Prescelta Creatura di Afaneia (/viewuser.php?uid=67759)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio di tutto. ***
Capitolo 2: *** Torre di Latta. ***
Capitolo 3: *** Amara inquietudine. ***
Capitolo 4: *** Pace a Miramare. ***
Capitolo 5: *** Le eredità dei padri. ***
Capitolo 6: *** La Sala d'Onore. ***
Capitolo 7: *** Morire, alla fine. ***
Capitolo 8: *** L'unico ostacolo. ***
Capitolo 9: *** Il dolore di Blu. ***
Capitolo 10: *** La verità di Celebi. ***
Capitolo 11: *** Le amicizie altolocate. ***
Capitolo 12: *** La grande Lega. ***
Capitolo 13: *** Una vita divina ma senza di te. ***
Capitolo 14: *** Una strana e terribile verità. ***
Capitolo 15: *** La sola verità di Celebi. ***
Capitolo 16: *** Libero arbitrio. ***
Capitolo 17: *** Avvento di Missingno. ***
Capitolo 1 *** L'inizio di tutto. ***
Aveva lottato tanto per arrivare fin
dove era arrivata.
Partita da Borgo Foglianova, il
più piccolo dei paesini di
provincia della regione di Johto, con un Cyndaquil come unico compagno,
aveva
viaggiato in lungo e in largo per quattro anni, sconfitto chiunque
tentasse di
ostacolarla, sputato sangue e sudato per diventare ciò che
era. La Campionessa.
La più grande allenatrice di Pokémon al mondo.
Una Pokémon Master.
La donna che aveva sconfitto Lance. La ragazza che Suicune
aveva sfidato: tra
tutti gli allenatori che volevano essere scelti, Suicune aveva scelto
lei. La
bambina che più di una volta aveva sconfitto Team Rocket.
Luisa aveva lottato per giungere al
limite estremo cui
neppure Rosso era giunto; e, più abile di chiunque, non
avrebbe mai permesso a
quel ragazzo di metterle i piedi in testa.
Per questo Argento la odiava.
Perché era più brava di lui.
Perché c’era anche lui tra gli allenatori in
paziente attesa a Torre Latta, ma
Suicune aveva deciso che era lei che voleva sfidare. Se era Suicune a
dirlo –
un Pokémon leggendario, parere troppo alto per non essere
considerato- allora
lei doveva essere davvero la migliore.
Argento l’aveva inquietata,
Lance stupita ed emozionata,
Rosso addirittura terrorizzata, Blu l’aveva messa a dura
prova ma nessuno, mai,
era riuscito a sconfiggerla. Per
questo,
quella ragazza non avrebbe mai tremato di fronte a un ragazzo che
viveva come
il ladro che era. E per questo anche quella volta l’avrebbe
sconfitto.
Perché lui tremava di
fronte a lei, nonostante non fosse cambiato
molto da quando proclamava che lui, con quella ragazzina viziata, non
aveva
tempo da perdere.
“LANCIAFIAMME!”
“PISTOLACQUA!”
Come due poli opposti che si
attraevano. Perché, in fondo,
Luisa lo apprezzava. Quel ladruncolo da bassifondi che la odiava e la
invidiava
le era simpatico. Perché era bello e perché non
si arrendeva mai; perché era
folle, ma era forte. Ogni notte l’attendeva, appostato sulla
cima
dell’Altopiano Blu, e ogni notte la sfidava. Sgradevole
incombenza cui su
malgrado Luisa si sottoponeva. Sempre, nonostante non sapesse
perché.
Perché erano pochi minuti
di volo che le permettevano di
allenare Thyplosion con un degno (anche se alquanto misero) avversario?
Perché
il suo orgoglio avrebbe sempre avuto la precedenza sulla sua parte
razionale, e
le avrebbe sempre impedito di sottrarsi a una battaglia? Non lo sapeva.
Sapeva
però che quel ragazzo era un abile allenatore e che, col
giusto allenamento,
avrebbe potuto bene battere Lance, Pokémon Master col quale
lei aveva avuto
l’onore di combattere per ben due volte, sia da alleata, che
da avversaria.
“Non hai
possibilità con me.”
“Te la farò
vedere io, la prossima volta!”
Prossima volta? La prossima notte.
Domani. Ma quella fu la
notte in cui cambiò tutto.
Quella fu la notte in cui, dopo
quattro anni di ricerche, la
polizia rintracciò Argento sull’Altopiano Blu, nel
cuore della regione di
Kanto. E dopo quattro anni di ricerche, in cui lei aveva sempre
parteggiato per
i “buoni”, la Campionessa si frappose tra le due
fazioni.
“Vattene!”
gridò Luisa voltandosi. Vide per una frazione di
secondo che il suo volto era pallido e terrorizzato e che egli tremava,
ma non
vi prestò attenzione.
Aveva altro a cui pensare.
“Aspettate”
gridò nel vento, voltandosi. Vi erano uomini tra
le fronte degli alberi, uomini alti e robusti, begli uomini giovani
forse
freschi di accademia, uomini in divisa e seri, ma lei aveva qualcosa
più di
loro, quella piccola ragazza di un paese di provincia.
“Aspettate, non
inseguitelo! Ho una proposta da farvi.”
Ma come le balzava alla mente quella
malsana idea, come
poteva proporre una cosa del genere, tanto stupida e forse disperata,
ma
proprio perché disperata l’unica cosa cui potesse
aggrapparsi?
“Voglio darvi la mia parola
per lui.”
A che poteva valere la sua parola per
quegli uomini tanto
ligi al loro dovere? Se lo chiese per molti anni, cercando una risposta
e non
trovandola. Ma l’unica cosa importante fu che ottenne
ciò che voleva.
Cosa ci guadagnò? Poco e
nulla. Un cenno, un saluto, un
ammonimento. Un complimento. Si stiracchiò. Era fatta. E
quando Luisa si voltò,
Argento era sparito.
“Tipico della sua razza
svanire così!”
Si chiese chi glielo aveva fatto fare
di aiutarlo. Un ladro,
un fuorilegge. Un uomo che la odiava.
Non sapeva perché
l’aveva fatto, non sapeva perché continuava
a intestardirsi, ma liberò Pidgeot e prese il volo per
cercarlo.
Eccolo, era più in
là, tra gli alberi, che scivolava giù da
un pendio per scendere giù, di nascosto,
dall’Altipiano…atterrò dinanzi a lui
sulla terra friabile.
“LASCIAMI STARE!”
“Ti ho salvato. Ho la tua
responsabilità. Non finirai in
galera se resti con me.”
Un ghigno, una risata.
“Non sono un bravo ragazzo.
Neppure sai chi sono!”
“So che sei un allenatore e
che sei bravo con i Pokémon. So
solo questo, ma mi basta. So che se finisci in galera perderai tutto
ciò che
hai e ne uscirai senza un futuro. Se resti con
me…sarà un bel cambiamento, lo
riconosco, ma sarai libero, alla luce del sole. Ci alleneremo insieme.
Non te
ne pentirai.”
“Vattene! Non voglio la tua
pietà!”
“Non è
pietà la mia. È solo un aiuto. Posso aiutarti.
Voglio
aiutarti. Posso salvarti. Per favore.”
“Perché vuoi
farlo?”
“Non lo so. Ti giuro che
non lo so, non lo so neppure io. Mi
sei simpatico, sei coraggioso. E mi piacciono i tuoi
Pokémon. Mi piace come li
hai allenati. Sei stato duro, ma sei il Maestro crede che io lo sia
stata meno
di te, si sbaglia. Ai miei Pokémon ho chiesto molto e molto
è ciò che ho
ottenuto. Se li guardo combattere, i tuoi Pokémon mi paiono
determinati. Si
fidano di te. Se lo fanno loro, poso farlo anch’io.
Allora…accetti, sì o no?”
“Ehm ehm…chiedo
scusa.”
Con un sussulto, Luisa si
voltò.
“Lance! Cosa ci fai
qui?”
“Sai…questo
terreno appartiene all’Indigo Plateau, e
l’Indigo è la mia casa,
perciò…”
“Okay, okay.”
“Ti chiederei di
presentarmi al tuo amico, ma non ho tempo.
Mi mandano a chiamarti.”
“Ti mandano a chiamarmi?
Chi?”
“Credo che sia meglio che
tu lo veda coi tuoi occhi.”
“Oh…okay.”
“Seguimi. Faccio
strada.”
“Ti vengo
dietro.” Un solo attimo. Si voltò e chiese, con
finta noncuranza: “Allora, vieni?”
Argento la scrutò per un
secondo. Poi chinò il capo e la
seguì.
Camminando, Lance continuò
a parlare. Non pareva del tutto a
suo agio, ma una persona della sua natura non perdeva la calma in
nessuna
situazione.
“Vedi, non è uno
scherzo. È quello che ho pensato io, ma non
lo è, sai, ti giuro che non lo è. Comunque, lo
capirai da te. Si capisce, dopo
un po’, anzi, pare evidente…”
“Ma cosa ti sei fumato,
Lance?”
“Fidati. Capirai quando lo
vedrai.”
Luisa alzò le spalle e
annuì.
“Ecco, è dentro
l’Arena. Ehm…mentre andiamo, puoi fare le
presentazioni, non credi?”
“Va bene,
Lance…ti presento Argento. Un nuovo amico.”
“Molto piacere, Argento.
Perdonami se non ti stringo la
mano, ma non ce n’è il tempo.”
“Io lo so chi
sei” disse il ladro. La sua voce suonava insieme
dolcemente infantile e sfacciatamente maleducata. “Tutti lo
sanno.”
“Non mi
sorprende” rispose Lance con dolcezza infinita.
Giunsero all’Arena, infine.
Una delle piccole porte di
servizio era dischiusa. Lance l’aprì e li fece
passare.
L’oscurità era
bella, buona e ampia. Il silenzio era
stregato.
“Dovete venire. Ecco, di
qua.”
La porta conduceva sotto alle
tribune. Era buio e molto
ansioso. Passarono. Uscirono e la notte li riavvolse con la sua
presenza.
Lì per lì la
fanciulla non capì e non credette.
Lo vide. Lo sentì. Lo
capì.
Era bello più ancora dei
sogni. Era vivo e viveva, Ho-Oh.
Esisteva. Era. Perfetto, bello,
infinito, eterno.
(ma era lì per lei, oh,
sì, lo sapeva. Non si poteva
mentire.)
E quando l’aria
tornò e si mosse, il divino si mosse con
lei. Perfetto, bello, infinito, eterno.
E il vento soffiò forte
quando si avvicinò. Si avvicinò e fu
travolta, e seppe di non essere più lei.
E seppe che un’altra
entità nell’universo la stava cercando.
Ma questo la creatura non voleva farglielo sapere.
Ritirò la mente Ho-Oh.
Erano andati troppo oltre.
“Chi sei tu?”
chiese la ragazza.
Ed egli rispose: “Sono
io.”
“E io? Chi sono
io?”
“Ed egli rispose:
“La Prescelta Creatura.”
“E chi
è?”
“È.
Metà, tutto, il punto di mezzo.”
“Perché?”
“Mille e mille altri lo
sono stati prima di te. Mille ancora
lo saranno. Tutti chiedono sempre perché. Tutti lo sanno
già, ma non sanno di
saperlo. Vuoi?”
“Voglio. E loro?”
“Vengono con te.”
“Chi sono loro?”
“I tuoi compagni.”
“Da quando?”
“Da prima di
esistere.”
E non chiese perché,
perché lo sapeva già.
“Chi
è?”
“Chi?”
“Chi mi sta cercando?
È nell’universo.”
“Una creatura solamente ti
cerca, in questo mondo” diss’
egli.
“C’è
qualcun altro là fuori?”
“Può
darsi.”
“Mi cerca?”
“Può
darsi.”
“E chi, qui?”
“Lo saprai. Non ora.
Vieni?”
“Vengo.”
“Venite?”
Ed essi risposero:
“Sì.”
Buon pomeriggio a tutti!
Che schifezza vi ritrovate davanti?
Una schifezza, avete capito
bene, o quantomeno un progetto strampalato e incerto, che va avanti a
balzelloni e saltelli e la cui prima stesura risale alla mia terza
elementare
(ora sono in quarta superiore). Un progetto, dunque, infantile e forse
stupido,
ma dal quale non sono mai riuscita a staccarmi e che quattro anni fa (a
giudicare dalle annotazioni che ritrovo sui bordi delle pagine) ho
ricominciato
a scrivere, senza tuttora averlo concluso.
Una storia strana, forse banale per
chi frequenta il fandom
di Pokémon, ma la mia unica storia al riguardo, la mia unica
concezione di
questo videogioco. Tengo a precisare che questa storia fa riferimento,
come
peraltro l’altra mia storia (“Storia di Rosso e di
Blu”) alla mia personale
visione del videogioco Pokémon Cristallo, il mio primo (e
fino a poco tempo fa
unico) vero gioco di Pokémon. Vi saranno punti poco chiari
che mi offro di
spiegare a chiunque dovesse domandare. Non ero molto convinta di voler
pubblicare questa storia, dopo averne postato la spin off
“Storia di Rosso e di
Blu”, ma vi sono stata convinta da nihil no kami (che
ringrazio ancora per il
suo continuo supporto a questa mia).
Ebbene, non ho altro da aggiungere!
V’invito soltanto a
leggere e recensire, dandomi pareri di qualunque genere (so che
potranno esservene
molti negativi, in quanto questa era in teoria una storia a uso e
consumo
privato e dunque scritta per restare tale) su qualunque punto della
storia.
Nel frattempo, a presto e buona
domenica pomeriggio!
Afaneia :)
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Capitolo 2 *** Torre di Latta. ***
Buonasera
a
tutti!
Sono
stata
lieta di vedere che le reazioni alla mia storia non sono poi state
negative
come mi aspettavo. Un affettuoso ringraziamento a nihil no kami e a
I_AnDrY_I
per le loro recensioni.
Ebbene,
non ho
poi molto da dire circa questo capitolo, o quantomeno non mi viene in
mente, ma
vi prego di chiedere qualora qualcosa non dovesse essere chiaro!
Un
caro
abbraccio e un augurio di buona lettura. A presto!
Afaneia
La Torre era alta e
vi soffiava
il vento. E si disse: “Io sono già stata
qui.”
V’erano
Suicune, Entei, Raikou,
Lugia, Mew, Mewtwo, Articuno, Moltres, Zapdos. S’inchinarono.
Luisa li guardò e
s’inchinò anche lei.
“Ci siamo
già incontrati” disse,
rivolta a Suicune. Questi annuì e le sorrise.
“Sono
felice che tu sia di nuovo
qui.”
“Lo sono
anch’io.”
“Siete i
benvenuti” disse Mewtwo
con la bella voce profonda, senza per questo muovere le labbra. Luisa
lo guardò,
silenziosa.
“Avrei
voluto vederti…”
“Lo so. Ora
sono qui. Sono qui
per te.”
Con la coda
dell’occhio, scorse
una punta rosa accanto a lei. Si voltò. Era Mew.
“È
una donna” disse egli
guardando Ho-Oh.
“Sì.”
“È
bella.”
“Sì.
Ti aspettavi altro?”
“No, ma
è…diversa.”
Mew la
guardò, ma non rispose.
Allora lei vide Raikou.
“Quante
volte t’ho inseguito…”
“Corri
veloce, Prescelta
Creatura. E insegui con rabbia.
“Perché
noi?” chiese a un tratto
Argento, forte. Lo guardarono ed egli indicò la ragazza.
“Noi non siamo come
lei, siamo diversi da lei, allora perché noi?”
“Perché
così è stato scelto”
rispose Ho-Oh, semplicemente.
“Ma
noi non
siamo forti come lei” disse Lance. C’era tristezza
nel suo volto e nei suoi
occhi d’oceano profondo. “Ci ha sconfitti, ci ha
sempre sconfitti ogni volta.
Allora perché noi?”
Mew
si portò
dietro di lui e girò intorno alle sue spalle, bellissimo e
magico come nelle
incisioni.
“Voi
non siete
deboli…siete forti e l’aiuterete. Potrete aiutarla
quando sarà in difficoltà.”
“Abbiamo
osservato a lungo la tua crescita, Prescelta Creatura” disse
Zapdos. “E anche
la vostra. E siamo soddisfatti.”
“Non
ci avete
spiegato perché siamo qui” osservò
Luisa. “Io sono la Prescelta Creatura, ma
perché esisto? E loro? Perché loro?”
“Per
essere la
creatura che unisce i Pokémon agli uomini” disse
Ho-Oh.
“E
voi
esistete per essere come lei ed esserle accanto” soggiunse
Articuno.
Piano,
Ho-Oh
si avvicinò. Era bello e odorava di vita. Li
toccò.
“Possiate
essere uniti e benedetti.”
Era
una
benedizione. Luisa seppe di essere al sicuro, insieme a loro.
“Siate
uniti e
sereni nel futuro. Nulla andrà storto” promise
Mew, volando ancora attorno a
loro.
“Noi
saremo
sempre qui per guidarvi” aggiunse Suicune.
Era
una
promessa. Seppero che sarebbe stata mantenuta.
Si
riebbero
più tardi, nell’Arena. Si ritrovarono, stesi
l’uno vicino all’altra, sul
terreno.
Tacquero
prima
di parlarsi.
“È
stato un
sogno?” chiese Luisa, piano. Nessuno ebbe il coraggio di
rispondere.
“Io
conosco il
tuo nome” fece a un tratto Lance, voltandosi verso Argento.
“Tu sei Argento. Ma
se fosse stato un sogno, come potrei conoscerlo?”
Cadde
il
silenzio.
“È
troppo
assurdo” disse Argento, prendendosi il capo con le mani.
“È una
storia assurda, troppo assurda per
crederci.”
“Ma
se non
crediamo a questo, a che cosa crediamo?” domandò
Luisa, chinando il mento.
“Lance!
Lance!”
“Mi
cercano”
disse il giovane alzandosi. Luci danzavano sulle tribune, alla sua
ricerca.
“Vai”
disse
Argento, distogliendo lo sguardo.
Lance
non si
mosse. Ciascuno di loro sapeva che, se se ne fosse andato, non
avrebbero più
avuto la forza d’incontrarsi.
“Venite
con
me” disse infine Lance a forza. “Andremo in un
posto dove potremo parlare. In
fretta, prima che ci trovino e ci chiedano dove eravamo
finiti!”
Luisa
e
Argento si alzarono. Lance li precedette di corsa fino a uno dei
sottopassaggi
principali, quello dei Superquattro. Nel muro, nascosta,
c’era una porta.
L’aprì e li fece entrare. Furono al buio.
“Lance,
cos’è
questo posto?” chiese Luisa.
“Per
sfuggire
ai giornalisti dopo la Lega” spiegò il ragazzo.
“La fece costruire mio padre.”
“Stai
chiuso
qui dopo la Lega? Qui finché non se ne vanno i giornalisti,
senza luce né
aria?” insisté Luisa, perplessa. Allungando un
braccio, toccò vicinissima una
parete.
Lance
rise.
“Questo è un passaggio segreto. Vi faccio vedere
dove porta, ora. Seguitemi:
siamo al buio, ma la strada sarà dritta finché
non ve lo dirò io.”
I
tre
proseguirono per qualche decina di metri, quando Lance disse loro di
fare
attenzione. “Qui comincia una scala. Va verso
l’alto, non è molto ripida e i
gradini hanno tutti esattamente la stessa altezza. Non
c’è corrimano, ma non è
molto difficile salire se volete appoggiarvi al muro.
Luisa
appoggiò
una mano sulla parete fredda e cominciò a salire.
“Tuo
padre era
un genio” disse Argento rivolto a Lance. “Non solo
ha costruito un impero
immenso per lasciarlo a te, ma ha anche costruito un passaggio
così geniale!”
“E
non è la
sola cosa che abbia costruito” replicò il ragazzo,
ridendo.
La
scala era
facile a salirsi, ma era lunga, e Luisa considerò che
dovevano essere quasi in
cima alla Sede della Lega. Finalmente, Lance spinse una porta nel buio,
e i tre
furono acciecati da un fiotto di luce.
“Dove
siamo
finiti?” protestò Argento riparandosi gli occhi.
“In
teoria, tu
non avresti il diritto di entrare, ma vista la situazione, non credo
che abbia
importanza” spiegò Lance. “Questa
è la Sala d’Onore.”
Luisa
la
ricordava bene: la sala immensa, piastrellata di marrone, la grande
piattaforma
centrale..
“Perché
qui?”
chiese, vedendo Lance richiudere il passaggio spingendo un pannello.
“Vengo
qui,
dopo la Lega. È il diritto dei Campioni. Salvo me, nessuno
può entrare qui: non
saremo disturbati. È insonorizzata e potremo parlare quanto
desideriamo.”
Argento
sbuffò. “Parlare? Di cosa? Io so quello che ho
visto: la Torre di Latta e i
Pokémon Leggendari. E so che avete visto le stesse cose
anche voi. Altrimenti
non saremmo qui.”
Ci
fu un
silenzio imbarazzato.
“Per
quanto
siamo stati via?” chiese Lance d’un tratto.
Guardò il proprio Pokégear e sbatté
le palpebre. “Da quando sono venuto a chiamarvi sono passate
più di quattro
ore.”
“Abbiamo
dormito a lungo” ragionò Luisa. “Anche
ammettendo che siamo stati un’ora sulla
Torre e in viaggio.”
Lance
la
scrutò a lungo in silenzio, riflettendo sulle sue parole.
Poi, con uno sbuffo,
si lasciò scivolare lungo la parete fino sul pavimento.
“È assurdo, è ridicolo,
chi ci crederebbe, se dicessimo che Ho-Oh è venuto a
chiamarci per dirci che
lei è la Prescelta Creatura e noi i suoi compagni?”
“Chi
ci
crederebbe, se noi stessi non vogliamo crederci?”
replicò Argento amaramente,
seduto per terra poco distante da lui.
Il
silenzio
cadde nuovamente nella Sala troppo bella. Luisa si stese a guardare il
soffitto
nero.
“Sulla
Torre”
iniziò dopo un poco “Ho-Oh, Mewtwo e gli altri
comunicavano con
noi…telepaticamente.”
“Nell’Arena
stessa, Ho-Oh ha parlato mentalmente con noi”
osservò Lance.
“Stavo
solo
pensando che forse, impegnandoci, potremmo essere in gradi di chiamarli
anche
da qui.”
Non
vi fu
risposta alle sue parole. Allora si tirò seduta e li
guardò.
“Non
credete?”
“È
tutto così
strano” sospirò Argento. “Tutto. forse
non dovremmo provarci affatto. Forse
resteremmo solo delusi.”
“Solo
delusi”
rispose Luisa. “Ma se non proviamo, cosa facciamo? Restiamo
chiusi qui dentro
in eterno?”
Si
guardarono
in silenzio.
“Hai
idea di
come fare?” chiese infine Lance.
“Forse
concentrandosi…”
Non
ebbero
modo di provare, non in quell’occasione. D’un
tratto un gran frastuono attirò
la loro attenzione.
“Da
dove
viene?” gridò Lance balzando in piedi.
“Da
fuori”
rispose Argento. “Credo dalla Via Vittoria.”
“Andiamo
a
vedere” esclamò Luisa. “Potrebbe
c’entrare qualcosa con noi.”
Spiccarono
una
corsa e, usciti dalla Sala d’Onore per la porta principale,
percorsero di getto
le varie rampe di scale che li separavano dal piano terra.
“Lance!
Quanto
è alto questo posto?” gridò Argento.
“Dodici
piani”
rispose quegli continuando a correre.
“E
ora
siamo…?”
“All’ottavo!”
“Dannazione”
imprecò Argento.
Continuarono
a
correre giù per le scale finché, stanchi e
doloranti, non giunsero al piano
terra e uscirono dalla porta principale.
In
cima alla
strada rocciosa conosciuta come Via Vittoria, Suicune, Entei e Raikou
erano
fermi, immobili e statuari, sulle rocce. Attorno a loro, i tre videro
il resto
dei Superquattro.
“Tre
contro
tre” mormorò Lance vedendo i compagni, Lorelei,
Agata, Bruno.
“Peccato
che
non sia uno scontro alla pari” soggiunse Argento a bassa voce.
I
Superquattro
attaccavano con forza, ma i tre non parevano neppure accorgersi degli
attacchi.
“Sono
venuti
per noi” esclamò Luisa. “Le bestie
leggendarie non vengono mai in Kanto, mai!”
Aveva
ragione.
Quando li videro, i tre avanzarono in silenzio per schierarsi di fronte
a loro.
“Non
abbiamo
avuto modo di salutarvi com’è degno che
sia” disse Suicune, chinando il capo
nobile e maestoso.
“Abbiamo
creduto” soggiunse Entei, piano “che ancora voi
foste increduli sul vostro
destino."
“Lo
eravamo”
disse Luisa a fatica “ma ora non più.”
Parlava
con la
mente. Sentì increduli i suoi compagni alle proprie spalle.
“Siamo
arrivati in tempo, dunque” disse Raikou. “Lasciate
che andiamo, ora. Abbiate
fiducia. Tutto andrà bene.”
I
tre Pokémon
s’inchinarono ancora una volta. Poi, veloci come voleva la
leggenda, corsero
via.
“Qualche
anno
fa” disse Lance dopo qualche istante “Diedi il
permesso di costruire un treno
che corresse più veloce di qualsiasi Pokémon. Ora
so che mi sono sbagliato.
“Corre
più
veloce di qualsiasi Pokémon…tranne
Suicune.”
Luisa
non poté
aggiungere altro. I Superquattro si avvicinarono loro.
“Dove
sei
stato?” gridò Lorelei rivolta verso Lance.
Il
ragazzo
chinò gli occhi. “Sono affari miei.”
“Sei
scomparso
per quasi cinque ore! Quasi cinque ore, Lance! E quando ricompari,
arrivano i
Pokémon leggendari e s’inchinano!”
“Lance,
da
quando sono ricomparsi, i Pokémon leggendari non si sono mai
fatti vedere fuori
dei confini di Johto” disse Bruno in tono ragionevole.
“Non
li ho
chiamati io, va bene?” sbottò Lance, volgendosi
verso il proprio sottoposto.
“Devi
spiegarcelo, Lance!” insistette Lorelei, furiosa.
“Non
so cosa
dirti, Lorelei!” gridò il giovane spazientito.
“Voi
due
ragazzi c’entrate qualcosa?” chiese allora Agata.
Luisa
arrossì,
ma non seppe cosa rispondere.
“Sì”
tagliò
corto Lance “Ma sono affari solo nostri.”
“In
tutta la
mia vita ho visto cose molto strane” disse Agata lentamente
“Ma davvero non
avrei mai pensato di vedere una cosa del genere. Il Presidente della
Lega
Pokémon, la Campionessa e un giovane ricercato” e
guardò Argento, che
indietreggiò “ricevere gli onori di Suicune, Entei
e Raikou.”
“Che
per
porgerli raggiungono addirittura l’Altopiano Blu nella
regione di Kanto”
soggiunse Bruno.
“Basta
ora!”
sbottò Lance. “Sono stanco di questa storia. Sono
affari che non vi riguardano.
Non siamo stati noi a chiamarli. Lasciateci stare.”
“Non
puoi
nasconderti dietro un dito, Lance!” lo avvertì
Lorelei, infuriata.
“Neanche
tu
puoi nasconderti, Luisa!”
Si
voltarono.
Seduto in alto, su una roccia della Via Vittoria, Rosso li guardava.
“Cosa
vuoi,
Rosso?” gridò la ragazza.
Il
giovane
agitò la mano in segno di saluto. “Buonasera,
Lance. Sono contento di
rivederti.”
“Rosso!
Dicci
cosa vuoi e vattene!” sbottò Lance muovendo un
passo avanti.
“Volevo
solo
avvertirvi, e in particolar modo te, Luisa che sconfiggesti
Suicune” pronunciò
in tono di scherno queste parole “Che tra undici giorni, dopo
la Lega, sarò al
solito posto per sfidare il Campione. Non tenetelo nascosto come facesti tu
l’altra
volta, Lance” soggiunse guardando il ragazzo.
“Attenderò a Monte Argento finché
sarà necessario, foss’anche un anno.
Luisa…” si rivolse direttamente a lei.
“So
che sarai tu a venire da me. Lo so e ti aspetterò. Non
metterci troppo. O
crederò che hai paura di me.”
“Non
ne ebbi
quando sfidai Suicune, perché dovrei averne di
te?” replicò la ragazza in
risposta.
“A
proposito
di Suicune… un giorno mi spiegherai perché i tre
cani leggendari sono venuti
qui, nella regione di Kanto. So che erano qui per te. Forse sei troppo
forte
anche per loro?”
“Vai
al
diavolo!” urlò Luisa, infuriata.
Rosso
assentì
col capo. Era bello come il peccato e come il peccato pericoloso.
“Ci
rivedremo
presto” disse prima di scivolare all’indietro sulla
roccia. Poco dopo, un
Charizardi si levava in volo verso sud-est.
“Va
a
Biancavilla” disse Argento freddamente.
Lance
scosse
il capo. “Va a Isola Cannella.”
“E
tu come lo
sai?”
Lance
alzò le
spalle e chiuse gli occhi. Era stanco. “È
là che va. Anche Blu va là. È per
questo che ci va.”
Luisa
sospirò,
rivedendo nella propria mente il volto triste del capo di Smeraldopoli.
“Per
quanto possano dire di odiarsi, lo sanno tutti che non smetteranno mai
di
cercare di vedersi.”
Nessuno
ebbe
più il coraggio di parlare per qualche secondo.
“Abbiamo
qualche stanza per loro?” chiese infine Lance, riscuotendosi.
“Credo
di sì”
balbettò Lorelei, prestando di nuovo attenzione.
“Allora
dormiranno qui.” Con queste parole, egli fece per rientrare.
“Lance!
Non
abbiamo ancora finito!” gli urlò dietro la ragazza.
“Lorelei,
basta. Non posso dirti quel che è successo e neppure lo
capiresti. Sono stanco
e ho solo voglia di dormire. Andiamo.”
Lance
rientrò
nella Sede e i due lo seguirono, stupiti. Lo seguirono lungo le scale
fino al
quinto piano.
“Qui
ci sono
le camere. Anche i Superquattro dormono qui. Le loro camere sono le
ultime tre
in fondo al corridoio, ma le prime sono tutte vuote.” Spinse
due porte, una di
fianco all’altra. Ai loro occhi apparvero due ampie stanze
quasi identiche,
arredate in bianco. “Potete dormire qui. Non è
molto, ma è tutto ciò che posso
offrirvi.”
“Sono
bellissime” disse Argento.
Lance
sorrise.
“Sono lieto che siano di vostro gradimento. Chiudetevi a
chiave dall’interno
perché nessuno possa darvi fastidio. La mia camera
è all’undicesimo piano, nel
caso aveste bisogno di me.”
Luisa
sospirò.
“Credo che, vista la situazione, dovremo sempre rimanere
insieme.”
“L’ha
detto
anche Mew: siate uniti e sereni nel
futuro.” Ricordò Argento.
Era
la prima
volta che parlavano apertamente di quanto era successo. Si sorrisero,
stanchi e
imbarazzati, prima di salutarsi.
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Capitolo 3 *** Amara inquietudine. ***
Luisa
non
dormiva mai di notte, eppure in quell’occasione era tanto
stanca che dormì a
lungo e si svegliò alle otto e mezza, quasi e tre quarti.
Svegliatosi,
si rivestì e uscì dalla porta della stanza, in
silenzio. Uscì dall’edificio il
più possibile e raggiunse l’Arena delle battaglie.
Restò seduta a ripensare a
Ho-Oh, a Mew, a Mewtwo... e ripensò anche a Rosso e a Blu,
che ormai erano
divisi da troppo tempo, ma che continuavano a cercarsi. Si nascose il
viso tra
le mani e rivide l’inchino dei Pokémon leggendari.
“Ci
pensi
anche tu?”
Sorpresa,
Luisa si voltò e vide Lance: in piedi sulla tribuna
più alta, fissava l’Arena
con occhi persi.
Luisa
sospirò:
“Non riesco a capire, Lance. Perché noi?”
“Ci
ho
riflettuto a lungo, Prescelta Creatura. Io sono il figlio
dell’uomo che ha
creato l’Impero dei Pokémon, tu la Campionessa,
Argento un ladro in fuga dalla
legge…”
“Ma
in
confronto a Ho-Oh” disse Luisa “Non siamo
niente.”
“Niente”
rispose Lance. “O forse no. Chi lo sa? Mewtwo fu creato dagli
umani e Suicune,
Entei e Raikou morirono in un incendio come topi in trappola. Non siamo
così
diversi da loro, Prescelta Creatura.”
Con
un salto
si portò accanto a lei, ma rimase in piedi.
“Certo,
io e
Argento siamo deboli rispetto a te. Perché non Rosso, o Blu,
che sono così
forti? Ma forse loro non sono così speciali, forse non
potrebbero mai più
essere come prima. Allora, ci siamo io e Argento: e siamo quasi come
loro, ma
più vicini a te.”
Calò
il
silenzio, rotto poco dopo da passi che si avvicinavano. Argento li
raggiunse e
sedette accanto a loro, in silenzio.
“Restiamo
qui
a non fare niente?” sbottò dopo qualche secondo.
Luisa
gli
rivolse uno sguardo stanco. “Dove vorresti andare?”
“Non
lo so, da
qualche parte! Torre di Latta, Torre Bruciata, Isole Vorticose, Grotta
Ignota,
Rovine d’Alfa! Andiamo da qualche parte, non importa dove, la
sola cosa che
importa è che sia uno dei luoghi leggendari.”
“Come
volete. Allora…”Lance accese il
Pokégear e consultò la mappa. “Dunque,
consideriamo i luoghi: qui a Kanto, Grotta Ignota è
crollata, è solo un cumulo
di macerie, sappiamo tutti come è andata a finire.”
“Resta
Johto” intervenne Argento.
“A
Rovine d’Alfa non troveremmo nulla: solo Unown e frasi
scritte nella loro
lingua. Torre Bruciata…beh, non è poi molto
meglio di Grotta Ignota. Per quanto
riguarda la Torre di Latta…”
Lasciò
il discorso in sospeso. Nessuno voleva tornarci.
Luisa
sollevò gli occhi al cielo.
“Andiamo
a Biancavilla.”
“Cosa?
Perché là?” protestò
Argento, sorpreso.
Luisa
si voltò e sorrise. “Perché
là vive il professor Oak.”
Raggiunsero
in volo Biancavilla.
Percorsero
in silenzio il cortile del laboratorio del professore, per poi bussare
alla
porta. La voce al citofono chiese chi fosse.
“Sono
Lance” rispose il giovane. “Porto due amici.
Abbiamo bisogno del suo aiuto,
professore.”
Ci
fu
un istante di silenzio, poi furono fatti entrare. Il professor Oak li
attendeva
nel laboratorio. Era felice di rivedere il suo figlioccio. Tese le
braccia:
“Lance, figliolo. Benvenuto. Ah, e ci sei anche tu, Luisa.
Che sorpresa. E
questo bel giovanotto è…”
“Argento.”
“Molto
piacere. Beh, di cosa volevate parlarmi?”
“Ci
dispiace disturbarla, professore.”
“Lance.
Sai che ti voglio bene come se fossi mio figlio.”
Lance
sorrise. Aveva alte conoscenze ed era un uomo furbo, e di ognuna
conservava
l’amicizia e la stima: Oak, Elm, il Maestro, Bill, Mr.
Pokémon…
“Professore,
dobbiamo porle una domanda sui Pokémon leggendari e sulle
leggende che li
riguardano.”
Il
professor Oak li guardò in silenzio. Freddamente, spinse una
porte e fece segno
loro di seguirlo, tramite un lungo corridoio, in un salottino.
C’era
una strana freddezza nei suoi modi. Ma non era infastidito. Stava
ragionando.
Fece loro cenno di sedersi e mise a bollire l’acqua per il
tè. Dava loro le
spalle.
“Professore…”
iniziò Luisa vedendo prolungarsi quel silenzio.
“Lance”
disse infine il professore, senza voltarsi: “Lance, io so che
una persona
educata, diplomatica e calcolatrice come te non visita un amico di
famiglia
solo per porre qualche domanda sui Pokémon
leggendari…qualche domanda cui la
biblioteca della sua famiglia può perfettamente dare
risposta.”
Intimorito
dal professore, Lance chinò lo sguardo. “Stavolta
no, professore. Solo lei può
risponderci.”
“Parlate,
allora.”
Nessuno
aveva il coraggio di prendere la parola. Dopo poco Luisa si
alzò.
“Professore,
sa qualcosa della Prescelta Creatura e di chi è nato per
essere come lei?”
Il
professor Oak fece silenzio. D’un tratto sorrise appena.
“È solo una vecchia
leggenda metropolitana. Dove l’avete letta?”
Luisa
girò gli occhi. “Da qualche parte. L’ho
sentita da qualche parte… alla radio. O
ad Amarantopoli. Non mi ricordo. Ce ne parli, la prego.”
Il
tè
bolliva. Il professore spense il fuoco e lo versò in quattro
tazze.
“Qualcuno
parla di una Prescelta Creatura che esiste in ogni secolo: un giovane,
una
giovane… si parla di una creatura meravigliosa di spoglie
mortali, che muova i
suoi passi tra le vite degli uomini, e di due giovani, che siano come
lei, che
l’affianchino e la proteggano. Pare che questo sia legato in
parte ai Pokémon
leggendari e in parte al mistero degli Unown e a una tavoletta
rinvenuta nelle
rovine che recita… non lo ricordo più.”
Il professore tacque un poco. “Ragazzi,
toglietevi dalla testa queste idee. Sono pericolose.”
I
tre
aggrottarono le sopracciglia.
“Perché,
pericolose?” domandò Argento confuso.
Il
professor Oak distolse lo sguardo da loro.
“Rosso
voleva dimostrare di esserlo.”
Sorpresi,
i ragazzi si guardarono l’un l’altro.
“Non
lo sapevo” confessò Lance.
“Era
un’idea strana, la sua. Aveva sentito questa storia da
qualche parte, non so dove,
non so quando. Si convinse però di essere la Prescelta
Creatura e volle fare di
tutto per dimostrarlo. Sapeva (sa) che per esserlo è
necessario essere
riconosciuti dai Pokémon leggendari. È da allora
che non smette di cercare. E
crede che, diventando il migliore, Ho-Oh lo
riconoscerà.”
Luisa
esitò: “È per questo che lui e
Blu…”
Il
professore scosse la testa. “No. Blu sarebbe stato disposto a
seguirlo in
questo pazzo viaggio. Ma ha ereditato la palestra da Giovanni e Rosso
non può
tollerare tutto questo. “ Sospirò. “Non
so chi di voi creda di essere la
Prescelta Creatura, ma non voglio che finisca come Rosso. Volendo
credere alla
leggenda, per essere a tutti gli effetti la Prescelta Creatura
è necessario che
il consesso dei Pokémon leggendari vi conferisca questo
titolo. Fino a quel
giorno, vi garantisco che sarete ragazzi perfettamente
normali…per quanto
forti.”
“Professore”
disse forte Luisa. “A che scopo eleggere una Prescelta
Creatura?”
Oak
sospirò. “A segnare l’unione tra
Pokémon e umani. Avete altre domande?”
Si
trattennero un poco ancora dal professore, poi uscirono
all’aria aperta.
Passeggiarono un po’ per le strade di Biancavilla. Erano
stanchi.
D’un
tratto, sollevarono lo sguardo e videro Blu volare, a bordo del suo
Pidgeot,
verso Isola Cannella. Lo guardarono tristemente.
“Quand’è
che smetterà di cercarlo?” chiese Luisa scrutando
il cielo.
“Quando
Rosso smetterà di cercare Ho-Oh per dimostrare di essere chi
non è.”
“Lui
non sa di non esserlo” disse Luisa con un sospiro.
Continuarono
a camminare. Erano confusi.
“Andiamo
a Rovine d’Alfa” disse allora Lance, illuminandosi.
Presero
il volo verso Johto. Raggiunsero le Rovine. Scesi nell’ampio
salone, si
accostarono al muro. Ripetuta all’infinito, tutta la parete
era ornata dalla
stessa parola: “Vehmarf.”
“Chissà
cosa significa” mormorò Argento, perso tra quelle
lettere.
“Chissà
perché l’hanno scritto”
replicò Luisa, sfiorando i simboli. La colpì una
consapevolezza: “L’hanno scritto per i mille e
mille altri prima di me, l’hanno
scritto per i mille e mille ancora dopo di me, l’hanno
scritto per me.”
Sostarono
a lungo davanti a quelle scritte. Erano antiche e sacre. Uscirono dopo
molto
tempo.
Là
fuori, ad aspettarli, c’era Mew.
Due
scienziati, increduli, lo guardavano. Lo guardavano solamente, timorosi
della
sua aura sacra. Mew non se ne avvedeva. I tre si avvicinarono a lui.
“Vi
abbiamo osservati” disse. “Abbiamo ascoltato le
vostre domande. Venite con me,
andremo a cercare le risposte.”
Quando
per la seconda volta toccarono la cima della Torre Latta, ad attenderli
c’era
solo Ho-Oh. Li guardò benevolmente quando si schierarono di
fronte a lui.
“Siete
confusi?” domandò. Annuirono.
“C’era da aspettarselo. Cosa volete
sapere?”
“Perché
noi?”
Ho-Oh
guardò direttamente Luisa. “Prescelta Creatura, tu
e i tuoi predecessori siete
legati dal sangue. In eterno sarete uniti dalla vostra parentela e
dalla vostra
forza e dal vostro coraggio. E tu in particolare, con la tua persona,
Luisa,
aprirai una stirpe che si protrarrà per molti secoli. Ma
questo lo saprai più
tardi.”
“E
noi?” chiese Lance.
Ho-Oh
volse gli occhi su di lui. “I compagni della Prescelta
Creatura sono eletti dal
destino. La scelta è ricaduta sulla vostra forza e sul
vostro valore. Il merito
della vostra scelta ricade unicamente su di voi.”
“Ho-Oh”
disse Argento “Rispondimi. A quale scopo viviamo?”
Quegli
esitò. “Vivete per tenere fede al patto di
coesistenza tra umani e Pokémon, e
per vivere nella loro origine comune: Celebi, il padre della foresta e
signore
dei cieli.”
“E
quindi” intervenne Luisa spazientita “Cosa dobbiamo
fare?”
Ho-Oh
le sorrise. “Continuate a vivere come avete sempre vissuto.
Continuate ad
allenarvi, a diventare sempre più forti. Ciò che
accadrà, accadrà. Presto vi
abituerete a questa nuova condizione. Siate sereni e continuate a
vivere.”
I
tre
giovani si guardarono e si sorrisero.
“Un’ultima
cosa prima che andiamo” disse ancora Luisa. Si
accostò al Pokémon. “Il mio
nemico, Rosso. Guarirà mai?”
Ci
fu
un istante di silenzio. “Solo lui può scegliere se
guarire o no, Prescelta
Creatura. Solo lui può scegliere se salvarsi o meno. Noi non
possiamo salvarlo.
Forse, solo Blu può aiutarlo. Ma non possiamo cambiare le
sue convinzioni.”
