Fragile di FairySweet (/viewuser.php?uid=103013)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Solo ***
Capitolo 2: *** Tra le braccia di un Sogno ***
Capitolo 3: *** Senza Fiato ***
Capitolo 4: *** Solo il tuo Respiro ***
Capitolo 5: *** Sogni che si infrangono al Mattino ***
Capitolo 6: *** Lento Cambiamento ***
Capitolo 7: *** Il mio Futuro ***
Capitolo 8: *** Attimi ***
Capitolo 9: *** Respira con Lei ***
Capitolo 10: *** Sarà Così ***
Capitolo 11: *** Io non ti Odio ***
Capitolo 12: *** Ridammi il mio Papà ***
Capitolo 1 *** Solo ***
Solo (Fragile)
Solo
Fragile
come un respiro sussurrato a fior di labbra, fragile come un sogno di
cristallo che rischia di crollare. Lei era così, bella,
delicata, forte ma teneramente fragile, i suoi occhi di mare persi nel
cielo e quell'ombra celata dal cuore che nascondeva la solitudine,
fragile come quel maledetto profumo di sole che gli invadeva i sensi,
perfido e violento, così forte da riuscire a stordirlo.
Quante volte l'aveva
osservata, quante volte era rimasto in silenzio, nascosto da sguardi
indiscreti per il semplice bisogno di spiarla, per riuscire a rubarle
ogni stupida espressione del viso, ogni sorriso e ogni leggerissimo
sguardo con il solo terrore che, senza preavviso, la sua fottuta
memoria decidesse di cancellarla per sempre dalla sua vita.
Non aveva mai immaginato
di provare qualcosa del genere, ma quegli anni passati a rincorrerla
inconsciamente, nonostante i continui battibecchi, nonostante le paure
e la rabbia nel vedere quell'angelo trasformato in qualcosa che non
era, modificato e costretta a diventare uno spirito incorporeo
custodito tra le braccia di un uomo sconosciuto, quegli anni dolorosi e
vuoti tornavano violentemente ad affacciarsi, ripetendo continuamente
le stesse quattro parole “Tu non la meriti”.
Ci aveva messo anni,
troppi anni per capire quanto realmente amasse quella donna, il suo
corpo, la sua voglia di vivere in netto contrasto con quel dannato
carattere contorto e sconclusionato che lo costringevano ad essere
sempre e solo uno stronzo.
Parlare, sorridere,
perfino respirare diventava difficile quando quegli occhi profondi lo
accoglievano nell'immensità del suo sguardo.
Parole sussurrate nel vento, un ricordo che tornava continuamente davanti ai suoi occhi ...
“Stai davvero bene?” ma lei non rispose, solo quel
maledetto sorriso, così lieve da sembrare finto “Ti
conosco bene Lisa” continuava a spiarla cercando di leggere nei
suoi occhi ogni cosa ma lei evitava il suo sguardo, si concentrava
sulla forma delle nuvole, sull'azzurro del cielo e sulle urla gioiose
dei bambini. I capelli dolcemente scompigliati da un leggerissimo
venticello e il viso arrossato e accuratamente nascosto al suo sguardo
“Non puoi prendermi in giro ...” le strinse una mano
tirandola leggermente verso di sé “Cosa mi nascondi”
un altro sorriso e quel polso esile che dolcemente scivolò fuori
dalla sua presa ... quanto aveva odiato quel silenzio crudele tra loro.
Niente parole, niente
sospiri, solo un lungo e pesantissimo silenzio che aveva coperto le
emozioni costringendo i loro occhi a fingere.
L'aveva lasciata andare
via, era rimasto immobile in quel parco davanti all'immagine confusa di
quella meravigliosa donna che lentamente se ne andava, lo lasciava solo
con sé stesso, solo con i suoi pensieri.
Lasciava scorrere il tempo senza preoccuparsi minimamente dell'ora, di ogni stupido paziente presente in quel dannato posto.
Aveva trascorso le
ultime ore cercando di dimenticare il dolore alla gamba, l'aveva fatto
nel tentativo di riuscire a pensare ad altro che non fosse una
lancinante fitta che percorreva il suo cervello.
“Sei qui?”
non sollevò nemmeno gli occhi dal foglio, si limitò ad
annuire distrattamente senza prestare la minima attenzione a Wilson o
alle sue espressioni “Vuoi venire a cena da me?” nessuna
risposta, solo semplice silenzio “House?” “Che
c'è?” tolse gli occhiali sollevando finalmente lo sguardo
“Hai sentito cosa ...” “Non ho molta voglia di
parlare Jimmy” “Perché no?” si appoggiò
allo schienale reclinando la testa indietro “Pensieri” ma
lo sguardo curioso del medico non abbandonava il suo viso “Che
tipo di pensieri?” “Solo pensieri” “Non
esistono solo pensieri House! Ci sono pensieri tristi, pensieri felice
e poi ci sono pensieri incomprensibili” “La smetti?”
esclamò ironico “Non hai mai avuto pensieri?” ma
l'altro sorrise “I miei non riguardavano il mio capo” il
solito Jimmy, comprensivo, intuitivo e maledettamente bravo a leggergli
dentro “Non è il mio capo” “Ah no?”
“No, intendevo dire che non è il capo che ricordo
io” la gamba continuava a fare male e nemmeno parlare con il suo
migliore amico riusciva a distrarlo “È diversa” lo
sguardo confuso di Wilson lo fece sorridere “È sempre la
stessa” scosse la testa spegnendo il computer “È
simile a sé stessa ma non lo è realmente, almeno non con
me” “Credo sia soltanto stanca” sollevò un
sopracciglio incuriosito “Sta lavorando da giorni senza
concedersi una tregua, Rachel ha la febbre e in più, sua madre
continua a chiamarla per sapere chi sarà presente domani”
sorrise “Già, sua madre ha la capacità di far
bestemmiare perfino un santo” “Tu ci sarai non è
vero?” ci pensò qualche secondo “Gliel'ho
promesso” prese il bastone “Vado a casa Jimmy, ci
vediamo”
Le aveva promesso che ci sarebbe stato, era solo una promessa strappata con la forza ma era pur sempre una promessa.
Non lo attirava l'idea
di aspettare quello stupido bacio finale che la consacrava a quell'uomo
strano e contorto, lasciò cadere la giacca sul letto, che
diritto aveva lui di scegliere per lei? Avrebbe potuto averla, avrebbe
potuto avere una vita assieme a lei ma si era tirato indietro, starle
accanto voleva dire rovinarla, cambiarla costringendola a vivere a
metà invece che volare lassù, dove l'aria era più
pura e il suo sorriso poteva brillare.
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Capitolo 2 *** Tra le braccia di un Sogno ***
Tra le braccia di un sono 2
Tra Le Braccia di un Sogno
Odiava le cerimonie, odiava dover fingere un sorriso per far felice gli altri ma
più di tutto, odiava dover restare lì dentro ad osservare una scena patetica e dolorosa.
Wilson accanto a lui
continuava a sbirciare la sala gremita di gente con quell'ansia da
damigella che vuole a tutti i costi vedere la sposa “La
smetti?” “Sono solo impaziente!” “Loro
dovrebbero esserlo” esclamò indicando con il bastone
quattro ragazze “Sei una damigella per caso?” l'altro
alzò gli occhi al cielo ridendo “Sembra confuso”
seguì lo sguardo dell'amico “Credo sia solo
emozionato” rispose studiando il viso di quell'uomo “In
fondo si sposa” Wilson annuì convinto da quella specie di
spiegazione “Ti sposeresti al chiuso?” “Sei
impazzito?” “Sto solo immaginando come potrebbe essere il
tuo matrimonio” “Cosa ti fa pensare che io mi sposi?”
alzò appena le spalle ridacchiando “Il dottor House che
prende moglie, devo ammettere che è piuttosto spaventoso”
le porte in fondo alla sala si aprirono dolcemente esigendo dal
pubblico un rispettoso silenzio.
Il suo sguardo si perse
su quel corpo fasciato da un abito color dell'avorio che lentamente li
raggiungeva, i capelli dolcemente sollevati che abbandonavano delicate
ciocche sulle spalle nude.
Quell'apparizione nata
dal nulla l'aveva pietrificato ma non era lei, o l'immagine che aveva
davanti agli occhi ma il suo sguardo, vuoto, perso in qualcosa di
lontano, quegli occhi meravigliosi erano velati da qualcosa di
più che semplice emozione.
Fu tutto eccessivamente
veloce o almeno, era quello che percepiva lui visto che per tutta la
durata della cerimonia era rimasto con lo sguardo incollato al suo
viso, solo quel semplice sussurro era riuscito a riportarlo alla
realtà “Si” i loro occhi si fusero assieme, qualche
secondo e poi di nuovo il vuoto.
