Senza titolo
Prologo
What if nothing
exists and we're all in somebody's dream?
Woody Allen
Dicono che gli uomini non possano
volare, se non su scintillanti manici di scopa magici o aeroplani babbani o
colorate mongolfiere. Ma dicono anche che ci sia qualcosa dopo la morte e che
la felicità sia possibile, per questo Hermione Granger aveva buone
ragioni per non credere a quella diceria.
Era certa che se qualcuno avesse
potuto sentire quello che sentiva lei in quel momento, non avrebbe esitato a
ricredersi. Non era esattamente una cosa fisica, del tipo sollevarsi in aria e
osservare le macchine su Shaftesbury Avenue dall’alto, era più una
sensazione, come sentire il pavimento sotto di te crollare e tu correre correre
ugualmente, come se nulla fosse successo.
Non era lei che si era librata in
alto, era il resto del mondo che era sprofondato sempre più in basso.
E qualunque fosse la
verità, era una sensazione abbastanza definita e vivida per essere,
appunto, solo una sensazione. E un’altra delle interminabili certezze che
avevano finito col disgregarsi gradualmente di fronte ai suoi occhi c’era
anche quella che una sensazione non poteva differire poi così tanto
dalla realtà.
Per questo continuava a correre,
o volare, che tanto era la stessa cosa.
Non era nemmeno molto sicura che
la gente potesse vederla. Insomma, tutti quei maghi e quelle streghe
nell’Atrium, che si dirigevano come mosche verso la ricostruzione della
fontana dei Magici Fratelli, distrutta e poi ricostruita, come tante altre cose
tutt’attorno, distrutta e ricostruita, distrutta e ricostruita.
Come lei. Distrutta, dilaniata,
fatta a pezzi e poi rimessa insieme in un assai precario manichino di legno a
cui sarebbe presto saltato via un braccio o la testa. Non l’anima, e di
certo nemmeno il cuore, perché quelli non c’erano neanche
più.
Aveva dovuto guardarsi indietro e
raccogliere pezzi di se stessa dal pavimento, ora un dito, ora il naso, ora gli
occhi, ora un dente, e per ogni osso che riattaccava c’era
un’articolazione che cadeva, e così all’infinito in una
macabra e decadente catena di montaggio.
Era un prodotto industriale,
confezionato a macchina e lo stesso difettoso, non più un essere umano.
Oltrepassò la fontana e
raggiunse gli ascensori, mescolandosi tra i mantelli vaporosi e i cappelli alti
di quella gente che la guardava e neanche la vedeva.
Una volta la fermavano per
strada, i giornalisti chiedevano che concedesse loro un’intervista e i
ragazzini la imploravano che firmasse un autografo, una cosa che non si
aspettava le sarebbe mai successa, quando era una ragazzina di undici anni che
creava disegni di sola grafite senza metter mano alla matita.
Già da allora, niente
acquerelli, niente tempera, niente colore, solo una disastrata e informe massa
con tutte le sfumature di grigio.
Il peso del ricordo di se stessa
da bambina la schiacciò al pavimento dell’ingresso principale del
Minsitero della Magia e ve la lasciò per un infinito lasso di tempo.
Solo quando terminò, permettendole di continuare a librarsi su quel
terreno in rovina, poté premere il tasto che l’avrebbe portata al Nono
Livello – Ufficio Misteri.
Trentaquattro anni sulla carta e
mille addosso, la sua impercettibile pesantezza la stupì nel guardarsi
allo specchio dell’ascensore, insieme ad altri quattro o cinque volti che
avrebbero potuto avere zanne e corna, oppure neanche gli occhi, e lei non
avrebbe fatto caso a loro ugualmente.
Lo specchio crudele le
rimandò l’immagine di qualcosa che un tempo doveva essere stato
vivente, una strana materia solida a forma di ragazza, con un impasto ovale e
pallido che ricordava un viso, due schegge di vetro infrante che dovevano
essere occhi e un groviglio di rimorsi e pensieri che invece erano solo
capelli.