“Continuerà
a cercare” disse Lance stancamente.
“Continuerà
a lungo” rispose Ho-Oh. “Non possiamo fare niente
per lui. Andate, adesso. Il
vostro cammino è appena iniziato.”
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Capitolo 4 *** Pace a Miramare. ***
Il
giorno dopo, sul giornale, spiccava una grossa
foto della comparsa di Mew a Rovine d’Alfa. Quattro pagine
erano dedicate alla
sua leggenda e alle teorie di un possibile legame del
Pokémon col mistero degli
Unown.
“Sono
certa che tu c’entri qualcosa, Lance” disse
Lorelei, sbattendo sul tavolo il giornale.
Lance
guardò la foto e spinse via la ragazza.
“Lorelei, io non ho la capacità di attirare i
Pokémon leggendari. Lasciaci
leggere il giornale.”
Chinatosi
sulle pagine assieme ai tre compagni,
lesse dell’avvistamento di Mew alle Rovine d’Alfa.
“Sei
preoccupato, Lance?” chiese Luisa bevendo il
latte.
“Potrebbe
nominare noi” replicò il ragazzo.
“Nella
foto non ci siamo” osservò Argento. “Se
anche ci nominasse, resteremmo solo le allucinazioni di un pazzo
visionario.”
Lance
continuò la lettura: “ ‘…riferiscono
che due ragazzi e una ragazza sono stati condotti via’”
lesse.
“Non
significa niente” disse Luisa. “Io e te siamo
famosi, Lance, eppure non siamo chiamati per nome: probabilmente
nessuno ci ha
riconosciuti.”
“Speriamo”
commentò il ragazzo chiudendo il
giornale.
“Credete
che Mew possa essere cacciato, ora che si
è mostrato in pubblico?” domandò
Argento.
“Immagino
che lo sarà” rispose Luisa. “Ma se in
molti secoli nessuno è riuscito a fargli un graffio, dubito
che qualcuno ci
riuscirà proprio ora. E comunque, le ricerche si
concentrerebbero nella zona
intorno alle Rovine d’Alfa.”
“E
là troveranno solo Unown e scritte minacciose
riguardo a Torri Pokémon” concluse Lance alzandosi.
Luisa
ripensò alla scritta che lei stessa aveva
scoperto. “Vi siete mai chiesti dove potrebbero erigere
questa Torre?” chiese.
Lance
alzò le spalle. “Probabilmente è solo
una
metafora.”
“Non
potrebbero riferirsi a noi?” suggerì Argento
a bassa voce. “A qualcosa che ci riguarda?”
Abbassarono
lo sguardo, incupendosi.
“Ho
paura” ammise infine Luisa. Dai loro occhi
capì che il suo sentimento era condiviso.
“Ho-Oh
ha detto di non preoccuparci, di
comportarci normalmente” fece notare Argento. “Come
possiamo riuscirci? In ogni
cosa vediamo il nostro riflesso e quello della nostra storia.”
Ci
fu un lungo istante di silenzio, durante il
quale ciascuno fissò cupamente l’immagine di Mew
che splendeva dal giornale.
“Stiamo
diventando pazzi” disse infine Luisa,
afferrando il giornale. Ne scorse in fretta le pagine. “Ho
capito coscientemente
chi siamo e perché esistiamo, ma ancora non riesco ad
abituarmi all’idea.
Facciamo qualcosa, qualunque cosa. Torniamo alle Rovine, andiamo a
Torre Bruciata,
alleniamoci per la Lega. Sono stanca di aspettare e non possiamo andare
avanti
così in eterno.”
Lance
chinò lo sguardo sulle proprie mani magre e
nervose. “Hai ragione tu, Luisa. Non possiamo restare fino
alla fine dei nostri
giorni chiusi qui, ad aspettare che succeda qualcosa, qualunque
cosa.”
Erano
stanchi di aspettare. Volevano vedere,
volevano capire.
“Dove
andiamo?” chiese Argento alzandosi. “Sono
pronto. Andiamo dove volete.”
“Allora?”
chiese Lance. “Luisa, a te la scelta.
Dopotutto, sei tu la meravigliosa creatura che muove i suoi passi tra
le
spoglie mortali.”
Luisa
sospirò. “Voglio vedere la Grotta
Ignota.”
Lance
alzò le spalle. “È solo un cumulo di
macerie. Non vale quasi la pena del volo.”
“Andiamo
lo stesso. Là vivevano Mew, Mewtwo, Moltres,
Zapdos, Articuno… sono sicura che non sarebbe un volo sprecato.”
“Andiamo,
Lance” disse Argento. “Dopotutto, anche
se è un cumulo di macerie, resta comunque la Grotta
Ignota.”
Il
ragazzo alzò le spalle e li precedette fuori
dell’edificio, dove presero il volo verso Celestopoli.
“Sei
sicura di volerla vedere?” domandò Lance.
“Non è bella. Sono solo sassi crollati.”
“Smettila,
Lance. Abbiamo altro da fare? È un
posto come un altro. Andiamo.”
Scesero
a Celestopoli. A piedi, percorsero
lentamente il lungo ponte che li separava da Grotta Ignota.
Là
videro una distesa immensa di pietre, di
detriti…qua e là sorgevano cupole più
pesanti.
Luisa
non aveva potuto vedere la Grotta prima del
crollo, ma aveva seguito l’accaduto al telegiornale. Vedere
quella scena di
desolazione l’incupì.
“Era
un posto così
grande…”mormorò.
“Era
bellissima” disse Lance. Guardò in alto.
“Era
alta e nera, una nebbia l’avvolgeva. Emanava
un’aura sacra che le donava una
bellezza infinita. E ora, è crollata.”
“Come
può essere successo?” domandò Argento.
Raccolse una pietra. “Qui vivevano Mew, Mewtwo, ed erano
sacri, tutti lo
sanno…ed è crollata.”
“È
così che è andata” rispose Lance.
“Me lo
ricordo, non ero lontano, ero sulla strada del Tunnelroccioso. Sono
arrivato di
corsa e ho sorvolato la rovina con Dragonite. Era terribile. Era
bellissimo.”
“E…e
li hai visti?” chiese cauto Argento.
Si
raccontava che, dopo il crollo, i Pokémon
leggendari fossero volati via. Lance annuì distrattamente.
“Sì,
credo di sì. Abbiamo visto i lampi: prima
tre, uno rosso, uno giallo e uno bianco. Poi una sfera blu, e infine
una sfera
rosa, l’ultima di tutte, e sono volate via insieme.”
Tacquero.
“E
adesso, è crollata.”
Rimasero
lì, taciturni e silenziosi, a osservare
le rovine della bellissima Grotta.
“Mi
dispiace molto di non aver potuto vederla in
piedi” disse Luisa. Sospirò e spinse via con un
calcio una pietra. “Andiamo
via. Avevi ragione tu, Lance. Non valeva la pena di venire qui. Ci ha
solo resi
più tristi.”
A
passi lenti e stanchi i tre si allontanarono.
Giunti in cima al ponte, si fermarono. Non sapevano dove andare.
“Cosa
vogliamo vedere, adesso?” chiese Argento,
stanco. Si guardarono l’un l’altro.
“Andiamo
a Miramare” suggerì Lance voltandosi.
Luisa
non capì. “Ma là vive solo il nonno di
Bill…”
“È
da lui che andiamo.”
Fu
Argento il primo a capire. “Credi che possa
aiutarci?”
“Il
professor Oak non voleva che parlassimo della
Prescelta Creatura, ma in fin dei conti il Pokéfanatico
potrebbe capire meglio
le nostre curiosità.”
Luisa
alzò le spalle. “Bene, allora. Come vuoi.
Andiamo a trovarlo. Bill mi ha detto che gli fa piacere ricevere
visite.”
Tornarono
sui propri passi e
percorsero la distanza che li divideva dal
Miramare.
Raggiunsero
la casa sulla scogliera. Era piacevole
e accogliente.
Bussarono.
Dalla porta il vecchio chiese chi
fosse. “Siamo Lance, Luisa e un amico, Argento”
rispose Lance, accostandosi
alla porta.
“Lance?
Il figlio di Lawrence? Sei tu?”
“Sono
io” rispose il ragazzo sorridendo. “Può
farci entrare?”
Non
ci fu risposta. Dopo poco, il Pokéfanatico
aprì la porta. Era un vecchio, ma in fondo era giovane.
Sorrise.
“Sei
cresciuto molto, Lance. Sei un uomo, ora.”
“Grazie.”
“E
tu, Luisa. Sei diventata grande da quando ti ho
vista. Sei proprio bella. Come stanno i tuoi
Pokémon?”
“Bene,
signore” rispose Luisa.
“È
importante. E tu, ragazzo…” gli occhi del
vecchio si posarono sul ragazzo. “Argento?”
“Argento,
sì.”
“Bello,
sei. Ma io so chi sei, t’ho visto.”
Argento
arrossì. Il vecchio gli sorrise. “Sei con
uno di loro?”
“Con
me” rispose in fretta Luisa.
“Cosa
volete? Perché siete qui?”
Lance
esitò. “Vogliamo farle alcune domande.”
“Su
quale argomento?”
“La
leggenda della Prescelta Creatura, signore.
Lei ne sa qualcosa?”
Il
vecchio esitò. Rifletté a lungo.
“Credevo
nessuno ne parlasse più. Dove l’avete
sentita?”
“Ad
Amarantopoli, da un vecchio allenatore che
passeggia sempre vicino a Torre Bruciata” rispose Argento in
fretta.
“Capisco.
Volete venire dentro?”
I
tre si accomodarono sul divano, l’uno accanto
all’altra.
“Cosa
volete chiedermi?” chiese il Pokéfanatico
sedendosi di fronte a loro sulla poltrona.
Lance
prese la parola. “Lei sa chi è la Prescelta
Creatura?”
“No”
rispose il vecchio “Non in questo secolo.”
“Mi
chiedevo solo se lei sapeva cos’è.”
“È
un’altra domanda” riprese il vecchio.
“Sì. So cosa
è. Volete che ve lo legga dal libro?”
Si
alzò e, senza attendere risposta, si accostò
alla libreria e prese un libro. Tornò a sedere, lo
aprì sulle ginocchia e
lesse: “ ‘ In ogni secolo
esiste una
creatura meravigliosa che muove i suoi passi tra le spoglie dei
mortali. Due
giovani l’accompagnano, che siano simili a lei e la
sostengano nelle sue
prove…’”
“Non
ci dice niente di nuovo” lo interruppe
bruscamente Argento. Il Pokéfanatico sospirò.
“Mi
dispiace.”
“Ci
scusi” mormorò Lance.
“Ragazzi”
sospirò allora il vecchio. “Il professor
Oak mi ha detto che sareste venuti.”
I
ragazzi si guardarono.
“Signore,
noi non siamo…”iniziò Luisa.
“Chi
è di voi?”
Luisa
esitò. “Co…come?”
“Chi
di voi tre è la Prescelta Creatura?”
I
tre ragazzi si scambiarono uno sguardo. Per la
prima volta, Luisa sentì nella propria mente le parole di
Lance.
“Diglielo.”
“No…”
“Ha
ragione lui, Luisa. Ci possiamo fidare.
Diglielo.”
Lentamente,
Luisa si alzò in piedi. Con occhi
diretti guardò decisa il vecchio.
Il
Pokéfanatico la guardò.
“Avvicinati.”
La
ragazza si avvicinò a lui. seduto, l’uomo la
guardò. Era commosso.
“Lei
ci crede?”
“Sì.
Volevo vederti. Sai…sono contento d’averti
vista prima di morire. E voi…”
“Siamo
i suoi compagni” disse Argento.
Ci
fu un sorriso.
“Ora,
ho visto tutto. Posso morire ora, sapete. Ho
visto i Prescelti. Sono felice di avervi visti.”
Proseguì: “C’era qualcos’altro
che volevate chiedermi.”
Luisa
si voltò a guardare Lance.
“Signore”
disse il ragazzo allontanandosi. “Voi
conoscete Rosso?”
“Lo
conosco.” Il vecchio sollevò le mani.
“So cosa
volete chiedermi. Rosso è pazzo. Lui vuole trovare Ho-Oh e
non smetterà di
cercare finché non sarà riconosciuto come
Prescelta Creatura, o finché non gli
sarà provato che non lo è.”
I
ragazzi s’intristirono. Loro erano ciò che Rosso
avrebbe voluto essere, ciò che lo aveva separato da Blu.
“Non
è giusto” disse Luisa. “Doveva essere
lui.
Lui voleva esserlo, noi no. Perché non lui?”
“Perché
non è forte abbastanza.”
“È DA DUE
GIORNI CHE SENTO RIPETERMI CHE NON È FORTE ABBASTANZA! FORSE
CHE IL MERITO SI
MISURA DALLA POTENZA DEI POKÈMON? IO NON VOLEVO ESSERLO E
LUI VOLEVA, LUI LO
MERITAVA, IO NO!”
“Il
suo sangue non è quello della Prescelta
Creatura, Luisa.”
“NON
È GIUSTO!”
“Forse
non lo è. Ma sono stati i Pokémon
leggendari a scegliere. E noi non abbiamo diritto di
lamentarci.”
“Ma
Rosso ha perso Blu per diventare la Prescelta
Creatura! Non lo diventerà mai e per questo entrambi
moriranno soli, a cercarsi
sulla cima di quel maledetto vulcano! E questo non è
giusto!”
“Luisa.”
Il vecchio le afferrò i polsi e la
costrinse a guardarlo. Fissandola dritto negli occhi, le disse
lentamente: “La
colpa non è tua.”
Luisa
si fermò a guardarlo.
“Rosso
ha fatto una scelta. Nessuno gli ha detto
di farlo, ma lui ha scelto di cercare. Blu ha accettato di vederlo
partire,
poiché non poteva fare niente per fermarlo. Rosso
continuerà a cercare, Luisa,
e nessuna parola può farlo desistere dal suo intento.
Farà ciò che sente di
dover fare. Anche se questo lo farà morire lontano da
Blu.”
“Io
lo odio” disse Luisa “Ma ho compassione di
lui, perché è pazzo. E ho compassione di
Blu.”
“Tutti
ne abbiamo, Luisa. Proprio tutti. Non
angustiarti per lui.”
“Grazie,
signore” disse Lance alzandosi. “Lei ci
è
stato di grande aiuto.”
Il
Pokéfanatico lo guardò tristemente.
“Lance.
Andate a cercare qualcosa sul vostro mistero. Non è
così?”
“Sì,
signore.”
“Non
vi servirà a niente. Non troverete niente che
cambi quello che siete, e ciò che dovete sapere, lo sapete
già. Restate con me
per oggi. Aiutatemi a prendermi cura dei miei Pokémon,
pranzate con me.
Distraetevi, o finirete per impazzire, per diventare come
Rosso.”
Allora
trascorsero là tutto il resto della
giornata, a Miramare. Pranzarono col vecchio e parlarono di tutto, ma
non delle
leggende; trascorsero il pomeriggio in giardino, a giocare coi
Pokémon e a dar
loro da mangiare, e risero e scherzarono per tutto il tempo. Venne la
sera, e
dovettero accomiatarsi.
Tramontava
il sole. Luisa, Argento e Lance erano
fermi, fuori della porta.
“Grazie
di essere venuti. Spero che abbiate
trascorso una bella giornata.”
“È
lei che dobbiamo ringraziare” disse Lance.
“E
di cosa? Sono un povero vecchio.”
“Grazie
di averci salvati” disse Luisa.
“Come
possiamo ringraziarla?” chiese Argento.
“Non
ne avete bisogno.”
“C’è
qualcosa che avrebbe voluto vedere?” chiese
Luisa. “E che non ha visto?”
“Tu
mi hai mostrati i Pokémon che non ho potuto
catturare, Prescelta Creatura. Di un solo Pokémon non ti
chiesi, perché non
avresti potuto mostrarmelo.”
“Che
Pokémon era?”
“Mew.”
“In
tutta la vita, non ha visto solo Mew?” domandò
Lance stupito.
Il
vecchio sospirò e guardò in alto. “Vidi
ogni
Pokémon conosciuto, ragazzi miei. Ogni Pokémon.
Vidi Ho-Oh, Lugia, Suicune,
Entei e Raikou. Avventurandomi a Grotta Ignota, ebbi l’onore
di vedere Mewtwo,
Moltres, Zapdos e Articuno. Solo Mew non ebbi modo di vedere,
perché è troppo
sacro per i miei occhi.”
Luisa,
Argento e Lance si guardarono. Fu un
attimo-
Concentrandosi,
chiamarono.
“Prescelti.”
“Mew.
Hai sentito?”
“Sì.
Eccomi, viaggio per raggiungervi. Attendete.”
“È
stato buono con noi, signore” disse Luisa
prendendogli le mani. “Ci ha strappati dal baratro della
pazzia, ci ha impedito
di dannarci. Ora siamo in pace. Lo dobbiamo a lei.”
“Siamo
suoi debitori. Saremo per sempre al suo
servizio” soggiunse Lance.
“Non
esiti a fare affidamento su di noi” disse
Argento. “Ci ha salvati e noi non lo dimenticheremo
facilmente.”
Il
sole era ormai quasi del tutto oltre la linea
dell’orizzonte. D’un tratto, un’aura
sacra li raggiunse. Voltandosi, videro Mew
stagliarsi contro il mare infuocato.
E
il vecchio tremò quando si avvicinò.
Mew
volò attorno a lui, sfiorandogli il viso con
la punta del muso. Quattro volte gli girò attorno,
bellissimo e sacro come
tutti sanno.
Infine
si fermò dinanzi a lui, sostando in aria.
Non
andava toccato Mew, il vecchio lo sapeva e si
trattenne, pur desiderandolo. Allora fu Mew a toccare lui.
s’infilò sotto le sue
vecchie mani rugose, strappandogli una carezza, e lo guardò
negli occhi per un
istante. Poi volò via, gettandosi sotto il pelo
dell’acqua.
Il
Pokéfanatico rimase fermo,. Incredulo, a
guardare dov’era sparito. Poi si voltò a guardare
i ragazzi.
“È
bellissimo” disse lentamente.
I
tre annuirono.
“È…è
sacro. Come dicono tutti.”
“Ora
l’ha visto” disse Luisa. “È il
nostro dono
per lei. Ma la nostra gratitudine non si esaurisce qui.”
“Grazie”
mormorò il vecchio. Restò a guardare
mentre i Prescelti si allontanavano in volo, verso il sole.
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Capitolo 5 *** Le eredità dei padri. ***
Atterrarono
a Indigo Plateau. Il sole era calato,
pioveva, ma nessuno si preoccupava più, ormai.
Entrati
nella Sede, videro un uomo seduto a un
tavolo. Il mantello, che ancora non si era tolto, era zuppo di pioggia,
i suoi
bei capelli rossi arruffati e bagnati. Sedeva al tavolo col capo tra le
mani,
disperato; ma si alzò bruscamente quando arrivarono,
scansando il mantello.
“Blu!”
“Lance”
esclamò il giovane venendo verso di loro.
“Lance, ho parlato con Lorelei, ha detto…ha detto
che Rosso è stato qui,
l’altro ieri.”
Era
stravolto, tutti lo notarono.
“Sai
dov’è andato? V’ha detto cosa avrebbe
fatto?
Lance, lo sai?”
Il
volto di Lance si mantenne estremamente rigido.
“Ha detto” disse lentamente “Che avrebbe
atteso a Monte Argento il Campione
della Lega, per tutto il tempo necessario.”
Blu
lo guardò a lungo, incredulo e felice.
“Da…davvero?”
“Blu.”
Il tono di Lance era estremamente serio.
“Tu sei un Capopalestra.”
Gli
occhi del giovane si spensero immediatamente.
Chinò lo sguardo. “Sì, io…lo
so.”
“Non
ti è permesso allontanarti durante la Lega,
lo sai.”
“Lance,
non si potrebbe…ti prego…”
“Blu,
devo pregarti di non mettermi in difficoltà.
Sono il Presidente della Lega Pokémon, e devo negarti questo
permesso come lo
negherei a Jasmine di Olivinopoli, a Blaine dell’Isola
Cannella. Perciò ti
prego, non insistere.”
Blu
aveva vergogna di guardarlo in viso. Cogli
occhi bassi, mormorò: “Molto bene.” Poi
scansò il Presidente e fece per uscire.
Lance
si manteneva rigido. Era mortificato. Luisa
gli tirò un braccio, Argento l’altro. Si
guardarono.
“Blu…”
“Sì,
capo?”
“Naturalmente,
nessuno verrebbe a saperlo, forse
neppure io, se tu ti allontanassi durante la notte.”
In
un secondo, Blu era ai piedi di Lance e gli
abbracciava le ginocchia, continuando a ripetere: “Grazie,
Lance, grazie,
grazie!”
I
tre ebbero pietà di lui. Lance lo rialzò. Blu si
ricompose.
“Mi…mi
dispiace, Lance. Perdona la mia irruenza.”
“Non
importa” rispose il giovane. “Abbi maggior
controllo di te, Blu. Piuttosto, per quale motivo eri venuto?”
Blu
sorrise. “Sono venuto per portarti il numero
degli allenatori cui ha conferito la mia medaglia.”
“Cioè?”
Il
Capopalestra estrasse un foglio. “Questi sono i
nomi. Comunque, sono sei in tutto.”
“Solo
sei?” esclamò Luisa.
Blu
alzò le spalle. “Non è semplice
sconfiggermi,
Campionessa.”
“Non
come Sandra, che, pur vantandosi di essere la
migliore, mi ha portato una lista di quarantasei candidati”
disse Lance
distrattamente. “Comunque, non posso farglielo notare. Resta
pur sempre la
nipote del Maestro. Ti ringrazio, Blu. Ho bisogno di questa lista,
domani
apriranno le iscrizioni alla Lega Pokémon.”
“Domani?”
chiese Argento. “Questo significa che
per tutto l’Altopiano Blu inizieranno a circolare
allenatori?”
“Precisamente”
replicò Lance. “Quanti supereranno
l’ultimo ostacolo, cioè la Via Vittoria, avranno
diritto a sfidare la Lega
Pokémon.”
“E
dunque” disse Luisa “Anch’io
combatterò?”
“Certamente”
rispose Lance. “Non deluderci, Luisa.
La donna che ha sconfitto Suicune non può lasciarsi
sconfiggere da un branco di
mocciosi.”
“Suicune”
ripeté Blu. “Lance, è vero quanto mi ha
raccontato Lorelei? Che i Pokémon leggendari sono giunti fin
qui e che al
vostro arrivo si sono inchinati davanti a voi?”
“È
così” rispose Luisa. “Ma a te cosa
importa?”
Blu
si voltò a guardarla. “Rosso sta dedicando la
sua vita a farsi riconoscere come Prescelta Creatura, Luisa.”
“Non
possiamo farci nulla.”
“Ma
voi…”Blu si stava infervorando. Tacque per non
doversene pentire. “Grazie, Lance. Arrivederci.”
Si
voltò e uscì dignitosamente
dall’edificio. I
tre cominciarono a salire le scale.
A
un tratto, al quarto piano, Luisa guardò giù da
una finestra e vide il Capopalestra fermo sulla cima di Via Vittoria.
Spalancò
la finestra e si sporse.
“BLU!”
Il
ragazzo si voltò a guardarla.
“Blu,
solo tu puoi salvarlo! Solo tu, hai capito?”
Il
vento le portò una risata. Un istante dopo, Blu
correva giù per la Via. Ma Luisa seppe che aveva capito e
che stava piangendo.
Il
mattino dopo, Luisa venne svegliata da un
grido. Si mise seduta sul lettone bianco accanto alla finestra e
tirò la tenda.
Fuori
si stendeva una lunga fila di allenatori.
“O
mio Dio” mormorò Luisa guardando in basso.
Spalancò la finestra e si sporse per vedere Lance in tenuta
da Superquattro
camminare con passo marziale. Molto allenatori, per lo più
ragazze, si
sporgevano per chiedergli l’autografo. Lance firmava senza
sorridere.
“È una star molto seria” disse
Argento nella
sua mente. Anche lui era sveglio. “Anche
se è stato sconfitto, poi, resta pur sempre
l’idolo delle folle, eh?”
“Cerca di
ricordare loro che non sono qui per una scampagnata, che è
il momento più
importante della loro vita.”
“Scendiamo?”
“D’accordo.
Voglio assistere al discorso.”
Luis
si vestì e si pettinò in fretta e uscì
dalla
sua camera. Argento l’aspettava fuori. Scesero e uscirono
dalla Sede per una
porta secondaria. Si misero distanti dagli allenatori per poter
ascoltare il
discorso di Lance.
Il
giovane li vide e li salutò con un cenno altero
del capo, prima di porsi in piedi sulla piattaforma rialzata posta per
lui
davanti all’edificio.
“Signori
allenatori” gridò, e la sua voce sola fu
sufficiente a far calare il silenzio. “Sono Lance, Presidente
della Lega
Pokémon e Capo dei Superquattro. Desidero darvi il benvenuto
all’Altopiano Blu
e augurarvi buona fortuna.” Tacque un istante e i suoi occhi
girarono sulla
folla. “Voi state per sfidare la Lega
Pokémon.”
“Non
è un gioco. Non è un posto per bambini.
È
probabilmente l’ostacolo più imponente sul vostro
percorso. Alcuni di voi
vengono da Kanto, altri da Johto; tutti voi avete compiuto un lungo
viaggio per
giungere fin qui e questo vi rende meritevoli di lode. Ma questa
è solo la
prima tappa del vostro viaggio. La vita vera inizia qui.”
E con un gesto indicò l’alto edificio alle proprie
spalle.
“Dopo la Lega voi proseguirete il vostro viaggio.
Attraverserete altre regioni,
catturerete nuovi Pokémon, diventerete più
forti.” Sospirò. “Da
quest’anno,
come saprete, io combatterò solo in qualità di
Superquattro, poiché l’anno
scorso una donna ha sconfitto la Lega Pokémon nella mia
persona. E quindi,
ammesso e non concesso che voi riusciate a sconfiggere me, voi dovrete
sconfiggere la nuova Campionessa, Luisa, a oggi considerata la
più forte
allenatrice del mondo. Lasciate però che vi ricordi una
cosa.”
Lo
sguardo di tutti si fece più attento. “Luisa
non era la più forte allenatrice del mondo, quando sconfisse
me. Il vostro
destino non è nelle mie mani, o in quelle dei Superquattro,
o in quelle di
Luisa. A partire da oggi, il vostro destino si decide qui.”
Si
voltò un istante verso l’edificio. I
Superquattro, alle sue spalle, erano alteri e silenziosi. Bruno gli
passò
un’alta clessidra. Con uno sforzo, Lance lo capovolse.
“Si
dia inizio alla Lega Pokémon.”
E
la clessidra cominciò a scorrere.
La
fila avanzava lentamente per le iscrizioni. Gli
uomini che raccoglievano le domande controllavano per
l’ennesima volta le
medaglie degli allenatori, le liste portate dai vari Capipalestra, i
Pokémon
con i quali si intendeva partecipare. Lance passeggiava tra gli
sfidanti, serio
e dignitoso, in silenzio.
“Lance!”
lo chiamò Luisa avvicinandosi con
Argento. Il ragazzo si voltò a guardarli e sorrise.
“Avete
seguito il mio discorso?”
“Commovente”
rispose Argento. “Credo però di aver
colto un’allusione al fatto che il destino di molti si decide
qui.”
Luisa
rise. “È stato così per noi, dopotutto:
qui
ti ho salvato, qui ho conosciuto Lance, qui abbiamo
incontrato…beh, il capo,
qui Rosso e Blu hanno sfidato Lance…forse che
l’Altopiano Blu non è il centro
del mondo?”
I
tre risero appena. Attorno a loro, giovani
allenatori passavano, eccitati nel loro nuovo costume di sfidanti della
Lega.
“Sapete”
disse Argento dopo un po’. “È la prima
volta che ci svegliamo senza provare il desiderio di andare da qualche
parte a
scoprire il nostro passato.”
“Non
è fantastico?” chiese Luisa. “Siamo
liberi,
adesso.”
Lance
sorrise appena. “Siamo salvi. Il
Pokéfanatico ci ha salvato.”
“Devi
star qui tutto il giorno, Lance?” chiese
Argento. La sua anima era impaziente e reclamava libertà.
Lance
guardò la folla di allenatori. “No. Tra poco
mi accerterò che le operazioni di iscrizione procedano per
il meglio e che la
consegna d’acqua agli allenatori funzioni come necessario.
Per quanto riguarda
il resto della giornata, preferisco allontanarmi. Non è
conveniente che mi
mostri troppo prima di una Lega. Andate a fare colazione, quando avrete
finito
andremo da qualche parte ad allenarci.”
Luisa
e Argento rientrarono, quindi, e fecero
colazione. Essendo ospiti di Lance, non mangiavano né
tantomeno risiedevano ai
piani degli allenatori, cioè il secondo e il terzo, che
ospitavano le camere,
la mensa e il salotto comune, ma avevano accesso ai piani riservati,
cioè dal
quinto in su. Andarono quindi a fare colazione nella sala da pranzo
privata,
quella dove solitamente mangiavano i Superquattro.
Lance
li raggiunse dopo circa una mezz’ora, quando
stavano riponendo le tazze nel lavello.
“Volete
andare da qualche parte ad allenarci?”
domandò. “O preferite forse andare da qualche
altra parte, per esempio ad
Azzurropoli a divertirci?”
“Perché
no?” rispose Luisa, un attimo prima che il
suo Pokégear suonasse. Rispose e sullo schermo comparve il
volto del Professor
Elm.
“Professore!
Buongiorno. Perché mi chiama?”
“Buongiorno
a te, Luisa. Chiamo in merito a una
telefonata del professor Oak.” Il volto del professore era
molto serio. “Luisa,
mi ha parlato delle vostre domande sulla leggenda della Prescelta
Creatura.
Lascia perdere, hai capito? Sono solo storie. Solo storie, hai
capito?”
Luisa
sospirò. “Certo, professore. Solo
storie.”
“Dammi
retta, Luisa! Non voglio vederti girare
come una pazza per il continente sfidando chiunque per ottenere il
consenso di
Ho-Oh, d’accordo?”
“Certo,
professore. Come desidera.”
“Mi
ha detto che hai due compagni, e che uno è
Lance dei Superquattro. Cosa state combinando,
Luisa’”
“Non
si preoccupi, professore. Abbiamo smesso di
credere a quella storia. Abbia cura dei miei Pokémon,
però.”
“No,
Luisa, è una cosa seria. Smettetela, va bene?
E ho saputo dei tre allenatori e di Mew a Rovine d’Alfa.
C’entrate qualcosa?
Ditemelo.”
“No,
professore. Deve credermi. Lasci che vada,
ora. Non si preoccupi per noi. Stiamo bene, ora. Stiamo andando a fare
shopping
ad Azzurropoli. Arrivederci.”
L’uomo
non era convinto, e tuttavia permise che
andasse. Luisa chiuse la chiamata e si voltò verso i suoi
compagni.
E
tutti e tre scoppiarono a ridere, come non
accadeva da troppo giorni.
Era
bello essere di nuovo liberi e leggeri, dopo
quei giorni trascorsi nell’ansia e nella confusione, a
cercare. Era bello poter
passeggiare per Azzurropoli, come tutti i ragazzi fanno. Ma era
diverso, ora.
Erano più completi. Si erano ritrovati. La Prescelta
Creatura e i suoi compagni
erano uniti, come Mew aveva raccomandato che fossero.
Trascorsero
la mattinata intera al Centro
Commerciale, facendo acquisti e scherzando e divertendosi. Comprarono
mille
cose. Quando giunse mezzogiorno, pranzarono all’ultimo piano
del Centro,
divorando tre giganteschi cheese burger dall’aspetto poco
sano e dal sapore
delizioso. E si sentirono i colpa per aver mangiato qualcosa di
così poco sano
e le patatine fritte. Ma si divertivano troppo per pensarci
più di quanto fosse
consigliabile. Nel pomeriggio lasciarono i negozi e passeggiarono a
lungo per
le vie meno trafficate della città.
“Non
pensavo che ci saremmo ancora divertiti così
tanto, sapete” confessò Luisa, camminando.
“Credevo che sarebbe cambiato tutto,
dopo averlo scoperto.”
“Forse
è davvero quel che dobbiamo fare”
suggerì
Argento.
“Fare
come se nulla fosse?” domandò Lance. Il bel
giovane scosse il capo.
“No.
Non dobbiamo comportarci come se non fosse
accaduto nulla. Dobbiamo solo fare quel che vogliamo: giocare se
vogliamo
giocare, combattere se vogliamo combattere. Questo, restando
consapevoli di
essere chi siamo: e allora sono sicuro che tutto andrà
bene.”
Trovarono
che le sue parole fossero giuste.
Mangiarono un gelato e presero il volo per concludere quella giornata.
Sorvolarono
il mare, percorsero la linea della
costa. Giunsero in vista di Isola Cannella. Sulla cima del vulcano
videro una
figura solitaria. Si fermarono a guardarla da lontano, fermi a
mezz’aria.
“È…”iniziò
Argento.
Lance
annuì. “È Rosso.”
“Aspetta
che venga Blu” spiegò Luisa.
“Per
scappare quando sarà troppo vicino. Ma gli è
sufficiente vederlo.”
“Gli
basta vederlo” ripeté Argento. “Ma da
quanti
anni vanno avanti così?”
Ci
fu silenzio per un istante. “Troppi” disse
infine Luisa.
Lance
scosse il capo. “Andiamo via” disse. “Blu
potrebbe sempre arrivare. Lasciamoli soli.”
Si
sollevarono in volo più alto e proseguirono
verso sud per poi tornare a nord, girando con un’ampia curva.
Si abbassarono e
sfiorarono l’acqua, sollevando mille spruzzi.
“Ci
siamo divertiti oggi” disse Luisa.
“È
stato molto divertente” riconobbe Lance.
“Sono
felice che ci siamo ritrovati” disse
Argento. “Adesso sembra tutto molto più
vero.”
Raggiunsero
nuovamente l’Altopiano Blu. Entrati,
trovarono l’ingresso pieno di allenatori.
L’infermiera Joy aveva un gran
daffare ad accontentare tutti.
“Che
caos” mormorò Lance.
“Sarà
così finché non finirà la
Lega?” domandò
Argento, preoccupato.
“Temo
di sì” confermò il ragazzo desolato.
Vergognosa, una ragazza venne a chiedergli l’autografo. Lance
glielo firmò
senza sorridere.
“Che
confusione c’è stasera”
mormorò Luisa,
vedendo allontanarsi la ragazza felice. “Anch’io
ero così un anno fa, Lance?”
“No”
replicò lui. “Non mi chiedesti
l’autografo.
Andiamo nella mia camera. È all’undicesimo piano,
là non giungerà questo
frastuono.”
Salirono
le scale fino al penultimo piano, quindi.
Lance aprì la porta con una tessera metallizzata ed
eseguì un controllo delle
impronte digitali.
“È
per la sicurezza” spiegò. “È
un po’ esagerato
per salire in camera mia, ma del resto, resto pur sempre il Presidente
della
Lega Pokémon.”
La
porta si aprì con uno scatto secco e ai loro
occhi apparve d’un tratto una stanza immensa.
Era
una sala ampia e luminosa, biancoarredata come
le loro, ma più luminosa ancora, poiché grandi
finestre riempivano in un dolce
susseguirsi due intere pareti, rese più simili a vetrate che
a semplici mura, ma
vetrate lucenti e fantastiche, abbellite da leggiadre tende argentate
che
parevano fluenti e ondeggianti come acqua. E poi libri, fiori, mobili e
soprammobili e computer, televisore, tavoli, sedie, poltrone e poi un
enorme
letto rotondo che fin da lontano pareva emanare una fragranza
dolcissima di
lenzuola fresche e stirate…
“È
immensa” disse Argento in un soffio, ammirato.
Lance
sorrise. “Occupa quasi tutto questo piano”
spiegò “Insieme al bagno, naturalmente.”
“È…è
pazzesco” balbettò Luisa incredula, guardandosi
intorno.
Entrarono.
Lance li fece accomodare su ampi divani
bianchi e morbidissimi.
“Non
faccio mai entrare nessuno qui” spiegò.
“Non
mi va che la gente entri qui.”
“E
perché ci hai portati qua?” chiese Luisa,
mentre Lance, aprendo un piccolo frigo a parete, ne estraeva alcune
bottigliette di gassosa.
Il
giovane sospirò.
“Questa
stanza è un regalo” disse senza guardarli.
“Mio padre la fece costruire per me, la fece arredare per me.
Era il suo regalo
per me. Ogni cosa che vedete è stata fatta da mio padre per
la mia felicità. Pe
questo non amo portare conoscenti e amici qui. I Superquattro non
l’hanno quasi
mai vista, meno di una decina di volte da quando ci conosciamo, e solo
per
brevi visite. Voi capite, questa stanza è per me il segno
più importante
dell’eredità di mio padre.”
La
mano che reggeva le bottiglie tremò. Lance
chinò gli occhi.
“Noi
siamo i Prescelti. Saremo uniti per il resto
della nostra vita. Oggi dopo tanto tempo mi sono sentito
felice…perché ci siamo
ritrovati. E allora ho capito che è da troppo tempo che
siamo divisi, e che non
voglio esserlo oltre.”
Calò
il silenzio sulla bella stanza bianca.
Lontano, tramontava il sole.
“Questo
ti ha lasciato tuo padre, Lance” mormorò
Argento. Arrossì. “Perdonami se ti invidio, sai,
perdonami. So che non dovrei.
Devo chiederti scusa.”
Entrambi
lo guardarono. Argento chinò il capo
sulle proprie ginocchia.
“Cosa
ti ha lasciato tuo padre?” chiese Luisa,
allontanando gli occhi da lui.
Argento
tacque un istante. Poi si alzò in piedi e
lasciò cadere a terra la propria giacca nera. Si tolse la
maglietta e mostrò
loro la schiena.
Sul
bianco folgorante della sua schiena,
campeggiavano cicatrici irregolari e rosse.
“Ecco,
solo questo. Perdona la mia invidia, Lance:
non ne ho il diritto e lo so bene. Non desidero compassione. Ma voi
l’avete
chiesto.”
Colpita,
Luisa allungò la mano e sfiorò con le
dita quei segni rossi.
“Lui
ti ha fatto questo?” domandò.
“È
la più delicata delle cose che mi ha fatto”
rispose Argento allontanandosi. “Comunque sì,
è stato lui.”
Lance
emise un flebile sospiro. “Nessuno gli ha fatto
nulla?”
Argento
sorrise. “È scappato dopo aver ucciso mia
madre.”
“Non
posso crederci.”
“Oh,
sì, credici, Luisa. Avevo nove anni e me lo
ricordo. Davvero, me lo ricordo.”
Luisa
non riusciva a guardarlo negli occhi. “Ma
perché?”
“Non
lo so perché!” urlò Argento.
“Non lo so,
questo non me lo ricordo, mi ricordo che l’ha fatto, va bene?
Ma perché non me
lo ricordo!”
D’un
tratto cadde sul divano.
“Mi
dispiace. Perdonatemi. Non volevo.”
Luisa
e Lance si guardarono per qualche istante. Allora
Lance sedette sul divano di fronte a loro.
“Argento.
Argento, guardami. Non hai nulla da
farti perdonare. Ora basta, è finita. Ora siamo di nuovo
insieme. Siamo tre
pezzi di anima ricongiunti, è tutto a posto. Non sei
più solo, ora.”
Ma
Argento non li guardava.
“Sono
dispiaciuto, io non desideravo dirvi questo.
Io non volevo che voi vi dispiaceste. Non volevo che aveste
pietà di me. Sono desolato
per quanto è successo.”
“Argento”
disse lentamente. “Non aver paura. Siamo
qui, adesso, siamo tutti qui. Ci siamo ritrovati, capisci? Non sei
più solo,
adesso, perché siamo qui, accanto a te. Hai capito
ora?”
“Argento”
ripeté Lance, con voce bassa e musicale.
“Guardami.”
Stancamente,
Argento sollevò lo sguardo dal
divano. Vergognoso, puntò due occhi, che erano verdi e
intensi e pieni di
dolore, in quelli grigi del giovane.
“Hai
paura?” chiese Lance piano.
“Ora
non più.”
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Capitolo 6 *** La Sala d'Onore. ***
Venne
il giorno della finale della Lega Pokémon.
Un
ragazzo aveva raggiunto i Superquattro.
Uno
dopo l’altro, Lorelei, Bruno e Agata caddero
sconfitti. Uno dopo l’altro, i Superquattro rientrarono nel
sottopassaggio.
Fu
indetta un’ora di pausa perché il ragazzo
potesse riposarsi.
Luisa,
Argento e Lance erano seduti l’uno vicino
all’altro sul palco d’onore, rigidi e alteri, ma
felici di essere insieme.
“Va’
a prepararti” suggerì Argento dopo quaranta
minuti. Lance assentì col capo e si alzò per
scendere dal palco. Si fermò sulla
cima della scaletta.
“Luisa…”iniziò.
“Ho visto combattere quel ragazzo.
Non raggiunge il mio livello, quindi sarò io a vincere.
Stasera, combatterò con
te. Sappi che nell’Arena non saremo i Prescelti.”
“Io
sarò la Campionessa e tu sarai il mio
avversario” rispose Luisa, senza voltarsi a guardarlo.
“Siamo
intesi, allora” disse Lance cominciando a
scendere.
“Lance…”
chiamò ancora la ragazza. Lance si voltò
a guardarla. “Lance, in bocca al lupo.”
Il
ragazzo sorrise. “Crepi” rispose, scendendo di
corsa i gradini.
Suonò
l’ora. Il giovane fece il suo ingresso in
campo.
Luminoso
nel suo abito da Superquattro, Lance
entrò a propria volta. Alla sua vista si scatenò
un coro di applausi. Lance non
guardò il pubblico, limitandosi ad accennare segni di
ringraziamento con le
mani.
“Può
non essere il migliore” sussurrò Argento.
“Vuoi negare che la sua sia una figura incredibile?”
Lo
era, lo era realmente. L’estrema e artificiosa
eleganza del suoi gesti richiamava gli sguardi affascinati del
pubblico. Era
bellissimo e bellissimo era il suo combattimento.
Il
ragazzo s’impegnava. Davvero, si impegnava, e
nel suo volto Luisa rivide se stessa.
“Non
è abbastanza” disse a bassa voce.
Argento
scosse la testa. “No. Non lo è.”
Non
lo fu. D’un tratto, egli perse la pazienza e
il suo Venusaur cedette sotto i colpi incessanti del Dragonite di Lance.
Ma
Lance non sorrise alla vittoria. Strinse
freddamente la mano all’allenatore, ma brevemente e senza
entusiasmo. S’inchinò
al pubblico, con l’eleganza e l’orgoglio di un vero
campione, e lasciò l’Arena.
Risalì
i gradini che lo portarono al palco
d’onore. Sulla scala incontrò Lorelei.
“A
volte mi domando” disse lentamente la ragazza
“perché combattiamo.”
Lance
esitò. “Perché?”
“Non
parlo di te, che sei forte. No, no, non parlo
di te. Parlo di me, di Agata, di Bruno. Combattiamo per te, ma tu sei
più
forte. Allora perché tu vuoi che combattiamo per
te?”
