccia di Dimitri passò dal gelido al furioso nel giro di un attimo. Qualunque cosa avesse detto, lo aveva appena fatto arrabbiare sul serio.

 

<<Sta zitta, cazzo >> ringhiò, sbattendo violentemente la porta che lei aveva lasciato aperta, << Chi ti ha autorizzato a entrare qui dentro? Vattene immediatamente >>. Il suo tono non sembrava ammettere repliche.

 

<< No che non me ne vado >> sbraitò Irina, fregandosene altamente di avere appena violato la sua privacy, e persino della sua occhiata assassina, << Hai altre sorprese da farmi, oltre a questa? Devo aspettarmi che entri anche a far parte di un commando per far fuori qualcuno, eh? So benissimo che mi nascondi qualcosa, e qualunque cosa sia la voglio sapere, adesso >>.

 

La faccia di Dimitri sembrò virare quasi al divertito, di fronte al suo tono risoluto. Le gettò un’occhiata dall’alto in basso, poi ringhiò: << Esci di qui >>.

 

<< No >>.

 

Irina pronunciò quella parola con il tono secco, duro, ma sapeva benissimo che se Dimitri voleva poteva prenderla, accartocciarla come un sacchetto di patatine e sbatterla fuori dalla stanza in un batter d’occhio; e dalla sua faccia, sembrava pronto e decisamente desideroso di farlo.

 

<< Cosa credi che ti stia nascondendo? >> domandò lui, forse per distrarla prima di accartocciarla per davvero. Si tolse l’asciugamano dalle spalle e lo brandì come una mezza arma.

 

<< Con chi ti sei incontrato l’altra volta, quando ti sei recato al cimitero? >> chiese Irina, secca, tenendolo d’occhio per essere pronta a darsela a gambe.

 

Dimitri non cambiò espressione, come se sapesse già che era riuscita a scoprire dove era andato.

 

<< Non ho incontrato nessuno >> rispose, neutro.

 

<< Allora cosa ci sei andato a fare? >>.

 

<< Penso di avere il diritto di visitare i miei morti, non credi? >> fu la risposta gelida di Dimitri, << O ritieni che questo privilegio sia riservato solo a te? >>.

 

Nella voce del russo Irina colse solo profonda rabbia, e non dolore, a dispetto di quanto chiunque si sarebbe atteso. Parlando di “miei morti” si riferiva chiaramente a persone che facevano parte della sua famiglia.

 

<< Chi era il tipo della Subaru, l’altra sera? >> chiese lei, cambiando argomento visto che aveva ottenuto una risposta all’altro, << Lo sai, immagino >>.

 

Dimitri fece una smorfia. << Molto probabilmente Vladimir, o uno dei suoi amici >> rispose.

 

<< Perché c’è l’ha con te? >>.

 

<< Semplicemente perché io ce l’ho con lui >>.

 

Irina rimase interdetta, fissando la faccia di Dimitri: doveva essere davvero furioso, perché la vena sul suo collo pulsava visibilmente, quasi fino a farle impressione. Ma non poteva mollare ora che era talmente arrabbiata da riuscire a estorcergli qualcosa e forse a fargli capire che faceva davvero sul serio.

 

<< E perché? >>.

 

<< Non sono fatti tuoi >>.

 

<< Sono io che comando in questa missione, quindi rispondi alla mia domanda >>.

 

Dimitri inarcò un sopracciglio, e Irina si stupì di tutto quel coraggio da parte sua. Osava dargli degli ordini… Qualcuno che ci aveva provato era mai sopravvissuto, per raccontarlo?

 

<< Non accetto ordini da nessuno, Fenice >> ringhiò.

 

<< Allora ti faccio rispedire in carcere, visto che sembra che tu non sia particolarmente felice di stare qui >> ribatté Irina, sentendosi sempre più irritata per il suo comportamento.

 

<< Fallo. Non ho nessun problema. Tanto posso comunque riuscire a fuggire >>.

 

Irina si trattenne dal pestare i piedi per terra come una bambina, arrabbiata. La voleva sempre vinta lui…

 

<< Perché non ne vuoi parlare? >> chiese all’improvviso, un po’ meno irritata. Era inutile sbraitargli addosso, lo sapeva, e forse calmandosi avrebbe ottenuto qualcosa in più.

 

<< Perché non serve che tu sappia >> rispose Dimitri, voltandosi di spalle e mettendo in mostra le cicatrici, << E sapere non farà altro che farti cacciare nei guai, coinvolgendo anche me. Ti ho già detto che non centra niente con la missione, quindi puoi anche fare a meno di sapere >>. La guardò dallo specchio, gli occhi di ghiaccio.

 

<< Qui sembrano sapere tutti, tranne me >> ribatté Irina, esasperata, << Tutti ti conoscono, ti rispettano… Sanno quello che stai nascondendo a me. Chi diavolo sei veramente? >>.

 

Dimitri rimase in silenzio per qualche momento, fissandola. Poi fece una smorfia e disse: << E’ questo che ti interessa veramente? Vuoi sapere chi sono io per davvero? Non capisco come possa interessarti, visto che ai tempi di Challagher mi evitavi il più possibile >>. Sembrava rimpiangere la cosa.

 

<< Devo riuscire a fidarmi un minimo di te >> fu la risposta di Irina, e in effetti si trattava della verità.

 

<< Allora non è necessario che tu sappia >> rispose Dimitri, << Se ho detto che non vi tradirò, non lo farò, di questo stanne certa. E smettila di provocarmi, perché se la gente mi rispetta è perché sono uno che non ha paura di rimettere al suo posto la gente, chiaro? >>. Altro sguardo assassino.

 

Irina rispose con un’occhiata di fuoco.

 

<< E io non sono una che ama farsi gli affari degli altri, se non è strettamente necessario >> ribatté, mettendo in chiaro che non lo faceva per rompergli le scatole.

 

<< Potrebbe anche essere una dote, la tua >> commentò acido Dimitri, gettandosi di nuovo l’asciugamano macchiato di sangue sulle spalle.

 

Irina rimase a guardarlo mentre lui tirava fuori da un cassetto un paio di forbici e un flacone che doveva contenere del disinfettante o qualcosa di simile, silenziosa. Si rese conto che questa volta non aveva avuto paura di Dimitri, nonostante avesse osato rispondergli male e avesse rischiato di farsi veramente buttare fuori come un sacco di patate. C’era qualcosa in lui, in quel momento, che smise di intimidirla: forse era il fatto che ormai avevano bisticciato, e peggio di così non poteva andare, oppure era il sangue che vedeva colare dalla sua ferita che glielo mostrava più umano di quanto lo avesse mai visto.

 

<< E’ facendo questi stupidi combattimenti che ti sei procurato tutte quelle cicatrici? >> chiese, il tono basso.

 

<< I pugni non lasciano cicatrici… >> rispose Dimitri, gettandole un’occhiata carica di disprezzo, << Hai mai imparato che prima di entrare in una stanza bisogna bussare? Alla terza volta non sarò così paziente, chiaro? >>.

 

Irina lo guardò voltarsi di nuovo verso lo specchio, cercando di esaminare lo sbrego sulla schiena. Non era semplice, perché era un punto difficile da raggiungere con le mani, e doveva sicuramente almeno essere disinfettato. Per una frazione di millesimo di secondo, Irina si ritrovò a pensare che gli faceva quasi, ma solo quasi, tenerezza: non le avrebbe mai chiesto aiuto, nemmeno se ne fosse andato della sua stessa vita.

 

<< Vuoi che ti dia una mano? >> domandò lei, seria.

 

Dimitri la guardò. << No >> rispose, << L’unica mano che puoi darmi è uscire di qui e smettere di comportarti come la mia stupida e infantile ragazza… Che bisogno c’era di alzarsi in mezzo al pubblico e fare tutto quel casino? Non sei in grado di stare zitta e buona per una volta? >>.

 

Irina si ritrovò ad arrossire, ma riuscì a mascherare subito tutto di fronte al tono strafottente di Dimitri. Forse aveva esagerato, ma non era il caso di essere così duro con lei, visto che non aveva fatto niente di male.

 

<< Uno dei miei difetti è preoccuparmi per la gente che sta intorno a me >> ribatté acida, << Scusami se ho macchiato il tuo onore standoti troppo vicino. Provvederò a camminarti a due metri di distanza, da oggi in poi >>.

 

<< Ecco, finalmente hai capito >> fu la risposta seccata di Dimitri, prima che lei si sbattesse la porta alle spalle, arrabbiata, lasciandolo finalmente solo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Prima di tutto, chiedo scusa per il mostruoso e imperdonabile ritardo con cui posto questo capitolo: avevo promesso che, appena tornata, avrei fatto il possibile per aggiornare, ma come potete vedere ci ho messo più tempo di quanto immagino voi abbiate potuto tollerare. La verità è che il mio rientro è stato più traumatico di quanto avessi pensato… Ma non penso vi interessi conoscere i miei successi e insuccessi universitari, della vita, familiari e psicologici, quindi andiamo oltre. In poche parole, credo di aver avuto una sorta di attacco acuto di depressione post vacanza-esami-sfighe varie che mi ha tolto tutto, anche la voglia di scrivere. Non sono una che si auto commisera, quindi se sono arrivata quasi al punto di mollare tutto (anche questa storia), significa che ho proprio toccato il fondo… Sempre che esista.

Detto questo, perdonatemi il ritardo e tutto il resto. Cercherò di essere un po’ più regolare negli aggiornamenti, visto che almeno voi lettori mi date qualche soddisfazione.

 

[Intermezzo di quattro giorni…]

 

Bene, le righe di sopra risalgono a qualche giorno fa, e da allora mi sono ripresa un po’, quindi non vi preoccupate per me: non commetterò nessun suicidio spettacolare ma soprattutto non lascerò opere incompiute che pubblicate postume potrebbero fruttare un sacco di soldi a qualcuno, e io vorrei usufruirne, mi sembra logico. A parte sparate varie, sappiate che avrei dovuto terminare venerdì, ma un’ulteriore catastrofe si è abbattuta su di me (anzi, su mia sorella), e che vista adesso risulta comica. Avete presente la classica passeggiata in bicicletta, magari in uno di quei parchi verdi pieni di sentieri (nel mio caso, la Mandria, che chi ha letto “Nel segno della Chimera” conosce)? Bene, il tutto si è trasformato in tragedia con tanto di corsa (mia…) che ha frantumato tutti i record del tragitto Mandria-casa per recuperare la macchina, a cui è seguita una visita al vicino pronto soccorso e attesa di tre ore per mettere due punti su un ginocchio (a mia sorella…), a cui pensavo stessero direttamente cambiando gamba… In ogni caso, niente di grave, ma purtroppo ho dovuto ritardare fino ad oggi.

 

Bene, ora commentiamo che è meglio. Ok, come capitolo non credo ci sia gran che, ma vorrei sottolineare il rapporto che si sta venendo a creare tra Irina e Dimitri, ma soprattutto il comportamento del russo. C’è una spiegazione a tutto, soprattutto al fatto che si comporta da bastardo. Se in questo lungo periodo di pausa ci avete pensato, illustratemi le vostre teorie.

Poi, tenete d’occhio anche Xander… A proposito, secondo voi aveva ragione Nina, parlando del cambio d’auto? Orgoglio, o semplice necessità? Eh eh

William tornerà nel prossimo capitolo, a cui inizierò a lavorare stasera e spero di non impiegare troppo a scrivere.

 

 

Un bacio a tutti voi!

 

Lhea

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI ***


Capitolo XVI

Capitolo XVI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 22.30 – San Pietroburgo

 

Xander fissò la mano del russo che a pochi metri da lui stava per dare inizio alla gara, e con la coda dell’occhio si accorse che Nina lo stava guardando, appoggiata alla sua TT bianca. Per un attimo gli venne voglia di ricambiare lo sguardo, e darsi quell’aria da pilota navigato che gli veniva così bene, più che altro per farle capire con chi aveva a che fare. C’era un tono di lieve e maliziosa strafottenza nella voce della ragazza, quando parlava con lui, che gli dava l’idea che lo considerasse quasi un ragazzino: sensazione nuova per lui.

 

Alla fine si trattenne, ma si accorse che Nina stava correndo verso di lui, facendo un cenno al russo per dirgli di attendere un momento. Come se avesse le ali ai piedi, la vide raggiungere leggiadra la sua auto. Xander abbassò il vetro del finestrino, pronto a un altro commento dei suoi.

 

Il volto perfetto di Nina si abbassò fino a raggiungere il suo, e Xander si scostò impercettibilmente, stupito da quella vicinanza. Gli arrivò una zaffata di profumo provocante alle narici.

 

<< Tieni d’occhio Nil, il tipo della Jaguar grigia >> sussurrò Nina, facendo un cenno verso sinistra, << Ti ha preso di mira >>.

 

Xander guardò dove aveva indicato: la Jaguar XK modificata sembrava uno strano miscuglio di stili, un po’ punk e un po’ elegante, decisamente di scarso gusto. Intravide la testa ricciola di Nil, e annuì, cercando di capire quanto potesse essere pericoloso.

 

<< Ok, grazie >>.

 

Nina sorrise, sfiorandogli un braccio con la mano, cosa che incredibilmente gli fece scorrere un brivido lungo la schiena.

 

<< Non c’è di che, americano >> sussurrò lei, poi ritornò verso la sua macchina e fece cenno che la gara poteva iniziare.

 

Xander seguì con gli occhi il movimento sinuoso di Nina, che ondeggiava elegantemente sui tacchi alti. Fare due più due non era difficile: quella ragazza sembrava particolarmente interessata alla sua sorte, e non poteva che essere un vantaggio.

 

Però c’erano diversi problemi, e a Xander montò l’ansia addosso.

 

Prima di tutto, aveva capito che genere di ragazza era Nina: definirla una di “facili costumi” era quasi un complimento. Amava giocare con il suo corpo, ed era consapevole di essere bellissima e molto attraente: forse si comportava in quel modo protettivo con tutti i nuovi arrivati, per illuderli di avere qualche speranza con lei. Ma qualcosa nella sua testa gli disse che non era così.

 

Secondo, se davvero Nina provava un certo interesse per lui, avrebbe dovuto sfruttare quell’occasione per farsi strada tra i russi, e ciò apriva una molteplicità di scenari, ai suoi occhi. E gli asciugò la gola, perché sapeva benissimo cosa significava.

 

Negli ultimi due anni, aveva avuto la fortuna di non incontrare mai nessuna ragazza nelle proprie missioni, e di conseguenza non si era mai trovato in situazioni “scomode” e tutto quello che evidentemente comportavano. Niente finte love-spy-story, niente tentativi di seduzione per ottenere informazioni, niente di niente, da quel punto di vista.

 

D’un tratto, la catenella al suo collo si fece pesante, quasi fosse fatta di piombo. Prima di Irina, le cose erano state molto diverse: se doveva andare a letto con qualche ragazza, non c’erano problemi; se doveva far finta di avere un debole per qualcuna, non c’erano problemi; se doveva lasciarsi sedurre dalla gallinella di turno, non c’era nessun problema. Ma adesso, adesso la situazione era cambiata… Decisamente cambiata.

 

Adesso c’era Irina a far parte della sua movimentata vita.

 

Non ci stava a tradirla, anche se era per lavoro. Non ci stava a passare la notte con un’altra che non fosse lei, anche se era necessario per far andare avanti la missione. A dir la verità, non sentiva nemmeno la tentazione. E poi come l’avrebbe presa lui, se lei fosse stata al suo posto?

 

Improvvisamente, sentì gli pneumatici fischiare sull’asfalto, il rumore dei motori invadere l’aria gelida della notte…

 

Erano partiti, e lui era fermo.

 

<< Cazzo! >>.

 

Affondò il piede sull’acceleratore, facendo schizzare avanti la Cayman come un proiettile, appena in tempo per accodarsi all’ultima della gara, una Mazda verde. La seguì lungo la curva, vedendo gli altri che iniziavano a guadagnare terreno, la Jaguar davanti a tutti.

 

Quell’attimo di distrazione gli era costato molto caro, ma poteva ancora recuperare. Superò rapidamente la Mazda, lo sguardo incollato a quelli davanti a lui.

 

Fece mente locale, cercando di ricordare il tracciato. Si era informato, prima di presentarsi alla gara, e aveva studiato il percorso che avrebbe dovuto seguire: era abbastanza lungo, ma pieno di rettilinei che permettevano di guadagnare terreno, soprattutto a chi aveva una macchina più potente.

 

“Ok, devo solo essere più rapido di loro”.

 

Accelerò, gli alberi del parco alla sua sinistra che formavano una macchia indistinta nell’oscurità, scorgendo i fari della macchina che lo precedeva in lontananza sparire dietro una curva.

 

Sperò non ci fosse del ghiaccio, quando imboccò la curva a tutta velocità, tenendosi stretto e senza quasi frenare. La fortuna fu dalla sua, ma la Cayman sbandò comunque un po’ per via della velocità troppo elevata.

 

Non poteva perdere quella maledetta gara, soprattutto perché era di vitale importanza per entrare nel giro di Nina, e anche perché non poteva fare la figura dell’idiota dopo essersi fatto dare un’altra auto proprio per essere competitivo…

 

Infilò la curva seguente così veloce che le ruote fischiarono sul terreno, ma poi fu costretto a inchiodare per non andare a sbattere contro la Ford Focus rossa che chiudeva la fila dei primi quattro. Almeno li aveva raggiunti.

 

La Jaguar era ancora in testa, i neon sotto il paraurti accesi, cercando di non farsi superare da una Lotus Elise gialla. Xander sorrise e strinse il volante, sicuro di poter rimettere le cose a posto.

 

Accelerò ancora, mentre tutti gli altri frenavano per affrontare la curva successiva. Arrivò come un razzo alla coda della Focus rossa, le luci posteriori che lo abbagliarono per un momento…

 

Scartò di lato, superando la Ford con uno stridore di gomme, mentre un sottilissimo strato di ghiaccio lo faceva sbandare appena. Strinse il volante, lasciandosi dietro la Focus e accodandosi alla Lotus.

 

Vide la Elise sbandare di colpo, forse per colpa di qualcosa di viscido sull’asfalto, e cercò di evitarla. Ci riuscì a malapena, ma sentì la fiancata inarcarsi contro quella della Lotus…

 

Digrignò i denti e spinse di lato la Elise, per togliersela dai piedi, tanto ormai il danno era fatto. La vide finire contro il marciapiede, i cerchi in lega che produssero una scia di scintille tanto andavano forte… Puntò la Jaguar, fiondandosi avanti con il motore che ruggiva quasi impazzito…

 

Il lungo rettilineo, costeggiato da un filare di alberi che sfrecciavano ai suoi lati scuri e indistinti, gli consentì di avvicinarsi abbastanza da riuscire a vedere gli occhi di Nik riflessi nello specchietto centrale.

 

Gli rimase incollato, mentre svoltavano alla curva successiva, poi cercò di superarlo. La Jaguar si spostò rapidamente di lato, chiudendogli la strada, e lui fu costretto a mettere il piede sul freno.

 

Un’altra curva, e un altro tentativo. Questa volta Nik fece cozzare violentemente la fiancata della sua auto contro la Cayman, sollevando una nuvola di scintille che illuminarono la notte. Xander si spostò e lo lasciò rimanere in testa.

 

Il russo ci andava pesante. Non aveva paura di finire fuori strada o danneggiare l’auto…

 

“Ok, a mali estremi…”.

 

La gara andava vinta, anche se significava distruggere completamente l’auto che aveva fatto tanto per avere. Affondò il pedale dell’acceleratore e si preparò a superarlo.

 

Come si era aspettato, la Jaguar gli andò addosso, spaccandogli i fanali anteriori e gettando nell’oscurità una parte della strada. Questa volta però non indietreggiò.

 

Con un gesto secco del volante, spinse la Jaguar a sinistra, sentendo la fiancata piegarsi ulteriormente. Vide la curva più avanti, deciso a chiudergli ogni via di fuga e a ripagare con la stessa moneta…

 

Inesorabilmente, la Jaguar finì a bordo strada, sempre più a sinistra, troppo per poter affrontare la curva. Lo costrinse a rallentare, poi lo superò lasciandoselo dietro.

 

Tirò un sospiro di sollievo quando vide il traguardo, aspettandoselo più lontano: aveva il brutto presentimento che il suo paraurti si potesse staccare da un momento all’altro, finendo sotto le ruote anteriori. Si fermò oltre il traguardo e si guardò intorno, i russi che lo fissavano con diffidenza.

 

Scese rapidamente dall’auto, per controllare i danni.

 

“Forse dovrò riprendermi la Scirocco…” si ritrovò a pensare, con una smorfia, ignorando il brusio che cresceva intorno a lui.

 

Il muso della Porsche era sfregiato da profonde righe che lasciavano intravedere la lamiera sottostante, mentre i fari erano andati completamente in pezzi. Le fiancate si erano incavate, anch’esse solcate da sfregi larghi due dita… La porta del passeggero non si apriva nemmeno più.

 

Xander imprecò, innervosito. Per una stupida distrazione aveva quasi rischiato di perdere la gara e aveva pure distrutto la macchina… Come aveva fatto a essere così sciocco?

 

<< Bé, se volevi stupirmi ci sei riuscito… >>.

 

Nina si era avvicinata, ondeggiando sui suoi tacchi e avvolta nella pelliccia bianca, e lo guardava con un’espressione mista tra il divertito e il sorpreso. Però non sembrava scherzare, e qualcosa nei suoi occhi azzurri gli disse che era riuscito nel suo intento di farle capire chi era veramente.

 

<< Avanti, seguimi >> aggiunse lei, risalendo sulla TT bianca e partendo a tutta velocità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 23.30 – Mosca, Black Diamond

 

<< Bene, se vi volete sedere… >> disse Nikodim con voce piuttosto affettata, prendendo posto al lungo tavolo di vetro nero al centro della piccola saletta che era stata loro riservata all’interno del casinò. Irina si accomodò a un angolo, abbastanza lontana dal russo. Tutti gli altri, cioè i cugini di Dimitri, Boris e Dan, si disposero qua e là, parlottando tranquilli.

 

<< Aspettiamo che arrivino tutti gli altri >> aggiunse Nikodim, rivolgendole una rapida occhiata.

 

Irina si sarebbe lasciata scappare una smorfia, se non fosse stata decisa a mostrarsi impassibile, ma comprese bene quello che Nikodim voleva farle intendere: nella sala non c’era nessuna faccia nuova. Ciò significava semplicemente che i Referenti avevano di meglio da fare che incontrare una ragazzina il cui intento era quello di liberare un americano rinchiuso in una cella a migliaia di chilometri da lì, e Nikodim non gli avrebbe sicuramente messo fretta. Erano ancora tutti sparsi per le varie sale a giocare d’azzardo e a bersi i loro drink, molto probabilmente.

 

Dimitri era rimasto in piedi vicino alla finestra, con le braccia incrociate e immobile come una statua, lo sguardo di ghiaccio. Era chiaramente furioso per l’episodio di poco prima, e non si erano ancora parlati, a parte la discussione all’interno nello spogliatoio. Nonostante questo, Irina lo scrutava in cerca di una qualche sua emozione che non fosse rabbia.

 

Come poteva notare, si era arrangiato da solo per quanto riguardava la sua ferita, perché sotto la camicia azzurrina non si vedeva niente che lasciasse pensare che avesse appena preso parte a un incontro di kick-boxing, e nemmeno il volto portava alcun segno, nonostante avesse perso sangue dal naso. Anzi, sembrava appena uscito da una doccia rilassante, che però non aveva avuto alcun effetto sul suo caratteraccio.

 

Irina si lasciò scappare un sospiro, pensando di aver di nuovo sbagliato approccio con Dimitri. Gli avevano detto tutti che non bisognava mai immischiarsi nei suoi affari, e meno che mai dirgli cosa doveva o cosa non doveva fare. Poi era di nuovo piombata nel suo spogliatoio senza bussare, e lo aveva aggredito arrabbiata come una iena, cosa che a lei avrebbe dato immensamente fastidio. In poche parole, nel giro di pochi istanti aveva infranto tutte le regole che bisognava seguire per sperare in una “pacifica convivenza” con l’ex Mastino. Si stupì che non l’avesse buttata fuori a calci.

 

<< Quanto ci vorrà? >> domandò all’improvviso Dimitri, fissando qualcosa fuori dalla vetrata, di sotto.

 

<< Non lo so, sono tutti ai tavoli >> rispose Nikodim con noncuranza, accendendosi un sigaro, << Valli a chiamare tu, magari si danno una mossa >> aggiunse, strafottente.

 

Dimitri gli gettò un’occhiata e arricciò il labbro, segno che non voleva essere provocato, in quel momento. Ordinò una vodka al cameriere che era fermo sull’uscio e poi si avvicinò al tavolo, ignorando completamente Nikodim. Sembrò soppesare un momento i presenti, poi si sedette di fianco a Irina, nonostante ci fossero diversi posti liberi. Lei si scostò leggermente per fargli spazio e non fece alcun commento, aspettandosi qualche sua frecciata.

 

<< Sono venuti tutti? >> chiese invece Dimitri, rivolto a Nikodim.

 

<< Certo che no >> fu la risposta.

 

Era evidente che tra i due corresse dell’astio, in quel periodo. Dal tono in cui si parlavano, sembrava che tollerassero l’uno la presenza dell’altro per necessità, ma avrebbero fatto volentieri a meno di sedere allo stesso tavolo. Irina si ritrovò a condividere lo stesso sentimento di Dimitri.

 

Il primo ad arrivare fu un ometto piccolo, addirittura più basso di lei, con due baffetti scuri e quasi pelato, vestito in giacca e cravatta e con una valigetta ventiquattro ore in mano. Salutò tutti con un cenno, soffermando per più tempo lo sguardo su di lei. Si trattava di Stanislav Varagurg, uno dei Referenti meno famosi e meno influenti. Si sedette di fianco a Boris e si mise a parlottare con lui a bassa voce.

 

Il secondo Referente che arrivò fu un ragazzone altissimo, biondo e dalla mascella squadrata, che non sembrava dimostrare più di venticinque anni. Sembrava un giocatore di rugby, a giudicare dalla stazza, e dall’aria strizzata che in quel momento aveva la sua camicia bianca con le sue iniziali sul taschino. Le ricordava uno di quei bulletti dei licei americani, con il papà ricco e una schiera di ragazzine adoranti come fan.

 

<< Konstantin Worobova >> si presentò lui, tronfio.

 

Prima di accomodarsi al tavolo, con l’aria di uno che si crede importante, gettò un’occhiata a Irina, e lei ebbe l’impressione che fosse venuto solo per vederla e capire che faccia avesse l’americana che voleva salvare Challagher.

 

“Sono spiacente di non essere bionda, alta e sensuale come ti aspettavi, ragazzino” pensò Irina irritata. Gli sembrò una versione stupida e infantile di William.

 

L’ultimo Referente che si fece vedere fu un russo dall’aria equivoca con una incolta barba scura e gli occhi infossati, e un brillante orecchino d’oro al lobo sinistro. Ringhiò un saluto rapido e prese posto. Era Karim Gulaf.

 

<< Possiamo cominciare >> disse Nikodim, mentre un cameriere serviva da bere.

 

<< Non viene nessun’altro? >> chiese Yulian, facendo raschiare fastidiosamente la sedia per terra.

 

<< No, siamo solo noi >> rispose Boris, << Ma gli altri sono al corrente della faccenda… Konstantin, fai le veci di tuo padre? >>.

 

<< Sì, sta di nuovo male >> rispose il ragazzo. Non sembrava dispiaciuto, però.

 

Si guardarono per un momento l’un l’altro, i Referenti a guardare Irina per studiarla e capire con chi avessero a che fare. Lei rimase immobile come una statua, senza mai abbassare lo sguardo, come avrebbe fatto Fenice.

 

<< Irina ha svolto il suo primo incarico senza problemi >> iniziò Boris, sorseggiando la sua vodka, << Vuole incontrare la Lince di persona, e la prassi dice che dobbiamo darle un altro incarico… >>.

 

<< Abbiamo già parlato di questo, in effetti >> si intromise Nikodim, l’aria divertita, attirando su di se l’attenzione, << Pensavamo… >>.

 

<< “Pensavamo” chi? >> ringhiò secco Dimitri.

 

Nikodim lo guardò. << Castor e Valentin mi hanno dato la loro delega >> rispose tronfio lui, << Li rappresento io, stasera >>.

 

Nessuno sollevò alcuna obiezione o fece commenti, segno che era consentito. Dimitri fece una smorfia e lo lasciò continuare, ma Irina era dell’idea che volesse tirargli un pugno in faccia, in quel momento.

 

<< Pensavamo di farle fare una visitina dalle parti di Lyubertsy >> disse Nikodim, << Se è veramente affidabile, non dovrebbe essere un problema per lei, no? >>.

 

Se Irina non avesse notato la faccia di Dimitri, diventata praticamente di pietra, e l’espressione preoccupata degli altri, non si sarebbe allarmata, ma capì che la cosa doveva essere piuttosto seria, qualsiasi significato avesse quella frase. Solo Konstantin assunse un’aria leggermente divertita.

 

<< E’ stata un’idea tua, immagino >> ringhiò Dimitri, rompendo quell’attimo di silenzio abbastanza teso.

 

Irina lo guardò con la coda dell’occhio, notando che sembrava ancora più furioso di prima. Non fu l’unica ad accorgersene, perché Emilian, il cugino sfregiato, aveva lo sguardo puntato su Dimitri, come se fosse pronto a fermarlo se avesse aggredito Nikodim.

 

<< Bé, mi sembra un po’ eccessivo… >> disse Varagurg a bassa voce, perplesso, << Cioè, di solito non ci va nessun’altro, a parte Zac… >>.

 

<< Sei uno stronzo >> fu il commento di Dimitri, guardando Nikodim dritto in faccia, << Lo sai che quella non è zona… nostra >>. Per un momento era sembrato indeciso su quale parola usare, ma non aveva esitato a insultarlo. Nikodim rimase impassibile, e sembrò quasi pentirsi della sua idea. Irina rimase immobile, sicura che rimanere in silenzio fosse l’idea migliore.

 

<< E allora? >> fece Nikodim, ma ci fu una leggera inflessione nella sua voce, << Se porta a termine questo, sappiamo che possiamo fidarci di lei >>. Il suo ghigno era palesemente forzato.

 

Dimitri si alzò e appoggiò le mani sul ripiano del tavolo, gli occhi di ghiaccio. Emilian si tese come una corda, e Irina sentì salire l’ansia.

 

<< Cambiate missione >> ringhiò lui.

 

<< Però, in effetti… >> iniziò Varagurg, forse con l’intenzione di trovare una nota positiva nella vicenda.

 

<< Sta zitto >> abbaiò Dimitri, rivolgendogli un’occhiataccia, << Cambiate missione. Questa non ha alcun senso… Nessuno a parte i Referenti è tenuto a immischiarsi in quella storia, chiaro? >>.

 

A giudicare dalla sua faccia, Dimitri sembrava pronto di nuovo a fare a botte. Irina ebbe quasi paura, di fronte a quegli occhi di ghiaccio che dardeggiavano da una parte all’altra, e si chiese perché fosse così arrabbiato: di sicuro, c’era qualcosa che non andava.

 

Nikodim rimase zitto, mentre tutti gli altri, tranne Emilian, sembravano vagamente preoccupati. Boris bevve lentamente l’ultimo sorso della sua vodka, guardando il nipote di sottecchi, e poi si decise a parlare.

 

<< Dipende da cosa deve fare >> disse lentamente, << Se si tratta fare solo una consegna non ci dovrebbero essere problemi… Nikodim, qual’era la vostra idea? >>.

 

Dimitri non parlò, ma fissò il russo trapassandolo da parte a parte.

 

<< Non si tratta di una consegna… >> rispose, evasivo, << Deve trattare per noi… >>.

 

<< Questo conferma che hai una fottuta paura di rivederti Challagher da queste parti >> lo interruppe Dimitri, quasi divertito, << Sei patetico. Sai bene che non si può entrare nel loro territorio senza correre dei rischi, e sai anche che non può portare a termine la missione, perché lei viene da fuori… >>.

 

La stanza piombò nel silenzio, ma nessuno sembrava dare ragione né a Dimitri né a Nikodim: si limitavano tutti a osservare lo svolgimento della questione con distacco, come se non osassero intromettersi.

 

Irina deglutì, a disagio. La tensione era palpabile, e si rendeva conto di dover dire qualcosa: in fondo, stavano parlando di lei e della sua missione. Solo che capiva la metà delle cose, con tutti quei riferimenti a territori e persone senza nome di cui non conosceva nulla; in più, era sicura che Dimitri non avrebbe gradito il suo intervento, in quella situazione.

 

<< Quanti anni hai? >> domandò all’improvviso Konstantin, rivolto a lei. Tutta l’attenzione si catalizzò su di lui, sulla sua espressione strafottente.

 

<< Ventidue >> rispose Irina, chiedendosi cosa centrasse in quel momento. Konstantin sembrò soddisfatto dalla sua risposta, come se avesse azzeccato la previsione sulla sua età.

 

<< Un momento. Potremmo sentire Castor e Valentin e discutere la cosa >> disse Boris, in tono conciliante, << Se però Irina vuole incontrare la Lince… >>.

 

Irina notò che Konstantin si era sporto verso Gulaf, rimasto in silenzio fino a quel momento, e gli aveva sussurrato qualcosa nell’orecchio ed entrambi erano scoppiati a ridere.

 

<< Bé, potremmo trovare un accordo… >> disse Konstantin, ancora palesemente divertito, << Magari Irina potrebbe… >>.

 

<< Sta zitto e tieniti per te i tuoi accordi >> abbaiò Dimitri, fulminandolo con gli occhi, << Limitati a rappresentare tuo padre e a non sparare stronzate >>.

 

Konstantin non osò rispondere, ma sembrò notevolmente irritato per essere stato trattato come un ragazzino. Nessuno aggiunse niente, e all’improvviso Dimitri afferrò Irina per un braccio, facendola sobbalzare.

 

<< Alzati e seguimi >> disse, secco.

 

Irina non se lo fece ripetere due volte, visto che il russo sembrava davvero fuori di sé, e lo seguì fuori dalla stanza, lasciandosi condurre in un angolo appartato del lungo corridoio che portava alla sala da poker. Rimasero in piedi, una di fronte all’altro, Dimitri che sembrava aver voglia di rompere qualcosa.

 

<< Cosa succede? >> domandò lei, sperando si calmasse.

 

Dimitri le rivolse un’occhiata. << Vogliono mandarti nella zona di Vladimir >> rispose, la voce che vibrava di indignazione, << E non ci va mai nessuno di noi, se non è necessario. Vogliono che tu finisca ammazzata da uno dei suoi amici >>.

 

“Non poteva essere più esplicito di così…”.

 

Irina lo guardò, perplessa. Si capiva da lontano che Nikodim la voleva morta, e non c’era da stupirsi che avesse proposto quel tipo di incarico – perché di sicuro era stata sua l’idea – ma non comprendeva la reazione di Dimitri: perché prendersela così tanto? Non si era aspettato che i russi cercassero di ostacolarla in ogni modo?

 

<< Avevo messo in conto che ci sarebbe stato da fare qualcosa di pericoloso… >> mormorò Irina, guardandolo di sottecchi, << Possiamo farci appoggiare dall’F.B.I… >>.

 

Dimitri sbuffò, quasi esasperato. << Non è quello il problema >> ribatté, << Non pensavo mettessero in mezzo anche Vladimir… Posso cercare di fargli cambiare missione, ma ho un’idea… >>. Le rivolse un’occhiata come a dire: “E non mi interessa se a loro piace o meno: la devono accettare e basta”.

 

<< Cosa vuoi dire? >>.

 

<< Voglio dire che dobbiamo aumentare la posta in gioco, visto che vogliono fare i furbi con noi >> rispose Dimitri, << Accettiamo la missione se una volta portata a termine ci faranno partecipare alla Mosca-Cherepovest >>.

 

Irina lo guardò senza capire, il sopracciglio inarcato.

 

<< E’ la gara a cui partecipano tutti i potenziali Referenti >> continuò Dimitri, vedendo la sua faccia, << Se partecipiamo a quella, saremo tra le braccia della Lince >>.

 

Irina tacque per un momento, valutando la cosa: sembrava una buona idea. Il gioco valeva la candela, in conclusione.

 

<< Ok, ma… Perché lo stai dicendo a me? E’ a Nikodim che… >>mormorò, cercando di capire perché l’avesse portata lì fuori, lasciando i Referenti e tutti gli altri a pensare chissà cosa.

 

<< Accetti? >> fu la domanda di Dimitri, guardandola dritta negli occhi e prendendola alla sprovvista.

 

Irina comprese in un attimo: lo aveva appena accusato di fare sempre di testa sua, e questa volta la stava rendendo partecipe per prima al piano che aveva in mente.

 

“Arrabbiarmi è servito a qualcosa…”.

 

<< Sì, accetto >>.

 

Dimitri non aggiunse altro e tornarono al tavolo, sedendosi di nuovo ai loro posti. Li guardarono con delle strane espressioni, Konstantin con gli occhi ridotti a fessure, Nikodim con un mezzo ghigno.

 

<< Accettiamo la missione, ma ci fate partecipare alla prossima Mosca-Cherepovest >> ringhiò Dimitri, guardandoli uno a uno e poi soffermandosi su Nikodim, << O così, o niente >>.

 

Emilian si lasciò sfuggire un sorriso e il suo volto sfregiato si contorse  per un momento, come se fosse profondamente divertito dalla piega che suo cugino era riuscito a far prendere agli eventi. Nikodim non se lo era aspettato, e arricciò il labbro, infastidito.

 

<< Non ha detto di voler diventare una Referente… >> sibilò, << E poi non sono io che decido chi partecipa a quella gara >>.

 

<< Non ha importanza >> ribatté Dimitri, << Lei vuole arrivare alla Lince, e anche diventando Referente. In quanto al resto, votate: tu rappresenti Castor e Valentin, gli altri voteranno con la loro testa >>. L’ex Mastino guardò Boris, Varagurg, Gulaf e Konstantin, come a sfidarli a votare contro.

 

Irina non potè fare a meno di sorridere, dentro se stessa: Dimitri alla fine l’aveva sempre vinta, un po’ con tutti. In quel caso, non poteva che esserne felice.

 

Nikodim tacque per qualche istante, poi disse, con la voce tirata: << Chi è d’accordo, alzi la mano >>.

 

Irina incrociò le dita, sperando tutto andasse per il meglio.

 

Boris e Konstantin furono i primi ad alzare la mano, poi toccò a Varagurg, e infine Gulaf. Nikodim, che rappresentava Castor e Valentin, non si mosse. Chiaramente, il risultato era quattro a due.

 

Dimitri fece una smorfia soddisfatta, e si sedette.

 

Nikodim si accomodò meglio sulla sedia, e Irina si lasciò andare a un respiro di sollievo mentale: il problema più grosso era andato. Ora le restava da capire cosa doveva fare di preciso.

 

< Qual è la missione? >> chiese, senza lasciare il tempo a Nikodim di sbollire la rabbia.

 

<< Ti daremo un navigatore, e tu dovrai seguire la strada indicata >> rispose il russo, irritato, << Una volta arrivata, dovrai parlare con la persona che troverai ad attenderti, e tratterai in nostro nome un affare che abbiamo in sospeso da un po’… Dovrai rispettare le condizioni che ti verranno poste, altrimenti l’affare non va in porto. Anche questa volta sarà Dan a illustrarti il piano e a fornirti il necessario… Ora devo andarmene >>. Si alzò rapidamente in piedi e uscì dalla stanza, con lo sguardo di Dimitri incollato alla sua schiena e forse la consapevolezza di non essere molto gradito.

 

Irina inarcò un sopracciglio, senza sapere cosa dire. Tutti gli altri Referenti si guardarono l’un l’altro, come a dirsi “finalmente se né è andato”. Dimitri si lasciò andare a una smorfia che sembrava un mezzo sorriso.

 

<< Riferite al vostro capo quali sono le condizioni >> disse Dimitri, rivolto ai Referenti ma soprattutto a Boris, << Fategli sapere chi siamo, cosa vogliamo e cosa faremo. Questa è l’ultima prova a cui ci sottoponete, sia chiaro >>.

 

C’era un tono di velata minaccia nella voce del Mastino, ma a Irina stupì di più il fatto che parlò utilizzando il “noi”: sembrava stesse prendendo la cosa molto sul personale, e se prima voleva essere nettamente distinto da Irina e dal suo piano, ora non sembrava più così.

 

<< Ora possiamo andarcene anche noi >> aggiunse lui, alzandosi in piedi, senza che nessuno dicesse nulla.

 

Irina lo seguì, rivolgendo un cenno di saluto a tutti; Dan le fece il gesto di telefonare, per dire che si sarebbero sentiti presto per chiarire la missione. Senza parlare raggiunsero il parcheggio, attraversando il casinò ancora affollatissimo, e Dimitri si avviò a testa bassa verso la sua Audi R8, parcheggiata non troppo lontano dalla Punto.

 

Irina gli rivolse un’occhiata di sottecchi, camminando verso la sua auto. Ancora una volta, Dimitri si rivelava una sorpresa, con i suoi comportamenti strani e l’aura di mistero che lo avvolgeva. Persino i Referenti lo temevano, in qualche modo, perché gli parlavano come se fosse uno di loro, o addirittura più in alto.

 

Salì sulla Punto, e accese il motore. Dallo specchietto retrovisore vide passare l’Audi R8 e appena sparì lungo la strada, diretta a casa, tirò fuori il cellulare.

 

Aveva un’idea, e poco importava se avrebbe fatto la figura dell’impicciona. Da agente dell’F.B.I. qual’era, le era permesso anche quello.

 

Attese qualche minuto, e dall’altra parte della linea, con la voce un po’ distante, rispose Jess.

 

<< Pronto? >>.

 

<< Ciao Jess, sono io >> disse Irina, << Scusa se ti chiamo ora, ma credo di aver bisogno di un favore… >>.

 

<< Vediamo se posso fare qualcosa >> disse Jess, divertito, << Di cosa si tratta? >>.

 

<< Prima di tutto, devo chiederti di non far sapere a nessuno, nemmeno a McDonall, quello che sto per chiederti >> esordì Irina, seria, << Nemmeno Xander. Non voglio allarmare nessuno, non è niente di particolarmente importante, ma preferisco prima venire a conoscenza di tutta la storia e poi parlarne con gli altri, se sarà necessario >>.

 

<< Ok >> fece Jess, ma sembrava dubbioso, << Ma di cosa di tratta? >>.

 

<< Devi fare una ricerca su Dimitri >> rispose Irina, controllando intorno come se avesse paura di essere sentita, << Tutto quello che riesci a trovare su di lui, soprattutto per quanto riguarda il periodo che ha passato in Russia. Voglio che faccende ha in sospeso e come mai ha lasciato Mosca per venire a Los Angeles >>.

 

<< D’accordo >> disse Jess, << Si può fare… Forse esiste già un fascicolo su di lui: McDonall avrà sicuramente fatto controllare, prima di mandarlo in missione. In ogni caso, riparto da zero e vedo cosa riesco a trovare. Ti telefono quando ho qualcosa… >>.

 

<< Non puoi mandarmi una mail? >> propose Irina, << Non so potrò rispondere quando mi chiamerai, e non credo sia molto sicuro… >>.

 

<< Ok, ti mando una mail crittata, così sappiamo che nessuno potrà scoprire cosa c’è scritto >> disse Jess, << Dobbiamo preoccuparci? Intendo: cosa stai combinando? Sai vero che se Xander scopre che ti copro mi ammazza? >>.

 

Irina sorrise. << Lo so… No, non c’è niente di cui preoccuparsi. Domani farò rapporto a McDonall, così starete tutti quanti più tranquilli. E a Xander ci penso io, se ci scopre >>.

 

<< Ok, agente, allora ci sentiamo il più presto possibile. Mi raccomando, occhi aperti e sempre all’erta >> fece Jess, divertito.

 

Irina chiuse la telefonata e guardò dritta davanti a sé. Forse finalmente stava entrando davvero nella parte. Forse finalmente aveva capito come andavano le cose, ma soprattutto a farle andare come voleva lei.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 23.30 – San Pietroburgo

 

Xander guardò la villa illuminata a giorno dalle luci al neon che erano state installate sui lampioni bassi e in elaborato ferro battuto, mentre intorno a lui decine di auto di lusso si muovevano in direzione dell’ampio parcheggio esterno del cortile.

 

Come gli aveva detto, Nina lo stava aspettando a un lato del parcheggio, ancora dentro la TT bianca per evitare di rimanere al freddo. Vicino a lei c’era un posto vuoto, dove Xander parcheggiò la Porsche semidistrutta.

 

Scese dall’auto e la ragazza fece altrettanto, rivolgendogli un’occhiata divertita.

 

<< Ok >> disse lei, << Mi hai colpito. Come ti avevo promesso, ti faccio conoscere un po’ di gente >>.

 

Xander sorrise e la seguì all’interno della villa, scoprendo che si trattava niente meno che di casa Kraracova. Nina lo stava portando proprio dentro la sua tana.

 

Tutta la gente che era arrivata si stava assiepando nell’enorme soggiorno, parlando ad alta voce e con l’aria eccitata. Un ragazzo stava servendo da bere a un gruppo di uomini che dovevano avere da cinquant’anni in su, tutti vestiti elegantemente.

 

Nina puntò il gruppetto con sicurezza, e raggiunse uno degli uomini vestiti in giacca e cravatta, quello con una folta barba scura, appena appena striata di grigio. Gli scoccò un bacio sulla guancia, scambiò qualche parola e poi tornò indietro, trascinandosi gli sguardi dei cinquantenni impomatati.

 

<< Mio padre >> spiegò Nina, conducendolo verso il tavolo dei drink, << Più tardi vi farò conoscere. Intanto prendiamoci da bere >>.

 

Sgomento, Xander rivolse una rapida occhiata all’uomo, rendendosi conto che quello non era nientemeno che il Primo Ministro della Russia… Ed era invischiato in tutta quella storia, insieme con il resto della sua famiglia. La situazione era davvero più grave del previsto, se erano arrivati fino a quel punto.

 

<< Allora, Mark, dimmi qualcosa di te >> lo distrasse Nina, mettendogli in mano un bicchiere di vodka, << Raccontami cosa fai, da dove arrivi. Sono curiosa di sapere dove ti sei fatto tutta questa esperienza >>.

 

<< Negli Stati Uniti le gare clandestine sono molto comuni >> disse Xander, con noncuranza, << Non è difficile farsi un po’ di esperienza… >>.

 

<< Conoscevi William Challagher? >> domandò Nina. Stava guardando da un’altra parte, come se la risposta non le interessasse, e rigirava il contenuto il suo bicchiere facendo vorticare la ciliegina nel liquido trasparente.

 

Xander esitò un momento prima di rispondere: la ragazza era furba, stava cercando di sondare il terreno e lo faceva dimostrandosi disinteressata.

 

<< No, non di persona >> rispose, << Ma di fama lo conoscevano tutti. Un ottimo pilota >>.

 

Nina ridacchiò. << Un peccato che sia finito dietro le sbarre, non credi? >>.

 

<< Vi conoscevate? >> chiese a sua volta Xander.

 

<< Sì, è venuto da queste parti alcune volte >> rispose Nina, ma la cosa sembrò lasciarla indifferente, << Il suo braccio destro è di Mosca… E tu? Hai mollato tutto per venire qui… >>. Si sedette su un divano di pelle blu, accavallando le lunghe gambe e sistemandosi i capelli.

 

<< Tutto… Non avevo molto da lasciare >> rispose Xander, e qualcosa stridette nella sua testa, al pensiero di Irina.

 

<< No? >> Nina lo guardò, divertita, << E’ quella cos’è? >>. Fece un cenno verso la catenina appesa al collo, quella di Irina.

 

<< Un portafortuna… >> rispose Xander, evasivo.

 

Nina rise. << Un portafortuna… >> ripeté lei, divertita, << E la fedina lo è anche? O è il monito di qualcuna? >>. Ammiccò, appoggiando il braccio sottile alla spalliera del divano. Diversi occhi erano puntati su di lei, e sicuramente se ne era resa conto.

 

“Quanto è furba, questa qui…”.

 

<< E’ un vecchio ricordo… >> rispose Xander, senza aggiungere altro. Nina però sembrava aver capito, e allargò il suo sorriso perfetto.

 

<< Spero sia un bel ricordo >> disse, con l’aria di chi la sa lunga, << Però ci sono sempre ricordi migliori, da aggiungere alla nostra collezione… >>.

 

Xander le gettò un’occhiata, indeciso se stare al gioco che aveva in mente quella ragazza, oppure se scoppiare a ridere. Si limitò a un sorrisetto e a finire il suo drink.

 

<< Come mai sei partito in ritardo? >> domandò lei, forse per riempire quel silenzio che la infastidiva.

 

<< Mi sono distratto un attimo >> rispose Xander, e seppe di averle appena dato la risposta che voleva. Nina infatti ridacchiò.

 

<< Capisco… E dove guardavi? >>.

 

<< Sicuramente non la strada >> rispose Xander, sorridendo. Nina era convinta che si fosse distratto guardando lei, ma in realtà stava pensando a Irina: forse era meglio lasciarle la sua convinzione e non rischiare di offenderla.

 

Nina posò il bicchiere vuoto sul vassoio di un cameriere che passava da quella parte e sorrise.

 

<< Se ne vedono pochi come te, in giro >> disse, << Vieni, ti presento un po’ di gente >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 24.00 – Mosca, Casa di Dimitri

 

Una volta nel soggiorno di casa, Irina scrutò Dimitri per capire se fosse ancora arrabbiato o se poteva arrischiarsi a fargli qualche domanda. Era ancora nervoso, ma la vena sul collo non pulsava più, e la vittoria contro Nikodim doveva averlo almeno reso un po’ meno intrattabile.

 

<< Possiamo parlare un attimo? >> chiese lei, titubante.

 

Dimitri inchiodò davanti al corridoio e la guardò.

 

<< Volevo solo chiederti che cos’è di preciso quella gara di cui mi hai parlato… >> aggiunse Irina, per fargli capire che non voleva farsi gli affari suoi. Cosa che stava già facendo in altro modo, tanto.

 

<< E’ una gara di resistenza che si svolge da Mosca alla città di Cherepovest >> spiegò Dimitri, << Tremila chilometri in diversi tratti di strada, dalle autostrade agli sterrati ghiacciati, da percorrere nel più breve tempo possibile e nel migliore dei modi. Si svolge una sola volta l’anno, e possono parteciparvi solo i Referenti e quelli che lo vogliono diventare >>.

 

<< Tremila chilometri?! >> fece Irina, stupita.

 

<< Non sono niente in confronto a quello che dobbiamo fare per parteciparvi >> commentò Dimitri.

 

<< Perché hai chiesto di cambiare missione? >>.

 

<< Perché quella non è una missione, è una provocazione >> ribatté Dimitri, << Ne parliamo domani, in ogni caso. Ora ho da fare >>.

 

Sparì in camera sua, e Irina rimase a fissare il corridoio vuoto. Cosa avesse da fare a quell’ora, era un mistero, ma ormai era abituata ai suoi comportamenti. Sbuffò e si preparò per andare a dormire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 05.00 – Città del Messico

 

William fermò la BMW M6 davanti a un’anonima villetta in mezzo alla campagna, circondata da campi di grano e filari di alberi da frutta, immersi nel silenzio della notte. Tutto era avvolto nella più completa oscurità, comprese le finestre della casetta e il cortile lì intorno. Sul vialetto di strada sterrata e polverosa era parcheggiata una vecchia auto con il paraurti cadente.

 

Il nascondiglio di Garcìa il Camaleonte era perfetto per non farsi trovare dalla polizia: sembrava una comunissima fattoria, ma in realtà era da lì che partivano e arrivavano gli ordini delle partite di droga di tutti gli Stati Uniti. William lo sapeva bene, perché ci era già stato in quel posto… Quando aveva ancora un sacco di affari da portare avanti.

 

Spense il motore dell’auto e diede una scrollata a Daniel, che si era addormentato sul sedile di fianco, i capelli appiccicati alla fronte.

 

<< Siamo arrivati. Svegliati >>.

 

Il ragazzo si guardò intorno, assonnato, sbattendo più volte le palpebre. Gettò un’occhiata alla casa e al cortile, come a chiedersi se non si fossero sbagliati.

 

<< Di già? >> borbottò, allungando le braccia.

 

<< Con chi credi di avere a che fare? >> sussurrò William, << Sono stato messo dentro perché faccio il pilota clandestino… >>.

 

Scese dall’auto, stiracchiandosi, e la pungente aria della notte gli diede una svegliata. Aveva guidato per sei ore di fila, e nonostante la BMW fosse un’auto confortevole, si sentiva un po’ indolenzito. Scrocchiò le ossa del collo, desiderando ardentemente un caffè forte.

 

Silenziosamente, aprì il baule della macchina e tirò fuori quattro pistole, accertandosi che fossero tutte cariche. Due le diede a Daniel, le altre due le tenne per lui, poi guardò la casa.

 

Iniziava a sentire l’adrenalina scorrere nelle vene. La fuga era andata bene, non avevano incontrato ostacoli, ma quello che lo eccitava era quel senso di libertà e di potere che provava in quel momento. Aveva fatto tutta quella strada solo per dimostrare a sé stesso che era di nuovo quello di una volta, e Garcìa lo avrebbe scoperto per primo.

 

<< Cosa facciamo? >> domandò Daniel, rigirandosi la pistola in mano. Sembrava molto rilassato, come se si trovasse in gita scolastica.

 

<< Tu niente >> rispose William, << Aspetta qui fuori, mentre io mi occupo del mio caro amico messicano. Coprimi le spalle, e se arriva qualcuno fallo secco, chiaro? >>.

 

Daniel sembrò svegliarsi all’improvviso. << Ok… >> fece, dubbioso.

 

William tolse la sicura dalla pistola e si diresse verso la porta sul retro, sperando di trovarla aperta. Garcìa era stato previdente, questa volta, e l’aveva chiusa a chiave.

 

Gli bastò un colpo ben assestato con il calcio della pistola per aprirla, e si infilò dentro senza fare rumore. Era già stato una volta in quella casa, ma non ricordava perfettamente come fosse fatta. Nel buio appoggiò la mano sul muro e si fece strada fino alle scale, cercando di non inciampare da nessuna parte.

 

Nel silenzio della villetta riusciva a sentire battere il suo cuore, non di tensione ma di eccitazione; sulle labbra gli affiorò un sorriso, con un solo pensiero che gli rimbombava nella testa: “Libero… Di nuovo libero, e di nuovo Scorpione”.

 

Risalì le scale senza nemmeno vedere dove andava, ma dalla poca luce che filtrava dall’esterno riuscì a intravedere la porta aperta della camera da letto. Entrò dentro e accese la luce, un ghigno sul volto.

 

Garcìa era sdraiato a pancia in su nel letto, la bocca aperta e una vecchia camicia a quadrettoni che gli copriva la pancia flaccida e gonfia per via di tutte le birre che si beveva. Quei due anni erano stati particolarmente impietosi sul più feroce e potente trafficante di droga del Messico: la faccia era più segnata che mai, e aveva perso un’ingente quantità di capelli, che cercava di compensare con le lunghe basette ai lati del volto.

 

Disgustato da quella visione, William gli gettò un’occhiata e poi afferrò una sedia sgangherata abbandonata in un angolo. Si sedette al contrario, appoggiando le braccia sul poggiaschiena, e si guardò intorno: la stanza era nel più completo disordine, e non sembrava proprio che il conto in banca del Messicano avesse tanti zeri quanto il suo. Però era il suo nascondiglio di emergenza, dove si rifugiava quando la polizia era in allerta o sulle sue tracce, e doveva essere il più anonimo possibile per evitare di attirare l’attenzione.

 

<< Sveglia, Camaleonte… >> disse William, ad alta voce, in tono deridente, << Sveglia, hai visite… >>.

 

L’uomo borbottò qualcosa nel sonno, e si rigirò tra le lenzuola che sapevano di sudore. William si innervosì, perché gli ricordava un bambino grasso e brutto.

 

<< Quando venivo a trovarti, mi riservavi un’accoglienza migliore di questa, ricordo >> disse, secco.

 

A quel punto, Garcìa spalancò gli occhi. In una frazione di secondo gettò il lenzuolo di lato, cercando di mettersi a sedere il più velocemente possibile, le mani che frugavano sotto il cuscino…

 

<< Fermo dove sei o ti faccio secco all’istante >> ringhiò William, puntando la pistola verso di lui.

 

Il messicano rimase paralizzato, guardandolo infuriato e sorpreso. La zaffata del suo alito pesante arrivò al naso di William, che lo trovò ancora più disgustoso dell’ultima volta in cui si erano incontrati.

 

<< Cosa ci fai qui? >> esalò Garcìa, e il suo sguardo guizzò per un istante verso la porta.

 

William sorrise. << Sono venuto a ricambiare il tuo favore… >> rispose, soave. Abbassò leggermente la pistola ma non la guardia, perché sapeva com’era fatto quel messicano traditore.

 

Garcìa rimase in silenzio.

 

<< Non te lo aspettavi, vero? >> domandò William, ridacchiando, << Non ti aspettavi che sarei riuscito ad arrivare qui, soprattutto così in fretta >>.

 

<< Challagher, sei un dannato figlio di puttana >> disse Garcìa, gli occhi che correvano da una parte all’altra della stanza, << Puoi anche uccidermi, ma oltre alla polizia avrai alle costole anche i miei uomini >>.

 

<< Non credo >> ribatté William, sempre divertito, << Ho intenzione di prendere il primo aereo per Londra e rifugiarmi da quelle parti per un po’… Ho già tutto pronto, e non avrò alcun tipo di problema, ne sono sicuro >>.

 

Garcìa sembrò rimanere impassibile, le mani appoggiate sul materasso, gli occhi scuri su di lui, ma era chiaro che stava iniziando ad avere paura. Lo Scorpione sapeva riconoscerla.

 

<< Dovresti sentirti onorato >> continuò William, muovendo impercettibilmente la pistola, << Mi sono spinto fino a qui solo per te, rischiando di farmi ritracciare dalla polizia… Non credevo che ti rifiutassi di aiutarmi >>.

 

<< Porti solo guai, Challagher >> ribatté Garcìa, << Nessuno ti vorrà più tra i piedi, ora che sei un evaso… >>.

 

<< Silenzio >> ringhiò William, irritato per come era stato definito, << Ti stai sbagliando. Non ho più bisogno di nessuno… Ho imparato a farne a meno, dopo quello che è successo. Ma non credevo che tu, e tutti gli altri, mi abbandonaste così, dopo tutti i soldi che vi ho fatto fare… >>.

 

Garcìa aprì la bocca per ribattere, ma William lo zittì di nuovo.

 

<< Non ti ho detto che puoi rispondere >> sussurrò, << Anche perché ciò che hai da dire non mi interessa. Ti ho svegliato solo perché volevo vedere la tua faccia, prima di ucciderti >>.

 

Era così, era quella la verità. Avrebbe potuto benissimo ucciderlo nel sonno, senza lasciargli il tempo di capire che non si sarebbe mai più svegliato, ma non aveva voluto farlo. Sarebbe stato troppo facile, sia per lui sia per Garcìa. Ciò che voleva, era sentire di nuovo addosso quella sensazione di potere che era sempre stato abituato ad avere, voleva godere della paura che sapeva instillare nelle persone… Voleva riappropriarsi della nomea di Scorpione, spietato, gelido, senza paura.

 

<< Aspetta un attimo, Challagher >> disse Garcìa, e una goccia di sudore gli colò sulla fronte, << Possiamo raggiungere un accordo… Forse possiamo trovare un modo per… >>.

 

William rise: davanti a una pistola gli uomini era tutti uguali. Potenti, ricchi, poveri o sconosciuti, diventavano tutti codardi, tutti pronti a umiliarsi per ottenere in cambio salva la vita. Con orgoglio ricordò il momento in cui lui stesso si era visto puntare un’arma addosso da Went, e aveva chiesto la morte. Lui era diverso, non era un coniglio.

 

<< Ah, adesso vuoi farmi di nuovo amico? >> disse, facendogli il verso, << Ora ti sei deciso a darmi una mano? Eh no, sono io che non voglio più il tuo aiuto, adesso… O magari vuoi supplicarmi? >>.

 

Garcìa si tappò la bocca, e William guardò la pistola come se si trattasse di un oggetto estremamente affascinante.

 

<< La verità è questa: siamo tutti uguali >> continuò lo Scorpione, soave, << Ci circondiamo di “amici”, di collaboratori, di scagnozzi; facciamo alleanze, accordi, ma in realtà pensiamo sempre e solo a noi stessi. Nemmeno i soldi sono in grado di creare tra di noi un legame… Una volta lo credevo possibile, ma ora so che non è così >>. Si mise comodo sulla sedia. << So che esiste una sola parola, per quelli che vogliono davvero il potere: spietatezza >>.

 

Puntò la pistola verso il messicano, e quello indietreggiò sul letto come se potesse sperare di scappare. Balbettò qualcosa che William non ebbe il minimo interesse ad afferrare, e un’altra goccia di sudore gli colò sulla fronte.

 

<< Mi dispiace molto, ma non sono più disposto ad accettare tradimenti >> concluse lo Scorpione, e poi sparò.

 

Un boato seguì il movimento sul grilletto, e il proiettile si andò a conficcare perfettamente nella fronte di Garcìa, facendolo cadere all’indietro, scomposto. Un solo rivolo di sangue scuro gli si dipanò sulla faccia, andando a macchiare il lenzuolo candido e la camicia mezza aperta. Il riverbero dello sparo si affievolì fino a far tornare la stanza nel più completo silenzio, rotto solo dall’unico respiro rimasto.

 

William fissò il cadavere per qualche istante, poi si rialzò dalla sedia e mise la pistola in tasca.

 

Non avrebbe sentito rimorso, né ora né mai. Non sapeva nemmeno cosa significasse, quella parola. Quello che percepiva era solo l’enorme ed eccitante senso di potere che aveva in quel momento. Aveva portato a termine una delle sue innumerevoli vendette, e ciò significava che non stava sognando, che era libero davvero e che tutto stava tornando come prima.

 

Scese le scale, chiedendosi quanto tempo ci avrebbe impiegato la polizia a capire che era stato lui. Non lo preoccupava il fatto che lo ricercassero anche per quell’omicidio: sapere che lo Scorpione era di nuovo fuori ed era pronto a uccidere contribuiva a consolidare la sua immagine, ma sapeva di dover fare in fretta prima che gli sbirri collegassero a lui la catena di uccisioni che aveva appena cominciato.

 

Trovò Daniel ancora lì dove lo aveva lasciato, e gli fece un cenno silenzio per dirgli di risalire in auto. Non era sconvolto e spaventato, quindi non doveva aver mentito riguardo alla sua condanna: era davvero finito dietro le sbarre per aver ammazzato qualcuno. Annotò mentalmente di indagare su quella storia in modo da conoscere meglio il suo nuovo compagno di avventure.

 

Accese il motore della BMW e calcolò quanto avrebbe impiegato al prossimo obiettivo e quanto tempo aveva a disposizione. Quella sera stessa voleva lasciare il Messico, diretto a Londra.

 

<< Ora cosa si fa? >> domandò Daniel, guardando fuori dal finestrino verso la casa, dove la luce della stanza da letto era rimasta ancora accesa.

 

William sorrise. << Adesso andiamo a trovare ancora un paio di persone… E poi spariamo dagli Stati Uniti >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Ok, ho pochi minuti.

Uno: chiedetevi perché né Xander né Irina sanno che William è fuori.

Due: chiedetevi chi è veramente Dimitri, e soprattutto se Irina riuscirà mai a capire qualcosa del suo passato.

Tre: chiedetevi cosa farà William.

 

Non aggiungo altro, se non che vi ringrazio perché continuate a seguirmi.

 

Dust_and_Diesel: te lo dirò solo una volta: io adoro le tue recensioni. E non mi interessa se sono lunghe, particolareggiate o super-profonde. Quando vedo che mi hai lasciato un commento, mi illumino come un albero di Natale. E basta farmi complimenti, perché se no poi mi monto la testa e inizio a fare la preziosa… No, scherzo, ma grazie sempre e comunque per le tue parole. Mi dilungherei, ma non ho tempo. Un bacione enorme!

 

Annalisa70: naturalmente ringrazio anche te, e forse sì, la mia sfiga sta passando. Il passato di Dimitri verrà fuori, vedrai, e stupirà tutti quanti. Un bacione!

 

 

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Capitolo 17
*** Capitolo XVII ***


Capitolo XVII

Capitolo XVII

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 11.00 – Mosca, Casa di Dimitri

 

<< Quindi abbiamo i nomi degli altri Referenti… >> disse McDonall, che appariva stranamente più grigio del solito, attraverso lo schermo del pc che permetteva la loro video-conferenza, << Ed è già qualcosa che i servizi segreti russi non erano stati in grado di fornirci. Ottimo. Significa che vi state lentamente guadagnando la loro fiducia >>.

 

Irina gettò un rapido sguardo in direzione di Dimitri, seduto al tavolo di fronte al computer portatile, che appariva impassibile. Teneva le braccia incrociate, come se volesse mettere una certa distanza tra loro. In effetti, non avevano ancora parlato, dalla sera prima.

 

<< Più che la fiducia, mi sembra che ci stiano dando la loro attenzione >> obiettò lei, dubbiosa, << Non mi sembra che si fidino di noi… di me, è meglio dire. Soprattutto Nikodim: è chiaro che non vuole che io arrivi alla Lince >>.

 

McDonall, dall’altra parte dello schermo, annuì.

 

<< L’unica cosa che potete fare è stare attenti >> disse, << Tenete gli occhi aperti, perché qualcuno potrebbe pugnalarvi alle spalle. Di preciso, di cosa di tratta la missione che volevano affidarti? >>. Ormai era passato al “tu”.

 

<< Devo incontrare qualcuno e concludere un affare per conto loro >> rispose Irina, scrollando le spalle, << Non sono stati chiari, ma oggi dovrei ricevere le istruzioni necessarie… >>.

 

<< Come al solito non parlano più del necessario >> commentò McDonall, passeggiando davanti alla telecamera, l’ufficio scarsamente illuminato alle sue spalle.

 

<< Sono solo molto furbi >> si intromise Dimitri, a bassa voce, << Stanno approfittando della situazione per guadagnarci qualcosa… >>.

 

Il Vicepresidente si voltò a guardarlo, perché il russo rientrava nel suo campo visivo.

 

<< Sai qualcosa a riguardo? >> chiese, ma non c’era nota d’accusa nella sua voce.

 

Dimitri spostò i suoi occhi grigi sullo schermo, serio e imperscrutabile; Irina lo teneva d’occhio, pronta a sentire con quale novità sarebbe uscito in quel momento.

 

<< Forse non esiste nessun affare >> spiegò lui, << Vogliono solo mandare qualcuno nel territorio di Vladimir Buinov, qualcuno che non faccia parte della loro cerchia, a cercare di convincerlo a collaborare con loro… Stavano cercando un’esca, in pratica, e hanno trovato lei >>.

 

Irina gli gettò un’occhiata di fuoco, infuriata. Sapeva quelle cose e veniva a dirgliele solo ora?

 

<< Sanno che appena qualcuno di estraneo metterà piede nel sud di Mosca, avrà ampie possibilità di essere ucciso >> continuò Dimitri, impassibile, << E non vogliono sprecare nessuno dei loro uomini. Irina cade a pennello: se anche venisse uccisa, non si creerebbe nessun problema, né tra noi, né con gli amici di Buinov >>.

 

“Bene, vedo che continua comunque a fare un po’ quello che gli pare” pensò Irina, stizzita, in piedi con le braccia incrociate, “Mi sta mandando a farmi ammazzare… Poteva anche dirmelo prima”.

 

<< Quindi stai dicendo che vi hanno dato una missione impossibile da portare a termine? >> domandò McDonall, forse talmente incredulo da apparire stranamente cortese, << Che dovrete rinunciarvi? >>.

 

Dimitri fece una smorfia, allontanandosi impercettibilmente dal tavolo.

 

<< Non hanno calcolato che anche io faccio parte della missione >> disse, come se quello spiegasse tutto, << E sarò in grado di far andare le cose come voglio io >>.

 

<< Cosa stai dicendo? >> domandò Irina, stupita, decisa a intervenire, << Non eri tu che avevi qualcosa in sospeso con Buinov? >>.

 

<< Appunto >> fu la sola risposta di Dimitri.

 

Si guardarono in faccia per qualche istante, in quel silenzio carico di tensione, poi McDonall parlò.

 

<< Come pensi di riuscirci? >> chiese, tranquillo.

 

<< Conosco la zona, e conosco la gente. So esattamente cosa vogliono >> rispose Dimitri, << Posso trattare senza correre troppi rischi, ma non ho la garanzia che “l’affare”, come lo chiamano loro, vada a buon fine… Ma posso fare in modo che Irina entra ed esca viva da Lyubertsy, sempre che lei non faccia di testa sua >>. Le lanciò un’occhiata.

 

McDonall guardò Dimitri per qualche istante, come se fosse in grado di capire se stava mentendo oppure no. Magari si era appena pentito di averlo lasciato andare in missione con lei…

 

<< Credo che tu sappia più cose di quante tu ce ne voglia dire >> sussurrò, << E immagino che continuerai per la tua strada… Ma se puoi fare in modo che proceda tutto per il meglio, puoi anche tenerti i tuoi segreti >>.

 

Si salutarono, mentre Irina guardava Dimitri, arrabbiata e confusa. Adesso anche McDonall gli perdonava il fatto che facesse di testa sua…

 

<< Cosa significa tutto questo? >> chiese lei, avvicinandosi con le braccia ancora incrociate.

 

Il russo si limitò a rivolgerle un’occhiata.

 

<< Perché credi che all’inizio non volessi questa missione? >> ribatté lui, << Non hanno bisogno di provare la nostra fedeltà, soprattutto la mia… Non ne hanno proprio bisogno, questa è la verità. Ci stanno solo usando, stanno approfittando del fatto che siamo disposti a qualunque cosa per incontrare la Lince, e ci stanno facendo fare ciò che interessa a loro, soprattutto a Nikodim. Quello che ci hanno chiesto di fare non è una missione, ma una semplice prova della nostra stupidaggine: vogliono che ci leviamo dai piedi, il prima possibile >>.

 

Irina lo guardò, gli occhi ridotti a fessure. Si era talmente abituata a discutere con lui che non aveva più nemmeno paura che potesse arrabbiarsi sul serio e cercasse di farla fuori a colpi di boxe.

 

<< Allora perché alla fine hai accettato, facendo cambiare la posta in gioco? >> domandò.

 

Dimitri fece una smorfia, come al solito il massimo della sua espressività.

 

<< Perché alla fine mi interessa sapere cosa sta facendo Vladimir Buinov >> rispose, secco, << Molto più di quanto interessa a loro… >>.

 

<< E perché? >>. Di nuovo il solito argomento, di nuovo la solita storia.

 

<< Perché è così e basta… Abbiamo i nostri affari in sospeso, e voglio sapere esattamente cosa sta facendo >>.

 

Irina e Dimitri si fissarono per qualche secondo, in silenzio.

 

Sapeva che fare domande non sarebbe servito, e doveva accontentarsi di rimanere nel dubbio finché Jess non si fosse fatto sentire. Stancamente si sedette al tavolo, cercando di trovare un argomento di conversazione che non lo irritasse troppo e che le consentisse di pensare a qualcos’altro che non fosse quella storia di cui ormai iniziava a stufarsi.

 

<< Combatti spesso, al Black Diamond? >> domandò.

 

Dimitri sembrò vagamente sorpreso dal suo cambio di atteggiamento, ma non fece commenti al riguardo.

 

<< Solo quando ne ho voglia >> rispose, << Di solito non più di un paio di volte a settimana >>.

 

<< Ah… E come mai? >>.

 

<< Mi serve per rilassarmi >>.

 

“Alla faccia del relax… E quando vuole fare qualcosa di movimentato, che fa?”.

 

<< Capito… Quindi in mansarda ti allenavi? >>. Lo scrutò per capire se si stava innervosendo.

 

<< Sì >>.

 

Si guardarono un’ultima volta, poi lei capì che in quel momento Dimitri aveva voglia di tutto tranne che di parlare, e si alzò. Recuperò il cellulare e andò in camera sua per telefonare a Xander, che sicuramente sarebbe stato più loquace.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Irina guardò lampeggiare la scritta di “Nuova mail in arrivo” sullo schermo del pc, chiusa nella sua stanza, la luce accesa che rischiarava il giorno buio e uggioso di Mosca. Si mise comoda sulla sedia, e la aprì.

 

“Ciao Irina!

 

Come mi hai chiesto, sono andato in cerca di informazioni su Dimitri, ma non pensare che sia riuscito a scoprire chissà che. Forse un paio di cosine potranno interessarti, tutto il resto mi è sembrato superfluo.

 

Allora, partendo dalle sue origini: ha iniziato a correre nelle gare clandestine a diciotto anni, subito dopo aver preso la patente, ma chiaramente quello è il suo ingresso “ufficiale”. Di sicuro ha guidato anche prima. La sua famiglia è piuttosto numerosa, e praticamente sono tutti invischiati nel giro delle corse e della droga, a partire da suo zio Boris che è uno dei Referenti. In poche parole, la sua è una delle famiglie più importanti e influenti della città, anche se ormai i membri rimasti sono pochi: pare siano stati coinvolti in una faida circa una decina di anni fa, che si è conclusa con la morte dei genitori di Dimitri e anche di diversi fratelli. I motivi della guerra non sono riusciti a scoprirli, ma credo di poter ipotizzare che Dimitri abbia poi lasciato la Russia e si sia spostato a Los Angeles per fuggire da qualcuno. Questo accade all’incirca otto anni fa, anche se da quel momento è tornato diverse volte a Mosca, per brevi periodi e sempre da solo, a parte quando lo accompagnava Challagher.

 

Non sono riuscito a capire con precisione quale sia il motivo che ha spinto Dimitri ad andarsene, perché sembra che la vicenda sia stata in qualche modo tenuta segreta, e che nemmeno la polizia sia riuscita a capirci qualcosa. E’ tutto molto confuso, ma è chiaro che c’è stata una guerra tra clan che potrebbe continuare tutt’ora.

 

Non ci sono segnalazioni degne di nota su Dimitri, da parte della polizia. A parte per le gare clandestine, sembra che qui abbia condotto una vita relativamente più tranquilla rispetto a Los Angeles: niente risse, niente spaccio, niente che indichi possa aver presso parte alla faida. Però potrebbe anche essere un’illusione, perché la polizia potrebbe stare dalla loro parte e in quel caso avrebbero goduto di una certa immunità.

 

Per il resto, è storia che conosci già. Sai cosa ha fatto Dimitri negli ultimi anni prima di essere arrestato, e sai che tipo è. L’unica cosa è che ora mi chiedo se non sia il caso di informare McDonall e White sulla vecchia faida che potrebbe continuare ancora ora… Fammi sapere, e fai attenzione.

 

Jess

 

Irina guardò il monitor, tranquilla. Si era aspettata che le ricerche dell’informatico portassero a ben poco: qualunque cosa che riguardava Dimitri sembrava essere estremamente sfuggente, un po’ come lui. Però ora sapeva che almeno “qualcosa” c’era stato che poteva aver indotto il russo ad andarsene… E sicuramente centrava anche quel Buinov, chiunque fosse.

 

Avvicinò il pc e iniziò a scrivere.

 

“Ciao Jess,

 

ti ringrazio per le informazioni, anche se sommarie. Immaginavo andasse così, comunque, ma penso che McDonall e White non debbano essere informati, a riguardo. Per il momento Dimitri si sta comportando abbastanza bene, e le informazioni che ti ho chiesto mi servivano solo per capire se ci fosse qualcosa che potesse avvantaggiarci nella missione… Dimitri non è particolarmente loquace, e sembra odi parlare di sé, quindi ho ritenuto opportuno avvalermi di altre fonti. Se inizierò ad avere il sospetto che stia tramando qualcosa, vi informerò sicuramente per primi.

 

Ti chiedo un ultimo favore: cerca qualche informazione su un certo Vladimir Buinov. Ne ho sentito parlare da queste parti, ma non ho idea di chi sia. Se riesco a capirci qualcosa in più, credo di avere qualche vantaggio su questi russi da strapazzo. Ti ringrazio ancora una volta e ti mando un abbraccio.

 

Irina

 

P.S.: in ogni caso, se scopri ancora qualcosa su Dimitri, fammelo sapere”

 

Perfetto, era riuscita a dare una risposta senza essere allarmante: Jess non si sarebbe preoccupato, se avesse capito che si stava solo documentando per qualcosa di personale. Inviò la mail e si alzò, diretta in cucina.

 

Aveva appuntamento con Dan, e con lei doveva andarci anche Dimitri. In quel momento doveva essere sopra, in mansarda, perché non lo vedeva in giro, e poco prima aveva visto Yana sfrecciare sulle scale, trotterellando allegra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 16.00 – Mosca, Garage di Dan

 

<< Allora, le istruzioni sono queste >> disse l’italiano, una mappa della città di Mosca appoggiata sul cofano della Alfa 8C, il dito appoggiato su un punto ben preciso. << Devi prendere la tua auto e raggiungere Mosca Sud attraverso questo percorso… >>. Indicò con precisione le vie. << Una volta arrivata a questa piazza, prosegui dritto fino a un grosso capannone grigio, circondato da un cancello. Dovresti trovarlo aperto. Una volta dentro, lascia l’auto e tutte le armi, ed entra nel capannone… >>.

 

Irina era appoggiata alla 8C, gli occhi che seguivano il dito di Dan, concentrata. Dimitri, di fianco a lei, sembrava una statua di ghiaccio.

 

<< Chi ci sarà? >> domandò il russo, distaccato, guardando Dan in faccia come se gli avesse fatto qualcosa di male.

 

<< Non lo sappiamo… Almeno, non noi. Se Nikodim sa chi ci sarà all’incontro, non ce lo ha detto >> rispose l’italiano, vagamente nervoso.

 

Irina gettò un’occhiata a Dimitri, come a dire: “Non mi stupisco affatto”. Lui sembrò pensare la stessa cosa.

 

<< E poi? >> incalzò lei, per sapere cosa avrebbe dovuto fare.

 

<< Dovrai trattare con la persona che ti troverai davanti >> continuò Dan, << Chiunque sia. E quello che dovrai chiedere sarà questo: una tregua degli scontri che avvengono in città, e l’apertura di una trattativa per poter entrare nel loro territorio senza subire attacchi. In cambio siamo disposti ad offrire del denaro e la possibilità di entrare a far parte dei Referenti per uno di loro. Queste sono le condizioni, devi riuscire a farli accettare, o almeno a indurli a un’ulteriore incontro >>.

 

Irina annuì, capendo che non sarebbe stato facile.

 

Dimitri si lasciò andare a uno sbuffo. << Nikodim sapeva che è impossibile >> borbottò, tranquillo, << Vladimir non accetterà mai nessuna tregua, né tantomeno una trattativa… >>.

 

<< Lo so, ma non possiamo fare altrimenti >> disse Irina, << Se vogliono che vada laggiù a far finta di poter trattare con quei russi ci devo andare. Se Nikodim è contro di noi, è l’unico modo che ho per incontrare la Lince… Se riesco a portare a termine la missione, i Referenti non avranno nulla da dire e ci lasceranno in pace >>.

 

Dimitri le rivolse un’occhiata imperscrutabile, come sempre quando pensava qualcosa e non voleva far sapere cosa. Irina si rese conto di fare la figura dell’incosciente e della superficiale, ma ogni ora che passava era sempre più determinata a non farsi intimorire da quei russi. Ci andava un po’ di coraggio, e lei cominciava a tirarlo fuori.

 

<< C’è altro che dobbiamo sapere? >> chiese Dimitri, rivolto a Dan.

 

<< No >>.

 

<< Quando è l’appuntamento? >>.

 

<< Stasera alle undici >>.

 

Dimitri si allontanò, facendo cenno a Irina di seguirlo. Dan, che fino a quel momento era stato piuttosto nervoso, sembrò rasserenarsi: molto probabilmente la presenza del Mastino lo metteva in soggezione.

 

<< Bene, ce ne andiamo >> disse il russo, << Se ci dovete dire altro, telefonateci >>.

 

Irina seguì Dimitri fino alla Audi R8, parcheggiata all’entrata del garage, e notò che il russo sembrava un po’ più strano del solito: appariva eccitato e preoccupato al tempo stesso, come se tutta quella storia avesse su di lui un effetto insolito. Sicuramente sapeva qualcosa di cui lei non era a conoscenza, e naturalmente non avrebbe provveduto a dirle cosa mai fosse.

 

<< Verrai anche tu, o dovrò andare da sola? >> chiese Irina, mentre risalivano sull’Audi che si accese con un rombo e iniziò a risalire la rampa che portava all’esterno.

 

<< No, io non verrò >> rispose Dimitri, neutro, << Nikodim vuole che vada solo tu, altrimenti con me sarebbe troppo facile… Oppure troppo difficile >>.

 

Irina inarcò un sopracciglio, senza capire cosa intendesse, ma Dimitri continuò: << E in ogni caso, l’unica cosa che non dovrai fare quando sarai lì è proprio trattare >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 16.00 – Mosca, Casa di Dimitri

 

<< Irina? Lo zio ha detto che devi salire… >>.

 

Yana la guardava con la sua solita espressione curiosa, mentre stava seduta in soggiorno davanti al pc portatile intenta a controllare la sua e-mail, nella speranza che Jess avesse già trovato qualcosa riguardo a Buinov. Guardò la bambina, sicura di non aver capito bene.

 

<< Cosa? >>.

 

<< Lo zio vuole che sali di sopra >> rispose la bambina, indicando con il ditino la mansarda.

 

“Ok, qui c’è qualcosa che non va…”.

 

Spense il pc e lo adagiò con lentezza sul tavolino, aspettandosi da un momento all’altro una smentita: Yana doveva aver capito male, oppure si trattava solo di uno scherzo. Però nessuno disse niente, così seguì la bambina lungo le scale, e inchiodò davanti alla porta della mansarda.

 

Yana entrò trotterellando tranquilla, e Irina rimase sulla soglia, incerta. Possibile che stesse per entrare nell’eremo off-limits di Dimitri, per di più su suo invito?

 

La bambina si voltò a guardarla, senza capire perché si fosse fermata lì. Irina infilò la testa dentro, con cautela come se si aspettasse di essere aggredita da un momento all’altro, e guardò.

 

La mansarda aveva una forma regolare, quadrata e molto spaziosa, ed era stata divisa in diverse stanze chiuse da porte di legno scuro. Come si era immaginata, trovò diversi attrezzi da palestra che avevano l’aria di essere utilizzati molto spesso, e addirittura un sacco da boxe rosso appeso al centro della stanza, sopra un tappeto nero che doveva fungere da ring. Un paio di guantoni erano appoggiati a una panca insieme con una felpa e un asciugamano; vicino c’era un piccolo stereo che diffondeva in quel momento una musica soffusa, molto probabilmente un cd degli U2. Infine, in un angolo, c’era un tappetino rotondo a quadretti rosa e bianchi, sommerso di giocattoli e pupazzi che sicuramente dovevano appartenere a Yana.

 

Dimitri non sembrava esserci, così si arrischiò a entrare, notando che una delle porte delle due stanze era aperta. Yana gliela indicò e poi tornò a giocare con i suoi peluches.

 

Ora capiva cosa facevano insieme Yana e Dimitri nelle lunghe ore che se ne stavano la sopra, e sentì nascere un po’ di tenerezza verso quel rapporto strano e dolce che avevano quei due. La bambina si era addirittura meritata uno spazio personale all’interno di quello che doveva essere il luogo preferito del russo, e lui era stato così magnanimo da cederglielo: era la conferma che in fondo le voleva bene, a modo suo.

 

Si avvicinò alla porta socchiusa e bussò, per far capire che stava entrando.

 

Trovò Dimitri seduto a una scrivania, davanti a un computer dall’aria piuttosto potente, lo sguardo puntato sul monitor acceso su uno strano programma. Alla parete era appesa una cartina di Mosca, come se gli servisse per tracciare il percorso di qualcuno, circondata da due scaffali alcuni pieni di cd, fogli, mappe e qualche strano congegno elettronico, altri stipati di scatole di cartone e registratori con i dorsi in bianco.

 

<< Ehm… Mi volevi vedere? >> domandò Irina, sentendosi stranamente in imbarazzo, in quel luogo che sapeva essere proibito, per lei. Era quella solita sensazione di soggezione che aveva provato nei suoi confronti all’inizio della loro convivenza.

 

Dimitri le gettò un’occhiata e le fece cenno di sedersi nella sedia che aveva lasciato libera di fianco a lui: solo in quel momento Irina si accorse della piccola foto che teneva vicino al monitor e che ritraeva lui stesso di fianco a una bionda, dall’aria stranamente familiare. Sembrava una foto piuttosto vecchia, perché Dimitri era molto, molto più giovane, appena più che un ragazzo, ma aveva sempre gli stessi imperscrutabili occhi grigi di sempre.

 

Chiunque fosse quella ragazza, sicuramente doveva aver rappresentato qualcosa di importante nella vita di Dimitri, perché altrimenti non si sarebbe mai guadagnata il privilegio di fare una foto con lui. E le sembrava la stessa che aveva visto nel ritratto in camera sua.

 

“E se fosse la sua fidanzata?”.

 

Quel pensiero la folgorò improvviso, portandosi dietro un sacco di implicazioni. Non l’aveva mai vista in giro, né tantomeno con Dimitri… Possibile che fosse lei la donna che lo aveva reso quello che era, in chissà quale modo?

 

A guardarla bene, però, le sembrò una ragazza qualsiasi, carina ma sicuramente nulla di speciale, e non aveva niente che potesse dare l’idea di avere qualcosa in grado di conquistare nientemeno che Dimitri… Però il fatto stava che la foto campeggiava in due delle stanze più private del Mastino, e ciò significava che non era una qualunque.

 

<< Mettiamo subito in chiaro cosa dovrai fare stasera e quello che non dovrai fare >>. La voce di Dimitri ruppe il filo dei suoi pensieri, e Irina si riscosse, guardandolo fingendo di non essere rimasta colpita dalla foto.

 

<< Va bene… >> disse lei, a bassa voce.

 

Dimitri tirò fuori da un cassetto due piccoli oggetti che sembravano microspie, e li appoggiò sulla scrivania, di fianco a un paio di grosse cuffie con microfono.

 

<< Ti ho detto che non sarei venuto >> disse, << Infatti non verrò. Però ti seguirò con questi… >>. Mostrò le due microspie. << Sentirò ciò che sentirai tu, e potrò parlarti come se fossimo al telefono, senza che nessuno si accorga di niente. In poche parole, ti guiderò passo passo, e potrò vedere la tua posizione sul mio computer >>. Fece un cenno con la testa verso il monitor.

 

Irina annuì, e per un attimo le venne in mente Xander: tutti quei dispositivi di sicurezza gli sarebbero andati a genio. Si chiese perché mai Dimitri fosse tanto previdente.

 

<< Una volta che sarai nel loro territorio, dovrai seguire tutto ciò che ti dirò, che ti piaccia o meno >> continuò il russo, secco, << Senza discussioni, chiaro? Non possiamo metterci a litigare su cosa vogliamo fare mentre sei davanti a uno degli scagnozzi di Vladimir, quindi seguirai i miei ordini anche se non ti andranno a genio… Anche perché serviranno a farti uscire viva e vegeta da lì >>. A suggello di quelle parole le rivolse un’occhiata eloquente.

 

<< Ok… Ma sono così spaventosi? >> chiese Irina, a cui sembrava quasi esagerata tutta quella storia. L’incontro era programmato, non sarebbe certo piombata lì senza avvisare.

 

Dimitri però afferrò uno dei microfoni con aria stizzita, come se la considerasse una sciocca.

 

<< Sono dei figli di puttana pronti a tutto, che non guardano in faccia a nessuno e soprattutto che si divertono alle spalle degli altri >> rispose, il tono feroce, << Non gli interessa chi sei, chi conosci o cosa vuoi. Se hanno voglia di ammazzarti, lo fanno e basta >>.

 

Irina tacque e vide la mano di Dimitri tremare, gli occhi che guizzarono un momento verso la foto con la ragazza: le bastò quello per capire che quella donna doveva essere un elemento centrale nel passato di Dimitri, e sicuramente aveva avuto un ruolo importante nella storia con Buinov… E chiaramente, poteva essere lei quella che era andato a trovare al cimitero.

 

<< Scosta i capelli >>.

 

Dimitri si era alzato e la guardava con in mano uno dei microfoni, in attesa che lei facesse ciò che aveva detto. Con cautela Irina raccolse i capelli tutti da una parte e il russo si abbassò, sfiorandole l’orecchio quasi impercettibilmente ma abbastanza da farle percepire il calore delle sue mani, che sembravano avere una temperatura superiore a tutte quelle degli altri. Avrebbe detto che poteva benissimo avere la febbre.

 

<< Dovresti riuscire a sentirmi abbastanza bene, con quella >> disse Dimitri, afferrando le cuffie con microfono che aveva appoggiato sulla scrivania, riguadagnando la calma, << Mettiti questa >>.

 

Le porse l’altro oggetto e lei se lo appuntò sulla maglietta, all’altezza del cuore.

 

<< Con quello sentirò qualsiasi cosa verrà detta >>.

 

Non poteva negare che Dimitri fosse ben organizzato: chissà dove si era procurato tutta quella roba. Lo guardò dare un’ultima occhiata al monitor del computer, poi si decise a parlare.

 

<< Perché ce l’hanno tanto con voi? >> chiese lei, riferendosi a Buinov e ai suoi amici.

 

Dimitri non distolse lo sguardo dallo schermo, ma forse i suoi occhi si puntarono sulla foto.

 

<< E’ una cosa che va avanti da tanti anni >> rispose, neutro, << Da quando io ero giovane… Mosca è sempre stata divisa in quartieri, ma piano piano i vari capi famiglia si sono alleati l’uno con l’altro per contrastare la polizia. Anche per quello è nata la figura della Lince… Buinov e la sua famiglia sono stati gli unici che non hanno mai voluto allearsi con nessuno, e hanno continuato a fare la guerra a tutti quanti >>.

 

<< Soprattutto con te… >> si arrischiò ad aggiungere Irina, aspettandosi un repentino cambio di umore da parte sua.

 

Dimitri fece una mezza smorfia.

 

<< Soprattutto con me >> ripeté, ma non sembrò infuriarsi. Tacque per un istante, poi aggiunse: << Non fare finta di non sapere che Buinov mi vuole morto, Irina. Lo so che mi hai ascoltato mentre parlavo con Iosif di mia sorella, e so anche che forse stai anche facendo ricerche su di me >>. C’era una nota vagamente divertita nella sua voce.

 

Irina rimase paralizzata, fissandolo inebetita.

 

<< Co-come fai a saperlo? >> chiese.

 

Dimitri divenne serio, e i suoi occhi grigi si rabbuiarono ulteriormente.

 

<< Non sono un’idiota, e non sono cieco >> rispose, << Non fare ricerche su di me: è solo una perdita di tempo e mi da fastidio. Non saprai niente finché qualcuno di noi non te ne parlerà, e nessuno si arrischierà a farlo >>. Non era minaccioso, ma non stava nemmeno scherzando.

 

<< Sto solo cercando di capire se corriamo qualche pericolo >> ribatté Irina, per difendere la sua posizione, << Non posso continuare a brancolare nel buio… Magari dobbiamo guardarci le spalle più di quanto immaginavamo >>.

 

<< Viviamo costantemente nel pericolo >> disse Dimitri, << Dovresti saperlo. Quando eri parte del giro di Challagher, la tua vita era esattamente come quella di ogni altro pilota clandestino: era qualcosa di inconscio, ma sapevamo tutti che un giorno potevamo svegliarci e scoprire che quello era l’ultimo della nostra vita. Adesso è uguale, e non credo che ficcare il naso nei fatti miei contribuisca a farti correre meno rischi >>.

 

Irina rimase in silenzio, colpita. Dimitri in fondo aveva ragione: che lei sapesse o non sapesse, si sarebbe comunque trovata nei guai. Nessuno poteva prevedere cosa sarebbe accaduto di lì a qualche ora.

 

Si rese conto che forse stava commettendo un errore: il passato di Dimitri non era affar suo, non doveva intromettersi in qualcosa che lui voleva mantenere segreto. Aveva deciso di collaborare con loro, quindi sicuramente aveva tenuto conto anche di quello che il suo ritorno in Russia avrebbe comportato. Se il suo passato fosse venuto a cercarlo, se ne sarebbe occupato lui, come aveva già detto… Ma lei non poteva fare finta di niente, e mettere a repentaglio la missione…

 

<< Forse… Forse hai ragione >> mormorò, << Forse sto sbagliando da qualche parte… >>.

 

Poi si rese conto di una cosa: non era un’agente dell’F.B.I., era una ex pilota clandestina… Non poteva negarlo. Non aveva seguito nessun corso, non aveva fatto nessuna gavetta: era solotata ingaggiata per portare a termine una missione che solo un’agente esperto poteva sperare di concludere. Non poteva pretendere di minimizzare i rischi, non poteva pretendere di fare in modo che tutto filasse liscio e senza intoppi: il rischio era stata la prima variabile di cui si era parlato, il primo scoglio che aveva incontrato e dal quale Xander l’aveva messa in guardia… E quando aveva accettato il compito, aveva accettato anche quello.

 

<< D’accordo, se credi che non serva impicciarmi degli affari tuoi, cercherò di non farlo >> mormorò lentamente, << Ma non puoi pretendere nemmeno che faccia finta di niente. Se devo guardarmi le spalle, preferisco saperlo >>.

 

Dimitri si lasciò andare a una smorfia strana, che aveva qualcosa di amichevole.

 

<< Tanto ci sono io a guardare le spalle a entrambi >> rispose, serafico, << Per il momento abbiamo finito, se vuoi puoi andartene >>.

 

Irina alzò gli occhi al cielo.

 

“Non sia mai che conversiamo amabilmente per più di cinque minuti… Provvede subito a sbattermi fuori”.

 

Si alzò, portandosi dietro le microspie e si fermò da Yana, che era mezza sommersa dai suoi pupazzi, e ridacchiava contenta.

 

<< Giochi con me? >> domandò la bambina, sventolando un grosso peluche a forma di orso bianco.

 

<< Ehm… >>. Si guardò intorno: Dimitri stava cambiando il cd allo stereo, di spalle. << Posso rimanere o vi do fastidio? >>.

 

Il russo si voltò appena, gli occhi grigi che scintillavano. Era forse divertito?

 

<< Ti ho detto che se vuoi puoi andartene, non che te ne devi andare >>.

 

Irina gli rivolse un’occhiataccia, ma tanto si era già girato, e sorrise a Yana sedendosi di fianco a lei.

 

<< Lui si chiama Kocco >> disse la bambina, indicando l’orso bianco, << E lui… >>.

 

Passò i dieci minuti successivi a elencare gli improbabili nomi dei suoi amici pupazzi, ma Irina lo trovò piacevole: dava a tutto un’aria meno pesante, e contribuiva a farla sentire un po’ meno lontana da casa. Tommy a quell’ora probabilmente doveva essere a casa a giocare con i suoi trenini…

 

Nel frattempo, Dimitri si era infilato la tuta da ginnastica e aveva iniziato quello che doveva essere il suo allenamento quotidiano fatto di numerose serie di esercizi con gli attrezzi e furiose battaglie contro il sacco rosso che si stagliava minaccioso al centro della stanza. In quel momento stava sfogando sul punching-ball tutto quello che molto probabilmente avrebbe volentieri scaricato su di lei.

 

Yana continuava la sua presentazione come se niente fosse: evidentemente era abituata a vedere suo zio picchiare furiosamente un sacco inerme, e aveva smesso di chiedersi perché lo facesse. Irina invece si domandava come quel punching-ball aveva fatto a resistere fino ad adesso, perché Dimitri colpiva forte e rabbiosamente. Mai trovarselo davanti quando era arrabbiato, o si rischiava di finire all’ospedale con diversi traumi…

 

Si appoggiò con la schiena contro il muro e si fece coinvolgere in un gioco di Yana, che aveva approfittato della situazione per farsi insegnare qualche nuova parola e si divertiva da morire. Solo quando Dimitri si levò la maglia, mettendo di nuovo in mostra la sua collezione di cicatrici, l’occhio di Irina cadde di nuovo da quella parte.

 

“E’ un vero peccato che si sia rovinato così… In fondo è un bel ragazzo”.

 

Irina si morse il labbro quando si accorse di ciò che aveva appena pensato, e si sentì improvvisamente in colpa, come se avesse fatto un torto a Xander. Poi si diede della sciocca, come faceva spesso da un po’ di tempo a quella parte: aveva solo espresso un giudizio, non aveva fatto niente di male.

 

Dimitri si voltò di scatto verso di lei, una goccia di sudore che gli colò sul collo, scorrendo su una delle cicatrici bianchicce, e le rivolse un’occhiata indecifrabile. Irina sussultò rendendosi conto che l’aveva appena beccata a fissarlo.

 

<< Scusami >> disse lei, abbassando lo sguardo, << Non volevo infastidirti… >>.

 

“No! No! No! Ho sbagliato di nuovo… Adesso è sicuro che lo stavo guardando…”.

 

Dimitri abbassò la guardia e recuperò l’asciugamano, gettandoselo sulle spalle, e poi si asciugò il volto, forse per nascondere una smorfia.

 

<< Non è certo il tuo sguardo a infastidirmi… >> borbottò, enigmatico, prima di infilare le scale e scendere di sotto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 22.00 – Mosca, Casa di Dimitri

 

<< Riesci a sentirmi? >> domandò Dimitri, la voce che proveniva dal microfono nascosto nei pressi dell’orecchio di Irina, in piedi nell’ingresso.

 

<< Sì. Tu mi senti? >>.

 

<< Sì, ti sento bene >> rispose Dimitri, che stava nella mansarda, << Ora scendo per darti un’ultima cosa >>.

 

Irina sentì i passi del russo rimbombare per le scale, e lo guardò avvicinarsi con le cuffie in mano, gli occhi grigi che brillavano.

 

<< Quante armi hai? >> domandò, secco, dopo essersi accertato che le microspie non si vedessero.

 

<< Solo una pistola >> rispose lei, controllando fosse ancora dove l’aveva lasciata, cioè appesa alla cintura, << Ma tanto dovrò lasciarle tutte dentro l’auto, altrimenti non mi faranno entrare… >>.

 

Dimitri tirò fuori dalla tasca quello che era un coltellino a serramanico, abbastanza grande da poter risultare letale, se si era in grado di usarlo. Glielo porse ma lei rimase a guardarlo, interrogativa.

 

<< Nasconditelo da qualche parte… >> fu il commento del russo.

 

<< Senti, credi che io sia in grado di usare un coltello? >> ribatté Irina, esasperata, << Non… >>.

 

<< Non discutere e mettitelo dentro uno stivale >> la zittì Dimitri, feroce, << Non ti controlleranno dentro le scarpe… E in ogni caso, ti sconsiglio di usarlo: ti potrà servire solo se le cose si metteranno davvero male. Consideralo la tua ultima spiaggia. E quanto al fatto che non lo sai usare… Vedrai che al momento opportuno sarai capace, come tutti >>.

 

Irina inarcò un sopracciglio, perplessa, ma prese il coltellino e se lo infilò dentro lo stivale, evitando di irritarlo ulteriormente. Si chiuse la giacca e gli gettò un’ultima occhiata.

 

<< Vado >> disse.

 

Si avviò verso la porta, ma prima di uscire si voltò un’ultima volta verso di lui, sentendosi strana.

 

<< Ehm… >> biascicò, incerta, << Non voglio fare la tragica, ma se per caso dovesse succedere qualcosa… Ehm… E’ stato interessante passare del tempo con te >>.

 

Non lesse assolutamente niente sulla faccia di Dimitri, e così capì almeno di non averlo innervosito ulteriormente. Voleva solo essere sincera e gentile nei suoi confronti.

 

<< Vedi di seguire quello che ti dirò, chiaro? >> abbaiò lui, in risposta.

 

Irina si chiuse la porta alle spalle, per niente stupita dalla sua reazione, e scese in garage. Aveva la sensibilità di un muro di cemento.

 

Le ci volle un’ora per arrivare al quartiere Lyubertsy seguendo le indicazioni sul navigatore satellitare, le strade congelate e deserte. Mosca dormiva già, e gli unici abitanti ancora in fermento erano sicuramente quelli che vivevano di notte, cioè loro, i piloti clandestini.

 

Quando entrò a Lyubertsy non si accorse della differenza, perché anche lì le strade erano vuote e spazzate da un vento freddo. La zona sembrava un quartiere malfamato e povero, e molte delle case erano vecchie e fatiscenti. Individuò il capannone in fondo alla strada, spoglio e quasi invisibile nella notte scura.

 

<< Credo di essere arrivata… >> sussurrò. Fermò la macchina e sentì un brivido scorrerle lungo la schiena: era tutto molto, troppo, inquietante e desolante…

 

Dimitri, che fino a quel momento era rimasto in completo silenzio dall’altra parte del microfono, diede segni di vita.

 

<< Lo so… Se il cancello è aperto, entra e lascia la macchina in un angolo, non troppo lontana dalla porta di entrata… >>.

 

<< Ok >>.

 

Irina parcheggiò la Punto a pochi metri dalla porta del capannone, nel cono di luce di un lampione mezzo storto. Adagiò la pistola sotto il sedile, controllò che il coltellino fosse ancora al suo posto, e poi scese.

 

Rimase in piedi davanti alla porta per qualche istante, sentendo la tensione salire. Ora che si trovava lì, era tutta un’altra cosa… Però faceva parte del mestiere. Se voleva essere un’agente dell’F.B.I. era ora che imparasse a gestire le sue emozioni, soprattutto la paura. E se lei non ci riusciva, ci pensava Fenice, che era sempre stata brava, in quello-

 

<< Da questo momento in poi non parlarmi più >> disse Dimitri, << Mi limiterò ad ascoltare, e a darti qualche ordine se sarà necessario. Fa come se non esistessi >>.

 

Irina annuì, anche se sapeva che non poteva vederla, e bussò.

 

Non dovette aspettare nemmeno un secondo, perché la porta del capannone venne aperta, ma il suo ospite rimase nascosto dietro il battente, invisibile nel buio della stanza quasi vuota.

 

<< Vieni avanti >> disse una voce, assurdamente roca e rasposa, tanto da farle venire i brividi.

 

Irina avanzò nella penombra, dove c’erano un tavolo e due sedie, l’una di fronte all’altra, e sentì la porta dietro di lei chiudersi, una presenza che aleggiava alle sue spalle. Il rumore però non riuscì a coprire la voce di Dimitri, che arrivò dritta e chiara al suo orecchio.

 

<< Merda >>.

 

Quell’unica parola bastò a Irina per farle capire che c’era qualcosa che non andava, e a farle rizzare tutti i sensi. In un attimo, sentì svanire la paura, pronta a difendersi, fuggire o contrattaccare.

 

<< E così hanno mandato te >> disse l’uomo, da dietro le sue spalle, con una pronuncia quasi incomprensibile, << Quindi tu saresti l’amichetta di Dimitri… >>. C’era qualcosa di serpentesco, in quella voce gutturale e roca, di viscido e cattivo.

 

Irina si voltò di scatto, decisa a vedere con chi stava per parlare, e le ci volle tutta la sua forza di volontà per rimanere impassibile.

 

Davanti a lei c’era un uomo, che sembrava anche abbastanza giovane, dai capelli ricci neri e gli occhi scuri, con un volto dai tratti duri e spigolosi… E un’enorme, bianca, nitida cicatrice sulla gola e sulla mandibola, fin sotto l’orecchio sinistro, come il colpo di una sciabola andato bene a segno.

 

<< Ero curioso di vederti >> disse l’uomo, girandole intorno e soppesandola con gli occhi, << Da vicino, si intende. Ci siamo già incontrati, sai? >>.

 

Non le ci volle molto per fare due più due, ma sentì il sangue gelarsi nelle vene quando capì chi si trovava di fronte… Davvero era lui?

 

<< Figli di puttana… >> sussurrò Dimitri nel suo orecchio, << Nikodim sta con lui… Non parlare finché non te lo dico… >>.

 

L’uomo le girò ancora intorno, con l’aria di un serpente che saggia l’aria intorno alla sua preda. Aveva una pistola in mano, ma non sembrava ancora intenzionato a usarla. Irina rimase immobile, tesa come una corda, il respiro volutamente regolare, in attesa.

 

<< Si raccontano strane storie su di te, sai? >> disse l’uomo, la voce che raspava come se rantolasse, << Eravamo tutti curiosi di scoprire chi si fosse portato dietro Dimitri questa volta… Un bel bocconcino, a quanto pare. Fenice ti chiamano… Sei la vecchia fiamma di Challagher, o sbaglio? Una donna “intraprendente”, ti definiremmo da queste parti… >>. L’uomo fece un ultimo giro intorno a lei, poi domandò, affabile: << Lo sai chi sono io? >>.

 

<< Vladimir Buinov >> rispose Irina, secca, ignorando il precedente ordine di Dimitri. Qualcosa le diceva che fare la buona e la timida con quel russo non era la strategia migliore.

 

L’uomo sorrise. << Perspicace… Accomodati, Fenice >>. Le fece cenno di sedersi alla sedia.

 

<< Siediti ma non staccargli di occhi di dosso >> fece Dimitri.

 

Irina eseguì, e Vladimir prese posto davanti a lei, un sorriso sul volto deturpato.

 

<< I miei amici devono essere diventati dei veri vigliacchi, se mandano una ragazza a trattare per loro >> disse il russo, tirando fuori un pacchetto di sigarette, << Ogni giorno che passa cadono sempre più in basso… Ti avremmo ucciso, se non fossimo stati curiosi di incontrarti, lo sai? >>.

 

<< Questo significa che la curiosità della gente mi ha salvato spesso la vita >> commentò Irina, tranquilla. Forse era stato il suo istinto di pilota, o forse solo la sua esperienza con quel tipo di gente, ma aveva già capito chi si trovava davanti, e come comportarsi… Ed era assurdo, ma aveva smesso di avere paura, come se fosse sicura che qualunque cosa fosse successa, sarebbe stata in grado di cavarsela.

 

Vladimir ridacchiò. << Sei un personaggio, tuo malgrado, Fenice… Ed è meglio che essere nessuno >>.

 

<< Non perdere tempo, prova a vedere se vuole trattare… >> disse Dimitri, e un velo di tensione trasparì dalla sua voce.

 

<< Sono venuta per trattare per conto dei Referenti… >> iniziò Irina, assumendo un tono sicuro, << Vorrebbero che… >>.

 

Vladimir fece un gesto con la mano, per zittirla; la sua faccia era la stessa che si ha quando si è infastiditi da una mosca che ci ronza intorno.

 

<< So cosa vogliono da me >> disse, annoiato, << E loro dovrebbero ormai sapere che non voglio nessuna tregua, nessun accordo, niente di niente… >>. Le gettò un’occhiata, << E’ il tuo amico Dimitri che voglio >>.

 

Irina comprese che Buinov stava solo giocando: non gli era mai interessato trattare con Nikodim e gli altri; aveva accettato quell’incontro solo con la speranza che fosse Dimitri a fare da tramite. Ora che si trovava davanti lei, tutto ciò che riguardava un’eventuale tregua non era di suo interesse.

 

<< Mi avrà >> ringhiò il Mastino, dall’altra parte del microfono, << Non mi sto nascondendo… E’ lui a non avere il coraggio di farsi vedere… >>.

 

Qualsiasi fosse la questione, Irina dubitava fortemente che Dimitri avesse paura a incontrare Vladimir: lo conosceva abbastanza da sapere che se se lo fosse trovato davanti, Buinov avrebbe fatto la fine del tipo che aveva riempito di botte al Black Diamond.

 

<< Dimmi Fenice, in pratica tu chi saresti? >> domandò all’improvviso Vladimir, guardandola con espressione interessata, la penombra della stanza a fargli da contorno. La cicatrice bianca sul suo collo riluceva sotto la vecchia e polverosa lampadina appesa al soffitto.

 

<< Sono la ex numero tre della Black List americana >> rispose lei, senza un tremito nella voce, << Facevo parte dei piloti che lavoravano per Challagher, quando ancora non si trovava dietro le sbarre >>.

 

Vladimir ghignò.

 

<< Conosco la tua fama, Irina Dwight >> disse serafico, << Da quando sei qui si sono susseguite molte voci, su di te. Io però voglio sapere perché sei qui con Dimitri >>. Il suo tono voleva forse apparire quasi dolce, ma aveva un che di viscido: le sembrò proprio di trovarsi di fronte a un serpente che con la lingua saggia l’aria intorno alla sua preda.

 

<< Evita di dirgli la balla che mi hai liberato >>. Dimitri non si perdeva una parola, e sembrava aver capito più di lei che cosa volesse sapere Vladimir… O quali intenzioni avesse.

 

<< Deve darmi una mano a liberare Challagher >> rispose Irina, << Sono venuta qui per chiedere aiuto per far fuggire lo Scorpione dal carcere >>.

 

<< E ti fai aiutare da Dimitri… >> commentò Vladimir, << Non è la scelta migliore che potevi fare, sai? Però ti ringrazio di averlo fatto uscire di prigione: finalmente lo posso rincontrare. Ormai avevo perso le speranze… >>.

 

Irina voleva mordersi il labbro, ma si trattenne. Dimitri dall’altra parte taceva. Vladimir faceva finta di non sapere le cose, ma in realtà doveva essere al corrente di tutta la storia, se non addirittura di qualcosa in più.

 

<< Che cosa vuoi esattamente da lui? >> chiese lei.

 

Vladimir scoppiò a ridere, tirando la cicatrice sul suo collo. Il suo volto spigoloso era tutto tranne amichevole e divertito, però.

 

<< Non lo sai, vero? Non ti ha detto niente … >> sghignazzò, appoggiandosi con la schiena alla sedia e guardandola una mano all’altezza del volto, con in mostra un grosso anello d’oro al mignolo.

 

Irina rimase impassibile, senza dargli segno che fosse tesa o nervosa. Dimitri non sembrava volersi più intromettere, come se fosse rimasto ad ascoltare quale guaio avrebbe combinato lei, o forse non sapeva come comportarsi, ora che il suo passato era diventato oggetto di discussione.

 

<< No >> disse, alzando il mento, quasi volesse sfidarlo.

 

<< Lo immaginavo… >> mormorò Vladimir, << Cosa c’è tra voi, mia dolce Fenice? >>. Si sporse sul tavolo, e l’aggettivo “dolce” sembrava fuori luogo pronunciato dalle sue labbra…

 

Irina ebbe la tentazione di fare una smorfia, infastidita, ma si trattenne: quei russi erano fissati con il suo rapporto di Dimitri, quasi si augurassero che le fosse davvero la sua ragazza o che comunque avesse una qualche storia con lui. Più che preoccuparsi che lei magari potesse tradirlo o tramargli alle spalle, il loro pensiero era se stavano insieme… Non aveva senso.

 

<< Sai cosa devi rispondere… >> ringhiò Dimitri, che sembrava ancora più furioso di prima.

 

<< Niente >> ribatté lei, guardando Buinov dritto negli occhi e trovandoli più freddi di quelli di Dimitri, << Sono la ragazza dello Scorpione, e di nessun altro >>.

 

Vladimir sorrise, poi sembrò soppesare le sue parole senza cambiare espressione. Il ghigno rimase sul suo volto, come a dire che non ci cascava, che la stava prendendo in giro.

 

<< Dormi con un assassino, lo sai? >> disse alla fine.

 

Quell’affermazione prese Irina alla sprovvista, lasciandola un momento senza parole.

 

<< Cosa vuoi dire? >>.

 

<< Oh, Dimitri sa esattamente cosa voglio dire, come lo sanno tutti gli altri >> ribatté Vladimir, << Quando tornerai da lui, fatti raccontare qualcosa del suo passato… Potrebbe essere interessante. E riferiscigli che mi piacerebbe fare quattro chiacchere con lui, da amico ad amico >>. Ghignò ancora, sempre più divertito.

 

<< Vattene da lì appena puoi >>. L’ordine di Dimitri le arrivò dritto all’orecchio, e colse nel suo tono una nota di nervosismo… La situazione stava prendendo una piega che a lui non piaceva.

 

Per un istante Irina ebbe la tentazione di continuare a indagare sul passato del Mastino, di fare qualche domanda che le avrebbe permesso di capire qualcosa di ciò che era successo tra lui e Vladimir, ma si ricordò di quanto aveva detto ore prima, e decise di non rompere quella sorta di promessa.

 

<< Quindi devo riferire che non hai intenzione di trattare, né tantomeno incontrare qualcuno dei Referenti per parlare pacificamente? >> chiese, per riportare la conversazione sul piano iniziale.

 

<< Sì, non voglio concludere nessun accordo. Non ho interesse a farlo >> rispose Vladimir, << Ma potrei di nuovo voler incontrare te… >>. La guardò di nuovo con quello sguardo viscido e gelido che aveva usato per studiarla all’inizio.

 

Il cuore di Irina iniziò ad accelerare impercettibilmente, e il sangue le si gelò nelle vene, di fronte al tono di quella voce. Improvvisamente si sentì in trappola, sola e disarmata… Una sensazione che aveva provato molte volte, e che faceva parte del suo passato, del suo essere Fenice. Deglutì, cercando di riprendere il controllo come aveva imparato a fare.

 

<< E perché? >>.

 

<< Ti ho vista guidare; sei molto brava… E mi piace la tua determinazione >> rispose Buinov, giocando con il pacchetto di sigarette che aveva in mano, << Non sono un retrogrado maschilista come gli amici di Dimitri, non mi interessa se sei una donna… Potresti tornarmi utile, e io potrei offrirti più aiuto di quello che ti stanno dando loro per far fuggire il tuo amato Challagher… >>.

 

Ammiccò con aria complice, sicuro di averle appena fatto un’offerta allettante.

 

<< Rimani nel vago >> disse Dimitri, << Non dirgli né no né sì… Non sappiamo se dice sul serio o se è una trappola >>.

 

Irina sentì il nodo allo stomaco sciogliersi, quando la voce di Dimitri, sempre controllata e distaccata, le risuonò nell’orecchio… Non era proprio da sola.

 

<< Potrebbe anche interessarmi >> iniziò, cauta, << Ma non credo che tu possa offrirmi un aiuto maggiore di quello che potrebbe darmi la Lince, no? E poi Dimitri mi ucciderebbe, se accettassi… Dovrei scegliere fra l’aiuto di uno di voi due, e non ho nessun elemento per decidere >>.

 

Vladimir sorrise.

 

<< Ottima risposta, Fenice >> disse con un cenno del capo, << Allora potremmo davvero incontrarci per valutare la cosa, non credi? >>.

 

<< Forse… >>. Irina sorrise, mascherando la tensione, << Non sono venuta qui per questo, però. Tutto dipende da ciò che mi offriranno i Referenti, una volta che tornerò a riferirgli che il compito che mi hanno affidato non è andato a buon fine… In quel caso, potrei anche accettare la tua proposta >>.

 

Vladimir sembrava divertito.

 

<< D’accordo, Fenice, aspettiamo >> convenne, << Ho un’ultima domanda da farti, mia cara… Parteciperai alla Mosca-Cherepova? >>.

 

<< Se me lo permetteranno, sì >> rispose lei.

 

<< E’ una gara a coppie, lo sai? >> chiese Vladimir, gli occhi che brillavano. << Con chi gareggerai? >>.

 

“Questo non lo sapevo…”.

 

<< Con me >> sussurrò Dimitri, secco, << Digli che parteciperai con me… Sarò io il tuo compagno >>.

 

<< Con Dimitri >> rispose lei, in automatico. E solo un secondo dopo si rese conto di ciò che aveva appena detto.

 

Vladimir la guardò per un momento, come se si stesse trattenendo dal ridere. Alla fine si alzò, aggirò il tavolo e la raggiunse, forse per tirarle la sedia in un gesto galante. Invece si abbassò su di lei, la bocca a pochi centimetri dal suo orecchio, e sussurrò: << Allora al nostro prossimo incontro, Fenice. E un bentornato a te, Dimitri >>.

 

Irina rimase paralizzata, seduta sulla sedia con la pelle d’oca, rendendosi conto che Vladimir aveva sempre saputo che il Mastino li stava ascoltando…

 

<< Alzati e vattene >> ordinò secco lui, come se non fosse successo niente.

 

Irina si alzò, con un’orribile sensazione addosso, mentre Vladimir le indicava la porta con aria falsamente gentile. Era come se fosse stata appena sfiorata da un viscido e infido animale, pericoloso e molto velenoso.

 

<< E’ stato un vero piacere conoscerti, Irina >> disse il russo, << Spero di rivederti presto >>.

 

Lei non rispose, ma gli rivolse solo un’occhiata. Poi alla fine disse, senza pensare: << Dimitri ti aspetta >>.

 

Infilò la porta e si immerse nell’aria gelida di Mosca, sentendo il battente sbattere alle sue spalle, e rabbrividì, più per la paura che per il freddo. Ora che era fuori, era come essere appena usciti dall’acqua, come se respirasse veramente dopo una lunga apnea.

 

<< Sali in macchina e muoviti >> ordinò Dimitri, con urgenza, << Vattene il prima possibile >>.

 

Irina si gettò uno sguardo alle spalle, per controllare che nessuno la seguisse, e raggiunse l’auto a testa bassa. Montò sulla Punto, mise in modo e uscì con una sgommata attraverso il cancello aperto, il cuore che batteva più forte del solito. Si lasciò il capannone alle spalle in un attimo, come se fosse stata inseguita dalla polizia. Solo quando furono passati cinque minuti, le venne voglia di parlare di nuovo, e si sentì più tranquilla.

 

<< Come faceva a sapere che ci stavi ascoltando? >> chiese, la tensione che scemava a ogni metro che metteva tra lei e il capannone.

 

<< Non lo so >>. Dimitri sembrava furioso, << Tira fuori la pistola e togli la sicura… >>.

 

<< Ormai sono fuori, non credo che ci sia alcun pericolo… >> cominciò Irina.

 

<< Fa come ti dico, cazzo >> ringhiò Dimitri, << Guarda lo specchietto retrovisore… Sono sicuro che ti stanno seguendo >>.

 

Irina gettò un rapido sguardo dietro di lei, e con orrore si accorse che il Mastino aveva ragione: c’era un’auto che percorreva la strada deserta alle sue spalle, non abbastanza vicina da riuscire a vedere chi c’era dentro, ma nemmeno troppo lontana per non capire che la stava palesemente seguendo.

 

<< Cavolo… >> mormorò, e la tensione rimontò più veloce di prima, << Provo a seminarlo? >>.

 

<< Che auto è? >> domandò Dimitri.

 

Irina strizzò gli occhi, cercando di individuare qualche segno distintivo nel buio della notte.

 

<< Sembra una Toyota Celica blu >> rispose, << Ha un’aquila stilizzata sul cofano, mi pare… >>.

 

<< E’ Cyrus >> disse Dimitri, come se quello le chiarisse qualcosa, << Forse ti limiterà a seguirti… Non accelerare, fa finta di non averlo visto >>.

 

<< Ok… E’ pericoloso? >>.

 

<< Come chiunque di loro >> rispose secco Dimitri, << Ma sanno che ti tengo sotto controllo… Se è lui, non ti darà fastidio >>.

 

Irina proseguì lungo la strada deserta, gettando di tanto in tanto un’occhiata allo specchietto retrovisore, per constatare che la Celica era ancora lì. Più di una volta sperò che a un incrocio l’auto girasse da un’altra parte, ma la Toyota le rimaneva incollata. Più di una volta si accorse che dagli angoli bui delle strade si intravedevano auto sportive con i fari e il motore accesi, come se fossero pronte a unirsi alla Celica per seguirla.

 

<< Ma quanti sono? >> mormorò, allarmata, << Ho paura che mi abbiano accerchiato… >>.

 

Sentì l’ansia montarle addosso, ma c’era qualcosa che le impediva di farsi prendere dal panico: forse era il fatto che si trovava dentro la sua Punto, e quando era lì c’era poco che poteva spaventarla… O forse era il fatto che Dimitri era dall’altra parte della linea, e che non era davvero da sola?

 

<< Ti stanno solo studiando >> disse lui, il tono stranamente tranquillo, << Forse credono che io sia qui da qualche parte ad aspettarti… Se non fai mosse strane, non ti faranno niente >>.

 

<< Mi sa che hai fatto bene a darmi quel coltello… >> sussurrò Irina, per sdrammatizzare un po’.

 

<< Non ti servirà >> disse lui, e aveva tutta l’aria di volerla rassicurare, << Ora imbocca l’autostrada… Se continua a seguirti, ti vengo incontro >>.

 

Irina salì sulla lunga rampa che l’avrebbe portata sulla superstrada elevata, e vide la Celica cambiare repentinamente direzione, per tornare indietro. Tirò un sospiro di sollievo.

 

<< Se ne è andata >> disse, aumentando la velocità, e immettendosi nello scarso flusso di auto, << Avevi ragione… >>.

 

<< Bene >>. Dimitri aveva il solito tono di voce neutro. << Ci vediamo a casa… Chiudo la linea >>.

 

<< Ok >>. Irina accese la radio, per scaricare un po’ di tensione. << Dimitri? >> disse poi, sperando di trovarlo ancora collegato.

 

<< Cosa c’è? >>.

 

<< Grazie per la compagnia >>.

 

Sentì un grugnito, poi il microfono venne spento e rimase da sola con la sua radio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Mamma mia, questo capitolo è stato infinito… Ho dovuto tagliare da qualche parte, altrimenti venivano fuori troppe pagine, e non me la sentivo di tagliarlo facendovi così aspettare un’altra settimana per vedere l’incontro con Vladimir.

Allora, che ne dite? Cosa vi sembra? Ci sono un sacco di elementi su cui riflettere, a partire da il permesso di Irina di entrare nell’eremo di Dimitri, che è indice di un cambiamento, vi avverto. Il russo forse comincia ad aprirsi, almeno un pochino? E poi la foto, di nuovo la stessa ragazza… Sarà giusto il ragionamento di Irina?

E Vladimir? Bé, viscido è viscido, però è curioso che abbia chiesto a Irina di passare dalla sua parte, non credete? Ha definito Dimitri “un’assassino”… Voi cosa ne pensate?

 

Dust_And_Diesel: sai che quando mi dite che descrivo bene faccio fatica a crederci? Non so perché, ma a me sembra sempre di essere piuttosto debole, in quel frangente… Ma se mi dici che sembra di vedere un film, , mi illumino davvero! E poi le gare… Ti confesso che non progetto proprio niente, perché mi vengono sul momento, e mi sa che è solo un caso che non si assomiglino tutte… Certe volte ho dei veri e propri vuoti, così lascio quella parte del capitolo in bianco e ci torno quando ho un minimo di ispirazione, nella speranza che esca qualcosa di decente… E poi, parliamo di Dimitri, che ultimamente è il mio personaggio preferito… Bé, si, il cambiamento è nell’aria, come hai notato anche tu. Comincia a mostrare un minimo di considerazione verso Irina, e in questo capitolo lo ha dimostrato. Adesso bisogna vedere fin dove arriverà, ma soprattutto se non è stato tutto un falso allarme, perché da uno come lui ci si può aspettare di tutto… Non importa se non puoi recensire, ci sentiamo al tuo ritorno! Buone vacanze! Baci!

 

Annalisa70: grazie come sempre per i complimenti. Però se speri di vedere un Irina/Dimitri, uhm, siamo davvero molto lontani… Xander rimane sempre Xander, soprattutto nel cuore di Irina, che è fedele e lo ama come se fosse il primo giorno: per farle prendere una sbandata per qualcun altro ce ne vuole! Ma tu continua a incrociare le dita, nella vita non si sa mai, e soprattutto non si sa mai cosa potrebbe passare nella mia testa vuota! Baci!

 

Smemo92: Ciao! Sì, credo proprio che l’F.B.I. sappia che William è scappato, ma come dici tu, le implicazioni sono troppe. Bisogna vedere dove si andrà a finire, con questa situazione… Divertente la parte Xander e Nina, vero? Si profila un bel problemone, per il nostro ragazzone dagli occhi azzurri… Come lo gestirà? Nina non è una che demorde facilmente… E poi, Dimitri. Ah, quanto ci fa impazzire, questo russo di ghiaccio… Prima se le da con un pugile, poi da dello stronzo a Nikodim, poi chiede “gentilmente” a Irina se è d’accordo con il suo piano… E in questo cap è ancora più strano del solito… Riusciremo mai a capirlo? Boh… Però è sicuro che qualcosa inizia lentamente a cambiare… Chissà… Baci!

 

 

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Capitolo 18
*** Capitolo XVIII ***


Capitolo XVIII

Capitolo XVIII

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Los Angeles - Otto anni prima

 

<< E quello chi sarebbe? >> chiede William, facendo un cenno con il capo verso il ragazzo seduto al bancone del Gold Bunny, il capo chino sulla sua vodka con ghiaccio. Sembra totalmente estraneo a quello che gli accade intorno, comprese le due ragazze che lo stanno adocchiando con aria famelica, e appare sordo anche alla musica.

 

<< Il russo >> risponde Hanck, poco interessato, << Dimitri Goryalef. Uno piuttosto bravo >>.

 

William da poco peso a ciò che ha appena detto Hanck: lo conosce abbastanza da sapere che non è bravo nel valutare il potenziale dei piloti. Però ha sentito parlare di qualche gara di quel russo, in giro nella sua zona da qualche settimana, e capisce che potrebbe fare al caso suo: gli manca solo un membro per completare il suo progetto, la Black List, e ogni pilota con un po’ di talento ha il diritto di essere preso in considerazione.

 

Appoggia il bicchiere vuoto del suo drink sul tavolo e si fa strada in mezzo alla gente, ricambiando qualche saluto da parte degli ormai abitudinari frequentatori del suo locale. Raggiunge il ragazzo e prende posto di fianco a lui, ordinando una birra.

 

<< Da dove arrivi? >> domanda abbastanza forte da farsi sentire in mezzo al brusio, guardando il barista che stappa la sua bottiglia.

 

Il russo finisce la sua vodka prima di rispondere, come se non sapesse con chi avesse a che fare. Poi gli rivolge un’occhiata, e William capisce all’istante che quello che ha davanti è un perfetto elemento per la sua Black List. Sguardo di ghiaccio, espressione dura e sicura di sé.

 

<< Da Mosca, Challagher. E tu da dove arrivi? >> risponde il russo, la voce roca e strafottente.

 

William ghigna, ignorando la sua domanda. << Girano strane storie, su di te >> dice, ricordando qualche conversazione avuta con i suoi amici, << Dicono che hai ucciso tante persone quante sono le cicatrici porti… >>.

 

Dimitri rimane di ghiaccio, insensibile al suo commento. << Se anche fosse così, non lo verrei a dire a te >> ribatte.

 

<< Cosa sei venuto a fare qui? >> domanda lo Scorpione, sorseggiando la sua birra, lo sguardo che solca disinteressato la gente che si affolla nel locale.

 

<< Ero stufo di guadagnare cicatrici >> risponde duro Dimitri.

 

William accetta il tono vagamente stizzito del russo, perché sente che c’è qualcosa in lui che lo rende diverso dagli altri piloti sbruffoni e sicuri di sé, perché è sicuro di trovarsi di fronte qualcuno che potrebbe rivelarsi importante nella sua carriera di boss delle corse clandestine. Non lo conosce, ma sa già che Dimitri non è uno che finge. E gli piace.

 

<< Vorrei che gareggiassi con me >> dice, tranquillo, << Uno contro uno, per vedere quanto sei forte… A patto che tu non sia di passaggio >>.

 

Dimitri gli rivolge un’occhiata. << Non sono di passaggio, Challagher. Non posso esserlo >>.

 

William annuisce. << Accetti? >>.

 

<< Va bene >>.

 

Lo Scorpione gli stringe la mano, sentendo la sua presa salda e stranamente calda, in contrasto con la sua aria gelida, e nella sua testa si forma già l’immagine di quella gara che sicuramente avrebbe portato all’ultimo pilota della Black List. Gara al termine della quale era certo che avrebbe proposto a Dimitri di diventare uno dei suoi piloti, di accettare di essere un membro della Lista che lo avrebbe consacrato come lo Scorpione, il più forte pilota di corse in circolazione. L’unica cosa che non sapeva, in quel momento, era che posto il russo si sarebbe guadagnato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 01.00 – Mosca, Casa di Dimitri

 

Irina spense il motore della Punto e scese dall’auto, il garage illuminato a giorno, silenzioso e tranquillo come era adesso il suo cuore. Si guardò intorno, e scoprì che Dimitri era fermo vicino alla Ferrari California, ad aspettarla.

 

Lo raggiunse, senza sapere bene che cosa dire: per la testa le frullavano troppe cose.

 

<< Siamo nei guai, vero? >> chiese lei alla fine, pronta a una frase acida da parte sua.

 

<< Di sicuro lo siamo più di prima… >> commentò lui.

 

Si guardarono per qualche momento, Irina a disagio. Per un attimo era entrata nel suo passato, nella sua vita, e la cosa la faceva sentire strana, quasi un’intrusa. Come minimo doveva essere furioso, ma non poteva nemmeno darle la colpa: nessuno aveva immaginato che si ritrovasse davanti proprio Buinov.

 

<< Senti… >> iniziò, anche se non aveva idea di cosa doveva dire.

 

<< E’ andata come doveva andare >> ribatté Dimitri, distaccato, << Non c’è niente da dire a riguardo. Provvederò a comunicare a Nikodim e gli altri l’esito della missione >>.

 

Si voltò per andarsene, ma Irina lo afferrò per il braccio, senza pensare a quello che poteva comportare.

 

<< Aspetta un attimo… >>.

 

Dimitri si girò, gli occhi di ghiaccio che la trafissero da parte a parte.

 

<< Aspetta un attimo >> ripetè Irina, calma, << Non ti farò domande sul tuo passato, se è questo che temi. Volevo solo chiederti cosa ne pensavi della missione… E ringraziarti >>.

 

Per un momento credette che Dimitri gli rifilasse un pugno, così lasciò il suo braccio di colpo. Lui però si girò completamente, la squadrò e disse: << Saliamo >>.

 

Irina lo seguì fin sopra, in silenzio, sperando di non averlo fatto arrabbiare davvero troppo, questa volta. Solo quando furono seduti in soggiorno, sul divano di pelle, Dimitri sembrò calmarsi. Sul tavolino era appoggiata una bottiglia di vodka, mezza vuota, e due bicchieri. Li riempì fino all’orlo, poi gliene passò uno. Il resto doveva averlo bevuto già lui prima.

 

<< Cosa ne penso? >> disse alla fine il russo, << Penso che quel bastardo di Nikodim sapesse che c’era Vladimir, e che gli abbia fatto il favore di mandare te. Penso che ci ha voluti infilare in un bel casino, per ostacolarci ulteriormente. E penso che tu non debba incontrare un’altra volta Vladimir, né tantomeno accettare la sua proposta >>. La guardò, quasi minaccioso.

 

Irina cercò di capire cosa intendesse con le sue parole, poi rinunciò e rigirò il suo bicchiere di vodka.

 

<< Secondo te perché mi ha chiesto di passare dalla sua parte? >> domandò. Non riusciva a capire se fosse arrabbiato, offeso o preoccupato.

 

Dimitri fece una smorfia. << Perché è molto furbo >> rispose, << Spera di poterti usare contro di noi >>. La sua voce ebbe una strana inflessione sull’ultima parola. << Voleva gareggiare con te nella Mosca-Cherepova per cercare di farti vincere: per questo ti ha chiesto con chi avresti partecipato. In quel caso, avresti potuto fare la spia per lui >>.

 

“A proposito di quella gara…” pensò Irina, drizzando le antenne. Attese un momento prima di porre la sua domanda, per scrutare la sua espressione.

 

<< Dicevi sul serio quando hai detto che avresti corso con me? >>.

 

Dimitri iniziò a versarsi un bicchiere di vodka. << Anche se avessi mentito, sarei comunque costretto a farlo, ora >> rispose.

 

Irina lo guardò male.

 

<< Non puoi dirmi semplicemente sì o no? >> chiese.

 

Ci fu un attimo, ma solo uno, in cui Irina credette di veder balenare un sorriso sul volto di Dimitri, ma poteva anche solo essere una sua illusione. Non sorrideva mai, e non lo avrebbe mai fatto con lei.

 

<< Avevo pensato di fare da secondo pilota già prima, se è questo che vuoi sapere >> disse.

 

Irina provò uno strano senso di sollievo, a quella notizia. In effetti, guidare per tremila chilometri da sola, in mezzo al ghiaccio e alla neve, anche se a bordo della sua Punto, le metteva un po’ di ansia.

 

<< Cosa ha fatto alla gola? >> chiese lei, cambiando argomento per evitare di innervosirlo ancora di più, << Aveva un’enorme cicatrice >>. Oltre che una voce che faceva venire i brividi.

 

<< Hanno tentato di tagliargli la gola, purtroppo con scarso successo… >> commentò Dimitri, abbassando la testa come per fissare il pavimento.

 

Irina si abbassò appena per cercare di guardarlo in volto.

 

<< Sei stato tu? >>.

 

<< No… E’ stato Emilian ad avere quell’onore >>. Dimitri puntò lo sguardo su di lei, e per un momento si ritrovarono faccia a faccia, a guardarsi negli occhi.

 

Irina si raddrizzò, perplessa, e rimase in silenzio. Voleva chiedergli perché Vladimir lo avesse definito un assassino, ma c’erano due cose a frenarla: la prima era che sicuramente si sarebbe offeso; la seconda era che temeva di conoscere la risposta.

 

<< Pensi che parteciperà anche Vladimir, alla Mosca-Cherepova? >>.

 

<< Non lo so, ma sicuramente si farà vedere >> rispose Dimitri, << Mi vuole incontrare, quindi seguirà i miei movimenti… >>.

 

<< Ma i Referenti lo lascerebbero partecipare? >>.

 

<< Sì, se lui in cambio accettasse la tregua. Potrebbe farlo e poi tirarsi indietro… >>.

 

Irina abbassò lo sguardo sul tappeto per un momento.

 

<< E se ce lo troviamo davanti? >>.

 

<< Perché non mi stai chiedendo come mai mi ha definito “assassino”? >> ribatté Dimitri, secco.

 

Irina gli rivolse un’occhiata, stupita per la sua uscita. Anche se era una sua abitudine ribattere a una domanda con un'altra domanda.

 

<< Perché so che non mi risponderai >> disse lei, cauta, << So che non mi dirai nulla, perché riguarda il tuo passato… O mi sto sbagliando? >>. Sorrise per fargli capire che non se la sarebbe presa, e non doveva farlo nemmeno lui.

 

<< No, non ti stai sbagliando… >> mormorò il russo, abbassando la testa, come per mascherare la sua espressione.

 

C’era qualcosa di strano in Dimitri, in quel momento. Era come se volesse aggiungere qualcosa, cose se per la prima volta volesse parlare, ma fosse indeciso.

 

<< Domani telefonerò a Nikodim per dirgli come è andata la missione >> disse alla fine.

 

<< Ok, ma… Non sono riuscita a convincere Vladimir >> obiettò Irina, << Ci lascerà partecipare lo stesso? >>.

 

Dimitri si alzò. << Sì, altrimenti dovrà vedersela con me… E sa bene con chi ha a che fare >>. Le augurò buonanotte e sparì in camera sua, lasciandola sola.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 09.00 – Londra, Aeroporto di Heathrow

 

William abbassò il giornale che aveva acquistato all’edicola dell’aeroporto, una smorfia sul volto camuffato: i baffetti finti gli davano fastidio, e ogni volta che parlava gli solleticavano le labbra. Dietro le lenti degli occhiali da sole i suoi occhi cercarono Daniel, intento a sorseggiare il suo caffè nel bicchiere di plastica, seduto della hall dell’aeroporto.

 

<< Di questo ne parlano, però >> disse, gettandogli il giornale.

 

Aveva appena letto un articolo che raccontava della strage di narcos avvenuta nel giro di un giorno nei pressi di Città del Messico, a opera di uno sconosciuto che sembrava essere venuto per saldare qualche conto in sospeso. I media avevano occupato molto spazio parlando di quella strana vicenda e domandandosi chi fosse l’autore, ma non avevano menzionato nemmeno una volta la sua fuga rocambolesca e un eventuale collegamento.

 

<< Credi che l’F.B.I. stia cercando di insabbiare la storia? >> domandò Daniel, la pelle del viso resa più scura dal trucco che si era messo per assomigliare a un messicano.

 

<< Di sicuro non vogliono far sapere che sono fuggito >> commentò William, strusciando la mano sui pantaloni del vestito che indossava, << E non so a che gioco stanno giocando… >>.

 

Il suo pensiero corse a poche ora prima, quando aveva appreso che Dimitri era fuggito dal carcere. Lo aveva saputo mentre faceva qualche ricerca per sapere in quale prigione era detenuto, e in un piccolissimo articolo di stampa aveva trovato la notizia della sua fuga. Una cosa poco pubblicizzata, come se anche in quel caso si volesse nascondere la cosa. Dov’era andato e come aveva fatto di preciso non era indicato, ma era chiaro che Dimitri era riuscito a fuggire prima di lui, come se si aspettasse che scappasse anche lo Scorpione, e si fosse andato a nascondere prima di essere trovato.

 

Non capiva perché l’F.B.I. volesse far passare tutto sotto silenzio: sia lui che Goryalef erano soggetti estremamente pericolosi, pronti a qualsiasi cosa per rimanere in libertà. Non aveva senso non mettere in allarme le autorità e la gente comune, che nel ritrovarseli davanti potevano avere brutte sorprese. Lo facevano forse per evitare far sapere che avevano fallito, che non erano stati in grado di tenere d’occhio due detenuti in cella di massima sicurezza?

 

<< Andiamo… >> borbottò, recuperando la valigetta ventiquattro ore che fungeva da suo bagaglio.

 

Si sentiva strano, nei panni di un rispettabile agente d’affari, in completo giacca e cravatta blu, seguito dal suo assistente di origini indefinite, interpretato da Daniel. Il travestimento, però, per quanto fastidioso, aveva funzionato, ed erano riusciti a eludere i controlli della polizia all’aeroporto, con tanto di ottimi documenti falsi. Avevano messo piede in Gran Bretagna senza nessun intoppo, anche se all’imbarco a Città del Messico uno sbirro lo aveva guardato decisamente molto a lungo; alla fine però non si era accorto del travestimento e li aveva lasciati passare.

 

Uscirono in strada, passando perfettamente inosservati in mezzo alla gente che andava e veniva, con le valige che strisciavano sull’asfalto umido di Londra, e chiamarono un taxi, uno di quei vecchi veicoli scuri dall’aria lenta e datata. Nell’aria c’era odore di smog e di pioggia, e il cielo sulle loro teste era plumbeo.

 

<< Ci porti a Bayswater road >> ordinò William secco, all’autista che li guardava dallo specchietto dell’autovettura in vecchio stile.

 

Mentre percorrevano le affollatissime strade di Londra, con autobus a due piani che sbarravano la visuale e gente che camminava dappertutto, imbacuccata in cappotti scuri, William continuava a pensare alle ultime ore della sua rinnovata vita da libero.

 

Fuggiva dal carcere senza che nessuno dicesse niente, senza che la polizia allarmasse tutte le sue unità e si mettesse alla sua ricerca… Poi veniva a sapere che Irina non c’era, che era partita per Parigi lasciando il suo adorato Went a Los Angeles, da solo… La Punto si faceva di nuovo vedere per strada, quando erano due anni che molto probabilmente stava chiusa nel suo garage… E infine, anche Dimitri era fuggito senza che nessuno o quasi ne avesse notizia.

 

C’erano troppe cose strane, per i suoi gusti. Troppe cose che non avevano senso…

 

Rifugiarsi a Londra per qualche tempo era l’unica alternativa che aveva, se voleva far calmare le acque e monitorare da lontano la situazione. Anche se la polizia non aveva diramato l’allerta, era sicuro che gli sbirri gli avrebbero dato la caccia, e nascondersi per un po’ la cosa migliore da fare. Oltretutto, ora era in Europa, e se Irina stava davvero a Parigi, aveva ampie possibilità di trovarla…

 

Già, quando l’avesse trovata? Cosa avrebbe fatto?

 

Forse l’avrebbe uccisa; forse avrebbe giocato un po’ con lei e poi le avrebbe fatto provare l’angoscia di sapere che il suo agente dell’F.B.I. stava per morire per mano sua, questa volta per davvero… Le possibilità che aveva erano davvero molte, e forse solo nell’esatto istante in cui se la sarebbe ritrovata davanti, avrebbe deciso.

 

<< Chi è il tuo amico? >> domandò Daniel, guardando fuori dal finestrino, mentre qualche goccia di pioggia iniziava a cadere.

 

<< Richard, il Lord >> rispose William, ricordando la faccia anonima dell’inglese che amava le Aston Martin, << Un vecchio amico che non mancava mai ai miei raduni a Las Vegas >>.

 

Fece attenzione che l’autista non gli prestasse molta attenzione, e si sistemò i baffetti finti. Richard lo avrebbe sicuramente accolto e nascosto nella sua grande villa, in cui i poliziotti non mettevano mai piede, e gli avrebbe fornito quello di cui aveva bisogno.

 

<< E’ un tipo affidabile? >> chiese Daniel.

 

<< E’ un inglese >> rispose William.

 

Il taxi si fermò davanti a una villa in stile medioevale, contornata da un alto cancello in ferro battuto nero e da un prato perfettamente curato nonostante la stagione fredda. Le luci sotto il porticato erano accese, come quelli ai primi piani. Un venticello freddo spazzava gli alberi del vialetto.

 

William pagò il tassista con i soldi che erano contenuti all’interno della valigetta, e lui e Daniel scesero. Rimasero a guardare per qualche istante la villa, poi lo Scorpione si strappò i baffetti finti, si tolse gli occhiali e si scompigliò i capelli, e mise tutto dentro la valigetta per non lasciare tracce in giro. Sapeva di essere ancora poco riconoscibile, perché aveva tinto i capelli di una tonalità diversa, e che la cicatrice sul sopracciglio era stata coperta alla perfezione con delle ciglia finte, ma a quello ci avrebbe pensato più tardi, in bagno. Doveva solo accertarsi che Richard lo riconoscesse.

 

Suonò il citofono, illuminato di blu, e attese.

 

<< Chi è? >> domandò una voce dall’altra parte.

 

<< Devo vedere il signor Richard >> rispose William, con un ghigno alla parola “signore”.

 

<< Chi devo annunciare? >>.

 

<< William Challagher >>.

 

Il maggiordomo tacque, ma si sentì il rumore del citofono che veniva chiuso. Dopo poco il cancello venne aperto, e William e Daniel entrarono dentro, raggiungendo velocemente la porta di ingresso aperta.

 

Quando misero piede nel salone d’ingresso, si ritrovarono in una stanza lunga e riccamente arredata, con un tappeto che copriva il pavimento e numerose lampade a rischiarare l’atmosfera. Il maggiordomo che doveva avergli aperto il cancello, vestito in un perfetto frac, stava in piedi, impettito, lo sguardo sprezzante posato su di loro. Nello stesso momento caracollò giù dalle scale Richard, ancora in vestaglia, l’espressione impaurita.

 

<< Ma tu non dovevi essere in carcere?! >> gridò.

 

<< Sono scappato… >> rispose William, sorridendo.

 

Richard, il classico volto da inglese, anonimo e dai capelli color topo, lo fissò senza sapere cosa dire. Rimase in piedi a guardarlo, il maggiordomo perfettamente fermo al suo fianco, spettatore silenzioso della scena. Il Lord cambiò lentamente espressione, passando dallo stupito al nervoso e infine al preoccupato, come se il suo cervello lavorasse a mille e lui non riuscisse a starci dietro.

 

<< Non puoi rimanere qui >> disse alla fine.

 

Il sorriso morì sulle labbra di William veloce come veloci erano stati i pensieri di Richard. Sentì montare l’irritazione, trovandosi davanti la stessa situazione che aveva dovuto affrontare con i messicani, cosa a cui aveva pensato ma che sperava di non dover ripetere. Aveva fatto tutto quel viaggio per ritrovarsi punto e a capo? No, non si ricordavano più con chi avevano a che fare…

 

<< Invece rimarrò finché sarà necessario >> ribatté, furioso.

 

<< La polizia verrà a cercarti! >> sbottò Richard, afferrandosi la vestaglia, << Se piombano qui gli sbirri, ci arrestano tutti e due, lo sai. L’F.B.I. sarà già sulle tue tracce… >>.

 

William si avvicinò puntando il dito contro l’inglese, con rabbia.

 

<< Hai qualche vecchio favore da contraccambiare, ti ricordo >> ringhiò, << Ho bisogno di un posto sicuro per un po’ di tempo, dove decidere cosa fare e pensare a un piano, e tu sai meglio di me che a casa tua gli sbirri non si faranno vedere… Tuo fratello non è ancora il capo del distretto, o sbaglio? >>.

 

Richard deglutì. << Questo non centra… Potrebbero comunque ricevere un mandato di perquisizione da parte dell’F.B.I…. >> esalò, << In quel caso, non può impedire che vengano qui >>.

 

<< Non succederà >> ribatté William, << Almeno non adesso. Non credo che sospettino che sia già riuscito a lasciare gli Stati Uniti… E comunque sembra che non siano particolarmente interessati a catturarmi di nuovo: come vedo nemmeno tu sapevi della mia fuga >>.

 

Richard lo guardò dubbioso.

 

<< Cosa stai dicendo? >> domandò.

 

William si allontanò. << Dopo ti spiego >> disse, << Dov’è la mia stanza? Ho bisogno di una doccia… >>.

 

Il maggiordomo guardò Richard, aspettando ordini. L’inglese rivolse un cenno verso Daniel, alle sue spalle.

 

<< Lui chi è? >>.

 

<< Il mio nuovo braccio destro >> rispose William, secco.

 

Richard rimase in silenzio per qualche momento, come se stesse pensando a quali guai lo avrebbe portato quella situazione. Poi sospirò e disse: << Dagli le solite stanze >>.

 

Il maggiordomo annuì rigidamente, e William lo seguì di sopra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 10.30 – San Pietroburgo

 

<< Mi dispiace che tu debba andartene… >> commentò Nina, lo sguardo languido puntato su Xander seduto di fronte a lei, il drink stretto tra le mani con le dita smaltate di rosso, << E’ solo per qualche giorno, vero? >> aggiunse, sbattendo le ciglia lunghe come quelle di un cerbiatto.

 

Xander sorrise di fronte all’espressione della ragazza, chiedendosi se fosse una brava attrice o se fosse veramente dispiaciuta. La gente lì intorno sembrava pensare lo stesso, come se si chiedesse chi fosse quel tizio che si era meritato l’attenzione di Nina. Si trovavano in un vecchio bar dall’aria anonima, ma che lei diceva essere assolutamente tranquillo e sicuro. Dalle facce che lo popolavano però non lo avrebbe mai detto.

 

<< Sì, vado via un paio di giorni per sbrigare un paio di affari, e vedere se trovo un’altra auto… >> rispose, guardando il piano del tavolo pieno di righe ma tirato a lucido, << Tornerò per il fine settimana, in tempo per le vostre gare >>. Ghignò.

 

In realtà, la sua destinazione sarebbe stata Mosca: aveva chiesto e ottenuto il permesso da McDonall di raggiungere Irina per qualche giorno, per vedere com’era la situazione dalle sue parti ma soprattutto per passare del tempo con lei. Nel frattempo si sarebbe informato se Boris o qualcuno dei russi avesse sentito parlare di lui o fossero al corrente che si trovava in Russia, oltre che eventualmente adeguare i suoi piani con l’andamento della missione di Irina.

 

<< D’accordo… >> fece Nina, tutta zucchero, gli occhi azzurro ghiaccio che lo percorsero come se lo volessero radiografare, << Mi mancherà la tua compagnia, sai? >>.

 

Xander scosse il capo, sconcertato. Si erano visti sì e no un paio di volte in quei giorni, e sempre durante una gara o in un locale circondati da gente del giro, senza che mai lui le desse l’impressione di nutrire un certo interesse nei suoi confronti, e senza nemmeno che le desse la possibilità di metterlo in situazioni “scomode”… Per il momento preferiva tenersi a una certa distanza, anche se sapeva che avrebbe potuto sfruttare il debole che quella Nina sembrava avere nei suoi confronti, sempre che fosse reale. Un paio di volte l’aveva vista accettare la “corte” sfrontata di alcuni russi pieni di soldi con aria soddisfatta, quando credeva che lui non fosse nei paraggi. Appena lo vedeva, liquidava chiunque e lo raggiungeva, rivolgendogli occhiate piuttosto eloquenti.

 

Alla fine era giunto alla conclusione che quella ragazza fosse una furba: lo sapeva di essere bellissima, e non si faceva problemi a sfruttare la sua avvenenza, quasi volesse collezionare gli uomini come molto probabilmente collezionava i rossetti. L’unico problema era che non era riuscito a capire se Nina sospettasse anche qualcosa su di lui, e stesse cercando di fregarlo.

 

<< Come mai? C’è un sacco di gente che è disposta a farti compagnia… >> disse lui, incrociando le braccia, un mezzo sorriso sul volto. << Tipo quei russi dell’altra sera >>.

 

Nina ammiccò, mostrando il suo sorriso perfetto, come a dire: “Allora li hai visti, eh?”.

 

<< Oh, ma sono tutti così… Normali >> rispose, << E tu sei così diffidente e misterioso… Hai un’aria molto sexy, carino. Loro di interessante hanno solo i soldi >>.

 

Xander non riuscì a non sorridere di fronte alla sfacciataggine di quella ragazza: da quand’è che non né incontrava una così?

 

“Da quando mi piaceva divertirmi…”.

 

Quando giocare era la parola d’ordine…

 

Gli occhi di Nina non si staccavano da lui, e suo malgrado ne rimase colpito: erano di un azzurro così intenso, così chiaro da ricordargli quelli di un lupo delle tundre gelate, sicuri, senza un velo di timidezza, quasi sfacciati nel loro modo di ammiccare. Il contrario di quelli di Irina, scuri, però caldi, dolci, gentili… Non erano stati come quelli di Nina nemmeno ai tempi di Fenice, quando dal suo sguardo traspariva una ostentata sicurezza, ma anche un immenso dolore; quando comunicavano sfida, ma chiedevano anche aiuto… Quando anche i suoi erano in grado di risvegliare i bollenti spiriti a molti.

 

<< Perché mi hai chiesto di vederci? >> chiese Xander, forse per cambiare argomento, o forse per evitare di indugiare ancora su quegli occhi che iniziavano a turbarlo.

 

Nina sorrise. << Sono riuscita a fare in modo di farti partecipare alla Mosca-Cherepova >> rispose lei, contenta, << Sai cos’è, immagino >>. Percorse una venatura del tavolo con l’unghia.

 

Xander annuì.

 

<< Come ci sei riuscita? >> domandò, colpito. Era ancora presto per valutare una sua partecipazione, soprattutto data la lentezza con cui procedeva la missione.

 

<< Ho fatto pressione su mio padre >> rispose lei, divertita, << Non rifiuta mai niente, alla sua bambina… >>. Gli rivolse un’altra occhiata delle sue.

 

<< Ok, ma… >>.

 

In quel momento a Xander venne in mente una cosa: sicuramente a quella gara ci sarebbe stato Boris, e lui non poteva farsi vedere… Ma non poteva nemmeno rifiutare senza insospettire Nina.

 

<< Cosa c’è? >> chiese lei.

 

<< Niente… >>.

 

Cavolo, doveva trovare un soluzione. Non poteva rifiutare quell’opportunità, perché aveva il presentimento che non gli sarebbe capitata di nuovo. Per risolvere il problema di Boris aveva bisogno dell’appoggio di qualcuno, che lo sostituisse nel caso avesse dovuto prendere parte a qualche incontro dove ci fosse stato anche il russo…

 

<< Hai un compagno? >> domandò Nina, distogliendolo dai suoi pensieri.

 

Colto alla sprovvista, Xander rispose: << Ehm, no, per il momento no… >>.

 

Nina sorrise. << Allora posso farti da co-pilota, che ne dici? >>.

 

“Cazzo! Mi sono messo nei guai da solo!”.

 

<< Ehm… Non so se è una buona idea >> commentò Xander, evasivo, << E’ molto pericoloso, e non ti ho mai vista guidare… >>. Quello era vero, non sapeva se fosse in grado di sostenere un gara, e solo il fatto che avesse una Audi TT non era certo una garanzia.

 

<< Oh, ma sono brava, se voglio >> disse lei, guardandolo, << Dicono che sono dotata, al volante. E non solo in quello >> Sorrise. << Ma secondo me il tuo problema è un altro… Hai forse paura che la tua fidanzatina sia gelosa di me? >>.

 

Xander le scoccò un’occhiata, chiedendosi se stesse bluffando e se sapesse davvero che aveva una ragazza… Doveva essere stato il ciondolo, a tradirlo di nuovo.

 

<< Non devo dare conto a nessuno, su quello che voglio fare >> ribatté, vagamente seccato.

 

<< Allora non c’è nessun problema, no? >> fece Nina, alzandosi e raccogliendo la sua pelliccia bianca, << Avermi in macchina ti sarà di aiuto… Ti sarai accorto che sono piuttosto influente da queste parti… Potresti vincere molto più facilmente >>. Raccolse la borsetta e chiuse i bottoni della pelliccia, sorridendo. << Chiamami, quando torni. E fammi sapere come è andata con la tua ragazza >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 19.00 – Mosca, Casa di Dimitri

 

Il fatto che Xander sarebbe arrivato lì, per trascorrere qualche giorno dalle loro parti, rese Irina leggermente nervosa. Non era il fatto che era la prima volta che si vedevano da quando erano partiti, perché le mancava molto ed era contenta di incontrarlo, ma era tutto ciò che la circondava a farle temere quell’incontro. Sicuramente, una volta arrivato, Xander si sarebbe accertato del posto in cui stava, della gente che la attorniava e delle possibilità che aveva di portare a termine la missione. Ma soprattutto, avrebbe avuto modo di vedere come Dimitri si muoveva nel suo ambiente, e di sicuro non gli sarebbe andato a genio.

 

Sapeva che Xander ricordava bene che anche grazie al Mastino lei era ancora viva, e che per quello aveva fatto in modo che scontasse qualche anno di carcere in meno, ma sapeva anche che lui aveva considerato la faccenda chiusa due anni fa, e che non aveva calcolato che si vedessero di nuovo. Doveva aver sempre pensato di aver chiuso in conti in quel modo. Per quanto gli fosse grato della sua collaborazione, per lui era inconcepibile che Irina convivesse con il russo che per poco non lo aveva fatto fuori e che era stato il braccio destro di Challagher, anche se era stato lui stesso a proporlo come suo compagno. Molto probabilmente si era già pentito, e sarebbe arrivato pronto a trovare una scusa per rimandarlo dietro le sbarre, e magari spedire a casa anche lei.

 

Irina lo conosceva troppo bene per sperare che la sua visita fosse indolore: doveva dire addio a quel minimo di pace che era nata tra lei e Dimitri, e che si era guadagnata con molta pazienza. Xander avrebbe sicuramente cercato di mettere il naso nel passato di Dimitri, e lui non lo avrebbe tollerato; quando sarebbe venuto al corrente che il Mastino faceva anche il pugile nel tempo libero, sicuramente si sarebbe infuriato, con tutte le conseguenze che quello comportava.

 

Sospirò, mentre stava seduta sul divano del soggiorno, da sola, a pensare come fare per rendere meno traumatica quella visita… Pensò che era assurdo trovarsi in quella situazione: al posto di essere in estasi per l’arrivo di Xander, era nervosa e preoccupata. Non era così che doveva andare, ma comprese cosa significava fare quel genere di lavoro e avere l’agente Alexander Went come fidanzato. E capì che se mai nella sua vita avesse voluto fare l’agente dell’F.B.I., le loro esistenze avrebbero potuto risultare incompatibili, per certi versi…

 

<< Dove dormirà Went? >>.

 

Irina si riscosse e guardò Dimitri, che stava scendendo dalle scale che portavano in mansarda. Aveva un’aria abbastanza assassina, segno che la visita non gli era particolarmente gradita, visto anche lo scarso preavviso con cui era arrivata.

 

<< Non lo so, ma credo che abbia affittato una stanza in qualche albergo… >> rispose lei, incerta, << Perché ti interessa saperlo? >>.

 

Dimitri accese lo stereo, cosa che faceva spesso. Sembrava odiare il silenzio di quella casa, certe volte.

 

<< L’appartamento di sotto è libero >> rispose, aprendo un paio di custodie di cd, senza guardarla, << Può anche andare lì, se vuole… >>.

 

Spiazzata, Irina guardò le spalle di Dimitri, cogliendo il significato di quella affermazione. Avrebbe permesso a Xander di occupare uno dei suoi appartamenti, in modo che lei non si dovesse spostare per stare con lui… Sorrise.

 

<< Ti ringrazio, ma non credo che Xander voglia fermarsi qui… >> disse, imbarazzata.

 

<< Non è l’unico a pensare in questo modo… >> ribatté Dimitri, infilando un cd nel lettore con aria distaccata.

 

Irina annuì, in modo automatico, senza rendersi conto di avergli appena dato ragione. Ormai tra loro era nata una sorta di empatia, per la quale iniziava a capirlo, e a cui le dispiaceva rinunciare… Sperava che non dovesse ricominciare da zero.

 

Sobbalzò, quando il suo cellulare squillò all’improvviso, lo schermo illuminato. Lo afferrò rapida, per scoprire con piacere che era Xander.

 

“Sono qui sotto…”.

 

Il cuore di Irina iniziò a battere forte, di felicità e di impazienza. Saltò in piedi e raggiunse la finestra, scostando la tenda: una Porsche Cayman blu, ammaccata e rigata, era ferma vicino al marciapiede, con Xander che guardava in alto, verso la palazzina. Gli fece un saluto con la mano, sorridente, poi si girò.

 

<< E’ arrivato… >> disse, anche se sapeva che Dimitri non condivideva la sua felicità.

 

Lui la guardò, con aria sofferente. << Fallo parcheggiare in garage… E’ meglio che nessuno lo veda da queste parti >>.

 

Irina recuperò le chiavi e si lanciò di sotto, alla velocità della luce. In un attimo, era scesa in strada, affrontando il gelo di Mosca, ed era corsa verso Xander, trattenendosi dal gridare. Gli saltò addosso stampandogli un bacio in bocca senza troppo pudore, abbracciandolo.

 

<< Quanto mi mancavano le tue accoglienze… >> mormorò Xander, tenendola stretta, la fronte incollata alla sua, mostrando il suo ghigno da lupo. Aveva gli occhi color oceano che brillavano.

 

<< Quanto mi mancavi tu >> ribatté Irina, << Come stai? >>.

 

<< Io bene, tu? >>.

 

<< Stupendamente… >>.

 

Xander la catturò in un altro bacio in grado di farle smettere di sentire l’aria gelida intorno a loro, poi fece un cenno verso l’alto, in direzione degli appartamenti illuminati.

 

<< E’ qui che state? >>.

 

Irina annuì. << Vieni, devi lasciare l’auto di sotto. Dimitri non vuole che ti vedano qui >>.

 

Notò la smorfia di Xander al nome del russo, ma la ignorò per gettare un’occhiata alla Porsche: non era tanto messa bene, perché il paraurti davanti sembrava essere stato messo a posto con un po’ di nastro adesivo ed era tutto scrostato; i fari dovevano essere stati sostituiti, perché erano integri, anche se avevano l’aria di essere di seconda mano; e le fiancate erano incavate, come se avesse ricevuto delle sportellate.

 

<< Xander, ma che hai fatto? >> domandò Irina, preoccupata, indicando l’auto, << Sembra uscita da uno sfascia carrozze… >>.

 

Xander si rabbuiò.

 

<< Ho fatto una gara piuttosto movimentata, e questo è il risultato >> rispose.

 

<< Ma non potevi fartela mettere a posto? >> chiese lei, << Demidoff ti ha avrà fornito un supporto… Che so, un meccanico >>.

 

Xander la guardò con un sopracciglio inarcato.

 

<< Prima di questo mi avevano dato una Scirocco >> disse, innervosito, << Per avere la Porsche ho dovuto discutere con Sokòlova per mezz’ora… Quando mi sono presentato per farla riparare, mi hanno detto che avrei dovuto aspettare per avere i pezzi, e le hanno dato un’aggiustata un po’ così… >>. Sembrava profondamente stizzito dalla cosa. << In realtà credo che l’abbiano fatto solo per vendicarsi del fatto che ho voluto un’altra auto… >>.

 

Irina non riuscì a reprimere un sorriso, cogliendo la situazione.

 

<< Quanto sei viziato… >> mormorò.

 

Xander la catturò un’altra volta, trascinandola verso di sé.

 

<< Non ti ci mettere anche tu, altrimenti te la faccio pagare… >> sussurrò, il suo fiato caldo che le solleticava le labbra.

 

<< Ok. Porta l’auto dentro, allora >> fece lei, sorridendo.

 

Irina si staccò, gli aprì la porta del garage e lo seguì a piedi fin sotto, sentendo il paraurti della Cayman scricchiolare mentre scendeva la rampa. Lo guardò uscire dalla macchina ed esaminare il sotterraneo con aria critica.

 

<< E tutte queste auto dove le ha prese? >> domandò, guardando la Ferrari California bianca che faceva sfigurare la sua Porsche semidistrutta.

 

<< Non me lo chiedere >> rispose Irina, << So solo che quella l’ha comprata, le altre le avrà vinte… >>. Si strinse nelle spalle: lezione numero uno: mai fare troppe domande a Dimitri.

 

Xander guardò la California, come se pensasse qualcosa, poi la seguì in ascensore fino all’ultimo piano.

 

<< Si trattano bene, qui… >> commentò.

 

<< Dimitri mi ha detto che tutto il palazzo appartiene alla sua famiglia, ma che non ci viene quasi mai nessuno >> spiegò Irina, << Ci vivono solo sua sorella con la figlia e il marito… Gli altri sembra stiano da altre parti >>.

 

Quando arrivarono sul pianerottolo, trovarono la porta socchiusa, segno che Dimitri gli aveva evitato lo sforzo di suonare. Entrarono, con Xander che si guardava intorno e studiava tutto con estremo interesse e un solco sulla fronte in mezzo alle sopracciglia.

 

<< Con tutto il palazzo libero, era proprio necessario che tu stessi nel suo stesso appartamento? >> domandò Xander, vagamente innervosito.

 

<< Questo è il suo, gli altri appartengono al resto della sua famiglia >> rispose Irina, con un sorriso, << Ma comunque non preoccuparti, è stato più bravo di quanto potessimo immaginare >>. Si concesse il commento perché Dimitri sembrava essere di sopra.

 

<< Certo, come no… >> borbottò Xander, << Dov’è, adesso? >>.

 

<< “Bravo” è un termine sbagliato >> disse Dimitri, scendendo dalla scala della mansarda, << Io direi piuttosto “paziente” >>.

 

I suoi occhi grigi dardeggiarono verso Irina, segno che il commento gli aveva dato fastidio, poi tornarono a posarsi su Xander, forse con l’intenzione di congelarlo all’istante.

 

<< Buona sera, agente Went >> disse in tono sprezzante.

 

<< Ciao Dimitri >> ribatté Xander, rigido.

 

Si guardarono in cagnesco per qualche istante, prima che Irina decidesse di intervenire e allentare la tensione.

 

<< Ehm… Come procede dalle tue parti, Xander? >> domandò, facendolo sedere sul divano.

 

Lui la guardò. << C’è di peggio… >> rispose con una scrollata di spalle, << Ma forse comincio a ingranare… Sembra sia simpatico a qualcuno >>. Aggiunse evasivo. << E voi? >>.

 

Irina guardò per un momento Dimitri, prima di rispondere.

 

<< Bene. Se tutto va per il verso giusto parteciperemo alla Mosca-Cherepova, che ci consentirà di avvicinarci alla Lince… >>.

 

<< Parteciperemo? >> fece Xander, un sopracciglio inarcato.

 

Irina non capì. << Sì… Io e Dimitri >>.

 

Xander assunse una strana espressione. << Fammi capire >> disse, << Gareggerete insieme, nella stessa macchina? >>.

 

Irina capì al volo che l’idea non gli andava a genio, e cercò di rispondere nel migliore dei modi, anche se non c’erano alternative, ormai.

 

<< Ehm… Sì >>.

 

La faccia di Xander non mutò, ma i suoi occhi si rabbuiarono.

 

<< Ne avete parlato con McDonall? >> domandò solo, rigido.

 

<< Il tuo capo è d’accordo, Went >> disse Dimitri, una nota di sfida nella voce, << Tu, piuttosto, ci sarai? >>.

 

Xander gli rivolse un’occhiataccia.

 

<< Potrò esserci, se voglio >> rispose, << Ma se ci sarà anche Boris, non potrò farmi vedere da lui… E potrebbe risultare impossibile >>.

 

<< Quindi ti hanno chiesto di partecipare? >> chiese Irina, interessata, << Allora significa che stai andando bene… >>.

 

<< Non sono più vicino alla Lince di quando sono arrivato >> ribatté Xander, vagamente stizzito, << Il mio contatto forse può aiutarmi, ma non ne sono pienamente sicuro… >>.

 

Irina lo scrutò: c’era qualcosa di strano nella sua espressione, quando parlava di quella persona, come se fosse turbato.

 

<< Come mai? >> domandò lei.

 

Xander scosse il capo. << Forse ha qualche secondo fine… >> rispose, evasivo.

 

“Non ne vuole parlare ora” pensò Irina, “Forse centra qualcosa Dimitri”.

 

Decise di rimandare a più tardi il discorso, quando sarebbero rimasti da soli.

 

<< Hai preso una stanza da qualche parte? >> chiese, attirando l’attenzione di Dimitri.

 

<< Sì… >> rispose Xander, e si alzò, << E credo di aver bisogno di riposarmi un po’, dopo il viaggio… Andiamo? >>. Guardò Irina.

 

Lei sorrise. << Ok >>. Recuperò velocemente la borsa che aveva preventivamente preparato e il giubbotto, e si avvicinò alla porta. Si voltò, guardando Dimitri che sembrava una statua di marmo, seduto sul divano. << Ci vediamo domani mattina… Buona notte >>. Chissà perché le faceva tristezza saperlo da solo.

 

Il russo fece una smorfia. << Buona notte a voi… >> ribatté, guardandoli andare via.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 7.00 – Mosca, Albergo

 

Irina sospirò, distesa a pancia in giù sul letto, il tepore delle coperte a cullarla in quello stato di veglia, la presenza di Xander alla sua destra a farla sentire come a casa. Si girò e si sporse per accendere la lampada sul comodino, cercando con lo sguardo i suoi abiti, buttati un po’ alla rinfusa per la stanza dell’albergo di lusso in cui soggiornavano.

 

Una volta arrivati in albergo non c’era stato tempo di mettersi a parlare di missioni, piani, russi o qualsiasi cosa che riguardasse la loro vita da agenti dell’F.B.I.. Tutti e due avevano bisogno di staccare per qualche ora, ritornare un attimo alla loro vita “normale” e ordinaria, e nel breve tragitto in auto l’unico argomento di cui avevano discusso era stato come stavano e cosa gli mancava di casa e di Los Angeles. Poi si erano concessi la solita routine di quando si rivedevano dopo tanto tempo.

 

Sbadigliò, chiedendosi come mai si fosse già svegliata: di solito il primo era Xander. Si voltò a guardarlo dormire, cosa che succedeva raramente, e si domandò come mai era vagamente teso, cosa di cui si era accorta.

 

Si andò a fare una doccia, e quando ritornò vestita in camera, Xander dormiva ancora. Ordinò la colazione e lo svegliò solo quando decise di porgergli una briosche che sarebbe stata sicuramente molto più buona ancora calda.

 

<< Come mai sei così mattiniera, oggi? >> domandò Xander.

 

Irina si strinse nelle spalle, sedendosi di fianco a lui.

 

<< Credo sia un po’ la tensione della vita in mezzo ai russi >> rispose.

 

Xander le accarezzò il collo, con aria affettuosa, e buttò giù tutto il suo caffè; poi andò a farsi una doccia anche lui.

 

Mentre Irina lo aspettava, seduta di fianco alla finestra, cercava di capire davvero a che punto fosse la sua missione: era riuscita a infiltrarsi tra i russi, a incontrare i Referenti e a ottenere il permesso di gareggiare nella Mosca-Cherepova. In più, aveva avuto un incontro ravvicinato con Vladimir Buinov, che sembrava essere il nemico numero uno di Dimitri, e che le aveva proposto di passare dalla sua parte. Chissà cosa ne avrebbe pensato Xander, di quella storia…

 

Poi c’era il passato di Dimitri, di cui non aveva praticamente scoperto nulla e di cui non era tenuta a occuparsi, ma che l’affascinava più della sua missione…

 

Jess sicuramente aveva già scoperto qualcosa, riguardo a Buinov. Pensò al suo computer, che aveva lasciato nascosto sotto il letto a casa di Dimitri, e si chiese se ci fosse qualche e-mail per lei. Nella borsa di Xander vide spuntare l’angolo del suo portatile, ed ebbe la tentazione di controllare da lì. Poi però ci ripensò.

 

Se voleva mantenere il segreto sulle sue ricerche, era meglio non controllare la sua posta elettronica dal computer di Xander: ne sarebbe rimasta traccia, e anche se lui non faceva l’hacker, non era certo stupido. Meglio non rischiare e attendere quando fosse tornata a casa.

 

“Cavolo, sto diventando davvero una spia…” pensò poco dopo, divertita.

 

Una volta che Xander uscì dal bagno, iniziarono i resoconti delle loro missioni, e fu lui il primo a raccontare per sommi capi come procedeva: era chiaro che andava molto più a rilento di lei. Solo quando menzionò una certa Nina, che a quanto pareva guidava una Audi TT bianca, sembrò voler liquidare la cosa in fretta. Irina ci fece caso, ma dall’aria poco in colpa che aveva Xander capì che non c’era niente da preoccuparsi: non era una tipa gelosa, e si fidava di lui.

 

Quando fu lei a raccontare cosa era successo in quel mese, Xander ascoltò tutto con estrema attenzione, anche se alla notizia della sua ultima missione, quando si era trovata faccia a faccia con Vladimir, una vena sulla sua tempia pulsò un po’ più del normale. Irina evitò di dirgli che sembrava avere una questione in sospeso con Dimitri, visto che non doveva saperne niente.

 

<< Mi stai dicendo che ti hanno mandata laggiù da sola? >> chiese Xander, << E McDonall era anche d’accordo? >>.

 

Irina sbuffò. << Sì, McDonall lo sapeva >> rispose, << E poi non ero proprio da sola. Dimitri mi seguiva via radio, e mi ha suggerito cosa fare… >>.

 

Xander fece una smorfia.

 

<< Già, perché lui è affidabile… >> borbottò, stizzito, << Certo che anche tu, hai accettato senza calcolare i rischi… >>.

 

Irina si irritò leggermente, gettandogli un’occhiata.

 

<< Cosa avrei dovuto fare? Dire “no, scusate, troppo pericoloso, non me la sento”? >> chiese, mantenendo il tono controllato. Poi aggiunse: << E non prendertela con Dimitri: si sta comportando bene, nei miei confronti >>.

 

La faccia di Xander cambiò totalmente espressione, e Irina capì di aver detto qualcosa di troppo. Però non poteva negare di sentirsi nel giusto.

 

<< Da quand’è che difendi il migliore amico di Challagher? >> ringhiò lui.

 

Irina incrociò le braccia, decisa a non dargliela vita. In fondo, Dimitri non si era comportato male, con lei, a parte essere se stesso. Non poteva pretendere che fosse Xander, Max o Jess, gentile e simpatico, e lo aveva capito.

 

<< Da quando siamo qui non mi ha mai fatto niente >> rispose, << Non mi ha mai toccata, se è questa la tua paura. Forse non è simpatico o cortese, ma non credo che stia facendo il doppio gioco con noi. E poi sei tu che lo hai mandato con me, ti ricordo >>.

 

<< Infatti me ne sono già pentito >> ribatté Xander, << Bisogna tenere gli occhi aperti, quando si ha che fare con persone come loro… >>.

 

Irina sbuffò. << Credi che non sappia tenere gli occhi aperti, come dici tu? Sto andando bene, McDonall è soddisfatto di come vanno avanti le cose… Parteciperò anche alla Mosca-Cherepova. E sono ancora viva e vegeta. Non ci avresti mai scommesso, immagino >>. Lo disse con una punta di tristezza mista a sarcasmo.

 

Xander però ignorò la sua ultima domanda.

 

<< Come mai ti fa da secondo pilota? >> chiese.

 

<< Si è offerto lui >> rispose Irina, << Io non gli ho chiesto nulla. Forse crede che abbiamo più possibilità di vincere, così >>.

 

Xander aveva una strana espressione, come se stesse pensando a qualcosa che lo tentava.

 

<< Parteciperò anche io, allora >> disse alla fine, << Tanto ho già il mio secondo pilota >>. La guardò, dicendo chiaramente che voleva che gli chiedesse chi fosse.

 

<< E sarebbe? >> fece Irina, neutra.

 

Xander sembrò trattenere un ghigno.

 

<< Nina, la tipa della TT >> rispose.

 

Irina lo fissò per un istante, ben sapendo che la sua faccia non lasciava trasparire nessuna emozione, ma che gli occhi la stavano tradendo. Forse non avrebbe voluto ammetterlo, ma era un filino preoccupata… Non sapeva chi fosse quella Nina, che genere di persona potesse mai essere, ma sapere che stava aiutando Xander e che gli avrebbe fatto da seconda nella Mosca-Cherepova la rendeva inquieta. Non è che la ragazza aveva messo gli occhi su di lui?

 

<< Ah >> fece alla fine, indecisa su cosa dire. Non sapeva se doveva arrabbiarsi, ridere oppure offendersi.

 

<< Si è offerta lei, io non gli ho chiesto niente >> aggiunse Xander, ma non lo stava dicendo per rassicurarla. Sembrava quasi farle il verso, ripetendo la sua frase di prima.

 

Irina sentì crescere l’irritazione, rendendosi conto che la stava prendendo in giro, ma si limitò a un mezzo sorriso. Non voleva litigare, ma non voleva nemmeno passare per la stupida della situazione.

 

<< Immagino che io non mi debba preoccupare, vero? >> disse, piccata, << Tanto tu sei libero di fare un po’ quello che ti pare… In compenso io non posso fare una semplice gara con Dimitri, persona che conosciamo entrambi… E di cui io mi fido >>.

 

<< E’ diverso >> sbottò Xander, come se quello spiegasse tutto.

 

<< No, non è diverso >> ribatté Irina, << Io e te dovremmo essere sullo stesso piano, non credi? Non dovremmo giudicarci a vicenda per quello che stiamo facendo, visto che siamo agenti dell’F.B.I. che lavorano su due fronti diversi. McDonall non mi tratta come fai tu >>.

 

<< Perché, io come ti tratto? >> chiese Xander.

 

Irina si voltò, esasperata.

 

<< Non lo so… Certe volte mi tratti come se fossi una ritardata, una bambina >> rispose, << Sembra quasi che io non sia in grado di prendere una decisione da sola, che non sappia valutare i rischi di ciò che faccio >>.

 

<< Non è così >> ribatté Xander, << Lo so che non sei stupida, ma in questa situazione hai dei precedenti che non ti rendono pienamente affidabile >>.

 

<< Guarda che i pericoli li so riconoscere, Xander >> disse Irina, << So valutare i rischi, forse anche più di te, che fai sempre la parte dell’incosciente. Ci sono situazioni in cui uno li deve evitare, altre in cui bisogna affrontarli. La nostra missione è una di queste, non credi? >>.

 

<< Infatti io non volevo che ne prendessi parte >> rispose Xander.

 

Irina sbuffò. Capiva la sua preoccupazione nei suoi confronti, ma detestava il fatto che lui non volesse comprendere le sue ragioni e continuasse a trattarla come una incompetente.

 

<< Volevi tenermi sotto una campana di vetro per sempre? >> disse, << Fare in modo che dimenticassi tutto, che cancellassi il mio passato? Lo volevo anche io. Anche io volevo dimenticare Challagher e tutto quello che è successo, ma ci sono riuscita solo in parte. Lo devo a te, e di questo ti sarò per sempre grata. Ma non posso vivere aspettando sempre che qualcuno venga a salvarmi. E non posso nemmeno negare che correre mi piaccia ancora. Sto solo cercando di crescere, di affrontare quello che ho dentro facendo qualcosa di utile, e forse anche con un po’ di egoismo. E’ pericoloso, ma sto imparando a cavarmela da sola… Dovresti capirlo, questo >>.

 

Xander la guardò, gli occhi azzurri profondi in cerca di qualcosa sul suo viso. Si era sforzato di stare zitto, fino a quel momento.

 

<< No, non capisco Irina >> disse alla fine, stancamente, << Non capisco perché tu debba fare qualcosa di così avventato solo perché ti vuoi liberare del tuo passato… Credevo che il problema maggiore fosse superato, che stessi vivendo la vita normale che volevi. Non volevo certo isolarti dal mondo, ma mi ricordo quanta fatica abbiamo fatto per cancellare il dolore che ti teneva sveglia la notte… >>.

 

Irina scosse il capo. Xander non capiva, non capiva perché la sua preoccupazione principale era quella che non si facesse male, che non soffrisse, che non avesse di nuovo paura. La stessa che aveva avuto lei all’inizio, quando aveva dovuto decidere se accettare la proposta di McDonall o meno; ma quando la missione era cominciata, aveva capito che non poteva sperare che tutto andasse sempre bene, che non ci fosse mai nulla di cui avere paura… Faceva parte della vita stessa, non si poteva negare. E capiva perché Xander la pensava così, perché su quello erano di due opinioni contrastanti: venivano da due mondi diversi, mondi opposti che solo per caso si erano incontrati in loro due. E con dolore se ne era resa conto e ne era consapevole.

 

<< Xander… >> disse lei, a bassa voce, << Mi dispiace che tu non riesca a capire, ma io sono una pilota clandestina, e tu un agente dell’F.B.I., questa è la verità. Tu non hai un passato che può venirti a cercare, e se anche lo avessi non sarebbe sicuramente come il mio. Correvo perché mi piaceva farlo, gareggiavo perché ero brava a farlo… Tutto il resto è stata una conseguenza. Tutto il resto era in più. Tu fai questo lavoro perché hai uno scopo, perché farai del bene, e anche perché un po’ ti piace. Ma io, io ero una pilota clandestina, e non posso cancellarlo >>.

 

Xander la guardò.

 

<< Vuoi dire che se non ci fosse stato Challagher, avresti continuato? >> chiese.

 

Irina abbassò lo sguardo.

 

<< Forse, Xander… Ma in quel caso le cose sarebbero state molto diverse >> rispose.

 

Nella stanza piombò il silenzio, un silenzio strano per due come loro. C’era un muro a dividerli, in quel momento, a tenerli chiusi nei loro mondi che sembravano non volersi più incontrare.

 

Eppure Irina sapeva di aver appena detto la verità, che era davvero quello che sentiva. Era entrata nelle corse clandestine perché era stata obbligata, se lo era sempre detto, ma era certa che se non ci fosse stato Challagher, sicuramente ci sarebbe stato qualcun altro. Ci sarebbe comunque arrivata, alla fine, se lo sentiva. Amava le auto già prima di diventare Fenice, e il passo non era troppo lungo. Prima o poi, in strada ci sarebbe finita.

 

Ma quello non cambiava ciò che provava per Xander: se anche si fossero incontrati in circostanze diverse, si sarebbe comunque innamorata di lui. Molto probabilmente anche se lui avesse avuto il compito di arrestare proprio lei. E poteva anche dire di essere contenta di aver passato tutto ciò che aveva passato, visto che lo aveva portata a lui. Aveva accettato il fatto che partisse, andasse a rischiare la vita e poi tornasse, anche se era doloroso. Non gli aveva chiesto di smettere, perché sapeva che era come imporgli di non respirare. Lo aveva accettato, perché lui non poteva accettare per una volta ciò che stava facendo lei?

 

<< Non… Non hai avrei mai pensato che potessimo trovarci in una situazione del genere >> mormorò Xander, e sembrava triste. << Ma… Irina, io comincio a non riconoscerti più >>.

 

La ragazza si abbassò su di lui, cercando di apparire tranquilla, anche se quella frase l’aveva turbata.

 

<< Eppure è così che mi hai conosciuto, ricordi? >> disse a bassa voce, << E’ così che mi hai visto la prima volta. Non ero Irina, ero Fenice… Eppure ti sono piaciuta lo stesso, no? >>. Aggiunse scherzosamente.

 

Xander scosse il capo.

 

<< Irina… >> iniziò.

 

Lei gli prese il volto con le mani, costringendolo a guardarla.

 

<< Xander, tu vai in giro a catturare pirati della strada e criminali, e non ti ho mai detto di non farlo >> disse, << Eppure ti amo lo stesso, anche se a volte fai il presuntuoso e il viziato. Ti amo e continuerò a farlo qualunque siano le scelte che farai nella tua vita >>.

 

Xander sospirò. << Anche io ti amo Irina, ed è per questo che mi preoccupo in questo modo per te >> disse, << Cercherò di rassegnarmi, se è questo che vuoi >>.

 

Irina sorrise e lo catturò in un bacio.

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Allors… Bé, notare che tra i nostri due eroi ultimamente le discussioni si fanno frequenti. Brutto segno? Forse… Che ne pensate, voi?

Per il resto, capitolo poco movimentato e di transizione, quindi non c’è molto da dire: William è a Londra, Nina sembra sempre più interessata a Xander. Sono poche le novità, mi rifarò con il prossimo.

 

Ringrazio annalisa70, marty89 e naturalmente Smemo92 per aver recensito e le invito a continuare a farlo! Un bacione a tutti voi!

 

 

 

 

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Capitolo 19
*** Capitolo XIX ***


Capitolo XIX

Capitolo XIX

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 10.30 – Mosca, Casa di Dimitri

 

<< Quando si svolgerà di preciso la Mosca-Cherepova? >> chiese Irina, seduta al tavolo della cucina. Xander stava in piedi vicino alla finestra, con le braccia incrociate, e guardava Dimitri con gli occhi azzurri impassibili. Il russo aveva l’aria svogliata di chi si trova nell’ultimo posto in cui vorrebbe stare.

 

<< Tre settimane >> rispose con la voce strascicata, << Quattro al massimo. Di solito dura tre giorni, i tre che precedono il Natale. Ma potrebbero anche decidere di farla slittare, in ogni caso: sono le Sentinelle, e la stessa Lince, a decidere quando deve avere luogo… >>.

 

Xander annuì, mentre Irina si rendeva conto che mancavano almeno tre settimane alla gara: avevano ancora il tempo di mettersi d’accordo su tutto, ma in special modo potevano prepararsi meglio di quando aveva sperato.

 

<< Come si svolge? >> chiese Xander.

 

<< Ci sono tre tappe da mille chilometri circa ciascuna, ma possono comunque variare >> spiegò Dimitri, rigido, << Al termine di ognuna si arriva a un albergo o a un rifugio, si stila la classifica degli arrivi e si passa la notte lì. Non sono permessi navigatori satellitari o cose del genere: all’inizio della gara viene consegnata una cartina, uguale per tutti, dove sono indicati i punti da raggiungere. Non sono ammessi trucchi né scorciatoie, perché viene installato un trasmettitore su ogni auto che consente di monitorare il percorso e i suoi piloti >>.

 

<< In poche parole saremo controllati >> commentò Xander, a bassa voce.

 

<< Vince chi arriva primo alle tre tappe? >> domandò Irina.

 

Dimitri scosse il capo. << No. Anche in questo caso sono le Sentinelle e la Lince a decidere: minor tempo impiegato, percorso più breve, piazzamento all’arrivo. Ogni gara è valutata con un parametro diverso >>.

 

<< Sembra interessante… >> mormorò Xander. Sembrava stesse rimuginando qualcosa.

 

Irina annuì. In effetti, quella gara aveva l’aria di essere entusiasmante: non si basava solo sulla velocità o la bravura al volante, ma anche sull’intelligenza e la furbizia. Sicuramente sarebbe stato diverso da qualsiasi altra competizione avesse mai preso parte, e si annunciava forse come la più bella.

 

<< Che auto userete? >> chiese Xander, rivolto a lei. Alla parola “userete” la sua voce aveva avuto un’inflessione.

 

<< La Punto, naturalmente >> rispose Irina, tranquilla, << O pensi sia il caso di usare una delle tue? >>. Guardò Dimitri.

 

Il russo fece un cenno di diniego. << No, siamo costretti comunque a usare la tua >> rispose, << Sei tu che devi incontrare la Lince, io ti faccio solo da secondo pilota. L’ideale sarebbe usare la mia Lancer, ha la trazione integrale ed è più sicura sul ghiaccio… Tu hai intenzione di usare quel rottame? >> aggiunse alla fine, guardando Xander.

 

<< Non sarebbe un rottame se i tuoi connazionali mi fornissero un meccanico >> ribatté lui, arrabbiato, << Cercherò di farmi dare un’auto adatta… Hai qualche consiglio? >>. Era palesemente ironico.

 

Dimitri il tono risentito di Xander, segno che non aveva voglia di discutere più di tanto con lui, e Irina si ritrovò a pensare di volerlo ringraziare: non poteva passare tutto il tempo a cercare di calmare i loro animi.

 

<< Chi è il tuo secondo pilota? >> chiese il russo, a dir la verità poco interessato.

 

<< Non so se la conosci… >> rispose Xander, e Irina colse una strana nota di disagio, nella sua voce, << Nina Kraracova >>.

 

La faccia di Dimitri rimase di ghiaccio, ma Irina si accorse di un impercettibile mutamento nella linea della sua bocca: un velato, invisibile sorrisetto. Ormai che lo conosceva, le era chiaro: sapeva benissimo di chi si stava parlando, a differenza di lei.

 

<< Lo conosci? >> domandò Irina, interessata.

 

<< Dimenticavo che San Pietroburgo è zona sua… >> mormorò Dimitri, quasi a stesso, << Avrei dovuto immaginare che fosse stata lei, a farti partecipare… Sì, la conosco. Con lei non avrai problemi a vincere… >>.

 

Irina studiò la sua espressione, notando che sembrava divertito, e la sua voce era velata di ironia. Non capì perché aveva usato quel tono.

 

<< Sai qualcosa di lei? >> chiese, per indagare su quella misteriosa ragazza.

 

<< Niente che sia importante >> ribattè Dimitri, secco, << La conoscono un po’ tutti… Ha fatto il giro dei letti di metà della nostra città. L’altra metà non era di suo gradimento… Una troia >>.

 

Irina sussultò di fronte al tono sprezzante e pieno di odio con cui pronunciò quella parola, nemmeno si trattasse della persona più subdola della terra. Doveva pensare davvero quello che aveva detto…

 

Un attimo dopo collegò la sua frase con quello che aveva saputo nelle ultime ore, e cioè che avrebbe fatto la seconda pilota di Xander, e le venne naturale rivolgere lo sguardo verso di lui. Il suo cervello iniziò a lavorare su uno scenario che, per quanto lei fosse tollerante e poco possessiva, non le andava assolutamente a genio. E il dubbio in cui stava in quel momento non la aiutava a tranquillizzarsi di certo. Xander scosse le spalle con noncuranza, come a voler sorvolare su quel commento, ma le rivolse uno sguardo che diceva: “Poi ne parliamo”. Irina tacque e cercò di scacciare dalla mente i cattivi pensieri, per concentrarsi sulla missione.

 

<< Piuttosto, credo sia meglio decidere chi di noi debba vincere >> disse lui.

 

Dimitri gli gettò un’occhiata quasi irritata.

 

<< Perché, tu credi che sia facile vincere? >> domandò, canzonatorio.

 

Irina notò l’occhiata di fuoco di Xander, e pregò che non litigassero: chissà perché le era appena venuta in mente la sera al Black Diamond e Dimitri sul ring… Non che dubitasse di Xander, ma non era certa che in uno scontro fisico avesse la meglio.

 

<< Vincerà chi lo merita >> disse lei, per porre fine alla questione.

 

<< Già arrivare alla fine della Mosca-Cherepova non è una cosa semplice >> intervenne Dimitri, << Figuriamoci vincere. Le regole sono ferree: l’auto non può essere cambiata né modificata durante il tracciato, nemmeno in caso di gusto. I rifornimenti non sono liberi, ma vincolati alle stazioni che verranno designate. Il clima è rigido, si rischia di rimanere a piedi per un errore piccolissimo. Ci si può perdere. E si può anche morire, se è per questo >>. Incrociò le braccia, quasi compiaciuto dell’ultimo possibile evento che aveva menzionato.

 

Irina rimase in silenzio; Xander non fece una piega.

 

<< In ogni caso, siamo tenuti a partecipare >> disse, minaccioso, << E se uno di noi due riesce a vincere, è sicuramente meglio >>.

 

Irina fiutò la tensione di Xander in quel momento: era chiaro, voleva essere lui ad avere la possibilità di incontrare la Lince e di portare avanti la missione, primo perché molto probabilmente riteneva tutto troppo pericoloso per lei, secondo perché non si sarebbe lasciato battere in una situazione del genere, né da lei né da nessun altro.

 

<< Xander… >> disse, cauta, << Io credo che sia meglio non pianificare niente… Vincerà chi deve vincere >>.

 

Si guardarono negli occhi per un momento, e Irina si sentì stranamente in colpa. Sentiva di aver fatto qualcosa di molto subdolo e meschino nei suoi confronti, ma sapeva che forse era la scelta migliore: se non avessero deciso a priori, Xander avrebbe avuto l’illusione di poter vincere, cosa che era molto probabile, ma nemmeno lei non aveva la certezza di perdere. La “titolare” della missione era lei, e spettava a lei andare avanti, anche perché era quella che aveva più possibilità di incontrare la Lince, ma non poteva sbatterlo in faccia a Xander in quel modo: non l’avrebbe presa bene, e non voleva ferirlo. E soprattutto, non voleva litigare di nuovo.

 

<< McDonall… >> iniziò lui, incerto.

 

<< McDonall ci darà la sua opinione >> disse Irina, << Gli chiederemo se per lui va bene, o se preferisce che tra noi due uno abbia la precedenza. Credimi, è meglio così. Oltretutto, sarebbe sospetto se ci ritrovassimo in un testa a testa e uno dei due lasciasse vincere l’altro, soprattutto quando faremo finta di non conoscerci >>.

 

Xander sembrò colpito dalla sua frase, come se non si aspettasse un ragionamento del genere da lei. Da vera agente.

 

Irina sorrise, per fargli capire che era serena, nel fare la sua proposta, ma in realtà qualcosa dentro di lei strideva in maniera sinistra… Sentiva che quella era la decisione migliore, che anche lei aveva diritto ad aspirare alla vittoria quanto lui, ma nel contempo pensava di avergli fatto quasi un torto…

 

<< Ragiono sempre più come un’agente dell’F.B.I., vero? >> chiese, fintamente divertita.

 

Xander annuì, e Dimitri sembrò pensare lo stesso. Nessuno dei due si accorse però che il sorriso le era morto sulle labbra velocemente come era nato.

 

<< Bene >> fece Xander, sedendosi al tavolo, << Quindi abbiamo tre settimane di attesa davanti. Cosa farete, nel frattempo? >>.

 

<< Ci prepareremo per la gara >> rispose rapidamente Dimitri.

 

<< Per tutto questo tempo? >> domandò Irina, stupita. Tre settimane a preparare solo la gara, per quando difficile fosse, le sembravano un po’ eccessive, ora.

 

Il russo fece una smorfia.

 

<< Dobbiamo preparare l’auto, e ciò significa controllare tutto, dal motore ai bulloni delle ruote >> disse, seccato, << E cambiare tutto quello che è necessario, anche perché dopo non sarà più possibile. Poi c’è la parte migliore: dobbiamo sapere chi ci troveremo contro, e farci amico qualcuno che potrebbe tornarci utile, oltre che cercare di sapere qualcosa in anticipo sulla gara >>. Lanciò un’occhiata eloquente a Irina, come a dire che lei sapeva che c’era dell’altro che li avrebbe tenuti occupati per tre settimane: Vladimir Buinov.

 

Irina si diede dell’idiota e rimase in silenzio.

 

<< Vuoi dire che c’è la possibilità che qualcuno sappia in anticipo qualcosa sulla gara? >> fece Xander, dubbioso.

 

<< Certo… Sicuramente qualcuno dei Referenti si farà scappare qualcosa, che sia di proposito o ingenuamente >> rispose Dimitri, << E’ sempre successo, succederà anche questa volta >>.

 

Dallo sguardo del russo, Irina capì che aveva in mente qualcosa, ma non fece domande.

 

<< D’accordo >>. Anche Xander sembrava insospettito. Guardò Irina. << Chi ti guarderà l’auto? >>.

 

<< Bé, pensavo… >> iniziò lei.

 

<< Io >> la interruppe Dimitri, << Ci penso io alla macchina >>.

 

Xander sembrò infastidito. << Non credo che tu possa definirti un meccanico… >> disse.

 

Dimitri gli gettò un’occhiataccia.

 

<< Intanto io non ho mi sono mai fatto preparare le auto da una squadra di meccanici, come fai tu >> ribatté. << Nemmeno ai tempi della Black List >>.

 

Irina si tese come una molla, innervosita.

 

Ma allora lo fanno apposta a provocarsi in continuazione! Ma non possono comportarsi come due adulti?”.

 

Prima che Xander potesse ribattere qualcosa, si alzò in piedi e lo afferrò per un braccio.

 

<< Senti, telefoniamo a McDonall e parliamo con lui >> disse, per riconciliare la situazione, << Così ci togliamo tutti i problemi, ok? Per me va bene se Dimitri vuole occuparsi della mia macchina, non ci sono problemi, ma se lui pensa sia meglio di no, troviamo qualcun altro. Andiamo a prendere il portatile, vieni >>.

 

Lo trascinò nella sua stanza, lasciando Dimitri per qualche momento da solo a sbollire la sua irritazione. In effetti, anche lei era infastidita dal comportamento dei due, e non vedeva l’ora che la smettessero e che quella riunione finisse.

 

<< Cos’è questa storia che ti fa pure da meccanico? >> chiese Xander, guardandola frugare sotto il letto, appena furono nella sua stanza.

 

Irina alzò gli occhi al cielo.

 

<< Non mi sembra che possa essere così pericoloso che metta le mani nella mia auto, visto che ci salirà anche lui >> ribatté lei, << E comunque ne parliamo con McDonall… Tu puoi farmi un favore? La smetti di provocarlo, visto che già lui non è un tipo particolarmente affabile? >>.

 

Xander sembrò sbalordito dalle sue parole.

 

<< E io adesso dovrei adattarmi a lui? >> fece, incredulo.

 

Irina tirò fuori il pc portatile, rivolgendogli un’occhiata di fuoco.

 

<< Sì >> ribatté, secca, << Visto che io sto cercando di adattarmi a voi due. Andiamo, per favore >>.

 

Tornò in soggiorno e nel giro di qualche minuto preparò la postazione per la video conferenza, sotto lo sguardo di Xander e Dimitri che avevano smesso di parlarsi. Una volta che McDonall fu pronto ad ascoltarli, Irina gli spiegò rapidamente qual’era la questione, e attesero che arrivasse anche White prima di decidere.

 

<< Per quanto riguarda la gara >> disse il Vicepresidente, serio, << Ritengo che l’idea di Irina sia la migliore: andrà come deve andare. Date il vostro meglio e chi deve vincere vincerà. Anche se devo essere sincero che sarà un problema, se a vincere sarà lei, agente Went: mi sembra molto difficile che passi inosservato a Boris Goryalef, in quel caso. Ma è un problema che affronteremo quando si verificherà… >>.

 

Irina ebbe la netta impressione però che McDonall si augurasse di non doversi trovare in quella situazione… Possibile che confidasse nella sua, di vittoria?

 

<< Possiamo sempre arrestare Boris prima del termine della gara >> ribatté Xander, << Su di lui abbiamo abbastanza informazioni da inchiodarlo in cella per il resto della sua vita… Anche se so che potrebbe essere controproducente >>.

 

<< Infatti >> convenne White, che stava di fianco a McDonall, << Per il momento, lasciamo le cose come stanno. Vogliamo la Lince, prima di tutti. Le faremo arrivare un’auto adatta, visto che i russi sembrano carenti, da quel punto di vista… >>.

 

Xander sorrise alla notizia.

 

<< Bene, mi fa piacere >>.

 

<< Quanto alla tua macchina… >> iniziò McDonall, guardando Irina, << So che hai sempre avuto il tuo amico Maximilian come meccanico, ma credo che in questo caso tu non possa avvalerti di lui >>. Sorrise. << Possiamo fornirti un team di esperti, pronto a fare tutte le modifiche necessarie, oppure puoi indicarci qualcuno di cui ti fidi abbastanza… Dimitri, so che ti sei offerto per fare da meccanico. Credi di averne le competenze? >>.

 

<< Ne so abbastanza per fare le modifiche necessarie >> rispose, << E in ogni caso qui c’è un tipo italiano che può fornirci i pezzi migliori in caso di bisogno, oltre che di un’eventuale consulenza. E poi sarebbe più verosimile che di questo si occupassero dei piloti clandestini, come si aspettano tutti >>. Scoccò un’occhiata a Xander.

 

<< Irina? >> fece interrogativo McDonall.

 

<< Per me va bene >> rispose lei. Sentì Xander tendersi come una molla per contenere il disappunto.

 

<< D’accordo. Allora questo è tutto >> fece il Vicepresidente, poi qualcuno entrò nel campo visivo e gli sussurrò qualcosa nell’orecchio. Lui annuì, preoccupato, e aggiunse: << Sono costretto a lasciarvi, ho un’emergenza. Ci sentiamo al più presto per gli aggiornamenti >>.

 

La video conferenza venne chiusa, e Irina rimase a guardare lo schermo nero, in pensiero. McDonall le aveva dato ragione su tutti i fronti, e sapeva che Xander doveva esserci rimasto male: molto probabilmente non se lo era aspettato. Lo guardò, ma lui non sembrava particolarmente sorpreso per come erano andate le cose.

 

<< Sembra che io stia passando decisamente in secondo piano… >> mormorò, divertito.

 

Irina tirò un sospiro di sollievo: forse non si era offeso.

 

<< Pensi di riuscire a ottenere qualche informazione? >> domandò Irina, << Riguardo alla gara >>.

 

Xander sogghignò, come se stesse pensando a qualcosa di molto divertente.

 

<< Credo di sì… >> disse, << Credo proprio di sì… >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 11.00 – Londra

 

William girò il contenuto del suo bicchiere, pensieroso. Era seduto nell’enorme soggiorno di casa di Richard, davanti a un camino acceso e con la pioggia che scrosciava oltre le finestre oscurate dalle tende. Il Lord e Daniel erano seduti di fronte a lui, il tavolino di pregiato vetro a separarli, l’ambiente reso quasi ovattato dal mobilio importante.

 

<< Quindi l’F.B.I. mi sta cercando… >> disse lentamente, quasi a se stesso, << Mi sta cercando, ma non lo vuole far sapere in giro… >>.

 

<< Mio fratello ha detto che è stata diramata l’allerta a tutti i dipartimenti di polizia degli Stati Uniti, e che hanno chiesto la collaborazione degli sbirri europei >> disse Richard, << Quindi è sicuro che ti staranno alle calcagna, appena sapranno dove sei… Per il momento però il tuo travestimento ha funzionato >>.

 

William si accese una sigaretta, continuando a far lavorare il cervello.

 

Went non era stato messo sulle sue tracce, quindi era chiaro che non sapeva della sua fuga: se mai fosse venuto a conoscenza del fatto che era di nuovo in libertà, sarebbe stato il primo a cercare di riacciuffarlo. E questo lo insospettiva molto…

 

<< Di Dimitri sai qualcosa? >> chiese.

 

Richard si versò un altro po’ di liquore, mentre Daniel sembrava distratto da uno strano soprammobile a forma di cavallo.

 

<< Anche per lui è stata diramata un’allerta, ma solo a livello nazionale >> rispose, << Forse pensano che non riesca a lasciare gli Stati Uniti, come hai fatto tu. Oppure non lo ritengono abbastanza pericoloso… >>.

 

William scosse il capo. No, non credeva a nessuna delle due ipotesi: Dimitri era pericoloso, e sicuramente aveva già lasciato gli Stati Uniti. Poteva scommettere che si trovava già in Russia, sotto la protezione di suo zio Boris…

 

Non sapeva se i russi erano al corrente del fatto che era stato lo stesso Dimitri a tradirlo e farlo rinchiudere in carcere, quindi non poteva dire se lo stavano aiutando consapevolmente oppure no. Poteva telefonare a Boris e chiedergli se l’ex Mastino era lì, ma avrebbe potuto metterlo in allarme, ed era sicuro che i russi tra lui e Dimitri avrebbero certo favorito Dimitri, anche se lo aveva tradito.

 

<< Questa storia non mi piace >> disse, << Ho bisogno di qualcuno che abbia contatti stabili con Mosca e i suoi abitanti… Devo sapere cosa sta succedendo da quelle parti >>.

 

Richard sembrò pensarci un momento.

 

<< Posso chiedere a un mio vecchio amico >> rispose alla fine, << Spesso va in Russia per trattare alcuni carichi di armi che fa importare illegalmente da Mosca… Potrebbe sapere qualcosa >>.

 

William annuì, scrollando la sigaretta nel posacenere di cristallo.

 

<< Bene, voglio incontrarlo il più presto possibile >> disse, << Poi mi serve un hacker, il migliore che hai. Deve trovare Irina >>.

 

Richard sembrò a disagio, e Daniel lasciò perdere il soprammobile, le orecchie dritte.

 

<< Forse non è una buona idea… >> iniziò l’inglese, che molto probabilmente sapeva la storia per intero, e altrettanto bene conosceva i problemi che Fenice gli aveva creato.

 

William lo zittì, notando che Daniel sembrava interessato: non sapeva che era stata Irina a tradirlo, quella che lui aveva sempre sbandierato come la sua ragazza, e lui non ci teneva ancora a farglielo sapere. Finchè lui stesso non avesse deciso il destino di Fenice, Irina doveva rimanere un’entità sconosciuta e velata di mistero, come era sempre stata per tutti.

 

<<Sta zitto e cercami quell’hacker >> ringhiò, << Nel frattempo io mi trovo un’auto. Cos’hai in garage? >>.

 

Richard cambiò immediatamente espressione. << Ehi, non ti puoi fregare una delle mie macchine! >> protestò, al pensiero di veder ridotta la sua adorata collezione di Aston Martin.

 

William si alzò, innervosito per la faccenda di Irina. Non amava usare auto che non erano sue, o che non considerava tali, ma in quella circostanza era una delle poche alternative che aveva, e provvisoriamente poteva accontentarsi.

 

<< Dammi le chiavi. Se trovo qualcosa di mio gusto, lo prenderò in prestito >> disse, leggermente più conciliante, << E se sarò contento di come mi hai aiutato, te lo restituirò anche >>. Ghignò, per suggellare le sue parole.

 

Sapeva che, nonostante non avesse più il potere di una volta, Richard aveva sempre un certo timore, nei suoi confronti. Ma chi non ne aveva, in fondo, soprattutto ora che stava dimostrando che nemmeno una cella di massima sicurezza poteva fermarlo? Non gli avrebbe rifiutato un favore, un po’ perché comunque i loro rapporti erano sempre stati buoni, e un po’ perché l’inglese doveva avere anche un po’ di paura: era ben conscio che la strage dei narcos messicani era opera sua.

 

Richard sbuffò, poi gli tese un mazzo di chiavi e gli fece cenno di andare, e forse per dissimulare il suo palese nervosismo di verso un bicchiere di liquore e iniziò a sorseggiarlo. Mentre uscivano dalla stanza, gli rivolse un’ultima occhiata.

 

<< Visto che ti sto dando una mano, lasciami almeno la One-77 >> disse, funereo.

 

William fece un sorrisetto, ma lo lasciò nel dubbio. Quell’auto non doveva essere male, e doveva essere anche piuttosto costosa… Avrebbe deciso una volta in garage.

 

Mentre attraversavano i sontuosi corridoi della villa, Daniel gli stava dietro come un cane da guardia, nemmeno lo stesse scortando. William non si era ancora pentito di averlo portato con sé, nonostante questo avesse raddoppiato i costi per la fuga: fino a quel momento aveva dimostrato di stare ai patti, e anche in Messico, quando gli aveva ordinato di fare fuori un paio di suoi vecchi amici, aveva svolto tutto in fretta e come piaceva a lui. In più, non faceva troppe domande. Nonostante tutto, però, sapeva che prima o poi si sarebbe liberato anche di lui, una volta chiarito qual’era il suo piano definitivo.

 

Arrivati davanti alla porta del garage, Daniel si schiarì la voce mentre lui infilava le chiavi nella toppa, poi disse, cauto: << Mi è parso di capire che i tuoi amici non siano molto contenti di rivedere la tua ragazza… >>.

 

William aprì la porta, mentre sentiva una punta di irritazione portarlo a fare un’altra smorfia. Non lo guardò, mentre rispondeva con voce neutra, ma passò in rassegna le Aston Martin parcheggiate nel locale ben illuminato dai neon.

 

<< Irina è sempre stata molto pericolosa. Molto più di quanto tutti si aspettavano. Nessuno l’ha mai vista di buon occhio, perché odiavano il fatto che una ragazza fosse molto più forte di loro… La temevano, in qualche modo >>. Sorrise al pensiero: una ragazza che faceva paura, che metteva soggezione negli altri era perfetta per lui, soprattutto perché lui era l’unico che poteva tenerla a bada. Aveva sempre pensato quello, da quando l’aveva vista scalare la Black List.

 

<< E quel Went? >> fece Daniel. Voleva apparire disinteressato, ma non ci riuscì.

 

<< Quel Went presto pagherà per quello che è riuscito a fare >> rispose ringhiando. << Lui e la sua Ferrari 458 >>.

 

Daniel non aggiunse altro, segno che era abbastanza soddisfatto dalla risposta. William gli gettò un’occhiata, irritato ma conscio del fatto che Daniel stava intuendo che il rapporto tra lui e la sua Fenice non era idilliaco come lui lo voleva dipingere. Alla fine non gliene fregava nulla di quello che pensava o che avrebbe pensato, ma preferiva tenere per sé la loro tormentata storia.

 

Passò in rassegna le auto che risplendevano sotto i neon, cercando qualcosa che gli piacesse. Tutte Aston Martin, come c’era da aspettarsi da Richard: una DBS rossa, una Vanquish argentata, una DB9 blu… C’era anche una Rapide nuova nuova, nero petrolio. E in un angolo la One-77, che doveva essere il suo ultimo acquisto, azzurro metallizzato, dallo strano taglio dei fari e dal costo decisamente spropositato. In più, una Bentley Continental GT che stonava con il resto ma che comunque faceva la sua bella figura.

 

<< Cristo Santo, ma questo quanti soldi ha? >> fece Daniel, passando una mano sulla carrozzeria della DBS.

 

William ghignò, avvicinandosi alla One-77 per esaminarla da vicino. << Non hai mai visto il mio, di garage >> disse, << Avevo Lamborghini, Porsche, Mercedes, BMW… Una Pagani Zonda, anche. Ma forse non sai nemmeno che macchina è… >> aggiunse all’ultimo, fintamente sprezzante. Era una mezza vendetta per le domande di prima.

 

Daniel lo guardò male.

 

<< L’ho vista in foto, una volta >> ribatté, << Immagino fosse quella distrutta che campeggiava sui giornali il giorno della tua cattura… >>.

 

William cambiò espressione, irritato al pensiero della bruciante sconfitta subita a opera di Went.

 

<< Sì, era quella… >> ringhiò, << E verrà sostituita al più presto da una Bugatti Veyron… >>.

 

Daniel strabuzzò gli occhi. << Ma cosa più di due milioni di euro! >>.

 

William sorrise, mentre per un attimo pensò di prendere per davvero la One-77, lasciando Richard a bocca asciutta. Poi decise che si sarebbe accontentato della Vanquish argentata.

 

<< Infatti non la comprerò >> disse, raggiungendo l’auto prescelta per salire a bordo, << Da questo momento in poi, hai l’incarico di trovare una Bugatti Veyron… Io mi occuperò di fargli cambiare proprietario >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 10.00 – Mosca, Casa di Dimitri

 

<< Mi raccomando, fai il bravo e non cacciarti nei guai >> disse Irina con tono affettuoso a Xander, mentre gli dava l’ultimo saluto prima di lasciarlo salire in auto, in garage, << Quando arrivi mandami un messaggio, se puoi >>.

 

<< E tu non fare troppo la furbetta in mezzo a questi russi >> ribattè Xander, cingendole la vita con le mani, << Vedrò di fare un altro salto prima della Mosca-Cherepova >>.

 

Se quella non fosse stata l’ultima volta che lo vedeva con sicurezza prima della gara, Irina si sarebbe lasciata andare a uno sbuffo di disapprovazione, ma si trattenne. Non c’era verso di farglielo capire: l’avrebbe sempre trattata come una bambina.

 

<< Ok… Però non ti preoccupare per me, sto bene, come vedi >> disse lei, << E non penso ci sia bisogno che tu venga. Anche se preferisco averti qui, che tra le mani di quella Nina… >>. Sorrise.

 

Avevano lasciato in sospeso il discorso relativo alla russa, perché alla fine Irina non aveva avuto il coraggio di affrontarlo, e lui forse nemmeno. In più, sentiva che quello sarebbe stato un terreno piuttosto insidioso, e non voleva correre il rischio di un’altra lite. Ora, però, che Xander era in partenza, capì che era meglio togliere ogni dubbio e mettere in chiaro le cose.

 

<< Xander… >> disse piano, mentre la stringeva tra le braccia, << Senti, riguardo a quella ragazza… >>.

 

Lui sembrò percepire la sua preoccupazione, e apparve divertito.

 

<< Quella Nina non vale nemmeno la metà di quando vali tu >> disse.

 

<< Non è quello… >> sussurrò Irina, fissando la sua spalla, senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi, << Fino a oggi non ci avevo mai pensato, ma mi sembra logico credere che non sia la prima ragazza con cui hai a che fare in missione… >>.

 

<< Cosa vuoi dire? >> domandò Xander, ma Irina era sicura che avesse capito benissimo cosa intendeva: voleva solo un po’ prenderla in giro.

 

<< Non sono stupida >> ribatté, << E sai cosa voglio dire. Non mi impiccio nel tuo lavoro, non l’ho mai fatto, ma… ma se… se devi andare a letto con qualcuna che non sia io, vorrei solo saperlo prima e direttamente da te, ok? >>. Non c’era accusa nella sua voce, ne rabbia, ma solo un po’ di imbarazzo e timore: ci aveva pensato e ripensato, e aveva capito che doveva farsene una ragione se mai fosse accaduto. Chiedeva solo di essere messa al corrente, nient’altro.

 

Xander le alzò il viso e le stampò un bacio sulle labbra, prima di soffiarle in faccia un “Ti amo” sussurrato così bene che le fece venire i brividi.

 

<< Non è mai successo, e non succederà mai, ok? >> aggiunse, stringendola tra le braccia come se non la vedesse da anni, << Secondo te perché quando ci vediamo non faccio altro che mangiarti con gli occhi, e non solo con quelli? >>.

 

Irina sorrise e lui fece altrettanto. In un attimo, tutta la sua paura era svanita e si chiese perché mai gli fossero venuti in mente certi pensieri… Gli stampò un altro bacio, poi lui la lasciò andare e salì sulla Porsche, sotto la luce dei neon del garage.

 

<< Ci vediamo presto >> disse, afferrando il volante.

 

Irina si abbassò, appoggiando le mani sulla portiera.

 

<< Fai buon viaggio >>.

 

Xander annuì e partì lentamente, raggiungendo la rampa che portava di sopra. Irina lo guardò andare via con un po’ di tristezza, ma non potè fare a meno di pensare che anche quella era andata: Xander e Dimitri avevano convissuto senza arrivare a litigare, anche se il disprezzo reciproco era stato palese per tutto il tempo. Il russo non era venuto nemmeno a salutarlo, e Irina non lo biasimò: Xander lo additava sempre come un possibile traditore, mentre lui si stava dando da fare ad aiutarla.

 

Era strano pensarlo, ma si rendeva conto che solo al momento dell’addio il loro rapporto le era sembrato quello di sempre. Per tutto il soggiorno di Xander, l’atmosfera era stata impercettibilmente ma chiaramente diversa

 

Si voltò di scatto quando sentì qualcuno entrare nel garage, e vide Dimitri aggirarsi con aria funerea tra le sue auto. Niente saluti per Xander, da parte sua, forse perché si erano già detti quello che avevano da dirsi nel loro breve incontro “privato” di mezz’ora prima. La guardò e disse: << Devo vedere la tua macchina >>.

 

Irina annuì e si avvicinò alla Punto, parcheggiata nello spazio vuoto, e disattivò la chiusura centralizzata.

 

<< Che cosa dobbiamo cambiare? >> chiese.

 

<< Ora vedremo… Apri il cofano >>.

 

Irina aprì il cofano, lasciando libero il motore della Punto, che in realtà era quello di una M3, come ricordava la scritta cromata. Guardò Dimitri abbassarsi per esaminare i componenti, controllare il livello dell’olio e lo stato delle candele, cose che lei sapeva fare benissimo. Aggrottò la fronte quando vide che tutta la lamiera interna era stata modificata per ospitare un motore diverso dall’originale.

 

<< Mi ero sempre chiesto come diavolo avevi fatto a rimetterla in strada dopo che Challagher te l’aveva bruciata >> mormorò, << Il motore di una M3… >>. Forse stava quasi ridendo, non riusciva a capirlo perché non vedeva la sua faccia. << E’ stata un’idea del tuo meccanico? >>.

