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Le
condizioni di Trot erano peggiorate
all’improvviso, quando gli ultimi raggi di sole erano sbiaditi e le luci
della città vi si erano sostituite, scivolando sul molo verso le barche
all’attracco. Il respiro strozzato della ragazza aveva riempito di colpo
l’aria polverosa; la lanterna tremava già, ma questo nuovo sussulto aveva quasi spento la fiamma.
Era bianca come un lenzuolo. Bill le teneva la
mano, sentendola bollente e sudata e piccola,
soprattutto, molto più piccola di quanto si sarebbe aspettato. A volte
dimenticava che – da quasi quarant’anni – il loro tempo
scorreva così lentamente. Brutta cosa, la vecchiaia.
Lo stoppino resisteva a stento. Bill non osava
alzare lo sguardo dal viso di Trot per verificare da
quante ore il delirio andasse avanti. No, non si sarebbe mosso di lì, non
finché la febbre non fosse scesa: le pezze bagnate già si
accatastavano nel punto più lercio del pavimento, ma la lotta
continuava, senza vincitori né vinti.
« Forza, bambina. » Era tutto quel
che riusciva a biascicare di tanto in tanto, dietro la pipa spenta, a denti
stretti. Non era mai stato bravo con le parole. « Non mollare. »
Anche Trot
farfugliava, ma i suoi mormorii erano ancora più vuoti e casuali.
Il marinaio resisté e insisté al
suo fianco. Erano venuti fuori da mille guai, insieme. Ma non si era mai
ritrovato a temere per la vita di Trot. Non era mai
stato così impotente. Ed era incredibile
quanto facesse male.
Il
pub era vuoto: di questi tempi gli affari non andavano affatto bene. Dietro il
bancone, Ruggedo puliva i bicchieri con un panno di
un colore indefinito, rimuginando sulla propria meschina condizione – era
dunque a questo che si era ridotto il
famoso e terribile Re degli Gnomi? Patetico
– e alzò gli occhi solo quando la porta del locale sbatté
forte, lasciando entrare un soffio di notte alle spalle di Capitan Bill.
« Ehi » disse meccanicamente, con un
cenno del capo. Poi si concentrò sulla sua espressione devastata e sul
suo atteggiamento nervoso: persino la gamba di legno tremava come una foglia.
« Tutto bene? »
Il vecchio aveva uno sguardo perso, folle.
Zoppicò con fatica fino al banco e si lasciò cadere di peso su
uno sgabello. Ruggedo si ritrasse appena.
« Mi serve aiuto » ansimò
Bill. « La ragazza. Trot. Sta male, molto male.
Le alghe... La licenza... »
Ruggedo riempì una pinta
e gliela passò. « Fammi un favore: comincia dall’inizio.
»
Capitan Bill bevve come un assetato. Ruggedo si chinò in avanti, puntando i gomiti sul
bancone, scrutando le gocce ambrate farsi strada tra quelle rughe di uomo
mortale. In tanti anni di vita a Oz, l’evidente
intensità di sentimenti di certe creature non aveva mai smesso di
stupirlo. Magari negli Gnomi non c’era abbastanza spazio per la paura e
l’amore insieme.
Oh – sorrise tra sé – se Kaliko avesse potuto sentirlo, di certo gli avrebbe detto
che non era vero.
La birra parve fare il suo dovere; il marinaio
abbassò il boccale, si passò il dorso della mano sciupata sulle
labbra e tirò un profondo respiro.
« Grazie » borbottò. Aveva
gli occhi rossi come braci. « Ho bisogno del tuo aiuto, Ruggedo. Sei l’unico che può aiutare la mia
bambina. »
« La ragazza che porti sempre con te su
quel rottame di barca? »
« Lei. »
Ruggedo strinse gli occhi. Il
silenzio di Bill dopo un’evidente critica ai propri mezzi di
sostentamento era piuttosto eloquente. « Che le è successo?
»
« Avvelenata. Credo. » Aveva ripreso
a tremare, ma stavolta il suo sguardo rimase fermo. « Una settimana fa
abbiamo ricevuto una grossa ordinazione di erbe medicinali. Siamo andati a est
seguendo il Fiume Munchkin... Abbiamo trovato quelle
strane alghe blu... A Trot piacevano, ha detto che erano
un colore diverso in mezzo a tutto questo verde. Un modo per ricordarci del
mare. »
« Va’ avanti. »
Capitan Bill si passò una mano sul volto
stanco. « Non so. Non so cos’è successo. È cominciata
due giorni dopo. La febbre, la nausea. Stanotte l’ho lasciata
addormentata, ma... Per Lurline! L’ho
già vista stare male in California, ma qui mai. Non pensavo che qualcuno
poteva ammalarsi in questo posto.
»
« Questo posto non è più una
favola, Bill. »
« Già, l’ho capito. »
Ruggedo riprese in mano
straccio e bicchieri. « Bene. Allora che vuoi da me? »
Capitan Bill alzò gli occhi e lo
fissò come se lo vedesse per la prima volta.
« Tu... Tu devi aiutarmi. Io non ho la
licenza di maneggiare la magia e... senza Glinda...
» Deglutì, come se le parole gli costassero uno sforzo immenso.
« Voglio dire, sappiamo tutti chi sei e quello che hai fatto. Eri un
grande stregone. Dev’esserci qualcosa che puoi
fare per Trot. »
« L’hai detto: lo ero. » Il
bicchiere stava per finire in pezzi, tanto la stretta si era fatta forte. «
Fin dalla guerra, quando mi ha illuso di darmi asilo per imprigionarmi in
questo immondezzaio luminoso, la vostra adorabile piccola Ozma
mi ha strappato tutto – potere, magia e credibilità. Tu non hai la licenza? Io meno che mai. Hai
sbagliato persona, vecchio. »
« Non... Non può essere. »
Bill incespicava sulle parole, ma lo sgomento non gli impedì di aggrapparglisi al gomito. Ruggedo
lo fulminò con lo sguardo, solo per scoprirsi ricambiato di nuovo da
quella luce di follia. « Tutti parlano di te, tutti... Dicono che hai ancora
qualcosa che... Dicono... Io ti sto implorando!
»
Ruggedo strappò via
bruscamente il braccio. Il bicchiere gli cadde di mano e finì in mille
pezzi sul pavimento. Capitan Bill scivolò in avanti, faccia sul banco, e
rimase lì a singhiozzare come un bambino.
Lo Gnomo gli voltò le spalle.
« Hai sbagliato persona »
ripeté, quasi a se stesso. « Qui ci vengono solo i disperati. Tu
non puoi permetterti di esserlo, se hai qualcuno da salvare. »
Il sibilo della seconda pinta che si riempiva
coprì i singulti del marinaio.
Faceva
caldo e faceva freddo. Non si sentiva il corpo e lo stomaco le faceva male da
morire. Non era più sicura di niente; solo, quando aveva aperto gli
occhi, aveva capito che Capitan Bill non c’era.
Trot era una di quelle
persone abbastanza assennate da non lasciarsi mai ottenebrare del tutto: pur
nella febbre, pur nel vortice di ombre che le danzava in testa, sapeva che era andato a cercare aiuto, e
che l’unico aiuto cui potesse aver pensato era di natura magica. Non
poteva permettere che si mettesse nei guai per salvare lei. Se la sarebbe
cavata. Erano venuti fuori da mille guai,
insieme.
Era stata la ragione a farla alzare dal letto e
scendere dalla barca – ma era stato il delirio a guidare i passi
successivi.
Faceva freddo e faceva caldo. Non si sentiva le
braccia e le mani le sudavano. Non era più sicura di niente; solo, non poteva lasciare che Capitan Bill si
mettesse nei guai per lei.
Jack
tirò su il colletto, come aveva visto fare agli umani che uscivano di
notte, e affondò le dita nodose nelle tasche. Le strade semibuie della
Città di Smeraldo si stendevano vuote all’eco dei suoi passi.
Era cambiata, quella città. Era stata la
guerra a cambiare tutto – tutti gli Oziani lo
dicevano, sì, ma forse neppure loro si rendevano conto di quanto le cose fossero diverse. Un tempo
non ci sarebbe stata nessuna insegna a illuminare i vicoli; non ci sarebbe
stato nessun vicolo a inquietare i viandanti notturni; non ci sarebbero stati
viandanti notturni in cerca di affari per tirare avanti.
