New Life - When the pass returns

di GurenSuzuki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Some idea from the Bass ***
Capitolo 2: *** Meeting old friends ***
Capitolo 3: *** The choice ***
Capitolo 4: *** Sachiko, Takanori and Shin ***
Capitolo 5: *** Vivian ***
Capitolo 6: *** Lose you tonight ***
Capitolo 7: *** Birthday and Vocalist ***
Capitolo 8: *** Ma Cherie ***
Capitolo 9: *** Punky Heart and Light-blue fairy ***
Capitolo 10: *** First Date ***
Capitolo 11: *** Redemption ***
Capitolo 12: *** Talking about our mistakes ***
Capitolo 13: *** Dysfunctional Phoenix ***
Capitolo 14: *** Regret...? ***
Capitolo 15: *** Guilty! ***
Capitolo 16: *** Wrap your name in lace and leather ***
Capitolo 17: *** Raison D'etre ***
Capitolo 18: *** Powder ***
Capitolo 19: *** Sayonara ***
Capitolo 20: *** As raindrops ***
Capitolo 21: *** Avviso. ***



Capitolo 1
*** Prologo: Some idea from the Bass ***


Questo è un piccolo esperimento. Di cui ho scritto più o meno sette capitoli, ma che di certo ne durerà parecchi. Scena: i Malice si riuniscono, e arrivano persone dal loro passato che gli scombussoleranno l'esistenza. E' una fic di cui sono orgogliosa, sul serio. Per la prima volta nella mia vita. Inizio col ringraziare queste fantastiche persone, i Malice Mizer, per donarmi emozioni ogni volta che riascolto una canzone. E poi urlo un sentito "Arigatou gozaimasu" ai componenti singoli: A Kozi, a Mana, a Yu-ki, a Klaha e anche a Gackt. A tutti. Io, in una reunion, ancora ci spero. Un bacio,
LadyWay

Prologo
Some idea from the bass

Frugò nelle tasche dell'ormai logoro jeans ed estrasse un pacchetto di sigarette.
Ne portò alle labbra una, elegantemente.
Aspirò grandi boccate di fumo, osservando i rivoli grigi danzare nell'aria, formando figure astratte ed ellittiche.
Spense il mozzicone nel posacenere per poi accendersene un'altra.
E poi un'altra.
E poi un'altra ancora.
Fino a terminare il pacchetto.
Non era sicuro di ciò che stava per fare. Era rischioso, avrebbe potuto ricevere miriadi di insulti, o sentire grasse risate lambirgli le orecchie per quella sua proposta un po' azzardata.
Era difficile. Tutto, intendeva.
I tempi in cui era Yu-ki e portava in alto il suo credo attraverso le corde del proprio basso erano finiti.
Ma forse, non del tutto.
Voleva riconquistare il rispetto. Il rispetto verso qualcuno che è. Perchè lui era davvero qualcuno un tempo. Ora chi si ricordava più di quel simpatico bassista dai lunghi capelli neri e riccioluti? Nessuno.
Era frustrante non essere più attorniato da nugoli di fan esaltate che urlano il tuo nome, chiedendoti autografi, fotografie e baci.
Lui viveva per questo.
Egocentrico. Tutti pensavano che il più egocentrico nella band fosse quell'austero chitarrista dalla chioma corvina intrappolata sotto pesanti parrucche e il cui volto era perennemente decorato da uno spesso strato di fondotinta. In realtà il più egocentrico e narcisista era lui. Dai lontani tempi del liceo.
Era stufo di quella monotonia, di quella vita da persona normale.
Sarebbe ricominciato tutto. E forse, sarebbe stato meglio di prima.
Si alzò dal divano color crema e andò ad aprire un cassetto della scrivania.
Dentro, un diario di pelle nera, un'agenda dei tempi passati.
1998-1999 era scritto elegantemente in caratteri sottili e dorati sulla copertina.
Su quel quaderno erano annotati i numeri di tutti i suoi precedenti compagni di band.
Lo sfogliò fino ad arrivare alla lettera K.
Pose l'indice sulla pagina ingiallita e lo fece scorrere sulla moltitudine di nomi riportati, finchè giunse a quello che gli interessava: Koji/Kozi.
Alzò il ricevitore e compose il numero, in religioso silenzio.

Gettò il mozzicone sul pavimento, schiacciandolo con la punta della scarpa.
Si sedette sulla sdraio del balcone, osservando il sole energico.
Aveva solo i jeans addosso, nonostante fosse pieno gennaio.
Era sempre stato caloroso, ma in quel momento era più che altro menefreghismo ciò che lo spingeva a rischiare una bronchite.
Si rilassò, socchiudendo gli occhi e passandosi una mano tra i corti capelli rosso fuoco.
L'anno sabatico che si era concesso stava terminando.
Aveva passato qualche mese a sostituire un ragazzo indisposto al sintetizzatore, per una band chiamata Harleys, giusto dieci mesi prima.
Poi li aveva mollati, così di punto in bianco. Lì aveva deciso di prendersi una pausa. Troppi pensieri gli affollavano la mente. Era confuso.
E questo per colpa di uno stupido programma musicale, in cui avevano fatto passare un loro vecchio video. E a lui era salito, lentamente, un groppo in gola. Era convinto che avrebbero conquistato tutta l'Asia. E, nei suoi sogni, si illudeva di diventare famoso e ammirato persino in America. Pie illusioni di un ragazzino. Ormai sorrideva divertito quando ci ripensava. Si era lentamente abituato alla vita semplice. Non era più un bambino che voleva sempre di più, sempre di più, fino a prosciugarsi l'animo con quel "sempre di più".
Non ci sarebbe più ricascato.
Non avrebbe più venduto l'anima al businness.
Ma alla chitarra sarebbe rimasta per sempre la sua più totale dipendenza e ammirazione.
Lo squillo incessante e rumoroso del telefono, attutito dalla porta-finestra socchiusa, lo riscosse dalle sue considerazioni.
Alzò il ricevitore con aria scocciata, sbuffando cerchiolini di fumo che si arrotolavano nell'aria.
"Pronto?"
"Kozi?"
Rimase perplesso per una frazione di secondo. Solo loro tre lo chiamavano ancora con il suo vecchio nome d'arte.
"Con chi parlo?"
"Yu-ki"
Annaspò un attimo. Era da dieci anni che non si sentivano.
"C-ciao"
"Domani, agli uffici, alle nove in punto. Vedi di esserci."
Tu-tu-tu-tu.
Aveva riagganciato.
Kozi rimase a fissare il vuoto, con la sigaretta penzoloni tra le labbra sottili.
Le parole dell'ex band-mates gli rimbalzarono nella mente per qualche secondo.
Domani, agli uffici, alle nove in punto. Vedi di esserci.
Poche parole. Ma lo avevano scombussolato.
Cosa voleva Yu-ki da lui?
E se volesse parlarmi dei Malice Mizer?
Scacciò subito quel pensiero. No, era impossibile.
I Malice erano finiti, nonostante loro si dichiarassero in pausa e gli altri band-mantes in varie interviste avevano dichiarato che c'era una possibilità -seppur remota, che la band risorgesse dalle sue ceneri. Lui non lo credeva possibile.
Avevano concluso con troppi attriti.
Solo allora si accorse di essere ancora con il ricevitore stretto saldamente nell'affusolata mano.
Riagganciò.

Era andata. Il suo ex band-mates si sarebbe presentato sicuramente il giorno successivo. Anche solo per appagare la sua curiosità.
Yu-ki ricominciò a controllare la pagina contrassegnata dalla lettera K.
Giunse fino in fondo, cercando quel nome.
Voltò il sottile foglio e ricominciò a scorrere i nomi.
Improvvisamente, eccolo: Haruna/Klaha.
Si era ormai ritirato dalle scene, ma era convinto che con la giusta proposta si sarebbe arreso all'evidenza che la sua carriera era ancora viva.
Compose le poche cifre del numero e poi attese, speranzoso.

Aprì il tappo della vasca, osservando i mulinelli che l'acqua formava prima di morire nello scarico.
Si infilò in uno stretto paio di boxer, prima di andarsi a stendere sul letto matrimoniale.
I capelli bagnati producevano sottili gocce che disegnavano lunghe scie lungo il torace scolpito, prima di eclissarsi, o rotolando verso le lenzuola oppure infrangendosi contro l'elastico dei boxer.
Chiuse gli occhi e si rilassò.
Mille immagini gli tornarono alla mente. Ripensò a tutti gli anni in cui aveva urlato attraverso il microfono, parole che esprimevano l'amore e l'odio, la miseria e la malizia verso il mondo in cui viveva. Note che raccontavano quattro storie diverse, che si intricavano su quel palco, aggrovigliandosi in una matassa confusa di colori.
Adesso basta. Era tutto finito. Non si sarebbe lasciato convincere mai più a rientrare in quel mondo finto e ipocrita di musicisti.
Nulla al mondo l'avrebbe distolto dalle sue convinzioni.
Il telefono cominciò a squillare, interrompendo quel momento di intersezione che si era concesso.
Si alzò lentamente, sperando che dall'altro capo riattaccassero. Purtroppo il telefono stava ancora suonando quando il vocalist si decise ad alzare la cornetta e rispondere. "Sì?"
"Klaha?"
Rimase sorpreso.
"Sì, chi è?"
"Yu-ki"
Allibito. Questa è la parola adatta. Quando era nella band, tra lui e il bassista, non era mai corso buon sangue. Semplicemente si facevano gli affari loro, non avevano trovato sintonia uno nell'altro. E così avevano lasciato perdere la speranza di instaurare un buon rapporto, come con gli altri membri.
"Ciao... da quanto tem--"
"Domani, agli uffici, alle nove in punto. Vedi di esserci"
Tu-tu-tu-tu.
Aveva riagganciato.
Scosse il capo per ricacciare subito l'idea che Yu-ki avesse qualcosa di musicale in mente per quell'incontro.
Riagganciò anche lui.

Molto bene, era riuscito a chiamarli entrambi senza farsi domandare nulla. Ma con loro era fin troppo facile.
Ora veniva la parte difficile. La principessa non si sarebbe lasciata convincere tanto facilmente, avrebbe preteso delle risposte.
E lui non gliene poteva offrire, per avere un minimo di possibiltà in più di convincere tutti che la sua era una grande idea.
Sfogliò l'agenda, giungendo alla lettera M.
Doveva essere veloce e sicuro. Se solo avesse aspettato un decimo di secondo di più, la principessa l'avrebbe sbranato.
Percorse con lo sguardo tutta la pagina, finchè non trovò il nome che cercava: Manabu/Mana-Sama.
Compose il numero con la mano tremante per il nervosismo, e attese impaziente, tentennando, incerto.

Prese una spezia scura dalla credenza, con cui innaffiò abbondantemente la miscela che bolliva nella pentola.
Mescolò un paio di volte, prima di posare il lungo cucchiaio di legno sul ripiano e sedersi al tavolo della cucina, trafficando con varie carte e documenti.
Con una smorfia inforcò i sottili occhiali da vista.
Quando ebbe finito, controllò la cottura della pietanza.
Mancava ancora parecchio.
Accese, seppur riluttante, la piccola televisione. Evento molto raro. Trovava insensati, vani, futili e privi di attrattiva i programmi propinati dalle televisioni giapponesi.
I quiz erano ciò che detestava di più al mondo.
Così mise sul canale musicale. Accompagnato dalle note di una vecchia canzone degli X-Japan di cui non ricordava il nome sgombrò il tavolo dalle carte, e iniziò ad apparecchiare. Quella sera era solo uno il posto occupato. Akune era fuori per lavoro e Takanori era uscito con degli amici. Avrebbe cenato tranquillamente.
Il filo dei suoi pensieri fu interrotto dalle voci gracchianti dei presentatori annunciare il prossimo video.
"Dunque Masa-kun, adesso abbiamo un video vecchissimo: Beast of Blood dei Malice Mizer.."
Lo trasmettevano ancora? Dopo quasi dodici anni? Pazzesco.
"Oh Shin, da quanto è che non sentiamo parlare dei Malice Mizer? I componenti singolarmente si sono un po' persi, a parte Mana-Sama che si è dato alle tendenze darkettone"
Tendenze darkettone? Ma ora mettevano le scimmie a condurre i programmi?
"E' vero Masa-kun. Sembra che sia in lutto perenne ormai. Renderà omaggio alla sua virilità mai nata!"
Era una persona calma, non si scaladava per qualche decelebrato debosciato che sparava tesi su un argomento che non era di sua competenza.
"Però dobbiamo riconoscere Shin che i Malice hanno segnato una generazione, insomma trasmettiamo ancora i loro video! Secondo me avrebbero fatto faville se solo non si fossero messi in pausa perenne!"
Faville.. avrebbero fatto faville? Mana non ne era sicuro, però si era sempre chiesto cosa sarebbe successo se avessero continuato con la band.
Le note iniziarono a spandersi per la stanza, mentre Mana osservava se stesso -più giovane di dieci anni, fare giravolte con la chitarra, ondeggiando la chioma corvina, stretto nell'abito nero.
Si perse nei propri pensieri, rigirandosi il piccolo anello di oro bianco che portava all'anulare sinistro tra le dita. Il telefono iniziò a gracchiare sulle note finali di Beast of Blood.
"Moshi-moshi"
"Mana-Sama?" erano in tanti a chiamarlo così. Diciamo pure tutti, esclusa la sua famiglia.
"Sì sono io"
"Sono Yu-ki"
"Cosa vuoi?" anche se fu molto sorpreso dalla chiamata dell'ex-amico, non lo diede a vedere.
"Domani, agli uffici, alle nove in punto. Vedi di esserci"
"Perchè?"
Tu-tu-tu-tu.
Aveva riagganciato.
Ma lui era o non era Mana?
Premette il tasto di re-call e aspettò.
"Sì?"
"Yu-ki, sono Mana.."
Tu-tu-tu-tu.
Il bastardo aveva riattaccato.
Ricompose ancora una volta il numero, testardo come al solito.
"Yu-ki, o mi dici cosa hai in mente oppure col cazzo che vengo domani! Non ci sentiamo da dieci anni e pretendi che mi fidi ciecamente?"
Il bassista sorrise sotto i baffi, non era cambiata di una virgola la principessa.
"E invece dovrai fidarti."
"Dimmi cosa hai in quella testa vuota"
"Un'idea!"
Tu-tu-tu-tu.
Mana non richiamò più.
Ma fissò il nulla, pensando a cosa mai volesse Yu-ki da lui.
Dalla cucina, sentiva nitidamente le voci dei presentatori.
Ci scommetto che quello ha qualche idea per i Malice Mizer!

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Capitolo 2
*** Meeting old friends ***


Capitolo 1
Meeting old friends

Erano seduti tutti e quattro al grande tavolo di metallo della stanza delle riunioni.
Si scrutavano, senza dire una parola. Provavano sensazioni strane ad essere di nuovo tutti sotto lo stesso tetto.
Si fissavano negli occhi, mentre tutti i ricordi di quel decennio passato a vivere insieme -o quasi, riaffioravano prepotenti.
Kozi osservava, con un sottile velo di nostalgia, l'abbigliamento di Mana. Egli aveva ormai abbandonato i vestitoni coloratissimi, le gonne di tulle, pizzi e merletti, colori pazzi ed esagerati per passare a lunghe tuniche nere. Anche queste molto belle, senza dubbio, ma per lui il vero Mana sarebbe sempre stato la principessa col vestito in stile bambola di porcellana, blu con i merletti bianchi e la parrucca a boccoli biondi.
E Mana osservava, anche lui nostalgico, il suo Pierrot, che aveva ormai abbandonato le sembianze di clown, per concedersi un look più maturo. Niente più colletti esageratamente circensi e colori che ferivano gli occhi da quanto erano abbaglianti.
Nulla era più come allora. Anche il loro vocalist era cambiato radicalmente. Quell'uomo ha due personalità diverse, si trovò a pensare Mana. Da truccato era il principe delle tenebre, un perfetto dandi dark, bello e dannato. Da struccato era uno spettacolo, faccia da bravo ragazzo (abbastanza figo, aggiungerebbe Kozi).. lo si poteva scambiare per un attore. Era quest'ultimo il suo aspetto odierno.
"Allora, vi ho riunito tutti qui per un'idea fenomenale" esordì, eccitato, Yu-ki.
Tutti attesero pazientemente, cercando di formulare ipotesi.
"Riuniamoci"
Non una mosca volò nella stanza, non un battito di ciglio. L'unica emozione che trapelò fu lo sconcerto iniziale del vocalist e del Pierrot. Sconvolti.
"Lo sapevo.." pronunciò Mana, senza abbandonare la sua maschera di severità.
"Ma sei impazzito?" riuscì ad esalare dopo un poco, Klaha.
"Motivazioni?" chiese Kozi.
"Bhe.. possiamo ancora fare grandi cose insieme. Siamo tutti musicisti di indubbio valore e capacità.. e credo che sia giunto il momento di prendere una decisione. Non possiamo rimanere in pausa per sempre. O ci sciogliamo o ci riuniamo. Io propongo la seconda. Faremo grandi cose, lo ribadisco."
Il silenzio calò, come un sipario cremisi su un'opera teatrale incerta.
Tutti pensavano.
Klaha rifletteva, fumando, se fosse giusto ritirare la proposta di uscire dalle scene.
Kozi cercava di quantificare in yen quanto il progetto gli sarebbe fruttato.
Mana si mordeva il pollice, dubbioso. Di avere due band era fuori discussione. Era gia stressato così, senza contare il poco tempo che dedicava alla sua famiglia. Se avesse partecipato nuovamente ai Malice Mizer, l'ora scarsa giornaliera che passava a casa si sarebbe annullata.
Yu-ki aspettava impaziente, col sorriso di speranza che non abbandonava il suo volto.
"Non lo so" esordì la bambola.
"Nemmeno io" soggiunse il Pierrot.
"Idem" terminò il vocalist.
Il sorriso di Yu-ki si eclissò.
"Prendetevi tempo per pensare. I fan hanno aspettato dieci anni, non sarà qualche settimana ad ucciderli!"
"Ci rivedremo qui, tra una settimana esatta, stessa ora." terminò il bassista.

Il seme della follia era stato piantato. Ora bisognava solo attendere che germogliasse. Pochi giorni e le tenere radici avrebbero mosso i primi, incerti passi. Per poi trascinare la mente con sè, farla schiava e imporle il proprio dominio.
Li aveva conivnti sufficentemente.
Aveva smosso il portafoglio di Kozi, quindi lui era assicurato.
Aveva fatto leva sull'amore di Klaha per i fan e la musica.
E aveva pressato sulla grande mole di fama che avrebbero ricevuto per attirare l'attenzione di Mana.
Ora entrava in gioco il Destino.

Camminava per le strade affollate di Tokyo. Il campanile elettronico segnava le 21:18.
Affondava il viso nel bavero del lungo cappotto scuro.
La riunione di quel mattino l'aveva smosso. Decisamente.
Gli mancava la fama, il successo, le fan.
Gli mancava esprimere se stesso. Sì, perchè la musica era la voce della sua anima.
Un voce forte, chiara e limpida che non poteva essere ignorata.
Scalciava e si agitava finchè non riusciva a lieberarsi e a raggiungere più persone possibili.
A Kozi era sempre piaciuta l'idea che la sua voce ispirasse altre voci.
Altri animi, che potessero dilagare e ricominciare a ispirare qualcun'altro, continuando la ciclicità dell'evento.
Si era cucito addosso un'immagine da donnaiolo, playboy che sfruttava le amanti a sacchi. Aveva cercato di fare ciò anche coi suoi band-mates, ma l'impresa non era riuscita con Mana. Gli altri ci erano cascati in pieno, ma la bambola no. Nemmeno per un secondo. Lui era l'unico capace di scostare il velo, la maschera con cui Kozi nascondeva la sua persona al mondo. E sotto questo velo, a detta di Mana, si celava un animo sensibile e meraviglioso.
Ovviamente la bambola non l'aveva confessato questo suo pensiero al Pierrot.
Ne andava della sua immagine.
La sua voce -più viva che mai, gli diceva di accettare la proposta di Yu-ki. Ma era combattuto.
Da un lato, la ragione gli suggeriva che sarebbero stati più i rischi che i vantaggi, che la scena visual e rock giapponese era mutata nel corso degli anni.
Avevano chiuso in grande stile e rischiavano di fare la figura dei cretini, ritornando sotto ai riflettori con un sicuro shock mediatico.
Dall'altro, il cuore gli diceva di accettare, di far scaturire ancora la sua voce e continuare ad issare il suo credo mediante note e parole.
Lotta fra mente e cuore.
E dentro di lui, vinceva sempre il cuore.

No. No. No.
Che figura avrebbe fatto?
Ritirarsi definitivamente, per poi -un mese dopo, annunciare un improvviso ritorno alle scene?
Era fuori discussione.
I Malice Mizer erano finiti. Era da tempo che stava pensando all'eventualità di contattare gli ex band-mates per proporgli di sciogliersi una volta per tutte.
Quella "pausa", come avevano voluto chiamarla, era solo un pretesto. Un'assurda scusa per non doversi risvegliare e rendersi conto una volta per tutte che il sogno era finito. Il fuoco aveva iniziato a spegnersi ben prima che lui entrasse nella band, e ormai le ceneri di quel grande falò che erano stati si erano dissipate e sparpagliate nel vento.
Avevano chiuso bene, in grande stile.
Che bisogno c'era di fare la figura dei decelebrati davanti a tutto il Giappone?
Era assolutamente fuori discussione che lui accettasse di cantare nuovamente nel gruppo.
Si era anche stupito che Yu-ki avesse chiamalo lui e non qell'altro.
Insomma, i tempi migliori -d'oro, li avevano avuti con Gackt.
Che contattassero quel moro slavato...

Chiuse con un gesto brusco il portatile, affondando il volto morbido nelle mani paffute. Era stanco. La settimana che il bassista gli aveva elargito stava terminando.
E lui non aveva ancora fatto pace col cervello. Non riusciva a pensare.
Si abbandonò, sconsolato, poggiando il capo sulla scrivania di mogano.
Non era da lui tutta questa indecisione.
Lui. Lui che di solito aveva sempre lampante cosa fosse meglio fare, quale era la decisione migliore per tutti.
In quel momento si malediceva per essersi tanto attaccato ad entrambi i suoi progetti.
Moi dix Mois e Malice Mizer non potevano convivere.
Una delle due band sarebbe stata accantonata.
Di certo si sarebbe sentito un tantino una mocciosetta viziata a comunicare ai suoi attuali band-mates che li avrebbe mollati, per inseguire una chimera effimera, un sogno che si era ripresentato prepotentemente nella sua vita.
Che figura avrebbe fatto, portando in alto il loro nome e il loro symphonic-goth metal, per poi abbandonare tutto al minimo cenno di resurrezione del passato?
Aveva sempre confidato a tutti i suoi compagni che erano un progetto con cui voleva continuare, e che non li avrebbe mollati per nulla al mondo.
Che figura avrebbe fatto?
Per lui, così realista, sempre desideroso di avere risposte concrete, tutte quelle domande lo innervosivano soltanto, rendendolo ancor più confuso.

Note: eccoci giunti alla fine del primo -effettivo- capitolo. Wooh. Qui siamo al primo capitolo, e io sto stendendo ancora il settimo @_@ Dèi del cielo, qui verrà tirata per le lungheee >w<. E qualche commento non mi dispiacerebbe, sapete? *fa cerchietti al muro*

QUESTO CAPITOLO è DEDICATO A DUE PERSONE:
Voglio dedicare queste righe a due persone, che comparo alla vita e alla morte, in questo momento, all'inizio e alla fine di tutto:
-Lovelie Miyavi Ishihara: la piccola appena nata! Tanti auguri!
-Jasmine You: appena scomparso. Ammetto di non essere una "grande fan", ma la sua morte comunque mi ha riempito di tristezza, per il semplice fatto che era una persona.. ogni persona è una vita.. e ogni vita merita rispetto. Un bacio a tutti e due, due auguri diversi ovviamente, ma fatti col cuore.
LadyWay

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Capitolo 3
*** The choice ***


Capitolo 2
The choice

"Buongiorno" li accolse Yu-ki, vedendo entrare contemporaneamente i suoi band-mates.
".. un cazzo!" fu la simpatica risposta di Kozi, ancora mezzo addormentanto e con la sigaretta mollemente racchiusa dalle esili labbra.
Il bassista fece una risatina, il Pierrot aveva appena rimarcato la sua indole allo sproloquio.
Mana gli riservò un'occhiata obliqua, sinonimo di quanto egli non approvasse quel linguaggio fin troppo colorito.
Klaha entrò per ultimo, con un paio di occhiali a fascia che gli coprivano gran parte del volto.
Presero tutti posto attorno al grande tavolo.
La bambola e il vocalist si sedettero composti, mentre il Pierrot si accasciò senza grazia sulla grande poltrona nera.
Yu-ki attese, pazientemente, che qualcuno gli comunicasse l'esito.
"Dunque?" chiese infine, conscio che nessuno avrebbe parlato di propria volontà.
"Sì" esordì Kozi.
Il sorriso del bassista si fece raggiante. L'idea aveva germogliato almeno dentro uno di loro.
"No" soggiunse il vocalist.
Il sorriso del moro si eclissò leggermente.
"Non lo so." terminò Mana.
Il sorriso si eclissò completamente.
Uno e mezzo su tre. Si era aspettato di meglio.
"Non se ne parla nemmeno. Giusto un mese fa ho annunciato il mio ritiro definitivo, e ora dovrei fare la figura del pirla? No, grazie. Contattate l'usignolo"
"Quale usignolo?" domandò Mana, giocando con un bracciale di pietre nere, apparentemente senza interesse.
"Sai benissimo chi intendo"
La bambola tacque.
"Ragazzi. Ci ho pensato bene" esordì il Pierrot, muovendo le mani sul tavolo, come se stesse spostando dei fogli invisibili "e sono giunto alla conclusione che dobbiamo provare. Abbiamo le capacità per farlo"
"Siamo antichi ormai"
"Ma cosa cazzo dici, Mana?"
"La scena visual giapponese è cambiata nell'ultimo decennio. Faremmo ridere e basta se ci riunissimo. L'Allegra Compagnia Dei Vecchietti Sognatori"
Si meritò un dito medio, sapientemente donato da Kozi.
"Se tu ti senti vecchio, non è affar mio. Anche se mi pare strano, detto dall'unico componente ancora attivo!"
Mana mugugnò prima di continuare "Ho già una band. Due non possono coesistere."
"Perchè no? Hai presente Jack White? Porta avanti i White Stripes, Racounteurs e Dead Weather senza problemi"
"Ma io non mi chiamo Jack White, ringraziando il cielo"
"E in più non abbiamo un cantante" proseguì Mana.
"Chiamiamo--" esordì il Pierrot.
"No!"
"Fammi parlare, almeno"
"Ho detto di no. Lui non si chiama."
"E allora cosa vuoi? Chiamare Tetsu? Non credo proprio"
"Trovarne uno nuovo. Ma poi scusa, che discutiamo a fare su chi chiamare per occupare il ruolo di vocalist che non sappiamo nemmeno se la band si rimetterà in attività"
"Molla quei ragazzini gotici e vieni coi Malice Mizer" propose Kozi.
Yu-ki si ritrovò a sorridere. Il Pierrot sembrava ancora più preso dall'idea di lui.
"Te lo sogni. Al momento sono più importanti loro"
Kozi simulò uno starnuto "Scusami, sono allergico alle stronzate"
"Ragazzi, stiamo degenerando" pose fine al dibattito il bassista.
"Mana, seriamente, guardami" disse Kozi.
La bambola si voltò, sbuffando, incontrando gli occhi ambrati del Pierrot. Rimase incantato per pochi attimi.
"Diciamocelo chiaramente. I Malice Mizer possono esistere senza Klaha"
"Ehi!" si riscosse il vocalist. Il Pierrot lo ignorò, continuando il discorso.
"Ma i Malice Mizer non sono i Malice Mizer senza Mana-Sama."
Lo fissò con quella cascata di resina colata, come una lacrima ambrata pianta da una quercia millenaria.
E la bambola non resistette al richiamo del suo Pierrot.
"Va bene" sussurrò e Kozi sorrise trionfante.
"Bhe siamo sinceri. I Malice non sono nulla anche senza di me, ma--" riprese scherzando, ma non fece in tempo a finire che gli arrivò la borsa di Mana addosso.
Tutti risero di gusto, mentre il chitarrista dai capelli corvini, si domandava come avrebbe fatto a uscire da quella situazione.
Si era ingrovigliato in una situazione troppo complicata.
"Datemi ancora qualche giorno per pensarci, vi contatterò io quando avrò preso una decisione" non era una richiesta, quella della bambola, quanto un'affermazione.
Nessuno osò contraddirlo.
"Certo, Mana-kun, prenditi tutto il tempo di cui hai bisogno" rispose Yu-ki, incoraggiante. Tutta quella gentilezza, che di certo non faceva parte del suo carattere, era semplicemente spuntata al fine di convincere i suoi ex band-mates.
".. però entro limiti umanamente accettabili!" soggiunse Kozi, ironico come al solito.
Si meritò uno sguardo di fuoco da parte dell'altro chitarrista.

Erano passate tre settimane. Tre settimane.. ardue, non c'è che dire. E finalmente Mana aveva preso una decisione.
Aveva chiamato, due giorni prima, i suoi ex band-mates dandogli appuntamento. E ora si ritrovava da solo nella sala riunioni, a mordicchiarsi nervosamente il labbro e a stringere in grembo la borsa nera. Era arrivato in anticipo, tanto era impaziente e nervoso.
"Buongiorno honey" si erano visti per tre ore dopo dieci anni e Kozi già aveva ricominciato ad additarlo con quel nomignolo volutamente imbarazzante.
"Buongiorno sugar" rispose a tono la bambola.
Il Pierrot rise di gusto. Nonostante il passare degli anni erano rimasti due ragazzini innamorati. Innamorati della musica e della vita.
"Dormito bene, Vostra Altezza?"
"Meravigliosamente" trattarlo come se fosse stato realmente una principessa era un'esclusiva che la bambola concedeva a Kozi.
"Buongiorno a tutti" entrò un sorridente Yu-ki.
"Ehilà!" seguito a ruota da Klaha.
"Ehi, ma lui che ci fa qui?" chiese il Pierrot rivolto al vocalist.
"Sono venuto per sapere le sorti dei miei carissimi ex band-mates" rispose egli, con un'espressione che voleva essere "kawaii", ma che sembrava più bambi messo sotto da un tir.
Kozi arricciò il naso.
Presero tutti posto e passarono un paio di minuti silenziosi, in cui Mana continuò a evitare gli sguardi dei colleghi e a giocherellare con le lunghe ciocche nere che gli ricadevano sulle spalle.
".. allora?" esordì il bassista, impaziente.
La bambola si concesse qualche altro secondo per rispondere.
"... sì"
Yu-ki sgranò gli occhi. "Allora.. siamo tutti d'accordo? I Malice Mizer si riuniscono?" domandò, gioioso.
"Sì" fu la risposta congiunta di Kozi e Mana.

Mana aveva finalmente preso la propria decisione, che gli era costata cara. Comunicare ai Moi dix Mois -i suoi attuali band-mates, che li avrebbe mollati non era stata cosa semplice.
Giusto il giorno prima aver indetto la riunione coi Malice Mizer ne aveva fatta un'altra con i "ragazzini gotici" come li chiamava Kozi.
Dire che fossero scioccati era poco.
Si era guadagnato parecchi insulti da parte del secondo chitarrista e del batterista.
Il peggiore gli era stato sicuramente lanciato dal primo, citando: "Sei solo un ragazzino. Ci hai usato come rimpiazzo finchè il tuo passato non è risorto. Noi siamo il tuo presente.. e tu sai perfettamente che senza di te i Moi dix Mois si scioglieranno. Sei solo un egoista".
E così si erano sciolti.
Gli unici che -nonostante la batosta, gli erano rimasti vicini erano il bassista e il vocalist. I suoi amici storici, appunto.
E così i Moi dix Mois era ufficialmente finiti.
Una settimana dopo avrebbero fatto il loro ultimo live.
E tutto si sarebbe concluso con un sipario rosso cremisi, che si sarebbe abbassato non solo su di loro, ma anche sulla loro musica.

"Ora non ci resta che trovare un cantante" esordì Kozi.
Erano entrambi seduti nell'elegante soggiorno di Mana, a bere thè e discutere degli ultimi preparativi per la band. Quel pomeriggio, il Pierrot aveva fatto irruzione nell'appartamento della bambola, additando come scusa: non la visito da anni, Mana-chan.
Inutile dire che era una bugia. E Mana se ne era accorto. Il reale proposito di Kozi era di discutere con l'altro chitarrista dell'argomento "cantante". La bambola sapeva dove il collega voleva andare a parare eppure non trovava modo per difendersi. Era totalmente privo di armi.
"Già"
"Cosa pensavi di fare, a proposito?"
Mana prese da un cassetto del tavolino di noce qualche foglio pinzato, si risedette sul candido divano blu e iniziò a parlare con tono basso e candenzato, quasi soffiando le parole.
"Pensavo di fare delle audizioni. Qui ci sono i documenti per affittare il locale a Shibuya dove potremo svolgere la cernita nella più totale privacy e sicurezza, senza che inutili giornalisti e paparazzi facciano incursion--"
Mana si bloccò quando una mano di Kozi agguantò la sua, stringendola delicatamente e con una dolcezza che mal si accordava con l'apparire del Pierrot.
"Macchan.." ecco, quando lo chiamava con quel nomignolo era perchè la notizia successiva non gli sarebbe piaciuta.
"... non pensi che sarebbe ora di dimenticare il passato?".
Dimenticare il passato. Quante volte Mana ci aveva provato, cercando di distruggere la barriera eretta attorno al suo cuore. Eppure, questa si era rivelata inespugnabile e ben costruita. Non degnò Kozi di una risposta. Semplicemente, rimase a fissare dritto dinnanzi a sé, crogiolandosi nei propri pensieri.
"Okay, è stato uno stronzo patentato. Però adesso basta Macchan, così ti fai solo male"
"Pensi che dandogli ancora il benvenuto nella mia vita starò meglio?" chiese, ironicamente la bambola.
"No, non se prima non lo perdoni."
Ecco ciò che Mana odiava di più del Pierrot. La capacità di metterlo alle strette, spalle al muro. Di fargli prendere una decisione senza pressarlo apparentemente, ma causando un moto interiore con le sue parole e i suoi discorsi tale da stordire Mana. Ecco ciò che stava facendo in quel momento, probabilmente senza rendersene conto. Dato che la bambola non dava segni di risposta, Kozi continuò.
"Capisci Macchan, possiamo suonare con un batterista di supporto, ma non possiamo fare altrettanto con il vocalist"
"Ora devi capire se sei pronto a mettere una pietra sul passato e continuare." terminò il suo discorso il Pierrot.
Era sempre stato l'unico in grando di farlo ragionare, e nonostante il lungo periodo che avevano trascorso separati, non era cambiato nulla. Era tutto come allora.