“Dove
andrai?” gli sorrise dolcemente continuando a compilare i
documenti “Ancora non ci abbiamo pensato ma questo non è
un grande periodo per organizzare viaggi” Wilson sorrise
mestamente “Stai bene?” la biro cadde sui fogli
“Forse dovremo cambiare ..” “Sto bene”
mormorò portandosi una mano alla testa ma l'altro si
chinò leggermente verso di lei “Non stai bene e non
dovresti essere qui” ma gli occhi della ragazza si piegarono in
un sorriso “Devi dirglielo” una lacrima cadde veloce
“Lo farai soffrire Lisa” “Mi dispiace” una
leggera carezza a sfiorarle la spalla“L'ha capito da solo. Mi ha
detto che non sei te stessa, che continui a nascondere la verità
... lo scoprirà comunque e sarà tardi”
“Perché? Spiegarli cosa succede lo farà ... non
voglio che si senta male James e non voglio che la conseguenza sia il
vicodin” l'oncologo si allontanò da lei “Lo
sarà comunque” afferrò la giacca
“Tornerà al vicodin per convincersi che tutti gli sforzi
fatti fino ad ora, tutti i sacrifici e tutte quelle fottutissime
decisioni prese non siano state inutili” sospirò
passandosi una mano in viso “Senti” gli occhi socchiusi e
il respiro accelerato “Se non vuoi dirgli la verità
d'accordo ma torna a parlare con lui, comportati come tutte le altre
volte” “Credi che non mi faccia stare male?”
esclamò sfinita “Credi che sposare un mio vecchio amico
solo per evitare che lui prenda decisioni avventate sia da me?”
Wilson allargò le braccia “D'accordo ... inizio il giro
delle visite” si chiuse la porta alle spalle lasciandola sola, di
nuovo “Non stai affatto bene Lisa” mormorò
passandosi una mano tra i lunghi capelli scuri, le girava la testa e
faticava a respirare.
Dopotutto era normale
no? Chiuse gli occhi ma perfino così, sentiva il terreno
mancarle sotto i piedi, tremava e pregava il Signore che nessuno
aprisse quella porta.
Solo lei e il silenzio, il suo silenzio, unico compagno di quella maledetta vita ingiusta e senza senso.
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Capitolo 3 *** Senza Fiato ***
Senza Fiato (Fragile 3)
Senza Fiato
Non riusciva a ragionare, non riusciva a
riordinare i pensieri perché quei maledetti occhi chiari gli
tornavano in mente. Era scappato dall'ufficio per avere un attimo di
tranquillità, cinque minuti solo per lui dove poter ritrovare
sé stesso, pessima idea, davvero una pessima idea perché
in quel parco c'era di tutto tranne che la solitudine.
Sdraiato su di un grande
tavolo di legno, si perdeva nelle forme delle nuvole lasciando la sua
fantasia libera di correre qua e là. Voci di bambini e il trillo
allegro dei campanelli delle biciclette a rompere di tanto in tanto la
sua tranquillità “Perché non sei in clinica?”
chiuse gli occhi sorridendo “Da quando parli con me?”
“Non scherzare” voltò appena la testa incontrando i
suoi occhi “Tu smettila di prendermi in giro” Lisa
abbassò lo sguardo sedendosi accanto a lui “Devi tornare
in ospedale” “Non hai delle stupide carte da firmare invece
che rompermi le scatole?” sbottò ironico mettendosi a
sedere “House non ...” ma la voce le rimase bloccata in
gola, ancora un lievissimo giramento di testa, strinse più forte
le mani sul bordo del tavolo “È passato?” le sorrise
avvicinandosi leggermente “Stai meglio ora?” sorrise
cercando di mascherare quel dolore ma fingere davanti a lui era
terribilmente difficile “È solo un leggerissimo capogiro,
non ho mangiato molto” ma lo sguardo dell'uomo non la lasciava un
secondo “Stai mentendo” mormorò “Stai provando
a sviare il discorso ma non ci casco” si alzò passeggiando
avanti e indietro, la gamba si era addormentata “Ti fa
male?” annuì distratto “House non ...”
“Basta” la interruppe secco “Quando hai intenzione di
raccontarmi la verità potrai parlare con me, prima di allora
sparisci perché non sono in vena di scherzare” “Ero
solo preoccupata per te tutto qui” “Sto bene mammina.
Vattene via, perderai l'aereo e non voglio che la tua prima settimana
di nozze sia un totale disastro” la vide tremare violentemente
nascondendo il viso, piangeva, ne era sicuro perché quel
leggerissimo movimento delle labbra poteva significare solo quello ma
cosa gli importava? L'avrebbe presa a schiaffi, continuava a mentirgli
tenendolo lontano dai suoi pensieri, quel fottutissimo silenzio che si
ostinava a convivere con loro lo stava massacrando “Scusa”
un sussurro, una parola semplice e quasi senza senso, si sedette di
fronte a lei costringendola ad alzare lo sguardo “Parla”
gli occhi fusi in quello specchio d'acqua invaso dalle lacrime
“Cosa ...” “Dimmi cosa c'è che non va
altrimenti giuro che ti do uno schiaffo” sospirò
giocherellando con una margherita “Pensi che stia
scherzando?” continuò allibito “Guarda che non ci
metto niente Lisa!” il cuore mancò un colpo, non la
chiamava mai per nome e quando lo faceva, la distanza tra loro si
annullava immediatamente.
Sentire il suo nome
pronunciato dalle labbra di quell'uomo la faceva rabbrividire, non era
terrore e nemmeno fastidio ma solo un piacevole e tenero brivido che
raggiungeva il cuore. Sapeva di avere quel potere su di lei, lo sapeva
bene e chiamarla così la costringeva per forza ad aprire il suo
cuore “Io sono ...” era difficile troppo difficile da
raccontare a altrettanto difficile da custodire “Ho fatto
...” il diagnosta sbuffò ridacchiando “Hai rapinato
una gioielleria?” riuscì a strapparle un sorriso
allentando la tensione “Spero che tuo marito riesca a sopportare
questi balbettii” “Ho un tumore” l'aria mancò
di colpo, non riusciva a parlare né a respirare, vedeva il suo
viso ma era sfocato, lontano quasi un fantasma “Stai scherzando
vero?” ma il suo silenzio lo paralizzò.
Improvvisamente il
dolore alla gamba divenne un ricordo perché qualcosa di
più grande ne stava prendendo il posto “Sei sicura che
..” “Glioblastoma” mormorò “Mi dispiace
... volevo correre da te, volevo farlo davvero ma ero terrorizzata
dalla tua reazione” “Hai voglia di scherzare Lisa? Come
diavolo dovrei reagire me lo spieghi?” “Appunto” una
lacrima scivolò silenziosa dalle sue guance “Dirmelo come
poteva disturbarti? Perché cazzo non sei corsa da me”
“Volevo solo ...” “Credevo fosse colpa mia”
lasciò cadere il bastone, urlava, era incazzato ma terrorizzato
da quella stupida rivelazione “Credevo di aver fatto qualcosa di
sbagliato! Sono stato giorni interi chiuso nel mio ufficio cercando di
trovare un motivo, uno stupida spiegazione che potesse far sembrare
ragionevole il tuo comportamento!” la mano della ragazza si
chiuse attorno alla sua “Mi dispiace” non poteva dire sul
serio “Io volevo solo ..” ma i singhiozzi le ruppero il
respiro costringendolo a tremare “Scusa” la strinse a
sé così forte da farle quasi male, sentiva il suo respiro
caldo sul collo e la scia umida delle lacrime a bagnargli la
pelle, rafforzò la presa passandole una mano tra i capelli
“Scusami, non volevo urlare sono solo ... non puoi annientarmi
così” tremò sotto il suo tocco lasciando che quelle
parole entrassero come un uragano dentro di lei “Ce la
farai” sussurrò cercando di trattenere le lacrime
“Ce la farai perché sei forte e non puoi andartene
chiaro?” le mani della ragazza si posarono sul suo petto
allontanandolo dolcemente da lei “Ora sei tu a raccontare
bugie” un leggerissimo sorriso tra le lacrime “Mi hai
lasciato per questo?” “Cosa?” “Mi hai lasciato
e dopo due mesi ti sei sposata, questo è un comportamento che si
addice bene a me ma tu, non centra proprio niente con te. Devo dedurne
che il motivo sia questo” abbassò lo sguardo trattenendo
un sospiro “Che c'è?” domandò preoccupato
“Devo dirti una cosa ma non so come ...” sorrise allibito
“Come puoi distruggermi più di così?” le
lacrime continuavano a percorrere quel viso d'angelo senza tregua,
chiuse gli occhi inspirando “Sono incinta” “Ecco
come” si lasciò cadere sulla panca abbandonando ogni
barlume di ragione “Tu sei ... è così ...”
non ci capiva niente o forse nemmeno voleva “Ecco perché
non ti ho detto niente” sentiva la sua mano posata dolcemente
sulle sue labbra seguendone i contorni “Sono già
spaventata per questo e non volevo che tu ...” “È
...” sorrise appena annuendo “È tuo” un
lievissimo calore saliva leggermente dentro di lui, qualcosa di diverso
dal gelo totale che nel giro di pochi minuti l'aveva annientato
“Wilson cosa dice?” Lisa sospirò sedendosi di nuovo
accanto a lui “Farai la chemio?” “No” la
fissò confuso “Stai scherzando vero?” “Se
inizio a fare terapie e radiazioni farò del male al
bambino” ma quelle ultime parole lo fecero esplodere “Non
mi importa! Non voglio perdere te lo capisci? Puoi avere un altro
bambino ma se muori la vedo parecchio difficile” “È
mio figlio!” “E questo come dovrebbe incidere?”