 

<< No, l’idea è stata mia >> rispose Irina, << Lui si è solo occupato della parte tecnica. Anche se prima mi aveva dato della pazza >>.

 

Dimitri si voltò a guardarla per un momento, ma non disse niente. Anche questa volta, sul suo volto balenò l’ombra di un sorriso.

 

<< Ha fatto un ottimo lavoro >> ammise, << La struttura avrebbe potuto cedere, ma vedo che è tutto in ottimo stato… >>.

 

Irina sorrise al pensiero della faccia di Max due anni prima, quando lo aveva costretto a quella follia. Ora non se ne pentiva.

 

<< Però ci sono delle cose da modificare >> aggiunse Dimitri.

 

<< Cosa? >>.

 

<< I liquidi >> rispose il russo, << Vanno bene per le temperature fredde, ma ne conosco un tipo che è più indicato. E le gomme… Credo siano meglio quelle chiodate, ma ci conviene aspettare di sapere qualcosa sul tracciato… >>. Sembrava parlare più con se stesso, che con lei, a dir la verità.

 

<< Hai detto che potrebbe trapelare qualcosa sulla gara >> disse Irina, ricordando il discorso del giorno prima, << Cosa intendevi? Qualcuno potrebbe anticiparci qualcosa? >>.

 

Dimitri si alzò e la guardò: aveva l’aria divertita, anche se si intravedeva appena.

 

<< Tutti fanno finta di non sapere nulla, all’inizio della gara >> disse, << Ma in realtà non c’è mai nessuno che parte completamente impreparato. Dipende solo chi si conosce e quanti soldi si hanno a disposizione, o di che capacità persuasiva si è dotati… Potremmo anche riuscire a ottenere la mappa completa del percorso, se volessimo >>. Incrociò le braccia, ora serio.

 

<< E questo grazie alla tua influenza, immagino >> ribatté Irina con un mezzo sorriso.

 

Gli occhi di Dimitri brillarono. << Forse… Devo prima parlare con Boris>> rispose, << Le regole più o meno sono sempre le stesse, ma voglio essere sicuro dei vincoli a cui saremo sottoposti >>.

 

Irina annuì. Aveva la strana impressione che ci fosse qualcosa di diverso, in Dimitri… Forse il fatto che Xander se ne fosse andato lo rendeva meno nervoso.

 

<< Ci daremo il cambio alla guida? >> chiese.

 

<< Per quanto io non abbia mai guidato un’utilitaria italiana, sì >> rispose Dimitri, con una punta di disprezzo verso la Punto. Irina ritirò immediatamente il suo pensiero precedente.

 

<< Non è un’utilitaria >> ribatté, infastidita, << E stai tranquillo che nemmeno lei è contenta di farsi guidare da te… >>.

 

Dimitri si girò di nuovo a guardarla, ma nei suoi occhi non c’era rabbia per il fatto che gli aveva risposto in malo modo: sembrava profondamente e inspiegabilmente divertito dal suo tono.

 

<< Cosa c’è? >> chiese bruscamente Irina quando si accorse con un pizzico di apprensione che il russo non le staccava gli occhi di dosso, e sembrava quasi trapassarla da parte a parte. Per un attimo le ricordò William.

 

<< Non sei quella che ricordo, Fenice >> disse alla fine, e sembrava serio.

 

Irina rimase interdetta per un momento, studiando la sua espressione. Si chiese che ricordo potesse mai avere di lei, stupida ragazzina alla mercé di Challagher.

 

<< Nemmeno tu, Dimitri >> soffiò in risposta, capendo all’istante che si erano conosciuti davvero solo in quell’ultimo periodo.

 

Lui sembrò pensare la stessa cosa, ma si limitò a dire: << Metti in moto, andiamo da Dan >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 16.00 – San Pietroburgo

 

<< Bentornato, Mark >> disse con tono suadente Nina, mentre sedevano allo stesso bar nel quale si erano incontrati l’ultima volta, << Come è andato il tuo viaggetto? >>. I suoi soliti capelli boccolosi erano lisci, quel giorno.

 

Xander si strinse nelle spalle, fintamente noncurante, gettando uno sguardo alla sua tazzina di caffè vuota.

 

<< Bene >> rispose, << Ho trovato un’auto che fa al caso mio, quindi per la gara non dovrei avere problemi >>.

 

Nina sorrise. << Hai pensato a quello che ti ho detto? >> chiese, << Al fatto di essere la tua seconda pilota? >>. Le sue unghie smaltate che ticchettarono sul tavolo.

 

Xander annuì. Certo che ci aveva pensato, soprattutto nel momento in cui era venuto a conoscenza del fatto che Dimitri sarebbe stato il secondo pilota di Irina… E un piano si era formato nella sua mente mentre tornava da Mosca, lungo l’autostrada fredda e deserta.

 

<< Sì, ci ho pensato >> rispose, << Ma io ho un problema, e per poter partecipare alla Mosca-Cherepova devo risolverlo >>.

 

Nina assunse un’espressione interessata, appoggiando il mento sulla mano ingioiellata e puntando i suoi occhi azzurri sul suo volto.

 

<< Di cosa si tratta? >>.

 

Era da folli, lo sapeva, ma non aveva un altro piano per partecipare alla gara e garantirsi un minimo di copertura: non aveva parlato ancora con nessuno della sua idea, ma sentiva che era l’alternativa migliore. Sperava solo che la bionda ci cascasse e non facesse troppe domande.

 

<< Conosci Boris Goryalef? >> chiese lui.

 

Nina diventò ancora più interessata, mostrando un luccichio negli occhi.

 

<< Certo… E’ uno dei Referenti >> rispose lei, << Oltre che lo zio di… >>. Si interruppe, come se avesse appena detto qualcosa di imbarazzante.

 

<< Non mi interessa di chi sia zio >> disse velocemente Xander, visto che tanto in realtà sapeva tutto, << Il problema è che ho una questione in sospeso con lui, e se mi vede rischio di rimanerci secco… Gioca in casa, e avrà i suoi scagnozzi ad aiutarlo. Se sa che sono qui, e che partecipo alla Mosca-Cherepova, me li sguinzaglierà dietro… >>. Le rivolse un’occhiata eloquente per farle capire che non c’era da scherzare.

 

Nina aveva gli occhi ridotti a fessure, più per la curiosità che per il sospetto, però. << Che genere di questione? >>.

 

<< Soldi e un’auto >> rispose Xander evasivo, << Niente che possa essere considerato grave, ma non posso farmi vedere da lui. Se vuoi essere la mia seconda pilota, dovrai sostituirmi quando ci sarà la possibilità che possa incontrarmi con lui… >>.

 

La faccia della russa sembrava insospettita, ma alla fine si aprì in un sorriso palesemente divertito.

 

<< Quanto mi piace questa storia… >> disse alla fine, eccitata, << Sì, ti aiuterò. Goryalef e la sua famiglia non mi sono mai andati a genio, quindi non ci sono problemi. Ah, a proposito… Non eri tu che volevi una prova della mia bravura al volante? >>.

 

Xander annuì.

 

<< Bene, allora ti aspetto domani sera >> disse Nina, << C’è una gara, e siamo entrambi iscritti… Vediamo se quando correrai contro di me dubiterai ancora delle mie capacità >>.

 

Nina sorrise, rivolgendogli un’occhiata molto, molto eloquente.

 

<< Però lasciami vincere >> aggiunse lei, alla fine.

 

Xander rise.

 

<< Che auto userai? >> domandò.

 

Nina sbattè le ciglia. << E’ una sorpresa… Dì un po’, che fine ha fatto la tua bella collanina? >>. Accennò al suo collo.

 

Xander portò istintivamente la mano al petto, anche se sapeva di non avere più il ciondolo di Irina e la sua fedina d’oro bianco. L’aveva tolta consapevolmente e dopo una lunga riflessione mentre tornava da Mosca, con la consapevolezza che se mai Irina lo fosse venuto a sapere, forse ci sarebbe rimasta male. Però lo faceva per la missione, non perché ce l’aveva con lei: visto che doveva gareggiare con Nina, era meglio che se la facesse amica, e lei doveva essere molto contenta nel credere che in qualche modo avesse troncato i suoi rapporti con quella che era la sua ragazza.

 

Assunse un’espressione infastidita, poi si produsse in un sorrisetto.

 

<< Non sono un tipo che la tira per le lunghe >> rispose, << A volte è meglio chiudere e andare avanti >>. Sorrise, gettandole un’occhiata che voleva dire tutto e niente.

 

La bocca contornata dal rossetto di Nina mostrò i suoi denti bianchissimi in tutto il loro splendore, segno che apprezzava la notizia, come si era aspettato. Qualcosa in fondo al suo cuore gli diceva che avrebbe dovuto sentirsi profondamente in colpa, ma qualcosa glielo impediva.

 

<< Anche io sono per le relazioni brevi ma intense >> ribatté la ragazza.<< Ma non disdegno nemmeno di essere una utile consolatrice… >>.

 

“Quanto è esplicita, questa ragazza… Non ci sono più abituato” pensò. Però doveva ammettere che era divertente avere a che fare con lei: aveva quel non so che di provocante che non vedeva da tempo. Irina non era così, e non voleva certo che lo fosse, ma quello era il genere di comportamento che induceva per forza al gioco…

 

<< Intanto vediamoci per la gara >> disse serafico, << Non ho detto di essere già disponibile… >>.

 

Nina scoppiò in una risata argentina, melodiosa come sapeva esserlo la sua voce. Si alzò, recuperando la sua costosissima borsetta, e gli rivolse un cenno di saluto.

 

<< D’accordo, americano >> disse, << Io però lo sono sempre, disponibile… >>. Ammiccò e se ne andò, lasciandolo a pagare il conto della loro consumazione.

 

Una volta fuori dal bar, Xander risalì sulla Porsche sgangherata, chiedendosi perché mai provasse quella strana simpatia nei confronti di Nina: aveva capito il genere di ragazza che era, Dimitri era stato molto esplicito, eppure era come se sotto sotto le perdonasse la sua debolezza, cioè quella di infilarsi nei letti dei ricconi russi. Forse in fondo non era poi nemmeno tanto vuota, magari nascondeva un carattere molto diverso da quello che mostrava alla gente… Di esempi ne aveva visti tanti, nella sua vita, Irina per prima.

 

Già, Irina…

 

Il suo breve soggiorno a Mosca non era andato come aveva sperato, a parte la breve parentesi finale: anche questa volta avevano discusso, in modo piuttosto nervoso, e non capitava mai così spesso. Di solito, se accadeva, era solo uno dei due ad arrabbiarsi, mentre l’altro cercava di mediare e nel giro di mezz’ora era di nuovo tutto a posto, perché erano grandi abbastanza da capire che non valeva la pena portare il muso per le sciocchezze su cui litigavano… Questa volta, invece, nessuno dei due aveva voluto abbandonare la propria posizione, nessuno dei due sembrava voler mediare, forse perché pensavano entrambi di essere nel giusto.

 

“Irina, io comincio a non riconoscerti più”.

 

La frase gli era uscita spontanea in quel momento di sconforto, ma sarebbe stata una bugia dire che non era così: davvero, certe volte non la riconosceva, non vedeva più l’Irina con cui era abituato a vivere, sempre pacata, dolce, tranquilla. Di solito si lasciava convincere, ragionava e arrivava alla sua stessa conclusione; questa volta, sembrava aver chiuso qualsiasi canale di comunicazione con lui. Sembrava un’altra, una sconosciuta.

 

“O forse in realtà sai bene chi è…”.

 

Fece una smorfia. No, si stava sbagliando, sapeva chi aveva di fronte: era l’Irina che aveva conosciuto due anni prima, Fenice, quella che lo aveva attratto con la sua aria irraggiungibile e misteriosa, forte, temibile, fragile e indifesa al tempo stesso. Era stato il suo sguardo, carico di tristezza ma anche di determinazione, a trafiggergli il cuore… Poi aveva scoperto la verità, e da quel momento aveva creduto che Fenice in realtà fosse solo una maschera dietro la quale Irina si barricava per non mostrare la vera se stessa. Ora, in quel momento, a quattro anni di distanza, si rendeva conto di aver sbagliato.

 

Fenice non era una maschera, era un pezzo di Irina che tornava a farsi vivo. Con tutto quello che comportava.

 

Forse, in tutta sincerità, ritrovare quell’Irina, quella che sfidava senza paura piloti molto più grandi di lei, lo spaventava un po’. Significava doverla conoscere di nuovo, significava scoprire che non era davvero quella con cui aveva vissuto per due anni…

 

Afferrò il cellulare per scacciare quei pensieri, e cercò velocemente il numero di White. Doveva fare in modo di avere la sua nuova auto il prima possibile, visto che doveva gareggiare di nuovo, e la Porsche non sembrava proprio in condizione di farlo.

 

<< Agente Went, qualche novità? >> fece White, dall’altra parte della linea.

 

<< No, nessuna, a parte che ho accettato la proposta della Kraracova >> rispose lui, << Mi farà da secondo pilota nella Mosca-Cherepova, e credo potrà darmi una notevole mano, visto che sembra conoscere bene la gente di qui… >>.

 

Sentì White produrre un grugnito. << Se lei la ritiene una buona idea… >> commentò, << Ma faccia attenzione, abbiamo fatto ricerche su di lei, ed è la figlia del Primo Ministro: avrà un sacco di gente a controllarla, e potrebbero mangiare la foglia… >>.

 

<< D’accordo, farò attenzione >> disse Xander, << Ma ho telefonato perché ho bisogno della mia auto il prima possibile, e domani sera ho una gara: la Porsche non ce la fa a farne un’altra >>.

 

<< Non credo che riusciremo a far arrivare la sua auto entro domani sera >> disse White, << Non può rimandare? >>.

 

<< Assolutamente no >>.

 

White sospirò. << Ok, Went, siccome sappiamo entrambi che i russi non le forniranno l’auto che vuole… >> disse, << Posso autorizzarla a entrare nel primo concessionario che trova e staccare un sostanzioso assegno a nostro nome per avere la sua auto, ma non mi faccia pentire di averlo fatto >>.

 

Xander sorrise. << Dipende… Posso entrare in qualsiasi concessionario? >> chiese, intendendo con “qualsiasi” uno di auto di lusso.

 

<< Quello che vuole, agente, ma veda di non esagerare >> rispose White, intuendo i suoi pensieri.

 

Xander ringraziò e poi lo salutò, chiudendo la telefonata. Mezz’ora dopo si fermava in quello che era un vero concessionario Ferrari, con tanto di F430 esposta all’entrata di un bel giallo canarino. Fu subito notato da un uomo in giacca e cravatta che non aspettava altro se non servire un nuovo facoltoso cliente. Lo lasciò camminare tranquillo nel locale, ammirando i diversi modelli in vendita, e soffermando lo sguardo su quello che poteva fare al caso suo: una 599 GTO, rosso fiammante con il tetto in color carbonio, una belva dalla potenza straordinaria, forse maggiore della sua 458 Italia.

 

Quando l’uomo notò il suo interesse verso l’auto esposta davanti alla vetrina, in bella mostra ma irraggiungibile per molti, si fece avanti, schiarendosi la voce. Xander lo guardò, e prima che iniziasse a parlare, disse: << Inglese, per favore >>.

 

L’uomo fece un sorrisetto, poi parlò con un accento russo molto spiccato: << Non siete di queste parti, immagino >>.

 

<< No >>. Xander scosse il capo, << Le specifiche tecniche di questa >> aggiunse, facendo un cenno verso la 599.

 

<< Motore v12, seimila di cilindrata, 661 cavalli… >> rispose il russo, compiaciuto, << Può interessarle? >>.

 

Xander sorrise. << Certamente… Andrebbe ad aggiungersi alla mia 458… D’accordo, la prendo >>.

 

Il sorriso dell’uomo si allargò ancora di più di fronte alla sua scelta rapida e decisa.

 

<< Se vuole accomodarsi… Le illustrerò le possibili personalizzazioni >>. Gli indicò una scrivania con due sedie, di fronte a una California azzurra.

 

Xander diede una pacca alla 599, sentendo il metallo freddo sotto le dita.

 

<< No, non credo lei abbia capito >> disse, << Io voglio proprio questa >>.

 

L’uomo lo guardò, forse senza capire per davvero. Xander tirò fuori il libretto degli assegni, un mezzo sorriso sul volto. Lo aprì e si impossessò di una delle penne poggiate sulla scrivania.

 

<< Quanto vuole? >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Allora… Anche questo capitolo poco significativo, ma prometto questo: il passato di Dimitri è ormai vicino. Vediamo come procede la storia, e quanto lunga diventa, ma presto saprete.

Per il resto, se volete lasciare qualche commento è bene accetto.

 

Elypar: Ciao! Non ti preoccupare se non riesci a recensire sempre, anche se lo fai ogni tanto a me fa piacere comunque. Credo che tu sia una delle poche che continua a tifare per Xander, perché mi pare di aver capito che il pensiero del momento è che Dimitri e Irina abbiano un “intreccio sentimentale”… Anche se devo dire che hai ragione: ne hanno davvero passate tante, e sarebbe un peccato che le loro strade si dividessero… Eh eh, poi ci si mette pure Nina, che gironzola come una gattina ed è chiaro il suo obiettivo sia Xander. La domanda è: chi dei due, tra Xander e Irina, cederà per primo? Mistero… Continua a seguirmi, e lo scoprirai! Un bacio!

 

Marty89: eh sì, i nostri due fidanzatini hanno problemi di comunicazione… Tuttavia non me la prenderei così tanto con Xander: un po’ viziato lo è, ma la sua presunzione deriva dal fatto che lui fa l’agente dell’F.B.I. da molto prima di Irina e quindi ha naturalmente più esperienza. Forse si sta comportando più come un papà che come un compagno, ma non lo fa con cattiveria, anche se è profondamente sbagliato. Lo capirà, prima o poi. Dimitri, sì, è sempre più affascinante… E la cosa preoccupata il nostro Xander, chiaramente… Si vedrà. Un bacione!

 

Smemo92: sì, volevo narrare il primo incontro tra lo Scorpione e il Mastino, per far capire che Dimitri non ha mai avuto paura di nessuno, né all’inizio ne alla fine. Aiuta a comprendere la personalità del russo che, diciamola tutta, comincia ad avere un certo fascino e anche Irina se ne inizia ad accorgere. Ed una delle preoccupazioni di Xander, cosa che lo rende particolarmente nervoso… Sono decisamente tutti abbastanza confusi. Compreso William, che però sarà il primo a schiarirsi le idee, vedrai. E non sarà per niente piacevole. Grazie per i complimenti e un bacione grande!

 

 

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Capitolo 20
*** Capitolo XX ***


Capitolo XX

Capitolo XX

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 18.00 – Mosca, Garage di Dan

 

<< E con questo abbiamo finito, per oggi >> disse Dan, chiudendo con uno schiocco il cofano della Grande Punto bianca, la luce dei neon che lo percorse per qualche istante, << Olio, acqua,  filtri e pastiglie nuove… Non avrete problemi con quelli che ho montato, ve lo assicuro >>.

 

Irina annuì, mentre Dimitri, che stava con le braccia incrociate vicino alla 8C, non disse niente. Aveva la faccia di uno che si sarebbe vendicato personalmente, se le cose non fossero andate così.

 

<< Ci sono ancora diverse modifiche da fare, però >> aggiunse l’italiano, pulendosi le mani con uno strofinaccio, << E credo che sia meglio anche alzare un po’ l’assetto, lavorando sulle sospensioni… Bassa com’è ora potreste avere problemi, nei cumuli di neve >>.

 

<< Non lo so, voglio pensarci >> disse Irina, guardandolo, << Potrebbe influire sul comportamento dell’auto, e non voglio abituarmi a un nuovo stile di guida… >>.

 

In realtà, aveva anche qualche dubbio a lasciare che Dan mettesse le mani nella sua Punto: un conto era fargli cambiare olio, filtri e pastiglie dei freni, che facevano parte del check-up di qualsiasi auto, un altro era lasciargli fare delle modifiche che per quanto minime potevano cambiare il lavoro perfetto che aveva fatto Max.

 

<< Lasciamola così >> intervenne secco Dimitri, << Voglio provarla e vedere come va. E alle gomme penso io >>.

 

Dan lo guardò, l’aria dubbiosa.

 

<< Ok, come volete >> disse, << In ogni caso, se volete riportarla un’altra volta, possiamo vedere cosa si può fare ancora… Intanto vedo di procurarmi un liquido che eviti che la benzina congeli e ve lo faccio avere >>.

 

Irina sorrise. << Grazie mille, Dan >> disse, avvicinandosi alla Punto, << Sono in debito di un favore con te… >>.

 

<< E’ sempre un piacere mettere le mani su una Fiat >> ribatté l’italiano, sorridendo a sua volta.

 

Irina fece per aprire la portiera, quando vide Dimitri pararsi al suo fianco, l’aria imperscrutabile.

 

<< Guido io >> disse.

 

Irina lo guardò di sottecchi, senza aspettarsi quella richiesta. In realtà aveva più l’aria di un ordine, ma lui non sapeva distinguere tra ordini e richieste civili.

 

Titubante, Irina gli mise le chiavi nel palmo della mano, infastidita. Mai nessuno all’infuori di lei, tranne Xander, aveva mai guidato la sua Punto, ed era strano permettere proprio a Dimitri di farlo. Era un po’ come lasciargli guardare dentro di lei, dargli in mano un pezzettino di stessa.

 

Fece il giro della macchina e salì dalla parte del passeggero, mentre Dimitri si incastrava nel sedile del conducente con un grugnito. Gli rivolse un’occhiata, notando che sul suo viso c’era del disappunto.

 

Comprese al volo il perché della sua faccia: stava scomodo perché aveva le gambe più lunghe delle sue, e aveva anche bisogno di abbassare il sedile.

 

<< La leva è lì sotto >> disse Irina, avvicinandosi un po’ per indicargliela, nascosta di fianco al sedile.

 

Dimitri grugnì qualcosa, che lei interpretò come un Guidi con il volante in braccio…”.

 

<< Scusa tanto se non sono una spilungona come voi russi… >> ribatté, allacciandosi la cintura, << Vedi di trattarla bene, altrimenti dopo te la vedi con me… >>.

 

Dimitri le rivolse un’occhiata di sbieco, poi accese il motore e partì lentamente verso l’uscita, accendendo i fari al primo colpo, senza bisogno di suggerimenti per i comandi.

 

<< Se vuoi vedertela davvero con me, è ora che impari a tirare di boxe >> ribatté lui.

 

Irina lo guardò dritto in faccia per poterlo fulminare, ma lui fissava la strada già buia della città. E aveva un vero sorrisetto disegnato sul volto.

 

Non sapeva se essere sconcertata per il suo commento, o per la sua faccia… Dimitri era capace di sorridere?!

 

Spiazzata, rimase a guardarlo, senza nemmeno rendersi conto che aveva appena imboccato una super strada in direzione ovest, troppo presa dal memorizzare la sua espressione per pensare ad altro. Da quanto erano a Mosca, il massimo che era riuscito a fare era una smorfia mezzo divertita

 

Ma adesso, Dimitri stava sorridendo…

 

Dimitri stava sorridendo di una sua battuta, proprio davanti a lei. Ed era anche carino, quando lo faceva…

 

Come se se ne fosse accorto, il sorriso del russo mutò nella sua solita smorfia, anche se ancora divertita. Irina si riscosse e distolse immediatamente lo sguardo, pronta a una sua frecciatina: sapeva che odiava essere fissato.

 

<< Dove stai andando? >> domandò, sperando di non averlo fatto arrabbiare. Stava guidando la sua macchina, non voleva che gliela sfasciasse, visto che ricordava il suo stile di guida ai tempi di Challagher

 

<< Da nessuna parte >> rispose lui, << Voglio solo vedere cosa sa fare quest’auto… E capire se sei tu che hai meritato il terzo posto della Black List, oppure lei >>.

 

Questa era la vendetta per averlo fissato sfacciatamente.

 

<< Spiritoso… >> fece lei, guardando la strada che iniziava a sfrecciare velocemente sotto di loro, << Ho qui la lista per stilare tutti i difetti che troverai… Detta pure >>.

 

Fece finta di essere pronta a prendere appunti, ma Dimitri la ignorò. In risposta premette più a fondo sull’acceleratore.

 

<< Sei fortunata >> disse, << Il primo commento che ho da fare è un pregio: ottima accelerazione >>.

 

Irina fece una smorfia compiaciuta, ma appena sentì la Punto fiondarsi in avanti con uno strattone, afferrò la maniglia della portiera, colta alla sprovvista. I suoi occhi filarono dritti al tachimetro, che segnava i centottanta.

 

L’autostrada, forse complice il freddo invernale, era sgombra, a parte qualche raro tir che viaggiava lento sulla corsia di destra. Era la condizione perfetta per provare un’auto, e Irina era abituata alle alte velocità, ma in quel momento ebbe un po’ di paura. Di solito c’era lei dal lato del guidatore, il volante saldamente tra le mani e i piedi che scattavano sulla frizione e il freno, ma soprattutto perché quella era la sua macchina. Non avere la situazione sotto controllo la innervosì.

 

Conosceva lo stile di guida di Dimitri, sapeva che era più bravo di lei, ma non aveva mai avuto modo di essere nella stessa auto con lui durante una gara…

 

Gettò un’altra rapida occhiata al tachimetro, ormai sopra i duecento, e cercò di tranquillizzarsi.

 

“Devo fidarmi, devo fidarmi… Tanto in ogni caso dovremo guidare a turno, durante la Mosca-Cherepova, quindi mi devo abituare. Era il numero due della Black List, sarà in grado di tenere una macchina che è meno potente della GT che aveva…”.

 

Si appoggiò meglio al sedile, e fissò la strada davanti a lei. Sentì una folata di vento particolarmente forte tentare di spingere la Punto verso sinistra.

 

<< Falle un graffio e me la ripaghi per intero >> disse solo, facendogli cenno di iniziare il suo test.

 

<< Non ne varrebbe la pena… >>.

 

Dimitri schiacciò l’acceleratore a tavoletta, e la Punto schizzò avanti come un proiettile, incollando Irina al sedile. Un attimo dopo il russo iniziò a zigzagare in mezzo alla strada deserta, facendo stridere le gomme sull’asfalto, nel tentativo di far scomporre la macchina.

 

<< Buona tenuta di strada >> commentò Dimitri, << Però troppo sottosterzo… C’è qualcuno dietro di noi? >>.

 

Irina gettò uno sguardo dietro, ma non c’erano auto. Poi sentì la Punto girarsi di lato, in un perfetto testacoda controllato, sfiorando il guard-rail e inondando l’aria di uno stridore assordante. Si aggrappò alla maniglia, sentendo il cuore arrivarle in gola.

 

Dimitri riportò l’auto diritta, tornando ad accelerare, mentre Irina si mordeva la lingua per non dire niente, ma soprattutto per non insultarlo.

 

<< Vediamo a quanto arriva questa scatoletta… >> mormorò Dimitri, divertito.

 

180… 200… 230… 250…

 

Ormai il guard-rail era una striscia indistinta ai loro lati, gli alberi lungo la strada una macchia verde e senza contorni… E il cuore di Irina batteva decisamente più forte del normale. Sapeva che a quella velocità bastava anche una strisciolina di ghiaccio, qualche sasso di troppo sull’asfalto per fargli perdere il controllo dell’auto…

 

Con la coda dell’occhio guardò Dimitri, che fissava la strada: sembrava perfettamente concentrato, lo sguardo puntato sulla carreggiata, conscio del pericolo che correvano. Irina si sciolse un po’: stava dimostrando di non prendere la cosa sottomano.

 

Quando sentì che l’auto aveva smesso di accelerare e si era assestata su una folle e pericolosa velocità, Irina guardò il contachilometri.

 

La lancetta illuminata si era fermata tremolante su 270 km/h.

 

“Beh, è migliorata dall’ultima volta…” pensò, ricordando che la sua ultima prova di velocità massima risaliva a due anni prima.

 

<< Hai fatto togliere il limitatore? >> chiese Dimitri.

 

<< Sì >> rispose. Doveva essere stato Max, quando aveva fatto il cambio con il motore della BMW: di solito le M3 di serie erano limitate ai 250 km/h.

 

<< Bene… >> mormorò Dimitri, << Ora non ci resta che provare un’ultima cosa… >>.

 

Irina fece mente locale: accelerazione, comportamento in strada, velocità massima… Cosa mancava?

 

Quando capì, guardò Dimitri, agghiacciata.

 

<< Non puoi inchiodare in mezzo all’autostrada! >> gridò, terrorizzata.

 

Dimitri fece una smorfia divertita.

 

<< Non posso? >> ribatté, << Sto per farlo. Tieniti >>.

 

Il russo premette sul pedale del freno con tutta la forza che aveva a disposizione, e Irina sentì un peso enorme schiacciarle la nuca, spingendola in avanti, trattenuta solo dalla cintura di sicurezza. Appoggiò le mani sul cruscotto, digrignando i denti per la decelerazione, le orecchie invase dal suono stridente delle gomme sull’asfalto.

 

Quando la Punto rimase immobile in mezzo alla strada, avvolta in una nuvoletta di polvere di ghiaccio sollevata dalle ruote, Irina riprese fiato e tornò ad appoggiarsi sul sedile.

 

<< Frenata lunga… >> commentò a bassa voce Dimitri, tranquillo, << Cambiamo i freni >>.

 

Irina lo guardò, sbigottita, mentre lui rimaneva tranquillamente fermo nel bel mezzo dell’autostrada, deserta, ma pur sempre un’autostrada. Lui la guardò e disse, come a spiegare la sua poca fretta di sgombrare la carreggiata: << Non c’è nessuno nel raggio di chilometri >>. Poi ripartì lentamente.

 

<< Abbiamo finito? >> esalò Irina, osservando la strada ricominciare a sfilare di fianco a loro, a una velocità più accettabile di prima.

 

Dimitri mostrò un’altra smorfia divertita.

 

<< Sì, abbiamo finito >> rispose. Poi aggiunse: << Oggi che avresti potuto urlare, hai tenuto la bocca chiusa, come mai? >>.

 

<< Non ti avrei mai dato la soddisfazione di sentirmi dire “fermati” >> ribatté lei, incrociando le braccia.

 

Dimitri non aggiunse niente, e Irina puntò lo sguardo fuori dal finestrino, offesa. Stavano raggiungendo un’auto che procedeva solitaria in mezzo all’autostrada, ma che era ancora un piccolo puntino all’orizzonte. Sentì che Dimitri accendeva la radio, selezionando una delle canzoni preferite di Irina: molto probabilmente piaceva anche a lui.

 

Quando arrivarono nei pressi dell’auto, si accorse di una cosa, e il sangue si gelò nelle vene: sul tetto della macchina c’erano dei lampeggianti, ora spenti, e la livrea era quella di…

 

<< E’ la polizia! >> disse Irina.

 

In quel momento, le sirene della volante si accesero, e Dimitri scartò di lato per evitare che gli tagliassero la strada. Forse per via della loro velocità o per il tipo di macchina, sembravano aver capito che si trattava di piloti clandestini.

 

<< Merda… >> disse il russo.

 

La Punto schizzò avanti, guadagnando velocità, e Irina si voltò indietro per guardare: li avrebbero seguiti, ne era sicura, ma non sapeva come si sarebbe comportata la polizia russa. Non sapeva nemmeno se in caso di fermo li avrebbero lasciati andare, visto che collaboravano con i servizi segreti del loro paese…

 

<< Chiameranno rinforzi? >> chiese, mentre tornava a sedersi.

 

<< Li semino prima… >> borbottò Dimitri.

 

Irina lo vide accelerare al massimo, le sopracciglia aggrottate… Forse stava pensando a una via di fuga. Intanto la sirena dietro di loro continuava a suonare incessantemente, i fari della volante che lampeggiavano per intimargli l’alt.

 

Avrebbe voluto trovarsi lei al posto di Dimitri, in quel momento, ma sapeva che non potevano certo fermarsi e scambiarsi… Era sicura di poterli seminare in fretta, sfruttando come sapeva fare lei le doti della Punto, anche se non conosceva la zona…

 

<< Forse ci conviene uscire… >> disse, cercando con lo sguardo una rampa che li avrebbe portati fuori dall’autostrada.

 

Dimitri non rispose, ma gettò un’occhiata allo specchietto retrovisore. Qualcosa brillò nei suoi occhi grigi, facendola preoccupare. Irina si voltò di nuovo, e comprese il perché della sua reazione.

 

Una Subaru Impreza nera con due strisce gialle sul cofano li stava raggiungendo, o meglio, li stava seguendo affiancata alla volante della polizia. Aveva i finestrini oscurati, ma Irina era sicura che dentro ci fosse Vladimir Buinov.

 

<< Cavolo… Da quant’è che ci segue? >> chiese, allarmata.

 

<< Da quando abbiamo lasciato il garage di Dan >> rispose Dimitri.

 

Irina si morse il labbro: non s’e n’era accorta, e come sempre il russo aveva prestato più attenzione di lei.

 

<< Pensa che ci sia tu, alla guida >> disse il Mastino, << Probabilmente voleva incontrarti… Aspetta che seminiamo gli sbirri per sbarrarci la strada e costringerci a fermarlo… >>.

 

Dimitri portò la Punto a sinistra, poi scartò improvvisamente di lato e infilò la rampa di decelerazione che li avrebbe portati a Terletskiy Lesopark, a ovest di Mosca… La volante riuscì a seguirli, e Vladimir anche.

 

<< Ci rimangono dietro… >> mormorò Irina.

 

<< Lo so >> ringhiò Dimitri, << Ma non ho nessuna intenzione di farmi fermare >>.

 

Una volta usciti dall’autostrada, si ritrovarono in un quartiere fatto di casette basse e dalle strade larghe e ben illuminate dai lampioni. La Punto svoltò di lato, imboccando una stradina più stretta che sembrava portare a un parco.

 

Dimitri percorse la viuzza, poi svoltò bruscamente a sinistra, il suono della sirena della volante più attutito, ma i fari della Impreza ancora ben visibili nello specchietto. Irina vide il russo muoversi stranamente sul sedile, poi tirò fuori dalla tasca dei pantaloni una pistola e gliela porse.

 

Irina la afferrò, chiedendosi cosa mai ci dovesse fare, poi le venne in mente che…

 

<< Tu non puoi avere una pistola! >> gridò.

 

<< Invece ce l’ho >> ribatté Dimitri, continuando a fissare la strada, << Togli la sicura… E se ti dico spara, tu spari >>.

 

Irina lo guardò, poi fu costretta ad aggrapparsi alla maniglia della portiera per non essere sballottata di lato mentre la Punto scartava nuovamente a destra, ora in un quartiere fatto di alti palazzi fatiscenti.

 

<< Io non gli sparo addosso! >> sbottò, mentre liberava la pistola della sicura e tornava a guardare dietro.

 

<< Sapevo già che non eri in grado di ammazzare nemmeno una mosca >> ringhiò Dimitri, << Spara alle gomme, almeno quello lo sai fare? >>.

 

Irina fece per ribattere, ma poi si accorse che la volante sembrava sparita.

 

<< La polizia non ci segue più… >> disse.

 

<< Spara a Vladimir. Della polizia non me ne frega un cazzo, e lui che non possiamo incontrare >>.

 

Irina rimase un momento immobile, la pistola in mano e la strada che sfrecciava alla sua destra, senza sapere che fare… Poi aprì il finestrino, l’aria gelida che invase l’abitacolo, e tirò fuori la mano con la pistola… Un attimo, il tempo di affacciarsi, e Vladimir non c’era più.

 

Interdetta, si guardò in giro, l’aria gelida a frustarle il viso, ma di Buinov non c’era traccia. Richiuse il finestrino, mentre Dimitri si lasciava andare a una smorfia.

 

<< Questo conferma quello che pensavo… >> mormorò, rallentando.

 

<< Perché è andato via? >> chiese lei, rimettendo in sicurezza la pistola.

 

<< Ha visto che c’ero anche io… >> fu la laconica risposta di Dimitri.

 

Svoltò a sinistra, percorrendo le strade buie e deserte a velocità sostenuta, per arrivare il prima possibile a casa ed evitare di incontrare di nuovo la polizia, o forse Vladimir. Per quanto non lo temesse, sembrava non volerlo mai incontrare in sua presenza, come se potesse metterlo in una posizione scomoda.

 

<< Come facevi ad avere questa pistola? >> chiese, insospettita, per cambiare argomento. Anche perché quello era abbastanza rilevante.

 

<< Credi davvero che abbia accettato di venire a Mosca senza nemmeno un’arma? >> ribatté lui, << Voi non me le avete fornite, ma questo non toglie che io non me le possa procurare >>.

 

Inchiodò di colpo e Irina si accorse che erano già a casa. In quell’istante il cellulare di Dimitri squillò e lui rispose, senza degnarla di ulteriore attenzione.

 

Per sua sfortuna, si mise a parlare in russo fitto, e l’unica cosa che riuscì a cogliere fu la parola “Vladimir” e il palese nervosismo del Mastino. Sembrava infuriato, e forse stava raccontando l’accaduto al suo interlocutore. Mentre parlava con la mano libera stringeva il volante, scendendo lentamente lungo la rampa del garage. Alla fine fermò la Punto al suo posto e chiuse la telefonata, uscendo dalla macchina.

 

Irina scese, ancora con la pistola in mano, e si fiondò a esaminare l’auto per vedere se c’erano danni: sembrava tutto a posto, tranne il paraurti davanti che portava i graffi dei sassolini che si erano sollevati mentre correvano lungo la strada sterrata. La vernice bianca si era scrostata, lasciando tanti puntini scuri come piccoli moscerini spiaccicati durante un lungo viaggio ad alta velocità.

 

Sbuffò, rassegnandosi al fatto che per un po’ avrebbe dovuto tenerla così: dove lo trovava un paraurti identico a quello, prima che iniziasse la Mosca-Cherepova? Oltretutto, forse non faceva nemmeno bene a cambiarlo, perché era sicura che durante la gara si sarebbe rovinato di nuovo.

 

Dimitri si affiancò e guardò il danno con distacco, come se non gli interessasse minimamente di quello che aveva combinato, e le sfilò la pistola dalle mani. Poi si avviò verso l’ascensore, infilandosela in tasca con noncuranza.

 

<< Stasera vado al Black Diamond >> disse, secco, << Se pensi di voler venire, fatti trovare pronta >>.

 

Irina alzò gli occhi al cielo e lo seguì, intuendo che il suo obiettivo era quello di andare a prendere a pugni qualcuno per scaricarsi… Vederlo darsele di santa ragione con degli armadi fatti di muscoli non la allettava, ma era il caso che facesse uno sforzo: forse poteva scoprire qualcosa sulla Mosca-Cherepova, oltre che evitare che magari si facesse macellare direttamente sul ring.

 

Mentre risalivano in ascensore, rimasero in silenzio, Dimitri con lo sguardo puntato per terra, Irina che lo guardava di sottecchi. Alla fine era stato bravo, non aveva maltrattato troppo la sua Punto, ed era anche fuggito dalla polizia con facilità. A parte il danno minimo al paraurti, non poteva lamentarsi. Si era fidata e aveva fatto bene.

 

Arrivarono all’ultimo piano e uscirono sul pianerottolo, poi il russo aprì la porta dell’appartamento, accendendo tutte le luci. Lei fece per entrare, ma Dimitri le prese la mano e le posò sul palmo le chiavi della Punto, guardandola dritta negli occhi e facendole scorrere un inspiegabile brivido lungo la schiena.

 

<< Cinquanta merito tuo, cinquanta merito della tua auto, Fenice >> disse, poi sparì velocemente di sopra, per prepararsi alla sua serata.

 

Irina rimase impalata, senza capire bene cosa avesse detto, e lo guardò risalire le scale a grandi passi. Poi si riscosse e lasciò che il suo cervello assimilasse quello che aveva detto il russo.

 

Guardò le chiavi che teneva nel palmo della mano, e sorrise.

 

“Ah, Dimitri… Se fossi solo leggermente meno scorbutico, saresti anche simpatico”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 23.00 – Mosca, Black Diamond

 

Irina raggiunse a passo rapido la porta dello spogliatoio di Dimitri, trovandola aperta. Si infilò dentro, ma prima che potesse rendersi conto che il Mastino era seduto su una sedia con del ghiaccio sul naso e una spessa benda sulla spalla, venne afferrata per un braccio da qualcuno, e la porta venne sbattuta violentemente dietro di lei. La faccia sfregiata di Emilian si parò a pochi centimetri dalla sua, gli occhi che dardeggiavano.

 

<< Lasciala entrare >> disse Dimitri, togliendosi il ghiaccio dal naso, << Aspettavo lei prima di chiudere la porta… Non è capace di bussare >>. Il tono era molto simile a quello che usava Challagher per prenderla in giro.

 

Emilian la lasciò andare, e Irina rimase a guardare la faccia divertita e distrutta di Dimitri: questa volta era andato avanti per più di un’ora, per quattro round consecutivi, a darsele con dei russi più simili a montagne di muscoli che a persone.

 

<< Scusa, non volevo venire a romperti, ma non ti vedevo tornare… >> disse lei, cercando di dimenticare che l’aveva appena sfottuta.

 

Aveva resistito un po’, poi alla fine del secondo round era uscita a prendersi qualcosa da bere ed era tornata solo alla fine del quarto, per vederlo andare via un po’ malandato ma ancora sulle sue gambe. Sapeva che l’avrebbe odiata a morte, ma la sua coscienza le imponeva di andare a vedere come stava, e avrebbe sopportato anche il suo tono infastidito.

 

A quella frase, la faccia sfregiata di Emilian divenne indecifrabile; ma la guardò in modo strano, come se non credesse alle sue orecchie.

 

<< Rimani >> fu la risposta di Dimitri, che tornò a rivolgere la propria allo specchio che aveva davanti, << Tanto stavamo parlando di qualcosa che ti riguarda >>.

 

Irina annuì, ma non riuscì a distogliere lo sguardo dal suo naso: perdeva sangue abbastanza copiosamente, e aveva l’aria di essere molto doloroso, oltre che messo proprio male.

 

<< Non è che ti ha rotto il naso? >> soffiò lei, avvicinandosi, << Forse è meglio che… >>.

 

<< Il mio naso è di plastica, Irina >> ribatté Dimitri, freddamente, << Me lo sono rotto tante di quelle volte che alla fine ho optato per uno finto… Fa più male a chi lo colpisce >>.

 

Emilian ridacchiò, poi passò a Dimitri uno straccio con il quale si ripulì la faccia. Si guardò nello specchio, poi si afferrò il naso e con uno scrocchio sinistro lo rimise a posto, neanche fosse un accessorio messo male. Irina rabbrividì, inchiodata dov’era, impressionata e mortificata per la sua risposta decisamente brusca. Lui notò la sua espressione e fece una smorfia.

 

<< Se hai intenzione di svenire, Emilian non avrà tempo per occuparsi anche di te >> disse.

 

Irina non ribattè nulla e si andò a sedere, sapendo di non meritare quella freddezza, ma conoscendolo abbastanza da accettarla. << Di cosa parlavate? >>.

 

<< Di Vladimir >> rispose Dimitri, scoprendo la ferita sulla spalla, profonda e sanguinante, << Gli ho raccontato quello che è successo… >>. Fece un cenno verso suo cugino.

 

Emilian tirò fuori un tampone di garza e lo bagnò con del disinfettante, porgendolo a Dimitri che ripulì rapidamente e rudemente la ferita, senza dare segno che potesse fargli male in qualche modo. Irina si accorse che il suo taglio aveva una forma particolare…

 

<< Ti ha morsicato?! >> gridò all’improvviso, inorridita. Si alzò e andò a guardare da vicino.

 

Dimitri le rivolse un’occhiata. << Ricordi cosa ti ho detto l’altra volta? >> fece, acido, << Bene, non farmelo ripetere… ma soprattutto, non farmelo mettere in pratica >>.

 

Irina si morse il labbro, ma non riuscì a trattenersi. Poteva anche insultarla o prenderla in giro, ma qualcosa le diceva che la sua reazione era quella di chi non vuole mostrarsi mai debole… Un comportamento stupido, che lei avrebbe completamente ignorato, vista la situazione.

 

<< Devi pulirla bene, altrimenti fa di sicuro infezione >> disse seria, rivolta a Emilian, << I morsi sono pericolosi… >>.

 

<< Abbiamo un’infermiera? >> ridacchiò Emilian, con la sua voce rasposa così inadatta a prenderla in giro. La sua faccia sfregiata di accartocciò in un sorriso strafottente.

 

Irina si arrabbiò: lei si preoccupava, e loro la deridevano. Non era apprensiva, non era stressante né troppo invadente, e per una volta che dimostrava un minimo di interessamento, la prendevano per il culo?

 

<< Io non sono un’infermiera, ma tu sei di sicuro un macellaio >> sibilò rivolta a Emilian, << Hai anche intenzione di cucirlo con del fil di ferro? >>.

 

La faccia di Emilian si trasformò in una maschera di fastidio, ma Dimitri sembrò notarlo e disse, secco: << Ok, lascia fare a lei, visto che è tanto brava. Nel frattempo raggiungi Nikodim, e digli che ho intenzione di parlare con lui >>.

 

“Perfetto, almeno lui se ne va…”. Irina incrociò le braccia, che l’espressione di Emilian, sotto le cicatrici, sembrava colpita. O stupita. Difficile dare la giusta interpretazione.

 

<< D’accordo >> disse.

 

Emilian uscì dalla stanza, lasciandoli da soli. Dimitri la guardò dal riflesso dello specchio davanti a lui e disse, serafico: << Bene, se vuoi mostrarmi le tue capacità… >>.

 

Irina sbuffò ma prese dalle sue mani il tampone, decisa a dimostrargli che di sicuro era meno rude di suo cugino nel medicare le ferite. Si procurò dell’altro disinfettante, e iniziò la sua opera, chiedendosi cosa stesse pensando Dimitri in quel momento… Sicuramente qualcosa di poco gentile.

 

Allargò lentamente con le dita il taglio per permetterle di pulire bene dentro, la pelle calda nonostante le altre cicatrici, e rivolse un’occhiata alla faccia di Dimitri: sembrava una statua. Non si lamentava, né faceva nessuna smorfia. Addirittura guardava da tutt’altra parte, decisamente interessato alla maniglia del mobiletto lì vicino…

 

<< Credo che vada dato qualche punto… >> mormorò lei, gettandogli un’occhiata.

 

Dimitri tirò fuori ago e filo da un cassetto, e con noncuranza glieli porse. Irina li afferrò, in silenzio.

 

<< Allora cuci >> borbottò lui.

 

Irina fece un passo indietro. << Ma neanche per sogno! >> sbottò, << Devi andare in ospedale, non ti puoi mica mettere i punti da solo! >>. In realtà si era aspettata una cosa del genere, ma sperava non ci arrivassero.

 

Dimitri fece una smorfia mezza divertita.

 

<< L’ho sempre fatto, e come vedi sono sempre sopravvissuto >>. Con il capo fece un impercettibile segno verso le sue cicatrici, << Se non lo vuoi fare tu, faccio da solo. Dammi >>.

 

Si riprese ago e filo e tagliò rapidamente un pezzetto di filamento infilandolo nella cruna, con Irina che lo guardava basita. Non aveva assolutamente paura di nulla, quel ragazzo.

 

<< Ok, ok >> disse alla fine, quando lo vide infilare la punta dell’ago nella carne come se fosse un pezzetto di stoffa, << Aspetta, ti aiuto… >>.

 

Si riprese l’ago, e Dimitri la guardò inarcando un sopracciglio in una manifestazione di perplessità strana, visto il suo solito comportamento. Non si appose e la lasciò fare, mentre Irina si mordeva il labbro infilandogli quell’ago nella spalla con la mano che tremava impercettibilmente…

 

La parte peggiore era che ogni volta che tirava il filo, goccioline di sangue stillavano dai fori appena fatti, colando lungo la pelle. Afferrò rapidamente una garza per asciugarle, il tessuto che sfregava contro le altre cicatrici bianche e assurdamente calde.

 

<< Immagino questa sia la tua vendetta per il paraurti della tua auto… >> disse Dimitri, facendo scrocchiare sinistramente il collo. Sicuramente faceva male, ma lui non lo dava a vedere.

 

Irina gli rivolse un’occhiata. << Non sono così cattiva >> ribatté.

 

<< , intanto sappi che sei negata, a ricucire le ferite… >> commentò Dimitri, ma non sembrava serio. La sua voce aveva avuto una piccola inflessione che poteva essere interpretata come divertimento.

 

Irina mise l’ultimo punto, poi gettò via l’ago e il filo macchiati di sangue come se fossero stati due insetti disgustosi. Aveva il profondo sospetto che Dimitri la stesse prendendo in giro, per via della sua mano che tremava, ma rimase zitta e lo guardò rimettersi la sua maglia come se si fosse appena fatto un massaggio rilassante. Non si aspettava nessun grazie da parte sua, era chiaro.

 

<< Cosa dicevate tu e Emilian, a proposito di Vladimir? >> chiese, per cancellare quel momento poco piacevole.

 

<< Che non avremmo dovuto mandarti nel suo quartiere >> rispose Dimitri, << Avremmo dovuto evitare che vi incontraste… Vladimir ha mangiato la foglia >>.

 

Irina aggrottò le sopracciglia. << Cosa vuoi dire? >>.

 

Per la prima volta, Dimitri non la guardò mentre rispondeva. Sembrava teso.

 

<< Emilian pensa che cercherà di usarti contro di noi, e non è l’unico che ha questa idea >> rispose.

 

<< Potrebbe usare me per arrivare a voi? >> fece Irina, cercando di fare chiarezza.

 

<< Sì >> rispose secco Dimitri, << Il problema è che cercherà di contattarti, di parlare di nuovo con te… Finché rimani in mezzo a noi, non c’è pericolo che ci riesca, ma sa che siamo noi stessi a evitarlo… Significherebbe ammettere che abbiamo paura che tu ci possa tradire, che non siamo sicuri del tutto della tua fedeltà… A quel punto, cercherà ancora di più di farti diventare una dei suoi… >>. Si interruppe, come se non fosse convinto di ciò che stava dicendo.

 

Irina cercò di capire cosa avesse: di solito Dimitri era diretto nei suoi discorsi, lineare, ma questa volta le sembrava confuso tanto quanto lei. Sembrava voler far intendere una cosa, ma dava una spiegazione che non combaciava… Sicuramente c’era qualcosa che non voleva rivelare, forse qualcosa del suo passato.

 

<< Vuoi dire che il fatto che io lo riesca evitare potrebbe indurlo a pensare che stiate cercando di proteggermi? >> disse lentamente, per vedere se aveva letto correttamente tra le righe, << Che non mi vogliate coinvolgere in questa storia? >>.

 

Dimitri la guardò, e lei si accorse che i suoi occhi erano più intensi e meno freddi di quanto aveva sempre creduto.

 

<< Infatti io non voglio coinvolgere nessuno, in questa storia >> sentenziò.

 

Si fissarono per qualche istante.

 

<< Quindi? >> fece lei, confusa.

 

<< Quindi Emilian ha proposto che tu accettassi la proposta di Vladimir, e facessi la doppiogiochista per noi >> disse il russo, neutro.

 

Irina inarcò un sopracciglio, sorpresa. << Ah… Bé, credo di doverci pensare un attimo… >>.

 

<< No, non c’è bisogno di pensare >> ribatté Dimitri, << Tu non farai la doppiogiochista proprio per nessuno. Sono fatti che riguardano me e Buinov, e nessun’altro. Non permetterò a nessuno di impicciarsi… >>. Si stava innervosendo…

 

<< Ok, va bene >> fece Irina, senza capirci più niente, << Allora che facciamo? >>.

 

<< Ci faremo vedere in giro il meno possibile >> rispose Dimitri, avviandosi verso la porta, << Dobbiamo prepararci per la Mosca-Cherepova, e non possiamo pensare ad altro >>.

 

Con quella frase sbrigativa uscì dallo spogliatoio e Irina lo seguì, rimanendo in silenzio finché non raggiunsero la sala dove Nikodim li aspettava insieme ad alcuni cugini di Dimitri. La tensione tra il Mastino e il russo era palpabile, e dalla faccia che aveva Nikodim si capiva che si stava pentendo della sua idea di averla mandata da Vladimir. Non si erano più visti dal giorno dell’assegnazione dell’incarico, ed era sicura che lui avesse fatto di tutto per evitarli…

 

Prima che qualcuno avesse il tempo di fare niente, Dimitri afferrò Nikodim per il colletto della camicia e lo sbatté contro il muro, tirandolo su di peso. Emilian, che stava a un angolo della sala,  fece segno a tutti di non muoversi, Irina compresa, e puntò gli occhi sul Mastino. Forse era pronto a fermarlo, se la situazione fosse degenerata.

 

Dimitri rimase un momento in silenzio, gustando il fiatone che Nikodim non riusciva a controllare, i piedi a dieci centimetri dal pavimento. Era spaventato, si vedeva, ma non riusciva a parlare per via del fatto che sembrava avere la testa insaccata nel collo… Irina, per una volta, ritenne che se lo era meritato. Sperava solo che Dimitri non esagerasse.

 

Dopo averle gettato un’occhiata, come a valutare la sua reazione, il Mastino tornò a guardare Nikodim e gli ringhiò addosso qualcosa in russo, talmente piano che dubitava che persino i suoi cugini avessero capito cosa avesse detto; poi aggiunse, in modo che anche lei potesse capire: << E adesso tu ci fornirai la mappa della corsa, chiaro? >>.

 

Nikodim, il fiato corto, rispose: << Non le ho io… Le tiene Konstantin >>. Stava diventando sempre più pallido.

 

<< Allora vedi di fare in modo di farcele arrivare >> continuò Dimitri, << La prossima volta ci penserai due volte prima di farci cadere in una trappola di Vladimir, chiaro? >>.

 

<< Non posso fartele avere >> ribadì Nikodim, e Irina ebbe l’impressione che stesse soffocando, << Non le cede a nessuno… Le darà solo agli altri Referenti… >>.

 

Dimitri fece una smorfia spaventosa, come se potesse ucciderlo sul posto. Gli sputò addosso qualcosa in russo e lo lasciò andare, poi fece un cenno a Emilian di seguirlo fuori. Irina rimase ferma dov’era: meglio non prendere iniziative, perché sembrava più suscettibile del normale.

 

C’era qualcosa che non andava, se n’era accorta. Dimitri era più nervoso del solito, e qualcuno la guardava con occhio sospettoso più del dovuto… Che c’entrasse Nikodim o Vladimir non ne era poi tanto sicura: era lei il problema, se lo sentiva. Il suo arrivo doveva aver dato fastidio a qualcuno, e forse cominciava ad essere di troppo… E di sicuro, qualunque cosa fosse, Dimitri sapeva.

 

Cinque minuti dopo Dimitri ed Emilian rientrarono, facendole segno di seguirli. Lei lasciò la sala facendo un cenno di saluto a tutti, mentre il cugino del Mastino la scrutava indecifrabile. Era la conferma che lei centrava sicuramente qualcosa.

 

<< Ce ne andiamo >> disse seccato il Mastino.

 

Irina annuì. << Va bene… Immagino ci sia qualche problema, vero? >>.

 

Emilian gettò un’occhiata stranissima a Dimitri, e lui rispose: << Ci sono sempre problemi, per quelli come noi >>. Le gettò un mazzo di chiavi. << Vai a casa, e rimanici. Sbrigo una cosa con Emilian e poi ti raggiungo >>. Fece per andarsene, poi si voltò un’ultima volta. << Ah… Se incontri qualcuno, lungo la strada, vedi di non fermarti, chiaro? >>. Sembrava una minaccia, più che una raccomandazione.

 

Irina prese le chiavi: erano quelle della Audi R8 parcheggiata fuori. Erano venuti insieme, per evitare di incontrare di nuovo la polizia, visto quello che era successo nel pomeriggio.

 

<< E tu come torni? >> chiese, preoccupata per la sua reazione innervosita.

 

<< Con lui >> rispose, indicando suo cugino, << Muoviti e non fare domande >>.

 

Irina si avviò verso l’uscita, perplessa e infastidita dal suo comportamento. Ma quando si voltò per andarsene, riuscì distintamente a sentire la voce di Emilian, che rasposa e in tono serio diceva: << Sei fottuto, Dimitri >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 23.00 – San Pietroburgo

 

Xander guardò la Lamborghini Gallardo bianco neve fermarsi in mezzo alla strada, rischiarata dalla luce aranciata dei lampioni accesi nella notte, e non poté fare a meno di farsi scappare un sorrisetto: anche questo avrebbe dovuto immaginarlo. Gli sguardi della poca gente intorno, ferma nel piazzale, si diressero tutti verso l’ultima arrivata.

 

I cerchi bianchi della Gallardo si fermarono a pochi centimetri da quelli argentati della 599, silenziosissimi, i vetri oscurati che nascondevano il pilota alla vista. I fari a led illuminarono la strada davanti a loro, poi la portiera dell’auto si aprì.

 

Con il suo solito sorriso perfetto, Nina scese dalla Lamborghini e gli gettò un’occhiata divertita, facendo cenno alla Ferrari. Si avvicinò e si appoggiò sensuale alla portiera della macchina, dicendo: << Ma che bell’acquisto… >>.

 

Xander scosse il capo. << Hai altre auto che non siano bianche, nel tuo garage? >> ribatté sorridendo.

 

Nina scosse i capelli, attirando ulteriormente l’attenzione di tutti. << Oh, ma certo… Solo che il bianco si abbina sempre al mio look >> rispose.

 

In effetti, anche questa volta Nina era vestita di bianco, ma aveva abbandonato la sua preziosa pelliccia in favore di una giacca sportiva e di un paio di aderentissimi jeans blu, più un paio di vere scarpe da pilota con tanto di suola che ricordava quella di un pneumatico. E con quell’aria da dura continuava a essere molto sexy.

 

<< Sei sicura di saperla portare, quell’auto? >> domandò lui, provocatorio.

 

Nina si avvicinò, gli occhi azzurri da gatta che brillavano.

 

<< E tu sei sicuro di riuscire a starmi dietro? >> ribatté, << Sono pronta anche a darti una spinta, se è necessario… >>.

 

Xander ridacchiò di fronte alla sua sfacciataggine, e la guardò raggiungerlo con quel passo cadenzato e sinuoso. Poi lo prese alla sprovvista e gli si piazzò davanti, a gambe divaricate, afferrandolo per il mento e rimanendo a cinque centimetri dalla sua faccia. Da qualche parte partì un fischio.

 

<< O vuoi darmela tu, una spinta? >> gli soffiò sulla bocca.

 

Xander rimase fermo, ma qualcosa nel suo animo si ribellò e si agitò convulsamente. Per un attimo credette che Nina volesse baciarlo, ma invece rimase ferma, a guardarlo negli occhi, la sua bocca a un soffio dalla sua… Aspettando che fosse lui a fare il primo passo, forse.

 

Il suo cervello iniziò a lavorare febbrilmente. Se voleva essere coerente e credibile, non avrebbe dovuto tirarsi indietro… Ma non poteva, aveva fatto una promessa a Irina…

 

<< Non provocarmi troppo, altrimenti potrei decidere di sbatterti fuori dalla gara… >> disse lui, mascherando la sua tensione con un sorriso.

 

Nina lo lasciò andare e si allontanò, come se avesse capito che non se ne sarebbe fatto nulla.

 

<< Allora ci vediamo al traguardo, carino >> disse, e salì sulla Gallardo.

 

Xander recuperò il controllo e montò sulla Ferrari, chiedendosi per quale motivo quella situazione lo turbasse tanto… Ormai si era cacciato nei guai, con Nina: lei si era fatta un’idea nella testa, e lui non poteva tornare indietro.

 

Sentì i motori accendersi, e avviò quello della 599, un rombo cupo nella notte. Il suono della Gallardo al suo fianco gli ricordò che era lì per valutare la capacità di Nina, perché sarebbe stata la sua seconda pilota

 

“Cazzo, sono nei guai. Non potevo scegliere qualcun altro?”.

 

Vide un russo raggiungere il centro della strada, per dare il via. Sapeva che Nina lo stava guardando, e la consapevolezza di quello che era appena successo lo colpì dritto al cuore…

 

Non l’aveva baciata perché aveva fatto una promessa, e non perché non voleva.

 

Il russo abbassò la mano, e con tutta la forza e la disperazione che aveva in corpo premette l’acceleratore, facendo balzare in avanti la Ferrari come un felino a caccia, superando di poco il muso della Gallardo. Una dopo l’altra le marce sfilarono sotto la sua mano, portandolo in testa, fino alla curva…

 

“Allora forse il problema non è Irina, sono io…”.

 

Con uno stridio di gomme, la Ferrari derapò girando a sinistra, mentre la Gallardo rimaneva nella sua scia… Le altre auto non sembravano nemmeno esistere, a parte le loro due…

 

“No, non sono stato io a cominciare… Non sono stato io a cambiare le carte in tavola… Non sono io che sono cambiato…”.

 

Vide il muso della Gallardo spuntare alla sua sinistra, ma si lasciò superare, mettendosi in coda. Qualcosa, forse il fatto di essere in gara contro Nina, lo fece tornare al momento presente… Abbandonò quei pensieri confusi e poco piacevoli e tornò a correre come faceva sempre.

 

La Lamborghini iniziò a zigzagare, bloccandogli la strada ma contemporaneamente incitandolo a farsi valere. Xander strinse il volante, ricordando le frasi che si erano scambiati prima, e sorrise: era fatta così, lo avrebbe sempre provocato.

 

Affondò il piede sull’acceleratore e cercò di superarla, ma lei gli tagliò la strada, costringendolo a frenare. Era brava, aveva i riflessi pronti e scattava al momento giusto… Molto, troppo simile a Irina. Tranne per il fatto che Nina amava provocare, cosa che in quel momento lo mandava contemporaneamente in bestia e gli faceva venir voglia di giocare.

 

Iniziò a spostarsi a destra e a sinistra, per confonderla, mentre lei seguiva i suoi movimenti. Facendo stridere le gomme sull’asfalto svoltò a destra, imboccando un lungo rettilineo, e Xander le rimase incollato, per dimostrarle che non aveva bisogno di spinte.

 

Una, due, tre volte fece finta di volerla superare, per scoprire che Nina era pronta a ogni sua mossa, che non si sarebbe lasciata fregare facilmente. Sapeva calcolare gli spazi, sapeva tenere quel bolide da cinquecento cavalli… Altro che la Punto di Irina.

 

Alla fine, la superò a una curva, senza lasciarle il tempo di reagire, ma se la trovò incollata al paraurti posteriore. Accelerò, riuscendo a mettere un paio di metri tra loro, poi si accorse che il traguardo era vicino.

 

Rallentò appena e lasciò che la Gallardo lo affiancasse. Guardò il vetro oscurato, sapendo che Nina lo stava guardando, e fece un cenno con il capo verso la striscia che segnava la fine della gara. Poi rallentò ancora un po’ e la lasciò passare avanti, tagliando il traguardo per prima.

 

Una volta alla fine, fermò la Ferrari al lato della strada, sotto gli occhi perplessi dei russi che stavano da quelle parti. Li ignorò, perché in quel momento aveva altro a cui pensare, qualcosa che quella gara gli stava facendo capire. Ora che era fermo, poteva riaccendere il cervello e riprendere il filo dei pensieri dove lo aveva lasciato.

 

La parola gli rimbalzava da una parte all’altra della testa, in quel momento, ma aveva paura di definirla per quello che era.

 

Crisi.

 

Forse il problema dei suoi litigi con Irina, di quella sensazione di estraneità che aveva provato troppe volte in quel periodo, era dovuta a qualcosa che nel loro rapporto si era incrinato… Possibile che fossero in crisi?

 

Non ci voleva pensare, non voleva vagliare quell’ipotesi… Troppe cose erano cambiate in poco tempo, tutto qui, e lui faceva fatica ad accettarlo.

 

“La verità è che la sento cambiata, la vedo diversa da quello che è stata in questi due anni…”.

 

<< Non hai fatto troppo sul serio, vero? >>.

 

Alzò lo sguardo, per vedere Nina che stava in piedi di fronte a lui, le braccia incrociate e un mezzo sorriso sul volto. Xander scosse il capo, interrotto nei suoi pensieri.

 

<< Ho visto quello che mi serviva vedere… >> ribatté lui, stancamente.

 

Nina si accorse che aveva cambiato atteggiamento, e ridusse gli occhi a due fessure. Si avvicinò e gli si mise di fianco, appoggiandosi alla Ferrari.

 

<< Mi pare di capire che tu abbia qualche problema >> disse tranquilla, << Conosco un posto che potrebbe distrarti un po’… Andiamo a berci un drink? >>.

 

Xander fece una smorfia senza farsi vedere: il problema erano loro due, e sicuramente stare insieme non poteva contribuire a risolverlo.

 

<< Dove? >> domandò alla fine.

 

<< Al Club 999 >> rispose lei, << E’ un posto di nicchia, non ci saranno le persone che vedi qui… Sempre che tu non ami questo genere di feccia >>. Aggiunse, sprezzante.

 

Xander rivolse uno sguardo intorno, e si rassegnò al fatto che non poteva rifiutare: Nina gli serviva, e anche se rischiava di metterlo in situazioni scomode, non poteva fuggire.

 

<< Andiamo >> borbottò, rientrando in auto.

 

Si infilò dentro la Ferrari, accorgendosi che Nina lo aveva guardato prima di risalire sulla Lamborghini, e la seguì fino al locale di cui aveva parlato. In effetti, nel parcheggio c’erano solo macchine di un certo calibro, e il Club 999 sembrava un posto decisamente di lusso. Situato in pieno centro di San Pietroburgo, in un edificio curato ed elegante.

 

Aspettò che Nina parcheggiasse la Gallardo, poi la seguì all’interno, in un ambiente moderno e chic, con lunghi banconi di nero e ludico marmo dove venivano serviti i drink, e una musica soffusa come sottofondo. A un paio di tavoli da biliardo si stavano sfidando un gruppo di russi.

 

<< Vieni, sediamoci laggiù >> disse Nina, prendendolo per un braccio e tirandolo verso un angolo del locale, a un tavolino vuoto. Xander si lasciò trascinare svogliatamente, e prese posto sul divanetto di pelle rossa.

 

Un cameriere si avvicinò subito, e sorrise a Nina.

 

<< Ciao, bentornata >> disse, << Cosa vi porto? >>.

 

<< Per me un Martini e limone >> rispose lei, << E per lui… Qualcosa di forte. Ha bisogno di sciogliersi un po’ >>. Ammiccò e il cameriere sparì.

 

Lei e Xander si guardarono per qualche momento, poi lui disse, neutro: << Sei brava a guidare… Non l’avrei immaginato. Dove hai imparato? >>. Non aveva voglia di saperlo, ma gli sembrava opportuno chiederlo. Era un argomento meno scottante di altri.

 

Nina si strinse nelle spalle. << Talento naturale >> rispose, << Ma ho preso qualche lezione in pista… Mio padre mi ha pagato un insegnante privato >>.

 

<< E tuo padre ti lascia fare tutto questo? >> fece lui, una punta di divertimento nella voce.

 

Nina sorrise. << Mio padre fa il Primo Ministro >> disse, << E la sua è solo una carica di facciata. Sono cresciuta in mezzo alle gare clandestine, alla droga e alla corruzione da quando so camminare. Mi conoscono tutti, e tutti conoscono lui: posso fare quello che voglio, da queste parti. Non corro alcun pericolo >>.

 

Xander ebbe un’illuminazione, pensando al Primo Ministro Kraracova… La frase “Non corro alcun pericolo” non sembrava detta a caso.

 

<< Visto che tuo padre è così popolare, dovrebbe conoscere di persona la Lince >> buttò lì.

 

Nina si mosse impercettibilmente. << Nessuno conosce di persona la Lince >> rispose lei, << A parte le Sentinelle. E mio padre non è una di loro >>.

 

I due drink che avevano ordinato vennero poggiati davanti a loro, e Nina si affrettò a bere. Xander prese il suo, incuriosito dalla faccenda. Ne bevve un sorso per scoprire che era davvero forte: sembrava vodka mescolata con qualcos’altro.

 

<< Peccato… >> mormorò, << Altrimenti la Mosca-Cherepova sarebbe stata molto più facile, per noi >>.

 

Nina si rilassò e sorrise, ma Xander intuì che doveva sapere qualcosa. Era la figlia del Primo Ministro, e doveva per forza avere una certa vicinanza con la Lince… Avrebbe potuto esserlo anche lo stesso Kraracova, magari anche all’insaputa di sua figlia.

 

<< Lo sarà in ogni caso >> ribatté lei, << Sto per avere la mappa della gara, più un paio di soffiate su chi ci sarà a controllare le auto… >>.

 

Il cameriere tornò proprio in quel momento, e porse un biglietto a Nina, facendole un cenno verso il centro del locale: seduto al bancone c’era un uomo che doveva avere circa quarant’anni, vestito in giacca e cravatta, che beveva un drink con aria eccitata. Le rivolse un cenno, come a dire che la stava aspettando.

 

Nina prese il fogliettino e gli diede uno sguardo, disgustata. Poi lo appallottolò e lo gettò nel vicino cestino, quasi irritata. Davanti all’espressione interrogativa di Xander, spiegò: << E’ quello che devo vedere per la soffiata… >>. Il suo sguardo divenne quello di un felino infuriato, e arricciò il labbro in segno di profondo fastidio. << Gli avevo detto di non venire qui… Idiota >>. Tornò a guardarlo, e sorrise come se niente fosse. << Aspetterà il suo turno. Ora non ho tempo per lui >>.

 

Nina non era una che andava tanto per il sottile, e le piaceva farsi rispettare, oltre che essere un incredibile ribelle: tutte caratteristiche che la rendevano assolutamente irresistibile. Gli sguardi di tutto il locale erano su di lei, e Xander non potè fare a meno di pensare che lo stavano invidiando, e qualcosa dentro di lui si mosse di nuovo… Scosse il capo.

 

<< Stando a quello che mi hanno detto, non potremo fare modifiche alle auto, durante la gara… >> disse, sentendo gli occhi di Nina puntati sul suo viso, << Cosa devo aspettarmi? >>.

 

<< Nulla >> rispose semplicemente lei, << Sigilleranno il motore, per fare in modo che in caso di guasto non si possa riparare, ma farò in modo di evitarlo… A proposito, che auto utilizzeremo? >>.

 

<< La mia >> rispose Xander, << Non ho sborsato duecentocinquanta mila euro per lasciarla chiusa in un garage >>.

 

Nina ridacchiò. << Ok, Mark, allora sarà la tua Ferrari a portarci a Cherepova. Lo dirò al mio amico, in modo che si ricordi di quale auto dovrà dimenticarsi >>. Gli fece l’occhiolino.

 

Xander si appoggiò allo schienale del divanetto, una smorfia sul volto.

 

<< Ottieni sempre quello che vuoi, vero? >> commentò.

 

<< Certo >>. Nina buttò giù il suo secondo drink tutto d’un sorso, poi si sporse sul tavolo. << Sempre >> aggiunse.

 

Prima che lui ebbe modo di pensare, la ragazza salì sul tavolo, spostando malamente il bicchiere vuoto fino a farlo cadere a terra, e come un felino si fermò a un soffio dalla sua faccia, gli occhi del locale puntati su di loro.

 

<< E tu? Non ottieni sempre quello che vuoi? >> mormorò lei.

 

Non aveva tempo per ragionare, per pensare… Doveva solo prendere una decisione: stare al gioco, oppure no.

 

E forse non aveva davvero alternativa.

 

Sorrise, lasciando che Nina si avvicinasse ancora, lasciando che il suo istinto lo guidasse ancora una volta, esattamente come faceva sempre. E quel fottutissimo istinto, non lo fece tirare indietro come avrebbe dovuto fare, ma gli fece alzare la mano e passare il dito sul mento liscio e perfetto di Nina.

 

<< Di solito, è quello che voglio che viene da me… >> sussurrò.

 

Era sbagliato, profondamente sbagliato, ma ora che si trovava in ballo, la cosa gli piaceva. Aveva dimenticato il gusto di giocare, la sensazione di sfida che accompagnava quella situazione… Ritrovarli adesso era una sorpresa piacevole.

 

Nina sorrise, avvicinandosi ancora, gli occhi che si abbassarono per un attimo sulle sue labbra. Non le interessava che tutto il locale potesse guardarli, non le interessava che pensassero che fosse una “facile”, come tutti sapevano. Era una dannata esibizionista come Challagher, e il suo fascino stava proprio lì, nell’essere quella a cui non importa di niente e di nessuno…

 

<< Abbiamo perso tutta la nostra timidezza? >> ribatté lei, sensuale, << Finalmente… Ma il bello sta tutto lì, no? C’è chi scappa e c’è chi insegue… >>.

 

Non si sarebbe tirato indietro, questa volta. La sua decisione l’aveva presa, e per quanto se ne vergognasse, doveva andare avanti. Non c’era legame, non c’era promessa che teneva davanti alla missione…

 

Sentiva il fiato dolce di Nina sulla sua bocca, appostata sul tavolo come una gatta pronta a balzare sul suo topolino, e trovò quell’odore frizzante, piccante, invitante… Aveva un che di proibito che rendeva il disegno di quelle labbra ancora più perfetto di quanto non fosse…

 

Un cellulare squillò sonoramente, annunciando l’arrivo di un messaggio. Xander lo sentì vibrare nella sua tasca, e abbassò istintivamente la testa, mentre Nina si ritraeva, infastidita. Gli sguardi della gente, fino a quel momento puntati su di loro, tornarono a concentrarsi da un’altra parte.

 

Era bastato un trillo a far sfumare il momento, a evitare a Xander di rompere la sua promessa, ma non sapeva se essere sollevato o no. Tirò fuori il telefono, ignorando la reazione di Nina, che era tornata a sedersi sul divanetto.

 

Sul display brillava un solo nome, che sembrava essere quasi un segno: Irina.

 

Aprì il messaggio.

 

Come è andata la gara?” c’era scritto.

 

Forse era il fatto che era confuso, o che si sentiva colto in fallo, ma l’irritazione montò dentro di lui come mai prima di allora. Aveva detto a Irina che avrebbe disputato una gara, quella sera, e come ogni volta lei gli aveva chiesto l’esito, in quel modo poco invasivo e discreto che la contraddistingueva, per fare in modo che rispondesse solo quando poteva davvero e non metterlo nei guai… Nonostante tutto, però, trovò la cosa fastidiosa, questa volta.

 

“Tutto bene. Ci sentiamo domani” rispose velocemente.

 

Non era da lui essere così sbrigativo nei suoi confronti, e sapeva che Irina si sarebbe preoccupata, ma in quel momento non gli interessava. Non gli interessava che lei si fosse chiesta come mai non l’aveva chiamata, e come mai avesse scelto quella forma di comunicazione così distaccata. Non aveva voglia di parlare con lei e fare finta che andasse tutto bene.

 

Alzò lo sguardo su Nina, notando la sua espressione infastidita per essere stata interrotta sul più bello.

 

<< Credo di dovermene andare >> disse lui, il tono neutro.

 

Forse Nina colse qualcosa nella sua voce, o nella sua espressione, perché cambiò faccia e disse, tranquilla: << Non ti preoccupare, vai pure… Abbiamo appuntamenti con persone diverse, stasera >>.

 

Xander si alzò, gettandole una rapida occhiata, e uscì dal locale. Raggiunse rapidamente l’auto e si sedette dentro, innervosito. Si appoggiò allo schienale e sospirò.

 

Odiava quella situazione. Odiava non sentirsi pienamente libero di fare quello che voleva… Per la prima volta la sua relazione con Irina gli pesava, soprattutto perché c’era in mezzo anche lei. Era come se stare con lei lo limitasse, come se inconsciamente gli avesse messo un freno… Da quando c’era lei, nella sua vita, aveva definitivamente smesso di essere il vecchio Xander, per quanto riguardava i sentimenti.

 

Lo sapeva che era un cambiamento in meglio, che significava essere diventato veramente un adulto, ma sentiva il bisogno di vivere tutto con più leggerezza, adesso.

 

Irina non c’entrava. O meglio, Irina non aveva colpe, se non quella di essersi presa la libertà di essere uscita fuori dagli schemi, di aver preso una decisione che non condivideva, e che non si addiceva alla sua personalità… In un attimo, era cambiata, e lui stentava a riconoscerla.

 

Strinse il volante, innervosito, e accese il motore della Ferrari.

 

Quella missione stava rovinando tutti quanti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 24.00 – Mosca, Casa di Dimitri

 

Irina guardò perplessa la risposta di Xander sul display del suo cellulare, mentre con la mano cercava il telecomando per aprire il cancello del garage. Strano che fosse così sbrigativo, ma non si preoccupò: forse non aveva vinto o gli avevano rovinato l’auto, e magari era un po’ nervoso. L’importante era che stesse bene, nient’altro.

 

“Ma dove lo ha messo?”.

 

Rimise il cellulare in tasca e guardò l’abitacolo della R8, individuando il telecomando proprio sul cruscotto davanti al passeggero: era talmente distratta che non lo aveva visto. Lo afferrò e aprì il cancello.

 

Mentre aspettava che i due battenti si spalancassero, notò qualcosa di bianco attaccato alle inferriate. Si avvicinò lentamente, poi fermò la R8 e si accorse che era un foglietto.

 

Gettò un’occhiata allo specchietto retrovisore, per vedere la strada buia e deserta dietro di lei. Abbassò il finestrino e prese il foglietto, richiudendolo velocemente per non far entrare il freddo.

 

“Ci sentiamo presto, Fenice”.

 

Quella frase, scritta in una calligrafia sinuosa e regolare, era seguita da un numero di telefono, e poteva appartenere solo a una persona: Vladimir Buinov.

 

Gettò un’altra occhiata intorno, ma non vide nessuno, se non un paio di fari brillare in lontananza. Le bastò attendere un minuto per vedere l’Impreza nera svoltare in un viottolo e sparire nella notte.

 

Imprecò.

 

“Cavolo, siamo nei guai”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Vado di frettississimissimissima, quindi non mi dilungo in commenti. Spero che lo farete voi, però!

 

Ps: per Dust_and_Diesel: bentornata! E sappi che adoro le tue recensioni, e che quando le vedo mi illumino di immenso! (e più lunghe sono, più mi piacciono!). Ma naturalmente, ringrazio anche voi, Smemo98 e annalisa70.

 

 

 

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Capitolo 21
*** Capitolo XXI ***


Capitolo XXI

Capitolo XXI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 11.00 – Mosca, Casa di Dimitri

 

<< Telefona, e vediamo cos’ha da dire >>.

 

Dimitri, l’aria di sfida dipinta sul volto, le porse il suo cellulare, facendole un cenno con il capo. Irina lo prese ma non compose il numero, titubante. Si riferiva naturalmente a Vladimir Buinov, che aveva lasciato il suo recapito appeso al cancello del garage.

 

<< Forse non è una buona idea >> disse lentamente, << Perché telefonargli, se sappiamo già che non accetteremo nessuna delle sue proposte? >>.

 

Emilian, che stava seduto sul divano, incrociò le braccia. Non aveva detto di essere lì apposta per quel fatto, ma piuttosto doveva essere passato per incontrare Dimitri, che poi lo aveva reso partecipe della cosa.

 

<< Dobbiamo capire esattamente cosa vuole >> rispose Emilian, << E non è ancora detto che non accetteremo… >>. Lanciò un’occhiata a Dimitri.

 

Il Mastino non disse niente, così Irina compose lentamente il numero di telefono che c’era scritto sul fogliettino, e lo portò all’orecchio, in attesa. L’idea di risentire di nuovo la voce rasposa e stranamente metallica di Vladimir le diede un brivido.

 

Per un momento, pensò che non avrebbe risposto nessuno: il telefono squillò a vuoto per quasi un minuto. Poi, quando stava per mettere giù…

 

<< Non credevo che ti facessi sentire, Dimitri… >> mormorò la voce agghiacciante di Vladimir Buinov, dall’altra parte della linea.

 

<< Non sono Dimitri… >> disse lei, e le venne stranamente in mente la cicatrice sul collo del russo.

 

Ci fu una pausa, poi le parve che Vladimir ridacchiasse.

 

<< Fenice, mia cara, allora ti sei decisa a chiamare… >> fece lui, << Hai fatto in fretta… Salutami Dimitri, so che è lì con te >>.

 

Irina guardò il Mastino, per fargli segno se doveva mettere il vivavoce, ma lui fece cenno di no. Sicuramente Buinov se ne sarebbe accorto, visto che sembrava sapere sempre tutto quello che succedeva, anche se accadeva da tutt’altra parte.

 

<< Per quale motivo vuoi che passi dalla tua parte? >> chiese Irina, andando al centro del discorso per non perdere tempo.

 

<< Oh, ma lo sai già, mia cara >> rispose Vladimir, << Hai chiesto aiuto alle persone sbagliate, per far fuggire Challagher… Sempre che ciò sia quello che vuoi veramente >>.

 

Irina aggrottò le sopracciglia. Dimitri ed Emilian la guardavano interessati.

 

<< Cosa intendi dire? >>.

 

<< Intendo dire che potremmo fare uno scambio equo, non credi? >> disse serafico Vladimir, << Tu mi servi Dimitri su un piatto d’argento, e io ti riporto il tuo Challagher senza farti muovere un dito… Più in fretta e più facilmente di quanto tu possa sperare >>.

 

<< E chi mi garantisce che tu possa veramente liberare William? >> fece lei.

 

<< Giusta osservazione… Bé, non te lo garantisce nessuno, ma io sono un tipo di parola >>.

 

Irina fece una smorfia.

 

<< Tipo di parola… Come fai a essere un tipo di parola, se hai paura di affrontare faccia a faccia il tuo nemico… >>. Irina guardò Dimitri dritto negli occhi, mentre parlava. << Sbaglio, o sembra che tu non abbia il coraggio di incontrarlo da solo? >>.

 

Vladimir dall’altra parte tacque, ma Dimitri le rivolse un’occhiata: difficile dire se fosse lusingato, arrabbiato o assolutamente indifferente. Irina però gli sorrise, per dirgli che era una cosa che pensava veramente.

 

<< Sono pronto a incontrarlo quando vuole >> ringhiò Vladimir, << Ma è lui che non si sta facendo trovare, in questo momento… Hai un codardo, come compagno di letto, mia dolce Fenice >>.

 

Irina ignorò il commento.

 

<< Ammettiamo che la tua offerta possa interessarmi >> disse lei, lentamente, riprendendo il filo della questione, << Cosa dovrei fare, di preciso? >>.

 

<< Nulla, se non portare Dimitri nel luogo giusto al momento giusto, da solo >> rispose Vladimir, << Ne usciresti pulita, e con la mia eterna gratitudine >>.

 

<< Tu credi davvero che Dimitri si lascerebbe fregare da me? Che si lasci prendere così facilmente? >> ribatté lei, e guardò nuovamente il russo, << Non si fida di me, lo sanno tutti >>.

 

Vladimir sembrò scoppiare a ridere.

 

<< Questo lo dici tu, Fenice >> disse, la voce uno strano rantolo, << Ma la domanda è: tu ti fidi di lui? >>.

 

Non capì dove volesse arrivare, ma ebbe la sensazione che Vladimir sapesse benissimo il perché di quella domanda.

 

<< Sì >> rispose solo, e credeva in ciò che diceva.

 

<< Bé, Fenice, ti sei mai chiesta qual è il motivo per cui ci odiamo tanto? >> ribatté Vladimir, << Sai perché io voglio morto lui, e lui vuole morto me? >>.

 

Irina guardò Dimitri, e fu sicura che sapeva che stavano parlando in qualche modo del suo passato. La fissava con aria assassina e indifferente al tempo stesso.

 

<< Non credo sia qualcosa che mi riguardi… >> rispose lei.

 

Vladimir rise di nuovo. << Invece potrebbe interessarti >> disse, << Fatti raccontare dal tuo caro Dimitri cosa è successo otto anni fa… Fatti raccontare qualcosa del suo passato… Visto che lo hai davanti, chiedigli perché ci odiamo così tanto… >>.

 

Irina guardò Dimitri, senza sapere cosa fare. I suoi occhi grigi stavano cercando di leggere nei suoi la conversazione che stava avvenendo.

 

<< Me lo dirà se lo riterrà opportuno… >> rispose alla fine.

 

<< Saresti un’ottima componente, per la mia squadra >> sentenziò Vladimir, davanti alla sua risposta, << Sei fedele, ed è una dote rara… E’ un peccato che tu non voglia partecipare alla Mosca-Cherepova con me >>.

 

<< Non so chi sei, ti ho visto solo una volta >> fece lei, << Perché mai dovrei tradire Dimitri? Tu non mi puoi garantire niente, lo so. Non mi impiccerò in qualcosa che non mi riguarda >>.

 

<< Quindi rifiuti… >> disse Vladimir, come parlando a se stesso, << Peccato. Però credo che tu debba sapere come stanno le cose, per decidere… Credo che ci risentiremo presto. Quando saprai il passato di Dimitri, forse vorrai richiamarmi… Passa una buona giornata >>.

 

Buinov mise giù, e Irina abbassò il telefono. Dimitri ed Emilian la guardavano, curiosi. Gli raccontò rapidamente cosa si erano detti.

 

<< Ha fatto un accenno sul tuo passato… >> aggiunse titubante, guardando il Mastino, << Gli ho risposto che sono fatti che non mi riguardano >>.

 

<< E’ come ti ho detto io… >> commentò misterioso Emilian, guardando Dimitri, << So cosa ha in mente… >>.

 

Dimitri si voltò di scatto, infuriato. << Non è detto… >> ringhiò, << Tanto non avrà il coraggio di avvicinarsi, finché ci siamo noi… >>.

 

<< Sarebbe controproducente, lo sai >> disse Emilian.

 

Irina li guardò, senza capirci niente, ma chiaramente loro sapevano di cosa stavano parlando. Tra quei due c’era un’empatia che lei aveva intuito, ma in cui non poteva mettere il naso. Chiaramente il Mastino si fidava di suo cugino, nonostante a lei mettesse un po’ di soggezione.

 

Dimitri si lasciò andare a un’imprecazione, poi si voltò a guardarla.

 

<< Per il momento lasciamo la situazione così com’è >> disse, << Sicuramente cercherà di contattarti di nuovo. Fino ad allora, ignoriamolo… >>.

 

<< Ok… Ma perché ci segue, secondo te? >>.

 

<< Ci sta studiando… >> rispose Dimitri, più rivolto a Emilian che a lei, << Sta studiando i nostri movimenti… Forse ci vuole tendere una trappola. Perciò occhi aperti >>.

 

La guardò per un momento, poi prese le chiavi del garage.

 

<< Andiamo di sotto a scaricare quello che mi hai portato… >> aggiunse, chiaramente non a lei.

 

Suo cugino annuì, poi uscirono di casa, lasciando Irina da sola e sempre più confusa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per le quattro ore seguenti, Dimitri non si fece vedere, ma Irina trovò tutto normale, visto che lui era fatto così. Quando però si accorse che all’appello mancavano le chiavi della sua Punto, di solito lasciate sul mobile dell’ingresso, si insospettì. Le cercò in giro, pensando per un momento di averle dimenticate da qualche parte, poi si rese conto che doveva averle per forza Dimitri, visto che non le trovava.

 

Leggermente infastidita, decise di scendere in garage a controllare se la Punto c’era ancora. Poteva almeno dirle che prendeva la sua macchina… Va bene che avrebbe dovuto guidarla durante la Mosca-Cherepova, ma quello non lo autorizzava a prenderla senza chiederle il permesso.

 

Una volta sotto, si accorse che dal garage provenivano dei rumori strani, simili al battere di qualcosa di metallico sul pavimento: forse un cacciavite o qualcosa del genere. Inchiodò sulla soglia, stranamente titubante a entrare. Chiunque fosse era da solo, perché non sentiva parlare.

 

Furtivamente, infilò la testa dentro, aspettandosi qualsiasi cosa, visti gli ultimi fatti, ma per fortuna c’era solo Dimitri, sdraiato per terra sotto il paraurti anteriore della Punto, alzata a mezzo metro da terra da un carrello.

 

Incuriosita, ma senza farsi vedere, Irina si sporse in avanti, per scoprire che la fonte del rumore che aveva sentito era il cacciavite che Dimitri gettava a terra a intervalli regolari dopo averlo usato… Con stupore, si accorse che aveva appena sostituito il suo paraurti danneggiato con uno integro, quasi uguale al suo, tranne per qualche particolare che lo rendeva ancora più sportivo.

 

“Non ci credo…” pensò, trattenendosi dal ridacchiare, Lo ha cambiato senza che gli dicessi niente…”.

 

Rimase appoggiata al muro, silenziosa, per non farsi vedere. Dimitri borbottò qualcosa, poi si tirò in piedi e si pulì le mani sui pantaloni, guardando il risultato. Sembrò soddisfatto, e afferrò uno strofinaccio per poi passarlo sulla carrozzeria, per lucidarla a dovere.

 

Senza un apparente motivo, Irina si ritrovò a sorridere. Per la prima volta, vide in Dimitri un’aria meno scontrosa di quella che aveva di solito, e le parve quasi un ragazzo qualsiasi alle prese con la sua auto preferita… Stentava a credere però che quella fosse la sua, di auto.

 

Per quanto la loro convivenza all’inizio fosse stata difficile, alla fine aveva scoperto che Dimitri non era così cattivo come voleva far vedere. Quello che aveva appena fatto glielo dimostrava, anche se lui non avrebbe mai ammesso che lo aveva fatto per rimettersi a posto la coscienza.

 

Lo vide togliere un telo e scoprire un carico di quattro pneumatici dentellati, più due grosse scatole che non sapeva che cosa contenevano. Molto probabilmente si era fatto portare tutti gli altri pezzi che gli servivano per preparare la Punto alla Mosca-Cherepova, e aveva deciso di fare tutto da solo senza chiedere aiuto a Dan.

 

Silenziosa com’era arrivata, Irina ritornò di sopra, con un sorriso a illuminarle il volto. Quell’avvenimento le aveva messo allegria, non perché la sua Punto era di nuovo perfetta, ma perché era stato proprio Dimitri a riservarle quella “gentilezza”… Allora non la odiava poi tanto.

 

Una volta di sopra, sapendo che essere colto sul fatto gli avrebbe dato immensamente fastidio, decise di tornare e fare finta di niente… Però la sua gratitudine gliela avrebbe mostrata comunque.

 

Preparò un paio di panini scaldandoli nel forno, e stappò una birra; mise tutto su un vassoio che trovò in uno dei cassetti della cucina e scese di nuovo, questa volta preparata a quello che avrebbe visto. Una volta sulla soglia, si schiarì la voce e bussò sullo stipite per avvertirlo che stava arrivando.

 

Dimitri la fissò avvicinarsi con il vassoio in mano, quasi confuso. Aveva appena smontato la ruota anteriore destra della Punto e il relativo freno a disco, quindi aveva le mani completamente nere e la maglia decisamente non più pulita. Però aveva un’aria molto meno distaccata.

 

<< Avevo pensato che volessi fare una pausa… >> disse lei, lentamente, per rompere quel silenzio imbarazzante.

 

Dimitri gettò di lato la chiave inglese che teneva in mano, e diede un ultimo sguardo alla ruota.

 

<< E’ una buona idea >> commentò.

 

Irina gli porse il vassoio, in modo che potesse prendere quello che voleva, e Dimitri afferrò rapidamente la birra, bevendone un sorso.

 

<< Sto cambiando i freni e le gomme… >> spiegò, stringato.

 

Irina annuì.

 

<< Hai… Hai anche rimesso a posto il paraurti, o sbaglio? >> fece lei, con tono un po’ intimorito. Meglio non fargli vedere che le faceva piacere.

 

<< Sì >>.

 

Dimitri buttò giù un altro sorso di birra.

 

<< Ehm… Bé, grazie >> disse Irina, guardandolo in faccia per mostrargli che non lo stava sfottendo, << Non eri tenuto a prenderti questo impegno… >>.

 

<< Io ho fatto il danno, e io rimedio >> ribatté lui, solo.

 

Irina sorrise. << In ogni caso, io ti dico grazie comunque >>.

 

Dimitri agitò la bottiglia di birra con fare improvvisamente divertito.

 

<< Ero terrorizzato dall’idea di dovermela vedere con te… >> disse.

 

Irina lo guardò, stupita per la sua battuta ironica. Lo vide ridacchiare un momento, e per qualche istante fu indecisa se fare altrettanto o trattenersi: due manifestazioni di simpatia in due giorni erano davvero troppe, per i suoi standard. Alla fine però sorrise.

 

<< Al massimo potrei costringerti a darmi qualche lezione di boxe >> disse.

 

Dimitri finì la sua birra e la ripose sul vassoio che lei teneva ancora in mano.

 

<< Sarebbe esilarante… >> mormorò, << Riuscirei ad avere più paura del sacco, che di te >>.

 

Irina avrebbe tanto voluto potersi lasciare andare e spalancare la bocca per lo stupore, di fronte a quella battutina. Se il giorno prima per Dimitri doveva essere stato piuttosto stressante, oggi sembrava molto più rilassato. Di fronte a quel cambiamento, Irina non sapeva come comportarsi.

 

<< Almeno però so di essere capace a fare da infermiera, a dispetto di quello che ha detto tuo cugino >> disse, indicando la sua spalla, << Vedo che funziona a dovere… >>.

 

Dimitri gli fece cenno di lasciare il vassoio sul bancone lì vicino, forse per darsi il tempo di trovare una risposta non troppo accondiscente.

 

<< D’accordo, ammetto che sei stata brava >> disse alla fine.

 

Irina si voltò di scatto, trovando Dimitri con un sorrisetto dipinto sul volto. Che la stesse prendendo in giro, o facesse sul serio, il fatto stava che quell’espressione lo rendeva attraente e gli toglieva tutta quell’aria gelida che aveva sempre…

 

<< Oh… Bé, grazie >> biascicò, senza sapere cosa dire.

 

Dimitri tornò a occuparsi della Punto, mentre lei rimaneva a guardarlo con aria stranita, perplessa dal suo comportamento.

 

<< Se vuoi sederti, c’è una sedia… >> borbottò Dimitri, riscuotendola.

 

Irina si guardò intorno e individuò uno sgabello vicino al muro. Lo prese e lo portò più vicino, poi si sedette. Dimitri stava smontando il freno a disco, facendo tintinnare il cacciavite sul pavimento.

 

A quel punto, sembrava essersi di nuovo chiuso. Irina, sentendosi a disagio in quel silenzio molto strano, si mosse sulla sedia, poi disse, lentamente: << Ieri ho sentito che… Che Konstantin ha le mappe della corsa… >>.

 

Dimitri appoggiò con delicatezza il freno rotondo che aveva appena smontato, e senza guardarla rispose: << Sì, le ha lui… Suo padre ormai credo che stia definitivamente tirando le cuoia, ma finché non muore Konstantin gli farà da sostituto e i Referenti non potranno nominare nessun altro >>.

 

<< Credi davvero che Nikodim non possa farsele dare? >>.

 

<< Konstantin è un’idiota, ma non è amico suo >> rispose Dimitri, << Anzi, forse lo detesta quanto me… Questo è vantaggio per noi, ma il problema che io non gli sono particolarmente simpatico. E la cosa è naturalmente reciproca >>. Parlava continuando a lavorare, come per mettere del distacco da ciò che diceva.

 

<< Non c’è nessuno a parte lui che le ha? >>.

 

<< No… I Referenti si dividono i vari compiti ogni anno, e ognuno di loro si occupa di qualcosa… Se le ha lui, non le ha nessun altro >>.

 

<< Allora dobbiamo rassegnarci a non avere la mappa? >>.

 

<< No, possiamo ancora ottenerle. Devo solo trovare il modo di persuaderlo… >>.

 

Nella mente di Irina baluginò la faccia di Konstantin, i capelli biondi e l’espressione alla William, solo con qualche anno e molto carisma in meno. Era giovane, forse meno furbo di quanto sembrava… Come potevano ottenere quello che volevano?

 

Pensò ai metodi che sicuramente avrebbe usato Dimitri: non sarebbero stati molto “dolci”… Non che le interessasse particolarmente di Konstantin, ma essendo praticamente un Referente non potevano farselo nemico: rischiavano di mettersi in una posizione ancora più difficile…

 

Le venne in mente l’occhiata che Konstantin le aveva lanciato la prima volta che si erano incontrati, e una scena che aveva visto in qualche film le riaffiorò nella testa: la spia che seduce il suo contatto.

 

Si morse il labbro, folgorata da una idea e da tutte le sue implicazioni: quel tipo di “compito” era previsto, era realistico per un agente dell’F.B.I…. Di sicuro non era solo una cosa da film.

 

C’era solo un problema: la spia a cui poteva spettare quell’impresa era lei. Ma lei non era proprio la tipa che sapeva fare quel genere di cose…

 

Prima di esporre la sua idea, si prese qualche momento per riflettere.

 

Dimitri molto probabilmente sarebbe stato d’accordo, Xander no, ma non era necessario che lo sapesse… Oltretutto, lui sembrava stesse facendo la stessa cosa con quella Nina, quindi in qualche modo si sentiva giustificata. Il problema più grosso, comunque, non era certo quello: il problema era se lei se la sentiva.

 

Anche se era passato del tempo, i segni del suo passato con Challagher erano comunque rimasti, e lei non poteva negare che giocare con il suo corpo a volte era ancora difficile. Xander lo sapeva, e poi lei lo conosceva così bene che aveva imparato a essere un po’ più sciolta con lui. Qui però si trattava di un’altra persona, che non conosceva e di cui non si fidava; doveva mettersi in gioco, mostrarsi sicura di sé quando in realtà non lo era, almeno da quel punto di vista.

 

“E poi, non è nemmeno detto che possa funzionare… Non credo di essere abbastanza carina, per questi russi” pensò quasi con sollievo.

 

Si mosse sulla sedia, cercando di capire se era pronta a esporre la sua idea, oppure se era meglio sorvolare per evitare che Dimitri approvasse. Sempre che non venisse in mente a lui.

 

Poi si diede della stupida: la missione veniva prima dei suoi interessi personali. Doveva fare uno sforzo, trovare il coraggio di fare quello che temeva… Aveva deciso di partire proprio per affrontare le sue paure, no?

 

Si schiarì la voce, e guardò Dimitri che stava chino sulla Punto.

 

<< Credo di avere un’idea… >> mormorò.

 

Il russo non si voltò, continuando a lavorare.

 

<< Sarebbe? >> fece.

 

<< Credi che potremmo riuscire a ottenere la mappa con le buone? >> domandò lei.

 

<< Cosa intendi dire? >>.

 

<< Bé, forse… Forse potrei cercare di farmelo amico >> rispose Irina, afferrando i bordi della sedia, << Potrei… Magari… Non so, arrivargli un po’ più vicino di quanto possa riuscire tu… O qualsiasi altro uomo >>.

 

Dimitri si voltò lentamente, come se non avesse capito bene, e la guardò con un misto di incredulità e divertimento.

 

<< Tu vorresti sedurlo per farti dare la mappa? >> domandò.

 

Irina abbassò lo sguardo, imbarazzata. Aveva capito subito cosa aveva in mente, almeno.

 

<< Lo so che non funzionerà, ma era solo un’idea… >> si affrettò a dire.

 

Dimitri rimase a guardarla un momento, come se davvero non credesse a quello che aveva sentito; forse stava cercando di capire da dove le fosse venuta quell’idea, e soprattutto dove avesse trovato il coraggio di pensare che potesse anche funzionare…

 

<< Di preciso, cosa avevi pensato? >> chiese.

 

<< Magari riesco a farmi dare la mappa, se faccio un po’ la gatta morta con lui >> rispose Irina, << Non lo conosco, non so che tipo è, magari si fa fregare… >>.

 

Dimitri incrociò le braccia.

 

<< Konstantin è un’idiota, potrebbe anche caderci >> disse, << Ma se devo essere sincero, non mi piace questo genere di cose… >>. Arricciò il labbro in segno di fastidio. << Non vanno mai come dovrebbero, e fanno più problemi di quelli che risolvono… >>.

 

Irina tornò a guardarlo.

 

<< Tu hai qualche idea? >>.

 

<< No >> rispose Dimitri, << Se non quella di prenderlo per il collo e farmi dare la mappa… Forse potrei convincerlo a scommetterla in un incontro di boxe >>.

 

Irina fece una smorfia al pensiero di vederlo di nuovo su quel ring, e per un attimo valutò come migliore l’idea di sedurre Konstantin: nessuno si sarebbe fatto male, in quel modo.

 

<< Un’altra alternativa? >> chiese.

 

Dimitri scosse il capo.

 

<< Allora per il momento, la mia idea è la migliore… >> mormorò Irina, anche se ammetterlo le metteva paura.

 

Dimitri sembrò abbassarsi impercettibilmente per guardarla bene in faccia, e Irina istintivamente gli occhi puntò gli occhi a terra.

 

<< Ti rendi conto di quello che vuoi fare? >> domandò, serio. << Potresti anche finire a letto con lui… >>.

 

“Ecco, sa meglio di me che ho poche speranze di farcela…” pensò lei.

 

<< Sì, so cosa comporta >> rispose lentamente, << Però credo che in questa occasione sia più importante la nostra missione… Sono stata pagata per questo lavoro, e sono tenuta a portarlo a termine >>.

 

Per quanto si impegnasse, non riuscì a dare alla sua voce un tono abbastanza convincente, e Dimitri sembrò accorgersene.

 

<< Non è questo il punto >> ribatté Dimitri, << Riusciresti a fare una cosa del genere? >>.

 

Era lei a immaginarlo, oppure in quella domanda si nascondeva un velato riferimento al suo passato?

 

<< Devo almeno provarci >> rispose Irina, a bassa voce.

 

Dimitri si appoggiò alla fiancata della Punto, guardandola con le braccia incrociate, come se la stesse soppesando. Forse stava valutando le possibilità che aveva di farcela… O semplicemente la stava prendendo in giro.

 

<< Ammetto che l’idea potrebbe essere valida >> disse, << Ma vorrei che ti ricordassi che non sono stato io a proporre questa cosa… Ripeto: non mi piace. Ma se pensi di riuscirci, io non ti fermerò >>.

 

Era una frase strana, che nascondeva qualcos’altro. Era come se avesse detto che, fosse stato per lui, quella non era la strada da percorrere.

 

<< Dici che possiamo provare? >> chiese Irina, dubbiosa.

 

<< Dico che forse è il caso che ci pensi >> rispose lui, secco, << Non potrai cambiare idea una volta a metà strada, e non puoi certo contare sull’aiuto di qualcuno… >>.

 

Irina annuì.

 

<< Ok, ci penso >> disse, << Ma credo che non ci siano altre alternative… Pacifiche, intendo >>.

 

Dimitri la guardò di sottecchi, e mormorò: << Ci sono sempre delle alternative… >>.

 

Irina tornò a fissare il pavimento, rendendosi conto del coraggio che aveva appena avuto, e che forse non era abbastanza per mettere in atto il suo piano.

 

“Sono una fifona… Cosa può mai succedere? Basta fare due smorfie e qualche moina, e sfilargli dalle mani la mappa… Al massimo mi tocca un bacio, per il quale non è mai morto nessuno”.

 

Cercò di visualizzare la scena nella sua mente, e valutare quali potevano essere i suoi movimenti. Sicuramente si sarebbero trovati in un locale, in mezzo a della gente, magari a un tavolo… Poteva farlo bere un po’ più del solito, girargli un po’ intorno con aria sensuale, e fare la sua richiesta, lasciando intendere che poteva pagare con qualcosa che non fossero i soldi… E poi dileguarsi il prima possibile, con la mappa tra le mani.

 

Le venne quasi da ridere, al pensiero di stessa spia sexy e senza scrupoli, ma c’era una variabile che la faceva rimanere seria: la situazione poteva sfuggirle di mano, poteva fare un passo falso e ripiombare nel suo vecchio, oscuro incubo…

 

“Cavolo, sono venuta qui per questo… Per sfidare me stessa. Non mi posso tirare indietro”.

 

Guardò Dimitri, che stava ancora lavorando sulla Punto, e ripensò a quello che aveva detto. Non capiva perché il suo piano non gli piacesse, ma aveva ammesso che era valido e che poteva funzionare, ma soprattutto non le avrebbe impedito di metterlo in pratica. In qualche modo, era una prova di fiducia che nemmeno Xander sarebbe mai stato in grado di darle.

 

<< Ne parlerò con McDonall >> disse all’improvviso, << Gli chiederò cosa pensa, senza che Xander sappia nulla… Quando si potrebbe fare, la cosa? >>.

 

<< Quando vuoi. Già domani sera, se ti va bene >> rispose Dimitri. Poi aggiunse, quasi divertito: << Non stai nascondendo un po’ troppe cose, al tuo caro Went? >>.

 

Irina si alzò, e gli rivolse un’occhiata amareggiata.

 

<< Finché non la smetterà di considerarmi una bambina, non mi lascerà mai fare niente >> disse, << E se voglio portare avanti questa missione, è il caso che sappia il meno possibile quello che sto facendo… >>.

 

<< Ho sempre saputo che Went era uno stupido… >> commentò Dimitri, tornando al suo lavoro come niente fosse.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 19.00 – Mosca, Casa di Dimitri

 

Irina guardò il suo riflesso nello specchio, riconoscendosi a mala pena. Per un attimo pensò di scagliare qualcosa contro il vetro per distruggerlo in mille pezzi ed evitare di vedere quella persona nella quale non si vedeva e che la innervosiva. O che forse le ricordava troppo i suoi tempi passati.

 

Non sapeva nemmeno se risultava volgare, perché per la prima volta non era ricorsa ai consigli di Jenny, che sapeva vestirla anche attraverso una linea telefonica, ed era andata a occhio e a gusti.

 

Indossava uno striminzito vestitino nero, non come lo Chanel che aveva indossato al matrimonio di suo fratello, semplice ma molto aderente e senza spalline. Aveva optato per un paio di collant color carne, per evitare la solita calza a rete che si sarebbe rotta dopo cinque minuti che l’aveva messa, e per un paio di stivali neri con il tacco a spillo, alti fino al ginocchio. Per il resto, niente collane, né bracciali, solo i suoi inseparabili e lunghissimi orecchini di cui aveva una collezione intera: quella sera la scelta era caduta su un paio d’argento con una pietra trasparente. Per finire, capelli legati in una coda alta, perché Xander le diceva sempre che stava bene, e lei si fidava del suo giudizio.

 

Rimaneva la fedina d’oro bianco che portava al dito. Se la sfilò lentamente e la appoggiò sul comodino.

 

“Scusa, Xander, non è colpa tua”.

 

Le mancava il trucco, così afferrò il suo beauty e si diresse verso il bagno, sperando di non incontrare Dimitri a metà strada: in quel momento non si trovava proprio a suo agio e non sarebbe riuscita a sostenere il suo sguardo.

 

Chiuse la porta, e per la mezz’ora successiva cercò di trovare un compromesso tra sensualità e volgarità. Alla fine optò per il suo vecchio trucco “da gatta”, come lo aveva definito Xander, abbastanza aggressivo da comunicare “Hey, guarda che sono Fenice, non mi sfidare”. Occhi delineati di nero, e una tonalità di rossetto leggermente più scura del solito.

 

Rimase a guardare per qualche minuto il suo riflesso, sentendo crescere l’apprensione.

 

“Speriamo che funzioni…”.

 

Rimise tutto in ordine, molto lentamente, nella speranza di far passare più tempo possibile prima di incontrare Dimitri faccia a faccia e sottoporsi quindi al suo giudizio.

 

Dopo l’ultima occhiata allo specchio, si rese conto che forse un pochino si piaceva… Non era il suo stile, non era il suo carattere, ma in fondo recitare quella parte la incuriosiva molto…

 

Ahhh, basta farsi problemi… Chi se ne frega se sono volgare, o non vado abbastanza bene. Tanto qui non mi conosce nessuno, e in ogni caso non mi interessa particolarmente il loro giudizio”.

 

Un po’ più risoluta di prima si decise a uscire, non prima di aver dato un’ultima sistemata al mascara, e aprì la porta. Si ritrovò davanti Dimitri, che stava attraversando il corridoio, e si fermò per guardarla.

 

Forse perché non era pronta, forse perché non riuscì a dare un’interpretazione al suo sguardo, ma arrossì di botto come una bambina. Dimitri la scrutava dall’alto come se non la riconoscesse, cosa che in effetti era plausibile. Lei fece una faccia poco convinta, poi chiese, titubante: << Sono… Sono volgare? >>.

 

Dimitri sembrò non comprendere la domanda, e per un momento rimase in silenzio. Forse stava valutando il suo stato.

 

“Oddio, mi sa che ho combinato qualche guaio…”.

 

Alla fine il Mastino inarcò un sopracciglio, e rispose: << Non basta un vestito per essere volgari… C’è gente che è volgare anche in jeans e maglietta >>.

 

Irina non capì bene la risposta. << Pensi possa andare? >> domandò.

 

<< Cosa intendi per “possa andare”? >> ribatté lui,

 

Irina lo guardò. La stava prendendo in giro! Voleva costringerla a chiedergli se la trovava abbastanza sexy… Non ci sarebbe caduta.

 

<< Senti, non fare finta di non volermi offendere. Sto cercando di dare il meglio perché devo sedurre un russo del cavolo, quindi devo essere almeno accettabile >> disse, arrabbiata, << Dammi un giudizio, e sappi che anche se sarà negativo non ho alcuna intenzione di cambiarmi >>.

 

Dimitri sembrò trattenersi dallo scoppiare a ridere, come se la trovasse ridicola. Le fece cenno di girare su se stessa, ma Irina gli lanciò un’occhiataccia: la sfotteva proprio.

 

<< Allora cosa ti serve che ti dica se vai bene? >> disse lui.

 

<< Già, scusa tanto, visto che è inutile… >>. Irina lo superò andando a recuperare la pelliccia nera che aveva lasciato sul letto, << In effetti, c’è poco da dire, immagino >>.

 

Si voltò per raggiungere l’ingresso, ma Dimitri le sbarrò la strada, bloccando la porta con il braccio poggiato sullo stipite, proprio all’altezza del suo collo. La guardò per un momento, e questa volta sembrava serio.

 

<< Di un po’, ti sei data una guardata allo specchio? >> fece lui.

 

Irina sbuffò. << Sì… >> rispose, a bassa voce, << Ma non mi ci sono ritrovata… >>.

 

Dimitri scosse il capo, e un sorrisetto gli affiorò sul volto. Le lasciò libera la strada e andò a prendere il suo giaccone.

 

<< Sei proprio una sciocca, certe volte… >> lo sentì mormorare.

 

Irina incrociò le braccia.

 

<< Ah, e perché? >> chiese, piccata.

 

Dimitri le rivolse un’occhiata e poi rispose, enigmatico: << Lo devi capire da sola >>.

 

Irina sbuffò di nuovo, poi lo seguì di sotto, fino in garage e poi sull’R8. Non era offesa, gli dava solo fastidio non aver ricevuto una risposta chiara.

 

La loro meta era naturalmente il Black Diamond, dove Konstantin passava la maggior parte delle sue serate, e dove si intratteneva con le sue compagnie. Aveva già la scena pronta nella mente, nella speranza che andasse tutto come aveva previsto.

 

Rimaneva un’ultima cosa da mettere in chiaro, che riguardava la persona seduta di fianco a lei in quel momento. Dimitri avrebbe sicuramente dovuto rimanere in disparte, ma Irina si era ritrovata a sperare accettasse la sua richiesta… Le era venuta in mente una cosa che l’avrebbe fatta stare più tranquilla.

 

<< Cosa farai, nel frattempo? >> gli chiese, incerta.

 

<< Berrò qualche drink e farò quattro chiacchere con qualcuno >> rispose il russo, neutro.

 

“Difficile immaginarlo mentre fa quattro chiacchere con qualcuno…”.

 

Irina deglutì. << Ah… Posso farti una domanda? >> fece lei, poi aggiunse: << Forse sarebbe meglio dire una… richiesta >>.

 

Dimitri continuò a guardare la strada, senza fare nessun cenno. Lei lo interpretò come un sì, così continuò: << Potresti… Potresti rimanere nei paraggi nel caso… Nel caso la situazione mi sfuggisse di mano? >>.

 

Il russo rimase in silenzio, mentre Irina lo guardava aspettando con ansia una risposta. Solo quando si fermò a un semaforo, si voltò a guardarla in faccia.

 

“Lo sapevo, non avrei dovuto chiedergli niente… Prima mi propongo per questa cosa, e poi chiedo di farmi sorvegliare a vista. Starà pensando che sia un’idiota”.

 

<< Sei veramente sicura di quello che stai facendo? >> chiese lui.

 

Presa alla sprovvista, Irina rispose: << Sì… E’ solo che… >>. Si rese improvvisamente conto della stupidità della sua richiesta. << Massì, lasciamo perdere. Sono io che sono paranoica, cosa può mai succedermi… >>.

 

Dimitri le rivolse un’altra occhiata, poi disse lentamente: << Se ti può servire… >>.

 

Irina distolse lo sguardo, e si detestò, in quel momento. Doveva smetterla di avere paura, di sentirsi inadeguata, e coinvolgere anche gli altri. Vagò con gli occhi nella notte, finché non vide il Black Diamond stagliarsi contro il cielo di Mosca.

 

Parcheggiarono la R8, poi raggiunsero l’entrata senza dire niente. Una volta all’interno, si diressero verso il quarto piano, dove c’era la sala riservata al bar. L’ascensore li portò su insieme a un altro folto gruppo di persone, mentre Irina sentiva la tensione salire.

 

La sala era ampia, con le vetrate che davano sulla città illuminata, e numerosi tavoli piccoli e grandi disseminati da ogni parte, attorniati da una parte e dall’altra da lunghi banconi di acciaio lucido, dove i barman si esibivano in spettacolari acrobazie con le bottiglie di alcolici, che abbondavano appese alle pareti. Una scala a chiocciola che si sviluppava in verticale portava di sopra, da dove risuonava una musica da discoteca che arrivava soffocata fin sotto, dando al tutto un’atmosfera più festosa. Piccoli neon bianchi illuminavano i tavoli e i banconi.

 

C’era molta gente, più di quanta Irina si era aspettata, ma non abbastanza da non farle individuare l’oggetto del suo interesse per quella sera. Konstantin sedeva a un tavolino circondato da divanetti insieme a un gruppo di amici, e dovevano aver già bevuto un bel po’, a giudicare dalle decine di bicchieri vuoti abbandonati lì intorno.

 

Dimitri le si affiancò, e lei con la coda dell’occhio vide che c’era anche Emilian, tra la folla. Era seduto a un tavolino a pochi metri dal gruppetto, bene in vista.

 

<< Konstantin è laggiù >> sussurrò, << Scambiati di posto con mio cugino, poi segui il tuo piano >>.

 

Irina deglutì, e alla vista del gruppetto di ragazzi le venne il panico: non c’e l’avrebbe fatta, non sarebbe mai stata abbastanza credibile…

 

“Eh no, non posso fare sempre la solita… Ero una brava attrice, con William…”.

 

Annuì, poi si diresse con passo sicuro verso Emilian; il russo si alzò, lasciando libero il tavolo, e senza farle alcun segno si dileguò tra la gente. Irina si tolse la pelliccia e la appoggiò con deliberata lentezza sulla sedia, gettando uno sguardo verso il tavolo di Konstantin: uno dei suoi amici sembrava averla notata, ma non fece alcun segno a nessuno.

 

Si sedette al tavolo, con il volto rivolto dalla parte dei russi, e subito un cameriere la raggiunse con un vassoio in mano: le porse un bicchiere pieno di un liquido denso e rosato, forse vodka mescolata con del succo di frutta. Lo prese, e vide Dimitri in lontananza farle un cenno con il capo: era lui il mittente.

 

Irina si prese qualche momento per entrare nella parte, e riguadagnare soprattutto la calma. Bevve a piccoli sorsi il suo cocktail, scoprendo che era molto dolce e gradevole, ma anche molto forte… Forse poteva darle una mano a sciogliersi un po’, ad allentare la tensione che le attanagliava le viscere.

 

Si rese conto che alla fine, in mezzo a tutta quella gente che parlava, beveva e ballava, difficilmente le sarebbe potuto accadere qualcosa. E in più, Dimitri sembrava aver preso sul serio la sua richiesta, perché riusciva a vederlo anche in mezzo alla folla… La sua presenza la rincuorava almeno un pochino, perché sapeva di non essere proprio sola.

 

Per un attimo si sentì di nuovo come ai tempi di Challagher, quando quel genere di locali erano all’ordine del giorno nella sua vita, quando era abituata a scolare più di un paio di drink senza fare una piega, e quando sentiva addosso gli sguardi della gente per via del suo abbigliamento, ma soprattutto per il fatto che era la ragazza dello Scorpione, irraggiungibile e intoccabile. Non era poi molto diverso da allora, quando aveva addosso la sensazione di essere una preda, un oggetto e nient’altro, ma questa volta aveva la consapevolezza di essere in parte anche la cacciatrice. Questa volta era tutto frutto delle sue scelte.

 

Istintivamente portò la mano dietro il collo, dove sapeva esserci il tatuaggio della sua fenice. Era scoperto, tutti potevano vederlo, e ricordava di quanto orgogliosa fosse di quel segno sulla pelle, fatto nel momento più buio della sua vita eppure anche il più significativo. Era lì che era nata Fenice, o meglio, che finalmente era uscita allo scoperto.

 

“Ho passato cose peggiori, ho fatto cose più difficili… Non posso fermarmi davanti a questo. E’ una sfida che mi sono posta, ed è una sfida che voglio vincere”.

 

Alzò lo sguardo verso il tavolo dei russi, e come se lo avesse chiamato, incontrò quello di Konstantin. Non batté ciglio, non vacillò nemmeno un istante quando vide che l’aveva riconosciuta e quando con un sorriso si compiacque del fatto che stava guardando proprio lui. Qualcosa di lei aveva capito che poteva farcela, che se si era chiamata Fenice un motivo c’era.

 

Sapeva che il gioco di sguardi poteva essere migliore di qualsiasi altra tattica, perché lasciava molto all’immaginazione ma non dava niente per scontato… Sostenne l’occhiata ancora per qualche istante, poi tornò a concentrarsi sul suo drink, lasciando trasparire un piccolo sorrisetto. Avrebbe dato l’impressione di essere lusingata per l’attenzione.

 

Bevve dal suo bicchiere, poi accavallò le gambe, e appoggiò il mento sulla mano, gettando un’altra occhiata dalla parte di Konstantin: la stava ancora guardando, e questa volta anche i suoi amici. Fece finta di niente e distolse nuovamente lo sguardo, anche se le venne da ridere.

 

“Cavolo, ma sono dei polli… Ci cadono già adesso”.

 

Cambiò posizione alle gambe, poi con la coda dell’occhio tornò a guardare Konstantin: stava parlottando con uno dei suoi amici, e sembravano eccitati. Forse il piano stava funzionando… Si guardò intorno con disinteresse, e si accorse che Dimitri sembrava essere sparito. Poco male, la situazione le sembrava più semplice di quanto aveva previsto.

 

Improvvisamente, si ritrovò davanti uno degli amici di Konstantin, un tipo grosso dalla faccia quadrata e l’espressione poco intelligente. La guardava con un mezzo sorrisetto.

 

<< Ehi, bellezza, tutta sola stasera? >> disse, con un’orribile pronuncia inglese, quasi incomprensibile, << Ti faccio compagnia io… >>.

 

Colta alla sprovvista, Irina gli lasciò il tempo per sedersi, ma si rece subito conto che era una sorta di prova. Forse volevano vedere come avrebbe reagito di fronte a un “aggancio” del genere…

 

Guardò il ragazzo e gli rivolse un’occhiata gelida e disgustata, scostando leggermente il suo bicchiere. Poi disse, fredda come il ghiaccio: << Qualsiasi scommessa tu abbia fatto con i tuoi amici, puoi tornare pure indietro a dichiarare la tua sconfitta: non sei certo tu che mi farai compagnia questa sera >>.

 

Il ragazzo rimase spiazzato, e Irina gli fece cenno di andarsene. Doveva mostrarsi sicura di stessa, forte della consapevolezza di poter in qualche modo dettare delle regole in quando ragazza dello Scorpione, e in quanto Fenice. Come hai vecchi tempi, voleva essere rispettata, e per farlo doveva far capire che non era disposta a farsi mettere i piedi in testa… In fondo, era quello che aveva sempre attratto la gente che l’aveva circondata: più una cosa è irraggiungibile, più è agognata.

 

<< Forse non sono stata abbastanza chiara >> aggiunse, vedendo che il russo non sapeva che dire, << Se sai chi sono, è meglio che lasci immediatamente libera quella sedia >>.

 

Il ragazzo sembrò folgorato dalla frase, e con espressione profondamente offesa si alzò di botto e lasciò il tavolo, borbottando qualcosa di incomprensibile. Raggiunse i suoi amici a testa bassa, come se fosse stato bastonato.

 

Irina si lasciò andare a un sorrisetto, con addosso la sensazione di rivivere quasi una scena del passato… Le era già successa qualche cosa del genere, ai tempi di Challagher, prima che lui minacciasse chiunque le girasse intorno. Poi era diventata intoccabile.

 

Con la coda dell’occhio vide che Konstantin stava ridendo per quello che il suo amico gli aveva raccontato, e capì che aveva fatto la mossa giusta: presto sarebbe stato il diretto interessato ad alzarsi e venire da lei, credendo di essere lui l’oggetto del desiderio. Si fece beccare mentre li guardava nuovamente, poi tornò a fare l’indifferente.

 

Un attimo, ed ecco Konstantin in persona farsi avanti, fermarsi in piedi davanti al tavolo e guardarla dall’alto in basso con un’espressione divertita mista al sorpreso. Irina si lasciò andare a un sorrisetto, senza dire niente.

 

<< Cosa fai qui stasera, da sola? >> iniziò lui, << Non sei con il tuo amico Dimitri? >>.

 

Irina afferrò il suo bicchiere, per fargli vedere che la sua domanda non la intimoriva. << Dimitri mi serve solo per portare a termine la mia missione >> rispose, secca, << E poi sono libera di fare quello che voglio, credo. Di’ ai tuoi amici di smetterla di fissarci, perché non c’è niente da vedere >>.

 

Konstantin sorrise, rivolgendo lo sguardo al suo tavolo: era chiaro che c’era una sorta di scommessa in mezzo, o comunque di una prova per vedere chi di loro sarebbe riuscito ad avvicinarla. La tecnica della difficile funzionava.

 

<< Se vuoi sederti… >> lo invitò, con diffidenza.

 

Il russo non se lo fece ripetere: prese possesso della sedia davanti alla sua, e ordinò un paio di drink. << Posso offrirti da bere? >> chiese lui. Sorrideva, e aveva tutta l’aria di chi ha adocchiato la sua preda, convinto di saperla catturare.

 

<< Certo, e non solo quello >> ribatté lei.

 

<< So che parteciperai alla Mosca-Cherepova con Dimitri… >> disse Konstantin, forse per avere qualcosa di cui parlare, o forse per mostrarle che si interessava a lei, << Sei una brava pilota, a quanto dicono… >>.

 

Irina fece una smorfia. << Brava? >> ripeté, fingendosi disgustata dalla parola, << Io non sono brava, sono la ex numero tre della Black List, e lo sarei ancora se il mio capo non fosse dietro le sbarre… Brava è riduttivo >>.

 

Konstantin rise. << Allora hai davvero liquidato il mio amico come mi ha riferito >> disse, divertito.

 

Irina gettò un’occhiata verso l’altro tavolo, poi disse: << Sì… Avrà bisogno di tempo, per riprendersi, immagino >>.

 

Konstantin rise ancora. << Come mai ci guardavi? >>.

 

<< Ero interessata a fare quattro chiacchere con te… >> rispose lei evasiva, e dopo avergli rivolto un’occhiata eloquente, aggiunse: << Vorrei sapere una cosa… >>.

 

<< Cioè? >>.

 

Konstantin sembrava eccitato dalla sua richiesta, come se avesse capito che ci sarebbe stato da “trattare” per avere l’informazione…

 

<< Vorrei sapere dove posso trovare la mappa della gara >> rispose lei a bassa voce, con un sorrisetto, << Mi hanno detto che si può avere in anticipo… Tu sai chi la può avere? >>.

 

Il russo sembrò gonfiare il petto, orgoglioso.

 

<< Certo che so dove trovarla… Ce l’ho io >>.

 

Irina fece una faccia stupita, poi ordinò un altro drink per lui con un rapido gesto verso il cameriere. << Davvero? >> disse, allungandosi verso Konstantin, << E mi faresti dare uno sguardo? >>. Ammiccò.

 

Konstantin sembrò capire le sue intenzioni, e molto probabilmente si fece l’idea che Irina aveva previsto. Allungò la mano sul tavolo, come se volesse raggiungerla, e con aria disinteressata disse: << Dipende… >>.

 

Irina sorrise. << Già, io non sono una delle vostre ragazzette russe… Non si fraternizza con il nemico >> mormorò, tenendo lo sguardo basso ma con il tono di chi si sta divertendo.

 

“E adesso insisti, dimmi che si può fare…”.

 

<< Non ho detto che non sia possibile… >> mormorò Konstantin, bevendo l’ennesimo drink.

 

Irina si allungò ancora un po’, rivolgendogli un’occhiata sdolcinata.

 

<< Credevo che tu fossi uno dei Referenti con più cervello… >> sussurrò, giocando la carta dell’adulazione, << Oltre che uno dei più carini… Ma se non si può… >>.

 

Fece per ritrarsi, ma Konstantin le afferrò la mano, cosa che a lei diede fastidio, ma si trattenne dal darlo a vedere.

 

<< Per una come te, potrei fare un’eccezione… >> disse.

 

Irina sorrise. << Davvero? Ne sarei lusingata, sai? E poi, non è detto che io possa ricambiare il favore… >>. Gli rivolse un’occhiata eloquente, e lui sembrò capire. Alzò la mano e le sfiorò il mento, pregustando forse già la sua paga.

 

<< E quando la potrei avere? >> aggiunse lei, lasciando che lo sguardo di Konstantin cadesse sullo scollo del suo vestito.

 

<< Anche subito… >> rispose lui.

 

L’ennesimo drink, non ordinato da nessuno, venne poggiato sul tavolo e Irina se ne impossessò prima che il russo potesse prenderlo. Bevve un sorso, qualsiasi cosa fosse, lasciando il segno del suo rossetto sull’orlo, poi lo porse a Konstantin, che lo prese e lo buttò giù tutto d’un sorso.

 

“Vediamo se così ti faccio capitolare…”.

 

Lui le rivolse un’occhiata densa di bramosia, poi si frugò nella tasca dei pantaloni, e ne tirò fuori un foglietto ripiegato, che le mise davanti con aria divertita.

 

Irina si accorse che non era ancora ubriaco, ma non ci sarebbe voluto molto per farlo diventare: ancora un paio di bicchieri, poi sarebbe riuscita a sfilargli la mappa di mano e a dileguarsi prima che lui pretendesse il suo pagamento.

 

<< Posso dargli un’occhiata? >> chiese lei, allungando la mano. Konstantin però scostò la sua, per impedire che riuscisse a prenderla…

 

<< Aspetta, niente fretta… >> mormorò, << Prima mi devi dire qualcosa di te… >>.

 

Irina avrebbe voluto sbuffare, ma invece sorrise sorniona.

 

<< E va bene… Cosa vuoi sapere? >>.

 

<< Non sei la ragazza di Challagher? >> domandò il russo.

 

Era sicura che la risposta le avrebbe fatto guadagnare o perdere l’intera serata: forse Konstantin conosceva William, o lo temeva, e l’idea di ritrovarselo davanti dopo essere andato a letto con la sua donna, perché chiaramente quella era la sua idea, non doveva essere una prospettiva allettante… Forse voleva cautelarsi.

 

Irina assunse un’espressione lievemente scocciata. Da vera Fenice non poteva non mostrarsi infastidita da una presunta restrizione delle sue libertà…

 

<< Io non sono la ragazza di nessuno >> rispose, << Tra me e William c’è solo una “intima amicizia”, ma questo non vuol dire che io non possa non vedere chi mi pare, esattamente come fa lui… >>. Ammiccò e sorrise.

 

Konstantin rise. Allungò la mano con la mappa per portarla più vicino a lei.

 

<< E Dimitri? >> chiese.

 

Irina comprese cosa volesse sapere. << Dimitri è un pezzo di ghiaccio >> rispose, << Andare a letto con lui sarebbe come dormire dentro un frigorifero… E io amo il caldo >>.

 

“Cavolo, che risposta… Non l’avevo nemmeno pensata”.

 

La reazione di Konstantin fu istantanea: allungò ancora la mano, e qualcosa passò nel suo sguardo, dandogli l’aria di un lupo famelico. Irina fece per prendere la cartina, ma lui glielo impedì un’altra volta.

 

<< Anche io amo il caldo… >> sussurrò, << Ma questo posto comincia a starmi stretto… Accompagnami fuori >>.

 

Si alzò, e Irina si innervosì. La tirava per le lunghe. Cercò di prendere il più velocemente una decisione, poi si alzò di scatto e lasciò la pelliccia dov’era, nella speranza di non dover lasciare il locale.

 

<< Dove vuoi andare? >> chiese disinteressata.

 

<< A fumare una sigaretta fuori e fare due chiacchere… >> rispose lui, << Avverto i miei amici. Aspettami qui >>.

 

Fece sventolare la mappa e andò al suo tavolo. Disse qualcosa poi la raggiunse, prendendola per un gomito e accompagnandola verso le scale, ma invece di scendere di sotto, salirono al piano di sopra. Si ritrovarono in un piccolo terrazzo deserto, chiuso da vetrate trasparenti, forse destinato ai fumatori, o semplicemente chiuso al pubblico. Molto probabilmente Dimitri non li aveva seguiti, e forse non si era nemmeno accorto di dove erano andati… Doveva gestire la situazione da sola.

 

“Ok, devo cercare di farmi dare la mappa…”.

 

Vide Konstantin accendersi una sigaretta e portarla alla bocca, senza mai distogliere gli occhi da lei. La percorse dall’alto in basso come per una radiografia, il sorriso sul suo volto che non si spegneva ma che aumentava a dismisura. Aveva lo sguardo da rapace.

 

<< Challagher non ti ha mai portato da queste parti… >> disse, << Ti ha sempre tenuta nascosta… >>.

 

Irina detestò quella frase: la faceva sentire un oggetto, non una persona. Fece una smorfia, mentre il fumo le arrivava alle narici.

 

<< Sono io che non ho voluto venire >> rispose, << Qui ha sempre fatto troppo freddo per i miei gusti… >>.

 

Forse fu il commento sbagliato, o forse Konstantin era solo pronto a prendere ogni sua frase come un incoraggiamento, perché gettò la sigaretta di lato e la schiacciò contro il muro, bloccandole le braccia e fermando il viso a pochi centimetri dal suo.

 

Irina fece per divincolarsi, ma non ci riuscì. Sentì una zaffata di alcool uscire dalla bocca di Konstantin, e capì che non era così lucido come sembrava.

 

<< Ti scaldo io, se vuoi… >> mormorò lui.

 

Forse si sarebbe dovuta far prendere dal panico, ma qualcosa la costrinse a mantenere la calma. Era sola, in un posto isolato, con un russo ubriaco addosso, ma era inspiegabilmente sicura di poter gestire la situazione… Mostrarsi spaventati non sarebbe servito; la tattica migliore era stare al gioco…

 

<< Volentieri… >> sussurrò, << Ma questo non mi sembra il posto adatto… >>.

 

Konstantin sorrise, avvicinando il volto al suo. Sentì la sua mano scendere fino al suo ventre, dandole un brivido orribile che riuscì a controllare…

 

<< Nessuno ci disturberà >> disse il russo, << Da queste parti non viene nessuno… >>.

 

Irina sorrise. << Ok, ma… Sai cosa vorrei, prima… >>.

 

Konstantin lasciò scivolare la sua mano sulla sua schiena, sempre più giù, in un modo piuttosto viscido e grossolano.

 

<< Certo… >> disse, mostrandole la mappa, << Però prima si paga, e poi si riceve, no? E’ il prezzo da pagare in terra straniera… >>.

 

Dal nulla sbucò il russo di prima, quello alto e dalla faccia squadrata, che prese la mappa dalla mano di Konstantin e se la mise in tasca, un ghigno sornione sul viso. Irina lo guardò, gli occhi spalancati, e questa volta lasciò che un po’ di panico prendesse possesso della sua voce.

 

<< Non erano questi i patti… >>.

 

Konstatin le strinse il mento, mostrandole poi un coltellino dalla lama affilatissima. << Mi dispiace, ma la mappa ce l’ha lui, ora… Ed è anche offeso per prima. Dovrai prima soddisfare me, e poi anche lui, se la vuoi davvero… >>.

 

“Figlio di puttana… Questa non me l’ero aspettata…”.

 

Rivolse un’occhiata piena di disprezzo a Konstantin, e capì di essere nei guai. Guai grandissimi, gli stessi guai in cui aveva avuto paura di cadere. Ancora un attimo, e sarebbe andata completamente in panico…

 

Improvvisamente, sentì un rumore strano, e vide Konstatin andare indietro, un po’ troppo velocemente, e finire dall’altra parte del terrazzo, afferrato da qualcuno che sembrava molto più grosso di lui. Le ci volle qualche istante per capire che si trattava di Dimitri, che sfilò rapidamente il coltello dalla mano di Konstantin e lo inchiodava al muro, sollevandolo a una spanna da terra.

 

Irina rimase ferma dov’era, esattamente come l’altro russo che sembrava sorpreso quanto lei per l’intrusione. Dimitri si voltò verso di lui e ringhiò, tenendo il coltello puntato alla gola di Konstantin: << Rimani fermo dove sei, o gli taglio la gola >>.

 

Il ragazzo alzò le mani, in segno di resa, e rimase fermo a osserva la scena, con Irina che rimaneva appiccicata al muro, pronta a qualsiasi cosa. Dimitri però sembrava avere in mano la situazione, nemmeno avesse a che fare con due stupidi bambini. Tuttavia il suo cuore continuò a battere molto più forte del normale.

 

Konstantin sembrava soffocare, esattamente come Nikodim la volta prima, e Dimitri strinse ancora di più la sua presa. Abbassò il coltello fino all’altezza del cavallo dei pantaloni del russo, facendolo sbiancare e irrigidire come una statua.

 

<< Vediamo di capirci bene… >> iniziò Dimitri, a voce bassa ma minacciosa come il ringhio di una tigre, << Ci sono diverse cose che odio, e una delle principali sono i figli di puttana che sanno solo fare due cose: rompere i coglioni e scoparsi le ragazze. Ti è chiaro il concetto? >>.

 

Konstantin annuì, terrorizzato. Il coltello premeva con un po’ troppa insistenza su i sui pantaloni…

 

<< Bene >>. Dimitri sembrò volerlo uccidere con lo sguardo. << Secondo, vorrei che ripetessi parola per parola ciò che hai detto ai tuoi amici poco fa… >>. Sorrise malignamente.

 

Konstantin deglutì, ma rimase in silenzio. Irina guardò la gocciolina di sudore che gli scivolò lungo la tempia. Stava per dire a Dimitri di lasciar perdere, qualsiasi cosa avesse in mente, ma si sentì afferrare da dietro e le mancò il respiro. L’altro russo la stava tenendo per il collo e le puntava una lama alla gola.

 

<< Lascialo andare! >> gridò, rivolto al Mastino.

 

Dimitri si voltò un momento per vedere cosa succedeva, ma come se non si fosse accorto di niente tornò a guardare Konstantin. Irina cercò di allentare la stretta, ma la tensione rendeva il russo molto più forte di lei…

 

<< Vedo che ci manca il coraggio, ora >> ringhiò il Mastino, << Forse è meglio così, perché se ti sento dire un’altra volta una frase del genere, la cosa di cui ti dichiari tanto bravo a usare rimarrà solo un ricordo. Sono stato abbastanza chiaro? >>. Per suggellare le sue parole aumentò avvicinò ancora di più il coltello alle parti basse del russo.

 

Konstantin annuì di nuovo, sempre più bianco, ma Irina sentì la presa sul suo collo farsi più stretta… Annaspò per un attimo, con il respiro mozzo…

 

<< Dimitri… >> chiamò a bassa voce, nella speranza che lui sapesse cosa fare.

 

Il Mastino sembrò ignorarla di nuovo, continuando a rimanere concentrato su Konstatin, ma la sua testa si mosse appena e vide brillare i suoi occhi grigi verso di lei. Sapeva nella posizione in cui stava.

 

<< Lascialo, ho detto >> ribadì l’altro russo, e Irina fu costretta a fare un passo avanti. Però venne di nuovo completamente ignorato. Irina sperò che non si facesse prendere dal panico e le infilasse il coltello in gola…

 

<< Spero che il concetto ti sia entrato bene nella testa >> continuò Dimitri, << Quindi da oggi girerai al largo, ed eviterai di adocchiare cose che non devi… Tutto abbastanza comprensibile, per te? >>. Aveva un tono talmente minaccioso, che nessuno avrebbe mai osato contraddirlo. Konstantin infatti annuì energicamente, ormai di un grigio cadaverico. Dimitri lo lasciò andare, facendogli di nuovo toccare terra con i piedi, e un po’ di colore tornò sulla faccia di Konstantin.

 

Il Mastino gli rivolse un’ultima occhiata di fuoco e fece per girarsi; ma poi strinse la presa sul coltello e con una velocità assurda inchiodò la mano del russo sul muro, strappandogli un grido straziante. Un attimo dopo, il suo amico faceva la stessa identica fine, mentre Irina rimaneva immobile dov’era, ora in grado di respirare.

 

L’aria venne invasa dai gemiti di dolore dei due russi, incollati alle pareti opposte con un coltello piantato al centro della mano, il sangue che colava sull’intonaco del muro… Fu una visione orribile, e Irina rimase paralizzata.

 

Con tranquillità Dimitri sfilò la mappa dalla mano dell’amico di Konstantin, mentre lui non riusciva a dire niente per il dolore. Rivolse a entrambi un’occhiata sprezzante, e poi si voltò.

 

<< Così la prossima volta le mani ve le infilate da qualche altra parte >> ringhiò.

 

Prese Irina per il gomito, con più delicatezza di quando si sarebbe aspettata, e la spinse dentro, fino alle scale, in una sorta di trance. Dal tono con cui aveva parlato, doveva essere furioso, ma era anche molto controllato, cosa che la spaventò ancora di più.

 

<< Sai bene? >> chiese, secco.

 

<< Sì… >> rispose Irina, confusa. Tutto si era svolto così velocemente che non aveva capito bene come erano andate le cose. << Grazie… >>.

 

<< Andiamocene >> disse lui, nervoso. Scesero fino al pian terreno, completamente estranei al rumore e alle persone che c’erano intorno a loro, e Irina si accorse solo in quel momento che Dimitri le stava porgendo la sua pelliccia. Se la infilò e raggiunsero la R8, nel parcheggio gelido e buio.

 

Una volta seduta dentro la macchina, Irina comprese la portata di tutto quello che era successo: l’aveva scampata per un soffio, e solo grazie all’intervento di Dimitri. Guardò il russo, che stava fermo e non aveva acceso il motore, come se aspettasse qualcosa.

 

<< Dimitri… Scusami, non credevo che le cose andassero così… >> iniziò lei, sentendosi stupida e sciocca, << Non pensavo che la situazione mi sfuggisse di mano in quel modo… Io… Davvero, mi dispiace per averti costretto a intervenire… Sono stata un’idiota, come al solito >>.

 

Improvvisamente, le venne da piangere, ma non per quello che era successo; le dava fastidio non essere stata di nuovo in grado di guardarsi da sola. Trattenne le lacrime, ma si lasciò scappare un gesto stizzito con la mano.

 

<< Mi dispiace, scusami >> continuò, fissando il cruscotto dell’auto, << Non avrei dovuto farmi venire un’idea del genere… >>.

 

Dimitri si voltò a guardarla, ma sembrava un po’ meno furioso di prima. I suoi occhi grigi indugiarono sul suo collo, come se avesse di nuovo il coltello puntato lì.

 

<< Non dire stronzate, non ti sto dando nessuna colpa >> disse, anche se appariva stizzito, << Mi hai forse sentito dire che hai fatto qualcosa di sbagliato? >>.

 

Prese alla sprovvista, Irina tacque.

 

<< No, ma… >> balbettò.

 

<< Allora smettila di dire che è colpa tua >> ringhiò lui, << Sapevamo che c’era il rischio che le cose andassero così… Lo sapevo meglio di te, visto che era inutile chiedermi di tenervi d’occhio: l’avrei fatto comunque >>.

 

Irina abbassò lo sguardo. << Come hai fatto a sapere dove eravamo finiti? >>.

 

<< Ho sentito Konstantin parlare con i suoi amici, prima che vi allontanaste >> rispose lui, mettendo in moto la macchina, << Ho sentito cosa voleva fare… Quando ho visto il suo amico salire da voi, gli sono andato dietro >>.

 

Irina annuì. Era stato di parola, e solo grazie al suo sangue freddo non le era successo niente… A lei. Agli altri era andata decisamente peggio.

 

<< Bé, grazie un’altra volta, allora… >> disse lentamente, << Forse però hai esagerato un po’… >>.

 

Dimitri fece una smorfia. << Non credo. Era l’unico modo di fargli capire la lezione >>.

 

Si avviò verso casa, con Irina che rimaneva seduta in silenzio. Si sentiva stupida, inutile e incapace, oltre che ridicola. Non sapeva far altro che cacciarsi nei guai…

 

<< In effetti, forse è anche un po’ colpa tua >> disse Dimitri all’improvviso, e Irina alzò lo sguardo su di lui. << Non so in quale specchio della casa tu ti sia guardata, ma era difficile non trovarti sexy, stasera… >>. Ghignò, come se la stesse prendendo in giro.

 

Irina rimase spiazzata di fronte a quel cambiamento. Non seppe che dire, se non guardare la faccia di Dimitri e godersi lo spettacolo del sorrisetto che gli affiorò sulla labbra, rendendolo irriconoscibile.

 

Lui approfittò di un semaforo e tornò a guardarla, una scintilla divertita negli occhi di ghiaccio; poi il suo sguardo cadde nuovamente sul suo collo, mentre Irina arrossiva per la seconda volta in quella assurda serata.

 

<< Hai un graffio sulla gola… >> disse lui.

 

Irina si riscosse, e portò una mano al collo. Sentì qualcosa di caldo bagnarle le dita, così aprì lo specchietto di cortesia e si guardò: era solo un taglietto, talmente poco profondo che non si era nemmeno accorta di averlo, anche perché aveva stillato solo una goccia di sangue. Lo pulì con un fazzoletto di carta, poi si appoggiò con allo schienale del sedile, esausta.

 

<< Almeno abbiamo la mappa… >> disse alla fine, per togliersi dall’imbarazzo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Purtroppo non  ho tempo per rispondere alle recensioni, ma giuro che lo farò nel prossimo capitolo! Intanto spero vi siate goduti questo!

Un bacio enorme!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 22
*** Capitolo XXII ***


Capitolo XXII

Capitolo XXII

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Los Angeles – Quattro anni e mezzo prima

 

William spegne la sigaretta annegandola nella poltiglia che riempie il posacenere, sollevando uno sbuffo di fumo sul tavolino del soggiorno, gli occhi che fissano i due che ha davanti: Dimitri ed Hanck, uno in piedi e l’altro seduto.

 

<< Quindi Dominic se n’è andato? >> chiede, il tono di voce neutro, l’espressione imperscrutabile.

 

<< Pare abbia lasciato la città appena gli hai detto di pagare >> risponde Dimitri, gli occhi di ghiaccio che lo fissano gelidi come sempre, << Ha chiesto un passaggio a un suo amico e ha oltrepassato il confine… Non sappiamo dove sia diretto >>.

 

Hanck, a disagio come sempre quando sente che lo Scorpione si arrabbierà, si muove appena. << Possiamo seguire le sue tracce… Molto probabilmente crede di potersi nascondere, ma non sa che abbiamo gente anche fuori dalla California… >>.

 

William fa una smorfia e gli fa cenno con la mano di tacere, infastidito.

 

Non gli era mai piaciuto quel Dominic Dwight, perché lo aveva inquadrato subito, la prima volta che si erano visti: un tipo che si credeva più furbo di loro, con l’idea di poterli fregare appena voleva. Non si era reso conto in che giro si stesse andando a ficcare, continuando a scommettere nelle gare clandestine e perdendo la maggior parte delle volte… Gli deve un sacco di soldi, e non lo lascerà scappare tanto facilmente, soprattutto perché non ama essere preso in giro.

 

<< In che direzione andava? >> domanda, serio.

 

<< Verso Sud >> risponde Dimitri, sedendosi di davanti a lui. << Forse ha qualcuno che lo può aiutare in Messico >>.

 

William incrocia le braccia. Sud… Si, può trovarlo. Basta chiamare i suoi amici in Messico e nei dintorni, e farsi telefonare una volta che lo vedranno passare… Non ci sarebbe stato nemmeno gusto a cercarlo così, tutto troppo facile. Sarebbe sicuramente stato più divertente quando lo avrebbe avuto davanti, e una pistola puntata alla sua testa…

 

Dove sta il divertimento? Dovrei anche scomodarmi per andare a prenderlo…”.

 

Se non vuole raggiungerlo fin nel suo nascondiglio, deve fare in modo che sia Dominic stesso a tornare, e lui conosce il modo giusto per fare in modo che accada. Basta prendere qualcosa a cui tiene e metterlo in pericolo…

 

La sua famiglia.

 

Ghigna al pensiero. E’ perfido, ma non gli interessa. Non gli interessa e non gli interesserà mai il bene di qualcuno all’infuori di lui stesso, e non ha paura che la sua coscienza si ribelli. Lo fanno tutti, in fondo. E’ il modo migliore per farsi rispettare, di far capire che è uno che non scherza.

 

<< Cosa sappiamo della sua famiglia? >> chiede, rivolto a Dimitri.

 

<< Poco… >> risponde, << Ha solo il padre e tre fratelli, mi sembra. E sono tutti senza lavoro, al momento. Non credo troveremo soldi da loro >>.

 

William sorride. << Non sono i soldi, che voglio. Voglio fargliela pagare per aver cercato di fare il furbo… Quando saprà che la sua famiglia è in pericolo, tornerà indietro >>.

 

Il russo gli getta un’occhiata: lo sa che ama quel genere di cose, e non gli impedirà di farlo. Una delle qualità di Dimitri è che non si azzarda mai a giudicare le scelte degli altri. Non si deve mai giustificare con lui, e questo ne fa il braccio destro perfetto. Si fanno un cenno di intesa, mentre Hanck tira fuori un cellulare.

 

<< Devo chiedere il loro indirizzo? >> domanda.

 

<< Sì… >> William si alza e tira fuori un’altra sigaretta. << Gli andiamo a fare una visitina di cortesia >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 23.00 – Londra, Casa di Richard

 

William guardò per l’ennesima volta l’orologio a pendolo vicino al muro, che con il suo ticchettio segnava il trascorrere del tempo con esasperante lentezza. Giocò con la sigaretta che aveva in mano, il bicchiere poggiato sul ripiano di vetro del tavolino, ormai vuoto da un bel po’. Era nervoso perché quel tizio di cui aveva parlato Richard si faceva attendere.

 

Gettò un’occhiata a Daniel, seduto sul divano a guardare la tv con aria annoiata, cambiando continuamente canale. Molto probabilmente si sarebbe addormentato di lì a poco.

 

<< Forse è arrivato… >> mormorò Richard, che stazionava davanti alla finestra ormai da mezz’ora.

 

William si alzò e lo raggiunse, per vedere subito che faccia aveva il tipo che osava farlo aspettare tanto. Quella che notò per prima, però, fu l’auto che percorreva il vialetto con i fari accesi, lenta e sinuosa nella notte umida di Londra. Era una Bugatti Veyron blu, con una striscia bianca sul cofano. Fece un sorrisetto.

 

<< Non mi avevi detto che aveva una Bugatti… >> mormorò, lasciando scivolare lo sguardo sulla carrozzeria filante della Veyron.

 

<< Deve averla appena ritirata >> rispose Richard, con un mezzo sorriso, << Non sapevo che ne avesse una… Molto probabilmente arriva da una gara, ecco perché ci ha messo tanto >>.

 

“Gara o no, non si fa aspettare lo Scorpione due ore…”.

 

L’auto si fermò vicino all’ingresso, e ne scese un uomo robusto con il pizzetto, ben vestito ma dall’aria meno informale di quella di Richard. Raggiunse rapidamente l’ingresso, e William tornò a sedersi sul divano.

 

<< La prossima volta digli che non sarò così paziente >> disse, accendendosi un’altra sigaretta.

 

Cinque minuti dopo il maggiordomo gli presentò il nuovo arrivato: di nome faceva Sir Charlton McGregorwill, ma per gli “amici” gli bastava farsi chiamare Karl… William si ritrovò a pensare che il tipo che aveva davanti aveva tutto tranne l’aria da gentleman inglese: l’aggettivo “Sir” doveva essere una presa in giro. Sembrava non farsi la barba da giorni, e nonostante i suoi abiti fossero di ottima fattura, sembrava averli scelti a occhi chiusi dall’armadio.

 

<< William Challagher >> si presentò lui, stringendogli la mano in modo volutamente poco amichevole.

 

<< Piacere di conoscerti, Scorpione >> disse Karl, e andò a sedersi sul divano senza essere stato invitato, << Richard mi ha detto cosa volevi >>. Si stravaccò e li guardò interessato, nemmeno fossero loro tre i suoi ospiti.

 

Richard non aveva l’aria di essere offeso dal comportamento del suo amico, e fece portare da bere per tutti. William aspirò una boccata di fumo dalla sigaretta, sedendosi sul divano di fronte al nuovo arrivato.

 

<< Voglio qualche informazione su quello che sta succedendo in Russia >> spiegò lo Scorpione, << Tu hai contatti con qualcuno da quelle parti? >>.

 

Karl si versò del liquore, e scrollò le spalle. << Certamente >> rispose, << Sono stato lì un paio di mesi fa, e potrei tornarci in vista della Mosca-Cherepova… Ma è ancora tutto da vedere, sembra che quest’anno la tirino per le lunghe… >>.

 

William lo scrutò, ricordando quella gara a cui lui non aveva mai preso parte, ma che lo aveva sempre incuriosito. Quando la facevano, era sempre impegnato in altro. Tuttavia, in quel momento gli interessavano cose diverse.

 

<< Sai se un certo Dimitri Goryalef si trova da quelle parti? >> chiese.

 

Karl fece un sorrisetto, ingurgitando un altro po’ di liquore.

 

<< Certo… Mi hanno detto che è tornato circa un mese fa >> rispose, << Pare sia riuscito a fuggire dal carcere, e stia cercando asilo dalla sua famiglia… >>.

 

William fece una smorfia.

 

<< Lo sapevo… >> disse, più che altro a stesso, << Non poteva che essersi rifugiato lì… >>. Dove andare se non a casa sua, ora che era ricercato dalla polizia?

 

<< E sembra che non sia tornato da solo… >> aggiunse Karl, come se trovasse succulenta quella notizia aggiuntiva.

 

William lo guardò, poco interessato al compagno di fuga di Dimitri; forse come lui si era trovato qualcuno che gli poteva tornare utile, di cui sbarazzarsi una volta che le cose si fossero sistemate… L’importante era che era certo di dove si trovasse.

 

<< Starà cercando di nascondersi da me… >> mormorò, ignorando l’ultima informazione e sentendo la rabbia crescere. Dimitri si divideva con Went e Irina la responsabilità di averlo mandato in carcere.

 

<< , sembra che tu ti stia sbagliando >> disse Karl, e apparve vagamente confuso, << Girano voci che lui e la sua amica stiano cercando qualcuno che gli aiuti per liberarti… >>.

 

<< Cosa? >>.

 

William rimase con la sigaretta in mano, a fissare l’inglese senza capire. Lo stava prendendo per il culo, per caso? Notò l’occhiata perplessa di Daniel, che forse stava pensando la stessa cosa; e la reazione di Richard fu la stessa.

 

<< Pare che ultimamente le cose siano un po’ strane, a Mosca… >> commentò Karl.

 

<< Spiegati >> ordinò secco William.

 

Karl sorseggiò il suo liquore, poco interessato alle loro reazioni sconcertate.

 

<< Sembra che Goryalef sia tornato a Mosca non per nascondersi come dici tu, ma per incontrare la Lince >> disse, << Si è portato dietro una ragazza, e stanno spingendo per trovare aiuto e liberarti… O almeno, è quello che dicono >>.

 

Il cervello di William iniziò a lavorare febbrilmente, alla ricerca di una spiegazione: Dimitri l’aveva tradito, perché liberarlo?

 

<< Le tue fonti sono attendibili? >> chiese, secco.

 

<< Certo >> ribatté Karl, << Ho un sacco di amici da quelle parti, e mi hanno detto tutti la stessa identica cosa. Non potrebbero avermi preso in giro >>.

 

Mentre cercava di capire il perché di quella situazione, una parte del cervello di William iniziò a chiedersi qualcos’altro, a fare inconsciamente dei collegamenti che in quel momento gli parvero azzardati, ma che gli vennero spontanei

 

Chi era quella ragazza che stava aiutando Dimitri?

 

“Non è possibile, non avrebbe senso… Non può essere lei…” si ritrovò a pensare. “Non può… E’ impossibile…”.

 

Guardò Karl, come se lo vedesse per la prima volta.

 

<< Come si chiama la ragazza? >> domandò.

 

<< Irina >> rispose Karl, tranquillamente. Poi aggiunse: << Si fa chiamare Fenice… E dice di essere la tua ragazza >>.

 

William rimase immobile, sapendo che sia Daniel sia Richard lo stavano guardando, stupiti quanto lui. La cenere sulla punta della sua sigaretta cadde sul pavimento, ma lui non se ne curò: quello che aveva sentito rimbombava nel suo cervello, dandogli una sensazione assurda, come qualcosa che premeva nel suo petto e che voleva uscire… Una sorta di grido, di ruggito che voleva liberare, ma che rimaneva chiuso tra le sue labbra.

 

<< Ne sei sicuro? >> sussurrò, solo.

 

<< Parlano tutti di lei >> rispose Karl, con una scrollata di spalle, << I russi non lo ammetterebbero mai, ma quella ragazza li ha colpiti, tutti quanti, anche i Referenti. E’ arrivata lì con l’idea di liberarti, e sta facendo di tutto per incontrare la Lince. Le hanno anche permesso di partecipare alla Mosca-Cherepova >>.

 

In silenzio, William spense il mozzicone nel posacenere, estraniato da tutto il resto. Non poteva credere alle sue orecchie, non ci credeva e basta… Non poteva essere Irina, quella che stava a Mosca e che voleva liberarlo. Sicuramente c’era un errore…

 

“Forse era questo quello di cui avevo il presentimento… Tutto combacerebbe…”.

 

La Punto in giro per la città e poi sparita, Irina non più a Los Angeles, la separazione da Went… Tutto si spiegava, tutto trovava il suo posto…

 

Ora che sapeva dov’era Dimitri, non gli interessava più trovarlo: voleva capire perché Irina fosse a Mosca, cosa l’avesse spinta ad andare fino a lì… Voleva capire se ciò che si diceva era vero: se Irina lo voleva liberare…

 

Se quella era la verità, tutte le carte in tavola sarebbero cambiate… Di nuovo.

 

“Non ha senso… Non ha senso! Mi ha sempre odiato, mi ha fatto rinchiudere dietro le sbarre… Perché volermi liberare?”.

 

E quello valeva sia per lei, sia per Dimitri. Ma se per il russo le cose erano diverse, se da parte sua il tradimento era inaccettabile, da parte di Irina aveva tutto un altro significato… E poi, perché erano insieme?

 

<< Anche Goryalef vuole liberarmi? >> domandò.

 

<< Non sembra la sua priorità, in effetti… >> rispose Karl, << Mi hanno raccontato che sembra sia stata Fenice a farlo fuggire dal carcere, e che lui la stia aiutando per contraccambiare il favore… E’ tutto quello che so, a riguardo. Pare sia una cosa piuttosto delicata >>.

 

Avrebbe senso… Dimitri stava in un carcere minore, era più facile farlo scappare…”.

 

Si ritrovò a guardare il tavolino senza vederlo, preso dai suoi pensieri. Cosa poteva aver mai fatto cambiare idea a Irina, tanto da portarla a volerlo liberare?

 

<< William… >> iniziò Richard.

 

<< Zitto >> disse lui, << Ho bisogno di pensare… >>.

 

No, non aveva bisogno di pensare… Forse non voleva nemmeno trovare una spiegazione a quella storia… Non voleva nemmeno sapere se era vero o no. Voleva solo illudersi che tutta quella storia fosse reale, che Irina fosse davvero a Mosca con l’intenzione di liberarlo… Per la prima volta nella sua vita, voleva sperare.

 

E si ritrovò con un sorriso sul volto, un sorriso per quella ragazza bella, bellissima, incontrata per caso in un giorno qualsiasi della sua vita, che aveva amato e odiato al tempo stesso, che aveva preso con la forza, che aveva legato a lui con la violenza, e che l’aveva tradito, fatto arrestare e infine beffato… Quella stessa che poi l’aveva tenuto in vita senza saperlo chiuso dentro una cella, che aveva fatto di tutto per dimenticarlo ma che, ne era sicuro, non ci era mai riuscita… Irina, la sua Fenice, sua e basta.

 

Se davvero lo stai facendo, vorrei averti davanti per chiederti perché…”.

 

L’aveva odiata fino a desiderarne la morte, ma ora… Nemmeno nei suoi sogni più proibiti, più ottimistici, aveva mai pensato a una cosa del genere: Irina che tornava da lui, che si pentiva di tutto quello che aveva fatto… Poteva veramente accadere?

 

Cos’era successo? Cos’era successo per generare un cambiamento del genere? Perché volerlo liberare?

 

Una parte di lui non voleva crederci, voleva prendere la notizia come un semplice fatto destinato a cambiare alla luce di una spiegazione più che plausibile; un’altra parte, invece, voleva esultare, voleva lasciarsi andare a quella sensazione di euforia che covava dentro al pensiero di Irina libera e pronta a venirlo a cercare…

 

Sapeva che c’erano troppe cose strane in quella storia, troppe cose che dovevano avere una spiegazione, ma quella parte di lui che sperava prese il sopravvento, e si ritrovò a provare un irresistibile voglia di vederla… Di averla davanti e chiederle se era tutto vero.

 

“E’ andata in Russia per me… E’ andata laggiù per trovare qualcuno che l’aiutasse a liberarmi…”.

 

Alzò lo sguardo su Richard, incurante del sorriso che gli affiorava sul volto e che non voleva cancellare: era la prima cosa davvero bella che gli accadeva da due anni a quella parte, che fosse vera o che fosse una bugia.

 

<< Devo andare a Mosca >> disse solo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 10.00 – Mosca, Casa di Dimitri

 

La mappa era stesa sul tavolo della cucina, illuminata dal lampadario come una sorta di reliquia di estrema importanza. C’erano tre piccoli cerchietti rossi a indicare le tre mete in cui era stato diviso il percorso della Mosca-Cherepova, e la relativa strada da percorrere. La prima tappa terminava a Rostov, una piccola cittadina a nord-ovest di Mosca, a circa ottocento chilometri; la seconda a Yaroslav, e poi l’ultima a Cherepova, una città sul lago, arrivo della gara. La strada era delineata con un tratto blu, indicando i vari svincoli da prendere.

 

Irina guardava la mappa cercando di capire su che genere di territorio avrebbero corso. Era chiaro che le prime due tappe sembravano piuttosto facili, e seguivano un tracciato abbastanza lineare, sempre che quello fosse quello esatto. L’ultimo pezzo, invece, quello che li avrebbe portati a Cherepova, sembrava attraversare il nulla e costeggiare il lago Rybinskoye, praticamente una pista ghiacciata.

 

Dimitri, che stava studiando la cartina assorto, segnò qualcosa su un blocco di carta che aveva di fianco, come se prendesse appunti. Forse misurava la lunghezza delle varie tappe.

 

<< Come sono state divise? >> chiese lei.

 

<< Ottocento, milleduecento e settecentocinquanta chilometri circa >> rispose Dimitri, segnando i vari punti con il dito, << Immagino le prime due saranno tappe a tempo, visto che sono abbastanza regolari e il percorso è semplice… >>.

 

Irina annuì. << E l’ultima? Sbaglio, o sembra attraversare un deserto? >>.

 

<< L’ultima sarà sicuramente la peggiore >> disse Dimitri, mostrando il percorso, << E’ la più corta, ma in quel caso conterà soprattutto l’affidabilità dell’auto. E’ un territorio ghiacciato, gelido e con pochissime città… Sarà la tappa più dura, e anche la più pericolosa >>.

 

Irina incrociò le braccia. << Ok… Non ci resta che sapere chi parteciperà >> disse.

 

Dimitri alzò lo sguardo su di lei. << E lo sapremo >> ribatté, << Boris ha l’elenco dei partecipanti, e me lo darà appena le iscrizioni saranno chiuse >>.

 

Irina fece un sorrisetto. << Wow, che organizzazione >> disse, quasi divertita, << E al termine delle tappe? Ci hanno organizzato qualcosa? >>.

 

<< I punti di ritrovo sono tutti alberghi a cinque stelle >> rispose Dimitri, quasi con una smorfia, << La gara inizia il 21 di dicembre… Al termine, chi vuole può fermarsi a festeggiare il Natale a Cherepova. Sempre che ne abbia voglia… >>.

 

Improvvisamente, Irina si rese conto del tempo che era passato: stava a Mosca da più di un mese, e fra poco sarebbe stato anche Natale… Cavolo, non ci aveva pensato.

 

<< Immagino che la voglia dipenda dall’esito della gara >> disse lentamente.

 

<< Non conta solo vincere >> ribatté Dimitri, << Anche piazzarsi bene è un buon risultato. A dispetto di quanto può sembrare, non sarà così facile terminare la gara… >>.

 

Irina annuì di nuovo, lasciando che tornasse a esaminare la mappa. Si sedette sulla sedia e rimase a guardarlo, dubbiosa. Anche se faceva finta che andasse tutto come sempre, non era quella la verità.

 

Doveva ammetterlo, la reazione violenta di Dimitri della sera prima l’aveva lasciata senza parole, e ancora non capiva come mai avesse preso così male la cosa. Non lo aveva mai visto così furioso, nonostante fosse abituata ai suoi scatti poco amichevoli e ai suoi modi a volte rudi, ma questa volte era andato oltre. Non si era fatto problemi a conficcare un coltello nella mano del figlio di un Referente, e lo aveva fatto per difendere lei per la quale era risaputo non provasse un’eccessiva simpatia. La sua reazione era stata spropositata, eccessivamente violenta per giustificare quello che era successo. Avrebbe potuto benissimo tirargli un pugno in faccia e sbatterli fuori, senza provocargli un danno che aveva l’aria di essere permanente.

 

Quando aveva potuto pensare con più calma non era riuscita a trovare una spiegazione, però aveva capito che quello che era successo avrebbe creato problemi. Sicuramente Konstantin se la sarebbe legata al dito, e c’era il rischio che si scatenasse una faida anche tra i russi di Mosca… Tutto per un suo errore.

 

Avrebbe voluto parlare, ma aveva paura che Dimitri si arrabbiasse al ricordo della sera prima. Solo che non poteva rimanere in silenzio e fare finta che non fosse mai successo niente: avrebbe sicuramente peggiorato la situazione.

 

<< Dimitri… Riguardo a ieri sera… >> iniziò lei, a bassa voce.

 

Il russo le piantò gli occhi grigi addosso, nemmeno l’avesse insultato.

 

<< Ti ho già detto che non è stata colpa tua >> disse, ma sembrava una minaccia, << Il rischio… >>.

 

<< Sì, lo so >> lo interruppe Irina, << Volevo solo chiederti se potrebbe crearci dei problemi… Konstantin è praticamente un Referente >>.

 

Dimitri abbassò lo sguardo sulla mappa, tranquillo. Mise da parte il suo blocco e le riservò un’occhiata che aveva qualcosa che sapeva di divertimento.

 

<< Sì, potrebbero esserci dei problemi >> rispose, << Ci siamo fatti nemici la famiglia di Konstantin, questo è sicuro, ma se gli altri russi si dovessero mai schierare da una parte, preferirebbero me a lui. Non si metterebbero mai contro di me per una stronzata del genere… >>.

 

Irina si morse il labbro. << Mi dispiace… >> sussurrò, << Ci ho cacciati nei guai… La prossima volta non accettare nessuna delle mie idee… >>.

 

Dimitri la guardò, e sembrò ghignare. << Non c’è questo pericolo… >>. Suonarono alla porta, e aggiunse: << E’ sicuramente Emilian >>.

 

Una volta che il cugino di Dimitri mise piedi in casa, Irina si rese conto che anche a Mosca le voci giravano in fretta, esattamente come in ogni città in cui lei era stata…

 

<< Che cazzo hai fatto?! >> sbottò Emilian, la faccia sformata dalla cicatrice che sembrava una maschera di rabbia, aggredendo Dimitri, infuriato. << Cosa ti è saltato in mente di accoltellare Konstantin?! Adesso… >>.

 

Il Mastino lo zittì con un’occhiata, infastidito. Irina rimase a guardarli per vedere cosa sarebbe successo… Dimitri aveva sminuito la cosa, ma era chiaro che il fatto era grave.

 

<< Ormai è fatta >> disse lui, per chiudere il discorso.

 

Emilian lo guardò basito. << Cazzo, ma ti rendi conto di quello che è successo? >> disse, << Dovremo guardarci da Konstantin e dalla sua famiglia, adesso. Senza contare che Vladimir… >>.

 

Dimitri arricciò il labbro. << Ne parliamo dopo >> ringhiò.

 

Emilian non finì la frase e le gettò un’occhiata in tralice. Ancora una volta non volevano parlare davanti a lei, ma lei non avrebbe ignorato la situazione… Vladimir? Cosa c’entrava Vladimir in quella storia?

 

<< Perché a Buinov dovrebbe interessare quello che è successo? >> chiese, inserendosi nella conversazione.

 

Emilian le gettò un’altra occhiata, poi guardò Dimitri. Il Mastino aveva un paio di chiavi in mano, e sembrava arrabbiato per quella domanda che doveva considerare inopportuna.

 

<< Infatti non gli interesserà >> rispose, ma era chiaro che mentiva, << Se si avvicina, lo ammazzo prima che riesca a dire una parola… Comincio a essere stanco del suo modo subdolo di condurre le cose. E’ un coniglio >>.

 

Le porse un paio di chiavi, che Irina prese senza degnare di uno sguardo, visto che non le interessavano. Dimitri era diventato di nuovo nervoso, segno che non voleva parlare di quella storia… Però la frase di Emilian

 

<< Devi farmi un favore >> disse Dimitri, prima che lei potesse parlare, << Mia sorella questo pomeriggio ha una visita, e Iosif non la può accompagnare. Avrei dovuto farlo io, ma sarò occupato tutto il giorno… Prendi l’Hummer e portala in ospedale. Non ci vorrà molto >>.

 

Presa alla sprovvista, Irina annuì, chiedendosi il perché di quella cosa. Per quanto fosse confusa, però, notò l’occhiata stupita di Emilian, e le scombussolò ancora di più le idee.

 

Dimitri si infilò il giubbotto e le rivolse un’occhiata.

 

<< Rimarrò fuori tutto il giorno, quindi vedi di non farti aggredire da nessuno >> disse, secco. << Andiamo >>, aggiunse rivolto a suo cugino.

 

Irina lo guardò uscire, ancora con le chiavi in mano, chiedendosi se esistesse una persona più contorta di quel Dimitri che le aveva anche salvato la vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 12.00 – San Pietroburgo, Casa di Xander

 

Xander guardò il telegiornale alla tv, senza capire niente di quello che il giornalista russo stava dicendo. Non che gli importasse particolarmente, ma voleva cercare di distrarsi un attimo e pensare a qualcos’altro che non fosse Nina, Irina e la loro stupida missione.

 

Sbuffò e si sedette al tavolo, davanti al suo pranzo precotto senza appetito, ricordando i piatti che Irina gli preparava e che erano mille volte meglio di quello… Soprattutto perché dietro c’era una cura dettata dall’affetto.

 

Guardò il cellulare che aveva appoggiato sul tavolo, acceso ma muto, in attesa di una chiamata che non arriva. Non aveva sentito Irina, né tantomeno Nina. Entrambe facevano le preziose, si facevano attendere, e sapeva il perché.

 

Irina doveva aver capito che il quel periodo non poteva rispondere al cellulare a caura della missione, e doveva essere anche un minimo confusa per via della sua risposta di pochi giorni prima, in cui l’aveva liquidata abbastanza in fretta; Nina, invece, aspettava che fosse lui a telefonarle per farlo cadere definitivamente nella sua trappola, nel tipico gioco della preda e del cacciatore, gioco a cui si prestavano entrambi con un grado di coinvolgimento nettamente diverso… Ma se poteva capire Nina, che stava cercando di sedurlo per aggiungerlo alla sua collezione di conquiste, non riusciva a capire Irina.

 

“Poteva anche chiamare il giorno dopo…”.

 

Fece un gesto stizzito e spinse il telefono più lontano. Non lo voleva dire, ma in qualche modo ce l’aveva un pochino con lei. Si stava comportando in un modo incomprensibile, ai suoi occhi, e non capiva più cosa le passasse per la testa… Non era sicuro di essere innamorato di quell’Irina che non gli sembrava più lei.

 

Dopo un attimo, si diede dello stupido: era solo nervoso per via della missione. Lo erano tutti e due, in fondo. Finita quella storia, sarebbe tornato tutto come prima. Bastava stringere i denti ancora per un po’.

 

E con Nina, le cose si sarebbero messe a posto. Avrebbe condotto il loro gioco senza farsi fregare, senza tradire la sua parola come stava per fare quella sera che ora gli appariva come un incubo lontano. Irina era Irina, non sarebbe cambiata solo perché aveva deciso di tornare a essere una pilota clandestina…

 

Si alzò di scatto e buttò piatto e posate nel lavandino, con un bisogno impellente che voleva soddisfare per darsi pace almeno qualche ora, per scoprire che Irina anche se era distante lo amava ancora come lui amava lei. Per togliersi ogni dubbio, ogni cattivo pensiero, aveva bisogno di sentire di nuovo la sua pelle contro la sua, il suo respiro sulla sua bocca…

 

“Ho bisogno di vederla”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 16.00 – Mosca, Casa di Dimitri

 

Irina attendeva Vilena sul pianerottolo di casa, Yana che la guardava come sempre incuriosita e divertita. Era avvolta in un bel cappottino che le dava proprio l’aria da bambolina, e i capelli biondi raccolti in un simpatico ciuffetto sulla fronte.

 

<< Eccomi >> disse Vilena, sbucando dalla porta di casa con una borsa che doveva contenere i documenti relativi alla sua gravidanza, << Possiamo andare… >>.

 

Sembrava imbarazzata anche lei, come se farsi accompagnare da Irina era qualcosa di cui vergognarsi. In realtà, per lei non c’era alcun problema, ma non capiva perché mai Dimitri le avesse concesso di entrare così tanto nella sua famiglia… E perché avesse scaricato quella responsabilità su di lei, visto che non era da lui.

 

Scesero di sotto e salirono sull’Hummer, che era stato lasciato parcheggiato fuori, e Yana si mise a saltellare allegra sul sedile posteriore, ridacchiando perché era davvero spazioso per una bambina piccola come lei.

 

<< Dov’è l’ospedale? >> chiese Irina, guardandola dallo specchietto con un sorriso.

 

<< Verso il centro della città >> rispose Vilena, senza allacciarsi la cintura per via della pancia, << Lungo la strada ti spiego dove andare >>.

 

Mentre procedevano dirette in centro, Irina decise di alleviare quell’imbarazzo che si era creato con una chiacchierata, e di togliersi quella sensazione di essere di troppo che aveva addosso. Si sentiva un’intrusa, in quella situazione.

 

<< E’ una visita di controllo? >> chiese, mentre si infilava nel traffico di Mosca con un po’ di difficoltà, data la stazza dell’Hummer.

 

Vilena annuì. << Sì, è tutto a posto >> rispose, << Si tratta solo di un’ecografia… >>.

 

Irina sorrise, e guardò di nuovo Yana dallo specchietto retrovisore, che stava ascoltando la loro conversazione.

 

<< Allora vedrai il tuo fratellino >> le disse.

 

La bambina saltellò allegra. << Sììììì >> gridò, tutta contenta.

 

<< Finalmente avrà qualcuno con cui giocare >> sospirò Vilena, intenerita, << E la smetterà di stare tutto il tempo con suo zio… >>.

 

Irina rise. << , almeno gli fa compagnia, visto che sembra essere l’unica persona che gradisce >> disse, mentre si guardava intorno in cerca di un buco dove parcheggiare.

 

Alla fine trovò un posto abbastanza grande da ospitare la stazza non indifferente del’Hummer e parcheggiò, aiutando Vilena a scendere perché aveva qualche difficoltà per via del pancione. Yana saltellava allegramente sul marciapiede, canticchiando una canzoncina.

 

<< Ti dispiace se io e Yana ti lasciamo entrare da sola? >> chiese Irina, prendendo per mano la bambina, << Sarai più tranquilla e lei non si annoierà >>.

 

In realtà, aveva la sensazione che accompagnarla fin dentro l’ospedale era una sorta di violazione della sua intimità: in fondo per Vilena era quasi una sconosciuta, e pensava che se non poteva condividere quel momento con suo marito non avrebbe voluto farlo con nessun’altro. Era giusto che lei non si intromettesse.

 

Vilena la guardò un attimo confusa, ma di fronte alla reazione entusiasta di Yana si lasciò convincere.

 

<< Oh, va bene… Ma non aspetterete fuori, spero… >> disse.

 

<< Qui vicino dovrebbe esserci un centro commerciale >> rispose Irina, con un sorriso, << Andremo lì a guardare qualche vetrina e a scaldarci un po’. Quando hai finito, basta che ci telefoni e ti raggiungeremo >>.

 

<< D’accordo. A dopo, allora >> Vilena si abbassò su Yana. << Fai la brava, mi raccomando >>.

 

La bambina annuì tutta seria, poi strinse la mano di Irina e la seguì per la strada, saltellando allegramente. Per un momento Irina si sentì come quando passava i pomeriggi con Tommy: spensierata e tranquilla.

 

Nel giro di cinque minuti raggiunsero il centro commerciale, che si estendeva su due piani ed era pieno di negozi di ogni genere, ma c’era poca gente. In compenso, si ritrovarono catapultate in piena atmosfera natalizia, perché a ogni angolo un albero addobbato scintillava colorato, e dalle vetrine ammiccavano decine di pacchi regalo dalla carta lucida e con grossi fiocchi sgargianti.

 

Scoprì che Yana non era una bambina capricciosa o viziata: davanti a un intero negozio di giocattoli non aveva nemmeno insistito per entrare dentro, cosa che Tommy avrebbe fatto, con conseguente acquisto a cui Irina non avrebbe saputo dirgli di no. La guardò osservare rapita un orsacchiotto di peluche bianco, e si appuntò che se avessero avuto tempo avrebbero potuto entrare a dare uno sguardo. Prima voleva andare da un’altra parte.

 

<< Ti andrebbe di fare merenda? >> chiese.

 

Yana la guardò con aria confusa, poi annuì.

 

Andarono in uno dei bar del centro commerciale, addobbato a festa e in cui regnava un profumo dolce e invitante di brioches calde, e Irina la lasciò scegliere con tutta calma qualcosa che le piacesse al banco dei dolci. Quando si accorse che Yana sembrava titubante, si abbassò su di lei, sotto lo sguardo divertito del cameriere che stava alla cassa.

 

<< Cosa c’è? >> chiese, << Non ti piace niente? >>.

 

Yana scosse la testolina, poi rispose: << Mamma non vuole che mangio dolci per merenda… >>.

 

Irina scoppiò a ridere, e le prese la manina. << Giuro che non glielo dico >> sussurrò, << Rimarrà un segreto tra noi due, ok? In cambio, però, tu mi devi aiutare a parlare con il cassiere, perché io della vostra lingua non ci capisco proprio niente >>.

 

Yana annuì, e fece un sorriso timido.

 

<< Avanti, scegline uno >> disse Irina, facendo un cenno del capo verso il bancone dei dolci. << Quello ha un bell’aspetto, non trovi? >>. Indicò una grossa pasta ripiena di panna e fragole rosse, con una spruzzata di cioccolato. Yana annuì sorridente e, dopo aver scatenato l’ilarità del cassiere che la vide farsi aiutare da una bambina per comunicare, Irina la accompagnò a un tavolino, con il dolce in un piattino e una scorta di tovaglioli. Ordinò una cioccolata e un caffè per lei, sempre supportata da Yana, e consumarono tutto sotto lo sguardo divertito e incuriosito degli inservienti del bar.

 

<< Grazie… >> disse Yana alla fine, mentre uscivano dal locale, prendendole la mano.

 

<< Di niente, piccola >> rispose Irina, guardandola divertita, << Era solo una merenda. Ma mi raccomando, non dire niente alla tua mamma, se no mi sgrida, ok? >>.

 

Yana annuì, poi si fece seria.

 

<< Perché non sei la fidanzata di Dimitri? >> chiese all’improvviso.

 

Irina tornò a guardarla, imbarazzata.

 

<< Perché mi fai questa domanda? >> chiese.

 

<< Perché io vorrei che tu fossi la fidanzata dello zio >> rispose Yana, con tutta la semplicità di cui sono capaci i bambini, << Sei buona, e sembri quella principessa della favola che mi leggeva lo zio prima di andare a dormire… Voglio una zia come te, che mi compra i dolci e mi prepara le torte… Dimitri non la porta mai una zia, a casa >>.

 

“Non riesco proprio a immaginarmelo Dimitri che legge delle favole…” fu il primo pensiero di Irina in quel momento, poi si rese conto delle implicazioni di quello che aveva detto Yana. La fece sedere su una panchina e prese posto di fianco a lei, preparandosi ad avere una di quelle conversazioni che si possono solo avere con i bambini piccoli.

 

<< Non dire così, sono sicura che un giorno Dimitri ti porterà a casa una zia che ti piacerà tantissimo >> disse, << Una zia che lo aiuterà a leggerti le fiabe prima di andare a dormire >>.

 

Yana non sembrò convincersi. << Ma io voglio te come zia >> disse, incrociando le braccine.

 

Irina sorrise. << Ma non si può >> mormorò, << Non posso essere la tua zia, capisci? >>.

 

<< E perché? >>. Yana aveva l’aria di considerare quella questione molto, molto importante.

 

Irina cercò di trovare le parole giuste. << Perché io non sono la fidanzata di Dimitri >> rispose, << Sono solo una sua amica… >>.

 

<< Perché non puoi essere la sua fidanzata? >>.

 

<< Perché sono fidanzata con un altro >> rispose Irina, a disagio, << Sto con un’altra persona che non è qui con me >>.

 

Yana sembrò mettere il broncio. << Non stare più con lui e mettiti con lo zio >> disse, risoluta, << Lo zio è bello, e poi è sempre buono… E poi mia mamma dice che piace a tutte le ragazze, ma lui non vuole mai stare con nessuna >>.

 

Ma chi gliele mette in testa, queste idee?”.

 

<< Yana, non si può >> disse Irina dolcemente, << Lo so che Dimitri è buono, ma io voglio bene alla persona con cui sto adesso… E poi, non posso essere la sua fidanzata se non gli piaccio, capito? Deve scegliere lui con chi stare, non lo si può costringere >>.

 

Yana non sembrava convinta, e fece uno sbuffo arrabbiato.

 

<< Va bene… >> borbottò, << Però gli vuoi un po’ bene? >>.

 

Irina sorrise. << Certo >> rispose, sperando di non farle venire in mente strane idee.

 

Yana ricambiò il sorriso e scese dalla panchina. Insieme tornarono verso il negozio di giocattoli, dove Irina per farsi perdonare il fatto di non essere la fidanzata del suo adorato zio le comprò un peluches a forma di gatto che molto probabilmente sarebbe diventato il suo preferito. Fecero in tempo a pagare che il cellulare squillò, annunciando che Vilena aveva finito.

 

Una volta in macchina, Irina si accertò che la visita fosse andata bene e assistette alla faccia estasiata di Yana che mostrava alla mamma il suo regalo, mentre Vilena la ringraziava per il pensiero. Tornarono a casa in un’atmosfera rilassata e quasi familiare, decisamente più confidenziale di prima.

 

Una volta sul pianerottolo di casa, fece per entrare nel suo appartamento, ma venne fermata prima di essere riuscita a mettere la chiave nella toppa.

 

<< Irina? >> la chiamò Vilena.

 

Le si voltò: Yana non c’era, doveva essere già dentro ad aggiungere il suo nuovo pupazzo alla sua collezione.

 

<< Dimmi… >>.

 

Si accorse che la donna la guardava con un misto di imbarazzo e di disagio, come se si vergognasse di quello che stava per dire.

 

<< So perché Dimitri ha mandato te, oggi >> sussurrò, lentamente.

 

Irina la guardò senza capire.

 

<< Non pensavo che prendesse una decisione del genere >> aggiunse Vilena, in fretta, << Ma sono contento che lo abbia fatto… Significa che si fida di te >>.

 

Irina non capiva cosa stesse dicendo. La donna le fece cenno di entrare in casa, e lei la seguì, certa che nell’aria c’era odore di qualcosa che non andava.

 

<< Siediti, per favore >> disse Vilena, servendole una tazza di the caldo, << Vorrei mostrarti una cosa >>. Yana non c’era, doveva averla mandata in camera sua appena erano arrivate.

 

Le porse una foto, una foto che lei aveva già visto in camera di Dimitri: quella con la ragazza al fianco, dai lunghi capelli chiari e l’espressione felice. La guardò qualche istante, ora che ne aveva la possibilità, e si dimenticò del the appoggiato sul tavolino. Era carina, ma non bella quanto le ragazze che aveva visto attorniare William e Dimitri ai tempi della Black List, e aveva l’aria di essere molto più giovane di quanto in realtà non fosse.

 

<< Era la sua ragazza? >> domandò, intuendo che quella donna non dovesse più essere lì, a Mosca.

 

Vilena sembrò divertita. << Oh, no, quella è nostra sorella >> rispose, << La gemella di Dimitri >>.

 

Irina rimase spiazzata, senza sapere che dire. Guardò nuovamente la foto, e ora che il mistero della ragazza era svelato, le sembrava ancora più assurdo… Si era fatta tutta un’idea su quella donna, e ora ne provava vergogna… In effetti, si assomigliavano.

 

<< Non sapevo avesse una sorella gemella… >> mormorò, << Non né ha mai parlato, e non si è mai vista da queste parti… >>.

 

Vilena sembrò diventare triste. << Purtroppo è morta molti anni fa >> rispose, sedendosi di fianco a lei, << E Dimitri non ama parlare di lei. Per quanto nessuno lo pensi, gli provoca ancora troppo dolore >>.

 

Irina le restituì la foto. << Mi dispiace… Come è successo? >>.

 

Vilena mise la foto a posto, dentro l’album che teneva sulle ginocchia, e la guardò con intensità.

 

<< Quello che sto per raccontarti è qualcosa che Dimitri non ama divulgare >> disse, e per la prima volta da diverso tempo inciampò un po’ nelle parole, << Ti prego di non parlarne con nessuno, quando saprai. E’ qualcosa che ha cambiato per sempre la nostra famiglia, e lui soprattutto >>.

 

<< Hai la mia parola >> sussurrò Irina. Aveva capito che quel momento che tanto aveva atteso, il momento di conoscere il passato di Dimitri, era arrivato, ma ebbe quasi paura. Dimitri sarebbe stato d’accordo?

 

Vilena abbassò lo sguardo per un momento, guardando la copertina dell’album e stringendolo forte con le mani.

 

<< La sorella gemella di Dimitri si chiamava Lora >> spiegò, << E’ difficile da immaginare, ma lei e Dimitri erano attaccatissimi l’uno all’altra, nonostante fossero completamente diversi. Nostra sorella era solare, allegra, chiacchierona, espansiva… Dimitri tutto il contrario >>. Vilena sembrava in difficoltà, come se non trovasse le parole per raccontare. << In fondo erano gemelli, e credo sia difficile descrivere il legame che può unire due fratelli di quel genere… >>. Si interruppe e si alzò, per prendere un’altra foto: questa raccoglieva una famiglia numerosissima, con al centro quelli che dovevano essere i genitori. << Questa è la nostra famiglia al completo, quando ancora le cose andavano bene, per così dire… >>.

 

Irina la guardò. Non riconosceva nessuno, a parte una giovane Vilena e Dimitri, sempre affiancato da Lora, lo sguardo tenebroso di chi farebbe a meno di farsi fotografare. Erano attorniati da diversi giovani, alcuni che dovevano essere i loro fratelli, altri i loro cugini con gli zii. In un angolo c’era anche Boris.

 

<< Che cosa è successo? >> chiese.

 

<< Sai meglio di me che tutta la nostra famiglia è coinvolta nelle gare clandestine e nello spaccio di droga >> rispose lei, ma non ne sembrava orgogliosa, << E ti sarai accorta che né io, né nessun’altra donna della nostra famiglia ne prende parte… Immagino avrai pensato che siamo un popolo di maschilisti >>. Sorrise tristemente, e Irina annuì.

 

<< Purtroppo l’ho pensato diverse volte >> ammise.

 

Vilena scosse il capo. << Lo fanno per tenerci al sicuro >> spiegò, << A tutte le donne della nostra famiglia, e non solo della nostra, è stato proibito di entrare a far parte del giro dei nostri uomini… A volte non sappiamo nemmeno cosa stanno facendo, dove sono, quando torneranno. Può sembrare crudele, ma lo fanno per la nostra sicurezza >>. Sembrava profondamente addolorata per quella cosa, come se ammetterlo la facesse soffrire.

 

<< Come mai? >>.

 

<< Dalle nostre parti, le faide sono molto sanguinose, e per evitare che le cose diventino sempre più drammatiche, arrivando a coinvolgere anche persone innocenti, abbiamo deciso che tutte le ragazze venissero tenute fuori >> rispose Vilena, << E’ stata una scelta presa tutti insieme, compresi i Referenti. Nessuna di noi verrà coinvolta, se non vuole, e può godere di una sorta di immunità in qualsiasi situazione. Ma se decidiamo di entrare a far parte dei giri dei nostri uomini, rinunciamo alla protezione che ci è stata riservata… Per questo alcuni di noi avranno storto il naso, quando ti hanno vista arrivare: per loro, in quanto donna, hai rinunciato a un privilegio che avresti invece dovuto conservare gelosamente >>. Sorrise, leggermente divertita.

 

<< Ma io non sono una di voi… >> sussurrò Irina.

 

<< Lo sei diventata nel momento esatto in cui Dimitri si è accompagnato a te >> spiegò Vilena, << Soprattutto perché si trattava di lui, e non di un russo qualsiasi >>.

 

Irina rimase in silenzio, dando un significato a molte delle cose che sembravano non averne avuto, durante il suo soggiorno a Mosca. Qualcosa però la lasciò perplessa.

 

<< E tu hai rinunciato alla tua protezione? >> domandò.

 

La russa abbassò il capo. << No, non vi avevo rinunciato >> rispose mestamente, << E tuttora ne godo di una parte… Ma sono successe delle cose che mio malgrado mi hanno tirato in mezzo >>.

 

Irina vedeva che per Vilena era in qualche modo difficile parlare, ma non poteva rinunciare a sapere, in quel momento.

 

<< Cosa successe? >> domandò, a bassa voce.

  

<< E’ cominciato tutto dieci anni fa >> spiegò Vilena, mostrando i membri della foto, << Mio padre era un membro molto influente tra i Referenti, e tutti i miei fratelli erano invischiati nelle corse clandestine, anche Dimitri, nonostante fosse il più giovane della nostra famiglia. Era anche il più promettente, e mio padre lo adorava… Sapevano tutti che se solo avesse voluto, sarebbe potuto arrivare in alto.

 

<< A quell’epoca Lora non frequentava il giro di Dimitri: prima di tutto perché aveva scelto di non farne parte, ma anche perché lui non si fidava a lasciarla avvicinare. Non voleva che si immischiasse in cose così pericolose, e questo dimostra quanto le volesse bene.

 

<< Un giorno, però, le cose si fecero serie. Vladimir Buinov era un grande amico di nostro padre, ma litigarono e smisero di parlarsi. I rapporti si fecero tesi, tra la nostra e la loro famiglia… >>.

 

<< Come mai litigarono? >>.

 

<< Non lo sappiamo per certo >> rispose Vilena, << Ma crediamo che Vladimir avesse messo gli occhi su Lora, ma mio padre non fosse d’accordo. Poi ci fu un affare andato male, e una Mosca-Cherepova vinta da Dimitri, accusato ingiustamente di aver barato. La situazione si fece critica, finché per togliersi il problema, Vladimir uccise mio padre >>. Lo indicò nella foto, un uomo corpulento con due grandi baffi scuri.

 

<< Da quel momento in poi, le cose precipitarono >> continuò, << Si scatenò una faida tra la mia e la famiglia di Buinov. Uno dei miei fratelli uccise suo padre, che a sua volta venne ammazzato dal cugino di Vladimir. Fu una strage: nel giro di un anno, tutti i miei fratelli vennero eliminati, e lo stesso accadde per i Buinov. Io, mia madre e Lora fummo tenute da parte, esattamente come le donne della famiglia Buinov: la regola diceva che noi non potevamo essere toccate, e così fu >>.

 

<< E Dimitri? >>.

 

<< Dimitri naturalmente venne coinvolto nella vendetta >> rispose Vilena, << Anche se mia madre avrebbe desiderato che almeno lui prendesse la strada di una persona “normale”… Tuttavia, le sue furono le mani che si sporcarono di meno, il quel periodo. E fu l’unico a rimanere in vita >>.

 

<< E poi cosa accadde? >>.

 

<< Vladimir uccise mia madre >> rispose Vilena, << Ci tese un agguato, e le sparò >>.

 

Nel silenzio che seguì, ci fu tutto il dolore di quel evento e quello che implicava.

 

<< A quel punto era stata infranta una regola. Nessuno la prese bene, nemmeno i Buinov stessi. Si nascosero, sapendo di essersi attirati l’odio di tutta Mosca, ma la guerra continuò, e venne versato un altro fiume di sangue… Io e mia sorella fummo messe sotto scorta, nascoste in un posto che doveva essere sicuro >>.

 

Dalle parole, si capì che non lo fu.

 

<< Purtroppo, una mattina,  Vladimir volle attirare Dimitri in una trappola per ucciderlo, ma non ci riuscì. Così fece l’unica cosa che poteva fare per costringerlo ad arrendersi e incontrarlo: prese in ostaggio Lora, scovandoci nel nostro nascondiglio una notte che noi credevamo tranquilla.

 

<< Dimitri si presentò subito all’incontro con Vladimir, incurante di rischiare la morte, e non ho mai saputo cosa si dissero in quell’occasione. So solo che Buinov firmò la sua condanna a morte, quel giorno. Aveva promesso di lasciare libera Lora, se Dimitri si fosse presentato, ma quando mio fratello arrivò al luogo prestabilito, trovò Lora morta. In un lago di sangue, con un coltello piantato in gola… >>. Vilena si coprì gli occhi con le mani. << Fu orribile. Dimitri scampò per un soffio all’agguato, e Vladimir fuggì…

 

<< La famiglia Buinov si dissociò dall’azione di Vladimir: ormai erano stati decimati, esattamente come noi, ed erano stanchi di combattere. Inoltre, l’omicidio di una ragazza innocente li avrebbe fatti odiare ancora di più. Cacciarono Vladimir, intimandogli di non farsi più vedere da loro. A quel punto, la faida tra le nostre famiglie era finita. Non quella tra lui e Dimitri >>.

 

<< Cosa successe? >>.

 

<< Dimitri aveva accettato la morte di tutti i nostri familiari: di nostro padre, nostra madre, i nostri fratelli, ma non quella di Lora. Per lui fu come se gli strappassero un pezzo di cuore, una parte della sua anima… I nostri cugini decisero di porre fine alla cosa costringendo i Buinov a lasciare Mosca, ma lui non accettò quel risarcimento. Seppellimmo nostra sorella e lui giurò vendetta >>.

 

<< Da quel giorno, Dimitri è diventato la persona più temibile di tutta la Russia, a parte la Lince stessa >> disse Vilena, tristemente, << Ha passato l’anno seguente della sua vita a cercare ogni membro della famiglia Buinov che aveva preso parte alla faida e lo ha ucciso. Il suo obiettivo è sempre stato Vladimir, ma non è mai riuscito a prenderlo… Si sono scontrati un paio di volte, ma Buinov è sempre riuscito a fuggire, da codardo qual è. Una volta Emilian, che è l’unico dei nostri cugini che ha attivamente aiutato Dimitri nella sua caccia, era quasi riuscito a catturarlo, ma come avrai visto ha perso la faccia… Tutte le cicatrici che porta addosso Dimitri sono frutto della sua sete di vendetta: non ha usato armi, ma solo le mani e i coltelli, e non ha mai badato a sé stesso >>.

 

<< Perché poi ha lasciato la Russia? >> chiese Irina.

 

<< Due anni dopo la morte di Lora, Vladimir sembrava essere sparito. Forse fu il dolore che aveva addosso, o il senso di insoddisfazione, così Dimitri decise di lasciare Mosca per un po’. Ha viaggiato per tutti gli Stati Uniti, finché non è approdato a Los Angeles, ed è diventato amico di Challagher >>.

 

Irina guardò nuovamente la foto della famiglia Goryalef. Non aveva mai immaginato che il passato di Dimitri fosse quello… Ecco perché Vladimir lo aveva definito assassino.

 

<< Ora che sai cosa è successo, spero che non giudicherai male mio fratello >> disse Vilena, << Dimitri può aver fatto delle cose brutte, e non può essere giustificato, ma non è cattivo come sembra. Se avessi avuto la possibilità di vedere il suo rapporto con Lora, capiresti meglio: per lui, nostra sorella era perfetta. I suoi consigli erano ordini, non c’era giorno in cui lui si rifiutasse di ascoltare tutte le cose che lei aveva voglia di raccontargli e, credimi, era una che parlava fino allo sfinimento. E persino le ragazze con cui usciva Dimitri dovevano passare il suo esame, altrimenti lui non le considerava… >>. Sorrise, come se ricordare le mettesse allegria. << Da quel giorno, Dimitri non ha più sorriso, non ha più avuto una ragazza che non durasse una sola notte, e anche quelle sono state molte poche, che io sappia. Ha smesso di vedere le cose belle della vita, di vivere con allegria come faceva Lora. E’ morto un pezzo di lui, con lei >>.

 

Irina abbassò il capo, e si ritrovò a pensare che forse la vita era stata ingiusta, con Dimitri; forse molto più che con lei. Gli avevano tolto tutta la sua famiglia, gli avevano tolto la voglia di vivere, e a distanza di anni ancora non gli era stato reso indietro nulla.

 

<< E’ tornato, ogni tanto… >> mormorò, ricordando che era stato via qualche volta, quando faceva ancora parte della Black List.

 

<< Sì, è tornato >> rispose Vilena, << Si faceva vedere solo quando aveva avuto voce che Vladimir sembrava ricomparso, ma non è mai riuscito a prenderlo… >>.

 

<< E io che ho sempre pensato che fosse un pezzo di ghiaccio… >> sussurrò Irina, con una smorfia triste, << Ho sempre creduto che avesse una pietra, al posto del cuore. Ora capisco tante cose di lui >>.

 

Vilena le mise una mano sulla gamba, come se fosse contenta di averla resa partecipe del passato di suo fratello.

 

<< Dimitri non è un’insensibile, Irina >> disse, e non c’era tono di rimprovero, << Lo sembra, tutti lo pensano, ma non lo è. Solo che è fatto così, lo tiene nascosto. E credimi, a dispetto di come ti tratta certe volte, ti rispetta più di quanto tu creda e molto più di altre persone >>.

 

Irina alzò lo sguardo su Vilena, e comprese le sue parole. Comprese le frasi dette da Dimitri quando aveva proposto di sedurre Konstantin, quando si era rivelato dubbioso: ricordava anche lui cosa le aveva fatto Challagher… Ed era per quello che aveva fatto in modo di farla trovare da Xander, quando era stata rapita. Aveva capito che per lei era difficile, che il peso della sua decisione non era indifferente, che stava facendo un enorme sforzo. Non aveva dubitato del risultato, aveva solo pensato che potesse non sentirsela…

 

“Ora scopro anche che sei anche sensibile… Sei pieno di sorprese”.

 

<< Certe volte non si direbbe proprio… >> disse sorridendo, per alleggerire la tensione.

 

Vilena sorrise a sua volta.

 

<< Oh, è fatto così >> disse, << Ma ha un profondissimo rispetto per le donne in generale. Per questo non passa le sue notti con una ragazza diversa tutte le volte, anche se potrebbe >>.

 

<< Quello lo fa perché è schizzinoso >> commentò scherzando Irina.

 

Vilena rise. << Purtroppo è uno dei suoi difetti >> disse, << Ma ha buon gusto, però >>.

 

La conversazione si stava alleggerendo, ma Irina aveva la sensazione che Vilena volesse toccare un argomento in particolare, lo stesso che aveva toccato Yana. Sembrava che entrambe sperassero in qualcosa che non c’era.

 

<< Non ne dubito >> disse lentamente, << Ma finché non si metterà il cuore in pace, non potrà trovare nessuna ragazza che riesca a sopportarlo >>. Sorrise nuovamente.

 

<< Mi dispiace essere così indiscreta >> mormorò Vilena, stringendo nuovamente l’album di foto, << Ma… Tra voi due…? >>.

 

<< No, non c’è niente >> si affrettò a dire Irina, imbarazzata, << Siamo solo… amici >>.

 

<< Oh, scusa la domanda >> disse Vilena, << Non volevo metterti in imbarazzo… Solo che voglio bene a mio fratello, e quando vi ho visti arrivare insieme, ho pensato che potesse aver finalmente trovato una ragazza che faceva al caso suo… >>.

 

<< No, non ti preoccupare >> disse Irina, scuotendo la mano, << In fondo, era lecito pensarlo. Stiamo anche sotto lo stesso tetto… >>.

 

<< Perdonami, capisco che non fa piacere rispondere a questioni del genere >> disse nuovamente Vilena, e sembrava veramente rammaricata, << Ma se Dimitri ha lasciato che ti raccontassi del suo passato, significa che ormai si fida di te… E poi Yana sembra averti preso veramente a cuore >>.

 

Irina sorrise. << In effetti, si è voluta accertare personalmente della situazione tra me e Dimitri >> ammise, << Mi è parsa piuttosto contrariata, ma sono riuscita a farmi perdonare >>.

 

Vilena sembrò imbarazzata quanto lei. << Perdonala… Molte volte ha lingua davvero troppo lunga >>.

 

Irina si alzò, decisa a lasciare la stanza per andare a riflettere sul passato di Dimitri, e per togliersi da quella situazione che non avrebbe fatto piacere nemmeno a Xander.

 

<< Non è niente di grave >> disse, << Ti ringrazio per il the, ma mi hai dato molto da pensare… Credo che andrò a riordinare le idee >>.

 

<< Va bene. Se hai bisogno di qualcosa, chiamami pure >>.

 

Irina lasciò l’appartamento e raggiunse il suo. Si sedette sul divano e cercò il telecomando dello stereo, per mettere un po’ di musica e tentare di rilassarsi.

 

E così ora sapeva. Sapeva cos’era successo anni prima, sapeva a cosa si riferiva Buinov, e sapeva anche perché Dimitri era così distaccato e scontroso. Era venuta a conoscenza di una parte della sua vita, di qualcosa che lo aveva cambiato e che lo aveva reso la persona che era ora.

 

Quando saprai il passato di Dimitri, immagino vorrai richiamarmi…”.

 

Ricordò la frase di Vladimir, e ne comprese il significato.

 

Dimitri aveva ucciso; aveva ucciso molte volte e forse più di William stesso. Aveva le mani macchiate di sangue, ma non riusciva a odiarlo, non riusciva a disprezzarlo. Non aveva cominciato lui quella storia, non aveva istigato nessuno alla violenza; si era solo preso la vendetta che in fondo si meritava. Avevano ucciso sua sorella, innocente e nemmeno invischiata nelle loro vite, e lui aveva risposto con la stessa moneta a chi si era dimostrato infido e senza cuore. Nel loro mondo si faceva così, non si poteva sperare nella giustizia vera, quella del carcere, e ci si accontentava della giustizia “cattiva”, quella fatta da sé e per sé.

 

Nonostante tutto, non era nemmeno riuscito ad ottenerla, la sua giustizia. Vladimir era ancora vivo, e continuava a provocarlo da lontano, da un posto sicuro che lui non riusciva a raggiungere. In dieci anni non aveva mai trovato pace, non aveva mai smesso di lottare… Anche se una parte di lui era morta con Lora.

 

Era triste, era doloroso, e Irina provò un’incredibile moto d’affetto per Dimitri. Per tutto quel tempo era rimasto solo con se stesso, arrabbiato con il mondo, senza più speranza… Nessuno lo aveva mai capito, perché nessuno aveva mai saputo del suo passato. Le cicatrici che portava addosso non erano incise solo sulla sua pelle, ma anche nella sua anima.

 

Poi tutto le fu chiaro, ogni singolo comportamento di Dimitri, ogni sfumatura del suo carattere, ogni voce su di lui.

 

Aveva amato una sorella che gli aveva insegnato il valore delle donne, che gli aveva mostrato che non erano oggetti, che sapevano pensare e ragionare; non era gay, come qualcuno malignamente aveva asserito, era solo molto più rispettoso di chiunque altro ragazzo avesse mai visto.

 

E non era insensibile; aveva accettato la sua richiesta di tenerla d’occhio mentre se la vedeva con Konstantin, e l’aveva difesa quando ce ne era stato bisogno, con una reazione tanto violenta che nemmeno Xander avrebbe avuto.

 

E non era un menefreghista: le aveva cambiato il paraurti dell’auto, quando era stato lui a danneggiarlo. Le aveva chiesto di fare attenzione, quando aveva capito che Vladimir puntava anche a lei. E aveva rispettato le sue scelte, anche quando non gli piacevano.

 

Ora che sapeva, le cose cambiavano. Ma non voleva che a cambiare fosse il loro rapporto, dopo che faticosamente si era guadagnata la sua fiducia. Dimitri non era più un compagno di lavoro, era un amico per davvero.

 

“Starò zitta. Se vorrà parlarne, sarà lui a farlo… Altrimenti non ce ne sarà bisogno”.

 

Si alzò dal divano, e in quel momento Dimitri rientrò in casa. Le gettò una rapida occhiata, poi fece un cenno di saluto e risalì di sopra, evidentemente senza alcuna voglia di parlare. Irina lo guardò con più intensità di come faceva di solito, per dirgli che ora sapeva, e lo lasciò andare. Tutto a tempo debito.

 

Poi suonarono al citofono, interrompendo quel silenzio che non aveva niente di imbarazzante, ma era solo pieno di comprensione.

 

“Chi diavolo è proprio adesso?!pensò infastidita.

 

Rispose, e rimase di sasso.

 

<< Sono Xander >>.

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Allora, ragazzi, finalmente sappiamo. Sappiamo cosa è successo a Dimitri, cosa è accaduto nel suo passato, come mai aveva lasciato Mosca… Ma mi sembra chiaro che mancano ancora delle cose, piccole, ma interessanti e fondamentali.

Così Dimitri è stato in parte svelato: le sue frasi, il suo modo di comportarsi, di suo modo di vedere le cose. Anche la scelta di far raccontare a Vilena cos’era successo è coerente con il suo modo di essere. Ora mi domando: adesso che sapete, cosa ne pensate di lui?

Passiamo a William… Anche per lui è arrivato il momento della scoperta che Irina si trova a Mosca, e la sua reazione è stata… Strana o sensata, secondo voi? Appena ha saputo, qualcosa nella sua testa è scattato, e sappiate che da questo momento in poi, anche lui dovrà rivedere le sue posizioni. Meditate, gente, meditate.

A questo punto, io vi do appuntamento al prossimo capitolo! Mi raccomando, commentate numerosi!

 

 

 

 

 

Annalisa70: Ciao! Oh, non ti preoccupare se non recensisci sempre, non fa nulla! Per quanto riguarda la storia, ti ringrazio per i complimenti, e spero di riuscire a sorprenderti sempre! Baci!

 

Dust_and_Diesel: eh eh, visto? Irina ha preso tutti alla sprovvista, decidendo di recitare la parte della spia sexy… Ma è stato divertente, nonostante il finale. Sì, è più sicura, inizia a capire come vanno le cose, è sa che bisogna rischiare certe volte, cosa che Xander non le permetterebbe mai. In effetti, è questo quello di cui ha bisogno: imparare a dover contare solo sulle proprie forze. Vuole crescere, smettere di essere in qualche modo schiava del suo passato. E’ difficile andare avanti, se si continua a guardare indietro, no? Il passato di Dimitri, in questo cap, né è la dimostrazione, in fondo (ps: fammi sapere che ne pensi)! Bacioni!

 

Marty89: eh, non sei l’unica a pensare che Irina e Dimitri starebbero bene insieme. Lo pensano un po’ tutti, in questo momento. Dimitri ha un fascino che sta superando quello di Xander… Ma è questione di punti di vista. Dimmi cosa pensi di lui, ora che conosci il suo passato. Un bacione!

 

 

 

 

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Capitolo 23
*** Capitolo XXIII ***


Capitolo XXIII

Capitolo XXIII

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 19.00 – Mosca, Casa di Dimitri

 

Irina richiuse il citofono e si guardò intorno, presa dal panico. Che ci faceva Xander lì, senza nessun avviso? Doveva capitare proprio in quel momento, quando voleva un attimo di pace per pensare ma soprattutto per parlare con Dimitri del suo passato, sempre che lui ne avesse avuto voglia…

 

“Cavolo… Mi ha preso alla sprovvista”.

 

Non ebbe nemmeno il tempo di chiedersi se, nonostante tutto, fosse contenta dell’arrivo di Xander, perché suonarono alla porta e lei aprì, cercando di mascherare in qualche modo la sua sorpresa.

 

Quando aprì la porta, si trovò davanti uno Xander sorridente e tranquillo, incurante del fatto di non aver avvisato e di essere piombato lì senza darle il tempo di preparare il loro incontro… Non potevano rischiare di farsi vedere da qualcuno di poco gradito, e lui lo sapeva meglio di lei…

 

<< Xander… Che fai qui? >> domandò, senza sapere che altro dire.

 

L’espressione del ragazzo non mutò, e nemmeno il suo bel sorriso lupesco che aveva qualcosa di diverso dal solito. Si avvicinò, entrando in casa con gli occhi che brillavano.

 

<< Non sei contenta di vedermi? >> chiese a bassa voce.

 

Irina si fece da parte, guardandolo attentamente. Aveva qualcosa di strano, e lei se ne era accorta… Forse era il suo sesto senso femminile.

 

<< No… Cioè, sì, sono contenta >> sussurrò, << Ma… Non mi hai chiamato, non ti aspettavo… >>.

 

<< Avevo bisogno di vederti >> disse lui, cingendole la vita con un braccio, << Ho deciso sul momento… >>.

 

<< Ok, ma… >>. Irina si lasciò abbracciare, ma c’era qualcosa che non le andava. Per la prima volta era lei a fare l’agente dell’F.B.I. giudizioso e meticoloso? << Hai controllato che nessuno ti vedesse? Non siamo proprio nella situazione di rischiare… >>.

 

Xander la guardò divertito. << Certo che ho fatto attenzione >> ribatté, << Vedo che stai imparando, eh? >>. Però nella sua voce c’era una nota di fastidio, impercettibile, ma c’era.

 

In quel momento Dimitri sbucò dalle scale, e inchiodò sui gradini quando si accorse che c’era anche Xander. Gli rivolse un’occhiata di ghiaccio, poi ringhiò: << Cosa fai qui? >>.

 

<< Sono passato a fare un giro… >> rispose Xander, con aria di sfida.

 

Dimitri fece per andarsene. << Perdonerai il fatto che non abbia voglia di abbracciarti… >> disse, e se ne andò.

 

Irina si morse il labbro, agitata. Xander aveva scelto il momento sbagliato per farle una sorpresa, ma non poteva certo dirglielo. Dimitri già non doveva essere entusiasta del fatto che ora sapesse del suo passato, e molto probabilmente voleva starsene un po’ in pace… Magari alla fine ne avrebbe anche parlato con lei, ma con Xander nei dintorni la possibilità sfumava. Sicuramente quella novità lo aveva innervosito ulteriormente.

 

<< Ehi, che hai? >>.

 

<< Eh? >>.

 

Irina si riscosse e si accorse di essere rimasta a fissare la scala vuota, mentre Xander le cingeva i fianchi con le mani. Lo guardò e scosse il capo, evitando i suoi occhi azzurri.

 

<< Oh, no, scusa, stavo pensando a una cosa… >> mormorò, poi si staccò, diretta alla cucina, << Vieni, ti do qualcosa da bere… >>.

 

Xander la seguì, contrariato dall’interruzione, ma lei aveva bisogno di riprendersi un attimo. Doveva mettere in ordine i pensieri, e cercare di mostrarsi felice per la sua visita… Si aggirò in cucina e cercò qualcosa nel frigorifero, poi gli servì da bere.

 

<< Dimmi la verità >> disse Irina, guardandolo sorseggiare dal bicchiere, << Come mai sei venuto fino a qui? >>.

 

Xander inarcò un sopracciglio. << Davvero, avevo voglia di vederti >> rispose, << Non mi credi? >>.

 

Irina lo guardò perplessa, senza credergli: era sicura ci fosse dell’altro, ma decise di lasciar stare. Magari se lo sarebbe fatto scappare dopo. Con aria noncurante si scostò i capelli, sedendosi al tavolo.

 

<< Ok… >> disse.

 

<< Cosa hai fatto lì? >> chiese all’improvviso Xander, cambiando espressione.

 

Irina lo guardò senza capire.

 

<< Dove? >>.

 

<< Sul collo >> rispose Xander, alzandosi e avvicinandosi.

 

Irina si portò istintivamente una mano al collo, e i battiti del suo cuore accelerarono: si era completamente dimenticata del graffio procuratole dal coltello dell’amico di Konstantin, avrebbe dovuto coprirlo con qualcosa… Si era detta che se Xander fosse venuto, avrebbe indossato una maglia a collo alto, in modo che non lo notasse, almeno alla luce del sole…

 

<< Niente >> si affrettò a dire, << Non è nulla, non ti preoccupare >>.

 

Xander non la ascoltò, naturalmente. La costrinse a tirare su la testa per guardare meglio.

 

<< Questo è il segno di un coltello >> disse, arrabbiato.

 

Irina si scostò, infastidita dal fatto che lui sapesse e scoprisse sempre tutto. Riconosceva perfino un graffio da coltello…

 

<< Ho detto che non è niente >> protestò.

 

Xander sembrò arrabbiarsi.

 

<< Come te lo sei fatto? >> chiese.

 

Irina gli rivolse un’occhiata irritata. << Un incidente, niente d’importante >> rispose, secca.

 

<< Non ci credo >> disse Xander, << Come te lo sei fatto? >>.

 

Irina si alzò di scatto e incrociò le braccia. << Non ho intenzione di dirtelo, perché non capiresti >> rispose, << Sono qui viva e tutta intera, quindi non ha importanza quello che è successo. Non insistere >>.

 

Gli occhi azzurri di Xander si ridussero a due fessure, arrabbiato.

 

<< E’ stato Dimitri? >> ringhiò.

 

<< No, non lo farebbe mai >> ribatté Irina.

 

<< Allora chi è stato? >> abbaiò Xander.

 

<< Te lo dico se tu mi dici come mai sei venuto qui >> rispose Irina.

 

Si guardarono per un momento, entrambi determinati e risoluti.

 

<< Mi stai ricattando? >> fece Xander, incredulo.

 

<< No, voglio solo sapere il vero motivo per cui se qui >> rispose Irina, << So che sei avventato, ma non è da te mettere in pericolo la missione solo perché hai voglia di vedermi… Qualcuno potrebbe averti visto entrare qui, e sai che la sorella di Dimitri non deve venire a sapere della tua esistenza. L’altra volta abbiamo fatto più attenzione >>.

 

Xander la guardò. << Da quello che ho capito, non ti fa piacere vedermi… >> disse, e sembrava veramente furioso.

 

<< No, non è questo >> ribatté lei, << Sei solo capitato nel momento sbagliato… Ma non mi va che tu ti metta a farmi un interrogatorio su cosa ho fatto, detto o combinato tutte le volte che ci vediamo. Non ho cinque anni, so guardarmi da sola >>.

 

Xander sembrò preso in contropiede dalla sua risposta dura e diretta. La guardò per un momento, poi allargò le braccia.

 

<< D’accordo >> disse, come se volesse solo farla calmare, << Ho avuto un attimo di crisi e ho deciso di staccare un po’ e venirti a trovare >>.

 

Irina lo scrutò: sembrava sincero, ma c’era ancora qualcosa di non detto.

 

<< Come mai? >> domandò.

 

<< La missione non va come dovrebbe… >> rispose Xander, evasivo.

 

Si guardarono negli occhi, e Irina intuì che avesse detto la verità… Ma solo una parte. Forse il fatto di essere più indietro di lei lo imbarazzava, e sicuramente era talmente orgoglioso che non lo avrebbe mai ammesso.

 

<< Mi dispiace >> disse lei, alla fine, << Deve essere difficile stare laggiù da soli… >>. Voleva andargli incontro, dimostrargli che anche se le cose non andavano bene dalle sue parti non cambiava il fatto che fosse un ottimo agente dell’F.B.I.

 

Xander agitò la mano in segno di fastidio. << Non cambiare discorso >> la interruppe, << Allora, cosa hai fatto? >>.