"Ho un'idea" esordì Mana, all'inzio dell'ultima riunione che avevano fissato, prima di annunciare al mondo il loro ritorno.
"Sentiamo" rispose Yu-ki.
"Annunciamo il nostro ritorno alle scene senza vocalist. Per quello ci sarà tempo"
"Cosa speri di ottenere con questo?" chiese il Pierrot, rigirandosi una sigaretta spenta tra le lunghe e affusolate dita.
"Abbiamo capito chi vogliamo come vocalist, solo che ormai è diventato un idol e di certo non abbandonerà quella sua brillante carriera solista per ricongiungersi a noi, se lo conosco bene."
"Quindi?" lo esortò Kozi
"Quindi.. dobbiamo smuoverlo. E' come un bambino. Un po' di psicologia inversa e tornerà strisciando."
"Riassumendo.. se ho capito bene tu vuoi fare in modo che in qualsiasi angolo del giappone si parli di noi.. sottolineando il fatto che non abbiamo ancora un cantante ma che stiamo tenendo, tipo, delle audizioni per trovarlo. Lui si sentirà chiamato in causa e anche "offeso" in un certo senso, dato che non l'abbiamo avveritito di nulla e non l'abbiamo neanche contattato per provare a chiedergli se aveva intenzione di unirsi. Per un po' il suo orgoglio smisurato gli impedirà di contattarci, ma poi lo farà e noi lo accoglieremo nella band, non senza averlo fatto penare sufficientemente da portare il suo spirito di competizione ai massimi livelli storici" disse, in un attacco di logorrea, Kozi.
"Vedo che avete capito prefettamente" commentò soddisfatto, Mana.

Uscì dalla cabina doccia e si avvolse in un profumato accappatoio.
Si frizionò i capelli scuri con il cappuccio immacolato, prima di dirigersi in soggiorno.
Estrasse un pacchetto stropicciato dalla profonda tasca del soprabito, da cui prese una sigaretta.
Aspirò grandi boccate di fumo e si perse nella contemplazione dei riccioli ondeggianti che danzavano nell'aria, una volta espirati.
Guardò l'orologio: le sedici e quattordici. Mancavano ancora due ore piene prima dell'incontro con Chachamaru*. Dovevano portare a termine qualche assurda pratica burocratica prima dell'uscita del nuovo cd.
Ergo, aveva ancora un po' di tempo per sé. Accese in malafede il televisore; reputava i programmi tv come delle inutili accozzaglie di futilità. Strano, dato che lui stesso era ormai un idol. Viveva in ampia parte grazie ai mass media, eppure li denigrava perennemente.
Mise su un canale a caso, senza curarsene. Alle sue orecchie giungevano le note finali di una vecchia canzone dei Plastic Tree, arrivò quindi alla conclusione di essersi sintonizzato sul canale musicale.
La voce limpida e acuta della presentatrice lo riscosse.
"E questa era Baka ni natta no, una canzone che ha ormai fatto il suo corso."
"E' vero, Nana-san. Incredibile come in questo periodo trasmettiamo così tanti video antichi. Dagli X-Japan ai Malice Mizer."
Malice Mizer. Un sogno infranto. Un'araba fenice destinata a non rinascere mai più. Da quando li aveva lasciati gli era rimasto un ampio senso di vuoto allo stomaco. Lui era convinto che sarebbero, a poco a poco, saliti in cima alle vette di tutto il mondo. Sapeva di essere un bambino egoista.. ma non era mai stato arrivista. Lui amava vedere tutto in grande, ogni cosa: dalla carriera alla musica, dalla famiglia ai sogni.
"A proposito di Malice Mizer.. Ci è appena giunta una notizia che ha dell'incredibile. Qualche mese fa, la band al completo pare essersi re-incontrata dopo anni di astioso silenzio.. e pare abbiano deciso di riunirsi!"
"Già.. pausa finita per una delle band visual più amate"
Riuniti?
La sigaretta gli scivolò dalle labbra piene, infrangendosi contro il morbido tappeto azzurro.
"Eppure, ci sono guai in Paradiso.. pare che Klaha -appena ritirato dalle scene, non abbia accettato di riunirsi alla band. Così i Malice Mizer - o quel che resta, pare terranno delle audizioni chiuse fra qualche giorno, per scegliere un nuovo cantante."
Nuovo cantante? Perchè non avevano neanche cercato di contattarlo? Ovviamente, per mera soddisfazione personale li avrebbe liquidati con un secco no. Però non gli piaceva assolutamente essere messo da parte.
Preso da un impeto dettato più dalla furia che dall'orgoglio, Gackt prese in mano il telefono e digitò veloce un numero che non era riuscito a dimenticare in quegli ultimi undici anni.
*Chachamaru: chitarrista del GacktJOB

Note: ho da fare un appuntino

In realtà, Mana e Kozi, continuano a frequentarsi (anche se sporadicamente) e hanno persino suonato insieme (proprio il giorno del mio compleanno di qualche anno fa **) recentemente. Dunque, nella fic mi sono presa una licenza poetica, facendo in modo che -dopo la pausa, nessuno dei componenti abbia avuto modo di contattare l'altro.

Passerei ai ringraziamenti.. se solo ci fossero commenti! <_<
LadyWay

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Capitolo 4
*** Sachiko, Takanori and Shin ***


Desclaimer: i personaggi qui citati (Mana, Gackt, Kozi, Yu-ki, Klaha) non sono di mi proprità (credete che se lo fossero starei qui a scrivere fanfic? -_-).
Invece mi avvalgo di copyright per Sachiko, Takanori, Shin e Akune, che sono frutto della mia testa U___U
Enjoy.

Capitolo 3
Sachiko, Takanori and Shin

In un lussoso loft, nel centro di Shinagawa*.
Non riusciva a dormire. Inutile tentare. Si alzò, evitando di accendere la luce e raggiunse il soggiorno affidandosi alla memoria. Inciampò diverse volte lungo il percorso. Si era trasferito da poco e ancora non aveva ben chiara la piantina di quell'intricato appartamento.
Si passò una mano tra i capelli, in modo stizzito, spettinandoli ancor di più.
Si lanciò sul divano, accendendosi l'ennesima sigaretta della giornata.
Dovrei smettere.
Quel genere di pensieri, rimanevano tali. Era consapevole che smettere di fumare era un'impresa in cui era inutile cimentarsi. Non aveva abbastanza volontà.. anzi, rettificando, forza di volontà ne aveva a sufficienza, ma solo se e quando la sua pigrizia gli concedeva di tirarla fuori.
E poi, il fumo fungeva da effetto placebo. Lo rilassava, attraverso una qualche contorta spinta emotiva, lo calmava.
E in quel momento era necessario calmarsi.
Si tormentava con mille pensieri inutili, con cui c'entrava sempre -nel bene o nel male, la band. E i suoi, ormai, ex-ex-band-mates.
Si passò una mano sul volto stanco.
Da giorni, ormai, le televisioni -così come le radio e i giornali- non parlavano d'altro che di loro.
Lo shock mediatico che aveva previsto si stava avverando.
Ma era stufo di catalizzare i propri pensieri sulla band e relativi componenti e aggiuntive. Aveva bisogno di staccare.
E sapeva ciò di cui aveva bisogno.
Si vestì velocemente, infilandosi i primi indumenti che gli capitarono sotto mano. Prima di lasciare l'appartamento si curò di spegnere il cellulare.
Sfrecciò per le strade affolate di Tokyo. Pullulavano di persone, che non si facevano intimorire dall'ora estremamente tarda: 3:58.
Si addentrò con la Mazda Taiki Concept -decisamente troppo appariscente per non essere notata, a Koganecho.
Fiancheggiò i marciapiedi, osservando tutte le puttane in minigonna e tacchi a spillo che passeggiavano e fumavano apparentemente tranquille, nasconste dietro una maschera formata dallo spesso strato di fondotinta che si applicavano.
Le vide parlare, a radi gruppetti e si immaginò che stessero commentando con frasi del tipo: con un'auto del genere, deve pagare bene.
Poi, all'improvviso la vide. Una ragazza di media statura, il piccolo e florido seno stretto in un succinto top di paillettes dorate, e una gonna talmente corta che poteva benissimo essere scambiata per un filo di cotone stretto in vita. I lunghi capelli castani scuri le ricadevano lungo il corpo.
Oh merda.
Accostò alla ragazza, che sorrise maliziosa, certa di avere un cliente assicurato.
Sorriso che si eclissò quando vide l'uomo che scese dall'auto.
Le mancò il respiro.
"Koji?" soffiò le parole, sussurrandole.
Il Pierrot non rispose, si limitò ad afferrarle un polso e a trascinarla nell'auto. La ragazza non oppose resistenza.
Partì bruscamente, il sangue che gli ribolliva nelle vene.
"Sachiko?"
La ragazza aveva chinato il capo, incapace di guardarlo, stringendo con forza la minuscola borsa bianco latte.
"Sachiko!" questa volta Kozi urlò.
Sachiko sobbalzò.
"Ma ora dimmi.. cosa cazzo ci facevi a vendere il culo su una strada? Eh?" stillò il chitarrista.
Lei non rispose, cosa che fece -se possibile, irritare ancor di più Kozi che frenò bruscamente in uno spiazzo. Scese dall'auto e si fiondò a strattonare la ragazza per farla uscire. Non ebbe la minima cura. Per miracolo non ruzzolò a terra, ma la presa ferrea del Pierrot si serrò attorno alle sue braccia. La scosse, fissandola negli occhi, mortalmente serio.
"Cosa cazzo ci facevi a sputtanarti? Sei totalmente ricoglionita?" urlò a pieni polmoni. La ragazza non si fece intimorire.
"Cosa cazzo pensi che dovrei fare, se non ho nemmeno i soldi per un piatto di ramen, eh?". Fu un attimo. L'affusolata mano del chitarrista la schiaffeggiò con grande forza. Si tenne la guancia colpita con una mano smaltata e con occhi lampeggianti rispose strillando "Ci sei solo per questo. Non ci sei mai stato per un cazzo e mai ci sarai. Non ti frega nulla di me. Non ti frega se non so più come tirare avanti, non ti frega un cazzo se l'unica cosa che posso permettermi è vendermi. Pensi mi faccia piacere? Pensi che guadagni in autostima donandomi per qualche sporco e fottuto yen? No, cazzo.".
Kozi tacque.
Lei continuò a sostenere il suo sguardo, furente e ferita. Si poteva chiaramente leggere il dolore sul suo volto. Il dolore dell'abbandono.
"Se fosse passata la polizia, ti avrebbero arrestato.. non sei maggiorenne" disse lui, calmo.
"Tua madre ha perso il lavoro?" soggiunse, una volta constatato che Sachiko non avrebbe risposto.
Lei abbassò il capo.
"No"
"E allora perchè?"
"Perchè mi ha cacciata di casa, ecco perchè. Perchè dormo sui tavoli dei bar, fingendo di essere ubriaca, per passare un po' di tempo al caldo. Perchè mangio una volta al giorno se mi va bene..perchè devo badare a me stessa" rispose la ragazza, sull'orlo delle lacrime.
Sachiko era sempre stata una ragazza forte. Erano rare le volte che Kozi l'aveva vista piangere da bambina, se non in casi di grande dolore. E ora, che la rivedeva dopo un anno, già sedicenne... si sentì una vera e propria merda, per usare i suoi termini.
L'unica cosa che potè fare fu stringerla nel suo abbraccio caldo e protettivo.
L'abbraccio che solo un padre può donare.

In un appartamento, nel cuore di Ginza**.
Si accasciò, ormai stanco, accanto ad Akune. Le circondò la vita con un braccio magro, attirandola a sè e baciandola tra i lunghi capelli castani punteggiati di viola.
Il sesso con lei era l'atto più appagante che si potesse chiedere alla vita.
Anche se loro non lo chiamavano "sesso" ma "amore". Loro facevano l'amore. L'unione perfetta di mente, cuore e corpo.
Dopo pochi minuti, lei si addormentò, lasciando Mana solo coi suoi pensieri.
Osservò il piccolo orologio digitale, che lampeggiava, brandendo le cifre scarlatte: 2:21.
Si alzò, incapace di prendere sonno. Odiava questa sua indole all'insonnia. Si ritrovava a vagare per casa alle ore più improbabili del mattino. Molte volte andava a disturbare Takanori, che aveva ereditato dal padre questo fastidioso tratto genetico.
Aprì la porta di legno di noce lentamente, senza far rumore, nel caso si fosse addormentato.
Il letto era vuoto.
Possibile che non fosse ancora tornato?
Sì, possibilissimo.
Ah, ma gli avrebbe dato una bella accoglienza, senza dubbio.
Per occupare il tempo, si diresse verso il suo studio. Aprì un cassetto della scrivania prendendo una scatola da scarpe abbastanza vecchia e consunta.
Dentro una pila di fotografie che lo ritraevano, ancora ventenne, in mille pose diverse.. sempre abbracciato a Gackt. Tranne quando non era stato un loro bacio passionale ad essere immortalato, ovviamente. Sorrise amaramente al pensiero di tutti quegli anni passati a credere all'amore eterno e tutte quelle stronzate che gli metteva in testa il bel vocalist. Si era mostrato per quello che era alla fine, un bastardo. Nulla di più. Ma non aveva voglia di ricordare e di guastarsi il fegato. Anche Kozi glielo aveva detto: doveva fare pace col cervello e prepararsi ad affrontare il passato, mettendoci una pietra sopra.
Anche se era difficilissimo.
"Ehi" una voce bella e profonda lo riscosse dalle sue considerazioni.
Sulla soglia dello studio si ergeva la figura di Takanori, in tutti i suoi -splendidi, centosessantadue centimetri. Era abbastanza tappetto, tratto assolutamente ereditato dalla madre.
Era avvolto in un lungo pigiama azzurro.
"Ah ben tornato" gli rispose Mana, cercando di assumere un tono severo.
Takanori si disegnò un punto interrogativo in volto.
"Tornato? Da dove?" domandò, inarcando le sopracciglia sottili.
"Prima sono entrato in camera tua ed era vuota. Ne ho dedotto che non fossi ancora tornato!"
"Ma se non sono neanche uscito!" replicò il ragazzo, incredulo.
"E allora dov'eri?"
"Sul balcone" rispose, come se fosse ovvio.
"Cioè, tu, al ventinove di gennaio esci sul balcone in pigiama?" chiese Mana, stupito.
"Certo. L'aria fresca mi fa venire sonno."
"Di solito è il contrario, nelle persone normali"
"Appunto, nelle persone normali. Non lamentarti se devo ricorrere a strataggemmi per prendere sonno. Colpa tua e dei tuoi geni vampireschi!"
Mana non potè replicare nulla.
"Che facevi? Rivangavi il passato?" chiese il giovane, sorridendo, indicando le fotografie.
La bambola sospirò. "Già"
Takanori si accovacciò accanto a lui, passandogli un braccio attorno alle spalle magre e poggiando il capo su di esse.
Anche Mana si lasciò andare, sorretto dal ragazzo.
Restarono a sfogliare le fotografie, ridendo e ricordando eventi e momenti passati di cui anche Takanori aveva memoria.
"Quando eri piccolo lo chiamavi papà" disse Mana, indicando un foto che ritraeva un Takanori di una quattordicina di anni più giovane, in braccio a un fresco Gackt.
Il ragazzo arricciò il naso.
".. bhe se era per quello chiamavo te Mamma. Avevo le idee parecchio confuse a riguardo" sorrise.
"Bhè, era comprensibile.."
"Già" Takanori scosse il capo rassegnato, cercando di scacciare via i ricordi spiacevoli dell'infanzia legati alla madre.
Alla sua vera madre.
E ringraziò metalmente il padre per non averlo mai abbandonato.
Almeno tu.

In un monolocale, periferia di Minato***
Aveva passato tutto il giorno col televisore acceso, fiondandocisi davanti appena udiva il loro nome. Finalmente era tutto tornato come allora. Più o meno. I fan lo fermavano ancora a nugoli per i marciapiedi. Eppure per essere davvero tutto come allora, avrebbe dovuto aspettare due cose: un cantante e i soldi. Senza cantante non si producevano cd, senza cd non si veniva pagati.. senza paga Yu-ki sarebbe rimasto per sempre in quel piccolo monolocale. Certo, era abbastanza lussoso, ma non aveva niente a che vedere che la villa in periferia in cui aveva abitato fino a qualche anno dopo il disfacimento della band. Quella casa era il lusso fatto mobile. Era quasi esagerata.
E poi... gli mancava ancora un pezzo della sua anima. Che non sarebbe più tornato indietro.
Quante notti spese a versare lacrime che sperava funzionassero alla stregua di un unguento curativo, riportando in vita il suo unico amore.
Ma ciò era solo un'inutile, futile e vana speranza. Ormai aveva fatto l'abitudine a convivere col dolore.
Non aveva più avuto amanti, fidanzati o altro dopo di lui.
E mai ne avrebbe avuti.
Un giorno, in Francia, Mana gli aveva raccontato una storia particolare. Una ragazza che perdette l'amato in giovanissima età si chiuse nel dolore e nella sua spirale di apatia. Si ghettizzò nella propria stanza che fece addobbare esclusivamente di nero. Non vestì più nessun'altro colore e condusse una vita triste, infelice e sola. Morì giovane anche lei, distrutta e divorata dal proprio dolore. Nonostante la ragazza abitasse in un castello stupendo come solo Chenonceau poteva essere non uscì più dalla sua prigione nera e non si lasciò alle spalle il passato.
Si sentiva un po' come questa ragazza.
Il suo cuore era la sua prigione. Aveva eretto un muro inespugnabile attorno ad esso. Non lo sentiva battere da un'eternità.
Ed era convinto che niente e nessuno l'avrebbe mai fatto uscire da questo circolo vizioso.
Guardò distrattamente le lancette dell'orologio. 1:39.
Si rimise a letto, immergendosi nel piumone.
Sognò. Sognò di una vita in cui lui c'era ancora. Una vita in cui lui non se n'era mai andato.
... prese la sua mano, e danzò tra i fiori. E fu felice, dopo tanto tempo. Una lacrima solitaria gli rigò il volto eburneo, mentre un timido sorriso gioioso gli increspava appena le belle labbra.

In una magione, in un quartiere chiuso a Tokyo.****

Non aveva avuto abbastanza coraggio.
Aveva composto il numero di telefono della sua bambola ma appena ebbe sentito la voce calda e profonda giungere dall'altro lato dell'apparecchio, aveva improvvisamente riattaccato, incapace di sostenere un discorso con lui.
E poi, cosa avrebbe potuto dirgli?
Ohayo Mana-sama! Lo so che è da tanto che non ci sentiamo.. però vorrei sapere perchè non hai pensato di avvisarmi di questo repentino cambio di programmi. E specialmente perchè non mi hai chiesto se volevo ri-diventare il vocalist della band. Nhaa.
Troppo infantile e pretenzioso. Gli avrebbe riso in faccia.
Scostò senza troppa cura le braccia che lo avvolgevano, e si alzò a sedere tra le soffici coperte di seta. Osservò le cifre lampeggianti della sveglia: 4:02.
"Gacchan..." una voce dolce e impastata dal sonno, troppo poco virile per un ragazzo, lo reclamò, immerso nelle lenzuola. Quelle lenzuola pregne di sesso.
"Mh"
"Che fai? Non riesci a dormire?" il ragazzo si strofinò teneramente una palpebra, prima di issarsi a sedere a sua volta e circondare con le braccia il collo dell'amante, poggiando la testa sulla sua spalla.
"Tranquillo Shin-shi. Sono un tipo abbastanza insonne. Torna a dormire, piccolo" gli battè dolcemente l'indice sul naso, prima di voltarsi e farlo stendere nuovamente. Lo osservò ributtarsi tra le calde braccia di Morfeo. Il visetto ovale, gli occhi arcuati, il naso dritto e dolce e le labbra sottili. Davvero un bel ragazzo.
Però non aveva nulla a che vedere con la sua bambolina: il viso tondo e paffuto, gli occhi a mandorla dalla forma particolare e vagamente europea, il nasino leggermente schiacciato -che a nessun essere vivente sarebbe stato bene, tranne a lui - e le labbra carnose dalla forma a cuore.
Sospirò, scacciando l'immagine di quell'incantevole creatura.
Si alzò, cercando di non svegliare Shin, e si incamminò per i lunghi e infiniti corridoi della Magione.
Scelta sbagliata. Ogni angolo, ogni corridoio, ogni mobile gli ricordava quel volto eternamente bello. Complice il fatto che avevano scopato in ogni dove, in quella casa. Erano due macchine del sesso, all'epoca. Non ne erano mai sazi. E forse, si ritrovò a pensare Gackt, è questo ciò che proviamo quando facciamo sesso con la nostra anima gemella, con colui o colei che ci completa.. questo è fare l'amore.
Si resero conto tardi, che la loro non era mera soddisfazione carnale: era di più. Molto di più. Ma all'epoca erano troppo giovani per rendersene conto.
Non aveva più avuto notizie della sua bambola, dopo che si erano lasciati. E cio gli dispiaceva. A dire il vero, quella notte, Gackt si dispiacque più di non sapere se avrebbe avuto nuovamente campo libero con Mana, che avere realmente sue notizie.

*Shinagawa: quartiere di Tokyo, abbastanza avveniristico ed aperto.
**Ginza: altro quartiere di Tokyo, raffinato, elegante e con negozi molto cari.
***Minato: ennesimo quartiere di Tokyo, sede dell'alta società.
**** quartiere chiuso: non ho idea di dove abiti Gackto-san, e nemmeno se esiste questo genere di quartiere in Giappone. Però io ho immaginato un luogo chiuso, un quartiere per "celebrità" o comunque persone che potrebbero essere assediate da giornalisti e fan. Uno di quei posti chiusi, in cui c'è la guardia all'entrata. Non so se mi sono spiegata sufficientemente bene XD.

Note: Qualche appuntino. A dire il vero, mentre scrivevo questo capitolo, circa tre settimane errotte fa, Sachiko non doveva essere figlia di Kozi. Insomma, quel pezzo è venuto da se, non avevo proprio in programma di far incontrare nessuno al Pierrot u.ù. Però mi è venuta fuori così.. e grazie a ciò avverrano più fatti nel corso della storia *.*.
Takanori è un caso a parte. Della sua esistenza si sa già dal primo capitolo, se guardate bene. Mentre loo descrivevo (tappo e capelli blu) avevo piantata in testa la foto di Ruki (il cantante dei the gazettE) da adolescente T__T, anche il nome è il suo. Quindi.. bhè, se volete vedere come lo immagino potete reperire facilmente un immagine.
E ora parto col dire che Shin è in assoluto il mio personaggio preferito **. Lo amo. Me lo sposerei, se solo non fosse proprietà di Gackt Camui e gay <_<. Provo un amore pazzesco per questo personaggio, è sopra tutti gli altri da me creati **.

E ora FINALMENTE posso fare dei ringraziamenti **:
_Nine_ : Arigatou Gozaimasu. Mi hai lusingato. Con questa fic volevo proprio essere "naturale", cioè che fosse un qualcos che POTREBBE succedere nella vita vera. Non potevi farmi più felice con questa parola *w*. E grazie per averla messa tra le seguite ^^.
Jemei: anche io adoro Mana e Gackt xD. E a dire il vero la coppia ManaxGackt mi piaceva fino a qualche tempo fa.. adesso la trovo scontata, nonostante la faccia apparire nella fic. n_n. Però tranquilla, se non sei una fan, non penso rimarrai delusa *spera* *ghigna* xDDD.

Adesso scappo che i credits sono più lunghi della fic T____T.
Bai bai,
LadyWay

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Capitolo 5
*** Vivian ***


Capitolo 4
Vivian

Albeggiava appena, quando si decise a tornare a letto.
Aveva passato quasi due ore immerso nei vecchi ricordi, un bicchiere di sake in mano e un vecchio album di fotografie aperto.
Se gli avessero chiesto cos'era ciò a cui teneva di più in quell'ammasso di comfort che lui chiamava casa, avrebbe risposto che era quell'album.
Non la jacuzzi dotata di cromo-terapia e che gli permetteva di avere alcuni giochi di luce che gli modificavano il colore dell'acqua.
Non il guardaroba di venti mq, provvisto di ogni genere di abito al mondo.
Non la ferrari in garage, rossa e fiammante, proprio il genere di esagerazioni che lui amava tanto.
... bensì un semplicissimo album di vecchie fotografie.
Si era soffermato ad osservarne una in cui appariva lui, giovanissimo e ancora "naturale", con in braccio Takanori. Sentì una sensazione di vuoto allo stomaco, osservando il bel visetto ovale del bambino, gli occhi che parevano frammenti di Ossidiana e i capelli corvini liscissimi. Identico a suo padre, due gocce d'acqua.
Gli mancava anche lui, indubbiamente. Si era abituato a sentirsi chiamare papà all'epoca. Eppure, si ritrovò a pensare Gackt, quello che era ormai diventato un quasi diciottenne non l'avrebbe mai più chiamato a quel modo.
Sospirò e si adagiò tra le coltri. Passarono pochi minuti prima che la sveglia di Shin si mettesse a suonare, quasi comandando che era ora di alzarsi. Il sopracitato ragazzo fece un tuffo in aria di qualche centimetro, per poi ricadere proprio sopra a Gackt.
Risero entrambi, poi Shin cercò di districarsi dall'ammasso di coperte nel quale era avvolto.. con scarsi risultati.
La scena che seguì fu etichettata dal vocalist come "la papera più buffa del mondo".
Riassumento: Shin dichiarò guerra alle lenzuola, tra le risate dell'amante.
Una volta terminata l'epica battaglia, il ragazzo iniziò a rivestirsi, sotto gli occhi ammirati del cantante.
"Shin-shi, ma io ti preferisco senza le mutandine" esordì Gackt con voce infantile e una scorta di candidezza che si sarebbe conciliata meglio ad una bambina capricciosa che non al Dio della libidine.
Il ragazzo lo guardò divertito.
"Lo so Gacky, anche io ti preferisco senza nulla addosso. Però Shin-shi deve andare a lavorare.."
"Ma cosa lavori a fare se hai me?" ostentò egli con tono -se possibile, ancor più querulo.
"Non voglio dipendere da nessuno Gackto-san".
In quel momento i ruoli si erano decisamente invertiti. Il vocalist aveva assunto gli atteggiamenti di un ragazzino.
Gackt sospirò. Shin era molto indipendente e aveva un senso del dovere decisamente alto. Era maturo e sapeva distinguere tra priorità e divertimento.
E lui sapeva bene che il ragazzo aveva ragione.
Mentre provvedeva ad abbottonare la liscissima camicia di seta -ovviamente regalo dell'amante- Gackt gli arrivò alle spalle, circondandogli la vita con le braccia esili e poggiando il capo sulla sua spalla.
Poi lo fece voltare e provvedette a baciarlo con enfasi.
Dopo un interminabile minuto Shin si staccò -seppur malvolentieri.
"Gacchan devo andare.." mugugnò appena, mentre il vocalist lo riempiva di piccoli baci bollenti lungo il profilo della mandibola.
Gackt si staccò, e lo squadrò da capo a piedi per poi proclamare "E tu vai al tuo primo giorno di lavoro conciato così?" con un sopracciglio alzato, tanto per sottolineare la propria perplessità.
"Certo.." Shin si guardò convinto, passandosi le belle mani sulla giacca blu del completo.
"No no Shin-shi!" lo prese per mano e lo guidò al proprio armadio. Prese un completo di Gucci e glielo porse.
"No, Gackt!" disse, risoluto.
Il moro continuò a brandire il completo sotto agli occhi dell'amante.
Alla fine desistette.
"Sembro un bonbon ripieno al caramello" disse il ragazzo, guardandosi allo specchio.
"Ti sta divinamente.. ora vai su, che fai tardi" gli riservò un fugace bacio a fior di labbra per poi sospingerlo verso la porta della camera da letto.
Shin fece per andarsene, ma una volta poggiata l'affusolata mano sulla maniglia ebbe un ripensamento, si voltò con aria fintamente serafica.
"Gacchan.. abbiamo ancora un po' di tempo. Perchè non lo sfruttiamo?" Gackt accolse con vivo interesse la richiesta di Shin.

"Grazie.." sussurrò Sachiko prendendo la coperta che le stava porgendo il Pierrot.
L'aveva portata a casa sua, non sapendo cosa fare.
E da qualche minuto erano caduti in un silenzio imbarazzante e vuoto.
Sachiko si mordicchiava freneticamente il labbro inferiore, vizio ereditato proprio dal padre.
Lui invece non riusciva a fermarsi per più di qualche istante. Utilizzava tutte le scuse più banali per muoversi. Ad esempio aveva tirato fuori del sushi fresco per la ragazza, sprecando un sacco di tempo a posizionarlo sul piatto. Anche lui era consapevole che quelle manovre non solo erano inutili, ma anche un astuto stratagemma per scaricare il nervoso che gli procurava rivedere dopo anni la figlia.
Soprattutto perchè si sentiva ancora in colpa, tremendamente.
"Perchè ti ha cacciata di casa?" riuscì a domandare alla fine Kozi.
Sachiko si prese qualche minuto per rispondere, attorcigliandosi una ciocca velocemente e torturandosi il labbro.
".. ecco.. è complicato e.. non saprei da dove.. ecco.. non saprei da dove cominciare"
"Forse dall'inizio.." propose il Pierrot.
Lei sorrise forzatamente e in modo sfuggevole.
"Tanti fattori determinanti" rispose fugacemente.
"Tipo?" lui non era assolutamente quel tipo di persona che lasciava un argomento in sospeso. Le cosiddette "spine nel fianco" non permetteva maturassero a lungo.. le estraeva con estrema facilità e sfacciataggine.
"Tipo.." tergiversò ".. che le ricordavo troppo te" soggiunse in fine, con voce bassa e misurata.
Lui si bloccò. Osservò meglio la ragazza: effettivamente gli assomigliava molto. Si poteva dire fossero gocce d'acqua.
Resosi conto dell'imbarazzo nel quale era sprofondata Sachiko, il Pierrot disse "Cazzo, sono le cinque... sarai stanca. Ti porto qualcosa di più comodo" disse indicando con sguardo critico i vestiti succinti della ragazza.
Sachiko degnò di una fugace occhiata la finestra nel breve lasso di tempo in cui fu sola. Albeggiava e i palazzi di Tokyo erano striati di sfumature gialle e rosse: calde e accoglienti.
"Ecco" Kozi le porse una maglia sbracciata bianca, decisamente troppo piccola per lui ma sufficientemente larga per contenere due volte Sachiko, e un paio di pantaloncini acquamarina.
Una volta che lei si fu cambiata la osservò. Lui era decisamente snello, a volte si considerava eccessivamente magro. Eppure Sachiko entrava in quelle vesti taglia small almeno due volte.
Quel particolare lo turbò non poco.

Era sveglio da pochi secondi eppure non aveva la benchè minima voglia di aprire gli occhi.
Però si sentiva eccessivamente anchilosato, come se si fosse addormentato seduto.. un momento.
Si impose di aprire gli occhi. Effettivamente aveva davvero dormito seduto, con la schiena poggiata al muro, ancora una fotografia tra le dita e Takanori che lentamente era scivolato sulle sue gambe, disteso.
Circa verso le tre, il ragazzo si era addormentato e lui era rimasto in quella stessa posizione a guardare le ultime fotografie.. non si era nemmeno reso conto di essere caduto tra le braccia di Morfeo.
Sorrise. Avere Takanori addormentato tra le braccia lo riportava indietro nel tempo, decisamente. Anni e anni indietro..
Lo scosse appena.
"Amore.."
Un grugnito soffocato.
"Ehi.. amore dài svegliati. Taka-chan" lo chiamò con voce dolce.
Il ragazzo si rigirò, mettendosi supino e osservando Mana con espressione sonnolenta.
"Cazzo.. mi sono addormentato."
"Ho notato" rise leggermente, scompigliandogli i corti capelli blu.
"Andrò a letto.." sbadigliò.
"Mh.. non vorrei dire ma ti ho visto il fegato!"
Takanori si abbandonò a una leggera risata.
Poi si alzò e guardò l'orologio dello studio "E' talmente tardi che ormai è presto" sentenziò.
" 'Notte pà-" e lo baciò su una guancia.
"Ormai è Ohayo!"
"Dettagli" rispose, agitando una mano.
Rimasto solo, la bambola guardò la fotografia che stringeva ancora tra le dita paffute.
Sorrise livemente, scostandosi una ciocca corvina dal volto.
Prima di alzarsi, poggiò un lieve bacio sulla superficie liscia e riflettente dell'immagine, abbandonandola nella scatola da scarpe.
Due giovani innamorati al loro primo anniversario. Abbracciati, a guardare il tramonto... stretti. Uno tra le braccia dell'altro, dolcemente persi nella nostalgia evocata dagli ultimi raggi del sole morente. Rivolti verso una notte che doveva ancora essere scritta nelle pagine del cuore.

Poggiò rumorosamente il bicchiere di birra sul tavolo. Si guardò intorno: nonostante si fosse reso conto della sua natura sessuale da oltre vent'anni, non era mai entrato in un gay bar.
I gigolò stretti in perizoma fin troppo succinti e dalle fantasie improbabili, sembravano giocare ad ammaliare. Ti guardavano, lascivi, mentre ti poggiavano l'ordinazione dinnanzi agli occhi. E se tu rispondevi alla provocazione, magari con uno sguardo che di casto possedeva ben poco, essi potevano anche decidere di sedersi accanto a te, su quelle poltroncine scarlatte dall'aria lucida e opaca al tempo stesso, infilandoti le mani in ogni dove e cercando di farsi pagare bene. Poi, se passavi anche questa fase, ti portavano nelle stanzette sul retro, dove potevate divertirvi senza remore e preoccupazioni di occhi indiscreti.
Ma Yu-ki non voleva niente del genere quella sera.
Solo affogare prepotentemente i ricordi tra le increspature color thè del bicchiere.
Peccato che il liquido nella pinta non fosse affatto thè...
Sollevò gli occhi verso il palco illuminato da riflettori sgargianti, su cui improbabili drag queen si attorcigliavano in lunghi boa di piume multicolore. Chissà perchè vedendo ragazzi che si vestivano da donne per lavoro gli veniva in mente Mana.. forse a causa del fatto che, quando erano giovanissimi, Kozi lo sfotteva chiamandolo "drag queen", termine con cui la bambola odiava essere additato, nonostante non fosse poi così lontano dalla sua realtà.
Seguì distrattamente la danza di piume ondeggianti, le parrucche variopinte e i vestiti esagerati.
All'improvviso, lo sguardo ambrato gli cadde su una ballerina. Capelli biondi arricciati in definiti boccoli, occhi dello stesso azzurro dell'oceano e una bocca rosea e morbida. Un corto abito dalle tonalità rosa shocking e tacchi vertiginosi, su cui riusciva a muoversi con eleganza e sicurezza.
Lei -o lui, lo notò, quel bassista -ormai non più riccioluto, seduto ad un tavolo appartato, l'aura che si mischiava allo sfondo fumoso del locale. E gli sorrise.
La guardò cadere tra le braccia di un'altra ballerina -o ballerino, e avvilupparvisi, coprendosi il volto con un lungo ventaglio ricamato, nascondendo un bacio fittizzio.
Con un'ultima -generale, alzata di sottovesti i riflettori si spensero, lasciando il palco nella totale oscurità. Le ballerine scesero a gruppi sparsi e scomparirono, inghiottite dal sipario pailettato.
La sua attenzione venne catturata nuovamente dal boccale schiumoso.
"Ciao"
Yu-ki alzò lo sguardo. Seduta esattamente davanti a lui, la drag queen che prima aveva osservato, gli sorrideva placida e dolce.
"Ciao" rispose in un sussurro il bassista
La ballerina aveva abbandonato l'appariscente costume di scena, per concedersi a vesti un po' più sobrie. Una camicetta azzurro pastello e una gonna al ginocchio color crema. Il tutto aveva un'aria molto anni sessanta.
"Piacere di fare la tua conoscenza, signore" continuò ella, con voce candida e modellata per apparire femminile. Ci passava benissimo, a parte per l'accentuata mancanza di seno.
"Piacere mio" lei allungò una mano -molto maschile, che Yu-ki strinse. Bhè, che la drag queen non fosse giapponese si notava eccome.. aveva una forma degli occhi così dannatamente europea che era impossibile non attribuirgli origini occidentali.
Aveva accavallato le gambe in modo sensuale, e lo fissava con quell'espressione assorta e incredibilmente fanciullesca.
Malizia nei movimenti, ingenuità nello sguardo.
Era così fottutamente bello.
"Ma io ti conosco" esordì a un tratto, la bionda.
Il bassista alzò le sopracciglia.
"Sei il musicista che è apparso alla tele l'altro giorno. Con quel gruppo famoso.. i Malice Mizer, giusto?"
"Sì" soffiò le parole.
"Oh, uno famoso!!" continuò ella gioiosa, attorcigliandosi un boccolo tinto, sempre con quella voce strozzata ma incredibilmente dolce e rassicurante.
Lui sorrise. Si accese una sigaretta e sbuffò il fumo -reso giallo dalla luce presente nel locale.
"Oh, ma fumare ti fa male. Sei un musicista, dovresti riguardarti" disse ella, con tono apprensivo.
Lui rise appena. "Come ti chiami?" le chiese poi.
"Vivian."
"Vivian e.."
"Vivian e basta"
"E' un nome d'arte?" che domande cazzute che si ritrovava a formulare quando era mezzo ubriaco. Come poteva pensare che quel ragazzo travestito si chiamasse sul serio Vivian e basta?
"Spero che la causa di questa incredibile perspicacia sia dovuta all'alcol" disse ironica, ma sempre dolce.
"Lo spero anche io" si abbandonarono alle risate.
"Senti, io adesso stacco da questa bettola. Che ne dici di andare a fare una passeggiata?"
E così si erano ritrovati a camminare nel parco vicino al centro, a braccetto.
C'era da dire che non si incontravano spesso a Tokyo delle drag queen che ti chiedevano di fare una passeggiatina.
E lui non gli aveva nemmeno detto il suo nome.
"Senti.." esordì il bassista.
Vivian gli pose l'indice sulle belle labbra, sussurrando "Ssh. Non dire nulla. Non roviniamo questa pace così effimera ed evanescente che si è venuta a creare, mio bel principe"
"Ma non sai nemmeno il mio nom--"
"Ssssh! Non voglio sapere nulla di te. Mi basta averti accanto sta notte."
Disse il tutto dolcemente, in modo così zuccheroso, con i bellissimi occhi azzuro mare che si specchiavano in quelli scuri e profondi di Yu-ki.
Ripresero a camminare, sotto l'ombrello nero, con la pioggia scrosciante come unico spettatore di quella loro momentanea unione.
Unione che durò finchè la luna non si face abbracciare dalla calda promessa del giorno.