“Lo ucciderei!” “Non puoi morire tu Lisa!”
scosse appena la testa allontanandosi leggermente da lui “Tu non
capisci” la afferrò per le spalle costringendola ad alzare
lo sguardo “Spiegamelo tu! Cosa dovrei capire? Stai morendo per
colpa di uno stupido legame! Puoi avere altri figli ma non puoi farlo
se finisci a suonare l'arpa su di una nuvola” era diretto, forse
anche perfido ma non sapeva che altro fare “Questo è il
nostro bambino” un sussurro, un pensiero semplice che fino ad ora
non aveva nemmeno ascoltato “Ucciderei il nostro
bambino” ... nostro ...
“Non ti lascio morire per lui” “Non ti lascio
decidere per me” ribatté mestamente “Quando dovrai
scegliere e non ci riuscirai ... Lisa non ...” “Non sei mio
marito. Sono sposata, in caso di bisogno ci sarà Michael a
decidere per me” un ultimo sospiro e poi di nuovo il vuoto
davanti a sé.
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Capitolo 4 *** Solo il tuo Respiro ***
Solo il tuo respiro (Fragile 4)
Solo il tuo Respiro
Aveva
passato tutta la notte in ospedale solo per avere la certezza che lei
ne uscisse sulle proprie gambe. Era terrorizzato dalla sola idea di
poterla perdere ma non poteva costringerla a scegliere seguendo le sue
decisioni.
Era sposata, aveva
legalmente un marito e se qualcosa fosse andato storto lui avrebbe
avuto la procura sanitaria, questo lo faceva incazzare da morire.
Si era sposata per
potergli impedire gesti folli, lo conosceva bene, forse troppo bene ed
era sconcertato dalla freddezza di quella decisione.
“La smetti di
seguirmi?” sorrise scendendo dal bancone delle infermiere
“Sono tre settimane che continui a corrermi dietro, non hai dei
pazienti da curare?” “E tu? Decisioni da prendere?”
ribatté ironico passandole la biro per permetterle di firmare
una cartella ma la mano della ragazza passò a pochi centimetri
dalla sua “Scusa” si affrettò ad aggiungere
arrossendo “Ero sovrappensiero” afferrò la biro
concentrandosi sui fogli.
Quella era una bugia
bella e buona, sapeva che le faceva male la testa e il non essere
riuscita a prendere quella dannata biro era semplicemente un aggravarsi
delle sue condizioni “Hai mangiato?” domandò
all'improvviso giocherellando con il bastone “Cibo vero non roba
da alieni” continuò bloccando sul nascere le sue proteste
“Lo prendo per un no d'accordo?” le strappò di mano
la cartella trascinandola verso l'uscita.
Aveva sopportato la sua
ramanzina per tutta la durata del viaggio, si malediceva per non essere
venuto in moto quella mattina, con un casco in testa di certo le sue
parole sarebbero state soffocate ma lì, in macchina non poteva
evitarlo.
Non era riuscito a
convincerla a mangiare niente di più dell'insalata e ora restava
attonito davanti a quel corpo fragile e sinuoso sdraiato in mezzo
all'erba. Lo sguardo perso sul cielo e le mani che sfioravano
ritmicamente i fiori, si era soffermato sul suo ventre solo pochi
secondi, quasi come se lì dentro vi fosse custodito un
pericoloso virus “Non ti mangia sai?” “Cosa?”
buttò lì confuso “Hai paura di guardarmi”
“Davvero?” ribatté ironico “Precisiamo vuoi?
Hai paura di guardare mio figlio” ecco, ora si che aveva centrato
il punto “Ti svelo un segreto: lui se ne frega di quello che
pensi” posò una mano sul ventre ridendo divertita
“Mi fa piacere che tu prenda la sua vita così sul serio
considerando che, per nascere, ti ucciderà” si
paralizzò, la mano bloccata sulla pancia e il respiro
leggermente accelerato “Scusa” “Si è
mosso” “Cosa?” si voltò appena verso di lui
ridendo “Si è mosso” “Wilson che dice?”
“Riguardo a cosa?” era troppo contenta per dare retta ad
una sola delle sue domande “Riguardo a te e a quel coso” ma
lei scosse la testa sedendosi “Non è una cosa”
esclamò tagliente “Uao, basta solo chiamarlo così
per avere la tua attenzione?” “Proprio non ci riesci
vero?” “A fare che?” ribatté sarcastico
“A giustificare la sua nascita? No!” sbottò secco
“Non ci riesco e non voglio” “Perché?”
“Perché per avere lui perderei te” “Ma saresti
padre” i suoi occhi erano piantati sul suo viso, le mani strette
al ventre come a proteggere quel dono prezioso dal loro litigio
“Ho fatto una scelta, come mai non riesci ad accettarlo?”
“Hai passato anni interi a darmi del bambino, mi ripetevi
continuamente che mi comportavo in modo infantile, che non prendevo
scelte sensate per il semplice motivo che ritenevo la mia vita una cosa
futile e senza valore e ora, tu fai esattamente la stessa cosa”
“C'è questa piccola vita che cresce velocemente dentro di
me. È mio figlio, respira solo se io continuo a farlo. Non posso
fargli del male e non voglio” “E ti diverti a far soffrire
me?” sussurrò malinconico sfiorando l'erba “Non
voglio farti del male” la mano della ragazza gli sollevò
leggermente il viso, sorrideva o almeno ci provava “Voglio solo
che mio figlio nasca, voglio che abbia la possibilità di
vivere” distolse lo sguardo, quegli occhi chiari e profondi
facevano male e sentiva le lacrime iniziare a pulsare violente contro
le palpebre “Come ti senti?” la sentì ridere allegra
“Ho ancora qualche nausea e Rachel continua a chiedermi come mai
mangio tanto”rimase sbalordito da quel nuovo cambio di umore,
sapeva che quel tipo di tumori poteva portare sintomi del genere ma
vederla ridere, sentire di nuovo il tocco delicato delle sue mani e il
profumo del sole lo stordiva lasciandolo in sospeso, immobile come un
cretino ad osservare un raggio di sole.
Passarono cinque minuti
in silenzio, gli occhi che tacitamente si rincorrevano vergognandosi di
quel bisogno costante uno dell'altra “Il ginecologo cosa
dice?” “Procede bene, sta diventando una piccola personcina
forte e decisa” la guardò qualche secondo
“Sarà sempre peggio lo sai vero?” gli occhi della
ragazza tornarono a velarsi “Ho parlato con James ... il tumore
è ancora al primo stadio, senza chemio e radio posso resistere
diciotto mesi ...” si fermò qualche secondo sorridendogli
“Me ne bastano solo nove per donare la vita” le
sfiorò il viso percorrendone i lineamenti “Sei davvero
convinta di quello che fai?” “E tu?” “Non
è il mio corpo ad essere vittima del caso” “Non
è la mia paura a costringermi a smettere di vivere” ecco
la ragazza che ricordava “Starai male, se non ti curi
immediatamente peggiorerai sempre di più” “La smetti
di agitarmi? Lo sono già abbastanza da sola non credo che mi
serva il tuo aiuto” “Cosa farai quando avrai bisogno di
aiuto? Quando sarai talmente stanca da non riuscire nemmeno a sorridere
al tuo bambino” “Ho un marito” quelle parole lo
ferirono più di quanto immaginasse, la mano scivolò
dolcemente via dal suo viso “Sei fortunata raggio di sole”
“Tu credi?” la guardò qualche secondo provando a
mascherare i suoi veri sentimenti ma Lisa lo capiva meglio di quanto
non avesse mai fatto lui stesso “Ho un tumore, tra circa cinque
mesi farò nascere questo bambino e non lo vedrò mai
compiere il suo primo anno di vita. Davvero credi sia fortunata?”
“Mi riferivo al non essere sola” “Ho te” un
sussurro delicato e due diamanti a scrutargli il viso “Sono
sposata è vero ma tu sei il padre di mio figlio e per quanto
continui a negarlo, sarà sempre parte di te e della tua
vita” “E tu? Non sei parte della mia vita?” scosse
dolcemente la testa sorridendo “Sono parte della tua vita da
quasi vent'anni. Siamo stati insieme solo pochi mesi e già mi
manchi da morire ma non possiamo stare assieme altrimenti finirò
col distruggerti e tu farai lo stesso con me” “Ma abbiamo
un figlio in comune” mormorò mesto “Abbiamo un
figlio in comune”
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Capitolo 5 *** Sogni che si infrangono al Mattino ***
Sogni che si infrangono al mattino (Fragile 5)
Sogni che si infrangono al Mattino
C'è chi, appena ricevuto una bella
notizia corre a festeggiare, chi cerca di vivere la vita
spingendola al limite senza paura, chi crede in Dio e grazie a lui
continua a sperare e poi lui ... lui così diverso dal resto
degli idioti.
Lui che aveva quella
strana avversione per l'umanità, un medico geniale
dall'intelligenza nettamente superiore che scompariva terrorizzata
davanti alla grandezza della natura.
Per sei lunghissimi mesi
si era ritrovato incatenato in un lentissimo conto alla rovescia,
spiava Lisa, il suo sorriso e quel ventre delicato che diventava ogni
giorno qualcosa di diverso.
Era terrorizzato da
quella piccola vita che la stava annientando, immobile ad osservare
quell'angelo di cristallo diventare giorno dopo giorno più
debole.
