Prescelta Creatura

di Afaneia
(/viewuser.php?uid=67759)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio di tutto. ***
Capitolo 2: *** Torre di Latta. ***
Capitolo 3: *** Amara inquietudine. ***
Capitolo 4: *** Pace a Miramare. ***
Capitolo 5: *** Le eredità dei padri. ***
Capitolo 6: *** La Sala d'Onore. ***
Capitolo 7: *** Morire, alla fine. ***
Capitolo 8: *** L'unico ostacolo. ***
Capitolo 9: *** Il dolore di Blu. ***
Capitolo 10: *** La verità di Celebi. ***
Capitolo 11: *** Le amicizie altolocate. ***
Capitolo 12: *** La grande Lega. ***
Capitolo 13: *** Una vita divina ma senza di te. ***
Capitolo 14: *** Una strana e terribile verità. ***
Capitolo 15: *** La sola verità di Celebi. ***
Capitolo 16: *** Libero arbitrio. ***
Capitolo 17: *** Avvento di Missingno. ***



Capitolo 1
*** L'inizio di tutto. ***


Aveva lottato tanto per arrivare fin dove era arrivata.

Partita da Borgo Foglianova, il più piccolo dei paesini di provincia della regione di Johto, con un Cyndaquil come unico compagno, aveva viaggiato in lungo e in largo per quattro anni, sconfitto chiunque tentasse di ostacolarla, sputato sangue e sudato per diventare ciò che era. La Campionessa. La più grande allenatrice di Pokémon al mondo. Una Pokémon Master.

La donna che aveva sconfitto Lance.  La ragazza che Suicune aveva sfidato: tra tutti gli allenatori che volevano essere scelti, Suicune aveva scelto lei. La bambina che più di una volta aveva sconfitto Team Rocket.

Luisa aveva lottato per giungere al limite estremo cui neppure Rosso era giunto; e, più abile di chiunque, non avrebbe mai permesso a quel ragazzo di metterle i piedi in testa.

Per questo Argento la odiava. Perché era più brava di lui. Perché c’era anche lui tra gli allenatori in paziente attesa a Torre Latta, ma Suicune aveva deciso che era lei che voleva sfidare. Se era Suicune a dirlo – un Pokémon leggendario, parere troppo alto per non essere considerato- allora lei doveva essere davvero la migliore.

Argento l’aveva inquietata, Lance stupita ed emozionata, Rosso addirittura terrorizzata, Blu l’aveva messa a dura prova ma nessuno, mai, era riuscito a sconfiggerla.  Per questo, quella ragazza non avrebbe mai tremato di fronte a un ragazzo che viveva come il ladro che era. E per questo anche quella volta l’avrebbe sconfitto.

Perché lui tremava di fronte a lei, nonostante non fosse cambiato molto da quando proclamava che lui, con quella ragazzina viziata, non aveva tempo da perdere.

“LANCIAFIAMME!”

“PISTOLACQUA!”

Come due poli opposti che si attraevano. Perché, in fondo, Luisa lo apprezzava. Quel ladruncolo da bassifondi che la odiava e la invidiava le era simpatico. Perché era bello e perché non si arrendeva mai; perché era folle, ma era forte. Ogni notte l’attendeva, appostato sulla cima dell’Altopiano Blu, e ogni notte la sfidava. Sgradevole incombenza cui su malgrado Luisa si sottoponeva. Sempre, nonostante non sapesse perché.

Perché erano pochi minuti di volo che le permettevano di allenare Thyplosion con un degno (anche se alquanto misero) avversario? Perché il suo orgoglio avrebbe sempre avuto la precedenza sulla sua parte razionale, e le avrebbe sempre impedito di sottrarsi a una battaglia? Non lo sapeva. Sapeva però che quel ragazzo era un abile allenatore e che, col giusto allenamento, avrebbe potuto bene battere Lance, Pokémon Master col quale lei aveva avuto l’onore di combattere per ben due volte, sia da alleata, che da avversaria.

“Non hai possibilità con me.”

“Te la farò vedere io, la prossima volta!”

Prossima volta? La prossima notte. Domani. Ma quella fu la notte in cui cambiò tutto.

Quella fu la notte in cui, dopo quattro anni di ricerche, la polizia rintracciò Argento sull’Altopiano Blu, nel cuore della regione di Kanto. E dopo quattro anni di ricerche, in cui lei aveva sempre parteggiato per i “buoni”, la Campionessa si frappose tra le due fazioni.

“Vattene!” gridò Luisa voltandosi. Vide per una frazione di secondo che il suo volto era pallido e terrorizzato e che egli tremava, ma non vi prestò attenzione.

Aveva altro a cui pensare.

“Aspettate” gridò nel vento, voltandosi. Vi erano uomini tra le fronte degli alberi, uomini alti e robusti, begli uomini giovani forse freschi di accademia, uomini in divisa e seri, ma lei aveva qualcosa più di loro, quella piccola ragazza di un paese di provincia. “Aspettate, non inseguitelo! Ho una proposta da farvi.”

Ma come le balzava alla mente quella malsana idea, come poteva proporre una cosa del genere, tanto stupida e forse disperata, ma proprio perché disperata l’unica cosa cui potesse aggrapparsi?

“Voglio darvi la mia parola per lui.”

A che poteva valere la sua parola per quegli uomini tanto ligi al loro dovere? Se lo chiese per molti anni, cercando una risposta e non trovandola. Ma l’unica cosa importante fu che ottenne ciò che voleva.

Cosa ci guadagnò? Poco e nulla. Un cenno, un saluto, un ammonimento. Un complimento. Si stiracchiò. Era fatta. E quando Luisa si voltò, Argento era sparito.

“Tipico della sua razza svanire così!”

Si chiese chi glielo aveva fatto fare di aiutarlo. Un ladro, un fuorilegge. Un uomo che la odiava.

Non sapeva perché l’aveva fatto, non sapeva perché continuava a intestardirsi, ma liberò Pidgeot e prese il volo per cercarlo.

Eccolo, era più in là, tra gli alberi, che scivolava giù da un pendio per scendere giù, di nascosto, dall’Altipiano…atterrò dinanzi a lui sulla terra friabile.

“LASCIAMI STARE!”

“Ti ho salvato. Ho la tua responsabilità. Non finirai in galera se resti con me.”

Un ghigno, una risata.

“Non sono un bravo ragazzo. Neppure sai chi sono!”

“So che sei un allenatore e che sei bravo con i Pokémon. So solo questo, ma mi basta. So che se finisci in galera perderai tutto ciò che hai e ne uscirai senza un futuro. Se resti con me…sarà un bel cambiamento, lo riconosco, ma sarai libero, alla luce del sole. Ci alleneremo insieme. Non te ne pentirai.”

“Vattene! Non voglio la tua pietà!”

“Non è pietà la mia. È solo un aiuto. Posso aiutarti. Voglio aiutarti. Posso salvarti. Per favore.”

“Perché vuoi farlo?”

“Non lo so. Ti giuro che non lo so, non lo so neppure io. Mi sei simpatico, sei coraggioso. E mi piacciono i tuoi Pokémon. Mi piace come li hai allenati. Sei stato duro, ma sei il Maestro crede che io lo sia stata meno di te, si sbaglia. Ai miei Pokémon ho chiesto molto e molto è ciò che ho ottenuto. Se li guardo combattere, i tuoi Pokémon mi paiono determinati. Si fidano di te. Se lo fanno loro, poso farlo anch’io. Allora…accetti, sì o no?”

“Ehm ehm…chiedo scusa.”

Con un sussulto, Luisa si voltò.

“Lance! Cosa ci fai qui?”

“Sai…questo terreno appartiene all’Indigo Plateau, e l’Indigo è la mia casa, perciò…”

“Okay, okay.”

“Ti chiederei di presentarmi al tuo amico, ma non ho tempo. Mi mandano a chiamarti.”

“Ti mandano a chiamarmi? Chi?”

“Credo che sia meglio che tu lo veda coi tuoi occhi.”

“Oh…okay.”

“Seguimi. Faccio strada.”

“Ti vengo dietro.” Un solo attimo. Si voltò e chiese, con finta noncuranza: “Allora, vieni?”

Argento la scrutò per un secondo. Poi chinò il capo e la seguì.

Camminando, Lance continuò a parlare. Non pareva del tutto a suo agio, ma una persona della sua natura non perdeva la calma in nessuna situazione.

“Vedi, non è uno scherzo. È quello che ho pensato io, ma non lo è, sai, ti giuro che non lo è. Comunque, lo capirai da te. Si capisce, dopo un po’, anzi, pare evidente…”

“Ma cosa ti sei fumato, Lance?”

“Fidati. Capirai quando lo vedrai.”

Luisa alzò le spalle e annuì.

“Ecco, è dentro l’Arena. Ehm…mentre andiamo, puoi fare le presentazioni, non credi?”

“Va bene, Lance…ti presento Argento. Un nuovo amico.”

“Molto piacere, Argento. Perdonami se non ti stringo la mano, ma non ce n’è il tempo.”

“Io lo so chi sei” disse il ladro. La sua voce suonava insieme dolcemente infantile e sfacciatamente maleducata. “Tutti lo sanno.”

“Non mi sorprende” rispose Lance con dolcezza infinita.

Giunsero all’Arena, infine. Una delle piccole porte di servizio era dischiusa. Lance l’aprì e li fece passare.

L’oscurità era bella, buona e ampia. Il silenzio era stregato.

“Dovete venire. Ecco, di qua.”

La porta conduceva sotto alle tribune. Era buio e molto ansioso. Passarono. Uscirono e la notte li riavvolse con la sua presenza.

Lì per lì la fanciulla non capì e non credette.

Lo vide. Lo sentì. Lo capì.

Era bello più ancora dei sogni. Era vivo e viveva, Ho-Oh.

Esisteva. Era. Perfetto, bello, infinito, eterno.

(ma era lì per lei, oh, sì, lo sapeva. Non si poteva mentire.)

E quando l’aria tornò e si mosse, il divino si mosse con lei. Perfetto, bello, infinito, eterno.

E il vento soffiò forte quando si avvicinò. Si avvicinò e fu travolta, e seppe di non essere più lei.

E seppe che un’altra entità nell’universo la stava cercando. Ma questo la creatura non voleva farglielo sapere.

Ritirò la mente Ho-Oh. Erano andati troppo oltre.

“Chi sei tu?” chiese la ragazza.

Ed egli rispose: “Sono io.”

“E io? Chi sono io?”

“Ed egli rispose: “La Prescelta Creatura.”

“E chi è?”

“È. Metà, tutto, il punto di mezzo.”

“Perché?”

“Mille e mille altri lo sono stati prima di te. Mille ancora lo saranno. Tutti chiedono sempre perché. Tutti lo sanno già, ma non sanno di saperlo. Vuoi?”

“Voglio. E loro?”

“Vengono con te.”

“Chi sono loro?”

“I tuoi compagni.”

“Da quando?”

“Da prima di esistere.”

E non chiese perché, perché lo sapeva già.

“Chi è?”

“Chi?”

“Chi mi sta cercando? È nell’universo.”

“Una creatura solamente ti cerca, in questo mondo” diss’ egli.

“C’è qualcun altro là fuori?”

“Può darsi.”

“Mi cerca?”

“Può darsi.”

“E chi, qui?”

“Lo saprai. Non ora. Vieni?”

“Vengo.”

“Venite?”

Ed essi risposero: “Sì.”

 

Buon pomeriggio a tutti!

Che schifezza vi ritrovate davanti? Una schifezza, avete capito bene, o quantomeno un progetto strampalato e incerto, che va avanti a balzelloni e saltelli e la cui prima stesura risale alla mia terza elementare (ora sono in quarta superiore). Un progetto, dunque, infantile e forse stupido, ma dal quale non sono mai riuscita a staccarmi e che quattro anni fa (a giudicare dalle annotazioni che ritrovo sui bordi delle pagine) ho ricominciato a scrivere, senza tuttora averlo concluso.

Una storia strana, forse banale per chi frequenta il fandom di Pokémon, ma la mia unica storia al riguardo, la mia unica concezione di questo videogioco. Tengo a precisare che questa storia fa riferimento, come peraltro l’altra mia storia (“Storia di Rosso e di Blu”) alla mia personale visione del videogioco Pokémon Cristallo, il mio primo (e fino a poco tempo fa unico) vero gioco di Pokémon. Vi saranno punti poco chiari che mi offro di spiegare a chiunque dovesse domandare. Non ero molto convinta di voler pubblicare questa storia, dopo averne postato la spin off “Storia di Rosso e di Blu”, ma vi sono stata convinta da nihil no kami (che ringrazio ancora per il suo continuo supporto a questa mia). 

Ebbene, non ho altro da aggiungere! V’invito soltanto a leggere e recensire, dandomi pareri di qualunque genere (so che potranno esservene molti negativi, in quanto questa era in teoria una storia a uso e consumo privato e dunque scritta per restare tale) su qualunque punto della storia.

Nel frattempo, a presto e buona domenica pomeriggio!

Afaneia :)

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Torre di Latta. ***


Buonasera a tutti!

Sono stata lieta di vedere che le reazioni alla mia storia non sono poi state negative come mi aspettavo. Un affettuoso ringraziamento a nihil no kami e a I_AnDrY_I per le loro recensioni.

Ebbene, non ho poi molto da dire circa questo capitolo, o quantomeno non mi viene in mente, ma vi prego di chiedere qualora qualcosa non dovesse essere chiaro!

Un caro abbraccio e un augurio di buona lettura. A presto!

Afaneia


La Torre era alta e vi soffiava il vento. E si disse: “Io sono già stata qui.”

V’erano Suicune, Entei, Raikou, Lugia, Mew, Mewtwo, Articuno, Moltres, Zapdos. S’inchinarono. Luisa li guardò e s’inchinò anche lei.

“Ci siamo già incontrati” disse, rivolta a Suicune. Questi annuì e le sorrise.

“Sono felice che tu sia di nuovo qui.”

“Lo sono anch’io.”

“Siete i benvenuti” disse Mewtwo con la bella voce profonda, senza per questo muovere le labbra. Luisa lo guardò, silenziosa.

“Avrei voluto vederti…”

“Lo so. Ora sono qui. Sono qui per te.”

Con la coda dell’occhio, scorse una punta rosa accanto a lei. Si voltò. Era Mew.

“È una donna” disse egli guardando Ho-Oh.

“Sì.”

“È bella.”

“Sì. Ti aspettavi altro?”

“No, ma è…diversa.”

Mew la guardò, ma non rispose. Allora lei vide Raikou.

“Quante volte t’ho inseguito…”

“Corri veloce, Prescelta Creatura. E insegui con rabbia.

“Perché noi?” chiese a un tratto Argento, forte. Lo guardarono ed egli indicò la ragazza. “Noi non siamo come lei, siamo diversi da lei, allora perché noi?”

“Perché così è stato scelto” rispose Ho-Oh, semplicemente.

“Ma noi non siamo forti come lei” disse Lance. C’era tristezza nel suo volto e nei suoi occhi d’oceano profondo. “Ci ha sconfitti, ci ha sempre sconfitti ogni volta. Allora perché noi?”

Mew si portò dietro di lui e girò intorno alle sue spalle, bellissimo e magico come nelle incisioni.

“Voi non siete deboli…siete forti e l’aiuterete. Potrete aiutarla quando sarà in difficoltà.”

“Abbiamo osservato a lungo la tua crescita, Prescelta Creatura” disse Zapdos. “E anche la vostra. E siamo soddisfatti.”

“Non ci avete spiegato perché siamo qui” osservò Luisa. “Io sono la Prescelta Creatura, ma perché esisto? E loro? Perché loro?”

“Per essere la creatura che unisce i Pokémon agli uomini” disse Ho-Oh.

“E voi esistete per essere come lei ed esserle accanto” soggiunse Articuno.

Piano, Ho-Oh si avvicinò. Era bello e odorava di vita. Li toccò.

“Possiate essere uniti e benedetti.”

Era una benedizione. Luisa seppe di essere al sicuro, insieme a loro.

“Siate uniti e sereni nel futuro. Nulla andrà storto” promise Mew, volando ancora attorno a loro.

“Noi saremo sempre qui per guidarvi” aggiunse Suicune.

Era una promessa. Seppero che sarebbe stata mantenuta.

 

Si riebbero più tardi, nell’Arena. Si ritrovarono, stesi l’uno vicino all’altra, sul terreno.

Tacquero prima di parlarsi.

“È stato un sogno?” chiese Luisa, piano. Nessuno ebbe il coraggio di rispondere.

“Io conosco il tuo nome” fece a un tratto Lance, voltandosi verso Argento. “Tu sei Argento. Ma se fosse stato un sogno, come potrei conoscerlo?”

Cadde il silenzio.

“È troppo assurdo” disse Argento, prendendosi il capo con le mani. “È  una storia assurda, troppo assurda per crederci.”

“Ma se non crediamo a questo, a che cosa crediamo?” domandò Luisa, chinando il mento.

“Lance! Lance!”

“Mi cercano” disse il giovane alzandosi. Luci danzavano sulle tribune, alla sua ricerca.

“Vai” disse Argento, distogliendo lo sguardo.

Lance non si mosse. Ciascuno di loro sapeva che, se se ne fosse andato, non avrebbero più avuto la forza d’incontrarsi.

“Venite con me” disse infine Lance a forza. “Andremo in un posto dove potremo parlare. In fretta, prima che ci trovino e ci chiedano dove eravamo finiti!”

Luisa e Argento si alzarono. Lance li precedette di corsa fino a uno dei sottopassaggi principali, quello dei Superquattro. Nel muro, nascosta, c’era una porta. L’aprì e li fece entrare. Furono al buio.

“Lance, cos’è questo posto?” chiese Luisa.

“Per sfuggire ai giornalisti dopo la Lega” spiegò il ragazzo. “La fece costruire mio padre.”

“Stai chiuso qui dopo la Lega? Qui finché non se ne vanno i giornalisti, senza luce né aria?” insisté Luisa, perplessa. Allungando un braccio, toccò vicinissima una parete.

Lance rise. “Questo è un passaggio segreto. Vi faccio vedere dove porta, ora. Seguitemi: siamo al buio, ma la strada sarà dritta finché non ve lo dirò io.”

I tre proseguirono per qualche decina di metri, quando Lance disse loro di fare attenzione. “Qui comincia una scala. Va verso l’alto, non è molto ripida e i gradini hanno tutti esattamente la stessa altezza. Non c’è corrimano, ma non è molto difficile salire se volete appoggiarvi al muro.

Luisa appoggiò una mano sulla parete fredda e cominciò a salire.

“Tuo padre era un genio” disse Argento rivolto a Lance. “Non solo ha costruito un impero immenso per lasciarlo a te, ma ha anche costruito un passaggio così geniale!”

“E non è la sola cosa che abbia costruito” replicò il ragazzo, ridendo.

La scala era facile a salirsi, ma era lunga, e Luisa considerò che dovevano essere quasi in cima alla Sede della Lega. Finalmente, Lance spinse una porta nel buio, e i tre furono acciecati da un fiotto di luce.

“Dove siamo finiti?” protestò Argento riparandosi gli occhi.

“In teoria, tu non avresti il diritto di entrare, ma vista la situazione, non credo che abbia importanza” spiegò Lance. “Questa è la Sala d’Onore.”

Luisa la ricordava bene: la sala immensa, piastrellata di marrone, la grande piattaforma centrale..

“Perché qui?” chiese, vedendo Lance richiudere il passaggio spingendo un pannello.

“Vengo qui, dopo la Lega. È il diritto dei Campioni. Salvo me, nessuno può entrare qui: non saremo disturbati. È insonorizzata e potremo parlare quanto desideriamo.”

Argento sbuffò. “Parlare? Di cosa? Io so quello che ho visto: la Torre di Latta e i Pokémon Leggendari. E so che avete visto le stesse cose anche voi. Altrimenti non saremmo qui.”

Ci fu un silenzio imbarazzato.

“Per quanto siamo stati via?” chiese Lance d’un tratto. Guardò il proprio Pokégear e sbatté le palpebre. “Da quando sono venuto a chiamarvi sono passate più di quattro ore.”

“Abbiamo dormito a lungo” ragionò Luisa. “Anche ammettendo che siamo stati un’ora sulla Torre e in viaggio.”

Lance la scrutò a lungo in silenzio, riflettendo sulle sue parole. Poi, con uno sbuffo, si lasciò scivolare lungo la parete fino sul pavimento. “È assurdo, è ridicolo, chi ci crederebbe, se dicessimo che Ho-Oh è venuto a chiamarci per dirci che lei è la Prescelta Creatura e noi i suoi compagni?”

“Chi ci crederebbe, se noi stessi non vogliamo crederci?” replicò Argento amaramente, seduto per terra poco distante da lui.

Il silenzio cadde nuovamente nella Sala troppo bella. Luisa si stese a guardare il soffitto nero.

“Sulla Torre” iniziò dopo un poco “Ho-Oh, Mewtwo e gli altri comunicavano con noi…telepaticamente.”

“Nell’Arena stessa, Ho-Oh ha parlato mentalmente con noi” osservò Lance.

“Stavo solo pensando che forse, impegnandoci, potremmo essere in gradi di chiamarli anche da qui.”

Non vi fu risposta alle sue parole. Allora si tirò seduta e li guardò.

“Non credete?”

“È tutto così strano” sospirò Argento. “Tutto. forse non dovremmo provarci affatto. Forse resteremmo solo delusi.”

“Solo delusi” rispose Luisa. “Ma se non proviamo, cosa facciamo? Restiamo chiusi qui dentro in eterno?”

Si guardarono in silenzio.

“Hai idea di come fare?” chiese infine Lance.

“Forse concentrandosi…”

Non ebbero modo di provare, non in quell’occasione. D’un tratto un gran frastuono attirò la loro attenzione.

“Da dove viene?” gridò Lance balzando in piedi.

“Da fuori” rispose Argento. “Credo dalla Via Vittoria.”

“Andiamo a vedere” esclamò Luisa. “Potrebbe c’entrare qualcosa con noi.”

Spiccarono una corsa e, usciti dalla Sala d’Onore per la porta principale, percorsero di getto le varie rampe di scale che li separavano dal piano terra.

“Lance! Quanto è alto questo posto?” gridò Argento.

“Dodici piani” rispose quegli continuando a correre.

“E ora siamo…?”

“All’ottavo!”

“Dannazione” imprecò Argento.

Continuarono a correre giù per le scale finché, stanchi e doloranti, non giunsero al piano terra e uscirono dalla porta principale.

In cima alla strada rocciosa conosciuta come Via Vittoria, Suicune, Entei e Raikou erano fermi, immobili e statuari, sulle rocce. Attorno a loro, i tre videro il resto dei Superquattro.

“Tre contro tre” mormorò Lance vedendo i compagni, Lorelei, Agata, Bruno.

“Peccato che non sia uno scontro alla pari” soggiunse Argento a bassa voce.

I Superquattro attaccavano con forza, ma i tre non parevano neppure accorgersi degli attacchi.

“Sono venuti per noi” esclamò Luisa. “Le bestie leggendarie non vengono mai in Kanto, mai!”

Aveva ragione. Quando li videro, i tre avanzarono in silenzio per schierarsi di fronte a loro.

“Non abbiamo avuto modo di salutarvi com’è degno che sia” disse Suicune, chinando il capo nobile e maestoso.

“Abbiamo creduto” soggiunse Entei, piano “che ancora voi foste increduli sul vostro destino."

“Lo eravamo” disse Luisa a fatica “ma ora non più.”

Parlava con la mente. Sentì increduli i suoi compagni alle proprie spalle.

“Siamo arrivati in tempo, dunque” disse Raikou. “Lasciate che andiamo, ora. Abbiate fiducia. Tutto andrà bene.”

I tre Pokémon s’inchinarono ancora una volta. Poi, veloci come voleva la leggenda, corsero via.

“Qualche anno fa” disse Lance dopo qualche istante “Diedi il permesso di costruire un treno che corresse più veloce di qualsiasi Pokémon. Ora so che mi sono sbagliato.

“Corre più veloce di qualsiasi Pokémon…tranne Suicune.”

Luisa non poté aggiungere altro. I Superquattro si avvicinarono loro.

“Dove sei stato?” gridò Lorelei rivolta verso Lance.

Il ragazzo chinò gli occhi. “Sono affari miei.”

“Sei scomparso per quasi cinque ore! Quasi cinque ore, Lance! E quando ricompari, arrivano i Pokémon leggendari e s’inchinano!”

“Lance, da quando sono ricomparsi, i Pokémon leggendari non si sono mai fatti vedere fuori dei confini di Johto” disse Bruno in tono ragionevole.

“Non li ho chiamati io, va bene?” sbottò Lance, volgendosi verso il proprio sottoposto.

“Devi spiegarcelo, Lance!” insistette Lorelei, furiosa.

“Non so cosa dirti, Lorelei!” gridò il giovane spazientito.

“Voi due ragazzi c’entrate qualcosa?” chiese allora Agata.

Luisa arrossì, ma non seppe cosa rispondere.

“Sì” tagliò corto Lance “Ma sono affari solo nostri.”

“In tutta la mia vita ho visto cose molto strane” disse Agata lentamente “Ma davvero non avrei mai pensato di vedere una cosa del genere. Il Presidente della Lega Pokémon, la Campionessa e un giovane ricercato” e guardò Argento, che indietreggiò “ricevere gli onori di Suicune, Entei e Raikou.”

“Che per porgerli raggiungono addirittura l’Altopiano Blu nella regione di Kanto” soggiunse Bruno.

“Basta ora!” sbottò Lance. “Sono stanco di questa storia. Sono affari che non vi riguardano. Non siamo stati noi a chiamarli. Lasciateci stare.”

“Non puoi nasconderti dietro un dito, Lance!” lo avvertì Lorelei, infuriata.

“Neanche tu puoi nasconderti, Luisa!”

Si voltarono. Seduto in alto, su una roccia della Via Vittoria, Rosso li guardava.

“Cosa vuoi, Rosso?” gridò la ragazza.

Il giovane agitò la mano in segno di saluto. “Buonasera, Lance. Sono contento di rivederti.”

“Rosso! Dicci cosa vuoi e vattene!” sbottò Lance muovendo un passo avanti.

“Volevo solo avvertirvi, e in particolar modo te, Luisa che sconfiggesti Suicune” pronunciò in tono di scherno queste parole “Che tra undici giorni, dopo la Lega, sarò al solito posto per sfidare il Campione. Non tenetelo nascosto come facesti tu l’altra volta, Lance” soggiunse guardando il ragazzo. “Attenderò a Monte Argento finché sarà necessario, foss’anche un anno. Luisa…” si rivolse direttamente a lei. “So che sarai tu a venire da me. Lo so e ti aspetterò. Non metterci troppo. O crederò che hai paura di me.”

“Non ne ebbi quando sfidai Suicune, perché dovrei averne di te?” replicò la ragazza in risposta.

“A proposito di Suicune… un giorno mi spiegherai perché i tre cani leggendari sono venuti qui, nella regione di Kanto. So che erano qui per te. Forse sei troppo forte anche per loro?”

“Vai al diavolo!” urlò Luisa, infuriata.

Rosso assentì col capo. Era bello come il peccato e come il peccato pericoloso.

“Ci rivedremo presto” disse prima di scivolare all’indietro sulla roccia. Poco dopo, un Charizardi si levava in volo verso sud-est.

“Va a Biancavilla” disse Argento freddamente.

Lance scosse il capo. “Va a Isola Cannella.”

“E tu come lo sai?”

Lance alzò le spalle e chiuse gli occhi. Era stanco. “È là che va. Anche Blu va là. È per questo che ci va.”

Luisa sospirò, rivedendo nella propria mente il volto triste del capo di Smeraldopoli. “Per quanto possano dire di odiarsi, lo sanno tutti che non smetteranno mai di cercare di vedersi.”

Nessuno ebbe più il coraggio di parlare per qualche secondo.

“Abbiamo qualche stanza per loro?” chiese infine Lance, riscuotendosi.

“Credo di sì” balbettò Lorelei, prestando di nuovo attenzione.

“Allora dormiranno qui.” Con queste parole, egli fece per rientrare.

“Lance! Non abbiamo ancora finito!” gli urlò dietro la ragazza.

“Lorelei, basta. Non posso dirti quel che è successo e neppure lo capiresti. Sono stanco e ho solo voglia di dormire. Andiamo.”

Lance rientrò nella Sede e i due lo seguirono, stupiti. Lo seguirono lungo le scale fino al quinto piano.

“Qui ci sono le camere. Anche i Superquattro dormono qui. Le loro camere sono le ultime tre in fondo al corridoio, ma le prime sono tutte vuote.” Spinse due porte, una di fianco all’altra. Ai loro occhi apparvero due ampie stanze quasi identiche, arredate in bianco. “Potete dormire qui. Non è molto, ma è tutto ciò che posso offrirvi.”

“Sono bellissime” disse Argento.

Lance sorrise. “Sono lieto che siano di vostro gradimento. Chiudetevi a chiave dall’interno perché nessuno possa darvi fastidio. La mia camera è all’undicesimo piano, nel caso aveste bisogno di me.”

Luisa sospirò. “Credo che, vista la situazione, dovremo sempre rimanere insieme.”

“L’ha detto anche Mew: siate uniti e sereni nel futuro.” Ricordò Argento.

Era la prima volta che parlavano apertamente di quanto era successo. Si sorrisero, stanchi e imbarazzati, prima di salutarsi.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Amara inquietudine. ***


Luisa non dormiva mai di notte, eppure in quell’occasione era tanto stanca che dormì a lungo e si svegliò alle otto e mezza, quasi e tre quarti.

Svegliatosi, si rivestì e uscì dalla porta della stanza, in silenzio. Uscì dall’edificio il più possibile e raggiunse l’Arena delle battaglie. Restò seduta a ripensare a Ho-Oh, a Mew, a Mewtwo... e ripensò anche a Rosso e a Blu, che ormai erano divisi da troppo tempo, ma che continuavano a cercarsi. Si nascose il viso tra le mani e rivide l’inchino dei Pokémon leggendari.

“Ci pensi anche tu?”

Sorpresa, Luisa si voltò e vide Lance: in piedi sulla tribuna più alta, fissava l’Arena con occhi persi.

Luisa sospirò: “Non riesco a capire, Lance. Perché noi?”

“Ci ho riflettuto a lungo, Prescelta Creatura. Io sono il figlio dell’uomo che ha creato l’Impero dei Pokémon, tu la Campionessa, Argento un ladro in fuga dalla legge…”

“Ma in confronto a Ho-Oh” disse Luisa “Non siamo niente.”

“Niente” rispose Lance. “O forse no. Chi lo sa? Mewtwo fu creato dagli umani e Suicune, Entei e Raikou morirono in un incendio come topi in trappola. Non siamo così diversi da loro, Prescelta Creatura.”

Con un salto si portò accanto a lei, ma rimase in piedi.

“Certo, io e Argento siamo deboli rispetto a te. Perché non Rosso, o Blu, che sono così forti? Ma forse loro non sono così speciali, forse non potrebbero mai più essere come prima. Allora, ci siamo io e Argento: e siamo quasi come loro, ma più vicini a te.”

Calò il silenzio, rotto poco dopo da passi che si avvicinavano. Argento li raggiunse e sedette accanto a loro, in silenzio.

“Restiamo qui a non fare niente?” sbottò dopo qualche secondo.

Luisa gli rivolse uno sguardo stanco. “Dove vorresti andare?”

“Non lo so, da qualche parte! Torre di Latta, Torre Bruciata, Isole Vorticose, Grotta Ignota, Rovine d’Alfa! Andiamo da qualche parte, non importa dove, la sola cosa che importa è che sia uno dei luoghi leggendari.”

“Come volete. Allora…”Lance accese il Pokégear e consultò la mappa. “Dunque, consideriamo i luoghi: qui a Kanto, Grotta Ignota è crollata, è solo un cumulo di macerie, sappiamo tutti come è andata a finire.”

“Resta Johto” intervenne Argento.

“A Rovine d’Alfa non troveremmo nulla: solo Unown e frasi scritte nella loro lingua. Torre Bruciata…beh, non è poi molto meglio di Grotta Ignota. Per quanto riguarda la Torre di Latta…”

Lasciò il discorso in sospeso. Nessuno voleva tornarci.

Luisa sollevò gli occhi al cielo.

“Andiamo a Biancavilla.”

“Cosa? Perché là?” protestò Argento, sorpreso.

Luisa si voltò e sorrise. “Perché là vive il professor Oak.”

 

Raggiunsero in volo Biancavilla.

Percorsero in silenzio il cortile del laboratorio del professore, per poi bussare alla porta. La voce al citofono chiese chi fosse.

“Sono Lance” rispose il giovane. “Porto due amici. Abbiamo bisogno del suo aiuto, professore.”

Ci fu un istante di silenzio, poi furono fatti entrare. Il professor Oak li attendeva nel laboratorio. Era felice di rivedere il suo figlioccio. Tese le braccia: “Lance, figliolo. Benvenuto. Ah, e ci sei anche tu, Luisa. Che sorpresa. E questo bel giovanotto è…”

“Argento.”

“Molto piacere. Beh, di cosa volevate parlarmi?”

“Ci dispiace disturbarla, professore.”

“Lance. Sai che ti voglio bene come se fossi mio figlio.”

Lance sorrise. Aveva alte conoscenze ed era un uomo furbo, e di ognuna conservava l’amicizia e la stima: Oak, Elm, il Maestro, Bill, Mr. Pokémon…

“Professore, dobbiamo porle una domanda sui Pokémon leggendari e sulle leggende che li riguardano.”

Il professor Oak li guardò in silenzio. Freddamente, spinse una porte e fece segno loro di seguirlo, tramite un lungo corridoio, in un salottino.

C’era una strana freddezza nei suoi modi. Ma non era infastidito. Stava ragionando. Fece loro cenno di sedersi e mise a bollire l’acqua per il tè. Dava loro le spalle.

“Professore…” iniziò Luisa vedendo prolungarsi quel silenzio.

“Lance” disse infine il professore, senza voltarsi: “Lance, io so che una persona educata, diplomatica e calcolatrice come te non visita un amico di famiglia solo per porre qualche domanda sui Pokémon leggendari…qualche domanda cui la biblioteca della sua famiglia può perfettamente dare risposta.”

Intimorito dal professore, Lance chinò lo sguardo. “Stavolta no, professore. Solo lei può risponderci.”

“Parlate, allora.”

Nessuno aveva il coraggio di prendere la parola. Dopo poco Luisa si alzò.

“Professore, sa qualcosa della Prescelta Creatura e di chi è nato per essere come lei?”

Il professor Oak fece silenzio. D’un tratto sorrise appena. “È solo una vecchia leggenda metropolitana. Dove l’avete letta?”

Luisa girò gli occhi. “Da qualche parte. L’ho sentita da qualche parte… alla radio. O ad Amarantopoli. Non mi ricordo. Ce ne parli, la prego.”

Il tè bolliva. Il professore spense il fuoco e lo versò in quattro tazze.

“Qualcuno parla di una Prescelta Creatura che esiste in ogni secolo: un giovane, una giovane… si parla di una creatura meravigliosa di spoglie mortali, che muova i suoi passi tra le vite degli uomini, e di due giovani, che siano come lei, che l’affianchino e la proteggano. Pare che questo sia legato in parte ai Pokémon leggendari e in parte al mistero degli Unown e a una tavoletta rinvenuta nelle rovine che recita… non lo ricordo più.” Il professore tacque un poco. “Ragazzi, toglietevi dalla testa queste idee. Sono pericolose.”

I tre aggrottarono le sopracciglia.

“Perché, pericolose?” domandò Argento confuso.

Il professor Oak distolse lo sguardo da loro.

“Rosso voleva dimostrare di esserlo.”

Sorpresi, i ragazzi si guardarono l’un l’altro.

“Non lo sapevo” confessò Lance.

“Era un’idea strana, la sua. Aveva sentito questa storia da qualche parte, non so dove, non so quando. Si convinse però di essere la Prescelta Creatura e volle fare di tutto per dimostrarlo. Sapeva (sa) che per esserlo è necessario essere riconosciuti dai Pokémon leggendari. È da allora che non smette di cercare. E crede che, diventando il migliore, Ho-Oh lo riconoscerà.”

Luisa esitò: “È per questo che lui e Blu…”

Il professore scosse la testa. “No. Blu sarebbe stato disposto a seguirlo in questo pazzo viaggio. Ma ha ereditato la palestra da Giovanni e Rosso non può tollerare tutto questo. “ Sospirò. “Non so chi di voi creda di essere la Prescelta Creatura, ma non voglio che finisca come Rosso. Volendo credere alla leggenda, per essere a tutti gli effetti la Prescelta Creatura è necessario che il consesso dei Pokémon leggendari vi conferisca questo titolo. Fino a quel giorno, vi garantisco che sarete ragazzi perfettamente normali…per quanto forti.”

“Professore” disse forte Luisa. “A che scopo eleggere una Prescelta Creatura?”

Oak sospirò. “A segnare l’unione tra Pokémon e umani. Avete altre domande?”

Si trattennero un poco ancora dal professore, poi uscirono all’aria aperta. Passeggiarono un po’ per le strade di Biancavilla. Erano stanchi.

D’un tratto, sollevarono lo sguardo e videro Blu volare, a bordo del suo Pidgeot, verso Isola Cannella. Lo guardarono tristemente.

“Quand’è che smetterà di cercarlo?” chiese Luisa scrutando il cielo.

“Quando Rosso smetterà di cercare Ho-Oh per dimostrare di essere chi non è.”

“Lui non sa di non esserlo” disse Luisa con un sospiro.

Continuarono a camminare. Erano confusi.

“Andiamo a Rovine d’Alfa” disse allora Lance, illuminandosi.

Presero il volo verso Johto. Raggiunsero le Rovine. Scesi nell’ampio salone, si accostarono al muro. Ripetuta all’infinito, tutta la parete era ornata dalla stessa parola: “Vehmarf.”

“Chissà cosa significa” mormorò Argento, perso tra quelle lettere.

“Chissà perché l’hanno scritto” replicò Luisa, sfiorando i simboli. La colpì una consapevolezza: “L’hanno scritto per i mille e mille altri prima di me, l’hanno scritto per i mille e mille ancora dopo di me, l’hanno scritto per me.”

Sostarono a lungo davanti a quelle scritte. Erano antiche e sacre. Uscirono dopo molto tempo.

Là fuori, ad aspettarli, c’era Mew.

Due scienziati, increduli, lo guardavano. Lo guardavano solamente, timorosi della sua aura sacra. Mew non se ne avvedeva. I tre si avvicinarono a lui.

“Vi abbiamo osservati” disse. “Abbiamo ascoltato le vostre domande. Venite con me, andremo a cercare le risposte.”

 

Quando per la seconda volta toccarono la cima della Torre Latta, ad attenderli c’era solo Ho-Oh. Li guardò benevolmente quando si schierarono di fronte a lui.

“Siete confusi?” domandò. Annuirono. “C’era da aspettarselo. Cosa volete sapere?”

“Perché noi?”

Ho-Oh guardò direttamente Luisa. “Prescelta Creatura, tu e i tuoi predecessori siete legati dal sangue. In eterno sarete uniti dalla vostra parentela e dalla vostra forza e dal vostro coraggio. E tu in particolare, con la tua persona, Luisa, aprirai una stirpe che si protrarrà per molti secoli. Ma questo lo saprai più tardi.”

“E noi?” chiese Lance.

Ho-Oh volse gli occhi su di lui. “I compagni della Prescelta Creatura sono eletti dal destino. La scelta è ricaduta sulla vostra forza e sul vostro valore. Il merito della vostra scelta ricade unicamente su di voi.”

“Ho-Oh” disse Argento “Rispondimi. A quale scopo viviamo?”

Quegli esitò. “Vivete per tenere fede al patto di coesistenza tra umani e Pokémon, e per vivere nella loro origine comune: Celebi, il padre della foresta e signore dei cieli.”

“E quindi” intervenne Luisa spazientita “Cosa dobbiamo fare?”

Ho-Oh le sorrise. “Continuate a vivere come avete sempre vissuto. Continuate ad allenarvi, a diventare sempre più forti. Ciò che accadrà, accadrà. Presto vi abituerete a questa nuova condizione. Siate sereni e continuate a vivere.”

I tre giovani si guardarono e si sorrisero.

“Un’ultima cosa prima che andiamo” disse ancora Luisa. Si accostò al Pokémon. “Il mio nemico, Rosso. Guarirà mai?”

Ci fu un istante di silenzio. “Solo lui può scegliere se guarire o no, Prescelta Creatura. Solo lui può scegliere se salvarsi o meno. Noi non possiamo salvarlo. Forse, solo Blu può aiutarlo. Ma non possiamo cambiare le sue convinzioni.”

“Continuerà a cercare” disse Lance stancamente.

“Continuerà a lungo” rispose Ho-Oh. “Non possiamo fare niente per lui. Andate, adesso. Il vostro cammino è appena iniziato.”