Noticina: il personaggio di Vivian me lo figuro come Chillian Murphy nel film Breakfast on Pluto, da donna.
Quel film non mi stanca mai, lo consiglio a tutti. Anche la voce, me la sono immaginata tale e quale a quella dell'attore doppiato XD, che mi fa morire dal ridere.

Note: uuuuh *-* mi è piaciuto da matti scrivere sia del pezzo di Gackt e Shin (Shin-shi e le mutandine xDDDD) sia di Yu-ki e Vivian (tutto il pezzo ^^). Aaaaah!! E ora, passiamo ai ringraziamenti:
_Nine_ : ma che bello attentare alla vita dei lettori!! *-* xDDD A parte gli scherzi mi spiace di averti fatto finire sul lampadario xDDD. Uuuuuh, mi immgino lo strillino da lecca-lecca *-* grazie per aver commentato ^^ bacioni.

Avviso: domani mattina parto per le vacanze, ci sto cinque giorni, e forse riesco ad avere internet.. in caso contrario, sapete dove mi sono cacciata u.ù

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Capitolo 6
*** Lose you tonight ***


Capitolo 5
Lose you tonight

Passatempo. Così definiva da circa dieci anni tutti i fidanzati che aveva avuto. Dopo la sua bambola nessuno si era dimostrato all'altezza.
Da qualche giorno si era reso conto di una realtà abbastanza cruda. Shin lo amava. Lo amava profondamente... quell'amore per cui ti strapperesti il cuore dal petto per offrirlo al tuo amato. E Gackt non riusciva a ricambiarlo. Viveva nel terrore che Shin pronunciasse quelle due parole, che avrebbero segnato -sicuramente, la fine della loro favola. Il ragazzo sembrava sicuro di essere ricambiato, eppure ogni volta che il vocalist si accorgeva che era lì lì per dirglielo lo zittiva in qualche modo -apparentemente casuale.
Shin era accecato dai propri sentimenti per accorgersene.
Gackt non riusciva a sentirsi in colpa nemmeno di definire quel bambino un passatempo.
Già, per lui era un bambino con cui si divertiva a scopare.
Così era additato nelle sue uscite tra amici. L'unico nel gruppo che provava simpatia nei confronti di Shin -e che lo difendeva sempre, era Chachamaru.
Quella sera era uscito con lui e con un paio di amici di infanzia, Yoshi e Jun, per bere qualcosa. Ovviamente il gruppetto non si sarebbe fermato a qualche birra... decisamente sarebbero tornati a casa barcollando, coi neuroni annacquati da fiumi di alcol, festeggianti impavidi.
Stavano scherzando da quasi un'ora, quando l'argomento toccò il vertice "fidanzati e fidanzate".
"Io e Daisuke l'altra sera abbiamo litigato.. e lui, per farmi incazzare, mi ha tirato dietro una confezione di viagra.. non ho idea di dove l'abbia presa. A lui non serve neanche!" disse a un certo punto Jun, scherzando sulla natura da uke del fidanzato.
"Arima invece quando scopiamo s'è fatta venire un vizio. Si eccita se le bacio le caviglie. Quella è disturbata.. ma forte, veh!" e tutti a ridere per la nuova esclamazione di Yoshi.
Ovviamente a causa delle quantità di alcol già sapientemente ingurgitate, non riuscivano a smettere.
"Ah, Shin in questi giorni penso voglia dirmi le due paroline magiche. Peccato che non abbia ancora capito che tra noi è solo sane scopate. E' proprio un ingenuo." e tutti a ridere.. tranne Chachamaru. Fu un secondo, il chitarrista versò tutto il contenuto del bicchiere sulla testa del vocalist, mettendosi a gridare "Sei tu che sei un coglione patentato. Non ti rendi conto che così facendo uccidi quel povero ragazzo, il cui unico peccato è stato innamorarsi di un bastardo come te. Non ti meriti tutto l'amore che ti riserva".
Il chitarrista prese il proprio cappotto, uscendo dal fumoso locale, ancora irato.
Gackt impiegò qualche secondo per assimilare le dure parole con cui era appena stato additato, per poi decidersi a far pace col cervello e seguire Chachamaru, lungo le affollate strate della capitale.
"Cha-chan. Cha-chan" lo rincorreva per gli stretti vicoli, urlando quel soprannome tanto simile ad uno sciogli-lingua.
Alla fine lo raggiunse, arpionandolo per un esile polso e costringendolo a voltarsi.
"Cosa cazzo vuoi, Satoru?"
Ahia.
Quando lo chiamava col vero nome, voleva dire che il chitarrista stava oltrepassando la sottile soglia della sopportazione.
Doppio Ahia.
Quando si abbandonava allo sproloquio, voleva dire che era più oltre la soglia di quanto non apparisse.
"Che cosa accidenti ti salta in mente?" domandò il vocalist.
Solo allora Chachamaru sembrò riscuotersi dalla rabbia che l'aveva reso schiavo fino a quel momento, soffermandosi a guardare le corte ciocche nere che ricadevano sul volto del vocalist -appesantite dalla birra con cui erano state abbondantemente innaffiate.
Ciò basto per fargli tornare la proverbiale bontà verso il prossimo.
"Scusami.. non volevo rovesciarti il drink addosso. Solo che non mi capacito della stronzaggine che ti sta venendo da qualche tempo. Non riesco a capire come tu possa giocare così coi sentimenti delle persone.. pensaci bene, Gacchan.. non fare errori stupidi di cui potresti pentirti" disse il tutto con voce malinconica, alludendo a ciò che Gackt aveva sentenziato precedentemente.
Appurato che il vocalist non gli avrebbe risposto, Chachamaru gli pose un piccolo e amorevole bacio sulla guancia bianca, poggiando l'affusolata mano sull'altra, dicendo "Sweet dreams, Gacchan" sorridendogli lievemente.
Come poteva una sola persona, racchiudere tanta dolcezza?
Così il chitarrista lasciò quel vicolo, e Gackt venne inghiottito dal buio della sera.

Si rigirò il foglietto tra le dita callose.
L'unica traccia che il suo bello gli aveva donato.
Uno spiraglio cui appoggiarsi, nell'eventualità di un secondo appuntamento.
Quella serata trascorsa a passeggiare sotto il cielo privo di stelle di Tokyo gli era rimasta impressa. Ogni secondo, ogni minuto, ogni sguardo fugace, ogni tocco accidentale. Se lo ricordava, fotogramma per fotogramma.
Un numero, semplice. Qualche cifra buttata giù in fretta, con una scrittura apparentemente elegante, che si rivelava abbastanza disordinata se si prendevano le lettere e i numeri singolarmente. Sotto al numero, una dedica: xoxoxo Vivian.
Quella ragazza l'aveva arpionato. Una drag queen che sembrava più che altro una di quelle avvenenti ballerine del burlesque anni '50.. con un'aria molto vintage, ma frizzante e allegra. Quasi ingenua. Guardandola negli occhi, le si riconosceva inalienabilmente la sindrome di Peter Pan. Sembrava un bambino che non voleva crescere, che era spaventato dalla vita frenetica e priva di attrattiva degli adulti, con la speranza che ardeva ancora viva e perfetta dentro l'anima.
Elemento molto raro da trovare di quei tempi.
Si perse tra le note che fluivano, lente e perfette, dalle casse dello stereo. Era un cd che gli aveva masterizzato tempo addietro Mana.
Spaziava dalla musica classica a quella moderna, e tutte le canzoni avevano influssi di piano.
Quest'ultima canzone -in cui si stava immergendo, era interamente di quel magico strumento dai tasti bianchi e neri. Riusciva ad essere perfetta anche senza l'ausilio di voce, chitarre, violini o qualsiasi altra impurità. Ecco la realtà: nuda e cruda. Come quella canzone.
Era decisamente felice. Non riusciva a togliersi il sorriso dal volto nemmeno impegnandosi.
Però vi era ancora una nota che stonava.
Ostentavano ancora la mancanza di un vocalist. Molto negativo.
Era passata una settimana da quando avevano annunciato il loro ritorno alle scene, ovviamente sottolineando il fatto che fossero senza vocalist -e apparentemente senza batterista, ma per quello ci sarebbe stato tempo di ricontattare il vecchio drummer di supporto.
Pregava che il piano di Mana andasse a buon fine.
... effettivamente, anche scavando nella memoria dei loro primi incontri, non vi era mai stata un'elaborata strategia della bambola che si fosse rivelata inconcludente.
Il bassista confidava molto in questo.
Posò lo sguardo ambrato sul calendario. Una X tracciata con un pennarello rosso, lo informava di che giorno fosse quello che stava vivendo.
Era sempre stato abituato a segnare -ogni mattina prima di colazione, il giorno corrispondente sul calendario.
31 gennaio.
Uno strano nodo alla bocca dello stomaco gli fece distogliere lo sguardo.

Il sole faceva capolino dalle tende socchiuse, filtrando fasci di fastidiosa luce mattutina.
Si rigirò nel piumone, cercando di scollarsi di dosso gli ultimi brandelli di sonno e riappropriarsi del senso di orientamento. Almeno per giungere in bagno senza sbattere contro la parete, insomma.
Si districò dal caldo giaciglio e aprì la finestra. Prese fiato e urlò con ogni remoto brandello di voce che possedeva, sorridendo "Ohayo", verso i palazzi dinnanzi.
Era un'abitudine che aveva preso da bambino. Sua nonna gli diceva sempre che augurare il buongiorno a tutti e a nessuno era un modo migliore per iniziare la giornata.
Se era per questo metteva anche le pantofole in frigo, ma questi erano dettagli.
Dopo, il Pierrot si lanciò nella doccia, spogliandosi velocemente e senza troppa cura di dove finivano i pochi indumenti del suo corredo notturno.
Più tardi avrebbe ritrovato i boxer sul lampadario.
Laciò che l'acqua bollente lo tonificasse e buttò la faccia sotto al getto freddo per svegliarsi.
Strascicò fino in cucina, avvolto in un morbido accappatoio azzurro.
Lì trovò Sachiko, intenta a guardare un notiziario.
"Ohayo, Sa' " disse il Pierrot.
"Ohayo" rispose la nera, sorridendo lievemente e in modo impacciato.
Kozi tirò fuori dal frigo del riso e fece per prendere una ciotola. Poi venne come folgorato, accorgendosi di non essere solo, così fece per prenderne una seconda.
Ma Sachiko lo bloccò "No no, io ho già fatto colazione con dei cereali. Avevo voglia di latte!" disse, attorcigliandosi una ciocca attorno all'affusolato dito.
Poi uscì di corsa dalla cucina, sorridendo.
Il Pierrot incominciò a mangiare.
"Ciao." esordì Sachiko, infilandosi le scarpe sulla soglia di casa, e tenendo lo zaino in precario equilibrio.
"Dove vai?" chiese Kozi, alzando un sopracciglio curato.
"Al lavoro" rispose lei.
"Ah, ok. A che ora torni?" chiese, noncurante.
Lei rimase stranita.
"Torno?" chiese infatti.
Lui la guardò male.
"E certo che torni. Dove vuoi andare?" domandò, col sopracciglio che stava pericolosamente toccando vette inesplorate.
Lei non rispose, sorrise e gli corse incontro, scoccandogli un sonoro bacio sulla guancia bianca.
Poi si voltò, sempre sorridendo.
"Sarò a casa per pranzo. Ciao a dopo" e si richiuse la porta di casa alle spalle.
Ritratto: un chitarrista coi capelli spettinati, avvolto in un accappatoio tre taglie più grande, con una tazza di caffè in mano che guardava ancora con gli occhi strabuzzati la porta da cui poco prima era uscita la figlia adolescente.
Non era certo da Sachiko dare dimostrazioni gratuite d'affetto.
Tornò in cucina e all'improvviso un pensiero lo colse.
Sachiko non lo digerisce il latte.
Un sospetto continuava a maturare dentro di lui.

Fissava il cordless mangiucchiandosi un'unghia da circa mezz'ora
Perchè non chiamava? Cosa succedeva? E se il suo piano di fosse rivelato inaccessibile?
No no. Non poteva cadere vittima di certi pensieri sconclusionati. Sapeva con chi aveva a che fare, e di certo non si sarebbe fatto fottere.
Avrebbe vinto, era solo questione ti tempo.
Si lisciò i pantaloni della tuta.
Il rumore cangiato della porta principale che veniva richiusa e il tintinnare del pesante e quanto mai colmo mazzo di chiavi in possesso di Akune, lo ridestò dalle sue considerazioni.
"Ciao.." sua moglie emerse da un mucchio di pacchetti e buste.
"Aspetta" si alzò dal divano distrattamente e iniziò ad aiutarla a portare gli acquisti in cucina, per poi riporli negli appositi scaffali e nel frigorifero.
"C'era una coda allucinante" disse, trafelata, Akune prima di schioccargli un veloce bacio a stampo. Fece per scostarsi, ma il chitarrista le passò un braccio attorno alla vita, chiudendola in quella che aveva tutta l'aria di essere una limonata in piena regola.
"Ehi ehi, vacci piano!" rise lei, districandosi dall'abbraccio un tantino possessivo di Mana.
"Er.. ma sei in tuta?" domandò, stupefatta, la viola.
Lui passò in rassegna con gli occhi d'Ossidiana il proprio corredo: pantaloni blu leggermente sdruciti dell'adidas con bande laterali bianche (quel modello di cui non un solo capo era rimasto invenduto negli anni novanta), una maglietta in cui si perdeva (che avrebbe funzionato perfettamente come vestito) e il pezzo sopra dei pantaloni (ovviamente blu).
Decisamente insolito vederlo in questa versione più sciupata.
Ma i vestiti erano l'ultimo dei suoi problemi.
"Sì, perchè?"
Lei scoppiò a ridergli in faccia.
Lui la guardò con un'espressione che voleva essere obliqua.
E in quel momento si accorse di aver voglia solo di una cosa, che era certo gli avrebbe fatto mettere da parte tutti i pensieri per un momentaneo abbandono all'arte più pura e bella che potesse esistere. Voleva Akune. E la voleva subito.
Le passò le mani sui fianchi magri, insinuandole sotto la stoffa pesante del maglione, fino a guingere ai delicati boccioli: piccoli e sodi.
Le sfilò la maglia, osservandola in tutto il suo splendore. Era divina.
La baciò con enfasi crescente, in un alternarsi di sguardi d'intesa e carezze seducenti.
Akune gli sfilò il giacchino e poi la maglia, osservandogli il torace magro e glabro per interminabili secondi, prima di accorgersi che il sopracitato l'aveva appena privata dei jeans -certamente d'intralcio.
Provvedette subito a sfilargli i pantaloni, sorridendo alla vista dell'erezione sempre più accentuata.
Il chitarrista gemette quando venne privato dei boxer e sentì le calde labbra di Akune stuzzicarlo e mordicchiarlo con irruenza.
Poi fu solo una danza di passione crescente.
Come unico spettatore, un solitario passerotto che volò dinnanzi alla finestra, cornice di un dipinto d'amore.

Note: beata Akune *ç*. Comunque, il mio povero Shin-shi verrà malrattato da Gackt eh sì.. povero ç_ç. Appuntino: il titolo è una canzone degli HIM il cui testo non c'entra una cippa lippa con il capitolo. Semplicemente "Lose you tonight" è quasi un presagio per il primo tipino di cui ho scritto in questo chap u.ù. Non dico niente, va là!... però una domanda.. l'amore per Shin è solo mio vero? xDDD Mi rispondo da sola: sì, visto che voi l'avete incontrato per due misere volte çAç.. vabbè, spero di avere qualche altro adepto alla sua adorazione quando entreremo più nella storia ^^.
Bacioni e grazie a _Nine_ per la splendida mail che mi hai inviato e per la bella chiaccherata su msn **.
LadyWay

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Capitolo 7
*** Birthday and Vocalist ***


Capitolo 6
Birthday and vocalist

Passeggiava per le strade di Tokyo, coperta da un cielo plumbeo e grigio, che non faceva altro che accentuare la sua già marcata malinconia.
Procedeva con le mani affondate nelle tasche del lungo cappotto grigio, a grandi falcate un tantito strascicate.
Era perso nei suoi pensieri e nella contemplazione dell'asfalto antracite.
Quando alzò gli occhi ambrati, scorse un fioraio.
Lesse l'insegna.
Flora Carino.
Attraverò la strada trafficata, in un alternarsi di clacson e imprecazioni mezze trattenute.
Entrò e la porta tintinnò. Osservò l'interno: fiori in ogni dove, colorati e gioiosi, un piccolo bancone bianco latte con una cassa anch'essa bianca e dietro tutto ciò un incantevole donna bionda -senza dubbio occidentale, con un grosso e pesante grembiule verde.
Si dimenticò all'istante della malinconia che l'aveva attorciglianto nelle sue spirali apatiche.
Carezzò lievemente con l'indice la corolla di un fiore rosso di cui non conosceva il nome: senza dubbio esotico.
"Buongiorno, signore, posso esserle d'aiuto?" La fioraia sfoggiò un sorriso smagliante e felice.
Non potè fare a meno di ricambiare.
Si osservò un secondo attorno.
"Ehm. Volevo un mazzo di rose bianche..." disse il bassista balbettando appena.
Lei ampliò il sorriso ancor di più, prima di dirigersi verso un piccolo anfratto del negozietto, da dove prese una decina di rose bianche: bellissime, stupende e definite. Sembravano cioccolata bianca colata.
Per un secondo tornò indietro nel tempo di undici anni.
"Yu-chan! Yu-chan! Finalmente sei tornato dov--" il rossino si bloccò a metà della frase, modellando le belle labbra in una definita "o" di puro stupore.
Yu-ki gli porse il pensiero, col volto talmente rosso da far concorrenza alla capigliatura del fidanzato.
All'amante si inumidirono gli occhi di una dolcezza infinita, in cui Yu-ki si sciolse completamente.
Lo vide tuffarsi tra i petali di quei fiori stupendi, inspirandone il profumo e carezzandoli lievemente.
Poi due piccole lacrime gli scivolarono, andando a morire sulla bocca rosea, che il bassista provvedette a baciare con immensa dolcezza.
Dio solo sapeva quanto lo amava.
Dio solo.
E forse era troppo persino per lui.
Per tutti.
Il rossino poggiò il meraviglioso mazzo sul ripiano della cucina, prima di saltare al collo del bassista, e stringerlo a sè teneramente.
"Non dovevi.." gli sussurrò in un orecchio.
Oh si che doveva, il suo amato adorava quel tipo di fiori.
"E' solo un pensiero.."
".. un pensiero stupendo"
"Rose bianche per la mia rosa" disse ciò marcando bene la parola 'mia'.
"Ti amo, Yu-chan"
"Ti amo anche io.."
Si riscosse quando la commessa gli disse il prezzo, mentre le incartava.
"Sono per la sua fidanzata?"
"Ehm... no... cioè sì... insomma... più o meno"
Lei rise.
Poi il bassista notò alcuni piccoli fermagli blu a forma di farfalla.
"Cosa sono?" domandò rapito dalla bellezza di tale manufatti.
"Fermaglietti per i fiori, solitamente si appendono alla base del mazzo per tenerli fermi. Vengono duecento yen, ne desidera uno?"
"Sì grazie.. questo qui a forma di farfalla"
Pagò ed uscì.
Dopo qualche minuto di cammino giunse dinnanzi al grande portone di ferro. Sospirò.
La malinconia -che era sparita entrando nel Flora, era tornata appena quella cancellata si era insinuata nella sua visuale.
Entrò, affondando il volto nel bavero del cappotto e strascicando i piedi tra i ciottoli di ghiaia.
Camminò e camminò per i vicoletti, osservando i monumenti e le composizioni alle volte stupende, alle volte misere, di fiori.
Finchè non giunse dinnanzi al pezzo squadrato di marmo bianco.

Si sentiva una vera e propria merda. Come ogni primo Febbraio dell'anno.
Accostò la macchina alla grande chiesa sul retro.
Poggiò la testa sconsolatamente sul volante, stando attento a non far suonare il clacson.
La vita prendeva pieghe inaspettate alle volte, decisamente.
Si era riscoperto così attratto dal progetto Malice Mizer, nonostante non ne facesse parte.
Il suo stupido orgoglio gli impediva di alzare il telefono e comporre un numero. Uno stupido, semplice e chiaro numero di telefono.
Eppure non ne aveva il coraggio.
Iniziò a squillargli il cellulare. Accidenti a lui, che si era dimenticato di spegnerlo.
Pigiò senza voglia il tasto verde del telefonino, lo accostò all'orecchio e rispose con voce bassa -ancor più del normale, e malinconica.
"Moshi-moshi"
"Gacchan!" la voce limpida e gioiosa gli giunse alle orecchie. Tutta quella felicità pensò che l'avrebbe reso ancor più scontroso, triste e malinconico. Invece, inaspettatamente, si risollevò un poco.
"Ciao Shin-shi" curvò gli angoli delle belle labbra in un appena accennato sorriso.
"Sei a casa?"
"No, sono fuori" non diede altre spiegazioni.
"Oh" una nota di tristezza si aggiunse alla bella voce di Shin, ma fu solo un secondo "Sai pensavo di passare a trovarti, appena finito qui. Ma facciamo sta sera..o sei impegnato?" chiese con tono infantile.
"No, Shin. Sono libero. Allora ci vediamo per cena, ok?"
"Certo, Gacky!" un soprannome che odiava, ma che detto da Shin assumeva una vena dolce."Vabè, adesso vado, che sono venuto in bagno solo per chiamarti. Mi piacerebber restare, ma se non mi trovano in ufficio poi il superiore si incazza! E vorrei arrivare a sta sera con la mia virilità tutta intera!"
Gackt rise di gusto, solo Shin poteva avere certe uscite.
"Ma quale virilità Shin-shi?" gli chiese, ironico.
"Ehi, cosa vorresti dire?" domandò quello con tono tagliente.
"Oooh, nulla carissimo."
"Mh" esalò Shin poco convinto "Però ora vado davvero, un bacissimo"
"Anche a te, ciao"
E chiuse.
Scese dalla vettura ancora col sorriso sulle labbra.
Sicuramente era per il dolce pensiero di ciò che avrebbe fatto quella sera.
Si sicuramente è così.
Si autoconvinse mentalmente, mentre il sorriso si eclissava, una volta superato il pesante cancello di ferro battuto.

"Takanori!" chiamò il corvino a gran voce per tutta casa.
"Non urlare, cazzo. Cosa c'è?" chiese questi, con la voce ancora impastata dal sonno, rigirandosi nelle coltri.
"Non parlarmi con questo tono" controbattè tagliente Mana.
"Se non vuoi che ti risponda così non svegliarmi più a quest'ora del mattino!" disse il ragazzo, tuffando il volto sotto al cuscino.
"A proposito" riemerse dal piumone "Perchè mi hai svegliato?"
"Per chiederti le chiavi del motorino"
"E perchè?"
"La mia macchina è dal meccanico, e non vado fin a piedi"
" dove?" chiese Takanori, ancora addormentato.
"Taka, oggi è il suo compleanno" disse Mana con voce maliconica.
"Oh è vero. Me ne ero dimenticato, cazzo. Vuoi che ti accompagni?"
"Nha. Non c'è ne bisogno, tranquillo"
"Mh, ok." e si alzò dal grande letto a due piazze, dirigendosi verso i pantaloni malamente abbandonati su una sedia. Frugò nelle tasche, finchè un tintinnìo metallico non lo informò di essere appena incappato nelle chiavi, che porse al padre.
"Torno per pranzo. Avremo l'onore della tua presenza?" chiese ironico.
"Sì" disse ridendo il ragazzo, scompigliandosi le corte ciocche blu.
"Ciao.. a ehm.. Taka?"chiamò sulla porta.
"Seh?"
"Non credi che sarebbe ora di rifarsi la tinta?" e lasciata questa perla di saggezza uscì di casa.
Il ragazzo si fissò la cute nello specchio. Effettivamente sotto al blu elettrico iniziava a scorgersi il nero corvino della ricrescita.
"Moo" imprecò sotto voce.
Intanto Mana cercava di guidare per le strade di Tokyo sul motorino senza far vedere a tutti i passanti la propria biancheria.
La gonna era troppo ampia e alla minima folata di vento svolazzava.
Soffocava le imprecazioni tra i piccoli e regolari denti bianchi, ficcando l'indumento sotto al sedile cercando di non andare a sbattere.
Anche perchè se non si fosse fatto niente nell'incidente, vi avrebbe posto rimedio Takanori.
Fu quasi estasiato di poter scendere da quella porcheria con le ruote.
Ma quand'è che prende la patente?
Sorpassò i cancelli di ferro battuto con una smorfia in volto, cercando di non indirizzare il pensiero verso la meta.

Aprì con un gesto seccato l'anta dell'armadio a muro. Prese il completo rosso, quello che gli aveva regalato lui.
Era di una stoffa stupenda, rosso cremisi, con intricati deisegni e ghirigori sui polsini, con la cravatta nera e la camicia bianco latte.
Stava davvero bene, anche perchè il vestito richiamava il rosso fuoco dei capelli.
Si osservò per poco, prima di dirigersi in bagno per truccarsi il minimo indispensabile.
Evitò accuratamente ogni contatto con Sachiko -consapevole di essere intrattabile quella mattina. E non era difficile capire il perchè. Bevve il caffè in fretta, scottandosi e finalmente uscì di casa.
Il viaggio in macchina fu abbastanza tranquillo. Cercò di distrarsi in ogni modo possibile: accendendo la radio, mettendosi a ingaggiare un lungo filo di pensieri partito da un nonnulla, ironizzando sul vestiario delle miriadi di persone che camminavano per le strade semi-affollate.
Eppure nei suoi pensieri c'era sempre il suo volto, e non se ne andava nemmeno se si impegnava con ogni grammo delle proprie forze.
Alla fine desistette.
Gli mancava, indubbiamente. La ferita procurata dal suo abbandono non si rimarginava, nemmeno dopo undici anni. Quello che andava a festeggiare, sarebbe stato il suo trentasettesimo compleanno. Undici anni senza di lui.
Varcò il cancello di ferro battuto stringendo il mazzo di girasoli tra le affusolate mani tremanti.

Si erano ritrovati tutti lì, senza mettersi d'accordo.
Tutti e quattro i Malice Mizer erano davanti alla sua tomba di marmo.
La tensione era ben visibile, nascosta dalle mani giunte in silenziose preghiere e dallo sguardo fisso sul monumento di pietra, tanto semplice, ma che a suo tempo richiamò a se mille e più lacrime di cuori spezzati da mani invisibili:

Ukyo Kamimura "Kami" (1973-1999)
We'll love you for ever

Questo l'epitaffio. Semplice ed elegante, in caratteri dorati.
Kozi battè una mano sulla spalla di Yu-ki, che piangeva silenziosamente il fidanzato scomparso prematuramente.
Mana pregava per l'amico, cercando di catalizzare tutte le sue energie nelle semplici parole d'amore che fluivano dai suoi pensieri.
Gackt si limitava a fissare la tomba con le mani affondate nelle tasche del cappotto e col volto tuffato dietro al bavero rialzato.
Nessuno parlava, tutti però erano d'accordo nell'asserire che era solo merito del destino se erano giunti in quel luogo alla stessa ora.
"Ho sentito che vi riunite" esordì Gackt, soffiando le parole col suo tono basso.
"Già." rispose Mana.
Nonostante avessero iniziato a parlare non si guardavano ancora.
"Vi auguro buona fortuna."
"Grazie"
"Però so che non avete un cantante. Posso chiederti come mai Mana, se non sono troppo indiscreto?" pronunciare quel nome dopo così tanti anni gli provocò una scarica di brividi lungo la spina dorsale.
"Klaha si è ritirato dalle scene e non siamo riusciti a convincerlo"
"Ah"
Passarono qualche altro minuto in silenzio. Kozi sapeva che entrambi erano troppo orgogliosi per iniziare il discorso, così si intromise.
"Camui" lo chiamò.
Il vocalist si voltò, e così la nocciola dei suoi occhi entrò in contatto con la colata ambrata del Pierrot che disse "Ti piacerebbe essere il nostro cantante?"
Dritto. Sicuro. Mana boccheggiò.
Gackt tergiversò, guardò la tomba e poi si perse nella contemplazione del fazzoletto di cielo plumbeo sopra le loro teste.
"... sì"

Note: sì due aggiornamenti sta volta.. ma non abituatevi u.ù E' che non vedevo l'ora di postare questo capitolo decisivo **
Baci,
LadyWay

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Capitolo 8
*** Ma Cherie ***


Capitolo 7
Ma cherie

Dire che le televisioni giapponesi fossero impazzite era un eufemismo. Assolutamente. I media bombardavano con la notizia della reunion di Gackt Camui ai Malice Mizer a qualunque ora, durante ogni programma.
La band si rifiutava di rilasciare dichiarazioni, dunque facevano ancor più scalpore.
Mana e Gackt, quella sera, si erano ritrovati inspiegabilmente soli nel salotto di casa di quest'ultimo, a bere caffè -dato che il vocalist detestava il thè, e a parlare.
La gigantesca magione era illuminata da candele alla vaniglia, che spandevano per tutte le stanze baluginìi dorati, che rendevano l'arredamento ancor più elegante di ciò che era.
Mobili di legno scuro, tende drappeggiate, divani di velluto: tutto ricordava il periodo rinascimentale francese. Un'epoca che aveva certamente affascinato ambedue i musicisti, a tal punto da basarci sopra la maggior parte dei loro video e dei propri vestiti di scena.
Mana vi aveva tratto ispirazione addirittura per la realizzazione di due film: un cortometraggio assieme alla formazione della band nel periodo di Gackt, e un lungometraggio assieme a Klaha.
Avevano appena terminato il caffè, e le tazzine giacevano scompostamente sul vassoio rosso scarlatto, vuote.
"Mi sei mancato Mana-chan" sussurrò il vocalist lentamente, con quel tono basso e veloce che lo caratterizzava. Iniziò ad attorcigliarsi una ciocca di capelli corvini del chitarrista attorno al proprio indice bianco.
La bambola lo scostò in malo modo, assumendo un'espressione austera ed impenetrabile.
"Quei tempi sono finiti Camui. Non sono più il tuo giocattolo sessuale" ribattè prontamente, quasi come se rievocare il passato lo divertisse. Infatti abbandonò la maschera severa, per concedersi di arcuare lievemente le belle labbra rosee in un sorriso malizioso e malinconico allo stesso tempo.
Gackt non si fece intimorire. Era abituato a doversi meritare Mana. Nulla per nulla con lui.
Gli prese delicatamente la mano sinistra, sui cui spiccava la fede d'oro bianco. La rimirò e mai come in quel momento un semplice anello potè richiamargli la chiara immagine di una corda. Una corda che opprimeva la sua bambola che però non sembrava accusarne il peso consistente.
Nella testa contornata da ciocche nere del bel vocalist, non passò neppure per un momento che forse a Mana, la fede, non provocava alcun tipo di peso.
"Ehi, mi ascolti?"
Gackt si riscosse dalle proprie considerazioni.
"Scusami, dicevi?"
Mana si accigliò un poco: odiava quando le persone non gli prestavano attenzione mentre parlava.
"Dicevo..." e marcò bene quel verbo "... che non ho mai visto nessuno osservare un anello con quello sguardo" disse, riferendosi allo strano cipiglio inceneritore che aveva assunto l'altro guardandogli la fede.
"Che sguardo?" domandò il vocalist.
"Era come se tu stessi cercando di lanciare fuoco dagli occhi sulla mia fede nuziale" la bambola si divertì parecchio nel riscontrare il tumulto di emozioni che comparirono sul volto di Gackt alla parola riconducibile al proprio matrimonio.
Più che altro scocciatura, a cui il vocalist sovrappose una maschera di fredda indifferenza.
"Mana-chan, stasera accenderò un lume al tempio a favore della povera anima che ha deciso di passare la proria vita con te" amava prenderlo in giro.
La bambola si espresse in una risata ironica prima di ribattere pungente ".. vorresti essere tu quella povera anima, vero?"
Gackt abbandonò il sorriso e si alzò, dirigendosi verso il ripiano bar.
"Uuuh, punto sul vivo Camui?"
E improvvisamente, il vocalist si mise a cantare.
"konou no gogo no hiru wa mou sukoshi yume no naka hoshi furu yoru wo machi negai wo kakeyou"* La bambola sorrise a quelle parole, prima di iniziare anch'egli a canticchiare
"Ma chérie.. kobitotachi wa wake mo naku kikkake mo nanimo naku"*
Per poi ridere.
"E' passato tanto tempo dall'ultima volta che ho intonato queste note, Macchan"
"Idem"
Pochi versi, che decantavano ogni volta che finivano di fare l'amore. Non sapevano nemmeno il perchè.. semplicemente era diventato un rito, un'abitudine.
Abitudine sparita assieme a tutto il resto.
A entrambi, come un flashback, tornò in mente la loro ultima volta...

