Glances Game-->Gioco di Sguardi

di Daisy Pearl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** CAP 1 ***
Capitolo 3: *** CAP 2 ***
Capitolo 4: *** CAP 3 ***
Capitolo 5: *** CAP 4 ***
Capitolo 6: *** CAP 5 ***
Capitolo 7: *** CAP 6 ***
Capitolo 8: *** CAP 7 ***
Capitolo 9: *** CAP 8 ***
Capitolo 10: *** CAP 9 ***
Capitolo 11: *** CAP 10 ***
Capitolo 12: *** CAP 11 ***
Capitolo 13: *** CAP 12 ***
Capitolo 14: *** CAP 13 ***
Capitolo 15: *** CAP 14 ***
Capitolo 16: *** CAP 15 ***
Capitolo 17: *** CAP 16 ***
Capitolo 18: *** CAP 17 ***
Capitolo 19: *** CAP 18 ***
Capitolo 20: *** CAP 19 ***
Capitolo 21: *** CAP 20 ***
Capitolo 22: *** CAP 21 ***
Capitolo 23: *** CAP 22 ***
Capitolo 24: *** CAP 23 ***
Capitolo 25: *** CAP 24 ***
Capitolo 26: *** CAP 25 ***
Capitolo 27: *** CAP 26 ***
Capitolo 28: *** CAP 27 ***
Capitolo 29: *** CAP 28 ***
Capitolo 30: *** CAP 29 ***
Capitolo 31: *** CAP 30 ***
Capitolo 32: *** CAP 31 ***
Capitolo 33: *** CAP 32 ***
Capitolo 34: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


Questa indubbiamente sarà una storia mooolto particolare, e non sono sicura che piaccia.
Questo capitolo è una piccola introduzione, ma per il momento non sarà rilevante per la storia, quindi se volete, partite a leggere dal secondo!
Buona lettura e fatemi sapere cosa ne pensate!

 


GLANCES GAME -- GIOCO DI SGUARDI




PROLOGO

La donna stava passando distrattamente una mano sui libri sugli scaffali dell’enorme biblioteca, mentre l’altra era impegnata ad accarezzare dolcemente il pancione.
Pensava e ripensava al nome che avrebbe dato al suo piccolo, voleva che si chiamasse Alex come l’uomo che da anni amava follemente, ma pensava a quanto sarebbe stato ingiusto nei confronti di suo marito dare il nome di un altro al loro bambino.
 Improvvisamente il suo indice sfiorò il libro che presto sarebbe stato la causa della tristezza che si sarebbe riversata in quella casa dopo il parto.
Quel libro  le era appartenuto fin dalla nascita, ma lei non sapeva nemmeno cosa ci fosse scritto perché nelle ultime volontà di suo padre, che aveva lasciato quello strano volume a lei, la supplicava di non aprirlo per NESSUNA ragione al modo.
E Grace fin da piccola aveva rispettato tale volere senza sapere il motivo di quell’assurda richiesta, aveva persino portato il volume nella casa che ormai da 5 anni apparteneva a lei e a suo marito, lo psicologo più in vista della città.
Le motivazioni del padre le rimasero oscure finche era riapparso nella sua vita Alex un paio di anni prima. Alex era stato il suo primo grande amore e lei non lo aveva mai dimenticato veramente;  sposando l’avvenente  psicologo si era solo accontentata.
La ricomparsa di Alexnella sua vita era stata come una boccata di aria fresca, un ritorno al passato. Era lui che aveva risolto il mistero del libro, anche se quello che aveva scoperto era stato doloroso.  
Ancora  non sapevano un granchè, ma a quanto pare esisteva una sorta di maledizione su quel tomo, una maledizione che ricadeva sul custode di esso:  non appena sarebbe nato il primo figlio del custode, il neonato sarebbe stato il nuovo possessore del libro, mentre il genitore, nonché ex custode sarebbe passato a miglior vita.
Per questo Grace non aveva mai conosciuto suo padre, egli aveva spirato nello stesso instante in cui lei aveva aperto per la prima volta gli occhietti.
Ma il dolore per aver compreso di essere stata la causa della morte del padre non era nemmeno paragonabile alla consapevolezza di condannare il proprio figlio alla stessa disastrosa sorte.
Per questo Alex si era dimostrato fondamentale, continuava a fare ricerche su ricerche per trovare un modo di salvare quella povera donna che lui amava con tutto sé stesso.
Grace prese quel dannato libro e se lo rigirò tra le mani: aveva una copertina bianca e una nera, non si capiva quale fosse la prima.
Non era titolato in alcun modo ed era decorato con dei semplici ricami dorati. Lo poggiò sulla scrivania e si sedette sulla morbida sedia che stava dinnanzi al tavolo.
Prese un post-it giallo e una penna poi guardò intensamente il foglio mordicchiando il tappo della biro: cosa scrivere?  Suo marito la trovò così intenta a pensare alle parole giuste da dire a suo figlio.
 “Amore!” esclamò cingendola con un braccio e dandole un bacio sui soffici capelli neri e ricci. Lei si voltò e gli sorrise radiosa, l’uomo,guardandola,  pensò che la gravidanza l’aveva resa  più bella che mai.
 “Che fai?” chiese sbirciando la scrivania.
“Niente! Ah tra poco arriva il ginecologo!” rispose lei e, vedendo il volto di suo marito rabbuiarsi aggiunse “Un controllo di routine, niente di cui tu debba preoccuparti!”. 
“Non è il controllo di quel medico che mi preoccupa, è la sua presenza in casa mia!” disse digrignando i denti.
“Oddio tesoro, pensi ancora che lui sia innamorato di me?”.
“Non è che lo penso. Queste sono cose che si notano Gracy. Lui ti guarda in un modo…” disse triste. “Tesoro” iniziò la donna alzandosi per arrivare a guardare gli occhi nerissimi di suo marito “Non devi preoccuparti, io amo solo te!”. Mentire in modo così schifosamente spudorato a quell’uomo non la faceva sentire bene, ma lei voleva solo che lui soffrisse il meno possibile.
 Grace era consapevole che suo marito  l’amava più della sua stessa vita e poteva immaginare quanto dolore avrebbe provato quando lei sarebbe morta, a questo però non si poteva aggiungere il fatto che lei era follemente innamorata di un altro.
Aveva scelto il silenzio come minore dei mali.
 Furono interrotti dal classico trillare del citofono.
“E’ lui! Tesoro fai il bravo” detto questo gli baciò lievemente le labbra e andò in camera a prepararsi.
Presto la raggiunse il ginecologo che altri non era che il suo adorato Alex. In realtà lui faceva il chirurgo ma stava sostituendo la ginecologa di quella città che era andata in maternità. Era così che i due si erano ritrovati dopo anni.
 “Allora?” chiese ansiosa Grace “Ti prego dimmi che hai trovato un modo per salvarlo!” disse supplice la donna sedendosi sul lettone.
 Il dottore si sedette accanto a lei e prese entrambe le mani di lei nelle sue, poi guardandola negli occhi iniziò “Grace per lui c’è tempo, ora dobbiamo salvare te!”.
La donna trattenne a stento le lacrime che le stavano per sgorgare come fiumi in piena dagli occhi “Alex come fai a non capire? Non c’è tempo tra due settimane devo partorire e voglio andarmene sapendo che lui non farà la stessa mia fine. Ti prego” disse lasciandosi sfuggire un singhiozzo.
Alex sospirò rassegnato “Finora l’unico modo che ha di sopravvivere è quello di non avere un figlio”.
La donna si portò le mani sul viso “Nessuno può impedire una cosa del genere, sarebbe come privarlo di una parte della sua vita!” ormai le lacrime scendevano copiose.
“Grace non c’è altro modo capisci?”.
“Sì capisco”  sospirò asciugandosi il viso.
“Ma ti prego trova-una -soluzione”. L’uomo d’istinto la baciò. Fu un bacio dolce nel quale ognuno dei due cercò di trasmettere all’altro l’amore che riempiva i loro cuori.
Improvvisamente la donna urlò “Mi si sono rotte le acque!”.
Alex fu preso dal panico, non era pronto a perderla, non in quel momento.
Lei lo guardò supplice “Fai il tuo dovere Alex ti prego! Mio marito non deve sapere niente”.
“Cos’è che non dovrei sape…” una voce li sorprese sulla porta della camera mentre la donna lanciava un altro urlo e sia Alex che l’uomo sulla porta , il marito di Grace sbiancarono.
“Le condizioni di sua moglie sono gravi, non so..” iniziò Alex quando venne improvvisamente interrotto dal marito di lei che sbraitò “Un’ambulanza presto!”.
Grace intanto aveva perso i sensi. Quello era l’inizio della fine.
La donna si risvegliò in una fredda camera di ospedale con la voce di Alex che le rimbombava nelle orecchie mentre dava ordini a un intero team di infermiere.
Quasi si stupì di trovare gli occhi pece di suo marito persi nei suoi.
 Intanto l’uomo le baciava la mano.
Non appena si rese conto del risveglio della moglie il cuore gli si riempì di gioia e disse con la voce rotta dalla commozione “Oddio, pensavo che non avrei mai rivisto i tuoi splendidi occhi smeraldo Amore. Non sai quanto ti amo.
Tieni duro tra poco nostro figlio sarà al mondo” la sorrise amabilmente mentre gli occhi di lei vagavano per la stanza.
“Alex” sussurrò. Suo marito assunse un’espressione stupita, sicuramente non si aspettava questo da lei. Il dottore poggiò una mano sulla spalla all’uomo  e lo invitò ad alzarsi.
“Meglio essere sinceri. Non so se ce la farà” gli sussurrò il chirurgo.
 L’uomo sbiancò “Deve uscire dalla sala”.
Il marito di Grace invece di uscire si incamminò quasi tramando verso la sua donna che ormai non la smetteva più di urlare.
Le prese una mano e le baciò la fronte mandida di sudore, poi le sussurrò nell’orecchio “Ti amo amore mio. Ti ho sempre amata e ti amerò per sempre. Andrà tutto bene!” le sorrise trattenendo le lacrime, poi le lasciò un bacio a fior di labbra e chiuse forte gli occhi.
Poi le lasciò la mano mentre lei diceva “Ti ho amato..”  in quel momento l’uomo non capì il significato vero di quelle parole e uscì dalla stanza fermandosi solo per dire al dottore “Salvala ti prego!”.
Non appena fu fuori si mise ad osservare la moglie agonizzante dal vetro che Alex si era dimenticato di coprire con le tendine e purtroppo assistette a quella scena alla quale non avrebbe MAI dovuto assistere. Alex si avvicinò all’amata che subito gli sussurrò “Salvalo Amore mio ti prego! Giura su di me, che ti prenderai cura di lui e che lo salverai”.
 L’uomo le prese la mano “Lo giuro, diventerò un pediatra, sarò il suo pediatra, lo terrò d’occhio lo salverò, abbi fede Gracy” promise, ma poi aggiunse “Forse dovremmo dire a suo padre del libro e di tutto il resto, sarà lui a prendersi cura del piccolo!”.
“NO! Lui potrebbe odiarlo! Devi essere tu a proteggerlo, tu devi farlo vivere!”  disse stringendo il lembo del camice di Alex con le ultime forze che le erano rimaste in corpo.
“Come potrebbe odiarlo?”. 
“Lui è accecato dall’amore potrebbe vedere in lui la causa del la mia morte!”. Alex guardò il viso ormai sconvolto della donna che amava immensamente e promise.
“Ti amo Grace” .  Le parole pronunciate dal medico non furono una grande sorpresa per il marito di Grace, il vero shock fu leggere il labiale di colei che fino ad un attimo prima aveva dannatamente amato con tutto il cuore.
“Ti amo anche io, mio adorabile Alex”.
Il resto si svolse senza che quell’uomo nemmeno se ne accorgesse.
Rimase immobile finche il dottore era uscito con un il piccino tra le bracci dicendogli con la voce rotta dal pianto “Non ce l’ha fatta”. Non riusciva più a fingere. Al che l’uomo gli tirò un pugno sul naso e Alex dovette mettercela tutta per non cadere a terra, soprattutto perché aveva in braccio il bambino.
Il marito di Grace rientrò in casa livido di rabbia e iniziò a buttare a terra tutto ciò che trovava sul suo cammino, giunse al piano di sopra e vide il libro senza titolo che poche ore prima sua moglie stava guardando.
Su di esso c’era un piccolo post-it giallo con su scritto : “Piccolino mio, ti dono questo libro, non lo aprire mai capito? Ti voglio un bene dal profondo dell’anima anche se non avrò la fortuna di conoscerti . Mi raccomando non fare arrabbiare il papà e non dimenticatemi mai. Ti voglio bene. La tua mamma.”
L’uomo ghignò, prese il libro tra le mani e…lo aprì.
                                                                                                                       GLANCES GAME   --  GIOCO DI SGUARDI

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Capitolo 2
*** CAP 1 ***




GLANCES GAME -- GIOCO DI SGUARDI




CAP 1
 
Mia madre era una donna bellissima. Ricordo tutte le volte in cui verso le 8 di sera, dopo aver consumato un modestissimo pasto (non potevamo permettercene di migliori), si metteva davanti allo specchio in camera e non si muoveva da lì per almeno un’ora.
Ricordo quanto era aggraziata quando si sedeva su quella morbida sedia e fissando il suo riflesso sorrideva compiaciuta guardandosi da ogni angolazione.
Sapeva di essere bella, e pensava che questa era l’unica cosa che le importava e che le permetteva di vivere. Di solito dopo essersi contemplata per diversi minuti prendeva la spazzola color avorio e iniziava a spazzolarsi i lunghi capelli biondi, sorridendo radiosa alla sua immagine.  
Posava la spazzola con dolcezza sul tavolino di fronte a lei e passava all’acconciatura della sua chioma d’orata: a volte li attorcigliava in un magnifico scignon che le dava un’aria da gran donna di classe, altre faceva una coda alta e ancora li lasciava sciolti adornandoli con una serie di scintillanti mollettine. 
Dopo di che arrivava il momento del trucco : iniziava a cospargere il suo bellissimo viso di fondotinta e phard, poi si passava sotto agli occhi un filo di matita nera e  metteva l’ombretto scuro che faceva risaltare i suoi occhi azzurro cielo.
E poi, una volta conclusa l’opera, passava altri minuti a contemplarsi.
Era in quei momenti che provavo una ceca venerazione nei confronti della donna che mi aveva messa al mondo.
Infatti adoravo quando, guardandosi,  il suo sguardo si illuminava e tutto il suo viso sembrava sopraffatto da quel silenzioso scoppio di euforia e felicità. Penso che quell’ora davanti allo specchio era l’ora più bella della giornata per lei.
Io tutto quel tempo lo passavo seduta sul suo lettone, con una bambola di pezza in mano a fissarla con la bocca spalancata e vedendola come una meravigliosa principessa che presto avrebbe ritrovato il suo regno.
Poi però tutto cambiava, distoglieva lo sguardo dalla sua immagine e i suoi occhi sembravano riempirsi di nubi , il suo sguardo si faceva cupo e triste mentre lo  posava su di me.  
Ogni volta che accadeva desideravo che almeno una volta le si illuminasse il viso quando si rivolgeva a me, e invece rimaneva impassibile, io ero solo un piccolo peso nella sua vita o forse raramente arrivavo ad essere un giocattolino con cui passare il tempo, ma il più delle volte stava meglio senza di me. E io facevo di tutto per esserle utile per farle capire che l’adoravo.
Quando era triste mi avvicinavo a lei e le mettevo una manina sui capelli, poi lei mi guardava con gli occhi pieni di lacrime e mi diceva di andare in camera mia. Ed io povera piccola bimba delusa ,me ne andavo a piangere silenziosamente abbracciando la mia bambolina sperando che mi desse l’amore che mia madre continuava a negarmi.
Era solita uscire verso le dieci dopo essersi vestita in uno di quei suoi soliti modi buffi. L’abbigliamento che preferiva erano minigonne, calze a rete, tacchi vertiginosi e decolté da paura. Quanta era bella la mia mamma. Prima di andarsene mi diceva di andare a dormire e se ero fortunata mi dava un buffetto sulla testa.
Cosi io mi mettevo sotto le coperta per renderla orgogliosa di me, a quel punto usciva. Dopo 10 minuti mi alzavo dal letto, prendevo la mia inseparabile bambola e andavo in camera di mia madre.
Aprivo il suo armadio e, ridacchiando gioiosa, afferravo alcuni dei sui vestiti più strani: una sciarpa di pelliccia, una gonna corta che però a me arrivava fino ai piedi e i tacchi.
Dopo essermi vestita, o meglio, mentre navigavo in quegli abiti, mi mettevo davanti al suo specchio e cominciavo a guardarmi come faceva lei, mi spazzolavo, mi riguardavo, tentavo di truccarmi, ma ogni sera di più sembravo un clown, e lei la mattina vedendomi con quegli scarabocchi in faccia si arrabbiava dicendo che i trucchi costavano troppo per sprecarli in quel modo, e con tono severo aggiungeva che non dovevo farlo mai più. Io piangevo, ma poi ogni sera tornavo d’avanti a quello specchio e mi mettevo in faccia tutti i colori che trovavo. Poi mi ammiravo e mi sentivo anche io un po’ principessa e anche i miei occhi, nerissimi, si illuminavano.
Immaginavo palazzi, balli, fate come quelle delle fiabe che mi ero dovuta leggere da sola perché mia madre non aveva voglia di passare più tempo del necessario con me.
Il pomeriggio lo trascorreva sempre dalle sue amiche e chiedeva ad una vecchia signora che abitava sotto di noi di salire ogni tanto a darmi un’occhiata. Miss Doris si chiamava e mi adorava, letteralmente.
 Non so per quale ragione, ma mi riempiva di regali, mi portava i biscotti e il te alle 5 di pomeriggio.
Al contrario non le piaceva per niente la mamma e quando io tutta sognante le confessavo che da grande avrei voluto essere come lei, Doris esclamava “o santo cielo, spero che non accada mai” , ma non voleva mai spiegarmi il motivo di tale disprezzo.
Fu lei che mi insegnò a leggere, e fu lei una delle poche persone a cui sentii di dovere qualcosa.
Ce ne sarebbero state altre due: il signor Alan Black e Dave Sullivan.
Il giorno in cui incontrai per la prima volta Alan Black fu uno dei giorni peggiori della mia vita, ma si rivelò fondamentale per la mia esistenza.
Avevo 4 anni ed era una sera come tutte le altre, in cui guardavo quella splendida donna bionda ammirarsi nello specchio. Però quella sera era diversa.
Non si era vestita come al solito, cioè lasciando metà del corpo scoperto, ma indossava un semplice dolcevita azzurro che non ricordavo avesse e dei jeans. La guardavo perplessa.
Forse per la prima volta mia madre mi sorrise radiosa e sentì il bisogno di dare una spiegazione.
“Oggi è una serata speciale Mar, verrà qui un signore e voglio che tu faccia la brava per tutto il tempo e sai perché?” mi chiese quasi euforica. Scossi la testa.
“Perché verrà per propormi un affare che, secondo lui mi cambierà la vita. E io, Mar, non vedo l’ora che finalmente la mia vita cambi!” sorrise “Devi assolutamente stare in camera tua e fare la barava ok?”.
In quel momento qualcuno bussò alla porta.
 Lei sistemò i capelli e sembrò improvvisamente agitata, non avevo mai visto mia madre agitata.
Poi si rivolse nuovamente a me “Su, da brava, và in camera tua e non fiatare ok? Lui non sa che ho una figlia, mmm?”.
Pronunciai un debole “Si” e delusa dal fatto che la mamma non volesse condividere le sua vita con me,  andai in camera mia e chiusi la porta. Ma ero decisa ad ascoltare tutto.
La mia principessa aprì la porta e si sentirono dei passi pesanti che accompagnavano il dolce ticchettio degli inseparabili tacchi di mia madre. “Signor Black!” lo salutò gioiosa lei.
“Signorina Jones” rispose lui.
“Mi chiami jaqueline”.
“D’accordo jaqueline, come desidera” acconsentì lui.
“La potrei chiamare anche io col suo nome no? E potremmo darci del tu.” Attaccò lei allegramente.
“Non credo sia il caso, signorina, vede, io non sono il genere di cliente con il quale lei è abituata a trattare, e poi, francamente , penso proprio che io e lei dopo questa sera non ci rivedremo più, quindi non vedo che utilità abbia che ci diamo a meno del tu o se lei mi chiama o meno col mio nome.”
“ah” ribattè semplicemente la mamma, e potevo immaginare il suo sguardo incupirsi. Poi in lei si risvegliò un briciolo di orgoglio e replicò “Allora mi chiedo come mai lei abbia deciso di aiutarmi.”
Il suo tono era molto freddo.
“Primo, lei si deve rendere conto dell’importanza che avrà nella sua vita questa opportunità, secondo: io non sono né un angelo né un salvatore e quindi non si illuda che l’aiuto che le sto dando sia dettato dalla mia buonanima, io non faccio mai niente per niente. Allora signorina è disposta a stare alle mie condizioni?” chiese l’uomo con voce profonda.
“ Sisi, alla fine quel che chiede mi sembra giusto, lei mi sta offrendo un’opportunità e non vedo perché  non dovrebbe desiderare qualcos’altro, e penso…”
“Signorina Jaqueline” venne interrotta bruscamente mia madre.
Lei ammutolì, e io non resistetti alla tentazione di sbirciare al di la della porta della mia camera. La aprì dolcemente e posai l’occhio sulla piccola fessura.
Dalla posizione dove mi trovavo riuscivo a scorgere solamente le spalle dell’uomo. Aveva lunghi capelli neri crespi legati da una bassa coda  ed indossava una giacca nera.
Era parecchio più alto di mia madre ed era a dir poco enorme, non perché fosse grasso, ma perché  era imponente. Quell’uomo mi metteva in soggezione anche se non mi stava guardando, forse quella sensazione era dovuta al fatto che vedevo l’effetto che aveva sulla mamma.
Lei lo guardava dritto dritto negli occhi e sembrava essersi persa. Lo fissava con la bocca spalancata, probabilmente in un’altra occasione avrei riso nel vedere quella scena, ma non fu quella volta. Ero preoccupata, sentivo che quella non era una persona di cui potersi fidare.
La signora Doris mi diceva sempre che le persone che aiutano gli altri per il proprio tornaconto sono delle persone meschine e che è meglio diffidare da loro.
 E quell’uomo mi sembrava entrasse nella categoria. Intanto mia madre sembrava avesse ripreso il controllo delle proprie azioni, e desolata invitò l’uomo ad accomodarsi.
Una volta che entrambi furono seduti la conversazione riprese.
“Mi parli della sua proposta, non sto più nella pelle” attaccò mia madre mentre gli occhi riprendevano a brillare.
“Allora signorina, io le posso procurare 3 cosa per aiutarla: 10000€ per cominciare una nuova vita per iniziare. Di questa somma lei può farne quello che vuole; può comprarci i suoi costosissimi cosmetici, può prendersi una modesta macchina, potrebbe anche gettarli dalla finestra se vuole. Quello che lei farà con quei soldi non sarà affar mio, fa parte del contratto.”  Mia madre quasi cadde dalla sedia per la felicità “ Ommioddio grazie signor back, quei soldi saranno una fortuna per me!”
“Non mi ringrazi il bello deve ancora venire” aggiunse l’uomo.
La mamma incrociò le braccia sul petto e ancora radiosa esortò l’uomo  a continuare.
“Molto bene. Sono entusiasta che la mia prima offerta sia di vostro gradimento. La seconda cosa che posso offrirle è un lavoro onesto che le permetta di farsi un nome più che rispettabile, a differenza di quello attuale”. Sentendo queste parole la mamma si rabbuiò, ma l’uomo proseguì imperterrito.
“ Lavorerà in un call center, domani mattina sarà il suo primo giorno. Si metta una camicia ed una gonna lunga, non come una delle sue. Deve apparire come una donna rispettabile. Eviti di esagerare col trucco e non metta tacchi vertiginosi. Alle 8 puntuale in via del rame 84, basta che si presenti col suo nome. Le faranno firmare un paio di documenti per mettere in regola l’assunzione. Pensa di potercela fare?”
“Assolutamente si”  rispose sbarrando gli occhi.
 Notavo che era incredula, non pensava che tanta fortuna sarebbe arrivata tutta in un colpo solo, entrando così da una porta sotto le sembianze di Alan Black.
 E anche io, vedendo i suoi cambiamenti d’umore, iniziavo ad essere meno scettica nei confronti di quell’uomo che sembrava che fosse entrato nella nostra casa come per magia. Ero convinta che la nostra vita sarebbe cambiata. Sorrisi tra me e me.
 Forse la mamma avrebbe trovato il tempo di stare di più con me, sarebbe stata più serena, e finalmente avremmo avuto la nostra felicità. Iniziai a fantasticare sulle meravigliose favole che mi avrebbe raccontato, sui giochi che avremmo fatto.
Mi immaginavo che mi tenesse per mano e che mi accompagnasse a scuola quando avrei iniziato le elementari, e che le altre bimbe sarebbero state invidiose di una mamma bella come la mia.
Mentre ero persa nei miei fantastici pensieri l’uomo riprese il suo discorso.
“Nella terza e ultima cosa che posso offrirle è contenuta la mia ricompensa” .
la mamma lo guardò stupita. Come me si chiedeva cosa significasse.
“La priverò di un grande peso. Lei condurrà una vita stupenda e felice senza alcuna preoccupazione salvo che per se stessa. Forse un giorno vorrà rivedermi per ringraziarmi, ma io sarò molto lontano da qui. Le chiedo un piccolo sacrificio: mi dia sua figlia.”
Ci fu un lungo secondo di silenzio. Le parole di quell’uomo mi colpirono il cuore come una freccia. “Ma…ma come fa… lei come sa?” balbettò mia madre guardandosi intorno con agitazione.
 “ E poi come… come può chiedermi una cosa simile?” L’uomo rise. Una risata glaciale.
“Andiamo Jaqueline. Lei non ha mai prestato attenzione a sua figlia. Un figlio dovrebbe essere un dono e non un peso. Ma per lei la sua bambina è un peso, non è così?” La mamma lo fissava sbigottita.
Poi incontrò i suoi occhi e il suo sguardo si perse nuovamente. 
“E’ stata solo frutto del suo lavoro, non era né desiderata né voluta. Lei piuttosto che lasciarla per strada ha preferito tenerla con se, ma a volte se ne pente vero?” .
sempre fissando gli occhi dell’uomo mia madre annuì. Cosa stava facendo, mi chiesi disperata dentro di me.  Perché non mi voleva? Perché perché?
 “ Beh si fidi, con me sua figlia sarà al sicuro, farà grandi cose, e sicuramente diventerà più forte, sa, l’odio dei bambini farà si che il loro potere aumenti quando saranno adulti. Non sentirà più parlare di noi. Ma comunque le posso assicurare che questa è la scelta giusta. Non si sente già meglio? Come se un grosso macigno che si trovava sul suo petto le fosse appena stato rimosso.”
Lei annuì nuovamente.
“Bene!” esultò l’uomo. “Allora la chiami!”.
“Margherite!” chiamò mia madre, lo sguardo ancora vacuo mentre si perdeva negli occhi del signor Black. Tuttavia io non mi mossi.
Non riuscivo a capacitarmi che tutto quello stesse accadendo proprio a me.
Quella che all’inizio sembrava una benedizione si stava tramutando in un brutto incubo.
 Ero triste, delusa e amareggiata. Non pensavo che mia madre sarebbe stata capace di vendermi.
Sapevo che non mi adorava quanto la signora Doris, ma pensavo che almeno un po’ di bene me ne volesse, in fondo ero pur sempre sangue del suo sangue.
 A quanto pare era fin troppo egoista. Era una donna giovane, e aspirava a una vita migliore, cosa le sarebbe importato se io ne facevo parte o meno?
Le lacrime iniziarono a scorrere poco per volta sul mio visino da bambina, e ben presto furono così tante che non riuscì più a vedere oltre il velo di acqua salata che mi oscurava la vista. Piangevo silenziosamente, nel mio angolo nascosta dietro quella porta.
“Margherite…” chiamò di nuovo quella donna che non riuscivo più a vedere come la mia mamma, come la principessa dei miei sogni o come una donna da adorare.
Avevo solo 4 anni ma avevo già capito molto del mondo.
Quello in cui vivevo era un mondo spietato dove nessuno era disposto a fare del bene ad un’altra persona , era un luogo composto da gente egoista, e la cosa peggiore era che la mia principessa senza regno era la peggiore di tutti.
Nemmeno lei si salvava dalla rovina della terra. Mi feci coraggio, tirai su col naso e tentai di asciugarmi le lacrime con la maglietta, aprii la porta del tutto e, sentendomi arrivare il signor Black, si voltò, entusiasta di poter contemplare il suo ultimo acquisto, io.
Era un uomo davvero immenso, aveva dei lunghi capelli neri legati da una coda bassa che ricadeva sulla sua ampia nuca, portava degli occhiali con la montatura trasparente e aveva un po’ di barba sul viso, probabilmente non si radeva da qualche giorno.
Era un uomo molto elegante: portava una camicia bianca seminascosta dalla sua impeccabile giacca nera e dei pantaloni, anch’essi scuri.
Ma il particolare,di quell’uomo, mi colpirono gli occhi, meravigliosi occhi neri, cupi, che erano sicuramente bellissimi, ma anche un po’ inquietanti.
Quegli occhi puntarono immediatamente i miei del loro stesso colore.
Distolsi lo sguardo, lo posai sui miei piedi, sentivo che se non l’avessi fatto, mi sarei potuta perdere come era successo alla mamma, che continuava a fissarci con lo sguardo spento.
“Marguerite giusto?” chiese l’uomo rivolgendosi a me.
 Non risposi. Le lacrime iniziarono a scorre sul mio volto, ma non staccai gli occhi da terra. L’uomo, accorgendosi del mio dolore silenzioso, aggiunse “Coloro che ci feriscono e che ci fanno stare male, non meritano che noi versiamo nemmeno una lacrima per loro.”
Si avvicinò a me, si abbassò e mi tirò su il mento col le dita.
“capito?” chiese mentre io disperatamente cercavo di non incrociare il suo sguardo.
Accorgendosene mi bloccò il viso dolcemente e ribadì “ Hai capito piccola Mar?”.
I miei occhi erano completamente persi nei suoi, erano un tutt’uno e ogni cosa che lui diceva, anche se non potevo comprenderla fino in fondo, mi appariva sensata e giusta. Era sparita la tristezza e il dolore, sentivo davvero che non valeva la pena di piangere per quella donna.
La odiai. Non so se una bambina piccola come lo ero io avesse la capacità di odiare, ma provai un sentimento cosi forte contro mia madre che non poteva essere altro che odio.
“Questo è il mio più grande desiderio Mar. Io ho sofferto anche più di te, ma ho capito poi. Nessuno ci amerà mai, tanto vale che nemmeno noi amiamo! Vieni via con me, e sapremo eliminare l’egoismo delle persone, ci riscatteremo vedrai. Qualunque posto è migliore di questo”.
La cosa che mi sorprese di più fu che io davo perfettamente ragione a quell’uomo, certo era inquietante, ma anche a me voleva offrire un’opportunità come aveva fatto con mia madre.
 Lei continuava a fissarci e sembrava che non avesse sentito quello che il signor Black mi aveva appena detto.
Intanto quest’ultimo sorrise e si alzò.
 “Andiamo Mar” .
“La mia, la mia bambola…” mormorai. Volevo portarla con me, era tutto ciò che di più caro avevo.
Il signor Black rise rumorosamente, poi disse “Non ne avrai bisogno. E’ stupido legarsi alle persone, figuriamoci alle cose!” e continuò a ridere.
“Andiamo!” mi prese per mano. Ero sconvolta. Avevo distolto il mio sguardo dai suoi occhi, ma mi sentivo ugualmente stordita. La mamma si alzò e ci aprì la porta.
“Grazie signorina Jones” sorrise cordiale l’uomo.
“Grazie a lei signor Black”. Aspettò che fossimo usciti dalla casa e poi richiuse la porta alle nostre spalle. Non mi salutò. Mi sentivo come un automa.
 Mi facevo guidare da quello strano uomo che era piombato nella mia vita più veloce di un fulmine e più sconvolgente di un uragano. Era una forza della natura, non un essere umano, e io avevo paura. Mi fece salire sul sedile posteriore di un taxi e lui si accomodò di fianco a me.
“All’aereoporto, grazie” disse semplicemente.
Sfinita dalle troppe emozioni mi addormentai,  non avevo più le forze per pensare né quelle per lottare. Mi risvegliai un paio di volte mentre volavamo sfrecciando nel buio della notte verso una destinazione ignota.
L’ultima parte del nostro viaggio si concluse la mattina dopo su un altro taxi.
Non ci eravamo rivolti la parola per tutta la durata del tragitto.
L’auto si fermò dinnanzi ad una piccola casetta a due piani. Pensai che fossimo arrivati quindi feci per scendere, ma il signor Black mi fermò rivolgendomi le prima parole di tutto il viaggio “Scendo solo io.”
Fu quasi brusco. Sbuffai mentre per l’ennesima volta mi salivano le lacrime agli occhi e mi appollaiai sul sedile posteriore di quel taxi guardando fuori dal finestrino quello strano omone che si incamminava verso la porticina della piccola villetta.
Vidi che suonava ripetutamente, e dopo quelli che ormai dovevano essere 5 minuti buoni la porta si aprì. Apparve una signora che doveva avere all’incirca una sessantina d’anni a giudicare dal colore grigiastro dei suoi capelli e dalla camicia da notte che doveva senz’altro appartenere ad un altro secolo.
 Probabilmente la signora stava dormendo, dopotutto era pur sempre mattino presto. Infatti non appena vide il visitatore alla porta gli aveva rivolto uno sguardo assonnato, ma improvvisamente si ridestò come se conoscesse quell’uomo spregevole e si mise una mano davanti alla bocca per lo stupore. Una volta ripresa da quello che sembrava uno shock iniziò a sbraitare contro quell’uomo.
 Dalla mia postazione non riuscivo a sentire niente, ma quella strana scena mi incuriosiva. Dopo un po’ la donna sbuffò ed entrò in casa. Ritornò sull’uscio con un ragazzino alle calcagna.
Credetti di aver capito cosa stava facendo il signor Black, stavo comprando un altro bambino come me.
Il bimbo se ne stava dietro la signora aggrappandosi alla sua vestaglia e lei gli accarezzava amorevolmente la testa come per rassicurarlo.
Mi chiesi come poteva una donna così legata a quel bimbo sbarazzarsi di lui di lì a pochi minuti, ma ero convinta che il signor Black l’avrebbe ripagata in maniera più che soddisfacente, così come aveva fatto con quella donna che fino a qualche ora prima reputavo mia madre.
Mi salirono nuovamente le lacrime agli occhi mentre osservai come la signora faceva avanzare riluttante il bambino in direzione di quel mostro.
 Quest’ultimo intanto si era inginocchiato per guardare direttamente in faccia il piccolo, ma non appena i loro sguardi si incrociarono, il signor Black indietreggiò quasi spaventato e si rialzò in piedi, in tutta la sua altezza, girò le spalle al bimbo e alla signora e si incamminò verso il nostro taxi, mentre la donna lo guardava con un’espressione incredula dipinta sul volto.
Egli risalì in macchina e ripartimmo.
Mi voltai a guardarlo. Senza nemmeno farlo apposta incontrai il suo sguardo e lui sbarrò gli occhi quasi fosse sorpreso.
“Incredibile”  disse scuotendo la testa “Hai uno sguardo magnetico”, poi fece un sorriso quasi diabolico che mi gelò il sangue nelle vene e aggiunse “Bene, molto bene!” come se fosse soddisfatto di qualcosa che solo lui poteva capire.
Ben presto giungemmo ad un’enorme cancellata di rame. Scendemmo dalla macchina e vidi che dietro quel cancello si celava un giardino dalle dimensioni gigantesche, colmo di alberi cespugli e fiori. In lontananza si intravedeva una villa dalle dimensioni tali da rendere giustizia al parco che la precedeva.
Rimasi quasi abbagliata da tale visione. Il signor Black frugò nella tasca della sua giacca e ne estrasse una mazzo di chiavi d’orate.
Ne cercò una e, una volta trovatola, la infilò nella toppa del cancello, la girò, e quest’ultimo si apri di fronte a me.
L’uomo si rivolse verso di me, sorrise e disse “Benvenuta nella tua nuova casa, Margherite”.

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Capitolo 3
*** CAP 2 ***




GLANCES GAME -- GIOCO DI SGUARDI




CAP 2

La notte ormai scendeva cupa e io me ne stavo pigramente appollaiata sul comodissimo divano rosso di villa lux guardando distrattamente fuori dalla finestra come se non avessi niente di meglio da fare. In realtà pensavo a come liberarmi di Rob. Come spesso accadeva riusciva a capire che stavo per uscire prima ancora che io partorissi anche solo l’idea, era un prodigio, avevo persino creduto che fosse una sorta di veggente. Ma naturalmente era solo un abile osservatore, molto abile a giudicare dai risultati. E, come sempre, voleva uscire con me, non tanto perché non avesse spirito di iniziativa, quanto piuttosto per il fatto che si divertiva a innervosirmi, il che accadeva soprattutto perché io volevo essere libera di andare dove mi pareva e lui mi era sempre alle calcagna. Nonostante i suoi dispetti e il mio comportamento da stronza nei suoi riguardi era l’unico di quella casa che io considerassi mio amico.  Cosi macchinavo il mio piano di fuga, quando puntualmente Rob si presentò alle mie spalle
“Allora!! A che ora stasera?”.
 “Sparisci Rob” risposi acida, lanciandogli uno sguardo sprezzante. Sorrise.
 “Tanto lo so che senza di me non ti diverti allo stesso modo, non hai nessuno con cui sfogare il tuo brutto carattere da zitella”.
Avvampai “Zitella?? Devo ricordarti come è andata l’ultima volta che siamo usciti?? Ti ho battuto mio caro!! Altro che zitella..”. Ammiccai.  Lui fece una risata molto sarcastica e disse “Tecnicamente no, hai usato i trucchetti!! “. Mi girai per guardarlo dritto negli occhi “Sbaglio o tu non hai posto condizioni quando mi hai sfidata??”ribattei con un piccolo ghigno e aggiunsi “Comunque hai ragione Rob, non ti ho battuto tecnicamente…” e proprio mentre nasceva sul suo viso pallido un sorriso di trionfo continuai “..Ti ho STRACCIATO!! ahaha”. Un lampo d’ira attraversò i suoi occhi azzurrissimi circondati di giallo. Pericoloso guardare uno di noi negli occhi. Sentii l’ormai conosciutissima sensazione di nausea dovuta al fatto che il mio corpo era consapevole di quello che stava facendo Rob, e automaticamente si stava difendendo, ma essergli immune non significava non provare fastidio.
“Non usare i trucchetti su di me!!” lo ammonii severa “Sai che non avranno mai effetto”.
“Spero solo che un giorno tu possa abbassare le tue difese, o io diventare più forte” ribattè. Stavo per replicare, ma lui continuò imperterrito “Allora a che ora??”.
“Uscite??” una voce arrivò alle mie spalle. Mi votai, Caren! Caren era un’altra delle persone che abitavano in villa lux, io e lei avevamo la stessa età, Rob no, era più grande.
Se con lui era una continua lotta che portava in fin dei conti tutti e due a divertirsi, con lei era una noia.
Era una ragazzina poco cresciuta che voleva sempre primeggiare su tutto e su tutti, peccato che ogni suo tentativo sfumasse ogni volta che si confrontava con me o con Rob.
Sapevo che la cosa le bruciava e che aspettava solo un nostro passo falso per poter far vedere quanto valesse, ma per il momento l’unico dei due che riusciva a sopportarla era Robert. Io non facevo altro che essere molto stronza nei suoi riguardi e lei nei miei, ma considerando il fatto che nulla poteva farci stare male era quasi un modo per rendere meno noiose le giornate da qualche mese a quella parte.
Avevamo infatti smesso di prendere lezioni private dal padrone di casa che si stava ormai dedicando ai più piccoli, quindi ogni azione era buona per ingannare il trascorrere del tempo.
La cosa buona che nonostante tutti i dissapori che potevano esserci in quella casa ci consideravamo un gruppo, forse più che gruppo oserei dire branco, perché non ci volevamo bene, quello no, ma avevamo un grandissimo senso di appartenenza. Quella era la nostra casa, e questo era il nostro modo di vivere il che rendeva falici ed egoisti tutti. Chi potrebbe desiderare una vita migliore?
Una vita in cui non si sta male per gli altri, una vita dove  ci sei tu al primo posto. Tutto questo grazie ad Alan. Lui era il nostro salvatore, gli dovevamo tutto.
“Bè divertitevi!!” aggiunse la nuova arrivata, girando i tacchi e sculettando amabilmente. “Che tr..” sibilai, poi aggiunsi “Rob devi mancarle parecchio se ci prova in maniera così sfrontata con te!”.
“E’ una sciocca” rispose “non so perché ancora non sia voluta uscire con noi, così non avrebbe solo me su cui sfogare i suoi istinti!”. Un sorriso esagerato illuminò il mio volto.
Robert mi fissò sgranando gli occhi e spalancando la bocca come se avesse avuto un’intuizione geniale “Sei stata tu!” disse indicandomi. Il mio sorriso si fece ancora più ampio.
 “Non ho parole”.
“Allora non parlare ragazzino. Ahahah davvero, con quella ragazza è TROPPO semplice, è così debole, mi chiedo perché Alan l’abbia scelta. Almeno io e te sappiamo mettere in pratica ciò che ci ha insegnato, lei invece non sa nemmeno difendersi!”. Robert sorrise guardando fuori dalla finestra pensieroso poi disse “Penso che Alan l’abbia scelta perché suo padre era uno stronzo alcolizzato che la picchiava non appena ne aveva l’occasione, solo che non è riuscito a farglielo odiare come ha fatto con noi. Alla fine è il disprezzo per gli altri che ci ha fatto imparare ciò che sappiamo”.
 Annuì con solennità  “ Già. Che trio però. Lei è figlia di un ubriaco, tu sei stato abbandonato dai tuoi quando ancora eri un neonato e io..”. Finì lui per me “ tu sei figlia di una grandissima zoccola”. Risi facendo trapelare tutto il mio disprezzo per quella donna “Che per inciso mi ha praticamente venduta ad Alan per lasciare la strada e trovarsi un lavoro decente.”
“Ti rode?” insinuò Rob. Mi voltai a guardarlo come si guarda un bambino che sta ancora imparando tutto sul mondo “No. A dire la verità mi ha fatto un favore, se Alan non fosse arrivato sarei stata un talento sprecato, io sono nata per vivere qui!”.
 “Ne sei sicura?” disse avvicinandosi pericolosamente a me.
“Non giocare con me Robert, sono fuoco lo sai” ghignai “ tieni i bollenti spiriti per sta sera, ti sfido! Alle 10 puntuale” conclusi con voce sensuale. Poi me ne andai ridacchiando convinta che sarei riuscita a fregare Rob dandogli un orario.
Peccato che a quell’ora io avevo intenzione di essere già parecchio lontana da casa.
Dopo essermi rapidamente vestita scesi al piano di sotto in punta dei piedi tenendo le scarpe col tacco in mano per fare il meno rumore possibile, sembravo una specie di galeotta fuggita da una prigione di massima sicurezza, invece stavo solo fuggendo da Rob.
Quando finii le scale ero talmente assorta nel controllare che dal corridoi non arrivasse nessuno che non vidi la cameriera e le finii contro cadendo rovinosamente, ma soprattutto RUMOROSAMENTE a terra.
“Agatha INSOMMA!! Stai più attenta la prossima volta!!”. Agatha, che grossa com’era non si era spostata nemmeno di un millimetro dopo lo scontro con me rispose col solito tono apatico “Si signorina Margherite, si è fatta male?”.
“Shhhh Agatah vuoi che lui ci senta??” le sibilai mettendo l’indice davanti alle mie labbra per invitarla al silenzio, gesto totalmente inutile perché lei continuava a guardare un punto non stabilito dietro di me col solito sguardo vacuo.
 “ Mi scusi signorina Margherite, posso fare altro per lei?” sussurrò.
“ Sì vattene, e se qualcuno ti chiede di me, tu non mi hai vista”.
“Si signorina, desidera altro?” ecco che partiva con il solito disco.
“Agatah!! Ti sono grato”. La voce di Robert arrivò dal fondo del corridoi, dietro le spalle di Agatha che senza girarsi disse “Signorino Robert, mi fa piacere di esserle stata utile, posso fare altro per lei?”. La sua tiritera mi stava davvero innervosendo, e come se non bastasse il nervoso saliva perché Robert aveva scoperto il mio piano di fuga, probabilmente per questo aveva detto ad Agatha che era stata utile. Presi tra le mani il viso paffuto di quella donna e lo spostai in  maniera tale che i suoi occhi assenti fossero in linea con i miei. Li sbarrai. Vattene ORA!
“Devo andare” disse Agatah , girò i tacchi e si diresse verso la biblioteca da dove era arrivato Rob. Non appena lo fece ebbi piena visione sul ghigno che illuminava sfrontatamente la stupida faccia di Rob, e mi rassegnai all’idea che avrei dovuto averlo tra i piedi per tutto il resto della serata.
“Andiamo muoviti!” sibilai.
“Agli ordini!!” e mimò un sull’attenti, poi aprì il portone precedendomi fuori dalla villa.
Sbuffai per tutto il tragitto lungo il vialetto che serpeggiava tra i grandissimi pini che usavamo per nasconderci quando ancora eravamo piccoli. Robert si limitava a stare due passi dietro di me, e anche se non lo vedevo potevo immaginare quanto gongolasse. Solo al cancello aprì bocca per chiedermi “La sfida è ancora valida femme fatal??”. Mi girai lentamente verso di lui sorridendo in modo seducente “Se non vuoi tirarti indietro Robert..”. Iniziò a ridacchiare “Andiamo Mar!! pensi davvero che mi ritirerei??”.
 “Devo rispondere?? Lo sai di non avere grandi possibilità contro di me” sogghignai mettendomi le mani sui fianchi come per sottolineare la veridicità della mia affermazione.
 “Senza trucchetti però zuccherino!” aggiunse con voce mielosa. Lo guardai incredula tirando su un sopracciglio “Vuoi dettare TU le regole?”.
“Paura Mar? Paura che il tuo corpicino piaccia meno dei tuoi sguardi”  e dicendo questo si mise le mani sui fianchi e iniziò a sbattere convulsamente le palpebre.
Naturalmente il suo intento era quello di imitarmi, ma il risultato era davvero buffo: si comportava come se gli fosse entrato negli occhi un moscerino! Ridacchiai  a quella vista mi voltai di spalle e oltrepassai l’enorme cancello seguita a ruota da quello scemo. Iniziammo a camminare per le strade poco trafficate di Montblanc lui ben presto si mise al mio fianco.
“Sfida accettata! Senza trucchetti Rob, ma…voglio un bonus”.
Girò il viso per guardarmi “Bonus?” chiese.
“Certo, potremo usare i trucchetti una volta sola, come bonus!” gli sorrisi. Lui ghignò “ahaha hai troppa paura di non farcela con le sole tue forze, vero Mar?”.
Gli sorrisi fredda “E tu hai paura che i tuoi trucchi non siano all’altezza dei miei??”.
Il ragazzo ridacchiò “Ok vada per il bonus allora” poi continuò, perché pensare che Robert fosse in grado di stare zitto per almeno 5 minuti equivaleva a credere che gli asini volassero “Dove si va zuccherino??” chiese ritornando ad usare la sua stupidissima voce mielosa.
“All’Orange, Rob. E se non vuoi che ti costringa a rimanere qui, piantala di chiamarmi zuccherino!”.
Sorrise “Andiamo Mar, i tuoi sguardi mi fanno solo il solletico!!”.
“A me i tuoi fanno solo venire la nausea” ribattei ricordando la sensazione sgradevole di qualche ora prima quando Rob stava provando a piegarmi al suo volere.
“Uff e pensare che se solo Agatah fosse stata più attenta adesso mi starei godendo una pacifica solitudine” aggiunsi.
“Dai Mar non essere sciocca, ho visto che sei stata tu ad andarle contro!” sottolineò Rob. Voltandomi verso di lui vidi di nuovo il suo stupidissimo ghigno illuminargli il viso e risposi sorridendogli fredda “Sempre a puntualizzare vero Rob? Fatto sta che quella cicciona potava anche stare attenta a dove metteva quella sua enorme pancia da donna incinta”.
Rob ridacchiò “E’ un automa Mar! E’ già tanto che sia in grado di parlare! E poi non è colpa sua se ho scoperto i tuoi piani di fregatrice, ho avuto una soffiata da un uccellino che vuole guadagnarsi i miei favori”.
 “Ah si?” gli chiesi scettica, poi capii “Caren!!” sospirai alla rivelazione. Ricordai di averla vista precipitarsi giù dalle scale mentre stavo uscendo dalla mia camera, ma in quel momento non le avevo prestato molta attenzione considerando che ero parecchio concentrata a non farmi vedere da Robert. Capii all’istante perché la ragazza avesse così tanta fretta, doveva avvertire lui! Non era scema! Aveva così unito il prendersi gioco di me che sicuramente doveva averla resa più felice e divertita  e il guadagnare punti con Rob. Mentre ero persa nei miei pensieri Rob se la rideva allegramente.
“Si può sapere cosa ci trovi di tanto divertente in tutta questa faccenda?” chiesi acida, mi dava fastidio che gli altri si divertissero e io non ne capissi il motivo.
“Ho avuto un’illuminazione!”  disse indicandosi la testa con l’indice. Sorrisi, il solito stupidissimo Rob.
 “E sentiamo, Einstein, quale sarebbe questa grande illuminazione che ha sconvolto il tuo piccolo cervellino?” chiesi ormai curiosa.
 “Ho capito tutto Margherite, so perché non vuoi MAI che io esca con te”.
“Non ci voleva un genio a capirlo! Voglio solo avere tutto il divertimento per me, così invece mi tocca dividerlo con uno sciocco!”. Sorrise ammiccando “Si si Mar, questa è la versione ufficiale, ma la verità è un’altra..” sorrise come un bambino che non riusciva più a tenere dentro di se un grande segreto.
 “Sputa il rospo Rob, o devo costringerti a farlo?” lo intimai minacciosa.
 “Sì costringermi!! TU?? Ma dai!!!” disse scherzoso mentre io stavo letteralmente perdendo la pazienza. Così lo precedetti e mi piantai di fronte a lui che quasi mi stava per finire addosso per la sorpresa di trovarmi innanzi a lui.
Automaticamente cercò i miei occhi, era una reazione naturale tra di noi e sapevo che finche non avessi deciso io di distogliere lo sguardo il suo sarebbe rimasto intrappolato nel mio.
 Alan lo definiva sguardo magnetico perchè impediva alla vittima di separare i suoi occhi dai miei, dato il mio sguardo era qualcosa di estremamente disarmante, sia che lo usassi per i trucchetti, sia che guardassi semplicemente una persona.
Era un’arma innata, che sicuramente si era rivelata utilissima.
Gli altri non avevano questa capacità, escluso Alan naturalmente, loro dovevano impegnarsi affinchè la vittima non decidesse di distogliere lo sguardo dai loro occhi, quindi questo doveva essere il primo comando che dovevano imporgli, mentre io non ne avevo avuto bisogno. Sapevo perfettamente che il mio sguardo metteva paura a Robert e ne ebbi l’ennesima conferma quando il ragazzo si irrigidì mentre con la mia arma lo tenevo inchiodato a quel marciapiedi.
Non sopportava che io fossi immune a tutti i suoi poteri, se si poteva definirli tali, e che lui non riuscisse ad essere immune al mio bellissimo paio di occhi neri.
Dal mio canto in quel momento mi stavo divertendo in maniera esagerata. Vedere Robert immobile some una statua era una cosa alquanto spassosa, ma il fatto più incredibile era il suo mutismo, ah un po’ di pace! Posai gli occhi a terra pienamente soddisfatta della mia opera e mi rimisi a camminare al suo fianco.
“Ok ok” disse un po’ scosso, poi riprese il sorrisetto di sempre “tu hai PAURA!”. Sbuffai. Chissà cosa stava macchinando quella stupida mela marcia che era il cervello di Rob.
 “ Di cosa avrei paura sentiamo..”.
“Di innamorati” svelò sorridendo e poi aggiunse “di me..”. Scoppiai a ridere di vero gusto, mi fermai e mi tenni la pancia tanto era divertente quello che aveva detto. Lui sembrava quasi esserci rimasto male perché dopo aver smesso di camminare incrociò la braccia sul petto come se fosse veramente infastidito dalla mia reazione.
“Bè?? Che c’è di strano?” chiese sulla difensiva.
“Rob, ahahah, l’amore non è cosa per noi. L’amore porta a soffrire, a stare male, e porta a voler bene. Noi non abbiamo sentimenti Rob!” ripresi a camminare e aggiunsi “ O forse tu ne hai?”.
Fu lui a ridere questa volta “Come potrei se la prima cosa che Alan ci ha insegnato è il disprezzo per qualsiasi forma di sentimento che ci possa portare a soffrire?? Noi abbiamo la fortuna di non sapere cosa sia il dolore, o almeno ce l’abbiamo da quando Alan ci ha allontanati da questo. Perché dovrei provare dei sentimenti?”.
“Perché dovrei provarli io? Dimmi.”.
Ridacchiò “Perché sei una donna, e voi donne siete molto sentimentali. Prendi Caren ad esempio. Lei, se non è innamorata, è cotta di me!”.
 “Ahahahah Roby!! Sopravvaluti le tue capacità di seduttore! Caren sarà stupida, debole e ingenua, ma innamorata proprio no! Ha solo bisogno di dare sfogo ai suoi istinti e in casa di ragazzo ci sei solo tu, gli altri sono troppo piccoli! Lei non sa amare come non lo sapremo mai noi. Noi non siamo in grado di provare sentimenti che ci portano all’autodistruzione. Lei agisce esattamente come me e te, per sé stessa, persegue i suoi interessi .”
Sorrise “Forse su Caren hai ragione, ma quanto ci scommetti che se mi impegno riesco a farvi innamorare entrambe di me?”.
“Ahahahah Sì certo Rob. Non ne siamo capaci punto. Divertiti con altro.” Il ragazzo sembrò quasi dispiaciuto e camminammo per un po’ in silenzio. Pensai a quanto fosse sciocco Rob e a quanto fosse  pieno di sé, ma d'altronde lo ero pure io, come lo eravamo tutti. Così si doveva vivere la vita, all’insegna della piena fiducia in sé stessi e nel più totale e spregiudicato EGOISMO.
“Eccoci è lì” indicai una fila di circa una cinquantina di ragazzi e ragazze urlanti al di fuori di un basso edificio.
“Quello è l’Orange?” mi chiese con disappunto Rob. Sorrisi, non me ne importava assolutamente niente di quello che pensava lui, per quanto mi riguardava se ne poteva pure tornare a casa, anzi, la cosa non avrebbe potuto far altro che rendermi tremendamente felice. Così lo precedetti e  mi diressi verso la calca di gente senza sapere se lui mi stesse seguendo o no.
Cercai di superare la fila di gente per raggiungere l’entrata del locale dato l’elevato numero di persone mi era impossibile. Senza contare le continue lamentele dei giovani che mi invitavano con una serie di parolacce a rispettare la fila.
La loro reazione invece di farmi andare in collera mi faceva gongolare di felicità. Compativo tutti quei ragazzi perché erano scioccamente convinti che si sarebbero goduti una bellissima serata, senza nemmeno sapere cosa fosse il vero e proprio divertimento.
Nella mia arrancata verso l’entrata della discoteca andai a sbattere contro una ragazzina che doveva avere su e no quindici anni, che posando mi squadrò da capo a piedi con evidente irritazione. Ma lei non aveva idea di quanto il suo gesto mi riempisse di gioia, presto la pargoletta avrebbe avuto una bella lezione e questo mi rendeva molto felice.
Quando infatti il suo stupido sguardo inquisitore raggiunse i miei occhi le sorrisi glaciale, sbarrai le palpebre. Che sciocca che sei ragazzina, forza chiedimi scusa.
La povera sventurata che accidentalmente avevo incrociato sul mio percorso impallidii e abbassò lo sguardo a terra umile, poi con un filo di voce disse “Scusami, non avrei mai dovuto guardarti in quel modo. Che sciocca, l’invidia è una brutta bestia”. Sorrisi soddisfatta della mia opera mentre la ragazza alzava lo sguardo che era piuttosto vacuo.
“Sei invidiosa di me ragazzina?” le chiesi ghignando .
“Ovviamente” rispose guardando un punto non stabilito alle mie spalle “sei bellissima, vorrei tanto essere come te!”. Sorrisi nuovamente e la spinsi di lato, compiacendomi della bravura con la quale ero stata in grado di sciogliere la lingua a quella ragazza. Ma continuare ad avanzare nella folla era impossibile. Così mi balenò in testa un’idea “Ragazzi fate passare sono un PR” urlai sopra il vociare generale. Come gongolai quando la fila si aprii solo per farmi passare, così giunsi all’entrata in pochissimi secondi.
Un grosso buttafuori nero se ne stava immobile nel suo impeccabile smoking con le braccia incrociate, accanto a lui c’era un ragazzo molto carino che chiedeva il nome a chiunque entrasse e poi controllava se nel plico di fogli che aveva in mano il nome comparisse, per poi spostarsi gentilmente e far passare.
Sorrisi tra me  e me, i ragazzi gentili erano la preda più facile perché erano così ingenui, con loro quasi non c’era gusto! Mi avvicinai al ragazzo che abbassando lo sguardo su di me sembrò divorarmi con gli occhi. Devo ammettere che quella sera dovevo essere davvero uno schianto.
Portavo una mini abito beige che lasciava intravedere la scollatura e che mi lasciava scoperta gran parte della schiena, senza contare il fatto che era vertiginosamente corto.
Dopo avergli lasciato il tempo di ammirarmi in lungo e in largo gli sorrisi, lui arrossii violentemente, consapevole che io mi fossi accorto della sua accurata ispezione.
 “Buonasera. Nome e lista.” Disse sorridendomi. Così facendo i suoi occhi scuri incontrarono i miei.
Ghignai compiaciuta, come avevo già supposto sarebbe stato troppo facile, tanto che mi sarebbe bastato usare le mie doti di seduttrice per convincerlo a farmi passare. Mi alzai in punta dei piedi e gli feci segno di avvicinarsi, come se gli dovessi dire qualcosa all’orecchio.
Lui si chinò e io sfiorai il suo lobo con le labbra poi sussurrai sensuale “Non sono in nessuna lista, ma ti prego fammi passare, troverò il modo di ricompensarti!”. Il ragazzo si allontanò di qualche centimetro per riuscire a guardarmi in faccia, sembrava confuso. Gli sorrisi amabilmente e mi morsi il labbro inferiore mentre cercavo il suo sguardo. Non appena lo trovai, non ostante non gli stessi imponendo di fare niente il ragazzo non riusciva a distogliere gli occhi dai miei. Era caduto nella trappola dei miei magnifici occhi calamita, e non ne sarebbe uscito finche io non l’avessi deciso. Egli deglutì vistosamente, segno che la mia presenza lo agita e lo metteva in imbarazzo. Poi dolcemente si spostò di lato per farmi passare, gli sorrisi e ancheggiando entrai nel locale dopo averlo lasciato libero di pensare senza l’influsso delle mie magnetiche iridi scure.
“Non avevamo detto niente trucchi?” sobbalzai e mi votai di scatto. Robert sorrideva gagliardo . “E tu da dove spunti fuori?” gli chiesi un po’ sorpresa “Come hai fatto ad entrare?”.
“Come tu hai i tuoi trucchi , anche io ho i miei metodi” rispose. “Ti è andata male Roby, non ho usato trucchi sta volta!” gli rivelai rivolgendogli uno dei miei sorrisi più ampi che rivelavano piena soddisfazione. Lui si finse stupito, era evidente che non mi credeva minimamente “A no? E quel manichino alla porta come l’hai abbindolato?? Col tuo fascino forse?” poi ridacchiò.
“Ma certo che si” gli sussurrai alzandomi in punta dei piedi in modo tale da permettere alle mie labbra di essere allo stesso livello delle sue, pericolosamente vicine le une sulle altre. Rob si irrigidì. Restammo immobile per qualche secondo poi sorridendo soddisfatta mi allontanai da lui “Nemmeno tu sei poi così immune al mio fascino come dici!”. Rise rumorosamente, un po’ troppo rumorosamente perché la risata potesse sembrare vera.  Colpito Rob! Infatti il ragazzo cambiò subito argomento “Allora diamo il via alle danze?” mi sussurrò all’orecchio. Rabbrividii, era passato al contrattacco. Lo presi per mano e lo guidai nella sala principale, lui capì immediatamente che il mio gesto equivaleva ad un sì.
La musica era assordante tanto che ogni nota che fuoriusciva dalle casse faceva rimbombare tutta la stanza. House. Iniziai a muovermi a ritmo e cercai la mia prima vittima. Purtroppo le persone che mi circondavano erano per lo più ubriachi, e con gli ubriachi non c’era gusto. Addentrandomi nella folla vidi il ragazzo che poteva fare al caso mio, era alto, parecchio muscoloso, aveva dei corti capelli scuri e la cosa più interessante è che ballava dietro il culo di una finta bionda platino. Le stava talmente appiccicato che il rivoletto di bava rischiava di finire sui suoi lunghissimi capelli biondi. La biondina dal canto suo ancheggiava spensierata, sorridendo al pensiero che un figo come lui fosse interessato a una come lei. Ghignai, perfetto il tipo aveva anche una certa reputazione, tutta la situazione si faceva più interessante.
“Ah-ah ecco il prescelto!” mi gridò Rob nell’orecchio.
“Sta a vedere!” gli urlai io compiacendomi della mia scelta. Intanto la ragazza si era voltata e aveva fatto scivolare le sue braccia dietro il collo di lui, mentre quest’ultimo le aveva posate sui suoi fianchi, probabilmente con la speranza di riuscire a spostarle più in basso, magari sul sedere della barbie. Ghignai e mi incamminai con passo deciso e sicuro verso l’allegra coppietta.
Iniziai ad ancheggiare a ritmo di musica cercando di risultare il più sexy possibile e mi andai a posizionare proprio dietro la ragazza in modo tale che se il ragazzo avesse tirato su lo sguardo mi avrebbe vista, ed ero consapevole di piacere ai ragazzi. Lo capivo dal modo nel quale mi guardavano.
Come previsto il ragazzo alzò gli occhi e io rapida li catturai col mio sguardo e lui si erse, completamente. Mio. Questa parola echeggiava come una sorta di urlo di trionfo nella mia testa.  Potevo fare la seconda mossa.
Mi avvicinai alla ragazza e le posai una mano sulla schiena. Lei trasalì e si voltò verso di me. Mi lanciò uno sguardo di sorpresa, mentre vidi che il ragazzo, dopo che l’avevo liberato dai miei occhi, stava valutando ogni singolo centimetro del mio corpo.
La spinsi via con la mano e, benchè lo spostamento fu minimo, questo bastò per gettarla in balia della folla e ben presto non fu più visibile. Regalai al ragazzo uno dei miei sorrisi migliori e iniziai a avvinghiarmi a lui. Dovevo evitare di incontrare i suoi occhi perché Rob, che sicuramente mi stava osservando da qualche angolo della sala l’avrebbe interpretato come “trucchetto”.
Comunque pensai che sarebbe stato ugualmente divertente, far impazzire quel ragazzo non mostrandogli le mie iridi che pochi minuti prima l’avevano stregato. Continuammo a ballare sempre più vicini, infischiandocene sempre meno del ritmo.
 “Come ti chiami?” urlò al di sopra della musica assordante.
 “Margherite, e tu?”.
“Derek!” e sfoggiò uno di quei classici sorrisi da fighetto che avrebbero fatto sciogliere una qualsiasi quindicenne. Che sciocco, non riusciva ad intuire che quella che lo stava sciogliendo come neve  al sole ero io.
 “Mmm Derek..” sospirai leccandomi le labbra.
Il ragazzo, ormai totalmente rapito, mi prese il mento tra le  mani e alzò il mio viso dicendomi “ Sei bellissima! Come mai non ti ho mai vista da queste parti?”.
Sorrisi “Sono brava a non farmi notare…”.
Quanto mi piaceva rispondere con frasi piuttosto strane, mi beavo dell’espressione da sciocchi che assumevano gli altri convinti che la stupida fossi io, come al solito la gente si sopravvalutava e per me era una gioia perché era più divertente sfruttare una persona piena di se piuttosto che una insicura. Adoravo complicarmi le cose, ma questo solo perché sapevo che da qualsiasi sfida io sarei uscita vincitrice.
 Alle mie parole Derek rise “A non farti notare? “ e intanto con la mano libera prese una ciocca dei miei lunghi capelli neri e iniziò a giocherellarci “Non vedo come sia possibile!”.
Iniziò a fissarmi le labbra come se fossero una rarissima specie di torta al cioccolato alla quale sarebbe stato un sacrilegio rinunciarci. Mi morsi il labbro inferiore. Il ragazzo trattenne un respiro. Alzai gli occhi e guardai oltre le spalle del mio bel cavaliere e vidi Rob.
 Era immobile, poggiato con un gomito al bancone con un cocktail in mano e mi sorrideva beffardo. Gli feci l’occhiolino in risposta, poi mi rivolsi a Derek che era ancora in una fase di adorazione profonda, l’oggetto del suo culto erano le mie labbra.
“Le vuoi?” chiesi seducente.
In risposta si avvicinò e iniziò a baciarmi appassionatamente come se fossero mesi che non stava così vicino ad una ragazza, quando probabilmente si trattava solo pochi minuti.
All’inizio rimasi un po’ stupita, ero solida riporre molta fiducia nelle mie strabilianti capacità e non tenevo in gran considerazione il mio aspetto, considerando che potevo convincere chiunque a vedermi come se fossi la donna più bella dell’universo, era ovvio perciò che la cosa passasse in secondo piano.
Sorrisi tra me e me contenta di essere perfetta in tutto e per tutto mentre una vocina nella mia testa gridava vittoria!! La serata si stava facendo sempre più interessante.
Intanto il ragazzo si stava evidentemente prendendo delle libertà che forse in un’altra serata gli avrei concesso, a non in quella, avevo una gara da vincere, non potevo farmi distrarre, anche se l’oggetto della mia distrazione forse valeva più di qualche casto bacetto.
Mi staccai dal ragazzo e in risposta al suo sguardo stupito gli urlai cercando di sovrastare il frastuono provocato dal vociare e dalla musica “Ma davvero credevi di piacermi?” sorrisi beffarda mettendomi le mani sui fianchi e allontanandomi di un passo per poterlo vedere in viso.
Ghignai, come mio solito, alla vista delle sue espressione incredula.
 “Che sciocco che sei! Come potrei interessarmi a uno come te?”. Il ragazzo continuava a stare immobile con la bocca spalancata come un ebete. Iniziai a ridere con gusto di lui. Che sciocche le persone comuni. Meno male che io appartenevo ad un elitè privilegiata!
“Sei carino, ma…non abbastanza capisci?”. Gli sorrisi glaciale, mi avvicinai e alzandomi in punta dei piedi gli lasciai un bacio sulla guancia, poi mi incamminai con passo sicuro verso Robert che non si era perso nemmeno un’istante della mia favolosa performance.
“Scommetto che l’umiliazione è stata la parte più eccitante di tutta l’opera vero Mar?” mi chiese sorseggiando il suo drink.
 “Ovvio!” gli sorrisi alzando le spalle ammiccando. Dopo di che mi rivolsi al barman “Coca e malibù”, in un attimo la mia bibita fu pronta.
 “Ora tocca a te!” dissi con la cannuccia in bocca e lanciandogli uno sguardo di sfida. Sorrise di rimando e prese una ragazza che stava tranquillamente passando di li per il gomito. Lei si girò verso di lui evidentemente infastidita pronta a dirgli qualcosa, ma la sua espressione mutò improvvisamente quando improvvisamente Rob la strinse a sé.
La ragazza sembrava rapita, guardai gli occhi di lui per vedere se la stava ammaliando, ma questi erano posati sulle sue labbra.
Poi la si chinò leggermente e la baciò con tale impeto da lasciarmi quasi stupita, e bravo Rob! Aveva affinato la sua tecnica dall’ultima volta che ci eravamo sfidati.
Dopo che il bacio finì lui si scostò da lei e si girò mostrandole le spalle poggiandosi al bancone con entrambi i gomiti, si rivolse al barista dicendogli “Un altro!” e scuotendo il bicchiere per  indicare il fatto che era vuoto.
Intanto io fissavo glacialmente la ragazza che stupita continuava a fissare la nonchalance con la quale l’uomo che pochi secondi prima l’aveva rapita la ignorava completamente. Lo sguardo amareggiato e di sconfitta era una tentazione troppo succulenta per farmela scappare.
Così sorrisi maligna per la mia brillante idea e presi il viso di Rob tra le mani, lui mi rivolse un sorriso incredulo e dopo lo baciai con foga.
Con la coda dell’occhio vidi la ragazza farsi bordeaux e prendere un bicchiere colmo di chissà cosa dal bancone, per poi rovesciarlo in testa a Rob “Ma cosa…” iniziò lui staccandosi da me, io iniziai a ridere sguaiatamente mentre la ragazza mi rivolgeva uno sguardo di puro disgusto, il che faceva aumentare di mille volte il mio folle divertimento.
“Sei proprio uno stronzo!” disse rivolgendo lo sguardo a Rob, poi girò i tacchi e si mescolò tra la folla.
 Lui si volto verso di me e ghignò dicendo “Mi stavo giusto chiedendo il motivo del tuo bacio quando mi è arrivato addosso un cocktail, questa me la paghi!”.
“Bè hai avuto la tua risposta, no?” ribattei io cercando di calmare le risate che isteriche continuavano ad uscire dalla mia bocca.
 “Comunque siamo uno a uno!” sorseggiò la sua bibita.
“DUE a uno” ribattei io.
 “DUE?” chiese incredulo alzando un sopracciglio. Mi  avvicinai a lui e gli regalai un piccolo bacio a stampo “Questo come me lo chiami?” sussurrai contro le sue labbra. Poi mi allontanai “TRE a uno!” esultai. “Ma non vale così!” protestò lui fingendosi imbronciato.
 “Abbiamo una sola regola, e mi pare di averla rispettata!” suo malgrado fu costretto ad annuire, era così duro per persone come NOI, che eravamo sempre un gradino al di sopra di tutto il resto ammettere una sconfitta. Noi eravamo i migliori e non potevamo permetterci di perdere nemmeno contro uno di noi. “Comunque la notte è ancora giovane quindi non ho perso! E poi anche io ti ho baciata quindi TECNICAMENTE siamo pari!” ribattè.
“Direi di no, ho preso IO l’iniziativa!”. Lui sbuffò. La nottata trascorse così tra un bacio rubato e un altro e il punteggio era sempre un mistero perché per me io ero in vantaggio di almeno un paio di punti, e per lui io mentivo ed era lui in vantaggio. La disonestà era il nostro pane quotidiano e l’egoismo il nostro stile di vita.

