Stalker

di LelleLaFolle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***



Capitolo 1
*** I ***


Stalker


Camminava a passo spedito, i tacchi che sfioravano l’asfalto umido della notte il più velocemente possibile. Era tentata di mettersi a correre, ma sapeva che non sarebbe stato molto furbo da parte sua; avrebbe invitato un leone ad inseguire la propria preda. 
I passi felpati dietro di lei si fermavano ogni tanto, ma rimanevano sempre qualche metro più in là e ogni volta che si voltava non vedeva altro che l’oscurità fra quelle alte palazzine. Eppure ne era certa, lo sentiva dietro di se da più di un quarto d’ora ormai.
Si maledì mentalmente per aver usato i soldi predestinati al taxi che l’avrebbe dovuta riportare a casa per quel dolce al cioccolato ripieno di mandorle. Certo, doveva ammettere che era davvero delizioso e, se avesse potuto, ne avrebbe fatto volentieri il bis. Ma restava il fatto che i tassisti non lavoravano gratis e i suoi colleghi, per quanto gentili potessero essere, vivevano tutti dall’altro lato della città; le dispiaceva doverli infastidire a un’ora così tarda.
Una risata soffocata la sfiorò come una rude carezza.
Si girò ancora, niente.
I passi divennero più veloci. Non le piaceva questa situazione, non le piaceva per niente.
Prese la prima a destra, la seconda a sinistra e girò di nuovo. I vicoli si susseguivano, uno dietro l’altro, sempre più stretti e decadenti, finché non seppe più riconoscerli. Si era persa.
Deglutì a vuoto, guardandosi intorno alla ricerca di un qualsiasi indizio che le fosse familiare. Stava per scoppiare in una crisi isterica quando riuscì finalmente a scorgere l’insegna – o meglio, ciò che ne rimaneva – di un ospedale in disuso da più di una trentina d’anni. Dell’elegante struttura era superstite solo lo scheletro di un edificio costruito nel primo ‘900. 
Accidenti! Si era persino allontanata dalla direzione giusta, avrebbe come minimo impiegato un’ora per tornare a casa.
Okay, adesso si poteva lasciar andare alla disperazione.
Impedendosi categoricamente di piangere, percorse qualche altro metro alla cieca, mentre si stringeva il cappotto intorno al corpo, come un caldo abbraccio. Ciò di cui in quel momento aveva più bisogno.
Qualcosa nella borsa vibrò, facendola sussultare. Estrasse il cellulare dallo schermo un po’ graffiato e lesse il messaggio appena ricevuto.
Numero Sconosciuto.

“Sei davvero bella con quel vestitino. Scommetto che non porti niente sotto…Mi eccita”
 
La mano iniziò a tremarle. Questo era troppo. Stava già cercando nella rubrica il numero di qualcuno da poter chiamare, quando si ricordò di aver esaurito anche il credito telefonico.
Era forse una maledizione, la sua? 
In un impeto d’ira gettò il cellulare infondo alla borsa, graffiandolo ulteriormente, e riprese a camminare mentre tentava di abbassare l’orlo della gonna con le mani. Non avrebbe mai più indossato un vestito corto in vita sua; per quanto la facesse sentire femminile, non ne valeva la pena se quelle erano le conseguenze. Inoltre, quell’insinuazione!
Le vennero i brividi, ed era certa che non fosse per il freddo.
Un’altra vibrazione. Un altro accento di terrore. Riprese con riluttanza il cellulare e aprì il messaggio. Era un’immagine: un completo d’intimo blu scuro dal pizzo ricamato. Il SUO intimo, quello che non riusciva a trovare da un paio di giorni.
 «Come…?».
Vibrò ancora.
“Spero tu non lo rivoglia indietro, mi ci sono affezionato”

Persino attraverso le parole poté percepire il tono di scherno.
Iniziò a correre. Il telefono vibrava ininterrottamente fra le sue mani. Lesse di sfuggita l’ultimo SMS ricevuto, senza mai fermarsi, e scoppiò a piangere.

“Fammi compagnia, il mio letto è libero”