Odiava Lisa e quella sua
stupida forza di volontà, la odiava per averlo costretto ad
amarla, per essere così maledettamente speciale, per tornare
continuamente ad affacciarsi nei suoi pensieri, lei, il suo sorriso, i
suoi occhi di mare che gli leggevano l'anima ogni dannata volta.
Non era pronto a
diventare padre, era tutto sbagliato, lui era sbagliato, il momento era
sbagliato ... come avrebbe fatto a crescere un bambino quando nemmeno
lui era in grado di badare a sé stesso? E se l'avesse odiato una
volta cresciuto? E Rachel? Troppe domande, troppe incertezze e nessuna
risposta.
Come aveva fatto ad arrivare a questo punto? Come diavolo era riuscito a farsi infettare da un amore tagliente e sbagliato?
Sarebbe diventato padre
e avrebbe perso Lisa, cosa c'era di giusto in questa scelta? L'aveva
immaginato segretamente milioni di volte, una casa, una specie di
famiglia e il suo sorriso a cacciare ogni malumore.
Era un bel sogno,
diverso dalla solita vita, un sogno che profumava di novità ma
nonostante tutto, mentire era l'unico modo per sembrare di nuovo
sé stesso eppure, era bastata Lisa, una sua stupida scelta ad
infrangere quei maledetti sogni.
Aveva deciso da sola,
come quella maledetta notte, l'aveva rifatto infischiandosene di lui,
dei suoi sentimenti e di quell'amore confuso, aveva scelto quel bambino
lasciando al cancro il compito di demolirla.
Non lo comprendeva,
l'avrebbe volentieri presa a schiaffi per quel dolore che lentamente
prendeva il sopravvento sulla sua ragione.
Era stato un sogno, un
bel sogno ma i raggi delicati del mattino l'avevano distrutto
sparpagliandone i pezzi sulle lacrime del suo cuore.
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Capitolo 6 *** Lento Cambiamento ***
Lento cambiamento
Lento Cambiamento
La vedeva svanire davanti ai suoi occhi senza
poter far niente per aiutarla. A volte sembrava così lontana da
apparire quasi incorporea.
La spiava di nascosto
studiandone ogni gesto, ogni espressione ogni dannato movimento che si
discostava dalla realtà, da lei e dal suo modo di essere. Perso
nei pensieri seguiva il tocco ritmico della biro che picchiettava
allegramente sul bancone delle infermiere, la mano che giocava con i
capelli e quel suo modo di camminare tremendamente sexy reso forse
ancora più dolce da quel ventre arrotondato “Non puoi
seguirla per sempre” “No, ma posso evitare che si
affatichi” Wilson sbirciò oltre la balaustra “E se
la costringessi con la forza ad iniziare la terapia?” “Non
servirebbe a niente, è una sua scelta” “È
sbagliata” “Sta per regalarti un bambino” si
voltò verso l'amico giusto quel tanto che bastava per riuscire a
vederlo “Non gli ho chiesto niente” “Non puoi
evitarlo” scosse appena la testa ridendo “Sto impazzendo
Jimmy. Ogni maledetto giorno che passa ho l'impressione che si
allontani da me. La vedo scomparire e non posso fare niente per lei
perché rifiuta ogni mio aiuto” “Coraggio”
mormorò Wilson dandogli una pacca sulla spalla “Non sono
pronto per diventare padre. Sono a malapena in grado di pensare a me
stesso ... forse dovrei lasciare che ... in fondo è
sposata” “Cosa?” ribatté l'oncologo “Ha
un marito è vero ma solo per evitare che tu prenda decisioni
insensate e stupide” tornò a concentrarsi su di lei, sul
suo tenero sorriso “Non importa che tu sia pronto o meno House
... quel bambino vive dentro di lei da sei mesi e quando Lisa ...
quando lei .. insomma, quel bambino avrà bisogno di te”
“Già” Wilson aveva ragione lo sapeva bene ma
accettarlo voleva dire rinunciare all'unica persona di cui gli fosse
mai realmente importato “Come la chiamerai?” lo sguardo
allegro dell'amico lo confuse a tal punto da dimenticare ogni altro
pensiero “Chi?” “Tua figlia” “Mia
cosa?” Wilson sbuffò alzando gli occhi al cielo
“È una bella bambina” “Credevo fosse un
maschio” l'altro sorrise “Non voleva dirti niente, non
credo lo sappia nemmeno lei il sesso del bambino” “E tu
come fai a saperlo?” “Devo controllare tutti i suoi
esami” la mano stretta sul corrimano allentò la presa e un
leggerissimo sorriso gli colorò il viso “Così
è una bambina” “Già ... allora? Come la
chiamerai?” ci pensò qualche secondo “Zaira”
“Zaira? Che razza di nome è?” domandò
allibito Wilson “Quando stavamo ancora assieme mi divertivo a
farla arrabbiare inventando strani nomi. Zaira è il primo nome
che le ho detto” “Sai” continuò l'oncologo
ridacchiando “In fondo non è male. Ha un suono davvero
bello” sorrise afferrando il bastone “Dove vai?”
“A bloccarla prima che decida di correre dietro ai
finanziatori”
Lisa aveva abbandonato
l'ufficio, avvolta da un leggerissimo vestitino estivo si stava
allegramente incamminando verso l'uscita, nella mano sinistra stringeva
il cellulare che non smetteva di suonare mentre nella destra, un
sacchettino color lavanda “Dove vai?” si voltò di
colpo spaventata da quell'improvvisa domanda “E tu? Dove
vai?” ci pensò qualche secondo “Dipende dalla tua
risposta” “Vado a fare la ceretta” “Ottimo, ho
sempre sognato di avere un inguine liscio come la seta” sorrise
prendendole di mano il sacchettino “Scordati il lavoro per oggi.
Andiamo a casa, hai bisogno di riposare” lo fissò confusa
lasciandosi guidare verso l'auto “Cosa c'è sotto?”
“Ti fa male la testa, hai la nausea e per quanto tu ti sforzi di
continuare a nasconderlo mi dispiace, non funziona” chiuse la
portiera della macchina lasciando che quegli occhi vagassero divertiti
oltre il vetro.
Ascoltava i suoi respiri
incantato dalla dolcezza di quella serenità in netto contrasto
con il suo io interiore. Quanti cambiamenti aveva fatto in tre
mesi, continuava a sorridere, sempre, in ogni luogo quel sorriso
era pronto ad illuminare il mondo ma sapeva bene quanto dolore vi era
nascosto dietro.
Ricordava le lunghissime
ore passate a cercare di estrapolare la verità dalle sue parole,
l'aveva vista piangere in silenzio, quando credeva di essere sola,
quando la tristezza prendeva il sopravvento su tutto il resto.
Soffriva, soffriva
terribilmente ma continuava a lottare contro una vita ingiusta,
proteggeva quel dono prezioso quasi come fosse aria pura, l'ossigeno
indispensabile alla sua vita.
Non si era accorto
dell'alba, di Lisa, dolcemente girata verso di lui, le mani strette al
cuscino e gli occhi fissi su di lui, sul suo viso pensieroso e lontano.
Era rimasto sveglio
tutta la notte ad osservarla, immobile su quella poltrona aveva seguito
il lento canto del suo respiro “Non sei stanco di
controllarmi?” “E tu di prendere decisioni idiote?”
sorrise stringendo più forte il cuscino “Mio figlio non
è una decisione idiota” “Restare svegli la notte non
è controllarti” ribatté stiracchiandosi “Ti
prenderai cura di lui?” “Ma che domande sono?”
“Greg” si mise seduta avvolgendosi nelle coperte, le mani
posate sul collo e gli occhi persi su qualcosa di incorporeo “
Promettimi che ne avrai cura, promettimi che lo amerai e che non lo
lascerai solo” “Devo proprio?” buttò lì
secco ma gli occhi della ragazza si riempirono di lacrime “Ho
scelto mio figlio, l'ho fatto perché la sua vita, il suo essere
reale renderà il mondo un posto migliore” si fermò
qualche secondo asciugando quelle perle gelide che velocemente
scendevano dai suoi occhi “È il nostro bambino” che
diavolo doveva risponderle? Si alzò dalla poltrona
raggiungendola “Mi stai chiedendo di amare la persona che ti
uccide, credi davvero che ne sia capace?” “Sei capace di
amare” un semplice sorriso a colorarle il viso “Sarò
un padre terribile” “Non puoi saperlo, non conosci il
futuro” “No ma conosco il passato, andrà a finire
esattamente come tutte le altre volte. Rovinerò la vita di
questo bambino perché non sono capace di amare” Lisa
abbassò lo sguardo “Avevo paura anche io con Rachel ...
imparerai ad essere un bravo padre ... ne sei capace” le
sollevò il viso studiandone l'espressione “Hai
paura?” “Non ho paura di morire ma sono terrorizzata dal
dover correre giù dalla nuvola per prenderti a calci in
culo” “Guarda che non scherzo” “Nemmeno
io” gli occhi piantati gli uni negli altri “Se lo lascerai
solo giuro che scenderò da quella fottuta nuvola per spaccarti
la faccia” era seria, maledettamente seria e quegli occhi lo
dimostravano “Sei pazza” le posò un dito sulle
labbra sorridendo ma la mano di Lisa si chiuse dolcemente attorno alla
sua trascinandola lungo il collo, sul seno fino a raggiungere il
ventre, tremò violentemente ma lei sorrise rafforzando la presa,
pochi secondi e poi quel movimento delicato e forte che lo
paralizzò “È vivo” sussurrò Lisa
sfiorandogli il viso “Devi solo trovare il coraggio di andare
avanti” non rispose, le strinse più forte la mano
sedendosi accanto a lei, il respiro perso in quel profumo nuovo e
le mani dolcemente intrecciate su quel lento cambiamento che diventava
parte della sua vita.