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Capitolo 4
*** CAP 3 ***




GLANCES GAME -- GIOCO DI SGUARDI




CAP 3

Erano ormai circa le 5 di mattina quando decidemmo di uscire da quella discoteca.
Rob, un po’ brillo, ridacchiava senza sosta vantandosi della vittoria mentre io continuavo a guardarlo incredula ridendo del suo essere così pateticamente patetico.
Ma una vittoria non è mai tale se l’avversario non si sente sconfitto e, naturalmente, io non potevo sentirmi sconfitta dal momento che non ero stata battuta, questa  era solo una sua stupida convinzione.
Per suggellare questo, all’uscita dal locale,diedi un bacio al buttafuori carino che la sera prima mi aveva fatta entrare.
Rob mi guardò con sguardo di sfida e quando quasi stava per dare anche lui un bacio al ragazzo, come avevo fatto io, lo presi sottobraccio e ridacchiando lo allontanai da lì.
“Adesso ti concentri anche sugli uomini?” gli chiesi divertita. Non rispose, si limitò a sbuffare.
“Brucia la sconfitta eh Rob?”.
 Mi guardò con quegli occhi cielo e ribattè “Sconfitta?” rise.
“Andiamo a fare colazione va!” esclamai trascinandolo in un bar.
Quando entrammo le poche persone che già si trovavano nel locale a quell’ora si volsero verso di noi e ci squadrarono, forse per l’aspetto trasandato e non del tutto normale di Rob, oppure per il mio provocante vestito.
Entrai a testa alta beandomi degli sguardi languidi degli uomini e di  quelli invidiosi delle due donne che stavano dietro il bancone.
Scelsi un tavolino vicino alla finestra e feci sedere Rob, prima di sistemarmi di fronte a lui. Una delle cameriere che prima mi aveva odiata si fece avanti con block notes e penna in mano e ci chiese “Cosa vi porto ragazzi?” e il suo sguardo vagò da me a Rob che fissava il tavolo assente.
“Tre caffè” risposi senza nemmeno degnarmi di guardarla.
“Tre?” domandò la ragazza un po’ stupita, come per assicurarsi di aver capito bene.
Ero stanca, volevo un caffè e le sue domande mi stavano davvero innervosendo, così alzai lo sguardo e incontrai ai suoi occhi.
Non servì pronunciare alcun ordine mentale le mie scure iridi avevano già fatto tutto da sole, potevano ipnotizzare, stregare, ma anche incutere timore e la ragazza davanti a me sembrò leggermente spaventata.
Così si voltò e tornò solo pochi minuti dopo con i nostri caffè fumanti su un vassoio, ci servì e non si fece più vedere.
Posizionai un caffè d’avanti a me e i restanti due li diedi a Robert. “Perché due? Non ho bisogno di DUE caffè!” protestò.
“Bevi e zitto!” ribattei io acida. Il mio gesto non era dovuto al fatto che io fossi una pia donna, cosa peraltro assurda considerando il soggetto, ma lo feci solo perché volevo che si riprendesse un attimo, non mi andava di trascinarlo a villalux mentre lui si sbellicava dalle risate.
 Dopo una mezzoretta Rob stava decisamente  meglio e ci mettemmo a discutere della notte precedente “Però darmi un bacio davanti a quella pazza sclerotica te lo potevi anche risparmiare!” disse lui ridacchiando “Puzzo ancora di alcool e mi sento appiccicoso!” aggiunse.
Lo annusai “Già, puzzi ancora di alcool! Per quanto riguarda l’essere appiccicoso, lo eri anche prima che quella ti rovesciasse quel drink addosso!” esclamai divertita.
 “Appiccicoso? Io insisto per venire con te perché le tue reazioni mi fanno morire dal ridere e anche perchè ADORO il tuo essere stronza col prossimo” sbadigliò “Anzi devo ammettere che quel bacio ha dato più brio alla serata!”.
Gli feci l’occhiolino avvicinandomi “Per la reazione della pazza o perché agognavi di baciarmi da tutta la serata?”.
“Mmm a te la scelta!” rispose avvicinandosi a sua volta. Sorrisi e mi alzai “Non so tu che voglia fare adesso, ma io me ne torno a casa, sono a pezzi!”. Andai alla porta quando sentii un “Hei tu?”. Mi voltai e vidi un nonnetto che mi guardava dritto dritto negli occhi. Che stupido! “Dica!”.
“Il conto..” sussurrò porgendomi uno scontrino. Offrimi la colazione sciocco! “Ma non importa per questa volta offro io…” disse apatico.
Sorrisi “Grazie signore!” e uscii dal bar seguita dagli sguardi curiosi della gente.  Arrivai a casa stupendomi che Robert ancora non fosse apparso alle mie spalle, ma poco importava, dopo una notte in bianco ero davvero stanchissima.
Aprii il portone e lo richiusi quasi immediatamente alle mie spalle. Sospirai. Agatha arrivò ben presto a vedere chi fosse arrivato. Col suo solito sguardo assente si posizionò dinnanzi a me chiedendomi con voce spenta “Posso fare qualcosa per lei?”.
 “Al diavolo!” le sbraitai contro e salii le scale in un batter d’occhio pronta a infinite ore di riposo.
Mi svegliai per il frastuono.
Qualcuno si doveva essere addormentato sul campanello di casa perchè quest’ultimo inondava la villa con il suo suono fastidiosamente  acuto. Mi misi il cuscino sulla testa sbuffando.
Ma anche in quel modo il perforante suono raggiungeva i miei timpani già provati dalla lunga notte passata ad ascoltare musica a volume esageratamente elevato.
Ma dove diavolo finiva Agatha quando serviva.
“Agatha!” chiamai con la voce piena di sonno “Agathaaaaa!” riprovai.
Niente il campanello era come posseduto e la domestica era come morta. Quello che si dice un ottimo risveglio. Mi alzai sbuffando, misi addosso la prima felpa che trovai e mi precipitai giù per le scale.
Quando raggiunsi il portone vidi la massiccia figura della domestica avanzare con una lentezza degna di una tartaruga zoppa, alzai gli occhi al cielo imprecando e pensando a quanto fosse inutile quella donna, dopo di che aprii di qualche decina di centimetri la porta. Due occhi azzurri e vispi catturarono i miei “Finalmente!! Fa freddo fuori sai?”.
“Robert! C’era da aspettarselo!” sibilai.
 “Dovevi per forza svegliare tutta la casa? Ah già dimenticavo che sei egocentrico, rompicogl..” .
“Mar, Mar, Mar suuuu un po’ di gentilezza!! Non insultarmi dai! Almeno non davanti agli ospiti!”.
Perplessa spalancai completamente la porta e vidi che Robert era accompagnato da una signora di un magro degno di uno scheletro,  e dall’aria così fragile da sembrare essere fatta  di porcellana.
 Al di sotto del cappellino rosso all’inglese spuntavano di boccoli finto platino che le arrivavano fino alle spalle dove si richiudevano sul corpo.
Dalle rughe sul viso dedussi che doveva avere una sessantina d’anni.
Così la Mar irritata scomparve sotto la maschera di cera che ormai tutti noi avevamo imparto a portare sin da piccoli, perché la gente è così sciocca da giudicare un libro dalla copertina, e noi dalle nostre maschere abbindolatrici.
Sorrisi amabile e dissi esageratamente mielosa “Mi scusi è che a volte il nostro Rob..” e qui presi quest’ultimo sottobraccio per dimostrare il profondo affetto che ci legava “…a volte sa essere così…così…” lo guardai cercando la parola giusta.
Lui sorrideva beffardo, era palese che si stava godendo il mio tentativo di rimediare alla pessima figura fatta poco prima. “…bè è così!! Ancora un ragazzino…lo sa come sono gli uomini..” . La donna mi rivolse uno sguardo curioso ignorando completamente quello che le avevo appena detto.
“E..lei è??” chiesi cortese.
“Dorothy  Mcfunction, e  se non le dispiace vorrei entrare, sa, come ha detto il suo amico, fa freddino qua fuori!”. Con tutta la mia forza di volontà mi sforzai di sorridere, mi faci da parte e feci passare la donnetta.
“Cerco il dottor Black, avevo un appuntamento alle 9 ma vengo da fuori città e il mio pullman è arrivato prima del previsto, il giovanotto lì..” disse indicando con un cenno del capo Rob “..mi ha detto che abitava qui!”.
 “Infatti, ma temo che non la riceverà prima dell’orario prestabilito”. Le dissi sorridendo in modo vergognosamente esagerato.
“Signora guardi può attendere in questa sala” disse Rob indicandole la porta che conduceva alla biblioteca “Il dottore sarà da lei il prima possibile”.  La donna gli sorrise riconoscente, entrò nella sala guardandosi intorno stupita.
Capivo come si sentiva, la prima volta che io avevo visto la Biblioteca ne ero rimasta stregata, sia a causa delle dimensioni, sia a causa dell’enorme numero di libri in essa contenuti. Ma questo accadde quando ancora ero molto piccola.
Rob, una volta che miss Mcfunction non fu più a portata d’orecchi si rivolse verso di me con il suo solito ghigno cantilenando “Ma che bel pigiamino…molto mooolto sexy”.
“Ma vai a cagare!” gli risposi voltandogli le spalle e iniziando a salire le scale.
“Shh shh shh non vorrai fare un’altra figura come quella di prima no??”.
Mi voltai di scatto verso di lui che si trovava un paio di passi dietro di me “Lo sai che avrei potuto farle dimenticare tutto con un solo sguardo” sibilai “Ma purtroppo Alan è stato categorico, i nuovi pazienti prima devono essere visitati da lui, ffff!” sbuffai riprendendo la salita.
“O forse non l’hai guardata negli occhi perché erano troppo impegnati con qualcos’altro..” .
Sapevo dove voleva arrivare e così risposi sghignazzando “Con cos’altro sentiamo…”.
“Ma con me, ovvio baby!”. Scoppiai a ridere di puro gusto, solo lui riusciva ad essere così stupido.
“Ma dico, Roby…hai visto con che razza di bei ragazzi mi sono divertita stasera? Ma secondo te perderei il mio tempo con te?” replicai voltandomi verso la mia porta che nel frattempo ero riuscita a raggiungere.
“Ovvio!! Io ho qualcosa che loro non hanno! Qualcosa di innegabilmente speciale…” affermò con un sorriso da conquistatore.
Stavo per replicare sulla stessa linea quando la porta accanto alla mia si aprì.
Ne uscì una spettinatissima Caren che sbadigliava mugugnando “Ma che ore sono? Avete finito di far chiasso? Auuuun…voglio dormire”.
“Dio che schifo Caren, ti ho visto i polmoni quando hai sbadigliato!” dissi acida. Quella giornata stava decisamente iniziando in modo sbagliato. Mi lanciò un sorriso cattivo e sarcasticamente replicò “Cos’è successo Mar?  Rob ti manda in bianco? Per questo sei così acida? Oooo scusami…è vero…tu sei SEMPRE  acida!”
“oh-oh-oh” finsi una risata “Caren non ti facevo così simpatica! Davvero! Comunque nemmeno io ti facevo così stupida! Come stavo giusto dicendo a Rob prima che tu ci interrompessi mostrandoci le tue tonsille, io posso permettermi di meglio, a differenza di qualcuno!” e la squadrai con sguardo sprezzante dalla testa ai piedi.
Lei strinse i pugni sibilò un “grrr” e guardò Rob in cerca di un sostegno, ma lui se la stava ridendo allegramente. Allora si girò e tutto a un tratto sbattè la porta.
Scoppiai a ridere “Ma una può essere peggio di così?”. Robert scosse la testa. Senza aggiungere altro entrai in camera mia, ma prima di richiudere la porta alle mie spalle vidi Rob che entrava nella camera di Caren; quel giorno non voleva proprio essere mandato in bianco.
Mi vestii in fretta mettendo un paio di jeans e una maglietta a righe e scesi velocemente al piano di sotto, dove si trovava la signora che aveva portato Rob.
Ero curiosa di vedere come fosse quella nuova paziente, vedere quale debolezza mentale avesse, quanto fosse facile manovrarla, ma ero perfettamente consapevole che non avrei potuto testare la cosa prima della visita di Alan, così mi limitai a entrare in biblioteca sorridendo.
“Le dispiace se le tengo compagnia?” chiesi inverosimilmente gentile. Lei alzò lo sguardo da un libro che aveva preso dagli scaffali senza complimenti.
Una persona sicura, valutai, o che si fa pochi scrupoli. Strano. Le persone esterne che frequentavano villa Lux di solito non mostravano quel tipo di comportamento, erano molto più insicure.
“Ma certo!” rispose. Mi sedetti accanto a lei.
“Cosa legge?”. Senza rispondermi chiuse il libro per farmi vedere il titolo. “Il mondo come rappresentazione e volontà”.
“Shopenahuer?” domandai sempre più incredula.
C’era DECISAMENTE qualcosa che non andava.
 Chi andava da uno psichiatra non si intendeva di filosofia semplicemente perché non aveva le capacità mentali per mettere in discussione tutto il proprio sistema di valori e le proprie credenze, non era abbastanza stabile per farlo. Pensai che probabilmente aveva preso il primo libro che le fosse capitato in mano.
Invece affermò “Oh è uno dei miei filosofi preferiti!”.
Sorrisi incredula. Volevo davvero guardarla negli occhi, costringerla a raccontarmi cosa ci facesse lì se visibilmente era perfettamente sana, la curiosità mi stava divorando.
 Ma  non potevo! Strinsi i pugni poggiati sulle mie ginocchia e li fissai intensamente.
 Anche se il nervoso mi stava salendo sempre di più mi sforzai di essere il più carina possibile “Cosa fa lei nella vita miss Mcfunction?” chiesi continuando o non guardarla.
“Bè in realtà sono una psichiatra, proprio come il signor Black, ma sa che a volte anche gli psichiatri devo essere, analizzati! Ho sentito che il Signor Black è molto abile nel suo settore e allora ho deciso di rivolgermi a lui!” disse con la sua vocina acuta.
“E lei qui ci abita?” mi domandò.
Ci misi qualche secondo a capire che si stava rivolgendo proprio a me. Ero troppo sconvolta da quello che mi aveva detto. Non era mai arrivata a casa una che svolgeva a stessa professione di Alan.
Fortunatamente in  breve ripresi le mie facoltà cognitive e risposi amabilmente “Si!”.
Le sorrisi. Dio quanto odiavo essere così falsa, ma era davvero strettamente necessario, soprattutto considerando il fatto che lei poteva capire da un mio piccolo errore che stavo fingendo, dovevo fare un’interpretazione da oscar.
“Lei è la figlia del dottore…”.
E tutte quelle domande, mi sembrava di trovarmi in presenza di una vecchia pettegola che non aveva niente da fare se non immischiarsi nella vita altrui.
Nonostante i miei pensieri intervenni prontamente per spiegare l’errore “Io vivo qui, ma Alan,…cioè il signor Black non ha figli, io, ragazzo che l’ha portata qui, e altri quattro abitiamo questa casa, il signor Black ci ha amorevolmente adottati quando eravamo piccoli. Sa, uscivamo da situazioni complicate”.
“Ohhhh…non volevo toccare un tasto dolente!” si scusò tirandosi su gli occhiali che le erano scivolati sul naso.
“Nono, non si tratta di un tasto dolente! Per noi è stata una vera fortuna avere Alan!” sorrisi compiaciuta della mia interpretazione, mi stavo quasi per commuovere per la mia bravura.
“Davvero una brava persona! Proprio come si dice in giro”.
“Mmm non sapevo che circolassero voci sul conto di Alan! Viviamo una vita molto riservata, lui si mostra poco in pubblico” riflettei ad alta voce, molto perplessa da quella strana dichiarazione.
“Ha ragione, ma lei sta parlando degli ultimi venti anni! Ma sa, il signor Black ha anche un passato”. La guardai incredula. Sapevo benissimo che stava dicendo qualcosa di perfettamente logico, ma riusciva difficile pensare ad un fantomatico Alan del passato, non credevo che lui avrebbe potuto essere diverso da come io lo conoscevo.
“E cosa dice il paese su Alan?” chiesi curiosa.
“Oh…in paese non so, come le ho già detto non sono di qua, ma all’interno del nostro campo ci si conosce, si sanno molte cose. E’ vero, come diceva lei, che da una ventina d’anni il Signor Black conduce una vita riservata, infatti noi colleghi non sentiamo più parlare di lui da anni, si fa vedere solo all’annuale festa per i medici e gli assistenti”.
“Ricordo! Ci va una volta l’anno è vero!” esclamai, stupita di quanto poco avessi osservato Alan in tutto quel tempo. Una volta l’anno egli tirava fuori il suo impeccabile smoking di seta nera, indossava la solita maschera da buon samaritano e andava a quella festa, per trovare nuovi pazienti, diceva, e per guadagnare la stima dei suoi colleghi, fondamentale per avere una buona reputazione come medico.
La signora Mcfunction, seccata per la mia interruzione tossicchiò per diversi secondi. Quella donna mi stava innervosendo parecchio, ma considerando l’interesse e la curiosità che avevo per quello che stava dicendo, inghiottì la serie di insulti che mi stavano salendo in gola.
“Comunque vent’anni fa partecipava a molte più feste e portava sempre con se sua moglie, una gran bella donna…”.
Stop , pausa. Sua MOGLIE?
Alan come dolce e affettuoso maritino?
Alan INNAMORATO?
MOGLIE?
ALAN?
Non ero affatto sicura di aver sentito bene, spalancai la bocca sorpresa e senza farlo apposta fissai la donna negli occhi.
Lei sussultò un attimo, probabilmente sorpresa dalla profondità del mio sguardo e si mise a guardare distrattamente la copertina del libro, tutto per evitare il contatto con i miei occhi, e continuò “La vedo sorpresa…”.
Riassunsi il mio solito contegno “Oh lo sono! Non sapevo che Alan avesse una…avesse una…” no, non riuscivo proprio a dirlo.
La parola MOGLIE non si intonava per niente al nome Alan Black.
“Bè io l’ho vista un paio di volte! Era molto bella, e moooolto dolce. Probabilmente hanno divorziato e non gliene parla perché fa troppo male”.
Sospirai. La cosa puzzava abbastanza, magari era solo un test da strizzacervelli per psicanalizzarmi a mia insaputa. Se era così io ci stavo cascando con tutte le scarpe.
 Il nostro silenzio venne interrotto da una voce esageratamente allegra: Rob aveva fatto la sua comparsa vestito di tutto punto sulla porta, e non aveva per niente la faccia di uno cha aveva passato la notte in bianco, sembrava che si fosse appena ridestato da un lungo sonno rigeneratore. Mi scocciava ammetterlo ma Caren aveva fatto un miracolo.
“Lo sapevo” disse ridacchiando “Signora Mcfunction, perdoni la nostra Mar, non le ha nemmeno offerto qualcosa! Agatha!”.
Lo fulminai con lo sguardo. Quanto sapeva essere irritante quel ragazzo!
“Mi scusi davvero Miss, ma lei sa intrattenere una conversazione in maniera così sublime che me ne sono totalmente dimenticata, spero voglia scusarmi” sorrisi amabile, mentre lanciavo uno sguardo a Rob che alle spalle della signora fingeva di vomitare.
“Oh…sono lusingata signorina. Ma mi dica quel bel giovanotto vive qui con lei?” e così dicendo indicò con la testa Rob.
“Siamo come fratelli.” affermai come se fossi davvero fiera di avere Rob come parente. In realtà il più delle volte avevo la tentazione di strozzarlo.
Agatah entrò nella stanza con il suo solito sguardo catalettico e stava per attaccare con la sua cantilena quando capii che grosso errore poteva essere quello di far vedere quella donna-automa del tutto priva di personalità a una psichiatra.
Sicuramente non avrebbe mai capito nel profondo, ma avrebbe intuito. SEGRETEZZA aveva detto e ripetuto almeno un milione di volte Alan nei miei primi mesi a villa Lux, quelli che gettarono le basi su cosa sarei diventata.
“NESSUNO DEVE SAPERE QUELLO CHE ABBIAMO IL DONO DI FARE” ripeteva col suo sguardo penetrante camminando avanti e indietro di fronte a me ,Caren e Rob come avrebbe fatto un generale con il suo esercito.
“TROVEREBBERO UN MODO PER FERMARCI! E NOI NON CE LO POSSIAMO PERMETTERE!”.
La cosa bella di saper influenzare la volontà degli uomini e uniformarla TOTALMENTE al perseguire i nostri interessi stava proprio nel fatto che l’essere umano è un essere stupido e ignorante.
Così sciocco da credere che le decisioni prese così gentilmente da noi per loro, siano in realtà state prese da loro stessi! Non avrebbero mai attribuito la colpa delle loro scelte ad altri.
Naturalmente per continuare ad agire in questo modo era necessario che gli uomini continuassero a pensare di essere totalmente e completamente padroni delle proprie scelte e della propria vita.
 LA SEGRETEZZA PRIMA DI TUTTO!
Ma Agatha era stata TOTALMENTE privata della sua capacità di pensare, di muoversi o di agire liberamente, era controllata da fili invisibili dal più grande burattinaio della storia moderna, Alan.
E una psichiatra, che sicuramente non è una sprovveduta, avrebbe sicuramente capito che qualcosa non andava, si sarebbe insospettita, e dato il personaggio, avrebbe ficcato il naso dove non avrebbe dovuto. Consapevole di tutto ciò balzai con uno scatto fulmineo in piedi e mi avvicinai ad Agatha prendendola sottobraccio.
“A dir la verità ho bisogno un attimo di te Aggy!” sorrisi alla nostra ospite mentre Robert mi lanciava uno sguardo decisamente pieno di interrogativi.
“Vogliate scusarmi” aggiunsi  trascinando la domestica fuori dalla stanza. Chiusi la porta alle mie spalle e tirai un sospiro di sollievo.
“Desidera...”
“Agatha vai in cucina!” ordinai nervosa catturando i suoi occhi. Lei si ammutolì all’istante e se ne andò. Trassi un sospiro di sollievo.  Intanto sentii che anche Rob si stava congedando dalla nostra ospite, poco dopo infatti mi raggiunse.
“Ma sei pazza? Vuoi che scappi a gambe levate a dire che in questa casa siamo tutti pazzi? Mar, perché hai portato via Agatha così? Si è visto che era una fuga in piena regola!”.
Il suo tono così fastidiosamente accusatorio mi irritò ancora di più. Lo presi per una spalla e lo spinsi contro il muro, mi avvicinai al suo viso e puntai i miei occhi dritti dentro ai suoi.
 Poi sibilai “Tu hai una minima idea di chi fosse quella gentile e amabile signora?” le ultime parole le pronunciai con perfido sarcasmo, poi continuai senza aspettarmi una sua risposta “E’ una PSICHIATRA, come Alan! CAPISCI?”. Lo presi per il colletto della camicia.
“Può analizzarci in un solo istante, non è una sciocca o una malata, lei può capire cose che noi pensavamo che nessuno avrebbe mai capito!”. L’espressione di Rob mutò profondamente, passando paradossalmente dall’irritato al divertito.
“Ma dai Mar, non ti sembra di esagerare?”.
Lo fulminai. Non sto esagerando SCIOCCO! E lo sai anche tu! Lui trasalì, ovviamente il messaggio partito dalla mia mente era giunto a lui tramite l’influenza dei miei occhi. Lo lasciai andare.
“Vado ad avvertire Alan”. Detto ciò voltai le spalle a un Rob ancora un po’ intontito e mi diressi verso lo studio del mio mentore. Arrivata alla grossa porta esitai. Alan sicuramente era già in piedi, era sempre stato molto mattiniero, ma non sapevo come dargli la notizia, magari era già al corrente di tutto.
Incapace di prendere una decisione, trassi un profondo respiro e bussai. Nessuna voce mi invitava ad entrare. Ribussai. Niente.
Allora abbassai la maniglia ed entrai. Lo studio di Alan Black consisteva in’ampia e spaziosa stanza dal cui soffitto pendeva un’enorme lampadario ottocentesco.
 In mezzo alla sala troneggiava un lettino, vicino al quale vi era un accogliente divanetto in pelle nera. Appena davanti alla finestra invece vi era posizionata la possente scrivania di legno dietro la quale solitamente Alan studiava intensamente i suoi pazienti, incrociando le dita delle mani e appoggiando il mento sul loro dorso. La stanza era totalmente vuota.
Decisi di aspettarlo lì, mi piaceva sempre stare nel suo ufficio, mi dava l’illusione di avere potere, enorme e sconfinato potere.
Alan, lui sì che era un uomo potente, probabilmente lo era così tanto che io non avrei MAI potuto eguagliarlo!
Forse anche per questo lo ammiravo profondamente, ed era uno dei sentimenti più umani che fossi in grado di provare, insieme alla profonda riconoscenza per avermi sottratta da mia madre e avermi permesso di diventare quella che ero.
Così mi sedetti sulla poltrona dietro la scrivania e mi voltai verso la finestra alle mie spalle. In realtà non stavo guardando il paesaggio, piuttosto stavo riflettendo.
 Mi dava fastidio ammetterlo, ma probabilmente Rob aveva ragione. La mia reazione di poco prima nei confronti della signora Mcfunction era stata realmente esagerata.
Ero talmente attaccata alla mia vita da vedere una minaccia anche in una semplice signora di mezz’età. Che stupida! Sorrisi e mi volsi verso la scrivania.
 Fu allora che lo notai. Era lì, l’unico oggetto poggiato sul tavolo, delle dimensioni di un normale libro, ma allo stesso tempo sembrava colmare tutto lo spazio circostante, come se avesse un’aura propria.
La copertina era nera e lucida, sembrava fosse fatta di pelle, dava l’idea di essere molto antico.
Avevo paura di toccarlo, come se potesse sgretolarsi al solo contatto, ma allo stesso tempo braccia invisibili mi spingevano verso di esso, e più io esitavo più la forza di attrazione aumentava. Irrefrenabilmente, in un istante interminabile, allungai la mano verso la copertina e lo sfiorai.
Un brivido mi attraversò i polpastrelli.
Mi guardai attorno per controllare che non ci fosse nessuno in quella stanza. Dopo di che tornai a rivolgere la mia attenzione a quel vecchio volume.
Finalmente lo presi tra le mani e subito una scossa mi attraversò le braccia salendo su fino alla testa. L’adrenalina inizio a scorrere impetuosa nelle mie vene.
Non potevo più trattenermi, così aprii il libro.
Non appena lo feci mi sentii invadere da una forza invisibile, travolgente come un mare in tempesta  che entrava in me, mi sentivo pervasa totalmente, fu come respirare l’aria fresca dopo che si è stati costretti a trattenere il respiro per un lungo periodo.
 Potevo percepirla scorrere in me chiaramente così come avrei sentito il mio cuore battere furiosamente dopo una lunga e faticosa corsa. Invadeva e inghiottiva tutto il mio essere.
 La sentivo muoversi dentro di me, con i sui innumerevoli tentacoli.
SAPEVO che si stava dirigendo da qualche parte. Il tutto durò pochi secondi e terminò quando tutta l’energia convogliò nella mia testa. Sopraffatta dall’emozione iniziò a girarmi la testa. Prima di svenire sorrisi stremata, ero euforica.
Compresi che NULLA sarebbe stato più come prima.

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Capitolo 5
*** CAP 4 ***




GLANCES GAME -- GIOCO DI SGUARDI




CAP 4

Quando riaprii gli occhi mi ritrovai sul pavimento, senza ben sapere come ci fossi arrivata. La prima cosa che feci fu guardarmi attorno spaventata, ma dopo aver costatato di essere sola nella stanza tirai un lungo e profondo sospiro di sollievo.
Ero perfettamente al corrente che quello che avevo fatto non avrei MAI dovuto farlo.
Esisteva sicuramente una ragione per la quale Alan non ci aveva MAI mostrato quel libro.
Mi resi improvvisamente conto di quanto poco sapessi, in realtà sul conto di Alan Black, era un uomo abile a mostrare esclusivamente ciò che voleva che gli altri vedessero tenendo celato tutto il resto.
Questo non faceva che aumentare a dismisura la voglia di conoscere il misterioso passato dell’uomo che mi aveva cresciuta.
Mi rimisi in piedi stupita del sentirmi così leggera e posai una mano sul libro.
“Marguerite! Cosa stai facendo?”. Alzai di colpo lo sguardo, spaventata dal tono duro della voce e vidi, appoggiato allo stipite delle porta, Alan che mi fissava minacciosamente.
“Io…io niente Alan!” balbettai allontanandomi dalla scrivania sentendomi vagamente colpevole.
“Mi chiedevo se potessi leggere quel libro…”, dissi indicando il portentoso volume. Alan spalancò gli occhi come se avessi detto qualcosa di esageratamente blasfemo.
“Né ora né mai!” sibilò “E non ti AZZARDARE MAI PIU’ ad entrare nel mio ufficio senza il mio permesso!” aggiunse andando verso la scrivania.
“Certo Alan, scusami, ero venuta per avvertirti che la tua paziente…”
“Mar… non ci siamo capiti... avvicinati!”. Timorosa obbedii. Prese con delicatezza il mio mento tra e sue dita per costringermi a guardarlo negli occhi. Quando lo feci mi sentii pervadere di gelo, percepii un comando invisibile che raggiungeva il mio cervello.
Non ci provare mai più” diceva quella che sembrava la mia vocina interiore, che sapevo essere, in realtà, comandata  da Alan. Sdegnata per ciò che aveva appena fatto spostai la sua mano e uscii dalla stanza sbattendo la porta.
 Raramente Alan usava i trucchetti con me, e raramente era stato così categorico, ma proprio questo suo modo di imporsi mi fece capire che quel libro doveva contenere in se  qualcosa che Alan non voleva che diventasse anche di qualcun altro, qualcosa di suo. Qualcosa che volevo fosse anche mio. Non appena raggiunsi quella consapevolezza l’imperativo poco prima impostomi si sciolse nella mia mente. Sapevo che se lo avessi voluto avrei potuto disobbedirgli, sentivo di essere più forte, ERO più forte, quella ne era la dimostrazione.
 
Non avevo né la voglia né la forza di raggiungere quella dolce signora che curiosava allegramente nella nostra biblioteca, così mi rifugiai in camera, avevo in primo luogo bisogno di dormire. Dopo lo strano episodio del libro mi sentivo, spossata, pesante non appena toccai il letto mi addormentai senza più pensieri.
Al mio risveglio tutta quell’incredibile vicenda sembrava un sogno lontano. Guardai l’orologio e notai con disappunto che era già pomeriggio inoltrato e che nemmeno uno degli abitanti della casa, ovviamente, si era preso la briga di svegliarmi.
Era davvero incredibile come lì nessuno avesse il minimo interesse o preoccupazione per l’altro, ma non me la presi: io avrei agito nello stesso modo. Ricordandomi improvvisamente della visita di quella mattina, mi precipitai fuori dalla stanza per chiedere come fosse andata.
“Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!!!!” l’urlo mi face balzare, e un’attimo dopo fu seguito dall’arrivo dei piccoli Cris e Giuly che si rincorrevano per casa. Ad uralre era stata Giulia, che non appena mi vide mi corse subito incontro.
“Mar, Maaaaaaaaar Cris mi tira i capelli!”. Sbuffai. No, decisamente non sopportavo i bambini, tanto è vero che non capivo assolutamente perché dopo che Alan aveva adottato me, Rob e Caren, avesse preso in custodia altri tre marmocchi: dopotutto bastavamo noi! Giulia e Cristopher erano arrivati da un paio di anni e stavano ancora imparando tutto ciò che era il nostro pane quotidiano. Io ero decisamente insofferente nei loro confronti perché erano particolarmente rumorosi, ma cosa ci si può aspettare da due bambini di sette anni?
Poi c’era Josh di undici anni, che era esattamente il loro contrario, silenzioso e solitario, ma d’altra parte intelligentissimo. Aveva imparato tutto ciò che c’era da sapere con estrema velocità.
“Maaaaaaaaaaaaar” piagnucolò Giuly. Cercai di andarmene ma lei si arpionò alla mia gamba come un koala.
“Non le credere! Lei mi faceva le pernacchie” intervenne in sua difesa Cris col fiatone.
“Vedetevela voi!” risposi con disappunto e decisamente seccata.
“Ma Maaaaaaaaar!” brontolò la bambina.
Quella fastidiosissima vocetta acuta mi aveva fatto risalire il nervosismo nelle vene, come se stessi andando a fuoco, le fiamme salirono dai miei piedi prima di raggiungere i miei occhi che minacciosi incontrarono i suoi. Il suo visetto assunse un’espressione di puro terrore.
Non l’avevo mai vista così spaurita, era lo stesso sguardo che vedevo che tutti assumevano quando erano colpiti dall’ira di Alan.
Ma io non ero Alan. Non avevo la sua esperienza, né la sua forza. Fu in quel momento che ricordai. Il libro, la sensazione di potere…potere incontrollato. Potere che apparteneva ad Alan, che ora poteva essere mio.
A questi pensieri mi sentii invadere da un forte desiderio di possesso, dovevo rivedere quel volume.
Cris continuava a guardare prima me, poi Giulia, come se non si capacitasse che a causa mia lei avesse assunto una tale espressione, ma incurante di tutto ciò, voltai ai due le spalle diretta in biblioteca.
Lì ci trovai Rob intento a leggere. Non appena entrai alzò gli occhi dal libro e mi salutò con un cenno del capo. Mi sedetti vicino a lui.
“Pazienti?” chiesi.
“Alan ne sta visitando uno adesso” rispose.
“Che tipo è?”
“Instabile, parecchio. Aveva un tale bisogno di parlare che quasi mi ha raccontato tutta la sua vita!” sbuffò “Una tale noia!” continuò.
“Eeee…?” lo istigai per andare avanti. Non che mi interessasse più di tanto quel paziente, ma perché avevo bisogno di calmare i nervi e l’idea di un nuovo paziente mi avrebbe tranquillizzata.
Rob sorrise “Se vuoi proprio saperlo, quello è uno fuori fuori. Scommetto che tempo dieci minuti lo porterà fuori e inizierà la lezione per i piccoli!”.
“Fantastico!” mi illuminai. Anche se da un paio di anni non facevamo più le lezioni personalmente, ci piaceva sempre assistere a quelle dei più piccoli, e poi era utile per esercitarsi.
“Ma Mar, a te interessa di più l’appuntamento della mattina no?” spuntò nuovamente quel suo irritantissimo sorrisetto furbo, tipico di uno che la sa lunga.
Sorrisi a mia volta “E cosa te lo fa pensare Sherlock?”.
“Oh… prima di tutto sono mooolto intelligente”. Ridacchiai.
“Tu? Ahahah oggi fai decisamente delle belle battute, migliori delle solite!”
“oh-ho che simpatica!” finse una risata e poi aggiunse “e oltre a essere intelligente sono pure Figo!”
“Ahahah!! Davvero Rob, ma le battute te le sogni la notte? Non credevo che tu fossi così divertente!” risi tenendomi la pancia per enfatizzare l’assurdità di quello che stava dicendo.
“Mar, Mar… chi disprezza compra, ma io, a te, mi concedo anche gratis se vuoi!” ammiccò, tirando su e giù le sopracciglia.
Mi avvicinai seducente a lui, mordicchiandomi il labbro inferiore e gli sospirai a fior di labbra “Lo so che per me è gratis. Sei INEVITABILMENTE  attratto dalle belle stronze, e chi c’è di più bella e più stronza di me?”.
Così dicendo incrociai il suo sguardo e anche lui reagì in modo bizzarro, come la piccola Giuly poco prima. Nei  suoi occhi, però, non c’era terrore, ma ammirazione. Ammirazione allo stato puro. Era decisamente strano, perché non si era mai comportato così, piuttosto di essere in tal modo avrebbe fatto follie, non c’era posto per l’ammirazione nella nostra vita, ma solo per il rispetto.
Stupita da ciò distolsi lo sguardo, sempre più consapevole del mio nuovo potere. Fortunatamente Rob riuscì a riprendersi pochi istanti dopo, e pur di non darmi la soddisfazione di averlo soggiogato riprese il discorso interrotto poco prima come se niente fosse.
“Comunque la nostra amabile psichiatra dopo essere entrata nello studio di Alan non ne è uscita per ben due ore! Iniziavo a chiedermi cosa stessero facendo quei due…” fece una smorfia disgustata  e poi continuò “Non ce lo vedevo proprio Alan con una così rugosa, lui è per le belle donne, ha gusto, come me!”. Sorrisi.
“Grazie Rob!”
“Scusa, mi devo essere perso un pezzo…” assunse un’espressione tra lo scettico e il divertito “Non vorrei MAI averti lusingata in qualche modo!”.
“Non sia mai!” ribattei con finto sdegno divertita “ E comunque ti ringrazio perché se tu mi trovi attraente e dici che hai gusto indirettamente mi stai facendo un complimento!!”
Rise. Non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce.
“Tornando a cose serie, dato che ero curioso mi sono avvicinato alla porta…”
“Che ficcanaso” lo interruppi puntandogli il dito contro con finta minacciosità.
“Uff, vuoi che ti racconti quello che ho sentito o no?” sbuffò fingendo sdegno. Quel  gioco mi stava decisamente divertendo.
Così mimai la cucitura della mia bocca, che per maggior sicurezza chiusi con il lucchetto gettando la chiave alle mie spalle.
“Bè mi sono avvicinato e dato che non sentivo rumori molesti mi sono tranquillizzato. Alan non si stava facendo quella donna!”.
Lo fulminai con lo sguardo divertita.
“Non ho parole Rob, è questa la cosa interessantissima che mi dovevi raccontare?”.
“Ma dai Mar! non dirmi che tu non ti senti sollevata!” finse un brivido di ribrezzo “Insomma, se lo avesse fatto avremmo dovuto trattarlo come un pazzo!”.
Risi. Mio malgrado dovevo ammettere che Rob fu un vero toccasana per il mi animo così scosso quella giornata.
“Ma la cosa strana…”continuò abbassando la voce e avvicinandosi a me per permettermi di sentire meglio. Sembrava che mi stesse per fare una grandissima rivelazione, ma conoscendo Rob era tutta scena.
“C’è anche una cosa stana?” chiesi ridacchiando.
“Si si, quando sono usciti Alan era più gentile che con gli altri pazienti, ha preteso che tutti noi, che eravamo in biblioteca, salutassimo la nostra ospite. L’ha proprio definita così”.
Lo fissai senza credere alle mie orecchie. Dunque avevo ragione a credere che quella donna rappresentasse una minaccia per noi.
“Poi una volta che se né andata ha assunto un’espressione glaciale, Mar, da mettere i brividi. Mi ha guardato dritto negli occhi e mi ha ordinato di dire a te e a Caren di presentarci nel suo studio stasera al termine delle visite”. Al ricordo di ciò Robert non sorrideva, anzi ebbe un brivido.
“Erano secoli che non lo faceva!” dicendo ciò ebbe un secondo brivido.
“Poi ha sciolto immediatamente l’ordine, sapeva che vi avrei avvertite comunque, ma non è stato bello lo stesso! Noi dovremmo farle ste cose, non subirle!” in quel momento sembrava addirittura sdegnato .
“L’ha fatto anche con me!” ma io non so come, ma posso non obbedire, ho il potere di non obbedire, pensai . Ero lì lì per raccontargli la mia avventura mattutina nello studio di Alan Black quando non so cosa mi bloccò dal farlo. In un istante percepii il senso di possesso unico e assoluto che aveva dovuto provare Alan vedendomi con la mano poggiata sua quello stano libro. Fu la stessa cosa che provai con Rob, il segreto di quel potere era solo mio.
 Venimmo interrotti da un rumori di passi seguito dall’arrivo di Alan che precedeva un signore sulla quarantina totalmente in trans. L’uomo si sedette su una poltrona e Alan prese posto di fronte a lui.
“Diamo il via alla lezione” disse senza degnarci di uno sguardo, mentre fissava gli occhi del pover’uomo che aveva appena soggiogato, approfittando della sua debolezza. Chissà quali pensieri popolavano la sua testa, in quel momento avrei pagato pur di saperli.
In cinque minuti io e Rob eravamo riuscita a radunare tutti. Noi due, non dovendo prendere parte alla lezione, c’eravamo accomodati sul divano, per assistere. Caren, da brava asociale quale era, si era seduta sulla sedia vicino alla finestra, completamente isolata.  Gli altri erano posizionati intorno al tavolo attenti e impazienti che la lezione iniziasse.
Alan si alzò dalla sua postazione e iniziò ad andare avanti e indietro al centro della stanza.
“La lezione di oggi sarà breve, farete un’esercitazione, massimo due a testa”. Iniziò. Mi era sempre piaciuto Alan come insegnante, esaustivo, chiaro, severo e soprattutto capace, se ne sarebbe accorto anche un bambino. L’uomo sul quale avrebbero dovuto fare pratica era caduto in uno stato di trans, abilmente prodotta da Alan. In tale condizione, anche attraverso l’utilizzo di un ordine non molto forte, l’uomo avrebbe obbedito. Fu così che imparammo a fare quello che facevamo. Alan ci aveva spiegato che il trucco stava nell’essere la vocina della coscienza. Con la nostra capacità noi potevamo insinuarci nella mente delle persone e spingerle a prendere le decisioni che noi desideravamo prendessero, dando l’illusione al malcapitato che la scelta fosse stata arbitrariamente frutto suo, e non di un condizionamento esterno.
Questo accadeva soprattutto perché l’essere umano, è un individuo pieno di se, è difficile che creda che qualcuno possa prendere così facilmente delle scelte per conto suo. Solo i bambini, ingenui, ma senza dubbio più perspicaci, erano in grado di intuire, seppur non lo percepivano chiaramente, che qualcuno si stava intromettendo nel loro cervellino per condizionarli. Questa operazione era molto facile soprattutto nei confronti di chi aveva più basse le linee di difesa per impedire l’accesso al proprio subconscio, ovvero ubriachi, drogati, insicuri e instabili.
Per questo Alan era passato dalla professione di Psicologo, da lui esercitata in gioventù, a quella di psichiatra. Solo in questo modo aveva potuto imparare, anche se all’inizio ci furono dei rischi, soprattutto legati al fatto che ancora non era in grado di fare entrare in trans la gente.
La trans era una specie di ipnosi, ma attuata senza l’utilizzo di particolari pendagli oscillanti, ma solo con lo  sguardo persuasivo.
L’uomo che ci trovavamo di fronte in quel momento, una volta risvegliato non avrebbe ricordato assolutamente niente.
Poi c’era Agatha. Agatha era frutto di quella che noi chiamavamo automazione. Alan era rimasto molto vago su come si praticasse, l’unica cosa di cui eravamo al corrente è che la persona veniva privata per sempre della sua forza di volontà. Diventava apatica, un burattino quasi senza vita, comandato in ogni gesto diverso da quello per cui “era programmata” da Alan.
“Giulia!” chiamò imperioso Alan.
La bambina scattò in piedi e si posizionò dinnanzi all’uomo in trans.
“Concentrat …” Giuly fissò l’uomo nelle pupille ad una distanza ravvicinatissima, come se dovesse entrarci dentro.
“Focalizza il suo essere…” continuò con voce soave e totalmente assorta Alan. Si concentrava sempre molto durante il corso delle lezioni.
“A-Alan…non ci riesco!” esclamò la bimba. Il nostro mentore alzò gli occhi al cielo, poi disse gelido “Provaci tu Mar,
 a spiegarle come si fa a focalizzare l’essere … a quanto pare la signorina ascolta più te che me”.
Non era la prima volta che Alan mi faceva una richiesta del genere, sapevo che me lo chiedeva perché Giuly non era riuscita a superare ancora del tutto la paura che tutti avevamo provato nei primi mesi nei confronti di Alan.
Così annuii e mi avvicinai alla bimba, mi inginocchiai in modo tale da portare la mia bocca all’altezza del suo orecchio.
“Guardagli gli occhi. Concentrati!” . la piccola annuii, ed io continuai.
“Ora entra in sintonia con lui. Devi capirlo. Cerca di capire cosa sente, quali sono le sue emozioni.”
“Lui non sente niente”
“Bene, per questo è così facile! Ora prova a sintonizzarti con le sue emozioni, sii empatica, non devi sentire niente, come lui” . La bambina assunse uno sguardo spento, stava procedendo bene, era riuscita ad entrare in sintonia.
“Diventa un tuttuno con quest’uomo, le sue emozioni devono essere le tue… ed ora trasmettigli la decisione, prima però dilla ad alta voce così tutti vedremo se riuscirai a fargli fare quello che vuoi”.
La bimba socchiuse gli occhi sempre più immedesimata.
“Alzati!”
L’uomo si alzò. Sapevo che tutti nella stanza trattenevano il fiato, era sempre un meraviglioso spettacolo vedere celebrata la nostra forza e la nostra capacità. Poi iniziò a camminare verso il tavolo, arrivò da Cris e, inaspettatamente gli tirò  i capelli.
“Hei!” brontolò Cris mentre tutti ad eccezione di Alan scoppiavamo a ridere. Giuly sorrise soddisfatta, era evidente che era stata lei a dargli quell’ordine per vendicarsi del comportamento assunto poco prima dal bambino.
“Silenzio!” tuonò Alan, visibilmente alterato.
“Continuiamo!” aggiunse.
 Si infittiva sempre di più il mistero di Alan Black. Non lo avevo mai visto così visibilmente scosso, quella mattina doveva sicuramente essere successo qualcosa, qualcosa di grave.
La lezione continuò senza grossi intoppi. Cris riuscii senza grosse difficoltà a far saltare per tutta la stanza il signore e a fargli fare la linguaccia a Giulia. Poi venne il turno del’abilissimo Josh che lo fece cantare e parlare dettandogli ogni parola.
Finito il tutto andammo in cucina pronti per la cena. Ma non appena mi stavo per sedere Rob mi arrivò alle spalle facendomi sobbalzare.
“Buuuuuuuuuuuuuuuu!!!!” sorrise divertito del mio salto dovuto alla sorpresa “Non pensavo di essere talmente figo fino al punto di farti saltare per me” aggiunse ammiccando come suo solito.
Alzai gli occhi al cielo “Non ci provare con me Roby…” mi avvicinai alle sue labbra “…tanto non attacca!”.
“U-o!!! allora è così che la metti?” chiese fingendosi minaccioso “Allora non ti dirò quello che ti dovevo dire!” disse in modo talmente infantile da somigliare a Cris.
“Come se mi potesse interessare …” obbiettai alzando le spalle per sottolineare il mio disinteresse.
“Nemmeno se si tratta di una certa riunione, che un certo Alan vuole fare nel suo studio?”
Mi tirai una pacca sulla fronte “E’ vero!! L’avevi detto!!” esclamai stupita di essermelo dimenticato.
 “Vedi che io le cose le faccio bene, sono gli altri che …” ma non riuscii a sentire la fine della sua frase perché ero già oltre la porta della cucina. Dopo qualche metro mi accorsi che non mi stava seguendo così tornai sui miei passi.
“Rob! Non vieni?” chiesi “Hai paura che Alan ti sgridi eh?” aggiunsi sarcastica. Lui assunse uno sguardo un po’ alterato, e disse “Vuole prima parlare un  attimo con te in privato!”.
Sorrisi di fronte alla sua evidente invidia, era un’occasione troppo ghiotta per non mettere il dito nelle piaga.
“E ti rode eh?” ghignai “Ma dai Rob sii realista! Valgo 1000 volte te, è ovvio!”.
Lui incontrò i miei occhi minaccioso. La cosa doveva dargli molto più fastidio di quanto lasciasse vedere. Sorrisi diabolicamente soddisfatta, che bella sensazione. Il mio ghigno si allargò ancora di più quando sentii il consueto fastidio allo stomaco e alla testa, tipico di chi sta cercando di entrare in sintonia con te per darti degli ordini, potevo percepirlo, ma ne ero immune. Allora lo bloccai col mio sguardo. Risi al vedere la collera inondare le sue pupille, era consapevole di essere impotente. Consapevole che io fossi più forte. Consapevole che la mia soddisfazione aumentasse con quella sua collera, evidente simbolo che inevitabilmente si riconosceva battuto.
 
Raggiunsi l’ufficio di Alan in batter d’occhio ed entrai come mio solito senza bussare.
L’uomo era seduto sulla poltrona, rivolto verso la finestra e teneva un libro di psichiatria in mano.
“Mmm Alan… sai che di recente sono venuta a conoscenza di un paio di cosette particolarmente interessanti …”.
Lui si volse verso di me e mi guardò glaciale da sopra gli occhiali, non mostrando alcun tipo di emozione.
“Tipo riguardo a una certa signora Black ...” .
Al suo sguardo interrogativo continuai sorridendo “ Non sapevo che tu avessi avuto una moglie Alan! Non ti ci vedevo proprio come dolce maritino!” ridacchiai per l’assurdità della cosa.
Lui sorrise gelido, ancora nessuna traccia di quell’emozione che avevo sperato di vedere nei suoi occhi quando gli avrei rivelato le mie scoperte.
“Oh non è un segreto Marguerite. Affatto. Una donna come altre, stabile però!”
“e.. ??” lo invitai a continuare divorata dalla curiosità.
“Primo è morta, Secondo, come ti ho detto era una donna come un’altra, serviva a tenermi caldo il letto e la tenevo facilmente soggiogata, Terzo non sono affari tuoi, ti ho chiamata per altro!” disse facendomi cenno con la mano di sedermi sulla poltroncina davanti alla scrivania alla quale stava seduto.
Feci come ordinato.
“Marguerite oggi, quando eri nel mio studio, hai aperto quel libro che si trovava qui?” chiese indicandomi il tavolo e fissandomi negli occhi. Sapevo che stava cercando di percepire le mie emozioni, perché esse passano per gli occhi, tutte, e un bravo lettore può captarle facilmente, questo aiutava molto l’empatia necessaria al condizionamento altrui. Nel momento in cui capii ciò ebbi la consapevolezza, non so come, che potevo nascondergli tutto, potevo perché ero più forte, dovevo solo indossare una maschera più spessa della solita.
“No Alan, affatto!” affermai innocente. “Avrei dovuto?” chiesi di rimando.
Una saetta attraversò gli occhi di Alan e tuonò “Assolutamente NO! MAI!”.
Questa frase fu sufficiente a farmi capire che Alan, la stessa persona che non lasciava MAI trapelare il proprio stato d’animo, si infuriava a causa di quel libro, nei confronti del quale provava un ossessivo bisogno di possesso. Il mio sorriso si allargò. Ero soddisfatta. Avrei recuperato il libro quella notte, dovevo assolutamente entrarne in possesso e scoprire tutti gli sconfinati e oscuri segreti che esso doveva contenere.
Resosi conto della sua reazione esagerata e della mia evidente soddisfazione, egli rientrò nei panni dello psichiatra insensibile e freddo.
“Chiama gli altri due… dobbiamo parlare.”
 
“Allora sentiamo … che impressione vi ha dato la signora Mcfunction?”
Alla domanda di Alan rimasi decisamente perplessa. Mi voltai verso Rob, che sedeva sul lettino accanto a me, e riscontrai in lui lo specchio della mia espressione.
“Io non ho avuto la fortuna di conoscere questa signora stamattina …” iniziò Caren.
“E certo… era mooolto impegnata con un certo Robert ahahah!” commentai maligna.
Lei assunse un’espressione di odio profondo guardandomi.
“Almeno io mi diverto!”.
Risi della sua stupidità e dei suoi vani tentativi di offendermi.
“Ahahahah io mi diverto più di te!”. Ribattei.
“Mar sinceramente non me ne frega proprio niente di cosa facevate questa mattina ! Voglio solo una risposta alla domanda che vi ho fatto!” sibilò Alan senza far trapelare l’irritazione che probabilmente provava.
“Una a posto! Ahahahh pensa che Mar credeva che potesse costituire un pericolo per noi!” esclamò Rob ridendo, ovviamente si stava vendicando per l’episodio di pochi minuti prima.
Per mia sconfinata gioia Alan lo congelò incontrando i suoi occhi.
“Il solito deficiente!” esclamò “Mar ci aveva visto giusto, ma cosa ti ha indotto a credere ciò?” chiese rivolgendosi a me, incrociando le braccia al petto.
“Bè era una psichiatra, poteva perfettamente capire molto più i quanto noi credessimo di far trasparire, è come te! Sa capire la gente con uno sguardo. Avrebbe, ad esempio, potuto intuire che qualcosa non andava in Agatha!”. Alan annuii in segno che stava seguendo il mio ragionamento e che lo condivideva.
Continuai “E poi era una gran ficcanaso, aveva preso un libro a caso dalla biblioteca e lo stava leggendo. Un comportamento insolito in casa d’altri. Inoltre faceva decisamente troppe domande”. Conclusi così il mio ragionamento.
Alan annuii nuovamente.
“Meno male che qualcuno è dotato di cervello tra voi tre!”.
A tali parole sorrisi compiaciuta guardando Robert che era visibilmente seccato per essere stato così sciocco!
“Quindi aprite bene le orecchie perché quello che sto per dirvi è di vitale importanza” continuò poi.
“Vi ricordate Osvald Dome?”.
“Quello che si lavava sempre ossessivamente le mani?”chiese Caren.
“Si lui!” asserì Alan. Io me lo ricordavo molto vagamente.
“Mi dispiace, vuoto totale” affermò Rob.
“Era venuto da me per la sua mania di lavarsi le mani, ma quando lo analizzai si rivelò molto più problematico di quanto si potesse pensare. Così decisi di fare un esperimento. Sapevo che se riuscivo ad ottenere la piena e totale fiducia di una persona potevo manovrarla più facilmente, le sue emozioni si sarebbero a me rivelate automaticamente, la fiducia totale era la chiave per automatizzarlo. Così smisi di usare le mie capacità. Naturalmente è più che normale che una persona mentalmente instabile tenda a vedere come una sorta di dio il suo terapista, che lo fa sfogare e quindi stare meglio. Ci volle ben poco perché si fidasse ciecamente di me! A quel punto lo automatizzai. Lo rispedii a casa sua, in città, era un uomo solo, non dovevo preoccuparmi di niente, nessuno si sarebbe accorto di un suo cambiamento.
Avrebbe continuato a svolgere le normali funzioni vitali. Ma i primi tempi, dato che era la prima volta che automatizzavo qualcuno, lo tenni sotto osservazione. Gli facevo fare delle cose a distanza. Mi bastava solo focalizzarmi su di lui e diventare la personalità che lui non possedeva più.
Voi eravate ancora piccoli. Siete cresciuti, ma mia fama mi teneva sempre più occupato e così il mio controllo su Osvald diminuì, divenne sempre più raro. Nel frattempo automatizzai altre persone, come Agatha ad esempio.
Ero bravo, sapevo che niente era mai andato storto in così tanti anni.
Ormai sarà più di un mese che non do’ ordini a Osvald a distanza. E stamattina me ne sono pentito amaramente. La signora Mcfunction una settimana fa ha avuto un nuovo paziente. Questo l’aveva contattata tramite internet pregandola di venire in città perché lui non sapeva come raggiungere il posto dove lei esercitava. La signora era visibilmente sorpresa, ma anche estremamente curiosa. Fu così che Osvald Dome le raccontò la storia più strana che le sue stupide orecchie avessero mai sentito.
Le raccontò del suo problema di più di dieci anni fa, le disse che si era rivolto a me, poi aveva un lungo vuoto di memoria. I ricordi iniziavano qualche giorno prima del loro incontro. Si era trovato misteriosamente per strada, senza sapere come ci fosse arrivato, aveva una borsa della spesa in mano (come sapete, una persona automatizzata continua comunque a svolgere le sue funzioni primarie, come anche fare la spesa). Prima però due occhi verdi avevano invaso completamente il suo campo visivo.
Capite? La signora Mcfunction, così come tutta la comunità medica, mi reputava già, per fama, un tipo strano, così decise di approfondire la faccenda. Ed eccola a curiosare nella nostra biblioteca, mentre due dei miei migliori allievi si fanno allegramente e spensieratamente leggere. Potete immaginare le accuse e il mio modo indifferente di ribattere.
Ora i punti sono fondamentalmente due: prima di tutto dovete imparare come gli psichiatri ragionano, così da impedire loro di entrare nella vostra testa e di analizzarvi …”
Fece una pausa studiando i nostri sguardi. Io ero sconvolta, ma anche eccitata dall’idea di una nuova sfida, Rob era assorto dalle parole di Alan e Caren guardava distrattamente fuori dalla finestra.
Alan continuò “Perciò ho iscritto tutti e tre alla facoltà di psichiatria…”.
“Cosa?” chiesi in tono insolitamente acuto, noi non avevamo mai frequentato una scuola. Indifferente Alan andò avanti.
 “Non dovrete iniziare con medicina perché riuscirò a fornirvi i crediti di tutti quegli esami, entrerete direttamente in psichiatria, ho fatto creare delle carte d’identità falese che affermano che avete tutti 23 anni, in modo da non suscitare voci sulla differenza d’età con gli altri frequentatori del corso”.
Io e Caren infatti avevamo 20 anni e Robert 21.
“Inizierete da settimana prossima. Domande?”.
Silenzio. Nessuno osava dire niente, mi accorsi di avere la bocca spalancata per lo stupore, così i affrettai a richiuderla.
“Secondo,  ragazzi tenete gli occhi aperti. Questa storia degli occhi verdi mi sembra un racconto da pazzo visionario, ma è anche vero che se una persona normale vedesse quello che facciamo noi e lo raccontasse sarebbe preso per pazzo visionario. Quindi non escluderei che potremmo avere qualcuno che potrebbe compromettere il nostro stile di vita. Occhi aperti dunque!”.
Annuimmo, incapaci di aggiungere altro, tante erano state le rivelazioni e le novità.
Ci alzammo e ci avviammo verso l’uscita dello studio, quando fummo sulla porta Alan disse, guardandoci da sopra gli occhiali con sguardo fermo “Caren, Marguerite, vedete di cercare di andare d’accordo, non perché me ne importi qualcosa, ma perché dovrete sembrare amiche o almeno delle persone normali quando condividerete la camera nel campus!”.
Lo fissai sbigottita.
“Dovrei condividere la camera con questa…?” dissi sarcastica indicandola con un dito.
“Sono felice quanto te!” ribattè gelida Caren.
“Così ho deciso!” affermò Alan categorico.
Allora non c’era più niente da fare. Come è possibile far cambiare idea al principe della volontà?
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Chi è arrivato fin qui a leggere vuol dire che si deve essere interessato in qualche modo alla mia storia. Vi ringrazio immensamente e vi chiedo, se possibile, di farmi sapere cosa ne pensate… ci tengo molto. Ben accette anche le critiche negative, lo faccio per migliorarmi. Grazie in anticipo 
Daisy
 
 

 

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Capitolo 6
*** CAP 5 ***




GLANCES GAME -- GIOCO DI SGUARDI




CAP 5

Signora notte.
Tu che celi sotto il tuo cupo mantello sospiri di amanti che si disperdono nella tua immensità.
Tu che celi i ladri che grazie a te, non visti, arricchiscono le loro tasche.
Tu che mantieni i segreti e li lasci rinchiusi dentro di te per sempre.
Oh blu signora, cela ME, il mio SEGRETO, portalo via con te e mantieni silenziosi i miei passi.
 