Gackt Camui si accese l'ennesima sigaretta della giornata. Era nervoso: evento abbastanza unico per uno come lui, che si comportava con stoica non chalance in ogni occasione. Aspettava il suo amato, per l'ultimo addio. Quante vane preghiere rivolte a tutti e a nessuno aveva espresso nell'attesa su quella sedia pieghevole di plastica blu: non voleva separarsi da lui. Però non c'erano altre vie possibili. Portò la sigaretta alle labbra, inspirando profondamente: subito iniziò a tossire, mentre guardava la fautrice di tutto ciò: la sigaretta era ormai ridotta a un esile mozzicone, e ne aveva appena fumato il filtro.
"Cazzo" imprecò tra i colpi di tosse che lo scuotevano.
"Buongiorno anche a te, Camui" esordì una voce conosciuta.
Il cantante si voltò: sulla soglia si ergeva la figura della sua bambolina. I capelli castani raccolti in definiti boccoli gli incorniciavano il viso lievemente truccato, il vestito nero dallo scollo quadrato fasciava il corpo magro e le balze della gonna introducevano due gambe snelle e femminili, bianche come perle e lisce come seta.
Si perse a contemplare quel miracolo, senza accorgersi di avere assunto la stessa espressione di un "tonno" come lo definì ironicamente il chitarrista.
"Chiudi la bocca, Camui." lo additò questi, poggiando la borsa sulla sedia dinnanzi al vocalist e sfilandosi uno ad uno i corti guanti neri, scoprendo due mani paffute e molto poco femminili.
Gackt obbedì per poi abbandonare il pudore e l'ammirazione iniziali, agguantare la bambola per l'esile polso e farla sedere sul proprio grembo. Prese ad accarezzare uno dei tanti boccoli perfetti, il cui colore gli ricordava tanto l'autunno quanto le foglie sparpagliate lungo i viali negli ultimi giorni settembrini.
E poi un bacio: piccolo e dolce, talmente pieno di amore da sbalordire il chitarrista.
Il vocalist lo vide ad occhi spalancati per la prima volta in vita sua, e quell'immagine gli sarebbe rimbalzata nei pensieri per almeno una settimana.
Se fossero stati in pubblico, la bambola avrebbe indossato nuovamente la sua maschera impassibile: ma erano soli. Loro. E nessun'altro. Quindi scaraventò via quella maschera e si gettò teneramente al collo del vocalist.
Chiuse gli occhi e si abbandonò tra le braccia forti dell'amato.
Fu la volta di Gackt di essere preso alla sprovvista.
Rimasero abbracciati per minuti che parvero interminabili, mentre il sole morente gettava un ultimo -pallido, sguardo giallognolo al piccolo e spoglio monolocale in cui erano.
Quello era il luogo designato per gli incontri, nel primo periodo della loro storia, quando si nascondevano agli occhi del mondo.
Era poi caduto in disuso, ospite di brevissimi incontri o totalmente disabitato.
Si perse nel profumo del chitarrista, infilandosi tra le pieghe della sua eleganza, attingendone esili brandelli.
Questi poi, iniziò a sbottonargli la camicia, passando le mani curate sul torso nudo e glabro.
Dovette trattenere più di un gemito, certamente più adatto ad un porno di serie zeta, mentre il piccolo e -apparentemente, innocente chitarrista si destreggiava con la stessa abilità di una squillo d'alto borgo: elegante e raffinato, ma incredibilmente lascivo e malizioso. Comportamenti che non gli si cucivano bene addosso.
"M-mana.." sussurrò infine il nome dell'amato, scivolando nel piacere sotto il tocco esperto di quelle tozze dita. Guardandole non si sarebbe mai aspettato che possedessero tutta quell'abilità.
E prima di sollevarlo di peso e portarlo nell'attigua stanza da letto -ove si trovava soltanto un materasso bianco con un lenzuolo posato sopra alla meno peggio- Gackt si ritrovò a versare una piccola, minuscola ed insignificante lacrima, che ebbe l'accortezza di asciugare prima che Mana se ne potesse accorgere.

Cercò freneticamente ciò di cui aveva bisogno. Frugò in ogni antina, sportello e cassetto: neanche l'ombra. Quel bagno era troppo grande, decisamente!
"Cazzo!" imprecò, irata. Sacramentò un altro paio di volte, poi -presa da una rabbia che andava acuendosi sempre più, gettò all'aria gli asciugamani ben ripiegati.
E finalmente lo vide: uno spazzolino, verde pistacchio e dalle setole bianche e dure.
Lo fissò con occhi famelici: ne aveva bisogno. Lo prese tra le lunghe dita piangendo: si era ripromessa di non farlo più, però aveva la necessità di farlo. Si credeva tanto forte da poter smettere quando le pareva.. e invece era come qualsiasi vizioso, o dipendente che fosse. Non viveva senza quello.
Si sentiva una stupida. Era abbastanza intelligente da capire che con quel gesto si rovinava la vita. Non che ci fosse molto da salvare, comunque!
Sempre piangendo infilò la base dello spazzolino in bocca. Prese coraggio e lo spinse in fondo, fin quando -finalmente, rigettò la propria cena.
Sputò tutto nel water, rimanendo poi accovacciata, le braccia mollemente pendenti sulla tavoletta, la testa poggiata anch'essa, gli occhi rivolti verso la sua rovina.
Poi, qualcuno bussò.
"Sachiko" la voce di Kozi le giunse ovattata dalla porta chiusa.
Si ridestò dalle proprie considerazioni, da quel momento di intersezione cui si era concessa e tirò lo sciacquone.
Aprì la porta di scatto, proprio prima che il Pierrot vi bussasse nuovamente.
Le sorrise e lei ricambiò fugacemente.
"Buonanotte, otosan"
"'Notte, Sacchan"
Si chiuse in camera e si spogliò lentamente, facendo cadere gli indumenti a terra scompostamente. E poi si guardò allo specchio: le ossa del costato spiccavano contro la pelle bianca, le braccia e le gambe erano talmente esili che le si sarebbe scambiate per grissini.
Un'altra lacrima le scivolò, energica, procedendo la sua breve corsa a velocità disarmante prima di eclissarsi sulle labbra piene.
Una volta che si fu rivestita si coricò con l'i-pod nelle orecchie.
Lo accese, e dagli auricolari scaturirono le prime note di una vecchia canzone, dalla risoluzione bassa.
Una canzone di cui aveva un sentore, ma che non riusciva a collegare a niente.
La musica procedette, e poi una voce splendida, potente e dolce allo stesso tempo, le inondò i pensieri, portandola innumerevoli anni addietro.
Ma chérie.
Una canzone della vecchia band di suo padre.
Come si chiamavano? Mal.. mali.. mals.. ah ecco! Malice Mizer.
Come aveva fatto a dimenticarsene?
Era cresciuta assieme a loro e li aveva già dimenticati?
No, impossibile dimenticarsi di loro.
Si ritrovò a pensare questo, accoccolandosi tra le coperte, avvolgendosi nel tepore della stanza.. e poi si addormentò, tra le dolci note provenienti dagli auricolari, cullata dalla voce rassicurante di Gackt. E sognò, Sachiko... un episodio avvenuto anni e anni prima:

"Per piacere, Otosan**, ci canti una canzone?" la voce piccola e tenera di Takanori supplicò il bel vocalist.
Era una fredda serata invernale, fuori nevicava e Mana e Kozi erano usciti a bere qualcosa, lasciando i due bambini a lui.
Il vocalist allora li aveva fatti sedere entrambi sul proprio grembo e gli aveva letto una storia "della buonanotte".
Peccato che i due bambini avessero ereditato più tratti genetici dai rispettivi padri di quanto non volessero ammettere.
Uno di questi era di considerare Gackt alla stregua di un juke-box: gli facevano cantare qualsiasi -e dico qualsiasi, cosa.
Non che a lui dispiacesse, sia chiaro, specialmente se a chiederglielo erano quei due angeli.
"Cosa volete che vi canti?" domandò questi, con tono affettuoso.
A Takanori gli si leggeva negli occhi quanto lo adorasse. E la cosa era reciproca. Un po' li invidiava, quei tre: erano una famiglia. Quella che lei non aveva mai avuto.
Certo, suo padre non era certo uno che se ne fregava, però lei sentiva il bisogno di avere una madre che non la schernisse, importunasse, picchiasse e insultasse tutto il tempo.
"Ma chérie" esordì lei.
"Aggiudicato" disse il vocalist.
E poi iniziò a cantare. Si appoggiarono entrambi contro di lui, rilassandosi e godendosi quelle coccole gratuite, certamente ben accette.
"Muriyari oshitsukerareta katai kutsu no sei de show window no naka de ugokenai ano hito hima dakara kono shuumatsu wa xxx douri de koko no mawari no hitotachi ni somattemiru nomo ii kamo ne "*
Si persero tra le note, addormentandosi col sorriso sulle piccole labbra.

Si guardò intorno, nervoso, cercandola. Poco prima era sparita, seguita da un ragazzino in piena fase ormonale, in una di quelle stanzette fiocamente illuminate.
E mentre osservava la chioma abboccolata sparire dietro la piccola porta grigia, non aveva potuto fare a meno di provare uno spiacevole nodo allo stomaco: gelosia. Pura e distruttiva.
L'affogava in un bicchiere di Margarita da ormai venti abbondanti minuti.
Sospirò, intuendo che la ballerina non sarebbe ricomparsa per ancora un po' e si concesse completamente all'alcol.
Ma da quando era diventato un ubriacone?
Da quando ho conosciuto Lei, probabilmente.
Sì, perchè da quando la conosceva passava ogni sera a prenderla quando staccava dal lavoro. E lei lavorava in un bar.
"Ehi, Yu-chan" improvvisamente gli giunse alle orecchie un fiato appesantito da litri di birra. Si voltò sorpreso: alle sue spalle un individuo di circa vent'anni gli sorrideva ebete e brandiva una bottiglia di Guinness in mano.
Ma chi cazzo..?
"Chè non mi riconosci? Eppure quello sbronzo sono io" e rise in modo malsano.
Il bassista ostentò l'espressione indecifrabile, scavando negli immensi archivi di quasi quarant'anni di vita in cerca di quel volto: occhi sporgenti, naso adunco e capelli alle spalle disordinati e mal tenuti.
Niente.
Nemmeno nei recessi più neri dei suoi ricordi riusciva a ricordare chi fosse quel ragazzino dall'aria vacua.
"Ehm.. io non--"
"Ehi barman, lancia due birre qui" venne interrotto dal ragazzo.
In un secondo si ritrovò una Asahi sotto al naso.
"Allora non ti ricordi, nè?"
Yu-ki scosse il capo flebilmente.
L'altro sorrise enigmatico per poi proclamare con voce intrisa di una qualche sorta di malinconia e rabbia represse "Ci sarà tempo per questo". Poi ingoiò in un solo sorso il contenuto della bottiglia. La sbattè sul tavolo e impuntò gli occhi scuri e inespressivi sul corpo del bassista: cercava di intrufolarsi tra le pieghe e i bottoni della camicia azzurra di questi, con sguardo punteggiato di una lieve malizia.
A Yu-ki avevano sempre dato fastidio quel genere di sguardi: le iridi sembravano assumere vita propria e sfilarti gli indumenti di dosso con misurata calma, per poi osservare il lavoro finito con una sorta di reverenziale desiderio sessuale.
Porci.
Lui era timido per natura.
E poi non aveva ancora riconosciuto lo strano tizio, ma era stato comunque intimorito da quella frase finale, che alle sue orecchie era suonata come una minaccia neanche troppo velata.
Sperava che Vivian arrivasse in fretta, così avrebbe avuto una scusa pronta per mollare il tizio il cui sguardo ora indugiava sulla cerniera dei suoi jeans fumè.
Il bassista volse lo sguardo da un'altra parte, imbarazzato. Sentiva distintamente le proprie orecchie colorarsi a poco a poco di un intenso rosso carminio.
All'improvviso ri-voltò la testa verso lo sconosciuto che fissava indecifrabilmente lo specchio posto dinnanzi a loro, sullo sfondo del bar. Sembrava rivangare vecchi ricordi e parole pronunciate anni addietro.
Poi vide un qualcosa che gli riempì il cuore di gioia: Vivian stava tornando, scuotendo la folta chioma a destra e a manca, sorridendo splendidamente.
Era talmente preso a rimirare la ballerina che non si accorse dello sguardo terrorizzato dello sconociuto alla vista di quest'ultima.. e non lo vide neppure dileguarsi a tempo record, prima di poter essere intercettato anche lui.
Quando la bionda giunse, Yu-ki le riservò un sorriso abbagliante, per poi agguantarla per un sottile polso e trascinarla fuori dal fumoso locale.
Mentre camminavano per le strade Tokyesi punteggiate di luminarie, Yu-ki ripensò alle enigmatiche parole del ragazzo.
Ci sarà tempo per questo.
Uno strano senso di inquietudine lo avvolse, come una calda coperta che non lo abbandonò finchè Vivian non espresse una singolare richiesta.
"Piccolo, perchè non mi porti a casa tua?" gli soffiò sulle labbra, con voce lievemente più strozzata del solito.
Lui sorrise, inebriato da quella dolce richiesta.
"Ma certo, Ma chérie"
E così si incamminarono verso l'appartamento del bassista, abbracciati uno all'altro, sorridendo, bagnati dai riflessi delle luci al neon multicolori.

*Testo della canzone Ma Chérie dei Malice Mizer
**Otosan: forma umile di "papà" in Giapponese.

Note: ordunque, cosa dire: ho scelto la canzone Ma Cherie come filo conduttore di tutto.. e nel pezzo di Yu-ki è completamente tirato per i capelli, ma vabbè.
Iniziano a vedersi i problemi di Sachiko, e trapelano ricordi di un'infanzia condivisa assieme a Takanori.
Gackt ci prova ancora con la sua bambolina , che però non sembra interessato.
Yu-ki e Vivian stanno proseguendo la loro storia.. e attenzione al tipo arcigno che "minaccia" +per così dire+ il nostro bassista.. ricomparirà più avanti nella storia!!
Fatemi gli auguri, sono ufficialmente mogliata!! *_* auguri Amore (alias _Nine_).
Baci a tutti voi,
LadyWay

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Capitolo 9
*** Punky Heart and Light-blue fairy ***


Capitolo 8
Punky Heart and Light-blue fairy
Nb: linguaggio colorito!!
Takanori ciondolava per il cortile dell'istituto, costretto nell'uniforme blu -che si intonava alla perfezione alla sua eccentrica capigliatura, fumando una sigaretta. Non aveva molto da fare, se non osservarsi in giro. Pareva tranquillo quando si sedette sotto alla chioma di un albero dai rami nodosi e rigogliosi -di cui non conosceva il nome. In realtà era all'erta: lo era sempre, a scuola. Non poteva assolutamente abbassare la guardia: Shinya e la sua banda potevano arrivare in qualsiasi momento.
E sarebbero stati dolori.
Sospirò passandosi una mano tra i capelli, scompigliandoli.
A dire il vero era anche colpa loro se veniva quotidianamente pestato: quel colore era il suo vanto, però gli era costato tanto. Primo fra tutti, gli insegnanti avevano iniziato a guardarlo male e a convocare suo padre per intimargli di fare qualcosa -intimazioni bellamente ignorate dal chitarrista. Quando il corpo docenti aveva capito che parlare della questione "capelli" con Mana era inutile, aveva provato a convocare Akune. Aveva gettato la spugna appena vista la chioma castana punteggiata di viola della donna. Rise a quei pensieri: se l'era cavata solo per i propri voti. Era uno dei migliori della classe, senza nemmeno faticare, quindi gli insegnanti si erano rassegnati.
Ma non i suoi compagni. Oh no, loro lo circuivano ancora, appena gli era possibile. Gli riempivano il banco e l'armadietto di scritte come "Frocio", "Emo", "Drogato" e "Succhiacazzi".
Si era donato anima e corpo per non far sapere chi fosse suo padre: sia perchè lo avrebbe portato a essere assediato da fangirl esaltate, sia perchè sarebbe stato picchiato ancora di più da Shinya che odiava qualunque maschio si infilasse una gonna. E per due anni c'era riuscito. Ma l'anno prima, una Gothic Lolita gli aveva piazzato di fianco al volto una foto di Mana, comparando i tratti fisionomici somiglianti: gli occhi d'Ossidiana dal taglio obliquo, il naso lievemente aquilino ma dalla linea elegante e le labbra a cuore. Molto femminei ed eleganti. E così incredibilmente simili. Erano due gocce d'acqua, assolutamente. Da lì in poi avevano iniziato a correre voci, e quel branco d'idioti aveva finalmente capito dove avesse già sentito il suo cognome.
E' molto comune.
Che scusa banale, trita e ritrita.
E alla fine l'avevano scoperto definitivamente.
E quel fottuto giorno, Takanori era tornato a casa coperto di lividi.

Tentennò appena, prima di riuscire a centrare la serratura con la chiave. Finalmente riuscì ad aprirla e barcollò in casa: aveva una caviglia slogata, e camminare non gli riusciva molto.
"Taka-chan, la cena è quasi pronta.. dov'eri finito?" chiese amorevole Akune, arrivando con un sottile sorriso a incresparle le belle labbra. Sorriso che scomparì appena vide le condizioni in cui versava il suo figliastro: aveva un occhio nero, uno zigomo gonfio tendente a un preoccupante viola-blu e un labbro spaccato.
Indossava la divisa estiva, dunque le braccia erano scoperte: su di esse troneggiavano una decina di lividi violacei, e qualche abrasione da sigaretta.
Sì, quei bastardi si erano divertiti a spegnergli delle sigarette sul braccio.
Akune fece cadere i panni che teneva tra le braccia, e gli occhi le si riempirono di lacrime. Si avvicinò al ragazzo, e gli prese le mani osservando i lividi.
"Ma chi.. cosa.."
Un tratto della propria personalità che Takanori odiava era la sua spiccata sensibilità e la propensione al pianto. Aveva la lacrima facile: si commuoveva per poco lui.
Bhè, quel giorno si odiò per non riuscire a reprimere le piccole gocce salate che rotolarono dai suoi splendenti occhi d'Ossidiana -così dannatamenti intensi, andando certamente ad acuire la preoccupazione di Akune, che lo abbracciò stretto.
"... perchè?" riuscì solo a chiedergli.
"A scuola si è sparsa la voce che sono figlio di uno che sembra una femmina" disse mestamente Takanori, scrollando le spalle.
La viola lo strinse ancora più forte.
"Ti prego non dirglielo" la supplicò lui, guardandola negli occhi.
E Akune non potè fare a meno di annuire.

La sua fortuna era che il padre fosse fuori per lavoro.
Takanori non voleva che si incolpasse: non avrebbe sopportato di vedere l'espressione di puro dispiacere che si sarebbe dipinta sul volto di Mana vedendo il viso tumefatto e il corpo martoriato del figlio.

Scosse la testa, scacciando tutti quei pensieri inutili. Chiuse gli occhi ed aprì le porte dorate del suo mondo personale, in cui si immerse completamente. Infilò l'i-pod e si isolò ancor di più. Le note di Aphrodite* lo attraversarono parte a parte. Amava quella canzone: una delle sue preferite.
Non fece in tempo a giungere alla fine dell'intro che si sentì agguantare per il colletto della camicia e tirare su di peso. Aprì gli occhi spaesato: cazzo!
"Ehi, principessina" Shinya lo teneva stretto, come in una morsa di ferro. Lo aveva alzato da terra di dieci abbondanti centimetri e lo scuoteva con ardore tutto animalesco e un'espressione non proprio intelligente sul volto.
"Cosa cazzo vuoi stronzo?" gli rispose a tono il blu, cercando -per una volta, di difendersi.
"Oh oh, che ci sono cresciute le palle nel weekend?" lo sfottè il corvino. I suoi scagnozzi risero ebeti.
"Fottiti". Questo slancio di coraggio gli valse un pugno in pieno volto. Percepì subito un sentore vagamente metallico parvadergli la bocca.
Cazzo.

Stette bene attento a nascondere il volto tumefatto sotto al cappuccio della felpa, entrando nel negozio sotto casa.
Andò velocemente al reparto cosmetici e scorse impazientemente tutti gli scaffali alla ricerca dei fondotinta.
Doveva assolutamente coprire i segni evidenti dell'ultimo pestaggio, appena subìto. Suo padre era a casa in quel periodo e non voleva -per nulla al mondo, farsi scoprire.
Bingo!
Li trovò finalmente, in un espositore poco lontano. Numero 46. Perfetto.
Diede un veloce sguardo ad uno specchio in prossimità della cassa: faceva spavento. Un occhio violaceo e un livido sotto all'altro. Francamente non era nemmeno sicuro che il fondotinta avrebbe coperto sufficentemente tutto. Ma doveva almeno tentare.
Uscì dal negozio, ispirando l'aria fresca della sera chiara, appena scesa.
Decise di fare una passeggiata. Amava il colore di cui si tingeva l'atmosfera a quell'ora, una specie di grigio fumo, che scuriva l'ombra degli alti palazzi.
Ma prima si rintanò in un maleodorante vicolo, estraendo il suo fedele specchietto e spalmandosi accuratamente mezzo tubetto di fondotinta sul viso.
Osservò il lavoro finito: non c'era male, ma guardandolo attentamente si notava eccome che aveva dei lividi violacei e freschi.
Masticò una bestemmia tra i denti, dirigendosi al proprio negozio preferito: Disk. Questo il nome -orribile per giunta, di un piccolo music-shop.
Piccolo sì, ma con ogni genere di album, disco, audiocassetta e vinile -sì, persino le audiocassette.
Aveva tutto.
Nel vero senso della parola.
Dai Sex Pistols agli HIM.
Dai the gazettE ai Girugamesh.
Dai Moi dix Mois agli Impled.
Ogni genere conosciuto dall'uomo.
Un giorno, spulciando tra gli scaffali, Takanori aveva rinvenuto persino una vecchia copia malridotta di Merveilles: la copertina opaca, rotta agli angoli, col cartone scheggiato e il libretto strappato a metà. Ma il cd era in ottime condizioni.
Entrò nel negozio e si guardò attorno.
I poster anni '80, le t-shirt usate e le numerossissime chitarre e bassi che costellavano le pareti, donavano all'ambiente un'aria quasi sacra.
In un angolo, posto sopra a un cavalletto rialzato, troneggiava un piccolo palco illuminato, su cui svettavano le riproduzioni delle chitarre di Alexi Laiho e Jimi Hendrix e del basso di John Deacon. Gli idoli personali del proprietario del negozio, un ragazzo sulla trentina, alto e dinoccolato, dai folti capelli neri acconciati in modo bizzarro persino per uno come Takanori, i vestiti molto -troppo, alla Miyavi e il trucco più dark che avesse mai visto.
E a parlare era il figlio di Manabu Satou, ricordiamocelo!
Il blu sorrise nel ritrovarsi davanti la figura di Kazuhiro Hongo -il suddetto proprietario- agghindato come al solito in uno dei suoi appariscenti vestiti.
"Ehllà, fata turchina!" lo salutò il corvino.
"Ciao baka" rispose a tono il blu.
L'altro storse il naso, sorridendo.
"Cosa posso fare per te?" chiese subito dopo.
"Ti sono arrivate le bacchette che ti avevo ordinato la settimana scorsa?" chiese Takanori, girando un paio di espositori di cd usati.
Kazuhiro chiuse un occhio, riflettendo "Ehm.. credo che mi siano arrivate stamattina. Ma non ne sono sicuro"
E così dicendo sparì nel retro del negozio.

Rimasto solo, Takanori si mise a gironzolare per le lunghe file di scaffali, apparentemente non interessato. All'improvviso il campanello sopra all'ingresso tintinnò. Il blu si accucciò ancor di più dietro agli espositori -già normalmente più alti di lui, per osservare meglio quella che aveva tutta l'aria di essere una punk.
Probabilmente aveva la sua stessa età: lunghi capelli castano scuro striati di rosso, un piercing doppio nero al labbro inferiore, occhi grandi, ambrati e liquidi, labbra sottili e ben modellate. Un corpo niente male, stretto in una gonna scozzese a quadri rossi e neri e un giubbotto di pelle con qualche catenella.
Davvero invitante.
Dissimulò un fischio con un colpo di tosse calibrato.
"Ciao, punky heart" Kazuhiro era riemerso dal retro bottega, stringendo un sacchetto di plastica -probabilmente con dentro le sue bacchette.
"Stronzo!" rispose quella con una punta di divertimento nella voce.
Il corvino simulò un cuore con le mani, prima di ridere.
"Cosa posso fare per te, dolcezza?"
"Primo: toglierti quel sorrisetto strafottente dalle labbra. Secondo: ti sono arrivate le corde che ti avevo chiesto?"
"Sì, eccole qui" le porse un pacchetto con dentro delle sottilissime corde di chitarra. Takanori non era un esperto, ma vivere con un chitarrista si era rivelato abbastanza fruttuoso.
"Ehi ho visto che cerchi personale..." gli disse la ragazza.
Personale? E cosa aspettava quel decelebrato a dirglielo? Le calende greche?
"Seh, lasciamo stare. Mi rode ancora il ci-siamo-capiti per come si è comportato l'ultimo bastardo che ho messo alla cassa" Poi, come colto da una folgorazione improvvisa, il suo sguardo slittò rapidamente al furbo "Non è che la mia punk preferita ha bisogno di lavorare?"
La ragazza scosse il capo, provocando sensualissime onde castane con i soffici capelli.
"No grazie, quello che faccio mi occupa già tutto il tempo che ho a disposizione."
Kazuhiro schioccò la lingua, in un gesto di disapprovazione.
"Fata Turchina? Smettila di nasconderti come un bambino sotto la gonna della mad-- pardon nel tuo caso del padre. Esci che ti ho trovato le bacchette"
Takanori desiderò avvolgergli le suddette astine di legno attorno al collo. Ma era patologicamente deficiente?
Ringraziò Kami-sama di aver sempre avuto la tendenza a non arrossire, perchè ebbe la sensazione di poter raggiungere tinte di rosso mai viste da occhio umano in quel momento.
Uscì dagli espositori strisciando i piedi.
"Nano da giardino, ti presento Punky Heart. Punky Heart ti presento--"
"Takanori!" terminò la castana per lui.
Takanori si prese qualche secondo per frugare in diciassette anni di ricordi.
Niente.
Poi venne folgorato da quegli occhi ambrati, e per un momento la splendida sedicenne che aveva di fronte, si trasformò in una bambina di sei anni dai lucidi codini corvini.
"Sachiko!"

*Aphrodite degli Hizaki grace Project. Note: non ho molto da dire o.O. Solo andate a leggere "Liar- sacred sex" scritta in collaborazione tra me e la moglie U__U. Povero Taka-chan T__T. Sono crudele, lo shò U_U. Bhe, buon inizio scuola a tutti. Io andrò nella ridente seconda liceo -.-.
Salutoni,
LadyWay

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Capitolo 10
*** First Date ***


Capitolo 9
First date

Shin passeggiava per gli ampi e luminosi corridoi dell'ufficio, godendo della vista mozzafiato cui poteva vantare il suo piano di lavoro: Tokyo si stendeva ai tuoi piedi, come un drappo di velluto rosso, che si tingeva dei colori del tramonto in modo distratto, come il quadro di un pittore astrattista, creando giochi di luce ammalianti.
Guardò con una nota di nostalgia il sole che si stagliava alto nel cielo.
Nonostante si sentisse abbastanza giù di corda, non abbandonava il sorriso. Fece per accarezzarsi l'orecchio destro, su cui abitualmente svettavano quattro o cinque cerchietti di metallo: passò un dito sulla pelle nuda, ricordandosi di essere al lavoro.
Non poteva certo metterli!
La società giapponese era molto, troppo, ambigua su diversi punti.
E' vero, potevi vestirti nel modo più bizzarro e fantasioso che ti veniva in mente e non venire schernito per le strade.
Ma era altresì radicato un profondo bigottismo nel mondo del lavoro, che ti impediva di spiccare in qualsiasi modo, anche solo con qualche anellino ai lobi.
Odiava guardarsi allo specchio e accorgersi di essersi dovuto dipingere di un colore non suo: era diventato un colletto bianco.
Un brivido gelato si inerpicò sulla sua spina dorsale a quel pensiero terrificante: non sarebbe mai diventato un noioso impiegato, che preferiva una poltrona comoda e un giornale a una serata in discoteca con annessa nottatina di sesso col suo ragazzo.
Un'ulteriore nota di sconforto lo assalì al pensiero di Gackt, rintanato in un vecchio hotel cadente e dall'aria abbacchiata dall'altra parte della città, in attesa di concludere un intervista riguardo l'improvviso abbandono della propria carriera da Idol.
Il vocalist lo diceva sempre: ormai sono solo una figura di cartone, un'immagine mediatica pensata per vendere a buon mercato musica commerciale e sterile.
I cambiamenti che Shin aveva riscontrato in Gackt erano lampanti, da quando era entrato nuovamente nei Malice Mizer: il suo buon umore toccava picchi elevatissimi, si svegliava col sorriso sulle labbra, canticchiando, e si addormentava con un espressione assorta ed appagata -e non solo per i piaceri elargitigli giornalmente dal suddetto Shin.
Sì, stava bene, lo si vedeva.
Eppure, Shin sentiva che c'era ancora qualcosa di mal accordato, qualcosa che si erano dimenticati. Una corda non era in sintonia col resto: il suo suono però era stato sovrastato dalla forza effimera delle altre melodie, riducendola a un roco sussurro spento.
E Shin stava rimuginando da giorni sulla questione. La magione era troppo grande per una sola persona, e spesso la notte vi si perdeva, le mani affondate nelle ampie tasche della vestaglia di seta, passeggiando senza meta, gli occhi riempiti di dolce malinconia.
Sentiva freddo senza Gackt, come se fosse costantemente presente una corrente d'aria gelida, che lo trafiggeva parte a parte.
All'improvviso il telefonino nella tasca suonò le prime note di Vanilla: pigiò il tastino verde.
"Moshi-moshi" rispose stancamente.
Dopo un attimo di silenzio la persona dall'altro capo parlò "... Shin-shi tutto bene?"
"Gackt!"
...Dio esiste!...
Il vocalist ridacchiò, la voce resa metallica dall'apparecchio.
"Ma non avevi un'intervista importante?"
"Sì ma sono sgusciato via per telefonare al mio colletto bianco preferito"
"Ah-ah" rise ironicamente.
"A parte gli scherzi, ti ho chiamato per invitarti a cena sta sera, al Chizuru.. che ne dici?"
Shin si illuminò: il Chizuru -tipico ristorante con specialità prettamente giapponesi e arredamento molto anni '40*- cucinava benissimo ogni tipo di piatto e il ragazzo lo amava.
"Certo, io qui finisco alle sei e mezza. Ci vediamo alle otto?"
"Certo.. ti passo a prendere io"
"Okay"
Shin sentì distintamente Gackt sorridere nell'apparecchio.
"Allora, a stasera Shin-shi"
"Ciao"

La cena procedette senza intoppi di sorta e Shin dovette portare a casa un Gackt decisamente ubriaco.
La Magione era lontana e anche il moro si sentiva alquanto brillo, dunque preferì scortarselo a piedi al proprio appartamento ed adagiarlo mollemente sulle lenzuola fresche della camera da letto -abbandonando la Ferrari al proprio destino.
"Shin-shi" la voce strascicata e un pochino roca del vocalist lo chiamò a sè. Il corvino lo intrappolò in un bacio dal sapore alcolico per poi passare le belle mani curate su tutto il corpo magro e niveo dell'amante, che però si ritrasse.
"No caro, hai bisogno di dormire e farti passare la sbornia." ordinò con tono apprensivo.
"Niente sesso?" chiese allora l'altro con voce querula e intrisa di supplica.
"No, niente sesso."
Shin si stese accanto a lui, spegnendo le luci e accoccolandosi contro il suo torace caldo.
"Shin?"
"Sì?"
"... mi piaci davvero."
Ed elargite queste poche parole cadde addormentato, Shin che tratteneva il fiato: lo amava. Si era innamorato di quel cantante dalle chiome seriche e il corpo tonico. Ma specialmente si era infatuato di ciò che quel fisico dai muscoli guizzanti nascondeva: dai suoi sorrisi sbilenchi e dolci alle sue carezze, dai suoi baci alle sue piccole dimostrazioni d'affetto.
E Shin era sicuro di essere ricambiato, almeno in parte.

Sachiko osservò il cielo privo di stelle con sguardo vacuo, una tazza di thè caldo alla fragola stretta fra le pallide mani.
Pensava Sachiko, pensava e pensava.
Il cielo le suggeriva ragionamenti e filosofie degne di un erudito, passava ore a fissarlo e a ingaggiare un lungo filo di teologie e conclusioni, arrivando sempre alla medesima domanda riguardo la propria esistenza.
All'improvviso il cellullare iniziò a squillare, interrompendola.
"Moshi-moshi" rispose seccata.
"Ehm, Sachiko?"
"Sì chi parla?"
"Sono Takanori.."
"Ah ciao" il suo tono mutò e sorrise felice: aveva condiviso con quel ragazzino dai capelli blu tutta l'infanzia, erano ancora molto legati nonostante tutti gli anni passati lontani.
"Ciao.." rispose lui, ostentando un tono timido e pacato.
"Come stai?" domandò attinguendo un esiguo sorso dalla tazza di ceramica.
"Benissimo, tu?"
"Bene bene!" esordì prima di soggiungere ".. come mai questa chiamata?"
Takanori arrossì nella cornetta -ovviamente metaforicamente parlando.
"Bhè ecco.. volevo chiederti se ti andava di assistere al concerto della mia band, dopodomani"
Sachiko sorrise mestamente, rigirando il rosso infuso nella tazza senza l'ausilio del cucchiaino.
".. che musica fate?"
"Industrial-metal"
"Figo. Dai va bene, dimmi dove e a che ora.."
Date le opportune indicazioni alla ragazza, Takanori la salutò raggiante e riattaccò.
Sachiko continuò a bere il thè, nascondendo il rossore alle guance dietro la ceramica. Ma cos'era? Una bambina?
Da quando arrossiva senza motivo?
Un pressante nodo allo stomaco la fece gemere di dolore. Si accucciò sulle gambe, cercando di reprimere gli spasmi di nausea che la facevano contorcere pesantemente.
Catturò qualche solitaria goccia di bevanda, cercando di mandarla giù: tutto inutile.
Corse verso il bagno, premendosi una mano sulla bocca istintivamente.
Rigettò ogni più piccola sostanza ingerita: il thè e basta, nella fattispecie, da più di dieci ore.
Kozi l'udì e si precipitò a vedere.
"Sachiko? Stai male?" le sorresse il capo, mentre questa si contorceva, rigettando una strana sostanza rosa pallido.
Nel sostenerle l'addome, il Pierrot notò un particolare inquietante: la ragazza era magra da far spavento. Gli sembrava di abbracciare un mucchietto di ossa.
Sacchan cosa ti succede?