Un tempo non c’era il commercio, ma la
magia.
Jack non pensava spesso a queste cose. Quelli
come lui, che ai più parevano stupidi
perché non avevano una testa
degna di tale nome, non avevano alcun ragionevole diritto di preoccuparsi del
nuovo regime instaurato dalla Regina, né del fatto stesso che adesso non
fosse più Ozma ma ‘la Regina’: un
puro titolo, freddo e senz’anima. Eppure in quel momento,
nell’intrico di stradine che portava al molo, sentì il proprio
sorriso caricarsi di amara ironia. Erano cambiate tante cose, e lui, maledizione, avrebbe sempre avuto quella
sua strampalata natura a ricordargli tutto ciò che Oz
aveva perso.
Le poche stelle non riuscivano a schiarire la
fila di barche attraccate, ma ai suoi occhi finti il buio non aveva colore.
Eccola lì: la terza da sinistra. Jack si mosse più spedito,
avvertendo stavolta un senso di fierezza nel ghigno che un vecchio coltello gli
aveva inciso in volto. Stupido, eh?
Era già quasi sul ponte quando comparve
la figura.
Si fermò imprecando a mezza voce. Ruggedo gli aveva assicurato che per quella sera Jinjur se ne sarebbe stata alla larga dal molo. Non che
temesse l’idea di un confronto con una qualunque guardia – era
pulitissimo, come sempre – ma
un inconveniente del genere gli avrebbe fatto perdere del tempo prezioso.
D’altro canto la sagoma in piedi sul molo non sembrava ricondursi a
nessuna guardia reale di sua conoscenza: era troppo minuta. Se non altro questo escludeva sicuramente TikTok.
Jack rimase immobile al suo posto, cercando il
tono più disinvolto delle corde vocali che non aveva, per ogni evenienza.
Ma non ci fu nessuna conversazione. La figura traballò un po’
verso di lui, mise un piede in fallo e d’un tratto cadde lunga distesa a
terra, cogliendolo di sorpresa.
« Per Lurline!
» imprecò tra sé.
Poi ancora silenzio. Restò lì per
qualche istante, sospettoso: cosa doveva fare? Andare ad aiutare quello che
poteva essere un poveraccio, rischiando invece uno spiacevole incontro? Oppure
tirare dritto e continuare a cercare l’uomo di cui aveva bisogno?
Fu il singhiozzo a scuoterlo. Un singhiozzo
arido, tremulo, che si portava dietro una voce di ragazzina – una voce
familiare.
« Bill... »
La schiena di legno di Jack
s’irrigidì più di quanto non fosse già. Un solo
pensiero – un nome – gli traversò la testa.
Ozma.
Senza averlo programmato, corse da lei e si
chinò al suo fianco.
Non era Ozma. Sembrava
più giovane, e aveva capelli più chiari e vesti più umili,
e anche se aveva gli occhi chiusi Jack li immaginò più luminosi.
Gli ci volle un po’ per riconoscerla: come si chiamava la bambina che era
andata a vivere a Palazzo assieme a Dorothy, tanti anni prima? Trot, giusto?
Ma sì, la figlia adottiva di Capitan
Bill... dell’uomo che era venuto a cercare.
La osservò a lungo, combattendo con un
crescente senso di frustrazione. Tutto questo tempo, tutte queste differenze,
e ancora il pensiero di Ozma era in grado di fargli
tutto quel male. Non avrebbe dovuto
permetterselo. Lui non era un rammollito. Era sopravvissuto anche senza di lei;
era andato avanti. Non aveva bisogno della ragazza allegra e sorridente che una
volta era semplicemente se stessa e
che gli voleva bene come a un fratello. Se l’era ripetuto ogni volta,
ogni singola volta che aveva rischiato di cedere – eppure eccolo
lì, a correre verso una ragazzina con la segreta speranza che si
trattasse di lei. Ridicolo.
Distesa sul fianco, il viso seminascosto tra i
capelli, Trot sembrava febbricitante. Jack non era
esattamente dell’umore giusto per preoccuparsi della salute di
chicchessia, e d’altro canto da un pezzo aveva smesso di curarsi degli
altri; tuttavia c’era un che di profondamente sbagliato nei brividi che
scuotevano quel corpo esile, avvolto da una giubba da marinaio troppo grande.
La studiò ancora, dubbioso.
Trot aprì gli occhi
di scatto. Li puntò su di lui, mostrandogli che erano sì
luminosi, ma velati. Le labbra le tremarono convulse mentre si sforzava di
articolare di nuovo il richiamo di un minuto prima.
« B-Bill?...
C-Capitan Bill? »
Jack avrebbe voluto alzarsi e filare, davvero. Ma, andiamo, non poteva
lasciarla così. Era una ragazzina, per amor di Lurline
– e no, non c’entrava il
fatto che gli avesse ricordato Ozma, non
c’entrava per niente.
« No. Sono Jack. Jack Testa di Zucca,
ricordi? Ci siamo conosciuti quando lo Spaventapasseri ti ha portata a Oz. »
Trot non reagì, non
sembrò riconoscerlo in alcun modo. Jack esitò ancora per un
attimo, ma alla fine la sollevò tra le braccia e
s’incamminò verso la barca di Bill, la terza da sinistra.
Trot gli si
rannicchiò addosso, stringendo forte la sua camicia e sussultando come
se piangesse.
Note dell’autrice
Contesto: Emerald City Confidential,
un videogioco punta-e-clicca prodotto da Adventure’sPlanet, che ridipinge
Oz in chiave noir introducendo argomenti impegnativi
come la malavita. Poiché non si tratta di una rivisitazione o di una
rilettura, bensì di un eventualefuturo degli avvenimenti dei romanzi
di Baum, ho ritenuto più opportuno postare
questa storia qui, come una otherverse, che non
piuttosto nella categoria Videogiochi > Altro. Anche perché ho
mantenuto moltissimi riferimenti ai libri – ad esempio l’accenno a Kaliko, il nuovo Re degli Gnomi che nel gioco non è
assolutamente mai menzionato.
(Bando
alle formalità, cari lettori: ve lo consiglio davvero. Sarà
che conoscendo i retroscena dei personaggi ho potuto apprezzare ogni minima
allusione alle versioni originali, ma io
ne sono rimasta conquistata. ♥ForLurline’ssake!)
I.
Capitan Bill e Trot sono arrivati a Oz nel nono volume della saga, The ScarecrowofOz. Bill è un vecchio marinaio dall’espressione
piuttosto sgrammaticata (ergo quel non
pensavo che qualcuno poteva ammalarsi in questo posto: omettendo il
congiuntivo cercavo di mantenere l’IC, anche se rendere l’idea in
italiano è molto più difficile di quanto pensassi); Trot è una ragazzina di buona famiglia cresciuta con
lui condividendo i suoi viaggi per mare. In Emerald
City Confidential sono passati quarant’anni
dalle vicende del primo romanzo e, poiché a Oz
il tempo funziona in modo diverso che sulla Terra, Trot
ha l’aspetto di una diciotto-diciannovenne (in
realtà dovrebbe avere quasi cinquant’anni!).
II.
Canonicamente parlando, Ruggedo è Roquat, il Re degli Gnomi detronizzato nell’ottavo
volume dei Libri di Oz (TiktokofOz). Nel
videogioco gestisce un pub alla Città di Smeraldo, poiché durante
la guerra contro i Fanfasmi – avvenimento che
ha sancito il cambiamento del mondo di Oz, dove la
magia è stata rimpiazzata dal commercio e in molti casi dal contrabbando
– gli è stato concesso asilo politico dalla Regina Ozma. Non ha la licenza di esercitare la magia, ma ha un
certo ‘metodo’ per aiutare i disperati.
III.
Jack Testa di Zucca è, nei romanzi di Baum, un
personaggio allegro, ingenuo e positivo, mentre in Emerald City Confidential è
diventato un contrabbandiere sarcastico e sprezzante [un figo.
L’ho detto ♥]. Questa storia si
propone anche e soprattutto di indagare su cause e conseguenze di una tale evoluzione.
Gli
avvenimenti di questo primo capitolo, per quanto idealizzati, sono più o
meno canonici – infatti la
protagonista del videogame, la detective Petra, indagando su Capitan Bill a un
certo punto scoprirà di un periodo in cui Trot
si è gravemente ammalata, e...