Lorelei
era seduta su uno scalino, senza far caso
al bel tailleur blu che si sgualciva un pochino. Guardava in basso da
dietro
gli occhiali.
“Non
chiederti perché combatti, Lorelei” disse
Lance stancamente. “Non impazzire chiedendotelo.”
Riprese
a salire i gradini. Dalle sue spalle
giunse la voce di Lorelei che diceva: “Forse combatto
perché non saprei
cos’altro fare.”
“È
già un ottimo motivo” osservò il
ragazzo
continuando a salire.
Raggiunse
il palco. Luisa e Argento lo guardavano.
“Sei
stato bravo” disse solamente la ragazza.
Lance
assentì col capo. “Grazie.”
“Quanto
era forte?” chiese Argento.
“Abbastanza
per giungere fin qui. Abbastanza per
sconfiggere i Superquattro.”
“Troppo
poco” disse Luisa voltandosi per dargli le
spalle.
“Troppo
poco” convenne Lance. “Combatteremo
stasera, Prescelta Creatura.”
Combatterono
con il buio, nell’Arena illuminata a
giorno.
Lance,
con tutte le proprie forze, fino allo
stremo.
Luisa,
con grazie e leggerezza, distrazione.
“Dragonite,
Ira di Drago!”
“Typhlosion,
Lanciafiamme!”
Era
semplice per la Prescelta Creatura. L’incontro
durò pochi minuti.
Proclamata
per la seconda volta Campionessa, Luisa
non sorrise né ringraziò il pubblico.
guardò direttamente negli occhi Blu, che
sedeva pallido tra i Capipalestra, e con le labbra sillabò:
stanotte.
Ed
eseguì un inchino prima di dileguarsi.
Assieme
a Lance, raggiunti da Argento, scivolarono
nel sottopassaggio che li avrebbe condotti nella Sala d’Onore.
“Sei
stata bravissima” disse Lance mentre
correvano le buio.
“E
tu, Lance? Un pezzo di bravura.”
“Bravissimi
entrambi” esclamò Argento ridendo.
“Finalmente è finita!”
“Quando
andrai da Rosso, Luisa?”
La
ragazza sospirò, mentre in fretta percorrevano
i gradini. “Ho fatto segno a Blu che ha tempo per stanotte.
Darò a Rosso un
giorno intero per piangerci su. Domani notte andrò a Monte
Argento.”
“Veniamo
con te” disse Argento. Luisa sorrise.
“Grazie.”
Entrarono
nella Sala d’Onore. Pur essendo quasi
perennemente chiusa, era sempre mantenuta illuminata.
“Dopo
una Lega è sempre più bella”
osservò Luisa.
Ripensava all’ultima occasione nella quale l’aveva
vista.
Lance
sorrise. “È sempre bella.”
Si
accostò alla piattaforma computerizzata e
iniziò a lavorare. Luisa si sfilò la cintura e
gliela passò. Lance dispose i
suoi Pokémon al loro posto. Dopo pochi istanti, il volto
della ragazza comparve
sullo schermo.
“Salute,
Nuovo Campione!” gridò Lance e rise.
“È
stata dura” disse Argento. “Ora però
dobbiamo
festeggiare!”
“Ce
lo meritiamo” constatò Lance.
Si
accostò al lato opposto della piattaforma e
chinandosi premette un pulsante. Un momento dopo, nell’aria
si udì uno scatto
secco. Luisa si guardò attorno. “Lance?
Cos’è?”
“Guardate.”
Con
un sibilo, le pareti cominciarono ad
abbassarsi lentamente, rientrando nel pavimento. In capo a un minuto, a
sostenere il tetto erano solo le colonne portanti della Sala.
“È…
è bellissimo” osservò la ragazza
guardandosi
attorno incredula.
“Si
vede tutta Kanto!” esclamò Argento,
avvicinandosi.
“Quasi”
ammise Lance. “La visuale copre molte
miglia. Di giorno si vede fino a Zafferanopoli, se è nitido
più oltre ancora.
Ora si vede fino a Smeraldopoli e Celestopoli…Miramare, se
guardate bene.”
“Il
vecchio” mormorò Argento.
“Chissà se può
vederci.”
Si
accostarono al lato orientale della Sede. Guardarono
a lungo verso Celestopoli.
D’un
tratto, vedendo nella luce un punto
discordante, Luisa si voltò. Si precipitò a
vedere una creatura, avvolta in un
mantello scuro, correre giù lungo la Via Vittoria.
S’intristì a guardare, ma si
costrinse a distogliere lo sguardo.
“Cosa
facciamo ora?” chiese. “Passiamo la notte
qui a guardare le stelle?”
Ci
fu silenzio per un attimo.
“Andiamo
dai nostri amici” propose Argento.
“I
nostri amici?” ripeté Lance confuso. Argento rise
e corse a indicare l’ovest.
“I
nostri amici, là.”
“”
|
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Capitolo 7 *** Morire, alla fine. ***
Era
freddo. Blu aveva freddo.
Aveva
freddo mentre, stancamente, si trascinava su
lungo le ripide pareti del Monte Argento.
Le
sue mani tremavano forte mentre saliva,
aggrappandosi alle rocce, un passo dietro l’altro. A un
tratto scivolò e si
fermò dieci passi più in basso, nella terra.
Appoggiò la fronte sul terreno
roccioso e cominciò a piangere.
“Rosso…”
Ma
le parole di Luisa parevano cantare nella sua
testa: solo tu puoi salvarlo.
Solo
lui poteva. E quella frase non dava tregua
alla sua mente.
Come
una melodia ossessionante.
Si
rimise in piedi, barcollando. Colle dita
tremanti si aggrappò alle rocce e ricominciò a
salire. E inciampò, e ricadde, e
ricominciò a salire.
E
ancora, e ancora. E ancora, finché non fu in
cima al Monte Argento. E Rosso era lì.
Bellissimo
ai suoi occhi e a quelli degli altri,
freddo come il ghiaccio per ogni mortale, tranne che per lui.
Era
seduto sulle rocce all’interno della grotta,
intento a riposare, forse. O a piangere, se solo le creature come lui
piangessero.
Blu
si mise in piedi al centro della grotta,
guardandolo.
“Rosso…”
“Chi
c’è?”
Con
uno scatto secco, l’allenatore si voltò e lo
vide.
I
suoi occhi si fecero più grandi. Si alzò,
continuando
a guardare Blu. Si avvicinò a lui. Poi, rendendosi conto
delle proprie azioni,
si fermò di scatto.
“Cosa
ci fai qui?”
“Sono
venuto a cercarti…” mormorò Blu. Come
un
automa avanzò verso di lui, ma a quel gesto Rosso fece un
passo indietro.
“No.”
Blu
esitò, per la prima volta incerto. “Come,
no?”
“Blu…vattene
via.”
Fu
allora che Blu perse la pazienza. In poche
falcate lo raggiunse e lo afferrò, costringendolo a
guardarlo negli occhi.
“Guardami!”
“Vattene
via!” gridò Rosso, e con una spinta delle
braccia lo allontanò da sé. Ma non era odio il
suo, era paura.
Blu
arretrò di vari passi e barcollò, ma non
cadde.
“No!”
“Per
amor di Dio, Blu, lasciami in pace!”
A
quelle parole entrambi esitarono.
“Hai
smesso di amarmi?” chiese il Capopalestra a
bassa voce.
“No.”
“Non
dirlo se non è vero.”
“No,
non…non potrei mai.”
Era
vero. Blu lo capì e chinò gli occhi.
“Non
vuoi…non vorresti tornare?”
Rosso
allontanò lo sguardo. “Non posso, lo
sai.”
“Puoi,
ma non vuoi farlo.”
Non
vi fu risposta.
“E
questo lo chiami amore? È questo per te
l’amore?”
“Blu,
ti prego…”
“No.
Sono troppi anni che non vuoi ascoltarmi,
Rosso. Io sono stanco.”
“Devo
diventare il migliore, Blu” disse Rosso
stancamente. “Perché quando sarò il
migliore, Ho-Oh mi riconoscerà.”
“Vuoi
che l’ammazzi?” chiese Blu dopo qualche
secondo. Rosso si voltò a guardarlo.
“Cosa…?”
“Vuoi
che l’ammazzi?” ripeté il giovane
seriamente. “Solo Luisa è più forte di
te. Allora, vuoi che l’ammazzi? Così
sarai il più forte e Ho-Oh ti riconoscerà.
Tornerai da me, allora?”
“Blu…non
è così semplice.”
“No.
Non lo è” disse Blu avvicinandosi. Si
fermò
davanti a lui. “Non lo è, non lo sarà
mai. Perché non è solo Ho-Oh che insegui,
Rosso.”
Tristemente,
l’allenatore chinò gli occhi e non
rispose. Blu l’osservò in silenzio.
“Io
t’avrei seguito, lo sai…”
“Lo
so.”
“Ma
non è per la palestra che sono rimasto. Tu non
vuoi legami, Rosso. Mi ami alla follia, ma io sono ciò che
t’impedisce di
realizzare il tuo sogno. E allora, devo restare a casa, ad aspettarti.
Ma tu mi
ami e non puoi fare a meno di vedermi.”
Finalmente
Rosso lo guardò. Gli cinse la vita con
un braccio e lo attirò a sé, baciandolo. Blu
ricambiò prima di capire.
“Lasciami”
disse cacciandolo da sé. “Non baciarmi
per illudermi.”
“Concedimi
un po’ di tempo, Blu” sussurrò
l’allenatore. “Poco tempo. Meno di un
anno… alla prossima Lega, sarò diventato
il migliore. E allora, tornerò da te.”
“No”
rispose Blu. “Non puoi farlo. Non ne sei
capace.”
“Posso
farlo…”
“Dimostramelo!”
gridò Blu e si staccò da lui
seccamente. “Io so chi sei, Rosso. Ti conosco da anni. Non
sei capace. Forse
puoi diventare il migliore, ma ti conosco, Rosso…non
tornerai da me.”
“Te
lo giuro, Blu” esclamò Rosso. Lo
afferrò per
le spalle e lo scosse. “Te lo giuro, dammi un anno. Un solo
anno. E uscito
dalla Sala d’Onore, tornerò da te.”
Blu
lo scrutò in silenzio. Poi, allontanando
quelle braccia da sé, si scostò di qualche passo.
Restò distante a guardarlo,
una mano sulla fronte, in silenzio
“E
se Luisa vince?”
“Co…come?”
“E
se non sconfiggi la Lega? Se non diventi il più
forte? Tornerai da me? Lo farai comunque?”
“Io
vincerò la Lega, Blu.”
“NON
VOGLIO SAPERE SE VINCERAI LA LEGA!” urlò Blu.
“IO VOGLIO SAPERE SE TORNERAI A BIANCAVILLA!”
Stava
piangendo. Blu piangeva perché sapeva che
Rosso non sarebbe stato capace di tornare da lui.
“Ti
prego, Blu, per favore…”
“No!”
singhiozzò Blu e con un gesto lo cacciò da
sé, impedendogli di avvicinarsi. “Io non posso
tollerarlo, Rosso, non posso… tu
tornerai, Rosso, forse lo farai, ma non saresti capace di
restare.”
“Ascolta…”
“No,
Rosso. Non è così. Non potresti rimanere al
mio fianco. Perché vorresti andare via, lontano,
perché non saresti mai felice.
Perché non capiresti come mai Ho-Oh non è venuto
da te…”
“Ho-Oh
verrà!” lo interruppe Rosso alzando la
voce. “Io sono la Prescelta Creatura!”
“Ti
credo” mormorò Blu. “Io mi fido di te.
So che
puoi diventare il più forte. Ma non so se sarai capace di
vivere con me e
morire, alla fine.” Tacque un poco e nella grotta
calò il silenzio. “Lo vedi?”
chiese ridendo. “Non sei capace di rispondermi. Neppure tu
puoi promettermi che
sarai capace di vivere e morire insieme a me.”
Si
voltò e prese a camminare a grandi passi.
Voleva uscire, voleva andarsene. Doveva andarsene.
“Blu!”
chiamò Rosso. Tese la mano, ma il
Capopalestra non si voltò. “Blu! Blu, per favore,
non andartene!”
Ma
Blu non si voltò. Non poteva restare.
“Per
favore, per favore, concedimi una
possibilità! Ti prego…non lasciarmi.”
Finalmente,
il ragazzo si fermò. Si girò verso di
lui e restò ad aspettarlo. Rosso lo raggiunse.
“Io
non so se sarò capace di vivere con te” disse
lentamente. “So che non sono capace di vivere senza di te.
Non lasciarmi. Ti
prego, non lasciarmi.”
Blu
sospirò. Sorrise appena, guardando verso di
lui.
“Sono
troppo debole per lasciarti, Rosso” esitò.
“Io non ce la faccio. Ma non posso neanche
illudermi.”
“Concedimi
un anno, Blu” lo implorò ancora Rosso.
Il
Capopalestra assentì. “Posso concedertelo. Ma,
Rosso…”
“Sì?”
“Solo
un anno. Hai solo un anno. Sono disposto ad
aspettare per questo tempo. Ma non di più. Non posso
farcela. Non un giorno di
più. Ti aspetterò fino ad allora.”
“Tornerò”
promise Rosso.
Blu
guardò altrove. Per l’ennesima volta, aveva
ceduto.
“Devi
diventare il più forte. Promettimelo.”
“Te
lo prometto.”
“Altrimenti
sarà stata vana la mia attesa.”
“Lo
so. Ma diventerò il più forte.”
“Allora,
va bene.”
“Ti
amo.”
Blu
sorrise, ma esitando. Chinandosi su di lui,
gli diede un ultimo bacio.
“Ti
amo.”
Si
abbracciarono, un’ultima volta. Poi Blu se ne andò
e Rosso restò nell'ombra di quella grotta.
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Capitolo 8 *** L'unico ostacolo. ***
“Ci
aspettavate?” chiese Luisa,
stupita, quando i tre sbarcarono a Torre Latta.
Ho-Oh
assentì. “Sospettavamo che
sareste venuti. Hai sconfitto la Lega, Prescelta Creatura. Quale posto
migliore
per celebrare la vittoria?”
Era
vero. Da quale altro posto
valeva la pena guardare un mondo su cui si era vincitori, se non dalla
Torre di
Latta?
Mew
fluttuò attorno alla ragazza.
“Siamo
felici che tu abbia vinto,
Prescelta Creatura. E siamo felici che, finalmente, voi tre abbiate
trovato la
vostra strada e siate sereni.”
“Grazie
di esserti mostrato al
Pokéfanatico, Mew” disse Lance. Il piccolo
Pokémon si volse verso di lui e
scivolò attorno al suo corpo.
“Siamo
qui per aiutarvi. Siamo qui
per voi. Chi vi è di aiuto, ci è
gradito.”
“Quell’uomo”
disse Argento. “L’uomo
che ci ha salvati. Era scritto da qualche parte? Sapevate che saremmo
andati da
lui?”
“In
parte” disse Mewtwo. “Sapevamo
che quel vecchio saggio si sarebbe in qualche modo rivelato utile. Ma
non
sapevamo come.”
“Resterete
qui tutta la notte?”
chiese Mew scivolando attorno ad Argento.
Rimasero
sulla Torre di Latta,
finché non fece alba, finché tennero gli occhi
aperti, e furono felici. Poi i
tre giovani si addormentarono, bagnati dal sole, sul tegolato sacro di
quella
torre, pacifici come bambini; allora, perché la luce non li
disturbasse, Mewtwo
li sollevò e li condusse al piano inferiore, dove
riposarono, tra le statue e
gli arazzi, per molte ore fino al pomeriggio inoltrato.
Alle
quattro si destarono e capirono
di doverli lasciare.
“Grazie”
disse Luisa quando furono
sul punto di prendere il volo.
“Siamo
stati felici della vostra
presenza” rispose Ho-Oh. “Che questa possa essere
la vostra seconda casa.”
“Tornerete
quando lo vorrete”
soggiunse Zapdos.
“Grazie”
ripeté Lance. “Torneremo.”
“Abbiate
cura di voi” disse Suicune.
I
Prescelti presero il volo e si
diressero verso l’Altopiano Blu, ma con calma, senza fretta.
Giunti, salirono a
lavarsi prima di cena.
“Quando
sarete pronti” disse Lance
“Salite su da me.”
Luisa
salì nella propria stanza e
riempì d’acqua la vasca del piccolo e grazioso
bagno celeste. Si spogliò e
s’immerse e restò a mollo a lungo. Poi
uscì, si asciugò i capelli e indossò
la
maglia che aveva comprato ad Azzurropoli.
Salì
le scale e raggiunse l’undicesimo
piano. Non poteva aprire la porta dall’esterno,
così si limitò a bussare e ad
attendere che Lance le aprisse la porta magnetizzata. Argento era
già lì,
seduto sul divano bianco, splendente nella maglietta e nei jeans
strappati
acquistati ad Azzurropoli. Lance, che venne ad aprirle, era sereno
negli abiti
che più gli erano usuali: maglia scura, giacca blu e jeans.
Erano
felici di aver riscoperto quel
divertimento, piccolo e naturale, del vestirsi, del vivere alla
giornata. Alle
sette e mezza, un campanello suonò a informarli che la cena
era pronta. Scesero
al quinto piano.
Attorno
al tavolo erano già raccolti
i Superquattro. A quella vista, Luisa e Argento si fermarono,
preoccupati.
“Lance…”
“Cosa
c’è? Avete paura?”
“Sì.”
“Non
preoccupatevi. È tutto a posto.
Rispondete tranquillamente alle domande. Comportatevi
normalmente.”
Era
la prima volta che cenavano
tutti assieme. Nei giorni precedenti, nonostante Luisa e Argento
fossero sempre
stati lì, tra i vari preparativi per la Lega, pranzi e cene
erano sempre stati
fatti a vari orari. Ora che tutto era concluso, finalmente avrebbero di
nuovo
cenato normalmente.
Andarono
a sedersi e cominciarono a
mangiare.
“Siete
stati molto bravi entrambi,
durante la Lega” disse Agata rivolta a Lance. “La
nostra abilità, in confronto
alla vostra, è certamente di poco valore.”
“Non
devi dire così” rispose Luisa.
“Questo non è vero.”
“Lo
è” replicò Agata. “Credi che
non
lo sia, forse? Molto bello, detto dalla più forte
allenatrice di Pokémon del
mondo.”
“Dove
siete stati?” domandò Lorelei.
“Siete ricomparsi alle quattro dopo una notte e quasi un
giorno!”
“Siamo
stati a festeggiare” rispose
Lance, sorridendo dolcemente.
Era
tranquillo, voleva mostrarsi
distratto. Lorelei lo guardò infuriata.
“Lance,
sono stanca di questi segreti.
Perché non vuoi mai dirci nulla?”
“Perché
lavorate per me” rispose
Lance. Sollevò un calice di vino e ammiccò verso
Lorelei. “Perché vivete qui.
Ma non potete leggere nella mia vita.”
La
ragazza scosse il capo. “Ci
conosciamo da anni, Lance. Perché non vuoi fidarti di
noi?”
Fu
il turno di Lance di scuotere il
capo. “Ho fiducia in voi, Lorelei. E vi amo molto, ma no, non
posso rivelarvi
ciò che nascondo.”
“Possiamo
smettere di parlarne?”
domandò Argento in tono petulante. “Nessuno di noi
dirà nulla riguardo a
questo, perciò non potremmo cambiare argomento?”
Per
quanto bello restava un bambino
capriccioso. Lorelei lo guardò.
“Sei
solo un ladruncolo. Hai anche
il coraggio di parlare?”
Le
sue parole suscitarono
un’indignazione generale. Argento arrossì di
rabbia, ma non ebbe il tempo di
reagire, perché Lance, infuriato, si alzò a mezzo
sbattendo le mani sul tavolo.
“Lorelei!
Non ti permettere mai
più!, mai più di dire una cosa del genere alla
mia tavola, mai più! Mai più,
hai capito? Non ti permetterò d’insultare i miei
amici in casa mia, è chiaro?”
“Forse
non è vero, Lance?” lo sfidò
Lorelei, il mento orgogliosamente alzato. Forse non era un ricercato,
prima che
la Campionessa lo prendesse per pietà?”
“Lance,
lascia stare. Lance!” disse
Argento a bassa voce, ma Lance non lo ascoltò.
“No!
Lorelei, io non ti permetterò
oltre di ingiuriare i miei amici, va bene? E se non accetti le mie
compagnie,
puoi lasciare Indigo Plateau, stanotte stessa! Vuoi andartene?
Vattene!”
Lorelei
mantenne lo sguardo fisso.
Era una sfida.
“Non
puoi cacciarmi, Lance.”
“No?
I Superquattro sono un marchio
registrato della mia società. Se non rispetti le persone
che, d’ora in avanti,
frequenteranno la mia casa, puoi andartene quando lo desideri. Ma non
ti
permetterò mai più di dire una cosa come questa
alla mia tavola, sotto questo
tetto!”
Fremeva
di rabbia. Lorelei non
abbassava gli occhi.
“Lance,
lascia perdere” mormorò
Argento “Non è nulla di grave, non è
successo niente…”
“D’un
tratto si udì bussare alla
porta della sala da pranzo. Sorpresi, tutti si voltarono per vedere
l’infermiera Joy far capolino.
“Signor
Lance, è arrivato il signor
Blu. Vuole che lo faccia aspettare?”
“No”
rispose Lance, sospirando. “Lo
ricevo immediatamente.
“È
andato a parlare con Rosso.”
“Lo
so. Dev’essere distrutto” rispose Luisa.
“Per
questo dobbiamo riceverlo ora.”
Lance
si alzò in piedi e sbatté con
rabbia il tovagliolo sul tavolo. “Non finisce qui, Lorelei.
Se vuoi dimetterti,
fammi avere le tue dimissioni sulla mia scrivania. Andiamo da Blu,
ora.”
Si
diresse a grandi passi verso la
porta. Gettandosi uno sguardo, Luisa e Argento si alzarono e lo
seguirono.
Blu
li attendeva al piano terra,
silenzioso e pensieroso. Balzò in piedi quando entrarono
nella sala.
“Capo,
perdonami, non sapevo che
foste a cena, non…non sapevo che ora fosse.”
Lo
guardarono impietositi, vedendo
gonfi i suoi occhi tanto belli, rosse le sue labbra fine e tremanti.
“Stavate
cenando. Non volevo
disturbarvi.”
“Non
avevamo molto appetito” rispose
Lance. “Sei andato da lui, Blu?”
Blu
esitò. Torcendosi le mani,
rimase seduto.
“Ho…ho
perso la cognizione del
tempo” mormorò senza guardarli. “Sono
stato là. E sono stato da altre parti.
Per tutto il giorno. Ma non mi ricordo dove. Allora sono venuto
qui.”
“Hai
fatto bene” disse Argento.
“Posso
parlare con Luisa?” chiese
Blu. Solo allora si rese conto che la ragazza era già
lì.
“Cosa
devi dirmi, Blu?”
“Stanotte
sfiderai Rosso.”
“Sì.”
“Cerca
di sconfiggerlo.”
Confusa,
Luisa sbatté le palpebre.
“Cosa intendi dire?”
“Rosso
tornerà da me solo dopo essere
diventato il più forte. Ma non lasciare che ti sconfigga
solo perché hai pietà
di noi.”
“Non
lo farò” rispose Luisa.
Blu
sospirò e scosse il capo. “Rosso
deve diventare il più forte, ma deve diventarlo realmente,
non deve solo
illudersene. Sai…credo di amarlo troppo per permettergli di
rinunciare al suo
sogno.”
Avrebbe
pazientato. Avrebbe atteso
finché Rosso non fosse tornato. Tornato con le sue gambe,
per sua volontà.
Blu
si alzò e abbozzò un inchino nei
confronti di Lance, poi si avvicinò alla porta. Tremava.
Lance lo richiamò.
“Blu…resta
qui per stanotte.”
“No,
Lance. Tornerò alla mia
palestra.”
“Non
puoi andare in questo stato,
Blu.”
Il
Capopalestra scosse la testa.
“Non voglio restare, Lance. Voglio andarmene.”
Era
ormai sulla porta. L’aprì e
uscì. Si fermò prima di richiudere. Ma non disse
niente e volò via.
“Ho
pietà di lui” mormorò Argento
quando furono soli.
“Lo
so” rispose Lance a bassa voce.
“Non pensiamoci ora. Stanotte andremo a Monte Argento. E io
ho ancora fame. Non
abbiamo mangiato quasi niente.”
Argento
sospirò. “Lance, mi dispiace
per quello che è successo.”
“Chi
manca di rispetto a voi, manca
di rispetto a me” rispose Lance voltandosi. “E io
esigo che mi si porti il
rispetto che mi è dovuto, in questa casa. Torniamo a finire
di mangiare. Più
tardi ci metteremo in marcia.”
Quella
notte quindi lasciarono
Altopiano Blu e raggiunsero il Monte Argento.
“Vuoi
che veniamo con te?” chiese
Lance.
Luisa
guardò la cima del monte.
“Sì”
rispose infine. “Sì, venite con
me. Non voglio stare senza di voi.”
Scalarono
il Monte, dunque.
Raggiunta la cima, entrarono nella grotta.
Rosso
era seduto a terra, la schiena
appoggiata contro la parete rocciosa della grotta, gli occhi chiusi che
si
aprirono immediatamente quando i tre entrarono.
In
quegli occhi rossi, Luisa vide un
pianto che era durato tutta la notte.
“Bene,
Luisa. Ci siamo, infine”
disse alzandosi. Era strafottente, odioso, incredibilmente bello.
“Sei venuta.
Credevo che non ce l’avresti fatta a trovare il
coraggio.”
Luisa
non rispose. Camminando altera,
percorse la grotta e salì i gradini di pietra che la
condussero alla solida
piattaforma rialzata, fino a trovarsi di fronte a Rosso.
“Io
non ho paura, Rosso.”
“No.
Lo so che non ne hai. È per
questo che ti dico che faresti bene ad averne.”
“Iniziamo,
Rosso. Non ho tempo da
perdere con te.”
E
iniziarono a combattere. In
entrambi mancava quell’eleganza che contraddistingueva Lance:
combattevano
soltanto. Selvaggi, violenti, rabbiosi.
“TUONOSHOCK!”
“LANCIAFIAMME!”
“Non
credere di poter andare avanti
così per sempre!”
“E
per quanto, allora?”
“GETTO
D’ACQUA! Tu sei l’unico
ostacolo che mi separa da Blu!”
“RUOTAFUOCO!
Solo tu sei il tuo
ostacolo, Rosso! Perché potresti tornare, se lo
volessi!”
“FOGLIELAMA!
Ma io dimostrerò a Blu
che posso farcela, che posso dargli qualcosa!”
“BRACIERE!
Smettila di parlare e
combatti, se è questo che vuoi!”
E
lottavano. Semplicemente. Perché
era l’unica cosa che sapevano fare.
Perché
era l’unica cosa che sapevano
fare.
E
Luisa vinse, ancora una volta.
Rosso rimase a guardarla, in silenzio.
“Sono
ancora troppo debole, Luisa.”
“Lo
so.”
“Ma
l’anno prossimo, io sfiderò la
Lega Pokémon. E allora, sarò forte abbastanza per
sconfiggerti.”
Luisa
lo guardò freddamente.
“Ci
conto” disse, e se ne andò con i
suoi compagni.
Un
caloroso ringraziamento a
TokorothX3 per la cortese recensione. Colgo l’occasione per
ribadire che
sarebbe ben accolto qualsiasi genere di commento, positivo o negativo:
sebbene
questa sia una storiella da nulla, scritta solo per divertimento, avrei
ugualmente
piacere di sapere cosa ne pensate. |
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Capitolo 9 *** Il dolore di Blu. ***
Il mattino dopo dormirono fino a
tardi. Si svegliarono alle
dieci e si dissero di ritrovarsi nella sala da pranzo.
Quando Luisa arrivò,
ancora stanca per la notte precedente,
ma soddisfatta, trovò solo Argento seduto già al
tavolo, a mescolare lentamente
una tazza di caffè.
“Buongiorno.”
Argento trasalì e si
voltò. “Ah, sei tu. Buongiorno.”
“Ti ho
spaventato” notò la ragazza con dispiacere.
“Smetti
di stare sul chi vive, Argento. Ora sei con me, sei al sicuro con
me.”
“Ma Lorelei ha ragione,
Luisa.”
Luisa non rispose e versò
del latte in una tazza.
“E poi, la reputazione di
Lance s’infangherà se si scopre in
giro che ospita un ladro ad Altopiano Blu.”
“Ma tu non sei
più un ricercato adesso” disse Luisa.
“Sei
con me, abbiamo le carte in regola d’ora in poi.”
“Lo so” rispose
Argento. “Non è di questo che mi
preoccupo.”
Luisa sospirò andando a
sedersi. “Ho capito cosa intendi.”
“Forse a me non importa
molto di tutto ciò” disse Lance
entrando nella stanza. Sorrise ai due compagni.
“Effettivamente non abbiamo mai
parlato di questo. Tuttavia, so quello che c’è da
sapere. Che sei un ricercato,
che Luisa ha garantito per te.”
Argento guardò in silenzio
il proprio caffè. “E ti fidi?”
“Certo che
sì” replicò Lance con estrema
sicurezza. “Quando
ti ho visto, ti ho subito riconosciuto. Ma mi sono fidato di Luisa e ho
lasciato perdere. Quando poi abbiamo incontrato Ho-Oh… avrei
forse potuto
nutrire qualche dubbio?”
Argento sollevò gli occhi
su di lui. “Ciò non toglie che io
sono un ladro, Lance.”
“Tutti commettiamo degli
sbagli. E ricorda che saremo
giudicati per quello che siamo, non per quello che facciamo. No, non ho
paura
di quello che la gente può pensare. Sono a posto con la
legge e con la mia
coscienza.”
Finalmente, il giovane sorrise. Era
un sorriso disteso che
conferì al suo volto ancor più grazia e bellezza.
“Grazie, Lance.”
“Leggiamo il giornale,
ora” suggerì Lance e aprì il giornale
che aveva portato con sé. Ma appena ebbe vista la prima
pagina, i suoi occhi si
fecero cupi.
“Lance? Cosa
c’è?” chiese Luisa. Lance
aprì il giornale sul
tavolo e mostrò ai compagni una foto in prima pagina.
Era una foto di Blu, ripreso
all’esterno di un bar, seduto a
un tavolino, con gli occhi gonfi, il volto distrutto.
“Era ubriaco?”
mormorò Argento impressionato, guardando la
foto.
Lance scosse la testa.
“Credo di sì. Può sempre darsi di no,
comunque.”
“Come si è
ridotto!” disse Luisa tristemente. “Ieri ci ha
detto che non ricordava dov’era stato, vi
ricordate?”
Lance lesse in fretta
l’articolo scandalistico in colonna.
Indicò un paragrafo. “Qua dice che non
è stato capace di pagare il conto e che
i gestori sono stati costretti a buttarlo fuori.”
“Che vuol dire che
‘non ne è stato capace?’”
domandò
Argento.
“Che non aveva soldi con
sé” spiegò Luisa.
Lance emise un impercettibile
sospiro. “Dal momento che io
sono il diretto superiore di Blu, sarò io a pagare il suo
conto” disse
stancamente. “Questo è un locale di Plumbeopoli,
ci andrò prima di pranzo.”
“Veniamo con te”
disse Argento. Lance assentì col capo.
“Sì. Molto bene.
Appena avremo fatto colazione, partiremo.”
Finirono di mangiare e presero il
volo verso Plumbeopoli.
Atterrarono in centro e proseguirono a piedi verso il locale che il
giornale
indicava. Entrati, trovarono il posto quasi vuoto.
“Chiedo scusa. Ho saputo
che il Capopalestra Blu ha lasciato
un conto in sospeso qui. Sono qui per pagare in nome suo. Posso parlare
con il
gestore?” chiese educatamente.
La ragazza mandò a
chiamare il proprietario del locale. Ai
loro occhi apparve un uomo grasso dall’aspetto pulito e
rispettabile.
“Buongiorno, signor Lance.
Posso aiutarla?” domandò,
vagamente sorpreso, forse, dal vedere il Presidente della Lega
Pokémon nel
proprio locale.
“Buongiorno, signore. Sono
qui per pagare le ordinazioni del
signor Blu a suo nome.”
L’uomo si
massaggiò la fronte. “Una brutta storia, signore.
Non desideravo cacciarlo, ma non ero nella condizione di poter fare
favoritismi.”
“Quando ha
bevuto?”
“Troppo”
tagliò corto l’uomo. “Troppo per lui.
Quando ho
visto che non poteva più bere, gli ho impedito di ordinare
ancora. A quell’ora
poi!”
“Capisco. A quanto
ammontano le sue ordinazioni?”
Il gestore del locale lo
guardò con occhi assorti e
dispiaciuti. Prese un blocchetto poggiato sul bancone e vi scrisse una
cifra
cerchiata che poi spinse verso Lance. Egli sbatté le
palpebre e incassò il
colpo senza dire nulla. Con un sospiro, mise mano al portafogli e
pagò subito,
in contanti.
“Grazie, signore. Speriamo
di riaverla presto.”
“Noi no” disse
Lance, imperturbabile “Ma non per lei.”
Uscirono dal locale, passeggiarono un
po’ per Plumbeopoli
assolata e calda di pietra bianca, ma poi, passando di fronte a
un’edicola, fu
giocoforza vedere su tutti i giornali scandalistici le foto di Blu.
Allora
Lance sospirò e guardò a lungo le copertine delle
riviste, le prime pagine dei
giornali. Poi si girò e si allontanò
dall’edicola.
“Lance!” lo
chiamò Argento. “Lance, dove vai.”
“Dobbiamo andare a
Smeraldopoli.”
“Credi che sia
là?” domandò Luisa apprestandosi a
seguirlo.
“Ha detto che è
là che sarebbe andato.”
Si sollevarono in volo e in pochi
minuti raggiunsero
Smeraldopoli. Alla palestra fu loro detto che Blu non era ritornato
lì dalla
sua partenza per la Lega. Lance rimase interdetto. “E allora,
dove può essere
andato? A Isola Cannella?”
Luisa rifletté un momento.
“Dopo una sbronza del genere, e
aver affrontato Rosso e noi…sarebbe stato logico andare a
casa.”
“Andiamo a Biancavilla,
allora” decise Lance, liberando il
suo Dragonite.
“Aspetta, Lance”
protestò Argento. “Non credi che forse, a
casa sua…”
Il Presidente capì cosa
intendeva. “E ALLORA PER QUESTO
DOBBIAMO LASCIARLO SOLO?” urlò furioso.
Era disperato, preoccupato. Voleva
molto bene a Blu.
Andarono a Biancavilla e bussarono
alla casa di Blu. Ad aprire
fu la donna che a giorni alterni andava a pulire e ad areare la casa e
che Blu,
pur essendo tornato a risiedere ufficialmente a Biancavilla, non aveva
licenziata poiché non trascorreva in quella casa poi molto
tempo. Apparve loro
stanca e preoccupata.
“Buongiorno…oh,
signor Lance! Che posso fare per lei?”
Lance si mantenne impassibile.
“Buongiorno. È in casa Blu?”
La donna esitò.
“Non può vedere nessuno, ora.”
“Mi ascolti”
disse Lance in tono ragionevole. “Dobbiamo
aiutarlo. Dov’è?”
Le sopracciglia della donna si
corrugarono: ella era
perplessa e confusa. Infine, chinando lo sguardo, mormorò:
“In camera sua.”
Con un’imprecazione, Lance
lo scostò ed entrò in casa,
dirigendosi verso le scale. Luisa e Argento lo seguirono.
Trovarono Blu in uno stato pietoso:
era seduto a terra,
contro il muro della sua camera, e sul pavimento attorno a lui vi erano
alcune
bottiglie vuote.
“Blu” disse
dolcemente Lance. “Come ti sei ridotto?”
Blu lo guardò, con gli
occhi lucidi e arrossati.
“Gli ho dato un
anno” gracchiò. Stava piangendo.
“Cosa?”
“Gli ho dato un
anno” ripeté Blu. Sollevò una bottiglia
vuota e la lasciò ricadere. “Mi sono lasciato
fregare di nuovo. Come uno
stupido. Lo amo troppo per rinunciare a lui, e lui ama troppo il suo
sogno. Ma
lo stupido sono io.”
“E allora” disse
Lance raccogliendo una bottiglia. “Hai
intenzione di ubriacarti ogni mattina per i prossimi 365
giorni?”
Blu ridacchiò.
“È un’idea.” Lo
guardò. “Hai dei soldi da
prestarmi, Lance? Credo di dover saldare un debito. In un
locale.”
“L’ho
già saldato io” replicò Lance
aspramente. E allora,
Blu si mise a piangere, a piangere forte, rannicchiato contro il muro.
Lance
s’inginocchiò davanti a lui e gli prese una
bottiglia
dalla mano, gettandola a terra. Blu si girò
perché non potesse guardarlo, ma
Lance lo costringe a ricambiare il suo sguardo.
“Blu” disse a
bassa voce. “Blu, basta ora. Vieni con noi, ti
portiamo ad Altopiano Blu.”
“No…”
“Blu, ti prego. Questa
donna non può occuparsi di te per
sempre. Ci pensiamo noi a te” insisté Lance
tirandolo in piedi. Blu
barcollò e Argento lo sostenne dall’altro
braccio.
“La…la
cintura” balbettò il Capopalestra. Luisa la vide:
era
gettata sul tavolo. La raccolse, controllò che ci fossero
tutte le Pokéball e
la mise nel proprio zaino.
Trascinarono il ragazzo fino al piano
di sotto. Quando li
vide, la donna tentò assieme di protestare e di aiutarli, ma
Lance la bloccò
sorridendole dolcemente.
Quando, a Indigo Plateau, scesero dai
propri Pokémon e
tirarono Blu giù dal Pidgeot di Luisa, Bruno li vide e
preoccupato si affrettò
verso di loro.
“Lance!
Cos’è successo? Che è successo a
Blu?”
“Non sta bene”
tagliò corto il giovane. “Aiutaci a portarlo
in qualche stanza vuota.”
Blu barcollava e piangeva. Lo
portarono al quinto piano e lo
distesero sul letto immacolato di una stanza vuota, poi Lance
congedò Bruno.
“Evita di far sapere al
mondo che è qui e che non si regge
in piedi” soggiunse. “Dì anche a
Lorelei, Joy e Agata di tenerlo nascosto.”
Blu si era calmato. Respirando
profondamente, guardò il
soffitto e disse: “Sono proprio caduto in basso, Lance,
eh?”
“Sta’ zitto. Ora
non preoccuparti. Devi solo dormire.”
“No…davvero. Non
riesco a strapparmi dal fantasma di Rosso.
Continuerò a sperare che ritorni e a ubriacarmi, Lance. Non
voglio vivere così,
ma non sarei capace di fare altrimenti.”
“Sht. Riposati, ora.
Stasera ne parliamo.”
Controllarono che avesse
ciò che poteva essergli utile e,
raccomandandogli di dormire, uscirono. Prima di chiudere la porta,
Luisa
appoggiò la cintura di Blu sul comodino vicino al letto.
Quando, quel pomeriggio, Blu si
svegliò, si sentì un gran
mal di testa e rimase fermo un poco a letto, a riflettere. Poi, facendo
uno
sforzo, si alzò e notò che la sua cintura era sul
comodino accanto al letto. Lo
prese e la indossò, poi, tenendosi la testa, scese dabbasso.
Luisa, Argento e Lance erano seduti a
un tavolo nella sala
d’ingresso. Stavano leggendo un giornale e, pur da lontano,
Blu scorse una sua
foto. Sospirò avvicinandosi. I tre lo sentirono e
sollevarono lo sguardo su di
lui.
“Buongiorno”
disse, a disagio.
“Buongiorno. Come ti
senti?” chiese Argento.
Le sue parole gli diedero male alla
testa e Blu si prese il
capo con la mano. I tre lo notarono.
“Mal di testa?”
intuì Lance. Blu annuì e anche questo gli
fece male. Poi, guardando il giornale, sorrise tristemente.
“Cosa dice?”
“Che ti sei ubriacato per
un’intera mattinata e che a
mezzogiorno e tre quarti stavi vomitando in un prato vicino al
Monteluna”
spiegò Argento.
“E che ti hanno visto
aggirarti come un dannato da
Celestopoli fino ad Aranciopoli per tutto il pomeriggio”
proseguì Luisa. Chiuse
il giornale. “La tua immagine si è un
po’ oscurata, Blu. Mi dispiace.”
“È colpa mia.
Non dovete dispiacervene” rispose il
Capopalestra. Si sedette accanto a Lance.
“Dobbiamo parlare di come
riabilitare la tua immagine, Blu”
disse quegli, scostandosi per fargli posto.
“E
cioè?”
“Innanzitutto, evita di
attirare l’attenzione del pubblico. Niente
più sbronze, ma neppure in casa. Tra qualche giorno, torna
alla palestra. Non fare
più nulla che possa richiamare gli sguardi della gente. Se
nel corso di qualche
intervista dovessi ricevere domande al riguardo, spiegherai di aver
avuto un
momento di debolezza e parlerai pubblicamente di imbarazzo e di
desiderio di
dimenticare.”
“Ho capito.” Blu
sospirò e guardò il tavolo. “Lance, io
non
riuscirò mai a fare a meno di Rosso. Sono troppo debole per
farlo.”
“Gli hai dato un
anno” iniziò Luisa. “E se non torna,
cosa
farai?”
Blu la guardò a lungo.
“Non lo so. Continuo a sperare che
possa mantenere la sua promessa. Non so se lo farà o se non
ne sarà capace, so
solo che, per adesso, non posso fare altro che aspettare.”
“E bere”
soggiunse a bassa voce Lance, senza guardarlo. Non vi
fu risposta. Allora si girò verso di lui. “Ti
credi molto debole, Blu?”
“Abbastanza per
morirne” replicò il Capopalestra “Se non
bevo.”
“Forse, quando
tornerà, Rosso sarà felice di trovarti
ubriaco fradicio.”
C’era una straordinaria
amarezza nel suo tono. Blu abbassò
lo sguardo.
“Io non sono come te,
Lance.”
“E allora bevi fino a
morirne e continua a inseguire il suo
fantasma!” urlò Lance, balzando in piedi e
abbattendo d’un colpo il pugno sul
tavolo. “Tu hai deciso di concedergli un anno di tempo, Blu,
e non puoi dare la
colpa a nessuno, e bere non farà scorrere il
tempo!”
“Lance,
smettila!” urlò Argento, afferrandogli un braccio.
Lo
scosse. “Basta, ora.”
Blu era rimasto in silenzio, a testa
china. Quando Lance si
fu calmato, sollevò lo sguardo su di lui e gli disse:
“Mi dispiace, capo. Io so
di aver scelto, e so che, anche volendolo, non avrei potuto scegliere
altrimenti, perché non sarei stato capace di farlo. E allora
bevo, per
dimenticare di essere debole.”
Lance sospirò, tornando a
sedersi. Tamburellò con le dita
sul tavolo e disse: “Perdona la mia sfuriata, Blu. Sono
profondamente
addolorato per te e questo mi rende nervoso. Blu” aggiunse
fissandolo molto
seriamente “Io non voglio trovarti di nuovo come
stamattina.”