Sospirò beatamente, steso tra le coltri, con addosso solo il fumo di una sigaretta quasi del tutto consumata.
Innanzi ai suoi occhi -che fissavano un punto isolato senza realmente vederlo- appariva l'ammaliante frusciare delle chiome abbocolate di Vivian, assieme al lento defluire del suo corsetto verso terra. Rivisse in pochi attimi tutto ciò che era successo poche ore prima:
Era rimasta a torace nudo, esponendo un fisico glabro, niveo ed etereo -inalienabilmente maschile. Gli occhi suggerivano una malizia innocente, che fece aprire completamente Yu-ki alle cure di quelle grandi e pallide mani occidentali.
Eppure, quella geisha moderna non era voluta andare oltre.
Stava issando le proprie mani sui fianchi della bionda, quando questa lo aveva scostato delicatamente, ad occhi bassi, parlando in un sussurro mortalmente dispiaciuto. "Yu-chan, no. Io sono una puttana, una dama di compagnia se prefersci, che allieta le serate di giovani imprenditori che vivono nel lusso. Ma tra di noi voglio che sia amore, non sesso. Voglio che tu mi ami, me, Vivian, non il mio corpo. Voglio che sia speciale. Voglio che non sia solo mera soddisfazione carnale"
Un altro punto che ammaliava senza remore il bassista era proprio questo suo modo elegante ed articolato, al limite del fiabesco, di esprimersi.
Ella viveva in un mondo dove tutto era nero e rosa: stupefacente ed ammaliante, ma che riservava immonde sorprese, non molto gradite.
Pareva una piccola ampolla di profumo delizioso, il quale poteva disperdesi alla minima pressione sul delicato stantuffo.
Si passò una mano sul volto, nascondendo il timido sbocciare di un sorriso.
Vivian era stata la prima persona in assoluto a curargli la profonda e radicata ferita procurata dalla morte di Ukyo.
Per anni aveva cercato di lenire questo dolore, chiudendosi irrimendiabilmente al mondo circostante, ergendo un muro attorno alla propria anima.
La ballerina lo stava abbattendo pezzo per pezzo, e non mediante pugni e contraccolpi, oh no. Lo stava facendo incrinare e cedere lentamente con carezze, baci e amore.
Tanto amore.
Di quello che Yu-ki aveva potuto osservare solo nelle iridi ramate del batterista.
Gli mancava, indubbiamente, ma doveva ricostruirsi una vita. Erano passati undici anni! Undici anni spesi a piangere e soffrire, cercando di salire le ripide e sdruccevoli pareti del proprio cuore martoriato.
Non voleva più soffrire, basta!
Il ricordo di Ukyo l'avrebbe accompagnato sempre, in ogni momento della propria esistenza, ma non sotto forma di dolore lancinante.
Voleva ricordare le carezze, i baci, quando facevano l'amore, gli sguardi colorati d'affetto che si scambiavano, le piccole attenzioni che facevano sentire l'altro speciale e unico.
Non il suo funerale, non i giorni di pianto, non il cielo plumbeo che non voleva assolutamente sorridere, non i volti stropicciati dal dolore dei suoi compagni, non le spalle curvate sotto i singhiozzi della signora Kamimura e gli occhi iniettati di disperazione del marito...
Lui avrebbe ricominciato a vivere, per Ukyo, per se stesso, per Vivian...

*Ovviamente intendo gli anni '40 giapponesi botolini miei *-* Mica quelli Hollywoodiani xDDDD. Il Chizuru è anche il ristorante in cui faccio andare Alex e Mana nella mia altra fanfic 'ossidiana e acquamarina' xD. Quando sono creativa -.-". xDDD.

Note:
Capitolo cortissimo lo so ._. perdonatemi. E' che ho avuto un blocchetto sia sul pezzo di Sachiko che di Yu-ki >.<. Passiamo ai ringraziamenti:
Jemei: oooh cara bentornata *-*. Effettivamente anche a me piaceva molto l'idea di maritarli i malice *-* (ma nooo? NdTUTTI). xD Diciamo che li vedo più come persone 'vere', in questo modo ^^. Specie Mana che riesco a staccarlo momentaneamente dalla sua perenne aura di austerità t.t. Sisi anche io sono pro ManaxGackt, sono l'OTP degli OTP *____*.

Ringrazio la moglie che mi supporta in msn e ha aggiunto New Life sia alle Seguite che alle Preferite ^-^, e Dix_infernal che ha messo la storia tra le seguite e, quindi, mi piacerebbe conoscere il suo parere xDDD.

Baci a tutti!,
Guren

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Capitolo 11
*** Redemption ***


Capitolo 10
Redemption

Sachiko amava i concerti.
Adorava sbracciarsi sotto al palco, sgolarsi sulle note delle proprie canzoni preferite, imitare l'idolo di turno con una pessima air-guitar e scatenarsi completamente.
Lei pensava che la musica fosse stata creata dall'uomo per potervi buttare dentro tutto ciò che la società considerava illecito proporre come immagine di sé, nascondendolo. L'uomo per natura era portato a doversi scaricare, specie se si trattava dei propri istinti animali, da stato brado.
Eppure questi non erano visti come comportamente dignitosi, dunque bisognava nasconderli ed assoggettarsi al volere del mondo.
Ma non con la musica...
Con essa eri libero, libero da tutto, da qualuque canone o regola fissa.
Potevi volare, amare senza inibizioni, uccidere, ferirti, gioire e immaginare.
Cambire i fatti a tuo piacimento, stravolgendo la realtà, modellando una forma più consona ai tuoi desideri.
Questo pensava Sachiko.
Infatti ella apparteneva a quella categoria di persone che non riuscivano ad andare avanti nella giornata senza la propria personalissima e inviolabile playlist.
Viveva attaccata all'mp3.
Un catorcio di circa quattro anni, che dava di matto ogni santa giornata e che spesso e volentieri modificava i file sotto la sua ala a proprio piacimento.
Eppure la castana non riusciva proprio a pensionarlo: un po' perchè i liquidi le mancavano per potersi permettere un i-pod di ultima generazione, un po' per reale legame affettivo.
Glielo aveva regalato sua madre. L'unico regalo mai ricevuto dalla donna, che preferiva dimenticarsi sul fondo vuoto di qualche bottiglia alcolica date, avvenimenti, impegni e qualsiasi pensiero non includesse esclusivamente se stessa.
Subito dopo la nascita di Sachiko, Fukiko Komatsu, si era rinchiusa in un limbo egoistico foderato di specchi. Esso rifletteva alla donna l'immagine distrorta della propria persona... e nient'altro.
La castana aspettò per tempo immemore la schiarita di quelle superfici riflettenti, pregò persino un intervento divino di farle guardare al di là della barriera che si era costruita per isolarsi dalla realtà troppo dura e cruda.
Ma non era mai successo.
E Sachiko era consapevole che non sarebbe mai accaduto.
Osservava impotente la propria madre distruggersi giorno dopo giorno, abbattendosi pezzo dopo pezzo dolorosamente. Quando era piccola poteva permettersi di non pensarci, avendo ancora un padre accanto che badava a lei.
Ma quando aveva circa sette anni, i suoi litigarono pesantemente, per un motivo che non aveva mai saputo -o che comunque si era dimenticata- e avevano deciso di non rivolgersi mai più la parola. Da allora gli incontri fra Kozi e Sachiko erano diminuiti progressivamente, fino a che non perserso le vicendevoli tracce per un anno intero, ritrovandosi poi la famosa sera in cui la ragazza aveva gettato la poca dignità rimastale.
Tutto questo turbine di pensieri, le giunse alla mente nel breve lasso di tempo che passò innanzi allo specchio, aggiustandosi per l'ultima volta prima di uscire. Essi le erano caduti con un tonfo sordo nel cervello solo perchè stava per andare ad osservare il concerto di Takanori Satou.
Nacose il timido sbocciare di un sorriso, chinando il capo, appena l'immagine del ragazzo le si presentò innanzi agli occhi scuri.

La musica le rimbombava nelle orecchie, infiltradosi negli squarci della propria anima e facendole tenere involontariamente il ritmo col candido piede avvolto dal pesante anfibio. Per non parlare delle ingioiellatissime e laccatissime dita che picchiettavano il tavolo di legno, tutto scheggiato, mentre inarcava il capo scolandosi una Guinness.
Il locale non era molto grande, ma vantava un ragguardevole numero di invitati paganti quella sera, che fecero sorridere Sachiko.
Lo show della band di Takanori (si rammentò improvvisamente di non conoscere il nome del suddetto gruppo) non era ancora iniziato. Al momento vi era solo il dj che intratteneva il pubblico con cd pre-impostati.
All'improvviso il palco uscì dall'oscurità totale che l'aveva abbracciato fino a quel momento, e cinque individui sbucarono dal backstage laterale, ammantati da un pesante strato di ghiaccio secco che li avvolgeva sinuosamente.
Sachiko non sapeva perchè, ma dava per scontato che il blu fosse un chitarrista. La previsione la lasciava senza dubbio perplessa, ma non se ne curò.
Piuttosto acuì la vista alla ricerca della capigliatura elettrica, che scorse quasi sormontata da un'imponente batteria.
Il cantante -un ragazzo dai folti capelli ramati per metà abboccolati e per metà liscissimi- avvolse le affusolate dita lungo l'asta del microfono e parlò, con una voce calda e suadente, che ipnotizzò la castana.
"Buonasera, noi siamo i Black Cherry e il nostro Sinner qui" a sentire il proprio nome d'arte, Takanori fece roteare una bacchetta per aria "penserà a spaccarvi i timpani a forza di colpi di cassa".
Così le luci rotearono e la musica iniziò immediatamente, con Takanori ad elargire il tempo, poi acciuffato da una nota distorta della chitarra e rielaborata dal timbro gutturale del basso.
Il vocalist iniziò a cantare e Sachiko spalancò gli occhi dalla sorpresa: una voce melodiosa, intonata, perfettamente a tempo, sensuale, morbida.
Le note sembravano scivolare tra le sue labbra senza sforzo alcuno e per interminabili minuti, la castana non fece altro se non rimirare del ragazzo dai vestiti completamente neri perdersi tra le diverse canzoni.
Non osservò nemmeno per un secondo la maestria con cui Takanori si muoveva dietro a quella barriera di piatti e tamburi, le peripezie che egli compiva con le bacchette, ruotandole e lanciandole nell'aria, per poi riacciuffarle fluidamente.
... per tutta la serata, Sachiko si concentrò esclusivamente sul vocalist dalle chiome ramate e gli occhi azzurro ghiaccio.

Passeggiavano da, quanto?, due ore? Non avrebbe saputo definire il tempo, anche perchè non gli importava.
Ciò che gli stava a cuore era il fatto di essere con Vivian.
Che fosse un minuto o l'eternità.
Si sentiva completo.
Dilatò le narici, ispirando i profumi che aleggiavano nello stretto e affolatissimo vicoletto, dai suggestivi negozietti. Vi erano bancarelle dei cibi più strani ed articolati, di ogni regione. Poi un numero indefinito di artificieri sventolavano lunghi bastoncini cosparsi di polvere pirica, sotto agli occhi dei numerosissimi passanti.
Vivian sorrideva felice, tenendogli la mano e saltellando quasi. All'improvviso, Yu-ki si sporse verso le sue bellissime labbra dischiuse -dello stesso colore delle rose- e le rinchiuse in un profondo e dolce bacio.
La bionda gli sorrise ancor più radiosamente, prima di indicare una bancarella di focacce fritte, pregustandone il delizioso sapore zuccherino.
Yu-ki ne addentò un pezzo, percependo lo zucchero sciogliersi a contatto con la lingua calda. Poi osservò Vivian: la bionda spiluccava la sua ciambella, alternando i morsi a qualche leccata innocentemente voluttuosa, per raccogliere più sostanza dolce possibile.
Il bassista si perse a fissarla, immaginando che il suo collo dovesse avere lo stesso sapore delle ciambelle.
Un pensiero stupido, ma che lo fece scogliere, desiderando esplorare il caldo corpo dell'amante, sotto le grandi e callose mani da musicista.
L'avrebbe spogliata a poco a poco -vestito dopo vestito- di ogni tessuto, per poi rimirarla brevemente. Avrebbe accarezzato i fianchi magri, passato le dita sul torace glabro e niveo, succhiato i delicati boccioli e ispezionato ogni anfratto raggiungibile dai suoi cinque sensi, ognuno tirato allo spasmo per cogliere anche il più piccolo frammento della ballerina.
L'avrebbe guardata contorcersi dal piacere sotto le sue cure con la stessa attenzione che riservava soltanto al basso: amore incondizionato.
I pensieri di Yu-ki, per quando a sfondo sessuale potessero essere, restavano comunque rivestiti di un sottile strato di purezza e innocenza, anche per il più cruento dei rapporti.
Forse era proprio perchè il bassista stesso arrossiva a pensare la propria metà in quelle vesti, che per l'amor di Dio gli si addicevano, ma erano comunque fin troppo spinte per una mente pura come la sua.
Si riscosse quando udì la voce divertita di Vivian richiarmarlo, e incappò nei suoi occhi azzurri infantilmente stupiti.
Sorrise dolcemente, prima di prenderla a braccetto e continuare a camminare, rubandole l'ennesimo bacio a fior di labbra della serata, che questa volta sapeva di ciambelle e ciliegie -grazie al lucidalabbra della ballerina.
Continuarono a camminare, incuranti di tutto, consci che il loro era un legame che sarebbe sopravvissuto anche alle più grandi burrasche.
... camminavano, ignari che qualcun'altro, ammantato dal buio, seguiva ogni loro mossa e attendeva solo il momento propizio per colpire.

La sera era senza dubbio il momento della giornata che Manabu preferiva: sedersi sulla morbida cassapanca del soggiorno, un thè Assam in mano per pura abitudine -dato che se lo rigirava talmente a lungo tra le tozze dita da farlo diventare freddo- e lo sguardo rigorosamente puntato sulla città.
Gli sarebbe piaciuto poter osservare il cielo, ma si sarebbe perso in un drappo di velluto nero, senza stelle, dunque preferiva fissare il turbine di luci e scritte cangianti che illuminava Tokyo.
Ogni tanto strimpellava qualche accordo su Estrid*, ma senza prestare troppa attenzione, quasi meccanicamente: ormai aveva imparato a non sforzarsi di tirare fuori qualcosa di per lo meno rassomigliante a una canzone quando non gli veniva automaticamente.
Era tempo sprecato, anche perchè finiva sempre per buttare lo spartito nel cestino: il momento propizio per cavare fuori qualcosa da quei suoi geniali neuroni -che erano stati capaci di comporre musiche magistrali come solo Merveilles e Bara no Seidou potevano vantare- era la notte. Quella scura e profonda, buia che pare intinta nell'inchiostro, steso prono sulle coperte sfatte, con la fiochissima luce di una lampada rosata a illuminare il foglio (giusto per non diventare presbite prima del tempo).
Con il silenzio della notte, e il candido respiro di Akune addormentata al suo fianco era riuscito a comporre canzoni favolose, di cui andava fiero anche dopo tanti anni.
Ma quella non era sera da musica, per Manabu Satou.
Nemmeno Akune in asciugamano era riuscita a risvegliarlo da quel torpore che sembrava averlo avvolto: fissava apaticamente -per quanto quegli occhi intensi come una miriade di scariche elettriche gli permettessero- fuori dal vetro lindo della finestra, appoggiato al muro e con le gambe rannicchiate contro il petto.
Rigirò per l'ennesima volta il thè tra le mani, la cui tazza era ancora provvista di un non indifferente calore.
Quella sera la casa era totalmente disabitata, apparte lui.
Akune era -come troppo spesso accadeva in quel periodo- fuori per lavoro e Takanori aveva uno show.
Avrebbe voluto essere presente, ma purtroppo era rimasto invischiato fino a dieci minuti prima in una riunione sfiancante con la manager, solo ovviamente.
Sbuffò ironico: i veri amici ti mandano al patibolo da solo, certo. Chi non lo sapeva!
Ah ma si sarebbe certamente rifatto, più avanti, con prove extra in cui avrebbe mandato il proprio livello di perfezionamento ai massimi livelli storici.
Sapeva tirare fuori la propria verve bastarda quando più gli serviva, e con gli anni aveva imparato persino ad ingoiarla in certe occasioni massime.
Era forse uno dei traguardi più importati avesse mai varcato.
Assieme a quello di non ingaggiare storie di sesso. Dopo Gackt Camui, nessun essere vivente era riuscito a far innamorare Mana esclusivamente del proprio corpo, e ad invogliarlo ad intraprendere amicizie che in realtà erano rapporti di appagamento. Una sera avevano voglia? Andiamo a visitare il nostro amichetto di giochi!
Erano questo genere di pensieri -non proprio in questa formula forse- che smuovevano i due ragazzi. Eppure nessuno dei due si era accorto dei sentimenti che iniziavano a farsi strada nei loro cuori, e ciò che gli pareva appagamento carnale tra più devastanti non era altro che amore puro e semplice. Oh, Mana non aveva certo rimpianti -questa la versione ufficiale- ma in realtà cosa celava la sua anima?
Quali erano i suoi veri pensieri?
Chi lo sà. Forse nemmeno Mana stesso, perchè quando portiamo una maschera per troppo tempo essa si fonde al nostro volto e quando ce ne accorgiamo è troppo tardi per pensare di sfilarla.
Il chitarrista non aveva mai nemmeno provato a farlo, perchè sapeva essere tempo vanificato.
Quindi aveva lasciato che i suoi sentimenti fossero seppelliti dalla forza bruta e dall'orgoglio smisurato di cui era provvisto, e del quale purtroppo non era ancora riuscito a fare a meno.
Chiuse gli occhi e reclinò il capo all'indietro, godendo dell'esiguo calore ancora sprigionato dalla ceramica della tazza e beandosi della quiete massima.
Lo squillo del telefono squarciò questo brandello di perfezione che si era concesso, spronandolo ad inarcare un sopracciglio cesellato con ancora gli occhi saldamente serrati.
Aveva poi risposto con voce scocciata e ancor più bassa del solito.
"Moshi-moshi"
"Mana-sama" ad accoglierlo una voce gioviale e allegra: esattamente l'opposto di come si sentiva il corvino in quel delicato momento.
"Cosa cazzo vuoi Camui?" il turpiloquio non era proprio tra le sue preferenze, ma era forse troppo chiedere un minimo di relax?
"... nervosetti" ridacchiò il vocalist e Mana seppe con precisione la posizione assunta da ogni anfratto del suo corpo in quel momento. Scosse il capo spaventato e si buttò sul divano, coi piedi penzolanti dal bracciolo.
"Allora mi dici cosa vuoi oppure devo chiuderti in faccia? A dire il vero sarebbe un peccato, con tutto il gran lavoro che il tuo amichetto ha fatto, su quel faccino" ciondolò quasi le parole, dondolando un candido piedino nell'aria, per rimarcare il suono querulo della frase.
"Sì sarebbe un peccato" asserì il cantante, ridendo ancora.
Mana sbuffò lievemente, ma non diede a vedere il suo disappunto nel constatare i cambiamenti del collega: quando venivano fatte allusioni ai ritocchi** che aveva apportato alla propria figura, il più giovane si infervorava subito.
E invece adesso gli giocava il meschino tiro di farsi sparire uno dei più interessanti punti deboli!
"Senti vieni al dunque, non sono in vena delle tue chiacchere senza nè capo nè coda!"
"Mana" iniziò questi con tono cantilenante, come di rimprovero giocoso "lo sai che il latte va messo in frigo, se no si inacidisce e tu con lui!"
"Ah-ah, davvero divertente"
"Va bene evito di farti venire più capelli bianchi di quelli che hai già" istintivamente Mana si portò una piccola mano alle ciocche corvine, passandovi le dita attraverso ed osservandoli: riflesso incondizionato.
"Io non ho i capelli bianchi" forse l'unico punto usufruibile a proprio discapito era il terrore di invecchiare, assoluto ed incontrollabile.
"No Macchan, tranquillo! Allora..." finalmente! Pensò Mana "... volevo semplicemente chiederti se ti va di uscire a bere qualcosa hime***"
"No" secco e deciso. "Ma... perchè?" usò il miglior tono infantile del proprio repertorio.
"Perchè mi sono appena struccato e non ho tempo di rifare tutto"
"Oh ma che rompi scatole! Alza le chiappe e datti una truccata che arrivo fra mez---" si ricordò dei tempi geologici impiegati dal chitarrista per passarsi anche solo la base per il trucco "Un'ora e andiamo in qualche posto carino a bere qualcosa"
"Mh.." non era molto convinto, ma se avevano una cosa in comune, era certamente la caparbietà.
"Ciao Macchan"
Un'altro grugnito in risposta. Il vocalist riagganciò con un sorriso divertito e sincero sulle belle labbra e Mana invece si rigirò ancora una volta la tazza tra le mani. Bevve un piccolo sorso, storcendo il naso: freddissimo.

*Quella povera martire della chitarra di Mana non ha un nome che io sappia T-T. Ho voluto renderle omaggio prendendomi una licenza poetica. E non chiedetemi perchè ma secondo la mia piccola personcina DEVE avere un nome con la E u_u". *è pazza*. Ovviamente doveva essere un nome francesiggiante (?) e femminile, ma particolare e personalizzato: ecco Estrid xD.

**Penso che tutti/e voi dolci pulzelle/i sappiate del nostro baldo ciòvine che ha un naso-barra-qualcosa che non ricordo non suo U__U" *una fetta considerevole sviene alla notizia* .. ehm =.=" x°°°

***Hime vuol dire principessa *-*, ce lo vedo quel pinguino a chiamare il nostro Mana 'principessa', ci sta anche bene: Principessa Mana x°°°DD.

Note:
Waaaah quel pinguino stronzo di Yu-ki T-T. Allora NON DOVEVA ESSERE COSì PUCCIOSO TENERO E COCCOLOSO! Doveva essere uno stronzo patentato! E per di più farlo stronzo, egoista e narciso MI SERVIVA PER LO SVOLGIMENTO.. invece si sta rivelando uno di personaggi che amo di più! ç___ç. Qui tutti fanno ciò che gli pare.. ma ora chi è sto cantante dai capelli rossi e gli occhi azzurri? EH? EH?? chi è? Non lo so nemmeno io chi è! °__°. E' nato! Ha deciso di nascere! *sclera*
Vabbè rispondiamo alle pulzelle che mi hanno commentato U_U:
Dix_infernal : *-* ogni tanto le minacce mirate servono *balla la hola* xD. Grazie cara per avermi lasciato questa secesione ç_ç mi ha commossa per tutte le bugie che dice (mi elogi troppo, non sono cos+ì brava ç_ç). Ma ti ringrazio tantissimo per aver aiutato il mio ego a ingigantirsi *___* ti ama!
La moglie adorata : WAAAAH TU DONNINA! *slingua* (<-- gesto d'affetto). Tu mi hai aperto gli occhi su Yu-ki T-T e su Shin, che è come Cri Cri: muto e inutile xDDD (sta cosa qualcuno la deve dire a mana xD). Ti amizzo <33! (spero di non averti fatto cambiare idea su yu-chan xD).

Alla prossima,
Guren

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Capitolo 12
*** Talking about our mistakes ***


AVVERTENZA: DAI PROSSIMI CAPITOLI IL RANTIG SALIRà A 'ROSSO', POICHè INIZIERANNO A FIOCCARE LEMON SU LEMON U__U.
Capitolo 11
Talking about our mistakes

Sedevano uno di fronte all'altro, in un locale dall'aria satura di fumo.
Gackt poggiavai gomiti sul legno del tavolino, una birra innanzi a sè e una sigaretta stretta tra le morbide dita inanellate.
Mana accavallava compostamente le gambe, lisciandosi di tanto in tanto il serico tessuto dei pantaloni e bevicchiando la propria Heineken.
Una qualche canzone dei Vidoll permeava il sottofondo di quel bar dalle luci soffuse e il ticchettìo delle palle del biliardo che cozzavano tra di loro parevano un clichè intramontabile. I tavoli accanto al piccolo soppalco, su cui a sere alterne si esibivano band dal dubbio talento, erano pressochè occupati da ragazzini che passavano la serata pomiciando.
"Non abbiamo mai parlato di quello che è avvenuto negli ultimi undici anni, Macchan" soffiò improvvisamente il vocalist, facendo disperdere il fumo in forme ellittiche.
"... cosa ci sarebbe da dire?" rispose noncurante, passando il tozzo indice sul collo della bottiglia.
"Non lo sò, questo devi dirmelo tu"
"Negli ultimi undici anni mi sono sposato, ho fondato una nuova band e ho cercato di lasciarmi alle spalle un passato più veloce di me..."
"Avanti, non sono un fottuto giornalista. Mica voglio informazioni lavorative!" rise di una risata cristallina e leggera Gackt, mentre osservava Mana che ingollava lunghi sorsi d'alcol.
"Vuoi sapere altro? Vuoi sapere il dolore che c'è stato quando mi hai lasciato? Vuoi sapere il dolore che c'è stato quando Ukyo è morto e tu non c'eri? O magari di quando il gruppo si è sciolto senza che io potessi fare nulla per ricucire gli strappi?".
Gackt tacque e schiacciò il mozzicone della sigaretta nel posacenere.
Poi allungò una bianca mano e la posò su quella contratta di Mana, che si irrigidì ancor di più. La carezzò piano, lievemente, osservando il gesto.
Mana si rabbuiò un poco, ma non si mosse, ne fece alcunchè per interrompere il contatto.
"Vedo che gli anni passano, ma tu non cambi." disse con voce cupa il chitarrista, nascondendo il volto sotto una cortina di ciocche corvine.
Gackt lo fissò attendendo una risposta ad una domanda non formulata. Voleva che continuasse la frase.
"... ci provi ancora" disse Mana, come se stesse ribadendo un concetto già espresso più volte, tanto per sottolinearne l'importanza con una punta di incredulità.
Il vocalist sorrise appena e si decise a lasciarlo, adattando la propria mano al sottile collo della bottiglia, ove trovò un alloggio migliore e meno freddo.
Rimasero in silenzio un poco, tesi come ballassero sulle lame.
In sottofondo, Serenade dei Versailles creava un malinconico quadro per quella situazione, che per Mana aveva un incredibile gusto famigliare.
"Guardami." ordinò dolcemente, adagiando gli occhiali da sole accanto alla birra senza mai scostare lo sguardo dal volto reclinato dell'altro. Volto che, al sentire quel piccolo ordine, si rialzò un poco e lo sguardo nocciola che vi regnava venne imprigionato in quello d'ossidiana del chitarrista.
Rimasero così, l'uno perso nelle spirali dell'altro, crogiolandosi.
Poi Mana ruppe il silenzio carico di sottintesi "Quei tempi sono finiti, Camui. Io e te, non siamo più Noi."
Prima che Gackt potesse ribattere alcunchè proseguì "Non lo siamo da tanto. E forse non lo siamo mai stati..."
Detto questo terminò la propria bevanda, mentre il vocalist si portava alle labbra un'altra sigaretta.
"Vedo che non hai smesso di fumare quelle schifezze" osservò con una punta di ilarità, additando il bastoncino nero.
Gackt ridacchiò "Ho una specie di dipendenza dalla vaniglia"
"Un vanilla-boy non si smentisce mai!" esclamò, mirando a risollevare la pensante atmosfera venutasi a creare, cercando di sciogliere l'imbarazzo dell'altro.
E proprio come se non fosse successo nulla, brindarono nuovamente agli anni a venire, facendo collimare le bottiglie ormai vuote tra loro con un secco tintinnìo.

Le ultime note rieccheggiarono nell'angusto locale, disperdendosi, sfumando verso il silenzio che venne interrotto dopo poco con grida, fischi d'approvazione e dall'asciutto rumore delle bottiglie che cozzavano tra loro.
Le luci sul palco si affievolirono fino a scomparire, e la band scese silenziosamente nella semi-oscurità. Takanori andò subito al bancone a prendere da bere, ricevendo parecchie pacche sulle spalle da amici, conoscenti e semplici spettatori, che si complimentavano per lo show ben riuscito.
Poi, i suoi occhi resi artificialmente azzurri, incapparono nell'elegante e abbacinante figura di Sachiko, che ciondolava ad arte una gamba magra avvolta da un paio di pantaloni argento, adorni di catene e spille.
Si avvicinò sorridendo alla ragazza, che ricambiò il saluto con un piccolo gesto della mano smaltata. Si dettero un piccolo bacio sulle guance e poi il blu prese posto accanto a lei.
"Ma buonasera!"
"Sinner?!" disse questa e scoppiò a ridere.
Lui tramutò la propria espressione in puro stupore e incredulità. "Cosa c'è?"
La ragazza quasi si rotolava, le esili ed emaciate spalle che spiccavano da sotto la maglia nera, scosse dalle grasse risate.
Quado ritrovò un minimo di calma riuscì a dire sorridendo ancora "E' solo che.." nuovo scoppio di risa "... hai più la faccia da bravo bambino puccioso" e così dicendo gli prese le guance e gliele tirò "che quella di un peccatore".
Lui assunse un'espressione basita, mentre lei ancora gli stropicciava il volto "Piantala" ordinò, senza riuscire a mascherare un sorriso.
Bevve un sorso dalla lattina di coca che il barista gli aveva poggiato accanto, Sachiko lo additò "... se volevi convincermi del contrario, di certo non dovevi ordinare una coca!"
Lui sorrise sghembo "Non bevo alcol, mi spiace."
"E allora cambia nome Fata Turchina!"
"Chiamami ancora così e ti disconosco"
Scoppiarono a ridere assieme.
"Ma dimmi, ho visto che l'altro giorno al Disk hai preso delle corde di chitarra, suoni anche tu?" domandò il ragazzo.
Sachiko scosse il capo "No no, ero a fare commissioni per mio padre, io non sò manco da che parte si tiene una chitarra!"
Risero ancora.
"Capisco. Allora, che ne pensi della nostra esibizione?"
"Mh, non male!"
"Non male?!" finta incredulità quella che Takanori aggiunse alla propria voce, avvicinandosi a Sachiko.
Lei rise nuovamente prima di spiegarsi "Sì, siete stati molto bravi. Specie il cantante, mi è piaciuto molto!"
"Chi, Jui?"
Ah, ecco il suo nome.
"Se vuoi te lo presento!"

LadyWay's note: mi scuso per il ritardo, ma il mio computer (il mio Maya ç_ç) è morto e deve essere aggiustato da quel baldo ciòvine (seh certo, u.u) di mio fratello, che però non comprende che anche se non pago deve aggiustarmelo XDD.
Il capitolo è TERRIBILMENTE CORTO * si fustiga * proprio perchè stò scrivendo su un piccì non mio, ma non potevo far iniziare il 2010 senza aggiornare almeno di un capitolino piccino picciò.. perdono!!
Dunque, l'inizio doveva essere scritto diversamente (le prime dieci righe), ma non avendo questo inizio sotto mano ho riscritto il tutto e così la narrazione è venuta molto più.. scorrevole e semplice da articolare per me, nonostante questo sia un capitolo oltremodo difficoltoso, poichè dovrebbe far capire un po' le intenzioni dei personaggi: C'è Gackt cotto nuovamente di Mana, e ci prova, alè se ci provaaa XDD. Anche Taka inizia a essere attratto da Sacchan, che però è attratta da Jui. E qui ci sarà una svolta che NON POTETE ASSOLUTAMENTE INDOVINARE XDD. Vi lascerò spiazzati, e magari a qualcuno schiferà e non leggerà u__u, io metterò le avvertenze poi, tranquilli U.U.

Mò rispondo alle mie care commentatrici ° o °:
CrazyYaoy: già il nick mi piace XDD. Spero di non averti deluso con questo capitolo, e anche di risentirti presto ^^. Grazie mille, cara, mi lusinghi!
Gackt-san e la nostra Hime si stanno dando da fare, tranquilla, spero solo di non uscirne pazza, alle prese con 'sti due -.- XDD.
Nine, la donnina che sopporta i miei scleri e soprattutto la mia puccioseria incondizionata. La mia dolc-- eeehm, cinica metà!: piaciuta la presentazione iper-lunga che ti ho fatto, Giga-Gackt? XDD No Yu-Ki diverrà un essere puccioso come me, perchè Vivian necessita puccioseria, povero caro çOç.
E, come sempre, mana si rivela essere l'uomo più complicato e il mistero più insondabile del lustrinoso mondo della giappolandia. MUAHAHAHAHAH XDD Ma il nostro ammòre è così, punto u.u. Lo stò trattando un po' da original, nè, non me ne voglia il mio Sommo XDD.
Bacius e alla prossima donnine/omini che avete il coraggio di seguirmi! * alza pugnetto *.
Guren

AUGURO A TUTTI UN FELICE E COMPLETO NATALE. SPERO LO PASSERETE CON LA PERSONA CHE AMATE... piacerebbe poterlo fare anche a me.

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Capitolo 13
*** Dysfunctional Phoenix ***


Capitolo 12
Dysfunctional Phoenix

Takanori allacciò la mano a quella di Sachiko e la condusse negli angusti camerini dietro le quinte del locale: bussò ad una delle tante porte delle piccole e soffocanti stanzette, da dietro cui la voce chiara e profonda del cantante risuonò decisa nel pronunciare un secco "Avanti"
Tokiyama Juichi si ergeva davanti allo specchio sporco e opaco, intento a rifarsi il trucco con una piccola matita nera.
La posò con uno scatto sul tavolinetto e si voltò.
"Sin-chan" salutò il blu, che ricambiò con un cenno del capo.
"Jui questa è Sachiko, Sachiko questo è Jui."
La castana fece per inchinarsi ma il ramato scoppiò a ridere e le porse una mano affusolata e scarna, disadorna della miriade di anelli che le erano stati infilati sul palco.
"Niente formalismi, ti prego. Non sono abituato a queste vostre manie giapponesi" sorrise enigmatico, non volendole dare altre spiegazioni.
"Piacere di incontrarti Sachiko-san"
"Piacere mio. Sai, sono stata molto colpita dalla tua voce. Davvero, complimenti." sorrise appena e Jui la fissò con gli occhi ormai privati delle lenti a contatto colorate, neri e avvolgenti. Scuri e profondi. Abbacinanti. Seducenti.
Sachiko basta!
Si costrinse a non arrossire.
"E' una mia amica d'infanzia" esordì Takanori, con un sorriso.
Jui sorrise di sbieco, poi si volse a prendere un dischetto, che cosparse di struccante.
"Hai la faccia stravolta, Sin-chan." gli passò con cura il cotone sul volto, ripulendoglielo da ogni residuo di trucco. "Molto meglio"
Sachiko non fece caso al gesto, e rimase in contemplazione delle movenze naturali del vocalist, poi sorrise quando questi passò lo sguardo sulla sua figura.
"Quanti anni hai?" chiese la ragazza.
"Diciannove." si accese una sigaretta al mentolo, tenendola tra pollice ed indice, aspirando grandi boccate.
Fece per passarla a Takanori, che subito rifiutò. "Non fumo sigarette balsamiche!"
Scoppiò a ridere immediatamente, Jui che si limitava ad alzare un sopracciglio ironicamente.
"Bhe devi iniziare!" nonostante l'espressione fosse distesa e pacifica, il tono era innaturalmente ferroso e duro. Il blu si tolse il sorriso dal volto, che abbassò in segno di resa prendendo tra indice e medio il sottile bastoncino bianco, coi gesti impacciati di chi non è abituato all'inesistente peso della sigaretta e teme di farla cadere. La portò alle labbra con un elegante gesto e ne aspirò una boccata. Tossì subito e si piegò in due.
Jui riassunse un'espressione neutra, continuando a parlare con Sachiko, mentre il batterista tossiva convulsamente e nonostante questo aspirava e riaspirava dalla sigaretta.
"Sachiko-san... tu quanti anni hai?"
"Quasi diciassette." la ragazza osservò con una punta di preoccupazione Takanori. "Taka-chan? Non sei abituat--" Jui la stoppò "Stà bene, tranquilla. Deve solo abituarsi" e scrollò le spalle. Il blu che aspirava ancora, ma tossiva meno di prima.
"Studi?" le chiese poi il vocalist.
"No, lavoro in un locale. Tu?"
"Purtroppo sì. Ma è l'ultimo anno finalmente."
"Che indirizzo hai?"
"Musica."
Che domanda stupida, imbecille che non sei altro!
La conversazione continuò su questo piano, con Takanori che in silenzio -avendo ormai finito la sigaretta- li osservava.
Sachiko però, era totalmente assorbita dal suo interlocutore per accorgesene.
Dopo circa cinque minuti il vocalist le disse "Ora spero che non ti dispiaccia Sachiko, ma io e Takanori dovremmo cambiarci, farci una doccia e magari mangiare qualcosa. Non voglio apparirti scortese, ma ci possiamo vedere più tardi? Poco meno di un'ora."
"Certo, certo. Figurati, allora a dopo!" li salutò ambedue e poi corse fuori chiudendosi la porta alle spalle.
Jui prese un'altra sigaretta dal pacchetto e la porse a Takanori, che lo fissò apaticamente.
"Fumala."
Il blu la accese e tossì nuovamente. La gola gli bruciava e gli occhi lacrimavano dal troppo tossire.
La riabbassò.
"Fumala." gli ridisse il cantante, quasi ammonendolo.
Il blu ricominciò ad aspirare piccole boccate di fumo.
Jui si sedette su una poltroncina e si mise Takanori a cavalcioni sul bacino. Gli accarezzò una corta ciocca blu.
"Sei molto sensuale così..."
Takanori, che ormai aveva smesso di tossire, lo guardò un poco. Terminata la sigaretta allacciò le braccia attorno al collo del cantante e lo fissò, attendendo che questi decidesse cosa fare.
Ma il ramato continuò a guardarlo anche lui, senza muoversi quasi.
Allora il blu lo imprigionò in un bacio piccolo e timido, subito approfondito dall'altro che lo strinse di più a sè, tenendo le mani sulle natiche del compagno.
"Sta notte stai a casa mia." gli sussurrò Jui sulle labbra, con gli occhi sensualmente dischiusi.
"Non posso Jui."
Lo zittì baciandolo ancora, ma per poco. "Ti ho detto di sì."
"No, ho detto ai miei che sarei tornato a casa."
"E allora?"
"E allora si preoccuperanno e si incazzeranno."
"Amen."
Allora il blu tirò fuori il cellulare dalla tasca, intenzionato ad avvertire almeno.
"No Sin-chan. Assolutamente no." Jui gli rimise il cellulare nella tasca.
E Takanori non potè fare altro che ubbidire. Perchè così era con Jui. Il cantante ordinava, lui eseguiva.
E gli andava bene. Dannatamente bene.