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Pace a Miramare. ***


Il giorno dopo, sul giornale, spiccava una grossa foto della comparsa di Mew a Rovine d’Alfa. Quattro pagine erano dedicate alla sua leggenda e alle teorie di un possibile legame del Pokémon col mistero degli Unown.

“Sono certa che tu c’entri qualcosa, Lance” disse Lorelei, sbattendo sul tavolo il giornale.

Lance guardò la foto e spinse via la ragazza. “Lorelei, io non ho la capacità di attirare i Pokémon leggendari. Lasciaci leggere il giornale.”

Chinatosi sulle pagine assieme ai tre compagni, lesse dell’avvistamento di Mew alle Rovine d’Alfa.

“Sei preoccupato, Lance?” chiese Luisa bevendo il latte.

“Potrebbe nominare noi” replicò il ragazzo.

“Nella foto non ci siamo” osservò Argento. “Se anche ci nominasse, resteremmo solo le allucinazioni di un pazzo visionario.”

Lance continuò la lettura: “ ‘…riferiscono che due ragazzi e una ragazza sono stati condotti via’” lesse.

“Non significa niente” disse Luisa. “Io e te siamo famosi, Lance, eppure non siamo chiamati per nome: probabilmente nessuno ci ha riconosciuti.”

“Speriamo” commentò il ragazzo chiudendo il giornale.

“Credete che Mew possa essere cacciato, ora che si è mostrato in pubblico?” domandò Argento.

“Immagino che lo sarà” rispose Luisa. “Ma se in molti secoli nessuno è riuscito a fargli un graffio, dubito che qualcuno ci riuscirà proprio ora. E comunque, le ricerche si concentrerebbero nella zona intorno alle Rovine d’Alfa.”

“E là troveranno solo Unown e scritte minacciose riguardo a Torri Pokémon” concluse Lance alzandosi.

Luisa ripensò alla scritta che lei stessa aveva scoperto. “Vi siete mai chiesti dove potrebbero erigere questa Torre?” chiese.

Lance alzò le spalle. “Probabilmente è solo una metafora.”

“Non potrebbero riferirsi a noi?” suggerì Argento a bassa voce. “A qualcosa che ci riguarda?”

Abbassarono lo sguardo, incupendosi.

“Ho paura” ammise infine Luisa. Dai loro occhi capì che il suo sentimento era condiviso.

“Ho-Oh ha detto di non preoccuparci, di comportarci normalmente” fece notare Argento. “Come possiamo riuscirci? In ogni cosa vediamo il nostro riflesso e quello della nostra storia.”

Ci fu un lungo istante di silenzio, durante il quale ciascuno fissò cupamente l’immagine di Mew che splendeva dal giornale.

“Stiamo diventando pazzi” disse infine Luisa, afferrando il giornale. Ne scorse in fretta le pagine. “Ho capito coscientemente chi siamo e perché esistiamo, ma ancora non riesco ad abituarmi all’idea. Facciamo qualcosa, qualunque cosa. Torniamo alle Rovine, andiamo a Torre Bruciata, alleniamoci per la Lega. Sono stanca di aspettare e non possiamo andare avanti così in eterno.”

Lance chinò lo sguardo sulle proprie mani magre e nervose. “Hai ragione tu, Luisa. Non possiamo restare fino alla fine dei nostri giorni chiusi qui, ad aspettare che succeda qualcosa, qualunque cosa.”

Erano stanchi di aspettare. Volevano vedere, volevano capire.

“Dove andiamo?” chiese Argento alzandosi. “Sono pronto. Andiamo dove volete.”

“Allora?” chiese Lance. “Luisa, a te la scelta. Dopotutto, sei tu la meravigliosa creatura che muove i suoi passi tra le spoglie mortali.”

Luisa sospirò. “Voglio vedere la Grotta Ignota.”

Lance alzò le spalle. “È solo un cumulo di macerie. Non vale quasi la pena del volo.”

“Andiamo lo stesso. Là vivevano Mew, Mewtwo, Moltres, Zapdos, Articuno… sono sicura che non sarebbe un  volo sprecato.”

“Andiamo, Lance” disse Argento. “Dopotutto, anche se è un cumulo di macerie, resta comunque la Grotta Ignota.”

Il ragazzo alzò le spalle e li precedette fuori dell’edificio, dove presero il volo verso Celestopoli.

“Sei sicura di volerla vedere?” domandò Lance. “Non è bella. Sono solo sassi crollati.”

“Smettila, Lance. Abbiamo altro da fare? È un posto come un altro. Andiamo.”

Scesero a Celestopoli. A piedi, percorsero lentamente il lungo ponte che li separava da Grotta Ignota.

Là videro una distesa immensa di pietre, di detriti…qua e là sorgevano cupole più pesanti.

Luisa non aveva potuto vedere la Grotta prima del crollo, ma aveva seguito l’accaduto al telegiornale. Vedere quella scena di desolazione l’incupì.

“Era un posto così grande…”mormorò.

“Era bellissima” disse Lance. Guardò in alto. “Era alta e nera, una nebbia l’avvolgeva. Emanava un’aura sacra che le donava una bellezza infinita. E ora, è crollata.”

“Come può essere successo?” domandò Argento. Raccolse una pietra. “Qui vivevano Mew, Mewtwo, ed erano sacri, tutti lo sanno…ed è crollata.”

“È così che è andata” rispose Lance. “Me lo ricordo, non ero lontano, ero sulla strada del Tunnelroccioso. Sono arrivato di corsa e ho sorvolato la rovina con Dragonite. Era terribile. Era bellissimo.”

“E…e li hai visti?” chiese cauto Argento.

Si raccontava che, dopo il crollo, i Pokémon leggendari fossero volati via. Lance annuì distrattamente.

“Sì, credo di sì. Abbiamo visto i lampi: prima tre, uno rosso, uno giallo e uno bianco. Poi una sfera blu, e infine una sfera rosa, l’ultima di tutte, e sono volate via insieme.”

Tacquero.

“E adesso, è crollata.”

Rimasero lì, taciturni e silenziosi, a osservare le rovine della bellissima Grotta.

“Mi dispiace molto di non aver potuto vederla in piedi” disse Luisa. Sospirò e spinse via con un calcio una pietra. “Andiamo via. Avevi ragione tu, Lance. Non valeva la pena di venire qui. Ci ha solo resi più tristi.”

A passi lenti e stanchi i tre si allontanarono. Giunti in cima al ponte, si fermarono. Non sapevano dove andare.

“Cosa vogliamo vedere, adesso?” chiese Argento, stanco. Si guardarono l’un l’altro.

“Andiamo a Miramare” suggerì Lance voltandosi.

Luisa non capì. “Ma là vive solo il nonno di Bill…”

“È da lui che andiamo.”

Fu Argento il primo a capire. “Credi che possa aiutarci?”

“Il professor Oak non voleva che parlassimo della Prescelta Creatura, ma in fin dei conti il Pokéfanatico potrebbe capire meglio le nostre curiosità.”

Luisa alzò le spalle. “Bene, allora. Come vuoi. Andiamo a trovarlo. Bill mi ha detto che gli fa piacere ricevere visite.”

Tornarono sui propri passi  e percorsero la distanza che li divideva dal Miramare.

Raggiunsero la casa sulla scogliera. Era piacevole e accogliente.

Bussarono. Dalla porta il vecchio chiese chi fosse. “Siamo Lance, Luisa e un amico, Argento” rispose Lance, accostandosi alla porta.

“Lance? Il figlio di Lawrence? Sei tu?”

“Sono io” rispose il ragazzo sorridendo. “Può farci entrare?”

Non ci fu risposta. Dopo poco, il Pokéfanatico aprì la porta. Era un vecchio, ma in fondo era giovane. Sorrise.

“Sei cresciuto molto, Lance. Sei un uomo, ora.”

“Grazie.”

“E tu, Luisa. Sei diventata grande da quando ti ho vista. Sei proprio bella. Come stanno i tuoi Pokémon?”

“Bene, signore” rispose Luisa.

“È importante. E tu, ragazzo…” gli occhi del vecchio si posarono sul ragazzo. “Argento?”

“Argento, sì.”

“Bello, sei. Ma io so chi sei, t’ho visto.”

Argento arrossì. Il vecchio gli sorrise. “Sei con uno di loro?”

“Con me” rispose in fretta Luisa.

“Cosa volete? Perché siete qui?”

Lance esitò. “Vogliamo farle alcune domande.”

“Su quale argomento?”

“La leggenda della Prescelta Creatura, signore. Lei ne sa qualcosa?”

Il vecchio esitò. Rifletté a lungo. “Credevo nessuno ne parlasse più. Dove l’avete sentita?”

“Ad Amarantopoli, da un vecchio allenatore che passeggia sempre vicino a Torre Bruciata” rispose Argento in fretta.

“Capisco. Volete venire dentro?”

I tre si accomodarono sul divano, l’uno accanto all’altra.

“Cosa volete chiedermi?” chiese il Pokéfanatico sedendosi di fronte a loro sulla poltrona.

Lance prese la parola. “Lei sa chi è la Prescelta Creatura?”

“No” rispose il vecchio “Non in questo secolo.”

“Mi chiedevo solo se lei sapeva cos’è.”

“È un’altra domanda” riprese il vecchio. “Sì. So cosa è. Volete che ve lo legga dal libro?”

Si alzò e, senza attendere risposta, si accostò alla libreria e prese un libro. Tornò a sedere, lo aprì sulle ginocchia e lesse: “ ‘ In ogni secolo esiste una creatura meravigliosa che muove i suoi passi tra le spoglie dei mortali. Due giovani l’accompagnano, che siano simili a lei e la sostengano nelle sue prove…’”

“Non ci dice niente di nuovo” lo interruppe bruscamente Argento. Il Pokéfanatico sospirò.

“Mi dispiace.”

“Ci scusi” mormorò Lance.

“Ragazzi” sospirò allora il vecchio. “Il professor Oak mi ha detto che sareste venuti.”

I ragazzi si guardarono.

“Signore, noi non siamo…”iniziò Luisa.

“Chi è di voi?”

Luisa esitò. “Co…come?”

“Chi di voi tre è la Prescelta Creatura?”

I tre ragazzi si scambiarono uno sguardo. Per la prima volta, Luisa sentì nella propria mente le parole di Lance.

“Diglielo.”

“No…”

“Ha ragione lui, Luisa. Ci possiamo fidare. Diglielo.”

Lentamente, Luisa si alzò in piedi. Con occhi diretti guardò decisa il vecchio.

Il Pokéfanatico la guardò. “Avvicinati.”

La ragazza si avvicinò a lui. seduto, l’uomo la guardò. Era commosso.

“Lei ci crede?”

“Sì. Volevo vederti. Sai…sono contento d’averti vista prima di morire. E voi…”

“Siamo i suoi compagni” disse Argento.

Ci fu un sorriso.

“Ora, ho visto tutto. Posso morire ora, sapete. Ho visto i Prescelti. Sono felice di avervi visti.” Proseguì: “C’era qualcos’altro che volevate chiedermi.”

Luisa si voltò a guardare Lance.

“Signore” disse il ragazzo allontanandosi. “Voi conoscete Rosso?”

“Lo conosco.” Il vecchio sollevò le mani. “So cosa volete chiedermi. Rosso è pazzo. Lui vuole trovare Ho-Oh e non smetterà di cercare finché non sarà riconosciuto come Prescelta Creatura, o finché non gli sarà provato che non lo è.”

I ragazzi s’intristirono. Loro erano ciò che Rosso avrebbe voluto essere, ciò che lo aveva separato da Blu.

“Non è giusto” disse Luisa. “Doveva essere lui. Lui voleva esserlo, noi no. Perché non lui?”

“Perché non è forte abbastanza.”

“È  DA DUE GIORNI CHE SENTO RIPETERMI CHE NON È FORTE ABBASTANZA! FORSE CHE IL MERITO SI MISURA DALLA POTENZA DEI POKÈMON? IO NON VOLEVO ESSERLO E LUI VOLEVA, LUI LO MERITAVA, IO NO!”

“Il suo sangue non è quello della Prescelta Creatura, Luisa.”

“NON È GIUSTO!”

“Forse non lo è. Ma sono stati i Pokémon leggendari a scegliere. E noi non abbiamo diritto di lamentarci.”

“Ma Rosso ha perso Blu per diventare la Prescelta Creatura! Non lo diventerà mai e per questo entrambi moriranno soli, a cercarsi sulla cima di quel maledetto vulcano! E questo non è giusto!”

“Luisa.” Il vecchio le afferrò i polsi e la costrinse a guardarlo. Fissandola dritto negli occhi, le disse lentamente: “La colpa non è tua.”

Luisa si fermò a guardarlo.

“Rosso ha fatto una scelta. Nessuno gli ha detto di farlo, ma lui ha scelto di cercare. Blu ha accettato di vederlo partire, poiché non poteva fare niente per fermarlo. Rosso continuerà a cercare, Luisa, e nessuna parola può farlo desistere dal suo intento. Farà ciò che sente di dover fare. Anche se questo lo farà morire lontano da Blu.”

“Io lo odio” disse Luisa “Ma ho compassione di lui, perché è pazzo. E ho compassione di Blu.”

“Tutti ne abbiamo, Luisa. Proprio tutti. Non angustiarti per lui.”

“Grazie, signore” disse Lance alzandosi. “Lei ci è stato di grande aiuto.”

Il Pokéfanatico lo guardò tristemente. “Lance. Andate a cercare qualcosa sul vostro mistero. Non è così?”

“Sì, signore.”

“Non vi servirà a niente. Non troverete niente che cambi quello che siete, e ciò che dovete sapere, lo sapete già. Restate con me per oggi. Aiutatemi a prendermi cura dei miei Pokémon, pranzate con me. Distraetevi, o finirete per impazzire, per diventare come Rosso.”

Allora trascorsero là tutto il resto della giornata, a Miramare. Pranzarono col vecchio e parlarono di tutto, ma non delle leggende; trascorsero il pomeriggio in giardino, a giocare coi Pokémon e a dar loro da mangiare, e risero e scherzarono per tutto il tempo. Venne la sera, e dovettero accomiatarsi.

Tramontava il sole. Luisa, Argento e Lance erano fermi, fuori della porta.

“Grazie di essere venuti. Spero che abbiate trascorso una bella giornata.”

“È lei che dobbiamo ringraziare” disse Lance.

“E di cosa? Sono un povero vecchio.”

“Grazie di averci salvati” disse Luisa.

“Come possiamo ringraziarla?” chiese Argento.

“Non ne avete bisogno.”

“C’è qualcosa che avrebbe voluto vedere?” chiese Luisa. “E che non ha visto?”

“Tu mi hai mostrati i Pokémon che non ho potuto catturare, Prescelta Creatura. Di un solo Pokémon non ti chiesi, perché non avresti potuto mostrarmelo.”

“Che Pokémon era?”

“Mew.”

“In tutta la vita, non ha visto solo Mew?” domandò Lance stupito.

Il vecchio sospirò e guardò in alto. “Vidi ogni Pokémon conosciuto, ragazzi miei. Ogni Pokémon. Vidi Ho-Oh, Lugia, Suicune, Entei e Raikou. Avventurandomi a Grotta Ignota, ebbi l’onore di vedere Mewtwo, Moltres, Zapdos e Articuno. Solo Mew non ebbi modo di vedere, perché è troppo sacro per i miei occhi.”

Luisa, Argento e Lance si guardarono. Fu un attimo-

Concentrandosi, chiamarono.

“Prescelti.”

“Mew. Hai sentito?”

“Sì. Eccomi, viaggio per raggiungervi. Attendete.”

“È stato buono con noi, signore” disse Luisa prendendogli le mani. “Ci ha strappati dal baratro della pazzia, ci ha impedito di dannarci. Ora siamo in pace. Lo dobbiamo a lei.”

“Siamo suoi debitori. Saremo per sempre al suo servizio” soggiunse Lance.

“Non esiti a fare affidamento su di noi” disse Argento. “Ci ha salvati e noi non lo dimenticheremo facilmente.”

Il sole era ormai quasi del tutto oltre la linea dell’orizzonte. D’un tratto, un’aura sacra li raggiunse. Voltandosi, videro Mew stagliarsi contro il mare infuocato.

E il vecchio tremò quando si avvicinò.

Mew volò attorno a lui, sfiorandogli il viso con la punta del muso. Quattro volte gli girò attorno, bellissimo e sacro come tutti sanno.

Infine si fermò dinanzi a lui, sostando in aria.

Non andava toccato Mew, il vecchio lo sapeva e si trattenne, pur desiderandolo. Allora fu Mew a toccare lui. s’infilò sotto le sue vecchie mani rugose, strappandogli una carezza, e lo guardò negli occhi per un istante. Poi volò via, gettandosi sotto il pelo dell’acqua.

Il Pokéfanatico rimase fermo,. Incredulo, a guardare dov’era sparito. Poi si voltò a guardare i ragazzi.

“È bellissimo” disse lentamente.

I tre annuirono.

“È…è sacro. Come dicono tutti.”

“Ora l’ha visto” disse Luisa. “È il nostro dono per lei. Ma la nostra gratitudine non si esaurisce qui.”

“Grazie” mormorò il vecchio. Restò a guardare mentre i Prescelti si allontanavano in volo, verso il sole.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Le eredità dei padri. ***


Atterrarono a Indigo Plateau. Il sole era calato, pioveva, ma nessuno si preoccupava più, ormai.

Entrati nella Sede, videro un uomo seduto a un tavolo. Il mantello, che ancora non si era tolto, era zuppo di pioggia, i suoi bei capelli rossi arruffati e bagnati. Sedeva al tavolo col capo tra le mani, disperato; ma si alzò bruscamente quando arrivarono, scansando il mantello.

“Blu!”

“Lance” esclamò il giovane venendo verso di loro. “Lance, ho parlato con Lorelei, ha detto…ha detto che Rosso è stato qui, l’altro ieri.”

Era stravolto, tutti lo notarono.

“Sai dov’è andato? V’ha detto cosa avrebbe fatto? Lance, lo sai?”

Il volto di Lance si mantenne estremamente rigido. “Ha detto” disse lentamente “Che avrebbe atteso a Monte Argento il Campione della Lega, per tutto il tempo necessario.”

Blu lo guardò a lungo, incredulo e felice. “Da…davvero?”

“Blu.” Il tono di Lance era estremamente serio. “Tu sei un Capopalestra.”

Gli occhi del giovane si spensero immediatamente. Chinò lo sguardo. “Sì, io…lo so.”

“Non ti è permesso allontanarti durante la Lega, lo sai.”

“Lance, non si potrebbe…ti prego…”

“Blu, devo pregarti di non mettermi in difficoltà. Sono il Presidente della Lega Pokémon, e devo negarti questo permesso come lo negherei a Jasmine di Olivinopoli, a Blaine dell’Isola Cannella. Perciò ti prego, non insistere.”

Blu aveva vergogna di guardarlo in viso. Cogli occhi bassi, mormorò: “Molto bene.” Poi scansò il Presidente e fece per uscire.

Lance si manteneva rigido. Era mortificato. Luisa gli tirò un braccio, Argento l’altro. Si guardarono.

“Blu…”

“Sì, capo?”

“Naturalmente, nessuno verrebbe a saperlo, forse neppure io, se tu ti allontanassi durante la notte.”

In un secondo, Blu era ai piedi di Lance e gli abbracciava le ginocchia, continuando a ripetere: “Grazie, Lance, grazie, grazie!”

I tre ebbero pietà di lui. Lance lo rialzò. Blu si ricompose.

“Mi…mi dispiace, Lance. Perdona la mia irruenza.”

“Non importa” rispose il giovane. “Abbi maggior controllo di te, Blu. Piuttosto, per quale motivo eri venuto?”

Blu sorrise. “Sono venuto per portarti il numero degli allenatori cui ha conferito la mia medaglia.”

“Cioè?”

Il Capopalestra estrasse un foglio. “Questi sono i nomi. Comunque, sono sei in tutto.”

“Solo sei?” esclamò Luisa.

Blu alzò le spalle. “Non è semplice sconfiggermi, Campionessa.”

“Non come Sandra, che, pur vantandosi di essere la migliore, mi ha portato una lista di quarantasei candidati” disse Lance distrattamente. “Comunque, non posso farglielo notare. Resta pur sempre la nipote del Maestro. Ti ringrazio, Blu. Ho bisogno di questa lista, domani apriranno le iscrizioni alla Lega Pokémon.”

“Domani?” chiese Argento. “Questo significa che per tutto l’Altopiano Blu inizieranno a circolare allenatori?”

“Precisamente” replicò Lance. “Quanti supereranno l’ultimo ostacolo, cioè la Via Vittoria, avranno diritto a sfidare la Lega Pokémon.”

“E dunque” disse Luisa “Anch’io combatterò?”

“Certamente” rispose Lance. “Non deluderci, Luisa. La donna che ha sconfitto Suicune non può lasciarsi sconfiggere da un branco di mocciosi.”

“Suicune” ripeté Blu. “Lance, è vero quanto mi ha raccontato Lorelei? Che i Pokémon leggendari sono giunti fin qui e che al vostro arrivo si sono inchinati davanti a voi?”

“È così” rispose Luisa. “Ma a te cosa importa?”

Blu si voltò a guardarla. “Rosso sta dedicando la sua vita a farsi riconoscere come Prescelta Creatura, Luisa.”

“Non possiamo farci nulla.”

“Ma voi…”Blu si stava infervorando. Tacque per non doversene pentire. “Grazie, Lance. Arrivederci.”

Si voltò e uscì dignitosamente dall’edificio. I tre cominciarono a salire le scale.

A un tratto, al quarto piano, Luisa guardò giù da una finestra e vide il Capopalestra fermo sulla cima di Via Vittoria. Spalancò la finestra e si sporse.

“BLU!”

Il ragazzo si voltò a guardarla.

“Blu, solo tu puoi salvarlo! Solo tu, hai capito?”

Il vento le portò una risata. Un istante dopo, Blu correva giù per la Via. Ma Luisa seppe che aveva capito e che stava piangendo.

 

Il mattino dopo, Luisa venne svegliata da un grido. Si mise seduta sul lettone bianco accanto alla finestra e tirò la tenda.

Fuori si stendeva una lunga fila di allenatori.

“O mio Dio” mormorò Luisa guardando in basso. Spalancò la finestra e si sporse per vedere Lance in tenuta da Superquattro camminare con passo marziale. Molto allenatori, per lo più ragazze, si sporgevano per chiedergli l’autografo. Lance firmava senza sorridere.

“È una star molto seria” disse Argento nella sua mente. Anche lui era sveglio. “Anche se è stato sconfitto, poi, resta pur sempre l’idolo delle folle, eh?”

“Cerca di ricordare loro che non sono qui per una scampagnata, che è il momento più importante della loro vita.”

“Scendiamo?”

“D’accordo. Voglio assistere al discorso.”

Luis si vestì e si pettinò in fretta e uscì dalla sua camera. Argento l’aspettava fuori. Scesero e uscirono dalla Sede per una porta secondaria. Si misero distanti dagli allenatori per poter ascoltare il discorso di Lance.

Il giovane li vide e li salutò con un cenno altero del capo, prima di porsi in piedi sulla piattaforma rialzata posta per lui davanti all’edificio.

“Signori allenatori” gridò, e la sua voce sola fu sufficiente a far calare il silenzio. “Sono Lance, Presidente della Lega Pokémon e Capo dei Superquattro. Desidero darvi il benvenuto all’Altopiano Blu e augurarvi buona fortuna.” Tacque un istante e i suoi occhi girarono sulla folla. “Voi state per sfidare la Lega Pokémon.”

“Non è un gioco. Non è un posto per bambini. È probabilmente l’ostacolo più imponente sul vostro percorso. Alcuni di voi vengono da Kanto, altri da Johto; tutti voi avete compiuto un lungo viaggio per giungere fin qui e questo vi rende meritevoli di lode. Ma questa è solo la prima tappa del vostro viaggio. La vita vera inizia qui.” E con un gesto indicò l’alto edificio alle proprie spalle. “Dopo la Lega voi proseguirete il vostro viaggio. Attraverserete altre regioni, catturerete nuovi Pokémon, diventerete più forti.” Sospirò. “Da quest’anno, come saprete, io combatterò solo in qualità di Superquattro, poiché l’anno scorso una donna ha sconfitto la Lega Pokémon nella mia persona. E quindi, ammesso e non concesso che voi riusciate a sconfiggere me, voi dovrete sconfiggere la nuova Campionessa, Luisa, a oggi considerata la più forte allenatrice del mondo. Lasciate però che vi ricordi una cosa.”

Lo sguardo di tutti si fece più attento. “Luisa non era la più forte allenatrice del mondo, quando sconfisse me. Il vostro destino non è nelle mie mani, o in quelle dei Superquattro, o in quelle di Luisa. A partire da oggi, il vostro destino si decide qui.”

Si voltò un istante verso l’edificio. I Superquattro, alle sue spalle, erano alteri e silenziosi. Bruno gli passò un’alta clessidra. Con uno sforzo, Lance lo capovolse.

“Si dia inizio alla Lega Pokémon.”

E la clessidra cominciò a scorrere.

La fila avanzava lentamente per le iscrizioni. Gli uomini che raccoglievano le domande controllavano per l’ennesima volta le medaglie degli allenatori, le liste portate dai vari Capipalestra, i Pokémon con i quali si intendeva partecipare. Lance passeggiava tra gli sfidanti, serio e dignitoso, in silenzio.

“Lance!” lo chiamò Luisa avvicinandosi con Argento. Il ragazzo si voltò a guardarli e sorrise.

“Avete seguito il mio discorso?”

“Commovente” rispose Argento. “Credo però di aver colto un’allusione al fatto che il destino di molti si decide qui.”

Luisa rise. “È stato così per noi, dopotutto: qui ti ho salvato, qui ho conosciuto Lance, qui abbiamo incontrato…beh, il capo, qui Rosso e Blu hanno sfidato Lance…forse che l’Altopiano Blu non è il centro del mondo?”

I tre risero appena. Attorno a loro, giovani allenatori passavano, eccitati nel loro nuovo costume di sfidanti della Lega.

“Sapete” disse Argento dopo un po’. “È la prima volta che ci svegliamo senza provare il desiderio di andare da qualche parte a scoprire il nostro passato.”

“Non è fantastico?” chiese Luisa. “Siamo liberi, adesso.”

Lance sorrise appena. “Siamo salvi. Il Pokéfanatico ci ha salvato.”

“Devi star qui tutto il giorno, Lance?” chiese Argento. La sua anima era impaziente e reclamava libertà.

Lance guardò la folla di allenatori. “No. Tra poco mi accerterò che le operazioni di iscrizione procedano per il meglio e che la consegna d’acqua agli allenatori funzioni come necessario. Per quanto riguarda il resto della giornata, preferisco allontanarmi. Non è conveniente che mi mostri troppo prima di una Lega. Andate a fare colazione, quando avrete finito andremo da qualche parte ad allenarci.”

Luisa e Argento rientrarono, quindi, e fecero colazione. Essendo ospiti di Lance, non mangiavano né tantomeno risiedevano ai piani degli allenatori, cioè il secondo e il terzo, che ospitavano le camere, la mensa e il salotto comune, ma avevano accesso ai piani riservati, cioè dal quinto in su. Andarono quindi a fare colazione nella sala da pranzo privata, quella dove solitamente mangiavano i Superquattro.

Lance li raggiunse dopo circa una mezz’ora, quando stavano riponendo le tazze nel lavello.

“Volete andare da qualche parte ad allenarci?” domandò. “O preferite forse andare da qualche altra parte, per esempio ad Azzurropoli a divertirci?”

“Perché no?” rispose Luisa, un attimo prima che il suo Pokégear suonasse. Rispose e sullo schermo comparve il volto del Professor Elm.

“Professore! Buongiorno. Perché mi chiama?”

“Buongiorno a te, Luisa. Chiamo in merito a una telefonata del professor Oak.” Il volto del professore era molto serio. “Luisa, mi ha parlato delle vostre domande sulla leggenda della Prescelta Creatura. Lascia perdere, hai capito? Sono solo storie. Solo storie, hai capito?”

Luisa sospirò. “Certo, professore. Solo storie.”

“Dammi retta, Luisa! Non voglio vederti girare come una pazza per il continente sfidando chiunque per ottenere il consenso di Ho-Oh, d’accordo?”

“Certo, professore. Come desidera.”

“Mi ha detto che hai due compagni, e che uno è Lance dei Superquattro. Cosa state combinando, Luisa’”

“Non si preoccupi, professore. Abbiamo smesso di credere a quella storia. Abbia cura dei miei Pokémon, però.”

“No, Luisa, è una cosa seria. Smettetela, va bene? E ho saputo dei tre allenatori e di Mew a Rovine d’Alfa. C’entrate qualcosa? Ditemelo.”

“No, professore. Deve credermi. Lasci che vada, ora. Non si preoccupi per noi. Stiamo bene, ora. Stiamo andando a fare shopping ad Azzurropoli. Arrivederci.”

L’uomo non era convinto, e tuttavia permise che andasse. Luisa chiuse la chiamata e si voltò verso i suoi compagni.

E tutti e tre scoppiarono a ridere, come non accadeva da troppo giorni.

 

Era bello essere di nuovo liberi e leggeri, dopo quei giorni trascorsi nell’ansia e nella confusione, a cercare. Era bello poter passeggiare per Azzurropoli, come tutti i ragazzi fanno. Ma era diverso, ora. Erano più completi. Si erano ritrovati. La Prescelta Creatura e i suoi compagni erano uniti, come Mew aveva raccomandato che fossero.

Trascorsero la mattinata intera al Centro Commerciale, facendo acquisti e scherzando e divertendosi. Comprarono mille cose. Quando giunse mezzogiorno, pranzarono all’ultimo piano del Centro, divorando tre giganteschi cheese burger dall’aspetto poco sano e dal sapore delizioso. E si sentirono i colpa per aver mangiato qualcosa di così poco sano e le patatine fritte. Ma si divertivano troppo per pensarci più di quanto fosse consigliabile. Nel pomeriggio lasciarono i negozi e passeggiarono a lungo per le vie meno trafficate della città.

“Non pensavo che ci saremmo ancora divertiti così tanto, sapete” confessò Luisa, camminando. “Credevo che sarebbe cambiato tutto, dopo averlo scoperto.”

“Forse è davvero quel che dobbiamo fare” suggerì Argento.

“Fare come se nulla fosse?” domandò Lance. Il bel giovane scosse il capo.

“No. Non dobbiamo comportarci come se non fosse accaduto nulla. Dobbiamo solo fare quel che vogliamo: giocare se vogliamo giocare, combattere se vogliamo combattere. Questo, restando consapevoli di essere chi siamo: e allora sono sicuro che tutto andrà bene.”

Trovarono che le sue parole fossero giuste. Mangiarono un gelato e presero il volo per concludere quella giornata.

Sorvolarono il mare, percorsero la linea della costa. Giunsero in vista di Isola Cannella. Sulla cima del vulcano videro una figura solitaria. Si fermarono a guardarla da lontano, fermi a mezz’aria.

“È…”iniziò Argento.

Lance annuì. “È Rosso.”

“Aspetta che venga Blu” spiegò Luisa.

“Per scappare quando sarà troppo vicino. Ma gli è sufficiente vederlo.”

“Gli basta vederlo” ripeté Argento. “Ma da quanti anni vanno avanti così?”

Ci fu silenzio per un istante. “Troppi” disse infine Luisa.

Lance scosse il capo. “Andiamo via” disse. “Blu potrebbe sempre arrivare. Lasciamoli soli.”

Si sollevarono in volo più alto e proseguirono verso sud per poi tornare a nord, girando con un’ampia curva. Si abbassarono e sfiorarono l’acqua, sollevando mille spruzzi.

“Ci siamo divertiti oggi” disse Luisa.

“È stato molto divertente” riconobbe Lance.

“Sono felice che ci siamo ritrovati” disse Argento. “Adesso sembra tutto molto più vero.”

Raggiunsero nuovamente l’Altopiano Blu. Entrati, trovarono l’ingresso pieno di allenatori. L’infermiera Joy aveva un gran daffare ad accontentare tutti.

“Che caos” mormorò Lance.

“Sarà così finché non finirà la Lega?” domandò Argento, preoccupato.

“Temo di sì” confermò il ragazzo desolato. Vergognosa, una ragazza venne a chiedergli l’autografo. Lance glielo firmò senza sorridere.

“Che confusione c’è stasera” mormorò Luisa, vedendo allontanarsi la ragazza felice. “Anch’io ero così un anno fa, Lance?”

“No” replicò lui. “Non mi chiedesti l’autografo. Andiamo nella mia camera. È all’undicesimo piano, là non giungerà questo frastuono.”

Salirono le scale fino al penultimo piano, quindi. Lance aprì la porta con una tessera metallizzata ed eseguì un controllo delle impronte digitali.

“È per la sicurezza” spiegò. “È un po’ esagerato per salire in camera mia, ma del resto, resto pur sempre il Presidente della Lega Pokémon.”

La porta si aprì con uno scatto secco e ai loro occhi apparve d’un tratto una stanza immensa.

Era una sala ampia e luminosa, biancoarredata come le loro, ma più luminosa ancora, poiché grandi finestre riempivano in un dolce susseguirsi due intere pareti, rese più simili a vetrate che a semplici mura, ma vetrate lucenti e fantastiche, abbellite da leggiadre tende argentate che parevano fluenti e ondeggianti come acqua. E poi libri, fiori, mobili e soprammobili e computer, televisore, tavoli, sedie, poltrone e poi un enorme letto rotondo che fin da lontano pareva emanare una fragranza dolcissima di lenzuola fresche e stirate…

“È immensa” disse Argento in un soffio, ammirato.

Lance sorrise. “Occupa quasi tutto questo piano” spiegò “Insieme al bagno, naturalmente.”

“È…è pazzesco” balbettò Luisa incredula, guardandosi intorno.

Entrarono. Lance li fece accomodare su ampi divani bianchi e morbidissimi.

“Non faccio mai entrare nessuno qui” spiegò. “Non mi va che la gente entri qui.”

“E perché ci hai portati qua?” chiese Luisa, mentre Lance, aprendo un piccolo frigo a parete, ne estraeva alcune bottigliette di gassosa.

Il giovane sospirò.

“Questa stanza è un regalo” disse senza guardarli. “Mio padre la fece costruire per me, la fece arredare per me. Era il suo regalo per me. Ogni cosa che vedete è stata fatta da mio padre per la mia felicità. Pe questo non amo portare conoscenti e amici qui. I Superquattro non l’hanno quasi mai vista, meno di una decina di volte da quando ci conosciamo, e solo per brevi visite. Voi capite, questa stanza è per me il segno più importante dell’eredità di mio padre.”

La mano che reggeva le bottiglie tremò. Lance chinò gli occhi.

“Noi siamo i Prescelti. Saremo uniti per il resto della nostra vita. Oggi dopo tanto tempo mi sono sentito felice…perché ci siamo ritrovati. E allora ho capito che è da troppo tempo che siamo divisi, e che non voglio esserlo oltre.”

Calò il silenzio sulla bella stanza bianca. Lontano, tramontava il sole.

“Questo ti ha lasciato tuo padre, Lance” mormorò Argento. Arrossì. “Perdonami se ti invidio, sai, perdonami. So che non dovrei. Devo chiederti scusa.”

Entrambi lo guardarono. Argento chinò il capo sulle proprie ginocchia.

“Cosa ti ha lasciato tuo padre?” chiese Luisa, allontanando gli occhi da lui.

Argento tacque un istante. Poi si alzò in piedi e lasciò cadere a terra la propria giacca nera. Si tolse la maglietta e mostrò loro la schiena.

Sul bianco folgorante della sua schiena, campeggiavano cicatrici irregolari e rosse.

“Ecco, solo questo. Perdona la mia invidia, Lance: non ne ho il diritto e lo so bene. Non desidero compassione. Ma voi l’avete chiesto.”

Colpita, Luisa allungò la mano e sfiorò con le dita quei segni rossi.

“Lui ti ha fatto questo?” domandò.

“È la più delicata delle cose che mi ha fatto” rispose Argento allontanandosi. “Comunque sì, è stato lui.”

Lance emise un flebile sospiro. “Nessuno gli ha fatto nulla?”

Argento sorrise. “È scappato dopo aver ucciso mia madre.”

“Non posso crederci.”

“Oh, sì, credici, Luisa. Avevo nove anni e me lo ricordo. Davvero, me lo ricordo.”

Luisa non riusciva a guardarlo negli occhi. “Ma perché?”

“Non lo so perché!” urlò Argento. “Non lo so, questo non me lo ricordo, mi ricordo che l’ha fatto, va bene? Ma perché non me lo ricordo!”

D’un tratto cadde sul divano.

“Mi dispiace. Perdonatemi. Non volevo.”

Luisa e Lance si guardarono per qualche istante. Allora Lance sedette sul divano di fronte a loro.

“Argento. Argento, guardami. Non hai nulla da farti perdonare. Ora basta, è finita. Ora siamo di nuovo insieme. Siamo tre pezzi di anima ricongiunti, è tutto a posto. Non sei più solo, ora.”

Ma Argento non li guardava.

“Sono dispiaciuto, io non desideravo dirvi questo. Io non volevo che voi vi dispiaceste. Non volevo che aveste pietà di me. Sono desolato per quanto è successo.”

“Argento” disse lentamente. “Non aver paura. Siamo qui, adesso, siamo tutti qui. Ci siamo ritrovati, capisci? Non sei più solo, adesso, perché siamo qui, accanto a te. Hai capito ora?”

“Argento” ripeté Lance, con voce bassa e musicale. “Guardami.”

Stancamente, Argento sollevò lo sguardo dal divano. Vergognoso, puntò due occhi, che erano verdi e intensi e pieni di dolore, in quelli grigi del giovane.

“Hai paura?” chiese Lance piano.

“Ora non più.”

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** La Sala d'Onore. ***


Venne il giorno della finale della Lega Pokémon.

Un ragazzo aveva raggiunto i Superquattro.

Uno dopo l’altro, Lorelei, Bruno e Agata caddero sconfitti. Uno dopo l’altro, i Superquattro rientrarono nel sottopassaggio.

Fu indetta un’ora di pausa perché il ragazzo potesse riposarsi.

Luisa, Argento e Lance erano seduti l’uno vicino all’altro sul palco d’onore, rigidi e alteri, ma felici di essere insieme.

“Va’ a prepararti” suggerì Argento dopo quaranta minuti. Lance assentì col capo e si alzò per scendere dal palco. Si fermò sulla cima della scaletta.

“Luisa…”iniziò. “Ho visto combattere quel ragazzo. Non raggiunge il mio livello, quindi sarò io a vincere. Stasera, combatterò con te. Sappi che nell’Arena non saremo i Prescelti.”

“Io sarò la Campionessa e tu sarai il mio avversario” rispose Luisa, senza voltarsi a guardarlo.

“Siamo intesi, allora” disse Lance cominciando a scendere.

“Lance…” chiamò ancora la ragazza. Lance si voltò a guardarla. “Lance, in bocca al lupo.”

Il ragazzo sorrise. “Crepi” rispose, scendendo di corsa i gradini.

Suonò l’ora. Il giovane fece il suo ingresso in campo.

Luminoso nel suo abito da Superquattro, Lance entrò a propria volta. Alla sua vista si scatenò un coro di applausi. Lance non guardò il pubblico, limitandosi ad accennare segni di ringraziamento con le mani.

“Può non essere il migliore” sussurrò Argento. “Vuoi negare che la sua sia una figura incredibile?”

Lo era, lo era realmente. L’estrema e artificiosa eleganza del suoi gesti richiamava gli sguardi affascinati del pubblico. Era bellissimo e bellissimo era il suo combattimento.

Il ragazzo s’impegnava. Davvero, si impegnava, e nel suo volto Luisa rivide se stessa.

“Non è abbastanza” disse a bassa voce.

Argento scosse la testa. “No. Non lo è.”

Non lo fu. D’un tratto, egli perse la pazienza e il suo Venusaur cedette sotto i colpi incessanti del Dragonite di Lance.

Ma Lance non sorrise alla vittoria. Strinse freddamente la mano all’allenatore, ma brevemente e senza entusiasmo. S’inchinò al pubblico, con l’eleganza e l’orgoglio di un vero campione, e lasciò l’Arena.

Risalì i gradini che lo portarono al palco d’onore. Sulla scala incontrò Lorelei.

“A volte mi domando” disse lentamente la ragazza “perché combattiamo.”

Lance esitò. “Perché?”

“Non parlo di te, che sei forte. No, no, non parlo di te. Parlo di me, di Agata, di Bruno. Combattiamo per te, ma tu sei più forte. Allora perché tu vuoi che combattiamo per te?”

Lorelei era seduta su uno scalino, senza far caso al bel tailleur blu che si sgualciva un pochino. Guardava in basso da dietro gli occhiali.

“Non chiederti perché combatti, Lorelei” disse Lance stancamente. “Non impazzire chiedendotelo.”