Si ritrovò nel letto
all’improvviso, come se si fosse appena svegliata. Aveva sentito quelle
mani strane scendere ad aiutarla, e sulla guancia il contatto liscio e freddo di
un petto magrissimo in cui non batteva nessun cuore – ma i suoi sensi
dovevano essersi persi, a un certo punto, perché d’un tratto era
di nuovo sola e faceva più freddo di prima.
L’uomo però era ancora lì. Trot lo distinse confusamente, nella penombra, con la vaga
consapevolezza che la sua testa non aveva una forma normale. Era sicura di conoscerlo, ma doveva essere un ricordo di
un sacco di tempo fa.
« Va meglio? »
Sentiva le parole, ma non era in grado di dar
loro un senso. Erano solo altri suoni incoerenti nelle orecchie che le
ronzavano. Tenne gli occhi spalancati, sperando che parlasse ancora e di
riuscire a capirlo. Era stato gentile con lei... Avrebbe tanto voluto
riprendersi abbastanza da ringraziarlo.
« Bill non c’è, vero? Sai
dirmi dov’è andato? »
Trot si concentrò. Bill. Sì, certo: le stava dicendo
che Bill sarebbe tornato presto! Cercò di sorridere. Macchie, ombre,
macchie.
L’uomo – ma era un uomo? – si era fatto più vicino. Di nuovo la
ragazza lottò per mettere a fuoco le sue dita, che parevano della stessa
forma e consistenza dei rametti secchi, mentre lui le scostava i capelli dalla
fronte. Era sempre più sicura di averlo
conosciuto, in un tempo molto più felice...
All’improvviso quelle dita buffe fuggirono
via, l’uomo parve allontanarsi, e Trot
sbarrò gli occhi e gridò di terrore. Saltò su a sedere con
un’energia della quale non si sarebbe detta capace, in quelle condizioni,
e si sporse nel buio per rifugiarsi ancora sul suo petto vuoto.
« Non lasciarmi » articolò,
senza sapere se le parole si fossero formate o meno.
L’uomo era a un soffio da lei. Non si
lasciava toccare, ma a lungo rimase là immobile, come in attesa. Alla
fine la spinse di nuovo giù, lentamente, coprendola col lenzuolo umido
senza più sfiorarla.
« Cerca di dormire, Trot.
»
Forse fu il sentirsi chiamare per nome: si
scoprì più cosciente, capì
le sue parole, e allo stesso tempo seppe anche chi era.
Ma non ebbe il tempo di rallegrarsene. Tornarono
le ombre e poi le macchie e poi ancora le ombre, e dovette chiudere gli occhi,
anche se sapeva che quando li avrebbe riaperti Jack Testa di Zucca non sarebbe
stato più lì.
La
porta si aprì e si richiuse per la seconda volta. Ruggedo
lanciò un’occhiata in quella direzione. Fu con una certa sorpresa
che squadrò il suo secondo cliente di quella notte.
« Bene, bene, bene... La cassa piange come
al solito, Rug? »
Di tutti gli sconclusionati personaggi che a
tutt’oggi battevano la Città di Smeraldo, Jack era forse il
più sconclusionato di tutti. Lo raggiunse dondolando un po’ sulle
gambe lunghe e secche, con quell’aria che non si riusciva mai a
distinguere se fosse tonta per davvero o per finta, quegli inutili vestiti tesi
sul corpo dalle proporzioni sbagliate – tutto, di lui, irritava Ruggedo. Non era
altro che un pupazzo, un ammasso di rami e una zucca per testa, messo insieme
per spaventare i polli. E dire che c’era stato un tempo in cui persino
quello spauracchio malriuscito aveva avuto più autorità di lui.
L’unica soddisfazione, si disse con un
ringhio interiore, era la consapevolezza che entrambi si erano ridotti ad
essere lo stesso desolante nulla.
« Be’? » Jack arrivò al
bancone, vi si appoggiò con un gomito affilato e gli sbatté in
faccia il solito sogghigno. « C’è poco movimento, o sbaglio?
Come vanno gli affari? »
Ruggedo continuò
imperterrito a strofinare il lavabo con una pezza ruvida. « Non andranno
da nessuna parte, se a frequentare questo posto saranno sempre unicamente
quelli come te. »
Jack reclinò giocosamente la zucca.
« Mi ferisci, vecchio mio. »
« Bah! Come se potessi sanguinare. » Strizzò la
pezza in un secchio e levò lo sguardo. « Parliamo chiaro, Jack.
Non credo che tu sia venuto qui di persona tanto per farti due risate alle mie
spalle, e non certo per consumare qualcosa. Non avevi da fare al molo,
stanotte? »
« Non devi sorprenderti che io venga a
trovarti » fece Jack in tono leggero, la zucca ora voltata verso un punto
alla sinistra di Ruggedo, « se trattieni qui
con te la gente di cui ho bisogno e la fai ubriacare. »
Ruggedo sbuffò. Non era
mica colpa sua se Capitan Bill, dopo la delusione, aveva preferito affogare il
dolore nell’alcool. A sua volta osservò brevemente il marinaio
accasciato alla parte opposta del bancone, il più lontano possibile
dalla porta, con in mano l’ennesimo boccale: era in uno stato di gran
lunga peggiore di quello in cui gli era comparso davanti, solo un’ora
prima.
« Evidentemente i tuoi amici preferiscono
la mia birra alla tua compagnia. »
« Lieto di sapere che la reclusione non ha
spento il tuo senso dell’umorismo. »
Lo Gnomo lo studiò con gli occhi
socchiusi. « Che ti serve, Jack? »
Jack trafficò con una tasca dei pantaloni
e spinse sul banco, sotto il suo naso, un mucchietto di smeraldi scintillanti.
« Solamente un po’ di discrezione.
Non hai in cantina qualche vecchia bottiglia da lucidare con mooolta cura? »
Trovare
Bill era stato più facile del previsto. Se la ragazza stava male, non ci
voleva certo l’intelligenza del buon vecchio Spaventapasseri per capire
che l’ultima spiaggia sarebbe sempre stato il Re detronizzato degli Gnomi.
Approfittare di lui – e questo lo s’intuiva dallo sguardo
vacuo, dalla mascella cascante e dal fatto stesso che era ricorso a Ruggedo – sarebbe stata una passeggiata.
Quando lo Gnomo fu scomparso oltre la porta
della dispensa, Jack afferrò uno sgabello e lo trascinò accanto
al marinaio.
« Ehilà, capitano. È un bel
po’ che non ci si vede. »
Bill lo guardò come se non lo vedesse,
senza rispondere.
A cavalcioni sullo sgabello, Jack smise di
dondolarsi appena si rese conto che un
tempo si dimenava così sul Cavalletto di Ozma.
Assunse una posizione più consona alla sua nuova indole sfacciatamente
sprezzante.
« Ha l’aria di essere una cosa seria
» proseguì, accennando ai residui di birra nel boccale, sulle
labbra e sulla giacca di Bill.
Il Capitano strizzò gli occhi, come per
metterlo a fuoco.
« È per Trot,
vero? »
Bill si animò di colpo. Tirò un
singhiozzo, asciutto e sonoro, digrignando i denti verso nessuno in
particolare.
« Non posso fare niente. » La voce impastata
non riusciva a modulare tutti i suoni; Jack aveva sempre trovato singolare il
modo di esprimersi di certe persone venute da Fuori – Dorothy Gale era
tra queste – ma una sbronza come quella non sembrava venir loro in aiuto.
« Non posso fare niente per lei, nessuno può. Non si sa che ha.
È un veleno che non ho mai visto prima. Se solo il Mago fosse ancora
qui! E neanche Ruggedo... »
Soffocò, tossì, sputò sul
bancone. Jack gli passò il fazzoletto che aveva con sé,
impassibile.
Per qualche minuto si limitò ad osservare
gli sforzi di Capitan Bill di ripulirsi e di rimettersi in sesto. Be’,
aveva visto la ragazza coi suoi occhi, e non poteva proprio dire che il vecchio
stesse esagerando – né che avesse sbagliato indirizzo. Da quando
la magia era stata dichiarata illegale, nei bassifondi Ruggedo
era diventato una sorta di raggio di speranza: si diceva che, malgrado
l’asilo forzato nella Città di Smeraldo, avesse ancora la
possibilità di scagliare qualche fattura; era piuttosto ovvio che si
corresse da lui in casi come quelli, quando la scienza non si dimostrava
all’altezza di certe situazioni. Jack dubitava che lo Scarabeo o lo
stesso Spaventapasseri sarebbero stati più d’aiuto al vecchio
marinaio che un incantesimo ben riuscito o un amuleto per la salute.