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Capitolo 7 *** Il mio Futuro ***
Il mio futuro
Il Mio Futuro
Nessuno
avrebbe mai pensato che quella ragazza fosse incinta di otto mesi, il
suo fisico, il suo sorriso, niente di lei rivelava questa cosa, al
massimo poteva sembrare una ragazza giovane e solare incinta di cinque
mesi e mezzo ma infondo, Lisa era sempre la stessa, un corpo da urlo e
due labbra sensuali e invitanti.
Le ultime ecografie
erano andate bene, continuava a mentirgli, gli nascondeva il sesso del
bambino ma era già preparato ad una cosa del genere.
Avevano passato una
notte intera ad ascoltare il silenzio, seduta tra le sue gambe, la
testa posata sul petto e le sue braccia ad avvolgerla trattenendola per
qualche minuto nel mondo reale, al sicuro dai brutti pensieri e dalle
paure.
Era agitato, confuso e
spaventato, Wilson l'aveva chiamato nel mezzo del pomeriggio
costringendolo a piantare a metà il suo pranzo “Entra la
dentro e tranquillizzala” “Sei impazzito?”
sbottò allibito lasciando cadere la giacca “House è
terrorizzata, le si sono rotte le acque cinque minuti fa”
“Cosa?” “Già” Wilson continuava a
guardarsi attorno confuso “Ha iniziato il travaglio e ci sono
mille cose che la tormentano quindi ha bisogno che tu sia là
dentro con lei” “Jimmy credi davvero che io ..”
“Avanti” esclamò secco spingendolo verso la porta,
chiuse gli occhi qualche secondo facendo un bel respiro e senza
più pensare a niente aprì la porta.
Wilson aveva ragione,
era davvero terrorizzata ma continuava a mascherarlo cercando di
sorridere alle infermiere “Allora raggio di sole”
esclamò posandole un bacio sulla fronte “Hai aspettato
l'ora di pranzo? Lo sai che c'erano le patatine fritte vero?”
riuscì a strapparle un sorriso ma un'altra contrazione le
bloccò il respiro “Coraggio bambola” “Fa
male” “Lo so” “Davvero? Quand'è l'ultima
volta che hai partorito?” “D'accordo, un punto per
te” esclamò alzando le mani al cielo “Come stiamo
andando?” domandò allegro Wilson facendo capolino
“Tu cosa credi?” “Durerà poco Lisa, devi solo
avere la forza di resistere” ma il diagnosta si passò le
mani in viso chiudendo gli occhi, la reazione della ragazza
arrivò subito “Quando avrai una vagina e ci sarà un
bambino di tre chili e mezzo pronto ad attraversarla verrò da te
a ripeterti le stesse cose” “Ma cosa ..”
“Sparisci Jimmy prima che il capo ti mangi” pochi secondi e
poi di nuovo loro due da soli “L' hai terrorizzato piccola”
ma Lisa non rispose, concentrata sulle contrazioni stringeva con forza
il lenzuolo ma stava piangendo e tutto quel casino non l'avrebbe mai
calmata “Lisa” strinse la sua mano interrompendo quel fiume
di pensieri “Guardami” “L'ospedale deve
affrontare i tagli dello stato, le riunioni del consiglio sono sempre
di più, non abbiamo sufficienti donazioni e mia madre continua a
giocare con i miei sensi di colpa” le sorrise sfiorandole la
fronte con le labbra “L'ospedale se la caverà anche questa
volta, credo che il consiglio comprenderà il motivo della tua
assenza, Jimmy incontrerà due nuovi ricconi verso sera e la
vecchia, beh, credo proprio che la prenderò a calci in culo se
continua ad assillarti” seguì il contorno del suo
viso fino alla bocca “Ora devi solo respirare, continuare a
contare fino a dieci e far nascere questo bambino chiaro?” un
dolcissimo sorriso ma di nuovo una contrazione a lacerarle il ventre,
strinse più forte la sua mano trattenendo il respiro “No
bambola, credo che tu debba continuare a respirare per sentire meno
dolore” “Davvero?” “Ma non ti hanno insegnato
niente a quel corso?” “Vuoi provare tu?” tagliente e
ironica “D'accordo, hai vinto tu”
Cinque ore di travaglio e quel bambino non sembrava minimamente interessato a tutto il male che stava facendo alla sua mamma.
Le era rimasta accanto
tutto il tempo, l'aveva fatta ridere cercando di portare via quei
minuti di violento silenzio che, con cattiveria, si insinuava tra di
loro.
Non sapeva niente di
nascite e parti, si era sempre tenuto lontano da questa branca della
medicina, almeno a livello personale, perché nella sua vita non
c'era spazio per bambini e amore sdolcinato eppure, ora era lì,
accanto ad una donna che era parte di sé stesso e del suo futuro.
Si era ritrovato
inconsapevolmente a misurare la durata delle contrazioni, beveva
caffè ad una velocità impressionante e non faceva
più nemmeno caso ai minuti che passavano “Perché
non la fate partorire?” domandò pensieroso mentre
l'infermiera controllava il battito fetale “Il sacco amniotico si
è rotto ma la dilatazione è insufficiente”
“Cosa?” “Dottoressa Cuddy, il dottore sarà da
lei il prima possibile” “No” esclamò
afferrando l'infermiera per un braccio “Il dottore viene
subito” “Greg” lasciò andare la
presa“Puoi lasciarci Brenda” la ragazza si allontanò
in fretta da loro “Sei impazzito?” le sorrise appena
allontanandosi dal letto di qualche passo “Non puoi restare qua
dentro ancora Lisa. Stiamo aspettando da quasi sei ore”
“Non è un incontro di lavoro, è un bambino e non
puoi decidere tu quando farlo nascere” si soffermò qualche
secondo sul suo viso, su quella pelle pallida imperlata di sudore e i
suoi occhi di mare sfiniti e spenti “Vai a fare due passi”
“Tu devi essere impazzita” “E tu no?” la porta
si aprì di nuovo ma questa volta, ad accogliere il suo sguardo
non fu Brenda ma un uomo alto, dallo sguardo profondo e una lunga barba
bianca “Lei dev'essere il paparino ansioso” “E lei?
Il babbo natale dei poveri?” “La smettete?”
sbottò Lisa interrompendo quella discussione “La portiamo
in sala il prima possibile. Indurremo il parto e potrà
abbracciare il suo bambino” “Perché dovrete indurre
il parto?” il medico sorrise tranquillizzante
“Semplicemente per prevenire la sofferenza fetale e per evitare a
lei lunghe ore di dolore” l'infermiera attaccò la flebo
controllando le pulsazioni “Molto bene ... è
pronta?” si voltò titubante verso Greg “Vieni con
me?” non ci aveva mai nemmeno pensato anzi, a dir la
verità, entrare in una sala parto era l'ultimo dei suoi problemi.
Troppe emozioni tutte in
una volta, troppa confusione eppure, si era ritrovato là dentro,
accanto a lei con il terrore che qualcosa andasse storto.
Non sapeva cosa fare,
cosa dirle per tranquillizzarla o cosa fare per tranquillizzare
sé stesso. Non era nemmeno tra i suoi incubi più
terrificanti diventare padre, tanto meno lo era vederla soffrire
così.
Era sfinita, spaventata
e piena di mille pensieri che vorticavano senza darle tregua, la mano
stretta così forte alla sua da fargli male, il petto scosso da
sospiri e tremiti e quell'ansia crescente a colorare il tutto “Va
bene dottoressa, la testa è passata, ancora qualche minuto e
potrà stringere il suo bambino” stava piangendo, quelle
contrazioni dolorose non le davano tregua ma non urlava, non emetteva
un suono perché la donna forte e decisa dentro di sé
continuava a ripetere “Ce la fai Lisa, continua a
respirare”.
Solo pochi minuti e quel
pianto liberatore a riempire l'aria, un dolcissimo sorriso le
colorò il volto mentre ricadeva con leggerezza sul cuscino,
pietrificato accanto a lei continuava a spiare quel neonato avvolto in
un lenzuolino “Complimenti dottoressa, è una bella
bambina” il sorriso del medico lasciò spazio e quel visino
indispettito e arrossato dal pianto “Ehi tesoro”
sussurrò baciandola dolcemente sul viso, pochi secondi e poi
quegli occhi di mare fusi nei suoi “Sei papà”
annuì leggermente contemplando quel piccolo miracolo “Sono
papà”
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Capitolo 8 *** Attimi ***
Attimi
Attimi
Bell'ora
per nascere, non aveva nemmeno pranzato e di certo si sarebbe potuto
scordare anche la cena, almeno non avrebbe lavorato e infondo non era
del tutto negativo.