 

Aveva preso la sua frase come un tentativo di sviare la sua attenzione, e Irina sbuffò. << Ho cercato di ottenere la mappa della Mosca-Cherepova con metodi poco puliti >> rispose, secca, sperando inutilmente che non facesse altre domande.

 

<< E sarebbe? >>.

 

<< Sarebbe… Ho cercato di sedurre uno dei Referenti >>.

 

La frase scivolò tra le labbra di Irina senza lasciarle il tempo di cercare un’alternativa, di trovare un modo più “dolce” per dirglielo. Qualcosa dentro di lei voleva fare in modo che Xander venisse preso alla sprovvista, per dimostrargli quasi quanto fosse stata avventata, quanto avesse rischiato; c’era qualcosa di assurdamente orgoglioso nel suo tono, quasi volesse sfidarlo a sgridarla. Sapeva che era sbagliato, ma era quello che provava in quel momento.

 

La faccia di Xander sembrò diventare di granito, e per un attimo fu incapace di parlare.

 

<< Cosa? >> fece, atono. Poi aggiunse, riprendendosi: << Che cosa è successo? >>.

 

<< Non sono riuscita a farmi dare la mappa, non subito, almeno >> rispose lei, rapida, << Le cose sono degenerate, ma Dimitri mi ha aiutato e ha messo tutto a posto… Mi sono solo graffiata nella colluttazione. Nessuno mi ha fatto niente >>

 

C’era qualcosa nell’espressione di Xander che le disse che molto probabilmente stava per esplodere, ma non le importava. Non le importava che si arrabbiasse, che la sgridasse, che la minacciasse di rimandarla a casa tra i suoi libri e i suoi corsi universitari… Non le interessava che con la sua idea avesse potuto deluderlo, o ferirlo. Non si pentiva di quello che aveva fatto, anche se le cose non erano andate come dovevano. Come aveva detto Dimitri, conoscevano i rischi.

 

<< E’ stata un’idea mia >> aggiunse lei, << E in ogni caso alla fine abbiamo ottenuto la mappa. Quello che conta è il risultato, non importa come ci siamo arrivati >>.

 

Xander rimase di sasso di fronte al suo tono sicuro e quasi seccato per dover dare delle giustificazioni. Poi scosse il capo, e ringhiò: << Gli avevo dato l’incarico di tenerti d’occhio, non di farti fare delle cazzate del genere… Dov’è Dimitri? >>.

 

Irina si piazzò davanti alla porta della cucina, bloccandogli la strada.

 

<< Ti proibisco di prendertela con lui >> disse, arrabbiata, << Ti ho già detto che è stata un’idea mia, lui non c’entra. Anzi, non era d’accordo, ma ha rispettato la mia decisione e mi ha aiutata. Non è con lui che devi arrabbiarti >>.

 

Per un attimo credette che Xander la prendesse a schiaffi e andasse a fare la stessa cosa con Dimitri; invece rimase fermo, a guardarla, forse furioso, forse ferito, forse solo basito dal suo comportamento.

 

<< Non è con lui che devo arrabbiarmi?! >> ringhiò, << Certo che mi incazzo con lui, quando l’avevo mandato apposta per fare in modo che non ti succedesse niente! Gli avevo detto che volevo sapere tutto quello che facevate! Volevo che ti tenesse d’occhio per evitare che facessi proprio delle cazzate del genere! >>.

 

Irina andò su tutte le furie.

 

<< Allora è per questo che hai lasciato venire Dimitri con me? >> ribatté, ferita a morte dalle sue parole, << Lo hai assoldato come guardia del corpo? Volevi che mi facesse da baby-sitter? Bé, lo sta facendo, sai? Forse lo fa anche meglio di te, visto che rispetta le mie scelte! >>.

 

<< Rispetta le tue scelte?! >> ripeté Xander, gli occhi azzurri che mandavano lampi, << Ma che stai dicendo? Che diavolo gliene frega a lui, di quello che vuoi fare? Ti manda a fare la gatta morta con un russo e non mi dice niente… Tu, non mi hai detto niente! Io vengo qui, faccio mille chilometri in sei ore nella speranza di ritrovarmi per un attimo a casa, e vengo a sapere che per poco non ti fai ammazzare per prendere una stupida mappa! >>.

 

Irina capì cosa volesse dire, e sentì l’ira montarle addosso. Ora capiva cosa aveva sempre voluto Xander da lei… << Allora tu ti aspettavi che io fossi qui a guardare alla finestra e sospirare come una sciocca nell’attesa che tu tornassi, vero? >> disse, << Ti aspettavi che stessi facendo la brava bambina, che svolgessi tutti i miei compiti con la mia baby-sitter, mentre tu facevi l’uomo di casa, coraggioso, esperto, quello che sa sempre cosa è meglio fare? Era questo che ti aspettavi, vero? Bé, credo che tu non abbia capito una cosa, Xander: non sono una bambina, non lo sono più, e non mi farò trattare come tale >>.

 

Si guardarono per un momento, e Irina sapeva che aveva appena detto qualcosa che avrebbe ferito Xander più di qualsiasi decisione che avesse preso fino a quel momento.

 

<< Che tu creda o non creda di esserlo, per me lo rimani >> disse lui, gelido, << Lo rimarrai finché non capirai quello che stai facendo… Pensavo avessi imparato qualcosa dal tuo passato >>.

 

Ora toccava il tasto del passato… Ormai a Irina non interessava più quello che era successo anni prima… Non poteva semplicemente voltare pagina e ricominciare? Qualsiasi cosa dicesse, facesse o pensasse, la riportava sempre indietro…

 

<< Certo che ho imparato >> ribatté, << Ho imparato molto. Ho imparato che non mi serve nascondermi dietro a quello che è stato solo per permettermi di soffrire di meno, come tu vorresti. Ho imparato che bisogna rischiare, che non possono sempre fare tutto gli altri. Ho imparato che cadere fa male, ma che quando ti rialzi sei più forte… Ho imparato e sto imparando, Xander. Sei tu che non vuoi che lo faccia >>.

 

<< Se davvero avessi imparato, non saresti qui >> disse lui, << Mi sto facendo in quattro per fare in modo che non ti succeda niente, e tu mi ringrazi andandoti a cacciare ancora di più nei guai, aiutata da quello che avrebbe dovuto tenerti d’occhio… Davvero, Irina, credo di essere deluso da come ti stai comportando >>.

 

<< Anche io sono delusa da te >>.

 

Fu come se avesse appena ingoiato qualcosa di amaro e disgustoso, ma Irina si sentì mancare quando comprese che quello che aveva detto era la verità. Era davvero delusa, lo pensava veramente. Era stata certa che capisse, con un po’ di fatica, che accettasse… Si era sbagliata.

 

<< Ah, quindi tu saresti delusa? >> fece Xander, fintamente divertito. << Immagino che Dimitri invece non ti stia deludendo, vero? >>.

 

<< Non tirare in mezzo Dimitri >> ringhiò Irina, << Lui non c’entra. E sappi che avrei voluto essere informata del fatto che lo avevi mandato qui con uno scopo di farmi la guardia. Io sono stata sincera con te, tu non lo sei stato >>.

 

<< Tanto non avresti capito >> ribatté Xander.

 

Irina si voltò di spalle, sempre più nervosa. << Esattamente come te >>.

 

Ci fu un momento di silenzio, poi Xander disse: << La prossima volta provvederò ad avvisarti, quando deciderò di passare, visto che la mia presenza comincia a non essere gradita >>.

 

Prima che Irina ebbe modo, e voglia, di fermarlo, Xander infilò la porta e se ne andò, senza aggiungere altro. Lei rimase immobile, nella cucina vuota di quella casa che per la prima volta le sembrò stretta, innervosita e spaventata al tempo stesso.

 

Xander se ne era andato. Se ne era andato sbattendo la porta e senza voltarsi indietro nemmeno una volta, infuriato con lei. Ma anche lei era arrabbiata, e non poteva non ammetterlo.

 

Perché non voleva capire? Perché si ostinava a trattarla come una bambina? Perché non voleva che crescesse, che maturasse, che imparasse a cavarsela da sola? Perché si comportava in quel modo egoista e presuntuoso con lei?

 

Improvvisamente, le venne da piangere. Le venne da piangere al pensiero della freddezza con cui Xander le aveva parlato, di quanta rabbia avessero messo entrambi in quella conversazione. Non voleva che le cose andassero in quel modo, non aveva pensato che scegliere di fare quella missione avrebbe comportato anche quello…

 

Scosse il capo, ricacciando indietro le lacrime. Rivoleva lo Xander che aveva conosciuto, gentile, dolce, sfrontato ma non possessivo come in quel momento… Amava il fatto che fosse protettivo con lei, ma non in quel modo. Non si comportava più come il suo compagno, ma come un padre eccessivamente apprensivo e volitivo.

 

“Non era così, prima di questa missione. Non mi trattava come una bambina viziata… Forse perché a lui andava bene che io rimanessi a casa, e lui facesse il lavoro pericoloso… Forse voleva una bambola, esattamente come William”.

 

Si ritrovò a pensare a quella parola solo in quel momento: “bambola”. Bambola come lo era stata per William, “bambola” come si era sentita trattata. Alla fine lo era rimasta anche con Xander, anche se in modo diverso, e solo ora lo capiva.

 

Uscì dalla cucina, ritrovandosi in soggiorno. Dimitri doveva essere ancora di sopra, e forse si doveva essere anche accorto della loro litigata. Non importava, lui aveva già i suoi problemi, e lei non lo avrebbe certo tirato in mezzo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Xander risalì sulla Ferrari 599 e diede un pugno al volante dell’auto, infuriato. Non era mai stato così arrabbiato con Irina come in quel momento, e non poteva fare a meno di pensare di avere ragione.

 

Aveva fatto mille chilometri per lasciarsi alle spalle Nina e quella stupida situazione in cui l’aveva attirato, per staccare un momento e ritrovare la serenità che aveva solo con Irina… E una volta arrivato lì, la trovava a fare la spia navigata che in realtà non sapeva niente di quel lavoro. La trovava a difendere il russo che era stato il braccio destro di Challagher, e che anche aveva cercato di ucciderlo… Doveva esserne contento?

 

Si era aspettato una accoglienza con i fiocchi, un’Irina impaziente di vederlo quanto lui era impaziente di vedere lei; invece la sua ragazza sembrava gradire di più la compagnia di Dimitri, che la sua. E lo difendeva pure a spada tratta, nemmeno fosse suo fratello.

 

Non era stata solo la gelosia a fargli prendere la decisione di andarsene seduta stante: era deluso, ferito e furioso per essere stato considerato quasi di troppo.

 

Con rabbia si rese conto che era capitato anche a lui, che anche lui, nel momento in cui si era ritrovato Nina a pochi centimetri dalla sua faccia, aveva sentito il rapporto profondo con Irina quasi come un limite…

 

Accese il motore dell’auto, deciso ad andarsene. Non sarebbe rimasto lì, se era di troppo, ma qualcosa di profondamente doloroso gli pesò nello stomaco, un pensiero che ormai prendeva forma ogni volta che lui e Irina si scontravano, divisi da quel muro improvvisamente calato tra loro…

 

“Questa missione poteva unirci di più, ma non lo ha fatto. L’unica alternativa che rimane è sperare che non ci divida…”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 03.00 – Mosca, Casa di Dimitri

 

Irina si rigirò per l’ennesima volta nel letto, senza riuscire a dormire. Avrebbe fatto prima a non infilarsi nel letto, visto che non aveva chiuso occhi. Guardò la tenue luce lunare filtrare tra le fessure delle tapparelle e si mise a sedere, sbuffando.

 

Il suo cervello aveva troppe cose a cui pensare, e non l’avrebbe lasciata dormire. Prima il passato di Dimitri, poi la litigata con Xander: aveva ancora i nervi a fior di pelle, e la serata in attesa di una sua chiamata non aveva fatto altro che peggiorare la situazione. Aveva sperato telefonasse, o che tornasse indietro, per parlare di nuovo, questa volta con più calma, ma non lo aveva fatto. E se c’era una cosa di cui era sicura, era che lei non lo avrebbe chiamato: non aveva niente da spiegare, niente da giustificare, questa volta. Era Xander a essere nel torto, in quel momento.

 

Non aveva mangiato a cena, e non aveva fame, ma decise di scendere e di farsi una camomilla, nel tentativo di darsi una calmata. Magari dopo qualcosa di caldo, le sarebbe tornata la voglia di dormire…

 

Senza accendere la luce scese dal letto, sentendo il pavimento freddo sotto i piedi scalzi, e si avviò lentamente verso la porta, sfruttando solo la tenue luce che proveniva da fuori. Dimitri sembrava avere delle antenne, al posto delle orecchie, ed era sicura che se anche avesse solo sfiorato un interruttore, lui se ne sarebbe accorto. Siccome non voleva che si svegliasse per colpa sua, fece tutto al buio, tanto ormai conosceva bene la casa e aveva imparato a muoversi senza sbattere da nessuna parte.

 

Aprì la porta con delicatezza e uscì nel corridoio, cercando di fare il meno rumore possibile. Le venne un brivido sentendo che il pavimento sembrava particolarmente freddo, e procedette a piccoli passetti fino al soggiorno. Si fermò un momento, cercando di ricordare esattamente in che posizione era il divano, ma ci andò a sbattere comunque, provocando un rumore sordo e attutito, appena percettibile.

 

“Incredibile. E’ la parte di casa in cui passo più tempo, e riesco persino a sbagliarmi…”.

 

Aggirò a tentoni il divano, diretta alla porta socchiusa della cucina, che vedeva delineata da una lama di luce…

 

Poi qualcuno la afferrò alle spalle, stringendola per il collo, e qualcosa brillò nell’oscurità, qualcosa che sembrò chiaramente un coltello… Il suo cervello si riattivò all’improvviso, valutando tutte le possibilità che aveva in quel momento… Sentì il cuore accelerare…

 

<< Fermo Dimitri! Sono io! >> gridò, alzando le mani nel buio.

 

Ci fu un attimo di trambusto, nel quale lei rimase in ogni caso imprigionata con la lama puntata alla gola, poi silenzio. Sentiva il petto di chiunque la stesse tenendo ferma muoversi a intervalli regolari, le braccia muscolose poco contratte, come se sapesse di poter avere la meglio in un attimo…

 

<< Come facevi a sapere che ero io? >> sussurrò Dimitri nel suo orecchio, e ci fu una nota stupita nella sua voce.

 

<< Lo speravo… >> rispose Irina, sincera, a bassa voce.

 

Un movimento e la luce venne accesa, facendole strizzare gli occhi; Dimitri la teneva ancora per il collo, il coltello leggermente abbassato, forse per farle capire cosa aveva rischiato. Nonostante fosse lui, aveva il fiato corto per lo spavento.

 

<< La prossima volta evita di aggirarti in casa mia come se fossi una ladra… >> mormorò Dimitri, a un centimetro dal suo orecchio.

 

<< Ok, scusami >> borbottò Irina, notando che la sua pelle era sempre straordinariamente calda, lo sentiva per via del braccio sul suo collo.

 

Dimitri la lasciò andare di scatto, come se si fosse scottato, e richiuse il coltello. Lei si voltò e lui le gettò un’occhiata perplessa, forse per il fatto che era in pigiama. Lui naturalmente era vestito di tutto punto, giusto per ricordarle quanto fosse ridicola…

 

<< Come mai sei sveglia? >> chiese.

 

<< Non riuscivo ad addormentarmi… >> rispose lei, imbarazzata.

 

Dimitri la guardò, poi inarcò un sopracciglio.

 

<< E dove stavi andando? >> domandò.

 

<< In cucina >>.

 

Le fece cenno di andare e lei aprì la porta, accendendo la luce. Credette che sarebbe tornato in camera sua a farsi gli affari suoi, ma invece la seguì.

 

<< Non ti volevo svegliare >> disse lei, anche se era sicura che non stesse dormendo, a meno che non lo facesse in jeans. << Scusami… Credevo di non aver fatto troppo rumore >>.

 

Dimitri scosse il capo. << Tanto ero già sveglio >> disse, << Credevo fossi qualcuno di poco gradito… Ti piace farti puntare coltelli alla gola? >>.

 

Irina sorrise, ed ebbe l’impressione che in realtà lui l’avesse riconosciuta subito, ma avesse voluto spaventarla apposta… Ogni tanto voleva prendersi qualche soddisfazione su di lei. << No, anche se sta diventando un’abitudine >> rispose, << Cosa ci facevi già sveglio? >>.

 

<< Non è la prima volta che non dormo >> rispose lui, evasivo, << Che cosa fai? >>.

 

Irina guardò il bollitore che aveva appena messo sul fuoco.

 

<< Mi faccio una camomilla, ma immagino che tu non la gradisca… >> rispose, << Vuoi che ti faccia qualcos’altro? >>.

 

Dimitri la guardò mezzo divertito, e scosse il capo, come esasperato.

 

<< Cosa c’è? >> fece lei, i cui nervi erano ormai al limite, << Ho detto qualcosa che non dovevo? >>.

 

Il russo fece una smorfia.

 

<< Camomilla… >> mormorò, << Sei la prima donna di questa città che mi propone una camomilla… >>.

 

Irina inarcò un sopracciglio. << Non te la sto proponendo. Ti ho solo chiesto se volevi qualcosa di caldo… >> ribatté, leggermente offesa.

 

Gli occhi di Dimitri brillarono, come divertiti. << Sto scherzando >> disse. Poi aggiunse, neutro: << Vada per la camomilla, allora. Ma sembra che tu ne abbia più bisogno di me, in questo momento >>.

 

Irina si voltò di scatto per non rispondergli e si mise a preparare le tazze. Versò l’acqua calda, poi domandò: << Come hai fatto a riconoscermi al buio? >>.

 

Non arrivò nessuna risposta, così si girò di nuovo, scoprendo che Dimitri era sparito. Si affacciò alla porta e lo vide seduto sul divano, davanti a un pc portatile. Prese le due tazze e lo raggiunse, porgendogliene una, bella fumante.

 

<< Sapresti farti riconoscere da chiunque >> disse lui.

 

Irina non capì, poi si accorse che aveva appena risposto alla domanda di poco prima, come al solito a modo suo. Si andò a sedere sull’altro divano, e sorseggiò la sua camomilla con aria tranquilla, guardandolo osservare con le sopracciglia aggrottate il monitor del pc.

 

<< Posso chiederti cosa stai facendo? >> domandò a bassa voce.

 

<< Sto controllando la lista dei partecipanti alla Mosca-Cherepova >> rispose lui.

 

<< Allora Boris te la già data >> disse lei, << C’è qualcuno che conosciamo? >>.

 

<< Alcuni di loro per me non sono facce nuove, ma per te sì… A parte Went, non conosci nessun altro >>.

 

Irina si rabbuiò al ricordo di Xander, ma non fece commenti. Dubitava che a Dimitri interessasse la loro situazione piuttosto tesa, e sapeva che parlarne non le avrebbe fatto bene.

 

<< E Vladimir, è tra gli iscritti? >> chiese.

 

<< Sì, e come secondo pilota ha Cyril, quello che ti ha seguito l’altra volta >>. Dimitri quasi ringhiava.

 

<< Quindi questo vuol dire che ha trovato un compromesso con i Referenti >> commentò Irina, a voce bassissima, << Credi che partecipi solo per provocarci, o voglia vincere la gara? >>.

 

Gli occhi grigi di Dimitri si accesero. << Se partecipa, significa che vuole incontrare la Lince, altrimenti non correrebbe il rischio di trovarsi da solo con me… Se volessi, potrei attirarlo in una trappola >>.

 

<< Perché dovrebbe voler incontrare la Lince? >> chiese Irina, senza capire.

 

<< Forse vuole trovare un accordo… >> rispose Dimitri, ma non gli parve convinto. Non stava dicendo tutta la verità.

 

Irina si rese conto che anche a lui doveva essere tornato in mente ciò che Vilena le aveva raccontato, ma non sembrava a disagio, solo molto serio. Lo vide accendere la lampada vicino al divano e spegnere il lampadario, facendo piombare la stanza in un delicato chiarore che era anche rilassante.

 

<< Hai capito perché ti ha detto che dormi con un assassino? >> chiese all’improvviso lui, guardandola dritta negli occhi.

 

Irina non si scompose. << Sì, l’ho capito >> rispose, << Ma dipende dai punti di vista… Io non ti considero un assassino, qualunque cosa tu abbia fatto >>.

 

Era la verità, perché la domanda di Dimitri in realtà ne nascondeva un’altra: hai paura di me? le aveva appena chiesto. No, non aveva paura di lui, anche se forse avrebbe dovuto, anche se era stato un suo nemico. Non aveva paura di lui, e ne era felice.

 

Il Mastino la guardò per un istante, poi sul suo viso si dipinse una smorfia di divertimento.

 

<< Ora capisco perché ti cacci sempre nei guai… >> disse, criptico.

 

<< E’ vero che Xander ti ha mandato qui solo per tenermi d’occhio? >> chiese lei, all’improvviso.

 

Dimitri tornò serio.

 

<< E’ venuto da me dicendomi che se volevo prendere parte a questa cosa, dovevo controllarti per lui >> rispose, << E riferirgli quello che stavi facendo o avevi intenzione di fare… Mi ha assoldato come baby-sitter, in pratica >>. Aveva il tono infastidito e scocciato.

 

<< E tu hai seguito la sua richiesta? >> domandò lei.

 

<< No >> rispose secco Dimitri, << Non come intendeva lui. Mi sembra tu abbia capito che non sapeva come avessi cercato di prendere la mappa a Konstantin… >>. Ora aveva l’aria di chi la sa lunga.

 

Irina abbassò lo sguardo. << No… >> sussurrò, << Bé, grazie di non averglielo detto, altrimenti non mi avrebbe nemmeno lasciato provare >>.

 

Dimitri rimase in silenzio, come se stesse pensando a qualcosa.

 

<< Hai accettato di tornare qui per avere la possibilità di trovare Vladimir? >> chiese infine lei.

 

Il russo per un momento sembrò non volerle rispondere, poi disse: << Sono venuto qui per portare a termine questa missione. Se riuscirò a prendere anche Vladimir, sarà qualcosa in più. La mia priorità è vincere la Mosca-Cherepova e arrivare dalla Lince… Se nel frattempo Buinov mi capiterà tra le mani, allora mi occuperò anche di lui >>.

 

Rimasero in silenzio, con Irina che continuava a guardarlo sotto una luce diversa, che in qualche modo glielo mostrava cambiato persino nei lineamenti. Improvvisamente non le sembrava più fatto di pietra, di ghiaccio: era umano, molto più umano di quanto era lecito aspettarsi da uno come lui.

 

<< Sarà lui il nostro avversario numero uno? >> chiese lei.

 

<< Saranno tutti nostri avversari >> rispose Dimitri, digitando qualcosa sulla tastiera, << Anzi, forse sarà il meno pericoloso… Sto cercando informazioni sugli altri >>.

 

Irina gettò un’occhiata al posto vuoto di fianco al russo, e chiese, indicandolo: << Posso? >>.

 

Dimitri sembrò non capire, poi le fece cenno di sedersi. Irina si accomodò sul divano, non troppo vicino per non infastidirlo, e guardò lo schermo.

 

<< Vladimir gareggerà con la Impreza, mentre Went con una 599 >> disse, << E poi avremo contro una Nissan GTR, due Lancer, una Camaro, una Peugeot 408, una A5, una M3… Tutte auto di un certo calibro >>.

 

<< Stai dicendo che la Punto è una scatoletta? >> fece lei, piccata.

 

Dimitri la guardò appena. << No >> rispose, << Non sarà l’auto a farci arrivare primi… Went gareggia con una Ferrari, ma non ha più possibilità di vincere di noi >>.

 

Irina guardò lo schermo: non aveva voglia di menzionare ancora Xander. << Chi sono gli altri? >>.

 

<< C’è Edgar Blachenko, che ha partecipato sempre negli ultimi tre anni, e si è piazzato bene >> rispose Dimitri, mentre la foto di un ragazzo dalla barba rossiccia compariva sullo schermo, << E’ uno dei candidati a vincere quest’anno… Poi c’è Severin, lo chiamano il Diavolo. E’ sua la Camaro rossa che vedremo… Una testa calda, se lo incroceremo cercherà di farci uscire di gara… >>.

 

A Irina venne in mente una cosa, leggendo i nomi dei copiloti iscritti, tra cui spiccava anche quello di Dimitri e dell’unica donna a parte lei che sembrava apparire nella lista…

 

<< E Nina Krarakova? >> domandò, << C’è qualcosa su di lei? >>.

 

Dimitri la guardò con la coda dell’occhio. << Se è una sua foto che vuoi vedere, ti consiglio di non farlo >> ribatté lui.

 

Irina si scostò appena: aveva il brutto presentimento che quella ragazza fosse una nemica non solo perché era una russa invischiata nelle corse clandestine…

 

<< E’ brava? >> domandò, anche se la domanda corretta sarebbe stata: è bella?

 

<< Non quanto possa apparire all’inizio >> rispose Dimitri, con noncuranza, << Ha un difetto: quando non ottiene subito quello che vuole, si innervosisce e inizia a perdere colpi… Tipico di una come lei >>.

 

Per un momento Irina fu sul punto di chiedere: ma è più brava di me? poi si trattenne. Non era importante saperlo, e poi sarebbe apparsa presuntuosa.

 

<< E che tipo è? >> chiese invece.

 

Dimitri si voltò a guardarla. << Vuoi sapere che tipo è, o quando è pericolosa per te? >>.

 

“Fregata…”.

 

<< Tu cosa vuoi dire, in proposito? >> ribatté lei, imbarazzata. Aveva colto quello che la preoccupava di più… Già le cose con Xander non andavano benissimo, se ci si metteva in mezzo pure una bella ragazza straniera, le cose non potevano che peggiorare…

 

Dimitri inarcò un sopracciglio.

 

<< Se Went va con lei, è un’idiota >> sentenziò.

 

Fu la volta di Irina di inarcare un sopracciglio, perplessa e mezza lusingata.

 

<< Ah… , saperlo è incoraggiante… >> sussurrò.

 

Dimitri fece un sorrisetto. << Non che Went non lo sia già, ma sarebbe davvero stupido… Significherebbe che non ha cervello >>.

 

Irina lo guardò: a qualsiasi ragazza non sarebbe andato a genio il fatto che qualcuno si permettesse di criticare in quel modo il proprio fidanzato, ma in quel momento qualcosa dentro di lei concordava con Dimitri… Ultimamente Xander faceva un po’ troppo lo sciocco, per i suoi gusti.

 

<< La conosci bene? >> chiese.

 

<< Abbastanza da saper guardarmi da lei >> rispose Dimitri, poi sembrò voler cambiare argomento, << Smettila di preoccuparti di lei, non serve farlo. Confida più sulla fedeltà del tuo… ragazzo >>. Sorrideva sotto i baffi.

 

Irina gli gettò un’occhiata, senza sapere che dire, e si accucciò sul divano, a distanza di sicurezza.

 

<< In tutta sincerità, quante probabilità abbiamo di vincere? >> chiese.

 

<< In tutta sincerità, non lo so >>.

 

<< Bene… Anche questo è molto incoraggiante >>.

 

Irina si appoggiò con un braccio allo schienale del divano, guardandolo. Era strano, ma si sentiva a suo agio, in quella situazione. Si ricordò all’improvviso di essere in pigiama, e l’unica cosa che pensò era che aveva leggermente freddo. Dimitri ormai sapeva molto di lei, e lei sapeva molto di lui… Prima di partire non lo avrebbe mai detto, ma ora si trovava a suo agio, con lui.

 

Rimasero in silenzio, con il solo rumore dei tasti del computer a fare da sottofondo a quella surreale notte moscovita, partecipi in qualche modo dei drammi l’uno dell’altro, a farsi compagnia senza parole e senza gesti, solo con la presenza discreta e muta di cui erano capaci.

 

Mentre guardava il suo profilo, riconoscendo che era carino e che aveva un fascino tutto suo, Irina si chiese perché Dimitri avesse deciso di non legare con nessuno la propria esistenza, perché avesse scelto di rimanere solo in quella vita dolorosa fin dall’inizio, e subito nella sua mente si formò la risposta ovvia che le avrebbe rifilato: troppo pericoloso. Troppo pericoloso, per lui, per la persona che gli sarebbe stata accanto, per tutto. Un po’ lo stesso ragionamento di Xander quando aveva incontrato lei.

 

<< A volte però bisogna rischiare… >> mormorò, appoggiando la testa al braccio, assonnata.

 

Dimitri la guardò con la coda dell’occhio, come se la stesse prendendo per mezza matta.

 

<< Lo sto già facendo abbastanza >> sussurrò, evasivo, prima che Irina si addormentasse con la sensazione addosso di aver a che fare con quella frase.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 14.00 – Londra, Casa di Richard

 

“Se Irina è a Mosca, è a Mosca che io devo andare”.

 

William gettò il mozzicone della sigaretta nel posacenere che teneva sul comodino della sua stanza in stile impero, sdraiato sul letto a baldacchino che odiava con tutte le sue forze per via di tutti quei drappeggi inutili e che sapevano di vecchio, e sputò l’ultima boccata di fumo.

 

Ci aveva pensato fin dalla sera prima, nonostante tutti glielo avessero sconsigliato: lui voleva andare a Mosca, e nessuno l’avrebbe fermato. Voleva andarci perché era sicuro che tutte le persone che desiderava trovare erano lì, quasi ad aspettarlo.

 

Dimitri era dai suoi parenti, era chiaro, e sapeva altrettanto bene che se fosse andato lì, il russo avrebbe goduto della protezione della sua famiglia e dei suoi connazionali: pensare di ucciderlo in terra straniera equivaleva a condannarsi a morte.

 

Irina era a Mosca, invischiata in chissà cosa con il dichiarato intento di liberarlo, che si trattasse o meno della verità. Era lei che voleva incontrare più di tutti in quel momento, quella che voleva avere davanti per scoprire cosa aveva provato…

 

Lo sapeva, c’erano ampie possibilità che quello che si diceva in giro non fosse vero, che Irina non stesse cercando di liberarlo. Non aveva senso, quando lui sapeva bene quello che c’era e quello che non c’era stato tra loro: lo odiava, lo aveva sempre odiato fin da quando aveva capito chi era davvero, e forse lo odiava ancora di più ora perché non riusciva comunque a liberarsi di lui. Non poteva volerlo libero, ci aveva pensato tutta la notte, ma qualcosa dentro di lui gli diceva che di sicuro c’era qualcosa che non andava… Se davvero era quella la verità, significava che Irina era cambiata, era diventata quella che lui aveva sempre voluto… E per cambiare, doveva esserle successo qualcosa di molto, molto importante…

 

Went.

 

Sì, doveva essere Went la chiave di tutto. Went, quello sbirro che aveva osato portargliela via e che lo aveva umiliato e poi chiuso dentro una cella…

 

“Quando se ne era andato perché era stato scoperto, Irina aveva sofferto… Aveva sofferto fino a decidere di lasciare le corse. E stava per venire a letto con me…”.

 

Era quello l’unico pensiero che poteva fargli credere che davvero Irina lo volesse liberare; aveva elaborato una teoria, una teoria che ripercorreva la vita di Irina e anche la sua, che analizzava tutto ciò che gli era successo e che poteva averla portata a quella situazione.

 

Went doveva averla lasciata, o tradita in qualche modo. Doveva averla ferita così profondamente da farle pensare che lo Scorpione era sempre stato meglio di quello sbirro… O forse, alla fine, le aveva rivelato solo di averla usata per arrivare a lui, per arrestarlo. A quel punto, nella testa di Irina doveva essere scattato qualcosa, qualcosa che l’aveva portata ad abbandonare la tanto sospirata vita da “persona normale” che aveva sempre desiderato per farla partire per la Russia, e tentare di liberarlo…

 

Era una teoria avventata, inverosimile, e lui era pronto a ricevere la conferma che era solo una congettura sbagliata. Non si sarebbe illuso, anche se voleva farlo. Quando avrebbe avuto Irina davanti, e dalle sue labbra fosse uscita la verità, avrebbe deciso la sua sorte.

 

Rimaneva Went.

 

C’erano anche in quel caso ampie possibilità che fosse in Russia anche lui. Se Dimitri era fuggito, di sicuro avevano sguinzagliato Went alle sue calcagna, sempre che non stesse tentando di rintracciare lui, visto che non ne aveva notizia… L’F.B.I doveva sapere per forza della sua fuga, e Went poteva essersi preso la briga di arrestarlo di nuovo… Era certo che sarebbe stata la persona meno difficile da trovare.

 

Si mise a sedere, e gettò un rapido sguardo per la stanza. Avrebbe voluto alzarsi, prendere un’auto e partire per Mosca, ma non poteva. Il suo viaggio doveva essere organizzato nei minimi dettagli, perché non dovevano esserci errori.

 

La Mosca-Cherepova sarebbe partita il 21 di dicembre, ma lui non vi avrebbe partecipato: non aveva un copilota affidabile e soprattutto per il momento non aveva l’auto. Oltretutto, non gli interessava vincere la corsa, ora che la sua priorità era stare lontano dagli sbirri. Però poteva seguirla da vicino, vedere cosa avrebbe fatto Irina e scoprire se Dimitri era davvero con lei, vedere se poteva sperare di nascondersi un po’ da quelle parti, coperto dai russi… Dalla Lince, che lui conosceva bene…

 

Doveva trovare un’auto, e sapeva bene quale. Una volta avuta l’auto che voleva, l’avrebbe fatta riverniciare per renderla meno riconoscibile, avrebbe cambiato targa e numero di telaio e sarebbe partito alla volta della Russia… Nessuno poteva sapere dove sarebbe andato, e che lo avrebbe fatto in macchina. Prima che fossero riusciti a rintracciarlo sarebbe passato del tempo…

 

Afferrò il cellulare e cercò il numero che gli aveva dato Richard il giorno prima, quando gli aveva comunicato il suo piano. Attese qualche minuto in linea, poi dall’altra parte finalmente risposero.

 

<< Carrozzeria McGraw, in cosa posso esserle utile? >>. Era un uomo.

 

<< Chiamo per un affare speciale >> disse William, tranquillo, << Vorrei parlare con Nicholas >>.

 

<< Chi le ha dato questo numero? >> domandò dall’altra parte l’uomo, sospettoso.

 

<< Richard il Lord >> rispose lo Scorpione, << Ha detto che potete offrirmi i servizi che mi servono >>.

 

L’uomo dall’altra parte rise. << Certo. Chi sei? >>.

 

<< William Challagher >>.

 

Il tizio rise di nuovo. << Bentornato tra i piloti clandestini, Scorpione >> disse, << Di cosa hai bisogno? >>. Allora qualcuno si ricordava ancora della sua fama…

 

<< Se ti portassi un’auto rubata, saresti in grado di renderla irriconoscibile in meno di una notte? >> domandò William.

 

L’uomo tacque un istante, poi rispose: << Una notte? E’ poco, forse troppo poco… Ma non per me. Se sai già che colore la vuoi, si può fare >>.

 

William sorrise. << Nera, naturalmente >>.

 

<< Nera, giusto… Quando vuoi portarmela? >>.

 

<< Quanto vuoi che ti paghi? >>.

 

<< Se vuoi il servizio completo, cioè verniciatura, numero di telaio, targa, libretto e persino certificato di acquisto, siamo sui cinquantamila dollari >> rispose l’uomo, << Ma parliamo di un lavoro fatto ad arte, Scorpione >>.

 

<< Facciamo così, io te ne do settanta mila, ma tu ti fai trovare pronto in qualsiasi momento >> propose William, << L’auto non la ho, ancora. Appena me la procuro, sono da te, che siano le quattro del pomeriggio o le tre di notte… Sei d’accordo? >>.

 

L’uomo ci pensò un momento. << Ok, Scorpione, affare fatto. Ti aspetto con i tuoi settanta mila dollari >>.

 

William chiuse la telefonata, e guardò fuori dalla finestra il cielo uggioso di Londra. Nonostante la polizia non si stesse affannando a cercarlo, aveva cercato di uscire di casa il meno possibile, e iniziava a innervosirsi. Quella villa, per quanto grande, cominciava a stargli stretta, e voleva di nuovo sentire addosso l’adrenalina delle gare, l’odore delle gomme sull’asfalto e il rumore dei motori… Rivoleva indietro la sua vecchia vita, la sua Black List, le sue auto e i suoi locali…

 

Prese il telefono interno di servizio, e compose il numero dello studio di Richard, dove molto probabilmente lui stava poltrendo o stava organizzando qualche incontro di criket al quale lui naturalmente non era interessato a partecipare…

 

<< Mandami qualcuna delle tue amichette >> disse, secco e quasi infastidito dal dover fare quella richiesta, << Ho bisogno di staccare >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Allora, il capito immagino arrivi prima del previsto, quindi mi perdonerete se non rispondo alle recensioni, per le quali io vi ringrazio dal più profondo del mio cuore di aspirante scrittrice.

Se devo dire qualcosa, vorrei farvi notare di nuovo la confusione di William: a tratti dice di non voler credere a quello che sta facendo Irina e sembra quasi convinto che la debba uccidere; in altri momenti sembra che invece la consideri ancora la sua Fenice… E’ un po’ confuso, il nostro Scorpione.

E poi, lo so che qualcuno di voi sperava nel più profondo angolino del proprio essere che la notte tra Irina e Dimitri passasse così “liscia”, per così dire… Lo so, lo so, ammettetelo, non fate finta che non sia così… Ma mettetevi nei panni di Irina: ormai la conoscete, no? (sto ridacchiando, in questo momento…).

Con questo vi saluto, e cercherò di darmi da fare per il prossimo cap. Buona serata!

Un bacio a tutti!

 

 

 

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Capitolo 24
*** Capitolo XXIV ***


Capitolo XXIV

Capitolo XXIV

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 10.00 – Mosca, Casa di Dimitri

 

Irina si mosse appena, sentendo qualcosa che le solleticava il braccio con insistenza e delicatezza insieme. Grugnì qualcosa nella speranza che smettesse, perché stava dormendo troppo bene per volersi svegliare, ma alla fine fu costretta a sventolare la mano, gli occhi ancora chiusi, tentando di scacciare quello scocciatore…

 

Alle orecchie le arrivò una risatina sommessa, e infastidita si decise a far smettere chiunque fosse… Si girò, sentendo qualcosa sbattere contro la sua schiena… Però, non ricordava che il suo letto fosse così stretto…

 

Spalancò le palpebre, ricordando improvvisamente tutto, e si ritrovò Yana a pochi centimetri dal viso, gli occhi che la scrutavano divertiti, la manina sul suo braccio nel tentativo di svegliarla… Si mise a sedere di scatto e la coperta che aveva addosso cadde sul pavimento senza fare nessun rumore.

 

<< Yana! >> soffiò, imbarazzata, accecata dalla luce del lampadario, << Che fai qui? >>.

 

<< Lo zio mi ha promesso che mi comprava di nuovo uno di quei dolcetti che abbiamo preso l’altra volta al centro commerciale >> rispose la bambina tutto d’un fiato, gli occhietti illuminati, << Guarda! >>. Indicò il tavolino, dove c’era un vassoio di carta con alcune paste e delle brioches che avevano l’aria di essere appena state sfornate. << Ha detto però che una la devi prendere tu… Quale vuoi? >>.

 

<< Oh… >>. Irina si passò una mano tra i capelli, ancora confusa, e guardò il vassoio, cercando di riordinare le idee, << Ehm… Prenderei un cornetto, grazie… Però prima vado a vestirmi >>.

 

Si alzò sotto lo sguardo perplesso di Yana e raggiunse camera sua, pescando dall’armadio il primo paio di jeans e una maglia che trovò, e se li infilò in fretta, un po’ indolenzita. Doveva essersi addormentata sul divano e Dimitri non l’aveva svegliata… Che figura…

 

Filò in bagno a darsi una rinfrescata, poi tornò in soggiorno, dove Yana si stava mangiando uno dei grossi pasticcini con la panna, riempiendosi la faccia di crema. Si sedette di fianco a lei, indecisa se prendere parte o meno alla colazione… L’idea di aver appena fatto la figura della scema le aveva chiuso lo stomaco.

 

<< Dov’è Dimitri? >> chiese.

 

Yana si leccò un ditino. << Di sopra… >> rispose. Poi aggiunse, con l’aria di una vecchia saggia: << Hai visto quanto è bravo mio zio? >>. Ammiccò verso le brioches.

 

A Irina venne da sorridere per il tentativo della bambina di farle piacere a tutti i costi Dimitri; le fece una carezza sulla testolina e si alzò, andando in cucina per prepararsi un caffè, che invece trovò già pronto e caldo nella macchinetta… Opera di Dimitri anche quella, oppure fortunata coincidenza?

 

Mentre sorseggiava la sua tazza calda, assaporando la brioches che Yana insisteva nel volerle far mangiare, si ritrovò a sorridere da sola come un’ebete, con addosso la sensazione che Dimitri avesse intuito che la giornata precedente non si era conclusa nel migliore dei modi, e che stesse tentando in qualche modo di tirarle su il morale… Erano troppe coincidenze, per poter essere accettabili tutte insieme, no?

 

“Se fosse così, Vilena aveva ragione… Dimitri è più buono di quando sembri”.

 

Lasciò Yana a fare piazza pulita dei dolci che rimanevano e si diresse di sopra, certa di doverlo ringraziare, che lo avesse fatto con l’intento di tirarla su o meno. Salì le scale, ma sentì qualcuno che parlava in mansarda e si fermò, sperando di non interrompere nessuno… Forse c’era Emilian, e Yana non glielo aveva detto…

 

Una volta davanti alla porta socchiusa, indecisa se tornare indietro o aspettare, si accorse che Dimitri era al telefono, e non parlava in russo. La voce gli arrivava soffocata per via della porta, ma riuscì a cogliere il suo tono irritato e innervosito, come se avesse appena avuto una discussione. Sapeva di non dover origliare, ma qualcosa la spinse a rimanere lì, immobile come una statua, per capire cosa stava succedendo e se doveva preoccuparsi… Aveva imparato che non bisognava lasciare mia nulla al caso, anche se si trattava di qualcosa di poco importante.

 

<< … Finché non si avvicina a Mosca, la questione non esiste >> stava dicendo Dimitri, anche se dal tono sembrava considerare la cosa una scocciatura, << E anche se me lo ritrovassi faccia a faccia, per me non sarebbe un problema >>. Ci fu un’interruzione. << Questo lo so già >> riprese il russo, ora arrabbiato, << Cazzo, la situazione era già abbastanza complicata così, senza che voi dell’F.B.I…. Si, lo so. No, è naturale che non glielo dica… >>.

 

Dimitri rimase nuovamente in silenzio, e Irina si rese conto di essere appoggiata alla porta, completamente concentrata sulle sue parole… Non stava parlando con Emilian, ora era chiaro: molto probabilmente si trattava di McDonall… Ma per quale motivo discuteva con lui? Era successo qualcosa?

 

Il cervello di Irina si mise a pensare a tutte le ipotesi, ma l’unica cosa che fu in grado di capire era che era accaduto qualcosa che era in grado di innervosire anche Dimitri, solitamente impassibile… Che c’entrasse Xander, in qualche modo? Il suo cuore iniziò a battere più forte al solo pensiero…

 

<< Certo che terrò gli occhi aperti >> ringhiò Dimitri, << Lo sto facendo da quando sono qui, non ho bisogno che siate voi a dirmelo… Piuttosto, siete voi che non siete in grado di farlo… >>. Il Mastino sembrò fare una risata chiaramente per niente divertita. << Certo che non glielo dirò, so benissimo cosa comporterebbe… No, farò in modo che rimanga una cosa tra noi >>.

 

Dimitri tacque, e Irina sentì il tonfo del cellulare lasciato cadere sulla panca che teneva in soffitta… Dimitri aveva appena parlato con McDonall, di qualcosa che le stavano tenendo nascosto…

 

Spalancò la porta e vide Dimitri alzare di colpo lo sguardo, senza che nei suoi occhi grigi passasse nulla, nemmeno un accenno di rabbia. Si guardarono per un momento, poi Irina chiese, secca: << Che cos’è che non devo sapere? >>.

 

Credette che Dimitri si infuriasse nell’aver scoperto che aveva origliato, ma invece rimase di ghiaccio. La guardò con indifferenza, e recuperò l’asciugamano che aveva lasciato appoggiato alla sedia vuota.

 

<< Niente che ti riguardi >> rispose.

 

<< Allora di cosa stavi parlando con McDonall? >> ribatté lei.

 

<< Di qualcosa che non ha a che fare con te >> rispose Dimitri, continuando a rimanere molto simile a una statua.

 

Ci fu un altro istante di silenzio, poi Irina disse: << Invece sono sicura che mi riguardi >>.

 

Dimitri gettò di lato i guantoni che stavano sulla panca, e sbuffò, infastidito.

 

<< Anche se ti riguarda, al momento non è importante >> rispose, << Saperlo non cambierebbe la nostra missione. Servirebbe solo a distrarti, chiaro? Quindi non fare altre domande, tanto non parlerò >>. Le gettò un’occhiata eloquente, per farla desistere il prima possibile.

 

Preoccupata, Irina lo fissò. Doveva ammettere che la spiegazione al suo silenzio sulla faccenda la tranquillizzava un pochino: se aveva imparato a conoscerlo, Dimitri non si sarebbe fatto scrupoli a parlare, se fosse necessario. Se riteneva che non dovesse sapere, doveva esserci un motivo importante… Però lei continuava a essere preoccupata, e rimanere totalmente all’oscuro non l’avrebbe aiutata…

 

<< Voglio solo sapere se è successo qualcosa a qualcuno >> disse.

 

Dimitri fece un sorrisetto, come a dire “Sei sempre la solita”. << No, non è successo niente a nessuno >> rispose, << Tutti quelli che conosci stanno bene e non hanno alcun problema… E nemmeno noi, per il momento >>.

 

Irina si tranquillizzò. Se non glielo voleva dire, forse aveva un buon motivo per farlo… Era quello che voleva pensare. Magari riguardava solo lui e basta, e non poteva impicciarsi degli affari suoi…

 

<< Ok… >> sussurrò, << Spero solo che se sarà il caso, me lo dirai >>. Sorrise e indicò di sotto. << Grazie per la colazione… Anche da parte di Yana >>. Cambiare argomento poteva aiutarla ad accettare quella scelta di escluderla dalla faccenda, qualunque fosse.

 

Dimitri non si scompose, anche se era appena stata messa allo scoperto una sua parte gentile, che naturalmente voleva nascondere. << Non sai quanto possa essere insistente, certe volte… >> borbottò, come se quello giustificasse tutto.

 

Irina sorrise e si sedette di fianco a lui sulla panca, ormai abituata alla sua presenza ma soprattutto al suo carattere. Era ombroso, freddo, a volte scontroso, ma in fondo era buono, e lei aveva imparato ad apprezzarlo.

 

<< Hai mandato tu Yana a svegliarmi, per risparmiarmi l’ennesima figuraccia? >> chiese, quasi ridendo al ricordo di essere crollata sul divano molto probabilmente in una posizione ridicola.

 

Dimitri non sembrò capire, poi scosse il capo. Una delle ultime gocce di sudore rimaste dopo essere stato interrotto durante il suo allenamento gli scivolò lungo la nuca.

 

<< No. Veramente… Le avevo detto di non svegliarti >> rispose; poi aggiunse, un sopracciglio leggermente inarcato, << Saremmo stati in pace ancora per un po’… >>.

 

Le sue labbra si arricciarono in un sorriso, e Irina capì che la stava prendendo in giro. Sorrise a sua volta, ripensando a ciò che sua nipote aveva detto di lui.

 

<< Yana ha ragione: sei un bravo zio >> disse.

 

<< Non ci vuole molto >> ribatté Dimitri, ora di nuovo serio, << Una colazione a letto, e sono contenti tutti >>. Sembrava davvero convinto di non aver fatto chissà cosa, o forse voleva solo sminuire la portata del suo comportamento, come a dire che non sarebbe stata certo la regola…

 

Irina annuì e guardò il sacco da boxe appeso al soffitto, pensierosa. Sì, ci voleva poco a farla felice, l’unico che non lo capiva era Xander… Credeva che per il suo bene dovesse proteggerla da tutto e da tutti, tenerla in una campana di vetro come qualcosa che poteva facilmente rompersi… Forse una volta era stato così, quando si erano incontrati, quando era ancora prigioniera dei suoi stessi errori, ma adesso… Adesso non lo era più, adesso si sentiva abbastanza forte da non aver più bisogno di una stampella a cui appoggiarsi… Non voleva essere isolata in nome di una sofferenza che aveva patito…

 

Ma era chiaro, per Xander sarebbe sempre rimasta la ragazzina vittima di se stessa, incapace di guardarsi da sola, ancora prigioniera del suo passato, delle sue cicatrici… Per lui era quello, e si era preso l’impegno di salvarla, sempre e comunque, dovunque fosse stata. E forse ora sentiva il peso di quella sorta di promessa che aveva fatto a stesso, sentiva di essere legato a lei da qualcosa che non era solo amore… Forse era stanco di farle da spalla, di essere il suo angelo custode; lei non glielo aveva mai chiesto, e non voleva che lo fosse… Lo amava per quello che era, non percgè l’aveva salvata o perché continuava a salvarla…

 

Sapeva di essere cambiata, ma era qualcosa di sottile: era cambiato il suo modo di vivere e vedere le cose, di affrontare le paure… Ma rimaneva comunque la stessa, perché aveva sempre saputo di avere due facce: Irina e Fenice, che si nascondevano l’una dall’altra… Xander, invece, era cambiato con lei. Forse, con quella missione, si era reso conto che qualcosa nel loro rapporto non andava, che c’era una parte di lei non gli piaceva più… Qualcosa di nuovo che non accettava, perché lui la voleva uguale a come l’aveva conosciuta…

 

“Non si sente più libero, questa è la verità. Prima partiva, stava via qualche mese a rischiare la vita da qualche parte, e poi tornava, trovandomi pronta ad accoglierlo e con il desiderio di farmi stringere tra le sue braccia… Forse era la lontananza a rinnovare ogni volta i suoi sentimenti… Adesso non ci riesce più. La sua bambola non è più una bambola, e non è quello che vuole… Forse, forse sa meglio di me dove ci porterà tutta questa storia”.

 

Si alzò di scatto, riuscendo a fermare il corso dei suoi pensieri prima che la portassero in posti poco graditi. Fissò il sacco da boxe appeso al centro della stanza, sicura che doveva smettere di pensare, altrimenti si sarebbe ferita da sola…

 

<< Ok, insegnami a dare due pugni >> disse, stampandosi in faccia un sorriso finto nella speranza di non dare a vedere che era triste e preoccupata.

 

Dimitri la guardò inarcando un sopracciglio, come a valutare se ci fosse ancora con la testa. Sicuramente non aveva voglia di insegnarle, e doveva anche pensare che non fosse nemmeno in grado di imparare…

 

Infatti si alzò e le diede le spalle, iniziando a frugare dentro la panca senza rispondere. Alla fine si girò e le lanciò un paio di guantoni un po’ più piccoli dei suoi, e disse solo: << Mettiteli >>.

 

Irina li afferrò e sorrise. Il grande pregio di Dimitri era che non faceva domande, che non giudicava mai, anche in quel caso. Forse aveva intuito che il suo fosse solo un modo per distogliere i pensieri da Xander, o forse più semplicemente non voleva davvero sapere perché lo facesse, ma le fu grata per averle risparmiato una spiegazione.

 

Infilò i guantoni, senza curarsi del fatto che potesse sembrare o meno ridicola, e guardò Dimitri mentre faceva altrettanto.

 

<< In effetti, potrebbe tornarti utile, saper dare qualche pugno, visto il tuo talento nel cacciarti nei guai… >> commentò, gettandole una rapida occhiata.

 

<< Sì, potrebbe tornarmi utile >> disse Irina, << Ma per picchiare Xander quando mi fa arrabbiare… >>.

 

Riuscì a strappare un sorriso a Dimitri, che fece ondeggiare il sacco e lo colpì con un pugno secco, che avrebbe spezzato qualche osso a chiunque. Irina non si fece spaventare e gli fece cenno di farsi avanti.

 

<< Prima è meglio che ti insegni come si colpisce… >> commentò lui, a bassa voce, << Non voglio che tu riesca a farti male anche da sola… >>.

 

Se fino a un mese prima Irina non aveva nemmeno immaginato di potersi trovare davanti a un russo a tirare pugni a un sacco pieno di sabbia, ora scoprì che la cosa le piaceva. Forse era il fatto di fare un’enorme fatica, oppure semplicemente di essere concentrata su un unico obiettivo, ma lo trovò davvero… “rilassante”. Nel giro di mezz’ora scaricò tutta la tensione che aveva accumulato nell’ultimo periodo, e capì perché a Dimitri piacesse così tanto. Svuotava la mente e non faceva pensare ad altro.

 

A un certo punto arrivò Yana, che era rimasta di sotto fino a quel momento e aveva deciso di venire a curiosare. La faccia che fece strappò a Irina una risata difficile da nascondere, perché rimase di sasso di fronte a lei che cercava, davvero con scarsi risultati, di picchiare Dimitri, il suo adorato zio… Che per sua fortuna schivava i colpi, ma evitava anche di contrattaccare per non doverla portare dritta in ospedale con una commozione cerebrale…

 

<< Davvero, Irina, sei veramente negata >> disse alla fine lui, anche se sembrava divertito, << Non hai un briciolo di forza in quelle braccia… >>.

 

Irina si guardò i bicipiti e fece finta di gonfiarli con aria da dura, e Yana scoppiò a ridere. Dimitri le rivolse un’occhiata perplessa, come se la prendesse per matta, ma poi si aprì in un sorriso anche lui, e inspiegabilmente Irina si ritrovò a pensare che forse era quello il regalo più bello che potesse farle in quella giornata… Doveva meritarlo davvero, perché Dimitri non dava mai niente per scontato.

 

E a quel punto si chiese se forse le cose stavano cambiando, in tutti i sensi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 21.00 – Londra, Casa di Richard

 

<< Quindi vuoi partire… >> disse Daniel, guardando William seduto sulla poltrona, la tv del soggiorno accesa senza che lui vi prestasse attenzione. Oltre le finestre, cadeva una pioggerellina leggera che si accordava bene con l’atmosfera rilassata della serata.

 

Lo Scorpione appoggiò i piedi sul tavolino. << Appena possibile >> rispose, << Sono stanco di stare qui senza fare niente… E in Russia potrei trovare il modo di riformare la Black List >>.

 

Daniel lo guardò. << Hai qualche amico da quelle parti? >> chiese.

 

<< Un amico no >> rispose William, ghignando, << Ma un possibile alleato sì… Lo chiamano Lince, da quelle parti, ed è qualcuno che potrebbe darmi l’aiuto di cui ho bisogno… >>.

 

<< Lince? >> fece Daniel, dubbioso, << Che nome è Lince? E’ un soprannome? >>.

 

<< Certo che lo è >> ribatté William, << Se si sapesse chi è veramente, non rimarrebbe vivo per più una giornata… >>.

 

<< E tu lo conosci? >>. Daniel sembrava molto interessato, ora.

 

William ghignò, ricordando i loro vari incontri. Certo che lo conosceva, avevano concluso un sacco di affari piuttosto interessanti… Ricordava anche che la Lince aveva mostrato un certa curiosità verso la Black List, e sembrava desiderare fare un giro dalle loro parti… Ma era passato del tempo, molto tempo, e le cose in Russia potevano essere cambiate… Sperava, almeno in quello, di avere fortuna.

 

<< Lo conosco, lo conosco >> disse, muovendo leggermente il capo, << Ma non vengo certo a dire a te di chi si tratta… >>.

 

Daniel assunse un’espressione infastidita, ma non proseguì oltre.

 

<< Hai trovato l’auto che ti avevo chiesto? >> aggiunse poi William, secco. Se voleva partire presto, doveva avere la macchina che gli serviva.

 

<< Non è facile trovare una Bugatti Veyron, nemmeno in questo covo di ricconi >> rispose Daniel, infastidito, << L’unico che sembra averla è quel Karl, ma non so se sia una buona idea mirare alla sua… >>.

 

Già, forse non poteva rubargli la macchina… Quel tizio poteva tornargli ancora utile, più avanti, non poteva farselo nemico. Gli aveva fornito la succosa notizia di Irina a Mosca, e grazie a lui aveva capito che la prima cosa che voleva fare era andare in Russia…

 

<< Vedi se trovi comunque qualcosa di abbastanza potente che possa fare al caso mio >> disse alla fine, ma non era felice di accontentarsi… Di solito non lo faceva.

 

Richard entrò in quel momento nella stanza, vestito di tutto punto e con l’espressione soddisfatta. Li guardò per un momento poi disse: << Karl ci ha invitati da lui… Se volete venire, siete i benvenuti >>.

 

William gli rivolse un’occhiata poco convinta: non lo allettava passare una serata in mezzo a quegli inglesi impomatati dall’aria snob, anche se avrebbero parlato di auto e corse clandestine… Oltretutto, non credeva che potesse tornargli utile stringere amicizia con loro.

 

<< In che locale? >> domandò, per capire se ne valeva la pena. In quel caso poteva bersi qualche drink in santa pace…

 

<< Nessun locale >> rispose Richard, << Andiamo da lui… Come sempre organizza un torneo di poker per una cerchia ristretta di amici… Niente di grosso, è solo per passare una serata che altrimenti rimarrebbe vuota >>.

 

Daniel gli gettò un’occhiata interessata.

 

<< Io ci vado >> disse, convinto.

 

William rivalutò l’opzione e decise di rischiare e uscire un po’, visto che ormai quelle quattro mura rischiavano di soffocarlo. Non amava particolarmente il gioco d’azzardo, ma poteva sempre fare una partita a poker e distrarsi un po’.

 

<< D’accordo, vengo anche io >>.

 

Si alzò e recuperò il suo pacchetto di sigarette semivuoto e lì seguì in silenzio, sperando che quegli inglesi non fossero tutti come Karl: per quanto gli fosse risultato utile, non gli piaceva. Lo trovava troppo “amicone”, quando in realtà si erano visti solo un paio di volte, e non gli era di suo gusto. Preferiva mantenere le distanze, con quel tipo.

 

Presero la Bentley, che decise di guidare personalmente e approfittare dell’uscita, e raggiunsero la casa di Karl, una villa non molto lontana da lì, in stile gotico e dall’aria vagamente sinistra. Una grande fontana circolare li attendeva davanti all’ingresso, con al centro la statua di un angelo nero… Sotto la pioggia sembrava stranamente viscida e minacciosa. Quel tizio aveva buon gusto in fatto di auto, ma non sembrava altrettanto per quando riguardava l’arredamento… William arricciò il labbro, pensando alla sua vecchia e stupenda casa a Los Angeles.

 

Nel piazzale erano parcheggiate in bella mostra diverse auto di lusso: un paio di Ferrari, una Lamborghini e una Aston Martin, tutte l’una di fianco all’altra. William parcheggiò la Bentley vicino alla Ferrari F430 rossa e scese insieme agli altri.

 

Una volta all’ingresso, vennero accolti da Karl in persona, che con voce gioviale li invitò a entrare. Come aveva immaginato William, l’interno della casa era sinistro quanto l’esterno, e per un momento ebbe la sensazione di trovarsi in una vecchia casa di fantasmi: gli arredamenti erano tutti in legno scurissimo, e c’erano decine di soprammobili in stile dark che gli ricordavano quelli che si vedevano nei templi abbandonati… Candelabri, strani monili d’argento e pietra, diversi diffusori per l’incenso occupavano lo spazio sopra il camino e i vari mobili vicino alle pareti, dando a tutto l’aria di qualcosa di vecchio e malsano.

 

 

<< Venite, sedetevi pure in soggiorno >> disse Karl, facendogli strada lungo il corridoio, << Vi stavamo aspettando per cominciare… Giochi a poker, Scorpione? >>.

 

<< Dipende da quanto partono le scommesse… >> rispose lui, evasivo. Non poteva giocarsi tutti i soldi che gli rimanevano e che gli sarebbero serviti nei giorni a venire…

 

“Fino a due anni fa non mi sarei mai preoccupato di una cosa del genere…” pensò con amarezza, rendendosi improvvisamente conto di quanto le cose fossero cambiate.

 

Karl ridacchiò. << Mille dollari a puntata >> rispose, << E quando vuoi puoi ritirati >>.

 

Daniel gli rivolse un’occhiata, come a dire: “ma io non ho mille dollari!”.

 

<< Cosa ti aspettavi, che si giocassero le caramelle? >> fece lo Scorpione, infastidito.

 

Il soggiorno era leggermente più luminoso del resto della casa, ed era stato approntato un tavolo rotondo con un panno verde per giocare a carte. Intorno c’erano seduti quattro inglesi dall’aria aristocratica, che sembravano avere la puzza sotto il naso. William capì che sarebbe stata una serata molto più noiosa di quanto avesse previsto, e si preparò a fare qualche partita a pocker con il solo scopo di non perdere tutti i suoi soldi. I quattro tizi gli vennero presentati, ma colse a malapena i loro nomi, visto che lo scarso interesse che provava nei loro confronti, e non si prese la briga di ricordarli. Si accomodò al tavolo, mentre Daniel, a corto di fondi, si sedette su una poltrona con aria offesa, e attese che gli venissero date le carte.

 

L’unico diversivo della serata fu l’ingresso di quella che doveva essere la cameriera con un vassoio di liquori e una gonna un po’ troppo corta per essere quella di una donna di solo servizio. Era una ragazza piuttosto carina, dai capelli biondi e l’espressione piuttosto smaliziata… Fu la prima cosa che William notò, e fece in modo di incontrare il suo sguardo alla prima occasione.

 

La ragazza tornò un paio di volte per riempire i bicchieri, e lo Scorpione giunse alla conclusione che, tra la partita a poker con quei manichini inglesi e la possibilità di guadagnare una sveltina con quella cameriera, preferiva la seconda prospettiva… Non tanto perché era carina, visto che l’avrebbe definita “accettabile” per i suoi standard, piuttosto perché gli avrebbe movimentato un po’ la serata, che era davvero monotona.

 

Quando si accorse che anche la cameriera sembrava ricambiare il suo interesse, decise di chiudere la partita e cambiare passatempo. Gli aveva lanciato un’occhiata languida, come se anche lei trovasse noiosa quella serata.

 

<< Io mi fermo >> disse alla fine, dopo aver perso fortunatamente solo duemila dollari. Gli inglesi gli rivolsero un’occhiata sprezzante, come se lo considerassero un pezzente… Li ignorò e chiese dove fosse il bagno, tutta una scusa per incrociare di nuovo la cameriera. Daniel doveva aver intuito le sue intenzioni, perché gli rivolse un sorrisetto complice.

 

Tornò nel corridoio e lo percorse fino in fondo, per ritrovarsi davanti a una scala che portava di sopra. Ebbe la tentazione di salire, poi tornò indietro di qualche passo e trovò la porta della cucina…

 

La cameriera era china e stava frugando dentro un mobile della cucina, forse in cerca di qualche stoviglia, e William rimase a fissare il suo fondoschiena, anche se incredibilmente il suo pensiero finì su un’altra persona che stava a decine di migliaia di chilometri di distanza… Scosse il capo, cercando di non distrarsi con altre ragazze che non fosse quella che aveva a disposizione.

 

<< Sei sprecata a fare la cameriera di un vecchio come Karl >> disse, giocando l’arma della lusinga. Anche se aveva la netta sensazione che quella tipa non avrebbe fatto troppo la difficile.

 

La ragazza si immobilizzò di colpo, e rimase per qualche secondo di spalle. Poi si voltò e lo guardò con un sorrisetto ironico.

 

<< In effetti, il mio capo ha prestazioni piuttosto deludenti >> ribatté, maliziosa.

 

William entrò nella cucina e la squadrò da capo a piedi, senza che lei avesse alcuna reazione. Ci sarebbe stata, era chiaro, glielo leggeva in faccia.

 

<< Sei qui perché vuoi qualcos’altro da bere? >> chiese lei, tranquilla.

 

<< No >>.

 

Lei scoppiò a ridere, perché chiaramente aveva capito cosa aveva in mente. Gli si avvicinò con aria dolce e gli passò un dito sul mento, sensuale.

 

“Mi piacciono quando prendono l’iniziativa…”.

 

<< Mi dicono che sei appena scappato dal carcere… >> sussurrò lei, << Deve essere dura, senza nessuna ragazza… >>.

 

William sorrise. Non gli interessava il suo nome, né quanti anni avesse, né da dove venisse: voleva solo ottenere in fretta quello che voleva, ed era disposto a stare al gioco. Gli serviva solo come passatempo, come distrazione, e non se ne vergognava… Non si vergognava di dire che il sesso gli era mancato, e non si vergognava di ammettere che stava solo per usarla.

 

<< Non sai quanto… >> disse.

 

Lo sguardo gli cadde sul collo della ragazza, per poi scendere superando il ciondolo a forma di cuore che le brillava sul petto… Aveva un buon profumo, stranamente dolce per una tipa come lei… Anche se non era bella come le altre con cui era stato, era pur sempre una donna.

 

Qualcosa però lo spinse a tornare su, a fissare il gioiello. Era strano, sembrava molto più pesante di un semplice ciondolo d’argento… La collana era tesa, tirata fino in fondo, con il ciondolo che sfiorava il solco tra i seni…

 

William aggrottò per un momento le sopracciglia, mentre qualcosa nella tua testa iniziava a lavorare… Da quando era uscito dal carcere, aveva imparato a fare attenzione a ogni dettaglio, perché dietro il più piccolo errore poteva nascondersi una trappola che l’avrebbe riportato in carcere… E in quella collana c’era qualcosa di strano, se lo sentiva.

 

<< Sai, credo che quei vecchi bacucchi saranno occupati ancora però un po’, di là… >> sussurrò la ragazza, attirandolo verso di sé.

 

William lasciò che lo baciasse, trovando stranamente disgustose quelle labbra che all’apparenza gli erano sembrate morbide e setose… La spinse verso il tavolo, le mani sui suoi fianchi, cercando quello che aveva intuito potesse esserci sotto i suoi vestiti… La ragazza per un momento tentò di prendergli i polsi…

 

Poi le sentì, dure e fredde sotto la camicetta…

 

Manette.

 

La ragazza non diede segno di essersi accorta che lui avesse capito, perché ora gli stringeva i polsi portandoli verso il suo ventre, per invitarlo a stenderla sul tavolo… Lui lo fece, con la testa che lavorava a mille, cercando di capire cosa potesse significare tutto quello… Una volta sopra di lei, però, si fermò. La guardò in faccia, capendo perché c’era qualcosa in lei che non gli piaceva… Le afferrò le mani e sorrise, impedendole di muoversi.

 

<< Che cos’hai nascosto lì sotto? >> chiese.

 

La poliziotta sorrise maliziosa, credendo che lui si riferisse a qualcosa che faceva parte del suo corpo… Quello per cui erano finiti su quel tavolo…

 

<< Se vuoi te lo faccio vedere… >> sussurrò in risposta.

 

William portò la sua faccia a dieci centimetri dalla sua, poi mormorò: << Credevi di fregarmi, poliziotta? >>.

 

La ragazza impietrì di colpo, e rimase immobile a fissarlo. William sorrise sentendo che il suo cuore accelerava per la paura. Sapeva che aveva capito in che guai si trovava ora, che aveva miseramente fallito il tentativo di fregarlo…

 

Poteva approfittarne, poteva continuare lo stesso senza che lei volesse, poteva farle quello che aveva fatto a Irina, ma qualcosa lo bloccava. O meglio, qualcosa non scattava nella sua testa, come succedeva con la sua Fenice. Anzi, forse ora quella ragazza lo disgustava pure, aveva perso qualsiasi attrattiva… Non la voleva, non gli interessava il suo corpo…

 

<< La casa è circondata >> disse lei, come se quello bastasse a difenderla, << Non puoi scappare >>.

 

La ragazza si divincolò, cercando forse di tirare fuori una pistola, ma William la tenne stretta e le sfilò le manette da sotto la camicia. Gli ci volle un attimo per legarla alla gamba del tavolo, senza curarsi di farla cadere a terra. Improvvisamente sentì la rabbia montargli addosso, rendendolo freddo e cinico come quando si infuriava in quel modo. Tirò fuori la sua pistola e la guardò, gelido.

 

Chiunque l’avesse mandata, di sicuro dietro c’era l’F.B.I., e di sicuro lei era in contatto con loro. Si abbassò e le strappò di dosso il ciondolo… Lo girò ed ebbe la conferma che si trattava di un microfono.

 

Si rese improvvisamente conto che gli sbirri avevano seguito le sue mosse, che avevano aspettato prima di tendergli una trappola, e poi lo avevano fatto sfruttando una sua debolezza, la stessa che lo aveva fatto rinchiudere la prima volta…

 

Andò su tutte le furie, e imprecò ad alta voce, facendo qualche passo per la stanza, mentre la ragazza si divincolava cercando invano di liberarsi. Come avevano osato cercare di catturarlo in quel modo?

 

Si sentiva ridicolo, e questo lo mandava ancora di più in bestia. Non si sarebbe fatto prendere, mai e poi mai… Non in quel modo stupido.

 

Strinse il microfono nella mano e guardò la ragazza, che tremava. La odiava per quello che aveva cercato di fare, e non sarebbe mai più dovuto accadere. Non gli interessava che fosse una donna, che fosse legata e indifesa… Aveva cercato di fregarlo in un modo che lui riteneva subdolo e inaccettabile, e doveva dimostrare che nessun’altro poteva azzardarsi a farlo.

 

Tolse la sicura alla pistola e contemporaneamente portò il microfono vicino alla bocca. Gli occhi della poliziotta si spalancarono, mentre puntava la pistola su di lei.

 

<< Non mi avrete mai vivo. Questa è una promessa >>.

 

Poi sparò.

 

Il rumore secco dello sparo riverberò per qualche istante nella stanza, che poi cadde nel più assoluto silenzio. William abbassò la mano con la pistola e non indugiò nemmeno per un momento sul cadavere della ragazza, perché mai come in quel momento non gli era importato di chi era stata la sua vittima… Doveva scappare il più in fretta possibile, e non si sarebbe fermato a pensare.

 

Gettò il ciondolo a terra e corse fuori dalla stanza, chiedendosi se quella fosse una trappola messa in atto con l’aiuto di Karl oppure se lui non centrava niente… Non poteva essere tutta una coincidenza il fatto che gli sbirri avessero organizzato la sua cattura proprio quando lui usciva per la prima volta da diversi giorni… Forse centrava anche Richard… Ormai non si sarebbe sorpreso più di nulla, visto quello che gli era successo.

 

Tolse la sicura alla pistola e fece irruzione nel soggiorno, pronto a trovarsi di fronte una emzza dozzina di poliziotti. Invece per fortuna gli inglesi stavano ancora giocando a carte, tranquilli; solo Karl diede segno di irrequietezza.

 

William lo fissò per un momento, e gli ci volle un secondo per capire che c’era di mezzo anche lui… Li aveva fregati tutti quanti.

 

Un altro proiettile partì dalla sua pistola, e si conficcò nel pezzo dell’inglese, facendolo stramazzare al suolo, privo di vita. Nessuno si mosse, nessuno osò rispondere al fuoco, e William digrignò i denti, infuriato.

 

<< La casa è circondata dagli sbirri! Andiamocene! >>.

 

Richard scattò in piedi, Daniel anche, mentre gli altri quattro rimasero impietriti. Uno di loro corse alla finestra, dove baluginarono i lampeggianti delle volanti…

 

<< Cazzo! >>.

 

Richard andò dritto verso una cassapanca all’angolo del soggiorno, scavalcando rapidamente il cadavere di Karl, e la spalancò, rivelando una dozzina di pistole. Le lanciò rapidamente a tutti, poi chiese: << Cosa è successo? >>.

 

<< La cameriera era una poliziotta >> rispose William, << E Karl era con loro >>.

 

Guardò Daniel, e aggiunse: << Dobbiamo andarcene. Saranno dentro in un paio di minuti >>.

 

Doveva raggiungere l’auto parcheggiata fuori, ma con una rapida occhiata al piazzale si rese conto che era impossibile. Le auto della polizia erano fuori, a presidiarli, ed erano molto più armati di lui.

 

Dove procurarsi un’altra macchina senza dover uscire fuori?

 

<< Dov’è il garage? >> domandò.

 

<< In fondo al corridoio, prendi le scale che scendono di sotto… >> rispose Richard, << Cosa vuoi fare? >>.

 

William strinse la pistola. << Pensare a me stesso >> rispose.

 

Sotto c’era la Bugatti, e la Bugatti aveva solo due posti… O Daniel, o Richard.

 

<< Daniel, con me! >> gridò, mentre il ragazzo lo raggiungeva. << Grazie dell’ospitalità >> aggiunse, rivolto all’inglese, << Ma non sono tanto sicuro che tu non centri nulla, con questa storia… E in ogni caso, hai abbastanza soldi per pagarti la cauzione >>.

 

Uscì nel corridoio, lasciando Richard e gli inglesi al loro destino, e seguito a ruota da Daniel raggiunse la scale. In quello stesso istante la porta dell’ingresso venne sfondata, e tre poliziotti fecero irruzione, la pistola in pugno.

 

<< Fermi! Mani in alto! >>.

 

La dita di William premettero il grilletto senza nemmeno prendere la mira, e forse fu solo la determinazione a fare in modo che colpisse il braccio di uno degli uomini, facendolo a cadere a terra. Afferrò Daniel per un braccio e prese le scale che portavano di sotto, sentendo i proiettili fischiare a pochi centimetri da lui…

 

<< Challagher, fermati e non ti spareremo! >>. La voce di un poliziotto gli arrivò dritta nelle orecchie, ma lui la ignorò. Sentì i passi rimbombare lungo la tromba delle scale, il trambusto degli sbirri che li inseguivano…

 

Si ritrovarono davanti una porta, e lui la spalancò, fiondandosi dentro. Il garage era piccolo e scarsamente illuminato, ma vide subito cosa gli interessava, quello che poteva aiutarlo nella fuga…

 

La Bugatti Veyron era parcheggiata in fondo, dopo due Bentley dall’aria trascurata, aspettando solo lui.

 

Spinse Daniel in avanti, gettando un’occhiata indetro.

 

<< Cerca le chiavi della Bugatti! >> ordinò, piazzandosi dietro una delle due Bentley.

 

Un proiettile si conficcò nel vetro della macchina, sparato da uno dei poliziotti fermi sull’uscio. Rispose al fuoco, facendosi scudo con la carrozzeria dell’auto, mirando alla testa.

 

Uno dei poliziotti venne colpito in fronte, e stramazzò addosso a quelli dietro di lui, che furono costretti a spostarlo. William continuò a sparare, finché non finì i proiettili. Gettò di lato la pistola e tirò fuori l’altra, riprendendo il fuoco.

 

<< Trovate! >> gridò Daniel.

 

I vetri della Bentley esplosero in mille pezzi proprio in quel momento, e William si coprì la faccia con il braccio. Schegge di vetro gli penetrarono nella carne, dandogli però una scarica di adrenalina che lo spinse a infilarsi dentro la Bugatti, ora aperta, sfidando il fuoco degli sbirri…

 

Si sedette al posto di guida, mentre Daniel si catapultava dall’altra parte. Girò le chiavi dentro il quadro e premette l’acceleratore…

 

Uno dei proiettili infranse il vetro posteriore della Veyron, mentre dallo specchietto retrovisore vedeva gli sbirri entrare nel garage e mirare alle gomme…

 

Scartò di lato, imboccando la rampa che portava di sopra, il braccio dolorante per via delle schegge…

 

La Bugatti risalì senza esitazioni, portandoli nel giardino invaso dalle auto della polizia… Decine, ovunque, con i poliziotti pronti a fare fuoco su di lui, pronti a fermarlo…

 

Gli occhi di William si fissarono sul cancello in ferro battuto che li separava dalla strada, senza vedere tutto il resto… Era lì che doveva andare, se voleva sperare di rimanere libero…

 

<< Ci spareranno addosso! >> gridò Daniel.

 

Se quello era il prezzo da pagare per mantenere la sua libertà, avrebbe pagato, avrebbe rischiato. Non sarebbe tornato in cella, mai…

 

Il piede di William affondò sull’acceleratore, le ruote che pattinavano sull’asfalto umido, l’adrenalina che gli si riversava nelle vene… Rischio o no, lui sarebbe rimasto libero.

 

La Bugatti schizzò in avanti, dritta, senza esitazioni, il rombo del motore un ruggito selvaggio, mentre gli sbirri aprivano il fuoco, i proiettili che si conficcavano nella carrozzeria e lui guardava solo dritto, senza vedere altro che quella strada che lo avrebbe reso di nuovo libero…

 

Con un rumore metallico, la Bugatti sfondò il cancello, accartocciandolo su se stesso e lo scaraventò in avanti, aprendosi la via di fuga a forza, come un toro imbizzarrito… Il vetro anteriore dell’auto si crepò per l’impatto, mentre la cancellata di ferro volava lontano, con un clangore assordante, atterrando in mezzo alla strada bagnata e illuminata dai lampioni…

 

William strinse il volante, Daniel gridò, e la Veyron sbandò di lato, quasi senza controllo… Le ruote scivolarono sull’asfalto umido, poi la Bugatti tornò dritta e William infilò la strada rapidissima, senza esitazioni, con il cuore che batteva all’impazzata e un ghigno dipinto sul volto…

 

“Non mi avranno mai. E’ una promessa”.

 

Affondò il piede sull’acceleratore, e guardò nello specchietto retrovisore: la sua fuga era stata troppo spettacolare per dare il tempo agli sbirri di capire quello che stava succedendo… Non sarebbero riusciti a prenderlo, questa volta.

 

Quando la prima volante si gettò al suo inseguimento, lui ormai era già sparito.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quattro anni e mezzo prima – Los Angeles

 

La casa di Dominic è la classica villetta dimessa e poco appariscente della periferia di Los Angeles, trascurata in alcuni punti e per niente lussuosa. Il garage chiuso nasconde forse la vecchia Ford Mustang del ragazzo, quella che ha usato per partecipare a qualche gara clandestina, con scarsi risultati.

 

William getta il mozzicone a terra, sul prato ingiallito, e raggiunge la porta d’ingresso, seguito da Dimitri. Non si era aspettato di più, dalla casa di Dominic, e altrettanto poco si aspettava dalla sua famiglia. Dovevano essere più o meno simili a lui, visto che tipo era.

 

<< Molto probabilmente non otterremo niente, lo sai >> disse Dimitri a bassa voce, guardando il giardino con disprezzo.

 

<< Lo so… Ma vediamo prima con chi abbiamo a che fare, poi decidiamo se prendercela con loro oppure se farci dire dove si nasconde Dominic… Sicuramente lo sanno >>.

 

William bussa alla porta, e aspetta che vengano ad aprire. E’ tranquillo; minacciare per lui non è mai stato un problema, soprattutto la gente che ha cercato di fregarlo e che gli deve dei soldi. Sa esattamente come muoversi, cosa dire e cosa fare… E la presenza di ghiaccio di Dimitri aiuta a far capire che non scherza.

 

Poco dopo, si ritrova davanti un uomo grasso, gli occhi piccoli e acquosi e l’espressione poco intelligente. Tiene in mano una bottiglia di birra, e non sembra proprio lucido, da come lo guarda.

 

<< Cosa vuoi? >> ringhia, sporgendosi in avanti.

 

William lo squadra da capo a piedi, disgustato. Ora che vede il padre di Dominic, capisce da dove il ragazzo ha preso tutte le sue abitudini. Quel tizio doveva appena essersi alzato dal letto, e la prima cosa che faceva era ubriacarsi…

 

<< Sono qui per Dominic >> risponde lo Scorpione, sprezzante.

 

<< Chi sei? >> chiede l’uomo, sputando un po’ di saliva.

 

<< William Challagher >>.

 

Al sentire pronunciare quel nome, l’uomo sbianca. Fa un passo indietro, la bottiglia ancora precariamente in mano, senza dire niente. Nonostante l’alcool, ha capito chi ha davanti. William ghigna di fronte al suo timore.

 

<< Cosa vuoi? >> domanda l’uomo, anche se la sua voce ha un’inflessione che non è dovuta alla sbronza.

 

<< Facci entrare >> dice William infastidito, mettendo piede in casa senza aspettare il suo invito. Dimitri lo segue e chiude la porta alle sue spalle. L’uomo non protesta, non ne ha il coraggio.

 

William getta un’occhiata intorno, incuriosito. La casa, come l’esterno, è povera e dimessa, ma meno trascurata. Anche se c’è molto disordine, sembra pulita, non proprio abbandonata a stessa come si era aspettato. La tv accesa in soggiorno trasmettere il telegiornale a un volume eccessivamente alto.

 

<< Chi è che rompe a quest’ora? >> sbotta qualcuno.

 

Un ragazzo sbuca nel corridoio e li fissa in cagnesco, il telecomando in mano. Anche lui non sembra riconoscerlo all’inizio, e dalla sua smorfia traspare tutto il suo fastidio per quella visita.

 

William scambia un’occhiata con Dimitri: entrambi hanno capito con chi hanno a che fare. Sono solo dei poveri idioti come Dominic, che credono di essere furbi e senza un soldo in tasca. Non per questo però lui si farà qualche scrupolo, anzi. E’ quel genere di gentaglia che odia di più.

 

<< Dominic mi deve dei soldi >> dice, secco.

 

<< Cosa? >> boccheggia Todd, il padre. Continua a tenere la bottiglia in mano, ma ha paura. Si vede dal suo sguardo.

 

<< Non lo sapevate? >> chiede lo Scorpione, guardandoli.

 

Dalla loro faccia si capisce che non sono a conoscenza del fatto che Dominic abbia avuto che a fare con lui, e molto probabilmente non sanno nemmeno quanti soldi gli avesse fregato…

 

<< Perché ti deve dei soldi? >> chiede quello che doveva essere il fratello più piccolo. Dovevano essercene altri due, ma forse non erano in casa.

 

<< Mi ha chiesto un prestito per fare delle scommesse >> spiega lo Scorpione, sempre più infastidito, << E non ho rivisto un centesimo di quello che gli ho dato… Bé, sembra che Dominic se la sia data a gambe, ora >>.

 

L’espressione che si dipinge sui volti dei due è un misto di sorpresa, incomprensione e fastidio. Si guardano un momento, come a valutare cosa avesse appena detto, poi Todd ringhia: << Allora chiedili a lui. Noi non ti diamo proprio niente >>.

 

William si produce in un sorriso sardonico, per niente colpito dalla sua reazione. << Credo non abbiate capito… Dominic è scappato perché sa che lo ammazzo, se non mi ridà i miei soldi… E io li rivoglio indietro adesso, chiaro? O da lui, o da voi >>.

 

Nel corridoio cala il silenzio. I due non sanno che dire, e continuano a rimanere in piedi, uno con la sua bottiglia di birra e l’altro con il telecomando. Gli appaiono stupidi e ridicoli, e questo lo infastidisce ancora di più.

 

William decide di rendere la sua minaccia più incisiva, e mette la mano in tasca per tirare fuori la pistola. In quello stesso istante però sente una voce provenire dal piano di sopra, leggermente soffocata.

 

<< Cosa succede? >>.

 

Sembra quella di una donna. Un secondo dopo, in cima alle scale, compare una ragazza giovane, che di sicuro non ha più di vent’anni, i capelli lunghi e morbidi di un bel castano lucente e gli occhi da cerbiatta fissi su di loro, l’espressione seria. Indossa un paio di jeans e una maglietta, però non riesce a nascondere il bel fisico…

 

“E’ questa da dove arriva?” pensa William, osservando incuriosito la ragazza. Non si sofferma più di tanto sul suo corpo, come fa di solito, ma salta subito al viso dai tratti morbidi… E agli occhi.

 

<< Torna in camera tua >> ordina secco Todd.

 

La ragazza scende un paio di gradini ignorando l’ordine dell’uomo, gli occhi sempre più ridotti a fessure. Il suo sguardo cade per due volte sulla pistola che tiene in mano, conscia del pericolo che rappresenta… Deve essersi sicuramente accorta che qualcosa non va.

 

<< Cosa succede, papà? >> chiede di nuovo. A quel punto è ai piedi delle scale.

 

E’ chiaro che in quel momento la persona più intelligente in quella casa è sicuramente lei; William la guarda per un momento, sicuro che se qualcuno avrebbe compreso appieno il senso della sua minaccia, quella era lei.

 

<< Dominic mi deve dei soldi >> dice, aspettandosi la stessa reazione dei due.

 

Stranamente la ragazza sembra non provare alcun che, e guarda nuovamente la pistola che ha in mano. E’ incredibile come non mostri alcuna paura, e William ne rimane colpito. E’ calma, sembra studiarli… Come se si fosse aspettata quel genere di guai, da suo fratello.

 

<< Quanto ti deve? >> chiede.

 

William si sofferma sul volto di quella ragazza, senza riuscirne a quantificarne l’età. Sicuramente è molto giovane, ma qualcosa nella sua espressione la rende più adulta. Per un momento non è quasi sicuro di dover rispondere, ed è strano.

 

<< Un milione di dollari >>.

 

La ragazza spalanca gli occhi, forse credendo di aver capito male. Lo stesso fanno suo padre e suo fratello.

 

<< Un… Un milione di dollari? >> boccheggia la ragazza.

 

William si avvicina, guardando solo lei. Gli sembra l’unica degna di attenzione, in quella casa. Qualcosa lo spinge a guardarla più da vicino, a vedere bene la sua espressione, ora decisamente preoccupata… Ha capito, ha capito che sono nei guai, guai grossi.

 

<< Come ti chiami? >> chiede lui, fissandola dall’alto in basso.

 

<< Irina >>.

 

<< Bene, Irina, mi sembra di capire che non sapete niente di quello che ha fatto tuo fratello… >> dice William, << Forse è il caso che vi spieghi qualcosa… >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Allora, che dire ragazzi? Il nostro Dimitri inizia a sciogliersi… Lo so che non lo è, ma io per certi versi lo trovo tenero… Dai, dispiace anche a lui che a Irina le cose con Xander vadano male. Oppure non gli dispiace? Bé, qui dipende dai punti di vista… Voi cosa sperate?

Quanto a William, come avete visto è stato costretto a scappare da Londra il più in fretta possibile, ma gli è andata bene, perché è riuscito a procurarsi la tanto desiderata Veyron… Notare la freddezza con cui ha trattato la situazione.

Per il resto… I flahback hanno un senso, non li metto così. So che potrebbero risultare inutili, ora, ma sono necessari per comprendere quello che poi passerà nella testa di William più avanti. E poi potrebbe essere interessante sapere come lui e Irina si sono incontrati, no?

 

Danu: anche io adoro Dimitri… e se succederà qualcosa tra lui e Irina, bisogna aspettare un po’ più avanti. Tu che dici? Grazie per la recensione! Baci!

 

Marty89: eh, sì, Xander ha perso qualche punto… Ma questo non vuol dire che non possa recuperarli. Tutto a un  tratto Irina si trasforma, poveretto, è un po’ frastornato anche lui! Dimitri sì, al momento rappresenta il “compagno” perfetto per Irina, e la sta aiutando… Per vedere gli sviluppi, bisogna attendere però… Baci!

 

Dust_and_Diesel: figurati, non preoccuparti per le recensioni. Quando hai tempo, scrivi, se no leggi solo, tanto so che non ti perdi un cap! Tra parentesi, la differenza di età tra Irina e Xander è di cinque anni, anche se a volte sembra di più, a volte sembra di meno! Lo so, Dimitri in questo momento è l’idolo di tutti, e ha un fascino che purtroppo non lascia indifferenti… Forse nemmeno Irina? Thank you per il refuso, provvedo a correggere! Baci!

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 25
*** Capitolo XXV ***


Capitolo XXV

Capitolo XXV

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 01.00 – Londra, Carrozzeria McGraw

 

<< Ho bisogno che l’auto sia pronta nel più breve tempo possibile >> disse William, guardando la Bugatti con i vetri anteriori spaccati e la carrozzeria ammaccata, << Devo andarmene da qui entro domani mattina… Gli sbirri mi stanno cercando >>.

 

La Carrozzeria McGraw, fuori Londra, era un ampio capannone di cemento e metallo che visto da fuori sarebbe apparso più come un vecchio magazzino. In realtà, l’obiettivo era proprio quello, perché la “sede ufficiale” si trovava da tutt’altra parte. Quella serviva solo per i lavoretti sporchi che McGraw si procurava dai piloti clandestini.

 

L’uomo, un tizio grassoccio e con due grossi baffi, aveva l’aria di capirne molto di auto, anche se in quel momento appariva dubbioso. Sotto i neon la sua faccia era solcata da qualche ombra per via dell’ora: William lo aveva tirato giù dal letto senza tanti complimenti, come da patti.

 

<< Trovare i pezzi per un’auto del genere non è facile >> disse, strofinandosi il mento, << Una Veyron non si vede tutti i giorni… Però posso provare a metterla a posto. Domani mattina, dici? Uhm… >>.

 

Il meccanico si strofinò di nuovo il mento e tirò fuori un cellulare. Compose un numero, continuando a guardarlo, in attesa che dall’altra parte rispondessero.

 

<< Ti costerà più del previsto, Scorpione >> disse, agitando il dito.

 

<< Se serve a farmi fuggire, va bene >> ribatté William, << Basta che la macchina sia pronta >>.

 

Il meccanico annuì, poi dall’altra parte della linea risposero.

 

<< Jason? >> disse, << Scusa l’ora, ma abbiamo un affare da portare a termine. Mi servono pezzi di ricambio per una Bugatti Veyron… Entro due ore. Sì, lo so che costeranno… Ok, sai dove ti aspetto. Fai in fretta, il nostro cliente è piuttosto importante >>.

 

McGraw chiuse la telefonata e lo guardò nuovamente.

 

<< Avrai la tua auto per domani mattina alle sei, alle sette al massimo >> disse, << Di più non posso fare. Nel frattempo, in fondo al capannone, c’è una cucina. Puoi prenderti qualcosa da bere, se vuoi… Io inizio a occuparmi dei vetri >>.

 

William annuì, e fece cenno a Daniel di seguirlo; fino a quel momento era rimasto in silenzio alle sue spalle. Raggiunsero il fondo, dove era stata stipata una piccola cucina dall’aria vecchia e superata, con un frigorifero che emetteva strani ronzii a intermittenza e un insetto che svolazzava intorno alla lampadina appesa al soffitto. Si accomodarono al tavolo dalle sedie spaiate, e William si accese una sigaretta.

 

Sfuggire agli sbirri non era stato difficile come aveva pensato. Non erano riusciti a seguirlo, non né a intercettare il suo percorso. Una volta lasciata la villa, aveva preso una strada periferica e poi aveva imboccato l’autostrada, raggiungendo rapidamente la Carrozzeria, senza trovare intoppi lungo il percorso. L’unico posto di blocco che avevano rischiato di incrociare lo aveva evitato tagliando attraverso una via periferica che passava tra dei campi di grano.

 

Quella corsa gli era servita per provare la Bugatti, e scoprire che era l’auto che aveva sempre desiderato: rapida, velocissima, estrema, perfetta nella tenuta di strada e negli scatti… A confronto, la sua vecchia Zonda non era che una macchina per principianti. Aveva toccato la punta dei quattrocentodue chilometri orari, cosa che non era mai riuscito a fare con nessun’altra auto…

 

“Questa è la mia vendetta per essere stato tradito… Me lo sentivo che quel tizio aveva qualcosa di strano”.

 

Sicuramente Karl in quel momento stava rodendo: aveva cercato di venderlo agli sbirri, ma non ci era riuscito e in più aveva perso la sua auto da duemilioni e mezzo di dollari… Forse era il suo stipendio per la collaborazione con gli sbirri. Bé, gli era andata decisamente male, questa volta.

 

Non aveva più un cellulare, l’unico che gli era rimasto lo aveva gettato dal finestrino dell’auto in corsa lungo l’autostrada, subito dopo aver avvisato McGraw del suo arrivo, e aveva costretto Daniel a fare altrettanto. Se gli sbirri gli stavano alle calcagna, non poteva rischiare di far intercettare il suo telefono. Ma così non sapeva niente di Richard e dei suoi amici… Molto probabilmente dovevano essere stati tutti arrestati, ma contando che l’F.B.I. stava cercando lui, forse erano già fuori dopo aver sborsato una cauzione nemmeno troppo pesante…

 

<< Cosa facciamo adesso? >> chiese Daniel, che stava frugando nel frigorifero. Gli passò una birra e William la prese.

 

<< Andiamo dritti verso la Russia >> rispose lui, secco.

 

<< In auto? >> fece Daniel, dubbioso, << Ci metteremo una vita… Ci saranno, che ne so, seimila chilometri almeno! >>.

 

William stappò la bottiglia e ne buttò giù un sorso. La Russia era lontana, ma non abbastanza da fermarlo. Da quando sapeva che Irina era lì, aveva un motivo in più per andarci…

 

<< Non possiamo prendere un aereo >> ribatté seccato, << Abbiamo ancora i documenti falsi, ma non sono sicuro che possano coprirci ancora… L’F.B.I. sapeva che eravamo qui, perciò potrebbero conoscere i falsi nomi che abbiamo utilizzato. E non possiamo nemmeno aspettare di trovare un posto libero per Mosca sul primo aereo da qui… Prima lasciamo l’Inghilterra, meglio è. L’unico modo che abbiamo per farlo senza lasciare tracce è in auto… In caso di bisogno potremo anche cambiare direzione per confondere ancora di più le idee. Non si aspettano che raggiungiamo la Russia, per di più in macchina. Non credo sospettino che sappia dove si trovano Irina e Dimitri >>.

 

Daniel inarcò un sopracciglio, poco convinto.

 

<< Se lo dici tu… >> fece, << Spero solo che dopo quel viaggio, la tua ragazza ci aspetti a braccia aperte e con una casa accogliente e piena di sue amiche… Questa fuga inizia a stancarmi >>.

 

William fece una smorfia.

 

Non sapeva se Irina lo avrebbe accolto a braccia aperte, e ogni ora che passava ne era sempre meno convinto. Quella poliziotta che aveva cercato di arrestarlo gli aveva aperto gli occhi sulle donne, ricordandogli una frase di suo padre: “l’unica cosa che le donne non tradiscono è il denaro… mai fidarsi di loro”.

 

No, Irina non lo avrebbe sicuramente accolto con gioia, esattamente come non aveva amiche da presentare a Daniel. Doveva essere a Mosca per altri motivi, forse per tentare di rifarsi una vita con le corse clandestine… Era una traditrice, tutta Los Angeles e dintorni lo sapeva, e nessuno avrebbe voluto avere a che fare con lei. L’unico altro posto in cui poteva sperare di trovare piloti clandestini organizzati e forti era la Russia, e lei era andata lì.

 

Ora era davvero pronto a ucciderla. Lo avrebbe fatto davvero, questa volta. Non poteva permettersi altri errori, soprattutto ora che stava per essere fregato da una sbirra in abiti succinti… Irina non lo avrebbe fatto cadere di nuovo. Se nell’esatto momento in cui se la sarebbe trovata davanti non le avesse fornito una spiegazione plausibile, convincente e chiara, niente le avrebbe risparmiato la morte, questa volta. E lui era convinto che non sarebbe riuscita a farlo.

 

<< Non aspettarti niente, dalla Russia >> ribatté, guardando Daniel e giocando con la pistola che aveva in mano, << Non aspettarti di essere accolto a braccia aperte… Nessuno lo farà >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

<< Scorpione, la tua auto è pronta >>.

 

William si riscosse dal torpore in cui era caduto, seduto sulla dura sedia di legno, e guardò McGraw, in piedi sulla soglia, il grembiule sporco di olio e il volto distrutto. Si alzò di scatto, sentendo l’eccitazione salire, e lo seguì nel capannone.

 

<< Forse quello che sono riuscito a fare è un miracolo >> disse il meccanico, mentre i suoi passi rimbombavano nel corridoio, << Ma non credo che riuscirò mai più a fare una cosa del genere in una sola notte… >>.

 

La Bugatti Veyron lo aspettava parcheggiata al centro del capannone, nera, di un nero lucidissimo e cattivo, bassa e filante come un proiettile pronto a essere sparato. Nei paraurti davanti e dietro e nelle minigonne era stata applicata, nella parte bassa, una striscia arancione, che gli dava un’aria ancora più sportiva. I vetri erano stati sostituiti con dei cristalli oscurati, per impedire di vedere chi ci fosse dentro…

 

Al centro della presa d’aria, campeggiava la targhetta con scritto “Bugatti”, a termine del lungo cofano dalla forma aerodinamica… I fari a led accesi illuminavano il capannone a giorno, potenti quanto il suo motore da 1.001 cavalli.

 

<< E’ di tuo gradimento? >> chiese McGraw.

 

William sorrise e gli gettò un’occhiata.  << E’ perfetta >> rispose, << Ottimo lavoro >>.

 

Il meccanico si avvicinò e mostrò le strisce arancioni.

 

<< Sono adesive >> spiegò, << So che la volevi completamente nera, ma non ho potuto riverniciare anche i paraurti. Non si sarebbero asciugati in tempo, quindi sotto sono in color carbonio. Se vuoi puoi toglierle… Contribuisce a rendere la macchina meno riconoscibile, se ti seguono >>.

 

William annuì. Era una buona idea.

 

<< Hai fatto davvero un ottimo lavoro >> disse, << Mi ricorderò di te >>.

 

McGraw gli strinse la mano, facendo un cenno con il capo.

 

<< E’ stato un piacere >>.

 

William infilò la mano in tasca, ma quello che tirò fuori non furono i soldi per pagare… Fu la pistola.

 

Il suono del proiettile rimbombò nel capannone, facendo tremare i vetri e riverberando lungo i tubi che scorrevano sulle pareti. Il corpo di McGraw cadde con un tonfo sul pavimento, sotto lo sguardo di ghiaccio di William.

 

<< Mi dispiace, ma non lascerò nessuna traccia dietro di me… >> sussurrò.

 

Girò con il piede il corpo di McGraw, poi si guardò alle spalle perché Daniel entrò correndo il quel momento, svegliato dal colpo di pistola.

 

<< Ah, sei tu… >> disse lui, stancamente.

 

<< Daniel, nascondi il cadavere… Ce ne andiamo >> ordinò William, facendogli un cenno con il capo.

 

Salì sulla Bugatti e la mise in moto, inondando il capannone con il suono del suo motore spropositato. Attese che Daniel trascinasse il cadavere sotto una montagna di pezzi di ricambio e lo guardò sedersi di fianco a lui, esasperato: non doveva avergli fatto piacere aver lasciato un altro morto dietro di loro.

 

<< Da questo momento in poi, saremo due ombre >> disse lo Scorpione, << Ci fermeremo solo quando sarà necessario, quindi al momento opportuno guiderai anche tu. E soprattutto non lasceremo alcuna traccia dietro di noi. Riprenderemo a respirare solo quando saremo in Russia >>.

 

Daniel fece una smorfia.

 

<< Ok, Scorpione. Ma spero che tu abbia finito di ammazzare gente, perché sono stufo di nascondere cadaveri >> disse, << E spero soprattutto che una volta a Mosca mi pagherai una russa per una settimana intera… Non sono tanto convinto di aver fatto un affare a fuggire con te. Non mi sono ancora divertito nemmeno un po’ >>.

 

William ghignò.

 

<< Ti pagherò una russa per una settimana >> promise, << Sempre che non sia la Lince a farlo >>.

 

Affondò il piede sull’acceleratore e la Bugatti sgommò, fiondandoli fuori, diretti in Russia, la loro ultima tappa in cerca di vendetta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 22.00 – San Pietroburgo

 

Xander fissò la mappa della gara poggiata sul tavolino e scarsamente illuminata dalla luce del locale, la musica che gli arrivava soffocata alle orecchie. Nell’altra ala decine di russi si stavano divertendo in una delle solite notti di San Pietroburgo, e l’unica cosa che gli invidiava era il fatto di non avere troppi pensieri nella testa come aveva lui in quel momento.

 

<< Sono due tappe facili, tranne l’ultima >> stava dicendo Nina, languidamente appoggiata al tavolo, il corpo sinuoso fasciato in un abito nero attillato, << Dobbiamo fare attenzione, perché la tua auto è poco adatta a quel tipo di percorso… Ma non dovremo preoccuparci degli altri, non ci daranno fastidio >>.

 

Xander annuì stancamente, poco interessato. Cercò di nascondere il suo cattivo umore e domandò: << Come fai a essere sicura che non ci daranno fastidio? >>.

 

Nina sorrise scuotendo la sua morbida massa di capelli biondi.

 

<< Ti ho già detto che sono una che conta >> rispose, << Non ti preoccupare, penso io a tutto quanto… >>.

 

Xander ebbe un sospetto: Nina sembrava un po’ troppo sicura di sé, come se potesse contare dell’aiuto di qualcuno dall’alto. Era pur sempre la figlia del Primo Ministro russo, ma era troppo esperto per non sapere che in quel mondo non bastava avere un certo cognome per poter vivere tranquilli, anzi. E poi, Krarakova era uno che contava nel mondo “legale”; in quello delle corse c’era molta gente più importante di lui, in primis la Lince…

 

Il suo istinto gli suggerì che Nina nascondeva qualcosa, e quel qualcosa doveva essere quello che la rendeva tranquilla di fronte alla Mosca-Cherepova.

 

<< Non è che per caso tu sei una Referente? >> domandò Xander, secco.

 

Nina non si scompose, come se quella fosse una domanda che le veniva posta spesso. Il suo sorriso non si incrinò, e nemmeno nei suoi occhi azzurri passò un’ombra. Si abbassò al livello del suo volto, e per un istante Xander ebbe la sensazione di essere un topolino di fronte a un gatto.

 

<< No, non sono una Referente >> rispose lei, a bassa voce, << Cosa te lo fa pensare? >>.

 

<< Sei un po’ troppo sicura di te… >> disse Xander, incrociando le braccia per mettere una certa distanza tra loro. Colse uno scintillio divertito nello sguardo di Nina, che non era dovuto al bagliore soffuso delle luci del locale.

 

Nina si avvicinò. << Io sono sempre sicura di me >> ribatté, << Non dovrei esserlo? >>.

 

La ragazza sorrise. Era praticamente sdraiata sul tavolo, incurante della gente che stava agli altri tavolini, protesa verso di lui, tranquilla. Xander non se ne era nemmeno accorto, ma aveva ripiegato rapidamente la mappa, che ora stava in un angolino, in bilico…

 

<< Allora sei una Sentinella >> disse lui, e non era una domanda. Non voleva farsi distrarre dal suo atteggiamento, anche se ci era riuscita comunque.

 

Nina rise, e una ciocca di capelli ondeggiò a poca distanza da lui.

 

<< Mark, Mark, perché pensi così male di me? >> disse, e gli sfiorò il mento con la mano, << Ti sembro così cattiva? O c’è qualcosa che ti rende nervoso? >>.

 

Xander si scostò, infastidito. Certo che c’era qualcosa che non andava… C’erano un sacco di cose che non andavano. Il litigio con Irina aveva aperto uno spiraglio nel loro rapporto che non riusciva più a chiudersi, e lui stava soffrendo… Era arrabbiato, deluso, offeso e anche un po’ spaventato, e di sicuro non aveva voglia di sorridere al mondo e a tutti i suoi abitanti…

 

Nina gli si avvicinò ancora, sensuale.

 

<< Perché non chiudiamo, con questa ragazza, eh? >> fece, << Scommetto che ce ne sono un sacco di carine come lei… Anche di più, credo. Sono sicura che non faresti fatica a trovarle. E poi, se ti fa soffrire in questo modo, non dovrebbe meritarsi tutti questi scrupoli da parte tua, non credi? >>.

 

“Stronza…” pensò Xander, “Sta cercando di farmi cadere… Però non posso dire che non ha colto il problema…Come fa a saperlo?”.

 

Le rivolse un’occhiata piuttosto fredda.

 

<< Cosa pensi di saperne, tu? >> ringhiò.

 

Nina non si fece spaventare. Si mosse sul tavolo con grazia, facendogli arrivare alle narici il suo buon profumo, molto probabilmente costossissimo.

 

<< So come vanno le cose, Mark >> sussurrò, << E tu non sei il tipo da relazioni stabili… Lo vedo dai tuoi occhi. Chi sarà mai questa ragazza che ti vuole legare con un guinzaglio, eh? Nessuno può permettersi di toglierci la nostra libertà, non credi? Soprattutto chi dice di amarci… >>.

 

Nina inchiodò gli occhi azzurri nei suoi, con un ghigno sul bel volto. Era una adulatrice, una dannata manipolatrice, furba come una volpe… E amava le sfide. In quel caso, la sfida era farlo cedere.

 

<< Non è sempre come dici tu… >> sussurrò lui, nello stomaco qualcosa di pesante…

 

La ragazza si abbassò ancora di più.

 

<< Forse no… Ma quando le persone diventano un peso, perché continuare a trascinarcelo dietro? >> fece lei, << Un rapporto deve essere fatto di amore reciproco, di rispetto… E non mi sembra che lei ti stia rispettando… >>.

 

“In effetti, non mi sembra che Irina stia patendo la stessa cosa che patisco io…”.

 

“Sta solo cercando di fregarti…”.

 

Xander guardò Nina, e qualcosa nel profondo avrebbe tanto voluto fargli dire che aveva ragione… Solo la sua determinazione gli fece rimanere la lingua incollata al palato.

 

<< Che cosa vuoi da me, Nina? >> mormorò.

 

Le labbra della ragazza si inclinarono ancora in un sorriso.

 

<< Niente… >> rispose lei, << Sto solo cercando di aiutarti… Ti vedo sofferente, e non te lo meriti >>.

 

“Già, non me lo merito…”.

 

Xander scosse il capo e lo abbassò, allontanando la sua faccia da quella di Nina. Stava giocando la carta della seduzione, della lusinga… E lui poteva caderci, se voleva. Poteva lasciar perdere tutto e lasciarla vincere… Forse voleva. Voleva staccare, voleva dimenticare per un attimo di essere legato a una persona che in quel momento non provava lo stesso dolore che provava lui, che non capiva lo sforzo che aveva fatto fino a quel momento per garantirle la serenità… Voleva smettere di essere il bravo agente dell’F.B.I. e tornare per qualche ora quello che era stato prima di quella svolta, quello che se ne fregava di tutto e tutti, che non si preoccupava del dopo, del se e del ma…

 

“Non posso, non posso… Le avevo promesso che le avrei sempre detto tutto…”.

 

“Lei però non lo ha fatto… Non ha parlato dell’idea di sedurre Konstantin…”.

 

Alzò nuovamente lo sguardo su Nina, trovandola intollerabilmente bella, più bella di qualsiasi altra ragazza avesse mai visto. Perfetta, con il suo corpo sinuoso adagiato al tavolo, le sue labbra rosse e morbide, i capelli biondi, la pelle profumata… Però dentro era vuota, era insoddisfatta, come lo era stato lui ai suoi tempi. Ciò che la spingeva a voler lui, in quel momento, era il senso di sfida, la sensazione di avere uno scopo, niente di più.

 

Ma non avrebbe tradito la sua parola, non avrebbe tradito Irina. Se doveva succedere qualcosa, sarebbe accaduto solo dopo, quando avesse chiarito le cose con lei… Qualsiasi cosa fosse successa.

 

Si alzò di scatto e guardò Nina dall’alto in basso, gli occhi di ghiaccio: la trovava bellissima ma al tempo stesso la detestava, la destava con tutto stesso perché stava cercando di sedurlo, perché stava cercando di confonderlo.

 

<< Quello che passa per la mia testa sono solo problemi miei >> disse, e fece per andarsene, senza sapere che sul volto di Nina, in quel momento, si disegnò un vero e proprio sorriso di trionfo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 19.00 – Autostrada, Germania orientale

 

William strizzò gli occhi fissando la strada che scorreva davanti a loro a folle velocità, il sole calato alle loro spalle che ormai aveva lasciato spazio al buio della notte. Il cruscotto colorato di bianco della Veyron illuminava fiocamente l’abitacolo, le lancette che si muovevano appena, il navigatore satellitare che indicava la direzione da seguire, silenzioso.

 

Daniel, la cintura di sicurezza che gli segava il collo, dormiva con la bocca aperta, la faccia rivolta verso l’esterno. William aveva coperto il suo lieve russare alzando il volume della radio, ma lo trovava comunque irritante. Strinse il volante, gettò una rapida occhiata al tachimetro che segnava i duecento orari, e cercò la bottiglietta dell’acqua che aveva gettato di lato.

 

Lasciare la Gran Bretagna non era stato poi così difficile, ma al tunnel della Manica avevano rischiato di essere perquisiti dalla polizia: solo per caso fortuito, due spagnoli che guidavano una Ferrari rossa avevano attirato maggiormente l’attenzione degli sbirri, che avevano scelto loro come obiettivi.

 

Guidava ormai ininterrottamente da sei ore, e aveva i muscoli del collo e delle spalle contratti, le gambe indolenzite e gli occhi che bruciavano. Si era concesso pochissimo riposo da quando avevano abbandonato l’Inghilterra, e aveva lasciato il volante a Daniel solo una volta: sapeva guidare, ma gli era parso chiaramente in difficoltà quando era stata ora di tenere medie elevate come quelle che pretendeva lui. Per fortuna, in Germania c’erano tratti dove non c’erano limiti, e non correvano il rischio di essere fermati dalla polizia per aver superato i limiti di velocità.

 

Si passò una mano sugli occhi e si immise nella corsia di destra, rallentando la velocità. Individuò il cartello che segnalava una stazione di servizio e si preparò a scendere.

 

<< Sveglia, ci fermiamo >>.

 

Daniel scosse la testa e si stiracchiò, guardandosi intorno con aria assonnata.

 

<< Di già? >> fece, la voce impastata, << Che ore sono? >>.

 

William sbuffò e fermò la Bugatti in una zona appartata della stazione di servizio, accorgendosi che era necessario fare nuovamente rifornimento di benzina: l’alta velocità non faceva che aumentare i consumi di quella macchina.

 

<< Ho guidato per sei ore di fila, credo di potermi prendere una pausa >> rispose William, << Dopo tocca a te. Dovrebbe esserci un tratto che di solito è abbastanza trafficato, quindi ne approfitterò per riposarmi. A mezzanotte ci diamo di nuovo il cambio >>.

 

Daniel annuì. << Ok… Io ho bisogno di mangiare, tu? >>.

 

<< Andiamo a prenderci qualcosa… >>.

 

William chiuse l’auto e raggiunsero l’autogrill, dove sembravano esserci solo camionisti in sosta. Ordinarono un paio di caffè e si presero un panino; poi tornarono in auto, fecero il pieno e ripartirono, William questa volta seduto dalla parte del passeggero.

 

Non avrebbe dormito, non ci riusciva. Primo perché Daniel non sarebbe mai stato in grado di gestire da solo un imprevisto se mai ci fosse stato, e secondo perché era impaziente e non vedeva l’ora di arrivare a Mosca. La sua testa finiva sempre lì, a lei e a quello che le avrebbe fatto.

 

Mentre vedeva scorrere il guard-rail alla sua destra, le luci dei tir brillare nella notte, pensava. Pensava alla situazione in cui si trovava, di chi era la colpa, di che cosa sarebbe successo e poteva succedere. Di quanto le cose fossero diverse, ma di quanto lui in realtà non si sentisse cambiato. Di quanto odiasse Irina, ma di quanta voglia avesse di rivederla.

 

<< Sai… Forse non manterrò la promessa di farti conoscere la mia ragazza… >> disse, come se parlasse a stesso. Si mise le braccia dietro la testa, più comodo.

 

Daniel, il volante stretto tra le mani, aggrottò le sopracciglia ma non distolse lo sguardo dalla strada.

 

<< Cosa vuoi dire? >> chiese.

 

William fece un ghigno. << Lei non è mia ragazza >> rispose, tranquillo, << Non lo è mai stata >>.

 

Daniel sembrò ridacchiare. << Ah, allora qualcuno aveva ragione, in carcere… >> mormorò.

 

William si irritò, ripensando ai giorni passati chiuso in una cella. << Nessuno aveva ragione, perché nessuno sapeva come stavano veramente le cose >> ringhiò, << Non era la mia ragazza… Era mia e basta >>.

 

Daniel sembrò non capire.

 

<< Questo cosa vuol dire? >>.

 

William ghignò di nuovo: aveva voglia di parlare, di parlare di Irina, forse per mettere ordine nelle sue idee, o forse solo per vantarsi di lei. Perché anche se non era mai stata la sua ragazza, né era sempre stato orgoglioso…

 

<< Voglio dire che se la conoscerai, non potrai fare a meno di rimanerne affascinato >> rispose.

 

Se non avesse guidato, molto probabilmente Daniel si sarebbe girato a guardarlo in faccia per capire se lo stava prendendo in giro oppure no. William si mise comodo sul sedile e continuò: << Se solo volesse, potrebbe rivoltarti come un calzino, potrebbe riuscire a farti fare esattamente quello che vuole lei senza che tu te ne accorga… >>.

 

<< Questo lo avevo capito… >> disse Daniel, << Una che parte per la Russia e va a fare delle gare clandestine per liberarti deve per forza avere le palle… >>.

 

William sorrise. << Non è come pensi tu >> disse, << Te la stai immaginando nel modo sbagliato. Quando la vedrai in faccia, ti chiederai se non ti abbia veramente preso in giro… >>.

 

Stava per descriverla, per descrivere Irina com’era veramente, e non come la costringeva a essere lui: semplice, naturale, ma sempre con quella tempra che trasformava il suo sguardo… Ma poi si rese conto che Daniel non avrebbe capito, non poteva capire… Irina era un controsenso, qualcosa che sembrava conciliare gli opposti: bella e semplice, forte e debole, adulta e bambina. Doveva vederla per rendersi conto di chi fosse la ragazza che aveva incastrato lo Scorpione.

 

<< Se ti dicessi che è riuscita a farmi arrestare, cosa penseresti? >>.

 

Daniel si voltò a guardarlo per la prima volta, la bocca aperta.

 

<< Non prendermi per il culo… >> sussurrò.

 

William sorrise. << Non ti sto prendendo per il culo… E guarda la strada >>.

 

Daniel tornò a fissare lo sguardo davanti a sé, ma non sembrava credere alle sue parole.

 

<< Stai dicendo che stiamo correndo verso una traditrice? >> ringhiò, arrabbiato.

 

William sorrise.

 

<< Sì >>.

 

Per un attimo credette che Daniel fermasse l’auto e facesse inversione, senza curarsi di dove si trovavano; invece apprezzò il suo sangue freddo nel dire solamente: << Spiegati, non capisco >>.

 

<< Irina era la numero tre della Black List >> disse William, tranquillo, << Lavorava per me per pagare i debiti di suo fratello… Ma non era solo una mia pilota, era anche l’unica donna al mondo che mi abbia sbattuto in faccia il suo no secco e diretto >>.

 

<< Non ci credo… >>.

 

<< Per quale motivo credi che, oltre che per omicidio, io sia stato condannato anche per violenza sessuale? >> ribatté lo Scorpione, irritato, << L’ho violentata, e non sai quante volte. Lei era mia, la mia pilota, mi doveva un sacco di soldi, e non ha mai avuto il coraggio denunciarmi alla polizia… Lo ha fatto solo una volta, ma quando ha capito che ero troppo forte per lei, ha lasciato perdere. Era mia, nessun’altro poteva metterle gli occhi addosso, nessun’altro poteva girarle intorno senza che io lo volessi… >>.

 

Nella sua voce non c’era orgoglio, ora, c’era una profonda amarezza, dovuta all’umiliazione che aveva subito, che aveva patito e che non avrebbe mai dimenticato.

 

<< Due anni fa è arrivato uno sbirro dell’F.B.I., che si è infiltrato tra noi >> continuò, sentendo la rabbia crescere, << Si chiamava Alexander Went, e si è spacciato per un pilota clandestino… E ha incontrato lei. Sapevo tutto dall’inizio, i miei contatti mi avevano informato che Went era un poliziotto, ma l’ho lasciato fare. Avevo voglia di giocare, di vedere fin dove fosse riuscito ad arrivare… Non avevo calcolato che Irina lo aiutasse, che facesse il doppio gioco per lui… E che se ne innamorasse >>.

 

Il suo tono era di ghiaccio, gelido, ma qualcosa dentro di lui gli procurò un dolore acuto nel pronunciare quell’ultima frase. Perché Went e non lui?

 

<< Alla fine ho costretto Went a fuggire, ma quando ha scoperto chi avevo all’interno dell’F.B.I. è tornato indietro. Ho preso Irina come ostaggio, perché con lei a farmi da scudo Went non avrebbe osato fare mosse azzardate. Era cotto di lei, era pronto anche a lasciarmi fuggire… Se Dimitri non mi avesse tradito, non ci avrebbe trovati… Ho sfidato Went sull’autostrada, ma mi ha battuto >>.

 

Aveva snocciolato quegli eventi velocemente, con voce piana, senza sentimento, ma in realtà dentro ribolliva. Non avrebbe raccontato di come aveva pregato Irina di dargli una scusa per non ucciderla, di come si era reso conto che dipendeva da lei più da qualunque altra persona… Non avrebbe detto che l’aveva bramata più di qualsiasi cosa avesse avuto in tutta la sua vita.

 

<< Quindi è per colpa sua se sei stato arrestato >> disse Daniel.

 

William guardò fuori dal finestrino.

 

<< Sapevo tutto, potevo rimandare Went da dove era venuto senza problemi >> rispose, << Avevo il mio infiltrato, potevo controllare la situazione… Non potevano prendermi, se non lo avessi voluto. L’errore che ho commesso è stato quello di volerla tenere per me, di non voler uccidere Irina al momento giusto. Se lo avessi fatto, non sarei mai stato catturato. Al massimo sarei stato costretto alla fuga, ma sarei rimasto libero… >>.

 

<< Allora perché stiamo andando a Mosca? >> chiese Daniel.

 

<< Per uccidere Dimitri, e per trovare Irina >> rispose lo Scorpione, << Per scoprire perché non sta più con il suo sbirro, perché è tornata a fare la pilota… E per ucciderla, perché sono sicuro che qualsiasi cosa stia facendo, mi odi ancora >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Los Angeles – Sei anni prima

 

Irina è seduta di fronte a lui, nello studio luminoso e pulito di casa Challagher. E’ spaventata, lo vede, ma non vuole farlo capire, e continua a guardarlo con quel misto di sfida e strafottenza che gli ricordano tanto le sue. Ha ancora in mente la voce di Dimitri che gli dice: “Irina ha gareggiato, ieri sera… E ha vinto”.

 

<< Cosa ti passa per la testa? >> domanda William, accendendo la sigaretta che tiene in bilico tra le dita.

 

<< Hai detto di voler indietro i tuoi soldi >> risponde secca lei, << E di farci fuori tutti se non li riavrai… Non abbiamo un milione di dollari, e credo che non li avremo mai. L’unico modo che ho per pagare il debito di mio fratello è provare a gareggiare per guadagnare qualcosa >>.

 

Lo Scorpione vorrebbe riderle in faccia, ma non ci riesce. Il tono serio di Irina lo lascia senza parole… Pagare il debito di suo fratello? Come spera di poter racimolare un milione di dollari facendo qualche gara in macchina?

 

<< Stai dicendo sul serio? >> chiede, la boccata di fumo che si dissolve leggera nell’aria.

 

<< Sì >> risponde Irina, e non c’è tremore nella sua voce, << Non li abbiamo, tutti quei soldi… E Dominic non si farà rivedere, anche perché non so dove rintracciarlo. L’unica alternativa che ho è questa, mi sembra. So che hai dei piloti che lavorano per te… >>.

 

William è basito. Quella ragazza si sta offrendo di ripagare il debito di suo fratello facendo la pilota clandestina… Non ha mai visto nessuno fare una cosa del genere.

 

<< Vorresti lavorare per me? >> chiede, ma non è una proposta, la sua. Non per il momento.

 

Sul volto di Irina si dipinge un piccolo sorriso.

 

<< Se tu me lo permetti >> ribatte.

 

William sorride a sua volta. I suoi occhi si soffermano sul suo viso: è una bella ragazza, deve ammetterlo. E ha anche capito che forse è rimasta affascinata da lui, come qualsiasi altra donna che gli è capitata davanti.

 

<< E’ vero, ho dei piloti che lavorano per me >> dice, << Fanno parte di quella che viene chiamata Black List… Ne hai sentito parlare? >>.

 

Irina annuisce. << Sì, ma non so bene come funziona… La gente non è stata molto disponibile nei miei confronti… >>.

 

<< Hai infastidito qualcuno, vincendo >> spiega William, fissandola, << Dalle nostre parti non si vedono piloti donna, a parte qualche raro caso… Hai ferito l’orgoglio di alcuni di noi >>.

 

Irina sembra divertita, e lo è anche lui. Anche se sembra fuori posto, quella ragazza appare stranamente determinata e in qualche modo molto più forte di quanto possa sembrare. William rimane colpito, guardando il suo volto liscio e delicato, tanto simile a quello di una bambina ma con gli occhi di una donna.

 

<< Davvero vorresti diventare la mia pilota? >> chiede William, avvicinando il posacenere, senza distogliere gli occhi da lei.

 

Irina diventa seria, e un’ombra passa nei suoi occhi da cerbiatta. << E’ l’unica alternativa che ho… A meno che le tue minacce non siano finte >>. Non c’è speranza nella sua voce.

 

Lo Scorpione spegne la sigaretta, osservando quella ragazza giovane e molto bella che ha davanti. Non la conosce, sa poco e niente di lei, eppure non può che esserne affascinato… Tuttavia, deve dimostrare che lui è uno da temere, che non cede di fronte a niente…

 

<< Le mie minacce non sono finte >> dice, a bassa voce, << Dominic ha un debito, e i debiti vanno saldati… Ha cercato di fregarmi, e non perdono questi affronti… >>.

 

<< D’accordo, allora sono disposta a farmi carico del suo debito >> lo interrompe Irina, quasi a non voler sentire cosa ha da dire, << Pago io per lui… Anche se non so quanto tempo ci impiegherò >>.

 

William la guarda, senza capire cosa passi nella testa di quella ragazza. << Perché vuoi fare una cosa del genere? >>.

 

Irina abbassa gli occhi. << Sono abituata a pagare per i miei fratelli >> risponde a bassa voce.

 

William tace. C’è qualcosa che gli dice che quella ragazza è abituata a lottare, ma che è anche incredibilmente stanca… Più vecchia di quanto dovrebbe essere.

 

<< Quanti anni hai? >> domanda lo Scorpione.

 

<< Diciotto >>.

 

William la fissa. Aveva intuito fosse giovane, ma non così tanto… Allora non sembra poi tanto piccola, lo è veramente.

 

Gli occhi di Irina lo scrutano, a metà tra l’impaurito e lo sfrontato. Per essere poco più che una bambina, quella ragazza ha carattere: nonostante abbia paura, si offre di legarsi a lui…

 

Tutto sommato, non sono i soldi che gli interessano. Un milione di dollari non sono poi gran che, valutando anche che in realtà ne ha prestati a Dominic molti di meno: la maggior parte sono interessi, maturati in seguito ai suoi diversi tentativi di “intimidazione”… Averli o non averli indietro non gli cambia la vita, ma è il fatto di essere stato gabbato a dargli più fastidio. Non si gioca con lo Scorpione, e tutti lo devono sapere.

 

“Quando sono andato a casa di Dominic, non credevo che mi sarei ritrovato davanti a questo… Ha le labbra da bambola”.

 

I suoi occhi tornano a guardare Irina, seduta immobile, e la ragazza arrossisce di colpo. L’occhiata che le ha gettato è stata particolarmente eloquente… Anche se è giovane, Irina lo attira molto, fisicamente.

 

Ghigna. Potrebbe essere interessante avere a che fare con lei… Non sembra la tipa da una notte e via, ma di sicuro riuscirà a scioglierla… Ne ha viste di ragazze di quel genere, e molte a letto erano delle tigri, a dispetto delle apparenze…

 

Potrà anche essere brava al volante, ma non è sicuro che possa tornarle utile. Magari alla fine si scopre che sono state tutto un caso, le poche vittorie che ha guadagnato…

 

In tutta sincerità, non ha nessun motivo per doverla accettare tra i suoi piloti: ne ha già abbastanza, e di sicuro non riavrà mai i suoi soldi. Oltretutto è troppo piccola per poter vantare qualche esperienza, e sarebbe la pilota più giovane di tutto lo Stato…

 

Però qualcosa di lei lo attira come una calamita. Nonostante la sua faccia pulita, senza trucco, nonostante la sua maglietta scura che nasconde egregiamente le sue forme, la trova sensuale. Basta l’espressione dei suoi occhi scuri a catturarlo: non ha mai visto nessuna ragazza come lei.

 

<< Ci sono delle condizioni, se vuoi essere la mia pilota >> sussurra, mentre nella sua testa prende forma un’idea.

 

<< Quali? >> chiede Irina.

 

<< Dovrai fare ciò che ti dico >> spiega William, << Tutto, anche se non ti andrà a genio. In cambio io lascerò in pace la tua famiglia e tuo fratello. Mi pagherai con i proventi delle gare che riuscirai a vincere, e sbrigherai per me alcune faccende. E dovrai ricordare una cosa: mai mettersi contro lo Scorpione >>.

 

Irina sembra trattenere il respiro per un attimo, i suoi occhi che si abbassano impercettibilmente.

 

<< Tutti? >> chiede, la voce piccola piccola.

 

<< Tutti quelli che riterrò tu possa portare a termine >> risponde William, e un sorriso gli affiora tra le labbra.

 

Non vuole spaventarla; vuole vedere fin dove potrebbe arrivare.

 

<< Per il resto, sarai libera di fare quello che vuoi >> continua, << Essendo una mia pilota, potrai provare ad entrare nella Black List, e far parte del mio giro >>.

 

Irina annuisce, guardandolo.

 

<< Lascerai in pace la mia famiglia? >> dice, come per essere sicura delle condizioni.

 

<< Hai la mia parola >> risponde William, << Tu diventerai la mia pilota, e io cancellerò dalla mia memoria le loro facce… Rimarremo solo tu e io, in questa storia. Accetti? >>. Le porge la mano aperta.

 

Irina trae un sospiro, poi annuisce. << Accetto >>. Stringe con la sua manina la sua, e sorride, certa di aver salvato la sua famiglia e forse anche se stessa, mentre William sente il braccio diventare caldo, e qualcosa serrarglisi nello stomaco…

 

Perché solo in quel momento si rende conto che forse quella ragazza non è lì per caso, che forse non è una qualunque… Quella stretta gli trasmette la sensazione che sia stato il destino a farli incontrare, e non sa che quel pensiero diventerà presto una convinzione… Non sa che intrecciando la mano con quella piccola di lei, ha scritto la pagina più importante della sua vita, ha segnato per sempre il suo futuro… Non sa che l’idea che si è fatto, quella di aggiungerla tra le sue conquiste, è solo uno stupido piano destinato a fallire. Non sa che Irina non sarà come le altre, che non vincerà mai con lei… Non sa che diventerà la sua ossessione, il suo chiodo fisso, la sua debolezza…

 

Come lei che non sa che quello che ha davanti sarà la sua rovina, il suo incubo, il mostro da cui da sola non riuscirà mai a fuggire… Che le strapperà l’anima, che si insinuerà dentro il suo cuore e che lo lacererà come mai nessun’altro. Che la farà morire e rinascere tante e troppe volte.

 

E con quella stretta di mano, nessuno dei due sa che ha firmato la sua sconfitta.

 

<< Benvenuta nel mio mondo, bambolina >>.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 26
*** Capitolo XXVI ***


Capitolo XXVI

Capitolo XXVI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 08.00 – Mosca, Hotel Jack Star

 

Irina si strinse nel giaccone e scese dalla Grande Punto, mentre la gelida aria di Mosca le tagliava il respiro. Il piazzale davanti all’Hotel Jack Star iniziava a riempirsi di auto e piloti, e percepì subito l’atmosfera di eccitazione che aleggiava tra i russi che avrebbero preso parte alla Mosca-Cherepova.

 

Il giorno della gara era finalmente arrivato, e Irina si sentiva pronta come non mai. Si guardò intorno per capire chi fossero i suoi avversari, e individuò subito le auto di cui aveva parlato Dimitri quando avevano studiato i loro possibili avversari: una BMW M3, una Nissan GTR, una Camaro rossa… Non c’erano ancora tutti, ma si preannunciava una corsa difficile… Avevano tutti l’aria di essere molto motivati.

 

Dimitri, che era sceso anche lui dalla macchina, gli indicò un russo alto e dalla barba scura, che teneva una cartella in mano e una penna. Venne verso di loro, ma rivolse la parola al Mastino e non a lei.

 

<< Siete? >> domandò con forte accento russo, ma chiaramente era una formalità la domanda. Dovevano per forza sapere chi erano.

 

<< Dimitri Goryalef e Irina Dwight >> rispose il Mastino, secco.

 

Il russo prese nota sul foglio.

 

<< Parcheggiate l’auto di fianco alle altre, dopo consegnate le chiavi >>.

 

Irina gettò un’occhiata verso Dimitri e lui annuì, così obbedì e posizionò l’auto di fianco alla Camaro rossa, che era quella di Severin “il Diavolo”, e che stava appoggiato proprio alla sua macchina, tranquillo.

 

Quando Irina scese nuovamente dalla Punto, si accorse che tutti gli sguardi suo malgrado erano puntati su di lei: doveva aver destato la curiosità dei russi, che non si facevano scrupoli a mostrare il loro interesse e fastidio nei suoi confronti.

 

“Sarò una delle poche donne che ha avuto l’ardire di partecipare…”.

 

Chiuse la macchina e consegnò le chiavi al russo dalla barba scura, dopo di che sentì qualcuno esclamare alle sue spalle, sarcastico: << Che genere di auto è? >>.

 

Si voltò di scatto, scoprendo che era stato Severin a parlare, e gli rivolse un’occhiata gelida. Aveva la faccia di uno che aveva perennemente la puzza sotto il naso.

 

<< Potrebbe essere l’auto che ti batterà >> rispose lei, tranquilla.

 

Il russo non si scompose, di fronte al suo tono sfrontato.

 

<< Attenta a quello che dici, Fenice >> ribatté lui, << Io non sono amico di Challagher… >>.

 

Irina fece una smorfia, più che altro infastidita dal fatto che il suo nome fosse sempre ricollegato a quello dello Scorpione.

 

<< Non ho bisogno di lui per essere pericolosa >> rispose, poi raggiunse rapidamente Dimitri, che stava parlando con Dan, l’italiano. Era da un po’ che non lo vedevano, e non sapeva che avrebbe seguito la gara.

 

<< Irina, che piacere rivederti! >> la salutò lui, allegro, << Non ti preoccupare, non faranno niente alla tua auto. Sigilleranno il motore, poi vi faranno partire. Se volete potete aspettare dentro, ci sono i Referenti e alcuni altri piloti. Quando saranno arrivati tutti, vi daranno le mappe e tutte le istruzioni. Nel frattempo vi conviene bervi una vodka per scaldarvi un po’ >>.

 

Irina fece cenno di no con la testa.

 

<< No, per il momento preferisco aspettare qui fuori >> disse, << L’aria fresca mi rilassa… >>.

 

Dimitri le gettò una rapida occhiata, segno che aveva capito. Voleva aspettare l’arrivo di Xander, perché anche se sapeva che avrebbe dovuto far finta di non conoscerlo, era da quando avevano litigato che non si parlavano, e di tempo ne era passato molto… Forse ci sarebbe stata l’occasione, prima della gara, di scambiare due parole in pace, e magari anche di chiarirsi.

 

<< Aspetto anche io qui fuori >> disse Dimitri.

 

<< Allora io vado dentro >> disse Dan, strofinandosi le mani, << Ormai ho anche le punte dei piedi congelate. Ci vediamo dopo >>.

 

Quando l’italiano sparì nella hall dell’albergo, Dimitri le si affiancò e senza guardarla disse, a bassa voce: << Sai che non potrai andargli incontro >>.

 

Irina annuì stancamente, osservando il piazzale pieno di auto, triste.

 

<< Lo so >> mormorò, << Sarà come se non lo avessi mai conosciuto… Forse si avvicina un po’ alla verità >>.

 

Si appoggiò al muretto, mentre Dimitri fissava la strada, silenzioso, gli occhi grigi più scuri del solito.

 

<< Fossi in te, non lo aspetterei >> disse, gelido, << Non dopo la scarsa fiducia che ti ha dimostrato… >>.

 

Irina lo guardò e si lasciò sfuggire un sorrisetto amaro.

 

<< Forse hai ragione… Ma di solito sono sempre io quella più debole, che si fa mettere i piedi in testa >> disse, con una nota di finto divertimento.

 

Dimitri le diede le spalle, e non commentò la sua frase amareggiata. Irina tornò a guardare la strada, chiedendosi cosa avrebbe fatto una volta che Xander sarebbe arrivato. Le mancava, le era mancato durante quei giorni in cui non aveva sentito la sua voce, da quando si erano lasciati in quel modo così stupido… Eppure non gli aveva telefonato, aveva resistito alla tentazione di abbassarsi anche a quello. Non aveva completamente torto, lo sapeva, e Xander doveva capirlo…

 

Quando iniziava ad avere le dita delle mani congelate, finalmente vide stagliarsi all’orizzonte un’auto rossa, il cui rombo gliela avrebbe fatta riconoscere tra mille. Rapida, la Ferrari 599 che Xander aveva adottato come nuova macchina, fece il suo ingresso nel piazzale, i fari a led che brillavano bianchi nella mattina nuvolosa di Mosca. La 599 si fermò vicino alla sua Grande Punto, ma Irina non si mosse.

 

Dimitri si voltò a guardarla con un sorrisetto ironico sul volto.

 

<< Comincio a pensare che la sua mania per le auto vistose sia una sorta di compensazione… >> sussurrò.

 

Irina sorrise di fronte alla sua battuta, anche se il tono non era amichevole. Guardò il motore dell’auto spegnersi, facendo tacere i seicento cavalli, e aspettò di vedere la faccia di Xander.

 

In effetti, fu lui il primo a scendere, lanciando un’occhiata intorno, e individuandola subito dopo. Sul suo volto non si dipinse nessuna espressione, come se veramente non la conoscesse. Richiuse la portiera e abbassò impercettibilmente lo sguardo, proprio mentre l’altra porta si apriva.

 

La prima cosa che Irina vide fu una cascata di capelli biondi, lucenti, lunghi e dall’aria incredibilmente morbida. Un attimo dopo, la co-pilota di Xander, la tanto misteriosa Nina Krarakova, fece la sua comparsa e Irina non poté fare a meno di provare un brivido che non aveva nulla a che fare con il freddo.

 

Se aveva pensato di essere ormai pronta a tutto, si era sbagliata. Non era pronta a ritrovarsi davanti un’avversaria del genere.

 

Nina si guardò intorno con aria altezzosa, e Irina capì che, se esisteva la donna perfetta, l’aveva davanti.

 

Nina era bellissima, più bella di qualsiasi altra ragazza avesse mai incontrato o visto. Era alta, dal fisico sinuoso, il viso dai tratti morbidi e delicati, gli occhi di un azzurro stupefacente, le labbra carnose… Persino la sua espressione in quel momento era perfetta, un misto di altezzosità e divertimento.

 

L’autostima di Irina ebbe un crollo così vertiginoso da farle scappare una smorfia di disgusto, portandola a passare lo sguardo da Nina a Xander un’infinità di volte, come rapita, ma in realtà agghiacciata. E quella che bruciò in fondo al suo stomaco fu gelosia.

 

Mai aveva dubitato di Xander, mai si era mostrata gelosa nei suoi confronti, mai aveva sofferto di complessi d’inferiorità, anche se non aveva mai avuto l’ardire di pensare di essere bella, ma questa volta sentì montarle addosso un’inquietudine che non aveva mai provato.

 

Per un attimo, il suo cuore perse un battito, e il suo cervello fu troppo veloce nell’arrivare alle conclusioni prima che lei potesse fermarlo: forse il comportamento di Xander non era dovuto solo alle sue scelte. Forse dietro quella scarsa comprensione non c’era solo il fatto che si stesse comportando da avventata. Forse non era davvero lei la causa di quello che stava succedendo a loro due.

 

Le ci volle un attimo per saltare alle ovvie conclusioni, conclusioni a cui tutti sarebbero arrivati, al suo posto: Nina era perfetta, nel suo corpo statuario, con il suo viso d’angelo, con il suo fare sensuale; Xander era perfetto, con i suoi occhi azzurro ghiaccio, il suo ghigno lupesco, il suo fisico possente. Insieme erano perfetti, come due pezzi complementari, fatti per incastrarsi l’uno con l’altro…

 

Sentì una mano calda afferrarla per il braccio, come per trattenerla, anche se non aveva fatto cenno di volersi muovere; ma non bastò a farle distogliere lo sguardo da Nina e Xander, e non bastò nemmeno per cancellare i pensieri nefasti nella sua testa.

 

<< Ti avevo detto che sarebbe stato meglio che tu non la vedessi… >>.

 

La voce di Dimitri le arrivò bassa alle orecchie, ma nitida, seria, distaccata. Per un momento non capì nemmeno che fosse lui, perché era completamente bloccata, nel corpo e nella mente.

 

<< Guardami >>.

 

Dimitri la costrinse a voltarsi verso di lui, distogliendo il suo sguardo dalla nuova perfetta e agghiacciante coppia che stava a pochi metri da loro. Irina si ritrovò gli occhi di ghiaccio del russo addosso, la bocca asciutta.

 

Per un momento pensò che Dimitri volesse darle uno schiaffo per riscuoterla. Però lui la guardò e la afferrò per il mento, fissandola in una maniera che le fece venire la pelle d’oca e che la costrinse a porre l’attenzione su di lui, lasciando perdere per un momento Nina e Xander.

 

<< Vedi di non farti venire dei complessi perché c’è quella troia in giro, altrimenti è la volta buona che mi incazzo sul serio e uso Went come sacco da boxe, chiaro? >>.

 

Irina rimase impietrita, perché non capì bene il significato della frase di Dimitri. Lui però continuava a fissarla, e lei abbassò lo sguardo, imbarazzata. In un attimo, l’aveva fatta tornare alla realtà, con la sua assurda capacità di essere diretto, rude e apparentemente privo di tatto.

 

<< Ok, scusa… >> mormorò.

 

Dimitri la lasciò andare e lei rimase un momento imbambolata come una cretina, mentre nella testa prendeva forma un pensiero: il Mastino aveva capito prima di tutti quale avrebbe potuto essere il problema e, anche se lo aveva fatto a modo suo, aveva tentato di rassicurarla. Stava per ringraziarlo, quando sentì una voce squillante e argentina esclamare: << Dimitri! Ci sei anche tu, allora! >>.

 

Si voltò di scatto, per vedere Nina che camminava spedita dalla loro parte, un sorriso luminoso dipinto sul viso perfetto, gli occhi che brillavano. Puntava Dimitri come la nuova preda della giornata, ma Irina trovò buffo il fatto che il russo invece si era quasi voltato da un’altra parte, senza degnarla di attenzione.

 

<< Non mi sembra di mancare spesso, Nina >> disse lui, gelido.

 

La ragazza non sembrò proprio notare la nota infastidita nella voce del russo, e Irina rimase perplessa. Xander, che non si era avvicinato, stava consegnando le chiavi della 599, ma guardò per un attimo verso di loro.

 

C’era qualcosa di colpevole, negli occhi di Xander. Irina sentì di nuovo la pelle d’oca, ma cercò di pensare che era lei che arrivava a conclusioni affrettate… Non poteva essere così stupido da cadere nelle braccia di Nina, vista la sua nomea… E poi si era sempre fidata di lui, no?

 

<< E lei chi è? E’ la tua co-pilota? >>.

 

Irina tornò a guardare Nina: la stava squadrando da capo a piedi, con un sorriso che però sapeva molto di finto. Sembrava volesse dire: “Carina, tu non hai proprio nulla da spartire, con me”.

 

Dimitri le fece cenno di avvicinarsi, e Irina li raggiunse, riservando alla russa lo stesso sguardo poco amichevole che lei le aveva rivolto.

 

<< Irina, lei è Nina Krarakova >> disse.

 

Irina le porse la mano, ma la loro stretta fu chiaramente una dichiarazione di guerra: nell’esatto momento in cui la pelle morbida della russa toccò la sua, Irina sentì montare addosso l’orgoglio di Fenice. Chiunque si credesse quella ragazza, per quanto fosse bella e perfetta, non si sarebbe lasciata mettere i piedi in testa.

 

<< Sei quella che chiamano Fenice? >> domandò Nina, una smorfietta sul volto.

 

Irina sorrise, mostrandole la sua migliore espressione di disprezzo.

 

<< La mia fama è arrivata fino a te… >> disse, tranquilla. Significava far notare che era più conosciuta di lei…

 

Vide gli occhi di Dimitri brillare, e capì con soddisfazione di aver appena dato un bel colpo al carattere di Nina. Lei infatti si produsse in una finta risata e scosse la mano: << Allora avrò una degna avversaria, quest’anno >> sentenziò, come se fino a quel momento avesse sempre corso da sola.

 

Irina non aggiunse niente: la trovava irritante, e aveva percepito la provocazione della sua frase. Lanciò un’occhiata a Dimitri e disse: << Andiamo? Qui fuori si gela >>.

 

Senza aggiungere altro si volto ed entrò nell’albergo, lasciando Nina a fissare le sue spalle. Sentì i passi di Dimitri dietro di lei, e pensò che le cose non potevano cominciare peggio.

 

<< Te lo scordi che mi faccio venire dei complessi di inferiorità… >> borbottò lei, << Farò mangiare la mia polvere a lei, a Xander e alla loro 599 >>.

 

Sentì qualcuno ridacchiare, e si voltò per scoprire che era Dimitri. La guardava divertito.

 

<< Tiri fuori le unghie, Fenice? >> chiese.

 

<< Le unghie? >> fece lei, << Non mi servono le unghie per farli neri… >>.

 

Ora era arrabbiata. Molto arrabbiata.

 

Arrabbiata con Xander, prima di tutto. Come faceva a stare con quella… quella… Non trovava altra definizione se non chiamarla “arpia”. Ci andava un bel coraggio… Poteva anche essere bellissima, ma la sua avvenenza era proporzionale alla sua cattiveria, era chiaro. E il suo orgoglio di Fenice, improvvisamente riapparso, non le avrebbe permesso di farsi abbattere.

 

Entrarono nella sala congressi dell’albergo, piena di piloti e Referenti. Mancava Boris, forse tenuto a ragionevole distanza da Dimitri, per via di Xander… Al momento però non le interessava che lo stesse aiutando. Si ritrovò a pensare che forse qualche ostacolo in più gli avrebbe fatto bene…

 

Notò in fondo alla sala, dove troneggiava una scrivania rialzata, Konstantin, l’aria scontrosissima e gli occhi puntati su di lei. Si teneva la mano che Dimitri aveva trafitto con il coltello la sera in cui aveva cercato di procurarsi la mappa della corsa, come a dire che non sarebbe finita lì.

 

Sentì Dimitri prenderla di nuovo per un braccio e spostarla di lato, forse per guardare meglio Konstantin. Assunse un’espressione infastidita e sussurrò, gelido: << Se continua ancora a fissarci, gli cavo anche gli occhi >>.

 

Irina inarcò un sopracciglio senza farsi vedere: chiaramente la tensione si faceva sentire anche per lui. Era più aggressivo del solito.

 

Guadagnarono rapidamente un posto vicino alla parete e ascoltarono la spiegazione di Karim Gulaf, il Referente dalla barba incolta che era stato di poche parole il giorno che lo avevano incontrato al Black Diamond.

 

<< Controlleremo le vostre auto >> disse, secco, << Il cofano motore verrà sigillato, e non potrete apportare modifiche di alcun tipo, nemmeno in caso di guasto. Vi è permesso portare con voi due taniche di benzina di scorta, e due pneumatici in caso di foratura, niente di più >>. Mostrò una mappa, la stessa che avevano loro, e continuò: << Vi forniremo una cartina del percorso, in cui sono indicati i punti di ritrovo al termine di ogni tappa. Non potrete variare il percorso, usare scorciatoie o fare cambi di strada: abbiamo applicato sulla vostra auto un rilevatore gps, quindi sapremo in qualunque momento dove siete e che strada avete fatto. Questa regola non vale per l’ultima gara, ma per quella vi spiegheremo tutto prima della partenza. Domande? >>.

 

Il gruppo di piloti rimase in silenzio, così Gulaf continuò: << Bene. La prima tappa di oggi vi porterà fino a Rostov, a ottocento chilometri da qui. Si tratta di una gara a tempo, quindi otterrà il maggior punteggio chi terminerà la gara nel minor tempo utile. Partirete uno per volta a distanza di cinque minuti l’uno dall’altro, noi ci occuperemo di prendere il vostro tempo. La seconda gara vedrà vincitore colui che taglierà per primo il traguardo. La terza e ultima gara, invece, seguirà regole diverse, ma vi spiegheremo tutto a tempo debito >>.

 

Gulaf gettò uno sguardo alla sala, poi aggiunse: << Se lo riterrete opportuno, se la vostra auto si fermerà o verrete buttati fuori gara, potrete ritirarvi. Vi daremo un cellulare con cui potrete chiamarci: verremo a prendervi, in qualunque posto vi troviate. A quel punto, non potrete più rientrare in gara. Domande? >>.

 

Ci fu di nuovo silenzio, e Irina gettò un’occhiata intorno. Vide il volto viscido dall’espressione agghiacciante di Vladimir Buinov fare capolino a qualche metro da Xander e Nina, e sfiorò il braccio di Dimitri, per richiamare la sua attenzione.

 

<< Alla fine è venuto… >> sussurrò.

 

Dimitri guardò Buinov per un momento e annuì.

 

<< Allora è pronto a correre contro di noi >> disse, << Ma non sarà un problema… >>. Nel tono del russo c’era il ringhio che significava solo una cosa: guerra. Vladimir stava davvero rischiando, gareggiando contro di loro, Irina lo sapeva.

 

<< Bene, tornate alle vostre auto >> disse Gulaf.

 

Irina seguì Dimitri fuori, in silenzio. Era nervosa, e non era tutto dovuto alla gara. Vedere sfilare Nina a breve distanza da Xander le fece ribollire il sangue, vista soprattutto l’occhiata che la russa le aveva rivolto. Non vedeva l’ora di averla contro, giusto per farle mangiare la polvere che aveva intenzione di sollevare…

 

Il russo di prima le riconsegnò le chiavi, e raggiunsero la Punto, ferma dove l’avevano lasciata. Ai bordi del cofano erano stati applicati degli adesivi, che non permettevano che venisse aperto senza che si staccassero. E molto probabilmente dentro dovevano aver applicato degli altri accorgimenti in modo che il motore non venisse modificato durante la corsa.

 

Irina guardò Dimitri, le chiavi ancora in mano, mentre le porte delle altre auto si chiudevano e i piloti prendevano posto, in attesa.

 

<< Chi parte? >> chiese.

 

Dimitri fece un sorrisetto.

 

<< Tu >> rispose solo.

 

<< Ok… >>.

 

Irina prese posto nella Punto, mentre Dimitri sedeva dal lato del passeggero. Abbassò il finestrino per ricevere la valigetta ventiquattro ore che conteneva tutto il necessario, mappa e cellulare compresi. Diede tutto a Dimitri, mentre il russo dalla barba scura diceva: << Siete i quarti a partire, dopo Severin il Diavolo >>.

 

Irina annuì, poi richiuse il finestrino. Guardò Xander salire sulla 599, più serio del solito, e Nina parlottare al telefono con aria annoiata.

 

“Mi stupisco di Xander…Di solito, l’unica a cui permette di guidare le sue Ferrari sono io” pensò, con una smorfia sul volto, “Ma dimenticavo che ormai i miei comportamenti non sono più di suo gradimento… Si è trovato una nuova bella bambola”.

 

Solo un mese prima non avrebbe mai pensato una cosa del genere, ma ora era addirittura pronta a dirlo ad alta voce: era arrabbiata, molto arrabbiata, e quella sensazione di tradimento che aveva addosso non gliela avrebbe tolta nessuno. Sapeva che quella gara non avrebbe decretato solo l’esito della sua missione, ma in qualche modo avrebbe influenzato anche i suoi rapporti di Xander

 

Qualcuno bussò al finestrino, e lei lo abbassò. Era Dan, imbacuccato in un piumino azzurro dal collo di pelliccia e un cappello di lana in testa.

 

<< Volevo augurarvi in bocca al lupo >> disse, mentre il suo fiato si condensava in nuvolette di vapore nella gelida aria di Mosca, << Faccio il tifo per voi, naturalmente >>.

 

Irina sorrise. Simpatico come la solito.

 

<< Grazie >>.

 

<< Spero davvero che tu riesca ad arrivare prima >> disse Dan, eccitato, << Saresti la prima donna a vincere la Mosca-Cherepova, oltretutto con una Grande Punto. Come minimo dopo dovrai farmi un autografo… E lasciarmi la tua auto per un esame approfondito >>.

 

Irina si lasciò andare a una risata, stemperando la tensione che aveva addosso.

 

<< Lo spero anche io >> disse, << Seguirai tutta la gara? >>.

 

<< Certo. Ci vediamo a Rostov questa sera >>. Diede una pacca al cofano della Punto. << Vedremo quanto è affidabile questa scatoletta >>.

 

Irina gli fece un cenno e richiuse il finestrino, poi guardò Dimitri. Il russo era una statua di ghiaccio.

 

<< Più tardi ci diamo il cambio? >> chiese, seria.

 

Dimitri maneggiò il cellulare con aria disinteressata.

 

<< Sì, ma ricordati che io sono il tuo co-pilota >> rispose, << Se vogliamo che ti accettino tra loro, devi essere tu a vincere questa gara >>.

 

Irina strinse il volante. Dimitri aveva ragione: era lei la vera protagonista, in quella corsa. Doveva vincere lei, e ora aveva un sacco di buoni motivi per farlo. Il primo, e forse il più importante, era seduto dentro quella Ferrari rossa a pochi metri da lei.

 

Vide il russo dalla barba scura farle cenno di avvicinarsi alla linea di partenza, ed ebbe modo di accostarsi per qualche istante alla 599: dentro, vide il volto scuro di Xander fissarla per un istante, e dietro di lui la cascata di capelli biondi di Nina. Gli fece un cenno, poi passò oltre, conscia di ritrovarsi la persona che amava contro.

 

Davanti a lei, la Camaro rossa scattò in avanti, sollevando una nuvola di polvere di ghiaccio, e sparì all’orizzonte in pochi secondi. I russi fuori segnarono l’ora della partenza, poi le fecero cenno di avanzare.

 

Nei restanti cinque minuti, Irina fissò la strada davanti a lei in silenzio, la luce fioca del cielo nuvoloso a illuminare il tratto di asfalto che filava liscio e diritto per qualche chilometro. Sapeva che percorso doveva seguire, Dimitri lo aveva segnato sulla cartina, e sapeva che non sarebbe stato facile. Ma nella sua vita non c’era mai stato niente di semplice, e il senso della sfida non era mai morto dentro di lei. Fenice era pronta, doveva esserlo.

 

<< Due fermate al massimo >> disse Dimitri, << Non dobbiamo sbagliare strada, altrimenti rischiamo di impiegarci troppo. Abbiamo una tanica di benzina di scorta, ma se troviamo dove fare rifornimento è meglio… Infrangi tutti i limiti di velocità. Niente scrupoli. La polizia non ci seguirà >>.

 

Irina gi rivolse un’occhiata e sorrise. Ormai lo conosceva, sapeva come era fatto, sapeva il suo passato… E sapeva che si fidava di lei, finalmente. Forse non esisteva nessuno meglio di lui per farle da co-pilota, nemmeno Xander. Non avrebbe criticato le sue azioni, non avrebbe contestato le sue scelte. Voleva che fosse lei a vincere, non lui stesso.

 

<< Sarà la prima cosa che farò >> disse, guardando fisso lo specchietto retrovisore, dove vedeva Xander e Nina seduti nella 599, << Non ci saranno Ferrari né bionde che tengano. Ero la numero tre della Black List per un buon motivo >>.

 

Con la coda dell’occhio vide dipingersi un sorrisetto sul volto di Dimitri, e premette leggermente il pedale dell’acceleratore, facendo ruggire il motore della Punto. L’adrenalina, quella vera, quella che aveva sempre sentito durante le sue vecchie gare, riprese a scorrerle nelle vene, dandole quella sensazione che solo una corsa le portava: non importava andare contro le regole, contro la legge, contro il buon senso… Il pericolo non esisteva e non sarebbe mai esistito, finché correre non le fosse sembrato come respirare.

 

Vide il russo alzare il cronometro, le cinque dita tese dell’altra mano, per darle il tempo di prepararsi. Strinse ancora di più il volante, accarezzando il pomello del cambio…

 

Poi, una a una, come a rallentatore, le dita del russo si abbassarono, e il suo piede affondò sull’acceleratore, facendo stridere le ruote sull’asfalto gelato e sollevando una nuvola di fumo nero. La Punto schizzò avanti come catapultata, lasciandosi dietro solo l’odore delle gomme e del ghiaccio sbriciolato…

 

Una dopo l’altra, le marce sfilarono sotto la mano di Irina, portandola rapidamente a una velocità proibita, ma non ancora la più estrema. Era partita, era in gioco, e quello era l’importante…

 

<< Imbocca l’autostrada >>.

 

Dimitri, di fianco a lei, non aveva fatto nessuna piega di fronte alla sua partenza a razzo; teneva la mappa con le sue annotazioni in mano, tranquillo. Irina eseguì il suo ordine e risalì la rampa che l’avrebbe portata sull’autostrada, immettendosi nel flusso scarso di auto che arrivava da Sud. Diede uno sguardo al tachimetro e rivolse un’occhiata complice a Dimitri.

 

<< Andiamo? >> domandò, serafica.

 

Dimitri si produsse in un ghigno.

 

<< Vediamo che media sai tenere, Fenice >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 10.00 – Autostrada, Mosca

 

William fece scivolare la Bugatti lungo la rampa di decelerazione, uscendo rapidamente dall’autostrada e superando altrettanto velocemente il casello. Appena si ritrovò in città, fermò la macchina davanti a un grosso bar quasi deserto, in una viuzza nella periferia della città.

 

Daniel, spaparanzato sul sedile del passeggero, dormiva ancora, così gli diede uno scossone.

 

<< Avanti, ci prendiamo un caffè >>.

 

William smontò dalla Veyron, ingoiando la boccata di aria gelida che gli arrivò in faccia appena uscì dall’abitacolo, e stiracchiò i muscoli indolenziti delle gambe, piegandole un paio di volte. Non aveva mai guidato per così tanto tempo di fila, né per così tanti chilometri. In quel momento, aveva solo voglia di trovare un letto e dormire, lasciandosi andare al mondo dei sogni senza pensare a nient’altro.

 

Ma era a Mosca. Contro ogni previsione, aveva raggiunto la capitale della Russia, la città che stava ospitando Irina, Dimitri e forse anche Went… Settimane prima era chiuso dietro sbarre di ferro, e l’unica aria che poteva respirare era quella del desolato cortile del carcere.

 

Guadagnò l’entrata del bar seguito da un assonnato Daniel, e raggiunse il bancone. Una ragazza russa piuttosto bruttina stava dando una ripulita al lavandino, e li guardò interrogativa.

 

William gli fece un cenno con le dita, indicando un due, e poi fece il gesto di bere. La russa comprese e annuì, mettendosi al lavoro nel preparare i loro caffè.

 

Imparare il russo era una cosa che sapeva avrebbe potuto tornagli utile, ma era sempre stato troppo pigro per mettersi a studiarlo. In quel momento si pentì di non averlo mai fatto.

 

Si sedette al bancone, passandosi una mano sul volto, gli occhi che bruciavano. Era stanco morto, e si sentiva il cervello offuscato. Il massimo che si era concesso era stato due ore di sonno a notte, ad auto ferma, in una qualche desolata stazione di servizio in cui gli nemmeno gli sbirri sarebbero mai venuti a cercarlo… Chissà che raggiungere la Russia in cinque giorni era un record…

 

<< Cristo santo, che viaggio… >> mormorò Daniel, passandosi una mano sul viso, esausto, << Mi fa male dappertutto… Dormire su quel cazzo di sedile non è per niente comodo… >>.

 

<< Beato te sei riuscito a dormire >> ribatté seccato William, << Io cosa devo dire? Comunque dopo andiamo a trovarci un albergo. Giusto il tempo di fare una telefonata >>.

 

Attirò l’attenzione della barista e gli mimò il gesto di telefonare. Lei gli fece cenno verso il retro del locale, dove trovò un vecchio telefono malandato ma che sarebbe servito al suo scopo. Tirò fuori un foglietto che portava nascosto nella calza destra e compose il numero che c’era scritto sopra.

 

Ivanof Zarevic, la Lince.

 

Unico contatto che gli era sempre interessato avere in Russia.

 

Attese qualche minuto in linea, sentendo il telefono squillare a vuoto. Poi partì una voce russa, che diceva qualcosa che lui non capiva assolutamente; forse una segreteria, o un messaggio di numero inesistente.

 

William mise giù il ricevitore, controllando di aver fatto il numero corretto. Strano che Ivanof non rispondesse: di solito quello era il suo numero diretto, era lui a ricevere la telefonata…

 

Tornò nel locale, pagò i due caffè più un piccolo sovrapprezzo per la telefonata, e tornò in macchina, seguito sempre da Daniel.

 

<< A chi hai telefonato? >> chiese lui.

 

<< Alla Lince >> rispose William, mettendo in moto la Veyron, << Ma non ha risposto… Deve aver cambiato numero… Andiamo in centro e troviamo un albergo che fa al caso nostro >>.

 

Non era preoccupato; anche se non aveva più il suo numero di telefono, sapeva come incontrare Ivanof. In caso di bisogno, gli aveva detto che lo avrebbe sempre trovato in un vecchio locale nel centro di Mosca, un posto piccolo e discreto che a lui piaceva molto perché gli garantiva una certa privacy. Il proprietario lo conosceva bene, e sicuramente gli avrebbe dato un nuovo recapito.

 

L’atmosfera natalizia in città era nel pieno, e le luci delle decorazioni e degli alberi sfavillavano tra le vie affollate della Mosca ricca, quella dello shopping natalizio. Gente di tutti i tipi, imbacuccata in cappotti pesanti e sciarpe, girava tra i negozi carica di buste e pacchetti.

 

William si sentì stranamente distante da quell’eccitazione e felicità tipicamente festive: forse era la stanchezza, forse la consapevolezza che quel Natale avrebbe avuto davvero poco da festeggiare. Adocchiò l’insegna di un hotel extra lusso e si fermò davanti, sotto lo sguardo poco convinto dell’usciere.

 

<< Questo ti piace? >> domandò, rivolto a Daniel, con tono sarcastico.

 

<< Certo che sì >> rispose lui, guardando la facciata bianca ed elaborata dell’edificio, << Quante stelle è? Sei? >>.

 

Entrarono nella hall, diretti verso il bancone, dove una ragazza dai capelli raccolti in una stretta crocchia li accolse con un sorriso piuttosto finto. In effetti, il loro abbigliamento non rispecchiava molto quello richiesto per i tipici clienti di quell’albergo: niente smoking, né giacca e cravatta, nemmeno una camicia. Solo un paio di jeans, una t-shirt e una giacca.

 

<< In cosa posso aiutarvi? >> chiese gentilmente, un forte accento russo nella voce. Aveva già capito che non erano della zona.

 

<< Vorrei due camere con vista sulla strada >> rispose William, tirando fuori il portafoglio, << Le migliori che avete >>.

 

La ragazza digitò qualcosa sul computer.

 

<< Abbiamo una singola e una suite >> rispose, guardandolo, << Sono di vostro gradimento? >>.

 

William allungò una mazzetta di banconote alla ragazza, rivolgendole un’occhiata eloquente.

 

<< Queste dovrebbero bastare per tutta la settimana >> mormorò, << E se vi chiedono di me, non sono qui, d’accordo? >>.

 

La ragazza sorrise a trentadue denti di fronte al denaro e annuì.

 

<< Come desidera, signore. Siamo molto conosciuti per la nostra discrezione. Vi do immediatamente le chiavi >>. Si voltò un attimo, poi aggiunse: << Stante 23 e 24, terzo piano >>.

 

William prese le chiavi e ne lanciò una a Daniel, camminando rapidamente verso l’ascensore.

 

<< Prenditi la suite >> disse, secco, << E’ la tua ricompensa per avermi seguito fino a qui… >>.

 

Non si soffermò sull’espressione stupita di Daniel, non gli interessava. Non gli interessava nemmeno avere la suite, in quel momento. Qualcosa gli diceva che gli sarebbe stata completamente inutile, tanto non doveva impressionare nessuno, né tantomeno condividerla con qualcuno… Non per il momento.

 

<< Perché? >> fece Daniel, mentre salivano con l’ascensore fino al terzo piano, << Sei tu il capo, non dovresti…? >>.

 

William lo zittì in fretta. << Prenditi quella maledetta camera e non discutere >> ringhiò, << Volevi una suite? Te la sto dando. Tanto io non me faccio niente, ho altro a cui pensare >>.

 

Raggiunsero il terzo piano, e arrivarono davanti alle porte. La 24, quella Daniel, era una stanza angolare, molto grande e lussuosa; anche la 23 però non era male, e William ci si chiuse dentro in fretta, desideroso di rimanere finalmente da solo.

 

Una volta chiusa la porta alle sue spalle, si lasciò cadere sul letto morbido e soffice, le braccia dietro la testa, gli occhi chiusi. Tutta la tensione che aveva addosso si sciolse lentamente, facendolo piombare in un torpore leggero, che gli dava ancora la facoltà di pensare e ragionare.

 

Ormai era a Mosca, aveva raggiunto la sua meta. Non gli rimaneva che trovare la Lince e sperare nel suo aiuto… Sicuramente con lui avrebbe trovato Irina in un battibaleno, anche se in quel momento stava partecipando alla Mosca-Cherepova. Poteva farsi dare la mappa della corsa, seguirli passo passo, oppure aspettarli all’arrivo… In ogni caso, non vedeva l’ora di ritrovarsi davanti Irina e Dimitri, sentire quello che avevano da dire, le scuse che si sarebbero inventati…

 

La mano gli corse alla tasca in cui nascondeva la pistola, certo che quella sarebbe stata l’unica fedele compagna nella sua avventura… Era inutile illudersi di non doverla usare con lei, Irina lo aveva tradito… Non sarebbe mai riuscita a trovare una scusa abbastanza convincente per fargli cambiare idea.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 14.00 – Autostrada

 

Il guard-rail sfilava alla sinistra di Irina come una striscia grigia di metallo indistinto, senza un inizio e senza una fine, mentre i fiocchi di neve vorticavano sulla strada, trasportati dal vento. Una Camaro rossa correva di fianco a loro, mentre dietro avevano la 599 di Xander, il rombo del motore che arrivava ben distinto alle loro orecchie.

 

<< Vai, vai… >>.

 

Irina strinse il volante, senza staccare gli occhi dalla strada che si riempiva a poco a poco di neve, l’asfalto sempre più scivoloso… Gli alberi che contornavano la carreggiata avevano le chiome bianche, il cielo grigio sopra di loro che non prometteva nulla di buono.

 

<< Non rischieranno di più >> disse Dimitri, che aveva gettato di lato la cartina e ora guardava a intermittenza la 599 e la Camaro, << C’è troppa neve, sanno che possono perdere il controllo… >>.

 

Fino a quel momento, Irina aveva guidato come una matta. Aveva percorso più di quattrocento chilometri senza fermarsi, a una media di 180 km/h, riuscendo a recuperare Severin e la sua Camaro, ma accorgendosi che Xander li tallonava sempre più vicino.

 

Poi aveva iniziato a nevicare. Dapprima più radi, poi sempre più spessi e grossi, i fiocchi avevano cominciato a scendere dal cielo posandosi sulla carreggiata e disegnando un mantello bianco che non aveva niente di invitante. Irina aveva dovuto rallentare per forza, per non rischiare di finire fuori strada, e così avevano fatto Severin e Xander

 

<< Rallenta ancora… >> sussurrò Dimitri, << Fai andare avanti la Camaro… Ci farà strada >>.

 

Irina sfiorò il freno, lasciandosi superare da Severin, conscia dell’utilità di quella mossa: se ci fosse stato del ghiaccio, la Camaro sarebbe stata la prima a incontrarlo, dando a loro la possibilità di evitarlo.

 

Gettò un’occhiata nello specchietto retrovisore: vedeva il volto concentrato di Xander al volante della 599, ma era talmente arrabbiata con lui che non si preoccupava del fatto che potesse essere stanco… Oltretutto, vedeva bene anche la chioma bionda di Nina.

 

Spostò lo sguardo sul cruscotto, controllando il livello del carburante. La lancetta calava sempre più verso il simbolo con la pompa del rifornimento…

 

<< Non possiamo andare avanti ancora per molto >> disse, << Dobbiamo fare benzina, o rischiamo di rimanere a piedi >>.

 

Dimitri annuì.

 

<< Quanto abbiamo ancora? >>.

 

<< Trenta, trentacinque chilometri al massimo >> rispose Irina, sentendo il motore della Punto ruggire al di sopra dello stereo.

 

Non importava arrivare primi, in quella gara dove era il tempo il fattore discriminante. Avevano recuperato Severin, perciò su di lui avevano un po’ di vantaggio, ma Xander invece li aveva raggiunti. Fermarsi significava dargli un margine di distacco ulteriore, e perdere minuti preziosi…

 

<< Credi si siano già fermati? >> chiese Irina, seguendo i fari rossi della Camaro davanti a loro.

 

<< No >> rispose Dimitri, << Saranno costretti a fare rifornimento anche loro, fra poco… >>.

 

Mentre i minuti passavano lenti, con il rumore delle ruote che rotolavano sull’asfalto bagnato, la tensione che saliva sempre più, Irina sentì le dita delle mani intorpidirsi. Cominciava a essere stanca, aveva bisogno di una pausa. E tutto quel bianco le faceva strizzare gli occhi, abbagliandola.

 

Intanto, la lancetta del serbatoio scendeva sempre di più, finché la spia rossa non si accese prepotente, segnalando l’urgente bisogno di nuovo carburante. Rallentò ancora un po’, per guadagnare ancora qualche chilometro di autonomia, ma Xander non sembrò voler fare lo stesso. Forse ne aveva ancora per un po’…

 

<< Dimitri… Alla prossima dobbiamo fermarci >> disse, preoccupata.

 

Lui scosse il capo.

 

<< Alla seguente >> disse solo.

 

<< Ma non ce la facciamo! >> ribatté lei, << Non abbiamo abbastanza autonomia! >>.

 

<< Ci arriviamo >> la rassicurò Dimitri, fissando dallo specchietto la Ferrari, << Rallenta >>.

 

Irina sfiorò nuovamente il freno, proprio mentre l’ultimo cartello avvisava dell’imminente stazione di servizio. La superarono, e il suo cuore iniziò a battere ancora più forte. Però si fidava di Dimitri, e vederlo così calmo la tranquillizzava.

 

“Si è fidato di me, è giusto che io faccia altrettanto…”.

 

Credette che Xander la superasse, per prendersi il vantaggio, ma rimasero in coda, l’uno dietro l’altro, con la Camaro in testa. Voleva continuare a sfruttare la sua scia…

 

Irina gettò un’altra occhiata all’indicatore del serbatoio, poi al tachimetro, in ansia. Sarebbero rimasti a piedi… Ormai non la Punto non poteva andare avanti ancora per molto… Il rosso della spia sembrava diventare sempre più brillante…

 

<< Cosa stiamo aspettando? >> domandò, a voce bassissima.

 

<< Che Went si fermi… >> rispose Dimitri.

 

Irina deglutì. Non aveva importanza che Xander si fermasse prima o dopo di loro: in ogni caso, l’eventuale vantaggio che perdevano a guadagnavano poteva annullarsi…

 

Poi finalmente lo vide: un altro segnale di stazione di servizio. Si spostò a destra, sperando che Dimitri non la facesse continuare ancora, e si accorse che la Camaro non rallentava; poteva proseguire ancora, allora. La Ferrari, invece, guizzò alla sua sinistra e la superò in un secondo, parandosi davanti a lei e imboccando l’entrata della stazione di servizio.

 

Dimitri fece un sorrisetto.

 

<< Lo sapevo… Seguili >>.

 

Irina entrò nella stazione e andò diretta verso le pompe di benzina deserte, affiancata alla Ferrari. Si fermarono insieme, e Dimitri saltò giù dalla Punto alla velocità della luce. Aprì il bocchettone e iniziò il rifornimento.

 

Xander li guardava con un’espressione omicida sul volto, e Irina lo ignorò. Dimitri invece sosteneva il suo sguardo, beffardo, come a sfidarlo. Nina era rimasta in macchina, forse affrontare il freddo era troppo per lei…

 

<< Guido io >> disse il russo.

 

Irina annuì. << Ok >>.

 

Dimitri afferrò le chiavi dell’auto e salì al posto di guida, mentre Xander faceva la stessa identica cosa. Irina si accomodò dalla parte del passeggero e venne incollata al sedile dallo scatto bruciante di Dimitri, che fiondò in avanti la Punto come un proiettile. La Ferrari li affiancava, il rombo del motore che copriva quello della Punto.

 

Irina si tenne alla maniglia della porta, sperando che il disprezzo che provava Dimitri nei confronti di Xander non lo portasse a sbatterlo fuori, o peggio.

 

Come dotata di un nuovo vigore, la Punto iniziò ad accelerare sollevando una nuvola di neve, mentre la Ferrari le teneva testa, una macchia rossa nel bianco del paesaggio. Sul volto di Dimitri c’era dipinto un ghigno, gli occhi grigi puntati sulla strada.

 

<< I prossimi trecento chilometri saranno i peggiori della sua vita… >> sussurrò.

 

Irina si ritrovò a pensare che forse Xander aveva davvero bisogno di una lezione, questa volta. Non li avrebbe fatti vincere, anche se sapeva che dovevano essere loro a incontrare la Lince; era intenzionato a ostacolarli fino alla fine, perché voleva essere lui a recitare la parte del vero agente dell’F.B.I

 

<< Fagli vedere che non serve una Ferrari, per vincere questa maledetta gara >> disse lei.

 

Gli occhi di Dimitri brillarono, e lei capì che si era appena dimostrata una vera pilota clandestina. Non ebbe il tempo di aggiungere altro, perché venne incollata al sedile dall’accelerazione della Punto.

 

Sorpassarono a tutta velocità una stazione di servizio, dove Irina riuscì a vedere la Camaro rossa di Severin ferma a fare rifornimento, e sorrise al pensiero che la strategia del Mastino stava funzionando: faceva bene a fidarsi.

 

Afferrò la mappa e cercò il punto esatto in cui si trovavano: a metà strada tra Mosca e Rostov, ma il percorso comprendeva anche un tratto di gara in montagna, tra i tornanti gelati poco prima dell’arrivo. Dovevano guadagnare vantaggio ora, perché dopo non si poteva sapere cosa sarebbe accaduto…

 

Nell’autostrada sgombra la neve aveva smesso di cadere, ma l’asfalto rimaneva comunque bagnato, e la bassa temperatura rendeva facile il formarsi di lastre di ghiaccio. Bastava un errore per finire contro il guard-rail e poi fuori strada…

 

Guardò Dimitri, concentrato sulla strada, chiedendosi cosa passasse in quel momento nella sua testa: l’unica cosa che provava lei in quel momento era tensione pura.

 

I minuti passavano lenti, la musica a basso volume completamente coperta dal rumore dei motori, mentre le due auto procedevano fianco a fianco lungo la carreggiata, a una velocità che poteva presto portarli alla morte. Era come se uno dei due attendesse che l’altro rallentasse il passo, che gli lasciasse spazio… Nessuno l’avrebbe fatto, né Xander né tantomeno Dimitri.

 

Poi la Punto sbandò, e Dimitri premette fino in fondo il freno, mentre l’auto si girava di lato, vittima di una spessa lastra di ghiaccio che nessuno aveva visto. Come un mimo, la 599 perdeva il controllo nello stesso modo, lo stridio delle gomme sull’asfalto invadeva l’aria gelida…

 

Irina gridò, ma Dimitri strinse il volante così forte ed eseguì una controsterzata così decisa che la Punto tornò dritta, mentre nel loro specchietto retrovisore la Ferrari riguadagnava la traiettoria con un colpo di coda.

 

Dimitri fece una smorfia soddisfatta, e accelerò ancora, con la 599 che gli rimaneva incollata al posteriore… Poteva riprenderli in un attimo, se voleva. Aveva più cavalli, più scatto… Ma meno aderenza.

 

Davanti a loro si delineò la siluette di un’auto, una M3 bianca con la fiancata rovinata, partita prima di loro… Doveva essere inciampata anche lei nella lastra di ghiaccio che aveva fregato loro…

 

Il tempo passò così in fretta che Irina si accorse della strada che avevano fatto solo quando la lancetta del serbatoio della Punto si trovava ormai sotto la metà… I trecento chilometri di Dimitri dovevano ormai essere alla scadenza, ma la Ferrari continuava a rimanergli incollata dietro, senza accennare a rallentare…

 

<< Controlla sulla mappa se il prossimo distributore è l’ultimo prima di uscire dall’autostrada >> disse Dimitri, la voce neutra.

 

Irina seguì il percorso delineato da una riga blu, e scoprì che si trattava davvero dell’ultimo. Dopo, si apriva il tratto montano che si inerpicava tra stretti tornanti che avevano l’aria di essere molto ripidi.

 

<< Sì, è l’ultimo… >> sussurrò, << Si fermeranno anche loro, immagino… Ci diamo il cambio? >>.

 

Dimitri attese un attimo prima di rispondere.

 

<< Se non sono stupidi si fermeranno >> rispose, << Rischierebbero di rimanere senza benzina a pochi chilometri dall’arrivo… I tornanti sono tuoi, se ti ricordi ancora come si gareggia in un canyon… >>.

 

Irina fece un sorrisetto.

 

<< Come posso essermi dimenticata? >> ribatté, << Ho rischiato la vita, quando ho fatto quel tipo di gare… Ma sono ancora qui, quindi credo di essere pronta >>.

 

Sorvolarono un piccolo dettaglio: era il Mastino era essere l’esperto di Canyon, quello che amava quel genere di gare e che aveva sfidato anche Xander in quel modo… Lui però sembrava non volerlo ricordare, come se le stesse dando la possibilità di dimostrare chi era.

 

<< Sei tu che devi vincere questa gara >> disse solo lui, << Non farmi pentire di averti lasciato il volante >>. Ma sorrise impercettibilmente, nonostante la tensione.

 

Irina si rese di nuovo conto che Dimitri le stava dando fiducia dove Xander non lo avrebbe mai fatto: rischiare una gara così? Assolutamente no! Piuttosto avrebbe guidato lui per dodici ore di fila!

 

Dimitri mise la freccia e imboccò l’entrata della stazione di servizio, ancora seguito da Xander. Doveva avere in mente la stessa loro idea.

 

Irina si fiondò giù dall’auto appena Dimitri si fermò di fianco alla pompa della benzina. Lui fece rifornimento mentre lei si sistemava al posto di guida.

 

L’istinto di guardare cosa faceva Xander fu troppo forte, così si voltò dalla sua parte. Anche lui stava facendo rifornimento, ma Nina era fuori e lo guardava, seria. Stava dicendo qualcosa di cui non riuscì a cogliere il senso.

 

Poi la ragazza fece un cenno verso la Punto, e Xander si voltò a guardare per un momento. Il suo sguardo incrociò quello di Irina, ma senza mostrare emozioni tornò a guardare Nina. Fece un cenno e la ragazza prese posto al volante della Ferrari.

 

La prima sensazione di Irina fu di tradimento. La lasciava guidare… Assurdo. Si fidava più di quella russa che di lei? Le metteva tra le mani l’esito della gara…

 

“C’è solo una spiegazione… E’ più brava di me”.

 

L’orgoglio le montò addosso come una belva, e le sue dita fremettero sul volante. Quando mai aveva incontrato una ragazza più brava di lei alla guida? Quando mai aveva sentito il bisogno di mostrare di cosa fosse capace davvero a una donna pilota come lei?

 

Dimitri risalì in auto, e il suo piede affondò sull’acceleratore, facendola schizzare fuori dall’autogrill alla velocità della luce. Il russo venne sballottato contro il sedile, mentre lei filava dritta verso l’uscita dell’autostrada, la montagna che avrebbero dovuto scalare proprio davanti a loro…

 

<< Cazzo, che ti è preso?! >> sbraitò Dimitri, rimettendosi seduto, << D’accordo che dobbiamo vincere, ma dammi il tempo di salire! >>.

 

Irina ignorò il suo tono stizzito, troppo arrabbiata per rispondergli a tono.

 

<< Se fa guidare quella, si è completamente dimenticato chi ha davanti… >> ringhiò, << Lei non sa chi sono io… >>.

 

Sentì addosso lo sguardo di Dimitri, forse divertito, forse infastidito. Non le importava. Aveva una reputazione da difendere, anche se si trattava del suo fidanzato. Non le importava nemmeno di apparire pretenziosa o orgogliosa.

 

E iniziò la salita, dapprima leggera e con poche curve, poi sempre più ripida, i tornanti che si susseguivano uno dopo l’altro, la carreggiata stretta e a strapiombo sul vuoto…

 

Irina tenne d’occhio lo specchietto retrovisore, vedendo il volto perfetto e angelico di Nina alla guida della 599 alle loro spalle, e ogni volta che i suoi occhi incontravano quelli azzurro cielo della russa, sentiva montare maggiormente la rabbia. Il suo piede affondava sempre di più sull’acceleratore, per mettere più strada tra lei e quella Ferrari che iniziava ad odiare con tutta se stessa.

 

<< Fa’ attenzione, potrebbe esserci del ghiaccio, dopo quella curva… >> disse Dimitri, tranquillo, gettando un’occhiata dietro di loro.

 

Irina annuì e fece arrampicare la Punto al centro della strada, pronta a qualsiasi sorpresa. Sentì le ruote perdere un po’ di aderenza, ma lo sguardo alla 599 non le fece muovere il piede da dove stava. Non si sarebbe fatta superare…

 

Però, per quanto ci mettesse il suo impegno, notò che Nina non perdeva terreno. Le rimaneva incollata al posteriore, sfruttando la sua scia e avvantaggiata nel caso di imprevisti. Sapeva come guidare, sapeva cosa voleva dire correre…

 

“Bravo Xander, ti sei trovato una bella sostituta. E’ pure brava al volante… Ottima scelta”.

 

Chiunque avrebbe dato loro dei pazzi, e forse lo erano davvero. Correre sulle montagne a quella velocità, fregandosene altamente di qualsiasi rischio, era da matti. Eppure l’adrenalina che scorreva nelle vene di Irina in quel momento era così potente da farle apparire tutto lento, controllabile, semplice…

 

Poi, iniziò la discesa.

 

Irina sfruttò le marce basse, per evitare di surriscaldare i freni, e lasciò scendere la Punto lungo i tornanti, sentendo a ogni curva le ruote pattinare, guadagnando velocità a ogni metro. Poteva cadere da un momento all’altro, rischiare di sbandare, e il silenzio di Dimitri tradiva tutta la tensione che anche lei sentiva in quel momento. Ma non poteva demordere, non poteva lasciare la possibilità a Nina di superarla…

 

Curva a destra, curva a sinistra, tornante… Più che una gara, sembrava una danza della morte, contro il rischio e contro il buon senso. Ormai non mancava più molto alla fine, e doveva riuscire a guadagnare un po’ di vantaggio… Erano pur sempre partiti dopo di loro, avevano cinque minuti di scarto…

 

All’ultimo tornante prima del tratto finale che li avrebbe portati all’arrivo, Irina decise di sfruttare una delle poche possibilità che aveva di sorprendere Nina… Tirò il freno a mano, facendo girare la Punto di lato, scivolando lungo la strada in diagonale, con il muso in direzione dei dieci chilometri che li separavano dal traguardo…

 

Girò il volante e affondò il piede sull’acceleratore, così la Punto schizzò dritta e rapida, facendo sbandare il posteriore, ma nella giusta direzione…

 

La Ferrari però fece ruggire il motore, e Irina se la ritrovò chissà come di fianco, una macchia rossa con la bella faccia di Nina dentro. La vide rivolgerle un impercettibile saluto con la testa, per poi superarla con facilità…

 

Irina strinse il volante, sentendo la rabbia salire a livelli intollerabili… Era un vero e proprio affronto, una sfida a volto aperto…

 

Si mise dietro 599, guadagnando velocità, pronta a una manovra diversiva. Sapeva che la strada sarebbe stata dritta per un bel po’, ma poteva aspettare… Un’unica mossa, e l’avrebbe fregata…

 

<< Puttana… >>.

 

Anche se era il commento che avrebbe voluto esprimere lei ad alta voce, fu quella di Dimitri a mettere in chiaro cosa pensavano di Nina.

 

<< Quanto è furba… >> continuò lui, con un vago sorrisetto, << Ti sta provocando, penso tu lo abbia capito >>.

 

Irina fissò lo sguardo che vedeva riflesso nello specchietto della 599.

 

<< Davvero? Pensavo che potessimo diventare buone amiche, io… >> fece lei, sarcastica.

 

Dimitri fece un sorrisetto, poi sembrò tentato di dire qualcosa, ma non lo fece. Irina continuò il suo inseguimento, mentre sentiva il volante tremare sotto le mani, per via delle pietroline sul terreno e dell’alta velocità…

 

Poi, finalmente, una curva, quella che poteva portarla davanti…

 

La Ferrari si spostò sulla sinistra, per entrare larga, mentre lei si mise a sinistra… La affiancò e la chiuse, portandosi in testa, il posteriore che scodava per via del ghiaccio…

 

L’insegna dell’Hotel Lady B., il loro traguardo, apparve luminosa su un alto palazzo grigio, le finestre illuminate. Una linea rossa era stata tracciata per terra, e un gruppo di russi attendeva l’arrivo dei partecipanti…

 

Irina sentì il pedale dell’acceleratore arrivare a fine corsa, facendo letteralmente catapultare la Punto avanti, come un missile. Il rombo del motore della Ferrari arrivò dritto alle sue orecchie, vide brillare la vernice rossa nello specchietto…

 

Poi tagliò il traguardo, inchiodando appena in tempo per non andare a sbattere contro le auto parcheggiate davanti all’ingresso dell’Hotel, e rimase a fissare il vuoto per alcuni istanti, esausta.

 

La gara era finita, ma vide il ghigno di Nina all’interno della Ferrari. Anche se aveva tagliato il traguardo per prima, non aveva vinto. E lo sapeva meglio di tutti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Allora, scusate il clamoroso ritardo per questo capitolo, ma volevo finalmente offrirvi in “pasto” un cap degno di questo nome, perché i precedenti non mi sembra siano stati un gran che… Tra l’altro, notando le quasi inesistenti recensioni, mi è venuto da pensare. Quindi, ho fatto uno sforzo enorme (non credevo che l’università potesse essere così distruttiva… ho sempre la sensazione che mi stia sfuggendo tutto di mano, visti gli impegni) e mi sono data da fare. Ditemi che ne pensate.

 

Che dire… Come vedete, la reazione di Irina di fronte alla comparsa di Nina è quella di una ragazza qualsiasi che improvvisamente si rende conto che ha appena incrociato sulla sua strada la “donna perfetta” in grado di portarle via il fidanzato con uno schiocco di dita. Ed è uscita fuori la rivalità tra le due, che farà sicuramente scintille. Per non parlare del comportamento di Xander che non aiuta affatto… Si sono comportati come due perfetti sconosciuti, eppure non ne hanno sofferto. Fa pensare, vero?

 

E William è arrivato a Mosca… E conosce la Lince di persona… Ma io aspetterei a cantare vittoria. Si vedrà nel prossimo cap!

 

Alla prossima!

 

Un bacio!

 

 

 

 

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Capitolo 27
*** Capitolo XXVII ***


Capitolo XXVII

Capitolo XXVII

 

 

 

 

Why is everything with you so complicated?
Why do you make it hard to love you-
While I ha---te it?
Cause if you really wanna be alone, I
Would throw my hands up cause baby I tried
But everything with you is so complicated,
Oh, why (Oh Why)?

I'mma stick around just a little while longer.
Just to make sure, that you're really sure, you like sleeping alone
I'mma stick around just a little while longer.
Just to make sure, that you're really sure, you like sleeping alone*

 

[ ComplicatedRihanna ]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 16.00 – Rostov, Hotel Lady B.

 

Irina fissò la facciata dell’albergo davanti a lei senza in realtà vederla, il volante stretto sotto le dita. Aveva un sapore amaro in bocca, come se avesse ingoiato qualcosa di disgustoso, e sapeva a cosa era dovuto.

 

Non erano primi in classifica.

 

Dimitri non avrebbe dovuto fidarsi di lei. Non avrebbe dovuto lasciarle condurre l’ultima parte della gara… Se avesse guidato lui, molto probabilmente avrebbero messo molta più strada tra loro e la Ferrari, o almeno sarebbero riusciti a guadagnare qualche metro in più…

 

Diede un colpo secco al volante, arrabbiata. Era stata stupida e superficiale…

 

Il russo, di fianco a lei, si mosse appena, ricordandole che non era sola. Non ebbe il coraggio di guardarlo in faccia, perché si sentiva in colpa. Come sempre era stata una delusione…

 

<< Andiamo a vedere quanto abbiamo fatto >> disse solo lui.

 

Irina annuì e scese dalla Punto, e suo malgrado lo sguardo le cadde sulla Ferrari a pochi metri da lei. Nina aveva sul volto un ghigno soddisfatto, e la guardava come a dire: “Ti abbiamo fatto mangiare la polvere, Fenice”. La ignorò, seguendo Dimitri a testa bassa, e raggiunse il russo dalla barba scura che li aveva accolti alla partenza.

 

<< Cinque ore e quattro minuti >> disse loro l’uomo, controllando sulla sua cartelletta, << Per il momento siete secondi >>.

 

<< E noi, quanto abbiamo fatto? >> cinguettò Nina, che si era avvicinata subito, affiancata da Xander. Le rivolse un’occhiata strafottente, e Irina sentì la mano di qualcuno afferrarla per il braccio, come a trattenerla: era Dimitri. La tirò un po’ verso di sé, suscitando una strana occhiata da parte di Xander, e la spinse verso l’albergo. Riuscì però comunque a sentire la risposta alla domanda della russa, e la cosa non fece che farle affossare ancora di più l’umore.

 

<< Quattro ore e cinquantanove minuti. Siete primi >>.

 

Irina sospirò, e non cercò nemmeno di fare una faccia un minimo contenta quando vide che Dan stava venendo verso di loro, imbacuccato come lo avevano lasciato a Mosca. Non si chiese nemmeno come lui e tutti gli altri Referenti avessero fatto ad arrivare così velocemente all’albergo, tanto da essere sicuri di giungere prima dei concorrenti.

 

<< Vi ho visti arrivare! >> gridò, tutto eccitato, << E non sono stato l’unico… Bel duello, davvero! Come vi siete piazzati? >>.

 

Dimitri fece una faccia infastidita, ma rispose comunque: << Al momento siamo secondi, ma mancano ancora un sacco di partecipanti… Possiamo aspettare dentro, o dobbiamo stare fuori? >>.

 

Davanti alle loro facce piuttosto scure, l’italiano soppresse tutto il suo entusiasmo.

 

<< Ah… No, no, potete anche aspettare dentro. Ma l’auto va parcheggiata nel garage sotterraneo. Se andate nella hall, vi daranno le chiavi >>.

 

<< Bene >>.

 

Dimitri lasciò Irina dov’era e tornò qualche minuto dopo con le chiavi. Gliele lanciò e le fece cenno di andare a parcheggiare la macchina.

 

<< Ti aspetto di sopra, nelle camere >> disse, l’aria neutra, << La tua è la 45 >>.

 

Irina annuì, pregustando già una sgridata da parte sua. Risalì sulla Punto e scese nel garage dell’hotel, ampio e luminoso, dove c’era solo una macchina già parcheggiata. Vide brillare qualcosa alle sue spalle, e scoprì che si trattava della Ferrari di Xander.

 

Parcheggiò la Punto in un angolo, e non guardò verso la 599: non avrebbe sopportato un altro sguardo di trionfo da parte di Nina, non in quel momento. Poi si accorse che lei non c’era, che Xander era da solo… Incerta, per un momento pensò di raggiungerlo per parlare, ma poi si rese conto che forse non c’era niente da dire. Si voltò e fece per andarsene.

 

<< Aspetta… >>.

 

Xander l’aveva appena chiamata, e lei non riuscì a resistere alla tentazione di girarsi: da troppo tempo non sentiva la sua voce per essergli indifferente. Lo guardò, la mano appoggiata sulla porta della Ferrari, e le apparve incomprensibilmente lontano.

 

<< Bella gara… >> disse lei rapidamente, << Bella co-pilota… Bello tutto. Complimenti >>.

 

Non aveva voglia di parlare, non in quel momento. Voleva solo andarsene in camera sua, a pensare che la gara non era finita come voleva lei, e a cercare di capire perché si sentiva così male…

 

Fece per girarsi, ma Xander richiamò di nuovo la sua attenzione.

 

<< Senti, mi dispiace per come ci siamo lasciati l’altra volta… >> disse lui, << Ero un po’ confuso, nervoso… >>.

 

Irina si lasciò andare a una smorfia amara, e alla mente le tornò il dolore che aveva provato quel giorno, quando qualcosa le era diventato chiaro nella testa…

 

<< Era lei, immagino, a confonderti… >> disse, facendo un cenno verso il sopra, dove sicuramente Nina stava già tentando di sedurre qualcun altro, o forse lo stava aspettando per mettere le sue mani curate su di lui…

 

<< Nina non c’entra >> ribatté Xander, seccato, << Le cose tra noi andavano male già prima >>.

 

“La difende… Perfetto. Cos’altro devo sopportare, prima di arrabbiarmi per davvero?”.

 

<< Già… >> fece lei, sempre più amareggiata, << Ti avevo detto che avrei voluto saperlo, se tu fossi dovuto andare con un’altra… >>.

 

<< Non è successo nulla tra noi >> si affrettò a dire Xander, ma qualcosa trasparì dalla sua voce, come una nota di insicurezza, << Niente di quanto tu possa pensare >>.

 

Irina fece un passo avanti, anche se la distanza tra loro, fisica e mentale, rimase la stessa.

 

<< Non prendermi in giro, Xander >> disse, arrabbiata, incrociando le braccia, << Non sono stupida né ingenua. Anche se tra voi non è successo niente, è da quando la conosci che mi tratti con distacco… Mi hai trattato come una bambina, fino ad ora; invece, da quel che vedo, di lei ti fidi molto di più >>.

 

Gli occhi di Xander lampeggiarono. Si era innervosito, molto probabilmente perché lei aveva toccato il tasto “giusto”…

 

<< Non c’entra come la tratto >> ribatté freddamente, << E comunque ha dimostrato di essere brava al volante… Anche tu hai fatto guidare Dimitri >>.

 

Irina scosse il capo: non capiva. Non capiva che si era resa conto che lui trattava tutte come donne, e lei come bambina. Non capiva che forse lei aveva intuito che ormai fosse stanco di farle da baby-sitter, che lei voleva essere trattata da adulta proprio per quello… Ma lui non avrebbe mai smesso di considerarla la principessa indifesa da salvare. E lui molto probabilmente non aveva più voglia di fare il cavaliere.

 

<< Non mi sarebbe venuto nulla da pensare, se non ti avessi visto arrivare con lei >> disse, tranquilla, ma con una profonda tristezza addosso, << Ma quando vi ho visti insieme, credo di aver capito >>.

 

<< Capito cosa? >> ringhiò Xander, rimanendo sempre vicino alla Ferrari, come se gradisse di più la presenza dell’auto, che la sua.

 

Irina sospirò. Ormai tutti i suoi sospetti si erano addensati in un unico grande pensiero, scuro, pesante, ma sempre più convincente.

 

<< Che forse… Che forse non sono più la ragazza che fa per te >> disse lei.

 

Le parole caddero nel vuoto, pesantissime, stranamente distanti, esattamente come la sensazione che aveva lei dentro il cuore. Vuoto, freddo, triste.

 

Ci fu un momento di silenzio, poi qualcuno corse giù dalle scale che portavano di sopra, costringendoli a voltarsi verso la fonte del rumore.

 

<< Xander? Perché ci stai mettendo così tanto? >>.

 

Nina sbucò dalla tromba delle scale in una nuvola di profumo, e Irina si fece da parte per farla passare, visto che non sembrava averla nemmeno notata. La guardò dirigersi verso Xander con l’incedere di una sinuosa gatta, e la lasciò prendere possesso della spalla del suo fidanzato senza dire una parola.

 

<< Stavo… Stavo scambiando quattro chiacchere >> disse lui, confuso per l’intrusione.

 

“Guardalo, fa il santarellino…”.

 

Nina si girò verso di lei, gli occhi azzurri pervasi di vera e propria perfidia, senza però togliere niente alla sua bellezza mozzafiato, a quella perfezione che sembrava sempre più fatta per unirsi a quella di Xander… Era una stronza, eppure quel viso le avrebbe sempre fatto perdonare qualsiasi cosa.

 

<< Oh, sì, molto brava la famosa Fenice >> disse Nina, ma non c’era niente di amichevole nella sua voce argentina, << Peccato che non sia arrivata prima… Sarebbe stato un bel risultato per una ragazzina >>.

 

Irina sentì montare addosso una rabbia assurda a sentirsi definita “ragazzina” da lei, ma qualcosa la fece rimanere ferma dov’era. Aveva ancora abbastanza dignità per non abbassarsi al livello di quella russa solo perché Xander sembrava preferire la sua nuova co-pilota.

 

<< Scusate, vi lascio il garage solo per voi. Avrete bisogno di stare insieme, immagino >> disse con un sorriso falso, e se ne andò, risalendo rapidamente le scale, due gradini per volta, per mettere più distanza possibile tra lei e quella coppia che ormai aveva l’aria di essere molto affiata.

 

Raggiunse la stanza 45 e ci entrò dentro, sbattendosi la porta alle spalle. Non si guardò nemmeno intorno per capire come fosse fatta, e si sedette direttamente sul letto, il fiato corto, il cuore che batteva a mille.

 

Due grosse lacrime le colarono sulle guance, bruciandole la pelle come se fossero incandescenti. Sentì un singhiozzo nascerle in gola, ma riuscì a reprimerlo prima che uscisse fuori, ingoiando tutta la rabbia che aveva dentro.

 

Non lo stava perdendo… Lo aveva già perso.

 

Xander ormai si era stufato di lei; si era stancato di recitare la parte dell’uomo che sta con la ragazzina, proprio come l’aveva definita Nina. Sì, non era molto più che una ragazzina, in fondo. Nina era una donna vera, più grande, più bella, più furba di lei. Sicuramente più vissuta.

 

Mai come in quel momento i cinque anni di differenza che correvano tra lei e Xander si fecero sentire. Non erano molti, ma abbastanza per farli sembrare due persone diverse, appartenenti a due generazioni diverse. Lei quella che si era appena affacciata alla vita vera; lui quello che ne aveva già viste tante…

 

Per quello la trattava come una bambina, come una sciocca a cui si doveva sempre fare attenzione… Per due anni si era imposto quella sorta di compito, ma ora iniziava a stufarsi.

 

“Avrei dovuto immaginare che le cose potessero andare così…”.

 

No, non avrebbe potuto immaginarlo. Quando la loro storia era cominciata, le era sembrato tutto perfetto, tutto fantastico… Xander l’aveva tirata fuori dai guai, le era rimasto accanto, le aveva dato tutto l’amore di cui aveva sentito il bisogno… Perché le cose sarebbero dovute cambiare?

 

“Perché lui si è creato una prigione da solo… Pur di non ferirmi, mi ha creato una campana di vetro, mi ci ha chiuso dentro e si è messo a fare la guardia. Scegliendo di prendere parte a questa missione, gli ho fatto un torto, gli ho dimostrato di essere un’ingrata”.

 

Ma non poteva certo rimanere chiusa per sempre dietro quegli alti muri che lui aveva creato… Prima o poi avrebbe dovuto uscire, e forse era successo prima del previsto…

 

Sentì bussare alla porta, e sperò non si trattasse di Xander. Andò ad aprire, asciugandosi rapidamente gli occhi, e lasciò che Dimitri entrasse nella sua camera. Le tornò in mente l’esito della gara, e il fastidio andò a sommarsi a quello che provava già. Tenne il volto basso, in modo che non vedesse la sua espressione sofferente.

 

Rimasero in silenzio per qualche istante, poi lei disse: << E’ andata male >>.

 

Dimitri la guardò, impassibile. Solo per via di un guizzo nei suoi occhi, lei capì che si era accorto che aveva pianto.

 

<< Non è un problema >> ribatté, neutro.

 

<< Devono arrivare ancora diversi piloti >> disse lei, sapendo che non era come diceva lui, << Sicuramente scenderemo nella classifica… Avresti dovuto guidare tu >>.

 

Dimitri ridusse gli occhi a fessure, il volto dai tratti affilati che si fece minaccioso.

 

<< Abbiamo ancora due gare davanti, e questa non è di sicuro la più importante >> ribatté, << Non ha importanza come ci siamo piazzati: possiamo comunque rifarci domani >>.

 

Aveva parlato con tanta irruenza che la sua, più che rassicurazione, sembrava rabbia. Irina si passò una mano sul volto, sospirando.

 

<< Già… >> mormorò.

 

Sentì Dimitri muoversi, così alzò lo sguardo, per trovarlo di fianco alla finestra, a fissare fuori, forse l’arrivo degli ultimi piloti.

 

<< Hai parlato con Went? >> chiese.

 

<< Sì >>.

 

<< E cosa ti ha detto? >>.

 

Irina scosse il capo. << Niente che riguardasse la missione >> rispose a voce bassa.

 

Dimitri si voltò a guardarla, e lei abbassò gli occhi. Non aveva voglia di parlarne, perché le veniva solo da piangere. Meglio lasciar stare le cose così com’erano, per il momento. Forse a mente fredda avrebbe capito di aver esagerato, sarebbe riuscita a trovare una spiegazione a quel vuoto che si sentiva addosso…

 

<< Vado a farmi una doccia >> disse Dimitri, avviandosi verso la porta, << Stasera vedremo come ci saremo piazzati >>.

 

Irina annuì e lo guardò uscire, tranquillo, impassibile come al solito. Forse la sua idea non era male: fare una doccia magari le avrebbe tolto quella sensazione di freddo che aveva addosso, scaldandole almeno un po’ il corpo, se non il cuore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 19.00 – Mosca, Gulad Pub

 

William si gettò un’occhiata intorno appena mise piede nel locale, e in effetti si accorse che era un posto molto tranquillo, lontano dal genere di posti che di solito frequentava lui. Era una taverna in vecchio stile, con un bancone di legno e sgabelli dall’aria vissuta, molte bottiglie di liquori appese alle pareti e lampade verdi che gettavano una luce soffusa nell’ambiente. Un tizio in un angolo suonava una canzone tranquilla al piano, accompagnandola con la sua voce.

 

C’erano solo un paio di signori dall’aria normale, gente che doveva essere venuta a bersi una birra dopo una giornata di lavoro. Non lo degnarono più di tanto di attenzione, così raggiunse l’oste, un tipo anziano dalla barba bianca, e si presentò.

 

<< Sono William Challagher >> disse, a bassa voce, sperando che capisse l’inglese, << Sto cercando Ivanof Zarevic >>.

 

L’uomo fece quasi finta di non aver sentito, ma gli gettò un’occhiata di sottecchi. Controllò che i due tizi poco lontano non lo stessero ascoltando, e continuò a pulire il bicchiere che aveva in mano.

 

<< Perché lo cerchi? >> chiese alla fine, sempre a voce molto bassa.

 

<< E’ un mio vecchio amico, e ho bisogno di una mano >> rispose William, tenendo il tono a filo del sussurro. Chiaramente, nonostante fosse un posto tranquillo, bisognava mantenere una certa discrezione…

 

L’oste prese un bicchiere pulito e lo riempì di una birra scura e densa, come a darsi il tempo di pensare a cosa dire. Glielo mise davanti, poi mormorò: << Ivanof Zarevic è morto un anno e mezzo fa >>.

 

William guardò l’uomo, e capì perché il russo non aveva risposto al telefono. Morto? Come poteva essere morto? Era un uomo di quarant’anni, pieno di soldi, auto, e guardie del corpo… Oltretutto, era anche la Lince.

 

<< Come è successo? >> chiese.

 

L’oste sospirò.

 

<< Lo hanno ucciso in un agguato >> rispose, << Doveva essere venuto a conoscenza di qualcosa di cui non doveva sapere… Lo hanno fatto fuori con un colpo in testa >>.

 

William bevve un sorso di birra, scuotendo il capo. Un altro che era stato tradito… Ormai era una cosa comune. Non che gli dispiacesse, non c’era affetto tra la gente come loro, ma le implicazioni di quella morte erano importanti, almeno per lui. Si delineava un nuovo problema: Ivanof Zarevic era stato la Lince… Ora chi lo era? Era stato sostituito, oppure non esisteva più quella figura paragonabile alla sua?

 

<< Conosci qualcuno che era in contatto con lui? >> chiese, << Con cui possa parlare? Arrivo da lontano e ho bisogno di una mano… >>.

 

Il vecchio prese un foglietto e ci scrisse qualcosa sopra.

 

<< Recati in questo posto >> disse, << Domani, verso mezzogiorno. Troverai qualcuno con cui parlare… Digli che ti mando io, se vuoi, anche se non ti garantisco che ti faranno entrare. Dovresti trovare qualche suo parente. Forse loro possono aiutarti >>.

 

William prese il foglietto, poi tirò fuori una banconota per pagare. L’uomo scosse il capo.

 

<< Offro io >> disse, << Però sappi che ti stai infilando in qualcosa di molto pericoloso. Forse Ivanof non era veramente quello che credi tu >>.

 

<< Ho intenzione di scoprirlo >> ribatté William, poi guadagnò l’uscita del locale.

 

Risalì sulla Bugatti, parcheggiata nella penombra di un palazzo, e guardò l’indirizzo scritto sul foglietto: indicava una via nel quartiere Lyubertsy di Mosca.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 21.00 – Rostov, Hotel Lady B.

 

Irina chiuse la porta della sua stanza, gettando una rapida occhiata al corridoio deserto. Da quando era arrivata, non era uscita dalla sua camera: non aveva voglia di vedere nessuno, né tantomeno “l’amica” di Xander. Si era lavata e si era cambiata, indossando i suoi jeans preferiti, e si era messa un velo di trucco sugli occhi… Non sapeva se lo faceva per tirarsi su il morale, oppure per non essere da meno di Nina, il cui make up aveva retto a una gara di ottocento chilometri. Ma dubitava le servissero dei cosmetici per essere bella.

 

Ci aveva pensato un po’ su, cercando di dirsi che in fondo Xander non era il tipo da scappatelle, che l’amava sempre come il primo giorno… Poi si era resa conto che alla fine non sapeva niente di quello che aveva fatto in missione, che visto come stavano andando le cose, poteva averle benissimo nascosto qualcosa…

 

Poi aveva lasciato perdere. Lui molto probabilmente non ci stava male come lei… Forse non si rimproverava nemmeno nulla, come invece faceva lei. L’aveva trascurato? Si era comportata da stupida?

 

Per distrarsi aveva telefonato a McDonall per fargli sapere come stava andando la gara, ricevendo comunque le sue rassicurazioni riguardo all’esito, le stesse di Dimitri. Al posto di sentirsi meglio, però, aveva avuto la sensazione di essere la stupida della situazione…

 

Si mise la chiave in tasca e guardò la porta della camera di Dimitri, indecisa se chiamarlo o meno. I Referenti dovevano aver appeso la classifica definitiva nella hall dell’albergo, e voleva vedere come era andata alla fine…

 

Magari era già di sotto. Si voltò e percorse il corridoio a testa bassa, sperando di non incontrare nessuno. Non sapeva nemmeno in quale stanza fosse Xander, ma sicuramente era vicino a Nina…

 

Una volta di sotto, si diresse defilata verso la hall, trovandola vuota. Gli esiti definitivi dovevano essere già stati messi da un po’, quindi molti dovevano essere già al corrente di come era andata…

 

Individuò il foglio appeso in bacheca, e si avvicinò con cautela, pronta a una brutta sorpresa.

 

 

1° posto: 4h 59’ 34’’ Mark Dowson, Nina Kraracova, Ferrari 599

2° posto: 5h 03’ 56’’ Vladimir Buinov, Cyril Ehagarin, Subaru Impreza

3° posto: 5h 04’ 21’’ Irina Dwight, Dimitri Goryalef, Fiat Grande Punto

 

 

<< Bé, pensavo che sarebbe andata peggio… >> disse qualcuno alle sue spalle, apparentemente divertito.

 

Irina non si voltò nemmeno, riconoscendo subito la voce di Dimitri. Continuò a scorrere il foglio con lo sguardo, leggendo i vari tempi e i piloti. In effetti, anche lei aveva temuto che potessero ritrovarsi più in basso, invece erano terzi. C’era un ampio margine per rimontare.

 

, Nina sarà contenta… Sono primi” fu però il suo primo pensiero.

 

<< Vladimir è secondo >> disse lei, a bassa voce, sentendo rimbombare stranamente la sua voce nella hall deserta, << E’ bravo… Però mi pare che si stia tenendo a distanza da noi, o sbaglio? Non l’ho ancora visto… >>.

 

Si voltò a guardare Dimitri, e notò che si era accorto che quella sera era leggermente più curata del solito. Sembrò fare un sorrisetto divertito, ma riuscì a mascherarlo prima che Irina si sentisse presa in giro, e tornò a fissare il foglio appeso.

 

<< Non era oggi che dovevamo temerlo >> rispose, << Sarà nelle prossime due gare che dovremo guardarci da lui… Fa attenzione, se lo incontri mentre sei da sola >>.

 

Quell’avvertimento prese Irina alla sprovvista. Dimitri era serio, imperscrutabile come al solito, ma non le aveva mai riservato un’attenzione del genere… O forse ormai la conosceva abbastanza bene da sapere che era in grado di cacciarsi nei guai in qualsiasi situazione, anche la più tranquilla.

 

Accennò un sorriso, e disse, per sdrammatizzare: << Non penso possa essere più pericoloso di Nina >>.

 

Gli occhi di Dimitri brillarono per il divertimento. << No, forse no >> sussurrò. Poi le fece un cenno verso la sala da pranzo. << Servono la cena, a quest’ora… Andiamo? >>.

 

Irina fece cenno di no con la testa, trovando qualcosa di leggermente diverso, nel Mastino, che la metteva a disagio. << Veramente non ho fame… >>.

 

Dimitri sembrò trattenersi dal fare un gesto di esasperazione.

 

<< Non è in questo modo che risolverai la situazione, a qualunque tu voglia riferirti >> disse, secco, << Muoviti. Domani ti ricordo che devi percorrere mille chilometri, e non puoi permetterti di stare male >>.

 

La afferrò un per un braccio e la trascinò verso la sala da pranzo, senza aggiungere altro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Xander mandò giù il boccone di carne con una certa fatica, perché alla vista di Irina, tenuta ben stretta per un braccio da Dimitri, appena entrata nella sala, il cibo sembrava essere diventato improvvisamente gommoso. Il suo sguardo rimase incollato a quella mano fino a che Irina e Dimitri non presero posto a un tavolo dalla parte opposta della stanza, poi passò sulla faccia di lei, e riconobbe subito lo stesso tipo di trucco che si faceva quando usciva con lui…

 

C’era qualcosa di profondamente sbagliato nel fatto a qual tavolo ci fosse Dimitri: non era lui che doveva stare lì… Di solito, quello era il suo posto.

 

E la prima cosa che gli venne da chiedersi fu: perché?

 

Perché Irina lo aveva trattato così freddamente, perché sembrava trovarsi così bene a quel tavolo, con quel russo di ghiaccio? Perché non lo aveva chiamato, quando si erano lasciati dopo aver litigato? Perché improvvisamente sembrava diversa, troppo diversa?

 

Vide il cameriere servire loro da bere, mentre aspettavano da mangiare, e notò che Irina aveva quell’aria leggermente imbarazzata e spaesata che aveva avuto le prime volte che era uscito con lui… Però sembrava anche a suo agio, guardava Dimitri dritto in faccia, come se si fidasse di lui… Come se ci fosse qualcosa…

 

<< Credevo che la tua… ragazza fosse un tantino più, come dire, bella? >>.

 

Xander si voltò di scatto verso Nina, seduta al suo stesso tavolo, che mangiava con poco interesse la sua insalata, un vago sorrisetto sulle labbra. Non lo guardava nemmeno, come se la cosa fosse di poca importanza… Come se non si fosse accorta del suo stupore di fronte al fatto che sapesse chi fosse Irina.

 

<< Non chiedermi come faccio a saperlo >> aggiunse, tranquilla, << Non mi sfuggono queste cose… Da come la stavi guardando, capisco che non ti aspettavi una mossa del genere da lei >>.

 

Alzò lo sguardo, e Xander rimase in silenzio. Non era importante che Nina sapesse che conosceva Irina, l’importante era che non sapesse altro di lui. Anzi, forse in quel modo contribuiva a rendere la sua posizione più credibile… Irina recitava la parte di una pilota clandestina, come lui.

 

<< Se devo essere sincera, è insignificante >> disse Nina, sempre molto pacata, la forchetta in mano, << Davvero, credevo che uno come avesse una donna degna di questo nome… Quella non è una donna, è una ragazzina >>.

 

Xander tornò a guardare Irina, ma non vide l’insignificanza di cui parlava Nina. Forse non era bella quanto lei, ma era comunque attraente. Aveva quel non so che che in qualche modo la faceva guardare…

 

<< Così è una pilota clandestina anche lei… >> continuò Nina, di fronte al suo silenzio, << Ma non era la tipa di Challagher? >>.

 

Questa volta Xander fu costretto a parlare, e sperò che la sua scusa reggesse: << Challagher è in prigione… Ci siamo conosciuti quando è stato arrestato >>.

 

Nina sorrise. << Ah, capisco. Nel frattempo si diverte con te… E con Dimitri >>.

 

Xander fece una smorfia di disgusto, al pensiero. E si accorse che Nina sembrava altrettanto infastidita, come se Irina fosse entrata in un territorio che in qualche modo riteneva suo…

 

<< Non sapevo conoscessi Dimitri Goryalef >> disse lui, per sondare il terreno.

 

Nina benne un sorso di vino dal suo calice e gli rivolse un’occhiata, la cascata di capelli biondi che si muoveva morbida.

 

<< Ci conosciamo da molti anni, da quando sono entrata nel giro delle corse >> rispose, << E’ uno dei primi che ho conosciuto… Sai, ha una certa fama, dalle nostre parti >>.

 

<< Cosa vuoi dire? >>.

 

<< Pare che sia l’unica persona che non abbia nulla da temere dalla Lince >> spiegò Nina, e sembrava compiaciuta, << Ha fatto fuori talmente tanta gente che lo lasciano in pace e gli fanno fare quello che vuole >>.

 

Xander si trattenne dal voltarsi completamente e andare incontro a Irina: che diavolo voleva dire, quello? Dimitri era peggio del Mastino che aveva fatto parte della Black List?

 

<< E perché ha ammazzato un sacco di gente? >> chiese a denti stretti.

 

Nina fece un sorrisetto.

 

<< Oh, una faida familiare. Lui e i suoi parenti avevano dei conti in sospeso con la famiglia di quello lì, lo vedi? Seduto al tavolo centrale… Vladimir Buinov, si chiama >>.

 

Xander gettò un’occhiata dove indicava, individuando il pilota della Subaru Impreza nera, con il collo sfregiato da una cicatrice. Stava mangiando insieme a un altro russo dalla barba rossiccia.

 

Quella era un’altra cosa che Irina non gli aveva detto… Ma bene, faceva tutta la santarellina, e poi era la prima a nascondergli le cose…

 

<< Vedi con che gente si accompagna, la tua ragazza? >> fece Nina, divertita, << E tu continui a preoccuparti… Quella sarà andata a letto con Dimitri un’infinità di volte, mentre tu continui a pensare a lei >>.

 

Gli occhi di Xander lampeggiarono.

 

<< Questo non puoi saperlo >> disse, a bassa voce, << Non la conosci… >>.

 

<< Non conosco lei, ma conosco Dimitri >> ribatté Nina, tranquilla, << E Dimitri non tocca mai una ragazza con cui non è andato a letto… >>.

 

Il pensiero di Xander corse all’ingresso del russo, che teneva Irina per un braccio, e sentì la rabbia montare… Forse quello che diceva Nina non rispecchiava la realtà, ma qualcosa gli diceva che un fondo di verità poteva esserci…

 

Si costrinse a stare calmo, e colse l’occhiata che Nina aveva appena rivolto a Dimitri: si rese conto che guardava il Mastino non come preda, ma come… come qualcuno che la attirava profondamente, che bramava, ma che non aveva il coraggio di avvicinare…

 

Poi capì. Nina era decisamente gelosa di Irina, qualsiasi fosse la ragione. Parlava da rivale, e sicuramente stava cercando di far apparire Irina diversa da quella che era…

 

Fece un sorrisetto, ma non disse niente. Anche se Nina era di parte, c’erano comunque delle cose che andavano chiarite, ed era meglio farlo il prima possibile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Irina colse l’occhiata di Xander, e capì che molto probabilmente le voleva parlare. Come, dove e quando, non lo sapeva… Non si soffermò ancora su di lui, perché la presenza di Nina era troppo ingombrante nel suo campo visivo per farle continuare a prestare la sua attenzione dalle loro parti…

 

Venne distratta dal fatto che Vladimir, seduto poco lontano da lì, stava parlando con Konstantin, e improvvisamente si era voltato a guardarla. Il giovane Referente si teneva la mano con la cicatrice, e comprese che doveva appena avergli raccontato l’accaduto… Cercò gli occhi di Dimitri nella speranza di avere rassicurazioni, ma lo vide con le sopracciglia aggrottate, decisamente ombroso.