Un amuleto?
Il sorriso della zucca non poteva certo
allargarsi, ma la sua impressione fu proprio quella, al rendersi conto che l’aveva in pugno.
« Bill. Bill, amico mio. Credo proprio di
poterti aiutare. »
Bill alzò lentamente la testa. Le pupille
parvero illuminarsi.
Per qualche motivo, Jack trovò sgradevole
ammettere che quegli occhi erano molto
simili agli occhi di Trot.
« Ma » si riprese, « in cambio... »
Fu interrotto dalla stretta sorprendentemente
salda che di colpo gli ghermì il nodo che gli uomini chiamavano polso.
« Tutto. Qualunque cosa. Farò
qualunque cosa per salvarla! »
La gente che sapeva ancora amare era così
prevedibile.
Note
dell’autrice
La
narrazione dei missingmoments
continua, ma tra non molto inizierà il fangirlamento
il mio personalissimo viaggio mentale.
Come
accennavo, molti anni dopo (nel presente del videogioco), Petra scoprirà
che Jack e Bill sono entrati in affari proprio nel periodo in cui Trot è stata male; io mi sto solo bellamente
inventando il contesto, ed è naturale che ciò riguardi anche quelle
conseguenze che Emerald City Confidential non ci ha raccontato xD
E poi, ripeto, è un’occasione per indagare su Jack. Questo
videogame mi ha fatto capire quanto lo adoro, in ogni versione che se ne sia
data ♥
Un
milione di grazie a chiunque mi stia seguendo, rendendomi felice e ancora una
volta orgogliosa (magari a torto, chi lo sa!) di infestare uno sfigafandom.
Esser
fatti di una sostanza inumana – e instancabile – aveva molti
vantaggi: Scraps non chiudeva praticamente mai il
negozio. Peccato però che i clienti, notturni o no, fossero così pochi.
Per fortuna il Leone le aveva lasciato un giornale con cui ingannare il tempo.
Aveva imparato a leggere quando ancora viveva a
Palazzo, con l’aiuto del suo buon amico lo Spaventapasseri: la prima
volta si era esercitata con il menu personale di Ozma,
e le bambine avevano riso molto dei suoi errori. Erano stati giorni felici. Le
piaceva, di tanto in tanto, lasciarsi andare con un sorriso ai ricordi dei
lunghi anni intercorsi tra il momento in cui Margolotte
e il Dottor Pipt l’avevano chiamata alla vita e
quello in cui i Fanfasmi avevano dichiarato guerra
alla Città di Smeraldo. All’epoca tutti pensavano che le favole
non finissero mai.
Ma la realtà era purtroppo ben diversa.
La guerra aveva distrutto l’equilibrio di Oz; Ozma si era ritrovata di colpo a dover crescere, e lo
Spaventapasseri a dover prendere molto sul serio il proprio ruolo di
consigliere reale, e le bambine a poco a poco non avevano riso più. Il
vecchio gruppo di amici si era disgregato e alcuni si erano del tutto
allontanati dalla Città di Smeraldo. Molti non si erano più
visti.
Scraps scorse le pagine
distrattamente, fermandosi ogni due o tre righe a riflettere sul senso di una
parola – anche questo, prima,
non succedeva – e lasciandosi appena sfiorare dalle solite notizie di
fuorilegge incastrati da Jinjur o da TikTok. Forse prima o poi tra
quelle pagine sarebbe comparso anche il suo
nome. Ridacchiò. Una novità era sempre la benvenuta, oggigiorno.
La porta si aprì così
all’improvviso da farla sussultare. Il giornale le scivolò via
dalle mani di cotone, planando dall’altra parte del banco e direttamente
ai piedi del personaggio che era entrato.
« Oh, Lurline...
Da quando ti interessi di politica, Scraps? »
Sulla soglia, chino sulla pagina centrale del
quotidiano, se ne stava uno di quei vecchi amici che si erano staccati da Ozma nel modo più definitivo. Scraps
lo fissò attonita per qualche istante prima di scoppiare in una risata.
« Jack! È un secondo che non ci si vede!... O volevo dire un secolo? Oh, non
importa. Come stai? »
Jack Testa di Zucca le rivolse un immancabile
sorriso, forse un po’ più cupo di quelli che ricordava lei, quelli
che incideva Ozma tanto tempo prima. Avrebbe voluto
farglielo notare, ma qualcosa le suggeriva che non era una buona idea.
« Splendidamente » le rispose, raccogliendo
il giornale e avvicinandosi al bancone. « La campagna è proprio il
posto giusto per me. Lo sai com’è, amo l’aria aperta.
»
« Oh, lo ricordo molto bene. »
Jack si appoggiò al piano e sembrò
studiarla. « Mi sembrava che fossi più... colorata. »
Scraps si spazzolò
amorevolmente il vestito di patchwork. « La mia vecchia lana cominciava a
sfilacciarsi... o a scolorirsi? Oh, non importa. Così la Zia Emma ha
cucito per me questa nuova forma. Diceva che poi sarei stata molto più femminile,
qualunque cosa volesse significare. Ha mescolato un po’ di cose e poi Dee
le ha ricoperte di Polvere della Vita. Ti piaccio di più, così?
»
« Mi sei sempre piaciuta molto più
di quanto io piacessi a te » sorrise lui, strappandole un’altra
risata festosa e un ‘ooh, Jack!’
deliziato. Poi sprofondò nel silenzio.
Era davvero molto tempo che mancava dalla
Città. Scraps non avrebbe saputo dire come si
sentisse in quel momento, ma comunque non gliene importava; come lei, come
tutti loro, Jack aveva fatto una scelta – certo non andava biasimato per
questo.
« Anche tu sei cambiato » gli disse,
sinceramente impressionata dal suo nuovo aspetto. « Sei molto
più... come si dice?... affascinante.
»
« Non avrai pensato che mi sarei tenuto
per sempre quegli stracci raccattati da Ozma in una
vecchia capanna... »
Il gelo improvviso rese lugubre la risata cava
di Jack, e stavolta fu Scraps ad ammutolire.
Forse era proprio questo l’intento del testa-di-zucca, perché un secondo più tardi,
come se il suo silenzio lo
incoraggiasse, tornò cordiale e batté allegramente le dita nodose
sull’espositore dei fertilizzanti.
« Be’, Scraps,
sai che adoro parlare con te, ma stanotte sono venuto qui come cliente. »
« Davvero? » Scraps
batté le mani in un colpetto smorzato. « Ma è tremendo!... O volevo dire stupendo? Oh,
non importa. Sono così emozionata – sei il mio primo cliente da dodici
ore, quarantuno minuti e diciannove secondi, se ho contato bene. Devi comprare
dei fiori? Ma allora ti sei innamorato! »
« Oh, no, non direi proprio. »
« Sei sicuro? Perché in questo caso
ti proporrei un bouquet con una combinazione di... »
« Scraps...
»
« ... campanule del Paese dei Munchkin e ciclamini del Paese dei Quadling,
insieme sono perfetti. »
« Scraps, non mi
sono innamorato. »
« Ne sei proprio sicuro? Ho anche dei
girasoli dal Paese degli Winkie e... »
« Scraps. » Jack si chinò verso di lei sul banco,
fissandola coi suoi occhi vuoti, stranamente serissimi. « I problemi di
cuore li lascio all’Uomo di Latta, va bene? Io non amo nessuno, ho smesso
di farlo quando la guerra mi ha fatto capire che l’amore non serve a
niente. »
Scraps tacque.
Sentirglielo dire era molto più doloroso
che limitarsi ad intuirlo.
« Ciò di cui ho bisogno »
riprese Jack, senza cambiare posizione né tono, « è un
rimedio magico contro i mali da intossicazione. »
Scraps si animò.
« Un articolo illegale? »
« Esattamente. »
« Un attimo solo. »
Si tuffò al riparo del bancone e prese a
trafficare con alcuni cassetti e scomparti segreti. Di certo era stato il Leone
a dire a Jack dei suoi affari illeciti. Rise di nuovo: tra canaglie ci
s’intende, giusto?