Pigiò il tasto
con il bastone ma Wilson fu più veloce di lui “Allora
paparino? Com'è stato?” lo fissò tagliente
stringendo più forte la borsa nella mano sinistra “Un vero
inferno” l'amico sorrise seguendolo all'interno dell'ascensore
“Ora hai una famiglia” “Ne ho metà visto che
per avere una figlia perderò la mamma” “È
stata una sua scelta” “Già” lasciò
cadere la borsa appoggiandosi alle pareti “Che stai ...”
“Sto portando a casa la bambina” Wilson sbiancò di
colpo e una strana espressione gli si dipinse sul viso “Andiamo
Jimmy mi credi davvero così stronzo?” ma quell'espressione
continuava a restare inchiodata al suo viso “Sono stato a
prendere i vestiti di Lisa e quelli della bambina” “Grazie
a Dio” mormorò sollevato passandosi una mano in viso
“Davvero mi credi così bastardo?” “Devo
rispondere?” le porte si aprirono interrompendo quell'allegro
discorso.
Filtrava decisamente poca luce in quella stanza, forse era meglio così, Lisa aveva bisogno di riposo e la bambina anche.
Si chiuse la porta alle
spalle cercando di fare meno rumore possibile e lasciando la borsa
sulla poltrona si avvicinò leggermente alla culla
“Perché non dormi?” sussurrò allibito
seguendo con lo sguardo il viso di sua figlia, le manine che
strofinavano gli occhi e il respiro accelerato, poi le lacrime
“No no no no” non sapeva come toccarla, la prese in braccio
terrorizzato dal poterla rompere in qualche modo “Ehi, la mamma
ha bisogno di riposo perché l'hai fatta davvero faticare
sai?” si allontanò dal letto cercando di non svegliare
Lisa “D'accordo piccola ascoltami, non so cosa fare perché
non sono mai stato padre, non so cosa dirti o come toccarti quindi devi
aiutarmi” ma non aveva molto successo “Devi aiutarmi
a capirti” le manine si rilassarono e gli occhioni arrossati si
fissarono su di lui.
Attratta dalla voce del
padre si era bloccata di colpo cercando nella penombra i suoi occhi ma
era ancora troppo piccola per vedere quel sorriso leggero dipinto sulle
sue labbra “Brava bambina mia” la strinse più forte
sedendosi sulla poltrona “Sei brava lo sai? Non meriti un padre
come me” rimase immobile ad osservare quel piccolo viso
rilassarsi lentamente fino a ritrovare pace tra le braccia dei sogni.
Sorrise sfiorandole il
viso con le labbra e cercando di non svegliarla la posò
dolcemente nella culla, ancora un sorriso e poi quella strana
sensazione, sollevò lo sguardo dalla figlia incontrando
quell'azzurro intenso e profondo “Sarai un bravo
papà” “Come stai?” mormorò sedendosi
accanto a lei “Sto bene” “Sei anche brava a
raccontare bugie” la mano posata sulla sua e le labbra a
sfiorarsi pochi secondi “Non è bellissima?”
“È una bambina” ma l'espressione ironica di Lisa era
divertente “D'accordo, ammetto che è bella”
“E?” “E che mi piace?” “Solo?”
sbuffò alzando gli occhi al cielo “E va bene ... è
mia figlia, è la bambina più bella della nursery e se ha
preso da te credo che non uscirà di casa prima di
vent'anni” quelle labbra d'angelo si aprirono in luce pura
“Non puoi costringerla a vivere in una torre dottore”
“Già, in fondo non sono nemmeno riuscito a convincere sua
madre a vivere, perché con lei dovrebbe essere diverso?”
“Ti conviene trattarla bene” si soffermò qualche
secondo sul suo viso, su quegli occhi tristi e spaventati “Lisa
non …” “Ti conviene prendertene cura dottore
altrimenti scenderò da quella maledetta nuvola per prenderti a
calci” la strinse tra le braccia cercando di soffocare quel
pianto disperato ma più la stringeva e più si sentiva
vuoto, l’avrebbe persa senza poter far niente per evitarlo e
l’aveva scelto lei, quale altra punizione poteva essere
più crudele? Come avrebbe fatto a prendersi cura di quella
bambina? Come avrebbe potuto guardarla negli occhi senza odiarla per il
resto della sua vita? Ancora un attimo, un respiro tenero e poi un
sorriso a colorare quell’immenso baratro, una voglia matta di
tenerla ancorata tra le sue braccia per sempre, di sentire il suo
respiro sulla pelle e ricordare ogni giorno che la sua vita aveva
qualcosa di bello, qualcosa di luminoso e prezioso che risplendeva ogni
minuto in due occhi di mare.
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Capitolo 9 *** Respira con Lei ***
respira con lei
Respira con Lei
Non l’aveva più toccata, da
quando erano tornati a casa, quella bambina era territorio inesplorato,
qualcosa oltre il quale si trovava la morte e non voleva avere niente a
che fare con la morte, non ora che poteva tenersi stretto almeno un
po’ quegli occhi chiari troppo deboli per piangere.
Era incazzato da morire con la vita, arrabbiato e deluso, stanco di vedere quel sorriso diventare sempre più debole.
Lisa viveva a mille e
non era la frenesia di quegli ultimi mesi, lei l’aveva sempre
fatto ma vederla ora era ancora più devastante.
Essere madre voleva dire
splendere più forte del sole, soffriva ogni volta che la vedeva
giocare assieme a Rachel, ogni volta che Kate si aggrappava alle sue
mani e poi il suo sorriso, le sue labbra che si posavano dolcemente su
quelle della bambina, soffriva nel vederla tremare leggermente ogni
volta che doveva scendere le scale o restare troppo tempo in piedi.
Non era questo il futuro
che aveva immaginato, non era così che dovevano andare le cose,
come avrebbe fatto ad andare avanti? Rachel avrebbe ricordato per
sempre la sua mamma e Kate, a due mesi si è troppo piccoli per
comprendere, forse questo era un bene, forse, non tutto poteva essere
sbagliato e contorto, se Kate non si fosse ricordata niente della sua
mamma allora non avrebbe fatto domande e non lo avrebbe costretto a
mascherare la realtà.
Dio come avrebbe voluto
essere al posto suo, come avrebbe desiderato sostituirsi a lei,
evitarle tutto quel dolore, in fondo, lui la sua vita
l’aveva vissuta, non aveva mai rinunciato a niente, stronzo ed
egoista aveva ferito persone, abbandonato rapporti e giocato con la
vita dei pazienti ma lei, lei non meritava tutto questo, Lisa non
meritava di morire.
Era quel Dio che lui
rinnegava a divertirsi così? Era Lui a toglierle il fiato ogni
volta che si alzava troppo velocemente? Era Lui a svegliarla nel cuore
della notte costringendola a respirare? Dio si divertiva a strapparla
dalle sue braccia? Era una punizione? Voleva punirlo? Lisa non
c’entrava niente con tutto questo, lui avrebbe dovuto soffrire,
lui si sarebbe dovuto addormentare la notte con la paura di non
svegliarsi e lui, avrebbe dovuto guardare negli occhi le bambine e
trattenere le lacrime, lui e non Lisa.
Perché strappare
a lei quello che di più bello aveva al mondo? Per punire lui? Lo
aspettava, se Dio l’avesse guarita era pronto a prendere su di
sé tutta la Sua rabbia e a sopportarla fino a quando, stanco e
distrutto, la morte non l’avesse raccolto e trascinato lontano,
non aveva paura, ma quel Dio che lui odiava non lo ascoltava, rifiutava
le sue suppliche torturandolo giorno dopo giorno con quel maledetto
sorriso e quegli occhi troppo stanchi per trasmettere calore.
La osservava diventare
sempre più fragile, nascosto dietro ad un sorriso la vedeva
vacillare, stringere con forza la mano sul bordo del tavolo o chiudere
gli occhi qualche secondo pregando che quel mal di testa la lasciasse
in pace qualche secondo.
Continuava a ripetere
che tutto sarebbe andato bene, che le cose si sarebbero sistemate e che
la morte non era poi così brutta, che forse, se il suo Dio aveva
scelto questo c’era una spiegazione, un motivo anche stupido che
potesse giustificare tutto quel dolore.
Non pretendeva di
comprenderlo, non ci provava nemmeno ma la notte, quando non riusciva a
dormire la sentiva piangere, singhiozzi talmente leggeri da confondersi
con il silenzio eppure, in quei sospiri di cristallo poteva leggere
ogni cosa, ogni più stupido pensiero, Lisa era terrorizzata dal
poter in qualche modo ferire le sue bambine, terrorizzata dal poter
rimanere impressa troppo a lungo nelle loro memorie e chiedeva al cielo
solo un altro po’ di tempo per poterle salutare, per poter dire
loro quanto le amava.
Era questo a torturarla,
un distacco improvviso, un distacco violento e crudele che non aveva
scelto lei ma che non poteva controllare, Dio come la conosceva bene,
dietro a quei finti sorrisi c’era un modno intero di
perché e nessuna risposta.
Perché
mi hai fatto conoscere Kate? Perché me l’hai lasciata
stringere tra le braccia? Non sarebbe stato tutto più semplice
lasciarla quando ancora non capiva? Perché devo vederla
crescere? Ti prego non lasciare che mi vedano morire, non mi importa
quando sarà e come, solo … lascia che le mie bambine
abbiano la possibilità di immaginare, di creare un mondo allegro
dove gli angeli sono fatti di cristallo e profumano di fragole …
e così, ogni giorno che passava si aggiungevano domande a cui
lui non poteva rispondere e questo lo massacrava nell’anima.