Concentrata sul messaggio, non vide il bordo del marciapiede.
Cadde per terra, il cellulare volò a qualche metro di distanza e l’orlo del vestito si strappò fino al fianco. Rimase lì, distesa sull’asfalto nero per una manciata di minuti, mentre i singhiozzi le morivano in gola uno dietro l’altro. Iniziò anche a piovere, ma non se ne accorse. Il cellulare, dall’altro lato della strada, si illuminava a intervalli continui.
Prima di rialzarsi prese dei lunghi e profondi respiri; non doveva farsi prendere dall’agitazione, nonostante tutta l’inquietudine che la tormentava. Assolutamente non doveva impazzire.
Con questo proposito in testa, raccolse quel maledetto oggetto tecnologico e, sforzandosi di non intraprendere una corsa che non l’avrebbe portata da nessuna parte, riprese a percorrere la strada zoppicando leggermente. 
Se non si era sbagliata – e sperava di possedere almeno un minimo di orientamento – si trovava nel quartiere di Ren, forse sarebbe riuscita a raggiungere almeno la sua abitazione. Forse.
Erano le due di notte, molto probabilmente l’attore stava dormendo; ma lei non aveva più la forza di correre. 
Quando vide la palazzina tirò un profondo sospiro di sollievo. Ren viveva nell’attico di un elegante condominio, piuttosto modesto per il suo stipendio – se solo avesse voluto, poteva comprare l’intero edificio – ma egli non era una persona con queste manie di grandezza. Prese l’ascensore e si fermò all’ultimo piano. Stava iniziando ad avere dei seri ripensamenti sulla sua idea. Ren sarebbe stato felice di vederla? Sicuramente la prospettiva di essere svegliato all’improvviso dopo una lunga giornata lavorativa non lo avrebbe allettato. Ma lei non aveva il coraggio di tornare in strada, da sola, ad affrontare l’oscurità e qualcuno nascosto fra di essa, un qualcuno capace di terrorizzarla a morte. Lei non era così forte come desiderava essere. Maledizione, non lo era!
Suonò il campanello, il rumore nel silenzio generale risultò assordante persino per il suo stesso udito. Ma, con il timore che potesse non averlo sentito, suonò ancora. Mentre attendeva speranzosa che la porta si aprisse, abbottonò del tutto il cappotto ormai bagnato. Non era proprio presentabile, con quel vestito strappato e i capelli grondanti; per non parlare del mascara che le era colato lungo le guance. Ma in quel momento il bell’aspetto era l’ultimo dei suoi problemi. 
Cercò di pulirsi il viso con le maniche il meglio possibile e prese dei profondi respiri, doveva apparire normale, sorridente e solare come era sempre.
La porta finalmente si aprì.

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Capitolo 2
*** II ***


Stalker



La porta finalmente si aprì.

Un Ren assonnato e dalla capigliatura scompigliata comparve sulla soglia dell’appartamento. Indossava una leggera canottiera bianca come pigiama e i piedi spuntavano nudi da sotto i pantaloni troppo lunghi di una tuta. Strinse più volte gli occhi prima di adattarsi alla luce del pianerottolo e distinguere la figura minuta della ragazza. Quando la riconobbe, li sgranò del tutto, sorpreso.

 « Mogami-san… ».

Lei accennò un debole sorriso e sollevò una mano in segno di saluto, stringendosi maggiormente nelle spalle per il freddo che iniziava a intorpidirla.
E adesso che doveva fare? Era arrivata fin lì senza neanche un momento valido. Cercò velocemente una scusa credibile e disse le prime cose che le vennero in mente, nonché più banali:

 « Tsuruga-san, scusa se ti disturbo. Sai, stavo tornando da una cena di lavoro con alcuni colleghi e, passando da queste parti, ho pensato di venirti a trovare » lo aveva detto tutto di un fiato e con voce tremante, ma lo aveva detto.

L’attore inarcò un sopracciglio, spostò lo sguardo sull’orologio al muro e la guardò con aria ancora più scettica.
Chi andava in giro a fare visite di cortesia alle due di notte?!
Poi assottigliò lo sguardo e le prestò maggiore attenzione.

 « Mogami-san, va tutto bene? ».

 « Certo » aveva risposto così in fretta e con tanto entusiasmo da risultare tutt’altro che credibile.

La sua espressione si incupì visibilmente.

 « Perché sanguini? ».

Kyoko sussultò, abbassando lo sguardo sul suo ginocchio martoriato.

 « Oh, prima sono caduta. Non me n’ero nemmeno accorta » terminò la frase con una risatina forzata che andò scemando in un silenzio carico di tensione.

Ren rimase fermo a studiarla per interminabili minuti.
Non lo aveva convinto, per niente. Sapeva riconoscere le sue menzogne – non ci voleva poi molto, era una pessima bugiarda – e in quel momento gli stava rifilando una serie di balle una dietro l’altra. Tutto questo lo metteva decisamente di cattivo umore.
Si spostò di lato, facendola entrare in casa. Quando sentì la porta richiudersi alle spalle, Kyoko tirò un impercettibile sospiro di sollievo che non sfuggì all’attore.

 « Mogami-san, non mi devi dire niente? ».

Lei scosse energicamente la testa, stringendo nei pugni il bordo del cappotto.
Constatando che era bagnata fino all’osso e tremava come una foglia, per non parlare delle condizioni pietose in cui si trovava, non poté impedire a se stesso di preoccuparsi.

 « Siediti sul divano, vado a prendere il kit di pronto soccorso ».

Lei annuì.

 « Posso utilizzare prima il bagno? ».

 « In fondo al corridoio, terza porta a sinistra ».