« Spiegami i sintomi, per favore. »
« Febbre e nausea continue. La causa
sembra una strana alga del Fiume Munchkin. Magari
è l’ennesimo esperimento fallito del Dottor Pipt.
»
« Oh, è impossibile. O probabile?
Oh, non importa. Ecco qui il tuo rimedio magico illegale » e Scraps riemerse faccia a zucca con Jack, stringendo nel
tessuto della mano una bottiglietta di un verde semitrasparente. «
È una pozione potentissima, una delle ultime studiate dal Mago prima
della partenza. »
« Sapevo di poter contare su di te.
» Più sogghignante che mai, Jack infilò i rametti della
mano destra in una tasca e ne trasse molti piccoli smeraldi scintillanti.
« Cinquecento possono bastare? »
Scraps sussultò.
« Ma no, Jack, è davvero troppo, non posso accettarne tanti...
»
« Non preoccuparti del prezzo. Non hai
idea di quel che hai appena fatto per me. »
Jack le afferrò la mano nella sua e le
nascose nel palmo quella somma da capogiro. Scraps
gli donò il suo miglior gaio sorriso.
« Posso farti una domanda? »
« Devo considerarla inclusa nel prezzo?
»
« Oh, è solo una curiosità.
O volevo dire una necessità? Oh, non importa. Puoi anche non rispondere,
se vuoi. »
Jack intascò la bottiglietta con gesti
guardinghi. « Ti ascolto. »
« Be’, questa pozione... Non
è che serva a te, giusto? Tu non
puoi avere né febbre né nausea. E non puoi neanche bere una
pozione, se è per questo! »
« Mh. »
« E poco fa hai detto che... tu non ami
nessuno. Quindi da questo... belgesto avrai sicuramente qualcosa in
cambio. »
Jack si calcò il berretto sulla zucca,
nascondendo quasi del tutto i buchi che erano i suoi occhi, così che
rimase visibile soltanto il sorriso inquietante. « Il tuo nuovo cervello
funziona alla grande quanto quello vecchio. »
« Naturale! Ecco, allora...
Cos’è che stai guadagnando? Cosa c’è di tanto
importante da farti andare di nuovo
contro la legge? »
Jack la osservò a lungo in silenzio, come
non aveva fatto mai.
In quell’istante Scraps
avvertì tutto il peso del tempo che era passato e che li aveva cambiati
entrambi – tutti – e
seppe subito, molto prima di sentirlo parlare, che la verità era ben
lontana da quella che sperava lei.
« Non si può tornare indietro, Scraps. Mai. Non può essere il passato, la
‘cosa più importante’. »
Fece un cenno di saluto con la mano, si
voltò e uscì dal negozio all’improvviso com’era
entrato.
Scraps abbassò lo
sguardo sul giornale, di nuovo al suo posto sul banco; lasciò cadere gli
smeraldi nella cassa – plin, plin,
plin: si
portavano via anche la sensazione delle dita di Jack – e scoprì di
non avere più nessuna voglia di ridere. Chissà, magari anche lui
si sentiva così.
Oh, non
importa.
«
Resisti, Trot. Resisti, piccola. »
Le pezzuole si accumulavano ancora, ma il
delirio non voleva spegnersi.
Capitan Bill scosse il capo con energia per
snebbiarsi la vista. Si era vergognato come un ladro quando l’uomo con la
testa di zucca gli aveva detto di aver trovato Trot
che lo cercava febbricitante; era tornato di corsa al molo, e aveva immerso la
testa in mare per lavar via tutto l’alcool di Ruggedo,
finché non si era sentito svenire; poi si era chiuso là dentro e
non si era più mosso, non le aveva più
lasciato la mano.
« Ce la facciamo, Trot.
Una persona ha detto che può aiutarti. È Jack. Ti ricordi di
Jack? Eravate amici, tanti anni fa. Ti ricordi che veniva spesso a trovare Ozma, e ti faceva tanto ridere? Eh? Ti ricordi, Trot? »
La paura e la speranza sembravano avergli
sciolto la lingua. O forse erano le lacrime, anche quelle di paura e di speranza, a portarsi dietro il bisogno
di parlare, di tenerla sveglia, con sé.
« Qualche volta Ozma
gli prestava il Cavalletto. È stato prima di regalarlo all’Uomo di
Latta. Il Cavalletto è stato lì finché noi siamo stati a
Palazzo, e Jack era un vecchio amico del Cavalletto, e qualche volta gli
piaceva farsi portare da lui, ti ricordi? Ti ricordi che aveva le gambe
così lunghe da toccare terra? Doveva tenerle tutte rivoltate
all’insù per cavalcare. Ti faceva tanto ridere, Trot. »
Trot aveva gli occhi chiusi;
la mano abbandonata dentro la sua non si muoveva. Bill scosse un’altra
volta la testa. Era questione di minuti, ormai... Doveva solo aspettare Jack.
Solo aspettare Jack.
« Le cose sono cambiate, è vero.
Noi ce ne siamo andati prima, ma abbiamo visto cos’è successo. La
guerra ha distrutto questo posto, piccola, in tanti modi, ma vale ancora la
pena di viverci. Non te ne andare, va bene? Non farmi questo. Non è casa
mia, senza di te... »
« Oh, Bill, sei così profondo! Di
questo passo mi farai piangere succo di zucca! »
Voltò di scatto la testa e, alla luce
della candela, intravide di nuovo la sagoma di Jack. Si sentì più
leggero, come una nave senz’ancora.
« Sei... Sei venuto. »
« Ne dubitavi? »
Le lunghe gambe della creatura attraversarono la
stiva in tutta calma, e Capitan Bill rimase senza parole a guardare il loro
salvatore inginocchiarsi di fronte a lui, accanto a Trot,
con una minuscola bottiglia in mano.
« Eccoci qui... » Sfilò il
tappo senza indecisioni, senza nessun movimento goffo delle ‘dita’
così rigide. Quando un filo di vapore indubbiamente magico si
sollevò tra loro, Jack si rivolse a Bill. « Ricorda, capitano. Ho
la tua parola di lupo di mare. »
Bill abbassò lo sguardo sul volto esangue
di Trot. Annuì, deciso.
Jack sollevò la testa della ragazza e le
accostò la bottiglietta alle labbra.
Era
una sensazione strana, un timido calore sul palato: all’inizio parve come
se le stessero lasciando scivolare in gola qualcosa, ma non si poteva bere
ciò che non aveva consistenza...
Neanche per un istante provò
l’istinto di chiudere la bocca. Eppure era cosciente, adesso, molto più di quanto ricordasse di essere
stata da un tempo infinito – sentiva chiaramente il materiale freddo che
le premeva sul labbro inferiore, così come sentiva la mano buffa che le sosteneva il collo,
accarezzandole l’attaccatura dei capelli con un dito gelido, ruvido e
dalla forma stranissima.
Aprì gli occhi. Vide solo forme confuse,
ma quasi sicuramente quella era una
zucca.
Quella notte Trot
riuscì ad assopirsi del sonno profondo e benefico della guarigione.
Note
dell’autrice
Scraps compare nel settimo volume, The Patchwork Girl ofOz, ed è una sorta di bambola di pezza –
creata da Margolotte, la moglie del Dottor Pipt, colui che ha inventato la Polvere della Vita che ha
precedentemente ‘animato’ lo stesso Jack – che da subito
instaura un buon legame con creature a lei affini, come appunto lo
Spaventapasseri e Jack Testa di Zucca. In Emerald
City Confidential è diventata la
proprietaria di un negozio di fiori, ma per tirare avanti commercia anche
articoli magici, quindi illegali, coperta dalla difesa dell’avvocato
migliore (per quanto dalle zampe sporche) di Oz: il
Leone. Nel gioco non c’è un’occasione in cui non si interroghi su una parola –
se stia usando quella giusta oppure no. Ho visto anche questo come un
cambiamento rispetto all’epoca felice di Oz,
prima della guerra, quando le parole le erano invece amiche: con la caduta
delle vecchie certezze, tutti i personaggi sono radicalmente cambiati. Oh, ma
sentitemi, come sono sensibile. xD
Ed
anche qui sto rispecchiando i missingmoments del videogioco: dunque ora sapete che Jack ha salvato
Trot, in cambio di una qualche promessa da parte di
Bill.