Riprese a salire i gradini. Dalle sue spalle giunse la voce di Lorelei che diceva: “Forse combatto perché non saprei cos’altro fare.”

“È già un ottimo motivo” osservò il ragazzo continuando a salire.

Raggiunse il palco. Luisa e Argento lo guardavano.

“Sei stato bravo” disse solamente la ragazza.

Lance assentì col capo. “Grazie.”

“Quanto era forte?” chiese Argento.

“Abbastanza per giungere fin qui. Abbastanza per sconfiggere i Superquattro.”

“Troppo poco” disse Luisa voltandosi per dargli le spalle.

“Troppo poco” convenne Lance. “Combatteremo stasera, Prescelta Creatura.”

 

Combatterono con il buio, nell’Arena illuminata a giorno.

Lance, con tutte le proprie forze, fino allo stremo.

Luisa, con grazie e leggerezza, distrazione.

“Dragonite, Ira di Drago!”

“Typhlosion, Lanciafiamme!”

Era semplice per la Prescelta Creatura. L’incontro durò pochi minuti.

Proclamata per la seconda volta Campionessa, Luisa non sorrise né ringraziò il pubblico. guardò direttamente negli occhi Blu, che sedeva pallido tra i Capipalestra, e con le labbra sillabò: stanotte.

Ed eseguì un inchino prima di dileguarsi.

Assieme a Lance, raggiunti da Argento, scivolarono nel sottopassaggio che li avrebbe condotti nella Sala d’Onore.

“Sei stata bravissima” disse Lance mentre correvano le buio.

“E tu, Lance? Un pezzo di bravura.”

“Bravissimi entrambi” esclamò Argento ridendo. “Finalmente è finita!”

“Quando andrai da Rosso, Luisa?”

La ragazza sospirò, mentre in fretta percorrevano i gradini. “Ho fatto segno a Blu che ha tempo per stanotte. Darò a Rosso un giorno intero per piangerci su. Domani notte andrò a Monte Argento.”

“Veniamo con te” disse Argento. Luisa sorrise. “Grazie.”

Entrarono nella Sala d’Onore. Pur essendo quasi perennemente chiusa, era sempre mantenuta illuminata.

“Dopo una Lega è sempre più bella” osservò Luisa. Ripensava all’ultima occasione nella quale l’aveva vista.

Lance sorrise. “È sempre bella.”

Si accostò alla piattaforma computerizzata e iniziò a lavorare. Luisa si sfilò la cintura e gliela passò. Lance dispose i suoi Pokémon al loro posto. Dopo pochi istanti, il volto della ragazza comparve sullo schermo.

“Salute, Nuovo Campione!” gridò Lance e rise.

“È stata dura” disse Argento. “Ora però dobbiamo festeggiare!”

“Ce lo meritiamo” constatò Lance.

Si accostò al lato opposto della piattaforma e chinandosi premette un pulsante. Un momento dopo, nell’aria si udì uno scatto secco. Luisa si guardò attorno. “Lance? Cos’è?”

“Guardate.”

Con un sibilo, le pareti cominciarono ad abbassarsi lentamente, rientrando nel pavimento. In capo a un minuto, a sostenere il tetto erano solo le colonne portanti della Sala.

“È… è bellissimo” osservò la ragazza guardandosi attorno incredula.

“Si vede tutta Kanto!” esclamò Argento, avvicinandosi.

“Quasi” ammise Lance. “La visuale copre molte miglia. Di giorno si vede fino a Zafferanopoli, se è nitido più oltre ancora. Ora si vede fino a Smeraldopoli e Celestopoli…Miramare, se guardate bene.”

“Il vecchio” mormorò Argento. “Chissà se può vederci.”

Si accostarono al lato orientale della Sede. Guardarono a lungo verso Celestopoli.

D’un tratto, vedendo nella luce un punto discordante, Luisa si voltò. Si precipitò a vedere una creatura, avvolta in un mantello scuro, correre giù lungo la Via Vittoria. S’intristì a guardare, ma si costrinse a distogliere lo sguardo.

“Cosa facciamo ora?” chiese. “Passiamo la notte qui a guardare le stelle?”

Ci fu silenzio per un attimo.

“Andiamo dai nostri amici” propose Argento.

“I nostri amici?” ripeté Lance confuso. Argento rise e corse a indicare l’ovest.

“I nostri amici, là.”

“”

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Morire, alla fine. ***


Era freddo. Blu aveva freddo.

Aveva freddo mentre, stancamente, si trascinava su lungo le ripide pareti del Monte Argento.

Le sue mani tremavano forte mentre saliva, aggrappandosi alle rocce, un passo dietro l’altro. A un tratto scivolò e si fermò dieci passi più in basso, nella terra. Appoggiò la fronte sul terreno roccioso e cominciò a piangere.

“Rosso…”

Ma le parole di Luisa parevano cantare nella sua testa: solo tu puoi salvarlo.

Solo lui poteva. E quella frase non dava tregua alla sua mente.

Come una melodia ossessionante.

Si rimise in piedi, barcollando. Colle dita tremanti si aggrappò alle rocce e ricominciò a salire. E inciampò, e ricadde, e ricominciò a salire.

E ancora, e ancora. E ancora, finché non fu in cima al Monte Argento. E Rosso era lì.

Bellissimo ai suoi occhi e a quelli degli altri, freddo come il ghiaccio per ogni mortale, tranne che per lui.

Era seduto sulle rocce all’interno della grotta, intento a riposare, forse. O a piangere, se solo le creature come lui piangessero.

Blu si mise in piedi al centro della grotta, guardandolo.

“Rosso…”

“Chi c’è?”

Con uno scatto secco, l’allenatore si voltò e lo vide.

I suoi occhi si fecero più grandi. Si alzò, continuando a guardare Blu. Si avvicinò a lui. Poi, rendendosi conto delle proprie azioni, si fermò di scatto.

“Cosa ci fai qui?”

“Sono venuto a cercarti…” mormorò Blu. Come un automa avanzò verso di lui, ma a quel gesto Rosso fece un passo indietro.

“No.”

Blu esitò, per la prima volta incerto. “Come, no?”

“Blu…vattene via.”

Fu allora che Blu perse la pazienza. In poche falcate lo raggiunse e lo afferrò, costringendolo a guardarlo negli occhi.

“Guardami!”

“Vattene via!” gridò Rosso, e con una spinta delle braccia lo allontanò da sé. Ma non era odio il suo, era paura.

Blu arretrò di vari passi e barcollò, ma non cadde.

“No!”

“Per amor di Dio, Blu, lasciami in pace!”

A quelle parole entrambi esitarono.

“Hai smesso di amarmi?” chiese il Capopalestra a bassa voce.

“No.”

“Non dirlo se non è vero.”

“No, non…non potrei mai.”

Era vero. Blu lo capì e chinò gli occhi.

“Non vuoi…non vorresti tornare?”

Rosso allontanò lo sguardo. “Non posso, lo sai.”

“Puoi, ma non vuoi farlo.”

Non vi fu risposta.

“E questo lo chiami amore? È questo per te l’amore?”

“Blu, ti prego…”

“No. Sono troppi anni che non vuoi ascoltarmi, Rosso. Io sono stanco.”

“Devo diventare il migliore, Blu” disse Rosso stancamente. “Perché quando sarò il migliore, Ho-Oh mi riconoscerà.”

“Vuoi che l’ammazzi?” chiese Blu dopo qualche secondo. Rosso si voltò a guardarlo.

“Cosa…?”

“Vuoi che l’ammazzi?” ripeté il giovane seriamente. “Solo Luisa è più forte di te. Allora, vuoi che l’ammazzi? Così sarai il più forte e Ho-Oh ti riconoscerà. Tornerai da me, allora?”

“Blu…non è così semplice.”

“No. Non lo è” disse Blu avvicinandosi. Si fermò davanti a lui. “Non lo è, non lo sarà mai. Perché non è solo Ho-Oh che insegui, Rosso.”

Tristemente, l’allenatore chinò gli occhi e non rispose. Blu l’osservò in silenzio.

“Io t’avrei seguito, lo sai…”

“Lo so.”

“Ma non è per la palestra che sono rimasto. Tu non vuoi legami, Rosso. Mi ami alla follia, ma io sono ciò che t’impedisce di realizzare il tuo sogno. E allora, devo restare a casa, ad aspettarti. Ma tu mi ami e non puoi fare a meno di vedermi.”

Finalmente Rosso lo guardò. Gli cinse la vita con un braccio e lo attirò a sé, baciandolo. Blu ricambiò prima di capire.

“Lasciami” disse cacciandolo da sé. “Non baciarmi per illudermi.”

“Concedimi un po’ di tempo, Blu” sussurrò l’allenatore. “Poco tempo. Meno di un anno… alla prossima Lega, sarò diventato il migliore. E allora, tornerò da te.”

“No” rispose Blu. “Non puoi farlo. Non ne sei capace.”

“Posso farlo…”

“Dimostramelo!” gridò Blu e si staccò da lui seccamente. “Io so chi sei, Rosso. Ti conosco da anni. Non sei capace. Forse puoi diventare il migliore, ma ti conosco, Rosso…non tornerai da me.”

“Te lo giuro, Blu” esclamò Rosso. Lo afferrò per le spalle e lo scosse. “Te lo giuro, dammi un anno. Un solo anno. E uscito dalla Sala d’Onore, tornerò da te.”

Blu lo scrutò in silenzio. Poi, allontanando quelle braccia da sé, si scostò di qualche passo. Restò distante a guardarlo, una mano sulla fronte, in silenzio

“E se Luisa vince?”

“Co…come?”

“E se non sconfiggi la Lega? Se non diventi il più forte? Tornerai da me? Lo farai comunque?”

“Io vincerò la Lega, Blu.”

“NON VOGLIO SAPERE SE VINCERAI LA LEGA!” urlò Blu. “IO VOGLIO SAPERE SE TORNERAI A BIANCAVILLA!”

Stava piangendo. Blu piangeva perché sapeva che Rosso non sarebbe stato capace di tornare da lui.

“Ti prego, Blu, per favore…”

“No!” singhiozzò Blu e con un gesto lo cacciò da sé, impedendogli di avvicinarsi. “Io non posso tollerarlo, Rosso, non posso… tu tornerai, Rosso, forse lo farai, ma non saresti capace di restare.”

“Ascolta…”

“No, Rosso. Non è così. Non potresti rimanere al mio fianco. Perché vorresti andare via, lontano, perché non saresti mai felice. Perché non capiresti come mai Ho-Oh non è venuto da te…”

“Ho-Oh verrà!” lo interruppe Rosso alzando la voce. “Io sono la Prescelta Creatura!”

“Ti credo” mormorò Blu. “Io mi fido di te. So che puoi diventare il più forte. Ma non so se sarai capace di vivere con me e morire, alla fine.” Tacque un poco e nella grotta calò il silenzio. “Lo vedi?” chiese ridendo. “Non sei capace di rispondermi. Neppure tu puoi promettermi che sarai capace di vivere e morire insieme a me.”

Si voltò e prese a camminare a grandi passi. Voleva uscire, voleva andarsene. Doveva andarsene.

“Blu!” chiamò Rosso. Tese la mano, ma il Capopalestra non si voltò. “Blu! Blu, per favore, non andartene!”

Ma Blu non si voltò. Non poteva restare.

“Per favore, per favore, concedimi una possibilità! Ti prego…non lasciarmi.”

Finalmente, il ragazzo si fermò. Si girò verso di lui e restò ad aspettarlo. Rosso lo raggiunse.

“Io non so se sarò capace di vivere con te” disse lentamente. “So che non sono capace di vivere senza di te. Non lasciarmi. Ti prego, non lasciarmi.”

Blu sospirò. Sorrise appena, guardando verso di lui.

“Sono troppo debole per lasciarti, Rosso” esitò. “Io non ce la faccio. Ma non posso neanche illudermi.”

“Concedimi un anno, Blu” lo implorò ancora Rosso.

Il Capopalestra assentì. “Posso concedertelo. Ma, Rosso…”

“Sì?”

“Solo un anno. Hai solo un anno. Sono disposto ad aspettare per questo tempo. Ma non di più. Non posso farcela. Non un giorno di più. Ti aspetterò fino ad allora.”

“Tornerò” promise Rosso.

Blu guardò altrove. Per l’ennesima volta, aveva ceduto.

“Devi diventare il più forte. Promettimelo.”

“Te lo prometto.”

“Altrimenti sarà stata vana la mia attesa.”

“Lo so. Ma diventerò il più forte.”

“Allora, va bene.”

“Ti amo.”

Blu sorrise, ma esitando. Chinandosi su di lui, gli diede un ultimo bacio.

“Ti amo.”

Si abbracciarono, un’ultima volta. Poi Blu se ne andò e Rosso restò nell'ombra di quella grotta.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** L'unico ostacolo. ***


 

“Ci aspettavate?” chiese Luisa, stupita, quando i tre sbarcarono a Torre Latta.

Ho-Oh assentì. “Sospettavamo che sareste venuti. Hai sconfitto la Lega, Prescelta Creatura. Quale posto migliore per celebrare la vittoria?”

Era vero. Da quale altro posto valeva la pena guardare un mondo su cui si era vincitori, se non dalla Torre di Latta?

Mew fluttuò attorno alla ragazza.

“Siamo felici che tu abbia vinto, Prescelta Creatura. E siamo felici che, finalmente, voi tre abbiate trovato la vostra strada e siate sereni.”

“Grazie di esserti mostrato al Pokéfanatico, Mew” disse Lance. Il piccolo Pokémon si volse verso di lui e scivolò attorno al suo corpo.

“Siamo qui per aiutarvi. Siamo qui per voi. Chi vi è di aiuto, ci è gradito.”

“Quell’uomo” disse Argento. “L’uomo che ci ha salvati. Era scritto da qualche parte? Sapevate che saremmo andati da lui?”

“In parte” disse Mewtwo. “Sapevamo che quel vecchio saggio si sarebbe in qualche modo rivelato utile. Ma non sapevamo come.”

“Resterete qui tutta la notte?” chiese Mew scivolando attorno ad Argento.

Rimasero sulla Torre di Latta, finché non fece alba, finché tennero gli occhi aperti, e furono felici. Poi i tre giovani si addormentarono, bagnati dal sole, sul tegolato sacro di quella torre, pacifici come bambini; allora, perché la luce non li disturbasse, Mewtwo li sollevò e li condusse al piano inferiore, dove riposarono, tra le statue e gli arazzi, per molte ore fino al pomeriggio inoltrato.

Alle quattro si destarono e capirono di doverli lasciare.

“Grazie” disse Luisa quando furono sul punto di prendere il volo.

“Siamo stati felici della vostra presenza” rispose Ho-Oh. “Che questa possa essere la vostra seconda casa.”

“Tornerete quando lo vorrete” soggiunse Zapdos.

“Grazie” ripeté Lance. “Torneremo.”

“Abbiate cura di voi” disse Suicune.

I Prescelti presero il volo e si diressero verso l’Altopiano Blu, ma con calma, senza fretta. Giunti, salirono a lavarsi prima di cena.

“Quando sarete pronti” disse Lance “Salite su da me.”

Luisa salì nella propria stanza e riempì d’acqua la vasca del piccolo e grazioso bagno celeste. Si spogliò e s’immerse e restò a mollo a lungo. Poi uscì, si asciugò i capelli e indossò la maglia che aveva comprato ad Azzurropoli.

Salì le scale e raggiunse l’undicesimo piano. Non poteva aprire la porta dall’esterno, così si limitò a bussare e ad attendere che Lance le aprisse la porta magnetizzata. Argento era già lì, seduto sul divano bianco, splendente nella maglietta e nei jeans strappati acquistati ad Azzurropoli. Lance, che venne ad aprirle, era sereno negli abiti che più gli erano usuali: maglia scura, giacca blu e jeans.

Erano felici di aver riscoperto quel divertimento, piccolo e naturale, del vestirsi, del vivere alla giornata. Alle sette e mezza, un campanello suonò a informarli che la cena era pronta. Scesero al quinto piano.

Attorno al tavolo erano già raccolti i Superquattro. A quella vista, Luisa e Argento si fermarono, preoccupati.

“Lance…”

“Cosa c’è? Avete paura?”

“Sì.”

“Non preoccupatevi. È tutto a posto. Rispondete tranquillamente alle domande. Comportatevi normalmente.”

Era la prima volta che cenavano tutti assieme. Nei giorni precedenti, nonostante Luisa e Argento fossero sempre stati lì, tra i vari preparativi per la Lega, pranzi e cene erano sempre stati fatti a vari orari. Ora che tutto era concluso, finalmente avrebbero di nuovo cenato normalmente.

Andarono a sedersi e cominciarono a mangiare.

“Siete stati molto bravi entrambi, durante la Lega” disse Agata rivolta a Lance. “La nostra abilità, in confronto alla vostra, è certamente di poco valore.”

“Non devi dire così” rispose Luisa. “Questo non è vero.”

“Lo è” replicò Agata. “Credi che non lo sia, forse? Molto bello, detto dalla più forte allenatrice di Pokémon del mondo.”

“Dove siete stati?” domandò Lorelei. “Siete ricomparsi alle quattro dopo una notte e quasi un giorno!”

“Siamo stati a festeggiare” rispose Lance, sorridendo dolcemente.

Era tranquillo, voleva mostrarsi distratto. Lorelei lo guardò infuriata.

“Lance, sono stanca di questi segreti. Perché non vuoi mai dirci nulla?”

“Perché lavorate per me” rispose Lance. Sollevò un calice di vino e ammiccò verso Lorelei. “Perché vivete qui. Ma non potete leggere nella mia vita.”

La ragazza scosse il capo. “Ci conosciamo da anni, Lance. Perché non vuoi fidarti di noi?”

Fu il turno di Lance di scuotere il capo. “Ho fiducia in voi, Lorelei. E vi amo molto, ma no, non posso rivelarvi ciò che nascondo.”

“Possiamo smettere di parlarne?” domandò Argento in tono petulante. “Nessuno di noi dirà nulla riguardo a questo, perciò non potremmo cambiare argomento?”

Per quanto bello restava un bambino capriccioso. Lorelei lo guardò.

“Sei solo un ladruncolo. Hai anche il coraggio di parlare?”

Le sue parole suscitarono un’indignazione generale. Argento arrossì di rabbia, ma non ebbe il tempo di reagire, perché Lance, infuriato, si alzò a mezzo sbattendo le mani sul tavolo.

“Lorelei! Non ti permettere mai più!, mai più di dire una cosa del genere alla mia tavola, mai più! Mai più, hai capito? Non ti permetterò d’insultare i miei amici in casa mia, è chiaro?”

“Forse non è vero, Lance?” lo sfidò Lorelei, il mento orgogliosamente alzato. Forse non era un ricercato, prima che la Campionessa lo prendesse per pietà?”

“Lance, lascia stare. Lance!” disse Argento a bassa voce, ma Lance non lo ascoltò.

“No! Lorelei, io non ti permetterò oltre di ingiuriare i miei amici, va bene? E se non accetti le mie compagnie, puoi lasciare Indigo Plateau, stanotte stessa! Vuoi andartene? Vattene!”

Lorelei mantenne lo sguardo fisso. Era una sfida.

“Non puoi cacciarmi, Lance.”

“No? I Superquattro sono un marchio registrato della mia società. Se non rispetti le persone che, d’ora in avanti, frequenteranno la mia casa, puoi andartene quando lo desideri. Ma non ti permetterò mai più di dire una cosa come questa alla mia tavola, sotto questo tetto!”

Fremeva di rabbia. Lorelei non abbassava gli occhi.

“Lance, lascia perdere” mormorò Argento “Non è nulla di grave, non è successo niente…”

“D’un tratto si udì bussare alla porta della sala da pranzo. Sorpresi, tutti si voltarono per vedere l’infermiera Joy far capolino.

“Signor Lance, è arrivato il signor Blu. Vuole che lo faccia aspettare?”

“No” rispose Lance, sospirando. “Lo ricevo immediatamente.

“È andato a parlare con Rosso.”

“Lo so. Dev’essere distrutto” rispose Luisa.

“Per questo dobbiamo riceverlo ora.”

Lance si alzò in piedi e sbatté con rabbia il tovagliolo sul tavolo. “Non finisce qui, Lorelei. Se vuoi dimetterti, fammi avere le tue dimissioni sulla mia scrivania. Andiamo da Blu, ora.”

Si diresse a grandi passi verso la porta. Gettandosi uno sguardo, Luisa e Argento si alzarono e lo seguirono.

Blu li attendeva al piano terra, silenzioso e pensieroso. Balzò in piedi quando entrarono nella sala.

“Capo, perdonami, non sapevo che foste a cena, non…non sapevo che ora fosse.”

Lo guardarono impietositi, vedendo gonfi i suoi occhi tanto belli, rosse le sue labbra fine e tremanti.

“Stavate cenando. Non volevo disturbarvi.”

“Non avevamo molto appetito” rispose Lance. “Sei andato da lui, Blu?”

Blu esitò. Torcendosi le mani, rimase seduto.

“Ho…ho perso la cognizione del tempo” mormorò senza guardarli. “Sono stato là. E sono stato da altre parti. Per tutto il giorno. Ma non mi ricordo dove. Allora sono venuto qui.”

“Hai fatto bene” disse Argento.

“Posso parlare con Luisa?” chiese Blu. Solo allora si rese conto che la ragazza era già lì.

“Cosa devi dirmi, Blu?”

“Stanotte sfiderai Rosso.”

“Sì.”

“Cerca di sconfiggerlo.”

Confusa, Luisa sbatté le palpebre. “Cosa intendi dire?”

“Rosso tornerà da me solo dopo essere diventato il più forte. Ma non lasciare che ti sconfigga solo perché hai pietà di noi.”

“Non lo farò” rispose Luisa.

Blu sospirò e scosse il capo. “Rosso deve diventare il più forte, ma deve diventarlo realmente, non deve solo illudersene. Sai…credo di amarlo troppo per permettergli di rinunciare al suo sogno.”

Avrebbe pazientato. Avrebbe atteso finché Rosso non fosse tornato. Tornato con le sue gambe, per sua volontà.

Blu si alzò e abbozzò un inchino nei confronti di Lance, poi si avvicinò alla porta. Tremava. Lance lo richiamò.

“Blu…resta qui per stanotte.”

“No, Lance. Tornerò alla mia palestra.”

“Non puoi andare in questo stato, Blu.”

Il Capopalestra scosse la testa. “Non voglio restare, Lance. Voglio andarmene.”

Era ormai sulla porta. L’aprì e uscì. Si fermò prima di richiudere. Ma non disse niente e volò via.

“Ho pietà di lui” mormorò Argento quando furono soli.

“Lo so” rispose Lance a bassa voce. “Non pensiamoci ora. Stanotte andremo a Monte Argento. E io ho ancora fame. Non abbiamo mangiato quasi niente.”

Argento sospirò. “Lance, mi dispiace per quello che è successo.”

“Chi manca di rispetto a voi, manca di rispetto a me” rispose Lance voltandosi. “E io esigo che mi si porti il rispetto che mi è dovuto, in questa casa. Torniamo a finire di mangiare. Più tardi ci metteremo in marcia.”

 

Quella notte quindi lasciarono Altopiano Blu e raggiunsero il Monte Argento.

“Vuoi che veniamo con te?” chiese Lance.

Luisa guardò la cima del monte.

“Sì” rispose infine. “Sì, venite con me. Non voglio stare senza di voi.”

Scalarono il Monte, dunque. Raggiunta la cima, entrarono nella grotta.

Rosso era seduto a terra, la schiena appoggiata contro la parete rocciosa della grotta, gli occhi chiusi che si aprirono immediatamente quando i tre entrarono.

In quegli occhi rossi, Luisa vide un pianto che era durato tutta la notte.

“Bene, Luisa. Ci siamo, infine” disse alzandosi. Era strafottente, odioso, incredibilmente bello. “Sei venuta. Credevo che non ce l’avresti fatta a trovare il coraggio.”

Luisa non rispose. Camminando altera, percorse la grotta e salì i gradini di pietra che la condussero alla solida piattaforma rialzata, fino a trovarsi di fronte a Rosso.

“Io non ho paura, Rosso.”

“No. Lo so che non ne hai. È per questo che ti dico che faresti bene ad averne.”

“Iniziamo, Rosso. Non ho tempo da perdere con te.”

E iniziarono a combattere. In entrambi mancava quell’eleganza che contraddistingueva Lance: combattevano soltanto. Selvaggi, violenti, rabbiosi.

“TUONOSHOCK!”

“LANCIAFIAMME!”

“Non credere di poter andare avanti così per sempre!”

“E per quanto, allora?”

“GETTO D’ACQUA! Tu sei l’unico ostacolo che mi separa da Blu!”

“RUOTAFUOCO! Solo tu sei il tuo ostacolo, Rosso! Perché potresti tornare, se lo volessi!”

“FOGLIELAMA! Ma io dimostrerò a Blu che posso farcela, che posso dargli qualcosa!”

“BRACIERE! Smettila di parlare e combatti, se è questo che vuoi!”

E lottavano. Semplicemente. Perché era l’unica cosa che sapevano fare.

Perché era l’unica cosa che sapevano fare.

E Luisa vinse, ancora una volta. Rosso rimase a guardarla, in silenzio.

“Sono ancora troppo debole, Luisa.”

“Lo so.”

“Ma l’anno prossimo, io sfiderò la Lega Pokémon. E allora, sarò forte abbastanza per sconfiggerti.”

Luisa lo guardò freddamente.

“Ci conto” disse, e se ne andò con i suoi compagni.

 

Un caloroso ringraziamento a TokorothX3 per la cortese recensione. Colgo l’occasione per ribadire che sarebbe ben accolto qualsiasi genere di commento, positivo o negativo: sebbene questa sia una storiella da nulla, scritta solo per divertimento, avrei ugualmente piacere di sapere cosa ne pensate.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Il dolore di Blu. ***


Il mattino dopo dormirono fino a tardi. Si svegliarono alle dieci e si dissero di ritrovarsi nella sala da pranzo.

Quando Luisa arrivò, ancora stanca per la notte precedente, ma soddisfatta, trovò solo Argento seduto già al tavolo, a mescolare lentamente una tazza di caffè.

“Buongiorno.”

Argento trasalì e si voltò. “Ah, sei tu. Buongiorno.”

“Ti ho spaventato” notò la ragazza con dispiacere. “Smetti di stare sul chi vive, Argento. Ora sei con me, sei al sicuro con me.”

“Ma Lorelei ha ragione, Luisa.”

Luisa non rispose e versò del latte in una tazza.

“E poi, la reputazione di Lance s’infangherà se si scopre in giro che ospita un ladro ad Altopiano Blu.”

“Ma tu non sei più un ricercato adesso” disse Luisa. “Sei con me, abbiamo le carte in regola d’ora in poi.”

“Lo so” rispose Argento. “Non è di questo che mi preoccupo.”

Luisa sospirò andando a sedersi. “Ho capito cosa intendi.”

“Forse a me non importa molto di tutto ciò” disse Lance entrando nella stanza. Sorrise ai due compagni. “Effettivamente non abbiamo mai parlato di questo. Tuttavia, so quello che c’è da sapere. Che sei un ricercato, che Luisa ha garantito per te.”

Argento guardò in silenzio il proprio caffè. “E ti fidi?”

“Certo che sì” replicò Lance con estrema sicurezza. “Quando ti ho visto, ti ho subito riconosciuto. Ma mi sono fidato di Luisa e ho lasciato perdere. Quando poi abbiamo incontrato Ho-Oh… avrei forse potuto nutrire qualche dubbio?”

Argento sollevò gli occhi su di lui. “Ciò non toglie che io sono un ladro, Lance.”

“Tutti commettiamo degli sbagli. E ricorda che saremo giudicati per quello che siamo, non per quello che facciamo. No, non ho paura di quello che la gente può pensare. Sono a posto con la legge e con la mia coscienza.”

Finalmente, il giovane sorrise. Era un sorriso disteso che conferì al suo volto ancor più grazia e bellezza. “Grazie, Lance.”

“Leggiamo il giornale, ora” suggerì Lance e aprì il giornale che aveva portato con sé. Ma appena ebbe vista la prima pagina, i suoi occhi si fecero cupi.

“Lance? Cosa c’è?” chiese Luisa. Lance aprì il giornale sul tavolo e mostrò ai compagni una foto in prima pagina.

Era una foto di Blu, ripreso all’esterno di un bar, seduto a un tavolino, con gli occhi gonfi, il volto distrutto.

“Era ubriaco?” mormorò Argento impressionato, guardando la foto.

Lance scosse la testa. “Credo di sì. Può sempre darsi di no, comunque.”

“Come si è ridotto!” disse Luisa tristemente. “Ieri ci ha detto che non ricordava dov’era stato, vi ricordate?”

Lance lesse in fretta l’articolo scandalistico in colonna. Indicò un paragrafo. “Qua dice che non è stato capace di pagare il conto e che i gestori sono stati costretti a buttarlo fuori.”

“Che vuol dire che ‘non ne è stato capace?’” domandò Argento.

“Che non aveva soldi con sé” spiegò Luisa.

Lance emise un impercettibile sospiro. “Dal momento che io sono il diretto superiore di Blu, sarò io a pagare il suo conto” disse stancamente. “Questo è un locale di Plumbeopoli, ci andrò prima di pranzo.”

“Veniamo con te” disse Argento. Lance assentì col capo.

“Sì. Molto bene. Appena avremo fatto colazione, partiremo.”

Finirono di mangiare e presero il volo verso Plumbeopoli. Atterrarono in centro e proseguirono a piedi verso il locale che il giornale indicava. Entrati, trovarono il posto quasi vuoto.

“Chiedo scusa. Ho saputo che il Capopalestra Blu ha lasciato un conto in sospeso qui. Sono qui per pagare in nome suo. Posso parlare con il gestore?” chiese educatamente.

La ragazza mandò a chiamare il proprietario del locale. Ai loro occhi apparve un uomo grasso dall’aspetto pulito e rispettabile.

“Buongiorno, signor Lance. Posso aiutarla?” domandò, vagamente sorpreso, forse, dal vedere il Presidente della Lega Pokémon nel proprio locale.

“Buongiorno, signore. Sono qui per pagare le ordinazioni del signor Blu a suo nome.”

L’uomo si massaggiò la fronte. “Una brutta storia, signore. Non desideravo cacciarlo, ma non ero nella condizione di poter fare favoritismi.”

“Quando ha bevuto?”

“Troppo” tagliò corto l’uomo. “Troppo per lui. Quando ho visto che non poteva più bere, gli ho impedito di ordinare ancora. A quell’ora poi!”

“Capisco. A quanto ammontano le sue ordinazioni?”

Il gestore del locale lo guardò con occhi assorti e dispiaciuti. Prese un blocchetto poggiato sul bancone e vi scrisse una cifra cerchiata che poi spinse verso Lance. Egli sbatté le palpebre e incassò il colpo senza dire nulla. Con un sospiro, mise mano al portafogli e pagò subito, in contanti.

“Grazie, signore. Speriamo di riaverla presto.”

“Noi no” disse Lance, imperturbabile “Ma non per lei.”

Uscirono dal locale, passeggiarono un po’ per Plumbeopoli assolata e calda di pietra bianca, ma poi, passando di fronte a un’edicola, fu giocoforza vedere su tutti i giornali scandalistici le foto di Blu. Allora Lance sospirò e guardò a lungo le copertine delle riviste, le prime pagine dei giornali. Poi si girò e si allontanò dall’edicola.

“Lance!” lo chiamò Argento. “Lance, dove vai.”

“Dobbiamo andare a Smeraldopoli.”

“Credi che sia là?” domandò Luisa apprestandosi a seguirlo.

“Ha detto che è là che sarebbe andato.”

Si sollevarono in volo e in pochi minuti raggiunsero Smeraldopoli. Alla palestra fu loro detto che Blu non era ritornato lì dalla sua partenza per la Lega. Lance rimase interdetto. “E allora, dove può essere andato? A Isola Cannella?”

Luisa rifletté un momento. “Dopo una sbronza del genere, e aver affrontato Rosso e noi…sarebbe stato logico andare a casa.”

“Andiamo a Biancavilla, allora” decise Lance, liberando il suo Dragonite.

“Aspetta, Lance” protestò Argento. “Non credi che forse, a casa sua…”

Il Presidente capì cosa intendeva. “E ALLORA PER QUESTO DOBBIAMO LASCIARLO SOLO?” urlò furioso.

Era disperato, preoccupato. Voleva molto bene a Blu.

Andarono a Biancavilla e bussarono alla casa di Blu. Ad aprire fu la donna che a giorni alterni andava a pulire e ad areare la casa e che Blu, pur essendo tornato a risiedere ufficialmente a Biancavilla, non aveva licenziata poiché non trascorreva in quella casa poi molto tempo. Apparve loro stanca e preoccupata.

“Buongiorno…oh, signor Lance! Che posso fare per lei?”

Lance si mantenne impassibile. “Buongiorno. È in casa Blu?”

La donna esitò. “Non può vedere nessuno, ora.”

“Mi ascolti” disse Lance in tono ragionevole. “Dobbiamo aiutarlo. Dov’è?”

Le sopracciglia della donna si corrugarono: ella era perplessa e confusa. Infine, chinando lo sguardo, mormorò: “In camera sua.”

Con un’imprecazione, Lance lo scostò ed entrò in casa, dirigendosi verso le scale. Luisa e Argento lo seguirono.

Trovarono Blu in uno stato pietoso: era seduto a terra, contro il muro della sua camera, e sul pavimento attorno a lui vi erano alcune bottiglie vuote.

“Blu” disse dolcemente Lance. “Come ti sei ridotto?”

Blu lo guardò, con gli occhi lucidi e arrossati.

“Gli ho dato un anno” gracchiò. Stava piangendo.

“Cosa?”

“Gli ho dato un anno” ripeté Blu. Sollevò una bottiglia vuota e la lasciò ricadere. “Mi sono lasciato fregare di nuovo. Come uno stupido. Lo amo troppo per rinunciare a lui, e lui ama troppo il suo sogno. Ma lo stupido sono io.”

“E allora” disse Lance raccogliendo una bottiglia. “Hai intenzione di ubriacarti ogni mattina per i prossimi 365 giorni?”

Blu ridacchiò. “È un’idea.” Lo guardò. “Hai dei soldi da prestarmi, Lance? Credo di dover saldare un debito. In un locale.”

“L’ho già saldato io” replicò Lance aspramente. E allora, Blu si mise a piangere, a piangere forte, rannicchiato contro il muro.

Lance s’inginocchiò davanti a lui e gli prese una bottiglia dalla mano, gettandola a terra. Blu si girò perché non potesse guardarlo, ma Lance lo costringe a ricambiare il suo sguardo.

“Blu” disse a bassa voce. “Blu, basta ora. Vieni con noi, ti portiamo ad Altopiano Blu.”

“No…”

“Blu, ti prego. Questa donna non può occuparsi di te per sempre. Ci pensiamo noi a te” insisté Lance tirandolo in piedi.  Blu barcollò e Argento lo sostenne dall’altro braccio.

“La…la cintura” balbettò il Capopalestra. Luisa la vide: era gettata sul tavolo. La raccolse, controllò che ci fossero tutte le Pokéball e la mise nel proprio zaino.

Trascinarono il ragazzo fino al piano di sotto. Quando li vide, la donna tentò assieme di protestare e di aiutarli, ma Lance la bloccò sorridendole dolcemente.

Quando, a Indigo Plateau, scesero dai propri Pokémon e tirarono Blu giù dal Pidgeot di Luisa, Bruno li vide e preoccupato si affrettò verso di loro.

“Lance! Cos’è successo? Che è successo a Blu?”

“Non sta bene” tagliò corto il giovane. “Aiutaci a portarlo in qualche stanza vuota.”

Blu barcollava e piangeva. Lo portarono al quinto piano e lo distesero sul letto immacolato di una stanza vuota, poi Lance congedò Bruno.

“Evita di far sapere al mondo che è qui e che non si regge in piedi” soggiunse. “Dì anche a Lorelei, Joy e Agata di tenerlo nascosto.”

Blu si era calmato. Respirando profondamente, guardò il soffitto e disse: “Sono proprio caduto in basso, Lance, eh?”

“Sta’ zitto. Ora non preoccuparti. Devi solo dormire.”

“No…davvero. Non riesco a strapparmi dal fantasma di Rosso. Continuerò a sperare che ritorni e a ubriacarmi, Lance. Non voglio vivere così, ma non sarei capace di fare altrimenti.”

“Sht. Riposati, ora. Stasera ne parliamo.”

Controllarono che avesse ciò che poteva essergli utile e, raccomandandogli di dormire, uscirono. Prima di chiudere la porta, Luisa appoggiò la cintura di Blu sul comodino vicino al letto.

 

Quando, quel pomeriggio, Blu si svegliò, si sentì un gran mal di testa e rimase fermo un poco a letto, a riflettere. Poi, facendo uno sforzo, si alzò e notò che la sua cintura era sul comodino accanto al letto. Lo prese e la indossò, poi, tenendosi la testa, scese dabbasso.

Luisa, Argento e Lance erano seduti a un tavolo nella sala d’ingresso. Stavano leggendo un giornale e, pur da lontano, Blu scorse una sua foto. Sospirò avvicinandosi. I tre lo sentirono e sollevarono lo sguardo su di lui.

“Buongiorno” disse, a disagio.

“Buongiorno. Come ti senti?” chiese Argento.

Le sue parole gli diedero male alla testa e Blu si prese il capo con la mano. I tre lo notarono.

“Mal di testa?” intuì Lance. Blu annuì e anche questo gli fece male. Poi, guardando il giornale, sorrise tristemente. “Cosa dice?”

“Che ti sei ubriacato per un’intera mattinata e che a mezzogiorno e tre quarti stavi vomitando in un prato vicino al Monteluna” spiegò Argento.

“E che ti hanno visto aggirarti come un dannato da Celestopoli fino ad Aranciopoli per tutto il pomeriggio” proseguì Luisa. Chiuse il giornale. “La tua immagine si è un po’ oscurata, Blu. Mi dispiace.”

“È colpa mia. Non dovete dispiacervene” rispose il Capopalestra. Si sedette accanto a Lance.

“Dobbiamo parlare di come riabilitare la tua immagine, Blu” disse quegli, scostandosi per fargli posto.

“E cioè?”

“Innanzitutto, evita di attirare l’attenzione del pubblico. Niente più sbronze, ma neppure in casa. Tra qualche giorno, torna alla palestra. Non fare più nulla che possa richiamare gli sguardi della gente. Se nel corso di qualche intervista dovessi ricevere domande al riguardo, spiegherai di aver avuto un momento di debolezza e parlerai pubblicamente di imbarazzo e di desiderio di dimenticare.”

“Ho capito.” Blu sospirò e guardò il tavolo. “Lance, io non riuscirò mai a fare a meno di Rosso. Sono troppo debole per farlo.”

“Gli hai dato un anno” iniziò Luisa. “E se non torna, cosa farai?”

Blu la guardò a lungo. “Non lo so. Continuo a sperare che possa mantenere la sua promessa. Non so se lo farà o se non ne sarà capace, so solo che, per adesso, non posso fare altro che aspettare.”

“E bere” soggiunse a bassa voce Lance, senza guardarlo. Non vi fu risposta. Allora si girò verso di lui. “Ti credi molto debole, Blu?”

“Abbastanza per morirne” replicò il Capopalestra “Se non bevo.”

“Forse, quando tornerà, Rosso sarà felice di trovarti ubriaco fradicio.”

C’era una straordinaria amarezza nel suo tono. Blu abbassò lo sguardo.

“Io non sono come te, Lance.”

“E allora bevi fino a morirne e continua a inseguire il suo fantasma!” urlò Lance, balzando in piedi e abbattendo d’un colpo il pugno sul tavolo. “Tu hai deciso di concedergli un anno di tempo, Blu, e non puoi dare la colpa a nessuno, e bere non farà scorrere il tempo!”

“Lance, smettila!” urlò Argento, afferrandogli un braccio. Lo scosse. “Basta, ora.”

Blu era rimasto in silenzio, a testa china. Quando Lance si fu calmato, sollevò lo sguardo su di lui e gli disse: “Mi dispiace, capo. Io so di aver scelto, e so che, anche volendolo, non avrei potuto scegliere altrimenti, perché non sarei stato capace di farlo. E allora bevo, per dimenticare di essere debole.”

Lance sospirò, tornando a sedersi. Tamburellò con le dita sul tavolo e disse: “Perdona la mia sfuriata, Blu. Sono profondamente addolorato per te e questo mi rende nervoso. Blu” aggiunse fissandolo molto seriamente “Io non voglio trovarti di nuovo come stamattina.”

“Lo so.”

“Per questo resterai per qualche giorno ad Altopiano Blu. In questo modo potrai abituarti meglio all’idea dell’attesa. Noi tre abbiamo una personale esperienza di circostanze come queste.”

Blu li guardò, ma nei loro occhi non riuscì a leggere i loro misteri.