Immaginò di rannicchiarsi
in un angolo, di stringersi con le mani le braccia fino a lasciarvi impressi i
segni rossastri delle dita, raggomitolandosi, rattrappendosi per intero su se
stessa, dentro se stessa, fino a essere risucchiata dal buco nero della sua
esistenza; allora l’ascensore si sarebbe fermato, tutti gli altri
sarebbero usciti e di lei sarebbe rimasto solo un cumulo di cenere a insozzare
la moquette.
Invece l’ascensore si
fermò, la voce metallica annunciò “Nono Livello –
Ufficio Misteri”, e lei, stretta a se stessa come nella sua visione,
uscì dalla cabina insieme ad altre due o tre persone che la superarono
senza degnarla di uno sguardo. Le porte dell’ascensore si richiusero, e
nel pianerottolo calò il silenzio. Freddo, insostenibile, opprimente,
cigolante come un suicida appeso a un lampadario. Allora Hermione pianse,
urlò, si gettò a terra e batté i pugni, gridò
svariate parole, alcune dicevano “figlio”, altre strillavano
“morte”, poche sussurravano “pezzi”, il resto era solo
frastuono misto ad assenza.
Riprese il respiro che aveva
trattenuto fino ad allora, con le labbra serrata e gli
occhi chiusi. Altre due persone la superarono senza degnarla di uno sguardo, le
porte dell’ascensore si richiusero e nel pianerottolo calò il
silenzio, mentre il fantasma di quell’ennesima visione la abbandonava
come si abbandona un vecchio amico.
Serra i denti.
Tira su le maniche.
Caccia giù i rimpianti,
butta
fuori le allucinazioni,
ammazza
i ricordi,
annienta
il tuo respiro.
Sorridi.
- Buon pomeriggio. Sono Hermione
Granger, avevo richiesto un appuntamento con l’Indicibile P.J.P-08, ho
qui la richiesta, è fissato per le 16:00. –
- Attenda un momento, per favore.
–
- Certamente. –
Pausa.
- In fondo al corridoio e poi a
destra, seconda porta sulla sinistra. –
- Grazie. –
- Arrivederci. –
-
P. J. P. stava per Pansy
“J” qualcosa Parkinson. Lo 08 indicava lo stadio
dell’avanzamento della carriera dell’Indicibile in questione, che
nel caso di Pansy era ancora basso data la sua giovane età e i pochi
anni di servizio. Nel complesso, era tutta una misura cautelare messa in atto
dal Ministero dopo la morte del vecchio Indicibile Broderick Bode. Requisito
indispensabile di questa sezione del Ministero era che tutti i suoi impiegati
fossero assolutamente anonimi. Per questo, anche all’interno
dell’Ufficio stesso, non si usava riferirsi a loro con un nome ben esplicito.
Quella di Hermione non era una
richiesta prettamente “ufficiale”. Un incontro con un Indicibile,
seppur di stadio non avanzato come Pansy, non era cosa
che si otteneva tutti i giorni, e comunque non per gente qualunque. Quella di
Hermione era infatti una richiesta “di favore”,
che era un modo carino per dire “sono raccomandato, non rompetemi le
palle”.
I corridoi erano lunghi, stretti
e male illuminati. I candelabri sulla parete si accendevano mano a mano che
qualcuno avanzava e si spegnevano nel tratto di strada che si era appena
superato; in questo modo, non era possibile vedere ne
da dove si provenisse né dove si fosse diretti, una condizione in cui
Hermione, attualmente, si sentiva perfettamente a proprio agio.
Seguì le indicazioni che
le erano state date, dritto destra e sinistra e
arrivò di fronte a una porta in legno di noce, poco lavorata, senza
cartelli, tesserini, indicazioni o etichette che potessero chiarire che razza
di stanza fosse quella.
Hermione bussò e Pansy
disse Avanti, allora lei entrò
indugiando sulla soglia.
Mobili e arredamento erano una
cosa a cui Hermione non avrebbe nemmeno fatto caso. Giusto per annotazione,
tanto per poter riferire poi a un ipotetico amico immaginario se era stata in
cimitero o in una fattoria, rilevò pochi fattori essenziali: no
finestra, no piante, soffitto basso, pareti scure o sporche, mobili eleganti,
sedie alte, più d’una scrivania, no poltrone, no divani, solo
librerie, registri, nero nero nero, Pansy, un uomo
giovane, sulla trentina, a cui venne chiesto cortesemente di lasciarle sole.
