Gli esami non finiscono mai

di shirupandasarunekotenshi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 01 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 02 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 03 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 04 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 05 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 06 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 01 ***


"L’amicizia quella vera la senti quando inizi a preoccuparti dell’altro, quando riesci a percepire i battiti del suo cuore, a sentirne la stanchezza, la gioia. Per questa amicizia saresti pronto a stendere un tappeto rosso sul suo cammino per non farla inciampare nelle difficoltà della vita."

[Gaetano Cioppa].

 

 

 

- CAPITOLO 1-

 

Byakuen

 

C'è odore di neve nell'aria: è greve e intenso, inconfondibile quando giunge a solleticarti naso e baffi. Si stende, appena respiri ti entra dentro, vibrando come vibrisse a un rumore inconsueto.

Il nuovo anno è appena iniziato o così, almeno, mi hanno detto: per me l'inverno continua senza preoccuparsi di cambi d'anno. Amo la neve, così come l'inverno, ma attendo la primavera per tornare a stendermi sotto il sole e ad osservare gli uccellini assieme al cucciolo.

L'inverno è lungo e, ultimamente, molto noioso. Negli ultimi giorni i libri sono diventati padroni incontrastati di menti e corpi dei cinque cuccioli: non passa momento del giorno o della notte che le loro zampette non li portino nelle loro stanze in silenzio, con uno di quei volumi enormi e fastidiosi tra le mani. Seri e silenziosi, sembra che debbano affrontare una sfida dai risvolti improbabili. Ma …

 

***

 

"Ma è solo scuola!".

"Touma, per te è solo scuola. Per i ragazzi è un momento delicato".

"Non dovrebbero comportarsi come se potesse crollargli il mondo addosso se non dovessero passare ...".

Un sospiro, una testa si scosse sconfortata. Shin si sentiva stanco ed avvilito, quasi sconfitto da quell'atteggiamento noncurante che non riusciva mai a scalfire e comprendere e che, a fatica, riusciva a sopportare.

"Non fare quella faccia da 'non riesco a capirti e non so cosa fare' Shin. È già abbastanza sconfortante non riuscire ad entrare nel loro mondo...".

Occhi cobalto si immersero in un paio verdi, ora sbigottiti.

"E non guardarmi come se mi fosse appena spuntata un'orca sulla testa. Non sono un totale bastardo... faccio solo fatica a capirli...".

Shin abbassò il capo, un po' contrito, rialzandolo immediatamente quando la mano di Touma si infilò tra le sue ciocche, accarezzandole.

"Guarda che mi sono dato da solo del bastardo. Sto solo cercando ..." gli occhi di Tenku si spostarono dubbiosi sulla finestra: il cielo era coperto di nubi come, evidentemente, il suo cuore. "Abbi pazienza Shin. Pazienta e vedrai che ci riuscirò, prima o poi".

Quindi, mani in tasca, risalì le scale a passi lenti e pensierosi, cercando di far girare quegli ingranaggi straordinari che affollavano la sua mente. A volte il ragazzo desiderava che girassero più velocemente, non solo nel modo migliore... e ora non sapeva proprio dire in che direzione stava andando.

In cuor suo ci sperava.

Certo, non sarebbe stato il suo primo fallimento: tanti fallimenti portavano, comunque, a una vittoria – alla lunga. La vita era fatta di tentativi. O, almeno, così diceva suo padre – che sull'argomento pareva saperne molto.

Così, privo di scrupoli e paure, la sua mano bussò alla porta della camera sua e di Seiji.

"Avanti!".

Quell'esclamazione era uscita secca e scocciata: Touma sapeva bene a cosa rischiava di andare incontro. Ma con Seiji niente doveva essere dato come scontato, anche se il tono avrebbe potuto dare adito ad una sola reazione. La peggiore.

Appena messo piede nella stanza, Touma fece scorrere lo sguardo attorno a sé, inglobando ogni informazione, ogni singolo indizio utile a saggiare il terreno nel modo più conveniente. Ma era il 'modo', esattamente quello, ad essere il problema.

"Cosa vuoi, Touma? Sto studiando" fu il benvenuto di Korin, il cui volto nemmeno distolse l'attenzione dal libro che aveva davanti.

"Lo vedo che stai studiando. Sono giorni che non fate altro".

"A differenza di qualcuno, noi dobbiamo farlo".

"Non ho mai detto il contrario".

Tenku sospirò, stanco: non passava giorno senza che le sue parole venissero fraintese. Come se lui alludesse sempre ad altro, come se l'ironia si nascondesse in ogni singola sillaba da lui pronunciata.

Korin sospirò, con sempre meno pazienza: erano giorni neri, giorni duri, e il fallimento non rientrava nel suo vocabolario. Matematica o meno, Touma o meno.

"Touma, dì quel che vuoi. Ora!".

Generalmente gli ordini funzionavano con lui: Seiji era l'unico, effettivamente, ad avere il controllo delle sue azioni.

"So che la matematica è il tuo punto debole. Forse ti serve una mano".

Quando il ciuffo di Seiji si mosse, assieme al viso d'angelo che aveva infine staccato gli occhi dal dannato testo, Touma si sentì vittorioso.

Peccato avesse confuso le reazioni.

"L'unica cosa che mi serve ora è la tranquillità".

Le iridi violette brillarono, per un momento, pericolose: Touma parve afferrare il concetto con una certa celerità ed uscì dalla camera.

Quando il 'click' della serratura risuonò nel corridoio immerso nel silenzio, Tenku non riuscì a non trattenere un lungo sospiro, a mezza via tra l'esasperato e l'annoiato. Seiji era nella peggiore delle forme possibili, era come una corda tesa in procinto di spezzarsi e tramortire con il suo rinculo tutti coloro che si trovavano sulla sua strada.

"Shu sarà più malleabile. In fondo, lo è sempre ... beh...".

Gli occhi cobalto si alzarono, non esattamente convinti dell'affermazione. Poco male, pensò mentre bussava alla stanza successiva.

"Avanti".

Risposta secca ma controllata, tipica dello Shu degli ultimi giorni: il lavoro di Shin stava dando i suoi succosi frutti.

Touma spalancò la porta con un sorriso sulle labbra, sperando così di mettere di buon umore anche l'occupante della stanza, ora seduto sul letto, spalle al compagno: sul tappeto arancio ai piedi del letto, svariati libri schierati con dubbioso ordine. Gli occhi attenti di Tenku si focalizzarono su uno di quelli che capeggiavano spalancati con un foglietto rosso, recante la scritta pericolo-da fare: lesse giapponese antico in copertina, gongolando già compiaciuto, incapace di trattenere la propria carica di entusiasmo.

"Dai Shu, lascia fare a me per letteratura giapponese!". Il ragazzo poteva benissimo prendere le sembianze di un cagnolino con palla in bocca, appena riportata al padrone: scodinzolante, soddisfatto, in attesa solo di una coccola. "Io mi diverto e tu hai meno da fare".

Le ultime parole famose. O la goccia che fa traboccare il vaso.

Il senso della questione era, comunque, lo stesso.

Apriti o cielo!

Touma si ritrovò fuori dalla stanza del ragazzo con una gomma tra i capelli e la porta alle spalle da cui risuonò il chiaro 'thud' di un libro scagliato contro il legno. Cosa fosse andato esattamente storto, ancora, Tenku non riusciva a comprenderlo.

"Chiedere è lecito, rispondere cortesia" borbottò tra sé e con aria un po' impettita il ragazzo. "Quasi quasi non chiedo più ...".

Ed ecco la terza porta. L'ultima e, forse, la più semplice.

Ryo non l'avrebbe mai cacciato in malo modo come i suoi compagni così carini avevano fatto.

Ryo, in fondo, aveva il suo compagno di schermaglie in Shu: Touma riusciva ancora ad ammansire il tigrotto o, al massimo, ad evitare strategicamente gli sfoghi tipicamente leonini di Rekka. Tutto stava nel cogliere l'odore dell'aria che tirava.

Fu così che, con sua somma gioia, trovò uno spiraglio nella porta che conduceva alla camera e si acquattò quindi a spiare: Ryo, seduto a terra, era letteralmente assediato da pile di libri pericolosamente pendenti. Una mano intenta a scribacchiare, l'altra tra i capelli – che, più del solito, somigliavano a una strana zavorra nera – stava mormorando tra sé formule di matematica e, nel frattempo, sfogliava una grammatica di inglese.

Non era un segreto il fatto che avesse qualche mancanza in, più o meno, tutte le materie.

Per Touma si prospettava un'intrigante sfida ai limiti della missione umanitaria.

"Ryo!" esclamò il ragazzo caracollando con troppa energia nella stanza, mentre Rekka aveva appena evitato un pericoloso effetto domino con le pile di testi attorno a sé. "Lascia fare a me! Non avrai più pile di cui occuparti!".

"Touma...".

"Ti posso assistere in tutto!".

"... Touma...".

"Sarò il tuo insegnante privato".

"TOUMA!".

L'esclamazione di Rekka bloccò l'ondata di idee che lo stavano travolgendo, mentre la bocca di Tenku andava chiudendosi, come al rallentatore.

"Touma... grazie, ma... devo fare da solo".

Sembrava sospirare tra una parola e l'altra. A dirla tutta, sembrava stesse proprio controllando la propria pazienza.

"Ma in due è meglio...".

"Touma, tu mi confondi a volte...".

"Sarò il più chiaro possibile!".

"Touma...".

Il tono perentorio di Ryo mise fine allo sproloquio di Tenku che, con l'ennesimo sospiro, si richiuse la porta alle spalle.

***

 

"Mi hanno cacciato tutti...".

"Chissà perché".

"Shin-chan, io ho solo offerto il mio aiuto".

"A tuo modo".

"Certo che era a mio modo! Come lo offro il mio aiuto, altrimenti?".

"Dovresti controllarti di più...".

"Ma io mi controllo!".

"Non abbastanza...".

Seduto a braccia conserte al tavolo della cucina, Tenku guardò di sbieco Suiko che, con fare tranquillo, si dava da fare da diversi giorni nella cucina di casa, ormai suo incontrastato regno. Sembrava perennemente a suo agio, tranquillo come un uccellino nel caldo del proprio nido, i suoi movimenti che lasciavano tracce invisibili nell'aria che sfioravano, creando come una reazione chimica: la cucina era il luogo forse più famigliare, più accogliente, più... casa.

Effettivamente, e Tenku non se ne era reso ancora conto, era il luogo della casa dove i suoi nervi si distendevano con più facilità, dove si sentiva abbracciato da qualcosa.

Ed era, di conseguenza, anche il luogo che più lo irritava.

Assurdo?

Non trattandosi di Hashiba Touma.

Troppi anni passati a vivere da solo. Troppa libertà o, più semplicemente, troppa solitudine. E alla solitudine è facile anche abituarsi... più che altro, è facile adattarsi ai propri ritmi, ai propri desideri. E dimenticare che, al mondo, non siamo tutti uguali. E non siamo soli.

Dopo mesi trascorsi, non senza difficoltà, a stretto contatto con quattro coetanei, una tigre, una ragazza e un bambino, Touma pareva aver fatto il callo a certe situazioni. Poi però, il ritorno alla realtà di tutti i giorni e tante, troppe cose di cui preoccuparsi e infine...

Ora vivevano assieme. In maniera definitiva.

A volte quella frase suonava agli occhi dell'arciere come una minaccia, più che come la promessa di un nuovo futuro. E, cosa strana, non l'avevano obbligato. In tacito accordo loro cinque avevano deciso quella soluzione, come se non potesse essere altrimenti: non riuscivano più a vedersi lontani gli uni dagli altri, non potevano.

Cosa c'era che non andava, allora?

"Touma, a cosa pensi?".

La voce cullante di Shin lo riscosse dai suoi perenni rimugini su tutto e tutti, perché la sua mente non si fermava mai. Nel bene e nel male, come in quel momento.

"Prima ti ho detto che ci riuscirò... ma non so...". Un sospiro e le braccia di Touma si allungarono sul tavolo, così come la testa, scivolata sulla tovaglia. "Io credevo che volessero il mio aiuto... ma mi sono sbagliato".

"Tu dici?" le mani esperte di Shin affondarono nell'impasto dolce di fronte a lui, lavorandolo con decisione e impegno. "Tu sbagli spesso il modo, Touma. Sei troppo diretto".

"Non mi piace girare attorno alle cose. Sono un arciere in fondo... sono addestrato a fare centro, non ad annusare il bersaglio".

La frase destò un sorriso divertito in Suiko che sospirò, paziente.

"Anche a costo di farti cacciare dalle loro stanze? Touma, devi andarci coi piedi di piombo ora... devi pensare che è il loro futuro e da questo esame, sì, per loro dipende molto. Essere assieme, qui, significa comunque portare sulle nostre spalle delle responsabilità che esulano dal nostro ruolo di samurai. E poi si tratta di sogni..." il capo di Shin si chinò un momento a rimirare le piccole forme tondeggianti dei futuri biscotti, prima di infornarle nel forno già caldo. "Devono proteggere anche i loro di sogni. Così come io proteggo il mio".

Il sorriso del ragazzo dell'acqua si distese davanti agli occhi cocciutamente confusi del ragazzo del cielo: quando si aveva a che fare con Touma, si aveva l'impressione, a volte, di dover prendere per mano un bambino e spiegargli ogni cosa passo per passo, con cura e pazienza.

Con Touma era più difficile solo perché era un bambino troppo cresciuto e testardo ... più si cresceva più si peggiorava in certi atteggiamenti, a meno di non addomesticarli.

"Proteggere i vostri sogni?" chiese dubbioso l'altro ragazzo. Sogni, parlare di sogni... sembrava così assurdo, così strano. Lui aveva sempre avuto desideri, impegni, obiettivi. Ma... sogni?

Se doveva parlare di sogni, allora ce n'era uno. E quello, per quanto semplice, gli sembrava palesemente vergognoso. Tanto da non volerlo confidare a nessuno di loro.

In fondo, era stupido.

Però era per quel sogno che quel pomeriggio aveva tentato l'impossibile impresa di infilarsi tra loro e quegli ostacoli. Era perché il suo sogno – stupido e infantile – si sarebbe potuto avverare solo nel momento in cui gli avessero detto di sì.

Il sì non era giunto, quindi il suo sogno, quel giorno, non si era potuto avverare.

Era snervante averlo tra le mani e non poterlo portare fino in fondo come doveva essere.

Era snervante e lo rendeva anche triste. Ma soprattutto era arrabbiato.

"Touma, qual è il tuo sogno?".

Come una ventata di aria gelida e calda assieme, giunse la voce di Shin a scuoterlo dalle sue silenziose riflessioni: Touma alzò gli occhi verso quelli del ragazzo, sostenendo per un attimo lo sguardo. Ma non durò molto: tanto lo sapeva che Shin gli leggeva dentro piuttosto bene.

"Non importa..." si scoprì a sussurrare, mentre sentiva lo sguardo schiacciante di Shin su di sé. Quando faceva così era insopportabilmente acuto.

"Touma...".

"Tanto non importa...".

Sulla nuca giunse una mano poco gentile a schiaffeggiarlo, un gemito di dolore sfuggì a Tenku e poi fu la voce pericolosamente bassa di Suiko a farsi sentire.

"Dovresti smetterla di comportarti come se noi fossimo degli sconosciuti!".

"Ma non lo siete!" inveì in risposta l'altro.

"E allora piantala di comportarti come se lo fossimo. Invece di metterci al corrente di sciocchezze, dovresti aprirti un po' di più..." il tono severo si era fatto sempre più morbido, perché l'atteggiamento di Tenku aveva troppo il netto sapore di tenero. Da schiaffi, ma comunque tenero.

"Da che pulpito...".

Eccolo il 'da schiaffi'.

"Comunque lo faccio più di te".

Un sospiro, l'ennesimo – Shin ne aveva perso il conto da un po' – di Touma e lo sguardo che si spostava verso il giardino innevato, mentre la luce diurna pian piano svaniva.

"Però è stupido...".

"Quello lascialo giudicare a me".

"Ma è veramente infantile...".

"Lo dici tu...".

"E' davvero...".

"Touma!"

La voce ferma e seria, gli occhi verdi che lo trafiggevano da parte a parte.

Tenku sapeva di essere in trappola, sapeva di essere messo all'angolo. Ed ebbe paura. Ma non era più tipo da scappare, anche se non sapeva cosa avrebbe dato per essere in qualsiasi altro posto. Tranne lì. D'istinto si nascose il volto tra le braccia e lo bofonchiò fuori.

"Vi voglio solo felici, ecco quanto".

"Touma..." un sussurro dal compagno e il ragazzo si ritrovò subito a schernirsi, come se ne avesse il bisogno fisico.

"Lo so... te l'ho detto. È stupido. E poi tanto... se non riesco ad aiutare almeno loro tre in quello che mi riesce meglio, allora che ci faccio?".

Il qui finale, che tutt'altro valore dava alla frase, lo tenne per sé, ma rimase a fluttuare sulle loro teste per un po': per Touma non aveva senso, davvero, vivere senza far felici i suoi amici.

Era davvero stupido pensare che vedere felici gli altri l'avrebbe reso felice allo stesso modo?

Non era mai stato uno dalle grandi richieste, dalle grandi aspettative... quello che riceveva lo accoglieva a braccia aperte, ma non aveva mai cercato nulla, non vi era mai stato un motivo per farlo.

Ora era tutta un'altra storia. Ora aveva qualcuno per cui muovere la mente, le mani e la bocca nella maniera migliore... il cuore c'era tutto, quello non mancava mai. Ma non era abituato e, troppo spesso, dava le direttive sbagliate al resto del corpo. Così aveva fallito tre volte quella sera e il suo sogno si era afflosciato su se stesso, per l'ennesima volta.

Era snervante, ma anche tremendamente avvilente.

"Touma..."

Di nuovo, nel suo silenzioso discorrere con se stesso, era giunta la voce di Shin a far breccia in quel fosco garbuglio che erano i suoi peggiori pensieri. E, dopo la voce, la sua mano sul braccio e il tenero abbraccio nel quale fu trascinato dall'amico.

"Sei proprio uno sciocco...".

"Ecco, lo sapevo...".

"No che non lo sai, Touma!" le braccia si artigliarono per un attimo alla schiena dell'arciere. Il volto di Suiko si sollevò verso il compagno, un'espressione sdegnata che poi si sciolse in qualcosa di tremendamente da Shin. "Dovresti davvero parlare... sei uno sciocco se non lo fai. Dovresti chiarire le tue intenzioni, perché...".

"Cambierebbe qualcosa, dici?".

"Che domanda... non sei solo tu a dover mirare con precisione, sai?" un sospiro e gli occhi verdi si puntarono in quelli cobalto. "Devi dare anche tu la possibilità agli altri di poter fare centro. Se non ti apri con noi, finiamo sempre per scaraventare le nostre frecce troppo lontano dal bersaglio. E questo non possiamo permettercelo".

"Ma non era necessario saperlo..." il volto di Touma sembrò colorarsi di rosso, mentre gli occhi vagavano disperati sui dintorni della cucina. "Non è che... beh, cambi le cose".

"Certo che le cambia, 250 QI dei miei stivali... per tutti noi tutto assume un altro significato".

"Quindi, i miei raid...".

"No, Touma... ti prego" le mani di Shin salirono sulle spalle dell'amico. "Cambia strategia".

"Ossia?".

"Non essere diretto... passa per strade secondarie. Te lo devo dire io?".

"Shin, quando fai così, sembri me...".

Questo guadagnò a Touma un altro scappellotto sulla nuca.

"Allora usa la testa formidabile che ti ritrovi. Ma non direttamente coi ragazzi. Devi essere subdolo quando sono così".

"Subdolo? Io non posso essere subdolo!".

Sulle labbra di Shin si disegnò un ghignetto divertito.

"Tutto è possibile, Touma... di necessità fai virtù".

"E sarebbe?".

"Per il momento..." e, accompagnandolo con movimento leggero ma deciso, lo portò al di fuori della cucina, "lascia il mio campo libero, Touma. E spremi quelle meningi, che la soluzione ce l'hai già davanti al naso".

E, detto questo, Touma si ritrovò una porta chiusa in faccia. Ancora una volta.

Ma, stavolta, le ragioni erano diverse.

Si voltò verso il soggiorno, incontrando la figura addormentata di Byakuen, serenamente appallottolato su se stesso, il corpo che si alzava e si abbassava ritmicamente, con profondi respiri. Tenku gli si avvicinò silenzioso, acquattandosi vicino e mettendosi ad osservarlo con aria intenta: il grande felino si comportava esattamente come un gattino, a suo agio ovunque, come se fosse proprietario di ogni cosa, come se quella casa fosse la sua tana protetta e protettrice.

"Ne, Byakuen..." una mano andò a stuzzicare le orecchie e gli occhi del felino si aprirono quasi subito, disturbati da quel tocco così volutamente dispettoso. "Cosa faresti tu? Là dentro non vogliono nessuno... però sono in alto mare...".

La tigre sbadigliò profondamente, scuotendo il capo, mentre i grandi occhi marroni raggiungevano, con lo sguardo, quelli del ragazzo: perdere la bussola in una casa così piccola, sembrava buffo, ma non era così difficile. Non vedere con chiarezza quando le soluzioni erano a portata di zampa era la più classica delle classiche situazioni.

Mosse il grande muso verso il ragazzo, sbadigliò un poco, si strusciò contro di lui e si alzò in piedi, stiracchiando le grosse zampe con eleganza. Poi si sedette, voltò il muso verso il ragazzo – che, in silenzio, lo stava osservando – e prese a salire le scale con calcolata flemma. Touma lo guardò, mentre entrava nella stanza sua e di Seiji, sospirò confuso e si lasciò andare a terra, accanto al kotatsu ancora spento: gettò braccia e viso sulla sua superficie, mordendosi distrattamente le labbra.

Ora che aveva esternato le sue paure, che si erano trasformate in parole reali, tangibili... fluttuanti nell'aria, sopra la sua testa, tutto attorno... come se fossero in grado di mostrarsi agli altri... si sentì tremendamente infantile e stupido.

Perché le aveva pronunciate e perché le aveva tenute nascoste a tutti. Perché si vergognava e perché la sua bocca si era arresa all'insistenza di Shin. Perché faceva ancora un'accidente di fatica a dire ciò che sentiva veramente... e perché, beh...

In fondo, temeva che non riuscire a far nulla per i suoi amici l'avrebbe reso un po' un peso... in una casa tutti davano una mano, tutti a modo loro. E lui era capace in quello. Non c'era molto altro che era in grado di fare... era una frana in tutto – e anche un gran pigro, se per quello, ma era un'altra questione – e ciò in cui riusciva meglio, beh... non gli riusciva.

Si sentiva inutile. E kami-sama solo sapeva quanto detestasse quel senso di inutilità.

Lui doveva fare qualcosa. Lo voleva testardamente fare, ad ogni costo. Ma non gli era permesso. Le libertà di un tempo erano incatenate dalle volontà altrui, come spesso si era ritrovato a scoprire vivendo con i ragazzi. Ma poteva essere un bene, quando qualcosa, qua e là, riusciva a fare. Così, proprio...

"Sono loro d'intralcio e inutile per l'uso pratico... che accidenti faccio?"si ritrovò a mormorare, prima di sobbalzare al contatto di una sua mano con qualcosa di freddo e umido.

"Byakuen?!".

Gli occhi cobalto si spalancarono confusi sul muso del felino che, con aria tranquilla e compassata, teneva in bocca qualcosa di familiare: Touma allungò una mano, afferrò la tracolla e si ritrovò la pesante borsa di scuola che aveva abbandonato in camera solo un paio di settimane prima, quando le lezioni si erano interrotte proprio per quei maledettissimi esami. Era ancora l'anno scorso, tecnicamente. Comunque, da allora, non aveva più rimesso mano a quei testi. A dirla tutta, l'esame che doveva affrontare non era particolarmente impegnativo, non per la facoltà che aveva scelto.

Touma tornò a guardare il felino che, con l'aria di chi la sa lunga, lo osservava intento.

"Vuoi che mi metta a studiare anche io? Lettere non è così difficile, sai?".

Il felino parve alzare gli occhi al cielo, poi lo sbuffo fu ben più chiaro.

"Faccio perdere la pazienza anche a te, vero?".

A quel punto, il naso di Byakuen si mosse ancora sulla sua mano, stavolta strofinandovisi sopra e leccandogliela teneramente.

Senza una parola, l'altra mano corse alla borsa, aprendola e afferrando la prima cosa che incontrò – la mente si era persa nei propri pensieri, mentre gli occhi si perdevano ad osservare i movimenti rilassati della tigre che, come se nulla fosse, era tornata ad acciambellarsi accanto a lui con la stessa flemma e la stessa tranquillità con cui era andata a recuperare la borsa di scuola.

Con un sospiro, Touma tornò a degnare la carta stampata della sua attenzione, un grosso tomo di matematica fra le mani.

"Chissà cos'è che sfugge a Seiji... non avrei mai detto che la matematica fosse il suo peggior incubo... in fondo..." sfogliò il volume con noia compassata, mentre i capitoli dell'ultimo anno scorrevano tra le pagine. "...la trigonometria, una volta afferrato il concetto delle ellissi, è piuttosto semplice e...".

Il 'click', stavolta immaginario, penetrò la sua mente come un raggio di luce nella nebbia di ciò che non poteva essere altro che stupidità: Touma si passò una mano tra i capelli, sospirando esasperato dalla propria mancanza di sesto senso. O forse era solo buon senso.

Riafferrò la borsa e ne vuotò l'intero contenuto sul tavolo, attirando la curiosità del felino che alzò a livello del kotatsu il naso e gli occhi: penne, gomme, cartucce e un paio di libri... fogli, foglietti... riviste scientifiche e anche un manga. La sua borsa, in fondo, rispecchiava anche la sua mente.

"Accidenti... ho solo matematica e biologia qui..."

Si alzò in maniera affrettata e corse verso le scale che salì in fretta e furia, rischiando di scivolare bellamente sugli scalini perfettamente lisci. Lo studio in fondo al corridoio era stata la richiesta spassionata che aveva fatto, rinunciando al soffitto stellato in camera e ad altre amenità che non stava a contare, ora: la stanza – orientata a ovest, l'unica finestra che faceva penetrare nel tardo pomeriggio la luce del tramonto – era rivestita in maniera totale da una libreria in betulla che si alzava fino all'alto soffitto e che ospitava volumi di dimensioni e contenuti disparati. Touma l'aveva organizzata per tutti, mescolando i volumi di ognuno con i volumi di tutti gli altri, affermando che, oramai, certe divisioni non avevano più senso.

Touma spalancò la porta, richiudendosela alle spalle e accogliendo nello sguardo la totalità della collezione: sull'estrema sinistra della libreria, negli ultimi due scaffali, stavano i loro testi scolastici o, almeno, quello che rimaneva dalla razziata fatta dai tre 'disperati scolari': in pratica c'erano solo i suoi testi e quelli universitari di Shin, che spiccavano per il volume che le pagine presentavano. Il ragazzo si chinò a prendere un formulario di matematica e fisica e lo sfogliò distrattamente, scartandolo subito. Fece lo stesso con un volume di storia contemporanea e ripose anche quello al suo posto, un'espressione crucciata sul viso.

"Non c'è molto tempo... e non posso certo perdermi a riguardarmi tutta questa roba...e poi ho bisogno di linee guida...".

Giunse al centro della stanza, dove regnava una grande scrivania su cui poggiava un computer, e si lasciò cadere su una delle sedie presenti, gli occhi puntati all'esterno della finestra, una mano tra i capelli e l'altra a tormentarsi il mento.

Organizzare tre sedute di studio non era impresa facile neanche per lui, pur avendo conoscenze riguardanti gli esami da affrontare, le richieste e, ovviamente, i programmi svolti. Tuttavia... Seiji aveva carenze nella trigonometria anche del secondo anno, per non parlare degli integrali su cui spesso gli esami della facoltà da lui scelta vertevano. Doveva sistemare anche quell'argomento e doveva essere il più chiaro possibile... Seiji era testardo, ma spesso quello su cui si intestardiva finiva per non entrargli più in testa – matematica e fisica, per esempio. Fortuna che nella prova almeno la fisica era esclusa.

Il sistema scolastico, a volte, era strano: Seiji aveva scelto Storia del Giappone e, da che mondo è mondo, la trigonometria non rientrava in tali studi. Toccava quindi a Touma risolvere quell'intoppo.

"Almeno passerà senza inciampi e se anche non dovesse..." la sua voce si spense, mentre pensava alla reazione che il samurai della Luce avrebbe potuto avere a un fallimento simile.

Seiji era stato chiaro a proposito... non era stato semplice strappare alla propria famiglia il permesso di scendere a Tokyo e viverci e studiarci a tempo indeterminato.

Loro vogliono il massimo e io darò loro il massimo. Non che pretenda meno da me stesso...

Parole testuali sue, dette con quella serietà che tanto lo differenziava dallo stesso Touma: a volte pensava che fossero su due pianeti differenti date le volte che finivano un po' per cozzare. Una vita vissuta con rettitudine e l'altra con fin troppo laissez-faire. Agli antipodi, eppure... beh, perché mai avrebbero deciso di dividere, ancora una volta la stanza?

In fondo, sapeva che gli ordini di Seiji riguardo il suo stile di vita un po' bohemien e le sveglie assurde erano rigide e assurdamente perentorie. E sapeva che i suoi rimproveri sull'ordine e sulla serietà erano, in fondo, dettati da preoccupazione...

Però, d'altro canto, sapeva anche che Seiji senza di lui si sarebbe sentito un po' perso: chi altrimenti poteva duettare con lui in certi scontri dialettici? Chi riusciva a sopportare la sua saccenza e la malcelata ironia con tutta quella flemma? E poi chi era che aveva coniato il suo nomignolo 'piccolo panda'? E quando lo usava... beh... c'era qualcosa di inesplicabilmente caldo e piacevole che lo avvolgeva.

Non poteva farne a meno. Ecco quanto. Era dipendenza? Senso di possesso, desiderio, bisogno?

Forse era tutto... tutto assieme, tutto un po'...

Forse era semplicemente un legame, il legame.

Sentì una strana ondata di panico attraversarlo e il suo sguardo andò ai libri di scuola e, sotto gli occhi instancabili, giunse il grande tomo di letteratura giapponese e il pensiero volò a Shu.

Scimmietta Shu.