“Lo so.”
“Per questo resterai per
qualche giorno ad Altopiano Blu. In
questo modo potrai abituarti meglio all’idea
dell’attesa. Noi tre abbiamo una
personale esperienza di circostanze come queste.”
Blu li guardò, ma nei loro
occhi non riuscì a leggere i loro
misteri.
“Non posso restare, Lance.
La palestra…”
“Non sei mai stato a
Smeraldopoli per più di una settimana
di seguito, Blu, e io so benissimo che sei reperibile in Palestra
quattro
giorni su dieci a dir molto. Le tue sono solo scuse. Ti
conosco.”
Perciò, Blu rimase per
qualche giorno con loro. Lo lasciarono
andare solo quando furono convinti che stesse bene. A quel punto, anche
per
loro era giunto il momento di decidere.”
Erano nella biblioteca di Altopiano
Blu, situata al settimo
piano. Lance era seduto su una poltroncina, Argento vicino a lui, su un
piccolo
puff. Luisa era semidistesa su un divanetto in stile impero.
“Presto”
iniziò la ragazza guardando il soffitto “Dovremo
ripartire. Sono ormai venti giorni che siamo qui.”
Lei e Argento guardarono entrambi
Lance, il quale rifletté
per qualche istante.
“Credo di dover venire con
voi.”
“Non sei obbligato, se non
vuoi.”
Lance fece un cenno di diniego.
“Io sono un allenatore,
Luisa. Un allenatore deve viaggiare per diventare più forte.
Sono stato fermo
troppo a lungo. È tempo che anch’io riprenda il
mio cammino…e poi, voi siete il
mio destino.”
I tre rimasero in silenzio per
qualche momento.
“Quando
ripartiamo?” domandò Argento. Era impaziente.
“Sono stanco
d stare qui, non è la nostra strada.”
Lance rifletté.
“Stasera, a cena, daremo la notizia ai Superquattro.
Dovrò organizzarmi per gestire la Lega senza vivere in Sede,
comunque, sono
sicuro di esserne in grado. La preparazione richiederà poco
tempo, in fin dei
conti sono già stato in viaggio.”
“Una settimana ti
è sufficiente?” chiese Luisa.
Lance si massaggiò le
tempie con le dita. “Sì.”
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Capitolo 10 *** La verità di Celebi. ***
Quattro mesi dopo.
C’era una piccola osai
nella Via Montuosa che da Ebanopoli
conduceva a Biancavilla. Era uno spiazzo erboso con pochi alberi e una
polla
d’acqua fresca. Spesso, Luisa, Argento e Lance trascorrevano
là la notte.
Là si svegliarono, circa
quattro mesi dopo la loro partenza,
un mattino di primavera, sentendo nelle loro menti il suono della
distante voce
di Ho-Oh.
“Ho-Oh?
Cosa c’è?”
protestò Argento, assonnato ancora.
“Vi
prego di venire
immediatamente a Torre Latta” disse loro il
Pokémon.
“Cosa
c’è di così
urgente che non possa aspettare?” chiese Luisa
senza aprire gli occhi. “È
così presto! stavamo ancora dormendo.”
“Lo
so. Dovete
venire.”
“Quanto
tempo
abbiamo?”
“Il
meno possibile.”
“Diavolo” disse
Lance. Fu il primo ad aprire gli occhi alla
luce del sole. “Vadano al diavolo. Sono le sette.”
“Alziamoci, su. Potrebbe
essere importante” sospirò Argento
alzandosi in piedi. Con uno sbuffo, Luisa aprì gli cocchi e
lasciò che il sole
l’accecasse per qualche secondo prima di decidersi ad alzarsi.
Si lavarono in fretta alla piccola
polla per svegliarsi, poi
presero il volo verso Amarantopoli. Si posarono sulla Cima di Torre di
Latta
com’erano soliti fare e trovarono in loro attesa
l’intero consesso dei Pokémon
leggendari.
Luisa strinse gli occhi con vaga
perplessità quando li vide,
scendendo con leggerezza dal suo Aerodactyl.
“Cosa
c’è? Perché siete qui tutti?
È successo qualcosa?”
I Pokémon si scambiarono
uno sguardo. Forse fu questo, più
di ogni altra cosa, a farle capire che qualcosa non andava.
“Non è accaduto
nulla, Prescelta” disse Ho-Oh. “Ma è
giunto
il tempo che tu sappia qualcosa che del tuo passato ti è
stato finora tenuto nascosto.”
Luisa rabbrividì.
Istintivamente, si spostò indietro per
cercare il contatto dei suoi compagni. “Non
capisco.”
“Non puoi capire”
disse Mewtwo. “Adesso ti sarà spiegata
ogni cosa. Abbi la pazienza di ascoltare.”
La mano di Lance si strinse attorno
al polso della ragazza.
“Va tutto bene. Ci siamo noi” mormorò al
suo orecchio.
A quelle parole Luisa
ritrovò forza. “Sono pronta ad
ascoltare” disse gettando indietro le spalle.
Ho-Oh assentì.
“Sta arrivando qualcuno per te.”
Lì per lì Luisa
non capì. Dovette voltarsi, seguendo lo
sguardo del Pokémon, e vide in cielo come una vaga e
distante stella luminosa
perduta nell’azzurro ancora grigio del mattino; ma era una
stella strana, che a
poco a poco pareva farsi più grande e più vicina,
e poi, d’improvviso, un’ampia
sfera bianca che oscillava a mezz’aria
sull’estremità del tetto e che brillò
più forte un istante prima di spegnersi…
E poi, nella sua luce, prese forma un
uomo alto e ben
formato, largo di spalle dai capelli lunghi, la barba corta e ben
curata… era
bello, era più bello di Argento, più bello di
Rosso. Luisa arretrò di un passo
guardandolo.
Ecco, l’uomo era
più vicino, era vicinissimo, era davanti a
lei… fece per toccarla, ma a quel gesto la ragazza si
scostò. Le mancava la
voce, le mancava l’aria. Aveva gli occhi più
grandi di terrore, di…
“Tu non sei mio
padre” disse. “Io l’ho visto
morire!”
Ma l’uomo non
mostrò disappunto. Restava immobile, silente,
a guardarla.
“Come sei
bella…”
Sollevò una seconda volta
la mano, e stavolta Luisa arretrò
con une decisione che parve quasi aggressiva: “Tu non sei mio
padre!”. Si girò
e con gli occhi cercò Ho-Oh, Mew; qualcuno insomma che
potesse provare quel che
diceva. “Diteglielo! Diteglielo che io c’ero
quand’è morto!”
“Sht, sht… stai
calma” disse l’uomo e afferrò le sue
mani
per poterla guardare in viso. “Stai buona, sono io. Sono tuo
padre, sono
vivo…sono qui per te.”
“No…”
Luisa scuoteva il capo.
Strappò i polsi dalle sue mani e
cercò rifugio tra i suoi compagni, i suoi fratello; Argento
le cinse le spalle
con un braccio. Lance si accostò a lei in un gesto
protettivo e fraterno.
“Cosa vuoi, cosa vuoi da
me? Vattene via, lasciaci in pace!
Ho-Oh, mandalo via” gridò la ragazza, voltandosi
verso il Pokémon.
Guardandola negli occhi, Ho-Oh disse
molto lentamente: “Non
posso farlo, Prescelta Creatura; e anche se potessi farlo, di certo non
farei
il tuo bene.”
Luisa fremette.
“Perché no?”
“Perché chi hai
davanti è Celebi, Guardiano della Foresta e
Signore dei Cieli e Creatore del mondo, ed è tuo padre,
Luisa.”
“Smettila!”
singhiozzò Luisa. Argento la strinse più forte:
“Basta!”
“Sei crudele,
Ho-Oh” disse freddamente Lance. “Tutti voi
siete crudeli. Non lo sai che le è morto il padre che aveva
otto anni?”
“Non sono morto”
riprese l’uomo. Nonostante tutto il suo
spavento, Luisa lo scrutava con occhi grandi; egli le tese la mano, ma
Argento
l’allontanò. “Sono qui, posso spiegarti.
Devo parlarti. Lascia che dica…”
Ci fu silenzio per qualche istante.
Luisa tremava fra le
braccia di Argento. “Lasciamo che parli”
mormorò Argento. “Ce ne andremo se si
spinge troppo in là.”
Lentamente, Luisa assentì
col capo. Allora Celebi sorrise e
li sorpassò, andando a sedere vicino a Ho-Oh. Argento
sedette per terra con la
giovane, volevano mantenersi a distanza da lui. Prima di sedersi
accanto a lui,
Lance disse così: “Se scopro che è solo
una pagliacciata senza significato
buona solo a farla star male, passerà molto tempo prima che
ci rivediate.”
Celebi continuava a sorridere. Era
nobile, bello, altero…
sospirò a un tratto.
“Non è il mio
corpo questo” disse melanconicamente. “Volete
vederlo?” chiese poi.
Non ottenne risposta. Luisa premette
forte il volto contro
la giacca d’argento, ed egli la strinse contro il proprio
petto; ma Lance
allungò la mano e dolcemente le prese il mento con le dita.
“Guarda” disse
con occhi alteri. “Se dobbiamo restare qui,
andiamo fino in fondo.”
Allora, lentamente, la ragazza
alzò gli occhi: l’uomo era
ora in piedi e ardeva di una gran luce, che poi, lentamente, si
spense…
Al posto di quell’uomo
troppo bello, c’era un piccolo
Pokémon.
Sottile, sinuoso, elegante, era verde
come il bosco denso;
tutto in lui svelava una grazia infinita, un’estrema armonia.
Luisa s’incantò a
guardarlo.
Celebi le sorrise. “Sai chi
sono?”
“Io ti ho visto”
disse Luisa piangendo. “Nei boschi c’eri
sempre tu, tra gli alberi c’eri tu, quando nuotavo
c’eri tu…”
“Sì”
rispose Celebi. “Mi mancavi…”
“Parlami” disse
Luisa. “Spiegati, raccontami…dici
d’essere
mio padre!”
“Va bene” disse
Celebi. “Allora ascoltami. Ci vorrà un
po’.”
Io non sono
nato, né
mi hanno generato, né tantomeno mi hanno creato. Esisto da
sempre. Io sono la
forza che ha mosso il mondo.
Io sono
Celebi, la
forza immanente del mondo.
Questa
è la forma più
semplice e spontanea del mio corpo, ma in realtà non
c’è nulla che io non sia, nulla
cui io non sia immanente… o forse vi è qualcosa,
ma di questo ti parlerò.
Io sono il
creatore
dei Pokémon e degli uomini. Perché mi aiutassero
a prendermi cura di ciò che
avevo creato, io ho creato i Pokémon leggendari, nove dalla
mia forza e uno soltanto
per mezzo della forza di un uomo.
Sono il
vostro dio ed
è me che voi venerate, ma a me non interessano le vostre
vite e non ascolto le
vostre preghiere.
Un giorno su
questa
terra venne una tempesta; era una strana tempesta che io non avevo
voluta e che
non riuscivo a fermare. La tempesta uccise gli uomini e voi conoscete
la
leggenda; di una cosa nessuno è a conoscenza ed è
della venuta degli Unown.
Sono i
Pokémon che la
tempesta ha portato con sé; non sapevo chi fossero,
né da dove provenissero.
Una cosa soltanto mi parlava di loro: con essi giunse una lastra che
portava
incisa una scritta, Vehmarf. Non
sappiamo cosa significhi; ci parve una minaccia nella loro lingua.
Diedi loro
un lembo della terra che avevo creato, ed è là
che vivono, ora.
Sto
allungando troppo
la mia storia, forse invano; ciò che solo può
interessarti risale a forse venti
anni fa, e fu una domenica in cui decisi di prendere le forme di un
uomo per
scendere tra coloro che avevo creato. Assunsi forme che fossero adatte
al mio
rango e discesi tra gli uomini; e tra le strade di Amarantopoli mi
capitò di
vedere una donna. Si chiamava Monica e la sua grande bellezza mi disse
che
apparteneva alla stirpe delle Prescelte Creature; ma era diversa, lei,
era
troppo bella, lei, era alta ed esile e i suoi capelli erano lunghi e
neri e
lisci, e i riflessi che davano erano come le stelle di una notte buia;
era
bella e io desiderai possederla e averla per me, e da quel giorno
decisi che
avrei fatto di tutto per conoscerla e averla per me, e così
accadde, alla fine.
Passarono dei mesi, e io finii per condurre all’altare quella
donna che avevo
desiderata dal momento in cui avevo saputo della sua dolce esistenza su
questa
Terra.
Due anni
dopo il
nostro matrimonio, Monica concepì una figlia e la mise al
mondo. Le imponemmo
nome Luisa; ma pochi mesi dopo, le imposi un nuovo battesimo
più alto e
importante, con tutti gli onori che si possono riservare a una
Principessa dei
Pokémon.
Ora la mia
gioia era
grande, era immensa; immaginavo che la vita intera fosse in quella casa
di
Borgo Foglianova, che l’amore fosse solo in quella donna coi
capelli del colore
della notte, che la felicità fosse in quella bambina che io
vedevo crescere.
Mi rendevo
conto
tuttavia che non era vera vita per tutti, quella; che era una menzogna,
per la
donna che amavo, per la bambina che era mia, una menzogna fino alla
fine della
vita. Il mio corpo bramava di cambiare, ma io lo violentavo
costringendolo a
restare in quella forma solamente di uomo, che non era mia
più di quanto non lo
fosse un qualsiasi corpo materiale e vivente; e poi, la mia dolce cara
famiglia
cui quotidianamente mentivo…
Finalmente,
feci
accadere quanto tu ricordi; inscenai un incidente d’auto,
nella quale il tuo
papà, mia piccola cara Luisa, perse la vita, mentre io di
nuovo ascendevo al
cielo; quella era, dopotutto, una bugia un po’ meno bugia di
quelle che avevo
raccontato finora, poiché davvero il mio corpo sarebbe morto
e con esso la
strana identità che avevo creato per sposare tua madre e io
avrei ripreso una
vita che mi apparteneva da molto prima della nascita delle vostre.
Tuttavia,
avevo
perduta tua madre; avevo perduta te; il mondo, per me, era
finito… non mi
bastava averla amata, no! Non mi bastava proteggerti…
Non era freddo a quell’ora
del mattino, eppure Luisa tremava
e Argento, accortosene, l’aveva avvolta nel proprio giubbotto.
Gradualmente smise di tremare dopo la
fine del racconto di
Celebi. Quando già da tempo era calato il silenzio,
sollevò lo sguardo e guardò
a lungo il Guardiano della Foresta, il signore dei cieli. Si era fatta
pallida.
“Lance”
chiamò a bassa voce. “Lance, portami via da
qui.”
Si alzò e
barcollò. La giacca le cadde dalle spalle.
“Aspetta” disse
Celebi preoccupato. “Dove vuoi andare?”
“Lontano da te. Ovunque,
lontano da te.”
Celebi scosse il capo. “Ti
prego, parlami.”
“No” disse Luisa.
Piangeva. “Andiamo via. Andiamo via ora.”
“Ti prego,
non…”
“NO!”
urlò la ragazza e indietreggiò. Aveva gli occhi
gonfi
e lucidi, le labbra tremanti: “Sono stanca di tutto questo,
ho paura, voglio
andare via di qui!”
Si diresse a grandi passi tremanti verso il limitare del
tetto della torre. I
suoi compagni la seguirono di corsa, ma alle loro spalle Celebi
parlò di nuovo:
“Sei mia figlia, Luisa, e il tuo sangue è
misto.”
Luisa si voltò a un passo
dal vuoto. “Cosa pretendi che
faccia? Che l’accetti?”
“No. Scappa”
rispose Celebi. “Scappa se non sei in grado di
fare altro. Sono tuo padre e voglio la tua felicità, dunque
scappa se non sono
io quella felicità. Ma ricorda sempre, in ogni luogo, che il
tuo sangue è il
mio.”
Ora Luisa esitava, bianca, stravolta.
Gettò una Pokéball con
un braccio molle e languente, e immediatamente il suo possente
Aerodactyl fu
accanto a lei e lei montò sulla sua grotta, con un
po’ di debolezza e mormorò:
“No, non ce la faccio.”
Si chinò e
mormorò qualcosa verso i suoi compagni con occhi
spenti e lucidi; e mentre essi pe un attimo si scambiavano uno sguardo,
Aerodactyl si alzò percuotendo l’aria con le
grandi ali robuste e si precipitò
in picchiata, e già pochi momenti dopo scompariva
all’orizzonte portandosi via
la ragazza. Istintivamente Argento fece per seguirla e solo Lance,
afferrata la
mano che già si protendeva per afferrare una
Pokéball, lo fermò.
“Dobbiamo andare con
lei!” esclamò il giovane, voltandosi di
scatto. Lance scosse il capo.
“No. È meglio
lasciarla” disse lentamente. I suoi occhi si
fecero cupi mentre egli scrutava quell’orizzonte che
l’aveva inghiottita. “Lei
sa che ci siamo, che siamo uniti a lei. Ci chiamerà quando
ci vorrà con sé.”
“E allora cosa
facciamo?” chiese Argento accorato. Si voltò
e guardò Celebi, i cui occhi erano tristi eppure alteri.
Lance si girò a sua
volta e scrutò in silenzio il Pokémon prima di
dire freddamente: “Andiamo ad
Altopiano Blu. Se vorrà cercarci, è là
che verrà; e inoltre, è sul confine
delle due regioni e potremo raggiungerla rapidamente ovunque lei sia,
se ve ne
sarà bisogno.”
“E che ci facciamo
là? Ma l’hai vista come sta? Quel coso
è
suo padre!”
“Prescelto”
tuonò Ho-Oh con voce grave. “Non parlare
così!”
Ma Argento si mise a ridere:
“Ti schieri con lui adesso? Hai
visto cosa le ha fatto?”
“È solo la
verità” disse Celebi.
“È orribile
questa verità!” sbottò Lance,
percuotendo il
suolo con un piede, adirato. E rivolto a Ho-Oh gli disse direttamente
in tono
di sfida: “E tu che cosa ne dici, eh?”
Ho-Oh s’incupì:
“Non posso giudicare i miei superiori.”
“RISPONDI!”
urlò Lance.
“Posso comprendere la
reazione della Prescelta” disse infine
Ho-Oh. “È crollato d’improvviso il mondo
che lei conosceva, e non si
ricostruirà.”
“E lui ha
ragione?” esclamò Argento.
“Basta ora!”
sbottò Lugia. “Non puoi parlare
così!”
“Ah no?”
“L’essere un
Prescelto non ti dà il diritto di usare questo
tono.”
“Ce lo
dà” rispose Lance. “Perché
lei sta male.”
Calò il silenzio sulla
cima della torre. Argento si passò una
mano tra i folti capelli rossi e spettinati e dopo un momento
mormorò:
“Andiamo, Lance, sì, andiamo. Andiamo
via.”
Lo tirò per un braccio.
Lance si girò a guardarlo per
qualche secondo; annuì e pose la mano alla cintura. Fece
uscire dalla sfera
Dragonite ed entrambi presero il volo.
Quando raggiunsero
l’ingresso dell’Indigo Platueau, fu Joy
la prima ad accorgersi dei loro occhi stravolti e corse verso di loro
con lo
sguardo perplesso e accorato: “Signor Lance, signor
Argento…che cosa è
successo?”
“Niente, Joy”
mormorò Lance. “Puoi portarci su qualcosa da
mangiare? Saliamo in biblioteca.”
“Lance,
cosa…”
“Affari
personali” rispose Lance poggiandole una mano sulla
spalla. “Non preoccuparti. Ti prego, Joy…solo la
colazione.”
Si avviarono lentamente lungo le
scale. Argento era
bianchissimo in viso.
“Dev’essere
tremendo” mormorò guardando i gradini.
“È
brutto, è orribile. Non dev’essere
triste?”
Lance tacque per qualche istante.
“Sì”
rispose infine. “Lei credeva di aver conosciuto suo
padre, e invece ha scoperto che non era così e che tutti le
mentivano…compresi
coloro che lei credeva che le sarebbero stati amici, i
Pokémon leggendari.”
Proseguirono in silenzio fino alla
biblioteca. Appena furono
entrati, Argento si abbandonò su un divanetto ai piedi di
un’alta libreria a
parete e solo dopo molti secondi, dischiudendo gli occhi che aveva
chiusi,
mormorò: “Perché proprio qui?”
“Perché non in
un posto più privato, dici? Perché Joy possa
portarci da mangiare. E perché qui ci sono dei libri che
possiamo consultare.”
“Su Celebi?”
chiese Argento sollevando il capo.
“Sì”
rispose Lance semplicemente. Anche lui era molto, molto
stanco. Andò in silenzio fino alla finestra e si sedette sul
vano foderato in
velluto rosso, con gli occhi stanchi e tristi che vagavano lontano, che
avrebbero voluto inseguire qualcosa che in quel momento non era
lì.
Finalmente, l’infermiera
giunse portando un vassoio che
appoggiò sul tavolino intarsiato di fronte al divano. Fatto
questo, essa si
accostò a Lance e gli parò sottovoce. Lance
assentì col capo, poi Joy uscì
dalla stanza.
“Cosa ti ha
chiesto?” domandò Argento prendendo una fetta di
torta.
“Se vogliamo essere
lasciati soli” rispose Lance sedendosi
accanto a lui. “E se volevamo che il pranzo ci fosse servito
a parte.”
Mangiarono e si riposarono per
qualche istante, poi si
diressero verso gli scaffali che Lance indicò e che, secondo
lui, sarebbero
stati loro d’aiuto.
“Mio padre aveva una vera
passione per i Pokémon leggendari”
spiegò mentre lasciava correre lo sguardo sui libri.
Avvicinò a sé una scala
scorrevole attaccata alla libreria e cominciò piano piano a
salire: “Se ne
interessava moltissimo. Fece arrivare molti libri su questo
solo…ecco, questo
può andare.”
Consultarono libri per la maggior
parte della mattinata.
Ogni cosa che lessero confermava, ampliava o commentava il resoconto
che Celebi
aveva fatto della creazione. Smisero solo quando Joy fece loro sapere
che
avrebbe servito il pranzo nella camera di Lance.
Luisa raggiunse Isola Cannella e una
volta scesa dal dorso
del suo Aerodactyl incominciò a scalare il vulcano.
Correva più che salire, ma
arrancava più che correre. Si
aggrappava alle rocce, agli arbusti radi, alle
pietre…intanto, piangeva. Si
graffiava le mani, le braccia, le gambe magre bruciate dal sole e
rotolava
nella polvere ardente…raggiunse la cima del vulcano.
Là cadde seduta tra le
rocce e si prese il capo tra le mani. Non voleva piangere e piangeva, o
forse
neppure pensava intensamente di non volerlo…era sola.
Padre! Quello era suo padre? Ma
com’era possibile? Come poteva
quel Pokémon leggendario, quel Guardiano ella Foresta, Sire
e signore dei
cieli…ma come? No, era tremendo, era sbagliato…
E poi, dopo un tempo indefinibile e
molto lungo, un suono di
passi. Luisa sollevò d’improvviso il capo dalle
sue braccia piegate e calde,
rizzandosi con un sussulto di spavento, e si guardò intorno
con aria d’affanno.
Ma chi…era Blu.
Egli la vide a sua volta e per un
momento interruppe il
cammino con aria incerta e perplessa, guardandola. Ma poi,
riprendendosi dallo
stupore iniziale, si mosse con decisione verso di lei, saltellando tra
le rocce
come chi conosce bene un luogo ed è abituato a muovervisi.
Si fermò sulla
roccia nella cui ombra la ragazza si era rifugiata e allargando le
gambe si
chinò sulla sua figura.
Luisa sollevò gli occhi su
di lui pulendosi le ultime
lacrime. Gli sorrise stancamente: “Come stai?”
“Io bene.
Tu…”
“Lascia stare,
dai.”
“Non ne vuoi
parlare?”
La ragazza scosse il capo e si
voltò a guardare il mare.
“Non credo che t’interesserebbe.”
“Io dico di
sì.”
“Blu, ti
prego…”
“È una storia di
cuore? Argento, forse? Ma mi sembra più
probabile Lance.”
“No, Blu. Non è
questo.”
“E allora cosa? Puoi
parlarne con e, sai?”. Blu si sedette
al suo fianco, soggiungendo con aria da esperto: “Potrebbe
salvarti dal bere, sai!”
Luisa gli sorrise. “Sei
gentile, Blu” gli disse teneramente.
“Ma siamo stati noi a salvare te. Non so se tu, ora, puoi
salvare me.”
“Tu prova.”
“Ho scoperto”
esitò “che mio padre non era la persona che io
ricordavo…che tutti dicevano che fosse. Sei
contento?”
Blu rifletté, aggrottando
le sopracciglia con fare
pensieroso.
“Io ho sempre saputo che
mio padre era il boss della
malavita di Kanto e Johto” disse “Eppure gli voglio
molto bene. Tu non credi
che potresti continuare a volerne al tuo?”
“Credi che sia la stessa
cosa?” domandò Luisa onestamente,
strofinandosi gli occhi con i palmi delle mani aperte, come i bambini.
Il giovane reclinò il capo
da un lato. “Il mio è vivo, ma mi
ha lasciato. Il tuo è morto, e ti ha lasciata ugualmente, ma
non per sua colpa.
Il mio è un malavitoso, il tuo è…non
me lo vuoi dire, non importa: lo sai tu, e
dunque farai tu le tue riflessioni.”
“Sì”
rispose Luisa piano. Rifletté per qualche istante, poi
continuò con decisione: “Parliamo un po’
di te, ora. È Rosso che aspettavi?”
Blu parve considerare se dirle la
verità. “Sì” ammise poi,
allargando le braccia. “Perché negarlo? Sarei
molto sciocco a dire che non è
così. Se ti dicessi che volevo fare una gita di piacere,
dopotutto, tu mi
crederesti?”
“No” disse Luisa.
“E saresti un gran bugiardo.”
“Appunto.”
Blu sorrise, rasserenato.
Socchiudendo gli occhi, si sedette
più comodamente, appoggiando il viso sulla sua spalla, come
un bambino. Luisa
gli picchiettò sulla fronte con due dita.
“Se adesso passasse Rosso,
s’ingelosirebbe.”
“Chi ti dice che non sia il
mio obiettivo?” rispose Blu
senza muoversi, ancora con gli occhi chiusi.
“Così, forse si deciderebbe.”
“Ma io non voglio avere a
che fare col tuo fidanzato geloso.
Ho già rogne col tuo fidanzato innamorato.”
“E invidioso”
mormorò Blu.”
“E invidioso”
mormorò la ragazza. Blu si girò sulla sua
spalla e si abbassò ulteriormente, ponendo la testa nel suo
grembo. Guardava il
cielo con occhi lucidi che riparò dal sole, e da lei, con un
braccio.
“Sai, credo che non sia
invidioso solo perché sei la più
forte” disse lentamente. “Tu puoi vedermi ogni
giorno, se lo desideri. Ti basta
raggiungermi in palestra, o venire qui, oppure…lui
no.”
“Lui sa più
spesso di me dove ti trovi” gli fece notare
Luisa.
“Ma non può
raggiungermi” disse Blu con voce innaturalmente
alta e acuta. “Ha deciso che per essere il migliore deve
dedicarsi anima e
corpo all’allenamento. E non può venire, non
può cercarmi. Per questo
t’invidia, credo. Perché sei libera quando lui non
lo è.”
“Nessuno glielo
impone.”
“Lui stesso”
disse Blu tristemente. Sorrise scuotendo il
capo, sconsolato. “Lui fa tutto questo per me, per essere il
più grande quando
sarà con me. Lo fa per il suo sogno prima di tutto,
ovviamente, ma so che
l’altro motivo sono io e devo accontentarmi di questo secondo
posto.”
“Considerando di chi
parliamo…” mormorò Luisa a bassa voce.
Blu smise di parlare, ma rimase steso
sulle sue gambe a
fingere di dormire. Dopo qualche minuto aprì gli occhi e con
un sospiro si alzò
in piedi.
“Dove vai?”
chiese Luisa sorpresa.
Blu cominciò ad
arrampicarsi per andarsene. “Oggi non
verrà.”
“Come fai a
saperlo?”
“Lo sento. Oggi non
verrà.” S’issò sulla roccia e
cominciò a
discendere il fianco del vulcano. Luisa lo scrutava in silenzio.
“Ciao,
fidanzatino” gli gridò quando lo vide in fondo,
affacciato sul mare azzurro. Blu la sentì e si
voltò a salutarla col braccio.
Bosco di Lecci dal quale non si vede
il cielo. Il regno del
signore dei cieli, la patria di Celebi.
Luisa si fermò tra gli
alberi. Tutto era buio e, nel
continuo gioco di luce e ombra che la circondava, non riusciva a
scorgere
nulla. Tutto taceva.
La ragazza sollevò un
braccio davanti a sé. Esitò, lottando
con se stessa; poi represse quella rabbia terribile che la opprimeva e
chiamò:
“Celebi!”
Ecco, ora il silenzio avvolgeva di
nuovo ogni cosa, ma Luisa
era certa che Celebi avesse udita la sua chiamata. Mosse qualche passo
nell’oscurità,
addentrandosi tra gli alberi. A poco a poco, tra i rami,
cominciò a scorgere
travi di legno, un tetto a spioventi, un incensiere… era il
Santuario del
Protettore del Bosco. Si fermò dinanzi
all’edificio. Le pesanti porte,
perennemente chiuse, erano ora aperte e il suo sguardo corse oltre
l’ingresso,
lungo la sala maleodorante d’incenso, fino alla creatura
nell’ombra del
santuario. S’irrigidì.
Celebi sollevò gli occhi
stanchi su di lei. Erano neri e
Luisa vi scorse il riflesso degli alberi. Poco dopo assunse le forme
dell’uomo
che era stato.
Luisa lo guardò con una
certa fissità. Egli le sorrise.
“Sta calando la
notte” disse accennando a quegli sprazzi di
cielo così magri e miserevoli che s’intravedevano
tra i rami degli alberi. Luisa
assentì col capo. Celebi continuò a sorridere.
“La notte…penso a tua madre. I suoi
capelli, i suoi occhi.”
“Lo so”
mormorò Luisa.
“Perché sei
qui?”
Luisa continuò a fare
silenzio. Col piede spostò lentamente
le foglie che marcivano sul terreno.
“Hai amato molto la
mamma?”
Celebi chinò per un
secondo gli occhi.
“L’amo
ancora” mormorò tristemente. “Non ho
voluto mentirle
oltre.”
Luisa annuì, poi,
distogliendo lo sguardo, si massaggiò le
braccia. “Continuavi a
proteggermi…”disse a bassa voce.
Il Pokémon le sorrise
dolcemente in risposta. Luisa esitava.
“Così, sono una
principessa dei Pokémon.”
“È
così.”
“Ho…qualche
potere?”
Celebi assentì.
“Non li chiamerei poteri…direi piuttosto
capacità. Ma se questo è quello che
intendi…sei mia figlia, Luisa, sei la
figlia di una divinità.”
Quelle parole accesero qualcosa in
lei. Arretrò d’un passo. “Tutto
ciò che ho ottenuto, i risultati che ho
raggiunto…sono la Campionessa perché
sono…”
“No” disse
Celebi. “Sei ciò che sei diventata, Luisa,
perché
tu hai voluto diventarlo. Io non ti ho mai facilitato in ciò
che hai fatto;
solo una volta ti salvai la vita, tu ricordi… a
Fiordoropoli.”
Sì, Luisa lo ricordava.
Guardò il pare come per cercare di
capire.
“Cosa sono in grado di
fare?”
“Puoi trasformarti, per
esempio.”
“In che cosa?”
“Tutto ciò che
vuoi. Non hai mai sognato di essere…”
“Dimmi come si
fa” lo interruppe Luisa.
“Prova. Potrei insegnarti
come respirare? Lo sai già, ma non
ne sei consapevole. Prova.”
Luisa lo scrutò
preoccupata, poi chiuse gli occhi.
Da dietro le palpebre, sapeva che
Celebi era ancora lì, di
fronte a lei… si strinse nelle spalle e volle provare, come
lui; volle
concentrarsi.
“Diventa come me”
sussurrò Celebi, e la sua pelle era contro
la sua pelle fremente… con gli occhi della memoria ella
rivide il piccolo
Pokémon sinuoso sulla cima della Torre, rivide
l’esile corpo verde che emanava
tanta potenza. Ebbe d’un tratto un gran desiderio di essere
come lui, di
possedere un corpo piccolo e sinuoso come il suo, di essere potente
come lui…
Si richiuse su se stessa e a quel
punto fu come spiccare un
salto e non accorgersi di essere di nuovo a terra.
Celebi la guardava con uno sguardo
che era amore e
soddisfazione. Luisa sorrise nel vedere il proprio riflesso nei suoi
occhi.
“Diventa
qualcos’altro.”
E lei incominciò a
trasformarsi, sempre più rapidamente e
facilmente, fino a diventare un confuso spettro di colori e forme e
immagini
indistinte… frattanto, continuava a domandare:
“Sono immortale come te?”
“No.”
“Cos’altro posso
fare?”
“Ogni cosa che
desideri.”
Era buio ormai. Da lontano, Luisa
sapeva che Lance e Argento
avevano paura per lei, pensavano a lei. Si rimproverò di non
aver pensato prima
a loro e per essere rimasta sola tanto a lungo, sulla cima del Monte
Argento, a
cercare di comprendere appieno quelle capacitò che da poco
aveva riscoperte in
sé.
Preoccupata, si alzò in
piedi e adagio, poiché era ancora
incerta, si sollevò dal terreno innevato e prese il volo.
Non era come volare col suo
Aerodactyl; era diverso, tanto
strano! Si lanciò in picchiata, proseguendo in parallelo al
pendio scosceso del
monte, verso terra; raggiunse i cento metri dal suolo, poi si
sollevò di botto
e si diresse verso l’Altopiano Blu. Lo raggiunse in pochi
minuti di vento
freddo sul viso infuocato. Accostandosi dall’alto, scorse i
due compagni nell’Arena
delle Battaglie. Erano seduti e aspettavano: davanti a loro, il
Charizard di
Lance aveva acceso un gran fuoco. L’attendevano, lanciandole
nella notte un
segnale luminoso come un aeroporto, perché sapevano che era
l’Arena che avrebbe
raggiunto.
Luisa planò
sull’Arena, soffermandosi accanto a loro, e
lentamente si posò di nuovo a terra. Appena i suoi piedi
ebbero recuperato il
contatto essa si sentì vacillare. Argento la sorresse.
“Com’è?”
domandò, avendola aiutata a sedersi sulle coperte
che lui e Lance avevano steso per proteggersi dal terreno freddo.
“Sei arrivata
volando…”mormorò Lance, arraffando una
pentola
lasciata in caldo accanto al fuoco. Aprendola, le mise davanti una
minestra
calda, e un cucchiaio e una fetta di pane: cibo da malati, ma Luisa non
mangiava dalla sera prima e sentiva mancarsi le forze. Si
gettò sul pane.
“Avrei dovuto venire prima
da voi…scusatemi.”
“Non devi
scusarti” disse Argento. “L’importante
è che tu
stia bene. Luisa annuì mentre con una mano spezzava una
seconda fetta di pane
nella minestra.
“Credevo di non essere
capace di accettarlo…non so ancora,
ci devo pensare. Mi ha mostrato cosa sono in grado di fare…
cosa è mio diritto
fare, in quanto…” Luisa si fermò.
Rincominciò a mangiare.
“Sono la Prescelta
Creatura… è tutto molto strano. Celebi ha
detto…mio padre ha detto che da me si aprirà una
nuova era. Ci sarà una nuova
Età dell’Oro e questo accadrà quando
gli Unown, probabilmente, costruiranno la
loro Torre e sveleranno il loro mistero.” Si interruppe,
mescolando la zuppa
col cucchiaio. “Vi ricordate quando, qualche mese fa,
parlammo degli Unown… ci
domandammo se la torre avesse in qualche modo a che fare con
noi.”
Lasciò la frase in
sospeso, ma non era necessario
terminarla. Il suo breve pasto terminò nel silenzio. La
notte era buia e
fredda, ma a pochi passi da loro crepitava il fuoco.
Ecco, il capitolo che meno mi piace
di questa storia. Celebi
è un personaggio che da piccola mi piaceva ma che ora odio,
perché (come lo
stesso aspetto della Prescelta Creatura) snatura le azioni dei
personaggi che
non sono più dirette dalla loro personalità ma da
fattori esterni. Comunque,
quando concepii la storia da bambina, Celebi c’era e non ho
voluto né potuto
eliminarlo.
Dovete sapere che quando io giocavo a
Pokémon Cristallo, il
mio primo vero gioco di Pokémon, non è che
Internet fosse proprio in tutte le
case, dunque io non sapevo nulla di Celebi, che come sapete
è incatturabile in
Europa, salvo usare i famigerati trucchi. Una volta vidi
l’immagine di Celebi
su un dvd di un film dei Pokémon presso un videonoleggio e
rimasi molto stupita
al vederlo, poiché non ne avevo mai sentito parlare.
Così mi convinsi che fosse
una specie di divinità Pokémon e ci creai attorno
un vero e proprio universo
peraltro gerarchico. So che ora esistono Pokémon demiurghi
come Arceus, ma ai
miei tempi ce li sognavamo. Ed ecco qua la mia teoria,
com’è raccontata nel
monologo di Celebi.
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Capitolo 11 *** Le amicizie altolocate. ***
Era diventato molto divertente
vivere, adesso.
Tre ragazzi giovani e forti
allenatori, pieni di salute e di
bella presenza, liberi e sereni, senza troppo problemi, buoni a vivere
alla
giornata. E con parentele e amicizie altolocate. Era stato Lance a
trovare
questa definizione. Altolocate.
Era facile vivere per loro. Pensavano
solo ad allenarsi.
Avevano disponibilità economiche, e per famiglia, e per
continue lotte vinte,
ma non spendevano molto denaro. Mangiavano quando, dove e cosa
capitava,
bevevano acqua, dormivano all’aperto, salvo nelle notti di
pioggia o di freddo
troppo intenso: allora si rifugiavano in qualche Centro oppure,
più spesso, in
grotte e caverne che conoscevano ormai bene. Raramente tornavano ad
Altopiano
Blu, ma talora vi erano costretti da qualche formalità che
Lance doveva
necessariamente sbrigare.
In poche parole, era una bella vita
la loro.
Un giorno, mentre facevano un bagno
al largo (erano a
qualche centinaio di metri dalle Spumarine) Lance gettò la
testa all’indietro,
come riflettendo su qualche cosa di molto vecchio, e disse:
“Mancano dieci
giorni alla nuova Lega.”
“Dieci giorni?”
ripeté Argento. “Ne sei sicuro? Ma come? Se
davvero mancano solo dieci giorni, allora è il nostro
anniversario!”
“Anniversario? Ma no,
Argento, non può essere” disse Luisa.
Inarcò leggermente un sopracciglio azzurrino. “Un
anno è molto lungo! È già
passato tanto tempo?”
“Davvero, e tra poco
più di quattro mesi sarà l’anniversario
del giorno in cui abbiamo scoperto l’identità di
tuo padre” rispose Argento.
Lance sorrise, ma i suoi occhi
continuavano a guardare il
sole.
“Quello che mi preoccupa
è che tra tre giorni bisognerà bene
tornare ad Altopiano Blu…ho delle responsabilità.
E…”
“Rosso” disse
Luisa.
Lance fece silenzio un momento.
“Sì, Rosso.”
“Ma di che ti preoccupi,
Lance?”
“Io non sono capace di
sconfiggerlo…come potrei, se sono
certo che persino Blu, che gli è inferiore, sarebbe ora
capace di sconfiggermi
senza poi molte difficoltà?”
“Allora sarò io
a combattere con Rosso, e lo batterò, stanne
certo.”
“Sarà la mia
seconda batosta pubblica” disse Lance con un
sorriso amaro, e allora fu ben chiaro a cosa pensassero i suoi occhi.
Dopo un poco, egli riprese:
“Non importa, ma sarà divertente
vedere cosa accadrà con Blu, dopo.”
Luisa si rigirò con
più forza nell’acqua.
“Ragazzi, santo cielo,
stasera è il nostro anniversario e
noi neppure lo sapevamo! Che facciamo qui? Andiamo da qualche parte a
vestirci
e a lavare via il sale, poi andiamo a Olivinopoli a cena da qualche
parte dove
facciano il pesce! Che ve ne pare?”
Allora seguirono la sua proposta.
Andarono a cambiarsi e a
vestirsi come si deve, ed erano davvero piuttosto belli vestiti da
sera, e
andarono a cena a Olivinopoli e poi andarono a ballare e rimasero a
divertirsi
fino a tardi, erano forse le tre di notte; ma non si erano dimenticati
che
giorno era, e allora andarono alla Torre di Latta.
Non erano attesi, questa volta. Ho-Oh
riposava. A pochi
passi da lui, Mew giocava con un nido. Mewtwo non c’era.
Luisa scese in silenzio dal suo
Aerodactyl coi tacchi in
mano. Ho-Oh dormiva. Allora in silenzio la ragazza si
accostò alle sue spalle e
con un salto gli si gettò sul dorso, tra le ali, gridando
con una voce che a
ogni momento pareva sempre più una risata…
“Prescelta! Forse dovresti
comportarti in modo più
appropriato al tuo rango.”
Luisa continuava a ridere di una
risata che danzava come
l’acqua. Si lasciò scivolare lungo il suo dorso e
rimase scalza sul liscio
suolo di legno.
“No,
questo no!”
“Saresti una
principessa.”
“Ma se l’ho detto
molte volte, che per me non cambia niente!
Sono affari vostri quello che devo fare” disse Luisa.
“E comunque, non dovresti
lasciarti cogliere di spalle, lo sai.”
Ho-Oh sospirò e le sorrise
di un sorriso rassegnato. “Sei la
degna figlia di tuo padre, Prescelta Creatura. Dimmi, cosa ci fate
qui?”
“Festeggiavamo il nostro
anniversario” disse Argento. Anche lui
era davvero piuttosto bello vestito da sera, e i suoi occhi limpidi
scintillavano nella notte. Mew scivolò attorno ai suoi
fianchi stretti,
esclamando: “Degna ricorrenza, Prescelti!”
“E neppure difficile da
ricordare” soggiunse Lance. “Dieci
giorni esatti prima della Lega Pokémon… ehi,
piccola. Non credi che a tuo padre
farebbe piacere salutarti stanotte? È un giorno importante.
Ci ho pensato solo
ora.”
“Se lo dici
tu…andiamo.”
“Dormiamo a Bosco di Lecci,
a questo punto” disse Argento.
“Visto che ormai son quasi le quattro… e poi,
domattina, possiamo andare
all’Altopiano Blu. Così Lance può
sistemare quelle ultime cose, prima della
Lega.”
A quelle parole, Ho-Oh si
mostrò perplesso per qualche
attimo. Luisa se ne accorse e gli rivolse un’occhiata
interrogativa. Il Pokémon
distolse immediatamente gli occhi da lei, ma Luisa sentì
questo messaggio forte
e chiaro rivolto a lei, a lei soltanto: “Stai
attenta, Prescelta Creatura.”