L’altro Indicibile
uscì, chiuse la porta, Hermione sobbalzò. Pansy era in piedi,
indossava una veste scura, Hermione pensò che gli Indicibili ricordavano i Mangiamorte, si fece avanti, un passo, due,
“Accomodati”, “Sì”, “Quella sedia”,
“Sì”.
Seduta. Pansy ancora in piedi,
braccia conserte, capelli sciolti, leggermente più lunghi di come li
ricordava.
- Non ti offrirò nulla da
bere – cominciò Pansy.
- Non bevo – replicò
Hermione.
- E non mangi, a giudicare dal
tuo aspetto – commentò l’altra. – Non voglio aiutarti.
–
Suppliche, e tanto di quel dolore
da uccidere una persona. Tutto questo in due soli occhi, cupi e annebbiati da
qualcosa che non era paura, ma ne aveva tutti i sintomi. Pansy ne provò
pietà.
Hermione si tormentava le mani.
Se le strofinava, se le stringeva fino a far schioccare le ossa.
- Ho fatto una cosa
terribile… - mormorò, ma a voce talmente bassa che Pansy non la
udì, intuì soltanto di sentirle ripetere le parole con cui
l’aveva asfissiata in tutti quei mesi.
- Sì, lo so. –
Calma, pacifica, rassicurante.
- Ho fatto una cosa
terribile… -
- Sì, l’hai fatto.
– Semplice rilevamento di un dato.
Hermione alzò gli occhi.
Si sentiva tanta di quella sofferenza dentro che il suo corpo non riusciva a
contenerla. E allora straripava di dolore, una fiumana di angoscia che
traboccava dagli occhi e dalla bocca portandosi via anche le poche cose belle,
lasciandola prosciugata e mezza vuota.
- Tu… - boccheggiò
Hermione, come se l’avessero trafitta con un milione di spilli e per
questo faticasse a parlare. – Tu… Malfoy… voi mi dovete
aiutare. –
- No – Pansy era risoluta.
- Ho fatto una cosa orribile, lo
capisci?. – Pianse. – Mi squarcia in due,
mi fa a pezzi. Mi fa sentire solo le cose peggiori. Non c’è
più niente di bello, nulla per cui valga più la pena
tentare… -
Pansy si lasciò cadere
pesantemente sulla sedia, una mano sugli occhi. – Salazar… -
- Niente di bello! –
piangeva ancora. – Mi riempie… mi riempie per intero di sentimenti
negativi. Non lo capisci, tu, non lo capisci com’è… mi fa
desiderare di non aver figli, di non essere sposata.
Vorrei che Ronald la smettesse di guardarmi, mi dà fastidio quando mi
guarda. Mi dà fastidio quando Hugo mi racconta cosa ha fatto e mi fa
vedere i suoi disegni. Mi dà fastidio quando mia figlia mi abbraccia.
–
Pansy non la guardava, ma stava a
sentire. Non disse nulla perché Hermione non si aspettava che dicesse
qualcosa se non “Sì”, quell’assenso sospeso
nell’aria tra le loro teste, Mi aiuterai?,
Sì, Mi aiuterai?, Sì, Mi aiuterai…?
- Per favore… Pansy, per
favore… -
- Vuoi che ti aiuti a morire?
– sbottò lei. – Che ti chieda di alzarti in piedi e girarti
di spalle, cosicché tu possa chiudere gli occhi e non guardare mentre ti
scaglio contro una Maledizione Senza Perdono? –
- No, no… -
- Con i rischi che comporterebbe
per me, con il dolore che causerebbe a te, un attimo prima di morire, quando lo
rimpiangerai e sarà già troppo tardi? –
- No! – strillò
Hermione. Con la manica del mantello cercò di asciugarsi gli occhi, si
nascose il viso in entrambe le mani. Passò del tempo.
- Mi sento come se avessi
diciott’anni, Pans. –
- Beh, è una buona cosa,
no? –
- Voglio sentirmi come se avessi
diciott’anni. Quando non c’erano legami, non c’erano vincoli.