Il sorridente e vivace Shu, la forza della natura quasi incontenibile che viveva da due settimane tra quattro pareti di un'infernale stanza. E che si era trasformato nell'ombra di se stesso. Povero Shin, la sua scimmietta sequestrata dalla scuola... per avere in cambio un gorilla scorbutico che faticava a staccare gli occhi dalla carta, tanta era la preoccupazione per l'esame: altra assurdità del sistema scolastico... letteratura giapponese per la facoltà di informatica. Come se non fosse bastata quella fatta a scuola.

E, per quanto eccezionalmente dotato nel campo dell'informatica, Shu non brillava altrettanto bene nelle materie umanistiche – al contrario suo e di Seiji. La letteratura dell'ultimo anno, Mishima e Oe in primis, erano le sue bestie nere... su Mishima non poteva biasimarlo, Touma si dilettava di più con Soseki o Hearn, ma Oe, per quanto drammatico era, dal punto di vista moderno, molto intrigante e introspettivo – senza però cadere nel patetismo di certi scritti di Mishima.

Touma si ritrovò a sospirare: con Shu poteva ritrovarsi il lavoro apparentemente più semplice ma effettivamente complicato. Kongo lo accusava spesso di essere un confusionario dell'ultim'ora, che quando si ritrovava a spiegare qualcosa avrebbe desiderato materializzare tra le mani un dizionario Touma-giapponese: la verità era che la confusione della sua mente era data solo ed esclusivamente dalla piccola tendenza a esplicare con diversi (troppi) livelli di lettura e, soprattutto, con riferimenti interdisciplinari non richiesti (e dispersivi).

Così se cominciava a parlare di Soseki, non si sa come, dopo cinque minuti era dall'altra parte del mondo con Shakespeare, oppure nella guerra sino-giapponese o, ancora peggio, in teorie di fisica di Einstein.

Mente dai mille cassetti. Così a Touma piaceva chiamare la propria estremità razionale.

Il casino era il termine che più piaceva a Shu. Forse non poteva biasimarlo. Anche Shin gli ribadiva il concetto e Ryo finiva per sghignazzare ogni volta che perdeva il filo del discorso e si ritrovava con collegamenti fuori da ogni logica.

Se un giorno diventerò capo della mia famiglia, voglio assolutamente dimostrare loro che posso disegnarmi un destino completamente nuovo. Voglio che tutto ciò possa renderli fieri di me... voglio che le mie spalle possano diventare abbastanza forti da poter sorreggere ogni prova che verrà posta sulla mia strada.

Quando si parlava di sogni, forse Shu era il più sfacciato nel parlarne... non aveva problemi, paure... non aveva alcun freno, alcuna vergogna. I suoi sogni erano sulla sua bocca e poi veleggiavano sul capo di tutti in maniera definitiva... lui era i suoi sogni, perché com'era lui aperto e raggiante, così i suoi sogni brillavano di luce intensa che illuminava ogni cosa.

Era, così, anche il suo contrario... finché si trattava di cose leggere, entrambi le esternavano, anche se in maniera diversa: lui con mordace ironia, Shu con un'ingenuità carica di ottimismo.

Ma le cose importanti erano ben altro.

Shu conosceva così bene se stesso e i propri sentimenti e non provava mai paura di fronte ad essi. Touma, al contrario, pur conoscendosi, usava ancora dei meccanismi di autodifesa che non avevano decisamente molto senso, dopo tutto quello che loro cinque avevano provato. Come Nasty un giorno aveva detto, il loro era un legame che andava oltre il sangue... era qualcosa che li legava a livello di cuore, quindi...

Mentire alle persone con le quali condividevi il cuore, beh... non era un controsenso?

Per questo a volte cozzavano... più che altro perché Shu non concepiva la sua chiusura. Non con loro. E non concepiva molto quando la paura gli faceva fare le cose peggiori, con i suoi amici poi.

Quando fai così non sei affatto carino.

Questo gli diceva, ogni volta. E quella frase lo scombussolava sempre. Perché lo faceva arrabbiare, perché lo trattava come un bambino (anche se si era appena comportato come un bambino). Perché era strano sentirsi dire un 'non sei carino' quando si sarebbe aspettato una sfuriata o altro.

Shu se ne usciva sempre con quella.

Come se, normalmente (ossia quando non faceva l'arrogantello, bastardo o viziato) Shu lo vedesse come 'carino'.

Ma lui non si considerava 'carino'. Neanche quando non faceva lo spocchioso o l'arrogante. O, semplicemente, l'asociale bisbetico.

Scosse la testa un'altra volta, sospirando irritato. Andava sempre a parare in un luogo del suo cuore che lo punzecchiava fin nel profondo.

"Ryo, c'è Ryo che... è un po'... un problema...".

E la sua mente si spostò sul più urgente casino... il programma di, praticamente, tutto.

Una mole simile di lavoro, sull'ansioso Ryo, era la peggiore delle situazioni possibili: mancava quasi totalmente di organizzazione – ripassare matematica con giapponese o biologia assieme a tecnica era come mischiare l'acqua con l'olio: finiva per risultare un putiferio e una matassa di concetti privi di capo e coda. Avrebbe rischiato di mischiare le risposte anche sul test, con quell'assurdo metodo di studio: privo di una mente a cassetti, il suo cervello era come una grossa scrivania su cui erano gettati i volumi alla rinfusa, senza ordine logico. Peccato che, quando i concetti servivano, si dovesse andare a cercare la risposta in quel putiferio: come trovare un ago in un pagliaio.

Chiarezza, doveva essere chiaro con lui. Pochi concetti, ma fondamentali e distinti gli uni dagli altri. Non che aver compreso cosa fare gli indicasse la strada per farlo, però...

Ryo aveva detto a tutti loro che non si sarebbero dovuti preoccupare, che se la sarebbe cavata da solo: in fondo, la facoltà di zoologia se l'era scelta lui, la decisione di venire a vivere assieme era stata tutta sua e, sempre solo – anche se con Byakuen al suo fianco – aveva compiuto il trasferimento di ogni suo avere alla nuova casa. Senza chiedere aiuto a nessuno.

Ryo era così... era indipendente, più di tutti loro messi assieme ma, a volte, agiva senza chiedere a nessuno, tanto era abituato ad essere da solo. Da quel punto di vista, Touma gli somigliava: certo, i pranzi e le cene erano consumati assieme attorno al tavolo, ora, e l'egoismo era un po' sparito dai suoi modi di fare. Però era dura perdere certe abitudini, ricordarsi di non essere l'unico in casa e anche chiedere consigli, aiuti, opinioni.

Ryo gli somigliava ma si distingueva per un tratto apparentemente assurdo: Touma dimostrava molto spesso un carattere capriccioso che, bene o male, lo metteva in un rapporto di scambi coi ragazzi – beccandosi anche epiteti poco carini o strigliate non richieste. Però Touma, dalla sua, aveva imparato a chiedere.

Il mio solo pensiero siete voi. I miei desideri sono importanti fino a un certo punto... se voi state bene io sono tranquillo. Al centro del mio mondo ci siete voi, in tutto e per tutto.

Era un pensiero positivo, di grande sacrificio. Ma era anche terribilmente stupido. Loro erano il suo centro... e lui? Certo che lui era al centro dei loro pensieri... tutti erano al centro dei pensieri di tutti... ma questo non andava a discapito di se stessi.

Ryo dava tutto, faceva tutto, s'impegnava tutto. Ma non chiedeva mai.

Capiva Seiji che era testardo. Comprendeva Shu che era volitivo. Ma non comprendeva la fissazione di Ryo: era colui che aveva bisogno più di aiuto ed era quello che nascondeva il proprio bisogno dietro la sua totale e pura istintiva forza di sopravvivenza. Come se vivessero in una giungla.

Lui, il leader ansioso e appassionato, avrebbe dovuto fare da capobranco... ma, in realtà, era un cucciolo come loro che essi riconoscevano come compagno, prima di tutto, come guida poi. E come compagno ti volevi preoccupare del suo stato, fisico e mentale: metterlo al centro era naturale... ancora più naturale carpirne i suoi bisogni. Ma, a volte, i bisogni non erano così chiari. A volte dovevi scavare e, a volte, la mente altrui non era così pronta ad essere esplorata.

"Baka Ryo... zuccone...".

Touma fece scivolare rumorosamente la sedia sul pavimento, si alzò in piedi e andò a frugare in uno dei cinque cassetti che sottostavano la finestra della camera: lo richiuse poco dopo, un blocco di appunti, una penna e diversi evidenziatori in mano. Tornò a sedersi, tirando un lungo sospiro, poggiò il blocco davanti a sé, fece scattare il meccanismo della penna e la picchiettò contro le labbra, rimestando i pensieri e i concetti che ronzavano ora freneticamente in quella testolina che, secondo lui, aveva il solo merito di lavorare un po' più velocemente delle altre.

Scrisse 'Seiji' sul primo foglio, ne prese un altro, scrivendo 'Shu' e sul terzo fu il nome di Ryo a comparire: dopo di che, la mano cominciò a muoversi da sola, completamente sotto il controllo della mente che, come al suo solito, l'aveva isolato totalmente dal mondo esterno.

Probabilmente era più difficile pensare a ciò che serviva, che a ciò che mente e istinto dettavano direttamente al suo cuore: li conosceva così bene, nei punti di forza e nelle debolezze, nei lati di carattere più piacevoli e in quelli meno, in tutte quelle piccole cose che smuovevano la sua mente a pensare intensamente a uno di loro quattro, soprattutto in quei giorni.

Quel corrugare le sopracciglia e mordersi il labbro che mettevano così apertamente allo scoperto Seiji.

Gli epiteti poco carini che uscivano dalla bocca di Shu quando rimaneva da solo e il modo in cui la mano sorreggeva il suo viso quando nient'altro sembrava poterne sopportare il greve peso della stanchezza.

I passi nervosi e irregolari di Ryo che calpestavano con insofferenza ogni centimetro quadrato della sua camera, mentre il capo si arruffava e la pazienza sembrava prendere il volo per altri nidi.

E la quiete apparentemente impassibile di Shin che, più di tutti loro cercava, con il suo collante fatto di tenerezze e continui e calmi pensieri, di mantenere quella casa come nido d'amore e di calore, il luogo perfetto per una vita fatta di sacrifici scolastici insomma. Biscotti, carezze, pazienza. Tanta pazienza.

La penna scorreva veloce, a volte alternata a un evidenziatore, mentre il biancore dei fogli si riempiva di formule, di schemi, di chiarezza e risoluzione. Non era difficile se si sapeva come fare... una volta afferrato il metodo, la strada diveniva dritta e in discesa, le preoccupazioni alle spalle di tutto e tutti.

Tutto stava nell'indicare la giusta via per farlo.

La mano scrittrice si fermò a mezz'aria, mentre gli occhi del ragazzo vagarono verso l'esterno: il vento sembrava essersi alzato oltre la finestra, mentre la neve fluttuava in piccoli mulinelli ricadendo scomposta a terra.

"Indicare..." mormorò tra sé, mentre uno strano sorriso gli sorgeva sulle labbra, quasi indeciso.

Chi altri se non lui poteva indicare la giusta e retta via per l'esame (quasi) perfetto? La sua penna poteva diventare potente quanto il suo arco, forse ancora più precisa: la consapevolezza che sarebbe giunto dove voleva, gli fece esternare un ennesimo sospiro. Stavolta di soddisfazione.

Sentiva chiaramente di essere sulla strada giusta, che non vi sarebbero stati tentennamenti o dubbi sul da farsi, che non avrebbe dovuto ripensare a strategie o a modi particolari per arrivare 'fisicamente' a loro. Avrebbe lasciato che fossero quei semplici fogli a farlo, come diceva il detto: carta canta. O una cosa simile. Se non era bravo a parole, poteva esserlo almeno nella parola scritta... detto o fatto che fosse.

Si immerse talmente tanto in quel lavoro che, quando Shin entrò nella stanza, un'oretta più tardi, poco mancò che saltasse per lo spavento sulla propria sedia: velocemente, con un gesto furtivo, nascose i fogli all'interno della manica del maglione, ripiegati su se stessi come documenti della massima segretezza.

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Capitolo 2
*** Capitolo 02 ***


CAPITOLO 2



Shin sbuffò e accantonò distrattamente lo strofinaccio di cui si era servito per tirare a lucido la cucina; sorrise tra sé dandosi dello stupido, erano ore che puliva e riordinava e si chiedeva perché lo facesse, che senso potesse avere continuare a pulire sul pulito.

La verità? Era nervoso, teso... e anche un po' stanco. Se solitamente i compagni non si davano molto da fare in casa, negli ultimi tempi la situazione era decisamente peggiorata... ma non solo per lui, in fondo, erano sotto esame e per questo avrebbe perdonato loro qualunque cosa. Si trattava solo di avere un po' di pazienza, avrebbe risparmiato ai ragazzi recriminazioni e sfuriate... almeno per un po'... desiderava solo che fossero rilassati e superassero quel momento difficile.

Per questo si dava da fare, senza lamentarsi di nulla... e a volte sforando nel superfluo. Quando non era occupato all'università, l'organizzazione casalinga assorbiva il restante del suo tempo, Touma diceva spesso che se li cercava i lavori; di solito si arrabbiava con lui a simili osservazioni ma per una volta, a pensarci, sorrise, consapevole che Tenku non aveva assolutamente torto. Senso del dovere portato all'estremo? Forse o, più probabilmente, esasperato tentativo di tenersi occupato, per non pensare troppo, come era suo solito.

Si sedette con i gomiti sul tavolo, il volto sorretto dalle mani e puntò lo sguardo fuori dalla finestra: candidi fiocchi scendevano ad alimentare il manto che si stendeva come una coperta gentile lungo le strade di Tokyo.

La contemplazione venne interrotta da un lieve rumore alle sue spalle che lo spinse a voltarsi, per trovarsi faccia a faccia con Seiji, che incrociò il suo sguardo un po' distrattamente. Gli sorrise, ma il biondo non ricambiò, si era già diretto altrove, verso il frigorifero nel quale si mise a rovistare come un'anima in pena.

Shin si alzò frettolosamente e si portò alle sue spalle:

"Hai bisogno di qualcosa?".

"Non credo tu possa materializzare dal nulla qualcosa di decente da mettere sotto i denti... qui dentro c'è il vuoto".

Il samurai dell'acqua si morse le labbra ed arricciò il naso, assalito da un pulsante senso di colpa: gli impegni accumulati avevano del tutto cancellato dalla sua memoria l'urgenza della spesa, aveva completamente dimenticato di farla.

"Mi dispiace, tra poco esco e vedo di fare acquisti; intanto mettiti comodo, che cerco di preparare qualcosa con quello che c'è".

Korin si strinse nelle spalle:

"Non ti disturbare, più che fame era un capriccio... forse una scusa per distrarmi un attimo dai libri".

"Ma non è un disturbo...".

"Lascia stare ho detto".

Interrotto da quel tono perentorio, Shin sussultò un poco; era consapevole che Seiji non lo faceva apposta, che non ce l'aveva con lui e che era molto teso a causa dello studio. Per lui, occuparsi del dojo di famiglia, del kendo, si era rivelato molto più facile che non affrontare gli esami scolastici; in alcuni momenti sembrava pentito di aver momentaneamente abbandonato la sua vocazione di insegnante di kendo per proseguire gli studi. Shin si chiedeva a volte se fosse davvero contento di aver lasciato Miyagi per vivere con loro o se, per l'erede dei Date, si fosse trattato di una scelta forzata, dettata dall'impulso a non deluderli. Suiko leggeva facilmente nel cuore altrui, era in grado di carpire i sentimenti dei compagni con una sola occhiata, ma con Seiji non sempre funzionava, il suo cuore e il suo spirito continuavano, nonostante la loro profonda unione, a rivelarsi spesso un enigma.

Il guerriero della luce stava già per varcare la soglia della stanza, mentre Shin cercava disperatamente il modo di superare quella tensione che percepiva tra loro e, tra il frettoloso, il timido e l'imbarazzato, gettò lì la prima domanda che gli venne in mente:

"Come procedono gli studi?".

Seiji si fermò un istante e, senza voltarsi verso di lui, fece spallucce, quindi scomparve richiudendo la porta dietro di sé.

Uno sbuffo esasperato si levò dalle labbra di Shin, mentre il ragazzo sollevava una mano a scostarsi il ciuffo dalla fronte, un gesto che in lui rivelava confusione e ansia.

"Non credevo che la matematica fosse in grado di ottenebrare a tal punto la nostra luce".

Improvvisamente ricordò i biscotti che aveva preparato per alleviare la pesantezza che gravava sull'animo dei ragazzi; avrebbe potuto offrire quelli a Seiji. Ma perché da un po' di tempo era così smemorato? Il suo fisico tanto avvezzo a scontri e battaglie, reggeva in realtà così poco la stanchezza? Ma, in fin dei conti, quando mai si era abituato alle battaglie? L'organizzazione domestica era un'altra cosa, non poteva assolutamente pesargli, anche se...

Si precipitò verso la credenza e afferrò a colpo sicuro il barattolo nel quale li aveva raccolti; era decisamente giunta l'ora di far visita ai compagni con una sorpresa che, sperava, li avrebbe allietati.

Si procurò quattro piattini, aprì il barattolo e divise equamente i biscotti, senza conservarne nessuno per sé; in fondo lui non ne aveva bisogno, cucinare per gli altri e sapere di aver fatto cosa gradita era molto più gratificante che godere del proprio operato.

Uscendo dalla cucina, il primo incontro fu con Byakuen, beatamente sdraiato sul tappeto del soggiorno, come un pacioso gattone in cerca di calore al riparo dal gelo invernale; la tigre sollevò il muso quando lo vide e agitò, attenta, un orecchio. Shin ridacchiò, stava per commettere un errore imperdonabile.

"I ragazzi non se ne avranno a male trattandosi di te".

Si chinò davanti al felino, prese un biscotto da ciascuno dei piattini e glieli posò davanti al muso, suscitando una prima annusata curiosa, quindi un gorgoglio di puro piacere, mentre Byakuen cominciava a sgranocchiare al colmo della soddisfazione.

Il ragazzo lo accarezzò tra le orecchie, ridacchiando ancora:

"Vedo che gradisci, ne sono felice."

 

Byakuen

 

Una bella casa si distingue per molte cose, ma le più importanti sono tre: un'atmosfera calda, un sorriso gratuito e un delizioso piatto nello stomaco.

Un tempo si diceva così, ma tutt'oggi le cose non sono cambiate: la grande tana dove ora viviamo tutti assieme si avvolge attorno a noi come una pelliccia calda e rassicurante e anche quando rimango solo io in casa, quando i cuccioli devono andare a scuola, la casa vibra di loro e si avvolge attorno a me.

E quando li guardo li vedo felici, sorridenti, distesi. Li vedo come quasi non li ho mai visti, perché le battaglie continue e le insicurezze li trasformavano e li rendevano tristi, spenti. Era una tristezza mista a una sorta di felicità che era conseguenza poi del loro stare assieme.

Più del sangue, più del destino stesso, più della stessa vita.

I cinque cuccioli sono, ora più che mai, parte di una sola cosa. E non è una yoroi, non è un ideale, non un nemico comune che li rende tali.

È ciò che non ha nome.

Che ne siano consapevoli forse, non del tutto.

Ma certe cose giungono col tempo, a volte giungono quando il cuore aggiunge solo un battito alle sue infinite liste: ed è quel battito a fare la differenza.

 

***

 

Il samurai dell'acqua salì le scale con il prezioso carico tra le mani e trovò buffo riflettere sul fatto che stava intraprendendo il medesimo percorso affrontato da Touma; era un po' come immergersi in un'impresa, non sbagliava Touma a pensarlo, era come dover assediare delle mura difensive invalicabili.

Prima tappa: Seiji... forse quella che lo metteva più a disagio... e gli dispiaceva un sacco pensarlo... che ancora uno dei suoi amati compagni fosse in grado di procurargli disagio. Forse si trattava, più che altro, di timore reverenziale... estremo rispetto... era conscio della sua superiorità.

"O forse sono solo un fifone insicuro" borbottò tra sé, mentre si imponeva di bussare a quella porta dietro la quale si nascondeva un drago dalla mente impenetrabile.

Alcuni colpetti leggeri furono sufficienti a suscitare l'attenzione di colui che abitava la stanza.

"Avanti!".

Fredda cortesia... forse condita da una velata seccatura.

Shin trasse un profondo sospiro e aprì appena la porta, un sottile spiraglio, deciso a non mostrarsi invadente:

"Posso entrare? Sono Shin".

"Guarda che so riconoscere la tua voce".

Non era molto incoraggiante quel tono; forse, dopotutto, cominciava a comprendere un poco le difficoltà di Touma.

"Allora... posso?".

Lo vide tendersi, indovinò che il samurai della luce avrebbe voluto urlare, ma ovviamente non lo fece e si limitò a rispondere ancora, con un'inclinazione un po' più tagliente:

"Ti ho per caso detto di no?".

Suiko deglutì e fu sul punto di scusarsi, ma si trattenne, non era certo che Seiji avrebbe apprezzato quella sua ulteriore goffaggine, così si limitò ad avanzare verso la figura che dava l'idea di non respirare nemmeno, il volto chino sul libro, una matita in una mano, l'altra mano sulla fronte, affondata nel ciuffo più disordinato del solito... decisamente cosa non da lui e questo la diceva lunga su quale fosse il suo umore.

Shin si accostò alla scrivania, diede una sbirciata il più discretamente possibile: matematica... ancora...

Suiko non se la cavava male in quella materia, certo, non era ai livelli di Touma, chi mai avrebbe potuto esserlo alla loro età? Solo un genio come Tenku, appunto. Ma riusciva discretamente in tutte le discipline, almeno da rientrare nella sufficienza. Una parte di lui avrebbe desiderato offrire il proprio aiuto, ma una vocina dentro di lui gli suggeriva che non era il suo compito quello. Doveva essere Touma a trovare la strada per offrire il proprio aiuto dal punto di vista strettamente culturale; lui si sarebbe impegnato a creare intorno ai ragazzi un ambiente accogliente, affettuoso, a non far mancare loro nulla, a soddisfare tutti i loro bisogni ancor prima che loro si rendessero conto del bisogno stesso... e già così c'era tanto da fare.

"Come procede, Seiji-kun?".

Il volto di Korin rimase fisso sul libro, la mano scomparve ancor più, perdendosi completamente nel ciuffo arruffato; possibile che Seiji non si fosse neanche pettinato quel giorno? Si sarebbe trattato di un evento epocale in quel caso.

"Ascolta Shin, non ho tempo di farti il resoconto dei miei successi ed insuccessi; se voglio che i successi aumentino non posso perdere neanche un istante".

Shin si agitò un po' nervosamente.

"Certo... scusami" balbettò con un filo di voce. "Ti ho portato qualcosa che spero possa rasserenarti un po'".

"Sono sereno".

Suiko non poté impedirsi di sospirare, ma restava deciso a non prendersela: sapeva essere paziente quando necessario. Avrebbe dominato il proprio istinto a reagire.

Sorrise più dolce che poté e posò il piatto con i biscotti accanto al libro; Seiji spostò appena l'unico occhio visibile, che si fece lievemente più grande, ma Shin se ne stava già andando.

"Buon proseguimento, Seiji-kun; se hai bisogno di qualunque cosa, non esitare a chiedere".

Il samurai dell'acqua non attese risposta e si richiuse la porta alle spalle, vi appoggiò contro la schiena e rimase immobile per qualche istante, il volto basso e gli occhi chiusi, il petto scosso da un profondo sospiro.

 

***

 

Per la seconda volta, con la seconda persona, aveva esternato un caratteraccio che non credeva di possedere. Altro che cortesia, si stava comportando da cafone con chi cercava solo di essere gentile con lui.

Seiji non riusciva a distogliere lo sguardo dal piattino traboccante di biscotti, quelli buonissimi, che Shin sapeva cucinare alla perfezione e che facevano la gioia di ogni abitante della casa quando il loro profumo si diffondeva tra le mura domestiche.

Ne prese uno in mano e cominciò a sgranocchiare, godendo fino in fondo ogni boccone.

"Non le merito le attenzioni di Shin" si trovò a pensare. "E probabilmente neanche quelle di Touma".

Sbuffò e si sforzò di riportare la propria attenzione su quel maledetto teorema del quale non veniva a capo. Possibile che la luce, in grado di trionfare sulla tenebra, non sapeva rendere più luminose le oscure leggi della matematica? Sbuffò ancora e borbottò:

"Vedranno una fine questi maledetti esami, prima o poi, e forse anche io tornerò alla normalità".

 

***

 

Seconda tappa, la camera che divideva con Shu... nonché il loro nido d'amore... almeno finché non era iniziato il periodo d'esami. E da allora era già tanto se Shu gli rivolgeva uno sguardo.

Anche in quel caso, Shin cercava di non prendersela, era comprensibile che una persona come Shu, non esattamente brillante nelle faccende scolastiche, affrontasse gli esami con tanto timore; per lui si trattava di un'autentica battaglia, anche contro se stesso e i propri limiti.

Shin doveva anzi ammettere di sentirsi orgoglioso della sua scimmietta, del modo in cui si era gettato anima e corpo in quell'impresa. D'altronde, Shu era un testone e se si metteva nell'ordine di idee di dover riuscire in qualcosa, si immergeva con tutto se stesso e niente l'avrebbe distolto; per questo Shin era convinto che i suoi esami si sarebbero rivelati un successo.

Sorrise e bussò, ma non si era aspettato la risposta arcigna che giunse alle sue orecchie:

"Se non è nulla di importante non disturbatemi, grazie!".

Il labbro inferiore di Suiko si sporse in avanti in una smorfia un po' comica; in un'altra occasione, ad una replica del genere, avrebbe spalancato la porta in maniera piuttosto violenta e avrebbe rivolto al responsabile una strigliata con i fiocchi. Ma contò fino a dieci, respirò a fondo per l'ennesima volta e ritrovò il sorriso paziente che, da giorni, in presenza dei compagni, non lo abbandonava mai.

Si affacciò con il viso oltre la porta e sbirciò all'interno: Shu era sempre accucciato per terra, sepolto sotto una valanga di libri e, una volta di più, rimase ammirato dalla sua costanza... anche se il suo modo di studiare era alquanto confusionario... come il modo in cui riduceva la loro camera. E non era neanche possibile entrare per riordinare, non poteva permettersi di disturbarlo.

"Uno spuntino ti sembra un argomento abbastanza importante, scimmietta?".

La testa di Kongo si levò dal libro che teneva sulle ginocchia, Shin era certo che se avesse avuto le antenne le avrebbe rizzate; però non ricambiò il suo sorriso, Shu rimaneva, anzi, del tutto serioso e compito, tanto che Suiko si chiese se si trovasse davanti al samurai della terra che conosceva. Si avvicinò a lui e gli si acquattò davanti, porgendogli uno dei piattini:

"Forse questi ti renderanno lo studio più piacevole".

"Piacevole è una parola grossa".

Nonostante il persistente malumore, Shu si impossessò del piatto senza farsi pregare... e anche dimenticandosi di ringraziare perché, mentre divorava il primo, il suo sguardo tornò immediatamente alle pagine che giganteggiavano sotto i suoi occhi. E non pronunciò più una parola.

Shin rimase a guardarlo per un po', l'espressione a metà tra il sorridente e lo scrutatore; quindi gli posò una mano tra i capelli arruffati e gli lasciò una dolce carezza:

"Forza e coraggio scimmietta, ho fiducia in te".

Gli rispose un grugnito esternato a labbra serrate, forse non aveva neanche udito le parole di Shin che, nel frattempo, si alzò in piedi, gli rivolse un'ultima occhiata e, in silenzio, lasciò la stanza.

 

***

 

Avrebbe fatto volentieri a meno di quell'opera maniacale intitolata "Confessioni di una maschera" di Mishima e, al suo posto, avrebbe riletto anche mille volte il "Genji Monogatari": la tortura della letteratura del Novecento era, per lui, insopportabile. Proprio non riusciva a concepire come si potesse inserire in un programma certi autori così... squilibrati.

Uno sbuffo, una smorfia e il desiderio di gettare tutto al diavolo gli attraversò la mente: era stanco, quasi stremato... si sentiva come se fosse passato un tempo infinito dall'ultima volta che aveva sentito la propria schiena rilassarsi completamente.

E che aveva riso, scherzato... sorriso a Shin?

Con uno scatto veloce – e il collo parve incriccarsi per un attimo – si voltò ad osservare il piattino di biscotti che il ragazzo gli aveva appena portato: gli occhi blu, opachi di una stanchezza che ornava di occhiaie il suo viso stranamente pallido, vagarono sui frollini ancora tiepidi del calore del forno e, con un moto di esasperazione, si accorse di averlo fatto ancora.

Perché accidenti non riuscisse a nascondere l'irritazione, la troppa mancanza di legami con tutto ciò che non riguardasse Mishima, i romantici o la restaurazione Meiji...

Stava trasformandosi in un orso, altro che scimmietta: non parlava quasi più, andava avanti a grugniti incomprensibili e scosse di testa, sospirava, s'innervosiva e riusciva, così, a produrre ancora meno di quel che desiderava. Così s'innervosiva ancora e tutto ricominciava da capo.

Shu non era mai stato il primo della classe, non come 250QI-Touma, ma se l'era sempre cavata bene, distinguendosi soprattutto nelle materie scientifiche. Ma perché mai, ora, giapponese lo mettesse così a dura prova, proprio non lo concepiva.

Era arrivato al punto di dormire assieme all'antologia e di leggere a voce alta certi brano fin quando gli occhi non lo abbandonavano e, al risveglio, si ritrovava a pensare ad assurdi sogni dove Mishima stesso gli intimava, assieme al professore, di recitare tutta la sua opera a memoria.

Non stava dormendo... quelle poche ore in cui riusciva a chiudere gli occhi, prima che il dovere lo riscuotesse dal torpore, erano solo di un sonno leggero, quasi impercettibile: se non fosse stato per quello che mandava giù ai pasti, sapeva benissimo che sarebbe crollato a terra senza più trovare la forza né la volontà di alzarsi.

E poi... tutto era stato così veloce.

Il ritrovarsi con i ragazzi, Suzunagi, i ragazzi che...

Shu scosse la testa, se la ritrovò che gli girava: afferrò con decisione il piattino e mangiò tutti i biscotti rimasti uno dietro l'altro, senza nemmeno gustarli. L'energia era ciò di cui aveva bisogno e nient'altro or ora. Almeno fino a quel miracoloso momento che tutti agognavano, era anima e corpo di Letteratura Giapponese.