Caldo, avevo un’insistente e fastidioso caldo. Mi rigirai nel letto cercando una zona del cuscino più fresca. Non la trovai. Così mi sedetti  decisamente infastidita. Erano almeno un paio d’ore che cercavo di addormentarmi senza grossi risultati. Avevo troppo caldo. In realtà sapevo perfettamente perché mi sentivo così. Ero attratta con un’enorme forza da qualcosa. E io sapevo che questo qualcosa era quel libro. Quel volume che avevo solo aperto e che mi aveva completamente stregata mostrandomi i suoi portentosi quanto nascosti poteri. Sapevo che il libro mi chiamava! Da qualche parte in quella casa agognava di conoscermi, così come lo desideravo anche io. Disperatamente!
Mi ci voleva tutta la mia forza di volontà per impedirmi di alzarmi da qual dannato letto e sgusciare fuori dalla camera per rispondere al Suo richiamo. Ero agitata, per questo sentivo caldo. E, sì, avevo paura.
Alquanto difficile ammetterlo per una come me, noi non temevamo gli altri esseri umani. Ma Alan era Alan. Definirlo un essere umano? Io l’avrei più paragonato a un freddo dottore pazzo che faceva i suoi esperimenti sui suoi pazienti e tutto per permettere a pochi eletti una vita migliore di quella in cui e si potevano sperare. Gli eletti eravamo noi. Ma questo non cambiava le cose. Conoscevamo abbastanza bene Alan Black da sapere le terribili conseguenze a cui avrebbe portato la disobbedienza. Per questo preferivano eseguire il suo volere, l’unico volere al quale dovevamo sottostare, per utilità, per furbizia, per paura.
Dunque ovvio che avevo paura.  Ma la forza di attrazione era troppo grande! Io ero un piccolo pezzo di ferro e quel libro una calamita enorme. Non potevo fuggire! Iniziai così a pensare che una sbirciatina non potesse nuocere a nessuno, potevo trovale il volume, dargli una sfogliata e poi rimetterlo al suo posto.
Ben presto mi convinsi che la mia scelta non era poi così sbagliata. Andai.
Non appena raggiunsi la porta dello studio, tirai giù la maniglia, ma mi resi conto che era chiuso a chiave. Non avevo affatto pensato a quella possibilità. Decisamente innervosita mi sedetti a terra, come fanno i bambina quando non ottengono quello che vogliono.
La forza continuava senza sosta ad attrarmi, ma non mi attraeva verso l’ufficio. Mi resi conto che stupidamente non avevo preso in considerazione l’idea che il libro non si potesse più trovare lì. Così capii che sarebbe stato il Suo potere a guidarmi verso di lui. In breve arrivai, con mio enorme stupore, in biblioteca.
Sorrisi della mia stoltezza. “Quale posto migliore di nascondere un oggetto se non sotto gli occhi di tutti?” aveva detto una volta qualcuno. Immediatamente individuai il volume, perché la sua forza controllava ogni mio gesto. Naturalmente, non ostante fosse sotto i miei occhi si trovava anche sullo scaffale più alto. Mai che una cosa potesse essere semplice. Recuperai la scala, ma facendolo urtai contro il muro. Trattenni il respiro per sentire se con quel piccolo umore avevo svegliato qualcuno. Silenzio.
Salii sulla scala e FINALMENTE AGGUANTAI il volume. Inaspettatamente non provai niente. Mi sarei aspettata, una scossa, un brivido, caldo, freddo … e invece niente. Un po’ delusa tornai a terra. Ero tentata di rimettere a posto il libro quando notai qualcosa che catturò notevolmente la mia attenzione.

 

Sulla sua copertina vi era inciso qualcosa, qualcosa che non avevo notato quella mattina, eppure ero sicura di averlo esaminato attentamente. L’incisione era in argento e sembrava brillare alla fioca luce che proveniva dalla finestra della stanza. Dedussi che quello doveva essere il titolo del volume.
 

…sguardi.

Un titolo alquanto insolito dato che iniziava con tre puntini. Questo aumentò a dismisura la mia curiosità che quasi mi diressi verso la mia camera correndo. Mi sedetti sul bordo del letto e posai il volume sulle ginocchia. Trassi un profondo respiro e sollevai la copertina …
 

 
Salve, sconosciuto visitatore.
Hai tra le mani una grande possibilità.
La possibilità di istigare.
Ma tale possibilità non sarà al tuo servizio.
Sarà il Potere ad indicarti cosa devi fare.
Sii strumento silenzioso nelle sue mani e sarai ricompensato.
Sii Sua voce, Sue orecchie e Suoi occhi.
Ma non essere mai la Sua mente.
Egli non ne possiede una.
Egli è solo forza, forza allo stato puro.
Il Potere regna il tuo corpo.
Tu lo possiedi, ma non lo sai usare.
Ma attenzione! Il potere è limitato!
Leggi e impara, sconosciuto visitatore.
Impara a giocare …
… a giocare con gli sguardi
.

 

 
Rimasi sbigottita da quella breve, ma intensa lettura. Ammetto che buona parte della pagina mi risultava incomprensibile. In primo luogo parlava di potere come se esso fosse personificato. Poi parlava di potere che era posseduto, ma non si poteva utilizzare se non si sapeva come.
Girai il libro tra le mani, cercando un autore, o una casa editrice. Niente. La rilegatura e la copertina in pelle mi facevano intendere che il libro doveva essere abbastanza antico. Ulteriore conferma mi era data dai caratteri svolazzanti con il quale era scritto.
Le ultime due frasi attirarono la mia attenzione “Impara a giocare … a giocare con gli sguardi”.
Probabilmente, si trattava dell’unica frase a me comprensibile dato che faceva riferimento agli sguardi. Mi riusciva difficile però associarli ad un gioco. Pensai a quanto gioivo quando usavo le mie facoltà e improvvisamente capii. Ovvio che fosse un gioco. Erano in gioco sottili equilibri, gli equilibri esistenti nella testa delle persone, che noi, puntualmente, andavamo ad intaccare, facendo pendere la bilancia dalla nostra parte. Sì era un gioco. Un gioco divertente.
Curiosa voltai pagina ulteriormente.
 

 

Occhi.
Visualizza gli occhi.
Sorridi. Influenza. Fa che si fidino.
Intrappolali.
Tutto il campo visivo deve essere occupato da occhi. Un paio di occhi.
Comprendili. Cosa vogliono dirti?
Empatia. Simbiosi. Sintesi.
Tu sei quegli occhi
.

 

 
Prendi una decisione. Quella sarà la loro decisione.
Sorrisi tra me e me. E così Alan aveva imparato tramite quel libro a influenzare le decisioni altrui. Rilessi quell’ultima pagina. Riconobbi che tutto ciò che ci aveva insegnato stava in quelle poche righe, ma il libro era composto di un sacco di altre pagine. Capii. Alan si era tenuto la maggior parte dei segreti per sé. Ma adesso erano anche miei. Sorrisi compiaciuta di avere quel privilegio.
Sfogliai le pagine a caso con la speranza di trovare qualcosa di più interessante.

 

 
Fa che si fidino.
Cecamente.
Senza incontrarli. Cecamente.
Rendili deboli.
Tu devi essere tutto.
Stregali.
Li potrai guidare, sarai il loro padrone, per sempre.
O quasi …
… altri occhi li potrebbero incontrare e annullare la tua padronanza su essi.
Attento agli altri occhi.

 

 
Questo doveva essere, senz’ombra di dubbio, il modo di automatizzare una persona. Solo che mi era davvero poco chiaro. Ricopiai tali parole su un pezzetto di carta e guardai l’orologio. Erano le sei passate. Decisi di rimettere a posto il volume. Avrei continuato la sera successiva a sfogliare le sue portentose pagine.
Ero soddisfatta. Finalmente stavo pian piano sfatando il mito che Alan era stato per noi. Un uomo perfetto e potente. Anche io ero potente, ancora non perfetta, ma ci potevo lavorare.
Riposizionai il libro dove l’avevo preso e sorrisi. Le cose stavo decisamente andando nel migliore dei modi.
 
 
Salve a tutti!!! Vorrei sprecare due parole per ringraziare tutti coloro che sono arrivati fino a questo capitolo a leggere la mia strana storia. Lo ammetto, non siete molti. Se volete lasciate un commento ve ne sarò grata, ho bisogno di capire cosa non funziona in questa storia.
Vi ringrazio!
Daisy Pearl

 

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Capitolo 7
*** CAP 6 ***




GLANCES GAME -- GIOCO DI SGUARDI




CAP 6

La valigia ormai era pronta. Non ero molto felice all’idea di lasciare villa Lux, soprattutto perché stare in quella casa significava stare in paradiso. Lì fuori invece …
“Dovrete impegnarvi!” disse per l’ennesima volta Alan. Sbuffai. Va bene che dovevamo imparare, come diceva lui, ma dopo la prima decina di volte che ce lo ripeteva l’avevamo capito!
Alan sembrava preoccupato, naturalmente per qualcosa che non ci era dato sapere.
“Alan abbiamo capito!” sbottai. Lui mi inchiodò con lo sguardo. Rabbrividii nonostante non stesse facendo altro se non fissarmi. Lanciava un messaggio silenzioso. Dovevo stare zitta, lui era già abbastanza nervoso per conto suo.
Per evitare di irritarlo ulteriormente andai in biblioteca e mi sedetti sul divano. Inavvertitamente lanciai o sguardo sullo scaffale dove qualche notte prima avevo recuperato il libro nero. Da quella volta non l’avevo più visto, era come scomparso. Non sentivo più il suo richiamo insistente, né la sua presenza.
Probabilmente Alan lo aveva nascosto di nuovo, ma era comunque strano che non mi chiamasse la sua potenza, ovunque egli lo avesse messo.
“Pronta?” chiese tutto contento Rob sedendosi accanto a me.
“E per cosa?” sbottai.
L’idea che io non fossi allegra quanto lui lo fece sorridere il doppio.
“Ma per studiare, mia cara!” ridacchiò. Robert era l’unico realmente felice di partire. Per lui era una vacanza e contava di darsi alla pazza gioia. Io invece non avrei deluso le aspettative di Alan. Mi sarei impegnata. Anche perché puntavo ad essere come lui e se possibile, anche più forte. Mi sarebbe servito quello che avrei imparato all’università.
“Rob stai un po’ zitto!” ribattei lasciandomi però sfuggire un sorriso di fronte alla sua stupidità. Rob era troppo sciocco per capire l’opportunità che Alan ci stava offrendo su un piatto d’oro. Quella di diventare più forti di lui.
In quel momento sentii Agatha dire con voce monotona “Signore, il taxi è arrivato!”.
Sbuffai per l’ennesima volta.
“Andiamo!”. Uscii dalla stanza seguita da Rob. Sulla porta ci attendevano tutti, ma non perché volessero salutarci, probabilmente solo per curiosità. Nessuno di noi era andato via per un tempo così lungo. Una settimana. Bastava poco a compromettere gli equilibri umani.
Sorrisi comprendendo quanto, pur nella nostra fortuna, fossimo fragili. Esseri umani. La loro fragilità sarebbe stato il mio trampolino di lancio.
Senza né pianti né saluti in grande stile Caren e Rob si avviarono verso il taxi che, col motore acceso, ci stava aspettando. Feci per seguirli quando una mano mi trattenne per il polso. Quando mi voltai mi persi in sue enormi pozze nere coperte da occhiali. Gli occhi di Alan erano bellissimi, cupi, freddi, da brivido, proprio per questo affascinanti.
“Non usate i trucchetti. Potrebbero capire …” sussurrò aumentando la presa sul mio polso, come per sottolineare il suo ordine. Era preoccupato, sapeva che non potevamo resistere a divertirci un po’.
“E Marguerite. Studia! Un giorno sarai la mia assistente.” Disse ciò in modo inespressivo.
Dentro di me la tempesta. Non ero contenta. Lusingata, compiaciuta ma contenta no. Lui non mi considerava una minaccia. Io volevo essere una minaccia. Ma non lo ero. Ero capace, me lo riconosceva, per quello mi voleva come assistente, ma la cosa si esauriva lì.
Annuii impercettibilmente e abbassai lo sguardo. Camminai veloce fino al taxi.
“Cosa voleva Alan?” domandò curioso Rob con un ghigno sulle labbra.
“Rob” ribattei sorridendogli sadica “Hai presente gli affari tuoi?”.
Lui annuii divertito “Fatteli!” conclusi.
Mi voltai verso il finestrino. Ero felice o triste?
 
L’università sembrava un piccolo paesino. Gli edifici erano più o meno tutti uguali. Delle specie di rettangoli a più piani, rossi. Su ognuno troneggiava il nome della facoltà che lì si svolgeva.
Raggiungemmo la camera in poco tempo.
“Grazie al cielo!” sospirai buttandomi sul letto.
Caren mi lanciò uno sguardo di disapprovazione.
“Che vuoi?” le ghignai ostile. Lei alzò le spalle. Decisi di ignorarla e di schiacciare un pisolino.
“Saaaaaaaalveee!!” Rob comparve sulla porta con un’enorme sorriso stampato sulle labbra. Sbuffai. Non sarei mai riuscita a stare tranquilla due secondi con loro tra i piedi.
“Rob! Che piacere vederti!” dissi sarcastica lanciandogli un cuscino. Lui lo afferrò al volo e sussurrò con fare ammiccante “E’ forse un invito a raggiungerti sul letto!”.
“Andiamo Rob!” ribattei “Non sono mica questa qua!” continuai indicando Caren. Lei mi fulminò con lo sguardo. Sorrisi. Mi divertivo troppo a stuzzicarla dato che si arrabbiava per tutto.
Vidi un lampo passare nello sguardo di Rob come se avesse improvvisamente avuto un’ idea. Mi preparai a deriderlo.
Lui entrò nella stanza e, inaspettatamente, prese la mano di Caren, che a quel gesto guardò verso di me soddisfatta.
“Bleah!” . Feci finta di avere un conato di vomito per rendere meglio l’idea. Un ghigno si aprì sul volto di Rob.
Cinse con le sue mani i fianchi di Caren e la attirò a sé, possessivamente. Poi, sensuale, posò le labbra sulle sue. I due iniziarono a baciarsi appassionatamente.
“Iiiiiiiiiiiiiih che schifo!” mormorai. Rob si staccò e mi sorrise soddisfatto. Risi.
“Tutta sta scena per farmi innervosire?” chiesi. Il suo sorriso si aprì ancora di più.
“Ahahah rob non ci sei riuscito. Mi fate solo ribrezzo!” ribattei con cattiveria. “Me ne vado! Non lo fate sul mio letto!”.
Un altro lampo di gioia attraversò gli occhi di Rob.
Un flash, Rob e Caren avvinghiati, nudi e ansimanti … sul mio letto. Che schifo. Arrabbiata di fronte a quella prospettiva, a grandi passi mi avvicinai a Rob, che ancora teneva stratta a sé una fin troppo compiaciuta Caren. Lo presi per la maglietta e avvicinai minacciosa il mio viso al suo. Incontrai i suoi occhi.
Visualizza gli occhi.Diceva il libro.
Sorridi. Influenza. Fa che si fidino. Gli sorrisi diabolica, sempre più consapevole della potenza di quel volume.
Intrappolali. Lui era totalmente assorto dai miei occhi magnetici. Gli dava fastidio, si vedeva, ma non riusciva a staccare lo sguardo.
Tutto il campo visivo deve essere occupato da occhi. Un paio di occhi. Vedevo solo i suoi bellissimi occhi azzurri.
Comprendili. Cosa vogliono dirti? Cosa mi volevano dire? Mi sembrava quasi di sentirli. Mar smettila! Risorrisi felice.
Empatia. Simbiosi. SintesiTu sei quegli occhi. .Io ero Rob e volevo che Mar la smettesse.
Prendi una decisione. Quella sarà la loro decisione.
 Non ti azzardare a fare sesso con qualcuno sul MIO letto!
Un comando muto partì dal mio cervello e attraverso i miei occhi finì al suo. Non venne bloccato come gli altri. Quel comando, per la prima volta, era passato! Rob avrebbe fatto quello che glia avevo chiesto. Mi guardò allibito, incredulo di non essere stato in grado di proteggersi. Gli sorrisi soddisfatta e compiaciuta e ondeggiando uscii fuori dalla stanza. Quel pomeriggio sarei andata a caccia. A caccia di qualcuno su cui provare la tecnica dell’automazione. Potevo farcela.
Le strade brulicavano di studenti. Alcuni ridevano spensierati, altri se ne stavano seduti su qualche panchina a studiare.
 La mia vittima doveva essere qualcuno di abbastanza volubile. Qualcuno con bassa autostima, qualcuno di facilmente condizionabile. Dopotutto era la mia prima volta.
Un gruppetto di ragazzi attirò la mia attenzione. Stavano deridendo una ragazza con gli occhiali che fino pochi momenti prima cercava di studiare.
Ecco la mia vittima. Sorrisi soddisfatta.
Tirai fuori dalla tasca il foglietto sul quale avevo scritto le parole del libro. Lo portavo sempre con me, sapevo che sarebbe tornato utile.

  
Fa che si fidino.
Cecamente.
Senza incontrarli. Cecamente.
Rendili deboli.
Tu devi essere tutto.
Stregali.
Li potrai guidare, sarai il loro padrone, per sempre. 

Ok. La ragazza doveva fidarsi di me, ma non avrei dovuto usare i trucchetti con lei. Doveva fidarsi di ME in quanto persona. Niente di più facile. Indossai una delle mie tante maschere e mi diressi verso la sfortunata.
“Ooooh ma che carini tutti questi bulli!” iniziai.
“E tu chi cavolo saresti?” mi chiese uno di loro. Era decisamente grosso e grasso. Chiunque lo avrebbe temuto. Ghignai. Era una bella sfida dopotutto.
“TU chi sei? Oh, è vero, un cogl…”
“Basta vi prego!” una vocina interruppe il mio insulto. Proveniva dalla ragazza.
“Scusa?” . Ero decisamente incredula.
“Cioè, i-io t-ti ringrazio. Ma s-se c’è una cosa c-che n-n-non tollero sono le pa-parolacce!” balbettò.
Sgranai gli occhi. Era perfetta. Una nerd coi fiocchi! Lì per lì pensai di cercarmi un osso più duro, ma poi ricordai che dovevo ancora imparare. Lei sarebbe andata più che bene. Inghiottii una serie di paroline spinose che mi erano venute in mente e le sorrisi.
“Hai ragione! Non le sopporto nemmeno io! Ma qui ce n’era proprio bisogno. Questo qui c’ha proprio la faccia da … beh da quella parola lì!” le sorrisi amichevolmente. Ricambiò timida.
“Tornando a noi …” mi voltai minacciosa verso i ragazzi che se la ridevano alla grande “… non avete niente di meglio da fare?”.
“E tu moretta? Se non hai di meglio da fare potresti venire a cenare con me!”. A parlare era stato un ragazzo davvero molto bello. Aveva lo sguardo misterioso e i capelli nerissimi. Mi stava facendo letteralmente la radiografia. Compiaciuta, incontrai i suoi occhi. In trappola.
Rimase perso a fissare le mie pupille, non più con lo sguardo da conquistatore, che aveva avuto fino a qualche secondo prima, ma semplicemente perso.
“Mi piacerebbe, e lo farei volentieri, se voi non aveste offeso questa povera ragazza!”.
Scoppiarono tutti a ridere di gusto. Lui si limitò a incurvare le labbra in un sorriso.
“Che c’è?” chiesi leggermente innervosita. Quelli me l’avrebbero pagata.
“Bè la povera ragazza, se l’è svignata! Ahahahah!”.
“Cosa??” chiesi incredula. Mi voltai e vidi la ragazza che correva via senza voltarsi. Che deficiente. Davvero avrei potuto trovarmene una meno stupida.
“Non ho parole …” sibilai indecisa se sentirmi arrabbiata o divertita.
Due dita mi furono poste sotto al mento e mi costrinsero ad alzarlo. Incontrai gli occhi del ragazzo misterioso. Neri anch’essi.
“Hai fatto scappare la tua protetta!” sogghignò.
Mi alzai in punta dei piedi per essere più o meno alla sua stessa altezza. Avvicinai il mio viso al suo e a fior di labbra sibilai “Forse sei stato tu a farla fuggire …”.
Sorrisi di fronte alla sua espressione allibita, naturalmente non si aspettava una reazione del genere da parte mia. Con un rapido movimento mi sbarazzai della sua mano sotto il mio mento e girai tacchi andandomene, mentre i suoi amici scoppiavano in una fragorosa risata.
“Che tipa!”
“Tosta!”
“Guardata che faccia ha Mike”.
Non resistetti, mi voltai e salutai beffarda con la mano il gruppetto.
“Ciao ragazzi! Alla prossima!”.
Ridacchiai e tornai sulla mia strada.
“Aspetta!” .
Mi voltai. Il ragazzo carino stava correndo verso di me seguito, con più calma, dai suoi amici.
“Mike!” ansimò per la corsa, tendendomi la mano.
Gli regalai un ampio sorriso “Mar!”.
“Mar!” ripeté con quel bel sorriso seduttore.
“Ciao! Io sono Joshua!” si presentò il ciccione, poi si rivolse verso Mike “Presentacela, che diamine!”.
“Josh, lo sai che se le vuole tenere tutte per sé!” disse un biondino con la cresta “Terry!” si presentò.
Strinsi la mano a tutto il gruppetto di amici ricordandomi pochissimi nomi.
“Possiamo offrirtelo noi un caffè, dato che la tua protetta se l’è data a gambe e non ha potuto ringraziarti a dovere?” mi domandò Mike.
Mi leccai le labbra “Amo il caffè …” sussurrai. Lui usava le tecniche di seduzione? Fantastico! Le avrei usate anche io, poi si sarebbe visto chi avrebbe ceduto per primo.
“Ah io passo!” disse uno dai capelli a caschetto neri.
“Anche io!”
“E’ stato un piacere conoscerti Mar!”
Così ben presto rimanemmo solo io, Mike, Josh e Terry. Ci incamminammo verso un bar lì vicino e ci sedemmo a un tavolo.
“Allora Mar è il diminutivo di …?” fece Mike.
“Come fai a sapere che è il diminutivo di qualche altro nome?” gli domandai.
“Bè nessuno al mondo si chiamerebbe Mar!” sogghignò, mentre gli altri due si sbellicavano dalle risate.
“Davvero molto divertente cucciolo. Oh! Che sbadata, Mike non è il nome di un cane, è il tuo!”.
Lui sorrise, mentre gli altri due ridevano sempre più fragorosamente.
“Colpito e affondato!” disse alzando le mani in segno di resa.
“Ma che affondato!” ribattè Josh  dandogli una gomitata “Questa ti ha fatto a fettine!!!!”.
“Grazie Josh!” gli sorrisi.
“Ok ok, uno a zero!” ammise Mike divertito.
“No no, mio caro! DUE a zero, dimentichi prima, quando ti ha detto che tu avevi fatto fuggire il topo con gli occhiali!” ricordò Terry.
“Ok ok, ma voi siete amici miei o suoi?” chiese, fingendosi irritato.
“Mar se raggiungi il punteggio di tre a zero siamo ufficialmente amici tuoi!”.
Ridacchiammo tutti.
“Non vedo l’ora!” guardai Mike “Fatti sotto!”gli intimai spavalda.
Si avvicinò di qualche centimetro al mio viso “Eccomi!” sussurrò divertito.
“Mmmm mooolto promettente!”
“Hei hei hei! Fermi! Se dovete fare le vostre cose fatele lontano dai nostri occhi!” esclamò ridendo Josh.
“Non andrei col vostro amico nemmeno per tutto l’oro del mondo!” puntualizzai tagliente.
“Non andrei MAI con una che difende gli sfigati!” anche il tono di Mike si era fatto tagliente. Lo avevo colpito nel suo punto debole! Sorrisi soddisfatta.
“Lo faccio solo quando credo di essere più figa dei bulli che se la prendono con quelli meno forti di loro!” ribattei.
“Ahhahahah Mar siamo ufficialmente amici tuoi!” tuonò tra le risate Josh.
“Tre a zerooooooo!!” ribadì Terry, tenendo il punteggio con le dita e sventolandolo di fronte agli occhi di Mike.
“Hai vinto! Sono tuo, fammi quello che vuoi!” disse ammiccando nuovamente.
“Non mi tentare!” ribattei gongolando per la mia stracciante vittoria.
“Sta sera voglio la rivincita!” aggiunse sorridendomi.
“Non è una scusa per rivedermi?” gongolai.
“Assolutamente no. Si tratta di una gara! L’hai voluta TU!”
“In realtà l’ha voluta Josh!” ribattei indicandolo.
“Ah no eh! Io non c’entro niente!” si difese con voce fintamente innocente. Scoppiammo tutti a ridere.
“Ok, ti concedo la rivincita! Ora e luogo?”. Sorrise soddisfatto.
“Ci troviamo qui alle nove!”.
“Grandioso! Grazie del caffè! Ciao ragazzi!” salutai alzandomi dal tavolo.
“Ciao Mar è stato un piacere!” disse Josh. Terry annuii e Mike mi fissava divertito.
Dopotutto forse mi sarei potuta divertire anche in quel posto!
 
Le nove meno un quarto giunsero in un  baleno. Ero stata costretta a tornare in camera, se non altro per farmi una doccia e cambiarmi d’abito. Fui contenta di non trovare né Caren né Rob ad attendermi, sarebbero sicuramente riusciti a rovinarmi il buonumore. Presi da soli erano già irritanti di loro, ma insieme erano una vera e propria bomba, distruggevano.
Mi andava di divertirmi e quel Mike sembrava proprio la persona adatta. Niente trucchetti, per quella volta avrei provato l’ebrezza della conquista.
Sorrisi soddisfatta allo specchio del mio lavoro. Portavo una semplice mini gonna nera e una magliettina un po’ scollata, ero provocante nei punti giusti. Terminai l’opera con un paio di orecchini e dei tacchi bassi.
In breve tempo arrivai al bar. Ad aspettarmi sulla soglia c’erano i tre ragazzi di quel pomeriggio.
“Ahahah “ iniziò Josh fischiando “Sei uno schianto, ma non è un po’ esagerato come abbigliamento?”.
“Lo trovi esagerato?” chiesi con voce suadente “Allora aspettatemi che vado a coprirmi un po’ di più!”.
“No!” esclamarono in coro. Risi. Uomini, così volubili. Dei docili burattini nelle mie mani.
“Sei splendida!” disse Mike porgendomi il braccio.
“O dio! Vuoi che ti prenda a braccetto?” gli domandai incredula.
“E così che si fa con le belle ragazze!” iniziò.
“Ahahhah forse 30 anni fa! Scusa ma io queste cose non le faccio!” poi gli feci gli occhi dolci e aggiunsi, con voce infantile “Al massimo posso darti la manina!”.
Sorrise, ma si capiva che era abbastanza deluso. Gli altri due ridevano, come sempre.
“Quattro a zeroooo!!!!” cantilenavano.
“Oh state un po’ zitti!” esclamò, ritrovando il buonumore, Mike.
“Brucia la sconfitta!” esclamai.
“Non sai quanto!” ribattè con voce sexy.
“Ma dimmi questa tecnica funziona con tutte le ragazze?”.
“Si! Tu sei un’eccezione!”
“E’ perché io NON SONO le altre ragazze. Sono UNICA!”.
“Bè una che ti zittisce per ben QUATTRO volte è unica sì!!” aggiunse Josh “Hai proprio trovato pane per i tuoi denti!”.
“Dove andiamo?” chiesi curiosa.
“Al bowling!” mi rispose Terry.
“Ah! Ora capisco perché vi dava così tanto fastidio il mio abbigliamento. Vi avrei distratti!”.
Ridemmo tutti quanti insieme ed entrammo al bowling tra uno scherzo e l’altro. Quei ragazzi erano davvero simpatici. La cosa mi stupì molto, ma poi mi resi conto era ovvio che mi sentissi così. Non avevo mai frequentato a lungo delle persone al di fuori di villa lux, quindi non avevo idea di quanto ci si potesse divertire.
Dopo essermi messa le scarpe apposta presi una delle enormi palle da bowling e mi diressi verso la pista.
“Allora chi di voi mi insegna come si fa?” chiesi. Mi guardarono allibiti.
“Non hai mai giocato a bowling??” domandò Josh.
“Noooo!”
“Mai mai?” la voce era sempre è più acuta.
“Ma dove vieni da Marte?” mi scrutò Terry, come per vedere se avessi delle antenne o qualcosa del genere. Insomma, un segno che fossi di un altro pianeta.
“No! Lei viene da Venere!” esclamò ammiccando Mike. Si avvicinò e si pose alle mie spalle.
“Ti insegnerò io Mar!” disse questi in un soffio. Un meraviglioso, caldo soffio che finì direttamente sul mio collo. Ebbi un brivido. Qualcosa mi fece presagire che ci sarebbe stato un dopo serata. Sorrisi soddisfatta.
Fece aderire il suo corpo al mia e percepii i muscoli tesi. Con una mano prese il braccio con il quale tenevo la palla. Lo spostò indietro e poi di nuovo in avanti.
“Questo è il movimento che devi fare!” sussurrò nel mio orecchio. Altri brividi. Ghignai. Il ragazzo ci sapeva fare.  Ero talmente tanto assorta che quasi non i accorsi delle fragorose risate di Terry e Josh. Quasi.
“Insomma ragazzi! Qui stiamo cercando di concentrarci!” si finse arrabbiato Mike.
“No tu stai facendo il cascamorto!” ridacchiò Josh.
“Allora guarda e impara!”
“Nono, se devo sopportare questa scena per tutta la serata ho bisogno di bere!” ribattè Josh allontanandosi seguito da un divertito Terry.
“A dopo piccioncini!” salutò quest’ultimo. In tutta risposta gli feci la linguaccia.
Mike mi diede un buffetto sulla testa e rifece aderire il suo corpo al mio.
“L’obbiettivo e centrare tutti i birilli!” riprese a sussurrare con le labbra sul mio collo. Davvero un gran seduttore. Ma io sapevo fare di meglio.
Spostai il braccio in dietro e poi in avanti lasciando cadere la palla. Questa rotolò fino a raggiungere i birilli e li atterrò tutti.
“Yeah!” feci un salto di gioia. Non appena vidi la sua espressione sbalordita la mia felicità si quadruplicò.
“Mi sa che devo essere io ad insegnare qualcosa a te!” ghignai più che soddisfatta.
Lui sbuffò “La solita fortuna del principiante!”.
“Forse si, forse no!” ribattei prendendo posto alle sue spalle. Aveva già in mano la palla. Feci come aveva fatto lui prima con me. Feci  aderire il mio corpo alla sua schiena a con una mano afferrai il polso dove egli teneva la palla. Poi mi alzai in punta dei piedi in modo tale da essere all’altezza del suo orecchio.
Sospirai. Lui rabbrividì. Ghignai.
“Allora da te o da me?” sussurrai nel suo orecchio. Un sorriso davvero molto sexy illuminò il suo bel viso.
Si avvicinò al mio orecchio e rispose “Da me!”.
Ridacchiai, avrei personalmente costato se era così bravo come faceva intendere.
Il percorso bowling- appartamento di Mike fu piuttosto nebuloso. Non smettemmo un attimo di baciarci. E cavolo se baciava bene! Erano poche le volte in cui perdevo il controllo, e questa era una di quelle.
La mia eccitazione saliva di pari passo alla sua, ma odiavo ciò, dovevo riprendere il controllo.
Mi mordicchiò l’orecchio davanti alla porta di casa sua e un brivido di piacere mi pervase. Al diavolo il controllo! Mi avvinghiai al suo collo e lo baciai appassionatamente. Le nostre lingue danzavano felici, insieme, e le nostre mani esploravano voraci i nostri corpi.
I suoi sospiri mi eccitavano, mi facevano rabbrividire, mi elettrizzavano. Caspita se ci sapeva fare. Mi spinse contro al muro e continuò ad esplorarmi. Prima mi prese possessivamente i fianchi, poi, lentamente, fece risalire le grandi mani verso i miei seni. Arrivato al reggiseno rimase ad accarezzarne il bordo. Stavo impazzendo!
“Ti muovi?”. Quasi una preghiera. Sorrise famelico.
“Vuoi farlo sul pianerottolo?”. Mi guardai attorno sbalordita. Non mi ero accorta che ancora non eravamo entrati nell’appartamento. Stavo decisamente perdendo colpi. Probabilmente non facevo sesso da troppo tempo! Intanto, ancora un po’ maledettamente ansimante, estrasse le chiavi.
“Pronta a entrare nella tana del lupo?” chiese ammiccando.
“E tu saresti un lupo! Io direi che sei un inutile insettino finito nella tela di un famelico ragno!”.
“E tu saresti il ragno?”
“Ovvio!”. Si avvicinò pericolosamente.
“Ragnetto, penso che la situazione ti sia sfuggita di mano, perché sarà l’insettino a mangiarti!” finse una risata malefica.
“Bleah! Che schifo! L’insettino non è sexy!” dissi tirando fuori la lingua.
“Il lupo è sexy!” continuò seducente. Avvicinò le labbra alle mie. Ormai eravamo entrati.
“Sì, decisamente sexy!” sospirai agognando di baciare quelle perfette e carnose labbra.
Le spostò sul mio orecchio “Mi stai dicendo che sono sexy?”.
Non gliel’avrei data vinta. Era ora che riprendessi il controllo. Si stava decisamente montando la testa in modo esagerato. Gli presi il viso tra le mani e lo costrinsi a guardarmi negli occhi. Il ghigno gli morì sulle labbra. Era completamente assorto. Perso nelle mie pupille.
Mi avvicinai lentamente alle sue labbra e gliele leccai. Dolcemente. Con una lentezza esasperante. Lo sentivo fremere, ma non era in grado di muoversi, era inchiodato dal mio sguardo.
“Hai degli occhi bellissimi …” sorrisi compiaciuta.
“Lo so…”.
Continuai la mia opera mordicchiandogli dolcemente le labbra. Adoravo quell’agonia. Quel desiderio represso che al momento giusto si sarebbe scatenato. Dovevo solo eccitarlo ancora un po’.
Lo spinsi verso il letto. Dolcemente ci si sedette sopra. Mi sedetti a cavalcioni su di lui. Non osava muoversi.
Iniziai e scendere, lentamente verso il collo. Intanto muovevo i fianchi avanti e indietro,  erano dei piccoli movimenti che richiamavano quello che ci sarebbe stato tra noi tra qualche minuto.
Lo spinsi indietro con una leggera pressione sulle spalle. Lui obbediente si sdraiò. Gli misi le mani sui fianchi e percorrendo a palmi aperti tutto il suo muscoloso torace gli tolsi la maglietta. Poi iniziai a lasciare dei baci roventi su tutto il suo corpo. Lo sentivo ansimare, mi voleva.
Gli slacciai jeans e accarezzai ogni suo singolo centimetro di pelle, senza mai sfiorare la parte che davvero mi interessava.
“Ti prego!” sussurrò. Ghignai soddisfatta. Misi le labbra su una delle sue cosce e dissi in un sospiro “Ridillo!”.
“Ti prego!” la voce si era fatta più alta e sembrava quasi stesse soffrendo.
Mi tuffai sulle sue labbra. La sua bocca si aprì e le nostre lingue poterono incontrarsi. Chiusi gli occhi.
I giochi potevano aver inizio.
Non appena liberato da essi Mike sembrava quasi posseduto. In un momento mi ritrovai sotto mi lui. Iniziò freneticamente a togliermi i vestiti, tanto che trovò difficoltà a slacciarmi il reggiseno.
Poi con le labbra mi percorse il collo facendomi gemere di piacere. Poi scese. Non aveva più voglia di giocare con me come aveva fatto sul pianerottolo. Aveva voglia di me, punto.
Ormai il mio corpo era totalmente nelle sue mani, in balia degli appassionati baci e delle eccitanti carezze. Grazie alla mia abilità di seduttrice lui non si accorse di quanto in quel momento fosse libero di farmi esattamente ciò che più desiderava.
Quando finalmente ci unimmo esplosi quasi immediatamente di piacere. I preliminari erano stati una vera tortura.
Ma non ero sazia. Volevo molto di più.
 Andammo avanti per ore.
 
3:30. Sbadigliai. Dopo 4 ore di sesso ero decisamente crollata. Non ero più tanto abituata. Cercai di alzarmi ma un qualcosa mi teneva sdraiata. Cercai e trovai il braccio di Mike. Mi stava abbracciando? Bleah!
Io non ero da queste cose. Io mi divertivo punto. Non ero da coccole, né da abbracci.
Mi sbarazzai del braccio poco delicatamente e mi alzai.
La mattina dopo avrei avuto lezione quindi mi conveniva andare a dormire. Cercai i vestiti a tentoni, ma non li trovai. Sbuffai. Cercai l’interruttore e accessi la luce.
“Ma che diavolo…!” mugugnò Mike, che probabilmente avevo svegliato.
“Mar …. Ma che cavolo fai? Dormi!”.
Sorrisi di fronte alla sua ingenuità “E’ quello che sto per fare!”.
Individuai e vestiti e li indossai in un lampo.
“Ciao Mike!”.
“Tutto qui?” chiese stupito.
“Come?”.
“Nessun, grazie, un complimento, un’opinione ….” Continuò leggermente deluso.
“Te la cavi!” risposi strafottente.
“Solo?”.
“Sono più brava e sexy io!” ghignai di fronte alla sua faccia sbigottita.
“Ma cosa…”
“Mi hai pregata stanotte, perché se avessi continuato con i preliminari saresti venuto nelle mutande!”. Sorrisi diabolicamente. Lui parve arrossire, ma subito si ricompose. Mi lanciò uno sguardo sexy.
“Ma era per farti sentire brava! Saresti stata più focosa!”
“Certo! Ciao Mike!” gli sorrisi.
Mi chiusi la porta alle mie spalle. Non si ricordava quando sul pianerottolo gli avevo chiesto di sbrigarsi. Non si ricordava del mio momento di debolezza.
Sospirai.
Il mio fu un sospiro di sollievo.

 
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ANGOLO AUTRICE:
Eccoci qua alla fine di un altro capitolo. Io adoro scrivere questa storia! Ho in mente sempre una trama precisa, ma di capitolo in capitolo, è esse stessa a guidarmi. Così mi ritrovo a scrivere dialoghi che non avevo pensato o di inserire personaggi che non avevo immaginato. Questa storia trasporta me in prima persona. Spero di essere in qualche modo riuscita a trasmettere questa sensazione anche a voi!
Josh, Terry e Mike sono dei personaggi di questo tipo! Sono nati così, su due piedi. Spero vi siano piaciuti.
Se potete lasciate un commento, ci tengo a sapere cosa ne pensate!!!
Daisy

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Capitolo 8
*** CAP 7 ***




GLANCES GAME -- GIOCO DI SGUARDI




CAP 7

Un rumore assordante mi riempiva le orecchie.
Mai una volta che si potesse dormire in santa pace accidenti. Mugugnai in quello stato di semi incoscienza nel quale mi trovavo e cercai di pormi il cuscino sulle orecchie, in modo da non sentire …
Sarebbe stato bello se lo scocciatore mattutino se ne fosse andato. Ma naturalmente, cosa avrebbe avuto di meglio da fare la mattina, se non rompere le scatole a me?
Considerando lo scocciatore, niente. Dopotutto io ero il suo passatempo preferito.
“Andiamo Maaaaaaaaaaaar!!!! Lo so che ci sei tanto eh? È inutile che ti nascondi!” la voce ridacchiò mentre continuava a bussare insistentemente alla porta della mia stanza.
Mi vennero in mente in quel momento una cinquantina di modi per uccidere lentamente una persona. Sospirai affranta. Mi mancava la materia prima. Non possedevo né un coltello, né una pistola, e non ero neppure sveglia abbastanza per vincere un corpo a corpo, o uno sguardo a sguardo con lui.
“Entra deficiente!” biascicai tirandomi le coperte fin sopra la testa.
La porta si aprì e si richiuse.
“Ma allora stavi ancora dormendo!” si finse sorpreso.
“Ma come? Non ti è suonata la sveglia?” continuò sghignazzando.
Feci uscire gli occhi da sotto la coperta e lo fulminai con lo sguardo.
“Te ne vai?” biascicai. Dovevo riprendermi!
“EEEEeeeeeeemmmh NO!!!!” esclamò illuminandosi.
“Ma che ore sono?”
“Le sei e trenta!!” mi rispose sempre più soddisfatto.
Mi misi a sedere velocemente. Fui talmente brusca che quasi lo spaventai.
“Coooosa?”.
Il suo sorriso divenne talmente ampio da andare oltre le orecchie. Si stava divertendo fin troppo. Si sedette sul letto vicino a me.
“Ma tu sei un cretino!” esclamai circondando il suo collo con le mie mani iniziando a scuoterlo.
“Pazzo, deficiente me la paghi!” dissi continuando la mia opera.
“Mmm dovrei farlo più spesso!” replicò maliziosamente.
Lo guardai sbigottita. Rischiava la morte eppure continuava a fare il don Giovanni. Sì, era decisamente stupido.
Mi prese i fianchi e mi attirò verso di sé, facendo aderire il mio corpo al suo.
Fu allora che mi resi conto in che razza di posizione ero finita per cercare di strozzarlo.
Ero finita a cavalcioni su di lui.
Rob si stava eccitando, insomma dopo avermi spinta verso di lui lo sentivo. Bè sicuramente il mio abbigliamento faceva la sua parte.
Se il mio striminzito pigiamino poteva definirsi un indumento.
Passò le mani sulle mie cosce nude. Possessivamente.
Era bravo. Sapeva accarezzare. Stavo decisamente perdendo la razionalità.
Il problema era che con Rob questo era un problema. Un grosso problema. Non si poteva mai abbassare la guardia con uno di noi.
Poi io e lui non ci eravamo mai spinti così avanti. C’eravamo limitati a qualche strusciamento e qualche bacio provocatore. Insomma! CON LUI NON POTEVO ANDARE OLTRE!
E non volevo.
Però decisi di usare la situazione a mio vantaggio. Mi avvicinai sensuale alle sue labbra e sospirai “Dovrei tentare di ucciderti più spesso …”.
Lui annuì impercettibilmente continuando a tenermi stretta a sé.
Mi spostai verso le orecchie.
“Buon giorno Rob!” gli sussurrai prima di iniziare a mordicchiargli il lobo.
Sentii la sua presa sui miei fianchi aumentare, farsi più possessiva.
Sentivo i suoi respiri accelerare.
Era il suo corpo stesso a urlarmi di andare oltre.
Come poter ignorare un simile richiamo? Ghignai. Alla fine quel risveglio sarebbe stato divertente.
Iniziai a percorrere con le mani il suo corpo.
Mi insinuai sotto i pantaloni senza slacciarli, avvicinandomi alla sua mascolinità.
Lui era decisamente eccitato.
Ghignai più che soddisfatta. Mi avvicinai alle sue labbra e iniziai a baciarlo.
Il bacio iniziò dolce per poi crescere e diventare sempre più passionale. Focoso. Caspita se mi voleva.
Era il momento.
Presi il suo labbro inferiore tra i miei denti e …
Lo morsi. Con tutta la forza che avevo. Lui indietreggiò di colpo sorpreso.
Mi alzai in piedi e incrociai le braccia al petto. Sorrisi. Obbiettivo raggiunto.
“Ma cos …” iniziò, ma non lo lasciai finire. Mi avvicinai minacciosa al suo viso.
“La prossima volta che mi svegli prima della sveglia lo faccio con il tuo pissellino!” gli dissi beffarda.
Poi mi allontanai. Lui si alzò. Sembrava scosso. Dopotutto non era bello essere mandati in bianco.
La sua irritazione mi mandava in estasi. Estasi. Era proprio la parola giusta.
Poi, per infastidirlo ulteriormente, decisi di vestirmi davanti a lui.
Iniziai lentamente a sfilare i pantaloncini che indossavo.
Lui, che intanto stava controllando i danni al labbro si bloccò di colpo. La mia soddisfazione arrivava alle stelle.
Proseguii col togliermi la canottiera.
Riassunse il suo solito ghigno.
“Ti piace il masochismo eh?” ammiccò.
“Mi dispiace non sono dotato di frusta…. Ma vedo che si possono usare anche i denti!”. Si avvicinò e me li mostrò con finta minacciosità.
“Non ti sto provocando Rob!” precisai, ormai in biancheria.
“Mm, mm!” annuì focalizzando l’attenzione sui miei seni.
“Caren ce le ha più grosse …” si limitò a dire.
“Cosaaa?” chiesi leggermente infastidita.
“Ti dà fastidio eh?” sogghignò più che soddisfatto della mia reazione.
“Essere paragonata a lei si!” ribattei facendo una smorfia “E’ come cercare di mettere a confronto miss universo e una nerd! Insomma la nerd avrà tette, ma Rob …” e mi avvicinai pericolosamente alle sue labbra “ … non c’è paragone …” conclusi con voce suadente.
Lui deglutì a vuoto. Cercava di non mostrarsi debole. Cercava di non farmi vedere che crollava davanti al mio fascino.
Cercava, appunto. Ma ottenne scarsissimi risultati.
Una rinnovata gioia esplose in me e mi tuffai nella valigia, che ancora non avevo disfatto, per cercare qualcosa da mettermi.
Lui era rimasto lì immobile. Stregato. E tutto ciò senza usare i trucchetti. Avevo sempre sottovalutato il potere di essere donna, ma due volte in due giorni questo nuovo potere aveva mostrato i suoi frutti.
Alla grande. Diciamo che avevo un punto in più di Alan così. Un organo che lui non possedeva …
“Allora colazione?” gli domandai prendendo la borsa.
“Yes baby!” rispose con ritrovata allegria.
“Bene!”. E chiusi la porta alle nostre spalle.

“Mi sembri stanca! Ti sei svegliata presto sta mattina?” mi domandò retorico non appena raggiungemmo la strada. Gli dedicai un falso sorriso. Voleva provocarmi. Fantastico! Io non gliel’avrei permesso!
“Bè a dir la verità ho avuto una serata movimentata!”.
Sbarrò gli occhi. Non si aspettava una simile risposta. Si riprese immediatamente.
“Bè anche io e CAREN …” iniziò alzando il volume della voce mentre faceva il nome di quell’essere “ … abbiamo lavorato parecchio …” un po’ di suspances, dio voleva sempre essere così teatrale. Sbuffai e lui concluse “ …sotto le coperte!”.
“Complimenti Rob! Hai battuto il tuo record! Ci hai messo una mattinata a finire una frase!” ridacchiai.
Lui si finse offeso.
“Allora non ti racconto niente!” mugugnò mettendo un muso falsissimo e girando il volto dall’altra parte. Era un pessimo attore.
“Noooo ti prego …” iniziai sarcastica. “Come farò se non mi racconti della tua nottata con quella cosa??” finsi dei singhiozzi.
“Rob, sono distrutta!”.
Lui sghignazzò di fronte alla mia reazione.
“Allora ti dovrò raccontare tutto!” esclamò. Ci mancò poco che si mettesse a saltare come un bambino di 5 anni che ha appena ricevuto un regalo.
Alzai gli occhi al cielo e lui precisò “L’hai voluto tu!”.
Sbuffai.
3, 2, 1 OFF. Il mio cervello era stato spento. O almeno così sperai. Purtroppo sentii tutto quel vomitevole racconto.
“Bè devi sapere che lei si è comprata apposta per ME …” e sottolineò le ultime parole “… un completino mooolto sexy. Insomma Mar! Dovresti iniziare ad usarli anche tu!”.
Odiavo essere paragonata a quella ragazza. E lui lo sapeva. Puntava su questo. Sospirai.
Lo guardai sbattendo le palpebre in modo civettuolo “Non mi sembrava che prima ti dispiacesse più di tanto il mio completino …”.
“Colpito!” disse ridendo. Rob che ammetteva una sconfitta? Ci doveva essere sotto qualcosa.
“Andiamo a letto?” infatti.
“Cretino!” ribattei tirandogli uno schiaffo sul braccio.
PAZZA! Non sai cosa ti perdi!”.
“Immagino potrei chiederlo a Caren… oh già è vero! Lei non ha nessuno con cui paragonarti!” conclusi con un sorriso perfido sulle labbra.
“Perché ama solo me!” esclamò convinto Rob.
“Si certo!” risi. Era proprio sciocco.
Non capivo se lo credesse davvero. Ma una cosa era certa. Caren poteva essere anche la più debole del gruppo, ma noi non amavamo, non ne avevamo le potenzialità e le capacità, fine del discorso. Neppure se Robert fosse stato il tipo più affascinante del mondo ( e non lo era) Caren si sarebbe innamorata di lui!
Continuammo con le battutine finchè non raggiungemmo il bar nel quale ero stata il giorno prima con Josh, Terry e Mike.
Entrammo e prendemmo posto.
Una cameriera piuttosto giovane, probabilmente una studentessa, si avvicinò.
“Cosa volete ragazzi?” e lanciò un’occhiata piuttosto eloquente a Rob. Bleah!
Naturalmente, figuriamoci se a lui fosse passato inosservato quel gesto. Assunse l’espressione da conquistatore più assurda che potesse trovare. Mi dovetti impegnare per trattenere le risate.
Invece la ragazza sembrava esserci cascata. Guardava Rob negli occhi estasiata.
Poi la vidi perdere nel suo sguardo.
“Vuoi uscire con me?” chiese leggermente trasognata.
“Rob!” esclamai tirandogli un calcio sulla gamba.
“Ahi!” si lamentò lanciandomi un’occhiataccia. La ragazza arrossii e si volatilizzò.
“Daaaaai non puoi usare i trucchetti davanti a me e sperare che io non me ne accorga!” riflettei come se fosse ovvio.
Lui fece spallucce.
“Tanto era comunque già ai miei piedi! Ho solo accelerato i tempi!”.
“Oh povera Caren! Stasera non farà proprio niente!” ghignai di fronte a quella prospettiva.
La cameriera tornò al nostro tavolo bordeaux.
“Oh d-dimenticati di p-prend-dere le ord-d-dinazioni!” lanciò un’occhiata fugace a Rob e, se possibile, arrossì ancora di più.
“Brioches alla nutella e un caffè!” ordinai prontamente.
La ragazza però non scriveva. Era troppo imbarazzata.
Sbuffai spazientita. Doveva capitare proprio a noi quella stordita?
Le strappai il blocchetto dalle mani e scrissi la mia ordinazione mentre Rob allungò la mano verso di lei.
“Piacere. Io sono Robert Swish!”.
“M-madeline!” rispose l’altra porgendogli la mano. Lui la afferrò con la sua e la accostò alle labbra.
Il baciamano, BLEAH!
Non esisteva nessuno al giorno d’oggi che ancora faceva il baciamano. Io gli avrei vomitato in faccia ad uno così.
Madeline invece sembrava in estasi, come se una delle creature più affascinanti del pianeta la stesse degnando della usa attenzione.
Osservai Rob in quei brevi secondi e rimasi sorpresa. Non stava usando i trucchetti. Stava imparando anche lui ad usare il suo fascino di uomo. Infondo non era brutto, ma insomma c’era di meglio.
Ma naturalmente quale ragazza non pensava che occhi azzurri e capelli biondi fossero la combinazione perfetta.
La combinazione perfetta non faceva l’uomo perfetto.
“Stasera alle 5 sarò qui allora!” esclamò Rob con quell’espressione da latin lover.
Ridacchiai. Era troppo divertente.
La ragazza annuì soddisfatta. Sicuramente non appena fosse sparita alla nostra vista avrebbe lanciato un gridolino di gioia. Quanto erano prevedibili le donne.
Ringraziai il fato per essere diversa. Ringraziai il fato perché mi portò ad Alan.
“Visto?” mi domandò Rob interrompendo bruscamente il filo dei miei pensieri.
“Cosa?”
“Che ho fascino!”. Risi. Di gusto. Sciocco e narcisista, se avesse potuto si sarebbe fatto sé stesso.
“Sì certo!” ribattei caricando le parole di sarcasmo.
Lui si finse offeso e mise il muso.
“Mar!” nel sentire il mio nome pronunciato con così tanta contentezza mi voltai.
Mike si stagliava sull’ingresso, bello e misterioso, come sempre.
Sorrisi. Avevo fatto colpo. Non gli era bastata una notte. Voleva di più.
Lo salutai con la mano e con voce civettuola gli urlai “Daaai Mike vieni a sederti!”.
Vidi dipingersi sul volto di Rob lo stupore. La mia gioia si moltiplicò. Non era l’unico ad aver fatto conquiste.
Mike, contento delle mie attenzioni nei suoi riguardi, si avvicinò con passo sicuro e spavaldo al nostro tavolo, seguito da Josh che sbadigliava senza ritegno.
Il primo prese posto accanto a me, l’altro vicino a Rob.
“Come mai così mattiniera?” mi domandò con un sorriso malizioso Mike. Una domanda ricca di sottintesi. Sottintesi che mi richiamavano alla mente quella notte. Sì, forse avrei potuto concedergli il bis.
“Avevo voglia di incontrare gente interessante …” risposi lanciandogli uno sguardo accattivante.
Lui si indicò “Parli di me?” si finse sorpreso.
Annuì.
“Ehm ehm!” Rob tossicchiò per farsi notare. Sbuffai e con voce stanca dissi “Mike, Josh, lui è Rob!”.
Mike sicuro di sé gli porse la mano cercando i suoi occhi. L’errore più grave che potesse fare.
Vidi per una frazione di secondo Mike immobilizzarsi e Rob fissarlo con odio.
Perché odio? Non capivo. Capivo solo che mi dava fastidio che lo stesse facendo davanti a me.
Gli sferrai un calcio, fu costretto a distogliere lo sguardo da quello di Mike.
“Ahi!” sibilò. Mike si comportò come nulla fosse. Dopotutto on poteva accorgersi di niente.
“E comunque è mattiniera perché l’ho svegliata io!” esclamò sorridendo sicuro di sé a Mike.
Lui fece spallucce, era evidente che le sue parole non gli interessavano. Ero io l’oggetto del suo desiderio.
“Allora … pensi di essere libera sta sera?”. Non rimasi sorpresa dalla domanda.
“Mmm dovrei consultare la mia agenda …” dissi.
“Ah! È liberissima!” si intromise Rob. Lo fulminai con lo sguardo. Ma perché doveva sempre rovinare tutto. io stavo cercando di giocare con quel ragazzo, di farlo diventare a mia marionetta e tutto senza usare le mie facoltà, e lui cosa faceva? Distruggeva sotto i miei occhi tutti i miei tentativi.
“Anzi! Potreste uscire con me e con quella ragazza là!” continuò indicando Madeline.
“Uh-uh carina eh!” ridacchiò Josh che si era appena risvegliato dal letargo.
“Eeee sì!” aggiunse Robert guardandomi con aria di sfida.
Ci aveva invitati a uscire con loro per mettermi i bastoni tra le ruote! Voleva far crollare tutti i miei progetti, o comunque ostacolare qualsiasi cosa avessi in mente.
Probabilmente si sarebbe considerato soddisfatto se io fossi stata mandata in bianco.
Voleva la guerra? E guerra avrebbe avuto. Ma io avrei giocato sporco!
“Per me è ok!” risposi alla proposta di uscita di Rob con esagerata allegria.
Lui rimase sorpreso della mia reazione, ma si riprese immediatamente.
“Fantastico!” si entusiasmò.
“Alle 8!” precisò Mike prima di alzarsi.
Ammiccai “A dopo!” sussurrai con la voce più sexy che ero in grado di fare. Funzionò. Mise possessivamente una mano dietro la mia nuca e avvicinò il mio viso al suo. Mi lasciò un dolce bacio sulle labbra. Sarei stata felice di concedergli il bis.
Mentre si allontanava mi leccai le labbra come se volessi fargli vedere che volevo sentire il suo sapore.
“E tu te la fai con quello?” domandò schifato Rob.
“Zitto che tu te la fai con Caren!” ribattei inviperita.
“E’ meglio di quello là!” ribattè stizzito.
“Se tu andassi a letto con Mike la penseresti in maniera diversa …” sospirai maliziosamente. Tutto per farlo innervosire. Ci riuscii. Sembrava davvero poco soddisfatto di non essere riuscito ad avere l’ultima parola. Così per evitare che ribattesse mi alzai.
“Grazie per avermi offerto la colazione!” ridacchiai. Il conto da pagare era un buon risarcimento per avermi svegliata alle sei e mezza. Quella sera ci sarebbe stata la mia vendetta. Ghignai alla prospettiva.
Ma avrei dovuto aspettare ore per attuare il mio progetto. Nel frattempo avrei dovuto seguire le lezioni.

Presi posto in fondo, il più in fondo possibile. Volevo poter avere una perfetta visuale sui miei compagni di corso, avrei sempre potuto trovare una cavia ancora migliore del topo con gli occhiali che avevo difeso il giorno prima.
Sospirai. Non avevo la minima voglia di fare lezione, ma d’altra parte ero curiosa. Non sapevo niente di psicologia, psichiatria e quant’altro. Senza contare che tutto ciò mi sarebbe servito. Sarebbe servito a essere come Alan.
La mia grande ambizione.
“S-scusami …” la ragazza con gli occhiali del giorno prima era comparsa al mio fianco. Ma che coincidenza.
Sul mio volto si aprì un sorriso di soddisfazione.
“Dimmi!” mi rivolsi a lei gentilmente.
“Io, ecco io … sì bè volevo ringraziarti …” iniziò fissandosi le scarpe piuttosto in imbarazzo. “P-er quello che hai, bè che hai fatto ieri!”.
“Oh per quello!” ribattei come se non me lo ricordassi neppure.
“Non è niente, ti ho vista in difficoltà e ti ho aiutata, tutto qui! Avresti fatto lo stesso!”.
“Non credo!” sussurrò “Io sono terrorizzata da quei tizi. Mi tormentano dalla prima media, non sono mai riuscita a sbarazzarmene!” .
Interessante. Mike era utile per due motivi dunque. Il sesso e avevo bisogno delle sue minacce per far sì che quella sciocca ragazza si fidasse cecamente di me.
“Mar!” mi presentai porgendole la mano.
“Emily!” disse stringendola.
“Vuoi sederti vicino a me?” le domandai. Sembravo una bambina dell’asilo con la sua prima amichetta. Speravo funzionasse.
“Volentieri, ma da qui non vedo la lavagna!” sospirò indicandosi gli occhiali.
“Oh!” ribattei fingendomi mortificata “E’ vero scusami! Quasi non si notavano!” mentì sorridendole.
“Vieni con me d’avanti?” mi domandò. La vittima l’avevo trovata, se mi fossi messa vicina a qualcuno Rob non si sarebbe seduto vicino a me per tormentarmi.
“Perché nò?” e cambiai posto.
Era davvero una secchiona! Addirittura in prima fila. Sembrava fosse estasiata dal sentire l’alito dei professori su di sé. Feci una smorfia di disgusto a quei pensieri mentre vidi Rob e Caren fare il loro ingresso in aula.
Rob perlustrò la sala con lo sguardo, cercandomi. Non appena mi vide prima assunse un’espressione stupita, poi il suo viso si tramutò in un ghigno vedendomi seduta vicino a Emily.
Ebbi un’illuminazione. Potevo usare tutta la faccenda a mio vantaggio, dovevo solo giocare bene le mie carte.
Quella intuizione era davvero geniale. Mi compiacqui con me stessa. Ero davvero furba!
Iniziai a chiacchierare amorevolmente con la mia vicina nerd. La facevo ridere e sentire a suo agio. Ogni tanto mi assicurai che Robert mi stesse guardando. E lui ogni volta, puntualmente fissava i suoi occhi celesti su di me, occhi che erano sempre più felici e euforici. Macchinava qualcosa ma non era l’unico.
La lezione iniziò.
Non dico che presi appunti. Non l’avevo mai fatto in vita mia e non avrei sicuramente iniziato in quel momento. Ascoltai però, tutto il tempo. Mi stupii di quanto trovassi l’argomento interessante.
Stava parlando della nascita della psicanalisi con Freud. Rimasi particolarmente attratta quando parlò di ipnosi, una forma di cura che Charcot, amico del padre della psicanalisi, utilizzava per guarire i suoi pazienti dall’isteria.
L’ipnosi mi ricordava molto lo stato di catalessi in cui Alan faceva cadere le persone per farci imparare a condizionarle. Quello stato di semi coscienza nel quale il paziente non si rende conto di quello che fa, ma fa esattamente ciò che gli viene detto di fare.
Decisamente quella scienza aveva molte cose in comune con il nostro stile di vita.
Mentre io assorta ascoltavo Emily scriveva come un’ossessa, sembrava non si fermasse mai.
Mi stupii che dopo un ora e mezza non avesse iniziato ad ansimare per lo sforzo.
“Non ti fa male il polso?” le sussurrai.
“Cosa?”.
“Il polso. Mi domandavo se non ti facesse male! È un’ora e mezza che scrivi!”.
Mi sorrise e si tirò su gli occhiali che intanto le erano scesi lungo il naso.
“Sono abituata!” fu la sua breve risposta prima di riiniziare tormentare con la bic quel povero quaderno.
Se lei fosse stata così fredda non avrei MAI potuto attuare il mio piano.
“Senti …” le sussurrai nuovamente.
“Shhh non ora!” ribattè “Sta spiegando il sogno!”.
“Sì ma io non riesco proprio a capire un accidenti! Non è che mi potresti dare una mano?” le chiesi fingendomi supplice.
“Ok ok! Ma dopo la lezione!”. Sorrisi. Tutto sarebbe andato secondo i miei piani.