Per anni l’aveva
inseguita, si era divertito a prenderla in giro a farle del male per il
puro semplice piacere di vederla soffrire con l’inconscio
desiderio di averla solo per sé, anni buttati all’aria e
poi quell’ultimo sprazzo di sole, mesi stupendi passati insieme e
che ora sembravano solo granelli di sabbia.
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Capitolo 10 *** Sarà Così ***
Sarà così
Sarà Così
“Greg puoi …” si
passò una mano tra i capelli reggendo Kate, aveva la febbre, era
nervosa e non aveva smesso di piangere un secondo da quando si era
svegliata “ … puoi tenerla un minuto?” “Io non
la tocco” esclamò sarcastico giocherellando con il
cucchiaino “Stai scherzando vero?” “Ho l’aria
di uno che scherza?” “Ok” mormorò sfinita
“Posso sapere quanto durerà ancora?” “Non sto
facendo niente” “Appunto!” sorrise concentrandosi sul
caffè davanti a sé “L’hai presa in braccio
due volte nell’ultimo mese” “Mi sembra più che
sufficiente non trovi?” ma Lisa scoppiò a ridere
sollevando la bambina “Tenerla mentre prendo il pannolino non
vuol dire creare un contatto” “A me pare di si”
ironico, gelido, l’uomo che aveva avuto accanto tutto quel tempo
sembrava sparito nel nulla , sostituito di colpo da un uomo meschino e
stronzo che conosceva fin troppo bene “È pronta
Rachel? La porto a scuola mentre vado in ospedale” ma la bambina
era apparsa tra loro ridendo “Sei pronta?” “Posso
portare Dolly con me?” “Quella specie di ranocchia gialla e
rosa?” Rachel socchiuse gli occhi studiando il suo viso
“Perché sei arrabbiato?” “Ok”
esclamò sbalordito spingendola velocemente verso la porta
“Lo sai che inizi a spaventarmi?” ma per quanto provasse a
seguire Rachel lungo il corridoio c’era qualcosa a bloccarlo,
sospirò chiudendo gli occhi “Se non mi lasci andare
arriveremo tardi e per una che ama la puntualità non so quanto
possa essere bello” ma Lisa rafforzò la presa
costringendolo a voltarsi “Mi hai promesso di prenderti cura di
lei” rimase ad osservarla qualche secondo, stanca, pallida,
stringeva con forza il corpicino ansimante di Kate come se lei fosse
l’unica cosa a tenerla ancora inchiodata al suolo, i capelli
sciolti sulle spalle e quell’azzurro intenso e pieno di calore
velato da qualcosa di irriconoscibile “Mi hai promesso che quando
io … che non sarebbe stata sola …” seguì il
suo sguardo fino al viso di sua figlia, un viso così simile al
suo da inorridirlo, era una bella bambina, troppo bella per
uscire da lui e immaginare un altro sé stesso di
cinquant’anni più giovane era una cosa impensabile
“Ti diverti a prendermi in giro?” “E tu? Ti diverti a
punirmi?” “Ma cosa ..” “È vero, ti ho
promesso che mi sarei preso cura di lei” sussurrò
spingendola lentamente contro il muro “Ti ho promesso che le
avrei dato un futuro ma è colpa sua se ora tu non hai un futuro
quindi no, non ho finito di odiarla e non credo mi vada”
“È tua figlia” “E tu eri l’unica ragione
per cui valeva la pena vivere e mia figlia ti porta via da
me”pochi centimetri dalle sue labbra, pochi stupidi centimetri e
quel corpicino infastidito a trattenerlo dall’avvicinarsi di
più “Dovrei prenderla in braccio e cantare? Far finta che
tutto sia normale? Ti vedo scomparire giorno dopo giorno, ti spegni e
smetti di lottare e la colpa di chi è?” “Mi sono
sbagliata” una lacrima cristallina a scendere dal mare,
un’unica lacrima ad accompagnare i sospiri “Credevo fossi
davvero cambiato, credevo di aver fatto la scelta giusta …
averti accanto, affidarti la vita di una bambina, la mia bambina e
invece … sei solo egoista” ma quel sorriso ironico e
cattivo non faceva altro che farle del male, lo sapeva, lo sapeva bene
cosa riusciva a scatenare in lei e ora, provava uno strano piacere nel
farlo “Ho trovato Dolly Greg!” distolse lo sguardo da lei
ridacchiando quando le braccina di Rachel si chiusero attorno alle sue
gambe “Possiamo andare sai?” “Oh meno male che ho
un’assistente, sei perfino più brava di Foreman” la
prese per mano e si chiuse violentemente la porta alle spalle senza
voltarsi nemmeno un secondo.
In fondo, che altro
poteva aspettarsi da quel genio infelice? Aveva scelto lei per tutti e
due e ora non poteva costringerlo a comprendere e accettare le sue
motivazioni.
La spiava ogni secondo
della giornata, ogni volta che pensava dormisse, si alzava per
controllare il suo respiro, per essere sicuro che Dio non la strappasse
via dal mondo, aveva scelto lei, è vero era terrorizzata da
morire, ma, ogni volta che guardava negli occhi Kate ogni dubbio, ogni
incertezza scompariva, cancellato dalla consapevolezza di essere
riuscita a dare la vita, a trasformare in carne e sangue un sogno fatto
di dolcezza.
Ora lui doveva solo
provare ad accettarlo, doveva farlo perché non aveva più
molto tempo e Kate aveva bisogno del suo papà, aveva bisogno di
qualcuno accanto che gli spiegasse come mai non aveva più la
mamma, che la rassicurasse, con parole tenere e dolci cancellando il
senso di colpa e la rabbia.
Ci sarebbe voluto del
tempo per imparare a convivere con il dolore, tempo che Greg non voleva
e di cui Kate aveva assoluto bisogno, lui era semplicemente arrabbiato
con sé stesso, con la sua maledetta razionalità per non
essere riuscito a salvarla, a convincerla a fare la cosa giusta e
riversava tutto su Kate, sulla sua vita perché sfogarsi con lei
voleva dire trovare una ragione ancora per odiare il mondo.
Chiuse gli occhi
inspirando a fondo “Il tuo papà ti vuole bene
tesoro” mormorò a pochi millimetri dalla piccola
“Deve solo imparare a scoprirlo ma vedrai … sarà
…” le lacrime iniziarono a solcarle il viso lasciando solo
un umida scia a riempire il vuoto “ .. sarà un bravo
papà”
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Capitolo 11 *** Io non ti Odio ***
Io non ti odio
Io non ti Odio
“Che diavolo ti salta in mente!”
“Ehy Jimmy” esclamò sarcastico sollevando appena il
bastone “Che ci fai qui? Vuoi aiutarmi a imbarcare di straforo il
cavatappi?” lo sguardo del medico si spostò lentamente
sulla valigia aperta sopra il letto “Cosa …”
“A te cosa sembra?” ribatté gelido sbattendoci
dentro una maglia “È una valigia” “Lo so
cos’è!” “E allora cosa …”
“È in ospedale!” un leggerissimo tremito percorse la
mano raggiungendo il cervello, lasciò il bastone sul letto e
nascondendo lo sguardo continuò a preparare la valigia
“Dovresti essere con lei! Dovresti essere lì a sorriderle,
a dirle che andrà tutto bene!” “Non posso curare una
cosa incurabile, ancora non ci riesco Jimmy ma se aspetti dopo Natale
forse …” “La smetti di comportarti da cretino? Ti
sembra per caso che io stia scherzando? Sta male, è terrorizzata
e l’unica cosa che chiede è averti vicino”
“Per cosa? Per prenderla in giro con stupide idiozie?
Morirà e io non posso …” si fermò qualche
secondo inspirando “ … non posso farci niente quindi
…” “Ti ha dato una figlia House! Sta morendo per
quella figlia e tu non puoi andartene” “Non posso?”
ribatté gelido inchiodando gli occhi ai suoi, il respiro si
bloccò in gola, quello sguardo di ghiaccio era colorato dalle
lacrime, lacrime bollenti che non gli davano tregua e che forse per la
prima volta vedeva sul suo viso “È quella bambina a
togliermi lei, credi davvero che io sarò un padre modello? Come
pensi crescerà sapendo quanto il suo papà la odia?”
“È tua figlia!” “Maledizione Jimmy lo
so!” esclamò violento picchiando con forza il pugno contro
l’anta dell’armadio, gocce limpide e scure scesero
lentamente toccando il bianco candido della moquette “Lo so che
è la mia bambina e non immagini nemmeno quanto desideri amarla
ma non riesco a farlo Jimmy, non riesco a guardarla senza rivedere lei!