***

 

Gli restavano solo due porzioni di biscotti; siccome non aveva certezza su dove si trovasse Touma ma era certo che, come tutti gli studiosi, Ryo era di sicuro barricato in camera, si diresse direttamente da lui. Chissà se anche il loro tigrotto avrebbe messo da parte la considerazione nei suoi confronti come sembravano aver fatto Seiji e Shu. Si strinse nelle spalle, simili pensieri non avrebbero neanche dovuto sfiorarlo, non era giusto e in più detestava assumere il ruolo della vittima; stava facendo unicamente ciò che voleva fare, nessuno glielo chiedeva o imponeva, la scelta era unicamente sua e l'aveva compiuta perché li amava, al di sopra di tutto e anche di se stesso, alleggerire le loro spalle il più possibile di tutti i pesi, facilitare loro l'esistenza, era per lui una missione e non certo perché desiderava sentirsi dire 'grazie' o ottenere qualcosa in cambio.

O meglio... in cambio voleva qualcosa... la loro soddisfazione, la loro felicità.

E allora anche lui sarebbe stato felice.

Attese invano la risposta al suo bussare, sembrava regnare il silenzio nella stanza di Ryo; era così immerso nello studio da non sentire neanche ciò che gli accadeva intorno? Ritentò e nuovamente nessuna voce giunse alle sue percezioni.

Shin cominciò a preoccuparsi; era certo che Ryo non fosse uscito, non si era visto in giro quel giorno, quindi era sicuramente chiuso in camera. E allora perché non rispondeva?

Si adirò con se stesso: non vi era alcun motivo per pensare al peggio, le esperienze passate l'avevano reso troppo apprensivo, ogni anomalia rischiava di gettarlo nel panico, anche se si trattava di sciocchezze, il suo ottimismo, la sua capacità di voler vedere le cose in positivo, erano un lontano ricordo ormai.

Scosse il capo con gesti nervosi, un po' per cacciare i cattivi pensieri, un po' per rimproverare se stesso e si decise ad aprire la porta; la scena che si trovò davanti lo rassicurò immediatamente e sul suo volto prese forma il suo sorriso più tenero.

Ryo era in camera in effetti, ancora sul pavimento e ancora sommerso dai libri ma... era raggomitolato sul tappeto come un cucciolo di felino, le gambe raccolte sul petto e le braccia incrociate sotto il viso a fare da cuscino, profondamente addormentato. Prima o poi sarebbe dovuto succedere, Shin era certo che fosse stata più la noia a far crollare Rekka che non la stanchezza, il loro leader scavezzacollo non poteva restare prigioniero di una camera rinunciando ad aria aperta e movimento troppo a lungo.

Avanzò al centro della stanza e si inginocchiò, per contemplarlo più da vicino, il sorriso sempre presente; poi lanciò un'occhiata intorno a sé. Ryo era ancora più caotico di Shu nell'organizzazione dello studio, pretendeva di interiorizzare tutte le materie possibili e i concetti più disparati nel medesimo tempo. Il sorriso di Shin si mutò in una risatina: forse il samurai del fuoco, come prima cosa, avrebbe avuto bisogno di trovare un proprio metodo di studio.

Immaginava, conoscendolo, che gli restassero ancora molte cose da fare, ma non aveva lo stesso intenzione di svegliarlo.

"Ma sì" sussurrò. "Te lo meriti un po' di riposo".

Intanto gli sfiorò le ciocche corvine scarmigliate con una lieve carezza e depose i biscotti accanto a lui, in modo che vedesse prima loro dei libri una volta aperti gli occhi. Resistette alla tentazione di posargli un bacio sulla guancia, per non rischiare di svegliarlo e si alzò, diretto verso l'ultima meta.

 

***

 

Una carezza... era così bello riceverne.

Ryo sbatté le palpebre più volte, faticava ancora a rendersi conto di dove si trovasse; si era addormentato? Se così era, aveva fatto un sogno bellissimo... la carezza di sua madre... non credeva di ricordarla ancora, era così piccolo quando lei se n'era andata. Com'era la carezza di una madre?

Probabilmente come quella che aveva ricevuto in sogno e per questo, istintivamente, sorrise.

Al sorriso contribuì il profumo che giunse alle sue narici e che riuscì a svegliarlo del tutto, permettendogli di notare il piattino con dentro i biscotti; la sua espressione si fece perplessa, poi scoppiò a ridere, mentre si sollevava, a contemplare quei dolcetti come incantato.

Gli fu improvvisamente tutto chiaro: la mano che li aveva cucinati e portati fino a lì, era la stessa che lo aveva accarezzato mentre dormiva.

"Mammina Shin... il nostro caro Shin...".

Sospirò, assaporando il primo biscotto: Shin era per lui una presenza fondamentale, senza di lui si sarebbe sentito perso. Senza i suoi compagni si sarebbe sentito perso.

Famiglia... che sapore strano aveva quella parola... un sapore per lui sconosciuto ma, in qualche modo, cominciava a comprenderne il significato.

Famiglia significava avere intorno coloro che più contavano, essere terrorizzati all'idea di perderli, ritenerli tutti indispensabili e speciali. Famiglia significava condividere la propria esistenza con qualcuno che si prendeva cura di te... e del quale prendersi cura.

Si fece pensieroso, serio, mentre sollevava il piattino e lo portava vicino al proprio naso, con il suo contenuto, inspirando profondamente, ancor più goloso di quella fragranza che sapeva di casa e famiglia, che non del sapore. In realtà, avrebbe desiderato che quei biscotti non finissero mai, poterli conservare per sempre, così come apparivano davanti ai suoi occhi, con quello stesso profumo.

"Shin... caro Shin...".

Sospirò; si rendeva perfettamente conto di quanto il tenero Suiko stava facendo per tutti loro.

"E io, come al solito, sono un peso... Shin, lascia che mi getti alle spalle questi maledetti esami e rimedierò, farò qualunque cosa per te, te lo prometto!".

 

***

Ultimo piattino, ultima tappa... e in questo caso c'era da rovistare per la casa. Shin rimise piede nel soggiorno e vi trovò Byakuen ancora pigramente raggomitolato e, com'era ovvio, dei biscotti che gli aveva donato non vi era più traccia.

"Erano di tuo gusto allora, ne' Byakuen?".

La tigre gli rispose con un sonoro sbadiglio, in seguito al quale si alzò, per dirigersi verso Suiko e gratificarlo con una strofinata di ringraziamento sulle gambe. Il ragazzo lo grattò tra le orecchie e rise:

"Tu sì che dai soddisfazioni".

Si guardò intorno:

"Senti, hai visto Touma? Anche lui, in fondo, merita la sua razione, che ne dici?".

Byakuen prese delicatamente tra i denti un lembo della manica di Shin, senza affondare, tirò solo un poco per invitarlo a seguirlo; il giovane Mori sorrise e gli andò dietro senza esitare, finché si fermarono davanti alla porta dello studio, la stanza dove avevano posizionato la libreria e dove Touma amava tanto spesso rifugiarsi.

"Non avrei neanche dovuto chiederlo" mormorò Suiko, stringendosi nelle spalle.

Non si preoccupò di bussare e aprì leggermente la porta, ma lo scenario che gli si presentò non era esattamente quello che si sarebbe aspettato; quando Touma si isolava nel suo prediletto angolino di mondo si immergeva nella lettura o al computer. Invece lo vide sussultare, la schiena rivolta verso di lui curva, apparentemente intento in nulla. Ebbe l'impressione che avesse nascosto velocemente qualcosa.

Si schiarì la voce con un colpetto di tosse e Tenku si girò di scatto, gli occhi sgranati come quelli di un cucciolo spaventato.

"Ma che hai?" lo interrogò Suiko addentrandosi di qualche passo e fermandosi accanto a lui. "Perché sei così teso?".

"Non sono teso" bofonchiò l'altro. "Solo che non mi piace quando mi si distoglie senza preavviso dalle mie occupazioni".

Shin fece correre alternativamente lo sguardo dal volto dell'amico, al bancone vuoto davanti a lui, al computer spento:

"Quale occupazione? Stallo mentale? Non mi sembra sia un ambiente di lavoro molto attivo".

"Sei venuto per recriminare su quello che faccio? Non puoi vedere in quale direzione si stiano muovendo gli ingranaggi dentro di me, ma ti posso assicurare che non sono inattivi!".

"Va bene, va bene, non ti arrabbiare adesso, non era mia intenzione crearti problemi. Ti ho solo portato una cosa".

Sull'ultima parte del discorso, gli posò davanti al naso i biscotti, provocando uno sgranarsi ancora maggiore degli occhi di Tenku, che guardò prima il regalo poi Shin, la bocca aperta, visibilmente imbarazzato.

Alla fine, nel tentativo di sfuggire all'evidente disagio, Touma si massaggiò la nuca con un sorrisetto che cercò di rendere spigliato, ma che venne fuori un po' goffo:

"Grazie Shin, scusami".

Il samurai dell'acqua sorrise:

"Non è successo niente, vorrei però che la smettessi di essere così preoccupato".

"Non sono preoccupato, davvero, sto solo pensando".

"Il pensare troppo è indice di preoccupazione".

"Non sono te, Shin".

Suiko si erse, con una smorfia e un lamento seccato. Touma lo scrutò, le sopracciglia inarcate, quindi si alzò per poterlo guardare meglio negli occhi:

"Guarda che non era una critica".

"Non era neanche un'osservazione positiva".

"E' positiva nel senso che sei sensibile è questo è bello, negativa perché tu quando pensi finisci per stare male".

"Non cercare di indorare la pillola ubriacandomi con le parole, Touma!".

Toccò a Tenku fare una smorfia di disappunto, mentre si ritraeva un poco:

"Sei sempre prevenuto con me. Io sono sincero, lo sono sempre".

"Lo so" sospirò Shin, reclinando il capo sul petto. "Sono permaloso".

Seguì qualche istante di silenzio, che Touma superò portando una mano dietro la nuca di Shin ed attirandolo contro di sé, fino a far aderire i loro nasi e a far affondare gli occhi negli occhi, strappando a se stesso e al compagno uno speculare sorriso:

"Vai benissimo così come sei".

"Anche tu...".

"Tu di più...".

"No, non è vero...".

"Shin...".

"Touma...".

Uno sbuffo tra le labbra precedette l'esplosione di ilarità di Suiko, immediatamente imitato da Tenku.

"Siamo incorreggibili" sentenziò infine quest'ultimo, lasciandosi ricadere sulla sedia.

"Tu lo sei, io cerco solo di tenerti testa".

"Ma sentitelo, vuoi ricominciare?".

"No no" ridacchiò Shin. "Ti lascio alle tue elucubrazioni mentali qualunque esse siano, io devo uscire".

Touma si fece serio ed attento:

"Con questo tempaccio? E dove vai?".

"Non c'è più nulla in casa, è assolutamente necessario fare spesa".

"C'è quasi tormenta fuori, non puoi aspettare che smetta? Ci arrangiamo con poco con un po' di impegno".

Shin si strinse nelle spalle:

"Voglio che i nostri studentelli disperati possano quanto meno gustare dei pasti decenti, se lo meritano".

"Ma c'è un gelo polare la fuori".

"Touma, la neve è solo acqua sotto un'altra forma, è il mio elemento in fondo, con tutto quello che abbiamo passato non credo che sapermi in mezzo a un po' di neve debba preoccuparti".

"Sarà" borbottò Touma, non del tutto convinto. "Però, anche se ti piace l'acqua, tu sei freddoloso".

"Esistono sciarpe, guanti e cappotti proprio per questo, genio".

Shin concluse la frase posandogli un bacio sulla fronte e fece per allontanarsi con un allegro saluto.

La porta si stava già richiudendo quando Touma lo richiamò:

"Shin-chama...".

Il visetto sempre un po' infantile di Suiko rifece capolino:

"Dimmi...".

"Grazie ancora per i biscotti".

"Ma di nulla, Tou-chan".

Una strizzata d'occhio e una linguaccia furono i suoi ultimi gesti prima di richiudersi la porta alle spalle.

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Capitolo 3
*** Capitolo 03 ***


Touma si risedette al suo posto, accorgendosi solo quando si ritrovò solo, in quella stanza, dell'inconsulto gesto di cui si era macchiato: nascondere quei fogli agli occhi di Shin che significato poteva avere?

La reazione così istintiva poteva essere dovuta solo ed esclusivamente a una qualche inquietudine/paura/timidezza/vergogna ... e chissà cos'altro che l'aveva assalito.

Vergogna? Ah! Proprio un bel dire. Vergogna di cosa, per cosa ... o per chi?

Estrasse i fogli arrotolati dalla manica e dispiegò quello di Seiji – l'unico costellato di scritte – davanti ai propri occhi e lo guardò intensamente per qualche minuto: scrittura minuta, senza tanti fronzoli, non eccessivamente elegante ma nemmeno illeggibile. Chiara, esplicativa, puntigliosa, ma di semplice fruibilità: così era Seiji, nella vita di tutti giorni e Touma pensava, con una punta di divertimento, che per il ragazzo di Sendai ritrovare tutte quelle caratteristiche nella spiegazione della sua bestia nera poteva essere una strategia per allietare l'assimilazione di concetti a lui ostici.

Touma rilesse le formule – c'era ancora una parte consistente da aggiungere – e si ritrovò a sorridere tra sé: togliere quel muso lungo, ammorbidire le reazioni irritate, far nascere un piccolo sorriso. Sarebbe bastato anche solo quest'ultimo per risollevare lo spirito a Tenku, davvero.

E se il lavoro degli appunti avesse funzionato – come credeva – anche con Shu, avrebbe nuovamente sentito la sua voce echeggiare divertita nella casa, certi finti lamenti che si alzavano quando Shin lo bacchettava su qualcosa e gli scoppi improvvisi di risate che risuonavano tra le pareti.

Ryo si sarebbe unito a lui, con quell'aria tutta sua di innocente gattino che avrebbe passato i giorni seguenti l'esame a stiracchiarsi sul tappeto, abbracciando e coccolando Byakuen (ottenendo coccole infinite a sua volta) e a uscirsene con quelle esternazioni di affetto verso tutti con un fare tanto candido quanto sincero.

E Shin? Shin avrebbe sorriso molto di più. E avrebbe rimproverato tutti molto di più, pentendosi poi di reazioni esagerate – anche se, visti i precedenti, Touma non poteva certo biasimare il ragazzo – beandosi delle pace ritrovata. E li avrebbe viziati con pensieri e dolci, spinti a una vita più sana, a orari più consoni.

Li avrebbe rimessi in riga, imprimendo ogni energia in parole, gesti e cuore, come sempre: era stanco, Touma ne era certo. Ma Shin non ammetteva mai le proprie debolezze, con una testardaggine da fare invidia anche alle peggiori fissazioni di Ryo.

Eppure Touma non sapeva come avrebbero fatto senza di lui. Lui che si prendeva cura di loro.

Ma poteva forse immaginare una vita senza uno di loro? Senza il candido calore e la passione di Ryo... senza la positività e l'energia esplosiva di Shu... senza l'equilibrio e la forza del cuore di Seiji...

Senza loro quattro, Touma non sapeva come avrebbe fatto.

"E senza di me?" la domanda giunse spontanea. Giungeva e non era così inaspettata... era così simile alla domanda di qualche ora prima che aveva posto a Shin. Cosa donava lui a loro? Cosa lo rendeva 'indispensabile'?

***

 

Nel corridoio, Shin trovò Byakuen ad attenderlo; il felino lo fissava con aria attenta... e torva avrebbe giurato Suiko.

"Qualcosa non va?".

La tigre si posizionò davanti a lui, dando l'impressione che volesse impedirgli di muoversi.

"Byakuen...".

Il felino ruggì, severo e improvvisamente a Shin fu tutto chiaro.

"Ho capito... mi stai ordinando di non uscire?".

Il muso della tigre si strofinò sulla sua gamba; il rimprovero si trasformava in supplica. Shin ridacchiò, si inginocchiò e gli prese la testa tra le mani:

"Ma perché siete tutti così apprensivi? E' solo neve!".

Si rialzò e saltellò oltre il felino, prevenendo qualunque altro tentativo di trattenerlo:

"Non preoccuparti, Byakuen, so badare a me stesso e tornerò prestissimo, non ci sono Arago, Masho, Mukala o qualunque altro servo del male ad aspettarmi là fuori".

Lasciando aleggiare dietro di sé la sua limpida risata raggiunse l'ingresso, si raccolse più che poté nel cappotto, avvolse intorno a sé la sciarpa, indossò i suoi morbidissimi guanti azzurri e si immerse nel mondo esterno dipinto di bianco.

 

Byakuen

La pazienza è una caratteristica che, generalmente, mi hanno sempre attribuito: uno spirito guardiano non può essere altrimenti, direte voi. Ma devo ammettere che in questi anni, questi cinque cuccioli hanno testato anche la mia pazienza più intoccabile, quella che mai nessuno è riuscito a sfiorare.

I cuccioli sanno essere gli esseri più teneri e gioviali, ma hanno dalla loro la terribile caratteristica di agire prima di contare ogni conseguenza delle azioni: quando si gettavano nella battaglia, quando azzardavano parole o gesti nei confronti l'uno dell'altro e quando...

Quando, come ora, compiono gesti chiaramente sciocchi.

Le tormente di neve erano e rimangono qualcosa dalla quale rimanere lontani: tutto il pelo di questo mondo non tiene lontano il gelo di questi giorni.

E poi, poi...

Ma perché mi stupisco?

Ko-Shin è sempre stato così, come gli altri cuccioli e lui, in particolare: capace di darsi completamente in battaglia – anche se il suo cuore si nutre di pace – e di occuparsi di loro come un genitore. E non è solo il cibo... non è solo quando cerca di tenere la tana il più accogliente possibile...

Sono i piccoli pensieri – quelli che lui, lo so, chiama piccoli – quelli che davvero contano.

Quando riprende Ko-Touma o Ko-Shu per qualche scherzo, quando accarezza Ko-Ryo perché è troppo pensieroso o quando cerca di far sorridere Ko-Seiji. Quando sorride, si arrabbia, piange, si arrabbia o sbuffa... ogni suo sentimento tende infinitamente ai quattro cuccioli.

Ogni cosa che fa, è per loro, per noi.

Ciò che lo rende eccezionale, però, è che ogni cosa che nasce dalla sua bocca, dalle sue mani, per lui rimane straordinariamente normale.

 

***

 

Il primo ad arrendersi all'autoimposta prigionia fu Ryo che, quando fuori era già buio, quel precoce buio invernale che rende le giornate estremamente corte ben prima dell'ora di cena, abbandonò la propria stanza e scese a piano terra. L'unico ad andargli incontro fu Byakuen, impaziente di ricevere dal suo cucciolo prediletto la razione di coccole che gli spettava.

"Mi dispiace Byakuen, ti sto trascurando molto, ma finirà questo dannato periodo, te lo prometto e allora vedrai quante passeggiate immersi nella natura ci faremo!".

La zampa della tigre si sollevò ad accarezzarlo, in un gesto che significava rassicurazione e Ryo le sorrise, poi si guardò intorno e notò il silenzio tombale che regnava tra le mura.

"Dove sono tutti? Svaniti nel nulla?".

Si diresse verso la cucina, convinto di trovarci Shin intento a preparare la cena, ma rimase deluso; la stanza era deserta ed immersa nel buio, perfettamente in ordine. Un vago senso di irrazionale inquietudine scese nel suo animo, per quanto si rendesse conto dell'assurdità delle sue paure.

"Sono diventato così dipendente da loro?".

Il ruggito un po' indisponente di Byakuen fu la risposta: la tigre evidentemente non aveva dubbi e lo invitava ad accettare quei sentimenti per il samurai del fuoco talmente estranei.

Il verbo 'dipendere' assumeva in effetti, per Ryo, connotati strani, del tutto nuovi; lui, fin da bambino, era avvezzo a non dipendere da nessuno, a cavarsela da solo, se si escludeva la presenza sempre più frequente di Byakuen al suo fianco. E in effetti era sempre stato, come Byakuen, un animale selvaggio che di boschi e montagne faceva la propria dimora, non aveva mai realmente imparato a condividere né a conoscere il mondo degli uomini, la cosiddetta civiltà, era sempre stato un solitario, senza nessun'altra preoccupazione se non quella di sopravvivere giorno per giorno.

La parola 'famiglia' poi...

Aveva un padre, certo, che gli voleva bene e che lui stesso amava ma era un padre dall'animo bambino che non era mai stato in grado di prendersi cura di un figlio, Ryo poteva quasi contare sulle dita di una mano le volte in cui il genitore si era soffermato a casa più di pochi giorni da quando lui era in fasce. Diciotto anni nel corso dei quali il padre si era rivelato poco più di un ospite sporadico nella casa che in teoria apparteneva ad entrambi e che, da quando Ryo si era trasferito a Tokyo, giaceva abbandonata tra i monti di Yamanashi, in attesa che uno dei due proprietari tornasse, ogni tanto, a controllare la situazione.

Aveva dovuto crescere in fretta Ryo, per imparare a prendersi cura di se stesso ed aveva imparato a farlo, aveva imparato ad affrontare novità e vicissitudini costituendo dentro di sé un invidiabile spirito d'adattamento che lo rendeva, nonostante la sua poca dimestichezza con gli altri esseri umani, amabile e gradevole facendo dimenticare i suoi modi a volte un po' grezzi e poco civili.

Scoprirsi leader dei Samurai Troopers si era rivelato sconvolgente... lui, il solitario, cucciolo di una tigre, spirito selvaggio e mai addomesticato, si era visto le spalle gravate di un peso di cui a tratti non si era sentito degno. Prendersi cura degli altri... quegli altri che erano i suoi compagni... aveva interiorizzato sul serio quel ruolo, estremizzandolo quasi, inizialmente forse per un briciolo di orgoglio ma, ben presto, aveva scoperto che l'orgoglio c'entrava poco e niente. Si sentiva responsabile dei ragazzi, non per senso del dovere, ma perché li amava.

Era questo il dipendere? Questo avere una famiglia? Trovarsi invaso dal terrore al solo pensiero di... di perderne un membro? Come perdere una madre la seconda volta, come... perdere una parte di se stessi... per sempre...

Sbuffò, prendendosela con se stesso, ma neanche lottò contro la propria ansia, non riusciva a sconfiggerla, non poteva fare a meno di preoccuparsi per loro e per questo doveva assolutamente sapere dove si erano nascosti tutti quanti, a costo di mettersi a strillare per la casa, a costo di arrabbiarsi poi con loro perché... perché non dovevano sfuggire al suo controllo, lui non doveva perderli di vista, adesso che vivevano tutti insieme.

Come un barlume di luce tornò un briciolo di razionalità e si ritrovò costernato a riflettere su se stesso:

"Ma... maledizione... sono un paranoico...".

Lo sussurrò tra sé e sé, con il tono e l'espressione di chi aveva appena messo a nudo una rivelazione sconvolgente; si portò una mano alla fronte, chiuse gli occhi e ridacchiò. Tuttavia, nonostante avesse riacquistato un frammento di logica, non mutò i propri propositi: doveva trovarli, sapere dov'erano i ragazzi.

Non si preoccupava più di tanto di Seiji e Shu, probabilmente erano rimasti, come lui, chiusi tutto il giorno nelle loro stanze a studiare. Ma Shin e Touma?

La sua mente stabilì la connessione tra il nome dell'amico e la sala di lettura e, chissà, forse Shin gli stava tenendo compagnia, forse aveva deciso, finalmente, di rilassarsi un poco e di immergersi in uno dei suoi libri. Anche Shin amava leggere come Touma, benché il suo approccio fosse del tutto differente.

Almeno adesso aveva una meta; si mise letteralmente a correre verso la parte più interna dell'abitazione, quella che dava sul retro, correva per la fretta di vederli, certo, ma anche perché il suo naturale bisogno di movimento necessitava di uno sfogo, l'immobilità forzata cui era sottoposto da giorni non faceva assolutamente per lui.

Spalancò la porta dello studio senza bussare e vide Touma sobbalzare sulla sedia, per poi voltarsi e fulminarlo con un'occhiataccia di rimprovero:

"D'accordo che hai dell'energia accumulata in sovrappiù, ma un minimo di autocontrollo non guasterebbe".

"Immaginavo fossi qui" ribatté Rekka, ignorando la battuta e guardandosi intorno un po' nervosamente. Concluse la propria esplorazione con una smorfia di disappunto.

"Shin non c'è?".

"A meno che non sia diventato invisibile non mi sembra proprio".

Ryo incrociò le braccia sul petto e gli rivolse una linguaccia da monello.

"E tu avresti diciotto anni?" ridacchiò Touma, ottenendo in risposta una seconda linguaccia.

"Immagino sia superfluo chiederti se stavi studiando" lo interrogò poi Rekka.

Tenku si strinse nelle spalle:

"Lo sai che non ne ho bisogno, perderei solo tempo".

Ryo si morse la lingua per trattenere una rispostaccia. Perdita di tempo... e loro tre sui libri passavano le giornate faticando quasi ad ogni riga e ad ogni concetto...

Si controllò unicamente perché era consapevole di quanta innocenza Touma avesse infuso nelle proprie parole: non si rendeva conto di quanto potessero risultare irritanti, non era certo sua intenzione considerare loro degli incapaci. Tuttavia avrebbe potuto usare il suo tanto decantato QI per ragionare un po' di più anche sull'effetto che potevano avere le parole, perché in quello, a volte, si mostrava più ingenuo e candido di un bambino.

Camminò fino alla finestra, le mani affondate nelle tasche, seguito da Byakuen e si mise a contemplare gli sbuffi di neve che il vento trascinava di qua e di là.

"Dov'è Shin?" chiese, ostentando una tranquillità che, in realtà, non provava.

Touma aveva riportato la propria attenzione alle misteriose carte su cui stava lavorando e rispose distrattamente e con naturalezza:

"E' uscito a fare provviste".

Ryo sussultò, fece transitare lo sguardo, alternativamente, da Touma alla tormenta di neve che infuriava oltre la vetrata.

"Come?!".

Non riuscì a dominare l'inflessione acuta e distorta della propria voce. Il capo di Touma si sollevò e i suoi occhi cobalto lo scrutarono, attenti:

"Che ho detto di strano?".

"Touma! L'hai lasciato andare?!".

Il samurai dell'aria sbatté più volte le palpebre, sopracciglia inarcate:

"Impedire qualcosa a Shin? Dovevo mettergli il guinzaglio? D'accordo, tu forse lo faresti anche ma...".

"Touma, evita di dire scemenze!".

"Non ti alterare" fu il commento flemmatico di Tenku, accompagnato da una scrollata di spalle.

Anziché dargli retta, l'ansia di Ryo crebbe parola dopo parola e la sua voce si acutizzò ancor di più, mentre indicava fuori dalla finestra con un ampio gesto del braccio:

"Lo vedi il tempo che c'è là fuori?! Potrebbe... potrebbe...".

"Potrebbe cosa?".

Tenku rifletté un istante, poi riprese, con una strizzata d'occhio:

"E' solo neve in fondo, è quello che ha detto, la neve è acqua sotto un'altra forma, è il suo elemento".

"Non giustificare la tua incoscienza usando come alibi quel che lui ti ha detto, dovevi fermarlo!".

Un altro battito di ciglia, uno schiudersi delle labbra ed un loro richiudersi rivelarono la perplessità e l'indecisione di Touma; superò ben presto tuttavia l'incertezza e sentenziò, apparentemente calmissimo:

"Io dovevo fermarlo? Ryo... non stiamo parlando di un bambino ignaro del mondo, ma di un nostro coetaneo, samurai come noi, sopravvissuto a stento ad eventi drammatici e...".

"Proprio per questo non dovete più correre rischi inutili!".

Touma sobbalzò; una reazione simile non se la sarebbe aspettata.

"R... Ryo...".

Rendendosi conto di quanto potesse apparire assurdo il suo comportamento, Rekka abbassò il capo sul petto, i pugni stretti lungo i fianchi:

"Io... vi voglio al sicuro...".

Il petto di Touma fu scosso da un sospiro, si alzò, avanzò verso il compagno e gli posò una mano sulla spalla:

"Ryo-kun... siamo al sicuro... Shin è solo uscito a fare la spesa, sa badare a se stesso, è l'organizzatore della casa e sa esattamente cosa fare".

"In casa forse sì... ma fuori...".

La stretta sulla spalla di Rekka si fece più pressante, mentre Touma si portava l'altra mano alla fronte, ormai prossimo alla frustrazione:

"Anche fuori Ryo... anche fuori... tra poco sarà a casa... vedrai".

Byakuen, che non aveva perso un frammento di quello scambio, rizzò improvvisamente le orecchie e in pochi balzi uscì dalla stanza. Pochi attimi dopo, una voce dolce si levò dall'altra parte della casa:

"Ciao Byakuen, hai visto? Ho fatto presto come ti avevo promesso!".

Ryo sollevò il capo, si sottrasse alle attenzioni di Touma, lo oltrepassò e spiccò una corsa sfrenata, rischiando per un attimo di scivolare, ma riprendendo subito il controllo, come se niente fosse.

"SHIIIIIN!".

Il più giovane dei Samurai Troopers, prima di muoversi a sua volta, si massaggiò la nuca e scosse il capo, con un'esclamazione di disappunto.

"Se si porta un carattere simile fino alla vecchiaia stiamo freschi!".

Quando li raggiunse, Ryo stava letteralmente sbottando contro Shin, elaborando una ramanzina con i fiocchi e mettendo in fila parole che non avevano né capo né coda pur nella loro pretesa di andare a comporre un discorso sensato dal punto di vista della logica. Shin fissava il compagno con la stessa espressione che poco prima aveva caratterizzato Touma, tra il perplesso, lo sconcertato, l'incredulo. Poi interruppe il torrenziale discorso di Rekka posandogli con decisione una mano sulla bocca, il cipiglio serioso che, sul suo volto gentile e sempre un po' da bimbo, risultava buffo più che convincente. E infatti Ryo non si fece convincere, prese il polso di Shin tra le dita, cacciò via la mano dalla propria bocca e riprese ad inveire; così Touma pensò bene di accorrere in aiuto di Suiko, strisciò fino alle spalle di Ryo, gli circondò il collo con un braccio e, ignorando le sue agguerrite proteste, gli trascinò il viso fino a soffocare la voce contro il proprio petto.