“Non posso restare, Lance. La palestra…”

“Non sei mai stato a Smeraldopoli per più di una settimana di seguito, Blu, e io so benissimo che sei reperibile in Palestra quattro giorni su dieci a dir molto. Le tue sono solo scuse. Ti conosco.”

Perciò, Blu rimase per qualche giorno con loro. Lo lasciarono andare solo quando furono convinti che stesse bene. A quel punto, anche per loro era giunto il momento di decidere.”

Erano nella biblioteca di Altopiano Blu, situata al settimo piano. Lance era seduto su una poltroncina, Argento vicino a lui, su un piccolo puff. Luisa era semidistesa su un divanetto in stile impero.

“Presto” iniziò la ragazza guardando il soffitto “Dovremo ripartire. Sono ormai venti giorni che siamo qui.”

Lei e Argento guardarono entrambi Lance, il quale rifletté per qualche istante.

“Credo di dover venire con voi.”

“Non sei obbligato, se non vuoi.”

Lance fece un cenno di diniego. “Io sono un allenatore, Luisa. Un allenatore deve viaggiare per diventare più forte. Sono stato fermo troppo a lungo. È tempo che anch’io riprenda il mio cammino…e poi, voi siete il mio destino.”

I tre rimasero in silenzio per qualche momento.

“Quando ripartiamo?” domandò Argento. Era impaziente. “Sono stanco d stare qui, non è la nostra strada.”

Lance rifletté. “Stasera, a cena, daremo la notizia ai Superquattro. Dovrò organizzarmi per gestire la Lega senza vivere in Sede, comunque, sono sicuro di esserne in grado. La preparazione richiederà poco tempo, in fin dei conti sono già stato in viaggio.”

“Una settimana ti è sufficiente?” chiese Luisa.

Lance si massaggiò le tempie con le dita. “Sì.”

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** La verità di Celebi. ***


Quattro mesi dopo.

C’era una piccola osai nella Via Montuosa che da Ebanopoli conduceva a Biancavilla. Era uno spiazzo erboso con pochi alberi e una polla d’acqua fresca. Spesso, Luisa, Argento e Lance trascorrevano là la notte.

Là si svegliarono, circa quattro mesi dopo la loro partenza, un mattino di primavera, sentendo nelle loro menti il suono della distante voce di Ho-Oh.

“Ho-Oh? Cosa c’è?” protestò Argento, assonnato ancora.

Vi prego di venire immediatamente a Torre Latta” disse loro il Pokémon.

“Cosa c’è di così urgente che non possa aspettare?” chiese Luisa senza aprire gli occhi. “È così presto! stavamo ancora dormendo.”

“Lo so. Dovete venire.”

“Quanto tempo abbiamo?”

“Il meno possibile.”

“Diavolo” disse Lance. Fu il primo ad aprire gli occhi alla luce del sole. “Vadano al diavolo. Sono le sette.”

“Alziamoci, su. Potrebbe essere importante” sospirò Argento alzandosi in piedi. Con uno sbuffo, Luisa aprì gli cocchi e lasciò che il sole l’accecasse per qualche secondo prima di decidersi ad alzarsi.

Si lavarono in fretta alla piccola polla per svegliarsi, poi presero il volo verso Amarantopoli. Si posarono sulla Cima di Torre di Latta com’erano soliti fare e trovarono in loro attesa l’intero consesso dei Pokémon leggendari.

Luisa strinse gli occhi con vaga perplessità quando li vide, scendendo con leggerezza dal suo Aerodactyl.

“Cosa c’è? Perché siete qui tutti? È successo qualcosa?”

I Pokémon si scambiarono uno sguardo. Forse fu questo, più di ogni altra cosa, a farle capire che qualcosa non andava.

“Non è accaduto nulla, Prescelta” disse Ho-Oh. “Ma è giunto il tempo che tu sappia qualcosa che del tuo passato ti è stato finora tenuto nascosto.”

Luisa rabbrividì. Istintivamente, si spostò indietro per cercare il contatto dei suoi compagni. “Non capisco.”

“Non puoi capire” disse Mewtwo. “Adesso ti sarà spiegata ogni cosa. Abbi la pazienza di ascoltare.”

La mano di Lance si strinse attorno al polso della ragazza. “Va tutto bene. Ci siamo noi” mormorò al suo orecchio.

A quelle parole Luisa ritrovò forza. “Sono pronta ad ascoltare” disse gettando indietro le spalle.

Ho-Oh assentì. “Sta arrivando qualcuno per te.”

Lì per lì Luisa non capì. Dovette voltarsi, seguendo lo sguardo del Pokémon, e vide in cielo come una vaga e distante stella luminosa perduta nell’azzurro ancora grigio del mattino; ma era una stella strana, che a poco a poco pareva farsi più grande e più vicina, e poi, d’improvviso, un’ampia sfera bianca che oscillava a mezz’aria sull’estremità del tetto e che brillò più forte un istante prima di spegnersi…

E poi, nella sua luce, prese forma un uomo alto e ben formato, largo di spalle dai capelli lunghi, la barba corta e ben curata… era bello, era più bello di Argento, più bello di Rosso. Luisa arretrò di un passo guardandolo.

Ecco, l’uomo era più vicino, era vicinissimo, era davanti a lei… fece per toccarla, ma a quel gesto la ragazza si scostò. Le mancava la voce, le mancava l’aria. Aveva gli occhi più grandi di terrore, di…

“Tu non sei mio padre” disse. “Io l’ho visto morire!”

Ma l’uomo non mostrò disappunto. Restava immobile, silente, a guardarla.

“Come sei bella…”

Sollevò una seconda volta la mano, e stavolta Luisa arretrò con une decisione che parve quasi aggressiva: “Tu non sei mio padre!”. Si girò e con gli occhi cercò Ho-Oh, Mew; qualcuno insomma che potesse provare quel che diceva. “Diteglielo! Diteglielo che io c’ero quand’è morto!”

“Sht, sht… stai calma” disse l’uomo e afferrò le sue mani per poterla guardare in viso. “Stai buona, sono io. Sono tuo padre, sono vivo…sono qui per te.”

“No…”

Luisa scuoteva il capo. Strappò i polsi dalle sue mani e cercò rifugio tra i suoi compagni, i suoi fratello; Argento le cinse le spalle con un braccio. Lance si accostò a lei in un gesto protettivo e fraterno.

“Cosa vuoi, cosa vuoi da me? Vattene via, lasciaci in pace! Ho-Oh, mandalo via” gridò la ragazza, voltandosi verso il Pokémon.

Guardandola negli occhi, Ho-Oh disse molto lentamente: “Non posso farlo, Prescelta Creatura; e anche se potessi farlo, di certo non farei il tuo bene.”

Luisa fremette. “Perché no?”

“Perché chi hai davanti è Celebi, Guardiano della Foresta e Signore dei Cieli e Creatore del mondo, ed è tuo padre, Luisa.”

“Smettila!” singhiozzò Luisa. Argento la strinse più forte: “Basta!”

“Sei crudele, Ho-Oh” disse freddamente Lance. “Tutti voi siete crudeli. Non lo sai che le è morto il padre che aveva otto anni?”

“Non sono morto” riprese l’uomo. Nonostante tutto il suo spavento, Luisa lo scrutava con occhi grandi; egli le tese la mano, ma Argento l’allontanò. “Sono qui, posso spiegarti. Devo parlarti. Lascia che dica…”

Ci fu silenzio per qualche istante. Luisa tremava fra le braccia di Argento. “Lasciamo che parli” mormorò Argento. “Ce ne andremo se si spinge troppo in là.”

Lentamente, Luisa assentì col capo. Allora Celebi sorrise e li sorpassò, andando a sedere vicino a Ho-Oh. Argento sedette per terra con la giovane, volevano mantenersi a distanza da lui. Prima di sedersi accanto a lui, Lance disse così: “Se scopro che è solo una pagliacciata senza significato buona solo a farla star male, passerà molto tempo prima che ci rivediate.”

Celebi continuava a sorridere. Era nobile, bello, altero… sospirò a un tratto.

“Non è il mio corpo questo” disse melanconicamente. “Volete vederlo?” chiese poi.

Non ottenne risposta. Luisa premette forte il volto contro la giacca d’argento, ed egli la strinse contro il proprio petto; ma Lance allungò la mano e dolcemente le prese il mento con le dita.

“Guarda” disse con occhi alteri. “Se dobbiamo restare qui, andiamo fino in fondo.”

Allora, lentamente, la ragazza alzò gli occhi: l’uomo era ora in piedi e ardeva di una gran luce, che poi, lentamente, si spense…

Al posto di quell’uomo troppo bello, c’era un piccolo Pokémon.

Sottile, sinuoso, elegante, era verde come il bosco denso; tutto in lui svelava una grazia infinita, un’estrema armonia. Luisa s’incantò a guardarlo.

Celebi le sorrise. “Sai chi sono?”

“Io ti ho visto” disse Luisa piangendo. “Nei boschi c’eri sempre tu, tra gli alberi c’eri tu, quando nuotavo c’eri tu…”

“Sì” rispose Celebi. “Mi mancavi…”

“Parlami” disse Luisa. “Spiegati, raccontami…dici d’essere mio padre!”

“Va bene” disse Celebi. “Allora ascoltami. Ci vorrà un po’.”

 

Io non sono nato, né mi hanno generato, né tantomeno mi hanno creato. Esisto da sempre. Io sono la forza che ha mosso il mondo.

Io sono Celebi, la forza immanente del mondo.

Questa è la forma più semplice e spontanea del mio corpo, ma in realtà non c’è nulla che io non sia, nulla cui io non sia immanente… o forse vi è qualcosa, ma di questo ti parlerò.

Io sono il creatore dei Pokémon e degli uomini. Perché mi aiutassero a prendermi cura di ciò che avevo creato, io ho creato i Pokémon leggendari, nove dalla mia forza e uno soltanto per mezzo della forza di un uomo.

Sono il vostro dio ed è me che voi venerate, ma a me non interessano le vostre vite e non ascolto le vostre preghiere.

Un giorno su questa terra venne una tempesta; era una strana tempesta che io non avevo voluta e che non riuscivo a fermare. La tempesta uccise gli uomini e voi conoscete la leggenda; di una cosa nessuno è a conoscenza ed è della venuta degli Unown.

Sono i Pokémon che la tempesta ha portato con sé; non sapevo chi fossero, né da dove provenissero. Una cosa soltanto mi parlava di loro: con essi giunse una lastra che portava incisa una scritta, Vehmarf. Non sappiamo cosa significhi; ci parve una minaccia nella loro lingua. Diedi loro un lembo della terra che avevo creato, ed è là che vivono, ora.

Sto allungando troppo la mia storia, forse invano; ciò che solo può interessarti risale a forse venti anni fa, e fu una domenica in cui decisi di prendere le forme di un uomo per scendere tra coloro che avevo creato. Assunsi forme che fossero adatte al mio rango e discesi tra gli uomini; e tra le strade di Amarantopoli mi capitò di vedere una donna. Si chiamava Monica e la sua grande bellezza mi disse che apparteneva alla stirpe delle Prescelte Creature; ma era diversa, lei, era troppo bella, lei, era alta ed esile e i suoi capelli erano lunghi e neri e lisci, e i riflessi che davano erano come le stelle di una notte buia; era bella e io desiderai possederla e averla per me, e da quel giorno decisi che avrei fatto di tutto per conoscerla e averla per me, e così accadde, alla fine. Passarono dei mesi, e io finii per condurre all’altare quella donna che avevo desiderata dal momento in cui avevo saputo della sua dolce esistenza su questa Terra.

Due anni dopo il nostro matrimonio, Monica concepì una figlia e la mise al mondo. Le imponemmo nome Luisa; ma pochi mesi dopo, le imposi un nuovo battesimo più alto e importante, con tutti gli onori che si possono riservare a una Principessa dei Pokémon.

Ora la mia gioia era grande, era immensa; immaginavo che la vita intera fosse in quella casa di Borgo Foglianova, che l’amore fosse solo in quella donna coi capelli del colore della notte, che la felicità fosse in quella bambina che io vedevo crescere.

Mi rendevo conto tuttavia che non era vera vita per tutti, quella; che era una menzogna, per la donna che amavo, per la bambina che era mia, una menzogna fino alla fine della vita. Il mio corpo bramava di cambiare, ma io lo violentavo costringendolo a restare in quella forma solamente di uomo, che non era mia più di quanto non lo fosse un qualsiasi corpo materiale e vivente; e poi, la mia dolce cara famiglia cui quotidianamente mentivo…

Finalmente, feci accadere quanto tu ricordi; inscenai un incidente d’auto, nella quale il tuo papà, mia piccola cara Luisa, perse la vita, mentre io di nuovo ascendevo al cielo; quella era, dopotutto, una bugia un po’ meno bugia di quelle che avevo raccontato finora, poiché davvero il mio corpo sarebbe morto e con esso la strana identità che avevo creato per sposare tua madre e io avrei ripreso una vita che mi apparteneva da molto prima della nascita delle vostre.

Tuttavia, avevo perduta tua madre; avevo perduta te; il mondo, per me, era finito… non mi bastava averla amata, no! Non mi bastava proteggerti…

 

Non era freddo a quell’ora del mattino, eppure Luisa tremava e Argento, accortosene, l’aveva avvolta nel proprio giubbotto.

Gradualmente smise di tremare dopo la fine del racconto di Celebi. Quando già da tempo era calato il silenzio, sollevò lo sguardo e guardò a lungo il Guardiano della Foresta, il signore dei cieli. Si era fatta pallida.

“Lance” chiamò a bassa voce. “Lance, portami via da qui.”

Si alzò e barcollò. La giacca le cadde dalle spalle.

“Aspetta” disse Celebi preoccupato. “Dove vuoi andare?”

“Lontano da te. Ovunque, lontano da te.”

Celebi scosse il capo. “Ti prego, parlami.”

“No” disse Luisa. Piangeva. “Andiamo via. Andiamo via ora.”

“Ti prego, non…”

“NO!” urlò la ragazza e indietreggiò. Aveva gli occhi gonfi e lucidi, le labbra tremanti: “Sono stanca di tutto questo, ho paura, voglio andare via di qui!”

Si diresse a grandi passi tremanti  verso il limitare del tetto della torre. I suoi compagni la seguirono di corsa, ma alle loro spalle Celebi parlò di nuovo: “Sei mia figlia, Luisa, e il tuo sangue è misto.”

Luisa si voltò a un passo dal vuoto. “Cosa pretendi che faccia? Che l’accetti?”

“No. Scappa” rispose Celebi. “Scappa se non sei in grado di fare altro. Sono tuo padre e voglio la tua felicità, dunque scappa se non sono io quella felicità. Ma ricorda sempre, in ogni luogo, che il tuo sangue è il mio.”

Ora Luisa esitava, bianca, stravolta. Gettò una Pokéball con un braccio molle e languente, e immediatamente il suo possente Aerodactyl fu accanto a lei e lei montò sulla sua grotta, con un po’ di debolezza e mormorò: “No, non ce la faccio.”

Si chinò e mormorò qualcosa verso i suoi compagni con occhi spenti e lucidi; e mentre essi pe un attimo si scambiavano uno sguardo, Aerodactyl si alzò percuotendo l’aria con le grandi ali robuste e si precipitò in picchiata, e già pochi momenti dopo scompariva all’orizzonte portandosi via la ragazza. Istintivamente Argento fece per seguirla e solo Lance, afferrata la mano che già si protendeva per afferrare una Pokéball, lo fermò.

“Dobbiamo andare con lei!” esclamò il giovane, voltandosi di scatto. Lance scosse il capo.

“No. È meglio lasciarla” disse lentamente. I suoi occhi si fecero cupi mentre egli scrutava quell’orizzonte che l’aveva inghiottita. “Lei sa che ci siamo, che siamo uniti a lei. Ci chiamerà quando ci vorrà con sé.”

“E allora cosa facciamo?” chiese Argento accorato. Si voltò e guardò Celebi, i cui occhi erano tristi eppure alteri. Lance si girò a sua volta e scrutò in silenzio il Pokémon prima di dire freddamente: “Andiamo ad Altopiano Blu. Se vorrà cercarci, è là che verrà; e inoltre, è sul confine delle due regioni e potremo raggiungerla rapidamente ovunque lei sia, se ve ne sarà bisogno.”

“E che ci facciamo là? Ma l’hai vista come sta? Quel coso è suo padre!”

“Prescelto” tuonò Ho-Oh con voce grave. “Non parlare così!”

Ma Argento si mise a ridere: “Ti schieri con lui adesso? Hai visto cosa le ha fatto?”

“È solo la verità” disse Celebi.

“È orribile questa verità!” sbottò Lance, percuotendo il suolo con un piede, adirato. E rivolto a Ho-Oh gli disse direttamente in tono di sfida: “E tu che cosa ne dici, eh?”

Ho-Oh s’incupì: “Non posso giudicare i miei superiori.”

“RISPONDI!” urlò Lance.

“Posso comprendere la reazione della Prescelta” disse infine Ho-Oh. “È crollato d’improvviso il mondo che lei conosceva, e non si ricostruirà.”

“E lui ha ragione?” esclamò Argento.

“Basta ora!” sbottò Lugia. “Non puoi parlare così!”

“Ah no?”

“L’essere un Prescelto non ti dà il diritto di usare questo tono.”

“Ce lo dà” rispose Lance. “Perché lei sta male.”

Calò il silenzio sulla cima della torre. Argento si passò una mano tra i folti capelli rossi e spettinati e dopo un momento mormorò: “Andiamo, Lance, sì, andiamo. Andiamo via.”

Lo tirò per un braccio. Lance si girò a guardarlo per qualche secondo; annuì e pose la mano alla cintura. Fece uscire dalla sfera Dragonite ed entrambi presero il volo.

Quando raggiunsero l’ingresso dell’Indigo Platueau, fu Joy la prima ad accorgersi dei loro occhi stravolti e corse verso di loro con lo sguardo perplesso e accorato: “Signor Lance, signor Argento…che cosa è successo?”

“Niente, Joy” mormorò Lance. “Puoi portarci su qualcosa da mangiare? Saliamo in biblioteca.”

“Lance, cosa…”

“Affari personali” rispose Lance poggiandole una mano sulla spalla. “Non preoccuparti. Ti prego, Joy…solo la colazione.”

Si avviarono lentamente lungo le scale. Argento era bianchissimo in viso.

“Dev’essere tremendo” mormorò guardando i gradini. “È brutto, è orribile. Non dev’essere triste?”

Lance tacque per qualche istante.

“Sì” rispose infine. “Lei credeva di aver conosciuto suo padre, e invece ha scoperto che non era così e che tutti le mentivano…compresi coloro che lei credeva che le sarebbero stati amici, i Pokémon leggendari.”

Proseguirono in silenzio fino alla biblioteca. Appena furono entrati, Argento si abbandonò su un divanetto ai piedi di un’alta libreria a parete e solo dopo molti secondi, dischiudendo gli occhi che aveva chiusi, mormorò: “Perché proprio qui?”

“Perché non in un posto più privato, dici? Perché Joy possa portarci da mangiare. E perché qui ci sono dei libri che possiamo consultare.”

“Su Celebi?” chiese Argento sollevando il capo.

“Sì” rispose Lance semplicemente. Anche lui era molto, molto stanco. Andò in silenzio fino alla finestra e si sedette sul vano foderato in velluto rosso, con gli occhi stanchi e tristi che vagavano lontano, che avrebbero voluto inseguire qualcosa che in quel momento non era lì.

Finalmente, l’infermiera giunse portando un vassoio che appoggiò sul tavolino intarsiato di fronte al divano. Fatto questo, essa si accostò a Lance e gli parò sottovoce. Lance assentì col capo, poi Joy uscì dalla stanza.

“Cosa ti ha chiesto?” domandò Argento prendendo una fetta di torta.

“Se vogliamo essere lasciati soli” rispose Lance sedendosi accanto a lui. “E se volevamo che il pranzo ci fosse servito a parte.”

Mangiarono e si riposarono per qualche istante, poi si diressero verso gli scaffali che Lance indicò e che, secondo lui, sarebbero stati loro d’aiuto.

“Mio padre aveva una vera passione per i Pokémon leggendari” spiegò mentre lasciava correre lo sguardo sui libri. Avvicinò a sé una scala scorrevole attaccata alla libreria e cominciò piano piano a salire: “Se ne interessava moltissimo. Fece arrivare molti libri su questo solo…ecco, questo può andare.”

Consultarono libri per la maggior parte della mattinata. Ogni cosa che lessero confermava, ampliava o commentava il resoconto che Celebi aveva fatto della creazione. Smisero solo quando Joy fece loro sapere che avrebbe servito il pranzo nella camera di Lance.

 

Luisa raggiunse Isola Cannella e una volta scesa dal dorso del suo Aerodactyl incominciò a scalare il vulcano.

Correva più che salire, ma arrancava più che correre. Si aggrappava alle rocce, agli arbusti radi, alle pietre…intanto, piangeva. Si graffiava le mani, le braccia, le gambe magre bruciate dal sole e rotolava nella polvere ardente…raggiunse la cima del vulcano. Là cadde seduta tra le rocce e si prese il capo tra le mani. Non voleva piangere e piangeva, o forse neppure pensava intensamente di non volerlo…era sola.

Padre! Quello era suo padre? Ma com’era possibile? Come poteva quel Pokémon leggendario, quel Guardiano ella Foresta, Sire e signore dei cieli…ma come? No, era tremendo, era sbagliato…

E poi, dopo un tempo indefinibile e molto lungo, un suono di passi. Luisa sollevò d’improvviso il capo dalle sue braccia piegate e calde, rizzandosi con un sussulto di spavento, e si guardò intorno con aria d’affanno. Ma chi…era Blu.

Egli la vide a sua volta e per un momento interruppe il cammino con aria incerta e perplessa, guardandola. Ma poi, riprendendosi dallo stupore iniziale, si mosse con decisione verso di lei, saltellando tra le rocce come chi conosce bene un luogo ed è abituato a muovervisi. Si fermò sulla roccia nella cui ombra la ragazza si era rifugiata e allargando le gambe si chinò sulla sua figura.

Luisa sollevò gli occhi su di lui pulendosi le ultime lacrime. Gli sorrise stancamente: “Come stai?”

“Io bene. Tu…”

“Lascia stare, dai.”

“Non ne vuoi parlare?”

La ragazza scosse il capo e si voltò a guardare il mare. “Non credo che t’interesserebbe.”

“Io dico di sì.”

“Blu, ti prego…”

“È una storia di cuore? Argento, forse? Ma mi sembra più probabile Lance.”

“No, Blu. Non è questo.”

“E allora cosa? Puoi parlarne con e, sai?”. Blu si sedette al suo fianco, soggiungendo con aria da esperto: “Potrebbe salvarti dal bere, sai!”

Luisa gli sorrise. “Sei gentile, Blu” gli disse teneramente. “Ma siamo stati noi a salvare te. Non so se tu, ora, puoi salvare me.”

“Tu prova.”

“Ho scoperto” esitò “che mio padre non era la persona che io ricordavo…che tutti dicevano che fosse. Sei contento?”

Blu rifletté, aggrottando le sopracciglia con fare pensieroso.

“Io ho sempre saputo che mio padre era il boss della malavita di Kanto e Johto” disse “Eppure gli voglio molto bene. Tu non credi che potresti continuare a volerne al tuo?”

“Credi che sia la stessa cosa?” domandò Luisa onestamente, strofinandosi gli occhi con i palmi delle mani aperte, come i bambini.

Il giovane reclinò il capo da un lato. “Il mio è vivo, ma mi ha lasciato. Il tuo è morto, e ti ha lasciata ugualmente, ma non per sua colpa. Il mio è un malavitoso, il tuo è…non me lo vuoi dire, non importa: lo sai tu, e dunque farai tu le tue riflessioni.”

“Sì” rispose Luisa piano. Rifletté per qualche istante, poi continuò con decisione: “Parliamo un po’ di te, ora. È Rosso che aspettavi?”

Blu parve considerare se dirle la verità. “Sì” ammise poi, allargando le braccia. “Perché negarlo? Sarei molto sciocco a dire che non è così. Se ti dicessi che volevo fare una gita di piacere, dopotutto, tu mi crederesti?”

“No” disse Luisa. “E saresti un gran bugiardo.”

“Appunto.”

Blu sorrise, rasserenato. Socchiudendo gli occhi, si sedette più comodamente, appoggiando il viso sulla sua spalla, come un bambino. Luisa gli picchiettò sulla fronte con due dita.

“Se adesso passasse Rosso, s’ingelosirebbe.”

“Chi ti dice che non sia il mio obiettivo?” rispose Blu senza muoversi, ancora con gli occhi chiusi. “Così, forse si deciderebbe.”

“Ma io non voglio avere a che fare col tuo fidanzato geloso. Ho già rogne col tuo fidanzato innamorato.”

“E invidioso” mormorò Blu.”

“E invidioso” mormorò la ragazza. Blu si girò sulla sua spalla e si abbassò ulteriormente, ponendo la testa nel suo grembo. Guardava il cielo con occhi lucidi che riparò dal sole, e da lei, con un braccio.

“Sai, credo che non sia invidioso solo perché sei la più forte” disse lentamente. “Tu puoi vedermi ogni giorno, se lo desideri. Ti basta raggiungermi in palestra, o venire qui, oppure…lui no.”

“Lui sa più spesso di me dove ti trovi” gli fece notare Luisa.

“Ma non può raggiungermi” disse Blu con voce innaturalmente alta e acuta. “Ha deciso che per essere il migliore deve dedicarsi anima e corpo all’allenamento. E non può venire, non può cercarmi. Per questo t’invidia, credo. Perché sei libera quando lui non lo è.”

“Nessuno glielo impone.”

“Lui stesso” disse Blu tristemente. Sorrise scuotendo il capo, sconsolato. “Lui fa tutto questo per me, per essere il più grande quando sarà con me. Lo fa per il suo sogno prima di tutto, ovviamente, ma so che l’altro motivo sono io e devo accontentarmi di questo secondo posto.”

“Considerando di chi parliamo…” mormorò Luisa a bassa voce.

Blu smise di parlare, ma rimase steso sulle sue gambe a fingere di dormire. Dopo qualche minuto aprì gli occhi e con un sospiro si alzò in piedi.

“Dove vai?” chiese Luisa sorpresa.

Blu cominciò ad arrampicarsi per andarsene. “Oggi non verrà.”

“Come fai a saperlo?”

“Lo sento. Oggi non verrà.” S’issò sulla roccia e cominciò a discendere il fianco del vulcano. Luisa lo scrutava in silenzio.

“Ciao, fidanzatino” gli gridò quando lo vide in fondo, affacciato sul mare azzurro. Blu la sentì e si voltò a salutarla col braccio.

 

Bosco di Lecci dal quale non si vede il cielo. Il regno del signore dei cieli, la patria di Celebi.

Luisa si fermò tra gli alberi. Tutto era buio e, nel continuo gioco di luce e ombra che la circondava, non riusciva a scorgere nulla. Tutto taceva.

La ragazza sollevò un braccio davanti a sé. Esitò, lottando con se stessa; poi represse quella rabbia terribile che la opprimeva e chiamò: “Celebi!”

Ecco, ora il silenzio avvolgeva di nuovo ogni cosa, ma Luisa era certa che Celebi avesse udita la sua chiamata. Mosse qualche passo nell’oscurità, addentrandosi tra gli alberi. A poco a poco, tra i rami, cominciò a scorgere travi di legno, un tetto a spioventi, un incensiere… era il Santuario del Protettore del Bosco. Si fermò dinanzi all’edificio. Le pesanti porte, perennemente chiuse, erano ora aperte e il suo sguardo corse oltre l’ingresso, lungo la sala maleodorante d’incenso, fino alla creatura nell’ombra del santuario. S’irrigidì.

Celebi sollevò gli occhi stanchi su di lei. Erano neri e Luisa vi scorse il riflesso degli alberi. Poco dopo assunse le forme dell’uomo che era stato.

Luisa lo guardò con una certa fissità. Egli le sorrise.

“Sta calando la notte” disse accennando a quegli sprazzi di cielo così magri e miserevoli che s’intravedevano tra i rami degli alberi. Luisa assentì col capo. Celebi continuò a sorridere. “La notte…penso a tua madre. I suoi capelli, i suoi occhi.”

“Lo so” mormorò Luisa.

“Perché sei qui?”

Luisa continuò a fare silenzio. Col piede spostò lentamente le foglie che marcivano sul terreno.

“Hai amato molto la mamma?”

Celebi chinò per un secondo gli occhi.

“L’amo ancora” mormorò tristemente. “Non ho voluto mentirle oltre.”

Luisa annuì, poi, distogliendo lo sguardo, si massaggiò le braccia. “Continuavi a proteggermi…”disse a bassa voce.

Il Pokémon le sorrise dolcemente in risposta. Luisa esitava.

“Così, sono una principessa dei Pokémon.”

“È così.”

“Ho…qualche potere?”

Celebi assentì. “Non li chiamerei poteri…direi piuttosto capacità. Ma se questo è quello che intendi…sei mia figlia, Luisa, sei la figlia di una divinità.”

Quelle parole accesero qualcosa in lei. Arretrò d’un passo. “Tutto ciò che ho ottenuto, i risultati che ho raggiunto…sono la Campionessa perché sono…”

“No” disse Celebi. “Sei ciò che sei diventata, Luisa, perché tu hai voluto diventarlo. Io non ti ho mai facilitato in ciò che hai fatto; solo una volta ti salvai la vita, tu ricordi… a Fiordoropoli.”

Sì, Luisa lo ricordava. Guardò il pare come per cercare di capire.

“Cosa sono in grado di fare?”

“Puoi trasformarti, per esempio.”

“In che cosa?”

“Tutto ciò che vuoi. Non hai mai sognato di essere…”

“Dimmi come si fa” lo interruppe Luisa.

“Prova. Potrei insegnarti come respirare? Lo sai già, ma non ne sei consapevole. Prova.”

Luisa lo scrutò preoccupata, poi chiuse gli occhi.

Da dietro le palpebre, sapeva che Celebi era ancora lì, di fronte a lei… si strinse nelle spalle e volle provare, come lui; volle concentrarsi.

“Diventa come me” sussurrò Celebi, e la sua pelle era contro la sua pelle fremente… con gli occhi della memoria ella rivide il piccolo Pokémon sinuoso sulla cima della Torre, rivide l’esile corpo verde che emanava tanta potenza. Ebbe d’un tratto un gran desiderio di essere come lui, di possedere un corpo piccolo e sinuoso come il suo, di essere potente come lui…

Si richiuse su se stessa e a quel punto fu come spiccare un salto e non accorgersi di essere di nuovo a terra.

Celebi la guardava con uno sguardo che era amore e soddisfazione. Luisa sorrise nel vedere il proprio riflesso nei suoi occhi.

“Diventa qualcos’altro.”

E lei incominciò a trasformarsi, sempre più rapidamente e facilmente, fino a diventare un confuso spettro di colori e forme e immagini indistinte… frattanto, continuava a domandare: “Sono immortale come te?”

“No.”

“Cos’altro posso fare?”

“Ogni cosa che desideri.”

 

Era buio ormai. Da lontano, Luisa sapeva che Lance e Argento avevano paura per lei, pensavano a lei. Si rimproverò di non aver pensato prima a loro e per essere rimasta sola tanto a lungo, sulla cima del Monte Argento, a cercare di comprendere appieno quelle capacitò che da poco aveva riscoperte in sé.

Preoccupata, si alzò in piedi e adagio, poiché era ancora incerta, si sollevò dal terreno innevato e prese il volo.

Non era come volare col suo Aerodactyl; era diverso, tanto strano! Si lanciò in picchiata, proseguendo in parallelo al pendio scosceso del monte, verso terra; raggiunse i cento metri dal suolo, poi si sollevò di botto e si diresse verso l’Altopiano Blu. Lo raggiunse in pochi minuti di vento freddo sul viso infuocato. Accostandosi dall’alto, scorse i due compagni nell’Arena delle Battaglie. Erano seduti e aspettavano: davanti a loro, il Charizard di Lance aveva acceso un gran fuoco. L’attendevano, lanciandole nella notte un segnale luminoso come un aeroporto, perché sapevano che era l’Arena che avrebbe raggiunto.

Luisa planò sull’Arena, soffermandosi accanto a loro, e lentamente si posò di nuovo a terra. Appena i suoi piedi ebbero recuperato il contatto essa si sentì vacillare. Argento la sorresse.

“Com’è?” domandò, avendola aiutata a sedersi sulle coperte che lui e Lance avevano steso per proteggersi dal terreno freddo.

“Sei arrivata volando…”mormorò Lance, arraffando una pentola lasciata in caldo accanto al fuoco. Aprendola, le mise davanti una minestra calda, e un cucchiaio e una fetta di pane: cibo da malati, ma Luisa non mangiava dalla sera prima e sentiva mancarsi le forze. Si gettò sul pane.

“Avrei dovuto venire prima da voi…scusatemi.”

“Non devi scusarti” disse Argento. “L’importante è che tu stia bene. Luisa annuì mentre con una mano spezzava una seconda fetta di pane nella minestra.

“Credevo di non essere capace di accettarlo…non so ancora, ci devo pensare. Mi ha mostrato cosa sono in grado di fare… cosa è mio diritto fare, in quanto…” Luisa si fermò. Rincominciò a mangiare.

“Sono la Prescelta Creatura… è tutto molto strano. Celebi ha detto…mio padre ha detto che da me si aprirà una nuova era. Ci sarà una nuova Età dell’Oro e questo accadrà quando gli Unown, probabilmente, costruiranno la loro Torre e sveleranno il loro mistero.” Si interruppe, mescolando la zuppa col cucchiaio. “Vi ricordate quando, qualche mese fa, parlammo degli Unown… ci domandammo se la torre avesse in qualche modo a che fare con noi.”

Lasciò la frase in sospeso, ma non era necessario terminarla. Il suo breve pasto terminò nel silenzio. La notte era buia e fredda, ma a pochi passi da loro crepitava il fuoco.

 

Ecco, il capitolo che meno mi piace di questa storia. Celebi è un personaggio che da piccola mi piaceva ma che ora odio, perché (come lo stesso aspetto della Prescelta Creatura) snatura le azioni dei personaggi che non sono più dirette dalla loro personalità ma da fattori esterni. Comunque, quando concepii la storia da bambina, Celebi c’era e non ho voluto né potuto eliminarlo.

Dovete sapere che quando io giocavo a Pokémon Cristallo, il mio primo vero gioco di Pokémon, non è che Internet fosse proprio in tutte le case, dunque io non sapevo nulla di Celebi, che come sapete è incatturabile in Europa, salvo usare i famigerati trucchi. Una volta vidi l’immagine di Celebi su un dvd di un film dei Pokémon presso un videonoleggio e rimasi molto stupita al vederlo, poiché non ne avevo mai sentito parlare. Così mi convinsi che fosse una specie di divinità Pokémon e ci creai attorno un vero e proprio universo peraltro gerarchico. So che ora esistono Pokémon demiurghi come Arceus, ma ai miei tempi ce li sognavamo. Ed ecco qua la mia teoria, com’è raccontata nel monologo di Celebi.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Le amicizie altolocate. ***


Era diventato molto divertente vivere, adesso.

Tre ragazzi giovani e forti allenatori, pieni di salute e di bella presenza, liberi e sereni, senza troppo problemi, buoni a vivere alla giornata. E con parentele e amicizie altolocate. Era stato Lance a trovare questa definizione. Altolocate.

Era facile vivere per loro. Pensavano solo ad allenarsi. Avevano disponibilità economiche, e per famiglia, e per continue lotte vinte, ma non spendevano molto denaro. Mangiavano quando, dove e cosa capitava, bevevano acqua, dormivano all’aperto, salvo nelle notti di pioggia o di freddo troppo intenso: allora si rifugiavano in qualche Centro oppure, più spesso, in grotte e caverne che conoscevano ormai bene. Raramente tornavano ad Altopiano Blu, ma talora vi erano costretti da qualche formalità che Lance doveva necessariamente sbrigare.

In poche parole, era una bella vita la loro.

Un giorno, mentre facevano un bagno al largo (erano a qualche centinaio di metri dalle Spumarine) Lance gettò la testa all’indietro, come riflettendo su qualche cosa di molto vecchio, e disse: “Mancano dieci giorni alla nuova Lega.”

“Dieci giorni?” ripeté Argento. “Ne sei sicuro? Ma come? Se davvero mancano solo dieci giorni, allora è il nostro anniversario!”

“Anniversario? Ma no, Argento, non può essere” disse Luisa. Inarcò leggermente un sopracciglio azzurrino. “Un anno è molto lungo! È già passato tanto tempo?”

“Davvero, e tra poco più di quattro mesi sarà l’anniversario del giorno in cui abbiamo scoperto l’identità di tuo padre” rispose Argento.

Lance sorrise, ma i suoi occhi continuavano a guardare il sole.

“Quello che mi preoccupa è che tra tre giorni bisognerà bene tornare ad Altopiano Blu…ho delle responsabilità. E…”

“Rosso” disse Luisa.

Lance fece silenzio un momento. “Sì, Rosso.”

“Ma di che ti preoccupi, Lance?”

“Io non sono capace di sconfiggerlo…come potrei, se sono certo che persino Blu, che gli è inferiore, sarebbe ora capace di sconfiggermi senza poi molte difficoltà?”

“Allora sarò io a combattere con Rosso, e lo batterò, stanne certo.”

“Sarà la mia seconda batosta pubblica” disse Lance con un sorriso amaro, e allora fu ben chiaro a cosa pensassero i suoi occhi.

Dopo un poco, egli riprese: “Non importa, ma sarà divertente vedere cosa accadrà con Blu, dopo.”

Luisa si rigirò con più forza nell’acqua.

“Ragazzi, santo cielo, stasera è il nostro anniversario e noi neppure lo sapevamo! Che facciamo qui? Andiamo da qualche parte a vestirci e a lavare via il sale, poi andiamo a Olivinopoli a cena da qualche parte dove facciano il pesce! Che ve ne pare?”

Allora seguirono la sua proposta. Andarono a cambiarsi e a vestirsi come si deve, ed erano davvero piuttosto belli vestiti da sera, e andarono a cena a Olivinopoli e poi andarono a ballare e rimasero a divertirsi fino a tardi, erano forse le tre di notte; ma non si erano dimenticati che giorno era, e allora andarono alla Torre di Latta.

Non erano attesi, questa volta. Ho-Oh riposava. A pochi passi da lui, Mew giocava con un nido. Mewtwo non c’era.

Luisa scese in silenzio dal suo Aerodactyl coi tacchi in mano. Ho-Oh dormiva. Allora in silenzio la ragazza si accostò alle sue spalle e con un salto gli si gettò sul dorso, tra le ali, gridando con una voce che a ogni momento pareva sempre più una risata…

“Prescelta! Forse dovresti comportarti in modo più appropriato al tuo rango.”

Luisa continuava a ridere di una risata che danzava come l’acqua. Si lasciò scivolare lungo il suo dorso e rimase scalza sul liscio suolo di legno.

 “No, questo no!”

“Saresti una principessa.”

“Ma se l’ho detto molte volte, che per me non cambia niente! Sono affari vostri quello che devo fare” disse Luisa. “E comunque, non dovresti lasciarti cogliere di spalle, lo sai.”

Ho-Oh sospirò e le sorrise di un sorriso rassegnato. “Sei la degna figlia di tuo padre, Prescelta Creatura. Dimmi, cosa ci fate qui?”

“Festeggiavamo il nostro anniversario” disse Argento. Anche lui era davvero piuttosto bello vestito da sera, e i suoi occhi limpidi scintillavano nella notte. Mew scivolò attorno ai suoi fianchi stretti, esclamando: “Degna ricorrenza, Prescelti!”

“E neppure difficile da ricordare” soggiunse Lance. “Dieci giorni esatti prima della Lega Pokémon… ehi, piccola. Non credi che a tuo padre farebbe piacere salutarti stanotte? È un giorno importante. Ci ho pensato solo ora.”

“Se lo dici tu…andiamo.”

“Dormiamo a Bosco di Lecci, a questo punto” disse Argento. “Visto che ormai son quasi le quattro… e poi, domattina, possiamo andare all’Altopiano Blu. Così Lance può sistemare quelle ultime cose, prima della Lega.”

A quelle parole, Ho-Oh si mostrò perplesso per qualche attimo. Luisa se ne accorse e gli rivolse un’occhiata interrogativa. Il Pokémon distolse immediatamente gli occhi da lei, ma Luisa sentì questo messaggio forte e chiaro rivolto a lei, a lei soltanto: “Stai attenta, Prescelta Creatura.”

“Stai attenta? Che vuol dire, Ho-Oh?”

“Niente…stai attenta. Solo questo.”

“Ma a che cosa?”

“Non so…durante la Lega, guardati bene… è solo una sensazione, ma potrebbe succedere qualcosa. Ti prego, stai bene attenta. Io ti voglio bene, non solo perché sei la Prescelta Creatura, ma perché mi sei cara…come a tutti qui.”

Luisa gli rivolse un sorriso diretto. “Grazie. Starò attenta.”