Dal
prossimo capitolo si cambia radicalmente scenario. Fino ad allora, hope you
liked it!
Dalle ampie vetrate del
castello la vista poteva spaziare lontano, giù fino all’orizzonte
che a nord si tingeva del viola del Paese dei Gillikin,
a sud del rosso della regione dei Quadling, a est si
fondeva coi campi blu dei Munchkin e a ovest si stemperava
nella terra dorata degli Winkie. Dalla sala del trono
si poteva beneficiare di ciascun panorama offerto dalla geografia di Oz; ma ormai da troppo tempo agli occhi dipinti dello
Spaventapasseri ogni cosa, anche quando colpita dai primi raggi del sole,
appariva triste.
Il consiglio si era
protratto a lungo. La Regina aveva lasciato la sala solo pochi minuti prima,
accompagnata dalle premure della fidata Jellia fino
ai suoi appartamenti, lasciandolo solo con i fiumi di verbali recanti tutte le
parole – elegantemente stilate dallo Scarabeo – che si erano
scambiati nelle ultime ore. Oh, non era stata la Regina a ordinargli di
rileggerli, certo. Aveva solo bisogno di pensieri,
di cose che gli empissero il cervello
impedendogli di fermarsi a pensare a quanto fosse, invece, ormai inesorabilmente vuoto.
Non era colpa del Mago.
Sarebbe stato facile prendersela con lui e con la sua fuga –
perché di questo si era trattato – ma anche quella, in
realtà, non era che una conseguenza. Come il gelo del nuovo titolo di Ozma, dal quale tutte le cose erano discese, simili a
chicchi di grandine caduti in colonne precise e dolorose. Così anche
quel cervello di cui il Mago gli aveva fatto dono s’era inaridito, al
vedere che, giorno dopo giorno, la stessa Oz
appassiva.
Tutto faceva capo alla
guerra, a un lieto fine posticcio, a una scelta risolutiva che lui non aveva
mai condiviso. Ma non doveva, semplicemente non doveva pensarci. Non poteva
più permettersi di essere se
stesso.
Nonostante quanto era
accaduto a Nick, a Shaggy, a Jack, a
Palazzo c’era ancora qualcuno
che aveva bisogno dello Spaventapasseri. Se consapevolmente o meno, non era
dato sapere.
Il suono di passi lo
sorprese nella lettura della quattordicesima pagina. Sollevò il capo in
tempo per vedere la figura sgusciare oltre il portone in fondo alla sala:
veniva dai giardini, nel passo svelto e deciso che ne indicava chiaramente
l’identità – nessun
altro, là dentro, si muoveva così... con tanta esigenza di vita.
Forse era una
prerogativa degli esseri umani o forse soltanto la sua.
Lo Spaventapasseri
parlò senza alzare la voce, senza neppure muoversi. Non voleva attaccarla;
solamente sapere.
« Sei stata di
nuovo fuori tutta la notte? »
La figura trasalì
appena, ma non sembrò volersi ritrarre. L’aveva riconosciuto –
lo riconosceva sempre, anche se era cambiato tutto.
Lo Spaventapasseri
attese tranquillo che la ragazza tornasse piano sui propri passi ed emergesse
alla penombra della sala del trono.
« Mi hai
spaventata. »
« Singolare.
Credevo di non aver mai spaventato neppure un corvo. »
Sorrise vagamente,
fredda. « Cosa fai là seduto? Ozma non
c’è. Non devi star lì come un cucciolo per tutto il tempo,
sai. »
Lo Spaventapasseri
rimase al suo posto, sui gradini ai piedi del trono, i fogli sparsi attorno a
sé, a riflettere su come gli echi raccolti dalle alte pareti rendessero
ancor più dura la voce di lei. Una volta Ozma
era la sua migliore amica... Anche questo, anche lei. Tutto era dunque perduto.
« È per via
di quell’uomo? »
Persino a quella
distanza la vide irrigidirsi. « Che vuoi dire? »
« Nulla. Mi
chiedevo se fossi stata con lui. »
Dee si rilassò.
Sorrise più apertamente. « Lui è l’unico che mi
faccia stare bene. Mi fa sentire... libera.
»
Lo Spaventapasseri non
le chiese perché si giustificasse così, senza una ragione di
farlo. Solo, impilò con cura i verbali sul pavimento di smeraldo e si
alzò. Nella sua cadenza morbida camminò nel salone fino a
raggiungerla, finché poté vedere con assoluta chiarezza quanto i
suoi occhi azzurri fossero ormai scuri,
non per via del buio che precede il giorno.
Dee sostenne il suo
sguardo in silenzio, ma lui non trovò la forza di sfiorarla.
« Eppure, non
sembri felice. »
Il sorriso si spense. Il
ghiaccio s’ispessì.
« E chi lo
è? »
Lo Spaventapasseri
tacque, poiché non era una domanda alla quale occorresse una risposta.
L’alba si levava
ormai oltre la finestra alle sue spalle, liberando riflessi d’oro dai
suoi capelli. Aveva tanto sperato di non vederla crescere. No, non si trattava
del suo aspetto – sarebbe sempre rimasta se stessa, anche quando le gambe si fossero allungate e i fianchi
ammorbiditi e i seni cresciuti, se solo
non fosse cresciuta dentro. Le favole
finiscono quando non vi si crede più. Aveva tanto sperato che lei si salvasse.
« Purtroppo hai
ragione » convenne infine, riconosciuto che non c’era altro da dire.
Dee annuì
brevemente, sfuggendo alla luce che cercava di circondarla. Si ritrasse ancora
lungo il corridoio e gli voltò le spalle, diretta alle sue stanze.
« Ho bisogno di
dormire. Buonanotte, Spaventapasseri. »
« Sogni
d’oro, Dorothy. »
Lei si fermò,
senza voltarsi né guardarlo. Tornò alla sua voce più dura.
« Non chiamarmi così. »
Se ne andò senza
aspettare le sue scuse, nel passo svelto e deciso di chi fugge.
Lo Spaventapasseri
uscì definitivamente dalla soglia della sala, affacciandosi a quel
davanzale e concentrandosi sul punto in cui il verde diventava azzurro. Forse,
da qualche parte nei giardini laggiù, quell’uomo stava tornando in un posto in cui i sogni
esistevano ancora. Forse era per questo
che lei s’illudeva di lui.
La luce del sole non
aveva più nessuno da accarezzare, se non quell’ammasso di paglia e
stoffa che ormai non era più in grado di accoglierla con la gioia che gli occhi scuriti di Dorothy gli avevano
strappato.
Ai piedi del trono, i
fogli fitti di frasi già dette e sentite giacevano dimenticati.
Esistevano cose che le parole non avrebbero mai cambiato.
Note
dell’autrice
Ebbene sì.
Dai che ve l’aspettavate! :D
Lo Spaventapasseri
di Emerald City Confidential
è molto più introspettivo e malinconico del suo originale firmato
Baumma non certo meno adorabile e si lascia
andare spesso a malinconiche dissertazioni sul passato perduto; ecco
perché questo quarto capitolo si sviluppa in toni così
riflessivi. Dorothy, dal canto suo, ormai si fa chiamare Dee, ha l’aspetto
di una scostante ventenne (per la cronaca: nella saga originale Dorothy ha
undici anni, Trot dieci) e sta tentando in ogni modo
di staccarsi dalla Città di Smeraldo, che, ironia della sorte, dopo la
guerra non sente più ‘casa’ sua.
Nel videogioco Petra
verrà assoldata proprio da Dee, perché ritrovi il suo misterioso
fidanzato improvvisamente scomparso. Anzel – questo
il nome dell’uomo del quale crede di essersi innamorata – è il
‘simbolo’ che Dorothy associa a una vita finalmente libera, lontana
dalla freddezza del Palazzo e di Ozma, che ormai
è diventata una mera figura politica e non ha più nulla del
calore umano che un tempo le ha rese tanto amiche. E da tutto ciò inizia
il mio vaneggiamento: con questa storia (che inizialmente voleva soffermarsi soprattutto
su Jack) mi propongo ora di speculare anche
sulle motivazioni dello Spaventapasseri nel fare
quel che ha fatto – e prima o poi sarà chiaro quel di cui sto
parlando.