“Stai
attenta? Che
vuol dire, Ho-Oh?”
“Niente…stai
attenta.
Solo questo.”
“Ma
a che cosa?”
“Non
so…durante la
Lega, guardati bene… è solo una sensazione, ma
potrebbe succedere qualcosa. Ti
prego, stai bene attenta. Io ti voglio bene, non solo perché
sei la Prescelta Creatura,
ma perché mi sei cara…come a tutti qui.”
Luisa gli rivolse un sorriso diretto.
“Grazie. Starò
attenta.”
“Grazie
a te.”
Rimasero per pochi altri minuti sulla
Torre, quindi si
accommiatarono e si diressero in volo a Bosco di Lecci. Atterrarono nei
pressi
del Santuario, che raggiunsero a piedi, scostando il fitto fogliame.
“Papà,
vieni!”
Per un poco, non accadde nulla. Ma
poi, in modo quasi
impercettibile, il bosco cominciò lentamente a riempirsi di
una nebbia leggera,
quasi trasparente, d’un bianco argenteo come un vetro
attraversato dalla luce…
e quella nebbia cominciò piano ad arricciarsi, a
incresparsi, ad assumere una
forma che converse in un unico punto, come una bambola di nebbia, e da
essa
Celebi prese forma e colore.
“Grazie di esserti
ricordata di me, mia piccola… e anche voi”
soggiunse guardando i due Prescelti. “Buon anniversario,
ragazzi.”
Pochi istanti dopo, egli aveva
assunto un aspetto umano. Era
una natura multiforme, che faticava a stare ferma. Tese le braccia e
Luisa vi
si gettò, gli diede un bacio sulla guancia.
“Ho-Oh
ti ha detto
qualcosa?”
“Sì.
Papà, a cosa...?”
“Anch’io
ho la sua
stessa sensazione. Ho-Oh l’ha avuta, e ce l’ha
avuta anche Mew, ma non te l’ha
voluto dire, perché…lo conosci.”
“Ma
da cosa devo
guardarmi?” domandò Luisa staccandosi
dalle sue braccia.
“Da
nulla di definito…quindi,
da tutto. Potrebbe non accadere nulla, come qualsiasi cosa…
non lo so. Ma saremo
tutti più tranquilli, e io in prima persona, se mi prometti
che farai molta
attenzione.”
“C’entra
col mistero
degli Unown?”
“Te
l’ho detto, non
sappiamo ancora niente. Ma è bene che tu stia molto attenta.
Me lo prometti?”
“Te
lo prometto, papà.”
“Parlane anche ai
tuoi compagni, così che
possano…”
“Va
bene, papà. Glielo
dirò. Ma non sei un po’ troppo premuroso per
essere il Signore dei Cieli?”
domandò la ragazza ridendo.
Ma Celebi lasciò cadere la
conversazione e parò a lungo e
cortesemente coi tre Prescelti. Quando essi, stanchi ormai per il sole
che già
albeggiava, vollero andare a dormire, dopo aver riflettuto per qualche
momento,
egli disse loro di recarsi ai margini orientali della foresta. I
Prescelti vi
andarono e trovarono una piccola radura pulita e asciutta, bagnata da
una poca
luce argentata e adombrata dalle fronde degli alberi. Al centro
gorgogliava un
piccolo stagno dalle acque limpide nel quale si specchiava
un’alba infuocata.
“Ringraziamo le nostre
amicizie altolocate!” esclamò Lance,
ridendo.
Stesero a terra le loro coperte e si
disposero a dormire. C’era
un piccolo coro di Ledian che si nascondeva tra i cespugli e i rami
degli
alberi, ed essi si addormentarono cullati dalle loro dolcissime canzoni.
Capitolo di passaggio, giusto per
introdurre le nuove
relazioni che i Prescelti hanno intessute. Dal prossimo capitolo si
apre la mia
fase preferita della storia (con qualche piccolo brano che non mi piace
più,
ovviamente).
Un grazie e un bacio grande a Emma
Bradshaw per la cortese
recensione.
Alla prossima! :)
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Capitolo 12 *** La grande Lega. ***
Nei giorni seguenti, trascorsi quasi
interamente
sull’Altopiano Blu, l’Indigo ferveva di preparativi
per la Lega.
Lance indossava e smetteva la sua
maschera di Campione per
organizzare il tutto al meglio. Questa doveva essere la grande Lega,
disse, la
più grande di tutte, quella durante la quale il mito di
Rosso sarebbe
definitivamente crollato oppure sarebbe stato innalzato. Non si sapeva
ancora.
Solo Luisa dimostrava di non avere alcun dubbio.
La ragazza si guardò
attentamente, come Celebi aveva detto,
ma non notò nulla che potesse rivelarsi pericoloso, neppure
quando gli
allenatori cominciarono ad affluire per le iscrizioni… tra
loro c’era Rosso.
Lance, che come al solito soprintendeva alle operazioni di iscrizione,
lo
guardò con attenzione e si pose deliberatamente alle spalle
dell’addetto che lo
stava registrando. Rosso lo notò, ma non fece commenti.
“Ha
portato le
medaglie della Lega di Johto” mandò a
dire ai suoi compagni.
“Non
ha avuto il
coraggio di sfidare Blu” disse Luisa, che osservava
le operazioni, con
Argento, seduta sul davanzale di una finestra aperta, con le gambe che
dondolavano nel vuoto.
“Ha
un altro astuccio
nella giacca. Se posso fare una supposizione, sono le medaglie di
Kanto… senza
quella di Smeraldopoli, ovviamente.”
“Che
romantico”
pensò Luisa, ridendo.
In quel momento Rosso levò
gli occhi su di lei e la guardò.
Luisa rispose al suo sguardo e vide le sua labbra sillabare queste
parole: non studiare gli altri,
sarò io a vincere.
E Luisa rispose: Lo
so.
Lance intuì questo scambio
di battute, ma non guardò Luisa e
fece anzi per allontanarsi. Prima di entrare, però, Rosso si
voltò verso di lui
e lo chiamò: “Lance!”
“Cosa
c’è?” rispose Lance girandosi, le mani
dietro la
schiena.
Con un sorriso, Rosso
sollevò due dita. Lance avvampò e
barcollò come per un colpo ricevuto. Rosso
scoppiò in una risata ed entrò
nell’edificio.
“Hai visto?”
esclamò Argento. “Cosa si saranno detti? Che
gesto ha fatto Rosso?”
Luisa s’incupì.
“Questo gesto” rispose sollevando le dita.
“Cosa diamine significava,
lo sai?”
La ragazza si passò una
mano sugli occhi. “Sostanzialmente,
significa: stai attento, perché
questa
sarà la mia seconda vittoria su di te.”
I tre assistettero alle eliminatorie
dal palco privato di
Lance, come imperatori su di un’arena.
Rosso sconfisse tutti con gli occhi
pieni di noia. A ogni
vittoria, guardava in su, verso la tribuna, e guardando Lance ripeteva
quel
gesto. Oppure, guardando Luisa, le rivolgeva un sorriso. Frattanto, gli
ospiti
stupivano di un allenatore tanto forte.
Il giorno della Lega, i Capipalestra
raggiunsero l’Indigo.
Blu era tra di loro, e nonostante il caldo teneva addosso il mantello.
Era
pallidissimo, cogli occhi innaturalmente grandi e cerchiati, le labbra
pallide;
spesso beveva da una bottiglietta d’acqua, che
finì molto presto. Aveva la
febbre e, impietosita, Jasmine mandò a prendergli
dell’altra acqua.
Nonostante la freddezza che
dimostrava e l’arroganza e la
strafottenza, Rosso non riusciva a impedirsi di guardarlo. Durante una
pausa,
dopo aver sconfitto Bruno, Lance mandò un uomo a portargli
un biglietto. C’era
scritto: Lance chiede se Rosso desideri
sapere
della salute di Blu.
Rosso lesse il biglietto e girandolo
scrisse sul suo retro: Rosso ringrazia
infinitamente e accetta
l’offerta.
Non avrebbe accettato nulla se non si
fosse trattato di Blu,
probabilmente. Quando gli arrivò il biglietto seguente,
sorrise, rasserenato.
Diceva: Solo qualche linea di febbre
nervosa.
Infine, Rosso sconfisse Agata e venne
il turno di Lance.
Tutto era avvenuto così in fretta che ancora il sole non era
alto- dovevano
essere le undici.
Era la prima volta che Lance si
mostrava preoccupato per una
battaglia. Cercò di non darlo a vedere, eppure non ne era
capace. Scese in
campo e cominciò a combattere.
Era straziante vederlo soccombere
sotto i colpi incessanti
del nemico; Luisa afferrò la mano di Argento. Pochi minuti
dopo, Rosso vinceva.
Gli applausi furono pochi e brevi.
Blu sorrise appoggiandosi
sulla fronte un fazzoletto umido, nel quale badò, forse
troppo tardi, di
nascondere il proprio sollievo.
Lance rimase a lungo fermo al centro
della propria
postazione, incredulo. Rosso avanzò fino al centro del campo
e si fermò ad
aspettarlo.
“Paura?” chiese
muovendo appena le labbra.
Il Superquattro si riscosse.
Socchiudendo gli occhi,
raggiunse l’avversario. La stretta delle lor mani fu breve ed
evidentemente
fredda.
“Non è per te
che sono qui. Tu non c’entri niente.”
“Lo so. Ma non riuscirai a
sconfiggerla…neppure questa
volta.”
Rosso guardò direttamente
Blu. “Ce la farò, invece.”
Lance sospirò. Spingendo
indietro il piede, fletté il busto
in un inchino rapido ma che tutti videro, e che sprofondò
l’Arena intera in un
silenzio incredulo.
Per la prima volta, Lance si era
inchinato pubblicamente a
un avversario. Rosso rimase immobile a guardarlo. Sollevandosi
rapidamente,
Lance gli rivolse un sorriso.
“E tu farai lo stesso con
lei, se vince.”
In un gesto anco più
veloce, sbatté i tacchi e gli diede le
spalle, dirigendosi a passo svelto verso la tribuna.
Stupito, Rosso gettò uno
sguardo preoccupato su Blu, quindi
si ritirò a sua volta.
Lance raggiunse i suoi compagni sul
palco. Luisa gli tese le
braccia, ma egli rimase immobile a guardarla.
“Sapevo che non ne sarei
stato in grado. Tutti lo sapevamo.
Ora tocca a te.”
“Vieni qui” disse
la ragazza. “Abbracciami. Dammi un po’ del
tuo coraggio.”
“Che coraggio?”
replicò Lance, ridendo d’una risata che
nulla aveva di gioioso.
“Il coraggio
d’inchinarti. Tu sai che io non l’avrei
trovato.”
“Ci sono cose che si devono
fare.”
Luisa si protese verso di lui e lo
baciò sulle guance. “Sarà
bene che vada giù, ora. Non posso stare qui. Sono troppo
emozionata.”
Alzandosi, si accostò alla
porta del palco. Soffermatasi
sulla soglia, si appoggiò per un istante allo stipite.
“Lance…”
“Dimmi tutto.”
“Avevi ragione tu, sai.
Questa sarà una grande Lega. E poi…”
sorrise. “C’è mio padre a vegliare su di
me.”
“Vai, ora”
mormorò Lance senza guardarla.
“Aspetta, Luisa”
disse invece Argento, infrangendo per la
prima volta il proprio silenzio. Quando Luisa si voltò a
guardarlo, si stupì di
trovarlo molto preoccupato.
“Quello che tuo padre ti
diceva… lo sento anch’io, ora. È
nell’aria, è nell’Arena… un
pericolo su di te. Fai attenzione, ti prego.”
“D’accordo”
riprese Luisa. “Starò attenta. Promesso. Ma cosa
può accadermi mai? È solo una sfida.
Andrà tutto bene.”
Argento le rivolse un sorriso tirato.
“Può darsi.”
Colpita da quella risposta, Luisa
aggrottò le sopracciglia.
Non gli rispose. Scese in fretta le scale e raggiunse
l’uscita del breve
tunnel.
Ecco, inizia la battaglia. I due si
schierano sul campo,
l’uno per il suo sogno e forse per il suo amore,
l’altra per difendere ciò che
ha ottenuto.
“Combatti bene”
disse Rosso. “Questa sarà l’ultima volta
che
ci sfidiamo.”
“L’ultima?
Davvero non mi sembra vero” rispose Luisa con gli
occhi scintillanti di provocazione.
E il pubblico non capiva che cosa
stessero dicendo, poiché solo
loro sapevano.
Rosso schierò il suo
Pikachu, e Luisa che voleva umiliarlo
avrebbe potuto scegliere il suo Sandslash o il suo Aerodactyl, ma
scelse
Gyarados.
“Combatti bene anche tu,
Rosso, perché oggi ci guardano e lo
sai” e ammiccò con gli occhi verso il cielo.
Rosso avvampò e le
inveì contro furente, indignato, ogni
istante più disperato: “Io non posso perdere oggi
e anche tu sai perché!
Combatti allora, dai!”
E ripresero a lottare, quelle due
anime che non erano capaci
di fare altro. E a ogni metro di terreno che perdeva, Rosso tremava. Ma
Luisa
non aveva pietà e infieriva su di lui come una belva ferita,
perché voleva che
capisse che non da lei dipendeva la sua felicità o il suo
amore, né da
Thyplosion né da Charizard, e neppure da Ho-Oh o da Celebi:
dipendeva da lui.
E non poteva imputare niente a Ho-Oh
o a lei, o al suo
Pikachu o al suo Espeon che persero entrambi… o al suo
Venusaur che sparò verso
il suo Thyplosion foglie aguzze come lame, ma che forse non aveva fatto
i
dovuti calcoli.
Luisa vide avvicinarsi quella foglia
e stupidamente continuò
a guardarla, vicina, ogni istante più vicina,
finché non poté più vederla e
pensò che se ne fosse andata, e poi sentì un
bruciore tremendo e quel bruciore
le strappò un grido…
“NO!”
Era la voce di Argento, o quella di
Lance… ma perché quel
grido?”
E… perché
quando si toccò il petto bruciante, ritirò la
mano
sporca di sangue?
E perché le venne da
piangere, ritrovandosi a terra,
impolverata e sanguinante?
Perché Rosso faceva di
corsa il giro del campo per venire da
lei…?
“VAI VIA!”
Rosso si fermò a
metà strada, stupito; guardò lei,
guardò
Lance, chiedendo con gli occhi cosa dovesse fare.
“Torna
là… finiamo qui! Vai!”
“No, tu stai male, ti esce
il sangue” balbettò il ragazzo.
“No! Finiamo, voglio
finire!”
“Luisa! Basta ora,
continuerete poi!” gridò Lance, in piedi
sulla tribuna, appoggiato alla balaustra.
“No…no, ora,
ora!”. Era disperata. Sollevò gli occhi,
ch’erano grigi ma ora arrossati e pieni di lacrime,
sull’avversario. “Gli hai
promesso un anno…oggi è un anno. Finiamo, e Ho-Oh
sarà qui per attenderti,
Rosso!”
Suonò come una minaccia.
Rosso tremò e guardò in alto. Lance
si voltò verso Argento.
“Vuol
combattere… senti, lo senti come batte il suo
cuore?”
domandò egli con gli occhi fissi.
“Vuol
combattere… lasciamola” disse Lance.
Guardò Rosso e
annuì. “Vai, allora.”
Stupito, Rosso tese la mano alla
ragazza e l’aiutò ad
alzarsi. Luisa barcollò: quanto sangue, quanto dolore, e
com’era leggera la sua
testa!
“Vai ora, o
morirò prima che…”
Non finì la frase, ma
Rosso aveva capito prima ancora
ch’ella parlasse. Tornò di corsa al proprio posto.
Luisa combatté fino allo
stremo, tenendosi con le braccia
quella ferita che le attraversava il petto intero… sulle
tribune, sua madre
urlava per farsi sentire, per farla smettere. Lontano e vicino alla
figlia,
Celebi pregava. Chi? Neppure lui sapeva.
“Lance! Lance, falli
smettere! Per amor di Dio, Lance, tu
sei suo amico, falli smettere, falli smettere!”
Ma Lace non ascoltava, pregava: curvo
sul parapetto della
tribuna, la fronte tra le mani, gli occhi chiusi; al suo fianco,
Argento era in
piedi, proteso in avanti a osservare la battaglia…
Le mani lividissime strette sul ferro
della balaustra, Blu
guardava, incapace di fare altro; nel sedile accanto al suo, Sandra si
era alzata
e mormorava: “Mio Dio, morirà se nessuno fa
qualcosa! Perché Lance non dice
niente?”
“Perché lei non
saprebbe accettarlo” rispose Blu a bassa
voce.
Luisa continuava a battersi, nel
frattempo. Non capiva più
niente: si sentiva la mente vuota. Non sentiva neppure più
il dolore.
Thyplosion agiva senza attendere il suo ordine, lei non riusciva
più a pensare.
E diceva a bassa voce: “Papà, papà, non
so se ce la faccio…”
Neppure Rosso riusciva a
concentrarsi. Luisa lo notò e
singhiozzò: “Non ti distrarre! Questa
sarà l’ultima volta e voglio che sia
indimenticabile!”
E Rosso capì
perché combattevano, e perché doveva obbedirle.
Riprese ad attaccare, sempre
più forte e con maggiore
intensità. Era migliorato davvero.
“Sei bravo, sai! Sei
diventato bravo davvero, forse stavolta
mi batti.”
“Non parlare, stupida! Non
sprecare le forze!”
“Che vuoi che
m’importi a questo punto?” E voltandosi Luisa
ebbe un conato e vomitò sangue scuro…Rosso
rabbrividì, ma subito si riscosse:
“Getto d’acqua!”
“Lance, Lance, digli che
smettano, falla smettere o morirà!”
“Ruotafuoco!”
Mew volava sopra di loro, troppo
leggiadro perché qualcuno
potesse vederlo; solo Luisa percepì la sua presenza.
“Mew…sto
bene.”
Mew non rispondeva. Luisa
continuò a combattere fino a
ritrovarsi in ginocchio. Nessuno demordeva. Infine, Rosso
chiamò Charizard, la
sua ultima carta. A Luisa sanguinava la bocca e non poté
dire nulla, e
Thyplosion agì per suo conto...
Rosso arretrò vedendo
Charizard sconfitto, Charizard, il suo
caro amato Charizard… si voltò a guardare Blu, ma
il Capopalestra non rispose
al suo sguardo.
Luisa era a terra. Con un balzo,
Argento scavalcò la
balaustra e le fu vicino. Lance fece un segno ai paramedici e si
lanciò lungo
le scalette. Quando la luce cessò di accecarlo per un
attimo, fuori dal breve
tunnel, vide una barella già a terra e quattro camici
bianchi già pronti a
caricavi la ragazza. Argento era immobile presso di loro.
“Lance, Lance,
perché l’abbiamo lasciata combattere?”
Il Presidente rimase in silenzio,
guardando la compagna
disposta sulla barella, col sangue sulla bocca e una gran macchia nera
e densa
sul petto.
“Perché
dovevamo…ci avrebbe perdonati altrimenti? Voi, a che
ospedale la portate? Fiordoropoli?”
“No, non ce la
facciamo” disse uno dei medici. “La
ricoveriamo qui, poi si vedrà.”
“Oh, Lance, non
può morire ora, è una semi…”
Argento si
bloccò, imporporandosi. “Lance! È una
semidivinità!”
“Parla più
piano! E allora?”
“Lance, le
trasfusioni!”
Lance barcollò, si
appoggiò alla spalla di Argento e
mormorò: “No, no, bisogna bene che non la
tocchino!”
Si lanciò di corsa verso
il piccolo tunnel. Rosso era già
scomparso dall’Arena. Argento fece per inseguire Lance, poi
si ricordò della
mamma della ragazza. Tornò di corsa verso le tribune e la
cercò con gli occhi
nella folla che premeva, pigiava per uscire e avere notizie della
Campionessa.
“Signora! Signora Monica,
venga, di qua!”
Monica lo vide e, voltandosi, a
fatica fendette la folla col
suo piccolo corpo per raggiungerlo. Si curvò si di lui e gli
tese le braccia,
esclamando: “Come sta? Come sta?”
“Non so ancora. Venga, la
mando da Lance.” Dicendo questo,
Argento le tese un braccio, aiutandola a scavalcare la tribuna, e la
depose a
terra, nell’Arena. Le indicò il tunnel.
“Passi di là sotto, eviterà gran parte
della folla, vada di corsa e chieda di Lance! Vada!” e la
spinse via.
Rimasto solo si guardò
intorno, domandandosi dove Rosso
potesse essere finito.
Blu era rimasto solo nel palco dei
Capipalestra. Teneva il
viso nascosto nel fazzoletto. Argento lo raggiunse con poche falcate e
si
appese al parapetto per parlargli. Blu lo vide e allontanò
il fazzoletto dal
volto. Stava piangendo, ma stavolta non si curava di mascherarlo.
“Argento…che
piacere. Mi sai dire come sta Luisa? Sono in
pensiero” disse coma parlando del tempo.
“Non so ancora, sto andando
da Lance, è a parlare con i
medici, io…devo fare una cosa qui, prima. Perché
sei solo?”
“Preferisco restare un
po’ qui. A nessuno dispiace, vero? Mi
piace questo posto.”
“Blu, Rosso
è…”
“Argento. Non parliamone
più, ti prego. Ho fatto voto di
dimenticarlo se… e adesso, hai visto. Ti prego.”
Era pallido, febbricitante. Argento
balzò a terra dal
parapetto. Si stava avviando di corsa verso il tunnel quando,
d’un tratto,
sentì la presenza di Mew. Con la coda dell’occhio
vide la punta del suo musetto
rosa.
“Mew! Cosa ci fai
qui?”
“Celebi mi ha mandato. Sta
venendo qui.”
“Sta arrivando?”
“Sì.
Sì occuperà lui di sua figlia. Non devono
toccarla.
Lance discute con loro, ora. Va’ da lui.”
Argento non rispose neppure, ma si
mise a correre. Percorse
il tunnel come una folata di vento e prese il passaggio segreto che
Lance aveva
mostrato loro alcuni mesi prima, la notte in cui era cambiato tutto.
Sapeva che
avrebbe impiegato meno tempo raggiungendo l’edificio per via
esterna, ma
sospettava che si sarebbe certamente trovato imbottigliato nella ressa
che
certamente si stava formando al piano terreno e davanti alle porte.
Raggiunse
dunque dall’alto il primo piano, dove la ragazza era
ricoverata. Vedendo fuori
dalla finestra la folla che premeva sull’ingresso, e poi
quella che aveva già
raggiunto il piano terra, si disse d’aver fatto bene a
impiegare quei pochi
minuti in più.
Lance era di front alla porta del
pronto soccorso che era
stato rapidamente adibito, con strumentazioni di fortuna, per
ricoverare la ragazza.
Era rosso in viso, e sul suo volto accaldato si mischiava un insieme
umido di
sudore e lacrime. Gridava: “Lei è contraria, per
la sua religione… il sangue
immondo… e gli estranei non devono… non vuole,
non potete farlo!”
“Lance” lo
interruppe il dottore con sguardo severo “Morirà!
Sta già morendo. Ti sei preso la responsabilità
di lasciarla combattere, ora
non prenderti anche quella di lasciarla morire!”
“Aspettate, aspettate un
attimo!”
“Lance!”
gridò Argento, facendosi largo a stento tra la
folla. “Lance, sta arrivando…il dottore!
“Eh? Che dottore?”
“Il suo
dottore…quello del sangue!” e soggiunse:
“Celebi.”
Lance s’illuminò
vedendo i proprio dubbi fugati da quella
parola.
“Sta arrivando il dottore,
il suo dottore, il medico che la
segue. Lui può toccare il suo sangue, voi no. Lui
è…”
“Una specie di
sacerdote” disse Argento.
Il medico con cui lance si era
dibattuto fino ad allora era
un bell’uomo, sulla quarantina, di capelli folti e scuri,
cogli occhi neri e le
labbra livide e strette.
“E tra quanto arriva,
questo vostro dottore?”
“Poco” rispose
Argento. “Lui è molto veloce.”
“È
vicino” aggiunse Lance. “Manca poco. Due, tre
minuti.”
Il dottore strinse le labbra.
Scrutò con gli occhi i
colleghi, quindi rispose: “Molto bene. Stiamo preparando i
ferri e le siringhe.
Se tra cinque minuti non è qui, noi iniziamo.”
“Grazie”
risposero in coro i due Prescelti.
Nessuno dei presenti si era accorto
che, nei pochi minuti
che Lance e Argento avevano strappato ai medici, Mew si era seduto sul
petto
della ragazza e, col proprio respiro, le aveva donato qualche minuto di
vita.
Le voleva molto bene.
La scala che conduceva dal piano
terra al primo era stata
bloccata. I solo che avessero il permesso di passare erano i cosiddetti
addetti
ai lavori. La madre di Luisa non era riuscita a raggiungere la scala,
probabilmente. Argento si sporse sui gradini, quindi li discese a
grandi
falcate per vedere meglio. Sopra di lui, Lance consultava un orologio.
“Quanto è
passato?”
“Un minuto, un minuto e
mezzo…”
“E ora?”
“Manca ancora un
po’” mormorò Lance, scrutando con occhi
affannati il gran lavorio dei medici che si adoperavano intorno alla
stanza.
Eccolo là, nella folla: un
signore distinto e bello, d’età
indefinibile, cogli occhi grandi e languidi d’un verde
luminoso, e fu da essi
che Argento lo distinse.
Istintivamente la gente si scansava
al suo passaggio. Celebi
raggiunse senza problemi la scala. Argento scese di corsa ad aprire il
cordone
per farlo passare.
“Sei tu? Non
c’è tempo per sbagliare.”
“No, non ce
n’è. Portami da lei.” E salì
di corsa le scale
mentre Lance, trionfante, abbassava l’orologio.
L’infermiera Joy
aprì la porta della saletta. Mew si sollevò
immediatamente fino al soffitto, ma poi, riconosciuto Celebi,
tornò ad
abbassarsi.
“Grazie” gli
disse Celebi distrattamente, curvandosi sul
petto della figlia. La forza di Mew le permise di aprire gli occhi un
momento e
guardarlo, e quegli occhi erano mostruosamente grandi e colmi di
lacrime nel
viso pallido e il suo stesso sangue le gocciolava dalla bocca sul petto
e sulle
spalle.
“Fate chiudere la
porta” disse il sedicente medico
togliendosi la giacca. “Voi potete restare”
soggiunse rivolto a Lance a
Argento.
Joy richiuse la porta, cui Mew
andò ad appostarsi davanti,
sorta di sentinella. Celebi tolse il corto giubbotto della figlia, le
sfilò la
maglia rosa intrisa di sangue. Il reggiseno, che era stato tranciato a
metà
dalla traiettoria della foglia, penzolò miseramente sui
fianchi insanguinati
della ragazza. Celebi lo scacciò con rabbia. La ferita
attraversava quasi per obliquo
il torace della ragazza, aveva bordi slabbrati e irregolari che a
Celebi non
piacquero; ma più ancora egli temeva lesioni interne al
corpo della figlia…
fece cenno a Lance a Argento di voltarsi di lato e poi, con gli occhi
stretti
contro la paura e contro la morte, cacciò due dita di una
sua mano mortale
dentro la ferita.
D’improvviso la ragazza
diede in uno spasmo incontrollato:
il suo corpo s’inarcò innaturalmente ed ella
sgranò gli occhi e gettò un grido
atroce che squarciò l’aria
dell’Altopiano…
“Ferma! Tenetela
ferma!”
Istintivamente Lance si
gettò sul lettino dov’era adagiata
la ragazza e afferrandola per la vita la tirò di nuovo verso
il basso, poiché
Celebi non poteva rischiare che si agitasse mentre la toccava
così
profondamente… si sentì montare addosso una gran
nausea, ma poi, dopo pochi
secondi, ecco una sensazione nuova, diversa… che
cos’era?
Ecco, lo vedeva: dalle dita di Celebi
scaturiva una luce
ch’era divina ed era luce d’amore e di vita, una
luce dorata che s’infondeva
nelle carni della ragazza e portava via un poco di vita da quella di
Celebi,
che però era immortale… sì, risentiva
lui stesso di quella luce ch’era dio ed
era amore, ed era la vita del mondo, e si sentì in qualche
modo lui stesso più
in forze.
Celebi gridò:
“Argento! Prendi la valigetta che ho portato.”
Argento si volse: la valigetta cui
Celebi si riferiva era su
un tavolo vicino alla porta. Corse a prenderla. Quando si
trovò di nuovo vicino
al lettino, vide che Luisa giaceva di nuovo senza forza sul telo prima
bianco e
ora intriso di sangue al punto tale da gocciolare, ma che il suo corpo
intero
veniva scosso da brividi come di febbre… Lance era caduto su
uno sgabello,
bianchissimo in viso, e si fissava le mani e le maniche della giacca e
il
mantello sporchi di sangue…
“Argento! Apri la
valigetta.”
Celebi si era discostato dal lettino
della figlia e ora
stava in piedi, ma con le gambe leggermente ripiegate, appoggiato con
la
schiena al muro, e si arrotolava con la mano la manica della camicia
azzurra.
“Passami una siringa.”
Argento obbedì: gli tese
la siringa, ma quasi a casaccio,
verso Celebi, poiché i suoi occhi vagavano,
irresistibilmente attratti, verso
le ultime scintille dorate che finivano di risanare la ferita,
riaccostandone i
lembi al di sopra della carne… Celebi afferrò lui
stesso quella siringa e se la
cacciò nel braccio umano, dentro le vene azzurrine che
pulsavano sul suo
incarnato bianco e luminoso…
Ecco, qualche minuto dopo, era
finita: una flebo gocciolava
piano, lentamente…
“Perché il tuo
sangue?” domandò Lance dopo un momento.
Ancora egli si fissava le macchie quasi nere che spiccavano sulle sue
braccia,
sul suo mantello scarlatto… “Non sarebbe bastato
quello di…”
Prima che potesse finire di parlare,
Celebi sollevò le mani.
“Sono il solo essere come
lei su questo pianeta” disse.
Sorrise guardando la figlia, che aveva coperto di un leggero telo verde
da
ambulatorio.
“Devi lasciarci
subito?”
“No”
mormorò Celebi.
Lance assentì col capo.
“Sarà utile che
avvertiamo sua madre che va tutto bene”
disse. “Vorrà entrare per
vederla…”
Ed egli già accennava a
uscire dalla stanza, ma Celebi
mormorò: “Aspetta. Vorrei farlo io.”
Sorpreso, Lance si fermò
sussultando e si volse a guardarlo.
Ma poi vide che nei suoi occhi di dio e d’immortale
c’era un rimpianto infinito
che pareva non quietarsi mai, neppure col sonno, neppure con la morte,
e che in
lui brillava qualcosa che non era né etereo né
trascendente, ma incredibilmente
immanente e amaro, era qualcosa di umano e infranto, era il suo amore
perduto e
carico di dolore…
“Molto bene”
disse fermandosi, e discretamente distolse lo
sguardo dalla porta e chinò gli occhi. Celebi
baciò sulla fronte la ragazza e
poi gli passò accanto senza guardarlo, leggero come un
fruscio. Argento restava
immobile, ora seduto accanto al lettino, con gli occhi vacui e spenti e
una
pallida mano insanguinata, che non era la sua, stretta tra le grandi
mani
forti…
Riconoscendo Monica, Joy
l’aveva aiutata a salire al primo
piano ed ella attendeva ora nell’ingresso. Incapace di stare
seduta, la signora
aveva abbandonato la borsa a terra e passeggiava in su e giù
lungo il
corridoio, coi lunghi capelli che, dallo chignon castigato della sua
vedovanza,
ora scendevano sfatti e nervosi attorno al suo collo bianco, sul suo
volto
arrossato e sfatto, ma sempre bello…
Celebi tossì per farsi
sentire. Monica si voltò e si
precipitò da lui; quegli sorrise, e, sollevando le mani,
mormorò: “Vive.”
“Oh, ma grazie, grazie!
Dio, grazie, grazie!” gridava la
donna sciogliendosi in lacrime, e afferrandogli le mani le
baciava…
Ma il sorriso dell’uomo si
fece più triste ed egli mormorò:
“Dio, grazie: hai detto bene!” poi alzò
la voce e disse, sorridendo: “Via, via,
che ho fatto io? Ora non esageri. Sua figlia è forte, il
merito è suo.”
Ma il pianto della donna non
accennava a smettere: ella
piangeva di gioia, piangeva d’amore… Celebi
l’allontanò da sé e sorridendole le
disse: “Se vuole può entrare a vederla. Ma non
pianga troppo forte! Non bisogna
far rumore.”
Monica annuì, muta,
pulendosi gli occhi col fazzoletto, e
guidata da lui entrò nella stanza. Luisa riposava, ora,
pallidissima ma salva
nel suo letto di fortuna, e quella fu la prima volta, dopo molti anni,
che
Celebi e quella donna da lui idolatrata si trovavano insieme al
capezzale della
figlia.
Trascorsero varie ore prima che tutto
si acquietasse intorno
a loro. Solo verso le sei di quel pomeriggio l’Altopiano Blu
si svuotò
definitivamente e il vasto ed eterogeneo gruppo degli spettatori, degli
allenatori e dei giornalisti finì per disperdersi
intieramente. All’Indigo rimasero
in pochi: l’inferma e i due Prescelti, Monica, Celebi, i
Superquattro e poi,
persino, i due professori che, prima di far ritorno ai rispettivi
laboratori,
desideravano far visita alla Campionessa. E infatti, fu poco dopo le
sei che
Luisa si svegliò. Al suo fianco c’erano i suoi
compagni.
A fatica, la ragazza tentò
di alzarsi dal letto e
immediatamente Argento si precipitò a trattenerla.
“Argento…che
cosa è successo?” domandò allora Luisa
con
spavento. Aveva paura di scoprirlo. Si toccò il petto col
braccio libero dalla
flebo: il leggero telo di lino verde le era scivolato di dosso
scoprendole il
petto, ed ella lo sollevò più per abitudine che
per vergogna dei suoi compagni.
“Perché sono qui? Cos’è
successo?”
“È tutto a
posto” rispose Lance inginocchiandosi accanto al
letto per prenderle la mano. “Come ti senti, piccola? Che
cosa ti ricordi?”
“La battaglia”
borbottò Luisa, contraendo dolorosamente la
fronte per ricordare. Sussultò a quel pensiero.
“Rosso! Chi ha vinto?”
“Tu, ovviamente”
disse Argento dolcemente. “Sei svenuta
subito dopo e ti hanno operata d’urgenza qui.”
“Il sangue!”
esclamò Luisa. “Il mio sangue non
è…”
“Sht” disse
Lance. “Lo sapevamo. Non ti preoccupare. È stato
tuo padre a salvarti.”
“Papà
è stato qui?”
“È ancora
qui” replicò il ragazzo alzandosi. “Vuoi
che te lo
andiamo a chiamare?”
“Non subito…e la
mamma?”
“Anche lei è qui
e ora è con Joy ad aspettare che tu possa
vederla.”
“Devo vedere prima lei.
Sarà preoccupata, e deve tornare a
casa…papà capirà.”
“Certo. Vado a
chiamartela” disse Argento scomparendo in
corridoio.
Luisa rimase in silenzio nel letto,
cupa e pensierosa.
Sedendosi accanto a lei sul materasso, Lance le sorrise.
“Come ti senti?”
“Così,
come…benino” disse Luisa. “Che
è stato esattamente?”
“La foglia ti ha tagliata
da qui a qui” spiegò Lance,
indicandole sul proprio petto la traiettoria che aveva avuto luogo sul
suo.
“Tuo padre ha bloccato l’emorragia e curato le
lesioni interne, poi ti ha dato
il suo sangue perché tu potessi…”
Poiché la ragazza chinava
lo sguardo, Lance non terminò la
frase.
“E Rosso?
Dov’è finito Rosso?”
“È scomparso, si
è dileguato nella confusione…non sappiamo
dove sia, ora.”
“Capisco.”
“Tu, invece. Come ti
senti?”
“Bene, credo. Me
l’hai già chiesto.”
“Intendevo…”
“Ah.” Luisa non
lo lasciò finire. “È che per un
momento…mi è
parso…che sarei morta.”
“Perché hai
voluto continuare a combattere, Luisa? Sapevi
che era una pazzia.”
“Secondo te?”
“Non sarà stato
per Blu?”
Luisa scosse lentamente il capo. Gli
sorrise. “No…no, che
sciocchezza. Io volevo combatter, Lance, volevo semplicemente avere la
mia
ultima battaglia con Rosso… indimenticabile, proprio come
desideravo che
fosse.”
Lance si alzò dal letto e
s’inginocchiò accanto a lei, sul
pavimento della stanza, per prendere quella sua pallida mano accasciata
sulle
coperte. “Sei stata molto coraggiosa, lo sai?”
“No, Lance. Credo di essere
solo stata stupida. Penseranno
che l’abbia fatto solo per fare un po’ di
scena.”
“Non dire così.
E poi… noi sappiamo qual è la
verità.”
“Grazie, Lance”
disse la ragazza. E tese le braccia per
stringerselo al petto. “Ho avuto paura, sai. Non lo
dirò a nessuno oltre a voi,
forse… qualcuno potrà pensare che io
l’abbia fatto così, senza pensare, per il
semplice gusto di combattere perché semplicemente volevo
farlo, ma non è per
questo. Volevo che questa battaglia fosse quella decisiva, volevo
ricordarla
sempre…”
Lance la guardò
sorridendo. “Sei una persona molto forte, lo
sai.”
La porta si aprì a questo
punto. Argento ne fece capolino
mormorando: “Luisa, il professor Oak e il professor Elm sono
rimasti per
vederti, ma tra poco dovranno andare via… te la senti di
vederli insieme a tua
madre o preferisci che tornino a trovarti domani?”
Luisa guardò Lance e
riportò lo sguardo su Arento. Disse
lentamente: “Sì, purché ci siate anche
voi…più tardi farete entrare mio
papà.”
Argento annuì e, aperta la
porta, si volse indietro e disse
a qualcuno alle proprie spalle: “Se la sente di vedervi tutti
e tre.” E fece
entrare i due uomini, e al braccio del più giovane, pallida
e stravolta da non
reggersi in piedi, c’era Monica che immediatamente cadde
seduta dove poco prima
Lance si era alzato.
“Dio, come sei stata
stupida a voler continuare a
combattere!” gemette, piangendo ma sollevata, con la bocca
coperta dalle mani.
“Mi dispiace
d’averti fatto preoccupare” disse Luisa con un
sorriso colpevole.
“Oh, ma se non fosse
arrivato quel dottore…quel dottor…”
“Si chiama Jude”
disse Lance immediatamente. “Dottor Jude.”
“Mai sentito”
mormorò Oak con gli occhi bassi. A quelle
parole, fulmineamente, gli sguardi dei tre giovani corsero a
incontrarsi.
“Sospetta
qualcosa…non
ha mai sentito parlare di un medico così abile” disse
Luisa, colpita.
“Potremmo
dirgli che
viene da Hoenn” replicò Argenti,
prendendole la mano per dissimulare quel
silenzio.
“No.
Come avrebbe
potuto arrivare così presto?” disse
Lance. Disse ad alta voce: “Luisa è
stata avventata, ma oggi ha scritto un capitolo nella storia della Lega
Pokémon. Mio padre avrebbe voluto vedere una sfida
simile.”
“E lei, professore? Che
cosa ne pensa?” domandò la ragazza
volgendosi verso Elm. Sentendosi chiamato in causa, egli
sollevò la testa e le
disse sorridendo: “Penso che tu abbia avuto un coraggio
inusitato, Luisa. E che
il tuo sprezzo del pericolo…”
“Non è stato
sprezzo del pericolo” lo interruppe Luisa, ma
senza freddezza: “Ho avuto paura.” Poi, baciando la
mano della madre, mormorò:
“Non sarai per caso arrabbiata con me?”
E la donna dovette scuotere il capo,
esausta, pallidissima,
dicendo: “No, ma è vero che mi farai
morire!”
“Luisa” disse il
professor Oak, con voce nitida e forte
“Presto avrò bisogno di parlarti in privato per
qualche minuto, ma dato che non
è urgente, posso tornare domani.”
Luisa avrebbe volentieri trovato
qualche scusa, e in effetti
non sarebbe stato difficile, per rifiutare di parlare con lui da solo a
sola.
Ma poiché sapeva che Lance amava molto quell’uomo,
e soprattutto a causa della
propria curiosità, gli disse che appena sua mare fosse
tornata a casa avrebbero
potuto parlare.
Difatti sua madre la
lasciò pochi minuti dopo, in compagnia
del professor Elm. Rimasta sola coi propri compagni e col luminare, la
ragazza
gli chiese per quale motivo le avesse richiesto un colloquio privato.
Egli sedette per prima cosa e
prendendole la mano le disse:
“Luisa, tu ricordi quella conversazione che avemmo, circa un
anno fa, nel mio
laboratorio…”
“Sì,
professore…la ricordo.”
“Hai pensato a quello che
vi dissi?” domandò Oak molto
seriamente. Luisa gettò uno sguardo ai suoi fratelli e
rispose sorridendo: “Sì,
professore, ci abbiamo pensato moltissimo!”
“Voglio augurarmi che tu
non l’abbia fatto per quel motivo”
disse l’uomo molto seriamente.
“Per…per quel
motivo?” domandò Luisa senza capire.
“Intendo dire…
che tu non l’abbia fatto per ottenere
l’approvazione di Ho-Oh.”
“No, professore…
si calmi. Io non voglio diventare…
diventare come Rosso” disse Luisa con decisione, ma guardando
altrove.
“Mi fa piacere sentirtelo
dire” mormorò l’uomo. Lance vide
che non era convinto e chinatosi su di lui gli disse:
“Professore, mi creda…
noi non stiamo facendo nulla per ottenere il consenso dei
Pokémon Leggendari o
di Ho-Oh…assolutamente niente.”
“Se volesse, potrebbe
chiederlo anche al nonno di Bill”
intervenne Argento. “Ha più parlato con
lui?”
Oak annuì e disse:
“Sì, certo…in varie occasioni. Di voi,
m’ha detto che non c’è da preoccuparsi,
ma comunque…”
“E allora, di cosa si
preoccupa?” esclamò Luisa. “Si fidi di
lui, se non di noi… e non si preoccupi. Tutt’al
più, se potesse…” Esitò e
guardò i suoi fratelli, in cerca di sostegno.
Proseguì: “Dicevo, se potesse… se
ha un po’ di tempo, dia un’occhiata a Blu, dal
momento che ora…”
Il professore capì le sue
intenzioni prima ancora che la
ragazza finisse di parlare. Sollevando una mano, si affrettò
a rassicurarla
dicendo: “Non temete…ci penserò io, per
almeno qualche giorno, a occuparmi di
Blu. Vedrete che sarà di certo tornato a
Biancavilla…per un po’ di tempo, me lo
terrò vicino. E per il resto…ma prima o poi se ne
farà bene una ragione.”
“Lo spero per
lui” commentò Luisa a bassa voce.