Intanto si rivolse al Torrente, con un ghignetto divertito:

"Bentornato, Shin-chama".

Suiko gli sorrise, si tolse cappotto e sciarpa, si sfilò i guanti, quindi indicò le sporte della spesa posate a terra:

"Mi dai una mano a mettere a posto, To-chan?".

Nel chinarsi per raccogliere i sacchetti, Tenku lasciò libero Ryo il quale, anziché reagire, rimase immobile, imbarazzato, il volto basso, finché Shin non lo costrinse a sollevarlo carezzandogli una guancia; Rekka rabbrividì.

"Sei gelato, Shin!".

Il viso di Suiko assunse un'espressione dubbiosa, ma poi sorrise:

"Certo che sono gelato, sono uscito nella neve, fuori fa freddo, non morirò per questo".

"Però...".

"Credo che tu ti stia stressando troppo con lo studio Ryo, sei teso. Cerca di rilassarti adesso, mentre preparo la cena".

Rekka rimase a guardarlo mentre seguiva Touma in cucina ma, proprio quando giunse sulla soglia, il corpo di Suiko fu scosso da un lieve starnuto che non mancò di allarmare immediatamente il samurai del fuoco.

"Ecco, lo sapevo, come minimo ti verrà il raffreddore".

Shin si fermò, si lasciò andare ad un sospiro e si voltò verso di lui:

"Può darsi, se mi verrà il raffreddore me lo farò passare, sul serio Ryo, fallo per me, controlla i tuoi nervi".

"Non trattarmi come un malato di mente!".

Un altro sospiro e Shin tornò sui suoi passi, accanto a Rekka, per lasciargli un'altra carezza:

"Ti sto trattando come un caro amico che mi vuole bene e si preoccupa troppo, te ne sono grato, ma vorrei vederti allentare la tensione, la tua ansia si è accentuata troppo negli ultimi mesi".

Ryo chinò il capo, sfuggì a quegli occhi che erano in grado di sondare fino in fondo l'anima delle persone e Ryo era troppo prevedibile, troppo limpido per poter anche solo sperare di sfuggire alle capacità empatiche di Shin, senza contare che il loro legame era diventato estremamente simbiotico, in qualche modo loro due erano spiriti affini, propensi a preoccuparsi degli altri tanto da dimenticare se stessi, questo l'aveva detto Touma una volta nell'osservarli. Ryo non sapeva se una simile descrizione valeva per se stesso, di sicuro Shin era così... e di sicuro, dopotutto, loro due si comprendevano in maniera speciale, acqua e fuoco perfettamente amalgamati e sempre pronti a completarsi reciprocamente, il fuoco a scaldare l'acqua quando sentiva troppo freddo nel cuore, l'acqua a spegnere il fuoco quando esso avvampava fino a perdere il dominio di sé.

Le parole vennero, senza controllo, senza preavviso quasi... e senza che neanche lui avesse previsto quale sarebbe stata la loro direzione:

"Hai idea, amico mio, di come mi sono sentito quando... quando siete scomparsi tutti uno ad uno, qualche mese fa? Cosa ha significato ascoltare i vostri messaggi, pensando tra me che forse era l'ultima volta che potevo udire le vostre voci? Il vuoto che avevo dentro... nel pensare che non c'eravate più, così, svaniti nel nulla, senza spiegazione alcuna, dopo aver saputo che qualcuno aveva avuto la presunzione di raccontare la nostra storia, di conoscerci ancor prima che nascessimo, come se fossimo unicamente pezzi di carta o fantocci su un palcoscenico?".

Shin trasalì:

"Ryo...".

"Noi non siamo invenzioni di qualcun altro, siamo vivi, ci hanno usati per farci credere chissà cosa, ma nessuno potrà mai realmente capire come il mio cuore stesse andando in pezzi alla sola idea di potervi perdere, o di sapervi sofferenti, nessuno potrà mai mettere in dubbio che il mio cuore batte davvero, per ognuno di voi e che i vostri cuori battono come il mio, perché siete straordinari esseri umani che meritano solo il meglio!".

Rekka andava infervorandosi, mentre gli occhi di Suiko si sgranavano ad ogni parola, le sue mani erano leggermente sollevate e tremavano, si rendeva conto come lui stesso, troppo di frequente, fosse stato tormentato da simili, traumatici ricordi.

Poi il tono di Ryo si abbassò, nuovamente i suoi occhi vagavano dovunque nel tentativo di non incontrare quelli di Shin:

"Non ho saputo proteggervi... ed era l'ennesima volta che capitava... prima tu, Seiji e Shu... poi Seiji... poi di nuovo Seiji perché ha tentato di proteggermi... e non ero con te, con Touma, con Shu, quando avete rischiato la rottura, non ero con voi a gestire la situazione come un leader dovrebbe fare... e poi Suzunagi... che...".

"Ryo... per favore..." lo interruppe Shin, con tono supplichevole e tremulo. Fece qualche passo verso di lui e si gettò tra le sue braccia, stringendolo forte; Rekka ricambiò l'abbraccio, posando una mano tra i capelli di Shin ed odiandosi ancora perché aveva risvegliato nel loro sensibile Suiko quei ricordi terribili che, lo sapeva, lo facevano stare tanto male da causargli attacchi di panico a volte. E se davvero voleva proteggerlo, avrebbe dovuto evitare un simile cedimento. In quegli istanti, effettivamente, gli esami erano l'ultimo dei suoi pensieri.

Nessuno dei due si era accorto che Touma si era affacciato sulla soglia della cucina e li osservava, il corpo tremante e gli occhi lucidi.

***

 

Senza loro quattro, non sapeva come avrebbe fatto.

"E senza di me?" .

Cosa donava lui a loro? Cosa lo rendeva 'indispensabile'?

Non lo sapeva, punto. Forse non era indispensabile, forse no. Non lo sapeva e, pensò in quel momento, forse non gli importava saperlo. Forse temeva la risposta.

Eppure, ora come ora, non importava: si sentiva a casa e li amava, ecco quanto. Ammetterlo con se stessi poteva non essere semplice, ma rischiava di essere più difficile farlo con i propri amici. Shin aveva ragione a dire che era uno sciocco a non aprirsi, ma pensava che comunque le cose andavano bene anche così com'erano.

Si accontentava di voler loro bene, con tutto quello che aveva nel cuore.

Si accontentava di essere con loro e far quello che gli era possibile per non essere un peso e, in qualche maniera, rendersi anzi piuttosto utile.

Si accontentava di quello e poteva anche non sapere se era indispensabile o meno.

Perché, qualunque fosse stata la risposta, Touma avrebbe continuato ad amarli alla stessa maniera.

Sulla soglia della cucina, guardò Shin e Ryo abbracciati e sentì le lacrime che punzecchiavano prepotenti e le gambe che tremavano e la bocca... che cercava di far sorridere e non ci riusciva.

Fu forse la sua presenza, forse una piccola spinta di Byakuen che lo destabilizzò, ma a quel punto attrasse l'attenzione dei due compagni che sobbalzarono al suo involontario singhiozzo e al movimento repentino che gli fece quasi perdere l'equilibrio.

Quando Touma rialzò lo sguardo verso di loro, di riflesso e senza pensare, non riuscì a cancellare le lacrime dal proprio sguardo e, ancora meno, l'espressione sofferente dal viso: si passò una mano sul volto e cercò di dissimulare i propri sentimenti

"Tou..." il bisbiglio di Shin lo fece irrigidire, mentre sentiva i passi veloci di Ryo avvicinarsi a lui.

"Touma...".

E percepiva i propri passi allontanarsi da loro, non capiva né il perché, né il come. Non riusciva in quel tormentato putiferio di pensieri a metterne uno dietro l'altro, con logica. In quell'indietreggiare confuso, però, giunse la chiara presenza di Byakuen con la sua bocca, a leccare la sua mano e poi a tirarlo dolcemente verso la direzione opposta: cercò di resistere, ma poi giunsero anche della mani ad attirarlo in un abbraccio e si ritrovò quasi a capitombolare nelle braccia di qualcuno – Shin E Ryo – senza che potesse avere altra scelta.

Cercò di districarsi da quelle braccia, eppure più tirava più la presa si faceva forte e le sue lacrime, invece di ricacciarsi indietro, si facevano più pressanti, quasi insopportabili: voleva scappare e voleva rimanere. Voleva crogiolarsi in quell'abbraccio e ne era terrorizzato.

"Touma... non piangere...".

La voce sottile di Shin era rassicurante, cullava e curava.

E dire che lo faceva ammattire... e poi lui era... così... semplicemente, con lui...

"Touma, che succede?".

La preoccupazione, la pena di Ryo.

Davvero riusciva a scatenare l'ansia in Ryo? Non era mal riposta?

"Scusaci se ti abbiamo provocato tutto questo...".

"Davvero, non volevamo. Su, Touma... ti prego...".

E vi erano due paia d'occhi, oltre la cortina di lacrime, che lo guardavano intenti, preoccupati, tesi.

Che sguardi intensi... erano sguardi carichi... ma carichi di... cosa?

È amore, Touma-idiota, disse una vocina dentro di lui. Amore e preoccupazione... perché li fai spaventare, così.

"S-scusatemi voi..." la schiena si irrigidì ancora, le carezze non si fermarono e la vicinanza dei due non si disperse nel nulla. "Non so cosa mi sia preso...".

"Baka!".

La voce squillante e decisa di Ryo lo mise sull'attenti, mentre la mano abbronzata si infilava nella sua chioma scarmigliata e lo faceva ricadere ancora in un abbraccio soffocante.

"Touma... basto io con il mio torrente di ansia ed emozioni a incasinarvi. Non serve che tu tenga tutto dentro... sempre".

"Ma... Ryo...".

"Niente 'ma' e niente storie. E poi se non dici le cose ci fai preoccupare cento volte di più...".

L'abbraccio di Ryo gli si strinse ancora di più addosso, la mano di Shin gli accarezzò una guancia e tanto bastò perché, finalmente, si lasciasse andare.

Non disse niente tra le lacrime, bastavano quelle a dire tutto.

Che era triste e felice assieme. Che li amava e, sì, si sentiva amato e desiderato da loro.

Ed era questo che lo destabilizzava di più e lo faceva sentire come sulla più pazza montagna russa del mondo, in balia dei sentimenti, della loro intensità e velocità. Era come sentire il proprio cuore gonfiarsi tutto d'un tratto per far entrare tutto quel sentimento e percepire che non vi era davvero fine in tutto quello.

Che il suo cuore, la sua anima avrebbero continuato a gonfiarsi di esso e nulla al mondo, davvero, sarebbe riuscito a ridurre ancora il suo kokoro a quel piccolo essere così bisognoso d'amore.

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Capitolo 4
*** Capitolo 04 ***


Giunse la sera, anche se per Shu era solo un momento della giornata che coincideva con la cena e qualche ora di sonno.

Scese quasi barcollando in soggiorno dove già Seiji e Ryo sedevano, il primo con un formulario in mano, l'altro senza nulla. Probabilmente Ryo si era contenuto per pura educazione: Shu pensò, con un barlume di lucidità, che il ragazzo, privo di freni, avrebbe portato con sé una torre di testi, come se anche quei pochi minuti dedicati al cibo potessero essere fondamentali.

Almeno su quello dava ragione a Shin che, il primo giorno di quella maledizione, era stato chiaro: cena e pranzo senza libri. Pena la requisizione di essi.

Non che Shin avrebbe mai compiuto un simile gesto – forse – ma il tono perentorio e autoritario aveva detto e fatto tutto.

"Ciao Shu".

Ed eccolo lì, il sorriso che scaldava tutti e da cui Shu dipendeva, incondizionatamente, sempre e comunque. Abbozzò un sospiro e rispose al saluto mentre, trascinando i propri passi, giungeva al grande kotatsu, lasciandosi cadere sul cuscino accanto a Ryo, seduto di fronte a Seiji. Agli altri due capi del tavolo scendevano, generalmente, Touma e Shin, quest'ultimo alla sua sinistra.

Infilò le gambe al caldo, alzando infine gli occhi verso gli altri occupanti del tavolo: Seiji continuava a leggere quel formulario come se niente fosse, Ryo, invece, sbocconcellava il riso dalla propria ciotola, muovendosi come un forsennato sotto il tavolo, colpendo più volte Seiji e urtando anche Shu.

Egli aprì bocca, come se volesse tentare di bloccare il ragazzo, trovandosi totalmente incapace a farlo: Shin era bravo nell'impresa, Touma un po' meno ma Shu, in quel momento, aveva la mente muta di fronte a qualsiasi problema.

Qualche minuto dopo, scese con la sua solita flemma Touma, la testa più arruffata del solito, l'aria più distratta del solito. Prima o poi Shu gli avrebbe chiesto a cosa pensava in quei momenti.

"Ah, Seiji ..." disse infine Tenku, quando lo sguardo si spostò sul tavolo. "Lo sai che Shin si arrabbia se sei a tavola con quello ...".

Korin alzò uno sguardo tagliente su di lui, ma Shu lo vide mordersi le labbra a trattenere ogni parola avesse intenzione di rispedire al mittente. Tuttavia, la mano di Seiji andò a riporre in tasca il libretto, poco prima che Shin rimettesse piede in sala: con un'entrata trionfale, carico di un piatto fumante, attirò ogni sguardo su di sé.

"Ci siete tutti, allora".

La voce calda e squillante di Suiko li riportò sulla terra, precisamente nel loro salotto e quattro teste si mossero quasi all'unisono verso di lui, i movimenti di mani e braccia improvvisamente calmi, solo gli occhi si muovevano freneticamente per il cibo.

Shin sospirò dentro di sé: ecco il momento della giornata in cui vedeva quei quattro disperati trasformarsi in scolaretti vitali e privi di pensieri. Un'ondata di tenerezza lo travolse e la stanchezza gli si levò dalle spalle, almeno per un poco. Pose il piatto sul tavolo e si sistemò davanti a Touma che, tirando fuori la propria energia dedicata al cibo, prese a disputarsi gli gyoza con Shu, mentre Ryo si lamentava di quella lotta fuori programma e della maleducazione nei confronti di Shin.

Shu, gyoza in bocca, si voltò verso Suiko, cercando di biascicare qualcosa tra il cibo e Shin sospirò, sconfitto e divertito.

"Non preoccupatevi, io ho mangiato un poco mentre preparavo...".

Sentì lo sguardo affilato di Seiji sulla sua sinistra e si voltò a guardarlo: prima che potesse replicare qualche recriminazione, lo apostrofò lui.

"Seiji mangia, prima che i nostri due pozzi facciano sparire tutto".

La schiena di Touma s'irrigidì all'improvviso e con un gesto quasi intimidito, quasi colpevole, bloccò i propri movimenti: guardò nel proprio piatto e mise fine alla penosa guerra di gyoza con Shu.

"Che succede Tou-chan?" chiese Shin sorpreso.

"Lascio le energie ai ragazzi..." fu la risposta asciutta del giovane Hashiba.

Un sospiro a mezza via tra l'esasperato e il divertito si alzò da Shin e Ryo, mentre Seiji finì solo per guardarlo con aria stranita e insospettita assieme.

"Tou?".

Persino Shu alzò gli occhi con un barlume di consapevolezza negli occhi: la stanchezza non accecava completamente i sensi... soprattutto se 250QI-Touma si intimidiva così all'improvviso.

"Shu, tu mangia... ma lascia qualcosa anche per Ryo e Seiji che ne hanno bisogno quanto te".

A quel punto, Shin non poté trattenere una risatina, Ryo la nascose dietro a un gyoza, Seiji si insospettì ancora di più, ma approfittò di quella tregua per servirsi con i gyoza rimasti nel piatto di portata.

"Tou, sei un essere strano a volte..." giunse l'ultimo barlume di lucidità nella mente di Shu, prima che concentrasse le energie sulla cena di fronte a sé.

Shin, dalla sua postazione, rimase ad osservare in silenzio la cena – comunque silenziosa – dei ragazzi e il suo cuore si sciolse mentre guardava le espressioni degli amici che, impegnati nel pasto, avevano delle espressioni talmente innocenti e affamate, guidate dal puro istinto di sopravvivenza – tale era l'appetito – che sembravano degli scolaretti appena tornati da una giornata di passeggiate sotto un sole primaverile. Affamati come bambini e con la stessa espressione intenta e buffa.

Erano quei momenti in cui si sentiva un po' come la mamma della casa... per quanto il pensiero un po' lo irritasse, un po' lo imbarazzasse, un po'...

Sospirò, nascondendo un sorriso intenerito e sperò che su quei visi, oltre all'appetito, tornasse presto il sorriso radioso che conosceva. E che le proteste, assieme alle risate, alle osservazioni, ai racconti della giornata... tornassero ad animare quei momenti.

 

***

 

Erano le due, forse le tre di notte. Chi poteva saperlo.

Touma aveva perso completamente il senso del tempo, ma era generalmente un difetto che aveva quando si smarriva con i propri libri... e allora tagliava i ponti con tutto e con tutti... e finiva per fare ore talmente piccole da scombussolargli, nei giorni peggiori, l'intero orologio biologico.

Ma quella era un'altra storia. E quello che scorreva sotto le proprie mani era, senza alcun dubbio, molto più importante: era quasi agli sgoccioli con gli appunti di Seiji, aveva abbozzato quelli di matematica anche per Ryo e stava già domandandosi come impostare quelli per Shu senza essere né troppo schematico né troppo ricco di informazioni. Dal lavoro per Shu, avrebbe estratto il necessario anche per quello di Ryo, potendo dire di aver sfrondato una buona parte del programma anche per il loro Rekka.

Portò le braccia in alto e si stiracchiò per l'ennesima volta, sentendo l'inquietante rumore della propria schiena che si aggiustava da sola. Considerate le cose e, soprattutto, i giorni che mancavano agli esami, pensò che poteva permettersi di continuare fino al completamento del programma di Seiji e una buona metà di quella di Shu. Per Ryo avrebbe avuto bisogno di tutta l'energia necessaria dopo un sonno ristoratore... ma avrebbe dovuto chiedere a Shin di essere svegliato.

Il pensiero lo metteva in agitazione, Shin non si faceva pregare quando doveva svegliarlo. Però, per quanto fosse 'spaventoso' il pensiero, aveva bisogno di lui.

Si stiracchiò ancora e fu solo con le luci dell'alba che si decise ad alzarsi dal proprio posto e andare a riempire il proprio stomaco con qualcosa di energetico e invitante. Uscì dalla stanza sopprimendo a stento uno sbadiglio e rischiò di andare a sbattere contro Seiji che, stranamente, sembrava essere appena arrivato davanti alla biblioteca.

"Che ci fai qui?" mormorò Touma con gli occhi sgranati. Seiji sembrava colto alla sprovvista e arretrò un attimo, riprendendo in viso un'espressione neutra.

"Potrei chiederti la stessa cosa...".

"Oh... sto... beh, diciamo che sto ripassando".

Touma alzò gli occhi cobalto verso quelli violetti con l'innocenza dipinta negli occhi, qualcosa che mise sul chi-va-là Seiji.

"Tu che ripassi? E sei sveglio a quest'ora?".

"Mi fai la paternale? Anche tu sei sveglio a quest'ora".

"Io sto studiando".

"Anche io!" e con una risposta che giunse forse troppo secca, Touma rientrò in biblioteca.

Ne uscì cinque minuti più tardi, appunti in mano, aria fiera in volto e ritrovò Seiji nello stesso posto, un'aria contrita cucita addosso.

"Se resti qui perdi solo tempo. Ecco, tieni" e gli infilò in mano una serie di fogli pieni della sua calligrafia. Seiji non sembrò mutare espressione, almeno finché non abbassò gli occhi a terra. "Seijiiiii?".

"Non riesci a stare in camera con me in questi giorni? Per questo sei qui ...".

Touma guardò con aria quasi comica il ragazzo e giunse alla conclusione che Seiji era più addormentato che sveglio. Sospirò, lo prese per mano e lo tirò con sé verso la loro camera. Seiji non pronunciava alcuna parola, ma si lasciava guidare e tutto ciò che faceva era fissare i fogli che Touma gli aveva messo in mano.

Quando quest'ultimo lo fece sedere sul letto, le mani sulle spalle, Seiji riaprì bocca.

"Touma... cosa... cosa sono?".

"Seiji... ora va a dormire, più tardi ti sveglio io, ok?".

"Dimmi cosa sono".

Gli occhi dell'arciere si misero a scrutare il volto visibilmente stanco di Korin che, ormai, parlava senza più realmente pensare a ciò che diceva.

"Sono degli appunti magici".

Le mani di Touma lo spinsero a sdraiarsi, lo spadaccino si abbandonò al cuscino e l'altro ragazzo gli sfilò gli appunti dalla mano: li poggiò sul comodino e poi lasciò una carezza sul capo di Seiji, ormai già addormentato. Diede un'occhiata alla scrivania e la vide disordinata come non lo era mai sotto le mani precise di Seiji: tutto ciò che Touma fece, prima di lasciare il ragazzo al suo riposo, fu quello di richiudere il libro di matematica e prenderlo con sé. Poi fu fuori dalla stanza.

Quando ripose il volume nella scaffalatura sentì come se un grosso peso si fosse levato e poi crollato su di lui nuovamente, con tutto un altro sapore: finché non vedevi il lato debole delle persone, quando mostravano il fianco, liberandosi dalle inibizioni... non avevi mai idea, del tutto, di come le cose stessero davvero.

Sapeva che Seiji era stanco, sapeva che era stressato/irritato/nervoso ma... così, in uno stato tale da renderlo quasi indifeso davanti a lui era qualcosa che...

Era un lato nuovo, sapeva che nessuno l'aveva mai visto così... perché non era da lui mostrarsi così. L'aveva visto solo un'altra volta scoperto ma...

Fece un lungo sospiro, strinse gli occhi e guardò fuori dalla finestra: tutto era bianco, candido e freddo, i raggi del sole abbracciavano ogni cosa e il cielo terribilmente azzurro prometteva solo una bella giornata.

"Posso stare in piedi ancora per tanto... finirò gli appunti di Shu... poi sveglierò Seiji e tornerò per quelli di Ryo... devo darmi da fare. Poi avranno meno di una settimana e poi... basta".

Tornò sulle carte e andò a scacciare dietro ai ranghi i fantasmi più terribili di Shu, cercando di rendere la medicina di Mishima se non dolce, per lo meno digeribile. Giunse alla letteratura popolare degli ultimi anni e riuscì a tirare un sospiro di sollievo quando mise l'ultimo punto su quegli appunti: avrebbe continuato a scrivere, ne avesse avuto modo, ma il dovere veniva prima – e Shu non avrebbe apprezzato ulteriori allungamenti sui gialli di Ryo Murakami.

Così ripose la penna e diede infine ascolto allo stomaco che da diverso tempo richiamava la sua attenzione: uscì dalla stanza e, miracolo, non trovò nessuno ad attenderlo; in compenso, alle sue narici giunse il dolce profumo di pancake e sciroppo d'acero (colazione americana! Ecco cosa si perdeva la mattina!) che lo attirarono come un fulmine a piano terra e direttamente nella cucina.

"Shin, lo sai che ti amo!".

Quell'esclamazione talmente plateale fece arrossire non poco l'altro ragazzo che non si trattenne dal replicare:

"Sei sempre il solito".

"Ma è vero...".

"Oh, piantala..." Uno sbuffo, un mezzo sorriso e Shin decise di far zittire Touma nel migliore dei modi: gli infilò in bocca uno dei pancake soffocando l'ennesima replica e conquistando l'istantaneo silenzio dell'arciere.

"Sapevo che stanotte eravate tutti svegli, ma pensavo tu fossi già nel mondo dei sogni... che cosa hai fatto?".

"Cosa sto facendo semmai...". Replicò l'altro, il pancake già scomparso tra le sue fauci.

Occhi verdi si alzarono verso il cielo.

"Cosa stai facendo Tou-chan?".

"Mi do da fare...".

Un sospiro e Shin allungò un altro pancake verso Touma, senza però farglielo prendere.

"Sii più chiaro".

"E' un premio quello?".

"Rispondimi, su".

"Pesciolino curioso". Touma, decisamente più alto di Shin, afferrò il pancake e se lo portò con aria trionfante alla bocca.

"Toumaaaaaa".

Gli occhi cobalto lo guardarono divertiti, poi alzò le spalle e mandò giù il dolce.

"Sto solo riassumendo le materie...".

"Ria- come?!". Gli occhi di Shin si spalancarono sull'altro ragazzo. "Ma... ma tu...".

"Così diventeranno meno matti tutti e tre... prima ho trovato Seiji in giro per la casa. Sembrava sonnambulo, sai?".

Touma si ritrovò un secondo dopo nell'abbraccio di Suiko e sussultò, quasi perdendo l'equilibrio.

"Che c'è, Shin?".

L'abbraccio tremò un attimo, prima che Suiko si staccasse da lui e gli presentasse un piatto carico di pancake.

"Prendi Tou-chan".

"E' un premio quello?" si citò il ragazzo, facendo l'occhiolino all'altro che sbuffò con una linguaccia. "Mi dai anche quelli di Shu?".

"Perché mai?".

"Così glieli consegno assieme agli appunti...".

Su Shin sembrò posarsi un raggio di sole e Touma si ritrovò a contemplare colui che non si poteva non considerare quasi santo per la pazienza che aveva con tutti loro. Con lui in particolare, soprattutto quando amava punzecchiarlo apposta per dare vita a duelli di lingue interessanti.

Tenku si ritrovò così sulle scale, due piatti di pancake fumanti nelle mani e gli appunti infilati nella tasca dei pantaloni: nel corridoio incontrò Byakuen che dormiva davanti alla camera di Ryo e che mosse solo le orecchie al suo passaggio.

Giunto davanti alla camera di Shu dovette solo dare un colpo di reni alla porta e questa si aprì silenziosa sulla stanza: al suo interno regnava una strana calma, interrotta dall'improvviso mugugno di Shu che, in preda a un incubo, rotolava sul letto.

Touma entrò e posò velocemente i piatti sulla scrivania sgombra di libri, poi andò a poggiare una mano sulla spalla di Shu, scuotendola.

"...sapere e... non agire equivale a... non sapere... possano gli Dei... credere...".

"SHU!".

Il ragazzo si alzò a sedere sul letto, una goccia di sudore scese verso il collo e il respiro era affaticato, la voce rauca.

"Tutto ok, Shu?".

Gli occhi blu di Kongo girarono verso il compagno, spaventati: ci volle qualche istante perché l'espressione tornasse ad essere la solita, anche se la stanchezza e l'opacità dello sguardo lo rendevano più l'ombra di se stesso che il ragazzo gioviale di tutti i giorni.

"S-sì..." rispose infine, passandosi una mano sugli occhi.

"Sogni Mishima?".

Un brivido percorse la schiena di Shu.

"Scusa... sì, lo sogni..." Touma si zittì un momento, prima di prendere tra le mani i pancake di Shin e glieli porse senza tante spiegazioni. "Mangia questi... te li ha preparati Shin".

Gli occhi di Shu furono come ipnotizzati dal piatto e poi, dal nulla, giunse una reazione inaspettata dal samurai della Terra. Gli occhi si fecero umidi e le mani si strinsero in pugni, la testa che cercava di nascondere le profonde occhiaie.

"G-grazie...".

Touma lo guardò, inquieto e rattristato. Quella era tutta stanchezza... anzi, era tutta scuola. E lui che aveva detto che 'era divertente'. Idiota.

"Ringrazierai Shin, Shu".

"Sono un idiota. Non riesco a farlo".

"Ce la farai". La mano di Touma si ritrovò sul capo di Shu quasi senza accorgersene. "Shin è paziente con tutti noi".

"Ma sono un idiota con lui".

"Shin lo sa".

Questo gli guadagnò un inaspettato sorriso dal ragazzo che, con un braccio, andò a lavar via l'inizio di una lacrima.

"Piango addirittura per la scuola...".

"Mishima può far piangere. È una gran brutta bestia...".

E Shu ridacchiò stavolta, un poco più rilassato.

"Tieni Shu".

La mano di Touma allungò gli appunti verso Shu che li scrutò confuso, prima di tornare a guardare l'amico negli occhi.

"Cosa sono?".

"Appunti. Niente più antologie, Shu..." con un gesto veloce, la mano di Touma prese il testo scolastico dal posto sotto il cuscino dove era stata infilata. "Nemmeno io ci dormo così assieme".

"T-Touma! A-aspetta!". La mano di Shu cercò di fermare il suo gesto, ma Touma fu lesto e riuscì invece a mettere davanti al naso di Shu gli appunti da lui vergati.

"Sono stato riassuntivo, ma non ho tralasciato nulla. Non ci sono foto così non lo vedi più. E hai tutto quello che hai fatto quest'anno. Non dovresti avere problemi a ripassare tutto".

E così, sciorinate tutte quelle informazioni, Touma riprese la propria colazione ed uscì dalla camera infilandosi, infine, nella Libreria: si chiuse la porta alle spalle e si diede dell'idiota più e più volte.

"Devo alzare il mio punto di vista in alto... e ogni volta ci ricasco... che cretino che sono...".

Si scompigliò i capelli, irritato e afferrò uno dei pancake che azzannò con nervosismo, prima di ricordarsi della sveglia che aveva promesso a Seiji. Uscì velocemente dalla stanza e capitombolò letteralmente in quella sua e di Korin dove, però, lo trovò sveglio con a fianco Shin: l'aveva preceduto, nella sveglia e nella colazione.

"Dimenticato qualcosa, Touma?" lo punzecchiò divertito Shin, con un sorriso condiscendente, osservandolo nel pieno di quel rush mattiniero.

"Scusa Seiji".

I due ragazzi si guardarono e Shin ridacchiò, Seiji si aprì in un sorriso timido e stanco: Touma si sentì scombussolato.

"Non ti trovi a tuo agio al mattino?".

"Mi sa che non so che ore sono".

A quel punto i due compagni non riuscirono a trattenere le risate. Touma mise un piccolo broncio, Shin fece una linguaccia e poi li lasciò soli per far visita a Ryo con la sua colazione e un'ultima visita anche a Shu, desideroso di dargli il buongiorno.

"Davvero non sai che ore sono?" riprese nel silenzio Seiji.

Touma scosse la testa, in diniego.

"Sono ben le sette del mattino... e, sono sincero, vederti sveglio mi fa piacere".