Dopo tre ore di lezione continua nemmeno l’interesse che suscitava in me quell’argomento mi permise di non chiudere gli occhi.
Forse era per le poche ore di sonno della notte precedente, o forse era perché non avevo mai sentito una persona parlare con una voce così tanto monotona per tutto quel tempo. Fatto sta che faticavo a tenere gli occhi aperti.
“Si ma se dormi è ovvio che non capisci niente!” mi rimproverò qualcuno con la voce da saputella.
“Mmm?” mugugnai.
“Ooooooo svegliati su!” mi disse la voce scuotendomi appena.
“Ma cos …?” mi ritrovai davanti un’Emily decisamente seccata. Sarebbe stato più difficile del previsto sopportarla. Dovevo velocizzare i tempi del mio esperimento o non avrei retto!
“La lezione è finita!!” ribadì lei leggermente spazientita.
Mi ci volle tutta la mia forza di volontà per non traumatizzarla con uno sguardo. Feci un respiro profondo. Per calmarmi!
“Sì scusami!! Non sono abituata a stare attenta per tutto questo tempo!”.
Mi sorrise diventando improvvisamente comprensiva “Ti capisco. Anche per me era così all’inizio! Poi ti ci abitui! Sai che devi fare?” mi chiese con aria da maestrina. Cioè lei stava tentando di insegnare a me. A ME?
“No!” sbottai senza gentilezza. Lei fortunatamente sembrò non accorgersene.
“Prendi appunti!” esclamò sventolandomi sotto il naso il suo quaderno “Aiuta a stare attenti, se no anche io mi addormenterei dopo dieci minuti!” continuò sorridendomi amichevolmente.
Stavamo iniziando a essere amiche. Bene! Questo mi fece tornare il buonumore.
“Allora lo farò, contaci! Grazie per il consiglio!” e le regalai il sorriso più dolce e riconoscente che fossi in grado di fare.
Lei sembrò gradire. Ero proprio un’ottima attrice. Mi sarei dovuta candidare per l’oscar!
Intanto raccolsi le mie cose e mi diressi con lei a fianco verso la porta dove ad aspettarmi c’erano Rob e Caren. Sbuffai. Non avevo voglia di incontrare Caren, ma d’altra parte avevo bisogno di Rob per il mio piano. Peccato che il pacchetto comprendesse anche quella specie di ragazza. Prendere o lasciare. Ero troppo ambiziosa per lasciare.
Prendere, decisamente.
“Ragazzi!” li salutai con un cenno della testa. Emily, imbarazzata teneva gli occhi bassi. Mossa che si rivelava esatta dopotutto. Era pericoloso alzare gli occhi in presenza di tre di noi.
Rob ghignò, quella smorfia fu tutto ciò che volevo vedere. Significava che il suo insulso cervellino stava macchinando qualcosa. Qualcosa per farmi un dispetto.
Stava cadendo nella mia ragnatela.
“Mar, Mar, Mar …” iniziò divertito “ … Ma che modi sono questi? Te ne vai senza nemmeno presentarci la tua AMICA?” continuò squadrando Emily da capo a piedi con approvazione.
Caren, inviperita, gli lanciò un’occhiataccia. La sua gelosia mi rendeva immensamente felice. Poi temendo di essere stata scoperta aprì le sue labbra in un ghigno.
“Sì Mar! Presentacela!” disse maligna, facendo così trasparire tutta la rabbia repressa che covava dentro . la mia soddisfazione raggiunse l’apice.
Sbuffai come se la cosa mi infastidisse. Sapevo che ogni mia reazione era monitorata da Rob. Dovevo stare attenta.
Quella volta non avrei dovuto solo recitare, ma anche immedesimarmi completamente nella parte.
Sono una brava ragazza, sono una brava ragazza, sono una brava ragazza.
Mi dà fastidio che Rob parli con Emily, mi dà fastidio che Rob parli con Emily.
“Ma certo!” esclamai con finta cortesia “Emily, lui è Robert e lei è Caren!”. Feci fatica a non pronunciare con disprezzo quest’ultimo nome, ma tuttavia riuscii nel mio intento!
Caren, di fronte a un Rob sempre più interessato a squadrare Emily, si spazientì e girò i tacchi borbottando un ciao.
“Emily eh?” disse Rob con interesse, rivolto alla timida ragazza. Lei arrossì visibilmente.
Era l’ora di rincarnare la dose.
“Allora Emily? Ci vediamo questo pomeriggio?” le domandai cortese.
Lei staccò gli occhi dal pavimento e mi guardò.
“Non posso, mi dispiace! Domani ho un esame molto importante!”.
“Esame?”.
“Seguo i corsi per due lauree. Questa e quella di chirurgia!”. Sbarrai gli occhi per la sorpresa. Era proprio una secchiona con i fiocchi e i controfiocchi!
“Ok! Grazie lo stesso!” le dissi con finta gratitudine e alzando le spalle come se la cosa non mi importasse.
“Ciao! A domani!” salutai andandomene e lasciando Emily e Rob da soli. Rallentai il passo per sentire cosa si dicevano.
“E’ stato un piacere conoscerti Emily!” esclamò con voce roca Rob. La stava seducendo. Ottimo!
Mi voltai e lo fulminai con lo sguardo. La ragazza non se ne accorse, lui naturalmente sì. Mi sorrise soddisfatto.
Aveva capito che quella ragazza mi serviva, ma non sapeva per cosa, sapeva solo quello che io avevo cercato di fargli credere. Cioè che volevo che le stesse alla larga.
Stava perciò facendo l’esatto contrario. Perfetto.
Nei pochi istanti in cui mi voltai vidi Emily alzare gli occhi e perdersi in quelli di Rob.
Fantastico! Tutto procedeva secondo i miei piani. Ero davvero un’abile stratega, mi domandai se Alan possedesse almeno la metà delle mie capacità. Probabilmente sì, ma mi sentivo potente ugualmente.


Mike arrivò esattamente alle otto meno dieci sotto il palazzo nel quale alloggiavo.
Citofonò.
“Si?” mi ero chiesta chi cavolo poteva essere.
“Mike, scendi Mar!”.
Rimasi sorpresa nel trovarmelo sotto casa.
“Mike!” esultai ricordandomi che ero una brava ragazza, o almeno dovevo sembrarlo. Gli saltai al collo con finta disinvoltura come avevo visto fare nei fil americani alle ragazzine innamorate.
“E cos’è tutto questo entusiasmo?” domandò lui scrutandomi con quei suoi bellissimi occhi misteriosi.
“Odio questa Mar!” disse senza troppi giri di parole.
“Anche io!” concordai. Con lui potevo essere me stessa dopotutto. Era abbastanza stronzo da non reputare i miei comportamenti meschini e superficiali anormali.
Gli sorrisi maliziosa e lo spinsi verso il muro. Poi ghignai.
“Non hai via di scampo, lupo!”.
Avvicinai la mia bocca alla sua e sensualmente gli mordicchiai il labbro inferiore.
Lo infiammai. Con un rapido gesto le posizioni si invertirono e mi ritrovai io contro il muro e lui che mi baciava con una passione ardente.
Le sua mani scivolavano voraci sul mio corpo, e le sue labbra tormentavano le mie. Lo volevo.
Ma avevo un compito quella sera. Dovevo far capire a Rob che mi potevo divertire anche se c’era lui a rompere le scatole. Non vedevo l’ora di guardarlo negli occhi e leggere in essi la delusione per non essere riuscito a farmi arrabbiare durante la serata.
Quello sarebbe stato soddisfacente almeno quanto avere un orgasmo.
Mi staccai a malavoglia dalle buone labbra di Mike.
“Dobbiamo andare!” esclamai con voce roca per l’eccitazione.
Lui fece un sorriso lupesco. Poi fece spallucce.
“Me la pagherai questa!” sorrise malizioso.
“Non vedo l’ora!” ribattei io ridacchiando di fronte a quella prospettiva.
“A proposito … come sapevi dove abito?” domandai curiosa.
“Robert mi ….” Non appena sentii il nome capii tutto, prima ancora che finisse la frase “ … ha detto che abitavate qui. L’ho incontrato prima! Ci dobbiamo trovare al bar di sta mattina tra …” e guardò l’orologio “ … due minuti!”.
“OK!”.
Mi sorrise e fece per prendermi la mano. Mi ritrassi di fronte a quel gesto con una smorfia di disgusto.
“Non ce la faccio proprio a fare cose così …” costatai come se fosse la cosa più schifosa del mondo.
“Dimenticavo che con te i soliti metodi non funzionano!” ribattè sogghignando.
“Perchè io sono speciale!” esclamai sorridente.
Lui fece spallucce. Non l’avrebbe mai ammesso. Sembrava addirittura, dispiaciuto.
Dio com’erano fragili gli uomini! Bastava che una ragazza fosse un po’ fuori dalla norma ed essi subito crollavano ai suoi piedi. E il bel Mike era proprio crollato. Lo vedevo in quello sguardo deluso che cercava disperatamente di nascondere. Lo vedevo in quel finto sorriso sicuro che nascondeva incomprensione.
I miei pensieri furono interrotti da Rob che ci attendava di fronte al bar.
“Pensavamo che vi foste persi!” disse con ironia ammiccando in mia direzione.
Io, però, non gli prestai attenzione perché, come Mike, guardavo con stupore la sua accompagnatrice.
Quella ragazza non era decisamente la cameriera del bar.

 

Alloraaaaaaa!! In questo capitolo non so proprio da chi iniziare con i RINGRAZIAMENTI!
Non mi aspettavo affatto che lo scorso capitolo avrebbe avuto così tanto successo …. E invece!!
Bè parto da coloro che hanno recensito: ALLYU’_92, ALYDRAGNEEL e SWADOWDUST!! Non so come farei senza di voi!!
Poi devo ringraziare chi ha messo la mia storia tra le preferite, le ricordate e le seguite …. Adoro di cuore anche voi!!!
Quindi grazie grazie grazie!!
Spero di non deludervi con questo e con i prossimi capitoli.
Fatemi sapere cosa ne pensate!!!!!! Accetto sia critiche positive che negative, quindi RECENSITE!! : )
Daisy  

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Capitolo 9
*** CAP 8 ***




GLANCES GAME -- GIOCO DI SGUARDI




CAP 8

Lei a sua volta ci guardava esterrefatta, con un misto di timore e disperazione negli occhi. Non guardava me, quanto piuttosto lui.
Vidi i suoi occhi diventare lucidi. Dovevo intervenire o sarebbe scoppiata in lacrime davanti a tutti.
Odiai Rob in quel momento, più di quanto lo odiassi solitamente. Il che era tutto dire!
Così rischiava di mandare a monte tutti i miei piani! Emily non doveva sapere che io uscivo con il “cattivo ragazzo” , per non dire stronzo, che le aveva rovinato la vita.
E invece quest’ultima era davanti a me e stava per inondarmi con un  fiume di lacrime.
Volevo uccidere Rob.
Avrei ucciso Rob.
Ma prima dovevo salvare la situazione.
“Ciao Emily! Che bello vederti!” le sorrisi con finto entusiasmo. Lei sembrò riprendersi. Ricacciò indietro le lacrime.
Io le mimai con le labbra “Poi ti spiego!” e lei annuì semplicemente.
Sospirai leggermente sollevata. Almeno le cose non erano irrimediabilmente precipitate.
Possibile che si fidasse di me dopo solo nemmeno un giorno di conoscenza?
Grandioso! Questo mi fece riflettere.
Forse avrei potuto usare, ancora una volta, la stupidità di Rob a mio vantaggio.
“Dove si va?” chiesi agli uomini guardando Emily per cercare di infonderle un po’ di coraggio.
Lei mi sorrise riconoscente.
“Conosco un ottimo pub  dove fanno degli hamburger stupendi e dei cocktail da favola!” esclamò con sicurezza Mike, senza prestare troppa attenzione a Emily.
“E hamburger sia!” esclamò Rob con un sorriso che gli arrivava da un orecchio all’altro.
Era troppo contento. Si era reso conto di avermi messa doppiamente in difficoltà portando Emily. Soprattutto aveva capito che tra lei e Mike non scorreva buon sangue. E se non l’aveva intuito fu costretto a farlo dall’esclamazione che fece poco dopo Mike.
“Ma Rob dov’è finita quella gnocca del bar? Ti porti davvero dietro questo topo con gli occhiali?” sibilò velenoso.
Gli occhi di Emily si inumidirono nuovamente.
Era la mia occasione. Gli tirai una forte gomitata nello stomaco. Ghignai soddisfatta per il mio gesto.
Primo perché così la mia funzione di paladina della giustizia sarebbe stata svolta alla perfezione, secondo perché nessuno, e ribadisco NESSUNO, poteva chiamare un’altra gnocca in mia presenza!
Lui si piegò in due dal dolore, e il suo lamento fece ridere tutti, da me a Rob e persino Emily si unì soddisfatta al coro.
Rob le toccò leggermente la spalla come per tranquillizzarla. Poi vedendo che mi ero accorta di quel gesto mi lanciò uno sguardo e un sorriso strafottenti.
Gli ghignai di rimando. Tanto quella che davvero ci stava guadagnando qualcosa in quel momento ero io!
Solo che lui non doveva notarlo.
“Ma cos …?” cercò di articolare col fiato corto Mike.
“Andiamo?” dissi simulando impazienza.
Ridacchiando Rob annuì e iniziò ad incamminarsi con Emily al suo fianco.
Io li seguii senza preoccuparmi per Mike.
“Hei! Raggiungici quando vuoi!” esclamai divertita più che mai.
Lui sembrò volermi fulminare con lo sguardo. Il mitico Mike piegato in due da una ragazza. Josh avrebbe riso per ore, anzi avrei dovuto raccontarglielo prima o poi!
Mi affiancai soddisfatta a Rob.
“Ho fatto bene a uscire con te! Sapevo che il divertimento sarebbe stato assicurato!” sussurrò con un sorrisone stampato sulle labbra senza farsi sentire da Emily.
“Tu lo sai che prima o poi ti ucciderò, vero Rob?” dissi tra i denti.
“Non ne dubito. Ma penso che prima ucciderai LUI!”.
Gli sorrisi. Probabilmente, una volta tanto, aveva ragione. Quella non sarebbe stata una facile serata per Mike.
Quest’ultimo mi raggiunse poco dopo e mi mise una mano sulla spalla, con fare possessivo. Lo lasciai fare. Non era ancora il mio momento.
“Ma cosa ti è preso?” mi chiese.
Gli sorrisi sadica “Adoro fare la brava ragazza!”.
“E’ per questo stendi le persone?” mi domandò sbigottito.
Feci spallucce “Anche …” poi gli regalai un sorriso seducente. Lui recepì il messaggio.
“E per cos’altro le stendi?” ammiccò.
“Se vuoi dopo te lo mostro!” gli sorrisi sensuale.
Lui si illuminò. La mia felicità aumentò a dismisura. Leggevo nella sua espressione che sperava nel dopo serata. Perfetto!
“Allora Emily! Come mai qui con Rob?” le chiesi con cortesia.
Lei abbassò gli occhi e arrossì come se stesse andando a fuoco.
“Bè Rob, d-dopo ch-che …” iniziò, ma Rob non sopportava chi balbettava così la interruppe.
“Insomma, dopo che ci hai presentati, io l’ho trovata subito una ragazza intelligente e interessante …” e dicendo questo le lanciò un finto quanto nauseante dolce sorriso “ … e così senza preamboli le ho chiesto di uscire!” finì soddisfatto per la propria mossa.
Lo fissai negli occhi come se fossi arrabbiatissima con lui. Lui sorrise ancora di più. Dentro di me esultavo.
Tutto andava secondo i miei piani!
“Già!” confermò lei.
“Io preferivo quella di stamattina!” commentò Mike con strafottenza.
Gli sorrisi freddamente.
“Vuoi un pugno sul naso!” lui sbarrò gli occhi e si affrettò a negare con la testa.
“Allora vedi di fartela andare bene!” finii risoluta.
Non appena vidi l’espressione assunta da Rob non potei evitare di iniziare a ridere. Aveva la bocca spalancata, e lo sguardo stupito e confuso. Comprensibile. Dopotutto non  mi aveva mai vista difendere qualcuno in vita mia e ci conoscevamo da sedici anni!
E quel che probabilmente lo confondeva di più era il non capirne le mie ragioni.
Come avrei potuto non ridere a crepapelle di fronte ad un’espressione del genere?
“Ma che hai da ridere?” sibilò un po’ scontroso Mike.
“La sua faccia è buffa!” esclamai innocente. Cercai di calmarmi e continuammo la nostra camminata verso il pub.
Il tragitto non durò molto.
“Eccoci!” esclamò con ritrovato buon umore Mike.
Il posto si chiamava DrikHouse. All’interno vi erano molti tavolini di legno e al musica era a dir poco assordante. Per parlare bisognava urlarsi nelle orecchie. Non mi piaceva la musica alta, a meno che non mi trovassi in discoteca. In quel caso andava più che bene.
“Emily! Mi accompagneresti in bagno?” le domandai cortesemente.
Lei sorrise e annuì, contenta di sfuggire almeno per pochi minuti di fronte allo sguardo pieno di disprezzo di Mike.
Per fortuna in bagno la musica era decisamente meno forte. Se non altro si poteva parlare con un tono decente.
“Tu esci con LUI?” mi domandò quasi immediatamente Emily, pronunciando il “LUI” con profondo disprezzo.
Sorrisi compiaciuta.
“Lo faccio per te! E per tutte le altre povere ragazze maltrattate da lui!”. Lei assunse un’espressione un po’ scettica, ma si fece anche più dolce.
“Vedrai! Stasera gliela faccio pagare …” a queste parole lei assunse un’espressione interessata.
“Cosa hai intenzione di fare?” domandò.
“Bè lo vedrai! Non voglio rovinarti il divertimento!”.
“Non mi hai ancora risposta!” si imbronciò.
“Allora ieri, dopo la tua fuga …” e dicendo questa le lanciai uno sguardo accusatore “ … mi hai lasciata in balia di quei brutti ceffi. Mi hanno offerto un caffè. Io l’ho preso come una sorta di risarcimento per il tempo che avevano fatto perdere a te e a me con le loro cavolate da ragazzini”.
Lei annuì per indicarmi che stava seguendo.
“Sta mattina l’ho rincontrato al bar e mi ha chiesto di uscire. Quello scemo di Rob ha detto che ero libera e gli ha proposto di uscire con lui e la sua accompagnatrice …” feci una smorfia.
“La bella barista!” constatò con voce triste Emily.
Le presi le spalle e la scossi leggermente.
“NO Emily! NO! Lei gli aveva chiesto di uscire, ma poi sei piombata tu! Vuol dire che gli interessi molto!” esclamai con finto entusiasmo.
Il suo viso si illuminò e sulle labbra comparve un accenno di sorriso.
“Dici?”
“Sì! Fidati. Rob lo conosco da secoli!” e le sorrisi amichevolmente. Lei ricambiò riconoscente.
Guadagnavo punti. Dovevo rincarnare la dose.
“Anche perché se ti facesse soffrire, bè … lo strangolerei!”.
Lei ridacchiò.
“So badare a me stessa!” esclamò convinta. Sì, certo, come no!
“Comunque sia se la dovrà vedere con me!”. Lei sorrise di fronte a quello che sembrava puro interesse tra amici. Non potei trattenermi dal sorriderle a mia volta. L’interesse che stavo perseguendo era solo il mio.
“Ma cosa vuoi fare a Mike?”
“Dai! Non insistere, è una sorpresa!!” gongolai sempre più felice.
Lei sbarrò gli occhi come se avesse avuto un’intuizione. Poi li socchiuse e mi guardò di traverso.
“Non è qualcosa di troppo crudele no?”.
Il mio ghigno partì da un orecchio e raggiunse l’altro.
“Noooo” risposi con sarcasmo “Diciamo che sarà una mazzata per il suo ego maschile!”.
Come si faceva a non gioire di fronte a un piano vendicativo tremendamente perfetto come il mio?
“Non intendi mazzata in senso letterale vero?” mi chiese lievemente preoccupata.
La guardai come se fosse scema. Mike per tutta la vita l’aveva perseguitata e lei non voleva vendicarsi. Ma si poteva essere più deficienti di così?
Scossi la testa per riprendermi.
Sono una brava ragazza, Sono una brava ragazza, Sono una brava ragazza, Sono una brava ragazza.
L’importante era che mi convincessi che fosse vero. Dovevo immedesimarmi alla perfezione.
“Ma vaaaaaaaaa!” le risposi con una risata forzata.
“Tu ti preoccupi troppo!” aggiunsi.
“Andiamo?” mi propose con ritrovata allegria.
“Andiamo!”.
La seguii fuori dal bagno. Se possibile fuori la musica era ancora più alta di come la ricordavo. Sbuffai di fronte a quell’inconveniente. Così non avrei potuto insultare nessuno! O meglio, avrei potuto, ma nessuno mi avrebbe sentita.
Velocemente individuammo i ragazzi e ci unimmo a loro.
Emily goffamente si liberò della giacca che portava rivelando un pessimo dolcevita a mezze maniche. Manco fosse una suora.
Notai con piacere la smorfia che fece Rob nel vedere il suo abbigliamento. La mia felicità raggiunse le stelle. Dovevo ammettere che quella ragazza era meno passabile di Caren. Il che era tutto dire.
Dopo aver ammirato il pessimo spettacolo gentilmente offerto da Emily, la quale non si era accorta degli sguardi di non approvazione, i loro occhi si rivolsero a me curiosi.
Rob perché sapeva come mi vestivo e voleva ammirarmi, anche se non l’avrebbe mai ammesso, e Mike perché voleva vedere cosa avrebbe dovuto scartare.
Mi gustai quei brevi secondi in cui essi aspettavano impazienti che mostrassi cosa avevo sotto.
Sorrisi compiaciuta e con nochalances ma calcolata lentezza mi sfilai il cappotto.
Le espressioni che assunsero furono impagabili.
Rob deglutii a vuoto, poi incontrando miei occhi sorrise malizioso. Prevedibile.
Mike mi fece una radiografia degna di un radiologo, senza mai chiudere la bocca. Ci mancava poco che iniziasse a sbavare! Prevedibile anche lui.
Quella che non fu prevedibile fu la reazione di Emily. Mosse le labbra con sguardo terrorizzato. Non  sentii nemmeno una parola.
“Cosa?” chiesi avvicinandomi.
“Ma ma  questo è un vestito?” mi urlò nell’orecchio.
“Certo!” dissi alzando le spalle.
“M-ma ti copre a malappena il sedere!” esclamò scandalizzata. Ridacchiai della sua reazione.
“Tutto funzionale allo scherzetto che farò a Mike!” mi inventai. In realtà mi ero vestita così perché adoravo avere gli sguardi di tutti puntato su di me. Sguardi ammirati e languidi. Sguardi che avrei potuto catturare con i miei occhi. Gli avrei potuti tutti intrappolare per sempre se il mio esperimento con Emily fosse riuscito.
“Ma sembri una …” intuì quello che stava per dire. Non potei fare a meno di assumere un’espressione minacciosa.
Nessuno poteva definirmi come mia madre. Io mi volevo solo divertire. La mia vita era quella. Non che mi importasse ciò che dicessero gli altri, ma essere paragonata a quella specie di donna non mi andava proprio.
Dopotutto io, se facevo sesso, lo facevo per divertimento, lei per lavoro.
Lei si ammutolì di colpo. Ahi! Mossa sbagliata! Avevo usato i miei occhi per far trasparire la mia ira. Non avrei dovuto farlo. Dovevo concentrarmi.
Sono una bravissima e dolce ragazza.
Le sorrisi.
“Fidati di me!” le sussurrai all’orecchio. Lei annuì.
Fiducia! Era quella la chiave di tutto.
Mi sedetti. Ancora Mike non aveva chiuso la bocca. Sembrava davvero un idiota. Anche Rob aveva notato questo particolare e infatti continuava a ridacchiare.
“Mike! Tutto a posto?” urlai.
Lui annuì affrettandosi a chiudere le sue labbra.
Rimanemmo così per diversi minuti a cercare di parlare con scarsissimi risultati. La musica era troppo forte. Il locale era troppo pieno. E io avevo una gran fame e mi stavo spazientendo.
La cameriera, come se non bastasse, continuava a portare cibo e bibite ai tavoli vicini ignorando allegramente il nostro.
Sbuffai.
“Non verrà mai tanto!” gridò Mike rivolgendomi a me. Bel modo di iniziare la serata.
“E perché?”
“Perché mi odia!”.
Sbuffai. Non avrebbe potuto portarci in un posto dove non c’era nessuno che lo odiava?
Mi stavo decisamente annoiando così decisi di aggiungere un po’ di pepe alla serata.
“Cuore infranto?” domandai.
Lui annuì. Fantastico.
Lo presi per la maglietta possessivamente e lo avvicinai a me. Unii con passione le mie labbra alle sue. Prima di chiudere gli occhi vidi la cameriera far cadere rovinosamente a terra il vassoio che stava portando. Gioì. Mordicchiai il labbro a Mike e quando iniziò ad attirarmi possessivamente contro il suo corpo dolcemente mi staccai.
Rob e Emily erano esterrefatti. A quest’ultima feci l’occhiolino per farle intuire che faceva parte del mio piano, quando invece era solo divertimento personale.
E Rob sembrava … arrabbiato. Se non lo conoscessi avrei scambiato quel comportamento per gelosia. Ma Rob era uno di NOI! Non poteva legarsi così tanto a qualcuno da esserne geloso!
Così sorrisi beatamente e mi alzai con grazia. Mi avvicinai alla cameriera che era impegnata a raccogliere tutto ciò che le era caduto. Mi chinai in modo da essere alla sua stessa altezza.
“Senti! E’ un po’ che aspettiamo, vorremmo ordinare!” urlai cercando di sovrastare la musica.
Lei mi guardò con una faccia sconvolta. Stava per aprir bocca, probabilmente per insultarmi o scusarsi, quando incontrò i miei occhi.
In trappola.  Amavo quella ceca sensazione di potere. Mi stordiva e mi inebriava. Mi dava vita.
Vieni immediatamente al nostro tavolo!
I suoi occhi si persero per un lungo istante nei miei. Poi il mio comando divenne la usa decisione, non avrebbe mai intuito che a decidere fossi stata io. Le persone erano così ingenue! Credevano sempre di essere loro i protagonisti della loro vita, ma se c’eravamo NOI sicuramente non sarebbe stato così.
Si alzò e senza una parola mi seguì.
“Cosa volete?” sibilò con rabbia. Era evidente che le dava fastidio trovarsi in presenza di Mike.
Per aumentare la sua rabbia abbracciai Mike e gli stampai un bacio sulla guancia. Lui mi lanciò uno sguardo perplesso, ma si adattò in fretta alla nuova me, e ricambiò il mio abbraccio.
Ron cercava di trattenere le risate, ma stava per scoppiare. Era l’unico che lì stesse capendo come io me la stavo spassando.
“Hamburger e patatine! Me li portavi sempre!” esclamò Mike.
Era proprio un bastardo, peccato che non lo fosse abbastanza da tenermi testa.
“Anche per me!”.
Rob e Emily ordinarono la medesima cosa. Mangiammo velocemente, eravamo decisamente affamati.
Purtroppo anche dopo aver cenato la cameriera non ci degnava di uno sguardo.
“Io vado al bancone a prendere da bere!” annunciai, e senza attendere risposta mi avviai.
 


La barista era una donna bionda platinata sula quarantina. Sembrava un po’ troppo vecchia per lavorare in un pub, ma cosa ne potevo sapere io? Al massimo frequentavo le discoteche, i pub non erano il mio forte.
Sorridendomi volse il suo sguardo su di me. Aveva degli occhi azzurrissimi. Nonostante fosse in là con gli anni non potei fare a meno di pensare che fosse un gran bella donna.
In più aveva qualcosa di famigliare. Non vi badai più di tanto.
“Dimmi cara!” si rivolse a me gentilmente.
Odiavo le persone che mi chiamavano “cara”. Infondo chi la conosceva?
Mi sforzai di essere gentile nonostante il pessimo umore si impadroniva di me sempre di più. Quella serata stava diventando sempre più noiosa. Le occasioni per divertirmi erano state poche e sembrava che stessero diminuendo sempre di più.
“Coca e Malibù!” urlai.
Lei annuii per farmi capire che aveva sentito.
“Ne faccia 2!” una voce profonda arrivava dritta dritta dalle mie spalle mi voltai.
La prima cosa che notai furono un paio di occhi stupendi. Di un verde così puro da far sciogliere anche una persona fredda come me. Era un verde smeraldo, che aveva qualcosa di prezioso. Uno sguardo puro.
Distolsi immediatamente lo sguardo dai suoi occhi. Mi sentivo a disagio. Strano.
Decisi di osservarlo nell’insieme.
Lui era decisamente un bel ragazzo. Insomma, non era come Mike ma diciamo che era bello.
I capelli erano disordinati, mossi, indomabili, neri come i miei occhi.
Aveva fascino. Sicuramente anche la camicia grigia faceva la sua parte. Questa era tirata un po’ su sulle maniche e intavadevo i suoi avambracci. Muscolosi. Mi sorrise.
“Ottimi gusti!”. Feci spallucce cercando di riprendermi. Non era il ragazzo più bello che avessi mai visto, ma tutto in lui era magnetico.
“Lo so!” ribattei concentrandomi a guardare la barista che lavorava.
Sorrise di fronte alla mia modestia.
“Posso?” chiese indicando lo sgabello vicino a dove ero seduta io. Gli sorrisi. Lo prese per un sì.
“Com’è che non ti ho mai vista in giro?” sentì che diceva debolmente. La musica era davvero insopportabile.
“Sono arrivata ieri!”
“Eh?”
Mi protesi verso di lui e avvicinai le mie labbra al suo orecchio.
“Sono arrivata ieri!” ripetei.
Lui sorrise. Poi fu lui a avvicinarsi con la bocca al mio orecchio.
“Che corso frequenti?”
“Psichiatria!”
“Tosta?”
“Boh ho fatto una sola lezione! Tu?”
“Giornalismo!”
“Wow, quindi sei uno scrittore!”
“Diciamo che ci provo!”
“E ci riesci?” gli sorrisi seducente. Non capivo perché perdeva tempo a farmi tutte quelle  domande. Insomma, aveva davanti a sé una bella ragazza che mostrava un ampio decolté e con le gambe scoperte e lui cosa faceva? Parlava del più e del meno?
Non avevo parole.
“Ci provo!” rispose modestamente.
Con me doveva provarci dannazione. Con me!
Il quel momento lo catalogai. Il classico bravo ragazzo. Non stronzo, non meschino. Quello da tipa seria, quello romantico che porta i fiori alla sua ragazza, che si ricorda gli anniversari e tutte quelle cose futili.  Quello in grado di amare.
Mi intrigava il bravo ragazzo, forse più del cattivo. Volevo vedere se avrebbe continuato ad essere così buono e dolce dopo aver incontrato ME.
Una sfida. Proprio quello che ci voleva in quella noiosa serata.
Mi avvicinai al suo collo e annusai.
“Hai un buon profumo!”.
Prese una ciocca dei miei lunghi capelli neri e iniziò ad attorcigliarli sul suo dito.
“Anche tu!” disse cercando di catturare i miei occhi.
Gli sfuggì. Dovevo farcela senza i trucchetti. E poi nonostante i suoi smeraldi fossero stupendi mi mettevano in soggezione.
Spostai dunque lo sguardo e nel fare ciò per sbaglio vidi Mike rosso di rabbia. Stava osservando attentamente tutti i miei movimenti, ogni volta che mi avvicinavo al bravo ragazzo diventava rosso come un peperone e sembrava voler sputare fuoco dalle narici. Rob invece stava parlando amabilmente con Emily. Bleah!
Salutai con un cenno di mano Mike, che se possibile divenne ancora più rosso. Andando avanti così sarebbe esploso.
“Chi saluti?”
“Oh! Un mio amico!” ed indicai allo sconosciuto Mike.
Anche lui lo salutò e Mike digrignò i denti. La mia soddisfazione raggiunse apici mai raggiunti prima. Mi sarei messa a saltare di gioia, ma con i tacchi non doveva essere un’impresa molto facile.
“Non mi sembra che stia molto bene!” constatò il ragazzo.
“Nemmeno a me!”
I drink arrivarono e iniziammo a sorseggiare.
“Hei Jac sono ottimi!” disse il ragazzo alla barista. La donna gli sorrise dolcemente. Sembrava che i due si conoscessero bene.
“Ah comunque io sono Dave!” si presentò il bravo ragazzo poggiando al bancone il drink e tendendomi la mano.
“Mar!” mi presentai stringendogliela. Quel ragazzo mi dava la nausea nonostante fosse carino. Probabilmente perché sembrava così buono e altruista ed emanava una forte carica di gentilezza. Tutte cose che a me facevano vomitare.
“Mar? Nome insolito!” esclamò lui avvicinandosi sempre di più a me. Ne approfittai accavallai la gamba in modo da lasciare la mia coscia ancora più scoperta. Lui lanciò un rapido sguardo, ma cercò di riprendersi subito dopo.
Notevole autocontrollo. Sfida ancora più eccitante.
“E’ un diminutivo!” ribattei con voce sensuale.
Mi sorrise come a invitarmi a continuare.
“Mi chiamo Marguerite …” e mi avvicinai alle sue labbra “… Jones!”.
BOATO . Cacciai un urlo di sorpresa e mi allontanai da lui. La barista aveva fatto cadere a terra il bicchiere che aveva in mano. Ma cosa prendeva a tutti in quel pub? Prima la cameriera poi lei!
Si avvicinò verso d noi e incrociò il mio sguardo.
La guardai indifferente. Cosa voleva da me? E improvvisamente le cedettero el gambe e cade rovinosamente  a terra.
Dave si precipitò in suo soccorso. Con un agile scatto saltò oltre il bancone e atterrò a fianco della povera donna a terra.
“Tutto a posto!” esclamò lei ancora con lo sguardo decisamente allarmato.
Dave con gentilezza la aiutò a mettersi in piedi. Davvero la sua gentilezza mi faceva venire il voltastomaco.
Mi voltai da un’altra parte e incontrai un Mike furioso che si incamminava verso di me a grandi passi.
Di Rob ed Emily nessuna traccia.
“Sto bene caro!” continuò la barista.
“Jac! Sei quasi svenuta!”
“Ora sto bene!” insistette la donna. Poi tornò a fissare i miei occhi. Stupida donna. Perché voleva provocarmi? era incredibile di quanto poco gli esseri umani si rendessero conto del pericolo che correvano.
Non avevano istinto ala sopravvivenza. Zero. A quantomeno all’autoconservazione.
Mi sentii poggiare una mano sulla spalla, sapevo chi era.
“Ti ho vista sai?” sorrise strafottente Mike cercando di guardarmi con disprezzo. Purtroppo non ci riusciva, apprezzava troppo quello che vedeva.
“Lo stavi per baciare … ma dico era uscita con me. CON ME!” continuò alzando la voce. Sapevo perfettamente che si stava comportando in quel modo unicamente perché in questo modo avevo distrutto il suo ego maschile. E la cosa mi mandava al settimo cielo.
“Io e te non stiamo assieme! Posso fare quello che mi pare!” gli sorrisi indifferente.
“Sei proprio una puttana!”.
Ira, vendetta, furia omicida. Non so quale di questi sentimenti prevalse in me in quell’istante.
Reagì, come mio solito, con estrema freddezza. Sorridendogli letale poggiai le mie mani sulle sue spalle larghe. Lui mi guardò senza capire cosa volessi fare.
Catturai i suoi occhi, poi optai di vendicarmi in un nuovo modo, giusto per provare.
Raccolsi tutta la forza che avevo e gli tirai una ginocchiata nelle parti basse.
Gioiellini sfondati. E sorrisi compiaciuta mentre lui sbarrava gli occhi per la sorpresa e si piegava in due per il dolore.
Dave in un attimo mi fu accanto. Iniziati ad aprir bocca per giustificarmi senza un motivo. Lui mi interruppe.
“Ho sentito quello che ti ha detto …” poi mi sorrise dolcemente “… Hai fatto bene! Vieni ti accompagno a casa!”.
“Ciao Mike!” sibilai in modo tale che solo lui mi potesse sentire.
“B-bastar …”
“Cos’è successo? Non riesci a parlare?” ghignai. Poi recuperai il giubbotto e precedetti Dave fuori dal locale. Lui mi raggiunse una volta assicuratosi che la barista stava realmente bene.
“Vieni, ho la macchina!” esclamò facendomi salire su un’opel corsa argento.
“Che serata!” esclamai.
“Quel tuo amico è un po’ pazzo! Non ci si rivolge così ad una ragazza!” disse indignato lui.
Ma come poteva una persona essere così gentile. Era un’ardua sfida quel ragazzo. Ancora una volta accavallai le gambe per renderle più visibili. Lui inghiottì a vuoto.
Ce l’avevo fatta! Stava allungando la sua mano verso la mia gamba. Dentro di me un vasto pubblico batteva le mani. Complimenti a me stessa.
La sua mano raggiunse il cambio e mise la prima.  Tutto il mio esultare si trasformò in cupa delusione.
Quel ragazzo doveva essere gay, non c’erano altre spiegazioni logiche. Era per forza omosessuale.
Gli dissi dove abitavo. Per il resto del breve tragitto rimanemmo in silenzio.
Io ero decisamente offesa dalla sua mancanza di interesse. Decisamente.
Fermò il veicolo sotto casa mia. Mi voltai verso di lui e col tono da bravissima ragazza gli parlai.
“Grazie!” mi finsi timida e abbassai lo sguardo. Lo sentii sorridere.
“E’ stato un vero piacere conoscerti Mar!”.
Con uno scatto fulmineo alzai il viso e mi tuffai sulle sue labbra. Lei inizialmente sembrò decisamente sorpreso da quel bacio. La sua bocca non ricambiava. Così inizia a leccargli il labbro inferiore sospirando.
Poi finalmente lui le dischiuse partecipando con me a quel casto bacio.
Non avevo mai dato un casto bacio. Le nostre labbra giocavano le une sulle altre, ma non c’era desiderio di possesso, almeno non da parte sua. Mi adeguai a quel ritmo più tranquillo.
Con la lingua esplorò l’interno della mia bocca, danzando con la mia. Dolcemente immerse la sua mano tra i miei capelli e mi attirò a sé. Mi sentivo coccolata. Bleah!
Se fossi rimasta ancora un po’ tra le sue braccia probabilmente mi sarei buttata alle spalle tutta la mia attrazione nei suoi confronti per iniziare a fare pensieri sdolcinati.
La cosa mi disgustava parecchio.
Ma d’altra parte era così bello stare abbracciata a lui. Decisi di tentare un ultimo tentativo per squoterlo dal suo torpore ormonale.
La mia mano si mosse lentamente mentre le nostre bocche ancora erano unite. La posai sulla sua virilità, e constatai che qualche effetto glielo avevo creato.
Iniziai a slacciargli i jeans quando improvvisamente lui mi bloccò afferrandomi il polso.
“Non sono quel tipo di ragazzo!” disse semplicemente. Rimasi sbigottita. Mi stava dicendo NO? NOOO?
A me? Pazzo!
Si avvicinò a me ma solo per darmi un bacio sulla guancia. Un bacio sulla guancia?
Manco avessi 4 anni!
“Ciao Mar!”.
Lui non era quel tipo di ragazzo, ma si era eccitato e poi mi aveva anche rifiutata.
“Pechè?” gli chiesi incapace di darmi una risposta mentre scendevo dalla macchina. Ero basita.
“Perché nutro un profondo rispetto per le donne. Non permetterei a nessuna che non provi qualcosa per me di concedermi il suo corpo!”.
Che parole strane. Non ero tanto sicura dopotutto che lui fosse un uomo. Un uomo non la pensava così no?
Eppure, io avevo sentito che era un maschio.
Decisi di fregarmene, come avevo sempre fatto, non si può sempre riuscire nella propria impresa no?
Chiusi lo sportello e lo salutai con la mano. Lui aspettò che entrassi nel palazzo, poi rimise in moto la macchina e se ne andò.
Da non crederci! Mi dava fastidio di aver fallito. Il primo fallimento della mia vita.
Entrai in camera e tirai un sospiro di sollievo. Nemmeno faci in tempo a riprendermi che da nulla spuntò fuori  Caren con i capelli rossi in disordine e con gli occhi infuocati.
“Dove’è Rob?” sibilò.
 
 
 
 



Eccomi!! Allora… come vi ho già detto io AMO scrivere questa storia …. O meglio è questa storia che ama farsi scrivere!!
Perché credetemi se vi dico che ha vita propria …
Ad esempio Dave … lui è un personaggio che sarebbe dovuto entrare in gioco solo tra un paio di capitoli …. E invece eccolo qui! Voleva farsi conoscere e ce l’ha fatta!! È indipendente dalla mia volontà!
Mi dispiace per Mike, so che a molte stava simpatico, ma era una “comparsa”, serviva solo a delineare il personaggio di Mar; lei pensa solo a divertirsi e a vivere al meglio la propria vita, il resto non conta.
So che può essere un personaggio difficile da capire, ma chi di noi in fondo non è egoista? Lei rappresenta senz’ombra di dubbio l’egoismo all’ennesima potenza.
La smetto di annoiarvi con le mie considerazioni!!!
Recensite! Mi fanno sempre piacere i vostri commenti!
Un ringraziamento particolare a chi ha recensito gli scorsi capitoli e chi ha inserito la mia storia tra le seguite/preferite/ricordate!!!
Vi adoro!
Daisy.

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Capitolo 10
*** CAP 9 ***




GLANCES GAME -- GIOCO DI SGUARDI




CAP 9

“Dove’è Rob?” sibilò.
La guardai come se fosse pazza. Poi ghignai.
“Che hai Caren? Sembri posseduta!”. Quanto mi divertivano le reazioni esagerate di quella ragazza.
“Posseduta un corno!” sbraitò chiudendo con violenza la porta alle mie spalle.
Con estrema calma le sorrisi.
“Ti calmi? Mi fai venire l’ansia.”
“Volentieri, ma prima dimmi dov’è Rob!” urlò puntandomi contro l’indice minacciosamente.
Presi il suo dito nella mia mano e lo abbassai sorridendole.
“Pensi davvero di farmi paura?” chiesi con scherno.
“Dannazione Mar!” esclamò esausta “Per una volta puoi rispondere solo ad una mia domanda?”.
Come si poteva non essere felici di fronte ad una Caren così distrutta?
“Hai ragione!” mi finsi comprensiva “Ma perché me lo chiedi?”.
“Saranno affari miei!” sbottò.
“Fantastico! Allora non ti dico dov’è Rob!” protestai infantilmente.
“TU lo sai allora!”
Annuì.
“Dimmelo!” continuò.
“No no!” il mio ghigno si estese “Prima dimmi perché lo vuoi sapere!”.
“Ma quanto sei stronza!”
“Grazie!” non capiva proprio che il suo comportamento da sclerotica non faceva altro che aumentare il mio buon umore, cosa altamente necessaria dopo quella serata.
“Grrrr! E va bene! Sta sera dovevamo vederci! E lui non si è presentato!” sbottò.
“No no, io volevo sapere perché ti incavoli così tanto! Non sarà che sei gelosa?”
“GELOSA?? IO?? Andiamo Mar!” disse scettica.
Noi non potevamo provare sentimenti come la gelosia dopotutto. No?
Ma allora cosa la faceva impazzire in quel modo? Non riuscivo a capirlo.
“O magari non riesci a trovartene un altro per soddisfare le tue voglie e allora usi Rob!” ipotizzai ad alta voce.
L’ira che leggevo nei suoi occhi aumentò a dismisura. Sembrava che le iridi lanciassero saette.
“Fanculo!” sbraitò entrando in bagno e sbattendo forte la porta dietro di sé.
Avevo colpito il bersaglio nel suo punto debole. Che gioia!
Alzai la voce per farmi sentire “Sta sera Rob è uscito con una specie di topo di biblioteca, per niente sexy e per niente bella, ma è evidente che preferisce una come lei a te!”.
“Menti stronza!” urlò.
“Forse sì, forse no!” sorrisi tra me e me. Era troppo divertente tormentarla. Sarebbe potuto diventare il mio passatempo preferito.
Avevo passato la maggior parte della mia vita ad evitarla, ma torturarla era ancora meglio. Avrei dovuto tenerlo presente in futuro.
Uscì come una furia dal bagno e agguantò con un rapido e brusco movimento la giacca e la borsetta, dopo di che si diresse verso la porta.
“Ti odio!” sibilò. Sorrisi.
“Bene! Sono riuscita nel mio intento allora!”. La sentì imprecare e sbattere forte la porta.
Tutta quella sfuriata mi aveva fatto dimenticare quella serata snervante. Tornai a sorridere beata.
Mi addormentai con impresso nella mente lo sguardo furente di Caren.
Mi addormentai sorridendo come una bambina la notte di Natale.
 
Il giorno successivo fortunatamente fui svegliata dalla sveglia. Ringraziai il cielo che Robert si fosse dimenticato di dovermi rendere la vita impossibile quella mattina.
Mi rigirai nel letto. Caren ancora non era tornata. Non che la cosa mi importasse, avevo solo notato che il suo letto era intatto. Probabilmente aveva trovato Rob e i due si erano buttati nel primo angolo buio a fare le loro cose. Probabilmente anche in un angolo illuminato, non avrebbe fatto molta differenza.
Erano privi di senso del pudore quei due. Bleah! Odiavo assistere alle loro effusioni.
Mi vestì rapidamente. Non vedevo l’ora di incontrare Mike, soprattutto per constatare se era ancora un uomo o meno.
Dopo la ginocchiata della sera precedente probabilmente aveva la voce più acuta di un’ottava.
Sorrisi ricordando lo sguardo stupito e il viso deformato dal dolore dopo la mia piccola vendetta. Se lo era meritato appieno. Ed era stato divertente.
Mi precipitai fuori casa e mi diressi alla DrinkHouse, chissà, magari il locale di mattina faceva anche da bar.
Mentre camminavo per strada osservavo i ragazzi del campus.
C’era chi faceva colazione e chi studiava, chi salutava la propria ragazza e chi scherzava con gli amici.
Sorrisi. C’erano un sacco di persone intorno a me ed io potevo averle tutte in mio potere!
Tutto con un semplice sguardo. Questa consapevolezza mi faceva sentire potente, realizzata. Una specie di regina. Era davvero gratificante.
Entrai alla DrinkHouse e mi sedetti ad un tavolo non molto distante dal bancone.
C’era ancora la barista della sera prima, la salutai con un cenno della testa. Lei sgranò gli occhi sorpresa e oscillò paurosamente, come se avesse inciampato in qualcosa.
Che strana donna. Non doveva essere del tutto a posto. Probabilmente soffriva di qualche malattia che le impediva il corretto equilibrio.
Una volta che si fu ripresa dallo shock generato dalla mia presenza si avvicinò tremando al tavolo.
Sospirò.
“Posso?” chiese indicando la sedia di fronte a dove ero seduta io. La domanda mi stupì non poco. Insomma, cosa poteva volere una barista completamente sconosciuta da me, se non chiedermi cosa desideravo per colazione?
Io sono una brava ragazza.
Dovevo almeno sforzarmi di essere gentile. Cosa per niente facile.
“Certo!” le sorrisi.
 Lei prese posto.
“Ieri sera, per sbaglio, ho sentito che lei diceva il suo nome a quel ragazzo, Dave …”
Annuì senza capire dove volesse arrivare. A dire la verità mi stava un po’ scocciando. Volevo essere lasciata in pace, almeno di prima mattina. Caspita non c’era Rob a rompere e compariva quella strana donna!
Era il fato ad essermi contro.
“Potresti, ecco bè …” continuò faticando a trovare le parole giuste “ … sì … RIPETERLO?”.
Ok. Una perfetta sconosciuta mi importunava alle 7 di mattina per chiedermi di ripetere il mio nome.
Assurdo. Iniziai a ridere.
“E perché io dovrei dirglielo?” articolai tra le risate. Era davvero sciocca!
“Perché il tuo nome mi è famigliare, e forse ti potrà sembrare tale anche il mio!”
Continuai a riderle guardandola scettica. Lei non era offesa dalla mia reazione, sembrava piuttosto confusa. Non capiva il perché di tanta ilarità, probabilmente lei reputava l’argomento di fondamentale importanza.
“E lei come si chiamerebbe?”.
“Jaqueline Jones!”.
Le mie risate cessarono immediatamente. Dentro di me il vuoto.
JAQUELINE JONES.
Non potevo fingere di non conoscere quel nome. Non potevo.
Avevo odiato quel nome e la persona ad esso connessa.
L’avevo disprezzata con tutte le mie forze. L’avevo rinnegata, come a suo tempo lei aveva fatto con me.
Alan si era servito di quei sentimenti distruttivi per rendermi più potente.
Ricordai la meravigliosa donna che si pettinava i lunghi capelli biondi davanti ad uno specchio canticchiando sottovoce.
Ricordai quella piccola bimba dai capelli corvini che guardava ammirata la donna che l’aveva generata. Ricordai i suoi pensieri.
Bellissima. Principessa. Mamma.
Quella bambina ero io, e la donna era …
“Mammina!” esclamai con scherno e sorridendo glaciale “Che bello rivederti!” ghignai.
Mmm com’è dolce il sapore della vendetta.
Lei mi guardò con un sorriso felice e gli occhi le divennero improvvisamente lucidi. Disgustoso.
“Marguerite!”.
Improvvisamente capii perché la sera prima era quasi svenuta dopo che mi ero presentata a quel ragazzo.
Aveva sentito come mi chiamavo e aveva fatto due più due.
“Volevo ringraziarti!” sogghignai perfida.
Lei mi guardò sorpresa e decisamente confusa.
“Come puoi ringraziarmi? Io, io se potessi tornare indietro …” venne interrotta da un singhiozzo.
Che donna debole. Mi faceva ribrezzo essere figlia biologica di quell’essere.
Io erede del grande Alan Black, figlia della peggiore delle donne.
“Shh shh shh! Devo! È grazie a te se ora sono quella che sono!” e mi avvicinai al suo viso sorridendo letale e catturando i suoi occhi con lo sguardo.
Lei improvvisamente assunse un’espressione di puro terrore.
“NO! ANCHE TU NO! Hai i suoi stessi occhi! Hai il suo stesso sguardo!” quasi tremava. Sembrava che avesse appena visto un fantasma, o una scena raccapricciante.
“Lo sguardo di chi?” domanda retorica. Temevo, infatti, di conoscere già la risposta.
“Il SUO. Quello di ALAN BLACK!”.
Stop.
 Quello che avevo temuto era la realtà. Ma qualcosa non quadrava. Jaqueline si era accorta del particolare sguardo di Alan.
Ma ciò era impossibile! Gli esseri umani erano convinti di essere loro a prendere le decisioni che noi, gentilmente, assumevamo. Nessuno aveva la consapevolezza di quello che noi, con uno sguardo, eravamo in grado di fare!
“Quello sguardo mi ha COSTRETTA a lasciarti andare …”.
Tali parole furono come una pugnalata. Vidi il nostro segreto, così a lungo nascosto, così gelosamente celato, venir scoperto tutto d’un tratto.
“Menti!” ribattei sprezzante. Negare, negare sempre.
Sapevo perfettamente che Alan l’aveva convinta in quel modo, solo che lei non se ne sarebbe dovuta accorgere!
“E’ la verità! E’ solo dopo che ho conosciuto D…”
“No basta!” alzai un po’ la voce per interromperla.
“Non ho la benché minima voglia di sprecare il mio tempo a parlare con te!” le lanciai uno sguardo sprezzante “Hai ragione. Non devo ringraziare te, ma Alan! Alan mi ha tirata fuori da quel buco di appartamento nel quale vivevamo, e sempre Alan mi ha reso quella che sono!” dissi con orgoglio.
“Sei solo una troia fallita!” esclamai con disprezzo. Sapevo di essere stata dura. Ma a me non importava di ferire le persone. A me importava solo di me stessa. E in quel momento dovevo proteggermi a qualsiasi costo.
Le lacrime iniziarono ad inondarle le guance. Il volto era contatto da un dolore che sembrava provenire dalla profondità della sua anima. Un dolore straziante e totalizzante. Un dolore che non toccò la mia anima minimamente. Avevo passato troppi anni ad odiarla per provare anche solo un briciolo di pietà nei suoi confronti.
A quella vista non potei far altro se non sorridere beffarda. 16 anni prima ero stata io a disperarmi così, era confortante e appagante vedere lei prendere il mio posto.
Provare l’abbandono.
“Ciao Jaqueline!” sogghignai divertita alzandomi dal tavolo e dirigendomi verso l’entrata.
I singhiozzi mi seguirono fino all’entrata, dove con sorpresa incontrai Dave.
 “Ciao Mar!” mi salutò allegro lui.
“Dave!” risposi io ancora euforica per poco prima.
Lui lanciò uno sguardo all’interno del locale, poi assunse un’espressione spaventata.
“Cos’è successo a Jac? Piange come una fontana!”
Alzai le spalle. Rivestiva perfettamente i panni del buon samaritano. Era decisamente troppo premuroso e gentile nei confronti del prossimo.
Cosa c’avrebbe guadagnato nel comportarsi in quel modo? Nel migliore dei casi solo riconoscenza, nel peggiore sarebbe stato ferito.
Non seppi come avevo fatto la sera prima a provarci con uno così disgustoso.
Egli mi sorpassò ed entrò nel locale. Lo sentì dire “Jac cosa è successo?” prima che la porta si richiudesse alle mie spalle.
Quella faccenda per me era chiusa.
 
 
 
Appoggiata allo stipite dell’entrata dell’aula trovai Caren. Stava civettando allegramente con un bel ragazzo biondo che non avevo mai visto prima. Continuava a sorridere e a lanciare sguardi ammiccanti in sua direzione, mentre si annodava i capelli intorno al dito e faceva delle finte risatine calcolate.
Ero stanca e l’avrei liberamente ignorata se lei non mi avesse salutata con scherno.
Il tutto per farmi ammirare la sua nuova conquista. O dovrei dire unica e sola escludendo Rob?
“Maaaaaaaaaaar!” mi chiamò come se fossimo tanto amiche.
Le rivolsi un sorriso forzato, giusto perché eravamo in pubblico e non potevo insultarla. Nel farlo diedi un’occhiata al fisico fasciato da un maglioncino blu del ragazzo con cui stava parlando … mmm davvero niente male. Era muscoloso, si notava chiaramente. Quello era il risultato combinato di ore di palestra e steroidi.
“Vieni Mar!” disse beandosi di quell’unico momento di gloria.
Momento, che grazie alla sua stupidità non sarebbe durato ancora per molto.
Come si dice? Ah sì! MAI SVEGLIARE IL CAN CHE DORME, POTREBBE MORDERE!
Bè io ero il cane, e lei la sciocca che, volendosi vantare, andava a svegliarlo. Perfetto! Ma non poteva non aspettarsi un contrattacco.
Mi avvicinai a loro sotto lo sguardo d’approvazione del ragazzo. Insomma, da quando quella deficiente aveva attirato la sua attenzione su di me lui mi aveva già fatto un paio di radiografie complete, con un sorriso da cacciatore sul volto.
“Caren!” la salutai come se lei fosse la persona che più avrei voluto vedere al mondo.
Come al solito pensai di essere la più grande attrice mai nata sulla faccia della terra.
“Oh Mar! ti presento Derek. Derek Mar!” esclamò cercando di trattenere i salti di gioia.
Continuava ad avere un fastidioso sorriso che le attraversava il volto da un orecchio all’altro. Ci avrei pensato io a toglierle quel ghigno di soddisfazione.
“Piacere!” disse lui stringendomi la mano.
Sbattei le palpebre un paio di volte e mi morsi il labbro inferiore sensualmente.
Piacere mio!” poi mi leccai le labbra con la lingua, come se fosse un gesto del tutto casuale.
Gesto che a lui non sfuggì. Lo capii dal sorriso ancora più ampio che assunse.
Ok avevo fatto colpo. Poteva bastare. Il sorriso di Caren era progressivamente diminuito fino a diventare una specie di incurvatura della bocca totalmente forzata.
“Bè io vi saluto! La lezione sta per iniziare!” constatai.
“Ciao! Ciao Derek!” precisai poi accarezzando con la voce il suo nome.
“Ciao Mar!” rispose lui lieto delle mie piccole attenzioni.
Quel rimasuglio di felicità che fino ad un secondo prima era dipinto sul viso di Caren scomparve definitivamente.
Missione compiuta! Ma perché era sempre così facile con lei?
In aula  Emily era già arrivata e sedeva al suo solito posto. La cosa peggiore fu che al posto che avevo occupato io il giorno prima stava beatamente accomodato Rob.
Non appena si rese conto del mio sguardo su di lui mi sorrise soddisfatto e mi salutò con la mano.
A quel gesto anche Emily si accorse della mia presenza.
Arrossì visibilmente  e abbassò gli occhi.
“Ciao Mar!” sembrava che si vergognasse.
Ero proprio curiosa di sapere come era finita la loro serata, soprattutto per costatare se il mio piano stava funzionando come avrei voluto.
Ma Robert fu più rapido.
“Com’è andata ieri sera poi?”.
La sua domanda non era dovuta ad un reale interesse, era solo funzionale a farmi innervosire, come sempre.
“Se volete proprio saperlo ho tirato una ginocchiata a Mike!” ghignai al ricordo, era stato davvero soddisfacente “ Nel posto dove più se lo meritava!”.
Emily alzò lo sguardo da terra esterrefatta e mi fissò negli occhi. Un modo sciocco che avevano gli esseri umani per capire se l’interlocutore col quale parlavano mentiva. Un modo sciocco per indurci a condizionarli.
La cosa più strana è che era del tutto involontario quel comportamento.
Esseri umani. Troppo deboli.
“E’ la verità!” continuai distogliendo lo sguardo dalle pupille di Emily.
“Se lo meritava!” esclamò Rob.
Lo guardai come se fosse pazzo.
“Bè per tutto quello che ha fatto a Emy!” si giustificò.
EMY? ahahaah da non credere. Ma che bel nomignolo!
Mi ci volle tutta la mia forza di volontà per non ridergli in faccia. Non potevo far crollare così tutti i miei sforzi. Cercai di ricompormi. Per fortuna Rob non si era accorto di niente.
“Già!” constatai comprensiva “Era proprio un gran bastardo!”.
“Le parole!” sussurrò Emily indignata.
Sei una brava ragazza.
Dovetti fare davvero uno sforzo immane per non mandarla a farsi fottere.
“Scusa Emily!” tentai di rimediare con un enorme sorriso gentile.
Rob mi guardò esterrefatto. Quella che vedeva non era la Mar che conosceva.
Capiva che doveva esserci qualcosa che non sapeva, qualcosa che mi portava ad essere così diversa dalla normale me. Ma non capiva cosa, quindi non sapeva come muoversi.
Mi sedetti di fianco a lei e la lezione iniziò poco dopo.
Lei, come al solito, era presa a scrivere appunti. Io ascoltavo e Rob mi guardava cercando di decifrarmi.
Che sciocco! Non ce l’avrebbe mai fatta.
Dopo mezz’ora gli occhi mi si stavano già chiudendo così decisi di fare qualcosa per tenermi sveglia.
Presi un foglio.
 
Emy! Vieni a mangiare con me dopo la lezione? Ti devo parlare di un paio di cose!
 
Rilessi il biglietto soddisfatta. Sembrava proprio uno di quei classici bigliettini che ci si scambiava tra amiche.
Lo passai ad Emily, lei mi guardò sorpresa e lo lesse. Me lo ripassò con la risposta.
 
Certo! Devo anche io raccontarti delle cose! : )
 
Sorrisi. Se mi doveva raccontare delle cose allora voleva dire che mi reputava un po’ sua amica, che si fidava e che le piaceva condividere gli eventi della sua vita con me. Non potevo crederci. Erano bastati DUE giorni.
Era lampante che non avesse molti amici, se no sarebbe stata meno propensa a legarsi così tanto a me.
 