Più o meno convinto, il
professor Oak si decise comunque a
lasciar loro il beneficio del dubbio e a porre fine così,
cordialmente, alla
propria visita. Quando lo scienziato li ebbe lasciati, Luisa si
riposò per
qualche minuto, bevve un po’ d’acqua e si disse
disposta a vedere Celebi.
Inizialmente, Celebi entrò
in forme umane, le forme che
aveva assunto per venire a salvarla. Ma poi, quando Argento ebbe chiuso
la
porta alle sue spalle, allora si lasciò andare e
rilassò le membra stanche e di
nuovo fu Celebi, un’ombra, una nube, un soffio, una presenza,
Celebi di nuovo…
“Papà”
esclamò Luisa tendendogli le braccia.
“Quanto coraggio hai
dimostrato oggi! Mai nessuno avrebbe
potuto aspettarsi tanto, neppure da una principessa! Se tu sapessi
quanto sono
orgoglioso di te” mormorò Celebi nelle sue
orecchie.
“Ho preso da te”
disse Luisa staccandosi da lui. “Grazie per
avermi salvata.”
“E per cosa mi
ringrazi?” domandò Celebi. “Per non
averti
voluta perdere per la seconda volta?”
Guardò Lance e Argento e
divenne uomo, nelle forme che aveva
assunto tanti anni prima per contrarre matrimonio mortale:
“Dovrete aiutarla
per qualche tempo. Per una o due settimane dovrete rinunciare ai vostri
viaggi…
io ho potuto salvarla, ma è giusto che la ferita segua il
suo corso.”
“Ti ringrazio”
disse la ragazza. Si toccò il petto e disse
ancora, guardando altrove: “Questa è stata la mia
ultima vittoria su Rosso. Ma
ora lui ha perso e non potrà dimostrare di meritare il
consenso di Ho-Oh… della
sua vita piò decidere da solo, ma mi dispiace per Blu. Che
ne sarà di lui?”
“Non pensarci,
ora” disse Celebi. “Dopotutto, se non sono in
grado di vivere insieme soltanto perché Rosso si aggrappa,
come un folle, a una
qualche immagine inesistente, è solamente loro la
colpa.”
Luisa sorrise senza convinzione, ma
non parlò più di Rosso e
di Blu. Celebi
rimase con lei per
un’altra mezz’ora, poi la lasciò
perché riposasse. A quel punto Lance,
guardando l’orologio, disse che era bene che Luisa fosse
trasportata su per la
notte.
“È ridicolo che
tu debba dormire nella sala operatoria di un
centro medico” affermò. “Ti porteremo
nella tua stanza, poiché ormai non vi è
pericolo. Là potremo tenerti compagnia stanotte e
soprattutto potrai riposare
meglio.”
Luisa si mise a ridere. “Ti
credi molto forte” esclamò. “Non
penserai di portare su tutto il letto con me sopra!”
“Che scema che sei! Non sei
poi questa gran principessa” la
rimbeccò Lance sorridendo. “Basterà una
barella.”
Andò a chiamare Joy per
chiederle di portare la barella,
mentre Argento restava con lei.
“Ti ho ammirata molto per
quello che hai fatto, sai” disse
Argento, immobile presso la porta. “Ma ho anche avuto molta
paura.”
“Ne ho avuta
anch’io” mormorò Luisa abbassando gli
occhi.
“Di non rivedervi, di non… credevo di non farcela.
E di umiliarmi dandogliela
vinta.”
“In nessun caso ti saresti
umiliata” disse Argento. “È
troppo grande quello che hai fatto, quello che hai
dimostrato…anche se Rosso
avesse vinta la battaglia, credi che per entrambi quella vittoria
avrebbe avuto
un qualche valore?”
“No, certo.
Ma…”
“Ma?”
“Sento come se mancasse
qualcosa” disse Luisa. Si prese il
viso tra le mani. “Non è ancora finita, Argento,
io e Rosso non abbiamo ancora
finito…manca qualcosa tra noi due.”
“Tu hai vinto, Luisa. E da
un anno voi due sapevate entrambi
che questa sarebbe stata la vostra ultima battaglia.”
“Lo so, ma non è
una battaglia quella che ci manca, ora. Abbiamo
finito di scontrarci... entrambi sappiamo che sono io la migliore, e
non
abbiamo certo bisogno di dimostrarcelo ancora l’uno con
l’altra. No, è qualcosa
di un po’ diverso…”. Sospirò
nuovamente. “Dobbiamo rivederci per l’ultima volta
da avversari. Per l’ultima volta dobbiamo essere
nemici… e dopo, non importa
quel che accadrà. Ciò che diventeremo, dopo il
nostro ultimo incontro… sarà
un’altra storia. Capisci quel che voglio dire?”
“Come potrei non
capirti?” chiese Argento per tutta
risposta.
In quel momento rientrò
Lance. Aveva chiamato Joy e
l’infermiera veniva dietro di lui portando una barella
pieghevole. Pochi minuti
e un gran numero di scossoni dopo, Luisa si ritrovò sul suo
piccolo letto
fresco e domandò di poter vedere il filmato della Lega. Joy
scese di corsa e le
procurò in breve tempo il filmato.
“Puoi metterlo tu,
Lance?” domandò la ragazza porgendo la
videocassetta all’amico. Egli la prese e la inserì
nel registratore del piccolo
televisore posto davanti al letto.
“Sei sicura di volerla
vedere?” le chiese mentre tornava a
sedere sul letto accanto a lei. Luisa assentì col capo.
“Assolutamente. Voglio
capire cos’è successo…io non mi
ricordo.”
Era seduta sul letto, le gambe
ripiegate contro il petto
sfregiato, appoggiata alla spalla di Lance. Il filmato
partì. Ed era il primo
scontro, Rosso che combatteva Lorelei: partita persa in
partenza…
“Mio Dio”
mormorò Lance, gli occhi puntati su quella furia
violenta e rabbiosa, contro cui Lorelei non
poteva
se non soccombere.
“Sta
malissimo” disse Argento
incredulo.
C’erano
quegli occhi rossi e gonfi,
che sullo schermo risaltavano paurosamente, quello sguardo disperato di
chi ha
una sola possibilità, quel fremito impercettibile delle
labbra quando urlava,
quel continuo puntare gli occhi su Blu… Luisa si strinse ad
Argento e gemette:
“Hai visto con chi ho combattuto, io! E come avrei potuto
perdere?”
“Avresti
potuto, invece” disse
Lance. “La domanda è: come hai potuto
vincere?”
Il filmato proseguì. Con
eguale forza, anche il Blastoise di
Rosso infieriva sui Pokémon di Bruno, che non erano in grado
di incassare il
colpo…
“Anche i suoi
Pokémon sono disperati” mormorò Argento.
“Bah! Tu lo saresti se
dovessi passare la tua vita con un
individuo ossessionato dagli allenamenti” borbottò
Lance, ma non era una
battuta.
Luisa non si curò
egualmente delle sue parole. Mormorò:
“Thyplosion, quando ha capito che volevo vincere, ha
continuato a
combattere…allo stesso modo, i suoi Pokémon sanno
che devono vincere se lui
rivuole Blu. Per questo combattono
così…”
E poi Agatha, che non aveva speranze
contro il Charizard di
Rosso; e poi Lance…
E quell’inchino. Luisa
volle riavvolgere il nastro e
rivedere ancora quella scena.
“Cosa gli hai
detto?”
“Che si sarebbe inchinato a
sua volta se avesse perso.”
“Non ti ha
ascoltato” commentò Argento. Lance scosse il
capo.
“No, certo…lo
so. Ma sono sicuro che ne aveva l’intenzione.
Se fosse andata come avrebbe dovuto, credo che l’avrebbe
fatto senza dubbio.”
Luisa non rispose. Pensava a che cosa
mancasse a lei e a
Rosso, a quelle due anime in pena che solo scontrandosi potevano ambire
a un
po’ di pace e che forse erano tanto simili da riuscire a
capirsi e a
comprendersi, alla fine.
Abbandonò la testa sul
petto di Lance. Egli le circondò le
spalle con un braccio e la strinse forte a sé, baciandole la
fronte: “Come
stai?”
“Mi sembra
un’altra persona. Non l’ho mai visto da vicino
come in questo filmato, mai: ci siamo sempre guardati così
da lontano… non
avevo mai visto così da vicino quei suoi occhi
così disperati e… credo di
essere la persona che sulla faccia della terra lo capisce meglio, sai:
non so
nulla di lui, neppure so molto del suo passato se non quello che da
altri mi è
stato raccontato… ma sono come lui, e per questo penso di
poterlo comprendere.”
Si coprì la faccia con le
mani mentre sullo schermo si
susseguivano le immagini: una rapida vittoria sul suo Pikachu e sul suo
Espeon,
il suo sguardo disperato ma infuocato, i suoi propri colpi che erano
crudeli e
feroci, ma dannatamente pietosi; e poi la terribile scena della sua
caduta…
Luisa rabbrividì.
È quasi finita, si disse
durante gli ultimi minuti dello
scontro. Quasi, però. Dobbiamo essere avversari ancora una
volta: per l’ultima
volta mi dovrò scontrare con le fiamme che ardono negli
occhi del mio nemico… e
quello che diventeremo dopo, lo decideremo in seguito.
Capitolo
assurdamente
lungo, ma che non avrei saputo come tagliare o abbreviare e che per
questo
posto così com’è, tutto bello lungo e
sudato. Spero vi sia piaciuto, sebbene
questo fosse uno degli elementi forse più infantili e banali
dell’intera storia
(che peraltro ho progettato a 8 anni, dunque…)
Un bacio
alla cara
Emma Bradshaw. A presto!
Afaneia ;)
|
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Capitolo 13 *** Una vita divina ma senza di te. ***
Le
giornate seguenti trascorsero
lentamente, scandite dai pasti e dalle visite di qualche amico o di
qualche
Pokémon leggendario. Luisa si riprendeva a poco a poco.
Quattro giorni dopo la
Lega, si alzò e andò a fare colazione in sala,
aggrappandosi al braccio di
Argento per supplire al tremito delle proprie gambe. Quel giorno il
professor
Oak venne a trovarli accompagnato da Blu.
Gli era passata la febbre, al bel
Capopalestra, ma c’era ora
un nuovo dolore nel suo sguardo piagato. Era qualcosa di più
antico e profondo,
questa volta: qualcosa che si rivelava nei suoi occhi e nel suo modo di
muoversi, nella nuova esitazione prima di parlare. Si ritrovava in
tutto il suo
atteggiamento, una sorta di rassegnazione, un insensato tentativo di
una nuova
vita in cui era il primo a non credere.
Quando arrivarono, Luisa era seduta
su un puff della
biblioteca ad ascoltare la voce di Lance, monotona e rilassante,
leggere per
lei la Storia della Lega Pokémon:
Dalla
fondazione dell’Impero al cambio della guardia. Joy
venne ad annunciare
l’arrivo dei due e Lance, scambiando in un secondo un
pensiero coi suoi
fratelli, le disse di farli entrare. Luisa si ricompose rapidamente
prima che entrassero.
Veniva prima il professore, seguito a
poca distanza, con
passo più lento e quasi strascicato, dal giovane nipote
ch’egli amava tanto
(forse quasi quanto lo amava Rosso).
“Siamo venuti a
trovarvi” disse il professore appena
entrato. “E a vedere come sta la nostra
Campionessa.”
“Benone, professore, grazie
mille” rispose Luisa, con un
sorriso luminoso che fece dimenticare il curioso spettacolo delle sue
labbra
esangui, appena pochi giorni prima. “Oggi ho
camminato!”
“È tutto merito
del tuo dottor Jude, immagino” disse il
professore, mentre Lance faceva loro cenno di sedersi. Luisa sorrise.
“Non sarei qui senza il
dottor Jude” replicò lentamente. Si
strinse la vestaglia sopra il petto fasciato e si rivolse a Blu.
“Come stai,
tu?”
Blu sorrise, ma d’un
sorriso amarissimo e triste, chinando
il capo, e rispose lentamente: “Me ne sto facendo una
ragione. Mi ci vorrà un
po’, ma…prima o poi…” Strinse
la mano del nonno e proseguì con più forza.
“Il
nonno mi dà una mano in questi giorni. Dovete ringraziare
lui se non mi hanno
ritrovato sugli scogli dell’Isola Cannella!”. E si
mise a ridere, ma nessuno
ebbe il coraggio di seguirlo, perché rideva come un pazzo,
insensatamente.
“Devi ricordarti, Blu, che
di qualunque cosa tu possa aver
bisogno, puoi rivolgerti a noi” gli disse Lance a bassa voce,
ma diretto e
convinto.
“Voi parlate sempre al
plurale, come se foste un’entità
unica” gli rispose Blu, in tono distaccato. “Ve ne
siete mai accorti?”
Luisa non gli diede retta.
“Blu…sai dove si trova Rosso,
ora?”
Per un istante la domanda lo
lasciò sorpreso. Poi, alzando
le spalle con gli occhi lucidi al cielo, disse con voce tremante:
“Non lo so,
che cosa importa? Mio Dio, sarà a cercarsi un’Ala
d’Iride, probabilmente. O a
fondersi i neuroni a forza di chiedersi come abbia potuto
perdere… oh, cavolo,
non lo so! Personalmente, spero davvero che stia morendo!”
Tremava. Il professore se lo strinse
contro e Blu,
respirando a fondo, finì per calmarsi: “Scusatemi
tanto. Mi controllo male in
questi giorni… è vero che spero che muoia, ma non
intendevo parlare in questo
modo. Mi dispiace…”
“Ma tu non vorresti mai che
morisse!” mormorò Oak
stringendolo con più forza.
“Oh, sì che lo
vorrei!” gemette Blu con rabbia. “Ha perso, e
ora vorrei che morisse, è uno stupido, come lo odio! Per
colpa sua ho perduto
anni interi della mia vita, anni a inseguirlo, a cercare di superarlo e
poi a
capirlo, quando ho compreso di non poterlo superare… anni a
inseguire il suo
fantasma! Ho rovinato tutto per colpa sua! Tutto, la mia vita, la sua,
tutto!”
“Ti riprenderai”
gli disse il professore. “Ti stai già
riprendendo, Blu, ma hai bisogno di un po’ di tempo per
accorgertene.”
“Ma certo che
andrà così” mormorò
tristemente il ragazzo.
Sapevano tutti che non era vero, ma nessuno lo disse.
“Tornerò in palestra tra
qualche giorno, Lance, e voglio starci per almeno una settimana di
seguito”
proseguì, con voce un po’ più alta, ma
con gli occhi ancora lucidi. “È un buon
inizio, no? Non credi che mi farà bene? Mi ci
farò chiudere dentro se occorre,
ma ci resterò per tutta una settimana…anche la
domenica, eh? Che cosa ne
pensi?”
“Un segno di profondo
impegno da parte tua” rispose Lance.
“Oh, sì, mi sto
impegnando davvero, sai? E non farò vincere
nessuno quest’anno, te lo prometto. Oh, non temere! Sandra
perderà anche quest’anno
abbastanza volte da riempire l’Altopiano Blu di mocciosetti
presuntuosi che si
crederanno chissà chi per aver battuto la principessa dei
Pokémon Drago. Cielo,
Lance, lo so che è tua cugina e la nipote del Maestro, ma
dovresti frenare
tutto questi nepotismo dilagante!”
Non era Blu a parlare, era qualcuno
con la faccia di Blu, la
voce di Blu, lo stesso dolore di Blu, ma non era affatto Blu. Era come
trasfigurato, e ora, mentre parlava, era visibile in lui il suo
turbamento.
“Blu” gli disse
Luisa. “Ascolta, Blu… non ti dirò nulla
che
suoni anche vagamente come ‘chi non ti vuole non ti
merita’ o qualcosa del
genere: non è il tuo caso, questo. E non ti dirò
nemmeno di pensare a come
sarebbe stata la tua vita insieme a lui… ma io credo che
Rosso non sarà mai
completamente felice, perché ovunque sarà gli
mancherà qualcosa. Quando sarà
con te, penserà di aver perso la sua occasione; e quando
cercherà Ho-Oh, per
avere la sua approvazione, si struggerà di non essere con
te…”
“Da anni va avanti
così” disse Blu tristemente.
“Sai, Blu, forse
combattendo così è qualcosa di unico che
cerca di ottenere: qualcosa che sia contemporaneamente te, e Ho-Oh, e
la
Prescelta Creatura…”
Blu tacque, dopo aver udito queste
parole, per quasi un
minuto intero. Quando parlò, era di nuovo il Capopalestra di
Smeraldopoli, la
creatura nobile e malinconica del vulcano vuoto dell’Isola
Cannella.
“Il più grave
difetto di Rosso” disse lentamente “E lo
è
sempre stato, da quando lo conosco, è la sua ambizione
smisurata… che lo porta
alla difficoltà di scegliere, all’occorrenza,
l’una via o l’altra a parità di
rischio… vuole e vorrà per sempre la scelta
più difficile, quella più lunga e
più redditizia, per quanto assurda, sempre inscindibile dai
suoi ideali. Per
questo non può accontentarsi di avere solo me, o solo il suo
sogno: lui vuole
una terza alternativa, quella difficile, quella che non è un
compromesso. E
purtroppo è così che è andata: vuole
avere entrambi…”
“E non avrà
niente” disse Argento. Blu annuì:
“Potrebbe avere me, se la sua ambizione non gli suggerisse di
puntare più in
alto. La cosa, ovviamente, sta diventando frustrante… ma chi
sono io per
competere con la sua ambizione?”
Si alzò in piedi e si
avvicinò al puff dove Luisa sedeva.
“Vorrei parlarti un momento. Voi altri volete
scusarci?”
“Andiamo per un minuto da
una parte” rispose Luisa pensando
alla vastità della biblioteca. Blu annuì e, senza
attendere risposta, la
sollevò tra le braccia perché non dovesse
camminare. La ragazza si aggrappò a
lui per non rischiare di cadere, ma senza protestare si
lasciò trasportare in
un angolo appartato della biblioteca, dietro una serie di librerie. Blu la fece sedere su una
seconda poltrona e
s’inginocchiò accanto a lei, appoggiandosi a un
bracciolo per parlarle.
“Volevo chiederti scusa a
nome suo di quello che ti ha
fatto” disse a bassa voce. Luisa sorrise.
“Ascolta… tu non
sei responsabile di quello che combina il
tuo ragazzo.”
“Era per me che era
disperato.”
“Non preoccuparti,
Blu… nessuno di voi due ne ha colpa. In
effetti, non è colpa di nessuno. È stata una
fatalità, Blu.”
“Se ora lo incontrassi,
cosa pensi che gli diresti?”
Luisa sospirò.
“Gli direi che è un gran cretino, a lasciarsi
scappare così un bel ragazzo come te. Gran Dio, io starei
bene attenta a
evitarlo! Anzi, ti marcherei stretto…”
“Ti prego, te lo sto
chiedendo seriamente!” la implorò il
ragazzo.
“Ascolta, Blu…
è questo quello che gli direi. Forse non in
questi termini, ma è pur sempre questo. Non si è
mai abbastanza amati a questo
mondo, Blu… ed è stupido, accidenti, a buttare
via l’amore di uno come te per
inseguire la scia di una leggenda!”
“Diglielo, se lo
vedi” mormorò Blu. “Forse detto da te lo
capirà.”
“Sai”
proseguì dopo qualche momento di silenzio. “Sai
qual è
la cosa che odio più di tutto in questa storia? La cosa
che…che…”
“Che
cos’è?” gli chiese Luisa.
“È che Rosso non
capirà mai che io posso amarlo molto di più
di quanto lo ami quel suo stupido sogno” disse Blu.
“La sua ambizione non lo
amerà mai profondamente, assolutamente, completamente come
lo amo io, non gli
darà la stessa devozione, lo stesso affetto stupido e
cieco… la sua ambizione
non farà altro che tradirlo, è una puttana la sua
ambizione! Ma lui continuerà
per sempre ad amare lei più di me. E sai qual è
la cosa più terribile, invece?”
“No. Che cosa,
Blu?” domandò la ragazza con le lacrime agli
occhi.
“Che qui
l’imbecille sono io. Perché se proprio ora venisse
qui da me a darmi un bacio, io sarei tanto stupido da dirgli baciami,
prendimi,
tutto quello che vuoi, ma ti prego, non mi lasciare più. E
ragionando così…alla
fine la puttana sono io, capisci, e non la sua ambizione.
Perché la sua
ambizione è molto meno lasciva di me, capisci!”. E
Blu si mise a ridere,
disperato. Luisa lo prese per le spalle e lo scosse. Gli disse: Ma la
sua
ambizione è molto meno innamorata di te!”
“Dio, quanto sono
patetico…!” borbottò Blu. Luisa lo
strinse
dolcemente a sé e gli disse: “Dio, quanto sei
innamorato! Veramente sei
straordinario… Ma come fai ad amarlo così tanto
da impazzire? E se penso che
ami così tanto un debole sognatore senza forza di vivere che
non fa altro che
ignorarti…”
“Bisogna proprio essere
stupidi” mormorò Blu.
“Che tu ci creda o no, ti
ammiro” rispose la ragazza. “E non
sai neppure quanto!”
Finalmente Blu sorrise, e alzandosi
in piedi le disse:
“Grazie di avermi ascoltato, Luisa, sai… so che tu
lo conosci molto bene, che
forse non sei dissimile da lui, dal suo carattere…”
“Spero che non siamo troppo
simili” rispose la ragazza.
“No… non
troppo” disse Blu, ma non specificò quel troppo. “Grazie di tutto
questo,
comunque. Tutti voi siete stati buoni con me… e io vi
ringrazio molto per la
gentilezza che mi avete usato, per l’aiuto che mi avete dato
e per la
comprensione che mi avete usato.”
“Torniamo di là,
ora” disse Luisa; ma questa volta volle
alzarsi con le sue gambe, e camminare da sola. Blu
l’aiutò solamente.
A quel punto, il professore si
riportò a casa il nipote. A
Biancavilla, i due si separarono sulla piazza del paese e si diressero
ciascuno
a casa propria, ragionando, ciascuno per sé, sui propri
problemi.
Blu rincasava lentamente, ancora
stanco di quelle notti
insonni trascorse piangendo, stanco di quel dolore antichissimo che da
anni si
portava dietro come un considerevole peso. Rientrato in casa,
trovò la donna
delle pulizie che, finito il proprio lavoro, si accingeva a uscire.
“Signore” disse
amorevolmente quando lo vide entrare. “Come
sta? Va un po’ meglio? Non avrà più la
febbre!”
“Sto meglio”
rispose Blu, anche se non era completamente
vero.
“Ne è sicuro?
Vuole un po’ di compagnia, o
qualcos’altro?”
“La ringrazio tanto,
signora” mormorò Blu “Ma davvero non ce
n’è bisogno. Grazie comunque, sa.”
“Le ho lasciato da mangiare
qualcosa di caldo. Ma se…”
“Non si
preoccupi” disse Blu. “È tutto a posto.
Vada pure a
casa.”
Uscita la donna, Blu salì
al piano superiore per cambiarsi
d’abito e mettersi comodo per la serata. Si disse che, per
ingannare il tempo,
avrebbe compilato la contabilità della palestra e avrebbe
stilato il programma
d’allenamento dell’anno corrente. Ma quando, dopo
essersi lavato, scese in
cucina, trovò di non aver fame e di non voler mangiare
affatto il minestrone
bollente che la signora delle pulizie gli aveva lasciato. Con
questo caldo, si disse svuotando il piatto nel lavello. Ma
la
signora faceva per bene in fondo, pensando alla febbre che aveva avuto
qualche
giorno prima.
Andò in salotto per
rilassarsi una mezz’ora prima di andare
a lavorare. Pensava alla promessa che aveva fatto a Lance…
una settimana in
palestra! Sarebbe stata dura, un radicale cambio d’abitudini:
forse, dopo
Rosso, sarebbe ritornato un bravo ragazzo…
Accese la televisione e fece zapping
per un paio di minuti,
ma per quanto cercasse gli era difficile trovare un programma che non
parlasse
della recente Lega o che addirittura non ne trasmettesse la
più celebre
sequenza. Ma chi poteva avere ancora voglia di vedere una ragazza
dissanguarsi
sotto gli occhi di migliaia di persone? E perché spesso la
telecamera passava
sul suo avversario disperato, che non faceva che gridare? O su di lui
addirittura – ma che cosa importava al mondo di lui- e sui
suoi occhi languidi
che brillavano di febbre e di pianto?
Proprio mentre si alzava per spegnere
la televisione, sentì
il campanello suonare dall’ingresso. Sarà
il nonno,
pensò andando
pigramente ad aprire. Avrà da
dirmi
qualche altra cosa riguardo Rosso… ma perché
pensano che non possa farcela da
solo?
Aprì la porta senza
neppure chiedere chi ci fosse dall’altra
parte… e quale non fu la sua sorpresa quando vide che non
era suo nonno che
aveva bussato, ma che c’era Rosso davanti a lui!
“Che cosa vuoi?”
Rosso guardava in basso con occhi
cupi. Disse: “Non
l’indovini?”
“No” rispose Blu,
non senza una certa asprezza. Rosso non
demorse. “Ho bisogno di parlarti… non potresti
farmi entrare?”
“Puoi parlare
qui.”
“Ma se tuo nonno ci vede,
non mi lascerà parlare con te.”
Blu rimase immobile.
“Va bene” disse
infine. “Vieni dentro.”
Si fece di lato per farlo entrare.
Rosso entrò timidamente
in quella casa, ma non fu invitato ad accomodarsi. Rimasero piuttosto
immobili
nell’ingresso, l’uno di fronte all’altro.
“Scusami.”
“Di che cosa?”
replicò Blu in tono aspro.
“Di tutto, del male che ti
ho fatto, di tutto il dolore che
ti ho… è da imbecilli scusarsi così,
chiederti scusa ora non cancellerà tutti
questi anni…”
“Infatti.”
“Ma mi
dispiace…”
“È inutile
venire qui a dirmi che ti dispiace prima di
tornare ad allenarti come un pazzo.”
Rosso rimase in silenzio a lungo,
prima di rispondere: “Non
tornerò ad allenarmi.”
“E perché
no?”
“Io ho… deciso
di arrendermi.”
“Che cosa?”
gridò Blu scosso.
“Ho capito che tutto questo
è inutile. Basta, ora.”
Blu era a bocca aperta. Lo guardava
incredulo, senza capire,
senza parlare.
“Che cosa ne
dici?” domandò Rosso cautamente.
Finalmente Blu trovò la
forza per rispondergli.
“Fuori. Vai
fuori.”
“No, aspetta,
ascolta!”
“No, tu vai fuori. Fuori!
Esci! Fuori!” esclamò Blu, senza
ascoltare le sue proteste. Non capiva nulla, non vedeva nulla. Lo
spingeva
ciecamente verso la porta.
“Ascolta, Blu,
ascolta…”
“No! Vai fuori, fuori!
Vattene!”
“Aspetta, Blu, ma
perché…”
“E me lo chiedi?
Va’ fuori, vattene!” urlò Blu, gonfio
com’era di frustrazione e pianto e rabbia.
Spalancò la porta e a spintoni lo
cacciò fuori; ma nel momento in cui cercava di chiudergli in
faccia, Rosso
infilò un piede contro lo stipite. A quel punto Blu
uscì fuori a fronteggiarlo
in giardino.
“Ti prego, Blu, non hai
capito, lascia che…”
“NO! Ti dico io qualcosa
oggi!” gridò Blu. Aveva la voce
stridula, altissima e isterica e urlando piangeva. “Sono anni
che ti sto
dietro, Rosso, a te e al tuo stupido sogno e mio Dio, sa il cielo se
non ne
posso più!”
“Blu…”
“Ti ho aiutato e sopportato
e aspettato e adesso, proprio
quando sto cercando di scordarmi di te, mi viene a dire che
è stato inutile
aspettarti, che dopotutto non era così importante quello che
facevi, che era
inutile, che in fondo non era poi così… o, se tu
morissi adesso!”
Ora Rosso si era arreso e restava in
silenzio, con gli occhi
bassi, le braccia molli contro i fianchi, ascoltando senza protestare
quello
sfogo disperato.
“Mi hai fatto buttare va la
parte più bella della mia vita,
ho buttato via tutto per te, tutto! Ma perché l’ho
fatto? Per che cosa? Per
qualcosa che in fondo, dopotutto, non era molto utile, no? Potevi farne
a meno,
potevi tornare quando te l’ho chiesto…
Sì, potevi tornare quando l’anno scorso
sono venuto a cercarti per chiedertelo… ma no, era
necessario aspettare un
altro anno, fare le cose in grande stile, organizzare una pubblica
sconfitta e
mettere tutto in piazza, umiliarci entrambi davanti al mondo intero,
per capire
che in tutto questo c’è qualcosa di
inutile?”
Occhi iniziavano a brillare
nell’oscurità mentre Blu urlava:
vicini e vicine che scrutavano, da una siepe o dall’ombra di
una persiana,
quella scena isterica. Rosso se ne accorse e cercò, assai
inutilmente, di far
ragionare il ragazzo. “Blu, andiamo dentro… ci
stanno guardando…”
“Non me ne frega un cazzo
che ci stanno guardando, Rosso!
Credi che non lo sappia tutta Biancavilla come stanno le cose? Anzi,
credi che
non lo sappia tutto il mondo? No, non mi sto rendendo più
ridicolo di quanto
già non lo sia! Non lo sai che per tutti io sono la
signorina che ti sta dietro
alle sottane? Oh, ma lo sapresti se sul Monte Argento avessi letto
qualche
gossip! Io sono stanco di essere l’ombra di un pazzo, Rosso,
sono molto
stanco!”
“Ma io ti giuro che ti amo,
Blu… ho capito di avere
sbagliato, solo questo ti chiedo, di perdonarmi…”
“Fatti perdonare da
Ho-Oh” urlò Blu dandogli le spalle e
dirigendosi verso casa a passi barcollanti. “È lui
il tuo vero amore, non io!”
Rosso riuscì ad afferrarlo
prima che aprisse la porta e a
frapporsi tra lui ed essa. Ormai lo sfogo rabbioso era passato e a esso
era
seguito un accesso di pianto e tra i suoi singhiozzi Rosso ebbe modo di
dirgli
quello che doveva.
“Ascolta, sono stato uno
stupido… sì, è la verità,
ma ora ho
capito e giuro, giuro che non commetterò più
quell’errore di credere che una
vita divina, ma senza di te, sia una vita…”
E forse queste parole colpirono
profondamente Blu e rimasero
a lungo scolpite nel suo animo; ma subito non ci pensò.
“Ho capito” gli
disse. “Basta. Vattene ora.” E lo spingeva
da parte per entrare in casa.
“Ti prego, ti
amo!”
“Vai via!”
rispose Blu. Entrò e si barricò dentro,
perché
non voleva farsi veder piangere oltre.
Trascorre qualche minuto accasciato,
addossato contro la
porta sul pavimento. Poi si alza bruscamente, bianco e rosso di pianto,
e si
scaglia contro la porta. Spalancandola, si getta di corsa attraverso il
giardino, lungo la strada, domandandosi dove sua andato,
perché l’abbia fatto,
cercando di sentire di nuovo dentro di sé la consapevolezza
di quelle parole: quell’errore di
credere che una vita divina,
ma senza di te, sia una vita…
Ma dov’è andato?
D’un tratto gli pare di vederlo, è sulla
spiaggia, la spiaggia della fine della loro amicizia, la spiaggia che
si
staglia verso l’Isola Cannella, stagliato contro
l’oscurità, gli corre
incontro…
Qualche minuto dopo, essi erano
abbracciati sulla cima del
vulcano a parlottare dolcemente e a scambiarsi baci e
promesse…
Ma il mattino dopo Rosso non
c’era più.
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Capitolo 14 *** Una strana e terribile verità. ***
“Voglio scendere
giù” disse Luisa poco dopo la colazione. Le
doleva la ferita, eppure non riusciva a reprimere quel desiderio
irrefrenabile
di uscire, di respirare un po’ d’aria fresca dopo
quei giorni di clausura.
“Se ti portiamo fuori,
sverrai” la rimbeccò Argento per
prenderla in giro.
“Che
sciocchezza… non sono così debole”
replicò la ragazza.
E si alzò dal divano dov’era seduta –
erano nella camera di Lance – per
mostrare la rinnovata forza delle sue magre game muscolose.
“Ma per favore,
portatemi fuori!”
“Se
insisti…” rispose Lance. Un poco l’uno,
un poco l’altro,
i due ragazzi l’aiutarono a scendere le scale e, a piccoli
passi, a raggiungere
l’Arena della Battaglie, dove i tre ritenevano di poter
restare in pace senza
essere disturbati per qualche ora… si sbagliavano. Erano
stesi sul terreno da
appena un quarto d’ora, che d’un tratto un fischio
acuto scosse l’aria nel
profondo e poi, dopo un momento, apparve una sfera rosa…
“Mew!”
gridò Luisa, sollevandosi. Perché effettivamente
era
Mew, bellissimo e splendente con quegli occhi blu e luminosi del colore
dell’aria, del cielo…
Mew si fermò in aria sopra
di loro; ed era tanto piena di
gioia al vederlo, che la ragazza si alzò in piedi e gli tese
le braccia. “Che cosa ci fai qui,
Mew?”
Il Pokémon si
gettò tra le sue braccia, strofinò il muso
contro il suo viso, e poi, nascosto nel suo petto, sussurrò
nella sua mente: “Ho da dirti
qualche cosa.”
“L’avevo
pensato. Hai
sentito qualcosa?”
“Sì,
e forse qualcuno,
tra cui magari persino Celebi signore della foresta e dei cieli tutti,
mi dirà
che il mio è un errore. Ma tu sei la mia principessa e ti
amo molto, per aver
sempre vegliato sulla tua vita, e non c’è nulla
che io voglia nasconderti.”
“Parla,
dunque.”
“Solo
questo ho da
dirti: che oggi inizia l’ultima parte del tuo viaggio, forse
la parte più
pericolosa… vengo a dirti di stare attenta.”
“Per
la seconda volta
in pochi giorni…! E anche stavolta, qualcosa
d’indefinito.”
“Ascolta
bene quello
che sto per dirti: questa volta accadrà qualcosa che
deciderà per sempre dello
scorrere della tua vita e di altre, forse molte, che neppure conosci.
Perciò io
ti chiedo di fare molta, molta attenzione…”
“Te
lo prometto, Mew” disse
Luisa. “Ma
com’è che fate ad avere sempre
queste intuizioni, voialtri?”
“È
qualche cosa che
fai tu stessa senza accorgertene” disse Mew. “Non
l’hai ancora capito? Non sei
tu stessa, per esempio, a sapere di avere davanti a te ancora uno
scontro col
tuo nemico, Rosso?”
“Questa
non è una
predizione.”
“Oh,
sì, che lo è. È
la stessa cosa senza che tu lo sappia. Finirai per capirlo da sola, ma
ora
ricordati di stare attenta a quello che ti ho detto.”
“Me
ne ricorderò… non
preoccuparti. Ti ha mandato papà?”
Mew fece un cenno di diniego con quel
suo piccolo e
delizioso capo rosa e lucente. “No,
lo
sappiamo tutti quanti, tutti noi lo abbiamo sentito… ma io
ho deciso
liberamente di venire a dirtelo prima di tutti gli altri. Credi che
abbia fatto
male?”
“No,
sono contenta di
sapere la verità che mi riguarda, per una volta. Anche
se…”
“Sei
inquieta?” domandò
Mew. La ragazza annuì leggermente.
“Non
importa, però.
Sarà tutto più facile, ora che conosco la
verità. Ti ringrazio.”
Mew si staccò da lei e
rimase sospeso a mezzo metro di
distanza, poi, con un sibilo sottile, s’infilò
sotto il braccio di Argento e
poi andò a posarsi sulla spalla di Lance, appoggiandosi al
suo collo.
“Anche
voi dovete fare
attenzione. Me lo promettete?”
“Certo,
Mew” disse
Argento. “Ma che cosa assurda
è per noi
sentici chiamati in guardia contro qualcosa che neppure voi sapete cosa
sia!”
“Voi
che dovreste
sapere tutto” soggiunse Lance sorridendo. “Ma non temere. Faremo il nostro
dovere.”
“Vi
ringrazio” disse
Mew sollevandosi. “Debbo lasciarvi,
ora…
tenete gli occhi aperti. Buona fortuna a voi!”
“Grazie,
Mew” disse
Luisa guardandolo allontanarsi. E poi, quando quel punto rosa fu
scomparso
all’orizzonte, soggiunse ad alta voce: “Ma che cosa
vorranno dire le sue
parole?”
“L’ultima volta
che ci hanno detto qualche cosa del genere,
era la verità” disse Argento inquietamente.
“Ma questa volta
è quella definitiva” aggiunse Lance
stringendosi al petto la ragazza. Luisa appoggiò la fronte
contro il suo mento,
senza dire nulla, ma gemendo in cuor suo per la ferita che aveva
ripreso a
dolerle.
E poi a un tratto sentirono un forte
spostamento d’aria alle
loro spalle e si voltarono a guardare. E come non trattenere un grido,
quando
videro che Rosso scendeva dal cielo sulle spalle robuste del suo
Charizard?
A bocca aperta, Luisa si
staccò da Lance e rimase immobile a
guardare il suo nemico che si posava a terra, altero e serio, ma non
più
disperato, ora. Non scese dal suo Charizard e là rimase a
guardarlo.
Luisa avanzò di qualche
passo con gli occhi fissi su di lui.
“Luisa,
non…”
“No.
Lasciatemi. Devo
andare. È ora.”
“Non
sei forte
abbastanza.”
“Posso
farcela invece.
Fidatevi di me.”
Proseguì fino al cerchio
centrale dell’Arena. Annuì. Rosso
vide il suo cenno e per un momento alzò gli occhi verso il
cielo. Poi si levò
in volo e si allontanò dall’Arena.
Fu un lampo, un lampo per Luisa
lanciare la sua Pokéball e
gettarsi al suo inseguimento in groppa ad Aerodactyl…
“Luisa! NO!”
Ma Luisa non se ne curava, solo di
Rosso le importava in
quel momento, mentre si gettava sulle tracce del folle nemico suo.
Rosso
continuava a levarsi in alto, sempre più in alto, e a ogni
metro Luisa sentiva
crescere la pressione sul suo povero petto ferito; ma in nessun caso si
sarebbe
tirata indietro, e ora inseguiva Rosso proprio come, un tempo, aveva
seguito
Suicune…
“Rosso! Dove vuoi
andare?”
“Tu seguimi.”
E Luisa lo seguiva, perché
non poteva farne a meno.
Sorvolavano il mare, ora; ma come
aveva potuto essere tanto
stupida? Ecco svettare la cima di un vulcano, la punta estrema di Isola
Cannella.
Rosso scese per primo sul vulcano e
ritirò il suo Charizard,
e quando Luisa fu atterrata, il ragazzo vide il suo volto contratto dal
dolore
e l’aiutò a scendere, “Stai
bene?”
“Sì”
disse Luisa. “Sto bene, ma…”
Rosso la sostenne fino a una parete
di roccia, dove l’aiutò
ad appoggiarsi. Luisa si lasciò scivolare in terra. Dopo un
momento di
esitazione, Rosso sedette accanto a lei.
“Che cos’hai
fatto in questi giorni?”
“Ho pensato a lungo. Sono
stato qui, sul Monte Argento… ieri
sono andato da Blu.”
“Oh.”
“Gli ho promesso che
d’ora in poi voglio cambiare, voglio
stare con lui, voglio vivere come tutti gli altri, come tutti
voi… gli ho
chiesto di aiutarmi, di sostenermi, di restarmi accanto,
perché non sono sicuro
di potercela fare da solo.”
“Hai un mucchio di buoni
propositi.”
“Sì…
voglio stare con Blu, ora, voglio fare tutto quello che
non ho potuto in questi anni.”
“Ma che bravo ragazzo che
sei diventato. Solo Blu
m’intenerisce di più.”
“E poi, sai… Blu
è stanco di sentirsi umiliato dalla mia
ombra, e non deve più sentirsi così per colpa
mia.”
Luisa si stese sulla schiena
incrociando le braccia dietro
la nuca. Sperava che distendendosi la ferita si rilassasse e le facesse
meno
male.
“Che cosa hai deciso di
fare del tuo sogno, ora?”
“Te l’ho detto:
basta, ora esiste solo Blu. Niente più notti
insonni d’allenamento, basta… Blu, Blu e solo Blu:
perché non è di Ho-Oh che
sono innamorato…”
“Si spera. Ma io non
intendevo questo. io volevo sapere se…
se adesso credi ancora di essere la Pescelta Creatura.”
“Voglio raccontarti la mia
storia. ( ma Luisa non dubitò che
avesse udita la sua domanda e che a suo tempo avrebbe risposto).
Vorresti
ascoltarla?”
“…Sì.
Certo che lo vorrei.”
“Ne sei certa?”
“Sì, ne sono
certa.”
E mentre Luisa chiudeva gli occhi nel
sole per ascoltare,
Rosso incominciò a raccontarle la sua storia.
Non
c’è bisogno che io
ti parli a lungo della mia infanzia: sono cresciuto a Biancavilla,
sognando di
diventare un Campione di Pokémon come tutti i bambini
sognano, come forse anche
tu sognavi alla mia età.
Giocavo
spesso con
Blu, il mio vicino di casa, che era un bambino molto simile a me, anche
se non
troppo, nipote del celeberrimo professor Oak. Eravamo due bambini
normali…
giocavamo a sognare come tutti, alla fine.
Da piccolo
non sapevo
che Blu fosse il figlio di Giovanni, non me lo aveva mai detto, e
d’altronde
non avrei capito cosa questo implicasse. E quando me lo disse ancora
non ero in
grado di comprendere cosa questo significasse per lui: ciò
che capii sulle
prime era che per anni mi aveva nascosto la verità, che
aveva cercato di
tenermi all’oscuro di un orribile, orribile segreto. Come
avrei potuto, con i
miei ideali e i miei dieci anni, caprie cosa volesse vivere per Blu
vivere senza
madre e praticamente senza padre, circondato da ladri della
più bassa risma
destinati a prendersi cura di lui non per affetto, ma solo per
compiacere il
proprio capo, Giovanni… vivere nascondendo al mondo, a
tutti, a me questa
verità…
Dopo aver
saputo il suo
segreto, non volli più vederlo. Fu allora che
cominciò a diventare sgradevole,
antipatico, presuntuoso… era per difendersi da me.
Un giorno il
professore ci mandò a chiamare e ci fece scegliere due
Pokémon: io scelsi un
Charmender, Blu invece uno Squirtle; ci sfidammo subito, lì
nel laboratorio del
professore, e fin da subito fu chiaro che ero io quello più
forte, quello più
capace di noi due… Questo non fece che alimentare
l’odio che c’era tra noi.