 

“Aria di guai…”.

 

<< Se non hai intenzione di finire di mangiare, direi di andarcene >> disse Dimitri.

 

Irina guardò il suo piatto ancora mezzo pieno, ma annuì. Si alzò e seguì il russo fuori dalla sala, in direzione delle camere.

 

<< Aspettate! >>.

 

Irina si voltò di scatto: Dan correva verso di loro, anche lui appena uscito dalla sala da pranzo. Forse non lo aveva notato, presa com’era dai suoi pensieri.

 

<< Che succede? >> chiese lei, preoccupata.

 

Dan inchiodò, ma sorrise. << Niente. Volevo solo farvi i complimenti per il terzo posto >> disse, << Niente male, per essere la prima volta che partecipi >>.

 

Irina capì che si trattava solo di innocenti chiacchere, così sorrise a sua volta, sforzandosi di apparire serena. Dimitri però le gettò un’occhiata e disse: << Vado in camera. Devo fare una telefonata >>.

 

Mentre il russo spariva nell’ascensore, Irina tornò a guardare Dan.

 

<< Sì, in effetti pensavo peggio. E’ stata una gara combattuta >>.

 

L’italiano ghignò. << Ti sei fatta una nemica… >> disse.

 

<< Ti riferisci a Nina? >> domandò Irina, improvvisamente rigida. << Bé, non capisco perché ce l’abbia con me… Non ci eravamo mai viste, prima di oggi >>.

 

Dan fece un movimento con la testa, come se gongolasse.

 

<< E’ gelosa di te >> disse, << Perché stai con Dimitri, e perché ti fa da co-pilota. Lui è l’unico uomo che non è caduto nelle sue trappole, e per questo lei lo ama alla follia… Lo sanno tutti, ma Dimitri non l’ha mai nemmeno filata >>.

 

<< Oh… >>. Irina guardò Dan, stupita, << Davvero? Non lo sapevo… Ma mi sembra strano: lei è così bella, figuriamoci se Dimitri non ci stava… >>.

 

Dan ridacchiò. << Infatti gli hanno dato tutti del pazzo, ma lui la detesta >> disse, << Una volta si è fatta trovare nella sua stanza d’albergo completamente nuda, sperando che almeno così cedesse… Sai che ha fatto Dimitri? Ha chiamato la sicurezza e l’ha fatta portare di sotto, l’ha fatta vestire da donna delle pulizie e l’ha rimandata a casa… Chi c’era ha riso per una settimana, dopo avergli dato del mezzo gay. Da quella volta Nina ha cessato ogni approccio “pesante”, ma continua a piacergli >>.

 

<< Ma… Ma perché la odia? >> chiese Irina, senza riuscire a immaginare la scena appena raccontata dall’italiano: in effetti, doveva essere stato piuttosto umiliante per Nina, ma molto comico per gli altri…

 

<< Non lo so >> rispose Dan, con una scrollata di spalle, << Forse sono quelle cose che vanno a pelle, non ne ho idea. So solo che proprio non la può vedere, altrimenti starebbero assieme già da un bel po’… >>.

 

Irina trovò la notizia alquanto singolare: Dimitri poteva avere a disposizione una delle più belle ragazze in circolazione, e non la filava nemmeno di striscio, anzi, sembrava odiarla dal profondo. Bé, però aveva fatto in fretta a trovare un degno sostituto, e Xander non sembrava poi tanto contrario…

 

Scosse il capo per evitare di arrabbiarsi ancora, e sentì il cellulare vibrare nella tasca. Lo tirò rapidamente fuori, trovando un messaggio di Xander, il cui nome non compariva da diverso tempo su quel display…

 

“Se riesci a non farti scoprire, raggiungimi nella mia stanza… 5° piano, numero 77”.

 

Rimise il telefono in tasca e disse: << Devo andare… Domani mattina a che ora ci dobbiamo trovare per la gara? >>.

 

<< Vi faremo sapere tutto entro stasera >> rispose Dan, << Vi avvertiremo personalmente uno per uno >>.

 

<< Ok, allora a dopo >>.

 

Si defilò rapidamente verso l’ascensore, entro dentro e schiacciò il tasto del quinto piano; un piede però si infilò nella porta prima che si chiudesse, e Vladimir Buinov, la cicatrice tirata sul collo, fece irruzione dentro, fissandola con un sorriso sornione e mezzo storto.

 

<< Buonasera Fenice >> disse, << Vado al quarto… >>.

 

Premette il pulsante, e Irina fece finta di non averlo nemmeno visto: incrociò le braccia e iniziò a fissare la lucina che indicava il piano. Ricordò l’avvertimento di Dimitri, ma sperò che un ascensore non potesse rivelarsi così pericoloso da metterla in una situazione poco carina…

 

<< Scopro con piacere che la tua presenza da queste parti rende la vita difficile a qualcuno… >> iniziò Vladimir, la voce metallica che le fece drizzare i capelli, << E non intendo in termini di gare… >>.

 

Irina gli rivolse un’occhiata fulminante, ma sentì l’inquietudine crescerle addosso: per caso si riferiva a Xander? Che sapesse qualcosa?

 

<< La mia presenza rende sempre difficile la vita a qualcuno… >> commentò, enigmatica, << Non vado tanto per il sottile, quando è ora… >>.

 

Vladimir ridacchiò. << Infatti ho parlato con Konstantin… Non è molto contento di quello che è successo >>.

 

<< Non credo che siano affari che ti riguardano >> ribatté Irina.

 

L’ascensore si fermò, e Vladimir la guardò dritta in faccia, un finto sorriso che sapeva di minaccia.

 

<< Invece potrebbe tornarmi utile, questa cosa… >> commentò, uscendo dall’ascensore, << Riferisci questo per me a Dimitri: forse so come prenderlo, questa volta. A meno che si sia dimenticato quello che è successo a sua sorella… >>.

 

Vladimir sparì per il corridoio, e Irina schiacciò velocemente il pulsante del quinto piano, il cuore che improvvisamente le batteva follemente nel petto. Quella frase aveva un che di agghiacciante, anche se non l’aveva capita appieno… Dimitri non aveva certo dimenticato quello che era accaduto a sua sorella, e Vladimir lo sapeva…

 

L’ascensore si fermò di nuovo, e lei controllò che nel corridoio non ci fosse nessuno. Raggiunse in fretta la porta della stanza 77, bussò e si infilò dentro.

 

Trovò Xander con un’espressione scocciata sul volto, e la cosa non contribuì a tranquillizzarla. Si guardarono un momento in faccia, poi lei disse, a bassa voce: << Cosa c’è? >>.

 

<< Hai controllato che…? >>.

 

<< Sì, non mi ha seguito nessuno >> concluse per lui Irina, alzando gli occhi al cielo, esasperata, << Non sono così incompetente…>>.

 

Xander assunse un’aria poco divertita.

 

<< Ho sentito quello che è successo con quel Konstantin… >> iniziò, facendo un cenno con la testa indicando chissà dove, << Non sapevo fosse un Referente, né che Dimitri gli avesse trafitto una mano con un coltello. Non me lo avevi detto >>.

 

<< Abbiamo già discusso di questo >> rispose freddamente Irina, stufa di quella storia, << Non ho voglia di sorbirmi la tua ramanzina, perciò se è questo di cui volevi parlarmi, preferisco andarmene >>.

 

Forse il suo atteggiamento fu eccessivamente distaccato, ma era nervosa, e non era disposta a stare ad ascoltare qualcuno che sicuramente l’avrebbe fatta arrabbiare ancora di più. Si voltò, ma sentì Xander fare un passo avanti.

 

<< Davvero non te ne frega niente di quello che penso? >>.

 

Irina si voltò, incontrando gli occhi gelidi di Xander. Era furioso quanto lei, ma il suo orgoglio gli impediva di capire…

 

<< Sì >> rispose lei, << Non mi interessa, perché so già che mi dirai che mi sto comportando come una bambina, che sono una sciocca, che mi caccerò nei guai… Sono tutte cose che mi hai già detto, e a cui io ti ho dato una spiegazione che tu non vuoi capire. Forse è meglio se non ne discutiamo più, altrimenti peggioreremo solo le cose >>.

 

Vide l’espressione di Xander trasformarsi in incredulità.

 

<< Da quando valgo così poco per te? >> fu la sua domanda.

 

<< Non vali poco per me, ma mi sono accorta che forse sono io che non valgo abbastanza per te >> rispose amaramente Irina, << E ho capito dove sta il problema tra noi >>.

 

<< Non c’è nessun problema, sei tu che… >> iniziò Xander, ma Irina lo interruppe.

 

<< Non darmi la colpa di tutto >> sibilò lei, << Non sono solo io il problema, e tu lo sai. Non sono più quella che conoscevi, quella di cui ti sei innamorato… Eri contento finché facevo la bambola. Non pensavi che potessi ritornare a correre e riuscirci, vero? >>.

 

Xander rimase in silenzio, come se non avesse capito quello che aveva appena detto.

 

<< Rispondi >> disse lei.

 

Xander scosse il capo. << Non credevo che potessi volere una cosa del genere per davvero… >>.

 

Irina fece una smorfia amareggiata. Lo sapeva che ci aveva visto giusto, e ormai voleva solo sapere tutta la verità.

 

<< Continui a vedermi come una bambina da salvare, ma non lo sono… Xander, dimmi la verità: tu mi ami ancora? >>.

 

Lo guardò dritto in quegli occhi azzurri che l’avevano stregata e continuavano a rimanere per lei i più belli del mondo, e si accorse che nonostante tutto lei lo amava ancora, anche se si stava comportando in quel modo che la feriva. Ma lui, invece che sostenere quello sguardo, per la prima volta, smise di guardarla.

 

Irina capì. Capì che forse Xander non provava davvero più quello che sentiva lei, che il loro rapporto era diventato un peso, che non l’aveva mai lasciata perché non aveva il coraggio di farlo… Si comportava così perché le voleva bene, ma non l’amava più. Erano troppo distanti l’uno dall’altro, e forse Nina gli aveva fatto capire cosa voleva davvero…

 

Fece un sorriso triste di fronte al silenzio di Xander, sapendo di averlo messo in qualche modo alle strette; ma ormai, era meglio chiarire tutto e definitivamente, per evitare di trascinarsi dietro quella crisi che non voleva passare, e che poteva portarli a odiarsi.

 

<< Non sono più quello che vuoi tu >> disse a bassa voce, << Mi dispiace, ma tu non me lo avresti mai detto, vero? >>.

 

Xander sembrava completamente senza parole, per la prima volta nella sua vita non sapeva che fare né che dire. Ma il fatto che non si arrabbiasse significava molto…

 

<< Irina, io non ci capisco più niente… >> disse, << Non capisco davvero cosa ti stia passando per la testa… Mi stai mentendo in continuazione… >>.

 

Irina si irritò.

 

<< Non ti ho mentito >> ribatté, << Semplicemente non ti ho detto delle cose, sapendo benissimo cosa avresti detto… Lo stesso hai fatto tu, mi sembra >>.

 

Si riferiva a Nina, che forse in quel momento era nell’altra stanza e stava cercando di ascoltare cosa si dicevano… Quella che sembrava fatta apposta per Xander, sbucata da chissà dove per gettare ancora di più nello scompiglio il loro rapporto cigolante…

 

Lui sembrò arrabbiarsi. << Quello di cui non ti ho parlato io non era così grave come quello che non mi hai detto tu >> disse, << Dimitri ha dei conti in sospeso con quel Buinov, ha ammazzato un sacco di gente e scopro che è pericoloso quanto Challagher… In più, fa il pazzo andando in giro a piantare coltelli nelle mani della gente, con te che gli dai corda… Questo non ti sembra grave? >>.

 

<< Tu non conosci la sua storia >> ribatté lei, << Non puoi giudicarlo. Io so cosa è successo, e so che Dimitri non è pericoloso… Anzi, si è dimostrato migliore di te, se proprio lo vuoi sapere >>.

 

Era un colpo basso e del tutto gratuito, e Xander andò su tutte le furie.

 

<< Già, ormai fate coppia fissa; scusa se mi permetto di dire qualcosa su di lui >> ringhiò, << Sarà stando con lui che hai preso questa brutta piega… Non avrei mai dovuto permettergli di venire qui… >>.

 

Irina spalancò gli occhi. “Hai preso questa brutta piega?” ma cos’era, suo padre, per caso? Voleva farle la morale?

 

<< Dimitri non centra niente >> disse, arrabbiata, << Non lo mettere in mezzo, solo perché non sei più capace a tenermi sotto la tua campana di vetro… Se sono un problema per te, prenditela con me >>.

 

<< Tanto non capisci >> ribatté lui, << Ormai ragioni come una di loro… Sei diventata davvero una pilota clandestina… E io continuo a cercare di non farti accadere nulla… >>.

 

Irina comprese tutta la portata di quella frase: era un peso, un peso enorme per lui. Una corda, una catena, qualcosa che lo teneva legato a una persona per la quale non provava più nulla…

 

In un attimo, capì che c’era un’unica soluzione per porre fine a quella cosa. E le venne da piangere, perché non era così che voleva che finisse; anzi, lei non voleva che finisse. Ma se Xander si sentiva prigioniero, ed era lei la causa, forse era meglio che lo lasciasse andare…

 

Deglutì, trattenendo in gola il singhiozzo che voleva prepotentemente uscire.

 

<< D’accordo, Xander >> disse lentamente, << Se per te sono un peso, se in qualche modo ho limitato la tua vita, è meglio finirla qui. Ti lascio. Sei libero >>.

 

Poi si voltò di scatto, e uscì dalla stanza, senza guardarsi indietro, senza indugiare, senza sperare di essere seguita… Perché sapeva di aver fatto la cosa che nessuno dei due aveva ancora trovato il coraggio di fare…

 

Prese le scale, la vista annebbiata dalle lacrime, e scese di sotto, sempre più sotto, superando la sua stanza, la hall, l’ingresso, senza incontrare nessuno, perché tutti erano impegnati a festeggiare le loro stupide esistenze nella sala dell’albergo, a bere, a ridere, a giocare a carte, a fare la loro vita da piloti clandestini, come quello che era diventata lei…

 

Uscì nel piazzale illuminato solo dai lampioni, la neve che cadeva gelida sul terreno, e raggiunse il muretto vicino al giardino dell’hotel, fregandosene del freddo, del gelo, del buio, di tutto…

 

Si sedette sul cemento gelido, rendendosi conto che nessuno l’aveva seguita, che era sola

 

Un vuoto enorme le cadde addosso, pesante come un macigno, pesante come la consapevolezza di quello che aveva appena fatto…

 

Era sola, di nuovo.

 

Scoppiò a piangere, sopraffatta da quel dolore che si era inflitta da sola, che non poteva che essere consolato da una sola persona, la stessa che non l’aveva seguita, che ora era chiusa nella sua stanza, forse già pronta a rifarsi una vita…

 

L’aveva lasciato libero di andare, di fare, di vivere e non pensare a lei, ma non era quello che voleva. Continuava ad amare Xander, anche se non si capivano, anche se avevano smesso di andare d’accordo come prima…

 

Ma lui non era sceso, non aveva protestato… Se gli fosse interessato ancora qualcosa, le avrebbe impedito di andarsene, l’avrebbe presa di peso e costretta ad ascoltarlo, come aveva fatto all’inizio… Aveva ragione, non l’amava più per davvero…

 

Un brivido la scosse, ma era sola. Sola come lo era stata all’inizio, sola come forse era destino che rimanesse, sola come era solo in grado di stare…

 

“Non aveva senso andare avanti così, non aveva senso continuare a tenerlo legato se non era quello che voleva… Il tempo guarisce tutto, non ha importanza quello che provo adesso… Mi dimenticherò di lui, lascerò che ognuno prenda la sua strada… Il tempo cura tutto”.

 

Eppure era lei la prima a sapere che non era così.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Xander guardò la porta chiusa, e rimase immobile dov’era.

 

Era finita. Irina aveva deciso di chiudere con lui… Lo aveva lasciato…

 

La prima cosa che provò fu rabbia: no, non poteva finire così, non doveva finire così.

 

Poi capì che Irina aveva fatto l’unica cosa che rimaneva da fare… Quello che lui non avrebbe mai trovato il coraggio di dire…

 

“Le nostre strade si dividono”.

 

Non lo sapeva se l’amava ancora, in quel momento, non lo sapeva. Non sapeva cosa sentiva, se sentiva ancora qualcosa per lei… Ma Irina non lo voleva più, l’aveva lasciato… Perché chiederselo?

 

Tirò un pugno contro il muro, sentendo tremare qualcosa che non era la parete. Poi qualcosa gli cadde nello stomaco, rendendolo pesante, pesantissimo, fino a rendergli il fiato corto…

 

Era dolore, dolore profondo; dolore per il fatto che Irina aveva preso quella decisione, da sola, che aveva capito di non avere più bisogno di lui…

 

Forse la detestava… Forse non la capiva e basta… Forse non sapeva l’amava più davvero…

 

Abbassò lo sguardo sul pavimento, e non sentì la tentazione di seguirla, di continuare quella discussione. Non ebbe la voglia di prenderla di peso, di costringerla a guardarlo in faccia mentre diceva di non voler stare più con lui… Non sentì il bisogno di farlo.

 

“Forse ha ragione… Forse è meglio che lo abbia fatto lei… Forse ha capito prima di me che questa era la scelta giusta…”.

 

Aveva un’enorme confusione dentro, un miscuglio di sentimenti che difficilmente sarebbe riuscito a mettere in ordine… L’unico modo per farlo era parlare ancora, parlare con lei, avere del tempo, un posto tranquillo, per chiarire tutto quello che era successo a loro due… Ma capì che era già stato detto tutto. E che forse lui non voleva dire più niente.

 

Finiva lì, e basta.

 

Ognuno per la sua strada.

 

Era stato bello, ma era finito.

 

Era quello che voleva Irina. Bisognava accettarlo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Irina lasciò che l’ultima lacrima che aveva da versare le solcasse la guancia, poi rimase a fissare senza vederlo il cortile. Non sentiva nemmeno il freddo, nonostante fosse notte, nevicasse, e lei avesse gli abiti umidi. Non sapeva nemmeno che ore fossero, da quanto tempo stesse lì, sapeva solo che il suo cuore sanguinava, che soffriva, ma che non poteva più tornare indietro. Ormai era deciso: era sola.

 

E si diede della stupida, dell’idiota, perché quel dolore avrebbe potuto risparmiarselo… Non avrebbe mai dovuto prendere parte a quella missione, non avrebbe mai dovuto tornare a fare la pilota… Non avrebbe mai dovuto tornare a essere se stessa, mai.

 

“E invece non è così. Questa è la strada giusta. Per quanto faccia male, non si può negare: le nostre strade si devono dividere… Avrebbe amato sempre una persona che non esisteva”.

 

Però le lacrime continuavano a scendere, al pensiero di tutti quei momenti passati insieme, degli ostacoli che avevano superato, di quell’amore che lei aveva provato… Come avrebbe fatto? Come sarebbe sopravvissuta anche a quello?

 

“Lo farò, mi sono rialzata da peggio…”.

 

<< Non è momento di lasciarsi cadere >> disse qualcuno.

 

Alzò lo sguardo, incontrando gli occhi grigi di Dimitri, la sua mano tesa verso di lei, come un’ancora, un appiglio a cui appoggiarsi…

 

Non si mosse, non disse niente. Come l’aveva trovata? Perché l’aveva trovata?

 

<< Cosa è successo? >> chiese lui. La scrutava con i suoi occhi grigi, più profondi che mai, lì seduta per terra, come se potesse sondare fin dentro la sua anima.

 

Irina deglutì.

 

<< Ho lasciato Xander >>.

 

Ora era definitivo.

 

Dimitri le porse nuovamente la mano, ma lei non la prese. Si sarebbe rialzata da sola, era ora di imparare a farlo…

 

Si tirò in piedi, cercando di asciugarsi la faccia, e si rese conto che Dimitri le aveva appena messo addosso il suo giaccone, in un gesto che rivelava quanto in realtà fosse sensibile. Ci si strinse dentro, sentendo la tristezza montare addosso, ricordando quando lo faceva Xander, poi si lasciò spingere nell’albergo, senza protestare.

 

Prima di rientrare, però, il suo sguardo salì su, fino alla finestra dietro la quale si celava Xander, illuminata dalla luce accesa.

 

Non era sceso. Non era venuto a cercarla. Era d’accordo, finiva lì. Finiva così, con un muro a dividerli e una gara a tenerli vicini.

 

Cosa sarebbe successo adesso non lo sapeva. Ma finché aveva qualcosa da fare, forse sarebbe stato più facile dimenticarlo…

 

Sentì l’aria calda della hall riscaldarle il viso, e la mano di Dimitri prenderla saldamente per un braccio, affiancandosi a lei, lo sguardo fisso davanti…

 

<< Forse è la decisione migliore che tu abbia preso fino ad adesso >> disse.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Traduzione:

*Perché tutto con te è così complicato?
Perché rendi difficile farti amare
Mentre io lo odio ?
Perché se vuoi veramente stare da solo, io,
Porterei le mie mani al cielo perchè baby c'ho provato
Ma tutto con te è così complicato,
Oh perchè (Oh perché)?

Starò qui giusto ancora un
Giusto per essere sicura, che tu sei davvero sicuro, che ti piace dormire da solo
Starò qui giusto ancora un
Giusto per essere sicura, che tu sei davvero sicuro, che ti piace dormire da solo

 

Testo completo: http://www.rnbjunk.com/traduzione-testo-complicated-rihanna-855/

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Ebbene sì, i nostri eroi si lasciano. O meglio, Irina lascia Xander. Chi ci avrebbe mai scommesso? Immagino sia dura da mandare giù, dopo tutto quello che hanno passato per stare insieme. Ma era chiaro che c’era qualcosa che non andava più, tra loro.

Bene, se c’è qualcuno che tifa per Dimitri, ora, lo dica pure; ma vi ricordo che c’è anche William, in circolazione… Secondo voi cosa succederà? Vi dico già da subito che non ho intenzione di essere scontata, anzi, farò parecchio casino…

Al prossimo cap!

 

 

 

 

P.S.: è uscito il nuovo album di Rihanna (dal quale è tratta la canzone) e non potevo certo esimermi dall’inserirlo qui. Ci sono diverse canzoni che fanno al caso nostro!

 

 

 

 

Naturalmente ringrazio tutti coloro che hanno recensito, aumentando molto il mio buon umore e contribuendo a rendere il cap migliore!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 28
*** Capitolo XXVIII ***


Capitolo XXVIII

Capitolo XXVIII

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 10.00 – Rostov, Hotel Lady B.

 

La sveglia del cellulare iniziò a trillare all’improvviso, forte e fin troppo chiara nel silenzio della stanza, rimbombando tra le pareti bianche della camera. Irina afferrò rapidamente il telefono e la disattivò, poi con un sospiro lasciò cadere le braccia sul lenzuolo, fissando il soffitto appena rischiarato dalla fioca luce del tardo mattino.

 

Cercò di fare mente locale, per ricordare chi avesse messo la sveglia… Non era stata lei, ne era certa. La sera prima ricordarsi di doversi svegliare presto non era stato certo il suo pensiero più importante…

 

Scosse il capo, cercando di snebbiare la mente… Sì, ora ricordava. Era stato Dimitri: le aveva detto di andare a letto, dopo averle intimato di farsi una doccia calda, e poi doveva averle inserito la sveglia nel cellulare, per essere sicuro che almeno si presentasse alla gara del giorno dopo.

 

La corsa partiva a mezzogiorno, quindi aveva ancora due ore per prepararsi e rimettersi in quadro. Solo quando si mise a sedere, le piombò di nuovo addosso tutto quello che era successo la sera prima…

 

Non aveva più lacrime da versare, le aveva terminate, ma sentiva comunque quel dolore sordo e profondo che le arrivava dal cuore. Non aveva avuto tempo di pensare a qualcosa, dopo essersi fatta la doccia, perché non aveva nemmeno cercato di indugiare sulla questione: era subito piombata in un sonno senza sogni, senza nessun pensiero, sfinita.

 

“No, non devo pensarci… Ora la mia unica priorità è la missione. Devo portare a casa un risultato, costi quel che costi”.

 

Si vestì in fretta, sentendo lo stomaco che brontolava, ma non aveva voglia di mangiare. Tuttavia, doveva farlo, perché avrebbe dovuto guidare per ore, e non poteva rischiare di non avere energie sufficienti a mantenere la concentrazione…

 

Prese il cellulare, se lo mise in tasca, e si avviò verso la porta, stranamente imbambolata. Si sentiva strana, come avvolta in una sorta di nebbia che rendeva ciò che la circondava surreale. Ma sapeva che era solo una sensazione dovuta a come si sentiva dentro, alla confusione che si portava dietro.

 

Aprì la porta e andò a sbattere contro Dimitri, che forse stava per bussare per chiamarla.

 

<< Scusa… >> mormorò, ignorandolo quasi, sempre diretta di sotto.

 

Dimitri la guardò con una strana espressione, poi la seguì, scettico.

 

<< Dove stai andando? >> chiese.

 

Irina continuò per la sua strada, guardando per terra.

 

<< A fare colazione >> rispose.

 

Dimitri non aggiunse niente, e continuò a seguirla. Raggiunsero il bar e Irina ordinò il caffè più forte che c’era, aggiungendoci poi un tramezzino farcito e un paio di biscotti. Ingurgitò tutto sotto lo sguardo sempre più perplesso del russo, che sorseggiava qualcosa con un sopracciglio inarcato.

 

In quel momento, non le interessava cosa stesse pensando di lei Dimitri; non le importava nemmeno del fatto che l’avesse trovata seduta per terra a piangere sotto la neve, che in qualche modo si fosse preso cura di lei costringendola ad andarsene a dormire e puntandole la sveglia… Aveva imparato che non avrebbe mai dovuto giustificarsi davanti a lui; che anche di fronte alle sue sciocchezze, Dimitri non avrebbe mai espresso un giudizio.

 

<< Sei sicura di stare bene? >> chiese il russo, neutro, guardandola mangiare con poca voglia ma con determinazione.

 

Irina alzò lo sguardo su di lui, e si accorse che nei suoi occhi grigi c’era qualcosa di diverso… Non si soffermò a cercare di capire cosa fosse, ma rispose velocemente: << Sì, sto bene. Come ci dividiamo oggi, a guidare? >>.

 

<< Parti tu >> rispose Dimitri, lasciando correre quel suo strano atteggiamento, << Quando ti stanchi, ci diamo il cambio. Anche se non possiamo fermarci quante volte ci pare: oggi è una gara secca, chi arriva primo vince >>.

 

Irina annuì e buttò giù l’ultimo sorso di caffè.

 

<< Ok… Vado a preparare la macchina >>.

 

Scese dallo sgabello e risalì in camera, dove raccolse tutte le sue poche cose in una borsa, raccattò un elastico dalla tasca dei pantaloni e si legò i capelli; dopodiché tirò fuori le chiavi della Punto e andò in garage.

 

Questa volta lo trovò pieno, con tutte le auto partecipanti disposte l’una vicino all’altra, parcheggiate sotto la luce dei neon. C’erano alcuni dei piloti che stavano dando una controllata alle gomme, e la guardarono passare senza dire niente. Lei li ignorò, accorgendosi che la Ferrari 599 era abbandonata a stessa…

 

Il suo cervello la ricollegò immediatamente a Xander, ma scosse la testa per evitare di formulare qualsiasi pensiero che lo riguardasse. Aprì la Punto, diede una controllata alle gomme per vedere se c’erano danni, poi spalancò il portellone del portabagagli, dove erano stati stipati i due pneumatici di scorta e le due taniche di benzina, ancora piene. Si accertò che fosse tutto a posto, compresi i sigilli al cofano motore, poi salì al posto di guida e mise in moto, lasciandosi rapidamente dietro il garage e tutti i suoi piloti.

 

Trovò un benzinaio a pochi chilometri di distanza dall’hotel, si fermò e fece il pieno, anche se il serbatoio era solo vuoto a metà. Pagò e tornò in albergo, lasciando la Punto nel piazzale dove ormai stavano cominciando i preparativi per la gara. Andò al bar, prese posto a un tavolino e si mise ad aspettare.

 

Non vedeva l’ora che quella gara cominciasse: aveva voglia di partire, di trovarsi in mezzo alla strada e dover pensare così solo a guidare… Qualsiasi altro pensiero era bandito.

 

Si fece portare un altro caffè, forte e molto zuccherato, e si mise a berlo, guardando il via vai di gente che entrava e usciva dall’hotel, in fermento per l’inizio della gara. Passò Konstantin, che le rivolse un’occhiata sprezzante; poi Varagurg, uno degli altri Referenti; un paio di piloti; Vladimir Buinov con il suo co-pilota Cyril, che forse non si accorsero nemmeno che era seduta lì; e poi il russo dalla barba scura di cui non sapeva ancora il nome ma che si occupava dei tempi delle gare.

 

Mentre si distraeva guardando fuori le auto che iniziavano a uscire dal garage, si accorse che all’appello mancavano due persone piuttosto importanti: Nikodim e Boris. Non li aveva visti nemmeno il giorno prima, alla partenza della prima gara, e si chiese come mai. Forse Boris era rimasto a Mosca, magari per via di una scusa che aveva inventato Dimitri per tenerlo lontano da Xander, ma Nikodim? Aveva sempre pensato che fosse piuttosto interessato e coinvolto nella Mosca-Cherepova, visti i suoi interessi come quasi-Referente

 

Sentì dei passi avvicinarsi, poi entrò Nina, avvolta nella sua aura di perfezione, che si diresse dritta filata verso il cortile, rivolgendole un’occhiata deridente.

 

<< Buongiorno campionessa >> la salutò.

 

Irina non rispose e si limitò a inarcare un sopracciglio per farle capire che non era colpita dalla sua provocazione.

 

<< Quel campionessa era palesemente ironico… >> commentò Dimitri, comparendo dal nulla e sedendosi al tavolo di fronte a lei, impassibile.

 

Irina finì l’ultimo sorso di caffè e posò la tazzina con lentezza.

 

<< Che sia ironico o meno, vedrai che quando sarà ora di pronunciarlo di nuovo non lo farà >> disse, tranquilla, << Come mai non ci sono Nikodim e tuo zio? >>.

 

Dimitri la scrutò in volto, come se volesse cercare di capire cosa stesse pensando.

 

<< Non lo so >> rispose, << Credevo venissero anch’io. Sembra che abbiano avuto qualcosa da fare… >>. Non concluse la frase, ma era chiaro che pensava che per loro fosse meglio così. << Dove sei andata? >> chiese poi.

 

<< A fare benzina >> rispose lei.

 

Dimitri non aggiunse altro, ma Irina si accorse che sembrava la stesse soppesando, come se credesse difficile vederla comportarsi in quel modo dopo quello che era successo la sera prima… In fondo, l’aveva pur sempre trovata mezza fradicia sotto la neve a piangere per aver appena lasciato quello che doveva essere il grande amore della sua vita. A dir la verità, anche lei era stupita da sé stessa…

 

Lo vide fissarla in volto, e la cosa la mise a disagio. Era come se volesse guardarle dentro la testa.

 

<< Perché non ti piace Nina? >>.

 

La domanda le uscì dalla bocca e fu la prima che le venne in mente per togliersi da quella situazione d’imbarazzo. Vide che Dimitri non aveva cambiato minimamente espressione, come se la cosa non lo scalfisse nemmeno.

 

<< Perché è una stronza, una puttana e una vipera >> rispose, secco, << Non ha il minimo rispetto nemmeno per sé stessa. Approfitta del fatto di essere bella solo per avere quello che vuole, e se né vanta. Perché mi fai questa domanda? >>. Incrociò le braccia ma rimase serio e distaccato.

 

Irina abbassò lo sguardo per un attimo.

 

<< Dan mi ha detto qualcosa in proposito… >> rispose, pentendosi di aver tirato fuori la questione.

 

Dimitri fece una smorfia, forse di fastidio.

 

<< Nina non è il tipo di ragazza che voglio >> sussurrò, arrabbiato, << E non sono così stupido da farmi fregare da lei, come ha fatto Went >>.

 

Il russo era palesemente seccato per quella domanda, e Irina tacque. Lasciò perdere il commento riguardo a Xander, e disse, a bassa voce: << Grazie per essermi venuto a prendere, ieri sera >>.

 

Dimitri grugnì qualcosa di incomprensibile, poi si alzò.

 

<< Andiamo, è ora di mettersi in posizione >>.

 

Irina lo superò e raggiunse la Punto, salendo a bordo nel momento esatto in cui vide la Ferrari 599 passarle davanti e andare a posizionarsi davanti alla linea di partenza. Accese il motore, aspettò che Dimitri si sedesse e poi raggiunse la linea bianca tracciata per terra, il cielo di Rostov che andava piano piano annuvolandosi, proprio di fianco alla Ferrari.

 

Agganciò la cintura di sicurezza, poi voltò il capo verso la 599, e scoprì che alla guida della Ferrari c’era Nina, la chioma bionda ben visibile anche da lì. Xander sedeva nel sedile del passeggero, e guardava fisso davanti a sé, come se non si fosse accorto che era proprio di fianco a loro.

 

Incrociò lo sguardo di Nina, e sentì la rabbia montarle addosso: non perché forse in qualche modo le aveva portato via Xander, ma perché la sfidava apertamente, perché si mostrava più brava di lei, perché credeva di intimorirla, di spaventarla.

 

Forse un’altra Irina avrebbe abbassato gli occhi, ma quella che si trovava in quel momento alla guida della Punto non lo fece. Non lo fece perché aveva capito che nella vita abbassare la testa non era la mossa migliore; aveva capito che lottare, tirare fuori le unghie, era l’unico modo per ottenere quello che voleva. E lei voleva vincere, in tutti i sensi. Anche contro quella russa che credeva di essere meglio di lei.

 

Strinse il volante fino a che le nocche non le sbiancarono, e vide Nina tornare a guardare davanti a sé, tronfia. Il piede le scivolò impercettibilmente sull’acceleratore, facendo ruggire il motore.

 

“Forse non sono nessuno, forse ho sbagliato tutto nella vita, ma non mi lascerò umiliare in questo modo. Non da lei”.

 

Attese che tutte le altre auto si mettessero in posizione, poi guardò Dimitri. Il Mastino era tranquillo come sempre, ma lei si accorse che alla loro destra c’era la Impreza di Vladimir: il russo li fissava, un mezzo ghigno sul volto. Lo vide abbassare il finestrino per parlare con loro.

 

Dimitri lo ignorò, ma Irina fece scorrere il vetro, lasciando che l’aria gelida entrasse nell’abitacolo.

 

<< Si scatenerà una tempesta >> disse Vladimir, ghignando, indicando con un cenno il cielo.

 

<< Mai come quella che tireremo su noi >> ribatté Irina, secca.

 

Vladimir rise e gettò un’occhiata a Cyril, al suo fianco, poi tornò a guardare Dimitri. Il Mastino sembrava volerlo ignorare completamente, e la cosa fece sorridere Buinov.

 

<< Attento alla bambina, Dimitri >> disse.

 

Il russo si voltò a guardarlo, e Irina immaginò avesse gli occhi di ghiaccio, in quel momento.

 

<< E tu attento alla pelle >> ribatté, gelido.

 

Entrambi i finestrini si chiusero, e Irina ricordò la frase della sera prima di Vladimir, che non aveva ancora riferito a Dimitri.

 

<< Non ho avuto modo di dirtelo, ieri sera, ma ho incrociato Vladimir in ascensore, e mi ha detto di dirti che sa come prenderti… O una cosa del genere >>.

 

Parlò con tono neutro, ma qualcosa le disse che lei centrava in quella storia. L’ultimo commento di Buinov poteva che avere quel senso.

 

Dimitri rimase comunque di ghiaccio.

 

<< Non ha importanza >> disse solo.

 

Irina tornò a guardare la strada, senza provare alcuna emozione. Se in qualche modo centrava nella storia, non le importava; non aveva paura. Aveva smesso di avere paura nel momento esatto in cui aveva capito di essere da sola.

 

Diede un’ultima controllata alle spie sul cruscotto, poi mise la mano sul cambio. Come se fosse al rallentatore, vide Dan muoversi fino al centro della pista, le auto tutte in linea l’una di fianco all’altra, una pistola in mano, l’espressione seria. Come incitati dal suo movimento, i motori ruggirono come bestie inferocite.

 

Irina respirò a fondo, l’odore di pioggia e pneumatici che filtrava dal finestrino che aveva lasciato leggermente aperto. Le piaceva quell’odore, la faceva sentire eccitata come alla prima gara, l’adrenalina che iniziava a scorrerle nelle vene…

 

Improvvisamente, si sentì come la prima volta che aveva corso nella Black List, contro il numero quindici: sola, ma consapevole di avere delle qualità. Sicura di dover e poter contare solo su stessa, con la volontà di farcela a tutti i costi. Questa volta era uguale: nessuno l’avrebbe aiutata, nessuno avrebbe pensato a lei.

 

Dimitri sembrò accorgersi del suo sospiro, e capì che la stava guardando.

 

<< Non credevo che questa missione mi portasse a questo… >> sussurrò lei.

 

<< Nemmeno io >>.

 

Poi lo sparo ruppe il silenzio dell’aria, e il piede di Irina affondò meccanicamente sull’acceleratore, facendo schizzare avanti la Punto. Con una progressione bruciante, la 599 di fianco a lei la superò senza fatica, tirando su una nuvola di brina, mentre Vladimir le rimase accanto.

 

Nel più completo caos, Irina rimase incollata al posteriore della Ferrari, mentre ai suoi lati auto di diverso colore si muovevano confusamente, urtandosi e scontrandosi nel tentativo di guadagnare la posizione migliore prima della curva.

 

La Subaru la strinse a destra, e lei si spostò un po’ per evitare lo scontro. La lasciò passare avanti, sfruttando la sua scia, mentre vedeva la Camaro rossa del Diavolo avvicinarsi, affiancata da una M3 e da una Nissan.

 

Poi svoltarono a sinistra, ritrovandosi lungo a una strada di campagna, larga abbastanza per far passare due macchine, una in una direzione e una nell’altra, in mezzo a campi di grano gelati e secchi. Sopra di loro solo il cielo scuro di nubi, e il rumore assordante dei motori.

 

<< Rimanigli dietro >> disse Dimitri, mentre lei continuava a stare attaccata al posteriore della Impreza, << Qualsiasi cosa succeda, rimanigli attaccata >>.

 

Irina strinse il volante, proprio mentre nello specchietto retrovisore vide una vera e propria battaglia per la conquista del quarto posto: la Camaro stava fianco a fianco con una M3 bianca, dandosi violente sportellate nella speranza di buttarsi fuori a vicenda. Una terza auto, una Skyline, si delineò tra loro, cercando di farsi avanti…

 

Poi la M3 finì fuori strada, dritta sull’erba bagnata e poi dentro un fosso, ribaltandosi su se stessa, in un clangore metallico… La Skyline affiancò la Camaro, e Irina vide il cenno di complicità tra Severin e il tipo della Nissan…

 

<< Si sono coalizzati tra loro! >> gridò, accorgendosi che le due auto ora puntavano verso di loro.

 

Dimitri si voltò a guardare, e nei suoi occhi di ghiaccio comparve una scintilla.

 

<< Accelera >>.

 

Irina premette il pedale, avvicinandosi alla Subaru, mentre la Camaro e la Nissan sembravano allargarsi come per superarla ognuna da un lato… Anche se chiaramente volevano bloccarla.

 

<< Ci vogliono sbattere fuori… >> ringhiò Irina, arrabbiata.

 

Non aveva immaginato che la Mosca-Cherepova volesse dire anche quello: allearsi per conquistare più facilmente la vittoria… Non aveva pensato che ci fosse anche quella possibilità.

 

Affiancò la Impreza, cercando di togliersi dall’impiccio, la Ferrari 599 che faceva strada, delineando il percorso davanti a loro…

 

Non voleva finire certamente come la M3, così rimase incollata al fianco della Subaru, nella speranza che non riuscissero a raggiungerla…

 

Sentì un colpo sordo al posteriore, la Punto che sbandò, e si rese conto che la Camaro aveva appena tentato di speronarla… Toccò i freni, rallentando appena, tenendo stretto il volante per non perdere il controllo…

 

Vide Dimitri sporgersi per guardare alla sua sinistra, e colse il movimento di Cyril dall’altra parte, come se stesse gesticolando. Non capì cosa stava succedendo, perché teneva gli occhi incollati alla strada e per non rischiare di fare una mossa azzardata…

 

<< Avvicinati al ciglio della strada >> disse Dimitri.

 

Irina non si mosse. << Rischiamo che con un colpo ci facciano scivolare nel fosso… >> disse, << Stanno aspettando solo quello… >>.

 

<< Tu fallo >>.

 

Irina continuò a rimanere dov’era, mentre vedeva l’Impreza allontanarsi, lasciando uno spazio in mezzo a loro… Non capiva il senso di quella mossa, se c’era.

 

<< Perché? >> domandò.

 

<< Ci alleiamo con Vladimir >> fu la risposta secca di Dimitri.

 

Irina registrò la frase senza chiedersi se fosse giusto, sbaglio, saggio o da idioti. Se era un’idea di Dimitri, era sempre meglio fidarsi.

 

Si spostò di lato, sentendo le pietroline a bordo strada sfrigolare sotto le ruote… Un attimo, e la Camaro era in mezzo a loro, pronta a speronarla.

 

<< Vagli addosso >>.

 

Senza pensare, Irina fece sbattere la fiancata della Punto contro quella della Camaro, proprio mentre l’Impreza faceva la stessa cosa. Gli specchietti retrovisori della Chevrolet saltarono via con un sibilo, finendo sulla strada e spaccandosi in mille pezzi…

 

Con uno stridore, Irina vide le fiancate della Camaro sollevarsi e accartocciarsi, schiacciata dalla Punto e dalla Impreza, pezzi di vetro che volavano da tutte le parti…

 

Non sapeva se era giusto, se era sbagliato, scorretto o legittimo, ma capì che se voleva vincere quella gara doveva fare davvero la pilota clandestina, ed esserlo comprendeva anche quello. Sperava solo di non fare troppo male a Severin, perché non era ancora pronta a uccidere…

 

Poi la Camaro inchiodò, rallentando e finendo dietro, lontana dalla morsa in cui la Punto e la Impreza l’avevano stretta, al sicuro, ma perdendo terreno. Irina tornò in mezzo alla strada, più vicina a Vladimir di quanto le piacesse…

 

<< Adesso ci penseranno due volte, prima di mettersi contro di noi… >> ringhiò Dimitri, rivolgendo uno sguardo dietro, << Crederanno che siamo alleati con Buinov… >>.

 

<< Perché, non lo siamo già più? >> chiese Irina, sentendo una goccia di sudore colarle sulla tempia per la tensione.

 

<< Non ho mai detto che lo saremmo stati per tutta la gara… >> ribatté Dimitri.

 

Irina si diede della stupida, avrebbe dovuto pensarci: il loro poteva essere un bluff, perché il Mastino non si sarebbe mai alleato per davvero con l’uomo che aveva ucciso sua sorella… Era stata solo una cosa di pochi minuti, che aveva giovato entrambi: Severin e il tizio della Nissan potevano infastidire anche Vladimir, e tentare di farlo finire fuori gara…

 

Premette l’acceleratore, accorgendosi che la 599 si stava allontanando anche grazie al fatto che era sola in testa e che non aveva avuto contrattempi di alcun genere. Vedeva i fari rossi spiccare nella nebbiolina di neve che si sollevava dalle ruote…

 

L’Impreza continuava a starle incollata al fianco, senza lasciarla fuggire all’inseguimento della Ferrari. Irina sapeva che al momento la macchina di Vladimir era la più avvantaggiata, su quel terreno difficile: la trazione integrale e l’assetto specifico la rendevano perfetta per correre sulla neve. Doveva solo sperare di riuscire a non farsi superare…

 

<< Quanto dura questo tratto? >> chiese a bassa voce, stringendo forte il volante, le pietre sul terreno che scricchiolavano, facendogli rischiare in ogni momento di finire fuori…

 

<< Trenta chilometri >> rispose Dimitri, senza nemmeno guardare la cartina, << Siamo quasi alla fine. Dopo c’è un pezzo di autostrada… Da questo momento in poi, cerca di non perdere terreno. Vince chi non cederà fino alla fine >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 12.30 – Mosca, quartiere Lyubertsy

 

William parcheggiò la Bugatti in un vicolo buio, e spense fari e motore. Gettò rapidamente uno sguardo intorno, per individuare eventuali trappole, poi tirò fuori la pistola e tolse la sicura. Conosceva la nomea di cui godeva quel quartiere, e non sarebbe stato superficiale.

 

<< Rimani qui >> ordinò a Daniel, seduto di fianco a lui, << Io entro, sbrigo questa faccenda e torno. Tieniti pronto a scappare in qualsiasi momento, perché non mi fido più di nessuno. Potrebbe anche essere una trappola, quindi se non mi vedi di nuovo entro un’ora, sei autorizzato a entrare per venire a vedere >>.

 

<< Ok >> fece Daniel, tirando fuori la sua pistola, anche se non sembrava particolarmente preoccupato. Da quando stavano a Mosca, era decisamente troppo ottimista.

 

William fece per uscire, poi si voltò un’ultima volta.

 

<< Ah, se quando esco non ti trovo dove ti ho lasciato, ti vengo a cercare e ti ammazzo, chiaro? >> ringhiò. Ci mancava solo che venisse abbandonato lì da quello che aveva tirato fuori dalle sbarre…

 

Daniel alzò gli occhi al cielo, per niente offeso. << Ok >> ripetè, calmo.

 

William chiuse la portiera della macchina e raggiunse la porta di legno sbrecciato che stava incastrata in un angolo del vicolo, e si guardò nuovamente intorno. Faceva freddo, ma l’aria sembrava ancora più gelata in quel posto. Bussò una volta e attese che qualcuno aprisse.

 

Lo spioncino sulla porta si aprì leggermente, e riuscì a intravedere un paio di occhi scuri e dall’aria minacciosa. Il proprietario grugnì qualcosa in russo che lui decise di interpretare come un “Chi sei?”.

 

<< Mi chiamo William Challagher, lo Scorpione, ex numero uno della Black List >> rispose, per essere sicuro che lo riconoscessero, << Vengo da Los Angeles, e sono in fuga dalla polizia. Conoscevo Ivanof Zarevic. Mi manda l’oste del Gulad Pub >>.

 

I due occhi si soffermarono sulla sua faccia per un momento, come a studiare bene i suoi lineamenti, ma sembravano meno minacciosi di prima.

 

<< Siamo tre persone tutte armate, qui dentro >> disse l’uomo, un forte accento russo nella voce, << Quindi pensaci due volte, se hai intenzione di fare danni, chiaro? >>.

 

<< Sono qui solo per farvi qualche domanda, niente di più >> ribatté William.

 

Sentì i chiavistelli cigolare mentre venivano aperti, poi la porta si spalancò, rivelando una stanza cupa, dai muri di pietra, rischiarata da un paio di lampadine penzolanti dal soffitto, quasi vuota e piena di quello che sembrava odore di muffa e umidità. Ricordava molto una vecchia cantina appena sgombrata, dove rimaneva solo un grosso scatolone di cartone vicino a una delle pareti.

 

In effetti, c’erano tre persone, in quel locale: il tizio che gli aveva aperto, un uomo basso, dalla faccia segnata e i capelli ingrigiti; un tipo alto, dai capelli biondissimi e corti, gli occhi azzurri e i tratti affilati che lo rendevano poco umano; e una ragazza seduta in un angolo, con la faccia ricoperta di piercing, che fumava tutta tranquilla uno spinello guardandolo con scarso interesse.

 

<< Come facevi a conoscere Ivanof? >> chiese il tizio che gli aveva aperto.

 

William strinse la pistola, sentendo che lo stavano studiando attentamente, ma con calma rispose: << Eravamo amici. Abbiamo concluso alcuni affari, prima che venissi arrestato… E sono a conoscenza del fatto che era la Lince >>.

 

I due uomini si guardarono un istante, senza dire niente; poi il tipo biondo di presentò.

 

<< Zac >> disse, poi indicò i due, << Lui è Savva… Lei Svetlana >>.

 

William fece un cenno con la testa, poi vide la ragazza sputare una boccata di fumo e dire, con voce roca: << Mio fratello è morto, lo sai? >>.

 

<< Sì, me lo hanno detto >> rispose William, << Voi sapete perché lo hanno ucciso? >>.

 

La ragazza fece una smorfia, rivelando denti piuttosto storti e ingialliti.

 

<< No >> rispose, << O meglio, non sappiamo ancora chi lo ha ucciso… Perché lo cercavi? >>. Assunse un’aria di sfida.

 

Zac prese una sedia da un angolo e la avvicinò al tavolo, invitandolo a sedersi. William si accomodò mal volentieri, mentre gli veniva offerto un bicchiere di vodka di pessima qualità che evitò di assaggiare.

 

<< Avevo bisogno del suo aiuto >> rispose, << Sono in fuga dalla polizia, e speravo mi desse asilo per qualche giorno, oltre che una mano a trovare delle persone… >>.

 

<< Non è a noi che devi chiedere >> disse Zac, tranquillo, << Noi spacciamo droga, non ci occupiamo di altro >>. Indicò con il capo lo scatolone appoggiato al muro, dove dovevano esserci le “scorte” per i clienti.

 

<< Lo so >> ribatté William, << Sono qui solo per sapere se potete mettermi in contatto con la nuova Lince, o almeno se sapete chi è o come posso trovarla. Ivanof sarà stato sostituito, immagino… >>.

 

I tre si guardarono nuovamente, e la cosa lo irritò particolarmente. Svetlana tirò una altra boccata di fumo, poi disse: << C’è ancora una cosa che non sai, Challagher. Mio fratello non è mai stato la Lince >>.

 

William arricciò il labbro, senza capire. Fissò la ragazza, e notò che era divertita dalla sua reazione. Non era il momento di fargli degli scherzetti.

 

<< Oh, già, mio fratello non è mai stato la Lince >> disse, serafica, << Immagino sia per questo che lo abbiano ucciso… >>.

 

William spostò lo sguardo su Savva, per cercare di capire se lo stessero prendendo in giro.

 

<< Volete dire che io ho condotto affari con qualcuno che non era la Lince? >> ringhiò. << E allora chi diavolo era? >>.

 

La situazione stava prendendo una piega che non gli piaceva per niente: aveva creduto di trovare la Lince ad attenderlo per dargli una mano, e aveva scoperto che era morta; adesso veniva fuori che si era trattato di un impostore…

 

<< Sicuramente non la vera Lince >> rispose Svetlana, << Perché se lo sarebbe stato davvero, a quest’ora sarebbe ancora qui… >>.

 

<< Ma voi lo sapevate? >> chiese William, ormai incredulo.

 

<< Non sapevano nemmeno che si spacciasse per la Lince >> rispose Zac, << Non ci ha mai detto niente. Siamo venuti a saperlo solo dopo, facendo delle ricerche >>.

 

Non gliene sarebbe importato gran che di tutta quella storia, se non fosse che lui con quel Ivanof ci aveva avuto a che fare credendo di trovarsi davanti la vera Lince. Ora le carte in gioco venivano cambiate di nuovo, e decisamente in peggio per lui.

 

<< E perché si spacciava per la Lince? >> chiese.

 

<< E’ stato pagato >> rispose Svetlana, << Lui, e tutti quelli che fino ad oggi si fanno passare per lei. Vengono pagati per essere quello che non sono, e sono gli unici che hanno veramente un contatto diretto con la Lince. I Referenti, le Sentinelle… Tutte stronzate. Sono agli ordini di qualcuno che in realtà non è la Lince, ma un suo semplice rappresentante >>.

 

<< Vuoi dire che non esiste praticamente nessuno che sa chi è? >> domandò William.

 

Svetlana fece una smorfia. << Oh, no, nessuno. Forse anche quelli che si fingono lui non lo hanno mai visto in faccia. Figuriamoci se sapremmo dirti il suo nome vero >>.

 

C’era qualcosa in quella storia di assolutamente inquietante: il sistema ideato dalla Lince era perfetto. Si proteggeva con delle Sentinelle e con dei Referenti che credevano di avere a che fare direttamente con lui, ma in realtà si trattava di impostori assoldati per tenerlo ulteriormente al sicuro… Chi mai poteva arrestarlo, così? Ecco perché era ancora libero, nonostante tutti i traffici che aveva messo in piedi…

 

Ed era chiaro che Ivanof Zarevic non era altro che una pedina: molto probabilmente era stato ucciso quando la Lince aveva deciso che non gli era più utile, che non andava più bene come sostituto. Alla sua morte non doveva nemmeno esserci un perché: forse si trattava di un “cambio” che avveniva regolarmente… Chi era ora la finta Lince?

 

Il suo piano saltava: non poteva contare più sull’aiuto di nessuno. A meno che non decidesse di trovare la vera Lince… Poteva chiedergli appoggio per qualche periodo, poi andarsene dopo aver sbrigato le sue faccende… In fondo, anche se indirettamente, aveva concluso degli affari con lei.

 

Oppure poteva direttamente trovare Irina e Dimitri. Lasciar perdere la Lince e concentrarsi prima su di loro, unica cosa davvero sicura che gli era rimasta…

 

<< State indagando ancora su questa storia? >> domandò alla fine, pensando.

 

<< No >> rispose Zac, << Abbiamo lasciato perdere… E’ impossibile infilarsi in quella storia senza finirne ammazzati. Soprattutto per noi che non abbiamo rapporti con l’altra parte di Mosca >>. La sua voce ebbe una strana inflessione, << Solo mio cugino si interessa minimamente a questa faccenda, ma al momento non è qui >>.

 

William fece un sospiro esasperato, ma si rese conto di aver comunque ottenuto quanto più si potesse aspettare. Ormai non avrebbe più cavato un ragno dal buco, con quei tre. Meglio vedersela da solo: Mosca era grande, ma non sarebbe stato poi troppo difficile trovare qualcuno che faceva parte delle corse clandestine e che avesse avuto a che fare con Dimitri o Irina.

 

<< D’accordo… Vi faccio un’ultima domanda, poi me ne vado >> disse, << Sapete dove posso trovare Dimitri Goryalef? >>.

 

Quando pronunciò quel nome, vide gli occhi dei tre spalancarsi e nella stanza calare una certa tensione. Si tenne pronto a qualsiasi mossa, ma Savva domandò solo, rigido: << Perché lo stai cercando? >>.

 

<< Mi ha tradito >> rispose semplicemente William, << Voglio ucciderlo >>.

 

Improvvisamente, tutta la tensione si sciolse. I tre si guardarono nuovamente, e Svetlana disse: << Possiamo aiutarti, in questo. Nostro cugino potrebbe essere interessato a conoscerti, se anche tu hai dei conti in sospeso con Goryalef >>.

 

<< E chi è vostro cugino? >> domandò William.

 

<< Vladimir Buinov >> rispose Zac, << E al momento sta gareggiando nella Mosca-Cherepova contro Dimitri >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 16.00 – Autostrada, direzione Nord

 

<< Odio… Quando… C’è… Traffico >>.

 

La Punto zigzagò prima tra due grossi tir, poi superò a sinistra un furgoncino e infine un’utilitaria grigia, riguadagnando il suo posto nella corsia si sorpasso. Vide gli stop della Ferrari accendersi mentre rallentava per non andare a sbattere contro un camion, la evitò e la superò per l’ennesima volta, ritrovandosi incollata alla Impreza di Vladimir.

 

Qualcuno suonò il clacson, mentre Irina si infilava tra la Subaru e una station wagon che procedeva troppo lentamente per i suoi gusti, ma ignorò il “commento”. Come se avesse la polizia alle calcagna cercò di mettere più terreno possibile tra lei e Vladimir, sgusciando tra il traffico intenso dell’autostrada.

 

“Non sarà una fuoriserie, ma la Punto sa il fatto suo, in queste situazioni…”.

 

Con un leggero ghigno sul volto, Irina si infilò tra il guard-rail e l’ennesimo furgone, superandolo in un attimo e sfiorando il suo specchietto. Senza guardarsi indietro si tuffò nella corsia centrale, pronta a un altro sorpasso.

 

Lo sapeva che stava guidando come una pazza, ma sapeva altrettanto bene di dover sfruttare il vantaggio che la Punto, più piccola e agile delle altre auto, le stava dando. E Dimitri fino a quel momento non si era lamentato.

 

Vide i fari della 599 delinearsi dietro di lei, poi l’ombra nera della Impreza e lo scintillio della Nissan Skyline. Doveva riuscire a mantenere il vantaggio, perché questa volta non voleva perdere…

 

<< Hai ancora quindici chilometri, poi dobbiamo fermarci per fare benzina… >> disse Dimitri, osservando la cartina dove aveva segnato tutte le stazioni di servizio disponibili.

 

<< Lo so >> disse a bassa voce Irina.

 

Gettò un’occhiata al tachimetro, e premette più a fondo l’acceleratore, sfruttando quel tratto un po’ più scorrevole di strada per portarsi avanti; gli altri dovevano essere rimasti imbottigliati poco più indietro…

 

Sapeva di doversi fermare, e quello significava anche fare cambio con Dimitri… In tutta sincerità, non voleva. Anche se aveva ormai superato metà del percorso, non si sentiva stanca, né aveva voglia di mollare a metà la gara. Non era perché non si fidava di lui, tutt’altro, ma voleva continuare lei quella corsa, sentiva di doverlo fare, anche se rischiava di pentirsene…

 

<< Dimitri… Voglio continuare io >> disse.

 

Si aspettava una replica sarcastica, ma il russo chiese solo: << Sai che dopo, forse, non avremo la possibilità di fermarci ancora? >>.

 

<< Sì >>.

 

Ci fu un momento di silenzio, poi Dimitri disse: << Come vuoi, Irina. Sappi solo che a me non devi dimostrare nulla… Lo hai già fatto >>.

 

Irina gli rivolse un’occhiata piena di gratitudine.

 

<< Grazie >> disse solo.

 

Poi vide il cartello dell’area di sosta e imboccò la rampa d’ingresso, sapendo che le altre auto avrebbero invece proseguito ancora per un po’, per cercare di guadagnare un vantaggio che lei era sicura di poter riprendere…

 

Inchiodò davanti alla pompa di benzina, e mentre Dimitri scese per fare rifornimento mandò giù tutta d’un fiato metà bottiglietta di acqua che aveva nel portaoggetti. Ingurgitò un pezzo di cioccolata che Dimitri aveva provvidenzialmente portato e aspettò, picchiettando con le dita sul volante.

 

I secondi passarono lentissimi, e l’unica cosa che le venne in mente era che poteva ancora cambiare idea, che poteva lasciare il posto a Dimitri… Sicuramente per lui vincere sarebbe stato molto più facile, lo aveva già fatto anni prima…

 

“No, voglio vedermela io, questa volta”.

 

Dimitri risalì in auto e lei accese di nuovo il motore, vedendo la lancetta del serbatoio schizzare in alto; poi, affondò il piede sul pedale e ripartì, fiondandosi fuori dalla stazione di servizio e immettendosi nel traffico tra le proteste generali degli altri automobilisti…

 

<< Quanto avranno preso? >> chiese, facendo scorrere sotto di lei tutte le marce come se fossero una unica.

 

<< Non abbastanza da essere irraggiungibili >> rispose Dimitri, << E comunque si dovranno fermare anche loro, se non lo hanno già fatto >>.

 

Irina annuì, poi si infilò nella corsia di sorpasso e cercò di guadagnare ancora più velocità. Riuscì a scorgere in lontananza i fari posteriori della Skyline, e la cosa la rincuorò, facendole stringere la presa sul volante…

 

Aveva addosso un’incredibile voglia di riscatto, e niente l’avrebbe fatta mollare questa volta, nemmeno il fatto che tra un po’ avrebbe iniziato a sentire le gambe indolenzite o i piedi formicolanti, piuttosto che le braccia pesanti. In più, Dimitri si stava fidando di lei nonostante quello che era successo il giorno prima, e questo le faceva venire ancora più voglia di concludere bene quella gara.

 

Senza nemmeno che se ne accorgesse, raggiunse la Skyline e la superò, notando che aveva campo libero: l’Impreza e la 599 dovevano essersi fermate a fare benzina, visto che non le vedeva da nessuna parte…

 

Approfittò della loro assenza per velocizzare ancora di più il passo, la striscia bianca che separava le corsie che scorreva rapidissima sotto la Punto, il guard-rail una barra grigia e indefinita…

 

<< Arrivano… >> disse Dimitri, a bassa voce.

 

Come lanciata per il decollo, la Ferrari 599 si catapultò fuori dalla stazione di servizio come un proiettile rosso pronto a perforare qualsiasi cosa le fosse capitato davanti, percorrendo la rampa di accelerazione a tutta velocità.

 

La prima cosa che Irina fece fu vedere chi c’era al volante: Xander.

 

Non si diede nemmeno il tempo di ricordare che fosse più bravo di lei: si spostò a destra e gli chiuse la strada, costringendolo a rallentare per evitare che la superasse così facilmente. Vide Xander rivolgerle un’occhiata, Nina seduta dalla parte del passeggero, e lesse nei suoi occhi lo stupore.

 

Lo sapeva che si stava mettendo contro qualcuno che era anche più forte dello Scorpione, che poteva vantare molto più allenamento di lei, e soprattutto qualcuno che era il suo ex-fidanzato, ma non gliene importava assolutamente niente. Lo avrebbe trattato come se non lo conoscesse, perché lei doveva assolutamente vincere quella gara… Era finito il tempo in cui si faceva dei problemi…

 

La 599 le passò dietro, e Irina si accorse che Vladimir li seguiva. Era chiaro che la gara sarebbe stata tra loro tre anche questa volta. Si sarebbero giocati la vittoria fino alla fine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 12.30 – Mosca, quartiere Lyubertsy

 

William guardò i tre che stavano seduti nella stanza, e inarcò un sopracciglio. Aveva già sentito parlare di quel Vladimir Buinov, e sapeva solo che si trattava di uno che faceva parte di una famiglia che aveva qualche conto in sospeso con quella di Dimitri, ma cose che sembravano ormai passate. Non lo aveva mai incontrato di persona, e non aveva mai desiderato farlo, perché non gli interessavano i fatti del Mastino e dei suoi parenti.

 

<< Nostro cugino vuole Goryalef morto quanto te >> spiegò Svetlana, << Ma è un tipo forte, e può contare sull’aiuto della sua famiglia… Vladimir è andato alla Mosca-Cherepova con l’obiettivo di scoprire come tendergli una trappola, cosa che non è riuscito a fare fino ad adesso >>.

 

Improvvisamente gli venne in mente che Buinov si trovava dove c’era Dimitri, e automaticamente dove c’era Irina. In quel momento stava gareggiando per incontrare la Lince e farlo liberare…

 

<< Potete mettermi in contatto con lui? >> chiese.

 

<< Sì, posso darti il suo numero di telefono >> rispose Svetlana, << Potrai parlare direttamente con lui… Anche se credo che voglia occuparsi di Dimitri da solo >>.

 

<< Potremmo sempre scendere a un compromesso >> disse William, << Sapete qualcosa riguardo ai suoi piani? >>.

 

Zac scosse il capo. << No, non lo sentiamo spesso >> rispose, << Ma pare stia tenendo d’occhio una che bazzica intorno a Dimitri da quando è tornato qui… >>.

 

“Irina”.

 

Vladimir stava puntando Irina?

 

Qualsiasi cosa significasse, sentì la rabbia montargli addosso: nessuno poteva prendere di mira Irina senza il suo permesso. Se c’era qualcuno autorizzato a fissare la sua attenzione su di lei, quello era lui. Anche se non sapeva esattamente cosa stesse facendo lei in quel momento; anche se si era alleata con Dimitri.

 

Quello era sicuramente un motivo in più per entrare in contatto con Vladimir: doveva assolutamente mettere in chiaro quella cosa prima che lui mettesse in atto il suo piano, qualunque fosse.

 

<< So chi è la ragazza >> disse, secco, << E’ Irina Dwight, la vecchia numero tre della Black List. Se vostro cugino ha intenzione di usarla per i suoi giochetti con Dimitri, farebbe meglio prima a chiedere il mio permesso. Datemi il suo numero di telefono >>.

 

Svetlana glielo dettò rapidamente e lui lo annotò sul cellulare. Guardò l’orologio, per cercare di capire se qualcuno avrebbe risposto oppure no, poi si alzò.

 

<< E’ stato piuttosto utile parlare con voi >> disse, tirando fuori il portafoglio, << Tuttavia immagino di dover pagare qualcosa, per il vostro silenzio. Non voglio che la polizia mi stia alle calcagna e sappia dove sono… >>. Guardò i tre, in attesa di una cifra che sicuramente lui avrebbe cercato di trattare.

 

<< Ci basta il fatto che tu voglia Goryalef morto >> disse Svetlana, seria, << Non ci interessano i soldi. Non c’è cifra che possa pagare la morte di Dimitri >>.

 

Sospettoso, William rimise in tasca il portafoglio e si avviò lentamente verso la porta, la pistola ancora stretta in mano. Forse sarebbe stato più sicuro ucciderli, ma erano in tre e sicuramente il rumore degli spari si sarebbe sentito da qualche parte, oltre al fatto che potevano ancora tornargli utili… Meglio credere nella loro parola, tanto non avevano convenienza a entrare in contatto con gli sbirri, visto il “lavoro” che facevano.

 

<< Bé, allora grazie. Spero di risolvere il mio problema il prima possibile >>.

 

Si richiuse la porta alle spalle con cautela, gettò uno sguardo nel vicolo e poi raggiunse la Bugatti, parcheggiata dove l’aveva lasciata, con Dan alla guida. Gli fece cenno di spostarsi, e si sedette al volante.

 

<< Allora? >> chiese Dan, curioso.

 

<< Brutte notizie: la Lince che conoscevo io in realtà non lo era >> rispose William, il cellulare in mano, << Dopo ti spiego… Ora devo fare una telefonata >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 16.00 – Autostrada, direzione Nord

 

Il sibilo assordante degli pneumatici che inchiodavano sull’asfalto riverberò nell’aria fredda della Russia, mentre la Punto decelerava in mezzo alla carreggiata semideserta; l’Impreza di fianco a lei fece altrettanto, mentre la 599 sopraggiungeva proprio in quel momento, rallentata da un tir poco più indietro.

 

C’era solo un motivo che avrebbe spinto Irina a rallentare l’andatura, in quel momento, proprio in mezzo a una gara. Qualcosa che stava proprio davanti a loro, visibile anche a tutti quei metri di distanza.

 

Un posto di blocco.

 

<< Polizia?! >> gridò, incredula, << E adesso che facciamo?! >>.

 

Li vedeva in lontananza, fermi e con i lampeggianti accesi: gli sbirri russi li stavano aspettando bloccando ogni via di fuga, le auto di straverso sulla strada, con il traffico che si faceva via via più intenso a causa del blocco, le macchine che rallentavano tutte insieme

 

Irina cercò disperatamente un’uscita dall’autostrada, ma non ce n’erano: avevano superato l’ultima un paio di chilometri prima… L’unica alternativa che avevano era una stazione di servizio che non li avrebbe portati da nessuna parte…

 

Vide Dimitri gettare una rapida occhiata alla cartina, poi disse, secco: << Entra nell’autogrill… >>.

 

<< Ma dobbiamo passare di lì! >> gridò lei, cercando di rallentare per guadagnare ancora qualche minuto per pensare… Anche Xander e Vladimir stavano facendo la stessa cosa…

 

<< Le alternative sono due: o lo sfondiamo, o troviamo un’altra strada >> ribatté Dimitri, << Ma se lo sfondiamo sfasciamo anche la macchina… E quella ci serve ancora domani >>.

 

Irina deglutì ed eseguì l’ordine, chiedendosi cosa avesse in mente Dimitri: si ritrovò dietro la 599 e la Impreza, che evidentemente erano in difficoltà quanto lei. Improvvisamente, la corsa subiva una sorta di “pausa”, dove la cosa importante diventava superare l’ostacolo e non mantenere la posizione…

 

Ormai non mancavano poi molti chilometri alla fine della gara, e Irina aveva smesso di sentire la stanchezza: l’adrenalina del duello in autostrada con Xander e Vladimir le aveva dato una scarica di energia che non si sarebbe esaurita fino al termine della corsa. Però quello era un imprevisto che la coglieva del tutto impreparata.

 

<< Avevano detto che la polizia non ci avrebbe dato fastidio… >> disse, mentre fermava la Punto in un angolo dell’autogrill, cercando di far lavorare il cervello.

 

Dimitri studiò nuovamente la cartina, e rispose: << Potrebbero anche averla chiamata i Referenti, per movimentare la gara. Al momento l’unica cosa che possiamo fare è trovare una soluzione >>.

 

Guardò nello specchietto retrovisore, accorgendosi che anche Xander e Nina, insieme a Vladimir e Cyril, stavano parlando: si consultavano per decidere cosa fare.

 

In effetti Dimitri, aveva ragione: non potevano sfondare il blocco rischiando gravi danni alla macchina… Però potevano attendere che lo facesse qualcun altro al posto loro… Già, ma chi tra loro, la 599 e la Impreza?

 

“Nessuno vorrà rischiare…”.

 

<< Bene… Come siamo messi a benzina? >> domandò Dimitri.

 

<< Ne abbiamo per terminare la corsa >> rispose Irina.

 

Dimitri ripiegò la mappa e la guardò.

 

<< Vuoi vincere questa gara, giusto? >>. Non era una domanda.

 

Irina annuì.

 

<< Allora è arrivato il momento di una manovra… “diversiva” >>. Sembrava quasi che Dimitri stesse per ghignare.

 

<< Sfondiamo il blocco? >> chiese lei, ansiosa.

 

<< No >>. Dimitri questa volta si lasciò andare a un sorrisetto. << Torniamo indietro… In contromano >>.

 

Irina lo fissò un istante, con la tentazione di gridargli che era un pazzo, ma altrettanto velocemente capì che era una manovra che poteva garantirgli la vittoria… Chi mai avrebbe pensato di fare una cosa del genere?

 

Guardò l’Impreza, ferma a pochi metri da loro, e poi la Ferrari 599: Xander e Nina parlavano tra loro, tranquilli, come se avessero già trovato una soluzione al problema… Non poteva permettergli di vincere, non di nuovo.

 

Valutò quante fossero le possibilità che avevano di fare quella manovra e uscirne vivi e illesi, e quando si accorse che erano poche lasciò perdere l’idea di contarle. Spostò lo sguardo oltre il guard-rail, sulla carreggiata, le auto che rallentavano, la maggior parte che entravano nella stazione di servizio per approfittarne per fare una pausa…

 

Non disse niente: l’unica cosa che fece fu affondare il piede sull’acceleratore, diretta all’uscita della stazione di servizio, per guadagnare più velocità possibile…

 

<< Se finiamo ammazzati da qualche parte, non venirti a lamentare da me… >> ringhiò.

 

In un attimo si ritrovò fuori, senza che nessuno la seguisse, e tirò il freno a mano, facendo girare la Punto su se stessa, il muso dalla parte opposta a quella in cui doveva stare, il suono dei clacson che invadevano l’aria, mentre molti automobilisti inchiodavano alla sua vista…

 

Premette fino a fine corsa sull’acceleratore, si spostò sulla corsia di emergenza e iniziò la sua folle corsa verso l’uscita, in contromano, i fari delle altre auto che la abbagliavano, sentendo l’adrenalina che le dava una scarica così forte da farle vedere tutto al rallentatore…

 

Vide il tachimetro schizzare in alto, raggiungendo i centottanta, ma tenne saldo il volante, pregando che tutto andasse bene… E capì cosa aveva provato Xander quando aveva fatto quella manovra come lei, due anni prima…

 

I due chilometri scorsero sotto le ruote della Punto lunghi come se fossero stati venti. I tir suonavano, qualcuno la schivava appena in tempo, ma per fortuna non c’era nessuno fermo sulla corsia di emergenza…

 

Poi lo vide, il cartello di uscita, al contrario, che non sapeva dove portasse ma che era la loro salvezza. Rallentò, tirò di nuovo il freno a mano e imboccò l’uscita tra le proteste degli altri automobilisti terrorizzati…

 

Il suo cuore riprese a battere, mentre usciva dall’autostrada, ritrovandosi in aperta campagna, in mezzo a prati gelati, ma lontana dalla polizia… Lontana da tutti.

 

<< Allungheremo di qualche chilometro, ma possiamo farcela >> disse Dimitri, come se non si fosse nemmeno accorto di quella manovra da folli, << Sempre dritto, ora. Più veloce che puoi >>.

 

Irina non se lo fece ripetere due volte: con un sorriso sul volto, diede fondo alle ultime energie che aveva, e schizzò sempre più forte lungo la strada, il cielo sopra le loro teste ormai scuro.

 

“Li abbiamo fregati… Li abbiamo fregati!”.

 

Cercò di non cantare vittoria troppo presto, perché aveva imparato che tutto era possibile… Xander poteva averli seguiti, imitando la loro manovra…

 

Ma non c’era nessuno dietro di loro, né davanti… Sentì le pietroline sbattere contro il paraurti anteriore, ma non le importava. Se serviva a vincere, avrebbe accettato qualsiasi cosa…

 

15 chilometri, poi 10… Ormai erano vicini…

 

Poi vide in lontananza stagliarsi un lago gelato, e appollaiato sulla collina un grande hotel illuminato a giorno: il Pan, in russo “il paradiso”.

 

Irina sorrise, superò l’ultimo incrocio e si inerpicò sulla collina, rapida, mentre vedeva sbucare dall’incrocio la 599, la Impreza e tutte le altre auto, appaiate, troppo lontane per riprenderla…

 

Un attimo, e tagliò il traguardo, inchiodando davanti ai russi in attesa, sbalorditi. Non lasciò il tempo a nessuno di dire niente, smontò dalla macchina e raggiunse il bar interno di corsa, prima che arrivassero tutti gli altri. Dimitri molto probabilmente pensò fosse impazzita, perché non la seguì.

 

Appena dentro, individuò il bancone dove erano state preparate le vivande calde per i partecipanti alla gara. Afferrò una tazza bollente di caffè, prese una sedia e tornò fuori di corsa.

 

Sotto lo sguardo basito dei presenti, si sedette sulla sedia, al freddo, davanti all’ingresso dell’hotel, e iniziò a sorseggiare tranquillamente il suo caffè, osservando in lontananza le auto che si avvicinavano a folle velocità.

 

Il primo a tagliare il traguardo fu Vladimir, seguito a ruota da Xander e dalla M3 bianca; poi, uno dietro l’altro, tutti gli altri piloti, che inchiodarono esattamente come lei davanti all’hotel facendo fumare le gomme.

 

La porta della 599 si spalancò, e ne uscì uno Xander arrabbiato e con la faccia scura, che però la ignorò deliberatamente; Vladimir le rivolse un’occhiata sprezzante, mentre lei continuava a rimanere tranquilla al suo posto, in attesa della sua “preda”. La situazione sembrava così surreale che molti erano più interessati a vedere cosa lei avesse in mente che a capire l’esito della corsa; persino Konstantin era fermo a fissarla, perplesso. Dimitri stava appoggiato alla Punto, cercando di capire cosa le passasse per la testa, ma aveva un vago sorriso sulle labbra…

 

Poi Nina scese dalla Ferrari con la faccia di una che aveva ingoiato un grosso limone, ma non rinunciò a guardarla male con la sua faccia d’angelo. Solo allora Irina sorrise e abbassò la tazza di caffè.

 

<< Oh, siete arrivati? >> disse, serafica, << Credevo ci avreste messo di più… Ah, ottima gara, campionessa >>. Alzò la tazza in suo onore, un sorriso sornione stampato sul volto.

 

La faccia di Nina diventò di granito, e Irina continuò a sorridere, ben sapendo cosa provava in quel momento. Vide la gente intorno ridacchiare, ma se ne fregò altamente: era troppo contenta per non volersi prendere quella rivincita…

 

“Credevi davvero che mi sarei fatta mettere i piedi in testa così facilmente?”.

 

Qualcuno la afferrò per una spalla, invitandola ad alzarsi.

 

<< Andiamo, prima che qualcuno decida che tu abbia bisogno di una lezione >> disse Dimitri, spingendola dentro l’hotel.

 

Senza dire niente Irina si lasciò condurre dentro, godendosi quella sensazione di trionfo che aveva addosso e che sicuramente non l’avrebbe abbandonata per un bel po’.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Uh, prima di tutto ringrazio per la vera e propria valanga di recensioni che mi è arrivata! Davvero, mi avete fatto andare il morale alle stelle!

 

Allora, passiamo al commento… Come vedete, Irina si è presa la sua rivincita su tutto ma soprattutto su tutti, compresa la bella Nina dalla faccia d’angelo. E se l’è goduta fino alla fine, vista la sua reazione: ormai è entrata bene nella sua parte!

William, invece, ha scoperto che c’è qualcun altro che ha un conto in sospeso con Dimitri, e la cosa non può che fargli piacere. Il problema è scoprire cosa succederà, e soprattutto cosa possono combinare lui e Vladimir insieme… Ricordate cosa avevo sottolineato riguardo a Dimitri: che non aveva raccontato ancora tutto, c’è qualcosa che ancora Irina non sa, e non è l’unica. E poi, davvero credevate che vi avrei servito la Lince su un piatto d’argento così facilmente? Ci sono ancora un sacco di cose, da scoprire…

 

 

Ah, continuo a rispondere alle recensioni nel solito modo, per il momento. Quando avrò capito come funzionano le novità del sito (non ho ancora controllato), magari utilizzerò le nuove funzioni.

 

Darkrainbow: salve! Oh, sono contenta che tu abbia recensito, un nome nuovo tra i miei “recensori” abituali. Ah, no, non c’è pericolo che faccia uscire che Dimitri ama Nina (o cose patetiche del genere), perché nemmeno a me piacciono, e soprattutto non sarebbe per niente in linea con il carattere di Dimitri: se lui dice una cosa, è quella e basta. Ma comunque leggere tutte le possibili implicazioni delle varie coppie che possono formarsi durante la storia mi ha fatto morire dal ridere: li vedo proprio bene Xander e William insieme, felicemente innamorati! A parte gli scherzi, però, aspettati davvero di tutto, perché mi piace stupire e andare contro corrente, ormai lo sanno tutti, e quando ho deciso di scrivere Russian Roulette era quella la mia intenzione. Aspetta qualche capitolo, e vedrai. E sappi che adoro le recensioni chilometriche, quindi nessun problema! Un Bacio!

 

Supermimmina: hey, era da un po’ che non ci sentivamo, o sbaglio? Voilà, capitolo postato, anche se non in fretta come tutti vorrebbero! E stai tranquilla, perché prima che finisca questa storia ci vuole ancora un po’! Bacioni!

 

Lolita5: hola! Mi fa piacere che tu abbia scoperto le mie storie, e di solito quelle incontrate per caso danno maggiori soddisfazioni di quelle ricercate: spero sia questo il caso! Ti ringrazio per i complimenti, e ti do ragione per il fatto che la mia mente diabolica è entrata in funzione: sta per uscire qualcosa di folle, come sempre! Un bacio!

 

Smemo92: wow, ragazza, hai recuperato tutti i cap prima, e ti ringrazio infinitamente: ce ne vuole ti tempo e voglia per scrivere tutte quelle recensioni! Ti adoro! , sì, è stato un bel colpo per i nostri due piccioncini: chi l’avrebbe mai detto, all’inizio di questa storia? Però, sì, entrambi hanno davvero bisogno di una pausa, forse Irina più di tutti. Tifi per Dimitri, eh? Chi non lo sta facendo, in questo momento? In effetti… Ma non dare niente per scontato, eh. Mi conosci, oramai. Grazie mille per i complimenti! Bacione!

 

Dust_and_Diesel: eh eh, visto? Sono una di parola, io. Naturalmente, grazie mille per i complimenti che mi fai sempre, e ammetto che in effetti mi piace studiare bene i personaggi, molto più delle ambientazioni, a essere sincera. In fondo, sono i protagonisti che devono catturare l’attenzione e farsi apprezzare, e sono loro il vero centro delle storie. Mi piace che abbiano un certo spessore, e piano piano ho guadagnato un pochino di “esperienza”, da quando ho pubblicato il Gioco dello Scorpione. Ma ammetto di non sapere una parola di russo, e quasi nulla delle loro usanze: tutti i cenni sono frutto di ricerca su Internet! Bacioni!

 

 

 

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Capitolo 29
*** Capitolo XXIX ***


Capitolo XXIX

Capitolo XXIX

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 17.30 – Yaroslav, Hotel Pan

 

Irina guardò con soddisfazione il foglio che veniva appeso in bacheca, dove c’erano scritti i risultati finali della gara, e non poté che compiacersi nel vedere scritto a chiare lettere al primo posto il suo nome e quello di Dimitri, con il relativo tempo di percorrenza. Il russo dalla barba scura, che aveva scoperto chiamarsi Samson, si voltò e prima di andarsene le rivolse un cenno di saluto piuttosto freddo.

 

Attraversò l’ingresso, la neve che cadeva oltre le vetrate imbiancando ulteriormente il paesaggio, e gettò un’occhiata fuori, dimenticandosi per un momento che si trovava nel bel mezzo di una missione.

 

Era stata brava, poteva anche dirselo. Contro ogni previsione, era riuscita a staccare la sua vita privata dal “lavoro”, e aveva ottenuto un ottimo risultato. Il dramma per aver lasciato Xander non era riuscito a scalfire la sua determinazione, non aveva intaccato la sua capacità di essere fredda pilota clandestina quando serviva; non credeva di esserci riuscita, di aver dimenticato per qualche ora il dolore che portava comunque dentro, e che la gara aveva spento per un po’.

 

Tanto non lo avrebbe mai negato, non avrebbe mai negato che amava ancora Xander, anche se non si capivano più, anche se lui sembrava diverso e il muro che c’era tra loro appariva sempre più spesso. Non avrebbe negato che, fosse dipeso solo da lei, non lo avrebbe mai lasciato, che voleva continuare a stare con lui, ma era chiaro che qualcosa non andava, che entrambi avevano bisogno di tempo, di solitudine per capire cosa provavano ancora.

 

Non sperava che le cose tornassero come prima: aveva imparato nella vita che farsi illusioni non faceva altro che ferire e peggiorare le cose. Anzi, non ci contava neanche: era sicura che se era arrivata a quella decisione, aveva già il sentore che ormai il “loro tempo” era finito, che non ci sarebbe stato un seguito, un ritorno. Xander aveva dimostrato che condivideva la sua decisione, che non si opponeva, e ciò significava che da parte sua pensava che andava bene così: ognuno per la sua strada, liberi.

 

Appoggiò la mano sul vetro freddo, la neve che cadeva oltre le vetrate, e trasse un sospiro. Ora che le cose erano cambiate, aveva davanti molti scenari diversi, molte possibilità… Cosa fare una volta tornata a Los Angeles? Cosa fare dei ricordi che portava dentro, dei progetti che aveva avuto fino a poco tempo prima? Cosa fare delle pagine scritte fino a quel momento, in quel libro malandato che era la sua vita?

 

“Niente, non ci devo fare niente. Rimarranno dove sono, immobili, dentro la loro bella teca di vetro, senza farsi scalfire dal tempo. Se serviranno ancora, usciranno fuori, altrimenti faranno parte del passato… Non serve guardarsi troppo indietro, e non serve guardarsi troppo avanti. I traguardi sono solo nuovi punti di partenza, gli arrivi non sono altro che miraggi. Il presente è quello che conta di più, quello su cui puntare la propria attenzione”.

 

Si sarebbe concentrata solo sulla missione, d’ora in poi. Il suo obiettivo sarebbe stato solo trovare e arrestare la Lince, fare quello per cui era partita, dimenticando tutto il resto. Era quello che una brava agente dell’F.B.I. avrebbe fatto, lasciandosi alle spalle tutti i problemi. Il mondo non girava intorno a lei e alla sua vita, questo lo sapeva già.

 

Mise la mano in tasca e si rigirò le chiavi della Punto tra le dita. In quel momento, la sua auto era parcheggiata nel garage a pochi metri di distanza da lì, insieme a tutte le altre macchine, a riposo dopo una lunga e difficile gara.

 

Guardò l’orologio: era presto per fare rapporto a McDonall, e Dimitri doveva essere di sopra in camera sua, forse a parlare con Emilian al telefono. Non si erano detti quasi niente, dopo la gara, perché lei era rimasta tutto il tempo al bar, a felicitarsi del fatto che praticamente lei, Xander e Vladimir erano in situazione di parità. Anche se l’unica che sembrava entusiasta della cosa era lei, visto che gli altri si erano già defilati.

 

Raggiunse l’uscita incrociando un cameriere che le rivolse un’occhiata incuriosita e si avventurò fuori, affondando i piedi nella neve. Entrò nel garage, si spolverò la testa dai fiocchi e raggiunse la Punto.

 

Il garage era un capannone prefabbricato dalle pareti sottili, illuminato da lampadari sparsi qua e là, freddo e piuttosto anonimo. Sapeva che non avrebbe trovato nessuno, perché tutti erano ancora a rifocillarsi dopo la gara, e poteva stare tranquilla sola con stessa.

 

Rivolse uno sguardo affettuoso alla sua Punto, rendendosi conto che quella era l’auto che non l’aveva mai tradita e che l’aveva portata alla vittoria, nonostante tutti gli anni che ormai erano passati da quando l’aveva scelta. Lo ricordava come il primo giorno, quella “macchinina” vista su Internet, fatta importare e modificare di fronte ai pregiudizi di tutti i piloti clandestini con cui aveva avuto a che fare. Però si era rivelata una vera “Belva”, come qualcuno l’aveva chiamata. Sorrise al pensiero di quel nomignolo.

 

Il paraurti bianco era un po’ scheggiato per via degli urti e delle pietre che si sollevavano sulle stradine della campagna russa, la fiancata rovinata e rigata, però non aveva riportato danni che potevano comprometterne le prestazioni. Aveva resistito meglio di altre auto di più alto “lignaggio”, come la Camaro mezza sfasciata che era parcheggiata davanti a lei.

 

Passò una mano sul cofano ancora tiepido, in netto contrasto con l’aria fredda del capannone poco riscaldato.

 

“Povera piccola, ti faccio sgobbare come una matta, e ti tratto anche così… Quando torniamo a Los Angeles ti faccio fare un bel trattamento di bellezza da Max. Tornerai come nuova”.

 

Già, Max, il suo meccanico. E tutti gli altri. La sua famiglia, suo fratello, Tommy, Jenny… Cosa stavano facendo? Cosa avrebbero pensato quando avrebbero saputo di quello che stava facendo? E soprattutto, di cosa era accaduto tra lei e Xander?

 

Scosse il capo: non poteva farsi trasportare dalla malinconia proprio ora che aveva ripromesso di mettere la missione davanti a tutto e a tutti. Quando fosse tornata a Los Angeles, avrebbe affrontato il problema; non era il momento di pensarci. E finché Jenny non l’avesse bombardata di telefonate dandole della matta, avrebbe potuto stare tranquilla e fare finta che tutto andasse bene.

 

Aprì il baule della Punto e tirò fuori un vecchio straccio che teneva sempre a portata di mano, e iniziò a passarlo sulla carrozzeria dell’auto, lucidandola per bene, senza che il suo sguardo raggiungesse nemmeno una volta la Ferrari 599 parcheggiata qualche fila più in là, che brillava decisamente troppo per i suoi gusti.

 

Lucidare la Punto era come accarezzare qualcuno a cui si voleva profondamente bene: non si sarebbe mai stancata di farlo, visto che quell’auto era quella che le aveva salvato la vita e che non l’aveva mai davvero abbandonata. Non le interessava che iniziasse a diventare “vecchia”, che fosse strana o inusuale, nemmeno che non fosse la più potente in circolazione: era pur sempre la sua fedele compagna da più di quattro anni, e lo sarebbe rimasta finché lei avesse ancora ricordato cos’erano le corse clandestine.

 

<< A cosa serve tirare a lucido un rottame? >> chiese qualcuno, la cui voce rimbombò nel capannone deserto.

 

Irina alzò lo sguardo mentre Dimitri si avvicinava con aria canzonatoria, ma non rispose alla provocazione: aveva chiaramente percepito la nota divertita nella voce del russo, e capì che la stava prendendo in giro. Continuò con il suo lavoro, lasciando che lui si appoggiasse sul cofano della Camaro mezza distrutta dall’altra parte. Era incredibile come riuscisse a trovarla ovunque si trovasse

 

<< Siamo pari, giusto? >> fece lei, concentrandosi sulla carrozzeria della Punto, << Noi primi, Vladimir di nuovo secondo e… Xander terzo. Abbiamo pareggiato i conti, quindi ci giochiamo tutto domani… >>.

 

Al pensiero le venne un po’ di ansia, ma la controllò. Aveva già messo in conto che l’ultima gara sarebbe stata un vero e proprio scontro aperto tra i migliori piloti, e ringraziava il fatto di farne parte.

 

<< Sì, ci giochiamo tutto domani >> rispose Dimitri, poi nel garage calò il silenzio.

 

Irina trovò qualcosa di strano in quell’atmosfera che sembrava carica di attesa, o aspettativa. Gettò di sbieco un’occhiata a Dimitri, per capire cosa stesse pensando, ma lui teneva le braccia incrociate e la guardava, gli occhi grigi imperscrutabili. Forse non aveva molta voglia di parlare, e non era una novità…

 

Quando però si accorse che Dimitri continuava a fissarla e sulla sua faccia sembrava aleggiare un minuscolo sorrisetto, si chiese se per caso nella sua testa la stesse prendendo in giro per qualcosa… Magari stava pensando ancora alla sua uscita con il caffè e la sedia di poco prima, di cui non si era pentita, ma che in effetti poteva apparire un po’ sciocca…

 

<< Cosa c’è? >> chiese alla fine, esasperata, sventolando lo straccio.

 

Dimitri rimase fermo come una statua.

 

<< Non credevo che avresti mai preso l’autostrada in contromano >> rispose, neutro.

 

Irina tornò a lucidare la sua Punto, per evitare di mostrargli che era un pochino… imbarazzata? Sorpresa? Era pur sempre un complimento, il suo.

 

<< Tanto non avevamo alternative >> rispose, secca, << Gli altri come hanno fatto a riprendere la gara? >>.

 

<< Hanno pagato un tizio con un tir che ha sfondato il posto di blocco per loro >> rispose il russo, << Ma hanno dovuto aspettare molto prima di trovarne uno. Per quello sono arrivati tutti appaiati >>.

 

Irina annuì, poi rimase in silenzio, continuando a insistere con lo straccio sul cofano della Punto, anche se era perfettamente pulito.

 

<< Non credevo ti fidassi di me a tal punto da spingermi a fare quella mossa… >> disse alla fine, per sciogliere quel silenzio che stava diventando imbarazzante, per lei.

 

Dimitri le rivolse un’occhiata apparentemente distaccata.

 

<< Sarebbe da idioti negare che facciamo un buon lavoro, insieme >> ribatté, poi inarcò un sopracciglio. << O no? >>.

 

Irina si lasciò andare a un mezzo sorriso. Secondo complimento della giornata… Forse si sarebbe sbilanciato e avrebbe anche ammesso che era stata brava, a vincere la gara.

 

<< Già… Chi lo avrebbe mai detto, eh? >>.

 

Si guardarono per un momento, come a capacitarsi entrambi di quel fatto, sapendo che non erano gli unici che la pensavano così. Prima di quella missione, nessuno avrebbe mai puntato niente sulla coppia Irina/Dimitri, lei brava ragazza tirata fuori dalle corse di auto da un agente dell’F.B.I. infiltrato, lui pilota clandestino soprannominato “Mastino” conosciuto per la sua freddezza e spietatezza. L’unica cosa che avevano in comune era il fatto di essere stati membri della Black List, e nient’altro.

 

<< Non sei quella che ricordo, Fenice >> sentenziò infine il russo, enigmatico, alzandosi dal cofano della Camaro, come se avesse detto quello che per cui era venuto fin lì.

 

<< Nemmeno tu, Dimitri >> disse lei, guardandolo uscire con aria tranquilla, decisamente meno turbata della sua. Ma tanto ormai lo conosceva abbastanza bene da sopportare anche quelle sue strane frasi che sembravano non avere un senso, ma che in realtà lo avevano benissimo. Con Dimitri bastava saper aspettare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 19.00 – Mosca, Hotel Imperial

 

William guardava la strada principale di Mosca addobbata a festa, oltre il vetro della sua stanza d’albergo. Piccoli fiocchi di neve imbiancavano i cappelli pesanti della gente che camminava allegra di qua e di là, alla disperata ricerca degli ultimi regali di Natale, cosa di cui lui in quel momento non si preoccupava. Forse, il massimo della sua festa sarebbe stato farsi servire un bel pranzo in camera e bersi una bottiglia di champagne alla sua stessa salute, con unico compagno Dan, che ormai stazionava perennemente dentro la sua suite oppure nel bar dell’hotel.

 

Una volta aspettare una telefonata importante come quella che aveva in programma di lì a poco lo avrebbe snervato all’inverosimile, ma stava imparando l’arte dell’attesa. Questa volta avrebbe finalmente capito qualcosa in quella storia che sembrava particolarmente strana.

 

Aveva chiamato Vladimir Buinov al numero che gli era stato fornito, ma aveva risposto un certo Cyril che aveva detto che in quel momento erano nel bel mezzo della Mosca-Cherepova e che quindi non potevano parlare. Quando gli aveva detto che conosceva Dimitri e che gli stava dando la caccia, Cyril gli aveva rassicurato che l’avrebbero richiamato al più presto, perché la cosa era di loro interesse. Ora aspettava, guardando fuori dalla finestra, tranquillo.

 

Sicuramente doveva studiare un piano, e capire come stavano le cose in quel momento a Mosca. Chi mentiva, chi diceva la verità, e chi si limitava ad assistere. Aveva un sacco di domande e un unico punto fisso: uccidere Dimitri e trovare Irina.

 

Finalmente il suo cellulare squillò, e si affrettò a rispondere.

 

<< William Challagher? >> fece una voce metallica dall’altra parte, una voce piuttosto inquietante, secondo i suo gusti.

 

<< Sì, sono io >>.

 

<< Vladimir Buinov >> si presentò l’uomo dall’altra parte delle linea, << So già chi sei, Challagher, non c’è bisogno che mi ricordi della Black List… Quello che mi interessa sapere è: come mai sei libero? >>.

 

<< Sono fuggito di prigione circa un mese fa >> rispose William, << Sto dando la caccia a Dimitri Goryalef, immagino tu lo conosca… >>.

 

<< Certo che lo conosco >> disse Vladimir, << Ma permettimi un’altra domanda, Scorpione… Perché la tua ragazza sta ancora cercando di liberarti, se tu sei già fuori? >>.

 

<< Ti riferisci a Irina Dwight? >> fece William, sentendo qualcosa che si muoveva nel suo stomaco, nel pronunciare quel nome…

 

<< Lei. Sta partecipando alla Mosca-Cherepova perché vuole incontrare la Lince, e a detta sua lo fa perché vuole il suo appoggio per farti fuggire… Ma se tu sei fuori da più di un mese, perché non lo sa? >>.

 

William aggrottò la fronte, perplesso. Anche volendo, non avrebbe potuto contattarla, perché non aveva nessun recapito telefonico, né un indirizzo sicuro dove trovarla. E poi, in ogni caso, non l’avrebbe mai avvertita della sua fuga, perché non voleva darle la possibilità di nascondersi, se quello che si era messa in testa di fare era tutta una farsa… O si sarebbero incontrati faccia a faccia, oppure non si sarebbero mai rivisti.

 

<< Andrò dritto al punto, Buinov >> ringhiò, con l’idea di mettere bene in chiaro le cose, << Non mi interessa capire perché Irina si trova in Russia, né cosa stia cercando di fare. Se non l’ho ancora avvertita c’è un motivo, ma comunque sono qui perché voglio trovarmi faccia a faccia con lei, e uccidere Dimitri Goryalef. Mi hanno detto che hai dei conti in sospeso con lui… >>.

 

<< Lo voglio più morto di te, Challagher >> ribatté Vladimir, << Ma ci sono diversi problemi. Ha tutta la sua famiglia a proteggerlo, e al momento sembra che vedersela con me sia l’ultimo dei suoi pensieri… E poi non era il tuo braccio destro? >>. Aveva una nota di sospetto nella voce.

 

<< Sono finito dietro le sbarre per colpa sua >> rispose William, furioso al pensiero, << Mi ha tradito nel momento del bisogno… Penso sia una buona giustificazione per volerlo morto, non credi? Non mi interessa che stia cercando di liberarmi, ormai il torto è fatto… Voglio solo sapere se hai dei piani riguardo a Irina >>.

 

<< Irina? >> fece Vladimir, canzonatorio, << Perché mi fai questa domanda? >>.

 

<< Perché lei è mia, e sei hai intenzione di usarla per far cadere in trappola Dimitri, come qualcuno mi ha fatto intuire, dovrai pensarci due volte, perché se c’è qualcuno che può e deve ucciderla sono io, chiaro? >>.

 

Ci fu un momento di silenzio, poi Vladimir disse: << Perché dovresti volerla uccidere, se è la tua ragazza? >>.

 

William fece una smorfia.

 

“Dovrei ucciderla proprio perché ho sempre voluto che fosse la mia ragazza”.

 

<< Sta cercando di liberarmi, ma è stata lei a farmi arrestare, due anni fa >> rispose, << Si era alleata con uno sbirro dell’F.B.I., e lei e Goryalef hanno fatto di tutto per farmi finire dietro le sbarre… >>.

 

Vladimir tacque ancora, come se stesse assimilando le sue parole.

 

<< Ho l’impressione che in questa storia ci sia qualcosa di molto strano, Challagher >> disse lentamente, << Molto, molto strano. Se è vero quello che dici, allora perché Irina e Goryalef sono qui? >>.

 

<< Questa è una domanda a cui possiamo trovare risposta, se collaboriamo >> ribatté William, << Io mi trovo in territorio straniero, in mezzo alla gente di Dimitri, e non posso rischiare di fare un passo falso, perché anche se lui per me è un traditore, non lo è per loro. Lo difenderanno, e sicuramente se lo uccidessi adesso mi sarebbero addosso nel giro di poche ore per farmi fare la stessa identica fine. L’unico che sembra non aver simpatia per Dimitri sei tu, che come me hai dei conti in sospeso con lui. Mi hanno detto che gli hai dato la caccia per tanto tempo, ma che non sei mai riuscito a catturarlo… Forse dandoci una mano a vicenda, potremmo arrivare da qualche parte… >>.

 

Allearsi con Vladimir poteva essere in effetti molto utile: era un russo, conosceva la gente e il territorio, e sapeva come muoversi.

 

<< Tu cosa ci guadagneresti, Challagher? >> domandò Buinov, sospettoso.

 

<< Facciamo così, ci dividiamo il bottino: tu Dimitri, io Irina >> rispose William, sicuro, << Tra i due, quella che voglio di più è lei. Se poi vogliamo trovare un diverso accordo, si può anche fare: ti basti sapere però che la ragazza non si tocca, che me la gestirò io come più mi aggrada. Non la useremo come esca, perché non sono intenzionato a cederla >>.

 

Vladimir rimuginò sulle sue parole, ma William sapeva benissimo che non avrebbe rinunciato volentieri nemmeno a Dimitri: lo aveva pur sempre tradito, e non l’avrebbe passata liscia. Intanto, però, poteva fare buon viso a cattivo gioco, e far credere a quel russo che gli avrebbe lasciato veramente il Mastino. Una volta che li avessero catturati, avrebbe studiato un piano per liberarsi anche di lui.

 

<< La cosa mi alletta, Challagher >> disse Vladimir, e sembrava ghignare, al di là del telefono, << Potremmo fare quattro chiacchere faccia a faccia, che ne dici? Ci sono un sacco di cose che non mi convincono, in questa storia, e credo che tu possa togliermi qualche curiosità >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 20.00 - Yaroslav, Hotel Pan

 

Xander gettò malamente il cellulare sul letto, facendo una smorfia. Aveva appena comunicato a McDonall l’esito della gara, e si era accorto del fatto che il suo capo non sembrava poi tanto scontento del fatto che fossero arrivati terzi… Sembrava aver apprezzato maggiormente la vittoria di Irina, della quale non era ancora stato informato personalmente da lei.

 

Sbuffò. Gli dava fastidio aver perso, ma non poteva dare la colpa a nessuno, nemmeno a sé stesso: aveva fatto partire Nina all’inizio proprio per aver modo di rimontare verso la fine della gara, se ce ne fosse stato bisogno, perché era convinto di potercela fare. L’inconveniente della polizia però non lo aveva proprio preso in considerazione, e quando Nina si era rifiutata categoricamente di percorrere l’autostrada in contromano, dicendo che il rischio di rimetterci la pelle era troppo elevato, non aveva potuto far altro che seguire Vladimir e tutti gli altri.

 

Ammetteva anche che Irina era stata brava; molto brava e molto coraggiosa. La vittoria l’aveva meritata più di loro, che si erano fatti aprire la strada da un tir, pagandolo profumatamente.

 

Sapeva bene anche ciò che era passato nella testa di Irina in quelle ore trascorse al volante, mentre combatteva con le unghie e con i denti per accaparrarsi la prima posizione: doveva essere stata determinata come ai giorni di Challagher, se non di più, quando la sua intenzione era stata di arrestarlo, o ucciderlo. Totalmente diversa dall’Irina che aveva vissuto con lui per due anni.

 

Non ci aveva pensato fino a quel momento, fino a gara terminata; aveva tenuto staccati lavoro e privato, ma ora che aveva dieci minuti per stare con sé stesso, si rendeva conto che forse quella era davvero la scelta migliore… Che quell’Irina era troppo diversa da colei che aveva amato fino a quel momento; troppo lontana da quella che conosceva lui. Se non la riconosceva più, perché continuare quel tira e molla che faceva male a tutti e due?

 

Si sedette sul letto, stranamente stanco, e lasciò vagare lo sguardo intorno, nella stanza sontuosamente arredata, ma fredda e poco familiare. Distante come tutto il resto del mondo, in quel momento. 

 

Ora era libero, come lo era stato fino a prima di incontrare lei. Non doveva pensare alle conseguenze delle sue azioni; non doveva pensare a una giustificazione per quello che voleva fare… Si tornava come ai vecchi tempi, quando era uno dei migliori agenti dell’F.B.I. pronto a partire per una nuova missione, con addosso l’eccitazione dell’avventura e del rischio.

 

Per un attimo sentì montargli addosso una certa euforia, che però si spense quasi subito: era troppo strano, troppo diverso da come si era abituato a comportarsi… Libero sì, ma lo voleva davvero? Davvero stava meglio senza Irina?

 

“Per saperlo deve passare del tempo… In questo momento, l’unica cosa che so e che sicuramente non riesco più a riconoscerla”.

 

Bussarono alla porta e lui andò ad aprire, trovandosi davanti Nina con la sua faccia d’angelo e gli occhi scintillanti, quasi fosse venuta a ricordargli che non esitava solo Irina, nel mondo. Lo guardò di sottecchi come se si sentisse in colpa, il profumo dei suoi capelli biondi che gli arrivava dritto dritto alle narici, dolce e forte al tempo stesso. Però forse lui non aveva voglia di vederla, in quel momento… Preferiva stare da solo, almeno per un po’.

 

<< Mi dispiace per oggi, Mark >> disse lei, tutta zucchero, << Ci ho pensato… In effetti, se avessimo seguito la tua…idea, saremmo arrivati primi. Ma davvero, andare in contromano in autostrada è da veri folli, non potevamo rischiare così tanto… >>. Lo guardò producendosi in un’espressione di puro dispiacere.

 

“Non è da folli, è da veri piloti clandestini” pensò Xander, cogliendo chiaramente la falsità nel tono di voce della ragazza. “Se lo fossimo veramente, non ci avremmo pensato due volte, questa è la verità”.

 

Di fronte al suo silenzio, Nina sbattè le ciglia e si fece avanti, come se non volesse stazionare troppo nel corridoio, e magari incontrare qualcuno.

 

<< Posso entrare? >> chiese.

 

Xander le rivolse un’occhiata, chiedendosi se facesse bene o male a farla entrare. Alla fine la lasciò mettere piede in camera, richiudendo delicatamente la porta. Guardò Nina incedere tranquilla e sicura fino alla poltrona che dava sulla finestra, e poi la vide voltarsi verso di lui.

 

<< Sei arrabbiato con me? >> chiese, a metà tra il serio e il dispiaciuto.

 

Xander trattenne l’irritazione: non era stupido. Nina non l’avrebbe fregato fingendo di sentirsi in colpa e facendo la faccia da cucciolo bastonato; lo sapeva benissimo che non era la santarellina che voleva mostrarsi in quel momento. Forse non gliene importava nemmeno niente della gara, forse partecipava solo perché aveva un secondo fine che lui non aveva scoperto.

 

<< Non avremmo vinto comunque >> disse rapidamente, sapendo di mentire esattamente come lo sapeva lei, << Saremmo arrivati secondi, come massimo. E comunque ci rimane ancora la gara di domani… Ormai è fatta, non possiamo tornare indietro. Avevi tutte le ragioni per rifiutarti: non posso pretendere di farti rischiare la vita >>.

 

La sua ultima frase però rispecchiava la realtà: non poteva davvero costringere nessuno a mettere in pericolo la propria esistenza per vincere una gara, nemmeno se si trattava di un pilota clandestino.

 

Nina però sembrava intenzionata a continuare con la sua farsa da bambina dispiaciuta per il guaio che aveva combinato. Si avvicinò e iniziò a solleticargli la spalla con le dita, quasi per attirarlo a sé.

 

<< Avanti, dimmi come posso farmi perdonare… >> sussurrò. << Se non fossi arrabbiato, non saresti così scontroso con me… >>.

 

Xander abbassò lo sguardo su di lei, e si rese conto che sarebbe stata dura resistere a quegli occhi azzurri come l’acqua gelata dell’oceano… A quel profumo che improvvisamente gli arrivò alle narici, fragrante, sensuale…

 

Nina era bella, troppo bella, inutile negarlo. Lo sarebbe stata per chiunque, in fondo. Per quanto fosse insopportabile, la sua faccia d’angelo e il suo corpo perfetto facevano dimenticare tutti gli altri suoi difetti… E soprattutto, sapeva di rappresentare una tentazione per chiunque gli stesse davanti.

 

Xander rimase paralizzato di fronte alle sue labbra rosse e carnose, ricordando in quel momento che era di nuovo libero, che poteva fare quello che voleva… Irina non faceva più parte della sua vita…

 

Tuttavia, fece un passo indietro. Indietreggiò perché era spaventato dal fatto di essere attirato da Nina, che non era altro che una ragazza senza morale, senza inibizioni, bellissima e vuota. Una che era diventata una criminale di sua volontà, non come Irina… Una che dimostrava molti più anni di quelli che aveva perché voleva che fosse così, non come Fenice… Una che aveva scelto di essere quello che era perché era quello il suo desiderio.

 

Ma forse era quello che lo attirava di lei; forse era la sua palese consapevolezza di essere bella e di poter aver tutto a rendergliela appetibile… Forse era il fatto che lei, nonostante tutto, sapesse meglio di tutti dove stava andando e dove voleva arrivare…

 

<< Su, non fare il difficile… >> sussurrò nuovamente lei, avvicinandosi al suo volto, << Non hai più la tua… ragazza a cui essere fedele, no? >>. Ghignò, dimostrando di sapere dove fare leva…

 

Xander fece una smorfia, che doveva essere di disgusto. “Stronza… Non gliene frega di niente e di nessuno. Vuole solo avere la soddisfazione di tentarmi, non gli importa di nient’altro”.

 

Nina si avvicinò ancora, indugiò un momento sulla sua bocca, poi disse, tranquilla: << Posso farti una domanda, Mark? >>.

 

<< Cosa vuoi sapere? >> fece Xander, rigido come una statua.

 

<< Perché cerchi la Lince? >> chiese Nina, mettendogli una mano sul petto.

 

<< Perché voglio diventare un Referente >> fu la risposta secca di Xander.

 

Nina sorrise. << Giusto… Ma sai, forse non è necessario che tu vinca questa gara per aspirare a diventare un Referente >> disse, sorniona, spingendolo verso il muro, << Conosco qualcuno che potrebbe aiutarci… >>.

 

Poi lo baciò sulle labbra, e per quanto il cervello di Xander gli gridasse di staccarsi, non ci riuscì. E forse nemmeno volle. Perché quelle labbra avevano un sapore piccante, irresistibile, che gli fece perdere del tutto il senso delle cose, fino a portarlo a fregarsene di tutto e di tutti…

 

Tanto ormai era solo.

 

Tanto ormai le cose non potevano andare peggio di così.

 

Tanto era chiaro che Nina gli piacesse.

 

Tanto valeva svagarsi un po’.

 

E mentre Nina si spogliava e prendeva possesso del suo letto, si disse che non poteva cadere più in basso di così… Che si faceva schifo da solo, perché andava a letto con una ragazza da cui non avrebbe mai avuto niente… Che era diventato come gli tutti altri, che finiva a letto con la prima che capitava…

 

Quando anche l’ultimo indumento di Nina cadde sul pavimento, lasciando completamente spogliato il suo corpo perfetto, Xander si accorse di qualcosa che gli riportò alla mente Irina.

 

Sulla schiena di Nina c’era un tatuaggio, un segno che come molti piloti clandestini si era fatta incidere per sempre sulla pelle: un grosso gatto scuro dalle orecchie a punta.

 

Niente fenici, per lei.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 21.30 - Yaroslav, Hotel Pan

 

<< La gara è rimandata >> disse Dan, neutro, mentre condivideva con Irina il bancone del bar, sorseggiando il suo drink con aria annoiata, una musica a basso volume come sottofondo, << Rimandata a dopodomani per via del tempo >>.

 

Irina guardò fuori dalla finestra, dove infuriava la più violenta tempesta di neve che aveva mai visto, e capì che forse era davvero meglio aspettare una giornata. Nel giro di un’ora erano caduti almeno venti centimetri di neve, e stando alle previsioni doveva continuare così per tutta la nottata. Sarebbe stato difficile persino far uscire le auto dal garage.

 

<< D’accordo >> disse lei, << Non credevo potesse accadere alla Mosca-Cherepova, ma non è un problema >>.

 

Dan si strinse nelle spalle. << La gara di domani è difficile, e i Referenti pensano che non avrebbe senso farla disputare in queste condizioni. Un giorno in più non cambia la vita a nessuno >>.

 

Irina gettò un’occhiata intorno, dove la maggior parte dei piloti clandestini stava commentando l’ultima novità. Nessuno sembrava quindi interessato a lei, ma si accorse che mancavano Xander e Nina, oltre che Vladimir e il suo co-pilota Cyril. Dovevano essere ancora di sopra, a riposarsi.

 

Dimitri era in camera, lo sapeva. Lo aveva visto parlare al telefono con McDonall, quindi lo aveva lasciato stare ed era scesa di sotto a bere qualcosa, anche se si sentiva piuttosto stanca. Aveva le gambe indolenzite e i muscoli delle braccia un po’ rigidi. Però non poteva far finta di non essere contenta di aver vinto la gara, e da brava “provocatrice” doveva farsi vedere in giro a festeggiare.

 

All’improvviso, entrarono Vladimir e Cyril, un borsone in mano e l’espressione truce. Raggiunsero rapidamente i Referenti seduti a un tavolo, e il russo dal collo sfregiato disse chiaramente: << Abbandoniamo la corsa. Ce ne andiamo >>.

 

Irina strabuzzò gli occhi, esattamente come metà della sala, rimasta in silenzio. Perché ritirarsi proprio ora? Non aveva senso!

 

<< Va bene >> disse solo Konstantin, << Non sei tenuto a dare una giustificazione… Sappi che non potrai tornare indietro, però >>.

 

Vladimir mosse impercettibilmente la testa. << Lo so. Affari urgenti mi costringono a tornare a Mosca >>. Fece cenno a Cyril di seguirlo, e si avviarono verso l’uscita. Prima di varcare la porta, però, Vladimir si voltò verso di lei, la guardò divertito e disse, canzonatorio: << Buona fortuna, Fenice. Spero proprio che tu vinca questa gara… A presto >>.

 

Poi uscì, lasciandoli tutti basiti, senza sapere che cosa dire. Irina guardò Dan, perplessa, senza capire perché Vladimir si fosse ritirato: poteva avere tutti gli affari del mondo, ma chiunque ci avrebbe pensato due volte prima di lasciare la Mosca-Cherepova, contando anche il piazzamento che era riuscito a guadagnare… Non aveva assolutamente senso.

 

“Devo dirlo a Dimitri… La cosa puzza di bruciato”.

 

Sorseggiò lentamente quello che rimaneva nel suo bicchiere, cercando di capire cosa avesse spinto Vladimir a lasciare la gara… Forse credeva di non poter vincere? Forse non poteva aspettare un giorno in più per i suoi affari?

 

L’unica nota positiva era che, tolto Vladimir, avevano un avversario davvero temibile in meno, sia lei che tutti gli altri. In effetti, i piloti clandestini che avevano assistito alla scena in quel momento sembravano solo interessati al fatto che nella gara c’era un partecipante in meno. Chiaramente la presenza di Buinov non era molto gradita, e a nessuno interessava il vero motivo per cui se n’era andato.

 

<< Perché se n’è andato, secondo te? >> domandò, rivolta a Dan, curiosa di sentire il suo parere.

 

L’italiano si strinse nelle spalle. << Deve aver capito che anche se avesse vinto la gara, la Lince non gli avrebbe mai permesso di incontrarlo per davvero >> rispose, << Nessuno si fida di lui, figuriamoci se i Referenti gli avrebbero mai permesso di avvicinarsi troppo… L’hanno lasciato partecipare solo per vedere cosa sarebbe successo, e lo hanno tenuto d’occhio fin dall’inizio. Deve averlo capito e ha preferito usare il suo tempo per qualcosa di più utile per lui >>.

 

Irina annuì, ma era convinta che sotto ci fosse qualcos’altro. Vladimir non avrebbe sprecato quella possibilità di stare fianco a fianco a Dimitri in quel modo, anche perché la prossima Mosca-Cherepova sarebbe stata tra un anno… Forse aveva qualcosa in mente, e per mettere in pratica il suo piano aveva bisogno di stare lontano dai Referenti e da Dimitri stesso…

 

Un gruppetto di russi entrò nel bar ridacchiando sonoramente, e Irina fu riscossa dai suoi pensieri. Li osservò poco interessata mentre raggiungevano un tavolo con altri due russi e iniziavano a raccontare qualcosa con l’aria estremamente divertita, gesticolando qualcosa. Non riuscì a capire cosa avevano da ridere perché erano troppo lontani, ma qualcuno di loro percorreva con gli occhi la sala come se cercasse una persona in particolare.

 

<< Ah, ancora con questa storia… >> disse Dan, divertito alla vista del gruppo,  << Tanto domani mattina potranno fargli tutte le battutine che vogliono… >>.

 

Irina lo guardò, un sopracciglio inarcato, senza capire a cosa si riferisse.

 

Dan sorrise e posò il suo bicchiere vuoto sul bancone. << Poco fa sono andato ad avvertire gli altri piloti che la gara veniva rimandata >> spiegò, << E ho beccato Nina e il suo amico pilota in palese… intimità >>. Ridacchiò, come se il pensiero fosse decisamente divertente.

 

Irina fissò Dan, il sangue gelato all’istante nelle vene, ed ebbe una fitta così forte al cuore che avrebbe potuto piegarla in due. Se poco prima non avesse abbandonato il bicchiere sul tavolo, le sarebbe sicuramente caduto a terra, spaccandosi in mille pezzi e attirando l’attenzione su di lei…

 

Non seppe esattamente cosa riuscì a filtrare dalla sua espressione, quanto fu brava o meno a rimanere di ghiaccio, perché non le interessò nemmeno. Strinse il bordo del bancone, le nocche bianche, e deglutì per impedirsi di gridare…

 

XanderXander è andato… Non può averlo fatto… Non già adesso… Non…”.

 

Dan non sembrò notare niente di strano in lei, forse perché abbassò subito lo sguardo e guardò l’orologio, come se la cosa non la scalfisse nemmeno un po’. In realtà cercava solo una scusa per lasciare il bar il prima possibile…

 

<< Scusa un momento, mi sono dimenticata di una cosa… >>.

 

Senza guardarsi indietro, lasciò la sala e andò nell’ingresso, riuscendo a sentire ancora per un attimo le risate del gruppetto di russi. Non c’era nessuno, perché la hall con il banco informazioni era nella stanza di fianco, e lei lo sapeva bene. Le due poltrone vicino alla vetrata, oltre la quale la neve cadeva incessantemente, sembravano quasi aspettarla.

 

Lei però si appoggiò al muro gelido, paralizzata.

 

Forse una coltellata al cuore sarebbe stata meno dolorosa…

 

Forse non vedere più Xander per un bel po’ sarebbe stato meglio…

 

Ma così…

 

“Non può essere andato con Nina… Non può averlo già fatto…”.

 

Rimase a fissare fuori, senza vedere né la notte né la neve, senza riuscire a riscuotersi, senza riuscire a tornare a respirare…

 

Si era già consolato con un’altra… Non si era preso nemmeno il tempo di digerire la nuova situazione, di ragionare un momento con calma… Lei lo aveva lasciato, aveva messo fine a una storia durata due anni e cominciata in maniera drammatica ma bellissima, e lui la prima cosa che faceva era andare a letto con Nina.

 

Allora era davvero cambiato anche lui. Allora davvero non gliene importava più niente di loro due. Allora era giusto pensare che in qualche modo si fosse stancato di lei.

 

Pensava di aver finito le lacrime la sera prima, ma non era così, perché tornarono a scenderle lungo le guancie, silenziose, salate e soprattutto fredde.

 

“Stupida”.

 

Perché piangere? Lo aveva già sospettato, no? E poi, era stata lei a lasciarlo, giusto? Cosa pretendeva, che Xander si prendesse un periodo di pausa e pensasse alla loro storia? Gli aveva fatto solo un favore, lasciandolo…

 

Ma tanto lo sapeva che stava male perché lo amava ancora, perché soffriva nel capire che se non fosse stata lei a troncare quel rapporto, lui con Nina ci sarebbe andato lo stesso. In fondo, lei era così perfetta, così bella, brava al volante, furba… Una donna adulta, non come lei.

 

Si sedette su una poltroncina, il volto tra le mani, controllando i singhiozzi che volevano uscirle dalla gola. Non avrebbe pianto come una disperata, anche se avrebbe tanto voluto farlo. Era l’unica a soffrire davvero in quella situazione, a non essere in grado di superare quegli avvenimenti, ma aveva ancora un po’ di orgoglio, un po’ di rispetto per stessa. Non avrebbe fatto scenate, non avrebbe gridato tutto il suo dolore… Era Fenice, non poteva dimenticarlo.

 

Lasciò scendere tutte le lacrime, nel silenzio più assoluto, sentendo solo le voci che provenivano dal bar, e guardando i fiocchi di neve cadere sul terreno bianco, il cuore che sanguinava, gli occhi che bruciavano.

 

“Entrambi hanno avuto quello che si meritano. Si sono trovati, in fondo. Meglio questo, che prendersi ancora in giro”.

 

Se superava questo, nient’altro l’avrebbe fermata. Ormai aveva toccato il fondo, e niente sarebbe stato peggio di quello. Adesso cominciava la faticosa risalita, in solitaria, verso una nuova vita a cui proprio lei aveva dato il via, con le sue scelte inaspettate.

 

Si alzò e si passò una mano sul volto, traendo un respiro profondo. Improvvisamente le piombò addosso tutta la stanchezza della giornata, e decise di andarsi a chiudere in camera sua, sperando di riuscire a dimenticare tutto, sperando di trovare un modo per fermare quel dolore che aveva dentro.

 

Raggiunse le scale e salì i gradini due a due, per evitare di incrociare qualcuno, e si ritrovò nel corridoio. Dimitri stava venendo dalla sua parte, probabilmente con l’intenzione di andare al bar.

 

La guardò passare in silenzio, forse perplesso dal fatto che lei non gli rivolgesse la parola ma si limitasse a un cenno di saluto rapido e piuttosto distaccato, e non la fermò quando lei si chiuse la porta alle spalle, barricandosi dentro la sua camera. Doveva aver intuito che volesse stare da sola.

 

Solo quando fu dentro, Irina si concesse un respiro, e si guardò intorno, sentendosi estranea persino nella sua stanza. In quel momento avrebbe voluto essere a casa sua, nella sua camera con la sua musica, le sue cose, l’affetto delle persone che le volevano ancora bene…

 

Si sedette sul letto, poi sentì bussare alla porta. Sbuffò e andò ad aprire, anche se non ne aveva voglia.

 

Era Dimitri, che evidentemente aveva sentito il bisogno di essere presente, e aveva scelto l’unica volta in cui Irina voleva stare veramente da sola.

 

Si guardarono in faccia per un momento, in silenzio, con Irina che cercava invano di non sbattere troppo le palpebre per dare l’idea di aver appena versato fiumi di lacrime.

 

<< Cosa è successo? >> chiese Dimitri, impietoso, come se sapesse benissimo che era l’unica domanda che non doveva fare.

 

<< Niente >>.

 

Il russo fece una smorfia. << Non me la dai a bere >> disse, secco, << Se davvero non fosse successo nulla di importante, non avresti risposto “Niente”. Avresti detto di cosa si trattava >>.

 

Irina sostenne il suo sguardo, poi si ricordò di quello che era successo prima che venisse a sapere di quello che le aveva rovinato la serata.

 

<< Vladimir ha abbandonato la gara >> rispose.

 

Dimitri inarcò un sopracciglio.

 

<< Bene, ottima notizia >> commentò, << Ma non sapevo gli fossi così affezionata da metterti a piangere… >>.

 

Irina rimase interdetta, soprattutto per la battuta. Che si fosse accorto che aveva pianto, non era strano: sicuramente aveva gli occhi rossi. Ma che gli interessasse il perché, era una novità.

 

<< Non… Vladimir non centra >> borbottò, evitando il suo sguardo, << E poi… Non voglio perdere tempo per qualcosa che non ha… importanza >>.

 

Dimitri la trapassò con gli occhi, e si produsse in un sorrisetto ironico.

 

<< Certo… Quando imparerai a mentire? Non riesci a ingannare nemmeno te stessa… >>.

 

Di solito Dimitri non era insistente né invadente, ma in quel caso sembrava particolarmente e odiosamente interessato a quello che le era successo. O credeva si trattasse di qualcosa riguardo al loro lavoro, oppure di qualcosa che aveva a che fare con lui. Niente di più sbagliato.

 

<< Non c’entra con la missione, perché lo vuoi sapere? >> lo aggredì Irina. Voleva solo chiudere quella porta e quella conversazione ed essere lasciata in pace.

 

<< Perché lo so già >> ribatté Dimitri, secco.

 

Irina lo guardò, e comprese che il Mastino era a conoscenza della storiella tra Xander e Nina; storiella che doveva aver già fatto il giro di tutto l’hotel.ù

 

Ma che bravi, lo sanno già tutti…”.

 

<< Bene, allora posso anche tornare alle mie occupazioni… >> disse, e fece per chiudere la porta.

 

Dimitri glielo impedì. Mise un braccio sullo stipite e digrignò i denti, arrabbiato.

 

<< Non farlo >> ringhiò, << Odio quando mi chiudono le porte in faccia >>.

 

Irina si innervosì.

 

<< E io odio chi mi impedisce di farmi gli affari miei >> disse, arrabbiata. << Cosa vuoi, ancora? >>.

 

<< Sapere se devo aspettarmi un tentativo di suicidio da parte tua, oppure se hai intenzione di ammazzare qualcuno prima di domani mattina >> rispose Dimitri, e aveva un che di ironico nella voce, << Vorrei essere informato prima, perché non ho intenzione di finire da solo la gara con quel macinino della tua auto >>.

 

<< Non ho in mente nessuna delle due opzioni >> rispose Irina, seccata, << E adesso, le cose sono due: o te ne vai, oppure entri. Non mi piace stare sulla porta >>.

 

Dimitri le scoccò un’occhiata, poi la aggirò ed entrò nella stanza come se il suo fosse stato un invito. Irina chiuse la porta e si sedette sulla poltrona, senza dirgli di fare altrettanto. Non capiva cosa volesse, visto che lei aveva decisamente l’aria di una che desiderava starsene in pace…

 

<< Se hai intenzione di fare qualche commento su quello che sta succedendo a qualche stanza da qui, ti prego di astenerti >> disse Irina, lanciandogli un’occhiata eloquente. Per quanto volesse risultare tagliente, però, dalla sua voce trasparì comunque una nota di tristezza e di dolore.

 

<< Fingere di non vedere è la cosa peggiore da fare >> ribattè Dimitri.

 

Irina lo guardò, basita. Forse lui non capiva…

 

<< Xander è andato a letto con Nina dopo appena un giorno che ci siamo lasciati >> ringhiò, infuriata con stessa e con Dimitri, << Non… Non mi ha nemmeno dato il tempo di… di elaborare la cosa. Faceva tanto l’apprensivo, ma mi ha appena dimostrato che non gliene fregava un cazzo di me, visto che ha trovato subito un’altra con cui consolarsi… E io ingenua che speravo anche che tra loro non fosse mai successo niente… Chissà quante altre volte sono stati insieme. Tanto Irina la bambina non se ne sarebbe mai accorta, no? E’ sempre stata abituata a fare la bambola, in fondo… E tu mi adesso mi vieni a dire che dovrei accettare le cose così come stanno? Io… Io voglio sono dimenticarmi di tutto questo, non accettare… >>.

 

Forse stava per perdere il controllo, forse stava per impazzire… Quello sfogo però non riuscì a toglierle di dosso la sensazione di avere qualcosa di sbagliato, e se ne fregò altamente della reazione che avrebbe potuto avere Dimitri in quel momento… Non si preoccupò nemmeno di guardare la sua faccia. Aveva una rabbia addosso che forse non aveva mai provato.

 

E poi, inspiegabilmente, le venne di nuovo da piangere. Le ripiombò addosso tutto il dolore che aveva provato fino a poco prima, e che si era ripromessa di controllare… Qualcosa di freddo le si attorcigliò nello stomaco, facendole quasi male.

 

“E’ andato con lei! E’ andato con lei!”.

 

Sospettarlo era una cosa, averne la certezza era un'altra. Prendere atto che era così facile da sostituire era difficile; accettare di non valere più nulla per Xander faceva male, troppo male…

 

Si alzò di scatto e raggiunse la porta, spalancandola. Guardò Dimitri in faccia e disse, atona: << Per favore, va via >>.

 

Voleva rimanere da sola e scoppiare a piangere in santa pace fino ad addormentarsi; voleva trovare solo un momento per sfogare tutto quel dolore che aveva nel cuore, magari spaccare qualcosa, eliminare tutto quello che le ricordava Xander… Fare quello che lui era riuscito a fare con lei: cancellarla dalla sua vita con la facilità con cui si dimenticano i brutti sogni.

 

Dimitri si alzò e raggiunse la porta, ma non uscì. Rimase in piedi, a fissarla con quegli occhi grigi come se volesse dire qualcosa, e Irina ebbe una strana sensazione, come un formicolio allo stomaco. Abbassò lo sguardo, imbarazzata, senza sapere cosa dire. In fondo lui non aveva nessuna colpa, e non aveva il diritto di trattarlo male…

 

Poi, fu un attimo.

 

Prima che avesse anche solo il tempo di rendersi conto che di quello che stava succedendo, si ritrovò incollata alla porta, chiusa dietro le sue spalle, e Dimitri davanti a lei, la bocca sulla sua.

 

Non fu in grado né di spostarsi né di chiedersi il perché.

 

Ma tanto non lo voleva nemmeno fare.

 

Perché anche se era da pazzi, Dimitri la stava baciando, e a lei piaceva.

 

Perché anche se non se lo aspettava, ringraziò che lo avesse fatto.

 

Ora la sua testa era vuota, completamente vuota, e l’unica cosa che sentiva era il calore assurdo di quel bacio, come un fuoco che divampava dopo che qualcuno aveva cercato di soffocarlo… Potente, forte, quasi prepotente. In grado di far evaporare in un attimo tutte le lacrime che le avevano inondato gli occhi, in grado di strapparla violentemente dal suo dolore prima che ne morisse soffocata…

 

Lo sapeva che non aveva senso, che non c’era nessuna ragione per cui Dimitri volesse o dovesse baciarla… Eppure era come se fosse scritto da qualche parte, che doveva accadere… Era come se le loro due anime piene di cicatrici si fossero chiamate insistentemente, finché uno dei due non aveva ceduto e le aveva fatte ricongiungere, nonostante l’enorme sbaglio che rappresentava…

 

Poi Dimitri si staccò, e Irina riprese a respirare, gli occhi completamente asciutti che le permettevano di vedere ben nitido il volto di Dimitri a pochi centimetri dal suo. Ma era l’unica parte del suo corpo che aveva vicino, perché tutto il resto si teneva a debita distanza: teneva le braccia appoggiate sopra la porta, ma in alto, sulla sua testa, senza bloccarla, come se volesse darle il modo di spostarsi, scappare, fuggire, allontanarsi da quel corpo muscoloso e pieno di cicatrici, che metteva timore a chiunque…

 

Dimitri la guardò dritta negli occhi e disse, a bassa voce, come il sussurro di un fantasma: << Non piangere per qualcuno che non ha ancora capito niente di te >>.

 

Irina non si mosse, rimase inchiodata a guardarlo, completamente rapita dalla sua espressione.  Forse avrebbe dovuto averne paura; forse avrebbe dovuto temere quello che poteva succedere dopo… Ma non aveva paura, non di quel russo dagli occhi di ghiaccio, spietato, distaccato, freddo, pieno di fantasmi e di ferite nell’anima, fino a renderlo un assassino… Non aveva paura di lui, perché lo conosceva, forse meglio e di più rispetto a chi aveva sempre creduto vicino.

 

<< E adesso >> continuò lui, senza staccarle gli occhi di dosso, senza spostarsi di un millimetro, << Puoi decidere se darmi uno schiaffo e farmi uscire da questa stanza, oppure no. Puoi anche odiarmi, per quello che ho appena fatto. Puoi fare quello che vuoi. Non ti biasimerò >>.

 

Irina rimase impalata dov’era, cogliendo chiaramente la domanda che c’era in quella frase: vuoi rischiare con me? Vuoi rischiare sapendo chi sono, cosa sono e cosa ho fatto?

 

Si guardarono, e nonostante lei si trovasse tra la porta e Dimitri, non si sentì prigioniera, anzi. Era libera di scegliere, di prendere una decisione da sola, perché qualunque fosse stata, lui l’avrebbe accettata.

 

“Potrebbe aiutarmi a dimenticare…”.

 

Non disse no, e non disse sì. Gli lanciò solo un’occhiata, e Dimitri sembrò comprendere quello che le passava nella testa.

 

Perché lei, così all’improvviso? Perché quella ragazza che aveva sempre disprezzato, in fondo? Perché Fenice, quella che lo aveva fatto arrestare, che aveva tradito Challagher, che si era innamorata di uno sbirro?

 

Dimitri non rispose, perché forse non c’era una risposta. Forse non esisteva un vero e proprio perché. Forse perché le cose a volte vanno così, nascono dal niente e muoiono nel niente…

 

E la baciò di nuovo, questa volta così prepotentemente da darle l’idea di volerlo fare da quanto più tempo era legittimo aspettarsi, ma lasciandole sempre una via fuga aperta…

 

Ma tanto non sarebbe scappata, non voleva farlo…

 

E poi ci volle un attimo a farla ritrovare nel letto, avvinghiata a quel corpo scolpito e pieno di cicatrici, bollente, senza nemmeno rendersi conto di tutto quello che ciò significava…

 

Perché tanto erano solo due persone sole alla ricerca di qualcosa che forse non esisteva…

 

Perché tanto il fondo lo avevano toccato tutti e due.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Vedo i cori da stadio che si sono scatenati laggiù… Su, ragazze, contenetevi, eh.

Allora, giudizi spaccati, immagino. Ma è successo quello che molti speravano, e forse non si aspettavano. Ditemi un po’ che ne pensate, e soprattutto se la cosa vi fa piacere oppure no. Siete anche liberi di insultarmi, se volete.

Sinceramente, nemmeno io so cosa dire: rischierei di sbilanciarmi troppo, quindi rimando in silenzio e spero di leggere le vostre reazioni. Ci vediamo al prossimo cap, eh!

 

 

Isabellina: prima di tutto, spero che tu sia arrivata viva anche a questo cap, visto che mi hai lasciato dicendomi che andavi a farti un bel viaggetto a 180 in contromano… Mi raccomando, allaccia la cintura che non ti voglio mica avere sulla coscienza, eh! Naturalmente scherzo, ma sono contenta che tu abbia deciso di recensire, e non ti preoccupare, non sei l’unica che ha adorato William: molto probabilmente è il miglior “cattivo” che io sia riuscita e riuscirò mai a creare! Dimitri è Dimitri, in questa fic è uscito fuori e naturalmente ha raccolto schiere di fan. Come vedi, quello che desideravi è accaduto, ma non dare niente per scontato, eh! Un bacio!

 

Darkrainbow: madooo, tutte le tue ipotesi sulla Lince sono molto verosimili, ma ti toccherà attendere, la cosa si fa ancora lunga. E lo so che adori Dimitri, quindi immagino la tua faccia ora, a fine cap… Come quella di Xander, se mai sapesse… Ma Xander tanto al momento è occupato in altro. Eh già, le coppie scoppiano e mi mescolano. Si vedrà, si vedrà. Bacio!

 

Supermimmina: NOOOOOOOOO, SONO FELICISSIMA PER TEEEE!!!!!!!!!! Allora il nick ora bisognerebbe cambiarlo in “Supermammina”!!! Dai, veramente, sono troppo contenta! L’unica cosa che spero è che questa storia non influenzi minimamente il carattere del pargolo, altrimenti finisce che ci troviamo in giro un William o un’Irina che fanno i pazzi per strada veramente! Ah ah ah, , dai, a parte gli scherzi, cercherò di non farti aspettare troppo, che già devi aspettare di tuo, e tienimi aggiornata su questo (o questa) aspirante mini pilota clandestino. Magari finita RR mi lancio in una serie di favole per bambini! Un bacione enorme enorme enorme!

 

Danu: visto la nostra Irina? Tira fuori le unghie e fa mangiare la polvere a tutti quanti. Definire gentile Dimitri sembra un po’ strano, ma in fondo un po’ lo è. Vediamo cosa succederà quando Vladimir metterà in atto il suo piano, qualunque esso sia… Oltretutto, ora sembra allearsi anche con William: nascerà la coppia dei perfetti attivi… Bacio!

 

Neverwinter Night: sono onorata di ricevere la tua prima recensione, sai? Non capita spesso! E sono altrettanto contenta che sia riuscita a prenderti anche con il seguito del Gioco dello Scorpione: i seguiti non sono mai visti di buon occhio! Lo so, lo so, che la fine della storia tra Irina e Xander lascia un po’ tutti con l’amaro in bocca, soprattutto se si hanno freschi in mente i ricordi di come si sono trovati, ma penso che nel loro caso sia quasi “fisiologico” un allontanamento del genere: hanno vissuto sospesi per due anni, ma è chiaro che il passato non si dimentica, e molto più spesso è lui a non dimenticarsi di noi. Come vedi, il tanto incontro ravvicinato del terzo tipo tra Irina e Dimitri è avvenuto, ma consiglio di non farsi troppe idee e di vedere come andranno le cose, perché ne devono succedere ancora tante… No problem per gli accenti! Un bacio!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 30
*** Capitolo XXX ***


Capitolo XXX

Capitolo XXX

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 06.00 - Yaroslav, Hotel Pan

 

Irina si svegliò lentamente, la luce fioca del primo mattino che brillava dietro le sue palpebre chiuse, con la forte sensazione che qualcuno la stesse fissando, anche se non ne era certa. Il formicolio che avvertiva sulla pelle però era il segnale che comunque c’era qualcuno in quella stanza, a parte lei… Tuttavia, non aveva voglia di aprire gli occhi: voleva ancora godere di quel calore che sentiva scorrere nel corpo, quella sensazione di assurda pace che aveva addosso…

 

Poi sentì un sussurro e la porta chiudersi con un tonfo sordo, e capì che ora era davvero sola. Non allungò il braccio per provare a sentire se ci fosse qualcuno, di fianco a lei; rimase ferma, stringendo nella mano un lembo del lenzuolo caldo, e aprì gli occhi.

 

La camera era vuota; sottosopra, ma vuota. Si mise a sedere, individuando i suoi abiti sparsi per il pavimento, le lenzuola metà a terra metà sul letto, le sedie spostate, un cuscino sul mobile… Ma nessun’altro, a parte lei. Nessuno, in quella stanza stranamente calda, eppure così estranea.

 

Sospirò.

 

Non si era aspettata di trovare Dimitri accanto a lei, né sveglio né tantomeno addormentato. Né si era illusa di poter aprire gli occhi e sperare di sentirlo rivolgerle un saluto di buon giorno, oppure un semplice sguardo gentile. Non era il tipo per quelle cose, e dopo quella notte lo capiva ancora di più. Forse era anche meglio così, però. Perché fingere che andasse tutto bene, che fosse tutto normale, se non lo era?

 

Si lasciò cadere nel letto, rendendosi conto che le lenzuola quasi bruciavano, sfiorando la sua pelle, come se non riuscissero a liberarsi del calore che le aveva possedute fino a poche ore prima… E subito le vennero in mente le sensazioni che aveva provato, mentre giaceva su quel letto non più da sola, sensazioni che malgrado tutti i suoi dubbi non poteva che definire travolgenti.

 

Aveva ancora sotto le dita il calore delle cicatrici sulla pelle di Dimitri, che forse avrebbero dovuto spaventarla, ma che invece aveva trovato quasi irresistibili… Una sorta di calamita, che le aveva fatto scoprire che il russo era tutt’altro che un pezzo di ghiaccio…

 

“Che cosa ho fatto?” pensò, senza riuscire a capire se fosse pentita, amareggiata o solo sorpresa,  “Cosa ho fatto? Sono impazzita… Non può essere successo…”.

 

Ma intanto era tutto vero, i ricordi lo confermavano. Le sensazioni erano ancora vivide dentro di lei…

 

Non lo sapeva se giusto oppure no, però… Però era stato… Bello.

 

Sì, era stato bello. Per quanto non dovesse dirlo, era stata una notte in cui aveva provato qualcosa di nuovo, che fino a quel momento le era sconosciuto… Qualcosa che fino a pochi giorni prima era stato solo rappresentato da Xander, unico con coi aveva condiviso tutta se stessa fino a quel punto…

 

Poi si sentì in colpa.

 

Era andata a letto con Dimitri…

 

Una serie di pensieri si affollarono nella sua testa, e le fu difficile trovare un ordine.

 

Perché si era lasciata andare?

 

Perché aveva deciso di rischiare?

 

Perché Dimitri l’aveva baciata?

 

Perché adesso, perché ora?

 

Guardò il soffitto, senza riuscire a trovare una risposta. Forse era tardi per cercarle. Ormai il danno era fatto…

 

“Danno? E’ stato veramente un danno?”.

 

Si passò una mano sul braccio, ma non riprovò la stessa sensazione che Dimitri le aveva fatto sentire. Lui era stato molto più… caldo. Molto più coinvolgente, più virile, più…

 

Era assurdo. Aveva sempre creduto che Dimitri fosse un pezzo di ghiaccio, ma non lo era. Appena gli aveva dato il via libera, si era completamente trasformato… Era come se avesse preso fuoco, e contemporaneamente avesse acceso anche lei, tanto da non farla riconoscere nemmeno a se stessa…

 

No, non era stato un danno, ma c’era solo un problema: lei non amava Dimitri.

 

Per quanto quella notte fosse stata stupenda, non lo amava, non per il momento. Non sapeva quali fossero i suoi sentimenti per lui… Le piaceva il fatto che la lasciasse libera, che la rispettasse sempre e comunque, che la trattasse come una pari… Le piaceva anche fisicamente, poteva ammetterlo, ma… Non provava per lui quegli stessi sentimenti che l’avevano legata a Xander.

 

“Allora perché ho accettato?”.

 

Mentre si poneva quella domanda, se ne fece un’altra.

 

“Dimitri cosa penserà di tutta questa storia?”.

 

Doveva parlare con lui. Non poteva lasciare in sospeso la questione… Doveva sapere cosa provava lui, che in fondo aveva anche fatto il primo passo. Perché, poi? L’aveva sempre disprezzata, fin dai tempi della Black List, e credeva che la loro collaborazione fosse solo una tregua… Forse aveva cambiato idea su di lei, una volta che l’aveva conosciuta davvero, ma non da indurlo a fare una cosa del genere…

 

Non credeva che Dimitri potesse aver visto qualcosa in lei che prima non aveva notato, qualcosa che magari lo aveva colpito… Era sempre stata stessa, fin dall’inizio: pasticciona, insicura, spaesata come riusciva a essere solo lei.

 

“Sai che non è così… Chi ha fatto vedere ai Referenti di che pasta è fatta? Chi ha fatto mangiare la polvere a Xander, Vladimir e tutti gli altri?”.

 

Sorrise rendendosi conto che dall’inizio era cambiata, che da quando era a Mosca il suo modo di vivere non era più lo stesso… Chi aveva preso in mano la propria vita, mettendo a rischio tutto quello che aveva?

 

Forse era stato quello, a colpire Dimitri. Forse era stata la sua decisione di prendere finalmente in mano la propria esistenza e scegliere davvero da sola la strada da imboccare…

 

Però le domande nella sua testa rimanevano, e lei non poteva rispondere. Finché il dubbio fosse rimasto nel suo cuore, non sarebbe stata in grado di guardare Dimitri dritto in faccia, non quando erano stati così vicini. E l’Irina che era ora gli suggeriva di prendere il coraggio a due mani e parlare chiaramente con lui, per quanto imbarazzante e difficile fosse. Era sicuro che lui la pensava allo stesso modo.

 

Si alzò e si rivestì in fretta, senza guardarsi intorno, lasciando tutto com’era, in quel disordine che corrispondeva a quello che aveva in testa. Uscì e bussò alla porta della stanza di Dimitri, rimanendo in attesa, il cuore che batteva velocissimo all’idea di vederlo di nuovo, dopo aver sentito le sue mani su di lei…

 

Il russo le aprì, e se lo ritrovò davanti a torso nudo, le cicatrici bianche che brillavano sotto la luce fioca del lampadario nell’ingresso. Irina arrossì leggermente, ricordando quanto in realtà quella pelle fosse piacevole sotto le dita, e facendosi forza cercò il suo sguardo.

 

Come si era aspettata, Dimitri sembrava impassibile, come se quella notte non fosse accaduto nulla, tra loro due. Era sempre il solito ragazzo barricato dietro al suo aspetto duro e distaccato, sempre il Mastino della Black List. Forse era talmente turbato anche lui, da quello che aveva fatto, che non era in grado di fare altro se non guardarla con quei suoi occhi grigi.

 

<< Ho bisogno di parlare con te… >> sussurrò Irina, titubante.

 

Dimitri le fece cenno di entrare, poi chiuse silenziosamente la porta alle loro spalle. Raggiunsero il centro della camera, senza dire niente, poi Irina si voltò e lo scrutò in volto, sempre più imbarazzata. Non sapeva bene da dove cominciare, né se fosse opportuno commentare quanto era accaduto… E soprattutto non sapeva come avrebbe reagito.

 

<< Dimitri… Io volevo dirti che… Non so cosa tu abbia pensato di me, ma non era mia intenzione… Usarti >>.

 

In effetti, poteva averlo benissimo pensato, visto che aveva appena scoperto che Xander era andato a letto con Nina… Dimitri non era così stupido da non arrivarci, anche perché era quello di cui avevano parlato appena un attimo prima che lui… Bé, le saltasse addosso.

 

Lui però inarcò un sopracciglio, infilandosi la maglia che aveva raccattato dal letto come per dire che la discussione era di poco conto.

 

<< Usarmi? >> disse finalmente, scettico, << Non cominciare a fare la paranoica… Mi sembra che siamo abbastanza grandi da decidere autonomamente cosa fare della nostra vita >>. Apparve quasi arrabbiato, al pensiero.

 

<< Sì, lo so >> ribatté Irina, << Appunto per questo… Non voglio che tu possa pensare che sia… sia venuta a letto con te per dimenticare la storia di Xander e Nina… Non sono così meschina >>.

 

Per un attimo pensò che Dimitri si mettesse a ridere, poi lo vide fare una smorfia divertita.

 

<< E anche se fosse? >> ribatté, << Dove sta il problema? >>.

 

Irina rimase interdetta dalla sua risposta: sembrava quasi che volesse fosse così, in realtà. Magari lui aveva preso molto più alla leggera la cosa, e non gliene fregava assolutamente niente del perché fosse successo: si era solo divertito, aveva staccato la spina, ma niente di che. Però lei sentiva che in realtà non la pensava così.

 

<< Dimitri… Perché mi hai baciata? >> domandò, a voce bassa.

 

Il russo sembrò irritato dalla domanda, e spostò il suo sguardo sulla stanza, non più su di lei. Nella camera sembrò calare una certa tensione.

 

<< Perché mi andava >> rispose, secco.

 

Questa volta fu Irina a inarcare un sopracciglio, sapendo di sfidare apertamente il suo senso dell’ironia.

 

<< Non è una risposta, quella che mi hai dato >> disse, tranquillamente, per fargli vedere che non lo stava provocando, << Per favore, sii sincero. Sanno tutti che… che hai gusti difficili in fatto di ragazze… Non ho e non avrò mai la pretesa di piacerti, ma per favore dimmi la verità >>.

 

Dimitri le lanciò un’occhiata, sempre più irritato.

 

<< A cosa ti serve saperlo? >> ribatté.

 

<< Mi serve per chiarire le cose >> rispose Irina, cercando sempre di mostrarsi tranquilla, anche se non lo era, << Per capire cosa ci sta succedendo… Cosa mi sta succedendo. Non voglio che qualcuno soffra per quello che è successo… >>.

 

Dimitri la guardò ancora, e le sue iridi di ghiaccio scintillarono, forse di rabbia o forse di derisione.

 

<< Sei sempre la solita >> disse, seccato, << Cosa t’importa se qualcuno soffre? Come vedi nessuno si fa scrupoli nel far soffrire te… >>.

 

Si riferiva a Xander, era chiaro; ma era anche chiaro che cercava una scusa per non rispondere. Irina però apprezzò il fatto che lui avesse capito che si sentiva in colpa per quello che avevano fatto: confermava il fatto che il Mastino intuiva molte più cose di quelle che tutti credevano.

 

<< Dimitri… Non cambiare discorso >> sussurrò lei, << Perché mi hai baciata? E perché non ti sei fermato solo a quello? >>. Il suo cuore accelerò ancora, al pensiero.

 

Dimitri sembrò sul punto di sferrare un pugno sul muro, o di prenderla e sbatterla fuori dalla camera senza farsi scrupoli. Poi scosse il capo, e alzò lo sguardo su di lei, facendole venire i brividi.

 

<< Perché non sei quella che ricordavo >> rispose, finalmente, << Perché non ti conoscevo, prima di questa missione… Perché hai lasciato Went. Perché hai sfidato Nina… Perché hai sfidato me >>.

 

Si guardarono in faccia, con Irina che non sapeva cosa dire… Dimitri stava dicendo che provava qualcosa per lei? Qualcosa che non era esistito ai tempi della Black List?

 

<< Con questo che cosa vuoi dire? >> chiese lei, a voce bassissima.

 

Aveva improvvisamente paura di sentire la risposta. Se Dimitri avesse detto che in qualche modo provava qualcosa per lei, cosa avrebbe fatto? Come si sarebbe comportata?

 

Dimitri fece un sorrisetto mesto.

 

<< Voglio dire che avevo voglia di venire a letto con te, e l’ho fatto >> rispose, secco.

 

Irina alzò gli occhi al cielo: per un momento aveva creduto che le desse finalmente una risposta definitiva, ma aveva sperato troppo presto. Tutta la tensione che aveva accumulato in quel mezzo minuto di attesa scemò, lasciando spazio a una sorta di fastidio. Era riuscito a farle vedere tutto come uno stupido gioco nel quale si provocavano a vicenda.

 

<< E quando ti è venuta questa voglia? >> ribatté lei.

 

<< Sicuramente non hai tempi di Challagher >> rispose Dimitri.

 

Irina strinse le labbra e si trattenne per non sbuffare. Era chiaro che doveva essere esplicita, se voleva ottenere una risposta adeguata. Rimanere nel dubbio non le avrebbe fatto bene.

 

<< Dimitri… Provi qualcosa per me, oppure questa notte è stata solo un… caso? >> domandò, cauta, facendo attenzione a non apparire troppo presuntuosa.

 

Dimitri le gettò un’occhiata,

 

<< Ti giro la domanda >> ribatté.

 

Irina rimase un momento in silenzio prima di rispondere, cercando dentro di lei le parole giuste. Ripensò a quello che aveva provato, ma anche a quello che si era detta poco prima… Non amava Dimitri, non per il momento. Era stato un errore, il suo; non avrebbe dovuto dargli via libera, se non provava davvero qualcosa di forte nei suoi confronti…

 

<< Non… Non mi pento di quello che ho fatto, ma… Credo che sia meglio che… non si verifichi più una mancanza del genere da parte mia >> disse, e abbassò lo sguardo a terra.

 

Dimitri sembrò soppesare le sue parole.

 

<< “Una mancanza del genere da parte mia”… >> ripeté Dimitri, come se volesse farle il verso, << Nemmeno da parte mia, allora. E’ successo una volta, non succederà più, se è questa la tua preoccupazione… >>.

 

C’era un che di amaro nella voce di Dimitri, e Irina capì che in qualche modo doveva essersela presa.

 

<< Non intendevo questo >> disse lei, << Solo che… Credo di non essere pronta per un’altra storia, non proprio adesso che ho appena chiuso con Xander… E poi, perché adesso? Siamo stati per più di un mese sotto lo stesso tetto, nella stessa casa… >>.

 

Il russo le gettò un’occhiata che sembrava divertita, ma sicuramente non lo era.

 

<< Io non frego la ragazza a nessuno… >> ringhiò, voltandosi di spalle.

 

Irina lo guardò, e improvvisamente capì che tutto quello sarebbe potuto accadere prima… Ma lei prima stava con Xander, e anche se erano in crisi non lo avrebbe mai tradito… Dimitri lo sapeva.

 

Si morse il labbro, nel comprendere che aveva di fronte una persona che non aveva nulla in comune con quella che aveva conosciuto tanti anni prima, di cui aveva addirittura avuto paura… Dimitri aveva più valori di loro, vedeva oltre le apparenze, sapeva intuire i sentimenti delle persone molto meglio di altri, e lei si era presa gioco di lui in quel modo…

 

Stava per aprire bocca e chiedergli scusa, ma Dimitri si voltò di scatto, e lei si ritrovò di nuovo contro il muro, esattamente come la sera prima. Questa volta però il russo si limitò a guardarla in faccia, un mezzo ghigno sul volto, gli occhi grigi puntati su di lei. Il cuore di Irina tornò a battere forte, troppo forte, ed era sicura che anche lui riuscisse a sentirlo…

 

<< Se vuoi sentirti dire è stato solo sesso, non c’è bisogno che tu me lo chieda >> disse, a bassa voce, << Siamo piloti clandestini, siamo criminali, non esistono legami tra noi se non quelli che si creano con i soldi… Dove sta il tuo problema? Ci siamo usati a vicenda per una notte, e non verremo giudicati da nessuno per questo, perché io non lo andrò certo a sbandierare in giro. Non farti problemi dove non esistono, perché io non lo farò >>.

 

Il tono di Dimitri era piuttosto duro, arrabbiato, come se lo infastidisse il fatto che Irina avesse paura in qualche modo di averlo ferito, eppure il suo ragionamento le suonò strano, quasi sbagliato… Si erano davvero usati per una notte, senza altro scopo se non quello di staccare la spina dai loro problemi?

 

Forse Irina ci avrebbe creduto, se non avesse conosciuto Dimitri molto più di quanto aveva sperato e immaginato: lui non era così, da quel punto di vista. Era stata addirittura sua sorella a dirlo. L’unica spiegazione era che forse non gli era tanto indifferente come voleva mostrare, che forse era riuscita a fare breccia in quello strato di ghiaccio che ricopriva il suo cuore…

 

“No, non era questo che volevo… Non era mia intenzione… Non ho mai mirato a lui, volevo solo conoscerlo e imparare ad apprezzarlo per quello che è…”.

 

Lo guardò in faccia.

 

<< La pensi davvero così? >> soffiò.

 

Dimitri esitò prima di rispondere, poi si avvicinò ancora di più al suo volto, tanto che lei sentì il suo fiato caldo sulla bocca. Era come se volesse mostrarle che poteva starle così vicino senza provare niente, rimanendo sempre il solito pezzo di ghiaccio, senza cadere in tentazione… Però era successo, la sera prima.

 

<< E’ quello che vogliamo sentirci dire >> rispose, << E’ quello in cui credo… Quello che vuoi tu, se non sbaglio >>.

 

Irina tacque.

 

<< Dimitri… >> sussurrò.

 

Lui le rivolse un’occhiata che aveva un che di famelico.

 

<< E adesso, vattene immediatamente da qui, altrimenti scoprirai davvero cosa penso >> ringhiò.

 

Irina assunse un’espressione di sfida: non aveva paura di lui, non l’avrebbe più avuta. Se per darle una risposta, doveva dimostrarle cosa pensava, che lo facesse pure: avrebbe potuto tirarsi indietro, lo sapeva.

 

<< Allora lo voglio scoprire >> ribatté lei, << Voglio sapere perché lo hai fatto… >>.

 

Dimitri le lanciò un’occhiata di fuoco.

 

<< Non mi provocare >> ringhiò, arrabbiato, << Non lo fare mai più… Per il mio, ma soprattutto per il tuo bene. Esci da questa stanza e non farti mai trovare svestita da me, chiaro? >>.

 

Il tono di Dimitri era così feroce che Irina capì che voleva spaventarla, costringerla a girare al largo da lui per un po’, se non volevano replicare la scena nella sera prima. Ma era anche chiaro che le stava dando una risposta: se le fosse stata indifferente, se non fosse stata in grado di turbarlo, non avrebbe mai cercato di tenerla lontana… O no?

 

Irina si abbassò e si tolse da sotto le sue braccia, lanciandogli un’occhiata. Annuì e uscì dalla camera, lasciandolo da solo a mettere a posto i suoi pensieri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Irina passò il resto della sua giornata chiusa in camera, a cercare di non pensare a quanto era accaduto, sia a lei, sia a Xander.

 

Era assurdo, non si riconosceva. Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe andata a letto con Dimitri, che non si sarebbe tirata indietro di fronte a una cosa simile, soprattutto quando aveva appena lasciato Xander?

 

Già, Xander… Forse era per causa sua che stava succedendo tutto quello… Forse per il fatto che non stavano più insieme, che lei si comportava in quel modo…

 

“No, Xander non centra. Sarebbe accaduto anche se lui non fosse esistito”.

 

In effetti, il suo primo pensiero non era certo andato a lui… Non era andata a letto con Dimitri perché voleva ripagarlo con la stessa moneta, e non ci era andata nemmeno per dimenticare che lui si era consolato con Nina: sarebbero state scuse stupide, quelle. Lo aveva fatto perché in quel momento lo voleva fare, al di là di ogni spiegazione.

 

Forse lo capiva solo ora, ma le apparve chiaro che in qualche modo lei e Dimitri erano compatibili sotto molti punti di vista: forse diversi nel modo di porsi, ma simili nel carattere.

 

Prima di tutto, entrambi condividevano un passato doloroso che avevano cercato di mantenere nascosto, di dimenticare per ritrovarsi più forti e ricominciare una nuova vita, ed entrambi loro malgrado sapevano che era impossibile. I loro fantasmi alla fine non avevano smesso di inseguirli, di farsi vedere anche nei giorni più luminosi della loro esistenza…

 

Entrambi erano piloti clandestini, entrambi avevano fatto parte della Black List, entrambi erano stati i fedeli di William Challagher, ed entrambi lo avevano tradito di loro spontanea volontà.

 

Poi, iniziavano le differenze, differenze che però li completavano, che li rendevano un tutt’uno. Dimitri era freddo, distante, duro, esattamente come lei era debole, emotiva e timida. Eppure lui era perspicace, sapeva capire le persone più di quanto chiunque avrebbe creduto, e lei invece era stata capace di accettarlo per come era, non si era fermata all’apparenza.

 

Si erano scoperti a vicenda, si erano dati fiducia e avevano capito che l’altro non l’avrebbe deluso. Dimitri le aveva dato la possibilità di esprimersi, di commettere errori, di godersi la sua libertà come chiunque, senza giudizi, senza paternali; Irina aveva accettato i suoi silenzi, i suoi segreti, i suoi modi di fare, e non aveva mai cercato di invadere il suo spazio. Nessuno di loro due aveva cercato di cambiare l’altro, ed era questo che li aveva portati ad unirsi.

 

“Forse con un po’ di tempo… Forse… No, non è questo che voglio. Non posso prendermi gioco delle persone né di me stessa: finché Xander rimarrà dentro il mio cuore, non farò finta di averlo dimenticato”.

 

Forse era da stupidi, ma quello era il suo ragionamento. Non avrebbe preso in giro Dimitri, usandolo, approfittando del fatto di essere riuscita a sciogliere quel ghiaccio che permeava il suo cuore, sempre che fosse così. Non meritava una cosa del genere, e non l’avrebbe mai accettata. Anzi, molto probabilmente sapeva già cosa stava pensando, e per questo le aveva detto che era stata solo una notte…

 

Non era sicura di quello che stava passando per la testa di Dimitri, cosa stesse provando, ma era certa di non volerlo far soffrire in alcun modo, per questo non avrebbe mai permesso che nascesse qualcosa, tra loro due, non finché tutta quella storia fosse finita, non finché lei stessa non avesse deciso cosa fare della propria vita…

 

C’erano troppi ostacoli da superare, troppi problemi che in quel momento non potevano risolvere. Dimitri doveva ancora finire di scontare la sua pena in carcere, ed aveva ucciso troppe persone per non avere dei fantasmi da portarsi dietro. Lei aveva appena scoperto di essere in grado di fare l’agente dell’F.B.I., e le si erano aperti davanti troppi scenari, difficili da valutare… Non era il momento giusto, quello. Se davvero doveva succedere qualcosa, avrebbe atteso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 09.00 – Mosca

 

William scrutò sospettoso il viso del russo che aveva davanti, con il collo sfregiato da una cicatrice biancastra e un’espressione piuttosto strafottente. Il tizio che lo accompagnava aveva un’aria più amichevole, anche se entrambi avevano la faccia di chi ha viaggiato senza sosta per molte ore e aveva davvero bisogno di una notte di sonno.

 

<< Offrimi qualcosa da bere, Challagher >> disse Vladimir Buinov, indicando un tavolo vuoto del bar dell’hotel, << Mi sono sparato milleottocento chilometri in un giorno, per venire a trovarti… E ho anche abbandonato la Mosca-Cherepova, per parlare con te. Credo di avere bisogno di un drink, e anche il mio amico >>.

 

William fece un sorrisetto e strinse la mano del russo, tranquillo. Il locale per la verità era quasi vuoto, e l’unico barista non li avrebbe disturbati: era stato pagato profumatamente per tenere le orecchie ben chiuse.

 

<< Sediamoci >> disse William, << Abbiamo un bel po’ di cose da raccontarci… >>.

 

Presero posto e ordinarono da bere. Daniel, su suo ordine, era rimasto in camera: meglio che conducesse da solo quella storia, perché ancora non sapeva chi si trovava davanti.

 

<< Allora, Challagher, quali sono i tuoi piani? >> chiese Vladimir, dopo aver bevuto la sua vodka tutta d’un sorso, << Hai scelto un bel posto per nasconderti, ma non altrettanto per dare la caccia a qualcuno: la Russia è un covo di lupi, come sai >>.

 

<< Per il momento il mio unico piano è quello di trovare Irina, Dimitri e un altro tizio che fa di nome Alexander Went, dopodiché entrare in contatto con la Lince >> rispose William, << Prima, però, voglio capire quali sono i conti in sospeso che hai con Dimitri… >>.

 

Si guardarono in faccia, e Vladimir e gettò un’occhiata di sbieco a Cyril. Nonostante cercassero di fare gli “amiconi”, era chiaro che aleggiava una certa aria di sospetto, tra loro.

 

<< E’ tutto iniziato una decina di anni fa >> rispose, << Ho ucciso suo padre per motivi personali, ed è tutto degenerato in una faida familiare… Ci siamo ammazzati a vicenda per un bel po’, poi gli ho teso una trappola prendendo sua sorella gemella in ostaggio. L’ho uccisa, e da quel momento ci siamo giurati guerra >>.

 

“Dimitri aveva una sorella gemella!?”.

 

Se non fosse stato stupito da quella novità, William si sarebbe soffermato maggiormente sul fatto che la risposta di Vladimir era piuttosto sommaria e presentava numerose lacune. Però quel fatto era troppo interessante, e per il momento poteva tralasciare i dettagli.

 

<< Non sapevo che avesse una gemella… >> disse, quasi ridendo al pensiero.

 

<< Non ti ha mai raccontato nulla, di tutta quella storia? >> chiese il russo, stupito. Cyril, di fianco a lui, sembrava altrettanto perplesso.

 

<< No. Quando siamo venuti da queste parti, mi ha accennato al fatto di avere problemi con qualcuno di voi, ma non si è mai soffermato a raccontarmi tutto. A dire la verità, non mi interessava nemmeno poi molto… >>.

 

Quindi era per quello che Dimitri era tornato ogni tanto in Russia… Una vecchia faida familiare e una sorella gemella… Non lo avrebbe mai detto, per un tipo come lui: il Mastino era tutto tranne un tipo che amava i legami, soprattutto quelli di sangue.

 

<< Perché hai ucciso suo padre? >> chiese, per cominciare a togliere un po’ di nebbia dal racconto del russo.

 

Vladimir non rispose subito.

 

<< Mi voleva fregare… Riguardo a un affare che volevamo concludere >> rispose, << Anzi, alla fine mi ha fregato davvero… >>.

 

William lo guardò sospettoso: non stava dicendo la verità, era chiaro. C’era qualcos’altro sotto che non voleva rivelare.

 

<< Un affare di che genere? >>.

 

<< Il controllo di una parte di Mosca >> rispose Vladimir, sicuro, << Una zona piuttosto importante della città >>.

 

William gli gettò un’occhiata e fece finta di credergli: quel russo non si fidava di lui, a buona ragione, e non voleva raccontargli i fatti suoi. Che si aspettasse il medesimo trattamento.

 

<< Invece tu come sei finito dietro le sbarre? >> chiese Vladimir, con un mezzo sorrisetto.

 

William stirò un braccio sul tavolo, poi rispose: << Ho lasciato che un agente dell’F.B.I. si infiltrasse nel mio giro, sottovalutando il fatto che è stato poi aiutato da Irina. Mi aveva quasi fregato, ma ero riuscito a scappare insieme a un paio di piloti e a Irina… Peccato che Dimitri ci abbia fatti trovare, così siamo stati catturati tutti >>.

 

Quello era il massimo che gli avrebbe detto, ed era anche troppo. Meglio mantenere una certa aura di superiorità.

 

<< Hai visto Fenice? >> aggiunse poi, di getto.

 

<< Sì, l’ho vista >> rispose Vladimir, << Le avevo anche proposto di aiutarmi a incastrare Dimitri, ma non ha voluto… E’ un bel peperino, quella ragazzina. Ci ha dato filo da torcere, durante la gara >>. Il tono del russo non era di scherno, piuttosto di fastidio.

 

Un sorriso si disegnò sul volto di William, e lui non cercò di nasconderlo: allora non era cambiata, non aveva perso la mano… Era sempre lei, quella che l’aveva davvero fregato in tutto. Chissà perché, saperlo lo rendeva felice.

 

<< Come volevi attirare Dimitri? >> chiese.

 

<< Avevo intenzione di prendere in ostaggio la ragazza >> rispose Vladimir, << E costringerlo a incontrarmi… >>.

 

William inarcò un sopracciglio, perplesso. Non gli sembrava un piano particolarmente brillante, anche perché, da quello che ricordava, Dimitri non aveva mai sopportato Irina… Non rappresentava un’esca abbastanza allettante, per lui. E poi, perché mai pensava che il Mastino abboccasse?

 

<< Perché credi che Dimitri possa muoversi per lei? >> chiese, improvvisamente sospettoso.

 

Vladimir si scambiò un’occhiata con Cyril.

 

<< Sembra che la tua donna sia entrata nelle grazie di Goryalef >> rispose il russo, serafico.

 

William ridusse gli occhi a fessure. << Cosa vuoi dire? >>.

 

<< Non abbiamo mai visto Dimitri portarsi appresso una ragazza per così tanto tempo >> rispose Vladimir, << E sappiamo che ha piantato un coltello nella mano a un Referente, per lei. Se non ne approfittiamo ora, non troveremo più un bersaglio così facile… >>.

 

William sentì l’irritazione crescere: un bersaglio facile?

 

<< Ma questo era prima che arrivassi io >> ringhiò, improvvisamente aggressivo, << Irina non farà da esca a nessuno, perché sono qui per lei. Siccome li vogliamo entrambi, dobbiamo usare un altro modo per prenderli >>. Fissò il russo per fargli capire che non accettava obiezioni, a riguardo. << E poi, sono sicuro che Dimitri non ci cascherà. Irina per lui non ha mai rappresentato niente >>.

 

A dispetto di quello che aveva detto Vladimir, ne era veramente convinto. Ricordava bene quale astio provasse Dimitri nei confronti di Irina, fin da quando lei era entrata nel loro giro; era stato il primo a consigliargli di mandarla via, di non darle modo di diventare una pilota clandestina. Anche se alla fine aveva fatto in modo che Xander la trovasse, era certo che non l’avesse fatto per lei: in quel modo si era comunque salvato, aveva visto la sua condanna al carcere ridotta. Si era trattato di semplice convenienza, e non poteva certo aver cambiato opinione su Irina.

 

<< Se lo dici tu… >> disse Vladimir, poco convinto, << Ma non credo di conoscere un altro modo per attirarlo in trappola… >>.

 

Improvvisamente, William capì perché quel russo non era ancora riuscito a incastrare Dimitri: era un codardo, in fondo. Molto probabilmente temeva il Mastino, e voleva trovarsi faccia a faccia con lui solo se fosse stato sicuro di poterne uscire vincitore… Figuriamoci se non esistevano altri modi per costringerlo a incontrarsi. Fosse stato per lui, sarebbe andato a casa sua, e con un colpo di pistola avrebbe messo fine alla storia.

 

 

Questo però volgeva a suo favore: se Vladimir non poteva contare su un grande coraggio di fondo, sarebbe stato molto più facile servirsi di lui e poi liberarsene. A quel punto avrebbe preso due piccioni con una fava.

 

<< Non esiste un’altra persona che possa fungere da esca? >> chiese, << E’ lui che dobbiamo attirare; una volta sola, Irina sarà completamente indifesa e non sarà un problema catturarla… >>.

 

<< Non credo esista qualcuno che possa indurre Dimitri a incontrarci >> rispose Vladimir, << Non in questo momento, visto che è impegnato nella tua “liberazione”, o qualunque cosa ci sia dietro… >>.

 

Gettò un’occhiata a Cyril, e William capì che c’era qualcos’altro, sotto.

 

<< Non girarci intorno >> disse, seccato, << Se hai in mente qualcosa, dillo subito >>.

 

Vladimir stese una mano sul tavolo, come per cercare le parole giuste.

 

<< Esiste qualcuno per il quale Dimitri rischierebbe tutto, o almeno credo >> rispose lentamente, << Ma c’è un problema. Forse non lo sai, ma tra noi vige la regola che donne e bambini non si toccano fintanto che decidono di stare fuori dal nostro giro… Non possono essere tirati in mezzo da nessuno e per nessuna ragione. Sono intoccabili, per così dire. Se uno di noi infrange questa regola, si scatena una faida familiare che non avrà fine finché il colpevole non verrà punito. E’ quello che ho fatto io, uccidendo la sorella gemella di Dimitri >>.

 

William non sapeva di quella regola, ma ne capì subito i risvolti, così come comprese la situazione di Vladimir.

 

<< Ho capito >> disse, << Non vuoi rischiare un’altra faida, immagino >>.

 

<< A quel punto non avrei davvero scampo >> ribatté il russo, << Mi darebbero tutti la caccia… Sarebbe un suicidio >>.

 

<< E chi sarebbe la persona in questione? >>.

 

<< La nipote di Dimitri, una bambina di sei anni >>.

 

William strinse il pugno sul tavolo. Una bambina. Dimitri si sarebbe mosso per una marmocchia di sei anni?

 

Ormai nella sua testa non esistevano più scrupoli, ma prendere in ostaggio una bambina in qualche modo strideva con il suo modo di fare… Non gli piaceva granché, come piano, ma si chiese se il gioco valesse la candela: Irina e Dimitri in cambio di una bambina…

 

“Sì, vale tutto. Li rivoglio davanti… Si tratta solo di prendere in ostaggio per qualche ora una bambina e poi lasciarla andare. Non ho intenzione di farle del male… Dovrei essere davvero caduto in basso, per farlo”.

 

<< Si potrebbe fare, però >> disse improvvisamente Vladimir, << Se tu ti prendessi la responsabilità del rapimento, io ne uscirei pulito… Non si aspettano che tu sia libero, e ci penserebbero un attimo prima di agire contro di te… >>.

 

William gli rivolse un’occhiata piuttosto disgustata: che furbo, far ricadere la colpa su di lui… Era davvero un coniglio, quel russo.

 

Allungò la mano oltre il tavolo, però: non era stupido, e rimaneva comunque lo Scorpione, quello che otteneva sempre quello che voleva.

 

<< Affare fatto, Buinov >> disse, << Ma niente scherzi, o non dovrai guardarti solo dai russi >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 10.00 - Yaroslav, Hotel Pan

 

Irina diede un ultimo sguardo alla Punto, ancora parcheggiata nel garage, e si chiese se sarebbe stata la stessa che quella sera avrebbe guardato a Cherepova, se ci sarebbe mai arrivata…

 

Trasse un respiro profondo, poi montò al posto di guida e condusse la Punto fuori, sul piazzale ancora pieno di neve, e la parcheggiò vicino alla linea di partenza, l’unica parte di asfalto libera dal ghiaccio. I Referenti stavano visionando le tabelle delle partenze, mentre un grosso spazzaneve passava proprio fuori dal cancello, liberando la carreggiata che portava di sotto, all’autostrada.

 

Anche se avevano atteso un giorno, la gara si preannunciava difficile, molto difficile. Il tempo era stato impietoso, e molto probabilmente avrebbero incontrato strade impraticabili, durante la corsa. Gettò una rapida occhiata ai Referenti, poi tornò dentro, nel bar, per bersi l’ultimo caffè della giornata.

 

La sala era già gremita di piloti, e dalle facce era chiaro che tutti sapevano che sarebbe stata una gara durissima, lunga e faticosa. Sembrava che tutti stessero raccogliendo le ultime energie e la concentrazione in preparazione della fase finale.

 

Vide Xander seduto in un angolo, da solo, a sorseggiare con aria truce un caffè forse diventato freddo, visti i suoi occhi di ghiaccio in quel momento. Abbassò la testa e non gli rivolse nessun cenno, andandosi a sedere al bancone.

 

Il giorno prima non l’aveva visto, perché era rimasta chiusa nella sua stanza, ma forse anche perché lui non si era fatto vivo, molto probabilmente impegnato a intrattenersi con la sua nuova amica Nina, approfittando della libertà ritrovata.

 

Non sapeva se Xander fosse cosciente o meno del fatto che tutto l’hotel, compresa lei, era al corrente della sua notte di passione con la bellissima russa, e scoprì che la cosa non le interessava. Improvvisamente, dopo quello che era successo tra lei e Dimitri, le apparve un evento stupido e quasi di poca importanza, perché aveva capito che era una cosa che poteva accadere a tutti, compresa lei. Se Xander aveva fatto quella scelta, aveva i suoi motivi, ed entrambi erano liberi di fare quello che volevano. Non stava a lei giudicare.

 

Ordinò il suo caffè e aspettò, finché non sentì una presenza al suo fianco, e dal profumo capì che si trattava di Dimitri; non poteva negare che dalla notte precedente aveva imparato a riconoscerlo anche da quello.

 

<< Parti tu? >> fu la sua domanda, in tono perfettamente neutro.

 

<< Sì, se sei d’accordo >> rispose lei.

 

Era difficile comportarsi come sempre, adesso che in qualche modo avevano saldato il loro legame in modo così… intimo, e Irina faceva fatica a guardarlo negli occhi. Lui, dal canto suo, non dava segni di diversità, se non un impercettibile distanza nei modi di fare, come se non volesse permetterle di darle più confidenza.

 

<< Saremo costretti a delle deviazioni >> disse lui, calmo, << Sembra che molte strade siano chiuse al traffico… L’auto è a posto? >>.

 

<< Stamattina si è accesa senza esitazioni >> Irina lanciò un’occhiata verso l’esterno, << Non dovremmo avere problemi, ma ho paura per la neve… Guarda là >>.

 

Con suo enorme stupore, vide la Ferrari 458 percorrere la strada dal garage alla linea di partenza con una certa difficoltà, con al volante una Nina che procedeva lenta e insicura sul ghiaccio. L’auto, per quanto potente e veloce, scivolava facilmente sul terreno, ed era ostacolata dalle montagnole di neve che si erano formate ai lati: era troppo bassa per un terreno del genere, e poteva benissimo incagliarsi.

 

Sul volto di Dimitri affiorò un sorrisetto di scherno.

 

<< Ecco che rischi si corrono partecipando alla Mosca-Cherepova con una Ferrari… >> commentò, sarcastico.

 

Irina gettò un’occhiata a Xander, ma lui pareva totalmente disinteressato alla situazione di Nina, come se non gli importasse del fatto che la russa fosse in difficoltà. Continuò a bere il suo caffè con indifferenza, finché Irina vide entrare la ragazza e andare da lui, furibonda. Parlottarono per qualche istante, forse del fatto che la 458 sembrava non essere l’auto adatta per la corsa, poi Nina si sedette e rimasero ad aspettare anche loro.

 

Un attimo dopo, Karim Gulaf, uno dei Referenti, attirò la loro attenzione, un foglio in mano e l’espressione truce.

 

<< Partirete in ordine di classifica >> disse ad alta voce, guardandoli in cagnesco, << Dal primo fino all’ultimo, a distanza di cinque minuti l’uno dall’altro. La vostra destinazione è Cherepova, a mille chilometri da qui, indicata sulla cartina che vi abbiamo fornito. Come avrete visto, non è specificato alcun percorso: sarete liberi di prendere la strada che preferite, quella che ritenete la più breve, la più veloce o la più semplice. Ma avrete due vincoli da rispettare: saranno posizionati due stazioni lungo il percorso, dove dovrete passare obbligatoriamente. Vi forniremo benzina e ed eventualmente catene… Non potrete fare rifornimento da nessun’altra parte, eccetto usare la vostra tanica di scorta: stiamo sigillando i tappi del carburante. Vince chi arriva in meno tempo possibile al traguardo a Cherepova >>.

 

Nella stanza di levò un brusio concitato, e Irina gettò un’occhiata a Dimitri: i rifornimenti vincolati sarebbero stati sicuramente un problema, soprattutto perché non sapevano quanta strada avrebbero realmente percorso, visto che il tragitto lo avrebbero scelto loro…

 

<< Vi ricordo che non ci sono regole, a parte queste >> continuò Karim, << Se qualcuno verrà sbattuto fuori non venga a lamentarsi da noi. Il vostro obiettivo è arrivare alla fine, come e quanto lo deciderete voi. Vi daremo mezz’ora di tempo per studiare qui il percorso che più vi aggrada, poi inizieremo con le partenze. Ricordo che chi arriverà per primo vincerà la Mosca-Cherepova >>.

 

Karim si ritirò, e Irina tornò a guardare Dimitri.

 

<< Ho già studiato il percorso >> disse lui, secco.

 

<< Di già? Quando? >>.

 

<< Stanotte >> rispose lui, lanciandole un’occhiata eloquente, << Al posto di dormire, per tenermi occupato… >>.

 

Irina abbassò lo sguardo, sentendosi inspiegabilmente in colpa. Dimitri le fece cenno di seguirla in macchina, e lasciarono il bar, sedendosi nei sedili gelidi della Punto.

 

<< Smettila di farti venire dei complessi per quello che è successo >> esordì lui, all’improvviso, serio, << Non è un problema. Non passare il resto dei tuoi giorni a evitare il mio sguardo perché ti senti in colpa… Odio quando mi parlano guardando da un’altra parte >>.

 

Irina annuì.

 

<< Ok, scusami >> mormorò.

 

Forse per cambiare argomento, Dimitri dispiegò la cartina e le mostrò il percorso che aveva tracciato con un pennarello blu, e le due stazioni che avrebbero dovuto passare.

 

<< Questa è la strada che ho pianificato >> disse, << Ma potremmo essere costretti a delle variazioni. Alcuni tratti saranno chiusi al traffico, altri invasi dalla neve… >>. Indicò due tratti rossi. << Questi sicuramente sono inutilizzabili: ho controllato stanotte su Internet, e sono stati chiusi. Non perderemo tempo inutile provando da quella parte… >>.

 

Irina alzò improvvisamente lo sguardo su di lui, e si rese conto che senza Dimitri non avrebbe mai avuto la speranza nemmeno di terminarla, la Mosca-Cherepova. Senza di lui la missione forse non sarebbe nemmeno cominciata.

 

<< Dimitri… >> iniziò, cauta, guardandolo.

 

<< Che c’è? >> ribatté lui, e per un attimo parve confuso.

 

<< Grazie >> disse Irina, << Grazie per quello che stai facendo, e per quello che hai fatto… Riconosco che senza il tuo aiuto non sarei arrivata da nessuna parte. E riconosco che nessuno ti ha obbligato a farlo. Grazie >>.

 

Dimitri le lanciò un’occhiata.

 

<< Ringraziami a missione finita >> disse, sarcastico, << Non sai ancora come andrà a finire… >>.

 

<< In qualunque modo andrà a finire, tu mi hai salvato più volte la vita, e non me lo dimenticherò >> ribatté Irina, << Anche se falliremo, continuerò a dirti grazie >>.

 

Dimitri ripiegò la cartina, come se fosse esasperato. Gettò prima uno sguardo fuori, poi disse: << Non sei l’unica che dirà grazie alla fine di tutto questo >>.

 

Nell’auto calò il silenzio, e Irina mascherò un sorriso: quello era il modo di Dimitri per dire che aveva gradito la sua compagnia, che in fondo non la disprezzava più tanto, non certo come all’inizio.

 

Girò la chiave e la Punto si accese, pronta all’ultimo sforzo. Accarezzò il volante, poi si portò alla linea di partenza, di fianco alla Ferrari rossa. Erano in parità, sarebbero partiti assieme, testa a testa.

 

Gettò un’occhiata a Xander e Nina, chiusi dentro la 458, e fece un cenno col capo, che però non aveva nulla di strafottente: era un semplice augurio di buona fortuna.

 

“Che vinca il migliore”.

 

Xander fece altrettanto, e Irina tornò a guardare la strada davanti a lei, ricoperta di neve.

 

“Avanti, bella mia, abbiamo un’ultima gara da disputare… Siamo arrivate fino a qui, e non molleremo proprio ora”.

 

Scaldò il motore, poi guardò Dan, che avrebbe dato il via. Lo vide fare un cenno per segnalargli di prepararsi, e alzare la pistola in aria.

 

<< Giochiamoci il tutto per tutto >> disse Dimitri, << Niente regole, questa volta >>.

 

Irina annuì, poi lo sparo riverberò nell’aria gelida, e lei affondò il piede sull’acceleratore. La Punto si catapultò in avanti, fianco a fianco alla Ferrari, e insieme scesero giù, fin sulla strada, finché la 458 svoltò a sinistra, e la Punto a destra, divedendo i loro percorsi. Un attimo, ed entrambe sparirono alla vista.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Salve ragazzi!

Scusate l’enorme ritardo, ma purtroppo ho avuto impegni improrogabili che mi hanno impedito di andare avanti con il cap: un lavoro di gruppo per l’università che abbiamo effettuato con un po’ di difficoltà… E poi sono stata presa alla sprovvista da un’ideuzza riguardo a una storiella folle delle mie, che non so se si tradurrà in qualcosa, ma che mi ha tenuto sveglia diverse ore, in questi giorni. Quindi, chiedo perdono e spero da questo momento in poi di riuscire a postare un po’ prima.

Per il resto, spero che il cap sia stato di vostro gradimento… Non so come immaginavate il post-Irina/Dimitri, ma credo che questo sia il più verosimile di tutti quelli possibili. Il risveglio con brioches calda, coccole e caffè fumante era davvero da altro mondo.

Un bacione enorme a tutti, e un grande augurio di Buon Natale!

 

Lhea

 

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Capitolo 31
*** Capitolo XXXI ***


Capitolo XXXI

Capitolo XXXI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 12.00 – Russia, Autostrada direzione Nord

 

Irina guardava scorrere di fianco a lei il paesaggio ghiacciato che ormai faceva compagnia al loro percorso da diversi chilometri, chiedendosi se avessero preso la direzione giusta, oppure se si stessero dirigendo verso una landa senza ritorno.

 

Una vasta pianura fredda e desolata si estendeva senza fine, e un vento gelido spirava da nord, facendo muovere i cespugli ai lati della carreggiata. Il cielo era di un grigio scuro e denso, come se si preparasse a nevicare ancora. La Punto procedeva spedita sulla strada sgombra, senza incontrare ostacoli, con un’unica compagnia quella del rumore del motore.

 

<< Dovremmo incrociare tra poco il primo ritrovo… >> disse Dimitri, lanciando un’occhiata intorno, << Ormai siamo nelle vicinanze >>.

 

Irina annuì in silenzio, sentendo l’apprensione crescere: vedeva la lancetta del carburante scendere sempre di più…

 

Nonostante tutto, quella parte del viaggio era cominciata bene: non avevano incontrato nessuno, e avevano percorso trecento chilometri senza intoppi. Il percorso studiato da Dimitri si era rivelato rapido e poco conosciuto, tanto che non avevano incontrato nessun’altro pilota.

 

<< Alla prossima esci >> disse il russo, guardando la cartina.

 

Irina eseguì, immettendosi nella rampa di decelerazione: qualche minuto, e si ritrovò in una piazzola spazzata dal vento, dove c’erano parcheggiate un paio di auto scure e un grosso furgone. In piedi, il Referente Karim e un altro paio di uomini aspettavano, imbacuccati in pesanti cappotti.

 

La Punto si fermò a pochi metri da loro, e Dimitri scese in fretta, senza nemmeno darle il tempo di spegnere il motore. Irina smontò e lo raggiunse, aiutandolo a trasportare la tanica di benzina che Karim aveva scaricato dal furgone.

 

<< Siete i primi >> disse il Referente, mentre Irina apriva il bocchettone per il rifornimento, << Non è ancora arrivato nessun’altro >>.

 

<< Tanto meglio >> borbottò Dimitri, guardando il carburante fluire dalla tanica, << Quand’è la prossima stazione? >>.

 

<< Trecentocinquanta chilometri circa >> rispose Karim.

 

La tanica venne completamente svuotata, e Irina si accorse con orrore che la benzina che gli era stata fornita non era sufficiente a riempire tutto il serbatoio: doveva essere poco più della metà.

 

<< La benzina potrebbe non bastarci >> disse, rivolta sia a Dimitri sia a Karim.

 

Il Referente fece un sorrisetto.

 

<< Questo non è un problema mio >> ribatté, << Avrete tutti lo stesso quantitativo di carburante. Siete voi a dovervelo gestire >>.

 

<< E lo faremo >> ringhiò Dimitri, prendendole di mano le chiavi, << Andiamo >>.

 

Risalirono in auto, con il Mastino al volante, e Irina si chiese dove fossero tutti gli altri: anche se erano i primi ad essere arrivati al punto d’incontro, era certa che la gara non si sarebbe rivelata così semplice come sembrava.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 12.10 – 1° punto di ritrovo

 

Xander lasciò fermare la Ferrari nello spiazzo, mentre cercava di fare mente locale e capire dove avessero sbagliato: non erano i primi ad arrivare lì, nonostante avesse tenuto una media elevata e non avesse sbagliato la strada nemmeno una volta. Il loro viaggio era stato tranquillo, a parte uno scontro con la BMW bianca che poi era sparita più di mezz’ora prima, e che probabilmente non era ancora passata di lì: era sicuro che il percorso che aveva scelto fosse il più veloce.

 

<< Guidi tu, d’ora in poi >> disse, rivolto a Nina, che sedeva di fianco a lui, silenziosa.

 

<< Ok >> fu la risposta tranquilla della ragazza.

 

Le cose tra loro non erano cambiate, nonostante la notte passata insieme, e da parte di Xander non c’era nessun comportamento che potesse far capire che era successo qualcosa tra loro due: non era freddo, ma non era nemmeno particolarmente gentile. Si teneva a debita distanza da Nina, come se la considerasse un pericolo di cui prima non si era reso conto. Da parte della russa, invece, si notava un certo compiacimento nel modo in lo avvicinava, una sorta di disgustosa civetteria che lo infastidiva.

 

Ora che Xander aveva visto il suo tatuaggio, quello del gatto dalle orecchie a punta, ci andava molto più cauto, con lei. La sua allusione al fatto che non servisse vincere la Mosca-Cherepova per incontrare la Lince era rimasta senza spiegazione: nonostante gli avesse chiesto cosa intendesse, Nina non gli aveva dato risposta. Si era limitata a sussurrare qualcosa sul fatto che aveva conoscenze molto in alto, e che si sarebbe visto tutto alla fine della gara, indipendentemente da come sarebbe andata.

 

Xander era sicuro che Nina avesse una certa influenza, da quelle parti, ma il suo dubbio era un altro: quel tatuaggio che aveva tra le spalle poteva benissimo essere una lince… Anzi, con tutta probabilità lo era.

 

La domanda “Ma Nina può essere la Lince?” se l’era posta diverse volte, in quella giornata passata a sbollire la sensazione che aveva addosso da quando ci era andato a letto, e la risposta che si era dato era sempre la stessa.

 

Nina era una donna, e come era chiaro, in Russia le donne non facevano parte del giro delle corse, a parte poche “elette”. Era la figlia del Primo Ministro, e godeva di una certa importanza indipendentemente dal fatto di essere anche una pilota clandestina. Era furba e molto intraprendente, oltre che ambiziosa.

 

Quella della Lince poteva essere la maschera perfetta per permetterle di ottenere tutto il potere che desiderava e che non avrebbe potuto avere in quanto donna. Nessuno, a parte le Sentinelle, entrava direttamente in contatto con lei, e questo era solo un punto a suo favore…

 

Perché gareggiare nella Mosca-Cherepova, allora?

 

Semplice, per vedere di persona chi avrebbe dovuto incontrare, per sondare il terreno e per vedere fin dove si spingeva la sua autorità. Si infiltrava tra loro per capire chi gli fosse davvero fedele, chi no, e da chi si dovesse guardare.

 

Riempirono il serbatoio, scoprendo da Karim che prima di loro erano passati Irina e Dimitri, e si diedero il cambio. Una volta al posto del passeggero, Xander dispiegò la cartina e cercò il percorso più breve e veloce che li avrebbe portati al secondo punto di incontro.

 

Quando la ragazza affondò il piede sull’acceleratore, imboccando la nuova strada, Xander le rivolse un’occhiata, e improvvisamente si pentì di quello che aveva fatto, di essere caduto nella sua trappola. Era stato uno stupido, perché ora capiva davvero chi aveva davanti, ma in quel momento, quando ancora bruciavano nel suo cuore le parole di Irina che lo aveva appena lasciato, non era stato in grado di prendere la decisione migliore.

 

Mise da parte la mappa e la guardò, così bella circondata dai suoi capelli biondi, eppure così perfida, sotto quella pelle diafana… Ambiziosa abbastanza da poter desiderare il potere nelle sue mani, apparentemente fragile per sembrare insospettabile…

 

<< Nina, tu sei la Lince >> disse alla fine, secco.

 

La ragazza non si scompose; rimase a guardare la strada davanti a sé, e l’unica cosa che si lasciò scappare fu un sorrisetto divertito. Niente, nella sua espressione, nei movimenti del suo corpo, fece trasparire il fatto che fosse sorpresa o preoccupata: se aveva ragione o meno, a lei non importava. Non aveva paura di essere scoperta o smascherata.

 

<< Perché dici questo? >> chiese, tranquilla, mentre davanti ai suoi occhi scorreva la strada fredda e il paesaggio ghiacciato.

 

<< Sarei stupido se non lo sospettassi >> rispose Xander, << Hai il tatuaggio di una lince tra le spalle, e guarda caso dici di poter incontrare la Lince quando vuoi… Se non sei tu, allora è tuo padre >>.

 

Poteva anche sbagliarsi, ma era l’unico modo per metterla alle strette e cercare di convincerla a dire qualcosa…

 

Nina ridacchiò.

 

<< Perspicace… >> disse, << In effetti, hai ragione, potrei esserlo. E anche mio padre… Ma perché dovrei dirlo a te? >>.

 

<< Perché tanto so già chi sei >> rispose Xander.

 

La ragazza tacque, senza cambiare espressione.

 

<< Lo scoprirai alla fine >> disse, << Fino ad allora, fai pure tutte le tue congetture… Se sono la Lince, sarai il primo a saperlo >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 14.35 – Russia, direzione Nord

 

La Punto scartò rapidamente di lato, sfiorando il bordo della strada gelata, mentre Dimitri teneva lo sguardo fisso davanti a sé, digrignando i denti, infuriato.

 

Il percorso che avevano scelto per la seconda parte della gara non si era rivelato il migliore: avevano trovato diversi passaggi sbarrati o bloccati per lavori o dalla neve, e Dimitri aveva dovuto scegliere un’altra strada. Avevano perso tempo, e intanto avevano incrociato un paio di piloti che prendevano altre direzioni.

 

<< Credi che il prossimo punto d’incontro sia ancora molto lontano? >> chiese Irina, sentendo l’apprensione crescere: non sapeva di preciso quanti chilometri avevano percorso, ma vedeva il livello della benzina scendere sempre di più, e la tanica di scorta non era sufficiente a tranquillizzarla.

 

<< Non lo so… >> rispose Dimitri, innervosito, << Non so nemmeno dove sono, cazzo! >>.

 

Irina sussultò di fronte al suo tono rabbioso e irato, e gli rivolse un’occhiata fugace. Il Mastino era per la prima volta in difficoltà, e lei non sapeva che fare… Per quanto studiasse la mappa, non riusciva a capire quale strada potessero prendere, o che almeno apparisse come la migliore…

 

Avevano seguito per una decina di minuti uno dei partecipanti, il tipo della BMW M3 bianca, che avevano incontrato qualche minuto dopo aver capito di essersi persi… Evidentemente, però, li aveva portati fuori strada, perché non avevano capito dose stesse andando. Alla fine avevano cambiato rotta, ma l’avevano fatto troppo tardi, perché ormai non avevano idea di dove si trovassero.

 

<< Sembra esserci solo ghiaccio, da queste parti… >> ringhiò Dimitri, << Ghiaccio e campi rinsecchiti… Cazzo, non riesco a capire dove siamo >>.

 

Irina guardò rapidamente la cartina, cercando di capirci qualcosa, ma non aveva punti di riferimento per fare un confronto… Ci voleva un cartello, un segnale stradale, qualcosa che gli facesse intuire almeno a dove fossero vicini…

 

Leggeva la frustrazione nei movimenti secchi di Dimitri, e si rese conto che il tempo passava e loro consumavano benzina senza sapere esattamente quale fosse la loro direzione. Sapeva che non era il momento per cercare un punto d’incontro con lui, ma lasciarlo infuriare ancora di più a ogni minuto che passava non era una buona idea.

 

<< Dimitri, fermiamoci un momento >> disse, << Non serve che continuiamo a prendere strade senza sapere dove ci porteranno… Fermiamoci un momento, diamo un’occhiata alla cartina. Sono sicura che troveremo una soluzione >>.

 

Il russo le lanciò un’occhiata di sbieco.

 

<< D’accordo >> disse lentamente, << Al primo cartello mi fermo… >>.

 

Incontrarono un piccolo segnale stradale che indicava che la città di Kamchakta si trovava a circa dieci miglia di fronte a loro, e a quel punto Dimitri fermò la Punto a lato della stradina e spense il motore. Irina lo guardò gettare un’occhiata intorno e attese che dicesse qualcosa.

 

<< Passami la mappa >> ordinò lui.

 

Irina eseguì, poi lo seguì fuori dalla macchina: dispiegò la cartina sul cofano e si mise a guardarla, il venticello gelido che faceva muovere i bordi. Lei li afferrò e la tenne ferma, lasciando il tempo a Dimitri di capire dove fossero.

 

Sapeva che fermarsi voleva dire perdere tempo prezioso, che in quel momento qualcuno poteva essere già sulla buona strada per raggiungere il secondo punto di ritrovo, ma sentiva che quello era l’unico modo per sbloccare la situazione. Si fidava di Dimitri, e sapeva che avrebbe trovato la strada giusta. Gli sarebbe bastato un attimo, ne era sicura. Non era uno che sbagliava facilmente, e se sbagliava di solito sapeva rimettere le cose a posto.

 

Il russo puntò il dito sulla cartina, poi seguì un percorso per un breve tratto, quindi scosse il capo.

 

<< Siamo fortunati >> borbottò, << Dobbiamo tornare indietro di qualche miglio, poi prendiamo la strada che costeggia il lago… Il secondo punto di ritrovo è lungo quella >>.

 

Irina sorrise, raggiante.

 

<< Sapevo che l’avresti trovata >> disse.

 

Dimitri la fulminò con gli occhi.

 

<< Non avrei dovuto perdermi… >> ribatté, seccato, << Avanti, sali. Guidi di nuovo tu >>.

 

Irina continuò a sorridere, sapendo che evidentemente lui odiava i complimenti, e afferrò le chiavi.

 

<< Mi fai da guida? >> chiese.

 

Dimitri fece un movimento brusco con la mano, come a dirle di non scherzare.

 

<< Muoviti. Io metto qualche litro di benzina >>.

 

Irina salì al posto di guida, attese qualche istante che Dimitri versasse la benzina nel serbatoio e poi ripartì a razzo, facendo inversione e dirigendosi verso ovest come avevano pianificato.

 

La strada in mezzo alle campagne ghiacciate scorreva veloce sotto di loro, mentre Irina dava fondo a tutte le sue energie, guidando più velocemente che poteva nella speranza di non aver perso troppo tempo.

 

Poi la carreggiata iniziò ad allargarsi, trasformandosi in una strada più larga e ben asfaltata, costeggiata a destra da rocce e alberi imbiancati dalla neve, e a sinistra comparve un enorme lago dalle acque color acciaio, e una spessa lastra di ghiaccio che rifletteva il cielo fosco della Russia a farle da coperchio. Oltre le sue sponde, lontano lontano, si intravedeva una striscia di terra nera.

 

<< Siamo sulla buona strada >> disse Dimitri, << Non dovrebbe mancare molto, ormai… >>.

 

Irina non ebbe nemmeno il tempo di esultare, che da una stradina laterale sbucò la BMW M3 che avevano seguito per un tratto di strada, che sgommando si affiancò a loro, diretta dalla stessa parte. Sollevò una nuvola di pietroline mentre si rimetteva in linea e scattò avanti.

 

<< Vai, vai! >> disse Dimitri.

 

Irina affondò nuovamente il piede sul pedale dell’acceleratore, portando avanti il muso della Punto, ma nello specchietto retrovisore vide brillare improvvisamente qualcosa di rosso… Sapeva con esattezza cosa fosse…

 

Xander”.

 

Non avrebbe mollato, non li avrebbe lasciati passare avanti. Avevano perso tempo, ma non era importante… Avrebbe lottato fino all’ultimo…

 

Superò la BMW, mentre la Camaro rossa di Severin sbucava da chissà dove una ventina di metri dietro di loro, slittando sulla strada…

 

Irina si piazzò al centro della carreggiata, e gettò un’occhiata allo specchietto: alla guida della Ferrari c’era Nina, che teneva il volante stretto con la mano destra e la fissava con determinazione, forse convinta di poterla superare.

 

“Di nuovo noi due, carina…”.

 

Irina si lasciò andare a un ghigno, poi iniziò a zigzagare, bloccandole ogni spiraglio per il sorpasso… Frammenti di ghiaccio si sollevavano al bordo della strada, il sole che si rifletteva sulla superficie del lago… Anche questa volta, Nina avrebbe dovuto sudare per riuscire a passarla…

 

Poi in lontananza vide quattro macchine scure parcheggiate e tre furgoni neri, a bloccare il centro della strada… Doveva essere il secondo punto d’incontro.

 

Irina accelerò ancora, vedendo schizzare sempre più su la lancetta del contagiri, in testa al gruppo di auto che ormai sfioravano la dozzina… Se solo ne avesse avuto il tempo, si sarebbe chiesta come avevano fatto a rimontare così in fretta…

 

La strada si fece sempre più stretta, fino a ridursi a un viottolo sulla sponda del lago, il ritrovo sempre più vicino…

 

La Punto sbandò improvvisamente, forse su una lastra di ghiaccio, e Irina strinse il volante, cercando di non uscire fuori strada…

 

<< La tengo, la tengo! >> gridò, mentre la Punto scivolava di lato, scaraventando lontano un cespuglio ghiacciato. Vide il rosso della Ferrari brillare nello specchietto sinistro…

 

Irruppe nello spiazzo in scivolata, e appena sentì le ruote riprendere aderenza premette il freno, inchiodando a pochi centimetri da uno dei furgoni, appena in tempo per non prenderlo in pieno…

 

Dimitri scese di slancio dalla macchina, mentre le altre auto si fermavano a pochi metri da loro, spegnendo i motori. Irina smontò e raggiunse Dimitri che aveva già afferrato la tanica di benzina e la stava versando nel tubo del serbatoio.

 

<< Vai a farti dare le catene >> disse lui, secco, << Ci penso io qui >>.

 

Irina si guardò intorno, cercando rapidamente uno dei Referenti: Konstantin era vicino a uno dei furgoni, che li guardava con una strana aria, come se non si aspettasse di vederli lì. Lo raggiunse di corsa.

 

<< Ci servono le catene >> disse lei.

Konstantin non diede segno di aver capito, ma fece un sorrisetto.

 

<< Come avete fatto ad arrivare così in fretta? >> chiese.

 

Irina ridusse gli occhi a fessure, insospettita dalla domanda. Improvvisamente si domandò il perché del fatto che fosse così stupito di vederli… Non poteva certo sapere che si erano persi, visto che non avevano detto niente a riguardo.

 

<< Non ho tempo da perdere, dammi le catene >> ribatté, fredda.

 

Il russo si voltò e con molta lentezza aprì uno degli sportelli del furgone, tirando fuori una scatola nera di plastica. Gliela porse, e senza ringraziare lei la afferrò e tornò rapidamente da Dimitri. Aprì il baule proprio mentre sentiva la porta di una delle auto a fianco chiudersi violentemente e un paio di motori accendersi. In quel momento, la fretta era troppa per soffermarsi a guardare gli altri…

 

<< E’ possibile che sia stato Konstantin a farci trovare la strada sbarrata? >> chiese lei, chiudendo di scatto il baule.

 

Dimitri alzò lo sguardo dalla tanica di benzina, e rispose a bassa voce: << Lo sospettavo anche io. Ti ha detto qualcosa? >>.

 

<< Mi ha chiesto come avevamo fatto ad arrivare così in fretta >> disse lei.

 

Dimitri richiuse la tanica, poi gettò una rapida occhiata verso il Referente: stava venendo verso di loro.

 

Irina sentì la rabbia montare: improvvisamente di rese conto che molto probabilmente Konstantin stava facendo di tutto per non farli vincere. Non sapeva come poteva aver fatto, ma era sicura che in qualche modo era stato lui a fargli trovare tutti quegli ostacoli… Era la sua vendetta per il coltello piantano nella mano.

 

<< Non ho tempo ora per darti un’altra lezione >> ringhiò Dimitri, lanciandogli un’occhiata di fuoco, << Ti conviene girare al largo per un bel po’… >>.

 

Konstantin ridacchiò, ma non disse niente. Sembrò cambiare direzione, come per ascoltare il consiglio del Mastino, e Irina guardò Dimitri per sapere quello che doveva fare.

 

<< Vuoi guidare tu? >> domandò.

 

Sentì qualcuno gridare qualcosa, forse un incitamento, quando il russo le rivolse un’occhiata che non riuscì a decifrare, ma che sapeva cosa nascondeva: uno dei due si prendeva la responsabilità della vittoria, o della sconfitta, sulle sue spalle. Forse non si sarebbero potuti fermare ancora, e di sicuro non era consigliabile farlo…

 

<< Per quanto ne hai ancora? >> domandò lui.

 

<< Finché non vinco, non mollo >>.

 

<< Allora sali e guida, Fenice >>.

 

Irina non se lo fece ripetere due volte: spalancò la porta della Punto e saltò dentro, guardando Dimitri fare lo stesso, e provando nei suoi confronti un’incredibile senso di gratitudine. Mise in moto, poi si accorse che qualcosa di strano si muoveva nel suo specchietto esterno…

 

In quel momento il rombo della Ferrari che ripartiva invase l’aria, seguita a ruota dalla Camaro, ma non riuscirono ad attirare la sua attenzione… Continuò a tenere gli occhi puntati sull’ombra che si rifletteva nello specchio, con la strana sensazione che si fosse qualcosa di strano

 

Poi Irina vide con precisione il coltello nella mano di Konstantin brillare, appostato vicino alla ruota posteriore sinistra della Punto…

 

<< Ci buca le ruote! >> gridò.

 

Gli occhi di Dimitri si spalancarono, e come una furia saltò giù dalla macchina. Irina si catapultò fuori, in tempo per vedere il Mastino che buttava a terra con un pugno Konstantin, facendolo volare due metri indietro.

 

<< Figlio di puttana! >> ringhiò, << Non hai ancora capito con chi hai a che fare… >>.

 

Irina distolse lo sguardo, sicura che stesse per consumarsi un’altra scena di particolare violenza, e si abbassò sulla ruota: uno squarcio si apriva nella gomma, e l’aria fuoriusciva con un sibilo. Ormai il danno era fatto.

 

<< Dimitri! >> gridò, disperata, cercando un modo per fermare la fuoriuscita d’aria, << L’ha bucata! >>.

 

Il russo si voltò di scatto, lasciando cadere Konstantin a terra come un sacco di patate, e la guardò, infuriato come non mai. Qualcuno lì intorno osservò la scena, ma nessuno volle intervenire, nemmeno i Referenti.

 

Irina sentì il panico che le saltava addosso, mentre nel frattempo vedeva la BMW partire a razzo a pochi metri da loro: con una gomma bucata, avevano finito la gara…

 

<< Prendi il kit del baule >> ordinò secco Dimitri, e Irina obbedì automaticamente, rendendosi conto che stavano perdendo minuti preziosi… Passò il borsone con gli attrezzi a Dimitri, mentre Konstantin si rialzava, sanguinante.

 

<< Cazzo! >> sbottò improvvisamente, presa dal panico, mentre guardava impotente tutte le altre auto partire, << Vorrei tanto usare te, come ruota di scorta! >> gridò, rivolta al russo che aveva il naso sanguinante.

 

Aveva una voglia matta di prendere Konstantin a schiaffi, ma si accorse che Dimitri aveva già montato il cric e stava tirando su la Punto, nel disperato tentativo di sostituire la gomma bucata. Gli diede una mano, iniziando a svitare i bulloni mentre lui tirava fuori la ruota dal baule.

 

Aveva le dita congelate, ma riuscì a sganciare il cerchione abbastanza velocemente, poi si fece da parte e Dimitri sfilò la ruota, ringhiando sommessamente: << Non perderemo questa gara, fosse l’ultima cosa che faccio… >>.

 

Sotto lo sguardo perplesso e divertito dei Referenti, cambiarono la ruota nella Punto, ma quando sfilarono il cric da sotto la macchina, ormai tutto il piazzale era sgombro, e non si sentiva nemmeno più il rombo dei motori in lontananza. Solo il vento gelido spazzava quel silenzio rabbioso che covava sulla strada.

 

<< Andiamo >> disse il Mastino, senza degnare di un’ulteriore sguardo Konstantin, che stava a dieci metri di distanza, senza che nessuno gli avesse ancora fatto niente… Allora non volevano davvero che vincessero…

 

Irina risalì al posto di guida, e Dimitri lasciò tutti gli attrezzi lì dov’erano, fiondandosi sul sedile del passeggero. Sgommando, la Punto ripartì veloce all’inseguimento degli altri concorrenti…

 

Il cuore di Irina batteva all’impazzata, senza sapere se avevano possibilità di rimontare e sperare di rientrare in gara… Davanti a lei non vedeva altro che una strada vuota e gelida, spazzata dal vento, e il lago alla sua sinistra…

 

Quanto avevano perso? Dieci minuti? Quindici? Non lo sapeva, ma era chiaro che erano troppi… Troppi per sperare di poter vincere…

 

<< Non li riprenderemo mai… >> sussurrò, in preda alla disperazione.

 

Avevano avuto la vittoria in mano, e ora tutto falliva per colpa di uno stupido russo… Doveva essere stato lui a ostacolarli fin dall’inizio, a volerli fuori dalla gara… Anche l’ipotesi che avesse piazzato i blocchi diventava plausibile…

 

Per un attimo, ebbe la tentazione di togliere il piede dall’acceleratore e lasciare che la Punto si fermasse. Non avevano speranza di vincere, tanto valeva ritirarsi subito…

 

<< Tira questa maledetta macchina >> ringhiò Dimitri, << Premi quell’acceleratore, o la prossima volta non prenderò mai più parte a una gara con te >>.

 

Irina non distolse lo sguardo dalla strada, ma l’ordine del russo non le diede forza: come poteva sperare di rimontare, anche se tutti gli altri avessero incontrato delle difficoltà? Ci sarebbe voluto un miracolo…

 

<< Dimitri… >> iniziò, ma lui la zittì.

 

<< Tira questa maledetta macchina, Fenice >> disse, << Non ho intenzione di perdere questa gara per una gomma bucata. Sai meglio di me quanto questa auto può essere veloce >>.

 

Irina deglutì, poi si rese conto che lui l’aveva chiamata “Fenice”: Fenice perché lei era la pilota clandestina che non si spaventava di fronte alle gare difficili, che non aveva paura di sfidare i più forti, i più potenti; Fenice, che si era messa addirittura contro lo Scorpione, che era la pilota donna più forte in circolazione… Fenice, che aveva la sua Punto, con la quale era diventata la numero 3 della Black List

 

“Non posso mollare… Non posso mollare proprio ora. Forse Dimitri ha ragione: possiamo ancora rimontare”.

 

E allora fece affondare il piede sull’acceleratore, sentendo il motore salire su di giri con un ruggito assordante, la lancetta bianca che impazzita schizzava in alto sul contagiri… Come se avesse ricevuto un surplus di potenza, la Punto scattò avanti, la neve che si sollevava dietro di lei, scia bianca sotto il cielo plumbeo.

 

Non le importò più chi aveva davanti, e quanto fossero lontani, e nemmeno se fosse possibile riprenderli… Non le importò di poter scivolare sul ghiaccio, di perdere il controllo e finire fuori strada, di fondere il motore, o anche solo semplicemente di sbagliare mossa. Doveva almeno riuscire a tagliare il traguardo, che arrivasse prima o ultima. Fenice non avrebbe mollato, non si sarebbe ritirata.

 

Dimitri si lasciò andare a un ghigno, e per un momento sembrò sul punto di voler dire qualcosa. Alla fine invece tacque, lasciando che il rumore sempre più forte del motore invadesse l’abitacolo.

 

Senza sapere fin dove sarebbero arrivati, la Punto macinò chilometri su chilometri, mangiando l’asfalto ghiacciato con le ruote sempre più consumate, ma mai per un attimo diede segni di cedimento, mai sembrò sul punto di abbandonarli… Come la sua pilota, sembrava determinata ad arrivare al traguardo, da perdente o da vincitrice.

 

Poi, la prima spia sul cruscotto dell’auto si illuminò di rosso, e non era quella del carburante. Senza togliere il piede dall’acceleratore, Irina abbassò lo sguardo: l’acqua del radiatore iniziava a surriscaldarsi, probabilmente per via della velocità.

 

<< Questa non ci voleva… >> sussurrò, ma sapeva bene che avrebbe dovuto aspettarselo: ormai la lancetta del contagiri stazionava perennemente a filo della zona rossa.

 

Dimitri gettò uno sguardo sul cruscotto, ma non disse niente: anche questa volta lasciò a lei la scelta: rallentare un po’ e permettere alla Punto si raffreddarsi, oppure continuare e rischiare di rimanere a piedi.

 

La risposta si formò nella mente di Irina immediatamente: aveva imparato a rischiare, e avrebbe rischiato. Si era detta che sarebbe arrivata alla fine, e l’avrebbe fatto.

 

“Scusami, piccola, ma devi portarmi al traguardo, costi quel che costi”.

 

Non abbassò più lo sguardo sul cruscotto, per non vedere le altre spie che si accendevano, una dopo l’altra, ma senza che il motore della Punto emettesse alcun rumore strano, o desse segni di cedimento. Continuò a correre, il cuore che batteva forte e la convinzione che quella gara andava terminata, in un modo o nell’altro.

 

Poi davanti a loro si stagliò un tratto di strada completamente ricoperto di neve e detriti, come se fosse caduta una piccola valanga dalla collina di fianco. Sul terreno bianco si vedevano chiaramente i segni delle ruote delle auto che erano passate di lì, forse in fila indiana.

 

Irina fu costretta a rallentare, e si accorse che lo strato di neve era smosso in diversi punti, come se le macchine avessero fatto fatica a passare. Si chiese se la Punto fosse abbastanza alta per attraversare facilmente, e rallentò ancora.

 

<< Vai, possiamo passare >> disse improvvisamente Dimitri, riaffiorando dal silenzio in cui era piombato, << La neve è schiacciata… Devono aver perso parecchio tempo, per aprirsi la strada. Soprattutto Went >>.

 

Il russo sembrava contento, e Irina ne comprese il motivo: chi aveva un’auto bassa, come Xander e la maggior parte degli altri piloti, doveva aver fatto molta fatica a passare, e doveva averci impiegato un po’ di tempo. Il tutto si traduceva in un vantaggio per loro, che vedevano il distacco ridursi.

 

Sorrise mentre sentiva le zolle di neve schiacciarsi sotto gli pneumatici bollenti della Punto, e rapida e sicura arrivò dall’altra parte, dove la strada si riapriva sgombra e vuota, il sole che si andava via via abbassando.

 

Quella piccola “sosta” bastò alla Punto per recuperare fiato: le spie si erano tutte spente, e Irina sentì la speranza riaffiorare più forte di prima. Premette l’acceleratore e schizzò nuovamente avanti, dritta alla meta.

 

Forse ormai non mancavo troppi chilometri all’arrivo, ma aveva paura di sapere quanti fossero esattamente. Strinse il volante, sentendo i muscoli delle braccia intorpiditi, le gambe anchilosate… Scacciò quelle sensazioni, perché non avrebbe permesso al suo fisico di cedere e fermarla…

 

Qualcosa brillò davanti a loro, a grande distanza, troppo lontano per capire cosa fosse, ma Irina sentì il cuore accelerare: era un’auto… Forse li stavano raggiungendo…

 

Anche Dimitri sembrò dare segni di inquietudine. Si sporse in avanti, e ridusse gli occhi a fessure, senza staccarli mai dal punto dove quella piccola luce bianca brillava lontana…

 

Poi si avvicinò, sempre più velocemente. Troppo velocemente.

 

A Irina ci volle un attimo per capire che quello che vedevano lo stavano raggiungendo decisamente troppo in fretta, per poter essere un’auto in fuga.

 

Era un’auto, sì; ma stava correndo dalla loro parte.

 

Perplessa, Irina continuò a mantenere la velocità, Dimitri di fianco a lei che tirò rapidamente fuori la pistola che aveva in tasca. Poteva essere Konstantin che veniva a finire il lavoro, a farli uscire fuori gara… Non si sarebbe stupita, se fosse stato così. Non volevano farli vincere, ma evidentemente non volevano nemmeno che arrivassero al traguardo…

 

L’auto si avvicinò e prese le sembianze di una Mitsubishi Lancer azzurra, un’auto che non aveva preso parte alla gara. Irina non riuscì a distinguere chi ci fosse al volante, ma sentì Dimitri togliere la sicura alla pistola.

 

<< Qualunque cosa succeda, continua a guidare >> ringhiò lui, << Abbiamo già perso troppo tempo… >>.

 

La Lancer si parò davanti a loro all’improvviso, e per un attimo sembrò volesse superarli e continuare per la sua strada; ma all’improvviso rallentò e con un colpo di freno a mano girò il muso, appena in tempo per recuperarli e affiancarli.

 

Irina guardò dentro la Lancer, e con stupore vide che si trattava di Dan, l’italiano. Il ragazzo fece loro un cenno con il pollice alzato, ma Dimitri non abbassò la guardia.

 

<< Che ci fa qui!? >> gridò Irina.

 

Il finestrino della Lancer si abbassò, e Irina fece altrettanto con quello della Punto. L’aria gelida piombò nella macchina, e sentì la voce di Dan distante e soffocata, mezza coperta dal rumore dei motori.