–
- Divorzia, se è questo
che ti crea problemi. Il resto non è una soluzione. –
Hermione scattò in piedi,
con tanta violenza che il cuore di Pansy ebbe un balzo.
- Come puoi essere così?
– strillò. – Ho fatto una cosa orribile e non riesco
a… conviverci. –
Pansy sbuffò, si
tirò a sedere, cominciò a rovistare tra scartoffie e schedari.
Borbottò qualcosa di confuso.
- Voglio che smetta –
spiegò Hermione, seguendola mentre lei faceva avanti e indietro per
l’ufficio sistemando ora quel plico di fogli in un cassetto, ora quel
registro su uno scaffale.
- Cosa? – sbottò,
seccata e intimidita.
- Il ribrezzo. La paura che mi
faccio ogni volta che mi sveglio la mattina e mi chiedo quanto tempo mi resta
prima di morire. –
- Ascolta un po’,
Granger… -
- No, tu stammi a sentire –
la interruppe Hermione. – Ho fatto qualcosa di orribile. Essere una
strega mi ha portato a fare qualcosa di orribile. –
Pansy sembrava disorientata.
– Scusa? –
- Voglio che torni com’era
prima – disse Hermione.
Pansy sospirò e
radunò alcuni fogli sulla scrivania per infilarli tutto dentro uno
schedario. – Prima di cosa? –
- Prima di Ronald, Hugo e Rose.
Prima del mio lavoro. Prima della guerra. Prima di te e Malfoy. Prima di…
-
Singhiozzò.
- Ai tuoi diciassette anni,
insomma – cercò di semplificare Pansy.
- No – uno sfavillo
perverso le schiarì gli occhi per un istante. – Prima degli undici
anni. Prima di Hogwarts. Prima di quella fottuta lettera. Prima di essere una
strega. –
Restò in silenzio ad
osservare gli effetti della sua affermazione. Per pochi, misurati istanti
l’unico rumore furono e agende e i registri di Pansy, che lei,
imperterrita, continuò a sistemare. Tornò a sedersi alla
scrivania con l’impressione di aver davanti una folle.
- Non credo di aver capito.
–
Sospiro, rinuncia, preghiera. Ti prego, salvami, ti prego salvami salvami
per favore salvami.
- Voglio che tu mi cancelli la
memoria. –
Ti prego ti prego salvami
- Voglio che ogni ricordo degli
ultimi ventitré anni sparisca dalla mia mente. –
Per favore
- Voglio che tu mi innesti nel
cervello la convinzione di essere una babbana. Che la magia non esiste. Che
tutto questo non è mai accaduto. –
Ti prego
- Affinché io riesca a
sopportare la realtà… -
Salvami
- …questo deve essere stato
soltanto un sogno. –
A Pansy venne voglia di
strapparsi i capelli. Ancora una volta ripeté: - Salazar… -
- Fallo smettere –
supplicò Hermione. – Pansy… di’ di sì. –
Mi aiuterai?
Mi aiuterai?
- Granger… -
- Tu lo sai cosa ho fatto.
–
Sì.
- Per favore, di’ di
sì. Non voglio più… -
Non riuscì a dire
più nulla. A dir la verità, fu l’ultima cosa che disse per
molto, molto tempo.
Pansy mise mano alla sua
bacchetta, soppesandola tra le dita come se non fosse decisa sul da farsi.
Hermione non guardava più, non supplicava più. Non ebbe il cuore
di alzare il capo mentre la punta della bacchetta di Pansy, diretta contro il
suo capo, si illuminava di una luce flebile.
Sì.
-
N/A
1) Questa
è una storia strana, impossibile e contorta. Ci saranno un sacco di
sbalzi temporali e flashback, spero di renderli in maniera quanto più
chiara possibile.
2) Non penso che avrà molti
capitoli, anzi spero pochi, anche perché non sono in grado di portare
avanti progetti troppo sostanziosi.
3) E’ una Draco/Hermione. Tra le altre cose. Sempre e
comunque. Lo si trova sempre il modo di infilarci dentro questo pairing.