Le tre.
Le tre e un quarto.
Le tre e mezza.
Le tre e quarantacinque.
Le quattro.
Al rintoccare, Mana si alzò dal divano e a piccoli passetti si diresse all'appendiabiti: prese il cellulare dalla tasca del cappotto e digitò il numero di Takanori. Una, due, tre volte.
Niente.
Allora mandò un messaggio... che rimase senza risposta.
Sbuffò.
Non preoccuparti. Cosa vuoi che sia successo?
Si rilassò un poco.
E appena poggiò gli occhi sull'orologio una nuova fitta di preoccupazione lo colpì.
"Torno alle tre papà, non preoccuparti!"
Pensò ironicamente.
No, non è successo nulla. E se non è successo nulla, ci penso io a fargli qualcosa!
Soppresse la vena di preoccupazione e camminò un poco per casa.
Doveva rilassarsi e non pensare.
Akune era via per lavoro, e non sarebbe tornata che la sera dopo. Quindi non poteva nemmeno fare l'amore con lei, e non pensare a nulla che non fosse i suoi gemiti liquidi che gli scivolavano addosso, e il suo corpo caldo che si contraeva dal piacere sotto di lui, e i suoi occhi obliqui che si chiudevano cedendo all'orgasmo.
Sbuffò per la seconda volta in meno di un'ora.
Si distese tra i mordibi cuscini del divano, fissando lo sguardo su un punto qualunque innanzi a sè, senza vederlo realmente.
Fece divagare i pensieri su qualsiasi altro argomento.
Gli venne subito in mente la serata appena trascorsa: un sorriso gli nacque al pensiero di Gackt che poggiava la delicata mano sulla sua.
Lo reprimette senza indugio.
Si rialzò di scatto: ciò che provava per Camui Gackt era scomparso anni addietro. Una fenice disfunzionale, che non sarebbe più rinata dalle sue ceneri. Soffocata dall'egoismo, dalle menzogne e dalla paura.
Si ributtò giù e socchiuse gli occhi, ammantando la vista con lo spesso strato di ciglia nerissime.
Aveva l'assoluto bisogno di distrarsi. E se fosse rimasto da solo si sarebbe solo accentuata la sua preoccupazione.
Allungò una mano e prese il cellulare precedemente abbandonato sul tavolinetto alle sue spalle.
Aveva bisogno di compagnia, e c'era un'unica persona al momento che sarebbe riuscita a farlo rilassare sufficentemente.

Uscì dal corpo stremato di Shin e si gettò accanto a lui, leggermente ansante ma ancora fresco.
"Mi.. mi.. mi hai distrutto." disse il più giovane, intervallando le parole a corti respiri affannosi.
Gackt gli pose una mano sul petto ed ascoltò il battito furioso del suo cuore calmarsi poco a poco e riacquistare la solita vena tranquilla e rilassata.
Il malumore non gli era ancora scomparso, nonostante avesse fatto sesso con Shin fino allo stremo.
Dopo poco, il ragazzo si addormentò, e lui rimase solo a giocherellare con il ciondolo a forma di saetta che l'altro portava sempre al collo.
Lo rigirava tra le dita, guardando fisso davanti a sè lasciando la mente libera di vagare dove più gli pareva.
Sospirò abbattuto. Non aveva funzionato.
Era assolutamente convinto che Mana potesse essere ancora attratto da lui: insomma, si considerava persino più attraente della decade appena trascorsa.
Ma con la bambola tutto ciò non c'entrava. Oh no, il loro en* si era forse spezzato? O magari non c'era mai stato, e si erano ravvolti in una calda e rassicurante illusione?
Che niente li avrebbe separati.
Non il tempo.
Non la distanza.
Non l'amore.
Non il sesso.
Non il cambiamento.
Niente. Assolutamente niente.
Stava appunto pensando ciò, quando il cellulare sul comodino innanzi a sè prese a vibrare caparbio.
Chi è il povero insonne di turno?
"Sì?"
"Gackt..."
"Ciao Mana" salutò a bassa voce, per non disturbare Shin "E' successo qualcosa?" si adombrò.
"No no. E' solo che... ecco... "
All'istante, Mana si pentì di averlo chiamato. L'avrebbe considerato uno stupido!
"Mana... cosa è successo?" raddolcì il tono.
"No niente. Solo che sono un po' preoccupato e ho bisogno di distrarmi. Scusa se ti ho disturbato."
"No figurati, ma preoccupato per cosa?" domandò corrucciando lievemente la fronte bianca.
Si sentì chiaramente un sospiro dall'altro capo "Takanori è in ritrado di due ore e non risponde al cellulare"
Si divincolò lentamente dall'abbraccio di Shin e si sedette tra le coperte blu notte. "Come? E non sai dove sia?"
Ennesimo sospiro.
"No. Sò solo che sarebbe dovuto tornare per le tre"
"Mh. Vedrai che non sarà nulla."
"Sì lo sò."
Il corto silenzio che si insinuò tra i due venne interrotto dal cantante, che disse "Arrivo subito."
Tu-tu-tu-tu.

Solito locale. Lui che si rigirava il solito margarita in mano e aveva l'aria di chi non ha nulla da fare. Lei che si avvolgeva attorno al solito palo di ferro sul palco illuminato.
Magra, scattante, snella, bella, femminea e non allo stesso tempo.
Yu-ki sbuffò, scontento: avrebbe voluto poter percorrere quel corpo inebriante a piene mani, in una carezza delicata come un brivido e poi baciarle le labbra bollenti, con cui riusciva a sentirsi ebbro come avesse tracannado litri su litri d'alcol.
Sospirò prima di rimestare il liquido nel piccolo bicchiere con un cucchiaino che di cucchiaino aveva solo il nome, poichè era composto da un'unica lunga astina di vetro trasparente.
Non aveva neppure voglia di bere. E la cosa era alquanto grave!
Lo buttò giù senza pensare, cercando di non prestare attenzione al liquido che gli scivolava in gola.
"Una vodka liscia!" gridò al barista, sporgendosi sui gomiti.
Subito un bicchierino ricolmo di liquido trasparente gli si catapultò innanzi: lo prese e lo ingurgitò senza tanti complimenti, veloce.
Rivide Vivian sul palco, le gambe avvolte attorno al palo e la luce innocente negli occhi che assieme a quelle particolari e maliziose movenze creava un gioco che faceva sesso.
Ma che diceva?
Vivian era sesso.
Pensava questo, mentre ripuliva con solerzia il piccolo bicchierino ormai vuoto, e ci giocherellava noncurante.
Rivolse gli occhi verso il palco: lo show era finito e Vivian stava ora volteggiando tra i tavoli, strisciando la lunga gonna aperta sul davanti e nascondendosi dietro al pacchiano boa piumato.
Quando un uomo sulla sessantina le poggiò una piccola e rugosa mano sul didietro, un unico pensiero riuscì a scivolargli tra i forti impulsi omicidi che aleggiavano attorno alle proprie sinapsi.
Sigaretta!
Uscì dal retro del locale, che dava su una stradina poco illuminata, fetida e maltenuta: i bidoni dell'immondizia erano riversi a terra, e qualche gatto vi scavava alla disperata ricerca di cibo. Le pochissime macchine posteggiate erano prive di targa, con qualche vetro rattoppato alla meno peggio con scotch da pacchi e i fanalini spaccati.
Sembrava privo di vita.
Sbuffò il fumo e si perse nel ricorrere con lo sguardo i ricciolini, che si ammassavano nell'aria satura di vita cenciosa.
Click.
"Fai un passo e sei morto, Auki" **
Sentì un cerchio duro e freddo infilarglisi tra le scapole e premere contro la stoffa della camicia.
Alzò le mani in segno di resa.
Non si voltò.
"Chi sei?"
"Ci sarà tempo per questo..."
Lo voltò e lo colpì col calcio della pistola, facendolo accasciare a terra.

*En: tipo di legame spirituale che unisce due persone. (mi scuso se la spiegazione risulta confusa o errata, sono quei termini che sai che voglion dire, ma non sai spiegare .-.).
**Kikuzawa Auki: nome impronuncibile per me e la moglie, ma pare sia il vero nome di Yu-ki. Bhè, credo proprio che tra i due Auki sia quello di battesimo ^^.

LadyWay's note: waaaaaah, ho aggiornaaaato **.
Capitolo in cui FINALMENTE succede qualcosina ^^. Si inizia a delineare il tipo di rapporto che intercorre tra Takanori e Jui. Gackt abbandonerà il tentativo di riallacciare qualcosa con Mana? E chi cazzo è che punta una pistola alla schiena di Yu-ki? ù.ù
Ahah!
* si sente potente * XD no dai, scherzo.
Ormai sta fic è talmente incasinata che è nato un nuovo modo di dire: INCASINATA COME NEW LIFE XD.
Coooomunque, donnicciole e omini, è mezzanotte e mezza, non ho sonno, ho voglia di fare qualcosa di spastico, ho scritto questo capitolo in venti minuti spinta da non-sò-quale-congiunzione-astrale e sò perfettamente che a voi non frega nulla XD.
Passo a ringraziare:
Nine: primo: No, Gackt è un Vanilla Boy, e un Vanilla Boy non fuma Lucky Strike xD.
Secondo: seghe mentali e non, ricordiamocelo u__u
terzo: xD baka!
Quarto: non vantarti e taci U_U
quinto: LO è, RASSEGNATI! E' KAWAII, TI FACCIO LO SPELLING LOVE: k-a-w-a-i-i : KAPPA, A, DOPPIA VU, A, I, I XD.
Sesto: * w * la curiosità indecente mi piace
Okay dopo sta roba spastica vado, love xD.
Ale Shadows: :D grazie cara ^^ spero continuerai a seguirmi. Al solito troppo buona XD. AH è VERO DOVEVO FARE L'APPUNTINO.

* Si schiarisce la voce *

Ho cannato! XD la chitarra di Mana si chiama Jeune-Fille. E io che credevo che Jeune-Fille fosse la marca -.-. Dio mio l'idiozia XD. Grazie ad Ale Shadows. Però lettori/ici, Estrid non cambia perchè mi prendo licenza poetica XD. * non ha voglia di cambiare * XDD bacio navighetors XD.

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Capitolo 14
*** Regret...? ***


Capitolo 13
Regret...?

Colonna sonora di questo capitolo: Regret by Malice Mizer. Vi prego di ascoltarla durante la lettura ^^.
Là dentro tutto era rimasto pressochè uguale.
Gackt non potè fare a meno di stupirsene: la bambola non era mai stata una persona attaccata alla routine, anzi, era decisamente nomade, cambiava spesso ideali, modi d'essere, stili, vita...
La noia era ciò che forse lo impauriva di più, dopo la vecchiaia.
Scosse la testa.
"Vuoi un caffè, un thè..?" gli chiese improvvisamente Mana, squarciando il silenzio famigliare che si era intrecciato tra i due.
"Non guasterebbe un thè, grazie." sorrise.
Rimasto solo si alzò e iniziò a vagare per l'accogliente salotto. Le tende frusciavano spinte da una lieve brezza che si insinuava nella stanza attraverso la finestra socchiusa.
Chiuse gli occhi: la stanza era illuminata da una flebile e calda abat-jour, che lo rilassava da morire.
Poi riaprì le palpebre e si alzò, avvicinandosi al pesante mobile di mogano un paio di metri dietro il divano e scorrendo le lunghe file di fotografie poste sopra: ebbe un tuffo al cuore.
Su uno scaffale erano allineate -giusto un po' sfalsate- circa cinque fotografie di Takanori: nella prima aveva più o meno due anni e sorrideva felice con un gelato in mano. Nella seconda, circa sui sette anni, cercava di salire su di una bicicletta più alta lui. Nella terza era al suo terdicesimo compleanno. In quella affianco, un paio d'anni addietro, guardava fisso innanzi a sè, con espressione annoiata. E infine, lo scatto in mezzo agli altri, che sembrava ergersi sopra tutti i precedenti: scattata pochissimo tempo prima, quasi diciottenne, i capelli ribellamente sparati per aria, blu elettrico.
Osservò tutti i lineamenti con la massima cura, notando l'incredibile somiglianza con il chitarrista.
Si perse a fissarla con malinconia.
"Eccomi."
Quando Mana entrò nella stanza sorreggendo il piccolo vassoio con le tazze di thè, Gackt si asciugò l'unica lacrima sfuggitagli, celermente.
La bambola però gli si avvicinò e gli pose una mano su di una spalla "No, Gackt."
Sapeva quali pensieri si agitavano nell'animo del cantante: avrebbe voluto re-incontrare il ragazzo, anche solo per poco, potergli riparlare, poter chiarire con lui su ciò che per anni avevano taciuto e poter riconsolidare un rapporto sgretolatosi tempo addietro.
"Ti faresti male... e ne faresti ancor di più a lui." Mana parlò con tono risoluto, in cui però era presente una forte vena consolatoria.
Gackt si voltò, ormai calmatosi. Annuì piano.
Si risedettero sul divano e per qualche lungo minuto nessuno dei due parlò, presi a bere dalle grandi e pesanti tazze di ceramica.
Il cantante si sfilò piano gli occhiali e prese a massaggiarsi il setto nasale tra due dita.
"Domani incontro i proprietari dello Zepp Tokyo." parlò in un sussurro delicato come una goccia d'acqua il chitarrista.
"Ah, bene. Per quando organizzeremo?"
"Pensavo attorno a giugno. Sai per ricucire un po' il tutto... "
"Tutto cosa?"
"Bhe, anzitutto il fatto che è da dieci anni che non suoniamo più assieme, e che ultimamente ci siamo lasciati prendere dal lato mediatico della reunion e non da quello musicale. E questo non mi piace per niente." "Dopodomani abbiamo le prime prove, stà tranquillo. Non fasciarti la testa prima di rompertela! Magari è tutto come una volta..."
"Intendi la coordinazione naturale che abbiamo sempre avuto?"
"Yes"
"Mh"
Il silenzio si riannodò tra i due.
Almeno finchè le morbide e sottili labbra di Gackt non si posarono con delicatezza su quelle screpolate ma altresì voluttuosamente invitanti di Mana, intrappolandole in un bacio dal retrogusto dolceamaro.
Il cuore del chitarrista venne trapassato parte a parte da mille dardi di fuoco.
Gli occhi -dapprima rimasti comicamente spalancati fino all'inverosimile- vennero serrati, e gustò appieno il contatto col cantante, prima che questi si ritrasse e mormorasse flebilmente "Perdonami."
Ma il corvino non gli lasciò tempo di dire null'altro, aggrappandosi alle spalle dell'altro e ricominciando a baciarlo con foga e trasporto: succhiò quelle labbra invitanti e deliziose, le martoriò di piccoli morsetti, le leccò e fece scivolare maliziosamente le propria lingua su quella del vocalist, che gli restituì il favore mettendoselo in grembo e piazzandogli i palmi sul fondo della schiena, muovendoli in piccoli cerchi.
Mana sussultò e mugolò nel bacio, senza aprire le palpebre.
Gackt buciava di desiderio: la sua carne era dilaniata dalla passione dal primo momento in cui aveva rivisto il corvino, e non si era più chetata.
Lo voleva.
Gli sfilò la maglia, accarezzandogli leziosamente i capezzoli, mordicchiandoli, godendo nel vederli inturgiditi. Il corvino non perse tempo e gli slacciò con foga la bianca camicia, scoprendogli le spalle e passandovi sopra le morbide mani, pregustandone il sapore.
Le leccò, le seviziò, gli riservò attenzioni inutili ma ben accette.
Poi fece scivolare l'indumento sul pavimento.
Preso da un impeto inestinguibile, lo buttò all'indietro sul divano e infilò la lingua nell'ombelico del vocalist, spingendola verso il basso, sfamandosi appena dei mugolìi di piacere che si perdevano nella stanza.
Poi scese, lento, e gli slacciò il bottone dei jeans. Prese la cerniera tra i denti e la aprì con calma estenunate.
Infilò la piccola mano sotto all'intimo di Gackt e iniziò a muoverla in ampi e lenti cerchi, eccitandosi nel percepire la sua erezione crescente.
Quando gli ansiti divennero più forti, sfilò la mano e gli tolse in fretta i jeans, assieme ai boxer.
Il cantante osservò con gioia il chitarrista che si svestiva a sua volta, scoprendo invitanti porzioni di diafano incarnato. Gioì nel vedere l'erezione che gli tendeva la stoffa dell'intimo.
Glielo sfilò e lo rimirò appena, prima di capovolgere le loro posizioni e infilare tre dita tra le labbra di Mana, inumidendole.
Gliele leccò velocemente e così il moro ne infilò subito uno nell'invitante apertura, muovendolo appena per abituarlo.
"Da quanto non lo fai con un uomo?" gli chiese mentre ne infilava un secondo.
"Troppo.. troppo tempo... Aaaah!" mugolava di dolore e piacere, Mana.
Gackt stava per giungere al limite: sarebbe esploso prima di concludere il tutto se non si fosse sbrigato, così si infilò con cura nel corpo dell'altro, restando fermo inizialmente, per abituarlo.
Appena gli ansiti di dolore si tramutarono in silenziose preghiere di movimento, il vocalist assunse un'espressione sorniona e rimase perfettamente immobile.
"Muo... muoviti..." gli ansimò il chitarrista.
"Pregami" gli disse leziosamente.
No, non l'avrebbe pregato.
Il suo orgoglio veniva prima.
Però...però...però...
"Ti-ti prego... muoviti ti prego."
Gackt accolse con vivo interesse la preghiera di Mana e iniziò a spingere, mentre con una mano accarezzava la virilità del maggiore.
Vennero entrambi in poco tempo, inondandosi di piacere, spazzando via ogni stupido dubbio dal cuore di Mana.
Gackt si stese accanto all'altro, circondandogli la vita con un braccio ed attirandolo a sè, respirando tra i capelli del chitarrista, il quale si abbandonava alla sicurezza che ogni rimpianto fosse stato cancellato, e che l'ombra di un pentimento non apparisse nemmeno in lontananza.
Perchè era giusto.
Perchè erano loro.

Si svegliò a poco a poco, ogni secondo che passava percepiva un nuovo strato di chiarezza per il mondo circostante, che rimase comunque un po' ovattato.
Sentiva gusto di sangue in bocca, ferroso e metallico, liquido e grumoso allo stesso tempo.
Sputò debolmente, macchiandosi il colletto della bianca camicia perfettamente stirata.
Aprì con fatica le palpebre, osservandosi attorno: era steso su uno scomodissimo e rattoppato divano, nell'angolo di quello che pareva essere un monolocale alquanto abbacchiato: l'ambiente era scuro, con fogli di giornali, bottiglie di birra e scatole di cibo preconfezionato da kombini sparpagliate in ogni dove.
Luci fioche rischiaravano l'ambiente, e l'unica fonte d'illuminazione decente proveniva dallo schermo di un vecchio computer, davanti al quale era seduto un ragazzo che gli sembrava familiare: aveva occhi sporgenti e naso adunco, capelli neri e maltenuti, fisico esile -gracile quasi- infagottato in una maglia più grossa di tre taglie, nera, sbiadita e consunta.
All'improvviso un flash.

"Ehi, Yu-chan" improvvisamente gli giunse alle orecchie un fiato appesantito da litri di birra.
Si voltò sorpreso: alle sue spalle un individuo di circa vent'anni gli sorrideva ebete e brandiva una bottiglia di Guinness in mano.
Ma chi cazzo..?
"Chè non mi riconosci? Eppure quello sbronzo sono io" e rise in modo malsano.
Il bassista ostentò l'espressione indecifrabile, scavando negli immensi archivi di quasi quarant'anni di vita in cerca di quel volto: occhi sporgenti, naso adunco e capelli alle spalle disordinati e mal tenuti.
Niente.
Nemmeno nei recessi più neri dei suoi ricordi riusciva a ricordare chi fosse quel ragazzino dall'aria vacua.
"Ehm.. io non--"
"Ehi barman, lancia due birre qui" venne interrotto dal ragazzo.
In un secondo si ritrovò una Asahi sotto al naso.
"Allora non ti ricordi, nè?"
Yu-ki scosse il capo flebilmente.
L'altro sorrise enigmatico per poi proclamare con voce intrisa di una qualche sorta di malinconia e rabbia represse "Ci sarà tempo per questo".

"Chi-chi sei?" articolò quelle poche parole in qualche modo e lo sconosciuto si volse verso di lui, coi soliti occhi inespressivi e totalmente vuoti.
"Ah, ti sei svegliato finalmente."
Yu-ki rimase fermo, immobile, il respiro che quasi si rifiutava d'uscire, mentre quello restava alla sua postazione, senza muovere un muscolo.
Poi, lentamente, si rigirò e continuò a battere sui tasti con incedere lento e calibrato.
Non batteva ciglio.
Il bassista non si chetò e, essendosi acuita la propria lucidità, cercò di muoversi. Scoprì con sorpresa di non essere assolutamente costretto da alcunchè.
Si mosse appena e sentì subito un forte dolore alla nuca. Vi portò una mano celermente, mentre cercava di capire da cosa fosse dovut--
Il calcio della pistola!
Il ragazzo l'aveva tramortito fuori dal locale col calcio della pistola!
Passò poco tempo, lasso in cui Yu-ki ancora non riusciva ad articolare pensieri con troppo senso, prima che lo sconosciuto si alzasse dalla propria postazione e si accostasse al lercio divano sul quale il bassista era adagiato, prendendogli il volto con una lunga e scarna mano, dalle unghie mangiucchiate. Lo fissò apatico nei grandi occhi scuri.
"Sei bellissimo."
Disse questo prima di rialzarsi e iniziare a frugare in un piccolo angolo della stanza. Cercò finchè non trovò un grosso album di fotografie che aprì innanzi agli occhi attoniti dell'altro.
Foto.
Vecchie e nuove.
Tanti posti.
Un unico soggetto.
"Ti piaci Auki?" domandò, passando il lungo indice su una fotografia scolorita e ingiallita dagli anni, sopra cui era immortalato il suddetto musicista, a passeggio nel cuore di Shibuya con Kami stretto per mano.
Una fitta al cuore lo colpì.
"Sai, sono proprio un bravo fotografo." il ragazzo continuò a voltare le pagine.
Yu-ki ormai non le vedeva nemmeno più. La forte mano della rabbia gli attorcigliava le viscere in una morsa inconcepibilmente dolorosa.
"Chi cazzo sei?!" gli gridò in volto, spaventato e ottenebrato dall'ira.
Quello alzò il viso dall'album, ma non mutò la propria intramontabile espressione assente, dicendo "Shinji." con tutta la calma di questo mondo.
Il bassista si tirò su a sedere di scatto, non prestando attenzione alla fitta alla nuca.
"Perchè mi hai fatto questo? Perchè sono qui? Cosa vuoi da me?"
L'altro richiuse il tomo e lo rigettò con una forza che mai Yu-ki gli avrebbe attribuito tra i cuscini spogli del divano. Lo fissò.
"Voglio te."
Il cuore del bassista prese a battere fuoriosamente mentre le pallide mani dell'altro gli prendevano i polsi e glieli serravano in una stretta salda e quelle labbra sottili e goffe si posavano sulle proprie con violenza e possessività.
Quando si staccò, Yu-ki si dimenò per liberarsi dalla sua presa, ma Shinji non lo lasciò andare, anzi aumentò la forza con cui lo bloccava, procurandogli un forte dolore ai polsi.
Poi lo fece alzare e lo condusse verso una sottospecie di sgabuzzino, nell'angolo estremo della stanza.
Lo aprì con uno scatto.
Yu-ki spalancò gli occhi dalla sorpresa e dal terrore: altre fotografie. Tante. Troppe.
Tutte le tre pareti usufruibili dell'angusto spazio erano tappezzate di scatti... alcuni anche piuttosto privati.
Tremò, non seppe neanche bene perchè. Troppe erano le emozioni che gli si agitavano in petto. E nessuna era chiara. Un grumo confuso e indecifrabile.
Shinji gli accarezzò piano i capelli, da dietro. Poi richiuse la porta e lo fece voltare.
"Ti ho sempre amato Auki." gli soffiò sulle labbra. Un brivido di disgusto gli pervase lo stomaco di nausea.
Il ragazzo lo ricondusse verso il divanetto scarno e lo fece stendere a pancia sotto. Gli insinuò le mani sotto la cintura dei jeans.
Tutto ciò che Yu-ki ricorderà di quella notte sarà solo tanta polvere, tanta confusione e tanti gemiti. Nessuno dei quali suo.

Il Freedom era il classico ritrovo di compagnie. Di ogni tipo.
Dai ricchi strafatti firmati, ai poveri in canna sbrindellati.
Dai vecchi ninfomani alle giovani prostitute -e non di professione-.
Un varietà di specie e sottospecie umane di numero ragguardevole.
Ma Sachiko quella sera era troppo assorbita dalle varie e disparate ordinazioni che le venivano gridate da ogni angolo per farci caso. Correva dal mobile degli alcolici, allo scaffale dei bicchieri, al robo per spremere la frutta e al coso per i mojito, come li avevano simpaticamente rinominati lei e i suoi colleghi, velocemente e con la stessa elasticità di una pallina in un flipper.
Si allentò il grembiule verde dell'heineken e lo riallacciò poco sotto la vita.
Le luci intermittenti la abbagliarono in un secondo e si rivoltò verso il ripiano per prenedre un bicchiere da rum quando una voce si distinse cristallina sopra tutte le altre "Sachiko fammi un Bull Dog.".
Jui era accartocciato sensualmente sul bancone, un sorriso strafottente in volto e gli occhi brillanti di accecante malizia. Stonava drammaticamente quel demone tentatore in un locale simile. In più i suoi modi scattanti, nervosi e maschili gli donavano un'aura di nevrocità. I capelli spettinati per il tanto ballare e il trucco colato lo facevano apparire una passeggiatrice da burlesque, anche se non gli riusciva di avere la stessa eleganza. Ma Sachiko non vedeva tutto questo. Si perdeva semplicemente in quei naturali occhi smeraldini, nuotando nelle increspature dorate e poi immergendosi nel nero lucido dell'iride.
"Jui!" lo salutò con un radioso sorriso, poi preparò velocemente il cocktail da lui richiesto e glielo porse, eseguendo qualche giochetto con la Red Bull e il bicchiere.
Jui soffiò il fumo in riccioli ondeggianti, osservandola e poi sorridendo "Ma che brava!" con espressione teneramente accattivante.
"Visto?" sorrise Sachiko porgendogli il bicchiere colmo.
"Quando finisci il turno?" glielo chiese improvvisamente, prendendo un sorso dal drink.
Lei guardò l'orologio che portava al polso.
"Dieci minuti."
"Ti aspetto fuori." e senza attendere la risposta di lei si alzò e scomparve, inghiottito dalla folla.

"Quindi sei single, Sachiko-san." l'aveva detto con nonchalance assoluta, passeggiando lugo il pontile della baia di Tokyo, fumando tranquillamente.
"Già."
"Lasciami indovinare..." volteggiò un paio di volte, puntando lo sguardo nel nulla come pensando. "Appena uscita da una storia importante, finita male. Lei ti ha mollata in tronco senza apparente motivo."
Sachiko sorrise. "Hai cannato persino il genere."
Lui sembrò piacevolmente stupito "Non sei lesbica?"
"No, perchè, lo sembro?" chiese divertita.
"Un po'!"
Scoppiarono a ridere assieme.
"No no, perfettamente etero."
"Mai avuti manco pensieri su una donna?"
"Mai avuti."
"Wow. Una donnina decisa!" chiuse il pugno e lo sventolò in aria, con fare drammatico.
Ennesimo scoppio di risate.
Sachiko stava bene, ma nel suo animo, in fondo, si annidava una qualche sorta di legnosità. Lei, assieme a Jui, non riusciva ad aprirsi.
Non come con Takanori, almeno.
Ma non ci pensava. Per lei in quel momento esistevano solo Jui, le stelle e la luna che si spezzava nell'abbraccio tortuoso dell'oceano: si specchiava sulle piccole onde, si muoveva con esse senza mai spostarsi, le modificava e donava a tutto un'aria suggestiva.
Il bacio venne all'improvviso. Come una scarica elettrica di grande portata. Come il primo fulmine di una lunga serie.
Come il piacere assoluto che si prova tra le mani della persona che si ama.
Fu breve ma intenso. Qualcosa di passionale, che lasciò Sachiko eccitata.
Lo voleva.
Solo in senso fisico.
Lo voleva.
E subito.

LadyWay's note: e il parto finì. Mi sono impelagata in modo assurdo con Yu-ki, ma poco a poco i tasselli si riordineranno v.v. Coooomunque, non ho note particolari da faaare, tranne che: I DUE PINGUINI SI SONO SVEGLIATI YEEEEEEH **. Le Mackt rulleggiano ù.ù. Comuuunque. Gioite donnine e omini... siamo più o meno a metààà!!. XD. Da ora in avanti non verranno più formulate domande, ma verrà data risposta a tutte quelle precedenti ^^. Sperando di riuscire a postare in tempi umanamente umani u.u. Spero che abbiate gradito il capitolo ^^.

Sakura_sun: aahahahah XDD ti ringrazio tantissimo. Nooo non merito la tua stima * arrossisce da morire * grassie >o<. Comunque, si Mana e Gackt sono l'OTP degli OTP XD ma personalmente gli cucio addosso solo drammi epocali XD Sono omini che portano phatos! e coccole! cose che assieme non coesistono ma vabèèè XD. Jui e Taka sono in un particolare rapporto.. ehm.. è delicata come cosa, ho paura che qualcuno non gradisca perchè ora si entra in temi decisamente forti e dal prossimo il ranting salirà definitivamente a rosso ^^. Non dico altro, solo... spero continuerai a seguirmi e a recensirmi ^^. Un bacione.

Un bacio a tutti ^^,
Colgo l'occasione per ringraziare la solita santa di Nine, che mi sopporta da quasi CINQUE MESI (comefaaa? XD) e eche continua a dimostrarmi il suo amore. Ti amo :).
G.

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Capitolo 15
*** Guilty! ***


Capitolo 14
Guilty!

Si risvegliò con un senso di dolore e torpore addosso.
Fece per muoversi ma percepì i polsi ancora dolorosamente costretti dal laccio di plastica che Jui aveva usato la sera prima per legarlo. E poi un dolore sordo e lancinante, non localizzato.
Aprì un occhio e vide il ramato addormentato sul proprio ventre... ancora dentro di lui!
Ecco perchè quel fottuto male alle parti basse!
"Jui..."
Lo chiamò con dolcezza.
"Jui?"
"Mmmh?" il cantante mugolò nel sonno e aprì un'iride smeraldina, puntandola sul volto del batterista.
Si prese qualche attimo, giusto per staccare gli ultimi brandelli di sonno dalle membra. E poi disse "Perchè mi hai svegliato?" la voce era dura e severa.
Takanori ingoiò a vuoto.
"Mi...mi stai facendo malissimo." additò i polsi e i loro corpi uniti.
Jui lo guardò per un lungo istante, col volto perfettamente calmo. "E quindi?"
Il blu ingoiò nuovamente a vuoto.
"..."
Jui si alzò e si sfilò con poca grazia, facendolo quasi urlare di dolore. Aveva uno sguardo durissimo, cattivo presagio per l'imminente futuro di Takanori.
Difatti il ramato lo acciuffò per i corti fili blu e lo strattonò con una violenza tale da farlo gemere ancora. Lo occhieggiò con sguardo di fuoco "Chi decide?".
"..." non rispose.
"Allora? Chi decide?" lo strattonò ancora.
"T-tu..."
"Non ho sentito Taka-chan" altro strattone.
"Tu!" scandì con maggiore chiarezza.
Allora il vocalist si chetò e lo lasciò andare, sciogliendogli il legaccio di plastica e massaggiandogli i polsi.
"Se vuoi puoi andare, si è fatto tardi e io devo uscire."
Takanori annuì piano e si rivestì, dolendo quando la stoffa della maglia e della felpa cozzarono contro le evidenti abrasioni sui polsi, da cui stillavano gocce di sangue carminio.
Le tamponò con un fazzoletto e uscì alla frescura dell'alba, dirigendosi verso casa.

Shin si stava giusto annodando la cravatta, il volto corrucciato in una smorfia, quando Gackt tornò a casa. "Ciao." il cantante salutò il minore e, senza aspettare una risposta andò in bagno e si spogliò.
Il getto freddo dell'acqua contro il petto lo riportò con la mente alle attenzioni avute da Mana: riuscì a percepire le sue tozze e piccole mani percorrergli in una carezza delicata il busto, dall'anca al collo, con movimenti astratti.
Risentì i suoi piccoli e irregolari denti bianchi stuzzicarlo sui boccioli rosei, e la calda umidità delle sue labbra sul proprio sesso.
Sospirò, nuovamente eccitato.
Chiuse il getto e si avvitò un asciugamano addosso, tornando in camera. Qui una fitta di nemmeno-lui-sapeva-bene-cosa lo colpì violentemente circa all'altezza dello stomaco, quando vide il volto increspato dai segni della preoccupazione di Shin. Allora fece per portarsi dietro di lui e abbracciarlo dalla vita, ma il castano si ritrasse indispettito e continuò come se nulla fosse a vestirsi.
"Cos'hai?" gli chiese, i rivoli d'acqua che gli tracciavano lunghe scie lungo l'ampio torace, giungendo fino alla stretta vita.
Shin lo occhieggiò brevemente, apparentemente privo di interesse, infilandosi le calze.
"Secondo te?" glielo chiese nervosamente, cercando di non guardarlo in faccia.
Gackt sospirò e si appoggiò con la spalla al muro. "Mi dispiace, non volevo svegliarti sta notte e ho preferito--" Shin non lo lasciò terminare, prendendo la parola e fendendo l'aria con la mano aperta, in segno di stop "Così hai preferito farmi morire di preoccupazione, oltretutto lasciando il cellulare a casa!"
Il cantante abbassò il volto un poco, scompigliandosi le corte ciocche corvine. "Mi dispiace, Shin."
Ma l'altro era già uscito al mi.

Sachiko rotolò sul letto dalle coperte sfatte, con addosso solo la lunga chioma fluente.
L'aveva voluto.
Ma lui non le si era concesso.
Sono fidanzato.
Bella merda!
Con chi? Gli aveva chiesto lei, intuitivamente. Magari un giorno te lo faccio conoscere.
Lo? E' un maschio?
Ovvio.
Sei gay?
No.
Oh.