 

<< Ho saputo cosa è successo! >> gridò per farsi sentire, senza che le due auto rallentassero, << Ho dietro dei ricambi, vi serve qualcosa? >>.

 

<< No! >> rispose Irina, << Quanto manca all’arrivo? Sono lontani gli altri? >>

.

Dan fece un sorrisetto.

 

<< Quaranta chilometri all’arrivo>> gridò, << Continua così che li raggiungi, Fenice! Non sono lontani! Io vi seguo! >>.

 

Irina sentì un’ondata di adrenalina scaricarsi nelle vene, mentre il finestrino veniva chiuso e l’aria gelida smetteva di vorticare nell’abitacolo. Li stavano raggiungendo, non stavano correndo senza una meta!

 

La Lancer si accodò a loro, mentre la Punto continuava a correre lungo quel paesaggio russo, il lago sempre alla loro sinistra, la strada sempre più dritta.

 

Le spie sul cruscotto tornarono ad accendersi, ma Irina le ignorò: ormai si sentiva così sicura, che sapeva che la Punto non l’avrebbe mai abbandonata. Non in quel momento dove stavano scrivendo la più grande rimonta mai avvenuta nella Mosca-Cherepova.

 

Finalmente, come un miraggio, diversi oggetti cominciarono a brillare nuovamente in lontananza, e come in un sogno le forme delle auto dei partecipanti si stagliarono all’orizzonte. Irina sentì il cuore accelerare, e mormorò: << Li prendo, li prendo… >>.

 

Gettò uno sguardo nello specchietto retrovisore, e vide che aveva staccato anche la Lancer dietro di lei: non vedeva più la faccia di Dan, ma era sicura che in quel momento l’italiano stesse sorridendo…

 

Poi, vide le auto davanti a lei sbandare improvvisamente, alcune finire di sbieco sulla strada, altre girare su se stesse. Riconobbe la Ferrari tra quelle che scivolavano come se passassero sul sapone, mentre altre si fermarono con difficoltà proprio di fronte a un grosso cartello che indicava il lago.

 

Un attimo, e anche la Punto scivolò a tutta velocità sul ghiaccio, senza però perdere il controllo. Irina inchiodò, sentendo le ruote pattinare, e si fermò a qualche metro dalla Camaro rossa di Severin, ferma sul ciglio del lago.

 

Non capì come mai si fossero fermati, perché in quel momento l’unica cosa che rimbombava nella sua mente era: “li abbiamo raggiunti!”. Forse avevano davvero compiuto la più grande rimonta nella storia della Mosca-Cherepova… E anche se così non fosse stato, per lei era comunque la migliore in tutta la sua carriera di pilota. Per un attimo aveva creduto di non potercela fare, di aver buttato all’aria tutto il loro lavoro: invece eccola lì, di nuovo in gara più determinata di prima.

 

La gente là attorno la guardava sbigottita, senza parole… Lei sorrise, e guardò le loro espressioni con aria di sfida.

 

“Non basta bucarmi le ruote per fermarmi”.

 

La Lancer si fermò in quel momento dietro di loro, e vide Dan rivolgerle il pollice alzato in segno di vittoria. Lei rispose, certa che almeno l’italiano stesse dalla loro parte, poi rivolse la sua attenzione intorno, intuendo finalmente perché tutti i piloti erano fermi.

 

La strada era finita, ma non la corsa. Il traguardo, delineato da due fumogeni rossi che brillavano oltre la sponda del lago, non distava che qualche centinaio di metri, e ad attenderli c’erano anche in quel caso un paio di auto e un furgone. In mezzo, tra loro e la vittoria, c’era un corridoio di ghiaccio da attraversare, che andava da riva a riva… Una strada di acqua congelata da percorrere per porre fine a quella gara.

 

<< Bastardi >> disse Dimitri, << L’hanno fatto davvero, alla fine… Dobbiamo attraversare il lago >>.

 

Irina lo guardò con la bocca aperta, poi tornò a fissare la superficie del lago ghiacciato, grigia come l’acciaio.

 

Era un suicidio. I Referenti non potevano scegliere un modo migliore per decretare il vincitore della Mosca-Cherepova. Anche questa volta si trattava di una prova di coraggio alla quale solo i migliori avrebbero risposto.

 

Vide Severin scendere dalla Camaro e andare a guardare la superficie del lago, come per valutare quanto potesse reggere, o forse se non ci fosse un trucco. Un altro paio di piloti fecero altrettanto, ma né Xander né Nina si arrischiarono a uscire dalla Ferrari.

 

Dan superò la loro auto, e Severin si voltò dalla sua parte, dicendo qualcosa in tono piuttosto adirato. L’italiano rispose allargando le braccia, avvicinandosi alla riva del lago.

 

<< Scendo un momento… >> mormorò Irina.

 

Aprì la portiera della Punto e sentì Dan dire, tranquillo: << Non sono stato io a decidere il percorso, non dipende da me. Ma non credo ci siano problemi a passare: penso che i Referenti sappiano quello che fanno… >>.

 

<< Cosa vuol dire questo? >> sbraitò Severin, << Nessuno ha la certezza che riusciremmo ad arrivare dall’altra parte! Il ghiaccio potrebbe non reggerci tutti! >>.

 

<< Allora prendere un’altra strada >> ribatté Dan, << Tornate indietro e fate il giro… Se non volete rischiare, cambiate percorso. Il traguardo è laggiù, voi dovete solo arrivarci: non siete obbligati a passare di qui >>.

 

Severin digrignò i denti e tornò a guardare il lago gelato, mentre gli altri piloti confabulavano tra loro, irritati. Irina tornò dentro la Punto e gettò uno sguardo a Dimitri.

 

<< Cosa pensi? >> chiese lei.

 

<< Penso che l’unico modo per vincere è quello di passare da quella parte >> rispose, neutro.

 

Irina strinse il volante, cercando di pensare con lucidità. L’adrenalina dell’inattesa rimonta lasciò spazio alla preoccupazione per la nuova situazione…

 

Se avessero tutti scelto una via alternativa, ci avrebbero impiegato altro tempo a raggiungere il traguardo, e non era nemmeno detto che non rimanessero a piedi durante il percorso: poteva rompersi l’auto, finire la benzina, esserci un incidente… Avrebbero dovuto studiare un altro percorso adatto, e ci avrebbero impiegato del tempo, forse troppo.

 

Tentare di passare sul lago ghiacciato invece presentava troppi rischi: non sapevano quanto fosse spessa la lastra di ghiaccio che lo ricopriva, né se poteva davvero reggerli tutti. Una volta a metà strada, poteva creparsi, e se fossero finiti dell’acqua gelida c’erano poche possibilità di salvarsi…

 

Però dall’altra parte c’era quel maledetto traguardo, e la vittoria della Mosca-Cherepova.

 

<< Che facciamo? >> domandò a bassa voce, soprattutto a stessa.

 

<< Prendiamo una decisione il più in fretta possibile >> rispose Dimitri, senza in realtà cambiare la situazione, << Dobbiamo battere gli altri sul tempo, se vogliamo vincere >>.

 

Irina sospirò.

 

“Davvero sarei disposta a rischiare tutto questo?”.

 

Si guardò intorno, notando che ancora nessuno sembrava aver preso una decisione: tutti si chiedevano se il gioco valeva la candela. Oppure aspettavano che uno di loro facesse il primo passo, aprendo la strada a tutti quanti.

 

Se avesse preso un’altra strada, forse gli altri non l’avrebbero seguita, e qualcuno avrebbe finalmente rischiato passando attraverso il lago, per paura che lei riuscisse a trovare una via alternativa abbastanza breve da portarla al traguardo in tempo rapido. A quel punto, però, tutti tranne lei avrebbero saputo se la via sul ghiaccio fosse stata sicura.

 

Se avesse atteso che qualcuno provasse a passare per primo sul lago, sicuramente non ci sarebbe stato tempo per superarlo, e fare manovre su una lastra di ghiaccio era troppo rischioso. In più, gli altri sarebbero partiti tutti assieme, e

 

<< Il ghiaccio non ci reggerebbe sicuramente tutti contemporaneamente >> disse a stessa, << Ma potrebbe reggere uno solo di noi. Il primo a passare >>.

 

Si voltò a guardare Dimitri, e sul suo volto non trovò alcuna espressione.

 

<< Se dobbiamo passare di lì, dobbiamo farlo per primi >> disse lui, << Io sono pronto a rischiare, quindi la decisione è tua >>.

 

Irina distolse lo sguardo, e capì che aveva di fianco qualcuno disposto a rischiare la vita per lei e la sua missione… Nonostante nessuno all’F.B.I. si fidasse di lui, si stava rivelando il miglior agente che potessero mandare. Non lo avrebbe dimenticato.

 

<< E se dovesse succederci qualcosa? >> disse lei, << Non mi perdonerei mai il fatto di averti coinvolto in questa storia… Se il ghiaccio si rompe e finiamo nel lago, non so quante possibilità abbiamo di… >>.

 

<< Se avessimo sempre contato le possibilità, non saremmo mai partiti >> la interruppe Dimitri, << Se avessimo sempre contato le possibilità, ci sarebbero state un sacco di cose che non sarebbero accadute. Se tu sei pronta a farlo, premi quell’acceleratore e arriva dall’altra parte >>.

 

C’erano molte cose non dette in quella frase, molti riferimenti che Irina comprese subito ma che non ebbe il coraggio di commentare. Tuttavia, nonostante la paura, sapeva cosa si doveva fare.

 

<< Ok, Dimitri. Voglio passare >> disse.

 

Il russo le gettò un’occhiata e sembrò trattenere un sorriso.

 

<< Allora alleggeriamo questa macchina, Fenice >> disse.

 

Irina annuì e si spostò in un angolo un po’ più appartato, spegnendo il motore della Punto. Gli altri stavano ancora valutando la situazione, ma dovevano fare in fretta per evitare che qualcuno avesse la loro stessa idea.

 

<< Lasciamo qui tutto quello che non è necessario >> disse Dimitri, << Togli la tanica di benzina, quello che rimane degli attrezzi. Tutto quello che riesci a smontare. Io svuoto il serbatoio fino al livello minimo indispensabile. Sarà poco, ma comunque potrebbe fare la differenza >>.

 

Irina annuì e andò ad aprire il portellone dietro: tolse la tanica di benzina ancora e metà, gli attrezzi, il borsone con le sue cose e quello di Dimitri, le due bottiglie di acqua di scorta. Gettò tutto vicino a un mucchio di neve ingrigita e coprì le cose con la coperta che teneva nel baule.

 

Nessuno parve accorgersi di quello che stavano facendo, perché sembravano tutti troppo concentrati su come superare quell’ostacolo. Solo Xander sembrò gettare dalla loro parte un’occhiata imperscrutabile, e Irina si chiese se avesse già capito quello che stavano facendo.

 

Dimitri aprì il cofano, rompendo i sigilli che lo chiudevano, e solo in quel momento qualcuno sembrò interessarsi a quello che stavano facendo: gli sguardi verso di loro si fecero sospettosi. Molti forse pensavano che stessero tentando di modificare il motore, perché nessuno diede segno di capire il significato di quella mossa.

 

Sotto la Punto iniziò ad aprirsi una chiazza scura di benzina, che si allargò mano a mano che il carburante fuoriusciva dal serbatoio. Qualcuno strabuzzò gli occhi senza capire, ma Dimitri si voltò verso Dan e gli disse, tranquillo: << Non credo che bucare il serbatoio sia una modifica a nostro favore >>.

 

L’italiano si strinse nelle spalle, ma sembrò capire le loro intenzioni.

 

<< Dopo una rimonta come la vostra, vi potrei permettere di tutto >> disse, e si voltò tornando verso la Lancer. << In ogni caso, il regolamento non proibisce di danneggiare la propria auto… >>. Irina sorrise guardandolo allontanarsi.

 

Quando il livello del carburante fu sceso abbastanza per i suoi gusti, Dimitri tappò il buco del serbatoio con un pezzo di nastro adesivo isolante e svuotò rapidamente anche l’acqua del radiatore e l’olio, riversandoli tutti a terra. A quel punto guardò Irina e disse, serio: << Possiamo andare >>.

 

Forse avevano guadagnato solo una ventina di chili in meno, forse qualcosa in più, ma tutto poteva fare la differenza in quel caso, e Irina pregò che funzionasse. Mise in moto la Punto e lentamente si avviò verso la superficie del lago, sotto lo sguardo di tutti i piloti, ora. Avevano capito quello che stava per fare, ma nessuno osò muoversi.

 

<< Abbiamo tutto ridotto al minimo >> disse Dimitri, << Non correre troppo, una volta dall’altra parte, altrimenti rischiamo di fondere il motore >>.

 

<< Se ci arriviamo, dall’altra parte… >> mormorò Irina.

 

Fermò la Punto a pochi metri dal bordo, e vide Severin fare un passo indietro. Aveva paura, doveva ammetterlo, e non sapeva se aveva fatto la scelta migliore… Un conto era rischiare da sola, un conto era rischiare insieme a qualcun altro per una gara… Una gara importante, ma pur sempre una gara…

 

Sentiva il suo cuore battere all’impazzata, il suo respiro soffiare nell’abitacolo, il piede sfiorare il pedale…

 

Avrebbe avuto il coraggio?

 

Dallo specchietto retrovisore vide Xander uscire dalla Ferrari, ma rimanere inchiodato di fianco alla porta aperta. Non sarebbe venuto a fermarla, forse, ma di sicuro aveva voglia di farlo…

 

Irina deglutì. Mise la mano sul pomello del cambio, ma non ingranò la marcia. Rimase a fissare la superficie del lago, chiedendosi se avrebbe retto, cosa avessero fatto se quel ghiaccio si fosse spezzato, portandoli giù, sempre più giù, senza via di scampo.

 

Poi sentì una mano calda poggiarsi sulla sua, stringendola in una morsa bollente e decisa, facendole arrivare il calore fin nelle ossa, fin nel sangue che sentiva ormai gelato dalla paura…

 

<< Avanti Fenice >> disse Dimitri, << Qualsiasi cosa succeda, non morirai in un lago ghiacciato. Te lo garantisco >>.

 

Irina lo guardò, e annuì. Si fidava di Dimitri, credeva alle sue parole, e il fatto che la stesse fissando con quei suoi occhi grigi che erano caldi come quella notte che avevano passato insieme, le diede forza. Lasciò che guidasse la sua mano fino a ingranare la prima, le dita sotto le sue… Poi Dimitri la lasciò andare, e Irina premette l’acceleratore, trattenendo il respiro.

 

La Punto filò silenziosa avanti, poggiando le ruote sul ghiaccio senza nessun rumore. Avanzò lenta, come a rallentatore, finché tutti gli pneumatici non furono a contatto con la lastra di acqua ghiacciata…

 

Irina non aumentò la velocità, avanzò sempre lenta avanti, nel silenzio più totale. Niente segni di cedimento, niente crepe nel ghiaccio… Niente di niente.

 

Dovevano essere quattrocento metri, non di più, a separarla dal traguardo. Premette leggermente di più l’acceleratore, e gettò uno sguardo nello specchietto retrovisore: erano tutti impietriti a bordo del lago. Solo Dan sembrava divertito, e li guardava con un sorriso a trentadue denti.

 

Irina capì che il ghiaccio non li avrebbe traditi, non finché fossero rimasti gli unici su quella lastra… Accelerò ancora, vedendo il traguardo avvicinarsi sempre di più…

 

Un altro sguardo allo specchietto, e vide la Ferrari di Xander partire a razzo per seguirla. Un attimo dopo, la Camaro di Severin sgommò e si gettò sul ghiaccio con un rumore assordante…

 

<< Vai vai! >> gridò Dimitri.

 

Irina sentì il panico montare alle stelle, l’adrenalina scaricarle addosso una sensazione di terrore puro, e affondò il piede sul pedale, lanciando la Punto sul ghiaccio con un ruggito del motore ormai al limite…

 

Qualcosa scricchiolò sinistramente, mentre la macchina scivolava in avanti, e crepa si formò sotto di loro, come un’enorme fulmine nel cielo…

 

La Ferrari scivolò di lato, sbandando, e la Camaro gli andò addosso. Un’altra crepa di aprì sotto di loro, mentre la 599 inchiodava per evitare il buco che si era formato davanti a lei…

 

Irina proseguì dritta, sempre più veloce, la crepa che la inseguiva rapida con uno scricchiolio come un serpente sul terreno, senza guardarsi indietro per paura di vedersi aprire una voragine enorme pronta a inghiottirli… Sentì il motore ruggire disperatamente mentre spingeva l’auto avanti, pattinando, schegge di ghiaccio sollevate dalle ruote che volavano in alto…

 

La crepa si allargò e un’onda d’acqua si riversò sulla superficie, facendoli sbandare… Le gomme della Camaro fischiarono, uno specchietto volò via superandoli, poi altri scricchiolii invasero l’aria…

 

Irina sterzò di lato, la Punto toccò la Ferrari, la Camaro scivolò a sinistra… Poi la 599 finì in testa coda, l’auto di Severin anche, e la Punto rimase l’unica a puntare ancora verso il traguardo…

 

Altra acqua si riversò sulla superficie, facendoli scivolare di lato, senza possibilità di fermarsi… Irina controsterzò, sentendo le gomme gemere sul ghiaccio tentando di riprendere aderenza… Sentì il rumore della lamiera accartocciarsi, mentre la 599 veniva colpita alla porta dalla Camaro, senza più controllo… Ma ormai la riva era sempre più vicina…

 

Con uno scossone, la Punto risalì la riva, e le ruote fecero presa sull’asfalto, guadagnando velocità, il motore ormai al limite, le spie rosse tutte accese…

 

Poi, superò il traguardo, prima.

 

In un attimo, la tensione abbandonò Irina lasciando spazio alla più pura euforia, a una sensazione di felicità assurda che ripagò tutto il terrore che aveva provato fino a quel momento.

 

“Abbiamo vinto! Abbiamo vinto!”.

 

Si voltò per guardare Dimitri, ma lui sembrava fissare lo specchietto retrovisore, gli occhi grigi puntati su qualcosa che stava alle loro spalle. Qualcuno gridò, poi si sentì un rumore come lo squarciarsi di qualcosa di enorme, e lo scrosciare di acqua…

 

Irina si voltò di scatto, e la scena che si presentò ai suoi occhi cancellò in un secondo tutta la felicità che aveva addosso.

 

La superficie del lago era tutta piena di crepe enormi, come un’immensa ragnatela d’acqua, e da un momento all’altro il ghiaccio si sarebbe staccato, aprendo delle voragini…

 

La Camaro sgommò, appena in tempo per evitare di finire inghiottita dai flutti, e la 599 la scansò per un soffio. Con uno scricchiolio sinistro, Severin la superò e guadagnò la riva. Poi, un tonfo e uno scrosciare di acqua, e un’enorme buco si aprì sotto il posteriore della Ferrari, inghiottendo le ruote dietro…

 

Irina gridò, e si precipitò fuori dalla macchina, per vedere la 599 che scivolava piano piano indietro, senza che Xander riuscisse a tirarsi fuori… I cerchi il lega finirono nell’acqua ghiacciata, continuando a girare vorticosamente…

 

Il panico la invase, e qualcosa le gridò da dentro che Xander non poteva morire, perché sarebbe morta anche lei. Era già successo, tanto tempo prima, quando tra loro le cose andavano bene…

 

Sperava uscisse dalla macchina prima che finisse completamente nel lago, ma forse la portiera accartocciata era bloccata, perché Xander non riuscì ad aprirla… Il motore andò su di giri, nel disperato tentativo di schizzare avanti, verso la salvezza…

 

Nessuno si muoveva, perché evidentemente tutti erano paralizzati e non sapevano cosa fare, ma l’acqua ormai lambiva i fari posteriori della 599… Ancora poco, e sarebbe stata inghiottita, portandosi dietro Xander

 

Doveva fare qualcosa, immediatamente. Al diavolo la missione, la copertura, la gara…

 

<< Dimitri, dobbiamo tirarlo fuori! >> gridò, << Mi serve una corda! >>. Si voltò verso i Referenti, fermi a guardarla impalati. << Avete una corda?! >>.

 

Karim ne tirò fuori una dal baule dell’auto, e Irina la afferrò di corsa.

 

<< Dimitri, io attacco questa alla macchina e la trasciniamo fuori, ok? Fondi anche il motore, non mi interessa, chiaro? >>.

 

Prima che qualcuno avesse il tempo di fermarla, andò di corsa verso il lago, e senza nemmeno chiedersi se il ghiaccio l’avesse retta o ci fosse stata la possibilità di scivolare, mise piede sulla superficie ghiacciata, sentendola scricchiolare sotto le suole. In quel momento il motore della Ferrari si spense.

 

Corse fino alla 599, saltando le crepe nel ghiaccio, e raggiunse l’auto. Legò la corda nel primo buco che trovò nel paraurti e poi fece un cenno verso la riva. La Punto partì, artigliando l’asfalto asciutto con le ruote…

 

La corda si tese di corsa, e Irina iniziò a tirarla come se sperasse di essere abbastanza forte per trascinare fuori la Ferrari da sola… L’auto sembrò andare ancora giù, poi lentamente iniziò a risalire, il ghiaccio che si sbriciolava mentre la trascinavano…

 

<< Avanti, avanti! >>.

 

Il rumore del motore della Punto arrivò fino alle sue orecchie, ma non gli interessò se stesse per fondersi… Doveva tirare fuori di lì Xander, era l’unica cosa che le interessava…

 

Un’altra crepa si formò sul ghiaccio vicino alla riva, scricchiolando… Un’altra ancora sotto la ruota sinistra della 599…

 

Irina tirò la corda, con la paura che da un momento all’altro l’auto venisse risucchiata…

 

Poi la Ferrari toccò terra lentamente e i piedi di Irina sentirono di nuovo il duro asfalto sotto le suole… La Punto si fermò, ma la corda rimase tesa, mentre Irina la lasciava e tornava a respirare…

 

Mise una mano sulla carrozzeria bagnata della 599, il fiato corto ma il sorriso sulle labbra… Xander era salvo, e loro avevano vinto.

 

Gettò un’occhiata dentro la macchina, dove gli occhi azzurri e stupefatti di Xander la raggiunsero, e lei sentì di nuovo addosso quella sensazione che provava solo quando guardava lui… Avrebbe voluto saltargli al collo, baciarlo, ma non poteva farlo: né andava della loro missione, ma soprattutto non aveva più il diritto di poterlo fare.

 

“E’ vivo. Tutto questo è l’importante… Anche se non stiamo più insieme, rimane comunque un pezzo della mia vita”.

 

Sorrise appena e si voltò, raggiungendo di corsa Dimitri, che era sceso dalla Punto e la guardava tranquillo.

 

<< Hai altro da fare, ora? >> chiese lui, ma sul suo volto balenava un sorriso mal celato.

 

<< No, credo di aver finito per oggi >> rispose lei, e tese la mano, << Ottimo lavoro, Mastino >>.

 

Il russo gliela strinse con vigore, e per la prima volta dopo molti giorni le sorrise per davvero, regalandole una di quelle meravigliose espressioni che teneva sempre nascoste a tutti.

 

<< Ottimo lavoro il tuo, Fenice >>.

 

Poi un cellulare squillò, e Irina capì che era quello di Dimitri. Lo guardò rispondere, ancora euforica per la vittoria, e notò la sua espressione mutare nel giro di pochi secondi. Troppo velocemente per i suoi gusti.

 

<< Come è successo? >> sussurrò lui.

 

Irina sentì il cuore accelerare di nuovo. Dimitri ora sembrava tornato di ghiaccio. Gettò un’imprecazione, poi chiuse il telefono di scatto.

 

<< Cosa è successo? >> domandò lei, preoccupata.

 

Dimitri sembrò impallidire impercettibilmente.

 

<< Hanno rapito Yana >> rispose.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

E anche la Mosca-Cherepova è andata… I nostri due eroi hanno vinto, nonostante le difficoltà. Ma come vedete, i problemi non sono finiti: William e Vladimir hanno messo in atto il loro piano, e ora non resta cosa scoprire cosa faranno Irina e Dimitri… Qualcosa mi dice che non si godranno affatto questa vittoria.

 

Fox001: ciao! Benvenuta tra le mie lettrici, allora! E’ sempre un piacere sapere che qualcuno di nuovo si unisce al pubblico! In tre giorni?? Bé, devi essere stata una delle più veloci! Non sapevo di essere in grado di incollare così tanto i lettori allo schermo (ma ne sono entusiasta, naturalmente!). Sì, Xander sta antipatico un po’ a tutti, ultimamente, ma forse saprà farsi perdonare. Quanto a William, lo so, è odioso, e soprattutto cattivo, ma devo ammettere che per me ha sempre un suo fascino… Non lo so, forse sono gusti. Continua a seguirmi, e se apprezzi non esitare a farmelo sapere! Baci!

 

Eff: ciao! , mai nessun complimento è di troppo, soprattutto se è sincero! Ti ringrazio infinitamente, e sono altrettanto contenta di non essere stata una delusione con questo seguito… In effetti, ci ho pensato un bel po’ anche io prima di metterlo in cantiere, anche se l’idea mi era venuta ancora prima di terminare il Gioco dello Scorpione: sapevo che RR sarebbe stata diversa, e forse anche per questo che è andata bene! Sì, Irina è e penso rimarrà per sempre la mia “pupilla”: l’ho plasmata dandogli tutte le caratteristiche che avrei voluto avere io, alcune delle quali ho anche la presunzione di possedere (ma sono davvero molte poche!). William forse è il migliore cattivo che io sia riuscita a creare, e credo che lo rimarrà per sempre: sono riuscita a dargli un fascino a cui nessuno sa resistere, e non ho nemmeno capito come ho fatto! Eh eh, no, un po’ lo so, e credo che tutto si riassuma in una sola parola: coerenza. Cerco di rendere tutti i miei personaggi coerenti con ciò che sono e che voglio che siano: difficile, ma da risultati abbastanza soddisfacenti. Quanto a Dimitri, mi dispiace dirtelo, ma ai tempi della Black List Irina per lui rappresentava solo una scocciatura, niente di più. Lo incuriosiva, certo, perciò la osservava: non gli era sfuggito il fatto che Irina fosse una ragazza “particolare”, ma non si era mai dato la possibilità di conoscerla davvero: c’era William, in mezzo, e lui aveva altro a cui pensare, in quel momento. Però a Mosca ha recuperato tutto il tempo perduto, e ha finalmente aperto gli occhi, eh? Non ti preoccupare per la lunga recensione, io le adoro! Baci!

 

Smemo92: e lo so, e purtroppo vorrei avere molto più tempo da dedicare alla scrittura! Spero di essermi rifatta con questo cap lungo e combattuto! Irina e Dimitri? Eh, non sarà così facile: si sono trovati bene insieme, e forse sarebbero davvero perfetti, ma lei ha ancora in testa Xander… Se vuoi sposare Dimitri, devi metterti in fila perché c’è una coda lunghissima! , su William vorrei spezzare una lancia: se hai notato, ci ha pensato anche lui momento sul fatto che Yana sia una bambina… Si è quasi dato una scusa, dicendo che non aveva intenzione di farle del male… Potrebbe essere un segno di redenzione? Lo Scorpione comincia a perdere colpi? Uhm, su, forse non è proprio cattivissimo… Già che ci sono rispondo alla tua domanda alla recensione dello scorso capitolo: ho mai pensato di inviare questa storia a una casa editrice? Bé, sì, mi piacerebbe davvero vedere almeno il Gioco dello Scorpione trasformato in un libro vero, ma in tutta sincerità credo che il tema sia talmente strano che sarebbe un terno al lotto per chiunque. Purtroppo, il genere credo possa risultare di scarso interesse per un pubblico che ultimamente è avvezzo a generi quali Harry Potter o Twilight (con cui non posso sicuramente sperare di competere), e in più è molto difficile rendere interessante una storia dove l’azione è rappresentata da corse automobilistiche… Ci vuole una certa abilità per rendere entusiasmante qualcosa che avrebbe certamente un impatto visivo migliore. Sicuramente sarebbe più adatta a un film, ma non sono mica così folle da pensare che sia anche lontanamente fattibile! Per il momento penso che rimarrà una storia custodita nel mio pc, e su EFP, ma magari un giorno, quando avrò raggiunto livelli di follia veramente alti, potrei anche pensare di proporla a qualcuno! Quanto a una sorta di libro… Bé, se mi lasci il tuo indirizzo e-mail, la befana potrebbe recapitarti qualcosa di carino, visto che sei una mia affezionata lettrice! Bacioni!

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 32
*** Capitolo XXXII ***


Capitolo XXXII

Capitolo XXXII

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 16.00 – Cherepova

 

Irina guardò inorridita Dimitri di fronte a lei, e qualcosa di gelido le scese nello stomaco, serrandole le viscere in una morsa più fredda del ghiaccio… Yana era stata rapita?

 

<< Chi è stato? >> esalò solo, mentre Dimitri tornava alla sua espressione imperscrutabile di sempre, il cellulare rinchiuso nella mano stretta a pugno.

 

<< Emilian mi ha detto che ancora non si è fatto sentire nessuno >> rispose lui, << Ma sono sicuro che è stato Vladimir… >>.

 

Improvvisamente Irina diede una spiegazione alla partenza improvvisa del russo: aveva in mente quel piano già da prima della Mosca-Cherepova? Aveva aspettato che Dimitri lasciasse la città in modo da avere campo libero?

 

Ma una bambina… Vladimir non poteva aver davvero rapito una bambina… Non si rendeva conto che in quel modo attirava su di lui l’ira non solo di Dimitri, ma di tutti i russi che vivevano a Mosca? Si era dimenticato di quel patto che esisteva tra loro?

 

<< Complimenti… >> disse Karim avvicinandosi, che non si era accorto di niente, << Avete vinto… >>.

 

<< Lo so >> lo interruppe Irina, continuando a guardare Dimitri come se si aspettasse che da un momento all’altro le dicesse che era tutto un errore, << Aspettate un attimo, abbiamo un problema… >>.

 

Il Mastino si era voltato e stava raggiungendo la Punto. Irina lo raggiunse, in apprensione, senza degnare di uno sguardo quelli che stavano intorno e che erano pronti a festeggiare la loro vittoria, e che molto probabilmente non capivano perché loro due stavano parlottando tra loro…

 

<< Cosa facciamo? >> chiese, sapendo che la corsa passava in secondo piano, almeno per un po’.

 

<< Io torno a Mosca il prima possibile >> rispose Dimitri, secco, mettendo la mano sulla maniglia della portiera della Punto.

 

<< Allora io vengo con te >> disse Irina.

 

Dimitri la guardò, quasi scettico.

 

<< Chi incontrerà la Lince? >> domandò lui.

 

<< La Lince aspetterà >> ribatté Irina, << E non mi sembra che abbia fretta di conoscerci. Torno a Mosca con te. Anche io tengo a quella bambina >>.

 

Si guardarono un momento in faccia, sapendo che nessuno dei due avrebbe cambiato idea; poi Dimitri disse: << D’accordo… Il tempo di mettere a posto l’auto e io sono per strada >>.

 

Irina annuì. << Perfetto >>.

 

Si voltò verso i Referenti, dove mancava Konstantin, e disse: << Non so esattamente come avrebbero dovuto andare le cose, ma dobbiamo tornare a Mosca il prima possibile. Potete riferire alla Lince di farsi sentire, quando desidererà incontrarci? >>.

 

<< Era quello che aveva intenzione di fare >> ribatté Karim, gettando un’occhiata a Varagurg.

 

<< Bene >> disse Irina, << Abbiamo bisogno che qualcuno ci rimetta a posto la macchina il prima possibile… Era previsto qualcosa del genere, al termine della gara? >>.

 

Karim annuì. << Sì, tutte le auto verranno rimesse in sesto >> rispose, << L’albergo è qui vicino >>.

 

<< Allora sbrighiamoci >>.

 

Irina raggiunse Dimitri e si mise al volante della Punto, aspettando che si sedesse anche lui al suo fianco. Gettò un’occhiata allo specchietto retrovisore, per vedere che solo in quel momento Xander era stato aiutato a uscire dalla Ferrari, e vide che era solo. Nina non lo aveva seguito nella traversata del lago…

 

Si chiese perché, poi lasciò perdere. Yana li aspettava, e lei non voleva perdere tempo. Xander stava bene, ed era quello l’importante. Accese il motore, gettò un’occhiata a Dimitri e disse, a bassa voce: << Andrà tutto bene >>.

 

Ma forse, più che convincere lui, voleva rassicurare se stessa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 17.00 – Mosca

 

William guardò la faccia paffuta della bambina che sedeva di fronte a lui, nella sua stanza d’albergo, e si chiese perché mai avesse accettato quel patto con Vladimir. Gli occhi della bambina lo seguivano spaventati mentre si muoveva per la camera, si per la prima volta nella sua vita si sentiva un fallito: aveva dovuto abbassarsi a tanto per far cadere in trappola Dimitri… Roba da matti.

 

Yana, così aveva capito si chiamasse la bambina, si rimise a piangere, esattamente come aveva fatto per la maggior parte del tempo da quando erano riusciti a catturarla, cosa che si era rivelata piuttosto facile. Lei e la madre non godevano di alcuna protezione, e strappare la bambina dalla mano della mamma era risultato semplice e veloce: le avevano attese mentre si recavano a scuola, la mattina presto.

 

La guardò strofinarsi gli occhi e chiedere della madre, i lucciconi che scivolavano sulle guance, e si innervosì. Gli dava fastidio quel pianto a dirotto, ma stranamente non aveva il coraggio di infierire su di lei… In più, il suo comportamento rispecchiava perfettamente le poche caratteristiche che conosceva dei marmocchi: erano rumorosi, sapevano solo mangiare e dormire, e piangevano. Non si era spettato altro da quella bambina.

 

In quel momento entrò Daniel, un vassoio di cibarie per loro, che gettò un’occhiata perplessa a Yana: anche lui non era stato particolarmente entusiasta del piano che avevano messo in atto, soprattutto perché avevano scelto come base la loro stanza d’albergo.

 

<< La rapisce e poi la molla qui >> borbottò, appoggiando il vassoio sul tavolino, << Dov’è andato Vladimir? >>.

 

William si accese una sigaretta, nervoso. Adocchiò la tazza di caffè fumante e l’afferrò, sperando che qualcosa di caldo contribuisse a farlo calmare un po’.

 

<< Credo stia andando a telefonare a Dimitri… >> rispose, bevendo un sorso, << Non lo ha ancora fatto, da quando è qui… >>. Fece un cenno verso la bambina che singhiozzava.

 

<< Voglio la mia mamma! >> gridò Yana, piangendo, << Voglio lo zio! >>.

 

La bambina sembrava inconsolabile, e William capì che doveva essere molto spaventata, a giudicare dal fatto che non si muoveva neanche, a parte i singulti per via delle lacrime. Non era stupido, sapeva che quella marmocchia non aveva idea del perché fosse lì, in mezzo a un gruppo di sconosciuti, e rassegnò al fatto che molto probabilmente sarebbero andati avanti così per molte ore.

 

<< Come facciamo a farla smettere di piangere? >> chiese scocciato Daniel, sedendosi su una sedia vicino alla finestra, << Se continua a fare tutto questo casino, rischiamo che qualcuno si accorga che qualcosa non va… >>.

 

William sputò una boccata di fumo. Guardò per un momento Daniel, poi decise di fare un tentativo che sentiva sarebbe servito a poco.

 

<< Ehi, piccoletta, hai fame? >> chiese, rivolto alla bambina.

 

Yana non diede nemmeno segno di averlo sentito: continuò a strofinarsi gli occhi e a piangere. Era sicuro che la bambina avesse capito cosa aveva detto, visto che con enorme sorpresa appena se l’era trovata davanti aveva scoperto che parlava inglese persino meglio di alcuni sui vecchi piloti, ed era tutto dire.

 

Afferrò il vassoio, sempre più innervosito, e glielo mise davanti.

 

<< Mangia >> ordinò secco, << Non ti faremo niente, ma smettila di piangere >>.

 

Yana lo guardò, il visetto da bambola arrossato e spaventato.

 

<< No! >> gridò, << Voglio andare a casa! Voglio la mia mamma! Portami a casa! >>.

 

William sbuffò, rinunciando a qualsiasi altro tentativo.

 

<< Ti lasceremo andare quando Dimitri verrà qui >> ribatté, rimettendo il vassoio sul tavolo.

 

<< Dirò a mio zio di darti tante botte! >> disse Yana con uno slancio di coraggio, << Lui è buono, non è come te! >>.

 

William guardò la bambina inarcando un sopracciglio: aveva un certo caratterino, la piccoletta. Ed anche delle convinzioni che combaciavano poco con le caratteristiche del Mastino.

 

<< Si da il caso che io conosca bene tuo… zio >> disse, e l’ultima parola suonò molto strana, associata a Dimitri, << Siamo stati amici per tanto tempo. E non credo che sia in grado di farmi qualcosa… >>. Ridacchiò, accarezzando la pistola che teneva in tasca.

 

Yana lo guardò con i suoi occhioni scuri, ancora lucidi.

 

<< Io voglio andare a casa mia >> disse, << Perché mi tieni qui? >>.

 

William inspirò una boccata di fumo.

 

<< Perché mi servi per incontrare una persona >> rispose, divertito dalla piega che stava prendendo la situazione: la bambina sembrava improvvisamente aver racimolato il coraggio per mettersi a parlare e a fare domande.

 

<< Chi? >>. Yana lo guardò in cagnesco: evidentemente non si rendeva conto che stava rischiando la pelle, in quei momenti.

 

<< Si chiama Irina >> rispose William, << Ma molto probabilmente non la conosci… >>.

 

Yana sembrò illuminarsi improvvisamente.

 

<< Tanto tu sei brutto, Irina non ti vuole >> disse saggiamente la bambina, << Mio zio è molto più bello, e Irina è troppo brava per stare con te >>.

 

William inarcò un sopracciglio, e si trattenne dallo scoppiare a ridere.

 

Ma guarda che faccia tosta, questa piccoletta… Ha proprio un bel caratterino. Non ho mai sentito nessuna donna, di qualsiasi età, darmi del brutto”.

 

<< Dimmi un po’, come fai a conoscerla? >> chiese incuriosito, mentre Dan, che stava ancora assistendo alla scena, cercava di non ridere.

 

<< Stava a casa dello zio >> rispose Yana.

 

William sentì montare l’irritazione: Irina stava a casa di Dimitri? Quando mai lui si era rivelato disposto a ospitarla?

 

Era per quello che Vladimir aveva puntato lei, sperando che il russo si facesse avanti? C’era qualche possibilità che Irina avesse stretto qualche rapporto con l’ex Mastino?

 

Scosse il capo, dandosi dell’idiota. Improvvisamente si rese conto che stava diventando quasi paranoico, e che non valeva la pena porsi quelle domande: non sapeva nemmeno quanto tempo aveva ancora da vivere, Irina… Sapeva com’era fatta, sapeva che era in grado di tradirlo. Si stupiva più che altro di Dimitri: quando mai da parte sua c’era stato un interesse per lei?

 

Però spiegherebbe l’idea di Vladimir…”.

 

<< Posso prendere questo? >>.

 

Yana interruppe il corso dei suoi pensieri, indicando il vassoio del cibo, e per la precisione un grosso bignè alla crema ricoperto di cioccolato. Improvvisamente la bambina sembrava non avere più voglia di piangere, e sul suo visetto si era dipinta un’espressione curiosa e timorosa. Forse parlare di Dimitri l’aveva convinta che presto sarebbe venuto a prenderla… Almeno ora stava zitta, ed era un miglioramento.

 

<< Prendi quello che vuoi >> ribatté secco William, << Basta che la finisci di piangere >>.

 

Guardò Yana prendere il dolce con le manine e impiastricciarsi tutta mentre lo mangiava, e si chiese cosa ci trovasse Irina in quella bambina: era sicuro che quando aveva conosciuto quella piccola russa dalla lingua lunga l’aveva adorata dal primo momento…Si ricordava ancora di quando si occupava del nipote, mentre suo fratello Dominic se l’era data a gambe. Era tipico di Irina.

 

Yana aveva la faccia piena di crema, e lo guardò ancora intimorita.

 

<< Posso prenderne un altro? >> chiese.

 

William la fissò per un momento, perplesso.

 

“E meno male che non aveva fame…”.

 

William annuì, per niente intenerito dalla sua faccia impiastricciata, e le passò il vassoio. Come bambina doveva ammettere che era simpatica, ma preferiva non averci troppo a che fare: lui non era come Irina, che sapeva sempre come prenderli… Non voleva certo rischiare che si rimettere a piangere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 18.00 – Cherepova

 

Irina richiuse il baule della Punto dopo aver caricato l’ultimo borsone, poi guardò l’orologio. Iniziava a sentire la stanchezza di tutta la giornata addosso, e sapeva che li aspettava un altro viaggio lungo e faticoso: Mosca distava tremila chilometri, e anche se questa volta avrebbero percorso tutta autostrada senza avere nessuno alle calcagna, si sarebbero riposati molto poco. Yana aspettava, e nessuno dei due voleva perdere tempo: quella bambina era innocente e non poteva rimetterci a causa loro.

 

Si guardò intorno, nell’ampio garage dell’hotel superlusso che era stato messo a disposizione dai Referenti per il termine della gara, e che teoricamente avrebbe dovuto accogliere i festeggiamenti per la vittoria della Mosca-Cherepova. Sicuramente tutti gli altri piloti si sarebbero fermati lì, visto che aveva scoperto che il loro Natale si festeggiava il sei di gennaio, cosa che fino a quel momento aveva ignorato e che Dimitri non aveva sentito il bisogno di precisarle.

 

“Non doveva andare così… Povera bambina… Se quel Vladimir le torce anche un solo capello, questa volta gli faccio vedere davvero chi è Fenice”.

 

La Punto era stata rimessa a posto da Dan, che ne conosceva la meccanica: il tempo era poco, e aveva fatto un lavoro un po’ grossolano, ma a loro andava bene così. Una volta a Mosca, si sarebbero occupati meglio di lei.

 

Stava aspettando Dimitri: non sapeva esattamente cosa stesse facendo, ma probabilmente stava parlando con i Referenti della situazione in corso. O forse stava sistemando la questione con Konstantin… Non lo voleva sapere. Meglio partire con l’unico pensiero di andare a salvare Yana, e non avere morti sulla coscienza. Sperava solo che venissero presi dei provvedimenti per il suo comportamento, ma aveva poche speranze: se nessuno era intervenuto appena subito dopo il fatto, chi avrebbe mai mosso qualche accusa contro Konstantin, che era pure un Referente? Forse molti erano anche d’accordo con lui: una straniera non meritava di vincere la Mosca-Cherepova, anche se accompagnata da Dimitri e conosciuta per essere la donna dello Scorpione.

 

Finalmente sentì dei passi scendere le scale, e si preparò a salire in auto. Poi si accorse che si trattava di Xander

 

Lo guardò avvicinarsi in silenzio, gli occhi azzurri che non si staccavano da lei, l’espressione seria. Irina ebbe una stretta al cuore, ricordando che una volta avrebbe potuto andare da lui, chiedere consiglio, confidargli quanto si sentiva spaventata per quello che le succedeva intorno… Aveva paura per Yana, perché le voleva bene, e sapeva di cosa era capace Vladimir…

 

<< Credo di doverti ringraziare >> disse Xander, rimanendo a un paio di metri da lei, << Hai rischiato molto per me, oggi… Grazie >>.

 

Irina sorrise appena appena.

 

<< Non mi devi ringraziare, Xander >> disse, << E’ una cosa che avrebbe fatto chiunque sia una persona normale e sana di mente… Non mi devi nessun ringraziamento. Anzi, così siamo pari. Hai fatto… Hai fatto la stessa cosa per me, tempo fa >>.

 

Rimasero in silenzio a guardarsi per qualche istante, ma almeno tra loro non c’era tensione. Irina aveva il cuore che batteva forte, perché sentiva che non si sarebbe mai abituata ad averlo così lontano… I suoi sentimenti non erano cambiati nei suoi confronti, nonostante tutto.

 

<< Come mai Nina non era in auto con te? >> chiese lei, per rompere il silenzio e impedirsi di indugiare troppo su pensieri che le avrebbero fatto venire le lacrime agli occhi.

 

<< Non aveva il coraggio di passare >> rispose amaramente Xander, << Ma va bene così, tanto non avremmo vinto comunque. Ottima gara, la vostra. Nessuno pensava foste in grado di rimontare in quel modo… >>.

 

Irina lo osservò mentre ammetteva la sconfitta, e si rese conto che non sembrava poi tanto infastidito: era orgoglioso, lo sapeva, e immaginava che dovesse essere un duro colpo, per lui: battuto a un soffio dalla vittoria… Però questa volta sembrava accettare la disfatta, come se ritenesse davvero che lei meritasse il primo posto in quella gara, con tutta la fatica che aveva fatto e i problemi che avevano avuto… O forse, era semplicemente sempre troppo bravo a fare l’attore.

 

<< Non posso dirti altro che grazie >> disse lei.

 

Improvvisamente Xander cambiò argomento.

 

<< So che avete un problema a Mosca… >> disse.

 

Irina valutò l’ipotesi di raccontargli come andavano le cose, sperando di non scatenare da parte sua qualche rimprovero. Non voleva litigare o discutere. Incrociò le braccia, come per fargli capire che non si doveva intromettere troppo nella faccenda, o avrebbero finito per litigare di nuovo.

 

<< Hanno rapito la nipote di Dimitri >> spiegò, << E crediamo sia stato Vladimir: ha un conto in sospeso con Dimitri, ma non abbastanza coraggio per vedersela direttamente con lui. In ogni caso, che ci sia o meno Buinov, in questa storia, dobbiamo tornare a Mosca… E’ una bambina, non può essere tirata in mezzo. Dimitri non rimarrà qui a guardare mentre sua nipote è nelle mani di quel criminale… E io voglio andare con lui, perché mi sono affezionata a quella bambina >>.

 

Lo guardò, sfidandolo a dire qualcosa in contrario, ma Xander rimase zitto, a fissarla come se non avesse capito quello che aveva detto. Irina stessa si stupì della sua sicurezza, ma ormai non era più legata a nessuno, poteva prendere le decisioni da sola… Il giudizio di Xander sulle sue azioni era diventato irrilevante, o almeno era così che doveva essere. Anche se lei, nel profondo del suo cuore, sapeva che ancora non era capace a essere insensibile alle sue parole.

 

<< Buona fortuna, allora >> disse solo Xander. Non fece altre domande, non cercò di ottenere altre informazioni, non la costrinse a discutere della cosa: finalmente dimostrava che veramente non aveva molto più interesse in quello che faceva lei.

 

Irina sorrise, ma non c’era felicità dentro di lei: solo una grande tristezza, perché Xander l’aveva già dimenticata, e aveva perso ogni interesse verso di lei.

 

<< Grazie. Penso ce ne servirà molta >> rispose.

 

In quel momento entrarono Dimitri e Dan, e rivolsero a Xander un’occhiata perplessa. Il russo raggiunse la Punto e appoggiò la mano sulla portiera.

 

<< Possiamo andare >> disse, << Guido io >>.

 

Irina gli lanciò le chiavi, poi guardò Dan.

 

<< Grazie per la macchina >> disse, << E grazie anche per aver tifato per noi. Forse eri l’unico >>.

 

Dan sorrise, porgendole la mano.

 

<< Figurati, è stato un piacere. Avete fatto una gara strepitosa. Credo che sia stata la migliore rimonta in tutta la storia della Mosca-Cherepova… Se qualcuno non tifava per voi, nessuno può negare che siete stati davvero grandi. In bocca al lupo >>.

 

Irina strinse la sua mano.

 

<< Grazie, Dan. Ci rivediamo a Mosca >>.

 

Fece un leggero cenno di saluto a Xander, poi salì in macchina, dove Dimitri aveva già preso posto. Accese il motore mentre lei si allacciava la cintura, poi si guardarono.

 

<< Vai >> disse solo lei.

 

Dimitri affondò il piede sull’acceleratore, poi partì sgommando su per la rampa di scale, lasciandosi dietro l’esito di una gara che ora non sembrava poi così tanto importante.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Xander guardò la Punto sparire su per la rampa, e rimase un momento a fissare il vuoto l’asciato dall’auto di Irina. Qualcosa gli diceva che quella storia avrebbe avuto un risvolto anche su di loro, ma forse era presto per dirlo. Ormai sembrava che azzeccasse molto poco, nelle sue deduzioni.

 

Così Irina aveva vinto la gara e ora se ne andava per salvare la nipote di Dimitri… Lui l’aveva immaginato? No, in tutta sincerità.

 

E in tutta sincerità, doveva anche ammettere che era un duro colpo, per lui. Era sempre stato sicuro di vincere la Mosca-Cherepova, di arrivare primo e incontrare la Lince… Invece per poco non finiva affogato dentro una Ferrari in un lago ghiacciato… Bella consolazione.

 

Gettò un’occhiata a Dan, il tizio italiano, gli fece un cenno di saluto e raggiunse la 599 ammaccata e parcheggiata poco più in là. Si sedette al posto di guida e rimase a fissare il tachimetro, dove la lancetta era ferma sullo zero. Zero come si sentiva lui in quel momento.

 

Ora che non aveva vinto la Mosca-Cherepova, il suo ruolo si rimpiccioliva ulteriormente… Già quando stava a San Pietroburgo aveva avuto molto poco da fare. L’unica cosa positiva era stata l’incontro con Nina, che l’aveva fatto partecipare alla gara, e senza la quale forse non sarebbe arrivato da nessuna parte…

 

Improvvisamente si rese conto che forse la sua missione era stata solo un ripiego, che lo avevano mandato lì solo per tenerlo occupato e fare in modo che non interferisse con la vera incaricata del compito, Irina… Avrebbe dovuto capirlo prima, no? Lei era stata mandata a Mosca, nel cuore dell’azione, lui a San Pietroburgo, distante chilometri…

 

L’unica possibilità che aveva avuto per mettersi in gioco l’aveva persa: aveva a mala pena terminato la gara, nonostante avesse avuto a disposizione una Ferrari e Nina a fargli da guida…

 

“Brava Irina, mi hai dato una bella lezione, questa volta”.

 

Già, Irina… Era stata brava, davvero brava.

 

Come gli era apparsa diversa, poco prima… Bella, sicura, adulta… Aveva poco a che fare con l’Irina che aveva conosciuto, con quella che aveva lasciato tante volte a casa…

 

E poi, gli aveva salvato la vita. L’aveva tirato fuori dai guai, quando se l’era vista davvero brutta, chiuso dentro la 599 con l’acqua alla gola…

 

Non avrebbe mai dimenticato la sua espressione quando l’aveva vista comparire nel suo campo visivo mentre rischiava di scivolare nell’acqua ghiacciata: gli era parsa la determinazione in persona. Aveva rischiato la pelle e la sua adorata macchina per salvarlo…

 

Sì, era cambiata. Cambiata tanto, cambiata a tal punto da rendergliela riconoscibile… Cambiata a tal punto da essere un’altra, ma non per questo per fargli smettere di amarla. Perché forse quell’Irina più adulta, più sicura, più decisa gli piaceva… Perché forse solo ora si accorgeva che lei era sempre stata metà Fenice e metà Irina. Cioè quella di ora.

 

Nina non era stata niente. Alla fine si era rivelata per quello che era: una ragazza bellissima, ma vuota. L’aveva sedotto con quell’aria sicura, da donna “navigata”, con quel suo modo di fare sensuale, e lui ci era caduto perché aveva voluto vedere più di quello che c’era in realtà. Ci era caduto perché Nina rappresentava qualcosa che pochi possono avere, perché troppo bella, troppo perfetta per le gente normale. E lui non si era mai sentito normale, si era creduto migliore degli altri, ma non lo era mai stato. Se fosse davvero stato migliore, avrebbe capito subito chi era Nina, che Irina non aveva più bisogno di lui, e che la sua missione era solo un ripiego per tenerlo occupato.

 

Bene, aveva fallito su tutti i fronti.

 

Aveva fallito con la missione, con Nina, con la gara, e soprattutto con Irina. Per la prima volta nella vita, si rendeva conto di non essere stato capace di fare nulla.

 

Prima o poi il momento di incassare il colpo arriva per tutti, e per lui era arrivato proprio in quel momento. Era ora di abbassare la testa e ammettere che aveva sbagliato, che lasciava la palla nelle mani di qualcun altro. Continuare a rimanere in gioco senza poter fare niente non aveva senso.

 

Prese il cellulare dalla tasca e cercò un numero sulla rubrica. Poco dopo rispose la voce profonda e seria di McDonall.

 

<< Pronto? >>.

 

<< Sono Went >> disse Xander, neutro, << Ha parlato con Irina? >>.

 

<< Sì, l’ho sentita poco fa. Ma sono solo che ha vinto la gara, e mi ha accennato al fatto che lei e Dimitri hanno avuto un problema a Mosca. Ritelefonerà più tardi per spiegarmi come vanno le cose, comunque >>.

 

<< Bene. Visto che non ho vinto la gara, ho preso una decisione che volevo comunicarle subito… >>.

 

<< Agente Went… >> lo interruppe McDonall.

 

<< Mi lasci parlare. Non ho più niente da fare qui. Torno a Mosca e prendo il primo aereo per Los Angeles… Abbandono la missione >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 19.00 – Autostrada

 

Irina frugò nella borsa in cerca del cellulare, mentre l’abitacolo era illuminato solo dalla luce dei lampioni che scorrevano a folle velocità ai loro lati, la carreggiata dell’autostrada fortunatamente abbastanza sgombra da permettergli di tenere una buona andatura… Dimitri stringeva il volante con la fronte corrugata, silenzioso.

 

<< Eccolo… >>.

 

Cercò il numero nella rubrica, poi attese che rispondessero dall’altra parte della linea.

 

<< Agente Dwight, sono pronto ad ascoltare quello che avete da dire >> disse McDonall, ma nella sua voce c’era una nota preoccupata, << Cosa sta succedendo? >>.

 

Irina gli spiegò rapidamente come era andata la gara, la vittoria e il problema che era sorto all’improvviso. Gli raccontò del rapimento di Yana, e che Dimitri era determinato a liberarla: non faceva parte della missione, ma non potevano certo lasciare una bambina nelle mani di Vladimir.

 

<< Capisco… >> disse lentamente McDonall, << E ritengo dobbiate informare anche Demidoff di quello che sta succedendo, visto che è territorio loro >>.

 

<< Lo faremo >> disse Irina, << Intanto aspetteremo la chiamata della Lince, visto che sarà lei a farsi vedere >>.

 

<< Va bene >> McDonall si schiarì la voce, << Ho sentito l’agente Went, poco fa… >>.

 

Irina si chiese se il Vicepresidente fosse al corrente di ciò che era accaduto tra loro due. Evidentemente, dal tono vagamente imbarazzato, sapeva qualcosa. Forse Xander doveva averli accennato al fatto che non erano più legati di quando lo erano all’inizio, giusto per informarlo che le cose in missione cambiavano…

 

<< Tornerà a San Pietroburgo, immagino >> si affrettò a dire Irina, perché parlare delle sue vicende personali e affettive con il Vicepresidente le avrebbe creato un po’ di imbarazzo, << Potrebbe avere ancora un ruolo, nonostante non abbia vinto… >>.

 

<< No, Irina >> rispose McDonall, << L’agente Went ha deciso di ritirarsi, di abbandonare la missione >>.

 

Irina tacque, stupita. Xander non aveva mai abbandonato niente in vita sua, non si era mai lasciato battere… Ne aveva passate di peggiori, non era il tipo da abbassare la testa e accettare la sconfitta…

 

<< Perché? >>.

 

<< Ritiene di non avere più nulla da fare >> disse McDonall, << Che non può ottenere risultati migliori di questi… >>.

 

Irina fissò senza vederla la strada buia che scorreva davanti a lei.

 

<< Ma non è così >> disse, << Ci sono ancora un sacco di cose da fare… Non è detto che Lince voglia davvero incontrare noi. E se… >>.

 

Stava per dire: “E se io avessi bisogno di lui?”, ma si trattenne. Non poteva più contare su Xander, non da quando gli aveva rinfacciato di starle troppo addosso… Non poteva più pretendere qualcosa da lui.

 

<< Non aveva mai abbandonato una missione, fino ad oggi >> disse McDonall, << Ma quel momento arriva per tutti… >>.

 

<< Ok, ma… >> Irina si portò una mano alla fronte. << Lasciamo stare… E’ una sua decisione, nessuno può interferire >>. Non ci poteva credere, ma era l’evidente verità.

 

<< Concordo. Però mi ha riferito i suoi sospetti riguardo a una certa Nina Kraracova >> disse McDonall, come soppesando le parole, << Mi ha detto che ci sono ampie possibilità che la Lince sia lei… E devo dire di essere d’accordo. Molte cose combaciano >>.

 

Il nome della ragazza stridette nella testa di Irina. Nina la Lince? Era per quello che Xander aveva scelto lei, come co-pilota? Aveva sospettato fin dall’inizio di lei? Si apriva un ventaglio di ipotesi che potevano spiegare molte cose, ma… Ma non era così stupida da illudersi che quello potesse cambiare le cose tra lei e Xander.

 

<< D’accordo, ne terremo conto allora >> disse, neutra, << Se è lei, allora me la sono già fatta nemica… >>.

 

<< Devo parlare anche con Dimitri >> disse McDonall.

 

Irina passò il telefono al russo, che con la mascella contratta rispose a una domanda di McDonall che lei non sentì, ma che intuì lo infastidisse molto.

 

<< Sì, so esattamente a cosa stiamo andando incontro >> sbottò, << No… Lo saprò solo quando sarò davanti a Buinov, e non c’è missione che mi terrà lontano da lui… Se è davvero così, rischiano più di quanto hanno messo in conto >>.

 

Dimitri salutò e chiuse la telefonata: Irina ebbe l’impressione che, anche questa volta, avessero parlato di qualcosa di cui lei era all’oscuro. La stessa che tempo prima Dimitri non gli aveva voluto rivelare.

 

<< Pensi che Vladimir voglia incontrare di nuovo te? >> chiese lei.

 

<< Vladimir vuole me, nessun’altro >> rispose lui, quasi ringhiando, << Sapeva che durante la Mosca-Cherepova Yana e Vilena sarebbero rimaste sole in casa… Ha aspettato la gara per quello. Mi chiedo come abbia trovato il coraggio di farlo un’altra volta… Non ha nemmeno idea di quello che farò io a lui quando lo avrò tra le mani… >>.

 

Le nocche di Dimitri, strette sul volante, sbiancarono.

 

<< Tanto lo sapevo che si stava preparando… >> aggiunse, << Lo sapevo che lo avrebbe fatto di nuovo… Solo che credevo puntasse a qualcun altro >>.

 

Irina sospirò.

 

<< Me, immagino >> disse a bassa voce, << Forse sarebbe davvero stato meglio che rapisse me, non una bambina… Solo che per lui sarebbe stato più difficile… Dimitri, mi dispiace averti messo nei guai: se avessi saputo che le cose sarebbero andate così, ci avrei pensato due volte a mettermi contro Vladimir… >>.

 

<< Tu non centri >> disse secco Dimitri, << Non centri niente. Tornare qui significava anche questo, e io lo sapevo. Ma questa volta… >>.

 

Un cellulare squillò nel silenzio dell’abitacolo e interruppe Dimitri. Il russo lo tirò fuori dalla tasca, tenendo il volante con l’altra mano, e guardò il display.

 

<< E’ lui >> disse solo.

 

Irina annuì, abbassò il volume della radio e lo guardò rispondere alla chiamata.

 

<< Spiegami con quale coraggio lo hai fatto di nuovo >> ringhiò il Mastino nel microfono, << Sei un coniglio, Vladimir. Avresti dovuto venire da me subito, non scappare durante la Mosca-Cherepova. Dimmi quello che vuoi, ma credo già di saperlo >>.

 

Ci fu un momento di silenzio, poi Dimitri sembrò assumere un’espressione perplessa.

 

<< Perché tutti e due? >> disse solo.

 

Irina lo guardò, con l’impressione che ci fosse qualcosa di strano. Fece un cenno a Dimitri per dirgli che non capiva cosa stava succedendo.

 

<< Ci vuole entrambi >> rispose il russo.

 

Irina rimase interdetta, poi domandò: << Puoi mettere il vivavoce, per favore? >>.

 

Dimitri schiacciò un tasto sul cellulare, e lo diede a lei.

 

<< Perché ci vuoi tutti e due, Vladimir? >> chiese Irina.

 

La frase cadde nel silenzio, poi una risatina si propagò nell’abitacolo.

 

<< Fenice, sei in ascolto? >> chiese Buinov, fintamente sorpreso.

 

<< Sì, sono in ascolto >> rispose lei, << Con quale coraggio prendi in ostaggio una bambina, per di più innocente? >>.

 

<< E’ inutile che mi facciate la ramanzina >> disse Vladimir, divertito, << Sono io ad avere il coltello dalla parte del manico, perciò mi ascolterete, se volete che la vostra bambina ne esca sana e salva… Voi vi presentate quando ve lo dico io in un posto che vi farò sapere una volta arrivati a Mosca, e io libero la bambina. Tutti e due. Se ritenete che la vita della sgorbietta valga così tanto, non dovrebbe essere un problema per voi >>.

 

Irina guardò Dimitri.

 

<< Io mi presenterò >> disse il Mastino, sia rivolto a Buinov che a lei, << Sai che non mi tirerò indietro… Cosa c’entra Irina? >>.

 

Vladimir ridacchiò.

 

<< Bé, in tutta sincerità, a me serve ben poco, la tua amichetta >> rispose Buinov, << Ma sai, se si possono prendere due piccioni con una fava, perché non approfittarne? >>. Ridacchiò.

 

Irina non era convinta dalle parole del russo: quella non era una risposta. In effetti, Vladimir voleva Dimitri morto, ma non aveva mai detto di voler uccidere anche lei… Aveva solo rifiutato la sua proposta di alleanza, ma bastava solo quello a fargli cambiare idea?

 

<< Una persona per una persona >> disse Dimitri, << O me, o niente. A meno che tu non ammetta che c’è qualcun altro che ti sta aiutando… >>.

 

<< Qualcun altro? >> fece Vladimir, << , è ancora presto per scoprirlo… Voi pensate bene alla mia proposta, e fatemi sapere. Altrimenti sai che fine fa la tua adorata nipotina >>.

 

La telefonata venne chiusa, e Irina rimase impalata a guardare il cellulare. Decisamente c’era qualcosa di strano, e Dimitri lo sapeva. Lo guardò, leggendo nei suoi movimenti rigidi l’apprensione e la rabbia.

 

<< Cosa stava dicendo? >> chiese.

 

Dimitri scosse il capo.

 

<< Sono convinto che ci sia dietro qualcos’altro, altrimenti non chiederebbe anche te come ostaggio >> rispose, << Se ci vuole entrambi, un motivo c’è >>.

 

<< E quale potrebbe essere? >> chiese Irina.

 

<< Ci ritiene entrambi pericolosi >> rispose Dimitri, << O forse ti vuole usare per incontrare la Lince. Saprà sicuramente che abbiamo vinto la gara, e saprà altrettanto bene che prima o poi la Lince si farà viva con noi… Con te, soprattutto >>.

 

<< Non ha molto senso >> ribatté lei, << A meno che tu non sappia qualcosa che io non so… >>.

 

Gli rivolse un’occhiata eloquente, ma Dimitri non si scompose.

 

<< So un sacco di cose che non sai, Irina >> disse lui, << Decisamente molte. Vladimir vuole incontrare la Lince per ucciderla, credo. Vuole te perché forse pensa di potermi tenere sotto tiro anche in quel modo… Ci sono un sacco di motivi per spiegare il suo comportamento, ma tu non verrai con me, e lui lo dovrà capire: non rischierò che ammazzi due persone per avere me >>.

 

Irina lo guardò, e comprese ciò che preoccupava Dimitri: il suo pensiero era andato a sua sorella, prima rapita e poi uccisa… Vladimir aveva cercato di attirarlo nello stesso modo, e cosa gli impediva di fare di nuovo la stessa cosa? Magari si sarebbero presentati da lui per poi scoprire che aveva sgozzato Yana senza pietà… Poteva accadere di nuovo, e Dimitri ne era consapevole.

 

Abbassò lo sguardo per un momento, cercando di pensare.

 

Non poteva esserci un modo per mettere al sicuro almeno Yana? In fondo lei non c’entrava nulla, era una bambina… Come potevano fare in modo che Vladimir non si trovasse in una posizione di vantaggio?

 

<< Lo so a cosa stai pensando… >> disse lentamente, rivolta a Dimitri, << Vladimir potrebbe tenderci un’altra trappola come quella in cui uccise tua sorella >>.

 

Il russo strinse il volante.

 

<< Lo so >> ringhiò tra i denti, << Ma per il momento non posso fare nient’altro, se non presentarmi lì. Una volta che saremo di fronte, saprò se mi ha ingannato ancora… >>.

 

Irina guardò fuori dal finestrino, mentre il guard-rail scorreva rapido nella notte.

 

<< Credi che mi voglia uccidere? >> domandò.

 

<< Non lo so >>.

 

<< Non c’è un modo per mettere Yana al sicuro prima di incontrarci? >> domandò lei.

 

<< Se ci fosse, lo avrei già messo in pratica… >>.

 

Ma Irina non credeva alle sue parole: improvvisamente, aveva capito che un modo esisteva. Esisteva, e forse Dimitri ci aveva già pensato, ma non voleva vagliarlo.

 

Subito si diede della pazza, perché ci andava coraggio e follia per mettere in atto una cosa del genere, soprattutto di propria spontanea volontà. Ma aveva una coscienza che le diceva che la vita di quella bambina valeva molto più della sua.

 

<< Andrò solo io >> disse Irina, << Chiederò a Vladimir uno scambio di persona. Libera Yana e prende me, dopodiché potrà tenermi in ostaggio finché tu non ti presenterai di fronte a lui >>.

 

Nell’abitacolo calò il silenzio, e per un momento Irina pensò che Dimitri non l’avesse proprio sentita. Poi lui fece una smorfia, stringendo convulsamente il volante.

 

<< Avevo appena detto che non avevo intenzione di metterti in mezzo… >> ringhiò.

 

<< Sono già in mezzo >> ribatté lei, << E’ l’alternativa migliore. Vladimir avrà sempre il suo ostaggio da tenere sotto tiro, ma intanto Yana sarà al sicuro… E intanto tu potrai prepararti per l’incontro con lui >>.

 

Ancora silenzio: Dimitri soppesava le sue parole.

 

<< Cosa ti fa pensare che lui accetterà? >> chiese alla fine.

 

<< Nulla, ma possiamo tentare >> rispose lei, << Gli chiederemo se gli va bene lo scambio, e se davvero c’è qualcosa dietro, sono sicura che accetterà. In questo modo ci avrà tutti e due, esattamente come vuole >>.

 

Lo sapeva che era qualcosa di avventato, pericoloso e incosciente… Non faceva parte della sua missione, non era lì per vedersela con un russo pazzo, ma qualcosa le diceva che quella era la decisione migliore da prendere. Yana andava portata in salvo, e lei non aveva paura di mettere a repentaglio la sua vita per lei.

 

<< Sei una stupida >> disse Dimitri, << Ti farai ammazzare, così… E’ una cosa tra me e lui, tu non c’entri nulla, non ti devi immischiare… >>.

 

<< Io non sono tua sorella, Dimitri >> ribatté Irina, << So come si comportano i piloti clandestini, so cosa vuol dire essere presi in ostaggio… Ho molte più possibilità di cavarmela di quanto pensi. Tra me e Yana chi credi che corra meno rischi? >>.

 

Dimitri tacque, e Irina sapeva che il suo ragionamento non faceva una piega.

 

<< Dimitri, lo sai che ho ragione >> continuò lei, << Non essere stupido, e non cercare di convincermi che non ce ne sia bisogno… Capisco che per te sia un problema mettermi in mezzo, ma lo sai meglio di me se non vuoi correre rischi è il piano migliore che abbiamo >>.

 

Il russo le gettò un’occhiata, gli occhi grigi imperscrutabili.

 

<< Perché dovresti farlo? >> ringhiò, << Non sei una di noi, non c’entri in questa storia… >>.

 

Irina decise di giocarsi il tutto per tutto: finché non si rendeva conto di tutti i pericoli, doveva assolutamente convincerlo… Dopo, il minimo pensiero avrebbe potuto intaccare le sue certezze e soprattutto la sua convinzione.

 

<< Allora rispondi a questa domanda: preferisci me, o preferisci Yana? >>.

 

Dimitri fece una smorfia, ma rimase zitto. Irina non gli staccò gli occhi di dosso, cercando di capire cosa passasse nella sua testa, ma lei sapeva già la risposta: anche se tra loro era successo quello che era successo, era certa che Dimitri tenesse più a Yana che a lei. E in ogni caso, quale che fosse stata la sua idea, Dimitri non avrebbe risposto, perché rispondere significava mettere a nudo un’altra volta i suoi sentimenti…

 

<< Fa’ quello che vuoi, Irina >> disse alla fine, seccato e infastidito, << Se vuoi farti ammazzare, fa’ pure. Basta che sai esattamente quello che stai facendo, perché le cose a volte non vanno come vorremmo >>.

 

<< So quello che faccio, Dimitri >> ribatté lei, << Ma Yana è una bambina, e sono pronta a correre il rischio per lei. Dammi il cellulare, telefono a Vladimir >>.

 

Dimitri non si mosse, continuando a tenere stretto il volante con le mani. Irina gli gettò un’occhiataccia, anche se le venne da sorridere: sembrava determinato a non metterla in mezzo, a non farle fare di testa sua… I tempi in cui credeva che la odiasse erano passati.

 

<< Avanti >> lo incitò lei.

 

Il russo le passò il cellulare, e lei lo prese, sapendo che forse stava facendo la cosa più stupida e avventata di tutta la sua vita, compresa quella di entrare nel giro di William Challagher.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 20.30 – Mosca

 

William guardò il cellulare appoggiato sul tavolo vibrare e illuminarsi insistentemente nella stanza semi buia, sul display il nome “Dimitri Goryalef” che giganteggiava minaccioso. Alzò lo sguardo su Vladimir, seduto dall’altra parte del tavolo, e disse a bassa voce: << Di già? Hanno fatto in fretta a parlarne… >>.

 

Il russo si strinse nelle spalle. << C’era poco da pensare. Sono stato piuttosto chiaro >>.

 

<< Voglio comunque sentire quello che diranno >> disse William, << Andiamo di là, e metti il vivavoce. Non voglio che la marmocchia si svegli, visto che finalmente sta zitta… >>.

 

Yana, dopo essersi sbafata metà del vassoio di dolci che Dan gli aveva portato, si era addormentata nel suo letto e con suo enorme fastidio. In quel momento giaceva sotto la coperta con la faccia ancora impiastricciata di zucchero a velo, e dormiva beata ignara del fatto che stavano per parlare con il suo adorato zietto

 

Uscirono dalla stanza e si sedettero nel piccolo salotto. Vladimir sistemò il telefono sul tavolo, poi premette un tasto.

 

<< Presa la vostra decisione, Dimitri? >> chiese, sardonico.

 

<< Sì, ma non sono Dimitri, e la decisione che abbiamo preso è un po’ diversa dalla tua >>.

 

La voce di Irina, limpida, chiara, sicura uscì dal microfono del telefono lasciando William paralizzato dov’era, preso alla sprovvista, impreparato a quel suono che in un attimo lo riportò indietro di anni, in un'altra città, in un’altra stanza, in un altro mondo che si era sbriciolato nel momento stesso in cui aveva sentito quella voce per la prima volta…

 

Strinse il pugno, mentre le parole appena pronunciate da Irina riverberavano dentro di lui, come amplificate, e una sensazione di urgenza si impossessò di lui… Fissò il cellulare, realizzando solo in quel momento che Irina era dall’altra parte della linea, che esisteva ancora, che non era un semplice ricordo che si era tenuto stretto per avere uno scopo… Irina viveva, ignara che lui la stava ascoltando; ignara che lui ricordava tutto; ignara che la stava cercando…

 

<< Oh, Fenice, sei tu >> disse Vladimir, per niente sorpreso, e che non si era accorto della sua reazione, << Cosa intendi dire? >>.

 

<< So che ci vuoi entrambi, ma noi non ci fidiamo di te >> disse Irina, sicura, << Chi mi dice che una volta che ci consegneremo, libererai la bambina? >>.

 

<< Nessuno ve lo dice, infatti >> ribatté Vladimir, << Ma se la volete rivedere viva, dovete venire da me… >>.

 

“L’ho trovata… L’ho trovata…”.

 

I pensieri iniziarono a susseguirsi nella mente di William, pensieri senza senso, di quello che era successo in passato, di quello che poteva succedere, di quello che sarebbe successo

 

<< Io ho un’idea migliore >> disse Irina, catturando ancora la sua attenzione, << Facciamo uno scambio: prendi me al posto della bambina, così Dimitri sarà sicuro che a Yana non verrà fatto del male. Quando lei sarà a casa, lui tornerà per venire a prendere me e vedersela con te. Ci avrai tutti e due, ed è quello che vuoi, no? >>.

 

William guardò Vladimir, basito. Non tanto per quello che voleva fare Irina, ma per come lo aveva detto: non sembrava quasi una proposta, sembrava un ordine. La sua voce era così sicura, così diversa da quella che l’aveva implorato in quei giorni dove avevano consumato la loro rovina, che non sembrava fosse lei a parlare.

 

“Devo vederla… La devo vedere”.

 

<< Non vi ho detto che potevate fare delle proposte >> disse Vladimir, << Vi ho solo detto di decidere sì, oppure no, alla mia >>.

 

<< Allora rischi di non vederci proprio >> ribatté Irina, << Se ci vuoi avere tutti e due, devi accettare la nostra proposta, altrimenti io non mi presenterò all’incontro… Anche perché non capisco cosa tu voglia da me >>.

 

Vladimir alzò lo sguardo su William, come a dire: “Sentito la ragazza? Fa la furbetta…”.

 

Lo Scorpione rimase di sasso, con la forte tentazione di parlare e sentire la voce di Irina rompersi per la paura e la sorpresa, ma si trattenne. Lei era dall’altra parte del telefono, ma lui voleva averla davanti… Voleva vedere di nuovo il suo volto, voleva vedere le sue labbra muoversi per implorare ancora, voleva vedere i suoi occhi abbassarsi di fronte ai suoi… Perché se lei avesse saputo, se lei avesse sospettato che in mezzo c’era anche lui, non si sarebbe mai presentata…

 

<< Ci sono un sacco di persone a cui non piaci, Fenice >> rispose baldanzoso Vladimir, << E che sarebbero molto felici di saperti fuori dalla circolazione… Magari anche la stessa Lince, chi lo sa. E poi, mi piacerebbe fare ancora due chiacchere con te: non so se faresti più tanto la coraggiosa, in certe situazioni… >>.

 

William alzò lo sguardo su Buinov, arricciando le labbra.

 

“Lei è mia… Lei è solo mia”.

 

<< Avrai modo di parlare tutto il tempo che vuoi, con me >> rispose Irina, << Ma lascia andare la bambina. Ci avrai entrambi, tanto. Volevi rapire me perché eri convinto che Dimitri sarebbe venuto a prendermi, no? >>.

 

Un bisogno assurdo di vederla prese possesso di William: al diavolo Dimitri, al diavolo Vladimir, lui doveva vedere Irina. Doveva averla davanti per prendersi la sua vendetta, non voleva aspettare ancora…

 

Fece un cenno a Vladimir, che tolse il vivavoce dal telefono. << Accetta >> gli disse.

 

Dimitri poteva aspettare: voleva ucciderlo, non parlare con lui. Ma con Irina voleva usare tutto il tempo necessario, tutto quello di cui c’era bisogno…

 

<< E se Dimitri non viene? >> domandò Vladimir, irritato.

 

<< Verrà >> ribatté William.

 

<< Ti assumi tu la responsabilità di tutto >> disse Vladimir, << Se non viene a cercarla, mi tengo la ragazza >>.

 

William annuì. Il russo premette di nuovo il tasto del vivavoce e disse, seccato: << D’accordo, Fenice. Faremo questo scambio. Ma se il tuo amichetto non si farà vivo, andrai incontro a una morte molto dolorosa >>.

 

Chiuse la telefonata, e William rimase a guardarlo, sentendo qualcosa dentro di lui crescere a dismisura, qualcosa che sembrava soddisfazione mista a compiacimento…

 

Alla fine il momento era arrivato. Alla fine avrebbe avuto la sua vendetta: Irina sarebbe stata davanti a lui, dopo due lunghi anni di attesa… E avrebbe risposto a tutte le sue domande, che volesse o meno.

 

“I giochi sono finiti, bambolina”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Allors, come vedete Irina ha avuto una bella idea, eh? E’ abbastanza incline ai gesti suicidi, ultimamente… Mah, tanto è chiaro che incontrerà William e lì si renderà conto del guai in cui si è cacciata.

Quando a Xander… Si ritira. Qualcuno lo aveva creduto possibile? Abbandona la missione, e forse alcune lettrici credono che sia la lezione che si merita per il comportamento che ha tenuto fino ad ora… Però mi sembra che abbia capito un po’ dei suoi errori, no?

Dimitri… Ah, Dimitri si trova in bel guazzabuglio: meglio Yana o Irina? Chissà cosa passa dentro la sua bella testa (non esiste un pov di Dimitri perché sarebbe impossibile descrivere tutto quello che pensa e che prova… e poi si svelerebbero troppe cose, no?)… Però chiaramente non è molto contento nel mandare Irina nella tana del lupo, quale che sia la sua motivazione. Il suo cuore di ghiaccio si è un po’ sciolto, forse.

William… William credo ormai sia sull’orlo di una crisi di astinenza: se non vede Irina il prima possibile impazzisce. Che la voglia uccidere o no, la vuole davanti perché ha ancora bisogno di sentirsi odiato da lei: è l’unica cosa che è rimasta uguale a quando era ancora libero. Sarà il loro incontro a mostrarci qualcosa di nuovo, credo.

 

Ringrazio tutti per le recensioni e vi mando un bacio enorme!

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 33
*** Capitolo XXXIII ***


Capitolo XXXIII

Capitolo XXXIII

 

 

 

 

Solo ieri c'era lei,
nella vita mia,
solo ieri c'era un sole
che metteva allegria
e io mai
credevo proprio che mai
mai più andasse via

Prima cosa che farò
via non butterò
tutto quello che di buono
ho costruito fino a qui
e da qui,io ripartire vorrei
dai nuovi passi miei
ricomincerò.

[ Solo ieri – Eros Ramazzotti ]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 06.00 – Autostrada

 

Irina stiracchiò le braccia anchilosate, sbattendo contro il finestrino chiuso della Punto, e si lasciò andare a un gemito di fastidio sentendo i muscoli del collo indolenziti. Aprì gli occhi, mentre la luce grigia del mattino illuminava l’abitacolo, una leggera musica di sottofondo a farle da sveglia. Oltre il vetro, la strada poco trafficata scorreva veloce sotto un cielo plumbeo e particolarmente triste.

 

Guardò l’orologio, la testa ancora abbandonata sul sedile, e fece un rapido conto… Si era addormentata verso l’una di notte, quindi Dimitri aveva guidato più o meno

 

<< Cinque ore! >> gridò, voltandosi verso il russo, che teneva lo sguardo stanco ma sveglio fisso sulla strada, la barba lunga più del solito e una ruga profonda in mezzo alla fronte, << Ti avevo detto di svegliarmi alle tre! Hai guidato fino ad ora senza fermarti?! >>.

 

<< Non ne avevo bisogno >> ribatté lui, << E poi mi sembrava dormissi troppo bene per voler essere svegliata… >>. Non c’era derisione né tenerezza nel suo tono: era una semplice constatazione.

 

Irina lo guardò male.

 

<< Quanto sei… >> cominciò, poi lasciò perdere, << Adesso ti fermi e ci diamo il cambio >>.

 

<< E’ inutile. Siamo quasi arrivati >>.

 

Irina inarcò un sopracciglio, poi vide scorrere oltre il vetro della Punto un cartello che indicava dieci chilometri a Mosca… Allora erano arrivati, finalmente.

 

Un giorno e mezzo. Un giorno e mezzo ci avevano impiegato da Cherepova a Mosca, guidando a turno per non perdere troppo tempo, e fermandosi solo quando era necessario. Era stato un viaggio estenuante, e nonostante la dormita Irina si sentiva distrutta: forse mai quanto Dimitri, che aveva guidato molto più di lei, soprattutto di notte. La Punto aveva resistito solo perché non l’avevano tirata al massimo, e si erano accontentati di una media un po’ più bassa ma costante. La gara si faceva sentire, anche se avevano vinto, e il poco riposo non era bastato; l’unica cosa che li teneva in piedi era il pensiero di Yana.

 

Avevano parlato poco: erano entrambi nervosi e preoccupati, e si erano lasciati più spazio per pensare che per conversare. Irina aveva detto a Dimitri che Xander tornava a Los Angeles, e quando aveva rivelato i suoi sospetti su Nina, si era rivelato molto scettico: secondo lui la ragazza non era la Lince, almeno non quella vera. Forse si spacciava per lei per avere qualche vantaggio, ma lui era sicuro che non lo fosse. Da dove derivava quella sicurezza, Irina non riuscì a capirlo, ma si rese conto che anche lì il Mastino sapeva qualcosa che a lei era oscuro.

 

Non si era soffermata a pensare troppo al suo piano perché, anche se non si era pentita, non voleva far vacillare il suo coraggio. Mettersi lì e cercare di capire cosa poteva succedere avrebbe rischiato di farle cambiare idea… Era anche per quello che aveva fatto la proposta a Vladimir subito, senza indugiare: ormai non poteva tornare indietro, anche se la paura c’era.

 

McDonallXander avrebbero saputo dello scambio: non glielo avrebbe detto, perché questo non riguardava la missione, e poi si sarebbero sicuramente opposti. Le avrebbero rinfacciato il fatto che il suo compito era un altro, che non poteva rischiare tutto, anche se c’era di mezzo una bambina… Era sicura di poter mettere in atto il suo piano senza che nessuno sapesse niente, anche se non dipendeva veramente tutto da lei.

 

Guardò Dimitri, sapendo che molto, forse gran parte, della riuscita del suo piano dipendeva da lui: una volta effettuato lo scambio, lei non avrebbe potuto fare più niente, oltre che aspettare. Vladimir voleva lui soprattutto, e di sicuro non si sarebbero seduti insieme a bere un tè. Doveva sperare che Dimitri riuscisse a uccidere il suo nemico, per uscirne viva anche lei. E questo significava mettere la sua vita nelle sue mani.

 

Ma tanto ormai si fidava di Dimitri, si fidava di lui più che di se stessa.

 

<< Dove dobbiamo incontrarci? >> chiese a bassa voce, mentre attraversavano la città nel traffico del mattino.

 

<< In un vecchio magazzino nella periferia della città, questa sera verso le undici >> rispose Dimitri.

 

<< Non fare stronzate, quando saremo lì >> disse Irina, << Tipo cercare di portarci via tutte e due insieme o sparare a Vladimir… Prima riporti Yana a casa, poi torni e fai tutto il casino che vuoi >>. Meglio mettere in chiaro le cose, visto che il russo aveva l’aria piuttosto bellicosa.

 

Dimitri sembrò nascondere un sorriso, di fronte al suo tono.

 

<< Tu fai stronzate dalla mattina alla sera, e poi mi vieni a fare la ramanzina? >> ribatté.

 

<< Era per accertarmi che lo sapessi… >> disse lei.

 

Dimitri scosse il capo.

 

<< Non sono stupido >>.

 

<< Lo so che non lo sei >>.

 

Dimitri la guardò stranito, e lei sorrise.

 

<< Avanti, siamo arrivati a casa >> disse Irina, facendo finta di niente, << Ho bisogno di dormire in un letto vero, prima di questa sera. Non credo che stanotte mi daranno una bella stanza con vista sul lago, no? >>.

 

Il russo entrò nel garage sotterraneo lentamente, e a Irina sembrò che fossero passati secoli da quando erano partiti… Tutte le belle di auto di Dimitri erano al loro posto, compresa la Ferrari California bianca. Nulla sembrava essere stato toccato, però nell’aria c’era qualcosa di nettamente diverso… O forse era la consapevolezza che loro erano diversi.

 

Parcheggiarono la Punto al suo solito posto, e scesero. Irina si stiracchiò, recuperò la sua borsa e insieme a Dimitri prese l’ascensore, entrambi troppo stanchi per avere voglia di dire qualcosa. Arrivati sul pianerottolo, trovarono Emilian ad aspettarli, lo sguardo truce sul volto sfregiato. Forse li aveva visti entrare in garage.

 

<< Siete arrivati… >> disse, facendoli passare, << Ci avete messo meno del previsto… >>.

 

Dimitri lo scansò e andò ad aprire la porta dell’appartamento. Sembrava vagamente arrabbiato con il cugino.

 

<< Vilena? >> chiese solo.

 

<< Di là >> rispose Emilian, << Sai già che fare? >>.

 

Dimitri spalancò la porta, gettò la borsa sul pavimento e si voltò a guardare suo cugino.

 

<< A parte ammazzarlo? >> ringhiò, << Stasera lo incontriamo, faremo uno… >>.

 

<< Dimitri >>. Irina lo interruppe, lanciandogli un’occhiata eloquente: non voleva che parlasse del suo piano, non voleva che sapessero cosa si era proposta di fare… Era chiaro che non era tenuta a farlo, ma non voleva passare per l’eroina della situazione: meglio che non sapessero niente, soprattutto Vilena, che si sarebbe profusa in ringraziamenti che lei sentiva di non meritare.

 

<< Non ne voglio parlare >> aggiunse, per farsi capire meglio.

 

Dimitri ricambiò il suo sguardo, ed Emilian sembrò arrabbiarsi decisamente troppo in fretta, come se essere escluso dalla conversazione lo avesse profondamente offeso. Era evidente che la tensione era alle stelle.

 

<< Che cazzo vuol dire? >> sbottò, << Adesso si mette anche a dare ordini? Lo sai che Vladimir voleva lei, Dimitri! Yana è con lui, ed è anche in parte colpa sua… >>.

 

Irina rimase paralizzata per l’improvviso sfogo di Emilian, ma non Dimitri. Il Mastino fece un passo verso il cugino e ringhiò: << Infatti avrà lei. Stasera si scambierà con Yana e farà da ostaggio. E vorrei farti sapere che l’idea non è stata mia >>.

 

Emilian rimase di sasso, poi spostò lo sguardo su Irina, come se non credesse alle parole del cugino. Lei non si mosse, senza sapere che fare, irritata dal fatto che il Mastino aveva comunque rivelato la sua idea.

 

<< Vedi di non dirlo a Vilena >> aggiunse Dimitri, senza degnarla di uno sguardo.

 

<< Perché? >> domandò Emilian.

 

<< Perché lei non vuole >> rispose il Mastino, facendo un cenno verso Irina.

 

Emilian le gettò un’altra occhiata, borbottò qualcosa poi si voltò. Irina lo seguì con lo sguardo mentre usciva dall’appartamento, come se fosse troppo spiazzato dalla situazione per avere altro da dire.

 

<< Non è passato tutto sotto silenzio come volevo, ma almeno Vilena non saprà niente… >> borbottò Irina, una volta che Emilian si fu chiuso la porta alle spalle, rivolta a Dimitri, << Grazie comunque per aver cercato di mantenere un minimo di segretezza… >>.

 

Lui fece una mezza smorfia, poi si girò per guardare il soggiorno vuoto.

 

<< Non mi devi ringraziare, visto che ti sto facendo commettere un suicidio… >> borbottò.

 

Irina sorrise, guardando la sua schiena, e provò un’irresistibile voglia di abbracciarlo. Dimitri non era quel pezzo di ghiaccio che tutti che credevano, e lei ogni volta si stupiva di quanto potesse rivelarsi umano, certe volte. Aveva paura di pensare a cosa esattamente lui provasse nei suoi confronti, perché la metteva in imbarazzo e in ansia: si sentiva in colpa al pensiero che erano finiti a letto insieme, senza che lei fosse innamorata di lui… Però sapeva di non essersi ancora pentita, e ringraziava Dimitri per non aver insistito, per non averci provato di nuovo, per aver rispettato la sua scelta. Era successo una volta, poteva succedere di nuovo, ma dovevano volerlo davvero entrambi.

 

Si avvicinò, accorgendosi che Dimitri sembrava stranamente frustrato, come se volesse fare o dire qualcosa ma non riuscisse o non volesse farlo. Non intendeva darlo a vedere, ma Irina sapeva che era preoccupato, teso e forse anche spaventato per via del rapimento di Yana, e che ormai la stanchezza lo rendeva più irascibile del solito. Gli sfiorò la spalla e lui si voltò di scatto, inchiodandola con i suoi occhi grigi sul posto.

 

Si guardarono un momento, e Irina si pentì di essersi avvicinata così tanto. La sua vicinanza la turbava, ma riusciva a sentire il calore della sua pelle senza nemmeno toccarla…

 

<< Dimitri… >> sussurrò appena.

 

Lui alzò una mano e la afferrò per il mento, costringendola a guardarlo proprio dritto nelle sue iridi color tempesta. Irina sentì il suo fiato sulle labbra, e con il panico addosso si chiese se potesse di nuovo succedere qualcosa…

 

<< Sei una stupida, sciocca ragazzina senza cervello >> disse Dimitri, a bassa voce, << Sei così avventata che certe volte… Certe volte… >>.

 

Sembrava senza parole, e Irina non sapeva che fare. Continuò a fissare quegli occhi di profondi e scuri, il viso del russo a pochi centimetri dal suo, senza riuscire a respirare.

 

<< Sei così stupida che certe volte ti vorrei baciare solo per farti stare zitta ed evitare che tu dica le tue solite stronzate >>.

 

Irina lo guardò, e si accorse che Dimitri sorrideva. Arrossì, sentendosi spogliata da quello sguardo di ghiaccio, e non disse nulla, perché aveva il cervello ingolfato e il cuore che batteva troppo forte… Dimitri era bello, in fondo, e si stava mostrando per come lei non lo aveva mai immaginato: le piaceva quel suo modo di fare, quel suo essere estremamente virile e distante, anche quando non lo era…

 

Con lui tante cose sarebbero state più facili: Dimitri la lasciava essere se stessa, le lasciava commettere tutti gli errori che voleva, la accettava per quello che era… Forse iniziare qualcosa con lui non si sarebbe rivelata una scelta sbagliata… Forse Xander era stato davvero solo un “passaggio”, qualcosa che l’aveva cambiata e l’aveva preparata a… Dimitri.

 

Ma qualunque fosse la ragione del fatto che solo ora, solo adesso, si capivano davvero, quando avevano passato anni nello stesso posto senza nemmeno guardarsi, disprezzandosi addirittura, Irina non riusciva a cancellare quello che aveva dentro il cuore, non riusciva a fargli spazio come avrebbe dovuto…

 

Improvvisamente le venne da piangere, e si morse il labbro con rabbia. Si odiava per non riuscire a provare verso Dimitri qualcosa che fosse di più di affetto e amicizia. Era confusa, ma non abbastanza da non capire che ancora non era innamorata di lui.

 

Il russo si accorse dei suoi occhi lucidi, e il suo sorriso svanì lentamente. Irina distolse lo sguardo, frustrata.

 

<< Ti prego Dimitri, io non voglio giocare con te… >> mormorò.

 

Lui si allontanò appena.

 

<< Questo lo so già >> disse, e si voltò.

 

Irina tornò a respirare, poi vide Dimitri girarsi nuovamente verso di lei, serio.

 

<< Nemmeno io voglio giocare con te >> aggiunse il russo, << Soprattutto adesso che… >>.

 

Si interruppe e le fece cenno di andarsi a sedere sul divano, come se facesse ancora fatica a dire quello che gli passava per la testa. Irina capì che si trattava di qualcosa di importante, così si accomodò in silenzio e attese. Dimitri rimase in piedi, gli occhi grigi che non si staccavano da lei.

 

<< Vilena ti ha raccontato come sono andare le cose con Vladimir >> disse, << Che è cominciato tutto con l’uccisione di mio padre… >>.

 

Irina annuì, anche se non era una domanda. Improvvisamente, il Mastino aveva deciso che era ora di parlare del suo passato, e la cosa la lasciò spiazzata. C’era ancora qualcosa che non era stato rivelato?

 

<< Ti ha detto anche il motivo, immagino >> aggiunse Dimitri.

 

<< Tua sorella… >> rispose Irina, titubante.

 

<< Quello è ciò che credono Vilena e tutti gli altri >> ribatté Dimitri, incrociando le braccia, << E’ non è la verità. Vladimir non avrebbe aperto una faida familiare se non ci fosse stato qualcos’altro sotto, qualcosa di molto grosso e di molto importante… Mia sorella era solo una scusa. Non c’entrava >>.

 

Irina fissò Dimitri, con la sensazione che ci fosse davvero qualcosa di strano.

 

<< Che vuoi dire? >> sussurrò.

 

Dimitri la trafisse con lo sguardo, gli occhi grigi che non si staccavano dalla sua faccia come se avesse una calamita… Attese un momento prima di rispondere, poi disse, secco: << Irina, io dovevo essere la Lince >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 17.00 – Mosca

 

William sputò una boccata di fumo in direzione del soffitto, sdraiato sul letto con una mano dietro la testa e gli occhi chiusi. La leggera musica di sottofondo lo rilassava, mentre aspettava che le ore scorressero lente fino a portarlo a quella sera, alle undici, all’incontro che tanto aspirava…

 

Nel momento stesso in cui aveva sentito la voce di Irina, tutto era passato in secondo piano: Dimitri e Went erano diventati solo due figure indistinte ai margini dei suoi pensieri, qualcosa di cui si sarebbe occupato con calma più avanti. Tutto era iniziato con Irina, ed era lei ad avere la precedenza: averla davanti sarebbe stato come essere di nuovo il numero uno della Black List.

 

<< Ho vinto >> disse una voce di bambina, limpida e chiara. << Di nuovo >>.

 

Qualcuno borbottò.

 

<< Incomincio a rompermi le palle di questo gioco >> disse Dan, << Perché proprio io devo fare da baby-sitter? >>.

 

William aprì gli occhi e guardò Yana e Dan seduti al tavolino a giocare a carte, con la bambina che faceva penzolare le gambe con aria furba, contenta per l’ennesima vittoria.

 

<< Sta zitto e gioca >> disse William, secco.

 

Per far smettere Yana di lagnarsi aveva costretto Dan a passare del tempo con lei, e anche a giocarci se era necessario; l’idea era stata ottima perché la bambina non aveva dato segni di voler piangere ancora, nonostante ogni tanto chiedesse quando l’avrebbero riportata a casa.

 

Intanto lui si godeva l’attesa con una sensazione di euforia addosso, sapendo che entro poche ore Irina sarebbe stata tra le sue mani, e che c’erano tante cose che potevano fare insieme… Vladimir non capiva e non sapeva quando rivolesse quella ragazza, cosa lo legasse a lei, e non era contendo di che piega aveva preso la situazione. Ma tanto sicuramente non si rendeva conto che aveva fatto un patto con la persona sbagliata, perché aveva intenzione di prendersi la sua vendetta anche su Dimitri. Con più calma, ma non lo avrebbe certo lasciato fuggire.

 

Guardò l’orologio, e si chiese dove avrebbe portato Irina una volta che lo scambio fosse avvenuto… Di sicuro non poteva tornare lì, in albergo, perché una volta che si sarebbe trovata di fronte lo Scorpione, sapeva che non si sarebbe certo lasciata prendere con le buone. Forse il luogo che aveva scelto Vladimir poteva andare bene: un vecchio capannone nella periferia di Mosca, abbandonato e isolato. Gli serviva una stanza, una sedia e una pistola: niente di più per prendersi la sua rivincita su Irina.

 

Aspirò un’altra boccata di fumo, poi sorrise.

 

“Oh sì, sarà una notte decisamente interessante…”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 09.00 – Mosca, Casa di Dimitri

 

Irina guardò il russo con gli occhi spalancati, mentre Dimitri rimaneva immobile come una statua. Cercò di collegare ciò che le aveva appena detto con tutto quello che sapeva di lui, che era successo, che aveva intuito…

 

<< Aspetta… Quindi tu non sei la Lince? >> domandò, per mettere un po’ di chiarezza.

 

<< No, non lo sono >> rispose lui, << Avrei dovuto diventarlo… Mio padre è stato la Lince per anni, era lui che controllava i traffici di tutta la Russia. Nessuno della nostra famiglia lo sapeva: né io, né mia madre, né i miei fratelli. Era una condizione che aveva nascosto a tutti, perché era l’unico modo per essere davvero neutrali e al sicuro. L’unico a scoprire chi era fu Vladimir, che alla fine diventò uno dei Referenti, anche se questo lo sanno in pochi… Era amico di mio padre, e quando seppe che voleva mollare, che voleva passare lo scettro della Lince a qualcun altro, gli chiese di darlo a lui >>.

 

Irina lo guardò, senza parole.

 

<< Mio padre non lo fece. Voleva me come Lince, pensava fossi pronto anche se ero giovane. Credeva avessi abbastanza tempra per prendere degnamente il suo posto. Me lo disse, ma se devo essere sincero, a quell’epoca non mi interessava diventare la Lince, e cercai di farglielo capire… Vladimir premeva per prendere il suo posto, ma lui era l’unico che io non volevo come Lince: nessuno si sarebbe mai sognato di dare una posizione di potere a lui. Sarebbe stata la fine. Avrei potuto costringere mio padre a cambiare idea, a dargli comunque il posto che a me non interessava, ma non lo feci. Gli chiesi di aspettare, non c’era fretta per sostituirlo…

 

<< Ma Vladimir non voleva aspettare. Decise che il posto doveva essere suo. Uccise mio padre, innescando la faida che conosci. Nessuno venne mai a sapere il vero motivo, nessuno seppe che mio padre era la Lince. A quel punto Vladimir era convinto di riuscire a prenderne il posto, ma non sapeva niente dei segreti di mio padre, e intanto noi gli davamo la caccia. Rapì mia sorella per costringermi a cedergli il posto che effettivamente non avevo mai preso, a dirgli come fare per prendere in mano i traffici di mio padre… Scelse lei perché sapeva quanto tenevo a Lora >>.

 

La rabbia della voce di Dimitri era ben percepibile: non c’era segno né voglia di perdono, nel suo tono.

 

<< Ma allora la Lince chi è? >> domandò Irina.

 

<< Non lo so, e nemmeno Vladimir. Quando mio padre è morto, io e Buinov evidentemente non eravamo gli unici a sapere chi fosse. Qualcuno prese il suo posto, mentre io cacciavo Vladimir. Si è insediato al posto della Lince, e nessuno è mai riuscito a capire chi fosse, né come ci sia riuscito. Non ero l’unico a conoscere i segreti di mio padre, questo è chiaro >>.

 

Quella storia era assurda, ma Irina la trovò incredibilmente vera. Il destino aveva voluto che alla fine, tra i due che litigavano, fosse stato un terzo ad avere la meglio

 

<< Quindi è per questo che la Lince non si fa vedere >> disse lentamente, << Che adotta tutta questa protezione… Sa che voi due lo uccidereste, se scopriste chi è >>.

 

<< Non ho alcun interesse a ucciderlo, per il momento >> ribatté Dimitri, anche se il suo tono diceva tutto il contrario, << Almeno finché non scopro chi è. Il suo posto non mi interessa, non mi è mai interessato, ma è stato vigliacco da parte sua non rivelarsi nemmeno a noi. A me >>.

 

Irina annuì.

 

<< Quindi è per questo motivo che Vladimir ti vuole morto >> sussurrò, collegando molte delle cose misteriose che fino a quel momento non avevano trovato risposta, << Sa che il posto è tuo, ma non vuole cederlo… Vuole scoprire chi è la Lince e mettere fine a questa storia… >>.

 

Poi improvvisamente si rese conto che Dimitri, il russo che stava davanti a lui, avrebbe potuto essere la Lince. Avrebbe potuto essere la persona che lei era stata mandata a catturare, il criminale che si era macchiato di tanti, troppi crimini, che aveva intessuto traffici di droga e di denaro che nessuno di loro avrebbe mai potuto nemmeno immaginare… Non ci sarebbe stato nessun Mastino, ma solo una Lince.

 

E l’unica cosa che si chiese fu: perché?

 

<< Perché non hai accettato, Dimitri? >>.

 

Il russo la guardò, e sul suo volto sembrò disegnarsi una smorfia a metà tra il divertito e il disgustato.

 

<< Non ho accettato perché non mi interessava avere il potere >> rispose, << Non mi importava avere Mosca ai miei piedi, far fruttare i miei soldi spacciando droga… Mi piacevano le auto e mi piaceva correre, ma avevo altri interessi. La mia famiglia era quella che era, e non potevo certo rinnegarla… Ma forse >>, sorrise, guardandola: un sorriso amaro e pieno di tristezza, << Non ci saremmo mai incontrati se le cose non fossero andate come sono andate. Sono stato ragazzino anche io, e anche io avevo dei sogni >>.

 

Irina si rese improvvisamente conto che c’era in comune molto più quanto aveva immaginato, tra loro due. Era difficile pensare che Dimitri era stato bambino, che c’era stato un tempo in cui non era il Mastino… Esattamente come lei.

 

<< Non… Non avresti fatto il pilota clandestino? >> chiese con un filo di voce.

 

<< Forse non sarei diventato il Mastino che hai conosciuto a Los Angeles >> rispose Dimitri, << Ma sai meglio di me che non possiamo tentare di nascondere ciò che siamo veramente >>.

 

Irina rimase in silenzio, cogliendo il significato di quelle parole.

 

<< Perché me lo dici solo ora? >> chiese.

 

<< Perché quando avrai davanti Vladimir è meglio che tu sappia con chi hai a che fare >> rispose Dimitri, << Forse ti farà delle domande, vorrà scoprire se sai chi è la Lince vera… A quel punto non ti crederebbe se dicessi che non conosci la storia. E comunque te l’avrebbe raccontata lui stesso. Mi stai facendo un favore, ed è giusto che tu sappia la verità >>.

 

Irina si alzò, senza sapere bene che cosa fare. In fondo, questo non cambiava niente, se non la sua percezione di Dimitri: ormai il suo passato era senza nebbie, senza veli, e il Mastino non era colui che aveva conosciuto anni addietro.

 

<< Non avrei mai immaginato una cosa del genere >> disse, << Ma ora capisco tante cose… Grazie per essere stato sincero >>.

 

Non sapeva che altro dire, e improvvisamente capì che forse quello che le era uscito dalle labbra era la cosa migliore. Dimitri l’aveva definitivamente ammessa nel suo mondo, le aveva completamente spalancato la porta, e lo faceva perché ormai si fidava. O forse perché voleva che lei entrasse, perché per lui il muro non esisteva più…

 

<< Grazie per quello che farai stasera >> ribatté lui.

 

Si guardarono, ma questa volta Irina non si avvicinò. Non voleva metterlo di nuovo in difficoltà, costringerlo a tirarsi indietro quando forse non era quello che voleva veramente. Si odiò ancora per quello che mancava dentro il suo cuore, ma non poteva nemmeno fingere: la verità faceva più male, era più dura, ma mai come la falsità.

 

<< Forse è il caso che andiamo entrambi a dormire >> sussurrò, per lasciare sia a lei che a lui il tempo di rimettere le cose a posto, per riflettere, << E non preoccuparti per quello che succederà… Io non lo farò >>.

 

Gli sorrise e poi si voltò, diretta alla sua stanza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 12.00 – Autostrada

 

Il paesaggio freddo della Russia sfilava al fianco della Ferrari rossa, mentre l’auto correva a velocità sostenuta verso sud, superando rapidamente le utilitarie che incontrava. Xander, la mano destra stretta sul volante, non parlava da ore, e nonostante tutto non aveva voglia di farlo. Nina dormicchiava al suo fianco, i riccioli biondi raccolti tutti da una parte, le palpebre chiuse sopra le iridi color del cielo.

 

Era stato chiaro con lei: l’avrebbe riaccompagnata a Mosca, poi se ne sarebbe andato. Non gli interessava che conoscesse la Lince e che, nonostante il risultato della gara, potesse metterlo in contatto con lei. Aveva perso ogni interesse per il loro giro, quindi se ne andava per un po’: questo era quello che aveva detto. Nina era stata sorpresa, aveva insistito, poi sembrava essersi rassegnata. Quella era la fine di qualsiasi rapporto tra loro, se mai ne fosse nato uno.

 

Alzò un po’ il volume della radio, noncurante che lei stesse dormendo, e si godette la canzone in pace, pregustando l’aereo che lo avrebbe riportato al caldo di Los Angeles, dove una bella vacanza non gliela avrebbe tolta nessuno.

 

Quelli erano i suoi programmi, ora: tornare a casa sua, trovandola vuota, e prendersi un momento di pausa dal mondo, momento che non aveva mai sentito il bisogno di prendersi. Avrebbe spento il cellulare, consegnato le chiavi della Ferrari, e dimenticato per un po’ il suo essere agente dell’F.B.I. Avrebbe guardato quella casa vuota, in cui aveva messo piede credendo che ci sarebbe stato solo per poco, solo per arrestare Challagher e invece… Invece non era andata così. Magari ne avrebbe chiesta un’altra, una più piccola, con la vista sul mare, e lì sarebbe seduto da solo, la radio accesa e il mondo fuori.

 

Si sarebbe seduto a digerire la sconfitta, a capire che anche perdere faceva parte della vita, che era arrivato il momento di fare quattro conti e capire che cosa aveva in mano. E avrebbe cercato di capire doveva aveva sbagliato con Irina, anche se lo sapeva già. Inutile chiedersi se si poteva tornare indietro, se poteva sperare che le cose si rimettessero a posto…

 

Ormai era fatta. Irina non lo amava più, perché non era stato in grado di accettare le sue scelte, di ammettere che aveva tutte le potenzialità per portare a termine quella missione… L’aveva soffocata solo perché aveva avuto il terrore di perderla, quando ricordava ancora fin troppo bene la paura che aveva provato in quei giorni in cui sembrava che Challagher avesse la meglio

 

L’Irina di ora non l’avrebbe mai perdonato, non sarebbe tornata sui suoi passi. Lo dimostrava il fatto che era stata lei stessa a troncare la loro storia. Aveva scelto un’altra strada, e lui non l’avrebbe più ostacolata credendo di fare il meglio per lei. Era adulta, sapeva cosa voleva, adesso.

 

Nina si mosse e si stiracchiò, sbadigliando e riportandolo al momento presente.

 

<< Buongiorno >> cinguettò, guardandosi intorno.

 

Xander grugnì un saluto. Da quando aveva deciso di tornare a Los Angeles, Nina aveva perso ogni fascino, per lui. Sempre bella, certo, ma quell’avvenenza era solo la facciata di un edificio vuoto, e ormai lo sapeva. In qualche modo, adesso lo infastidiva quasi, perché rappresentava il suo fallimento e la sua stupidità. Era diventata un peso ingombrante, soprattutto dentro il suo cuore.

 

<< Come mai così silenzioso? >> domandò la ragazza.

 

<< Come mai questa domanda? >> ribatté secco lui.

 

Nina fece un sorrisetto, senza dare peso al suo palese malumore. Molto probabilmente credeva che si trattasse ancora della gara…

 

<< Sai, mi dispiace che te ne vada >> disse, tranquilla, << Hai talento. Mollare tutto solo perché la tua ex ti ha battuto alla Mosca-Cherepova è una cazzata… >>.

 

Xander sbuffò: ancora con quella storia di Irina vincitrice… Cercava di fargli cambiare idea facendo leva sul suo orgoglio, che era l’unica cosa in quel momento che aveva messo da parte.

 

<< Ho preso la mia decisione >> disse, cercando di non apparire troppo seccato, << Non tornerò sui miei passi >>.

 

Nina si mosse appena sul sedile, e sembrò sporgersi verso lo specchietto retrovisore, come per guardarcisi dentro. Forse voleva vedere se era presentabile, come faceva di solito. Xander continuò a rimanere concentrato sulla strada, per niente distratto dai suoi tentativi di seduzione.

 

Poi sentì vibrare qualcosa, ma non era il suo cellulare. Nina tirò fuori il suo e guardò lo schermo per qualche istante; infine digitò qualcosa e tornò a fissarlo con un sorrisetto.

 

<< Ok, ma potresti pentirti di essertene andato… >> disse, come se fosse sicura che sarebbe successo.

 

<< Allora mi pentirò >>.

 

Nina gettò un’altra occhiata allo specchietto, e Xander si innervosì: quella ragazza era più interessata al suo aspetto, che a tutto il resto. La vide abbassarsi per prendere qualcosa dentro la borsa appoggiata ai suoi piedi, ma non capì cosa fosse.

 

<< Sai, mi ha fatto piacere venire a letto con te >> disse, tornando a guardarlo, << Sei bravo… Immagino la tua ragazza fosse d’accordo con me… O forse lei era troppo santarellina da ammettere una cosa del genere. Piccola, doveva essere piuttosto rigidina, vero? >>.

 

Nina stava armeggiando con qualcosa, ma lui non ci fece troppo caso: la frase riguardo alle sue prestazioni a letto lo infastidì più di quanto avrebbe creduto. E soprattutto la parte riguardante Irina… Ma chi diavolo si credeva di essere, quella russa? Era forse un vanto avere la nomea di una puttana?

 

<< Peccato… >> aggiunse Nina, << Mi dispiace che le cose debbano finire così, tra noi. Ma d’altronde, io ti avevo avvertito, che ti saresti pentito… >>.

 

Xander voltò la testa verso di lei, senza capire cosa stesse dicendo. Poi si trovò una pistola puntata addosso, e lo sguardo di Nina incollato su di lui e un sorrisetto sardonico sul volto d’angelo.

 

<< Chissà se la tua ragazza sa chi sei veramente, agente Went >> disse.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 22.00 – Mosca, Casa di Dimitri

 

Irina guardò un’ultima volta il suo riflesso nello specchio, e trasse un sospiro prima di uscire dal bagno e spegnere la luce. Rimase ferma nel corridoio per un momento, poi andò in soggiorno e trovò Dimitri fermo vicino alla porta, che la guardava, imperscrutabile.

 

<< Possiamo andare >> disse lei, a bassa voce.

 

Dimitri fece un passo avanti.

 

<< Sei ancora sicura di quello che stai facendo? >> domandò.

 

Irina annuì.

 

<< Non bisogna essere sicuri. Bisogna farlo e basta >>.

 

Dimitri le porse un cellulare.

 

<< Potrebbe tornarti utile, anche se credo che Vladimir te lo sequestrerà subito >> disse, << Cerca di nasconderlo, se puoi >>.

 

<< Grazie >>.

 

Irina lo prese e se lo mise in tasca. Leggeva la preoccupazione negli occhi di Dimitri, ma anche una certa impazienza, come se non vedesse l’ora che quella storia finisse.

 

<< Porta via Yana il prima possibile >> disse lei, << Non indugiare. Sappiamo com’è Vladimir, e potrebbe anche cambiare idea… >>.

 

<< Tornerò appena avrò portato Yana a casa >> la interruppe Dimitri, << Non sarò da solo, Emilian verrà con me. Domani mattina potresti essere già libera >>.

 

Irina apprezzò il tentativo di Dimitri di rassicurarla, soprattutto quando lui non era conosciuto per la sua affabilità, ma scosse il capo. Nessuna illusione: sarebbe andata come doveva andare. Una volta messo piede in quel capannone, non avrebbe atteso di essere salvata, come avrebbe sempre fatto nella sua vita.

 

<< Non fare nessuna promessa, perché non mi aspetto niente >> disse.

 

Infilò la porta, e senza aggiungere altro scese in garage, diretta alla R8. Salì al lato del passeggero, poi attese che Dimitri mettesse in moto e la portasse al luogo stabilito.

 

La notte le sembrò particolarmente fredda, e nelle strade di Mosca c’era meno gente del solito. Guardò scorrere i marciapiedi nel silenzio totale, rotto solo dal rombo del motore della R8.

 

Ora si chiedeva se sarebbe mai tornata indietro, se aveva la speranza di uscirne viva… Perché no? Era solo uno scambio, Vladimir non aveva motivo per volerla morta, e in ogni caso si fidava di Dimitri… E poi, era determinata a cavarsela da sola, ed era certa che avrebbe lottato fino all’ultimo per poter tornare a casa.

 

“E se non tornassi?”.

 

“Ci sarebbero un sacco di cose da mettere a posto… Lascerei molte cose a metà. Prima fra tutte, la missione. E poi… Xander cosa direbbe detto?”.

 

Lasciò vagare il pensiero nella sua testa, poi si voltò a guardare Dimitri. Stavano lasciando il centro della città, e iniziavano a entrare in una zona con meno case e luci. Vedeva in lontananza ergersi dei capannoni poco illuminati, stagliarsi più neri del cielo scuro sopra di loro.

 

<< Se qualcosa dovesse andare storto, mi faresti un favore? >> domandò, a bassa voce.

 

Dimitri annuì. Dopo aver dormito ed essersi fatto la barba, sembrava un po’ meno minaccioso.

 

<< Dì a Xander che mi dispiace per come mi sono comportata >> disse, << Che avrei dovuto dargli tempo per capire. Digli che gli chiedo scusa per essermi… trasformata in questo modo da un momento all’altro >>.

 

La mano di Dimitri strinse il volante fino a far diventare bianche le nocche, e qualcosa passò nei suoi occhi di ghiaccio, come una consapevolezza improvvisa, o forse solo un profondo fastidio.

 

<< Non è quello che mi aspettavo, ma glielo dirò >> disse tra i denti.

 

Irina lo scrutò, senza capire il senso della frasse.

 

<< E cosa ti aspettavi? >>.

 

<< Mi aspettavo che lo mandassi a fanculo per l’ultima volta >> rispose, << Non che gli chiedessi scusa perché non rispondi più ai suoi canoni… Ma avrei dovuto immaginarlo. Fa parte del tuo essere chiedere sempre scusa per qualsiasi cosa, anche per il semplice fatto di esistere >>.

 

C’era una nota amara nella sua voce, qualcosa che fece capire a Irina che quella notte che avevano passato insieme non era stata un caso, che Dimitri non l’aveva fatto solo perché ne aveva voglia, come aveva detto lui. E quello che provava, forse continuava a sentirlo anche ora… Parlare di Xander gli dava fastidio, molto probabilmente perché capiva che lei lo amava ancora…

 

Abbassò lo sguardo, e capì di aver sbagliato. Chiedere scusa non serviva, perché lo avrebbe innervosito ancora di più. O forse semplicemente ferito, visto quello che aveva detto.

 

<< Se tornerò indietro, Dimitri, spero che mi aspetterai >> disse piano, << Perché forse avrò bisogno di te, e non sarà per portare a termine questa missione. Forse rischiare la vita mi servirà a mettere in ordine le idee, e capire davvero cosa voglio >>.

 

Era più di quanto potesse e dovesse dire. Non era una promessa, la sua, era una semplice verità: il ricordo di Xander era troppo fresco nel suo cuore, ma era stata lei a lasciarlo. Ora poteva anche decidere che era arrivato il momento di cominciare qualcosa di nuovo, e se esisteva una persona che corrispondeva ai suoi bisogni, quello era Dimitri. Se fosse tornata viva, avrebbe dato la possibilità a entrambi di costruire qualcosa, se ci fossero stati i presupposti. Non poteva promettergli che una volta tornata a casa lo avrebbe amato, ma poteva assicurargli che una possibilità esisteva, per lui. Indipendentemente da chi era, chi era stato e chi sarebbe diventato.

 

Dimitri fece una smorfia.

 

<< Non fare promesse, perché non mi aspetto nulla >> le fece il verso.

 

Fermò l’auto e Irina si fece distrarre dal capannone che si stagliava davanti a loro, dalle pareti di cemento grigio e dall’aria desolante. Le poche finestre che si aprivano in alto erano tutte oscurate.

 

<< Dove dobbiamo andare? >> domandò lei, a bassa voce, mentre il vento gelido le faceva venire la pelle d’oca.

 

Dimitri indicò una porta poco lontana, che si confondeva con il muro, e che sembrava solo socchiusa. Il russo la precedette e la spalancò.

 

Si ritrovarono in un grande spiazzo buio, dove l’unica luce proveniva dalla luna che filtrava dal tetto di vetro del capannone. Dimitri mise una mano in tasca, forse per afferrare la pistola che teneva nascosta. Non si vedeva nulla, e Irina sentì il cuore cominciare a battere più velocemente, tesa, aspettandosi qualsiasi cosa…

 

<< Rimanete fermi dove siete >> disse una voce alla loro destra, << Mani in alto e niente scherzi, o la bambina non esce viva di qui. E nemmeno voi >>.

 

Non era la voce di Vladimir, ma era comunque quella di un russo, visto il forte accento. Irina obbedì, mentre qualcuno premette l’interruttore dei lampadari e il capannone venne invaso dalla luce, accecandoli, ma rivelandosi meno ampio di quello che avevano creduto. Era vuoto, a parte qualche scatolone di cartone, una vecchia gru arrugginita e una porta, chiusa.

 

Strizzò gli occhi, poi si accorse che il russo che avevano di fianco era Cyril, e che teneva una pistola puntata verso di loro. Dimitri non accennava a voler alzare le mani, e sul volto aveva un’espressione omicida.

 

<< Alza le mani, Goryalef >> intimò Cyril.

 

<< Dimitri… >> sussurrò Irina, cercando di convincerlo.

 

Il Mastino alzò lentamente le mani, e Cyril fece un fischio. Dal fondo del capannone vuoto arrivò il gridolino soffocato di una bambina, e da dietro la gru comparvero Vladimir con Yana in braccio, tenuta ben stretta come una bambola di pezza.

 

Irina tirò un sospiro di sollievo, scoprendo che stava bene. La bambina appena li vide si mise a chiamarli, ma rimasero fermi dov’erano, ancora sotto il tiro da parte di Cyril.

 

<< Buonasera, Fenice >> disse Vladimir, una pistola in mano puntata contro la bambina, << Facciamo questo dannato scambio, ma niente scherzi da parte di nessuno dei due, o vi facciamo secchi alla prima occasione… Siamo più di quanti immaginate >>.

 

Se stesse bluffando o no, a Irina non importava. Non avevano intenzione di fare i furbi, perché c’era in gioco la vita di Yana. Annuì e fece un passo avanti, le mani ancora alzate sopra la testa, per fargli capire che non correva nessun pericolo.

 

Improvvisamente, non aveva più paura. Era lucida, sapeva cosa doveva fare, ed era la consapevolezza che aveva la responsabilità di Yana sulle sue spalle a renderla così sicura.

 

<< Ok, lasciala andare >> disse, << Sono disarmata, e non farò niente che possa infastidirti >>.

 

Vladimir sventolò la pistola.

 

<< Sarà meglio… Vieni al centro e rimani ferma lì >> disse, << Io lascerò la marmocchia >>.

 

Irina avanzò, senza guardarsi indietro, sperando che Dimitri non perdesse la testa, perché non riusciva a vedere la sua faccia. Un passo dopo l’altro raggiunse il centro del capannone, poi si fermò. A quel punto Vladimir mise giù Yana e la spinse avanti.

 

<< Raggiungi Dimitri >> ordinò, secco.

 

La bambina, con i lucciconi agli occhi, si avviò lentamente e a passi incerti verso di lei. Poi scattò in avanti e le corse incontro, piangendo.

 

Irina si abbassò e la abbracciò forte, sperando che quell’azione non innervosisse Vladimir. Yana la stringeva, singhiozzando.

 

<< Voglio andare a casa! Voglio la mia mamma! >> gridò, disperata.

 

<< Andrà tutto bene >> la rassicurò Irina, << Vai da Dimitri, che ti riporta a casa, ok? >>.

 

La bambina sembrava molto spaventata, ma così da vicino ebbe la conferma che stava bene. Annuì e chiese, con la voce piccola: << Tu dove vai? >>.

 

<< Ehi, muovetevi! >> gridò Vladimir, << Lascia andare la bambina e vieni qui! >>.

 

Irina gli gettò un’occhiata, poi fece una carezza sulla guancia a Yana.

 

<< Vado a fare quattro chiacchere con quel signore >> rispose, << Avanti, vai da Dimitri. Svelta >>.

 

La spinse verso il Mastino, poi si rialzò e raggiunse Vladimir, sempre con le mani alzate. Il russo sorrise quando gli fu davanti, poi la afferrò per le spalle e le puntò la pistola alla testa.

 

Yana aveva raggiunto Dimitri, e ora gli stava in braccio, guardando spaventata dalla loro parte. Irina si sentì soffocare mentre la presa di Vladimir si serrava sul suo collo, ma mantenne la calma. Vide Dimitri tirare fuori la pistola e puntarla verso Cyril, per rispondere all’offensiva.

 

<< Abbassa quella pistola >> ringhiò Vladimir.

 

<< Abbassala tu >> ribatté Dimitri, l’espressione gelida.

 

<< Ho cambiato idea >> disse Vladimir, << Consegnati anche tu, visto che ci siamo… >>.

 

Dimitri lo fulminò con occhi, ma Irina capì che il russo stava solo cercando di prendere due piccioni con una fava: stava improvvisando, e non sperava veramente che Dimitri si consegnasse. Forse voleva solo spaventarlo, fargli capire che doveva tornare veramente, se non voleva che lei ci rimettesse le penne…

 

<< Riporta a casa Yana >> disse Irina, tranquilla, guardando il Mastino e cercando di non far sentire che la voce le tremava per via del poco fiato.

 

Dimitri indugiò, la pistola ancora in pugno, puntata contro Cyril.

 

Irina gli lanciò un’occhiata eloquente.

 

<< Dimitri, riporta a casa Yana >> ripeté, << Abbassa la pistola e andate via >>.

 

Il russo abbassò lentamente l’arma, poi fece un passo indietro. La fissò intensamente, come a dire: “tornerò, fosse l’ultima cosa che faccio”. Irina annuì, poi lo vide rivolgerle un’ultima occhiata e infilare la porta, nel più completo silenzio. Come un fantasma, Dimitri sparì alla vista, lasciando il capannone vuoto e il cuore di Irina più pesante.

 

“E’ andato… Sono salvi”.

 

Da quel momento in poi, era davvero da sola.

 

La presa sul suo collo si allentò, e Vladimir sembrò ridacchiare.

 

<< Brava, bel lavoro, Fenice. Adesso ti ubbidisce anche? >>.

 

La girò e la afferrò saldamente per un braccio, poi la condusse verso il retro del capanno, tenendo la pistola pronta. Raggiunsero una stanza un po’ più piccola, poi si fermarono.

 

<< C’è una bella sorpresa per te, Fenice >> disse Vladimir, << Vediamo cosa avrai da dire, adesso >>.

 

Irina sentì l’apprensione salire, ma cercò di non farsi prendere dal panico. Qualsiasi cosa fosse, era sicura di poterla gestire, di poter resistere fino a che non fosse riuscita a liberarsi… Il cellulare pesava ancora nella sua tasca, pronto a metterla in contatto con Dimitri.

 

Si guardò intorno, in attesa. Vladimir abbassò definitivamente la pistola, come se non la considerasse più pericolosa. La lasciò andare e si fece da parte.

 

Qualcosa catturò l’attenzione di Irina: dalla porta che aveva di fronte, vide comparire un’ombra scura. Si mosse appena, nel buio dietro di lei, e non riuscì a capire chi fosse. Strizzò gli occhi, per cercare di cogliere qualcosa che glielo facesse riconoscere…

 

<< Chi non muore si rivede, dice il proverbio >>.

 

Il cuore di Irina perse un battito. Il sangue le si gelò nelle vene. Il fiato le rimase intrappolato nella gola.

 

Conosceva quella voce, l’avrebbe sempre riconosciuta. Per troppe volte l’aveva svegliata di notte, prima che riuscisse a dimenticarla… Per troppe volte le aveva ricordato quante volte avesse fallito, nella sua esistenza…

 

“Non può essere… Non è possibile…”.

 

La figura si fece avanti, e la luce dei neon illuminò il suo volto, quel volto che aveva costellato i suoi incubi, quel volto che aveva spezzato i suoi sogni, quel volto che aveva cambiato la sua esistenza…

 

Come riemerso da un’altra vita, davanti a lei c’era William Challagher.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Che dire, ragazzi… Devo ammettere di trovarmi in una bella situazione: i vostri commenti a riguardo della coppia Irina/Dimitri mi hanno stretto il cuore, e non posso dire che non la penso esattamente come voi. Ma penso che vi sorprenderà sapere che anche io sono indecisa su come andrà a finire la storia, da quel punto di vista… Mi riservo la facoltà di decidere, esattamente come Irina.

Per il resto, Xander è stato beccato. Nina, oltre che infilarsi nel suo letto, si è infilata anche nei suoi affari… E mi sa che Xander se la vedrà brutta, questa volta.

 

Vi ringrazio infinitamente per le recensioni, e siccome domani è anche il mio compleanno, spero di riceverne una bella valanga, in modo che mi tirino un po’ su di morale.

 

Un bacione a tutti!

 

P.S.: non sono la tipa da Eros Ramazzotti, ma per caso mentre ascoltavo l’iPod in versioni brani casuali è uscita fuori quella canzone, e mi è sembrato si addicesse ai pensieri di Xander.

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Capitolo 34
*** Capitolo XXXIV ***


Capitolo XXXIV

Capitolo XXXIV

      

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 23.10 – Mosca

 

Irina rimase a fissare il volto della persona che aveva davanti, senza riuscire a respirare, a formulare un pensiero coerente… Il cervello si spense, i piedi rimasero incollati al pavimento, le braccia distese lungo i fianchi come se qualcuno le avesse gettato addosso un sortilegio malvagio… Forse anche il suo cuore si fermò, smettendo di battere e facendola sentire quasi soffocata…

 

William Challagher era di fronte a lei, vivo, libero e reale. Non era più solo un incubo, un sogno dai contorni neri e bui… Non era più il fantasma di un ricordo, sfocato ma doloroso, passato ma ancora presente…

 

Era uguale, uguale a come lo ricordava. Solo i capelli, più corti, e una cicatrice sul sopracciglio, gli mostravano che era passato del tempo, dall’ultima volta che si erano visti, ma la sua espressione era sempre la stessa: quel misto tra compiacimento, superiorità e menefreghismo che l’aveva sempre contraddistinto. E anche il suo ghigno era rimasto immutato: il ghigno del vincitore, del più forte, di quello che aveva in pugno la situazione…

 

Lo Scorpione era tornato.

 

Di fronte alla sua faccia, il cervello di Irina andò completamente in tilt.

 

“Non è possibile, dovrebbe essere in carcere…”.

 

Il panico le saltò addosso, fino a farla arretrare e andare a sbattere contro il muro… E quegli occhi scuri, quegli occhi che aveva cercato di dimenticare, non si staccarono da lei, con quello stesso luccichio che l’aveva sempre terrorizzata…

 

Forse era solo un brutto sogno, un altro dei suoi incubi… Magari aveva preso un abbaglio, magari si era ubriacata e ora vedeva cose che non esistevano… William non doveva essere lì… William doveva essere dietro le sbarre, a San Francisco…

 

<< E’ un sacco di tempo che non ci vediamo, bambolina >> disse lo Scorpione.

 

Al suono di quella voce, suadente ma piena di ricordi, la paura la travolse. In un attimo, ripiombò nel passato, quando era ancora la numero tre della Black List, quando la libertà era una cosa che poteva solo sognare, quando il dolore faceva parte della sua vita… Quando ancora lei era la bambola dello Scorpione.

 

Indietreggiò, il fiato corto, senza sapere cosa fare. Non esisteva un piano per quello, non aveva mai immaginato di riaverlo davanti…

 

William sorrise di fronte alla sua reazione. Si avvicinò, e disse, tranquillo: << Non ti è piaciuta la sorpresa, vedo… >>.

 

Irina rimase inchiodata dov’era, mentre lo guardava avanzare, la paura troppo forte per farla muovere, perfino per farla respirare…

 

William tirò fuori una pistola, e gliela puntò alla testa, il ghigno dipinto sul volto, gli occhi che brillavano. Alzò la mano libera e giocò con una ciocca dei suoi capelli, inspirando a fondo, come se potesse catturare l’odore della sua pelle… Come un felino intorno alla sua preda, la studiò in silenzio, la consapevolezza di essere più forte addosso.

 

<< Rispondi alla mia domanda, bambolina >> sussurrò lui, << Perché mi volevi liberare? >>.

 

Silenzio. Il cervello di Irina colse la domanda, ma si rifiutò di rispondere. Il cuore batteva disperato, il respiro era mozzo… Quello era un incubo, doveva svegliarsi… Era tutto falso, una montatura…

 

<< Perché mi volevi liberare, Irina? >>.

 

Al suono del suo nome, qualcosa le scattò dentro la testa. Qualcosa che non aveva niente a che fare con la paura o con i ricordi.

 

Era rabbia. Rabbia vera, rabbia per l’ingiustizia delle cose. Rabbia per la sfortuna che non la voleva abbandonare, e che faceva solo finta di scomparire…

 

William era libero. William era libero e credeva che lei volesse liberarlo. La missione saltava.

 

Quello che aveva fatto Xander era stato inutile.

 

Quello che aveva fatto lei fino a quel momento era stato inutile.

 

Tutto era stato inutile.

 

Ora che lo Scorpione tornava sulla piazza, le cose sarebbero cambiate.

 

“Non è giusto… Non è giusto!”.

 

E poi, l’agente dell’F.B.I. che aveva deciso di diventare, prese il sopravvento. Lo stesso agente che portava il nome di Fenice, e che era giunta fino a lì per affrontare le sue paure. Tutte le sue paure, anche quelle inaspettate, anche quelle più antiche, anche quelle più profonde.

 

“Non può essere questa la fine… Mi rifiuto di abbandonare la missione… Mi rifiuto di vedere William libero…”.

 

E allora il piano prese forma nella sua testa. Folle, insensato, pericoloso, ma sempre un’alternativa. Tanto, o sarebbe morta subito, uccisa dallo Scorpione venuto a prendere la sua vendetta, oppure non le rimaneva che provare e sperare che funzionasse.

 

Spinse lo Scorpione, e rapida infilò la porta che l’avrebbe riportata nel capannone. Sentì Vladimir gridare e gettarsi in avanti per cercare di afferrarla, senza riuscirci.

 

<< Lasciala andare, tanto non può scappare >> disse William.

 

Irina sapeva di non avere via di fuga, ma non era la fuga che cercava. Raggiunse la gru, si nascose dietro e tirò fuori il cellulare, appoggiandosi alla ruota cingolata per riprendere fiato, le orecchie tese a cogliere i movimenti di William…

 

Digitò il numero che ormai sapeva a memoria, sperando che il tempo fosse sufficiente. Il suo piano era da pazzi, ma era l’unica che poteva metterlo in atto. Se lo Scorpione credeva che lei fosse partita per la Russia per liberarlo, allora la sua farsa sarebbe diventata realtà.

 

<< Pronto? >>.

 

McDonall, dall’altra parte della linea, rispose tranquillo, come se non aspettasse altro che la sua chiamata. Non immaginava nemmeno in che situazione si trovasse…

 

<< Challagher è libero >> disse Irina a voce bassa, gettando un’occhiata verso la porta, << Challagher è fuori di prigione… Ascolti, perché ho poco tempo: ho un piano. Prendo in mano la missione. Da questo momento in poi mi muoverò da sola, niente contatti con nessuno. La copertura con la quale sono venuta qui deve diventare realtà. Niente contatti, con nessuno. L’unica volta che mi sentirà sarà quando li avrò incastrati entrambi. Tenetevi pronti in qualsiasi momento. Da adesso in poi, voglio rimanere sola >>.

 

Chiuse la telefonata, sicura che McDonall avesse capito cosa intendeva. Si sporse appena oltre la gru, per guardare verso la porta, e vide che William era fermo sulla soglia, a guardarsi intorno con un sorrisetto. Non poteva sentirla da lì, ma era chiaro che sapesse dove si trovasse.

 

Febbrilmente, cercò il numero di Dimitri. Un attimo, e sentì la sua voce oltre la linea.

 

<< Dimitri, prendi Yana e Vilena e nascondetevi >> disse, senza lasciargli in tempo di parlare, << Trovate un posto sicuro e rimaneteci. Non tornare a prendermi. William è qui. Ho un piano. Non tornare a prendermi >>.

 

Poi mise giù, aprì il telefono e tirò fuori la sim. La spezzò in due, gettando i monconi sotto la gru insieme al cellulare, in modo che nessuno potesse vederli.

 

Appoggiò la schiena contro la ruota della gru, poi si prese un attimo per fare mente locale e riguadagnare la lucidità.

 

Non c’erano alternative. Non aveva altre possibilità. O fingeva, o moriva.

 

Poi, prese un respiro profondo e uscì allo scoperto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 12.20 – Autostrada

 

Xander rimase immobile, la mano che stringeva il volante sempre più convulsamente, la canna della pistola a pochi centimetri dalla sua testa, gli occhi puntati sulla strada davanti a lui…

 

Fregato.

 

Nina l’aveva fregato.

 

Nina sapeva, Nina aveva giocato con lui, Nina l’aveva smascherato…

 

Le nocche della mano sbiancarono, ma il suo sangue rimase freddo, più freddo del solito, perché essere incastrato da quella ragazza lo fece arrabbiare… Gettò un’occhiata nello specchietto retrovisore, per vedere la grossa Audi nera seguirli a pochi metri di distanza: Nina non era sola, si era preparata per bene…

 

Non ci stava a farsi ammazzare da lei, né tantomeno a fare la figura dell’idiota. Credevano che bastasse puntargli una pistola alla testa per fermarlo? Credevano che l’agente Went si facesse eliminare così facilmente?

 

<< Da quanto lo sai? >> domandò, stampandosi un mezzo sorriso in faccia per mostrarle che non aveva paura. Perché paura non l’aveva davvero.

 

<< Da qualche giorno >> rispose Nina, << Da quando siamo finiti a letto insieme… Ho fatto fare qualche ricerca su di te, e un vecchio amico di mio padre ha saputo dirgli chi eri… >>.

 

Certo, Krarakova era pur sempre il Primo Ministro russo…

 

<< Avete una talpa? >> chiese.

 

Nina ridacchiò. << Talpa? >> fece, divertita, << No, nessuna talpa. L’amico di mio padre è un semplice funzionario che non immagina nemmeno che il Primo Ministro sia invischiato nella mafia russa. E’ stato un caso a farci scoprire chi eri >>.

 

Il cervello di Xander lavorava. Se non avevano talpe, Irina non stava rischiando. Avevano beccato solo lui perché lui in effetti aveva dei precedenti, aveva preso parte ad altre missioni in qualità di agente dell’F.B.I., mentre Irina aveva solo il suo passato di pilota clandestina alle spalle… Per il momento forse la sua copertura non era saltata.

 

<< Accosta e ferma la macchina >> ordinò Nina, improvvisamente secca.

 

Xander la ignorò. Finché lui fosse rimasto alla guida, non gli avrebbe potuto sparare, altrimenti si sarebbero andati a schiantare da qualche parte, e lei di certo non voleva.

 

<< Perché hai aspettato ora a smascherarmi? >> domandò.

 

Nina sembrò ridacchiare. << Finché ti controllavo da vicino non rappresentavi un problema >> rispose, << In effetti, non mi sembra che tu volessi altro che incontrare la Lince… Ma se decidi di andartene, capisci che non posso farti uscire dal nostro giro. Sai troppe cose per non rappresentare un pericolo, non credi? >>.

 

Xander fece un sorrisetto.

 

<< Giusto… Allora sei tu la Lince >> disse.

 

Nina rimase in silenzio per un momento, poi rispose: << Sì, agente Went, sono io la Lince >>.

 

Xander strinse ancora il volante, senza accennare a fermarsi. Doveva uscire da quella situazione il prima possibile, e magari riuscire anche ad arrestare Nina…

 

<< Te lo dico per l’ultima volta >> disse lei, ora leggermente spazientita, << Accosta >>.

 

Fermarsi significava farsi ammazzare. L’Audi nera dietro di loro li seguiva ancora, e di sicuro sopra c’era qualcuno che poteva aiutare Nina e non certamente lui. Ma per il momento non aveva altra scelta…

 

<< Ok, mi fermo >> disse, << Dove? >>.

 

Nina si guardò intorno, poco interessata.

 

<< Lì. C’è una piazzola che fa al caso nostro >> rispose lei.

 

Xander rallentò e inserì la freccia, poi imboccò la stradina per la piazzola e si fermò, sentendo alle spalle il rumore dell’Audi che li seguiva. Gettò rapidamente uno sguardo intorno, per farsi un’idea dell’ambiente: solo un praticello gelato e qualche albero spoglio, nient’altro.

 

<< Adesso scendi lentamente, con le mani in alto… >> disse Nina, puntandogli ancora la pistola addosso, << Fai il bravo e ti regalo qualche minuto di vita in più >>.

 

Xander vide due grossi tizi scendere dall’Audi nera, e cercò rapidamente un piano. Afferrò la maniglia della porta e uscì, sempre sotto il tiro di Nina, mentre i due uomini lo guardavano divertiti. Non li conosceva, non li aveva mai visti.

 

<< Adesso avvicinati >> disse Nina, facendogli un cenno con la testa, << Non fare strani giochetti, perché come vedi non sono da sola… >>. Indicò i due, rimasti ancora in disparte.

 

A mezzo metro da Nina, a Xander venne un’idea. La russa si sentiva sicura, insieme ai suoi due scagnozzi, ma farlo avvicinare così non era stata un’idea brillante…

 

<< In effetti, hai ragione, è stata una bella notte, quella che abbiamo passato insieme… >> disse sorridendo, << Davvero un peccato… A volte il mio lavoro può essere molto piacevole… >>.

 

Nina ridacchiò, e Xander capì di averla fregata. Se c’era una cosa che funzionava con lei, era farle dei complimenti…

 

<< Lo so, sono sempre i migliori che se ne vanno… >> commentò la russa, << Toglimi una curiosità: la tua ragazza sapeva chi sei? >>.

 

<< Perché credi che stesse cercando di liberare Challagher? >> ribatté lui.

 

Nina gli rivolse una strana occhiata.

 

<< E’ una traditrice anche lei, allora >> ringhiò, << Poteva dirci che eri un infiltrato… Puttana. Farò fare una brutta fine anche a lei… >>.

 

Xander sentì la rabbia montare, ma continuò con la sua idea.

 

<< Consolati >> disse, << Baci molto meglio di lei >>.

 

Nina lo guardò e sorrise malignamente, fredda quanto quella piazzola desolata dove aveva deciso di mettere fine alla sua vita.

 

<< E sia, agente Went >> disse, << Ti concedo questo ultimo desiderio >>.

 

Si avvicinò, e nel momento stesso in cui Xander sentì il suo fiato sul viso, afferrò il suo polso, lo girò e le strappò di mano la pistola. Nina lanciò un grido, ma la strinse per il collo e gli puntò l’arma alla testa, mentre i due tizi allarmati accennarono a correre verso di loro…

 

<< Ok, fermi dove siete o qui finisce male per tutti quanti! >> ringhiò Xander.

 

I due uomini inchiodarono e si guardarono tra loro, dicendosi qualcosa in russo. Tirarono fuori le pistole, ma non fecero altri passi avanti. Nina si divincolò e Xander la tenne stretta, senza darle modo di fuggire.

 

<< Figlio di puttana… >> ringhiò lei, poi gridò qualcosa in russo ai due, che finalmente diedero segno di aver capito e rimasero fermi dove stavano, le pistole abbassate.

 

<< Che hai intenzione di fare, Went? >> chiese Nina, infuriata, cercando di allentare la presa sul suo collo.

 

<< Niente >> rispose Xander, << Di hai tuoi amici di lasciarci andare via senza fare storie, oppure ti sparo… >>.

 

Nina fece una smorfia. Disse qualcosa in tono perentorio ai due uomini, che perplessi fecero qualche passo indietro, verso l’Audi. La russa non sembrava spaventata, solo decisamente arrabbiata. Mai quanto lui, che aveva tutta l’intenzione di uscire da quella situazione nella quale era caduto per colpa sua.

 

<< E adesso, se non mi seguiranno, ti lascerò andare fra qualche chilometro, chiaro? >> disse Xander, << Non ti farò niente, ma non sto giocando. Voglio andarmene e basta, non mi interessa ucciderti visto che ormai non sono più in servizio >>.

 

<< D’accordo… >> disse Nina tra i denti. Abbaiò nuovamente qualcosa ai tizi che continuavano a guardarli in silenzio, forse per spiegargli quale piega prendesse la situazione.

 

Xander indietreggiò, facendo cenno ai due di salire in auto. I russi obbedirono, poi aprì la porta della Ferrari e fece salire Nina. Senza staccare lo sguardo da lei, si sedette al posto di guida e accese rapidamente il motore, la pistola ancora in pugno, e un piano in testa che sperava funzionasse.

 

Affondò il piede sull’acceleratore e sgommò via, lasciandosi alle spalle la piazzola e l’Audi nera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 23.40 – Mosca

 

Irina guardò William avanzare lentamente verso di lei, gli occhi che non si staccavano dal suo viso, il ghigno tipico dello Scorpione che non era ancora svanito dalla sua faccia. Il suo cuore batteva velocissimo, e dentro di lei sperava che il suo piano funzionasse. Aveva paura, ma stava cercando di fare di tutto per non darlo a vedere. Tutto il suo piano si basava sul bluff, sull’essere una brava attrice… Era arrivata alla resa dei conti, soprattutto con se stessa.

 

I passi di William risuonarono nel silenzio del capannone, mentre Irina deglutiva ma non abbassava lo sguardo, dandosi della pazza, della stupida, della completa idiota…

 

Fu come piombare indietro di anni, quando gli occhi dello Scorpione non si staccavano lei, mettendole paura e soggezione, lasciandola completamente indifesa. Anche adesso, William la guardava come allora, come se non fossero passati che pochi istanti da quando si erano lasciati…

 

<< Se devi uccidermi, fallo subito >> sbottò Irina, la voce ferma e sicura nonostante la paura. Le sue parole rimbombarono nel capannone vuoto, e qualcosa nel ghigno di William mutò, mentre accarezzava la pistola… Forse non si era aspettato una frase del genere da parte sua.

 

<< Prima rispondi alla mia domanda >> disse lui, freddamente, << Davvero sei venuta qui per liberarmi? >>.

 

Irina deglutì, sentendo che forse il suo piano poteva funzionare. William non poteva essere cambiato, in quegli anni… Sapere che lei si era abbassata a una cosa del genere, che in qualche modo gliela dava vinta, forse lo avrebbe spinto a credere alle sue parole…

 

<< Sì, è la verità >> rispose.

 

William tacque un istante, gli occhi ridotti a fessure che scrutavano il suo volto come per vedere nei suoi pensieri.

 

<< Perché? >> domandò solo.

 

Con un’enorme sforzo, Irina lo guardò dritto negli occhi. Il suo cuore batteva forte, i ricordi si affastellavano nella sua mente, ma ne andava della sua vita… Già altre volte si era rivelata una brava attrice; doveva farlo anche ora.

 

<< Ho sbagliato >> rispose, secca, << Sono stata fregata… Went mi ha tradito >>.

 

Lo sguardo di William si fece sospettoso, e si avvicinò ancora, come per soppesare le sue parole.

 

“Non ci casca… Non ci casca…”.

 

<< Davvero? >> chiese, sardonico, << Ti ha tradita… Perché fatico a crederci? >>.

 

Irina assunse un’aria stizzita.

 

<< Se vuoi spararmi, fallo subito e non farmi sprecare fiato cercando di convincerti di qualcosa che è la pura verità >> ribatté, << Sapevo che avresti potuto non credere alle mie parole. In fondo, anche io ti ho tradito. Se vuoi ammazzarmi, hai tutte le ragioni per farlo >>.

 

Per una frazione di secondo, William apparve spiazzato dalle sue parole, come se non si aspettasse una richiesta del genere. Poi però sorrise, iniziando a girarle intorno, giocando con la pistola… Nel capannone risuonavano solo le loro voci e i loro respiri. Nemmeno Vladimir si era intromesso: era rimasto nella stanza lì vicino, come se sapesse che si trattava di una questione tra loro due…

 

<< Come hai fatto a fuggire? >> domandò Irina, per sciogliere quel silenzio che le faceva sentire il suo stesso cuore battere all’impazzata.

 

Gli occhi di William brillarono.

 

<< Ho sempre avuto un piano, nel caso fossi stato arrestato >> rispose, << Avevo qualcuno fuori che mi ha aiutato… Sei sorpresa della mia fuga? >>.

 

<< Sì. Eri rinchiuso in un carcere di massima sicurezza: scappare era quasi impossibile >>.

 

William sembrò compiaciuto.

 

<< Non sei l’unica che non credeva possibile una cosa del genere >> disse, << Ma devo ammettere che il più sorpreso di tutti sono stato io quando sono venuto a sapere che ti trovavi in Russia e che stavi cercando di liberarmi… >>.

 

Irina rimase in silenzio, aspettando che lui continuasse.

 

<< Mi sarei aspettato di tutto, ma non questo >> continuò lo Scorpione, << Prima mi fai sbattere in cella, e poi attraversi un continente per farmi scappare… Perché hai liberato Goryalef? >>.

 

<< Non avevo altra scelta >> rispose lei, calma, cercando di mostrargli che la sua decisione era sensata, << Ero senza soldi, e tra te e lui quello più facile da far fuggire era lui… E poi aveva tutti i suoi parenti qui, e sapevo che la Lince avrebbe potuto aiutarmi >>.

 

<< Anche Dimitri mi ha tradito >> ringhiò William, << Perché avrebbe voluto liberarmi? >>.

 

<< Infatti non gli interessava >> rispose rapidamente Irina, << Ho fatto un patto con lui: io lo liberavo, e lui mi dava una mano a incontrare la Lince nella speranza di ottenere il suo aiuto. Ha dovuto accettare, se voleva tornare libero >>.

 

Calò il silenzio, e Irina si chiese se mai davvero William avrebbe abboccato alla sua farsa: non era stupido, ed era sicura che il suo odio nei suoi confronti non si era acuito nemmeno un po’… Ma poteva sperare che la risparmiasse e che le desse il tempo di fregarlo di nuovo.

 

<< E tu ti sei alleato con Vladimir… >> aggiunse lei, << Per questo ci volevate entrambi… >>.

 

<< Due piccioni con una fava >> ribatté lo Scorpione, << Ho dovuto arrangiarmi, come vedi. Ma non farmi cambiare argomento. Raccontami la storia di Went… >>.

 

Irina gli rivolse un’occhiata, e percepì tutto l’interesse dello Scorpione per Xander: molto probabilmente lo odiava a morte ancora più di quanto odiasse lei stessa, e sentire che in qualche modo anche lei ora lo detestava lo rendeva compiaciuto…

 

<< Ti farà piacere sapere che mi ha mollata >> ringhiò, per fargli capire che la cosa le bruciava, << Ha messo dietro le sbarre te, ma una volta finito il processo se ne è andato… Con un’altra. Mi ha lasciato libera solo perché l’avevo aiutato con te >>.

 

William sembrò trattenersi dal ridere.

 

<< Went? Il paladino della giustizia? >> disse, quasi incredulo, << Went, il perfetto agente dell’F.B.I., che mette le corna alla ragazza per la quale ha attraversato mari e monti? Non vorrei fare la parte del vecchio saggio, ma mi sembrava di averti detto che un giorno ti avrebbe mollata… >>.

 

Irina lo guardò negli occhi, ma rimase zitta, come a dire che era evidente che avesse ragione, ma che le faceva troppo male ammettere di aver sbagliato e anche di essere stata male per Xander. Doveva dare l’impressione di aver ricevuto la più grande batosta sentimentale della sua vita. E in fin dei conti, si avvicinava molto alla verità.

 

<< E quindi ti ha lasciata… >> continuò William di fronte al suo silenzio, << E cosa hai fatto in questi due anni? >>. Non dava segno di credere davvero alle sue parole, ma sembrava molto interessato.

 

<< Niente, non ho fatto niente >> rispose Irina, seccata, << La polizia mi teneva d’occhio, così ho lasciato chiusa la macchina in garage per fargli credere che avevo smesso con le corse… Anche perché da quando ti hanno arrestato, gare non ce ne sono più state. Appena ho saputo che Went era partito per qualche altra missione, e la polizia ha allentato un po’ i controlli, ho tirato fuori quei pochi soldi che avevo messo da parte e ho ingaggiato un tizio per far fuggire Dimitri. Poi siamo partiti subito per la Russia >>.

 

William sembrò trovare esauriente la sua spiegazione, e forse fu il suo tono sicuro a convincerlo che c’era un fondo di verità. Soppesò la pistola, e divenne improvvisamente serio.

 

<< Dimmi la verità >> disse lentamente, << Cosa ti aspettavi una volta che mi avresti liberato? Come credevi che avrei reagito? >>.

 

Irina scelte attentamente le parole.

 

<< Non sono stupida. Non mi aspettavo niente. Volevo solo che tornassi libero, e rimediare al mio errore. Rivolevo tornare ad essere la numero tre della Black List, rivolevo la vita che avevo prima, perché era migliore di quella che ho adesso. Ho capito un sacco di cose in questi due anni… Mi volevo vendicare per essere stata fregata, esattamente come te >>.

 

<< La vita che avevi prima? >> ribatté William, << Tutta la vita che avevi prima? >>.

 

Irina capì a cosa si riferiva. Non parlava delle gare, della Black List, delle auto o dei traffici… Parlava del loro rapporto, di quello che lei aveva patito stando con lui… Non era verosimile che volesse di nuovo anche quello.

 

<< Ho detto che ho sbagliato >> rispose lei, << Ho sbagliato sotto tutti i punti di vista. E adesso mi pento per non aver accettato quello che mi avevi offerto >>.

 

Gli occhi di William rimasero fissi sul suo volto, forse per cercare di capire se stesse mentendo o meno. Ma fu incredibile veder passare nelle sue iridi un velo di sorpresa.

 

<< Non ti credo >> disse alla fine, << Mi odiavi, mi hai sempre odiato. Non mi fregherai un’altra volta >>.

 

Poi alzò la mano e tolse la sicura alla pistola, puntandola verso di lei.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 12.40 – Autostrada

 

<< E adesso, metti le mani davanti a te >> ordinò secco Xander, frugando dietro il sedile della Ferrari, dove teneva nascosta la pistola di riserva e qualche altro “strumento di lavoro” che poteva essergli utile, << Non ho intenzione di farti niente, ma la tentazione è comunque forte… >>.

 

Nina allungò le braccia davanti a lei, l’espressione omicida negli occhi di ghiaccio, e lasciò che le mettesse le manette senza fare storie. Il muro dell’autogrill li nascondeva alla vista di tutti gli altri passanti, ed era abbastanza isolato da consentirgli di fare tutto con calma: di solito lì si fermavano i tir per la pausa notturna, e siccome era mezzogiorno passato non c’era nessuno. I due tizi nell’Audi nera, che li avevano comunque seguiti anche se a debita distanza, osservavano le scena da lontano, come gli era stato ordinato.

 

<< Allora, ora io ti lascio qui e poi me ne vado >> disse Xander, guardando la ragazza in faccia per farle capire che non ammetteva cambi di programma, << I tuoi amici si avvicineranno solo quando io sarò ben lontano, altrimenti lo scambio salta e tu vieni dalla polizia con me, chiaro? Provate a spararmi addosso, e sono guai >>.

 

Nina arricciò il labbro in segno di fastidio.

 

<< Ok, agente del cazzo >> sibilò, << Tanto ti pentirai comunque del trattamento che mi hai riservato… >>.

 

<< Ne sono convinto… >>. Xander uscì dall’auto, poi andò a prenderla dall’altra parte. Tenendola ben stretta fece segno ai due tizi di rimanere dov’erano, e mostrò la pistola.

 

<< Dal dispiegamento di forze pronto a liberarti, mi sorge qualche dubbio sul fatto che tu sia veramente la Lince… >> commentò, spingendola verso il muro.

 

<<Sta zitto >> ringhiò Nina, << Cercati un bel postino per nasconderti, piuttosto >>.

 

<< Non sono abituato a farlo >> ribatté lui, poi aggiunse: << Dì ai tuoi amici di appoggiare tutte le armi che hanno sul tettuccio della macchina e di allontanarsi dall’auto. Le riprenderanno una volta che me ne sarò andato >>.

 

Nina sembrò sibilare qualcosa, inferocita come una vipera, poi abbaiò l’ordine ai russi. I due tizi tirarono fuori le pistole, le appoggiarono cautamente sul tetto dell’Audi e poi fecero qualche passo indietro.

 

<< Più lontani >> disse Xander.

 

Nina strattonò inutilmente il suo braccio, mentre ripeteva l’ordine ai due scagnozzi, che obbedirono con qualche reticenza.

 

Finalmente Xander valutò la distanza: tra loro e la macchina c’erano circa trenta metri, e tra i russi e l’auto altri trenta. Aveva tempo a sufficienza per salire sulla Ferrari e andarsene senza correre il pericolo che riuscissero a colpirlo.

 

Spinse Nina verso la grondaia che aveva individuato sul muro dell’autogrill e agganciò le manette al tubo metallico, chiudendole definitivamente. La ragazza strattonò le mani, rivolgendogli un’occhiata di fuoco: probabilmente non si aspettava una mossa del genere.

 

Xander le fece un sorrisetto e si avvicinò alla Ferrari. Con la coda dell’occhio osservava i due russi, mentre teneva sempre sotto tiro Nina con la pistola.

 

<< Ehi, e le chiavi? >> gridò lei, strattonando le manette.

 

Il sorriso sul volto di Xander si allargò.

 

<< Non dirmi che pensavi che te le lasciassi, dopo il trattamento che mi hai riservato? >> rispose, ridacchiando, << Mi dispiace, ma qualcuno doveva darti una lezione… >>.

 

Detto questo, le fece un cenno di saluto e saltò sulla Ferrari, partendo in sgommata verso l’autostrada, lo sguardo di fuoco di Nina addosso e le chiavi delle manette che tintinnavano nella sua tasca.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 24.00 – Mosca

 

William vide l’espressione di Irina mutare di fronte alla canna della pistola, e lesse nei suoi occhi la paura e il pentimento. La sicura dell’arma scivolò sotto le sue dita, mentre la teneva sotto tiro, il silenzio del capannone a fare da sottofondo alla scena, ma soprattutto ai suoi pensieri.

 

La sua storia aveva un senso. Nonostante tutto, la spiegazione che gli aveva dato riguardo alla sua fuga e alla partenza per Mosca sembravano plausibili. Tutto quanto combaciava con i segni che aveva letto in giro… Went che spariva dalla circolazione, Dimitri scappato poco prima, la Punto che improvvisamente ricompariva dal nulla…

 

Aveva fatto migliaia di chilometri per averla davanti, e si era chiesto decine di volte cosa avrebbe provato. Ora che Irina era lì di fronte a lui, non riusciva a sentire altro che meraviglia. Profonda e incredibile meraviglia.

 

Irina stava in piedi, con le mani alzate, e lo guardava con quegli occhi scuri che avevano qualcosa di nuovo rispetto a quelli che aveva lasciato, qualcosa che lo fece indugiare mentre sfiorava con il dito il grilletto della pistola…

 

“Cazzo quanto è bella… Non me la ricordavo così…”.

 

Di solito, le cose sembrano sempre migliori quando vivono nei nostri ricordi; e quando hai la possibilità di rivederle di nuovo, rimani deluso. Questa volta la regola non valeva: Irina era diversa, i capelli più lunghi, il viso più adulto, ma era il suo sguardo ad essersi trasformato maggiormente, e lui la trovò mille volte meglio di come l’aveva lasciata.

 

Aveva risposto alle sue domande, e l’aveva fatto con un tono diverso da quello impaurito che lui conosceva bene: era sicura di quello che diceva, si percepiva davvero la rabbia delle sue parole… Perché mentire? Perché avrebbe dovuto dirgli qualcosa che non era la verità? Che senso aveva che si trovasse in Russia, se non era davvero per liberarlo?

 

Eppure sul suo volto leggeva la rassegnazione, come se Irina pensasse che non le credesse, come se aspettasse che le sparasse prendendosi giustamente la sua vendetta… Tutta quella storia sembrava incredibile persino a lei, e non si illudeva che lo Scorpione cancellasse il suo odio così facilmente…

 

Ma la verità, la pura e semplice verità, era che una parte di lui non voleva crederle.

 

Irina l’aveva tradito, quando lui le aveva offerto qualsiasi cosa. Aveva rifiutato lo Scorpione per stare con uno sbirro, lo aveva aiutato a entrare nel loro giro e poi aveva fatto in modo che lo arrestasse… L’aveva sempre disprezzato, preso in giro, odiato. Che importava se adesso si era pentita, aveva capito di aver sbagliato? Chi glieli avrebbe ridati due anni della sua vita? Chi gli avrebbe ridato i suoi soldi, la sua Black List, il suo potere?

 

Però sapere che lei ci aveva ripensato, gli dava una certa soddisfazione. Sapere che era venuta in Russia per lui, per liberarlo, lo rendeva… compiaciuto? Felice?

 

“Dovrei ucciderla. Ho ammazzato per molto meno…”.

 

Eppure la sua mano rimaneva ferma. Il suo dito non si muoveva.

 

“Se la uccidessi ora, non potrei scoprire se mi ha detto veramente la verità… E se mi avesse mentito, potrei vendicarmi anche per questo…”.

 

<< Perché sei scappata appena mi hai visto? >> domandò.

 

<< Mi hai spaventata. Non me lo aspettavo >> rispose lei, << Pensavo non mi dessi nemmeno il tempo di parlare… >>.

 

Forse fu il suo tono, la sua espressione, ma William capì che Irina stava dicendo la verità. Non aveva immaginato che lui potesse comparire così, dopo tutto quello che era successo, e lei doveva aver avuto paura. Forse si era aspettata una reazione diversa da quella che lui aveva messo in atto, forse aveva pensato che le sparasse a bruciapelo appena l’avesse avuta davanti…

 

“Per un attimo ci aveva azzeccato…”.

 

Si avvicinò, e abbassò definitivamente la pistola. Però Irina non si rilassò, rimase comunque immobile, gli occhi scuri puntati sul suo volto. Bella, bellissima, migliore di quanto la ricordava lui… E soprattutto, pentita per quello che aveva fatto.

 

Alzò una mano e sfiorò il suo viso, sentendo la pelle morbida scorrere sotto le sue dita, il profumo dei suoi capelli arrivargli alle narici, con una nuova nota selvaggia che non aveva mai percepito…

 

Poi, quella parte di lui che credeva alla sua storia prese il sopravvento.

 

Non l’avrebbe uccisa, non ora. Provava troppa attrazione per quel corpo di cui conosceva ogni centimetro per non poterne godere ancora. In fondo, non importava se Irina stesse dicendo o meno la verità: aveva il tempo per capire, per scoprire cosa passava per la sua testa, se mentiva oppure no… Ma intanto, lei sarebbe rimasta con lui.

 

Le prese il mento e sussurrò: << Mi hai fatto davvero una bella sorpresa, sai? >>.

 

<< Mai quanto la tua >> ribatté lei.

 

E improvviso, inaspettato, un piccolo sorriso affiorò sulle labbra di Irina: intimidito, incerto, ma sincero.

 

A quel punto, William sentì qualcosa nel suo stomaco contorcersi, e avvicinò la bocca di Irina alla sua, e solo allora si rese conto di quanto gli fosse mancata, di quanto quella ragazza avesse preso possesso dei suoi pensieri, della sua anima…

 

La soddisfazione fu doppia quando si accorse che per la prima volta nella loro esistenza, Irina ricambiava quel bacio con qualcosa che lui non aveva mai sentito da parte sua: passione. Passione quasi violenta, quasi impaziente come la sua…

 

Aveva atteso due anni, e ora scopriva che quel ricongiungimento era meglio di quello che aveva immaginato, che le sue più intime speranze forse si rivelavano realtà…

 

“Lei è di nuovo mia…”.

 

Poi si fermò di colpo, per guardarla negli occhi e capire veramente quello che lei provasse: rimasero così, in silenzio, a fissarsi nelle iridi scure, forse cercando una risposta nello sguardo dell’altro.

 

William non vide menzogna, negli occhi di Irina. Vide solo un accenno di paura, di timore, e forse un po’ di vergogna, ma non c’era quell’espressione di disgusto che le aveva sempre rivolto… Non c’era niente di quanto aveva sempre visto, di quanto era abituato ad avere.

 

Il suo sangue iniziò a ribollire, mentre il petto di Irina si alzava e si abbassava a pochi centimetri dal suo… Aveva un profumo inebriante, forte, selvaggio, che lo stordiva quasi… Fosse stato per lui, l’avrebbe resa sua subito, in quel capannone, fregandosene di tutto e di tutti, anche della sua volontà, ma l’orgoglio lo fermò.

 

Non avrebbe ceduto subito, non si sarebbe lasciato fregare così in fretta. Prima voleva capire. Non si sarebbe lasciato prendere in giro da lei, visto che l’aveva già fatto troppe volte. Poteva resistere, poteva aspettare ancora un po’, ed essere sicuro di prendersi la migliore delle vendette.

 

Si allontanò e la guardò per un momento, seguendo il disegno delle sue labbra nel piccolo sorriso che le stava rivolgendo… Poi alzò la mano e le tirò uno schiaffo in faccia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

<< Questo è per avermi tradito >>.

 

Irina incassò il colpo, presa alla sprovvista, ma da quello capì che la sua recita aveva funzionato. Aveva ancora il sapore delle labbra di William in bocca, quel leggero sentore di sigaretta che non provava più da anni, ma riuscì a trattenere il disgusto. Qualcosa di potente l’aveva appena trasformata in una perfetta attrice, che sarebbe stata in grado di mettere in atto anche quella farsa.

 

“Vi metterò tutti dietro le sbarre. Costi quel che costi”.

 

Scosse il capo per togliersi lo stordimento di dosso, poi guardò William.

 

<< Me lo merito >> disse, tranquilla.

 

Lo Scorpione sorrise.

 

<< Mi fa piacere che tu lo ammetta >> commentò. << Adesso che io sono libero, che cosa farai? >>.

 

“Stronzo”.

 

<< Non lo so… Sono venuta qui per incontrare la Lince… >> rispose.

 

William diventò pensieroso.

 

<< La Lince… In effetti, incontrare la Lince potrebbe essere vantaggioso anche per me >> disse, << Potrebbe aiutarmi a ricomporre la Black List… >>.

 

Dentro di lei, Irina esultò. Sarebbe stato perfetto: avrebbe potuto davvero prendere due piccioni con una fava. Poteva costringerlo a rimanere a Mosca e sperare di arrestarli insieme…

 

<< Io la devo incontrare >> disse lei, << Era la mia ricompensa per aver vinto la Mosca-Cherepova… Potremmo andarci insieme >>.

 

William alzò lo sguardo, e improvvisamente sembrò consapevole di qualcosa che lo divertì.

 

<< Già, dimenticavo… Hai anche vinto quella gara >> disse, << Ma questo non mi sembra il posto adatto per parlare di affari… Torniamocene in albergo >>.

 

A quel punto, Irina sentì un groppo in gola. Lo seguì fuori dal capannone, cercando di immaginare come sarebbe andata la notte… Non poteva sperare che finisse tutto così, ma riteneva di essere stata abbastanza fortunata: William aveva abboccato e ora aveva intenzione di portarla in un albergo, luogo abbastanza affollato per impedirgli di compiere qualche gesto pericoloso nei suoi confronti.

 

Lentamente, abbassò le mani, e William le fece cenno di raggiungere la stanzetta di prima. lo precedette, lo sguardo basso, sentendo che lui seguiva i suoi movimenti, e varcò la porta, trovando Vladimir e il suo amico Cyril in piedi a parlottare tra loro. Smisero appena entrarono, e lo Scorpione si avviò verso la porta che stava dall’altra parte e che molto probabilmente conduceva fuori dal capannone.

 

<< Piaciuta la sorpresa, Fenice? >> fece Vladimir, con la cicatrice sul suo collo si tendeva mentre sorrideva malignamente.

 

<< Molto, grazie >> ribatté lei.

 

William gettò loro rapidamente un’occhiata, poi disse: << Sali in macchina >>.

 

Irina annuì e uscì fuori dal capannone, ritrovandosi in un piazzale vuoto e buio, a parte per due auto parcheggiate vicino al muro: una era la Impreza nera di Vladimir, l’altra una Bugatti Veyron color petrolio, dai cerchi in lega enormi e diamantati. Inchiodò e rimase a guardarla, chiedendosi dove William l’avesse trovata.

 

<< Avanti, sali >> ordinò lui, con una vaga nota di compiacimento.

 

Irina si sedette al posto del passeggero, incastrandosi nel sedile ergonomico, e guardò lo Scorpione piazzarsi al lato di guida, con la sensazione che doveva essere davvero disposto a tutto per riprendersi il suo potere… Aveva rubato una Bugatti, la regina delle auto, con il sicuro intento di mostrare che anche se non aveva più la Black List, era pur sempre lo Scorpione, il miglior pilota si tutti gli Stati Uniti.

 

Accese il motore, e partì lentamente verso l’esterno del capannone, la Impreza dietro di loro, con Irina che rimaneva in silenzio. Sapeva di non poter apparire troppo spaventata, ma nemmeno eccessivamente tranquilla: William si sarebbe insospettito, e molto probabilmente non credeva ancora definitivamente alla sua storia. La cosa migliore era comportarsi come si era sempre comportata con lui, perché era la vecchia Irina di due anni prima che lui conosceva.

 

<< Dove si trova Dimitri? >> domandò William, gettandole un’occhiata.

 

<< Non lo so >> rispose lei, << Non mi aveva garantito nemmeno che sarebbe tornato… Gli ho detto di nascondere la bambina, e lasciare a me Vladimir… Ma adesso che ho scoperto che c’eri dietro tu, a tutto questo, le cose cambiano >>.

 

Poi le venne in mente un pensiero: Dimitri forse sapeva. La fuga di William non poteva essere passata inosservata a McDonall, e forse il Vicepresidente aveva avvertito il Mastino che lo Scorpione era fuori e che li stava cercando… Era quello che le aveva tenuto nascosto. Non le avevano detto niente perché avevano temuto che abbandonasse la missione. E forse Dimitri aveva intuito che dietro il rapimento di Yana c’era il suo vecchio amico.

 

Avrebbe dovuto arrabbiarsi con lui, ma non lo fece. Dimitri aveva preso la decisione migliore, e solo in quel modo lei aveva davvero preso in mano la missione. Senza sapere non si era fatta troppi problemi, non aveva avuto scusanti… Aveva corso un pericolo doppio, ma sapeva che era stato meglio così.

 

William sembrò ridacchiare.

 

<< Immagino sarà andato a nascondersi con la sua adorata nipotina >> disse, << Visto che se non lo sapeva prima, saprà stanotte che il rapimento della bambina verrà attribuito a me, e non a Buinov… >>.

 

Irina lo guardò senza capire.

 

<< Ho fatto un accordo con Buinov: lui mi faceva rimanere nascosto fino ad ora e mi portava Dimitri e te, e io mi prendevo la responsabilità del rapimento della bambina >> spiegò lo Scorpione, << Così lui la passa liscia per quanto riguarda i suoi precedenti con i russi… Ma credo che a questo punto Dimitri non si farà vedere, visto che non ha nessun legame con te che lo costringa a farlo >>.

 

<< Presumo di no… >> rispose a bassa voce Irina, sperando che Dimitri avesse ascoltato la sua richiesta e non fosse già in macchina, diretto verso di loro.

 

<< Sarà una brutta sorpresa, per Buinov >> ridacchiò William.

 

Irina comprese che l’accordo che esisteva tra lo Scorpione e Vladimir doveva essere qualcosa di fittizio, e che William non era intenzionato a rispettarlo. Guardò fuori dal finestrino, rendendosi conto che era appena entrata in una tana di serpenti… Doveva stare attenta ogni volta che avrebbe aperto bocca, e guardarsi sempre le spalle.

 

Scoprì che l’hotel che William aveva eletto come sua base era un albergo in pieno centro di Mosca, super lusso e decisamente vistoso. Parcheggiarono la macchina nel retro, e scesero raggiungendo l’ingresso secondario. Lo Scorpione non si diede nemmeno il disturbo di aspettare Vladimir, ma tenne d’occhio lei come se avesse paura di vederla scappare da un momento all’altro. Irina rimase zitta, chiedendosi che destino l’attendeva, e inchiodò di colpo quando William si fermò davanti al bancone dell’ingresso, dove una graziosa hostess gli fece un cenno di saluto.

 

<< Mi serve un’altra stanza >> disse William secco, << Quella di fianco alla mia è libera? >>.

 

La ragazza digitò qualcosa sul computer che aveva davanti, poi rispose: << E’ libera quella di fronte, va bene lo stesso? >>.

 

<< Sì >>.

 

L’hostess porse un mazzo di chiavi a William, che le afferrò e senza aggiungere nulla prese Irina per un braccio e la accompagnò all’ascensore, mentre Vladimir e Cyril entravano nell’hotel in quel momento.

 

Irina gettò una fugace occhiata a William, chiedendosi come mai avesse deciso di darle un’altra stanza invece di costringerla a seguirla nella sua…

 

Lo Scorpione la scortò fino alla sua camera, e le mise in mano le chiavi, con aria imperscrutabile e stranamente distante.

 

<< Non so se davvero sei venuta qui per me >> disse, << Ma una cosa è certa: se stanotte cerchi di scappare, non indugerò di nuovo a premere quel grilletto, chiaro? Se lascerai l’albergo, mi avvertiranno immediatamente, quindi pensaci due volte prima di fare qualche stronzata. Domani mattina parleremo di tutto quello che è successo, con calma e con chiarezza. Voglio sapere tutto, dall’inizio alla fine >>.

 

Irina annuì. Per un istante credette che William stesse per afferrarla e strapparle un altro bacio, ma lo vide trattenersi come se fare una cosa del genere fosse una caduta di stile, e farle cenno di entrare.

 

Non si fidava di lei. Aveva imparato che nonostante tutto Fenice poteva essere pericolosa, che poteva pugnalarlo alle spalle. Forse era una prova, la sua. Forse voleva semplicemente mettere le idee in ordine e capire se davvero tutta quella storia potesse essere plausibile…

 

<< Mi troverai qui, domani mattina >> disse lei, quasi dolcemente, << Non ho intenzione di andarmene >>.

 

<< Vedremo >> ribatté William.

 

Irina aprì la porta ed entrò nella sua nuova stanza, credendo che lo Scorpione la seguisse dentro. Invece rimase fuori, gli occhi che la scrutavano e la mano appoggiata allo stipite. Lei rimase ferma sulla soglia, senza sapere cosa dire.

 

<< A domani mattina >> disse William, poi chiuse la porta, lasciandola impalata in mezzo al corridoio.

 

Solo in quel momento, nel silenzio di quella camera sconosciuta, Irina si rese davvero conto di quello che aveva appena fatto. Per una frazione di secondo, le venne da piangere, le venne voglia di gridare che aveva fatto una stupidaggine, che voleva tornare indietro…

 

Cosa ho fatto?! Cosa ho fatto!?”.

 

Si era buttata nelle braccia del suo più odiato nemico, del suo incubo peggiore, mettendo in piedi una farsa a cui non aveva nemmeno il coraggio di ripensare… Gli aveva detto che si era pentita, che lo stava cercando, che…

 

Si appoggiò al muro, il fiato corto, cercando di riguadagnare la calma, ma non riusciva, perché non poteva più tornare indietro. Si era infilata nella tana del lupo, conscia di quello che significasse, di quello che poteva succedere. Ci era già stata, e solo per miracolo ne era uscita…

 

“Stupida. Avevi detto che partivi per affrontare le tue paure, no?”.

 

Già… Ricordò il ragionamento che aveva fatto prima di prendere la sua decisione, prima di avventurarsi a Mosca: faceva tutto quello per affrontare le sue paure e vincerle. Il destino le aveva messo davanti William perché lui rappresentava il suo timore più grande, e lei doveva vincerlo questa volta.

 

Abbassò il capo, trasse un ultimo respiro profondo e decise di non pensare più a quello che sarebbe potuto accadere. Sperava solo che Dimitri seguisse la sua richiesta, e che Xander non venisse a sapere niente di quello che stava facendo. Ma forse nemmeno lui era stato avvertito del fatto che lo Scorpione era di nuovo fuori… E molto probabilmente McDonall avrebbe tenuto ancora per un po’ per se quel fatto.

 

Raggiunse la camera da letto e si guardò intorno: era tutto molto lussuoso e accogliente, ma ciò non toglieva il fatto che la situazione fosse piuttosto tesa. Si avvicinò alla finestra, che dava su una stradina laterale di Mosca, e sospirò.

 

Si preannunciava una notte molto, molto lunga.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Bé, dovrei dire più spesso che compio gli anni: ho ricevuto una valanga di recensioni! Grazie mille!

Ma passiamo al cap… Allora, chi si aspettava una reazione del genere da parte di Irina? Da brava agente ha messo in atto un bel piano, folle, ma davvero bello. La domanda è naturalmente se funzionerà, ma soprattutto cosa farà William: perché è chiaro che sta studiando Irina come non aveva mai fatto prima, e che non è ancora davvero convinto di quello che gli ha raccontato. Il fatto è che non vuole essere preso in giro di nuovo, e prima di cedere al richiamo che inconsciamente Irina ha su di lui, vuole essere sicuro di chi ha davanti. Sarebbe un bello smacco credere che lei si davvero pentita e poi scoprire che ha mentito, no? Questa è la realtà, ma lui non lo sa, e forse nel profondo del suo essere spera veramente che Irina abbia cambiato idea… E’ uscito più spietato che mai dalla prigione, ma Irina rimane comunque il suo punto debole, e questo lo sanno tutti. La odia, la ama, la vuole e non la vuole: finché non metterà ordine nella sua testa non potrà decidere cosa fare di lei, e soprattutto non riuscirà ad ascoltare con tutta la lucidità che gli serve le parole che Fenice avrà da dargli. Lui lo sa meglio di tutti noi.

 

Purtroppo non riesco a rispondere alle vostre recensioni nemmeno questa volta, ma vi ringrazio davvero dal più profondo del mio cuore. Sono davvero subissata di impegni in questo periodo, e gli esami mi stanno ammazzando. Spero che gli ultimi che mi restano da fare vadano bene, così avrò più tempo da dedicarmi alla storia e naturalmente a voi! Un enorme bacio!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 35
*** Capitolo XXXV ***


Capitolo XXXV

Capitolo XXXV

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 06.00 – Mosca

 

Irina fissava in silenzio il soffitto della stanza, il ticchettio dell’orologio stile minimalista che echeggiava nella camera semibuia, il suo cuore che batteva all’unisono con le lancette. Il letto era morbido e caldo, ma nonostante tutto il lusso di quell’hotel, aveva dormito poco e male, con la paura che da un momento all’altro William sbucasse dalla porta per venire a prendere la sua vendetta.

 

Sospirò, le ore che passavano lente e silenziose, senza che nessuno si facesse vivo, senza che si sentisse alcun rumore strano o allarmante. Lo Scorpione sembrava essersi inabissato nella sua camera, e non aveva intenzione di uscirne.

 

Aveva avuto modo di pensare molto, quella notte. Per un attimo, aveva anche avuto la tentazione di usare il telefono che aveva nella stanza, chiamare Dimitri e ordinargli di non venire, di non avvicinarsi a quell’hotel, sempre che sapesse dove si trovassero. Il Mastino non era uno che aveva paura, e dallo sguardo che le aveva lanciato prima che si lasciassero era chiaro che la sua intenzione era sempre stata quella di tornare a prenderla, qualsiasi fosse l’esito dello scambio. E siccome c’erano ampie possibilità che lui sapesse già che era stato William a ordire quel complotto, aveva messo in conto anche di incontrarlo.

 

Però Dimitri aveva sempre seguito le sue richieste. E poi, cosa le faceva pensare che fosse disposto a mettere a rischio la sua vita per salvare lei? Forse c’era stato qualcosa, tra loro, ma poteva anche non essere sufficiente a spingere una persona ad affrontare il pericolo nel quale lei si era infilata da sola e volontariamente…

 

Ma è testardo… Spero solo che abbia capito che ho un piano e che posso metterlo in atto. Tanto se venisse a prendermi, le cose finirebbero male. Almeno in questo modo uno di noi due si salverà”.

 

Alla fine non aveva chiamato, perché intuiva che William dovesse aver messo sotto controllo il suo telefono, e si era tenuta i dubbi tutti per sé. Dimitri doveva ascoltare la sua richiesta; McDonall era stato avvertito, e sicuramente lui che lavorava da anni nell’F.B.I. era abituato alle missioni che prendevano quella piega. Xander ormai non faceva più testo, ma se non veniva a sapere niente era sempre meglio.

 

Guardò di nuovo l’orologio, chiedendosi perché le ore passassero così lente. William la faceva aspettare, forse perché voleva metterla sotto pressione e cercare di estorcerle la verità, di costringerla a commettere un passo falso…

 

Quando la lancetta toccò le sette, si alzò a sedere e si rivestì in fretta con le cose del giorno prima: non aveva nulla dei suoi effetti personali, e sicuramente non poteva tornare a casa a prenderli. Si diede una rapida pettinata e valutò l’ipotesi di scendere sotto a prendere qualcosa da mangiare, o almeno un caffè vista la notte in bianco.

 

Una volta nella hall dell’hotel, trovò la ragazza della sera prima ancora dietro il bancone, che con sguardo sospettoso le spiegò dove fosse il bar. Irina ringraziò ed entrò nel locale adiacente all’ingresso, dove un forte profumo di caffè la investì insieme a quello fragrante di brioches appena sfornate.

 

Si guardò intorno: il bar era lussuoso, pieno di superfici lisce e con numerosi tavolini. Il lungo bancone era di marmo nero, e rifletteva la luce del lampadario di cristallo sopra la sua testa. Non c’era nessuno, a parte l’uomo in uniforme scura che stava disponendo le brioches dentro una teca di vetro, in bella mostra. Le fece un cenno di saluto e disse: << Arrivo subito >>.

 

Irina annuì, guardando la strada fredda di Mosca oltre il vetro del locale. Avrebbe tanto voluto andarsene, uscire da quell’albergo e trovare qualcuno che la aspettava per portarla via… Poi si chiese: qualcuno chi?

 

Dimitri o Xander?

 

Scosse il capo, dandosi della stupida, e guardò il barman, che aspettava il suo ordine.

 

<< Colazione della casa? >> domandò lui, gentile.

 

Irina sorrise e scosse il capo.

 

<< Forse un the può bastarmi, per il momento >> rispose.

 

L’uomo annuì e si mise al lavoro, mentre lei rimaneva in silenzio, gli occhi che ogni tanto correvano oltre il vetro, e la velata speranza di veder comparire una faccia conosciuta…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Se se ne è andata, l’ammazzo”.

 

In camera non c’era; aveva bussato quattro volte, ma nessuno aveva risposto. Come aveva fatto a essere così stupido e a credere alla sua storia? Perché l’aveva lasciata da sola nella sua stanza?

 

“Lo sapevo, cazzo. E’ riuscita a fregarmi di nuovo… Puttana”.

 

Aveva già la pistola pronta, e sapeva che il vantaggio che poteva aver guadagnato non poteva essere poi molto… Un paio d’ore e l’avrebbe trovata, ma questa volta la sua mano non avrebbe esitato…

 

Scese rapidamente le scale, raggiungendo la hall, infuriato. A passo di marcia si diresse verso il bancone, ma prima che avesse modo di chiedere da quante ore Irina era andata via, la ragazza della sera prima rispose: << E’ al bar >>.

 

Per un momento William rimase interdetto, convinto com’era che fosse scappata, poi fece dietrofront e si diresse verso il bar, gettando un’altra occhiata alla ragazza, che sembrava perplessa. Il fatto di aver sbagliato, di aver tirato troppo in fretta le sue conclusioni, lo innervosì più di quanto già non lo fosse. Aveva discusso con Vladimir riguardo a Dimitri, la sera prima, e il russo non sembrava molto contento del fatto che il Mastino molto probabilmente non si sarebbe fatto vivo.

 

Entrò nel bar e trovò Irina seduta al bancone, intenta a sorseggiare qualcosa da una tazza bollente. Aveva l’aria tranquilla, di chi non sta tramando nulla: però non doveva aver dormito molto, visto il viso pallido che aveva. Quando lo vide sorrise appena, continuando a bere.

 

La raggiunse, e si sedette di fianco a lei in silenzio. Anche se non era scappata, provava ancora un po’ di diffidenza nei suoi confronti.

 

Aveva pensato. Aveva pensato a lungo a tutta quella storia… Aveva soppesato ogni particolare, ogni notizia che aveva ricevuto, ogni evento a cui aveva assistito. Ed era giunto alla conclusione che un fondamento di verità doveva esserci.

 

Irina non poteva essere andata in Russia per un viaggio di piacere, per di più senza il suo Went, e sicuramente non si sarebbe presentata come pilota clandestina, come invece aveva fatto. Se era andata lì con l’intento di liberarlo, era però tutto da vedere.

 

<< Caffè >> ordinò secco al barista.

 

Irina gli gettò un’occhiata e comprese il suo nervosismo. Non disse niente e aspettò che fosse lui a parlare per primo.

 

<< Parleremo in camera mia. Subito >> ringhiò.

 

<< Ok >> fece Irina.

 

Dieci minuti più tardi stavano fermi di fronte alla porta della sua stanza, che William spalancò in silenzio. Proprio in quel momento dal corridoio sbucò Dan, che con aria incuriosita guardò Irina, forse perché non si aspettava di vederla: teoricamente avrebbe dovuto essere morta.

 

William ricordò che gli aveva promesso di presentargliela, quando stavano ancora in carcere, e con un certo orgoglio gli fece cenno di venire avanti. Vide i suoi occhi indugiare su Irina, e capì che la trovava attraente come la maggior parte della gente.

 

<< Dan, lei è Fenice >> disse.

 

Irina scrutò il ragazzo senza capire chi fosse. William la spinse avanti e aggiunse: << Il mio nuovo braccio destro >>.

 

La ragazza porse la mano, come era solita fare, anche se si trovava di fronte a un ex carcerato.

 

<< Irina >> si presentò, stranita.

 

Dan ricambiò la stretta, poi William afferrò Irina per un braccio e la condusse in camera.

 

<< Dopo mi dirai quello che mi devi dire >> aggiunse, rivolto al ragazzo. Poi gli chiuse la porta in faccia e si dedicò a Irina. << Siediti >> le ordinò.

 

La ragazza ubbidì, prendendo posto al tavolino, l’aria preoccupata. In quel momento William voleva che capisse che non stava scherzando, che se per caso cercava di prenderlo in giro non aveva speranza di scamparla, questa volta. Si sedette dall’altra parte del tavolo, fissandola, e appoggiò la pistola sul ripiano, la canna puntata verso di lei. La vide abbassare un momento lo sguardo sull’arma, poi tornare a puntare gli occhi su di lui.

 

<< Spiegami tutto, dall’inizio >> ordinò, secco.

 

Irina deglutì, poi annuì. E lentamente, parola dopo parola, gli raccontò di come aveva fatto a liberare Dimitri, e di come si erano messi d’accordo per partire. Gli spiegò come avevano fatto ad arrivare in Russia, dell’incontro con i Referenti e infine della Mosca-Cherepova. Esattamente come aveva fatto la sera prima, forse con qualche particolare in più. L’unico punto su cui Irina non si soffermò, era quello che era successo con Went.

 

Mentre parlava, William lasciò scorrere il suo sguardo su di lei, e per quanto cercasse di trovare un difetto alla sua storia, non ci riuscì. In effetti, tutto quello che aveva fatto aveva senso, e probabilmente lo avrebbe fatto anche lui… Era stata intelligente, furba, e anche molto avventata, ma non poteva negare che la ammirò, in quel momento: esattamente come lui, non si era lasciata abbattere, aveva preso in mano le redini della situazione ed era partita all’attacco…

 

L’unico punto a cui ancora non poteva credere, era che l’avesse fatto per lui.

 

<< Raccontami come è andata con Went >> la interruppe.

 

Irina rimase in silenzio, e sul suo volto si dipinse un’espressione di dolore.

 

<< Te l’ho detto. E’ andato con un’altra… Non mi sembra ci sia niente da aggiungere >> rispose.

 

William capì che parlarne le faceva male, e fu la conferma che stava dicendo la verità. La conosceva abbastanza bene da sapere che il tradimento di Went doveva averle aperto una ferita nel cuore che difficilmente si sarebbe rimarginata in fretta… Tuttavia, doveva conoscere tutta la storia se voleva capire perché Irina avesse improvvisamente cambiato idea su di lui.

 

<< Voglio sapere come è andata >> ribatté, per farle capire che non c’era niente da discutere.

 

Irina abbassò lo sguardo per la prima volta da quando aveva incominciato a raccontare, e disse: << E’ andata avanti per qualche mese dopo la chiusura del processo. Stavamo bene, poi… Poi Went ha iniziato a essere scontroso, e abbiamo litigato diverse volte. Alla fine l’ho trovato a letto con un’altra >>. La voce di Irina si indurì improvvisamente. << Una tipa bionda tutta curve e dagli occhi azzurri. Decisamente più bella di me >>.

 

Per un istante, sul volto dello Scorpione aleggiò un velato sorriso. Immaginava la faccia di Irina, quello che aveva provato, e quello che stava provando in quel momento: era stata tradita, messa da parte, e la rabbia si percepiva nella sua voce… Tanto da farglielo chiamare per cognome.

 

“Con una più bella di te… E dove l’ha trovata, una più bella di te?”.

 

Il pensiero passò rapido nella sua testa, involontario, eppure vero. Quel tradimento aveva reso Irina più adulta, più sicura, più bella di quanto lui la ricordava… Era cambiata in meglio: non era più la ragazza che aveva conosciuto, fragile quanto sfrontata, timida e prigioniera di stessa. Era diventata una donna, nell’anima le cicatrici che la vita le aveva lasciato, e più nessuna paura.

 

Mise la mano sulla pistola, e vide Irina irrigidirsi. Le rivolse un’occhiata, poi lentamente mise in tasca l’arma. Per quanto cercasse di essere distaccato, iniziava a crederle.

 

<< Chi era la ragazza? >> domandò.

 

<< Non lo so e non lo voglio sapere >> rispose seccata lei, << Ne avrà avute così tante che nemmeno lui si ricorderà i loro nomi >>.

 

Era bello vedere l’espressione infastidita di Irina, e scoprire che sembrava disprezzare Went più di quanto disprezzasse lui. L’orgoglio l’aveva resa combattiva, l’aveva spinta a fare cose che forse non avrebbe mai fatto.

 

Si guardarono per un momento, poi William si alzò e Irina lo seguì con gli occhi. Era tesa: stava aspettando il suo verdetto.

 

<< Rivuoi davvero tutto quello che avevi due anni fa? >> domandò, << Vuoi ancora la Black List? >>.

 

<< Sì >> rispose Irina.

 

<< Quindi sei disposta ad aiutarmi? A fare quello che ti dirò? A non tradirmi mai più? >>.

 

William la fissò, e per un istante si accorse che dentro di lui qualcosa si muoveva, qualcosa gli stava suggerendo quelle parole, quelle frasi, qualcosa che sperava in una risposta affermativa da parte di Irina… Qualcosa che avrebbe accettato tutti i rischi di averla di nuovo al fianco, solo per il gusto di sentire il suo profumo nelle narici.

 

Fenice lo guardò negli occhi, quegli occhi scuri che lui conosceva bene, nei quali aveva imparato a guardare e aveva creduto di capire, che l’avevano tradito, che erano stati in grado di mentirgli… E che ora tornavano a lui pentiti, pieni della tristezza per il tradimento che aveva subito.

 

<< Sì, William >> rispose lei, << Ti aiuterò >>.

 

Allora le cose sarebbero tornate davvero come un tempo… Avrebbe avuto di nuovo la sua Black List, la sua città, i suoi piloti, Fenice al suo fianco…

 

Le fece un cenno con la testa.

 

<< Allora non abbiamo tempo da perdere >> disse, << Troviamo Dimitri, e incontriamo la Lince. Ma prima… Dov’è la tua auto? >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 11.00 – Mosca, Aeroporto

 

Xander procedeva spedito verso il gate d’imbarco, fissando il lucido pavimento che sfilava sotto i suoi piedi, la valigia che scorreva dietro di lui, rumorosa. Scartò una coppia con un bambino, pregustando le ore di relax che aveva davanti: il volo per Los Angeles sarebbe stato piuttosto lungo, e per la prima volta non avrebbe dovuto guardarsi le spalle o pensare al lavoro.

 

Ormai era fuori dalla missione, definitivamente. Aveva riconsegnato le chiavi del suo appartamento a Demidoff, che se le era riprese con un sorrisetto sardonico, e altrettanto divertito aveva ascoltato il suo resoconto riguardo alle informazioni di cui era entrato in possesso, i sospetti su Nina che dopo qualche ora di riflessione gli erano sembrati infondati, e il fatto che il lavoro passava tutto nelle mani di Irina. Dopodiché si era recato direttamente in aeroporto, valigia alla mano e un’enorme voglia di staccare la spina per un po’. Persino le chiavi della Ferrari non erano più in suo possesso: le aveva lasciate a Demidoff, che si sarebbe occupato di rivenderla e far riavere i soldi a McDonall.

 

La vicenda di Nina non aveva avuto grandi risvolti: a parte aver raccontato tutto al Vicepresidente, Xander non aveva fatto altro. C’era qualcosa nella sua rivelazione che lo lasciava perplesso: non credeva davvero che lei fosse la Lince. Perché decidere di farlo fuori personalmente, quando aveva sempre cercato di tenere nascosta la sua identità? Non poteva aspettare di arrivare a Mosca e mandare qualcuno a ucciderlo? Finché fossero rimasti insieme poteva controllarlo: avrebbe potuto organizzarli una bella trappola in città, dalla quale difficilmente sarebbe fuggito… E poi era stata stupida a dirgli che era la Lince prima ancora di essere sicura al cento per cento di riuscire ad ammazzarlo…

 

“Era come se volesse far sapere che era lei la Lince… Non ha senso: dovrebbe cercare di mantenere segreta la sua identità…”.

 

Scosse il capo mentre si fermava a fare il check-in, per rimuovere i pensieri dalla sua testa. Ormai era in vacanza, doveva smetterla di pensare al lavoro. Doveva staccare altrimenti non avrebbe mai più recuperato la sua voglia di avventura, che in quel momento l’aveva abbandonato.

 

Osservò con scarso interesse il signore anziano che aveva davanti e che parlava inglese, segno che doveva essere americano anche lui, e gettò una rapida occhiata all’orologio. La vetrata dalla quale riusciva a vedere la pista d’atterraggio rifletteva la luce dei lampadari e le sagome della gente che si muoveva alle sue spalle.

 

Doveva ammettere che mettere tutta quella distanza tra lui e Irina gli faceva un certo effetto: era la conferma che le cose erano davvero finite, che le strade si erano definitivamente separate… Era una situazione nuova, per lui, abbandonare la missione, ma farlo a favore di Irina era in qualche modo un po’ meno umiliante, anche se un po’ duro da digerire: era stata più brava di lui, forse come sempre, ma non se ne era mai accorto, preso com’era da stesso.

 

Fece un mezzo sorriso e avanzò, mentre la fila scorreva lenta. Chissà cosa avrebbe pensato Irina quando fosse venuta a sapere che se ne era andato… Magari avrebbe pensato che se lo era meritato, visto il suo comportamento…

 

All’improvviso, vide qualcosa brillare sul vetro davanti a lui, ma era qualcosa che non veniva da fuori… Un grido di paura riverberò nell’aria della hall, e Xander si voltò di scatto, l’istinto da agente dell’F.B.I. che gli fece afferrare la pistola alla velocità della luce…

 

<< Went! >>.

 

Un tizio con il capo coperto da un cappello stava alzando una pistola verso di lui, con il chiaro intento di sparargli…

 

<< A terra! >> gridò Xander.

 

Ma non fece nemmeno in tempo a togliere la sicura che uno sparo proruppe nell’aria, gettando nel panico la gente… Si buttò di lato, sperando di non essere colpito…

 

Poi vide l’uomo cadere per terra con un tonfo sordo, la gente che scappava e gridava da tutte le parti… Senza capire cosa fosse successo, si guardò intorno, mentre raggiungeva il tizio e con un calcio allontanava la pistola che gli era caduta di mano…

 

Alla fine, lo vide.

 

Dimitri Goryalef, a pochi metri dall’ingresso, teneva la pistola puntata verso l’uomo sdraiato a terra, una macchia rossa che si allargava rapidamente sul pavimento, e sembrava fregarsene completamente della gente terrorizzata attorno a loro. Raggiunse rapidamente il tizio, continuando a tenerlo sotto tiro, mentre Xander cercava di capire cosa ci facesse lì.

 

<< Goryalef! >> gridò, << Che stai facendo? >>.

 

Dimitri tirò un calcio all’uomo, costringendolo a guardarlo. Lo aveva colpito a un braccio, quindi non era in pericolo di vita, ma continuava a gemere e contorcersi.

 

<< Ti salvo la vita, Went >> ribatté il russo, poi tornò a guardare il tipo, << Chi ti manda? >> gli chiese, ringhiando.

 

In quel momento un paio di guardie arrivarono correndo, pistole in pugno, e Xander alzò le mani per dirgli di fermarsi e che era tutto a posto.

 

<< Calma. Sono un’agente dell’F.B.I. >> disse, mostrando il tesserino, << Assicuratevi solo che non ci siano feriti >>.

 

Per fortuna le due guardie sembrarono capire, e annuirono.

 

Dimitri continuava a pungolare l’uomo, che però non rispondeva alla sua domanda. Xander si soffermò a guardarlo: doveva avere all’incirca trent’anni, non di più, e portava una corta barba rossiccia. Il cappello gli era caduto, mostrando capelli dello stesso colore. Un russo doc, arrivato fin lì per ucciderlo.

 

<< Chi ti ha mandato? >> chiese di nuovo, Dimitri.

 

L’uomo rispose qualcosa in russo, poi sputò per terra. Xander raccolse la sua arma e guardò il Mastino, che aveva gli occhi grigi di ghiaccio. Non gliene fregava assolutamente niente del fatto che la gente continuasse a guardarli terrorizzati, anche se ormai la situazione era sotto controllo.

 

<< Chiamate la polizia e un’ambulanza >> disse alle guardie, poi fece un cenno verso Dimitri, << Lui è con me…>>. Poi si rivolse direttamente al Mastino, << Perché sei qui? >>.

 

Dimitri gli rivolse una strana occhiata.

 

<< E tu dove credevi di andare? >> ribattè.

 

Xander arricciò il labbro. << Torno a Los Angeles >> rispose, secco, << Irina non ti ha detto che lasciavo l’incarico? Tu che cosa fai qui? >>.

 

Dimitri inarcò un sopracciglio, come se lo trovasse stupido.

 

<< Bé, Went, forse è il caso che tu riveda i tuoi piani >> disse, << Challagher è libero, ed è qui a Mosca. E Irina… Irina è con lui >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 11.30 – Mosca

 

<< Andiamo a prendere la tua auto e le tue cose >> disse William, << E se Dimitri sarà ancora a casa sua, sarà un piacere incontrarlo >>.

 

Irina guardò lo Scorpione alzarsi dal tavolo e tirare fuori un cellulare, mentre lei iniziava a preoccuparsi. Dimitri era scappato con Yana e gli altri? Oppure non aveva ascoltato il suo consiglio ed era ancora lì, ad attenderli? O peggio ancora, stava venendo loro incontro?

 

<< Va bene, ma… >> Irina lo guardò, alzandosi a sua volta, << Potrebbe essere pericoloso. Dimitri potrebbe tenderci una trappola… >>.

 

William fece un sorrisetto.

 

<< No, non credo che lo farà >> disse, << Sa benissimo che anche io faccio sul serio… Poi non credo che si aspetti una visita a domicilio, no? >>.

 

Irina annuì, sperando che Dimitri non fosse in casa. In effetti, aveva bisogno della sua auto e delle sue cose per reggere il gioco, ed era costretta a tornare a casa almeno una volta. Rimase in attesa, mentre William la guardava con aria divertita.

 

<< Quello che hai visto prima era un mio compagno di carcere >> disse, << L’ho fatto evadere con me perché avevo bisogno di una mano per la fuga… Sei pregata di informarmi se ti mette le mani addosso >>.

 

Irina inarcò un sopracciglio, poi riconobbe in quelle parole il solito Scorpione, quello che la considerava di sua esclusiva proprietà. Annuì e lo seguì fuori dalla camera, fino al parcheggio e poi sulla Bugatti.

 

Raggiunsero la casa di Dimitri nel giro di venti minuti, e con sollievo Irina si accorse che le luci degli appartamenti erano spente. Poteva sperare che non ci fosse nessuno.

 

William parcheggiò la Bugatti davanti al cancello, e rimase a guardare il palazzo con aria tranquilla. Tirò fuori la pistola e le fece cenno di scendere.

 

<< Vengo anche io, tanto >> disse.

 

Irina si piazzò davanti al cancello, ricordandosi solo in quel momento che Dimitri non le aveva mai dato le chiavi di casa sua… Non poteva entrare senza di lui.

 

Stava per dire “Non ho le chiavi…”, quando notò che in realtà il cancello era socchiuso. Facendo finta di niente lo spinse e riuscì a entrare nel vialetto, seguita da William, che non fece commenti al riguardo.

 

Quando mise piede nelle scale, capì che poteva stare tranquilla: nel palazzo non c’era nessuno. Regnava un silenzio assoluto, e quando fu davanti alla porta dell’appartamento rimase a guardarla, questa volta trovandola chiusa.

 

L’occhio le cadde immediatamente sul tappeto davanti alla porta: c’era un piccolo rigonfiamento in un angolo. Si abbassò e scoprì che erano le chiavi dell’appartamento.

 

“Dimitri… Sai pensare davvero a tutto”.

 

Il Mastino alla fine aveva seguito il suo consiglio… E in più aveva immaginato che sarebbe tornata. Le aveva lasciato un facile ingresso, senza che William potesse insospettirsi…

 

<< Le chiavi sotto il tappeto? >> borbottò lo Scorpione, << Che originale… >>.

 

Irina lo ignorò e aprì la porta. L’appartamento era vuoto, immerso nel silenzio. Il divano al suo posto, tutto in ordine, come se niente fosse stato mosso… Individuò il suo borsone, abbandonato vicino al disimpegno, chiuso. Ricordava di non averlo lasciato lì, ma di averlo buttato in camera sua e di non essersi nemmeno disturbata a disfarlo, visto che la sera stessa avrebbe lasciato la casa. Dimitri doveva saperlo e glielo aveva lasciato pronto.

 

<< Prendo ancora un paio di cose… >> mormorò, gettando un’occhiata a William.

 

Lui annuì, e la seguì fino in camera, forse per accertarsi che non lasciasse messaggi o che gli facesse qualche sorpresa: mentre metteva piede nella stanza, sperò che Dimitri sbucasse da dietro una porta e che risolvesse la situazione come era solito fare: prendendo a pugni chiunque con la freddezza di un ghiacciolo. Ma sapeva che non sarebbe successo, e in fondo non voleva che accadesse: non voleva che corresse rischi inutili.

 

Tirò fuori da sotto il cuscino la sua pistola di riserva, e lo Scorpione sembrò insospettirsi.

 

<< Posso tenerla? >> chiese lei, mostrandogliela.

 

William attese un momento prima di rispondere. << Sì… >> disse alla fine.

 

Recuperò ancora qualcosa da vestire, poi andò in bagno e prese le ultime cose che aveva lasciato nel mobile, e tornò nell’ingresso, gettando tutto alla rinfusa dentro il borsone. La sua mano sfiorò contro qualcosa che sembrava carta, ma lei fece finta di niente: forse Dimitri le aveva lasciato un messaggio, che doveva aprire lontano dagli occhi di William.

 

Avrebbe voluto prendere il pc portatile, ma conteneva materiale controproducente e William avrebbe capito subito quello che stava tramando, se ci avesse messo le mani sopra. Anche il suo “kit da agente”, fornitole da McDonall, doveva rimanere lì: troppo pericoloso, e lo Scorpione poteva mangiare la foglia vedendo che era in possesso di microspie e aggeggi simili.

 

<< Possiamo andare… >> disse alla fine, sperando di aver preso tutto quello che le poteva servire. Improvvisamente non vedeva l’ora di andare via, perché aveva la sensazione che bastasse pochissimo a far saltare tutto quanto… E se magari Dimitri in realtà non se ne fosse andato, ma era semplicemente uscito?

 

Lo Scorpione si guardò un’ultima volta intorno, poi domandò: << La tua auto è in garage? >>.

 

Irina annuì.

 

<< Allora io ti aspetto fuori >> disse William, << Ma sappi che è meglio per te che non ti azzardi a fare strani scherzi, mentre torniamo all’albergo >>.

 

Le prese il borsone di mano e le fece cenno di scendere di sotto. Irina raggiunse le scale, vedendolo sparire poi attraverso il portone, diretto alla Bugatti. Lei proseguì ancora, ritrovandosi nel garage deserto, dove solo le auto parcheggiate gli ricordarono che quella era casa di Dimitri: c’erano tutte, tranne la R8.

 

Raggiunse la Punto e saltò sopra, sentendosi un po’ più tranquilla. Aveva la sua auto, quindi non era proprio a mani vuote. Accese il motore, ricordando la promessa che aveva fatto alla sua auto prima che li riportasse a casa in così poco tempo e senza guai, a parte quelli a seguito della gara.

 

“Scusa, piccola. Manterrò la mia promessa quando tutto questo sarà finito”.

 

Lentamente uscì dal garage, e trovò la Bugatti ad attenderla a pochi metri dal cancello. Inutile dire che William la scortò fino all’albergo senza lasciarle modo di scappare, ma anche se la tentazione era forte, nella mente di Irina non passò mai quell’idea: doveva portare avanti il suo piano fino alla fine, se voleva qualche possibilità di uscire viva.

 

Mentre tornavano verso le loro camere, improvvisamente lo Scorpione domandò, camminando qualche centimetro dietro di lei: << Dimitri ti ha ospitato a casa sua? >>.

 

Più che sospetto, Irina trovò fastidio, nella sua voce. Gli rivolse un’occhiata, per capire cosa passasse nella sua testa, ma trovò solo i suoi occhi verdi imperscrutabili.

 

<< Era l’unico posto che mi permettesse di avere subito le informazioni che mi servivano, e controllare anche cosa facesse >> rispose prontamente.

 

William sembrò poco convinto dalla sua risposta.

 

<< Siete stati a letto insieme? >>.

 

La domanda arrivò così improvvisa che Irina rimase spiazzata per un momento: perché mai William doveva sospettare una cosa del genere? E soprattutto, da dove gli era uscita quell’idea?

 

Se non fosse successo davvero, Irina non si sarebbe sentita a disagio; ma siccome nella sua testa era chiaro il ricordo della notte che avevano passato insieme, si sentì come scoperta. Tuttavia cercò di rimanere tranquilla, più impassibile che mai.

 

<< No >> rispose, fingendosi incredula, << Perché avremmo mai dovuto? Ti ricordi meglio di me che mi odiava… >>.

 

“Che poi era quello che pensavo pure io…”.

 

William fece una smorfia.

 

<< Non mi stupirei se avesse cambiato idea >> ribatté. Poi sembrò voler aggiungere qualcosa, ma rimase zitto, come di malumore. Non parlò più, quasi fosse scocciato dalla sua presenza, o che stesse rimuginando su qualcosa. Forse qualcosa lo aveva insospettito, magari il fatto che Dimitri le avesse lasciato accesso alla casa mentre lui non c’era…

 

Una volta arrivati al loro piano, William la scortò fino alla sua camera e lì la lasciò, da sola. Se ne tornò nella sua stanza, forse per mettersi d’accordo con i suoi amici, senza aggiungere altro. Irina si andò a sedere sul letto, perplessa.

 

Lo Scorpione aveva qualcosa di strano, era chiaro. Era particolarmente distaccato, ma sembrava credere alla sua storia… Forse la stava studiando, forse cercava di capire cosa tramasse, perché si manteneva a debita distanza. A parte il bacio che si erano scambiati nel capannone, non c’era stato altro… Non era da lui sprecare tutte quelle occasioni che aveva avuto. Lo Scorpione di due anni prima le sarebbe stato addosso, si sarebbe preso volente o nolente il suo corpo, senza stare a chiedersi se lo stesse tradendo o meno. Adesso invece le stava quasi distante, come per evitare di cedere a qualche tentazione…

 

Era inquietante. Molto probabilmente doveva temerlo più adesso che quando faceva parte della Black List: la stava tenendo d’occhio, aspettando un suo passo falso che gli desse la conferma che andava uccisa. O molto più probabilmente, aveva già il suo piano ben congegnato nella testa, e stava solo attendendo il momento migliore per metterlo in atto.

 

Attirò il borsone vicino a sé e lo aprì. Come aveva intuito, quello che aveva sfiorato poco prima era una busta, con un foglio di carta ripiegato più volte su se stesso. Deglutendo, lo aprì lentamente, scoprendo una calligrafia sottile sottile e piuttosto elegante.

 

So dove vi trovate. Yana e sua madre sono al sicuro. Ma non illuderti che rimanga a guardare: il tempo di cercare qualcuno che possa darmi una mano, e poi ho intenzione di incontrare Vladimir, William e tutti quelli che hanno deciso di mettermi i bastoni tra le ruote. Nel frattempo, vi terrò d’occhio, e rimarrò nei dintorni, quindi saprò se vi spostate.

Nel borsone ho nascosto un cellulare: se la Lince chiamerà, chiamerà lì.

E lasciati dire che sei stata un’idiota: non fare stronzate, e non farti ammazzare.”.

 

Irina guardò il biglietto, e non riuscì a mascherare il sorriso che le affiorò sulle labbra: Dimitri era sempre lo stesso. Persino da lontano riusciva a riprenderla, e lo faceva con il suo solito tono imperioso e la sua furbizia: chi avrebbe letto quel foglio non poteva immaginare che lavorassero per l’F.B.I., perché non aveva fatto cenno a niente che potesse farlo pensare.

 

Strappò il foglietto e ne tenne i pezzetti in mano, il cuore un po’ più leggero. Dimitri avrebbe seguito la sua richiesta, ma non l’avrebbe abbandonata. Forse in quello stesso momento era nei dintorni, a studiare la situazione. Non era proprio sola, allora.

 

Scosse il capo, lasciandosi andare a un sospiro.

 

“Ho sempre sbagliato su di te, Dimitri”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 12.30 – Aeroporto di Mosca

 

<< Il fatto che avrebbe potuto cambiare le carte in tavola nella missione non è una scusa sufficiente per non avermi detto niente >> ringhiò Xander, il telefono incollato all’orecchio, mentre seguiva Dimitri nel parcheggio dell’aeroporto, tra decine di macchine ferme nel gelo dell’inverno, << Challagher scorrazzava libero e non mi è stato detto niente… >>.

 

<< Abbiamo convenuto che fosse meglio non farvi sapere niente >> ribatté seccato McDonall dall’altra parte della linea, << Lei non avrebbe fatto altro che cercare di controllare Irina, intralciando la missione, e Irina poteva decidere di avere troppa paura per continuare. Finché Challagher si trovava lontano, non c’erano pericoli… Non credevamo riuscisse a raggiungere la Russia senza che ce ne accorgessimo, e in così poco tempo >>.

 

Xander ebbe un moto di stizza: in parte il Vicepresidente aveva ragione, non sarebbe mai rimasto con le mani in mano sapendo che lo Scorpione era di nuovo fuori, ma in parte aveva anche torto. Non dicendogli niente li aveva messi in pericolo, tutti quanti, perché era un nemico che si aggiungeva a quelli da cui già dovevano guardarsi le spalle…

 

<< Quindi avete insabbiato la storia >> constatò, << Per questo sui notiziari non è stato detto niente… Uno come Challagher fa per forza notizia >>.

 

<< Era necessario >> ribatté McDonall, << Non lo avrei fatto se non avessi avuto una buona ragione >>.

 

<< Solo lei sapeva della sua fuga? >> chiese Xander, mentre si fermava a pochi metri da Dimitri, che stazionava di fronte a una Audi R8 color carbonio.

 

<< No. Non sono stato uno sprovveduto. Ho avvertito Goryalef, nella speranza che tenesse aperti gli occhi al posto di Irina >>.

 

Xander incassò la notizia con tutta la freddezza di cui fu capace, ma saperlo fu un bel colpo: l’ex Mastino doveva guardare le spalle di Irina da un nemico che era il suo vecchio capo e alleato. Un casino peggiore di quello non ci poteva essere.

 

<< Ah, bene >> fece con una smorfia di finto divertimento, << Mi fa piacere saperlo… >>.

 

<< Contro ogni nostra previsione, Goryalef si è rivelato un collaboratore migliore di quanto ci potessimo aspettare >> disse McDonall, calmo, << Il piano messo in atto da Challagher ci è risultato del tutto inaspettato. Ora, lei che cosa ha intenzione di fare? >>.

 

<< Rimango, naturalmente >> rispose Xander, << E lo faccio per i fatti miei. Ho abbandonato la missione, ma non lascerò questa dannata città finché Challagher non sarà di nuovo dietro le sbarre… >>.

 

Improvvisamente, sapere che lo Scorpione era fuori gli aveva fatto dimenticare la sua voglia di tornare a casa. Ancor prima di sapere come aveva fatto a scappare, voleva riportarlo in carcere, perché uno come lui non poteva essere libero. Aveva fatto troppo male per poter sperare che lui lo lasciasse andare senza lottare.

 

“Non è una questione di lavoro, questa. E’ una sfida tra noi due e basta, come lo è stato in passato… Con o senza Irina”.

 

<< Se questo è quello che vuole, agente Went, rimanga pure >> disse McDonall, interrompendo il corso dei suoi pensieri, << Noi non abbiamo altra scelta se non seguire il piano che ha in mente Irina, qualunque esso sia. Non avrebbe senso lasciare a metà la missione, quando ancora non è ufficialmente fallita… Ma siamo comunque pronti a dare supporto all’agente Dwight quando ne farà richiesta >>.

 

<< Bene, io intanto mi arrangio. Ufficialmente sono tornato in California >>. Xander gettò un’occhiata intorno, assicurandosi che non ci fosse nessuno, << Visti i precedenti, non mi stupirei che Challagher abbia ancora qualche talpa nell’F.B.I.: faccia girare la voce che sono in vacanza da qualche parte nei dintorni di Miami. Nessuno deve sapere che sono ancora qui >>.

 

Attese che McDonall gli confermasse il suo piano, poi chiuse la telefonata e guardò Dimitri, fermo di fianco alla R8, infastidito dalla sua presenza: le parole del Vicepresidente si erano stampate nel suo cervello con un inchiostro piuttosto vistoso… Più di una volta si era pentito di averlo mandato a controllare Irina, ma mai come in quel momento. Si era rivelato più bravo, più furbo e più attento di lui. E Irina doveva essersene accorta, visto che lo aveva difeso in più occasioni…

 

<< Perché sei venuto ad avvertirmi di tutta questa storia? >> domandò, seccato.

 

<< Non l’ho fatto certo per te >> ribatté Dimitri, << Mi serviva qualcuno che mi desse una mano a controllare Challagher finché Irina non riesca ad arrestarlo… O prima che lui decida di ucciderla >>.

 

Xander lo guardò con gli occhi ridotti a fessure, sempre più perplesso da quel russo che non riusciva a capire. Con tutta la gente che conosceva, proprio lui veniva a chiamare, quando si disprezzavano palesemente?

 

<< Mi stai dicendo che dobbiamo lavorare insieme? >> chiese.

 

Dimitri sembrò divertito dal suo tono.

 

<< Sarà un grande sforzo anche per me, Went, ma credo sia necessario se vogliamo che Irina non ci rimetta la vita, che Challagher torni in carcere e che tutta questa storia abbia una fine senza troppi spargimenti di sangue >>.

 

Gli fece cenno di salire in auto, e Xander rimase un momento a pensare. Aveva molte altre domande da fare, ma quella che più gli premeva era perché mai Dimitri dimostrasse tutta quella preoccupazione per la vita di Irina… L’aveva sempre disprezzata, perché mai ora si interessava a lei, tanto da sfidare Challagher, che sicuramente dava la caccia anche a lui?

 

Chiederlo era pericoloso, e nella testa di Xander si andava formando un pensiero che forse avrebbe dovuto fare prima di decidere di mandare Dimitri in Russia con Irina: poteva esserci qualcosa tra loro? Irina poteva averlo lasciato perché era subentrato qualcun altro, al posto suo?

 

“Irina non ci parlava, ma non aveva mai detto di odiarlo… Lo temeva e basta. Era lui a non sopportare lei…”.

 

Lanciò un grugnito, mentre andava a sedersi al posto del passeggero nella R8, accettando di rimanere con quel dubbio ancora per un po’, ma soprattutto accettando il compromesso: allearsi con Dimitri pur di aiutare Irina.

 

Il pensiero di saperla di nuovo tra le mani di Challagher gli fece quasi venire la pelle d’oca: sapeva quanto lei fosse terrorizzata dalla possibilità di rivederlo. Era come ritornare indietro nel tempo, quando salvarla era il suo unico obiettivo… Quante ore erano passate da quando si erano incontrati? Cosa poteva già essere successo?

 

Era inutile che lo negasse, che cercasse di nasconderlo a stesso: portare a casa Irina era di nuovo il suo primo pensiero. Ora che stava di nuovo per perderla, capiva quanto era stato stupido e cieco…

 

<< Spiegami la situazione >> disse, mentre l’Audi usciva dal parcheggio dell’aeroporto, << Tutta, la situazione. Dall’inizio >>.

 

<< Dopo aver vinto la Mosca-Cherepova mi hanno telefonato da casa: Vladimir Buinov aveva rapito la figlia di mia sorella, e ci voleva entrambi in cambio >> rispose Dimitri, per nulla impressionato dal suo tono.