Kyoko lo ringraziò, posò la borsa e il cellulare che teneva ancora in mano sul tavolino del salotto e si diresse verso la direzione indicatale.
Ren la osservò zoppicare mentre, oltre al malumore, un’altra sensazione simile al disagio iniziava a farsi sentire da qualche parte infondo allo stomaco.
C’era qualcosa che non andava.
Detestava quando le persone gli mentivano, lo detestava soprattutto se a farlo era Mogami-san.

 

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Capitolo 3
*** III ***



 Stalker



Detestava quando le persone gli mentivano, lo detestava soprattutto se a farlo era Mogami-san.
Prese il kit di pronto soccorso dal secondo bagno libero e preparò l’occorrente necessario, mentre il rumore del getto d’acqua proveniente dalla porta chiusa lo accompagnava nel silenzio.
Non era molto bravo con garze e cerotti, d’altronde se ne occupava sempre il suo manager quelle poche volte che si faceva male; ma era certo che sarebbe stato molto più facile medicarla piuttosto che parlarle. Se Kyoko avrebbe continuato a mentirgli, Ren era certo che non sarebbe riuscito ad interpretare la facciata da bravo attore qual’era.
Il cellulare vibrò, spostandosi verso il bordo del tavolino; Ren lo prese al volo prima che cadesse per terra. Nella manovra premette accidentalmente un tasto e aprì l’ SMS appena ricevuto, se ne accorse quando lo rimise al suo posto.
Generalmente non avrebbe mai violato la privacy altrui, tanto meno quella di Mogami-san.
Ma dopo aver letto di sfuggita le prime parole non poté impedirsi di continuare, fino all’ultimo punto.
Temette di sentirsi male.
 

“Avanti, non dirmi che sei timida. Con quell’espressione erotica e così naturale che ti ritrovi, dubito che tu sia la dolce fanciulla innocente che vuoi far credere agli altri. Prometto che sarò bravo. Non costringermi ad usare la forza…”

 
Il telefono ricadde sulla superficie del tavolo.
Ren si allontanò da esso, quasi scottato.
Non capiva, oppure non lo voleva capire. Era semplicemente troppo in confronto alle sue sciocche supposizioni.
Kyoko era perseguitata da uno stalker. Un altro!
Era forse il quarto nel giro degli ultimi due mesi, oppure il quinto?
Da quando aveva fatto la sua comparsa sul grande schermo, Mogami-san non aveva avuto un attimo di tregua: oltre a continui ingaggi e servizi fotografici, i fan l’avevano sommersa in modo quasi violento. Gli inseguitori erano diventati all’ordine del giorno e le richieste di ordini restrittivi al tribunale avevano superato il limite.
Ren sapeva che, eccetto alcune situazioni che l’avevano letteralmente spaventata a morte, Kyoko era stata capace di affrontare la questione con calma e razionalità; al punto da rassicurare l’attore che nelle prime settimane non la lasciava sola un attimo, per il timore che potesse accaderle qualcosa.
Ma questo… questo andava oltre ogni limite!
Si lasciò cadere sul divano, coprendosi il volto con una mano.
Cosa doveva fare adesso?
Dava quasi per scontato che Kyoko non gli avrebbe raccontato niente; il suo primo pensiero era non farlo preoccupare, non andava mai a se stessa. Questo era forse il più grande errore di quella ragazza: un po’ di egoismo non le avrebbe certo fatto male.

 « Oh, Mogami-san… » sussurrò.

 « Cosa? ».

Ren sussultò, voltandosi di scatto verso il corridoio.
Mogami-san lo stava guardando sulla soglia della stanza, un asciugamano intorno al collo e i capelli ancora umidi. Sembrava essersi tranquillizzata.

 « Volevi dirmi qualcosa, Tsuruga-san? ».

Lui scosse la testa e aprì il kit.

 « Vieni, siediti. Vediamo di fare qualcosa per quel ginocchio ».

Kyoko si avvicinò al divano, guardandolo in modo circospetto. Poi il suo sguardo si soffermò sul cellulare e l’allarme arrivò. Che avesse letto qualche messaggio? Ma si dovette ricredere all’istante: Tsuruga-san era troppo beneducato e galante per poterlo fare.
Ren le si inginocchiò davanti e, con un batuffolo di lana imbevuto di disinfettante, iniziò a lambire la parte di pelle lesa.

 « Ahi! » piagnucolò.

 « Scusa, fra poco passerà ».

Pulì i residui di sangue e iniziò a srotolare le garze.

 « Mogami-san… ».

 « Mmmm? »

 « Va tutto bene ? ».

 « Mmmm ».

Strinse le fasciature.

 « Non sei di nuovo seguita da qualcuno, vero? ».

Lei serrò le labbra, distogliendo lo sguardo dal suo volto.

 « Mogami-san » sospirò Ren.

 

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