Conversazione interessante quando un barattolo di mais. Sachiko non riusciva ancora a scindere l'attrazione sessuale che provava per Jui da tutto il resto. Non capiva ancora se era qualcosa di esclusivamente fisico o mentale. Non lo sapeva, e l'unico modo per scoprirlo era sondare il terreno.
Voleva Jui, punto.
Lo voleva, e niente l'avrebbe fermata.
Neppure quel frocetto con cui stà, potrà fare niente per impedirmi di averlo, anche solo per una notte!
Mentre pensava questo, le arrivò un messaggio.
Un messaggio di Jui.
Domenica, alle 21 a casa mia, sola.
...

Yu-ki entrò, barcollando vistosamente, in camera e si lasciò cadere con un tuffo secco sulle lenzuola, addormentandosi istantaneamente.
Le immagini che si susseguirono, durante il suo sonno agitato, furono brevi, cattive, cruente... terribili. Nella sua mente si sparpagliarono mille frammenti di ricordi, tutti dolorosamente mischiati...

Shoji uscì da lui velocemente, ancora ansante a causa degli ultimi strascichi dell'orgasmo. Yu-ki provava un senso di pesantezza allo stomaco, una forte nausea e la voglia dirompente di piangere.
Si trattenne.
"Perchè?" la sua voce fu un pigolio indistinguibile.
"Eh?" domandò infatti il rapitore.
"Perchè?" domandò a voce leggermente più alta il bassista.
Shoji rise. Rise di una risata cristallina e gioiosa e poi si rinfilò in lui con uno scatto deciso.

Lo scianquò delle immonde tracce che gli aveva lasciato addosso, con un asciugamano umido. Poi lo rivestì con grande cura e accortezza di ogni indumento.

Uscì nuovamente dal suo corpo stremato e livido di rabbia e dolore.
"Vuoi sapere il perchè eh?" si accese una sigaretta, quel ragazzo dall'aspetto lurido e nauseante alla vista del bassista. Quello stesso ragazzo sorrise. "Bhe, come potrei dirtelo, se non lo sò nemmeno io?" rise ancora, una risata forte e schizofrenica, nevrotica e statica, senza ombra di vera emozione.
E a Yu-ki si gelò il sangue.

"Sei bello. E io sono un edonista. Il bello è ciò che crea la mia anima. Il bello è tutto ciò che voglio. Il bello è l'unica ragione per cui io vivo e respiro."
Yu-ki aveva qualche dubbio a riguardo, ma si guardò bene dal proferire verbo.
"Dal primo istante che ti ho visto... cazzo, dovevi essere mio tesoruccio. E dopo anni e anni ce l'ho fatta." e ancora a ridere, cucendo una coperta di brividi addosso a Yu-ki.

"Vedi questa?" gli mostrò una pistola lucida. Yu-ki sbiancò. "Ecco..." la rigirò "... diciamo che puoi decidere tra tempia, bocca e petto." sorrise glaciale. E Auki capì cosa doveva fare.

Il sangue macchiava i suoi abiti. Il sangue macchiava il pavimento. Il sangue macchiava il suo volto. Il sangue macchiava la canna della pistola.
La vittima giaceva scompostamente a terra e Yu-ki ancora ansimava, stremato dalla lotta per la vita e la morte.
Ne era uscito vincitore. La vittima si era ribellata al suo carnefice. Era giusto...
... e allora, perchè si faceva così schifo?

LadyWay's note:
Hola cari XD. Si l'ho scritto di getto questo capitoletto o.ò. Non abituatevi a tale regime però nè u.ù. Non ho note particolari da fare :). Bacio.

Sakura_sun: grazieeeee :D. Si concordo, sia sulla scopata che sui drammi XD. Anche se per ora i nostri baldi credono d'aver fatto l'amour u.u che ingenui U_U. XD Spero ti sia piaciuto questo capitolo e che mi lascerai ancora tracce della tua avvenuta lettura XD. Bacioni!

E come non ringraziare la solita donnina che mi sopporta sempre? XD Ti adoro, love, come dico sempre in questi giorni u.u.

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Capitolo 16
*** Wrap your name in lace and leather ***


Capitolo 15
Wrap your name in lace and leather

La benda di pizzo le ostrì la visuale.
Un lungo, intenso brivido di piacere, le si avvolse attorno alla spina dorsale, morendo alla base della nuca, intorpidendole appena i sensi.
Il corpo nudo si contorceva un poco, per abituarsi all'imposta cecità.
Subito dopo percepì i polsi venire legati alla testiera del letto, con una striscia di cuoio fresca e dura. Era talmente stretta che riusciva a percepire le scanalature del materiale.
Takanori si perse un momento a fissarla: Sachiko era inginocchiata sul letto, a novanta gradi, nuda, il candido ventre teso e i piedi puntellati in aria. Era bellissima: la cascata di capelli castani le avvolgeva le spalle sottili.
Jui si mise dietro di lei, passandole le mani sui fianchi magri, in una languida carezza.
Si chinò e le leccò la linea concava della spina dorsale, e quando giunse alle dolci curve delle natiche sode, vi introdusse la lingua con maestria consumata.
Mentre veniva trapassata dal piacere, Sachiko sorrise, al pensiero di quel benedetto messaggio.
"Domenica, alle 21 a casa mia, sola."
Anche se scoprire che il fidanzato del ramato fosse Takanori... bhe era rimasta letteralmente con la mandibola rasoterra. Però la cosa aveva iniziato ad assumere interessanti aspetti positivi quando Jui, proprio davanti al blu, l'aveva baciata con passione e trasporto, inchiodandola al materasso e spogliandola un capo per volta.
E ora eccoli, tutti e tre spogliati, oltre che di ogni strato o vestito, di qualsivoglia remore o pentimento di star per consumare un atto carnale condiviso tra più persone.
Il filo di pensieri di Sachiko venne interrotto da una spinta secca. Jui si stava infilando in lei, da dietro, tenendosi su puntellando i palmi aperti sopra le coperte.
Fu più dolore, che piacere, ciò che percepì.
Non aveva grazia.
Solo rudezza, forza ed egoismo.

Takanori sedeva sulla poltrona accanto al letto, mentre Sachiko e Jui si possedevano.
Che cosa cazzo ha in mente quello?
Continuava a chiederselo, mentre il cantante si sfilava dalla mora e si riversava sul pavimento.
Provava un certo fastidio. E non perchè Jui lo "tradisse". Avevano già incluso qualcun'altro nella loro storia in passato, dal lato sessuale.
Ma proprio Sachiko...
...era questo che non riusciva ad ingoiare.
Nemmeno quando la ragazza gli si accucciò davanti, aprendogli di scatto le gambe con ambedue le mani e infilandosi tra esse, assaggiandolo con abilità innata.

Mana dormiva tra le coperte sfatte del letto rotondo.
Letto che non era il suo.
Il rumore attutito dell'acqua della fontana che scivolava nel piccolo sbocco era qualcosa di estremamente rilassante.
Gackt era seduto accanto a lui, le gambe incrociate, una sigaretta tra le labbra che si consumava senza essere effettivamente fumata.
Era lì da... quando? Un minuto? Un'ora?
Aveva perso il conto del tempo, che ormai scivolava come l'acqua della fontana.
Amava casa sua. Era un tempio adibito al riposo.
Eppure, una volta, la odiava. C'erano stati anni in cui aveva preferito addormentarsi sul divano, il cucchiaio del gelato in bocca, un film di dubbio gusto che girava nel videoregistratore.
C'erano stati anni in cui quello stupendo letto rotondo era rimasto freddo, intonso, sempre perfettamente rifatto, le coperte mai scostate.
C'erano stati anni in cui aveva preferito la solitudine della piazza singola del divano, alla vuotezza del grande letto.
E poi?
E poi era arrivato Shin. Shin che con la sua colorata allegria, i suoi incantevoli sorrisi, i suoi occhi tinti di perdizione aveva rianimato una vita altresì grigia.
Gli aveva mostrato le uscite laterali del tunnel. Poteva decidere, dirigere la sua vita dove più voleva. Shin gli aveva insegnato la libertà, a usarla, a ritagliarsela, ad amarla. Shin aveva scaldato quelle coperte mai toccate. Shin aveva stravolto la sua vita. E poi Shin gli aveva insegnato ad amarl---
Fermi tutti!
Lui non amava Shinici Yamazaki!
No!
No!
No no no!
Lui amava Manabu Satou! L'aveva sempre amato e avrebbe continuato in eterno a votarsi a quell'amore corrisposto.
Ma allora cos'era quel calore, quel morbido tepore che si impossessava dei suoi arti appena il nome del ragazzo gli scivolava fuori dalle labbra?
Non lo capiva. Però non era assolutamente amore.
Shin era sesso!
Shin era sesso.
Shin era sesso?
Mana era amore!
Mana era amore.
Mana era amore?
...
Mille punti di domanda si sparpagliarono nella mente confusa di Satoru, cadendo con un tonfo sordo.

Era una soleggiata mattina di fine febbraio.
Un Kozi annoiato e appena sveglio stava facendo stancamente zapping da un canale all'altro, bevicchiando il proprio caffè. Incappò nel telegiornale nazionale e vi rimase, quasi colto da un'intuizione.
"Stanotte è stato ucciso brutalmente un noto malvivente a est di Chiba, pugnalato all'altezza della giugulare da ignoti. La vittima è Shoji Kokuzuma, ricercato già da tempo dalla polizia locale per tentato stupro e stalking con aggravanti verso un ex ragazzo."
Sorrise quasi. Gli faceva pena il mondo e le turbe psichiche delle persone.
"La scientifica non ha trovato tracce nel sangue sugli abiti della vittima, anche se pare che nell'appartamento abitato illegalmente dal giovane sia stata rinvenuta l'evidente traccia che lo avrebbe senza dubbio condannato al massimo della pena prevista per stalking. Un magazzino interamente tappezzato di fotografie, tutte recanti l'immagine di un noto musicista."
E chi è lo sfigato di turno? Pensò con un pizzico di ilarità Kozi, sorseggiando il proprio caffè, ora interessato all'argomento.
"Il famoso bassista della band Rock Malice Mizer, Yu-ki."
Dire che si strozzò sarebbe usare un eufemismo. Il caffè venne sparato a parabola lungo tutto il pavimento e anche il tavolo davanti al Pierrot venne abbondantemente macchiato.
Strabuzzò gli occhi.
Yu-ki?
"E proprio del musicista non si hanno più tracce dalla scorsa notte. Sembra sparito misteriosamente, subito dopo essere uscito dal noto gay bar "Light". Una drag queen del locale, amica del bassista, avrebbe denunciato la scomparsa verso le quattro di questa mattina. Ma non si hanno ancora conferme o smentite di un suo possibile rientro alle prime luci dell'alba."
Per poco non si ruppe l'osso del collo, scapicollandosi accanto al cordless.
Sbagliò almeno tre volte a digitare il numero di Yu-Ki, ma quando alla fine ci riuscì il telefono risultava staccato.
Brutto segno.

Note: eccola tornata :D capitolo corto e mefitico, stronzo e pure meschino u.u. E vabbè :) la vostra Guren è incazzata come un treno e al contempo felice e appagata come una regina. Chi la capisce è braFo u.u. Ordunque passo subito alle recensioni delle pulzelle che mi hanno commentato :).
DarukuShivaa: benvenuta dolcezza * o *. Waaah ti sei ritagliata del tempo per me? e per new life?. Ti stimo o.o, ci vuole coraggio XDD. No lascia perdere il mio ego modello palloncino scoppiato :) sono felice che la fic ti piaccia. Oh, cosa ti lascia perplessa? Non sono stata chiara nelle pochissime e velate risposte che ho già dato? XD Se posso risponderti lo faccio con piacere, ma niente spam nonò ù_ù XD. Aaaah ma quel Jui è nato di per sè ò.ò nemmeno io sapevo che sarebbe andato con Taka. Ti confesso che io NON SO NULLA di questa fic XD ne sò più o meno quanto voi u.u. Ora vado, grazie anora :) bacione.
Sakura_sun: ma Takanori è stato creato su modello del puffo da diciottenne :) se vuoi vedere come lo immagino reperisci facilmenterrimente un'immagine del cantantino u.u. Oh? Cos'è Fruit Basket? ò.o. Grazie ancora carissima :) un bacione.

Nine: * addita alla Nelson * ah-ah! Visto? Eh? EH?! Non mi sono incartata tiè ù.ù. XD. I luv yah so muuuuch <3.

Alla prossima,
Guren.

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Capitolo 17
*** Raison D'etre ***


Capitolo 16
Raison D'etre

Colonna sonora: People Error by the gazettE. Vi prego di ascoltarla durante la lettura :).
Aveva staccato il telefono. Non voleva essere disturbato. Non aveva voce per parlare. Non aveva forza per muoversi. Non aveva voglia di alzarsi. Non voleva vedere nessuno. Nessuno tranne lei.
Nessuno tranne la sua Peccatrice.
La sua incantevole Peccatrice, i cui boccoli color dell'oro risplendevano fulgidi nella penombra azzurrina della stanza.
Il suo volto si scompose in note. Le chiavi di violino splendevano come l'argento liquido, il do minore che scivolava sulle labbra piene sanciva l'illusoria bellezza di cui era composto tutto attorno a loro.
Un solitario mi avvolgeva tutto quel corpo, nascosto dagli inutili strati dei vestiti.
Non c'erano più parole.
Yu-ki non le voleva.
Vivian non aveva voluto spiegazioni. Lui non gliene voleva dare.
"Sii solo mia."
"Sarò solo tua."
La camicia scivolò a terra senza rumore.
"Fammi solo tuo."
"Sei solo mio."
La gonna a balze rovinò sul tappeto.
La giovane ballerina venne sospinta verso il limitare del letto e buttata con eleganza tra le coperte.
Yu-ki le si distese sopra, osservandola.
"Sii il mio ossigeno."
La bella smise di rispondere, iniziando a percepire un tiepido calore diffuso accendersi nelle sua membra.
"Sii la mia vita."
Anche il bassista si spogliò, la fine eleganza del profilo giusto un po' muscoloso, la linea sottile del ventre, le gambe toniche, il collo niveo. La sua bellezza si scompose in profumi.
Vivian li percepì tutti.
Delicato odore di rose. Profondo e abbacinante aroma di spezie. Languore fruttato. Sensuale e torbido profumo di mandorle. L'essenza del sesso.
No, che diceva?
L'essenza dell'amore.
"Sii la mia ragione d'essere."
E mentre Yu-ki possedeva quel corpo inaspettatamente virile, elegante e fine al tempo stesso, provò un piacere puro. Non illusorio. Pareva essere tangibile, tastabile, osservabile.
E mentre Vivian veniva posseduta da quel corpo asciutto, sensuale ed etereo, le sembrò di morire.
Ma si può morire dal piacere?
Si riversarono entrambi, assieme.
E una piccola, grande, insignificante, importante parola scivolò fuori dalle labbra esangui di peccato della ballerina.
"Aishiteiru..."

In piedi, Mana camminava nervosamente avanti e indietro per la stanza.
Era tardi.
Tardissimo.
A furia di aspettare la gente alzato diverrò vecchio prima del tempo!
Pensò ironicamente, mentre controllava ancora una volta il cellulare.
Akune era uscita quella sera, adducendo la scusa dell'ennesima cena di lavoro. Doveva essere a casa per mezzanotte.
E ora, o gli orologi di casa Satou erano diventati scemi come i proprietari, oppure sua moglie era in ritardo di due ore e mezza.
E senza telefonare.
E che cazzo! Il telefono in questa casa non viene preso in considerazione!
"Ciao!" Takanori entrò in casa, scalciando le scarpe in un angolo.
Mana ripose con un mezzo grugnito.
Da quando, una settimana prima, il ragazzo era rientrato alle dieci di mattina senza avvisare niente e nessuno del consistente ritardo i loro rapporti si erano raffreddati. Si parlavano lo stretto indispensabile, evitavano di guardarsi e di soggiornare per più di un minuto nella stessa stanza.
Il chitarrista era deluso dal suo comportamento. Molto. Per anni avevano intessuto un rapporto degno di quel nome e in un secondo si era sgretolato tutto.
Che invece fosse stato semplicemente lui a non volersi accorgere che il castello di carte iniziava già a traballare da tempo?
Forse no. Forse sì. Forse...
Forse era solo Takanori ad essere cresciuto e a non aver più bisogno di lui.
Forse.
Forse era anche colpa sua, di Mana, che da quando si rifrequentava con Gackt aveva iniziato a vergognarsi. Sì, si vergognava di ciò che compiva. Trovava che il tradimento fosse la più alta forma di irrispetto nei gesti della persona amata, ed ecco che si era trovato nel mezzo di una situazione più stretta di lui.
Cazzo.
Non andava.
"Mamma?"
Mana non rispose alla domanda del figlio, che continuò però a ergersi in piedi accanto al divano sul quale sedeva, attendendo delucidazioni.
"Ti degneresti di cagarmi?"
"Perchè dovrei?"
"Perchè ti ho fatto una domanda..."
Si richiuse nel proprio mutismo.
Takanori sospirò frustrato.
"Per favore..." tentò inutilmente di allacciare un contatto almeno visivo, ma il corvino teneva gli occhi saldamente incollati alla trama del tappeto.
Allora alla fine, vinto, si incamminò verso la propria camera, lanciandogli una dolorosa perla.
"Fai lo stronzo e poi ti chiedi davvero dove possa essere tua moglie..."
Mana non colse quell'allusione. Si alzò e gli andò dietro.
"Cosa vorresti insinuare ragazzino?"
Il blu non gli rispose, limitandosi a lanciargli un eloquentissimo sguardo. I suoi occhi si persero nelle loro identiche fotocopie. Le iridi d'ossidiana, identiche in tutto, si intrecciarono, lottando quasi.
E prima di richiudersi la porta alle spalle, Takanori fece un gesto che tranciò la fittizzia quiete in cui si era rinchiuso il chitarrista.
Fece il gesto delle corna e disse "Dix..."* a bassa voce, quasi in un sussurro.
Ma bastò questo per far compiere un avvitamento alle viscere del corvino, che venne folgorato.
La sua coperta di illusione scivolò via, e il freddo vento pungente dell'inganno lo graffiò.

Quella mattina, in sala prove, l'atmosfera era pensantissima.
Mana stava accordando Estrid, un cipiglio scuro in volto, due profonde occhiaie violacee.
Gackt si rigirava il microfono tra le dita stranamente prive dei consueti anelli, arrotolandosi sull'indice il cavo arancione.
Daisuke, il loro nuovo batterista di supporto, stava ancora montando i piatti.
Kozi entrò sbattendo la porta, gli occhi sgranati di preoccupazione, la sigaretta accesa tra le labbra.
E già ciò avrebbe dovuto allarmare il gruppo, ma come se non bastasse sbattè con poca cura la custodia contenente Akauzu** sul divanetto accanto all'entrata.
Ahia!
"Avete sentito il telegiornale sta mattina?"
Tutti diniegarono col capo.
"Yu-ki è sparito..."
Un silenzio cupo, carico di tensione e incredulità si allacciò tra i tre.
Mana sbarrò gli occhi.
Gackt fece cadere a terra il microfono che si infranse contro il suolo con un tonfo sordo.
A Daisuke cascò un piatto dello strumento, che rieccheggiò fastidiosamente per la sala.
"Co-co-come sparito?" si fece coraggio e parlò, Mana.
Kozi allora raccontò di tutto quello che aveva sentito quella mattina, sul canale nazionale, con fervore e preoccupazione crescente nei gesti impazienti.
"...poi l'ho chiamato, ma ha il telefono staccato."
Senza una parola, Mana prese la giacca dall'appendabiti, abbandonando la chitarra ancora attaccata ai cavi dell'amplificatore.
"Vado a vedere se è a casa..."
Fermò una mano a mezz'aria, in un chiaro segno di stop, innanzi al volto di Gackt e Kozi.
"...da solo."
Vedendo lo sbigottimento dei due, dette spiegazioni. "E' meglio così. Troppe persone sono inutili e lo farebbero preoccupare di più. Vi faccio sapere qualcosa al più presto."
E detto ciò uscì senza rumore dalla sala, il cuore che batteva per la preoccupazione mal celata.

*Dix: Mana nella sua nuova band, i Moi dix Mois, esegue questo gesto, facendo le corna e dicendo "Dix" u.u. Tranquille, Taka-chan non è matto XD *bhe insomma, non del tutto * ha un suo perchè stà cosa u.u
**Akauzu: nome della chitarra di Kozi ^-^

Notes:
mi scuso per la corterricità di questi capitoli, ma preferisco postare più frequentemente con capitoli più corti appunto u.u
Ah! Sapete che ora faccio pubblicità? Beast of Blood, le mi drabble, ono appena terminate. Una lettina no eh? *occhioni *
AAAH la vostra Guren oggi va a comprari gli occhiali quindi finalmente ci vedrà u.u yeeeeeh **
DarukuShivaa: si Jui è un bastardo u.u Sì, devi avere paura per Mana e Gackt u.u Grazie mille per i complimenti é.è troppi troppi * arrossisce * grazie davvero ^^ alla prossima
Sakura_sun: come ti è quasi piaciuto? XDD Non sei una fan dei triangoli? XDD hahahahah. Capiso che sia stato un po' indigesto comunque xD non è una tematica leggera. Grazie per continuare a seguirmi e cercherò di vedere Fruit Basket u.u Oooooh un'altra estimatrice di Shin ** il mio Shin-shi **.

G.

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Capitolo 18
*** Powder ***


Capitolo 17
Powder

Suonò con mano leggermente incerta il bottoncino bianco del campanello, recante il nome Kikuzawa.
"Sì?" era una voce di uomo. Era una voce diversa. Era una voce che non apparteneva a Yu-ki.
"Sono Manabu." disse ugualmente e con un gracchiare indistinto gli venne aperto il portone.
Dalla fretta salì le scale tre gradini per volta.
Sulla soglia stava Yu-ki. A Mana non era mai parso così bello nonostante gli occhi fossero velati di... shock? Ricordi? Tristezza? Non riusciva a capire.
Gli sorrise appena, emanando una tale e profonda aura di malinconia da riuscire ad attanagliare tra le spire dell'angoscia persino il cuore del chitarrista, che gli si buttò al collo, stringendolo, sollevato dal trovarlo... vivo?
Sì probabilmente era così.
Aveva le lacrime agli occhi, ma le ricacciò stoicamente da dove erano venute, affondando il volto nel collo dell'amico. Il terrore che lo aveva investito al pensiero di poterlo aver perso era stato inconcepibilmente atroce. Yu-ki, nonostante fosse stato colto impreparato da quello slancio affettivo, lo strinse al proprio petto per interminabili secondi, accarezzandogli la schiena con movimenti circolari. Poi Mana, con ancora il volto nascosto sulla sua spalla, parlò.
"Cosa ti è successo?"
Il bassista sospirò "... adesso stò bene."
Mana si staccò e lo fissò negli occhi con sguardo liquido.
"Yu-ki..." un nome sussurrato come fosse un monito, una preghiera e un ordine dati in contemporanea.
Lui sospirò nuovamente e lo fece entrare, richiudendo la porta. Poi si diresse in soggiorno facendogli cenno di seguirlo.
Si accomodarono al piccolo tavolino a tre posti davanti alla finestra, la cui veneziana era tirata giù per metà e lasciava penetrare nella stanza lame di luce dai colori caldi della fredda mattina quasi primaverile.
Del thè bianco riposava in un'elegante teiera di porcellana, dalla foggia inconfondibilmente Europea.
Yu-ki non guardava il suo ospite, limitandosi a fumare osservando i profili dei palazzi.
Sebrava apatico, statico.
Sembrava polvere. Sedeva con la stessa inconsapevolezza con cui la polvere si posa su tutto ciò che incontra, indistintamente. Il suo corpo era lì, la sua schiena premeva contro lo schienale imbottito della sedia, ma i suoi occhi, pur rivolgendosi verso un punto preciso, non lo vedevano.
Yu-ki era polvere.
Un lungo brivido si annodò attorno alla spina dorsale di Mana.
Ignorava cosa potesse essere successo, ma intuiva fosse qualcosa di grave. Solo, non immaginava quanto.
Yu-ki, dal canto suo, si rigirava la sigaretta tra le dita incerte. Voleva confidarsi ma al contempo ne aveva paura. Ricordare l'avrebbe potuto uccidere una terza volta.
La prima volta era morto assieme a Kami.
La seconda mentre premeva involontariamente il grilletto dell'arma, puntata verso la giugulare di Shinji.
Non era così masochista.
Mana attendeva impazientemente, movendo freneticamente il piede in aria, mascherando il nervosismo. Non voleva assolutamente mettergli pressione, nonostante l'angoscia del non-sapere lo rodesse come un tarlo, rosicchiandoglii la coscienza.
Il silenzio si dipanò tra i due come una macchia d'acqua. L'uno voleva dire, l'altro voleva ascoltare: ma ancora non lo sapevano.
Mana aveva ormai perso le speranze quando Yu-ki iniziò improvvisamente a parlare, fissando il vetro liscio con occhi appannati, perso in un mare torbido e profondo, formato da stille di ricordo: egli non riusciva a scorgere la costa, le palpebre corrose dal sale. O forse erano lacrime non piante?
"E' stato... confuso."
Il chitarrista assunse un'espressione lievemente corrucciata, spronandolo silenziosamente a continuare. La sigaretta dell'altro, intanto, si consumava tra indice e medio senza essere effettivamente fumata.
"Sò cos'è successo. Me lo ricordo. Ma nel momento in cui ho premuto il grilletto... tutto si è frantumato come un vetro e... mi sembra d'esser stato lo spettatore d'un film. E' tutto così ovattato e opacizzato..."
Scosse lievemente il capo, come per scacciare i cocci distrutti dalla mente. Mana invece rabbrividì alla parola 'grilletto'.
"Sono in bilico su un filo sottile, Mana. Così sottile che ancora stò qui a chiedermi se in realtà non sia solo la mia immaginazione a mostrarmelo."
Lo fissò con occhi liquidi, Yu-ki che ancora teneva lo sguardo fisso oltre il vetro.
"Non sò cosa succederà ora. Io... non voglio più aver niente a che fare con questa storia." dopo sospirò pesantemente. "Sai, ho avuto veramente paura di morire Mana-chan. Ma solo per un attimo. Poi l'immagine di Ukyo si è fatta strada nei miei pensieri e... mi ha dato la forza. In qualche modo... non avevo più paura, improvvisamente non mi spaventava più nemmeno la fine."
Si versò del thè mentre Mana ascoltava attentamente.
"Dopo" deglutì "Dopo che" si interruppe un attimo "... dopo tutto, volevo solo smetterla. Ed ecco che nemmeno l'immagine di Kami riusciva a farmi alzare la testa. Così mi si palesò la... visione quasi... di Vivian."
Mana corrucciò le spracciglia cesellate.
Chi è Vivian? "E ho ritrovato il briciolo di forza sufficiente per farmi tornare a casa integro."
Yu-ki sorseggiò il proprio thè. Il chitarrista venne perforato dall'angoscia di averlo perso davvero. Auki, il suo Auki dai timidi sorrisi e gli occhi dolci, era morto. Il suo animo era arso nelle braci del dolore, che lo avevano divorato pezzo per pezzo, lasciando solo poche ceneri.
Dalla cenere non nasce nulla.
Dalla cenere nascono solo fiori di cenere.
"Yu-chan?"
"Mh?" si voltò verso di lui, puntando gli occhi opachi nei suoi.
"Chi è Vivian?" domandò timidamente.
Yu-ki si sciolse in un dolce sorriso, i suoi occhi si riaccesero d'affetto. "Aspetta qui."
Quando tornò era mano nella mano con qualcuno che chiunque avrebbe scambiato per femmina. Chiunque tranne Mana, che intuì subito nella linea spessa della mandibola la sua natura mascolina.
Fu quasi geloso di come il bassista le cingeva il fianco in modo amorevole e di come la fissasse traboccante d'affetto.
Poi però si perse in un paio di occhi azzurri che sapevano di... bontà?
Quando Mana incontrò Vivian, capì subito di aver lasciato il suo Auki in mani forti e sicure.
E si fidò immediatamente di quel ragazzo, aggraziato come una ballerina e timido come il boccio appena schiuso d'un fiore dai colori stupendi.

Le aveva detto "Facciamo un gioco."
Le aveva detto "Fidati di me."
Poi le aveva leccato leziosamente il collo niveo, mordicchiando la giugulare pulsante.
Le aveva stretto i seni nei palmi aperti.
Le aveva strattonato i capelli.
Le aveva sibilato insulti.
L'aveva coperta di attenzioni.
E lei non era riuscita a farsi piacere una sola di quelle attenzioni.
Dopo il gioco era iniziato.
Jui aveva legato Takanori al letto, polsi e caviglie, e aveva iniziato giochetti sadici e crudeli.
Cera, anelli, aghi, ghiaccio, acqua, bavagli.
Non si era risparmiato niente. Sachiko che li osservava, nuda, seduta su di una poltrona accanto al letto. Veder scorrere le lacrime di Takanori non l'aveva per niente eccitata, come invece sembrava aver fatto con Jui, che si era infilato senza grazia nel compagno e aveva spinto violentemente, fino a farlo singhiozzare. Dopo lo aveva calciato giù dalle coperte, come fosse un cane, e aveva preso lei per i fianchi, tirandosela a cavalcioni. L'avevano fatto così, seduti sulla poltrona bordeux.
Poi le aveva sussurrato, a un passo dall'orgasmo.
"Mi piace abbracciarti e toccare ossa..."
Ed era serio.
Sachiko si era fatta schifo. Si era odiata ancor più del solito. Si sarebbe presa a schiaffi. Eppure era giunta al termine del rapporto, finendo col farlo una seconda volta assieme a quella cagna vogliosa, come lo rinominò nella propria mente.
Era assoggettata a quel ragazzo dalle iridi screziate di smeraldo e i fini capelli abboccolati, color del rame.
Avrebbe fatto tutto ciò che lui le avrebbe detto di fare. Era un diavolo tentatore dai lunghi artigli squadrati e mal tenuti: affilava alla bell'e meglio le sue armi, certo delle proprie risorse.
Era crollata sul materasso accanto al corpo scheletrico del cantante.
Ma questo solo finchè Jui non si era alzato e le aveva donato un piccolo bacio a fior di labbra, adducendo come scusa il doversi alzare presto la mattina successiva.
Se ne era andato così, Takanori che per tutto il tempo era rimasto al bordo del letto, terrorizzato all'idea di muovere anche un solo muscolo che non fossero le palpebre.
Appena aveva sentito la porta di casa venire richiusa si era alzato in piedi, tremante. Aiutato dalla ragazza si era dato un pulita, disinfettando i piccoli punti rossi lasciati dagli aghi.
Poi si erano stesi l'uno accanto all'altra, perfettamente incastrati, la schiena di lei contro il petto di lui e avevano parlato per tutta la notte.
"Sacchan?" l'aveva chiamata, ad un certo punto.
"Sì?"
La presa attorno alla sua vita si era intensificata. "Perchè non mangi?"
Se ne era accorto. Se ne accorto lui, che la vedeva una volta la settimana, che la toccava poco, che non viveva con lei. Ciò ebbe il sommo potere di commuoverla un poco.
Ad una domanda simile, non si può pretendere di essere sinceri, giusto?
Sbagliato.
Sarà stato per colpa delle lame di luce che scivolavano dalle tende e bagnavano tutto di riflessi argenti.
Sarà stato per colpa del braccio forte di Takanori stretto protettivamente attorno alla sua vita.
Sarà stato il suo petto caldo premuto contro la sua schiena.
Sarà stato che Sachiko necessitava di confidarsi.
Fatto stà che gli raccontò tutto.
"... potere."
"Come potere?" domandò, giusto un po' stupito.
"Potere decisionale. Posso controllarlo. Posso... decidere." e si era stretta a lui, che invece aveva replicato.
"Alla fine è lui a controllare te."
"Lo sò." l'aveva quasi ansimato quel verso stanco, stringendo la sua mano tra le dita smaltate.
Avevano taciuto un po', di un silenzio leggero e inconsistente, che non li opprimeva per niente.
"Takanori?"
"Si?"
"Hai l'aria di star sempre nascondendo qualcosa. Qual'è il tuo segreto?"
"Cosa intendi per segreto?"
"Qualcosa che non hai mai rivelato ad anima viva. Qualcosa che nemmeno tu fra poco sei disposto ad accettare. Qualcosa che ti ha ferito, probabilmente, o che comunque ha lasciato una traccia visibile e mai rimarginata. Una solitudine di fondo quasi impossibile da estirpare. Ho quest'impressione, correggimi se sbaglio ti prego."
E Takanori non la corresse.
Sachiko nemmeno sperava in una risposta, eppure il blu la sorprese, confidandosi a sua volta.
"Sì, mi sento solo."
"E come mai?"
Sospirò.
"Perchè anche se sono circondato da persone, le vedo come ologrammi indistinti. Non ho una ragione d'essere. Non ho un concetto di me da condividere con gli altri. Non ho niente." e quella parola, sussurrata in un momento del genere, fece percepire a Sachiko tutta la propria ridondante e piena vuotezza.
Si accucciò contro di lui.
"Hai tante persone che ti vogliono bene."
"Ma nessuno che lo dimostra."
"Da cosa ti nasce quest'insicurezza?"
"E' palese, Sachiko." sì, per Sachiko era palese, ma sapeva che Takanori aveva bisogno di parlarne, per assorbire l'urto.
"Parlarne ti aiuterà."
Ennesimo sospiro.
"Per... mia madre Sachiko, lo sai."
Oh, lei lo sapeva benissimo.
"Dopo che se ne è andata io... non sono riuscito a colmare il vuoto. Ero troppo piccolo per farlo. Ero troppo indifeso. E nessuno ha pensato di proteggermi." una nota amara distorse la voce del blu "Ecco da cosa nasce, lo sò perfettamente. Sò fare pure io psicologia da quattro soldi."
"Ma non sai come combatterla."
"Siamo sulla stessa barca Sachiko. In balia delle nostre correnti. Le conosciamo, ma non abbiamo ancora imparato a domarle o quantomeno schivarle."
In silenzio si lasciò cullare dal tepore sprigionato dalle braccia dell'amico, dopo disse "Tu non sei solo Taka..."
Piccola pausa.
"... perchè hai me." e si strinsero ambedue fino ad incollare i propri corpi perfettamente, come tessere di un puzzle.