 

<< Buinov? Il tizio che si è ritirato? >>.

 

<< Lui. Abbiamo dei conti in sospeso, e ci ha attirati in trappola. Irina ha avuto la grandiosa idea di proporgli uno scambio: lei per la bambina, in modo che la figlia di mia sorella fosse al sicuro. Il piano era che sarei tornato a prenderla, ma mi ha telefonato dicendo che Challagher era libero… >>. Ci fu una nota stranamente rigida, nella sua voce, nel dire che sarebbe tornato.

 

<< McDonall mi ha detto che sapevi che Challagher era libero >> disse Xander, << Perché non le hai impedito di andare? >>.

 

Dimitri sembrò infastidito.

 

<< Perché non ero sicuro che ci fosse Challagher, dietro a quella trappola. Non avevo idea che si fosse alleato con Buinov >> ringhiò, << E in ogni caso, si trattava di scegliere tra la vita di un adulto e la vita di un bambino… Non farmi la morale, Went >>.

 

Forse non aveva tutti i torti: Xander sapeva com’era fatta Irina, e di sicuro anche se avesse saputo di Challagher, non avrebbe esitato a mettere in gioco la sua vita per quella di una bambina… Lui stesso l’avrebbe fatto.

 

<< Devo riprendermi l’auto >> sentenziò, << E trovare un nuovo appartamento. Poi mi metterò sulle tracce di Irina… >>.

 

<< Già fatto >> lo interruppe Dimitri, << So dove sono, e abbiamo un appartamento pronto a ospitarci, non molto lontano da qui. L’auto non è un problema, sempre che tu riesca ad abbassarti a guidare qualcosa che non è una Ferrari >>. Il russo sembrò ghignare divertito.

 

Xander si voltò a guardarlo, mezzo infastidito e mezzo sbalordito: prima di tutto non gli piaceva che il Mastino si prendesse gioco di lui in quel modo, e gli piaceva ancora di meno il fatto che Dimitri si stesse rivelando un perfetto agente dell’F.B.I. senza nemmeno volerlo essere. Aveva preso in mano la situazione, mettendolo nelle condizioni di dover solo accettare le cose come stavano.

 

<< Visto che sai già dove sono… >> disse, << Dove sono, di preciso? >>.

 

<< Centro di Mosca, Hotel Laveredìc >> rispose Dimitri, << Noi siamo a qualche isolato di distanza >>.

 

Xander fu costretto a lasciarsi andare a un’espressione ammirata.

 

<< … Ottimo lavoro, non posso dire altro >>.

 

Dimitri sgusciò attraverso il traffico di Mosca con disinvoltura, un mezzo sorrisetto sulle labbra. Era stato bravo, e Xander poteva almeno ritenersi contento del fatto che avesse un compagno di avventura che sapesse il fatto suo… Di solito lavorava da solo per evitare proprio le persone incapaci e inefficienti.

 

<< Come mai hanno cercato di ammazzarti? >> domandò Dimitri, mentre si fermava a un semaforo rosso e gettandogli un’occhiata, << Quello era stato mandato per farti fuori… >>.

 

<< La ragazza che mi ha fatto da co-pilota nella Mosca-Cherepova ha scoperto che sono un agente dell’F.B.I. >> rispose Xander, << Immagino lo abbia mandato lei, quel tizio. Voleva uccidermi perché so che lei è la Lince… O almeno, è quello che vuole farmi credere >>.

 

Dimitri sbuffò.

 

<< Tutte cazzate, lei non è la Lince >> disse, << Forse lavora per lei, ma di sicuro non lo è. Anzi, conoscendola, potrei anche pensare che non ha nessun collegamento con la Lince: si spaccia per lei solo per qualche suo tornaconto personale. Oppure vuole depistarti >>.

 

<< Voi avevate qualche sospetto, su di lei? >> chiese Xander, per capire come la pensavano lui e Irina.

 

<< No, l’abbiamo scartata >> rispose Dimitri, << La vera Lince si è sempre servita di gente che si spacciava per lei, in modo da coprirsi le spalle. Molto probabilmente è qualcuno che sa bene come funzionano le cose qui Per quasi dieci anni è riuscito a non farsi scoprire >>.

 

Xander annuì, pensieroso. Allora non era stato l’unico a scartare Nina dalla rosa dei possibili candidati al ruolo della Lince…

 

<< Tu conosci molta gente qui >> disse, << C’è qualcuno che potrebbe essere sospetto? >>.

 

<< Se lo sapessi non sarei qui >> ribatté Dimitri, ma sembrò stranamente rigido, mentre rispondeva, << E in ogni caso, chiunque qui potrebbe essere la Lince… Anche se posso escludere dalla rosa Vladimir Buinov >>.

 

<< Perché? >>.

 

<< Sta cercando la Lince esattamente come noi, e per ucciderla >>.

 

Xander rivolse un’occhiata insospettita a Dimitri, mentre lui fermava l’Audi sotto un alto palazzo dall’aria signorile, parcheggiando vicino a una serie di auto di lusso tirate a lucido. Il portone di vetro lasciava intravedere la portineria dello stabile, e un signore anziano che stava spazzando il tappeto nell’ingresso.

 

<< Staremo qui, finché non troveremo di meglio >> disse Dimitri, tirando fuori un mazzo di chiavi dalla tasca, << E’ l’appartamento di mio cugino. Molto probabilmente verrà a darci una mano >>.

 

Xander lo seguì dentro lo stabile, ma non poté fare a meno di pensare che ci fosse qualcosa di strano, in tutta quella storia. Persino il cugino di Dimitri si mobilitava per aiutare Irina… Che fosse riuscita a farsi amici tutti i russi che facevano parte della famiglia del Mastino?

 

Seguì Dimitri fino all’ascensore, passando di fronte allo sguardo corrucciato dell’anziano portinaio, con la consapevolezza di dover porre un sacco di domande, prima di iniziare a formulare un piano e portare in salvo Irina: il Mastino doveva spiegargli un sacco di cose, e soprattutto quanto e cosa veramente sapesse di tutta quella storia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 17.00 – Mosca

 

Il cellulare appoggiato sul comodino si illuminò all’improvviso, iniziando a trillare incessantemente. Irina si precipitò fuori dal bagno, l’asciugamano in testa sui capelli bagnati, afferrandolo senza farlo scivolare. Guardò il monitor, il cuore che aveva accelerato al pensiero di chi potesse essere…

 

Per un attimo sperò fosse Dimitri, poi vide che il numero risultava sconosciuto. Non rimase delusa, e capì subito di chi poteva trattarsi. Si schiarì la voce, e si sedette sul bordo del letto.

 

<< Pronto? >> rispose, titubante.

 

Per una frazione di secondo non sentì niente, poi una voce strana, forse camuffata, le arrivò alle orecchie; una voce di uomo, che chiaramente doveva essere filtrata da qualche macchinario per non essere riconoscibile. Tuttavia la trovò incredibilmente sensuale, profonda, quasi ammaliante.

 

<< E’ un piacere entrare in contatto con te, Fenice >> disse la Lince.

 

Irina rimase in silenzio, cercando di capire cosa dovesse fare.

 

<< Chi sei? >> domandò solo, stupidamente. Non era stata presa alla sprovvista, ma di fronte a quella frase non sapeva cosa rispondere.

 

L’uomo ridacchiò.

 

<< Chiamami pure Lince, Fenice >> disse, << Per te non dovrebbe essere un problema utilizzare un soprannome, giusto? Il mio nome deve rimanere segreto, ma tu nei hai uno molto bello, Irina… Non ti dispiace se lo uso, vero? >>.

 

<< No… >>.

 

Irina si ritrovò a non sapere bene che cosa dire, perché trovava quella voce così strana da paralizzarla quasi. Riusciva a calamitare la sua attenzione, e l’unica cosa che le passava per la testa era: “Chi è? Chi c’è dietro questa voce?”.

 

<< Non mi avete visto alla Mosca-Cherepova, ma ho seguito la gara da molto vicino >> disse la Lince, tranquilla, come se stesse parlando con qualcuno che conosceva da anni, << Mi è piaciuto molto come l’hai condotta… Meriti in pieno la fama che hai tra i piloti di corse clandestine. Soprattutto la traversata del lago è stata molto coraggiosa: non pensavo che qualcuno accettasse di farlo. Ma a parte questo… Vuoi ancora incontrarmi, ora che Challagher è fuori? >>.

 

Il nome dello Scorpione la riportò immediatamente alla realtà.

 

<< Certo che voglio incontrarti >> rispose Irina, mentre il piano si faceva sempre più chiaro nella sua testa, << Ho un favore da chiederti, soprattutto ora che William è libero… >>.

 

La Lince sembrò ridacchiare.

 

<< Immagino che vogliate una mano per riformare la Black List >> disse.

 

Irina non rimase stupita di fronte alle sue conoscenze riguardo alla vita di Los Angeles. Si rilassò un momento, cercando di fare mente locale e capire come gestire la situazione.

 

<< In effetti, avremmo bisogno di aiuto >> disse, << Lo Scorpione non ha più nulla, e la polizia gli sta alle costole… >>.

 

<< Questo lo so già >> ribatté la Lince, << So tutto, sulla vostra situazione. Prima però vi voglio incontrare: parleremo di persona di quello di cui avete bisogno. Che ne dici di vederci tra una settimana, al Plaza Cafè di Mosca? >>.

 

Irina avrebbe voluto esultare, ma si trattenne.

 

<< D’accordo >> disse, mantenendo la voce controllata, << Sarebbe perfetto… >>.

 

<< Già… Ma ti voglio sola, Irina >> la interruppe la Lince, seriamente, << Solo tu, senza Challagher. Vorrei fare quattro chiacchere in tutta calma con te. Niente di cui doverti preoccupare, ma sai, mi piacerebbe averti tra i miei collaboratori… Sei un elemento interessante >>.

 

La telefonata venne chiusa di botto, e Irina si ritrovò ad ascoltare il tuu-tuu ritmico che rimbombava nel suo orecchio. Stranita, staccò il cellulare dall’orecchio e lo guardò, infastidita per la comunicazione interrotta così bruscamente.

 

Però immediatamente si rese conto di quello che era appena successo: la Lince aveva chiamato, l’appuntamento era stato fissato. Ciò voleva dire solo una cosa: avrebbe incontrato una Lince, e avrebbe avuto la possibilità di arrestarla… E mettere fine a quella missione che si stava lentamente trasformando in un incubo.

 

Guardò di nuovo il telefono.

 

Ora non rimaneva che preparare la trappola.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Chiedo subito scusa per l’enorme ritardo con cui posto questo capitolo, che so essere piuttosto deludente, ma un esame particolarmente difficile ha catalizzato completamente la mia attenzione per tutta la settimana, e mi ha fatto rimandare la stesura di questo cap. Almeno l’ho passato bene, quindi ora sono tutta per voi.

Che dire… Niente, c’è poco da dire. William continua a rimanere sospettoso, e Xander si ritrova a dover lavorare con Dimitri… Il rischio di rissa è molto alto, immagino. Oltretutto, saranno pure sotto lo stesso tetto, e avranno modo di parlare, parlare molto. Chissà se Xander verrà a sapere quello che è successo tra il russo di ghiaccio e la sua ex ragazza…

Anche questa volta vi lascio senza rispondere alle recensioni, ma spero di riuscire a farlo dalla prossima volta in poi. Intanto però vi ringrazio infinitamente come sempre per i vostri commenti e vi mando un grande bacio!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 36
*** Capitolo XXXVI ***


Capitolo XXXVI

Capitolo XXXVI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 17.30 – Mosca, Hotel Laveredìc

 

Irina appoggiò il cellulare sul comodino, e fissò il muro davanti a lei, ancora seduta sul letto, l’asciugamano che le avvolgeva i capelli che le stava lentamente scivolando sulla spalla. Lo rimise a posto e iniziò a far lavorare il cervello, facendo mente locale.

 

“Finalmente ci siamo…”.

 

Prima di tutto, doveva comunicare a William che la Lince aveva chiamato e che voleva incontrare solo lei. Sicuramente la cosa lo avrebbe infastidito e insospettito, visto che ora il diretto interessato a incontrarla era lui, e che in passato avevano concluso degli affari abbastanza importanti. Poteva sempre dirgli che era stata lei a vincere la Mosca-Cherepova, e che la Lince avrebbe incontrato solo chi effettivamente aveva trionfato nella gara… Doveva gestire la cosa con estrema delicatezza, per evitare di fare un passo falso.

 

Poi, doveva trovare il modo di comunicare con l’F.B.I. senza farsi beccare da nessuno, e dirgli di tenersi pronti, perché la trappola in cui catturare sia William che la Lince sarebbe scattata da lì a poco. Ci sarebbe voluto un dispiegamento di forze abbastanza ingente, e una buona organizzazione.

 

E, cosa ancora più importante, doveva mettere in atto il suo piano, che doveva essere perfetto e infallibile, perché sicuramente non ci sarebbero state altre possibilità, per lei. Non doveva fallire, lo sapeva.

 

Si asciugò rapidamente i capelli, poi decise di affrontare il problema più facile e più immediato. Lasciò la sua camera e raggiunse quella di William, bussando e rimanendo in attesa davanti alla soglia chiusa.

 

Gli venne ad aprire Daniel, il tizio che era scappato dalla prigione insieme a William, che la guardò per un momento, in silenzio. Irina gli fece un cenno col capo, indicando le sue spalle.

 

<< Devo parlare con William >> disse.

 

Daniel la lasciò entrare senza dire niente, e Irina si ritrovò a pensare che lo trovava un po’ inquietante… Con lei si comportava in modo strano, come se fosse infastidito dalla sua presenza. Alla fine non doveva avergli fatto la buona impressione che lo Scorpione si aspettava, o che lei stessa si augurava. Forse doveva stare attenta anche a lui…

 

Trovò William seduto di fianco alla finestra, a fumare una sigaretta con aria annoiata, gli occhi verdi che la scrutarono per un momento prima di tornare a fissare la strada di sotto. La luce fioca dei lampioni gli illuminava il volto, e rendeva più marcata la cicatrice che aveva sul sopracciglio, a cui Irina prima non aveva prestato attenzione, nonostante fosse l’unica cosa che lo rendeva veramente diverso dall’ultima volta.

 

<< Ha telefonato la Lince >> iniziò lei, senza aspettare che lui dicesse qualcosa, e sperando che tutto andasse per il verso giusto,  << Ci incontrerà, ma… Ha detto che prima vuole vedere me, da sola >>.

 

Attese con apprensione la reazione di William, mentre con la coda dell’occhio seguiva i movimenti di Daniel alle sue spalle. Si sentiva minacciata, sotto pressione, come se da un momento all’altro la situazione potesse degenerare. Però non era lo Scorpione a darle quella sensazione, perché anche se era nervoso non sembrava esserlo per quella notizia; era Daniel che la turbava di più, appostato alle sue spalle, in silenzio, spettatore della scena dal quale ci si poteva aspettare di tutto.

 

<< Perché da sola ? >> domandò solo William, espirando una boccata di fumo.

 

<< Dice che potrei entrare a far parte dei suoi collaboratori… >> rispose lei, cauta, << Forse vuole propormi qualcosa, o semplicemente parlare della gara… Non lo so, sono queste le condizioni che mi ha posto, non potevo trattare >>.

 

William scrollò la cenere dalla sigaretta e poi puntò i suoi occhi su di lei.

 

<< Allora immagino che questa sia la vera Lince >> disse, << Altrimenti mi avrebbe incontrato subito… Sai, quando sono arrivato qui, ho scoperto che la persona con cui io avevo trattato e concluso affari non era la vera Lince, ma un semplice sostituto. Non è stato piacevole, e spero che questa volta non cercherà di prendermi in giro nuovamente >>.

 

Ecco perché l’argomento sembrava innervosirlo… Lo Scorpione era stato gabbato anche dai russi, non solo da lei. Quindi alla fine la Lince era davvero furba e attenta, se aveva usato un sostituto anche per fare affari con William, che era praticamente un suo pari…

 

<< Non lo sapevo >> disse lei, << Ma è chiaro che qui nessuno si fida di nessuno… >>.

 

William sputò un’altra boccata di fumo, poi fece un cenno verso Daniel.

 

<< Vai a dirlo a Vladimir >> gli ordinò, << Fagli sapere che forse scopriremo chi è questa Lince >>.

 

Il ragazzo gettò un’ultima occhiata verso di lei, poi se ne andò, lasciando a Irina la netta sensazione che fosse solo una scusa per farlo uscire dalla stanza. William sembrava non voleva intorno, quando discuteva con lei.

 

Lo Scorpione gettò un’altro po’ di cenere nel bicchiere quasi vuoto che teneva davanti, poi le passò il pacchetto di sigarette, invitandola a prenderne una. Irina gli fece cenno di no con la testa, e lui non sembrò stupirsi. Accartocciò il pacchetto, che quindi si rivelò vuoto, e lo buttò facendo canestro nel cestino.

 

Per Irina fu come se l’avesse messa alla prova: non aveva mai fumato, a parte qualche rarissima volta, e aveva sempre rifiutato quando era stato lo Scorpione a proporle di farlo. Evidentemente, lui sapeva che non avrebbe accettato, e forse gli era servito per accertarsi che lei fosse ancora quella di una volta.

 

<< E se ti chiederà di diventare una sua collaboratrice, tu cosa risponderai? >> domandò lui all’improvviso, fissandola.

 

Irina si prese un momento per trovare le parole giuste, perché anche se era una domanda innocente, poteva in qualche modo mettere a rischio il suo piano e la sua missione.

 

<< Dirò che non mi interessa, che non voglio diventare una pilota russa >> rispose, << Gli dirò che… Che ho già il mio capo a cui fare riferimento >>.

 

Gli occhi di William brillarono per un istante, e Irina capì improvvisamente tutto il potere che aveva su di lui. Capì che per quanto lo Scorpione la odiasse per averlo messo dietro le sbarre e avergli fatto perdere due anni di vita, lui continuava a essere in qualche modo attirato da lei. Che non l’aveva uccisa non perché stesse aspettando il momento migliore, perché volesse essere sicuro che lo stesse tradendo di nuovo… Non l’aveva uccisa semplicemente perché non voleva farlo, o forse perché non ne era capace.

 

“Dammi una scusa per non doverti uccidere…”.

 

Ricordava quella frase che William aveva pronunciato, piena di disperazione, poco prima che tutta quella storia finisse, prima che lo Scorpione venisse catturato e il suo regno fosse distrutto: le era rimasta impressa nell’anima, nel cuore. Già allora, nonostante tutta la rabbia che aveva in corpo per aver maturato la consapevolezza che lei non si sarebbe mai venduta, lui in qualche modo si rifiutava di doverla uccidere… Aveva lasciato ad altri il compito di farlo, perché più volte il suo dito sul grilletto era rimasto bloccato…

 

Le aveva fatto del male molte volte, forse troppe, ma non l’aveva mai uccisa. Non l’aveva mai voluta morta… Ciò che aveva sempre voluto da lei era stato il suo corpo all’inizio, e la sua anima poi. Di fronte al rifiuto, di fronte al disprezzo, il suo orgoglio l’aveva portato a prenderla con la forza, piuttosto che accettare la sconfitta… Ma non l’aveva mai odiata, nonostante avesse cercato in tutti i modi di farlo. Tutt’altro. Lui la amava a modo suo, e niente aveva fatto cambiare quel sentimento che si portava dentro, nemmeno il carcere.

 

E allora Irina provò un’enorme tristezza e comprensione nei suoi confronti: finché lei fosse rimasta nella sua vita, lui avrebbe avuto un punto debole, un punto debole che lui non riusciva a eliminare, che non voleva eliminare.

 

Come lei continuava ad amare Xander nonostante le cose fossero andate male tra loro, William continuava ad amare lei nonostante lo avesse tradito. Non riusciva a farne a meno, non riusciva a staccarsi da lei, perché aveva trovato qualcosa che in altre non aveva visto. E ora, di fronte a quel cambiamento, a quella surreale presa di posizione che lei aveva preso nei suoi confronti, completamente opposta a quella che aveva sempre tenuto, era scettico. Perplesso, insospettito, forse addirittura spaventato, e stava a distanza con un unico obiettivo.

 

Difendersi da lei. Difendersi dalla delusione che poteva rappresentare.

 

<< La Lince potrebbe offrirti soldi e potere >> disse improvvisamente William, il tono duro, come arrabbiato, << E potrebbe farlo molto in fretta e senza fatica. Sarebbe una proposta allettante… Se capitasse a me, accetterei >>.

 

Irina lo scrutò in volto, e tra le righe lesse ciò che William le stava veramente dicendo: la Lince può darti qualcosa che io al momento non ho più. Perché dovresti rifiutare?

 

Come sempre, William non la capiva veramente. Come sempre, credeva che lei volesse i suoi soldi e il suo potere… Ma non era così. Anche se fosse tornata da lui volontariamente, se davvero lo avesse voluto libero, non sarebbe stato certo per il denaro e la fama.

 

Sorrise appena, avvicinandosi a lui, e chiedendosi se stesse facendo davvero la cosa giusta, se quella farsa avrebbe portato da qualche parte… Ma soprattutto, chiedendosi se era veramente capace di sfruttare la debolezza di William senza odiarsi a morte. Ricordava quando lui le aveva chiesto di amarlo, anche per finta, e lei aveva rifiutato perché sarebbe stata una punizione troppo grande anche per lui… Eppure ora lo stava facendo, conscia del male che avrebbe procurato.

 

<< Se mi interessassero i soldi, il potere e l’influenza, accetterei >> disse lentamente, << Ma non mi sono mai interessati, lo sai. Perché dovrei volerli ora? Ho detto che ti aiuterò, e lo farò >>.

 

William sembrò soppesare le sue parole, poi si alzò in piedi, fronteggiandola. Irina non riuscì a leggere niente nei suoi occhi verdi, se non la determinazione di non far capire cosa gli stesse passando per la testa. La fissava, scrutandola come se riuscisse a sondarle dentro l’animo.

 

Lei indietreggiò, spaventata. Forse aveva detto qualcosa di sbagliato, forse William aveva capito che stava fingendo… Chi avrebbe creduto a una risposta del genere? Chi avrebbe davvero pensato che stesse dicendo la più pura verità?

 

Poi bussarono alla porta, e William si bloccò. Le gettò un’occhiata, e sul suo volto sembrò comparire un impercettibile sorriso, improvvisamente meno minaccioso.

 

<< Anche questa volta ci hanno salvati >> disse, enigmatico.

 

Irina seguì i suoi movimenti fino alla porta, senza capire la sua frase. “Ci hanno salvati”? Al massimo potevano aver salvato lei, non certo lui… Però il sollievo fu enorme, nel sapere che non aveva intuito nulla.

 

Dan rientrò nella stanza, lo sguardo un po’ annoiato, e disse: << Vladimir ha detto che stasera abbiamo una cena con un certo Nikodim… Credo si tratti di qualcuno che vuole la Lince morta come voi >>.

 

Irina drizzò le orecchie al nome di Nikodim: allora era lui quello che passava le informazioni a Vladimir… C’era da aspettarselo. Fin dall’inizio non l’aveva voluta tra loro, e se esisteva qualcuno che poteva aiutarlo a prendersi qualche soddisfazione su Dimitri era proprio Buinov: i suoi sospetti non erano stati infondati.

 

<< Bene… Ma è chiaro che non hanno capito bene che io la Lince non la voglio morta, almeno per il momento >> disse William, leggermente irritato, << Vado a parlare con lui >>. Guardò Irina, e le fece cenno di uscire. << Vai a prepararti >>.

 

Irina annuì, poi uscì dalla stanza, con una strana sensazione addosso, a cui però cercò di non fare caso. Ciò che ora la preoccupava di più era che Nikodim l’aveva vista con Dimitri, aveva seguito i suoi comportamenti, e siccome fin dall’inizio aveva dimostrato nei suoi confronti una certa insofferenza, forse aveva anche intuito qualcosa…

 

Doveva solo sperare che non fosse così, e che andasse tutto bene.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 18.00 – Mosca, Appartamento di Dimitri

 

<< Se vuoi appostarti davanti all’Hotel senza attirare l’attenzione, non sperare di poterlo fare con la Ferrari >> disse Dimitri, stizzito, seduto a braccia incrociate dall’altra parte del tavolo, gli occhi grigi che fissavano Xander con aria infastidita, << E comunque potrebbe anche non essere una buona idea. Prima o poi qualcuno ci noterà >>.

 

Xander guardò il monitor del portatile, la luce del lampadario del soggiorno, eletto zona franca della casa, che si rifletteva sullo schermo, fastidiosa. Incassò le parole di Dimitri senza battere ciglio, e ribatté: << So che non possiamo appostarci, ma dobbiamo vedere com’è la situazione. Irina non può comunicare con noi, e noi non sappiamo se davvero le cose le stanno andando bene oppure no. Challagher potrebbe non averle creduto… >>.

 

Dimitri inarcò un sopracciglio.

 

<< La sottovaluti >> disse, secco, << Se vuole, saprà entrare in contatto con noi. Sa che sono nei paraggi, e se avrà qualcosa da dirmi troverà il modo di farlo… E sono anche sicuro che il suo piano procede nel migliore dei modi, in questo momento >>.

 

Xander scrutò Dimitri, e qualcosa stridette quando lo sentì riferirsi al fatto che Irina sapesse dov’era… Erano telepatici?

 

<< Sa che tu sei qui? >> domandò.

 

Dimitri fece un sorrisetto.

 

<< Lo sa. Le ho detto che sarei rimasto nei paraggi a controllare la situazione >> rispose. Poi aggiunse, con una nota quasi maligna della voce: << Quanto a te, non le ho detto niente: non sapevo se avresti accettato la mia proposta >>.

 

Improvvisamente Xander capì che Dimitri lo stava facendo apposta, che gli piaceva provocarlo sull’argomento Irina… Era una sua impressione, o stava cercando di fargli capire che tra lui e Fenice era nato un rapporto che nessuno aveva preventivato?

 

<< Come mai ti fidi tanto di lei? >> domandò, << Non mi è mai sembrato che avessi una così alta opinione di lei… >>.

 

<< E io non avrei mai creduto che il suo ragazzo potesse avere una così bassa considerazione di lei >> ribatté Dimitri.

 

Si guardarono in cagnesco per un momento, con Xander che sentiva il sangue ribollire nonostante il fondo di verità che c’era nelle parole di Dimitri. Non gli piaceva affatto la piega che aveva preso la situazione tra quei due, e i sospetti che aveva iniziavano a diventare sempre più pesanti…

 

<< Non sono più il suo ragazzo >> ringhiò, infastidito.

 

Si aspettava un commento sardonico, una frase tagliente o strafottente, e non certo quello che invece Dimitri ribatté, con immensa calma e serietà: << Non dire stronzate. Ti ha lasciato, ma non era certo quello che voleva >>.

 

Xander lo fissò, registrando le parole del russo. Prima faceva di tutto per girare il dito nella “piaga Irina”, e adesso cambiava registro?

 

<< Che vuoi dire? >>.

 

<< Voglio dire quello che ho detto >> ribatté Dimitri, infastidito, << Smettila di trattarla come una bambina, perché è più adulta di te… Ci troverà, se avrà bisogno di noi. Quello che possiamo fare è limitarci a guardare e aspettare. Ha un piano, e per quanto folle sia, sono sicuro che possa funzionare >>.

 

<< Perché tu pensi che Challagher creda alla storia che lei sia venuta fin qui per liberarlo? >> ribatté Xander, stizzito, << Pensi che lui creda davvero alla ragazza che si è pentita, che lo ha perdonato, dopo tutto quello che è successo? Sta solo approfittando della situazione… >>.

 

<< Tu non conosci Challagher >> lo interruppe Dimitri, << Io sono stato il suo braccio destro, e so cosa gli passa per la testa… Non la ucciderà, non ne è capace, e per quanto sia orgoglioso, il fatto che Irina dica di essere tornata da lui basterà a farlo vacillare. Non è stato in grado di premere il grilletto quando lei gli aveva chiaramente detto che lo aveva tradito, e non lo farà adesso >>.

 

Xander rimase in silenzio, a osservare l’espressione seria di Dimitri, chiedendosi se potesse essere affidabile o no. Sembrava sicuro di quello che stava dicendo, e in fondo lui conosceva Challagher da molto più tempo di lui… Aveva visto Fenice arrivare tra loro e lo Scorpione perdere la testa per lei.

 

<< Non riesco a spiegarmi il fatto che improvvisamente sembrate essere diventati grandi amici, tu e Irina >> disse, mentre una serie di pensieri si affastellava nella sua mente, << Lo hai detto tu stesso: eri il braccio destro di Challagher. Perché in questo momento non potresti essere tornato dalla sua parte? >>. Era vero, era stato lui a tradire lo Scorpione permettendogli di salvare Irina, ma magari potevano essersi alleati per scappare entrambi…

 

Dimitri alzò lo sguardo su di lui.

 

<< Perché non mi interessa farlo >> rispose, << E se vuoi una spiegazione logica, come credo ti aspetti, te la darò: in questo momento Challagher non è nessuno, non ha niente, e paradossalmente da queste parti ho più potere io che lui. Che interesse dovrei avere a tornare a lavorare con uno che qui è solo un ospite sgradito? >>.

 

<< Ma lui comunque potrebbe aiutarti a scappare >> ribatté Xander, << Potrebbe aiutarti a nasconderti dalla polizia, visto che una volta terminata questa missione dovrai tornare in carcere… >>.

 

Improvvisamente Dimitri sembrò infastidito, forse dal fatto che gli aveva ricordato che non era libero, che rimaneva comunque un carcerato.

 

<< Stai commettendo molti errori, Went >> ringhiò, << E’ uno tra i tanti è quello di continuare a considerarmi un pilota clandestino pronto a fregarvi alla prima occasione… Smettila di pensare a me come un traditore, perché se vi ho detto che vi aiuterò, lo farò e non vi pugnalerò alle spalle. Te l’ho già detto una volta, e non te lo ripeterò più: sarò anche un assassino, ma so riconoscere a chi dare la mia lealtà >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 20.30 – Mosca, Hotel Laveredìc

 

Irina chiuse la porta della camera alle sue spalle, nervosa e in apprensione. Lasciò vagare lo sguardo per qualche istante nel corridoio, sapendo già che la serata si preannunciava pesante. Avrebbe tanto voluto farne a meno, ma non poteva rifiutare di presenziare a quella cena organizzata da Vladimir con l’obiettivo di incastrare la Lince.

 

Fece pochi passi e raggiunse la stanza di William, i tacchi delle scarpe alte che echeggiarono nel corridoio vuoto, e il cuore che batteva un po’ più veloce del normale. Non si sentiva a suo agio, anche se indossava solo un paio di jeans aderenti e una camicia blu, e aveva il presentimento che qualcosa quella sera andasse storto… E c’erano molte cose che potevano far finire tutto a rotoli.

 

Bussò, respirando lentamente per riprendere la calma, e attese. William aprì la porta e ritrovandosela davanti la scrutò da capo a piedi come era sempre stato solito fare. Si stava abbottonando la camicia grigio perla che era uscito a comprare poche ore prima, e a giudicare dal profumo doveva appena essersi fatto la barba.

 

<< Sei già pronta? >> disse, con una nota di sorpresa nella voce, << Avevo detto che ti sarei venuto a chiamare io… >>.

 

<< Lo so >> disse Irina, << Ma… Sono un po’ preoccupata. Tutta questa storia di Vladimir non mi piace… >>.

 

William la guardò stranito, poi si fece da parte e la fece entrare. Era vero che era preoccupata per Buinov, ma il suo non era solo un modo per farsi vedere interessata alla vicenda dallo Scorpione: il suo era un modo per abituarsi alla sua presenza e imparare a recitare bene la parte della sua ragazza, come in effetti doveva fare. Quella era la vera prima prova che doveva superare nel suo piano.

 

Si accorse che William aveva seguito con gli occhi i suoi movimenti fino al letto, dove lei si sedette, l’espressione preoccupata.

 

<< Non ho intenzione di assecondare Buinov >> disse William, guardandosi nello specchio all’ingresso, << Mi sbarazzerò di lui non appena non mi servirà più. Perché ti preoccupa, la cosa? >>.

 

<< Non voglio uccidere la Lince >> rispose Irina, << Non era quello il mio intento… Volevo solo il suo aiuto per liberarti. E anche adesso che sei fuori ci serve comunque… Come faremo con Vladimir? Già voleva Dimitri, ed è rimasto a bocca asciutta… >>.

 

Ci fu una strana luce negli occhi dello Scorpione, mentre si voltava a guardarla.

 

<< Nemmeno io voglio uccidere la Lince, visto che voglio il suo aiuto >> disse, << E Vladimir dovrà capirlo… Ho intenzione di andarmene da qui, e prendere in affitto un appartamento, proprio per levarmelo di torno. Se credeva che gli avrei servito Dimitri su un piatto d’argento, si sbaglia di grosso >>.

 

Il suo tono era sicuro, di chi crede fermamente nelle proprie parole. Irina ebbe la conferma definitiva che lo Scorpione si era alleato con Vladimir solo per avere la vita più facile, ma che non avrebbe mai diviso niente con lui. E molto probabilmente tutta quella storia sarebbe finita nel sangue, se William era disposto a tutto pur di tornare a essere quello che era.

 

<< Potrebbe essere pericoloso… >> mormorò Irina, << Vladimir potrebbe decidere di ripagarti con la stessa moneta… Non accetterà di essere stato usato >>.

 

William fece un sorrisetto. << Non sa con chi ha a che fare >> ribatté, e le mostrò la pistola che infilò sotto la camicia, << E non è l’unica che ho… >> commentò, divertito, avvicinandosi. Irina si scostò appena, poi vide che le stava porgendo un’arma, << Potrebbe tornarti utile >> disse.

 

Era una prova di fiducia da parte di William: riteneva potesse portare una pistola senza essere pericolosa… Iniziava a fidarsi, ed era un punto a suo favore. Lei però scosse il capo, e gli mostrò la sua, quella nascosta nei pantaloni.

 

<< Sono già a posto, ma non ho intenzione di usarla >> disse.

 

William sembrò soddisfatto, e anche un minimo colpito. La guardò per qualche secondo, poi sussurrò: << Questo lo sapevo già… Ma non avrei mai immaginato che fossi diventata così previdente >>. Ridacchiò, perché era palesemente una presa in giro: ai tempi della Black List, Irina non aveva mai voluto portare un’arma, e quando era stata costretta non lo aveva fatto volentieri.

 

Lo Scorpione si sedette di fianco a lei, tranquillo, con l’aria di chi sta andando a una festa; Irina invece avrebbe voluto scappare a nascondersi da qualche parte. Le metteva i brividi averlo così vicino, ricordando cosa era stato in grado di farle, senza nemmeno potersi permettere di mostrarsi spaventata…

 

<< Mi stupisci ogni momento che passa >> disse William, << Prima ti presenti dicendo che ti sei pentita, poi scopro che ormai sei una donna di mondo… E adesso vai in giro armata senza che nessuno ti dica di farlo. Cosa è successo in questi due anni? >>. Era ironico, divertito, ma la sua domanda confermava quanto fosse confuso dai suoi comportamenti.

 

<< Niente. Sono semplicemente cresciuta >> rispose Irina, e si alzò, senza sapere bene il perché.

 

William le rivolse un’occhiata, poi la seguì fuori dalla stanza, in silenzio. Trovarono Daniel ad aspettarli di sotto, e qualche minuto dopo vennero raggiunti da Vladimir e dal suo amico Cyril. Avevano tutti l’aria tranquilla, ma chiaramente la situazione non sarebbe rimasta tale ancora per molto.

 

Una volta dentro la Bugatti, William accese la radio e con la coda dell’occhio continuò a guardarla per un bel tratto di strada, con Irina che faceva finta di niente, a disagio. Daniel era stato costretto con qualche protesta ad andare in auto con Vladimir, perché William non ne aveva voluto sapere di perderla di vista.

 

<< Che hai? >> domandò alla fine lui.

 

<< Niente >> rispose lei, atona, << Solo… Sai che non mi piacciono questo genere di cene >>.

 

Per un attimo fu come tornare indietro di due anni, come se non fosse cambiato nulla in tutto quel tempo: lei era Fenice, lui lo Scorpione, e insieme stavano andando in uno dei locali che di solito frequentavano, pieni di piloti clandestini e di amici di William, dove l’alcool scorreva a fiumi e lei si sentiva sempre fuori posto. Era ancora la ragazza dello Scorpione, Xander non era mai esistito, e lei aveva continuamente paura… Un destino di cui non era ancora riuscita a liberarsi.

 

<< Immagino continuino a non piacerti nemmeno le persone che frequento >> disse William, e nella sua voce c’era una nota divertita. Forse anche lui provava la stessa sensazione, quella che non fosse cambiato niente.

 

Irina annuì senza guardarlo: improvvisamente le venne in mente il primo incontro con Xander, quella volta che con la scusa della sigaretta l’aveva strascinata lontano dallo Scorpione e le aveva chiesto perché facesse finta di essere la sua ragazza…

 

“Non posso sperare che tu compaia di nuovo…”.

 

Calò il silenzio, e solo quando il motore della Bugatti si spense Irina tornò a guardarsi intorno. Erano fermi davanti a un bel ristorante di lusso, illuminato da un’insegna al neon bianca e rossa, i vetri lucidissimi dai quali si vedeva la gente seduta ai tavoli.

 

Entrarono, seguendo Vladimir che sembrava particolarmente baldanzoso, quella sera. Forse era sicuro di ottenere quello che voleva, questa volta.

 

Un cameriere li accolse, indicando loro un tavolo in fondo, in una zona più appartata, dove a capotavola c’era già seduta una persona: Nikodim. Irina riconobbe subito la sua faccia odiosa e l’espressione altezzosa che aveva sempre, ma non abbassò lo sguardo quando lo vide sorpreso dalla sua presenza. Raggiunsero il tavolo, mentre Vladimir salutava il suo amico, e Irina lo ignorava del tutto.

 

Alla vista di William, però, Nikodim non potè fare a meno di apparire spaventato: lo salutò con distacco, sforzandosi, mentre sul volto dello Scorpione si apriva un sorriso maligno. Irina ricordò la storia delle macchine rubate che aveva sentito da Boris.

 

<< Com’è piccolo il mondo >> commentò serafico lo Scorpione, << Chissà se ti ricordi di me… O delle mie auto >>.

 

Nikodim sembrò sbiancare impercettibilmente, ma si riprese subito.

 

<< Non so di cosa stai parlando >> disse, altezzoso, << Ricordati che sei tu l’ospite qui, quindi pensa bene prima di esprimere qualche accusa >>.

 

William ridacchiò.

 

<< Se avessi qualcosa da temere, dovrei pensarci due volte >> ribatté, << Ma siccome non ho mai temuto niente e nessuno… >>.

 

A quel punto, Irina non riuscì a trattenersi e afferrò William per un braccio, percependo la tensione della situazione. Non si erano nemmeno seduti, e già discutevano: non voleva che la serata finisse male.

 

<< William… >> sussurrò, a bassa voce, << Lascia perdere… Sediamoci, per favore >>.

 

Si accorse che subito l’attenzione di tutti fu rivolta su di lei, e si pentì di ciò che aveva fatto. Lo Scorpione le rivolse un’occhiata, e lei si aspettò che la riprendesse, o che le dicesse di stare al suo posto, ma non lo fece. Forse era troppo sorpreso da quel contatto fisico che aveva cercato, per poterle dire qualcosa.

 

<< Ecco, ascolta la tua ragazza, Challagher >> disse Nikodim, sarcastico, << Sembra che lei abbia ben capito come funzionano le cose qui… Ha solo un difetto: è una donna >>.

 

Irina lo fulminò con gli occhi, sentendo l’irritazione salire e soprattutto dimenticandosi subito tutti i suoi buoni intenti per la serata.

 

<< Sarò anche una donna, ma i tuoi tentativi di non farmi arrivare alla fine della Mosca-Cherepova sono tutti falliti >> sibilò, << Se essere un uomo significa dover abbassarsi a questo… Ma forse tu non lo sei >>. Sorrise malignamente.

 

Nikodim non sembrò saper replicare. Irina afferrò la sedia e si sedette a tavola con irruenza, mettendo fine a tutte quelle discussioni. William fece altrettanto ma con molta calma, e tutti si decisero finalmente a prendere posto. Daniel sembrava particolarmente imbronciato, e si era messo vicino a Buinov.

 

<< Mi sembra di capire che vi conoscete già… >> disse William, tranquillo, << Sbaglio? >>.

 

<< No, non sbagli >> rispose Irina, << Nikodim doveva aiutarmi a entrare in contatto con la Lince… Ma chiaramente non era quello che voleva >>.

 

<< Avanti, avanti >> intervenne Vladimir, << Capisco i vostri dissapori, ma siamo qui proprio per metterci d’accordo… Per un momento facciamo finta che non sia accaduto niente >>.

 

Chiaramente la parte del “pacere” non si addiceva a Buinov, ma la tensione era talmente alta che persino lui aveva deciso di metterci un freno. William gettò un’occhiata a Irina e lei non replicò, anche se aveva tanta voglia di farlo.

 

<< Cosa posso portarvi, signori? >> chiese il cameriere, sopraggiunto in quel momento, con un ampio sorriso sul volto.

 

Nikodim si sporse e gli sussurrò qualcosa; il ragazzo annuì poi se ne andò.

 

<< Se per voi non è un problema, ho ordinato un menù standard >> disse, sistemando il tovagliolo sopra le ginocchia, con aria si sufficienza.

 

<< Mentre aspettiamo, allora… >> iniziò Vladimir, << Nikodim, Dimitri è ancora in giro… Sai dove possa essere? >>.

 

Irina drizzò le orecchie.

 

<< Ha lasciato casa sua, e si è portato dietro tutta la famiglia >> rispose Nikodim, << Sicuramente si sarà trovato un altro buco dove nascondersi. Sto facendo controllare gli appartamenti che possiedono i  suoi familiari… >>.

 

<< Quindi lo puoi trovare? >> chiese Vladimir.

 

<< Certo che posso trovarlo >> ribatté Nikodim, << E’ solo questione di tempo >>.

 

Irina sentì l’apprensione salire, mentre pensava a dove stesse in quel momento Dimitri e se fosse davvero al sicuro: sapeva che il Mastino non temeva Nikodim, ma ora che si rendeva conto di quanta gente aveva contro non poteva che essere preoccupata.

 

In quel momento però sentì qualcosa solleticarle la coscia, e si accorse che William la stava sfiorando e con la coda dell’occhio la guardava.

 

<<Sta calma… >> sussurrò, << Da quanto sei una testa calda del genere? >>.

 

<< Da quando mi sono stufata di farmi mettere i piedi in testa… >> rispose Irina, a bassa voce, sperando che lui pensasse fosse nervosa per via dell’affronto di prima.

 

William sembrò ridacchiare, ma Vladimir continuò: << La Lince si è fatta viva, e noi chiaramente approfitteremo della situazione per tenderle una trappola e catturarla. Quand’è il vostro appuntamento? >>.

 

Irina guardò William, incerta se rispondere o no.

 

<< C’è un problema >> disse lo Scorpione, tranquillo, << Io non ho intenzione di uccidere la Lince. Mi serve il suo aiuto, e finché mi potrà tornare utile non la eliminerò di certo >>.

 

Calò il silenzio, e gli occhi di Nikodim si fecero di fuoco.

 

<< Sei libero, cosa puoi volere ancora? >> chiese, seccato.

 

<< Mi serve del denaro e la possibilità di rientrare in contatto con alcune mie vecchie conoscenze >> rispose William, << E la Lince può sicuramente aiutarmi, in questo. In più, voglio conoscere quella vera, visto che fino ad adesso ho avuto affari solo con il suo sostituto… >>.

 

<< Hai già avuto la tua parte, Challagher >> ringhiò Vladimir, facendo un cenno verso Irina, << Avevamo un accordo che non hai rispettato, quindi sei in debito con me. Goryalef… >>.

 

<< Io non sono in debito con nessuno >> lo interruppe William, << Irina sta dalla mia parte, quindi l’accordo non è valido: non è stata necessaria nessuna cattura. E poi mi sembra di capire che non avrai problemi a trovarlo, quindi… >>.

 

Irina percepì la tensione salire ancora, e si accorse che di sicuro le cose sarebbero peggiorate: William non voleva collaborare, e Vladimir non voleva cedere.

 

<< Non puoi fare quello che vuoi, Challagher >> ringhiò Nikodim, << Non qui a casa nostra. Quando avete l’appuntamento? >>.

 

William fece un ghigno, e si mise le braccia dietro la testa, con l’aria di uno che è perfettamente rilassato.

 

<< Non me lo chiedere, tanto non te lo dirò >> rispose, serafico, << E in ogni caso, sappi che qui l’unica persona che ha un appuntamento con la Lince è lei >>. Fece un cenno verso Irina.

 

<< Quando devi andare? >> abbaiò Nikodim, sporgendosi sul tavolo che li divideva.

 

Irina sorrise. << Quando me lo dirà lei >> rispose.

 

Nikodim puntò il dito verso di lei, infuriato.

 

<< Non fare la furba, puttana >> ringhiò, << Adesso che non hai più Goryalef che ti gira intorno se vogliamo farti fuori non ci penseremo due volte >>.

 

A quel punto, William si alzò di scatto, e sembrò sul punto di prenderlo a pugni. Battè le mani sul tavolo, gli occhi di ghiaccio, e disse, a bassa voce, ma gelido: << La nostra collaborazione finisce qui. Non abbiamo punti di incontro. E non minacciare nessuno, figlio di puttana, perché nemmeno io ci penserò due volte, se avrò voglia di ammazzarti, chiaro? >>.

 

Le fece cenno di alzarsi, e Irina lo seguì fuori dal locale, spaventata dalla sua reazione violenta. Senza dire niente raggiunsero la Bugatti, e risalirono. Solo quando il motore iniziò a rombare, William sembrò calmarsi. Rimase un attimo con la mano stretta sul volante, poi disse: << Domani ce ne andiamo. Non ho più bisogno di Vladimir >>.

 

<< Ok, va bene >> sussurrò Irina.

 

Ritornarono verso l’albergo, nel più completo silenzio. Appena furono davanti all’hotel, però, Irina ebbe una strana sensazione, come se qualcuno la stesse osservando. Sbirciò oltre il finestrino, ma non vide nessuno che conosceva.

 

Scosse il capo, certa di aver sbagliato, e sospirò.

 

“Le cose si mettono male”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 21.30 – Mosca

 

<< Almeno siamo sicuri che è viva e sta bene >> disse Dimitri, rimettendo in modo la macchina del cugino, << Soddisfatto, Went? >>.

 

Xander continuava a fissare il punto dove la Bugatti era scomparsa dentro il parcheggio dell’hotel, con ancora negli occhi il volto di Irina e di Challagher, così vividi anche nell’oscurità.

 

“Sta bene…”.

 

Non poteva dire di essere soddisfatto, ma almeno era un po’ più sollevato: lo Scorpione non l’aveva fatta fuori, aveva deciso di credere almeno un po’ alla sua storia. Anche se quello comportava molte altre cose, che potevano comunque essere poco piacevoli per lei.

 

<< Dove pensi fossero andati? >> chiese, cercando di non pensarci.

 

<< Forse dovevano incontrare qualcuno >> rispose Dimitri, << Ma non credo si tratti della Lince, non ancora perlomeno… Vladimir non è tornato con loro, però… >>. Apparve improvvisamente dubbioso, << Meglio che ce ne andiamo, prima che qualcuno ci noti >>.

 

Fece sgusciare l’utilitaria nera fuori dal parcheggio e si avviò verso il loro appartamento, con Xander che sentiva salire la preoccupazione al pensiero di cosa potesse succedere in quell’albergo…

 

Per un attimo ebbe l’impulso di far fermare Dimitri, fare irruzione dell’hotel e portare via Irina, ammazzando anche Challagher, se era necessario, ma qualcosa lo trattenne: improvvisamente si rese conto che Irina non avrebbe apprezzato quella mossa, non questa volta. Era stata lei a prendere l’iniziativa, e sicuramente non avrebbe voluto intromissioni di alcun genere, come in effetti aveva chiesto…

 

<< Cazzo, quanto è stata stupida >> ringhiò a denti stretti, << Poteva esserci un altro modo… >>.

 

Si trattava di un pensiero che in preda alla rabbia aveva espresso ad alta voce, e che forse avrebbe preferito tenere per sé. Dimitri lo sentì, e mentre guidava nella notte di Mosca, sul suo volto si dipinse un sorrisetto difficile da decifrare.

 

<< Sta facendo il suo lavoro, Went >> disse, quasi serafico, << Sta facendo esattamente quello per cui è stata ingaggiata… Come me, come te, come tutti. E’ adulta, sa prendere le sue decisioni >>.

 

Fu come ricevere uno schiaffo in faccia, e Xander si irritò. Però era vero ciò che il russo diceva, e non poteva negarlo. Soprattutto ora che era stato escluso dalla vita di Irina, ed era stata lei a farlo.

 

<< Forse hai ragione >> disse alla fine, << Ma non per questo smetterò di preoccuparmi per lei >>.

 

<< Allora impara a preoccuparti delle cose giuste >> ribatté Dimitri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 21.30 – Mosca, Hotel Laveredìc

 

William precedette Irina nell’ingresso dell’hotel, nervoso per come era andata la serata, poi però inchiodò di fronte al bar, ricordandosi che in ogni caso avevano saltato la cena. Irina gli andò quasi a sbattere addosso, e lo guardò confusa.

 

<< Hai fame? >> domandò lui, con un tono piuttosto imperioso.

 

Irina sembrò incerta su cosa rispondere, forse presa alla sprovvista dalla domanda, e si guardò intorno, dubbiosa.

 

<< Ehm… A dir la verità non molta… Ma… >>.

 

William si rese conto che forse era stato eccessivamente aggressivo, visto che non era colpa sua se la serata era andata male, e cercò di darsi una calmata. Non aveva certo più voglia di uscire, ma dopo tutti i pasti insipidi che si era dovuto sorbire in carcere non era disposto a saltare una cena se proprio non avesse potuto farne a meno.

 

<< Mangiamo qualcosa >> disse, indicandole la sala da pranzo vicino al bar, << Tanto non credo che avremo modo di concludere alcun accordo con nessuno, stasera >>.

 

Irina annuì, dubbiosa, ma lo seguì senza aggiungere altro. Solo in quel momento William si accorse che forse non aveva il coraggio di parlare, vedendolo così nervoso…

 

Si sedettero a un tavolo un po’ più appartato, sotto la luce del lampadario stile minimal, nella sala mezza piena e piuttosto tranquilla. Il cameriere prese le loro ordinazioni, e solo mentre aspettavano William si diede il tempo di studiare nuovamente Irina, cosa che ormai faceva da quando si erano riuniti. Serviva a distrarlo dal pensiero di come era andata la cena, e a farlo calmare… Tanto aveva già un piano pronto, che avrebbe rimesso tutto a posto.

 

Appena l’aveva vista bussare alla sua porta l’aveva trovata più bella del passato, e come sempre Irina non si era smentita nella sua personalità: niente di troppo sexy, di vistoso o volgare in ciò che si era messa. Tutto molto semplice, come piaceva a lei, discreto e in un certo qual modo di classe. E anche se la sua espressione era più adulta, rimaneva comunque la stessa di sempre.

 

Forse fu quella continuità con il passato, quella vaga impressione che le cose non fossero cambiate, che fecero sentire William quasi felice. Irina era sempre Irina, e l’unica cosa che era mutata era il modo in cui si comportava nei suoi confronti: un cambiamento che era positivo, che metteva le cose come lui aveva sempre voluto che andassero.

 

E poi non poteva negare di essere colpito da come Irina aveva risposto a Nikodim, di come gli aveva tenuto testa, e soprattutto di come gli aveva confermato la sua fedeltà, non rivelando la data di incontro con la Lince…

 

Non toccò subito il piatto quando gli venne messo davanti, e per la verità non lo guardò nemmeno: i suoi occhi erano incollati sul volto di Irina, a studiarne i lineamenti, l’espressione… Per scoprire che la voleva come il primo giorno che l’aveva vista, che la desiderava più di allora, che il carcere non era riuscito a rompere quel legame che lui aveva con lei, perché proprio lei lo aveva tenuto in vita…

 

<< Che cosa vuoi, quando torneremo a Los Angeles? >> domandò all’improvviso, prendendo la forchetta per iniziare a mangiare, ma senza infilzare la sua bistecca.

 

Irina alzò lo sguardo. << Cosa intendi? >> domandò, confusa.

 

William fece un sorrisetto.

 

<< Cosa vuoi quando avrò riorganizzato la Black List? >> chiese, tranquillo, << Visto l’aiuto che intendi darmi, meriterai una ricompensa… Oltre al tuo posto nella Lista, cosa vorresti ancora? >>. Le rivolse un’occhiata, poi aggiunse: << Una Ferrari potrebbe piacerti? >>.

 

Vide Irina spalancare gli occhi per un momento, presa alla sprovvista. Sorrise di fronte alla sua reazione: non le aveva mai fatto un’offerta del genere, e ricordava perfettamente quando lei adorasse le Ferrari…

 

<< Dici davvero? >> esalò.

 

<< Non sto scherzando >> rispose lui, << E’ il premio per avermi cercato e per avermi aiutato >>.

 

“E qualsiasi cosa tu mi chieda, io te la darò… Se non mi stai mentendo, sono disposto a qualunque cosa per fare in modo che tutto questo continui”.

 

Irina abbassò gli occhi per un momento, poi mormorò: << Non… Non voglio niente. Non ti ho liberato, lo hai fatto da solo. E poi, finché non saremo tornati a Los Angeles, meglio non farsi troppe illusioni… >>.

 

Il sorriso di William si allargò, mentre intuiva quello che passava nella sua testa: diversamente da lui, dubitava che potesse tornare tutto come prima. Ma lui era certo che la Black List sarebbe stata di nuovo sua, che Los Angeles sarebbe tornata sotto il suo controllo: non aveva dubbi, perché era determinato a tornare a tutti gli effetti lo Scorpione.

 

<< Credi che possa partecipare a qualche gara, da queste parti? >> domandò lui.

 

<< Penso di sì… >> rispose Irina, << Posso telefonare a uno dei Referenti e chiedere quando ce ne sarà una. Non dovrebbero esserci problemi… >>.

 

William finì rapidamente gli ultimi bocconi, poi annuì. Aveva bisogno di mettere qualche altro soldo da parte, in caso di bisogno, e aveva anche voglia di fare una gara come si deve. Si alzò, e Irina fece lo stesso, in automatico, anche se non aveva terminato di mangiare.

 

<< Non finisci? >> chiese, facendo un cenno verso il suo piatto.

 

Lei scosse il capo.

 

<< Non ho più fame >> rispose.

 

Ancora una volta si confermava quella che era in passato: quante volte aveva sentito quella frase, da lei? Certe volte si era chiesto se vivesse d’aria…

 

Si avviarono verso l’ascensore, in silenzio, e quando arrivarono davanti alla porta della stanza di Irina rimasero fermi l’uno davanti all’altra. Lei aprì la stanza, ma prima che potesse entrare William la afferrò per un braccio e la intrappolò in un bacio passionale, un bacio che non vedeva l’ora di dare da quando l’aveva davanti.

 

Tanto ormai si fidava di lei, e l’unica cosa che voleva veramente era farla sua, per la prima volta e per davvero… Tanto non gli importava se lo stesse fregando di nuovo.

 

Aveva resistito due giorni, aveva tenuto il piede sul freno perché non voleva cedere subito, ma ora basta.

 

La spinse nella sua stanza, la porta che si chiudeva rumorosamente alle loro spalle, senza che si staccassero l’uno dalle labbra dell’altro… Irina non protestò, non si tirò indietro, e William capì che non fingeva, che era tornata davvero per lui…

 

E allora decise di metterla alla prova. Tutto dipendeva da quello che sarebbe accaduto.

 

“Dimmi di no, Irina, Ed è finita per entrambi”.

 

Lui aveva già deciso; spettava a lei scegliere come si sarebbe consumata la notte. L’uno per l’altro, o uno contro l’altro.

 

La stese sul letto, e allora iniziò a spogliarla.

 

Ma Irina non si tirò indietro. Non cercò di fermarlo… Non fece niente.

 

Sarebbe stata sua senza lottare.

 

E lui andò in estasi.

 

Se ne fregò di tutto quello che era successo, di quello che aveva perso, di quello che non avrebbe più riavuto, di quello che aveva patito… Se ne fregò dell’orgoglio, che in quel momento gli permetteva di andare a letto con la donna che lo aveva tradito. Se ne fregò del rischio, del pericolo che correva di essere nuovamente pugnalato alle spalle. Se ne fregò di se stesso, perché l’unica cosa che voleva era lei.

 

E lei… Lei ora voleva lui.

 

Come lo Scorpione aveva sempre desiderato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Cap un po’ più breve, ma decisamente significativo nel finale.

Irina alla fine ha affrontato anche questa prova: ne uscirà sconfitta o vincitrice? E William? Bé, William chiaramente ora ha davvero quello che ha sempre voluto. Ma i suoi pensieri nel prossimo cap… Saranno piuttosto interessanti.

Per il resto, poco altro da dire. Tranne che cercherò di postare il prima possibile

Bacioni!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 37
*** Capitolo XXXVII ***


Capitolo XXXVII

Capitolo XXXVII

 

 

 

 

 

 

 

Look at him
Look at me
That boy is bad
And honestly
He’s a wolf in disguise
But I can’t stop staring in those evil eyes

He ate my heart the he ate my brain
(I love that girl)
(Wanna talk to her, she’s hot as hell)

That boy is a monster
Monster
(Could I love him?)*

[Lady GagaMonster ]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 06.00 - Mosca

 

William si svegliò lentamente, la fioca luce che proveniva dalla finestra che gli arrivava dritta dritta in faccia. Riusciva a vedere la polvere vorticare silenziosamente nella lama di luce, nel silenzio rotto solo dal suo respiro e da quello della persona che giaceva al suo fianco. Non poteva dimenticare cosa era successo quella notte, e forse non l’avrebbe mai dimenticato.

 

Si voltò verso Irina, addormentata al suo fianco a pancia in giù, i capelli sparsi intorno sul lenzuolo bianco, le labbra rosate leggermente dischiuse, il suo respiro regolare e quasi impercettibile… Aveva le spalle scoperte, il tatuaggio della Fenice seminascosto dai capelli, la mano dalle unghie curate appoggiata sul cuscino.

 

William scostò la coperta, liberando il torso nudo, e lasciò vagare lo sguardo su quella visione da cui non era capace di staccare gli occhi… Forse stava davvero sognando.

 

Da quando aveva capito esattamente cosa volesse da lei, aveva desiderato quel momento con tutto stesso, soprattutto quando si era reso conto che alla fine non la voleva morta, che l’amava per davvero… E poi si era ritrovato dietro le sbarre, lei lontana e fautrice della sua condanna, a meditare vendetta… E alla fine scopriva che era lei a essersi pentita di quello che aveva fatto, a tornare da lui.

 

Prese una ciocca dei suoi capelli, avvolgendosela intorno al dito, e guardò la ragazza che dormiva tranquilla, la sua gamba che sfiorava la sua sotto le coperte.

 

“E’ questo che avevi, Went? Provavi la stessa cosa che io sto provando adesso?

 

Irina dormiva, eppure sul suo volto dai tratti morbidi c’era un’espressione serena, un’espressione che lui non gli aveva mai visto… Era abituato a lottare con lei, a prendersi il suo corpo con la forza, a sentirla lontana e furiosa, e stavolta era tutto diverso. Era sua perché lei aveva voluto esserlo.

 

Ed era assurdamente bello sentire quella sensazione di appagamento, di pace che aveva lui addosso… Alla fine, Irina aveva ceduto, era sua per davvero.

 

“Davvero era questo che sei riuscito ad avere, Went? Davvero te la sei lasciata sfuggire? Come hai fatto a rinunciare a tutto questo?”.

 

Trovava straordinaria quella situazione, trovava Irina perfetta anche se sapeva che non lo era. Went l’aveva avuta prima di lui, era riuscito ad aprirle il cuore, e se l’era lasciata sfuggire… Ora che scopriva cosa si sentiva, gli avrebbe dato del pazzo.

 

Assomigliava tutto a un sogno, eppure era vero. Forse aver perso tutto, aver perso due anni dentro una cella buia, era servito a qualcosa… Quello che aveva ora era meglio di qualsiasi auto, meglio di qualsiasi pilota, meglio del denaro, meglio del potere. Perché niente, niente poteva comprare quella sensazione che ora provava lui.

 

William allungò la mano e sfiorò la spalla nuda di Irina, la pelle morbida che scorreva sotto le sue dita, e la vide rabbrividire impercettibilmente. Sorrise, quando dalle labbra le sfuggì un sospiro, ma lei continuò a dormire, rannicchiandosi sotto la coperta. Gli bastò sentire di nuovo il calore del suo corpo vicino al suo, a fargli riaffiorare le sensazioni che aveva provato in quella notte.

 

Per la prima volta aveva potuto vedere il suo corpo senza lottare, l’aveva sfiorata senza sentirla ritrarsi e senza sentire su di lui il suo sguardo carico d’odio… Aveva preso possesso di quelle labbra senza doverla costringere, senza che lo spingesse via…

 

E il meglio era stato quando aveva sentito le mani di Irina su di lui… Centinaia di volte aveva desiderato scoprire cosa si provasse, e quando aveva sentito le sue dita scorrere sui suoi muscoli era impazzito. Era diverso da ogni altra cosa, da ogni altra ragazza che era stata con lui… Non c’era istinto selvaggio e basta, quello che l’aveva guidato quando in quei gesti non c’era amore, ma solo voglia di evasione, era… Era assurdo. Le mani di Irina erano così leggere, così delicate da sembrare solo un sogno, meno trasgressive e violente di qualsiasi altre, eppure lo avevano fatto impazzire di piacere… Non aveva capito più niente, aveva iniziato a sentire una voglia folle di saperla solo sua.

 

Le sue mani addosso a lui, le sue gambe intrecciate alle sue, le sue dita che premevano sulle sue spalle… Non c’era niente come quello, niente che potesse sostituirlo… Sarebbe andato avanti tutta la notte, tutto il giorno, al solo scopo di continuare a sentirla sua, a prendere possesso del suo corpo per godere appieno di tutto quello che provava, per sentirla sua come aveva sempre desiderato…

 

Era stato con ragazze che si vantavano di saper prendere gli uomini come nessun’altra, così sexy da risvegliare con un solo sguardo gli istinti più profondi, così esperte da saper rendere una notte infuocata solo con il loro corpo, così spinte da non tirarsi indietro davanti a nessun tipo di gioco… Irina era totalmente il contrario, eppure era riuscito a farlo impazzire fino a desiderare che non finisse mai. Gli erano bastate le sue mani, delicate, a tratti incerte, a fargli notare la differenza.

 

Cercò la sua mano sotto le lenzuola, e intrecciò le dita con le sue, avvicinandosi al suo corpo spogliato, la voglia di stringerla ancora a lui rimasta intatta alla sera prima… Irina rabbrividì, la pelle d’oca sulle braccia, rannicchiandosi contro di lui nel sonno, alla ricerca di calore…

 

Era esausta, e non si sarebbe svegliata. L’aveva prosciugata di ogni energia, fino a farla crollare addormentata. Sorrise, perché quella consapevolezza lo rendeva felice.

 

<< Forse ti ho chiesto troppo, bambolina mia >> sussurrò sul suo collo, sperando aprisse gli occhi.

 

Naturalmente lei non lo fece, ma comprese che aveva davvero avuto troppo in quella notte. Irina meritava almeno un po’ di riposo, visto quello che era stata capace di fargli fare… E poi, gli piaceva stare a guardarla mentre dormiva, così rilassata, così tranquilla… Così sua.

 

Ora capiva. Capiva cosa aveva spinto Went a rischiare la vita per lei, a mettere in gioco tutto quello che aveva… Capiva per quale motivo l’aveva sfidato per portargliela via. Prima non poteva saperlo, perché tutte le sue energie erano concentrate sul cercare di controllarla, dominarla, combattere con lei; adesso che invece non doveva pensare a come fare a non perderla, scopriva davvero quelle parti di Irina aveva sempre e solo sognato.

 

Il carcere gli aveva aiutato a capire molte cose della sua vita, molti aspetti che aveva sempre ignorato ma che nelle lunghe ore di silenzio passate da solo aveva avuto modo di analizzare.

 

Era sempre stato da solo, in tutta la sua esistenza. Anche se si era circondato di amici, di piloti, di gente di tutti i tipi, nessuno di loro gli era mai stato veramente fedele, nessuno di loro gli aveva fatto provare la vera amicizia. I soldi che aveva sempre avuto, il potere di suo padre, avevano sempre attirato coloro che avevano solo interessi nei suoi confronti. Nessuno lo aveva mai avvicinato solo perché voleva conoscerlo veramente.

 

E le ragazze…

 

Le ragazze stravedevano per lui, perché era bello, era ricco, aveva potere. Ne aveva avute a palate, tanto da non ricordare nemmeno i nomi di molte di loro, così facilmente da poterne cambiare una a notte, anche solo con uno schiocco di dita. Tutte belle, tutte sexy, di ogni paese e di ogni età, tutte pronte a cadergli ai piedi al primo sguardo… Pronte a farsi fare qualsiasi cosa da lui, che compiaciuto credeva di avere tutto ciò che desiderava…

 

Si sbagliava, e se n’era accorto quando intorno a lui si era fatto silenzio, quando le luci delle discoteche si erano spente, quando il letto della sua lussuosa camera era diventato quello di una cella, quando il suo mondo si era ristretto a un paio di pareti scure e umide. Quando i giochi erano finiti, ed era cominciata la vita vera.

 

Non c’era mai stato niente di stabile, nella sua esistenza. Niente, a partire dalla sua famiglia, quella che avrebbe dovuto formarlo, che avrebbe dovuto contribuire a fargli capire il senso di tante cose.

 

Suo padre non c’era mai, era sempre in giro a fare affari loschi, a fare soldi facili, ad amministrare i suoi traffici. E quando tornava dal suo unico figlio, ciò che era in grado di insegnargli era solo: “Se vuoi qualcosa, allunga la mano e prendila”. Niente era impossibile per un Challagher, niente era precluso, tutto dovuto. Perché accontentarsi quando si poteva avere il meglio? Bastava pagare, bastava usare le maniere forti…

 

Sua madre era l’esempio più eclatante che confermava la teoria di George Challagher: viveva con loro solo perché avevano i soldi. Aveva sposato suo padre solo perché era pieno di denaro, perché si era garantita la bella vita… E si tradivano, sempre e ovunque. Tutti lo sapevano, persino loro stessi, ed erano contenti così. Si erano sempre usati, e avrebbero continuato a usarsi.

 

“Una donna non è altro che un oggetto” gli aveva detto suo padre un giorno, “Una donna ha il solo scopo di farti passare delle belle notti e basta. Più nei hai e meglio è, perché ricordati che nessuna di loro ti sarà mai fedele. Tantovale avere una vasta scelta quando hai voglia di scopare, perché tutti lo sanno benissimo che i soldi fanno loro questo effetto”.

 

E lui era cresciuto con quella convinzione, che le donne fossero inutili a parte per appagare i loro istinti. Lui stesso se ne era reso conto, quando vedeva che mai per due volte consecutive era stato con la stessa, quando quelle ragazze pretendevano da lui sempre il massimo, sempre il meglio, perché lui era lo Scorpione, era William Challagher

 

Tutti lo avevano invidiato, ma dovevano invidiarlo davvero? Cosa ci aveva guadagnato in tutte quelle notti estreme che aveva passato, in quelle avventure si eccitanti, ma sempre troppo brevi? Niente, non aveva niente in mano. Nessuna di quelle ragazze era lì a sorreggerlo, a supportarlo, a stargli a fianco nel momento del bisogno, esattamente come tutti quelli che si erano definiti suoi amici.

 

Irina non era così, non lo era mai stata. I suoi soldi, il suo potere, non li aveva mai voluti: tutto ciò che gli aveva sempre chiesto era solo rispetto. Non aveva mai preteso niente, da lui. I suoi regali certe volte nemmeno li aveva guardati, e li aveva sempre messi da parte alla prima occasione…

 

E poi, quando parlava con lui era l’unica a trattarlo come si meritava. Non gli diceva mai sì solo per compiacerlo, per farselo amico, per ottenere in cambio qualcosa da lui. Anzi, tutte le volte che aveva potuto, tutte le volte che lui l’aveva minacciata, gli aveva sbattuto in faccia il suo no brusco e diretto, dimostrandogli che alla fine non era nessuno.

 

Ecco perché lei, perché era ossessionato da Irina come non lo era mai stato di nessun altro: gli aveva fatto scoprire chi era veramente. Nessuno, lui non sarebbe stato mai nessuno se non fosse stato per i soldi e per suo padre.

 

Abituato sempre ad avere il massimo, a pretendere il meglio, a vivere nel lusso e negli agi, non aveva mai sentito il bisogno di avere qualcuno al suo fianco, qualcuno di cui si fidava, che lo conosceva per quello che era… Ma quando si era ritrovato solo e senza più niente, aveva capito cosa significava poter contare sull’affetto di qualcuno. E l’affetto che voleva, esattamente come prima di finire dietro le sbarre, era quello di Irina.

 

“Non posso credere che tu me lo stia dando, proprio ora… Sono uscito con l’intento di ucciderti, e ora mi ritrovo di nuovo schiavo di te… Siamo stati traditi dalla vita tutti e due”.

 

Accarezzò la guancia di Irina, rapito da quei tratti delicati e perfetti ai suoi occhi. No, non la poteva uccidere, anche se lo aveva fatto sbattere in cella… Non poteva ucciderla, quando era l’unica a essere tornata da lui, anche se non aveva più niente.

 

Guardò fuori dalla finestra. Nevicava e spirava un vento gelido, con i fiocchi bianchi che vorticavano nell’aria uggiosa di Mosca. Non aveva voglia di alzarsi, perché stava troppo bene sotto quelle coperte calde e con il profumo di Irina nelle narici, ma doveva parlare un’ultima volta con Vladimir e chiudere la questione della sera prima, da solo.

 

Si alzò e si rivestì, gettando ogni tanto un’occhiata a Irina, che continuava a dormire. Sorrise, rendendosi conto che tutto era così strano ma anche bellissimo, così incredibile ma reale… Per la prima volta, era lui a essere prigioniero della sua stanza, e non il contrario.

 

Guardò l’orologio, e decise di avere il tempo sufficiente per una sigaretta. Aprì leggermente la finestra, cercando di non far entrare troppa aria nella stanza ed evitare che l’odore del fumo impregnasse le pareti, cosa che lei detestava. Non si era mai dato pena di fumare fuori, ma quello non era un giorno come gli altri, e nemmeno lui era più lo stesso.

 

Una volta finito, tornò a guardarla. Chissà quando si sarebbe svegliata… Chissà la sua faccia quando non lo avrebbe visto… Magari avrebbe pensato si fosse trattato di un sogno… Oppure di un incubo.

 

Cercò le chiavi della sua stanza nella tasca dei pantaloni, poi si abbassò su di lei, sfiorandole le labbra con le sue, per sentirne ancora il sapore. Sorrise, e sussurrò: << Torno più tardi, bambolina. Ti prego, non te ne andare >>.

 

Si allontanò, e si diresse verso la porta. Le avrebbe fatto portare la colazione in camera, sperando che apprezzasse quel gesto. La conosceva abbastanza da sapere che cosa le piaceva.

 

Gettò un ultimo sguardo alla stanza, poi uscì, sperando di non aver sognato tutto e che quando fosse tornato l’avrebbe trovata di nuovo lì ad aspettarlo…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 6.35 – Mosca, Hotel Laveredìc

 

Irina si svegliò di soprassalto, e la prima cosa che fece fu allungare la mano al suo fianco, sotto le lenzuola calde e soffici. Xander forse stava ancora dormendo…

 

Quando trovò il letto vuoto, ricordò tutto quello che era successo e si issò sulle braccia, il cuore che batteva all’impazzata. Cercò di controllare quell’istinto che le imponeva di gridare, il fiato corto, una sensazione fortissima di nausea, la testa che girava vorticosamente…

 

Deglutì, sentendo lo stomaco vuoto contrarsi in maniera sgradevole. Voleva vomitare, tirare fuori in qualche modo quella cosa orrenda che si muoveva nelle sue viscere, ma fissava il cuscino bianco, gli occhi spalancati, il terrore addosso.

 

Alla fine l’aveva fatto. Ci era riuscita. Aveva finto anche quel gesto che pensava di non essere in grado di recitare.

 

Ottimo lavoro, agente Dwight.

 

Pessima scelta, Irina.

 

Deglutì un’altra volta, sentendo che il cuore rallentava i battiti, mentre il suo cervello invece iniziava a lavorare in maniera sempre più veloce, sommergendola di sensazioni, pensieri, emozioni…

 

Non credeva di riuscirci. Non credeva di farcela. Non con tutto quello che William le aveva fatto.

 

Eppure lo aveva sempre saputo che prima o poi quel momento sarebbe arrivato, lo aveva saputo nell’esatto istante in cui aveva preso la decisione di fingersi pentita… E aveva trovato alla fine il coraggio di fare quella scelta.

 

Si sdraiò di nuovo nel letto, intuendo di essere sola. William non c’era, e forse era meglio così.

 

Respirò a fondo per controllare la nausea e quella brutta sensazione che si sentiva dentro. Poi capì da dove arrivava.

 

“Fai schifo, Irina. Schifo. Persino questo sei stata in grado di fare. Lo hai preso in giro, quando gli avevi detto che non lo avresti condannato mai a una pena del genere”.

 

Sì, stava prendendo in giro tutti. William, Xander, Dimitri, stessa… Si faceva schifo da sola, per quello che aveva appena fatto. Aveva approfittato dei sentimenti di una persona, e lo aveva fatto nel peggiore dei modi… Non c’erano scuse per lei, nemmeno che la persona in questione fosse lo Scorpione.

 

Le lacrime iniziarono a scenderle lungo le guancie, salatissime, mentre lei singhiozzava da sola, ripensando a quella notte… Scoprendo che in fondo non era il fatto di essere andata a letto con William a disgustarla, era il fatto di essere così meschina… Così cattiva.

 

Voleva Xander. Voleva che lui fosse lì con lei, a sgridarla per quello che aveva fatto, per poi cercare di consolarla come sapeva fare solo lui. Voleva che tutto si trasformasse in un sogno, che tutto non fosse altro che frutto della sua mente malata, che si svegliasse nel suo letto a Los Angeles, Xander di fianco a lei, addormentato…

 

Non seppe esattamente quanto tempo rimase lì a piangere nel silenzio della stanza, con il pericolo che William la scoprisse, e solo quando l’ultimo singhiozzo si spense cercò di tornare veramente se stessa.

 

Ormai aveva perso tutto, persino la sua dignità. E nessuno l’avrebbe giudicata, perché era sola. Per quanto si odiasse, doveva portare a termine la sua missione, perché era l’unico obiettivo che le rimaneva.

 

Si rivestì, con una improvvisa freddezza che quasi la spiazzò, e poi cercò il cellulare che le aveva dato Dimitri. Inevitabilmente il suo pensiero andò a lui, chiedendosi cosa avrebbe pensato nello scoprire quanto sapesse essere meschina, ma scosse il capo, scacciando ogni indugio. Scorse la rubrica, e tra tutti i numeri riconobbe quello del Mastino, sotto la dicitura “Università”.

 

“Appuntamento Lince fissato. Prossimo messaggio: luogo e data. Pronti in qualsiasi momento. Prendi contatto con il capo. Fenice”

 

Premette un tasto e lo inviò, sperando che Dimitri lo ricevesse e che William non scoprisse niente. Per il momento, quello era il massimo che poteva fare. Appena avrebbe saputo con precisione dove avrebbe incontrato la Lince, avrebbe studiato la trappola nei minimi dettagli.

 

Si diresse verso il bagno, e solo allora si accorse che nell’ingresso c’era un carrello apparecchiato, con una caraffa di caffè ancora caldo e brioches alla marmellata avvolte in tovaglioli immacolati. Alla vista del cibo le venne il voltastomaco, e prese tutto gettandolo nel water. Poi iniziò a lavarsi la faccia e a cancellare i segni delle lacrime, per prepararsi a recitare meglio la sua parte da traditrice.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 07.00 – Mosca, Appartamento di Dimitri

 

Nonostante Xander si fosse addormentato da nemmeno un paio d’ore, il suono del cellulare che squillava nell’altra stanza lo svegliò di colpo, facendolo sobbalzare. Spalancò gli occhi, la pistola gettata poco lontano sul letto, e improvvisamente si ricordò che il telefono che squillava non era il suo.

 

Scattò in piedi e corse in soggiorno, incrociando a metà strada Dimitri, sveglio come se non fosse mai andato a dormire, e si ritrovarono davanti il cellulare appoggiato sul tavolino del soggiorno, il display acceso che diceva: “Irina”.

 

Xander guardò Dimitri, con la voglia di prendere il telefono e leggere il messaggio, ma non lo fece. Il russo ricambiò l’occhiata, in silenzio.

 

<< E’ con te che vuole parlare >> sbottò Xander, facendogli cenno di prendere il cellulare.

 

Dimitri non se lo fece ripetere due volte; afferrò il telefono e lesse il messaggio.

 

<< Appuntamento Lince fissato. Prossimo messaggio: luogo e data. Pronti in qualsiasi momento. Prendi contatto con il capo. Fenice”. >> lesse.

 

Si guardarono in faccia, e Xander vide gli occhi di Dimitri brillare.

 

<< Ci è riuscita, allora… >> mormorò a bassa voce, chiedendosi quanto le fosse costato.

 

<< Perché, pensavi che non ci riuscisse? >> domandò secco Dimitri, improvvisamente duro.

 

<< No, è che… >>. Xander fissò il russo, e si chiese di nuovo perché difendesse Irina in quel modo, perché continuasse a mettere in chiaro che lei era in grado di fare qualsiasi cosa… Era strano, da parte sua.

 

Mise il cellulare da parte, e disse, calmo: << Dobbiamo parlare, Dimitri. Di qualcosa che non riguarda questa missione, e nemmeno Challagher. Ci sono troppe cose non dette che potrebbero crearci dei problemi. Meglio mettere in chiaro tutto prima che le cose peggiorino: servirà a farci convivere meglio, o almeno credo >>.

 

Era ora di togliersi un po’ di dubbi e capire bene cosa era successo in quei mesi in cui lui era stato impegnato su altri fronti. Continuare a rimuginare, teorizzare e ipotizzare non era il modo migliore per concentrarsi sulla sua priorità: salvare Irina.

 

<< D’accordo Went >> disse Dimitri, tranquillo, facendo una mezza smorfia, << Non ho problemi a parlare, se questo può servirti a evitarmi tutti i tuoi sospetti e le tue paranoie >>.

 

Xander lo guardò in cagnesco, anche se c’era un fondo di verità.

 

<< Perché difendi Irina in questo modo? >> domandò, secco.

 

Dimitri fece un’altra smorfia, come se fosse esasperato da quella domanda.

 

<< Went, chiedimi veramente quello che vuoi sapere >> ribatté, << Non girare intorno alla questione. Mi stai irritando >>.

 

Xander decise di rispondere allo stesso modo, visto che Dimitri non aveva problemi a dire le cose come stavano. Però doveva ammettere che porre quella domanda gli dava una certa inquietudine…

 

<< C’è qualcosa tra voi, che prima di tutto questo non c’era? >>.

 

<< Certo che c’è Went >> rispose Dimitri, << C’è per forza. Non puoi stare due mesi con una persona, nella stessa casa, con lo stesso obiettivo, e non imparare a conoscerla. Non puoi pretendere che dopo un certo periodo di tempo sia tutto come all’inizio. Nemmeno io l’avrei mai pensato, ma se quella persona è Irina, allora puoi stare tranquillo che niente può mai essere come immagini >>.

 

Per un istante Xander si sentì esasperato: ma non poteva rispondere semplicemente sì o no? Poi si soffermò sulle sue parole, cercando di capire cosa avesse detto in realtà: nulla. Non aveva detto chiaramente se c’era qualcosa o no.

 

<< Vorrei una risposta più chiara >> disse.

 

<< Sto dicendo, Went, che solo gli stupidi non cambiano mai idea >> ribatté Dimitri, << Sto dicendo che la tua ragazza non è sciocca, non è ingenua e non è inutile come pensavo. Sto dicendo che ho cambiato opinione su di lei. E che non c’entra niente con quello che ho deciso di fare due anni fa… Ti sto dicendo, Went, che sì, Irina mi ha preso in contropiede e mi sono ritrovato a pensare qualcosa che non avrei… voluto >>.

 

Xander capì che sostituendo la parola “pensare” con “provare” il discorso avrebbe preso molto più senso… Ma comprese anche che Dimitri non avrebbe parlato più chiaramente, forse per farlo soffrire maggiormente o perché c’era dell’altro, sotto. Ma era davvero possibile che il russo, in qualche modo, si fosse… innamorato di Irina?

 

Si prese qualche momento per digerire la cosa, e tutto ciò che implicava: aveva mandato lui Dimitri con Irina, ed era stato lui a dargli l’ordine di controllarla a vista… Non aveva pensato che potesse succedere una cosa del genere, e forse era anche colpa sua.

 

<< Quando… Quando è cominciata questa storia? >> domandò.

 

Dimitri fece un sorrisetto.

 

<< Storia? Quale storia? >> fece, << Non c’è nessuna storia come la intendi tu, Went. Credi che ti abbia lasciato per me? Ti sbagli. Credi che ti abbia già rimpiazzato con qualcun altro? Ti sbagli. Se la conoscessi davvero, sapresti che non è in grado di farlo. Se la conoscessi davvero, capiresti che ti ha lasciato perché eri tu a volerlo, non lei >>. Il tono di Dimitri si fece duro, durissimo, e i suoi occhi grigi iniziarono a brillare come se quel discorso lo facesse infuriare. << Se c’è qualcuno che ha delle colpe, Went, quello sei tu. Quello che voleva Irina era qualcosa che chiunque poteva darle, ma che tu non hai nemmeno considerato… Voleva che la lasciassi vivere come desiderava lei >>.

 

Si guardarono in faccia, e Xander capì che era davvero stato stupido, che quel russo in due mesi aveva capito molto più Irina di quanta l’aveva capita lui in due anni. E capì che era stato in grado di offrirle quello che lei voleva, che l’aveva lasciata libera di scegliere, di sbagliare, di provare… Cosa che lui non le aveva mai fatto fare, perché aveva troppa paura di vederla soffrire ancora.

 

Forse tra lei e Dimitri non era ancora successo nulla, ma poteva ancora succedere. Forse Irina aveva iniziato a guardarsi intorno, dopo averlo lasciato, ed era stata capace di vedere oltre i pregiudizi, come era sempre stata in grado di fare: forse il Mastino rappresentava quello che lei voleva in quel momento.

 

<< La verità è questa, Went >> aggiunse Dimitri, << Tu hai sbagliato, e lo sai. E se non vuoi sbagliare ancora, non devi metterti in mezzo. Smettila di trattarla come una bambina, e inizia a considerarla una donna >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 08.00 – Mosca, Hotel Laverdìc

 

Irina aprì la porta della sua camera e cercò di essere il più naturale possibile quando si ritrovò William davanti, anche se il suo cuore batteva ancora troppo forte per farla stare completamente tranquilla. Lo trovò serio, quasi nervoso, come se fosse irritato per qualcosa. Fece due passi indietro per farlo entrare, e non potè fare a meno di apparire intimorita.

 

Di fronte alla sua reazione, William cambiò espressione. All’improvviso sembrò ricordarsi di quello che era successo quella notte, e forse di quello che aveva provato.

 

<< Ciao bambolina. Gradita la colazione? >> domandò, e Irina riconobbe un’immensa dolcezza nella sua voce, una dolcezza che non gli aveva mai sentito.

 

<< Oh… Sì… >> sussurrò lei, mentre William si avvicinava e le schioccava un bacio sulle labbra, accarezzandole la guancia con una delicatezza inaudita. Lo Scorpione sorrise davanti alla sua confusione, generata da quella sua strana dolcezza di fronte a cui Irina non sapeva come comportarsi.

 

<< Bene >> disse lui, << Prepara le tue cose, perché ci trasferiamo >>.

 

<< Perché? >> domandò lei, sorpresa.

 

William si allontanò e sembrò tornare nervoso.

 

<< Vladimir se ne è andato, e si è portato dietro pure Daniel >> rispose, << Quel bastardo gli ha detto che lo avrei ucciso, se le cose fossero finite in questo modo… Sono scappati ieri sera. Non voglio rimanere qui, visto che sanno dove siamo… >>.

 

Le cose si mettevano male: avevano altri nemici da cui guardarsi.

 

<< Ok, preparo tutto… >> disse Irina, << Ma Daniel non stava con te? >>.

 

William arricciò il labbro.

 

<< Stava con me, infatti >> ringhiò, << Figlio di puttana… Un altro traditore. Vladimir deve avergli offerto del denaro… >>. Iniziò a sussurrare una serie infinita di imprecazioni, mentre Irina lo guardava a metà tra lo spaventato e l’incredulo. << Che bastardo… Avrei dovuto lasciarlo a marcire in carcere, per quel poco che mi è servito… >>. Alzò lo sguardo su di lei, poi aggiunse, cercando quasi di essere rassicurante: << Non è un problema, comunque. Ce ne andiamo di qui e ci troviamo un posto tranquillo per aspettare l’incontro con la Lince. Ti aspetto di sotto tra mezz’ora >>.

 

Irina annuì e lo guardò uscire dalla stanza, accorgendosi che chiaramente il comportamento di William nei suoi confronti era cambiato. Non sarebbe stato più lo stesso, dopo l’illusione che gli aveva dato…

 

Si morse il labbro con forza, perché si odiava per quello che stava facendo. Ogni ora che passava, si detestava sempre di più, eppure non poteva farci niente… Doveva andare avanti con la missione.

 

Raccolse le poche cose che aveva e le infilò nel borsone, felice di dover lasciare quella camera che rappresentava qualcosa di orribile per lei, e si chiuse rapidamente la porta alle spalle.

 

Una volta di sotto, aspettò nella hall sotto lo sguardo poco simpatico della ragazza al bancone della reception, e dopo dieci minuti William la raggiunse con la sua roba chiusa in una valigia scura. Andò dalla ragazza per saldare il conto, scoprendo che Vladimir se ne era andato senza pagare, e con aria irritata porse il denaro alla hostess.

 

<< Andiamocene >> disse alla fine, camminando verso l’uscita, << Il nostro appartamento è poco distante da qui… Almeno non avremo nessuno che controlla quando usciamo ed entriamo… >>.

 

La Bugatti e la Punto erano parcheggiate l’una di fianco all’altra, e William caricò la valigia sull’auto con fare imperioso. Irina gettò il borsone nel bagagliaio, tirando fuori le chiavi della Punto.

 

<< Seguimi >> ordinò lo Scorpione, << E’ un palazzo alto e dalle facciate di vetro, quindi lo riconoscerai subito >>.

 

<< Ok… >>.

 

Irina salì sulla Punto, e per un momento si sentì di nuovo a casa. Mentre seguiva la Bugatti per le strade di Mosca, chiusa nell’abitacolo della sua auto, da sola, riuscì a ritrovare un po’ di serenità. Almeno la Punto le era rimasta, e lontano dalla sua casa, dai suoi affetti, era l’unica cosa che poteva farla sentire un po’ più sicura.

 

Vide subito il palazzo di cui aveva parlato William: era una costruzione alta, quasi un grattacielo, ricoperto da lunghi pannelli di vetro scuro, che più che appartamenti sembrava ospitare degli uffici. Seguì la Bugatti nel garage che si apriva dietro il palazzo, un sotterraneo illuminato a giorno da neon bianchi che riflettevano sulle saracinesche di metallo grigio. Due di esse si aprirono da sole, e Irina parcheggiò la Punto, raggiungendo subito dopo William.

 

<< E’ il massimo che sono riuscito a trovare >> disse lo Scorpione una volta davanti alla porta del loro appartamento all’ultimo piano, << Non è molto grande, ma è sufficiente per quel poco tempo in cui rimarremo qui >>.

 

Entrarono, scoprendo che si trattava di uno di quei loft moderni e minimal che si vedevano nelle riviste di arredamento, le cui ampie vetrate davano sulla città di Mosca, con una stupenda vista dei tetti a punta e del cielo in quel momento più sgombro del solito. Non era molto grande, ma sembrava davvero esserci tutto: un divano di pelle marrone dalle forme squadrate, una libreria strapiena di volumi, un tavolo rettangolare per mangiare, il cucinino, la camera da letto. Tutto con linee pulite ed essenziali, ma a Irina piacque: in qualche modo le ricordava la vecchia casa di William, che per quanto odiata era sempre comunque stata una bella casa.

 

<< Che ne dici? >> domandò lo Scorpione, gettando la sua valigia sul tappeto del soggiorno e guardandosi intorno.

 

<< Mi piace >> rispose Irina, << E’ tranquillo… E poi c’è una vista stupenda >>.

 

Si avvicinò al vetro per contemplare il cielo azzurro che si stagliava su Mosca, e per la prima volta si rese conto che era una bella città, e che sicuramente avrebbe voluto essere lì in vacanza, e non per lavoro… Ma non era ancora venuto quel momento. Forse più avanti, a missione finita, sarebbe tornata… Magari Dimitri le avrebbe fatto da guida.

 

“Magari che cosa, Irina? Non essere stupida… Niente illusioni. Sai che fanno solo male”.

 

Sospirò, e sentì la mano di William stringersi attorno al suo braccio, poi lo vide stagliarsi al suo fianco, a fissare l’orizzonte come lei. La luce gli illuminava il volto, la cicatrice sul sopracciglio più bianca che mai, gli occhi verdi socchiusi… Era bello, era giovane, era umano. E improvvisamente le sembrò un ragazzo qualunque, un uomo normale schiacciato da qualcosa di più grosso di lui, alle prese con un destino che gli si era appiccicato addosso senza che potesse farci niente. Forse nemmeno lui aveva delle colpe, forse anche lui era una vittima.

 

<< Che c’è bambolina? >> domandò a bassa voce, quasi sussurrando.

 

<< Niente. Pensavo >> rispose lei, appoggiando una mano sul vetro, e sentendo la sua stratta sul braccio, non possessiva, solo vicina.

 

<< E a cosa pensavi? >>.

<< Che non voglio stare qui >> rispose lei, << Non in questa situazione. Che forse non troverò mai la pace, perché per quelli come noi non esiste… Penso che sono confusa, perché non so cosa voglio. Penso che sono stanca, perché non capisco cosa voglio. E mi chiedo se riavere davvero tutto mi renderà veramente felice >>.

 

Era una risposta con cui Irina era riuscita a tirare fuori quello che aveva dentro senza fargli capire cosa stesse dicendo veramente. Eppure William sembrò leggere qualcosa in quelle parole, qualcosa che lo spinse a farla voltare verso di lui e a guardarla dritta negli occhi, in un modo che non aveva mai fatto prima.

 

<< Per te sarà diverso, Irina >> disse, << Per te non sarà la stessa cosa. Sarà meglio. Sarà meglio perché potrai avere la vita che vorrai. Potrai smettere di correre, se lo desideri. Potrai continuare a essere una pilota clandestina, se lo vorrai. Una volta di nuovo a Los Angeles, sarai libera di fare quello che vuoi. Ma adesso non devi avere paura… Non sei più da sola, qui >>.

 

La prese per il mento e Irina lo guardò nelle iridi verdi, per vedere che non mentiva, che credeva veramente a quello che stava dicendo… Ed era paradossale che William, lo Scorpione, le stesse dicendo di non avere paura. Tutto si invertiva un’altra volta, tutto cambiava di nuovo, niente sembrava rimanere una certezza, nella vita di Irina. Perché ogni momento che passava, William diventava sempre più quello che lei aveva creduto di aver amato tanto tempo addietro, quando Fenice non era che un’ombra… O forse era lei che cambiava, era lei a diventare qualcosa di compatibile con lo Scorpione…

 

E si odiò ancora, si odiò a morte, si odiò fino a farsi venire le lacrime agli occhi, perché lo stava inducendo a essere qualcun altro… Lo stava trasformando in un’altra persona… Dietro l’ombra dei suoi occhi verdi si nascondeva quella azzurra di quelli di Xander

 

<< E proprio questo, il problema >> sussurrò lei, << Io non ho più paura >>.

 

Sì, aveva smesso di avere paura; aveva smesso di temere per stessa… Era sola, e sola niente poteva fermarla.

 

William sembrò non capire, gli occhi verdi che la scrutavano, l’espressione che non mutava… Non immaginava neanche cosa le passasse per la testa, e forse non lo avrebbe mai scoperto. Aveva deciso di crederle, e lo avrebbe fatto fino alla fine.

 

<< Scusami… >> disse lei alla fine, scostandosi e raggiungendo la camera da letto con la sua misera borsa.

 

“Sto pagando, lo so… Sto pagando e farò pagare tutti. Ma improvvisamente non è più quello che voglio”.

 

Si sedette sul letto, sola, il volto tra le mani e la gola chiusa, nel disperato tentativo di soffocare le lacrime. Adesso voleva Dimitri, voleva che il russo le dicesse chiaramente che stava sbagliando, voleva che le dicesse che anche se stava commettendo un errore, quella pur sempre una sua scelta. Ma anche se era a pochi isolati da loro, lo sentì distante, ricordo di un’altra delle sue tante vite…

 

Già, adesso non aveva più paura… Aveva superato tutte le prove che si era imposta, anche la più difficile. Portare a termine la missione non era più così impossibile, per lei. Bastava andare avanti, tenere la maschera ben attaccata al volto, e controllare la voce…

 

Afferrò nervosamente il cellulare, e cercò il numero che Dimitri le aveva salvato in rubrica. Boris Goryalef rispose dall’altra parte della linea, la voce leggermente stupita.

 

<< Ho bisogno di sapere quando ci sarà la prossima gara >> disse Irina, senza aggiungere altro, il tono neutro e distaccato.

 

<< Stasera, Piazza Centrale >> rispose Boris, poi aggiunse: << Già che ci siamo… Riguardo a Challagher… >>.

 

<< Bene, grazie. Ci sarò >> lo interruppe Irina, non perché non voleva parlare di William, ma perché non aveva proprio voglia di parlare, << A stasera, allora >>.

 

Chiuse la telefonata e gettò il cellulare sul letto, sospirando. Solo allora si accorse che William era appoggiato sullo stipite della porta, a guardarla serio e con le braccia incrociate. Scoprì che non le importava che la vedesse in quello stato, perché tanto non avrebbe mai capito. Ma lui si avvicinò, e prima che lei avesse il tempo di chiedersi se voleva o meno, si ritrovarono di nuovo insieme, a condividere le loro illusioni nella speranza che diventassero realtà.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 22.00 – Mosca, Appartamento di Dimitri

 

Xander attese che Dimitri chiudesse a chiave la porta dell’appartamento, dondolandosi sul primo gradino delle scale, gli occhi che guizzavano attraverso il vetro della finestre, nel buio della notte di Mosca. Controllò di avere il cellulare in tasca, ma soprattutto la pistola, e guardò l’orologio.

 

<< Presentati a mio cugino Emilian come Mark Dowson >> stava dicendo il russo, << Non farà domande visto che sei con me, ma se evitiamo che intuisca che sei dell’F.B.I. è meglio… Ci crederanno poco, ma gli dirò che sei un mio… amico >>. La sua voce stridette impercettibilmente.

 

Xander annuì. Avevano programmato una visita alla sorella di Dimitri, più che altro perché il russo voleva assicurarsi che lei e sua nipote stessero bene. Non era necessario che lui andasse, ma l’ex Mastino aveva ritenuto che in caso di evenienza conoscere il resto della sua famiglia poteva essere utile: in caso di bisogno, Xander, in quanto agente dell’F.B.I., poteva garantire una certa protezione alla donna e alla bambina.

 

Sarebbe stata una visita breve, giusto il tempo per vedere se era tutto a posto, ma Xander si sentiva stranamente nervoso. Forse era il fatto che Irina e William avevano cambiato appartamento, e che la preoccupazione di ciò che poteva accadere tra quelle mura era sempre più forte, ma si sentiva inquieto. Non poteva dire che Dimitri non lo lasciasse in pace a pensare, visto che la maggior parte del tempo ognuno di loro stava per i fatti suoi, ma trovava difficile farsi una ragione a ciò che una convivenza stretta tra Irina e William, anche se volontaria, poteva comportare.

 

Stavano per scendere dalle scale, quando un rumore strano gli arrivò alle orecchie e lo costrinse a inchiodare sul gradino. Sembrò qualcosa come un grugnito, o forse una specie di voce soffocata… Vide Dimitri fermarsi e fissare il pavimento per un attimo, e rapidamente portare la mano alla pistola. Lui fece altrettanto, le orecchie tese a cogliere qualsiasi segnale… Non era il solo ad avere i nervi a fior di pelle, né a trarre conclusioni troppo affrettate: il russo aveva avuto la sua stessa reazione, quindi il suo istinto non si stava sbagliando…

 

<< Non voglio fare l’apprensivo, ma ho la sensazione che ci sia qualcosa di strano… >> sussurrò Xander.

 

Dimitri annuì e sganciò la sicura della pistola. Ora il silenzio era completo, e quel fatto allarmò Xander ancora di più: chi aveva provocato il rumore non voleva farsi sentire di nuovo…

 

Impugnò l’arma, e lentamente iniziò a scendere le scale.

 

<< Copriamoci le spalle a vicenda >> sussurrò, mettendo in atto la prima ed elementare regola tra gli sbirri in servizio insieme…

 

Lo sapeva che ciò significava doversi fidare del russo, ma prima di tutto non aveva altra scelta, e in secondo luogo cominciava a pensare che in qualche modo dovevano pur sempre trovare un punto di incontro. In fondo, Dimitri gli aveva salvato in qualche modo la vita, all’aeroporto, e fino ad allora si era rivelato un ottimo agente… Doveva dargli una possibilità, anche se gli costava uno sforzo enorme.

 

<< Buinov è mio, Went >> disse Dimitri in risposta, una smorfia sul volto, << Se mai ha avuto il coraggio di presentarsi personalmente… >>.

 

Xander gli rivolse un’occhiata, e si chiese cosa mai fosse successo tra il Mastino e quel Buinov, e come il Mastino sapesse che si trattava di lui… Doveva essere qualcosa di piuttosto grosso, e anche preoccupante… Ma al momento non erano fatti suoi, come più volte il russo gli aveva gentilmente ricordato.

 

<< Come vuoi >> sussurrò, poi iniziarono a scendere le scale lentamente, le armi puntate davanti a loro, il silenzio rotto solo dai loro passi sui gradini…  

 

Arrivarono all’ingresso, e lì si accorsero chiaramente che qualcosa non andava: il custode non c’era. Rimasero fermi sull’ultimo gradino della scalinata, fissando il pavimento sgombro che conduceva fino al portone, le colonne che sorreggevano il soffitto che gettavano lunghe ombre eul tappeto rosso, le orecchie tese. Era tutto troppo tranquillo per poter essere una situazione normale…

 

Parlare significava segnalare in qualche modo la loro presenza, così rimasero zitti. Chiunque fosse, si stava nascondendo da qualche parte…

 

Xander fece cenno a Dimitri di dirigersi a destra, mentre lui sarebbe andato a sinistra. Il russo annuì, ma appena mise piede sul pavimento dell’ingresso, un colpo riverberò nell’aria, la pallottola che fischiando si andò a conficcare nel muro…

 

Xander afferrò Dimitri per la spalla e lo tirò indietro, rispondendo al fuoco nemico che proveniva da dietro la finestrella del custode… Sparò un paio di colpi, e per un momento vide comparire una faccia che non conosceva, dai capelli scuri e la carnagione olivastra…

 

Un altro colpo arrivò dalla parte opposta, forse da dietro una colonna, e fu Dimitri a contrattaccare questa volta. Una pallottola rimbalzò sul mancorrente, scheggiandolo e finendo a pochi metri da loro…

 

<< Saliamo su! >> ringhiò Xander.

 

A rapidi passi tornarono su per le scale, senza che i due li seguissero. Rimasero fermi, in attesa, il fiato corto.

 

<< Credevo ti piacessero le donne, Dimitri >> sghignazzò qualcuno da sotto, con una strana voce metallica. << Da quando condividi il tuo appartamento con un altro uomo? >>.

 

Xander guardò Dimitri per vedere la sua reazione, e notò che i suoi occhi grigi erano in fiamme.

 

<< Non potevo che aspettarmi un attacco così subdolo da parte tua, Vladimir >> ringhiò il russo, << Non smentisci mai la tua mancanza di coraggio… >>.

 

<< Allora vieni di sotto e affrontami >> ribatté la voce, << Non sei meno codardo di me… >>.

 

Dimitri sembrò voler partire in quarta, ma Xander lo prese un braccio. Non sapevano quanti fossero, né che armi avessero, e non potevano gettarsi nella mischia senza pensare… Dovevano rimanere vivi, se volevano concludere qualcosa.

 

<< Aspetta un attimo >> disse, << Non so cosa dobbiate regolare, ma non è da solo, la sotto. Ti farai ammazzare decisamente troppo facilmente, non ti pare? >>.

 

Per un attimo credette che il Mastino gli tirasse un pugno e facesse di testa sua, ma non lo fece. Gli rivolse un’occhiataccia, come a intimarlo di lasciarlo andare, e disse: << Ok. Io mi occupo di Buinov, tu ti prendi l’altro >>.

 

<< D’accordo >>.

 

<< Sappi che io sparerò per uccidere >> chiarì Dimitri, secco, << E non me ne frega un cazzo se lo metterai sulla mia fedina penale, chiaro? >>.

 

<< Sei libero di fare quello che vuoi >> disse Xander, << Ma spero che prima o poi mi darai qualche spiegazione, a tutto questo >>.

 

Dimitri non ribatté niente, e iniziò a scendere, l’arma puntata davanti a lui. Poi, Cyril comparve ai piedi delle scale, la pistola puntata su di loro, in alto…

 

Il colpo partì all’improvviso, e Xander si gettò di lato, finendo contro il mancorrente; Dimitri dall’altra, contro il muro. Rispose al fuoco, mentre Cyril si dileguava nell’ingresso… Lo sentì gridare, mentre uno schizzo di sangue macchiava la parete…

 

Un altro proiettile fischiò, provenendo dalla finestrella del custode… Xander sparò senza nemmeno guardare, mentre Dimitri correva verso la colonna, proprio dove si nascondeva Vladimir…

 

Un tonfo gli disse che qualcuno doveva essere caduto, ma non si accertò di chi si trattasse: lo sparo seguente gli passò così veloce vicino all’orecchio che lo stordì. Alzò la pistola e la puntò contro Cyril, che si nascondeva dietro il muro vicino all’uscita…

 

Una serie infinita di proiettili venne sparata a pochi metri da loro, facendo andare in mille pezzi la vetrata. Si sentì un grido, poi…

 

<< Andiamocene Cyril! >>.

 

Il russo a pochi metri da lui si lanciò oltre il vetro spaccato, ma Xander si voltò a guardare cosa era successo. Facendosi scudo con una serie interminabile di colpi, Vladimir stava arretrando e approfittando della via d’uscita corse fuori…

 

Sparì nel vicolo di fianco, e solo in quel momento Xander si chiese dove fosse Dimitri…

 

Vide una macchina blu, una Aston Martin, partire a razzo da dietro la stradina chiusa, e subito dopo Dimitri sbucò da dietro una colonna, la mano sul braccio sinistro, l’espressione infuriata.

 

<< Inseguiamoli! >> ringhiò.

 

Senza aspettare alcuna risposta, corse verso la R8 parcheggiata fuori, di fianco alla Ferrari che Xander era riuscito a riavere solo quel pomeriggio… Fece per seguirlo, poi ricordò del tizio dietro la finestrella…

 

Corse a vedere come stava, e soprattutto chi fosse… L’uomo giaceva a terra, senza vita, un foro proprio all’altezza del cuore, il sangue che colava sulla maglia, ma in quel momento lo riconobbe: aveva visto la sua foto segnaletica. Era il tipo che era fuggito insieme a Challagher

 

Decise di indagare più tardi su quella faccenda. Tornò indietro, per vedere Dimitri che aveva già fatto retromarcia e che gli gridava: << Muoviti Went! Quei due figli di puttana non mi scapperanno! >>.

 

Sgommando, la R8 partì nella notte. Xander salì sulla Ferrari e lo seguì, cercando di non perderlo di vista…

 

Non sapeva se stava facendo la cosa giusta, a inseguire quei tipi che in fondo c’entravano poco con la sua missione, né perché Dimitri non li volesse lasciare scappare… Ma lo seguì comunque, perché c’era sicuramente ancora qualcosa che non sapeva, di quella storia.

 

La R8 svoltò a destra, lungo una via poco trafficata, mentre la gente intorno suonava i clacson e qualcuno gridava spaventato… Poco lontano, i fari dell’Aston Martin scomparvero in un angolo…

 

Nel giro di dieci minuti, raggiunsero un quartiere piuttosto ricco e dall’aria chic di Mosca, e Xander non capì cosa ci facessero lì. Poi per un attimo credette che l’auto blu si fermasse e che Dimitri le andasse addosso…

 

Ma l’Aston Martin ripartì con una sgommata, e Dimitri le tenne dietro. Xander li inseguì, chiedendosi dove sarebbero andati a finire…

 

Attraversarono un incrocio con il semaforo rosso, scatenando l’ira degli automobilisti… Un lungo rettilineo, poi sentì dei clacson suonare, disperati…

 

Un rumore di motori arrivò alla loro sinistra, da un lungo e ampio viale centrale, illuminato a giorno dai lampioni… La R8 inchiodò di botto, mentre un suono assordante di pneumatici che stridevano sull’asfalto invadeva l’aria… Xander affondò il piede sul freno…

 

Due auto, più simili a proiettili che a macchine, arrivarono da sinistra a tutta velocità, e li scansarono per un pelo… Le gomme fumarono sull’asfalto, e un odore di bruciato si diffuse tutto intorno…

 

Xander si rese subito conto che erano piombati in mezzo a una gara clandestina… Guardò le due auto ferme, la R8 a pochi metri da loro, l’Aston Martin che si allontanava velocemente, e una la riconobbe subito.

 

Una Bugatti Veyron completamente nera.

 

L’auto di William.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Traduzione.

 

Guardatelo,

Guardatemi,

Quel ragazzo è cattivo

E onestamente

Lui è un lupo travestito

Ma non posso smettere di guardare in quegli occhi così diabolici

 

Ha mangiato il mio cuore e ha mangiato il mio cervello

(Io amo questa ragazza)

(Voglio parlare con lei, è calda come l’inferno)

Quel ragazzo è un mostro

(Come posso amarlo?)

 

Testo completo: http://www.rnbjunk.com/traduzione-testo-monster-lady-gaga-362/

 

 

 

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Capitolo 38
*** Capitolo XXXVIII ***


Capitolo XXXVIII

Capitolo XXXVIII

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 23.00 – Mosca

 

Xander vide la Bugatti ferma al lato della strada, le ruote che fumavano, i fari accesi nella notte… Non poteva non sapere chi ci fosse dentro, ma il suo cervello continuava a pensare che incontrarlo lì non poteva essere una coincidenza… Che forse il destino li aveva portati entrambi nello stesso posto alla stessa ora…

 

Poi scattò qualcosa nella sua testa, che gli disse chiaramente che non poteva farsi vedere, non dallo Scorpione… Non poteva mettere a rischio la missione di Irina, né la sua… Non poteva di nuovo mettere davanti a tutto il suo maledetto orgoglio…

 

Spostò lo sguardo sulla Audi R8 di Dimitri, e lo vide ripartire all’inseguimento della Aston Martin, fregandosene di essere capitato in mezzo a una gara dove uno dei partecipanti era Challagher. Prima che la Bugatti avesse il tempo anche solo di avvicinarsi, affondò il piede sull’acceleratore, facendo schizzare la 599 avanti, per dileguarsi il prima possibile…

 

Se c’era William, Irina doveva sicuramente essere nei paraggi, ne era certo. Per un folle momento gli venne in mente di andarla a cercare, ma si rese subito conto che non poteva farlo. E intanto inseguiva Dimitri, sperando che lo Scorpione non l’avesse visto e non avesse deciso di stargli dietro…

 

Afferrò il cellulare e cercò il numero del Mastino, per poter parlare con lui.

 

<< Dove cazzo stiamo andando?! >> gridò quando sentì la chiamata aprirsi dall’altra parte della linea, << Quello era Challagher! Abbiamo rischiato di farci beccare! >>.

 

<< Non stiamo andando da nessuna parte >> ribatté Dimitri, gelido, e in effetti vide la R8 rallentare a una cinquantina di metri da lui, << Li ho persi… E lo so che quello sulla Bugatti era Challagher, Went. Prega che non ti abbia riconosciuto… E’ riuscito a vederti? >>.

 

<< Non lo so… >> rispose Xander, secco, << Non credo, sono ripartito appena ho capito che era lui. Ma potrebbe anche aver intuito o sospettato che fossi io… >>.

 

La cosa lo preoccupava molto: se Challagher capiva che lui era a Mosca, per Irina era finita.

 

<< Puoi accertarti che vada tutto bene? >> domandò Xander, con un certo nervosismo.

 

Dimitri rimase in silenzio per un momento, poi rispose: << Ci penso io, Went. Tieniti a distanza: tu non dovresti essere ancora qui >>.

 

Chiuse la telefonata, senza dare il tempo a Xander di vagliare l’idea di dire a Irina che lui era a Mosca… Ma forse era meglio così: lei non avrebbe apprezzato. Lo avrebbe visto come un altro tentativo di impicciarsi nella sua vita.

 

Seguì la R8 fra le strade buie per un tratto, poi girò a sinistra, dirigendosi verso casa con la consapevolezza che Dimitri avrebbe visto Irina, e lui no.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 23.30 – Mosca

 

Irina aspettava il termine della gara seduta dentro la Punto, nell’abitacolo buio, gli occhi che si muovevano pigramente da un angolo all’altro della strada, annoiata. C’era poca gente, e quella poca non le piaceva per niente: tutti russi che quella sera non avevano nulla da fare se non rischiare la pelle correndo a folle velocità sulle strade cittadine… Era venuta solo perché era stata lei a organizzare la gara a William, altrimenti sarebbe rimasta volentieri a casa.

 

Alle sue orecchie arrivò però il rumore sordo e profondo di un motore, che la costrinse a risvegliarsi dal suo torpore. Forse William stava per tagliare il traguardo?

 

Ad un certo punto una Audi R8 nera le passò proprio davanti a tutta velocità, esattamente dalla parte opposta da cui doveva arrivare… Le ci volle un centesimo di secondo per riconoscerla, mentre per gli altri non fu lo stesso: la guardarono sparire oltre un angolo, credendo che probabilmente stesse partecipando a un’altra gara…

 

Perplessa, i suoi occhi si puntarono alla curva dove la R8 era sgommata via, e si chiese perché Dimitri stesse partecipando a una gara: doveva nascondersi, no?

 

Aspettò che l’attenzione della gente tornasse a posarsi sul traguardo, poi con circospezione scese dalla Punto e a passi silenziosi si diresse verso la strada in cui l’Audi aveva svoltato… Fece un paio di metri, e senza sorpresa la ritrovò lì, ferma vicino al marciapiede, il motore ancora acceso e i fari che illuminavano la strada. Dimitri aspettava in piedi di fianco all’auto, e si guardava il braccio sinistro, su cui si stagliava un grosso taglio che sanguinava copiosamente.

 

<< Dimitri! Che diavolo succede? >> gridò Irina, correndogli incontro preoccupata.

 

Era contenta di vederlo, ma non certo di scoprire che si era appena fatto sparare addosso…

 

Il russo alzò lo sguardo su di lei, e l’unica cosa che fu in grado di fare fu un ghigno.

 

<< Non sto morendo, quindi non ti agitare >> rispose.

 

<< Che hai fatto? >> sussurrò Irina, avvicinandosi.

 

<< Niente… Un agguato >> rispose Dimitri, come se avesse detto passeggiata, << Ma non sono qui per questo. La tua copertura potrebbe saltare… >>. Sembrava quasi volesse tenerla a distanza, perché con un’occhiata le aveva chiaramente intimato di non avvicinarsi: probabilmente doveva essere piuttosto nervoso per quello che era appena successo.

 

<< Perché? >> domandò Irina, << Aspetta… Un agguato? >>. Gettò automaticamente un’occhiata alle sue spalle, per accertarsi che nessuno l’avesse seguita.

 

<< Siamo piombati in mezzo alla gara >> rispose Dimitri, improvvisamente seccato dal dover dare spiegazioni, << Challagher potrebbe aver visto qualcosa che lo faccia insospettire >>.

 

<< Siamo? >> ripetè Irina, cogliendo qualcosa di strano nella situazione, << Che sta succedendo, Dimitri? >>.

 

Il russo le rivolse un’occhiataccia delle sue. << Non fare troppe domande, se vuoi che continui a supportarti in questa missione >> rispose, << Vladimir mi ha teso un agguato, ma alla fine è scappato… Challagher potrebbe aver mangiato la foglia, quindi sta attenta quando taglierà il traguardo. Se ti sembra che abbia capito qualcosa, scappa… Anzi, hai una pistola? >>.

 

Chiaramente Dimitri non stava dicendo proprio tutto: prima parlava al plurale, ora al singolare… Ma perché facesse il misterioso non lo capiva. Forse aveva a che fare con il suo passato, però lei aveva creduto di sapere ormai tutto… Si rassegnò al fatto di non ottenere alcuna risposta, e mormorò: << Sì, ce l’ho una pistola… Ma non credo che… >>.

 

“Non credo di essere in grado di ucciderlo… Anche perché credo di averlo già ferito abbastanza”.

 

Dimitri la guardò, e per un momento apparve esasperato. Si confermava sempre la solita debole.

 

<< In ogni caso rimarrò a osservare la situazione finché non sarò sicuro che vada tutto bene >> disse, << E non fare quella faccia: non sei da sola come credi >>.

 

Irina storse il naso, senza capire cosa volesse dire, infastidita da quella sensazione di inutilità che le era appena caduta addosso. Non si diede la pena di cercare di capire il significato delle sue parole, perché sapeva troppo bene che non ci sarebbe riuscita.

 

<< Ok, ma non farti vedere >> sussurrò, poi ricordò che era ferito. << Sei sicuro di stare bene? >>.

 

<< Mai stato meglio >> ribatté Dimitri, << E’ solo un graffio… >>. La guardò con la fronte aggrottata, come a dire: “E tu sai come sono fatto…”.

 

<< Va bene. Sta attento >>.

 

Irina si voltò, e stancamente raggiunse la Punto parcheggiata. Anche se aveva rivisto Dimitri, improvvisamente si sentì estremamente sola. Nemmeno la possibilità che William potesse intuire qualcosa riusciva a smuoverla.

 

Ad un certo punto, iniziò a sentire il rombo dei motori che si avvicinavano nella notte. Il bagliore dei fari precedette la Bugatti nera, che sgommando oltrepassò la curva a tutta velocità, disegnando una traiettoria perfetta. La guardò tagliare il traguardo senza fatica, come sempre quando era William a guidare, e attese un momento prima di avvicinarsi. Le altre auto arrivarono dopo, inchiodando oltre la linea a terra.

 

Vide qualcuno dei piloti russi uscire dalla macchina arrabbiato, e gridare qualcosa a coloro che erano rimasti sul marciapiede. Iniziarono a discutere animatamente, senza però coinvolgere William, che guardava con un certo distacco la scena… Non prestò attenzione a lei, ma aspettò di averlo davvero davanti prima di pensare che non sospettasse niente.

 

Dopo qualche minuto, lo Scorpione lasciò la macchina e la raggiunse, tranquillo, l’espressione soddisfatta e serafica.

 

<< Che succede? >> domandò lei facendo un cenno verso i russi, fingendo di non sapere nulla.

 

<< Durante la gara un paio di auto ci hanno tagliato la strada >> rispose William, scrollando le spalle, << Ma niente di che… Forse si trattava di un’altra corsa. Tanto non mi hanno dato fastidio >>.

 

Studiò la sua espressione per cercare di capire se stesse bluffando, ma William sembrava davvero tranquillo… Per una frazione di secondo le venne la tentazione di girarsi per vedere se Dimitri li stesse controllando, ma si trattenne e annuì.

 

<< Gara difficile? >> domandò, tanto per dire qualcosa.

 

William fece un sorrisetto.

 

<< No, per niente >> rispose, << Aspetto che mi diano i soldi e poi ce ne andiamo… Fa freddo qui. Entra in macchina >>.

 

<< Ok… >>.

 

Irina gli gettò una rapida occhiata e poi salì sulla Punto, osservando William che a passo sicuro si dirigeva verso i russi e assumeva la sua solita espressione strafottente e senza paura. Evidentemente, non aveva riconosciuto Dimitri all’interno della R8, o se lo aveva notato non doveva averci visto niente di strano, cosa molto improbabile…

 

Forse William stava solo raccogliendo le prove per incastrarla definitivamente, forse stava facendo finta di niente quando in realtà il suo cervello lavorava alacremente per coglierla in fallo… Era troppo furbo per non accorgersi di niente…

 

Lo guardò parlare per qualche momento con i russi e riscattare il suo premio, per poi tornare verso la Bugatti e risalire, partendo rapidamente verso casa. Irina lo seguì, la Punto che si muoveva sinuosa dietro la Veyron, e i suoi occhi andarono subito a cercare la R8 di Dimitri quando passarono per la strada dove lo aveva lasciato: non c’era. Era giunto alla conclusione che non correva alcun pericolo e se ne era andato prima di farsi vedere di nuovo.

 

La strada di casa le sembrò immensamente lunga mentre guidava lungo le vie di Mosca, chiedendosi se questa volta si sarebbe salvata la pelle… Ogni ora che passava scopriva sempre di più che c’erano un sacco di cose che potevano andare storte.

 

Una volta nell’appartamento, William posò i soldi sul tavolo in soggiorno e si mise a contarli. Li divise in due pile apparentemente uguali, poi la guardò e gliene porse una.

 

<< Domani andiamo a fare un giro in centro e ti compri qualcosa >> disse improvvisamente, << Che ne dici? >>.

 

Irina lo guardò senza capire.

 

<< Non credo di averne voglia… >> rispose stancamente, << E poi non mi serve niente >>.

 

William insistette.

 

<< Se la roba che hai è stata tutta in quella minuscola valigia, significa che ti mancano ancora molte cose >> ribatté, avvicinandosi per baciarla sulle labbra. << Mentre aspettiamo l’incontro con la Lince, forse è il caso che ci godiamo questo momento, non credi? >>.

 

Irina si scostò appena per rispondere.

 

<< Già… >> sussurrò a bassa voce, lasciando che lui prendesse di nuovo possesso delle sue labbra, senza chiedersi se le piacesse o meno. Era troppo stanca per potersi rendere conto di ciò che provava.

 

Ci fu un attimo di esitazione da parte di William, poi però le sue mani non la lasciarono più libera, accompagnandola di nuovo in camera, per l’ennesima volta che sicuramente non sarebbe stata l’ultima. Non si oppose; non ne aveva la forza né la determinazione. Ne forse la voglia.

 

Perché tanto la verità era sempre la stessa: per quanto si fosse gettata in quella storia per dimenticare il passato, lei continuava a volere Xander. E ogni istante che passava, il suo cuore glielo gridava sempre più forte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 24.00 – Mosca, Appartamento di Dimitri

 

<< Forse ci conviene cambiare appartamento… >>.

 

Xander si abbassò per guardare bene in faccia il tizio a terra, il sangue che sporcava il pavimento, i lampeggianti dell’auto della polizia che stazionava fuori che illuminavano a intermittenza la faccia del giovane uomo che aveva ammazzato con un colpo decisamente fortunato. Sì, era l’evaso che Challagher si era portato dietro per qualche strano motivo quando era fuggito dal carcere.

 

Un poliziotto stava bloccando l’accesso all’ingresso con il nastro adesivo rosso e bianco, e Dimitri guardava la scena con le braccia incrociate, la fasciatura che si era fatto fare nell’ambulanza dopo varie insistenze bene in vista, gli occhi gelidi.

 

<< Ovunque andremo faranno di tutto per trovarci >> ribatté il russo, << Spostarci forse non servirebbe a niente. Buinov tenterà certamente di ammazzarmi di nuovo, ma magari la prossima volta ci penserà due volte: non si aspettava che ci fossi tu, con me >>.

 

Xander si rialzò e lo guardò.

 

<< Mi stai dicendo che in qualche modo ti ho dato una mano? >> chiese, ridacchiando.

 

<< Diciamo che siamo pari per quanto riguarda la storia all’aeroporto… >> ringhiò Dimitri, arricciando il labbro.

 

<< Bene, meglio così >> disse Xander, sempre divertito, << Non mi piace avere debiti con gli ex membri della Black List >>.

 

Si guardarono in faccia per un momento, poi entrambi fecero per alzare gli occhi al cielo: la convivenza tra loro era difficile, ma nonostante tutto era meno peggio di quanto credessero. Xander stava per dire qualcosa, quando Demidoff, il capo dei servizi segreti russi, entrò nell’ingresso con aria scocciata, seguito a ruota da Sokolova.

 

<< Che diavolo succede qui? >> domandò, irritato, guardandosi intorno. Avevano dovuto avvertirlo per forza, essendo il territorio sotto la sua giurisdizione.

 

<< C’è stato un agguato da parte di Buinov >> rispose secco Dimitri, << E comunque, non era necessario che venisse fino a qui… Sappiamo cavarcela benissimo da soli >>.

 

Demidoff fece una smorfia.

 

<< Come facevano a sapere che eravate qui? >> domandò, << Se cercano di ammazzarvi, la missione potrebbe saltare. Lei dovrebbe saperlo, Went >>.

 

Xander lo fulminò con gli occhi, accorgendosi del commento tra la righe al suo incarico ormai fallito.

 

<< Non è questo il problema >> ribatté, << Io e l’agente Dwight stiamo lavorando su due fronti diversi. E oltretutto, io sono fuori dalla missione in ogni caso. Sono qui per conto mio >>.

 

Demidoff gli rivolse un’occhiata insofferente, e per un momento nella testa di Xander passò l’idea che quell’agente russo potesse essere in combutta con la Lince e i suoi: non sarebbe stato troppo strano. Era già successo con Challagher…

 

Le possibilità esistevano, ma qualcosa gli disse che questa volta la polizia non centrava: Demidoff semplicemente non sopportava le intrusioni di altri paesi nel suo territorio, e voleva l’F.B.I. lontana da Mosca. Niente di più.

 

<< Se è così, agente Went, allora siamo autorizzati a non interessarci di quanto vi accade >> ribatté Demidoff, << Anche se ci sono un sacco di cose poco chiare… Buinov era qui per lei, immagino >>. Guardò Dimitri.

 

Il Mastino gli rivolse un’occhiata gelida.

 

<< Immagino siano affari miei >> ringhiò.

 

<< Ringrazi che gli americani se è qui, Goryalef >> ribatté Demidoff, arrabbiato per la palese mancanza di rispetto, << Lei è un altro di quelli che dovrebbe finire a marcire in una cella… Anche se era quello che stava facendo, no? >>.

 

Xander capì che sarebbero arrivati allo scontro, così si affrettò a intromettersi.

 

<< Goryalef risponde solo a noi >> disse, << E noi sappiamo cosa farne di lui >>.

 

Demidoff non ribatté, mentre Dimitri diventò di ghiaccio. Xander sapeva di aver toccato il suo orgoglio, ma non era il momento di fare il duro. Anche se non erano agli ordini diretti di Demidoff, era meglio non provocarlo eccessivamente: non poteva mandarli via, ma sicuramente poteva ostacolarli, se voleva.

 

<< Quindi noi agiamo per i fatti nostri >> aggiunse Xander, << Potete anche disinteressarvi completamente di quello che ci succede >>.

 

“Cosa che credo facciano con piacere”.

 

<< D’accordo, Went, vi lasceremo agire come meglio credete >> disse Demidoff, e fece per andarsene.

 

Xander si ricordò di un’ultima cosa che gli era venuta in mente quando aveva parlato “dell’agente Dwight”, e lo richiamò.

 

<< Un momento! >> disse, e il russo si voltò. << In ogni caso, tenetevi pronti perché l’agente Dwight è quasi pronta per consegnarvi la Lince >>.

 

Gli occhi di Demidoff mandarono una scintilla, e Xander sorrise per la rivincita che Irina stava facendo riprendere all’F.B.I.: stava facendo un ottimo lavoro, e i russi non ne erano contenti.

 

<< Aspetteremo ulteriori istruzioni dal vostro capo >> disse il russo, e se ne andò.

 

A quel punto Xander si voltò verso Dimitri, e gli fece cenno di tornare di sopra: della scena del crimine si sarebbero occupati i poliziotti, e comunque c’era ben poco da analizzare.

 

<< Da come ha parlato Demidoff, mi pare di capire che non sei gradito nemmeno a loro >> disse, guardando il Mastino con aria seria, << Immagino che tu non voglia darmi nessuna spiegazione, a tutta la storia di Buinov >>.

 

Dimitri si sedette stancamente sul divano, ma non abbassò le difese.

 

<< Sono fatti miei, Went >> rispose, << Qui in Russia funziona così: se hai un conto in sospeso, lo regoli o muori. Io voglio morto Buinov, e lui vuole la stessa identica cosa per me. Non è il primo agguato e non sarà l’ultimo, perché Vladimir è troppo codardo per affrontarmi da solo e a viso aperto >>.

 

<< Posso sapere almeno il motivo per cui ti vuole uccidere? >> chiese Xander.

 

<< No >>.

 

Xander sbuffò.

 

<< Allora ti faccio un’altra domanda: esiste qualcuno che sa il perché? >>.

 

Dimitri lo guardò.

 

<< Sì >>.

 

<< E Irina lo sa? >>.

 

Il russo sembrò valutare se rispondere o meno.

 

<< Sì >> disse alla fine.

 

Incredibilmente, la prima cosa che Xander pensò non fu “Allora me lo dirà lei”, fu: “Lei ha continuato a fidarsi di lui, quindi posso farlo anche io”. E poi, era sicuro che Irina non glielo avrebbe mai detto, perché non era una che rivelava i segreti altrui.

 

<< Bè, se lo sai lei… >> disse lentamente, << Non glielo chiederò, tanto. Mi basta sapere che lei si è fidata >>.

 

Dimitri gli rivolse una strana occhiata, ma non disse niente.

 

<< Finalmente hai detto qualcosa di sensato >> commentò alla fine, lievemente sarcastico.

 

Xander fece una mezza smorfia, sapendo bene che quello era il comportamento tipico del russo. Si sedette sul divano, cercando di mettere un freno a tutti i suoi pensieri, che inevitabilmente si erano scatenati parlando di Irina.

 

Alla fine non era tornato a casa, dopo l’incidente. A metà strada aveva cambiato idea, e Dimitri lo sapeva. Si era appostato a una cinquantina di metri dalla R8, la Ferrari ferma in un vicolo, correndo il rischio di essere beccato, ma deciso a vedere Irina almeno da lontano…

 

Se ne era reso conto da solo: l’amava ancora. Quella Irina più adulta lo aveva semplicemente spaventato, ma pensandoci bene alla fine le piaceva…

 

E guardandola da lontano parlare con Dimitri, qualcosa gli aveva suggerito che Irina aveva molta più confidenza con il russo di quanta lui avesse potuto immaginare…

 

Si sarebbe dovuto arrabbiare, forse; oppure avrebbe dovuto sentire la gelosia saltargli addosso… Ma non era così. Era maturato abbastanza in quel periodo per sapere di dover fare un passo indietro.

 

Però non potè fare a meno di gettare un’occhiata di sottecchi a Dimitri, cercando di capire cosa pensasse quel russo… Non lo capiva: sembrava completamente distaccato dal mondo esterno, ma si rivelava sempre un ottimo osservatore… Pensava e intuiva molto più di quello che diceva.

 

<< Per un attimo ho avuto la forte tentazione di dirle che eri qui >> disse all’improvviso il russo, guardandolo.

 

<< E perché non lo hai fatto? >> domandò Xander, inarcando un sopracciglio senza capire dove volesse arrivare.

 

<< Non volevo farti un favore >> rispose Dimitri.

 

Per qualche secondo Xander non capì… Poi, con stupore, si accorse che quella del russo era una battuta. O forse no?

 

Scosse il capo e sorrise.

 

<< Io e te non ci capiremo mai, vero? >> disse.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 14.00 – Mosca, Appartamento di William

 

Irina lesse il messaggio per la quinta volta, il display del cellulare dove il testo scritto brillava chiaro nero su bianco:

 

“Sabato, ore 18.00. Cafè Black Snake, Piazza Centrale di Mosca”.

 

Guardò la finestra della camera da letto, il cielo fuori sgombro, e fece rapidamente mente locale.

 

William era in soggiorno, e forse stava guardando la tv. Non aveva sentito lo squillo: teneva il telefono in silenzioso per evitare che si accorgesse di qualcosa.

 

Premette rapidamente il tasto del cellulare e inoltrò il messaggio al numero di telefono di Dimitri, poi cancellò tutto in modo da non lasciare tracce.

 

Facendo finta di niente, si alzò e si stampò sul volto un’espressione neutra. Uscì dalla stanza e si chiuse la porta alle spalle. William era sdraiato sul divano, che cambiava continuamente canale alla tv. Gli si avvicinò, sfiorandogli la spalla.

 

<< Hai fame? >> domandò.

 

<< Ehi bambolina… >> fece lui, afferrandole la mano delicatamente, << Ordiniamo qualcosa? >>.

 

<< No, preparo io >> rispose Irina, << Non ti preoccupare >>.

 

Andò in cucina, sapendo che fare qualcosa l’avrebbe distolta da quell’insopportabile sensazione di disgusto che provava per se stessa, e che ora dopo ora si acuiva sempre di più.

 

Stava tagliando del formaggio a cubetti, quando si accorse che William la stava guardando in silenzio, le braccia incrociate e gli occhi puntati sulle sue mani. Senza capire cosa avesse da guardare si fermò e mise da parte il coltello, confusa.

 

<< Cosa c’è? >> domandò lei, a bassa voce.

 

William sorrise appena.

 

<< Continua >> rispose.

 

Senza capire, Irina riprese il coltello in mano e ricominciò il suo lavoro, muovendosi nella piccola cucina sentendosi osservata e sotto pressione. Accese il fuoco sotto la padella, versando un filo d’olio; apparecchiò la tavola per due, anche se lo sguardo di William addosso le aveva chiuso lo stomaco, disponendo tutto con cura e lentezza.

 

<< Mia madre non ha mai cucinato per me >> disse all’improvviso lo Scorpione, con una lieve nota divertita nella voce.

 

Irina alzò lo sguardo su di lui, rendendosi improvvisamente conto di quanto William fosse diverso da tutti gli altri, di quanto la sua vita fosse stata sempre al di fuori delle regole, di quanto aveva avuto, ma anche di quanto non aveva mai avuto…

 

Non seppe che cosa dire, perché William aveva parlato con un tono leggero, divertito, noncurante… Eppure lei sapeva che ciò che aveva appena detto era estremamente triste. Rivelava molto della sua vita e del suo passato, cose a cui lei non aveva mai pensato, prima di allora.

 

Lo Scorpione però sorrideva, le braccia incrociate, gli occhi verdi che brillavano.

 

<< Di solito avevamo un cuoco, che si occupava di tutto questo >> disse, e fece un cenno verso il tavolo.

 

<< C’è sempre una prima volta per tutto >> disse Irina, mezza seria mezza divertita, << Per un po’ dovrai accontentarti… Però non ho mai sentito nessuno lamentarsi di come cucino >>.

 

William ridacchiò.

 

<< Non ho detto che la tua cucina potrebbe non piacermi >> ribatté, << Ho detto che non ho mai visto nessuno cucinare esclusivamente per me… >>.

 

Irina tornò a guardarlo, e capì a cosa si riferiva: era una novità per lui assistere a una dimostrazione di affetto vero e semplice come quello. Nemmeno sua madre, la persona che avrebbe dovuto crescerlo, imboccarlo, mostrargli anche solo come si prendeva in mano una forchetta, lo aveva mai fatto. E quello dimostrava quanto la sua famiglia fosse separata, fosse un semplice cognome e nient’altro… Soldi, ricchezza e potere, ma dietro a tutto quello c’era il vuoto più assoluto, vuoto nel quale William era cresciuto, vuoto dal quale si era difeso diventando lo Scorpione.

 

Sorrise.

 

<< Avanti, siediti… >> sussurrò.

 

Lo guardò prendere posto a capotavola, poi gli servì la carne, l’insalata, il pane e il formaggio, sedendosi poi accanto a lui, in attesa che mangiasse. Lui però non iniziò.

 

<< Tu non mangi? >> domandò.

 

<< Inizia tu >> ribattè lei.

 

William inarcò un sopracciglio.

 

<< Non lo avrai mica avvelenato? >> chiese.

 

Irina si trattenne dallo scoppiare a ridere, dopo la sorpresa iniziale per la sua frase. Poi, per un istante, ma un istante che bastò a farle venire dei dubbi, le sembrò di stare con Xander. Quegli scherzi erano all’ordine del giorno, quella intimità tra i fornelli era normale, per loro.

 

<< No, certo che non l’ho avvelenato! >> rispose, divertita ma anche molto turbata, << Volevo solo sapere cosa ne pensavi… Vista la battuta di prima >>.

 

William inarcò leggermente la testa, quasi stranito, poi sorrise.

 

<< Ok, se è questo che vuoi… >> disse.

 

Irina scosse il capo, divertita, e iniziò a mangiare insieme a lui per dimostrargli che non stava tentando di ucciderlo. Si guardarono mentre masticavano il primo boccone, e a tutti e due venne da ridere. Era da stupidi, ma la cosa sembrava divertirli enormemente, perché era del tutto nuova. Nuova come quella inaspettata complicità.

 

<< Non è champagne e caviale, ma può andare >> commentò alla fine William, ridacchiando.

 

<< Bene, sono contenta >> ribatté lei, << Ma che cos’altro non hai mai fatto tua madre per te? >>.

 

Ora che era entrata in contatto con quella parte nascosta di William, voleva sapere di più su di lui. Ora che si rendeva conto che non era nato Scorpione, che una causa per ciò che era esisteva, poteva trovare la cura.

 

William però non sembrò capire la domanda, non subito.

 

<< Non mi è mai mancato niente, se è questo che intendi >> rispose.

 

<< No, non è questo che intendo >> ribattè lei, << Ci sono dei gesti che una mamma fa sempre per suo figlio. Uno è preparargli da mangiare. Ce ne sono molti altri: andare a prenderlo a scuola, preparargli lo zaino… >>.

 

Lo Scorpione sembrò irrigidirsi. Abbassò lo sguardo sul piatto, quasi si rendesse improvvisamente conto di qualcosa, o forse perché non capiva il discorso.

 

<< Non ho mai avuto bisogno di questo genere di cose >> rispose a bassa voce, come se parlasse con se stesso. Poi aggiunse, più tranquillo: << E in ogni caso, mia madre non è nemmeno venuta a trovarmi in carcere, nemmeno una volta. Non che mi mancasse la sua voce stridula e il suo odiosissimo profumo da trecento dollari… >>.

 

Prima che Irina avesse il tempo di capire che quello era un modo per dirle di non fare altre domande, William la prese delicatamente per il mento e la intrappolò in un bacio strano, quasi dolce, quasi surreale… Poi le rivolse un’occhiata e sorrise.

 

<< Non voglio parlare del passato, perché il futuro è sempre un argomento più interessante >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 18.00 – Mosca, Appartamento di Dimitri

 

Xander guardava la cartina dell’isolato dove la Piazza Centrale di Mosca si stagliava nitida e regolare, il Black Snake segnalato con un puntino rosso in uno degli angoli. Teneva la penna in mano, Dimitri che sedeva dall’altra parte del tavolino.

 

<< Dobbiamo chiudere tutte le via di fuga possibili >> disse, facendo un tratto alla via laterale, << E dobbiamo farlo nel modo meno vistoso possibile… Niente posti di blocco, niente volanti a pattugliare le strade, niente di niente. Dovremo essere invisibili, anche perché non sappiamo in quanti saranno… >>.

 

Parlava più che altro con se stesso, ma lo faceva ad alta voce per rendere partecipe Dimitri di ciò che gli passava per la testa.

 

<< Qualcuno si sede occupare di Challagher… >> disse il russo, con aria tranquilla.

 

Al nome Xander fece una lieve smorfia.

 

<< Pensi che non sarà con Irina e la Lince? >> domandò.

 

Dimitri scosse il capo. << No, non sarà con loro >> rispose, << La Lince vuole vedere Irina, e non lui, quindi sicuramente non gli permetterà di incontrarlo personalmente. Anche perché nonostante abbiano concluso degli affari insieme, Challagher ha sempre parlato con un sostituto… >>.

 

Xander si sfregò il mento, pensando. Lo Scorpione andava preso subito, in contemporanea con la Lince, altrimenti avrebbe avuto il tempo di scappare e nascondersi, e fino a quel momento era stato bravo a farlo.

 

<< Allora io penserò a lui >> disse, << Gli altri alla Lince. Tu che cosa hai intenzione di fare? >>.

 

Si guardarono per un momento, stranamente neutri, come se stessero soppesando le possibili parole che potevano uscire dalla bocca dell’altro. Xander sapeva che Dimitri aveva qualcosa che frullava nella testa e che era collegato a quel suo passato misterioso e piuttosto oscuro, ed era sicuro che il russo voleva prendere parte alla “caccia”, che fosse per un motivo personale o per qualcos’altro.

 

<< Non mi interessa catturare Challagher >> rispose, << Che sia libero o in giro non mi cambia la vita, anche se so che mi cerca per farmi fuori. Io voglio vedere la faccia della Lince, quindi seguirò Irina >>.

 

Per un attimo la cosa diede fastidio a Xander, più che altro perché non si poteva sdoppiare e seguire sia lo Scorpione sia Irina; poi però capì che la sua era una scelta fatta di “stomaco”, e che la sua priorità era prendere Challagher: lui l’aveva catturato la prima volta, e lui lo avrebbe arrestato di nuovo. E in fondo, almeno a vegliare su Irina ci sarebbe stato qualcuno di cui ancora non si fidava veramente, ma che almeno conosceva.

 

<< Ok, allora tu sarai con la squadra di Demidoff >> disse Xander, << Io invece per i fatti miei con un altro paio di poliziotti >>. Spinse verso di lui la mappa della città. << Che tu sappia, quanti modi ci sono che potrebbero tornare utili a evitare la fuga della Lince? >>.

 

Dimitri non abbassò nemmeno lo sguardo sulla cartina, e rispose subito: << Molti. Non basta bloccare le strade principali e avere un elicottero a disposizione… Tanto qualsiasi sia il dispiegamento di forze, sarà difficile non fare scappare la Lince. Nel momento in cui capirà di essere in trappola, potrebbe ricorrere a qualche stratagemma di cui noi non siamo al corrente >>.

 

Xander gettò un’occhiata alla mappa.

 

<< Irina lo aspetterà nel locale, sul lato della piazza, proprio vicino alla vetrina >> disse, << Una volta dentro, potrebbe cercare di attaccargli addosso un rilevatore che ci permetterebbe di rintracciarlo nel caso sfuggisse… Poi gli agenti dell’F.B.I. faranno irruzione nel momento opportuno, a meno che… Hai intenzione di uccidere la Lince, Dimitri? >>.

 

La domanda gli era uscita a bruciapelo, ma era già da un po’ che ci pensava. Doveva chiarire quell’aspetto, se voleva essere sicuro di poter contare su di lui.

 

Si guardarono in faccia l’un l’altro, ma Xander non riuscì a leggere niente negli occhi del russo: erano gelidi come il ghiaccio, imperscrutabili.

 

<< Per il momento non voglio uccidere la Lince >> rispose Dimitri, << Non so nemmeno chi sia, quindi non ho niente contro di lei >>.

 

Poteva anche mentire, Xander non se ne sarebbe accorto. Il suo tono era perfettamente controllato, neutro, perciò nessuno sarebbe stato in grado di capire se diceva la verità o no. Lo scrutò per un po’, poi disse lentamente: << E se dovessi cambiare idea? >>.

 

Dimitri fece una smorfia.

 

<< Tanto in carcere devo tornarci comunque, no? >> ribatté. << E comunque, non cercherò di uccidere Irina, se è questo che ti preoccupa >> aggiunse, quasi ghignando.

 

<< Infatti quello era l’ultimo dei miei pensieri >> rispose Xander, leggermente irritato, << Ho già capito da un bel po’ che tra voi due corre… ottimo sangue >>.

 

Dimitri incrociò le braccia, un sorrisetto sul volto improvvisamente meno gelido del solito.

 

<< Purtroppo per te, Went, la tua ragazza ha l’innata capacità di attirare le attenzioni sbagliate >> disse serafico, << E non so se lo fa apposta oppure inconsciamente. Però è fedele, non te lo dimenticare. Fa degli errori, ma paga sempre in prima persona >>.

 

C’era qualcosa di velatamente ironico nel tono del russo, e Xander si ritrovò a pensare sempre di più che tra Dimitri e Irina c’era una empatia decisamente troppo strana. E più che esserne geloso, non capiva come poteva essere successo: Dimitri non era affabile, non era gentile, non era nemmeno simpatico… Perché si capivano così bene?

 

Improvvisamente il russo si alzò e gli diede una pacca sulla spalla, un gesto che era chiaramente provocatorio. Poi si allontanò lentamente, dicendo: << Trova il coraggio di parlare con lei, Went… Dopo mi odierai ancora di più >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 18.00 – Mosca, Appartamento di William

 

C’era qualcosa di assurdamente potente e strano che scorreva nelle vene di William, in quei giorni. Era come l’adrenalina delle gare, che improvvisa e breve gli dava una scarica di euforia che gli faceva perdere ogni paura e timore, ma più prolungata, più dolce, più incredibilmente infinita e inspiegabile.

 

Era cambiato qualcosa nella sua esistenza, nel momento in cui Irina aveva rimesso piede nella sua vita, qualcosa che in pochi giorni gli aveva fatto rivalutare tutto: i suoi piani, i suoi progetti, il suo passato, il suo essere lo Scorpione.

 

E con ancora quella sensazione addosso, ora guardava Irina affaccendarsi con aria assorta intorno al tavolo della cucina, a impastare con le sue manine qualcosa che lui sapeva essere una torta, ma di cui ignorava ogni più piccolo ingrediente. Non aveva mai visto nessuno preparare una torta, e non sapeva nemmeno da dove si cominciasse.

 

Vide Irina rivolgergli un’occhiata divertita, ma non gli diede fastidio: ormai non gli interessava più se lo stesse prendendo in giro, e quale fosse il motivo. Le cose erano cambiate da quando lei era diventata sua, e non poteva negare che quello era ciò che più volesse al mondo.

 

<< Avanti, come la vuoi? >> domandò all’improvviso Irina.

 

Lui aggrottò le sopracciglia.

 

<< Eh? >> fece, senza capire.

 

Irina sorrise.

 

<< Come la vuoi, questa torta? >> domandò lei, << Posso metterci la frutta o la marmellata… Cosa ci vuoi sopra? >>.

 

William la guardò stranito, senza capire la domanda. Era una torta, che importava quello che ci metteva sopra? E poi perché chiederlo a lui?

 

<< E che ne so >> rispose, quasi irritato perché non sapeva cosa dire, << Una cosa vale l’altra, no? >>.

 

Irina sembrò esasperarsi per un momento.

 

<< Ci sarà qualcosa in particolare che ti piace, no? >> fece lei, << Avanti, non è difficile. La sto facendo per te. Cosa vuoi: mele, fragole, o marmellata di frutti di bosco? Non mi sembra una domanda troppo difficile… >>.

 

Era ironica, ma William rimase colpito dal fatto che avesse detto che stava facendo quella torta per lui… Si avvicinò titubante, con Irina che lo guardava in attesa. Fece mente locale per ricordare cosa gli piacesse di più tra ciò che lei aveva proposto, poi rispose, lentamente: << Mettici le fragole >>.

 

Irina scoppiò a ridere, e mentre apriva il frigorifero per prendere i frutti disse, divertita: << Hai un sacco di cose da recuperare, William >>.

 

Essere preso in giro così palesemente era una grossa novità per lui, e per un momento arricciò il labbro, infastidito. Vide Irina mutare velocemente espressione, spaventata dalla sua reazione, così si disse che non faceva niente, che in fondo la sua era una battuta innocua, e cercò di tornare neutro. Però capì che Irina aveva ancora paura di lui, nonostante tutto.

 

Così la guardò finire il dolce con una nuova consapevolezza addosso, che diventava sempre più forte ogni minuto che passava, e che faceva affiorare nella sua testa pensieri che prima non avrebbe mai creduto possibili…

 

Irina stava cucinando per lui, e per nessun’altro. Stava facendo una cosa che nessun’altro aveva mai fatto. E non era l’oggetto in sé, il risultato di quei gesti, a fargli piacere. Era solo il fatto che tutto quello era per lui, che il tempo che Irina consumava, le energie che metteva in moto erano esclusivamente destinate a lui. Tutto gratuito, tutto solo per il gusto di farlo.

 

Per un istante tornò bambino, tornò quel ragazzino rabbioso e pieno di superbia che era sempre stato, quello che non aveva mai visto sua madre venire a prenderlo a scuola, ma anche quello che nel profondo del suo cuore aveva sempre invidiato i suoi amici quando i loro genitori, meno ricchi e meno potenti, si facevano trovare davanti alla scuola, nelle loro anonime utilitarie grigie. Tornò a provare di nuovo quell’enorme odio verso il mondo e verso ciò che non gli era mai stato dato, ciò che contava veramente, più del denaro e più del potere… Tornò a provare quella sensazione che gli era rimasta impressa nell’anima, quell’assurdo senso dell’abbandono che gli aveva detto, un giorno, che lui non aveva bisogno di nessuno… Che non gli serviva a niente avere una famiglia, che non gliene importava nulla… Se ne era convinto, ma ora… Ora qualcosa dentro di lui vacillava…

 

Sì, lui era lo Scorpione: non aveva mai avuto bisogno di nient’altro, al di fuori di se stesso. Proprio perché non aveva avuto niente, ora era quello che era. Non sarebbe mai diventato così forte. Non rimpiangeva il suo passato. Ma ciò non toglieva che ora con Irina le carte in tavola cambiavano, e che lui stava bene con lei. Che non gliene fregava niente di cadere in basso, di cedere ai sentimenti, di apparire debole con lei… Non l’avrebbe lasciata più.

 

Il potere lo avrebbe riavuto, i soldi anche. La Black List sarebbe tornata quella di una volta, forse migliore; Los Angeles sarebbe tornata ai suoi piedi… Ma ora vedeva qualcosa di nuovo che si sommava alle cose vecchie che rivoleva indietro: vedeva un punto fermo, un punto che non si sarebbe spostato, e quel punto era Irina. Tutto avrebbe avuto più senso, con lei al suo fianco.

 

Irina sfornò la crostata di fragole calda e gliela mise davanti, un lieve sorriso sulle labbra, e lui rimase a guardare il dolce con una strana sensazione addosso. Sentì l’odore allettante della torta e rivolse un’occhiata alla ragazza, chiedendosi cosa stesse pensando di lui in quel momento.

 

Perché ne era certo: ora capiva cosa significava essere felici per qualcosa di molto semplice. Capiva cosa voleva dire essere normali.

 

<< Vieni qui >>.

 

La afferrò per la vita e la costrinse a sedersi sulle sue ginocchia, avvolgendola in un abbraccio caldo e dolce come quella torta, appoggiando il mento sulla sua spalla. La sentì irrigidirsi per la sorpresa, poi Irina si sciolse e lasciò che lui respirasse il suo profumo.

 

<< Irina, sto per farti una promessa >> le sussurrò nell’orecchio, << Una promessa che voglio mantenere >>. Le lasciò il tempo di prepararsi alle sue parole, sentendo il suo cuore battere esattamente come lo aveva sentito quella volta, due anni prima, quando aveva deciso di ucciderla e non lo aveva fatto. << Io non ti tradirò, Irina. Mai. Non ti tradirò più, perché sei riuscita a farmi capire che cosa voglio. E quello che voglio sei tu, per il resto dei miei giorni >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Allora, chiedo perdono: problemi con il pc, quindi non sono riuscita ne a scrivere ne ad aggiornare… Ammetto che comunque anche i miei impegni universitari non mi hanno certo aiutata, quindi: perdono, miei adorati lettori.

 

Per il resto, che dire di questo cap: forse la parte più importante riguarda William e le sue nuove consapevolezze. Ma lascio a voi i commenti: vi sarete sicuramente fatti le vostre idee…

 

Qualcuno qualche cap fa ha chiesto quanto ancora durerà la storia: bè, in tutta sincerità non lo so. Cioè, non manca molto al finale, ma non so esattamente quanti capitoli prenderà. Diversamente da il Gioco dello Scorpione, Russian Roulette viene scritta cap per cap, quindi non so il numero preciso. Ma immagino di non superare i quarantacinque cap totali. Almeno credo.

 

Al prossimo aggiornamento, allora. Nella speranza che riesca a rispettare un intervallo ragionevole.

 

Smemo92: ti ringrazio infinitamente per il fatto che mi lasci sempre una tua recensione, per di più lunga e articolata come io adoro. Non me le meriterei, visti i tempi in cui sto aggiornando ultimamente. Eh sì, Irina è molto confusa. O forse in realtà non lo è, solo che si sta odiando talmente tanto che non riesce a capire cosa vuole. Diversamente da William, che ormai sta letteralmente dando i numeri… La domanda è: durerà, oppure alla fine è sempre lui, lo Scorpione? Lo scopriremo solo vivendo. Quanto a Dimitri, lo so, è un personaggio particolare. Siamo partiti pensando che faccia quello che vuole; in realtà, molto spesso fa quello che deve. Solo che fa in modo che non si veda. E sa meglio di tutti come va la vita; non si fa illusioni e non se ne farà mai. E non spera nemmeno. Semplicemente aspetta, pronto a qualsiasi cosa verrà. Ma sono sicura: qualcosa di buono ci sarà anche per lui. Bacioni!

 

Dicembre89: benvenuta tra le mie lettrici, allora! Sono onorata di ricevere la tua prima recensione, per di più così lunga. E sono io che ti ringrazio per aver impiegato il tuo tempo per leggere ciò che scrivo: non ho la presunzione di sperare che qualcuno lo faccia. Se poi ti è anche piaciuto, ne sono altrettanto felice. E ti ringrazio per i complimenti. Per il resto… Per quanto riguarda Dimitri, se lo trovo ti faccio un fischio, ma ti dovrai mettere in coda: c’è già un sacco di gente che è interessata a lui. Anche se dubito di riuscire a trovare qualcuno di simile a lui, da qualche parte. Immaginavo facessi il tifo per la coppia Irina/Dimitri, come ormai praticamente tutti: non avrei mai pensato di creare una tale attesa su quel frangente… Posso solo dire che non ci resta che aspettare la fine, per sapere. Ancora grazie per avermi scelto! Un bacione!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 39
*** Capitolo XXXIX ***


Capitolo XXXIX

Capitolo XXXIX

 

 

 

Eminem:

I can't tell you what it really is
I can only tell you what it feels like
And right now there's a steel knife
In my windpipe
I can't breathe
But I still fight
While I can fight
As long as the wrong feels right
It's like I'm in flight
High of a love
Drunk from the hate
It's like I'm huffing paint
And I love it the more that I suffer
I suffocate
And right before I’m about to drown
She resuscitates me
She fucking hates me
And I love it

Rihanna:

Just gonna stand there
And watch me burn
But that's alright
Because I like
The way it hurts
Just gonna stand there
And hear me cry
But that's alright
Because I love
The way you lie
I love the way you lie
I love the way you lie*

[ Love The Way You Lie – Eminem ft. Rihanna]



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 16.30 – Mosca, Appartamento di William

 

Irina si diede un’ultima occhiata nello specchio, facendo una smorfia per sciogliere la tensione, e infilò la pistola nella cintura, nascosta sotto il maglione blu oceano. Controllò di aver preso il cellulare, l’unico strumento che forse poteva davvero salvarla in caso di bisogno, e trasse un respiro profondo mentre tornava nell’ingresso: William, in piedi, la stava aspettando, più tranquillo di lei, anche se un po’ infastidito dal fatto che era stato escluso dall’incontro.

 

<< Possiamo andare >> disse lei, << Cerca di non farti vedere, se puoi. La Lince vuole incontrare solo me, e non possiamo correre il rischio che si infastidisca e decida di non farsi viva, se si accorge che sei nei dintorni… >>.

 

Lo Scorpione annuì, dando una controllata alla pistola, gli occhi che brillavano.

 

<< Tranquilla bambolina >> sussurrò, << Per quanto mi dia fastidio essere escluso, farò il bravo. Ma io mi fiderei poco: se hai bisogno di qualcosa, chiamami >>.

 

Le lanciò un’occhiata seria, e Irina trovò strana quella situazione: tutto era strano da quando William aveva iniziato a trattarla da persona e non da oggetto. Annuì e sorrise.

 

<< Ok, grazie >>.

 

Mentre scendevano di sotto, Irina ripassava il piano nella sua testa: incontrare la Lince, parlare un po’ con lei, e aspettare che l’F.B.I. facesse irruzione nel momento migliore, cioè ad accordo quasi concluso. Se avesse tentato di fuggire, era autorizzata a sparare sia per bloccare che per uccidere: cosa che difficilmente avrebbe fatto, ma che era in grado di fare. Nel frattempo, sapeva che qualcuno si sarebbe occupato di William.

 

Al pensiero, gettò un’occhiata allo Scorpione, chiedendosi cosa avrebbe pensato di lei quando avesse scoperto che in realtà aveva mentito, che lo aveva preso in giro un’altra volta. Il suo odio nei suoi confronti si sarebbe moltiplicato, fino a fargli desiderare di ucciderla di nuovo, questa volta per davvero…

 

Poi però si rese conto che William nella sua vita aveva sempre avuto bisogno di aiuto, aiuto che nessuno gli aveva mai dato. Forse all’inizio l’avrebbe odiata, ma magari poteva dargli una mano lei, ora che sapeva che non era sempre stato lo Scorpione, che ciò che era diventato non era altro che una conseguenza del suo essere solo.

 

William poteva cambiare, iniziava a crederci.

 

Scosse il capo, per cercare di non distrarsi ulteriormente, e in un gesto inconscio afferrò la mano dello Scorpione, sentendo la sua presa salda serrarsi intorno alle sue dita. Era un controsenso, cercare il contatto fisico con lui sentendosi così in colpa, ma scoprì di volerlo per davvero.

 

“Scusami per averti tradito. Scusami per averti preso in giro. Scusami per aver accettato la tua richiesta di fare finta di amarti… Non te lo meriti, nonostante tutto”.

 

William la guardò, gli occhi verdi confusi per un attimo, mentre stringeva la sua mano.

 

<< Tranquilla bambolina, ci sono io. Non ti succederà niente >> sussurrò.

 

Irina non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi, e per fortuna in quel momento le porte dell’ascensore si aprirono e si diressero verso le macchine, in silenzio. Salì sulla Punto, il cuore colmo di tristezza, e guardò dallo specchietto retrovisore William mettere in moto la Bugatti.

 

“Mi odio. Mi odio e tu non puoi immaginare quanto”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 16.40 – Mosca

 

<< Sono partiti >> disse Xander nella ricetrasmittente che teneva incollata alla bocca, gli occhi che non si staccavano dalla Punto bianca e dalla Bugatti nera che sinuose uscirono una dopo l’altra dal parcheggio, imboccando la strada dirette verso il centro di Mosca, << Io seguo la Veyron. Agiamo solo quando io vi do il via, chiaro? Rimanete nei dintorni >>.

 

<< Ok, agente Went >> rispose il poliziotto dall’altra parte della linea.

 

Xander premette l’acceleratore della Ferrari lentamente, lasciando molto spazio tra lui e le due auto, per non rischiare di farsi vedere, e cambiò rapidamente la frequenza della trasmittente. Cercò di confondersi tra le altre auto, anche se sapeva di attirare l’attenzione con la 599 rossa: in caso di inseguimento, però, non avrebbe avuto problemi. Ed era sicuro che quella giornata non sarebbe terminata se non con una corsa in autostrada.

 

<< Sono partiti, dovrebbero arrivare fra poco >> disse.

 

<< Sono appena passati davanti a me >> ribatté Dimitri secco, dall’altra parte, << Sono ancora insieme… >>.

 

<< Appena Challagher si stacca, seguo lui >> mormorò Xander, << Sai cosa devi fare >>.

 

Dimitri sembrò fare una smorfia.

 

<< Anche tu, se per questo. In bocca al lupo, Went >>.

 

<< Crepi… In bocca al lupo anche a te >>.

 

La comunicazione venne chiusa, e Xander gettò la ricetrasmittente sul sedile. Vedeva la Bugatti nera a qualche centinaio di metri da lui, poi una R8 gli passò davanti, diretta in una delle vie laterali: Dimitri conosceva la zona e avrebbe incontrato Irina direttamente al Bar.

 

C’era veramente poco che poteva andare storto: il dispiegamento di forze che era stato messo in campo era senza precedenti. Se al suo seguito aveva solo due volanti della polizia, a seguire Irina c’erano una dozzina di auto in borghese, quattro pattuglie pronte a chiudere le strade, e un elicottero pronto a alzarsi in volo nel momento del bisogno. La Lince non poteva scappare.

 

Finalmente vide la Bugatti svoltare a destra, lasciando la Punto andare avanti e perdersi velocemente nel traffico. Xander seguì la Veyron, tenendosi sempre a distanza di sicurezza, per scoprire che William non sembrava avere una meta vera e propria. Girò in un paio di vie laterali, per poi fermarsi davanti a un piccolo cafè dall’aria anonima. Parcheggiò l’auto ed entrò.

 

Xander fermò la Ferrari a un centinaio di metri di distanza e rimase a guardare il locale.

 

Chiaramente Challagher non era stato ammesso all’incontro, ma voleva comunque trovarsi in zona, perché quel bar non distava molto dalla Piazza Centrale. Che lo facesse per tenere d’occhio Irina o la Lince era tutto da vedere.

 

Comunicò la sua posizione alle due pattuglie che lo seguivano, ordinandogli di avvicinarsi alla zona. Una decina di minuti dopo ebbe la conferma che i poliziotti avevano chiuso le vie di fuga, e che poteva quindi entrare in azione.

 

Strinse il volante, sentendo l’irrefrenabile voglia di fare irruzione nel locale e arrestare Challagher, anche se così, senza nemmeno un inseguimento, non c’era gusto. Ma conosceva lo Scorpione, e sapeva che metterlo al volante di un’auto significava dargli un vantaggio enorme: era bravo, molto bravo a guidare, e lui ricordava bene la loro unica gara. Lo aveva battuto, certo, ma non era detto che accadesse due volte… E soprattutto, quella volta aveva Irina da salvare.

 

“Allora ho anche imparato l’umiltà, da tutta questa storia… Chi l’avrebbe mai detto che avrei dubitato di me stesso?”.

 

Fece un mezzo sorriso, e mise la mano sulla maniglia per uscire. Poi però qualcosa lo fermò, qualcosa che faceva parte del suo spirito da agente dell’F.B.I.

 

Challagher non sarebbe sicuramente uscito da quel locale finché Irina non avesse finito con la Lince. E comunque se avesse deciso di spostarsi, lo avrebbe seguito tranquillamente. Aveva tutto il tempo di arrestarlo…

 

Aspettare e indugiare non erano parole che facevano parte del vocabolario di un agente, ma lui sentiva che prendere lo Scorpione subito non era una buona idea. Primo, perché se mai fosse riuscito a scappare, per la missione di Irina sarebbe stata la fine; secondo, perché se mai l’incontro con la Lince non fosse andato come doveva andare, arrestare Challagher sarebbe stato controproducente. La notizia si sarebbe diffusa in fretta, e la copertura sarebbe saltata.

 

Prese la ricetrasmittente e la sintonizzò sul canale di Dimitri.

 

<< Ho Challagher sotto tiro >> sussurrò, << Quando avete preso la Lince, entro in azione io >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 17.00 – Mosca, Piazza Centrale

 

Come pianificato, Irina raggiunse rapidamente l’ingresso del bar, la Punto parcheggiata a pochi metri, sentendosi stranamente osservata. Sapeva di avere gli occhi addosso di molti agenti dell’F.B.I., qualcuno nascosto anche tra i clienti già seduti nel bar, e aveva visto l’Audi R8 di Dimitri passarle alle spalle poco prima. Nonostante tutto, però, era tesa come una corda, e sperava che le cose andassero bene: non avrebbe retto altre due settimane come quelle.

 

Mise piede nel bar e scelse un tavolino vicino alla vetrata, in modo da vedere la strada. Si sedette, e dopo qualche minuto un cameriere dall’aria gentile la raggiunse, chiedendogli cosa gradiva. Ordinò un caffè, specificando che stava aspettando una persona, e a quel punto il ragazzo annuì, come se avesse capito cosa intendeva. Forse sapeva del suo incontro…

 

Il caffè le venne portato subito dopo, e Irina lo ingurgitò tutto d’un colpo, iniziando la sua attesa.

 

Se la Lince era un tipo puntuale, nel giro di qualche minuto avrebbe dovuto essere lì. Si mise a guardare le auto che passavano oltre il vetro, chiedendosi chi si stesse occupando di Challagher… Esisteva qualcuno di abbastanza bravo da incastrarlo, oltre Xander? Magari Dimitri, se non fosse stato occupato con lei…

 

Le venne subito in mente che quella doveva essere la volta buona anche per il russo di incontrare la Lince, dopo anni di caccia. Sperava che non facesse stupidaggini, visto che conosceva il suo passato…

 

A quel punto però si accorse che ormai era trascorso più di un quarto d’ora, e della Lince non sembrava esserci ombra.

 

“Sarà solo in ritardo… Immagino che mi farà aspettare molto… Sarà una questione di immagine…”.

 

Incrociò le braccia, sospirando. L’attesa non la aiutava, perché ogni minuto che passava aumentava il suo nervosismo. C’erano tante cose che potevano andare storte, e lei voleva chiudere quella faccenda il prima possibile…

 

Per passare il tempo si mise a guardare i clienti del bar, cercando di capire chi di loro fosse un’agente dell’F.B.I.: non sapeva nemmeno quanti fossero. Per limitare i rischi di essere beccata, aveva semplicemente comunicato l’ora e il giorno dell’incontro: non aveva saputo altro, né da Dimitri ne da McDonall, esattamente come aveva chiesto. Quante forze ci fossero in campo e quale fosse esattamente il piano degli agenti non lo sapeva, ma intuiva che doveva essere molto più controllata di quanto sembrasse.

 

Non riuscì a distinguere nessuno, ma con la coda dell’occhio vide la R8 color titanio passare davanti alla vetrina, Dimitri con lo sguardo fisso davanti a sé, chiaramente in giro di ricognizione. Anche lui trovava quell’attesa strana, se passava lì davanti per controllare…

 

Passò mezz’ora, poi tre quarti d’ora… Passò anche il tempo nel quale Irina bevve il succo di frutta gelato che aveva ordinato per cercare di calmarsi, ma della Lince non si vide nemmeno la coda. Guardò l’orologio e vide Dimitri passare davanti alla vetrina per la seconda volta.

 

Un’ora. Era passata un’ora e non si era visto nessuno.

 

Ad un certo punto, sentì il cellulare squillare, così inaspettatamente da farla sussultare. Lo tirò fuori di scatto, guardando il display illuminato sulla scritta “Nuovo messaggio”.

 

“L’appuntamento salta. Oggi ci sono troppi sbirri nei dintorni. Fisseremo un altro giorno. A presto Fenice”.

 

<< Cazzo… >> sussurrò Irina, digrignando i denti.

 

Alzò lo sguardo sulla strada, e in un attimo il pensiero che la Lince avesse capito le passò nella testa alla velocità della luce: nessuno l’aveva incastrata per anni, e ora arrivava lei pensando che le cose fossero così facili? Doveva aver intuito qualcosa…

 

Eppure non le sembrava di aver commesso errori… Non si era esposta, aveva fatto attenzione a ciò che diceva, aveva limitato allo stretto necessario i contatti con l’F.B.I…. E se la Lince non l’avesse mai voluta incontrare perché sapeva che era dell’F.B.I., per quale motivo fissare un incontro?

 

Rimase a fissare il bancone del bar senza vederlo, pensando velocemente se davvero poteva essere stata scoperta…

 

“Dove potrei aver sbagliato? Forse però non sono io ad aver commesso errori… Magari ha una talpa come è successo con William…”.

 

Era plausibile, e spiegava anche gli anni passati senza avere problemi con la polizia… Ma anche lì, perché darle corda allora?

 

“Potrebbe essere una prova, allora… Magari è nei dintorni e aspetta di vedere se incontrerò la polizia. A quel punto avrebbe la conferma che sono dell’F.B.I.”.

 

Qualcosa le disse che aveva ragione. La Lince era furba, furba da abbastanza da mettere in atto un piano del genere per tutelarsi: magari non sapeva nemmeno che c’era la polizia in giro, ma gli serviva per mettere alla prova lei e incastrarla.

 

In un attimo le venne in mente che se era davvero così, allora doveva continuare con la sua messa in scena, e meglio di prima. Si stampò in faccia un’espressione tranquilla e prese il telefono, cercando rapidamente il numero di William, facendo attenzione che qualcuno dei camerieri la vedesse per bene.

 

<< Finito bambolina? >> domandò William dall’altra parte.

 

<< No, in realtà non abbiamo nemmeno cominciato >> rispose Irina, mentre si avvicinava alla casse per pagare, gettando un’occhiata al cameriere, << Non è venuta. Sembra che ci sia troppo movimento, da queste parti. Ma ne parliamo a casa, William. Ci vediamo lì? >>.

 

Sorrise porgendo le banconote alla cassiera, ed ebbe la certezza che in qualche modo il personale del locale fosse in contatto con la Lince, o che almeno sapesse che doveva incontrare qualcuno di importante. Nel frattempo William aveva gettato un’imprecazione.

 

<< Ok, anche se la cosa non mi piace >> disse, << Ti vengo incontro. Anzi, aspettami lì >>.

 

Non era quello che voleva, ma non poteva replicare per non destare sospetti.

 

<< Va bene >>.

 

Chiuse la telefonata e uscì dal locale, mentre a capo chino si avviava velocemente verso la Punto. Ora poteva far sapere agli altri che l’incontro non era andato a buon fine, prima che William arrivasse.

 

Forse avrebbe dovuto avvisare direttamente McDonall, ma sapeva che la persona sul campo in quel momento di cui si fidava maggiormente era Dimitri, e l’istinto la costrinse a telefonare a lui. Avrebbe dovuto dargli meno spiegazioni perché conosceva la situazione, e avrebbe fatto più in fretta.

 

<< Che succede? >> fu la sola domanda del russo, neutra, come se avesse già capito che le cose non erano andate come dovevano.

 

<< Ho poco tempo, Dimitri >> disse Irina, guardandosi intorno per vedere se qualcuno la seguiva, << La Lince non è venuta: sa che c’è la polizia in giro. Ma sono convinta che non sappia sono dell’F.B.I., quindi semplicemente slitta tutto. Penso sia una prova… >>.

 

<< Non mi stupisce la cosa >> borbottò Dimitri, << Che cosa vuoi che faccia? >>.

 

<< Niente. Devo continuare esattamente come prima la mia farsa… >>.

 

<< Questo vuol dire che Challagher deve rimanere libero? >> domandò il russo.

 

Irina sentì gelare il sangue nelle vene, al ricordo di William: in quel momento qualcuno era stato incaricato di arrestarlo!

 

<< Cavolo! Sì, non lo devono prendere! Fermali! >> disse, mordendosi poi la lingua per aver parlato a voce troppo alta. Si gettò un’altra occhiata intorno, ma nessuno sembrava averla notata.

 

Dimitri sembrò fare una smorfia, al di là della linea.

 

<< Ci proverò… Ma credo che per chi gli sta dietro non sia una bella notizia…>>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 18.05 – Mosca

 

Ormai Xander iniziava a innervosirsi, seduto dentro l’abitacolo della Ferrari, gli occhi puntati sulla porta del bar dove Challagher si era rifugiato e dal quale non era ancora uscito. Aveva le gambe indolenzite, e le tracce del cd erano finite. Sapeva che la cattura della Lince avrebbe richiesto tempo, ma non poteva fare a meno di essere impaziente di sbattere nuovamente lo Scorpione dietro le sbarre…

 

Guardò per l’ennesima volta l’orologio, in attesa della telefonata di Dimitri o di McDonall, che continuava a non arrivare. Forse il colloquio con la Lince stava durando più del previsto…

 

Poi con la coda dell’occhio vide la porta del bar aprirsi, e Challagher sbucare fuori diretto alla macchina a passo deciso, come se fosse nervoso.

 

Senza nemmeno pensare, Xander accese il motore della Ferrari. Incollò gli occhi addosso allo Scorpione, infilò la prima e fece per partire, quando si ricordò che non sapeva ancora se la Lince era stata presa o no.

 

“Dove sta andando?”.

 

Challagher non poteva sapere che alla Lince era stata tesa una trappola: l’unica che lo sapeva era Irina, e lei non lo avrebbe mai avvertito. Perché muoversi prima di sapere che c’era la polizia in giro?

 

Qualcosa non doveva essere andato per il verso giusto. Oppure Challagher stava cercando semplicemente di prendere parte all’incontro nonostante non fosse stato invitato… Mettendo in pericolo il piano.

 

Qualsiasi cosa fosse successa, doveva fermarlo. Il tempo dell’attesa era finito.

 

Prese la ricetrasmittente.

 

<< Volante uno e due, convergete su di me >> disse, uscendo dal parcheggio, << Prendiamo Challagher >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

William si lasciò cullare per un momento dal suono del motore della Bugatti, cercando di vedere le cose positive della situazione, ma non ne trovò. La Lince non si era fatta viva, e ciò significava attendere ancora prima di poter ricominciare a pensare di tornare a Los Angeles.

 

Sbuffò, scocciato, e fece per uscire dal parcheggio, quando qualcosa attirò la sua attenzione: in lontananza, si avvicinava una volante della polizia, a sirene spente ma decisamente troppo velocemente per i suoi gusti. Rimase a guardare dove andasse, quando un’altra auto sbucò nello specchietto retrovisore, rapida…

 

Ci mise un secondo a fare due più due: quelle macchine venivano verso di lui, perché molto probabilmente sapevano chi c’era a bordo della Bugatti nera… Beccato.

 

Affondò il piede sul pedale dell’acceleratore, facendo schizzare avanti la Veyron, a muso dritto contro la prima volante, che la scansò per un pelo. Accese la sirena e si gettò al suo inseguimento, facendo inversione con uno stridore di gomme assordante…

 

<< Figli di puttana… Come diavolo facevano a sapere che… >> ringhiò, sentendo l’adrenalina dell’inseguimento iniziare a scorrergli nelle vene, come ai vecchi tempi…

 

Non era un problema, poteva seminarli in fretta. Non conosceva bene la città, ma sapeva che le sue qualità di pilota lo avrebbero aiutato. Un paio di sbirri non erano abbastanza per farlo tornare in carcere, non quando aveva ancora un sacco di cose da fare…

 

Poi, qualcosa dentro la sua testa suonò come un campanello d’allarme… Irina sapeva?

 

Irina centrava qualcosa?

 

Svoltò a destra, vedendo i lampeggianti delle auto brillare dello specchietto, i clacson delle macchine della gente che gli rompevano i timpani mentre tagliava la strada a un furgone…

 

Non poteva pensarci adesso, ma sentì la rabbia del tradimento montargli addosso; se Irina lo aveva tradito di nuovo, questa volta non ci sarebbe stata pietà per nessuno…

 

Poi, un rombo potente gli arrivò alle orecchie, un rombo che non poteva non riconoscere. L’ultimo che aveva sentito prima di entrare in carcere; l’ultimo che aveva sentito prima di assaporare la vera sconfitta…

 

Una Ferrari.

 

Rossa, bassa e veloce, una Ferrari 599 gli tagliò la strada, costringendolo a deviare, le gomme che pattinavano sull’asfalto… La vide fare inversione con un testacoda, per poi accelerare e iniziare a inseguirlo…

 

Vide tutta la scena come se avessero tolto l’audio… L’auto si mosse al rallentatore, mentre puntava dritto verso di lui…

 

Per un attimo, sperò che si trattasse di un’altra gara, ma qualcosa gli disse che quella Ferrari apparteneva a uno sbirro, e che la sua intenzione era catturarlo…

 

E lui conosceva un solo sbirro sulla faccia della terra che avrebbe usato una Ferrari rossa per catturarlo.

 

Went.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Xander evitò una vecchia utilitaria parcheggiata in doppia fila, senza staccare gli occhi dalla Bugatti. Lo avrebbe preso, a qualsiasi costo. Non lo avrebbe lasciato libero di andare in giro, non lo avrebbe lasciato libero di tornare da Irina…

 

Sentiva le sirene delle volanti dietro di lui, e non gli importò che stessero rimanendo indietro… Quella era una questione tra lui e Challagher, non ci sarebbero state intrusioni di sorta…

 

Girò a destra, seguendo la Bugatti, senza riuscire a prendere terreno: quell’auto era maledettamente veloce, anche per la 599. Ma non avrebbe mollato… Gli bastava non uscire dalla città…

 

Il cellulare squillò all’improvviso, e per un attimo gli passò per la testa di non rispondere. Ma il rumore che faceva sembrava voler dire che era urgente, così lo afferrò al volo, gli occhi che non si staccavano dalla Veyron

 

<< Che c’è?! >>.

 

<< Slitta tutto >> disse la voce secca e distaccata di Dimitri dall’altra parte della linea, << La Lince non si è fatta vedere… Challagher deve rimanere libero >>.

 

Xander spalancò gli occhi, mettendoci qualche secondo in più per registrare le parole, ma non accennò a rallentare. Sentì le ruote sgommare mentre inseguiva la Bugatti attraverso una rotonda, i clacson assordanti delle auto civili, i lampeggianti delle volanti sempre più lontani…

 

<< Che cazzo vuol dire slitta tutto?! >> gridò, << Io sono dietro a Challagher! Non posso lasciarlo andare! >>.

 

Dimitri rimase per un momento in silenzio.

 

<< Dannazione a te e alla tua mania di protagonismo, Went >> ringhiò Dimitri, << Avevi detto che avresti aspettato il mio segnale… Ti ha riconosciuto? >>.

 

Xander strinse il volante con la mano, sperando di riuscire a tenere l’auto.

 

<< Non lo so, ma sta di fatto che non posso lasciarlo andare! >>.

 

<< Senti Went, se avessi aspettato non ci sarebbero stati problemi >> ribatté Dimitri, << Ma Irina è stata chiara: vuole che Challagher rimanga libero >>.

 

Xander sentì il piede sull’acceleratore farsi impercettibilmente più leggero: Irina… Stava bene, non le era successo niente. L’ordine partiva da lei…

 

<< Challagher avrà mangiato la foglia… >> iniziò a dire.

 

<< Went, lascia andare Challagher >> ribatté Dimitri, << Irina vuole così >>.

 

Qualcosa fece a pugni nello stomaco di Xander: lo Scorpione ancora libero, la missione ancora in corso… Non poteva mollare tutto così, a un passo dalla fine: era lì per Challagher, no? Se non ci fosse stato lui di nuovo in giro, in quel momento sarebbe già stato a casa da un bel po’, a fare i conti con stesso…

 

Fissò il posteriore della Bugatti, il cervello che lavorava…

 

“Fidati di Irina… Fidati di Irina…”.

 

“La sua copertura potrebbe saltare, Challagher potrebbe decidere di ucciderla…

 

“Fidati di lei”.

 

Poi, secco, affondò il piede sul freno, e la Ferrari inchiodò con un rumore assordante, scatenando l’ira degli altri automobilisti. Con un guizzo nero, la Bugatti svoltò a sinistra e sparì tra i palazzi, il rumore del motore che svaniva velocemente, sempre più irraggiungibile, in fuga…

 

Xander rimase a guardare davanti a sé, ignorando i clacson che suonavano impazzitti, e strinse il volante con forza.

 

<< Ti ho ascoltato, Irina. Spero solo di aver fatto la cosa giusta >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 18.05 – Mosca, Piazza Centrale

 

Irina aspettava William in piedi vicino alla Punto, gli occhi che scrutavano la strada, preoccupata. Non sapeva come l’avrebbe presa lo Scorpione, ne se potesse aver intuito qualcosa, ma doveva rischiare per forza: la missione doveva andare avanti in ogni caso, anche se fino a poco prima aveva creduto di poter finalmente tornare a casa…

 

Il rombo di un motore le arrivò alle orecchie, e la Veyron nera di William si fermò a pochi metri da lei, bloccandole la strada. Irina portò istintivamente la mano alla cintura, ma riuscì a trattenersi dall’afferrare la pistola.

 

Lo Scorpione scese dall’auto, e lei capì subito che qualcosa non andava: il suo volto era una maschera di rabbia, gli occhi verdi ridotti a fessure. Puntò dritto verso di lei, che fece istintivamente un passo indietro.

 

<< Che cazzo succede? >> ringhiò William, << Sono stato intercettato dalla polizia, e mi hanno inseguito. Come facevano a sapere che ero io? >>.

 

Per un attimo, Irina credette che lo Scorpione la prendesse per la gola e la sbattesse sulla macchina, in preda a un attacco d’ira.

 

<< Aspetta, Will >> gridò, mettendo le mani avanti, << Non so cosa sia successo! La Lince non è venuta perché sapeva che c’era della polizia in giro, l’incontro è solo rimandato! Non… >>.

 

Lo Scorpione puntò un dito contro di lei.

 

<< Tu lo sapevi! >> gridò, << Tu lo sapevi! Non mentirmi, altrimenti… >>.

 

Irina si rese conto che ormai William doveva aver intuito qualcosa, ma il suo cuore si rifiutava di credere che la missione potesse finire in quel modo… Forse poteva ancora salvarla…

 

Improvvisamente, sentì il rumore di un motore di auto da corsa provenire dall’angolo della strada… Una Impreza nera sbucò a tutta velocità da dietro i palazzi, puntando verso di loro…

 

Irina vide brillare la canna di una pistola dal finestrino, mentre William faceva per girarsi… Qualcosa scattò nella sua testa così veloce che non seppe nemmeno lei come fece a muoversi…

 

<< Giù! >>.

 

Afferrò William per le spalle e lo costrinse a buttarsi per terra, spingendolo violentemente mentre il proiettile fischiava sopra di loro conficcandosi nella vetrina vicina. La gente iniziò a gridare, mentre un altro colpo di pistola esplodeva nell’aria, William che imprecava…

 

<< Via, via! >> gridò, rientrando in macchina.

 

Irina si buttò sul sedile della Punto, mentre vedeva William tirare fuori la pistola e rispondere al fuoco…

 

La faccia di Vladimir fece capolino dalla Impreza, mentre una Cadillac CTS gialla arrivava a tutta velocità, sempre verso di loro…

 

Era un agguato in piena regola, e Irina non si stupì che Vladimir ne fosse l’autore. Non sapeva se l’obiettivo fosse lei o William, ma qualcosa che diceva che il fatto che il russo fosse lì era collegato al suo incontro con la Lince…

 

<< Andiamocene! >> gridò William, il motore della Veyron che quasi copriva la sua voce, gli occhi infuocati puntanti verso di lei, << A casa! E guai se non ti vedo arrivare! >>.

 

Irina accese il motore della Punto, le pallottole che fischiavano a pochi metri di distanza da lei, e affondò il piede sull’acceleratore, sgommando via verso la periferia della città…

 

Che diavolo ci faceva Vladimir lì? Come faceva a sapere che lei si trovasse lì proprio a quell’ora e in quel giorno?

 

C’erano una serie di cose che non tornavano, ma in quel momento non poteva mettersi a pensare lucidamente: vedeva i fari della Impreza nera illuminare i suoi specchietti, senza perdere mai terreno…

 

Vladimir voleva lei, e la voleva morta, chiaramente. Non vedeva l’altra auto, ma qualcosa le diceva che, anche se stava seguendo William, l’obiettivo finale di quell’agguato era lei… Era arrivata troppo in alto per i gusti di Buinov.

 

“Non mi farò ammazzare da te, Vladimir. Non sai di cosa è capace una come me quando si mette in testa una cosa…”.

 

Non voleva sparare se poteva evitarlo, quindi prima avrebbe cercato di seminarlo… Poteva farcela, visto che la città era grande, e iniziava ormai a conoscerla abbastanza bene…

 

Svoltò a sinistra, sentendo il clacson di un’auto strombazzarle dietro, imboccando una larga strada centrale che portava a una sopraelevata… Percorse la salita, la Subaru nera che non si staccava da lei…

 

Sentì il rumore di uno sparo che riverberava nell’aria, la mano di Vladimir che si ritirava rapida dal finestrino dell’auto…

 

Afferrò la pistola, sapendo di non poter sparare alla cieca dietro di lei…

 

Poi vide comparire un’altra auto alle sue spalle, e per un attimo le si fermò il cuore, credendo che si trattasse di un altro inseguitore… Era scura, forse la Veyron di William?

 

Ma non poteva sbagliarsi, quella era la R8 nera di Dimitri, i cui fari a led brillavano come occhi rassicuranti in mezzo a quel casino… Non capì come l’avesse raggiunta, ma si sentì pervadere dalla felicità nel sapere che non era sola

 

L’Audi speronò con un colpo secco la Impreza, lasciando Irina libera di scappare. Mentre si allontanava velocemente sentì lo stridore delle carrozzerie che si deformavano nello scontro, i pezzi di vetro cadere sul terreno, i rumori delle frenate…

 

Mise il piede sul freno, rallentando: non poteva scappare e lasciare Dimitri da solo con il suo più acerrimo nemico, non quando lui si stava facendo in quattro per aiutarla…

 

Ma fu solo una questione di attimi: la Impreza inchiodò di colpo e prese l’uscita della sopraelevata, fuggendo rapidamente nel centro della città. L’Audi proseguì dritta, uno specchietto mancante e la fiancata deformata, affiancandosi a lei…

 

Con la sua solita aria gelida, Dimitri le fece cenno di dividersi, e così fecero. Irina prese l’uscita seguente, ritornando nelle strade di Mosca, e il Mastino continuò dritto, forse verso casa sua.

 

Il cellulare di Irina squillò subito dopo che lei ebbe imboccato la via verso l’appartamento di William: era Dimitri.

 

<< Siamo nella merda, Irina >> ringhiò chiaramente Dimitri, senza preamboli, << Abbiamo lasciato andare Challagher, ma solo un’idiota non si accorgerebbe che c’è qualcosa di strano sotto… Puoi sperare che l’agguato di Vladimir faccia pensare a William che la Lince non sia venuta perché sapeva che c’era lui nei dintorni >>.

 

<< Non lo so cosa pensa William in questo momento, ma sono pronta a continuare a recitare la mia parte >> ribatté Irina, << Vado avanti e non ho paura di continuare a mentire. William questa volta mi crederà >>.

 

<< Lo spero, Irina >> disse Dimitri, << Ti stai mettendo nella situazione più incasinata che io abbia mai visto… >>.

 

<< Lo so… >> mormorò lei, << Ma qualcuno lo deve fare, e quella sono io. Grazie, per prima… Fai attenzione mentre torni a casa >>.

 

Ci fu un momento di silenzio, poi sentì Dimitri borbottare qualcosa a voce bassa, quasi parlasse con se stesso: << Ti odio quando fai così… Impara a fare l’egoista, saresti più interessante >>. Poi mise giù, lasciando Irina con l’amaro in bocca e il telefono a mezz’aria.

 

Gettò il cellulare sul sedile, dirigendosi verso casa.

 

William era furioso, lo sapeva ed era pronta ad affrontarlo. Doveva ammettere che aveva paura, perché non sapeva cosa gli passava per la testa in quel momento, e che cosa sarebbe stato in grado di farle… Però doveva per forza tornare, altrimenti non poteva portare a termine la missione. E poi, ormai conosceva quel potere che aveva su di lui, un potere che andava oltre ogni logica e oltre ogni comprensione.

 

Lasciò la Punto parcheggiata per strada, e prese l’ascensore. Una volta davanti alla porta, trasse un respiro profondo ed entrò, sapendo che lo Scorpione era già dentro. Aveva visto le luci accese.

 

<< Quindi sei tornata >>.

 

William era seduto sul divano, la pistola in mano, la schiena appoggiata allo schienale, gli occhi verdi che la fissavano e il mento in alto, nella posizione di chi è in vantaggio e non ha paura di nulla. Irina sentì il cuore accelerare, ma cercò di chiudere la porta con calma, sapendo di sbarrare la sua ultima via di fuga…

 

<< Perché non sarei dovuta tornare? >> domandò a bassa voce, senza essere scontrosa, con il tono neutro di chi non capisce.

 

William fece una smorfia che a Irina ricordò tanto quella che vedeva campeggiare sul suo volto quando lui sapeva benissimo che lo tradiva, quando lei lo odiava e lui odiava lei.

 

<< Perché la Lince non si è presentata? >> chiese secco.

 

Irina fece un passo avanti, il cuore che batteva all’impazzata, ma il tono controllato.

 

<< Non lo so >> rispose, << Forse sapeva dell’agguato di Vladimir… Non lo so. Ha solo detto che c’era troppo movimento per i suoi gusti, e che tutto veniva rimandato… >>.

 

William ridacchiò.

 

<< Allora cosa ci faceva la polizia dalle mie parti? >> domandò, quasi ringhiando.

 

Irina assunse un’espressione sorpresa, di chi cade dalle nuvole.

 

<< Polizia? Che stai dicendo? >>.

 

William si alzò, e lei fece istintivamente un passo indietro. Vide brillare la rabbia pura nei suoi occhi, una rabbia che non vedeva da tempo, e per un istante desiderò di avere la pistola a portata di mano…

 

<< Non prendermi in giro, Irina, perché non mi piace >> ribatté lui, la voce che quasi tremava, << Non prendermi in giro, altrimenti è l’ultima cosa che fai… Che diavolo ci faceva qui Went? >>.

 

Questa volta Irina cadde davvero dalle nuvole, perché si sarebbe aspettata di tutto ma non che William tirasse in ballo Xander… Né che Xander fosse ancora a Mosca.

 

Rimase immobile, guardando William mezza imbambolata, chiedendosi esattamente la stessa cosa che si chiedeva lui: cosa ci faceva lì Xander?

 

Perché la sua presenza lì rimetteva in gioco un sacco di cose… Rimetteva sul tavolo delle vecchie carte, le carte dei sentimenti, e lei non poteva non saperlo…

 

<< Non lo so… >> biascicò, << Non lo so… Io… Dove… Come fai a sapere che era lui? >>.

 

A quel punto William sembrò andare su tutte le furie. Si avvicinò e le tirò uno schiaffo dritto in faccia, forte, così forte da farle sentire un dolore lancinante anche al cuore, un dolore che si risvegliò improvviso dentro di lei…

 

Tornava indietro, tornava a quei giorni, tornava alla paura.

 

Perché tanto William l’aveva quasi ammaliata di nuovo, ma lui era sempre lo stesso.

 

Era sempre per prima cosa lo Scorpione, e non lo poteva dimenticare.

 

Era sempre lui, quello che l’aveva fatta soffrire come nessun’altro, che non sarebbe mai cambiato.

 

Perché aveva creduto che potesse cambiare?

 

Come trapassata da una scossa, Irina si scostò e scappò verso la camera da letto, chiudendo rapidamente la porta a chiave, appoggiandosi al muro, il fiato corto e le lacrime che scendevano lungo le guance.

 

Perché Xander era di nuovo lì, e William era tornato lo stesso. Niente era cambiato da due anni prima. Alla fine era di nuovo al punto di partenza, con ancora meno certezze e più paure. Prigioniera dello Scorpione, innamorata di Xander, e sola.

 

Xander non l’avrebbe salvata, questa volta, e lo Scorpione non l’avrebbe perdonata. Era riuscita a uscirne, una volta, e non poteva sperare che il miracolo si ripetesse.

 

Singhiozzò un paio di volte, ma cercò di ricacciare indietro quelle lacrime amare che volevano scendere dai suoi occhi. Amava ancora Xander, lo sapeva, ma sapeva anche se non aveva rispettato la sua richiesta, che in qualche modo non si era fidato di lei, di nuovo. Come poteva fingere di amare William, quando Xander era a pochi metri da lei?

 

Come poteva riuscire ad andare avanti in quella farsa, quando l’unica cosa che voleva ora era solo tornare a casa?

 

“Invece ci devo riuscire. Altrimenti non posso sperare di tornare a casa… Se Xander è qui, devo fare come se non lo fosse. Dimitri forse lo sapeva già da tempo, ed è per questo che non me lo ha detto… Xander non deve interferire con quello che sto facendo. I sentimenti non devono interferire con il mio lavoro”.

 

Quella era la sua consapevolezza, mentre fissava senza vederlo il letto dove aveva consumato quelle notti con William. E sapeva anche che era doveva trovare la forza di andare avanti, da qualche parte.

 

Ma dove?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

William rimase immobile dov’era, in mezzo a quel soggiorno che improvvisamente sembrava troppo grande e troppo vuoto, la rabbia che ribolliva dentro di lui come non faceva ormai da tempo. Forse come non aveva mai fatto.

 

Il fiato corto, gli occhi gli caddero sulla sua mano, sulla mano che aveva appena preso Irina a schiaffi, che l’aveva appena toccata con violenza e ira. E qualcosa dentro di lui ebbe un sussulto, come se si fosse svegliato di colpo.

 

Went era lì, e Irina non poteva non saperlo. La polizia aveva cercato di catturarlo, e lei non poteva non esserne al corrente.

 

Irina l’aveva tradito di nuovo.

 

Eppure, la sua espressione sorpresa, vera, reale, che le si era dipinta sul volto quando le aveva sbattuto in faccia che Went era lì non riusciva a cancellarsi dalla sua mente… E lo aveva visto, il dolore che era tornato negli occhi di Irina nel momento in cui l’aveva colpita, un dolore che aveva già visto in passato e che pensava di non rivedere mai più.

 

Non poteva non credere alla sua sorpresa: Irina non sapeva mentire, non in quel modo… Altrimenti, perché tornare da lui? Perché correre quel rischio, sapendo che la sua reazione sarebbe stata terribile?

 

Ma soprattutto, perché salvargli la vita, come aveva fatto poco prima?

 

Ammetterlo era difficile, ma Irina lo aveva davvero salvato. E lo aveva fatto mettendo comunque a rischio la sua, di vita.

 

“Che diavolo sto facendo?”.

 

Era impazzito. Era impazzito, perché sapere che Irina avesse finto fino a quel momento era impossibile. Irina non aveva finto, perché lui non aveva finto. Lui ci aveva creduto, e ci credeva ancora…

 

Forse quello sulla Ferrari poteva anche non essere Went, non era ne era sicuro. Solo lui poteva inseguirlo con una 599, ma non lo aveva visto in faccia. E poi, anche se fosse stato lui, che cosa centrava Irina? Perché tornare da lui, se sapeva?

 

Doveva sapere… Doveva capire se gli stava mentendo oppure no. E per farlo, doveva parlare con lei.

 

Raggiunse la porta della camera e disse, secco: << Apri >>.

 

Non ci fu risposta dall’altra parte: solo un grande e pesante silenzio.

 

<< Apri la porta >>.

 

Di fronte a quel silenzio, di fronte a quel battente chiuso, e con il cuore che era tornato a battere normalmente, William capì.

 

E solo allora si rese conto dell’errore che aveva commesso, dell’errore che non avrebbe mai dovuto rifare e nel quale invece era caduto di nuovo…

 

Irina era tornata per lui.

 

Irina era tornata da lui.

 

Irina era tornata con lui.

 

Ma non era per quello che doveva darle un’altra possibilità, la possibilità di spiegarsi.

 

Si erano odiati. Si erano odiati nel passato perché ognuno dei due non voleva essere vittima dell’altro. Si erano odiati perché avevano avuto davanti l’unica persona al mondo che poteva farli vacillare. Si erano odiati perché in fondo si erano amati, e ancora oggi continuavano ad amarsi.

 

E lui, lui con lei aveva perso ogni briciola di orgoglio che aveva. L’aveva resa schiava, l’aveva imprigionata nel suo mondo, l’aveva umiliata. E l’aveva violata. Non una, ma molte volte. Aveva alzato le mani su di lei, credendo di essere più forte, di non aver paura di una ragazzina…

 

Eppure Irina era tornata, e con il suo ritorno gli aveva fatto capire un sacco di cose.

 

Senza di lei non ci sarebbe stato nessuno Scorpione, mai più. Senza di lei, non ci sarebbe stato nessun William Challagher.

 

<< Irina, apri la porta >> disse lentamente, appoggiando le mani sullo stipite. << Apri. Non ti farò niente, te lo prometto >>.

 

La porta rimase chiusa, anche se sentì qualcosa muoversi dietro di essa. Si odiò per quello che aveva appena fatto, per averla colpita, e avrebbe mantenuto la parola data. Voleva solo parlare con lei, nient’altro.

 

Forse non gli credeva. Chi l’avrebbe biasimata? Lui non era famoso per mantenere le promesse… E poi, il dolore per quello che le aveva fatto doveva essersi risvegliato con violenza dentro di lei, quando le aveva tirato quello schiaffo, come aveva fatto tante altre volte. Perché doveva fidarsi di lui?

 

<< Ti prego, Irina, apri la porta. Ho perso la pazienza per un attimo, ma ti credo. Lo so che mi odi, che non mi credi, ma non ti farò niente. Per favore, esci >>.

 

Erano parole che non erano mai uscite dalla sua bocca: parole di pentimento, di perdono, che confermavano quanto ormai fosse cambiato, nei confronti di Irina. Per lei non era più lo Scorpione, era solo William. Ma non gli interessava diventare debole, non più.

 

Passò un attimo, poi sentì la serratura girare e il battente aprirsi lentamente. Vide il volto di Irina sbucare fuori, senza lacrime, senza espressione, ma gli occhi erano rossi.

 

Qualcosa dentro William si spezzò, di fronte a quella vista. Prese Irina per il mento, e per la prima volta nella sua esistenza sentì il cuore accelerare per qualcosa che non era l’adrenalina, era amore. Amore vero, amore che lui non aveva mai provato.

 

Nonostante tutto, anche se l’aveva spaventata, anche se le aveva fatto del male, anche se continuava ad avere paura, Irina aveva riaperto quella porta, sapendo perfettamente a chi andava incontro. Sapendo che c’era lui, che se solo avesse voluto, avrebbe potuto ucciderla.

 

<< Scusami, piccola >> sussurrò, << Non volevo colpirti… Scusami. Vorrei… Vorrei che smettessi di avere paura di me, bambolina. Sei l’unica persona di questo mondo che non vorrei mai perdere… >>.

 

Non erano parole che lo Scorpione avrebbe pronunciato; era William che parlava, e parlava senza pensare, perché ciò che diceva non usciva dal suo cervello, ma da qualche parte nel suo petto… Dal suo cuore?

 

<< Non sapevo che Xander fosse qui… >> mormorò Irina, senza guardarlo, << Non lo sapevo… Se lo avessi sospettato, te lo avrei detto… >>.

 

William le sorrise, sfiorando il suo mento con il dito, il suo respiro sulle labbra. E allora capì che non gli importava, che credeva a Irina con tutto se stesso, che non gli stava mentendo… Non poteva mentirgli: i suoi occhi lo dicevano.

 

<< Va bene, piccola, è tutto a posto >> disse, << Se era davvero Went, non mi ha preso. Ora che sappiamo che è qui, ci guarderemo le spalle. Non è questo che mi preoccupa >>. La guardò dritta negli occhi. << Dimmi solo una cosa: perché ti spaventa sapere che Went è qui? >>.

 

Irina deglutì, poi soffiò a voce bassissima: << Ti prego, William, tienimelo lontano >>.

 

A quel punto, un sorriso enorme gli si dipinse sul volto, anche se tutto gli fu più chiaro: Irina provava ancora qualcosa per Went, ma l’odio che sentiva nei suoi confronti era più grande dell’amore che c’era stato in passato.

 

<< Lo farò con molto piacere, piccola. Con molto, molto piacere >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Eccoci a un punto cruciale della storia… Che ne dite? Troppe cose?

Ma ormai dobbiamo arrivare alla fine: non mancano poi molti capitoli.

Bé, stasera sono di poche parole. Spero che il cap vi sia piaciuto!

Rispondo a Dicembre89, che mi chiede quanti anni ha Dimitri: in verità non l’ho mai detto, giusto per mantenere ulteriormente il mistero intorno alla sua figura. Però posso dire che ha all’incirca la stessa età di Xander e William, anche se è più grande di qualche mese.

 

Al prossimo cap!

 

Baci!

 

 

 

 

 

Traduzione:

*Eminem:

Non posso dirti quello che realmente è
Posso solo dirti come ci si sente,
e adesso è come se avessi un coltello d'acciaio nella mia trachea
Non riesco a respirare ma combatterò finchè posso
finchè tutto ciò che è sbagliato sembra giusto, sarà come essere in volo
Molto più in alto dell'amore, ubriaco del mio odio
È come se io stessi inalando vernice
E più soffro più mi piace, soffoco
e proprio prima di annegare lei mi rianima
Lei mi odia maledettamente, e mi piace

 

Rihanna:

Te ne starai lì a guardarmi bruciare
Beh va bene perché mi piace il modo in cui fa male
Te ne starai lì a sentirmi piangere
Beh va bene perché amo il modo in cui menti
Amo il modo in cui menti, amo il modo in cui menti

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Capitolo 40
*** Capitolo XL ***


Capitolo XXXX

Capitolo XL

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 9.00 – Mosca, Appartamento di William

 

Irina si mosse appena, gli occhi fissi al soffitto, il respiro regolare, la coperta che gli arrivava sotto il busto. Riusciva a sentire i battiti regolari del suo cuore, il suono del suo fiato che si diffondeva lento nella stanza. I rumori delle auto di sotto le arrivavano come attutiti alle orecchie, ma riusciva a percepire benissimo la presenza che incombeva al suo fianco, silenziosa quanto lei.

 

<< Dovevamo aspettarcelo >> disse all’improvviso William, << Dovevamo immaginare che ci fosse una trappola… Buinov si vuole vendicare per il fatto che gli ho voltato le spalle. Dovevo pensare che avrebbe cercato di farmi fuori… >>.

 

<< Non voleva te, voleva me >> ribatté Irina, << Hanno seguito la mia auto, quando siamo scappati… >>.

 

William rimase in silenzio un momento, poi disse: << Perché? >>.

 

Irina sospirò, per un momento sopraffatta dalla stanchezza, continuando a guardare il soffitto. C’erano tante risposte a quella domanda, ma tutte troppo difficili da dare.

 

<< Le ipotesi sono solo due >> rispose lentamente, << O Buinov mi voleva di nuovo come ostaggio, oppure mi voleva uccidere perché sono diventata un personaggio troppo scomodo per i suoi piani. Propendo per la seconda, visto che ci hanno sparato addosso… >>.

 

William sembrò divertito dalle sue parole.

 

<< Per la prima volta l’obiettivo non ero io >> disse, quasi la cosa lo facesse ridere, << Ma hanno sbagliato bersaglio: la prossima volta che le nostre strade si incroceranno, lo ucciderò come avrei dovuto fare appena ci siamo incontrati… >>.

 

Calò il silenzio, e Irina sentì la mano di William sfiorare la sua, in un gesto che le stava diventando familiare ogni giorno di più, e che gli ricordava come non mai Xander.

 

Lo Scorpione non aveva ancora toccato l’argomento, dopo la sera prima, ma lei era convinta che nella sua testa stesse elaborando qualcosa. Qualcosa di molto pericoloso.

 

Nell’esatto istante in cui l’aveva colpita, Irina aveva creduto di essersi sbagliata su di lui, che effettivamente non sarebbe cambiato mai, che quella sorta di “alchimia” forzata che si era formata tra loro due fosse stata solo una cosa temporanea… Poi aveva sentito la sua voce, dietro la porta chiusa che si era messa davanti per proteggersi, aveva sentito le sue parole, e aveva capito che William stava davvero facendo lo sforzo di cambiare, cambiare solo per lei.

 

Per tutti gli altri, per tutti quelli che l’avevano temuto, che lo temevano ancora e che l’avrebbero temuto in futuro, lui sarebbe stato sempre lo stesso: spietato, crudele, e gelido. Lo Scorpione, e basta. Quello che aveva creato la Black List e che aveva messo nel sacco centinaia di volte la polizia.

 

Ma per lei, per lei stava davvero cercando di cambiare. Con fatica, cadendo e ricadendo nei soliti errori, ma stava cercando di essere stesso, con Fenice. Stava cercando di darle quello che lui aveva sempre preteso per se dagli altri. Lo aveva visto nei suoi occhi, quando aveva aperto la porta e aveva sfidato il destino.

 

“Se ci sarà un dopo, prometto di aiutarti, William. Prometto che non ti lascerò da solo ad affrontare te stesso”.

 

Perché qualunque cosa andava bene, pur di non pensare a Xander. Xander che aveva creduto lontano, che aveva creduto sconfitto, che aveva creduto già parte di un’altra vita. E che invece come un fantasma si era ripresentato di fronte a lei, con una scia di ricordi e di emozioni.

 

E poi c’era Dimitri, Dimitri che rimaneva sempre al suo fianco, anche se non lo vedeva; Dimitri che la lasciava crescere, che la lasciava scegliere, che con le sue poche parole sapeva sempre cosa dire. Dimitri che l’aveva sempre detestata ma che alla fine era venuto a letto con lei, che l’aveva trattata da donna e non da oggetto, da adulta e non da ragazzina.

 

“E tu chi vuoi dei tre, Irina?”.

 

Le scappò una smorfia, mentre si poneva quella domanda, inaspettata anche per se stessa.

 

“Voglio qualcuno che ancora non esiste”.

 

Calò il silenzio, così chiuse gli occhi per cercare di staccarsi un momento dalla realtà, per trovare un momento di serenità nella sua mente confusa e sovraccarica.

 

Perché Xander si faceva rivedere? Perché la scombussolava di nuovo in quel modo? Aveva detto che se ne sarebbe andato…

 

Sospirò, portando le mani alla testa. Avrebbe preferito continuare a non sapere, come era accaduto fino a quel momento, continuando la sua missione in pace almeno da quel punto di vista.

 

Chissà se Dimitri era a conoscenza della presenza di Xander… Sicuramente di qualcosa doveva essere stato informato, ma molto probabilmente aveva preferito tacere: aveva fatto bene, era una scelta che Irina ora apprezzava. La scelta migliore, come tutte quelle che lui era in grado di prendere.

 

<< Tutto questo non ci voleva… >> mormorò, parlando con se stessa, << Passerà del tempo, prima che la Lince voglia di nuovo incontrarci… E noi non possiamo aspettare >>.

 

<< Went non sarà un problema, questa volta >> disse William, tranquillo, << Ora che so che è qui, non riuscirà a prendermi. E se mai ci troveremo nuovamente faccia a faccia, non ci sarà pietà da parte mia… >>.

 

Lo Scorpione sembrava sapere che Xander era lì solo per lui, ma Irina non ne era completamente sicura. In parte doveva centrare anche lei.

 

<< E’ anche qui per me >> disse lei, a voce bassa, << Sono una pilota clandestina che aiuta un ex carcerato e che ormai ha definitivamente smesso di tentare di avere una vita normale. Vuole arrestare anche me. E molto probabilmente vendicarsi per quello che c’è stato… >>.

 

La voce le morì in gola, ma non le venne da piangere. Forse era ora di smettere di fare la bambina, di stare male per qualcosa che aveva voluto anche lei… Si erano lasciati, ed era giusto così. Se non c’era più amore, era inutile andare avanti.

 

Ma l’amore c’era, e lei lo sapeva.

 

Si alzò di scatto, accorgendosi solo in quel momento che William si stava sporgendo verso di lei, e gli andò a sbattere addosso.

 

<< Scusa >> disse, mentre lui inarcava un sopracciglio, perplesso, << E’ che… Ti dispiace se esco a fare quattro passi? >> e voce bassissima, aggiunse, << Da sola? >>.

 

Pensò che William si sarebbe arrabbiato, insospettito, o che avesse una reazione poco gentile. Invece la guardò prima un po’ stupito, poi si fece da parte per lasciarla andare.

 

<< Se è quello che vuoi… Ma stai attenta >> disse.

 

Irina annuì, e mezz’ora dopo usciva di casa, le chiavi della Punto in mano e tanta voglia di silenzio. Faceva freddo, il cielo era grigio, e stringendosi nel giubbotto raggiunse l’auto, sperando che William non la seguisse di nascosto, insospettito dal suo comportamento. Aveva voglia di stare da sola a pensare un po’, a mettere in ordine i suoi sentimenti, o forse più semplicemente per cercare di dimenticare per un momento la sua missione e i suoi doveri.

 

Si sedette al volante della Punto, e un attimo dopo filava lenta per le strade di Mosca, cercando un posto dove stare in santa pace. Guardò più volte nello specchietto retrovisore, senza mai vedere William da nessuna parte.

 

Scelse un piccolo bar dall’aria dimessa, senza fronzoli e insegne vistose. Lasciò la macchina non  troppo lontano, tanto non aveva paura di essere vista, ed entrò, lanciandosi uno sguardo intorno, per intuire se avesse fatto la scelta giusta.

 

Capì subito che non aveva sbagliato: la barista era una signora dall’aria simpatica e bonaria, e ai tavolini di legno era seduta gente perfettamente normale che beveva un caffè, un the o una cioccolata. C’erano anche due signore con una bambina intenta a sporcarsi il vestitino con lo zucchero a velo di un piccolo dolcetto. Le venne un tuffo al cuore, ricordando Yana, ma prese un respiro profondo e si andò a sedere in un angolo, assaporando quel momento di solitudine.

 

C’era tanta, troppa confusione nella sua testa. Non era così che aveva immaginato andassero le cose…

 

“Non ci pensare…”.

 

Sapeva come era fatto Xander: il suo istinto lo portava sempre a difendere i più deboli, e il suo orgoglio ad accettare tutte le sfide. Era stato uno stimolo irresistibile per lui quello di dover di nuovo catturare William e nel frattempo controllare lei…

 

Sbuffò.

 

Ecco ciò che non accettava più di Xander: quel suo modo di considerarla sempre in pericolo, non in grado di cavarsela da sola. Sì, forse era vero, per certi aspetti si cacciava sempre nei guai, ma non le era stata mai data la possibilità di uscirne da sola. Appena aveva dimostrato di esserne capace, aveva messo in crisi Xander

 

Scosse il capo.

 

Per il momento, anche se era lì, non voleva incontrarlo. Faceva già abbastanza male sapere che non se ne era andato, alla fine. E in ogni caso, non avevano più molto da dirsi, visto come si erano lasciati.

 

Ordinò un caffè e uno di quei dolcetti che aveva visto mangiare alla bambina di prima, e rimase a guardare la gente che si muoveva nel locale. Erano tutti tranquilli, ridevano e scherzavano, completamente presi dalla loro semplice esistenza, senza pensieri di sorta. Vivevano quella vita normale che lei alla fine aveva rifiutato.

 

Ad un certo punto sentì il campanellino della porta di ingresso trillare, e comparve Dimitri, gli occhi di ghiaccio che si scrutarono intorno, trovandola al primo colpo, come dotati di un radar. Lo trovò più carino di quanto ricordasse, o forse lei che non lo aveva mai notato.

 

Si chiese cosa ci facesse lì, e come avesse fatto a trovarla, ma il russo l’aveva già raggiunta e si era seduto al tavolo senza dire niente, come se si fossero dati appuntamento.

 

<< Che fai qui? >> soffiò Irina, sorpresa.

 

<< Immagino tu abbia qualche domanda… >> rispose lui, evasivo come al solito.

 

Irina gettò un’occhiata fuori, sperando di non vedere comparire nessun’altro, che fosse Xander o William. Uno non lo voleva vedere perché non era pronta a sorbirsi l’ennesima ramanzina; l’altro perché non voleva mandare a monte la missione.

 

<< Come facevi a sapere che ero qui? >> chiese.

 

Dimitri incrociò le braccia e si lasciò andare a un sorrisetto.

 

<< Stazionavo sotto il tuo appartamento da stamattina alle sei >> rispose, quasi fosse divertito dalla cosa, << E se stai per chiedermi di Challagher… No, non ti ha seguito. Ho aspettato prima di uscire allo scoperto. Sembra fidarsi davvero di te >>.

 

Irina aprì la bocca per dire qualcosa, ma non le venne niente, così la richiuse, sentendosi ridicola. Doveva ammetterlo, vedere Dimitri le faceva piacere: era l’unica persona in quel momento che continuava a non deluderla. Scambiare quattro chiacchere con lui senza sentirsi giudicata era un bel cambiamento.

 

<< State tutti bene? >> domandò lei, fissando la tazzina del caffè vuota, tanto per accertarsi che fosse tutto ok.

 

<< Sì, stiamo benissimo >> rispose Dimitri, quasi sarcastico, << Fammi le domande che ti premono… Non abbiamo tutto il giorno >>. Le rivolse un’occhiata eloquente, come se sapesse che non era quello che voleva sapere.

 

Irina sospirò.

 

<< Da quanto è qui, Xander? >> chiese.

 

<< Esattamente da quando lo sei tu >> rispose il russo, << Appena ha saputo che Challagher era fuggito ed era sulle tue tracce ha deciso di rimanere… >>.

 

Irina scosse il capo.

 

<< Non mi stupisce… >> borbottò, << Perché è venuto da te? >>.

 

Dimitri fece una strana faccia.

 

<< Non è venuto da me >> ribatté, quasi seccato, << Nessuno gli aveva detto che Challagher era qui… Sono stato io a dirglielo, appena prima che prendesse l’aereo per Los Angeles… Subito dopo che tu avevi messo in atto il suo piano idiota >>.

 

Irina rimase impietrita, fissando gli occhi grigi del russo che la scrutavano quasi in segno di sfida. Dimitri che collaborava con Xander? Lo detestava, perché farlo?

 

<< Ah… >> disse lentamente, << E… E perché? >>.

 

<< Avevo bisogno di una mano… O meglio, tu avevi bisogno di aiuto >> rispose Dimitri, << E comunque, era giusto che sapesse >>.

 

Irina lo guardò, e si accorse che c’era una certa tensione nel tono di Dimitri. Era come se fosse arrabbiato, divertito e scocciato al tempo stesso. Per lui doveva essere stata dura collaborare con Xander, ma non capiva comunque perché lo avesse avvertito… Poteva fare da solo, no?

 

<< Forse invece era meglio che non glielo dicessi >> borbottò lei, senza nessuna accusa nella voce, << Forse era meglio che non sapesse nulla… >>.

 

Dimitri la fissò a sua volta.

 

<< Non sai quanto mi costa dirtelo, ma non è qui per te >> disse, quasi ringhiando, << E’ qui solo per Challagher. Detesto il modo di fare di Went, ma devo dire qual è la verità, e la verità è che lui vuole solo catturare di nuovo lo Scorpione… Tu non c’entri >>.

 

Irina storse il naso, senza capire.

 

<< Gli ho chiesto io di collaborare >> aggiunse Dimitri, sempre più seccato, << Lui cercava di prendere Went, e io continuavo a tenere d’occhio te. Ha accettato. E tanto, in ogni caso, abbiamo interesse entrambi a riportarti a casa >>.

 

Irina guardò Dimitri, cercando di capire se quell’ultima frase nascondesse o meno qualche altro significato. Il russo sembrava una statua di pietra, in quel momento, la mascella contratta e le braccia incrociate. Sembrava tutto fuorché contento di stare lì.

 

<< Ti ha mandato lui a dirmi questo? >> chiese lei, riferendosi a Xander.

 

Dimitri fece una faccia infastidita.

 

<< Secondo te io sono il tipo che si fa usare come messaggero da uno sbirro dell’F.B.I.? >> ribattè, << No, non sapeva nemmeno che venivo sotto casa tua >>.

 

Irina continuava a non capire.

 

<< Allora perché mi hai seguito fin qui? >>.

 

<< Sapevo che avevi delle domande >> rispose Dimitri, freddamente, << E dopo quello che è successo ieri, c’erano delle cose che andavano chiarite >>.

 

<< Allora c’era Xander a inseguire William… >> constatò Irina, poi ricordò di aver dato l’ordine di lasciare andare lo Scorpione… << E Xander l’ha fatto fuggire? >>.

 

Il russo si produsse in un’altra smorfia.

 

<< Evidentemente… >> disse solo.

 

Non voleva dire niente, ma Xander aveva pur sempre seguito un suo ordine… Irina sentì di esserne profondamente stupita.

 

<< Sapeva che sono stata io a chiedere di lasciarlo andare? >>.

 

<< Sì, lo sapeva >>.

 

Irina si lasciò scappare un piccolo sorriso: doveva essere costato molto a Xander

 

<< Non riesco a riconoscere più nessuno, da qualche tempo a questa parte… >> mormorò alla fine, quasi a se stessa.

 

William non si comportava più da William, Xander non si comportava più da Xander… E nemmeno lei era più la solita Irina. Alzò lo sguardo su Dimitri, l’unico che le era sembrato un imprescindibile punto fisso, ma capì che nemmeno lui era più lo stesso… E allora si ricordò quello che era successo tra loro, la promessa che aveva fatto prima di gettarsi a capo fitto nella sua missione disperata… E capì che Dimitri stava giocando contro se stesso, che lo stava facendo apposta a metterla in confusione con Xander, mostrandoglielo pentito…

 

<< Perché stai facendo tutto questo, Dimitri? >> domandò Irina.

 

Lui fece un mezzo sorrisetto.