“Grazie a te.”

Rimasero per pochi altri minuti sulla Torre, quindi si accommiatarono e si diressero in volo a Bosco di Lecci. Atterrarono nei pressi del Santuario, che raggiunsero a piedi, scostando il fitto fogliame.

“Papà, vieni!”

Per un poco, non accadde nulla. Ma poi, in modo quasi impercettibile, il bosco cominciò lentamente a riempirsi di una nebbia leggera, quasi trasparente, d’un bianco argenteo come un vetro attraversato dalla luce… e quella nebbia cominciò piano ad arricciarsi, a incresparsi, ad assumere una forma che converse in un unico punto, come una bambola di nebbia, e da essa Celebi prese forma e colore.

“Grazie di esserti ricordata di me, mia piccola… e anche voi” soggiunse guardando i due Prescelti. “Buon anniversario, ragazzi.”

Pochi istanti dopo, egli aveva assunto un aspetto umano. Era una natura multiforme, che faticava a stare ferma. Tese le braccia e Luisa vi si gettò, gli diede un bacio sulla guancia.

“Ho-Oh ti ha detto qualcosa?”

“Sì. Papà, a cosa...?”

“Anch’io ho la sua stessa sensazione. Ho-Oh l’ha avuta, e ce l’ha avuta anche Mew, ma non te l’ha voluto dire, perché…lo conosci.”

“Ma da cosa devo guardarmi?” domandò Luisa staccandosi dalle sue braccia.

“Da nulla di definito…quindi, da tutto. Potrebbe non accadere nulla, come qualsiasi cosa… non lo so. Ma saremo tutti più tranquilli, e io in prima persona, se mi prometti che farai molta attenzione.”

“C’entra col mistero degli Unown?”

“Te l’ho detto, non sappiamo ancora niente. Ma è bene che tu stia molto attenta. Me lo prometti?”

“Te lo prometto, papà.”

 “Parlane anche ai tuoi compagni, così che possano…”

“Va bene, papà. Glielo dirò. Ma non sei un po’ troppo premuroso per essere il Signore dei Cieli?” domandò la ragazza ridendo.

Ma Celebi lasciò cadere la conversazione e parò a lungo e cortesemente coi tre Prescelti. Quando essi, stanchi ormai per il sole che già albeggiava, vollero andare a dormire, dopo aver riflettuto per qualche momento, egli disse loro di recarsi ai margini orientali della foresta. I Prescelti vi andarono e trovarono una piccola radura pulita e asciutta, bagnata da una poca luce argentata e adombrata dalle fronde degli alberi. Al centro gorgogliava un piccolo stagno dalle acque limpide nel quale si specchiava un’alba infuocata.

“Ringraziamo le nostre amicizie altolocate!” esclamò Lance, ridendo.

Stesero a terra le loro coperte e si disposero a dormire. C’era un piccolo coro di Ledian che si nascondeva tra i cespugli e i rami degli alberi, ed essi si addormentarono cullati dalle loro dolcissime canzoni.

 

Capitolo di passaggio, giusto per introdurre le nuove relazioni che i Prescelti hanno intessute. Dal prossimo capitolo si apre la mia fase preferita della storia (con qualche piccolo brano che non mi piace più, ovviamente).

Un grazie e un bacio grande a Emma Bradshaw per la cortese recensione.

Alla prossima! :)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** La grande Lega. ***


 

Nei giorni seguenti, trascorsi quasi interamente sull’Altopiano Blu, l’Indigo ferveva di preparativi per la Lega.

Lance indossava e smetteva la sua maschera di Campione per organizzare il tutto al meglio. Questa doveva essere la grande Lega, disse, la più grande di tutte, quella durante la quale il mito di Rosso sarebbe definitivamente crollato oppure sarebbe stato innalzato. Non si sapeva ancora. Solo Luisa dimostrava di non avere alcun dubbio.

La ragazza si guardò attentamente, come Celebi aveva detto, ma non notò nulla che potesse rivelarsi pericoloso, neppure quando gli allenatori cominciarono ad affluire per le iscrizioni… tra loro c’era Rosso. Lance, che come al solito soprintendeva alle operazioni di iscrizione, lo guardò con attenzione e si pose deliberatamente alle spalle dell’addetto che lo stava registrando. Rosso lo notò, ma non fece commenti.

“Ha portato le medaglie della Lega di Johto” mandò a dire ai suoi compagni.

“Non ha avuto il coraggio di sfidare Blu” disse Luisa, che osservava le operazioni, con Argento, seduta sul davanzale di una finestra aperta, con le gambe che dondolavano nel vuoto.

“Ha un altro astuccio nella giacca. Se posso fare una supposizione, sono le medaglie di Kanto… senza quella di Smeraldopoli, ovviamente.”

“Che romantico” pensò Luisa, ridendo.

In quel momento Rosso levò gli occhi su di lei e la guardò. Luisa rispose al suo sguardo e vide le sua labbra sillabare queste parole: non studiare gli altri, sarò io a vincere.

E Luisa rispose: Lo so.

Lance intuì questo scambio di battute, ma non guardò Luisa e fece anzi per allontanarsi. Prima di entrare, però, Rosso si voltò verso di lui e lo chiamò: “Lance!”

“Cosa c’è?” rispose Lance girandosi, le mani dietro la schiena.

Con un sorriso, Rosso sollevò due dita. Lance avvampò e barcollò come per un colpo ricevuto. Rosso scoppiò in una risata ed entrò nell’edificio.

“Hai visto?” esclamò Argento. “Cosa si saranno detti? Che gesto ha fatto Rosso?”

Luisa s’incupì. “Questo gesto” rispose sollevando le dita.

“Cosa diamine significava, lo sai?”

La ragazza si passò una mano sugli occhi. “Sostanzialmente, significa: stai attento, perché questa sarà la mia seconda vittoria su di te.

 

I tre assistettero alle eliminatorie dal palco privato di Lance, come imperatori su di un’arena.

Rosso sconfisse tutti con gli occhi pieni di noia. A ogni vittoria, guardava in su, verso la tribuna, e guardando Lance ripeteva quel gesto. Oppure, guardando Luisa, le rivolgeva un sorriso. Frattanto, gli ospiti stupivano di un allenatore tanto forte.

Il giorno della Lega, i Capipalestra raggiunsero l’Indigo. Blu era tra di loro, e nonostante il caldo teneva addosso il mantello. Era pallidissimo, cogli occhi innaturalmente grandi e cerchiati, le labbra pallide; spesso beveva da una bottiglietta d’acqua, che finì molto presto. Aveva la febbre e, impietosita, Jasmine mandò a prendergli dell’altra acqua.

Nonostante la freddezza che dimostrava e l’arroganza e la strafottenza, Rosso non riusciva a impedirsi di guardarlo. Durante una pausa, dopo aver sconfitto Bruno, Lance mandò un uomo a portargli un biglietto. C’era scritto: Lance chiede se Rosso desideri sapere della salute di Blu.

Rosso lesse il biglietto e girandolo scrisse sul suo retro: Rosso ringrazia infinitamente e accetta l’offerta.

Non avrebbe accettato nulla se non si fosse trattato di Blu, probabilmente. Quando gli arrivò il biglietto seguente, sorrise, rasserenato. Diceva: Solo qualche linea di febbre nervosa.

Infine, Rosso sconfisse Agata e venne il turno di Lance. Tutto era avvenuto così in fretta che ancora il sole non era alto- dovevano essere le undici.

Era la prima volta che Lance si mostrava preoccupato per una battaglia. Cercò di non darlo a vedere, eppure non ne era capace. Scese in campo e cominciò a combattere.

Era straziante vederlo soccombere sotto i colpi incessanti del nemico; Luisa afferrò la mano di Argento. Pochi minuti dopo, Rosso vinceva.

Gli applausi furono pochi e brevi. Blu sorrise appoggiandosi sulla fronte un fazzoletto umido, nel quale badò, forse troppo tardi, di nascondere il proprio sollievo.

Lance rimase a lungo fermo al centro della propria postazione, incredulo. Rosso avanzò fino al centro del campo e si fermò ad aspettarlo.

“Paura?” chiese muovendo appena le labbra.

Il Superquattro si riscosse. Socchiudendo gli occhi, raggiunse l’avversario. La stretta delle lor mani fu breve ed evidentemente fredda.

“Non è per te che sono qui. Tu non c’entri niente.”

“Lo so. Ma non riuscirai a sconfiggerla…neppure questa volta.”

Rosso guardò direttamente Blu. “Ce la farò, invece.”

Lance sospirò. Spingendo indietro il piede, fletté il busto in un inchino rapido ma che tutti videro, e che sprofondò l’Arena intera in un silenzio incredulo.

Per la prima volta, Lance si era inchinato pubblicamente a un avversario. Rosso rimase immobile a guardarlo. Sollevandosi rapidamente, Lance gli rivolse un sorriso.

“E tu farai lo stesso con lei, se vince.”

In un gesto anco più veloce, sbatté i tacchi e gli diede le spalle, dirigendosi a passo svelto verso la tribuna.

Stupito, Rosso gettò uno sguardo preoccupato su Blu, quindi si ritirò a sua volta.

Lance raggiunse i suoi compagni sul palco. Luisa gli tese le braccia, ma egli rimase immobile a guardarla.

“Sapevo che non ne sarei stato in grado. Tutti lo sapevamo. Ora tocca a te.”

“Vieni qui” disse la ragazza. “Abbracciami. Dammi un po’ del tuo coraggio.”

“Che coraggio?” replicò Lance, ridendo d’una risata che nulla aveva di gioioso.

“Il coraggio d’inchinarti. Tu sai che io non l’avrei trovato.”

“Ci sono cose che si devono fare.”

Luisa si protese verso di lui e lo baciò sulle guance. “Sarà bene che vada giù, ora. Non posso stare qui. Sono troppo emozionata.”

Alzandosi, si accostò alla porta del palco. Soffermatasi sulla soglia, si appoggiò per un istante allo stipite.

“Lance…”

“Dimmi tutto.”

“Avevi ragione tu, sai. Questa sarà una grande Lega. E poi…” sorrise. “C’è mio padre a vegliare su di me.”

“Vai, ora” mormorò Lance senza guardarla.

“Aspetta, Luisa” disse invece Argento, infrangendo per la prima volta il proprio silenzio. Quando Luisa si voltò a guardarlo, si stupì di trovarlo molto preoccupato.

“Quello che tuo padre ti diceva… lo sento anch’io, ora. È nell’aria, è nell’Arena… un pericolo su di te. Fai attenzione, ti prego.”

“D’accordo” riprese Luisa. “Starò attenta. Promesso. Ma cosa può accadermi mai? È solo una sfida. Andrà tutto bene.”

Argento le rivolse un sorriso tirato. “Può darsi.”

Colpita da quella risposta, Luisa aggrottò le sopracciglia. Non gli rispose. Scese in fretta le scale e raggiunse l’uscita del breve tunnel.

 

Ecco, inizia la battaglia. I due si schierano sul campo, l’uno per il suo sogno e forse per il suo amore, l’altra per difendere ciò che ha ottenuto.

“Combatti bene” disse Rosso. “Questa sarà l’ultima volta che ci sfidiamo.”

“L’ultima? Davvero non mi sembra vero” rispose Luisa con gli occhi scintillanti di provocazione.

E il pubblico non capiva che cosa stessero dicendo, poiché solo loro sapevano.

Rosso schierò il suo Pikachu, e Luisa che voleva umiliarlo avrebbe potuto scegliere il suo Sandslash o il suo Aerodactyl, ma scelse Gyarados.

“Combatti bene anche tu, Rosso, perché oggi ci guardano e lo sai” e ammiccò con gli occhi verso il cielo.

Rosso avvampò e le inveì contro furente, indignato, ogni istante più disperato: “Io non posso perdere oggi e anche tu sai perché! Combatti allora, dai!”

E ripresero a lottare, quelle due anime che non erano capaci di fare altro. E a ogni metro di terreno che perdeva, Rosso tremava. Ma Luisa non aveva pietà e infieriva su di lui come una belva ferita, perché voleva che capisse che non da lei dipendeva la sua felicità o il suo amore, né da Thyplosion né da Charizard, e neppure da Ho-Oh o da Celebi: dipendeva da lui.

E non poteva imputare niente a Ho-Oh o a lei, o al suo Pikachu o al suo Espeon che persero entrambi… o al suo Venusaur che sparò verso il suo Thyplosion foglie aguzze come lame, ma che forse non aveva fatto i dovuti calcoli.

Luisa vide avvicinarsi quella foglia e stupidamente continuò a guardarla, vicina, ogni istante più vicina, finché non poté più vederla e pensò che se ne fosse andata, e poi sentì un bruciore tremendo e quel bruciore le strappò un grido…

“NO!”

Era la voce di Argento, o quella di Lance… ma perché quel grido?”

E… perché quando si toccò il petto bruciante, ritirò la mano sporca di sangue?

E perché le venne da piangere, ritrovandosi a terra, impolverata e sanguinante?

Perché Rosso faceva di corsa il giro del campo per venire da lei…?

“VAI VIA!”

Rosso si fermò a metà strada, stupito; guardò lei, guardò Lance, chiedendo con gli occhi cosa dovesse fare.

“Torna là… finiamo qui! Vai!”

“No, tu stai male, ti esce il sangue” balbettò il ragazzo.

“No! Finiamo, voglio finire!”

“Luisa! Basta ora, continuerete poi!” gridò Lance, in piedi sulla tribuna, appoggiato alla balaustra.

“No…no, ora, ora!”. Era disperata. Sollevò gli occhi, ch’erano grigi ma ora arrossati e pieni di lacrime, sull’avversario. “Gli hai promesso un anno…oggi è un anno. Finiamo, e Ho-Oh sarà qui per attenderti, Rosso!”

Suonò come una minaccia. Rosso tremò e guardò in alto. Lance si voltò verso Argento.

“Vuol combattere… senti, lo senti come batte il suo cuore?” domandò egli con gli occhi fissi.

“Vuol combattere… lasciamola” disse Lance. Guardò Rosso e annuì. “Vai, allora.”

Stupito, Rosso tese la mano alla ragazza e l’aiutò ad alzarsi. Luisa barcollò: quanto sangue, quanto dolore, e com’era leggera la sua testa!

“Vai ora, o morirò prima che…”

Non finì la frase, ma Rosso aveva capito prima ancora ch’ella parlasse. Tornò di corsa al proprio posto.

Luisa combatté fino allo stremo, tenendosi con le braccia quella ferita che le attraversava il petto intero… sulle tribune, sua madre urlava per farsi sentire, per farla smettere. Lontano e vicino alla figlia, Celebi pregava. Chi? Neppure lui sapeva.

“Lance! Lance, falli smettere! Per amor di Dio, Lance, tu sei suo amico, falli smettere, falli smettere!”

Ma Lace non ascoltava, pregava: curvo sul parapetto della tribuna, la fronte tra le mani, gli occhi chiusi; al suo fianco, Argento era in piedi, proteso in avanti a osservare la battaglia…

Le mani lividissime strette sul ferro della balaustra, Blu guardava, incapace di fare altro; nel sedile accanto al suo, Sandra si era alzata e mormorava: “Mio Dio, morirà se nessuno fa qualcosa! Perché Lance non dice niente?”

“Perché lei non saprebbe accettarlo” rispose Blu a bassa voce.

Luisa continuava a battersi, nel frattempo. Non capiva più niente: si sentiva la mente vuota. Non sentiva neppure più il dolore. Thyplosion agiva senza attendere il suo ordine, lei non riusciva più a pensare. E diceva a bassa voce: “Papà, papà, non so se ce la faccio…”

Neppure Rosso riusciva a concentrarsi. Luisa lo notò e singhiozzò: “Non ti distrarre! Questa sarà l’ultima volta e voglio che sia indimenticabile!”

E Rosso capì perché combattevano, e perché doveva obbedirle.

Riprese ad attaccare, sempre più forte e con maggiore intensità. Era migliorato davvero.

“Sei bravo, sai! Sei diventato bravo davvero, forse stavolta mi batti.”

“Non parlare, stupida! Non sprecare le forze!”

“Che vuoi che m’importi a questo punto?” E voltandosi Luisa ebbe un conato e vomitò sangue scuro…Rosso rabbrividì, ma subito si riscosse: “Getto d’acqua!”

“Lance, Lance, digli che smettano, falla smettere o morirà!”

“Ruotafuoco!”

Mew volava sopra di loro, troppo leggiadro perché qualcuno potesse vederlo; solo Luisa percepì la sua presenza.

“Mew…sto bene.”

Mew non rispondeva. Luisa continuò a combattere fino a ritrovarsi in ginocchio. Nessuno demordeva. Infine, Rosso chiamò Charizard, la sua ultima carta. A Luisa sanguinava la bocca e non poté dire nulla, e Thyplosion agì per suo conto...

Rosso arretrò vedendo Charizard sconfitto, Charizard, il suo caro amato Charizard… si voltò a guardare Blu, ma il Capopalestra non rispose al suo sguardo.

Luisa era a terra. Con un balzo, Argento scavalcò la balaustra e le fu vicino. Lance fece un segno ai paramedici e si lanciò lungo le scalette. Quando la luce cessò di accecarlo per un attimo, fuori dal breve tunnel, vide una barella già a terra e quattro camici bianchi già pronti a caricavi la ragazza. Argento era immobile presso di loro.

“Lance, Lance, perché l’abbiamo lasciata combattere?”

Il Presidente rimase in silenzio, guardando la compagna disposta sulla barella, col sangue sulla bocca e una gran macchia nera e densa sul petto.

“Perché dovevamo…ci avrebbe perdonati altrimenti? Voi, a che ospedale la portate? Fiordoropoli?”

“No, non ce la facciamo” disse uno dei medici. “La ricoveriamo qui, poi si vedrà.”

“Oh, Lance, non può morire ora, è una semi…” Argento si bloccò, imporporandosi. “Lance! È una semidivinità!”

“Parla più piano! E allora?”

“Lance, le trasfusioni!”

Lance barcollò, si appoggiò alla spalla di Argento e mormorò: “No, no, bisogna bene che non la tocchino!”

Si lanciò di corsa verso il piccolo tunnel. Rosso era già scomparso dall’Arena. Argento fece per inseguire Lance, poi si ricordò della mamma della ragazza. Tornò di corsa verso le tribune e la cercò con gli occhi nella folla che premeva, pigiava per uscire e avere notizie della Campionessa.

“Signora! Signora Monica, venga, di qua!”

Monica lo vide e, voltandosi, a fatica fendette la folla col suo piccolo corpo per raggiungerlo. Si curvò si di lui e gli tese le braccia, esclamando: “Come sta? Come sta?”

“Non so ancora. Venga, la mando da Lance.” Dicendo questo, Argento le tese un braccio, aiutandola a scavalcare la tribuna, e la depose a terra, nell’Arena. Le indicò il tunnel. “Passi di là sotto, eviterà gran parte della folla, vada di corsa e chieda di Lance! Vada!” e la spinse via.

Rimasto solo si guardò intorno, domandandosi dove Rosso potesse essere finito.

Blu era rimasto solo nel palco dei Capipalestra. Teneva il viso nascosto nel fazzoletto. Argento lo raggiunse con poche falcate e si appese al parapetto per parlargli. Blu lo vide e allontanò il fazzoletto dal volto. Stava piangendo, ma stavolta non si curava di mascherarlo.

“Argento…che piacere. Mi sai dire come sta Luisa? Sono in pensiero” disse coma parlando del tempo.

“Non so ancora, sto andando da Lance, è a parlare con i medici, io…devo fare una cosa qui, prima. Perché sei solo?”

“Preferisco restare un po’ qui. A nessuno dispiace, vero? Mi piace questo posto.”

“Blu, Rosso è…”

“Argento. Non parliamone più, ti prego. Ho fatto voto di dimenticarlo se… e adesso, hai visto. Ti prego.”

Era pallido, febbricitante. Argento balzò a terra dal parapetto. Si stava avviando di corsa verso il tunnel quando, d’un tratto, sentì la presenza di Mew. Con la coda dell’occhio vide la punta del suo musetto rosa.

“Mew! Cosa ci fai qui?”

“Celebi mi ha mandato. Sta venendo qui.”

“Sta arrivando?”

“Sì. Sì occuperà lui di sua figlia. Non devono toccarla. Lance discute con loro, ora. Va’ da lui.”

Argento non rispose neppure, ma si mise a correre. Percorse il tunnel come una folata di vento e prese il passaggio segreto che Lance aveva mostrato loro alcuni mesi prima, la notte in cui era cambiato tutto. Sapeva che avrebbe impiegato meno tempo raggiungendo l’edificio per via esterna, ma sospettava che si sarebbe certamente trovato imbottigliato nella ressa che certamente si stava formando al piano terreno e davanti alle porte. Raggiunse dunque dall’alto il primo piano, dove la ragazza era ricoverata. Vedendo fuori dalla finestra la folla che premeva sull’ingresso, e poi quella che aveva già raggiunto il piano terra, si disse d’aver fatto bene a impiegare quei pochi minuti in più.

Lance era di front alla porta del pronto soccorso che era stato rapidamente adibito, con strumentazioni di fortuna, per ricoverare la ragazza. Era rosso in viso, e sul suo volto accaldato si mischiava un insieme umido di sudore e lacrime. Gridava: “Lei è contraria, per la sua religione… il sangue immondo… e gli estranei non devono… non vuole, non potete farlo!”

“Lance” lo interruppe il dottore con sguardo severo “Morirà! Sta già morendo. Ti sei preso la responsabilità di lasciarla combattere, ora non prenderti anche quella di lasciarla morire!”

“Aspettate, aspettate un attimo!”

“Lance!” gridò Argento, facendosi largo a stento tra la folla. “Lance, sta arrivando…il dottore!

“Eh? Che dottore?”

“Il suo dottore…quello del sangue!” e soggiunse: “Celebi.”

Lance s’illuminò vedendo i proprio dubbi fugati da quella parola.

“Sta arrivando il dottore, il suo dottore, il medico che la segue. Lui può toccare il suo sangue, voi no. Lui è…”

“Una specie di sacerdote” disse Argento.

Il medico con cui lance si era dibattuto fino ad allora era un bell’uomo, sulla quarantina, di capelli folti e scuri, cogli occhi neri e le labbra livide e strette.

“E tra quanto arriva, questo vostro dottore?”

“Poco” rispose Argento. “Lui è molto veloce.”

“È vicino” aggiunse Lance. “Manca poco. Due, tre minuti.”

Il dottore strinse le labbra. Scrutò con gli occhi i colleghi, quindi rispose: “Molto bene. Stiamo preparando i ferri e le siringhe. Se tra cinque minuti non è qui, noi iniziamo.”

“Grazie” risposero in coro i due Prescelti.

Nessuno dei presenti si era accorto che, nei pochi minuti che Lance e Argento avevano strappato ai medici, Mew si era seduto sul petto della ragazza e, col proprio respiro, le aveva donato qualche minuto di vita. Le voleva molto bene.

La scala che conduceva dal piano terra al primo era stata bloccata. I solo che avessero il permesso di passare erano i cosiddetti addetti ai lavori. La madre di Luisa non era riuscita a raggiungere la scala, probabilmente. Argento si sporse sui gradini, quindi li discese a grandi falcate per vedere meglio. Sopra di lui, Lance consultava un orologio.

“Quanto è passato?”

“Un minuto, un minuto e mezzo…”

“E ora?”

“Manca ancora un po’” mormorò Lance, scrutando con occhi affannati il gran lavorio dei medici che si adoperavano intorno alla stanza.

Eccolo là, nella folla: un signore distinto e bello, d’età indefinibile, cogli occhi grandi e languidi d’un verde luminoso, e fu da essi che Argento lo distinse.

Istintivamente la gente si scansava al suo passaggio. Celebi raggiunse senza problemi la scala. Argento scese di corsa ad aprire il cordone per farlo passare.

“Sei tu? Non c’è tempo per sbagliare.”

“No, non ce n’è. Portami da lei.” E salì di corsa le scale mentre Lance, trionfante, abbassava l’orologio.

L’infermiera Joy aprì la porta della saletta. Mew si sollevò immediatamente fino al soffitto, ma poi, riconosciuto Celebi, tornò ad abbassarsi.

“Grazie” gli disse Celebi distrattamente, curvandosi sul petto della figlia. La forza di Mew le permise di aprire gli occhi un momento e guardarlo, e quegli occhi erano mostruosamente grandi e colmi di lacrime nel viso pallido e il suo stesso sangue le gocciolava dalla bocca sul petto e sulle spalle.

“Fate chiudere la porta” disse il sedicente medico togliendosi la giacca. “Voi potete restare” soggiunse rivolto a Lance a Argento.

Joy richiuse la porta, cui Mew andò ad appostarsi davanti, sorta di sentinella. Celebi tolse il corto giubbotto della figlia, le sfilò la maglia rosa intrisa di sangue. Il reggiseno, che era stato tranciato a metà dalla traiettoria della foglia, penzolò miseramente sui fianchi insanguinati della ragazza. Celebi lo scacciò con rabbia. La ferita attraversava quasi per obliquo il torace della ragazza, aveva bordi slabbrati e irregolari che a Celebi non piacquero; ma più ancora egli temeva lesioni interne al corpo della figlia… fece cenno a Lance a Argento di voltarsi di lato e poi, con gli occhi stretti contro la paura e contro la morte, cacciò due dita di una sua mano mortale dentro la ferita.

D’improvviso la ragazza diede in uno spasmo incontrollato: il suo corpo s’inarcò innaturalmente ed ella sgranò gli occhi e gettò un grido atroce che squarciò l’aria dell’Altopiano…

“Ferma! Tenetela ferma!”

Istintivamente Lance si gettò sul lettino dov’era adagiata la ragazza e afferrandola per la vita la tirò di nuovo verso il basso, poiché Celebi non poteva rischiare che si agitasse mentre la toccava così profondamente… si sentì montare addosso una gran nausea, ma poi, dopo pochi secondi, ecco una sensazione nuova, diversa… che cos’era?

Ecco, lo vedeva: dalle dita di Celebi scaturiva una luce ch’era divina ed era luce d’amore e di vita, una luce dorata che s’infondeva nelle carni della ragazza e portava via un poco di vita da quella di Celebi, che però era immortale… sì, risentiva lui stesso di quella luce ch’era dio ed era amore, ed era la vita del mondo, e si sentì in qualche modo lui stesso più in forze.

Celebi gridò: “Argento! Prendi la valigetta che ho portato.”

Argento si volse: la valigetta cui Celebi si riferiva era su un tavolo vicino alla porta. Corse a prenderla. Quando si trovò di nuovo vicino al lettino, vide che Luisa giaceva di nuovo senza forza sul telo prima bianco e ora intriso di sangue al punto tale da gocciolare, ma che il suo corpo intero veniva scosso da brividi come di febbre… Lance era caduto su uno sgabello, bianchissimo in viso, e si fissava le mani e le maniche della giacca e il mantello sporchi di sangue…

“Argento! Apri la valigetta.”

Celebi si era discostato dal lettino della figlia e ora stava in piedi, ma con le gambe leggermente ripiegate, appoggiato con la schiena al muro, e si arrotolava con la mano la manica della camicia azzurra. “Passami una siringa.”

Argento obbedì: gli tese la siringa, ma quasi a casaccio, verso Celebi, poiché i suoi occhi vagavano, irresistibilmente attratti, verso le ultime scintille dorate che finivano di risanare la ferita, riaccostandone i lembi al di sopra della carne… Celebi afferrò lui stesso quella siringa e se la cacciò nel braccio umano, dentro le vene azzurrine che pulsavano sul suo incarnato bianco e luminoso…

Ecco, qualche minuto dopo, era finita: una flebo gocciolava piano, lentamente…

“Perché il tuo sangue?” domandò Lance dopo un momento. Ancora egli si fissava le macchie quasi nere che spiccavano sulle sue braccia, sul suo mantello scarlatto… “Non sarebbe bastato quello di…”

Prima che potesse finire di parlare, Celebi sollevò le mani.

“Sono il solo essere come lei su questo pianeta” disse. Sorrise guardando la figlia, che aveva coperto di un leggero telo verde da ambulatorio.

“Devi lasciarci subito?”

“No” mormorò Celebi.

Lance assentì col capo.

“Sarà utile che avvertiamo sua madre che va tutto bene” disse. “Vorrà entrare per vederla…”

Ed egli già accennava a uscire dalla stanza, ma Celebi mormorò: “Aspetta. Vorrei farlo io.”

Sorpreso, Lance si fermò sussultando e si volse a guardarlo. Ma poi vide che nei suoi occhi di dio e d’immortale c’era un rimpianto infinito che pareva non quietarsi mai, neppure col sonno, neppure con la morte, e che in lui brillava qualcosa che non era né etereo né trascendente, ma incredibilmente immanente e amaro, era qualcosa di umano e infranto, era il suo amore perduto e carico di dolore…

“Molto bene” disse fermandosi, e discretamente distolse lo sguardo dalla porta e chinò gli occhi. Celebi baciò sulla fronte la ragazza e poi gli passò accanto senza guardarlo, leggero come un fruscio. Argento restava immobile, ora seduto accanto al lettino, con gli occhi vacui e spenti e una pallida mano insanguinata, che non era la sua, stretta tra le grandi mani forti…

Riconoscendo Monica, Joy l’aveva aiutata a salire al primo piano ed ella attendeva ora nell’ingresso. Incapace di stare seduta, la signora aveva abbandonato la borsa a terra e passeggiava in su e giù lungo il corridoio, coi lunghi capelli che, dallo chignon castigato della sua vedovanza, ora scendevano sfatti e nervosi attorno al suo collo bianco, sul suo volto arrossato e sfatto, ma sempre bello…

Celebi tossì per farsi sentire. Monica si voltò e si precipitò da lui; quegli sorrise, e, sollevando le mani, mormorò: “Vive.”

“Oh, ma grazie, grazie! Dio, grazie, grazie!” gridava la donna sciogliendosi in lacrime, e afferrandogli le mani le baciava…

Ma il sorriso dell’uomo si fece più triste ed egli mormorò: “Dio, grazie: hai detto bene!” poi alzò la voce e disse, sorridendo: “Via, via, che ho fatto io? Ora non esageri. Sua figlia è forte, il merito è suo.”

Ma il pianto della donna non accennava a smettere: ella piangeva di gioia, piangeva d’amore… Celebi l’allontanò da sé e sorridendole le disse: “Se vuole può entrare a vederla. Ma non pianga troppo forte! Non bisogna far rumore.”

Monica annuì, muta, pulendosi gli occhi col fazzoletto, e guidata da lui entrò nella stanza. Luisa riposava, ora, pallidissima ma salva nel suo letto di fortuna, e quella fu la prima volta, dopo molti anni, che Celebi e quella donna da lui idolatrata si trovavano insieme al capezzale della figlia.

 

Trascorsero varie ore prima che tutto si acquietasse intorno a loro. Solo verso le sei di quel pomeriggio l’Altopiano Blu si svuotò definitivamente e il vasto ed eterogeneo gruppo degli spettatori, degli allenatori e dei giornalisti finì per disperdersi intieramente. All’Indigo rimasero in pochi: l’inferma e i due Prescelti, Monica, Celebi, i Superquattro e poi, persino, i due professori che, prima di far ritorno ai rispettivi laboratori, desideravano far visita alla Campionessa. E infatti, fu poco dopo le sei che Luisa si svegliò. Al suo fianco c’erano i suoi compagni.

A fatica, la ragazza tentò di alzarsi dal letto e immediatamente Argento si precipitò a trattenerla.

“Argento…che cosa è successo?” domandò allora Luisa con spavento. Aveva paura di scoprirlo. Si toccò il petto col braccio libero dalla flebo: il leggero telo di lino verde le era scivolato di dosso scoprendole il petto, ed ella lo sollevò più per abitudine che per vergogna dei suoi compagni. “Perché sono qui? Cos’è successo?”

“È tutto a posto” rispose Lance inginocchiandosi accanto al letto per prenderle la mano. “Come ti senti, piccola? Che cosa ti ricordi?”

“La battaglia” borbottò Luisa, contraendo dolorosamente la fronte per ricordare. Sussultò a quel pensiero. “Rosso! Chi ha vinto?”

“Tu, ovviamente” disse Argento dolcemente. “Sei svenuta subito dopo e ti hanno operata d’urgenza qui.”

“Il sangue!” esclamò Luisa. “Il mio sangue non è…”

“Sht” disse Lance. “Lo sapevamo. Non ti preoccupare. È stato tuo padre a salvarti.”

“Papà è stato qui?”

“È ancora qui” replicò il ragazzo alzandosi. “Vuoi che te lo andiamo a chiamare?”

“Non subito…e la mamma?”

“Anche lei è qui e ora è con Joy ad aspettare che tu possa vederla.”

“Devo vedere prima lei. Sarà preoccupata, e deve tornare a casa…papà capirà.”

“Certo. Vado a chiamartela” disse Argento scomparendo in corridoio.

Luisa rimase in silenzio nel letto, cupa e pensierosa. Sedendosi accanto a lei sul materasso, Lance le sorrise. “Come ti senti?”

“Così, come…benino” disse Luisa. “Che è stato esattamente?”

“La foglia ti ha tagliata da qui a qui” spiegò Lance, indicandole sul proprio petto la traiettoria che aveva avuto luogo sul suo. “Tuo padre ha bloccato l’emorragia e curato le lesioni interne, poi ti ha dato il suo sangue perché tu potessi…”

Poiché la ragazza chinava lo sguardo, Lance non terminò la frase.

“E Rosso? Dov’è finito Rosso?”

“È scomparso, si è dileguato nella confusione…non sappiamo dove sia, ora.”

“Capisco.”

“Tu, invece. Come ti senti?”

“Bene, credo. Me l’hai già chiesto.”

“Intendevo…”

“Ah.” Luisa non lo lasciò finire. “È che per un momento…mi è parso…che sarei morta.”

“Perché hai voluto continuare a combattere, Luisa? Sapevi che era una pazzia.”

“Secondo te?”

“Non sarà stato per Blu?”

Luisa scosse lentamente il capo. Gli sorrise. “No…no, che sciocchezza. Io volevo combatter, Lance, volevo semplicemente avere la mia ultima battaglia con Rosso… indimenticabile, proprio come desideravo che fosse.”

Lance si alzò dal letto e s’inginocchiò accanto a lei, sul pavimento della stanza, per prendere quella sua pallida mano accasciata sulle coperte. “Sei stata molto coraggiosa, lo sai?”

“No, Lance. Credo di essere solo stata stupida. Penseranno che l’abbia fatto solo per fare un po’ di scena.”

“Non dire così. E poi… noi sappiamo qual è la verità.”

“Grazie, Lance” disse la ragazza. E tese le braccia per stringerselo al petto. “Ho avuto paura, sai. Non lo dirò a nessuno oltre a voi, forse… qualcuno potrà pensare che io l’abbia fatto così, senza pensare, per il semplice gusto di combattere perché semplicemente volevo farlo, ma non è per questo. Volevo che questa battaglia fosse quella decisiva, volevo ricordarla sempre…”

Lance la guardò sorridendo. “Sei una persona molto forte, lo sai.”

La porta si aprì a questo punto. Argento ne fece capolino mormorando: “Luisa, il professor Oak e il professor Elm sono rimasti per vederti, ma tra poco dovranno andare via… te la senti di vederli insieme a tua madre o preferisci che tornino a trovarti domani?”

Luisa guardò Lance e riportò lo sguardo su Arento. Disse lentamente: “Sì, purché ci siate anche voi…più tardi farete entrare mio papà.”

Argento annuì e, aperta la porta, si volse indietro e disse a qualcuno alle proprie spalle: “Se la sente di vedervi tutti e tre.” E fece entrare i due uomini, e al braccio del più giovane, pallida e stravolta da non reggersi in piedi, c’era Monica che immediatamente cadde seduta dove poco prima Lance si era alzato.

“Dio, come sei stata stupida a voler continuare a combattere!” gemette, piangendo ma sollevata, con la bocca coperta dalle mani.

“Mi dispiace d’averti fatto preoccupare” disse Luisa con un sorriso colpevole.

“Oh, ma se non fosse arrivato quel dottore…quel dottor…”

“Si chiama Jude” disse Lance immediatamente. “Dottor Jude.”

“Mai sentito” mormorò Oak con gli occhi bassi. A quelle parole, fulmineamente, gli sguardi dei tre giovani corsero a incontrarsi.

“Sospetta qualcosa…non ha mai sentito parlare di un medico così abile” disse Luisa, colpita.

“Potremmo dirgli che viene da Hoenn” replicò Argenti, prendendole la mano per dissimulare quel silenzio.

“No. Come avrebbe potuto arrivare così presto?” disse Lance. Disse ad alta voce: “Luisa è stata avventata, ma oggi ha scritto un capitolo nella storia della Lega Pokémon. Mio padre avrebbe voluto vedere una sfida simile.”

“E lei, professore? Che cosa ne pensa?” domandò la ragazza volgendosi verso Elm. Sentendosi chiamato in causa, egli sollevò la testa e le disse sorridendo: “Penso che tu abbia avuto un coraggio inusitato, Luisa. E che il tuo sprezzo del pericolo…”

“Non è stato sprezzo del pericolo” lo interruppe Luisa, ma senza freddezza: “Ho avuto paura.” Poi, baciando la mano della madre, mormorò: “Non sarai per caso arrabbiata con me?”

E la donna dovette scuotere il capo, esausta, pallidissima, dicendo: “No, ma è vero che mi farai morire!”

“Luisa” disse il professor Oak, con voce nitida e forte “Presto avrò bisogno di parlarti in privato per qualche minuto, ma dato che non è urgente, posso tornare domani.”

Luisa avrebbe volentieri trovato qualche scusa, e in effetti non sarebbe stato difficile, per rifiutare di parlare con lui da solo a sola. Ma poiché sapeva che Lance amava molto quell’uomo, e soprattutto a causa della propria curiosità, gli disse che appena sua mare fosse tornata a casa avrebbero potuto parlare.

Difatti sua madre la lasciò pochi minuti dopo, in compagnia del professor Elm. Rimasta sola coi propri compagni e col luminare, la ragazza gli chiese per quale motivo le avesse richiesto un colloquio privato.

Egli sedette per prima cosa e prendendole la mano le disse: “Luisa, tu ricordi quella conversazione che avemmo, circa un anno fa, nel mio laboratorio…”

“Sì, professore…la ricordo.”

“Hai pensato a quello che vi dissi?” domandò Oak molto seriamente. Luisa gettò uno sguardo ai suoi fratelli e rispose sorridendo: “Sì, professore, ci abbiamo pensato moltissimo!”

“Voglio augurarmi che tu non l’abbia fatto per quel motivo” disse l’uomo molto seriamente.

“Per…per quel motivo?” domandò Luisa senza capire.

“Intendo dire… che tu non l’abbia fatto per ottenere l’approvazione di Ho-Oh.”

“No, professore… si calmi. Io non voglio diventare… diventare come Rosso” disse Luisa con decisione, ma guardando altrove.

“Mi fa piacere sentirtelo dire” mormorò l’uomo. Lance vide che non era convinto e chinatosi su di lui gli disse: “Professore, mi creda… noi non stiamo facendo nulla per ottenere il consenso dei Pokémon Leggendari o di Ho-Oh…assolutamente niente.”

“Se volesse, potrebbe chiederlo anche al nonno di Bill” intervenne Argento. “Ha più parlato con lui?”

Oak annuì e disse: “Sì, certo…in varie occasioni. Di voi, m’ha detto che non c’è da preoccuparsi, ma comunque…”

“E allora, di cosa si preoccupa?” esclamò Luisa. “Si fidi di lui, se non di noi… e non si preoccupi. Tutt’al più, se potesse…” Esitò e guardò i suoi fratelli, in cerca di sostegno. Proseguì: “Dicevo, se potesse… se ha un po’ di tempo, dia un’occhiata a Blu, dal momento che ora…”

Il professore capì le sue intenzioni prima ancora che la ragazza finisse di parlare. Sollevando una mano, si affrettò a rassicurarla dicendo: “Non temete…ci penserò io, per almeno qualche giorno, a occuparmi di Blu. Vedrete che sarà di certo tornato a Biancavilla…per un po’ di tempo, me lo terrò vicino. E per il resto…ma prima o poi se ne farà bene una ragione.”

“Lo spero per lui” commentò Luisa a bassa voce.

Più o meno convinto, il professor Oak si decise comunque a lasciar loro il beneficio del dubbio e a porre fine così, cordialmente, alla propria visita. Quando lo scienziato li ebbe lasciati, Luisa si riposò per qualche minuto, bevve un po’ d’acqua e si disse disposta a vedere Celebi.

Inizialmente, Celebi entrò in forme umane, le forme che aveva assunto per venire a salvarla. Ma poi, quando Argento ebbe chiuso la porta alle sue spalle, allora si lasciò andare e rilassò le membra stanche e di nuovo fu Celebi, un’ombra, una nube, un soffio, una presenza, Celebi di nuovo…

“Papà” esclamò Luisa tendendogli le braccia.