                                                                           
 
“Dove andate?”.
Non appena io e Emily avevamo messo piede fuori dall’aula insieme, Rob ci aveva seguite per farci le sue fastidiose domande.
Emily gli sorrise dolcemente e quando vidi le labbra di Rob inclinarsi allo stesso modo, sperai vivamente che stesse fingendo.
Erano teneri quando si guardavano. Teneri bleah!
“Andiamo a mangiare!” ribattei cercando di non essere acida.
“Fantastico ho una fame …!” esclamò lui.
Ridacchiai.
“Rob andiamo solo io e Emily!” ribattei.
Lui mi fulminò con lo sguardo.
“Ok!” esclamò un po’ indignato. Non potei fare a meno di sorridere.
Poveretto! Era stato messo in disparte. E la cosa, dal mio punto di vista, era estremamente divertente.
Vedendo il mio ghigno anche lui sorrise maligno. Prese Emily tra le braccia e la strinse forte, poi le diede un tenero bacio sui capelli.
Sembrava il più romantico degli uomini.
Ma un cosa era certa. Né io né Rob eravamo naturali in quella situazione. Entrambi tramavamo qualcosa. La differenza stava nel fatto che io potevo immaginare cosa tramava lui, ma lui non sarebbe mai arrivato a capire cosa frullava nella mia testa. Ancora una volta gli ero superiore.
I due si staccarono ed Emily sembrava avere il volto in fiamme tanto era rosso.
Rob le accarezzò la guancia. Mi voltai dall’altra parte per non vedere, altrimenti probabilmente avrei vomitato.
“Ciao Rob!” le sentii dire “Andiamo?” aggiunse rivolgendosi a me.
Iniziammo a incamminarci. Dovevo ammettere, mio malgrado, che anche Rob era un ottimo attore. Sembrava quasi vera la scena alla quale avevo assistito poco prima.
Entrammo in una pizzeria e ci sedemmo ad un tavolino.
“Davvero hai tirato una ginocchiata nelle parti basse a Mike?” domandò curiosa.
Annuii “Te l’ho detto che l’avrebbe pagata! Peccato che tu non ci fossi a goderti lo spettacolo!” sospirai.
“Come puoi reputare uno spettacolo l’aver steso una persona?” era sconvolta.
Tentai di rimediare.
“Non andare fuori discorso! Dove siete spariti tu e Rob?”.
Lei arrossii pericolosamente.
“N-noi, i-io …” non sopportavo quando iniziava a balbettare.
“Voi?” incalzai.
“Insomma. Tu sei andata al bancone a prendere da bere no? E non tornavi più! Mike era visibilmente nervoso, e il suo nervosismo salì quando ti ha vista parlare con un ragazzo, così ha iniziato a insultarmi per far passare il tempo e distrarsi …” a voce le si incrinò leggermente.
“Rob, naturalmente, mi ha difesa e non so … insomma ha fissato glaciale Mike negli occhi dopo di che lui ha smesso di parlare, probabilmente lo sguardo era davvero molto minaccioso”.
Non era il suo sguardo ad essere minaccioso. Era lui ad essere un cretino!
Mi sfuggiva quale delle parole di Alan non avesse capito nella frase “cercate di non usare le vostre facoltà!”.
Dio, Emily era intelligente ed era studente di psichiatria. Poteva benissimo intuire qualcosa.
Per mia fortuna, non aveva capito niente.
Almeno io non mi facevo notare se usavo i trucchetti.
Rob era un emerito deficiente.
“Ah …” sospirò Emily “Rob è davvero un ragazzo coraggioso”.
Alzai un sopracciglio per evidenziare la mia perplessità. Lei non se ne accorse, era persa nel suo mondo dei ricordi, e continuò con voce trasognata il suo racconto.
“Bè siamo usciti e abbiamo fatto una passeggiata al chiaro di luna …”
Passeggiata? Con quel freddo? Emily doveva essere impazzita e Rob non era da meno!
“ … bè lui mi ha presa per mano …” continuò emozionata.
Ommioddio che felicità! Si erano pure presi per mano!! In quel momento il mio sarcasmo sfiorava le stelle.
“ … e …  mi ha b-baciata!” sospirò infine.
Ok niente che non mi fossi aspettata.
“Siamo andati avanti tutta la sera! È stato bellissimo!” concluse con gli occhi a forma di cuore.
Era una romanticona, e Rob l’aveva capito dal primo istante. Lui sapeva come conquistare una donna e c’era anche riuscito. Emily era totalmente ai suoi piedi. Dovevo solo aspettare la sua prossima mossa.
Nel frattempo avrei dovuto giocare le mie carte.
“Sono molto felice Emy, ma …” mi interruppi fingendomi incerta.
“Ma?” domandò preoccupata.
“Ecco … Tu sai che io e Rob ci conosciamo da una vita …”.
La vidi assumere un’espressione sorpresa. Evidentemente non lo sapeva.
Aveva omesso dei particolari, questo era un grave errore per Rob, che però sbagliando faceva il mio gioco.
“Bè, noi siamo stati adottati. Entrambi. E abbiamo vissuto sotto lo stesso tetto come un fratello e una sorella per 16 anni!”.
“Oh! Non lo sapevo!”
“E’ quello che sospettavo.” Sospirai come se fossi afflitta “Davi saper e che Rob oltre a non essere molto sincero, è anche molto doppiogiochista, soprattutto con le donne. Capisci?” le chiesi con gravità.
“A dir la verità, no!”.
“Lui non è per le relazioni serie. Diciamo che seduce e poi abbandona. Se tu fossi quel tipo di ragazza non mi preoccuperei più di tanto, ma si capisce che sei una seria! E non voglio che lui ti faccia soffrire! Dopotutto sei mia AMICA!” misi l’accento su quell’ultima parola per darle una maggiore importanza.
Lei sembrò commossa dalle mie parole. Presa da uno slancio di tenerezza mi abbracciò.
Non ero mai stata abbracciata, non in quel modo.
Gli unici abbracci che avevo dato e ricevuto erano quelli sessuali.
Quello invece era un abbraccio che trasmetteva puro affetto. Incondizionato. Senza doppi fini, che nascondeva solo un’immensa gratitudine.
Cosa si doveva fare in quei casi. Fui colta impreparata perché non lo sapevo. Le tirai così dei col pettini leggeri sulla spalla sperando che quel momento finisse presto.
“Anche io ti considero mia amica!” esclamò con la voce leggermente incrinata.
Poi si scostò da me e mi guardò negli occhi. Ma quanto era sciocca quella ragazza?
“Non ti devi preoccupare per me comunque! Sono una persona adulta, so cavarmela! Vedrai! Rob non mi farà del male!”.
Dubitavo che sapesse cavarsela, ma lasciai correre.
“Avevo il dovere di avvertirti!”
“Lo apprezzo!”
Sospirai come se fossi ancora preoccupata.
“Sta sera vi vedete?”. Alla mia domanda lei annuì con entusiasmo.
Fantastico! Dovevo solo fare in modo che Rob agisse.
Finimmo di mangiare e la salutai. Dopo di che mi diressi svelta verso la camera di Rob.
“Maaar!” mi accolse con il solito sorriso idiota sulla porta.
Lo ignorai ed entrai.
“Perchè sei qui?” domandò curioso e divertito al temo stesso. Cercai di assumere un’espressione irritata.
“Emily!” risposi semplicemente.
Lui ghignò soddisfatto di quello che stava facendo.
“Che diavolo vuoi fare?” gli sbraitai contro.
“Io?” chiese con finto tono innocente “Assolutamente niente! TU piuttosto!”.
“Zitto Rob! Non spingerti oltre ok?” assunsi un tono minaccioso.
“Se no?” mi schernì.
“Vedrai!”
“Ma perché ti importa così tanto di lei?” chiese curioso e maligno.
“Affari miei!” sbottai.
“Io lo so perché …” per un attimo i miei occhi furono attraversati da un lampo di terrore. Non poteva sapere …
“ … è perché sei GELOSAAAAAAAAAAAAA!!!!”.
Il terrore scomparve lasciando il posto ad una risata sincera. Come avevo potuto pensare che Rob fosse talmente intelligente da intuire il mio piano?
Era solo uno sciocco eccentrico!
“Sì ridi! Intanto sei gelosa comunque!” continuò convinto.
Era un bene che Rob la pensasse così. Un vero bene.
Cercai di calmarmi.
“Non dire cavolate Rob!”
“Ma perché? Non mi trovi irresistibile?” disse avvicina dosi e ammiccando.
“No!” ribattei secca.
“Comunque io ti ho avvertito!” ripresi a minacciarlo. Detto questo uscii dalla camera mentre sentivo l’eco delle sue risatine soddisfatte.
Secondo lui era riuscito a farmi innervosire, dal mio punto di vista, mi stava solo rendendo tutto incredibilmente più facile.
 
 
 
Accidenti. Quella sera non sapevo proprio che fare.
Rob usciva con quella sdolcinata di Emily, Caren si era volatilizzata, e Mike era da qualche parte e cercare di recuperare la sua virilità.
Mi misi a vagare distrattamente per le strade del campus. Ancora non lo conoscevo abbastanza da sapermi orientare alla perfezione purtroppo. Non sapevo ce ci fosse qualche locale o qualche posto dove andare. L’unico che conoscevo, la Drink house, era fuori discussione.
Improvvisamente decisi di tornare nel mio appartamento e rilassarmi un po’. Ero stanca e mi andava di dormire.
Ma i miei programmi presero una piega del tutto differente.
Sotto il palazzo dove io e Caren alloggiavamo c’era il biondino che quella mattina mi aveva fatto la radiografia. La “nuova” conquista di Caren.
Un’occasione presentatami su un piatto d’argento. Troppo ghiotta per lasciarmela sfuggire.
“Hei!” lo salutai con entusiasmo senza però ricordare il nome.
“Ciao! Sei Mar giusto?” chiese sorridendo.
Annuii. “Tu invece sei …?”.
Ridacchiò “Derek!”.
“Ah è vero! Scusami! Derek! Che ci fai qui?” domandai con voce leggermente bassa.
“Aspettavo Caren!”.
Gli sorrisi ammaliatrice.
“Un ragazzo carino come te non dovrebbe aspettare!” constati facendo diventare roca la mia voce.
Lui deglutì a vuoto.
“Che ne diresti di far aspettare lei?” domandai retorica. Sapevo già quale sarebbe stata la usa risposta.
Fece un sorriso malizioso e disse “Volentieri! Seguimi!”.
Detto ciò mi condusse dentro la sua macchina e partimmo.
 
 
 
 
Sono tornataaaaaaaaa…
Spero che questo capitolo non vi abbia fatto schifo!!

  1. Non ce l’abbiate troppo con Mar per il comportamento che ha avuto con sua madre. Dopotutto lei la ha abbandonata.
  2. Ognuno sta mettendo sul tavolo da gioco le proprie carte, ma chi vincerà a partita?
Fatemi sapere cosa ne pensate ok??
Ringrazio chi ha messo la mia storia tra le preferite, tra le seguite e sopratutto chi ha avuto la pazienza di recensire!!! Mi riempite il cuore di gioia!
Daisy

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Capitolo 11
*** CAP 10 ***



Il primo paragrafo di questo mio nuovo capitolo contintiene una scena a raiting (si scrive così?) rosso, quindi chi non volesse leggerla può saltare al secondo paragrafo anche se non so se sarà chiaro quello che succederà.
La scena non è spintissima, ma nemmeno così casta, quindi a voi la scelta!! buona lettura :)
Daisy





GLANCES GAME -- GIOCO DI SGUARDI




CAP 10

“Un parcheggio?” persino a me sembrava squallido.
Derek fece spallucce come se la cosa non gli importasse.
“Andiamo da qualche altra parte?” chiesi mentre il nervoso cominciava a salirmi.
“Hei Baby. Prendere o lasciare!” esclamò con strafottenza.
Baby? Mi aveva davvero chiamata in quel modo?
Ma che razza di persona è uno che chiama una ragazza BABY? O è uno che si sente esageratamente figo o un perfetto sfigato.
Avevo voglia di divertirmi e non mi andava di discutere con quell’emerito deficiente. Le cose si dovevano fare a modo mio. Punto.
Mi avvicinai alle sue labbra sogghignando. Non sapeva ancora con chi aveva a che fare.
Iniziai a sfiorarle e subito il suo respiro si fece infinitamente più corto. Si eccitava come niente quel ragazzo infatti non lo stavo neppure baciando!
“Andiamo?” ridomandai.
Lui ebbe quasi difficoltà a rispondermi.
“N-no piccola. Decido io!”.
Come potevo trattenere una delle risate migliori della mia vita? Ma dico, questo deficiente quanti neuroni aveva nel cervello? Due?
Voleva pure decidere lui. Assurdo!
Era ora di fargli vedere di cosa ero capace.
I miei occhi incontrarono i suoi azzurri.
Intrecciai il mio sguardo col suo. Non poteva più sfuggirmi. Era in trappola, e io, dentro di me, esultavo.
Amavo ciò che ero e quello che facevo.
Lui non riusciva più a staccare gli occhi dai miei. Era così soddisfacente. Meglio addirittura dell’orgasmo.
Sorrisi fatale.
Sù, andiamo nel tuo appartamento!’ fu il mio comando silenzioso.
Il suo sguardo per una frazione di secondo si fece vitreo, segno che il comando era passato. Poi gli occhi riassunsero la loro normale luminosità.
Senza una parola mise in moto la macchina. Sorrisi beffarda.
Le cose si facevano come decidevo io!
“Come mai hai cambiato idea?” il mio tono era derisorio. Per quel poco che lo conoscevo quel ragazzo mi stava antipatico. Capii come mai Caren si fosse trovata così bene con lui.
Però aveva un punto a sua vantaggio. Ovvero l’essere un gran figo! E di solito i fighi sono bravi a letto. Quindi andava più che bene.
“Io credo che saremmo più comodi nel mio appartamento!” rispose risoluto.
Che sciocco a credere di aver preso quella decisione autonomamente.
“Ottima scelta!” sussurrai compiaciuta dell’ottimo risultato. Come si suol dire, avevo fatto un lavoro pulito! Non avevo lasciato alcuna traccia.
“Cosa?”
“Niente!” ribattei con voce sensuale posando una mano sulla parte alta della sua coscia.
Lo sentii irrigidirsi. Una volta arrivati a destinazione sarebbe esploso e lì sì che sarebbero iniziati i giochi.
Sorrisi pregustando mentalmente quel fatidico momento.
Arrivammo poco dopo ad uno di quei soliti palazzi che popolavano il campus.
Quando giungemmo alla porta del suo appartamento ancora non c’eravamo nemmeno sfiorati. Possibile che dovessero capitare a me tutti i ragazzi privi di senso di iniziativa?
Non capivo proprio perché ancora non mi avesse nemmeno baciata. In quel posto la gente era strana.
Purtroppo capii la motivazione non appena entrammo.
La sua casa era splendida. Finemente arredata e fornita di qualsiasi tipo di oggetto.
Mi ci volle una gran forza di volontà per trattenere un urlo di stupore.
Ma lui percepì il mio silenzio e ne approfittò.
“Bella vero?” domandò orgoglioso.
Non risposi per non dargliela vinta. Ma a lui poco importava, probabilmente era solo una domanda retorica.
“Questo l’ho comprato a….” E così iniziò a raccontarmi la storia di tutti gli oggetti e dell’arredamento di quel posto.
Dove li aveva comprati, perché, quanto li aveva pagati e  via dicendo.
Io ero esterrefatta. Capii perché non voleva andare nel suo appartamento, dopotutto sapeva che avrebbe passato diversi minuti a compiacersi delle cose in suo possesso.
Il mio cervello si spense dopo circa due secondi da quando aveva iniziato quella noiosa litania, non facevo altro che pensare a come avrei potuto farlo tacere. Stavo vagliando le metodologie più cruente quando mi resi conto che se lo avessi ferito o ucciso (tentazione fortissima) non avrei avuto niente di quello che speravo, ovvero buono e sano sesso.
Allora mi balenò nella mente un altro modo per zittirlo, forse il più efficace.
Mi avvicinai ondeggiando a lui e gli gettai le braccia al collo.
Con passione mi dedicai alle sue labbra che, dopo un’infinitesima resistenza, iniziarono a ricambiare il bacio.
Esso divenne più intimo e profondo e i nostri respiri si fecero corti e affannati.
Le nostre lingue, avvinghiate, cercavano il possesso dell’altro quasi in maniera disperata.
Lui mi trascinò, senza staccarsi da me, in quella che doveva essere al camera da letto.
Ci buttammo a peso morto sul materasso esplorando i nostri corpi.
Le sue possenti mani mi accarezzarono i fianchi possessivamente e poi pian piano risalirono incendiando la mia pelle. Così facendo mi tolse la maglietta ed io rimasi solo con un succinto reggiseno rosso. Lui si leccò le labbra squadrandomi attentamente prima di tuffarsi tra i miei seni e prendere possesso di loro con la sua lingua.
I suoi gesti mi facevano impazzire, volevo di più. Il mio corpo fremeva per avere di più.
In un attimo ribaltai le posizioni, finii così, con un colpo di fianchi, sopra di lui e sorrisi gioiosa. Lui mi lanciò uno sguardo malizioso mentre io liberavo con assoluta lentezza il suo corpo dai vestiti ormai superflui. Passai con un dito sui contorni definiti dei suoi addominali, partendo dall’alto per giungere sempre più in basso. Poi sostituì il dito con le labbra e la lingua.
La sua tartaruga fremeva sotto di me, ma lui non si mosse. Sentivo contro le mie cosce la sua eccitazione, ma non mi bastava. Lo volevo allo stremo, così sarebbe stato più passionale.
Derek cercò di raggiungere con le mani i miei fianchi per riprendere il controllo, ma io ero pronta. Gli afferrai i polsi e glieli bloccai sopra la testa per poi chinarmi sulle sue labbra.
Dapprima le sfiorai leggermente, poi iniziai a leccare i loro contorni mentre il suo respiro si faceva sempre più corto. Ghignai. Ormai mancava poco a fargli raggiungere l’eccitazione massima, eccitazione che avrebbe completamente sfogato dentro di me.
Lascando una sci di baci, mi avviai verso un suo orecchio. Ne presi il lobo tra i denti e iniziai a succhiarlo leggermente. Ormai ansimava, ma non avevo ancora terminato.
Mi diressi in basso con le mani, sfiorando la sua mascolinità e, a palmo aperto, feci pressione su essa.
In un secondo si avvinghiò a me e iniziò a baciarmi con passione, mi ritrovai così sotto di lui, senza mutandine e senza sapere come fossi arrivata in quella posizione, ma poco importava.
Lui si dedicò con estrema cura al mio collo mordicchiandolo e leccandolo, poi scese sempre di più, fino a giungere nella mia parte più calda. Lì vi lasciò infiniti baci che mi fecero emettere numerosi gemiti di piacere. Con le labbra ci sapeva decisamente fare.
Non sembrava voler smettere, infatti continuò il suo lavoretto finchè non raggiunsi il massimo piacere.
Dopo di che si allontanò da me per togliersi i boxer e infilarsi il preservativo. Tutto ciò lo fece dandomi le spalle.
Poi finalmente entrò in me con una spinta quasi disperata.
Sospirai. Sapevo come ottenere ciò che volevo. Come potevo non essere fiera di me?
 
 
 
Dove accidenti erano finite le mie mutandine? Le stavo disperatamente cercando per la stanza sotto lo sguardo soddisfatto di Derek.
Era fastidioso come se ne stava comodamente sdraiato su quel letto con le gambe spalancate e la sua mascolinità moscia in bella vista. Nonostante lui fosse un bel ragazzo quella vista era orribile. E come se non bastasse continuava a fissarmi strafottente, come se lui fosse il figo e io la fortunata puttanella che si era portato a letto.
Numero uno: era lui ad essere stato fortunato.
Numero due: non era bravo a letto come lo era con la bocca, decisamente no.
Fatto sta che io cercavo le mutandine e lui mi guardava. E a me saliva il nervoso.
Così mi avvicinai al suo viso minacciosa.
“Hei!” iniziò quasi compiaciuto “Vuoi il bis baby?”.
“La prossima volta …” dissi scandendo bene ogni parola con un tono glaciale “… che mi chiami baby ti stacco gli attributi chiaro?”.
Lo vidi ridacchiare e mi salì la voglia di farlo davvero.
Avevo però modi migliori di vendicarmi, come usarlo o ferirlo. Il dolore dell’anima dura di più di quello del corpo.
Mantenni la calma e sogghignai incontrando i suoi occhi.
Cerca i miei vestiti!’. Sorrise.
“Ti aiuto io a cercare i vestiti!” esclamò alzandosi, finalmente, da quel cavolo di letto. Mi sedetti e lo osservai cercare per tutta la stanza.
“Eccole!” gridò entusiasta sventolando le mie mutandine per aria. Sorrisi compiaciuta. Me le diede e io mi rivestii in un batter d’occhio.
Lui aveva ripreso a squadrarmi da capo a piedi come fosse un maniaco.
“Forse tu non sai con chi sei andata a letto …” disse compiaciuto.
Lo guardai alzando un sopracciglio.
“Dovrei saperlo?” il mio era un tono di scherno.
“Io faccio il modello!” esclamò con gli occhi che gli brillavano di soddisfazione.
Il modello. Si spiegava almeno come mai avesse una tartaruga perfetta.
Probabilmente si aspettava che, dopo tale rivelazione, iniziassi ad urlare e a correre per la stanza come una di quelle classiche ragazzine di 12 anni. Ma io non ero così.
Colsi l’occasione.
“Buffo! Dicono che i modelli sappiano fare sesso, mentre questa è stata la volta peggiore della mia vita!” gli sorrisi fredda e soddisfatta.
Lui sgranò gli occhi e spalancò la bocca. Sembrava ferito.
Avevo centrato il bersaglio alla perfezione. Come potevo non essere fiera di me?
Uscii ridendo dalla stanza. Dopotutto aveva avuto quello che si meritava.
Camminando verso casa riflettei. Quella sera avevo imparato qualcosa di fondamentale: mai farmi un ragazzo scelto da Caren, aveva dei pessimi gusti.
Ridacchiai di fronte a quel pensiero.
Entrai nell’appartamento e ancora una vota quella pazza dai capelli rossi si accanì su di me come una furia.
Ormai era diventato un vizio?
Come era possibile che ogni volta che tornassi lei fosse lì ad attendermi con gli occhi in fiamme e la rabbia in corpo?
“Dov’è Derek?”
Ma com’era possibile che fosse così monotona?
Dov’è Rob, dov’è Derek. Ma insomma! Ancora non era riuscita a capire di non essere in grado di tenersi un uomo? Che sfigata.
“Tranquilla. Non ti sei presa niente” sogghignai pregustando la sua reazione.
Si fece rossa in viso e il suo sguardo non faceva altro che lanciarmi silenziose maledizioni.
Che soddisfazione.
“Lo sapevo!” sbraitò “Lo sapevo che era con te!”.
Risi schernendola. Davvero pensava che avrei lasciato il divertimento solo per lei? Che stupida!
“Fidati! Non ti sei proprio persa niente! Era poco dotato e non molto bravo!”.
“Te lo sei pure portato a letto!” urlò di nuovo.
Mi portai le mani alle orecchie sperando di poter attutire quel fastidiosissimo suono che proveniva dalla sua bocca.
“La pianti sbraitare come una pazza psicopatica?” dissi infastidita.
Se possibile, la sua rabbia quadruplicò. La vidi digrignare i denti come un cane rabbioso. Poi fece dietro front e si chiuse in bagno.
Non potei fare a meno di scoppiare in una fragorosa risata. Ma possibile che quella ragazza reagisse sempre nel medesimo modo? Era così prevedibile! Ed io ero così annoiata da quella sua prevedibilità.
Indossai il pigiama ancora sogghignante quando lei mi degnò nuovamente della sua presenza.
“Perché?” chiese semplicemente.
Nel suo tono non vi era più rabbia. Solo qualcosa di simile alla rassegnazione. Si stava rassegando alla mia evidente superiorità.
Come biasimarla?
Mi avvicinai fino a un palmo dal suo naso. Ghignai.
“Perché cosa?”. Volevo godermela la vittoria. E quale modo migliore c’era se non quello di umiliare colei che si era dichiarata sconfitta?
Lei sbuffò rassegnata. Sapeva che doveva rispondermi.
“Perché l’hai fatto? Tu puoi avere tutti gli uomini di questo mondo, perché non mi hai lasciato Derek? Almeno per una notte!”.
Il mio sorriso si estese oltre ogni limite. Ma davvero non lo capiva?
“Ho visto che ci tenevi …” i miei occhi incontrarono i suoi e, sebbene non stessi usando i trucchetti, la vidi rabbrividire.
“ … Insomma, eri così accecata dalla felicità di aver rimorchiato un tipo che non fosse Rob che hai fatto la scelta sbagliata, mia cara Caren. Hai deciso di mostrarmi la tua conquista come un trofeo, sperando che, almeno una volta, io avrei provato invidia nei tuoi confronti.
Ma hai fatto male, come al solito, i calcoli.
Io sono andata a letto con lui per due fondamentali ragioni: la prima è che mi annoiavo, la seconda è che amo vederti così. Amo vincere. Amo essere la migliore e poter ottenere ciò che voglio. Amo che gli atri non si mettano contro di me. Amo vederti arrabbiare perché questo mi diverte.
Vuoi sapere perché l’ho fatto? Per divertimento e per gioco, semplice!”.
Conclusi il mio monologo di fronte ad una Caren sempre più livida di rabbia.
“Sei proprio una stronza! Come fai? Non puoi accontentarti di vivere la tua vita senza rendere impossibile quella degli altri?”.
Ridacchiai.
“Potrei, ma non sarebbe divertente!”.
“Sei una bastarda!” concluse guardandomi con disprezzo.
Aveva ragione, io ero una bastarda. Ma ero tremendamente fiera di esserlo.
Lei invece era solo una fallita.
“E’ esattamente quello che dovresti essere anche tu! Solo che tu non sei come noi e me ne rendo conto sempre di più. Tu sei l‘anello debole! Lo sei sempre stata! Non so Alan che potenzialità abbia visto in te …” ero quasi schifata. Lei mi ascoltava in silenzio. La rabbia era di nuovo sfumata, ma non riuscivo a definire la sua espressione. Era delusa o triste?
“Tu dovresti essere come me e Rob! Incurante di tutto e di tutti, forte, spavalda, e nessuno dovrebbe essere in grado di metterti i piedi in testa, almeno non con facilità! Tu invece non sei così, ci provi, ma non ci riesci. Non sei nata per questa vita!”.
Un amaro sorriso si estese sul suo volto.
“Io sono come voi!” ribattè.  La guardai scettica.
“Ho solo meno potenza, meno forza. Non lo so perché, ma sono esattamente come voi!”.
Sembrava un vano tentativo di convincere sé stessa piuttosto che me.
“No Caren! Tu sei una DEBOLE! Una vergogna!” ripetei tagliente.
“NO!” urlò “Te lo proverò!”.
Risi.
“E’ proprio qui che sta il tuo problema. Tu non dovresti provare niente a nessuno. Non dovrebbero nemmeno sfiorarti le mie parole! Dovrebbero farti ridere, non farti soffrire. È questo che fa di te una DEBOLE!” enfatizzavo sempre di più quella parola.
Lei fece per aprire la bocca per ribattere, ma poi la richiuse senza far uscire alcun suono.
Non aveva più niente da dire. In silenzio raccolse la borsa e si diresse verso la porta.
“Pagherai tutto Mar! Dalla prima all’ultima tua azione puoi starne certa!”.
Ghignai.
“Uuuu tremo di paura!” era così divertente farsi beffe di lei!
Scosse la testa come rassegnata.
“Ti detesto!” esclamò con disprezzo.
Come se ciò potesse ferirmi.
“Lieta di sentirtelo dire!”.
Chiese con forza la porta dietro di sé.
 
 
 
La mattinata era a dir poco splendida. Il sole riscaldava il cielo, ma non la terra. Faceva molto freddo per essere l’inizio di ottobre. Mi strinsi nel mio cappotto nero dirigendomi verso il palazzo dove si tenevano le lezioni quando mi sentii placcare di lato.
Letteralmente.
Emily mi era praticamente saltata addosso nel tentativo di abbracciarmi, e ci mancò poco che io non cadessi a terra.
Ma che diavolo stava facendo? Cercai di allontanarla da me ma lei non mollava la presa.
Assunsi un’espressione quasi schifata.
“Dio Mar! Sono troppo felice!” esclamò ridacchiando.
Finalmente la allontanai da me e la guardai in faccia. Dire che era euforica era un eufemismo. Il sorriso le partiva da un orecchio per andare a terminare all’altro. Se non l’avessi visto con i miei occhi, non avrei mai creduto che un essere umano potesse estendere così tanto le proprie labbra.
Assunsi un’espressione interessata, ero o non ero la suaamicona?
“Rob?” al solo nominarlo i suoi occhi scintillarono. Annuì con foga.
Sorrisi a mia volta, come se fossi sinceramente felice per lei.
“Racconta!”. Non se lo fece ripetere due volte.
“Ieri sera mi ha portata in un ristorante stupendo, tutto decorato con candele profumate. E mi ha detto un sacco di paroline dolcissime, e…” divenne rossa come il sole al tramonto.
“E ..?” incalzai ostentando curiosità.
“Ha detto che crede di AMARMI …” imbarazzata abbassò lo sguardo.
Bleah! Mamma mia Rob com’era esagerato. Avrebbe potuto conquistare Emily anche senza usare questi mezzucci. Comunque così aveva accelerato solo le cose.
Bene.
Molto bene.
“Sai Mar …” continuò quasi sottovoce “… credo di AMARLO anche io!”.
Sorrisi radiosa. Questa volta il mio sorriso non aveva nulla di falso. Ma naturalmente non ero felice per lei, quanto piuttosto per ME!
Non potevo sperare in meglio. Tutto procedeva alla perfezione. Presto avrei potuto sperimentare l’automatizzazione su di lei.
Ero euforica, almeno tanto quanto lei.
Ma subito mi ricordai che dovevo recitare il ruolo della brava amica premurosa e feci sparire quel barlume di felicità dalle mie labbra.
“Emily …” iniziai, ma mi interruppe.
“So cosa vuoi dirmi!”. Alzai un sopracciglio scettica.
“Sei ancora preoccupata per me perché pensi che lui sia un donnaiolo e che mi abbandonerà alla prima occasione, ma non succederà. Te lo assicuro! Lui mi guarda in un modo …”.
“Mai fidarsi degli sguardi! Possono abbindolarti, stregarti e celare …” dissi.
Quanto c’era di vero in quelle parole!
“Lo sguardo non mente MAI!” asserì sicura.
Stava proprio in quest’ultima frase il nocciolo della condizione dei comuni esseri umani.
Essi erano convinti  che negli occhi si trovi sempre e solo la verità, ma chi meglio di me poteva sapere quanto essi possano trarre in inganno?
Questa convinzione spingeva loro in trappola. Trappola che scattava quanto per sbaglio uno di loro incontrava il NOSTRO sguardo.
Quelle riflessioni mi fecero sentire forte. Io avevo in mano un potere davvero enorme. Ed era fantastica tale consapevolezza.
Fummo interrotte da una voce di scherno.
“Ma guarda un po’ chi si vede. La zoccola e il topo con gli occhiali!”.
Mike, con mio enorme disappunto, aveva la stessa voce di qualche giorno prima e non sembrava portare segni evidenti della mi vendetta.
Gli sorrisi beffarda.
“Ma guarda un po’. La quasi donna!” sogghignai di fronte all’espressione arrabbiata che assunse.
“Sei proprio una zoccola!”. Caspita. Che coraggio! L’ultima volta che me lo aveva detto si era ritrovato un mio ginocchio tra le gambe, e la cosa non doveva essergli piaciuta più di tanto. Ripensai alla scena e sorrisi. Erano stati bei momenti.
Mi avvicinai letale, ma senza abbandonare la grazia.
“Dimmi Mike. Vuoi che ti faccia PIU’ male rispetto alla volta scorsa?”.
Sbarrò gli occhi per una frazione di secondo poi tornò a fissarmi negli occhi arrabbiato.
Povero Mike. Pessima, pessima scelta.
“Sei proprio una …” si interruppe. Ormai il suo sguardo era stato catturato dal mio. Irrimediabilmente. Non stavo usando trucchetti, ma solo la naturale magneticità dei miei occhi. Incutevano timore, oltre che ordini.
Sembrava che volesse sfuggire al mio controllo, ma gli era difficile. Assunse un’espressione turbata.
“Non ci infastidire più Mike, se ci tieni ai tuoi testicoli!” sussurrai piano per non farmi sentire da Emily.
Lui deglutì visibilmente spaventato da quella minaccia. Lo lasciai libero e schizzò via.
“Caaaaaaspita!” esclamò colpita Emily “Sei coraggiosa almeno quanto Rob!”.
Non ne potevo più nemmeno di sentir nominare Rob con quel tono innamorato.
Stavo per risponderle male quando mi ricordai della parte che dovevo interpretare.
Quella della brava ragazza.
A volte era dannatamente difficile fingere che mi importasse qualcosa degli altri. Io, per natura, pensavo solo a me stessa.
“Grazie Emily!” mi sforzai di sorriderle.
Ricambiò.
 
 
I due giorni seguenti trascorsero lentamente e per me furono particolarmente noiosi.
Non avevo proprio niente da fare. Nessuno da importunare o da far innervosire. Cercavo di non usare i trucchetti e aspettavo impazientemente che Rob facesse la prossima mossa con Emily.
A quanto pare il loro rapporto in quei giorni stava proseguendo in maniera idilliaca. Erano inseparabili e si guardavano con occhi colmi d’amore!
Puah! Erano disgustosi.
Eppure ogni volta che li incontravo dovevo fingere di essere enormemente felice per loro e dovevo impegnarmi per non vomitare.
L’idea di avere un obbiettivo mi permetteva di fare tutto ciò, ma mi stavo annoiando comunque.
Come se non bastasse Caren aveva preso ad evitarmi, se non altro aveva capito che era meglio non svegliare il can che dorme.
Così io passavo le mie serate in un locale scelto a caso, rimorchiavo, passavo una notte da sballo e il mattino dopo ero di nuovo costretta a fingere di essere quella che non ero.
Rimpiangevo di non essere a villa lux, dove potevo mostrare tranquillamente la mia vera natura, dove non dovevo nascondermi.
Finalmente giovedì mattina arrivò la svolta che tanto aspettavo.
Entrai in aula e come al solito Emily aveva già preso posto in prima fila. Mi avvicinai a lei e mi sedetti accanto.
Non la vedevo in volto perché la sua folta cascata di capelli la ricopriva completamente mentre era intenta a scribacchiare qualcosa sul suo quaderno.
Probabilmente di trattava di appunti. Sospirai di sollievo nel vedere che ancora Rob non era arrivato, almeno non mi sarei dovuta sorbire i loro sbaciucchiamenti di prima mattina.
“Buongiorno!” la salutai con finto entusiasmo.
La vidi sobbalzare e alzare o sguardo su di me.
“Dio Mar! mi hai fatto prendere un colpo …” disse portandosi una mano sul petto come per voler controllare se i suoi battiti erano tornati alla normalità dopo lo spavento.
Così facendo mi fece intravedere il foglio sul quale si stava accanendo fino a poco prima. Avrei preferito di gran lunga non posare i miei occhi su esso dove il nome di Robert troneggiava insieme ad uno svariato numero di cuoricini.
Poi, improvvisamente lei sorrise. Un sorriso radioso. Il sorriso che ha un bambino quando riceve un regalo a lungo desiderato.
“Mar!” quasi urlò.
“Sì sono qui, ti sento!” nel mio tono c’era un pizzico di disappunto.
“Oh Mar sono così felice!”.
“Ma davvero? Non l’avevo proprio notato!” ero decisamente sarcastica.
Lei, fortunatamente sembrò non prendersela più di tanto e continuò ad essere gioiosa.
“E non vuoi sapere perché?”.
Ero la sua quasi migliore amica, DOVEVA importarmi la motivazione della sua gioia.
Annuì. Almeno quel gesto non mi  richiedeva un grosso sforzo.
“Bè ieri Rob, mentre mi baciava, ha messo una mano sotto la mia maglietta.
All’inizio l’ho scostata, insomma io non sono quel genere di ragazza. Sai, temevo si sarebbe arrabbiato e invece è stato dolcissimo. Mi ha detto che se non ero pronta mi avrebbe aspettata.
Ma poi mi ha guardata con quegli splendidi occhi azzurro cielo che si ritrova. Oh Mar! Dovevi vederli.
Erano così pieni di amore! Allora mi sono domandata cosa ci fosse di sbagliato nel concedermi all’uomo che amo e da cui sono amata. E sono giunta ad una conclusione ovvero che non c’era niente di sbagliato!”.
Mentre raccontava aveva la testa su un altro pianeta. Era persa, persa nei ricordi, in quelle fugaci immagini che tanto amava. In quel film in cui Rob stava interpretando perfettamente la parte del protagonista.
Perché non era altro che ciò. Un film. Irreale e fittizio. La bellezza di un film stava nella bravura degli attori e del regista e Rob era capace si svolgere entrambi i ruoli egregiamente.
Non dico che fossi ammirata, io ero più brava, ma senz’ombra di dubbio ero rimasta colpita.
Emily riprese a parlare arrossendo sempre di più ad ogni lettera.
“Siamo andati in camera sua e lui ha iniziato a-a baciarmi d-dappertutto e in un attimo n-non avevo più i-i vestititi addosso …”.
Ok, stavo per vomitare.
“Puoi saltare i particolari?” dissi storcendo il naso.
Lei sorrise.
“Sì, scusa. Insomma Mar! Ho fatto sesso per la PRIMA volta in vita mia e con l’uomo che amo! Ti rendi conto?”.
Se non fosse stata seduta probabilmente si sarebbe messa a saltare per la gioia.
Era raggiante. E lo ero anche io. Non mi aspettavo un simile passo, ma ciò non poteva far altro che volgere a mio favore.
Questo avrebbe reso la loro inevitabile separazione più dolorosa, e lei si sarebbe ritrovata sola e distrutta con me al suo fianco a raccogliere i frammenti del suo fragile cuore spezzato. Si sarebbe fidata di un’unica persona, quella che l’aveva sempre messa in guardia, quella che l’aveva difesa, quella che le aveva dato consigli, quella che le era amica.
Si sarebbe fidata unicamente di ME.
Ero troppo felice. Le cose andavano sempre meglio grazie a un mix di fortuna e bravura.
Ero una grande stratega! Non mi rimaneva altro che parlare con Rob.
“Fantastico! Oddio! Sono così felice per te!” non mi fu nemmeno difficile fingere di essere euforica, infondo lo ero, anche se non per le ragioni che credeva lei.
“Non puoi immaginare quanto sia felice io! E’ stato come un sogno. Mi ha fatta sentire a mio agio e non mi ha fatta neppure male!” sospirò innamorata.
La guardai con un po’ di compassione. L’amore rendeva le persone così fragili, così ceche. Era come se ad ogni innamorato venissero poste delle grosse fette di salame di fronte agli occhi. Era questo che faceva soffrire.
Era un miliardo di volte meglio la mia vita rispetto alla sua.
“Vedo che sei felice, ma Emily …”. Lei  alzò gli occhi al cielo e sbuffò per l’ennesima.
“Lo SO Mar. LO SO ok? Sto attenta!”.
Sospirai come se fossi tremendamente preoccupata per lei.
In quel momento Rob fece la sua entrata trionfale. Si avvicinò alla sua finta anima gemella e le diede un tenerissimo bacio a fior di labbra. Lei gli gettò le braccia al collo felice.
La scena era davvero disgustosa. Fulminai Rob con lo sguardo mentre la abbracciava.
Lui ghignò soddisfatto della mia espressione. Bene! Si stava dirigendo dritto dritto nella mia rete.
La lezione incominciò e per la prima volta in vita sua Emily non stava scrivendo come un’ossessa. La vedevo fissare di sottecchi Rob e scambiarsi paroline dolci che per fortuna non sentivo, altrimenti non sarei proprio riuscita a resistere in quell’aula.
Mi sentì toccare il gomito che avevo poggiato sul banco e mi voltai per vedere chi fosse stato.
Emily sorridendomi radiosa mi passò un bigliettino.
 
‘ Da quando ti conosco la mia vita ha preso una piega inaspettatamente positiva. Mike ha smesso di rendermi la vita impossibile, ho conosciuto Rob e ho trovato un’amica, una vera amica! Ti voglio bene.
Emily.’
 
Quelle poche parole avrebbero potuto sciogliere anche il cuore più duro, ma probabilmente io non ero dotata di quell’organo perché non mi fecero tenerezza.
Riuscii solo a pensare a quanto fosse tremendamente ingenua e stupida a credere così cecamente a delle persone che conosceva da così poco tempo.
Ancora una volta mi complimentai con me stessa per l’ottima scelta che avevo fatto. Emily era proprio perfetta per il mio esperimento, era così tremendamente fragile.
 
‘Anche io ti voglio bene Emy!’
 
Scribacchiai.
La lezione finì piuttosto velocemente, soprattutto perché, pur di non guardare i due piccioncini lanciarsi sguardi da carie, ero stata attenta per tutto il tempo e per mia fortuna l’argomento trattato quel giorno mi aveva interessata particolarmente.
All’uscita dall’aula trattenni Robert per un braccio.
“Rob vieni?” domandò Emily vedendo che si era fermato.
“Devo parlarci un attimo!” riposi al posto suo “Ti dispiace?”.
Sorrise.
“Non certo che no! Ci vediamo a pranzo al solito posto!” esclamò alzandosi in punta dei piedi per lasciare un bacio a stampo sulle labbra di Rob.
“Conterò i minuti che separano il nostro prossimo incontro!” sussurrò lui con voce sommessa.
Lei ridacchiò e scomparve tra la folla.
Conterò i minuti che separano il nostro prossimo incontro!” lo scimmiottai imitando falsamente la sua voce.
“Da quando dici queste porcherie?” continuai.
“Da quando QUALCUNO ha dei piani e me li tiene nascosti!” disse ammiccando.
“Perché sono piani, vero piccola Mar? O è gelosia la tua?”.
Scoppiai a ridere. Adesso sì che era tornato ad essere il solito Rob, quello strafottente e narcisista.
“Ma non farmi ridere! Sei patetico!” ghignai.
“La tua amica è patetica! Come ha fatto a creder che la amo? Non la facevo così scema!”.
Alzai le spalle.
“E’ una ragazza semplice!”.
“La difendi pure?” alzò un sopracciglio per evidenziare il suo sbigottimento.
“E’ MIA amica!” ribattei trattenendo a stento una risata. Era talmente falso quello che avevo detto da trovarlo io stessa buffo.
Lui iniziò a piegarsi in due dalle risate.
“Ahahah vallo a raccontare a qualcun altro!”.
Lo presi per il colletto della maglietta e lo obbligai a incontrare i miei occhi magnetici. Si fece serio e rimase immobile,  in trappola, come sempre.
“Non ti deve interessare perché mi serve Emily ok? Solo non farla stare male!” lo fulminai con lo sguardo.
“Se no?” il suo tono era provocatorio, il suo sguardo euforico. Sapeva cosa doveva fare per infastidirmi. Avrebbe fatto esattamente quello che io volevo facesse.
Gli avevo fatto credere, abilmente, che non volevo che venisse fatto del male ad Emily, ma in realtà volevo l’esatto contrario. Rob l’avrebbe fatta soffrire solo perché credeva che in tal modo avrebbe fatto un dispetto a me, mentre invece mi faceva solo un’enorme favore.
Sorrisi compiaciuta della mia bravura.
“Se no … bè Rob …” mi avvicinai alle sue labbra con un ghigno “… lo vedrai!”.
Girai i tacchi e lo lasciai in quel corridoio con quella luce di gioia negli occhi.
 
 
 
Quel pomeriggio decisi di fare una cosa piuttosto insolita, ovvero aprire un libro.
Prima o poi sarebbe arrivato il momento di dare degli esami e non potevo farmi cogliere impreparata.
Presi il volume composto da più di seicento pagine ed iniziai a sfogliarlo.
Non avevo voglia, ma mi costrinsi ad iniziare a leggere.
Con mia enorme sorpresa rimasi molto presa dalla lettura tanto è vero che quasi feci un salto per aria quando qualcuno citofonò.
Guardai l’orologio maledicendo lo scocciatore di turno.
Le 21:13.
Accidenti. Erano le nove e non avevo nemmeno cenato. Mi alzai a malavoglia e mi diressi verso il citofono.
“Si?” dissi annoiata.
Dei singhiozzi raggiunsero il mio orecchio. Sorrisi. Bene.
“M-mar? S-sono Emily. T-ti prego, fam-mi salire!”.
Senza una parola le aprii il portone.
I giochi stavano per iniziare.


Ecco che anche

il decimo capitolo è andato!!

Devo dire che non mi convince per niente!

ho cercato di farmelo piacere, ma non ci sono affatto riuscita. mi sembra poco chairo e noioso, ho assolutamente bisogno di sapere cosa ne pensate voi!!

Intanto ringrazio calorosamente chi ha recensito gli scorsi capitoli!! mi avete riempito il cuore di gioia.
Ma anche chi ha messo la mia stoira tra le preferite, le ricordate e le seguite!

Sono infinitamente grata ad ognuno di voi!

Lasciatemi qualche recensione!! così almeno sò se questo capitolo vi ha fatto così schifo come ha fatto a me!

Al prossimo!!

Daisy.





 

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Capitolo 12
*** CAP 11 ***






CAP 11

Non appena aprii la porta fui sommersa dai capelli di Emily.
Ancora una volta mi stava abbracciando. Ancora una volta avrei voluto spingerla via, ma non potevo farlo. Mi mancava così poco per raggiungere il mio grande obbiettivo che sarebbe stato uno spreco buttare all’ultimo tutti i miei sforzi.
Le diedi così delle piccole pacche sulla schiena mentre il suo corpo veniva scosso continuamente dai singhiozzi.
Mi stringeva forte, come se quel semplice gesto potesse annullare tutto il dolore che provava.
Non avevo mai visto una persona soffrire realmente per amore, solo nei film. Ringraziai ancora una volta la fortuna per essere stata educata da Alan. Io non avrei MAI conosciuto quel dolore che stava dilaniando il cuore di Emily sotto i miei occhi. Mai.
Il suo pianto disperato non provocò in me alcun sentimento. Non mi importava niente che lei dovesse star male, a me interessava solo del mio esperimento. L’ EGOISMO dopotutto era il nostro pane quotidiano.
“A-avevi rag-gione s-su tuuuuuuuuuuutto!” cercò di articolare prima che un nuovo fiume di lacrime amare le inondassero gi occhi.
Cercai di allontanarla da me, se non altro per guardarla in faccia. Aveva gli occhi rosi e arrossati e un’espressione distrutta.
Non pensavo che una persona potesse provare tanta tristezza in un colpo solo. Era proprio fragile.
“Cos’è successo Emily?” chiesi fingendomi esageratamente preoccupata.
Una nuova crisi di pianto la travolse. Ma quanti liquidi aveva ancora in corpo quella ragazza? Se avesse continuato in quel modo sarebbe morta disidratata.
Per cercare conforto si avvinghiò nuovamente a me. Il suo corpicino tremava, era davvero scossa.
Poi si accasciò a terra e si raggomitolò su sé stessa cingendosi con le braccia le ginocchia e facendo cadere le copiose lacrime su di esse.
Non provava nemmeno a parlare, sapeva che nessun suono coerente sarebbe potuto uscire in quel momento dalle sue labbra.
Dio. Ero totalmente impreparata. Cosa accidenti si doveva fare in casi come quello?
Presi un bicchiere e lo riempii di acqua poi mi chinai e glielo porsi.
“Hei!” le sfiorai il braccio. Lei alzò lo sguardo addolorato su di me.
“Bevi!” le dissi porgendole il bicchiere “Ti aiuterà a calmarti!”.
Non so quanto ci volle per farla smettere di piangere, ma temo che ci abbia impiegato più di un’ora.
Avevo passato una dannata ora seduta accanto a lei a sussurrarle che tutto andava bene e ad accarezzarle il braccio.
Quando stavo per perdere le speranze lei si calmò. Finalmente.
“E’ uno stronzo. Mi ha u-usataaaaaaaaaaa!” singhiozzò.
“E non mi dire ‘Te l’avevo detto ’!” continuò nello sconforto più totale.
Sospirai per dare l’impressione di provare disappunto per non essere stata ascoltata.
“Che ha combinato?” domandai sperando con tutto il cuore che non riprendesse a piangere. Insomma se avesse continuato in quel modo mi avrebbe inondato l’appartamento!
“Mi ha mandata un messaggio in cui mi ha detto di andare a casa sua per le 8 e 30. Disse che aveva una sorpresa per me …” due goccioline salate le rigarono lentamente le guance pallide.
“Così sono andata da lui e … e …” fu interrotta dai singhiozzi. Sembrava disperata.
Dal mio punto di vista non era la fine del mondo se si era lasciati, si poteva trovare di meglio.
Bè se io fossi stata lasciata l’unico motivo di tristezza che avrei potuto avere sarebbe stato quello di non aver lasciato io per prima. Ma tanto non sarei mai stata lasciata per il semplice fatto che non mi sarei mai messa con nessuno.
A che serve vivere una storia seria se essa può portare al dolore che provava Emily in quegli istanti?
Non ne valeva la pena. La vita è fatta per essere goduta, quindi dovevo divertirmi. Punto.
“Emily cerca di riprenderti. Robert è uno stronzo! Non merita nemmeno una delle tue lacrime!”.
Sorrisi dentro di me per quella meravigliosa frase che era uscita dalla mia bocca. Non sapevo da dove l’avevo presa, solo che era una frase a effetto. Infatti Emily accennò un sorriso e tirò su col naso sedendosi più composta.
“Grazie!” era davvero riconoscente.
“E di che?” sorrisi amabilmente.
“Non fare la modesta! Mi sei sempre stata vicina. Sempre. E ti conosco da meno di una settimana. In così poco tempo sei stata quello che le mie migliori amiche non sono state in grado di essere in anni di vita. ANNI! Rimpiango solo di non averti ascoltata fino in fondo!” sospirò e tirò su col naso.
Mi finsi imbarazzata per le sue parole.
“A me è venuto tutto più che naturale, non mi devi ringraziare!”.
Naturale? Diciamo che ero una grandissima attrice, quello sì.
“Devo ringraziarti ugualmente! Penso di fidarmi di te più di quanto mi fidi di me stessa!”.
Colsi la palla al balzo.
“Crederesti ad ogni parola che io ti dicessi?” sorrisi.
“Sì. Ti crederei anche se tu mi dicesi che gli asini volano!”.
Bene molto bene. Era il momento.
Non avevo più bisogno del foglietto per ricordare le magiche parole del libro, ormai esse erano stampate in modo indelebile nella mia mente.

  
Fa che si fidino.
Cecamente.
Senza incontrarli. Cecamente.
Rendili deboli. 

 
Tutto ciò ero già riuscita a farlo. Avevo individuato Emily il pomeriggio in cui ero giunta al campus. L’avevo vista debole, indifesa e derisa. Era perfetta.
Ero entrata nella sua vita come un angelo venuto dal cielo e mi ero posta tra lei e coloro che la volevano ferire. Mike per primo.
L’avevo vendicata e quel ragazzo lo sapeva bene grazie alla ginocchiata che gli avevo tirato.
Poi l’avevo protetta da Rob, ma quello che lei non sapeva era che io l’avevo anche spinta tra le sue braccia.
Nel primo memento in cui lui l’aveva vista con me era subito rimasto incuriosito da lei, soprattutto perché non sapeva cosa ci facessi io con una come Emily.
La miccia era stata accesa con la mia semplice vicinanza a quella povera ragazza, avevo solo svolto il compito di alimentarla in maniera tale da creare un bel fuoco.
Avevo lanciato sguardi di disapprovazione quando Rob aveva mostrato un minimo di interesse nei confronti di Emily, gli avevo fatto credere che volevo che le stesse alla larga. L’avevo minacciato.
E lui aveva fatto, prevedibilmente, l’esatto contrario.
Le si era avvicinato e l’aveva sedotta. Tutto per fare dispetto a me, perchè credeva che così avrebbe disturbato chissà quali loschi piani che avevo in mente. Dopotutto adorava infastidirmi e mettermi i bastoni fra le ruote.
Io avevo nel frattempo interpretato la parte della perfetta amica che la metteva in guardia dal perfido Rob.
Una volta che il fuoco aveva preso a scoppiettare allegramente bisognava far sì che raggiungesse il culmine, doveva esplodere e quale modo migliore per farlo se non quello di riutilizzare la stupidità di Robert?
Gli avevo, così, intimato di non farla soffrire e lui aveva fatto l’esatto contrario.
Mi sarei dovuta ricordare di ringraziarlo.
Così la piccola Emily era corsa, col cuore spezzato, dall’unica persona che l’aveva sempre difesa e avvertita: IO.
L’unica di cui si fidasse davvero.
Incontrai i suoi occhi esaltata per la buona riuscita dell’operazione. Ero stata brava a rimanere dietro le quinte ad ammirare lo spettacolo che avevo creato. Ma era giunto il momento di entrare in scena.
“Ti fidi di me?” ripetei sia con la mente che con le labbra.
I suoi occhi erano nei miei. Per la prima volta da quando mi conosceva essi erano in trappola.
Ero stata attenta. Come dicevano quelle prime righe, io avrei dovuto far in modo che lei si fidasse di me senza usare i trucchetti, cosa che avevo fatto.
“Cecamente!” confermò assorta. Sorrisi.
Per essere debole era debole. Era nel peggior momento della sua vita. Il miglior momento per colpire. 

 Tu devi essere tutto. 

 
Mi concentrai. Le sue pupille dovevano vedere unicamente i miei occhi magnetici. Non doveva esistere nient’altro.
Sentivo che si stava stabilendo una sorta di simbiosi tra la mia mente e la sua.
Non si trattava di una sensazione piacevole. Era come se una forza  proveniente da Emily attraesse la mia essenza verso di sé.

. 
Stregali.
Li potrai guidare, sarai il loro padrone, per sempre. 

 
Vidi il suo sguardo completamente perso nel mio. Si poteva considerare stregata.
Poi quello che percepivo con i miei occhi si sovrappose con quello che percepiva lei.
Mi ritrovai, per pochi secondi, a fissare le mie iridi nere attraverso gli occhi di Emily. Questo continuo cambiamento di prospettiva mi creava le vertigini, così chiusi gli occhi.
 Fu allora che il processo finì.
Potevo vedere nella mia mente delle immagini che vedeva Emily attraverso i suoi occhi.
Ero riuscita a connettermi al suo cervello, a privarla della volontà. Finchè tenevo gli occhi chiusi e mi concentravo su di lei riuscivo ad essere LEI!
Era fantastico. Mi faceva sentire potente.
Attraverso i suoi occhi mi vidi sorridere. Ero seduta a gambe incrociate sul pavimento del mio appartamento. I lunghi capelli neri mi circondavano il viso. Ma il ghigno che avevo sul volto era ciò che indubbiamente si notava di più.
Partiva da un orecchio per terminare in prossimità dell’altro ed esprimeva soddisfazione. Pura e semplice.
Alzati.
La prospettiva cambiò. Dopo che Emily si fu alzata nel suo campo visivo non c’ero più io, ma la finestra della mia camera.
La feci dirigere verso la porta e la feci uscire. Era bello vedere le immagini attraverso i suoi occhi, era come vedere un film, un film di cui io ero protagonista.
Le feci raggiungere la camera di Rob dove lei stava per bussare.
Mi resi conto di non sapere realmente cosa fosse successo tra loro due, Emily non me l’aveva raccontato.
Era necessario che io fossi a conoscenza dei fatti prima che l’automa Emily incontrasse Rob: non volevo che lui si accorgesse del cambiamento.
Così scavai nella mente di Emily fino a trovare il ricordo che mi interessava.
 

La felicità le inondava ogni singola cellula del suo corpo. Non ricordava di essere mai stata così gioiosa in vita sua. L’amore era qualcosa di così bello, così coinvolgente da aver la forza di cambiarti la vita.
E Emily era follemente innamorata di Rob. Quel bellissimo ragazzo dagli occhi azzurro cielo e dai capelli biondo chiaro l’aveva completamente stregata. Sembrava un angelo, un angelo venuto dal cielo per cingerla con le sue ampie ali e non farla andare mai via.
Come poteva pensare Mar che non fosse seriamente innamorato di lei? Emily glielo leggeva in quelle iridi cerule  e, si sa, gli occhi non mentono mai.
Bussò un paio di volte e lui arrivò ad aprirle.
Il respiro le si mozzò in gola quando vide che era solo in boxer. Non potè fare a meno di puntare gli occhi su quei bicipiti ben definiti e su quella tartaruga leggermente accennata, senza tralasciare le gambe muscolose.
Deglutii a vuoto e abbassò lo sguardo imbarazzato.
“Chi è Roby?” una voce proveniente dall’appartamento di Rob aveva posto quella semplice domanda.
Una voce femminile e civettuola.
Prima che il suo cervello elaborasse l’informazione il cuore le si era già spezzato in mille microscopici pezzi. Sarebbe stato impossibile aggiustarlo. Non seppe come fece a non cadere a terra dato che le gambe le erano diventate improvvisamente gelatinose, rimase lì in piedi ad assistere ad una scena che l’avrebbe distrutta.
In un batter d’occhio la proprietaria della voce era comparsa al fianco di Rob in intimo. Se quello che aveva addosso poteva considerarsi tale. Emily abbassò gli occhi per non far scorgere le lacrime che minacciavano di fuoriuscire da essi. Cercava di essere forte, come Mar.
La ragazza prese ad arricciarsi su un dito i lunghi capelli biondi e la squadrò con superiorità dall’alto in basso.
“E chi sarebbe questa?”.
Rob ghignò. Lui che ghignava? Emily non ci credeva nemmeno a vederlo. Ormai le lacrime le solcavano il viso andando ad infrangersi sulle sue labbra, facendole così assaggiare il gusto amaro di un amore perduto.
“Nessuno, solo una che mi sbattevo!” lo disse freddamente.
Una voragine le si spalancò nel petto minacciando di inghiottirle il cuore. Non le importava se ciò fosse successo, almeno avrebbe smesso di soffrire.
Incontrò i suoi occhi, quegli occhi che non le avevano mai mentito e vi lesse indifferenza.
Niente di più. Quello non era il suo Rob.
“Allora mandala via!” sbuffò la ragazza avvicinandosi verso il collo di Rob e posando su di esso un languido bacio.
Emily doveva dire qualcosa. Doveva farcela.
“E-era questo che ero per te? Ero u-una ti sba-sbattevi?” tremò nel pronunciare l’ultima parola.
Lui rise. Fu la risata peggiore che lei avesse mai sentito. Una risata di scherno, talmente gelida da farle drizzare tutti i peli.
“Ma andiamo. Non avrai creduto davvero che UNO COME ME stesse seriamente con una come te”.
Un singhiozzo uscì dalle labbra di Emily.
“Ommio Dio!” esclamò lui tra ulteriori risate “Lo credevi davvero!”.
Cos’altro avrebbe potuto fare Emily?
Col cuore a pezzi decise di correre via, verso l’unica persona che non l’avrebbe mai delusa, verso l’unica di cui si fidava.
E mentre correva un triste pensiero le attraversò la mente: come potevano quegli occhi averle mentito così?
 

Sorrisi. Quella ragazza non era solo una sciocca, era qualcosa di più. Insomma come poteva credere che Rob si fosse seriamente innamorato di lei. Insomma, già per una persona normale innamorarsi in tre giorni era difficile, per Rob poi sarebbe stato impossibile.
Bè, lei non poteva conoscere la sua vera natura, ma, anche se fosse stato uno normale, egli non si sarebbe mai potuto innamorare di una come Emily. Era una sfigata intendiamoci. Con un livello di sex appeal pari a quello di un orango!
E poi dovevo ammetterlo, Rob aveva architettato un modo geniale per farla stare male. Insomma un’uscita di scena perfetta, dopotutto anche lui era allievo di Alan Black.
Sorrisi e ordinai ad Emily di bussare alla porta di Rob.
Dato che nessuno sembrava rispondere la feci bussare un’ulteriore volta.
Dalla camera sembrava arrivare un gran trambusto. Mmm bene, Rob si stava divertendo!
Sarebbe stato bellissimo infastidirlo. Negli ultimi giorni ero talmente stata presa dal mio piano che mi ero dimenticata di come fosse divertente fargli i dispetti. Devo dire che mi mancavano i nostri battibecchi.
Rob apparve sulla porta con i capelli scompigliati e con una mano si copriva le parti basse.
Appena vide Emily assunse dapprima un’espressione stupita che si tramutò ben presto in puro disprezzo.
“Che ci fai ancora qui?” chiese freddamente.
Dovevo stare attenta a non far vedere le iridi di Emily a Rob altrimenti lui avrebbe capito che era più simile ad Agatha che alla ragazza che aveva visto poche ore prima.
Così le feci alzare una mano per farle piantare sullo zigomo di Rob un bel ceffone.
“Ma cosa diavolo …” iniziò a lui sorpreso e arrabbiato al tempo stesso.
“Stronzo!” feci dire ad Emily.
Temetti che la suo voce sarebbe stata apatica e monotona come quella della nostra domestica, ma notai con stupore che era arricchita di disprezzo.
Probabilmente quando gli ‘automi ’ erano sotto diretto controllo come in questo caso, riuscivano a sembrare persone normali, mentre quando venivano lasciati liberi erano apatici perché erano stati privati della loro volontà e dei loro sentimenti. In poche parole del loro essere umani.
Erano solo dei gusci. Dei gusci vuoti che andavano guidati, come, per l’appunto, stavo facendo io.
Feci alzare ad Emily gli occhi in modo tale da vedere l’espressione di Rob.
Devo dire che ne valse decisamente la pena. La confusione e lo smarrimento albergavano nei suoi occhi.
Non potei fare a meno di sorridere, quanto mi era mancato dargli fastidio!
Feci andare via Emily così come era arrivata.
La feci uscire e le ordinai di dirigersi alla Drik House. Lo feci per andare a ferire quella donna che aveva il coraggio di farsi chiamare mia madre.
Emily entrò e prese posto. Poi vidi una cosa che attirò la mia attenzione.
Caren era seduta ad un paio di tavoli dalla ragazza che controllavo e rideva sguaiatamente alle battute di non so quale ragazzo perché egli mi dava le spalle.
Osservai con disgusto come si passava la mano tra i ricci rossi facendolo passare per un gesto del tutto casuale. Si vedeva lontano un miglio che era falsa. Il suo era un pessimo tentativo di attirare l’attenzione.
Poi la vidi avvicinarsi al ragazzo e assumere uno sguardo strano. Capivo cosa stava facendo.
Lo stavainfluenzando. Probabilmente gli avrebbe ordinato di andare a letto con lei dato che lui spontaneamente non l’avrebbe mai fatto.
Ridacchiai di fronte a quella prospettiva.
Poi accadde qualcosa di insolito. Caren spalancò gli occhi e il suo sguardo si fece vacuo. Tutto ciò avvenne in una frazione di secondo, un tempo talmente piccolo che credetti di essermi immaginata tutto.
I due iniziarono a parlare normalmente come se niente fosse.
Quasi sicuramente me lo ero immaginata.
Li guardai alzarsi, per uscire dal locale mi passarono accanto. Solo in quel momento vidi il ragazzo di profilo e lo riconobbi. Quegli occhi verdi erano inconfondibili, nessuno possedeva un colore delle iridi così intenso.
Lo vidi girarsi verso Emily. Prima che gli occhi di Dave incontrassero i suoi io spalancai di colpo i miei.
Mi ritrovai di nuovo nella mai camera. Avevo le ginocchia indolenzite per essere rimasta a lungo con le gambe incrociate, immobile in quell’unica posizione. Mi alzai a fatica e mi sdraiai sul letto.
Mi sentivo esausta. Evidentemente compiere l’automatizzazione portava via un sacco di energie, ma era comunque gratificante.
Avevo controllato Emily, ce l’avevo fatta! Il mio esperimento era perfettamente riuscito.
Come potevo non esserne felice? Nel momento esatto in cui avevo aperto gli occhi Emily era tornata libera, se così si poteva definire lo stato nel quale si trovava. Era libera dalla mia volontà, ma pur sempre priva della sua. Era un automa apatico, probabilmente sarebbe tornata a casa e li sarebbe rimasta.
 