Purtroppo per me, cominciavo già ad amarlo… come
sono strane cose di questo
genere, a volte…
Così
iniziò il nostro
viaggio, e anche in esso ci dimostrammo diversi: lui, cos’
preso ad ampliare il
suo Pokédex, io così impegnato ad allenarmi
furiosamente, contro tutti e contro
tutto… no, non per il motivo che pensi tu. Allora non
pensavo affatto a Ho-Oh,
a Mew, a Celebi, se non come a strumenti tramite i quali incrementare
ulteriormente le mie capacità. Com’eravamo diversi
io e lui! Due modi diversi
di combattere, di allevare i Pokémon e di amarli, due modi
diversi di cercare
la verità, di vivere…
Ho perduto
il conto di
tutti i piani del Team Rocket che ho sventato, Monteluna, Azzurropoli,
Zafferanopoli, di tutti gli allenatori che ho umiliato, dei
Capopalestra che ho
stracciato… un giorno, finalmente, ce l’ho fatta:
ho vinto contro Giovanni e ho
preso la strada dell’Altopiano Blu… Ma quel
giorno, proprio sull’inizio della
Via Vittoria, mi accadde d’incontrarmi con Blu e di
combattere con lui… Vinsi.
Ma in quel momento, credetti di essere davvero troppo forte per la
Lega, troppo
forte per Lance, troppo forte per tutti… decisi che avrei
sfidato solo a Lega
conclusa il Campione, che io sapevo sarebbe stato Lance (Blu allora non era tanto forte
da sconfiggerlo,
lo è diventato in seguito, ma Lance lo notò
ugualmente tra tutti). Proprio quel
giorno ci confessammo l’uno all’altro e forse in
quel momento iniziò il nostro
primo riavvicinamento: ma era ancora un amore doloroso e rancoroso, di
cui
c’incolpavamo a vicenda senza volerlo.
E quel
giorno avvenne
una terza cosa che ha modificato il corso della mia vita: quella notte,
essendomi recato a Isola Cannella per riflettere su quanto era
accaduto… qui,
mentre mi trovavo nella piazza del paese e sedevo tra la
gente… qui, dicevo, mi
accadde di sentire la storia della Prescelta Creatura (e qui
dalla voce di
Rosso Luisa capì ce non le stava dicendo tutta la
verità). Ma queste cose te le ha
già raccontate il professore Oak. Occorrerà
dire solo che incominciai a informarmi, a raccogliere
notizie… qualche giorno
dopo, finita la Lega, Giovanni fu costretto a fuggire da Smeraldopoli e
a
iniziare quella lunga latitanza che si protrae finora e che addolora
profondamente Blu. E fu da me che Blu si rifugiò, quando non
seppe più che cosa
fare: venne a cercare me quando suo padre lo lasciò. Fu il
giorno del nostro
primo bacio, della nostra prima promessa… e per un
po’ di tempo il nostro fu un
idillio, un sogno, un paradiso.
Ma
quell’idea si era
radicata in me, molto più in profondità di quanto
avessi sulle prime creduto,
non mi era più possibile cancellarla dalla mia mente. C’era qualcosa in
me che era cambiato, che non
poteva più acquietarsi, da quando…
Ne parlai
con Blu, e
come avrebbe potuto esserne contento? Disse che se avessi voluto mi
avrebbe
seguito, in capo al mondo, ma sarebbe venuto con me, senza lamentarsi.
Ma come
potevo chiedergli di seguirmi? Come potevo accettare che venisse con
me,
sapendo e sapendo bene che non c’era nulla che potessi
offrirgli? Così partii
da solo, chiuso non – credo – nel mio egoismo, ma
dalle mie catene: perché
sapevo di non poter essere sereno accanto a lui fino a che non avessi
trovato
la mia verità… Non era semplicemente e soltanto
la Prescelta Creatura che
volevo dargli, era un uomo nuovo che potesse garantirgli una
felicità, una
serenità che l’inquieto Rosso non avrebbe potuto
promettergli, mai…
Le parole di Rosso sfumarono nella
brezza del mattino e per
un po’ i due rimasero in quel silenzio appena sceso, incapaci
di parlarsi.
“Blu le sa tutte queste
cose?”
“Le ha capite,
forse… ma non è questo il momento buono per
parlarne. Ma che cosa pensi di questa mia storia?”
Luisa si sistemò meglio
sulla solida pietra. Poi, cambiata
bruscamente idea, si tirò su e si appoggiò alla
roccia accanto al ragazzo. “Penso che non mi hai
detto tutto, Rosso. Non
mi hai raccontato tutta la verità su quella notte qui a
Isola Cannella.”
“Che importanza ha dove ho
sentito questa storia?” domandò
Rosso spazientito.
“Se io ti giurassi di
raccontarti un mio segreto molto
grande e terribile, tu mi racconteresti il tuo?”
“Dipenderebbe dal
segreto.”
Luisa si alzò e
andò ad appollaiarsi davanti a lui,
guardandolo molto da vicino, e prendendogli le mani gli disse:
“Rosso….
Ascoltami bene. Sto per dirti una strana e terribile verità
e voglio fidarmi di
te. Posso farlo?”
“Sì”
disse Rosso inquieto.
“Rosso… io sono
la Prescelta Creatura, e voglio che tu
sappia che io ho sempre creduto che fosse più
giusto… che tu…”
Non ebbe modo di finire. Ora Rosso
aveva il volto tra le
mani e gemeva, dolendosi, ripetendo: “Ma come mai mi sembrava
così improbabile,
così banale…”. Le credeva sulla parola
quel suo folle nemico…
“Rosso. Voglio dirti tutta
la verità… guardami, ora guardami
negli occhi!”. Rosso la guardò: “Rosso,
ascolta… io sono una Principessa dei
Pokémon, sono la figlia di Celebi signore dei Cieli,
sono…”
Ora era perplesso, Rosso, e non
capiva, ma le credeva, non
c’era modo per lui i non fidarsi di lei… Luisa si
alzò in piedi e si tolse la
giacca, la gettò ai suoi piedi e, con gli occhi chiusi,
incominciò a cambiare,
e assunse mille forme tutte diverse, fu un caleidoscopio di colori e
molteplici
aspetti, e infine, fu donna di nuovo… si ritrovò
d’un tratto stesa tra le
braccia di Rosso che ripeteva: “Basta ora, basta! Ti credo!
Mio Dio, ti credo…”
“Volevo che sapessi che ti
dico la verità” mormorò la
ragazza tendendogli le braccia.
“Ti credo, ma
com’è terribile tutto questo! tu, la ver
Principessa…”
“Ascolta” disse
Luisa, e gli raccontò tutto c’è che era
successo prima della sua nascita tra Celebi e sua madre…
Rosso ascoltò e annuì.
Poi, scuotendo il capo, mormorò: “E io che
t’ho anche fatto del male…! Mi
sembra ancora più terribile adesso.”
“No, no” disse
Luisa. “Ascolta: ho deciso di dirlo a te, al
mio nemico, perché solo con te posso essere veramente
onesta. Non con mia mare
o col mio migliore amico, ma solo e soltanto con te. Coi miei fratelli
non ho
bisogno di parlare, poiché loro provano ciò che
provo io… intendo dire…”
“Lance e Argento”
mormorò Rosso. “Come ho potuto non capirlo
prima?”
“Avresti compresa la mia
natura?” domandò Luisa.
“No, non quella,
ma… era così ovvio, così semplice che
fossi
tu… e io sciocco non volevo capire!”
“Mi odi?”
(Silenzio). “No, non ti
odio più. Ora sto meglio, come
vedi.”
“Se hai creduto alla mia
verità, ora devi dirmi la tua.
Resterà tutto quassù…”
Rosso tacque a lungo, molto a lungo,
senza accennare a far
scostare la ragazza che aveva afferrata prima che ella, per la
debolezza,
cadesse. Poi parlò: “Ti dirò il mio
segreto, ma tu giurami che mi crederai. Me
lo giuri?”
“Tu hai creduto a me quando
ti ho detto di essere la figlia
di Celebi… sulla salvezza della mia anima, Rosso, ti giuro
che ti crederò.”
“A parlarmi della Prescelta
Creatura, è stato un vecchio che
ho incontrato nella Città dei Numeri.”
Luisa si sollevò,
tenendosi la ferita con il palmo della
mano, e lo guardò. Ma Rosso guardava lontano, perduto tra
quei ricordi.
“Dimmi che è la
verità.”
Rosso la guardò e disse
lentamente; “Sulla mia felicità con
Blu, ti giuro che sono stato nella Città dei Numeri e che so
come arrivarci e
persino come uscirne.”
“Ma…”
“Vuoi dirmi che
è solo una leggenda?” domandò Rosso.
“Proprio tu vuoi dirmi una cosa del genere, Prescelta
Creatura, figlia di
Celebi?”
“Non è il caso
che te lo dica” ammise la ragazza.
“Ascolta” disse
Rosso. “Tu sei ciò che ho sempre creduto di
essere, in qualche modo sei parte di me, sei la mia erede. Ti
dirò come
arrivarci e come uscirne.”
“Portamici!”
“No!”
gridò Rosso. “Non voglio tornarci. Ho paura di
tornare
là, tu non sai cosa voglia dire… ti dico che
saprai come arrivarci e come
uscirne. Ma non ti consiglio di andarci.”
“Che cosa
c’è laggiù?”
“C’è
tutto quello in cui non hai il coraggio di credere,
quello che non sai che esiste… c’è
un’entità… e puoi trovare la tua
verità, ma
anche molte più bugie. C’è qualcosa che
ha stregato per anni la mia ambizione,
solo perché arrivasse questo giorno in cui io ti spingo in
quel baratro… è…
terrificante. Vieni.” E la prese sulle spalle e
iniziò a scalare il vulcano.
“Dove mi porti?”
“Hai paura?”
“No. Ma dove mi stai
portando?”
“Non è lontano.
Guarda.”
Raggiunsero la cima del vulcano.
Là Rosso la fece scendere.
Luisa guardò in basso e vide aprirsi ai suoi piedi il vasto
cratere nero e
profondo del vulcano.
“È
qui” disse Rosso accennando a quella profondità.
“Qui?”
“Sì,
è qui. All’interno del vulcano e molto
più sotto.”
“E come si fa ad
arrivarci?”
“Ci si butta.”
“Che cosa?”
“È semplice. Ti
fidi di me?”
“Sì,
ma…”
“Non è di
gettarti che devi preoccuparti.”
“E per uscire?”
Rosso sospirò.
“Ascolta. Laggiù tutto è invertito,
nulla
funziona. Devi raggiungere il mare e nuotarvi dentro, e andare dritto
fino
all’orizzonte, sempre dritto, non ti devi mai fermare, e dopo
del tempo
raggiungerai la costa. Sarai di nuovo su quest’isola. E per
tornare, devi
gettarti di nuovo nel vulcano.”
Luisa rifletté per un poco
su queste informazioni. Poi: “Fa
paura andarci?”
“Sì. Tanta. Ci
andrai, vero?”
“Sì.”
“Lo sapevo. Vieni
qui” aggiunse e la fece sedere, perché
impallidiva a vista d’occhio. “Da oggi è
finita la nostra inimicizia.”
“Già…
è finita.”
“È un bene che
sia finita così, alla fine. Forse non saremo
mai amici, ma…”
“Ma tu, mio nemico,
resterai per sempre una parte di me,
poiché conosci il mio segreto.”
“E tu il
mio” disse Rosso
tristemente, stringendosela contro.
Luisa sorrise.
“Se non torni ora,
Blu s’ingelosirà.”
“Ti riporto
all’Indigo, prima.”
“Lascia
stare, tornerò da sola.”
“No, sei
troppo debole” disse
Rosso. Tirò fuori il suo Charizard e, prendendola in
braccio, la sollevò per
portarla ad Altopiano Blu, la fine definitiva (e l’inizio)
del loro viaggio.
Luisa si
appoggiò contro di lui.
Le pareva che qualche cosa le strattonasse il petto
dall’interno in due
direzioni opposte, e ansimava.
“Cosa credi
che diventeremo, ora?
Io per te e tu per me?”
Rosso sorrise e
disse: “Diciamo
che ci sosterremo a vicenda. Tu verrai da me quando vorrai che qualcuno
gonfi
di botte il tuo fidanzato…”
Luisa rise
dolorosamente. “E tu,
invece?”
“Anch’io
verrò da te per lo stesso
motivo” replicò Rosso, ma senza convinzione. Poi,
dopo aver taciuto per qualche
momento, proseguì: “Non lo so cosa diventeremo,
Luisa, so solo che ora siamo
legati da wuesti nostri segreti. Sappi che, qualunque cosa accada,
voglio che
tu venga da me; e io mi riterrò libero di fare lo
stesso.”
“Ci conto,
Rosso” disse Luisa
quasi senza fiato, col petto ostruito. Rosso se ne accorse.
“Resisti,
Prescelta Creatura.
Siamo quasi arrivati.”
“Parli
proprio come loro…” mormorò
Luisa, abbandonandosi a occhi chiusi contro il petto di lui.
“Come loro
chi?”
“Ho-Oh,
Mew, tutti gli altri… mi
chiamano così. Ma non papà.”
Rosso rimase un
attimo in silenzio
a queste parole, poi disse sorridendo: “Non voglio provarci
con te, ma sei la
ragazza più straordinaria che abbia mai
conosciuto.”
“Ho capito
il senso” disse la
ragazza. “E… per risponderti, Rosso…
credo che tu sia l’uomo più follemente
geniale che abbia mai incontrato.”
“Detto da
te, è un grande onore”
replicò il ragazzo sorridendo.
“Lance! Sei
qui?”
“È
la voce di Agata” disse Lance
voltandosi verso gli spalti. Era davvero Agata, che ora compariva sulle
tribune
e lo cercava con lo sguardo. “Agata! Sono qui, cosa
c’è?”
“Ti
cercano” disse ad alta voce la
vecchia.
“Chi
c’è? Se sono giornalisti…”
“Non sono
giornalisti” rispose
Agata con un mezzo sorriso.
“E chi
allora?”
“È
Blu.”
“Andiamo”
disse Lance ad Argento
ed entrambi spiccarono una corsa. Appena entrati nella sala principale
videro
che Blu li attendeva in piedi, immobile, con gli occhi stanchi e
gonfi.”
“Ciao,
Blu” disse Lance con vaga
perplessità.
“Rosso
è qui?” chiese Blu
aggressivamente, avanzandosi di un passo. “Se è
qui me lo devi dire, Lance!”
“No, non
è qui.”
“E
dov’è Luisa?”
“Non lo
sappiamo” intervenne
Argento.
“So che
è venuto a cercarla!” urlò
Blu, gettandosi sul presidente. Lance arretrò di un passo
mentre il ragazzo si
aggrappava a lui e lo scuoteva urlandogli. “Lo so che
è venuto a cercare lei,
lo so!”
Con un colpo deciso,
Lance
allontanò il ragazzo e lo spinse indietro, esclamando:
“Blu, è venuto a prenderla,
ma non sappiamo dove siano andati! Sei contento?”
“E
perché non avete fatto niente
per trattenerli?” chiese Blu disperato.
“Ne sei
capace, tu?” lo rimbeccò
Argento. Blu rimase in silenzio.
“Torneranno,
Blu” gli disse Lance.
“Stai calmo. Se entro un’ora non saranno tornati ci
metteremo in contatto con
lei, in qualunque modo… te lo prometto.”
“Non
c’è bisogno, Lance” disse d’un
tratto dalle loro spalle una voce nitida e conosciuta, era la voce di
Rosso,
mentre si apriva la porta: ne compariva il ragazzo, con tra le braccia
una
ragazza poco meno che svenuta… “Siamo qui tutti e
due. Sani e salvi, eh?”
“Che cosa
è successo?” esclamò
Argento lanciandosi verso di lui. Rosso gli porse la ragazza tra le
braccia.
“Abbiamo
finito di combattere, ora.
Sappiamo… conosciamo le nostre verità.
È finita, ora.”
“Luisa,
Luisa, cos’è successo?”
“Dice
il vero, Argento… abbiamo chiarito, o qualche cosa del
genere:
non siamo più nemici, ora.”
“Per questo
sei andata via?”
gemette Blu.
“Per porre
fine a tutto” disse
Rosso. “Per terminare quella fase della mia vita, di cui
conosciamo tutti il
significato. Ora, finalmente, sono davvero pronto per tornare a casa.
Lance”
aggiunse voltandosi verso i due giovani. “Argento…
ve l’affido. Ora so tutto. Mi
raccomando a voi.”
Luisa aprì
gli occhi con una
qualche strana fatica e lo guardò come per salutarlo. E in
quel momento Rosso
si piantò in piedi immobile davanti a lei e
s’inchinò. Luisa chiuse di nuovo
gli occhi. Era finita per davvero.
Ecco
qua, questo è l’ultimo capitolo che
posterò per un po’,
semplicemente perché da qui in poi si apre un pezzo unico
che ancora è ben più
che inconcluso, quello che riguarda la storia degli Unown e Missingno, e dunque mi spiacerebbe
molto interrompermi
proprio sul più bello. Preferisco finire la storia e poi
postarla. Prendetela come
l’anno di pausa tra un Harry Potter e il seguente ;)
Se
qualcuno avesse voglia di leggere ancora un po’, comunque, a
breve
posterò una spin off intitolata Favola di Natale,
che avrà per protagonista di nuovo
Rosso. Per breve intendo DAVVERO
breve: insomma, datemi tempo di tornare da una due giorni o alle brutte
da una
vacanza col fidanzato, e posterò. I swear J
Un
bacio enorme a Emma Bradshaw che ha continuato a seguire, malgrado
tutto. A presto, miei pochissmi (e per la maggior parte anonimi e muti)
lettori.
Buone
vacanze!
Afaneia
J
|
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Capitolo 15 *** La sola verità di Celebi. ***
kpo
Che
dire? Eccomi
qui dopo poco più di un anno con un nuovo capitolo. A oggi,
la parte di questa
storia che riguarda Missingno e la Città dei Numeri sarebbe
conclusa su carta;
dico sarebbe perché, come al solito, ho perduto un foglio
(avvistato per l’ultima
volta a giugno) e cercherò di ricostruirne il contenuto
mentre copio il
rimanente. I pochi lettori superstiti, ammesso che ve ne siano, non si
aspettino chissà cosa dal finale di questa storia: sebbene
il risultato finale
mi soddisfi abbastanza, non credo che sarà così
per tutti.
Detto
ciò,
vi auguro semplicemente buona lettura e un buon resto
dell’estate, per chi
ancora può godersela e non dev’essere ammesso
all’Università, come me :’(
Enjoy!
Afaneia
Trascorsero
altre giornate vuote e noiose, ma a poco a poco Luisa finì
per riprendersi
davvero. Il petto smise di farle male come quel giorno sul Vulcano ed
essa
tornò in qualche modo a essere se stessa…
“Sei
guarita
del tutto” le disse Celebi ammirandola quando fu in piedi.
“Ora potrete
riprendere il vostro viaggio e lasciare l’Altopiano
Blu.”
Proprio
quella notte, quando si ritirarono per dormire in un’umida
cavità del
Monteluna, Luisa raccontò ai suoi fratelli ciò
che ancora non aveva detto loro,
della Città dei Numeri.
“Vuoi
andarci, vero?” le chiese Argento quando ebbe finito di
raccontare, dopo lunghi
attimi di un silenzio carico di aspettative. Luisa assentì
lentamente col capo,
collo sguardo fisso e serio: “Sì. Voglio andarci e
lo voglio tanto intensamente,
tanto ardentemente che se voi non verrete, non vi
obbligherò, ma mi getterò da
sola nella voragine di quel vulcano.”
“Perché
vuoi
andarci?” domandò Lance. La sua voce era bassa,
quieta, severa. Voleva solo
saperlo, e i suoi occhi la scrutavano fissamente.
“Voglio
trovare la verità, Lance.”
“L’hai
già
trovata la tua, di verità, Luisa. Stiamo bene ora, stai
bene… che cosa vuoi
trovare di più?”
Ma
a quelle
parole Luisa balzò in piedi e prese a percorrere la grotta
come una folata di
vento, come una tempesta. Aveva il respiro scosso e gli occhi
lampeggianti; le
tremava la voce. “No, Lance…. Non è
vero, non è tutto qui, non è qui che ci si
può fermare! Non ricordi proprio tu che due anni fa, solo
due anni fa a tutti
noi pareva già di conoscere la verità? Io sapevo
chi ero, sapevo di chiamarmi
Luisa e di essere la Campionessa di Kanto e di Johto, e non mi mancava
nulla…
ma poi è cambiato tutto, e ho scoperto che era tutto falso,
che non ero solo
una Campionessa ma la Prescelta Creatura, e poi, qualche mese dopo,
tutto era
cambiato un’altra volta, prima ancora che facessi in tempo ad
abituarmi
all’idea… ero la figlia di Celebi! E ora che a
fatica mi sono adattata a essere
anche questo, di più, all’idea che anche questo
potesse essere vero, il mio
nemico mi viene a dire che esiste una Città che per tutti
valeva meno della più
stupida delle leggende… possibile che a voi basti sapere che
esiste? A me non
basta, voglio sapere che razza di posto è mai quello, voglio
sapere chi la
governa, quale entità ha fatto ardere d’ambizione
gli occhi di Rosso e si è
servito della sua vita come di uno strumento; voglio sapere di cosa mai
Rosso
possa aver avuto tanta paura…” e concluse con voce
più bassa, con voce spezzata
e infranta: “Voglio conoscere
quell’entità. Perciò se non vorrete
venire,
l’affronterò da sola.”
“Tu
sei
pazza! Certo che veniamo” disse Argento
con voce priva di qualsiasi esitazione, o di dubbio.
“Io non ho paura,
poiché se Rosso è riuscito quantomeno a fuggirne,
so che possiamo farlo anche
noi. Ma ricordati ciò che ti ha detto lui stesso: puoi trovare la tua verità, ma anche
molte più bugie.”
Sì,
era
vero: erano le esatte parole di Rosso… Luisa
sorrise d’un sorriso amaro, alzando gli
occhi verso il soffitto buio di quella grotta. Sì, Rosso
aveva ragione: lui
stesso vi aveva trovato una bugia, e per quella bugia aveva perso otto anni di
vita… otto anni sono tanti.
“So
a cosa
stai pensando” disse Lance ad alta voce. Luisa si riscosse
bruscamente. “Sì, la
risposta è sì: noi rischiamo lo stesso. Rischiamo
di smarrirci, di
perderci… rischiamo
di non tornare, di
non tornare come siamo ora. Rischiamo di tornare con quello sguardo che
ben
conosciamo, lo sguardo di un folle disposto a tutto per realizzare uno
sciocco
suo sogno che
questa entità,
evidentemente, gli ha messo in testa…
te
la senti?”
Con
una
forza di cui Luisa stessa si sentì sorpresa, essa si
voltò e disse: “Sì.” E a
voce più bassa, scrutando Lance con occhi attenti, disse:
“Te la senti anche
tu?”
Sì,
Lance se
la sentiva. Provava la persistente sensazione che Luisa si sbagliasse,
che
Rosso stesso, nella sua follia, si fosse ingannato; non che si fosse
inventato
tutto, no – non era da Rosso – ma che nel desiderio
di rinnegare il suo fatale
errore, il suo tragico sbaglio, avesse inconsciamente imputato a questa
entità
le ragioni del suo lungo eremitaggio.
“Rimango
del
mio parere” disse allora fermamente. “Penso che
andare sia una pessima idea.
Tuttavia, vengo con voi, non con entusiasmo forse, ma con convinzione,
e non
poca. Se scegliete di andare, sono dei vostri fino alla fine, fino alla
morte
senza alcun dubbio, senza retrocessioni. Ma voglio porre una mia
condizione:
prima della partenza, voglio sentire il parere di tuo padre.”
Luisa
sorrise: “Farà di tutto per trattenerci, lo
sai.”
“Lo
so, e
sono pronto a non farmi scoraggiare. Ma voglio sentire cos’ha
da dire su questa
Città che non doveva esistere, su questa entità
di cui non ci ha mai voluto parlare… lui lo
sapeva, Luisa, doveva
saperlo. Esattamente come sapeva tutto degli Unown, di cui
però ci ha parlato
fin da subito. Ho un pessimo presentimento riguardo al motivo per cui
avrebbe
dovuto tenerci nascosta la Città dei Numeri con la sua
entità e parlarci invece
degli Unown… e a me piace veder chiaro nelle cose, fino alla
fine.”
“Hai
ragione, Lance” disse infine Luisa, con poca convinzione.
Conosceva suo padre e
sapeva che avrebbe fatto di tutto pur di dissuaderla; ma mai gli
avrebbe
permesso di tenerla lontana dalla voragine di quel vulcano. Finalmente,
disse:
“Domattina andremo per prima cosa al Bosco di Lecci e gliene
parleremo, se
siete d’accordo. Per quanto riguarda il resto, non vi
obbligherò a venire con
me, se in qualunque momento deciderete di tirarvi indietro. Ma io
andrò là, col
permesso di mio padre o meno.”
“Sta
bene”
disse Argento. “Sapremo domattina
cos’avrà da dirci tuo padre. E ora
dormiamo.”
Ma
quella
notte Luisa fu colta da una vaga inquietudine e a lungo rimase sveglia
cogli
occhi infissi nell’oscuro soffitto gocciolante della grotta
sopra di lei.
Il
mattino
seguente prepararono in fretta le loro cose e si levarono in volo verso
la
regione di Johto. Luisa volava silente sul suo Aerodactyl: distanziava
rapidamente i suoi fratelli per poi rallentare, si sollevava per
abbattersi in
picchiata per poche decine di metri… non voleva parlare con
nessuno. Parve
acquietarsi solo quando planarono lentamente sulle folte cime del Bosco
di
Lecci, atterrando cautamente a poca distanza dal Santuario.
Celebi
pareva in loro attesa. Al solo scorgere la sua snella figura tra le
fronde
degli alberi, Luisa si sentì mancare il respiro.
“Lo
sai già,
non è vero?”
“Io
so
tutto” rispose semplicemente Celebi. Tuttavia,
proseguì: “Parlamene.”
“Se
sai
tutto, perché non ci hai parlato della Città dei
Numeri?” lo aggredì Luisa
avanzandosi di un passo; i suoi fratelli tacevano, sapendo di non
doversi intromettere,
non ancora, quantomeno, tra quei due esseri divini nel loro confronto.
Lo
sguardo
di Celebi parve tremendamente calmo, e tuttavia amareggiato, quando
rispose:
“Esattamente per questo motivo: perché sapevo che
avresti preteso di andarci.”
“Io
non…”
esclamò Luisa avvampando di rabbia; si morse le labbra e
proseguì: “Io non
pretendo nulla di più di quello a cui ho diritto, di
decidere per me stessa e
dunque di decidere di andare laggiù. Perciò
voglio sapere la verità: per quale
motivo ci hai tenuta nascosta la Città dei Numeri?”
Celebi
non
rispose per lunghi interminabili silenti secondi. Il suo corpo era
parzialmente
immerso nella nebbia mattutina del Bosco di Lecci, nel vapore
d’incenso del
Santuario. Egli guardava lontano, e a nessuno era dato sapere
ciò che i suoi
occhi vedevano.
“Figlia
mia”
disse lentamente “Tu sai che io ho creato tutto
ciò che esiste in questo
Universo, su questo pianeta e su altri; tutto, eccetto gli Unown e la
Città dei
Numeri, e con essa la misteriosa entità che la
abita…”
“Ma
perché
non ce ne hai parlato?” insisté Luisa con voce
spezzata, infranta, col cuore
pieno di rabbia. Celebi non parve nemmeno udirla; tuttavia rispose alla
sua
domanda, come continuando a seguire il filo dei suoi propri pensieri.
“Perché?
Perché gli Unown erano visibili, tangibili, innocui,
affascinanti coi loro
misteri che sembravano non poter fare del male a nessuno. Ma neppure io
so
qualcosa della Città dei Numeri, nessuno sa nulla, in pochi
l’hanno vista. Cosa
mai potevo dirti?”
“Ma
tu
sapevi che Rosso era sceso laggiù? Oh, tu lo sapevi,
forse?” esclamò Luisa.
“Sapevi che era impazzito per essere stato laggiù,
per aver conosciuto
quell’entità? E a me nessuno ha detto niente! E io
che ho infierito su di lui
per non sapere che non era proprio tutta colpa sua quel sogno che non
riusciva
a realizzare! Ma che cosa c’è mai
laggiù di cui si debba aver tanta paura, da
non poterla proprio nemmeno nominare? È forse
quell’entità?”
“E
se così
fosse?” irruppe Celebi. Luisa tacque immediatamente.
“Se quell’entità fosse
tanto potente da non poterla nominare, da vivere al di fuori della mia
comprensione, persino della mia immaginazione? Se io in tutti questi
anni che
hanno preceduto la tua nascita non fossi riuscito mai a scoprire chi
fosse
quell’entità, cosa volesse, quanto potente essa
fosse… è dunque questo che
volevi sentirti dire?”
“Volevo
sentirmi dire la verità” rispose Luisa con calma.
E soggiunse: “È dunque così
che stanno le cose?”
“La
verità?”
ripeté Celebi con voce spenta. Lentamente, rispose:
“La verità è che non lo so.
E so che sembra incredibile, terribile, doloroso sapere che io non lo
so, ma se
tu vuoi la verità, io non ne possiedo altre. È
questo tutto ciò che posso
dirti.”
Luisa
si
sentì improvvisamente, profondamente triste. Era la
verità quella che Celebi le
diceva: egli non sapeva. Celebi, che aveva creato il mondo, che aveva
generato
le loro vite… non sapeva.
“Non
hai mai
pensato di andare là?” domandò a voce
bassa.
“Ci
ho
pensato, e molte volte” rispose Celebi. “Ma ho
sempre sentito, percepito,
saputo che il mio destino era qui; era di non andare là, di
non discendere
quella china d’abisso. Di restare qui su questa Terra
luminosa e priva di
misteri, di non cercare…”
“Ma
il tuo
destino!” gridò Luisa. Si sentiva incredula,
impotente. “Il tuo destino come
poteva esistere se proprio tu stesso avevi creato tutto… no,
papà, non ti
credo. Non m’importa che tu abbia avuto paura… io
ora voglio andare là, e ci
andrò che tu sia d’accordo o meno, che tutti siate
d’accordo o meno.”
Celebi
la
scrutò fissamente, lungamente. Gli parve di vacillare;
tuttavia disse: “Ascolta.
Puoi andare là, ma… io non potrò
aiutarti, non potrò raggiungerti, non potrò
salvarti. Capisci cosa voglio dire? Non potrò nemmeno
sentire la tua voce,
percepire la tua vita. Potresti, potreste restare intrappolati o
vedere… cose
orribili, ma io non ci sarò. Capisci il senso di queste
parole, io non ci sarò?
Se sei pronta ad andare sapendo tutto questo, io non ho altro da
aggiungere.”
“Sì,
papà”
disse Luisa a piena voce.
A
quest’affermazione
così decisa, così ferrea e incrollabile, Celebi
esalò un profondo sospiro che
fece vibrare il suo piccolo petto immortale. Disse: “Molto
bene, poiché io non
posso oppormici, così sia. Badate a voi stessi,
ragazzi” soggiunse ponendo il
vivo sguardo sui due giovani.
“Lo
faremo,
Celebi” disse Argento semplicemente.
Celebi
accolse la sua rassicurazione con un sorriso triste. Parve per un
momento non
aver più nulla da dire. Poi, dopo un momento, si rivolse
alla figlia, e le disse
qualcosa che solo lei poté udire, solo lei percepire.
“Attenta a quell’entità. Si
chiama Missingno.”
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Capitolo 16 *** Libero arbitrio. ***
l
Il vento soffiava forte sulla cima del vulcano, era un
vento bollente che portava con sé i forti vapori e gli odori della lava, della
pietra, della cenere. Era un vento carico di fumi e polvere, un vento che
fustigava il volto e accecava gli occhi: Luisa ricordò come anche quella notte
di più di un anno prima il vento aveva soffiato forte, avvicinando a Ho-Oh la
sua anima palpitante…
Ora non c’era Ho-Oh con lei. Non c’era neppure suo padre,
non ci sarebbe stato là sotto, non ci sarebbe stato quando avrebbe attraversato
la Città, la forza di Missingno, che persino Rosso aveva temuto. Ma Luisa
sapeva che era giusto, che era così che bisognava che fosse: era lei che
Missingno aveva sempre cercato, non Celebi. Là sotto l’aspettava la verità,
l’ultima verità sulla sua vita misteriosa e strana: bisognava affrontarla e
affrontarla lei sola, lei coi suoi fratelli. Nel mezzo di quei turbini di
vento, i tre si schierarono sull’orlo profondo e fiammeggiante dell’abisso.
Luisa sospirò profondamente. Molti e molti metri sotto di
lei, vedeva che la lava gorgogliava e ribolliva tormentandosi, mescolandosi.
Trasse un profondo respiro.
“Rosso non può aver mentito. Anche se pare strano.”
“Chissà quale richiamo può averlo attratto là dentro” disse
Argento. Anche i suoi limpidi occhi verdi e tanto belli erano infissi nel magma
ribollente; egli scrutava pensoso quell’immagine.
Lance mosse un passo verso la bocca del vulcano e subito lo
investì una folata di vapore bollente che gli arrossò gli occhi e le narici. Si
strofinò con la mano gli occhi lacrimanti senza voltarsi indietro. Era più
avanti di loro, più vicino degli altri alla voragine di fiamme: Luisa ammirò la
sua magra figura slanciata e sempre bella, persino sul baratro di un vulcano.
“Potremmo non tornare, o non tornare come siamo ora… ve la
sentite?”
“Che diamine” disse Argento. “Se c’è una città, là sotto,
io voglio vederla.”
“Sono stata io la prima a volerlo” disse Luisa. “C’è la
mia, la nostra verità là sotto, c’è la fine di tutte le bugie, le verità
sottaciute. C’è Missingno che mi cerca dall’alba dei tempi e da cui oggi
andremo noi, per scoprire il motivo della sua ricerca.”
“Ebbene” disse allora Argento “Andiamo. Ha già aspettato
abbastanza.”
“Va bene” disse Lance con calma. “Andiamo allora. Qualunque
cosa accada, signori… è stato un piacere.”
Un istante dopo, i tre giovani chiudevano gli occhi e si
gettavano nel vulcano.
Non vi fu schianto, ma Luisa mandò un urlo acuto e
straziante dal profondo del suo cuore. Non lava, non bruciore né ustioni, ma un
dolore atroce che non riguardava il suo corpo, le aveva preso la mente…
Rosso! Oh, ma Rosso doveva bene averla ingannata, per quale
motivo l’aveva mandata laggiù? Voleva andare via! Via! E dov’erano i suoi
fratelli? Teneva gli occhi sbarrati, le labbra strette e sbiancate sui denti,
ma il suo cuore urlava con foga mentre sentiva che il suo corpo si rotolava
tormentandosi nella polvere, tra dure rocce e sabbia, come su una scogliera
affacciata sul mare. Una scogliera?
D’improvviso, come quando ci si sveglia la notte, dopo aver
creduto nel sogno di cadere, e ci si trova al buio ma al sicuro, Luisa aprì gli
occhi e il suo corpo si fermò, rimase quieto sul terreno. Ecco, era immobile.
Respirò profondamente l’aria limpida e fresca, ansimando. Era finita? No, non
ancora.
Guardò il cielo molto, molto a lungo. Era azzurro e sereno,
asperso di piccole nuvole bianche. Luisa si sollevò lentamente, ma non era una
scogliera, pensò con stupore. Si mise in ginocchio. Ovunque fosse stata prima
di aprire gli occhi, ora era inginocchiata sul duro asfalto di un giardinetto,
di un parco giochi per bambini… ricordò le parole di Rosso. Era lo stesso
parco? Ma soprattutto, dov’erano Lance e Argento?
Cominciò ad aggirarsi per il parco, ruggendo verso il nulla
come una belva ferita.
“Sono qui!” urlò. Il parco era vuoto e buio: Luisa non se
n’era accorta, ma era calata la notte, chissà come, chissà quando.
“Missingno! Sono qui, sono arrivata! Sono la Prescelta
Creatura che cerchi e non trovi, sono la figlia di Celebi, sono Luisa.”
L’aria restava immobile, silente alla sua voce, vuota ai
suoi occhi. Luisa si aggirava per quel parco buio e le parve che, ogni volta
che distoglieva lo sguardo e poi tornava a porvelo, ogni singolo oggetto
apparisse mutato, stravolto, benché identico a se stesso. Si sentì montare una
gran rabbia: la confusione e la paura le bruciavano addosso come su ferite
aperte. Si sentiva spaesata e sola, e questo la spaventava.
“Sono venuta qui per te! Sono qui per te. Hai forse paura?
Ti stai nascondendo?”
“Missingno non si nasconde. Missingno è in ogni elemento
della Città dei Numeri.”
Luisa diede in un sobbalzo pauroso, sorpresa da quella voce
che non si aspettava, poiché il parco, per quello che aveva visto, era vuoto.
Tornò a guardarsi attorno, tra gli alberi, dietro i giochi: non vide nessuno.
Ma poi: “Sono qui.”
Luisa tornò a guardare dov’era prima, e vide che un vecchio
era seduto su una panchina, immobile come se fosse sempre stato lì.
“Chi sei?” chiese immediatamente. “Da dove vieni?”
“Sono sempre stato qui” disse il vecchio.
“Non dire sciocchezze!” esclamò Luisa con rabbia: avanzò
verso di lui. Ma il vecchio rimase immobile. Era cieco. “Non eri qui fino a un
attimo fa!”
“Può darsi” ammise il vecchio. “È difficile saperlo.”
Luisa rimase interdetta per qualche momento. Poi, dopo un
poco, riprese: “Sei stato tu, non è vero, a parlare a Rosso della leggenda?”
“Anche questo è difficile saperlo” disse il vecchio. Luisa
si sentì ancora montare una gran rabbia. Ma come? Ancora menzogne, ancora
silenzi! Era proprio vero, dunque, quello che aveva detto Rosso? Luisa ricordò
le sue parole: puoi trovare la tua
verità, ma anche molte più bugie.
“Smettila!” gridò. “So che sei stato tu! Rosso mi ha
parlato di un vecchio che ha incontrato in questa Città. So che sei stato tu.”
“Ti dico che è difficile saperlo. Chi può dire di essere
esistito in un dato istante qui, nella Città dei Numeri? Solo Missingno può
davvero dire di esistere, qui.”
“Allora dimmi dov’è Missingno!” gridò Luisa con furia.
“Parlerò con lui, con Missingno che sa di esistere, con Missingno che tutto
vede, Missingno che tutto conosce, con Missingno che mi cerca dall’alba dei
tempi e che oggi io troverò.”
“Te l’ho detto. Nessuno può trovare Missingno, poiché
Missingno è sire e signore della Città dei Numeri, Missingno è l’essenza della
Città. Missingno è l’errore del giardino che non esiste, Missingno è ovunque,
poiché questo luogo è il giardino di tutti gli errori.”
“E va bene! Se è ovunque, allora ovunque io lo cerchi lo
troverò, se davvero desidera trovarmi lui stesso” esclamò Luisa con rabbia.
“Vattene al diavolo, stupido vecchio! Non ho bisogno di te. Troverò Missingno
da sola, senza il tuo aiuto.”
Il vecchio batté le palpebre sui ciechi occhi vacui senza
rispondere. Luisa lo guardò ancora per un momento con occhi carichi di spavento
e di disprezzo, e poi subito, incapace di resistere ancora, spiccò una corsa
attraverso il parco e la Città dei Numeri, e vide che tutto cambiava e mutava e
si sconvolgeva sotto i suoi piedi e attorno a lei, in cielo e nei menomati palazzi, e persino nelle
persone da cui si trovò attorniata e affollata ma che scomparvero dopo pochi
attimi mentre lei tra loro cercava Missingno.
Si sentì sola e sperduta. Ora non era più né notte né
giorno: tutto era grigio, e un’indefinita fonte di luce proiettava ovunque
ombre e sagome che parevano non ricondursi a nessun oggetto.
“Sei un vigliacco!”
“Hai troppa paura per affrontarmi, dopo avermi cercata per
tanti e tanti anni? Forse sono più forte di quanto avevi preventivato?”
“Sono più forte di te, eh, Missingno? Sono più forte di
te!”
“Più forte di te!”
Ma la sua voce s’infranse sul silenzio: Missingno non
rispondeva. I suoi fratelli non c’erano. Celebi era lontano, troppo lontano da
lei. Era sola, sola come non era mai stata. Si sentì molto spaesata, e molto
sola. Sentiva di essere in una regione del suo cuore nella quale non poteva
giungerle nessun conforto.
“Ci ha ingannati!” ruggì Argento, scagliandosi contro la
parete della grotta. “Ci ha ingannati come tutti gli altri!”
“Missingno non aveva promesso la verità” disse Lance con
profonda lentezza. “Siamo stati noi stessi a ingannarci, ma sapevamo che qui
avremmo trovato altre menzogne, ancora menzogne.”
“Ma deve essere qui” disse Argento. “È il luogo che persino
Celebi ci ha tenuto nascosto, è Missingno che ha avviluppato per anni
l’ambizione di Rosso. Certo, può non essere l’ultima verità, ma di certo ce n’è
una parte, e noi dobbiamo trovarla, perché Missingno ci ha voluti qui e c’è un
motivo, e noi dobbiamo scoprire quel motivo.”
“Va bene” disse Lance “Andiamo.” Aveva gli occhi foschi e
stanchi, come privi di ogni illusione. Forse non credeva davvero più che là vi
fosse la verità, neppure quel pezzetto che sosteneva Argento. Tuttavia Luisa
era scomparsa, non era con loro in quel momento. Va bene: bisognava cercarla,
lei se non il resto.
Uscirono dalla grotta. Si trovavano in alto, molto in alto,
su una montagna, forse: vi era una distesa di neve, ma non faceva freddo. Tutto
era lucente e molto, molto bello. L’orizzonte si stendeva ampissimo in ogni
direzione, bianco, verde e dorato, ma lontano vi era qualcosa di diverso,
contrastante, come un ammasso nero di oggetti e figure, molto alto, che
oscurava il cielo.
“Quella è la Città?” domandò Argento, indicando quell’oscura massa
indecifrabile. Ma Lance scosse il capo.
“No, Argento… non lo credo. Tutto, qui, è la Città dei
Numeri e tutto qui può mutare e adattarsi e capovolgersi… credo che lo scopo di
Missingno fosse quello di dividerci da lei, così da impedirci di aiutarla, così
da affrontarla da sola.”
Argento si morse le labbra. “Se Missingno non vuole che l’aiutiamo, non ci permetterà di
raggiungerla.”
Lance non rispose. Stava scrutando affannosamente l’ampia
distesa che si apriva sotto di loro: era ora cosparsa di una neve sottile e
grigiastra che sembrava quasi cenere. Ma non era la neve che gli interessava,
né la distanza di quell’imponente massa nera dalla montagna sulla quale si
trovavano: egli cercava di cogliere e trattenere con lo sguardo gli infinitesimali,
incessanti cambiamenti del paesaggio…
“Scendiamo” mormorò infine. “E dirigiamoci verso la massa
nera. Se Missingno non ci vuole, non ci farà arrivare in nessun luogo. Ma
poiché abbiamo deciso di cercarla, dovremo provarci nel solo modo in cui
possiamo farlo: andare là e chiamarla con tutte le nostre forze, se possiamo.