“Quanto coraggio hai dimostrato oggi! Mai nessuno avrebbe potuto aspettarsi tanto, neppure da una principessa! Se tu sapessi quanto sono orgoglioso di te” mormorò Celebi nelle sue orecchie.

“Ho preso da te” disse Luisa staccandosi da lui. “Grazie per avermi salvata.”

“E per cosa mi ringrazi?” domandò Celebi. “Per non averti voluta perdere per la seconda volta?”

Guardò Lance e Argento e divenne uomo, nelle forme che aveva assunto tanti anni prima per contrarre matrimonio mortale: “Dovrete aiutarla per qualche tempo. Per una o due settimane dovrete rinunciare ai vostri viaggi… io ho potuto salvarla, ma è giusto che la ferita segua il suo corso.”

“Ti ringrazio” disse la ragazza. Si toccò il petto e disse ancora, guardando altrove: “Questa è stata la mia ultima vittoria su Rosso. Ma ora lui ha perso e non potrà dimostrare di meritare il consenso di Ho-Oh… della sua vita piò decidere da solo, ma mi dispiace per Blu. Che ne sarà di lui?”

“Non pensarci, ora” disse Celebi. “Dopotutto, se non sono in grado di vivere insieme soltanto perché Rosso si aggrappa, come un folle, a una qualche immagine inesistente, è solamente loro la colpa.”

Luisa sorrise senza convinzione, ma non parlò più di Rosso e di Blu.  Celebi rimase con lei per un’altra mezz’ora, poi la lasciò perché riposasse. A quel punto Lance, guardando l’orologio, disse che era bene che Luisa fosse trasportata su per la notte.

“È ridicolo che tu debba dormire nella sala operatoria di un centro medico” affermò. “Ti porteremo nella tua stanza, poiché ormai non vi è pericolo. Là potremo tenerti compagnia stanotte e soprattutto potrai riposare meglio.”

Luisa si mise a ridere. “Ti credi molto forte” esclamò. “Non penserai di portare su tutto il letto con me sopra!”

“Che scema che sei! Non sei poi questa gran principessa” la rimbeccò Lance sorridendo. “Basterà una barella.”

Andò a chiamare Joy per chiederle di portare la barella, mentre Argento restava con lei.

“Ti ho ammirata molto per quello che hai fatto, sai” disse Argento, immobile presso la porta. “Ma ho anche avuto molta paura.”

“Ne ho avuta anch’io” mormorò Luisa abbassando gli occhi. “Di non rivedervi, di non… credevo di non farcela. E di umiliarmi dandogliela vinta.”

“In nessun caso ti saresti umiliata” disse Argento. “È troppo grande quello che hai fatto, quello che hai dimostrato…anche se Rosso avesse vinta la battaglia, credi che per entrambi quella vittoria avrebbe avuto un qualche valore?”

“No, certo. Ma…”

“Ma?”

“Sento come se mancasse qualcosa” disse Luisa. Si prese il viso tra le mani. “Non è ancora finita, Argento, io e Rosso non abbiamo ancora finito…manca qualcosa tra noi due.”

“Tu hai vinto, Luisa. E da un anno voi due sapevate entrambi che questa sarebbe stata la vostra ultima battaglia.”

“Lo so, ma non è una battaglia quella che ci manca, ora. Abbiamo finito di scontrarci... entrambi sappiamo che sono io la migliore, e non abbiamo certo bisogno di dimostrarcelo ancora l’uno con l’altra. No, è qualcosa di un po’ diverso…”. Sospirò nuovamente. “Dobbiamo rivederci per l’ultima volta da avversari. Per l’ultima volta dobbiamo essere nemici… e dopo, non importa quel che accadrà. Ciò che diventeremo, dopo il nostro ultimo incontro… sarà un’altra storia. Capisci quel che voglio dire?”

“Come potrei non capirti?” chiese Argento per tutta risposta.

In quel momento rientrò Lance. Aveva chiamato Joy e l’infermiera veniva dietro di lui portando una barella pieghevole. Pochi minuti e un gran numero di scossoni dopo, Luisa si ritrovò sul suo piccolo letto fresco e domandò di poter vedere il filmato della Lega. Joy scese di corsa e le procurò in breve tempo il filmato.

“Puoi metterlo tu, Lance?” domandò la ragazza porgendo la videocassetta all’amico. Egli la prese e la inserì nel registratore del piccolo televisore posto davanti al letto.

“Sei sicura di volerla vedere?” le chiese mentre tornava a sedere sul letto accanto a lei. Luisa assentì col capo.

“Assolutamente. Voglio capire cos’è successo…io non mi ricordo.”

Era seduta sul letto, le gambe ripiegate contro il petto sfregiato, appoggiata alla spalla di Lance. Il filmato partì. Ed era il primo scontro, Rosso che combatteva Lorelei: partita persa in partenza…

“Mio Dio” mormorò Lance, gli occhi puntati su quella furia violenta e rabbiosa, contro cui Lorelei non

poteva se non soccombere.

“Sta malissimo” disse Argento incredulo.

C’erano quegli occhi rossi e gonfi, che sullo schermo risaltavano paurosamente, quello sguardo disperato di chi ha una sola possibilità, quel fremito impercettibile delle labbra quando urlava, quel continuo puntare gli occhi su Blu… Luisa si strinse ad Argento e gemette: “Hai visto con chi ho combattuto, io! E come avrei potuto perdere?”

“Avresti potuto, invece” disse Lance. “La domanda è: come hai potuto vincere?”

Il filmato proseguì. Con eguale forza, anche il Blastoise di Rosso infieriva sui Pokémon di Bruno, che non erano in grado di incassare il colpo…

“Anche i suoi Pokémon sono disperati” mormorò Argento.

“Bah! Tu lo saresti se dovessi passare la tua vita con un individuo ossessionato dagli allenamenti” borbottò Lance, ma non era una battuta.

Luisa non si curò egualmente delle sue parole. Mormorò: “Thyplosion, quando ha capito che volevo vincere, ha continuato a combattere…allo stesso modo, i suoi Pokémon sanno che devono vincere se lui rivuole Blu. Per questo combattono così…”

E poi Agatha, che non aveva speranze contro il Charizard di Rosso; e poi Lance…

E quell’inchino. Luisa volle riavvolgere il nastro e rivedere ancora quella scena.

“Cosa gli hai detto?”

“Che si sarebbe inchinato a sua volta se avesse perso.”

“Non ti ha ascoltato” commentò Argento. Lance scosse il capo.

“No, certo…lo so. Ma sono sicuro che ne aveva l’intenzione. Se fosse andata come avrebbe dovuto, credo che l’avrebbe fatto senza dubbio.”

Luisa non rispose. Pensava a che cosa mancasse a lei e a Rosso, a quelle due anime in pena che solo scontrandosi potevano ambire a un po’ di pace e che forse erano tanto simili da riuscire a capirsi e a comprendersi, alla fine.

Abbandonò la testa sul petto di Lance. Egli le circondò le spalle con un braccio e la strinse forte a sé, baciandole la fronte: “Come stai?”

“Mi sembra un’altra persona. Non l’ho mai visto da vicino come in questo filmato, mai: ci siamo sempre guardati così da lontano… non avevo mai visto così da vicino quei suoi occhi così disperati e… credo di essere la persona che sulla faccia della terra lo capisce meglio, sai: non so nulla di lui, neppure so molto del suo passato se non quello che da altri mi è stato raccontato… ma sono come lui, e per questo penso di poterlo comprendere.”

Si coprì la faccia con le mani mentre sullo schermo si susseguivano le immagini: una rapida vittoria sul suo Pikachu e sul suo Espeon, il suo sguardo disperato ma infuocato, i suoi propri colpi che erano crudeli e feroci, ma dannatamente pietosi; e poi la terribile scena della sua caduta… Luisa rabbrividì.

È quasi finita, si disse durante gli ultimi minuti dello scontro. Quasi, però. Dobbiamo essere avversari ancora una volta: per l’ultima volta mi dovrò scontrare con le fiamme che ardono negli occhi del mio nemico… e quello che diventeremo dopo, lo decideremo in seguito.

 

Capitolo assurdamente lungo, ma che non avrei saputo come tagliare o abbreviare e che per questo posto così com’è, tutto bello lungo e sudato. Spero vi sia piaciuto, sebbene questo fosse uno degli elementi forse più infantili e banali dell’intera storia (che peraltro ho progettato a 8 anni, dunque…)

Un bacio alla cara Emma Bradshaw. A presto!

Afaneia ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Una vita divina ma senza di te. ***


Le giornate seguenti trascorsero lentamente, scandite dai pasti e dalle visite di qualche amico o di qualche Pokémon leggendario. Luisa si riprendeva a poco a poco. Quattro giorni dopo la Lega, si alzò e andò a fare colazione in sala, aggrappandosi al braccio di Argento per supplire al tremito delle proprie gambe. Quel giorno il professor Oak venne a trovarli accompagnato da Blu.

Gli era passata la febbre, al bel Capopalestra, ma c’era ora un nuovo dolore nel suo sguardo piagato. Era qualcosa di più antico e profondo, questa volta: qualcosa che si rivelava nei suoi occhi e nel suo modo di muoversi, nella nuova esitazione prima di parlare. Si ritrovava in tutto il suo atteggiamento, una sorta di rassegnazione, un insensato tentativo di una nuova vita in cui era il primo a non credere.

Quando arrivarono, Luisa era seduta su un puff della biblioteca ad ascoltare la voce di Lance, monotona e rilassante, leggere per lei la Storia della Lega Pokémon: Dalla fondazione dell’Impero al cambio della guardia. Joy venne ad annunciare l’arrivo dei due e Lance, scambiando in un secondo un pensiero coi suoi fratelli, le disse di farli entrare. Luisa si ricompose rapidamente prima che entrassero.

Veniva prima il professore, seguito a poca distanza, con passo più lento e quasi strascicato, dal giovane nipote ch’egli amava tanto (forse quasi quanto lo amava Rosso).

“Siamo venuti a trovarvi” disse il professore appena entrato. “E a vedere come sta la nostra Campionessa.”

“Benone, professore, grazie mille” rispose Luisa, con un sorriso luminoso che fece dimenticare il curioso spettacolo delle sue labbra esangui, appena pochi giorni prima. “Oggi ho camminato!”

“È tutto merito del tuo dottor Jude, immagino” disse il professore, mentre Lance faceva loro cenno di sedersi. Luisa sorrise.

“Non sarei qui senza il dottor Jude” replicò lentamente. Si strinse la vestaglia sopra il petto fasciato e si rivolse a Blu. “Come stai, tu?”

Blu sorrise, ma d’un sorriso amarissimo e triste, chinando il capo, e rispose lentamente: “Me ne sto facendo una ragione. Mi ci vorrà un po’, ma…prima o poi…” Strinse la mano del nonno e proseguì con più forza. “Il nonno mi dà una mano in questi giorni. Dovete ringraziare lui se non mi hanno ritrovato sugli scogli dell’Isola Cannella!”. E si mise a ridere, ma nessuno ebbe il coraggio di seguirlo, perché rideva come un pazzo, insensatamente.

“Devi ricordarti, Blu, che di qualunque cosa tu possa aver bisogno, puoi rivolgerti a noi” gli disse Lance a bassa voce, ma diretto e convinto.

“Voi parlate sempre al plurale, come se foste un’entità unica” gli rispose Blu, in tono distaccato. “Ve ne siete mai accorti?”

Luisa non gli diede retta. “Blu…sai dove si trova Rosso, ora?”

Per un istante la domanda lo lasciò sorpreso. Poi, alzando le spalle con gli occhi lucidi al cielo, disse con voce tremante: “Non lo so, che cosa importa? Mio Dio, sarà a cercarsi un’Ala d’Iride, probabilmente. O a fondersi i neuroni a forza di chiedersi come abbia potuto perdere… oh, cavolo, non lo so! Personalmente, spero davvero che stia morendo!”

Tremava. Il professore se lo strinse contro e Blu, respirando a fondo, finì per calmarsi: “Scusatemi tanto. Mi controllo male in questi giorni… è vero che spero che muoia, ma non intendevo parlare in questo modo. Mi dispiace…”

“Ma tu non vorresti mai che morisse!” mormorò Oak stringendolo con più forza.

“Oh, sì che lo vorrei!” gemette Blu con rabbia. “Ha perso, e ora vorrei che morisse, è uno stupido, come lo odio! Per colpa sua ho perduto anni interi della mia vita, anni a inseguirlo, a cercare di superarlo e poi a capirlo, quando ho compreso di non poterlo superare… anni a inseguire il suo fantasma! Ho rovinato tutto per colpa sua! Tutto, la mia vita, la sua, tutto!”

“Ti riprenderai” gli disse il professore. “Ti stai già riprendendo, Blu, ma hai bisogno di un po’ di tempo per accorgertene.”

“Ma certo che andrà così” mormorò tristemente il ragazzo. Sapevano tutti che non era vero, ma nessuno lo disse. “Tornerò in palestra tra qualche giorno, Lance, e voglio starci per almeno una settimana di seguito” proseguì, con voce un po’ più alta, ma con gli occhi ancora lucidi. “È un buon inizio, no? Non credi che mi farà bene? Mi ci farò chiudere dentro se occorre, ma ci resterò per tutta una settimana…anche la domenica, eh? Che cosa ne pensi?”

“Un segno di profondo impegno da parte tua” rispose Lance.

“Oh, sì, mi sto impegnando davvero, sai? E non farò vincere nessuno quest’anno, te lo prometto. Oh, non temere! Sandra perderà anche quest’anno abbastanza volte da riempire l’Altopiano Blu di mocciosetti presuntuosi che si crederanno chissà chi per aver battuto la principessa dei Pokémon Drago. Cielo, Lance, lo so che è tua cugina e la nipote del Maestro, ma dovresti frenare tutto questi nepotismo dilagante!”

Non era Blu a parlare, era qualcuno con la faccia di Blu, la voce di Blu, lo stesso dolore di Blu, ma non era affatto Blu. Era come trasfigurato, e ora, mentre parlava, era visibile in lui il suo turbamento.

“Blu” gli disse Luisa. “Ascolta, Blu… non ti dirò nulla che suoni anche vagamente come ‘chi non ti vuole non ti merita’ o qualcosa del genere: non è il tuo caso, questo. E non ti dirò nemmeno di pensare a come sarebbe stata la tua vita insieme a lui… ma io credo che Rosso non sarà mai completamente felice, perché ovunque sarà gli mancherà qualcosa. Quando sarà con te, penserà di aver perso la sua occasione; e quando cercherà Ho-Oh, per avere la sua approvazione, si struggerà di non essere con te…”

“Da anni va avanti così” disse Blu tristemente.

“Sai, Blu, forse combattendo così è qualcosa di unico che cerca di ottenere: qualcosa che sia contemporaneamente te, e Ho-Oh, e la Prescelta Creatura…”

Blu tacque, dopo aver udito queste parole, per quasi un minuto intero. Quando parlò, era di nuovo il Capopalestra di Smeraldopoli, la creatura nobile e malinconica del vulcano vuoto dell’Isola Cannella.

“Il più grave difetto di Rosso” disse lentamente “E lo è sempre stato, da quando lo conosco, è la sua ambizione smisurata… che lo porta alla difficoltà di scegliere, all’occorrenza, l’una via o l’altra a parità di rischio… vuole e vorrà per sempre la scelta più difficile, quella più lunga e più redditizia, per quanto assurda, sempre inscindibile dai suoi ideali. Per questo non può accontentarsi di avere solo me, o solo il suo sogno: lui vuole una terza alternativa, quella difficile, quella che non è un compromesso. E purtroppo è così che è andata: vuole avere entrambi…”

“E non avrà niente” disse Argento. Blu annuì:
“Potrebbe avere me, se la sua ambizione non gli suggerisse di puntare più in alto. La cosa, ovviamente, sta diventando frustrante… ma chi sono io per competere con la sua ambizione?”

Si alzò in piedi e si avvicinò al puff dove Luisa sedeva. “Vorrei parlarti un momento. Voi altri volete scusarci?”

“Andiamo per un minuto da una parte” rispose Luisa pensando alla vastità della biblioteca. Blu annuì e, senza attendere risposta, la sollevò tra le braccia perché non dovesse camminare. La ragazza si aggrappò a lui per non rischiare di cadere, ma senza protestare si lasciò trasportare in un angolo appartato della biblioteca, dietro una serie di librerie.  Blu la fece sedere su una seconda poltrona e s’inginocchiò accanto a lei, appoggiandosi a un bracciolo per parlarle.

“Volevo chiederti scusa a nome suo di quello che ti ha fatto” disse a bassa voce. Luisa sorrise.

“Ascolta… tu non sei responsabile di quello che combina il tuo ragazzo.”

“Era per me che era disperato.”

“Non preoccuparti, Blu… nessuno di voi due ne ha colpa. In effetti, non è colpa di nessuno. È stata una fatalità, Blu.”

“Se ora lo incontrassi, cosa pensi che gli diresti?”

Luisa sospirò. “Gli direi che è un gran cretino, a lasciarsi scappare così un bel ragazzo come te. Gran Dio, io starei bene attenta a evitarlo! Anzi, ti marcherei stretto…”

“Ti prego, te lo sto chiedendo seriamente!” la implorò il ragazzo.

“Ascolta, Blu… è questo quello che gli direi. Forse non in questi termini, ma è pur sempre questo. Non si è mai abbastanza amati a questo mondo, Blu… ed è stupido, accidenti, a buttare via l’amore di uno come te per inseguire la scia di una leggenda!”

“Diglielo, se lo vedi” mormorò Blu. “Forse detto da te lo capirà.”

“Sai” proseguì dopo qualche momento di silenzio. “Sai qual è la cosa che odio più di tutto in questa storia? La cosa che…che…”

“Che cos’è?” gli chiese Luisa.

“È che Rosso non capirà mai che io posso amarlo molto di più di quanto lo ami quel suo stupido sogno” disse Blu. “La sua ambizione non lo amerà mai profondamente, assolutamente, completamente come lo amo io, non gli darà la stessa devozione, lo stesso affetto stupido e cieco… la sua ambizione non farà altro che tradirlo, è una puttana la sua ambizione! Ma lui continuerà per sempre ad amare lei più di me. E sai qual è la cosa più terribile, invece?”

“No. Che cosa, Blu?” domandò la ragazza con le lacrime agli occhi.

“Che qui l’imbecille sono io. Perché se proprio ora venisse qui da me a darmi un bacio, io sarei tanto stupido da dirgli baciami, prendimi, tutto quello che vuoi, ma ti prego, non mi lasciare più. E ragionando così…alla fine la puttana sono io, capisci, e non la sua ambizione. Perché la sua ambizione è molto meno lasciva di me, capisci!”. E Blu si mise a ridere, disperato. Luisa lo prese per le spalle e lo scosse. Gli disse: Ma la sua ambizione è molto meno innamorata di te!”

“Dio, quanto sono patetico…!” borbottò Blu. Luisa lo strinse dolcemente a sé e gli disse: “Dio, quanto sei innamorato! Veramente sei straordinario… Ma come fai ad amarlo così tanto da impazzire? E se penso che ami così tanto un debole sognatore senza forza di vivere che non fa altro che ignorarti…”

“Bisogna proprio essere stupidi” mormorò Blu.

“Che tu ci creda o no, ti ammiro” rispose la ragazza. “E non sai neppure quanto!”

Finalmente Blu sorrise, e alzandosi in piedi le disse: “Grazie di avermi ascoltato, Luisa, sai… so che tu lo conosci molto bene, che forse non sei dissimile da lui, dal suo carattere…”

“Spero che non siamo troppo simili” rispose la ragazza.

“No… non troppo” disse Blu, ma non specificò quel troppo. “Grazie di tutto questo, comunque. Tutti voi siete stati buoni con me… e io vi ringrazio molto per la gentilezza che mi avete usato, per l’aiuto che mi avete dato e per la comprensione che mi avete usato.”

“Torniamo di là, ora” disse Luisa; ma questa volta volle alzarsi con le sue gambe, e camminare da sola. Blu l’aiutò solamente.

A quel punto, il professore si riportò a casa il nipote. A Biancavilla, i due si separarono sulla piazza del paese e si diressero ciascuno a casa propria, ragionando, ciascuno per sé, sui propri problemi.

Blu rincasava lentamente, ancora stanco di quelle notti insonni trascorse piangendo, stanco di quel dolore antichissimo che da anni si portava dietro come un considerevole peso. Rientrato in casa, trovò la donna delle pulizie che, finito il proprio lavoro, si accingeva a uscire.

“Signore” disse amorevolmente quando lo vide entrare. “Come sta? Va un po’ meglio? Non avrà più la febbre!”

“Sto meglio” rispose Blu, anche se non era completamente vero.

“Ne è sicuro? Vuole un po’ di compagnia, o qualcos’altro?”

“La ringrazio tanto, signora” mormorò Blu “Ma davvero non ce n’è bisogno. Grazie comunque, sa.”

“Le ho lasciato da mangiare qualcosa di caldo. Ma se…”

“Non si preoccupi” disse Blu. “È tutto a posto. Vada pure a casa.”

Uscita la donna, Blu salì al piano superiore per cambiarsi d’abito e mettersi comodo per la serata. Si disse che, per ingannare il tempo, avrebbe compilato la contabilità della palestra e avrebbe stilato il programma d’allenamento dell’anno corrente. Ma quando, dopo essersi lavato, scese in cucina, trovò di non aver fame e di non voler mangiare affatto il minestrone bollente che la signora delle pulizie gli aveva lasciato. Con questo caldo, si disse svuotando il piatto nel lavello. Ma la signora faceva per bene in fondo, pensando alla febbre che aveva avuto qualche giorno prima.

Andò in salotto per rilassarsi una mezz’ora prima di andare a lavorare. Pensava alla promessa che aveva fatto a Lance… una settimana in palestra! Sarebbe stata dura, un radicale cambio d’abitudini: forse, dopo Rosso, sarebbe ritornato un bravo ragazzo…

Accese la televisione e fece zapping per un paio di minuti, ma per quanto cercasse gli era difficile trovare un programma che non parlasse della recente Lega o che addirittura non ne trasmettesse la più celebre sequenza. Ma chi poteva avere ancora voglia di vedere una ragazza dissanguarsi sotto gli occhi di migliaia di persone? E perché spesso la telecamera passava sul suo avversario disperato, che non faceva che gridare? O su di lui addirittura – ma che cosa importava al mondo di lui- e sui suoi occhi languidi che brillavano di febbre e di pianto?

Proprio mentre si alzava per spegnere la televisione, sentì il campanello suonare dall’ingresso. Sarà il nonno, pensò andando pigramente ad aprire. Avrà da dirmi qualche altra cosa riguardo Rosso… ma perché pensano che non possa farcela da solo?

Aprì la porta senza neppure chiedere chi ci fosse dall’altra parte… e quale non fu la sua sorpresa quando vide che non era suo nonno che aveva bussato, ma che c’era Rosso davanti a lui!

“Che cosa vuoi?”

Rosso guardava in basso con occhi cupi. Disse: “Non l’indovini?”

“No” rispose Blu, non senza una certa asprezza. Rosso non demorse. “Ho bisogno di parlarti… non potresti farmi entrare?”

“Puoi parlare qui.”

“Ma se tuo nonno ci vede, non mi lascerà parlare con te.”

Blu rimase immobile.

“Va bene” disse infine. “Vieni dentro.”

Si fece di lato per farlo entrare. Rosso entrò timidamente in quella casa, ma non fu invitato ad accomodarsi. Rimasero piuttosto immobili nell’ingresso, l’uno di fronte all’altro.

“Scusami.”

“Di che cosa?” replicò Blu in tono aspro.

“Di tutto, del male che ti ho fatto, di tutto il dolore che ti ho… è da imbecilli scusarsi così, chiederti scusa ora non cancellerà tutti questi anni…”

“Infatti.”

“Ma mi dispiace…”

“È inutile venire qui a dirmi che ti dispiace prima di tornare ad allenarti come un pazzo.”

Rosso rimase in silenzio a lungo, prima di rispondere: “Non tornerò ad allenarmi.”

“E perché no?”

“Io ho… deciso di arrendermi.”

“Che cosa?” gridò Blu scosso.

“Ho capito che tutto questo è inutile. Basta, ora.”

Blu era a bocca aperta. Lo guardava incredulo, senza capire, senza parlare.

“Che cosa ne dici?” domandò Rosso cautamente.

Finalmente Blu trovò la forza per rispondergli.

“Fuori. Vai fuori.”

“No, aspetta, ascolta!”

“No, tu vai fuori. Fuori! Esci! Fuori!” esclamò Blu, senza ascoltare le sue proteste. Non capiva nulla, non vedeva nulla. Lo spingeva ciecamente verso la porta.

“Ascolta, Blu, ascolta…”

“No! Vai fuori, fuori! Vattene!”

“Aspetta, Blu, ma perché…”

“E me lo chiedi? Va’ fuori, vattene!” urlò Blu, gonfio com’era di frustrazione e pianto e rabbia. Spalancò la porta e a spintoni lo cacciò fuori; ma nel momento in cui cercava di chiudergli in faccia, Rosso infilò un piede contro lo stipite. A quel punto Blu uscì fuori a fronteggiarlo in giardino.

“Ti prego, Blu, non hai capito, lascia che…”

“NO! Ti dico io qualcosa oggi!” gridò Blu. Aveva la voce stridula, altissima e isterica e urlando piangeva. “Sono anni che ti sto dietro, Rosso, a te e al tuo stupido sogno e mio Dio, sa il cielo se non ne posso più!”

“Blu…”

“Ti ho aiutato e sopportato e aspettato e adesso, proprio quando sto cercando di scordarmi di te, mi viene a dire che è stato inutile aspettarti, che dopotutto non era così importante quello che facevi, che era inutile, che in fondo non era poi così… o, se tu morissi adesso!”

Ora Rosso si era arreso e restava in silenzio, con gli occhi bassi, le braccia molli contro i fianchi, ascoltando senza protestare quello sfogo disperato.

“Mi hai fatto buttare va la parte più bella della mia vita, ho buttato via tutto per te, tutto! Ma perché l’ho fatto? Per che cosa? Per qualcosa che in fondo, dopotutto, non era molto utile, no? Potevi farne a meno, potevi tornare quando te l’ho chiesto… Sì, potevi tornare quando l’anno scorso sono venuto a cercarti per chiedertelo… ma no, era necessario aspettare un altro anno, fare le cose in grande stile, organizzare una pubblica sconfitta e mettere tutto in piazza, umiliarci entrambi davanti al mondo intero, per capire che in tutto questo c’è qualcosa di inutile?”

Occhi iniziavano a brillare nell’oscurità mentre Blu urlava: vicini e vicine che scrutavano, da una siepe o dall’ombra di una persiana, quella scena isterica. Rosso se ne accorse e cercò, assai inutilmente, di far ragionare il ragazzo. “Blu, andiamo dentro… ci stanno guardando…”

“Non me ne frega un cazzo che ci stanno guardando, Rosso! Credi che non lo sappia tutta Biancavilla come stanno le cose? Anzi, credi che non lo sappia tutto il mondo? No, non mi sto rendendo più ridicolo di quanto già non lo sia! Non lo sai che per tutti io sono la signorina che ti sta dietro alle sottane? Oh, ma lo sapresti se sul Monte Argento avessi letto qualche gossip! Io sono stanco di essere l’ombra di un pazzo, Rosso, sono molto stanco!”

“Ma io ti giuro che ti amo, Blu… ho capito di avere sbagliato, solo questo ti chiedo, di perdonarmi…”

“Fatti perdonare da Ho-Oh” urlò Blu dandogli le spalle e dirigendosi verso casa a passi barcollanti. “È lui il tuo vero amore, non io!”

Rosso riuscì ad afferrarlo prima che aprisse la porta e a frapporsi tra lui ed essa. Ormai lo sfogo rabbioso era passato e a esso era seguito un accesso di pianto e tra i suoi singhiozzi Rosso ebbe modo di dirgli quello che doveva.

“Ascolta, sono stato uno stupido… sì, è la verità, ma ora ho capito e giuro, giuro che non commetterò più quell’errore di credere che una vita divina, ma senza di te, sia una vita…”

E forse queste parole colpirono profondamente Blu e rimasero a lungo scolpite nel suo animo; ma subito non ci pensò.

“Ho capito” gli disse. “Basta. Vattene ora.” E lo spingeva da parte per entrare in casa.

“Ti prego, ti amo!”

“Vai via!” rispose Blu. Entrò e si barricò dentro, perché non voleva farsi veder piangere oltre.

Trascorre qualche minuto accasciato, addossato contro la porta sul pavimento. Poi si alza bruscamente, bianco e rosso di pianto, e si scaglia contro la porta. Spalancandola, si getta di corsa attraverso il giardino, lungo la strada, domandandosi dove sua andato, perché l’abbia fatto, cercando di sentire di nuovo dentro di sé la consapevolezza di quelle parole: quell’errore di credere che una vita divina, ma senza di te, sia una vita…

Ma dov’è andato? D’un tratto gli pare di vederlo, è sulla spiaggia, la spiaggia della fine della loro amicizia, la spiaggia che si staglia verso l’Isola Cannella, stagliato contro l’oscurità, gli corre incontro…

Qualche minuto dopo, essi erano abbracciati sulla cima del vulcano a parlottare dolcemente e a scambiarsi baci e promesse…

Ma il mattino dopo Rosso non c’era più.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Una strana e terribile verità. ***


“Voglio scendere giù” disse Luisa poco dopo la colazione. Le doleva la ferita, eppure non riusciva a reprimere quel desiderio irrefrenabile di uscire, di respirare un po’ d’aria fresca dopo quei giorni di clausura.

“Se ti portiamo fuori, sverrai” la rimbeccò Argento per prenderla in giro.

“Che sciocchezza… non sono così debole” replicò la ragazza. E si alzò dal divano dov’era seduta – erano nella camera di Lance – per mostrare la rinnovata forza delle sue magre game muscolose. “Ma per favore, portatemi fuori!”

“Se insisti…” rispose Lance. Un poco l’uno, un poco l’altro, i due ragazzi l’aiutarono a scendere le scale e, a piccoli passi, a raggiungere l’Arena della Battaglie, dove i tre ritenevano di poter restare in pace senza essere disturbati per qualche ora… si sbagliavano. Erano stesi sul terreno da appena un quarto d’ora, che d’un tratto un fischio acuto scosse l’aria nel profondo e poi, dopo un momento, apparve una sfera rosa…

“Mew!” gridò Luisa, sollevandosi. Perché effettivamente era Mew, bellissimo e splendente con quegli occhi blu e luminosi del colore dell’aria, del cielo…

Mew si fermò in aria sopra di loro; ed era tanto piena di gioia al vederlo, che la ragazza si alzò in piedi e gli tese le braccia. “Che cosa ci fai qui, Mew?”

Il Pokémon si gettò tra le sue braccia, strofinò il muso contro il suo viso, e poi, nascosto nel suo petto, sussurrò nella sua mente: “Ho da dirti qualche cosa.”

“L’avevo pensato. Hai sentito qualcosa?”

“Sì, e forse qualcuno, tra cui magari persino Celebi signore della foresta e dei cieli tutti, mi dirà che il mio è un errore. Ma tu sei la mia principessa e ti amo molto, per aver sempre vegliato sulla tua vita, e non c’è nulla che io voglia nasconderti.”

“Parla, dunque.”

“Solo questo ho da dirti: che oggi inizia l’ultima parte del tuo viaggio, forse la parte più pericolosa… vengo a dirti di stare attenta.”

“Per la seconda volta in pochi giorni…! E anche stavolta, qualcosa d’indefinito.”

“Ascolta bene quello che sto per dirti: questa volta accadrà qualcosa che deciderà per sempre dello scorrere della tua vita e di altre, forse molte, che neppure conosci. Perciò io ti chiedo di fare molta, molta attenzione…”

“Te lo prometto, Mew” disse Luisa. “Ma com’è che fate ad avere sempre queste intuizioni, voialtri?”

“È qualche cosa che fai tu stessa senza accorgertene” disse Mew. “Non l’hai ancora capito? Non sei tu stessa, per esempio, a sapere di avere davanti a te ancora uno scontro col tuo nemico, Rosso?”

“Questa non è una predizione.”

“Oh, sì, che lo è. È la stessa cosa senza che tu lo sappia. Finirai per capirlo da sola, ma ora ricordati di stare attenta a quello che ti ho detto.”

“Me ne ricorderò… non preoccuparti. Ti ha mandato papà?”

Mew fece un cenno di diniego con quel suo piccolo e delizioso capo rosa e lucente. “No, lo sappiamo tutti quanti, tutti noi lo abbiamo sentito… ma io ho deciso liberamente di venire a dirtelo prima di tutti gli altri. Credi che abbia fatto male?”

“No, sono contenta di sapere la verità che mi riguarda, per una volta. Anche se…”

“Sei inquieta?” domandò Mew. La ragazza annuì leggermente.

“Non importa, però. Sarà tutto più facile, ora che conosco la verità. Ti ringrazio.”

Mew si staccò da lei e rimase sospeso a mezzo metro di distanza, poi, con un sibilo sottile, s’infilò sotto il braccio di Argento e poi andò a posarsi sulla spalla di Lance, appoggiandosi al suo collo.

“Anche voi dovete fare attenzione. Me lo promettete?”

“Certo, Mew” disse Argento. “Ma che cosa assurda è per noi sentici chiamati in guardia contro qualcosa che neppure voi sapete cosa sia!”

“Voi che dovreste sapere tutto” soggiunse Lance sorridendo. “Ma non temere. Faremo il nostro dovere.”

“Vi ringrazio” disse Mew sollevandosi. “Debbo lasciarvi, ora… tenete gli occhi aperti. Buona fortuna a voi!”

“Grazie, Mew” disse Luisa guardandolo allontanarsi. E poi, quando quel punto rosa fu scomparso all’orizzonte, soggiunse ad alta voce: “Ma che cosa vorranno dire le sue parole?”

“L’ultima volta che ci hanno detto qualche cosa del genere, era la verità” disse Argento inquietamente.

“Ma questa volta è quella definitiva” aggiunse Lance stringendosi al petto la ragazza. Luisa appoggiò la fronte contro il suo mento, senza dire nulla, ma gemendo in cuor suo per la ferita che aveva ripreso a dolerle.

E poi a un tratto sentirono un forte spostamento d’aria alle loro spalle e si voltarono a guardare. E come non trattenere un grido, quando videro che Rosso scendeva dal cielo sulle spalle robuste del suo Charizard?

A bocca aperta, Luisa si staccò da Lance e rimase immobile a guardare il suo nemico che si posava a terra, altero e serio, ma non più disperato, ora. Non scese dal suo Charizard e là rimase a guardarlo.

Luisa avanzò di qualche passo con gli occhi fissi su di lui.

“Luisa, non…”

“No. Lasciatemi. Devo andare. È ora.”

“Non sei forte abbastanza.”

“Posso farcela invece. Fidatevi di me.”

Proseguì fino al cerchio centrale dell’Arena. Annuì. Rosso vide il suo cenno e per un momento alzò gli occhi verso il cielo. Poi si levò in volo e si allontanò dall’Arena.

Fu un lampo, un lampo per Luisa lanciare la sua Pokéball e gettarsi al suo inseguimento in groppa ad Aerodactyl…

“Luisa! NO!”

Ma Luisa non se ne curava, solo di Rosso le importava in quel momento, mentre si gettava sulle tracce del folle nemico suo. Rosso continuava a levarsi in alto, sempre più in alto, e a ogni metro Luisa sentiva crescere la pressione sul suo povero petto ferito; ma in nessun caso si sarebbe tirata indietro, e ora inseguiva Rosso proprio come, un tempo, aveva seguito Suicune…

“Rosso! Dove vuoi andare?”

“Tu seguimi.”

E Luisa lo seguiva, perché non poteva farne a meno.

Sorvolavano il mare, ora; ma come aveva potuto essere tanto stupida? Ecco svettare la cima di un vulcano, la punta estrema di Isola Cannella.

Rosso scese per primo sul vulcano e ritirò il suo Charizard, e quando Luisa fu atterrata, il ragazzo vide il suo volto contratto dal dolore e l’aiutò a scendere, “Stai bene?”

“Sì” disse Luisa. “Sto bene, ma…”

Rosso la sostenne fino a una parete di roccia, dove l’aiutò ad appoggiarsi. Luisa si lasciò scivolare in terra. Dopo un momento di esitazione, Rosso sedette accanto a lei.

“Che cos’hai fatto in questi giorni?”

“Ho pensato a lungo. Sono stato qui, sul Monte Argento… ieri sono andato da Blu.”

“Oh.”

“Gli ho promesso che d’ora in poi voglio cambiare, voglio stare con lui, voglio vivere come tutti gli altri, come tutti voi… gli ho chiesto di aiutarmi, di sostenermi, di restarmi accanto, perché non sono sicuro di potercela fare da solo.”

“Hai un mucchio di buoni propositi.”

“Sì… voglio stare con Blu, ora, voglio fare tutto quello che non ho potuto in questi anni.”

“Ma che bravo ragazzo che sei diventato. Solo Blu m’intenerisce di più.”

“E poi, sai… Blu è stanco di sentirsi umiliato dalla mia ombra, e non deve più sentirsi così per colpa mia.”

Luisa si stese sulla schiena incrociando le braccia dietro la nuca. Sperava che distendendosi la ferita si rilassasse e le facesse meno male.

“Che cosa hai deciso di fare del tuo sogno, ora?”

“Te l’ho detto: basta, ora esiste solo Blu. Niente più notti insonni d’allenamento, basta… Blu, Blu e solo Blu: perché non è di Ho-Oh che sono innamorato…”

“Si spera. Ma io non intendevo questo. io volevo sapere se… se adesso credi ancora di essere la Pescelta Creatura.”

“Voglio raccontarti la mia storia. ( ma Luisa non dubitò che avesse udita la sua domanda e che a suo tempo avrebbe risposto). Vorresti ascoltarla?”

“…Sì. Certo che lo vorrei.”

“Ne sei certa?”

“Sì, ne sono certa.”

E mentre Luisa chiudeva gli occhi nel sole per ascoltare, Rosso incominciò a raccontarle la sua storia.

 

Non c’è bisogno che io ti parli a lungo della mia infanzia: sono cresciuto a Biancavilla, sognando di diventare un Campione di Pokémon come tutti i bambini sognano, come forse anche tu sognavi alla mia età.

Giocavo spesso con Blu, il mio vicino di casa, che era un bambino molto simile a me, anche se non troppo, nipote del celeberrimo professor Oak. Eravamo due bambini normali… giocavamo a sognare come tutti, alla fine.

Da piccolo non sapevo che Blu fosse il figlio di Giovanni, non me lo aveva mai detto, e d’altronde non avrei capito cosa questo implicasse. E quando me lo disse ancora non ero in grado di comprendere cosa questo significasse per lui: ciò che capii sulle prime era che per anni mi aveva nascosto la verità, che aveva cercato di tenermi all’oscuro di un orribile, orribile segreto. Come avrei potuto, con i miei ideali e i miei dieci anni, caprie cosa volesse vivere per Blu vivere senza madre e praticamente senza padre, circondato da ladri della più bassa risma destinati a prendersi cura di lui non per affetto, ma solo per compiacere il proprio capo, Giovanni… vivere nascondendo al mondo, a tutti, a me questa verità…

Dopo aver saputo il suo segreto, non volli più vederlo. Fu allora che cominciò a diventare sgradevole, antipatico, presuntuoso… era per difendersi da me.

Un giorno il professore ci mandò a chiamare e ci fece scegliere due Pokémon: io scelsi un Charmender, Blu invece uno Squirtle; ci sfidammo subito, lì nel laboratorio del professore, e fin da subito fu chiaro che ero io quello più forte, quello più capace di noi due… Questo non fece che alimentare l’odio che c’era tra noi. Purtroppo per me, cominciavo già ad amarlo… come sono strane cose di questo genere, a volte…

Così iniziò il nostro viaggio, e anche in esso ci dimostrammo diversi: lui, cos’ preso ad ampliare il suo Pokédex, io così impegnato ad allenarmi furiosamente, contro tutti e contro tutto… no, non per il motivo che pensi tu. Allora non pensavo affatto a Ho-Oh, a Mew, a Celebi, se non come a strumenti tramite i quali incrementare ulteriormente le mie capacità. Com’eravamo diversi io e lui! Due modi diversi di combattere, di allevare i Pokémon e di amarli, due modi diversi di cercare la verità, di vivere…

Ho perduto il conto di tutti i piani del Team Rocket che ho sventato, Monteluna, Azzurropoli, Zafferanopoli, di tutti gli allenatori che ho umiliato, dei Capopalestra che ho stracciato… un giorno, finalmente, ce l’ho fatta: ho vinto contro Giovanni e ho preso la strada dell’Altopiano Blu… Ma quel giorno, proprio sull’inizio della Via Vittoria, mi accadde d’incontrarmi con Blu e di combattere con lui… Vinsi. Ma in quel momento, credetti di essere davvero troppo forte per la Lega, troppo forte per Lance, troppo forte per tutti… decisi che avrei sfidato solo a Lega conclusa il Campione, che io sapevo sarebbe stato Lance (Blu  allora non era tanto forte da sconfiggerlo, lo è diventato in seguito, ma Lance lo notò ugualmente tra tutti). Proprio quel giorno ci confessammo l’uno all’altro e forse in quel momento iniziò il nostro primo riavvicinamento: ma era ancora un amore doloroso e rancoroso, di cui c’incolpavamo a vicenda senza volerlo.