Touma si lasciò andare all'imbarazzo per un momento.

"Scusa... dovevo venire subito... ma Shu... aveva anche un incubo...".

"Mishima?".

"Sì".

"Povero Shu".

"Tu non hai incubi con la matematica?".

Seiji fece una smorfia, poi sorrise ironico.

"Non ci sono disequazioni che mi inseguono negli incubi, ma ho il mio bel daffare".

"Mi spiace".

"Di cosa?" gli occhi violetti si fecero interrogativi.

"Di matematica".

Un sospiro, la mano di Seiji che lo chiamava a sedersi sul letto: Touma eseguì le istruzioni, riaprendo bocca non appena si fu seduto.

"Mi spiace di sparare sempre certe frasi...".

"Sempre?".

"Beh, spesso...".

"Capisco...".

"Anche su matematica... beh...".

"Ti ringrazio Touma".

Il capo dell'arciere si voltò sorpreso verso lo spadaccino che, con aria un poco imbarazzata, teneva tra le mani gli appunti.

"Ho già dato un'occhiata... e sono... perfetti".

"Ma sono riassuntivi...".

"E sono perfetti anche e soprattutto per quello".

"Grazie...".

"Grazie a te, davvero".

Subito dopo, Touma si rialzò con fare quasi nervoso e raggiunse la porta d'entrata.

"Buono studio Seiji...".

"Buon lavoro a te, Touma".

E si ritrovò per l'ennesima volta in libreria, con la testa che quasi gli girava – fame o emozione? – e fu così che la piletta di pancake finì nel suo stomaco, mentre la mano tornava a muoversi, stavolta per una sola persona. Anche se erano le materie ad essere numerose.

Con rinnovata energia, si rimise al lavoro sulle bozze di matematica e letteratura, riuscendo a concludere per l'ora di pranzo entrambe.

Finalmente il sonno si fece sentire ma, prima di concedersi il riposo, obbligò i propri passi stanchi alla camera di Ryo, non ancora sceso per il pranzo: Byakuen era ancora di guardia alla stanza o meglio, addormentato davanti ad essa. E Touma lo invidiò parecchio in quel momento.

Aprì la porta senza nemmeno bussare, piano piano per non cogliere di sorpresa il ragazzo e renderlo ancora più nervoso di quello che già non fosse: lo vide subito, seduto sul tappeto, in mezzo alla stanza. Attorno a lui una corona di libri, al centro si sarebbe detta la disperazione.

Si avvicinò in punta di piedi fino alle spalle di Ryo, ricurve su un grande testo di... biologia?

"Ryo?" mormorò in un soffio Touma, guadagnandosi comunque un urletto e un sobbalzo violento da parte di Rekka. "Scusa Ryo...".

"C-cosa c'è Touma? È ora di pranzo?".

Il cespuglio scarmigliato di onice si mosse nervoso alla ricerca dell'ora e Touma decise così di non temporeggiare più e gli allungò gli appunti.

"C-cosa sono?".

"Riassunti per giapponese e matematica. Dovrebbero andare bene... è tutto concentrato così".

"Appunti?".

Gli occhioni di Ryo si fecero immensi mentre prendeva in mano quei fogli, guardandoli come si può guardare un piccolo tesoro.

"Sì... so che ci sono altre materie che... ecco..." Touma si grattò la testa alla ricerca delle parole meno irritanti. "Ti... servono... ma devi avere un poco di pazienza. Ci sto lavorando...".

"Touma...".

"Che c'è, Ryo?".

Un momento dopo, il ragazzo si ritrovò a terra, letteralmente preda dell'abbraccio soffocante del samurai del fuoco.

"Voi... mi farete morire...".

"Ryo?".

"Ti voglio bene Tou... e ti ringrazio".

Le braccia dell'assalitore si strinsero attorno a lui con più foga e l'arciere si sentì, all'improvviso, di nuovo preda di quello strano sentimento che prima Shu, poi Seiji gli avevano scatenato.

"Mi ringrazierai quando avrai passato l'esame, ok?".

"Spero di farcela..." ed ecco la nota stonata e malinconica tornare.

"Non studiare tutto assieme... e impara le linee principali. Ce la farai, credimi...".

"Grazie Tou..." un sorriso stanco ma raggiante gli si dipinse in volto. Sentiva il cuore aprirsi al mondo così. "E' ora di pranzo, vero?".

"Sembra di sì... Shin di solito mi sveglia a quest'ora".

Gli occhi di Ryo strabuzzarono ancora una volta.

"Cosa ci fai in piedi a quest'ora?!".

Touma a quel punto scoppiò a ridere.

"Faccio la persona normale!".

"Ma è presto per te!".

"Seiji non sarebbe d'accordo".

"E cosa... ma..." la sorpresa crebbe ancora negli occhi di Ryo che, ormai, era sull'orlo di lacrime tra l'isterico e il disperato. "Non hai dormito per questi?!".

A quel punto, Touma fece l'unica cosa logica in quel momento: strinse in un abbraccio Ryo, cercò di tranquillizzarlo accarezzandogli la testa, e poi lo lasciò andare.

"Faccio tutto quello che voglio fare, niente storie. E ora a mangiare!".

E, con una spinta poco aggraziata, lo portò fuori dalla stanza, dove aspettava Byakuen, e poi in sala dove ad attenderli c'erano già gli altri ragazzi.

Si sedettero attorno al tavolo e mangiarono, in un silenzio stanco, ma non del tutto spiacevole. Dopo di che, gli studiosi si ritirarono nelle stanze e Touma si gettò sul divano a dormire, chiedendo a Shin di svegliarlo in seguito a qualche ora di sonno.

***

 

Due sere più tardi, dopo un'insperata telefonata con la madre – ancora a New York – si ritrovò a rimuginare sugli appunti di biologia, l'ultima bestia di Ryo.

La madre non si era stupita molto quando gli aveva raccontato tutta la sua avventura di 'aiuto-esami'.

"Saresti un buon insegnante, Touma-kun".

"Non direi proprio... non sono bravo a esporre, solo negli appunti mi faccio comprendere".

"Allora sei un buon nakama".

"M-mamma!".

Si era trovato ad arrossire a quell'affermazione, poi la telefonata si era dirottata su altri argomenti.

Un buon nakama. Era un buon nakama?

Non poteva negare a se stesso di aver tentato, in quegli anni, di diventarlo per i ragazzi.

Nonostante il suo caratteraccio, il suo essere asociale, capriccioso, infantile e arrogante anche.

Chissà se loro pensavano davvero di lui in quei termini.

Ci sperava effettivamente. Loro, per lui, lo erano. Completamente.

Li aveva eletti tali e tali rimanevano, per sempre.

E il pensiero di ciò che aveva fatto, pur non conoscendo realmente le conseguenze di quella sua piccola impresa, lo rendevano felice e appagato: non voleva vantarsi, ma nemmeno usare inutile modestia quando pensava che quegli appunti fossero davvero un aiuto.

Si rendeva utile... non sapeva se indispensabile, ma utile sì.

E il pensiero era, come sempre, strano e terribile.

Comprendere che non era solo aiuto, non era solo un piacere, un capriccio o una cosa fatta tanto per fare.

Comprendere che era qualcosa che andava al di là di tutto. Era solo una delle tante facce dell'amore, preoccuparsi l'uno dell'altro.

Ed era la prima volta che Touma sentiva sulla propria pelle quel vortice che lo trascinava con sé fin nello spazio e poi giù, nelle profondità più oscure del proprio animo.

Già, l'amore spogliava di tutto e ti gettava in preda a ogni tuo più intimo terrore. Però, ogni gesto violento che scatenava era sempre seguito da un gesto altrettanto amorevole e appassionato: la loro comprensione, la loro accettazione, i loro sorrisi, le risate, l'attenzione... tutto.

Tutto quello che essi facevano era amore.

Lo sentiva tutto.

Se aveva avuto dei dubbi, i giorni precedenti li avevano fugati attraverso lacrime, ringraziamenti e sorrisi.

Era successo che lui si era preoccupato dei suoi nakama.

E non c'erano battaglie, non c'erano pericoli, nemici.

Erano solo loro, di fronte a loro stessi, ai loro compagni, al mondo intero.

E lui aveva agito, prima forse in maniera studiata, ma poi... era parso tutto così naturale.

Preoccuparsi per qualcuno era segno di maturità, d'indipendenza. Ma Touma non si sentiva poi tanto maturo nei suoi diciotto anni... c'era tanta strada da fare, ancora.

E indipendente? Da cosa? Da chi?

Dai suoi nakama?

No, preoccuparsi non aveva questo significato... era solo un rincorrersi d'amore, di bisogni, di paure e di speranze.

Era davvero questo, e nient'altro.

Touma sorrise tra le lacrime e mise l'ultimo punto. Ryo era salvo.

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Capitolo 5
*** Capitolo 05 ***


La sera invernale stava precocemente scendendo su Tokyo, ancora corteggiata da fiocchi di neve danzanti nel vento.

Seiji chiuse il libro di matematica, rinunciando ad ogni ulteriore approfondimento; il giorno dopo ci sarebbero stati gli esami e ormai era inutile pretendere di imparare ancora qualcosa. Era convinto di aver compiuto grandi passi in avanti tuttavia e il suo sguardo, abbandonandosi ad uno dei rari sorrisi, si posò sul gruppetto di fogli che erano stati la sua salvezza: Touma aveva trovato la chiave giusta per chiarire, grazie a quegli appunti, tutti i suoi dubbi... o quasi... aveva fugato, in gran parte, la confusione dalla sua mente.

"Non sarò mai un genio della matematica" pensò. "Ma almeno, il mio piccolo panda ha fatto in modo che io possa arrivare preparato all'esame".

Scostò la sedia dalla scrivania e si alzò, stirando le membra anchilosate a causa della forzata immobilità. E Seiji sapeva come ordinare al proprio corpo un'immobilità innaturale, un'esperienza forgiata in anni di meditazione e addestramento spirituale, sapeva come ignorare le proteste degli arti che imploravano di muoversi. E, quando la mente immersa in se stessa tornava al mondo materiale, con gambe e braccia doloranti doveva fare i conti.

Ma che importava? Erano ben altri i problemi e le priorità.

Con le mani sulle anche, passeggiò fino alla finestra; fuori sembrava già regnare la tenebra, le giornate invernali sapevano essere tremendamente corte. Anche nel suo Sendai era così, senza contare che, lassù, l'inverno giungeva pure prima.

Scrutò fuori con attenzione: lì, all'estrema periferia di Tokyo, non vi erano molte luci accese. In qualche modo, quel buio freddo e nevoso lo rendeva malinconico. O, forse, era la sua coscienza a renderlo tale?

Adesso che il fervore dello studio si era calmato, la consapevolezza delle proprie mancanze si faceva più acuta e dolorosa. Proprio perché aveva imparato a dialogare con il proprio cuore con sincerità e chiarezza assolute sapeva diventare ancor più critico verso se stesso, sapeva riconoscere quando sbagliava, la qual cosa rendeva ancor più opprimente i sensi di colpa.

Non gli era neanche così difficile cogliere la base del problema: era vero, aveva imparato a dialogare apertamente con il proprio cuore, ad essere sincero con se stesso, fino a risultare analitico nel vivisezionare ogni sfumatura della propria anima. Ma non aveva imparato a compiere una simile analisi con i cuori degli altri.

Nonostante la propria considerazione e sensibilità nei confronti del prossimo si fossero sviluppate negli anni, spesso, senza rendersene conto, finiva per concentrarsi su se stesso, lottando giorno per giorno al fine di perfezionarsi.

Ma perché questo perfezionamento potesse incrementarsi davvero, non era forse necessario aprirsi maggiormente agli altri, soprattutto a coloro che quel suo cuore lo colmavano a tal punto da farlo stringere, da tenerlo intrappolato in una morsa che lo conduceva, a volte, alle lacrime? Quella morsa che era, tuttavia, una tanto dolce prigionia?

Solo in quel momento si accorse come gli occhi bruciassero... eccole le lacrime che lo coglievano sempre più impreparato, sempre meno disposto ad arginarle.

Senso di colpa, unito ad un affetto... no... era più sensato e sincero definirlo amore... un amore tale che sapeva far male in maniera insopportabile... ma del quale non si poteva più fare a meno dopo averlo provato.

Da giorni, a stento incrociava Ryo e Shu che, come lui, uscivano dalle loro stanze a malapena per i pasti. Korin, d'altronde, usciva anche meno, da quanto non faceva pasti regolari?

In quanto a Shin e a Touma, come li aveva trattati in quei giorni?

Si erano prodigati per i tre reclusi, l'uno portando avanti l'organizzazione domestica, nonostante gli impegni universitari, l'altro dando tutto se stesso, rinunciando persino al suo sacro sonno, per rendere loro abbordabili le materie più ostiche. Non si erano risparmiati, nessuna recriminazione era mai sfuggita alle loro labbra, nonostante fossero circondati da tre belve intrattabili.

In cambio avevano ottenuto gli scatti d'ira di Shu, le ansie paranoiche di Ryo...

"E il mio antipatico distacco" sospirò.

Si portò una mano agli occhi, poi a una guancia e la trovò bagnata. Sì, forse, dopotutto, la sua sensibilità si era accresciuta, benché avesse ancora tanta strada da fare. In fondo, il percorso lungo la via del perfezionamento non si arresta mai.

Ed i suoi nervi erano particolarmente tesi a giudicare dal modo in cui sobbalzò quando alcuni colpetti risuonarono contro la porta.

Ancor prima che potesse riacquisire il completo controllo di sé per formulare una risposta, la porta si aprì e il visetto sorridente, un po' sbruffone di Touma, fece capolino:

"Mi è concesso mettere piede in quella che è anche camera mia?".

"Non mi sembra di avertelo mai impedito".

Seiji rispose ricambiando il sorriso e tanto bastò per rendere ancor più raggiante quello di Tenku.

"Sai com'è, con un drago inferocito come custode pronto a scattare ad ogni minima turbolenza, queste mura non erano proprio... rilassanti...".

Il sorriso di Korin si mutò in risatina:

"Dai, smettila di dire scemenze ed entra".

Tenku avanzò nella stanza ma, quando poté guardare il volto di Korin più da vicino, il suo sorriso si spense:

"Stai male?".

"Perché?" ribatté Seiji, un po' sulla difensiva.

"Hai gli occhi lucidi e il viso arrossato".

"Solo stanchezza...".

Sapeva che non avrebbe facilmente ingannato Touma, ma questi sembrò non voler infierire e rispettò la sua riservatezza, rispolverando la propria ironia, indirizzata tanto spesso a voler rasserenare, anche se non sempre la sapeva gestire.

"A dir la verità, ti cercavo Seiji, perché sei l'unico che sta ancora facendo l'asociale; siamo tutti giù per prenderci un tè assieme sotto al kotatsu".

"Un tè? Ma che ore sono?".

"Sono passate da poco le cinque del pomeriggio".

Seiji lanciò un'occhiata fuori dalla finestra:

"Con questo buio ero convinto fosse piuttosto ora di cena".

Touma gli arruffò i capelli, pur sapendo quanto quel gesto lo infastidisse:

"Eri così concentrato che hai perso la cognizione del tempo".

Seiji sbuffò, ma rinunciò a protestare più vivacemente, in fondo lui stesso era stato il primo a maltrattare i propri capelli: era già tanto se se li pettinava appena alzato e ricordava di lavarli ogni tanto. Decisamente, quegli esami rischiavano di essere la sua rovina.

"E adesso, perché ridi?".

Stava ridendo?

Oh, certo, di se stesso... aveva imparato a fare anche quello.

L'ironia era una gran cosa se ben usata, proprio Touma glielo aveva insegnato... ma l'autoironia era ancora meglio... e anche questo l'aveva imparato grazie al piccolo panda. L'autoironia poteva riconciliare con il mondo.

Accentuò la risata e prese Touma a braccetto, trascinandoselo dietro.

"Andiamo dagli altri, prima che ci considerino asociali entrambi".

Seduti al kotatsu trovarono solo Shu e Ryo, il primo che lottava evidentemente contro il sonno, l'altro che rovistava, facendole passare senza risoluzione, tra le carte che Seiji riconobbe come come gli appunti vergati da Touma. Sorrise e trattenne a stento un'ondata di ilarità più plateale: l'impresa di Touma doveva essersi rivelata, con Ryo, decisamente proibitiva. Il loro leader che, con tanta efficacia, li guidava e sosteneva in battaglia, era un caso disperato in molte faccende quotidiane, tra le quali rientrava, in particolar modo, lo studio e, per quanto utili, gli appunti di Touma non potevano contenere la miracolosa materializzazione di un metodo.

Seiji provò un impeto di tenerezza pensando all'impresa titanica che il suo piccolo panda aveva di sicuro affrontato al fine di facilitare la vita a Ryo e la tenerezza si fece insostenibile quando lo vide avvicinarsi a Rekka, con un sorriso condiscendente ed infilare le gambe sotto al kotatsu mentre si sedeva su un cuscino.

Poi Tenku fermò, con un gesto deciso, le mani nervose di Rekka che rigiravano disordinatamente i fogli:

"Una cosa per volta, micetto; in questo modo crei solo confusione, tra gli appunti e soprattutto nella tua testa".

Ryo chinò il capo, mortificato, con un sospiro di sconforto e una piccola smorfia infelice:

"Per la mia testa è troppo tardi temo... domani mi faranno una domanda di storia e risponderò con un teorema di matematica, andrà a finire così, me lo sento".

Di fronte a quell'autocritica pronunciata con tono infantile e piagnucolante, Seiji si portò una mano alle labbra, quasi incapace di resistere alla tentazione di correre ad abbracciarlo. Touma si grattò la nuca, il nervosismo di Ryo sembrava contagiarlo un po', probabilmente perché lo stesso Tenku era consapevole che i timori del loro capo non erano così infondati.

Byakuen, accucciato accanto al suo cucciolo, mosse le orecchie e gli rivolse uno sguardo che sembrava voler dire:

"Potessi sostenere questi esami al posto tuo e liberarti da questo cruccio, non esiterei a farlo, ko-Ryo".

Nel corso di tutto lo svolgersi della scena Shu, che in momenti normali non avrebbe risparmiato una frecciata o, comunque, non avrebbe rinunciato a dire la sua, era rimasto con il capo chino abbandonato sulle braccia, gli occhi semichiusi; Seiji si avvicinò e gli agitò una mano davanti al viso:

"Sei tra noi, scimmietta?".

Gli rispose un vago borbottio, il cui senso si rivelò indecifrabile.

"Dov'è Shin?" domandò ancora Korin, convinto che l'argomento avrebbe acutizzato l'attenzione di Shu. Invece Kongo rimase del tutto immobile e all'apparenza indifferente.

"Sono in cucina Seiji, ora arrivo!".

E dove poteva mai essere, altrimenti, il premuroso Suiko, se non a preparare lo spuntino pomeridiano per tutti?

L'istinto guidò i passi di Seiji fino a lui e lo trovò indaffarato a versare il tè nelle tazze; quando percepì la sua presenza, Shin sollevò il capo e gli sorrise. Seiji ricambiò il sorriso, ma poi si preoccupò nel notare gli occhi lucidi e il viso un po' sofferente del compagno.

"Shin, stai male? Non hai un bell'aspetto".

Il giovane Mori scosse il capo, rassicurante:

"E' solo raffreddore, durante l'inverno mi viene facilmente".

Seiji si accostò e gli posò una mano sulla fronte, ignorando il tentativo dell'altro di ritrarsi; forse scottava un poco? Le sue mani erano fredde e questo poteva falsare la percezione della temperatura di Shin.

"Sei sicuro di non avere la febbre?".

"Ma... ma certo" si schernì Suiko, in preda all'imbarazzo. Aveva posato la teiera per non rischiare di rovesciarne il contenuto in seguito al contatto imposto da Korin; quando fece per riprenderla, il samurai della luce lo prevenne:

"Vai a sederti al caldo, qui finisco io".

"No... davvero... sto bene!".

Korin sollevò su di lui uno sguardo gentile ma fermo:

"Non te lo chiedevo pesciolino, era un ordine, se decido una cosa non voglio essere contraddetto".

Shin sbatté le palpebre e strinse le labbra in una buffa smorfia di sconcerto e timore reverenziale che intenerì profondamente Korin, come poco prima gli era accaduto con Ryo. Non se ne stupiva più, in fondo gli accadeva tanto spesso ormai, con tutti i suoi compagni, a turno: i sentimenti nei loro confronti si alternavano e rincorrevano in un turbine senza freno... e la tenerezza... quella non mancava mai. A turno, almeno una volta al giorno, compivano un gesto, pronunciavano una parola, assumevano un'espressione tale da provocare al suo cuore una reazione incontrollata... un balzo più forte, una stretta... o la sensazione che si fermasse, troppo avvinto in quell'abbraccio soffocante generato dall'amore. E niente di tutto questo, ormai, gli pesava più.

Non poté impedirsi di tornare a sorridergli e di sfiorargli una guancia con una carezza:

"Sul serio, Shin, lascia che mi renda utile in qualcosa, non siamo bambini da accudire, tu ci vizi troppo".

Il samurai dell'acqua chinò il capo, un umile sorriso ad addolcire ancora di più i suoi lineamenti gentili:

"Se mi pesasse, non lo farei".

"Lo so" ribatté Seiji arruffandogli la chioma fulva "Ma abbiamo qualche lezione da imparare, al di là della scuola, lasciaci arrangiare ogni tanto".

Il volto di Shin si sollevò di scatto, sgusciò un po' più lontano e saltellò con la grazia degna di un delfino per fermarsi accanto al piano cottura; allungò le mani verso un armadietto appeso abbastanza in alto ed aprì lo sportello. Intanto, per sfuggire all'imbarazzo creatogli da Seiji, cinguettò con la sua voce cristallina:

"Possiamo finire insieme, tu porta il tè, io prendo qualcosa da mangiare! Ho fatto rifornimento di dolci!".

Seiji scosse il capo ghignando: incorreggibile, testardo, adorabile Shin... mammina Shin...

D'altronde non aveva il diritto di biasimarlo: a loro modo, testardi lo erano tutti. Ci voleva davvero un grande miracolo ed un amore senza pari perché cinque teste come le loro, più una tigre, tanto cocciute quanto diverse, trovassero il modo di convivere sotto lo stesso tetto senza procurarsi danni irreparabili e tollerandosi con una tale pazienza. E loro convivevano... bene... nonostante tutti i problemi che una convivenza può apportare. Loro resistevano, anzi, si nutrivano gli uni degli altri, del calore che sapevano donarsi. Sei teste e sei cuori che non avrebbero mai più, per nessun motivo, saputo stare lontani.

Fu distratto dai propri pensieri dalla piccola tempesta che si svolse davanti ai suoi occhi: la mano di Shin si era allungata verso un pacco di biscotti confezionati e, con ogni evidenza, faticava a raggiungerla. Per tentare di risolvere la situazione di stallo, fece un piccolo balzo al fine di afferrare il sacchetto; Seiji seppe cosa sarebbe accaduto con qualche secondo di anticipo, ma non poté intervenire abbastanza velocemente da impedirlo.

Con un sorprendente effetto domino, il sacchetto afferrato malamente scontrò un barattolo di latta che, a sua volta, colpì un vasetto di marmellata e sacchetto, barattolo e vasetto precipitarono uno dopo l'altro addosso a Shin. Il ragazzo, con una prontezza di riflessi invidiabile, raccolse al volo il contenitore con la marmellata, impedendo che si frantumasse al suolo, con l'altra mano riuscì a prendere i biscotti, fortunatamente ancora sigillati, ma non poté impedire al barattolo di colpirgli con violenza la nuca, prima di toccare terra con un clangore metallico. Il fatto che fosse vuoto lo rendeva più leggero ma l'effetto della botta si fece ugualmente sentire e Shin emise un'esclamazione di doloroso stupore.

Seiji era già al suo fianco:

"Shin, ma cosa fai?".

Intanto si affrettava a prendere dalle sue mani biscotti e marmellata e a posarli sul tavolo, per poi tornare a controllare le condizioni dell'amico, che si massaggiava la nuca con aria imbarazzata e comicamente contrita.

"Ti fa male?".

"No" borbottò Shin, con una scrollata di spalle, la mano ancora sul capo, le labbra atteggiate ad un broncio che lo rendeva simile ad un bimbo dispiaciuto per un'azione maldestra.

Shin era così... il più grande, faceva del suo meglio per mostrarsi sempre maturo, all'altezza della situazione, ma poi recava in sé tante di quelle insicurezze e tanta poca fiducia in se stesso che, se commetteva un piccolo errore, poteva anche farne una tragedia. Voleva tanto bene a tutti, ma non aveva mai imparato a volerne abbastanza a se stesso, ad avere della propria persona una considerazione abbastanza positiva; per quanto facesse riteneva di non fare mai abbastanza e chiedeva sempre di più alle proprie capacità.

"Che è successo?" gridò la voce di Touma dall'altra stanza. Evidentemente, il fragore dell'incidente era giunto alle orecchie dei compagni.

Shin riprese subito la padronanza di sé e si affrettò a rispondere:

"Niente, è solo caduta una cosa!".

Era chiaro che mentiva, di sicuro non si era fatto nulla di grave ma il modo in cui continuava a massaggiarsi la parte colpita suggeriva che la botta, comunque, gli faceva abbastanza male.

Seiji si avvicinò:

"Fammi vedere".

Quando fu sul punto di toccarlo, Shin indietreggiò di un passo, come sulla difensiva, ma sorrise:

"Non è nulla, davvero".

Quel riserbo, quell'esagerato rispetto nei suoi confronti, resero Seiji un po' triste: a volte Shin sembrava aver quasi paura di lui e gli dispiaceva, perché forse la cosa si era accentuata da quando vivevano insieme. Il solare Shin, col tempo, si era fatto più cupo e malinconico, mentre Seiji aveva accentuato il proprio cipiglio severo ed una certa rigidità di atteggiamenti in seguito all'incontro con Suzunagi. Tra l'altro, entrambi riservati seppure in maniera diversa, finivano per non parlare molto; Seiji era l'ultimo con cui Shin riusciva a sfogarsi quando le sue fragilità diventavano troppo insopportabili per tenerle chiuse dentro di sé.

E Seiji era altresì consapevole di essere, per Shin, un mistero insondabile, più degli altri compagni, di essere l'unico cui non riusciva a leggere nel cuore, non poteva leggere i suoi sentimenti, le sue emozioni.

Eppure, Korin lo seppe improvvisamente, desiderava tanto aprirgli il suo cuore, desiderava che Shin leggesse dentro di lui.

Si impose, con gentile fermezza scostò la mano di Suiko dal punto contuso e vi sostituì le proprie; il samurai dell'acqua fece per protestare, ma Seiji non si lasciò intimidire:

"Smettila di fare i capricci, so che hai la testa dura ma se posso alleviarti il dolore non vedo perché non farlo".

L'ironia delle parole era lenita dal tono carezzevole e Shin non poté fare altro che arrendersi, chinando il capo con un sospiro nel quale Seiji percepì una buona dose di grata beatitudine; a Shin piacevano le coccole, ma la sua riservatezza gli impediva di chiederle ogni volta che ne aveva bisogno, così colmava questa sua necessità riempiendo di coccole gli altri.

Le mani di Seiji frugarono un po' tra i suoi capelli rossicci e, come aveva immaginato, non trovò nessun segno notevole, ma decise comunque di alleviare il dolore fisico di Shin, era il minimo per ringraziarlo, dopo tutto quello che il dolce Suiko faceva costantemente per allietare le giornate di tutti loro.

Posò il palmo, con delicatezza, sulla sua nuca:

"E' qui che ti fa male?".

"Non... mi fa... male..." pigolò la vocetta di Shin, che sapeva essere tanto sottile nei momenti di imbarazzo e timidezza come quello, o diventare acuta in maniera assordante quando esplodeva per rabbia, spirito combattivo... o anche disperazione e paura.

"Shin..." insisté Korin, insinuante, indagatore, fintamente severo.

Il samurai dell'acqua si rannicchiò un po' su se stesso e sussurrò, in un soffio rassegnato:

"Sì... è lì...".

Seiji rispose con una risatina, ma così affettuosa che Suiko non ebbe davvero motivo di offendersi.

Korin chiuse gli occhi, si concentrò, lasciò che i poteri positivi della luce fluissero lungo il suo corpo e, attraverso le sue mani, si facessero strada verso l'esterno, a lambire gentilmente il punto dolorante dell'amico. Un alone di energia dalla trasparenza dorata si formò tra le mani di Seiji e la nuca di Shin e questi, colto di sorpresa dal calore pulsante, fu scosso da un lieve sussulto, ma subito dopo si rilassò, con un sospiro che esprimeva solo pura felicità.

Quando Seiji ritenne che fosse sufficiente, allentò la concentrazione e richiamò, con calma, il flusso, per farlo rientrare dentro di sé, portandolo ad estinguersi pian piano; infine riaprì gli occhi e sorrise, attardandosi con una mano tra i capelli di Shin.

"Va meglio?".

Il coetaneo annuì velocemente, senza tuttavia trovare il coraggio di sollevare il volto; Seiji ridacchiò ancora e gli lasciò una carezza:

"Sapevo che non ci sarebbe voluto molto, la tua testa dura e già una protezione sufficiente".

La presa in giro riuscì a far sciogliere Shin come Seiji desiderava: il ragazzo alzò di scatto il capo e gli rivolse una teatrale linguaccia che suscitò ulteriormente l'ilarità dell'amico e una nuova carezza. Poi Korin gli diede le spalle e tornò alle tazze di tè.

La voce gentile di Shin giunse come un canto alle sue orecchie:

"Seiji...".

Il samurai della luce si voltò a contemplare ancora quel viso che, seppur maturato rispetto al ragazzino che aveva incontrato, la prima volta, una lontana primavera, non dimostrava i suoi diciotto anni; nessuno avrebbe potuto indovinare, a prima vista, che fosse il più anziano del gruppo per quanto, in effetti, una questione anagrafica di pochi mesi potesse avere senso. L'unico particolare che lo rendeva più grande, sotto l'aspetto strettamente pratico, era l'essere avanti di un anno scolastico, il frequentare già l'università mentre Seiji e gli altri affrontavano ancora gli esami dell'ultimo anno di superiori.

"Dimmi...".

"Grazie...".

Gli scappò un altro sorriso, da quanti giorni non sorrideva con una tale frequenza?