 

<< Tutto questo cosa? >> ribatté.

 

<< Lo sai >> rispose lei, poi arrossì di colpo, << Tutto questo è… controproducente nei tuoi confronti. A meno che io non abbia capito male… >>. Non poté farci niente, ma le tornò in mente quella notte durante la Mosca-Cherepova

 

Dimitri incrociò di nuovo le braccia, quasi divertito.

 

<< Chi ti dice che sia controproducente? >> disse, << Lo sarebbe se tu fossi stupida, ma non lo sei. E nessuno di noi ha capito male… Tranne Went, che sta diventando insopportabile >>.

 

Irina non comprese bene la sua risposta: c’erano troppe cose tutte insieme.

 

<< Stai lavorando con lui? >> domandò.

 

Dimitri fece una mezza risata.

 

<< Lavorando… Viviamo nello stesso appartamento da quando l’ho informato del tuo piano >> rispose, << Ho fatto uno sforzo enorme per non tirargli un pugno in faccia i primi giorni, ma devo ammettere che è migliorato… Non è più l’invasato che faceva scenate di gelosia >>.

 

Irina guardò attentamente il russo per capire cosa gli stesse passando per la testa: convivere a stretto contatto con Xander? Si detestavano a vicenda, dovevano aver davvero cambiato mentalità per non scannarsi…

 

Poi però capì che tutto quello che Dimitri aveva fatto, lo aveva fatto per lei. Aveva informato Xander perché credeva fosse la mossa migliore, e aveva accettato anche di ospitarlo nel suo appartamento perché pensava di aver maggiori possibilità di aiutarla…

 

Doveva essergli grata, e lei lo era, ma qualcosa strideva dentro di lei, qualcosa che gli diceva che forse, nonostante la promessa che gli avesse fatto, forse non poteva ricambiare quell’interesse… O forse sì?

 

Ora che Xander era tornato, e che sembrava anche essere cambiato, non poteva fare a meno di pensare a lui…

 

<< Vuoi incontrarlo? >> domandò all’improvviso Dimitri.

 

Irina spalancò gli occhi, poi abbassò lo sguardo.

 

<< No, non adesso… >> mormorò.

 

Dimitri diventò serio.

 

<< , nemmeno lui, se per questo… >> disse.

 

<< Allora perché me lo hai chiesto? >>.

 

<< Era una domanda… Non ho detto niente a Went di quello che è successo durante la Mosca-Cherepova, ma immagino lui voglia chiedertelo… >>.

 

C’era una vaga nota divertita nella voce di Dimitri, ma Irina non capì perché fosse rimasto zitto su quel punto: se voleva fare un dispetto a Xander, sarebbe stato l’ideale raccontargli come erano andate le cose… In fondo, tutti sapevano che lui era andato a letto con Nina, e fargli patire la stessa cosa che aveva patito lei poteva essere un’idea allettante…

 

Irina scosse il capo: la situazione era ridicola, e se ne rendeva conto.

 

Forse doveva parlare con Xander, e molto probabilmente anche con Dimitri. Doveva chiarire la situazione, anche perché non sapeva cosa si fossero detti quei due…

 

<< Dimitri, io non voglio prendere in giro nessuno >> iniziò, << L’arrivo di Xander non significa niente, per il momento. Solo che… >>.

 

Il russo le lanciò un’occhiata di ghiaccio.

 

<< Non c’è niente da chiarire tra noi >> ringhiò, come se non volesse parlare della cosa, << Io ho tutto ben chiaro… Sei tu quella che ha due alternative di fronte: ti alzi e vieni qui da me, oppure rimani lì, standomi ben lontana >>.

 

Più che un invito sembrava una minaccia, ma Irina rimase colpita di più dall’irruenza con cui aveva parlato, senza tanti preamboli come era solito fare, che dal contenuto della sua frase… E si chiese cosa stesse provando lui in quel momento. Se, in qualche luogo profondo del suo cuore, stesse soffrendo per lei e per la sua indecisione…

 

In fondo, aveva scelto di venire a letto con lei. Era stato lui a cominciare, e lei sapeva che quel russo dal cuore di ghiaccio in realtà non era freddo come appariva, né che non fosse in grado di provare dei sentimenti. Aveva conosciuto parti di lui che non aveva immaginato esistessero, e non avrebbe mai negato per ne era stata attratta…

 

Afferrò il tavolo, e per un momento fu davvero tentata di raggiungerlo, ma qualcosa le gridò di stare ferma, perché stava già mentendo troppo sui suoi sentimenti… Stava già giocando troppo con la pazienza altrui, e soprattutto stava mentendo troppo a stessa.

 

Si guardarono in faccia per un momento, poi sul volto di Dimitri si dipinse un sorrisetto, e scosse il capo, come per scacciare un pensiero. Non sembrava deluso né arrabbiato: era come se si fosse aspettato la sua reazione.

 

<< Non metto fretta a nessuno, Fenice >> disse, << Ti lascio alle tue scelte… Ci sentiamo >>.

 

Si alzò e se ne andò più tranquillo di quando lei potesse tollerare, e uscì dal locale. Irina rimase a guardare la porta dalla quale era uscito, per poi passarsi una mano tra i capelli, sospirando.

 

Era sempre più irrimediabilmente nei guai.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 12.00 – Appartamento di William

 

Lo Scorpione sputò la boccata di fumo nell’aria della cucina deserta, la musica soffusa dello stereo che gli arrivava alle orecchie, il bicchiere della birra già mezzo vuoto. Stava semisdraiato sulla sedia, le gambe allungate sotto il tavolo, gli occhi rivolti contro la parete dove l’orologio ticchettava insistentemente.

 

Irina era uscita già da un po’; non sapeva dov’era né cosa stesse facendo, ma ciò che gli importava solo era che tornasse.

 

Tutto andava male, eppure non riusciva a essere incazzato con il mondo. I suoi piani con la Lince non erano nemmeno decollati, era ricercato dalla polizia e da Went, ma non gli importava. Ora ogni che passava, capiva sempre più che ciò che aveva in quel momento era meglio di quello che aveva avuto in passato…

 

Quella attesa palesemente tranquilla e rassegnata lo dimostrava: aspettava, aspettava senza sapere che cosa.

 

“Forse le mie priorità possono cambiare… Forse posso anche aspettare un po’ più del dovuto…”.

 

Guardò il soffitto, la sigaretta tra le labbra, e sorrise, da solo, in quella cucina misera e povera; sorrise, come uno stupido, sorrise sapendo che Irina lo aveva cambiato, che lo stava cambiando… Che con lei si era rammollito, che lei sarebbe stata l’unica persona al mondo che non avrebbe mai potuto uccidere…

 

E proprio per quello, sentiva che era disposto a tutto per non perderla mai più, non ora che non poteva più vivere senza di lei. Era disposto a tutto, ad aspettare, a tollerare, a uccidere.

 

Appoggiò la pistola sul tavolo, la sigaretta che fumava ancora, e fece un altro sorriso.

 

“Se sei qui per lei, Went, morirai. Se sei qui per riprendertela, questa volta non ci riuscirai. Lei è mia. E’ mia perché vuole esserlo. E tu non potrai fare altro che accettarlo”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 13.00 – Mosca

 

Irina ingranò la prima e partì lentamente, uscendo dal parcheggio del centro commerciale che aveva visitato qualche settimana prima con Yana e nel quale era tornata per passare ancora qualche momento da sola, diretta a casa, la mente ancora piena di pensieri ma il cuore un po’ più leggero.

 

Aveva capito che alla fine non poteva fare altro che aspettare, aspettare che i suoi sentimenti si rimettessero a posto da soli. Prima o poi il suo cuore le avrebbe indicato la strada giusta, e lei l’avrebbe seguita. Fino ad allora, avrebbe atteso senza impazienza, sperando di non far soffrire troppo chi le voleva bene.

 

Si fermò al semaforo, picchiettando con le dita sul volante, sapendo di dover tornare a casa: aveva messo fin troppo alla prova la pazienza di William, e non voleva rischiare di farlo arrabbiare.

 

Qualcosa però attirò la sua attenzione: c’era una grossa auto scura, nascosta da quella ferma dietro di lei. La vedeva dallo specchietto retrovisore, ma ne sentiva soprattutto il rumore: un sordo rombo molto simile a quello delle auto da corsa a cui era abituata. Non riusciva a capire che modello fosse, ma qualcosa le disse che doveva essere una del giro.

 

Partì lentamente, diretta verso la periferia di Mosca, finché qualche isolato dopo l’auto che le faceva da schermo cambiò strada e lei poté vedere di chi si trattava.

 

Era una Honda Accord modificata, con un vistoso alettone sul portellone posteriore e i vetri oscurati. Non ricordò di averla mai vista da quelle parti, ma doveva aspettarsi di incontrare altri piloti clandestini, visto il giro che frequentava.

 

Dopo un paio di isolati, però, si accorse che l’auto sembrava seguirla… Non poteva certo fare proprio la sua stessa strada, e non per un tratto così lungo.

 

Iniziò a provare un po’ di nervosismo. Premette leggermente più a fondo l’acceleratore, sfilando a passo sostenuto lungo la via poco trafficata, e la Accord le rimase dietro, non troppo vicina da rappresentare una minaccia, ma nemmeno troppo lontana per non destare qualche sospetto.

 

“Potrebbe anche essere una coincidenza…”.

 

Decise di fare una prova.

 

Inserì la freccia per svoltare a sinistra all’incrocio e si mise sulla corsia giusta, rallentando appena. Rimase a fissare lo specchietto, e la Honda fece lo stesso: le si mise in coda, l’indicatore sinistro che lampeggiava…

 

Un secondo, e Irina scartò di lato, svoltando a destra. Con una sgommata, la Accord la seguì nel vicolo in cui si era infilata, e lei ebbe la conferma definitiva che la stava seguendo.

 

Chi fosse non lo sapeva, ma aprì lo sportello del portaoggetti e tirò fuori la pistola, togliendo rapidamente la sicura. Il tempo di abbassare lo sguardo un momento, e la Honda sembrava essersi avvicinata.

 

Con i vetri oscurati non riusciva a capire chi fosse, quindi poteva trattarsi anche di qualcuno che conosceva… Però un leggero solletico allo stomaco le diceva che sicuramente in quella macchina non c’era né Dimitri, né Xander né nessuno che potesse essere considerato suo amico.

 

Svoltò a destra, sapendo di imboccare una sopraelevata che l’avrebbe portata dalla parte opposta di dove doveva andare. Accelerò, mentre la Accord continuava a seguirla a breve distanza.

 

Non voleva correre il rischio di essere messa in trappola, così decise di seminarla. Affondò il piede sul pedale, e schizzò in avanti, gettandosi tra le utilitarie che procedevano lente…

 

Con un ruggito, la Honda le rimase incollata. Seguì la sua traiettoria, scansando le altre macchine, e Irina cercò una via di fuga.

 

Vide la lancetta del tachimetro schizzare in alto, il rumore del motore farsi più forte, la stretta sul volante più salda… Lo avrebbe seminato con una mossa delle sue, filando via alla prima occasione…

 

Vide il cartello che indicava l’uscita per la zona nord della città, ma si spostò a sinistra per dare l’idea che aveva intenzione di proseguire diritto… La Honda le rimase dietro, senza accennare a speronarla, ma continuando a starle appiccicata…

 

“Chiunque tu sia, ora ti frego”.

 

Fece appena in tempo a spostare lo sguardo, che alla sua destra comparve un’altra auto, una grossa Infiniti G37 rossa che la costrinse a spostarsi di lato, bloccandole la via di fuga…

 

<< Al diavolo! >>.

 

Irina sentì la tensione salire, e comprese che quello era un vero e proprio agguato. Fu costretta a proseguire diritto, cercando di defilarsi tra il traffico, ma davanti aveva delle utilitarie troppo lente e di fianco la Honda e la Infiniti la tallonavano senza lasciarla scappare…

 

Poi, un grosso Suv Chevrolet apparve alla sua sinistra, e lei riuscì a vedere la faccia di chi la stava inseguendo: era un tizio che non aveva davvero mai visto, gli occhiali da sole a mascherargli il volto, una anonima barba nera a contornargli la bocca.

 

Aveva una pistola in mano, e le fece cenno di spostarsi verso la corsia di destra, forse per condurla fuori.

 

Irina non aveva altra scelta, anche perché quel Suv poteva sbatterla fuori fin troppo facilmente, così si spostò lentamente di lato, senza capire cosa volessero da lei. Intanto il suo cuore iniziava a battere sempre più forte…

 

Il Suv le bloccò la strada, e lei capì di dover imboccare l’uscita: scese la rampa, la Honda che le stava davanti, e un attimo dopo veniva condotta in un vicolo buio e isolato. La Infiniti si fermò dietro di lei, bloccandole la strada.

 

Irina guardò dallo specchietto retrovisore, cercando di contare quanti fossero: sei uomini adulti, tutti armati di almeno una pistola. Sei uomini dalle facce completamente nuove, che non gli ricordavano nessuno. Che volevano da lei?

 

Cercò rapidamente il cellulare, ma sentì battere contro il vetro: il tizio di prima le fece cenno di scendere, gli occhiali da sole che gli nascondevano ancora lo sguardo.

 

Irina esitò. Forse era meglio ingranare la marcia e farsi strada a forza, rischiando anche di distruggere la macchina e farsi sparare addosso… Erano troppi per lei, non poteva certo affrontarli con una sola pistola…

 

E qualcosa le diceva che non dovevano avere buone intenzioni, chiunque fossero e qualunque cosa avessero in mente.

 

“Me ne devo andare di qui…”.

 

Prima di avere il tempo di capire quello che stava per fare, Irina ingranò la retro e spinse la Infiniti, facendola schizzare indietro insieme ai pezzi di vetro dei fari e dei paraurti. La lamiera si accartocciò mentre speronava la G37 facendo surriscaldare il motore, aprendosi la strada oltre il buco in cui l’avevano intrappolata…

 

I russi gridarono, ma lei continuò la sua fuga. Uscì dal vicolo, il vetro posteriore della Punto crepato in più punti, sperando di riuscire a scappare prima che avessero il tempo di seguirla…

 

Cercò di fare inversione, ma sentì il rumore dei proiettili irrompere nell’aria, e qualcosa bucò il cofano della macchina… Affondò il piede sull’acceleratore, ma uno scoppio sordo la costrinse a inchiodare…

 

Sentì qualcosa soffiare, come uno spiffero di vento insistente…

 

Gomme bucate.

 

Imprecò, mentre sentiva i cerchioni rotolare sull’asfalto, le gomme completamente a terra… Un attimo dopo, una scia di scintille si alzò dai lati del cofano, mentre la lega di metallo strideva sul cemento sempre più lenta

 

Poi la Punto fu costretta a fermarsi, definitivamente sconfitta, e Irina ebbe un attimo di panico. Improvvisamente si rese conto che era davvero in trappola, che persino la sua auto l’aveva abbandonata…

 

Rimase immobile a fissare lo specchietto retrovisore, la carcassa della Infiniti con il muso schiacciato che campeggiava al centro della strada, le crepe nel vetro della Punto a fare da sfondo… I russi la stavano raggiungendo a piedi, e avevano l’aria di essere molto arrabbiati…

 

Ma che diavolo ho fatto?”.

 

In un attimo capì di aver sbagliato tutto, che avrebbe dovuto chiamare subito aiuto, che non avrebbe dovuto lasciarsi condurre in trappola, e che non avrebbe dovuto fare quella stupida mossa per cercare di fuggire…

 

Doveva prendere la pistola, lo sapeva, e cercare almeno di difendersi in quell’ultimo frangente, ma non riusciva a sbloccarsi: era come se il suo corpo non rispondesse più ai comandi del suo cervello.

 

Il tizio con la barba si affiancò alla Punto e le fece cenno di scendere. Irina aprì lentamente la porta, ma un altro russo la spalancò di colpo senza lasciarle il tempo di uscire e la afferrò, sbattendola violentemente sulla fiancata dell’auto, strappandole di mano la sua arma e puntandole la pistola alla tempia.

 

Irina sentì il cuore accelerare a ritmi forsennati, ma l’uomo con la barba gridò qualcosa, e l’altro russo non le sparò, continuando però a tenerla stretta, senza lasciarle una possibilità di fuga.

 

<< Non ti faremo del male >> disse il tizio barbuto, in uno stentatissimo inglese, che chiaramente faceva fatica a parlare, << Solo la macchina… >>.

 

Irina cercò di divincolarsi, ma il russo la tenne stretta. Lo sguardo le cadde sugli altri uomini che in quel momento la guardavano in cagnesco, e uno di loro accarezzava con aria famelica un coltello affilato… Nonostante la paura, cercò di ricordarsi che era una pilota clandestina, e che non era la prima volta che finiva in situazioni del genere…

 

<< Chi vi manda? >> ringhiò.

 

<< E’ segreto >> rispose il russo, trafficando per prendere le chiavi dell’auto dal cruscotto della Punto, << Ma è avvertimento, questo. Auto troppo strana per passare inosservata >>. Batté sul tetto della macchina, sorridendo malignamente.

 

Qualcuno ridacchiò mentre lei cercava per l’ennesima volta di liberarsi.

 

<< Che ci volete fare con la mia macchina? >> chiese, sentendosi sempre più schiacciata contro il vetro crepato dell’auto.

 

<< Niente. Ottima da vendere >> rispose il russo, poi fece un cenno con la testa ai suoi compagni.

 

Irina venne trascinata a bordo della strada, ed ebbe finalmente la visione completa della scena.

 

Sentì un tuffo al cuore quando si accorse di come era ridotta la Punto: non capiva come quei russi potessero pensare che fosse ottima da vendere. Era distrutta: addosso portava ancora i segni della Mosca-Cherepova, delle gare che aveva fatto e della sparatoria con Vladimir… E a tutto quello si erano andati a sommare i danni che lei le aveva procurato cercando di scappare. Della sua Punto, della sua “Belva”, non rimaneva altro che una auto vecchia, dai vetri spaccati, i paraurti cadenti e le ruote bucate. Un rottame che le era stato fedele fino alla fine, nonostante fosse stato maltrattato più del dovuto. E che ora l’abbandonava, allo stremo delle forze.

 

“Che cosa ho fatto?” si domandò di nuovo.

 

Le venne da piangere, ma ricacciò indietro le lacrime, dandosi dell’idiota: aveva trascurato tutti, persino la sua auto. E la sua auto ora le stava dando la lezione che meritava.

 

Non potè fare niente, tenuta stretta dal russo e con la pistola puntata alla tempia. Guardò il gruppo di uomini affaccendarsi intorno alla Punto, mentre un grosso camion sbucava dall’angolo della strada deserta e si fermava proprio davanti a loro.

 

In pochi attimi, l’auto venne caricata sopra, mentre sull’asfalto rimanevano le schegge dei fari e i pezzi di lamiera della carrozzeria. La Punto sparì, ingoiata dal furgone, senza poter opporre resistenza. E Irina sentì le lacrime scendere, dimentica del pericolo che lei stessa correva, dimentica di tutto, perché ciò che le stavano portando via era un pezzo della sua anima… Pezzo che in quell’ultimo periodo aveva dimenticato.

 

Sentì che la costringevano a sedersi a terra, ma lei continuò a fissare il camion all’interno del quale giaceva la sua Punto, e si chiese solo vagamente se volessero ucciderla.

 

<< Ricorda: avvertimento >> disse il russo con la barba scura, << Devi andare via da Mosca >>

 

I russi risalirono velocemente sulle loro auto e sgommarono via, portandosi dietro tutto, anche il suo cellulare. Sparirono in un attimo dietro l’angolo, il rombo dei motori che svaniva in lontananza, gli occhi di Irina che rimanevano incollati al punto dove poco prima c’era la Punto…

 

E allora scoppiò a piangere, fregandosene di essere stata appena abbandonata senza niente, da sola e al freddo. Non gli importava di niente, tranne che le avevano appena portato via la cosa che aveva di più caro al mondo… Tranne che capiva di aver sbagliato, ancora e per l’ennesima volta, e niente poteva farla tornare indietro.

 

Perché accettare quella missione era stato il suo ultimo passo falso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 14.30 – Appartamento di William

 

Il cellulare squillò proprio mentre William era affacciato alla finestra, a scrutare la strada in attesa che Irina tornasse. Era troppo tempo che stava fuori, e iniziava a innervosirsi…

 

Sul display vide brillare un numero sconosciuto, e si chiese chi potesse essere… Magari la Lince?

 

<< William? >>.

 

La voce era quella di Irina, bassa ma inconfondibile, e lui si sentì vagamente irritato. Se telefonava significava che ancora non sarebbe tornata a casa…

 

<< Da dove chiami? >> chiese.

 

<< Da un bar >> rispose Irina, << Mi hanno rubato la macchina… Mi puoi venire a prendere? >>.

 

William rimase di sasso.

 

<< Cosa? >>.

 

<< Mi hanno rubato la Punto >> ripetè Irina, e per un attimo gli sembrò che stesse per piangere, << Non so chi fossero… >>.

 

Nella mente di William passarono una serie di pensieri a una velocità impressionante: rabbia, fastidio, irritazione e poi un vago, vaghissimo senso di paura. Paura non per lui, ma per Irina.

 

Gli si dipinse davanti l’immagine di un agguato, di tutti i pericoli che comportava, di una banda di russi che aveva in mano Irina, sola e indifesa… Avrebbe potuto morire, se ne rese conto. Avrebbero potuto ammazzarla…

 

<< Come stai? >> abbaiò, quasi arrabbiato.

 

<< Bene… >> rispose Irina a bassa voce, << Non… >>.

 

<< Dove sei che vengo a prenderti? >> domandò secco lui.

 

Irina gli comunicò rapidamente la via del locale dove si trovava, mentre lui afferrava le chiavi della Bugatti e iniziava a scendere le scale.

 

<< Aspettami lì. Arrivo >>.

 

Chiuse il telefono e raggiunse l’auto in pochi secondi, la rabbia che gli ribolliva nelle vene. Impostò il navigatore premendo sullo schermo con foga, poi schiacciò l’acceleratore e partì in direzione di Mosca Nord.

 

Mentre guidava schivando le auto normali che gli intralciavano la strada, provava un sentimento che aveva sempre imparato a tenere a bada, ma che questa volta era troppo potente per essere mascherato.

 

Aveva paura.

 

Aveva una fottutissima paura di perdere Irina, di aver corso il rischio di vederla ammazzata per una stupida auto…

 

Senza di lei le cose non sarebbero mai state le stesse… Senza Irina la sua esistenza non avrebbe avuto senso… Non più, ora che lei faceva completamente parte della sua vita…

 

L’aveva tradito, sì, ma era tornata da lui.

 

Trovò subito il bar dove lo aspettava Irina. Non parcheggiò nemmeno: lasciò la Bugatti in doppia fila, senza preoccuparsi di chiuderla, e spalancò la porta del locale come una furia, attirando lo sguardo spaventato dei presenti.

 

Irina era seduta a un tavolino, da sola, a sorseggiare qualcosa di caldo da una tazza, gli occhi bassi. Stava bene, non sembrava essere ferita o riportare segni di percosse; forse era solo un po’ infreddolita, a giudicare dalle guance rosse e da come stringeva la tazza.

 

Quando lo sentì andare verso di lei, Irina alzò gli occhi, e William si accorse che se il suo fisico stava bene, non si poteva dire altrettanto della sua anima. Gli occhi erano pieni di un’immensa tristezza che lui non aveva mai visto, dell’evidente segno della sconfitta che era tanto tempo che non scorgeva nelle sue iridi scure.

 

<< Che diavolo è successo? >> domandò lui, gli occhi che non si staccavano dal suo volto, stranamente distaccato anche se dentro ribolliva.

 

Irina scosse il capo.

 

<< Qualcuno mi ha mandato un avvertimento >> rispose lei, alzandosi, << Per favore, andiamo a casa. Parliamone dopo >>.

 

Gli rivolse un’occhiata, e per quanto William volesse sapere esattamente come erano andate le cose, non riuscì a rifiutare. Annuì, un improvviso ed enorme sollievo addosso mentre la guardava tirarsi in piedi, stanca e provata, ma viva. Ebbe la tentazione di toccarla, di sfiorare il suo braccio, ma qualcosa lo trattenne.

 

<< Mettiti la mia giacca >> disse all’improvviso.

 

Gliela porse e Irina la prese con cautela, quasi non fosse certa di quello che stava facendo. Lui andò a pagare quello che aveva consumato, poi la raggiunse e salirono in macchina.

 

Improvvisamente, William si rese conto di non sapere che cosa dire. Al di là di chiedergli cosa era successo, non sapeva come comportarsi. O forse lo sapeva, ma gli veniva difficile. Era talmente sollevato di vederla viva che tutto gli sembrava superfluo. Persino sapere perché le avevano rubato l’auto.

 

<< Stai bene? >> domandò nuovamente.

 

Irina si lasciò andare sul sedile, fissando il tetto dell’auto.

 

<< Sì, sto bene… >> esalò, << Hanno preso solo la mia macchina… >>.

 

Poi William capì, perché ricordò qualcosa che in qualche modo lo riportò nuovamente indietro nel tempo.

 

Irina amava la sua auto quasi quanto amava stessa. Quella Punto, che lui aveva sempre in qualche modo detestato, era per Fenice la cosa più importante che avesse ottenuto dalle corse clandestine. Era la macchina che l’aveva fatta arrivare al terzo posto della Black List; era la macchina che le aveva consentito di pagare i debiti di suo fratello; era la macchina che l’aveva resa libera.

 

Toglierle la Punto era come portarle via un pezzo del cuore.

 

E lui lo aveva fatto, in passato.

 

Trovò paradossale la situazione, ma ora odiava a morte chi aveva fatto esattamente ciò che aveva fatto lui.

 

Capì l’ennesimo errore che nel passato aveva fatto con lei; errore che nessuno poteva cancellare.

 

<< E adesso io come faccio? >> disse improvvisamente Irina, la voce bassa e stentata, << Come faccio? Almeno la macchina… >>.

 

William fermò la Bugatti e guardò Irina in volto, per vedere che era distrutta, che sembrava aver perso ogni voglia di vivere… Forse voleva piangere, o forse era talmente sconvolta da non riuscire a farlo.

 

La Punto era pur sempre un’auto, un oggetto, ma William sapeva che dirle che poteva averne un’altra, magari migliore, magari più bella, non sarebbe servito a niente. Irina rivoleva la sua, di Punto, quella che aveva comprato quattro anni prima e con la quale aveva vinto tutte le sfide che le si erano parate davanti… Non poteva corromperla, ormai lo aveva imparato.

 

<< Li conoscevi? >> domandò.

 

Irina scosse il capo, una lacrima che le rigava la guancia.

 

<< Non li avevo mai visti… >>.

 

William parcheggiò l’auto davanti a casa, e Irina scese prima di lasciargli il tempo di formulare qualche altra domanda. Salirono di sopra senza dire nulla, con la ragazza che continuava a tenere lo sguardo basso.

 

Una volta in casa, William non riuscì più a trattenersi: la afferrò per i fianchi e la costrinse a guardarlo in faccia.

 

<< Irina, mi hai fatto preoccupare davvero >> le soffiò sulle labbra, serio.

 

Irina rimase distaccata, quasi fredda, mentre lui la guardava insistentemente e lei continuava invece a rivolgere gli occhi altrove.

 

<< Will… >> disse piano, poi scoppiò a piangere, e gli avvolse le braccia intorno al collo, singhiozzando.

 

Lo Scorpione rimase di sasso di fronte a quello slancio, a quell’esplicita ricerca di affetto da parte di Irina. E capì che se lei era arrivata a comportarsi così, qualcosa doveva essere davvero cambiato.

 

La strinse a sé, nel primo vero abbraccio della loro vita, e rimase a pensare che ora davvero tutto passava in secondo piano.

 

Che lui e Irina sarebbero rimasti insieme, al di là di tutto.

 

Anche al di là della Black List.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Come sempre vi chiedo scusa, ma davvero in questo periodo sono sommersa di cose da fare. Per questo vi dico già che per il prossimo capitolo dovrete aspettare un po’, come del resto per questo: devo scrivere la relazione di laurea, cosa che mi porterà via un bel po’ di tempo. Cercherò di andare avanti comunque, ma non aspettatevi niente per un mesetto. Se poi riuscirò a scrivere qualcosa prima, naturalmente aggiornerò immediatamente.

Per il resto, non so quanti cap mancano alla fine, ma per non rovinare il finale non dico niente riguardo alle sorti dei personaggi… Meglio il “no comment”.

 

Ora, vi ringrazio come sempre per il fatto che continuate a seguirmi nonostante i miei clamorosi e fastidiosi ritardi: grazie a tutti voi.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 41
*** Capitolo XLI ***


Capitolo XXXXI

Capitolo XLI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 12.00 – Appartamento di William

 

<< Ho voglia di una gara, stasera >> disse William, << Che ne dici? >>.

 

Lo Scorpione guardò Irina dritta negli occhi, un vago sorriso sulle labbra, ma lei rimase impassibile e si limitò a una scrollata di spalle.

 

<< Va bene >> disse, << Chiamo Boris e gli chiedo se c’è qualcosa in programma, ok? >>.

 

L’occhiata che William le lanciò non sembrò in realtà molto soddisfatta.

 

<< Preferisci fare qualcos’altro? >> domandò lui, quasi sospettoso.

 

Irina sospirò. No, non preferiva fare nient’altro. In realtà, non voleva fare proprio nulla. Fosse stato per lei, sarebbe rimasta a casa a guardare la tv, nel più completo silenzio. Senza auto, che gara pensava di poter fare?

 

Era apatica, lo sapeva e William lo aveva capito meglio di lei. Il furto della Punto le aveva lasciato una ferita aperta che non si sarebbe richiusa, e che si sommava a tutte le altre che portava nel cuore. In più, la fine di quella missione non si vedeva, perché la Lince non si faceva viva. Quanto ancora doveva sopportare tutto quello?

 

<< No, la gara va bene >> disse lentamente, << Solo che sai che non potrò partecipare >>.

 

William sembrò esasperato dalla sua risposta.

 

<< Irina, puoi prendere un’altra auto >> ribattè, << Ci sono un sacco di macchine che possono sostituire la Punto… Prendine un’altra. Abbiamo abbastanza soldi per procurarcene una in poco tempo >>.

 

La ragazza si alzò di scatto dal tavolo, innervosita. William non avrebbe mai capito che niente avrebbe sostituito la Punto, ma ora che non l’aveva più doveva per forza trovare una sostituta. In fondo, prima o poi sarebbe accaduto… Le auto erano oggetti, non potevano durare in eterno…

 

<< E cosa posso prendere, secondo te? >> sbottò.

 

William si mosse, sparì per un attimo e tornò con il suo pc portatile. Le fece cenno di sedersi di fianco a lui e lo accese.

 

<< Guardiamo >> rispose.

 

Irina gli lesse qualcosa di nuovo negli occhi: la volontà di accontentarla, di vederla contenta. Con circospezione prese posto e fissò lo schermo.

 

<< Da dove cominciamo? >> domandò lo Scorpione.

 

<< Audi >> rispose lei.

 

Passarono l’ora seguente a guardare lo schermo, a sfogliare pagine su Internet alla ricerca della degna sostituta della Punto. Ma per quante auto guardassero, per quante case automobilistiche visitassero, Irina non sentiva il tuffo al cuore che aveva avuto la prima volta che aveva visto la Punto. C’erano auto più costose, più potenti, più belle, ma nessuna la catturava…

 

William storse il naso mentre lo faceva, però la lasciò guardare auto italiane con tutta la calma che voleva. Vagliò anche l’ipotesi di prendere una Ferrari, ma Irina, per quanto amasse quelle auto, sentì di non volerne una per sostituire la Punto. E comunque non erano l’alternativa più raggiungibile in quel momento: troppo costose e difficili da reperire.

 

Alla fine, un po’ per errore un po’ volutamente, sullo schermo apparve una Punto bianca, base, uguale identica a quella che lei aveva visto quattro anni prima e che aveva voluto da subito. Il cuore di Irina perse un battito, ricordando quante modifiche per farla diventare la macchina di Fenice, quanta soddisfazione vederla vincere contro le auto più potenti…

 

<< Prendine una uguale >> disse all’improvviso William, facendo un cenno verso lo schermo, << La facciamo modificare come l’altra. Ci vorrà di più, ma riavrai la tua auto >>.

 

Irina scosse il capo. Non si poteva. Primo perché non si trovavano nelle condizioni di poter far importare un’auto in breve tempo, né di mettersi a modificarla. E comunque, non sarebbe mai stata la sua Punto. Solo una copia nemmeno venuta tanto bene, magari.

 

<< No >> disse, << Lasciamo perdere. Per il momento farò a meno di un’auto >>.

 

Si alzò e si diresse verso la finestra.

 

Voleva chiudere, voleva andarsene. Non aveva più voglia di continuare quella missione, non ora che non aveva neppure più la sua macchina…

 

<< Irina, cazzo, è una stupida auto >> sbottò William, improvvisamente scocciato, << Già tanto che non ti hanno ammazzato. Non è la macchina che fa vincere; è il pilota a fare la differenza. Prima o poi avresti dovuto cambiarla, lo sai, ora più che mai visto che sei in fuga con me. Non puoi deprimerti per una cosa del genere >>.

 

Irina si voltò e gli rivolse un’occhiataccia: non avrebbe mai capito. Mai, anche se si stava sforzando di farlo.

 

<< Ti troverò la tua gara >> disse freddamente, << Tieniti pronto >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

William fissò Irina afferrare malamente il cellulare e andarsene nll’altra stanza, stizzita. In un’altra situazione, non avrebbe tollerato un comportamento del genere, ma visto che si trattava di lei, avrebbe chiuso un occhio.

 

Data la sua reazione, capì che l’aveva offesa. Come aveva previsto, farle notare che la Punto era solo un’auto non era stata la mossa giusta. Tuttavia era stato più forte di lui.

 

Sbuffò, alzandosi.

 

Sapeva a cosa era dovuto tutto il malumore di Irina, e non centrava solo la macchina. Qualcosa gli diceva che anche sapere che Went era in città aveva cambiato le percezioni di Fenice, e per quanto gli desse fastidio, doveva ammettere che aveva il sospetto che Irina non odiasse completamente lo sbirro… Nonostante tutto quello che era successo, in qualche modo provava ancora qualcosa per lui.

 

Avrebbe dovuto incazzarsi come una bestia, ma non ci riusciva. Amava Irina, e di lei amava anche quella stupida capacità di perdonare. Poteva scommettere che aveva pensato più di una volta a Went, soprattutto da quando sapeva che era a Mosca. Poteva scommettere che aveva versato ancora qualche lacrima, per lui.

 

Ma lui era ancora lo Scorpione, e sapeva come risolvere la situazione un entrambi i fronti: Went avrebbe avuto le ore contate, quando avrebbe scoperto dove si trovava; e la Punto poteva essere ritrovata, se non era troppo tardi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 16.00 – Mosca, Appartamento di Dimitri

 

<< Chi potrebbe averla rubata? >> domandò Xander, rigirando il bicchiere senza guardarlo.

 

<< L’auto di Irina non ha un grande valore economico, per quanto l’abbia fatta arrivare quasi in cima alla Black List >> rispose Dimitri, giocando con la pistola che teneva in mano, << Di sicuro non l’hanno presa per i pezzi di ricambio. E’ qualcuno che colleziona auto del genere, o che voleva semplicemente farle un dispetto >>.

 

Xander gettò un’occhiata innervosita fuori dalla finestra: sapere che Irina era stata oggetto di una rapina non lo rendeva tranquillo, soprattutto perché chiaramente l’obiettivo era stata l’auto di Fenice, la pilota clandestina. Il suo soggiorno a Mosca stava diventando troppo scomodo per qualcuno, e il pericolo che l’avvertimento si trasformasse presto in qualcosa di concreto era sempre più marcato.

 

<< E’ sicuramente qualcuno del vostro giro >> disse, << C’è qualcuno che ha battuto in qualche gara che potrebbe volerla lontana? >>.

 

Dimitri fece un sorrisetto.

 

<< C’è un sacco di gente che non la vorrebbe qui >> rispose serafico, << E’ una donna, è forte e sembra mi abbia tradito… Ci saranno un sacco di russi che ritengono di doverla eliminare… >>.

 

Si guardarono in faccia, e Xander ripetè: << Sembra che ti abbia tradito? >>.

 

<< La gente del mio giro pensava stesse con me… >>.

 

Il tono di Dimitri era chiaramente di scherno, ma c’era una punta di maligno divertimento in ciò che diceva. Xander si irrigidì rendendosi conto che il russo lo stava chiaramente e palesemente provocando… Che volesse scatenare la sua gelosia? O voleva solo farlo rodere nel dubbio?

 

“Qualsiasi cosa sia successa, è già accaduta. E io me la sono cercata… Irina è abbastanza grande per fare quello che vuole”.

 

Sì, in effetti era davvero pronto a tutto. Aveva vagliato tutte le ipotesi, proprio tutte, anche le più improbabili conoscendo Irina, e aveva cercato di darsi una ragione perché potevano essere successe… Stupido lui che aveva mandato Dimitri, sottovalutandolo sotto tutti gli aspetti.

 

<< Quindi per il momento è senza auto? >> ribatté, per fargli capire che non c’erano più frangenti sui quali irritarlo.

 

<< Se non sbuca di nuovo la Punto, sì >> rispose Dimitri.

 

Xander fece mente locale.

 

<< Puoi cercare tra le tue conoscenze e capire chi può essere stato? >> chiese.

 

<< Giù fatto >> rispose Dimitri, << Ci sono solo due persone che possono aver deciso di togliere a Irina la sua macchina: Nikodim o la Lince. A meno che la tua vecchia amica Nina Kraracova non abbia deciso di prendersi una piccola vendetta personale… >>.

 

<< Potrebbe essere arrivata a tanto? >>. Xander ebbe un moto di disgusto verso la russa… E pensare che ci era anche andato a letto

 

<< Ha i soldi e soprattutto il potere per farlo. Ed è abbastanza vendicativa da escogitare qualcosa di così subdolo… >>.

 

Xander sbuffò: il problema però rimaneva procurare un’altra auto a Irina, cosa che non potevano fare senza destare i sospetti di Challagher

 

Gettò un’occhiata a Dimitri, che in quel momento stava trafficando con una busta di carta marrone e un paio di chiavi. Riuscì a intravedere un portachiavi giallo e nero che gli sembrò stranamente familiare, e storse il naso.

 

<< Che fai? >> domandò.

 

Dimitri puntò i suoi occhi di ghiaccio su di lui, e rispose tranquillo: << Le metto a disposizione un’auto >>.

 

Xander scosse il capo.

 

<< E Challagher? >>.

 

Dimitri chiuse la busta, come se non potessero esistere obiezioni alla sua idea.

 

<< Le farò avere le chiavi >> rispose seccamente, << Se avrà bisogno della macchina, andrà a prenderla >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 22.00 – Mosca, Piazza Centrale

 

Irina guardava la gente assieparsi intorno all’uomo che aveva organizzato la gara, mentre quello faceva cenno di entrare nel locale alle sue spalle, le auto sportive e di lusso parcheggiate tutte intorno. Sentì il cuore perdere un battito mentre si accorgeva che c’era qualche volto noto tra le persone che iniziavano a entrare nel pub, e la mano strinse ancora più forte la busta che teneva sotto la giacca.

 

<< Gara piuttosto importante, eh? >> fece William, seduto di fianco a lei, la mano che stringeva il volante della Bugatti.

 

<< Già… >> mormorò lei.

 

Era preoccupata. Aveva trovato la busta esattamente dove Dimitri le aveva detto di averla lasciata, sotto la Veyron dello Scorpione, proprio dove c’era il posto del passeggero, dandole modo di prenderla appena fosse salita a bordo, ma era sicura che da un momento all’altro William se ne sarebbe accorto.

 

<< Andiamo >> disse lo Scorpione, << Stasera ho voglia di divertirmi >>.

 

Scesero dall’auto, e la prima faccia conosciuta che Irina vide fu quella di Boris: il russo era appena arrivato come loro e li riconobbe subito, andandogli incontro. Chiaramente, vista la sua poca sorpresa, Boris sapeva della presenza dello Scorpione in città, perché li salutò allegramente.

 

<< Finalmente vi rivedo! >> disse, allargando le braccia in segno di amicizia, << Dove diavolo eravate finiti? >>.

 

Irina inarcò un sopracciglio per la troppo calorosa accoglienza.

 

<< Avevamo le spalle da guardarci >> sbottò, infastidita, << Sembra che non siamo graditi da queste parti. Lo saprai anche tu >>.

 

Il sorriso di Boris si incrinò, e abbassò le braccia.

 

<< Se ti stai riferendo al furto della tua auto, non ci sono io dietro >> rispose, sulla difensiva, << E non so nemmeno chi possa essere stato >>.

 

Irina fece una smorfia e si avviò verso il locale senza aggiungere nulla. Sentì William e Boris scambiarsi qualche parola, anche se non capì cosa si stessero dicendo, ed entrò nel pub.

 

C’era un sacco di gente, musica ad alto volume e fiumi di vodka che scorrevano da tutte le parti. Individuò un altro paio di facce conosciute, la prima fra tutti quella di Nikodim, ma lo evitò accuratamente. Sentì qualcuno chiamarla, e si voltò verso la fonte della voce: era Daniel, l’italiano, sempre con quella sua faccia simpatica e l’espressione allegra. Sventolava la mano, indicando la sedia vuota al suo tavolo.

 

Irina si gettò un’occhiata alle spalle, per vedere che William era dietro di lei, e sembrava particolarmente interessato a Nikodim: lo fissava con occhi di fuoco, come se non vedesse l’ora di saltargli addosso. Il russo faceva finta di niente, ma rincontrare lo Scorpione non doveva essere di suo gradimento.

 

<< Ti va se ci sediamo là? >> domandò lei, indicando il tavolo di Daniel.

 

William sembrò sentirla appena.

 

<< Sì, va bene… >> borbottò, senza nemmeno guardare dove stava indicando.

 

Irina prese posto di fianco a Daniel, sperando di riuscire a fare quattro chiacchere e a distrarsi un po’, visto che non aveva voglia di essere lì. Lo Scorpione continuava a fissare Nikodim dall’altra parte della stanza, e non sembrava minimamente interessato a Daniel. Lo guardò per un momento, poi William sembrò cambiare idea e non si sedette più.

 

<< Vado a prendermi da bere >> disse, con il tono di voce irritato.

 

Irina inarcò un sopracciglio e lo lasciò andare, stupita dal suo comportamento.

 

<< Ok… >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se c’era una cosa che William odiava, era rivedere la faccia di quell’idiota di Nikodim, e trovarlo lì, con la probabile intenzione di gareggiare, lo infastidiva. Improvvisamente, gli era venuto in mente che poteva esserci solo una persona al mondo che avrebbe potuto decidere di rubare l’auto di Irina, e quello era proprio lui. Lo aveva già fatto, soffiandogli da sotto il naso due macchine quando era venuto l’ultima volta a Mosca, e siccome non era più tornato perché era finito in carcere, non si era potuto vendicare.

 

Adesso però non gli importava particolarmente delle sue due auto: se Nikodim aveva rubato anche la Punto di Irina, allora non sapeva davvero con chi aveva a che fare. Ordinò un drink al bancone, tenendo d’occhio il russo che sembrava innervosito dalla sua presenza, e si mise a sorseggiarlo cercando di studiare l’approccio migliore.

 

Se fosse stato a Los Angeles non si sarebbe fatto problemi a andargli dritto incontro e a ringhiargli addosso di fargli ritrovare le sue auto se non voleva finire male, ma essendo in pieno territorio moscovita non poteva rischiare di scatenare una rissa dove lui sarebbe stato in netta minoranza.

 

Gettò un’occhiata verso Irina, seduta al tavolo con quel tizio che lui non conosceva, e vederla parlare con quell’espressione triste e sconfitta gli mise addosso una rabbia assurda: ogni ora che passava senza la sua Punto, Fenice perdeva la voglia di combattere. Era come averle davvero tolto un pezzo di cuore.

 

Posò il bicchiere, deciso a infischiarsene di tutto e andare direttamente da Nikodim, ma si accorse che l’attenzione del locale sembrava essersi catalizzata sull’ingresso, come se fosse entrato qualcuno di particolarmente importante. Le occhiate che venivano rivolte da quella parte lo spinsero a guardare, incuriosito.

 

Sulla porta si stagliava una ragazza bionda, alta e snella, che si stava togliendo proprio in quel momento una pelliccia bianca di visone con aria altezzosa, i tacchi vertiginosi che slanciavano la sua figura già perfetta.

 

William rimase a fissare la ragazza, chiedendosi da dove fosse uscita: molto probabilmente era la più bella che avesse mai visto in tutta la sua vita, e che molto probabilmente avrebbe mai visto. I tratti del viso erano perfetti, come modellati da un’artista, gli occhi di un azzurro ghiaccio che non sembrava nemmeno umano, il fisico senza un’imperfezione…

 

Capiva perché tutta la sala la guardava, capiva perché l’attenzione si era spostata su di lei, ma improvvisamente i suoi occhi si staccarono da quella figura vagamente angelica e andarono a posarsi qualche metro più in là, dov’era seduta Irina.

 

Fenice era sbiancata, e nonostante la luce soffusa, lui se ne accorse. I suoi occhi erano fissi sulla ragazza che era appena entrata, e capì che si conoscevano, che dovevano essersi già viste prima di quella sera. Anche perché la bionda le rivolse un’occhiata sprezzante, e subito dopo puntò lui, come se fosse l’obiettivo della sua serata.

 

Lo Scorpione rimase fermo, a guardare incedere in modo perfettamente ondeggiante la ragazza, stranamente infastidito. C’era qualcosa di sbagliato in tutto quello, ma non capiva cosa.

 

La bionda le porse la mano.

 

<< E’ un piacere conoscerti, Scorpione >> disse con voce sicura, << Sono Nina Kraracova >>.

 

William strinse la sua mano, sentendo la pelle liscissima sotto le dita, le narici che venivano invase dal profumo di quella ragazza perfetta…

 

<< Piacere mio, Nina >> rispose lui, senza aggiungere altro.

 

La ragazza lo guardò con sospetto, come se qualcosa nella sua reazione gli avesse dato fastidio… O forse, come se la sua reazione non fosse stata quella che si era aspettata.

 

Si fissarono in silenzio per un momento, e William capì esattamente con chi stava parlando.

 

Davanti ai suoi occhi aveva la ragazza perfetta per lo Scorpione.

 

Davanti ai suoi occhi c’era la donna che lo Scorpione avrebbe scelto come compagna, perché due come loro erano fatti per stare insieme.

 

Perché bastava un’occhiata per capire chi era Nina, e lui lo aveva intuito.

 

Ma sapeva anche che quella era la nemesi di Irina.

 

William fece una smorfia divertita, nel capire che Nina si era aspettata una migliore accoglienza da parte sua, che credeva che la sua bellezza lo avesse colpito come faceva come tutti. Ma lui non era più solo lo Scorpione, e tutta quella perfezione lo infastidiva quasi.

 

Perché Nina oggettivamente era bellissima, ma non gli piaceva. Oggettivamente era perfetta, ma lui non ne era attirato. Oggettivamente sembrava fatta per lui, ma lui non la voleva. Nella sua testa c’era posto per una sola persona, l’opposto della perfezione, la ragazza che non era bionda, non era russa e non aveva gli occhi azzurri…

 

<< Mi offri da bere? >> domandò Nina, tranquilla.

 

<< Come vuoi >> disse lui, facendole cenno di sedersi al bancone. Gettò un’occhiata a Irina, che li guardava senza capire, pallida: gli scappò un sorriso, quasi volesse rassicurarla che non l’avrebbe tradita.

 

Nina iniziò a sorseggiare il suo drink, gli occhi azzurri che lo guardavano con molto interesse. Riconobbe nei suoi occhi l’espressione della predatrice che saggia la sua preda.

 

<< Finalmente ti sei fatto vivo >> disse, << Era da un po’ che si sapeva della tua fuga… Ti aspettavo un po’ prima >>.

 

<< Come mai? >> chiese William, poco interessato. Una volta, di fronte alle occhiate languide di una ragazza del genere, non avrebbe resistito, ma ogni secondo che passava qualcosa in lui gliela rendeva meno attraente.

 

<< Sai, mi piace la gente che ha potere… Tu ne hai >> rispose lei, << Immagino che tu voglia ricostruire la Black List, no? >>.

 

<< Sono qui anche per quello >>.

 

<< Bé, io sono anche una pilota >> disse Nina, senza falsa modestia, << Potrei essere un ottimo elemento per la tua squadra. Mosca non mi offre abbastanza prospettive >>.

 

William sorrise di fronte alla faccia tosta di quella ragazza, ma soprattutto di fronte alla piega che avevano preso gli eventi: due anni prima quella sarebbe stata l’inizio di una storia piuttosto interessante…

 

<< Questo lo devo decidere io >> disse, calmo, << E comunque, al momento non ho alcuna Black List in cui farti entrare >>.

 

Nina fece un sorrisetto, e con il cenno del capo indicò Irina, ancora seduta vicino all’italiano.

 

<< Credi davvero che lei possa ancora far parte della Lista? >> domandò, serafica.

 

William gettò un’occhiata verso Irina, per poi tornare a fissare gli occhi di ghiaccio di Nina.

 

Una come lei ti rivolterebbe come un calzino se solo lo volesse, bellezza”.

 

<< Cosa ti fa pensare il contrario? >>.

 

Nina sembrò trattenersi dallo scoppiare a ridere.

 

<< Prima che tu tornassi sulla scena, stava con uno sbirro, lo sai? >> disse.

 

Forse si aspettava una reazione stupita da parte sua, o che si incazzasse di colpo e andasse incontro a Irina per darle una lezione. Oppure credeva di destabilizzarlo, di colpirlo in qualche modo, costringendolo ad ammettere che aveva davanti la donna perfetta, che sapeva tutto e aveva occhi ovunque. La sua perfetta parte speculare, ideale per essere la metà dello Scorpione.

 

Ma l’unica reazione di William fu un sorriso; un sorriso divertito di fronte a quella donna senza scrupoli, dal cuore di ghiaccio come i suoi occhi. Quella donna che era la versione femminile di lui stesso.

 

<< Non è facendo la stronza che ti guadagnerai la mia fiducia >> ribatté, fissandola negli occhi, << So già tutto della mia ragazza… Non ho bisogno di una come te che venga a fare la spia >>.

 

La reazione di Nina fu quella di una che si aspettava tutto, tranne una risposta del genere. Rimase muta, l’espressione esterrefatta, le mani immobili sul tavolo, a stringere il drink convulsamente.

 

<< Se non ti dispiace, non me ne frega un cazzo di qualsiasi altra cosa tu abbia da dirmi >> aggiunse William, spingendo lontano il suo bicchiere vuoto, << E mettiti pure il cuore in pace: nella Black List non c’è posto per una come te >>.

 

Si alzò e si allontanò tranquillo, accorgendosi che metà del locale li osservava spiazzato, come se fosse la prima volta che vedevano qualcuno piantare Nina in quel modo. Molto probabilmente era così, e a lui la cosa fece ancora più piacere. Quella russa poteva benissimo essere perfetta, ma rimaneva una stronza, e per di più aveva fatto la spia per incastrare Irina, pur di prendere il suo posto… Una del genere aveva solo bisogno di una lezione, e lui aveva provveduto a dargliela.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Irina non credeva ai suoi occhi: William era venuto a sedersi con lei e Daniel, e sembrava particolarmente divertito da tutto quello che era appena accaduto. L’incontro con Nina, che Irina aveva creduto finisse in tragedia, si era chiuso in un modo del tutto inaspettato: lo Scorpione aveva piantato la donna perfetta liquidandola come una “stronza”.

 

Appena l’aveva vista entrare, a Irina si era gelato in sangue nelle vene: Nina sapeva di Xander, e come aveva previsto la prima cosa che aveva fatto era stata informare William di tutto quello che li riguardava. Ma lo Scorpione in realtà sapeva già come stavano le cose, e molto probabilmente le sue orecchie avevano voluto sentire ciò che lui desiderava…

 

Ciò che era ancora più incredibile, era che Nina sembrava averlo lasciato completamente indifferente: Nina, la ragazza perfetta, che aveva preso all’amo anche Xander, non aveva sortito nessun effetto sullo Scorpione, il numero uno della Black List che aveva avuto tante ragazze da poterne stilare una lista infinita. Lui, che le donne le usava e basta, che non si sarebbe mai fatto scappare una come lei, l’aveva ignorata con completamente e senza alcun ripensamento.

 

Era pazzesco, soprattutto visto che sembrava fatta apposta per lui.

 

<< E’ qui per gareggiare? >> domandò all’improvviso William, rivolto a Daniel.

 

L’italiano si strinse nelle spalle.

 

<< Sì, ha dato il libretto della sua auto a Boris, prima >> rispose, << E’ una brava al volante, la danno come una delle favorite >>.

 

William sembrò fare una mezza smorfia, ma Irina continuava a fissarlo, incredula. Non poteva capacitarsi di come lo Scorpione aveva reagito di fronte a Nina.

 

Quello era un altro evento che le faceva capire quanto fosse forte il suo potere sullo Scorpione, quanto stesse scoprendo di William, del vero William, di quello che ormai l’amava così tanto da non vedere nemmeno più i suoi tradimenti. Da essere così dipendente da lei da farsi scappare la ragazza che sembrava essere nata per essere la donna dello Scorpione.

 

<< Andiamo verso l’auto >> disse William, rivolta a lei, << Devo parlarti un attimo >>.

 

Irina annuì, salutò rapidamente Daniel e seguì lo Scorpione verso l’uscita del locale. Sentì che le metteva il braccio sulle spalle, con dolcezza.

 

<< Mi sembra di capire che vi conoscete… >> disse, tranquillo.

 

<< Abbiamo… Abbiamo gareggiato nella Mosca-Cherepova tutte e due >> rispose lei, a voce bassa, mentre si fermavano vicino alla porta dell’uscita, << E non ci stiamo molto simpatiche… >>.

 

William scoppiò a ridere.

 

<< Ecco il perché del colpo basso >> disse, mettendosi di fronte a lei, << Voi donne sapete essere stronze come nessun’altro >>.

 

Irina abbassò lo sguardo, incerta. Non sapeva come comportarsi, vista la piega degli eventi. Ogni secondo che passava, doveva ammettere che William diventava sempre più quello che lei aveva desiderato nel passato. Assomigliava sempre più a quello di cui si era innamorata quattro anni or sono.

 

Lo Scorpione le porse qualcosa che teneva in mano. Erano le chiavi della Bugatti.

 

Alzò lo sguardo, interrogativa.

 

<< Vuoi darle una lezione? >> domandò William.

 

Irina rimase di sasso: le lasciava il posto nella gara?

 

<< No… >> rispose di getto, per poi accorgersi che era davvero quello che voleva. << No >> ripeté, << Non mi va, stasera… Non ho nessuna lezione da darle, comunque >>.

 

Non aveva voglia di correre, nemmeno per un fatto così personale. Il furto della Punto le aveva tolto anche quel piacere, e ritrovarsi a guidare un’altra auto sarebbe solo stata un’altra sofferenza. Scosse il capo, facendo un passo indietro.

 

<< Sicura? >> chiese William.

 

Irina si strinse le braccia al petto, come a ripararsi dal freddo.

 

<< Sì, davvero. Grazie lo stesso >>.

 

William rimise le mani in tasca e la guardò per un momento. Si avvicinò e la prese per i fianchi, tirandola verso di sé con delicatezza.

 

<< Avanti bambolina, fammi un sorriso >> sussurrò, << Sorridimi… Non voglio che tu stia male… Non per quello che ci sta succedendo. Tornerà tutto a posto >>.

 

Irina lo guardò negli occhi, sentendosi improvvisamente e definitivamente sconfitta. Perché tutto d’un tratto desiderava che William avesse ragione, che tornare a far parte della Black List e di quella vita da pilota clandestina fosse meglio di ciò che stava facendo in quel momento?

 

“Che cosa sto facendo?”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Qualcuno gridò di dirigersi alle macchine, e William dovette lasciare i fianchi di Irina, scoprendo che abbandonarla in quelle condizioni gli dava fastidio: aveva bisogno di lui, in qualche modo. Il rifiuto a gareggiare, nonostante ne avesse tutto il diritto, ne era un segnale.

 

<< Rimani qui, fuori fa freddo >> disse, mentre vedeva Nina superarli a passo rapido, << Vinco questa gara e torno. Dopo ce ne andiamo da qualche parte, ok? >>.

 

Irina annuì stancamente, e lui le sfiorò la bocca con la sua, delicato come non lo era mai stato in tutta la sua vita, e si diresse verso l’uscita a passi veloci, mentre gli altri piloti lo precedevano.

 

Vide che si era formato un gruppetto a pochi metri dalla linea di partenza, e uno dei piloti gli fece cenno di avvicinarsi.

 

<< …per stasera siamo coperti, la polizia non è nei dintorni >> stava dicendo un tizio, forse l’organizzatore, << E’ ammesso tutto, ma non voglio morti, chiaro? Soprattutto da parte tua, americano >>.

 

William si strinse nelle spalle, gettando un’occhiata ai presenti.

 

<< Peccato… >> disse, serafico, << Io però ho una richiesta: non mi interessa avere le vostre auto, se vinco la gara. Ho bisogno di alcune informazioni sul furto di una macchina… Se vinco, voglio risposte alle mie domande >>.

 

I russi lo guardarono infastiditi. L’organizzatore però non sembrava troppo allarmato.

 

<< Ok, Scorpione, avrai le tue informazioni. Ma non possiamo garantirti che tu possa cavarne un ragno dal buco >>.

 

<< Non ha importanza. Voglio solo sapere chi ha rubato un’auto, il resto sono affari miei >>.

 

Stretto l’accordo, tornarono alle auto. William portò la Bugatti sulla linea di partenza, vedendo comparire alla sua destra il muso di una Lamborghini Gallardo bianca: dentro c’era Nina, gli occhi puntati su di lui.

 

Non sapeva quanto fosse brava al volante, ma per lui quell’auto era più adatta a una come Irina. Con lei alla guida sarebbe stata tutta un’altra cosa… La cercò con lo sguardo, individuandola oltre il vetro del locale, ancora sul volto quell’espressione sconfitta che non l’abbandonava da giorni.

 

“Darò una lezione a questa troia e ti riporterò la tua macchina, bambolina. E’ una promessa. Comincio a pagare i debiti che ho nei tuoi confronti”.

 

Poi venne dato il via, e il suo piede affondò sull’acceleratore, e la Bugatti con un ruggito schizzò avanti, così forte da incollarlo al sedile. Non poteva perdere, perché non lo aveva mai fatto, e soprattutto perché aveva un motivo preciso per vincere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando la Bugatti inchiodò proprio di fronte al vetro dove stava lei, Irina sussultò, senza stupirsi che la Veyron fosse l’unica ad essere arrivata al traguardo. Vide lo Scorpione scendere, rivolgergli un cenno del capo e poi attendere che tutti gli altri terminassero la gara.

 

Nessuno ebbe modo ne voglia di protestare per la sua vittoria, ma la prima ad arrivare dopo di lui fu Nina, con la Gallardo bianca piena di graffi e ammaccature. Lanciò un’occhiataccia a William, poi si diresse verso il locale, inviperita.

 

Irina guardò lo Scorpione dirigersi verso l’organizzatore, segnare qualcosa sul cellulare e poi fare un cenno con la testa. Diede le spalle al tizio e poi la raggiunse, stranamente soddisfatto.

 

<< Che cosa vuoi fare? >> le domandò, come se la sua vittoria passasse in secondo piano.

 

Irina lo guardò dubbiosa.

 

<< Possiamo andare a… casa? >>.

 

William sorrise.

 

<< Quello che la mia bambolina desidera >> disse.

 

Sempre più stranita, Irina si lasciò condurre a casa, con William che parlava poco ma sembrava tranquillo. Una volta nell’appartamento, la portò in camera e le schioccò un bacio sulle labbra.

 

<< Va a letto. Ti raggiungo fra un po’… Ho qualche telefonata da fare >>.

 

Irina annuì, ma non scoprì mai a chi dovesse telefonare lo Scorpione: come toccò il letto, si addormentò, senza chiedersi il perché di quello strano comportamento, senza chiedersi perché William assomigliava sempre meno a stesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Dire che sono di corsa è poco… Ho finito il cap in extremis, insieme alle valigie dell’ultimo secondo… Me ne parto in vacanza per due settimane perché ne ho proprio bisogno, ma voi lasciatemi le vostre recensioni perché appena torno si finisce con il gran finale. Avete tempo per fare tutte le congetture possibili, e sperare che io salvi tutti!

Un bacione grande grande a tutti voi che sopportare i miei scleri! Vado a caricare le valigie in macchina, che domani… sveglia alle 5 e si parte!

 

Lhea

 

 

 

 

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Capitolo 42
*** Capitolo XLII ***


Capitolo XXXXII

Capitolo XLII

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 03.00 – Mosca, Appartamento di William

 

Lo Scorpione chiuse la telefonata e fissò il muro del soggiorno, scarsamente illuminato dalla lampada accesa lì vicino, un piccolo sorriso che gli apriva sulle labbra.

 

“Figlio di puttana… Lo sapevo che eri tu”.

 

Nikodim.

 

Solo lui poteva rubare l’auto di Irina e presentarsi alla gara di quella sera facendo finta di niente. Solo lui poteva osare un gesto del genere sotto il suo naso.

 

Si alzò di scatto e afferrò la pistola che aveva appoggiato sul tavolino. Non pensava di fare così in fretta, ma visto che sapeva da dove partire, voleva ritrovare l’auto di Irina il prima possibile.

 

Cercò l’altra pistola che teneva nascosta sotto uno dei cuscini del divano e guardò l’orologio: non era abbastanza tardi per fermarlo, e forse sapeva dove trovare Nikodim a quell’ora.

 

Si infilò la giacca, ma prima di uscire di avvicinò alla porta della camera da letto. Guardò dentro, e scrutando nel buio scorse il corpo di Irina adagiato delicatamente sopra le lenzuola, che dormiva profondamente. Entrò in silenzio, la pistola in una mano e gli occhi che non si staccavano dal volto di quella ragazza da cui ormai dipendeva in tutto e per tutto.

 

“Ritroverò la tua auto, bambolina. Rivoglio il tuo sorriso solo per me”.

 

Aprì le coperte e la spinse sotto, in un gesto che non aveva mai creduto di ritrovarsi a fare, sfiorandole il viso con la mano. Lei non si svegliò, non emise alcun suono, forse perché era troppo stanca e triste per preoccuparsi di quello che poteva accaderle. Diede un ultimo sguardo a quelle labbra rosate e poi si voltò, uscendo rapidamente dalla stanza e altrettanto rapidamente dall’appartamento.

 

Una volta sulla Bugatti, decise di puntare al vecchio locale dove aveva sempre trovato Nikodim gli anni passati, anche se aveva la sensazione che difficilmente il russo sarebbe stato lì, visto il gesto che aveva commesso. Era subdolo ma non abbastanza stupido da farsi trovare facilmente.

 

Il Ginger Party, il pub dove di solito stazionava Nikodim, era un luogo a metà tra un bar e una casa di incontri. Com’era nei gusti del russo, le cameriere servivano i cocktail vestite in tutine aderenti dai colori cangianti, e ammiccavano maliziosamente a tutti i clienti che entravano.

 

William si gettò un’occhiata intorno, le luci soffuse che gli permettevano di distinguere bene le persone sedute ai tavoli, e capì subito che Nikodim non era lì. Tuttavia non si scoraggiò: poteva sempre chiedere al barista, che gli sembrava lo stesso di due anni prima.

 

<< Cosa ti do, straniero? >> chiese il tizio, un uomo calvo con un pizzetto pronunciato, in perfetto inglese.

 

William gli gettò un’occhiata perplessa.

 

<< Come facevi a sapere che non ero un russo? >> domandò, secco.

 

Il barista si strinse nelle spalle.

 

<< Non hai la faccia di uno di qui >>rispose quello, tranquillo.

 

Insospettito, William ordinò una birra, poi aggiunse: << Sono qui per incontrare Nikodim… Sai dirmi dov’è? >>.

 

Il barista gli servì la sua birra gelata.

 

<< No, ultimamente non viene molto da queste parti >> rispose, evasivo.

 

Lo Scorpione mangiò la foglia: in un attimo capì che il tipo era stato avvertito in qualche modo della possibilità della sua visita, e che aveva ricevuto l’ordine di non parlare. Molto probabilmente sapeva benissimo dove fosse Nikodim in quel momento, ma stava bluffando per fregarlo.

 

<< E come mai? >> chiese innocentemente.

 

<< Non lo so. Sta cambiando giro, forse >>. Il tizio gli gettò un’occhiata mentre preparava un altro cocktail, << Ma magari potresti trovarlo al Kurkalova… >>.

 

William fece una smorfia: fregato. Conosceva quel posto, ed era esattamente dall’altra parte della città: stava cercando di allontanarlo da lì, quindi Nikodim doveva essere nei paraggi.

 

<< Davvero? >> disse, fingendo di credere alle sue parole, << Allora ci farò un salto… Quanto ti devo per la birra? >>.

 

<< Niente, offre la casa >> ribatté il barista.

 

<< Allora questi sono per l’informazione >> disse lo Scorpione, poggiando sul bancone un paio di banconote. Doveva fargli credere che stava per andare davvero dall’altra parte della città.

 

Si alzò e uscì dal locale, poi saltò sulla Bugatti. Aveva un piano, che non era sicuro funzionasse, ma doveva almeno provare.

 

Fece un giro dell’isolato con la Veyron, poi parcheggiò in un vicolo laterale, facendo il meno rumore possibile. Tirò fuori la pistola e tolse la sicura, poi scese dall’auto e si appostò a un lato della strada, protetto dall’oscurità e dai muri dei palazzi. La strada era deserta e silenziosa, e se fosse arrivato qualcuno lo avrebbe sentito a metri di distanza.

 

Era quasi sicuro che Nikodim sarebbe tornato al Ginger Party: aveva intuito che sarebbe venuto a cercarlo, e aveva predisposto il suo piano di difesa. Ma lui lo aveva capito in tempo, e il barista non gli sembrava un tipo così sveglio da accorgersi che non ci era cascato. Forse gli aveva già detto che lo Scorpione si stava dirigendo dall’altra parte della città, e che quindi lui era al sicuro.

 

Aspettò per un po’, sentendo l’aria gelida della notte vorticargli sulla faccia, la pistola in pugno e gli occhi puntati sulla strada. Nessuno all’orizzonte, e tutto era decisamente troppo silenzioso.

 

Dopo mezz’ora di attesa, lì fermo, iniziò ad avere freddo, molto freddo. Mosca non era Los Angeles, e non poteva pretendere di rimanere fuori tutta la notte senza rischiare di beccarsi una polmonite… Ora capiva perché i russi preferivano ritrovarsi nei locali, invece che nelle piazze della città.

 

Si mosse un po’, contraendo i muscoli nel tentativo di scaldarsi, mentre nuvolette di fiato caldo uscivano dalla sua bocca. Non gli importava di patire il freddo, per trovare Nikodim: la sua motivazione era più che forte.

 

I minuti passavano lenti, fissando la strada in attesa che qualcuno si facesse vivo. Dal locale sentì uscire qualcuno che ridacchiava sonoramente, in preda ai fumi dell’alcool, ma poi anche quella voce si spense nel buio, lasciandolo nuovamente nel silenzio.

 

Dopo un’ora e mezza, quando ormai sentiva le dita delle mani intorpidite e la pelle della faccia che tirava, capì che forse si era sbagliato: Nikodim non era da quelle parti, oppure non avrebbe fatto un salto al Ginger Party, per quella sera. Forse gli conveniva cercare in qualche altro locale, ma non certamente dall’altra parte della città.

 

Decise di aspettare ancora una decina di minuti, ma sentì il rumore di un motore che si avvicinava. Un paio di fari brillarono ai lati della strada, poi una Mercedes Slk AMG blu metallizzato passò a pochi metri da lui, fermandosi davanti al Ginger Party.

 

William la riconobbe subito: quella era una delle sue vecchie auto, una di quelle che aveva usato durante la sua visita a Mosca, che aveva vinto in una gara e che era sparita poche ore prima che lui partisse. Quindi quello che la guidava in quel momento era chiaramente Nikodim.

 

Perfetto, era anche da solo. Non poteva chiedere di più.

 

La voglia di vendetta riscaldò subito le mani congelate di William, che uscì dal vicolo e raggiunse di corsa l’auto, proprio mentre il russo si accingeva a scendere. Senza dargli il tempo di capire quello che stava succedendo, lo afferrò per il collo e lo sbatté contro il muro.

 

<< Quanto è piccolo il mondo, eh, mio caro Nikodim… >>.

 

Il russo mise a fuoco la sua faccia, e negli occhi gli si dipinse un’espressione spaventata. Tuttavia, cercò in ogni modo di non darlo a vedere, fissandolo con sprezzo, l’odore di alcool che gli usciva dalla bocca piegata in una smorfia.

 

<< Levami le mani di dosso, Scorpione, qui non sei a casa tua >>.

 

William sorrise malignamente.

 

<< Già, non sono a casa mia… Peccato che non me ne freghi un cazzo >> ribatté, << Come vedo giri ancora con una delle mie macchine… >>.

 

Nikodim sembrò non scomporsi.

 

<< Era roba nostra, quella >> disse, << Non puoi rivendicare niente, in territorio nemico. Già tanto che nessuno abbia ancora cercato di ammazzarti… Non puoi permetterti di fare in furbo, qui >>.

 

William alzò la pistola e gliela puntò alla tempia.

 

<< Tutte chiacchere, le tue >> ribatté, sapendo quanto il russo fosse codardo e quanto si appoggiasse alla protezione dei suoi connazionali, << Credo che se ti uccidessi, i tuoi amici non sarebbero poi tanto tristi, sai? Da quello che ho capito, vuoi solo prendere il posto della Lince, ma sei troppo coniglio per sperare di arrivarci, lo sanno tutti. In compenso ti piace rubare auto… Da vero viscido quale sei >>.

 

Nikodim deglutì, iniziando a mostrare un po’ di tensione.

 

<< Se sono le tue auto che rivuoi indietro, è rimasta solo quella >>. Fece un cenno verso la Mercedes, << L’altra l’ho venduta >>.

 

Lo Scorpione fece un sorrisetto.

 

<< No, non sono quelle che mi interessano >> rispose, << Rivoglio l’auto della mia ragazza, una Punto bianca, italiana e modificata. E la rivoglio adesso >>.

 

<< Non so niente di quella macchina >> si affrettò a dire Nikodim, << Non è colpa mia se la tua donna si è attirata… >>.

 

William non lo fece finire, perché lo sbatté violentemente contro il muro, sferrandogli un pugno nello stomaco. Nikodim gridò e tossì, e rimase in silenzio, tenendosi la pancia.

 

<< So che ci sei tu dietro quel furto >> ringhiò lo Scorpione, << Non cercare di fregarmi. Voglio sapere dov’è quella macchina, immediatamente, oppure ti faccio saltare le palle che ti sono tanto care per venire in questo stupido locale. Solo tu potevi rubare quella macchina, non negarlo >>.

 

Per fargli capire che non scherzava, gli sbatté il capo contro il muro di cemento, provocandogli una brutta escoriazione. Nikodim parve preso dal panico, e si agitò convulsamente.

 

<< Non era per me! >> gridò, << Era un furto commissionato, non so chi la abbia ora! >>.

 

<< Che vuol dire commissionato? >> ringhiò William.

 

<< Un tizio mi ha telefonato e mi ha pagato per rubare la macchina, ma non l’ho mai visto in faccia! >> spiegò Nikodim, gli occhi pieni di terrore, << Non so perché volesse quella macchina! >>.

 

William lo fissò in silenzio, irritato. In quella situazione il russo non stava mentendo, perché i suoi occhi sembravano sinceri e davvero terrorizzati. Se ciò che diceva era vero, le cose si complicavano.

 

<< Devo sapere chi è >> disse.

 

<< Non so il suo nome >>.

 

Lo Scorpione mise in moto il cervello, cercando il modo di ritrovare quello che aveva commissionato il furto. Si chiedeva se l’auto era ancora integra, se non era già stata smontata per venderne i pezzi…

 

<< Dove l’hai consegnata? >> domandò.

 

<< Nella zona industriale di Mosca >> rispose Nikodim, << Ma non la troverai lì… L’hanno già portata via >>.

 

<< Hai detto che ti ha telefonato >> disse William, << Dammi il tuo cellulare >>.

 

Nikodim esitò, e lo Scorpione glielo sfilò dalla giacca. Tenendo il russo sotto tiro di pistola, cercò nella cronologia le ultime chiamate ricevute: tutti numeri conosciuti, tranne uno. Gettò un’occhiata a Nikodim.

 

<< Bene, questo diventa mio, da adesso in poi >> disse, << Dammi le chiavi della macchina >>.

 

Il russo gliele porse e lui le afferrò.

 

<< Grazie >> disse malignamente.

 

Se non avesse rischiato di attirarsi le ire di tutti i russi di Mosca, lo avrebbe volentieri ucciso. E poi non era certo di poter ritrovare la Punto, con quelle poche informazioni che gli aveva estorto.

 

<< Dove posso trovare qualcuno che sappia accedere ai database delle compagnie telefoniche? >> domandò, secco.

 

<< Vai da Anthony Donowiv, vicolo Gurashenko >> rispose Nikodim, forse convinto che con lui avesse finito.

 

William gli gettò un’ultima occhiata.

 

<< Per il momento mi sei stato utile >> sussurrò, << Ma questo non toglie che non abbia più voglia di vederti in giro… >>.

 

Puntò la pistola alla tempia del russo, mentre quello chiudeva gli occhi, terrorizzato.

 

<< No… Aspetta, posso farti riavere anche le tue vecchie macchine… Se mi uccidi… >>.

 

Lo Scorpione premette il grilletto, ma l’unico rumore fu un piccolo clik che si perse nella notte. Non accadde niente, e Nikodim rimase immobile, un rivolo di sudore che nonostante il freddo gli solcò la fronte.

 

<< Questo serviva da avvertimento >> sussurrò William, << La prossima volta che ti azzardi a fare qualcosa a me o alla mia ragazza toglierò la sicura alla pistola, prima di spararti, sono stato abbastanza chiaro? >>.

 

Lo mollò di colpo, lasciando che si accasciasse a terra, e si voltò, diretto alla Bugatti.

 

<< Fra poco tornerò a prendere la Mercedes >> disse, << Quindi voglio che rimanga dov’è, ma tu sparisca immediatamente, mi spiego? >>.

 

Lanciò in aria le chiavi della Slk, riprendendole al volo, soddisfatto per come stavano andando le cose: forse avrebbe ritrovato l’auto di Irina prima di un paio di giorni. E prima gliela avrebbe riportata, prima l’avrebbe riavuta solo per lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 10.00 – Mosca, Appartamento di William

 

Trovare William sdraiato a dormire sul divano fu per Irina una scoperta inusuale: di solito si concedeva il massimo della comodità, e non rinunciava certo al lusso di dormire in un letto vero e soprattutto comodo. Ancora più strano fu trovare un paio di chiavi di una Mercedes appoggiate al tavolino, che scoprì essere di una Slk parcheggiata di sotto, con qualche anno di vita ma ancora in ottimo stato. E mistero era anche quello che lo Scorpione aveva combinato quella notte mentre lei dormiva tranquilla ed esausta.

 

<< E’ una vecchia auto che Nikodim mi aveva fregato qualche anno fa >> spiegò William, quando gli domandò da dove arrivava, << L’ho incontrato stanotte e ho avuto modo di riprendermela. Ti piace? >>.

 

Irina abbassò lo sguardo, mentre rispondeva: rifiutargli qualcosa la spaventava ancora.

 

<< Sì, ma… >> rispose solo.

 

William sorrise.

 

<< Lo so, non la vuoi, ma possiamo sempre usarla in caso di emergenza. Anzi, direi di venderla, e con i soldi che ci ricaviamo possiamo comprarne un’altra migliore >>.

 

Irina annuì stancamente, capendo che William voleva a tutti i costi trovarle un’altra macchina, e che non capiva quanto lei rivolesse solo la sua Punto. Da quel punto di vista non sarebbe mai cambiato.

 

<< Dove sei stato, stanotte? >> chiese.

 

<< In giro a fare un po’ di conoscenze >> rispose evasivo William, << Tu, hai dormito bene? >>.

 

Chiaramente lo Scorpione le nascondeva qualcosa, ma non aveva voglia di indagare e insistere troppo: forse era andato a bersi qualche birra dopo aver vinto una gara, festeggiando il trionfo da solo visto che lei si era addormentata.

 

<< Sì… Scusami, ma ero davvero stanca >> rispose, sedendosi a tavola, << Avrei dovuto… >>.

 

<< Non fa niente, ho approfittato della situazione per fare qualche ricerca tra i russi >> rispose William, tranquillo, << Avanti, vestiti, usciamo fuori a pranzo >>.

 

Irina lo guardò inarcando un sopracciglio.

 

<< Perché? >>.

 

William sorrise.

 

<< Perché mi va di portarti fuori, oggi >> rispose, avvicinandosi, << Voglio che ti dimentichi per un momento perché siamo qui >>. Le sfiorò il mento con le dita, guardandola negli occhi.

 

Irina sospirò.

 

<< Ok, mi preparo… >>.

 

Era tutto troppo strano, e lei non riusciva ad abituarsi a quel nuovo William gentile e premuroso sono nei suoi confronti. Per quanto si sforzasse, aveva sempre paura che da un momento all’altro tornasse il vecchio Scorpione, e che ripiombasse nuovamente nei suoi antichi incubi. Ultimamente era stata troppo sfortunata per poter sperare che non accadesse niente del genere.

 

Mentre si vestiva, l’occhio le cadde sulle chiavi della Ferrari California, nascoste sotto un mucchio dei suoi abiti dentro l’armadio, e il suo pensiero andò a Dimitri… Le aveva messo a disposizione la sua auto migliore, la preferita di sua sorella, e ciò significava davvero tanto: forse voleva farle capire che la stava ancora aspettando, che la porta del suo cuore era ancora aperta… Che quella notte durante la Mosca-Cherepova non era che stata la prima, per lui…

 

Scosse il capo, triste. Non avrebbe preso la macchina, sarebbe stato difficile non far insospettire William… E poi, non era nemmeno sicura di volerla, nonostante fosse una Ferrari. Dietro quell’auto si nascondevano troppe cose, troppi pensieri e troppi sentimenti.

 

Nascose meglio il mazzo di chiavi e si diresse in soggiorno, dove lo Scorpione la aspettava paziente, gli occhi verdi così diversi da quelli che aveva conosciuto. Aveva la sensazione che forse il passato non era poi così lontano, che in qualche modo qualcosa si stava ripetendo… Qualcosa che riguardava lei, lei e basta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 14.00 – Mosca, Appartamento di Dimitri

 

<< Odio stare con le mani in mano >>.

 

Xander pigiò violentemente il mozzicone della sigaretta nel posacenere, sollevando una nuvoletta di fumo, gli occhi che si spostavano dal televisore acceso alla finestra, come se da un momento all’altro volesse buttarsi di sotto, in preda all’esasperazione.

 

<< Non si muove nulla, Went, e non ci muoviamo neanche noi >> disse Dimitri, secco.

 

Stava appoggiato al tavolo, sorseggiando un bicchiere di whiskey gelato, e i suoi occhi di ghiaccio erano imperscrutabili, mentre lo fissava spegnere l’ennesima sigaretta della giornata.

 

Xander non era un fumatore, e di solito prendeva in mano una sigaretta quando lo richiedevano le circostanze. In quel caso, però, il suo nervosismo aveva raggiunto il livello tale da fargli finire un pacchetto di Marlboro in una mattinata, cosa che non gli era mai capitata. Persino Dimitri aveva smesso di stuzzicarlo, per evitare che perdesse la testa.

 

Aspettare non era mai stato il suo forte, ma in questo caso la situazione era ancora peggiore: non sapevano né cosa stessero aspettando, né se mai si sarebbe verificato. Semplicemente, erano chiusi in casa a immaginarsi tutti i possibili scenari in cui poteva evolversi la situazione in cui si trovavano, senza poter agire.

 

La Lince si era eclissata, Irina aspettava una sua telefonata, e Challagher stava tranquillamente a spasso per Mosca. E loro erano lì ad aspettare che qualcuno gli dicesse che fare.

 

<< Succederà tutto insieme >> disse il russo, quasi a stesso, << Quando la Lince si farà viva, si scatenerà l’inferno. Dovremo essere più che pronti, in quel caso. Dovremo incastrare Challagher e la Lince in un colpo solo, e sono sicuro che Buinov uscirà allo scoperto proprio in quel momento… >>.

 

<< Sappiamo già come andranno le cose >> borbottò Xander, << Buinov è tuo, lo so. Peccato che sembra che si siano eclissati tutti >>.

 

Dimitri gli rivolse un’occhiata.

 

<< E’ proprio questo il problema, Went >> disse, serafico, << Questa è la quiete prima della tempesta >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 24.00 – Mosca, Appartamento di William

 

Lo Scorpione chiuse la porta della camera da letto delicatamente, Irina che dormiva nel silenzio assoluto, la spalla nuda che spuntava dal lenzuolo, e si abbottonò l’ultimo bottone della camicia. Recuperò velocemente le sue armi e scese di sotto, pronto al recupero della Punto.

 

Aveva avuto l’informazione che gli serviva: l’auto di Irina era finita nelle mani di un meccanico russo che ne aveva commissionato il furto per chissà quali motivi, e che stava nella parte sud di Mosca. Gli avevano dato anche l’indirizzo, quindi sapeva bene dove trovarlo.

 

Con la radio a tutto volume imboccò la sopraelevata che lo avrebbe portato rapidamente dall’altra parte della città, sentendosi stranamente euforico. Non era certo di riavere indietro la Punto, ma nel bagagliaio aveva tutto il necessario per trainarla fino a casa e risparmiarsi il doppio giro in taxi che aveva dovuto fare con la Mercedes.

 

Mentre procedeva a velocità sostenuta, vide brillare qualcosa nello specchietto retrovisore. Lo fissò, cercando di capire se potesse trattarsi di un’auto della polizia, ma non vedeva lampeggianti.

 

Quando si avvicinò abbastanza, vide che era un’auto strana, piccola, che non riuscì a riconoscere. Il suono del suo motore era però chiaramente potente, quello di una sportiva. Riuscì a distinguerne appena il colore, rossa, che poi sparì svoltando per uscire dalla sopraelevata.

 

Scrollò le spalle, quindi procedette diritto, sentendosi stranamente tornare indietro nel tempo: quando stava a Los Angeles spedizioni punitive del genere erano piuttosto frequenti. In quanto Scorpione doveva far capire chi comandava, e non c’era niente di meglio che piombare armato fino ai denti in casa di qualcuno. A volte si era divertito, soprattutto se c’era Dimitri con lui: il russo non si faceva scrupoli a usare le maniere forti, se ce n’era bisogno.

 

Pensare al Mastino gli fece montare la rabbia in corpo: era un traditore anche lui, alla fine. Forse aveva aiutato Irina a liberarlo, ma era stato comunque lui a farlo finire dietro le sbarre…

 

Trovò il palazzo che cercava poco dopo: era un edificio alto, piuttosto mal messo, e molte delle finestre erano sprangate. Al pian terreno c’era un’insegna consunta che indicava la presenza di un’officina meccanica.

 

Parcheggiò l’auto e scese, dandosi un’occhiata in giro. Come sempre a quell’ora la via era deserta, e la maggior parte della gente sembrava dormire. Raggiunse il portone di ingresso, entrò e salì lentamente le scale.

 

Il tizio si chiamava Nazar Juglarav, e da quello che sapeva faceva il meccanico di auto modificate a tempo pieno. Il suo lavoro gli permetteva di avere abbastanza soldi per commissionare il furto di un’auto a Nikodim, ma non capiva perché avesse scelto proprio la macchina di Irina.

 

Mentre saliva le scale, preparò la pistola, e una volta davanti alla porta suonò, in attesa.

 

Sapeva benissimo che nessuno gli avrebbe mai aperto a quell’ora, nemmeno se il tipo che stava cercando fosse un vero e proprio idiota. Suonare gli serviva solo per dargli un avvertimento, e la possibilità di farsi avanti senza le minacce.

 

Come aveva previsto, nessuno venne ad aprire. Puntò la pistola contro la maniglia, accertandosi che il silenziatore fosse al suo posto, e premette il grilletto.

 

La serratura saltò via in un colpo solo, e di lei non rimase altro che un buco concentrico nel legno di scarso valore della porta. William diede una spinta decisa ed entrò.

 

La casa era vecchia, mal arredata e aleggiava uno strano odore di chiuso. Si guardò intorno, scoprendo di essere nel soggiorno, e non sentì alcun rumore a parte quello di qualcuno che russava sonoramente nella camera da letto.

 

Infastidito dalla situazione, lo Scorpione si diresse verso la stanza, trovando un uomo di circa quarant’anni che dormiva in un letto dalle lenzuola sfatte, borbottando nel sonno. Sembrava stesse sognando di essere a una festa, o qualcosa di simile.

 

William batté violentemente il calcio della pistola sul muro, facendo più rumore possibile.

 

<< Svegliati, idiota! >> gridò, << Hai un’auto da ridarmi indietro! >>.

 

Il tizio si alzò di soprassalto, annaspando con le braccia, e lo Scorpione gli puntò la pistola addosso.

 

<< Fermo dove sei >> ringhiò, << Tieni le mani bene in vista, altrimenti ti faccio secco subito >>.

 

L’uomo lo fissò con sguardo vacuo.

 

<< Chi diavolo sei? >> chiese.

 

<< William Challagher >> rispose lo Scorpione, << E tu hai commissionato il furto di un’auto. L’auto della mia ragazza >>.

 

Nazar fece per muoversi, ma William lo fermò.

 

<< Ti ho detto di non muoverti. Se mi conosci di fama sai che non scherzo >>.

 

<< Senti >> cominciò Nazar, << Non sapevo che l’auto fosse quella della tua ragazza… E’ solo una stupida utilitaria, non credevo che… >>.

 

<< Sta zitto >> ringhiò William, avvicinandosi e tenendolo sotto tiro con la pistola. << Non voglio sentire le tue giustificazioni inutili… Dov’è la macchina? >>.

 

<< Non c’è l’ho, l’ho smontata… >> rispose Nazar.

 

William arricciò il labbro: non era pienamente convinto di quello che stava dicendo, e comunque voleva una conferma personale.

 

<< Vestiti >> ordinò, secco, << Andiamo nel tuo garage. Mi farai vedere >>.

 

Circospetto, Nazar si infilò un paio di jeans e una felpa, poi esitò.

 

<< Muoviti. Non ho tempo da perdere >> disse William.

 

<< Senti… >>.

 

<< Ho detto muoviti >>.

 

Lentamente, Nazar uscì dalla stanza, prese un mazzo di chiavi da una cassetta appesa al muro e lo condusse di sotto, usando l’ascensore vecchio e cigolante.

 

<< Come hai fatto a sapere che ero stato io? >> chiese.

 

<< Sono lo Scorpione, posso sapere tutto ciò che voglio >> rispose William.

 

Nazar tacque, e le porte dell’ascensore si aprirono su un lungo corridoio di cemento. Lo percorsero fino in fondo, per ritrovarsi all’interno dell’officina buia.

 

Il russo premette l’interruttore, e il locale venne illuminato a giorno. La sagoma di un’auto era nascosta da un telo bianco, mentre tutto il resto era ben in vista: carrelli, attrezzi da lavoro, pneumatici usati, pezzi di ricambio, un ponte per sollevare le macchine. Due bombole di NOS erano appoggiate al muro, insieme a un vecchio alettone arrugginito. Era chiaramente l’officina di un meccanico clandestino.

 

<< E’ quella, immagino >> disse William, indicando l’auto coperta. << Togli il lenzuolo >>.

 

Nazar scostò il pezzo di stoffa, scoprendo la Punto ancora tutta intera: un po’ malconcia, ma non sembrava certamente essere stata fatta a pezzi per essere rivenduta. Nazar aveva mentito.

 

<< Cosa volevi farne? >> domandò.

 

<< Venderla per intero a qualche collezionista >> rispose il russo.

 

William si accorse che qualche pezzo dell’auto era stato cambiato: probabilmente la stava rimettendo a posto per poter tirare sul prezzo.

 

Sorrise. Nella testa gli si formò un piano perfetto, e inoltre capì di essere stato molto fortunato.

 

<< Sostituisci il vetro rotto e i fari scheggiati >> ordinò, << E dai una pulita a quel paraurti >>.

 

Nazar sembrò non capire. Lo guardò sbalordito.

 

<< Ma… >>.

 

William agitò la pistola.

 

<< Rimetti a posto quell’auto, adesso >> ringhiò, << Oppure ti sparo, chiaro? >>.

 

Nazar non se lo fece ripetere due volte, e rimanendo sotto tiro iniziò a lavorare alacremente. William si sedette su una sedia sgangherata in un angolo, la pistola sempre bene in pugno.

 

Sarebbe stato un lavoro lungo, ma doveva rendere la Punto utilizzabile, in modo che Irina potesse usarla per fare una gara, se avesse voluto. Nazar aveva sicuramente i pezzi di ricambio necessari, visto che aveva iniziato a metterla a posto.

 

Guardò il russo lavorare, cercando di immaginare la faccia di Irina quando avrebbe riavuto la sua Punto… Sorrise al pensiero che probabilmente si sarebbe guadagnato il suo affetto per il resto dei suoi giorni. Ora che la capiva alla perfezione, sapeva che quello era il regalo più grande che poteva farle e l’unico che lei avrebbe davvero accettato.

 

Forse fu per il fatto che era minacciato da una pistola, ma Nazar ci mise decisamente poco. All’alba aveva già finito tutto, e il sudore gli colava dalla fronte prominente.

 

Lo Scorpione esaminò il lavoro, poco soddisfatto: rimanevano ancora un sacco di righe, scheggiature e piccole ammaccature che ricordavano quante ne avesse passate quell’auto. Niente che però non si poteva mettere a posto con poco.

 

<< Uhm… >> fece, << Deludente… E tu saresti un meccanico di auto modificate? >>.

 

<< Ehi, come ti permetti? Abbassa quella pistola, ho fatto tutto quello che volevi! >>.

 

William lo fissò, un sorrisetto maligno sul volto.

 

<< Hai fatto anche troppo, se per questo >> disse, << Mi dispiace, ma non avresti mai dovuto far rubare l’auto della mia ragazza >>.

 

Senza nessun preavviso, premette il grilletto della pistola. Lo sparò venne soffocato dal silenziatore, ma il tonfo del corpo di Nazar che crollava a terra fu ben udibile. Senza alcuna emozione William si accertò di averlo colpito dritto al cuore, poi rimise l’arma in tasca.

 

Non conosceva la parola perdono, soprattutto quando si trovava in un territorio come quello, dove doveva continuamente guardarsi le spalle e dimostrare che non scherzava. Doveva far capire a quei russi che lui era ancora lo Scorpione, e che era meglio non mettersi contro di lui. Uccidere chi aveva cercato di fregarlo sarebbe stata un’ottima dimostrazione.

 

Controllò che ci fossero le chiavi nel cruscotto della Punto e le diede un’ultima occhiata: non gli andava di riportarla così, ancora mezza ammaccata. Sicuramente avrebbe trovato qualcuno che gliela avrebbe fatta riavere come nuova entro sera, bastava avere il denaro giusto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 21.00 – Mosca, Appartamento di William

 

Irina osservava l’orologio appeso alla parete ticchettare, la lancetta dei secondi che compiva i suoi giri sempre più lentamente. Il suono del telegiornale trasmesso dalla televisione, tutto in russo, rompeva il silenzio del soggiorno. Batteva le dita contro il bracciolo del divano, in attesa.

 

Non sapeva dove fosse andato William: sapeva solamente che aveva ricevuto una telefonata, ed era uscito senza dare spiegazioni. La cosa la rendeva nervosa, perché se lo Scorpione le nascondeva qualcosa non era un buon segno…

 

Cercò di capire se avesse fatto qualche passo falso, ma non le sembrò di aver sbagliato. William non poteva aver intuito qualcosa, visto che non aveva avuto contatti con nessuno, nemmeno Dimitri, in quei giorni.

 

Forse aveva trovato le chiavi della Ferrari? No, le aveva nascoste tra i vestiti, ed era certa che non le avesse viste…

 

In quel momento sentì muoversi qualcosa fuori dalla porta d’ingresso, poi William entrò, gettandole un’occhiata perplessa.

 

<< Mi stavi aspettando? >> domandò.

 

Irina annuì.

 

<< Non sapevo se saresti tornato per cena… >>.

 

<< Allora mangiamo, visto che sono qui >> disse lui.

 

Irina andò in cucina, accorgendosi che in effetti William sembrava un po’ strano. Preoccupata, cercò di capire cosa gli passasse per la testa, ma lo Scorpione sembrava imperscrutabile. Un paio di volte lo sorprese a gettarle un’occhiata divertita, mentre mangiavano, ma non capì cosa avesse.

 

Una volta finito, sparecchiò velocemente, sempre più a disagio. Qualcosa non andava, ne era certa. William aveva parlato decisamente troppo poco.

 

A un certo punto, mentre lavava i piatti nel lavandino, sentì qualcuno prenderla alle spalle e metterle davanti agli occhi una benda. Terrorizzata, rimase immobile, il cuore che iniziava a battere all’impazzata.

 

<< Vorrei che tu mi seguissi fin sotto… >> le sussurrò William nell’orecchio.

 

“Mi ha beccatapensò Irina, sudando fredda.

 

Non era riuscita a fregarlo di nuovo…

 

<< William… >> iniziò, cercando di capire se potesse avere una via di fuga…

 

<< Tranquilla. Devi solo fidarti di me >> disse lo Scorpione.

 

Era strano, ma Irina non percepì minaccia nella sua voce. Nascondeva qualcosa, ma forse non quello che pensava lei…

 

Si lasciò condurre fin sotto, gli occhi bendati, il cuore che batteva sempre più forte. Se William aveva scoperto tutto, l’avrebbe uccisa. Ed era sicura lo avrebbe fatto nel peggiore dei modi che era riuscito a trovare…

 

<< Adesso ti toglierò la benda, ma rimani ancora per qualche istante con gli occhi chiusi, ok? >> disse William.

 

<< Ok… >>.

 

Irina sentì che la benda le veniva sfilata, e dalla vaga luce che scorgeva oltre le palpebre chiuse capì che dovevano trovarsi in garage… Che aveva in mente William?

 

Sentì qualche movimento intorno a lei, poi…

 

<< Apri gli occhi >>.

 

Quando fu in grado di vedere, non si ritrovò davanti William con la pistola puntata verso di lei. Ciò che vide la lasciò letteralmente a bocca aperta, paralizzata.

 

Davanti a lei c’era la sua Punto, perfettamente rimessa a nuovo.

 

Per un attimo credette di aver sbagliato, di avere un’allucinazione, ma William la spinse delicatamente verso l’auto, come per farle capire che poteva toccarla, che era vera. Dopodiché Irina corse verso la Punto, sfiorando con le dita la carrozzeria liscia e lucida, rendendosi conto che era veramente la sua, che non era una copia…

 

Sentì il cuore scoppiare di gioia, e quasi le venne da piangere. La sua macchina era di nuovo con lei, la sua fedele compagna era tornata… Era di nuovo Fenice, la numero tre della Black List.

 

Si mise al volante, trovando le chiavi nel cruscotto, e solo allora ricordò immediatamente quello che era appena accaduto. Il sedile, troppo lontano dai pedali per lei, le rammentò che quel miracolo era opera di qualcuno…

 

Guardò lo Scorpione, appoggiato al muro a guardarla con un sorriso divertito sul volto, e uscì dall’auto, dandosi dell’idiota.

 

<< Come hai fatto? >> domandò, senza avvicinarsi.

 

<< Fatto cosa? >> disse lui, noncurante, << Come ho fatto a ritrovare la tua auto? >>.

 

Irina annuì.

 

William scrollò le spalle.

 

<< Basta cercare e avere qualche soldo da parte >> rispose.

 

Irina rimase in silenzio. Lo Scorpione aveva fatto qualcosa che non era da lui, che il William ai tempi della Black List non avrebbe mai desiderato fare. Non gliene sarebbe mai importato nulla, della sua macchina. Una volta l’aveva anche distrutta, le aveva dato fuoco per togliere a lei la libertà… E ora, ora gliela riportava, rimessa a nuovo, pronta per correre.

 

<< Perché? >> chiese solo.

 

William divenne serio.

 

<< Perché? Perché rivolevo il tuo sorriso. Rivolevo l’Irina che si faceva chiamare Fenice. Rivolevo l’unica cosa che mi è davvero rimasta, a qualunque prezzo >>.

 

Per quanto Irina avesse capito che lo Scorpione era cambiato, non era pronta per quelle parole. Non era pronta a sentire William parlare in quel modo. Non era pronta a sentirsi dire di essere l’unica cosa che le era rimasta.

 

Allora capì che forse, forse ciò che c’era tra loro era più una finta. Che forse, quello che lei aveva simulato in quel momento, poteva diventare reale, se William fosse cambiato per intero e definitivamente. Forse era perduto, dopo tutto.

 

Si avvicinò, guardando quegli occhi verdi, cercando dentro di loro la menzogna, la rabbia, l’odio, ma trovò solo la verità, nient’altro. William non le mentiva più, non lo voleva fare.

 

<< Will… >> sussurrò, sentendo che la prendeva per i fianchi.

 

Lui sorrise.

 

<< Forse le persone cambiano davvero, bambolina… Anche quelle come me >> disse.

 

Poi le diede un bacio a fior di labbra, spingendola nuovamente verso la macchina.

 

<< E adesso vai, vai a farti un giro >> disse, divertito, << Ti lascio qualche minuto di vantaggio >>.

 

Irina lo guardò, completamente confusa: era come se le avesse letto dentro la testa. Possibile?

 

Poi gli sorrise, e salì sulla Punto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Allora, allora, allora…

Qui in molti chiedono di un possibile “ritorno”, di una terza fic che renda le avventure di Irina & Co. una trilogia… Lo ammetto, ci ho pensato, per un folle istante, anche più di uno forse. Ma per il momento mi tocca deludervi: non ho in progetto nessuna terza storia, purtroppo. Motivazioni? Bé, prima di tutto il tempo: scrivere non è un’attività particolarmente faticosa, ma se si vuole tirare fuori qualcosa di decente bisogna passarci molto tempo sopra, e io non credo di averne molto, nei prossimi mesi/anni/decenni… Come vedete, con Russian Roulette sono andata avanti più di quanto avevo previsto, continuando a promettere aggiornamenti rapidi che non sono riuscita a portare a termine. Non mi piace fare promesse e non mantenerle, e odio far aspettare la gente. Secondo, e non meno importante, avrei un paio di progettini che mi frullano in testa, uno piuttosto recente, e l’altro decisamente “vecchio”, per così dire: una cosa che desidero scrivere da almeno otto anni, ma che è talmente complessa che per un po’ ho accantonato. La vera ragione per cui ho iniziato a scrivere, e poi ho trovato il coraggio di pubblicare. La mia sorta di “capolavoro” (che capolavoro non è, ma mi concedo di definirlo così). Lontano anni luce da quello che ho scritto ora, per genere, stile, trama. In effetti, non ci azzecca assolutamente nulla con tutto quello che ho scritto. Ma questa è un’altra storia, quindi si vedrà. (Magari per tastare il terreno pubblicherò qualcosa al riguardo, magari una one-shot, non si sa mai nella vita, no?).

Quindi, difficilmente rivedrete Irina e il resto della brigata, dopo la fine di questa storia. La tentazione è forte, adoro Irina e il suo mondo, ma credo di aver bisogno di “cambiare aria” per un po’… E poi, il gioco è bello quando dura poco, no?

Poi… Tutti mi implorano di non uccidere Dimitri. Naturalmente, anche qui tutto può succedere, ma è un evento molto remoto, quindi credo possiate dormire sonni tranquilli. Quanto alla fine della storia, ci sono ancora diversi capitoli, quindi anche qui tranquilli: rimarremo insieme ancora un po’.

 

Elienne: ah, Dimitri. Quasi nessuno lo calcolava, nel Gioco dello Scorpione, e adesso… Si, ha fascino. Molto. Credo di aver risposto alle tue domande sopra, così da togliere il dubbio un po’ a tutti. Per il resto, come vedi la storia della Punto si è risolta, ma chiaramente c’è ancora qualcosa di strano, non credi? Ti ringrazio infinitamente per le recensioni!!! Baci!

 

Jey_Jules: benvenuta! Sono contenta che tu abbia apprezzato le mie storie, e per tutti i complimenti. Mi fanno sempre piacere, anche se rimango sempre con i piedi per terra. Cerco di dare il massimo quando faccio muovere i miei personaggi, infatti so di essere appena sufficiente per quanto riguarda le descrizioni dei luoghi: ma sono i personaggi a fare la storia, e per il momento nessuno si è lamentato troppo! Sono sempre work in progress, migliorare è il mio dovere! Continua a seguirmi anche se non lasci recensioni, l’importante è che tutto questo ti piaccia! Baci!

 

Dicembre89/Lorena: ah ah ah, lo so, Nina si è beccata la lezione che si meritava, nientemeno che da William lo Scorpione! Nessuno lo avrebbe mai immaginato, ed è proprio per questo che è fantastico! Penso di essermi divertita più di tutti, scrivendo la scena: Nina non è simpatica neppure a me! E che dire, Dimitri è sempre più “tenerone”… Lo sto adorando anche io, ma Irina è Irina… Chissà. Mai dire mai, no? Baci grandi grandi!

 

Jede: salve! Quanti complimenti, mi fanno andare in brodo di giuggiole! Ti ringrazio infinitamente, e mi auguro di riuscire a tenerti incollata fino alla fine anche a questa storia! Se vuoi fammi sapere cosa ne pensi! Bacioni!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 43
*** Capitolo XLIII ***


Capitolo XXXXIII

Capitolo XLIII

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 23.00 – Mosca, Zona Nord

 

Irina inchiodò la Punto sulla linea di partenza, sentendo le ruote fischiare sull’asfalto, la gente intorno che borbottava e la fissava sprezzante, infastidita dalla sua vittoria. Lasciò raffreddare gli animi, prima di scendere per andare a incassare il suo premio.

 

Era stata una gara facile: era mercoledì, e la maggior parte dei piloti clandestini non si faceva vedere. Era il sabato che si scatenavano, e ora che Irina riaveva la sua Punto non vedeva l’ora di prendere parte alle corse vere, quelle a cui era abituata un tempo. Da quando riaveva la sua macchina, la voglia di competere le era tornata, più forte e travolgente di prima.

 

L’aria fredda della notte le diede un’ulteriore carica, e a passo deciso si diresse verso Boris, un ghigno soddisfatto sul volto.

 

<< Ottima gara, Fenice >> disse solo lui, porgendole il denaro. Chiaramente non sembrava felice per la sua vittoria, ma fare buon viso a cattivo gioco era il suo mestiere.

 

Irina lo prese, sentendosi strana, e con un cenno del capo lo ringraziò. Senza aggiungere niente si voltò e si diresse verso la Bugatti nera parcheggiata un po’ in disparte, dove William la aspettava, un sorrisetto dipinto sul volto e le braccia incrociate.

 

<< Quanto mi piace, quando fai la dura… >> disse, divertito.

 

Irina gli sorrise. Non sapeva cosa stava accadendo tra loro due, ma sapeva che William le aveva riportato la sua Punto, e in qualche modo le aveva ridato speranza. Aveva fatto qualcosa per cui gli sarebbe stata grata per sempre, al di là di tutto quello che era accaduto tra loro nel passato.

 

Gli porse il denaro, ma lui fece cenno di no con la testa.

 

<< Adesso mi faccio io una gara. Domani avremo un bel gruzzolo da spendere >> rispose.

 

Le schioccò un bacio sulle labbra, poi aggiunse: << Aspettami qui, non scappare, bambolina >>.

 

Irina annuì e lo guardò portare la Bugatti sulla linea di partenza. Sarebbe stata una gara facile per lui, esattamente come lo era stata per lei. Mettere qualche soldo da parte avrebbe potuto tornargli comodo…

 

Con la coda dell’occhio vide qualcosa muoversi un centinaio di metri più avanti, e l’inconfondibile Audi R8 color carbonio di Dimitri fece capolino per un istante, riportandola immediatamente alla sua missione. Si guardò intorno preoccupata, ma appena sentì il rombo dei motori delle auto che partivano, si infilò nel vicolo più vicino e come aveva immaginato l’Audi era già lì, ferma e a fari spenti.

 

<< Hai qualche notizia da darmi? >> domandò subito lei, vedendo Dimitri scendere dall’auto serio. Ormai era abituata a incontrarlo in quel modo, quindi non gli rimproverava più né l’avventatezza né la pericolosità di trovarsi così vicino ai russi e allo Scorpione.

 

<< No, a parte che Challagher ha ammazzato un meccanico per riavere la tua macchina >> rispose Dimitri, quasi seccato, << Immagino che questo non lo avessi calcolato… >>.

 

Irina rimase di sasso, e improvvisamente ricordò esattamente chi era William e ciò che era stato… Aveva ucciso, e lei aveva dimenticato tutto quello solo perché le aveva ritrovato la sua macchina. In più, aveva ammazzato per riportarle la Punto. Chiunque fosse la vittima, anche se lei non la conosceva, si sentì profondamente in colpa. Era stata decisamente egoista, non preoccupandosi di come lo Scorpione fosse riuscito a ritrovare, riportare e mettere a posto la sua auto.

 

Dimitri la guardò come se fosse irritato dal fatto di dovergli dare quella notizia. O forse c’era qualcos’altro sotto?

 

<< Sei venuto per questo? >> domandò lei alla fine, per togliersi di dosso quella sensazione che improvvisamente le era piombata addosso.

 

Il russo fece una smorfia infastidita.

 

<< Sono venuto perché Went voleva che te lo dicessi >> rispose, e Irina capì perché era così seccato, << Ritiene che questo possa metterti in guardia >>.

 

Si guardarono in faccia per qualche istante, poi lei scosse il capo.

 

<< Perché non è venuto di persona? >> chiese.

 

William si produsse in un ghigno.

 

<< Sembra strano dirlo, ma crede che tu dia più ascolto a me, che a lui >> rispose Dimitri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Xander rimase in disparte, a guardare la scena da lontano. Vide Irina parlare con Dimitri, e si rese improvvisamente conto che aveva bisogno di parlarle anche lui. Non per darle dei consigli, per metterla in guardia, ma semplicemente per chiederle scusa. Ci aveva pensato più volte, ma ora capiva che era fondamentale che lo facesse il prima possibile.

 

D’un tratto, la vide voltarsi e guardare verso la sua parte. Forse il russo le aveva detto che c’era anche lui, e che era sua anche l’idea di dirgli dell’omicidio di Juglarav. Credeva fosse giusto che sapesse cosa era successo…

 

Senza pensare, Xander scattò in avanti e li raggiunse senza farsi vedere dai russi, che sembravano concentrati sulla gara. In un attimo fu nel vicolo, a due metri da Irina, sapendo che si stava mettendo nei guai in tutti i sensi.

 

Però doveva ammetterlo, rivederla adesso gli dava una strana sensazione: non se la ricordava così adulta, né così bella. O forse era semplicemente il fatto che finalmente aveva imparato a vederla per quello che era davvero.

 

<< Ciao, Xander >> lo salutò Irina, né sorpresa né arrabbiata, come se anche lei si fosse dimenticata che l’ultima volta che si erano parlati era stato durante la Mosca-Cherepova, quando l’aveva piantato e poco dopo lui era finito tra le braccia di Nina.

 

<< Ciao Irina >> fece lui, leggermente imbarazzato.

 

Qualcosa li distrasse entrambi, e insieme si voltarono a guardare Dimitri che risaliva sull’Audi R8 con l’aria distaccata. Un lampo di preoccupazione passò sul volto di Irina per un attimo, come se la reazione del russo fosse legata a qualcosa che lei conosceva.

 

<< Non fatevi beccare >> disse solo Dimitri, sparendo poi sulla strada, il motore dell’auto al minimo.

 

Xander tornò a guardare Irina, sollevato dal fatto che Dimitri se ne era andato: non gli andava di dire quello che aveva da dire davanti al russo, anche se sapeva che in qualche modo l’ex Mastino aveva già capito tutta la situazione. Irina sembrò vagamente turbata.

 

<< Ho poco tempo, Xander >> disse a bassa voce, e il suo tono era calmo. Non era spazientita, ma stava semplicemente dicendo che aveva imparato a fare l’agente dell’F.B.I., e che quindi era al corrente di tutti i rischi di quel contatto.

 

<< Lo so >> ribatté lui, << Non avevo programmato di incontrarti, ma penso che questa potrebbe essere l’unica occasione che ho per dirti quello che penso, prima che tutto questo finisca… >>.

 

Irina annuì.

 

<< Mi dispiace >> disse Xander, di getto, << Mi dispiace per come sono andate le cose. Sono stato stupido… Sono stato un vero idiota. Avrei dovuto lasciarti fare, visto anche come sono andate le cose… Fare l’agente dell’F.B.I. da più anni di te non è servito a farmi capire che avevi ragione tu, né che mi sono comportato da bambino viziato. E soprattutto, mi dispiace per la storia di Nina >>.

 

Aveva parlato con voce ferma, sicura, perché mai come allora era certo di ciò che stava dicendo. Aveva capito, e non si vergognava più ad ammettere che aveva sbagliato. Era pronto a sorbirsi la ramanzina, e soprattutto non si aspettava nessun perdono.

 

Irina rimase a guardarlo in silenzio per alcuni istanti, come se non sapesse bene cosa dire. Alla fine disse, a bassa voce: << E’ stata la convivenza con Dimitri a farti cambiare idea? >>.

 

Xander non capì subito, poi si rese conto che era una battuta. Irina stava sorridendo impercettibilmente.

 

<< No, lui non è per niente d’aiuto >> rispose, << Non fa altro che fare battutine o allusioni varie… E dovresti sapere meglio di me che non è mister simpatia >>.

 

Irina annuì, poi si fece seria.

 

<< Perché sei tornato? >> domandò, << Mi avevano detto che avevi intenzione di abbandonare la missione… >>.

 

Probabilmente sapeva già la risposta, ma voleva sentirla da lui.

 

<< Ho deciso di rimanere quando ho saputo che Challagher era qui >> rispose, << Era una questione di principio: io l’ho arrestato la prima volta, e io lo farò tornare in cella. E poi tu dovevi occuparti della Lince, quindi ci voleva qualcuno che lo tenesse d’occhio… >>.

 

Irina sembrò capire dove volesse arrivare.

 

<< La mia è stata una scelta presa di getto, Xander, ma una scelta consapevole >> disse, << O facevo saltare tutto, oppure fingevo di stare di nuovo con lo Scorpione. Non credevo funzionasse, ma William sembra credermi. Devo sfruttare la situazione finché non avremo catturato la Lince, per quanto mi costi >>.

 

Xander capì, perché sapeva cosa comportava essere la donna dello Scorpione. Sapeva che Irina stava facendo uno sforzo enorme, che stava affrontando qualcosa che aveva creduto di non dover sopportare mai più… Sapeva che doveva andare a letto con Challagher, ne era consapevole, e nonostante rodesse di gelosia fin dentro le ossa, cercava di non darlo a vedere: non ne aveva il diritto, visto che non stavano più insieme.

 

<< Ti… Ti sta facendo del male? >> domandò, incerto. Era una domanda stupida, se ne rendeva conto, ma che altro poteva chiederle, quando era preoccupato per la sua incolumità?

 

Irina scosse il capo, triste.

 

<< No >> rispose, << Sono io che sto facendo del male a lui >>.

 

Xander fece una faccia stranita.

 

<< Non mi aspetto che tu capisca >> aggiunse Irina, e il suo tono non era di superiorità, ma quello di una semplice constatazione, << Nessuno ci riuscirebbe, ne sono sicura. Ma credimi, mai come ora so quello che sto facendo… E so esattamente cosa comporta >>.

 

Era chiaro che Irina non voleva che insistesse su quell’argomento, ma lui non ne aveva l’intenzione. Finché la sua scelta era consapevole e ragionata, lui non ci avrebbe più messo il naso. Meglio stare al proprio posto, che rischiare di rovinare ancora di più il loro rapporto.

 

<< Anche io >> disse, << E mi dispiace solo per ciò che devi passare. E’ una decisione tua, non mi intrometterò >>.

 

Irina sembrò colpita dalla sua ultima affermazione, come se da lui non si aspettasse una frase del genere. Xander sorrise, facendole capire che non era l’unica stupita dalla cosa.

 

<< Ti fa bene stare da solo >> commentò lei, divertita.

 

Xander si strinse nelle spalle.

 

<< Sarà la presenza di Dimitri… >>.

 

Irina si voltò a guardare verso l’arrivo della gara, leggermente preoccupata.

 

<< Comunque, accetto le tue scuse, Xander >> disse, << Quello che è successo è colpa di entrambi: non ci siamo capiti, e non abbiamo nemmeno fatto lo sforzo di provarci… >>.

 

<< Non la storia di Nina >> si affrettò a dire Xander, << Lì è solamente colpa mia. Sono caduto nel suo sacco come uno sciocco… >>.

 

Irina sembrò fare un sorriso amaro, e lui non capì se era il ricordo della ragazza a farla stare male, o qualcos’altro.

 

<< Ognuno di noi due ha le proprie colpe >> disse lei, << Ma non è tormentandoci su quel punto che troveremo una soluzione… Non mi interessa più che tu sia andato a letto con Nina. So cosa significa… >>.

 

Di fronte all’occhiata di Xander, Irina si fece seria, quasi risoluta.

 

<< Dimitri non te lo ha detto, perché preferiva che lo facessi io >> aggiunse, << Siamo stati a letto insieme, Xander. E lo volevamo entrambi >>. Sottolineò quasi le ultime parole, come se volesse far intendere che nessuno aveva costretto nessuno.

 

Xander rimase di sasso: in qualche modo lo sapeva già, era stata una delle ipotesi che aveva fatto, ma sentirselo dire da Irina così, in quattro e quattr’otto, lo lasciava senza parole.

 

In un lampo, una serie di immagini di Irina e Dimitri gli balenò nella testa, facendogli accelerare i battiti del cuore, il sangue che scorreva nelle vene quasi bollente… Ora si spiegavano le battutine del russo, e quella strana alchimia che sembrava essersi creata tra i due…

 

Xander deglutì, trasse un respiro profondo e mantenne la calma. Diede prova di un autocontrollo di cui non credeva essere capace, e guardò Irina con serietà, mentre decine di pensieri gli scorrevano per la testa.

 

Avevano fatto entrambi la stessa cosa, ma era stato lui a cominciare. E aveva imparato che prima di giudicare gli altri, bisognava giudicare se stessi.

 

<< Come hai detto tu, ognuno ha le sue colpe >> disse piano, << Vorrei solo sapere se è stata questione di una notte, oppure… >>.

 

Irina sorrise impercettibilmente mentre rispondeva.

 

<< Una notte e basta, Xander. Io e Dimitri non stiamo insieme, e non ho lasciato te per lui. E’ successo, forse esattamente come è accaduto a te con Nina… Sono quelle cose che succedono e non te le sai spiegare. Non prendertela con Dimitri, non è colpa sua >>.

 

Fece per allontanarsi, perché la gara stava per finire, ma Xander la fermò ancora un attimo.

 

<< Aspetta >>. Irina si voltò a guardarlo, gli occhi da cerbiatta in attesa. << Credi che possiamo incontrarci ancora, per parlare di nuovo? Non ho intenzione di giudicare quello che stiamo facendo… Voglio solo capire se si può recuperare ancora qualcosa… >>.

 

Sì, ora che l’aveva rivista, e anche che aveva saputo la verità, si accorgeva che l’amava ancora. Che non gliene fregava assolutamente niente del fatto che era andata a letto con Dimitri, che facesse finta di stare con Challagher e che lo avesse mollato.

 

Irina sembrò pensarci un momento, poi annuì.

 

<< Va bene, Xander >> disse, << Ma ora devo proprio andare… Appena posso, ti mando un messaggio. Ciao >>.

 

Xander la guardò sparire di corsa oltre l’angolo della strada, sentendo il rombo dei motori delle auto in gara che si avvicinavano… Eh già, lui non aveva mai voluto accorgersene, ma Irina era adulta. Grande abbastanza da andare a letto con qualcuno che non fosse lui, grande abbastanza da saper scegliere da sola, grande abbastanza per decidere di lasciarlo… Erano finiti i tempi dove era lui il suo principe azzurro, che la salvava dai pericoli. Ma era finito anche il tempo in cui lui credeva di essere il migliore, l’infallibile.

 

Adesso erano sullo stesso piano, e si aprivano nuovi scenari.

 

Percorse la strada fino all’appartamento che condivideva con Dimitri lentamente, ripensando alle parole di Irina. Lo aveva perdonato, ma ciò non voleva dire che gli dava un’altra possibilità… Però aveva acconsentito a incontrarlo di nuovo, e lui le era grato.

 

Una volta a casa, trovò Dimitri che guardava fuori dalla finestra, e si accorse di non provare odio, nei suoi confronti. Solo un po’ di fastidio, e una leggera amarezza. Era stato migliore di lui; aveva avuto successo dove lui aveva fallito: conquistare Irina.

 

<< E dire che ti avevo mandato per controllarla… >> commentò, sarcastico, per fargli capire che ora sapeva tutto.

 

Dimitri incrociò le braccia, e nei suoi occhi di ghiaccio si dipinse un’espressione di sfida.

 

<< E l’ho fatto >> ribatté, << Anche se non ce ne era bisogno… >>.

 

<< Non avevi il coraggio di dirmelo, che eravate stati a letto insieme? >> domandò Xander, senza nemmeno guardarlo. Aveva giocato a provocarlo fino ad adesso, approfittando della sua ignoranza. Ora toccava un po’ a lui.

 

Dimitri ridacchiò.

 

<< Fosse stato per me, Went, te lo avrei detto subito e senza troppi giri di parole >> rispose, << Ma non mi intrometto nelle questioni degli altri. Doveva essere lei a dirtelo, e non io >>.

 

Improvvisamente, Xander capì perché Irina si era infatuata in qualche modo del russo: Dimitri sembrava provare il più totale e profondo rispetto per lei, diversamente da quello che aveva dimostrato lui.

 

<< E non lamentarti, Went >> aggiunse Dimitri, sarcastico, << Almeno lei ha avuto la decenza e il coraggio di mollarti, prima di venire a letto con me >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Irina ritornò vicino al traguardo, accorgendosi che un paio di russi stavano parlando a bassa voce tra loro, piuttosto concitati. Gli rivolse uno sguardo poco interessato, sperando non si fossero accorti della sua sparizione sospetta, ma quando sentì chiaramente il nome “Challagher si allarmò. Per un attimo, dimenticò l’incontro con Xander, e si soffermò a guardare i due tizi, anche se non capiva cosa dicevano perché parlavano in russo.

 

Alla fine, quello che sembrava più aggressivo dei due, si voltò e fissandola ringhiò: << Challagher deve guardarsi le spalle. Non può uccidere chi gli pare e sperare di farla franca >>.

 

Irina rimase di sasso, senza capire bene il senso della frase, a parte la minaccia piuttosto esplicita. Poi il russo si allontanò, lanciandole un’occhiataccia, e lei sentì le auto tagliare il traguardo, inchiodando dopo la linea di partenza.

 

Le ci volle un momento, poi capì. Si riferiva al recupero della sua auto, e all’omicidio di quel meccanico… In un attimo, ritornò alla conversazione di poco prima con Dimitri e Xander, questa volta con più lucidità e consapevolezza.

 

Sapere che William aveva ucciso per riavere indietro la Punto le scatenò addosso una serie contrastante di emozioni: rabbia, dolore, tristezza, ma anche un’imbarazzante senso di stupore. Lo Scorpione era arrivato ad ammazzare per riavere indietro la felicità della sua Fenice…

 

Non era orgogliosa, né contenta, né tantomeno soddisfatta di ciò che William aveva fatto: sapere che la sua auto era in qualche modo macchiata del sangue di qualcuno, anche se quel qualcuno le aveva fatto un torto, la faceva inorridire. E tutto quello significava anche un’altra cosa: lo Scorpione esisteva ancora, quello spietato che aveva conosciuto lei. Era cambiato, ma lo aveva fatto solo nei confronti di Fenice: per tutti gli altri, sarebbe rimasto sempre lo stesso. Avrebbe continuato a uccidere, a dettare le sue regole, a incutere paura e a gioire del suo potere.

 

Alzò lo sguardo, mentre William usciva in quel momento dalla Bugatti, e gli rivolse uno sguardo infuocato. Lui sembrò non capire, ma chiaramente la notizia si era diffusa tra i russi, che lo fissavano infuriati, forse pronti a prendersi di già la loro vendetta…

 

Prima che avesse il tempo di andare a ritirare il premio, Irina si era avvicinata a William e aveva detto, secca: << Andiamocene >>.

 

Lo Scorpione sembrò infastidito dalla sua reazione.

 

<< Perché? >> domandò solo.

 

<< Andiamocene >> ripetè secca Irina, sapendo che era questione di vita o di morte, << Subito. Sanno cosa hai fatto, e hanno intenzione di darti una lezione >>.

 

William sembrò valutare la situazione, poi assunse un’espressione seria e risalì in auto. Nessuno sembrava avere voglia di consegnare il premio allo Scorpione, e lui preferì non tentare lo scontro. Riavviò il motore della Bugatti, allontanandosi rapidamente.

 

Irina lo seguì subito, senza guardarsi intorno. Sapeva che bastava un solo cenno sbagliato e i russi avrebbero scatenato un casino. I nervi erano palesemente a fior di pelle, ma per fortuna sembravano esitare, forse per paura di ritrovarsi con la polizia addosso da un momento all’altro. Le gare non erano mai totalmente sicure, anche le meglio organizzate.

 

Una volta a casa, attese di essere lontana da orecchie indiscrete prima di parlare. Richiuse la porta dell’appartamento alle sue spalle, poi guardò William, arrabbiata e risoluta.

 

<< Che cosa hai fatto?! >> sbottò, ma la sua era una domanda retorica, << Come ti è saltato in mente di ammazzare una persona per riavere la mia auto?! >>.

 

William fece una smorfia di sfida, senza stupirsi che lei fosse venuta a conoscenza della cosa.

 

<< Non mi è parso che ti fossi fatta dei problemi a riguardo, quando te l’ho fatta ritrovare >> ribatté, secco.

 

<< Perché non immaginavo arrivassi a tanto! >> rispose lei, sempre più arrabbiata. << Rivolevo la mia auto, ma non a questo prezzo! >>.

 

Si fissarono in silenzio, e Irina vide brillare negli occhi verdi di William uno strano misto di rabbia, fastidio e insoddisfazione. Non era pentito di ciò che aveva fatto, nemmeno un po’.

 

<< Perché ti interessa tanto? >> fece, acido.

 

<< Non voglio che per colpa mia della gente muoia >> rispose Irina, << Nemmeno se c’è di mezzo la mia macchina… Uccidere è sbagliato, William, soprattutto se non ce ne è motivo… >>.

 

<< Il motivo c’è sempre, Irina >> la interruppe lo Scorpione, << Tu non lo hai mai capito, ma chi fa parte del nostro giro deve imparare che o mangi o vieni mangiato. E se vuoi che la gente ti rispetti, non devi mostrare di avere paura, mai… >>.

 

<< Questo non è il tuo campo >> ribatté Irina, << Siamo degli stranieri in territorio nemico, non… >>.

 

<< Non devo dare giustificazioni a nessuno, per ciò che faccio >> la interruppe nuovamente William, << Non sono scappato di prigione e non ho attraversato mezzo mondo per farmi mettere i piedi in testa da un gruppo di russi alcolizzati. Pensavo mi fossi grata, per ciò che ho fatto >>. Non era deluso, era profondamente arrabbiato.

 

Irina rimase in silenzio, cercando di capire come comportarsi. Ormai era fatta, chiunque avesse ucciso non poteva essere riportato indietro… E non poteva non sapere che William in fondo lo aveva fatto per lei, per riavere indietro Fenice.

 

Improvvisamente, capì quanto William fosse disposto a fare per lei, e la situazione in cui si trovava. Non poteva pretendere che cambiasse così, da un giorno a un altro, e non poteva nemmeno pensare di riuscire a salvarlo da se stesso così facilmente. Cercò di mettersi nei suoi panni, di capire cosa gli passasse per la testa in quel momento… Lo conosceva, era orgoglioso, si aspettava gratitudine, ma forse in quel caso le cose erano diverse… Forse era deluso dal fatto di averla fatta arrabbiare?

 

Lo guardò per qualche istante in silenzio, accorgendosi che era sempre e comunque attraente, anche con quella cicatrice sul sopracciglio. Chissà perché, ci faceva davvero caso solo il quel momento… Forse perché quel segno la ricollegava a Xander, al passato, a tanti eventi ormai lontani?

 

<< William >> disse lei alla fine, conciliante, << Ti sarò sempre grata per quello che hai fatto. Solo che devi capirmi… Non voglio che della gente muoia per me, nemmeno se mi ha fatto un torto. E non voglio nemmeno che tu ti sporchi le mani con il sangue di qualcuno, chiunque esso sia. Non riuscirei più a dormire la notte, se sapessi che vai in giro ad ammazzare gente in nome mio >>.

 

Lo guardò intensamente, per fargli capire che non gli stava mentendo. Era sempre più convinta di riuscire a salvarlo da stesso, che non fosse del tutto perduto.

 

Lo Scorpione sembrò soppesarla, come se per certi versi stesse valutando le sue ragioni.

 

<< Essere codardo non fa parte della mia natura >> disse, secco, << E non posso nemmeno lasciarmi mettere i piedi in testa da nessuno… A quest’ora sarei già dentro una bara, se non mi fossi fatto rispettare >>.

 

<< Non ti sto chiedendo di promettermi nulla >> si affrettò a dire Irina, sapendo di dover arrivare a un compromesso, << Non voglio mettere il naso nei tuoi affari, ma… Per favore, avvertimi prima di fare una cosa simile… Voglio saperlo, se stai andando a uccidere qualcuno >>.

 

William sembrò colto alla sprovvista, poi si addolcì.

 

<< D’accordo, Irina >> disse lentamente, << Cercherò di avvertirti prima, se è questo che vuoi. Ma solo se è qualcosa che ti riguarda. Il resto rimangono affari miei >>.

 

Irina abbozzò un sorriso: meglio di niente, lo sapeva.

 

<< Grazie, William >> disse solo. Poi aggiunse: << Ti sei messo nei guai, ora. I russi si vogliono vendicare… >>.

 

Lo Scorpione alzò il mento, in segno di sfida.

 

<< Che mi sfidino pure. Sono stati loro a cominciare >> disse, secco.

 

Era chiaro che William non era nel suo momento migliore, nonostante avesse vinto la gara. Irina decise di lasciar perdere e fargli sbollire la rabbia.

 

<< Vado a fare una doccia. Non pensare a quello che è successo stasera, tanto ormai è fatta >> disse, e sparì in camera per prendersi il cambio.

 

In realtà, forse voleva più che altro stare da sola con se stessa. L’incontro con Xander l’aveva scombussolata, doveva ammetterlo, soprattutto per la piega che aveva preso il discorso.

 

Aveva davvero accettato le scuse di Xander; lo aveva perdonato perché era stato sincero, perché aveva messo da parte l’orgoglio e aveva ammesso i suoi errori. E soprattutto perché le aveva dato la possibilità di scegliere. L’aveva finalmente trattata da adulta.

 

Sorrise, mentre l’acqua calda le scorreva sulla nuca, rivivendo le emozioni che aveva provato quando Xander era venuto a parlarle. Era contenta che si fosse avvicinato, che avesse cercato quel contatto… Lo amava ancora, lo sapeva. Di fronte alla sua volontà di riprovare non sarebbe stata capace di essere imparziale.

 

William e Dimitri, purtroppo, erano stati solo un ripiego. Il cuore, la sua testa e la sua anima volevano solo una persona, e quella persona sembrava essere tornata migliore di prima. In entrambi aveva cercato e trovato alcune delle sue caratteristiche, ma non tutte. Li aveva usati, e si odiava per questo. Ma non poteva non ammettere che non li aveva mai davvero voluti, che erano stati solo gli eventi a portarla a credere di poter costruire qualcosa con loro… Dimitri per primo, William per secondo. Ma nella sua testa c’era sempre stato solo Xander.

 

Ciò però non significava che avrebbe ceduto subito: non era più la ragazza che si faceva ingannare. E aveva messo subito Xander alla prova, dimostrandosi prima indifferente a lui, e poi dicendogli che era andata a letto con Dimitri.

 

Era stato un colpo basso, ne era consapevole. Forse aveva anche messo alla prova la convivenza fra lui e il russo, ma era un passo necessario. Se davvero era cambiato nei suoi confronti, avrebbe accettato la cosa senza rinfacciargliela, come lei non gli avrebbe rinfacciato di essere andato con Nina.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 16.00 – Mosca, Exagonal Bar

 

Irina parcheggiò l’auto in un vicolo, in modo che fosse poco visibile, guardò l’orologio e si diresse verso l’ingresso del piccolo Exagonal Bar, che visto da fuori appariva piccolo ma molto chic. Intravide Xander che la aspettava seduto a un tavolino, vagamente nervoso.

 

Prima di entrare, Irina si soffermò a guardarlo: era riuscita a trovare una scusa da rifilare a William, dicendo che andava a fare un po’ di spesa, e gli aveva dato appuntamento. Ora notava che era nervoso, come se fosse la prima volta che uscivano insieme.

 

Sorrise: ne era valsa la pena. Vedere Xander in quello stato era una novità per lei. Di solito era lui quello sempre sicuro di sé, certo di fare colpo. Adesso, invece, le parti si erano invertite, ed era Irina quella forte, quella da riconquistare.

 

Le scappò da ridere mentre entrava defilata nel locale, perché la sua anima di Fenice le avrebbe fatto approfittare della situazione: solo un pochino, giusto per prendersi qualche rivincita e vedere quanto davvero era cambiato Xander.

 

Prese posto al tavolino, fintamente seria, e guardò Xander con l’aria dell’agente in missione, quale effettivamente era.

 

<< Ho dovuto fare i salti mortali per venire qui >> disse, << Sai che non ho tantissimo tempo. Se mi becca William sono finita >>.

 

Xander annuì.

 

<< Lo so >> disse, poi sembrò trattenersi dal sorridere. << Pensavo non venissi… >>.

 

<< Mi hai chiesto di parlare, perché non dovevo dartene la possibilità? >> fece lei.

 

Si guardarono negli occhi per un istante, e in quell’istante Irina capì che Xander sapeva che l’aveva già perdonato. Che non poteva nascondere di amarlo ancora, nonostante tutto.

 

<< Grazie, allora >> disse lui, << Ma… Ok che mi presento con la coda tra le gambe, ma quello che è successo tra te e Dimitri è stato un colpo davvero basso, non trovi? Non sei stata un po’ troppo cattiva? >>.

 

Xander sorrideva, e Irina non potè fare a meno di assumere l’espressione della bimba furbetta che sa di avere la situazione in pugno.

 

<< Volevo vedere la tua faccia >> rispose, << E ne è valsa la pena… E comunque preferivo dirtelo subito, e di persona, visto che è una questione tra noi due… In ogni caso, non mi sembra che tu ti sia fatto tanti scrupoli per quanto riguarda Nina >>. Adesso era sincera, e la sua irritazione a riguardo non era finta.

 

Xander diventò serio. << Ok, ti devo delle scuse anche per quello. Sono stato superficiale e infantile. Però non posso tornare indietro, anche se vorrei essere in grado di farlo… Gli errori servono per imparare, no? >>.

 

<< Quindi vuoi dire che non ti importa se sono andata a letto con Dimitri? >> domandò Irina.

 

Xander fece una mezza smorfia.

 

<< No… Cioè, si che mi importa, mi da anche… fastidio, se è per questo. Ma ormai è fatta, e immagino che se è successo un buon motivo ci sarà stato >>.

 

Irina sorrise di fronte alla sua espressione: era geloso, si vedeva, però stava cercando di rimanere tranquillo e di non darlo troppo a vedere, come non avrebbe fatto in passato.

 

<< Ne hai parlato con lui? >> chiese, quasi volesse mettere il dito nella piaga.

 

<< No >> rispose secco Xander, << Nessuno dei due è interessato a farlo… L’unica cosa che Dimitri ha detto, e che devo ammettere è giusta, è che tu mi hai lasciato, prima di andare con lui. Siete stati entrambi onesti, da quel punto di vista >>.

 

Irina lo studiò: molto probabilmente Xander stentava a credere al fatto che Dimitri si fosse fatto quel problema. In effetti, finché erano stati insieme, lui non aveva dato modo di sospettare un interesse nei suoi confronti…

 

Quanto sono stata ingiusta con lui… Mi sono data la libertà di illuderlo. Cosa penserà di me?

 

<< Io non so se questo Dimitri è lo stesso che ho conosciuto quando sono entrata nel giro di Challagher >> cominciò lei, << Non so se è stato il carcere a cambiarlo, o la convivenza forzata con me, o semplicemente il fatto che siamo a casa sua… Non lo so. Quello di cui sono sicura, però, è che adesso conosco la sua storia, e conosco lui. Forse sarà spietato, forse in passato ha ucciso, forse sarà gelido, ma non è cattivo. Non lo è con le persone a cui tiene. Me lo ha dimostrato un sacco di volte… Mi fido di lui, e non smetterò di farlo. Per un attimo ho anche creduto di essermene innamorata, ma non è così. Non chiedermi la spiegazione: non la so. So solo che non provo nulla per lui, se non un’infinita gratitudine e l’affetto di una vera amica >>.

 

Osservò la reazione di Xander, che rimase composto a guardarla. Aveva capito che quello era il suo modo di chiarire le cose, che non c’era altro da aggiungere. Aveva capito che gli stava dicendo che in fondo continuava ad amarlo, esattamente come prima.

 

<< Immaginavo che tu sapessi qualcosa che nessun’altro sa, riguardo a Dimitri >> disse Xander rassegnato, << Non ti fermi mai alle apparenze. E mi costa dirlo, ma credo tu abbia ragione: ho sbagliato, su di lui. Fino ad adesso, anche se lo trovo insopportabile, non mi ha mai tradito >>. Non lo stava dicendo per fare colpo su di lei, lo pensava veramente. << Quindi tu sai tutto ciò che lo riguarda? Perché è venuto a Los Angeles, e perché sembra che qui goda di una certa reputazione? >>.

 

Irina annuì.

 

<< Sì, so tutto >> rispose, << Conosco la sua famiglia e conosco la sua storia. Non chiedermi di raccontartela, non posso. Sarebbe un tradimento alla fiducia che ha riposto in me fino ad adesso >>.

 

<< Non lo farò >> disse Xander, << Se tu ti fidi di lui, mi fiderò anche io >>.

 

Irina sorrise in risposta al suo sguardo: aveva finalmente capito, e forse non avrebbe più visto Dimitri come una minaccia ma come un semplice collaboratore. Era già molto, rispetto all’inizio.

 

Xander si alzò.

 

<< Bene, penso che ti abbia già rubato abbastanza tempo >> disse, << E’ meglio che vada, se non vogliamo che qualcuno ci veda >>.

 

Irina si alzò a sua volta. Avrebbe dovuto lasciarlo andare via, aspettare che si allontanasse e poi uscire a sua volta, ma non ci riuscì.

 

<< Ti… Ti accompagno >> disse, seguendolo.

 

Pagarono il loro caffè preso distrattamente, poi uscirono in strada, gettandosi occhiate intorno e sperando di non incrociare nessuno di loro conoscenza. Si avviarono lentamente verso la Ferrari rossa parcheggiata non molto più in là.

 

<< Dove hai l’auto? >> domandò Xander.

 

<< Nel vicolo lì dietro >> rispose Irina, facendo un cenno con il capo.

 

Stranamente, aleggiava tra loro una certa aria di imbarazzo: era come se stare lì e aver fatto la pace li mettesse a disagio.

 

Alla fine Xander la accompagnò verso la Punto, e Irina non fece commenti. Aprì l’auto, ma non salì. Rimasero a guardarsi, e lei si ritrovò di nuovo stregata da quegli occhi blu, quegli occhi che non aveva trovato in nessun’altro. Quell’espressione, ribelle e dolce, che continuava ad adorare con tutta stessa…

 

Poi, un attimo dopo, si ritrovarono attaccati, le labbra di uno su quelle dell’altro, in un bacio che aveva tutto l’ardore di una lunga separazione e il sapore di qualcosa di ritrovato.

 

E Irina capì che non poteva stare separata da lui, che non gliene fregava niente di tutto quello che era successo, che gli importava solo che lui era tornato ad amarla come prima… Capì che tutto il resto, tutti gli altri, erano stati solo una comparsa… Amava Xander per quello che era, con i suoi difetti e le su virtù, con le sue gentilezze e le sue mancanze. Forse non era più l’eroe perfetto che aveva visto in lui quando l’aveva salvata da Challagher, ma era diventato umano quanto chiunque, e proprio per questo non poteva fare a meno di lui. Erano entrambi imperfetti, ma insieme di completavano. E questo sembrava averlo capito anche lui.

 

<< Scusami scusami scusami >> sussurrò Xander sulle sue labbra, quasi con quel bacio avesse ripreso fiato dopo una lunga apnea, << Scusami. Non avrei dovuto essere così idiota… Non sai quanto mi mancavi. Dove la trovo un’altra come te, in giro? Lo sapevo già prima, ma come uno stupido me ne ero dimenticato… >>.

 

Irina sorrise, sentendo le sue braccia cingerla con la forza e la delicatezza che lei conosceva, pervasa da quel senso di protezione che solo lui sapeva darle. Adorava quella sensazione, soprattutto ora che era nuova: lui l’avrebbe protetta sempre, quando glielo avesse chiesto. Avrebbe smesso di essere apprensivo, ma se lei lo avesse chiamato, avrebbe di nuovo attraversato mari e monti per trovarla.

 

<< Ora non fare troppo lo zerbino >> sussurrò lei, divertita, << Non mi piace quando fai il cagnolino bastonato… Non è da te >>.

 

Xander sorrise, sfiorandole nuovamente le labbra.

 

<< E tu non fare la santarellina >> ribatté, << Come mai mi hai perdonato così presto? >>.

 

<< Calma, agente Went, non siamo ancora tornati insieme >> disse Irina, assumendo l’aria da seduttrice, << Devi passare ancora un po’ di prove, prima di riavere la mia approvazione… >>.

 

Xander ammiccò, gli occhi che scintillavano.

 

<< E quali sarebbero, queste prove? >> domandò.

 

Irina gli sfiorò le labbra, poi si staccò.

 

<< Non ti aspetterai che mi lasci ammaliare da te in questo modo? >> ribatté, raggiungendo la Punto, e aprendo la portiera, << Dovrai aspettare ancora un po’, per avermi di nuovo tutta intera >>. Ridacchiò per quella sua inusuale sfacciataggine, ma non potè farne a meno: aveva il cuore tenero, ma non poteva cedere subito. Doveva rendere le cose un po’ più movimentate, e soprattutto un po’ più divertenti.

 

Xander sorrise e aprì le braccia in segno di resa.

 

<< Questo è un invito a vederci un’altra volta? >> domandò.

 

Irina ammiccò, salendo sulla Punto.

 

<< Forse >> rispose.

 

Poi partì con una sgommata, rendendosi improvvisamente conto di quanto le cose erano successe in fretta… Nulla di quello era stato pianificato, ma lei capì che le cose non sarebbero potute andare diversamente: lei e Xander erano fatti per stare insieme, non c’era nient’altro da dire. Se il destino aveva portato lui a Los Angeles, due anni prima, un motivo c’era.

 

E mentre tornava a casa, si sentì di nuovo lei stessa, si sentì di nuovo completa. Forse avrebbe ferito il cuore di qualcuno, forse avrebbe deluso le aspettative di qualcun’altro, ma lei era di nuovo Irina, la vera Irina.

 

Ed era tutto quello che voleva.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 18.00 – Mosca, Appartamento di William

 

Lo Scorpione guardava Irina estrarre la roba da mangiare dai sacchetti di plastica e riporla con cura nel frigorifero, le manine che si muovevano efficienti su e giù, il viso stranamente rilassato e l’espressione tranquilla.

 

Doveva ammetterlo, dalla sera prima Irina sembrava più felice. Riavere la sua Punto e vincere una gara doveva averle ridato la gioia di vivere, e lui non poteva che rallegrarsene. E il fatto che fosse di nuovo lì, lo stupiva alquanto.

 

Dopo la storia del meccanico ammazzato, pensava che Irina tornasse distante, o che tentasse la fuga dalle sue grinfie. Per un attimo, quando dopo due ore non l’aveva vista tornare, aveva pensato davvero che fosse fuggita. In fondo, per quanto si sforzasse di non darlo a vedere, c’erano situazioni in cui Irina aveva ancora paura di lui… E con molto dolore lui se ne era reso conto. Quando si arrabbiava, la vedeva osservarlo con inquietudine; quando andavano a letto, lei si mostrava decisamente accondiscente, come se avesse paura di dirgli di no.

 

Si ricordò nuovamente quello che era accaduto in passato, e che doveva essere rimasto come un ricordo indelebile nella mente di Irina. Difficilmente lo avrebbe cancellato così presto, se mai ci fosse riuscito. Ma lui voleva che dimenticasse; voleva che smettesse di avere paura di lui… Voleva che lo amasse incondizionatamente come lui amava lei.

 

E quella sera, all’improvviso, mentre giaceva nel buio della camera da letto, di fianco al corpo caldo e addormentato di Irina, tutti gli interrogativi che si era posto sempre trovarono una risposta. Tutte le sensazioni che vorticavano nella sua testa trovarono un senso. La sua vita, trovò finalmente la strada giusta.

 

Davvero gli importava così tanto riportare in auge la Black List?

 

Davvero ci teneva così tanto a riavere la sua schiera di piloti clandestini?

 

Davvero rivoleva indietro il rispetto, i soldi, la fama, il potere e la città che per tanti anni aveva creduto indispensabili?

 

Davvero voleva di nuovo essere il vecchio Scorpione?

 

No.

 

Forse era tutta una scusa. Forse era una semplice farsa.

 

Perché tutto quello che in quel momento desiderava lo aveva già.

 

Aveva Irina. Aveva quella ragazza che era stata la sua rovina, e che ora era la sua rinascita.

 

Cosa gli importava da avere gare e piloti da organizzare, quando aveva lei la mattina a svegliarlo, a portargli la colazione fatta di caffè e semplici brioches? Cosa gliene fregava di gettare il terrore nella gente, quando con un piccolo gesto poteva avere il suo sorriso tutto per sé? Che gli importava di quelle sgualdrine da quattro soldi, quando poteva stringere il corpo perfetto di Irina tra le braccia e sentire il suo sapore sulla lingua? Cosa gli servivano i piloti che li seguivano per soldi, quando aveva la fedeltà gratuita di Fenice?

 

A cosa gli serviva tutto il resto, se non aveva lei? Che senso aveva?

 

Nessuno.

 

Allora capì che davanti a tutto e a tutti c’era Irina. Che era lei che doveva tenere stretta, che era lei che non doveva perdere mai. Perché se guardava avanti, se guardava al suo futuro, era lei che vedeva.

 

E per la prima volta nella sua esistenza, concepì l’idea di poter legarsi a qualcuno per sempre. Concepì l’idea di famiglia, famiglia che lui non aveva mai davvero veramente avuto. Concepì l’idea di un domani dove le gare clandestine passavano in secondo piano, per lasciare spazio a una vita più normale.

 

Vide scene di un’esistenza futura, scene che non aveva mai immaginato, scene che aveva solo visto in vite di altri, non nella sua.

 

E vide un bambino.

 

Vide un figlio.

 

Sì, riusciva a pensarlo. Riusciva a immaginare di poter desiderare un bambino da Irina, riusciva a comprendere quella sensazione. Sapeva che un giorno sarebbe arrivato anche quello, se avesse voluto. Prova ultima e definitiva di un sentimento che lui aveva scoperto troppo tardi.

 

Ma se era ancora presto per pensare davvero a un figlio, non era presto per altro.

 

Perché per darle la conferma di amarla, per fare in modo che lei si fidasse completamente di lui, era disposto a tutto.

 

Anche a compiere un passo che non aveva mai immaginato, né si era mai augurato. Un passo definitivo, coraggioso, ma anche estremamente eccitante. E ora come ora, voluto.

 

Era pronto. Lo voleva davvero.

 

Poteva sposarla.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Già vi vedo, con la bocca aperta e gli occhi spalancati di fronte all’ultima frase. Capitolo piuttosto denso, in quanto a sentimenti, no? Se il perdono di Xander era quasi scontato, chi si aspettava una decisione del genere da parte di William? Decisamente shock, vero? Adesso bisogna vedere cosa accadrà quando lo chiederà a Irina… Che ne pensate? La situazione è un pochino complicata… E non farà che complicarsi di più da prossimo cap in poi, ma naturalmente niente anticipazioni. Voi continuate a lasciarmi le vostre impressioni, anche se immagino che ormai tanti se ne siano andati in vacanza… In ogni caso, quando tornate fatemi sapere. A me purtroppo non mi resta che stare qui, a patire il caldo.

Ringrazio tutti coloro che recensiscono!

 

Bacioni!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 44
*** Capitolo XLIV ***


Capitolo XXXXV

Capitolo XLIV

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 9.00 – Mosca, Appartamento di William

 

“Inizio a pensare che la Lince si sia dimenticata di me…”

 

Irina guardò lo schermo del cellulare, inesorabilmente spento, poi spostò i suoi occhi sul cielo grigio fuori dalla finestra, pensierosa. Forse avrebbe dovuto preoccuparsi prima della cosa, ma solo ora si rendeva conto che ormai erano passate quattro settimane dall’incontro che era saltato, e la Lince non si era fatta vedere né sentire.

 

La prima cosa che avrebbe dovuto pensare era che forse la Lince aveva capito che collaborava con la polizia, ma qualcosa le diceva che in realtà lei non aveva commesso nessun errore, se non vedere Xander di nascosto quando lui si era presentato alla gara, quattro giorni prima. Inoltre, l’incontro era stato piuttosto breve, ed erano stati attenti…

 

Era come se un sesto senso le dicesse che in realtà doveva solo aspettare. Che attendere era solo un’altra prova a cui la stava sottoponendo la Lince. Non poteva essersi dimenticata di lei, ne era sicura. Aveva vinto la Mosca-Cherepova, nonostante avesse tutti contro, e solo quello doveva convincerla che faceva sul serio…

 

Gettò un’occhiata verso la camera da letto, dove William dormiva ancora, e si domandò se lui potesse essere il motivo per il quale la Lince non si faceva viva. In fondo non lo conosceva davvero, visto che lo Scorpione aveva concluso degli affari in passato con qualcuno che era un impostore… Forse non si fidava di lui, e perciò non avrebbe incontrato neanche lei…

 

Lasciò vagare lo sguardo per la stanza, e sospirò.

 

Da quando aveva fatto pace con Xander, la missione le sembrava meno difficile del previsto. Era come se una parte della sua mente si fosse liberata, e ora riuscisse a pensare con vera lucidità a quello che doveva fare. Tutto le sembrava incredibilmente più fattibile; non facile, ma possibile. Gli ostacoli rimanevano, ma apparivano meno alti di quanto lei li aveva creduti.

 

Se però voleva essere sicura di arrivare da qualche parte, non poteva stare proprio con le mani in mano.

 

Prima di tutto, doveva accertarsi che la Lince si ricordasse ancora di lei, e per farlo doveva parlare con uno dei Referenti. Sicuramente qualcuno di loro avrebbe saputo dirle qualcosa.

 

Prese il cellulare e cercò il numero di Boris nella rubrica, esitando un momento. Faceva bene a farsi sentire, oppure no?

 

“Almeno provo a sondare il terreno… Rimanere ad aspettare mi fa sentire in colpa…”.

 

Iniziò la telefonata, e prima di sentire la voce di qualcuno dovette aspettare parecchi secondi. Quando ormai stava per mettere giù, Boris rispose.

 

<< Fenice? >> disse solo.

 

<< Sì, sono io >> rispose lei, << Ho bisogno di parlare con te un momento >>.

 

<< Che c’è? Problemi con la gara dell’altra sera? >> domandò il russo, con una nota di fastidio nella voce.

 

<< No, non riguarda le corse. Riguarda la Lince. Dovevo incontrarla, ma da quando è saltato l’incontro non ho sentito più nessuno. Non posso continuare ad aspettare senza sapere niente >>.

 

Ci fu un momento di silenzio dall’altra parte, poi Boris rispose, la voce stranamente neutra: << Aspettare è l’unica alternativa che hai. La Lince non dimentica mai, e se non si è fatta sentire un motivo ci sarà. In più, l’arrivo di Challagher non ti ha messo in buona luce >>.

 

<< Che vuoi dire? >>.

 

<< Stavi con Dimitri, prima che lui arrivasse. E Dimitri è uno di noi, forse il più rispettato. La Lince dubita di te per questo, forse, e vuole sondare il terreno, accertarsi che tu sia effettivamente affidabile. Molti di noi ti considerano una traditrice >>.

 

<< Io non stavo con Dimitri, avevo solo chiesto il suo aiuto… >>.

 

<< Non importa. Ti sei accompagnata a lui, e ciò significa che ti ha offerto la sua protezione. Gli hai voltato le spalle quando è ritornato Challagher, e ai nostri occhi questo è un tradimento >>.

 

Irina tacque. Sapeva che niente avrebbe fatto cambiare opinione ai russi, perciò non insistette su quel punto.

 

<< Devo almeno sapere se ha intenzione di incontrarmi oppure no >> disse, << E’ inutile che rimanga qui ad aspettare, se tanto non la vedrò mai >>.

 

<< Non dipende da me >> rispose Boris, << La Lince non accetta pressioni da nessuno. Ma posso chiedergli di farti sapere se non ti vuole più incontrare >>.

 

“Spero non sia questa la sua idea”.

 

<< D’accordo, è meglio di niente >> disse Irina, << Alla prossima gara, allora >>.

 

Chiuse la telefonata e guardò il cellulare: sperava di arrivare a qualcosa nel giro di qualche giorno, perché capiva di non poterla tirare ancora per le lunghe… Prima o poi William avrebbe deciso di tornare a Los Angeles, o lasciare Mosca, e lei a quel punto non avrebbe potuto opporsi, per non destare sospetti…

 

Forse doveva parlarne con Dimitri: era sicura che lui sapesse cosa stava succedendo. Le avrebbe dato il consiglio giusto.

 

Per il momento, però, non poteva fissare nessun appuntamento: non poteva continuare a uscire da sola senza William e non attirare le sue domande. E il frigo era pieno, quindi non aveva a disposizione la scusa della spesa.

 

Improvvisamente, vide William sbucare dalla camera da letto, vestito con una camicia elegante e l’aria vagamente compita. La guardò rivolgendole un sorriso stranamente dolce e disse: << Buongiorno, bambolina. Già al lavoro? Ti ho sentita parlare al telefono… >>.

 

Si sedette di fianco a lei, sistemandosi le maniche della camicia.

 

<< Dove stai andando? >> domandò Irina, notando che sembrava pronto per uscire.

 

William ammiccò.

 

<< Ho una piccola commissione da svolgere >> rispose lo Scorpione, << Forse mi porterà via tutta la mattinata… Ti da fastidio se mi assento per un po’? >>.

 

Irina rimase perplessa, ma cercò di non farlo vedere.

 

<< No, va bene… Ma non mi avevi detto niente, ieri >> disse lei.

 

<< E’ una cosa dell’ultimo minuto >> spiegò William, << Non ho intenzione di uccidere nessuno, comunque, se è questo che ti preoccupa >>.

 

Sorrise sornione, sfiorandole il mento con le dita. Irina rimase immobile, senza sapere bene come comportarsi.

 

<< Ok… Posso chiederti… cosa devi fare? >> sussurrò.

 

<< No, bambolina >> rispose lo Scorpione, << E’ un piccolo segreto… Almeno per il momento >>.

 

Suggellò la sua frase scoccandole un bacio, poi si alzò e si diresse verso la porta, l’aria misteriosa.

 

Irina rimase di sasso. Quel comportamento era piuttosto strano, e le ipotesi erano solo due: o William tramava qualcosa, oppure stava davvero uscendo di senno.

 

L’unica cosa di cui era certa, era che aveva la possibilità per vedere Dimitri e Xander, e doveva assolutamente sfruttarla.

 

Afferrò il telefono, e per un momento rimase a pensare: a chi doveva mandare il suo messaggio? A Xander o a Dimitri?

 

Le ci volle un momento per ragionare: Xander aveva ancora bisogno di una lezione, e poi era con Dimitri che voleva parlare maggiormente. E forse, gli doveva anche delle scuse.

 

“Ho bisogno di incontrarvi… Fra mezz’ora, stesso posto dell’altra volta?”. Dimitri avrebbe capito che si riferiva al bar nella periferia di Mosca, dove si erano visti un po’ di tempo prima.

 

Attese qualche minuto, poi il display del cellulare si illuminò di nuovo.

 

“Fra qualche minuto sono lì. Avverti Went”.

 

Qualche minuto? Dimitri doveva essere fuori casa, allora…

 

Scrisse lo stesso messaggio a Xander, e dopo poco ottenne la risposta: “Ok, ci vediamo lì”.

 

Irina si alzò di scatto, si diede un’ultima occhiata allo specchio e scese di sotto, sperando che non stesse commettendo un errore e improvvisamente William tornasse indietro… O peggio, che la sua fosse una finta per incastrarla.

 

Saltò sulla Punto, e quindici minuti dopo raggiungeva il piccolo bar dove aveva incontrato Dimitri un po’ di tempo fa, abbastanza tranquillo da potergli permettere di lasciare la macchina in strada. Trovò posto in una via laterale e si incamminò per la strada. Vide che la R8 del russo era già lì.

 

Trovò Dimitri seduto a un tavolino, gli occhi grigi che scrutavano fuori dalla finestra, un drink in mano nonostante fosse mattina. Era imperscrutabile come al solito, ma in qualche modo Irina percepì che era nervoso. Improvvisamente ricordò che lui lì le aveva posto un ultimatum molto particolare, l’ultima volta che si erano visti, e arrossì.

 

“Gli devo decisamente delle scuse”.

 

Prese un respiro profondo e si sedette di fronte a Dimitri, accorgendosi che lui la guardava. Non posò il bicchiere: bevve un altro sorso, poi disse, tranquillo: << Ero nei paraggi >>.

 

Irina trovò strano che il russo desse una spiegazione a qualcosa che non aveva chiesto: di solito, l’unico modo per sapere qualcosa era fargli una domanda e interpretare le sue parole. Ma anche in quel caso, poteva esserci sotto qualcosa.

 

Si schiarì la voce, sapendo che in fondo doveva pur dire qualcosa riguardo alla questione tra lei e Xander. Aveva fatto una promessa a Dimitri, prima del ritorno di Xander, e ora si rendeva conto di non aver nemmeno tentato di rispettare le sue intenzioni.

 

<< Ti… Ti avevo fatto una promessa, un po’ di tempo fa >> iniziò Irina, incerta, << Prima che Xander si facesse nuovamente vivo… >>.

 

<< Ricordo, Fenice >> la interruppe bruscamente Dimitri, << Ma non mi sembra ci sia molto da dire, a riguardo >>.

 

<< Invece c’è molto da dire >> ribatté Irina, presa in contropiede dalla sua rudezza, << Io ho molto da dire. Ti avevo fatto una promessa che non ho mantenuto, e ti devo delle scuse per questo >>.

 

Dimitri posò il bicchiere vuoto sul tavolo, sorprendentemente controllato.

 

<< Non c’è bisogno di scuse per promesse che non sono promesse >> disse, seccato.

 

Irina si rese conto che Dimitri era infastidito da quel discorso, e poteva anche capire perché: si sentiva tradito, e aveva tutte le ragioni.

 

<< Io… >> cominciò lei, per continuare il suo discorso.

 

<< Non c’è niente da dire >> la interruppe nuovamente Dimitri, << Non mi sono mai aspettato nulla da te, così come tu non devi aspettarti nulla da me. Non ho bisogno delle tue scuse, non me ne faccio niente. Se tu sei consapevole di ciò che stai facendo, e lo sei, non ci sono spiegazioni da dare >>.

 

Irina voleva dire qualcosa di sensato, ma capì che non le veniva nulla in mente: Dimitri faceva di tutto per farle capire che non era deluso da lei, eppure sotto sotto sembrava furioso. Forse perché lei aveva avuto l’ardire di pensare che uno come lui potesse nutrire dell’interesse per lei? Magari a lui davvero non gliene fregava niente di lei, oppure ci aveva ripensato e aveva capito che Fenice non era il suo tipo… Magari era davvero stata questione di una sola notte, e lui non aveva pensato che potessero nascere paranoie del genere…

 

Abbassò lo sguardo, sentendosi fuori posto come non lo era mai stata, davanti a lui.

 

<< Allora voglio solo che tu sappia che mi dispiace >> mormorò, senza sapere che altro dire.

 

Dimitri la fissò.

 

<< Anche a me >> ribatté, << Anche a me, perché la stai facendo più lunga di quello che è. Sapevamo tutti e due che era questione di una sola notte >>.

 

Si guardarono negli occhi, e Irina annuì. Sì, in fondo lo sapevano. Lei sicuramente lo sapeva.

 

Improvvisamente si rese conto che sul volto di Dimitri si era dipinta una smorfia, una smorfia che lei riconobbe come un sorriso. Scosse il capo, con quell’espressione che lei aveva imparato a decifrare.

 

<< Quanto sei sciocca >> disse, << Smettila di tormentarti per qualcosa che non esiste. Se ti sei pentita non è colpa mia. Io non lo sono… Ho un buon ricordo di quella notte >>.

 

Per la prima volta da quando si conoscevano, Dimitri ammiccò con aria divertita. Irina rimase talmente sorpresa per la frase che arrossì, poi scosse anche lei il capo.

 

<< No, non sono pentita… Ma davvero, scusami >>.

 

<< Se vuoi sentirti dire che accetto le scuse, va bene, accettate. Tanto non cambierà ciò che penso. E adesso stampati un bel sorrisetto, arriva il tuo ragazzo >>.

 

Fece un cenno verso l’entrata, dove Xander avanzava tranquillo verso di loro. Si sedette al tavolino, rivolgendole un’occhiata incuriosita, forse per via della sua faccia, ma non fece niente di poco conveniente.

 

<< Eccomi >> disse, serio, << Qual è il problema? >>.

 

Irina si mosse sulla sedia.

 

<< Nessun problema, a parte quello della Lince >> disse, << Non si fa viva, da quando il nostro incontro è saltato. Saranno passate più di quattro settimane… Silenzio di tomba, nemmeno un messaggio. Ho chiamato Boris, ma lui dice che non c’è alternativa a quella di aspettare: se la Lince mi vuole incontrare, si farà viva. Ha detto che forse dipende dal fatto che ora lo Scorpione è qui, e di lui chiaramente non si fida, visto che in passato ha usato delle coperture per concludere affari con lui… >>.

 

Dimitri assunse un’aria pensierosa.

 

<< La Lince non dimentica, di questo sono certo >> disse alla fine, << E il fatto che rimanga in silenzio non è strano… Sta preparando qualcosa, ne sono sicuro. Sa meglio di tutti che se decide di incontrarti potrebbe scatenarsi una guerra tra le bande di Mosca… >>.

 

<< Perché? >> chiese Xander, anticipandola.

 

<< Perché Irina sarebbe la prima straniera a incontrare per davvero la vera e unica Lince >> rispose Dimitri, riprendendo in mano il suo bicchiere, << E per di più, è anche una donna. Nessuno dei russi accetterà la cosa facilmente: la Lince non si è mai fidata di nessuno qui, perché fare una differenza per una straniera? Rischia di perdere la fiducia e la lealtà di tutti, anche dei Referenti. Potrebbero decidere di tradirla, a quel punto >>.

 

<< Quindi pensi che si stia organizzando una via di fuga in caso le cose si mettessero male? >> chiese Irina, << Oppure ci sono ampie possibilità che alla fine decida di non incontrarmi, per non correre rischi? >>.

 

Dimitri tacque un istante, poi rispose: << Ti incontrerà, Irina. Ti reputa un elemento troppo interessante per poterti lasciare andare via senza parlare con te. Challagher è caduto, ma tu hai dimostrato di essere addirittura più forte di lui. Ti proporrà qualcosa, è chiaro >>.

 

Rimasero in silenzio tutti e tre. Xander le rivolse un’occhiata si sottecchi.

 

<< Noi siamo sempre pronti >> ribadì, << Al momento opportuno, sguinzaglieremo tutti gli agenti a disposizione. Aspettiamo solo il suo ordine >>.

 

Irina annuì. Dimitri in qualche modo l’aveva rassicurata, ma lei rimaneva comunque dubbiosa. Lo guardò alzarsi, dare un’occhiata all’orologio e dire: << Se non c’è altro, io me ne vado. Ho un affare da sbrigare >>.

 

Di fronte al diniego di Irina fece un cenno di saluto a lei e Xander e andò via, lasciandoli soli. Si chiese se in realtà il suo affare era una scusa oppure se fosse la verità. Molto probabilmente trovava la situazione scomoda, viste come si erano messe le cose tra lei e Xander, e preferiva andarsene, piuttosto che dover assistere alla loro riappacificazione.

 

Guardò Xander e lui sorrise.

 

<< Caffè? >> domandò, << Offro io, chiaramente >>.

 

Irina scoppiò a ridere, poi annuì. Anche se dentro di lei, qualcosa soffriva al pensiero di aver definitivamente tradito e ferito Dimitri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 11.00 – Mosca, Piazza Centrale

 

William adagiò il sacchetto blu sul sedile del passeggero, poi si mise comodo e accese il motore, sfilando lentamente verso la larga strada che lo avrebbe portato verso casa. Alzò il volume della radio e si rilassò, soddisfatto.

 

Era stata dura, ma lo aveva trovato, alla fine. Aveva girato le tre gioiellerie più costose di Mosca, con le commesse che affascinate da lui cercavano in ogni modo di carpire il suo nome e il motivo per cui stava cercando un anello, finché non lo aveva trovato nell’ultima, forse davvero la più prestigiosa.

 

Aveva progettato tutto per bene, come in quei film romantici che aveva sempre disprezzato e che continuava a disprezzare, perché voleva dare la giusta importanza al suo passo. Si sarebbe sforzato, visto che c’era di mezzo la sua Fenice. Ci aveva pensato tre giorni, visualizzato tutte le situazioni possibili, tutti gli scenari futuri, e aveva capito che sposare Irina era la scelta migliore. Non poteva pentirsene. Non se ne sarebbe pentito.

 

Ora su quel sedile giaceva l’oggetto che in qualche modo lo avrebbe legato a lei, che gli serviva per farle capire che faceva sul serio, che aveva smesso di considerarla solo un oggetto e che voleva che entrasse davvero a far parte della sua vita.

 

E questa volta non era come tutti gli altri regali che le aveva fatto. Questa volta non era entrato nella gioielleria e non aveva chiesto “l’anello più costoso, il più bello o il più esclusivo” che avevano. Era entrato e aveva solo chiesto un anello.

 

Poi lo aveva scelto. Li aveva guardati, studiati, soppesati, scartando quelli che a lei non sarebbero sicuramente piaciuti: quelli grossi, vistosi, elaborati, che avrebbero fatto a pugni con il suo modo di essere. Aveva rimuginato, cercando di trovarne uno che si addiceva a Irina, un po’ come un’auto si addice al proprio pilota.

 

Alla fine, era uscito lui: una fedina d’oro bianco, liscia, lucida, che racchiudeva in due fili di metallo sottile un diamante trasparente, brillante come una piccola stella. Non troppo vistoso, non troppo grosso, né appariscente. Bello e discreto come sapeva esserlo solo Irina.

 

William era soddisfatto: avrebbe potuto scegliere qualcosa di ancora più costoso, ma sapeva che Irina non lo avrebbe messo. Lei era semplice, trasparente come quel diamante, e per lei era perfetto.

 

Lasciò la strada principale, imboccando una viuzza che sapeva portarlo più rapidamente a casa. Stava ripassando il suo piano: avrebbe portato Irina a cena fuori, proprio quella sera, in un locale che aveva adocchiato qualche giorno prima, e le avrebbe chiesto di sposarlo.

 

Sorrise, pensando che se i suoi amici lo avessero visto in quel momento lo avrebbero preso in giro; anzi, non lo avrebbero nemmeno riconosciuto. Ma tanto i suoi “amici” non erano lì; lì c’era solo Irina. Tanto i suoi amici alla fine non erano stati veri amici… Cosa gli importava di quello che avrebbero potuto pensare?

 

Stava per svoltare a destra, quando vide in lontananza, seminascosta da un muro, una Ferrari rossa. La riconobbe: era la 599 di Went.

 

Inchiodò di colpo, suscitando l’ira delle auto dietro di lui.

 

Per un attimo pensò di lasciar perdere e andarsene, ma se Went era nei paraggi poteva decidere di concludere una delle sue questioni in sospeso. Aveva la pistola addosso e un’altra nel cruscotto: questa volta non sarebbe scappato. Non poteva sprecare quell’occasione.

 

Proseguì diritto, raggiungendo la 599, vuota. Si guardò un momento intorno, poi si chiese dove potesse essere… Abitava lì, in uno di quei palazzi? Oppure era in un locale?

 

Parcheggiò al Bugatti non troppo lontano, prese la pistola e tolse la sicura. Non c’era nessuno per strada, così corse sul marciapiede, cercando con lo sguardo Went. Dovunque fosse, era per forza nei dintorni, ma non poteva entrare in tutti i locali, o in tutti gli appartamenti dell’isolato.

 

Sentì l’eccitazione della caccia smuovergli il sangue nelle vene. Odiava quello sbirro più di chiunque altro, e ora che ne aveva la possibilità voleva solo farlo fuori. Doveva vendicarsi, per sé stesso e per Irina…

 

Guardò in alto: uno dei palazzi lì vicino aveva la scala che dava sulla strada, chiusa da pannelli di vetro che forse potevano essere aperti…

 

Ci mise un attimo a elaborare un piano: non poteva pensare di entrare in uno qualsiasi dei locali, trovare Went, ucciderlo e riuscire a fuggire in tutta tranquillità. Qualcosa poteva andare storto, per di più non sapeva nemmeno sé fosse solo o con qualcuno. Non poteva permettersi rischi.

 

Però poteva tendergli un agguato. Sarebbe entrato nel palazzo lì vicino, avrebbe tenuto d’occhio la sua auto, e appena Went si sarebbe fatto vedere avrebbe deciso: sparare da una postazione sicura, scendere ad affrontarlo faccia a faccia, oppure rimandare, se non fosse stato solo.

 

Si avvicinò al palazzo, entrò nella scala senza incontrare nessuno e iniziò a salire le scale, gli occhi sempre rivolti verso la strada. Si fermò al quinto piano, abbastanza in alto da permettergli di vedere bene tutto l’isolato, e aprì la finestra.

 

Una ventata di aria gelida gli soffiò sul viso, ma lui tirò fuori il braccio e puntò la pistola verso un nemico invisibile lungo la strada, per vedere se non si trovava troppo in alto. Andava bene, aveva un’ottima visuale e il posto era perfetto.

 

Poi, si mise in attesa. Ritmicamente percorreva con gli occhi tutta la strada, dall’inizio alla fine, fino al semaforo che scandiva il passare dei minuti. Non sapeva quanto avrebbe aspettato, ma sapeva di avere tutta la pazienza sufficiente… Aveva imparato che l’attesa rende tutto più piacevole, dando un sapore nuovo anche alla sua sete di vendetta.

 

Eliminare Went significare eliminare il ricordo della sua sconfitta, e cancellare dalla faccia della terra l’unica persona che era stata davvero in grado di tenergli testa… Dopo, non ci sarebbe stato nessuno che avrebbe potuto mettergli i bastoni tra le ruote…

 

Poi si chiese cosa avrebbe fatto Irina, di fronte alla dipartita di Went. Sapeva che non lo voleva morto, lei non odiava nessuno fino a quel punto, ma sicuramente qualcosa avrebbe pensato… Cosa? Cosa avrebbe detto, scoprendo che era stato lui a ucciderlo? Rischiava di allontanarla da sé?

 

Ogni tanto il suo pensiero correva anche verso il pacchetto chiuso nella sua auto, e a ciò che avrebbe detto Irina aprendolo. Sicuramente sarebbe stata un’enorme sorpresa per lei: nemmeno Went si era spinto così avanti. Non era quella una prova della sua fedeltà nei suoi confronti?

 

Sorrise, e proprio in quel momento vide con la coda dell’occhio la porta del piccolo bar all’angolo aprirsi. Puntò la pistola da quella parte, pronto a un falso allarme come era avvenuto altre volte, e tenne gli occhi puntati sulla figura che usciva.

 

Era Went. Come si era aspettato, lo sbirro era lì.

 

Lo guardò uscire dal bar, per poi voltarsi un momento indietro, come se aspettasse qualcuno. William non perse la mira, l’arma puntata alla testa di Went, mentre il suo cervello lavorava febbrilmente.

 

Non voleva ucciderlo così: non ci sarebbe stato gusto. Non era un vigliacco, e poi con Went aveva una questione la cui vendetta doveva essere consumata lentamente e soprattutto faccia a faccia. Però, poteva non esserci un’altra occasione come quella… Magari poteva sparare un colpo di avvertimento, Went non sarebbe scappato, quando si fosse accorto che si trattava dello Scorpione, avrebbe raccolto sicuramente la sfida…

 

Ma chi c’era con lui? Poteva rischiare, o era meglio attendere?

 

Poi decise: chiunque fosse uscito da quella porta, sarebbe morto per primo. Un colpo, per eliminare il fastidio, poi si sarebbe dedicato a Went… Doveva eliminarlo ora che ne aveva la possibilità, e lo sbirro non si sarebbe tirato indietro di fronte a un affronto simile. Lo avrebbe inseguito, e una volta in ballo, sarebbero rimasti solo loro due…

 

Puntò l’arma verso la porta d’ingresso del bar, finché non vide l’ombra comparire per terra… Non sarebbe stato difficile colpirlo…

 

Poi, scoprì di chi si trattava.

 

Irina.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Irina uscì dal bar, guardò l’orologio e disse: << Meglio che mi sbrighi, non vorrei che William tornasse prima del previsto >>.

 

Xander si voltò a guardarla, rivolgendole un sorriso.

 

<< Quindi finché non chiudiamo con la storia della Lince, non ci vedremo più? >> domandò.

 

Irina annuì.

 

<< E’ meglio così >> rispose, << Non possiamo correre altri rischi. Appena avrò qualche notizia, ve lo farò sapere >>.

 

Xander le si affiancò, mentre camminavano verso il marciapiede.

 

<< Allora bada a te stessa >> disse serio, << Non posso dirti altro >>. Stava contenendo anche gli eccessivi slanci di raccomandazioni… Era un altro ottimo passo avanti.

 

Irina sorrise, e si voltò verso di lui.

 

<< Anche tu >>.

 

Poi si alzò in punta di piedi e gli diede un bacio a fior di labbra, troppo rapido per dargli il tempo di ricambiare, ma abbastanza intenso per fargli capire che aveva comunque apprezzato il suo nuovo modo di essere. E per ricordargli che stava solo facendo la difficile.

 

<< Conservalo fino alla prossima volta >> soffiò, poi gli rivolse un cenno di saluto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

William rimase paralizzato.

 

La sua mano tremò per un impercettibile secondo, ma il suo dito rimase di ghiaccio. Immobile. Inanimato. Sentì persino i battiti del suo cuore.

 

I suoi occhi, spalancati, rimasero fissi su Irina che camminava di fianco a Went, tranquilla, come se non si fossero mai lasciati… Vide tutto come se fosse stato a rallentatore, come se il suo cervello si fosse improvvisamente arrestato…

 

Ma il suo cervello funzionava benissimo, funzionava abbastanza per capire tutto, per cogliere la situazione e tutte le sue implicazioni… Era il suo corpo che non rispondeva, la sua mano che pareva improvvisamente morta…

 

Vide Irina allungarsi in punta di piedi e baciare sulla bocca Went, rapida, tentatrice.

 

Allora capì tutto.

 

Stava con Went. E se stava con Went

 

Qualcosa si ruppe nella testa e nel cuore di William, qualcosa che lo fece rimanere paralizzato a guardare la scena. Qualcosa che gli disse, a voce bassa e beffardamente: “Lo sapevi. Tu lo sapevi già”.

 

La sua mano tremò ancora, ma non sparò. Fissò prima Went, poi Irina, senza provare niente. Né rabbia, né dolore, né frustrazione, né tradimento. Niente. Non sentiva altro che i battiti del suo cuore, regolari, forti, che gli ricordavano che era vivo…

 

Centinaia di immagini gli passarono davanti agli occhi, così rapide da apparire sfocate, ma incredibilmente chiare… I baci di Irina, le notti passate insieme, le gare, il dolore, la rabbia, la dolcezza… Tutti i sentimenti che lei era stata in grado di suscitargli, tutto quello che aveva provato… La bocca gli si serrò, la mascella di pietra, al ricordo delle parole che si erano sussurrati, ai pensieri che lui aveva fatto…

 

Aveva immaginato un futuro insieme.

 

Aveva deciso di sposarla…

 

Poi, incredibilmente, sul volto dello Scorpione si dipinse un sorrisetto.

 

E ritrasse la pistola.

 

Forse era follia, quella, ma non avrebbe sparato. Non voleva uccidere nessuno, in quel momento. Non desiderò nemmeno di non avere avuto l’idea di appostarsi lì. Non pensò nemmeno di vendicarsi in qualche modo. Smise di pensare e basta.

 

Guardò Irina allontanarsi dopo aver baciato Went, veloce, e sparire in un vicolo. Poi fu la volta dello sbirro di salire in auto e andarsene, senza che lui facesse niente. Rimase a guardarli con la sua smorfia sul volto, il corpo semiparalizzato.

 

Solo allora William si concesse di guardare la pistola. Solo allora si concesse davvero di pensare.

 

Irina aveva finto fino a quel momento. Non era tornata a fare la pilota clandestina per liberare lui; molto probabilmente collaborava con la polizia, e il suo obiettivo era quello di incontrare e incastrare la Lince. Dimitri le aveva fatto da spalla, perché nessuno meglio di lui conosceva la Russia e i suoi abitanti… Went era da quelle parti perché c’era lei lì… Ritrovare lo Scorpione era stata una sorpresa, ma lei aveva gestito la situazione nel modo migliore: fingere che la sua copertura fosse la verità. Tutto combaciava alla perfezione.

 

Fissò l’arma che teneva in mano, il dito che accarezzava il grilletto, e pensò che Irina era stata intelligente. Maledettamente intelligente.

 

Ma era stata anche coraggiosa, in modo incredibile. Niente le aveva assicurato che lui sarebbe caduto nella sua trappola, che avrebbe davvero creduto che lei era andata a Mosca per liberarlo; niente le aveva assicurato che lui non l’avrebbe uccisa per vendicarsi. Aveva rischiato, e aveva fatto tutto da sola.

 

Esattamente come avrebbe fatto Fenice.

 

Ma c’era qualcosa che non aveva calcolato, qualcosa che nemmeno lui aveva previsto.

 

Lo Scorpione era caduto volontariamente nella sua trappola.

 

Sì, lo ammetteva. Non ci aveva pensato all’inizio, che poteva essere tutto un imbroglio, perché inconsciamente non aveva voluto farlo. Aveva deliberatamente creduto a ciò che Irina gli aveva detto perché voleva farlo.

 

Lo aveva sempre saputo, che lei era il suo punto debole.

 

“Tutto questo è solo colpa mia. Era solo questione di tempo. Davvero credevo che si fosse pentita? Davvero credevo che avesse dimenticato ciò che le ho fatto?”.

 

No, ma piuttosto di perdere lei, senza saperlo, aveva accettato tutti i rischi. Anche quello di vedersi tradito. Aveva accettato tutto, pur di ritrovare qualcosa dei suoi vecchi giorni della Black List… Si era coperto gli occhi, e non aveva guardato oltre il suo naso.

 

Cosa poteva pretendere ora? Niente. Si era lasciato incastrare perché era stato debole, perché aveva accettato un compromesso. Fin da quando era uscito di prigione, fin da quando era nato, qualcuno aveva cercato di fregarlo, e lui non l’aveva mai permesso. A nessuno. Irina era stata brava, perché aveva sfruttato la sua debolezza.

 

Si, li odiava tutti. Odiava tutti quelli che avevano tentato di gabbarlo… Li odiava, perché si erano creduti più furbi, più forti, più intelligenti di lui.

 

Ma no, non odiava lei. Non odiava Irina, anche se l’aveva tradito, anche se l’aveva ingannato, anche se l’aveva preso in giro. Non poteva odiarla, perché aveva bisogno di lei. Perché in fondo, lei non l’aveva fregato per fargli del male. Lo aveva fregato per salvare sé stessa, ora come in passato.

 

E adesso che sapeva, forse le cose sarebbero cambiate. Ora che sapeva, capì che non poteva disprezzarla. Che tanto non ne sarebbe mai stato capace.

 

Irina aveva finto, ma aveva smesso di odiarlo. Forse non lo aveva amato, ma lo aveva trattato come se fosse davvero parte della sua esistenza. L’aveva trattato come se lo amasse veramente, nonostante tutto.

 

E lui, lui non poteva che essergliene grato.

 

Perché finalmente capiva. Capiva come girava veramente il mondo, capiva veramente cos’erano le cose importanti nella vita, capiva che solo commettendo gli errori si impara, capiva che forse aveva sbagliato tutto, nella sua misera esistenza.

 

Capiva che non gli rimaneva davvero nulla da perdere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 19.00 – Mosca, Appartamento di William

 

Irina era preoccupata. Guardava fuori dalla finestra la strada immersa nel buio, in attesa che William tornasse, ma non vedeva la Bugatti sbucare da nessuna parte.

 

Era in ritardo. In enorme ritardo. William le aveva detto che sarebbe tornato per pranzo, ma non si era fatto vedere. Lei aveva aspettato, poi aveva provato a telefonargli, trovando il cellulare spento.

 

La sua inquietudine era cresciuta. Non sapeva nemmeno dove era andato, ma non le era sembrato qualcosa di serio… Forse era semplicemente andato a prendere qualche macchina nuova, ma non poteva metterci così tanto.

 

Forse c’era lo zampino dei russi… Forse volevano vendicarsi per l’omicidio del meccanico…

 

Aveva stretto i denti e provato a chiamare altre cinque volte, con lo stesso risultato. Silenzio assoluto.

 

Sapeva che William era in grado di cavarsela in qualsiasi situazione, ma ciò non toglieva che era preoccupata per lui. Non voleva che gli venisse fatto del male, ora che sembrava sulla via del cambiamento… Forse se lo sarebbe meritato, a detta di molti, ma lei non poteva augurarsi che gli accadesse qualcosa di male.

 

Non poteva fare altro che aspettare, ma se non fosse tornato per le nove avrebbe chiamato Xander o Dimitri per far mandare una pattuglia in sua ricerca.

 

Finalmente però vide i fari della Bugatti bucare il buio della notte, e l’auto fermarsi per entrare nel parcheggio interno. William scese, vivo e vegeto, chiuse la macchina e si diresse di sopra.

 

Irina tirò un sospiro di sollievo quando lui entrò in casa, ma percepì subito che lo Scorpione aveva qualcosa di strano. Qualcosa di strano che era diverso da quello dei giorni precedenti.

 

Le rivolse un sorriso, ma non si avvicinò per baciarla.

 

<< Cosa è successo? >> domandò lei, in apprensione.

 

William scosse il capo.

 

<< Niente di grave. La cosa è andata un po’ più per le lunghe di quanto mi aspettassi >> rispose, << Eri preoccupata? >>.

 

<< Un po’… >> rispose Irina, << Ti aspettavo per pranzo… Le minacce dei russi mi hanno fatto venire in mente qualche pensiero un po’… >>. Si interruppe, non trovando le parole adatte.

 

William la guardò.

 

<< Sto bene >> disse, << Però vorrei mangiare qualcosa, se non ti dispiace. Hai tempo per una delle tue torte? >>.

 

Irina lo guardò stranita. Stranamente distaccato, ma nemmeno aggressivo… Inusuale.

 

<< Sì >> disse incerta, << Va bene… Sei… Sei sicuro che sia tutto ok? >>.

 

William si avvicinò e le diede un delicato bacio sulle labbra.

 

<< Certo… Sono solo un po’ stanco >> rispose, poi andò a sedersi sul divano.

 

Irina rimase in silenzio, e si diresse in cucina. Non poteva mentire a sé stessa: c’era qualcosa che non andava. Non sapeva cosa, ma William forse iniziava ad accorgersi dei suoi comportamenti?

 

Mentre apparecchiava la tavola, gettò uno sguardo di sbieco alle spalle dello Scorpione: che avesse intuito o scoperto qualcosa? E se sapeva, perché rimanere in silenzio?

 

Preparò la torta di mele che sapeva essere la preferita di William, e durante la cena lo trovò particolarmente silenzioso. Guardarono la tv satellitare, ma nemmeno di fronte all’arresto di un gruppo di piloti clandestini dalle parti di Los Angeles William disse qualcosa.

 

Solo quando andarono a letto, allo Scorpione sembrò tornare la voglia di parlare. Erano sdraiati uno di fianco all’altro, solo la lampada sul comodino a rischiarare la stanza. Irina sapeva che da un momento all’altro William si sarebbe voltato e l’avrebbe baciata, ma non lo fece. Sentì invece la sua mano catturare le sue dita, scorrendo i polpastrelli sul suo palmo, delicatamente.

 

<< Ho deciso che forse la Black List può aspettare >> disse, come se stessero riprendendo un discorso interrotto poco prima, << Non voglio fare due volte lo stesso errore, circondandomi di piloti di cui alla fine non posso fidarmi… >>.

 

Le gettò un’occhiata, e Irina non poté che allarmarsi. Rimase impassibile, sentendo le dita di William scorrere sul dorso della sua mano, ma il suo cuore iniziò a battere forte. Non poteva essere un caso…

 

<< Che… Che cosa vuoi fare? >> domandò a bassa voce.

 

William si avvicinò, sorridendo.

 

<< Niente >> rispose, poi la baciò intensamente, ma in modo diverso da tutte le altre volte.

 

Fu come se William non l’avesse mai sfiorata, come se anelasse le sue labbra da anni… La trascinò sopra di sé, adagiandola sopra i suoi addominali scolpiti, le mani ad accarezzarle i fianchi…

 

<< Irina… Io ti amo, ricordatelo >> sussurrò.

 

Lei rimase ferma, ma qualcosa le si sciolse a livello dello stomaco… Il suo tono di voce era troppo strano, troppo diverso dal solito…

 

<< Ti amo e non smetterò di farlo, qualunque cosa accada >>.

 

Poi William la baciò, travolgendola, e Irina rimase senza fiato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Forse furono i pensieri che le turbinavano nella testa, ma Irina si svegliò presto quella mattina. Molto presto. Il display della radiosveglia segnava le quattro del mattino, e mentre lo fissava si accorse che lo schermo del suo cellulare, adagiato sul comodino, lampeggiava.

 

Lo prese, facendo meno rumore possibile, e vide che erano arrivati due messaggi. William dormiva profondamente, così si arrischiò a leggerli.

 

Uno era di Dimitri. Lo aprì. C’erano scritte pochissime parole.

 

“Lui sa”.

 

A Irina si gelò il sangue nelle vene, mentre capiva che quello che aveva sospettato era vero… William aveva scoperto che era un agente dell’F.B.I., sapeva tutto…

 

Una serie rapidissima di domande le si formò nella testa, e la prima fu: perché non aveva fatto niente? Perché non l’aveva ammazzata con un colpo di pistola, per punirla del suo ennesimo tradimento?

 

Si voltò a guardare lo Scorpione dormire, ricordando solo in quel quanto potesse essere pericoloso… Il tatuaggio dello scorpione sul petto era coperto dal lenzuolo, ma i muscoli erano in bella vista… Avrebbe anche potuto soffocarla a mani nude quella sera stessa, ma lei sue mani l’avevano solo sfiorata delicatamente… Sapeva, eppure non aveva fatto nulla…

 

La sua copertura era saltata, ma lei era ancora viva. Il pensiero era assurdo…

 

Aprì velocemente l’altro messaggio, desiderosa di qualche informazione che le avrebbe fatto capire come comportarsi, ma vide che non era di Dimitri.

 

Il suo cuore perse un battito.

 

“Se vuoi ancora incontrami, hai ventiquattro ore da questo momento in poi per raggiungermi… Predi la tua auto, da sola, e percorri la Mosca-Cherepova un’altra volta. Sarò lì ad aspettarti”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Alors, signore e signori… Delirio? Forse. Follia? Forse. Chi si spiega tutto questo? Solo poche parole per dire: al prossimo capitolo. Intanto delirate un po’ anche voi, se non siete al mare spaparanzati sulla spiaggia, e fatemi sapere le vostre impressioni!

 

 

 

Ps: qualcuno chiede a gran voce qualche passaggio dal punto di vista di Dimitri. Ci sto pensando, perché entrare nella sua testa significa togliere un po’ di mistero al suo personaggio… Ma soprattutto, svelare un sacco di cose. Cercherò di far quadrare il cerchio e tirare fuori qualcosa di interessante. Vi chiedo solo un po’ di pazienza.

 

Lhea

 

 

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Capitolo 45
*** Capitolo XLV ***


Capitolo XXXXV

Capitolo XLV

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 04.15 – Mosca, Appartamento di William

 

“Se vuoi ancora incontrami, hai ventiquattro ore da questo momento in poi per raggiungermi… Predi la tua auto, da sola, e percorri la Mosca-Cherepova un’altra volta. Sarò lì ad aspettarti”.

 

Irina rimase a guardare il messaggio, basita. Ci volle qualche secondo per registrare il significato delle parole, ma un attimo dopo i suoi occhi fissarono la lampada del comodino senza vederla.

 

La Lince si era fatta viva, alla fine, e lo aveva fatto nel modo più inaspettato e complesso che poteva immaginare.

 

Guardò rapidamente l’ora di arrivo del messaggio: 03.48. Aveva già perso quasi mezz’ora…

 

Posò il cellulare sul comodino, e gettò un’occhiata a William che dormiva, gli occhi verdi chiusi e il tatuaggio dello scorpione nascosto dalla coperta.

 

Non si chiese cosa doveva fare, perché lo sapeva già.

 

Doveva partire il prima possibile, senza guardarsi indietro. La fase finale della sua missione stava per cominciare, e non doveva più preoccuparsi del fatto che William sapeva… Questione di ore, e sarebbe tornato dietro le sbarre. Il suo tradimento non aveva più importanza, perché tornava al suo obiettivo primario: catturare la Lince.

 

“Da sola”.

 

Il messaggio era chiaro: la Lince voleva vedere solo lei, e nessun’altro. Forse le faceva ripercorrere la Mosca-Cherepova proprio per garantirsi tutta la protezione necessaria: laggiù non ci sarebbe stato nessuno, a parte loro due.

 

Si alzò, cercando di fare il minor rumore possibile, e si rivestì in fretta e furia, mentre William continuava a dormire, beato. Lasciò per ultime le scarpe, prese il portafoglio e controllò quanti contanti avesse: le sarebbero serviti per la benzina e per l’autostrada…

 

Afferrò la sua borsa, ci infilò dentro il denaro arrotolato in un piccolo cilindro, il cellulare, la pistola e qualcosa per cambiarsi. Recuperò le scarpe, ma mentre usciva dalla camera semibuia esitò: sentì l’esigenza di voltarsi un’ultima volta. La prossima volta che si sarebbero visti, le circostanze sarebbero state molto diverse.

 

Era strano vedere dormire lo Scorpione, quando di solito le parti erano invertite… Lui era quello che non aveva punti deboli, che non cedeva mai, che aveva sempre il controllo della situazione. Un po’ come Xander, solo che Xander non aveva mai voluto recitare la parte del cattivo. E anche un po’ come Dimitri, che però cattivo lo era solo sembrato.

 

In fondo quei tre si assomigliavano più di quanto loro stessi avrebbero tollerato: Irina, che nel suo cuore li aveva amati tutti, e tutti in modo diverso, lo vedeva. Ognuno di loro aveva i suoi pregi e i suoi difetti, come ogni persona normale. Ognuno di loro aveva i suoi sentimenti, con i quali lei era stata capace di giocare.

 

Senza che lei lo volesse, nella sua mente si formò un’immagine. Un tavolo, e loro quattro disposti intorno, nel buio più assoluto; un tavolo di quelli spogli, freddi, fatti di metallo e nient’altro, in una stanza vuota e gelida. Forse una prigione? Forse una cella dove si erano rinchiusi per scontare le loro pene, i loro errori?

 

E si rese finalmente conto che fino a quel momento, tutti e quattro avevano giocato a un gioco pericoloso al quale si erano sottoposti volontariamente.

 

Tutti e quattro si erano seduti a quel tavolo, in una roulette russa perversa e rischiosa, a passarsi una pistola con un solo colpo, a vedere a chi sarebbe toccato il proiettile. In silenzio, consapevolmente, si erano passati quell’arma l’un l’altro, mettendo in gioco la loro vita ma soprattutto i loro sentimenti. Avevano giocato l’uno contro l’altro, lei compresa, per vedere chi sarebbe sopravvissuto a tutto quel dolore, chi avrebbe ceduto per primo.

 

E alla fine, quell’unico proiettile non era andato a lei, quella che noncurante aveva trasformato quella missione in una roulette russa lasciando che tre persone giocassero con la loro vita… Lo avrebbe meritato, no? Lei più di tutti meritava di perdere tutto, dopo aver volontariamente giocato con il fuoco… Ma la pistola, una volta arrivata a lei, aveva sparato a salve. E il proiettile era andato a William.

 

Era stato il suo terrore, eppure ora lo Scorpione le sembrava solo un ragazzo sfortunato ma pieno di talento, tradito dalla vita, oltre che da lei. Forse non meritava davvero tutto quel dolore. Forse non meritava di essere abbandonato così tanto a sé stesso.

 

<< Mi dispiace, Will… >> sussurrò guardandolo dormire, poi uscì dalla stanza.

 

Era difficile, era triste, ma non poteva più tirarsi indietro. E ora che aveva la possibilità di mettere la parola fine a tutta quella storia, doveva farlo.

 

Trasse un respiro profondo, per far chiarezza nella sua testa e mettere a tacere il suo cuore. Accostò la porta della camera da letto, e accese la luce del corridoio.

 

Non poteva perdere altro tempo. Si infilò le scarpe, recuperò le chiavi della Punto e scese di sotto, nella notte buia e gelida di Mosca, facendo attenzione a chiudere con la massima delicatezza la porta. Mentre saliva a bordo dell’auto, si chiese se dovesse avvertire Xander e Dimitri.

 

“Da sola”.

 

No, non poteva farlo. Primo perché non aveva ancora incontrato la Lince, e secondo perché non l’avrebbero mai mandata senza nessuno… Poteva scommettere che la Lince aveva predisposto i suoi controlli, per accertarsi che fosse davvero sola… Se le aveva fatto quella richiesta, un motivo c’era, e lei doveva assolutamente seguirla, se non voleva fallire. In ogni caso, Xander e Dimitri presto o tardi si sarebbero accorti che era partita, e avrebbero mangiato la foglia: non erano stupidi.

 

Mise in moto la Punto, e un attimo dopo schizzava per strada, i fari accesi, diretta verso l’autostrada. Non ricordava perfettamente il tragitto della Mosca-Cherepova, ma sapeva che doveva solo arrivare al traguardo: non avrebbero controllato davvero il percorso che avrebbe fatto. Il viaggio era solo una prova, l’ultima. E con solo ventiquattro ore di tempo, la Lince non avrebbe fatto troppo la pignola.

 

Tirò fuori il navigatore satellitare dal cassetto portaoggetti, e impostò la destinazione. Attese che elaborasse il percorso, poi vide campeggiare in basso a destra i chilometri da percorrere.

 

2.880

 

Deglutì, mentre improvvisamente ricordava che la gara si era svolta su tre giorni, in tre tappe, e che si era data il cambio con Dimitri…

 

Doveva percorrere 2.880 chilometri in ventiquattro ore, da sola, e senza preavviso.

 

Se quella era una prova, era davvero la più difficile che la Lince poteva escogitare. Significava che doveva tenere una media di 120 chilometri orari, senza soste né rallentamenti. A conti fatti, doveva percorrere almeno mille chilometri in otto ore, se voleva arrivare davvero in tempo, contando che avrebbe dovuto fermarsi per fare rifornimento e riposarsi, e che avrebbe potuto incontrare degli ostacoli…

 

Era da pazzi. Nessun pilota poteva reggere ventiquattro ore di corsa senza soste.

 

Imboccò l’autostrada, iniziando a sudare freddo.

 

Forse non ce l’avrebbe fatta. La Punto era stata rimessa a nuovo, certo, ma costringerla a fare un viaggio del genere un’altra volta e tutto d’un colpo era una sfida. E lei credeva di non avere la forza fisica per farcela…

 

“Non posso perdere questa occasione… E’ l’unica che ho”.

 

Irina forse non ce l’avrebbe fatta, ma Fenice non si sarebbe lasciata sconfiggere, nemmeno questa volta. La Punto non l’avrebbe abbandonata, perché lei non l’aveva tradita. Avevano affrontato tante battaglie insieme, e non potevano perdere proprio ora.

 

Attaccò il navigatore al parabrezza, poi premette il piede sull’acceleratore. L’autostrada era sgombra, vista l’ora, e lei era lucida. Doveva sfruttare quel momento e recuperare il tempo perso…

 

120, 140, 160, 180…

 

Non si sarebbe fermata. Più strada percorreva subito, meno ne avrebbe avuta davanti quando la stanchezza si sarebbe fatta sentire…

 

Vide sfrecciare il guard-rail di fianco a lei come una macchia indistinta nella notte, la carreggiata buia, i fari posteriori di un camion in lontananza… Sentiva l’adrenalina della corsa nelle vene, mentre tutto gli appariva assurdamente lento, ai suoi occhi di pilota clandestina…

 

Sarebbe arrivata a Cherepova, a qualsiasi costo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 04.00 – Mosca

 

Dimitri guardò sfrecciare la Punto di Irina a tutta velocità fuori dal garage, ma rimase appostato dov’era, dentro la R8 seminascosta in un vicolo. Lasciò passare appena qualche secondo, prima di sgusciare fuori, il motore al minimo, e guardare in alto, verso l’appartamento di Challagher.

 

Le luci erano tutte spente; Irina era andata via di nascosto.

 

Non gli ci volle molto per capire che la sua destinazione era solo una: la Lince.

 

Non stava scappando da Challagher, stava correndo al suo nuovo appuntamento. Lo Scorpione aveva avuto la reazione che lui aveva previsto. Non si era sbagliato nemmeno questa volta.

 

Appostarsi era la sua specialità. Quando se ne era andato dal locale, lasciando Irina e Xander al loro stupido riappacificamento, non aveva resistito alla tentazione di rimanere nei dintorni a controllare la situazione, come faceva spesso. Amava avere tutto sotto controllo, quando poteva.

 

Questa volta aveva fatto bene. Aveva visto Challagher, aveva visto la sua reazione di fronte alla realtà delle cose; l’aveva visto appostarsi per un agguato, e a sua volta l’aveva messo sotto tiro con la pistola, pronto a colpirlo se ce ne fosse stato bisogno… Non facevano più parte della Black List, farlo fuori non era un problema, per lui…

 

Ma lo Scorpione aveva abbassato la pistola, di fronte al tradimento di Irina. E Dimitri aveva fatto altrettanto, perché sapeva che Challagher non avrebbe mai ucciso Fenice, nemmeno ora. Conosceva troppo bene lo Scorpione e le sue debolezze, per non essere in grado di prevedere le sue mosse.

 

Aveva rischiato, permettendo a Irina di tornare a casa senza sapere che Challagher l’aveva beccata, e aveva rischiato a non dire nulla nemmeno a Went. Solo così, però, le cose sarebbero andate per il meglio: Irina non avrebbe saputo fingere, e Went non sarebbe stato capace di rimanere al suo posto. Lasciarli nell’ignoranza era una mossa avventata, ma che avrebbe permesso a Irina di essere naturale, una volta davanti allo Scorpione. Non avrebbe dovuto fingere per mascherare qualcosa che nemmeno sapeva. Challagher si era voluto coprire gli occhi, come aveva immaginato, e lo aveva lasciato fare.

 

Però era comunque venuto a controllare. Per quanto la sua testa gli dicesse che lo faceva per senso del dovere, in fondo poteva anche ammettere che non avrebbe sopportato la morte di Irina.

 

Non si dava dello stupido. Niente gli aveva fatto prevedere quello che sarebbe accaduto tra loro due, quando si era offerto di controllarla, ma non si pentiva di averlo fatto. Alla fine era rimasto con un pugno di mosche, ma anche se ne avesse avuto la possibilità non sarebbe tornato indietro.

 

Quando aveva incontrato Irina per la prima volta, quando ancora non era che una ragazzina in cerca di riscatto, niente di lei lo aveva attratto, ma la sua solida determinazione l’aveva colpito. Solo Challagher aveva visto in Fenice qualcosa che a lui evidentemente era sfuggito, e che aveva reso Irina più forte di quanto chiunque immaginasse.

 

Con il tempo aveva capito chi si trovava davanti. Quando aveva iniziato a capire che Fenice aveva un potere su Challagher come nessun’altro, aveva avvertito lo Scorpione. Si era reso conto che poteva rappresentare un pericolo per tutti i piloti clandestini e per la Black List; l’aveva voluta fuori, ma non era stato ascoltato. Per tutto quel tempo, Irina non era stata altro che la donna dello Scorpione, e un potenziale problema: non si era mai domandato se potesse attrarlo.

 

Poi aveva scoperto ciò che Challagher le aveva fatto, e qualcosa nel suo pensiero si era incrinato. Forse Irina era un pericolo, ma non meritava tanto dolore, non quando alla fine cercava solo di salvare stessa. A quel punto aveva lasciato lo Scorpione affondare, e aveva preferito offrire a lei la possibilità di salvarsi. Ai suoi occhi tra i due era quella che la meritava di più.

 

E ora, come uno stupido, esattamente come tutti gli altri, si era ritrovato ad amarla.

 

Aveva vissuto troppe cose per illudersi. Fin dal primo momento, fin quando Irina si era rivelata a lui nella nuova veste di spia, di donna e non più di nemica, aveva saputo che per loro non poteva esistere un futuro. Lei apparteneva a Went, anche quando si erano lasciati, e lui non l’aveva dimenticato. Era rimasta la donna di Went anche quando erano finiti a letto insieme, quando lui si era lasciato andare pur di sfogare una sola volta quel sentimento che non provava più da tanto, troppo tempo.

 

Una volta, si era detto. Una volta sola e basta. Solo il tempo di assaporare quell’istante e lasciarselo strisciare fin sotto le sue cicatrici, per capire se era ancora in grado di amare. Sapeva controllarsi, non avrebbe ceduto ancora.

 

E una volta era stata. Anche se sapeva che stava commettendo un errore, che stava perdendo un’occasione.

 

Per lui l’aspetto fisico non contava. Irina era bella, perché lui la vedeva tale, ma c’erano donne più belle. Irina era intelligente, ma c’erano donne più intelligenti. Non era perfetta, perché la perfezione non esisteva. Ma le sue caratteristiche erano così ben combinate, che difficilmente avrebbe incontrato qualcuna uguale.

 

Avrebbe dovuto lottare, ma non lo avrebbe fatto. Irina era di Went, e lui non si sarebbe intromesso. Irina amava Went, e lui non poteva intromettersi.

 

Guardò l’ora sul cruscotto della R8, e rapidamente decise cosa fare. Era chiaro che Irina era partita da sola e non avrebbe avvertito nessuno almeno per un po’. Finché non sarebbe arrivata davanti alla Lince non l’avrebbero sentita.

 

Poi, sentì il rumore di un motore in lontananza, e poco lontano sfrecciò una auto nera, con una striscia gialla sul cofano, i fari accesi nella notte.

 

Una Subaru Impreza.

 

Vladimir Buinov.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 04.27 – Mosca, Appartamento di William

 

Lo Scorpione si svegliò di colpo, come se qualcuno lo avesse scosso. Rapidamente mise una mano di fianco a lui, nell’oscurità, ma non trovò nessuno. Il letto era vuoto.

 

Si voltò, accese la lampada e guardò il materasso. Le lenzuola erano scostate, gli abiti di Irina erano spariti… E c’era un’enorme, profondo e inspiegabile silenzio.

 

Si alzò di scatto, accendendo la luce, per scoprire che in casa c’era solo lui. Non ebbe bisogno di chiamare Irina per capire che non c’era… Mancavano il suo cellulare e le sue scarpe…

 

Ad un tratto, un pensiero lo colse, tagliandogli il fiato come un coltello.

 

Irina se ne era andata.

 

Non capì. Rimase paralizzato a guardare il letto vuoto, gli occhi che non si staccavano dalle lenzuola dove fino a poco prima la ragazza aveva dormito con lui…

 

Era solo.

 

<< Ma dove cazzo… >> mormorò, poi si riscosse.

 

Si infilò i vestiti, e mentre lo faceva si chiese perché era andata via…

 

Era scappata da lui? Era fuggita perché aveva avuto paura? Sapeva che l’aveva vista con Went?

 

Sentì montare l’odio addosso, ma non per lei. Non l’avrebbe uccisa, anche se sapeva. Non le avrebbe fatto del male, altrimenti lo avrebbe già fatto… Non voleva perderla così in fretta…

 

Perché?

 

Qualcosa turbinò nella mente di William. Afferrò le pistola sotto il cuscino, il cellulare e le chiavi dell’auto. Dovunque fosse andata, doveva trovarla e chiederle perché.

 

Chiederle perché aveva finto. Chiederle perché aveva corso tutti quei rischi. Chiederle perché aveva visto in lui ancora qualcosa da salvare.

 

Improvvisamente, sentì il rumore di un’auto che sgommava in strada, e si precipitò alla finestra, sperando di vedere la Punto andare via, ma non era la macchina di Irina… Prima una Subaru Impreza nera passò velocissima, poi una Audi R8 grigio titanio la seguì, i fari che si spegnevano nella notte…

 

Erano diretti all’autostrada.

 

Non sapeva chi ci fosse sulla Subaru, ma sapeva che la R8 apparteneva a Dimitri. L’aveva già vista in passato.

 

Qualcosa gli disse che stavano seguendo Irina. Non sapeva perché, né il motivo per cui si sentisse così sicuro, ma era certo che Fenice centrasse in tutto quello che stava succedendo… Era lei l’obiettivo di tutti, ora. Perché forse era il personaggio più importante di tutta la Russia, in quel momento.

 

Si precipitò di sotto e saltò sulla Bugatti, gettandosi all’inseguimento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dimitri affondò il piede sull’acceleratore della R8, schizzando avanti con una sgommata, senza chiedersi se fosse la mossa giusta. Vladimir seguiva Irina perché l’avrebbe portato dalla Lince, e lui non poteva permetterlo…

 

La situazione aveva preso una piega lui non gradiva, e che poteva portare a guai.

 

Svoltò a destra, seguendo il percorso della Subaru. Imboccarono l’autostrada a tutta velocità, poi decise che era venuto il momento di dichiarare le fine della missione di Irina, e iniziare quella sua personale.

 

Afferrò il cellulare, cercò il numero di Went e attese in linea, la mano destra che stringeva il volante mentre schivava le auto che correvano troppo lente sull’autostrada. Vladimir non sembrava essersi ancora accorto che lo stava seguendo, ma presto lo avrebbe notato.

 

<< Dove diavolo sei? >> domandò Xander irritato, molto probabilmente per la telefonata notturna.

 

<< In Autostrada >> rispose secco Dimitri, << Irina è partita. Sta andando dalla Lince, ma c’è un problema: Buinov la sta seguendo. L’ho seguito, e ho intenzione di fermarlo. Avevamo fatto un patto a riguardo >>.

 

<< Ok, Dimitri, fa di lui quello che vuoi. Prendo la macchina e vi seguo, intanto avverto McDonall. Dove siete diretti? >>.

 

<< Non lo so. Irina ha preso l’autostrada, ma non so dove stia andando… >>.

 

Qualcosa brillò nel suo specchietto retrovisore, avvicinandosi a una velocità davvero troppo elevata per essere un’auto civile… Dimitri tacque, poi vide i fari a led di una Bugatti…

 

<< Cazzo… >> mormorò, << Muoviti Went. Ho Challagher attaccato al culo >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Irina sentì il cellulare squillare, ma lo ignorò. Non poteva perdere tempo, e chiunque fosse era qualcuno che voleva sicuramente chiederle dove voleva andare… Finché non fosse stata nei pressi di Cherepova doveva rimanere un segreto, perché la Lince voleva vedere solo lei e nessun’altro. Non poteva correre il rischio di perdere un altro incontro.

 

Vedeva la lancetta del tachimetro sul cruscotto non scollarsi mai dai 200, il rumore del motore farsi sempre più invadente, il buio della notte avvolgerla, rotto solo dal fascio di luce bianca dei fari della Punto… Sapeva di essere solo all’inizio del viaggio, che doveva percorrere ancora tanti chilometri, ma era inquieta. Sarebbe stato difficile, molto difficile, arrivare in ventiquattro ore…

 

Gettò un’occhiata nello specchietto retrovisore, per vedere la carreggiata sgombra, qualche camion in lontananza che procedeva lentamente, le strisce bianche sull’asfalto che scorrevano rapide sotto di lei…

 

Qualcosa però brillò catturando la sua attenzione: sembravano due fari, che si avvicinavano rapidamente, molto più veloci di tutte le altre auto… Erano troppo lontani per permetterle di riconoscere chi fosse, ma doveva per forza essere un pilota clandestino, qualcuno che aveva il coraggio di correre così velocemente lungo l’autostrada…

 

Il cellulare smise di squillare, e lei tornò a guardare la strada davanti. Ogni tanto gettava un’occhiata allo specchietto, per vedere i due occhi luminosi sempre più vicini…

 

E se fosse stato William?

 

No, non poteva essere lui. Non sapeva dove era diretta, non lo sapeva nessuno.

 

Forse Dimitri?

 

Diminuì leggermente l’andatura, per lasciare la possibilità all’auto di avvicinarsi almeno un altro po’ e permetterle di scoprire chi fosse.

 

Finalmente, l’auto si delineò alle sue spalle, e due strisce gialle brillarono nella notte, che percorrevano il cofano nero fin sul tetto. Irina imprecò, rendendosi conto che si trattava di Vladimir Buinov.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Bastardo, non andrai da nessuna parte”.

 

Dimitri si piantò dietro la Subaru, proprio mentre raggiungevano la Punto di Irina che correva a ritmo sostenuto nella notte, il navigatore attaccato al parabrezza che brillava di luce colorata. Gettò un’occhiata dietro, dove Challagher sembrava aver perso per un momento qualche centinaio di metri, e imprecò.

 

Dov’era Went quando serviva?

 

Non poteva tenerli a bada tutti e due, e comunque il suo obiettivo era Buinov.

 

Afferrò il cellulare, cercando rapidamente il numero di Irina.

 

<< Rispondi, cazzo. Rispondi a quel maledetto telefono… >>.

 

Molto probabilmente Irina si era resa conto che era inseguita, ma forse non voleva perdere la concentrazione rispondendo al cellulare. Mai come ora però aveva bisogno di parlarle…

 

<< Dimitri, che diavolo ci fai qui?! >> la sentì gridare un attimo dopo, quasi in preda al panico.

 

<< Non ho tempo di spiegarti >> ribatté lui, << Buinov ti vuole seguire perché crede che lo porterai dalla Lince. E Challagher ci segue a breve distanza. Dove sei diretta? >>.

 

Sentì Irina imprecare.

 

<< A Cherepova. Ho ventiquattro ore per arrivarci, e devo andare da sola. La Lince mi aspetta lì >>.

 

<< Merda >>.

 

Dimitri strinse il volante. La Mosca-Cherepova in ventiquattro ore? La Lince non era davvero a posto… Come poteva pretendere una cosa del genere, quando avevano già dato prova di fiducia vincendo la gara?

 

<< Ok, devi seminarci >> disse rapidamente lui, << Sono riuscito a raggiungerti subito perché ero appostato sotto casa tua, ma Went ci metterà un po’ ad arrivare. Buinov è mio, ma Challagher è affare suo. Io posso occuparmi di loro per un po’, ma se vuoi essere sicura che vada tutto bene devi cercare di seminare almeno Vladimir. Finché Went non arriva ad arrestare Challagher, io vi rimango incollati. Quando lo Scorpione sarà fuori dai giochi, io mi prendo Buinov. Cerca di farti perdere di vista >>.

 

<< Ok, ma… >>.

 

<< Niente ma, Irina >> abbaiò Dimitri, << Muoviti. Arriva in ventiquattro ore a Cherepova e sarai la migliore pilota clandestina che io conosca >>. Chiuse il telefono e lo gettò sul sedile, premendo sull’acceleratore. Vide la Punto di Irina aumentare la velocità, poi si affiancò a Vladimir: guardò oltre i vetri scuri, vedendo il profilo sfregiato del russo delinearsi nel buio.

 

“Adesso chiudiamo tutti i giochi, figlio di puttana”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Xander lanciò la Ferrari 599 sull’autostrada, senza chiedersi quando potesse essere pericoloso correre a quel modo. Non era un pilota clandestino, ma la velocità non gli faceva paura, e in quel momento l’unica cosa che voleva era raggiungere Challagher.

 

Aveva avvertito McDonall che ormai la fase finale della missione era incominciata, ma ancora non sapeva precisamente dove stesse andando Irina. Sapeva solo che era diretta a Nord, e che in quel momento aveva dietro di lei Vladimir Buinov e Challagher, oltre che Dimitri.

 

Non capiva perché il russo fosse sotto casa sua, ma si disse che forse aveva fatto la scelta migliore, chiedendogli di andare in Russia con Irina. Senza di lui, la missione non sarebbe andata bene come invece era accaduto… E forse, né lei né Irina sarebbero ancora vivi.

 

Forse non gli era particolarmente simpatico, ma sicuramente era in gamba.

 

Afferrò il telefono, chiamando il Mastino.

 

<< Dove sei? >> domandò solo il russo.

 

<< Sto arrivando. Che direzione avete preso? >> domandò Xander.

 

<< Ho parlato con Irina: deve arrivare a Cherepova in ventiquattro ore >> rispose Dimitri, << E deve farlo da sola. Finché non sarà non vuole l’intervento di nessuno >>.

 

Xander sentì le mani farsi sudate. Da sola? Come faceva a coprire tutta quella strada da sola e in ventiquattro ore?

 

Poi ricordò che aveva a che fare con Fenice, e che per lei niente era impossibile, nemmeno mettere per due volte nel sacco la persona più astuta e perfida che conoscesse: William Challagher.

 

<< Ok, ha la strada libera. Ho parlato con McDonall: nessun’auto della polizia la inseguirà, e ha disposto che non deve fermarsi ai caselli per il pedaggio. Avrà una corsia preferenziale >>.

 

<< Glielo dico io >> disse Dimitri, << A me risponderà. Ma datti una mossa ad arrivare, perché non posso fermare anche Challagher. Finché non arrivi da queste parti, scorto io Irina e Vladimir >>.

 

Xander ebbe la conferma che Dimitri era davvero stata la sua migliore mossa.

 

<< Ok. Arrivo >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Irina sentì l’asfalto farsi scivoloso, mentre piccoli fiocchi di neve iniziavano a scendere dal cielo nero sopra la sua testa, resi cangianti dalla luce dei lampioni lungo il tratto di autostrada. L’aria gelida vorticava fuori dai finestrini, fischiando sugli specchietti…

 

“Hai la strada libera. No polizia. Sei autorizzata a usare le corsie preferenziali”.

 

Il messaggio di Dimitri era chiaro: l’F.B.I. sapeva che era partita, e nessuno voleva ostacolarla. Prese la corsia delimitata dalle linee gialle, mentre i camion si incolonnavano alla sua destra per pagare il pedaggio…

 

Vedeva ancora bene la Impreza nera, ma per il momento non poteva fare di meglio: la Subaru era avvantaggiata dalla trazione integrale, mentre lei rischiava di finire in testa coda da un momento all’altro, con l’asfalto scivoloso. Per fortuna c’era Dimitri poco lontano, che rimaneva in vista, in attesa di entrare in azione. Finché vedeva i fari della sua R8 era abbastanza tranquilla.

 

Vide la sbarra del casello alzarsi, quando si avvicinò a tutta velocità. Come previsto, l’avevano riconosciuta e fatta passare…

 

Superò il casello, mentre la sbarra tornava ad abbassarsi. Non fu abbastanza per fermare Vladimir: la sfondò, facendola volare in avanti con un fragore assurdo, scartando di lato per schivarne i pezzi. Dimitri lo seguì, senza farsi allontanare.

 

Sperava che smettesse di nevicare presto, in modo da poter tentare di seminare Vladimir. Poteva provare strade alternative, uscendo dall’autostrada, ma stava seguendo il percorso del navigatore, che era il più breve e forse il più rapido. E non poteva permettersi di prendere la direzione sbagliata e perdere tempo.

 

In più, aveva anche William dietro di lei. Forse non se ne era accora, ma quando era andata via lui era sveglio, altrimenti come avrebbe fatto a trovarla?