 
 
 
“Sai cosa mi è successo ieri di bello?” mi domandò Rob mentre aspettavamo, dopo la fine delle lezioni, il taxi che ci avrebbe ricondotti a casa per il week end.
Sapevo già cosa mi voleva raccontare. Del fatto che aveva ferito Emily, conoscendolo non vedeva l’ora di stuzzicarmi.
“Ieri sera, verso le dieci passate, Emily si è presentata davanti alla mia stanza …” assunsi un’espressione stupita, non mi sarei aspettata che sarebbe partito raccontandomi dello schiaffo.
“E sai cosa ha fatto?”.
Scossi la testa facendo la finta tonta.
“Mi ha tirato uno schiaffo!” esclamò indicandosi la guancia sulla quale Emily lo aveva colpito.
Iniziai a ridere come una pazza. Era davvero divertente l’espressione che aveva assunto.
“Ma davvero?” riuscii ad articolare.
Lui annuì. “Sai qual è la cosa più strana?”.
Come se non fosse già abbastanza strano che una buona e pacata come lei tirasse uno schiaffo a qualcuno.
“Che aveva lo sguardo simile a quello di Agatha, sai un po’ vacuo!”.
Se non fossi stata un’ottima attrice mi sarei zittita e avrei assunto una faccia colpevole. Ma fortunatamente la recitazione era una delle mie doti, così risi ancora più forte, talmente forte che lui assunse un’espressione stupita e delusa. Prima della mia reazione era certo di non sbagliarsi. Con le mie doti ero riuscita a portarlo fuori strada.
“Quindi tu non c’entri  niente?” sembrava più un’osservazione che una domanda.
“No no! Dai Rob! Era ora che quella ragazza si svegliasse!” sorrisi.
Lui ghignò.
“Tu comunque non me la racconti giusta sai? Ancora mi chiedo a cosa ti servisse …”.
“Ma secondo te Rob? Ahahahaha mi sono dannatamente divertita. Facendoti credere che volevo che tu le stessi alla larga tu ti sei avvicinato a lei. Insomma, praticamente ti ho costretto a portare a letto quella specie di donna!” mentii continuando a ridere fragorosamente.
“Sono colpito! Un ottimo piano!” concordò.
“Ma poi mi hai detto di non farle del male perché volevi che io la lasciassi perché così mi avresti potuto avere tutto per te!”.
Ridacchiai.
“Sì, certo Rob!”ero sarcastica.
“Tanto lo so che è così. Tutte le donne cadono ai miei piedi!” disse dandosi un sacco di arie.
“Sì, se qualcuna è mai caduta ai tuoi piedi ciò è successo semplicemente perché ha inciampato!”.
“Oh –oh” finse di ridere “Che simpatica!”.
“So di essere simpatica!” ribattei facendo spallucce.
“Comunque Caren cade ai miei piedi!”.
“Caren cadrebbe ai piedi di chiunque, basta che la persona in questione sia dotata di una certo attributo!”.
“Quindi stai ammettendo che io ho quell’attributo!” sussurrò sensualmente avvicinandosi alle mie labbra.
Mi avvicinai a mia volta alle sue fino a sfiorargliele lievemente.
Attributino!” dissi ridacchiando.
“Sempre più simpatica eh?”.
Annuii allontanandomi. Quanto mi divertivo.
In quel momento ci raggiunse Caren che però non ci degnò di un saluto.
“Hei Caren ci siamo visto poco sotto le lenzuola questa settimana! Appena arriviamo a casa ti va di rimediare?” le chiese Rob avvicinandosi a lei e cingendole il fianco con un braccio. Non avrei sopportato la vista di una loro nuova effusone in pubblico.
Ma lei reagì in un modo che né io né Rob ci saremmo mai aspettati. Girò la testa dalla parte opposta e si liberò del braccio di Rob che la cingeva. Nel farlo vidi che una sottile goccia d’acqua le stava attraversando il viso.
Impossibile.
 
 
 
Quando il taxi arrivò Robert si precipitò verso la portiera del passeggero davanti, ma io non gliel’ avrei mai data vinta. Non volevo sedermi vicino a Caren!
Così gli tirai una fiancata e lo sposta di lato prendendo rapidamente il posto del passeggero davanti.
Lui prese posto dietro fingendosi gravemente offeso.
“Questa me la paghi Mar!”.
Ridacchiai. Sì certo, come no!
Il viaggio mi diede modo di riflettere un fatto accaduto quella mattina, qualcosa di totalmente inaspettato.
Emily non era venuta a lezione. Gli automi erano portati a fare le azioni abituali della loro vita precedente. E sicuramente per lei era abituale frequentare i corsi.
Quindi quando quella mattina non l’avevo vista seduta al solito banco mi ero decisamente preoccupata.
Avevo chiuso gli occhi e mi ero concentrata su di lei, ma purtroppo non avevo raggiunto alcun risultato positivo.
Non riuscivo a sincronizzarmi.
Su quel taxi ci riprovai. Chiusi gli occhi e la focalizzai nella mia mente.
Niente. Vuoto totale.
Probabilmente qualcosa non aveva funzionato a dovere. Sbuffai leggermente infastidita. Tutto quello sforzo sembrava essere stato totalmente inutile.
Feci spallucce. Non avevo affatto voglia di pensarci, avrei sistemato la cosa non appena fossimo tornati al campus la domenica dopo.
Dopotutto tutti potevano sbagliare la prima volta no?
 
 
 
 
Anche l'undiciesimo capitolo è andato! Avete capito bene qual’era fin dall’inizio il piano di Mar? Per qualsiasi domanda chiedete pure!
Nel prossimo capitolo ci sarà il ritorno a casa però potrei postarlo con qualche ritardo perché ho poco tempo. Sono alle prese con la tesina e la preparazione per il test di ingegneria! XD
Passo a ringraziare tutti coloro che hanno recensito gli scorsi capitoli, mi sembra doveroso ringraziarvi uno per uno:
 Ally_92_
shadowdust
AlyDragneel
xxStellina92xx
lysdefrance
anjy89
Cedricblabla
cattivamela
nancywallace
MataDance

 Naturalmente ringrazio anche chi ha messo le mie storie tra le seguite (15!!!) preferite (12!!) e ricordate(2!!).
Naturalmente vi invito a lasciare una recensione, sono curiosa di sapere cosa ne pensate! Se vi vergognate a scrivere una recensione pubblica fatemi sapere anche tramite messaggio privato cosa ne pensate si questa storia!!
La smetto! Cercherò di aggiornare per domenica prossima ma non vi assicuro niente!
BUONA PASQUA!!!!!!!!!!!!!! : ) che le uova di cioccolato siano con voi!! : )
Daisy

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Capitolo 13
*** CAP 12 ***




CAP 12

 
 
Casa dolce casa. Non mi sembrava vero di essere tornata a villa lux dopo quello che sembrava un enorme lasso di tempo.
Eppure era passata solo una settimana dall’ultima volta che avevo visto quella casa antica che dominava quell’ampio giardino.
Non potei far a meno di sorridere e velocizzare il passo per arrivare al più presto tra quelle mura così familiari.
Citofonammo e dopo interminabili minuti Agatha giunse ad aprirci.
“Bentornati!” disse con la sua solita litania. Ok, lei non mi era mancata affatto.
“Sì sì Agatha!” la liquidai con un gesto della mano, mentre lei chiudeva la porta alle nostre spalle.
La casa sembrava deserta, forse perché era pomeriggio e Alan o stava facendo lezione o era con qualche paziente.
Notai con dispiacere che la forza misteriosa che mi attirava a quello strano libro era scomparsa. Stupidamente avevo creduto che tornando in quella casa avrei ripreso a sentirmi attratta da lui, invece non fu così.
Ero delusa. Avevo bisogno di riflettere così mi incamminai verso la mia camera.
Lì mi buttai sul letto e guardai il soffitto.
Oltre al libro un altro pensiero affollava la mia mente: Emily.
Cercavo di ripercorrere tutto ciò che avevo fatto la sera prima per automatizzarla sperando di trovare l’errore. Perché dovevo aver compiuto un errore.
Chiusi gli occhi e cercai nuovamente di mettermi in contatto con lei, ma niente. La mia mente non si popolava delle immagini che Emily avrebbe dovuto vedere. Rimaneva vuota.
Sbuffai. Era stato così difficoltoso calarmi nella parte della brava ragazza, ma almeno lo avevo fatto per una buona causa, per uno scopo. Ma tutto era stato inutile.
Per quel motivo avevo bisogno di quel libro. Dovevo assolutamente capire dove avevo sbagliato.
Il flusso dei miei pensieri fu interrotto da un rumore di nocche picchiavano sulla mia porta.
Prima ancora che io potessi dare il permesso allo scocciatore di entrare lui aveva già varcato tranquillamente la soglia.
“Rob! Non riesci proprio a starmi lontano?” sorrisi seducente, come se fossi lusingata dalle sue attenzioni.
“Eh no, a quanto pare! Ma vedo che a te non dispiace!” sussurrò avvicinandosi al mio orecchio in modo tale da farmi sentire sulla pelle il suo caldo respiro.
Rabbrividii.
“Qualunque donna ama le attenzioni di un uomo!” ribattei.
“Ma soprattutto le mie!”. Modesto come sempre.
Ridacchiai.
“Ah perche? Sei un uomo?”.
“Ah- ah che ridere!” esclamò prendendomi un polso e dirigendo la mia mano verso le sue parti basse.
“Vuoi che te lo provi?” sogghignò e io ritrassi la mano.
“No grazie! Ha già controllato Caren e poi non voglio che tu ci rimanga male!” lo provocai.
“Rimanerci male? E per cosa?”.
Proprio la domando che volevo mi facesse.
“Perché devi sapere che Caren… bè lei, diciamo che ha poche pretese!” ghignai.
“Ti sembro una bassa pretesa?” sospirò quasi a contatto con le mie labbra.
“Bè a lei piacciono poco dotati!”.
A queste mie parole lui scoppiò a ridere di puro gusto.
Fidati! Io non sono poco dotato!”.
“Sì sì, dicono tutti così!”.
“Vuoi toccare con mano?”.
Fu il mio turno di ridere.
“Non andrò ancora una volta con un ragazzo scelto da Caren!” dissi con una punta di ribrezzo.
Lui assunse un’espressione stupita.
“Un’altra volta?”.
Annuì.
“Bè ti ricordi il biondino tutto muscoli che parlava con lei qualche giorno fa?” gli chiesi impaziente di raccontargli quanto Caren sapesse scegliersi male le persone con cui fare sesso.
Lui scosse la testa.
“Sai sono un uomo, non tendo a guardare altri uomini. Mi rimangono più impresse le donne!” e così dicendo si sedette accanto a me e mi cinse con un braccio il fianco.
Voleva giocare e io come potevo non accontentarlo?
“Tipo Emily?” lo guardai negli occhi.
Lui distolse lo sguardo per puntarlo sulle mie labbra. Prontamente passai la lingua su di esse.
Lui deglutii a vuoto.
“Tipo te!”.
Sorrisi.
“Come baciava la tua cara Emy?” lo punzecchiai enfatizzando l’orribile nomignolo che lui le aveva affibbiato.
“Come baciava il ragazzo scelto da Caren?” ribattè.
La distanza tra di noi si era notevolmente accorciata.
“Da dio, il problema era il suo attributo! Decisamente poco sviluppato e i movimento di bacino che faceva erano peggiori di quelli di un settantenne!”.
“Come fai a dirlo? Sei stata con un settantenne?”.
Ridacchiai storcendo il naso.
“No! Ma immagino siano come lui!”.
“E mi stai paragonando a lui dato che Caren ha scelto anche me?”.
“Ovvio!” risposi felice.
Lui si finse offeso.
“Allora io ti paragono a Emily, che è peggio di un ottantenne!” a tali parole si allontanò da me assumendo un broncio fintissimo.
Ridacchiai.
“Ma come? Non era il tuo pasticcino?” dissi sbattendo le palpebre convulsamente.
Sorrise alle mie parole.
“Devo dire che è stato spassoso farmela! Guarda che era davvero facilina come ragazza, non l’avrei mai detto!” sorrise al ricordo. Se Emily lo avesse sentito probabilmente avrebbe avuto una crisi di pianto. Mia aveva ripetuto non so quante volte la frase ‘non sono quel tipo di ragazza’ e alla fine si era rivelata esattamente come ‘quel tipo di ragazza’.
“E tu mi paragoni a lei?” misi un finto broncio accorciando nuovamente le distanze.
Lui annuì mentre il mio respiro gli sfiorava le labbra.
“Lei sapeva fare questo?” sussurrai avvicinandomi al suo orecchio e bloccandomi in quella posizione sospirando.
Di fronte a quel lieve contatto tanti brividi gli comparvero sulla pelle del collo. Sorrisi soddisfatta.
“Lei era alle prime armi, ma a parte questo siete uguali!” la sua voce si era fatta più fioca e roca.
Eccitante. Mi divertivo un sacco a stuzzicare Rob.
“Cioè tu mi stai dando del topo con gli occhiali?” ansimai sul suo orecchio e nuovi brividi lo percorsero. Il suo respiro si fece più corto.
“Solo del topo dato che gli occhiali non li hai!”.
Ormai il nostro discorso non aveva più senso. Mi avvicinai ghignando alle sue labbra, mi piaceva avere il controllo della situazione.
“Un topo saprebbe fare questo?” gli chiesi fiondandomi sulle sue morbide e calde labbra.
Lui mi strinse forte a sé e dischiuse la bocca immediatamente pronto a far entrare la mia lingua.
Ma non sarei stata in me se lo avessi accontentato.
 In un attimo mi staccai e mi misi in piedi di forte a lui.
Ancora aveva il respiro corto e un ghigno stampato su quelle belle labbra.
“Lo sapevo!” ridacchiò.
“Ti diverti molto a eccitarmi per poi mandarmi in bianco vero?”.
Assunsi un’aria di totale innocenza.
“Io? Non avevo intenzione di fare una cosa del genere!”.
“Ah no?” alzò un sopracciglio per farmi intendere che non mi credeva.
Scoppiai a ridere di puro gusto.
“Impari a paragonarmi a quella specie di donna!”.
“Uff però ti odio! Adesso come faccio?” disse indicando il rigonfiamento sui pantaloni.
Dalle dimensioni non sembrava paragonabile a quello di Derek.
Ridacchiai coprendomi la bocca con la mano.
“Usa Caren!”.
Si alzò anche lui dal letto e mi si avvicinò pericolosamente.
“La prossima volta Mar non avrei scampo, tanto so che mi vuoi!” il suo tono era spavaldo. Il solito Rob.
Mi avvicinai a mia volta.
“Se ti avessi voluto ti avrei preso poco fa!” ghignai.
Era troppo sciocco. Ma ci credeva davvero a quello che diceva?
“Non se io non avessi voluto!” ribattè sicuro di sé.
“Ma tu mi vorrai sempre!” feci spallucce come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Lui mise una mano tra i miei lunghi e nerissimi capelli spettinandoli completamente.
Lo fulminai con lo sguardo. Lui invece si mise a ridere.
“Adesso non ti voglio più! Ahahahha sembri una vecchia strega!”.
Gli tirai uno schiaffo sul braccio fingendomi offesissima.
Misi una mano sulla maniglia della porta per uscire quando mi venne un colpo.
Nello stesso istante Caren stava entrando nella mia camera e così mi ritrovai inaspettatamente faccia a faccia con lei. Entrambe ci spaventammo e facemmo un salto indietro.
Finii così addosso a Rob.
“Hei! Mi vuoi proprio vicino eh?” sogghignò compiaciuto.
“LEI ti vuole vicino deficiente, non io!” dissi guadando con  aria superiore Caren.
Lei abbassò lo sguardo come ferita.
Un momento. Abbassò lo sguardo?
Nemmeno lei aveva MAI abbassato lo sguardo, con tutto che era la più debole del gruppo.
Che fosse tutto calcolato per chissà quale losco piano?
Se fosse stato così non ce l’avrebbe mai fatta a portarlo a compimento, era un tale disastro dopotutto.
Lui si avvicinò a lei con sguardo conquistatore.
Mi stupii nel pensare che Rob fosse davvero un bel ragazzo e che corrispondeva allo standard di bellezza di buona parte delle ragazze.
Insomma chi non vuole un biondo con gli occhi azzurri dotato di un fisico da modello?
Dal mio punto di vista io non volevo cedere alle sue provocazioni perché sapevo che sarei stata una delle tante. I ragazzi con cui stavo dovevano ricordarsi chiaramente della notte passata con me, non come avrebbe fatto Rob.
Io ero speciale e lui non mi avrebbe risaltata abbastanza. E poi potevo permettermi di molto meglio.
Intanto Rob si era posto davanti a Caren e le stava accarezzando la guancia.
Io mi appoggiai allo stipite della porta per godermi lo spettacolo, ovvero Caren che sarebbe crollata di fronte alle avances di Rob. Dopotutto andava sempre così. Sperai solo che non iniziassero a sbaciucchiarsi di fronte ai miei occhi.
Lui le sussurrò con un ghigno qualcosa all’orecchio.
Poi lei, con mia enorme sorpresa, lo prese per le spalle e lo allontanò.
“Ma credi che io non sappia cosa facevi un secondo fa con quella?” sbottò indicandomi.
Il suo tono non era colmo di disprezzo come mi sarei aspettata, ma piuttosto di dolore.
Dolore? Sembrava ferita.
“Cosa credi? Che perché lei ti manda in bianco tu possa venire da me a sfogarti? IO NON SONO IL TUO GIOCATTOLO!” ormai stava urlando in preda ad una rabbia incontenibile.
Io e Rob la fissavamo con la bocca e gli occhi spalancati incapaci di riprenderci di fronte a quella strana e insolita Caren.
La cosa più strana fu che enormi gocce di acqua salata iniziarono a solcarle il viso.
Stava piangendo?
CAREN DITY PIANGEVA?
Se non l’avessi vista con i miei occhi non c’avrei mai creduto. Non che in quel momento ci credessi. Era tutto così inverosimile. La vedevo realmente diversa. Diversa nel profondo dell’anima.
Come poteva uno di noi mutare così rapidamente?
Lei continuò il suo monologo alzando, se possibile, ancora di più il tono di voce.
“Ho dei sentimenti io!”.
Ok. A questa frase ci mancava poco che mi venisse uno shock.
Forse Emily si era impossessata del suo corpo. Una di noi non poteva parlare così. Era GENETICAMENTE IMPOSSIBILE!
Lei, dal canto suo, si asciugò le lacrime con il dorso della mano e, in un lampo, sparì dietro la porta della sua camera.
Il mio sguardo incontrò quello sconvolto di Rob.
“Hai visto anche tu quello che ho visto io?” mi domandò a mezza voce.
Annuì incapace di articolare alcuna risposta.
Io, Marguerite Jones per la prima volta in vita mia, ero rimasta senza parole. Seriamente.
Io e Rob continuammo a guardarci poi improvvisamente scoppiammo a ridere così fortemente da doverci tenere la pancia.
“Ahahah le hai viste le lacrime?” cercai di dire.
“Ahahaha assurdo!”.
Intanto ci eravamo diretti verso il piano di sotto quando fummo bloccati da Agatha.
“Il signor Black desidera vedervi!” la sua voce era monotona come sempre.
“Avverti tu Caren!” le ordinai fissandola negli occhi per far passare il comando.
“Il signor Black aveva mandato lei a cercarvi, quindi ne è già al corrente!” rispose assente.
Dubitavo che dopo la scena di poco prima Caren si ricordasse di andare da Alan.
“E tu vai a dirglielo lo stesso!” ero tagliente.
La donna non ribattè e si diresse verso al camera della rossa.
Non che io volessi Caren o ci tenessi al fatto che lei partecipasse al colloquio con Alan, ma ero proprio curiosa di vedere come si sarebbe comportata con lui.
E soprattutto se lui riuscisse a capire quale fosse la vera ragione di tale assurdo comportamento.
Così ci dirigemmo verso l’ufficio di Alan Black.
 
 
 
“Marguerite e Robert. Eccovi finalmente! Credevo che sarei invecchiato di qualche decennio prima di rivedervi. Avevo detto a Caren di chiamarvi, ma a quanto pare si è persa per strada!”.
Alan ci osservava al di sopra degli occhiali, aveva i gomiti poggiati sulla scrivania e le dita intrecciate in modo tale da poter posare il suo sottile mento sul dorso delle mani.
Non sembrava felice di rivederci, piuttosto era indifferente.
Io e Rob ci accomodammo l’uno di fianco all’altro sul lettino da psicologo che era posizionato su un lato dell’ampia sala. Entrambi stavamo facendo un enorme sforzo per non ridere delle stranezze di  Caren.
In quel momento anche lei entrò nello studio visibilmente sconvolta e Alan le rivolse uno sguardo glaciale, probabilmente era infastidito dal suo ritardo.
Lei prese posto sulla poltrona di fronte alla scrivania, ben lontana da me e Rob.
Mi coprì la bocca con la mano e cercai di ridacchiare il più silenziosamente possibile.
Alan si voltò di scatto verso di me fulminandomi con lo sguardo, sapevo che aveva sempre odiato la mia mancanza di serietà in momenti che lui riteneva importanti.
Quando parlò lo fece con voce a dir poco glaciale.
“Com’è andata la prima settimana all’università?” la domanda lasciò tutti senza parole.
Insomma Alan ci aveva convocato ‘ufficialmente’ solo perché voleva sapere ciò? Stentavo a crederci.
Dato che gli altri non spiccavano nemmeno una parola, decisi di tentare io.
“Bene! I corsi sono molto interessanti, abbiamo iniziato con Freud …”.
Lui alzò una mano per interrompermi. Di fronte a quel gesto ammutolii decisamente infastidita. Dopotutto chi era lui per comportarsi in quel modo?
Ok, sapevo che era molto più forte di me e, dato che la legge di natura dice che vince colui che meglio sa sopravvivere, non potevo far altro che obbedire. Ma tutto ciò non mi impediva di provare risentimento verso quella figura che mi stava seduta di fronte.
“Voglio dire, avete notato qualcosa di strano? Qualcuno che potesse essere a conoscenza del nostro segreto o qualcuno di particolarmente interessato a voi?”.
Sorrisi.
“Rob sì, ne ha trovata una…” iniziai maliziosa.
Mentre Rob mi tirava una gomitata Alan mi lanciò uno sguardo di fuoco.
“Che c’è? Era tremendamente interessata a lui!” mi difesi.
Sta volta Alan mi ignorò rivolgendosi a Caren che sembrava non aver nemmeno sentito la domanda che ci era stata posta.
“Caren tu cosa dici?”.
Lei abbassò lo sguardo sulle proprie ginocchia strinse su di esse i pugni.
“Niente!” ma non era stata affatto convincente, anche Alan se n’era reso conto. Improvvisamente mi feci più attenta, Caren era troppo insolita.
“Sicura?” sibilò Alan.
“Sicurissima!” ribadì lei con un leggero tremolio della voce. Sembrava avesse paura. Potevo capire che il signor Black era un uomo in grado di incutere molta soggezione, ma non credevo che Caren ne fosse sensibile fino a quel punto.
Lui si alzò spostando rumorosamente la sedia, poi si incamminò con estrema lentezza verso la rossa che tuttavia non accennava ad alzare lo sguardo. Una volta che le arrivò dinnanzi con tranquillità Alan si appoggiò con il fondoschiena alla scrivania e incrociò le braccia al petto. Lo sguardo era glaciale.
“Guardami!” le ordinò. Lei sapeva di non poter disobbedire, strinse maggiormente i pugni e alzò il viso.
Lui sembrò immergersi nei suoi occhi, sembrò esaminarla nel profondo, lo capii da come rabbrividì lei e da come il suo sguardo si fece appena più vacuo.
“Maledizione!” sibilò improvvisamente irato Alan. Caren fu liberata dal suo sguardo e riprese a fissarsi le ginocchia.
“Come è successo?” sibilò Alan cercando di calmarsi. Oltre che arrabbiato sembrava anche agitato. Non avevo mai visto l’uomo che mi aveva cresciuta agitato. Per me e Rob era una cosa del tutto nuova. Quello  che mi faceva maggiormente impazzire era che non ne capivo la ragione. Cosa poteva spingere Alan Black, l’uomo più potente e sicuro del mondo, ad agitarsi?
Alla sua domanda Caren non rispose.
“COME E’ SUCCESSO?” urlò la secondo volta Alan. I suoi occhi lanciavano saette.
Di fronte al mutismo continuo della ragazza con una mano la costrinse ad alzare il viso, ma lei serrò gli occhi.
“GUARDAMI DANNAZIONE!”.
La ragazza aprì gli occhi timorosa e da essi sfuggirono due grosse gocce d’acqua. Cos’era successo? Piangere era diventato una specie di hobby per tutti?
A quel punto Alan alzò la mano che si andò a scontrare rumorosamente contro la guancia di Caren. Le aveva appena tirato uno schiaffo. Uno schiaffo in piena regola.
“Come è accaduto?” domandò Alan sempre più scosso.
Ancora non capivo cosa stava succedendo, ma non osavo chiedere chiarimenti, temevo l’ira di Alan nonostante avessi la consapevolezza di avere la capacità di affrontarla.
“Non lo so!” sussurrò dispiaciuta Caren.
“Non lo sai” Ripetè Alan andandosi a sedere dietro la scrivania.
“Mar cosa le è successo?” mi domandò rivolgendo a me i suoi occhietti scuri come la pece all’interno dei quali sembrava bruciare il fuoco dell’ira.
Non mi aspettavo che si rivolgesse a me, così un po’ sorpresa risposi.
“Non ne ho idea. Ma cosa ti fa pensare che le sia successo qualcosa?”.
Intendiamoci. Anche io mi ero accorta che Caren era strana, che non era la solita, ma era anche vero che avevo dato per scontato che fosse perché era debole e non perché le fosse successo qualcosa.
“A me gli occhi non mentono mai!” rispose semplicemente lui. Quella era una sacrosanta verità, lui riusciva con uno sguardo a capire se un uomo mentiva oppure no. Probabilmente l’aveva letto su quello strano libro dalla copertina nera. Quanto avrei voluto saper fare tutte quelle cose anche io.
“Abbiamo litigato …” iniziai ricordando le mie sfuriate nei suoi confronti, ma non credevo che la cosa l’avrebbe scossa così tanto da mettersi a piangere.
“No. Non è questo! Lei è cambiata nel profondo dell’anima. Io percepisco guardandovi negli occhi la vostra vera essenza. Percepisco quali sono i vostri poteri e cosa siete in grado di fare. Lei non è più in grado di fare niente!”.
“Non è vero!” esclamò quasi disperatamente Caren.
Io e Rob osservammo con stupore la scena.
“Aspetta un attimo. Lei non riesce più ad usare le sue facoltà?” non ero sicura di aver capito bene.
In tutta risposta Alan chiamò a gran voce Agatha che dopo pochi minuti, nei quali rimanemmo in silenzio, arrivò. La fece porre dinnanzi a Caren che sembrava essere sempre più spaventata.
“Ordinale qualcosa!” sibilò avvicinandosi al suo orecchio.
La ragazza rabbrividì, ma assunse uno sguardo determinato. Io ero curiosa. Ce l’avrebbe fatta Caren a dimostrare di non aver perso le sue facoltà? Non avevo dubbi. Dopotutto noi non potevamo perdere i nostri poteri, non era mai accaduta una tale assurdità!
Gli occhi della rossa incontrarono quelli smorti di Agatha. Le due rimasero per diversi minuti in quella posizione senza che la domestica facesse niente. Era come se Caren non le avesse ordinato niente.
“Allora?” continuò subdolo Alan all’orecchio della ragazza.
“Non posso!” sussurrò lei.
“Cosa?” Alan aveva sentito benissimo, ma voleva che la ragazza lo ammettesse a gran voce. Era un modo per umiliarla.
“Non posso!” ripetè lei con la voce incrinata.
“Perché?” un altro sibilo uscì da quelle sottili labbra che appartenevano a quell’uomo.
“Perché è sbagliato!”.
Qualsiasi risposta Alan si aspettasse sicuramente non era quella che Caren gli aveva dato. Lo capii dall’espressione di puro stupore che si dipinse sul suo volto. Di fronte a quell’inaspettato silenzio Caren si fece coraggio ed andò avanti.
“Tutto ciò che abbiamo sempre fatto è sbagliato. Chi siamo noi per comandare a bacchetta gli esseri umani? Dei? No! Non ne abbiamo il diritto, ognuno deve essere libero di prendere le proprie decisioni”.
Di fronte a quel discorso così ben articolato non potei trattenermi. Scoppiai in una fragorosa risata e tre paia di occhi si voltarono verso di me stupiti.
“Sai qual è il tuo problema Caren? Che tu non sei mai stata in grado di controllare le decisioni delle persone per questo dici che è sbagliato. Ma così è troppo semplice, ammettilo di essere incapace, punto. In fondo è questo il tuo problema!”.
Lei mi rivolse uno sguardo di puro odio.
“Non hai mai pensato di vincere le tue battaglie lealmente Mar? Tu sfrutti i tuoi poteri, non le tue capacità, per ottenere quello che vuoi. Senza i poteri tu non sei nulla!”.
Quanto si sbagliava. Avevo fatto sì che Emily si fidasse di me, che prendesse le scelte da me volute e tutto ciò con astuzia e senza trucchetti.
TU senza poteri non vali niente!” ribattei sorridendo di fronte alla sua stupidità “Guardati” continuai con disprezzo “Solo le lacrime e la disperazione ti rimangono!”.
Lei serrò i pugni, tante che le nocche le si fecero bianche.
“Basta!” tuonò Alan.
“Qualcuno l’ha privata delle sue capacità e le ha fatto il lavaggio del cervello!” continuò con maggiore calma, scrutandoci uno a uno da sopra gli occhiali.
“Temo che l’avvenimento sia legato al caso di Osvald Dome” proseguì.
“Uomo che avevi automatizzato e che è tornato in possesso delle sue facoltà mentali?” domandò Rob.
Alan annuì. Ricordavo perfettamente. Era a causa di quell’avvenimento che la signora Mcfunction si era presentata a casa nostra sospettosa e, sempre per quella ragione, eravamo stati spediti all’università.
“Ma come pensi che siano legati i due casi?” chiesi non riuscendo a trovare un nesso logico tra gli avvenimenti.
“In entrambi è intervenuto qualcuno di esterno. O almeno ne sono sempre più convinto!”.
Spalancai la bocca stupita da quelle parole. Qualcuno di esterno. Certo non ne avevamo la certezza, ma il sospetto cresceva.
“Chi?” chiesi più a me stessa che agli altri.
“Questo deve dircelo Caren!” sibilò Alan lanciando uno sguardo di disprezzo alla ragazza che nel frattempo aveva preso a tormentarsi le mani.
“Io non lo so!” cercò di difendersi la rossa.
“Devi saperlo!” gli occhi di Alan i ridussero a due sottili fessure.
“Non lo so!” iniziò a piagnucolare Caren.
“Voi sapete chi frequentava?” si rivolse a me e a Rob ignorandola.
“Un certo Derek!” dissi io ricordando il ‘poco dotato’.
Lo sguardo di Alan si illuminò.
“Cosa sapete di questo Derek?” ormai non si rivolgeva più a Caren, come se non potesse più fare affidamento su di lei.
“Praticamente nulla, solo che è un deficiente!” sbottai. La rossa se li sceglieva davvero male i ragazzi da portarsi a letto.
“E Mar se l’è portato a letto!” continuò sogghignando Rob. Gli tirai una gomitata nelle costole.
“Ma a te non è accaduto nulla!” constatò Alan incontrando i miei occhi.
Alzai le spalle. Probabilmente ero più forte di Caren. Per quello io ero stata in grado di non perdere i miei poteri.
“Bene! Allora tenete d’occhio questo ragazzo ok?”.
“Alan è successa effettivamente una cosa strana!” iniziò pensieroso Rob “Una ragazza dell’università aveva lo stesso sguardo vacuo di Agatha! Potrebbe esserci in giro qualcun altro che è in possesso delle nostre stesse facoltà!”. Quando disse tali parole ci mancò poco che mi mettessi a ridere. Che deficiente che era Rob. Non esisteva nessuno con i nostri stessi poteri, ero stata io a automatizzare Emily.
Quando il pensiero di Emily sfiorò la mia mente ricordai improvvisamente cosa avevo visto solo il giorno prima tramite i suoi occhi. Caren insieme a Dave. Ma era impossibile che Dave avesse a che fare con quella storia, in fondo era solo un semplice universitario, nemmeno tanto intelligente. Dopotutto mi aveva rifiutata. Quale persona dotata di cervello l’avrebbe fatto?
Comunque mi ripromisi di tenerlo d’occhio dato che non si poteva mai sapere. Diciamo che i miei futuri pomeriggi all’università si prospettavano piuttosto noiosi. Insomma non era il massimo tener d’occhio due ragazzi nemmeno tanto interessanti.
Anche Alan rimase sconvolto dalle parole di Rob. Si vedeva che era completamente impreparato di fronte a tutto ciò. non si sarebbe mai aspettato di non essere il più forte in assoluto. Era fastidioso dover ammettere di sentirsi fragile. Anche se non credevo che lui si sentisse cosi. Piuttosto era adirato perché qualcuno gli stava mettendo i bastoni tra le ruote.
“Occhi aperti. Se c’è qualcuno con i nostri poteri voglio sapere tutto, chiaro? Tutto!” ribadì.
Poi si rivolse a Caren guardandola pensieroso. La ragazza iniziò a muovere con rapidità il piede, segno che era nervoso.
“E con te cosa ci devo fare?” era una domanda che non richiedeva una risposta.
Alan la squadrava con sguardo freddo come se non gli importasse minimamente di lei. In effetti, prima lei era una sua allieva, ma avendo perso le sue capacità diveniva un semplice peso. E le persone pratiche come Alan tendevano a sbarazzarsi dei propri pesi.
“Non posso tenerti a casa, all’università se non ti vedessero ricomparire potrebbero sorgere delle domande, e noi non volgiamo seccatori!” sembrava che Alan si stesse rivolgendo a sé stesso.
Mise la mano destra sotto il mento e iniziò a massaggiarselo con un ghigno sulle labbra. Io e Rob assistevamo silenziosi alla scena, curiosi delle sorti che sarebbero toccate a quella stupida di Caren.
“Ti fidi di me?” continuò Alan incrociando i suoi occhi. La ragazza rabbrividì senza rispondere.
Lui sogghignò.
“Direi di no!” concluse da solo. Sapevo perché le aveva posto quella domanda. Avrebbe voluto automatizzarla, ma senza fiducia era impossibile, e Caren non si fidava di lui. Ne era piuttosto terrorizzata.
“Ti cancellerò la memoria!” esclamò Alan illuminandosi.
Io sbarrai gli occhi. Non avevo mai visto fare una cosa del genere ad Alan. Dentro di me fremevo di vederlo all’opera e lo invidiavo. Tutte le cose che Alan sapeva fare le aveva imparate da quel libro, quel volume al quale mi era stato negato l’accesso. Essere consapevole del fatto che anche io avessi al capacità di fare tutto quello che era in grado di fare lui mi mandava sia in estasi sia mi faceva salire la rabbia. Io non possedevo quel libro, la fonte del potere e dunque non avrei mai potuto imparare.
Trattenendo i miei pensieri lo osservai attentamente mentre si poneva di fronte ad un Caren sempre più impaurita che lo fissava con gli occhi sbarrati. Le prese il viso tra e lo avvicinò al suo in modo tale da far in modo che i loro occhi fossero vicini. Poi lo sguardo di Caren si fece vitreo e Alan sembrava cercasse qualcosa in quegli occhi, probabilmente i ricordi da eliminare.
“No!” sussurrò Caren mentre una lacrima le rigava la guancia.
Non provai pena quando Alan le fece ciò.
Sorrisi felice. Finalmente mi ero liberata di quel peso dai capelli rossi, da quella ragazza che non avevo mai sopportato. Tutto ciò che le era successo se lo era meritata. Lei non era forte e dopotutto pure Darwin lo diceva: solo i migliori della specie sopravvivono.
Lei era costretta a soccombere a causa della sua mancanza di talento.
Quando finì Caren si guardò attorno stranita.
“Tu sei Caren Dity. Hai 23 anni” disse semplicemente Alan come se ciò fosse tutto quello che lei dovesse sapere.
“La riporterete in università poi che se la cavi da sola!” ordinò con non curanza.
Sbuffai in modo ben udibile.
“Pensavo di essermi liberata di lei!” sbottai.
“Te l’ho detto Marguerite. Lei tornerà con voi ma dopo potrà andare dove le pare, non sarà più affare né mio né vostro! Ah e siate gentili con lei. Da oggi in poi non è più una di noi è come un qualsiasi altro essere umano, quindi niente trucchetti, chiaro?”.
La cosa mi stava bene. Avrei dovuto sopportare Caren per il minimo indispensabile anche se sarebbe stato piuttosto complicato dover essere gentile con lei.
“Robert accompagnala in camera sua, non deve uscire da lì chiaro?” continuò Alan.
Stavo per alzarmi anche io, ma il nostro mentore mi bloccò.
“No Mar. Tu resta qui!” mi sedetti vedendo con piacere che Rob assumeva un’espressione di collera. Era sempre meno felice del fatto che Alan prendesse in considerazione più me che lui.
Come potevo non sorridere? Era come se gli venisse sbandierato in faccia che io ero meglio di lui, il che era assolutamente vero.
Non appena la porta si richiuse Alan si rivolse a me.
“Tra un paio di settimane, il 4 di novembre, c’è l’annuale ballo per i medici e gli assistenti, vorrei che tu mi accompagnassi. Devi iniziare a prendere confidenza con i tuoi futuri colleghi se vuoi essere mia assistente e se un giorno vuoi prendere il mio posto!”.
Sorrisi di fronte a quelle parole, pronunciate con estrema freddezza, era come se la cosa non gli interessasse. Ma naturalmente, essendo esattamente come lui, potevo comprenderlo alla perfezione. Lui aveva scelto la migliore, non gli importava che fossi io o che fosse qualcun altro.
“Certo Alan!” risposi soddisfatta di avere quell’opportunità. Un giorno sarei stata come lui. Era solo questione di tempo.
Uscì dallo studio con uno splendido ghigno dipinto sulle labbra.



Questo è da considerarsi un capitolo di passaggio. Ho voluto dedicare la prima parte a Mar e a Rob, mi mancavano i loro battibecchi. Nella seconda invece ho cercato di sottolineare il problema Caren.
Non è un capitolo che mi soddisfa particolarmente perchè in fondo non succede nulla, ma è necessario per il prossimo che sarà uno dei capitoli clue della storia.
Vi lascio una piccola frase del CAP 13 che sto scrivendo e che spero di pubblicare presto.

Incontrai i suoi occhi, non mi ero accorta che fossero di un verde acqua quasi azzurro. Lui, dal canto suo, si perse nei miei.
“Se sei il mio angelo custode dove sono le ali?”domandai stando a quello strano gioco e posando la cannuccia sul bancone.
Lui si pose un dito sulle labbra come ad intimarmi di fare silenzio, poi con la mano mi fece cenno di avvicinarmi. Feci come voleva.
“Le teniamo ben nascoste!” mi sussurrò all’orecchio.


Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno avuto la pazienza di lasciarmi una recensione perchè in questa storia ci sto mettendo l'anima e mi fa piacere se voi apprezzate! Quindi se volete lasciare un commento anche a questo capitolo mi rendereste felice!!
La pianto!
Alla prossima!
Daisy.


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Capitolo 14
*** CAP 13 ***




CAP 13

 

“Siete sicuri che io abbia ventitré anni? Perché non mi vedo così vecchia!” spalancò per l’ennesima volta la bocca Caren.
Il nervoso mi assalì. Dio come avrei voluto farla tacere. Le sue continue domande mi stavano davvero esasperando, quasi la preferivo cosciente.
Alan doveva aver esagerato nel cancellarle la memoria perché aveva rimosso tutto.
Non erano nemmeno 24 ore che esisteva la ‘nuova Caren’, se così si poteva definire, che già rimpiangevo quella vecchia, che almeno era dotata di un briciolo di buon senso e un pizzico d’intelligenza.
La  Caren che avevo di fronte invece non faceva altro che fare domande deficienti sulla sua vita passata.
 

La sera precedente mi aveva fermata per i corridoi di villa lux e mi aveva fatto cenno di avvicinarmi. Si guardò attorno come per assicurarsi che non ci fosse nessuno all’ascolto.
“Ma il biondino è mio fratello?” la guardai alzando un sopracciglio pensando che fosse decisamente stupida.
Caspita se qualcuno le avesse tirato una mazzata in testa il risultato sarebbe stato indubbiamente migliore di quello che Alan aveva ottenuto. Ma a lui che importava? Dovevo sorbirmeli IO i suoi dubbi esistenziali. E in più dovevo essere gentile. Con la vecchia Caren almeno non dovevo sforzarmi così tanto, con quella nuova invece sì, perché ormai era diventata come tutti gli altri esseri umani: una persona a cui nascondere il nostro segreto, per proteggerlo.
Insomma se io non fossi stata gentile cosa poteva venire a scoprire? Nulla. Ma Alan come suo solito era stato categorico, e poi mi sollevava il pensiero che avrei dovuto resistere solo per poco, il tempo di arrivare in università e piantarla lì.
“No non è tuo fratello!” le risposi sbuffando e alzando gli occhi al cielo.
Il suo volto si illuminò improvvisamente.
“E ha la ragazza?”. La osservai disgustata. Avevo capito dove voleva arrivare, dopotutto era sempre la solita Caren, solo più stupida.
“No!”.
Il suo sorriso si aprì ancora di più.
“Bene!” esclamò saltellando sul posto, ma si bloccò non appena vide la mia espressione disgustata.
“A te non piace vero?”.
Incredibile. Tra tutte le persone che potevano capitarmi proprio con una così tonta avevo dovuto condividere l’infanzia?
Gentile. Dovevo essere gentile. Io non avrei mai associato il nome ‘Mar’ con la parola ‘gentilezza’, ma avevo imparato a farlo in quella settimana al campus. Ma affiancare ‘Mar’, ‘gentilezza’ e ‘Caren’ era paradossale.
“No!”.
“Bene!” e saltellò nuovamente.
“E io e te siamo sorelle o imparentate?”. A quella domanda seppellì il mio viso tra le mani e sospirai. Cosa avevo fatto di male dopotutto?
 
 
Persino su quel dannato taxi che riportava me, Caren e Rob all’università era decisamente insopportabile.
Era passata dalle domande filosofiche come ‘chi sono ’ o ‘da dove vengo’, al conoscere meglio il ‘biondino’.
Io ero seduta sul sedile d’avanti e sbuffavo ogni volta che lei apriva quel forno di bocca che si ritrovava, non vedevo l’ora di sbarazzarmi di quella specie di palla al piede.
“Roooòb!” disse col suo tono civettuolo “Mi aiuteresti a portarmi in pari col programma? Sai non ricordo nulla!” e si mise a ridacchiare come una deficiente.
Arricciai il naso di fronte a tutta quel patetico tentativo di conquistare il cuore inesistente di Rob, avrebbe al massimo potuto riconquistare un posto fisso tra le sue lenzuola.
“Certo!” rispose lui accondiscendente. Che ci si poteva aspettare da Rob dopotutto?
“Roooòb! Mi farai anche vedere il campus non è vero?”.
“Ovviamente Caren!”.
Sbuffai rumorosamente. Non ne potevo più.
Rob rise contento del fatto che io fossi in qualche modo vincolata. Dovevo essere gentile, ma non mi riusciva affatto facile. Quella ragazza era più insopportabile di Emily e la sua disgustosa bontà, e a mio parere ci voleva davvero molto ‘talento’ per battere quel topo con gli occhiali.
“Tu vieni con noi Maggy?”.
Come se non bastasse aveva iniziato a chiamarmi ‘Maggy’. Ma che razza di nome era ‘Maggy’?
Repressi con un colossale sforzo la voglia che avevo di voltarmi e di zittirla usando i miei occhi.
“No!” risposi secca.
“Tutto bene?” mi domandò addirittura preoccupata. Mi voltai e sfoggiai il migliore sorriso falso che riuscissi a fare.
“Sì!”. Poi continuai a guardare la strada che sfilava davanti a me.
“Credo che mi odi!” sentii sussurrare Caren a Rob. Lui ridacchiò.
“Lo credo anche io!” rispose.
Sbuffai e pregai di arrivare presto al campus.
 
 
“Ma che bellaaaaaaaaaaaaaaaa!” esclamò Caren con quella voce da deficiente che si ritrovava non appena entrò nella nostra stanza.
“Sì!” dissi poco convinta. Avevo un gran mal di testa ed era tutta colpa sua. Mi aveva davvero fatta esaurire e non era facile. Almeno quando dovevo essere gentile con Emily lo facevo per uno scopo, essere dolci con Caren a che serviva? Qual’era il mio tornaconto?
Ero abituata a non fare niente per niente. Se mi comportavo in un modo qualcosa doveva pur venirmi  in tasca.
Lei si avvicinò a me saltellando e mi prese le mani tra le sue.
“Mi aiuti a scegliere cosa mettere?”
“Per cosa?”.
“Esco con Rob!”. Ma che novità. Ma quanto erano deficienti le ragazze comuni? Si lasciavano abbindolare con una facilità enorme.
“Ah si?” mi finsi sorpresa.
“Siiiiiiiiiiiiiiiiiiii!” saltellò nuovamente. Scossi la testa sconsolata senza capire perché continuava a comportarsi come un coniglio.
“Allora che mi metto?” chiese su di giri rovesciando sul MIO letto tutto il contenuto del suo armadio.
La collera si impadronì di me. Ebbi un feroce istinto di prendere tra le mie affusolate mani il suo fragile collo e strangolarla.
La guardai con odio e lei spalancò gli occhi sorpresa.
Impaurita. Così per evitare di commettere seriamente un omicidio uscii dalla stanza.Avevo bisogno di svagarmi.
Vagai per decine di minuti tra le strade del campus alla ricerca di una discoteca. Sentii una musica in lontananza e la seguii assorta. Una volta entrata non persi tempo a cercare un ragazzo da rimorchiare, tanto prima o poi sarebbero venuti loro da me. Avevo raggiunto la consapevolezza di poter contare sul o bel faccino oltre che sui miei sguardi. Così giunsi al bancone.
Un barista sulla trentina completamente lampadato mi sorrise.
“Cosa vuoi bella?” sorrise cordialmente.
“Qualcosa di forte!” dissi storcendo il naso di fronte a quel colore falso che aveva la sua pelle. Le lampade e gli uomini non erano un bell’accostamento secondo i miei gusti.
“Serata difficile?” mi domandò mentre iniziava ad armeggiare con le bottiglie.
“Non sai quanto!” risposi regalandogli un sorriso dei miei. Provocante.
“Sai, noi baristi abbiamo uno scopo nella vita …” iniziò porgendomi il bicchiere e posando gli avanbracci sul bancone.
“Sarebbe?” domandai divertita dal suo tentativo di flirt.
“Consolare le belle clienti che tutte sole si avventurano di notte in posti come questo e proteggerle da tutti i ragazzi che ci sono in cerca di una sola e precisa cosa …” si avvicinò di più a me.
Mi mordicchiai il labbro inferiore. Poi presi la cannuccia tra i denti e la mordicchiai.
“So badare a me stessa!”.
“Non ne dubito! Ma i baristi sono come angeli custodi. Facciamo sempre comodo!” sorrise.
Incontrai i suoi occhi, non mi ero accorta che fossero di un verde acqua quasi azzurro. Lui, dal canto suo, si perse nei miei.
“Se sei il mio angelo custode dove sono le ali?”domandai stando a quello strano gioco e posando la cannuccia sul bancone.
Lui si pose un dito sulle labbra come ad intimarmi di fare silenzio, poi con la mano mi fece cenno di avvicinarmi. Feci come voleva.
“Le teniamo ben nascoste!” mi sussurrò all’orecchio.
Mi scostai quel poco che bastava ad incontrare i suoi fantastici occhi.
“Hai ragione!” sospirai sulle sue labbra. Mentre lui stava per dischiuderle aspettandosi un bacio io mi ritrassi.
Quel tipo aveva di decenti solo gli occhi e sicuramente non sarei andata con uno solo per quella caratteristica. Volevo il meglio.
Presi il bicchiere e lo portai alla bocca mandando giù tutto in una volta.
“Un altro! Che mi consigli angioletto?” chiesi lanciandogli uno sguardo seducente.
“Tutto quello che vuoi!”. Quanti doppi sensi.
Sorrisi e lui iniziò a prepararmi qualcos’altro con agilità e maestria. Mi ipnotizzavano i suoi movimenti, forse per effetto dell’alcool o forse per la sua bravura a maneggiare le bottiglie.
Mi porse un altro cocktail e io a mia volta lo trangugiai.
La musica assordante, il caldo e l’alcool erano un mix davvero fantastico. Ah la perdizione, quello sì che era godersi la vita.
Il resto della serata fu piuttosto nebuloso.
 
 
La testa mi doleva atrocemente. Sembrava che fosse passato su di essa una carro armato o qualcosa del genere. Qualcosa di pesante comunque.
La sentivo pulsare e percepivo uno strano rimbombo anche se attorno a me c’era il silenzio più assoluto, solo un lieve rumore simile ad un respiro riempiva la stanza che si trovava al di là dei miei occhi ancora chiusi.
Il respiro che sentivo era profondo e rumoroso, ma non potevo essere io a respirare in quel modo.
Il russare che iniziò di lì a poco mi diede la conferma.
Dannazione. Sospirai ricordando la serata precedente a sprazzi. Piccoli flash di memoria invadevano la mia mente per poi svanire nel nulla.
Un barista troppo abbronzato per quel periodo dell’anno mi aveva continuato a offrire bibite su bibite.
Il suo sorriso era l’ultima cosa che mi ricordavo. Accidenti, non mi andava di essere finita a letto con quel tipo che nemmeno mi piaceva più di tanto.
Mi maledii di aver accattato tutti quei drink, ma per difendermi dalla vocina interiore che mi incolpava pensai alla nuova e insopportabile Caren. Era solo colpa sua se io avevo un po’ esagerato con gli alcoolici, tutto perché dovevo resistere alla tentazione di buttarla giù dalla finestra.
Timorosa di scoprire chi era che occupava insieme a me quel letto spalancai un occhio e poi l’ altro.
Il ragazzo era piuttosto giovane ed aveva dei capelli biondo cenere piuttosto lunghi che gli ricadevano sul cuscino. Dormiva con la bocca leggermente aperta, come un bambino.
Assunsi un’espressione disgustata all’idea che quel ragazzo che sembrava essere almeno di un anno più piccolo di me, avesse messo le sue manine sul mio corpo.
Con lentezza mi alzai dal letto cercando di non farlo cigolare e recuperai i vestiti che per fortuna erano ammucchiati in un angolo del pavimento insieme a quelli del ragazzo. Nel recuperarli mi capitarono tra le mani i suoi boxer e notai con enorme stizza che sopra di essi troneggiavano stampe di tranci di pizza.
Arricciai il naso e a stento trattenni un ‘Bleah’ per essere andata a letto con uno che portava un intimo così imbarazzante.
Presi nota mentalmente di non esagerare mai più con l’alcool.
Mentre uscivo da quell’appartamento iniziai a preoccuparmi perché io non ero solita perdere il controllo. Anzi non mi accadeva praticamente mai. Il fatto di averlo perso a causa del troppo bere la sera precedente, mi faceva sentire a disagio oltre che a preoccuparmi. Temevo di aver raccontato qualcosa sui nostri poteri, ma cercai di tranquillizzarmi. In fondo non ero così stupida, nemmeno da ubriaca.
Mi ritrovai ben presto in mezzo alla strada senza sapere in quale zona del campus mi trovassi e dovetti chiedere un paio di volte indicazioni alle vecchiette che portavano in giro i cani alle sei di mattina. Durante il tragitto maledii più volte Caren. Era colpa sua se mi ero cacciata in quella situazione, tutta colpa sua e di quel suo insopportabile carattere.
Entrai in casa stremata incurante di prendermi la briga di non far rumore, Caren non si meritava tutte quelle premure. Sorpresa, mi resi conto che lei non si trovava nel suo letto.
Su quest’ultimo inoltre troneggiavano le sue chiavi dell’appartamento che molto probabilmente si era
dimenticata.
Sorrisi. Alan aveva detto che potevamo lasciarla alla sua vita o no?
Il mio sorriso si trasformò in un ghigno che esprimeva tutta la mia soddisfazione di fronte a quello che stavo per fare.
Presi la valigia di Caren e con molta poca gentilezza cacciai dentro tutti i suoi vestiti senza preoccuparmi di dar loro una parvenza di ordine. Chiusi la valigia e la misi fuori dalla porta. Ad ogni gesto il mio buonumore aumentava sempre di più.
Presi il suo mazzo di chiavi e me lo misi in tasca sempre più contenta, poi chiusi la porta con la doppia mandata.
Mi sentii soddisfatta come poche volte era successo nella mia giovane vita, avrei dovuto cacciare di casa le persone più spesso, non pensavo che fosse così divertente.
Girai i tacchi con l’obbiettivo di andare a fare colazione in qualche bar lasciando alle mie spalle una valigia rosa ed una porta chiusa.
Bye Bye Caren!
 
 
In aula presi posto in fondo accanto a Rob che già se ne stava là seduto a fare le radiografie alle belle ragazze. Sempre il solito.
“Maaaaaaaaaaar” mi accolse vedendo che mi incamminavo verso di lui.
“Non ti siedi più vicino al topo con gli occhiali?”. Mio malgrado dovevo ammettere che Rob era un acuto osservatore, nonché un tipo estremamente sospettoso. Chissà perché ma sembrava che infondo lui credesse che io c’entrassi qualcosa con lo schiaffo che Emily gli aveva tirato.
Ma fortunatamente ero dotata di un cervello in grado di elaborare velocemente le bugie.
“Ah, non lo sai?” domandai come se fosse ovvio.
Lui scosse la testa incuriosito, si era già dimenticato dei suoi sospetti. Si dice che la curiosità è donna, ma io pensai che fosse anche di Rob.
Mi sedetti accanto a lui posando la borsa sul banco.
“Abbiamo litigato!” dissi con semplicità.
“Noooooo” disse Rob fingendosi dispiaciuto “Come è potuto accadere?” il suo tono melodrammatico mi fece ridere.
“Hai presente tu e la biondina, lei che vi ha scoperti, eccetera?”.
Lui annuì assumendo un’espressione piuttosto stana ed insolita, che non riuscii a decifrare immediatamente.
“Bè lei è corsa in lacrime da me e, dopo dieci minuti che piangeva, l’ho mandata all’altro paese dicendole che mi aveva fatto crescere gli attributi maschili, e dopo di ciò era pure riuscita rompermeli!”.
Rob di fronte alla naturalezza con la quale dissi questa frase scoppiò in una fragorosa risata, tanto è vero che metà degli alunni presenti nell’aula si voltarono incuriositi verso di noi.
Io ridacchiai per la scena.
“Sei ahahah stata gentile eh?” cercò di articolare Rob tra le risate.
“Era la verità!” ribattei alzando le spalle indifferente alla cosa.
“Mi sfugge perché le eri amica!”.
“Perché sì!”.
“Che risposta è ‘perché sì’?” domandò lui ancora più divertito.
“Una risposta logica e naturale. Un modo carino per dire ‘fatti i cazz…’” ma non mi fece finire la frase perché mi sovrastò con la sua voce.
“Maggy! ma ti sembrano cose da dire queste?”.
Mi aveva chiamata Maggy. Il soprannome che Caren in quei lunghissimi due giorni mi aveva affibbiato.
Per essersi inventata quel soprannome avrei voluto ucciderla, più o meno come pensavo in quel momento a quanti modi ci fossero per torturare Rob.
“Non. Chiamarmi. In. Quel. Modo.” Sibilai scandendo bene ogni singola parola.
“Perché è come ti chiamava Caren?”.
Lo fulminai con lo sguardo. Per me quella ragazza non esisteva più, quindi nessuno me la doveva nominare.
Lui ridacchiò di fronte alla mia occhiataccia, proprio non capiva che in quel modo stava rischiando la vita?
“A proposito dov’è?” domandò cercandola con lo sguardo nella sala.
“Non lo so e non m’importa!” risposi schietta.
Lui mi guadò di traverso.
“Cosa le hai fatto Mar?” il suo tono non esprimeva alcun tipo di rimprovero solo curiosità. Mi conosceva bene.
“L’ho cacciata di casa!” sorrisi al solo ricordo. Era grazie a quella buona azione che la mia giornata era iniziata per il meglio. Avrei dovuto fare buone azioni più spesso.
Rob si mise a ridere.
“Davvero? Avrei voluto esserci per vedere la sua faccia!”.
“Ma lei non c’era! Le ho messo la valigia fuori di casa!”.
Ridemmo entrambi mentre il professore entrava in aula.
“Mar, come fai a sapere che la tipa con cui ero quando Emily mi ha visto era bionda?” domandò a bruciapelo interrompendo di sana pianta le risate.
Sperava di cogliermi impreparata, sperava in una mio momento di distrazione. Ma lui aveva davanti Marguerite Jones, e la sottoscritta non era nata ieri. Né era deficiente come lui.
“Me l’ha raccontato lei!” risposi tranquillamente.
Lui parve un po’ deluso dalla mia risposta e io sorrisi tra me e me.
Cercò di dissimulare la sua insoddisfazione cambiando discorso.
“Credi che oggi verrà?”.
“Chi?” sapevo benissimo a chi si riferiva.
“Emily, o sarà troppo sconvolta per vedermi?” sogghignò con sicurezza.
I miei occhi si posarono sull’ampia aula gremita di studenti che si preparavano alla lezione. Di Emily nemmeno una traccia.
“Sì, verrà!” dissi sicura. O almeno lo speravo con tutto il mio cuore.
 
 
A dieci minuti dall’inizio della lezione fece il suo ingresso in aula una figura piccola, con i capelli raccolti in una coda alta e gli occhiali che le scivolavano sul sottile naso.
Sospirai di sollievo pensando che avrei potuto recarmi da lei alla fine della mattinata per scoprire cosa ci fosse che non andava nel mio esperimento così ben architettato.
La ragazza ancora non aveva preso posto, stava scrutando la stanza come alla ricerca di qualcosa o di qualcuno con i miei occhi puntati su di lei.
Ne studiai ogni singolo movimento sperando di trovare qualche indizio che mi informasse sull’attuale stato mentale di Emily.
Una gomitata mi arrivò sulle costole. Sobbalzai presa alla sprovvista e lanciai uno sguardo omicida al colpevole.
“Avevi ragione, è arrivata!” sussurrò indicando Emily.
In quel momento gli occhi della ragazza incontrarono i miei e si illuminarono di gioia.
Si illuminarono di gioia? I suoi occhi sarebbero dovuti essere vuoti dannazione, allora perché si illuminavano?
Poi non appena vide Rob assunse un’espressione delusa e si diresse al suo solito posto in prima fila.
Io ero ancora sconvolta.
“Hai visto che occhiataccia mi ha lanciato?” ridacchiò Rob ponendosi una mano davanti alla bocca.
Mi sforzai di sorridergli fingendomi divertita da ciò.
Il problema era che mi ero innervosita. Non era mai capitato che io sbagliassi e il fatto di aver fallito per la prima volta era davvero umiliante. Umiliante per me stessa.
Ripensai alle parole del libro vagliando tutte i possibili passaggi che potevo aver sbagliato.
Non appena avevo interrotto il contatto con lei spalancando gli occhi non ero più riuscita a stabilirlo.
Quindi l’errore doveva stare nella permanenza dell’automazione, non nel procedimento in sé, perché quello aveva funzionato.

                  
Fa che si fidino.

Cecamente.
Senza incontrarli. Cecamente.
Rendili deboli.
Tu devi essere tutto.
Stregali.
Li potrai guidare, sarai il loro padrone, per sempre.
O quasi …
… altri occhi li potrebbero incontrare e annullare la tua padronanza su essi.
Attento agli altri occhi.                  

 
Recitai a memoria più e più volte nella mia testa. Poi la mia attenzione si focalizzò sulle ultime tre righe, le righe che non avevo preso in considerazione né prima dell’esperimento né dopo.
 

O quasi …
… altri occhi li potrebbero incontrare e annullare la tua padronanza su essi.
Attento agli altri occhi.