"Mica possiamo permetterci di avere una mammina infortunata...".

"Seiji!" sbottò Shin, stizzito, i pugni stretti lungo i fianchi, ottenendo unicamente di risultare ancor più disarmante ed infantile agli occhi di Korin che, di nuovo, non poté impedirsi di scoppiargli a ridere in faccia.

Shin lo squadrò per qualche istante, imbronciato poi, però, l'ilarità vinse anche lui e si ritrovarono a ridere insieme, come non accadeva da tanto.

"Ehi, vi state divertendo? Qui qualcuno ha fame!".

Dalla sala da pranzo ancora una voce scherzosa e supponente li fece zittire entrambi, poi si scambiarono uno sguardo d'intesa e, in perfetto accordo, fecero udire il loro ammonimento:

"Touma, taci!".

Rispose un insulto ed i due scossero i visi sorridenti.

"Panda pigro e goloso" borbottò Korin, posizionando le tazze in un vassoio.

"Ah, Seiji" lo richiamò ancora Suiko "Non una parola con Ryo riguardo al mio piccolo incidente, lo sai come è fatto e oggi deve stare il più possibile tranquillo".

Seiji annuì, mentre continuava a sorridere; oh, eccome se lo sapeva. Il loro amatissimo capo, crescendo in anni e maturità aveva visto crescere anche le sue tendenze ansiose, che spesso lo rendevano quasi paranoico nei loro confronti. Korin pensava spesso che fosse necessario trovare una soluzione a quel suo atteggiamento, perché li metteva in crisi tutti e rischiava di fare del male a se stesso.

"Quando ci saremo lasciati alle spalle gli esami" sentenziò mentre camminava, tenendo in equilibrio sulle mani il vassoio con le tazze, "dovremo fare un discorsino a Ryo... e magari una terapia di gruppo".

Shin strinse al petto i biscotti e sorrise.

"Sono serio" insisté Seiji.

"Lo so ma... mi fa buffo lo stesso... significherebbe che siamo proprio messi male".

"Dei casi disperati".

Seiji non sapeva se la sua voleva essere una battuta o se lo credesse davvero. Forse un po' entrambe le cose; il tono con cui l'aveva asserito, tuttavia, fece ancora ridere Shin e probabilmente era un bene che il permaloso compagno l'avesse presa in quel modo.

Quando raggiunsero l'altra stanza, ai loro occhi si presentò una scena abbastanza desolante; Ryo non distolse gli occhi dagli appunti. Sembrava aver persino dimenticato l'ordine di Shin che aveva sempre applicato alla lettera: niente materiale scolastico durante pasti e spuntini. Suiko non disse nulla tuttavia e Korin si chiese se si trattasse dei suoi soliti favoritismi nei confronti di Ryo o se, come era più probabile, era intenzionato a fare uno strappo alla regola, dato che il giorno dopo li attendevano i fatidici esami.

L'immagine più triste era quella di Shu... triste perché non sollevò neanche il viso. Nemmeno la tensione era mai riuscita a renderlo indifferente alle leccornie preparate da Shin... ma la tensione aveva evidentemente raggiunto un punto di non ritorno. La posizione era la medesima nella quale Seiji l'aveva lasciato prima di raggiungere Shin in cucina, volto sulle braccia incrociate sul kotatsu, occhi semichiusi, un po' lucidi, vacui... assonnati.

Il capo di Korin si scosse, mesto: il suo più grande desiderio, attualmente, era che giungesse senza intoppi né drammi la sera del giorno dopo.

"Nonostante tutti i tragici eventi che abbiamo affrontato" pensava, al colmo dell'esasperazione, "ci lasciamo atterrare come bambini indifesi da normalissimi esami scolastici... proprio Shu poi... devo trovarmelo in questo stato pietoso".

Shu che si gettava anima, corpo e cuore in battaglia, con tutta la furia dettata dalla necessità e dall'istinto a proteggere... istinto che gli donava entusiasmo e calore pur in pericoli estremi... tutto quell'entusiasmo che non riusciva ad infondere nelle faccende scolastiche.

Il samurai della luce andò a posare il vassoio in mezzo al tavolo, ma poi sgranò gli occhi quando la canzonatoria voce dal buffo accento di Tenku si levò, falsamente melliflua:

"Ce ne avete messo di tempo, cominciavo ad insospettirmi un po', non vorrete rendermi geloso".

Stava per partire lui stesso, ma venne anticipato da Shin; il samurai dell'acqua, cucchiaio in mano, lo sbatté con ben poca delicatezza sulla nuca di Touma, che rispose al colpo chiudendo gli occhi e rintanando il volto tra le spalle.

"Piccolo panda, avevi paura che stessimo combinando chissà cosa di là? Avresti potuto smuovere le tue sacre membra e venire a vedere di persona... pigrone!".

Il tutto con quel sorriso da diavoletto e quella vocina che rendeva adorabile Shin persino nei più ambigui e crudeli dispetti. Serio e flemmatico, anche Seiji si avvicinò a Touma ed aggiunse al trattamento di Shin una pacca violenta sul capo:

"Solo la lingua riesci sempre a muovere, vero?".

Touma si riprese piuttosto in fretta, la battuta pronta dietro alla smorfia di disappunto:

"E anche molto bene, non è vero Seiji? Soprattutto quando siamo soli!".

Le labbra di Korin si strinsero in una linea drittissima, le sopracciglia si corrugarono; poi chiuse gli occhi e contò mentalmente fino a dieci, mentre si andava a sedere lontano da Touma ed accanto a Shu, fingendo di non aver sentito, ostentando quella flemma che, se non fosse accorsa in suo aiuto, non avrebbe potuto impedirgli di saltare al collo di Tenku e fargli pagare caro il doppio senso che riusciva a trovare in ogni minima cosa.

Era certo che Touma non si sarebbe arreso e, dentro di sé, fu grato a Shin, che prevenne ogni ulteriore parola del samurai dell'aria infilandogli direttamente in bocca un biscotto proprio mentre era sul punto di parlare. Tenku lanciò al compagno uno sguardo torvo, mentre Suiko gli faceva l'occhiolino, ma poi si mise a sgranocchiare raccogliendosi totalmente in se stesso.

Seiji rivolse un'occhiata in tralice a Shu, per spiare le sue reazioni: il nulla assoluto. Fece lo stesso con Ryo: lo sguardo affondato nei suoi inseparabili fogli.

Non riconosceva neanche più se stesso, perché la tensione accumulata l'avrebbe di sicuro spinto ad urlare se non fosse riuscito a mantenere un minimo di autocontrollo; mai avrebbe creduto che il caos cosmico provocato da Ryo e Shu in casa in tempi normali gli sarebbe mancato a tal punto, mai avrebbe creduto di provare nostalgia per le chiacchiere senza freno e su ogni minima cosa di Shu e per la frenetica iperattività di Ryo. Rivoleva i suoi compagni nella loro normalità, più di ogni altra cosa al mondo.

Uno sbuffo, il volto che si chinava sul kotatsu mentre avvicinava alle labbra la tazza con il suo contenuto bollente, che scese dentro di lui, accolto con gratitudine, ricordandogli ben altro e ancor più agognato tepore... quello dei suoi nakama quando le cose tra loro andavano bene. Non che andassero male... erano solo esami... ma tali esami erano in grado di turbare l'atmosfera come mai avrebbe creduto possibile.

Be', dopotutto lui aveva contribuito pesantemente affinché l'atmosfera non fosse delle migliori e se desiderava che si rimediasse, spettava a lui cominciare. Aprì gli occhi e fece correre nuovamente lo sguardo intorno; la prima cosa che lo colpì fu Shin ancora in piedi, non stava facendo nulla, semplicemente li osservava, ma stava in piedi. Korin lo conosceva bene ormai, era in grado di indovinare le motivazioni dei loro atteggiamenti senza neanche troppo sforzo: Suiko stava in piedi per essere pronto a scattare nel momento stesso in cui intuiva un bisogno, un desiderio di qualcuno tra loro... per essere pronto a servirli insomma.

Era ora di darci un taglio e, anche in quel caso, non poteva rimproverare nulla a nessuno, perché lui stesso non ci aveva mai fatto troppo caso, era semplicemente naturale avere alle loro spalle quella presenza premurosa, costante, lui stesso se n'era sempre approfittato, senza volerlo, ovvio... senza rendersi conto... o forse senza volersene rendere conto.

Lo fissò con i suoi occhi d'ametista, severi ed intensi:

"Shin, non è il caso che fai la bella statuina, vieniti a sedere".

L'interpellato avvampò, sorrise, distolse lo sguardo ma, prima che potesse rispondere qualunque cosa, Ryo si unì all'invito di Seiji:

"Sì, Shin, vieni!".

E strisciò un po' più in là, facendosi più piccolo, con l'intenzione di lasciargli spazio accanto a sé; Shin chinò il capo, si abbandonò ad un sospiro e ad una risatina e infine obbedì, decidendosi anche a prendere il proprio tè insieme ad un biscotto.

Seiji non poté fare a meno di notare l'occhiata languida ed adorante con il quale Rekka seguì ogni suo movimento e con la quale continuò a fissarlo anche dal momento in cui Suiko cominciò a bere e a mangiare. Avrebbe probabilmente ridacchiato per la tenerezza se non si fosse nuovamente concentrato sull'atteggiamento del tutto incomprensibile di Shu: solitamente lui e Ryo facevano a gara per contemplare ogni mossa di Shin... Shu insisteva nel suo isolamento mentale.

"Come va il raffreddore, Shin?" si levò la vocetta un po' ansiosa di Ryo.

"Meglio Ryo, non preoccuparti".

Shin aveva risposto senza guardare il compagno e Seiji sapeva che non si trattava di timidezza: se si fosse lasciato guardare troppo in viso chiunque avrebbe potuto notare che mentiva. Il raffreddore non era migliorato per nulla e, probabilmente, aveva anche un po' di febbre, ma avrebbe cercato di nasconderlo al mondo intero almeno fino alla fine degli esami. Non volendo metterlo in imbarazzo, Seiji non disse nulla ed ostentò indifferenza. Si limitò a studiare ancora Shu: sapere che Shin stava poco bene, solitamente, lo rendeva paranoico quasi al livello di Ryo e invece... sembrava non accorgersene nemmeno.

Brontolò qualcosa tra sé, colpito da quanto si potesse sentire la mancanza di una scimmietta dispettosa per casa; il bisogno di coinvolgerlo in qualche modo nella loro reciproca compagnia divenne disperato.

"Shu... sei molto stanco?".

Non giunse nessuna risposta dall'interessato, ma la sua domanda aveva attirato le attenzioni di tutti gli altri che, a loro volta, si misero ad osservare il samurai del Diamante.

"Sembra dormire della grossa" sentenziò Touma.

Seiji corrugò la fronte, strinse un po' le palpebre: non si era accorto che gli occhi di Kongo si erano chiusi del tutto. Sorrise:

"E lasciamolo dormire allora".

Seiji scrutò alternativamente gli altri tre:

"Anche voi sembrate piuttosto stanchi.".

"Tu sei riposatissimo invece, non è vero?" ridacchiò Tenku e Korin si strinse nelle spalle.

"Sono temprato contro la fatica fisica e morale".

"Oh, certo" cantilenò il samurai dell'aria sollevando gli occhi al cielo.

Sorrise enigmatico e si rimise a fissare il tè nella sua tazza, facendola girare tra le dita con una sorta di tenerezza; in effetti era vero, stranamente non si sentiva stanco, in qualche modo era... euforico. In quel momento neanche gli esami lo preoccupavano più, che importavano degli stupidi esami scolastici quando poteva godere di quel calore, di tutta quella bellezza da cui era circondato? Che importava di tutto il resto quando si trovava lì, con tutti loro e il suo cuore si riempiva di loro? Il suo cuore... che ora batteva, pulsava come impazzito... cosa stava succedendo? Forse la consapevolezza improvvisa della loro presenza... e di quanto gli faceva bene? Possibile che dare tutto per scontato si rivelasse così deleterio? Aveva rischiato di non accogliere tutto quel tepore solo perché... era diventata abitudine... era naturale?

Non era così... non era abitudine... si erano scelti, avevano deciso di vivere insieme, di condividere una medesima esistenza, di far sì che i loro cuori battessero come uno anche al di là di Yoroi, di Samurai Troopers, di Masho e impietose battaglie... i loro cuori un solo cuore nella quotidianità come nella squadra e lui era stato uno sciocco insensibile a non accorgersi... a non sentire... a non essersi mai davvero concentrato sui loro cuori che, ormai, erano tutti frammenti del proprio.

Ed erano bellissimi i loro cuori, che rendevano il suo ancor più completo, lo rendevano più grande, i loro battiti erano le note musicali che si univano a quelle del suo; che senso aveva ricercare il proprio perfezionamento interiore... senza quei frammenti? Senza quelle note? La perfezione era lì, quella sera, al caldo, tutti riuniti mentre fuori il mondo si tingeva di bianco, la perfezione era la completa simbiosi dei loro spiriti che, anche nel silenzio, dialogavano tra loro parlando di reciproco amore. Non c'era bisogno di parole, lui non ne aveva bisogno perché gli bastava concentrarsi un attimo e li sentiva, uno per uno, pur nella coralità inebriante delle pulsazioni, li sapeva distinguere, sapeva dare un nome a ciascuno di quei battiti, sapeva interpretarli, capirli ed amarli per quello che erano.

Davvero, aveva perso anni inutilmente, quando la risposta era lì, a portata di mano... così facile... e così straordinariamente bella che avrebbe desiderato che anche loro lo sentissero; ma forse era così. Vi era una tale tranquillità, in quel momento, tra loro, che era quasi convinto che tutti stessero ascoltando il silenzio intriso dei loro cuori pulsanti, vivi e innamorati.

O forse erano semplicemente troppo stanchi, ma a lui andava bene così, anzi, se poteva aiutarli a riposare, non chiedeva di meglio; in quale altro modo dimostrare la propria gratitudine a Touma, a Shin, la propria comprensione a Ryo ed a Shu?

Aprì un attimo gli occhi per guardarli e trovò più o meno lo scenario che si era aspettato: Ryo si era raggomitolato per terra, accanto a Byakuen, la testa corvina sul fianco della tigre ed entrambi dormivano profondamente. Touma pendeva il capo, dava l'impressione che, tra poco, avrebbe dato una testata violenta contro il tavolo, perché tentava di resistere al sonno, così Seiji sorrise, allungò una mano, gli sfiorò una guancia:

"Devi dormire To-chan... hai riposato meno di tutti in questi giorni e... per quanto tu sia preparatissimo, ci sono gli esami anche per te. Fallo per me... dormi...".

Il ragazzo del Kansai sbatté le palpebre, scosse il capo come un cucciolo che tentava di riscuotersi dal torpore, si stropicciò gli occhi con una mano:

"Oh... Seiji... scusa... credo... di avere davvero sonno... e non è pigrizia questa volta...".

"Ma lo so" ridacchiò Korin, strisciando accanto a lui per abbracciarlo e spingerlo verso terra, preoccupandosi di mettergli un cuscino sotto la nuca e assicurandosi che gambe e fianchi rimanessero al calduccio sotto al kotatsu. Touma rimase del tutto passivo e probabilmente si era già abbandonato al sonno ancor prima di posare la testa sul cuscino.

Seiji non poté impedirsi di contemplarlo qualche istante e di sfiorargli la capigliatura ispida con una mano, soffiandogli nell'orecchio un sussurro:

"Sogni d'oro... e meritati... piccolo panda...".

Era del tutto certo che due occhi attenti se ne stavano fissi sulla sua schiena a contemplare lo spettacolo e infatti, quando si voltò, incontrò lo sguardo dolce e sorridente di Shin. Il caro Suiko avrebbe potuto restare ispirato dalla scena nei modi più svariati, a seconda della disposizione d'animo: presa in giro, battutina adorabilmente ironica o silenziosa tenerezza. In quel momento sembrava prevalere l'ultima reazione e Seiji gliene fu grato. Era un momento troppo sacro per lui... e, forse... per tutti loro.

Shin si mosse e Korin indovinò subito quali fossero i suoi intenti: si sarebbe alzato, avrebbe prelevato i resti dello spuntino dal tavolo e si sarebbe messo a riordinare. Fece un balzo in avanti e, con le mani sulle spalle, lo costrinse a restare seduto:

"Non pensarci neanche".

"Seiji" lo interrogò l'altro, gli occhi sgranati.

"Faccio io".

"Ma...".

"Non era una richiesta...".

"...ma un ordine... lo so..." piagnucolò Suiko, con una smorfia rassegnata, rintanando la testa tra le spalle.

Seiji osservò per qualche istante, un po' preoccupato, i suoi occhi lucidi, il naso arrossato ed infiammato e gli si fece più vicino:

"Stai prendendo qualcosa contro l'influenza?".

Shin si rannicchiò su se stesso, dando l'impressione di voler scomparire:

"Sì e comunque sta passando".

"Non cercare di prendere in giro anche me!".

Il samurai della luce si sentì in colpa per aver utilizzato quell'inflessione severa, accorgendosi del sussulto di Shin, così cercò di imprimere una decisa gentilezza nel nuovo tocco della sua mano sulla fronte del giovane Mori e, questa volta, non ebbe dubbi:

"Come immaginavo, sei caldissimo; dovresti prenderti più cura di te... e noi non ci siamo accorti di nulla".

Parlò con tenerezza, il tono quasi commosso e il guerriero dell'acqua fu scosso da un tremito.

"Ma... non..." balbettò, fissandosi le mani che si tormentavano nervosamente l'un l'altra. Si bloccò senza riuscire a trovar le parole, poi si riscosse un poco e proseguì:

"E'... solo un po' di influenza... mi sto curando, passerà presto... tranquillo...".

"Oh, certo e passerebbe ancora prima se evitassi di trascurarla".

"Non la sto trascurando!".

Era come un bambino capriccioso che doveva negare a tutti i costi l'evidenza.

"Se non la stessi trascurando, staresti qualche giorno a casa al caldo, invece non hai mai smesso di uscire per ogni minima commissione o di andare all'Università".

"Perché sentivo di poterlo fare, conosco il mio corpo!".

In tutto questo manteneva il volto a terra e la voce ridotta ad un sibilo per non correre il rischio di svegliare i compagni. Anche Seiji tentava di parlare a bassa voce:

"Se ti chiedessi di stare a casa, domani, lo faresti?".

"No, farei preoccupare i ragazzi e poi ho dei corsi importanti in facoltà ai quali non posso mancare".

"Li farai preoccupare di più se le tue condizioni dovessero peggiorare".

Il volto di Shin si sollevò di scatto e i suoi occhi, ora ardenti per la frustrazione oltre che per la febbre, lo trapassarono come lame:

"Seiji per favore, sto bene!".

Intanto cercò di alzarsi, ma fu colto da un evidente capogiro e crollò addosso al compagno che lo raccolse prontamente:

"Certo... vedo... stai benissimo".

"E' che... mi stai destabilizzando e rendendo nervoso!".

Seiji scosse il capo con fare condiscendente, mentre lo stringeva a sé, protettivo, una mano a carezzargli i capelli:

"D'accordo, io mi rilasso ma... un piacere proprio non me lo vuoi fare?".

"Un... piacere?".

Il capo di Shin si sollevò quel tanto che bastò a cercare i suoi occhi, il volto atteggiato ad un punto interrogativo.

"Siccome tutti si stanno concedendo un po' di riposo, faresti in modo di permettertelo anche tu e di andartene a letto, almeno per il resto di questa giornata? Alla cena ci penserò io e dirò che ti sei addormentato e che ho preferito lasciarti dormire".

Gli occhi di Suiko sfuggirono subito, strofinò un po' la guancia sul petto di Seiji mentre riabbassava il viso e dalle sue labbra uscirono timide parole che somigliavano, in qualche modo, ad una supplica:

"Io... veramente... preferirei restare qui... sto bene qui... con voi...".

Seiji si rese conto di come il tono si facesse strano, vacuo... pesante e sospirò nel rendersi conto che il compagno stava scivolando nel sonno. Scosse il capo e sussurrò tra i denti:

"Testone, testone... più testone di Touma, il che è tutto dire...".

Ma al tempo stesso non poteva impedirsi di sorridere mentre, con delicatezza, compiva per lui i medesimi gesti con i quali poco prima aveva messo a nanna Tenku. Anche Shin venne adagiato sul tatami, un cuscino sotto alla nuca e Korin lo sistemò in modo che potesse essere più comodo e caldo possibile.

Poi rimase immobile, a contemplarli ancora uno ad uno per parecchi istanti, sembrava incapace di distogliere gli occhi dai suoi... i suoi tesori addormentati. Scosse il capo tra sé, prendendosi in giro per i termini con cui ormai pensava a loro, ma non poteva fare a meno di considerarli tali.

Infine si mise all'opera, raccogliendo tutto nel vassoio per poi recarsi in cucina, dove rovesciò i restanti biscotti in una biscottiera di ceramica, richiudendola con cura perché si mantenessero freschi, impilò tazze e teiera nell'acquaio, passò un panno sul vassoio e lo ripose al proprio posto. Quindi si dedicò al lavaggio delle porcellane facendo attenzione allo scopo di ridurre al minimo ogni rumore.

Terminò nel giro di pochi minuti, diede una pulita extra e, alla fine, si guardò intorno, soddisfatto, le mani sui fianchi:

"Shin sarà orgoglioso di me quando vedrà come ho trattato la sua amata cucina".

Tornò nell'altra stanza e li ritrovò come li aveva lasciati; eppure, benché lo scenario fosse esattamente lo stesso di prima, si immobilizzò in una sorta di incantato stupore, quasi stesse assistendo ad un miracolo. Ma, in fin dei conti, per lui quella vista era un miracolo... così come ciò che sentiva nel proprio petto... certo che era un miracolo... il miracolo che aveva risvegliato davvero il suo cuore e che l'aveva reso completo.

Compì qualche timido passo, fino a lasciarsi cadere al suo posto, delicato, timoroso al solo pensiero di poter turbare quel sonno, quei respiri... quei battiti. Era davvero possibile ascoltare i battiti dei cuori nel silenzio, se ci si concentrava e lui voleva farlo ancora, voleva ascoltarli ancora.

Richiuse gli occhi, cercò i loro sospiri, i loro aliti vitali, uno per uno e li trovò, anche i battiti giunsero, non alle orecchie ma allo spirito, uno per uno ed armonizzò il proprio con i loro. Quella era l'occupazione migliore per rilassarsi prima degli esami... cercare la pace dentro di sé cogliendo l'armonia di tutto l'amore che lo avvolgeva... e il giorno dopo, così come i giorni a venire, quei battiti li avrebbe portati con sé, per questo decise di imprimere nella memoria ogni pulsazione, ogni sfumatura che li rendeva tutti tanto diversi ma tanto indispensabili gli uni agli altri.

Benevolenza, altruismo, esplosione scarlatta, il rosso del fuoco e delle emozioni, del calore, delle passioni portate all'estremo, senza mezze misure, ma dettate solo dal desiderio di cancellare ogni sofferenza dal mondo... Rekka... Ryo...

Giustizia, determinazione, il color ocra della terra, la testardaggine e l'abnegazione di chi per proteggere coloro che amava si gettava a testa bassa nel pericolo, con la rabbia disperata di chi non comprendeva la crudeltà gratuita... Kongo... Shu...

Fiducia, sincerità, l'azzurro dell'acqua che non è semplice azzurro perché è più il trasparente, limpido cristallo, che in sé riflette l'azzurro puro e pulito, ma anche le tenebre degli abissi più oscuri e profondi... le tenebre del tormento, della sofferenza provocata dalla troppa bontà... Suiko... Shin...

Saggezza, strategia, intelligenza, il blu del cielo, che sa essere sereno e sgombro di nubi ma anche burrascoso, sa essere chiaro come il giorno ma anche scuro come la notte... e la notte può essere punteggiata di stelle. Contraddizioni, insicurezze, bisogno di sentirsi amato e di voler solo amare, fare tutto per loro, fino al sacrificio di sé, fino ad annullarsi in loro... Tenku... Touma...

E poi c'era un altro cuore, non meno importante, non meno fondamentale, a tutti gli effetti ormai parte di tutti loro, il cuore di un antico spirito cui Kaosu li aveva affidati tutti, uno spirito in forma di tigre che su di loro vegliava, come un padre con i cuccioli e che, Korin a volte non aveva dubbi a riguardo, era il più forte, l'autentica guida.

 

***

 

Giunse la sera e, ormai, i ragazzi avevano deciso di abbandonare ogni studio dell'ultim'ora. Ryo era stato precettato da Shin e Touma messi assieme e si era arreso solo quando anche Byakuen si era imposto con un ruggito severo. Nuovamente attorno al kotatsu, sedevano tutti con aria arrendevole, un po' preoccupata ma decisamente stanca: sul volto di tutti e cinque il desiderio inespresso che tutto fosse già concluso e alle spalle.

Shu, più di tutti, era quello che aveva dormito meno: si concedeva poco per pura testardaggine, ma era arrivato a un punto di non ritorno. Quella sera il sonno e il nervosismo lo rendevano simile a una pericolosa bomba a mano o a una corda di violino tirata fin quasi al punto di rottura.

Desiderava ingurgitare qualunque cosa ci fosse da mangiare per poi dedicarsi solo al sonno. Sonno e nient'altro.

Touma, nel silenzio generale, fu il primo a parlare tra uno sbadiglio e l'altro.

"Domani sera a quest'ora saremo a posto. A scuola ci tornerò solo per il diploma".

"Sei terribile Touma..." replicò Shin. "Dovresti goderti gli ultimi giorni da liceale".

"Non ho voglia di tornare a Osaka per qualche giorno. Qui sto meglio".

"E tu Seiji?" chiese Shin con un sorriso curioso.

"Andrò anche io per il diploma... tecnicamente è meglio".

"Per la tua famiglia?".

"Diciamo di sì...".

"E tu Ryo? Almeno tu andrai?".

"Pensavo di stare con voi, a dire il vero".

Shin non riuscì a trattenere un moto di tenerezza nei confronti del micetto di casa.

"Ho idea che ci ritroverai tutti nel letto".

"E allora dormiremo tutti assieme!".

Il buffo cipiglio che lo aveva animato fece sorridere anche Seiji, mentre Touma ricordava al ragazzo che l'unico letto capace di ospitarli era il kotatsu.

"Che, tecnicamente, non è un letto".

"L'importante è stare assieme, Touma...".

"E dormire anche..." e l'arciere soffocò uno sbadiglio.

"E tu, Shu?"

Gli occhi verdi di Shin si posarono amorevolmente sul più silenzioso dei compagni che, braccia incrociate sul tavolino, osservava ogni cosa dietro una cortina di nebbia di stanchezza.

Era silenzioso, così tranquillo da non sembrare nemmeno lui: la casa senza la sua voce calda e squillante sembrava decisamente strana. Gli mancava la sua scimmietta sempre sorridente, sempre positiva. Shin ringraziò il cielo che l'indomani avrebbe segnato la fine di quel piccolo incubo.

"Cosa...?" mormorò Kongo con aria e voce spente. Non aveva assolutamente seguito il discorso. A dire il vero, temeva di essere in preda ad un sogno.

"Rimani qui a casa o torni a Yokohama?".

Il capo di Shu si alzò leggermente, mentre gli occhi fluttuavano sul tavolo, poi verso gli occhi di Shin che, sempre e comunque, lo rendeva partecipe di tutto ciò che avveniva.

"Non... non so...".

"Devi tornare a casa?" chiese Suiko.

"Forse... ma ora... non so ancora".

"Oh, Shu... dai, rimani con noi!" Gli occhi blu di Ryo lo pregavano insistentemente, ma...

"L'ho promesso... prima... dell'Università...".

"Tua madre ti vuole vedere? Questioni di famiglia?".

Il capo di Shu si scosse e un'espressione seria gli attraversò il viso.

"Dobbiamo sistemare delle cose. Mia madre... mah...".

Una mano andò a sfregare il viso, mentre cercava di farsi forza, anche nelle parole.

"Ci sono dei problemi?" chiese Seiji serio serio, mentre cercava di leggere in quel cuore stanco e un poco distaccato dalla realtà.

Shu scosse un attimo la testa e pensò che sarebbe stato perfetto infilarsi nel letto, invece di queste conversazioni... poteva risparmiarsele per quella sera.

"Problemi? Ma Shu... tu... sei sempre così sorridente. Tu..." Ryo si allungò verso il compagno, con un sorriso. "Sei sempre così positivo. Riusciresti a superare tutto!".

Povero Ryo. E dire che lui aveva inteso altro. Mai si sarebbe aspettato il putiferio che avrebbe scatenato.

Furono le mani che scendevano pesanti sul tavolino a dare inizio a tutto: la figura di Shu si levò terribilmente minacciosa, pur nella sua stanchezza ed aprì bocca.

"Positivo? Io... sarei sempre... positivo?".

Lo sguardo a terra si alzò e negli occhi tutti poterono intravvedere le lacrime.

"S-Shu?" mormorò Shin intimorito mentre, davanti ai suoi occhi, il ragazzo cominciava a gettare fuori ogni cosa.

"IO NON SONO POSITIVO! ANCHE IO SONO TRISTE E SONO STANCO E SONO... SONO..." la bocca del ragazzo si chiuse per un attimo e le lacrime cominciarono a scorrere. "E VOI... NEI MIEI SOGNI... SCOMPARITE... E POI VI RITROVO QUI E POI..." una mano si mosse ad asciugare le lacrime ma a nulla valse quel gesto. Il viso era distrutto, sconvolto. Così triste... "OGNI NOTTE VI PERDO... E POI VI RITROVO E POI HO PAURA DI SVEGLIARMI E... E NON TROVARVI PIU'! E VOI DITE CHE IO SONO POSITIVO?! IO... IO..." nascose dietro il braccio la bocca ed il singhiozzo giunse privo di freni a scuoterlo del tutto.

Attorno al tavolo si era fatto il silenzio più tombale, tutti gli occhi non riuscivano a staccarsi dalla sua figura: Ryo e Shin furono i primi ad alzarsi per raggiungerlo, ma Shu arretrò i propri passi verso le scale, quasi senza rendersene conto.

"...non sono positivo... perché lo pensate...?" la voce si abbassò, rotta dal pianto, gli occhi blu si chiusero, lasciando altre lacrime a scendere sul suo viso. "...è perché... rido e scherzo... e voi pensate...".