E quel giorno avvenne una terza cosa che ha modificato il corso della mia vita: quella notte, essendomi recato a Isola Cannella per riflettere su quanto era accaduto… qui, mentre mi trovavo nella piazza del paese e sedevo tra la gente… qui, dicevo, mi accadde di sentire la storia della Prescelta Creatura (e qui dalla voce di Rosso Luisa capì ce non le stava dicendo tutta la verità). Ma queste cose te le ha già raccontate il professore Oak. Occorrerà dire solo che incominciai a informarmi, a raccogliere notizie… qualche giorno dopo, finita la Lega, Giovanni fu costretto a fuggire da Smeraldopoli e a iniziare quella lunga latitanza che si protrae finora e che addolora profondamente Blu. E fu da me che Blu si rifugiò, quando non seppe più che cosa fare: venne a cercare me quando suo padre lo lasciò. Fu il giorno del nostro primo bacio, della nostra prima promessa… e per un po’ di tempo il nostro fu un idillio, un sogno, un paradiso.

Ma quell’idea si era radicata in me, molto più in profondità di quanto avessi sulle prime creduto, non mi era più possibile cancellarla dalla mia mente.  C’era qualcosa in me che era cambiato, che non poteva più acquietarsi, da quando…

Ne parlai con Blu, e come avrebbe potuto esserne contento? Disse che se avessi voluto mi avrebbe seguito, in capo al mondo, ma sarebbe venuto con me, senza lamentarsi. Ma come potevo chiedergli di seguirmi? Come potevo accettare che venisse con me, sapendo e sapendo bene che non c’era nulla che potessi offrirgli? Così partii da solo, chiuso non – credo – nel mio egoismo, ma dalle mie catene: perché sapevo di non poter essere sereno accanto a lui fino a che non avessi trovato la mia verità… Non era semplicemente e soltanto la Prescelta Creatura che volevo dargli, era un uomo nuovo che potesse garantirgli una felicità, una serenità che l’inquieto Rosso non avrebbe potuto promettergli, mai…

 

Le parole di Rosso sfumarono nella brezza del mattino e per un po’ i due rimasero in quel silenzio appena sceso, incapaci di parlarsi.

“Blu le sa tutte queste cose?”

“Le ha capite, forse… ma non è questo il momento buono per parlarne. Ma che cosa pensi di questa mia storia?”

Luisa si sistemò meglio sulla solida pietra. Poi, cambiata bruscamente idea, si tirò su e si appoggiò alla  roccia accanto al ragazzo. “Penso che non mi hai detto tutto, Rosso. Non mi hai raccontato tutta la verità su quella notte qui a Isola Cannella.”

“Che importanza ha dove ho sentito questa storia?” domandò Rosso spazientito.

“Se io ti giurassi di raccontarti un mio segreto molto grande e terribile, tu mi racconteresti il tuo?”

“Dipenderebbe dal segreto.”

Luisa si alzò e andò ad appollaiarsi davanti a lui, guardandolo molto da vicino, e prendendogli le mani gli disse: “Rosso…. Ascoltami bene. Sto per dirti una strana e terribile verità e voglio fidarmi di te. Posso farlo?”

“Sì” disse Rosso inquieto.

“Rosso… io sono la Prescelta Creatura, e voglio che tu sappia che io ho sempre creduto che fosse più giusto… che tu…”

Non ebbe modo di finire. Ora Rosso aveva il volto tra le mani e gemeva, dolendosi, ripetendo: “Ma come mai mi sembrava così improbabile, così banale…”. Le credeva sulla parola quel suo folle nemico…

“Rosso. Voglio dirti tutta la verità… guardami, ora guardami negli occhi!”. Rosso la guardò: “Rosso, ascolta… io sono una Principessa dei Pokémon, sono la figlia di Celebi signore dei Cieli, sono…”

Ora era perplesso, Rosso, e non capiva, ma le credeva, non c’era modo per lui i non fidarsi di lei… Luisa si alzò in piedi e si tolse la giacca, la gettò ai suoi piedi e, con gli occhi chiusi, incominciò a cambiare, e assunse mille forme tutte diverse, fu un caleidoscopio di colori e molteplici aspetti, e infine, fu donna di nuovo… si ritrovò d’un tratto stesa tra le braccia di Rosso che ripeteva: “Basta ora, basta! Ti credo! Mio Dio, ti credo…”

“Volevo che sapessi che ti dico la verità” mormorò la ragazza tendendogli le braccia.

“Ti credo, ma com’è terribile tutto questo! tu, la ver Principessa…”

“Ascolta” disse Luisa, e gli raccontò tutto c’è che era successo prima della sua nascita tra Celebi e sua madre… Rosso ascoltò e annuì. Poi, scuotendo il capo, mormorò: “E io che t’ho anche fatto del male…! Mi sembra ancora più terribile adesso.”

“No, no” disse Luisa. “Ascolta: ho deciso di dirlo a te, al mio nemico, perché solo con te posso essere veramente onesta. Non con mia mare o col mio migliore amico, ma solo e soltanto con te. Coi miei fratelli non ho bisogno di parlare, poiché loro provano ciò che provo io… intendo dire…”

“Lance e Argento” mormorò Rosso. “Come ho potuto non capirlo prima?”

“Avresti compresa la mia natura?” domandò Luisa.

“No, non quella, ma… era così ovvio, così semplice che fossi tu… e io sciocco non volevo capire!”

“Mi odi?”

(Silenzio). “No, non ti odio più. Ora sto meglio, come vedi.”

“Se hai creduto alla mia verità, ora devi dirmi la tua. Resterà tutto quassù…”

Rosso tacque a lungo, molto a lungo, senza accennare a far scostare la ragazza che aveva afferrata prima che ella, per la debolezza, cadesse. Poi parlò: “Ti dirò il mio segreto, ma tu giurami che mi crederai. Me lo giuri?”

“Tu hai creduto a me quando ti ho detto di essere la figlia di Celebi… sulla salvezza della mia anima, Rosso, ti giuro che ti crederò.”

“A parlarmi della Prescelta Creatura, è stato un vecchio che ho incontrato nella Città dei Numeri.”

Luisa si sollevò, tenendosi la ferita con il palmo della mano, e lo guardò. Ma Rosso guardava lontano, perduto tra quei ricordi.

“Dimmi che è la verità.”

Rosso la guardò e disse lentamente; “Sulla mia felicità con Blu, ti giuro che sono stato nella Città dei Numeri e che so come arrivarci e persino come uscirne.”

“Ma…”

“Vuoi dirmi che è solo una leggenda?” domandò Rosso. “Proprio tu vuoi dirmi una cosa del genere, Prescelta Creatura, figlia di Celebi?”

“Non è il caso che te lo dica” ammise la ragazza.

“Ascolta” disse Rosso. “Tu sei ciò che ho sempre creduto di essere, in qualche modo sei parte di me, sei la mia erede. Ti dirò come arrivarci e come uscirne.”

“Portamici!”

“No!” gridò Rosso. “Non voglio tornarci. Ho paura di tornare là, tu non sai cosa voglia dire… ti dico che saprai come arrivarci e come uscirne. Ma non ti consiglio di andarci.”

“Che cosa c’è laggiù?”

“C’è tutto quello in cui non hai il coraggio di credere, quello che non sai che esiste… c’è un’entità… e puoi trovare la tua verità, ma anche molte più bugie. C’è qualcosa che ha stregato per anni la mia ambizione, solo perché arrivasse questo giorno in cui io ti spingo in quel baratro… è… terrificante. Vieni.” E la prese sulle spalle e iniziò a scalare il vulcano.

“Dove mi porti?”

“Hai paura?”

“No. Ma dove mi stai portando?”

“Non è lontano. Guarda.”

Raggiunsero la cima del vulcano. Là Rosso la fece scendere. Luisa guardò in basso e vide aprirsi ai suoi piedi il vasto cratere nero e profondo del vulcano.

“È qui” disse Rosso accennando a quella profondità.

“Qui?”

“Sì, è qui. All’interno del vulcano e molto più sotto.”

“E come si fa ad arrivarci?”

“Ci si butta.”

“Che cosa?”

“È semplice. Ti fidi di me?”

“Sì, ma…”

“Non è di gettarti che devi preoccuparti.”

“E per uscire?”

Rosso sospirò. “Ascolta. Laggiù tutto è invertito, nulla funziona. Devi raggiungere il mare e nuotarvi dentro, e andare dritto fino all’orizzonte, sempre dritto, non ti devi mai fermare, e dopo del tempo raggiungerai la costa. Sarai di nuovo su quest’isola. E per tornare, devi gettarti di nuovo nel vulcano.”

Luisa rifletté per un poco su queste informazioni. Poi: “Fa paura andarci?”

“Sì. Tanta. Ci andrai, vero?”

“Sì.”

“Lo sapevo. Vieni qui” aggiunse e la fece sedere, perché impallidiva a vista d’occhio. “Da oggi è finita la nostra inimicizia.”

“Già… è finita.”

“È un bene che sia finita così, alla fine. Forse non saremo mai amici, ma…”

“Ma tu, mio nemico, resterai per sempre una parte di me, poiché conosci il mio segreto.”

“E tu il mio” disse Rosso tristemente, stringendosela contro.

Luisa sorrise. “Se non torni ora, Blu s’ingelosirà.”

“Ti riporto all’Indigo, prima.”

“Lascia stare, tornerò da sola.”

“No, sei troppo debole” disse Rosso. Tirò fuori il suo Charizard e, prendendola in braccio, la sollevò per portarla ad Altopiano Blu, la fine definitiva (e l’inizio) del loro viaggio.

Luisa si appoggiò contro di lui. Le pareva che qualche cosa le strattonasse il petto dall’interno in due direzioni opposte, e ansimava.

“Cosa credi che diventeremo, ora? Io per te e tu per me?”

Rosso sorrise e disse: “Diciamo che ci sosterremo a vicenda. Tu verrai da me quando vorrai che qualcuno gonfi di botte il tuo fidanzato…”

Luisa rise dolorosamente. “E tu, invece?”

“Anch’io verrò da te per lo stesso motivo” replicò Rosso, ma senza convinzione. Poi, dopo aver taciuto per qualche momento, proseguì: “Non lo so cosa diventeremo, Luisa, so solo che ora siamo legati da wuesti nostri segreti. Sappi che, qualunque cosa accada, voglio che tu venga da me; e io mi riterrò libero di fare lo stesso.”

“Ci conto, Rosso” disse Luisa quasi senza fiato, col petto ostruito. Rosso se ne accorse.

“Resisti, Prescelta Creatura. Siamo quasi arrivati.”

“Parli proprio come loro…” mormorò Luisa, abbandonandosi a occhi chiusi contro il petto di lui.

“Come loro chi?”

“Ho-Oh, Mew, tutti gli altri… mi chiamano così. Ma non papà.”

Rosso rimase un attimo in silenzio a queste parole, poi disse sorridendo: “Non voglio provarci con te, ma sei la ragazza più straordinaria che abbia mai conosciuto.”

“Ho capito il senso” disse la ragazza. “E… per risponderti, Rosso… credo che tu sia l’uomo più follemente geniale che abbia mai incontrato.”

“Detto da te, è un grande onore” replicò il ragazzo sorridendo.

 

“Lance! Sei qui?”

“È la voce di Agata” disse Lance voltandosi verso gli spalti. Era davvero Agata, che ora compariva sulle tribune e lo cercava con lo sguardo. “Agata! Sono qui, cosa c’è?”

“Ti cercano” disse ad alta voce la vecchia.

“Chi c’è? Se sono giornalisti…”

“Non sono giornalisti” rispose Agata con un mezzo sorriso.

“E chi allora?”

“È Blu.”

“Andiamo” disse Lance ad Argento ed entrambi spiccarono una corsa. Appena entrati nella sala principale videro che Blu li attendeva in piedi, immobile, con gli occhi stanchi e gonfi.”

“Ciao, Blu” disse Lance con vaga perplessità.

“Rosso è qui?” chiese Blu aggressivamente, avanzandosi di un passo. “Se è qui me lo devi dire, Lance!”

“No, non è qui.”

“E dov’è Luisa?”

“Non lo sappiamo” intervenne Argento.

“So che è venuto a cercarla!” urlò Blu, gettandosi sul presidente. Lance arretrò di un passo mentre il ragazzo si aggrappava a lui e lo scuoteva urlandogli. “Lo so che è venuto a cercare lei, lo so!”

Con un colpo deciso, Lance allontanò il ragazzo e lo spinse indietro, esclamando: “Blu, è venuto a prenderla, ma non sappiamo dove siano andati! Sei contento?”

“E perché non avete fatto niente per trattenerli?” chiese Blu disperato.

“Ne sei capace, tu?” lo rimbeccò Argento. Blu rimase in silenzio.

“Torneranno, Blu” gli disse Lance. “Stai calmo. Se entro un’ora non saranno tornati ci metteremo in contatto con lei, in qualunque modo… te lo prometto.”

“Non c’è bisogno, Lance” disse d’un tratto dalle loro spalle una voce nitida e conosciuta, era la voce di Rosso, mentre si apriva la porta: ne compariva il ragazzo, con tra le braccia una ragazza poco meno che svenuta… “Siamo qui tutti e due. Sani e salvi, eh?”

“Che cosa è successo?” esclamò Argento lanciandosi verso di lui. Rosso gli porse la ragazza tra le braccia.

“Abbiamo finito di combattere, ora. Sappiamo… conosciamo le nostre verità. È finita, ora.”

“Luisa, Luisa, cos’è successo?”

“Dice il vero, Argento… abbiamo chiarito, o qualche cosa del genere: non siamo più nemici, ora.”

“Per questo sei andata via?” gemette Blu.

“Per porre fine a tutto” disse Rosso. “Per terminare quella fase della mia vita, di cui conosciamo tutti il significato. Ora, finalmente, sono davvero pronto per tornare a casa. Lance” aggiunse voltandosi verso i due giovani. “Argento… ve l’affido. Ora so tutto. Mi raccomando a voi.”

Luisa aprì gli occhi con una qualche strana fatica e lo guardò come per salutarlo. E in quel momento Rosso si piantò in piedi immobile davanti a lei e s’inchinò. Luisa chiuse di nuovo gli occhi. Era finita per davvero.

 

Ecco qua, questo è l’ultimo capitolo che posterò per un po’, semplicemente perché da qui in poi si apre un pezzo unico che ancora è ben più che inconcluso, quello che riguarda la storia degli Unown e Missingno,  e dunque mi spiacerebbe molto interrompermi proprio sul più bello. Preferisco finire la storia e poi postarla. Prendetela come l’anno di pausa tra un Harry Potter e il seguente ;)

Se qualcuno avesse voglia di leggere ancora un po’, comunque, a breve posterò una spin off intitolata Favola di Natale, che avrà per protagonista di nuovo Rosso. Per breve intendo DAVVERO breve: insomma, datemi tempo di tornare da una due giorni o alle brutte da una vacanza col fidanzato, e posterò. I swear J

Un bacio enorme a Emma Bradshaw che ha continuato a seguire, malgrado tutto. A presto, miei pochissmi (e per la maggior parte anonimi e muti) lettori.

Buone vacanze!

Afaneia J

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** La sola verità di Celebi. ***


kpo

Che dire? Eccomi qui dopo poco più di un anno con un nuovo capitolo. A oggi, la parte di questa storia che riguarda Missingno e la Città dei Numeri sarebbe conclusa su carta; dico sarebbe perché, come al solito, ho perduto un foglio (avvistato per l’ultima volta a giugno) e cercherò di ricostruirne il contenuto mentre copio il rimanente. I pochi lettori superstiti, ammesso che ve ne siano, non si aspettino chissà cosa dal finale di questa storia: sebbene il risultato finale mi soddisfi abbastanza, non credo che sarà così per tutti.

Detto ciò, vi auguro semplicemente buona lettura e un buon resto dell’estate, per chi ancora può godersela e non dev’essere ammesso all’Università, come me :’(

Enjoy! Afaneia

Trascorsero altre giornate vuote e noiose, ma a poco a poco Luisa finì per riprendersi davvero. Il petto smise di farle male come quel giorno sul Vulcano ed essa tornò in qualche modo a essere se stessa…

“Sei guarita del tutto” le disse Celebi ammirandola quando fu in piedi. “Ora potrete riprendere il vostro viaggio e lasciare l’Altopiano Blu.”

Proprio quella notte, quando si ritirarono per dormire in un’umida cavità del Monteluna, Luisa raccontò ai suoi fratelli ciò che ancora non aveva detto loro, della Città dei Numeri.

“Vuoi andarci, vero?” le chiese Argento quando ebbe finito di raccontare, dopo lunghi attimi di un silenzio carico di aspettative. Luisa assentì lentamente col capo, collo sguardo fisso e serio: “Sì. Voglio andarci e lo voglio tanto intensamente, tanto ardentemente che se voi non verrete, non vi obbligherò, ma mi getterò da sola nella voragine di quel vulcano.”

“Perché vuoi andarci?” domandò Lance. La sua voce era bassa, quieta, severa. Voleva solo saperlo, e i suoi occhi la scrutavano fissamente.

“Voglio trovare la verità, Lance.”

“L’hai già trovata la tua, di verità, Luisa. Stiamo bene ora, stai bene… che cosa vuoi trovare di più?”

Ma a quelle parole Luisa balzò in piedi e prese a percorrere la grotta come una folata di vento, come una tempesta. Aveva il respiro scosso e gli occhi lampeggianti; le tremava la voce. “No, Lance…. Non è vero, non è tutto qui, non è qui che ci si può fermare! Non ricordi proprio tu che due anni fa, solo due anni fa a tutti noi pareva già di conoscere la verità? Io sapevo chi ero, sapevo di chiamarmi Luisa e di essere la Campionessa di Kanto e di Johto, e non mi mancava nulla… ma poi è cambiato tutto, e ho scoperto che era tutto falso, che non ero solo una Campionessa ma la Prescelta Creatura, e poi, qualche mese dopo, tutto era cambiato un’altra volta, prima ancora che facessi in tempo ad abituarmi all’idea… ero la figlia di Celebi! E ora che a fatica mi sono adattata a essere anche questo, di più, all’idea che anche questo potesse essere vero, il mio nemico mi viene a dire che esiste una Città che per tutti valeva meno della più stupida delle leggende… possibile che a voi basti sapere che esiste? A me non basta, voglio sapere che razza di posto è mai quello, voglio sapere chi la governa, quale entità ha fatto ardere d’ambizione gli occhi di Rosso e si è servito della sua vita come di uno strumento; voglio sapere di cosa mai Rosso possa aver avuto tanta paura…” e concluse con voce più bassa, con voce spezzata e infranta: “Voglio conoscere quell’entità. Perciò se non vorrete venire, l’affronterò da sola.”

“Tu sei pazza! Certo che veniamo” disse Argento  con voce priva di qualsiasi esitazione, o di dubbio. “Io non ho paura, poiché se Rosso è riuscito quantomeno a fuggirne, so che possiamo farlo anche noi. Ma ricordati ciò che ti ha detto lui stesso: puoi trovare la tua verità, ma anche molte più bugie.”

Sì, era vero: erano le esatte parole di Rosso…  Luisa sorrise d’un sorriso amaro, alzando gli occhi verso il soffitto buio di quella grotta. Sì, Rosso aveva ragione: lui stesso vi aveva trovato una bugia, e per quella bugia aveva perso  otto anni di vita… otto anni sono tanti.

“So a cosa stai pensando” disse Lance ad alta voce. Luisa si riscosse bruscamente. “Sì, la risposta è sì: noi rischiamo lo stesso. Rischiamo di smarrirci, di perderci…  rischiamo di non tornare, di non tornare come siamo ora. Rischiamo di tornare con quello sguardo che ben conosciamo, lo sguardo di un folle disposto a tutto per realizzare uno sciocco suo sogno  che questa entità, evidentemente, gli ha messo in testa…  te la senti?”

Con una forza di cui Luisa stessa si sentì sorpresa, essa si voltò e disse: “Sì.” E a voce più bassa, scrutando Lance con occhi attenti, disse: “Te la senti anche tu?”

Sì, Lance se la sentiva. Provava la persistente sensazione che Luisa si sbagliasse, che Rosso stesso, nella sua follia, si fosse ingannato; non che si fosse inventato tutto, no – non era da Rosso – ma che nel desiderio di rinnegare il suo fatale errore, il suo tragico sbaglio, avesse inconsciamente imputato a questa entità le ragioni del suo lungo eremitaggio.

“Rimango del mio parere” disse allora fermamente. “Penso che andare sia una pessima idea. Tuttavia, vengo con voi, non con entusiasmo forse, ma con convinzione, e non poca. Se scegliete di andare, sono dei vostri fino alla fine, fino alla morte senza alcun dubbio, senza retrocessioni. Ma voglio porre una mia condizione: prima della partenza, voglio sentire il parere di tuo padre.”

Luisa sorrise: “Farà di tutto per trattenerci, lo sai.”

“Lo so, e sono pronto a non farmi scoraggiare. Ma voglio sentire cos’ha da dire su questa Città che non doveva esistere, su questa entità  di cui non ci ha mai voluto parlare… lui lo sapeva, Luisa, doveva saperlo. Esattamente come sapeva tutto degli Unown, di cui però ci ha parlato fin da subito. Ho un pessimo presentimento riguardo al motivo per cui avrebbe dovuto tenerci nascosta la Città dei Numeri con la sua entità e parlarci invece degli Unown… e a me piace veder chiaro nelle cose, fino alla fine.”

“Hai ragione, Lance” disse infine Luisa, con poca convinzione. Conosceva suo padre e sapeva che avrebbe fatto di tutto pur di dissuaderla; ma mai gli avrebbe permesso di tenerla lontana dalla voragine di quel vulcano. Finalmente, disse: “Domattina andremo per prima cosa al Bosco di Lecci e gliene parleremo, se siete d’accordo. Per quanto riguarda il resto, non vi obbligherò a venire con me, se in qualunque momento deciderete di tirarvi indietro. Ma io andrò là, col permesso di mio padre o meno.”

“Sta bene” disse Argento. “Sapremo domattina cos’avrà da dirci tuo padre. E ora dormiamo.”

Ma quella notte Luisa fu colta da una vaga inquietudine e a lungo rimase sveglia cogli occhi infissi nell’oscuro soffitto gocciolante della grotta sopra di lei.

 

Il mattino seguente prepararono in fretta le loro cose e si levarono in volo verso la regione di Johto. Luisa volava silente sul suo Aerodactyl: distanziava rapidamente i suoi fratelli per poi rallentare, si sollevava per abbattersi in picchiata per poche decine di metri… non voleva parlare con nessuno. Parve acquietarsi solo quando planarono lentamente sulle folte cime del Bosco di Lecci, atterrando cautamente a poca distanza dal Santuario.

Celebi pareva in loro attesa. Al solo scorgere la sua snella figura tra le fronde degli alberi, Luisa si sentì mancare il respiro.

“Lo sai già, non è vero?”

“Io so tutto” rispose semplicemente Celebi. Tuttavia, proseguì: “Parlamene.”

“Se sai tutto, perché non ci hai parlato della Città dei Numeri?” lo aggredì Luisa avanzandosi di un passo; i suoi fratelli tacevano, sapendo di non doversi intromettere, non ancora, quantomeno, tra quei due esseri divini nel loro confronto.

Lo sguardo di Celebi parve tremendamente calmo, e tuttavia amareggiato, quando rispose: “Esattamente per questo motivo: perché sapevo che avresti preteso di andarci.”

“Io non…” esclamò Luisa avvampando di rabbia; si morse le labbra e proseguì: “Io non pretendo nulla di più di quello a cui ho diritto, di decidere per me stessa e dunque di decidere di andare laggiù. Perciò voglio sapere la verità: per quale motivo ci hai tenuta nascosta la Città dei Numeri?”

Celebi non rispose per lunghi interminabili silenti secondi. Il suo corpo era parzialmente immerso nella nebbia mattutina del Bosco di Lecci, nel vapore d’incenso del Santuario. Egli guardava lontano, e a nessuno era dato sapere ciò che i suoi occhi vedevano.

“Figlia mia” disse lentamente “Tu sai che io ho creato tutto ciò che esiste in questo Universo, su questo pianeta e su altri; tutto, eccetto gli Unown e la Città dei Numeri, e con essa la misteriosa entità che la abita…”

“Ma perché non ce ne hai parlato?” insisté Luisa con voce spezzata, infranta, col cuore pieno di rabbia. Celebi non parve nemmeno udirla; tuttavia rispose alla sua domanda, come continuando a seguire il filo dei suoi propri pensieri.

“Perché? Perché gli Unown erano visibili, tangibili, innocui, affascinanti coi loro misteri che sembravano non poter fare del male a nessuno. Ma neppure io so qualcosa della Città dei Numeri, nessuno sa nulla, in pochi l’hanno vista. Cosa mai potevo dirti?”

“Ma tu sapevi che Rosso era sceso laggiù? Oh, tu lo sapevi, forse?” esclamò Luisa. “Sapevi che era impazzito per essere stato laggiù, per aver conosciuto quell’entità? E a me nessuno ha detto niente! E io che ho infierito su di lui per non sapere che non era proprio tutta colpa sua quel sogno che non riusciva a realizzare! Ma che cosa c’è mai laggiù di cui si debba aver tanta paura, da non poterla proprio nemmeno nominare? È forse quell’entità?”

“E se così fosse?” irruppe Celebi. Luisa tacque immediatamente. “Se quell’entità fosse tanto potente da non poterla nominare, da vivere al di fuori della mia comprensione, persino della mia immaginazione? Se io in tutti questi anni che hanno preceduto la tua nascita non fossi riuscito mai a scoprire chi fosse quell’entità, cosa volesse, quanto potente essa fosse… è dunque questo che volevi sentirti dire?”

“Volevo sentirmi dire la verità” rispose Luisa con calma. E soggiunse: “È dunque così che stanno le cose?”

“La verità?” ripeté Celebi con voce spenta. Lentamente, rispose: “La verità è che non lo so. E so che sembra incredibile, terribile, doloroso sapere che io non lo so, ma se tu vuoi la verità, io non ne possiedo altre. È questo tutto ciò che posso dirti.”

Luisa si sentì improvvisamente, profondamente triste. Era la verità quella che Celebi le diceva: egli non sapeva. Celebi, che aveva creato il mondo, che aveva generato le loro vite… non sapeva.

“Non hai mai pensato di andare là?” domandò a voce bassa.

“Ci ho pensato, e molte volte” rispose Celebi. “Ma ho sempre sentito, percepito, saputo che il mio destino era qui; era di non andare là, di non discendere quella china d’abisso. Di restare qui su questa Terra luminosa e priva di misteri, di non cercare…”

“Ma il tuo destino!” gridò Luisa. Si sentiva incredula, impotente. “Il tuo destino come poteva esistere se proprio tu stesso avevi creato tutto… no, papà, non ti credo. Non m’importa che tu abbia avuto paura… io ora voglio andare là, e ci andrò che tu sia d’accordo o meno, che tutti siate d’accordo o meno.”

Celebi la scrutò fissamente, lungamente. Gli parve di vacillare; tuttavia disse: “Ascolta. Puoi andare là, ma… io non potrò aiutarti, non potrò raggiungerti, non potrò salvarti. Capisci cosa voglio dire? Non potrò nemmeno sentire la tua voce, percepire la tua vita. Potresti, potreste restare intrappolati o vedere… cose orribili, ma io non ci sarò. Capisci il senso di queste parole, io non ci sarò? Se sei pronta ad andare sapendo tutto questo, io non ho altro da aggiungere.”

“Sì, papà” disse Luisa a piena voce.

A quest’affermazione così decisa, così ferrea e incrollabile, Celebi esalò un profondo sospiro che fece vibrare il suo piccolo petto immortale. Disse: “Molto bene, poiché io non posso oppormici, così sia. Badate a voi stessi, ragazzi” soggiunse ponendo il vivo sguardo sui due giovani.

“Lo faremo, Celebi” disse Argento semplicemente.

Celebi accolse la sua rassicurazione con un sorriso triste. Parve per un momento non aver più nulla da dire. Poi, dopo un momento, si rivolse alla figlia, e le disse qualcosa che solo lei poté udire, solo lei percepire. “Attenta a quell’entità. Si chiama Missingno.”

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Libero arbitrio. ***


l

Il vento soffiava forte sulla cima del vulcano, era un vento bollente che portava con sé i forti vapori e gli odori della lava, della pietra, della cenere. Era un vento carico di fumi e polvere, un vento che fustigava il volto e accecava gli occhi: Luisa ricordò come anche quella notte di più di un anno prima il vento aveva soffiato forte, avvicinando a Ho-Oh la sua anima palpitante…

Ora non c’era Ho-Oh con lei. Non c’era neppure suo padre, non ci sarebbe stato là sotto, non ci sarebbe stato quando avrebbe attraversato la Città, la forza di Missingno, che persino Rosso aveva temuto. Ma Luisa sapeva che era giusto, che era così che bisognava che fosse: era lei che Missingno aveva sempre cercato, non Celebi. Là sotto l’aspettava la verità, l’ultima verità sulla sua vita misteriosa e strana: bisognava affrontarla e affrontarla lei sola, lei coi suoi fratelli. Nel mezzo di quei turbini di vento, i tre si schierarono sull’orlo profondo e fiammeggiante dell’abisso.

Luisa sospirò profondamente. Molti e molti metri sotto di lei, vedeva che la lava gorgogliava e ribolliva tormentandosi, mescolandosi. Trasse un profondo respiro.

“Rosso non può aver mentito. Anche se pare strano.”

“Chissà quale richiamo può averlo attratto là dentro” disse Argento. Anche i suoi limpidi occhi verdi e tanto belli erano infissi nel magma ribollente; egli scrutava pensoso quell’immagine.

Lance mosse un passo verso la bocca del vulcano e subito lo investì una folata di vapore bollente che gli arrossò gli occhi e le narici. Si strofinò con la mano gli occhi lacrimanti senza voltarsi indietro. Era più avanti di loro, più vicino degli altri alla voragine di fiamme: Luisa ammirò la sua magra figura slanciata e sempre bella, persino sul baratro di un vulcano.

“Potremmo non tornare, o non tornare come siamo ora… ve la sentite?”

“Che diamine” disse Argento. “Se c’è una città, là sotto, io voglio vederla.”

“Sono stata io la prima a volerlo” disse Luisa. “C’è la mia, la nostra verità là sotto, c’è la fine di tutte le bugie, le verità sottaciute. C’è Missingno che mi cerca dall’alba dei tempi e da cui oggi andremo noi, per scoprire il motivo della sua ricerca.”

“Ebbene” disse allora Argento “Andiamo. Ha già aspettato abbastanza.”

“Va bene” disse Lance con calma. “Andiamo allora. Qualunque cosa accada, signori… è stato un piacere.”

Un istante dopo, i tre giovani chiudevano gli occhi e si gettavano nel vulcano.

 

Non vi fu schianto, ma Luisa mandò un urlo acuto e straziante dal profondo del suo cuore. Non lava, non bruciore né ustioni, ma un dolore atroce che non riguardava il suo corpo, le aveva preso la mente…

Rosso! Oh, ma Rosso doveva bene averla ingannata, per quale motivo l’aveva mandata laggiù? Voleva andare via! Via! E dov’erano i suoi fratelli? Teneva gli occhi sbarrati, le labbra strette e sbiancate sui denti, ma il suo cuore urlava con foga mentre sentiva che il suo corpo si rotolava tormentandosi nella polvere, tra dure rocce e sabbia, come su una scogliera affacciata sul mare. Una scogliera?

D’improvviso, come quando ci si sveglia la notte, dopo aver creduto nel sogno di cadere, e ci si trova al buio ma al sicuro, Luisa aprì gli occhi e il suo corpo si fermò, rimase quieto sul terreno. Ecco, era immobile. Respirò profondamente l’aria limpida e fresca, ansimando. Era finita? No, non ancora.

Guardò il cielo molto, molto a lungo. Era azzurro e sereno, asperso di piccole nuvole bianche. Luisa si sollevò lentamente, ma non era una scogliera, pensò con stupore. Si mise in ginocchio. Ovunque fosse stata prima di aprire gli occhi, ora era inginocchiata sul duro asfalto di un giardinetto, di un parco giochi per bambini… ricordò le parole di Rosso. Era lo stesso parco? Ma soprattutto, dov’erano Lance e Argento?

Cominciò ad aggirarsi per il parco, ruggendo verso il nulla come una belva ferita.

“Sono qui!” urlò. Il parco era vuoto e buio: Luisa non se n’era accorta, ma era calata la notte, chissà come, chissà quando.

“Missingno! Sono qui, sono arrivata! Sono la Prescelta Creatura che cerchi e non trovi, sono la figlia di Celebi, sono Luisa.”

L’aria restava immobile, silente alla sua voce, vuota ai suoi occhi. Luisa si aggirava per quel parco buio e le parve che, ogni volta che distoglieva lo sguardo e poi tornava a porvelo, ogni singolo oggetto apparisse mutato, stravolto, benché identico a se stesso. Si sentì montare una gran rabbia: la confusione e la paura le bruciavano addosso come su ferite aperte. Si sentiva spaesata e sola, e questo la spaventava.

“Sono venuta qui per te! Sono qui per te. Hai forse paura? Ti stai nascondendo?”

“Missingno non si nasconde. Missingno è in ogni elemento della Città dei Numeri.”

Luisa diede in un sobbalzo pauroso, sorpresa da quella voce che non si aspettava, poiché il parco, per quello che aveva visto, era vuoto. Tornò a guardarsi attorno, tra gli alberi, dietro i giochi: non vide nessuno. Ma poi: “Sono qui.”

Luisa tornò a guardare dov’era prima, e vide che un vecchio era seduto su una panchina, immobile come se fosse sempre stato lì.

“Chi sei?” chiese immediatamente. “Da dove vieni?”

“Sono sempre stato qui” disse il vecchio.

“Non dire sciocchezze!” esclamò Luisa con rabbia: avanzò verso di lui. Ma il vecchio rimase immobile. Era cieco. “Non eri qui fino a un attimo fa!”

“Può darsi” ammise il vecchio. “È difficile saperlo.”

Luisa rimase interdetta per qualche momento. Poi, dopo un poco, riprese: “Sei stato tu, non è vero, a parlare a Rosso della leggenda?”

“Anche questo è difficile saperlo” disse il vecchio. Luisa si sentì ancora montare una gran rabbia. Ma come? Ancora menzogne, ancora silenzi! Era proprio vero, dunque, quello che aveva detto Rosso? Luisa ricordò le sue parole: puoi trovare la tua verità, ma anche molte più bugie.

“Smettila!” gridò. “So che sei stato tu! Rosso mi ha parlato di un vecchio che ha incontrato in questa Città. So che sei stato tu.”

“Ti dico che è difficile saperlo. Chi può dire di essere esistito in un dato istante qui, nella Città dei Numeri? Solo Missingno può davvero dire di esistere, qui.”

“Allora dimmi dov’è Missingno!” gridò Luisa con furia. “Parlerò con lui, con Missingno che sa di esistere, con Missingno che tutto vede, Missingno che tutto conosce, con Missingno che mi cerca dall’alba dei tempi e che oggi io troverò.”

“Te l’ho detto. Nessuno può trovare Missingno, poiché Missingno è sire e signore della Città dei Numeri, Missingno è l’essenza della Città. Missingno è l’errore del giardino che non esiste, Missingno è ovunque, poiché questo luogo è il giardino di tutti gli errori.”

“E va bene! Se è ovunque, allora ovunque io lo cerchi lo troverò, se davvero desidera trovarmi lui stesso” esclamò Luisa con rabbia. “Vattene al diavolo, stupido vecchio! Non ho bisogno di te. Troverò Missingno da sola, senza il tuo aiuto.”

Il vecchio batté le palpebre sui ciechi occhi vacui senza rispondere. Luisa lo guardò ancora per un momento con occhi carichi di spavento e di disprezzo, e poi subito, incapace di resistere ancora, spiccò una corsa attraverso il parco e la Città dei Numeri, e vide che tutto cambiava e mutava e si sconvolgeva sotto i suoi piedi e attorno a lei, in cielo  e nei menomati palazzi, e persino nelle persone da cui si trovò attorniata e affollata ma che scomparvero dopo pochi attimi mentre lei tra loro cercava Missingno.

Si sentì sola e sperduta. Ora non era più né notte né giorno: tutto era grigio, e un’indefinita fonte di luce proiettava ovunque ombre e sagome che parevano non ricondursi a nessun oggetto.

“Sei un vigliacco!”

“Hai troppa paura per affrontarmi, dopo avermi cercata per tanti e tanti anni? Forse sono più forte di quanto avevi preventivato?”

“Sono più forte di te, eh, Missingno? Sono più forte di te!”

“Più forte di te!”

Ma la sua voce s’infranse sul silenzio: Missingno non rispondeva. I suoi fratelli non c’erano. Celebi era lontano, troppo lontano da lei. Era sola, sola come non era mai stata. Si sentì molto spaesata, e molto sola. Sentiva di essere in una regione del suo cuore nella quale non poteva giungerle nessun conforto.

 

“Ci ha ingannati!” ruggì Argento, scagliandosi contro la parete della grotta. “Ci ha ingannati come tutti gli altri!”

“Missingno non aveva promesso la verità” disse Lance con profonda lentezza. “Siamo stati noi stessi a ingannarci, ma sapevamo che qui avremmo trovato altre menzogne, ancora menzogne.”

“Ma deve essere qui” disse Argento. “È il luogo che persino Celebi ci ha tenuto nascosto, è Missingno che ha avviluppato per anni l’ambizione di Rosso. Certo, può non essere l’ultima verità, ma di certo ce n’è una parte, e noi dobbiamo trovarla, perché Missingno ci ha voluti qui e c’è un motivo, e noi dobbiamo scoprire quel motivo.”

“Va bene” disse Lance “Andiamo.” Aveva gli occhi foschi e stanchi, come privi di ogni illusione. Forse non credeva davvero più che là vi fosse la verità, neppure quel pezzetto che sosteneva Argento. Tuttavia Luisa era scomparsa, non era con loro in quel momento. Va bene: bisognava cercarla, lei se non il resto.

Uscirono dalla grotta. Si trovavano in alto, molto in alto, su una montagna, forse: vi era una distesa di neve, ma non faceva freddo. Tutto era lucente e molto, molto bello. L’orizzonte si stendeva ampissimo in ogni direzione, bianco, verde e dorato, ma lontano vi era qualcosa di diverso, contrastante, come un ammasso nero di oggetti e figure, molto alto, che oscurava il cielo.

“Quella è la Città?” domandò  Argento, indicando quell’oscura massa indecifrabile. Ma Lance scosse il capo.

“No, Argento… non lo credo. Tutto, qui, è la Città dei Numeri e tutto qui può mutare e adattarsi e capovolgersi… credo che lo scopo di Missingno fosse quello di dividerci da lei, così da impedirci di aiutarla, così da affrontarla da sola.”

Argento si morse le labbra. “Se Missingno non vuole  che l’aiutiamo, non ci permetterà di raggiungerla.”

Lance non rispose. Stava scrutando affannosamente l’ampia distesa che si apriva sotto di loro: era ora cosparsa di una neve sottile e grigiastra che sembrava quasi cenere. Ma non era la neve che gli interessava, né la distanza di quell’imponente massa nera dalla montagna sulla quale si trovavano: egli cercava di cogliere e trattenere con lo sguardo gli infinitesimali, incessanti cambiamenti del paesaggio…

“Scendiamo” mormorò infine. “E dirigiamoci verso la massa nera. Se Missingno non ci vuole, non ci farà arrivare in nessun luogo. Ma poiché abbiamo deciso di cercarla, dovremo provarci nel solo modo in cui possiamo farlo: andare là e chiamarla con tutte le nostre forze, se possiamo. Anche se credo che sia così lontana da non poterci udire.”

Argento annuì. Anche il suo sguardo era fisso sull’orizzonte, e il suo cuore anelava a trovarla.

Cominciarono a discendere l’alta montagna.

 

D’un tratto una forte voce decisa venne a scuoterla dal profondo torpore nel quale la sua disperazione l’aveva sprofondata. Luisa si riscosse bruscamente al suono di queste parole:

“Ti ho trovata, finalmente.”

La ragazza balzò in piedi, il magro tonico corpo tutto teso e all’erta, con gli occhi che saettavano ovunque sulla piazza nella quale si trovava.