 
Altri occhi. Come avevo fatto a non pensarci prima?
Eppure Alan l’aveva detto fin dall’inizio che qualcuno aveva le capacità di annullare le nostre facoltà. Il signor Dome e Caren ne erano la prova. Ricordai che quando Alan ne aveva parlato avevamo deciso di tenere d’occhio Derek, ma poi mi ero ricordata di Dave.
Solo che Dave non poteva avere delle simili facoltà, era troppo schifosamente buono e tranquillo.
Un buon samaritano incapace di fare qualunque cosa, figuriamoci annullare i miei poteri o anche semplicemente quelli di Caren!
Quindi mi rimaneva Derek. Il problema era che a mio avviso quest’ultimo ragazzo era davvero stupido, come avrebbe potuto fare una cosa del genere?
Sospirai delusa. Ero al punto di partenza, con niente in mano.
D’altra parte ero sollevata perché ciò voleva dire che l’errore non era stato mio, ma che era intervenuto qualcun altro di esterno! Marguerite Jones non aveva ancora fallito!
Tornando a ragionare sul caso Emily, lei doveva essere uscita dall’automazione dopo che avevo interrotto il contatto con lei, così raggiunsi la conclusione che l’unico modo per far luce su quella faccenda fosse tornare a parlare con la diretta interessata.
Aspettai con ansia la fine della lezione per precipitarmi da lei.
Rob vedendomi quasi correre mi lanciò un’occhiata carica di interrogativi, ma io lo ignorai. Non mi importava di lui in quel momento, avevo cose più importanti a cui pensare.
“Emiiiiiiiii!” la salutai fingendo di sprizzare euforia da tutti i pori. In realtà il cuore mi batteva forte per l’ansia di sapere cosa fosse successo quel giovedì sera.
“Mar!” mi salutò lei regalandomi un sorriso sincero.
“Come stai?” le chiesi ricordandomi della rottura con Robert.
Lei alzò le spalle.
“Meglio!”.
Le sorrisi per darle coraggio e lei ricambiò.
“Scusami per giovedì sera! Non so proprio cosa mi sia preso!” disse abbassando lo sguardo per fissarsi intensamente i piedi realmente dispiaciuta.
Colsi l’occasione al volo.
“Perché cosa hai fatto di così terribile?” mi finsi ignorante.
Lei alzò lo sguardo per posarlo sul mio, mi sforzai di assumere l’espressione più dolce che conoscessi. Probabilmente se mi fossi guardata allo specchio avrei vomitato.
“Speravo che me lo potessi dire tu!” esclamò arrossendo imbarazzata “Ho una specie di vuoto di memoria!”.
Vuoto di memoria.
“Oddio! È assurdo!” feci una faccia preoccupata.
“Mi hai per caso offerto da bere?” domandò.
“No Emily! Qual è l’ultima cosa che ti ricordi?”.
Lei guardò il soffitto e corrugò la fronte concentrata a rievocare quell’ultimo ricordo. Io incrociai le dita.
“Avevo visto Rob con quella …” rabbrividì “… troia …”.
Sbarrai gli occhi. Emily non diceva parolacce, non ne era in grado. Non era nel suo DNA insultare la gente. Allora perché lo aveva appena fatto?
Accortasi della sua gaffe si portò una mano alla bocca coprendosela.
“Oh! Scusami, lo sai che io di solito …” la interruppi dicendole che non era importante, che io non mi scandalizzavo per così poco.
“Continua!” la intimai trattenendo a stento l’impazienza.
“Dicevo? Ah sì. Ero distrutta e poi stavo venendo da te e…”
E? Incrociai nuovamente le dita dietro la schiena pregando la fortuna di non abbandonarmi.
“E non mi sembra di averti raccontato le cose come sono andate per filo e per segno. Ti avevo detto che avevi ragione su Rob. Poi tu mi hai chiesto se mi fidavo di te e … basta non ricordo più niente!”.
Cavolo. Cavolo cavolo cavolo. Dovevo salvare la situazione.
“Strano. Dopo ti sei calmata e mi hai raccontato tutto. Quando hai finito siamo uscite a fare un giro e poi siamo andate alla Drik House, tu ci volevi entrare, hai insistito così tanto. Ma io non ho potuto accompagnarti perché avevo un appuntamento con un ragazzo. Così ti ho lasciata lì.”.
Mi complimentai con me stessa per la perfezione di quella bugia. Degna di un professionista, dopotutto ero una professionista.
“Davvero non ti ricordi proprio niente?” le chiesi fingendomi stupita dalla cosa.
Lei scosse la testa negando.
“Ho il buio. Probabilmente sono entrata nel pub perché è lì che i ricordi sono riiniziati!”.
Ecco l’altra parte che mi interessava.
“A quanto pare sono svenuta, o almeno quel ragazzo mi ha detto così, mi ha anche consigliato di non venire a lezione il giorno dopo perché gli sembravo piuttosto scossa!”.
Ma io non la stavo più ascoltando. Mi ero fermata a quando aveva detto ‘quel ragazzo’.
Quale ragazzo?
“Chi?” il cuore mi batteva all’impazzata, sentivo di essere vicina alla spiegazione e speravo che essa non sfuggisse di nuovo tra le dita.
“Mah!” alzò le spalle “Era in compagnia della tua compagna di stanza, la rossa, ma non so chi fosse. Ricordo solo con estrema nitidezza che aveva degli splendidi occhi verdi!”.
Dave.
Non sapevo che cosa poteva fare quel ragazzo. Non sapevo quali fossero le sue capacità. Non sapevo se diceva solamente due paroline alle persone e le ‘convertiva al Davesimo’ o se aveva qualche potere speciale. Ma sicuramente aveva visto qualcosa.
Mi ritornò in mente che Alan quando aveva parlato del signor Dome, aveva detto che anche lui aveva avuto un vuoto di memoria e che i ricordi erano iniziati con due occhi verdi.
Occhi verdi. Gli occhi di Dave. Possibile?
Stentavo a crederci, ma dovevo assicurarmi che non fosse così.
Emily intanto mi guardava con evidente preoccupazione per la sua amnesia. Se mi toccava continuare quella farsa dell’essere amiche dovevo sforzarmi di dirle una parola gentile, o quantomeno di tranquillizzarla.
“Dai Emily! Probabilmente sei caduta e hai battuto la testa mentre svenivi e questo ha portato al vuoto di memoria!”.
“Dici?” mi domandò con leggero scetticismo.
“Ne sono sicura!”. Mi sorrise riconoscente.
“Pensavo che il mio cervello avesse voluto rimuovere degli eventi spiacevoli e che poi la cosa si sarebbe ritorta sulla mi sanità mentale. Sa,i Freud credeva che i ricordi che per noi sono inaccettabili vengano rimossi, ma poi essi possono tornare a tormentarci facendoci entrare nel baratro della pazzia!”.
Ridacchiai.
“Emily tu studi troppa psicanalisi!”. Lei sorrise rincuorata.
“E tu ne studi troppo poca!”.
Ridemmo e la salutai. Un compito più difficile mi aspettava, l’incontro con Dave.
 
 
Attraversai tutto il campus con un umore piuttosto insolito. Un misto di euforia e impazienza scorreva nelle mie vene. Non ero preoccupate per l’imminente incontro con quel ragazzo, affatto. Sapevo di essere forte, più forte di qualunque altra persona eccetto Alan, quindi nessuno poteva farmi paura.
Diciamo che albergava in me la curiosità. Ero curiosa di sapere come lui avesse fatto ad annullare le facoltà di Caren e la trances di Emily. Sempre se fosse stato lui.
Al riguardo avevo parecchi dubbi, insomma Dave era il classico ragazzo casa, scuola e chiesa perché avrebbe dovuto essere in grado di fare cose simili?
Però dovevo togliermi quel dubbio.
Non sapendo dove cercarlo mi diressi alla Drik House dato che a quanto pare era sempre lì, anche se speravo vivamente di non incontrare quella donna che voleva che io la chiamassi madre.
Arrivai all’entrata e varcai la soglia dando un’occhiata in giro. Il locale era totalmente deserto e la cosa era alquanto strana dato l’orario. Fu solo in quel momento che vidi che sulla porta troneggiava un cartello con su scritto ‘chiuso’.
Sbuffai. Proprio quando dovevo mettere io piede in quel posto esso doveva essere chiuso?
Tuttavia non uscii, anzi avanzai all’interno del locale guardandomi attorno. Quel luogo senza anima viva era davvero desolato.
“C’è qualcuno?” azzardai una volta arrivata al bancone.
Nessuno rispose. Sbuffai e mi incamminai verso la porta non capendo il proprietario del bar: aveva lasciato la porta aperta nonostante il locale fosse chiuso.
“Mar?” sentii una voce provenire alle mie spalle.
Mi voltai e vidi che dalla porta che si apriva dietro al bancone aveva fatto capolino il viso di colui che cercavo. Dave.
Sorrisi consapevole del fatto di essere davvero una ragazza dotata di fortuna. Fortuna e potere, un mix invincibile.
Mi avvicinai a lasciando ondeggiare dolcemente i fianchi e anche lui, col solito sorriso gentile si mosse di qualche passo.
“Giusto te cercavo!” gli sussurrai sensuale quando fummo l’uno di fronte all’altra.
Lui sorrise.
“Sai è buffo! Anche io speravo di incontrare te!”.
Certo chi non avrebbe voluto incontrarmi? E lui si era anche perso la parte migliore quindi forse voleva rimediare al suo errore. Ma non ci sarei stata con uno come lui perché quelli come Dave mi facevano ribrezzo.
Ma perché non giocarci un po’?
Poi il mio indice sul suo petto le lentamente glielo accarezzai.
“Ci siamo trovati!” dissi con voce sensuale.
“Già!” sorrise lui allontanandosi leggermente da me “Sapevo che prima o poi saresti venuta a cercarmi!”.
Io dovevo andare a cercare lui? Iniziai a ridergli in faccia, davvero si credeva così irresistibile?
Che sciocco.
“E perché avrei dovuto farlo?” gli domandai tra le risa.
“Perché avrai fatto due più due!” disse con ovvietà.
Ma che diavolo di risposta era quella? Decisamente non era una risposta.
Corrugai la fronte con aria interrogativa. Il suo sorriso si aprì e gli illuminò il volto.
“Che cavolo vuol dire?” il tono sensuale era finito a farsi benedire.
“Perché mi cercavi?” rigirò la domanda.
In quel momento una risposta strana si formò nella mia testa e la dissi quasi a bassa voce.
“Perché ho fatto due più due…”.
Possibile che si riferisse a quello?
“Esatto! Hai fatto due più due! Dal primo momento che ti ho vista mi sei subito parsa una ragazza intelligente! Per questo sapevo che ci saresti arrivata!”.
Cosa sapeva quel ragazzo di me?  Alzai lo sguardo e incontrai i suoi occhi con spavalderia.
“Allora è così!” ghignai “Emily, Caren le hai fatte tornare in sé TU!”esclamai consapevole che quelli che fino a quel momento erano stati solo labili sospetti prendessero improvvisamente le forme della realtà!
Il suo sorriso non era più gentile, era sarcastico e quell’espressione non gli donava affatto, lo imbruttiva parecchio.
“E tu le hai fatte perdere!” mi accusò con voce amara.
Sogghignai.
“Come hai fatto?” mi domandò senza mai staccare gli occhi dai miei.
“Vuoi che te lo faccia vedere?” gli chiesi sogghignando.
“Fatti sotto!” mi disse facendo cenno con le mani di avvicinarmi.
Voleva giocare al mio gioco preferito. Sorrisi. Che povero sciocco.
Poteva aver fatto qualcosa a quelle due deficienti, ma contro di me non avrebbe potuto nulla.
Mi focalizzai sulle sue iridi smeraldo.
Ma qualcosa non andava. Sentivo che da esse usciva una grande forza che percepivo come un soffio d’aria che cercava di raggiungere le mie pupille.
Socchiusi  gli occhi senza interrompere il contatto e mi concentrai al massimo.
Un battito di ciglia.
Le sue iridi parevano diventare sempre più grandi, doveva essere quello che la gente doveva provare quando esercitavo i miei poteri su di loro. Ghignai. Avevo dunque ragione anche sul fatto che Dave avesse dei poteri affini ai nostri. Cercai di concentrarmi maggiormente.
‘Distogli lo sguardo’ fu il mio comando silenzioso.
Un battito di ciglia.
Lui non ubbidì. Mi dovevo impegnare di più perchè era molto forte. Percepivo quel leggero soffio di vento avvicinarsi sempre di più a me, quindi concentrai la mi attenzione sull’allontanarlo.
Riuscii farlo e sorrisi soddisfatta di me.
Sul viso di Dave si dipinse un’espressione di stupore che mi face gioire ulteriormente.
Ma si riprese in un batter d’occhio e con decisione riprese a far avanzare verso di me quel piccolo tentacolo di vento.
Un battito di ciglia.
Più esso avanzava più le sue iridi si facevano gigantesche. Io non la smettevo di combattere, ma la situazione non sembrava migliorare.
Lo vidi ghignare, consapevole di avere la vittoria in pugno.
Davanti a quell’espressione, per la prima volta in vita mia, provai paura. Paura di perdere i miei poteri per i quali avevo così a lungo lavorato, paura di non poter mai eguagliare Alan, paura di perdere quello che ero.
Un battito di ciglia.
Il panico mi invase e cercai di distogliere lo sguardo da quegli occhi dannatamente verdi che ormai occupavano tutto il mio campo visivo. Ma non ci riuscii. Come una calamita quelle iridi mi attiravano e più mi guardavano più faticavo a volermi allontanare. Erano così belle.
Ormai avevo il cuore in gole ed ero completamente ammaliata dalla bellezza di quello sguardo, perché scostarmi?
Era così piacevole vedere tutto quel verde, mi faceva sentire leggera.
In quel momento il soffio raggiunse i miei occhi.
Un battito di ciglia. Un battito di cuore. Fortissimo.
 

ANGOLO AUTRICE :) Aggiorno di fretta perché mi tocca studiare e andare al cinema a vedere Bel Ami <3 quindi perdonatemi eventuali errori e i ringraziamenti un po’ superficiali!
Questo capitolo posso definirlo uno dei decisivi, quindi per me è molto importante ricevere pareri, quindi fatemi sapere che ne pensate!
Ringrazio chi recensisce che mi riempie il cuore di gioia immensa e anche chi legge questa pazza storia!!
Baci!
Daisy.

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Capitolo 15
*** CAP 14 ***




CAP 14
 

 
Mi ero arresa. Non potevo crederci. Mi ero lasciata andare a quello sguardo così ipnotizzatore.
E avevo perso. Per la prima volta avevo perso al gioco nel quale ero sempre stata la migliore. Il gioco degli sguardi.
Dave distolse gli occhi dai miei e si mise a ridere di gusto.
“Come vedi Mar, hai perso!” disse schernendomi.
Strinsi le dita a pugno con forza, tanto che le unghie mi entrarono nella pelle. Già mi sentivo umiliata senza che lui mettesse ulteriormente il dito nella piaga.
Ma non potevo uscirne a testa bassa. Ero Marguerite Jones e lui non mi avrebbe mai vista sconfitta.
“Ti sbagli!” sbottai con sicurezza  e costringendomi a ghignare.
“Non ti illudere! Vedo nei tuoi occhi quanto tu sia ferita dal fatto di non essermi riuscita a battere!”.
Abbandonai il mio ghigno.
“Ti sbagli!” gli ringhiai contro “Sei tu che ti illudi! Nessuno può battermi!”.
“Ma io l’ho appena fatto!” disse con tono scherzoso, come se si stesse prendendo gioco di me.
Un mix di umiliazione, delusione e rabbia mi face esplodere.
“TU NON SAI NIENTE! TU NON SAI QUANTO IO SIA FORTE!” sbraitai furiosa.
“A quanto pare non abbastanza da battere ME!” mi schernì.
Lo guardai dall’alto in basso con superiorità.
“Ma chi ti credi di essere, sciocco?” domandai con disprezzo.
“Uno che ti ha battuto! E sai anche che ti dico? Che te lo sei meritata per tutto quello che hai fatto a quelle persone! Ma chi ti credi di essere TU per influenzare le decisioni degli altri?”.
La rabbia che provavo arrivò addirittura a farmi tremare.
Rimasi zitta anche se continuai a guardarlo con odio. Mi avrebbe pagato ogni cosa.
“Sai erano mesi che sospettavo che ci fosse qualcuno con dei poteri simili. Dal giorno in cui incontrai un certo signore anziano con delle buste per la spesa in mano. Per sbaglio gli urtai la spalla e, nel chiedergli scusa, notai di quanto il suo sguardo fosse spento, privo di vita, privo di volontà …” disse con disgusto.
Io non lo interruppi, dopotutto ero davvero curiosa e il suo racconto mi fece dimenticare per pochi secondi l’umiliazione della sconfitta.
“… Così l’ho risvegliato, era la cosa giusta da fare. Fu la prima volta che feci una cosa del genere e fu esilarante e stupendo, avevo ridato a quell’uomo la libertà che qualcun altro gli aveva tolto.” Mi lanciò uno sguardo carico d’odio.
“ Poi ho incontrato tua madre, Jac. Dovevo fare la tesi per la laurea triennale e per cercare informazioni mi ero dovuto allontanare parecchio da qui. Andai in un cittadina ed una sera vidi una donna che camminava rapida sulla strada. Ad un certo punto due uomini le si sono avvicinati e hanno iniziato a palparla ridendo. Come potevo stare lì a guardare? Mi sono messo a correre nella loro direzione  e ho preso a ho fatto a pugni quei dannati bastardi!” strinse i pugni perso nel ricordo di quella notte.
 “ Quella donna, Jac, era terribilmente scossa così le ho offerto qualcosa da bere.  Quella sera mi ha raccontato della sua vita, del suo passato da prostituta e della figlia che non aveva mai voluto, quella bambina che con quegli occhi neri così diversi dai suoi le ricordava in continuazione un altro terribile uomo col quale era stata.
Col sorriso sulle labbra mi disse che un giorno un uomo di cui, temo per paura, non mi ha mai rivelato il nome, si è presentato in casa sua. Quell’uomo portava l’oro. Le ha offerto un lavoro ed una vita decente in cambio di ciò che lei non aveva mai desiderato: sua figlia. Io rimasi interdetto da tale confessione. Io ho la capacità di intuire quale sia l’animo di una persona e lei mi sembrava di indole piuttosto buona …”
Rimasi ad ascoltarlo rapita. Lui era come Alan! Anche Alan poteva capire quale fosse l’animo di una persona. Era in quel modo che aveva compreso il cambiamento radicale di Caren e sarebbe stato in quel modo che avrebbe capito il mio. Ma io dovevo essere più forte, nessuno avrebbe dovuto comprendere che ero mutata. Io non dovevo cambiare. Ero forte, potevo farcela.
“… Così l’ho guardata negli occhi e ho compreso che era stato qualcun altro a prendere quella decisione per lei, ma l’aveva presa talmente tanto bene da farle credere di essere stata lei stessa a decidere, così che non avesse rimorsi o sensi di colpa. Dopo che le ho aperto gli occhi ha pianto per un’ora. Da quel momento volle cavarsela con le sue uniche forze così si trovò un nuovo lavoro, in questo bar e siamo rimasti molto legati!”.
Fece una breve pausa per studiare la mia espressione di puro stupore, poi, contento dell’effetto che il suo racconto aveva sortito su di me, continuò.
“Adesso arriva il bello, arriva la parte della storia che ti riguarda Marguerite … “ lo disse quasi con disprezzo “ Sei entrata in scena tu. Prima di parlarti non avevo la minima idea di chi fossi, vedevo una splendida ragazza un po’ triste e avrei voluto solo rallegrare la tua serata. Ma poi tu hai iniziato a provarci in modo spudorato con me ed ero disgustato dalla persona che eri.
Cercai di capire meglio che tipo di persona tu fossi incontrando i tuoi occhi che però erano fuggevoli, essi non volevano incontrare i miei, ciò mi colpì molto.
Di solito le persone, quando hanno dinnanzi un estraneo cercano di stabilire innanzitutto un contatto visivo, cosa che tu non facevi, nonostante mi stessi facendo delle proposte indecenti col tuo corpo.
Questo tuo comportamento mi incuriosii, credo che sia stato un tuo inconsapevole sistema di difesa dallo sguardo che ti poteva cambiare!”.
A queste parole risi di gusto per quanto quel ragazzo fosse spavaldo e sicuro di sé. Non sapeva chi si trovava di fronte.
“O forse era per proteggere TE dai miei occhi!” ribattei.
“I tuoi occhi non avrebbero potuto nulla contro i miei!” disse con fierezza.
“Dici?” lo sfidai.
“Te l’ho dimostrato Marguerite!”.
“Tu credi di aver vinto! Cosa te lo prova?” domandai ghignando. In fondo io non mi sentivo affatto diversa.
“Non saprai più fare quello che di solito facevi!” rispose con semplicità alzando le spalle “Ed è assolutamente giusto così!”.
“Vedremo cosa sarò in grado di fare!” esclamai altezzosa.
“Sei testarda! Se tu avessi tenuto a bada tutta la tua spavalderia, ti avrei presa unicamente per una persona timida. Talmente timida da non voler incrociare lo sguardo di uno sconosciuto.
Invece eri tutto tranne che quello!
 Così ho iniziato ad indagare su di te. La cosa più strana era che tu non esistevi. Non avevi un domicilio, figuravi solo negli elenchi scolastici con nome e cognome. Poi ho scoperto che eri figlia di Jac e tutti i nodi hanno iniziato a venire al pettine. L’incontro con quelle due ragazze che hai soggiogato mi ha fatto chiudere il cerchio intorno a te perché erano entrambe tue amiche. Sapevo che eri intelligente e che prima o poi ti sarebbe venuto il sospetto che ci fossi io dietro al misterioso ritorno in sé delle due ragazze. Così io ero pronto ad attirarti nella mia tela e tu ci sei cascata con tutte le scarpe!” sorrise soddisfatto ed io rabbrividii.
E così ero finita in trappola. Di male in peggio.
“La domanda ora è: ci sei tu e solo tu dietro a tutto questo o c’è qualcuno che tiene in mano le redini rimanendo nell’ombra?”.
Riflettei. Potevo scagionarmi dal giudice Dave scaricando la colpa su Alan Black. Ma cosa ci avrei guadagnato? Insomma, non sarebbe servito a niente scagionarmi. Piuttosto mi conveniva intraprendere una sorta di gioco con Davuccio, così l’avrei portato fuori strada, dopo di che avrei potuto chiedere ad Alan di riconferirmi i poteri, sempre se li avevo persi realmente.
“Perché dovrei dare una risposta proprio a te! Chi sei in realtà?” chiesi con sguardo di sfida.
“Chi sei tu?” rigirò la domanda.
“Eh no, mio caro Dave! La domanda l’ho fatta prima io!” dissi sensualmente. Lo avrei persuaso ugualmente, ormai non contavo più  solo sulle mi facoltà soprannaturali, ma anche sulle mie capacità seduttive.
Ricordavo con estrema chiarezza che nemmeno lui ne era rimasto immune. Quando mi aveva accompagnata a casa, la mia mano aveva sfiorato la sua mascolinità che era decisamente sveglia.
“Perché dovrei rispondere ad una persona meschina come te?” disse con un pizzico di nervosismo.
Oh, povero, povero Dave. Lo stava innervosendo. Quanto mi dispiaceva …
“Perché dovrei rispondere ad uno così schifosamente altruista?”.
“L’altruismo è una DOTE. Rara e preziosa. Come tu possa disprezzarla è un mistero. Come tu possa aver condizionato la vita di quelle persone, senza alcun risentimento, è un mistero. Come hai potuto?  Non ti fai schifo da sola?” mi ringhiò contro con odio.
Sorrisi. Le posizioni si stavano invertendo.
“Vediamo. Prima di tutto mi diverto terribilmente e poi cosa ci guadagni tu ad essere altruista? Qualcuno te l’ha mai riconosciuto?” ghignai di fronte alla sua rabbia crescente.
“TUTTI mi ringraziano!” sibilò stringendo i pugni.
“Si ma subito dopo si scordano del povero e misero Dave, che si riduce così ad una fugace comparsa nella loro vita. E indovina invece chi si ricordano? Si ricordano di Mar. Di come io sia passata nella loro futile esistenza come un tornado, di come sono stata stronza. Gli egoisti attraggono Dave, gli altruisti sono messi in disparte!”.
“QUELLO CHE FAI E’ SBAGLAITO!” sbraitò ormai al limite della pazienza.
“E chi ti dice che quello che fai tu è giusto? Vedi Dave, fare il moralista non ti condurrà da nessuna parte purtroppo, perché i moralisti non sono ascoltati da nessuno!” sogghignai.
Lui ringhiò e si avvicinò velocemente a me ponendosi a pochi centimetri dal mio viso e lanciandomi uno sguardo minaccioso.
“Tua madre, il vecchio signore e le tue due amiche mi hanno ascoltato e guarda Marguerite, anche TU lo stai facendo!” sibilò.
Il suo respiro raggiunse il mio viso e il lo inalai. Era dannatamente buono.
“Io mi sto solo divertendo e tutti gli altri, quelli che credi ti abbiamo ascoltato, l’hanno fatto perchè li hai soggiogati, così come ho fatto anche io!” ribattei alzando le spalle con noncuranza.
“Io non soggiogo nessuno, non sono nemmeno lontanamente paragonabile a te! Tu sei spregevole!”.
Ridacchiai.
“Io mi godo la vita Dave! Credi che se tutte quelle persone là fuori avessero la possibilità di essere felici almeno la metà di quanto lo sono io, non venderebbero l’anima? Non ci penserebbero due volte!” ghignai pregustando la sua reazione e sperando che si arrabbiasse nuovamente, dato che si era un po’ calmato.
“Forse hai ragione …” rimasi delusa dal suo tono tranquillissimo “… forse tutti, se potessero, deciderebbero di vivere e di fare quello che fai tu. Ma a quale prezzo? Al prezzo di rendere tutti gli esseri umani delle pedine sulla tua scacchiera?”.
“Perché no?” detto ciò mi avviai verso la porta. Non  ne potevo più di stare nella stessa stanza di quell’odioso ragazzo che credeva di avermi battuta. Forse potevo non avere più i miei poteri, ma sarei caduta a testa alta. E ne sarei uscita ancora più forte.
“Ti saluto Dave!” dissi sventolando la mano in sua direzione poi uscii dal locale chiudendomi la porta alle spalle. Dopo pochi secondi sentì un grandissimo fracasso e mi immaginai Dave che con rabbia scaraventava a terra qualche sedia. Sorrisi. Forse aveva vinto una battaglia, ma non la guerra.
 
 
L’aria fresca di fine ottobre era un vero e proprio toccasana per i miei nervi a fior di pelle. Ero contenta di essere riuscita a fronteggiare a testa alta quel pallone gonfiato di Dave, ma, nonostante non volessi ammetterlo nemmeno a me stessa, ero scossa e preoccupata.
Iniziai a camminare scacciando i pensieri che mi tormentavano il cervello in modo quasi maniacale.
Era una giornata di sole e il tempo se ne strafregava del mio animo, come avevo sempre fatto io con le persone che mi stavano attorno. Non mi importava se uno soffriva per causa mia, quel che contava era come stavo io.
Guardai il cielo senza neanche l’ombra di una nuvola e pensai risoluta che non potevo aver perso le mie facoltà.
Mi concentrai sul mio corpo e scoprii con gioia di percepire il potere che ancora scorreva dentro di me. Era il potere del libro che percepivo sotto la mia pelle, che attraversava impetuoso ogni mio organo. Sapevo che non potevo averlo perso, non io. Dovevo però dimostrarlo a me stessa altrimenti non mi sarei mai data pace.
Alzai gli occhi e mi guardai attorno per cercare la mia vittima e la individuai in un ragazzo decisamente magrolino che mangiava una mela mentre stava sottolineando chissà quale tomo.
Se ne stava seduto su una panchina verde di fonte a me, con le gambe accavallate.
Lo valutai. Sembrava il classico ragazzo tranquillo, alla Dave insomma! Proprio colui di cui avevo bisogno.
Feci un respiro profondo e sperai con tutto il cuore che funzionasse.
“Posso?” gli chiesi, una volta vicino a lui, indicando la panchina.
Lui alzò lo sguardo e sbarrò gli occhi per la sorpresa. Era evidente che non tante belle ragazze come me gli rivolgessero la parola. Sorrisi pensando che effettivamente aveva un po’ la faccia da sfigato, ma poco importava, meno era disinibito, meglio andava per la mia prova del nove.
“C-certo!” rispose spostandosi di lato per farmi posto.
Mi sedetti e  accavallai le gambe mentre lui tornò ad occuparsi del suo libro. Sbuffai senza farmi sentire: insomma quel ragazzo aveva vicino una ragazza interessante come me eppure preferiva studiare quel dannato tomo piuttosto che rivolgermi la parola. Che deficiente.
A quei pensieri sorrisi, perché essi erano un’ulteriore prova al fatto che io non ero mutata per niente e che Dave aveva torto marcio.
“Io sono Mar!” mi presentai porgendogli la mano. Lui si volse verso di me e parve arrossire.
Puah, ma potevo scegliermene uno meno sfigato?
Sorrisi nuovamente. Non ero proprio cambiata.
Il mio umore stava migliorando a dismisura.
“P-piacere” sorrise stringendomi la mano.
Lo guardai interrogativa aspettandomi che anche lui mi rivelasse il suo nome.
Lui continuava a non capire cosa volessi e diventava ogni secondo sempre rosso, probabilmente era meglio che mi esprimessi a parole o avrebbe rischiato l’autocombustione.
“E tu come ti chiami?”.
“Ah sì!” disse quasi mortificato “Sono James!”.
“Jaaaaames!” ripetei civettuola “Ma che bel nome!”.
Lui arrossì di fronte al mio complimento e abbassò lo sguardo. Alzai gli occhi al cielo per impedirmi di imprecare, feci un sospiro per calmarmi dopo di che gli rivolsi un sorriso dolce.
“James?”. I suoi occhi marrone scuro incontrarono i miei del colore degli abissi privi di luce.
Mi concentrai su di essi. Dovevo capirli, percepire le emozioni che volevano trasmettere, le emozioni che albergavano nel cuore del loro proprietario.
Imbarazzo, indecisione, voglia di nascondersi dietro l’albero più vicino.
Cercai di percepire sulla mia pelle quei sentimenti.
Percepivo dentro di me quei sentimenti. Sorrisi.
Baciami!’ il comandò partì dalla mia testa, il suo sguardo per una frazione di secondo si fece vacuo.
Trattenni il respiro. Quello era un segnale più che evidente del fatto che il comando doveva essere passato, ma non potevo esserne sicura al cento per cento finchè …
Finchè lui, con lentezza, avvicinò le sue sottili labbra alle mie. All’inizio le posò solamente. Poi mosse una mano per porla dietro la mia nuca per avvicinarmi ulteriormente e approfondire il bacio.
Si dedicò per prima cosa al mio labbro inferiore, poi, sorpresa della bravura di un tale sfigato, socchiusi leggermente la bocca per dargli libero accesso.
In quel momento però ci staccammo quel poco che bastava per guardarci negli occhi e lui scattò in piedi quasi terrorizzato.
Lo guardai stranita, alla deficienza non c’è mai limite.
Lui iniziò a tormentarsi le mani nervoso.
“S-scusa, n-non so d-davvero cosa diavolo mi s-sia preso …” balbettò. Ma perché gli sfigati balbettano sempre? È nel loro DNA?
“I-io non mi c-comporto mai così! N-non so davvero …” continuava a giustificarsi mentre io lo guardavo incredula con un sopracciglio alzato.
“D-devo a-andare!” disse poi, dato che non otteneva una mia risposta.
Fece dietro front recuperando il suo zaino e il libro. Quando fu a qualche passo da me lo salutai.
“Piacere di averti conosciuto James!” urlai quel poco che bastava perché mi sentisse.
Lui si voltò verso di me e divenne rosso fino alla punta delle orecchie per poi andarsene continuando a voltarsi di tanto in tanto per lanciarmi un’occhiata, come per assicurarsi che io fossi ancora lì e che non fossi un fantasma o una fugace apparizione.
Mentre si voltava per l’ennesima volta inciampò e cadde rovinosamente al suolo.
Risi di gusto di fronte alla goffaggine di quel tipo.
Una volta che fu sparito dalla mia vista mi appoggiai allo schienale della panchina e sospirai.
Non avevo perso i miei poteri. Me lo ero appena dimostrata. Ero felice come una pasqua.
Iniziai a ridere da sola guadagnandomi gli sguardi increduli della gente che passava, ma figuriamoci se a me importava qualcosa!
Non avevo perso le mie straorinarie capacità!
Ripensai agli occhi imbarazzati del ragazzo quando spaventato si era allontanato precipitosamente da me. Si vedeva in essi lo stupore dovuto alla propria azione e l’imbarazzo.
Il ricordo un po’ mi fece pena, poverino dovevo averlo traumatizzato un bel po’.
Poverino?
Per la prima volta in vita mia stavo dando del poverino a qualcuno e non per sfotterlo, ma per davvero. Perché in fondo al mio cuore vi era dispiacere, dispiacere per avergli fatto fare una cosa che non era nella sua indole.
Cercai di cacciare quel briciolo di umanità nelle viscere della mia anima, io non ero caritatevole e non pensavo mai a quali conseguenze potevano avere le mie azioni sugli altri. Importava quale giovamento da esse ne avessi tratto io.
Io ero geneticamente fatta in quel modo. Allora perché mi dispiaceva per quel che avevo costretto James a fare? Perché non ero insensibile e fredda come al solito? Scacciai quei pensieri dalla  mia testa e continuai a gioire per non aver perso i poteri. Non vedevo l’ora di vendicarmi dell’arroganza di quello stupido Dave.
 
 
Quando arrivai sorridente di fronte alla porta di casa scoprii con piacere che la valigia rosa era scomparsa, il che mi fece sorridere ancora di più.
Entrai nell’appartamento pensando a dove poteva essere andata Caren. Probabilmente aveva chiesto a Rob di ospitarla e lui figuriamoci se le aveva negato ciò, pur di avere una donna scopabile nel suo appartamento avrebbe venduto l’anima.
Divorata dalla curiosità presi in mano il cellulare e feci il numero di Rob che rispose dopo pochi squilli.
“Maaaaaaaar! Ti mancavo?” mi domandò con la sua solita strafottenza.
“Certo Rob, come no! Mi sa che mancavo più io a te!” sorrisi.
“Certo piccola! Vuoi fare cose sconce al telefono?” chiese con voce sensuale.
Ridacchiai, Rob era proprio incorreggibile.
“No a dir la verità volevo sapere se Caren era venuta a stare da te!”.
“E da quando ti importa di lei?” domandò scettico.
Già, da quando mi importava di lei? Da due secondi? Scossi la testa per riprendermi. Cosa mi stava accadendo?
Bugia, serviva una bugia.
“Credo di aver accidentalmente messo nella sua valigia la mia spazzola per capelli!”.
Lui scoppiò a ridere di fronte alla stupidità di ciò che avevo detto. Da quando le mie scuse erano diventate stupide?
“Ah! Voi donne! Troppo preoccupate per i vostri stupidi capelli, mi sa che dovrai preoccuparti ancora di più Mar! Caren non è da me!”.
Sospirai di sollievo conscia che Rob se la fosse bevuta.
“Però puoi venire tu, sai, vai bene anche spettinata!” sussurrò con la voce un po’ roca.
“Certo Rob! Contaci!” e chiusi così la chiamata.
Se Caren non era da Rob allora dove era andata a finire?
Non mi stavo pentendo di averla cacciata di casa, quello mai, solo che mi stavo preoccupando per la notte che avrebbe dovuto trascorrere chissà dove, al freddo e al gelo, con tutte le cattive persone che ci sono al mondo. Avrebbero potuto farle del male.
O mio dio! Mi stavo addirittura preoccupando. Iniziai a darmi mentalmente della scema e mi venne voglia di sbattere la testa contro il muro per far tacere quella fastidiosa vocina che albergava nella mia testa e che mi faceva sentire in colpa.
In colpa mio dio! Marguerite Jones si sentiva in colpa.
Quella vocetta era la mia coscienza, non credevo di averne una, quindi ne rimasi molto sorpresa.
Andai a fare una doccia chiedendomi come facessero le persone comuni a zittirla.
 
 
Mi avvicinai allo specchio e passai con attenzione il lucidalabbra. Una volta finito mi allontanai per ammirarmi in tutto il mio splendore. Sorrisi felice di ciò che vedevo, quella sera avevo davvero fatto un ottimo lavoro. Avevo indossato un miniabito beige che lasciava scoperta buona parte della schiena e che si apriva con una generosa scollatura a ‘V’ sul petto. Avevo raccolto i miei lunghi capelli neri in una coda alta e avevo terminato l’opera con un paio di orecchini vistosi.
Bisogna apparire al meglio quando ci si vuole vendicare e io volevo dannatamente vendicarmi di Dave. Come aveva osato quel ragazzo umiliarmi in quel modo?
Sorrisi a quel pensiero felice che il mio cervello avesse ripreso a ragionare come d’abitudine, iniziavo ad odiare la Mar preoccupata per una persona inutile come Caren. Probabilmente la stanchezza mi aveva giocato un brutto tiro, ma tutto risultava futile di fronte al grande obbiettivo della serata.
Avrei distrutto l’ego di Dave con una semplicità tale da stupirlo.
Ero esaltata all’idea. Indossai il giubbotto e agguantai la borsa. Prima di uscire diedi un’ultima occhiata alla splendida ragazza che sorrideva maligna nello specchio pensando che quella ero io, senza maschere, solo semplicemente io. E che ero perfetta.
Avevo talmente fretta di raggiungere la DrinkHouse che quasi correvo, certo, per quanto i tacchi potessero permettermelo. Quando finalmente arrivai al locale notai che il ricordo di come l’avevo trovato quel pomeriggio era solo l’ombra di come lo avevo di fronte.
Persone. In ogni angolo c’erano decine di persone intente a ridere, bere, giocare, pomiciare. Sorrisi ed entrai a testa alta notando che lo sguardo di parecchi ragazzi si volgeva a me.
Incurante di ciò mi diressi ancheggiando lievemente, quanto bastava perché quegli occhi mi seguissero, fino al bancone.
Non appena Jaqueline mi vide sbarrò gli occhi e ci mancò poco che non facesse cadere a terra la bottiglia con la quale stava armeggiando.
Cercai di regalarle un sorriso forzato e di fronte alla mi espressione, che doveva essere terribile, lei sorrise dolcemente, come se fosse semplicemente contenta di rivedermi.
“Mar …” urlò per sovrastare la musica assordante.
“Per te, Maguerite!” sbottai abbandonando la mia finta gentilezza. Lei abbassò lo sguardo al suolo e sospirò afflitta.
Vederla in quello stato mosse qualcosa dentro di me, qualcosa che non sapevo definire.
Pietà. Quella era pietà ed era stata quella vocetta che si era impadronita di me a rivelarmi il nome di quel sentimento.
Jaqueline mi faceva pena. La pena era un sentimento che provavano i deboli ed io non ero debole.
Mentre la mia mente rifletteva avevo preso a sorridere con tristezza e mi ero avvicinata inconsciamente alla donna. Al di sopra del bancone le avevo posato una mano sul braccio, come per rassicurarla.
Lei, sorpresa da quel gesto, alzò lo sguardo ed incontrò i miei occhi. In quel momento mi resi conto di aver fatto un gesto gentile, compassionevole e fu come se una scarica elettrica mi oltrepassò il braccio per giungere alla mi amano che ancora si trovava sul suo avambraccio. La tolsi immediatamente da lì, schifata da quello che aveva appena fatto.
Mi sembrava assurdo che mi fosse venuto così naturale quel gesto. Cercai di tranquillizzarmi, era solo la stanchezza dopotutto.
“Possiamo parlare?” chiese Jaqueline rinfrancata.
Lanciai un’occhiata al locale cercando di individuare quello sciocco di Dave, di cui però non vi era traccia, così annuì, tanto non avevo niente di meglio da fare.
Lei sorrise radiosa e oltrepassò la porticina che si trovava dietro il bancone, probabilmente per avvertire che si sarebbe presa un pausa, poi mi raggiunse e mi giudò attraverso la folla per giungere fuori dal locale dove sicuramente avremmo avuto maggiore possibilità di sentirci.
Una volta fuori lei si appoggiò al muro e tirò fuori un pacchetto di sigarette.
“Fumi?” chiese accennando al pacchetto nelle sue mani.
Scossi la testa e la osservai mentre la accendeva.
“Cosa vuoi?” chiesi repentina e aggressiva. Non ero uscita da quel locale per vederla fumare mentre io congelavo per il freddo.
“Voglio spiegarti!” rispose portandosi alla bocca il filtro e inspirando a lungo.
“Cosa c’è da spiegare?” sbottai lanciandole uno sguardo di puro odio.
“Molto !”
Ricordai di quando quello stesso pomeriggio Dave mi avesse raccontato della sera nella quale aveva incontrato mia madre, così decisi di farle delle domande a riguardo.
“La prima volta che ti ho incontrata hai detto che avevi sbagliato tutto e che era stato Dave a fartelo capire …” iniziai e lei annuì per confermare quanto dicevo.
“… La mia domanda è: come te lo ha fatto capire?” chiesi marcando di più la parola ‘come’.
Lei fece un altro tiro e mi rispose con gli occhi persi in quella sera appartenete al suo passato.
“Dave, mi ha fatto un discorso, al termine del quale sono scoppiata a piangere capendo il mio errore …” iniziò.
Il mio cervello invece si bloccò per un istante. Lui mi disprezzava perché io costringevo le persone a fare determinate cose. Sorrisi. Lui era identico a me.
Ricordavo perfettamente che quel pomeriggio aveva ammesso di aver guardato Jaqueline negli occhi per farle capire l’errore, quindi, dal punto di vista oggettivo era stato merito suo e delle sue facoltà se la donna aveva compreso il proprio errore.
Jaqueline, da parte sua, era convinta che lui, con un discorso, le avesse aperto gli occhi, ma secondo lei aveva compreso da sola l’errore che aveva fatto e Dave era solo stato d’aiuto.
Ciò corrispondeva esattamente a ciò che facevamo noi. Prendevamo le decisioni per gli altri facendo credere alle persone che quelle decisioni fossero state prese da loro autonomamente.
Anche quella di pentirsi è una decisione.
Più ci rimurginavo e più ne ero certa, anche Dave poteva condizionare le scelte delle persone comuni.
Sorrisi nuovamente ripensando al fatto che voleva fare tanto il moralista quando lui era esattamente come me!
Jaqueline intanto aveva continuato il suo discorso.
“Fu lui a chiedermi se avevo notato qualcosa di particolare nello sguardo del signor Black. In quel momento ci pensai attentamente. Non avevo mai pensato a quel particolare, anzi, lo sguardo che ricordava era quello di una persona comune, quello di un uomo che voleva concludere il suo affare ...” rabbrividì dicendo ciò.
“… poi quando ho incontrato lo sguardo di Dave improvvisamente ho ricordato. E’ stata colpa di quello sguardo, quello sguardo mi ha costretta Mar! Devi credermi!” esclamò quasi pregandomi.
La chiave erano gli occhi verdi di Dave. Senza rendersene conto la donna mi aveva fornito un’informazione davvero molto preziosa. Con le sue iridi era riuscito a far ricordare a Jac dello sguardo particolare di Alan, anzi glielo aveva fatto notare, perché nessuno, in condizioni normali, se ne sarebbe accorto.
Quali erano i poteri di Dave? Che obbiettivo aveva?
“Sciocchezze!” ribattei con superiorità. Alan diceva di negare, negare sempre. E io avrei negato. Sempre. Perché non ero una persona come tutte, ero una di loro, Dave o non Dave, poteri o non poteri, uno sguardo non avrebbe mai potuto cambiare la mi essenza.
“Gli sguardi non possono convincere le persone!” e mi misi a ridere per sottolineare l’inverosimilità di ciò che aveva appena detto.
“Potevi inventarti una scusa migliore!” conclusi.
La donna assunse uno sguardo ferito e io mi voltai per rientrare nel locale. Nel chiudere la porta alle mie spalle vidi una sottile lacrima solcarle il volto.
Infondo avevo reagito in quel modo per tutelare me e quella che era la mia famiglia.
Mio dio. Stavo giustificando le mie azioni a me stessa!
Probabilmente stavo impazzendo. Mi sedetti ad un tavolo e ordinai da bere. Proprio mentre arrivò ciò che avevo chiesto vidi in lontananza Dave. Portava una camicia e teneva in mano una birra che sorseggiava mentre chiacchierava con un gruppo di persone che dovevano essere suoi amici. Tra di essi scorsi il ragazzo che avevo costretto a baciarmi quel pomeriggio, James. Anche quest’ultimo mi vide e, nell’incontrare i miei occhi arrossì fino alla punta dei capelli. Poi, cercando di non farsi notare da me ( con scarso successo) diede una gomitata a Dave che si voltò verso di lui. James gli sussurrò qualcosa dopo di che Dave alzò lo sguardo e, così facendo, incontrò il mio.
Sorrisi diabolica e lo salutai con la mano. Lui assunse uno sguardo carico d’odio e si avvicinò con lunghi passi a me.
Vieni Dave, vieni. Dopotutto lo stavo giusto aspettando.
 
 
Inizio con i ringraziamenti…
Grazie a tutti coloro che recensiscono, che hanno messo la mia storia tra le preferite (18) le seguite (24) e le ricordate (6) e anche a tutti coloro che leggono e basta.
Questo è un capitolo importante, ma temo di essere stata un po’ ripetitiva  e non molto chiara, quindi ho assolutissimamente bisogno di sapere cosa ne pensate!!
Per qualsiasi domanda non fatevi problemi, io sono qua.
No so se riuscirò a pubblicare il prossimo capitolo per domenica prossima, ma cercherò di fare il possibile!!
Baci!
Daisy.

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Capitolo 16
*** CAP 15 ***




Dedico questo capitolo a tutte coloro che si sono fermate un attimo a recensire, in particolare a shadowdust, AlyDragneel, Pyra e lysdefrance !!
 


CAP 15
 

 


“Siediti  Dave!” urlai per sovrastare la musica con palese finta gentilezza.
“NO grazie!” sbottò lui.
“Mmm siamo scontrosi sta sera eh?” lo provocai. Lui mi lanciò uno sguardo minaccioso.
“Perché dovevi baciare proprio lui?” sbottò.
“Ah? Sono stata io a baciare? Mmm no no Dave, temo sia stato lui a cacciarmi la lingua in bocca!” sorrisi, stava per arrivare il bello.
Lui assunse un’espressione incredula di fronte alle mie parole.
“Lui? Ma dai Mar! Lui non lo farebbe mai, lo so, lo conosco da una vita!” ribattè.
“A meno che?” volevo ci arrivasse da solo.
Lui mi guardava sempre peggio e non accennava a voler far lavorare il cricetino che aveva sotto quella coltre di capelli neri e mossi che gli circondavano il viso con eleganza .
“A meno che qualcuno …” e sottolineai con la voce l’ultima parola “… l’abbia costretto!”.
A queste mie parole lui reagì in un modo che io non mi aspettavo. Si mise a ridere.
“E quel qualcuno saresti tu Mar? Ma fammi il piacere! Tu- hai- perso- i- poteri. Punto. È inutile che ti illudi che non sia così!” ancora una volta si stava prendendo gioco di me. Mamma mia quanto detestavo quel ragazzo.
“Ah si? E se ti dimostrassi il contrario?” lo sfidai sempre più orgogliosa pregustando la sua delusione.
“Ma smettila!” continuò. Mi venne la voglia di prenderlo a schiaffi. Cercai di calmarmi.
“Vedremo!”
Mi guardai attorno alla ricerca della mia vittima e vidi un ragazzo alto e molto muscoloso.
Ghignai, proprio colui che faceva al caso mio. In quel momento, per un fortuito caso, lui si volse e incontrò il mio sguardo. Prendendo al volo l’occasione agitai la mano in sua direzione come per salutarlo, mentre abbassavo lo sguardo per fingermi imbarazzata.
Dave osservava schifato quello che stavo facendo mentre il ragazzo si incamminava ridacchiando e decisamente compiaciuto verso di me.
“E questo tu lo chiami obbligare?” chiese con una smorfia Dave.
Gli sorrisi. Si poteva essere più sciocchi?
“Il bello deve ancora venire! Abbi un po’ di pazienza!” ribattei soddisfatta.
“Mar, per i miei gusti ti stai illudendo davvero troppo!” esclamò incrociando i miei occhi e gongolando per la mia imminente disfatta.
Che sciocco! Tra qualche momento ci sarebbe stata sì una disfatta, ma non la mia. La sua.
“Hei bella!” mi salutò l’omone di poco prima. Distolsi la mia attenzione dal ragazzo più insopportabile e odioso del pianeta e la rivolsi a quel colosso.
“Ciao!” sorrisi sensualmente.
Una risata sonora uscì dalle labbra di Dave, che in tal modo attirò la nostra attenzione. Sbuffai. Cosa aveva da ridere ancora? In quel modo mi rubava la scena!
Misi le mani sui fianchi e lo guardai interrogativa.
“Ahahah” e diede una leggera pacca che doveva risultare ‘amichevole’ sul braccio del gigante “Vi eravate già messi d’accordo vero Mar? Ahaha e sentiamo …” disse con le lacrime agli occhi rivolgendosi all’omone “… che cosa dovresti esse costretto a fare?” concluse mimando con le dita delle virgolette intorno alle ultime due parole.
Il gigante lo guardò come se fosse pazzo, mentre Dave ancora aveva la sua mano posata sul suo enorme braccio.
“E’ amico tuo?” chiese indicandolo con espressione leggermente scocciata.
Ridacchiai.
“Piuttosto mi faccio suora!” ribattei. Sul viso di quest’ultimo si aprì una smorfia che doveva essere un sorriso.
“Quindi questo vuol dire che non lo sei …” disse avvicinandosi a me.
Feci un passo avanti a mia volta e scossi la testa per negare.
“ No, no, affatto!”.
Il sorriso sul suo volto si aprì ancora di più.
Ma Dave ebbe un altro attacco di fragorose risate.
“Ahahahah sei patetica!” esclamò rivolgendosi a me.
Ah. E così ero patetica? Ghignai. Se io ero patetica Dave era simpatico. Decisamente assurdo.
Cercai di riprendere il mio discorso col gigante che però nel frattempo aveva rifocalizzato la sua attenzione su quel cretino di Dave.
Posai una mano sul suo braccio e lui posò automaticamente i suoi occhi nei miei. Perfetto.
Cosa sentiva? Eccitazione, felicità e perplessità per quel cretino che continuava a ridere.
Quei sentimenti, per una frazione di secondo li feci miei, giusto per far passare il comando.
Il suo sguardo per un istante si face assente. Perfetto.
Si voltò verso Dave che ancora ridacchiava e tutt’a un tratto gli sferrò un bel pugno in faccia che  lo fece cadere rovinosamente a terra.
Sorrisi soddisfatta vedendolo steso a terra dolorante. Si teneva una mano sulla guancia e sembrava che ancora non si fosse pienamente reso conto di quello che era successo.
Quando la consapevolezza raggiunse il suo cervello mi rivolse uno sguardo decisamente sorpreso.
Poveretto Davuccio, proprio non se l’aspettava!
Vedendomi  più che soddisfatta la sua espressione muto e sembrò volermi trasmettere odio allo stato puro.
Immediatamente l’omone, vedendolo a terra, gli tese il braccio per aiutarlo ad alzarsi.
“Amico, ridi meno quando vedi che ci sto provando ok?” disse a mo’ di scusa.
Lui annuì senza mai staccare gli occhi dai miei. Gli sorrisi e lo salutai lanciandogli un bacio con la mano e cercai di sparire tra la folla prima che il gigante mi vedesse e riprendesse a ‘provarci’ con me.
Uscì dal locale in gran fretta e trassi un profondo respiro non appena fui all’aria aperta.
La notte mi sovrastava splendida e rivolsi sorridendo il mio sguardo al cielo. Ripensai a Dave che cadeva dopo il pugno ricevuto e non potei fare a meno di ridacchiare, dopotutto se lo era meritato appieno.
Però forse non mi sarei dovuta spingere a tanto per dimostrargli di non aver perso i miei poteri. Avrei potuto costringere un ragazzo a baciarlo ad esempio.
Improvvisamente mi innervosì. Ancora una volta mi stavo pentendo di quello che avevo fatto.
Mi maledissi, soprattutto perché non capivo cosa mi fosse preso. Insomma, i miei poteri erano al loro posto, allora perché mi sentivo in quel modo?
Sbuffai e velocemente mi incamminai verso il mio appartamento, tutto ciò di cui avevo bisogno era riposare.
Almeno credevo.
 
 
“Maaaar!” Emily sventolò la mano in aria per attirare la mia attenzione non appena entrai in aula il mattino seguente.
Mi fece segno di andare a sedermi nel posto di fianco al suo ed io sbuffai. Avevo passato una notte terribile. Per la prima volta, dopo molto tempo, avevo fatto un incubo e, dopo essermi svegliat,a non ero più riuscita a prendere sonno.
Il sogno lo ricordavo vagamente.
 
Ero per strada e stavo baciando il ragazzo di quel pomeriggio, James. Stavamo avvinghiati come piovre sotto la pioggia e quando tentai di staccarmi da lui non ci riuscii. La sua presa era saldissima. Così chiusi gli occhi e mi arresi a quel bacio che non mi entusiasmava nemmeno un po’. Quando li riaprii il colore delle iridi di James era mutato, ora esse erano di un verde brillante, talmente brillante da costringermi a socchiudere le palpebre. Sembrava emanassero luce propria.
Spaventata cercai nuovamente di liberarmi da quell’abbraccio così simile ad una morsa, ma ancora le sue braccia non cedettero. Solo che esse non appartenevano più a James, bensì al proprietario di quegli stupendi occhi verdi.
“Maaar! Non ti avrebbe fatto così schifo baciarmi qualche giorno fa!” sibilò lui.
“Bleah! “ mi limitai a rispondere tentando nuovamente di liberarmi.
Sentii provenire una risata dalle mie spalle e mi voltai, per quanto potessi farlo. Rob se ne stava lì, con un ghigno diabolico dipinto sul volto.
“Mar, ma come sei debole! Non riesci neppure a liberarti dalla presa di questo smidollato!” ghignò e incontrando gli occhi di Dave lo costrinse a lasciarmi.
Dave lo guardò con odio, ma Rob incurante continuò.
“Ti sei lasciata sopraffare, io, come vedi invece, sono riuscito a sopraffare lui!”.
Dave strinse i pugni mentre l’ira lo invadeva e io lo guardai stupita.
Io non ero stata sopraffatta! E Rob non era più forte di me.
“Ho ancora i miei poteri!” sbottai a testa alta, leggermente intimorita dal mio compagno d’infanzia.
Rob ridacchiò.
“Sarà anche vero, ma che mi dici dei sensi di colpa? Ti sei resa conto di essere cattiva Mar!”.
Feci spallucce come se le sue parole mi scivolassero addosso. Fino al giorno prima non me ne sarebbe importato niente, mentre in quel momento essere me stessa mi costava fatica, io stavo fingendo.
“NON HO SENSI DI COLPA!” alzai leggermente il tono della voce per mettere in chiaro quel punto.
Lui ridacchiò poi schioccò le dita e apparvero diversi individui. Un’infinita serie di persone che non ricordavo di aver mai visto, trasparenti e dalla consistenza simile a quella del fumo, sembravano fantasmi. Tra di essi c’era Emily con le lacrime che le solcavano il viso.
Piagnucolante si avvicinò a me.
“Come hai potuto?” chiese  quasi con disperazione.
Io indietreggiai e, notando il mio comportamento sentii la risata di Rob.
“Sono tutte le persone che hai soggiogato Mar! Non ti ricordi di loro?” mi domandò con sarcasmo.
Non mi ricordavo della maggior parte di loro, erano davvero troppi.
Indietreggiai ancora.
“Ahahha  lo vedi quanto sei debole?” ghignò Rob.
 
In quel momento il sogno divenne una serie confusa di immagini e di voci. Rimasi in loro balìa per non so quanto tempo prima di svegliarmi tra le coperte del mio appartamento.
Sospirai e presi posto accanto ad Emily. La guardai mentre, puntualmente, estraeva il suo blocco per gli appunti.
Dio quanto era schifosamente secchiona. Era una persona inutile al mondo. Insomma, passava la metà del tempo sui libri e la restante metà a farsi spezzare il cuore e a farsi prendere in giro.
Che cosa le avevo fatto di male? Avevo solo reso un po’ più piccante la sua vita con Rob e lo avevo fatto per un ottimo scopo.
Bello scopo! A cosa era servito poi? Ad essere al punto di partenza. Anzi a farmi tornare indietro a causa di tutti quei piccoli e inutili sensi di colpa che mi tormentavano.
Presi la testa tra le mani e sperai che essi mi lasciassero in pace. Se avessi potuto avrei staccato il cervello, o meglio l’avrei buttato direttamente nel cestino dei rifiuti, dopotutto avrei potuto vivere benissimo anche senza.
“Che hai? Mi sembri strana!” mi domandò leggermente preoccupata Emily al termine della lezione.
“Ho dormito poco!” sbottai sperando che non mi facesse più domande.
Lei, d’altro canto, non sembrò affatto intimorita dal mio pessimo umore e sorridendo mi diede una gomitata leggera sulle costole.
“Qualche bel ragazzo affolla i tuoi sogni?” la guardai come se fosse un’aliena.
Non c’era altra spiegazione. Un essere non appartenente a questo pianeta doveva essersi impossessato del corpo di Emily e aveva iniziato a farla comportare come una persona normale. Da quando quella ragazza faceva allusioni sui ragazzi?
“NO!” ribattei secca raccogliendo i miei libri dal banco.
“Ciao Mar! Emily!”.
Nell’udire tale voce sentii Emily irrigidirsi improvvisamente. Sorrisi. Quella voce era inconfondibile.
“Rob!” lo salutai a mia volta. Perché era venuto lì? Emily evitava con estrema cura il suo sguardo e si avvicinava sempre di più a me, come in cerca di protezione. Feci una smorfia, quella ragazza sì che era una persona debole, mica io!
“Ragazze, mi chiedevo se vi va di unirvi a me per il pranzo!” ci invitò con una certa galanteria.
Lo fissai intensamente cercando di decifrare la sua espressione. Alla’apparenza sembrava normalissimo, solo un comune ragazzo che voleva passare del tempo con delle amiche, ma lui era Rob e quindi sicuramente c’era sotto qualcosa.
“Non credo che io mi unirò!” sussurrò quasi impercettibilmente Emily.
Rob assunse un’espressione di finto dispiace. Dio quanto fingeva male, ero decisamente più talentuosa io.
“Andiamo Emy …” e con la voce sottolineò quell’orribile nomignolo “… voglio davvero rincominciare …!”.
“Mi vedo con un altro!” sbottò lei con la voce che le tremava leggermente.
La guardai con la coda dell’occhio e vidi chiaramente che stava mentendo. Prima di tutto evitava lo sguardo di Rob, poi si tormentava le mani convulsamente e infine lei era Emily. Non sarebbe mai andata con un altro dopo così pochi giorni da una rottura.
Robert ridacchiò.
“Ma no Emy, voglio riniziare come amici!” le sorrise e lei ricambiò con un certo sforzo.
“Allora fantastico! Ci vediamo alle due qui fuori!” esclamò allontanandosi in un batter d’occhio. Mi era sembrato esageratamente soddisfatto del risultato ottenuto. Probabilmente era tutta una scusa per riguadagnare punti con Emily, o ancora più verosimilmente vedendo che lei ed io eravamo tornate, per così dire, ‘amiche’, voleva darmi fastidio. Sempre il solito. Sorrisi a quel pensiero. Non sarebbe cambiato mai.
Nemmeno io sarei cambiata.
“Ffff non lo sopporto!” sbuffò Emily buttando con poca grazia i libri nello zaino. Con la sua reazione dimostrava chiaramente di essere stata scossa dall’incontro con Rob.
“Accidenti …” continuò a sfogarsi “… è sempre così dannatamente pieno di sé da farmi salire il nervoso. Ma chi si crede di essere? Insomma, viene qua e come se niente fosse mi saluta, come se non mi avesse tradita, come se…” la sua voce era passata dall’esprimere ira all’esprimere pura e semplice tristezza.
Tristezza mista a rimpianto, quel rimpianto  di un amore che non era mai esistito.
Che cosa sciocca amare.
Povera Emily, non la invidiavo per niente. Innamorarsi di uno come Robert doveva essere una vera e propria tragedia, un po’ come lo sarebbe stato innamorarsi di me. Solo che ciò era impossibile perché gli uomini vogliono solo una cosa dalle donne, io gliela dava quella cosa, mi divertivo e tanti saluti!
Mentre le donne, sciocche come sono, non si accontentano mai di una notte focosa, a loro non basta avere il corpo di un uomo, loro vogliono raggiungere il suo cuore. E scioccamente si illudono che la via per raggiungere tale obbiettivo sia quella del concedersi.
Che cavolata. È questo che portava persone come Emily a soffrire così per uno come Rob.
Ringraziai la mia buona stella per non essere in quel modo, per essere insensibile a tali sentimenti così distruttivi.
“Mi dispiace Emy!” le dissi con una vena di sincerità posandole amichevolmente la mano sulla spalla.
Un po’ mi dispiaceva davvero che lei non avesse avuto la mia fortuna. La fortuna di essere cresciuta da Alan, la fortuna di non conoscere alcuna forma di sofferenza. La mia,o meglio, la nostra, era pura e semplice VITA.
Vita allo stato puro. Così libera e perfetta.
Non avrei rinunciato facilmente ad essa, nonostante il risveglio della mia coscienza.
Lei trasse un profondo respiro, come per calmarsi e mi sorrise con amarezza.
“Anche a me! La prossima volta devi ripetermelo più volte che un ragazzo non è quello giusto per me!”.
Le sorrisi.
“Contaci! Ma prima hai parlato di un ragazzo con cui ti vedi … racconta un po’!” dissi ciò nella speranza di farla distrarre dal doloroso pensiero di Rob, non perché le credessi seriamente.
A questo pensiero mi venne voglia di vomitare. Da quando ero diventata così protettiva?
Bleah. Di questo passo non sarei più dovuta uscire di casa e sarei dovuta andare in terapia intensiva da Alan per ricordarmi chi ero e qual’era il mio posto nel mondo.
“Mah! Niente l’ho detto perché mi dava fastidio che volesse riprovarci con me!” confermò le mie aspettative.
“Però c’è un ragazzo che mi interessa …” iniziò.
La guardai ridacchiando. Caspita, complimenti ad Emily. Si stava consolando in fretta.
“E chi sarebbe?” domandai fingendo una curiosità che in realtà non mi apparteneva.
“Ti ricordi quando ti ho raccontato del mio svenimento?”.
Annuì intravedendo dove volesse arrivare e la cosa mi fece non poco ribrezzo.
“Bè il ragazzo che mi ha, per così dire, soccorsa … è un vero schianto!” lo disse con gli occhi che le luccicavano.
Trattenni a stento una smorfia. Dave uno schianto? Al massimo nel vederlo si poteva provare il forte impulso di farlo schiantare contro un muro, ma niente di più.
Lei non si accorse del mio sguardo incredulo e continuò imperterrita a blaterare, già alle prese con i suoi viaggi mentali. Viaggi in cui probabilmente Dave era sua marito e avevano la casa invasa da pargoletti insopportabili quanto il padre.
“Si chiama Dave Sullivan, ha circa 23 anni e abita in una villetta a due piani un paio di quartieri più in là del campus. Non so se viva da solo o con i genitori, ma comunque studia legge”.
La guardai con un sopracciglio alzato.
“E tutte queste cose te le ha dette lui?” mi chiedevo quando avessero parlato.
I suoi occhi brillarono ancora di più. Probabilmente in quel momento nella sua testa il Dave- marito- perfetto le stava mandando un bacio con la mano, mentre faceva giocare i piccoli.
“Ho fatto delle ricerche!” mi sussurrò come se questo fosse un grande segreto.
Mi tirai la mano sulla fronte incredula.
“Non ho parole, non sapevo che dentro di te si celasse l’anima di una stalker!”.
“Ma quale stalker!” ribattè lei ridendo.
“Mi stupisce che tu non conosca anche il suo numero di scarpe!”. Quando mai lo dissi.
“A occhio e croce dovrebbe portare il 43!” rispose prontamente lei.
Mio dio, gli aveva guardato persino i piedi.
Scossi la testa sempre più incredula e senza parole. Quella ragazza era una pazza maniaca.
“C’è qualcosa che devi ancora fare prima di sposartelo?” domandai sarcastica.
“Certo! Conoscerlo!” esclamò.
Perfetto. Lei era la chiara dimostrazione di quanto le donne fossero sciocche, insomma  lei e Dave si erano rivolti la parola si e no circa una volta e già lei si faceva i castelli in aria.
Però  un’idea mi balenò nella mante.
Dave non era come tutti gli altri uomini, lui era rispettoso delle donne e me lo aveva dimostrato ampiamente. Dunque lui era in classico tipo che si innamorava.
Ed Emily era la classica tipa che si innamorava.
Sorrisi.
“Stasera andiamo alla DrinkHouse!” esclamai.
“Non è che se l’ho incontrato lì una volta allora vuol dire che lo trovo sempre lì!” constatò un po’ sconsolata Emily.
“Mah, tentar non nuoce e poi il mio sesto senso mi dice che lui si trova proprio lì!” dissi con aria di chi la sapeva lunga.
“Ok!”  concordò un po’ incerta.
Avrei fatto innamorare Dave di Emily e poi l’avrei costretta a lasciarlo. Era un piano geniale che mi avrebbe permesso una volta per tutte di vendicarmi di quell’odioso ragazzo e del suo essere così schifosamente sicuro di sé.
La mia vocina coscienziosa mi disse che non si doveva giocare con i cuori delle persone, che già esse soffrivano troppo senza che io ci mettessi lo zampino.
Scacciai quella voce dalla mia mente.
Guardai Emily che aveva lo sguardo ancora più sognante e improvvisamente mi venne un dubbio atroce.
“Hai fatto delle ricerche anche su Rob?” chiesi temendo la sua risposta.
Lei arrossì visibilmente e abbassò lo sguardo.
“Sì!” ammise timidamente.
“E?” dovevo assolutamente scoprire cosa sapesse.
“Ed è come se lui non esistesse, sicuramente la sua privacy è più tutelata di quella di Dave!” rispose alzando le spalle, simbolo che la cosa non le interessava un granchè.
Sospirai di sollievo e ci incamminammo verso l’uscita.
 