"Shu... io... perdonami..." mormorò Ryo.

E gli sembrò che fossero le sue parole a far caracollare Shu su per la scala e in camera sua.

"Ho... ho fatto... un danno..." bisbigliò Rekka con un viso che diceva tutto quanto. Shin raggiunse la sua mano e la strinse: in quegli occhi verdi brillava una cortina di pioggia trattenuta ma sul punto di crollargli addosso.

"Shu... è... solo triste... io credo che... i suoi pensieri siano usciti solo perché il suo cuore non riusciva più a trattenerli. È stanco... così stanco... come lo siamo tutti...".

Le mani strette sciolsero il loro legame e Ryo si ritrovò a percorrere i passi che poco prima aveva compiuto Shu: si sentiva uno sciocco, si sentiva stupido, si sentiva... come poteva definirsi nakama di Shu se riusciva ad uscirsene con una frase così idiota?!

Però... non avrebbe mai voluto ferire Shu: per lui dire che Shu era positivo era... era semplicemente ammirare quell'energia, quel flusso di calore che il sorriso del ragazzo riusciva a infondergli. Il suo sorriso era così bello, dava speranza...

Ma dargli del positivo, dell'ottimista... aveva forse ignorato le sue paure, i suoi demoni? Aveva creduto che fosse perfetto, che su di lui le battaglie fossero rimaste come un vago ricordo impotente davanti a quel carattere solare?

Le ferite lasciavano sempre cicatrici.

La mano di Ryo spinse dolcemente la porta della camera che Shu divideva assieme a Shin e lo ritrovò sdraiato col viso affondato nel cuscino, visibilmente addormentato, tale era la stanchezza.

Fece qualche passo timido, lottando contro le lacrime che gli salivano agli occhi; aveva fatto il danno e ora piangeva? Era davvero così immaturo?

"Dovrei essere un uomo, dovrei essere il capo, si presuppone che io sia la loro guida... ed eccomi a piangere come un bambino colpevole di aver ferito un proprio... familiare...".

Sussultò a quel pensiero... sì... si sentiva esattamente così; far del male a chi si ama tanto... e a coloro da cui si è tanto amati... era senza dubbio una delle sensazioni più orribili con cui si potessero fare i conti. E avere una famiglia implicava anche quello... perché a stare sempre insieme, a condividere tanto... il rischio di ferirsi era per forza sempre in agguato.

E i bambini ignoranti ed impulsivi erano coloro che sbagliavano di più, per poi piagnucolare sul latte versato, con il cuore in pezzi, desiderando di non aver neanche mai imparato a parlare se la propria bocca sapeva formulare unicamente sciocchezze e frasi infelici.

Shu... chi poteva immaginare quanto avesse sofferto nel corso delle drammatiche esperienze che avevano condiviso? Il coraggioso, impulsivo, esuberante Diamante che si gettava come un kamikaze nella lotta, incosciente, con il sorriso birichino sulle labbra a volte, con la fiamma dell'ardore e della disperazione negli occhi nei momenti più drammatici, quando il terrore di perdere uno di loro... o tutti... lo rendeva folle. Il loro Shu, che li amava e li aveva accolti dentro di sé fino a renderli... nakama... una cosa sola... fino a non poter fare a meno di loro. Non l'aveva forse detto? Non l'aveva dimostrato costantemente? E non l'aveva ulteriormente confermato in quella sfuriata cui Ryo stesso aveva dato adito?

Si fermò a pochi centimetri dal letto, continuando a fissarlo, senza più trattenere le lacrime, carezzando quella figura massiccia ma al tempo stesso piccola... così piccola... raccolta tra le coperte, il volto ancora intriso di pianto pur nel suo sonno nervoso. Lo accarezzò, con le dita leggere sulle guance umide e con lievi sussurri:

"Paura di perderci? E' questo il tuo peggior incubo, Shu? Hai persino paura di lasciarci la sera per dormire... temendo di non ritrovarci più al risveglio? Era questo che temevi anche in battaglia, quando cercavi di fare il forte con quel sorriso strafottente? E quando ti gettavi come una furia senza preoccuparti della tua sicurezza? Ed è questo che ti ha lasciato l'incontro con Suzunagi?".
Si inginocchiò, continuando a piangere, continuando ad accarezzarlo, ora passando il dito sul naso che sembrava quello di un bimbo, continuando a mormorare:

"Tu... ogni volta che uno di noi veniva colpito... o ferito... tu lo sentivi, vero? Era come se facessero del male a te... lo so... l'ho capito... e perdona questo stupido leader che non è neanche capace di rispettare la vostra sensibilità senza commettere sciocchezze".

Gli sfuggì un singhiozzo più forte:

"Fratellino...".
Ecco... l'aveva detto... era così bello avere tanti fratelli... era così bello avere una famiglia... il sangue... quello... cosa poteva importare se c'era un tale amore?

Non resistette oltre, si gettò sul compagno, si aggrappò a lui in un abbraccio disperato:
"Fratellino!".

Nel mezzo di un sonno profondo, Shu fu scosso all'improvviso dalla sensazione di calore che aveva avviluppato il suo corpo: con difficoltà riaprì gli occhi su una luce soffusa e la prima cosa che percepì fu il sussurro dolce di una voce familiare.

"R-Ryo...?".

La bocca impastata dalla troppa spossatezza, gli occhi che bruciavano, la testa che non riusciva a comprendere tempo e spazio... la stanchezza...

Dietro quella cortina sfumata di stanchezza c'erano gli occhi azzurri di Ryo, occhi preoccupati, occhi lucidi e occhi che sembravano...

Poi ricordò tutto.

Una certa lucidità sembrò avvolgere la sua mente e dal suo cuore traboccarono tanti sentimenti contrastanti: vergogna, tristezza, senso di colpa e di sconfitta. Nuovamente, le lacrime scesero.

"Sono uno stupido... tanto stupido..." una mano cercò di lavarsi via le lacrime ma scoprì di non riuscire a muovere le proprie braccia: esse giacevano incastrate tra il proprio corpo e quello di Ryo.

"Shu, non piangere... ti prego...".

"R-Ryo, io...".

La stretta delle braccia del compagno si fece più sicura, più forte, più protettiva... pareva non volesse lasciarlo andare.

"Tu non te ne vai, vero? Perché noi non lo faremo... vorrei cancellare quegli incubi Shu...".

Il samurai della Terra tremò al ricordo di certe scene, certi pensieri che l'avevano travolto in quei giorni sfiancanti e terribili.

"Vorrei solo che tu sapessi che noi... ci saremo sempre... io sento che è così... e... ed è solo... solo il momento che... solo quello. Io... io lo so, Shu".

"Io non volevo... Ryo..."

Un sospiro da parte di Shu, il suo abbandonarsi fino a far scivolare il viso contro la sua spalla, per poi fermarsi sul petto, lì dove Rekka sentiva battere il proprio cuore, fino a scoppiare; sperava che Shu potesse percepire quel battito, tanto da venire cullato da esso... e che potesse cacciare i suoi incubi, non solo quelli legati agli esami ma soprattutto gli altri... tutti gli incubi della sua adolescenza costellata di traumi e paure.

"Perdonami Ryo... è stanchezza... sono... sono tanto stanco...".

La sua voce era ridotta ad un soffuso mormorio e fu accompagnata da un nuovo sospiro, quando il samurai del fuoco gli accarezzò i capelli, mentre con l'altra mano lo teneva stretto a sé.

"Scusami tu, Shu-kun... la mia bocca non era in sintonia con il cuore, temo di essermi espresso molto, molto male...".

Shu tentò di scuotere il capo ma ne uscì solo un debole strofinare della guancia contro il petto di Ryo:

"Sarei... scattato per qualunque cosa...".

"E io me ne sono uscito con una qualunque scemenza" ridacchiò Rekka senza riuscire a smettere di accarezzarlo.

"Oh... Ryo..." sbuffò Shu, forse tentando di ridacchiare a sua volta ma troppo spossato per farlo. Lo fece ancora Ryo al suo posto mentre pensava che, un po', gli sembrava davvero di abbracciare e coccolare una scimmietta, ma preferì non confessarglielo a voce alta, aveva già combinato abbastanza guai con la sua lingua precipitosa.

Però non si trattenne dal sussurrare qualcosa il cui senso non era molto diverso:

"Vuoi dormire, scimmietta?"

"Mmmh... forse... ma... posso addormentarmi così?".

Ryo sussultò, non era certo che, già rapito dal dormiveglia, Shu si fosse reso realmente conto di quel che aveva detto. E tuttavia, se desiderava tanto addormentarsi tra le sue braccia, perché no? Era dovere di capo, dovere di amico... dovere di fratello... E Rekka si sentiva così felice se, in quel semplice modo, poteva apportare al suo caro Kongo un po' di sollievo. Forse, in quel modo, addormentandosi nell'abbraccio di uno di loro, la paura di perderli, di vederli scomparire, non sarebbe giunta a tormentarlo nel sogno. Se bastava davvero così poco, Ryo era disposto a restare così anche tutto il resto della sera, tutta la notte... e condurlo poi, per mano, agli esami.

Seppe che si era addormentato dal respiro regolare e profondo, dalla pesantezza con cui si era definitivamente abbandonato a lui.

"Ryo...".

Il samurai del fuoco si voltò a quel sussurro e vide Shin sulla soglia della stanza, una mano sullo stipite, l'altro braccio abbandonato lungo il fianco; sembrava così stanco... c'era qualcosa di strano nel viso di Shin ma era anche tanto bello, come circondato da un'aura incantata... sacra... materna.

Rekka sussultò e scosse il capo: che andava pensando?

E poi, senza risoluzione, di nuovo giunse la consapevolezza che, dopotutto, non vi era nulla di male nel definire Shin materno; lo era perché era gentile, era buono e protettivo, era il calore e la tenerezza di un abbraccio, di una piccola premura che significava tanto, di un amore totale che li avvolgeva tutti in uno spirituale abbraccio e tutto ciò lo rendeva bello e Ryo non si sarebbe mai stancato di contemplarlo. Gli sorrise:

"Si è addormentato".

Shin rispose al sorriso e Rekka seppe, una volta di più, che anche lui desiderava proteggerlo, preservarlo da dubbi e insicurezze, dai suoi pensieri che tanto spesso si aggrovigliavano su se stessi e non gli davano tregua, dalla paura dell'abbandono... una delle irrazionali paure di Shin... quella di perdere l'amore.

Ma non si poteva smettere di amare Shin; Ryo gli tese una mano e Suiko accolse quell'invito senza esitare, benché il passo apparisse un po' malfermo. Ryo non ci fece molto caso, poteva essere l'emozione... le emozioni agivano in maniera talmente intensa su Shin...

Il samurai dell'acqua si inginocchiò accanto al letto e si mise ad osservare Shu con la disarmante dolcezza del suo sguardo che, da solo, senza bisogno di ulteriori gesti, sapeva accarezzare ed emanare un fluido d'amore.

"Poverino..." sospirò, un po' triste.

"Mi dispiace Shin" sussurrò Rekka accentuando l'abbraccio con cui avvolgeva Kongo e distogliendo momentaneamente lo sguardo da Suiko perché, a volte, guardarlo a lungo gli faceva male al cuore "Per quello che è successo a tavola, intendo...".

La testa dell'altro si scosse, lenta:

"Nessuno ha frainteso... solo Shu... è stato un crollo nervoso, che sarebbe avvenuto per qualunque parola in quel momento".

"Anche lui ha detto una cosa simile...".

Ancora non lo guardava, ma poi una mano passò tra i suoi capelli, tenera, rassicurante e risollevò gli occhi su quelli di Shin che, adesso, fissavano lui, sorridenti nelle iridi verdi-azzurre e sulle labbra:

"Posso stare io con Shu, tu dovresti riposare".

Ryo sorrise a propria volta, colmo di convinzione:

"Non lo lascio... non lo posso lasciare adesso... ma puoi stare con noi... anzi... io credo che dovremmo stare tutti con lui... per fargli sentire... che non ce ne andremo... che non scompariremo...".

Parole un po' sconnesse, Ryo non sapeva come altro esprimere ci che riteneva giusto, poteva solo sperare che Shin, con la sua profonda empatia, avrebbe compreso; il samurai dell'acqua lo scrutò, inclinando lievemente il viso su una spalla, una domanda sul volto. Era incredibile quanto ogni suo atteggiamento potesse apparire incantevole, si trovò a pensare Rekka.

"Lui... teme di vederci scomparire... di non trovarci più al risveglio... perché..."

Tornò il sorriso sul bel volto di Suiko, che si illuminò di consapevolezza e lo interruppe, salvandolo da ogni ulteriore, confusionaria necessità di spiegazione:

"Va bene Ryo... hai ragione...".

"Serviamo anche noi a quanto pare".

Sia Ryo che Shin sorridevano mentre si voltavano ad incontrare gli sguardi dei compagni: Touma era appoggiato con la schiena allo stipite della porta, le braccia incrociate sul petto e lanciava loro un'occhiata obliqua. Alle sue spalle faceva capolino Seiji e, tra loro, spuntava il muso attento e saggio di Byakuen.

Mentre si avvicinavano, mentre tutti si stringevano in un comune abbraccio atto a scacciare gli incubi dal sonno di uno di loro, ma che in realtà li avrebbe protetti tutti, Ryo cominciò a sentirla, la gioia completa della famiglia, la bellezza dell'essere lì, gli uni per gli altri, anche per una cosa così piccola, ma che aveva un significato immenso. Perché tra familiari non erano sempre necessari gesti estremi per dimostrare l'amore; era anzi proprio nei minimi eventi quotidiani che si cercava di capirsi, di venirsi incontro, di far giungere all'altro la propria presenza, insieme alla promessa di esserci sempre... che mai nessuno se ne sarebbe andato.

"E nessuno di loro se ne andrà" pensava mentre si crogiolava in quell'unione di corpi, anime e cuori "Io non me ne andrò da loro, loro non se ne andranno da me... nessuno lascerà nessuno...".

Era la felicità, la gioia dell'essere amici ma anche dell'essere famiglia... dell'essere, gli uni per gli altri madri, padri, fratelli... e amori...

E proprio quell'ultima notte che precedeva gli esami Ryo seppe, definitivamente, che non sarebbe mai più stato solo.

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Capitolo 6
*** Capitolo 06 ***


Un suono si intrufolò tra gli incubi notturni, dapprima distante, indistinto, poi riconoscibile come uno squillo che gli fece male alle orecchie. Le palpebre di Shin si strinsero un po' di più, per un attimo, un lamento uscì dalle sue labbra, vagava in una nebbia indefinita e non capiva dove si trovasse.

Quando riuscì ad aprire gli occhi, ancora quel trillo terribile a dargli il tormento, la sua vista risultò offuscata, brividi scuotevano il suo corpo, ma cominciava, lentamente, a prendere una vaga coscienza degli eventi.

"La sveglia... è la sveglia..." cercava di suggerirgli la parte di consapevolezza che provava a risalire fino ad un livello cosciente.

Un muoversi indistinto tra le lenzuola, dei mormorii sconnessi e una parola che, leggera e feroce, aleggiava sopra la stanza. Un tonfo poco distante, seguito da un'esclamazione di dolore, lo riscosse ulteriormente ma non era convinto di non stare ancora sognando; si impose di muoversi, nonostante la rigidità delle membra, rendendosi conto che stava davvero male. La lucidità tornava riportandogli alla mente la notte terribile, non era certo se fosse stato tormentato da incubi o da visioni deliranti.

"Shin, maledizione, quella sveglia è terribile!".

Si voltò, scoprendo uno Shu seduto per terra che lottava per rimettersi in piedi.

"Shu ma... sei caduto dal letto?".

"E' quella sveglia che mi fa ammattire! Dormivo così bene ...".

"Mi dispiace" mormorò Shin contrito, senza rivelare che lui, invece, aveva fatto sogni spaventosi, senza tregua... e ovviamente non rivelò neanche che si sentiva così male da faticare persino a mettersi seduto.

Tra i due letti, rannicchiati come gatti alla ricerca di calore, stavano dormendo con una certa pesantezza Seiji, Touma e Ryo: sotto il calore dello stesso futon si erano stretti gli uni agli altri, Touma in mezzo, tenendo lontano il freddo che quel letto di fortuna avrebbe potuto donargli.

Seiji pareva l'unico dei tre ad essere disturbato dalla sveglia per quanto, comunque, avesse solo mosso il viso nella direzione opposta, affondando nel collo di Touma: povero Korin, la spossatezza aveva minato anche i suoi orari mattutini.

Shin sorrise debolmente a quella vista e sperò che i giorni seguenti il sonno di tutti quanti potesse portare tali visi ad espressioni calme e rilassate, tranquille, come quelle dei bambini. Quel quadretto era, in tutto e per tutto, qualcosa di teneramente infantile: la sua mano scese e vagò leggera sui tre capi che continuarono, imperterriti, il profondo sonno.

Shin lottò per sollevarsi, scivolare verso il fondo del letto e posare i piedi a terra senza disturbarli ulteriormente; raggiunse l'infernale sveglia con l'intento di farla tacere, ma l'oggetto scivolò via dalle sue mani malferme. La raccolse e, questa volta, riuscì a zittirla poi, traballante, raggiunse Kongo che intanto si era arrampicato sulle coperte, il viso affondato nel cuscino, si chinò e gli accarezzò la nuca, sfiorandolo con un bacio, ma senza accentuare troppo il contatto: non se lo sarebbe mai perdonato se gli avesse passato l'influenza.

"Puoi dormire ancora un po', è presto, scendo a preparare la colazione, ti richiamo tra mezz'ora".

"Mi sa che sono troppo agitato per dormire ancora" borbottò il samurai della terra, la voce soffocata dal cuscino, cupa, insonnolita.

Shin ridacchiò:

"Non mi sembra proprio".

E infatti non ottenne più alcuna risposta; Shu era già ripiombato tra le braccia di Morfeo. Suiko gli rivolse un'occhiata intenerita e mormorò:

"La mia scimmietta è davvero priva di forze".

Scosso da brividi sempre più forti, si strinse le braccia al petto, nel vano tentativo di riscaldarsi e, nonostante si sentisse gelato, rivoli di sudore correvano lungo il suo corpo; venne assalito da capogiri così forti che a stento si reggeva in piedi. Muovendosi a fatica, afferrò una vestaglia da unire al pigiama pesante che indossava, ma non gli diede molto sollievo e, temendo di disturbare o, peggio, di allarmare i ragazzi, sgusciò fuori dalla stanza facendo attenzione a non svegliarli.

La casa giaceva nel silenzio, una sola presenza si era rivelata più mattiniera di lui; Byakuen si alzò a sedere dal posto che aveva occupato fino a qualche secondo prima, davanti alla porta della loro camera. Il ragazzo gli sorrise:

"Buongiorno... mi anticipi sempre, eh?".

Il felino gli si accostò, si sollevò sulle zampe posteriori e gli posò quelle anteriori sulle spalle, spingendolo contro il muro; Shin non era certo se volesse dargli conforto o rimproverarlo... forse entrambe le cose, dopotutto. Infatti, Byakuen digrignò i denti e lo apostrofò con un ringhio sordo che, senza conoscerlo, aveva sicuramente l'intento di terrorizzare.

"Sei... arrabbiato con me?".

La tigre reclinò il capo lateralmente, lo scrutò, quindi gli passò la lingua sul viso, strappandogli una risatina che il ragazzo accompagnò con un abbraccio ed un affondare del volto nel pelo morbido:

"Hai ragione, sai Byakuen? Mi sto comportando da incosciente, credo di stare piuttosto male in effetti... ma non lo credevo... davvero... Credevo di essere più forte, con tutta l'esperienza che ho alle spalle e invece... il mio corpo è così vulnerabile?".

Un'altra leccata e un sospiro felino poi, mentre la tigre si riabbassava, Shin barcollò così violentemente che Byakuen gli si posizionò davanti, per arginare ogni possibile caduta, unendo il gesto ad un nuovo ruggito di rimprovero. Il giovane Mori si portò una mano alla fronte, la testa pulsava con violenza e la sentiva pesante... insopportabilmente pesante.

"Ancora oggi" mormorò, con voce sofferente, senza sapere se stava parlando più a se stesso o alla tigre. "Il tempo che loro tornino dagli esami... poi mi prenderò una pausa... lo prometto... ancora qualche ora e poi...".

Lasciò ricadere la mano, il respiro affrettato, la mente decisamente poco lucida:

"Basta... che non si preoccupino troppo... e che non si arrabbino...".

D'improvviso, alle sue spalle, la porta della camera si riaprì e ne uscì, flemmatico, Seiji.

"Shin... Byakuen... buongiorno".

Shin sussultò a quella voce e lottò per ricomporsi meglio che poteva, ma era consapevole che lo sguardo indagatore di Seiji aveva già adocchiato il suo atteggiamento bizzarro... e probabilmente anche il suo aspetto terribile.

"Sei già sveglio?" gli sorrise, ostentando un'allegria che risultò fin troppo forzata "E' presto, potevi restare a letto ancora un po'".

"E tu no, invece?" brontolò severamente Korin.

Non seppe cosa rispondere, era l'abitudine, giusto? Lui solitamente si alzava prima che poteva per preparare la colazione a tutti e perché era l'unico con l'obbligo di uscire per frequentare le lezioni universitarie. I suoi compagni stavano a casa a studiare sodo per gli esami, quindi per lui era normale lasciare la colazione a disposizione di tutti prima di andarsene.

"Sono... abituato... vado in università tutti i giorni" mormorò infine, incerto.

"E ne approfitti per farci trovare tutto pronto".

"Be'... non mi costa nulla...".

"Shiiin...".

Richiamo insinuante di Seiji e brontolio di Byakuen... il samurai dell'acqua sbuffò, non bastava averne uno alle costole?

"Svegliarsi sempre un'ora prima del necessario non è una cosa da nulla mi sembra...".

"Seiji... io... per me lo è, d'accordo?".

"Anche quando non ti reggi in piedi per la febbre?".

"Mi reggo in piedi benissimo!" sbottò Suiko, oltrepassando Byakuen, i pugni stretti lungo i fianchi e avviandosi giù per le scale, deciso a sottrarsi all'esame opprimente di Korin.

Si augurò con tutto se stesso che non lo seguisse ma, quando aguzzò le orecchie, udì con sollievo chiudersi la porta del bagno. Evidentemente, Seiji aveva deciso di porre rimedio alla trascuratezza dell'ultimo periodo rendendosi presentabile per gli esami; ciò significava, conoscendolo, che non avrebbe messo piede fuori dal bagno prima che uno dei compagni, esasperato, andasse a stanarlo con l'intento di fargli rispettare i turni.

Non aveva tuttavia rinunciato a tenerlo d'occhio l'immancabile Byakuen, che non distolse lo sguardo da lui nel corso di tutto il suo lavoro, ruggendo, ringhiando e accorrendo al suo fianco ogni volta che l'equilibrio sembrava venir meno o quando uno starnuto, un colpo di tosse, un brivido di febbre scuoteva il suo corpo.

Quando ebbe finito e la colazione per tutti fu sistemata sul tavolo, Shin si lasciò cadere su una sedia, prendendosi il volto tra le mani; Byakuen strofinò il muso contro la sua gamba.

"Un attimo solo... e vado a chiamarli tutti... o faranno tardi per gli esami...".

Percepiva la sua stessa voce distante, come in un limbo, soffusa, la testa gli faceva sempre più male; una zampa di Byakuen gli raspò la stoffa dei pantaloni del pigiama, nel momento stesso in cui il suo viso crollò nelle braccia incrociate sul tavolo.

"Ora... ora vado...".

Rimase per qualche istante immobile, la testa che fluttuava, poi di colpo si riscosse, consapevole che si era estraniato; non sapeva dire a se stesso se avesse momentaneamente perso i sensi o se si fosse semplicemente addormentato... non del tutto però. La sua mente e il suo organismo avevano subito una sorta di semi blackout.

Si alzò velocemente per non correre il rischio che accadesse ancora, non poteva permettere che qualcuno dei ragazzi lo trovasse così; tuttavia, il movimento troppo veloce causò un capogiro talmente forte da costringerlo a posare la mano sulla superficie del tavolo per non cadere a terra. Byakuen gli afferrò la vestaglia con i denti, tanto per non correre il rischio di vedere uno di quei cuccioli incoscienti perdere i sensi e rompersi la testa solo per non volersi curare nel modo efficace un'influenza.

Shin lo guardò con gratitudine e un piccolo broncio infelice; non aveva quasi la forza necessaria a posargli una mano tra le orecchie per il solito grattino:

"Mi dispiace, sai? Credo che, alla fin fine, sia tu il più maturo e responsabile in casa".

Ringhietto di consenso che lo fece sospirare ancora ed assumere un'espressione ancor più contrita:

"Io invece non sembro molto maturo, vero? E' questo che stai pensando?".

La tigre lasciò il lembo della vestaglia e gli lambì la mano con la sua lingua calda.

"Non cercare di indorare la pillola, Byakuen, hai ragione a considerarmi un bambino sciocco, non è che io abbia una tanto più alta considerazione di me stesso".

E, lasciando Byakuen ad osservarlo con sguardo colmo di triste tenerezza, barcollò verso il piano superiore, preparandosi a tirare i compagni fuori dai loro letti. Immaginava che avrebbe dovuto ricordare a Touma che, almeno per sostenere l'esame, gli sarebbe stato necessario presentarsi, o il ragazzo del Kansai era perfettamente in grado di convincersi che i suoi esami si sarebbero svolti da soli.

 

Byakuen

Far parte di una famiglia ti può condurre anche all'annullamento di tutti i tuoi bisogni.

Ko-Shin è l'esempio perfetto di questa frase: non troverete ragazzo più tenero, più volitivo, più generoso... ma anche terribilmente testardo. Mette l'amore che prova per i cuccioli davanti ad ogni cosa: al proprio tempo, al sonno, alla salute stessa.

È come una mamma... quando le mamme allattano i loro cuccioli non si muovono per giorni dal loro fianco e se lo fanno è solo per un pasto frugale. Poi curano, coccolano, nutrono e proteggono la loro prole senza badare alla propria salvezza... anzi, in caso di pericolo, compiono grandi sforzi per ritrovare una tana sicura.

Shin è come una mamma per tutti noi... anche se io non sono più un cucciolo, godo delle sue attenzioni come i cuccioli... i cuccioli, perché sono cuccioli umani, richiedono più tempo ed energie – e anche tanta pazienza – ma, in questi giorni, loro si sono comportati come i cuccioli che la madre deve proteggere in ogni modo e ad ogni costo.

Ma i cuccioli, questi cuccioli, così cuccioli non sono.

Ma per il loro bene Ko-Shin li ha trattati come se ancora lo fossero.

Adorabile Ko-Shin.

Testardo e adorabile cucciolo che, ancora cocciutamente, vuol continuare nella propria opera di mamma. I cuccioli verranno a raccoglierti e allora capiranno, davvero, cosa una mamma come te ha sacrificato. E cosa meriti, ora, da ognuno di loro.

 

 

***

 

Non sapeva come ma c'era riuscito, senza neanche troppi intoppi: svegliarli uno ad uno, nutrirli, cacciarli fuori di casa in tempo, lasciarli davanti al complesso universitario senza dimenticare un bacio sulla guancia ciascuno, un incoraggiamento, un sorriso... la promessa di incontrarsi nel parco a esami conclusi perché lui voleva assolutamente avere notizie il prima possibile e infine prepararsi ad una giornata infinita di corsi, sperando che le sue condizioni fisiche non lo tradissero.

Le prime ore passarono abbastanza tranquille, se si concentrava riusciva a mantenere, sul suo corpo sofferente, un autocontrollo sufficiente a non crollare, nonostante più di un compagno si fosse avvicinato a lui per accertarsi della sua salute; aveva un aspetto così malandato? Eppure i suoi nakama sembravano non essersi accorti di nulla, ad esclusione di Seiji e Byakuen

La testa gli faceva male e gli girava, ma i medicinali lo aiutarono a tirare avanti fino all'ultima lezione del mattino, Oceanologia, che di solito riusciva a seguire senza troppi problemi. Ma la febbre era un ostacolo ostico anche di fronte agli argomenti più interessanti; la testa riprese a pulsare selvaggiamente, la voce del professore divenne un suono distorto e lontano, così come la sua sagoma che ondeggiava, insieme ai contorni dell'aula e dei compagni, di fronte alla sua vista annebbiata. I brividi di freddo ed il sudore tornarono in tutta la loro prepotenza. Udì una voce vicina:

"Mori-kun, stai male? Perché tremi così?".

Sentì se stesso rispondere un vago:

"Tutto bene, credo di avere solo un po' di febbre...".

Poi qualcun altro lo chiamò, forse anche il professore:

"Mori-san?".

"Ma si è addormentato?".

"Non è sonno, ha perso i sensi".

"Ragazzi, qualcuno lo accompagni subito in infermeria!".

Sempre più soffuse, sempre più indistinte, tra esse galleggiava come nell'acqua... ma non era bello come in acqua... in acqua stava bene...

Le sue labbra forse si aprirono, forse sussurrarono qualcosa:

"E'... tutto a posto... non ditelo ai ragazzi...".

Poi più nulla... voleva dormire... aveva un tale bisogno di dormire...

 

***

 

Non poteva crederci... a tutto... aveva risposto a tutto e, a giudicare dai confronti fatti successivamente con i compagni di sventura, se aveva sbagliato qualcosa era proprio poco.

Quando mise piede fuori dall'edificio, i suoi occhi erano sgranati, a palla, era consapevole di somigliare più ad uno zombie che ad un ragazzo di diciotto anni solitamente pieno di energia. Sollevò gli occhi al cielo, accecandosi con il sole, finalmente spuntato.

"Ma come avrà fatto, Shin, ad affrontare gli esami quando ci era richiesta la piena concentrazione come Samurai Troopers?".

Sorrise... il primo sorriso veramente intenso da troppi giorni e non era dovuto al fatto che gli esami fossero andati alla grande... ma perché, finalmente, aveva rivolto il proprio pensiero a Shin, un pensiero che tornava a campeggiare nella sua mente al di sopra di ogni altra cosa.

"La tua stolta scimmietta si farà perdonare, koi, te lo prometto".

Il sorriso scomparve, non sapeva spiegarsi perché, nel momento in cui gli tornarono alla memoria le ultime immagini di Shin, immagini vaghe, rese indistinte dalla sua poca partecipazione a tutto ciò che lo circondava... Shin che lo salutava dolcemente al mattino, che gli dava un bacio per augurargli buona fortuna... Shin che aveva una strana luce negli occhi, un aspetto sofferente sotto al suo onnipresente sorriso.