 

Si rese conto che improvvisamente volevano tutti lei, che quella ragazzina arrivata da Los Angeles con una macchina italiana e un’eccessiva dose di sfrontatezza li aveva messi tutti alle strette. Nemmeno lei aveva potuto immaginare quello che era sarebbe accaduto, e soprattutto ciò che sarebbe riuscita a mettere in atto

 

Forse aveva finalmente trovato il suo equilibrio, quello vero. Metà pilota clandestina, con l’adrenalina delle corse nelle vene, e metà agente dell’F.B.I. pronta ad assicurare i criminali alla giustizia. Aveva la sua parte di divertimento e la sua parte di dovere… Forse aveva trovato il suo futuro?

 

Il lampeggiare dello schermo del navigatore la riportò alla realtà, ricordandole che prima di poter pensare a qualcosa che non fosse la missione doveva prima prendere la Lince. Premette sull’acceleratore ancora, rischiando di finire fuori strada, ma cercando di guadagnare ancora un po’ di terreno…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Xander lanciò la Ferrari lungo la carreggiata sinistra dell’autostrada, la lancetta del tachimetro che continuava a salire ininterrottamente, luminosa sullo sfondo bianco…

 

Quanta strada potevano aver già fatto? Irina aveva la strada libera, poteva aver guadagnato un buon vantaggio, ma gli altri?

 

Strinse la mano sul volante, il cellulare gettato sul sedile, gli occhi incollati alla strada… Non si trattava di arrivare per primi, non era una gara, ma aveva comunque l’adrenalina che scorreva nelle vene… Era una corsa contro il tempo, una caccia dove la preda era di nuovo quel maledetto Scorpione…

 

Se voleva raggiungerli più facilmente, però, aveva bisogno che si fermassero, o che almeno rallentassero l’andatura…

 

Afferrò il cellulare e chiamò Dimitri.

 

<< A che chilometro siete? >> domandò.

 

Il russo rimase in silenzio per qualche minuto.

 

<< 433 >> rispose, << Abbiamo tenuto una media di centocinquanta… Tu che fine hai fatto? >>.

 

Xander controllò il cartello che si avvicinava sempre di più, aguzzando la vista per leggere il numero: 329.

 

<< Avete un vantaggio di circa cento chilometri, allora >> rispose, infastidito, << Mi ci vorrà un po’ per raggiungervi, se non rallentate… >>.

 

<< Non dipende da me, Went >> ribatté Dimitri, << E’ Irina che fa l’andatura, e Vladimir le sta addosso. Forse puoi sperare che qui il tempo peggiori… Sembra voglia nevicare. Ma devi comunque darti una mossa. Non posso tenere a bada sia lui che Challagher. Per fortuna lo Scorpione non sembra voler prendere nessuna iniziativa, per il momento… >>.

 

Xander imprecò.

 

Diavolo, non era più capace a fare il pilota clandestino? Da quando veniva lasciato per ultimo, durante una corsa?

 

Forse quel periodo di bassa attività lo aveva rammollito?

 

“Eh no, non ho alcuna intenzione di farli scappare”.

 

<< Sto arrivando >> disse solo, poi chiuse la telefonata.

 

Un attimo dopo affondava il piede sull’acceleratore della 599, facendo schizzare la Ferrari oltre i duecento all’ora.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Irina gettò un’occhiata alla lancetta del serbatoio: aveva carburante per circa centocinquanta chilometri, se continuava a procedere a quella andatura folle, e sapeva di dover rallentare, visto la neve che iniziava a posarsi in fiocchi sempre più fitti sulla carreggiata.

 

Guardò dietro di lei: erano tutti lì. Vladimir, Dimitri e anche William la seguivano, senza superarla mai, ma senza nemmeno rimanere indietro. Era lei a fare strada, e l’avrebbero seguita fino al traguardo.

 

Vide lo sguardo di Dimitri puntato sulla sua auto, di ghiaccio, e capì che se non si era ancora mosso c’era un motivo: aspettava Xander, per potersi prendere Vladimir. Ma Xander dov’era?

 

Il navigatore segnava ancora 2.600 chilometri da percorrere: troppi per poter decidere di rallentare. Erano partiti da due ore circa, e finché era ancora lucida doveva forzare l’andatura. Xander avrebbe dovuto sfruttare tutta la potenza della sua Ferrari.

 

Irina superò a destra un grosso tir ondeggiante, oltrepassando l’ennesima stazione di servizio. Sentì le ruote pattinare per una frazione di secondo, e strinse più forte il volante. Ci voleva un attimo a uscire di strada…

 

Vide il cartello che indicava la prossima uscita, ma il suo navigatore non parlava: la freccia le diceva solo di andare sempre dritta.

 

Il tempo sembrava passare incredibilmente lento, nonostante la fretta che aveva. Il suoi piede non si alzava mai dall’acceleratore, mantenendo una velocità costante e non eccessivamente elevata, ma la Subaru nera, la R8 e la Bugatti rimanevano le sue ombre. I loro motori le facevano da sottofondo, senza darle la possibilità di dimenticarli per un momento.

 

Poi vide qualcosa muoversi oltre il guard-rail alla sua destra, nella corsia di accelerazione, veloce come una saetta…

 

Una grossa Mitsubishi Lancer bianca e viola si catapultò al suo fianco, il rumore del motore che sembrava quello di una meteora in fiamme. Aveva i vetri oscurati, quindi Irina non riuscì a capire chi fosse, ma era certa che non li aveva incrociati per caso…

 

La Lancer rallentò, portandosi all’altezza della Subaru, come se il suo obiettivo non fosse lei ma qualcuno nel gruppo che la seguiva… Vide Dimitri fissare l’auto, segno che non sapeva nemmeno lui chi fosse…

 

Poi la Lancer inchiodò di colpo, le ruote che stridettero violentemente, e la Impreza nera fu costretta a schivarla. La R8 si spostò a sinistra, mentre la Bugatti di William rimaneva ancora indietro, ultima…

 

Uno sparo secco squarciò la notte gelida, mentre un proiettile si andava a conficcare nel vetro della Impreza, lasciando solo un buco concentrico. Una pistola sbucava dal lato del passeggero della Lancer, e non accennava a voler smettere di sparare…

 

Irina accelerò di colpo per portarsi fuori tiro, ma la Lancer continuò a braccare la Subaru, come se fosse lei il suo obiettivo… La R8 rimase in disparte, pronta a scostarsi in caso di pericolo…

 

Improvvisamente, Irina capì che la Lancer era lì per liberarla dei suoi inseguitori. Si rese conto che stava bloccando la strada a Vladimir, Dimitri e William per darle la possibilità di guadagnare un po’ di vantaggio… Li stava rallentando…

 

Non sapeva perché, ma la Lince la stava aiutando. Era certa che avesse mandato lei quella macchina, perché era solo lei che voleva incontrare…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

William vide la Lancer sparare ancora alla Subaru, e non potè fare a meno di tirare fuori la sua pistola. Non gliene fregava assolutamente niente di chi fosse quell’auto, ma non voleva certo che gli sparassero addosso…

 

La Impreza iniziò a zigzagare, schivando i proiettili, ma davanti a lei la Punto sembrava allontanarsi sempre di più, approfittando della situazione…

 

Cercò di superare la Lancer, ma la R8 di Dimitri gli si parò davanti, bloccandole la strada. Imprecò, abbassando il finestrino e tirando fuori la mano…

 

Un pezzo del paraurti dell’Audi si staccò quando il proiettile si conficcò nella lamiera, stridendo. Dimitri non sembrò essere colto alla sprovvista: lo costrinse a rallentare, poi si portò di fianco a lui…

 

Finalmente dopo molto tempo William rivide la faccia del suo ex braccio destro, il numero due della Black List di cui si era sempre fidato e che alla fine lo aveva tradito. Fu una sensazione pazzesca, la rabbia iniziò a scorrergli nelle vene, dandogli quasi alla testa…

 

Con un colpo secco, sterzò a destra, andando a sbattere contro la fiancata dell’Audi, mentre la Lancer continuava il suo fuoco incrociato contro la Subaru. L’auto aveva il paraurti posteriore bucherellato, ma il lunotto era ancora intero, nonostante i diversi fori… Forse era un vetro antiproiettile…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dimitri strinse il volante, mentre incassava il colpo dalla Bugatti… Vide che la Punto era ormai diventata un puntino che andava via via rimpicciolendosi, e decise di smettere di limitarsi a guardare…

 

Sospettava che quel diversivo fosse opera della Lince, ma non aveva importanza. Ciò che contava era che gli era servito per liberare Irina e lasciarla andare avanti, da sola. Adesso poteva decisamente fare quello che gli pareva.

 

La Lancer bianca e viola rallentò ancora, poi costrinse la Impreza a spostarsi verso destra, chiudendole la strada. Percorsero cinquecento metri, fianco a fianco, come se si stessero studiando…

 

Una BMW serie 5 rosso scuro si catapultò fuori dall’ennesima rampa di accelerazione, irrompendo in mezzo al gruppo. Dimitri fu costretto a scartare di lato, mentre la Lancer si avvicinò, formando con la nuova arrivata un muro oltre il quale non potevano andare…

 

Dimitri rimase dietro, in attesa. Finché non lo attaccavano apertamente, poteva rimanere a guardare. Volevano semplicemente allontanarli da Irina, quindi per lui non era un problema…

 

Vladimir però non si perse d’animo. La Subaru accelerò di colpo, tentando il sorpasso a destra, ma la Lancer non la lasciò passare. Con un colpo secco le chiuse la strada, e quando vide che il russo non voleva cedere, le andò completamente addosso.

 

La Impreza strisciò il fianco sul guard-rail, sollevando una nuvola di scintille nella notte gelida. Un pezzo dello specchietto saltò via, e Dimitri rimase fermo dov’era, le mani strette sul volante, pronto a schivarla nel caso avesse perso il controllo. La Bugatti scattò in avanti, per approfittare della situazione e sorpassarli, ma la BMW le si parò davanti, impedendoglielo.

 

Dimitri iniziò a innervosirsi. Quelle due auto non sembravano particolarmente aggressive, a parte il fatto che non volevano che Irina venisse seguita, e a lui interessava solo rimanere incollato a Vladimir, ma non accennavano a volersene andare. Ormai Fenice aveva guadagnato abbastanza vantaggio per non essere più visibile all’orizzonte…

 

La Subaru inchiodò, liberandosi dalla stretta, e tornò in coda, visibilmente danneggiata. Rimase di fianco alla Bugatti, in attesa. Sicuramente Buinov voleva liberarsi subito di quei due, perché non poteva perdere di vista Irina… Ma era un tutti contro tutti, e non poteva contare sull’aiuto di nessuno.

 

Poi, con il rombo di un tuono, improvvisamente un paio di fari brillarono dietro la R8, e Dimitri puntò gli occhi nello specchietto retrovisore: una 599 rossa gli si accodò facendo stridere le gomme sull’asfalto, il motore al massimo e il tetto bianco di neve…

 

“Era ora, Went”.

 

Sapeva che li aveva raggiunti in poco tempo, e il suo era un semplice sfogo per il nervosismo della situazione. Però, per quanto gli fosse antipatico, lo rilassò sapere che era arrivato… Doveva aver corso come un dannato…

 

In quel momento, il rumore di pneumatici che scivolavano invase l’aria, e un secondo dopo Dimitri vide la BMW scivolare di lato, fuori controllo… Colpì la Impreza sul muso, facendola sbandare, mentre la Bugatti scartava di lato, cozzando con il guard-rail…

 

In un secondo, fu l’inferno.

 

La BMW prese in pieno una utilitaria solitaria che affrontava la notte della Russia, facendola andare in testa coda. Un furgoncino che sopraggiungeva in quel momento frenò, ma venne colpito e si ribaltò come se fosse stato un modellino. Per evitarli Dimitri prese la corsia di emergenza, seguito da Went, ma dell’olio si riversò sull’asfalto, facendogli perdere aderenza…

 

La Impreza si mise di lato, la Lancer che tentava di spingerla fuori, poi la Bugatti venne colpita al fianco dalla BMW che continuava a ruotare su se stessa, un ammasso di lamiera senza controllo…

 

Affondò il piede sul freno, inchiodando per non prenderli in pieno, e sentì la 599 fare lo stesso. La serie 5 si schiantò con un fragore assordante contro il guard-rail, i vetri andarono in frantumi schizzando da tutte le parti…

 

Qualcosa baluginò nell’abitacolo della BMW, poi ci fu un’esplosione, e l’auto prese fuoco in un attimo. La superarono, mentre anche il furgoncino ribaltato andava in fiamme, mentre la Lancer abbandonava l’amico al suo destino…

 

La Subaru riprese il pieno controllo, poi con un’ultima sbandata infilò la prima rampa di uscita disponibile e abbandonò l’autostrada… La Bugatti la seguì, un pezzo del paraurti posteriore che strisciava sull’asfalto…

 

La Lancer cercò di sterzare bruscamente, frenando, ma fu una manovra avventata. L’asfalto scivoloso la fece andare in testa coda, e con un botto si schiantò contro il pilone giallo di smistamento, bloccando l’uscita. Nel giro di un paio di secondi, andò in fiamme anche lei…

 

Dimitri imprecò, rendendosi conto che non poteva più seguire Vladimir. Batté violentemente la mano sul volante, rallentando. Xander gli si era affiancato, l’espressione truce.

 

Avevano perso entrambi le loro prede, almeno per il momento.

 

L’unica nota positiva era che Irina aveva la strada libera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Piccolo spazio dedicato a Dimitri, come avevo promesso. Alla fine non credo si sia capito gran che, di quello che pensa. E’ stato appena appena un assaggino, giusto per scoprire cosa pensa della sua storia con Irina. Piccolo, in questo momento mi verrebbe da coccolarlo… Immagino non di essere l’unica, vero?

Bene, per il resto, bisogna aspettare i prossimi cap per scoprire come va a finire.

Ah, ora è chiaro il titolo di questa storia. Russian Roulette. Tutto nasce da lì. Per chi non lo sa, la roulette russa è una sorta di gioco che si fa, di solito tra due persone, con una pistola carica di un solo proiettile, che ci si passa a turno. Il coraggio sta nel puntarsela addosso, e premere il grilletto, sperando che il proiettile non tocchi a te. Si va avanti così fino a che uno dei due muore. Decisamente macabro, vero? Però credo che ci azzecchi molto con tutta la storia, soprattutto per quanto riguarda i sentimenti. Irina, Xander, Dimitri e William si sono seduti l’uno di fronte all’altro in un tavolo, volontariamente, sapendo già a cosa andavano incontro, prendendo parte a tutta la vicenda. Hanno accettato di mettere in gioco le loro anime, pur di arrivare a scrivere la parola “fine” di questa storia. Irina ha giocato per avere la libertà, tutti gli altri per avere lei. E loro tre, Xander, Dimitri e William, sapevano che lei avrebbe scelto solo uno di loro. In qualche modo, Irina era il vero proiettile. Se la sono puntati addosso, sperando che non li ferisse. Alla fine sono rimasti colpiti tutti e tre, ma solo uno è affondato. Secondo voi chi?

Bene, lasciatemi i vostri commenti a riguardo, io leggo sempre tutto anche se non rispondo persona per persona. Alla fine però vi assicuro che ci saranno ringraziamenti personalizzati per tutti.

 

Un grande bacio

 

Lhea

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 46
*** Capitolo XLVI ***


Capitolo XXXXVI

Capitolo XLVI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 05.59 – Autostrada, chilometro 677

 

Irina gettò un’ultima occhiata all’indicatore del carburante, che ormai segnava rosso da un bel po’ di chilometri. Guardò un’ultima volta nello specchietto retrovisore, per vedere se qualcuno la seguiva, ma la strada era sgombra.

 

Si spostò a destra ed entrò nella stazione di servizio quasi deserta, a parte un paio di tir fermi in un angolo, i vetri oscurati dalle tendine interne. Si fermò vicino alla pompa di benzina e spense il motore.

 

Era già riuscita a fare più di duecentocinquanta chilometri, nonostante fosse partita solo da due ore abbondanti. Non aveva pensato che Vladimir potesse inseguirla, ma l’arrivo di quella Lancer e della BMW rossa le avevano dato una notevole mano. Molto probabilmente erano arrivate su ordine della Lince, perché si erano concentrati su tutti tranne che su di lei, e non poteva essere un caso.

 

Scese dalla Punto e infilò la pompa della benzina nel bocchettone per il rifornimento, poi si mise ad aspettare, mentre sentiva il rumore del carburante che scorreva lungo il tubo, le auto oltre il guard-rail che filavano via quasi silenziose.

 

Trasse un respiro profondo, l’aria fredda che le entrò nei polmoni, dandole quasi una scossa. Si guardò intorno, la luce del mattino che iniziava a illuminare la carreggiata, il cielo grigio di nuvole cariche di neve.

 

“Sono solo all’inizio, ed è già successo di tutto…”.

 

Staccò la pompa dal bocchettone e la rimise a posto, poi andò a pagare. Approfittò della pausa per prendere un rapidissimo caffè, poi rimontò in macchina e ripartì senza guardarsi indietro.

 

Il display del navigatore segnava ancora 2.587 chilometri da percorrere, ma ora che aveva il serbatoio pieno e soprattutto nessuno che la seguiva poteva spingere ancora di più sull’acceleratore. Si spostò a sinistra, il sole che iniziava la sua lenta risalita all’orizzonte, e sperò che non si mettesse di nuovo a nevicare. Per fortuna aveva smesso in fretta, ma quel poco di neve che era caduta era rimasta a terra, rendendo l’asfalto pericolosamente scivoloso… Doveva ringraziare che non fosse notte, perché il tutto rischiava di trasformarsi in una lastra di ghiaccio, costringendola a rallentare per forza.

 

Vide la lancetta del tachimetro salire vertiginosamente. Strinse saldamente il volante, si mise un po’ più comoda e ricominciò la sua galoppata verso Cherepova.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 06.00 – Autostrada, chilometro 599

 

William guardò il tizio che guidava la Subaru Impreza nera scendere dall’auto a osservare i danni: aveva i paraurti rigati, un faro rotto e il vetro posteriore spaccato, con un foro perfettamente rotondo al centro. Disse qualcosa ad alta voce, poi si girò a guardarlo.

 

Lo Scorpione assunse un’espressione di sfida, e mise mano alla pistola. Il russo però gli fece cenno di avvicinarsi, come se volesse parlargli.

 

Si trovavano in una vecchia stazione di servizio abbandonata, non troppo lontano dall’autostrada. Si erano infilati lì appena erano riusciti a fuggire dal gruppetto di auto che inseguiva Irina, e lui aveva seguito Vladimir perché aveva capito che era l’unico con cui poteva allearsi per ritrovare Fenice.

 

Scese dalla Bugatti, la pistola in pugno, e si avvicinò a Buinov. Gettò un’occhiata rapida alla cicatrice che portava sul collo, ricordo di un vecchio incontro faccia a faccia con Dimitri, e attese.

 

<< Perché mi hai seguito, Scorpione? >> chiese sprezzante Vladimir, senza preamboli, con la sua voce metallica e rasposa.

 

<< Perché stavi seguendo Irina? >> ribatté lui, secco.

 

Vladimir fece un mezzo ghigno.

 

<< Secondo te? >>.

 

<< Sta andando dalla Lince, ed è la Lince che tu vuoi >> rispose William.

 

<< Bravo, Scorpione, ci hai visto giusto >> ribatté Vladimir, << Immagino di non essere l’unico a seguirla, visto quello che è appena successo… >>.

 

<< A me non interessa trovare la Lince >> lo interruppe William, << Voglio solo sapere dove sta andando Irina. E tu lo sai >>.

 

Vladimir lo fissò, sospettoso.

 

<< No, non lo so >> rispose, << La seguivo apposta per questo… So solo che ora l’ho persa anche io, e che l’unica cosa che posso sospettare è che si stia dirigendo verso Cherepova >>.

 

Cherepova? Era troppo lontana… William non gli credeva. Poi però ci ripensò. Sì, poteva avere senso. La Lince di solito usava espedienti di tutti i tipi per mantenere la segreta la sua identità. Far arrivare Irina fino a Cherepova, da sola e un’altra volta, era la prova che gli serviva per accertarsi della sua affidabilità…

 

<< La devo trovare >> disse William, << Sono disposto a collaborare di nuovo con te… >>.

 

<< Ma io no >> lo interruppe Vladimir, << Io voglio la Lince, tu vuoi Irina. I nostri interessi non si  incrociano. E poi, questi sono affari miei… Tu qui non conti più niente >>.

 

Il russo salì velocemente in auto senza aggiungere altro, lasciando William a incassare il colpo, sempre più furente. La Impreza sgommò via, e lo Scorpione imprecò.

 

Non aveva bisogno dell’aiuto di nessuno, tantomeno di quel russo. Ora sapeva dove poteva essere diretta Irina, e lui l’avrebbe trovata.

 

Salì in macchina, accarezzò il volante e riaccese il motore. Aveva una Bugatti, l’auto più veloce del mondo, perché lui era lo Scorpione. E allo Scorpione, niente era impossibile.

 

Affondò il piede sull’acceleratore e partì, diretto all’autostrada.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 06.00 – Stazione di servizio, km 543

 

<< Ho bisogno di tutte le segnalazioni riguardo a una Bugatti nera che corre a forte velocità, molto probabilmente nei pressi dell’autostrada >> disse Xander, il cellulare incollato all’orecchio, gli occhi puntati sulla piazzola dove la Ferrari era parcheggiata, << E di una Impreza nera con due strisce gialle sul cofano >>.

 

Guardò Dimitri, che reggeva il suo bicchiere di caffè fumante con aria seccata. Dietro di lui, la porta dell’autogrill continuava ad aprirsi e chiudersi con un cigolio, mentre la gente entrava e usciva.

 

<< Stiamo cercando >> rispose McDonall dall’altra parte della linea, << Non dovrebbero esserci problemi a identificare l’auto, di Bugatti se ne vedono poche in giro… Gli agenti stanno vagliando tutte le immagini delle telecamere di sicurezza piazzate nei caselli e nelle stazioni di servizio, ma ci vorrà un po’… Della Impreza non avete la targa? >>.

 

Xander guardò Dimitri, dubbioso: gli sembrava troppo nervoso per potergli fare una domanda superflua come quella, ma era McDonall a ordinarlo.

 

<< Chiedono se ricordi la targa… >> disse a bassa voce.

 

Dimitri alzò un sopracciglio, poi con voce modulata snocciolò una serie di lettere e numeri.

 

Xander rimase di sasso nello scoprire che la ricordava a memoria, ma ripeté la targa a McDonall.

 

<< Bene, almeno saremo sicuri di aver trovato l’auto giusta >> disse il Vicepresidente, << Nel frattempo, cosa volete fare? >>.

 

<< Rimanere fermi non ci serve >> rispose Xander, << Abbiamo già deciso di dividerci, e fare le due strade più brevi e semplici verso Cherepova, o comunque verso nord. Sicuramente se vogliono seguire Irina e sanno dove sta andando, si dirigeranno da quella parte. Avremo qualche possibilità in più di incontrarli >>.

 

<< D’accordo. Vi chiamerò quando avremo qualche informazione >>.

 

Xander chiuse la telefonata, e gettò uno sguardo verso la Ferrari.

 

<< Abbiamo perso già troppo tempo >> disse, << Ci conviene  andare >>.

 

Dimitri finì il suo caffè e accartocciò il bicchiere, gettandolo nel cestino più vicino. Un tir che passava li inondò con il fumo scuro del suo scarico.

 

<< Non avevo intenzione di fermarmi >> ribatté il Mastino.

 

Si avviarono verso le auto, in silenzio.

 

<< Sei armato? >> domandò Xander. Poi senza aspettare la risposta del russo gli porse una pistola.

 

Dimitri gettò un’occhiata all’arma, quasi perplesso.

 

<< Non mi serve una pistola per uccidere Vladimir >> rispose lentamente, senza afferrarla. << E sparargli una pallottola in testa sarebbe troppo facile… Gli provocherebbe troppo poco dolore. Ma apprezzo il tuo gesto, Went >>.

 

Xander rimise la pistola in tasca, e gettò un’occhiata preoccupata al russo.

 

<< So che non sono affari miei, ma che cosa hai intenzione di fargli? >> domandò.

 

Dimitri si avvicinò alla portiera della R8, gli occhi grigi quasi inespressivi.

 

<< Ha ucciso mia sorella, Went >> disse, neutro, << E lo ha fatto in un modo barbaro e meschino. La mia e la sua famiglia si sono sterminate a vicenda per qualcosa che ai miei occhi non ha valore: uno stupido posto di potere… Se potrò farlo soffrire, lo farò >>.

 

Xander guardò Dimitri, senza capire. Poi il suo cervello si ricordò di quanto aveva detto Irina, e di tutte le strane voci sul russo. Sicuramente lei sapeva, ma per la prima volta il Mastino stava quasi parlando chiaro con lui.

 

<< Che vuoi dire? >>.

 

Dimitri, gli occhi imperscrutabili, fece una mezza smorfia.

 

<< Io dovevo essere la Lince, Went >> rispose, secco, << Ma siccome a me non interessava, hanno pensato bene di farsi fuori a vicenda per prenderne il posto. E io e Vladimir siamo gli ultimi rimasti, in questa storia. Ce la dobbiamo vedere faccia a faccia >>.

 

Xander rimase in silenzio, guardando quel russo che gli era sempre apparso strano e difficile da capire. Ora però, dopo quei mesi passati insieme, dopo aver scoperto che Dimitri avrebbe potuto portargli via Irina e invece non lo aveva fatto, iniziava a comprendere come funzionava la sua testa. E capiva perché Challagher aveva scelto uno come lui, come braccio destro.

 

Dimitri esigeva rispetto e fiducia, ma ripagava con la stessa identica moneta. Se ti reputava una persona degna della sua fiducia, non ti avrebbe mai tradito, nemmeno se ci avesse rimesso qualcosa. Finché avevi il suo rispetto, potevi contare sulla sua più profonda lealtà.

 

Non conosceva tutta la storia, non sapeva perché Dimitri avrebbe dovuto essere la Lince, ma non voleva fare altre domande. Erano affari del russo, nel quale lui non poteva mettere il naso, e avrebbe accettato il fatto che lui non volesse essere più esplicito. Già gli aveva detto qualcosa che forse in tempi diversi non gli avrebbe mai rivelato, e comunque Irina sapeva. Si erano fidati l’uno dell’altra, quindi Dimitri doveva per forza essere affidabile.

 

<< Per me puoi fare ciò che vuoi, quando vi incontrerete, ma non posso garantirti che l’F.B.I. non prenderà provvedimenti, se lo ucciderai. Sarebbe un fuori programma che non è stato previsto… Potresti rischiare il tuo sconto >> disse Xander, serio.

 

Dimitri fece quasi un sorriso, come se la cosa lo divertisse.

 

<< Non me ne frega niente del mio “sconto”, come lo chiami tu >> rispose, << Anche se dovessi passare tutto il resto della mia vita in carcere, lo ucciderei comunque. Per me in questo caso il gioco vale la candela >>.

 

Xander annuì.

 

<< D’accordo Dimitri >> disse, << Allora andiamo. Abbiamo un po’ di strada da recuperare >>.

 

Il russo fece un cenno con la testa.

 

<< Buona fortuna, Went. Ma sei abbastanza forte da riprendere Challagher un’altra volta >>.

 

Salì sulla R8 senza aggiungere altro e mise in moto. Xander gli gettò un’ultima occhiata, poi fece un sorrisetto.

 

“Alla fine non è poi tanto male”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 10.30 – Autostrada, chilometro 866

 

Irina vedeva le strisce bianche dipinte sull’asfalto scorrere sotto di lei a velocità sostenuta, il guard-rail che sfrecciava veloce al suo fianco, le utilitarie che venivano superate con facilità. Il navigatore satellitare continuava a segnalare una sola direzione, sempre dritto, e il cielo nuvoloso sembrava annunciare pioggia.

 

La musica trasmessa dall’autoradio la distraeva, ma non riusciva a essere rilassata. Ormai iniziava a sentire la stanchezza, e aveva le braccia indolenzite. Le palpebre, anche se si sforzava, erano pesanti… Aveva dormito troppo poco quella notte, per poter affrontare quel viaggio un po’ più rilassata.

 

Guardò l’orologio, e decise di concedersi un’altra pausa. Aveva percorso circa settecento chilometri, ma aveva assolutamente bisogno di fermarsi, anche se era pericoloso. Non sapeva esattamente dove fossero Vladimir, né Xander e Dimitri, e poteva essere raggiunta… Ma meglio correre quel rischio, che finire preda di un colpo di sonno.

 

Inserì l’indicatore di direzione, e prese la strada per l’autogrill. Si guardò intorno un paio di volte prima di scendere, poi chiuse l’auto e raggiunse il bar all’interno. Ordinò il caffè più forte che avevano e mangiò rapidamente un panino.

 

Un quarto d’ora dopo era di nuovo sulla Punto, il piede premuto sull’acceleratore e la sensazione di aver recuperato qualche forza. La presa sul volante si era rinsaldata, i chilometri scorrevano lenti ma costanti sul display del navigatore, il sole sempre più alto dietro le nuvole.

 

Era solo all’inizio, non poteva mollare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 11.00 – Autostrada, chilometro 670

 

La Bugatti si fermò alla stazione di servizio, il motore che rombava senza segni di fatica, la carrozzeria danneggiata che brillava nella luce fioca del mattino. William si affiancò alla pompa della benzina e scese per fare il pieno.

 

Sapeva di essere sulla strada giusta, in direzione nord e verso Cherepova, ma di Irina non aveva trovato traccia. Non l’aveva vista, perciò presumeva di non averla superata, e che quindi lei fosse davanti, ancora in vantaggio. L’arrivo della serie 5 e della Lancer gli aveva fatto perdere tempo, e seguire Vladimir alla fine non gli era servito gran che.

 

Era sicuro di poterla raggiungere, se era avanti: la Bugatti era l’auto più veloce del mondo, e poteva tenere una media decisamente più alta di quella della Punto di Irina. Gli bastava correre un po’ più forte per poterla trovare…

 

Improvvisamente, mentre si guardava intorno nella piazzola della stazione di servizio, sentì il rumore di un motore che rombava deciso e si avvicinava a forte velocità. Oltre il guard-rail la Impreza nera di Vladimir sfrecciò sull’autostrada, scomparendo alla vista in pochi secondi.

 

Lo Scorpione imprecò. Non poteva permettergli di raggiungere Irina, qualunque fosse il suo scopo.

 

Senza nemmeno preoccuparsi di pagare, chiuse il bocchettone del rifornimento e saltò sulla Bugatti, gettandosi all’inseguimento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 11.10 – Autostrada

 

<< Abbiamo le immagini di una stazione di servizio a pochi chilometri da voi >> disse McDonall, << Challagher ha appena fatto il pieno ed è ripartito senza pagare… A giudicare dalla reazione, sta seguendo qualcuno >>.

 

Xander guardò la strada sgombra davanti a lui, la R8 alle sue spalle che la seguiva stranamente docile, i camion che procedevano lenti alla loro destra… Strinse un po’ di più il volante, il cellulare premuto sull’orecchio.

 

<< Dove? >> chiese solo.

<< E’ all’altezza del chilometro 670 >> rispose McDonall, << Non è lontano >>.

 

<< C’era anche Buinov? >> domandò Xander.

 

<< Forse… Irina risulta più avanti, quindi non poteva inseguire lei >> rispose il Vicepresidente.

 

Xander fece un mezzo sorriso.

 

<< Allora li abbiamo >> disse.

 

Chiuse la telefonata, poi cercò rapidamente il numero di Dimitri. Dallo specchietto retrovisore lo vide afferrare il cellulare e rispondere, secco.

 

<< Allora? >>.

 

<< Sono davanti a noi. Hanno 80 chilometri di vantaggio. Dovrebbero essere insieme >>.

 

<< Prendiamoli >> disse Dimitri, una nota minacciosa nella voce.

 

Sul viso di Xander il sorriso si allargò ancora di più.

 

<< Aspettavo solo che me lo chiedessi… A quanto arriva la tua R8? >>.

 

Dimitri sembrò sghignazzare, dall’altra parte della linea.

 

<< Va abbastanza per stare dietro a quel figlio di puttana di Vladimir >> rispose.

 

<< Allora rimanimi incollato. Stai per essere scortato dalla prima Ferrari della polizia della storia d’America >>.

 

Xander tirò fuori il lampeggiante da sotto il sedile, rimasto la sotto solo per le vere emergenze. Aprì il finestrino e lo incollò al tettuccio, poi premette il tasto sul cruscotto e quello cominciò a suonare violentemente, segnalando la loro presenza.

 

Affondò il piede sull’acceleratore e partì, l’Audi un’ombra grigia dietro di lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 12.00 – Autostrada, chilometro 755

 

Fu come vedere un lampo rosso che piombava a tutta velocità verso di lui, un bolide lanciato a trecento chilometri l’ora con una sirena lampeggiante sul tetto e i fari allo xeno accesi e abbaglianti.

 

<< Cazzo >>.

 

William si era completamente dimenticato di Went. L’urgenza di inseguire Irina e riuscire a fermarla gli aveva fatto scordare che lo sbirro gli stava alle calcagna…

 

Per un attimo non seppe che fare, gli occhi incollati allo specchietto, il grido insistente della sirena nelle orecchie…

 

Come diavolo aveva fatto a prenderlo? Lui aveva una Bugatti, diamine! Quella 599 doveva essere stata modificata, per andare così forte…

 

Vide una R8 color carbonio, quella di Dimitri, schizzare da dietro la Ferrari e superarli di colpo, senza guardarsi indietro.

 

Lo Scorpione digrignò i denti, poi si rese conto che il Mastino aveva un altro obiettivo, che molto probabilmente doveva essere Irina. Affondò il piede sull’acceleratore, schizzando avanti per non perderlo di vista…

 

La 599 gli si parò di fianco con uno scatto incredibile, e per un attimo lo Scorpione vide gli occhi di Went, quegli occhi che gli stavano lanciando di nuovo una sfida, la stessa sfida che gli avevano lanciato due anni prima…

 

Non aveva paura di lui, non l’avrebbe mai avuta. Lo odiava perché era stato in grado di portargli via Irina, perché lo aveva battuto togliendogli tutto… Voleva la vendetta, voleva ucciderlo, ma c’era qualcosa che dentro di lui premeva più forte della sua voglia di riscatto…

 

Irina era davanti a tutti loro, se ne stava andando senza avergli dato il tempo di chiederle perché…

 

“Ho imparato che bisogna avere delle priorità nella vita, Went. Tu non sei la mia”.

 

Schiacciò ancora più a fondo il pedale dell’acceleratore, ma la Ferrari gli rimase incollata, fianco a fianco… Era modificata, ora era chiaro.

 

Gli gettò un’altra occhiata, mentre il guard-rail gli sfrecciava di lato come una linea indistinta… Il motore della Bugatti gridò inferocito quando il suo piede calò implacabile fino a fine corsa sul pedale, ma lo spinse avanti, sempre più forte…

 

Vide il muso della Ferrari perdere terreno, i fari della R8 davanti a loro farsi più vicini…

 

Poi qualcosa andò storto, e il posteriore della Bugatti ebbe uno strappo di lato… Un clangore metallico invase l’aria, mentre la Veyron andava a sbattere contro il guard-rail, impazzita…

 

William strinse il volante con tutte le sue forze, controsterzò e sentì la Ferrari inchiodare per non venirgli addosso…

 

Un grosso tir gli si parò davanti all’improvviso, così in fretta da non riuscire a evitarlo. Sentì il paraurti andare in pezzi, il vetro posteriore creparsi, poi riuscì a riprendere il controllo…

 

Il clacson del tir suonò impazzito, poi il rimorchio iniziò a sbandare a destra e sinistra, fuori controllo. La 599 si spostò, finendo fuori dalla sua vista…

 

William sterzò bruscamente, le ruote della Bugatti che scivolavano sull’asfalto, poi ripresero aderenza e si infilò nella prima uscita disponibile, fuori dalla vista di Went.

 

Imboccò la rampa e sparì il più velocemente possibile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

<< Cazzo! >>.

 

Xander sbattè violentemente il pugno sul volante della Ferrari, fermo in mezzo all’autostrada con un tir ribaltato davanti a lui. L’olio del motore si era sparso sulla carreggiata, e ora brillava nero e scuro come il suo umore. Almeno Dimitri era andato avanti.

 

Scese, si accertò che il conducente fosse ancora vivo e chiamò un’ambulanza. Un attimo dopo, la sua telefonata fu diretta a McDonall.

 

<< L’ho perso di nuovo >> ringhiò, sapendo che in fondo aveva un minimo di colpa, << Chiamate i russi e ditegli di far alzare l’elicottero >>.

 

La cosa iniziava a diventare snervante, e per quando il suo orgoglio gli dicesse che doveva essere una cosa esclusivamente fra lui e Challagher, non poteva permettersi l’errore di peccare di superbia: se aveva a disposizione qualcuno che gli desse una mano a rintracciare di nuovo lo Scorpione, doveva usarlo ora.

 

<< Un paio di minuti e l’elicottero sarà in volo >> disse McDonall, calmo. << Mando anche le volanti. Goryalef? >>.

 

<< E’ avanti… Gli ho dato la possibilità di catturare Vladimir Buinov >>.

 

La sua voce non indugiò, anche se sapeva benissimo di aver appena mentito. Non gli aveva dato la possibilità di “catturarlo”, gli aveva dato la possibilità di ucciderlo…

 

Ci fu un momento di silenzio, come se McDonall non si aspettasse una risposta del genere.

 

<< E’ sicuro di quello che fa? >> domandò solo il Vicepresidente.

 

<< Sarà anche un pilota clandestino, ma credo che in questo momento ci siano poche altre persone di cui ci si può fidare come di lui. Mi prendo tutte le responsabilità >>.

 

<< E io mi fido di lei, agente Went. Immagino che il suo istinto non si sia sbagliato, come sempre >>.

 

Xander risalì in auto, stringendo il telefono. Non era l’unico a sperarlo.

 

Ma qualcosa gli diceva che Dimitri aveva bisogno di una seconda possibilità nella vita, e lui era l’unico che poteva dargliela.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dimitri vide la scena dallo specchietto retrovisore, il tir che si ribaltava come un modellino e spargeva olio ovunque, mentre Challagher filava via riuscendo a infilarsi in una rampa d’uscita…

 

Non importava. Era certo che Went stesse bene, aveva visto la Ferrari rallentare appena in tempo per non essere colpita in pieno, quindi poteva proseguire. Fermarsi gli avrebbe solo fatto perdere nuovamente terreno su Vladimir, e ora che sapeva di averlo vicino non poteva mollare.

 

Spinse il piede sull’acceleratore, il motore che andava sempre più su di giri…

 

Sei mio, Vladimir. Ho parecchie cose da vendicare”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 15.00 –Autostrada, chilometro 987

 

Irina sentiva il piede formicolare, così mosse un po’ la gamba sinistra, nella speranza che la circolazione tornasse a funzionare. Il piede destro continuava a premere sull’acceleratore, ma lo faceva in modo più leggero…

 

Aveva sonno, lo sentiva. Nonostante il caffè, nonostante la tensione, il suo corpo iniziava a ribellarsi. Le palpebre erano così pesanti che non sapeva se sarebbe riuscita ad andare avanti ancora per molto…

 

Forse aveva bisogno di un’altra pausa. Doveva fermarsi di nuovo, mettere benzina e sperare che il sonno passasse, almeno per un altro po’.

 

Entrò nell’autogrill, parcheggiò in un angolo tranquillo e spense il motore. Gettò un’occhiata al navigatore attaccato al cruscotto, lo schermo illuminato e le cifre ben visibili nell’angolino a destra.

 

Mancavano 1.600 chilometri. Troppi.

 

Irina ebbe un momento di sconforto. Non poteva reggere ancora…

 

Appoggiò la fronte sul volante, respirando a fondo. Aveva ancora tredici ore per raggiungere Cherepova, anche se aveva rispettato la tabella di marcia fino a quel momento… E troppa, troppa strada da percorrere.

 

Era stanca, decisamente stanca. Come poteva sperare di reggere un viaggio di altre tredici ore in quelle condizioni? Avrebbe dovuto essere attenta, correre a centottanta in autostrada richiedeva concentrazione e lucidità…

 

Per un attimo le venne la tentazione di prendere il telefono, chiamare la Lince e dirle che non sarebbe mai arrivata in ventiquattro ore, ma rimase immobile, le braccia conserte sul volante e la testa abbassata.

 

Non poteva mollare. Che figura avrebbe fatto? Aveva smosso mari e monti per essere lì, aveva messo in crisi il suo rapporto con Xander, aveva affrontato di petto tutte le sue paure, e ora, a un passo dalla fine, decideva di lasciare?

 

Però il suo corpo gridava, gridava per la fatica, per la tensione che fino ad allora aveva accumulato… Era da quando era partita per Mosca che viveva in costante pressione, e ora aveva raggiunto l’ultima soglia, aveva finito anche le energie di riserva.

 

Si lasciò andare sul sedile, fissando il soffitto dell’auto. Si sentiva sfinita, ma aveva comunque il cervello che lavorava: in fondo, aveva rispettato la sua tabella di marcia, e doveva solo mantenere la stessa andatura ancora per tredici ore…

 

Sospirò.

 

No, non avrebbe mollato. O almeno, non così, non in quel modo. Doveva almeno provare ad arrivare alla fine, a terminare quello che aveva cominciato…

 

Aveva bisogno di una pausa, una pausa vera che le avrebbe permesso di riprendere un po’ di energie. Quanto tempo poteva prendersi?

 

Alla fine decise, con qualcosa addosso molto simile alla rabbia.

 

Un’ora. Un’ora di pausa completa, per ricaricare le pile e poi ripartire, sperando di recuperare in fretta la strada persa. Era un rischio, Vladimir e William potevano raggiungerla, ma non sarebbe riuscita ad andare avanti per molto, in quello stato.

 

Afferrò il telefono, impostò il timer su un’ora e lo guardò scorrere all’indietro per qualche secondo… Poi abbassò il sedile, chiuse l’auto dall’interno e finalmente abbassò le palpebre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il cellulare trillò così forte da farla sobbalzare. Irina lo prese, spense la suoneria e guardò il timer azzerato, chiedendosi se davvero aveva dormito per un’ora o per una notte intera.

 

Si guardò intorno, per un momento spaesata, poi ricordò che il tempo a sua disposizione era terminato. Uscì dall’auto, passò nel bagno dell’autogrill per sciacquarsi la faccia e bevve un caffè rapidissimo.

 

Solo quando si fu seduta di nuovo al volante, sentì di essere un po’ meno stanca. Un’ora di sonno era bastata a farle riprendere un po’ di energie, almeno per qualche ora.

 

Soddisfatta, mise in moto la Punto e ripartì.

 

Forse era stato solo un semplice momento di sconforto; la stanchezza le aveva fatto vedere più nero di quanto in realtà non ci fosse stato…

 

Fece scivolare il piede sull’acceleratore, guadagnando velocità… Poteva ancora farcela, non tutto era perduto. Doveva solo arrivare a Cherepova

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dimitri vide davanti a lui la Impreza nera, e sentì l’adrenalina iniziare a scorrere sempre più forte nelle sue vene… La vedeva, oramai l’aveva raggiunta… Vladimir era suo.

 

L’avrebbe fermato a qualsiasi costo, anche di perdere la possibilità di ridurre la sua pena in carcere. Con il russo morto, poteva rimanere chiuso in cella per il resto dei suoi giorni. La sua anima si sarebbe finalmente calmata, smettendo di chiedergli vendetta per tutto quello che era accaduto, per tutto il sangue che era stato versato…

 

Nella sua testa, dolorosi e vividi come non mai, tornarono i ricordi di quella notte, quella maledettissima notte in cui aveva trovato sua sorella Lora morta… Quella notte in cui gli era stato strappato quel pezzo di cuore che non avrebbe mai riavuto indietro.

 

C’era stata solo un’occasione in cui aveva avuto paura, in tutta la sua vita, ed era stato quel giorno. Il terrore più puro gli aveva invaso il cuore, quando aveva messo piede in quella stanza buia dove avrebbe dovuto incontrare Buinov, perché i suoi sensi l’avevano già messo in guardia… Ricordava ogni secondo, ogni passo che aveva fatto, ogni suoi che aveva sentito mentre apriva la porta, sperando che ciò che aveva temuto fosse stato soltanto un orribile incubo…

 

Poi l’aveva vista, in un lago di sangue sul pavimento, un coltello piantato nella sua gola bianca… E il silenzio, il silenzio più puro, il silenzio più spaventoso.

 

Ricordava di non aver fatto nulla, di non esseri mosso, di non aver emesso nessun suono. Ricordava di essere rimasto immobile, gli occhi su quel corpo minuto accasciato sul pavimento… E lì era morta una parte di lui.

 

Lei, la sua bella, bellissima, dolcissima sorellina era stata ammazzata come una bestia, solo perché portava il cognome sbagliato, solo perché lui doveva diventare la Lince…

 

Solo lei era stata in grado di mostrargli il bello di ciò che li aveva sempre circondati. Solo lei era stata in grado di andare oltre i suoi silenzi, di capire cosa passasse per la sua testa. Solo lei, sua sorella gemella, aveva diviso con lui tutto…

 

Dimitri tornò alla realtà, e scoprì di aver afferrato il volante così forte da farsi sbiancare le nocche. Faceva troppo male ricordare.

 

Vladimir gli aveva tolto davvero troppo: Lora era sempre stata l’unica a conoscerlo davvero, l’unica a cui permetteva sempre tutto… Era l’unica ad aver ottenuto sempre il suo rispetto.

 

L’unica, fino a che non era arrivata Irina.

 

E Buinov aveva tentato di portargli via anche lei. O almeno, gli aveva fatto temere di aver commesso un errore, di aver sbagliato a lasciare che Fenice si avvicinasse così tanto a lui…

 

Perché lo sapeva benissimo che per tornare a vivere, doveva uccidere Vladimir Buinov. Che solo in quel modo avrebbe lasciato andare il ricordo di sua sorella e sarebbe tornato a vedere un domani. Solo il quel modo avrebbe chiuso quella porta che era rimasta aperta da quando Lora era morta, quella porta che nascondeva una stanza buia ma piena di dolore.

 

Superò un tir, e come se avesse aggiunto una spinta supplementare alla sua R8, si ritrovò a poche centinaia di metri dalla Impreza nera…

 

Poi la vide: spiccava bianca in mezzo alla carreggiata, fianco a fianco della Subaru…

 

E non era una Punto. Non era l’auto di Fenice.

 

Era una Lamborghini Gallardo bianca.

 

Nina Krarakova.

 

“Puttana”.

 

Nina non era lì per lui. Doveva aver stretto qualche accordo con Buinov, e sicuramente come lui era sulle tracce di Irina. Sicuramente come Vladimir voleva incontrare la Lince. Aveva sempre mentito, non era mai stata né una Sentinella né una Referente. Era solo una ragazza stupida e troppo arrivista per accettare l’affronto di essere stata messa da parte da una come Irina.

 

Dimitri fece una smorfia. Non poteva occuparsi anche di lei.

 

Vide la Gallardo accelerare, lasciandosi dietro la Impreza… Vladimir accettava la sua sfida. Lo stava aspettando.

 

Era giusto così. Nina doveva vedersela con Irina. Ognuno aveva i propri conti in sospeso da saldare.

 

E lui questa volta non si sarebbe fatto scappare l’occasione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Qualcosa di bianco brillò nello specchietto retrovisore della Punto, e Irina non potè fare a meno di guardare. Avanzava rapido, chiunque fosse, e sembrava decisamente intenzionato a raggiungerla.

 

Lasciò andare leggermente l’acceleratore: voleva scoprire chi fosse. Non ricordava nessuno con un’auto bianca, e fino a quel momento i piloti sconosciuti che aveva incontrato si erano rivelati suoi alleati, molto probabilmente mandati dalla Lince…

 

Proseguì dritta, gli occhi che si spostavano ritmicamente dalla strada alle sue spalle, poi finalmente riuscì a distinguere i contorni dell’auto…

 

Una Gallardo bianca.

 

Ci mise un attimo, poi collegò. La bella faccia di Nina Krarakova campeggiava oltre il vetro della Lamborghini sempre più vicina, i suoi occhi azzurro ghiaccio che esprimevano tutta la sua soddisfazione nell’averla raggiunta.

 

Per un istante Irina rimase senza parole. Che diavolo ci faceva lì? Cosa centrava lei in tutta quella storia?

 

Poi sentì montarle addosso una rabbia enorme, come forse non aveva mai provato fino ad allora. Prima le portava via Xander, poi cercava di umiliarla di fronte a tutti, e adesso le metteva pure i bastoni tra le ruote?

 

Poteva anche guidare una Gallardo, poteva anche essere la ragazza più bella di tutta la Russia, poteva anche essere la figlia del Primo Ministro russo, poteva anche essere una pilota più brava di lei, ma non poteva permettersi di intralciarle la strada. Non in quel momento. Doveva portare a termine la sua missione, non aveva tempo da perdere con lei.

 

E poi, aveva davvero sopportato troppo da quella russa dalla faccia d’angelo. Era stata sfidata troppe volte per non aver voglia di prendersi una rivincita.

 

Per la prima volta nella sua vita, sentì davvero il desiderio di dare una lezione a qualcuno. Per la prima volta, si sentì Fenice davvero fino in fondo. Si sentì una vera pilota clandestina.

 

Strinse il volante, le nocche bianche e gli occhi ridotti a fessure.

 

“Devi fare ancora molta strada, carina, prima di poter pensare di fermarmi. Ora ti insegno io cosa significa fare un torto a Fenice”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Mi inginocchio e chiedo scusa a tutti voi lettori, ma purtroppo, lo ammetto, ho avuto la “famosa” crisi dello scrittore, quella del foglio bianco. La scrittura di questo capitolo è stata difficile, nonostante la storia fosse chiara nella mia mente. Doveva capitarmi prima o poi, infatti è successo. Mi dispiace davvero, ma non riuscivo proprio a mettere per iscritto quello che avevo per la testa. Spero che per il prossimo capitolo riesca ad andare avanti con più facilità.

Vi ringrazio in anticipo per le recensioni che vorrete lasciarmi, nonostante il mio scarso impegno. 

Scusate ancora.

 

 

 

Lhea

 

 

 

 

PS: ringrazio Myrhiam per avermi fatto notare l’errore nella numerazione dei capitoli. Ho corretto, spero di aver fatto giusto… Per comodità ero andata avanti con la numerazione “made in Lhea”, ma in effetti è meglio adottare la numerazione corretta. Sarebbe un errore imperdonabile, per una vera scrittrice. (Anzi, sto pensando: che figura che mi sono fatta!). Correggerò subito anche i precedenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 47
*** XLVII ***


Capitolo XLVII

Capitolo XLVII

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 17.50 –Autostrada, chilometro 1.070

 

Irina strinse il volante, guardò la Gallardo bianca alle sue spalle e sentì che la rabbia le montava addosso come una furia. Nina Krarakova si rifaceva vedere nel momento meno opportuno.

 

L’avrebbe seminata. Anche se guidava una Lamborghini, sapeva che non era l’auto che contava. Non aveva mai gareggiato contro di lei, e Xander aveva detto che era piuttosto brava al volante, ma lei era sicura di poterle far mangiare la sua polvere. In quel momento, sentiva che la differenza tra Fenice e quella russa troppo invadente era pari a zero.

 

Se Nina era lì per seguirla, ostacolarla o ucciderla era tutta un’altra questione, che in quel momento per Irina aveva scarsa importanza. Non gliene importava praticamente nulla del perché l’avesse trovata, e nemmeno di come aveva fatto. Voleva solo levarsela dai piedi e farle capire che fino a quel momento aveva condotto un gioco sbagliato, con lei: sfidarla fino a farla arrabbiare era stato il suo più grande errore.

 

Accelerò, la Gallardo che le rimase incollata al paraurti, e superò un paio di auto a tutta velocità, il cielo che iniziava ormai a essere completamente scuro… La notte avrebbe reso tutto più difficile, ma non impossibile.

 

Nina non si scollò: il grido del motore della Lamborghini le arrivava dritto nelle orecchie, fino quasi a coprire quello della Punto. La vide affiancarsi, la carreggiata sgombra da permetterle la manovra…

 

Irina si ritrovò a guardare in faccia Nina Krarakova, e solo il pensiero che quegli occhi azzurri si fossero posati con malvagità anche solo una volta su Xander e su Dimitri la fece andare in bestia. Era malvagia, malvagia fino in fondo… La sua bella faccia era l’arma più potente che aveva, e non aveva mai avuto scrupoli nell’usarla. Era un’arrivista, una calcolatrice e soprattutto una sgualdrina.

 

E ora la fissava, con quell’aria di sfida, come se volesse portarle di nuovo via il suo ragazzo, come se la considerasse un’incapace, una stupida ragazzina che non aveva capito niente della vita….

 

Si sbagliava, si sbagliava di grosso. Se c’era una cosa che Irina conosceva, era quanto crudele potesse essere il mondo, quanto dura potesse essere l’esistenza di una pilota clandestina… Aveva superato ostacoli che forse lei nemmeno immaginava, visto che la sua bella faccia l’aveva portata fin dove era arrivata… Che ne poteva sapere lei, quando il suo massimo sforzo per ottenere qualcosa era quello di andare a letto con chi glielo poteva dare?

 

“Non userò i guanti con te, Nina. Hai tirato fuori la parte peggiore di me, e ne subirai le conseguenze”.

 

Inchiodò di colpo, piazzandosi dietro la Gallardo, e la superò poi a destra, mettendo tra loro due un grosso tir con rimorchio. Accelerò, fiondandosi avanti, ma la Lamborghini riuscì a seguirla…

 

Nina fece la sua mossa. Le si mise dietro e la colpì con il muso, per farla andare in testa coda. La Punto non si mosse, rimanendo incollata alla strada, ma Irina digrignò i denti per la rabbia… Affondò il piede sull’acceleratore e si scostò di lato, costringendo Nina a seguirla…

 

Cosa poteva fare per liberarsi di lei in fretta e senza troppi danni all’auto?

 

Vide il muso della Gallardo affiorare nello specchietto destro, così scartò a sinistra, ritrovandosi vicino al guard-rail… Fregandosene di chi c’era dentro, Nina speronò una piccola utilitaria che procedeva lenta, sbalzandola fuori dall’autostrada…

 

Un paio di clacson suonarono mentre la Lamborghini zigzagava nel tentativo di raggiungerla, così Irina ne approfittò per farsi un po’ di strada…

 

All’improvviso fu costretta a inchiodare dietro a un camion che stava cercando di sorpassare un tir, occupando tutta la carreggiata… Nel giro di un secondo, la Gallardo le sbucò di fianco…

 

Poteva aspettarsi di tutto, ma non che Nina compisse un’azione così violenta: le venne addosso, stringendola sul guard-rail, decisa a sfasciarle la macchina… O forse, a ucciderla.

 

La fiancata della Punto si piegò, sollevando una nuvola di scintille, ma Irina tenne stretto il volante e con un colpo secco cercò di liberarsi…

 

La Gallardo era più grossa, più pesante e più potente. Rimase incastrata nella morsa di Nina e della sua auto, il camion davanti a lei che stava quasi per levarsi da davanti…

 

“Maledetta puttana bionda…”.

 

Accelerò, tentando di liberarsi, ma la Gallardo stringeva troppo… Sentì il vetro scricchiolare, mentre il guard-rail scorreva veloce alla sua sinistra…

 

Gettò un’occhiata a Nina, per vedere che stava tirando fuori una pistola… Faceva sul serio. Era lì per ucciderla.

 

In quel momento, qualcosa scattò nella testa di Irina, facendole accelerare i battiti del cuore e stringere con forza inaudita il volante. Era furiosa, furiosa come solo Fenice poteva essere. Furiosa come una che era stata sfidata nel profondo. Furiosa come la parte cattiva di lei sapeva essere.

 

Sterzò così forte da far spostare la Gallardo di due metri, sfiorando un vecchio camion traballante. La Punto inchiodò per liberarsi e in un attimo Irina la superò a destra, sentendo l’adrenalina che iniziava a pompare nelle vene, la rabbia che le faceva fregare di qualsiasi cosa potesse accadere…

 

Con un colpo secco, spinse la Gallardo contro il guard-rail, esattamente come era stato fatto a lei. Ma ci mise così tanta rabbia che uno degli specchietti della Lamborghini volò via, i fari andarono in mille pezzi spargendosi sulla carreggiata e una nuvola di scintille si sollevò nell’aria, illuminando la strada…

 

Irina vide Nina perdere di mano la pistola per afferrare il volante, i capelli biondi che le svolazzarono davanti al viso mentre cercava disperatamente di spostarsi fuori tiro…

 

“Fammi vedere cosa fai, biondina”.

 

Per un attimo Nina sembrò voler accelerare per fuggire, ma poi le venne addosso con tutta la forza dei cinquecento cavalli della Lamborghini… Irina strinse il volante, incassò il colpo e sentì la rabbia montarle addosso…

 

Il piede le affondò sull’acceleratore pensante come un macigno, sterzò bruscamente e chiuse Nina in una morsa tra lei e il guard-rail…

 

Con uno stridore assordante, l’altro specchietto della Gallardo volò via finendo dall’altra parte della carreggiata e colpendo in pieno un tir che procedeva nella direzione opposta. Il finestrino della Lamborghini si crepò, ma Irina non accennò a rallentare…

 

Voleva fermarla, e sapeva che non era da lei essere così violenta. Ma era così fuori di sé dalla rabbia per essere stata affrontata in quel modo da quella russa senza alcuno scrupolo che non era disposta ad accettare un’altra sconfitta… Soprattutto da lei.

 

L’avrebbe fermata a qualsiasi costo, anche sapendo di perdere tempo.

 

Tenne il volante stretto, spingendo sempre più forte a sinistra, sentendo la lamiera leggera e resistente della Gallardo piegarsi, il guard-rail scricchiolare di fronte al peso delle due auto…

 

Il finestrino della Lamborghini esplose in mille pezzi, facendo volare pezzi di vetro da tutte le parti, proprio mentre Irina vedeva il casello avvicinarsi velocemente… Le luci abbaglianti si pararono davanti a loro dopo una curva veloce, le sbarre abbassate e le auto in coda per pagare il pedaggio…

 

Nina non ebbe il tempo di elaborare una strategia: di fronte all’impatto inevitabile, fu costretta a inchiodare, con Irina che continuava a tenerla chiusa nella sua morsa… Con uno stridore di gomme, si ritrovarono di fronte al casello, a dieci metri dallo spartitraffico, la gente intorno che li guardava con gli occhi spalancati…

 

Irina afferrò la pistola e si precipitò giù dall’auto, senza pensare a ciò che poteva succedere. Tolse la sicura, e vide Nina puntarle addosso la sua arma…

 

“Ah, non cercare di spararmi, sgualdrina”.

 

Il dito di Irina premette sul grilletto così velocemente che non prese nemmeno la mira. Con un sibilo, il proiettile volò nell’aria…

 

Nina gridò mentre la pistola le schizzava via di mano, finendo sulla carreggiata gelida… In un secondo, Irina gli fu addosso.

 

<< Prima mi prendi per il culo e poi tenti di spararmi?! >> gridò, infuriata.

 

Nina non fece in tempo ad indietreggiare, ne a difendersi. Senza pensarci, senza fare nessun calcolo, l’istinto la portò a tirare un pugno in pieno viso alla russa, dritto dritto sulla sua bella faccia d’angelo…

 

Forse fu il dolore alla mano, forse fu l’assoluta sensazione di liberazione che sentì, ma Irina tornò in sé e si rese conto di quello che era appena successo. Fece una smorfia, massaggiandosi le nocche, e guardò Nina, a faccia in giù sul cofano della Lamborghini, che gemeva in preda al dolore, tenendosi il viso… E guardò le auto che attendevano in coda, la gente che la fissava senza capire cosa stesse accadendo…

 

Lei, però, ebbe molto chiaro ciò che era appena accaduto, e per un attimo si sentì soddisfatta, soddisfatta di stessa.

 

Aveva battuto Nina, e in più si era presa la soddisfazione di fare una piccola modifica alla sua bella faccia di cui tanto si vantava.

 

Tornò verso la Punto, aprì il baule e prese la corda dal kit di soccorso. Raggiunse la Gallardo e costrinse Nina a voltarsi, afferrandola malamente per la spalla.

 

<< Dimmi un po’… >> iniziò Irina, fissando il naso sanguinante della russa, << Credevi davvero che mi lasciassi mettere i piedi in testa da te? >>.

 

Prese i polsi di Nina e glieli legò stretti dietro la schiena, senza curarsi di poterle fare male. Per un attimo i capelli biondi e profumati della ragazza le svolazzarono sotto il naso, e la cosa contribuì a infastidirla. La spinse verso il guard-rail e legò il resto della corda.

 

<< Puttana… >> disse Nina, la voce impastata, accasciandosi a terra con un gemito.

 

La russa la guardò dritta in faccia, e Irina sostenne il suo sguardo senza alcun timore. Improvvisamente, si chiese come avesse potuto temere una donna del genere. Con il sangue che le usciva dal naso e un occhio nero sembrava una persona qualunque… La sua bellezza non si notava.

 

“Le lezioni di Dimitri sono servite, alla fine”.

 

<< Mi hai rovinato la faccia, stronza! >> gridò Nina, soffiando come una gatta, << Lo sapevo che eri una puttana… Mi ripagherai per nuova! >>.

 

Irina si trattenne dal sorridere: il dolore di Nina era palese, ma non si sentiva affatto in colpa. In fondo, si era solamente difesa… E si era presa una piccola rivincita.

 

<< Non ti ripagherò proprio per niente, carina >> ribatté, << Avevi solo da metterti contro di me… E comunque, la tua faccia è come quella di tutti gli altri >>. Si massaggiò le nocche, per farle capire che le sue ossa non erano morbide quanto i suoi tratti.

 

Nina sputò un grumo di sangue a terra.

 

<< Vaffanculo >> ringhiò.

 

<< Che volevi da me? >> domandò Irina, ignorandola.

 

Nina le lanciò un’occhiataccia.

 

<< Non sono affari tuoi >> rispose.

 

Irina rimase un attimo a fissarla, poi si strinse nelle spalle. Aveva perso abbastanza tempo con lei, e avrebbe potuto scoprire perché la seguiva più avanti… Ora doveva tornare alla sua missione.

 

<< Non importa. Se vorrai parlare ci saranno schiere di poliziotti pronti ad ascoltarti >> disse, poi risalì in auto.

 

Mandò un rapido messaggio a McDonall per dirgli che Nina Krarakova era in arresto, e che lei avrebbe proseguito. Inserì la prima e sotto lo sguardo del casellante e dei passanti sgommò via, pronta all’ultima parte del suo viaggio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 17.55 – Autostrada, chilometro 998

 

La mano di Dimitri stringeva convulsamente il volante della R8, gli occhi puntati sull’auto che stava affiancando: la sagoma nera della Impreza si fondeva perfettamente con il colore della notte russa intorno a loro, ma per lui era nitida come il giorno. Sentiva il rombo del motore, ma sentiva anche la rabbia che gli scorreva nelle vene, una rabbia che aveva covato per anni…

 

Alla fine il vigliacco aveva accettato. Raccoglieva la sua sfida, forse sperando nella sua clemenza…

 

Dimitri strinse i denti. Clemenza? No, non ne avrebbe avuta per nessuno, perché nessuno l’aveva avuta per lui. Voleva Vladimir morto, e nemmeno di fronte alle suppliche avrebbe cambiato idea.

 

Girò la testa, e finalmente incontrò lo sguardo di Buinov: lo fissava, il volto sfregiato, gli occhi scuri e beffardi.

 

E senza preavviso, senza pensare, gli andò addosso con tutto il peso della R8, facendolo sbandare.

 

La Subaru venne catapultata contro il guard-rail, ma non si scompose. Vladimir contrattaccò, cercando di mandarlo in testa coda, senza riuscirci…

 

Dimitri non voleva gareggiare; voleva solo fermarlo, farlo scendere dall’auto e vedersela faccia a faccia con lui, esattamente come aveva fatto con tutti gli altri con cui aveva avuto a che fare. Ma come sempre, Vladimir era troppo codardo per accettare veramente la sfida…

 

Il suo comportamento lo fece andare in bestia, così speronò la Impreza così forte da farle crepare il vetro posteriore…

 

Vladimir accelerò, e per un attimo Dimitri credette che volesse fuggire… Sarebbe stato da lui.

 

Poi però vide che sul sedile posteriore della Impreza c’era qualcuno, e che quel qualcuno stava puntando una pistola verso di lui…

 

“Coniglio”.

 

Vladimir non era da solo. Si era portato dietro il suo amico Cyril per non essere in inferiorità numerica… E per avere più possibilità di ucciderlo.

 

Dimitri odiava quel genere di cose. Sentì l’ira montargli addosso, e si preparò e fermare quella Subaru.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 22.50 – Autostrada, chilometro 1.543

 

Xander vedere il guard-rail sfilargli accanto così veloce da non riuscire più a distinguerne i contorni. Il tachimetro della Ferrari 599 segnava i duecento all’ora, la sirena che lampeggiava sopra il tetto, le auto che si spostavano dalla corsia di sorpasso per lasciarlo passare…

 

Sapeva che Challagher era a pochi chilometri da lui. Lo avevano intercettato grazie alle telecamere di un casello, e un elicottero era pronto a fermarlo se lui non fosse riuscito a raggiungerlo.

 

Lo Scorpione però sembrava aver perso la strada: proseguiva verso nord, in direzione Cherepova, ma Irina stava procedendo su un’altra via, forse più breve. Evidentemente non aveva chiaro il percorso che doveva fare, perché così stava allungando…

 

Xander gettò una rapida occhiata alla sua sinistra, per vedere le sponde del lago Rybinskoye, lo stesso che avevano costeggiato durante la Mosca-Cherepova… Con il nero della notte sembrava un’infinita lastra di acciaio scuro, senza alcun confine…

 

Il suo piede premette ancora più in basso l’acceleratore, ma cominciava a sentire la stanchezza. Per Challagher doveva essere lo stesso, perché come lui e come Irina era in viaggio ormai da più di dodici ore… Poteva sperare che mollasse?

 

No, lo Scorpione non avrebbe ceduto per stanchezza, esattamente come lui. I conti andavano chiusi, quella notte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 18.00 – Autostrada, chilometro 1.000

 

Dimitri vide Cyril nella Impreza puntare la pistola contro di lui, poi nell’aria esplose il fragore della pallottola che partiva dritta nella sua direzione…

 

Non fece in tempo a schivarla. Con un sibilo, il proiettile si infilò nel parabrezza della R8, facendo un perfetto buco concentrico… L’aria gelida inondò l’abitacolo…

 

Dimitri digrignò i denti quando la spalla bruciò all’improvviso, e sterzò bruscamente per togliersi dalla traiettoria… Sentì gli spari sfiorare di nuovo la sua auto, il suono dello scoppio che riverberava nella notte… Affondò il piede sul freno per portarsi fuori tiro…

 

Si portò una mano alla spalla, per controllare i danni. Era stato colpito solo di striscio, ma aveva rischiato grosso. Sentì il sangue caldo colare sotto le dita, mentre il dolore diventava già un ricordo… Era abituato a ben altro, quella ferita era più simile a un graffio, per lui… Si sporse e afferrò la pistola che teneva nel portaoggetti, la rabbia che gli offuscava la mente…

 

Vladimir aveva sbagliato su tutti i fronti: aveva sbagliato a provocarlo, aveva sbagliato a comportarsi da coniglio, ma soprattutto aveva sbagliato a mettersi contro di lui.

 

Sentì i proiettili che venivano sparati dalla Subaru, così zigzagò per evitarli. Non gli servì troppa concentrazione per prendere la mira, puntando alle gomme della Impreza: il suo colpo fu perfetto. Il pneumatico destro scoppiò sonoramente, facendo sbandare l’auto, il parafango che strisciava sull’asfalto, producendo una scia di scintille…

 

Dimitri frenò, guardando la Subaru cercare di riprendere aderenza, Cyril sul sedile posteriore sballottato qua e la… Vladimir non sembrava volersi fermare nemmeno con una ruota bucata…

 

Imprecò, sapendo che avrebbe distrutto la sua stessa macchina, poi affondò il piede sull’acceleratore, superò Vladimir a sinistra e gli andò addosso, spingendolo con violenza verso la corsia più esterna dell’autostrada…

 

Il finestrino della R8 andò in mille pezzi, e sentì qualche scheggia infilarsi nel suo braccio quando spinse la Subaru con tutta la potenza dei quattrocento cavalli dell’Audi… Strinse i denti, continuando a spingere la Impreza, la fiancata della R8 che strideva, la Subaru che lottava furiosamente per rimanere dritta…

 

Con uno scatto, Dimitri diede un’ultima spinta, e l’auto di Vladimir imboccò la rampa d’uscita più vicina, finendo in testa coda lungo la corsia di decelerazione… La seguì, sentendo i clacson delle altre macchine suonare, il rumore delle ruote che strisciavano sull’asfalto…

 

La Impreza finì di traverso, occupando tutta la carreggiata. Come la pallina di un enorme flipper iniziò a sbattere il muso e poi il posteriore sui guard-rail laterali, prima da una parte e poi dall’altra, completamente fuori controllo… Il cofano si piegò su se stesso, i vetri esplosero, l’alettone si staccò finendo sul prato adiacente…

 

Cinquanta metri, poi la Subaru girò un’ultima volta su se stessa e si fermò, di traverso sulla strada.

 

Dimitri inchiodò. Vide la sagoma di Vladimir muoversi nell’abitacolo, illeso, e Cyril che combatteva per uscire dalla morsa dei sedili posteriori… Erano suoi…

 

In un attimo tirò fuori da sotto il sedile una piccola borsa, che aveva preparato proprio per quel giorno: dentro, come ogni russo che si rispettava, portava la sua collezione di coltelli, arma che non l’aveva mai abbandonato e che sapeva usare meglio di qualunque altra… Ne aveva tanti, uno per ogni vittoria che aveva ottenuto, uno per ogni pezzo di anima che aveva perso…

 

Non perse tempo a sceglierli: prese i tre che usava sempre, lunghi, affilati, letali. Uno era quello che aveva lasciato a Vladimir la cicatrice sul collo.

 

Saltò giù dalla R8, la pistola in pugno e i coltelli alla cintura, puntando dritto dritto verso la Impreza

 

Sentì un colpo di pistola sparato all’improvviso, e si abbassò di colpo… Cyril stava cercando in ogni modo di uscire dall’auto, ma sembrava incastrato nei sedili posteriori… Aveva sparato dal finestrino rotto, perché le portiere dovevano essere bloccate… Vladimir stava lottando per aprire la sua…

 

Prima che Cyril avesse il tempo di tentare un altro colpo, Dimitri prese la mira e gli sparò, prendendolo in pieno. Con un grido di dolore, il russo si accasciò sul sedile della Subaru, sparendo alla vista.

 

Non era lui che voleva.

 

Spostò il suo sguardo su Vladimir: era riuscito a riaprire la portiera, e ora teneva in mano la pistola, pronto a sparargli… I suoi occhi erano beffardi, ma Dimitri sapeva che aveva paura, e che sarebbe stato pronto a tutto pur di salvarsi…

 

Il Mastino sparò, e l’arma volò via dalle mani di Buinov, finendo sull’asfalto… Il russo gridò, poi si voltò per scappare, il volto che improvvisamente mutava espressione…

 

In un attimo, Dimitri gli fu addosso. Lo afferrò per il collo, sbattendolo violentemente sul cofano della Impreza nera.

 

<< Dove credi di andare, codardo? >> ringhiò a pochi centimetri dal volto sfregiato del russo.

 

Vladimir non rispose. Dal nulla tirò fuori un coltello, ma Dimitri fece in tempo a scostarsi e schivarlo… Sentì la lama passargli a pochi centimetri dallo stomaco…

 

<< Allora non sei così coniglio, Buinov >> disse, afferrandolo per il braccio. Lo trascinò di nuovo verso l’auto, poi, con gelida freddezza, gli conficcò nella mano il pugnale più piccolo che aveva.

 

Vladimir lanciò un grido, mentre rimaneva inchiodato alla sua stessa auto, il sangue che colava sul cofano, macchiando le strisce gialle…

 

Era un colpo che metteva spesso in atto, il Mastino: erano le mani a mettere in atto ciò che il cervello comandava. E quella mano era quella che aveva ucciso, che aveva dato inizio a tutto…

 

<< Non è ammazzandomi che migliorerai la tua situazione! >> gridò all’improvviso Vladimir, forse sperando di fermarlo…

 

Dimitri rimase a fissarlo, senza provare nessuna pietà per lui. Era la persona che odiava di più al mondo, non gli interessava ciò che diceva…

 

<< Non voglio migliorare la mia situazione >> ringhiò in risposta, tenendolo per il bavero della giacca, << Non me ne frega un cazzo di quello che mi succederà dopo… Se vorranno chiudermi in cella e buttare via la chiave non sono affari che mi importano… >>.

 

Improvvisamente, sul volto di Vladimir si dipinse un piccolo sorriso, nonostante il dolore. Dimitri ridusse gli occhi a due fessure, infastidito.

 

<< Possiamo raggiungere un accordo >> gracchiò, << Io ti posso far scappare, se vuoi… Potresti andartene da qui senza dover tornare in carcere… >>.

 

Dimitri fece una smorfia, intuendo il suo gioco. La sua freddezza non venne incrinata, il suo orgoglio non vacillò.

 

<< Io non voglio scappare, voglio ucciderti >> ribatté, << Non mi interessano le tue proposte >>.

 

<< Ma così potresti prenderti quella ragazza… La ex di Challagher >> disse Vladimir, il volto sfregiato che cercava di apparire invano accattivante, << Avanti, so che ti è piaciuto scopartela, alla Mosca-Cherepova… >>.

 

Dimitri rimase a fissarlo in silenzio. Odiò il suo tono, odiò il fatto che voleva comprarlo, e odiò il ricordo che gli provocò. Non gli importava che sapesse di Irina, ma non sopportava il fatto che come chiunque altro la trattasse come una bambola…

 

<< Sì, mi è piaciuto >> ringhiò, << Ma lei non c’entra, in questa storia >>.

 

<< Ancora la tua adorata sorellina? >> sbottò Vladimir, << E’ roba vecchia, Dimitri. Ormai è andata, che ti serve vendicarla? E poi, anche la mia famiglia è stata sterminata… >>. Faceva finta di non sapere, di trovare tutto ridicolo… Il Mastino andò su tutte le furie.

 

<< Zitto >> ringhiò, << Più continui a parlare, più la tua morte sarà dolorosa… >>.

 

All’improvviso, Vladimir urlò, e Dimitri sentì la lama di un coltello sfiorargli il fianco. Si spostò cercando di evitarlo, ma l’arma lo colpì, lacerandogli i muscoli…

 

Ignorando il dolore, afferrò il russo per il collo, tirò fuori il suo coltello e glielo conficcò dritto nella gamba, facendolo crollare indietro. Si spostò, sentendo le urla laceranti di Buinov, per accorgersi che era stato preso solo di striscio: sanguinava, ma non era niente di letale… In un attimo, anche quel dolore sparì, di fronte all’ennesimo colpo basso di Vladimir…

 

Alzò lo sguardo sul russo, sentendo l’odio che montava dentro di lui.

 

<< Tua sorella gridava come una cagna, quando stavo per ammazzarla! >> urlò Vladimir, aizzandolo soltanto. << Ha chiesto pietà come una donnicciola qualsiasi… E dire che era pure così brutta che non ci ho fatto nemmeno nessun giochino… >>.

 

Dimitri prese il russo per il collo, fissandolo negli occhi scuri, neri come la sua anima. E per un attimo, il silenzio fu tale che sentiva il suo cuore battere.

 

Quello era il modo di Vladimir di prendersi una rivincita. Voleva fargli perdere completamente il controllo, sperando di riuscire a fregarlo, si fargli commettere un errore e colpirlo alle spalle. Ma le sue parole non lo scalfivano. Poteva dire qualunque cosa su sua sorella, perché lui non gli avrebbe creduto. E anche se tutto quello che gracchiava era vero, non gli importava. Era certo che Lora non avrebbe mai implorato uno come lui, perché aveva il suo stesso orgoglio.

 

Non aveva paura di uccidere; le sue mani si erano già macchinate di sangue, esattamente come quelle di Vladimir. Ma a differenza di lui, almeno non aveva ucciso innocenti. A differenza di lui, non aveva mai voluto essere la Lince. A differenza di lui, una minima parte umana gli era rimasta.

 

Dieci anni. Dieci lunghi anni aveva aspettato quel momento.

 

Sapeva cosa poteva fargli.

 

Avrebbe voluto torturarlo, fargli patire tutto ciò che lui, la sua famiglia ma soprattutto Lora avevano provato. Voleva farlo soffrire fino all’inverosimile, fargli pagare tutto ciò che aveva fatto. Se non fosse stato per lui, quella guerra non sarebbe mai iniziata. Se non fosse stato per lui, la sua famiglia, Lora, i suoi fratelli sarebbero stati ancora vivi…

 

Afferrò il manico del coltello che era ancora conficcato nella gamba di Vladimir, e lo spinse più in fondo, ignorando le sue grida, fregandosene di quanto potesse essere doloroso… Sentì il sangue caldo colargli tra le dita, gocciolare a terra, mentre il russo iniziava a chiedergli di smetterla…

 

Poi si fermò. Qualcosa, come un enorme peso, si depositò nel suo stomaco. Fissò la faccia contratta di Vladimir, cercando di capire. Il volto del russo era una maschera di dolore, la bocca aperta e silenziosa, il respiro affannoso…

 

Un pensiero gli attraversò la mente, rapido, come se qualcuno l’avesse spinto a forza dentro la sua testa.

 

Lora non avrebbe voluto. Lora, esattamente come Irina, non avrebbe accettato una vendetta del genere. Secondo loro, nessuno, nemmeno Vladimir Buinov avrebbe meritato una fine così dolorosa.

 

Lo sapeva, ne era certo.

 

Ma lui voleva farlo patire. Voleva farlo morire lentamente, lasciarlo consapevole che la sua vita strisciava via piano piano… Fargli sentire cosa si provava, quando il dolore ti straziava il corpo, fino a desiderare di morire… Aveva ucciso troppe persone e con troppa crudeltà per non meritarlo…

 

Ma di chi aveva più rispetto?

 

Di stesso, di sua sorella?

 

Chi vendicava?

 

stesso, o Lora?

 

Digrignò i denti.

 

Sapeva per chi era tutto quello. Sapeva che aveva passato dieci anni a meditare vendetta. Aveva sperato che torturarlo, farlo soffrire, lo avrebbe reso più soddisfatto… Ma era davvero così?

 

Per chi era tutto quello?

 

Non era per lui.

 

Era per Lora.

 

Allora, guardò un’ultima volta Vladimir negli occhi. La consapevolezza prese piede nelle iridi del russo, che annaspò un istante, prima di rimanere bloccato nella sua morsa, il collo imprigionato dal suo braccio, il coltello di Dimitri a pochi centimetri dal suo collo…

 

Era così che doveva andare. Era giusto.

 

La vendetta non doveva mai portare soddisfazione.

 

<< Ringrazia mia sorella >> sussurrò nell’orecchio di Vladimir, << Ringraziala, perché fosse stato per me, avresti patito molto di più >>.

 

Poi, gli tagliò la gola.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 22.55 – Autostrada, chilometro 1.590

 

William gettava occhiate a fasi alterne il lago nero che scorreva alla sua sinistra, il rumore sordo e ripetitivo del motore della Bugatti che gli arrivava dritto nelle orecchie, i fari posteriori del camion che lo precedeva a un centinaio di metri che gli balenavano stranamente offuscati davanti agli occhi…

 

Sbadigliò sonoramente, anche se la tensione che aveva addosso non si allentò. Aveva sonno, era stanco, ma l’idea di trovare Irina lo faceva andare avanti ignorando completamente il suo corpo. Non aveva mai guidato tanto a lungo e così veloce, ma la sua tempra da pilota clandestino non lo avrebbe abbandonato…

 

Non sapeva se era sulla strada giusta, se Fenice si trovava davanti, dietro o vicino a lui. Non sapeva se Fenice si stesse dirigendo veramente verso Cherepova, ma qualcosa gli diceva di continuare ad andare avanti, comunque… Prima o poi l’avrebbe incontrata, se lo sentiva.

 

Guardò nello specchietto retrovisore: dietro di lui non sembravano esserci auto sospette…

 

Went era sulle sue tracce, ne era certo. L’aveva solo seminato, e da un momento all’altro sarebbe spuntato di nuovo per cercare di catturarlo… Lo conosceva abbastanza per pensare che non avrebbe certo abbandonato la sua caccia.

 

Non poteva perdere tempo con lui, non quando il suo unico obiettivo era trovare Irina. Per lui niente aveva più importanza, finché non fosse riuscito ad avere Fenice davanti ai suoi occhi e chiederle perché.

 

Strinse il volante, mentre nella sua mente uno dopo l’altro i ricordi, le sensazioni che aveva di Irina gli si affastellavano nella mente…

 

Aveva capito tutto troppo tardi.

 

Se avesse potuto tornare indietro, se avesse saputo ciò che Irina sarebbe diventata per lui, ora le cose sarebbero state diverse…

 

“Ormai è tardi per piangersi addosso…”.

 

Certo che era tardi. Irina l’aveva tradito due volte, e lui si era fatto fregare.

 

Però, almeno voleva sapere il perché.

 

Voleva saperne il motivo, perché forse sperava ancora che le cose si potessero rimettere a posto…

 

“Ormai è tardi” si ripetè.

 

E capì che era tardi davvero quando vide un elicottero avvicinarsi nella notte nera, e l’inconfondibile rumore di sirene nell’aria…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

<< Ti ho preso >>.

 

Xander affondò il piede sull’acceleratore, i fari rossi della Bugatti impressi negli occhi, l’adrenalina a mille.

 

Alla fine lo aveva raggiunto.

 

Vide la Bugatti accelerare di colpo, ma gli rimase attaccata. Sentiva le pale dell’elicottero fendere l’aria sopra di lui, mentre con il faro puntava l’auto di Challagher, illuminandola a giorno. Non sarebbe fuggito questa volta. Qualunque mossa avesse fatto, c’era l’elicottero pronto a stargli dietro.

 

Superò un cartello che indicava l’uscita per il lago, ed ebbe una strana sensazione… C’era qualcosa di familiare, in quel tratto di strada…

 

Improvvisamente ricordò. Era già stato lì durante la Mosca-Cherepova

 

Gli venne in mente un’idea: poteva cercare di intrappolare Challagher. Sapeva doveva portava quella strada: alle sponde del lago. Lo Scorpione non avrebbe avuto via d’uscita…

 

Afferrò il cellulare e chiamò McDonall.

 

<< Ho un piano >> disse solo, << Dite all’elicottero di starmi dietro, per il momento >>.

 

Gettò il telefono sul sedile, poi affondò il piede sull’acceleratore e tentò di superare la Bugatti. Prima Challagher cercò di zigzagare per non farlo passare, poi aumentò la velocità e si portò a destra, lungo la corsia d’emergenza.

 

Il cartello per l’uscita del lago indicava cento metri: Xander si affiancò alla sinistra della Bugatti, bloccando la via di fuga da quella parte… Lo Scorpione però non rallentò, il motore della Veyron che spingeva al massimo.

 

Come aveva previsto, Challagher all’ultimo secondo infilò l’uscita, credendo di fregarlo. Xander lo seguì, imboccando la rampa che curvava verso il lago, rimanendogli incollato al posteriore…

 

Challagher non lo sapeva, ma si era messo in trappola da solo. Se continuava dritto per quella strada, sarebbe arrivato a un vicolo ceco, esattamente come si erano trovati loro durante la gara… Ma lui non immaginava nemmeno che ci fosse la possibilità di attraversarlo, correndo un rischio enorme…

 

Xander accelerò, proprio mentre sentiva una voce diffondersi nell’aria… In ogni caso, voleva cercare di bloccarlo, per rifilargli l’umiliazione di essere sconfitto di nuovo da lui.

 

<< Fermati Challagher, ti dichiariamo in arresto >>.

 

Franck White, il suo capo all’F.B.I., era sull’elicottero che li stava seguendo, ed evidentemente credeva che Challagher si sarebbe veramente fermato. Xander si affiancò alla Bugatti, conscio che lo Scorpione non si sarebbe fatto spaventare da un’intimazione del genere…

 

Vide lo sguardo dello Scorpione posarsi su di lui, con la stessa espressione di sfida che lo aveva contraddistinto. Si fissarono per un istante, le auto affiancate, il suono dei motori a fare da sottofondo… Challagher non si sarebbe fermato, avrebbe lottato fino all’ultimo pur di fuggire…

 

Poi, secco, improvviso, Challagher cercò di venirgli addosso.

 

Xander si scostò rapidamente, lasciando la Veyron andare avanti. Tirò fuori la pistola, gli occhi puntati sui fari posteriori della Veyron.

 

“Ti fermerò comunque, Challagher. Ti ho già battuto una volta, e lo posso fare di nuovo”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

William guardò la Ferrari dietro di lui, e gli venne quasi da sorridere. Alla fine si sfidavano di nuovo, esattamente come due anni prima, su una strada diversa, con due auto diverse, ma con la stessa rabbia, con la stessa grinta, e soprattutto per lo stesso motivo: sempre lei, Irina.

 

Paura?

 

No, non aveva paura di essere sconfitto. Due anni prima correva per la vendetta; ora correva per la libertà. E con la consapevolezza di ciò che lui era veramente.

 

Lo Scorpione, al di là della Black List, al di là di tutto quello che non aveva più.

 

“D’accordo, sbirro, lo hai voluto tu”.

 

C’era solo modo per liberarsi di Went, ed era ucciderlo.

 

Inchiodò, pestando sul freno con tutte le sue forze, tanto che la Ferrari fu costretta a schivarlo e a piazzarsi a destra… Poi, veloce come aveva frenato, ripartì trainato dalla potenza spropositata della Bugatti…

 

Afferrò la pistola, gettando uno sguardo a Went, oltre il vetro della sua 599, e gli venne in mente che tutto quello che era successo era solo colpa sua… Che se quattro anni prima, al posto suo ci fosse stato qualsiasi altro sbirro, le cose non sarebbero mai cambiate…

 

Cercò di prendere la mira e puntare alla sua testa, ma Went gli venne addosso, il rombo della Ferrari a fargli da sottofondo, spingendolo verso la sponda del lago… Contrattaccò, speronando la 599 sulla fiancata piegata, liberandosi dalla trappola…

 

Senza pensare, prese la mira e sparò un colpo. Sentì il proiettile sibilare e conficcarsi nel montante del vetro della Ferrari, mentre Went cercava di togliersi dalla traiettoria. Sparò di nuovo, colpendo il cerchione di metallo: il proiettile rimbalzò, conficcandosi nel parafango della Bugatti…

 

William avrebbe lottato, lottato con le unghie e con i denti per non farsi prendere. Era già scappato in inseguimenti del genere, e nemmeno l’elicottero gli faceva paura.

 

Went sparò verso di lui, ma pestò violentemente sull’acceleratore, schizzando avanti…

 

Poi, qualcosa lo costrinse a guardare davanti a sé.

 

La strada curvava, lo vedeva anche nella notte. Curvava proprio sulla sponda del lago…

 

Il sangue gli si gelò nelle venne, l’adrenalina crollò di colpo, rendendogli la mente pienamente lucida…

 

Non vedeva uscite da quella strada… Non vedeva una via di fuga…

 

Con orrore, si rese conto che era in un vicolo cieco. Che aveva il lago da una parte, e Went dall’altra: poteva solo andare dritto e sperare che la strada girasse, che lo riportasse sull’autostrada…

 

Sentì la rabbia saltargli addosso, artigliandolo fin nelle viscere. L’adrenalina tornò in circolo, il cuore tornò a pompare mentre la voglia di scappare si faceva sempre più forte… Non era ancora finita, lui era lo Scorpione e per lui la via d’uscita esisteva sempre…

 

Era stato bravo lo sbirro, a intrappolarlo lì, a costringerlo a prendere quella strada… O forse nemmeno lui sapeva che forse non li avrebbe portati da nessuna parte?

 

Tirò fuori il braccio dal finestrino, e sparò in aria, cercando di beccare l’elicottero… Went era dietro di lui, a godersi lo spettacolo, credendo di averlo ormai catturato…

 

Però poteva correre quanto voleva, poteva sparare in ogni direzione, ma quella strana sensazione che si formò nello stomaco non si placò. Improvvisamente, si rese conto che era paura. E un pensiero gli si formò in testa, prima che lui potesse bloccarlo…

 

E se fosse stato catturato di nuovo?

 

E se tutta quella fuga, quella strada che aveva percorso in quei mesi, prima per arrivare in Russia, e poi per inseguire Irina, fosse stata inutile?

 

E se… E se fosse destinato a tornare di nuovo in cella, questa volta per sempre?

 

Fece una smorfia.

 

No, non sarebbe mai tornato in carcere. Non sarebbe mai tornato dietro le sbarre, a guardare quei muri sudici, a mangiare quel cibo insapore, a immaginare solo l’odore delle gomme e dell’asfalto prima di una gara… A fissare in silenzio i giorni tutti uguali, a vivere quella mezza esistenza, vuota, buia, inutile.

 

Sarebbe fuggito a tutti i costi.

 

Sterzò, colpendo con violenza inaudita la Ferrari, per poi vedere davanti a lui, a un centinaio di metri, un posto di blocco della polizia. I lampeggianti rossi e blu brillavano nella notte, l’elicottero illuminava le auto ferme, a bloccargli la strada…

 

Non si fermò, non rallentò nemmeno. Sfondò il posto di blocco, aprendosi un varco colpendo il posteriore di una volante, facendola volare via di dieci metri… Il muso della Bugatti si accartocciò, sparando pezzi di vetro nell’aria, ma lui li ignorò… Udì le grida, vide gli sbirri correre al riparo mentre una delle auto prendeva fuoco…

 

Sentì la Ferrari seguirlo, sentì i colpi di pistola che gli venivano sparati addosso, nel tentativo di bucargli le gomme… Sentì gli avvertimenti dall’elicottero, sentì la ghiaia sotto le ruote, mentre la sponda del lago alla sua sinistra si faceva sempre più bassa…

 

Sbucarono dal nulla, le volanti della polizia, cercando di fermarlo a ogni costo, ma lui le sbatté via come se fossero state di carta… Prima una, poi l’altra, facendole finire in testa coda, nel caos generale… Perché non vedeva più niente, non sentiva più niente, oltre il rumore del suo cuore e la strada davanti a lui…

 

<< Fermati, Challagher, o saremo costretti a spararti >>.

 

La voce arrivava dall’elicottero, ma William la ignorò. Forse non la sentì nemmeno. Non gli interessava. Stava solo cercando una via di fuga, il peso nello stomaco sempre più pesante…

 

E poi, davanti a sé, nel buio della notte, vide la strada che terminava. Vide il ghiaccio sull’acqua brillare nella luce nei fari spaccati della Bugatti, vide la riva che si gettava nel lago gelato, inesorabile…

 

E allora capì.

 

Violento, pesante, duro e ironico, un unico pensiero gli si formò nella mente.

 

Era in trappola. Era in trappola per davvero.

 

Meccanico, il piede gli affondò sul freno, facendo inchiodare la Bugatti con uno stridore assordante. Le pietre si sollevarono sull’asfalto, scricchiolando mentre le gomme cercavano disperatamente di artigliare il terreno, per far fermare quel bolide da quattrocento all’ora…

 

L’auto si fermò a pochi centimetri dalla riva ghiacciata, e lo Scorpione fissò l’orizzonte senza vederlo. Strinse le mani sul volante, il rumore delle pale dell’elicottero a fargli da sottofondo, mentre rimaneva immobile, il gelo dentro lo stomaco…

 

<< Scendi dall’auto, Challagher! Sei in trappola, non puoi scappare! >>.

 

La voce di Went gli arrivò dritta nelle orecchie e poi nel cervello, svegliandolo ma senza avergli detto in realtà niente di nuovo… Tornò alla realtà, tornò al presente, nonostante il suo cervello gli inviasse immagini e sensazioni che non c’entravano niente, con tutto quello che stava accadendo…

 

Guardò nello specchietto: lo sbirro teneva una pistola puntata verso di lui, riparandosi dietro la portiera aperta della Ferrari. Altre volanti della polizia sopraggiunsero in quel momento, intimandogli a loro volta l’alt.

 

William non si mosse, non fece niente. Guardò la pistola che teneva sul sedile, guardò il lago ghiacciato e guardò il cielo nero della notte.

 

“Hai perso, Challagher. Hai perso definitivamente, Scorpione”.

 

Per la prima volta nella sua vita, William Challagher capì e accettò di aver perso. Perché da quando era fuggito dal carcere, la consapevolezza di non poter essere sempre il numero uno si era fatta strada subdolamente nella sua testa. Perché finalmente, da quando Irina era entrata nella sua vita, era cresciuto. Era cresciuto abbastanza da capire che aveva fallito.

 

<< Challagher, scendi dall’auto! >>.

 

Non riconobbe la voce, perché aveva smesso di ascoltare. L’unica cosa che sentiva era il dolore che gli arrivava dritto dritto dalla sua anima, dal suo cuore.

 

Fallito.

 

Lo Scorpione, William Challagher, non era nient’altro che un fallito.

 

Aveva fallito con la Black List, aveva fallito con Irina, aveva fallito in tutta la sua vita. Non aveva più niente, nemmeno la libertà. Aveva perso tutto, o forse non aveva mai avuto niente. L’unica cosa che aveva dato un senso alla sua esistenza ormai non l’aveva più. La sua Fenice, la sua bambolina, la sua rovina, non lo amava davvero. Non poteva sperare di costruire qualcosa con lei, di averla almeno vicina… Era sempre stata un’illusione, la sua.

 

Non poteva sperare più in niente, perché più niente aveva senso.

 

Guardò di nuovo lo specchietto: Went lo fissava, senza capire cosa stesse aspettando. Gli sbirri attendevano un suo ordine, per entrare in azione…

 

Guardò indietro, guardò al suo passato, ricordando tutto ciò che era riuscito a conquistare. Los Angeles era stata in mano sua, aveva avuto potere e fama, soldi e gloria. Aveva avuto auto, case, gente alle sue feste, donne nel suo letto… L’unica cosa che non aveva avuto, l’amore, l’affetto, non poteva più averli adesso.

 

Nemmeno avere l’auto più veloce del mondo l’aveva salvato.

 

Sarebbe tornato in carcere, a sognare la vita che aveva perso?

 

Sarebbe tornato in una cella, a rimpiangere la sua vita da pilota clandestino?

 

Sarebbe tornato in galera, senza più Irina a tenerlo in vita?

 

No.

 

Era stato sconfitto, aveva fallito, ma non era un codardo.

 

Era caduto, ma non forse non aveva ancora davvero perso.

 

Era sempre e comunque lo Scorpione.

 

Non si sarebbe lasciato umiliare.

 

“Non mi metterai di nuovo le manette, Went”.

 

Allora, prese la pistola, la guardò un’ultima volta…

 

E la gettò fuori dal finestrino.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Xander vide la mano di Challagher uscire dal finestrino della Bugatti, e per un secondo credette che volesse sparare. Quando vide cadere a terra la pistola tirò un sospiro di sollievo.

 

<< Ok Challagher, scendi con calma dalla macchina e non ti verrà fatto niente >> gridò.

 

“Anche se io vorrei ucciderti, a dir la verità…”.

 

Ci fu un attimo di silenzio, poi la portiera della Bugatti si aprì, e lo Scorpione uscì fuori, tranquillo, senza tenere le mani in alto, ma palesemente disarmato. Sul suo volto, campeggiava incredibilmente un sorriso.

 

<< D’accordo, Went, hai vinto >> disse, sarcastico, << Mi hai preso. Non cercherò di scappare… Ma visto che sto per finire di nuovo in cella, avrei una richiesta da fare. Prima che mi arrestiate, vorrei fare una telefonata >>.

 

Xander storse il naso, continuando a fissare Challagher. Non capiva cosa avesse in mente, ma chiaramente appariva troppo rilassato per la situazione in cui si trovava. Doveva avere un piano in mente…

 

<< Tranquillo, gli amici a cui chiedere aiuto li ho finiti >> continuò Challagher, quasi divertito, << Se non ti dispiace, vorrei parlare con Irina >>.

 

Xander gettò un’occhiata intorno a sé, dove gli altri poliziotti tenevano sotto tiro Challagher con le pistole. Sembravano perplessi quanto lui, dal comportamento dello Scorpione…

 

<< Perché? >> domandò. << Cosa c’entra Irina? >>.

 

<< Stavo seguendo lei, ma immagino che se mi arresterete non potrò raggiungerla… Vorrei togliermi una curiosità, che altrimenti non credo che riuscirei a soddisfare in breve tempo >>.

 

La riposta era chiaramente strana, e Xander non capì dove volesse andare a parare…

 

Senza aspettare che dicesse qualcosa, Challagher tirò fuori il suo cellulare e lo portò all’orecchio. Poi tornò a sedersi in macchina, rilassato, come se si trattasse tutto di uno scherzo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 23.55 – Autostrada, chilometro 1.877

 

Il display del navigatore segnava ormai cento chilometri all’arrivo, e gli occhi di Irina non si staccavano dalla strada. Non sapeva come aveva fatto, sapeva solo che la sfida con Nina le aveva regalato nuova energia, la rabbia che aveva provato le aveva dato uno slancio che nessun altra cosa poteva darle.

 

Il suo piede non si era mai staccato dall’acceleratore. Mai, come se fosse stato incollato. Aveva smesso di sentire sonno, aveva smesso di sentire la fatica, non aveva nemmeno più male alle braccia. Voleva solo arrivare e basta.

 

Improvvisamente, sentì il telefono squillare. Lo afferrò, e le venne un colpo quando vide che sul display brillava il numero di William. Rallentò appena l’andatura, e rispose.

 

<< Pronto? >>.

 

<< Irina? >>.

 

Lei rimase in silenzio. William ormai sapeva tutto, del suo tradimento, del fatto che fosse sulle tracce della Lince… Forse non avrebbe nemmeno dovuto rispondergli, ma qualcosa l’aveva spinta a farlo…

 

<< Non voglio parlare di quello che è successo >> disse William rapidamente, stranamente serio, << Non mi interessa che tu mi abbia tradito. Ormai non ha più importanza… Avrei solo voluto che mi salutassi, prima di andartene >>.

 

Irina rimase di sasso. Cosa stava dicendo? Era impazzito? Perché non le chiedeva dov’era, o dove stesse andando?

 

<< William… Dove sei adesso? >> domandò lei, la voce roca. Perché le era venuta la pelle d’oca?

 

<< Immagino non poi molto lontano da te. Ho seguito le tue tracce sperando di raggiungerti, ma il tuo ragazzo è riuscito a fregarmi >>.

 

William parlò così tranquillamente che a Irina si rizzarono i peli sulle braccia. Tutto quello non era naturale, non era da lui… Teneva gli occhi fissi sulla strada, eppure la sua testa cercava di immaginare dove fosse William… Perché improvvisamente aveva la sensazione che per un momento la sua destinazione diventava meno importante?

 

<< Ti… Ti hanno arrestato? >> chiese.

 

<< Arrestato? >> fece William, quasi ridendo, << No, non credo che mi arresteranno di nuovo… La cella non è un posto che mi si addice >>.

 

Ogni secondo che passava, Irina sentiva sempre di più che c’era qualcosa che non andava… Che razza di risposte erano, quelle? Lo Scorpione non era mai stato così tranquillo, di fronte al tradimento… E poi, quello che stava dicendo non aveva assolutamente senso…

 

<< Will… >>.

 

<< Voglio solo farti una domanda, Irina >> la interruppe lo Scorpione, << E voglio, anzi pretendo, che tu mi dia una risposta sincera. Anche facendomi male, se tu pensi che possa farmelo. Hai solo una possibilità, non te lo chiederò di nuovo >>.

 

<< William, che diavolo… >>.

 

<< Rispondi a questa domanda, Irina. Da quando ci siamo conosciuti, c’è stato un momento, anche solo un attimo, in cui mi hai amato per davvero? >>.

 

Irina rimase di sasso, mentre qualcosa di gelido le strisciava nello stomaco, mentre il tarlo del dubbio le si insinuava nella mente… Tutto quello che stava accadendo, aveva il sapore di un addio…

 

<< William, che cosa stai facendo?! >>.

 

<< Niente. Sto aspettando che tu mia dia una risposta >>.

 

Irina frugò nei suoi ricordi, mentre il cuore le batteva sempre più forte. Doveva davvero dargli una risposta?

 

Sì, lo aveva odiato. Lo aveva odiato a morte, in passato, odiato fino a sperare di riuscire a ucciderlo…

 

Ma poi, poi era successo quello che era successo, e forse…

 

Sì, aveva smesso di odiarlo, perché William non aveva colpa. Non era colpa sua se era diventato lo Scorpione, non era colpa sua se la rabbia lo aveva corroso, non era colpa sua se l’odio l’aveva distrutto…

 

E non le importava nemmeno ciò che aveva fatto a lei, non le importava più. Perché senza di lui non sarebbe mai diventata quello che era adesso.

 

<< William, perché mi fai questa domanda? >> sussurrò, sentendo il volante strisciare sotto le dita, la strada che le scorreva davanti, ma la testa quasi scollegata.

 

<< Rispondi >> ringhiò William, improvvisamente arrabbiato di fronte alla sua titubanza,  << Rispondimi >>.

 

Irina tacque, fissando la strada davanti a lei. Poi guardò dentro stessa.

 

Qualsiasi cosa stesse accadendo, William aveva diritto a una risposta.

 

<< Sì >> disse alla fine, << Sì, William… Ti ho amato, e non lo nego. Ti ho amato quando mi hai aperto il mondo delle corse clandestine, ti ho amato quando mi hai fatto entrare nella Black List, ti ho amato quando mi hai riportato la mia Punto… E soprattutto, ti ho amato quando mi hai dimostrato di poter cambiare >>.

 

Ci fu un momento di silenzio, poi a Irina sembrò che William dall’altra parte avesse fatto un sorriso.

 

<< Io non posso cambiare, Irina >> disse, << Quelli come me non cambiano. Mai >>.

 

<< Non è vero Will >> ribatté lei, << Hai fatto cose per me che in passato non avresti mai fatto… Avevi solo bisogno di qualcuno che ti aiutasse… >>.

 

<< Qualcuno che mi aiutasse? >> fece William, << Sai cosa ho pensato di te, la prima volta che ti ho vista, Irina? Che avevi una bella bocca, non che potessi aiutarmi >>.

 

<< Will… >>.

 

<< Fammi finire, Irina, perché dopo non avrò più tempo per dirti quello che devo dirti >> la aggredì lo Scorpione, quasi irritato, << Quando ti ho vista per la prima volta, non sapevo a cosa mi avresti portato. Non sapevo che mi avresti rovinato. Non sapevo che per causa tua sarei finito dietro le sbarre. Non sapevo che avrei potuto innamorarmi di te. E non sapevo che mi avresti portato a questo.

 

<< Ma nonostante tutto, non tornerei mai indietro. Anche se potessi cambiare il passato, non lo farei. Verrei comunque a casa tua. E mi lascerei odiare di nuovo come hai fatto. Non ho perso nulla, Irina, semplicemente perché non ho mai avuto niente. E ci è voluta una fottutissima ragazzina con le corse nel sangue per farmelo capire. Ci è voluta una come te per far uscire fuori la mia parte peggiore e poi farmi pentire. Ci sei voluta tu per farmi capire di aver sbagliato >>.

 

Irina ascoltava impietrita, il gelo nelle mani, il cuore che batteva lento… Perché William parlava così? Cosa aveva in mente?

 

<< E ho solo una cosa da dirti: grazie. Grazie, bambolina, per avermi distrutto e fatto rinascere. Grazie per aver dato un senso a quello che facevo… Lo sai meglio di me, che sarebbe finita così >>.

 

Irina rimase impietrita. Sentì il sangue fermarsi. Il suo cervello capì, ma il suo cuore si rifiutò di collegare tutto. William non poteva fare una cosa del genere… Non poteva… Non aveva senso…

 

<< Che vuoi fare, Will?! >> gridò Irina nel telefono, improvvisamente in preda al panico, << Cosa vuoi fare?! >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

William guardò il lago ghiacciato davanti a lui, il telefono premuto sull’orecchio, e sorrise.

 

Allora Irina lo aveva amato per davvero, almeno per un istante. Per un momento era stata davvero sua.

 

<< Che vuoi fare, Will?! Cosa vuoi fare?! >>.

 

Il tono agitato e disperato di Irina gli fece capire che aveva intuito quello che stava per succedere.

 

C’era un solo modo per non essere catturato, per rimanere imbattuto, per rimanere lo Scorpione. Un solo modo per entrare nella leggenda del mondo delle corse clandestine: vivere al massimo, fino all’ultimo istante. Vivere, e preferire la morte alla sconfitta.

 

<< Sarò anche un perdente, ma sono sempre lo Scorpione. E lo rimarrò fino alla fine. Addio bambolina >> disse.

 

Chiuse la telefonata, gettò il cellulare sul sedile e guardò per un momento Went, ancora fermo a fissarlo.

 

“Non mi avrai mai vivo, Went”.

 

Sul viso gli si disegnò un sorrisetto, mentre valutava quegli ultimi istanti.

 

Una Bugatti Veyron, una schiera di sbirri e un lago ghiacciato. E lui fare da preda.

 

Era tutto perfetto. Sarebbe rimasto libero, e sarebbe entrato nella leggenda.

 

Il mondo lo avrebbe ricordato come lo Scorpione, il più grande pilota clandestino di tutti i tempi.

 

Aveva tutte le carte per esserlo.

 

Inserì la retromarcia, arretrando lentamente, mentre gli sbirri allarmati gli intimavano di fermarsi. Non spararono, perché si fermò subito, e gettò un’altra occhiata nello specchietto retrovisore.

 

Went lo guardava, gli occhi azzurri che incontrarono i suoi. E qualcosa brillò nelle iridi che avevano conquistato Irina: aveva capito.

 

<< Trattala bene, Went. Non fare il mio stesso errore. Io sono lo Scorpione. A te lei, a me la leggenda >>.

 

Poi, affondò il piede sull’acceleratore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Xander gridò, ma sapeva che ormai era troppo tardi.

 

La Bugatti partì con un rombo assordante, sollevando la ghiaia dal terreno, e senza nessun’altro rumore se non quello degli pneumatici che strisciavano per terra, si gettò nel lago…

 

Xander vide la Veyron nera avanzare veloce, senza esitazioni, i fari accesi che illuminavano la superficie gelata dell’acqua…

 

Poi, secco, arrivò lo schianto che Xander aveva già sentito una volta… Il ghiaccio si crepò, proprio dietro il posteriore della Bugatti.

 

Come una ragnatela, sulla superficie si disegnò un intrico di crepe, mentre la Veyron continuava la sua corsa disperata… L’acqua nera del lago eruppe dalle spaccature con un rumore agghiacciante…

 

E alla fine, come se si fosse tuffata, la Veyron crollò. In un secondo, il ghiaccio si sgretolò e la Bugatti finì sotto, inghiottita come un minuscolo sasso in una pozzanghera... Sparì, come se non fosse mai esistita, lasciando solo silenzio dietro di sé.

 

Xander rimase immobile, gli occhi puntati nel punto dove l’auto era sparita.

 

Challagher era morto.

 

Piuttosto che farsi prendere, si era ucciso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel momento esatto in cui Irina si rese conto che la linea era caduta, il suo cuore perse un battito.

 

<< William! >>.

 

Addosso le crollò qualcosa di incomprensibile, così pesante da schiacciarle lo stomaco e il cuore…

 

Inchiodò, sentendo le ruote pattinare sull’asfalto, mentre il gelo si diffondeva dal suo petto e poi in tutto il corpo…

 

In un istante, capì a chi era andato il proiettile di quella roulette russa…

 

E le lacrime iniziarono a scenderle sul volto, perché William era morto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Credo mi odierete… O forse lo immaginavate già?

Che dire, lo Scorpione è sempre lo Scorpione… Era chiaro che piuttosto che finire in carcere avrebbe scelto la morte. Forse non così consapevolmente, ma non si sarebbe lasciato prendere la seconda volta…

Ciò che vorrei sapere ora è ciò che pensate, o provate, per meglio dire. Credete sia giusto, che William muoia così? O davvero, lo immaginavate di nuovo dietro le sbarre, o in fuga?

Fatemi sapere, credo che questo cap sia importante. Mi sto dando alla macchia ultimamente, ne sono consapevole, ma devo finire questa storia il prima possibile, prima che mi riprenda la crisi dello scrittore, e prima di venire sommersa dai miei sempre più pesanti impegni universitari. Prometto che alla fine dedicherò a ognuno di voi tutto lo spazio dovuto.

Cercherò di aggiornare il prossimo cap il prima possibile, come ho fatto con questo.

 

Baci

 

Lhea

 

 

 

 

 

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Capitolo 48
*** XLVIII ***


Capitolo XLVIII

Capitolo XLVIII

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 01.20 – Autostrada, chilometro 1.900

 

Irina rimase a fissare la strada, il volante stretto tra le mani, nel gelo dentro al petto. La Punto continuava a correre, perché il suo piede era come paralizzato, fermo sull’acceleratore, e la strada le scorreva davanti… Solo il suo istinto di pilota clandestina non la fece schiantare…

 

Le sentiva bruciare sulle sue guancie, le lacrime. Le sentiva colare dagli occhi, offuscandole quasi la vista, inesorabili come lo era il dolore che provava, un dolore così forte da lasciarla senza fiato.

 

Non era giusto.

 

Non era giusto che finisse così. Non era giusto che l’epilogo di tutta quella storia fosse quello.

 

Non era giusto che William morisse, quando lei sapeva che poteva salvarsi. L’aveva visto con i suoi occhi che lo Scorpione poteva cambiare. Lei avrebbe potuto aiutarlo, non lo avrebbe abbandonato, anche se fosse finito in carcere… Meritava una seconda possibilità, anche se non l’aveva chiesta.

 

Era paradossale, ma con tutto quello che le aveva fatto, Irina non aveva mai desiderato la sua morte, non più da quando era finito in carcere. Aveva commesso tanti, troppi errori, ma non meritava quella fine.

 

Non era giusto.

 

Era giovane, William. Aveva davanti ancora tante possibilità… Perché? Perché andarsene così? Perché in quel modo?

 

Ingoiò i singhiozzi che le premevano in gola, rallentando appena. Si spostò sulla destra, su una corsia più lenta e tranquilla, cercando di calmarsi. Si passò una mano sugli occhi, facendo respiri profondi, ma nonostante tutto il dolore rimase lì, sordo, pulsante nel suo petto.

 

E improvvisamente, capì cosa era passato nella testa di William. Capì cosa era riuscito a spingerlo a compiere un gesto così estremo.

 

Forse lo Scorpione aveva perso tutto, ma non era stato battuto. Non era stato catturato di nuovo. Era rimasto libero fino all’ultimo…

 

Lo sapeva, lo sentiva che era così.

 

Lo conosceva troppo bene, per non capire. William non avrebbe mai accettato la sconfitta; non l’aveva accettata nemmeno due anni prima, e lo aveva dimostrato riuscendo a fuggire dalla prigione. Piuttosto che ammettere di essere stato battuto, tradito e illuso, aveva preferito la morte. Era nella sua natura.

 

Però per lei continuava a rimanere sbagliato.

 

Guardò la strada davanti a sé, cercando di controllare le lacrime.

 

Se era ciò che era, lo doveva solo a lui. Nel bene e nel male, William le aveva aperto tante porte, tante strade. Soprattutto, le aveva reso possibile scegliere cosa diventare. Forse l’aveva fatta soffrire, forse la aveva dimostrato che poteva fallire, ma era anche riuscito a tirare fuori la sua parte forte, l’aveva costretta a combattere.

 

“Grazie, Will. Spero solo che tu ora abbia trovato la tua pace”.

 

Poi, sentì una voce invadere l’abitacolo e farla tornare completamente alla realtà. Il display del navigatore lampeggiò, mostrando una freccia che svoltava a destra.

 

<< Fra duecento metri, uscire dall’autostrada >>.

 

Irina guardò il primo cartello che incrociò a bordo strada, e si rese conto che aveva raggiunto Cherepova. Vedeva le luci della cittadina brillare nella notte poco lontano, mentre qualcosa dentro di lei gridava raggiante. Alla fine era arrivata per davvero.

 

Inserì la freccia, poi prese l’uscita e lungo la rampa di decelerazione controllò quanto mancasse all’arrivo. C’erano circa otto chilometri al centro di Cherepova, ma non sapeva se doveva raggiungere la città oppure la periferia…

 

Si ritrovò a un incrocio deserto, ma non dovette fermarsi. Dall’altra parte della strada una grossa Jaguar XK nera con i vetri oscurati le fece i fari. Poi, silenziosa, svoltò a sinistra, nella direzione opposta alla città.

 

Doveva essere qualcuno mandato dalla Lince… O forse la Lince stessa.

 

La seguì, senza riuscire a distinguere nessuna sagoma riconoscibile all’interno dell’auto. Si impose di tornare lucida, di mettere per un momento in un angolo ciò che era appena successo, perché aveva una sola possibilità e non doveva sprecarla. Un vero agente dell’F.B.I. si sarebbe comportato nello stesso modo… E comunque, ormai non poteva fare più niente per William, se non onorare la sua memoria.

 

Si trovavano quasi in aperta campagna, lungo una strada ampia ma poco illuminata. Ad un certo punto da una via laterale sbucò una seconda auto, una Mitsubischi Eclipse azzurra, che le si mise dietro, silenziosa. Irina guardò nello specchietto, ma anche quella aveva i vetri oscurati.

 

Continuò a seguire la Jaguar, sentendo salire l’inquietudine. Si stavano allontanando troppo da Cherepova, dove c’erano le squadre di agenti di polizia… In più, sembravano esserci troppi piloti clandestini, per lei. Chi c’era dentro quelle auto?

 

Controllò di avere proiettili nella pistola, mentre vedeva sopraggiungere una terza macchina, una Audi A5 grigio metallizzato, che si mise in coda al piccolo corteo. Procedevano abbastanza velocemente, e non incontrarono nessuno lungo la strada.

 

Irina prese il cellulare, incerta se telefonare a Xander o a McDonall per avvertirli che la Lince l’avrebbe incontrata fuori città, ma aveva la sensazione di essere spiata da quelle tre auto. Era certa che se si fosse messa in contatto con l’F.B.I. in quel momento sarebbe stata scoperta…

 

A malincuore rimise il telefono in tasca, continuando a seguire la Jaguar, con la A5 a la Eclipse alle spalle. Proseguirono per circa cinque chilometri, poi all’orizzonte iniziò a intravedersi una villa illuminata a giorno, stranamente isolata da tutto il resto.

 

Mentre si avvicinano, Irina notò che era una casa molto bella, con un giardino curatissimo e illuminato da piccoli lampioncini in ferro battuto. Si stagliava scura nella notte, il tetto spiovente e il comignolo che gettava un fumo chiaro e denso. Aveva l’aria di essere abitata, ma le luci sembravano tutte spente.

 

La Jaguar si fermò davanti al cancello della villa, e Irina la imitò. I battenti si aprirono nel più completo silenzio, scoprendo un cortile largo e delimitato da bassi muretti di pietra. Entrarono lentamente, una dietro l’altra.

 

La Jaguar si fece da parte e Irina fermò la Punto davanti a una gradinata di marmo, illuminata a giorno da piccoli lampioni ai lati. Spense il motore, rimanendo un momento a fissare la casa. Aveva i nervi a fior di pelle, ed era pronta a qualsiasi cosa.

 

Non era saggio avventurarsi la dentro da sola, ma non poteva temporeggiare. Era certa che la Lince non avrebbe tollerato attendere ancora… Però doveva trovare un modo per essere certa che sapessero dove si trovava, qualunque cosa fosse accaduta.

 

L’unica idea che le venne in mente era piuttosto rischiosa, ma non poteva fare di meglio. Prese il cellulare, impostò la chiamata al telefono di Xander e poi lo gettò sotto il sedile. Potevano intercettare la sua chiamata e scoprire dove si trovasse, in modo da dirigersi lì. Sperando che capisse, smontò dall’auto e affrontò il freddo di Cherepova.

 

Nessuno scese dalle auto, così si guardò intorno in attesa. La Jaguar, la Eclipse e la A5 rimasero ferme, i motori accesi, ma i loro piloti non si fecero vedere. Evidentemente preferivano non mostrare i loro volti, e ancora più chiaramente la Lince doveva aspettarla in casa.

 

Gettando verso di loro un ultimo sguardo, Irina iniziò a salire la gradinata. Arrivata davanti alla porta, la trovò già aperta.

 

Entrò lentamente, circospetta. La luce nell’ingresso era accesa, ma tenne ben stretta la pistola, pronta a qualsiasi cosa. Percorse il corridoio riccamente arredato, sul quale si aprivano diverse porte, i passi attutiti dallo spesso tappeto…

 

Poi, sentì una voce che riconobbe all’istante.

 

<< Vieni avanti, vieni avanti >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 01.45 – Autostrada, chilometro 1.777

 

Xander aprì la telefonata, ma non sentì niente. Il cellulare dall’altra parte trasmetteva solo il silenzio, e la cosa lo mise in ansia. Gettò un’occhiata verso il lago scuro, dove le auto della polizia erano ferme, i lampeggianti accesi, gli agenti che guardavano la superficie crepata dell’acqua, sotto la quale Challagher giaceva ormai senza vita.

 

Irina non avrebbe mai chiamato senza un perché, soprattutto in quel modo… Ma se non rispondeva…

 

Guardò il telefono un’ultima volta, poi si diresse verso la camionetta della polizia più vicina. White stava parlando al telefono con qualcuno, forse con gli agenti russi.

 

<< Ho bisogno di sapere da dove arriva questa chiamata >> disse Xander al primo poliziotto che vide, << E’ ancora aperta >>.

 

L’uomo annuì, prese il telefono e disse: << Ci vorranno pochi secondi >>.

 

Xander rimase in attesa, e nel giro di qualche momento capì forse qual’era la strategia di Irina: non poteva parlare apertamente con loro per non essere scoperta, ma in quel modo poteva fargli capire dove si trovava. Molto probabilmente il luogo di incontro con la Lince era cambiato e non era più al centro di Cherepova

 

“Sei davvero in gamba, come agente, Irina”.

 

<< Agente Went? >>.

 

Xander si voltò. Il poliziotto di prima gli stava porgendo il cellulare, dove la telefonata di Irina era ancora aperta.

 

<< Arriva da una piccola frazione a nord di Cherepova >> spiegò l’uomo, << La traccia è ferma, quindi ne siamo certi >>.

 

<< Grazie >>.

 

Xander guardò il lago, poi decise che doveva raggiungere Irina il prima possibile. Dovevano avvicinarsi a Cherepova per essere pronti a entrare in azione quando Fenice lo avesse richiesto. E comunque lì lui non aveva più nulla da fare…

 

Attese che White chiudesse la telefonata, la faccia infastidita.

 

<< Russi maledetti >> borbottò, << Vogliono prendersi il merito dell’operazione… Sono già nei pressi di Cherepova >>.

 

Xander annuì.

 

<< Dobbiamo andare anche noi >> disse, << So di preciso dove si trova Irina, e non è proprio a Cherepova. Se vogliamo prendere la Lince dobbiamo comunque avvicinarci alla città… >>.

 

White sventolò la mano, intuendo già la sua idea.

 

<< Vada, Went, vada. Tanto so già che non sarei in grado di trattenerla qui >> disse, << Se vuole precedere tutti, faccia come crede. Io rimarrò qui per le operazioni di recupero del corpo di Challagher… Sempre che si possa recuperare. Ho solo una domanda da farle. Dov’è Goryalef? >>.

 

Xander fece una mezza smorfia. Già, dov’era Dimitri?

 

<< Sarò sincero >> rispose alla fine, << Non lo so. Ma siccome abbiamo fatto un patto, spero lo rispetti >>.

 

White gli rivolse un’occhiataccia, ma Xander si voltò e risalì sulla Ferrari. Avvertì McDonall di quello che stava accadendo, scoprendo che il Vicepresidente si trovava a Cherepova con i russi, e poi accese il motore della 599.

 

Aveva ancora duecento chilometri da fare, ma non era più stanco. L’inseguimento con Challagher gli aveva mandato in circolo adrenalina che lo avrebbe tenuto sveglio e vigile per molte ore… E in ogni caso, non avrebbe mollato proprio in quel momento.

 

Dallo specchietto retrovisore vide la superficie spaccata del lago gelato, e si chiese ancora perché Challagher avesse mai fatto una scelta del genere. Aveva immaginato di tutto per lui, ma non il suicidio in quel modo.

 

“Sei riuscito a rimanere Scorpione fino alla fine, Challagher”.

 

Doveva ammetterlo, si era scelto una fine piuttosto spettacolare. Per quanto lo odiasse, doveva riconoscerglielo.

 

Sarebbe rimasto sempre il miglior pilota clandestino di tutti i tempi.

 

Scosse il capo.

 

Sapeva che Irina sarebbe stata dispiaciuta della sua morte, ma lui non poteva esserlo. Aveva fatto troppo male secondo lui: forse la morte era davvero la soluzione migliore.

 

“Non chiedermi di essere dispiaciuto per te, Challagher. Nessuno merita la morte, ma è stata una tua scelta. Ciò che posso riconoscerti è che non sei né sarai mai un codardo”.

 

Poi, affondò il piede sull’acceleratore, lanciando la Ferrari sullo sterrato e poi di nuovo sull’autostrada, inserendo la sirena lampeggiante. Il navigatore satellitare indicava la strada, sempre dritta, mentre rapidamente staccava le altre volanti che lo seguivano…

 

Finalmente si avviavano alla fine di quella missione, e non poteva che esserne felice.

 

Poi, qualcosa attirò la sua attenzione.

 

Scura come la notte, una Audi R8 con il muso spaccato e le fiancate rigate sopraggiunse alle sue spalle, i fari che lampeggiavano a intermittenza, molto probabilmente per le lampadine fulminate.

 

Xander sorrise, e lo fece perché era davvero felice.

 

Il telefono squillò, e lui rispose.

 

<< Dove credi di andare, Went? Interessa anche a me scoprire chi è quella maledetta Lince >>.

 

La voce seccata, ma incredibilmente sicura di Dimitri gli diede una strana sensazione. Se era lì, significava che aveva fatto tutto ciò che doveva fare. Vladimir Buinov molto probabilmente giaceva senza vita lungo l’autostrada ma, cosa più importante, Dimitri aveva rispettato il patto.

 

E Xander capì di avere di fianco qualcuno di cui poteva fidarsi davvero, e che gli sarebbe stato davvero d’aiuto. Lo aveva detestato all’inizio, e lo aveva detestato di più quando aveva saputo cosa era successo tra lui e Irina, ma ora capiva chi si trovava davanti, e capiva perché Irina era stata attratta da lui…

 

Se mai avesse voluto un compagno d’avventure, un’agente a fargli da spalla, avrebbe voluto uno come Dimitri. Forse non era simpatico, ma era leale, anche di fronte al nemico. E per la loro testa, in qualche modo passavano gli stessi pensieri.

 

Ora lo rispettava, e nessuno gli avrebbe più fatto cambiare idea.

 

<< Credevo di doverti aspettare, Dimitri >> ribatté, per provocarlo.

 

Il russo sembrò fare una smorfia, al di là della linea.

 

<< Aspettarmi? Went, mi sono dovuto ricucire una gamba da solo… Scusa se ti ho fatto attendere tanto >> ringhiò, << Muoviti, fammi strada. Spero che questo catorcio di auto mi porti fino a destinazione… Non ho alcuna intenzione di salire in auto con te >>.

 

Xander sorrise.

 

<< Stammi dietro. Sai che faccio sempre un’ottima scia >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 01.45 – Cherepova Nord

 

<< Vieni avanti, vieni avanti >>.

 

Sul volto di Irina si dipinse un mezzo sorriso.

 

Avrebbe dovuto immaginare che fosse lui. Aveva decisamente tutto molto senso.

 

Spinse delicatamente la porta, la pistola in pugno, e si ritrovò in un grande soggiorno con una vetrata che dava sul cortile illuminato a giorno dai lampioni. Parcheggiata fuori c’era un’auto che Irina aveva già visto una volta: una Alfa Romeo 8C Competizione.

 

<< Dan… Perché non ho pensato a te? >> disse, il tono quasi divertito, nonostante la situazione.

 

Dan, l’italiano, il ragazzo che sembrava sempre fuori posto in mezzo a quei russi dall’aria scontrosa, stava in piedi vicino al divano, rilassato, un bicchiere di vino in mano e il camino acceso alle spalle.

 

Sorrise davanti alle sue parole, mentre Irina cercava di capire perché non avesse pensato a lui… C’era sempre stato nelle occasioni che contavano, a osservare chi si batteva per farsi conoscere dalla Lince… E non essendo russo, non aveva mai attirato l’attenzione su di sé… In più, era stato lui ad affidarle il primo incarico che aveva avuto quando era arrivata a Mosca…

 

<< Lo so, è strano che sia io la Lince >> disse l’italiano, avvicinandosi, << Ma siediti, per favore. Ti aspettavo almeno fra due ore, ma mi fa piacere vederti già qui… Conferma tutte le idee che avevo sul tuo conto >>.

 

Irina lo guardò, trovandolo stranamente poco minaccioso. Forse era la Lince, ma ai suoi occhi rimaneva Dan l’italiano, il ragazzo simpatico appassionato di auto italiane. Faticava a credere che fosse lui a gestire tutto il giro di corse clandestine della Russia e tutti i traffici di droga.

 

Eppure non era poi tanto sorpresa. Lo confermava il fatto che riusciva a mantenere la calma, a pensare con lucidità. Forse si era davvero abituata a tutto, in quegli ultimi tempi.

 

Doveva prendere tempo, finché non capiva come fare ad arrestarlo. Si sedette sul divano, mentre Dan prese posto davanti a lei, porgendole un bicchiere vuoto di vino.

 

<< Immagino tu sia stanca >> disse, avvicinando la bottiglia, << Gradisci? >>. La guardò con espressione gentile.

 

Irina fece cenno di no con la testa. Chiaramente Dan non sospettava ancora che lei fosse dell’F.B.I., altrimenti non l’avrebbe certo trattata in quel modo…

 

<< Capisco… >> disse lui, << So che è stato faticoso, ma era necessario. Avevo bisogno di capire quanto forte tu fossi, prima di prendere una decisione. L’unico modo che avevo era farti rifare la Mosca-Cherepova da capo, e da sola. E in ogni caso, hai superato anche le mie aspettative… >>.

 

<< Cosa vuoi dire? >> domandò Irina, studiando la sua espressione.

 

Dan sorrise.

 

<< Sei arrivata prima del previsto, nonostante avessi la polizia alle calcagna >> rispose, << Ho seguito la tua fuga da quando sei partita… E se non sbaglio, avevi anche Challagher dietro >>.

 

Irina avrebbe voluto lasciarsi andare a una faccia stupita, ma non lo fece. Non sapeva come aveva fatto a seguirla, ma ciò che la sorprendeva di più era il fatto che Dan non avesse capito che lei non era inseguita dalla polizia… Era lui l’obiettivo!

 

<< Noi piloti clandestini siamo abituati a scappare >> disse in risposta, << Come hai fatto a seguire il mio percorso? >>.

 

Dan si strinse nelle spalle.

 

<< I miei Referenti sono piuttosto efficienti >> rispose, << Ma ora non è importante tutto questo… Voglio parlare di cose più interessanti, con te >>.

 

Irina gli rivolse un’occhiata, fingendosi stupita.

 

<< Aspetta solo un momento >> disse, cercando di condurre il discorso dove le interessava, << Mi puoi spiegare perché… Perché sei tu la Lince?! Insomma, come diavolo hai fatto? >>.

 

Dan scoppiò a ridere, come se la sua incredulità fosse una lusinga.

 

<< Immagino che Dimitri ti abbia raccontato la storia di Buinov e dell’omicidio di suo padre >> cominciò l’italiano, versandosi un altro po’ di vino nel bicchiere. Il camino davanti al divano sfrigolò sonoramente, gettando un bagliore sul suo viso.

 

Irina annuì.

 

<< So tutto. La storia mi è stata raccontata per intero. So anche che spettava a Dimitri diventare la Lince >>.

 

<< , è stato tutto un caso >> disse Dan, tranquillo, << All’epoca ero giovane, bazzicavo la compagnia di Dimitri ma personalmente non ci conoscevamo. Sapevo della Lince, ma non immaginavo che la famiglia di Dimitri c’entrasse così tanto

 

<< Avrei voluto diventare un Referente o una Sentinella, ma non ho nemmeno avuto il tempo per pensare a come farmi notare dalla Lince. Credevo che il padre di Dimitri potesse aiutarmi, così una sera dopo una gara lo seguì in auto: volevo fermarlo e chiedergli cosa potevo fare per entrare in contatto con la Lince. Si spacciava per un Referente, perciò era a lui che bisognava chiedere. Ci seguì anche Vladimir Buinov, senza che io lo vedessi… E , assistetti all’omicidio della Lince >>.

 

Dan diventò incredibilmente serio, come se capisse di essere stato testimone di qualcosa di molto importante. Bevve un sorso di vino e attese qualche istante, gli occhi puntati su Irina.

 

<< Io non sapevo ancora che il padre di Dimitri fosse la Lince >> continuò, << Non lo immaginavo nemmeno. Ma Buinov lo sapeva benissimo: lo uccise a tradimento, colpendolo alle spalle… Ricordo che bloccò l’auto di Goryalef e lo fece scendere… Eravamo in un quartiere isolato, in piena notte, la strada era deserta. Io rimasi in disparte, nascosto nella mia auto, perché capì che la situazione era strana. Parlarono per qualche istante, poi la Lince fece per andarsene e Buinov gli sparò alla schiena. Subito dopo scappò, forse pensando di poter essere preso da qualche Sentinella… Ciò di cui sono sicuro è che non mi vide, perciò non seppe mai che qualcuno aveva assistito alla scena. Fuggì veloce in auto e sparì nella notte. Io mi avvicinai al corpo di Goryalef, per constatare che era morto davvero. Ma proprio in quel momento, squillò il suo telefono.

 

<< Presi il cellulare: volevo rispondere per dire che Goryalef era stato appena ucciso, ma quando aprì la chiamata l’uomo dall’altra parte mi chiamò “Lince”.

 

<< Allora capì. Sul telefono era montato un distorsore della voce, e chiunque ci fosse dall’altra parte della linea non poteva riconoscere la mia voce vera, perché era camuffata. L’uomo iniziò a parlare di una partita di droga ordinata per la Bielorussia, rivolgendosi chiaramente alla Lince, e credendo che quella lo stesse ascoltando.

 

<< Ci misi poco ad arrivare alle ovvie conclusioni. La Lince era morta, e nessuno a parte Buinov lo sapeva. Ma soprattutto, nessuno sapeva chi era la Lince, nemmeno le sue stesse Sentinelle, perché lue comunicava con loro solo attraverso il telefono… Nessuno conosceva la sua vera identità.

 

<< Mi sostituì a Goryalef. Presi il suo cellulare e svuotai la sua macchina di ogni possibile collegamento con Lince. Senza guardarmi indietro risalì sulla mia auto e mi rifugiai in un albergo, mettendo in atto un piano perfetto: sostituirmi alla Lince senza che nessuno se ne accorgesse >>.

 

Irina lo guardò ad occhi spalancati, incredula. Erano tutte coincidenze perfette che si incastravano l’una con l’altra fino all’inverosimile, creando una situazione a cui era difficile credere… Eppure, era così assurdo diventare possibile.

 

<< Sei diventato la Lince… così? >> domandò.

 

Dan sorrise.

 

<< E’ stato difficile all’inizio: mi sono trovato a gestire affari che non conoscevo nemmeno, a parlare con persone che erano le mie Sentinelle senza averle mai viste… Ma ci sono riuscito. Nessuno si è mai accorto che la Lince era morta dieci anni fa, a parte Buinov e Dimitri. E poi, appena ho avuto il controllo della situazione, ho fatto un po’ di cambiamenti. Per esempio, non gestisco più le Sentinelle come faceva Goryalef: non sono più le stesse persone di una volta, e alcune di esse hanno visto la mia faccia >>.

 

Irina era senza parole. Era tutto troppo incredibile per poter essere vero. Dan era semplicemente stato nel posto giusto al momento giusto: se fosse arrivato un secondo prima o un secondo dopo, tutto sarebbe stato diverso.

 

<< Perché lo hai fatto? >> chiese lei alla fine.

 

<< Era l’unico modo per diventare qualcuno in questo paese di russi >> rispose l’italiano, stringendosi nelle spalle, << Discriminano chiunque non appartenga al loro paese… E comunque, chi non lo avrebbe fatto? Ero ambizioso, l’idea mi allettava. E credo di essere stato una Lince migliore di quella che era stata il padre di Dimitri: ho ucciso molte meno persone di lui. Nessuno si è mai lamentato di me >>.

 

Si guardarono in faccia, e Irina capì che Dan la pensava veramente così. Se per lei rimaneva incredibile, ingiusto, a lui pareva solo un grande colpo di fortuna, niente di più. Un colpo di fortuna che lui riteneva impensabile non cogliere, nonostante non ci fosse nessuna giustizia, in tutto quello.

 

<< Di solito non mi rivelo così palesemente >> aggiunse l’italiano, << Ma per te ho fatto un’eccezione, e sai perché? Vorrei che diventassi la mia vice, l’unica vera Sentinella che mi conosce davvero. Se dovesse accadermi qualcosa, avrei una degna sostituta, non credi? >>.

 

Irina lo guardò in faccia, per capire se la stesse prendendo in giro o meno. Il cambio di argomento era stato così rapido da lasciarla stordita.

 

<< Non sono nemmeno russa… >> iniziò, perplessa.

 

<< Appunto >> ribatté Dan, << E’ chiaro che per tenere a bada questi russi non ci vuole un russo. O credi davvero che Challagher possa rimettere in sesto la sua Black List e riportare Los Angeles ai giorni in cui c’era lui a comandare? >>.

 

Quel nome le fece ripiombare addosso il dolore che aveva provato poco prima di arrivare lì, dolore che era riuscita a segregare in un piccolo angolo del suo cuore per poter affrontare al meglio quell’ultima parte della sua missione. Abbassò il capo, gli occhi che diventavano lucidi, la gola stranamente chiusa.

 

<< William è morto… >> sussurrò, << Si è ucciso, piuttosto che farsi prendere dalla polizia >>.

 

Dan sembrò rimanere un istante senza parole, poi abbassò anche lui la testa, come dispiaciuto.

 

<< E’ stato un grande pilota >> disse, << Forse il più carismatico che abbia mai conosciuto. Per un momento avevo anche pensato di incontrarlo per davvero, ma capisco di aver fatto la scelta migliore a non farlo. Alla fine, è caduto anche lui, sebbene lo abbia fatto nel suo stile >>.

 

Irina alzò lo sguardo sull’italiano: provò una improvvisa e bruciante rabbia nei suoi confronti. Si permetteva di giudicare William e le sue debolezze, ma lo Scorpione non si era mai nascosto dietro un soprannome, non aveva mai usato nessuno come copertura. Aveva sempre rischiato in prima persona, aveva sempre messo la faccia in tutto ciò che faceva… Non era mai stato un codardo.

 

Di colpo, Irina si rese conto di ciò lo Scorpione era stato davvero, e di ciò che la Lince non era: per quanto potente, per quanto misteriosa, non aveva mai avuto il carisma di William Challagher. Per quanto lo Scorpione fosse stato un criminale, la differenza tra loro due era palese: William non era stato un codardo; Dan invece sì.

 

Gettò un’occhiata carica di disprezzo all’italiano, sentendo morire dentro di lei ogni sentimento di simpatia che prima aveva provato nei suoi confronti. Registrò che fino a quel momento aveva parlato con lui come se fosse un amico, in un’atmosfera quasi rilassata, distesa, quando invece avrebbe dovuto arrestarlo…

 

<< Lo Scorpione sarà anche caduto, ma ci sarà qualcuno a ricordarlo >> disse, gelida, << Quando sarà la Lince a cadere, l’unica cosa che rimarrà di lei saranno i nomi delle persone che ha ucciso >>.

 

Forse fu il suo tono, forse fu il suo sguardo, o forse fu l’anima della pilota clandestina che Irina aveva lasciato uscire, ma Dan la guardò per la prima volta con timore. I suoi occhi indugiarono sul suo volto, come se si trovasse di fronte una pistola puntata addosso, e non una semplice ragazza.

 

Perché Irina in quel momento aveva smesso di essere una pilota clandestina qualsiasi, aveva smesso di essere un’agente dell’F.B.I., e aveva smesso di essere la ragazza che era sempre stata: in quel momento era Fenice, la donna che aveva fatto perdere la testa allo Scorpione, che aveva battuto tutti i piloti russi e che aveva vinto la Mosca-Cherepova.

 

<< E’ per questo che ti voglio con me >> disse Dan, serio, facendo un cenno verso di lei, il bicchiere ora appoggiato sul tavolino,  << Per quello che sei, per come ti comporti. Potresti essere la mia risorsa più grande, e potresti avere il potere che Challagher non ha potuto darti. Non puoi rimanere fedele a un morto. Vedo solo vantaggi, per te >>.

 

Irina fece una smorfia.

 

<< Vuoi che diventi una tua Sentinella? >> domandò, secca, << Che metta la faccia al posto tuo, che rischi la pelle mentre tu rimani qui a lucidare le tue belle auto italiane? >>.

 

“Coniglio. Non meriti rispetto, per ciò che sei diventato”.

 

Dan sembrò irritarsi.

 

<< Non saresti una Sentinella, saresti il mio braccio destro >> rispose, << Saresti conosciuta come quella che lavora direttamente per me… Saresti il personaggio più importante della Russia dopo di me >>.

 

Irina gli gettò un’occhiata, mentre dentro di lei sentiva bruciare ancora la rabbia. Dan meritava di stare in carcere ancora più di William. Aveva ucciso senza farsi scrupoli, aveva gestito traffici senza mai sporcarsi le mani… E per colpa sua, Dimitri aveva perso la famiglia e lo Scorpione era morto.

 

La gente di quelle parti aveva portato rispetto a un ragazzino senza attributi, che aveva ricevuto il potere servito su un piatto d’argento dal quale aveva mangiato avidamente… Non meritava proprio nulla di ciò che aveva.

 

Ma se voleva arrestarlo, doveva stare al gioco. Doveva riuscire a metterlo in trappola.

 

<< E come la prenderebbero i russi? >> domandò, gettandogli un’occhiata, << Credi che mi porteranno rispetto? Sono una donna, e non sono di qui… Probabilmente mi ammazzerebbero alla prima occasione… >>.

 

<< Non lo faranno >> ribatté l’italiano, << Hanno troppa paura di ciò che non conoscono, per sfidarmi… >>.

 

“Codardo” avrebbe voluto gridargli Irina, ma non lo fece. Assunse un’espressione pensierosa, mentre cercava di ideare un piano per mettere alle strette Dan.

 

Intorno alla casa c’erano i suoi scagnozzi, e non poteva tentare di arrestarlo in quella situazione. Sperava che Xander arrivasse il prima possibile, per circondare la villa e tagliare a tutti ogni via di fuga. In quel caso però lei sarebbe rimasta bloccata dentro… Avrebbe dovuto fronteggiare Dan da sola…

 

<< Che cosa mi offriresti, in concreto? >> domandò, prendendo tempo.

 

<< Soldi, molti soldi >> rispose Dan, << Il quaranta percento dei miei traffici. Quante auto vorrai, appartamenti sparsi per tutta la Russia… Non mi sembra di offrirti poco >>.

 

<< E cosa dovrei fare? >> chiese Irina.

 

Dan stava per rispondere, quando qualcuno comparì alle spalle di Irina. Lei si voltò di scatto, sentendo una presenza dietro di sé, e per un istante sperò fosse Xander. Invece, quella che si trovò davanti era una donna, una ragazza sui trent’anni dai capelli rossi e il viso dai tratti delicati. Indossava stivali bassi, un maglione pesante e teneva in mano un cellulare. I suoi occhi scuri indugiarono per un momento su Irina, poi si rivolse a Dan, in un inglese con un pesante accento russo.

 

<< Abbiamo la polizia nei dintorni. Sembra che un grosso gruppo di poliziotti si stia dirigendo qui >>.

 

Dan scosse il capo, mentre Irina sentiva il sangue gelare. Stava crollando tutto prima ancora di cominciare…

 

<< Avverti anche Tamila e Milada >> disse Dan, rivolto alla ragazza, << Tenetevi pronte a scappare. Non ci impiegherò molto >>.

 

La ragazza annuì e sparì oltre il corridoio. Irina la seguì con lo sguardo, poi tornò a fissare Dan.

 

L’italiano fece un sorrisetto.

 

<< Le mie Sentinelle >> spiegò, tranquillo.

 

Irina assunse un’espressione dubbiosa. Gettò un’occhiata verso il corridoio, chiedendosi se la stesse prendendo in giro.

 

<< Mi stai dicendo che sono tutte donne? >> domandò, alla fine.

 

Dan annuì.

 

<< Se hai bisogno di qualcuno che ti sia fedele, è sempre meglio scegliere una donna >> disse, << Perché? Perché voi siete indubbiamente più flessibili, sapete ingoiare più rospi e il vostro orgoglio non è come quello maschile. Perché non tradite, se prima non siete state tradite. Perché sapete essere più combattive degli uomini, quando qualcosa vi sta a cuore >>. Fece un altro mezzo sorrisetto, quasi compiaciuto del suo discorso breve e conciso.

 

Irina capì che Dan era una persona strana: pensava in modo completamente diverso da tutti gli altri. Il fatto che scegliesse tutte donne come collaboratrici personali però non glielo rendeva certo migliore.

 

<< E perché la vostra competitività femminile vi spinge a fare del vostro meglio, quando vi confrontate tra di voi >> aggiunse l’italiano.

 

Irina lo guardò, senza sapere che dire. In effetti, c’era da dire qualcosa?

 

Dan guardò l’orologio.

 

<< Avanti Fenice, devi prendere una decisione >> disse l’italiano, tirando fuori la pistola, << O ti unisci a me, oppure continui a stare con i tuoi sbirri >>.

 

Fu un attimo, un attimo nel quale il cervello di Irina si rese conto che Dan sapeva che era della polizia, e che in quello stesso momento la sua faccia non riuscì a nasconderlo. Fino a quel momento aveva giocato con lei, forse sperando davvero di corromperla…

 

La sua mano, così veloce come non lo era mai stata, afferrò la pistola, ma Dan capì da quel gesto la sua risposta alla proposta. Alzò l’arma verso di lei…

 

Irina si gettò dietro il divano, sentendo il colpo esplodere nell’aria, mentre il suo cervello lavorava a mille. O forse, molto semplicemente, si spense, lasciando spazio solo al cieco istinto…

 

<< Non posso lasciarti andare >> disse Dan, come se fosse ovvio, << Non dopo che hai visto la mia faccia… >>.

 

Irina rimase dietro il divano, la pistola in mano, il cuore che batteva all’impazzata, i passi dell’italiano che rimbombavano sul pavimento, nel più completo silenzio. Un’auto fuori sgommò sonoramente, mentre lei strisciava di lato, accovacciata…

 

Rapida, senza pensare, si sporse oltre il divano, sparando un colpo in direzione della figura di Dan, senza riuscire a colpirlo. L’italiano si riparò dietro una colonna, mentre Irina si alzava e riusciva a raggiungere il corridoio.

 

Si appoggiò al muro, il fiato corto, gli occhi che cercavano disperatamente di vedere cosa stesse accadendo in soggiorno.

 

<< La polizia sarà qui tra pochi minuti, Dan, ti conviene arrenderti >> gridò, sperando di convincerlo, << Anche se riesci a farmi fuori, non potrai scappare… >>.

 

Come se l’avesse chiamato, un rumore sordo e potente le giunse alle orecchie, e sentì Dan imprecare. Erano le inconfondibili pale di un elicottero, e le sirene della polizia.

 

Irina sentì un moto di sollievo invaderle lo stomaco, ma non era ancora finita. Dan sembrava essere paralizzato… Cosa avrebbe fatto?

 

Si sporse appena oltre l’angolo, ma vide l’italiano sparare un ultimo colpo verso di lei. La mancò, ma poi l’italiano si gettò a capofitto verso la vetrata. Spaccò il vetro con un soprammobile afferrato dalla credenza e corse verso l’Alfa Romeo rossa, parcheggiata nel giardino…

 

<< Fermati! >>.

 

Irina si lanciò nel soggiorno, e sparò un colpo tentando di bucare le ruote. La 8C accese i fari, abbagliandola, poi fece retromarcia a tutta velocità…

 

<< Cazzo! >>.

 

Non poteva scapparle in quel modo così stupido…

 

Si girò di scatto, e corse fuori, doveva aveva lasciato la Punto. Il piazzale era sgombro, ma la sua auto c’era ancora ed era integra. Non sapeva dove le Sentinelle fossero andate, ma non le interessava… Sentì il suono della 8C che si avvicinava, dopo aver fatto il giro della villa, diretta verso il cancello…

 

Vide una volante della polizia fermarsi proprio in quel momento davanti alla casa, ma il finestrino abbassato della Alfa Romeo attirò la sua attenzione… Come un missile rosso la vide avvicinarsi…

 

Irina si rese conto di quello che stava per succedere, e d’istinto si rifugiò dietro la Punto, sentendo la carrozzeria perforata da un proiettile che avrebbe dovuto colpire lei…

 

“Maledetto”.

 

Saltò sulla Punto, mentre vedeva Dan schivare la volante ferma, e una Ferrari rossa si avvicinava a tutta velocità…

 

Irina affondò il piede sull’acceleratore, fiondandosi oltre il cancello aperto, rendendosi conto che la polizia era lì ma che Dan stava ormai scappando… La 599 di Xander inchiodò di colpo vedendola arrivare, poi però fece dietrofront e la seguì a ruota a tutta velocità.

 

Le auto della polizia russa si fecero da parte, colte alla sprovvista, così la Alfa Romeo riuscì a guadagnare la strada, diretta verso la campagna…

 

Come un proiettile, una R8 color titanio si affiancò alla Ferrari dietro di lei. Irina ebbe solo il tempo di capire che era Dimitri, prima di afferrare il cellulare…

 

<< Xander! Sta scappando! >> gridò nel microfono, << E’ Dan, l’italiano! Non so dove sia diretto, ma credo voglia prendere l’autostrada… >>.

 

<< Ok, rimanigli incollata >> disse Xander, << Lo possiamo fermare… >>.

 

Ma in quel momento, tre auto, una Jaguar, una Eclipse e una A5 sbucarono alle loro spalle, e Irina capì che Dan aveva avuto ragione a scegliere tre donne a difenderlo: non erano scappate, e stavano venendo ad aiutarlo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Attenzione, il prossimo sarà l’ultimo capitolo!!!

Come promesso mi dedicherò a fic ultimata a ringraziare tutti e a rispondere alle vostre eventuali domande.

Quindi… il prima possibile provvederò alla pubblicazione dell’ultimo capitolo + l’epilogo.

 

A presto!

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 49
*** Capitolo XLIX ***


Capitolo XLIX

Capitolo XLIX

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 02.30 – Cherepova Nord

 

Irina vide la A5, la Eclipse e la Jaguar avvicinarsi a tutta velocità, i fari accesi nella notte. Per un attimo non seppe che fare, poi si ricordò che il suo obiettivo primario era la Lince, e la sua auto si stava allontanando sempre di più… Vedeva i fari concentrici brillare tra i campi dall’erba alta, e farsi sempre più piccoli…

 

<< Xander >> gridò nel telefono, mentre nella sua testa cercava disperatamente di elaborare un piano, << Sono le sue Sentinelle, tenteranno di fermarci! Liberatevi di loro, io seguo la Lince! >>.

 

Per qualche secondo dall’altra parte della linea non sentì nulla… Xander non poteva mettersi a discutere proprio ora perché voleva prendere in mano lui la situazione…

 

Poi finalmente lo sentì dire, lentamente: << D’accordo. Ma fai attenzione. L’elicottero ti seguirà >>.

 

Irina tirò un sospiro di sollievo: sapeva che in quel momento Xander aveva fatto un grande sforzo, facendo un passo indietro e lasciandole il compito di arrestare Dan… Aveva messo da parte il suo orgoglio e la possibilità di fare bella figura.

 

<< Grazie. Fate attenzione anche voi >>.

 

Chiuse la telefonata, poi affondò il piede sul pedale dell’acceleratore… Vedeva i fari concentrici della Alfa Romeo brillare a un centinaio di metri di distanza, mentre la strada si faceva sempre più stretta e sempre più dissestata… Dan non era diretto all’autostrada come aveva pensato…

 

Non poteva scapparle così, tra le dita. Aveva la polizia ad aiutarla, e sentiva l’elicottero sopra la testa… Doveva solo riuscire a fermarlo, o almeno a rallentarlo…

 

Gettò un’occhiata nello specchietto retrovisore, e vide la Jaguar argentata farsi spazio tra la Ferrari e la R8. Aiutata dalla Eclipse, che diede un colpo secco alla 599, riuscì a superarla e si diresse verso di lei a tutta velocità.

 

In un attimo, si scatenò l’inferno.

 

Irina si ritrovò la Jaguar attaccata al posteriore, mentre dietro di lei la A5 cercava disperatamente di sbattere fuori strada Dimitri… Da una delle tre auto inseguitrici partì un colpo di pistola, che cozzò sulla carrozzeria della Ferrari creando una scia di scintille luminose, conficcandosi nella lamiera con un tonfo secco…

 

Dimitri rispose al fuoco, puntando alle gomme della A5, ma quella scartò di lato, finendo quasi fuori strada… Le ruote sollevarono una nuvola di ciottoli, sparando pietre in ogni direzione…

 

Irina cercò di accelerare per portarsi fuori dalla traiettoria delle armi, ma la Jaguar le venne addosso da dietro, sbalzandola in avanti. Sentì i fari posteriori della Punto creparsi, il vetro scricchiolare, mentre con una sterzata schivava il secondo colpo di muso…

 

Inchiodò, lasciando che la Jaguar la affiancasse: era certa che si trattasse della ragazza dai capelli rossi che aveva visto a casa di Dan, la stessa che le aveva rivolto quello sguardo sprezzante… Forse la Lince aveva ragione, le donne sapevano essere molto cattive, quando si trattava di difendere ciò a cui tenevano…

 

“Come possono essergli così fedeli?”.

 

Tirò fuori la pistola, ma le scivolò di mano quando la Jaguar la colpì di lato. Non riuscì a evitarla, e per un attimo sentì gli pneumatici della Punto scivolare sull’erba a bordo strada, il canale per l’irrigazione dei campi a pochi centimetri da lei… Si trovavano in aperta campagna, e l’unica cosa che riusciva vedere in mezzo a tutto quel buio era la strada scarsamente illuminata che proseguiva diritta, i fari della Alfa Romeo che ancora brillavano a un centinaio di metri…

 

“Maledetta”.

 

Spinse la Jaguar, tentando di speronarla e farla andare in testa coda, ma non ci riuscì. L’auto inglese era molto più pesante della Punto, e sarebbe stato difficile farla sbandare… Ma doveva togliersi da quell’impiccio il prima possibile, altrimenti Dan sarebbe scappato…

 

Improvvisamente alle sue orecchie arrivò il rumore di qualcosa che si spaccava violentemente, e d’istinto si guardò dietro: il cofano della R8 di Dimitri si era staccato ed era caduto a terra, lasciando in vista il bagagliaio anteriore dell’auto. Con uno stridore acuto, il pezzo di lamiera si schiantò sul muso della Ferrari di Xander, scheggiando la vernice rossa…

 

Irina affondò il piede sul freno, e la Ecplise dietro di lei per poco non le venne addosso… La schivò e passò davanti, mentre lei la ignorava e i suoi occhi rimanevano incollati alla 599 e alla R8… Sia Xander che Dimitri sembravano stare bene, le loro auto continuavano a correre…

 

Dan non aveva sbagliato: quelle tre donne erano scatenate, e niente sembrava poterle fermare dal loro intento… Erano disposte a tutto pur di ostacolarli. Avrebbe tanto voluto vederle in faccia.

 

Irina fece una smorfia.

 

Aveva affrontato Nina, non poteva avere paura di quella rossa dallo sguardo assassino. Le sarebbe rimasta attaccata finché la Lince non fosse stata al sicuro, quindi doveva liberarsi di lei. Doveva solo capire come.

 

Vide la A5 prendersela con Xander, cercando di buttarlo fuori strada… Non ci riuscì, ma Irina fu costretta a rallentare, perché la Ecplise e la Jaguar le intralciavano la strada… Una di fianco all’altra le chiudevano ogni via di fuga, mentre la Alfa Romeo spariva oltre una curva… Stavano cercando di convergere davanti a loro per bloccargli la strada e rallentarli…

 

Irina imprecò, poi decise che non poteva perdere. Vide l’elicottero proseguire nella notte, braccando la 8C per non perderla di vista…

 

<< Odio queste russe… >> ringhiò, poi affondò il piede sull’acceleratore.

 

Si ritrovò di fianco Dimitri, l’Audi ormai quasi ridotta a un catorcio, ma ancora in corsa… Vide il suo sguardo puntarsi per un momento su di lei, mentre alla sua sinistra comparve la 599 di Xander

 

Bastò un cenno del russo per far capire a Irina che doveva lasciarlo passare, e lei non ci pensò due volte. Aveva in mente qualcosa, lo sapeva. Sentì il motore della R8 salire su di giri, poi l’auto schizzò in avanti, dritta verso la Eclipse

 

Il botto fu assordante: la Mitsubishi venne catapultata in avanti, il posteriore accartocciato, i pezzi di vetro dei fari che volavano per aria… L’Audi di Dimitri non si fermò, nonostante il muso ormai appiattito, spingendo con tanta forza da far finire fuori strada la Eclipse

 

La Jaguar improvvisamente si fece da parte, mentre la A5 superava Irina a tutta velocità. Xander la seguì, mentre l’Audi cercava di soccorrere la compagna in difficoltà… La 599 si fece spazio e le rimase attaccata…

 

Irina ne approfittò: nel casino che si era creato, superò il gruppo e raggiunse la Jaguar, che voleva allontanarsi per raggiungere Dan…

 

Gettò un’occhiata verso l’auto, ma i finestrini erano oscurati e non riusciva a vedere il volto della russa al volante. Era sicura però che la sua espressione non doveva essere più amichevole di quella che le aveva rivolto Nina…

 

“Sono due le cose: o mi fai passare, oppure sono costretta a levarti dai piedi…”.

 

Irina tentò il sorpasso, ma la Jaguar la strinse a destra, spingendola sull’erba, il canale di scolo a pochi centimetri dalle sue ruote… Sterzò bruscamente, cercando di spostarsi…

 

Sentì qualcuno inchiodare alle sue spalle, un colpo di pistola nell’aria, ma decise di non guardarsi indietro: finché avesse temuto per Xander e Dimitri non sarebbe riuscita ad andare avanti… Erano in gamba, se la sarebbero cavata…

 

Strinse il volante, poi decise di tentare il tutto per tutto: andò violentemente addosso alla Jaguar, e per un momento credette di aver fatto la scelta sbagliata.

 

Lo specchietto della XK volò via con un sibilo, mentre la fiancata della Punto si piegò all’indentro, e sul finestrino si disegnò un reticolo di crepe… Sentì i cerchi in lega cozzare con quelli dell’altra auto… Era un corpo a corpo impari, perché la Jaguar era più pesante, più potente e anche più grossa, ma la rabbia che aveva addosso Irina era talmente tanta che non si preoccupò di quello che poteva accadere…

 

La russa si scostò, ma Irina non la lasciò scappare: affondò il piede sull’acceleratore, mentre la Jaguar accelerava di colpo… Riuscì a guadagnare un paio di metri, ma non abbastanza da essere fuori tiro…

 

Secca, Irina speronò il posteriore della XK con tutta la forza della Punto, e l’auto grigia sbandò. Sollevando una nuvola di polvere e ciottoli, la Jaguar perse il controllo: più volte sembrò sul punto di riprendere aderenza, ma alla fine si girò di lato, finendo con il posteriore sull’erba, gli pneumatici che non riuscivano a fare presa…

 

Irina si scostò, proprio mentre la Jaguar cozzava contro qualcosa lungo il canale di scolo e finiva per aria con un botto assordante… L’auto si capovolse, rotolando come un modellino giocattolo nell’erba ghiacciata, mentre pezzi di lamiera volavano nella notte…

 

L’auto fece un ultimo giro su se stessa e poi si fermò, una scatola di latta appena riconoscibile. Irina non si fermò a guardare, anche se sperava di non aver ucciso nessuno, e affondò il piede sull’acceleratore… Doveva riprendere terreno… Non perse il sangue freddo nemmeno per un secondo, ma era troppo impegnata per accorgesene.

 

Non vedeva più i fari della Alfa Romeo di Dan, ma sapeva che l’elicottero della polizia la stava ancora seguendo… Afferrò il cellulare, e cercò rapidamente il numero di McDonall.

 

<< Signore? Ho bisogno di sapere che direzione ha preso la Lince >> disse senza tanti preamboli, sperando che il momento le perdonasse la mancanza di cortesie…

 

<< Alla prossima prenda per il lago >> rispose il Vicepresidente, la voce sicura e il tono tranquillo, << Prosegua verso est. Vedrà l’elicottero. Prenda quel criminale, agente Dwight, chiuda questa maledetta faccenda. Può farcela >>.

 

Irina gettò il cellulare di lato, e accelerò ancora: la strada era stretta, i campi gelidi ai suoi lati, il buio impenetrabile, ma i suoi occhi sembravano quasi abituati a tutto quello. Non aveva paura di finire fuori strada, di sbandare, di fare un incidente… La sua unica paura era quella di andare troppo piano.

 

Infilò la prima strada che trovò che dava a sinistra, ritrovandosi improvvisamente lungo una statale piuttosto ampia, che doveva condurre di nuovo a Cherepova. Incontrò un paio di auto sul cammino, e le superò troppo in fretta per potersi preoccupare di chi fossero

 

Scrutò il cielo nero, cercando l’elicottero che non doveva essere troppo lontano. Lo vide, le luci accese, riuscendo a sentire anche il tonfo delle pale nell’aria… Non era troppo lontano…

 

Sentì il motore della Punto gridare, quando la costrinse a un’accelerata incredibile, il contagiri che schizzò dritto nella zona rossa… La lancetta del tachimetro sfiorò i duecentocinquanta…

 

Poi, finalmente, la vide: i fari rossi della Alfa Romeo brillavano a qualche centinaio di metri da lei, mentre sfilava rapida tra le auto civili, lasciandosi dietro facilmente le volanti della polizia.

 

Accelerò ancora, il guard-rail che sfilava quasi invisibile al suo fianco, gli occhi puntati solo sulla 8C, il cuore che batteva all’impazzata…

 

Nera sullo sfondo ancora più scuro, si stagliò davanti a lei una montagna che non aveva visto né notato: una galleria si apriva proprio sul loro cammino, tagliando in due il fianco della montagna. L’Alfa Romeo sparì dentro, e l’elicottero che la seguiva fu costretto a deviare, aggirando l’ostacolo…

 

Irina si infilò nella galleria, sempre più vicina alla Lince. Non sapeva come ci stava riuscendo, ma la Punto sembrava correre più veloce di quanto non avesse mai fatto…

 

Si incollò al posteriore della 8C, ma quella accelerò bruscamente. Si spostò di lato, proprio mentre uscivano dalla galleria, schivando un tir che procedeva lento…

 

Secca, la Lince sterzò e si infilò nella prima uscita disponibile, imboccando una sopraelevata che girava su se stessa, portando verso Cherepova

 

Le ruote della Punto fischiarono, mentre percorreva la curva senza premere il freno, il motore in tiro, la forza centrifuga che la spingeva verso l’esterno… I fari della Alfa brillavano a pochi metri da lei…

 

Improvvisamente, Irina capì che Dan non era bravo al volante quanto lo era stato William. Si era sempre nascosto dietro una maschera, e per quanto fosse un cultore delle auto italiane non era il miglior pilota della Russia. Poteva batterlo, ne era certa.

 

Gettò un’occhiata nello specchietto: l’elicottero aveva perso terreno, perché aveva dovuto allungare per aggirare la montagna… Per il momento era sola.

 

Aveva smesso di avere paura. Ora che sapeva di poter reggere una missione come quella non c’era più niente che potesse spaventarla… Avrebbe preso Dan a tutti i costi.

 

Affondò il piede sull’acceleratore, cercando di colpire l’Alfa. L’italiano la schivò, poi svoltò di nuovo, infilandosi in una rampa di decelerazione…

 

Davanti a loro si stagliò il casello autostradale di uscita, le sbarre abbassate. Dan sfondò la prima che incontrò sul suo cammino, e Irina lo seguì.

 

Si ritrovarono direttamente dentro la città, e in un momento capì che il piano della Lince era seminarla in mezzo alle vie tra i palazzi… Lui conosceva la città, era avvantaggiato…

 

L’Alfa girò a sinistra, ritrovandosi davanti un’auto della polizia. La colpì sulla fiancata, mandandola in testa coda, poi guizzò via a tutta velocità.

 

Irina cercò di nuovo di speronarlo, ma non ci riuscì. Lo affiancò, poi il suo cellulare squillò all’improvviso.

 

<< Spingilo verso il lago, Irina >> disse la voce di Dimitri dall’altra parte, << Siamo in città anche noi. Vi seguiamo >>.

 

La telefonata venne interrotta, ma lei capì che cosa doveva fare. Il lago si trovava a ovest, quindi…

 

Vide un cartello stradale che mostrava un ponte, con un nome che lei non sapeva leggere. Se c’era un ponte doveva esserci anche acqua, perciò quella poteva essere la direzione giusta…

 

Gettò uno sguardo verso l’Alfa, e attraverso i vetri oscurati non riuscì a vedere nulla. Come poteva spingerlo dove voleva lei?

 

“D’accordo, a mali estremi, estremi rimedi”.

 

Sterzò di colpo verso sinistra, cozzando con la fiancata dell’Alfa. Il colpo fu così forte che la 8C, leggera quanto la Punto, finì sul marciapiede, facendo saltare via un cartello. Contrattaccò, cercando di colpirla, ma Irina fu più veloce e si spostò…

 

All’incrocio, la Lince proseguì diritta, ed Irina vide con la coda dell’occhio due auto che correvano nella via parallela, una a destra e una a sinistra. Un’Audi e una Ferrari.

 

Sorrise, mentre si rendeva conto che lo avevano accerchiato senza che se ne rendesse conto. Molto probabilmente era troppo impegnato a scappare, per accorgersi che ormai era finito…

 

Qualcosa attirò l’attenzione di Irina mentre correva lungo la strada, le vetrine spente dei negozi e i semafori lampeggianti… Uno dei palazzi sulla loro strada era coperto da un’impalcatura che si estendeva oltre il marciapiede, le transenne a strisce bianche e rosse che indicavano di cambiare corsia…

 

Irina vide l’Alfa spostarsi, e capì troppo tardi quello che la Lince aveva in mente.

 

La 8C colpì in pieno i tubi in ferro che reggevano l’impalcatura, facendo crollare con un botto assordante le travi di legno che si arrampicavano sulla facciata… Irina vide una nuvola di schegge cadere dall’alto, le transenne che le volavano contro…

 

Sterzò così forte che la Punto andò in testa coda, le ruote che fischiavano sull’asfalto… Salì fin sul marciapiede, poi riuscì a riprendere il controllo dell’auto, proprio mentre le travi di legno si schiantavano al suolo, andando in mille pezzi, esattamente dove un secondo prima c’era lei…

 

La Punto scodò violentemente, ma Irina strinse il volante e puntò lo sguardo sull’Alfa che si stava allontanando velocemente. Affondò il piede sull’acceleratore, intravedendo la strada che forse li avrebbe portati al lago…

 

Raggiunse la 8C, poi davanti ai suoi occhi si stagliò un fiume piuttosto largo, un fiume che divideva la città dall’altra sponda. E c’era un ponte, un ponte che avrebbe portato Dan di nuovo fuori dalla città, dove prenderlo sarebbe stato più difficile…

 

Irina cercò di pensare, poi vide l’elicottero della polizia stagliarsi sopra il fiume, e il ponte iniziare ad alzarsi… Lento, inesorabile, ma chiudeva ogni possibile via di fuga…

 

La 8C sembrò sbandare per un momento, cercando una via laterale in cui scappare. Le tagliò la strada, poi a sinistra comparve la 599 di Xander… L’Audi R8 di Dimitri si stagliò dietro di loro, completando quel terzetto che faceva da scorta alla Lince…

 

Irina vide le luci del ponte, le due estremità che si alzavano sempre di più… L’Alfa accelerò, costretta ad andare dritta… Era circondata, non poteva fuggire…

 

Poi un pensiero le fulminò la testa.

 

Avrebbe saltato.

 

Dan avrebbe cercato di saltare il ponte, perché dall’altra parte c’era la libertà… Avrebbe corso un rischio, ma si poteva fare. Il ponte non era ancora completamente alzato, bastava andare un po’ più forte… Era come attraversare il lago ghiacciato di Cherepova… Lei lo avrebbe fatto, se fosse stata nella sua situazione…

 

Non poteva permetterglielo. Non poteva farlo fuggire…

 

Accelerò, pronta a tagliargli la strada… Si sarebbe anche fatta prendere in pieno, se fosse servito a fermarlo…

 

Stava per premere l’acceleratore, gli occhi incollati all’auto della Lince, quando l’Alfa Romeo inchiodò.

 

Con uno stridore di gomme, la 8C si piantò a pochi centimetri dal ponte, il motore acceso, lasciando dietro di due lunghe strisce nere sull’asfalto… Rimase immobile, come paralizzata.

 

Irina affondò il piede sul freno, sentendo le gomme della Punto artigliare il terreno con violenza, stridendo… La Ferrari e la R8 si fermarono di colpo anche loro, accerchiando la Lince. Xander scese, la pistola in pugno, e Irina fece altrettanto.

 

<< Scendi dall’auto con le mani in alto! >> gridò lui, mentre l’elicottero li sovrastava, il rumore delle pale che rendeva quasi impossibile sentire…

 

Irina gli rivolse un cenno, mentre le volanti della polizia con le sirene accese inchiodavano a pochi metri da loro. Fece un passo avanti, riuscendo a scorgere la sagoma di Dan dentro l’auto…

 

“Codardo”.

 

Fino alla fine, Dan aveva dimostrato ciò che era: un vigliacco. Nemmeno di fronte alla possibilità di poter fuggire era riuscito a tirare fuori il suo coraggio…

 

“Lo Scorpione era tutta un’altra cosa…”.

 

Impugnò la pistola, e si avvicinò all’auto. Gettò un’occhiata a Xander, per fargli capire che sapeva cosa stava facendo, e aprì la portiera della 8C. I poliziotti li tenevano sotto tiro, le armi in pugno, in attesa di una loro mossa. Ma qualcosa le diceva che non ci sarebbe voluto tutto quel dispiegamento di forze per mettergli le manette.

 

Dan era seduto, il volante stretto tra le mani, lo sguardo fisso sul ponte ormai aperto: nessun ghigno sul suo viso, nessuna espressione di sfida, nessun sentimento d’odio. Non sembrava la Lince; non sembrava nemmeno un pilota clandestino.

 

Non era nessuno, alla fine.

 

<< Avrei dovuto immaginarlo che non avresti avuto il coraggio >> disse Irina, e la sua voce era carica di disprezzo.

 

Lo afferrò per un braccio, tirandolo fuori di forza dall’auto. Senza opporre resistenza l’italiano si lasciò spingere sulla fiancata dell’Alfa Romeo, e Irina gli mise le manette.

 

<< Ti dichiaro in arresto, Lince >> disse, neutra.

 

In quel momento, capì che era davvero finita. Che aveva portato a termine quella missione che non aveva mai programmato. Non ci aveva creduto, all’inizio; nessuno ci aveva creduto. Eppure ora la Lince era lì, tra le sue mani, in arresto.

 

Rimasero così per un momento, in silenzio, circondati dalla polizia, l’elicottero sopra la testa e il suono delle sue pale nell’aria.

 

Dan teneva lo sguardo basso, non si muoveva, non tentava di scappare. Il suo orgoglio era talmente poco che non lottava nemmeno per la sua libertà. Era solo uno stupido ragazzino che si era trovato nel posto giusto al momento giusto, nient’altro.

 

Irina provò un’enorme rabbia: non meritava niente di ciò che aveva avuto. Dan non meritava i soldi, il rispetto, la fama di cui aveva goduto.

 

<< Avresti potuto avere la vita che desideravi >> disse Dan, senza guardarla, << Avresti potuto essere una pilota clandestina >>.

 

Irina gli gettò un’occhiata, mentre vedeva gli agenti di polizia circondarli, il Vicepresidente McDonall che si avvicinava insieme a Demidoff, il capo dei servizi segreti russi.

 

<< Ciò che voglio essere non sono affari tuoi >> ribatté, << E comunque, non sarei mai stata una pilota al servizio di un codardo >>.

 

Lasciò Dan agli agenti russi, che lo presero in consegna. Non oppose alcuna resistenza, lo sguardo basso dello sconfitto. Iniziarono a spingerlo verso le auto parcheggiate, poi Irina ricordò una cosa.

 

<< Aspettate >> disse, avvicinandosi. Gettò un’occhiata a Dan e domandò: << Come facevi a sapere che ero dell’F.B.I.? >>.

 

L’italiano la guardò per un momento, poi si strinse nelle spalle.

 

<< Non lo sapevo. Ho tirato a indovinare… Ti seguivano troppe volanti, per poter essere riuscita ad arrivare fino a Cherepova senza essere ostacolata >> rispose.

 

Irina lo fissò, incredula, poi sul viso le si dipinse una smorfia. Sembrava tutta una grande presa in giro… Dan aveva avuto fortuna anche nelle sue supposizioni.

 

Lasciò che l’italiano venisse accompagnato verso le auto della polizia russa, poi si voltò e si avvicino a McDonall, fermo vicino all’agente Demidoff. Le stava sorridendo, mentre il russo appariva distaccato. Forse gli dava fastidio il fatto che alla fine era riuscita a portare a termine la missione.

 

Il Vicepresidente le sembrò cambiato. Pareva che fosse passata una vita, da quando l’aveva visto l’ultima volta… O forse era lei che aveva cambiato modo di vedere le cose.

 

<< Ottimo lavoro, agente Dwight >> disse McDonall, stringendole la mano, << Davvero ottimo lavoro >>.

 

<< Grazie >> disse Irina, stringendogliela, << Non credevo di potercela fare… Ma alla fine è finita >>.

 

<< Ha sottovalutato le sue capacità, agente Dwight >> ribatté McDonall, << Ma ero sicuro che ci sarebbe riuscita >>.

 

<< I servizi segreti russi le sono riconoscenti >> aggiunse Demidoff in modo spiccio, per poi allontanarsi piuttosto rapidamente.

 

Irina e McDonall lo guardarono raggiungere i suoi agenti, e sul volto del Vicepresidente si dipinse un sorrisetto.

 

<< Sarà dura da digerire, per loro >> disse, poi la guardò, << Può andare a riposarsi un attimo, agente Dwight. Ancora complimenti >>.

 

Irina annuì, poi si rese conto che ora sentiva addosso tutta la fatica di quel viaggio. Aveva percorso tremila chilometri, sostenuto più gare che in tutta la sua vita e aveva arrestato la Lince: se non era stanca ora, non lo sarebbe stata mai più.

 

Si allontanò e raggiunse Xander, fermo vicino alla Ferrari 599 che portava i segni della tanta strada fatta. L’Audi R8 sembrava sparita dalla circolazione. Le volanti iniziarono ad andarsene alla spicciolata, i lampeggianti accesi. Faceva freddo, se ne accorse solo in quel momento.

 

Guardò Xander in faccia, e lo trovò stanco quanto lei. Però le stava sorridendo; le sorrideva come non faceva da diverso tempo… Come prima della missione, come prima che tutto quello iniziasse.

 

<< Complimenti, agente >> disse Xander, << Missione compiuta >>.

 

Irina sorrise.

 

<< E’ anche merito tuo e di Dimitri >> ribatté, appoggiandosi alla fiancata della Ferrari, << Ma… Bé, grazie. Detto da te ha tutto un altro valore >>.

 

Sì, era così.

 

Xander all’inizio non aveva creduto in lei. Non aveva voluto che prendesse parte a quella missione, forse anche perché non la reputava all’altezza… Ma ora le faceva i complimenti, perciò aveva capito che non era più quella di una volta. Che ormai aveva trovato il giusto equilibrio tra Irina e Fenice. E lui sembrava aver accettato che non sarebbe rimasta per sempre la ragazza che aspettava di essere salvata, che si limitava a fare da spettatrice. Quella avventura era servita anche a mettere ordine nel loro rapporto.

 

Si avvicinò e baciò Xander sulle labbra, sentendosi improvvisamente leggera. Era stanca, ma non aveva più nessun peso sullo stomaco. Era libera, adesso. Poteva tornare a casa.

 

<< E’ stato tutto piuttosto faticoso, ma anche istruttivo >> soffiò sulle labbra di Xander, ridacchiando, << Sei ancora sicuro di voler stare con me? Ora sai che cosa posso combinare… >>.

 

Lui rise.

 

<< Certo che voglio stare con te. Dove la trovo un’altra che mi mette in riga come sai fare tu? >>, rispose, << Sempre che tu voglia ancora stare con me… >>. Ammiccò, gli occhi che scintillavano.

 

Irina sorrise, facendo finta di pensarci.

 

<< Uhm, per il momento va bene… Basta che non mi fai arrabbiare come hai fatto l’ultima volta, eh? >>.

 

Si spostò da Xander quando si accorse che McDonall si stava avvicinando a passo rapido.

 

<< Ci troviamo alla stazione di polizia di Cherepova >> comunicò il Vicepresidente, << Vi aspettiamo lì. Dobbiamo solo parlare qualche momento, poi sarete liberi di andare >>.

 

Irina annuì.

 

<< Arriviamo >> disse.

 

McDonall si allontanò, e lei guardò Xander.

 

<< Dimitri? >> chiese solo.

 

Xander fece un cenno verso il vicolo lì vicino. L’Audi semidistrutta del russo era parcheggiata in disparte, mezza nascosta alla vista. Dimitri stava in piedi, appoggiato alla portiera piegata, a fissare l’asfalto, truce.

 

Sapeva che con la missione finiva anche la sua libertà. Sapeva che con l’arresto della Lince lui sarebbe tornato in carcere. Il sollievo di Irina corrispondeva alla sua frustrazione.

 

Provò un moto di tristezza, sapendo che Dimitri l’aveva aiutata ben consapevole che quello che avrebbe guadagnato era solo qualche anno in meno dietro le sbarre… Non era giusto che quella fosse la sua ricompensa, come non era giusto che William fosse morto in quel modo… Non era giusto, ora che conosceva chi era davvero Dimitri.

 

Gettò un’occhiata verso Xander, mentre intorno a loro le auto della polizia iniziavano ad allontanarsi, a sirene spente, lasciando l’Alfa Romeo in mezzo alla strada, in attesa di un carro attrezzi che la venisse a prendere. Rimase solo White, in disparte, con un paio di agenti, troppo lontani per sentire di ciò che stavano parlando.

 

<< Non è giusto >> sussurrò, << Mi ha salvato la vita! >>.

 

Xander sembrò rimanere impassibile, di fronte a quella sua mutua protesta. Ricambiò il suo sguardo, le diede un bacio sulla fronte e disse: << Lo so. Ma non dipende da me >>.

 

Irina annuì. Xander non poteva scarcerare Dimitri, e forse non poteva farlo nemmeno McDonall. C’erano troppe implicazioni, dietro. Il Mastino si era comunque macchiato di alcuni crimini quando era stato il braccio destro dello Scorpione, e c’era qualcuno che aveva ricevuto giustizia, quando era stato arrestato.

 

<< Vado a parlargli… >> disse.

 

Si staccò da Xander e raggiunse rapidamente il russo. Solo in quel momento si accorse che aveva gli abiti ricoperti di sangue, e che sui suoi pantaloni c’era un grosso squarcio. Sembrava uscito da una rissa.

 

<< Stai bene?! >> gridò Irina, correndogli incontro.

 

Al suono della sua voce Dimitri alzò finalmente lo sguardo su di lei, e sul suo volto si dipinse una smorfia ormai familiare. Alzò le braccia, e lei inchiodò dov’era, sapendo che non voleva che si avvicinasse oltre.

 

<< Non sono mai stato meglio… >> rispose, secco.

 

Irina lo guardò, e lui fece altrettanto. Sapevano entrambi cosa sarebbe successo ora.

 

<< Hai… Hai ucciso Vladimir? >> domandò lei, incerta.

 

Dimitri abbassò gli occhi per un secondo, poi tornò a guardarla.

 

<< L’ho ucciso, e non l’ho fatto come volevo io >> rispose, quasi ringhiando, << Immagino che questo significhi che ho fatto la scelta migliore >>.

 

Irina capì cosa intendeva, ma non volle pensare alla scena nemmeno per un secondo. Fece un passo avanti, accorgendosi che il sangue che aveva addosso non era il suo. Non poteva averne perso così tanto ed essere ancora vivo… Molto probabilmente era quello di Vladimir.

 

<< Mi dispiace, Dimitri >> disse lei, sentendo il bisogno di scusarsi, << Se solo avessi saputo come sarebbero andate le cose, avrei chiesto dei termini diversi per la tua collaborazione… >>. Si sentì assolutamente impotente, in quel momento.

 

Il russo la inchiodò con lo sguardo, e lei sentì un brivido correrle lungo la schiena.

 

<< Nessuno di noi sapeva come sarebbero andate le cose, Fenice >> ringhiò, << Soprattutto io. Ma rispetto i patti, e tornerò in carcere senza fare storie. Posso solo dire almeno che alla fine mi sono anche divertito >>.

 

Sul viso del Mastino balenò un sorrisetto, e Irina sentì la tensione sciogliersi. Stava cercando disperatamente qualcosa da dire, ma in realtà non c’era nulla da dire. Si erano capiti già molto tempo prima.

 

Fece un altro passo avanti, e dall’occhiata del russo capì che era autorizzata ad avvinarsi ancora. Sorrise, poi lo abbracciò forte.

 

Fu una strana sensazione, ma fu come essere cinti da un fratello, un vero fratello maggiore che aveva imparato a rispettarla. Sentì l’odore acre del sangue sui suoi abiti, ma trovò rassicurante quel calore profondo che sembrava emettere Dimitri. Per un momento le balenò nella mente tutto ciò che era successo tra loro, e capì che forse gli stava chiedendo troppo.

 

Si staccò delicatamente, lo guardò negli occhi e disse, piano: << Grazie, Dimitri. Grazie di tutto >>.

 

Il russo si appoggiò di nuovo all’auto, come per tornare il solito freddo di sempre. Chissà cosa gli passava per la testa, in quel momento. Chissà se era tornato ad odiarla come aveva fatto prima della missione.

 

<< Grazie a te, Fenice. Mi hai offerto la possibilità di chiudere i miei conti in sospeso, e l’ho fatto. E ora che Challagher è morto, siamo liberi entrambi >>.

 

Irina annuì. Aveva ragione, in fondo. Nessuno dei due aveva più fantasmi da cui scappare.

 

Finiva così, e forse era giusto. Non c’era altro da aggiungere, tra loro che si erano esplorati fin nel profondo del loro essere.

 

Si voltò verso Xander: era rimasto vicino alla Ferrari, tranquillo, in attesa. Lei gli sorrise e gli fece cenno di avvicinarsi: aveva rispettato il suo momento, e l’aveva lasciata libera di parlare da sola con Dimitri, senza paranoie né gelosie stupide. Anche lui era cresciuto, alla fine.

 

<< Dovremmo andare >> disse Xander, << Abbiamo un lungo rapporto da fare alla stazione di polizia. E penso che tutti e tre vorremmo andare a dormire il prima possibile… >>.

 

<< Potrò dormire anche per una settimana di fila, nel prossimo mese >> ribatté sarcastico Dimitri.

 

Xander lo guardò, e per un attimo rimase in silenzio. Sul suo viso sembrò aleggiare qualcosa di strano, come un ghigno che faceva fatica a nascondere.

 

<< Immagino di doverti rimettere le manette, Mastino >> disse.

 

Irina lo guardò male, fulminandolo con lo sguardo. Lo stesso fece Dimitri, ma Xander si avvicinò con tutta la tranquillità del caso al russo, lo fece voltare e rimase un momento immobile, ridacchiando. Armeggiò con qualcosa, e lo fece con una lentezza esasperante.

 

“Gliela farò pagare, questa. Non mi sembra il caso di fare tanto lo spiritoso”.

 

<< Non pensavo che avrei mai fatto una cosa del genere… >> disse Xander, all’improvviso.

 

Poi Irina si accorse dagli occhi di Dimitri che c’era qualcosa che non andava: il russo si voltò verso il suo vecchio “nemico”, senza manette, libero, e con un mazzo di chiavi in mano. Sul volto di Xander campeggiava un sorrisetto, che questa volta non nascose.

 

<< Hai un minuto per prendere quella Ferrari 599 e sparire da qui >> disse, << Dopo di che sarò costretto a chiamare rinforzi. Ma penso che sessanta secondi ti bastino, per far sparire le tue tracce >>.

 

Irina rimase di sasso, e per la prima volta vide lo stupore anche sul volto di Dimitri. Xander gli stava dicendo di scappare?!

 

Non era possibile… Era impazzito?!

 

<< Non prendermi per il culo, Went >> ringhiò Dimitri, << Non mi piace scherzare con te… >>.

 

<< Nemmeno a me >> ribatté Xander, << Quindi se non vuoi tornare in carcere, prendi quell’auto e vattene. Non sanno a chi è intestata, non ha nemmeno un vero proprietario. Affonda il piede sull’acceleratore e scappa. Mi hai aiutato troppo, per lasciare che ti rimettano dietro le sbarre. E siccome so che non accetterai mai di diventare un agente dell’F.B.I., l’unico modo che ho per aiutarti è questo. E’ stato bello lavorare con te >>.

 

Dimitri guardò per un momento le chiavi, poi tornò a guardare Xander. Irina sorrideva come una stupida, perché quello che stava accadendo era troppo incredibile… Forse nemmeno il russo ci credeva davvero.

 

<< Went… Questa volta mi stupisci davvero >> disse il Mastino, avvicinandosi. Poi sorrise. Dimitri sorrise a Xander, gli porse la mano e la strinse con forza, per la prima volta considerandolo un suo pari. Con rispetto.

 

Quella fu la scena più bella a cui Irina assistette, una scena che fissò nella sua mente per non dimenticarla mai più. Non aveva mai creduto possibile che accadesse.

 

<< Ho imparato un sacco di cose, da queste parti >> disse Xander, << E una è che i russi sono ottimi compagni di lavoro… >>.

 

<< E che rispettano i patti >> aggiunse Dimitri, << E’ duro ammetterlo, Went, ma è stato divertente lavorare con te >>.

 

Si strinsero un’ultima volta la mano, e Dimitri si voltò, dirigendosi verso la Ferrari rossa. Poi però si girò un’ultima volta e si frugò in tasca. Guardò Xander e gli lanciò qualcosa, che lui prese al volo. Erano un mazzo di chiavi. Irina le riconobbe: erano della Ferrari California bianca.

 

<< Non sono per te >> disse il Mastino, ghignando, << Sono per lei >>. E fece un cenno verso Irina. << Forse un giorno tornerò a prenderle. Nel frattempo, non rigatemi la macchina… Ah, Fenice: bel destro, il tuo >>.

 

Sorrise e le rivolse un’ultima occhiata, e da quella Irina capì che non gli diceva addio. Si sarebbero rivisti, un giorno. Forse ci sarebbe voluto molto tempo, ma era solo un arrivederci, quello. Il russo salì sulla Ferrari, accese il motore e sgommò via, lasciando dietro di sé solo una nuvola di fumo. In un attimo, il Mastino si dissolse nell’aria gelida di Mosca, lasciando dietro di sé solo il ricordo di quello che avevano passato.

 

Irina scosse il capo, divertita per il complimento riguardo al pugno in faccia a Nina, e si voltò verso Xander, le braccia incrociate. Non credeva a ciò che era appena successo, ma non poteva che esserne felice. Voleva bene a Dimitri, e sapere che sarebbe stato libero la rendeva felice. Il ragazzo la guardava, ghignando di gusto, l’espressione soddisfatta.

 

<< Perché lo hai fatto? >> domandò lei.

 

<< Non lo sapevo all’inizio, ma Dimitri è un tipo a posto >> rispose Xander, << Ha salvato la vita a me e a te, e senza di lui questa missione non si sarebbe mai conclusa. Tu sai meglio di me chi è veramente, da quello che ho capito… Era giusto dargli una seconda possibilità >>.

 

Non sapeva esattamente cosa era successo quando lei non c’era stata, ma se c’era qualcosa che aveva spinto Xander a cedere la sua Ferrari e a mettersi nei guai per aiutare Dimitri significava che reputava il Mastino una persona che meritava la sua fiducia.

 

<< E adesso cosa dirai a McDonall? >> chiese lei.

 

Xander si strinse nelle spalle.

 

<< Gli dirò che è scappato e che mi ha rubato la macchina. Non farà troppe storie. Da quello che ho capito, sembra che abbia cambiato idea anche lui, su Dimitri. Non poteva farlo uscire dal carcere, ma poteva chiedergli se voleva essere dei nostri… Dimitri non avrebbe mai accettato, o sbaglio? >>.

 

Irina si avvicinò, cingendogli le spalle con le braccia.

 

<< No, non sbagli >> rispose, << Però… Davvero Xander, il tuo è stato un gesto fantastico… Non me lo sarei mai aspettato. Lo so che per qualcuno non sarà giusto, ma Dimitri ha fatto tanto per me >>.

 

<< E anche per me >> aggiunse Xander, << Forse non mi stava simpatico all’inizio, ma in queste settimane ci siamo conosciuti e… , capisco perché tu lo apprezzi. Capisco un sacco di cose >>. Diventò serio, forse al ricordo di tutto ciò che era successo tra loro. << Mentirei nel dire che non mi da fastidio sapere che voi due… Sai a cosa mi riferisco… Ma… Anche io ho le mie colpe, in tutta questa storia. Forse è il mio modo per farmi perdonare, non lo so, ma ho fatto quello che mi ha detto il mio istinto >>.

 

Irina sorrise, guardando dritta negli occhi azzurri di Xander: si sentiva in colpa per come si era comportato, lo vedeva. Ma lei lo aveva perdonato comunque, perché alla fine lo amava anche con i suoi difetti. Ciò che aveva fatto però le dimostrava che era veramente cambiato.

 

Lo baciò sulle labbra, il freddo pungente della notte ad avvolgerli, ma un grande calore nel petto a scaldarli entrambi. Era finita, era finita davvero e meglio di come avevano immaginato.

 

<< Sai Xander, il tuo istinto non ha sbagliato >> sussurrò, stringendosi a lui, << Grazie per averlo fatto >>.

 

Lui sorrise, mentre la teneva per i fianchi, il fiato caldo che si condensava in nuvolette nella notte.

 

<< Il mio istinto mi dice un’altra cosa, Irina. E penso che io debba cogliere l’occasione, perché non so se mi ricapiterà ancora… >>. Ghignò come sapeva fare solo lui, in quel modo strafottente e insieme dolce.

 

Irina assunse un’espressione confusa, perché non aveva capito cosa intendesse.

<< E cioè? >>.

 

<< Cioè… Bé, tutta questa storia è iniziata con un matrimonio, ricordi? >> disse lui, e Irina rimase scioccata, << Non mi sembra poi tanto male, l’idea di valutare qualcosa di simile… >>.

 

<< Xander, mi stai dicendo che…? >> fece lei, senza fiato.

 

Lui sorrise.

 

<< Sto solo dicendo che se un giorno vorrai… >> disse lui, ridacchiando, << Forse è un po’ presto, ma… Volevo solo farti sapere che per me esiste la possibilità >>.

 

Irina si scostò appena, e si trattenne dallo scoppiare a ridere. L’aria di Mosca sembrava avergli dato alla testa.

 

Poi però ci pensò seriamente. E si chiese se lei era pronta a un passo del genere.

 

Sapeva cosa comportava, sapeva cosa significava. Ma ora sapeva anche che aveva trovato una libertà a cui non voleva già rinunciare. Xander comunque le aveva solo detto di pensarci, in fondo. Non era una vera proposta, era solo un’idea. Significava che quella missione aveva cambiato le sue prospettive, esattamente come aveva cambiato quelle di Fenice.

 

<< Credo di volermi divertire ancora un po’, sai? >> disse sorridendo, mentre spingeva Xander verso la Punto, << Ci ho preso gusto, a fare l’agente dell’F.B.I….>>.

 

Lui rise, poi montò dal lato le passeggero.

 

<< Andiamo, abbiamo un rapporto da fare >> disse, semiserio.

 

Irina accese il motore, mentre vedeva in lontananza, oltre il ponte, un’auto rossa che si allontanava sempre più veloce, sparendo alla vista.

 

<< Sai, per un attimo ci ero quasi cascata >> disse, allacciandosi la cintura, << Pensavo che da un momento all’altro mi dicessi anche che immaginavi te e me in una bella casetta di fronte al mare, magari con una bella bambina in braccio… >>.

 

Xander le gettò un’occhiata.

 

<< Bambina? Al massimo un maschio… >> ribatté, quasi scoppiando a ridere.

 

Fu Irina questa volta a guardarlo, interrogativa. Lui si sporse verso di lei, la baciò sulle labbra e disse, tranquillo: << Sento che tu sei e rimani l’unica donna della mia vita >>.

 

Irina scosse il capo, gli sorrise e poi si avviò verso la stazione di polizia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 50
*** Epilogo ***


EPILOGO

EPILOGO

 

 

 

 

 

 

 

 

Somebody is gonna miss you
Farewell
Somebody is gonna wish that you were here
That somebody is me


I will write to tell you what’s going in
But you won’t miss nothing but the same old song
If you don’t mind catching up
I’ll spend the day telling you stories about a land far away*

 

[ FarewellRihanna ]



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Los Angeles – Due mesi dopo

 

Irina varcò la soglia del cimitero di Los Angeles con un po’ di apprensione addosso, il mazzo di fiori che teneva in mano a farle quasi da scudo. Guardò il campo santo che si estendeva davanti a lei, prendendo per la prima volta una strada diversa da quella che l’avrebbe condotta alla tomba di sua madre. Non era che era diretta.

 

Mentre camminava sentiva solo i suoi passi sul selciato, il cielo sopra di lei che lasciava cadere le ultime gocce di pioggia, un paio di signori anziani che rassettavano i fiori di una tomba lontana… Non era mai piacevole, venire lì, eppure l’atmosfera di pace che c’era lì riuscì a calmare anche la sua anima in subbuglio.

 

Non ci mise molto a trovare ciò che cercava, anche se il custode del cimitero aveva saputo indicarle solo il campo nel quale poteva guardare. Era l’ultimo, quello in fondo, destinato agli ultimi arrivati.

 

La lapide di William Challagher si stagliava solitaria in un pezzo di terra più grande rispetto a quello degli altri, e sembrava fatta di un pregiato marmo nero dai riflessi argentati. Non c’era nessuna foto, né alcuna frase: solo la data di nascita e la data di morte, e il suo nome scritto con lettere eleganti.

 

Però c’era una donna, a contemplarla. Una donna dal viso sfatto, senza trucco, ma che una volta doveva essere stata molto bella. I capelli biondi le ricadevano flosci sotto un capello pregiato ma ormai vecchio, gli occhi chiari che lampeggiarono verso di lei con espressione triste ma vagamente arrabbiata.

 

La riconobbe subito, anche se non l’aveva mai vista.

 

Era la madre di William.

 

Irina non era mai stata lì, non era mai venuta a vedere la tomba dello Scorpione, nonostante fossero passati due mesi dalla sua morte. Riportare il cadavere dalla Russia aveva richiesto tempo, e quando aveva saputo che ormai era stato seppellito, il senso di colpa che provava nei suoi confronti in qualche modo le aveva fatto mancare il coraggio di andare.

 

La donna la guardò, e molto probabilmente capì che lei era la ragazza che aveva portato suo figlio alla rovina. Tuttavia rimase in silenzio, guardando per alcuni istanti la tomba di William, come se la coincidenza che fossero tutte e due lì la divertisse.

 

<< Nessuno di noi è stato in grado di salvarlo >> disse solo, poi girò sui tacchi e se ne andò, senza mai guardarsi indietro.

 

Solo allora Irina si accorse che la donna non aveva depositato nessun fiore, sulla tomba. La lapide era completamente sgombra, nonostante disponesse di più spazio di tutti gli altri. Nessuno aveva sentito il bisogno di onorare in qualche modo lo Scorpione.

 

Si abbassò, adagiò il mazzo nel vaso vuoto e rimase in ginocchio a guardare la lapide nera, sentendo qualche goccia di pioggia caderle sui capelli. Improvvisamente ebbe freddo.

 

Capiva perché non aveva avuto il coraggio di venire: aveva trovato esattamente ciò che temeva. William era solo, completamente solo anche dopo la morte. Nemmeno sua madre ne sentiva la mancanza.

 

Nonostante tutto, continuava a pensare che non era giusto. Che non era giusto che William fosse morto, che avesse preso quella strada… Avrebbe potuto aiutarlo, non l’avrebbe lasciato da solo…

 

Passò una mano sulla tomba, e la trovò meno fredda di quello che pensava.

 

<< C’erano un sacco di cose che volevo dirti… >> sussurrò.

 

Avrebbe voluto dirgli che non lo odiava, che non le importava più quello che le aveva fatto… Che lo aveva perdonato, perché in fondo aveva capito che William aveva solo bisogno di aiuto… Avrebbe voluto dirgli che forse non lo amava come amava Xander, ma che comunque gli voleva bene… Avrebbe voluto dirgli grazie, perché senza di lui non ci sarebbe stata nessuna Fenice.

 

Sospirò. Continuare a pensare a ciò che avrebbe potuto dirgli non aveva senso, non serviva, e lo sapeva. In quei due mesi aveva cercato di dare un senso alla sua morte, ma non ci era riuscita.

 

Ciò che poteva fare, ora, era ricordarlo per quello che comunque era stato: il migliore pilota clandestino del mondo.

 

<< Sono orgogliosa di aver fatto parte della tua Black List >> disse, fissando il nome di William sulla lapide, << Sono orgogliosa di essere stata una dei tuoi piloti. Sono orgogliosa di ciò che sei stato, nonostante tutto >>.

 

Perché alla fine lo Scorpione sarebbe rimasto nella leggenda. Perché lei aveva capito che anche il male e il bene erano due concetti relativi. E lei sapeva che tra il bianco e il nero esistevano centinaia di sfumature. William era stato una di quelle.

 

Una lacrima le solcò il viso, mentre teneva la mano sul marmo della lapide. Provava ancora dolore, per la sua morte. Forse nessuno l’avrebbe mai capita, ma lei lo aveva amato, e non poteva cancellarlo dal suo cuore così in fretta.

 

Si alzò in piedi, asciugando la lacrima che le aveva rigato la guancia, e trasse un respiro profondo.

 

Almeno aveva deciso lui la sua fine. Aveva dimostrato di essere lo Scorpione fino alla fine. E lei glielo riconosceva. Non ci sarebbe stato più nessuno come lui.

 

Guardò un’ultima volta la lapide.

 

“Non ti dimenticherò, William. Lo Scorpione non cadrà nell’oblio”.

 

Alzò lo sguardo, accorgendosi che le nuvole si stavano aprendo e nel cielo stava sbucando un tiepido sole. Era venuta lì per chiudere la loro storia, e ora che gli aveva davvero detto addio sentiva il cuore più leggero. Riuscì a sorridere, mentre un raggio di luce colpiva la lapide, illuminando di splendidi riflessi il marmo nero.

 

Erano liberi entrambi, ora.

 

<< Arrivederci, Will >>.

 

Sospirò ancora, respirando l’aria pulita dopo la pioggia, e si voltò, percorrendo la strada deserta fino all’uscita del cimitero, una strana sensazione addosso. Era come se improvvisamente tutta la tristezza che si era portata addosso da quando William era morto se ne fosse andata.

 

Raggiunse la Punto parcheggiata vicino al fioraio: era tornata nuova, esattamente come era stata prima di partire per Mosca. La vernice bianca brillava sotto le goccioline d’acqua, un nuovo adesivo della fenice nera campeggiava sulla fiancata, i cerchi in lega che scintillavano nuovi di zecca. C’era solo una piccola differenza, rispetto a prima: vicino al parafango anteriore, sopra la minigonna, c’era un piccolo disegno. Uno scorpione nero.

 

Salì sulla Punto, e mise in moto. Guardò la lancetta del contagiri muoversi nervosa, poi gettò un’ultima occhiata al cielo. Forse poteva fare una corsetta, prima di tornare a casa…

 

Il suo cellulare squillò, e lei lo afferrò.

 

<< Pronto? >>.

 

<< Autostrada, direzione lungomare. Un paio di auto, te ne occupi tu? >>.

 

La voce di Xander le arrivò dritta nelle orecchie, il tono quasi sarcastico.

 

<< Che genere di auto? >> domandò, sorridendo.

 

<< Due piloti alle prime armi, niente di troppo difficile per te >> rispose Xander, << Preferisci che mandi due volanti? >>.

 

<< Ci penso io. Mi raggiungi? >>.

 

<< D’accordo. Ci vediamo lì >>.

 

Irina affondò il piede sull’acceleratore, facendo fiondare la Punto sulla strada, le gomme che lasciavano due segni neri sull’asfalto… Non si curò di aver superato il semaforo rosso, né di aver scatenato le ire dei “normali” automobilisti… Tutto aveva un altro sapore, quando si era un’agente dell’F.B.I..

 

Prese la sopraelevata che l’avrebbe condotta al lungomare, il sole che si faceva sempre più forte nel cielo. Si mise a sinistra, lasciando che la lancetta del tachimetro salisse sempre di più, superando un camion senza nemmeno guardarsi indietro… Infilò l’uscita, ritrovandosi sul lungomare…

 

Vide un paio di auto truccate correre dirette verso l’autostrada, e le scappò un sorriso. Non sapevano con chi avevano a che fare… Oppure sì, lo sapevano benissimo. Nessuno scappava alla sbirra con l’auto italiana.

 

Alla sua sinistra comparve una Ferrari 458 Italia rossa, il motore che ruggiva aggressivo. Vide Xander farle un cenno oltre il vetro, e lei gli sorrise.

 

Sarebbe stato facile, prendere quei due, chiunque fossero. L’esperienza certo non le mancava. Era per quello che l’F.B.I. l’aveva presa a tempo indeterminato per dare la caccia ai piloti clandestini… E lei aveva accettato, perché a Mosca aveva davvero capito cosa voleva fare nella sua vita.

 

Rimanere metà Fenice e metà Irina. Rimanere una pilota clandestina al servizio della giustizia.

 

Accelerò, lasciando che Xander la seguisse, e imboccò l’autostrada senza mai perdere di vista le due auto truccate che correvano a trecento metri di distanza. Le vide aumentare la velocità, perché li avevano visti…

 

“Adesso vi prendo, pivellini”.

 

Affondò il piede sull’acceleratore, poi qualcosa baluginò nell’angolo del suo specchietto, e non era l’auto di Xander.

 

Lontana, appena distinguibile, Irina vide un’Audi grigio carbonio. Una R8 che avrebbe distinto tra mille.

 

Il tempo di un secondo, e l’auto era sparita. Irina tornò a guardare davanti a lei, e sorrise.

 

Forse si era sbagliata, o forse era troppo presto. Non poteva già essere lui…

 

Lo sapeva che lo avrebbe rivisto.

 

Lo sapeva che sarebbe tornato, prima o poi.

 

Dimitri.

 

Guardò nuovamente indietro, ma non vide nessuno. Solo auto normali e gente normale.

 

Forse aveva solo sognato, ma sapeva che sarebbe stata solo questione di tempo.

 

Gettò un’occhiata verso Xander, e lo vide farle un cenno.

 

“Uno è mio e uno è tuo”.

 

Annuì, carica di euforia.

 

Qualcuno avrebbe giudicato male la sua scelta, ma lei era quello. Era la ragazza che amava le auto, la ragazza che correva più veloce degli altri, la ragazza che sceglieva di essere un’agente dell’F.B.I., al posto che essere una persona qualunque. Lei era quella che portava nel cuore il re dei piloti clandestini, che aspettava il ritorno di uno di loro e che amava uno sbirro che aveva cercato di arrestarli.

 

Il suo destino non era quello di vivere con il piede sul freno. Il suo destino era quello di schiacciare l’acceleratore fino in fondo, di rischiare, di sfidare sé stessa e il resto del mondo.

 

Era una pilota clandestina, e lo sarebbe rimasta.

 

Sì, le piaceva la sua nuova vita. Le piaceva perché l’aveva scelta lei. Le piaceva perché ora era davvero libera.

 

Perché finalmente era ciò che voleva essere: Irina, la Fenice.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Traduzione:

A qualcuno mancherai
addio
Qualcuno desidererò che tu sia qui
Quel qualcuno sono io

[Rihanna]
Ti scriverò per dirti cosa sta succedendo
Ma non ti mancherà nulla se non la stessa vecchia canzone
Se non ti dispiace attrarre l’attenzione
Passerò la giornata a raccontrati storie di una terra lontana

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Solo poche parole per dirvi grazie, grazie per avermi seguito fino a qui. Vi lascerò il tempo di pensare, e dare un giudizio alla mia storia. Fra qualche giorno pubblicherò i veri ringraziamenti, e risponderò alle vostre eventuali domande.

Vi prego solo di lasciare un commento, se ne avete voglia.

 

Ancora grazie, grazie mille.

 

Ps: fra un piango…

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Capitolo 51
*** Epilogo ***


RINGRAZIAMENTI

RINGRAZIAMENTI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, miei cari lettori.

 

A dir la verità, nel scrivere questi ringraziamenti non so da dove cominciare. E’ difficile chiudere qualcosa che è durato così tanto… E per me credo sia diverso da tutti voi: non si tratta di voltare l’ultima pagina e chiudere il libro, si tratta di chiudere un pezzo di esistenza, della mia esistenza.

 

Dunque, era il 26 febbraio 2010, qualcuno di voi ricorda dov’era, o cosa stava facendo?

 

, io ero davanti al pc e contro ogni mio buon senso iniziavo la nuova avventura che si chiamava “Russian Roulette”. Dico così perché in quel periodo mi ero ripromessa di smettere di scrivere, di smettere di vivere anche attraverso i miei personaggi, ma non ci ero riuscita. Le lettere, le parole, sono la mia droga. Non posso farne a meno.

 

E’ passato più di un anno e mezzo, un anno e mezzo che mi ha visto cambiare ancora e che si è riflettuto nei miei personaggi.

 

Adesso che è finita, posso fare un bilancio.

 

Ho amato e odiato questa storia. L’ho amata perché mi ha permesso di far tornare in vita i miei personaggi, che poi sono una parte di me. L’ho odiata perché è stata dura, lunga e difficile, e mi ha messo davanti i miei stessi errori.

 

Però alla fine rimarrà nel mio cuore, come spero rimanga a voi. Nonostante sia ben consapevole dello scarso livello narrativo della storia, soprattutto negli ultimi capitoli, l’evoluzione dei personaggi mi è sembrata coerente con ciò che avevo immaginato. Perciò, il mio commento finale partirà da loro.

 

E per prima c’è lei, Irina. Irina, partita bambina e tornata donna. Irina, che è e sarà sempre l’indiscussa protagonista di queste storie. Io la amo, ma è il mio personaggio, la mia creatura, perciò sono di parte. Ma qui, in Russian Roulette, ha veramente capito chi è.

Non poteva finire tutto con l’arresto di William, alla fine del Gioco dello Scorpione, era chiaro. Non poteva finire così, perché l’equilibrio non era stato trovato. Lei era salva, ma non era davvero libera. E non era nemmeno veramente sé stessa.

Ha rischiato, ha fatto la scelta di partecipare alla missione, ma le è servito per capire che lei vuole essere Fenice, oltre che per capire tante altre cose.

Forse è banale, ma su di lei non posso dire altro, non riesco a dire altro. L’abbiamo vista crescere, cadere e rialzarsi, lottare, amare e odiare. Ciò che le auguro solo è di essere felice, come meglio crede.

 

E ora, Dimitri, il russo che è riuscito a stregare il cuore di tutti, forse contro ogni previsione? Lo so, è stato un bel personaggio. Io stessa mi sono ritrovata ad apprezzarlo di più di Xander, in certi punti, e ho capito che la carta vincente di tutta questa storia è proprio lui.

Abbiamo scoperto il suo passato, e abbiamo anche sbirciato nei suoi pensieri. Poco, troppo poco probabilmente, ma è giusto così. Il suo fascino è il suo mistero, perciò non possiamo sperare che ci lasci guardare nel suo cuore troppo a lungo.

Non è un buono, non è un cattivo, è umano e basta. Questa missione è stata un’avventura anche per lui, ma lo è stata in modo diverso che per Irina: lei ha scoperto la vita dell’agente dell’F.B.I., Dimitri ha riscoperto di avere un cuore e dei sentimenti. Non è stato fortunato, Fenice non poteva amarlo. Ma per lui la speranza c’è sempre: tornerà a Los Angeles, vedrà di nuovo Irina, ma magari nel frattempo avrà trovato una ragazza adatta a lui. Difficile, ma non impossibile. Io glielo auguro.

 

William.

, lo Scorpione ha fatto la fine dello Scorpione. E’ morto in corsa, ha scelto con coraggio, non si è lasciato sconfiggere. Ma perché scegliere questa strada, quando poteva vivere e sperare di avere Irina per lui?

Perché non avrebbe sopportato di sapere che Irina non lo amava, non avrebbe sopportato di essere stato solo oggetto della sua pietà. O sarebbe vissuto al massimo, o non sarebbe vissuto.

Quello che voglio sottolineare di lui è che ha dimostrato a tutti noi che il bene e il male sono relativi: ciò che crediamo malvagio nasconde al suo interno sempre qualcosa di buono, e viceversa. Sono gli eventi che rendono le persone cattive.

Rimarrà comunque una leggenda, per sempre.

 

Xander.

Davvero, l’ho maltrattato in questa storia. Molto e immeritatamente. Avrei voluto raccontare di più di lui, ma non ci sono riuscita. Se lo avessi fatto questa storia avrebbe raggiunto una lunghezza eccessiva. Ha anche lui i suoi difetti, alla fine, ma si può dire che ha imparato la lezione, no? Non è più il ragazzo sicuro di sé, che credeva di avere sempre il pieno controllo della sua vita. Ha ricevuto una bella batosta da parte di Irina, e poi è scivolato in basso con Nina. Ma gli errori servono per imparare, e lui è stato bravo a cogliere questa occasione per maturare: alla fine è tornato uomo, e ciò che ha chiesto a Irina alla fine ne è una conferma.

 

Quindi, in sintesi, che voto merita questa storia?

 

A mio avviso, sei. Sei perché il livello di scrittura è stato piuttosto basso, sicuramente non come avrei desiderato io. Sei perché gli aggiornamenti non sono stati costanti, e a volte gli intervalli troppo lunghi da un capitolo e l’altro. Sei perché l’unica cosa che mi sembra venuta bene è l’evoluzione dei personaggi. Sono piuttosto severa con me stessa, ma ritengo di meritare davvero questa sufficienza stiracchiata.

 

Quanto a voi, miei cari lettori, vi ringrazio.

Vi ringrazio per avermi seguito per tutte questa pagine, per aver sopportato i miei ritardi e la scarsa qualità, ma soprattutto per aver apprezzato la storia nonostante tutto.

Grazie.

Scrivo per me, ma anche per voi. Altrimenti non avrei mai pubblicato, no?

Spero di avervi emozionato, o almeno di avervi fatto passare qualche bel momento. E spero che non vi siate pentiti di aver usato il vostro tempo per leggere la mia storia.

Quindi ancora grazie, grazie mille.

 

E ora, rispondiamo a chi spera o si aspetta un altro seguito, o comunque qualcosa che non chiuda definitivamente il sipario sul mondo di Irina.

Non nego di averci pensato, e anche più di una volta. Non nego che nella mia mente malata e ormai definitivamente fuori uso sia nata una piccola, piccolissima idea per un possibile seguito. Non nego che io sia stata tentata di mettere nero su bianco un’altra avventura di Fenice, ma… Ma sarei una pazza a farlo. Sarei pazza soprattutto per me stessa: un’altra storia come questa mi porterebbe via troppo tempo e troppe energie. Me l’ero già promessa quando avevo terminato il Gioco dello Scorpione: smettila di vivere la vita dei tuoi personaggi; comincia a vivere la tua, di vita.

Chiaramente non l’ho fatto, ho resistito qualche mese, poi ci sono ricaduta. Ma forse è giusto così, no?

Per il momento quindi questo è un addio, da parte mia e anche da parte di Irina. Ciò che voglio dire però, è che anche se io smetterò di scrivere di lei, lei continuerà a vivere le sue avventure. Immaginatela sempre al volante della sua Punto, quindi.

La mia però non è una promessa: non prometto di smettere, non prometto di abbandonare le idee che mi frullano per la testa (che sono sempre davvero troppe per non poter essere riversate su carta…), non prometto di chiudere, ma non prometto nemmeno di tornare. Dico solo che per un bel po’ credo che non mi vedrete: per quanto di preciso non lo so, potrebbero essere mesi o anni, ma di sicuro mi prendo una pausa. Tutto dipende se deciderò se iniziare il mio colossale progetto di scrittura che riguarda una roba alla Signore degli Anelli (l’unica vera mia storia che forse potrebbe diventare un libro), oppure se dedicarmi a un’idea stupida che ho in mente ultimamente. Chissà, si vedrà. Mi conoscete abbastanza per sapere che nemmeno io posso prevedere ciò che farò.

 

E adesso, risponderò alle vostre recensioni come promesso, visto che sono stata piuttosto maleducata ultimamente.

 

Smemo92: mia cara, come posso ringraziarti? Mi segui ormai da tanto tempo, e la tua fedeltà mi lusinga davvero… Non avevo la pretesa che tutto ciò che ho scritto potesse piacerti. E non ti preoccupare se mi dici che ho esagerato con i puntiti di sospensione: in effetti è vero, anche perché la mia qualità di scrittura è calata negli ultimi cap. Lo dico sempre che accetto ogni tipo di commento, perché serve a migliorare. E’ proprio il bello di far leggere ciò che si scrive agli altri.

Sono felice che tu abbia amato i miei personaggi, e che soprattutto abbia colto il lato umano di William. L’obiettivo di questa storia era quello di mostrare che alla fine bene e male non esistono, che la vita non può essere vista solo in bianco e nero. E’ difficile accettare che sia morto, in fondo per noi fin dall’inizio è stato il cattivo più cattivo, praticamente invincibile… Ma come ogni cattivo che si rispetti, avevamo trovato il suo punto debole: Irina. E da lì in poi, dal momento della sua prima sconfitta, abbiamo capito che forse non era quello che davvero sembrava. Purtroppo era troppo tardi per salvarlo da sé stesso, ma ora sappiamo che meritava il rispetto che Irina alla fine gli da.

Anche tu mi mancherai, nonostante come dici tu non ci conosciamo. Non conosciamo di persona, aggiungo io. Ma immagino che un po’ di me traspaia da ciò che scrivo, e un po’ di te esca dalle tue recensioni: non siamo due sconosciute. Ciò che sicuramente di accomuna è il piacere della lettura e della scrittura. E ti ringrazio per avermi definito una persona straordinaria: so di non esserlo, non sono nemmeno una scrittrice se per questo, ma ne sono comunque lusingata. Tutti voi che leggete queste storie, che date fiducia e persone che non hanno un nome famoso ma che amano altrettanto la scrittura, siete straordinari.

Ti ringrazio infinitamente per avermi seguito, e spero di ritrovarti ancora, in futuro, se mai scriverò ancora.

Un grande bacio.

Martina

 

 

 

Dicembre89: non sei l’unica ad avere il magone, sai? Scrivere questi ringraziamenti è faticoso come scrivere un intero capitolo… E’ difficile condensare ciò che mi passa per la testa in poche righe. Ma sì, anche io ti dico grazie, grazie per avermi seguito, per aver amato i miei personaggi, per aver apprezzato i miei sforzi nel creare una storia che ho sempre definito folle. Grazie per avere aver spesso premuto quel pulsante su cui c’è scritto “lascia una recensione”, grazie per avermi detto ciò che pensi. Grazie, grazie infinite. Non so se tornerò un giorno, ma spero che porterai esattamente come me tutti questi personaggi nel cuore: non smetteranno di vivere, così.

E grazie per essere rimasta, da quel lontano marzo in cui hai deciso di scrivermi.

Un grande bacio.

Martina

 

Annalisa70: grazie per avermi definito una scrittrice con la S maiuscola: è il più grande complimento che tu possa farmi. Sono felice che tu abbia apprezzato la storia, al di la di tutto. E grazie per avermi seguito fino alla fine. Se tornerò, un giorno, spero che sarai tra i miei lettori!

Un grande bacio

Lhea

 

 

 

 

 

 

 

Bene, ho terminato. Un grandissimo abbraccio a tutti coloro che hanno inserito la storia tra i preferiti, e che hanno inserito me tra i loro autori di rilievo. Grazie mille.

Grazie ha tutti coloro che in passato hanno recensito, che non o hanno fatto ma che hanno pensato di farlo e coloro che anche se non me lo hanno detto hanno amato la storia.

Grazie e tutti coloro che hanno letto.

 

Se qualcuno, anche a storia terminata, volesse lasciare una recensione, naturalmente è sempre benvenuta.

 

 

 

Un grande abbraccio dal profondo del mio cuore.

 

Spero di poter tornare.

 

Lhea

 

 

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