“Missingno!” gridò con voce tonante e carica d’eccitazione. “Dove sei? Fatti vedere se ne hai il coraggio, povero vecchio! E allora vedremo chi è che sa di esistere qui!”

Ma d’improvviso la sua voce s’infranse. Ella si ritrovò a rantolare, col petto costretto in una morsa di cui non vedeva l’origine…. Oh! Avrebbe voluto gridare, parlare, persino pregare…

“Credi dunque tu che io abbia un corpo mortale come te?” domandò la voce. Ma Luisa non poteva rispondergli. Ecco, pensò mentre le vie del suo respiro si facevano, attimo dopo attimo, più strette e difficoltose: essa si trovava a un passo dalla chiave dei misteri del mondo, ma un’entità la stringeva forte, sempre più forte, e lei non sapeva più cosa scoprire… Provò ad accennare col capo che no, non lo pensava, come avrebbe potuto pensarlo?

“Missingno non ha corpo mortale e fragile, Prescelta Creatura… Missingno è fin troppo perfetto” soggiunse poi, e d’un tratto quella voce le parve, quasi, umana…

La morsa si allentò improvvisamente e Luisa cadde a terra con un tonfo secco, mentre il suo respiro si faceva di nuovo ampio e affannato. Col respiro, essa si sentì tornare di nuovo tutta la sua aggressiva tracotanza. Gridò:  “Tanto perfetto che vivi in una città di errori!”

“E non ti piace, forse?” disse di nuovo la voce, stringendola ancora; ora Luisa pensava solo a come liberarsi di Missingno… “Questo non è solo il posto che tu credi.”

“E che posto è?” domandò la ragazza. “È un posto in continuo mutamento, è un posto orribile, in cui nessuno sa neppure di esistere…”

“Ah! Non capisci tu, dunque, perché nessuno qui è ben certo di esistere?” le domandò Missingno. Luisa guardò verso l’alto, sebbene non sapesse con precisione da dove provenisse quella voce.

“Credi tu forse che altro non sia questo luogo in cui tu osi avventurarti che una sorta di altra dimensione? No, piccola Prescelta: questa Città non è che l’espressione materiale del mio potere…”

“Ma perché nel mio mondo?” domandò Luisa. Avrebbe preferito non chiedere. La risposta fu: “Perché qui esisti tu.”

La forza si sciolse definitivamente. Luisa cadde a terra per la seconda volta, ma sebbene le mancasse il respiro, balzò di nuovo in piedi. Gridò: “Che cosa intendi dire?”

Ora Missingno le parlò di nuovo, ma senza stringerla, come dal suo fianco. Solo la sua voce pareva ancora opprimere e soffocare la sua mente…

“Tutto l’universo esiste in virtù della mia volontà. Ma la Città dei Numeri esiste sin dal giorno in cui ordinai la tua venuta, dall’epoca della Grande Pioggia…dalla discesa delle mie creature.”

Ora Luisa si sentiva girare la testa, e non capiva, ma non era stavolta il potere di Missingno né la potenza della sua voce: era la forza delle sue parole.

“Fatti vedere” mormorò. Aveva gli occhi pieni di lacrime e non aveva nulla da guardare. “Ti prego, fatti vedere.”

“Desideri vedermi?” domandò la voce.

“Ti prego” singhiozzò Luisa. Mentre parlavano, l’Universo nel quale si trovavano pareva aver perduto i propri colori: ella ancora scrutava la piccola piazza, ma come da una grande lontananza.

“Non posso aiutarti. Non ho forma né corpo visibile o tangibile, poiché troppo grande è la mia stessa esistenza perché possa essere limitata da un corpo materiale: sono già tutto quello che stai guardando, la voce che stai udendo, l’aria stessa che stai respirando, e ciò deve bastarti.”

Luisa chinò mestamente il capo con arrendevolezza. Ma poi: “Voltati e guarda” disse la voce, e Luisa si girò immediatamente e tutto perse aspetto, perse significato: vi era un Universo bianco intorno a loro, e solo un confuso alone nero spiccava nel vuoto… con voce tremante, Luisa balbettò: “Non capisco. Mio padre è il Signore del Cielo e del Tempo, è sire e signore dell’Universo… e tu…”

“Sono ciò che vedi, e molto di più” disse Missingno.

“Finiscila ora! Dimmi la verità!” gridò Luisa con tutte le forze che aveva. Proseguì: “Mio padre ha creato l’Universo. Tuttavia egli non sa spiegarsi la sua esistenza. Chi sei tu? Come puoi esistere contro la sua volontà? Sei forse più potente di lui?”

Missingno rispose: “Sono molto più potente di lui.”

“Ma non può essere vero!” singhiozzò Luisa, poiché anche quella verità andava sfaldandosi sotto i suoi occhi, sotto i suoi piedi. Gridò: “Non è vero!” e lo gridò con un ardore tale che l’universo stesso nel quale si trovavano ne parve scosso fin nelle profondità.

“È la verità, piccola Prescelta. Io sono Colui che creò sire Celebi all’inizio dei tempi, sono Colui che dietro i suoi occhi guardò l’Origine del Cosmo… io sono Missingno, la divinità suprema.”

“No!” esclamò Luisa con decisione. “No, non è vero! E se anche fosse vero, tu saresti un’orribile divinità, capace di creare una dimensione spaventosa come questa… capace di condannare la vita di un ragazzo, aizzando la sua ambizione già bruciante…”

“Tutto rientra in un piano divino il cui senso ancora ti sfugge” disse Missingno con calma. Con aria di sfida, Luisa sogghignò quasi contro quell’entità e disse in tono provocatorio: “Spiegamelo!”

Ma non aveva ancora richiuso la bocca dopo quest’ultima sfida che già il mondo pareva mutato: ella si trovava in un immenso spazio deserto, nero ma rischiarato da luci lontane. Missingno parlò dalle sue spalle.

“Vedi? Siamo indietro, molto indietro nel tempo… questo è il regno sul quale impera tuo padre, sire Celebi, che è sire dell’Universo ma per mia volontà. Guarda laggiù, lontano! Che cosa vedi?”

Luisa guardò lontano dove sentiva che Missingno voleva che guardasse: vide come una grande agitazione, sebbene fosse qualcosa che si sentiva piuttosto che si vedeva…

“Che cos’è?” domandò con gli occhi infissi in quel caos primordiale… quel pensiero la scosse come un fulmine. Si voltò e percepì l’assenso di Missingno.

“È così, è l’origine del mondo, è l’atto della Creazione: è tuo padre sire Celebi che, credendo di essere solo e unico nell’Universo intero, crea un suo piccolo mondo e un suo miserabile universo sconfinato, ma che neppure ricorda la vastità immensa del mio potere…”

Era così, era finita. Le spalle di Luisa s’incurvarono del peso immenso della verità e della menzogna. I suoi occhi si erano fatti grandi, enormi di dolore, e in essi si rifletteva il cielo del giorno della Creazione.

“Va bene” disse quasi senza voce. Era finita. “Hai mentito anche a mio padre. Gli hai lasciato credere di essere una divinità… e lo era, ma c’eri tu dietro ogni sua azione. Tu lo hai creato, hai creato il suo potere per divertirti a guardarlo creare e affannarsi in un mondo pieno di menzogne tali che neppure lui era capace di…”

“Non hai compreso le mie ragioni” disse la voce di Missingno. Luisa si sentì afferrare e stringere, scossa nel profondo: le sue labbra tremarono ed essa non riuscì a parlare. “Non era divertimento il mio. Credi tu che fosse il divertimento la ragione di un Universo nato in migliaia di secoli?”

“E dimmi, dimmi allora cos’era!” gridò Luisa scuotendosi, divincolandosi, strappandosi al suo potere. “Tu hai ingannato mio padre, tu! Tu ci hai ingannati tutti, ogni singolo essere vivente sul mio pianeta… dimmi, se non era per divertimento, perché l’hai fatto!”

“Non lo capisci dunque?”

Per l’ennesima volta quella forza si sciolse attorno a lei ed essa rimase immobile, tremante, ansimante, cogli occhi colmi di lacrime. Respirando profondamente, disse: “No, non lo capisco. Spiegamelo, poiché io non lo so.”

Per lunghi, incalcolabili momenti il silenzio l’avvolse come una caligine, ed ella poté percepire distintamente il battito del proprio cuore palpitante. Poi, finalmente, cominciò a udire in qualche regione lontana in fondo alla sua mente la tremenda voce di Missingno, lontanissima dapprima, poi, lentamente, più nitida e forte.

“Io sono l’essere supremo, io sono Missingno, creatore dell’Universo e del Tempo, della vita e dell’esistenza stessa, ma soprattutto creatore di Celebi. Egli è figlio del mio potere, figlio della mia volontà; egli ha, come me, un potere infinito, che è tuttavia infinitamente piccolo rispetto al mio… sì, Celebi avrebbe potuto, assieme a me, governare l’Universo, se solo avesse voluto cercare, indagare… se solo avesse mostrato il suo coraggio, la sua pulsione alla vita… se solo avesse, liberamente, scelto di voler sapere chi lui stesso fosse, se fosse proprio così come credeva lui, di non essere stato generato da nessuno…”

Con indicibile sforzo, Luisa balbettò: “Tu non hai…”. Non sapeva neppure lei cosa voleva chiedere, e anche se l’avesse saputo, come chiederlo.

“Io non ho? No, piccola Prescelta: io ho generato un essere che come me fosse libero, libero di comprendere e di scegliere: scegliere se indagare le cause della sua vita o meno, scegliere se cercare la verità o meno… e Celebi, libero com’era, ha scelto, ma ha scelto di non cercare, di non indagare, di non comprendere e sapere. Nulla io ho fatto per distoglierlo dalla sua decisione, per non interferire colla sua infinita libertà: e ho continuato a osservare la sua Creazione, ho visto nascere e svilupparsi un suo piccolo mondo miseramente infinito nella sua varietà, ma ahimè, sempre irrimediabilmente condannato dal timore nel quale Celebi viveva avviluppato, non per sua colpa, ma di certo per sua scelta; voi stessi, figli di Celebi tutti, umani e Pokémon, vivevate in un mondo pieno di misteri insondabili, inesplorabili, che nessuno faceva nulla per sciogliere, e quei pochi che lo facevano venivano esclusi e condannati o, al contrario, venerati come divinità o eletti proprio in virtù di qualcosa che a quasi nessuno era dato sapere: eravate predestinati a una vita d’ignoranza e di mistero, proprio perché Celebi, che aveva commesso l’errore di aver paura, vi aveva generati a propria immagine e somiglianza!… proprio tu, figlia di Celebi, che per anni non hai conosciuto neppure il nome di tuo padre, di più, neppure la tua stessa identità hai considerato la Città dei Numeri, mera estensione materiale del mio potere, un luogo orribile nel quale nessuno sapeva neppure di esistere…”

Luisa rimase sbalordita a quelle parole. Vi era una verità nascosta nelle sue parole? Non sembravano poi tutte bugie… doveva dunque credere alla verità di Missingno? Era paralizzata. Balbettò: “Hai amato mio padre?”

Sentiva che la sua era una domanda importante, fondamentale; che dalla sua risposta essa avrebbe saputo chi veramente era Missingno e chi sarebbe stato per lei.

La risposta fu: “Se non l’avessi amato, non l’avrei lasciato scegliere. Ma l’ho amato tanto da non volerlo obbligare a sapere contro la sua volontà.”

“Tuttavia, ho voluto egualmente provare a salvarvi dalla vostra predestinazione: ho inviato sulla Terra gli Unown, creature che Celebi non aveva volute e generate, perché si scuotesse, perché trovasse il coraggio d’indagare il loro mistero: sarebbe bastato così poco per ottenere la salvezza di tutto il vostro mondo! E tuttavia, neppure questo è servito: Celebi non ha trovato altro coraggio che di rinchiudere quelle creature, spaventato dal loro mistero. Tutti voi eravate condannati all’oscurità…”

“È stato allora che ordinai la tua venuta: l’ultima speranza di salvezza e liberazione per il tuo popolo, una creatura che trovasse il coraggio di scendere qui, di affrontare il mio potere, d’indagare le ragioni del mondo, una creatura, finalmente, che affrontasse la paura di conoscere; che, essendo divina, potesse redimere il mondo assolvendo il peccato di suo padre…”

D’un tratto tutto fu chiaro, tutto fu lampante. Luisa si sollevò e gridò: “Tu non mi hai obbligata a venire qui! Non è vero? Non mi hai costretta!”

“Vedo che cominci a capire. No, non ti ho costretta, non ti ho obbligata: ti ho chiamata. Ma tu eri libera, esattamente come tuo padre, di scegliere e dunque di scegliere se, rispondendo alla mia chiamata, venire qui, o se ignorare la mia voce condannando così, pur non sapendolo, tutto il tuo popolo…”

“E tu, piccola Prescelta, hai scelto. Hai scelto liberamente di ascoltare le parole di Rosso, di sfidare il volere e la paura di tuo padre, di tuffarti nella voragine di un vulcano. Hai scelto così, senza saperlo, di salvare il tuo mondo: se tu l’avessi saputo, il tuo gesto non avrebbe avuto più alcun valore, poiché non sarebbe stato coraggioso, ma eroico; e io mi aspetto un popolo di eroi, né umani né Pokèmon, ma un popolo che liberamente possa alzare gli occhi al cielo e scrutare le ragioni della vita e della propria esistenza, indagare i misteri del suo mondo… non più costretto a tenere infisso al suolo uno sguardo ottenebrato dalla paura. Capisci dunque?”

Sì. Era incredibile, era terribile, eppure Luisa capiva perfettamente. Tutto le era ora chiaro, evidente, lampante; eppure infinite domande le si affollavano alle labbra, domande che, avendone il tempo, avrebbe posto senza neppure riflettervi sopra.

“Per quale motivo hai scelto Rosso?”

Era la prima domanda, la più importante: sentiva in fondo al proprio cuore di dovergli riportare, dall’abisso nel quale egli l’aveva spinta, almeno quella risposta.

“Egli rientrava nel mio Piano divino. Bisognava che tu venissi a sapere di questo posto; e che lo sapessi da qualcuno che vi era stato, che ne era impazzito, che per nessun motivo al mondo vi sarebbe tornato… da qualcuno che ti mettesse liberamente in grado di scegliere se venirci o no. Ho scelto Rosso perché già la sua ambizione ardeva follemente, tanto che facilmente avrebbe dato ascolto alle mie parole e ai miei ordini; e perché maggiore potesse essere la sua ricompensa, dopo. Rosso era necessario al mio piano divino, essenziale come e quanto la Città stessa; ma la sua vita ora non mi appartiene più, e ora essa prospererà ed egli sarà felice, colla mia benedizione, se vorrà esserlo.”

Luisa si guardò affannosamente attorno, come cercando di scegliere tra quelle infinite domande che lottavano per essere poste: percepiva in qualche modo di non aver molto tempo.

“Se lo scopo di questa Città era questo, ora che fine farà?”

“La Città dei Numeri non era che un’estensione materiale della mia volontà. Non avrà ora più senso la sua esistenza, ed essa scomparirà insieme al mio desiderio di attrarti qui: la cima del vulcano non attrarrà più nessuno.”

Ecco, ecco quella sensazione di non aver più tempo! Luisa si guardò ansiosamente intorno: tutto cambiava, mutava vorticosamente, di quei piccoli cambiamenti infinitesimali che si faceva fatica a cogliere ma che ora s’inseguivano vorticosamente…

“Sta già scomparendo” confermò Missingno con calma. “Ma non temere… non accadrà nulla: tra poco ritroverai i tuoi fratelli, che ho tenuti lontani perché tu potessi affrontarmi da sola; e tra poco ritroverai anche me, se lo vorrai.”

Qualcosa nell’aria cominciava a vibrare violentemente, a tremare, e Luisa si rese conto che il suolo sul quale si trovava in piedi tremava a sua volta scuotendola: ora non vedeva niente, si sentì persa nel buio, come durante un terremoto, e gridò: “Aspetta! Aspetta, per favore! Mio padre…”

Ma Missingno non le rispose. Luisa si sentì disperatamente sola e sperduta, incapace di muoversi e reagire, mentre il suolo sul quale si trovava pareva sprofondare; e d’un tratto si sentì precipitare in acqua fredda e salata, cacciò un grido…

Cominciò a nuotare affannosamente, alla cieca, dando grandi bracciate annaspanti e ansimanti: non vedeva nulla, non sentiva nulla, se non il suono angosciante delle onde che la percuotevano e l’attorniavano, sballottandola senza sosta né tregua… dov’era? Dove avrebbe trovato i suoi fratelli, Missingno…?

Ma d’un tratto la sua mano toccò nel buio un’altra mano cui aggrapparsi, ed essa vi si afferrò con foga, con rabbia, con disperazione…

“Luisa!”

Era la mano di Lance! D’un tratto i suoi occhi tornarono a vedere, ed essa vide Lance che con tutte le sue forze lottava, sporgendosi dalla scogliera dell’Isola Cannella, per sollevarla e tirarla a sé. Cercò disperatamente di aiutarlo, di puntare i piedi contro le dure rocce della scogliera e di sollevarsi, ma si sentiva mancare le ginocchia e le suole delle sue scarpe scivolavano inutilmente sugli untuosi strati d’alghe sottomarine. Ma dopo pochi momenti Argento apparve sopra di lei e afferrò con forza le sue spalle, e assieme riuscirono a issarla sulla scogliera.

Luisa rimase immobile e ansimante semidistesa al suolo, respirando grandi boccate d’aria fredda. Era notte. I suoi abiti le si erano attaccati addosso, bagnati e gocciolanti, ed essa provò brividi di freddo al primo movimento. Ma subito Argento s’inginocchiò accanto a lei, le tolse la giacca, le pose sulle spalle il suo vecchio giubbotto nero: Luisa vi si strinse ansiosamente.

“Come potete trovarvi qui? Che ci fate qui?”

“Missingno ci ha ingannati” disse tetramente Lance. “Non ha fatto che portarci qui. Dopo aver camminato per ore, ci ha riportati al punto di partenza.”

Luisa scrutò silenziosamente i loro volti pallidi e angustiati e disse a bassa voce: “Missingno non vi ha ingannati. Missingno non ha ingannato nessuno.”

Le sue parole furono per loro una rivelazione. Lance si accovacciò al suolo di fronte a lei e domandò: “Che cosa intendi dire?”

“Quello che ho detto. Ho affrontato Missingno e… ora so qual è la verità, Lance. Ho trovato la chiave dei misteri del mondo.”

Ma Lance e Argento si scambiarono un’occhiata sardonica. Luisa li guardò con occhi colmi di perplessità ed esclamò: “Cosa c’è? Che succede?”

“Vieni. Alzati” le disse Lance, e tirandola per la mano appena si fu alzata a fatica la trascinò a pochi metri di distanza, da dove si poteva meglio vedere, aldilà delle possenti fiancate del vulcano, la regione di Johto…

“Vedi qualcosa?” domandò Argento dalle sue spalle. “Qualcosa di strano, qualcosa che prima non c’era…?”

Luisa socchiuse gli occhi per scorgere qualcosa, attraverso il buio e la lunga distanza… non vi era forse un’oscura sagoma che si elevava al di sopra delle città, al di sopra delle cime delle montagne…?

“È una torre” mormorò Lance con voce cupa, rispondendo ai suoi dubbi. “Abbiamo potuto vederla prima che il sole calasse del tutto; tuttavia pare che ancora nessuno se ne sia accorto. Non è forse uno dei malefici di Missingno? Per quel poco che abbiamo visto, crediamo che sia sorta vicino, se non addirittura sopra le Rovine d’Alfa…”

“Una torre…” ripeté Luisa, scrutando fissamente quella sagoma: le Rovine d’Alfa… ma forse…

D’un tratto saltò quasi come una bambina, gettando a terra la giacca di Argento: le brillarono gli occhi. “Ho capito, finalmente” esclamò ridendo. “Ho capito tutto! Oh, dobbiamo partire, andare là, presto… andiamo! Vi spiegherò tutto… oh, ora mi è davvero tutto chiaro!”

“Luisa!” esclamò Argento afferrandole le braccia “Cosa ti è chiaro? Di che stai parlando?”

Ma Luisa aveva la sensazione di scoppiare: “Andiamo! Andiamo! Ve lo spiegherò volando…oh, ma andiamo!” esclamava cercando di tirarli a sé. Aveva capito! Aveva finalmente capito!

Via via che volavano furiosamente, fendendo l’aria, verso le terre della regione di Johto, Luisa raccontò concitatamente loro le parole di Missingno, la sua rassicurazione, la liberazione che da lui si poteva attendere… ma Argento e Lance non parevano convinti delle sue parole e la guardavano perplessi, indecisi.

Giunsero in vista della Torre, dell’alto edificio svettante fin quasi alle nuvole. Tuttavia nessuno pareva sorpreso, attonito, sconvolto: quei pochi mortali che ancora passeggiavano lungo le strade notturne parevano non scorgere nemmeno la sua mole immensa…

“Missingno li ha forse acciecati?” domandò Argento, scrutando quelle rare figure che si muovevano al suolo, senza vedere, senza agitarsi… ma Luisa scosse il capo con decisione: era certa di ciò che stava per dire.

“No, so cosa vuol fare Missingno. Ho capito qual è la verità” disse semplicemente.

I loro Pokémon s’impennarono per poter risalire la statura della Torre: Luisa sentì che l’aria le fustigava il viso, i capelli umidi, i vestiti ancora bagnati e aderenti al corpo e si sentì tremare e rabbrividire. Ma non c’era tempo di scaldarsi un po’, di asciugarsi: Luisa voleva vedere, voleva sapere…

Ecco, ecco l’elevata cima della Torre! I tre ragazzi balzarono giù dai loro Pokémon. Era deserta.

“Perché ci hai portati qui?” mormorò Lance, scrutandosi attorno con aria triste e rassegnata. “Siamo soli, come vedi. Siamo…”

“No” disse Luisa con foga, afferrandolo. “Sta arrivando mio padre. Missingno è già qui – Missingno è ovunque. Non lo percepisci?”

“No” rispose Lance. Le sorrideva, ma di quel sorriso rassegnato e stanco, infelice.

Tuttavia nulla, nulla poteva far crollare la fiducia instancabile di Luisa: tutto era chiaro e lampante, evidente alla sua mente e presto lo sarebbe stato anche a quella dei suoi fratelli. Un attimo dopo, come a confermare il suo pensiero, Argento sollevò lo sguardo e mormorò: “Lance, ha ragione. Sta arrivando Celebi.” E guardando Luisa le domandò direttamente: “Affronterà Missingno?”

“No” disse Luisa “Non credo. Ma aspetta! Stiamo a guardare.”

Gli occhi di Argento avevano visto giusto: proprio Celebi volava verso la cima di quella Torre, li raggiungeva, li sfiorava passando… tuttavia li vide a malapena. I suoi occhi erano grandi e infissi in quel cielo vuoto in cui forse neppure lui vedeva qualcosa, e nel quale tuttavia percepiva una potenza immensa che non aveva mai indagato…

“Sono qui” disse, e la sua voce parve a Luisa infinitamente possente ma stanca, rassegnata, mortificata. “Sono qui adesso. Non ho paura affatto. Voglio la verità.”

E d’improvviso l’aria si riempì della voce infinita di Missingno: era una voce che non proveniva da nessun luogo, da nessuna direzione, ma permeava l’aria stessa che respiravano. Missingno era quella voce stessa, essa era, come la Città dei Numeri, nient’altro che una mera espressione materiale del suo potere.

Disse: “Ora lo sai. Sai già tutto senza bisogno che te lo dica, e liberamente, libero esattamente come sei sempre stato, puoi farne ciò che vuoi.”

“Sì, so tutto” disse Celebi. Aveva la voce infranta, spezzata: era finita. Egli sapeva tutto ciò che aveva sempre, per paura, voluto ignorare. Accennò col capo alla figlia e mormorò: “Solo per questo hai creato la sua vita? Perché potesse sciogliere il mistero?”

“Celebi” disse Missingno, e tutto parve vibrare della sua voce “Io ho creato un essere che come te avesse tutti i poteri del mondo e che insieme fosse fragile quanto tu eri, e molto di più, poiché mortale quale tu non sei. Essa, come te e come ogni mortale, aveva la libertà: e l’ha usata per scoprire la verità. Oggi essa ha davvero redento l’umanità col suo coraggio: si scioglie finalmente il destino degli uomini, che tu col tuo errore e peccato avevi legato e avvinto, e da oggi in poi ciascuno avrà una libertà immensa. Non vi sarà più una Prescelta Creatura, ma il canto divino morirà con Luisa, ch’è veramente divina e degna: più nessuno sarà schiavo di un fato prestabilito, ma ciascuno sarà veramente libero, finalmente, di trovare la propria strada verso la felicità. E dunque questo è il mio grande, ultimo, unico dono per il tuo popolo: la tua libertà e con esso la sua felicità.”

Luisa aveva ascoltato le parole di Missingno col cuore palpitante d’angoscia e colle mani strette in quelle dei suoi fratelli: percepiva, dalla sola stretta di quelle loro mani, ch’essi avevano compreso, che non erano più scettici e perplessi, increduli: che percepivano l’immenso potere, ma soprattutto l’infinita bontà, di Missingno.

D’un tratto, immerso in quella voce, Celebi chinò il capo, umile come fosse un mortale, e mormorò:

“Perdonami.” Ma Missingno rispose: “No, Celebi. Non hai peccato che di paura; e ora il sangue del tuo sangue ha salvato un mondo che la paura attanagliava come una malattia. Ma tua figlia ha trovato il coraggio che per troppi secoli ti è mancato, e il tuo mondo, adesso, è salvo.”

“Luisa” soggiunse poi; ma nel pronunciare il suo nome la sua voce non era più avvolgente e soffocante “Il tuo coraggio ha salvato un mondo intero: tu hai finalmente ripagato la mia attesa, poiché per troppi secoli ho atteso la venuta del tuo coraggio: siine ora fiera, perché con la tua discesa nell’abisso, hai salvato il mondo intero.”

“Non ero sola” disse Luisa con calma. “I miei fratelli hanno avuto il mio stesso coraggio, per una decisione che prima di tutto era mia.”

“E non sono forse essi tuoi fratelli e degni quanto te?” domandò allora Missingno.

“Che ne sarà di questa Torre?” domandò ancora Luisa. “Mi accorgo bene che per tua volontà nessuno può vederla. Ma…”

“Hai capito” disse Missingno. “Più nulla dovrà essere nascosto, tutto sarà accessibile, Piccola Prescelta, a chi vorrà sapere, a chi vorrà conoscere. Questa Torre, di cui gli Unown avevano predetto l’edificazione, resterà qui, come simbolo di una nuova Età dell’Oro, dell’ascesa di un’era di Missingno. Ben presto questa Torre si mescolerà al paesaggio, e umani e Pokémon potranno vivere nelle sue profondità e, se lo vorranno, scalare la sua maestosità, cercare qualcosa di cui forse ancora neppure sanno di aver bisogno…”

“E di te?” chiese allora Luisa, con aria quasi di sfida: ma sorrideva, come conscia della sciocchezza della sua domanda. “Che ne sarà di te?”

“Tornerò a essere sire e signore di un regno, che stavolta esiste ed è tangibile” rispose Missingno, con voce incredibilmente calma e serena, che mal si conciliava col ricordo che tutti di lui avevano, quello di sire e sovrano, sì, ma di un regno di caos.

“È finito per voi il supplizio, è finito per voi il buio, è redento il peccato originale: si aprirà da quest’alba un’età d’oro di luce e libertà, e le vite che si sono ingannate perché io potessi realizzare il mio Piano prospereranno; finalmente il sole splenderà su di voi, figli miei, figli di Missingno, e sulla vostra felicità.”

 

 

Ecco qui, finalmente. È questo l’ultimo dei pochi capitoli della parte di questa storia che riguarda Missingno e gli Unown, e devo dire che sinceramente mi soddisfa non poco, forse scioccamente. Certo, non credo proprio che sia il finale che tutti si aspettavano; eppure non so come mi pare di essere riuscita a conciliare tutto ciò che era rimasto di sospeso o di incongruente- e in un modo che a me non dispiace affatto.

Comunque, conto di postare, entro breve (credo e spero) un piccolo capitoletto per rispiegare più chiaramente i concetti espressi qui e qualche piccolo dettaglio lasciato in sospeso – la Torre per esempio- e anche per ricollegarmi più facilmente alla prossima spin off che ho già in preparazione. Tratterà ancora della coppia di Rosso e di Blu, ma non solamente: ho del materiale che mi soddisfa molto su Giovanni, che, ho scoperto, è il mio personaggio preferito assieme a Rosso. Al 90% il titolo sarà Paternità o qualcosa di simile.

Detto questo, che dire? Ringrazio quei pochi anonimi giunti fin qui, ammesso che ancora ve ne siano, e vi saluto caramente.

Afaneia

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Avvento di Missingno. ***


Quel giorno l’alba sorse sull’alta Torre splendente che si elevava fieramente poco a sud di Violapoli, nella località dove fino alla mezzanotte del giorno precedente si erano trovate le misteriose Rovine d’Alfa. Esse erano ora crollate: gli Unown, che Missingno aveva scelto di liberare, avevano trovato subito una nuova dimora nei numerosi piani della Torre.

Quella mattina, perciò, il mondo aprì gli occhi su quel miracolo inaspettato, quel retaggio dei tempi antichi nei quali il divino Celebi, creatore del Cielo e della Terra, talora pareva ricordarsi degli uomini ed elevava edifici e montagne, scuoteva mari e regioni intere. Tuttavia, quel miracolo non era opera di Celebi: sulla sua cima, che ardeva di sole, spiccavano queste parole molto profondamente incise in alfabeto Unown: Avvento di Missingno. Nessuno sapeva chi questo Missingno fosse, cosa volesse, né conosceva le ragioni di quel miracolo: perciò, mentre i giornalisti si riversavano in massa alle pendici della Torre e i pochi studiosi che per anni avevano abitato le Rovine d’Alfa, spodestati, cominciavano ad avventurarsi ai primi piani della Torre, centinaia e centinaia di persone si precipitarono invece ad Amarantopoli, nella speranza che i saggi che custodivano la Torre di Latta potessero dare loro delle risposte: ma essi tacevano, storditi quanto e più di loro.

I soli che quella mattina non si svegliarono né furono svegliati per vedere quel miracolo erano i soli cui Missingno aveva concesso di assistervi. Luisa, Argento e Lance quella notte erano tornati all’Altopiano Blu stanchi, spossati, felici, sporchi, esausti e dopo un bagno si erano addormentati sui grandi divani della camera di Lance, distesi alla meglio, ben asserragliati dentro la stanza per non essere disturbati. Il viaggio nella Città dei Numeri aveva tolto loro ogni energia; ma soprattutto, essi non desideravano assistere al risveglio del mondo. Perciò Joy bussò a lungo ma invano alla porta di Lance, che non si aprì, e altrettanto invano i loro Pokégear suonarono a lungo, abbandonati in un angolo dell’enorme camera sotto le pile dei loro abiti sporchi.

Ma quando finalmente si svegliarono, verso forse le dieci di mattina, Luisa corse a rispondere: l’avevano chiamata quasi tutti: sua madre, il Professor Elm, il Professor Oak, molti suoi amici e soprattutto, e con più insistenza di tutti, Rosso. Luisa sapeva a chi doveva dire per prima la verità; ma nonostante ciò si comportò onestamente e telefonò per prima a sua madre e al professor Elm, mentre dietro di lei Lance si occupava di rispondere a numerosissime telefonate dai più svariati studiosi e direttori di testata e Argento, che pareva divertito all’idea di non avere nessun compito ufficiale da svolgere né parenti da rassicurare, andava in bagno.

Solo dopo quasi venti minuti di conversazione Luisa trovò il tempo di telefonare anche a Rosso, che nel frattempo l’aveva già richiamata altre due volte. Le rispose infatti subito con voce alterata: “Luisa! Finalmente riesco a contattarti. Ti telefono da tre ore!”

“Lo so, Rosso, mi dispiace. Stavo dormendo” ammise la ragazza. Ma quella risposta non parve sufficiente a Rosso. “Vuoi scherzare? Andiamo Luisa, non prendermi in giro, per favore. Sei andata laggiù, non è vero?, non è vero?”

“Ti prego, Rosso, calmati… sì, sono scesa laggiù, ho incontrato…”

“No, non per telefono” disse improvvisamente Rosso. “Vieni qui, per favore. Voglio che mi spieghi tutto di persona.”

Luisa emise un sospiro stanco, ma Rosso aveva ragione: non erano certo cose che potevano spiegarsi per telefono, e in tutto il mondo lui era di certo la persona che più di tutti aveva diritto di sapere.

“Va bene. Qui dove?”

“A casa mia. Cioè, voglio dire, ovviamente… a casa mia e di Blu.”

“Va bene, Rosso. Arriverò tra una mezz’ora: dammi solo il tempo di vestirmi e mangiare qualcosa.”


Rosso le venne ad aprire in abiti da casa, con occhi cupi e stanchi che trafissero i suoi. “Blu è in Palestra” le disse a mo’ di saluto, lasciandola entrare. E poi, appena chiusa la porta: “Sei andata laggiù, vero? Oh, sapevo che ci saresti andata! Sapevo di averti spinta tra le braccia di Missingno…”

“Ehi, Rosso… lasciami parlare” gli disse Luisa sorridendo. “Stai calmo, ti prego. Posso spiegarti tutto, se me ne dai il tempo.”

“Va bene. Siediti sul divano” rispose Rosso, quasi a malincuore: avrebbe voluto poterla travolgere di domande. Tuttavia l’accompagnò al divano e si sedette al suo fianco, scrutandola senza scampo.

Luisa si dilungò nel raccontargli tutto dettagliatamente: sapeva che Rosso voleva sapere. Gli descrisse la sua discesa nell’abisso, il modo in cui si era trovata separata dai suoi fratelli; il suo incontro col vecchio cieco della Città dei Numeri, la sua fuga; la voce angosciante di Missingno, la verità, la sua bontà; il ritorno all’Isola Cannella e finalmente, sulla cima di quell’alta Torre, l’incontro che aveva avuto luogo tra le due divinità. Rosso la seguiva attento, comprendendo tutto, attento a non perdere un passaggio; solo a un tratto, quando Luisa gli descrisse la voce di Missingno, si alzò in piedi e cominciò a passeggiare nervosamente su e giù davanti al divano, come incapace di stare fermo, per poi tornare seduto dopo poco.

Finalmente il racconto terminò, e Rosso rimase a lungo in silenzio davanti a lei, pensieroso. Infine, passandosi una mano tra i folti capelli scuri, domandò: “Non capisco. Non riesco a capire. Se Missingno amava tanto Celebi, come dici tu… perché non si è rivelato a lui? Perché non è stato lui a volersi mostrare?”

“Perché mio padre era libero” rispose Luisa semplicemente. Comprendeva le perplessità di Rosso; tuttavia, ella aveva ben chiaro il piano di Missingno nella propria mente. “Era libero, e come Missingno infinitamente potente; e tuttavia, pur avendo questa grande libertà, ha scelto di non voler conoscere, di non voler cercare le ragioni della sua vita. Missingno ha rispettato la sua libertà e la sua scelta.”

“Eppure ha inviato sulla terra gli Unown, a quanto dici” rispose Rosso. Pareva sempre più perplesso. “Non era questo un modo per interferire colla sua infinita libertà, come la chiami tu?”

Ma Luisa scosse dolcemente il capo. “No, Rosso. Il punto è lo stesso: lui ha inviato a mio padre un mistero che potesse risolvere, tramite il quale potesse risalire a lui, ma non l’ha obbligato a farlo. Come al solito, mio padre ha liberamente scelto di non voler sapere. Il suo era un invito, una proposta, quasi una sfida.”

Rosso chinò gli occhi sulle proprie ginocchia forti, segnate, robuste. Era ancora pensieroso, poco convinto, meditabondo.

“Vuoi dunque dirmi che di tutte le vite che si sono succedute su questa Terra dal giorno della Creazione fino a oggi, di tutti coloro che... solo di me Missingno ha scelto di servirsi con l'inganno?”

Luisa rimase un attimo in silenzio, mordendosi le labbra.

“Non posso negare, Rosso” disse semplicemente. “La tua vita è servita a Missingno per poter redimere l'umanità; ha scelto di asservire al suo proprio scopo il tuo destino, perché tu potessi tentarmi e spingermi ad andare nella Città dei Numeri. Tuttavia, egli manterrà ciò che ti ha promesso: se lo vorrai, se liberamente sceglierai, egli benedirà la tua felicità e tu prospererai.”

Rosso sorrise d'un sorriso amaro, senza rispondere. Pensava agli anni che Missingno gli aveva strappato. Ma Luisa gli prese una mano.

“Tutte le vite del mondo sono sempre state schiave, Rosso; schiave del fatto stesso di essere state create a immagine e somiglianza di mio padre, mio padre che aveva avuto paura... la tua vita è servita a redimere le altre. Ora più nessuno, mai, sarà schiavo della paura, del destino...”

Rosso allontanò la mano dalla sua, pensierosamente. Luisa lesse nei suoi occhi le parole che non le avrebbe mai detto: nessuno ha chiesto il mio sacrificio.

“Un'altra cosa non capisco” disse ad alta voce, alzandosi in piedi, come per volersi scuotere da quel pensiero. “Il testo inciso nella stanza degli Unown parlava specificamente di una statua. Tuttavia... non è affatto una statua quella nella zona di Rovine d'Alfa. È una torre.”

“Ho faticato anch'io qualche momento a capire” disse Luisa sorridendo. “Quando mi trovavo nella Città, ho chiesto a Missingno di farsi vedere; ma mi ha risposto che egli non aveva un corpo tangibile e visibile, che nessuna forma poteva racchiudere la sua potenza. Non vi è alcun modo di rappresentare Missingno, Rosso, e in effetti io e te, che l'abbiamo incontrato, altro di lui non conosciamo che la potenza della sua voce. Missingno è già in tutte le cose, nell'aria che respiriamo, nella nostra mente. Non esisterà mai alcuna immagine che possa rappresentarlo; ma quella grande Torre che vediamo, quella vastità che si protende verso il cielo, verso l'immensità insondabile... quella Torre può non rappresentare Missingno, ma di certo, come c'è scritto, rappresenta il suo avvento e l'inizio dell'età dell'oro che ci ha preannunciato: un età in cui finalmente tutti noi, umani e Pokémon, liberamente potremo protenderci verso la conoscenza, verso il cielo, accedere alla conoscenza della divinità...”

Ma Rosso continuava a tacere. Sì, in lui Luisa scorse un altro dei grandi doni di Missingno: si poteva non accettare i suoi doni, rifiutare la sua libertà, ignorare la sua redenzione. Tuttavia tutto questo, i suoi doni, la libertà, la redenzione, erano lì per chi volesse accettarli, per chi volesse conoscerli e accogliere Missingno. Anche questo era libertà, dopotutto: scegliere di non essere liberi.

“Che cosa farai ora?” chiese per cambiare argomento. Rosso la guardò con stupore: “Che cosa?”

“Sai... della tua vita” accennò Luisa guardandosi intorno.

Rosso si guardò attorno come per la prima volta. Lui e Blu stavano riarrendando la casa, un passo alla volta, un mobile per volta: Blu voleva cancellare ogni traccia della sua infanzia difficile e solitaria.

“Non l'indovini?” domandò a bassa voce.

“Sì, credo di indovinarlo, o almeno lo spero” disse Luisa alzandosi. Gli appoggiò le mani sulle spalle, fraternamente, familiarmente: “Missingno manterrà la sua parola se tu lo vorrai. Ora sia io che te possiamo trovare pace: nessun mistero deve più essere svelato, e la chiave dei misteri del mondo è accessibile a tutti coloro che vorranno cercarla. Ora so tutto, e tutti potranno sapere tutto. Questo è il grande, ultimo dono di Missingno, questo è il significato di tutti questi inganni... è libertà.”


Buonasera a tutti!

Questo è, almeno per ora, l'ultimo capitolo della storia. Tuttavia non è detto che sia l'ultimo in assoluto: se avrò voglia, tornerò a scrivere su questi personaggi. Pertanto non metterò la voce “conclusa” a questa storia, anche perché nella mia mente non lo è.

Ma mi sembra opportuno ringraziare debitamente tutti coloro che hanno contribuito in qualunque modo a questa mia, in questo pseudo ultimo capitolo.

Perciò grazie a: coloraimbow, Sky98, Bloody Emma, TokorothX3, nihil no kami, I_AnDrY_I per le recensioni;

Chaos9000, colorainbow, Himeko Stukishiro, Sky98, vale_misty per aver aggiunto la storia alle preferite;

Bloody Emma e Dragon_Flame per aver aggiunto la storia alle ricordate;

Bloody Emma e Colorainbow per aver aggiunto la storia alle seguite.

(Molti nomi sono ripetuti, ho deciso di citarli in ogni “categoria”)

Che dire? Buona serata, e grazie, grazie di cuore per essere anche solo arrivati fin qui.


Afaneia

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=918062