Davvero, avevo
giurato a me stessa di distanziarmene un attimo, ma... Oh, insomma. È lo
Spaventapasseri/Dorothy, cavolo ♥
« E anche
l’ultimo è sistemato! » Trot si
tirò su, portando dietro le orecchie alcune ciocche di capelli sfuggite
al laccio di cuoio e lanciando un ampio sorriso a Button-Bright.
« Grazie, non so come avrei fatto senza di te. »
« Una sciocchezza
» ribatté l’amico con un’alzata di spalle. « E
poi, non avevo altro in programma da queste parti... »
« Già, tu e
la tua mania di perderti » rise Trot, e
accettò il suo aiuto per scendere dalla barca e saltare di nuovo sulle
vecchie assi di legno del pontile.
Capitan Bill si
avvicinava a loro lungo il molo, zoppicando sulla gamba di legno. Trot si portò due dita al berretto da marinaio, in
segno di ironica deferenza. Bill fece un mezzo sorriso, si fermò davanti
a Button-Bright e gli regalò una possente
pacca sulla schiena.
« Bravo, figliolo.
Ci hai fatto guadagnare un bel po’ di tempo. »
« Mi fa sempre
piacere aiutare Trot. » Button-Bright
si voltò a guardarla e le lasciò andare la mano, che finora aveva
tenuto nella sua. « Be’, io cerco di ritrovare la strada. Ojo si starà chiedendo dove sono finito. »
Trot annuì. «
Nel caso dovessi perderti di nuovo prima di sera, passa pure a trovarci!
»
Button-Bright sorrise appena,
salutò Capitan Bill e si allontanò senza fretta
dall’attracco, mani in tasca, fischiettando tra sé e sé
nella sua migliore aria svagata. Finché non fu sparito dalla strada
principale, giù alla svolta per Grinetta Lane,
i due marinai rimasero in silenzio.
« Bene, Bill
» esordì infine Trot, girando sui tacchi
per rivolgere un altro amichevole ossequio al compagno, « come hai visto
il carico è a posto. Possiamo partire quando vuoi. »
Gli occhi scuri che si
posarono nei suoi sembravano stranamente divertiti, come in effetti non
capitava più da settimane – più o meno da quando era stata
male in quel modo e l’aveva fatto preoccupare da morire, spegnendo un
po’ della sua allegra vitalità. Anche se, a dirla tutta, Trot sospettava che in quella faccenda ci fosse
dell’altro.
« Che cosa
c’è? » domandò, poiché Bill continuava a
guardarla in silenzio, masticando la pipa.
« Ma niente
» rispose, « pensavo a quanto è stato gentile il ragazzo...
»
« Sì,
è vero! » Trot si animò. «
È stata una fortuna che sia finito proprio qui. All’improvviso
è sbucato sul molo e mi ha vista con una cassa sulla schiena, ed
è venuto ad aiutarmi così, senza dire niente, quasi senza neppure
salutarmi... »
« Tipico di Button-Bright. »
« Pensi che
cambierà mai? Voglio dire, è così tanto tempo che vive
qui. Non ha ancora trovato un senso
dell’orientamento! »
« Non gli è
mai servito e certo non gli serve adesso. » Bill aveva spostato lo
sguardo sulla barca carica e pronta alla partenza, ma ora tornò a
sbirciare lei, quasi di sottecchi. « È proprio un ragazzo d’oro, eh? »
« Lo dice anche il
nome » annuì Trot.
« Ti piace?
»
Colta di sorpresa,
stavolta ci mise un po’ a rispondere, limitandosi per qualche istante a
ricambiare il suo sguardo a bocca aperta.
« Ma Bill »
rise finalmente, pur sentendosi arrossire, « io e Button-Bright
siamo solo amici. Mi piace come può piacermi un amico strano come lui. Tutto qui! »
Il marinaio non rispose.
Trot si accorse che nel suo volto segnato era tornata
l’ombra di quella malinconia che sembrava averlo avvolto come un velo
troppo spesso da strappare, e – per l’ennesima volta – se ne
chiese inutilmente il perché.
Capitan Bill si scosse.
Diede un morso più vigoroso alla pipa, zoppicò sulla passerella e
salì a bordo con quell’agilità che a terra non aveva mai.
« Vieni »
disse, una mano già tesa verso la cima che teneva la barca ormeggiata al
molo, « è quasi mezzogiorno e abbiamo molta strada da fare.
»
Trot lo seguì
automaticamente, di colpo seria e preoccupata.
Ne era sempre più
sicura. Bill le nascondeva qualcosa.
L’aria era ferma e
l’acqua placida, così che la barca procedeva lentissima. Solo a
pomeriggio inoltrato arrivarono al confine, lasciandosi alle spalle il Lago Quad e puntando verso l’orizzonte giallognolo della
terra degli Winkie. Trot
stava a poppa, gli occhi fissi sulla vecchia Torre abbandonata in cui negli
anni d’oro viveva lo Spaventapasseri, colui che – Lurline, quanto
tempo era passato? – aveva salvato un gruppetto di mortali da un mare di
guai strappandoli al mondo chiuso di Jinxland per
porli sotto la più magnanima sovranità di Ozma
di Oz. A Trot, quella
storia provocava sempre tanta nostalgia.
Chissà a che cosa
pensava.
Il capitano stava al
timone, sbuffando e imprecando contro il sole cocente, a bassa voce
perché la ragazza non lo sentisse. Non aveva voluto lasciarle il comando
per niente al mondo, perché solo
così, dandogli le spalle, si sarebbe potuto risparmiare la vista e
il pensiero dell’ennesimo di quei carichi su cui Trot
– grazie al cielo – non aveva ancora fatto domande.
Non era una barca molto
grande. Nella stiva c’era appena spazio per le due cuccette, la sua e
quella di Trot. Del resto non era una nave destinata
a solcare i mari e a vivere mille avventure – oh, era una gran bella
chiatta, certo, e l’Uomo di Latta ci aveva lavorato sodo; ma per un uomo
che aveva passato praticamente una vita a fare la spola dalle coste americane a
quelle di tutto il mondo, limitarsi a costeggiare un lago e un solo lungo fiume
era piuttosto umiliante. Persino l’aria
gli mancava, il sapore di salsedine sulla pelle e sui vestiti.
Che gli era rimasto? Un
mestiere che l’aveva reso l’ombra di un marinaio... e Trot.
« Ehi, Bill.
»
« Mh? »
« Ma... tutte
queste ordinazioni... »
Si morse la lingua e
mascherò un sobbalzo. Per mille gorghi! Ne aveva di tempismo, la sua
bambina.
Rimase fermo, lo sguardo
fisso davanti a sé. « Che cosa, Trot?
»
« Be’,
niente » gli tornò alle orecchie la sua voce incerta. Dalla sua
postazione la immaginò stringersi nelle spalle e osservare le file e
file di casse che Button-Bright l’aveva aiutata
a fissare a bordo. « Solo che... Insomma, è strano, no? Gli Winkie continuano a mandare indietro i carichi che
ordinano. E dopo un po’ ce ne chiedono altri. Voglio dire, sembra quasi
che non sappiano cosa vogliono. »
Capitan Bill accolse con
una riconoscenza disperata la brezza improvvisa che sospinse la barca in
avanti, concentrandosi per un minuto sul timone e prendendosi così il
tempo di ragionare su una risposta convincente.
« Be’, ci
pagano. »
Debole. Ma era pur
sempre la scusa più vicina alla verità.
« Sì, certo
» convenne Trot, « però...
è strano lo stesso. »
Bill non disse nulla.
Intanto il Fiume li
aveva addentrati nella regione occidentale di Oz, e
la Torre dello Spaventapasseri pareva più vicina che mai. Con la coda
dell’occhio, Bill si accorse che Trot non
guardava più in quella direzione, ma verso un punto più a nord,
dove si scorgeva la sommità di una costruzione bizzarra e fin troppo
familiare.
« Capitan Bill?
»
Il vecchio
sospirò. Sapeva cosa stava per chiedergli, e sapeva da un pezzo che gliel’avrebbe chiesto. In fondo, non era di
una stupida che si stava parlando, ma della sua Trot.
« Che
c’è? »
« È...
È Jack a organizzare questi scambi con gli Winkie,
vero? »
Capitan Bill si
voltò.