Era andato a casa sua.
Era andato a casa sua con il chiaro intento di parlargli.
Era andato a casa sua con il chiaro intento di parlargli e poi andarsene.
Ma quando gli aveva aperto la porta, bello e dannato, i capelli serici leggermente ondulati e gli occhiali posati sulla punta del naso, non aveva resistito al suo richiamo.
Non era stupido, Shin. Affatto. Era solo tanto innamorato da arrivare ad autodistruggersi.
L'aveva spinto in casa e aveva preso a leccarlo affamato, bramoso, a torcergli le ciocche corvine, a graffiargli la schiena perfetta.
Si erano spogliati e buttati sopra al letto rotondo con chiarissime intenzioni, non una parola, a parte brevi ansimi che tradivano la straripante eccitazione che li aveva colti nel vedersi.
Il corpo diafano di Shin cozzava contro il materasso, spingendolo sulle molle scricchiolanti e producendo mille eco di quell'amplesso senza senso.
E mentre l'uomo sopra il suo ventre spingeva e ansimava improperi senza senso, il ragazzo scorse un frammento sconnesso e disarticolato di suono, che bastò per distruggerlo completamente e per ardere le ceneri del suo cuore.
"an... na... ma... na... mana..."
Gackt ansimava il nome di un'altro.
Shin si sciolse in lacrime, singhiozzando senza ritegno mentre l'amante si riversava in lui, stremato dalle contrazioni dell'orgasmo e gli si accasciava accanto, conscio dell'azione appena commessa.
Shin era voltato appena, il volto rivolto verso un punto imprecisato nella direzione opposta alla figura dell'amante, che era steso supino, un braccio attorno alla sua vita esile.
Stava versando fiumi di lacrime, ormai conscio di star vivendo un'amore unilaterale.
Gackt da parte sua era troppo confuso per articolare una frase che fosse una, dunque giaceva in religioso silenzio, ansimando appena.
Poi si voltò e pose tanti piccoli baci sullo zigomo di Shin, asciugandogli le lacrime, che continuavano a fluire sul volto stropicciato dalla sofferenza.
Lo abbracciò e lo lasciò sfogare sotto di sè, accarezzandolo.
A un certo punto il ragazzo lo guardò, sorridendo dietro la cortina di stille inarrestabili, creando un grottesco contrasto di emozioni, tra maschera e realtà.
"Io... ti ho amato veramente."
Dopo si rivestì e uscì di casa, senza degnare il vocalist di un ulteriore sguardo, sapendo che le braci arse del proprio cuore non avrebbero retto la sua splendida visione.
Gackt rimase così, steso supino, disegnando timidi cerchi astratti sulla macchia di lacrime i cui contorni erano perfettamente visibili sulla trama color crema del cuscino.
Troppo confuso per pensare.
Troppo sofferente per capire.
E per la prima volta dopo tanti anni, Gackt Camui pianse. Pianse forte e a lungo, stringendo il cuscino di Shin, su cui transitava ancora il suo profumo, rimasto impigliato.
Poi si addormentò in quel letto tornato improvvisamente gelido.

Note: oddio mio ci siamo! Yu-ki inizia il suo cammino per riprendersi (se mai si riprenderà xD!), Takanori e Sachiko, oltre ad aver svelato frammenti della propria vita, si iniziano a considerare e Shin e Gackt sono giunti al capolinea (o forse no?). Insomma, un capitolo che è una palla di cannone in pieno stomaco o.ò. Scusate ma mi è partito l'estro, e, tral'altro, ho riscoperto le gioie della scrittura su carta. Ho scritto il pezzo di Mana e Yu-ki in classe, nelle ore meno interessanti o durante le queli ero sicura che non mi avrebbero sgamato xD. Spero mi lascerete un segno del vostro passaggio, perchè non sono ipocrita e il mio ego cresce in modo direttamente proporzionale a quante recensioni lasciate u.u. Chissà chi ma si cimenta nella lettura delle mie note prive di senso logico o.ò. Pensiero che mi tormenta la notte <3. Comunque, passiamo alle ben tre dolci pulzelle che mi hanno commentato lo scorso irrisorio capitoletto ^^ v'amo ragazze:
AlexGirl: nooo non lo farei mai finire in prigione xD. Wiiii un'altra estimatrice di Shin *-* wiiii. Ne sono lieta, perchè io lo amo quel ragazzetto innamorato <3. Regret è stupenda, ne ho scritto una drabble nella raccolta Beast of Blood se ti interessa una lettura veloce ^^. Ma non disturbi gioia ^^ per nulla, anzi grazie di aver preso tempo per recensire la mia storia ^^ grazi di cuore, un bacio.
DarukuShivaa: si preoccupati per i nostri piguini u.u (mana e gackt) nooo se li lasci nelle mie mani li violento xD daaaaài su! Siii che bel nome, il bastardo, o la cagna vogliosa come lo chiama Sachiko. A presto ^^.
Sakura_sun: aaaahahahahah xD capisco, e sono daccordo!! W tredici maschi orgiastici * ç *. No, non Mana, ma Takanori le ha fatte ^^ non sono stupida, ha un significato xD. Baciotti,

A presto gente!,
G.

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Capitolo 19
*** Sayonara ***


Questo capitolo è dedicato, nella sua interezza, a Lascivia_Lesage, che ha avuto la pazienza di leggersi tutti i capitoli e di commentarne una buona parte. Grazie cara ^^ un piccolo ringraziamento per la tua pazienza.

Capitolo 18
Sayonara

Erano tre giorni che non usciva di casa.
Tre giorni spesi nel più totale e maniacale rimedio ad un angoscia che lo rodeva pezzo a pezzo. Cucinava, leggeva, riordinava, spazzava, puliva, cuciva persino. Tutto pur di non dover pensare.
Sapeva che se avesse lasciato la mente libera di vagare a briglia sciolta i ricordi di qualche giorno prima gli sarebbero balzati in testa, incollandosi e facendolo deprimere ancor di più.
Cercava -inutilmente tral'altro- di cancellare prepotentemente il nome di Shin dalla propria vita. Ma ovviamente i risultati scarseggiavano e lui non è che fosse poi così intestardito da perseverare in tale subdola azione.
Aveva soltanto bisogno di calmarsi, sgomberando il cuore dagli affanni per qualche ora. Necessitava sentire sotto alle dita il familiare calore di un letto pieno e non il solitario ghiaccio dell'abbandono.
Ogni giorno, passando per il corridoio, scorgeva il piattino di cristallo lavorato dove solitamente alloggiavano le chiavi. In quei giorni vi erano ben due mazzi: uno era quello lasciato dal compagno quando se ne era andato, l'altro quello che -all'inizio della sua storia con Shin- gli era stato donato dal suddetto, del proprio appartamento.
Vedere il portachiavi con quella S. incisa nell'argento gli apriva ogni volta una voragine nello stomaco. Si tratteneva stoicamente dal prenderlo, far scorrere le dita lungo la zigrinatura e correre da lui. Lui che sapeva versare in condizioni poco auspicabili. Non per riprenderselo, sia chiaro. Solo per assicurarsi che stesse bene.
Shin è solo un giocattolo.
Continuava a ripeterselo, quasi per incidere a fuoco le parole nel cuore. Una nenia stanca, assolutamente fittizia.
Aveva bisogno di distrarsi.
Aveva bisogno di sesso.
Aveva bisogno di Mana.

Un paio d'ore dopo aprì la porta alla figura di un fresco e teatralmente splendido Mana. I capelli abboccolati ad arte, posati su di una magra spalla. Una camicia bianca, rifinita sul petto da rouche* nere. Una gonna lunga al ginocchio, scura, orlata di pizzo d'inchiostro. Gli occhi fulgidi, poco truccati, la pelle nivea pronta per essere martoriata di baci, le labbra pallidamente tinte di lussuria che brillavano agli occhi del vocalist. Lo spinse contro la parete, disegnando una lunga scia di baci bollenti sulla pelle tesa del chitarrista, scostandogli il tessuto della camicia.
Il connubio di liquidi gemiti strozzati proferiti da questi fu una melodia troppo erotica per Gackt, che lo sollevò senza fatica portandolo in camera, spingendolo sulle coperte perfette del letto rotondo.
Gli piantò le ginocchia accanto ai fianchi, stringendoli. Iniziò a sganciare i bottoni, uno per uno scivolarono fuori dalle asole scoprendo tratti di perlaceo incarnato. Passò le grandi mani su ogni centimetro di pelle, sui fianchi magri, sulla vita sottile, sul petto glabro, sui delicati bottoncini color carne. Provvedette a stuzzicarli con la lingua, a stringerli, a mordicchiarli e il chitarrista gli rispose al gesto prendendogli a pieni palmi le natiche, stringendole. Lo rigirò con ben poca grazia, sfilandogli l'indumento. Depose una lunga linea di baci, partendo dalla base della nuca, scendendo vertebra dopo vertebra, fermandosi al bordo della gonna liscia.
"Aaaah... muoviti..." Mana lo incitò, ormai al piacere fisico stava subentrando il fastidio della prorompente erezione, ancora rinchiusa dalle vesti.
"Sssh" lo zittì in un roco sussurro, che stemperò piano nelle orecchie dell'altro, facendolo contorcere di brividi.
Gackt portò le dita alle asole della gonna, sciogliendo i nodi e slacciando i bottoni. Poi fece scivolare il tessuto lungo le sericissime gambe dell'amante. Si mise sopra il suo ventre, rigirandolo, svestendosi in tutta fretta.
Voleva solo possedere quel corpo stupendo, farlo proprio, straziarlo nell'orgasmo.
Gli sfilò i boxer.
Non perse tempo in preliminari inutili. Pose le mani sulle lisce natiche del compagno, passandole poi lungo tutta la faccia inferiore delle cosce, arrivando all'incavo delle ginocchia. Gliele sollevò, puntellandole in aria. Iniziò subito ad infilarsi, centimetro dopo centimetro, percependo il calore di Mana investirlo, avvolgerlo di spanna in spanna, abbracciandolo. Il chitarrista inarcò il collo, esponendo la giugulare bianchissima che provvedette a leccare e seviziare, mentre iniziava a spingere dentro quel corpo stretto e bollente.
Cercò di pensare esclusivamente al proprio piacere, concentrandosi sulle forme racchiuse nei propri palmi.
Era ormai sull'orlo dell'orgasmo più squallido avesse mai provato, quando improvvisamente Mana iniziò a gemere un connubio spezzato di ansimi e brandelli di parole che presto presero forma.
"Ga...aaah... gack... kt... t... aaah..ckt..."
Subitaneo il pensiero che solo poche sere prima ben altre labbra avevano sussurrato il suo nome, preda del piacere, lo investì appieno.
Il volto contratto dal piacere di Mana si sostituì ad una cornice paffuta, due occhi obliqui, castani, un corpo fiorente d'acerba bellezza, ben più esile e aggraziato di quello sottto di sè.
Si fermò appena l'altro fu venuto, inondandogli il ventre di seme caldo.
Il chitarrista ansimò, riprese fiato e dopo, con la stessa abilità di una puttana consumata leccò ogni traccia del proprio piacere con vezzosa lentezza, quasi gustando il sapore amaro sul palato.
Gackt si stese, ponendo un braccio sugli occhi stanchi e cercando di recuperare il sottile equilibrio mentale per riuscire a sopravvivere alla nottata assieme a Mana.
Il corvino si stese sul suo petto, ascoltando il battere lento e regolare del cuore dell'amante.
Passarono diversi minuti in silenzio.
"Mh. Perchè c'è così tanto vuoto, qui?" esordì Mana.
"Che vuoto?"
Il chitarrista indicò i diversi angoli della stanza dove solitamente alloggiavano gli oggetti di Shin, che il ragazzo aveva fatto portare via da un fattorino pochi giorni prima.
"Cos'è, la tua cagnetta di ha abbandonato?" la domanda era intrise di querula ironia, ma Gackt fu attraversato parte a parte da un fulmine di rabbia pura. Come si permetteva di etichettare con certi termini Shin?
Non raccolse la provocazione. "Resti qui stanotte?" aveva il fottuto bisogno di sentire quel letto scaldarsi col calore di un corpo umano, almeno per una notte.
L'altro annuì appena.
"Lo rifacciamo?"
Non gli rispose e Mana prese quel silenzio come un muto acconsenso per fare ciò che più gli pareva. Prese a mordere il petto del vocalist, scendendo verso la sua virilità.
"No Mana." lo prese per i fianchi e lo tirò su, per nulla intenzionato a replicare lo squallido rapporto di poco prima.
Il chitarrista si accigliò.
"E allora perchè mi hai chiesto di restare, se non ne hai voglia?"
"Per passare un po' di tempo assieme."
Mana proruppe in una risata dall'eco crudele.
"Che cazzo hai da ridere?"
Lo sbattè sul letto, salendogli a cavalcioni, sfruttando il fatto che Gackt fosse distratto. Affilò lo sguardo e per un attimo una scintilla di puro sadismo gli attraverso le nere pupille.
"Cosa credi che sia tutto questo Gacchan?" domandò, piantanto gli occhi d'onice in quelli nocciola dell'altro.
Non gli diede tempo per rispondere, perchè soggiunse "E' un gioco. E' sesso. Non mi interessa nient'altro."
E quell'ultima parola schiacciò Gackt sotto al micidiale peso della consapevolezza.
Ma in cuor suo l'aveva sempre saputo...
Mana si alzò e si rivestì lentamente, sotto lo sguardo velato dell'altro, nascosto dietro il bianco fumo di una sigaretta. Quando arrivò alla porta si voltò un'unica volta.
"Arrivederci, Satoru."
L'eco dei suoi passi si spense poco dopo.
E Gackt percepì mille altre parole contenute in quell'arrivederci.
Mille parole tra cui una spiccava prepotentemente sopra le altre.
Addio.

Un botto, il rumore che si propagava velocemente, il sangue che tornava a scorrergli tra le dita e non se ne andava.
Le ossa cadevano e si sbriciolavano, la pelle dei cadaveri si afflosciava mollemente, divenendo schiuma.

Si svegliò col corpo imperlato di stille fredde. Si mise seduto, prendendosi le tempie tra due dita. Era inutile tentare di riaddormentarsi, il divano e una birra rappresentavano senz'altro una valida alternativa.
Camminò nella penombra dell'appartamento e dopo essersi stappato una Asahi si svaccò con poca grazia su una poltrona e lì rimase, fissando apaticamente innanzi a sè.
Perchè? Perchè non riusciva a dimenticare? Era riuscito a far insabbiare -con metodi poco legali- la sua presenza nell'appartamento del rapitore quella notte.
Non avrebbe neppure dovuto presenziare alle udienze in tribunale per il delicato processo appena iniziato.
Lui non era mai stato lì, mai. Le fotografie erano diventate cenere, il fuoco un cortocircuito causato dall'apparecchiatura informatica difettosa, le sue impronte polvere.
E la pistola?
Ah, quanti giri di droga erano presenti a Tokyo?
Troppi. Almeno ogni ora veniva commesso un crimine relativo a ciò, dunque era abbastanza tranquillo. Ora doveva solo preoccuparti di trovare la chiave della gabbia dentro cui era rinchiuso, di spezzare le barriere erette attorno alla sua mente, di valicare le paure, di seppellire i ricordi.
O meglio, di accettarli.
Sarebbe stato un lungo cammino, lunghissimo.
Non ce la farò mai.
Sconsolatamente abbandonò la testa sui palmi, coprendosi la visuale.
Dopo infiniti minuti di quiete, il boato del silenzio venne incrinato da un leggerissimo scalpiccìo di piedi, appena udibile. Vivian camminava in passi sussurrati, per non interrompere l'equilibrio di tranquillità in cui vedeva immerso Yu-ki.
Gli andò alle spalle e gli pose le mani sugli avambracci, accucciandosi accanto e prendendo a massaggiarli delicatamente.
"Amore... torna a letto."
Yu-ki annuì stancamente.
Forse ce la poteva fare. Forse...
Un forse alquato flebile, ma comunque uno spiraglio di luce cui aggrapparsi. Vivian.
La sua Vivian.
Il suo Vivian.
Lei.
Lui.
Chiunque fosse sapeva di poterle affidare la sua intera vita, deporla nelle sue mani di farfalla e attendere che la ricucisse. Brandello dopo brandello.
I suoi arti avrebbero compiuto il miracolo?
No. No non poteva affidarsi a qualcun'altro. Doveva farcela...
...da solo.
Poteva. Poteva. Poteva riuscirci. Punto. Bastava non pensarci e proseguire nella propria vita. Doveva pensare al gruppo, ai Malice Mizer. Oh, i Malice Mizer. Era da una settimana che non si degnava di presentarsi alle prove. Adesso basta. Non avrebbe più permesso a niente e nessuno di dirottare la propria vita verso una direzione da lui non contemplata.
Rinnovato di un momentaneo spirito guerriero si distese tra le coltri tiepide, assopendosi sul petto di Vivian, intenta ad accarezzargli i capelli con tanta speranza nel cuore.

In cuor suo Gackt l'aveva sempre saputo.
Si diresse verso l'ingresso, infilandosi la giacca scura e prendendo uno dei due mazzi dal piattino di cristallo.
Avrebbe condotto la sua vita dove voleva.
Perchè in cuor suo, l'aveva sempre saputo.

*spero si scriva così, l'arricciatura propria del tessuto o.o

guren's note: sono tornata *-* yeeh. Mi spiego: l'altro capitolo era pronto, caspiterbola, prontissimo, più pronto di così moriva! Ma no! Non è morto lui! No! Ma il computer sì!! Porca Cipolla!
Ma oggi, presa da uno slancio creativo, la pioggia che batte sul vetro, il tempo un po' bischero che io amo tanto, un documentario sui pigmei di rai3 alla telelvisione, ho riscritto il capitolo.
*si interrompe per sentire cosa dicono*
I PIGMEI-BAKA?
O_O
*sconvolta*
esistono i Pigmei-baka *-* *non ne è certa, il segnale è disturbato*
Ma a voi non credo interessi più di tanto, nè?
Ho voglia di soffermarmi un attimo di più sulle note, dato che sono in un momento assurdamente tranquillo ^^ *si interrompe ancora* Sììì! PIGMEI-BAKA! *-*
XD
Ora la pianto.

Quanto alla scuola bhe, non ho ancora preso la pagella, ma è un'ecatombe U_U. Cioè, sono certissimissima d'esser stata rimandata in matematica, ma insomma, sono umana U__U *giustifica il suo non sapersi destreggiare tra le equazioni e le disequazioni* T-T. Cerco ripetizioni, qualcuno mi da una mano? XD.
Se volete il mio msn o facebook ID mandatemi un messaggio privato U_U non so perchè me ne esco con sta cosa, però mi piace conoscere persone nuove, spece se miei lettori U_U *è una grandissima egocentrica* passiamo alle dolcissime ragazze, BEN QUATTRO, che mi hanno commentato lo scorso capitolo, venuto così fottutamente in ritardo T-T.

Sakura_sun: allora, ti riassumo il tutto ^^: Shinji l'ha rapito perchè è uno psicotico bastardo che ha la fissa per lui, ed era da anni che lo perseguitava nell'ombra. L'ha rapito, portato a casa sua, stuprato e cercato di ucciderlo, ma nella colluttazione Yu-ki ha preso l'arma ed è riuscito ad uscirne vincitore, anche se non voleva ucciderlo, ovviamente. E' poi scappato ^^ Spero sia chiaro. Sìììì io amo l'orgia tra quei tre *-* *prende a cantare Il triangolo No* XD. Un bacio. GACKT-BAKA, come i pigmei U_U *vedi note*

Alexgirl: il motto di questo capitolo sarà GACKT-BAKA, come i pigmei U_U. Ma grazie *-* felice di vederti tra le commentatrici =D. Sìììì Jui è leggerissimamente bastardo T-T.

DarukuShivaa: nooo non morire T-T *rianima porgendo capitolo nuovo di pacca* ^^. 1) Sììì sono d'accordo u.u perfetti. E Mana ora non so quanto ti starà simpatico XD. 2) No, è Sadico u.u non è folle. Cioè.. essendo sadico è anche folle, ma vabbè xD. Sììì Shin is love *-* credo che fonderò il fun-club ufficiale ProShin XD. Era ora per Sacchan e Takkun u_u ma chissà come continuerà *sparisce in una nube di mistero* coff coff XD. Bacioooo e grazie per continuare a seguirmi, qui e a Sinner *-* ciauuu.

Lascivia_Lesage: *________* hai commentato una barca di capitoli. Ma io ti stimo seriamente. Certo che Yu-chan si riprende, ma stiamo scherzando? U__U. Lo amo troppo per permettere di farlo stare troppo male XD. Aaah che bello mi perdoni *___* wiii, ora spero mi perdonerai del tutto avendoti dato pure ilcapitolo XD *si nasconde, spaventata* XD. Stò cercando di dare un riflesso di Kami sottile, delicato e di non approfondire troppo, non sentendomi ancora in grado. Pure io mi ci sono affezionata tramite live, interviste e pv, e mi dispiace che se ne sia andato quando avevo quattro anni ç_ç mi sarebbe piaciuto seguire i Malice, la loro storia e Kami specialmente ^^. Ma l'importnate è che noi fan non lo dimentichiamo, anche attraverso queste storielle senza fondo ^^. Ma sai che Kozi in un'intervista dice che DAVVERO la prima cosa che fa al mattino è gridare Ohayou fuori dalla finestra? XD Ho cercando di essere il più IC possibile prendendo tantissimo dalle interviste o.o. Anche io spero in una reunion, però ho sempre il terrore che così i Moi dix Mois si sciolgano T-T anche se credo che sia prettamente impossibile che i Malice si riuniscano, ma è un discorso lungo che acredo affronterò nell'epilogo finale u.u (si ci saranno pià epiloghi *fa spoiler* XD) un bacio e grazie ^^.

Alla prossima, ohibò ora parlano dello Squalo Nasuto *-*,
g.

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Capitolo 20
*** As raindrops ***


Capitolo 19
As raindrops

Il cielo era un'unica, spessa coperta di grigio invalicabile. Non una nuvola oscurava la tinta cinerea, ma nemmeno un raggio palesava la propria attenzione nell'immacolato candore peccaminoso che serpeggiava fin nei più piccoli vicoli di Tokyo.
Mana poggiava il capo al vetro freddo osservando inerme il fiume di persone che correvano da un capo all'altro della città. Gli tornò in mente un'immagine letta in un libro sul fatto che i fiumi sappiano essere spaventosi: anche se tu li osservi immobile, senza batter ciglio, loro continuano il loro moto perpetuo. Proprio come il tempo. Le persone spesso si fermano ad osservare lo scorrere del tempo, delle lancette che scivolano una sull'altra accumulando secondi. Mentre l'uomo riposa il tempo continua a vivere.* E anche guardare le persone che camminano è come guardare un fiume. Innarrestabile.
Tutto quel movimento gli procurava un cerchio alla testa, che coadiuvato ad un fastidio di fondo accentuava la sua già radicata malinconia.
Osservando la rovinosa fine delle gocce d'acqua lungo il vetro irrorato da miriadi di stille Mana non potè che ritrovarsi a paragonare assurdamente le persone alla pioggia: chiunque in vita s'affannava per raggiungere un traguardo, lungo un percorso che a causa di forze a noi oscure o meno (come poteva essere per l'acqua l'inclinazione di una superficie o la potenza del vento) tracciavano un proprio percorso per poi venire ingurgitate dalle fessure marmoree del davanzale e lì morire.

Poi i pensieri vertirono.

Perchè?
Perchè?
Perchè?
I propri sentimenti erano racchiusi in una teca di cristallo insondabile persino dal loro proprietario. Come si poteva essere così stupidi?
Ciò che aveva detto a Gackt erano soltanto cattiverie, menzogne e gelosie. Stralci di una natura che di sè detestava. Era dannatamente geloso. Geloso di quella puttana occhi di cerbiatto che aveva ammaliato il suo amante.

Mana senza Gackt viveva benissimo, era una persona realizzata e poteva permettersi di pretendere solo sesso dall'altro.
Satoru per Manabu era ossigeno. Un semplice scontro carnale sarebbe stato un palliativo insufficiente.

Nella vita di Mana erano sempre esistiti due colori: il bianco e il nero.
Gackt Camui aveva portato il grigio.
Aveva aggiunto bianco al nero, e per questo lo ringraziava, arrivando ad amarlo.
Ma aveva altresì screziato il bianco di nero, e per questo l'odiava.**

Gackt era il pendolo che scandiva l'incertezza di Mana. Lui non era la salvezza, ma il baratro vero e proprio. Un baratro in cui Mana stava scivolando poco a poco e sentendosi mancare la terra da sotto le suole, temendo di precipitare verso una caduta senza fine, s'era ancorato ad un fittizio filo che l'univa alla sua integrità. Per questo l'aveva coperto d'ingiurie quello stesso pomeriggio.

Gackt era l'unica incognita irrisolvibile dell'equazione che era la vita di Mana. E Mana fondava le radici della propria personalità in basi solide: odiava la confusione, la disorganizzazione.

Mana era il destino e Gackt il caos. Destino era ordinato e preciso, sapeva sempre quel che sarebbe accaduto, quando, a che ora e chi sarebbe stato coinvolto. Caos non si preoccupava di effimere certezze come orari, coincidenze e credi. E nonostante tutto persino Caos era governato da leggi che a Destino sarebbero sempre rimaste oscure e viceversa.

Tutto inutile. L'aveva perso. Ancora una volta per il proprio stupido orgoglio e la propria cieca stupidità. L'aveva lasciato andare troppe volte. Gli strappi si possono ricucire una volta, ma la seconda persino il più robusto dei fili si piega sotto a tali scempi. Mana era annientato se provava a pensare anche solo un attimo al rapporto tra lui e Gackt come un vecchio straccio rattoppato e ridotto ormai a brandelli. Ogni sillaba pronunciata quel pomeriggio era stata una pugnalata inferta al tessuto.

Una lacrima gli sfuggì.
Poi un'altra.
E un'altra ancora.
Finchè non si ritrovò a premere il volto tra le ginocchia unite, i singhiozzi che stemperavano nella rumorosa quiete domestica.

Driiiiiiiiiiiiiiiiiiiin.

Alzò il capo, trattenendo a stento qualche impropero per nulla elegante.

Aprì la porta senza nemmeno controllare le proprie condizioni o chi ci fosse dall'altro lato.

"Mana..."

Gli venne quasi da ridere. Gackt Camui, dall'alto della sua strafottenza, stava lì impalato con gli occhi cerchiati di rosso.

Gli venne istintivo chiudergli la porta in faccia, senza incrinare neppure per un istante la maschera austera e inviolabile delle proprie iridi asciutte. Ma il corvino si frappose al battente e spalancò l'uscio con forza. Gli andò incontro a passi pesanti, afferrandolo per le spalle magre e tirandolo poi verso di se. Restarono così, infiniti secondi di niente, in cui semplicemente si fronteggiarono, le iridi scrutavano le une nelle altre, le bocche respiravano affannosamente, le mani dell'uno chiudevano la via a quelle dell'altro.

Poi si baciarono.

Un bacio irruento, un bacio carnale. Un bacio che entrambi volevano.

Gackt si staccò poco dopo.

"Non ti permetterò di andartene ancora. L'ho permesso una volta, non sarò così idiota da farlo di nuovo, Manabu. Tu sei mio." sillabò con le labbra a pochi centimetri dalle gemelle, che replicarono con solerzia consumata "Non sono un oggetto." ma già la maschera andava liquefacendosi. La vista gli si appannò, gli angoli della bocca tremarono e le sopracciglia si corrucciarono.

"Non ho intenzione di rinunciare a te." ribadì Gackt.

Mana odiava piangere. Era inutile. Non era qualche stupida goccia d'acqua salata a riportare la vita sulla giusta direzione. Il tempo perso a piagnucolare si poteva spendere cercando una soluzione al motivo della propria tristezza. Mana odiava piangere.

Ma in quel momento gli argini si ruppero.

Mana pianse. Pianse come non aveva mai fatto innanzi a nessuno, sul petto di quella sua odiata ragione di vita. Pianse fino a non poterne più. Pianse fino ad addormentarsi.

Per una volta che le cose sono semplici, non complichiamole.

In cuor suo Gackt l'aveva sempre saputo.

----

La musica assordante rimbombava fastidiosamente in quel tugurio sporco e malmesso, dove l'olezzo d'orina era praticamente insopportabile. Provò ad aprire il rubinetto, ma non ne uscì niente, allora rivolse gli occhi -obliati da lenti a contatto color ghiaccio- verso la superficie sporca dello specchio davanti a sè.

I capelli blu erano disordinatamente cotonati, le palpebre coperte da uno spesso strato di trucco nero. Si continuò a fissare, il cuore che prese a battere furioso, le mani che -ancorate alla ceramica lercia e cadente del lavandino- tremavano lievemente. Il neon sopra la sua testa oscillava, come anche la spoglia luce emessa.

Che cazzo ci faccio in questo schifo.

Era letteralmente fuggito. Via dalla pista della sala, via dalla musica assordante, via da Jui. Un moto di nausea lo coglieva ogni volta che quelle mani sottili -quegli stessi arti che un tempo l'avevano fatto fremere di desiderio- gli si avvicinavano, o anche solo quando i suoi occhi verde brillante si posavano sulla sua figura. Aveva smesso di temerlo, alla paura era subentrato l'odio radicato per quel vocalist dalle chiome ramate che l'aveva imprigionato in una rete di bugie cucita da fili illusori.

Balla sulle lame, piccolo Takanori.

Un tempo quel gioco era stato divertente. Era divertente quando Jui lo legava, quando Jui lo baciava, quando Jui lo possedeva, quando l'amava. Ma ben presto la natura sadica del ragazzo era emersa con prepotenza, e i segni li portava ancora sotto la maglietta, alcuni forse non sarebbero più spariti, tanto per riportagli alla mente immagini crude di notti nauseanti, in cui aveva pregato ogni Dio esistente o non nel firmamento affinchè le ore scivolassero veloci e l'alba nascesse.

Era anche vero che da quando stava con lui a scuola avevano smesso di tormentarlo. I bulli s'erano addomesticati, erano più docili e semplicemente lo evitavano, come lui evitava loro. Un patto di non belligeranza reciproco. Ma non era così vigliacco da nascondersi dietro un'ombra. L'anno scolastico stava ormai per finire, sarebbe uscito da quella scuola per sempre. Il motivo che lo teneva ancora legato a Jui era diverso. Possedeva lunghi capelli color cioccolato e occhi vispi.

Il triangolo che consumavano con Sachiko si poteva definire agli antipodi del buon costume, ma forse, lui era la persona sbagliata per decretare ciò che fosse giusto o sbagliato. Si asteneva dal dare qualsiasi giudizio, sentendosi l'individuo meno idoneo a farlo.

Trasse un profondo -profondissimo- respiro.

E poi uscì dal bagno.

Subito la cacofonia indistinta di voci frapposte alla musica lo investì e faticò a mettere a fuoco il buio della sala, rotto da luci intermittenti. Si fece strada nel caos della pista, sgusciando tra i corpi sudati stretti in abiti succinti.

All'improvviso, mentre si avvicinava al bancone, si sentì abbrancare per la vita da una stretta ferrea. Quando si girò due iridi color smeraldo lo fissavano con malizia.

"Taka-chan, dov'eri finito?"

"I-in bagno." lo nauseava la sua vista soltanto.

E persino quando lo baciò -unendo le loro bocche castamente- non gli provocò la benchè minima emozione. Quelle labbra piene e virili che un tempo l'avevano saputo far genuflettere al proprio volere, quella bocca calda e quella lingua umida che gli lambiva ogni centimetro di corpo erano state capaci di farlo gemere fino a urlare.

Lo portò fino al limitare della pista e si sedette a uno dei divanetti di pelle nera accerchiati li attorno. Fece mettere Takanori a cavalcioni e prese subito a palpargli le natiche sode, mentre con un braccio gli avvolgeva la vita e lo baciava con irruenza. Con violenza.

Come al solito.

Poi iniziò a volere, a pretendere, di più. Gli infilò, senza perdere tempo, una lunga mano sotto i boxer e avvolse la sua virilità, prendendo a massaggiarla con leziosità. Takanori fece per scostarsi, ma Jui gli strattonò i capelli con forza.

Normalmente, si sarebbe piegato al suo volere.
Normalmente, avrebbe gioito della sua possessività.
Normalmente, si sarebbe fatto sbattere come la puttana che Jui gli diceva essere.
Normalmente, non avrebbe mai reagito a quella maniera.

Lo schiaffo si abbattè sulla guancia sinistra del ramato, e lo schiocco che ne seguì provocò a Takanori una goduria encomiabile. Avrebbe voluto fargli provare sulla pelle tutto il dolore arrecatogli -almeno quello interiore.

Sfruttò l'attimo di sbigottimento di Jui per alzarsi dalle sue gambe e correre via, fuori, lontano da quelle voci, da quella musica, da quel luogo, da Jui.

Corse. Corse via dalla sua vita.

E in quel momento, Takanori capì che qualcosa si era irrimediabilmente rotto.

E gli andava bene così.
Perché in cuor suo l'aveva sempre saputo.

*Il libro di cui si parla è un racconto inserito nel libro 'Ricordi di un vicolo cieco' di Banana Yoshimoto. Il racconto è 'La luce che c'è dentro le persone'.
**Per questo ragionamento c'è da ringraziare SadisticPassion, avendolo concepito.

gurens notes: no ma, io evito di chiedervi scusa per il MOSTRUOSO ritardo, perché è inconcepibile. Mesi. 5 mesi per un capitolo simile. Mhà. Io, non ho parole =_= vi prego di perdonarmi.
Vaniamo alle cose serie:

IL 4/08/2010 NEW LIFE HA UFFICIALMENTE COMPIUTO UN ANNO DI VITA!!!...

E NON E' ANCORA CONCLUSA!! XD

Bhe, ora vi lascio, veramente, scusate. Gomen piccine.

DarukuShivaa: vorrei approfondire anch'io la questione, ma limitiamoci alla recensione xD spero che Mana si sia riscattato in questo capitolo, però nel caso i tuoi istinti omicidi -anche perché stai aspettando da cinque mesi un mio cenno di vita- tieni *porge il chitarrista* ammazza pure u.u inizialmenjte Gackt doveva finire con Shin, però mi hanno convinto a fare il contrario .-, prenditela con la mia ragazza se è successo ciò xD ma chissà se continueranno ad essere rose e fiori muhhahah. Cercherò davvero di non farvi aspettare così tanto, mi dispiace da morire ,_, pestami pure *si porge* pestaci tutti *porge i protagonisti* xD si l'ho scritto apposta per te dei nostri triangolosi xD un bacio.

Shirosakura Hirako: ma la polizia non lo becca, perché ho scritto nello scorso capitolo che è riuscito con metodi poco leciti *leggasi: yakuza (mafia xD)* a far coprire le tracce. Yu-ki ha troppo la faccia da mafioso *ò* sììììì Piton xD ahahahhaha un bacio e perdonami per il ritardo ._.

Allora, una nota. il comportamento di Gackt verrà spiegato nel prossimo capitolo, cioè insomma: prima vi dico che sè innamorato di Shin e poi lo faccio andare con Mana? Cercherò di spiegarvi tutto nel prossimo capitolo, scritto dal punto di vista di Gackt ^^ vedremo anche ritornare Kozi si spera -se ci riesce, perché il poveretto manca anche all'autrice stessa- in qualche modo u.u e si inizia ad andare verso il primo live come Malice Mizer dove avverrà di fatto l'epilogo per questi cinque (+ 5) scapestrati ._. che mi fan dannare da oltre un anno ma che io amo tanto *l'autrice si scioglie in brodo di giuggiole*

Vi amo *cuor*
Alla prossima!

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Capitolo 21
*** Avviso. ***


 Ho fallito.
Questo è il mio primo, vero, fallimento.
Volevo terminarla. Ero partita dal presupposto che, qualsiasi cosa fosse successa, New Life avrebbe visto la fine.
Davvero, ho tentato.
Ma ho fallito.
 
Ma perché dopo due anni interrompo il mio lavoro?
Anzitutto, questa storia non mi soddisfa più. Scriverla è diventato più un dovere che un piacere, è un onere gravoso. E scrivere non deve essere un compito, un lavoro. E’ un piacere, un passatempo e voglio che resti tale. Non voglio esacerbarlo di sogni, di fantasia. Altrimenti diventa un lavoro, un’occupazione.
 
Poi non mi soddisfa più nemmeno dal lato stilistico: in questi anni sono evoluta molto nel mio modo di scrittura, arrivando a livelli diversi, non oso dire migliori o anche solo buoni, ma decisamente diversi. Odio leggere storie in cui dal primo all’ultimo capitolo lo stile cambia completamente. E accadrebbe così con New Life.
 
Consolatevi: ci sarebbe stato il lieto fine per –quasi- tutti.
Ma rimarrà sempre così, sospesa.
 
Ringrazio tantissimo hoshinohikari che con la sua recensione aveva fatto avere un piccolo guizzo alla mia ispirazione. Purtroppo non riesco, cara, scusami, non continuerò. Davvero, chiunque l’abbia letta e apprezzata, spero possa perdonarmi.
 
And that’s pretty much, fandom.
guren Suzuki

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