Anche se credo che sia così lontana da non poterci udire.”
Argento annuì. Anche il suo sguardo era fisso
sull’orizzonte, e il suo cuore anelava a trovarla.
Cominciarono a discendere l’alta montagna.
D’un tratto una forte voce decisa venne a scuoterla dal
profondo torpore nel quale la sua disperazione l’aveva sprofondata. Luisa si
riscosse bruscamente al suono di queste parole:
“Ti ho trovata, finalmente.”
La ragazza balzò in piedi, il magro tonico corpo tutto teso
e all’erta, con gli occhi che saettavano ovunque sulla piazza nella quale si
trovava.
“Missingno!” gridò con voce tonante e carica d’eccitazione.
“Dove sei? Fatti vedere se ne hai il coraggio, povero vecchio! E allora vedremo
chi è che sa di esistere qui!”
Ma d’improvviso la sua voce s’infranse. Ella si ritrovò a
rantolare, col petto costretto in una morsa di cui non vedeva l’origine…. Oh!
Avrebbe voluto gridare, parlare, persino pregare…
“Credi dunque tu che io abbia un corpo mortale come te?”
domandò la voce. Ma Luisa non poteva rispondergli. Ecco, pensò mentre le vie
del suo respiro si facevano, attimo dopo attimo, più strette e difficoltose:
essa si trovava a un passo dalla chiave dei misteri del mondo, ma un’entità la
stringeva forte, sempre più forte, e lei non sapeva più cosa scoprire… Provò ad
accennare col capo che no, non lo pensava, come avrebbe potuto pensarlo?
“Missingno non ha corpo mortale e fragile, Prescelta
Creatura… Missingno è fin troppo perfetto” soggiunse poi, e d’un tratto quella
voce le parve, quasi, umana…
La morsa si allentò improvvisamente e Luisa cadde a terra
con un tonfo secco, mentre il suo respiro si faceva di nuovo ampio e affannato.
Col respiro, essa si sentì tornare di nuovo tutta la sua aggressiva tracotanza.
Gridò: “Tanto perfetto che vivi in una
città di errori!”
“E non ti piace, forse?” disse di nuovo la voce,
stringendola ancora; ora Luisa pensava solo a come liberarsi di Missingno…
“Questo non è solo il posto che tu credi.”
“E che posto è?” domandò la ragazza. “È un posto in
continuo mutamento, è un posto orribile, in cui nessuno sa neppure di
esistere…”
“Ah! Non capisci tu, dunque, perché nessuno qui è ben certo
di esistere?” le domandò Missingno. Luisa guardò verso l’alto, sebbene non sapesse
con precisione da dove provenisse quella voce.
“Credi tu forse che altro non sia questo luogo in cui tu
osi avventurarti che una sorta di altra dimensione? No, piccola Prescelta:
questa Città non è che l’espressione materiale del mio potere…”
“Ma perché nel mio mondo?” domandò Luisa. Avrebbe preferito
non chiedere. La risposta fu: “Perché qui esisti tu.”
La forza si sciolse definitivamente. Luisa cadde a terra
per la seconda volta, ma sebbene le mancasse il respiro, balzò di nuovo in
piedi. Gridò: “Che cosa intendi dire?”
Ora Missingno le parlò di nuovo, ma senza stringerla, come
dal suo fianco. Solo la sua voce pareva ancora opprimere e soffocare la sua
mente…
“Tutto l’universo esiste in virtù della mia volontà. Ma la
Città dei Numeri esiste sin dal giorno in cui ordinai la tua venuta, dall’epoca
della Grande Pioggia…dalla discesa delle mie creature.”
Ora Luisa si sentiva girare la testa, e non capiva, ma non
era stavolta il potere di Missingno né la potenza della sua voce: era la forza
delle sue parole.
“Fatti vedere” mormorò. Aveva gli occhi pieni di lacrime e
non aveva nulla da guardare. “Ti prego, fatti vedere.”
“Desideri vedermi?” domandò la voce.
“Ti prego” singhiozzò Luisa. Mentre parlavano, l’Universo
nel quale si trovavano pareva aver perduto i propri colori: ella ancora
scrutava la piccola piazza, ma come da una grande lontananza.
“Non posso aiutarti. Non ho forma né corpo visibile o
tangibile, poiché troppo grande è la mia stessa esistenza perché possa essere
limitata da un corpo materiale: sono già tutto quello che stai guardando, la
voce che stai udendo, l’aria stessa che stai respirando, e ciò deve bastarti.”
Luisa chinò mestamente il capo con arrendevolezza. Ma poi:
“Voltati e guarda” disse la voce, e Luisa si girò immediatamente e tutto perse
aspetto, perse significato: vi era un Universo bianco intorno a loro, e solo un
confuso alone nero spiccava nel vuoto… con voce tremante, Luisa balbettò: “Non
capisco. Mio padre è il Signore del Cielo e del Tempo, è sire e signore
dell’Universo… e tu…”
“Sono ciò che vedi, e molto di più” disse Missingno.
“Finiscila ora! Dimmi la verità!” gridò Luisa con tutte le
forze che aveva. Proseguì: “Mio padre ha creato l’Universo. Tuttavia egli non
sa spiegarsi la sua esistenza. Chi sei tu? Come puoi esistere contro la sua
volontà? Sei forse più potente di lui?”
Missingno rispose: “Sono molto più potente di lui.”
“Ma non può essere vero!” singhiozzò Luisa, poiché anche
quella verità andava sfaldandosi sotto i suoi occhi, sotto i suoi piedi. Gridò:
“Non è vero!” e lo gridò con un ardore tale che l’universo stesso nel quale si
trovavano ne parve scosso fin nelle profondità.
“È la verità, piccola Prescelta. Io sono Colui che creò
sire Celebi all’inizio dei tempi, sono Colui che dietro i suoi occhi guardò
l’Origine del Cosmo… io sono Missingno, la divinità suprema.”
“No!” esclamò Luisa con decisione. “No, non è vero! E se
anche fosse vero, tu saresti un’orribile divinità, capace di creare una
dimensione spaventosa come questa… capace di condannare la vita di un ragazzo,
aizzando la sua ambizione già bruciante…”
“Tutto rientra in un piano divino il cui senso ancora ti
sfugge” disse Missingno con calma. Con aria di sfida, Luisa sogghignò quasi
contro quell’entità e disse in tono provocatorio: “Spiegamelo!”
Ma non aveva ancora richiuso la bocca dopo quest’ultima
sfida che già il mondo pareva mutato: ella si trovava in un immenso spazio
deserto, nero ma rischiarato da luci lontane. Missingno parlò dalle sue spalle.
“Vedi? Siamo indietro, molto indietro nel tempo… questo è
il regno sul quale impera tuo padre, sire Celebi, che è sire dell’Universo ma
per mia volontà. Guarda laggiù, lontano! Che cosa vedi?”
Luisa guardò lontano dove sentiva che Missingno voleva che
guardasse: vide come una grande agitazione, sebbene fosse qualcosa che si sentiva
piuttosto che si vedeva…
“Che cos’è?” domandò con gli occhi infissi in quel caos
primordiale… quel pensiero la scosse come un fulmine. Si voltò e percepì
l’assenso di Missingno.
“È così, è l’origine del mondo, è l’atto
della Creazione: è tuo padre sire Celebi che, credendo di essere solo e unico
nell’Universo intero, crea un suo piccolo mondo e un suo miserabile universo
sconfinato, ma che neppure ricorda la vastità immensa del mio potere…”
Era così, era finita. Le spalle di Luisa
s’incurvarono del peso immenso della verità e della menzogna. I suoi occhi si
erano fatti grandi, enormi di dolore, e in essi si rifletteva il cielo del
giorno della Creazione.
“Va bene” disse quasi senza voce. Era
finita. “Hai mentito anche a mio padre. Gli hai lasciato credere di essere una
divinità… e lo era, ma c’eri tu dietro ogni sua azione. Tu lo hai creato, hai
creato il suo potere per divertirti a guardarlo creare e affannarsi in un mondo
pieno di menzogne tali che neppure lui era capace di…”
“Non hai compreso le mie ragioni” disse
la voce di Missingno. Luisa si sentì afferrare e stringere, scossa nel
profondo: le sue labbra tremarono ed essa non riuscì a parlare. “Non era
divertimento il mio. Credi tu che fosse il divertimento la ragione di un
Universo nato in migliaia di secoli?”
“E dimmi, dimmi allora cos’era!” gridò
Luisa scuotendosi, divincolandosi, strappandosi al suo potere. “Tu hai
ingannato mio padre, tu! Tu ci hai ingannati tutti, ogni singolo essere vivente
sul mio pianeta… dimmi, se non era per divertimento, perché l’hai fatto!”
“Non lo capisci dunque?”
Per l’ennesima volta quella forza si
sciolse attorno a lei ed essa rimase immobile, tremante, ansimante, cogli occhi
colmi di lacrime. Respirando profondamente, disse: “No, non lo capisco.
Spiegamelo, poiché io non lo so.”
Per lunghi, incalcolabili momenti il
silenzio l’avvolse come una caligine, ed ella poté percepire distintamente il
battito del proprio cuore palpitante. Poi, finalmente, cominciò a udire in
qualche regione lontana in fondo alla sua mente la tremenda voce di Missingno,
lontanissima dapprima, poi, lentamente, più nitida e forte.
“Io sono l’essere supremo, io sono
Missingno, creatore dell’Universo e del Tempo, della vita e dell’esistenza
stessa, ma soprattutto creatore di Celebi. Egli è figlio del mio potere, figlio
della mia volontà; egli ha, come me, un potere infinito, che è tuttavia
infinitamente piccolo rispetto al mio… sì, Celebi avrebbe potuto, assieme a me,
governare l’Universo, se solo avesse voluto cercare, indagare… se solo avesse
mostrato il suo coraggio, la sua pulsione alla vita… se solo avesse,
liberamente, scelto di voler sapere chi lui stesso fosse, se fosse proprio così
come credeva lui, di non essere stato generato da nessuno…”
Con indicibile sforzo, Luisa balbettò: “Tu
non hai…”. Non sapeva neppure lei cosa voleva chiedere, e anche se l’avesse
saputo, come chiederlo.
“Io non ho? No, piccola Prescelta: io ho
generato un essere che come me fosse libero, libero di comprendere e di
scegliere: scegliere se indagare le cause della sua vita o meno, scegliere se
cercare la verità o meno… e Celebi, libero com’era, ha scelto, ma ha scelto di
non cercare, di non indagare, di non comprendere e sapere. Nulla io ho fatto
per distoglierlo dalla sua decisione, per non interferire colla sua infinita
libertà: e ho continuato a osservare la sua Creazione, ho visto nascere e
svilupparsi un suo piccolo mondo miseramente infinito nella sua varietà, ma
ahimè, sempre irrimediabilmente condannato dal timore nel quale Celebi viveva
avviluppato, non per sua colpa, ma di certo per sua scelta; voi stessi, figli
di Celebi tutti, umani e Pokémon, vivevate in un mondo pieno di misteri
insondabili, inesplorabili, che nessuno faceva nulla per sciogliere, e quei
pochi che lo facevano venivano esclusi e condannati o, al contrario, venerati
come divinità o eletti proprio in virtù di qualcosa che a quasi nessuno era
dato sapere: eravate predestinati a una vita d’ignoranza e di mistero, proprio
perché Celebi, che aveva commesso l’errore di aver paura, vi aveva generati a
propria immagine e somiglianza!… proprio tu, figlia di Celebi, che per anni non
hai conosciuto neppure il nome di tuo padre, di più, neppure la tua stessa
identità hai considerato la Città dei Numeri, mera estensione materiale del mio
potere, un luogo orribile nel quale nessuno sapeva neppure di esistere…”
Luisa rimase sbalordita a quelle parole.
Vi era una verità nascosta nelle sue parole? Non sembravano poi tutte bugie…
doveva dunque credere alla verità di Missingno? Era paralizzata. Balbettò: “Hai
amato mio padre?”
Sentiva che la sua era una domanda
importante, fondamentale; che dalla sua risposta essa avrebbe saputo chi
veramente era Missingno e chi sarebbe stato per lei.
La risposta fu: “Se non l’avessi amato,
non l’avrei lasciato scegliere. Ma l’ho amato tanto da non volerlo obbligare a
sapere contro la sua volontà.”
“Tuttavia, ho voluto egualmente provare a
salvarvi dalla vostra predestinazione: ho inviato sulla Terra gli Unown,
creature che Celebi non aveva volute e generate, perché si scuotesse, perché
trovasse il coraggio d’indagare il loro mistero: sarebbe bastato così poco per
ottenere la salvezza di tutto il vostro mondo! E tuttavia, neppure questo è
servito: Celebi non ha trovato altro coraggio che di rinchiudere quelle
creature, spaventato dal loro mistero. Tutti voi eravate condannati
all’oscurità…”
“È stato allora che ordinai la tua
venuta: l’ultima speranza di salvezza e liberazione per il tuo popolo, una
creatura che trovasse il coraggio di scendere qui, di affrontare il mio potere,
d’indagare le ragioni del mondo, una creatura, finalmente, che affrontasse la
paura di conoscere; che, essendo divina, potesse redimere il mondo assolvendo
il peccato di suo padre…”
D’un tratto tutto fu chiaro, tutto fu
lampante. Luisa si sollevò e gridò: “Tu non mi hai obbligata a venire qui! Non
è vero? Non mi hai costretta!”
“Vedo che cominci a capire. No, non ti ho
costretta, non ti ho obbligata: ti ho chiamata.
Ma tu eri libera, esattamente come tuo padre, di scegliere e dunque di
scegliere se, rispondendo alla mia chiamata, venire qui, o se ignorare la mia
voce condannando così, pur non sapendolo, tutto il tuo popolo…”
“E tu, piccola Prescelta, hai scelto. Hai
scelto liberamente di ascoltare le parole di Rosso, di sfidare il volere e la
paura di tuo padre, di tuffarti nella voragine di un vulcano. Hai scelto così,
senza saperlo, di salvare il tuo mondo: se tu l’avessi saputo, il tuo gesto non
avrebbe avuto più alcun valore, poiché non sarebbe stato coraggioso, ma eroico;
e io mi aspetto un popolo di eroi, né umani né Pokèmon, ma un popolo che
liberamente possa alzare gli occhi al cielo e scrutare le ragioni della vita e
della propria esistenza, indagare i misteri del suo mondo… non più costretto a
tenere infisso al suolo uno sguardo ottenebrato dalla paura. Capisci dunque?”
Sì. Era incredibile, era terribile,
eppure Luisa capiva perfettamente. Tutto le era ora chiaro, evidente, lampante;
eppure infinite domande le si affollavano alle labbra, domande che, avendone il
tempo, avrebbe posto senza neppure riflettervi sopra.
“Per quale motivo hai scelto Rosso?”
Era la prima domanda, la più importante:
sentiva in fondo al proprio cuore di dovergli riportare, dall’abisso nel quale
egli l’aveva spinta, almeno quella risposta.
“Egli rientrava nel mio Piano divino.
Bisognava che tu venissi a sapere di questo posto; e che lo sapessi da qualcuno
che vi era stato, che ne era impazzito, che per nessun motivo al mondo vi
sarebbe tornato… da qualcuno che ti mettesse liberamente in grado di scegliere
se venirci o no. Ho scelto Rosso perché già la sua ambizione ardeva follemente,
tanto che facilmente avrebbe dato ascolto alle mie parole e ai miei ordini; e
perché maggiore potesse essere la sua ricompensa, dopo. Rosso era necessario al
mio piano divino, essenziale come e quanto la Città stessa; ma la sua vita ora
non mi appartiene più, e ora essa prospererà ed egli sarà felice, colla mia
benedizione, se vorrà esserlo.”
Luisa si guardò affannosamente attorno,
come cercando di scegliere tra quelle infinite domande che lottavano per essere
poste: percepiva in qualche modo di non aver molto tempo.
“Se lo scopo di questa Città era questo,
ora che fine farà?”
“La Città dei Numeri non era che
un’estensione materiale della mia volontà. Non avrà ora più senso la sua
esistenza, ed essa scomparirà insieme al mio desiderio di attrarti qui: la cima
del vulcano non attrarrà più nessuno.”
Ecco, ecco quella sensazione di non aver
più tempo! Luisa si guardò ansiosamente intorno: tutto cambiava, mutava
vorticosamente, di quei piccoli cambiamenti infinitesimali che si faceva fatica
a cogliere ma che ora s’inseguivano vorticosamente…
“Sta già scomparendo” confermò Missingno
con calma. “Ma non temere… non accadrà nulla: tra poco ritroverai i tuoi
fratelli, che ho tenuti lontani perché tu potessi affrontarmi da sola; e tra
poco ritroverai anche me, se lo vorrai.”
Qualcosa nell’aria cominciava a vibrare
violentemente, a tremare, e Luisa si rese conto che il suolo sul quale si
trovava in piedi tremava a sua volta scuotendola: ora non vedeva niente, si
sentì persa nel buio, come durante un terremoto, e gridò: “Aspetta! Aspetta,
per favore! Mio padre…”
Ma Missingno non le rispose. Luisa si
sentì disperatamente sola e sperduta, incapace di muoversi e reagire, mentre il
suolo sul quale si trovava pareva sprofondare; e d’un tratto si sentì
precipitare in acqua fredda e salata, cacciò un grido…
Cominciò a nuotare affannosamente, alla
cieca, dando grandi bracciate annaspanti e ansimanti: non vedeva nulla, non
sentiva nulla, se non il suono angosciante delle onde che la percuotevano e
l’attorniavano, sballottandola senza sosta né tregua… dov’era? Dove avrebbe
trovato i suoi fratelli, Missingno…?
Ma d’un tratto la sua mano toccò nel buio
un’altra mano cui aggrapparsi, ed essa vi si afferrò con foga, con rabbia, con
disperazione…
“Luisa!”
Era la mano di Lance! D’un tratto i suoi
occhi tornarono a vedere, ed essa vide Lance che con tutte le sue forze
lottava, sporgendosi dalla scogliera dell’Isola Cannella, per sollevarla e
tirarla a sé. Cercò disperatamente di aiutarlo, di puntare i piedi contro le
dure rocce della scogliera e di sollevarsi, ma si sentiva mancare le ginocchia
e le suole delle sue scarpe scivolavano inutilmente sugli untuosi strati
d’alghe sottomarine. Ma dopo pochi momenti Argento apparve sopra di lei e
afferrò con forza le sue spalle, e assieme riuscirono a issarla sulla
scogliera.
Luisa rimase immobile e ansimante semidistesa
al suolo, respirando grandi boccate d’aria fredda. Era notte. I suoi abiti le
si erano attaccati addosso, bagnati e gocciolanti, ed essa provò brividi di
freddo al primo movimento. Ma subito Argento s’inginocchiò accanto a lei, le
tolse la giacca, le pose sulle spalle il suo vecchio giubbotto nero: Luisa vi
si strinse ansiosamente.
“Come potete trovarvi qui? Che ci fate
qui?”
“Missingno ci ha ingannati” disse
tetramente Lance. “Non ha fatto che portarci qui. Dopo aver camminato per ore,
ci ha riportati al punto di partenza.”
Luisa scrutò silenziosamente i loro volti
pallidi e angustiati e disse a bassa voce: “Missingno non vi ha ingannati.
Missingno non ha ingannato nessuno.”
Le sue parole furono per loro una
rivelazione. Lance si accovacciò al suolo di fronte a lei e domandò: “Che cosa
intendi dire?”
“Quello che ho detto. Ho affrontato
Missingno e… ora so qual è la verità, Lance. Ho trovato la chiave dei misteri
del mondo.”
Ma Lance e Argento si scambiarono
un’occhiata sardonica. Luisa li guardò con occhi colmi di perplessità ed
esclamò: “Cosa c’è? Che succede?”
“Vieni. Alzati” le disse Lance, e
tirandola per la mano appena si fu alzata a fatica la trascinò a pochi metri di
distanza, da dove si poteva meglio vedere, aldilà delle possenti fiancate del
vulcano, la regione di Johto…
“Vedi qualcosa?” domandò Argento dalle
sue spalle. “Qualcosa di strano, qualcosa che prima non c’era…?”
Luisa socchiuse gli occhi per scorgere
qualcosa, attraverso il buio e la lunga distanza… non vi era forse un’oscura sagoma
che si elevava al di sopra delle città, al di sopra delle cime delle montagne…?
“È una torre” mormorò Lance con voce
cupa, rispondendo ai suoi dubbi. “Abbiamo potuto vederla prima che il sole
calasse del tutto; tuttavia pare che ancora nessuno se ne sia accorto. Non è
forse uno dei malefici di Missingno? Per quel poco che abbiamo visto, crediamo
che sia sorta vicino, se non addirittura sopra le Rovine d’Alfa…”
“Una torre…” ripeté Luisa, scrutando
fissamente quella sagoma: le Rovine d’Alfa… ma forse…
D’un tratto saltò quasi come una bambina,
gettando a terra la giacca di Argento: le brillarono gli occhi. “Ho capito,
finalmente” esclamò ridendo. “Ho capito tutto! Oh, dobbiamo partire, andare là,
presto… andiamo! Vi spiegherò tutto… oh, ora mi è davvero tutto chiaro!”
“Luisa!” esclamò Argento afferrandole le
braccia “Cosa ti è chiaro? Di che stai parlando?”
Ma Luisa aveva la sensazione di
scoppiare: “Andiamo! Andiamo! Ve lo spiegherò volando…oh, ma andiamo!”
esclamava cercando di tirarli a sé. Aveva capito! Aveva finalmente capito!
Via via che volavano furiosamente,
fendendo l’aria, verso le terre della regione di Johto, Luisa raccontò
concitatamente loro le parole di Missingno, la sua rassicurazione, la
liberazione che da lui si poteva attendere… ma Argento e Lance non parevano
convinti delle sue parole e la guardavano perplessi, indecisi.
Giunsero in vista della Torre, dell’alto
edificio svettante fin quasi alle nuvole. Tuttavia nessuno pareva sorpreso,
attonito, sconvolto: quei pochi mortali che ancora passeggiavano lungo le
strade notturne parevano non scorgere nemmeno la sua mole immensa…
“Missingno li ha forse acciecati?”
domandò Argento, scrutando quelle rare figure che si muovevano al suolo, senza
vedere, senza agitarsi… ma Luisa scosse il capo con decisione: era certa di ciò
che stava per dire.
“No, so cosa vuol fare Missingno. Ho
capito qual è la verità” disse semplicemente.
I loro Pokémon s’impennarono per poter
risalire la statura della Torre: Luisa sentì che l’aria le fustigava il viso, i
capelli umidi, i vestiti ancora bagnati e aderenti al corpo e si sentì tremare
e rabbrividire. Ma non c’era tempo di scaldarsi un po’, di asciugarsi: Luisa
voleva vedere, voleva sapere…
Ecco, ecco l’elevata cima della Torre! I tre
ragazzi balzarono giù dai loro Pokémon. Era deserta.
“Perché ci hai portati qui?” mormorò
Lance, scrutandosi attorno con aria triste e rassegnata. “Siamo soli, come
vedi. Siamo…”
“No” disse Luisa con foga, afferrandolo. “Sta
arrivando mio padre. Missingno è già qui – Missingno è ovunque. Non lo
percepisci?”
“No” rispose Lance. Le sorrideva, ma di
quel sorriso rassegnato e stanco, infelice.
Tuttavia nulla, nulla poteva far crollare
la fiducia instancabile di Luisa: tutto era chiaro e lampante, evidente alla
sua mente e presto lo sarebbe stato anche a quella dei suoi fratelli. Un attimo
dopo, come a confermare il suo pensiero, Argento sollevò lo sguardo e mormorò: “Lance,
ha ragione. Sta arrivando Celebi.” E guardando Luisa le domandò direttamente: “Affronterà
Missingno?”
“No” disse Luisa “Non credo. Ma aspetta! Stiamo
a guardare.”
Gli occhi di Argento avevano visto
giusto: proprio Celebi volava verso la cima di quella Torre, li raggiungeva, li
sfiorava passando… tuttavia li vide a malapena. I suoi occhi erano grandi e
infissi in quel cielo vuoto in cui forse neppure lui vedeva qualcosa, e nel
quale tuttavia percepiva una potenza immensa che non aveva mai indagato…
“Sono qui” disse, e la sua voce parve a
Luisa infinitamente possente ma stanca, rassegnata, mortificata. “Sono qui
adesso. Non ho paura affatto. Voglio la verità.”
E d’improvviso l’aria si riempì della
voce infinita di Missingno: era una voce che non proveniva da nessun luogo, da
nessuna direzione, ma permeava l’aria stessa che respiravano. Missingno era quella voce stessa, essa era, come
la Città dei Numeri, nient’altro che una mera espressione materiale del suo
potere.
Disse: “Ora lo sai. Sai già tutto senza
bisogno che te lo dica, e liberamente, libero esattamente come sei sempre
stato, puoi farne ciò che vuoi.”
“Sì, so tutto” disse Celebi. Aveva la
voce infranta, spezzata: era finita. Egli sapeva tutto ciò che aveva sempre,
per paura, voluto ignorare. Accennò col capo alla figlia e mormorò: “Solo per
questo hai creato la sua vita? Perché potesse sciogliere il mistero?”
“Celebi” disse Missingno, e tutto parve
vibrare della sua voce “Io ho creato un essere che come te avesse tutti i
poteri del mondo e che insieme fosse fragile quanto tu eri, e molto di più,
poiché mortale quale tu non sei. Essa, come te e come ogni mortale, aveva la
libertà: e l’ha usata per scoprire la verità. Oggi essa ha davvero redento l’umanità
col suo coraggio: si scioglie finalmente il destino degli uomini, che tu col
tuo errore e peccato avevi legato e avvinto, e da oggi in poi ciascuno avrà una
libertà immensa. Non vi sarà più una Prescelta Creatura, ma il canto divino
morirà con Luisa, ch’è veramente divina e degna: più nessuno sarà schiavo di un
fato prestabilito, ma ciascuno sarà veramente libero, finalmente, di trovare la
propria strada verso la felicità. E dunque questo è il mio grande, ultimo,
unico dono per il tuo popolo: la tua libertà e con esso la sua felicità.”
Luisa aveva ascoltato le parole di
Missingno col cuore palpitante d’angoscia e colle mani strette in quelle dei
suoi fratelli: percepiva, dalla sola stretta di quelle loro mani, ch’essi
avevano compreso, che non erano più scettici e perplessi, increduli: che percepivano
l’immenso potere, ma soprattutto l’infinita bontà, di Missingno.
D’un tratto, immerso in quella voce,
Celebi chinò il capo, umile come fosse un mortale, e mormorò:
“Perdonami.” Ma Missingno rispose: “No,
Celebi. Non hai peccato che di paura; e ora il sangue del tuo sangue ha salvato
un mondo che la paura attanagliava come una malattia. Ma tua figlia ha trovato
il coraggio che per troppi secoli ti è mancato, e il tuo mondo, adesso, è
salvo.”
“Luisa” soggiunse poi; ma nel pronunciare
il suo nome la sua voce non era più avvolgente e soffocante “Il tuo coraggio ha
salvato un mondo intero: tu hai finalmente ripagato la mia attesa, poiché per
troppi secoli ho atteso la venuta del tuo coraggio: siine ora fiera, perché con
la tua discesa nell’abisso, hai salvato il mondo intero.”
“Non ero sola” disse Luisa con calma. “I
miei fratelli hanno avuto il mio stesso coraggio, per una decisione che prima
di tutto era mia.”
“E non sono forse essi tuoi fratelli e
degni quanto te?” domandò allora Missingno.
“Che ne sarà di questa Torre?” domandò
ancora Luisa. “Mi accorgo bene che per tua volontà nessuno può vederla. Ma…”
“Hai capito” disse Missingno. “Più nulla
dovrà essere nascosto, tutto sarà accessibile, Piccola Prescelta, a chi vorrà
sapere, a chi vorrà conoscere. Questa Torre, di cui gli Unown avevano predetto
l’edificazione, resterà qui, come simbolo di una nuova Età dell’Oro, dell’ascesa
di un’era di Missingno. Ben presto questa Torre si mescolerà al paesaggio, e
umani e Pokémon potranno vivere nelle sue profondità e, se lo vorranno, scalare
la sua maestosità, cercare qualcosa di cui forse ancora neppure sanno di aver
bisogno…”
“E di te?” chiese allora Luisa, con aria
quasi di sfida: ma sorrideva, come conscia della sciocchezza della sua domanda.
“Che ne sarà di te?”
“Tornerò a essere sire e signore di un
regno, che stavolta esiste ed è tangibile” rispose Missingno, con voce
incredibilmente calma e serena, che mal si conciliava col ricordo che tutti di
lui avevano, quello di sire e sovrano, sì, ma di un regno di caos.
“È finito per voi il supplizio, è finito
per voi il buio, è redento il peccato originale: si aprirà da quest’alba un’età
d’oro di luce e libertà, e le vite che si sono ingannate perché io potessi
realizzare il mio Piano prospereranno; finalmente il sole splenderà su di voi,
figli miei, figli di Missingno, e sulla vostra felicità.”
Ecco
qui, finalmente. È questo l’ultimo dei pochi capitoli della parte di questa
storia che riguarda Missingno e gli Unown, e devo dire che sinceramente mi
soddisfa non poco, forse scioccamente. Certo, non credo proprio che sia il
finale che tutti si aspettavano; eppure non so come mi pare di essere riuscita
a conciliare tutto ciò che era rimasto di sospeso o di incongruente- e in un
modo che a me non dispiace affatto.
Comunque,
conto di postare, entro breve (credo e spero) un piccolo capitoletto per
rispiegare più chiaramente i concetti espressi qui e qualche piccolo dettaglio
lasciato in sospeso – la Torre per esempio- e anche per ricollegarmi più
facilmente alla prossima spin off che ho già in preparazione. Tratterà ancora
della coppia di Rosso e di Blu, ma non solamente: ho del materiale che mi
soddisfa molto su Giovanni, che, ho scoperto, è il mio personaggio preferito
assieme a Rosso. Al 90% il titolo sarà Paternità
o qualcosa di simile.
Detto
questo, che dire? Ringrazio quei pochi anonimi giunti fin qui, ammesso che
ancora ve ne siano, e vi saluto caramente.
Afaneia
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Capitolo 17 *** Avvento di Missingno. ***
Quel giorno
l’alba sorse sull’alta
Torre splendente che si elevava fieramente poco a sud di Violapoli,
nella località dove fino alla mezzanotte del giorno
precedente si
erano trovate le misteriose Rovine d’Alfa. Esse erano ora
crollate:
gli Unown, che Missingno aveva scelto di liberare, avevano trovato
subito una nuova dimora nei numerosi piani della Torre.
Quella mattina,
perciò, il mondo aprì
gli occhi su quel miracolo inaspettato, quel retaggio dei tempi
antichi nei quali il divino Celebi, creatore del Cielo e della Terra,
talora pareva ricordarsi degli uomini ed elevava edifici e montagne,
scuoteva mari e regioni intere. Tuttavia, quel miracolo non era opera
di Celebi: sulla sua cima, che ardeva di sole, spiccavano queste
parole molto profondamente incise in alfabeto Unown: Avvento
di
Missingno. Nessuno sapeva chi questo Missingno fosse, cosa
volesse, né conosceva le ragioni di quel miracolo:
perciò, mentre i
giornalisti si riversavano in massa alle pendici della Torre e i
pochi studiosi che per anni avevano abitato le Rovine d’Alfa,
spodestati, cominciavano ad avventurarsi ai primi piani della Torre,
centinaia e centinaia di persone si precipitarono invece ad
Amarantopoli, nella speranza che i saggi che custodivano la Torre di
Latta potessero dare loro delle risposte: ma essi tacevano, storditi
quanto e più di loro.
I soli che quella mattina
non si
svegliarono né furono svegliati per vedere quel miracolo
erano i
soli cui Missingno aveva concesso di assistervi. Luisa, Argento e
Lance quella notte erano tornati all’Altopiano Blu stanchi,
spossati, felici, sporchi, esausti e dopo un bagno si erano
addormentati sui grandi divani della camera di Lance, distesi alla
meglio, ben asserragliati dentro la stanza per non essere disturbati.
Il viaggio nella Città dei Numeri aveva tolto loro ogni
energia; ma
soprattutto, essi non desideravano assistere al risveglio del mondo.
Perciò Joy bussò a lungo ma invano alla porta di
Lance, che non si
aprì, e altrettanto invano i loro Pokégear
suonarono a lungo,
abbandonati in un angolo dell’enorme camera sotto le pile dei
loro
abiti sporchi.
Ma quando finalmente si
svegliarono,
verso forse le dieci di mattina, Luisa corse a rispondere:
l’avevano
chiamata quasi tutti: sua madre, il Professor Elm, il Professor Oak,
molti suoi amici e soprattutto, e con più insistenza di
tutti,
Rosso. Luisa sapeva a chi doveva dire per prima la verità;
ma
nonostante ciò si comportò onestamente e
telefonò per prima a sua
madre e al professor Elm, mentre dietro di lei Lance si occupava di
rispondere a numerosissime telefonate dai più svariati
studiosi e
direttori di testata e Argento, che pareva divertito all’idea
di
non avere nessun compito ufficiale da svolgere né parenti da
rassicurare, andava in bagno.
Solo dopo quasi venti
minuti di
conversazione Luisa trovò il tempo di telefonare anche a
Rosso, che
nel frattempo l’aveva già richiamata altre due
volte. Le rispose
infatti subito con voce alterata: “Luisa! Finalmente riesco a
contattarti. Ti telefono da tre ore!”
“Lo so, Rosso, mi
dispiace. Stavo
dormendo” ammise la ragazza. Ma quella risposta non parve
sufficiente a Rosso. “Vuoi scherzare? Andiamo Luisa, non
prendermi
in giro, per favore. Sei andata laggiù, non è
vero?, non è vero?”
“Ti prego, Rosso,
calmati… sì,
sono scesa laggiù, ho incontrato…”
“No, non per
telefono” disse
improvvisamente Rosso. “Vieni qui, per favore. Voglio che mi
spieghi tutto di persona.”
Luisa emise un sospiro
stanco, ma Rosso
aveva ragione: non erano certo cose che potevano spiegarsi per
telefono, e in tutto il mondo lui era di certo la persona che
più di
tutti aveva diritto di sapere.
“Va bene. Qui
dove?”
“A casa mia.
Cioè, voglio dire,
ovviamente… a casa mia e di Blu.”
“Va bene, Rosso.
Arriverò tra una
mezz’ora: dammi solo il tempo di vestirmi e mangiare
qualcosa.”
Rosso le venne ad aprire in
abiti da
casa, con occhi cupi e stanchi che trafissero i suoi. “Blu
è in
Palestra” le disse a mo’ di saluto, lasciandola
entrare. E poi,
appena chiusa la porta: “Sei andata laggiù, vero?
Oh, sapevo che
ci saresti andata! Sapevo di averti spinta tra le braccia di
Missingno…”
“Ehi,
Rosso… lasciami parlare”
gli disse Luisa sorridendo. “Stai calmo, ti prego. Posso
spiegarti
tutto, se me ne dai il tempo.”
“Va bene. Siediti
sul divano”
rispose Rosso, quasi a malincuore: avrebbe voluto poterla travolgere
di domande. Tuttavia l’accompagnò al divano e si
sedette al suo
fianco, scrutandola senza scampo.
Luisa si dilungò
nel raccontargli
tutto dettagliatamente: sapeva che Rosso voleva sapere. Gli descrisse
la sua discesa nell’abisso, il modo in cui si era trovata
separata
dai suoi fratelli; il suo incontro col vecchio cieco della
Città dei
Numeri, la sua fuga; la voce angosciante di Missingno, la
verità, la
sua bontà; il ritorno all’Isola Cannella e
finalmente, sulla cima
di quell’alta Torre, l’incontro che aveva avuto
luogo tra le due
divinità. Rosso la seguiva attento, comprendendo tutto,
attento a
non perdere un passaggio; solo a un tratto, quando Luisa gli
descrisse la voce di Missingno, si alzò in piedi e
cominciò a
passeggiare nervosamente su e giù davanti al divano, come
incapace
di stare fermo, per poi tornare seduto dopo poco.
Finalmente il racconto
terminò, e
Rosso rimase a lungo in silenzio davanti a lei, pensieroso. Infine,
passandosi una mano tra i folti capelli scuri, domandò:
“Non
capisco. Non riesco a capire. Se Missingno amava tanto Celebi, come
dici tu… perché non si è rivelato a
lui? Perché non è stato lui
a volersi mostrare?”
“Perché
mio padre era libero”
rispose Luisa semplicemente. Comprendeva le perplessità di
Rosso;
tuttavia, ella aveva ben chiaro il piano di Missingno nella propria
mente. “Era libero, e come Missingno infinitamente potente; e
tuttavia, pur avendo questa grande libertà, ha scelto di non
voler
conoscere, di non voler cercare le ragioni della sua vita. Missingno
ha rispettato la sua libertà e la sua scelta.”
“Eppure ha
inviato sulla terra gli
Unown, a quanto dici” rispose Rosso. Pareva sempre
più perplesso.
“Non era questo un modo per interferire colla sua infinita
libertà,
come la chiami tu?”
Ma Luisa scosse dolcemente
il capo.
“No, Rosso. Il punto è lo stesso: lui ha inviato a
mio padre un
mistero che potesse risolvere, tramite il quale potesse risalire a
lui, ma non l’ha obbligato a farlo. Come al solito, mio padre
ha
liberamente scelto di non voler sapere. Il suo era un invito, una
proposta, quasi una sfida.”
Rosso chinò gli
occhi sulle proprie
ginocchia forti, segnate, robuste. Era ancora pensieroso, poco
convinto, meditabondo.
“Vuoi dunque
dirmi che di tutte le
vite che si sono succedute su questa Terra dal giorno della Creazione
fino a oggi, di tutti coloro che... solo di me Missingno ha scelto di
servirsi con l'inganno?”
Luisa rimase un attimo in
silenzio,
mordendosi le labbra.
“Non posso
negare, Rosso” disse
semplicemente. “La tua vita è servita a Missingno
per poter
redimere l'umanità; ha scelto di asservire al suo proprio
scopo il
tuo destino, perché tu potessi tentarmi e spingermi ad
andare nella
Città dei Numeri. Tuttavia, egli manterrà
ciò che ti ha promesso:
se lo vorrai, se liberamente sceglierai, egli benedirà la
tua
felicità e tu prospererai.”
Rosso sorrise d'un sorriso
amaro, senza
rispondere. Pensava agli anni che Missingno gli aveva strappato. Ma
Luisa gli prese una mano.
“Tutte le vite
del mondo sono sempre
state schiave, Rosso; schiave del fatto stesso di essere state create
a immagine e somiglianza di mio padre, mio padre che aveva avuto
paura... la tua vita è servita a redimere le altre. Ora
più
nessuno, mai, sarà schiavo della paura, del
destino...”
Rosso allontanò
la mano dalla sua,
pensierosamente. Luisa lesse nei suoi occhi le parole che non le
avrebbe mai detto: nessuno ha chiesto il mio sacrificio.
“Un'altra cosa
non capisco” disse
ad alta voce, alzandosi in piedi, come per volersi scuotere da quel
pensiero. “Il testo inciso nella stanza degli Unown parlava
specificamente di una statua. Tuttavia... non è affatto una
statua
quella nella zona di Rovine d'Alfa. È una torre.”
“Ho faticato
anch'io qualche momento
a capire” disse Luisa sorridendo. “Quando mi
trovavo nella Città,
ho chiesto a Missingno di farsi vedere; ma mi ha risposto che egli
non aveva un corpo tangibile e visibile, che nessuna forma poteva
racchiudere la sua potenza. Non vi è alcun modo di
rappresentare
Missingno, Rosso, e in effetti io e te, che l'abbiamo incontrato,
altro di lui non conosciamo che la potenza della sua voce. Missingno
è già in tutte le cose, nell'aria che respiriamo,
nella nostra
mente. Non esisterà mai alcuna immagine che possa
rappresentarlo; ma
quella grande Torre che vediamo, quella vastità che si
protende
verso il cielo, verso l'immensità insondabile... quella
Torre può
non rappresentare Missingno, ma di certo, come c'è scritto,
rappresenta il suo avvento e l'inizio dell'età dell'oro che
ci ha
preannunciato: un età in cui finalmente tutti noi, umani e
Pokémon,
liberamente potremo protenderci verso la conoscenza, verso il cielo,
accedere alla conoscenza della divinità...”
Ma Rosso continuava a
tacere. Sì, in
lui Luisa scorse un altro dei grandi doni di Missingno: si poteva non
accettare i suoi doni, rifiutare la sua libertà, ignorare la
sua
redenzione. Tuttavia tutto questo, i suoi doni, la libertà,
la
redenzione, erano lì per chi volesse accettarli, per chi
volesse
conoscerli e accogliere Missingno. Anche questo era libertà,
dopotutto: scegliere di non essere liberi.
“Che cosa farai
ora?” chiese per
cambiare argomento. Rosso la guardò con stupore:
“Che cosa?”
“Sai... della tua
vita” accennò
Luisa guardandosi intorno.
Rosso si guardò
attorno come per la
prima volta. Lui e Blu stavano riarrendando la casa, un passo alla
volta, un mobile per volta: Blu voleva cancellare ogni traccia della
sua infanzia difficile e solitaria.
“Non
l'indovini?” domandò a bassa
voce.
“Sì,
credo di indovinarlo, o almeno
lo spero” disse Luisa alzandosi. Gli appoggiò le
mani sulle
spalle, fraternamente, familiarmente: “Missingno
manterrà la sua
parola se tu lo vorrai. Ora sia io che te possiamo trovare pace:
nessun mistero deve più essere svelato, e la chiave dei
misteri del
mondo è accessibile a tutti coloro che vorranno cercarla.
Ora so
tutto, e tutti potranno sapere tutto. Questo è il grande,
ultimo
dono di Missingno, questo è il significato di tutti questi
inganni... è libertà.”
Buonasera a tutti!
Questo
è, almeno per ora, l'ultimo
capitolo della storia. Tuttavia non è detto che sia l'ultimo
in
assoluto: se avrò voglia, tornerò a scrivere su
questi personaggi.
Pertanto non metterò la voce “conclusa”
a questa storia, anche
perché nella mia mente non lo è.
Ma mi sembra
opportuno ringraziare
debitamente tutti coloro che hanno contribuito in qualunque modo a
questa mia, in questo pseudo ultimo capitolo.
Perciò
grazie a: coloraimbow,
Sky98, Bloody Emma, TokorothX3, nihil no kami, I_AnDrY_I per le
recensioni;
Chaos9000,
colorainbow, Himeko
Stukishiro, Sky98, vale_misty per aver aggiunto la storia alle
preferite;
Bloody Emma e
Dragon_Flame per aver
aggiunto la storia alle ricordate;
Bloody Emma e
Colorainbow per aver
aggiunto la storia alle seguite.
(Molti nomi sono
ripetuti, ho deciso
di citarli in ogni “categoria”)
Che dire? Buona
serata, e grazie,
grazie di cuore per essere anche solo arrivati fin qui.
Afaneia
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