Trot si sporgeva dal
parapetto, i capelli al vento, l’espressione assorta. Fin da quando si
era ripresa abbastanza da ricominciare ad accompagnarlo, Bill l’aveva
messa al corrente di essere entrato in affari con Jack Testa di Zucca, senza
accennare mai alle circostanze dell’accordo o persino in cosa questo consistesse di preciso. Trot era rimasta sorpresa, all’inizio; da quando se
n’erano andati da Palazzo e avevano ripreso a guadagnarsi da vivere non
avevano mai avuto bisogno di soci, no? Potevano farcela da soli, ce l’avevano fatta da soli. Ma
alla fine aveva valutato la cosa. Jack, aveva detto, sembrava un tipo a posto.
Da bambina gli piaceva molto. Bill si era reso conto che non ricordava nulla
della febbre, delle due occasioni in cui Jack era stato al suo capezzale
– e aveva tirato un sospiro di sollievo. Meno particolari sapeva di
quella storia, meglio era.
Ma capitava ancora che Trot si fermasse a pensare e, evidentemente, a farsi delle
domande.
« Mh-mh » borbottò Bill. Di più non
poteva compromettersi.
Trot lo guardò, e lui
non fu abbastanza svelto da distogliere lo sguardo.
« Lo immaginavo.
» Annuì appena, come se fosse giunta a una qualche conclusione
– ma certo non poteva immaginare neppure lontanamente la verità.
« E, Bill, puoi dirmi una buona volta cos’è
che portiamo su e giù sul Fiume per conto di Jack? »
Capitan Bill
masticò scrupolosamente la pipa per un pezzo. « Zucche »
borbottò alla fine.
Trot sgranò gli
occhi. « Zucche? »
« Zucche »
confermò, a malincuore; « e ora, Trot,
per favore non farmi altre domande. Quel che fanno Jack o gli Winkie è solo affar loro. Noi facciamo le consegne e basta. »
Le voltò le
spalle – detestava l’idea di vederla stupita, sospettosa o, peggio
ancora, delusa – e proprio in quel momento si accorse che il vento aveva
allontanato la barca dal centro del fiume: ora puntava dritta contro le grosse
rocce che delimitavano la sponda sinistra.
Imprecò e
afferrò il timone. Alle sue spalle, Trot
lanciò uno strillo di stupore.
Bill era un vero
marinaio, ma il turbamento, la sorpresa e una coscienza non proprio pulita
hanno la meglio anche sui migliori riflessi. La manovra non fu abbastanza
veloce da impedire che il fianco della barca strusciasse contro le rocce. Una
fune si ruppe e alcune casse rotolarono sul ponte, rovesciandosi ai piedi di Trot, che le salvò dalla caduta in acqua.
Assicuratosi di aver
riguadagnato la giusta rotta, Capitan Bill si voltò a verificare i
danni. E si sentì sbiancare.
Trot guardava con gli occhi
spalancati una zucca sfuggita alla cassa che l’aveva contenuta. Si era
spaccata in due: là dove doveva esserci la polpa, turbinavano nel vuoto
mille scintille dorate.
Il Generale Jinjur percorreva a passo di marcia la riva del fiume, in
un punto del lungo braccio che non era ancora il Fiume Winkie
ma non era più il Fiume Munchkin,
profondamente seccata.
Naturalmente non aveva
nulla di cui lamentarsi a proposito del suo lavoro. Certo, in un primo momento
le era parso quantomeno strano che la Regina la richiamasse dal suo ranch e la
ponesse a capo della neonata Guardia Reale; ma d’altro canto gli Oziani non sarebbero mai riusciti a vincere la guerra senza
il suo decisivo contributo – di
questo era fermamente convinta. E la vita militare, aveva scoperto, le era
mancata più di quanto avesse immaginato.
Eppure – per
quanti sforzi facesse – c’erano pur sempre delle decisioni che faticava
a comprendere, e talvolta persino ad accettare.
D’accordo, TikTok sospettava del Testa di
Zucca. D’accordo, la Regina aveva molto a cuore le opinioni di TikTok. Ma questo era sufficiente a distaccare lei così lontano da casa, oltre il confine della capitale,
ad attendere chissà quale fantomatico evento che forse avrebbe portato all’arresto di Jack? A volte aveva il
sospetto che Ozma volesse testare la fedeltà
delle proprie truppe.
Be’, certo che,
dopo la diserzione di quella sciocca di Petra...
Le riflessioni di Jinjur s’interruppero alla comparsa della barca.
La riconobbe subito:
apparteneva a quel rozzo marinaio che era arrivato a Oz
grazie allo Spaventapasseri, quel Bill che per qualche tempo era vissuto a
Palazzo – prima che la Regina si rendesse conto che esistevano doveri ben
più importanti di quelli relativi all’amicizia.
L’imbarcazione avanzava spedita lungo il Fiume, e pareva proprio che Bill
avesse altro per la testa che non il timone, perché la prua era
chiaramente diretta verso la riva.
Jinjur sibilò di
soddisfazione. Mi toccherà
multarlo, si disse, pregustando già l’urto; se non altro questa giornata non sarà
stata del tutto sprecata.
Ma proprio in quel
momento il vecchio sembrò recuperare la concentrazione e il controllo,
limitando lo schianto a una semplice strisciata della fiancata contro le rocce.
A bordo, parte del carico ruzzolò su se stessa, ma la ragazzina che
accompagnava il marinaio impedì il peggio.
Jinjur sbuffò.
Un’occasione persa. Tuttavia, quando vide il Capitano voltarsi e fissare
un punto dietro di sé con evidente sorpresa e orrore, capì che
qualcosa di più doveva pur
essere successo.
E poi vide le scintille
spargersi nell’aria in ogni direzione.
Trionfante, il Generale
corse sulla riva fino a raggiungere l’altezza della barca, che pareva
quasi essersi fermata a facilitarle il compito. Dal suo posto agitò
freneticamente il braccio per attirare l’attenzione dei due.
« Capitano Bill Weedles » urlò, « se fossi in te
approderei senza opporre resistenza. Ti dichiaro in arresto per traffico e
contrabbando di materiale magico! »
Note
dell’autrice
Giuro che non sono
stata influenzata dai fatti avvenuti nelle ultime settimane. Ho scritto questo
capitolo due mesi fa, e solo per pigrizia e momentaneo impegno verso altre
storie lo sto pubblicando con un tale ritardo. ^^’ Non pensate che
approfitti bellamente delle tragedie altrui per le mie storie – non è
così.
I. Button-Bright (Botton
d’Oro) ha visitato Oz per la prima volta nel
quinto volume, The road toOz, per poi tornare a casa
in America. Successivamente ha conosciuto Trot e
Capitan Bill (in un romanzo di Baum dissociato dalla
saga di Oz, Sky
Island, che purtroppo risulta irreperibile) e nel nono volume, The ScarecrowofOz, è tornato
definitivamente alla Città di Smeraldo assieme a loro, grazie all’intervento
dello Spaventapasseri che ha salvato tutti e tre dalla terra di Jinxland. Ha l’abitudine di perdersi, ritrovandosi di
punto in bianco in posti in cui non ha mai programmato di andare. In Emerald City Confidential non compare mai, ma è uno dei miei
personaggi preferiti e tra lui e Trot c’è
davvero un bel rapporto, dunque non potevo non inserire quel pur minimo accenno.
II. Jinjur compare già nel secondo volume, The marvelousLandofOz,
e la prima cosa che fa è organizzare la Rivoluzione Femminile per
deporre lo Spaventapasseri dal trono di Oz e prendere
il suo posto. In seguito alla riabilitazione della legittima sovrana, Ozma, si ritira a vivere in un ranch e diventa una buona
amica dei protagonisti della saga. Nel videogioco ci viene mostrato come la guerra
contro i Fanfasmi abbia costretto Ozma
a creare la Guardia Reale, richiamando ai doveri militari personaggi come TikTok e appunto Jinjur. Si intuisce anche che sia stata proprio Jinjur a mettere in piedi il processo contro Bill che viene
più volte citato durante le indagini di Petra.
In sintesi, la
rivelazione del capitolo è che l’accordo tra Bill e Jack per la guarigione
di Trot consisteva in una società di
contrabbando di magia. D’oh, lo so che l’avete capito xD, ma è solo per sottolineare che anche questo
è un veromissing
moment, effettivamente avvenuto prima degli avvenimenti di ECC.
Il mio viaggio
mentale Jack/Trot inizierà dal prossimo
aggiornamento ♥