Il suo sorriso, i suoi occhi! Come le risponderò quando mi
chiederà com’è morta la sua mamma? Quando
diventerà grande e così simile a lei da massacrarmi ogni
santo giorno? Non riesco nemmeno a guardarla per più di cinque
secondi come posso …” per un attimo, l’uomo rude era
stato sostituito da qualcos’altro, forse da un uomo stanco e
pieno di dolore “Le racconterai una bugia” mormorò
Wilson avvicinandosi di un passo “Inventerai bugie per non farla
soffrire e chiuderai gli occhi qualche secondo ringraziando Dio per
averti dato la possibilità di vedere ogni giorno Lisa nei suoi
occhi” ma Greg sorrise scuotendo leggermente la testa “Tu
non capisci” “Aiutami a capire House! Aiutami a capire come
mai ora sei qui e non accanto a lei, aiutami a capire come riesci a
preparare una valigia sapendo che da un momento all’altro lei
potrebbe … la ami, la ami e non puoi far finta di niente”
sospirò chiudendo la borsa, incurante del sangue che
continuava a scendere lungo il polso prese il bastone
“È proprio per questo che non voglio vederla”
“Aspetta” lo afferrò per il braccio tirandolo
leggermente indietro “House devi … lei è convinta
che tu sarai lì … le ho promesso che …”
“Non avresti dovuto promettere Jimmy” un leggerissimo
sorriso “Se ora la vedo morire crollerò con lei, un pezzo
dopo l’altro me ne andrò assieme a lei” “Non
puoi lasciarle così” la mano a posarsi sulla sua
scivolando nel vuoto assieme, non una parola, non un sospiro,
semplice e puro dolore che lo accompagnava lontano.
Respirava a fatica,
provava a cacciare via il dolore lancinante alla testa ma il respiro
continuava a mancarle ogni volta che arrivava una nuova fitta
“D’accordo” mormorò Wilson scostandole dagli
occhi una ciocca di capelli “Abbiamo aumentato ancora la morfina,
fai dei bei respiri profondi” le sorrise posando la mano sulla
sua “Non provare nemmeno a togliere la mascherina chiaro? Lo so
che è fastidiosa ma se è lì serve” un lieve
cenno nient’altro, sospirò sedendosi sul bordo del letto
“Lisa lui non … devi pensare alle tue figlie perché
lui non lo farà di certo” “Non serve, ci ha
già pensato lui” “Cosa?” annuì appena
sfilando da sotto le coperte una busta piegata “Le ha affidate a
Michael” Wilson sorrise appena passandosi una mano in viso
“Ma che diavolo … non può, quell’uomo
è un marito non marito!” “E che differenza
fa?” la voce incrinata dalle lacrime “Ho un marito che a
questo punto dovrà prendersi cura di due bambine che nemmeno
conosce e io non …” “Ehi” mormorò il
medico sfiorandole il viso “Ci penserò io ok? Mi
prenderò cura di loro. Cresceranno bene te lo prometto” un
leggerissimo sorriso prima dell’ennesima fitta alla testa
“Fai un bel respiro Lisa, respira” fino ad ora non si era
nemmeno resa conto di quanto un gesto così semplice e abituale
potesse diventare difficile, doveva respirare, doveva farlo per
permettere al cuore l’ennesimo battito ma era stanca, stanca di
piangere, stanca di soffrire, stanca di convincersi che tutto sarebbe
andato per il verso giusto perché l’unica persona che
avrebbe voluto accanto in quel momento non c’era “Non sono
arrabbiata con lui” Wilson sollevò lo sguardo dal monitor
cercando i suoi occhi “Lo so che ha paura, ho paura anche io e
non voglio vederlo piangere” “Ha paura? E questo lo
giustifica?” ribatté secco stringendole con forza la mano
“Non puoi prendertela con lui James, lui non avrebbe mai cercato
una vita come questa, non avrebbe mai pensato ai figli o a passeggiare
sulla spiaggia, lui è semplicemente sé stesso mentre io
…” si fermò qualche secondo inspirando a fondo
“ … io non avrei dovuto cercare di cambiarlo”
“Cambiare è umano Lisa! Forse hai ragione, forse è
davvero così ma scappare e lasciare tua figlia da sola questo
no, non può essere la cosa giusta , non quando in gioco
c’è il suo futuro!” sorrise appena voltandosi
leggermente verso di lui “Non avrei mai chiesto a Michael di
fingere di diventare mio marito, mi fido di lui, è un
brav’uomo e se deciderà di tenere con sé le mie
bambine allora, i miei tesori, avranno una bella vita ma se non
sarà così, ci sarà mia sorella, ci sarai tu
…” “Ma non ci sarà il loro papà”
un’altra fitta, più forte, diversa dalle altre
“L’ho amato tanto James e perfino ora che mi lascia da sola
lo amo ma non posso pretendere che diventi qualcosa che non
è” Wilson annuì mestamente asciugando con la mano
una lacrima solitaria, l’ultima cosa che riuscì a vedere,
una lacrima e niente di più.
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Capitolo 12 *** Ridammi il mio Papà ***
Ridammi il mio papà
Prologo: Ridammi il mio Papà
“Papà?”
si voltò di scatto spaventato da quella voce apparsa dal nulla
“Ragazzina credo tu stia sbagliando …” ma come
poteva continuare a mentire? Aveva davanti una ragazza dagli occhi
azzurri come il cielo e quel modo strano di inclinare la testa di lato,
il dubbio che si era insinuato in lui stava diventando velocemente
triste realtà “Chi sei?” mormorò
confuso posando il casco della moto “Kateleen” “Mi
dispiace ragazzina, non conosco nessuno con quel nome”
ribatté ironico incamminandosi verso la porta di casa “Mia
madre si chiamava Lisa …” una pugnalata in pieno petto a
togliergli l’ossigeno “ … era un medico e mio padre
…” la voce le tremò leggermente mentre lo sguardo
si abbassava lentamente al suolo “ … mio padre si chiama
Gregory House” “Non ti conosco davvero
ragazzina” mormorò voltandosi appena verso di lei
“Lo so, non pretendo di conoscerti, voglio solo parlare con
te” “E perché? Se non ti conosco non puoi nemmeno
chiedermi di parlare” “Si ma se parli con me forse riesci a
conoscermi” razionale, ironica, identica a lui nel modo di
parlare, nei movimenti veloci degli occhi e quella profondità
nello sguardo “Non voglio conoscerti ragazzina” la
vide tremare leggermente, indietreggiare di un passo senza abbassare lo
sguardo “Rachel mi aveva detto che eri così”
“E allora perché sei venuta a cercarmi?”
buttò lì gelido tornando a concentrarsi sulle chiavi di
casa “Il cielo si è preso la mia mamma lasciandomi solo
stupide fotografie a raccontarmi quant’era bella e quanto le
assomiglio, ho una sorella che vive lontano, studia e mi chiama otto
volte al giorno solo per dirmi ti voglio bene” un leggerissimo
sorriso a colorare quel volto d’avorio “Sono cresciuta con
un padre che non mi ha mai fatto mancare niente anche se non ero sua,
se ogni notte dormiva con una persona diversa e ho uno zio speciale,
che non ha mai nemmeno saltato una recita scolastica” “Hai
una bella vita” sbottò incurante lanciando in casa lo
zaino “Perché devi complicartela con un uomo che non
conosci?” ma lo sguardo della ragazzina divenne improvvisamente
cupo, conosceva bene quell’espressione triste e sola
perché era la stessa che per anni aveva albergato sul suo viso
fino a che, un raggio di sole non l’aveva cacciata via “Ho
avuto un padre ma mai un papà” si appoggiò allo
stipite fissandola confuso “Ti ho odiato tanto, davvero tanto ma
più lo facevo più mi rendevo conto di quanto mi mancassi,
di quanto volessi accanto a me una persona con il mio stesso carattere,
con i miei lineamenti e con quella dannata razionalità che non
mi lascia dormire la notte” si avvicinò a lui di un passo
scostandosi dal viso i capelli chiari “Perché non sei
rimasto?” “Perché tiri fuori il passato?”
“Perché io sono il passato e ogni maledetta volta che mi
guardo allo specchio non faccio altro che chiedermi: com’è
mio padre? Cosa sta facendo adesso? Perché non ha lottato per
me?” “Tuo padre è morto quando tua madre ha chiuso
gli occhi” mormorò triste abbozzando un leggerissimo
sorriso “Se fosse stato qui probabilmente avrebbe una nuova
famiglia, una moglie e un figlio che ama i monter truck e
…” sospirò concentrandosi in quello sguardo puro
come l’acqua “ … non ha lottato per te perché
non aveva nemmeno la forza di lottare per sé stesso”
“Non è una scusante” “Non voleva
esserlo” un leggerissimo battito di ciglia ad interrompere il
silenzio “Avrei avuto una vita diversa” “Anche io e a
cosa sarebbe servito? Saresti cresciuta da sola, allevata dai lupi e
senza il minimo rispetto per gli altri” eccola lì, quella
somiglianza che per sedici anni aveva cercato ora splendeva più
forte del sole, negli occhi di quell’uomo lo stesso riflesso, la
stessa malinconia che erano parte di lei “Non sono arrabbiata con
te” “Cosa?” mormorò confuso sollevando lo
sguardo “Avevi paura, aver paura è umano e tu lo sei, per
quanto il tuo comportamento provi a dimostrare il contrario so che lo
sei” un gesto improvviso, la mano stretta attorno alla sua e un
improvviso calore a riempire il cuore, pochi secondi per realizzare
quanto quel tocco assomigliasse ad un ricordo, sfilò la mano
dalla sua abbandonandola nel vuoto “Non posso darti niente
Kate” “Puoi darmi il mio papà”
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