Forse... forse Shin non stava bene?

"E io... io non me ne sono accorto?" mormorarono le sue labbra.

"SHUUU!".

Sussultò, poi corse allegramente incontro ai due ragazzi che saltellavano verso di lui agitando freneticamente le braccia.

"Allora, com'è andata?" lo interrogò Ryo, assalendolo con il suo caloroso abbraccio.

"Benone direi e tu? Mi sembri in forma!".

"Stranamente credo di non aver fatto eccessivi danni!" Rekka indicò il ragazzo al suo fianco. "Ho chiesto rassicurazioni a Touma riguardo a molte risposte e... mi ha detto che erano giuste...".

"Secondo me è andato bene" ghignò il samurai dell'aria.

"E tu? Neanche da chiedertelo, vero?" lo apostrofò Kongo dandogli un pugnetto affettuoso sul braccio.

"Oh, non si può mai sapere" cantilenò Touma, intrecciando le mani dietro la nuca e sollevando gli occhi al cielo.

"Risparmiaci i tuoi dubbi pseudo-amletici, Touma...".

Alle loro spalle giunse Seiji, con passo rilassato.

"Pseudo-amletici?".

"Perché sono infondati piccolo panda".

"E poi non sei nemmeno bravo a recitare!" aggiunse Ryo con una risatina.

"Grazie tante eh...".

"Shin non dovrebbe essere già qui?".

Tre paia d'occhi si puntarono su Shu, prima di scambiarsi sguardi significativi.

"Sei tornato a parlare di lui Shu...".

"E anche a pensarlo...".

"Io penso sempre a Shin!".

"Ammettilo scimmietta... negli ultimi giorni c'era qualcun altro nei tuoi pensieri..." punzecchiò con un sorrisetto Touma.

"Quello è un fantasma, non qualcuno!".

"Sicuro!".

"Però... lui... lui sembrava... strano...".

"Shin?" chiesero in coretto Touma e Ryo.

"Il nostro pesciolino è un po' influenzato..." pronunciò infine Seiji, gli occhi puntati sul sole ancora pallido: il vento era talmente freddo che il calore nemmeno riusciva a posarsi sulla terra, c'era ancora odore di neve nell'aria.

"Influenzato? E tu come lo sai?".

Tutto d'un tratto tre paia di occhi lo stavano guardando con grande ansia: Shu e Ryo, in particolare, sembravano sul punto di saltare al collo di Seiji per averli tenuti all'oscuro.

"Lui voleva tenercelo nascosto, sapete..." e le iridi violette si spostarono su Kongo e Rekka. "Proprio perché, conoscendovi, avreste fatto un tale casino che avreste trascurato gli studi. In realtà l'avremmo fatto tutti...". Gli occhi si socchiusero alla vista dell'aria deprimente che si era posata sui due ragazzi. "Ovviamente sono mie considerazioni".

"Effettivamente non siamo stati di grande aiuto in questi giorni..." aggiunse Touma con aria meditabonda. "Cucinava, rassettava e ci sopportava, soprattutto. Il tutto continuando a frequentare i corsi...".

Seiji sospirò, per una volta d'accordo con le osservazioni schiette ma veritiere di Tenku.

"Dato che non si fa vedere, potremmo andare a prenderlo noi".

"Non me lo faccio ripetere due volte!" esclamò Shu, le guance gonfie di irritazione e nervosismo: i suoi passi veloci lo portarono a sfrecciare nuovamente nel cortile dell'Università, Ryo subito dietro, Touma e Seiji con passi più calmi ma non meno preoccupati.

"Dici che era influenzato...?" chiese Touma con una punta di sospetto.

"Direi febbricitante, almeno stamane" rispose Seiji con un sospiro.

"Lo immaginavo".

"Davvero?".

"Dal tuo sguardo non era una semplice influenza. Ma sei stato cauto per quei due".

Seiji guardò per un attimo il compagno, sorrise, poi guardò verso le schiene esagitate dei due ragazzi più avanti: si stavano addentrando nell'ala di biologia dell'università, ignorando tutto quello che li circondava.

"Credo di aver fatto bene".

"Non credere. Hai fatto bene, davvero".

Entrarono anche loro all'interno dell'ala, un brusio leggero di voci in sottofondo, un corridoio lungo e luminoso, visi sorridenti.

"RAGAZZIIIIIIIIIII!!!" le voci in coro di Shu e Ryo fecero sobbalzare Seiji e Touma che, con un sospiro, alzarono degli sguardi condiscendenti verso i due.

D'un tratto la furia di Rekka li travolse e i due si ritrovarono, in pochi secondi, a correre per i corridoi verso un punto non ben definito trascinati dal tigrotto.

Si fermarono solo quando raggiunsero un'ala più tranquilla, quasi priva di persone: una porta bianca su muro bianco, l'insegna dell'infermeria.

Ryo, finalmente, si voltò verso di loro con quegli occhi e quell'aria e quell'espressione che...

"Shin è svenuto! È distrutto! È... è... non ha retto la lezione e... e...".

La voce era quasi rotta dal pianto, testardamente trattenuto negli occhi blu, ma si vedeva quanto fosse difficile per lui controllarsi.

Seiji sospirò, si era aspettato quel risvolto negli eventi, poi mise una mano sulla spalla di Ryo e sussurrò alcune parole:

"Shin-chan era solo molto stanco... e ora ha un po' di febbre. Ma starà bene, Ryo...".

"Ma... è... è colpa...".

La mano di Touma scese sulla bocca del ragazzo, prima che se ne uscisse con una delle sue affermazioni un po' paranoiche.

"Ryo, entriamo..." e se lo trascinò dentro la stanza, seguito da Seiji, le mani affondate in tasca.

La camera bianca giaceva in un tepore tenero, accogliente: vi erano quattro letti, due su ogni lato della stanza, alla cui estrema sinistra accoglieva l'angolo del medico della facoltà che, al momento, stava scribacchiando qualcosa al proprio tavolo: alla loro entrata si voltò a salutarli ma non ci fecero molto caso quando, davanti ai loro occhi, comparve il letto occupato da Shin e la figura di Shu silenziosamente poggiato ad esso con un'espressione perduta e dolente. Shin era pallido e stanco, sul volto era dipinta un'espressione un poco sofferente e sulla fronte brillavano piccole gocce di sudore: ora che lo guardavano un poco meglio, un poco più svegli e attenti, poterono notare anche il leggero dimagrimento del ragazzo, il polso, sfuggito alle lenzuola, che sembrava tanto sottile da potersi spezzare sotto il semplice tocco di una mano.

Shu, chino su di lui, non parlava, a malapena si sentiva il suo respiro: gli occhi erano pieni di Shin e, così pieni, sembrava volessero scoppiare di amarezza e sensi di colpa. Era sull'orlo di una tempesta di lacrime.

"Non dovete preoccuparvi così..." alle loro spalle giunse la voce del medico a rassicurarli. "Mori-kun è forte, è solo molto stanco. Gli ho dato qualcosa per calmare la febbre. Dovete farlo dormire e riposare più che potete...".

L'uomo si avvicinò al letto, la figura imponente e anziana fu l'unica cosa che distrasse i ragazzi dal loro principale interesse: aveva un'aria un poco arcigna, ma dava l'idea di sapere il fatto suo.

"Dottore, lei crede che..." Ryo, sfuggito alla presa di Touma, si avvicinò con fare a mezza via tra il preoccupato e l'agguerrito, come se non si fidasse completamente dell'uomo.

"Ragazzino, Mori-kun è solo bisognoso di un po' di cure e attenzioni. Fra qualche giorno sarà di nuovo in piedi a zompettare per tutto il dipartimento!".

"Zompettare?" chiese dubbioso Seiji, come se non concepisse un tale linguaggio da un adulto. "Questo ragazzo è un continuo spostarsi tra classi e professori: è disponibile e interessato, brillante e gentile. Qui dentro lo conoscono tutti".

Quattro paia di occhi si scambiarono sguardi silenziosi di sorpresa e ammirazione assieme: era Shin, il loro Shin anche lì. E perché mai stupirsi?

Forse, anzi, erano un poco gelosi di quel lato a loro sconosciuto.

"Voi siete i suoi nakama, vero?".

I ragazzi strabuzzarono gli occhi e fu solo Touma, con un impeto di gelosia, a rispondere per tutti loro.

"Certo che siamo i suoi nakama, noi".

Un sorrisetto condiscendente si disegnò sui contorni dell'uomo, mentre li abbandonava nell'infermeria scusandosi per un caffè.

"Che tipo" mugugnò Touma.

"Come sta, Shu?".

Il riccio capo nero tornò a fissare la figura addormentata di Shin, una mano salì sul viso ad accarezzarlo e il volto pallido tremò al tocco della pelle fresca di Shu.

Lentamente, gli occhi di Shin fluttuarono aperti su di lui e Kongo, teso verso il compagno, lasciò andare un sospiro simile a un rantolo mentre si immergeva in quelle due profondità verdi-azzurre.

"Shin...?" il sussurro di Shu fece sbattere gli occhi di Shin un paio di volte, prima che il ragazzo li spalancasse con una certa ansia su di loro.

"Shin, come stai?".

"Shin-chan, mi dispiace!".

"Ryo...".

Un sospiro e Seiji mise a tacere con uno sguardo Touma e Ryo che si erano arrogati il lato opposto del letto, uno che cercava di trattenere l'altro dal saltare al collo di Shin.

"Shin... allora, come stai?".

Il capo del malato si scosse, come a voler fare chiarezza nella propria testa obnubilata dalla febbre.

"Cosa ci fate qui? E... gli esami?!".

L'agitazione avrebbe avuto la meglio su di lui se Shu non l'avesse respinto dolcemente sul cuscino, posando un leggero bacio sulla fronte.

"Tutto bene Shin. Li abbiamo fatti... e sembra sia andato tutto bene. A tutti".

Shu cercò di abbozzare un sorriso da accompagnare a quelle parole, ma ne uscì una smorfia e si dovette trattenere dal mettersi a piangere.

"Davvero?".

Il sorriso che nacque sulle labbra di Suiko rasserenò per un momento i quattro ragazzi, prima che di nuovo si scatenassero in uno sproloquio di frasi frustrate e recriminazioni e, ancora una volta, sensi di colpa.

"Shin, perché l'hai fatto?".

"Dovevi dircelo che eri stanco! Hai esagerato con noi!".

"Sei troppo buono con noi...".

"Siamo stati dei bastardi!".

"Seiji dice che non ce lo volevi dire perché temevi che... noi... ci preoccupassimo e che..." gli occhi di Shu il quale, con il suo sussurro, aveva messo fine alla valanga di voci, si annebbiarono di lacrime e non riuscì a fugarne una che scivolò lentamente fino al collo.

Shin, stordito anche da tutte quelle parole, riuscì solo ad alzare una mano verso la guancia di Shu e ad accarezzarlo.

"Mi spiace avervi fatto preoccupare..." richiuse gli occhi, respirando a fondo. "Ma ora... ora va... tutto bene".

"Shin, sei un testone. Più di Touma e Ryo messi assieme. Non minimizzare sulle tue condizioni...". Giunse infine la voce della ragione, Seiji. Sembrò voler fulminare con lo sguardo Shin che aveva riaperto gli occhi, imbarazzato e troppo stanco per ribattere. Però non fulminò e non recriminò oltre.

"Ma noi siamo i principali colpevoli della tua situazione... gli esami erano duri, ma abbiamo approfittato della tua gentilezza e della tua totale disponibilità".

"Seiji... io... non...".

"No, koi! Non azzardarti a negare... io in particolare sono stato un bastardo insensibile. Quasi non ti parlavo più... e ti ho trattato come...".

"Come un gorilla invece che una tenera scimmietta..." se ne uscì Touma dal suo angolo. Shu lo guardò ma non poté fare a meno di annuire.

"E poi ci hai viziati... e coccolati... e hai soddisfatto i nostri... i nostri..." Ryo si ritrovò a corto di parole, mentre gli occhi non riuscivano ad abbandonare il pallore del viso di Shin.

"...i nostri capricci, già" finì la frase, nuovamente, Touma.

Poi, d'un tratto, alle loro spalle giunse un'altra presenza che, con un sonoro sbuffo si annunciò.

"Se avete finito con le vostre confessioni, allora potete anche portarlo a casa".

Il dottore, bicchiere fumante in mano, guardava dal suo angolo l'intera scena, un sorriso ironico sulle labbra.

"Ma... è gelato fuori e...".

Un gesto imperioso mise fine al discorso di Ryo che guardò l'uomo con aria agguerrita e testarda.

"Fra dieci minuti posso riportarlo a casa io in auto. Oh, e anche qualcuno di voi se volete".

I quattro ragazzi si guardarono l'un l'altro stupiti e intimiditi, poi fu Shu a parlare:

"Sarebbe davvero gentile da parte sua, dottore...".

L'uomo abbassò il capo sorridendo e tornò al proprio lavoro d'ufficio.

"Poche formalità, in fondo è mio dovere di medico".

 

***

 

Ryo e Touma furono i primi ad arrivare, usciti in anticipo per sistemare la camera di Shin e 'prendersi cura della casa' come avevano sentenziato uscendo dalla facoltà. Seiji li guardò stranito, quasi preoccupato, Shu sospirò non perdendo di vista il suo malato che, in uno stato di dormiveglia, percepiva ogni cosa come in uno strano sogno.

Poi, quando fu il momento di uscire, Shin insistette per camminare sulle proprie gambe e dovette intraprendere una lotta intestina con Shu e Seiji per questo finendo, comunque, per essere portato alla macchina aggrappato alle spalle di Shu. Il viaggio fino a casa fu relativamente breve, la neve sulle strade era quasi inesistente ed era ancora presto perché il traffico potesse dar fastidio ai viaggiatori.

Giunti davanti a casa, Shu si affrettò a portare al caldo Shin, mentre Seiji ringraziava il dottore.

"Prendetevi cura di lui più di quanto lui non abbia fatto con sé in questi giorni. Immagino glielo dobbiate" un sorrisetto sornione adornò ancora il viso dell'uomo.

"Lo faremo... dottor?".

"Shibata".

"Grazie dottor Shibata".

Con una sgommata improvvisa che lasciò stranito Seiji, la macchina partì portandosi via in pochi secondi il dottore dalla lingua lunga e dallo sguardo profondo: che il loro rapporto fosse così chiaro agli occhi anche di uno sconosciuto lo metteva, senz'ombra di dubbio, un poco a disagio.

Con un sospiro, però, il ragazzo si lasciò alle spalle anche quel pensiero ed entrò in casa.

Quando aprì la porta, la prima cosa che sentì fu la voce di Shu che parlava tra sé con aria seccata.

"Non ci credo... proprio...".

"Che succede, Shu?".

Il ragazzo interpellato stava scendendo le scale – evidentemente aveva appena messo a letto Shin – e aveva un'espressione quasi disgustata sul viso.

"Succede che faccio davvero schifo".

"Prego?!".

"La mia parte di camera è oscena ... non ho scuse per averla ridotta a quel modo".

Ai piedi delle scale, Shu aveva l'aria contrita di un cagnolino che ne ha combinata una delle sue.

"E ora che Shin non sta bene non posso nemmeno fargliela trovare pulita perché finirei per disturbare il suo sonno e non voglio. Mi sento inutile...".

Seiji riuscì a malapena a trattenere un sorriso, perché Shu era realmente affranto, anche se la questione non era poi così importante come gli appariva ora.

"Allora andiamo a preparargli qualcosa da mangiare...".

Shu scosse la testa, accorgendosi solo allora di un certo profumo che proveniva dalla cucina.

"Saranno i ragazzi ...?".

"Ma Ryo e Touma sanno cucinare?".

Seiji alzò le spalle, uno sguardo incerto.

"Vivendo da soli ... immagino che qualcosa abbiano imparato".

"Lo spero. Altrimenti Shin si ritrova anche con la cucina disastrata".

Dall'altra parte della cucina, cominciarono a sentire la voce concitata di Touma che parlava, apparentemente, con nessuno.

"E quanto deve bollire? Mmh ... e ... aspetta ... il sale quanto dicevi?".

Ci fu un eloquente scambio di sguardi tra Seiji e Shu, prima che varcassero dubbiosi la soglia: Touma, un buffo grembiule di Shin stretto ai fianchi, stringeva tra la spalla e la guancia il portatile di casa e teneva in mano un cucchiaio e una busta di preparato di miso.

"Ne sei certa ... certo che dubito ... no, papà non era meglio di te ai fornelli ... ma no è che-".

Lo sguardo di cobalto ricadde sui due nuovi arrivati e il viso del ragazzo si scompose in un'espressione a dir poco imbarazzata.

"No, mamma ... ok, chiedo a Shu, è qui. Sì, te lo saluto ... e anche i ragazzi ... sì ... e ti faccio sapere per Shin. Ok, ciao".

Il click della cornetta mise fine all'aria di trattenuta serietà di Seiji che dovette nascondere la risata che proruppe da lui dietro a una mano. Shu recuperò un po' di vivacità e di sorriso a quella visione in grembiule, ma fu più lesto nel rubare gli attrezzi del mestiere a Touma.

"Cosa volevi preparare?".

"Zuppa di miso?".

"Un cuoco di prim'ordine!".

"Scusa tanto, genio dei fornelli. Ma voi tardavate e volevo far trovare qualcosa di pronto per Shin".

Seiji arrivò da dietro a scompigliargli i capelli, poi scrutò lo stato della cucina, tutto ancora intatto.

"Tou, Ryo dov'è?".

"E' andato a fare la spesa".

"Ryo?!" esclamarono i due compagni guardandosi allibiti.

Dietro di loro giunse il lungo suono di uno sbadiglio: Byakuen, svegliato dalle loro parole, alzò il muso con aria incuriosita e si guardò attorno.

"No, Byakuen..." sospirò Touma. "Ryo non è ancora tornato... spero riesca nell'impresa...".

Lo sbuffo che Byakuen diede in risposta sembrò quasi una risata mal celata: Seiji e Shu, però, non sembravano della stessa idea.

"Ryo è andato a fare spesa?".

"Tou, vedo comunque più te a fare spesa di Ryo!".

"Grazie Shu... lo devo intendere come un complimento?".

"Ammettilo Touma, non sei pratico in queste cose... ma te la sai cavare meglio di Ryo".

"Ma dovete stressare me? E Shin come sta?".

Shu si diede uno scossone, diede poche ma precise direttive a Touma sulla cucina e filò poi al piano superiore.

I due rimasti si guardarono un momento in silenzio, prima che Seiji riaprisse bocca.

"Allora mi occupo io di risistemare le camere".

"Io finisco con questa...".

"Non bruciare nulla".

"E tu non rompere nulla".

"Io non sono Shu".

"E io non sono Ryo, quindi...".

Seiji si richiuse la porta dietro le spalle e risalì al primo piano, dove trascorse il resto della giornata: lasciò che Shu coccolasse Shin e fece la sua parte di lavori, rimanendo allibito dal disordine di Ryo ma, ancora più, dal proprio.

A piano terra, Ryo era rientrato dopo un'ora, carico di cose richieste e molte, troppe cose che Touma si chiedeva come fossero finite dentro i sacchetti.

"Cosa ce ne facciamo di uno smacchiatore per macchie impossibili?".

"Aiuterà Shin quando deve lavare i vestiti".

"Non siamo dei bambini che si versano addosso di tutto".

"Ma almeno, se servirà, l'avrà a portata di mano".

Touma sbuffò, prima di aprire un altro sacchetto e sobbalzare sorpreso.

"Dove la mettiamo tutta questa?".

"Era in offerta. E a Shin piace tantissimo...".

"Ma è una fornitura per un anno!".

"Ma non andrà a male...".

L'aria innocente di Ryo fece morire ogni replica in Touma: però, una quantità simile di cioccolata non era normale. Quando ebbero sistemato la spesa e la zuppa di miso sembrò aver miracolosamente finito per cucinarsi, Ryo cominciò a muoversi nervosamente per la stanza.

Al che Touma, per la disperazione, gli rifilò un vassoio con una ciotola di miso coperta, un piattino con alcuni pezzi di cioccolata e un bicchiere d'acqua.

"Ryo, mi raccomando..." lo schernì Tenku osservando la rigidità nei movimenti del ragazzo.

"Non fare l'ansioso, arrivo fino alla camera senza fare danni".

Il ragazzo del Kansai aspettò che Rekka fosse in cima alle scale per scoppiare in una risata: beccarsi lui dell'ansioso, proprio…

***

 

Una mano sulla fronte calda, l'altra sulla guancia arrossata, Shu contemplava il viso stanco ma rilassato che dormiva senza fare alcun rumore. Sembrava un neonato al sicuro della propria culla, il viso sgombro di preoccupazioni – per una volta, almeno quella volta – forse cacciate dai fumi della febbre, forse dalle preoccupazioni per i loro esami, ormai crollate. Avrebbe voluto vederlo sempre così, anche se la febbre un po' lo preoccupava: certo, razionalmente parlando, era una semplice febbre, ma ...

Accidenti a lui, era anche colpa sua ... doveva sempre controllare che Shin non esagerasse con se stesso. Perchè non aveva mai mezze misure ... se si dava a qualcosa o qualcuno, allora era uno slancio che sembrava più simile a una caduta libera in uno strapiombo.

E la sua salute? La sua protezione?

Una mano abbandonò la guancia ed andò a sorreggere il suo viso, l'altra andò ad accarezzare le ciocche rossastre e scompigliate: quella frangetta da ragazzino che su di lui era così buffa e perfetta. Una volta l'aveva preso in giro e Shin aveva gonfiato le guance in esasperazione: era estremamente carino quando abbandonava quel ruolo autoimposto di adulto responsabile e si lasciava andare a quelle uscite da semplice ragazzo.

Se l'avesse fatto anche nei giorni precedenti, in quel momento sarebbe stato bene e molto più in forma di loro.

Eppure ...

Eppure Shu sapeva, anche senza pensarci, che non l'avrebbe comunque mai fatto. Perchè non era questione di comportarsi da adulti, di fare il responsabile o qualche altra sciocchezza.

Shin era Shin.

E Shin era questo.

Era aiutare, seguire, amare, sopportare, sorridere e appoggiare.

E non era solo una questione dei giorni precedenti.

Era qualcosa che riguardava il sempre e il dovunque.

Il cuore gli si strinse e si ritrovò a baciarlo, delicatamente, senza quasi rendersene conto.

"Scusami koi... scusa..." mormorò a fior di labbra, prima di ritrarsi al rumore della porta che si apriva.

Era Ryo che portava un vassoio con sé.

"Come sta?" sussurrò il ragazzo con aria intimidita e preoccupata assieme.

"Dorme... è caldo, ma meno di prima. La medicina deve avergli fatto effetto... stasera prenderà un'altra pastiglia, per essere sicuri".

"Sei sicuro Shu?" gli occhi blu di Ryo saettarono da lui a Shin e Shu dovette prendergli di mano il vassoio, prima che ne rovesciasse il contenuto per il tremore.

"Ne sono sicuro Ryo, davvero..." e, così dicendo, gli prese un braccio e lo trascinò a sedersi con lui sul proprio letto. Poi, una mano andò a scompigliargli i capelli. "Sono preoccupato anche io... ma, dobbiamo ammettere che, fortunatamente, è solo febbre. E la medicina del dottore funziona benone".

Ryo scosse la testa, senza staccare gli occhi da Shin.

"Non dovevo farlo uscire quel giorno...".

"Quando?".

"Quando nevicava così tanto... e lui è andato fuori a far la spesa, senza pensare al freddo che faceva".

"E' proprio da lui...".

"E lui che diceva che la neve è sempre acqua...".

"Già, proprio da lui...".

"Ed è tornato con un sorriso sulla bocca e..." Ryo richiuse la bocca e alzò gli occhi verso Shu. "E anche quello è da lui...".

Shu gli rispose con un sorriso un po' malinconico, prima di gettare un'occhiata al cibo che era stato portato. Sorrise alla coppa fumante di miso, ma quando giunse al piattino strabuzzò gli occhi.

"Touma ha messo la cioccolata?".

"No, sono stato io. Shin avrà bisogno di energia".

Gli occhi scuri di Shu presero un tono di rimprovero mentre affondavano in quelli brillanti del compagno.

"La cioccolata a un febbricitante?!".

Il tono di voce era alto, ma Shu non si rese conto del proprio errore.

"Ma la cioccolata fa bene... dà energia e anche buon umore!".

"La cioccolata gli farebbe alzare la febbre!".

"E come potrebbe?!".

Shu scosse la testa, già sconfitto dall'ingenuità esasperante del ragazzo: prese un pezzo di cioccolata, lo ficcò in bocca a Ryo e pensò, invece, a svegliare Shin.

Il ragazzo aprì gli occhi a fatica, lamentando il sonno in preda alla stanchezza, mentre Shu si scusava e lo sistemava per dargli da mangiare.

"Shu, sono capace...".

"Lascia fare...".

"Shu... per-perché Ryo ha della cioccolata?".

"Perché..." e un sospiro – dovuto, ispirato, esasperato ma, sotto sotto, divertito – lo scosse. "Perché ha pensato a te. Ma non alla tua febbre".

Il sorriso che nacque sulle labbra di Shin ripagò Ryo dell'errore commesso; felice come un bambino, Rekka disse che sarebbe andato a prendere qualcosa di più adatto e corse fuori dalla stanza.

Shu poggiò la ciotola di miso alla bocca di Shin e questi bevve senza far storie, con uno sguardo incuriosito.

"Oh, se ti stai chiedendo chi lo abbia preparato è stato Touma. Sotto istruzione mia e di sua madre. Miracoloso, vero?".

Shin scostò la bocca dalla ciotola e sorrise, quasi divertito.

"Touma?".

"Sì, il genio ai fornelli. Ryo è andato a fare spese e Seiji... immagino stia sistemando le camere dal rumore".

Lo sguardo di Shin si adombrò per un momento e Shu capì immediatamente quale strano pensiero gli stesse passando in testa.

"Facciamo la nostra parte. E non recriminare sul fatto che siamo reduci dagli esami... se non fosse stato per te, non saremmo giunti così in forma. Siamo stanchi, ma non siamo malati. Perché qualcuno ha pensato alla nostra salute... invece che alla propria...".

Shin abbassò lo sguardo e stava per ribattere quando rientrò in camera Ryo seguito da Touma e Seiji.

Stavolta, tra le mani di Ryo, una ciotola di riso bianco e delle verdure cotte al vapore.

"Ben svegliato Shin, come ti senti?" disse Seiji.

"Sono riuscito a usare anche la macchina per il riso... e senza incendiare nulla" fece Touma con un sorriso schernitore.

Shin ricambiò quello scambio di sorrisi e se ne uscì con una frase che non sorprese affatto gli amici:

"Mi dispiace di lasciarvi tutto...".

"Tutto da fare? Shin, mi stupisco di come tu riesca a fare tutto da solo" se ne uscì Seiji, le braccia incrociate davanti al petto. "Siamo dei tali disordinati... per non parlare dello sporco che facciamo".

"E parliamo della cucina!" si intromise Touma con aria quasi esasperata. "Come fai a giostrarti là dentro? Ci sono talmente tanti cassetti che mi son quasi perso e poi... come... accidenti Shin, come fai a cucinare così?".

"Così bene, intendi?" fece Shu con un sorriso intenerito.

"Certo che intendo quello!".

"Non pensate che fare la spesa sia facile. Tutti che ti dicono di comprare i prodotti giusti... e io non... non capisco la differenza tra la salamoia e il sottaceto. E credo di aver comprato anche... tante cose inutili...".

I ragazzi parlavano tra loro, confrontando le loro prime esperienze, mentre Shin, intenerito, colpito al cuore da un'ondata di immenso affetto per quei quattro esseri straordinari, non riusciva a trattenere una risata tra le lacrime.

Davvero, cos'era successo?

Giunse una mano sulla guancia a farlo sussultare di sorpresa e trovò gli occhi scuri e intensi di Shu che lo ammiravano senza una parola.

Cos'era successo... c'era forse da chiederlo?

Guardava in quegli occhi pieni d'amore, percepiva la presenza calorosa dei ragazzi, sentiva le loro parole di ammirazione e le scuse che fioccavano sul suo capo, innocenti e sentite e sapeva... lo sapeva cos'era successo.

Shin si abbandonò al cuscino e i suoi occhi fluttuarono chiusi cullati dalle loro voci che, intrecciate le une alle altre, sembravano suonare una trascinante nenia piena d'amore.

 

Byakuen

Quando si parla di stendere un tappeto rosso sul cammino di qualcuno, s'immagina spesso di trovarci di fronte qualcuno di famoso, importante come un re o un uomo straordinariamente potente.

Non si pensa quasi mai alle persone che, davvero, meriterebbero un trattamento simile.

Si pensa a un merito dato da una posizione, ma mai a quello dato dai tuoi gesti, dai tuoi pensieri, dalla tua umiltà: si attribuisce ad esso un carattere sbagliato.

Il tappeto rosso, l'onore e il rispetto, l'amore e l'ammirazione, sono tutte cose che, più di tutti, una persona apparentemente semplice dovrebbe ottenere: non per una posizione, ma per un sorriso gratuito. Non per nascita, ma per una cieca generosità. Non per una corona o una medaglia, ma per l'amore che un gesto, anche semplice, compiuto ogni giorno esprime nella sua accezione più assoluta.

Il tappeto rosso è intrecciato da fili di riconoscimento e amore, dal ricambiare i gesti perché non si può fare altrimenti, dall'ammirazione per un ruolo che passa quasi inosservato ma senza il quale, probabilmente, nessuno di noi potrebbe vivere nel più giusto dei modi.

La notte è il regno dei sogni, dicono addirittura che sia il momento più solitario ed intenso in cui ci immergiamo. Siam preda di ciò che ci tormenta e sovrani di ciò che più amiamo, ma in solitudine.

Ma se guardo questi cinque piccoli esseri, prede di sonno e stanchezza, non vedo cinque solitudini, ma cinque anime incapaci di abbandonarsi anche quando la mente è dormiente.

Chi con un abbraccio, chi stringendosi una mano, ognuno di loro dormirà forse un sonno privo di sogni o di incubi.

E le loro menti e i loro cuori saranno pieni l'uno dell'altro.

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