Robert ci aspettava davanti all’entrata e noi, dalla nostra posizione, gli vedevamo le spalle. Ignaro di essere osservato non perdeva occasione di fissare intensamente i posteriori delle ragazze che passavano.
Ridacchiai di fronte alla sua testa che si muoveva seguendo fino all’orizzonte quello che lui evidentemente considerava tanto ben di Dio.
“Ma guardalo si comporta come un pervertito!” constatò schifata Emily.
In quel momento una ragazza che passava si accorse degli occhi a raggi X di Rob e gli sorrise facendogli l’occhiolino.
“Io me ne vado!” sbottò Emily invertendo improvvisamente la traiettoria.
“Eh no!” ci mancava solo che dovessi rincorrerla per tutto il campus. La afferrai per un polso e lei mi fulminò con lo sguardo.
“Emy …” iniziai cercando di sembrare il più dolce possibile. Assurdo che le persone si lasciassero abbindolare dalla dolcezza.
“… Se tu non ti presenterai lui crederà che sia a causa sua e si sentirà importante se la sua presenza ti ha condizionata fino a questo punto ….”. Emily sbuffò. Sapevo che dentro di sé mi dava ragione.
“OK!” disse infastidita “Ma mangiamo e ce ne andiamo!” sbottò.
Si metteva a dare anche gli ordini adesso la signorina. Ma stava impazzendo? È proprio vero che l’amore cambia le persone. Era stata talmente tanto delusa da Robert da diventare così nervosa da dimenticarsi di essere la solita Emily. Dolce e solare.
Dolce e solare? Bleah, ma come mi saltavano in mente certe cose?
Dolce, solare e sfigata. Decisamente sfigata.
Senza perdere ulteriore tempo nei miei pensieri, che nelle ultime ore stavano delirando, mi avvicinai silenziosa a Rob e gli tirai uno schiaffo sulla nuca.
“Hei!” sobbalzò prima di voltarsi e capire che fosse l’autore dello scherzo.
“Mar! Hai trovato un nuovo modo di salutare? Per essere educato devo spaccarti il naso?” chiese sorridendo.
“AHAHAH” finsi una risata “Provaci e sei morto!” gli sorrisi amorevolmente. In tutta risposta lui ridacchiò.
“Emily! Vedo che ci sei anche tu!” sorrise quel deficiente.
“Ne dubitavi?” disse lei con aria di sfida.
Il mondo si stava decisamente capovolgendo. Come mai Emily era così battagliera? Doveva averla ferita molto il comportamento di Rob. Chissà cosa doveva aver passato.
Infondo era tutta colpa mia.
Ma io l’avevo fatto perché era necessario, perchè dovevo essere più forte, quindi ciò in qualche modo mi giustificava!
“Assolutamente no!” Rob la guardava con fare superiore e leggermente strafottente. Che faccia da schiaffi che aveva.
Emily parve rabbuiarsi, probabilmente si aspettava maggiore considerazione da parte di Rob, mentre invece quest’ultimo era indifferente alla sua presenza.
“Che volete mangiare?” domandò con fare galante.
“Pizza!” decisi. Emily annuì debolmente e ci incamminammo verso il pizzaiolo più vicino.
Ci sedemmo ad un tavolino e ben presto iniziammo a mangiare.
“Emily …” Rob, dopo aver trascorso diversi minuti a parlare del più e del meno e a lanciarmi frecciatine che al povera Emily non riusciva e non poteva comprendere, decise di rivolgersi direttamente a lei.
“… Sai io ci terrei davvero molto a diventare tuo amico!” disse con un tono talmente finto che a stento trattenni una risatina.
Chissà qual’era il suo piano.
Emily abbassò lo sguardo e arrossì. Il suo tentativo di sembrare una vera dura stava fallendo miseramente e dalle ceneri di quella farsa ecco rispuntare la solita debole ragazza che conoscevo.
“Perché?” chiese semplicemente.
“Perché mi sono comportato davvero male con te e non avrei dovuto!”.
A queste parole lo guardai come se fosse impazzito e lui mi ignorò continuando a concentrarsi con finta dolcezza su Emily. Era disgustoso.
“Te ne accorgi tardi …” ribattè amara Emily, poi alzò lo sguardo ed incontrò i suoi occhi azzurro cielo. Che sciocca che era quella ragazza, in quel modo si sarebbe messa in trappola da sola!
Le tirai un calcio sulla gamba. Non so perché lo feci, dovevo essere impazzita. Lei sobbalzò.
“Ahi, Mar!”.
La guardai fingendo perplessità.
“Ho fatto qualcosa?” domandai innocente.
“Mi hai tirato un calcio!” rispose.
“Ah!” dissi cercando di apparire mortificata “Pensavo che fosse la gamba del tavolo!”.
Ma quanto faceva schifo quella scusa? Rob mi guardò sospettoso e poi continuò il suo discorso con Emily.
Mi morsi il labbro. Dov’erano finite le mie doti di attrice, accidenti?
Almeno Emily aveva distolto gli occhi da quelli pericolosi di Rob.
Bella consolazione.
“Comunque, se vogliamo essere amici dobbiamo chiarirci una volta per tutte!”.
“Cosa dovremmo chiarire?” domandò sempre più confusa Emily.
“Inizierò io!” disse Rob ignorando la domanda. Mi misi comoda sulla sedia, curiosa di scoprire dove volesse arrivare Rob con la sua opera da ‘buon samaritano’.
“Io ti ho tradita perché la carne è debole e, sinceramente, non ero innamorato di te e non credevo che tu lo fossi di me!”.
Wow. Un abbozzo di sincerità. Ad Emily tremarono leggermente le labbra.
“E secondo te cosa significavano i ‘ti amo’ che ci siamo detti?” la sua voce era un po’ incrinata.
Caspita, però Rob era stato un bel po’ stronzo.
NO. Lui aveva agito secondo la sua natura, come avrei fatto io. Punto. Era giusto così.
“Credevo fosse un modo per dirci che ci volevamo bene e io te ne volevo Emily e te ne voglio tutt’ora!”.
Feci una smorfia. Come poteva dire simili sdolcinatezze?
“Per me non era così!” ribattè lei ormai sull’orlo delle lacrime.
“Non credevo che tu ti potessi innamorare di me dopo 2 giorni! Andiamo! È impossibile!” si giustificò lui, comportandosi come se le parole di lei lo ferissero.
Già come aveva fatto Emily ad innamorarsi di Rob in così poco tempo? All’inizio avevo attribuito la causa di ciò al suo essere ingenua, inesperta, debole e stupida, ma era davvero così?
Osservando meglio l’espressione sicura di Rob mi balenò in testa un’idea che col passare dei secondi diventava via via una convinzione.
Era stato lui con i suoi poteri a farla innamorare così follemente, non c’erano altre spiegazioni. Che bastardo. Tutto per far innervosire me e per intralciare i miei piani che a lui erano sconosciuti.
Come aveva potuto fare una cosa del genere?
Eppure l’avrei fatto anche io, senza pensarci e senza rimpianti. Anche io ero così.
A volevo esserlo?
Che domande certo che sì. E ancora una volta quella sera avrei giocato con i sentimenti di Emily e Dave, come farebbe un’abile burattinaio.
Era la mia natura.
Emily sospirò tentando orgogliosamente di eliminare le lacrime che minacciavano di fuoriuscire dai suoi occhi.
“Ma adesso devi chiarirmi una cosa tu …” continuò imperterrito Rob con un sorrisone tipico di chi sta per ottenere quello che vuole.
Automaticamente mi feci più attenta.
“Perché mi hai tirato uno schiaffo? Non è da te!”.
Ecco dove voleva arrivare. Ancora sospettava di me.
A tali parole lei sbiancò.
“Schiaffo? Quale schiaffo?” era decisamente stordita.
Rob sorrise vittorioso e mi lanciò uno sguardo soddisfatto. Io lo guarda con indifferenza.
Dentro di me invece c’era la tempesta. Merda. Cosa avrei fatto?
Dovevo stare calma, me la sarei cavata.
“Non ricordi? Dopo il ‘fattaccio’ ti sei presentata a casa mia e mi hai tirato un bel ceffone proprio qui!” disse indicandosi una guancia.
Emily mi guardò alla ricerca di un sostegno o una prova che testimoniasse che ciò lo aveva fatto seriamente.
Alzai le spalle come se non sapessi niente.
Lei divenne sempre più confusa.
“Scusate, devo andare!” si alzò improvvisamente e lasciò cinque euro sul tavolo “Mar ci vediamo stasera!”.
Annuì e ringraziai il cielo che non avesse deciso di approfondire meglio l’argomento con Rob altrimenti quest’ultimo avrebbe potuto capire.
“Tu non c’entri niente con la sua amnesia?” domandò lui sorridendo con sicurezza.
Scossi la testa con aria innocente e sorseggiai la mia coca cola.
“Perché allora non ne sono del tutto convinto?” domandò retoricamente.
“Perché sei uno sciocco!”.
Era ovvio che era uno sciocco. Ma uno sciocco che iniziava a diventare pericoloso.
 
 
“Perché doveva inventarsi quella cosa? Io non sono e mai sarò una persona violenta!”
 Sbuffai di fronte all’ennesima lamentela di Emily. Ma non riusciva per una volta a non pensare a quel deficiente di Rob? Era lì per conquistare Dave Sullivan, doveva dimenticarsi del passato!
“Credo che l’abbia fatto per ferirti!” risposi annoiata dalle sue paranoie.
“Ma perché inventarsi una cosa del genere?” si mise le mani tra i capelli e scosse un paio di volte la testa come per convincersi che ciò che era successo era impossibile.
Per poco non la presi a schiaffi.
“Dannazione Emily, tira via le mani da quei capelli, ci ho messo un’ora per renderteli così!”.
Ok, forse avevo esagerato, ma avevo passato una buona mezz’ora ad arricciare i suoi capelli castani in modo tale che le circondassero il volto con eleganza ed ordine e dovevo ammettere di aver fatto un capolavoro.
Grazie a me Emily quella sera somigliava molto di più ad una ragazza normale piuttosto che al topo con gli occhiali che era.
L’avevo fatta venire nel mio appartamento un’ora e mezza prima di uscire. Le avevo prestato un mio vestitino azzurro, le avevo arricciato i capelli e l’avevo truccata. Ma la parte più difficile era stata quella in cui avevo cercato di convincerla a mettersi le lenti a contatto. Oserei dire che quella fu anche la parte più assurda, insomma io che cercavo di convincere una persona? Io convincevo punto. Ma in quell’occasione non me l’ero sentita di usare i miei trucchetti così la lasciai uscire con quella montatura da topo di biblioteca, elemento che rovinava, seppur in minima parte, il mio capolavoro.
Emily sbuffò di fronte alla mia esagerata preoccupazione per la sua acconciatura.
“Era proprio necessario che mi vestissi così? Erano proprio necessari i capelli così boccolosi, erano …”.
Ma la bloccai, altrimenti avrei potuto seriamente farle del male.
“SI’, era tutto strettamente necessario!” fui categorica e lei si ammutolì.
Sbuffò nuovamente. Alzai gli occhi al cielo pregando qualsiasi entità superiore all’ascolto di trattenermi nel darle un’energica scrollata. Ma quanto era ingenua e scema quella ragazza?
Insomma doveva incontrare un ragazzo che le piaceva, era ovvio che dovesse rendersi almeno presentabile.
Non contavo di convincere Dave con i trucchetti a innamorarsi di Emily, temevo, nel profondo della mia anima, di non vincere. Così avevo deciso di seguire la via ‘classica’, ovvero quella di presentargli una ragazza carina, dolce e gentile. Insomma la sua perfetta metà.
Solo che Emily non era proprio quella che io definivo ‘una ragazza carina’, dunque avevo dovuto lavorarci un po’, ed ero profondamente soddisfatta del mio lavoro. Ero sicura che Dave non fosse uno di quei tipi che dava importanza solo all’aspetto esteriore, anche perché, se fosse stato così, ci sarebbe stato con me, ma come si dice, comunque anche l’occhio vuole la sua parte. Ed Emily quella sera era decisamente guardabile.
Entrai precedendola nel locale e, vedendo che ostinata se ne stava fuori, la presi per un braccio e la trascinai con me.
Come al solito la musica era talmente forte da spaccare i timpani. Cercai di farmi spazio tra le varie persone evitando di spintonare o tirare gomitate e individuai il tavolo di Dave.
Sorrisi.
“E’ lui?” chiesi ad Emily urlandole nell’orecchio.
Lei arrossì visibilmente, ma scosse la testa in modo da negare.
“E’ lui!” confermai.
“Devo proprio conoscerlo? Magari facciamo un altro giorno!” cercò di salvarsi lei.
Alzai gli occhi al cielo. Ma una persona poteva essere più vigliacca?
“E poi come hai fatto a capire che era lui?” mi domandò un po’ confusa.
Alzai le spalle.
“Intuito!” risposi e la trascinai verso il tavolo di Dave. Notai che si trovava in compagnia dei suoi amici della sera precedente, tra cui anche James. Proprio quest’ultimo mi diede il pretesto per avvicinarmi, dopotutto Emily non sapeva che conoscevo quell’insopportabile dagli occhi color speranza.
“Jaaaaaaaaames!” dissi con entusiasmo chinandomi per sfiorargli le labbra con le mie.
Quest’ultimo si pietrificò tanto è vero che per qualche istante credetti che avesse persino smesso di respirare. Mi guardava confuso, imbarazzato e terrorizzato.
Accidenti, ma quel ragazzo non avrebbe dovuto dire qualcosa? Almeno salutarmi accidenti!
Lo guardai negli occhi e mi concentrai.
‘Presentami, sciocco!’.
Niente. Lui rimase imperterrito a fissarmi con gli occhi spalancati e il respiro al minimo.
Per un secondo caddi nel panico. Io non avevo perso le mie  facoltà, allora perché non mi ubbidiva.
La mia fastidiosa vocina interiore mi  disse che non ero stata molto convincente.
‘Presentami!’.
Il suo sguardo si fece vacuo per un istante. Riprese a respirare.
“Ragazzi, lei è Mar!” disse un po’ incerto.
Finalmente.
Sorrisi e salutai complessivamente le persone che erano sedute al tavolo. Quattro uomini e due donne.
Queste ultime confabulavano lanciando occhiate a James e poi a me, era palese di cosa parlassero.
Gli altri tre ragazzi erano rimasti immobili, come se avessero subito un shock. Tra di essi Dave mi guardava con odio puro. Era l’unico lì in mezzo che sapesse che io non provavo nessun interesse nei confronti del suo amico.
Mi spostai leggermente di lato per far apparire sulla scena Emily che nel frattempo si era accuratamente nascosta dietro di me. Alla vista della ragazza che egli stesso aveva salvato dal mio controllo, Dave divenne rosso per la rabbia. Cercai di non ridergli in faccia tanto era buffa la sua espressione.
“Lei è Emily!” la presentai mentre mi sedevo nel piccolo spazio che si apriva sulla panca sulla quale era seduto James.
Emily arrossì e rimase in piedi.
“Siediti!” le disse cordialmente Dave cercando di recuperare il suo autocontrollo e quel comportamento da persona educata.
Lei prese una sedia dal tavolo accanto e la fece cadere rovinosamente a terra, poi, dopo quelli che sembrarono interminabili minuti si sedette con lo sguardo basso.
Si vedeva proprio che era imbarazzata. Doveva essersi presa una gran bella cotta per Dave, oppure non era semplicemente abituata a trattare con i ragazzi.
Fu fatto un veloce giro di presentazioni e poi tutti iniziarono a parlare degli affari loro, lanciandomi ogni tanto qualche strana occhiata.
“Và da lui!” intimai ad Emily avvicinandomi al suo orecchio per non farmi sentire dagli altri.
Lei mi guardò come se fossi pazza.
“NO!”.
“E invece sì, vai lì e lo ringrazi per averti soccorsa l’altro giorno!”.
“No, no e poi no!” ribattè cocciuta come una ragazzina.
“Emily, non sono qui per passare la sera con questi sfigati quindi o vai o me ne vado io e ti lascio qui da sola!” dissi categorica. Non poteva saltare il mio piano per colpa della sua stupidità.
Mi guardò come un cucciolo bastonato, la sua sembrava quasi una tacita preghiera a non abbandonarla.
Sbuffò e si avvicinò a Dave. Quest’ultimo da quando ci eravamo sedute, non aveva fatto altro che tenerci d’occhio. Dopotutto non si fidava di me.
Vidi Emily avvicinarsi a lui e iniziare a parlare. Dal labiale che riuscivo a leggere percepivo chiaramente che stava balbettando, tipico di quella ragazza, ma Dave non ne sembrava affatto infastidito. Anzi le rivolgeva dei sorrisi talmente sinceri da farmi invidiare quella specie di amica. Anche io avrei voluto che qualcuno si comportasse in quel modo con me, che cercasse di conversare e divertirsi in mia compagnia.
Le uniche conversazioni che avevo con i ragazzi iniziavano col preciso scopo di essere terminate tra le lenzuola, tranne che quelle con Rob e Alan.
Sospirai.
Cosa stavo facendo? Ancora una volta avrei voluto sbattere la testa contro il muro nella speranza di tornare ad essere me stessa.
“Psss!” un fastidiosissimo indice picchiettava sulla mia spalla, così mi voltai e vidi che la proprietaria era una delle due ragazze.
“Dimmi!” dissi sforzandomi di essere gentile.
Quella guardò l’amica che le sedeva accanto e le due si lanciarono uno sguardo d’intesa.
“Da quando va avanti la tua storia con James, se possiamo chiedere?”.
Diretta e concisa. Quella era davvero una perfetta pettegola.
Sorrisi.
“Più o meno da … ieri!”.
“Ah!” non sembrava molto soddisfatta dalla mia risposta.
“E com’è che vi siete conosciuti?”.
Mi avvicinai come se volessi rivelarle un grande segreto e la sua espressione si fece curiosa.
“Nessuno ti ha mai detto di farti gli affari tuoi?” sibilai.
Lei sgranò gli occhi e borbottò qualcosa che non capì. Non che mi importasse un granchè.
In quel momento vidi Dave alzarsi e cercare i miei occhi, li catturò e avvertì una ben conosciuta sensazione di fastidio alla bocca della stomaco, la sensazione che provavo ogni volta che uno di noi cercava di soggiogarmi. Ciò mi diede un’ulteriore prova del fatto che lui non era così diverso da noi.
Nonostante ne fossi immune, il messaggio passò forte e chiaro. Mi imponeva di seguirlo.
Che sciocco se credeva che l’avrei fatto davvero. Lo vidi scomparire oltre la porta d’uscita e Emily tornò a sedersi accanto a me con lo sguardo sognante.
“Allora?” ero curiosa di sapere se il mio piano poteva essere portato avanti con successo a meno.
“E’ così carino!” sospirò lei con le pupille che assumevano la forma di un cuoricino.
Probabilmente avevano solo parlato di scuola o di argomenti futili, ma a lei dovevano sembrare oro colato solo perchè le parole erano uscite dalla sua bocca.
Improvvisamente una stretta salda mi chiuse il braccio in una morsa. Dave, livido di rabbia troneggiava alle mie spalle e, sotto lo sguardo allibito di Emily e dei suoi amici, mi disse di seguirlo.
Se avessi potuto non l’avrei fatto, ma mi stava praticamente trascinando e la sua stretta sul mio braccio non sembrava voler diminuire.
Una volta fuori i suoi occhi smeraldo incontrarono i miei.
“STA LONTANA DA LEI!” esplose assumendo una tonalità rosa per via dell’eccessiva rabbia.
Sorrisi. L’aveva voluta lui la guerra non io.

 


Siete ancora tutte sveglie?? Non avrei voluto rendere questo capitolo così lungo (6000 parole!!!) ma se non lo avessi fatto nel prossimo non sarei riuscita ad arrivare dove volevo.
Come potete notare Mar si trova in una fase di passaggio, nella quale si rende conto che ciò che fa è sbagliato, ma non vuole rinunciarci … nel prossimo capitolo prenderà una decisione definitiva … secondo voi cosa sceglierà?
Ho visto che c’è stato un significativo calo delle recensioni quindi mi appello a voi soprattutto per chiedervi se c’è qualcosa che non vi piace nella mia storia, sapete le critiche aiutano a migliorarsi … quindi se vi và terrei molto a ricevere un vostro parere, anche ricevuto tramite messaggio personale, sarebbe molto importante per me…
Detto questo ringrazio i 31 lettori che mi seguono, i 19 che hanno messo ‘Glances Game’ tra le preferite, i 6 che l’anno messa tra le ricordate e chi, anche solo per sbaglio, legge queste mie pagine.
A presto spero!
Daisy.

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Capitolo 17
*** CAP 16 ***


Un rigraziamento speciale va a wynn_ che ha creato questa splendida copertina!!! Grazie di cuore! ti dedico il capitolo :D
 







CAP 16
 

 
“STA LONTANA DA LEI!” esplose Dave assumendo una tonalità rossa per via dell’eccessiva rabbia.
Risi di fronte alla sua ira.
“E perché dovrei?” domandai con strafottenza.
“Perché è una brava ragazza e non si merita di essere trattata come un burattino nelle tue mani!”.
“Allora lo ammetti!” esultai.
“Cosa?”
“Che non ho perso i miei poteri!”
“Come potrei negarlo? È palese! Ma sta pur certa che capirò che trucchetto hai usato!” mi minacciò puntandomi il dito contro. Brrr che paura.
“Nessun trucchetto. Ero solo più forte delle tue precedenti vittime!” risposi soddisfatta.
“Vittime?” sorrise amaro “Le TUE sono vittime! Sei proprio una stronza Mar! E sta anche lontana da James!”.
Mi voltò le spalle è tornò nel locale.
Sopirai. Da una parte mi sentivo più che soddisfatta per la piccola vendetta che anche quella sera ero riuscita a prendermi e per il piano, ma d’altra parte non avevo più voglia di fingere, era come se la cosa mi stancasse sia fisicamente che mentalmente.
Rimpiangevo la vecchia Mar, quella che non si faceva mai problemi, agiva e basta. Quella nuova invece pensava troppo e sapevo che il mio graduale cambiamento era opera di qualcosa che aveva fatto Dave. Dopo aver incontrato il suo sguardo nulla era più stato come prima.
Il resto della settimana trascorse lentamente, tra le lezioni, i pomeriggi con Emily e le sere ad ubriacarmi.
Lo facevo semplicemente perché volevo mettere a tacere la mia fastidiosa e insopportabile coscienza, non ero ancora pronta ad ascoltarla.
Più trascorrevano i giorni, più cercavo di compiere piccole azioni egoistiche e più ne facevo, più mi riusciva difficile continuare a farle. Tuttavia ero ostinata, cercavo di essere quella che ero stata fino a una settimana prima, ma i risultati erano sempre peggiori. Come se non bastasse si avvicinava sempre di più il ritorno a villa Lux e temevo che Alan potesse capire tutto, così come al campus temevo Rob.
Ero consapevole che lui era un grandissimo sciocco e che, di conseguenza, non si sarebbe mai reso conto che improvvisamente in me era nata una coscienza, ma lo evitavo perché tutte le volte che mi capitava di incrociarlo iniziava a farmi domande a bruciapelo sull’amnesia di Emily e sul suo sguardo vacuo oltre che sulla falsità della nostra amicizia.
In passato al cosa non mi avrebbe infastidita più di tanto, mi sarebbe bastato sorridere strafottente e sicura di me e avrei finto a meraviglia che non c’entravo niente con quella storia, solo che, come ho già accennato, mi costava fingere, di conseguenza evitarlo era il modo migliore per stare più tranquilla.
Purtroppo ciò non fu più possibile quando entrambi ci trovammo sul ciglio della strada ad aspettare il taxi che quel venerdì ci avrebbe riportati a casa.
Era un pomeriggio uggioso, di quelli che vanno passati in casa e Rob guardava con estremo interesse le nubi che coprivano il cielo sopra le nostre teste.
“Sai a che pensavo?” domandò perso in quel grigiume.
“Credi che m’importi?” essere scontrosa nei suoi confronti invece non mi veniva affatto difficile, anzi, era quasi rilassante. Dopotutto era Rob, ci ero cresciuta insieme e mi veniva naturale rivolgermi a lui come avevo sempre fatto.
Lui sorrise.
“Credi che m’importi che non t’importi?”. Risi divertita dalla sua stupidità.
“Sì altrimenti non mi avresti chiesto ‘Sai a che pensavo?’ ” citai le sue parole imitando grossolanamente il tono della sua voce. Lui abbassò gli occhi celesti dal cielo per posarli su di me.
“Era una domanda retorica!” ghignò.
“Allora non dovevi porla!” dissi con semplicità aprendo le labbra in un sorriso.
Alzò nuovamente gli occhi al cielo scuotendo la testa.
“Pensavo a Emily!”.
“Ancora?” sbuffai “Quante volte te lo devo dire che io non c’entro niente?”.
“Ma cosa hai capito … pensavo che si è consolata in fretta!”
Questa mi era nuova, così lo guardai con sguardo interrogativo sperando che mi desse delle delucidazioni.
“Ieri pomeriggio l’ho vista con un tipo …” continuò lui.
“Occhi verdi e capelli neri?” domandai annoiata.
“Sei veggente, o semplicemente ben informata?” disse guardandomi in tralice.
“Ben informata!” optai.
Poi iniziai a riflettere. Dovevo avvertire Alan e Rob di Dave e dei suoi poteri? Dopotutto Alan ci aveva parlato più volte del suo sospetto che ci fosse qualcun altro dotato delle nostre stesse facoltà, infatti eravamo all’università per quello. Mi stupii di essermelo completamente dimenticata. Ero talmente presa da voler vendicarmi di Dave e a volergli fare del male da non pensare al fatto che non mi sarei dovuta limitare alla soddisfazione personale. Avrei dovuto distruggerlo.
“Perché pensavi ad Emily Rob?”
“Perché magari la sua amnesia e tutto il resto è collegato a quel ragazzo!”
Accidenti. Rob in quel momento si era rivelato meno stupido del solito.
Che fare? Dare quell’odioso Dave in pasto al leone?
“Può darsi, ma cosa te lo fa pensare?”.
Io, personalmente, l’avevo intuito perché l’avevo visto in compagnia di Emily e Caren e dal fatto che dopo tale incontro entrambe erano diventate ‘normali’. Ma lui come era riuscito ad intuire ciò?
“Non importa!” liquidò l’argomento.
Gli afferrai il braccio e lo costrinsi a guardarmi negli occhi.
Mi concentrai. Dovevo sapere.
Dimmelo’
“Per una frazione di secondo ho incontrato i suoi occhi e mi sono venuti i brividi, ho provato una sorta di sensazione decisamente sgradevole e ho distolto immediatamente lo sguardo e io non distolgo mai lo sguardo, è come se il mio istinto di sopravvivenza mi avesse informato di essere in pericolo e mi ha fatto fare quel gesto per proteggermi!”.
Finì e mi guardò stupito.
“Maledetta!” mi insultò con disprezzo.
Sorrisi gongolante. Mi lanciò uno sguardo pieno d’ira.
“Non c’era bisogno di usare i trucchetti Mar! te lo avrei detto lo stesso!”.
Ghignai.
“Non avresti MAI detto che ti sentivi in pericolo Rob!” constatai.
Lui, umiliato, incrociò le braccia e rimase muto per tutto il restante del tempo, mentre aspettavamo il taxi e nel tragitto verso casa.
 
 
Villa lux si stagliava magnifica tra gli alberi. La vista era mozzafiato, ma al contempo faceva salire il mio batticuore. Dal momento in cui avrei messo piede in quella casa potevo considerarmi costantemente in pericolo. Insomma, potevo fingere sicuramente meglio di quell’incapace di Caren, ma non potevo più negare a me stessa di essere cambiata, almeno in parte. La coscienza ne era una prova palese.
Inoltre non volevo che Alan mi privasse della memoria e sapevo di non avere abbastanza capacità per contrastare il suo potere.
Non avevo dunque altra scelta, avrei dovuto fingere e in ciò ero sempre stata piuttosto brava. Prima di posare il dito sul campanello indossai una delle tante maschere che possedevo e un sorriso si impadronì del mio volto. Sarebbe andato tutto bene, dopotutto ero Marguerite Jones, e ciò non poteva cambiare.
Agatha fece la sua comparsa e scoprì con piacere di non provare la minima pena per quel dannato automa. Non l’avevo mai considerata un essere umano e mai l’avrei fatto.
“Il signor Alan desidera vedervi!” ci informò con la sua voce monotona.
“Uff nemmeno il tempo di una doccia!” sbottai mentre mi incamminavo verso il suo ufficio, con un silenzioso Robert alle spalle.
Bussai con sicurezza alla porta e udii un debole ‘avanti’ così entrai.
Alan alzò gli occhi da un grosso volume che teneva aperto sulla scrivania.
“Marguerite e Robert!” disse a mo’ di saluto. Ci sedemmo uno accanto all’altro sul divanetto.
Lui si alzò in piedi e si parò di fronte a noi.
“Novità?” era il mio momento, dovevo agire prima che lo facesse Rob.
“A quanto pare sì!” esclamai gioiosa. Negli occhi di Alan vidi passare una specie di lampo che poteva essere benissimo scambiato per un accenno di curiosità.
Rob, capendo dove volevo arrivare mi fulminò con lo sguardo. Decise di precedermi.
“Ho visto un ragazzo che con solo un semplice sguardo mi ha fatto sentire strano …” iniziò.
Voleva la guerra. Chi ero io per ritirarmi?
“Non è che ti sentivi strano perché ti piaceva?” dissi tagliente.
Altri fulmini partirono dalle sue pupille color del cielo.
“Strano in che senso?” Alan si fece incredibilmente sospettoso, ignorando completamente la mia  battutina.
Rob assunse un’aria sicura mentre raccontava a lui quello che un paio di ora prima aveva raccontato a me. Dal mio punto di vista era palese che fosse leggermente preoccupato per quello che avrebbe potuto fargli Alan, considerando ciò che era successo a Caren
“Sapete altre cose di questo ragazzo?” domandò circospetto Alan guardandoci da sopra gli occhiali.
“Mar lo conosce!” disse subito Rob, non esitando a mandarmi sotto lo sguardo inquisitore di Alan.
“Mar?” disse quest’ultimo rivolgendo a me il suo sguardo glaciale. Imperturbabile risposi.
“Non è che lo conosco, ne ho sentito parlare da una ragazza che frequenta il mio medesimo corso …” iniziai.
“Una tua intima amica!” aggiunse Rob. Probabilmente voleva vendicarsi per quando poco prima avevo usato i miei poteri su di lui.
“INTIMA? Forse, ma mai quanto lo era per te!” ghignai.
Alan alzò gli occhi neri al cielo spazientito.
“Non mi interessa assistere ai vostri battibecchi, arriva al punto Marguerite!” sbottò poi.
Continuai sorridendo.
“Questa ragazza si vede con lui, credo, so che ha il 43 di piede, che abita in una villetta a un paio di isolati dal campus e che ha gli occhi verdi e i capelli neri mossi!”
Alan sbuffò e alzò gli occhi al cielo.
“Il nome Mar! Voglio il nome!”.
Era la mia occasione. Potevo dare una faccia a quello che per Rob e Alan era solo l’ombra di un ragazzo, quello che per loro era lo spettro di una minaccia. Avevo l’occasione di lasciare Dave in pasto ai leoni, di vendicarmi nel modo più assoluto e totale.
“Non lo so!” dissi sorprendendo più me stessa che loro.
“Dannazione!” digrignò i denti Alan.
“Hai detto occhi verdi?” mi domandò subito dopo ed io annuì. Al mio gesto lui sorrise come se avesse avuto un’illuminazione improvvisa.
“Gli occhi che ha visto il signor Dome erano verdi! Forse siamo sulla strada giusta!” sembrava improvvisamente animato da una soddisfazione incontrollabile “Dovete sapere tutto su di lui, nome cognome, indirizzo, poteri, obbiettivi, CHIARO?”.
Annuimmo.
“E’ tutto!” ci liquidò con un gesto.
Poi ci fermò non appena arrivammo alla porta e chiamò Agatha.
“Devo assicurarmi che nessuno di voi due abbia fatto la stessa fine che ha fatto Caren, ordinatele qualcosa!” comandò indicando la domestica.
Sospirai di sollievo. In quella settimana avevo capito come poter usare i miei poteri e come invece non funzionavano più.
Ogni qual volta provavo un senso di rimorso o di ingiustizia per quello che stavo facendo il trucchetto non aveva effetto. Nei confronti Rob non avevo provato rimorso soprattutto perché dovevo ottenere una risposta. Nemmeno nei confronti di Agatha mi sembrava una cosa ingiusta, dopotutto io la consideravo da sempre alla stregua di un robot.
Le facoltà funzionavano se io lo volevo veramente. Era per questo che consideravo così fastidiosa la mia coscienza, lei a volte mi impediva di voler veramente convincere una persona a fare quello che decidevo io.
Mentre riflettevo Rob si avvicinò alla donna, la guardò per un secondo negli occhi dopo di che lei alzò il dito medio in mia direzione.
Ridacchiai divertita. Perché Rob non riusciva a fare di meglio?
Alan dal canto suo sembrava impassibile e aspettava che anche io facessi quello che aveva appena fatto Rob.
Con un ghigno sulle labbra, consapevole di essere sempre e comunque migliore di Rob, catturai gli occhi di Agatha, mi concentrai e ordinai.
Lei, con lo sguardo vacuo, fece un paio di passi in direzione del ragazzo, lo abbracciò o meglio, lo stritolò con le sue possenti braccia e chinò la testa per posare le sue labbra su quelle di Robert che, schifato, cercava di allontanarla.
Iniziai a ridere come una pazza tanto che feci una notevole fatica per non accasciarmi a terra. Con la coda dell’occhio vidi che anche Alan sorrideva e mi guardava orgoglioso, come se fosse fiero della persona che ero diventata, la sua erede perfetta.
Fu in quel momento che Lo vidi. Sulla scrivania di Alan troneggiava aperto quel libro. Sentivo ancora una volta il suo potere chiamarmi silenziosamente e con una forza inaudita. Era a due passi da me eppure non potevo toccarlo.
Smisi improvvisamente di ridere assuefatta da quel potere così forte e mi chiesi come mai non lo avessi percepito prima.
Alan si accorse subito del mio cambiamento d’umore e capì che qualcosa oltre le sue spalle attirava come una calamita la mia attenzione. Sapevo che avrei dovuto distogliere lo sguardo da quel volume, sapevo che avrei dovuto farlo, il punto è che ne ero quasi ipnotizzata e non ci riuscivo.
Quel potere era così inebriante.
L’espressione che vidi con la coda dell’occhio sul viso di Alan era mutevole. Passò dallo stupito, all’aggressivo, fino all’odio più puro misto a comprensione.
Non sapevo bene cosa avesse capito, sperai solo che non fosse la verità, ossia che io avevo aperto quel volume di cui sembrava essere così tremendamente geloso.
“Che schifo!” la voce di Rob mi distolse da quella sorta di trances e posai gli occhi su di lui.
Era riuscito a liberarsi dalla morsa della cameriera e la fissava schifato.
“Questa me la paghi!” disse puntandomi il dito contro. In tutta risposta gli sorrisi. Non mi faceva paura dopotutto.
Rob uscì dalla stanza ed io, attenta a non incontrare lo sguardo di Alan, uno sguardo che temevo in quel momento avrebbe anche potuto uccidermi, feci per seguirlo.
“Mar!” la sua voce era repentina e glaciale. Ebbi un brivido come se la temperatura della stanza di fosse improvvisamente abbassata di qualche grado.
Rimasi così, con un piede oltre la porta , voltata di spalle e immobile, in attesa delle sue parole.
“Trovati un vestito elegante, sabato prossimo c’è il ballo!”
Annuì e uscii da quella stanza.
Quella notte sarei tornata, il libro chiamava.
 
 
Abbassai la maniglia cercando di non far rumore, poi spinsi la porta in avanti, ma essa era bloccata. Imprecai sottovoce e corsi in bagno a recuperare una forcina. Sapevo che usare quel metodo era stupido, ma non potevo mica buttarla giù quella dannata porta.
Armeggiai goffamente con la serratura e così facendo la mollettina mi cadde a terra. Sbuffai e mi chinai a terra tastando il pavimento e sperando disperatamente di trovarla.
Non riuscendoci sbuffai. Dannata porta. Tirai un leggero pugno contro la superficie di legno decisamente arrabbiata.
Perché Alan doveva complicarmi la vita in quel modo.
 
 
La pioggia batteva imperterrita sulla casa. Quel suo gocciolare mi cullava mente pigramente me ne stavo appollaiata sul divano a guardare fuori dalla finestra, mentre nell’ampia biblioteca Cris e Giuls* battibeccavano allegramente. Io li ignoravo così come faceva Josh* che se ne stava seduto accanto a me. Eravamo tutti lì riuniti per assistere alla lezione.
Mi mancavano le lezioni, mi mancava essere spensierata come Cris e Giuls.
Eppure eccomi lì con mille pensieri per la testa, pensieri che mi tormentavano e che non mi lasciavano nemmeno un attimo di pace.
La domanda che principalmente mi ponevo era: perché Alan era così geloso di quel libro?
Era assurdo di come in quella casa i miei problemi per qualsiasi cosa mi avesse fatto Dave fossero passati in secondo piano, rimpiazzati dalla voglia che avevo di mettere le mani su quel volume.
Non riuscivo proprio a comprendere cosa spingesse Alan a comportarsi in quel modo. Voleva essere l’unico in possesso del potere del libro? O c’era sotto qualcos’altro?
Ero talmente persa a fare macchinazioni che non mi accorsi che Rob mi stava rivolgendo la parola finchè non mi sventolò la mano di fronte agli occhi.
“Terra chiama Maaar!” era strano che non ce l’avesse ancora con me, ma probabilmente si annoiava a tenere il muso e attendeva con grande pazienza l’arrivo del momento più propizio per vendicarsi.
“Che vuoi?” mi rivolsi a lui un po’ infastidita perché aveva interrotto il flusso dei miei pensieri.
“Mah niente!” sorrise con sguardo dispettoso.
“Allora perché mi hai rivolto la parola?”. Alzò le spalle con fare indifferente.
“Così!”
Sempre il solito Rob!
“Ti vedo così persa nei tuoi pensieri Mar! Che ti frulla per la testa?”.
Nella mia testa non frullava niente che lo riguardasse, al massimo, se non la smetteva, avrei potuto iniziare a progettare di frullare certi suoi attributi.
“Hai presente i cazzi tuoi?” lui annuì sorridendo “Bene allora fatteli!”.
Detto ciò mi rimisi a guardare fuori dalla finestra dandogli le spalle.
“Maaaàr!”. Sospirai per trattenere gli istinti omicidi.
“Che cavolo vuoi ancora?”
Il sorriso di Rob quadruplicò vedendo la mi irritazione.
“La lezione sta per iniziare!”.
Mi misi comoda sul divanetto per assistere. Era sabato e di solito sabato Alan non faceva mai lezione, solo che, a quanto pareva, aveva deciso di sfruttare ogni possibile momento per far migliorare i ‘piccoli’ così che la loro educazione potesse terminare con un certo anticipo rispetto ai tempi che ci avevamo messo io, Rob e Caren.
Ero curiosa di assistere, soprattutto dopo tutto ciò ce era successo con Dave, volevo vedere che effetto mi faceva vedere altri utilizzare i nostri trucchetti.
Mentre Alan faceva la sua entrata imponente seguendo il paziente di turno io incrociai le dita.
Questa volta la vittima era una donna piuttosto giovane, sulla trentina ad occhio e croce. Non era la classica bellezza, ma aveva un certo fascino che sicuramente avrebbe attratto su di sé lo sguardo di parecchi uomini.
Probabilmente anche Rob si era reso conto di ciò e quindi sentii che stava per fare i complimenti ad Alan per la paziente scelta, quando io mi accorsi che la donna era ancora perfettamente cosciente.
Lanciava occhiate curiose all’enorme biblioteca nella quale ci trovavamo e sorrideva un po’ sorpresa e ammaliata da tutta quella maestosità.
Tirai una gomitata nelle costole di Rob.
“Ahi!” si lamentò lui lanciandomi uno sguardo interrogativo, al quale risposi limitandomi ad indicare la sconosciuta.
Fortunatamente egli capii al volo e si mise zitto ad osservare.
“Le piace?” chiese Alan alla donna con un tono che non gli avevo mai sentito usare. Sembrava quasi dolce. Alzai lo sguardo incredula cercando gli occhi del mio mentore e scoprendo con sollievo quanto essi fossero freddi. Stava solo fingendo.
“Molto! Sa, io adoro leggere e questa è una vera e propria biblioteca!” lo sguardo si era fatto sognate.
“Non mi sembra poco sana!” bisbigliò Rob al mio orecchio.
“Alan sa quello che fa!” risposi risoluta, sperando davvero che Alan lo sapesse.
“Tutti questi bei ragazzi sono figli suoi?” domandò la donna.
Alan le sorrise nuovamente.
“No, li ho adottati!”
“Oh,ma che uomo gentileeeeeee!” sospirò lei con voce civettuola. Mi veniva da vomitare.
“Alan se le sceglie bene, insomma fisico niente male!” mi bisbigliò nuovamente Rob.
Ma io non gli risposi perché ero presa ad osservare la scena che stava avvenendo davanti ai miei occhi. Josh, tutto composto e serioso, si era avvicinato alla donna. Josh. Quello che praticamente non parlava mai con nessuno, quello freddo e distaccato. Lui. Pensai che tutti stavano impazzendo.
“Signorina! Posso farle vedere una cosa?” domandò con fare innocente il ragazzo.
Lei si mise a ridere esageratamente e decisamente in modo falso.
“Ahahha ‘signorina’, ahahha sono sposata piccolo, ma lo prendo come un complimento!” disse sventolando di fronte agli occhi di Josh la fede “Purtroppo sono una signora!”.
“Questa è una gran porcona, magari riesco a farmela pure io!” sussurrò Rob per farsi sentire solo da me. Gli tirai un’altra gomitata tra le costole. A me non interessavano le sue fantasie sessuali, ero piuttosto interessata alla scena.
“Signora, non mi ha risposto!” continuò Josh imperterrito.
“A cosa piccolo?” fantastico, era pure stordita “Ah sì! Cosa vuoi farmi vedere?”
Sul volto di Josh si aprì un ghigno.
“Si sieda!” la invitò, indicandole con un cenno della mano la poltrona sulla quale di solito sedevano i pazienti di Alan sui quali dovevamo ‘sperimentare’ le nostre capacità. Lei si accomodò con grazia e guardò incuriosita Josh, che tirò fuori dalla tasca uno yo-yo.
Da quando, poi, lui giocava con lo yo-yo io non lo sapevo.
“Proverò a ipnotizzarla!” continuò serio lui.
La signora ridacchiò.
“Che bello! Ma non è un po’ rudimentale quello, come aggeggio?” chiese indicando lo yo-yo.
“Assolutamente no!” esclamò lui “Lo segua attentamente!”
Così iniziò a muovere a destra e a sinistra il giocattolo mentre gli occhi della donna lo seguivano. Ma ciò che catturò la mia attenzione fu lo sguardo di Josh, era concentratissimo. Dopo qualche secondo la donna smise di seguire lo yo-yo e i suoi occhi si focalizzarono su quelli di Josh, persi. Lui la guardò intensamente per qualche instante e puoi interruppe il contatto, mentre la donna era rimasta in uno stato di trances. Ci misi qualche secondo a capire. Josh aveva appena effettuato la traces. Nessuno di noi lo sapeva fare, era uno dei tanti segreti che Alan aveva voluto tenere per sé, almeno fino a quel momento.
“Allora” iniziò Alan mentre tutti ci sedevamo per ascoltare il suo discorso “Da oggi in poi vi eserciterete con persone non instabili mentalmente perché dobbiamo essere pronti. In seguito ai recenti sviluppi, mi sembra ovvio che qualcuno minaccia il nostro quieto vivere e noi lo dobbiamo impedire. Il problema è che questo qualcuno è abbastanza forte, quindi ci occorrono tutte le nostre capacità.
Ciascuno di voi dovrà apprendere il meccanismo della trances e come rimare immuni a questi sguardi ‘nemici’!”.
A tali parole ci mancò poco che non imprecai ad alta voce. Ma perché Alan non ce le aveva insegnate prima quelle tecniche? Probabilmente ne era geloso, ma in quel momento la necessità superava il suo senso di possesso.
“Iniziamo!” ordinò.
Iniziò così la lezione.
“Giuls, inizia tu!”
La bambina si avvicinò un po’ insicura alla donna e si posizionò di fronte a lei. Cercò i suoi occhi e vi stabilì un contatto.
“Cosa devo fare?” chiese con la sua sottile vocina.
“Svegliala!” rispose Alan.
“E come?”
“Trasmettile il segnale tramite le tue facoltà!”
“Ah! E’ così che si fa!” esclamai senza riuscire a trattenermi. Alan mi rivolse uno sguardo glaciale.
“Intendo dire, è così che si risveglia una persona da questo stato di apatia?” mi giustificai.
“Sì, così si crea questo stato e così lo si distrugge!” rispose un po’ seccato dalla mia interruzione.
Accidenti, e pensare che era così semplice.
La bambina si concentrò. Dopo qualche secondo incrociò le braccia sul petto e con fare indispettito sbuffò.
“E’ difficile! Non ci riesco!” sembrava frustata dalla cosa.
“E sai perché non ci riesci?” le domandò Alan. Lei scosse la testa e lui continuò “Perché lei non è instabile mentalmente, è sanissima, quindi anche in uno stato del genere il suo cervello cerca di proteggerla ed attua dei meccanismi che la tutelano. Ma noi dobbiamo essere più forti, dobbiamo sfondare questo meccanismo di protezione! Mar prova tu!”.
Mi alzai in piedi sicura di me, dopotutto non avevo mai fallito, che ragione avevo per temere?
Mi inginocchiai di fronte alla signora in modo tale da far arrivare i miei occhi alla medesima altezza dei suoi.
“Dopo devi rifarla cadere in questo stato intesi?” mi istruì Alan.
Annuì.
“Josh, dammi lo yo-yo!” dissi al ragazzo che si avvicinò a me e mi porse il giocattolo nelle mani.
Mi concentrai. Aveva gli occhi così vitrei e mi chiesi quanto di tutto ciò fosse giusto. Capivo anche l’egoismo, ma spingersi a condizionare la vita degli altri mi sembrava eccessivo, in fondo non eravamo mica Dei.
‘Svegliati!” ordinai mentalmente.
La donna riacquistò la brillantezza degli occhi e io scoprii con piacere che non era stato affatto difficile farla tornare in sé, malgrado tutto ero sempre più forte.
La donna, vedendo me al posto del ragazzino fece un leggero balzo sul posto e si pose una mano sul cuore.
“Aiuto! Mi hai fatto prendere uno spavento!” disse poi.
Risi per rassicurarla.
“Ha visto com’è bravo il nostro Josh?” le chiesi gioviale.
“Talmente bravo che non mi sono accorta che vi foste scambiati di posto!” disse con entusiasmo. Che razza di sciocca!
“Posso provarci anche io ad ipnotizzarla?” domandai mostrandole lo yo-yo.
“Non sei un po’ grandicella per queste cose?” chiese, ma poi mi diede il permesso.
Mentre fingevo di ipnotizzarla focalizzai i miei occhi nei suoi. Non mi piaceva l’idea di costringerla nuovamente allo stato di trances, ma che alternative avevo?
Ben presto le sue pupille tornarono ad essere vitree, fu allora che mi alzai in piedi e mi accorsi di ansimare.
Solo allora mi resi conto di quanto era stato difficoltoso fare la seconda parte dell’esperimento, se così lo si voleva definire.
Cercai lo sguardo di Alan e vidi riflessa nei suoi occhi una certa preoccupazione mista a soddisfazione personale. Mi chiesi cosa gli passasse per la testa, ma non seppi darmi una risposta, Alan era da sempre stato pressoché illeggibile.
Mi andai a sedere e cercai di non prestare troppa attenzione agli altri mentre imparavano a fare ciò che io, a quanto pare sapevo già attuare.
Annoiata di continuare a guardare fuori dalla finestra mi alzai in piedi e mi misi a gironzolare per la villa senza una precisa meta. Fu mentre vagavo per i corridoi che mi accorsi che, miracolosamente, Alan aveva lasciato la porta del suo studio aperta.
Il cuori iniziò a battermi per l’eccitazione. Cercai di calmarlo, lanciai una rapida occhiata in giro per essere sicura che non ci fosse nessuno nei paraggi e scivolai all’interno. Mi chiusi la porta alle spalle e mi precipitai alla scrivania.
Iniziai a sollevare senza alcuna grazia tutti i fogli che vi erano sparsi su di essa, sollevai i libri e li osservai con attenzione. Essi riportavano unicamente titoli relativi alla psicologia e alla psichiatria.
Del libro nero nemmeno l’ombra. Eppure io lo sentivo. Ne percepivo chiaramente la presenza, esso mi chiamava e mi invitava, in una sorta di muta preghiera, ad aprirlo e a leggerlo.
Eppure non si vedeva. Lanciai una rapida occhiata alla maniglia per assicurarmi che nessuno l’avesse ancora abbassata dopo di che mi fiondai a controllare i cassetti. Essi contenevano di tutto, penne, post-it, fogli con appunti, tutti oggetti che spostavo con foga nel tentativo di trovare ciò che stavo realmente cercando.
Intanto il tempo passava, e più i secondi scorrevano più frequentemente lanciavo occhiate furtive alla porta. Il mio cuore batteva sempre più forte, sia per la preoccupazione e sia per la foga con la quale stavo rovistando in quella stanza.
La tana del lupo. Accidenti a me.
Mi dedicai ben presto alla libreria estraendo volumi che presentassero una copertina scura.
Mi resi conto di riuscire ad arrivare solo fino ad una certa altezza, allora cercai una sedia e nel farlo, per puro caso, l’occhio mi cadde sulla maniglia che si stava abbassando.
Ero rovinata. Il cuore era schizzato a mille e sembrava volesse fuoriuscirmi dal petto, ma, nonostante ciò mi sforzai di mantenere la lucidità mentale adatta per trovare una scusa plausibile.
Alan fece il suo ingresso e, nel vedermi, mi fulminò con lo sguardo.
“Che- diamine- ci –fai –qui –Marguerite?” scandì con freddezza degna del polo sud ogni singola parola. Se i nostri sguardi avessero potuto uccidere allora in quel momento sarei stata morta.
“Alan! Giusto te cercavo!” mi guardò glaciale aspettando che proseguissi “Temo che prima mi sia caduto il cellulare in questa stanza!” lo dissi con tranquillità. Se mi fossi potuta sdoppiare sicuramente l’altra me mi avrebbe dato un colpetto soddisfatto sulla spalla e mi avrebbe fatto i complimenti.
Stavo recuperando l’arte del mentire.
“Se lo trovo te lo farò avere!” si limitò a dire lui.
Trattenni un sospiro di sollievo. Avevo ingannato Alan Black! Ero semplicemente un genio!
Mi affrettai a uscire dalla porta vicino alla quale lui stava ancora immobile e,  nel passargli accanto , vidi una strana luce passargli negli occhi, ma lì per lì non me ne preoccupai.
 



*Giulia, Cristopher e Josh sono gli altri 3 ‘bambini’ che abitano a villa lux, erano presenti in un paio di capitoli all’inizio!!
 



Allora questo capitolo può apparire un capitolo di passaggio, ma vi assicuro che non lo è… ci sono tanti piccoli particolari che saranno fondamentali per il seguito … preparatevi perché il prossimo capitolo altre cose cambieranno … e non dal punto di vista del comportamento di Mar, che probabilmente ancora sarà come in questo capitolo!!
In particolare dovete tenere a mente :
Alan che guarda male Mar quando lei percepisce il libro e il loro incontro nello studio (alla fine del capitolo) e il fatto che Alan chiede a lei di tentare la trances!!
Spero di riuscire ad aggiornare per domenica prossima anche se sarò alle prese con l’organizzazione della festa di compleanno di mio fratello!! :D
Adesso devo ringraziare … come ho già anticipato wynn_ ha creato la stupenda copertina che ho messo all’inizio di questo capitolo, quindi un ringraziamento speciale va a lei!!
Poi naturalmente devo ringraziare di cuore coloro che mi recensiscono sempre … AlyDragneel , shadowdust e Pyra… ragazze mi date la carica e spero che non vi deluda il capitolo!!
Ma naturalmente non posso dimenticare le 33 persone che seguono questa storia (Grazie grazie grazie!!!) le 8 che l’hanno messa tra le ricordate e le 19 che l’hanno preferita!!
Naturalmente siete le benvenute se recensite!!!! mi fareste tanto felice :D
A presto!!
Daisy
 

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Capitolo 18
*** CAP 17 ***


Questa copertina l'ho fatta io dato che mi sentivo isirata dai fantastici capolavori artistici di WINN_... solo che l'ho fatta su word!! XD che ne pensate??

CAP 17



Guardavo annoiata il cielo plumbeo che mi sovrastava imponente e minaccioso. Era palese che si stava avvicinando il mese di novembre e quelle nubi ne erano la prova.
Era in momenti come quello che avrei voluto rintanarmi in casa e invece me ne stavo seduta su una panchina verde con la vernice scrostata, annoiata a guardare il cielo.
Intorno a me non c’era un’anima viva, dopotutto con un tempo del genere chi, nel tardo pomeriggio di domenica, sarebbe uscito? Nessuno.
Nessuno tranne me. Sbuffai. Odiavo attendere. Insomma avevamo concordato un preciso orario per incontrarci, tanto era vero che quasi mi ero messa a correre dopo che il taxi aveva lasciato me e Rob al campus. Non mi ero messa a correre per non far aspettare la mia interlocutrice, ma solo perché l’esigenza di sapere era davvero immensa.
Eppure ero lì, annoiata ad aspettare Emily da almeno un quarto d’ora. Avevo persino dovuto, con estrema fatica, liberarmi di Rob che continuava a pormi domande su domande come ‘dove vai così di fretta?’ o ‘cosa nascondi?’, il tutto per arrivare su lì il prima possibile.
In quel dannato viale alberato su quella dannata panchina ad aspettare quella dannata persona.
Finalmente ne intravidi la sagoma in lontananza. Era avvolta in un pesante giaccone, forse un po’ troppo esagerato per gli ultimi giorni di ottobre. La vidi azzardare una corsetta verso di me, come se quello sarebbe servito a farla arrivare prima. Certe volte le persone sono così stupide.
“Ciao Mar!” mi sorrise prendendo posto accanto a me.
In tutta risposta le feci un cenno con la testa.
“Sei arrabbiata per il mio ritardo?” domandò un po’ preoccupata.
“Ma va! Figurati!” dissi sarcastica.
“Meno male, perché …” iniziò tirando un sospiro di sollievo, ma io la interruppi immediatamente.
“Ma certo che sono arrabbiata!” sbottai. Quella giornata non era una delle migliori per il mio autocontrollo.
Avevo passato un fine settimana decisamente stressante nel quale mi ero fortemente impegnata per evitare un qualsiasi abitante di quella casa, Agatha compresa.
Mi ero sentita come una prigioniera in casa mia, ma il timore che Alan potesse scoprire tutto di me mi spaventava. E per tutto non intendo dire solo la storia di Dave, ma anche quella del libro che sinceramente mi stava molto più a cuore.
Dunque lo stress era stato davvero molto. Come se non fosse bastato Emily mi aveva fatto attendere ben quindici minuti e il cielo era grigio. Forse ero pure diventata meteoropatica. Di male in peggio.
“Scusami Mar, non volevo ritardare! Solo che ero talmente presa dallo studio che non mi sono resa conto del tempo che passava!”
Trattenni a stento una smorfia. Quella ragazza non doveva essere umana, dopotutto quale ventenne sano di mente avrebbe perso la cognizione del tempo studiando? C’era un’unica spiegazione: lei doveva provenire da un altro pianeta, era una specie di aliena. Un’aliena terribilmente nerd!
“Sì, sì ok!” la liquidai, dopotutto non mi interessavano le sue scuse.
“Perché mi hai fatta venire qua?” mi domandò lei decisamente curiosa.
Cercai di nascondere il mio palese nervosismo dietro una delle maschere che ero cosi brava a creare, la maschera dell’amica curiosa.
“Ho saputo di un certo appuntamento …” iniziai stampandomi un sorrisetto malizioso sulle labbra. A tali parole lei arrossì e abbassò lo sguardo come era solita fare.
“B-bè sì … ecco … ma tu come lo sai?” mentre cercava di articolare quella frase per lo più priva di senso, si tormentava le mani imbarazzata.
“Rob! Vi ha visti!”
Lei sospirò.
“Quindi sai anche chi era il mio accompagnatore?” la sua voce era ridotta ad un sussurro.
“Sì!”
“E allora cos’è che vuoi sapere, se sai già tutto?”.
E brava Emily. Cercava di scansare l’argomento, ma non se la sarebbe cavata così semplicemente.
“Voglio sapere tutto! Ma proprio TUTTO!” sembravo proprio una di quelle classiche adolescenti che impazzivano se una delle loro amiche usciva con il più figo della scola.
Emily sorrise di fronte al mio, finto, entusiasmo e alzò lo sguardo in modo da iniziare il racconto.
“Bè non è andata così tanto bene come credi tu …” iniziò con tono un po’dispiaciuto.
“Dai! Inizia dal principio!” la incitai.
“Ok!” concordò voltandosi maggiormente verso di me.
“Hai presente la sera nella quale ci siamo aggiunti a loro? Circa una settimana fa!” annuì.
“Be tu e lui siete usciti e poi tu non sei più tornata. A proposito, cosa vi siete detti?” mi chiese con tono un po’ stupito come se si fosse improvvisamente ricordata di quel particolare.
Alzai le spalle con indifferenza.
“Mah, niente di che! Mi ha chiesto se avevi il ragazzo!” buttai lì sicura che se la bevesse.
“Allora, perché sembrava incavolato nero quando ti ha chiesto di uscire dal locale?”
Accidenti.
Impassibile feci ancora una volta spallucce “Credo che non sia del tutto normale!”.
Lei alzò un sopracciglio con aria decisamente incredula.
“Daaaai, ma cosa importa? Io voglio sapere del tuo appuntamento!” e le tirai una leggera gomitata con aria complice.
“Ok! Bene. Quando lui è tornato io mi sono avvicinata e gli ho chiesto dove eri finita. Lui mi rispose che volevi andare a casa perché eri stanca. Dopo questa breve conversazione si è seduto accanto a me e abbiamo iniziato a chiacchierare.
Dovevi vederlo Mar! Era bellissimo. I suoi occhi verdi scintillavano ogni qual volta nominava il suo amico James, si vedeva che per lui era come un fratello. Poi, quando rideva gli si formavano delle sottilissime rughe intorno agli occhi ed era così bello da togliere il fiato. Se ti avvicini, riesci a percepire quel profumo di pino che lo avvolge, e …”
Non ne potevo più di sentir parlare di quanto fosse bello Dave. Volevo capire come andava il mio piano per farli innamorare e cosa era successo durante l’appuntamento. Fu così che la interruppi.
“L’ho visto anche io Dave! So com’è fatto, non devi per forza descrivermelo nei minimi dettagli!” cercai di alleggerire le mie parole sorridendole.
“Scommetto però che tu tutte questa cose non l’hai notate!” sbottò leggermente offesa.
Era vero. Non mi ero mai resa conto di quelle cose e nemmeno mi interessava notarle. Si trattava di particolari totalmente inutili, non credevo che fosse il sorriso la parte importante di un uomo. E che tantomeno lo fossero gli occhi. Forse il profumo, poteva passare. Insomma, in un rapporto sessuale contavano ben altre cose.
Scossi la testa per negare.
“Sei tu quella che è cotta di lui! Non io!” per fortuna.
“Mah non so se definirla una cotta …”
“E come la definiresti?” ero perplessa.
“Non puoi capire, devo prima raccontarti tutto il resto. Allora, dopo avere chiacchierato amabilmente per tutta la sera si è offerto di accompagnarmi a casa. Come potevo declinare un’offerta fatta con quella voce così …” la fulminai con lo sguardo.
“Bè … così! Nel tragitto mi chiese se mi andava di vederci nuovamente, magari da soli, per conoscerci meglio. A tali parole mi sono letteralmente illuminata. Insomma, c’era da chiederselo? Era ovvio che gli avrei detto di sì. Comunque ho accettato cercando di trattenere l’entusiasmo, ma credo di non esserci riuscita egregiamente.
Comunque ci siamo visti qualche pomeriggio dopo ma non è stato un gran bell’appuntamento.”
Non capivo. Era uscita del tipo di cui era cotta e non le era piaciuto l’appuntamento?
“Come mai?”
“Ecco, dopo i primi convenevoli della serie ‘come stai?’, ‘con gli esami come sei messo?’ e ‘ ti trovo bene oggi!’ ha iniziato a riempirmi di domande.” Fece una pausa guardandomi di sottecchi, mentre io attendevo impaziente la continuazione.
“Su di te.” Concluse e io sbarrai gli occhi intuendo il vero motivo per il quale lui avesse chiesto ad Emily di uscire.
Vedendo che non dicevo niente continuò.
“Mi ha chiesto in che occasione ci eravamo conosciute, cosa io sapessi di te, gli amici che frequentavi. Quando vide che le mie risposte erano piuttosto scarne, dopotutto io e te ci conosciamo da sole due settimane, ha iniziato a chiedermi le cose più stupide. I tuoi cibi preferiti, dove abitavi, che locali frequentavi. Insomma se permetti io mi sono un po’ spazientita. E’ uscito con me ma poi mi ha riempita di domande che riguardavano solo e soltanto te. Ti pare normale?
Al che gli ho detto che se a lui piacevi tu, non avrebbe dovuto dirlo a me, ma direttamente a te!”
Ci mancò poco che non le ridessi in faccia. Insomma, io che piacevo a Dave? Al massimo gli sarebbe piaciuto strangolarmi lentamente.
“Allora lui si è scusato e mi ha intimato di starti lontana perché tu non sei quella che sembri!”
A quel punto non potei far a meno di scoppiare a ridere.
“Mi sembra un po’ precipitoso che mi abbia giudicata così, infondo nemmeno ci conosciamo!” cercai di articolare tra le risate. Che deficiente quel Dave.
“E’ quello che ho pensato anche io!” concordò Dave “Così gli ho detto che eri una persona dolce, che mi avevi aiutata e messa un guardia da Rob, mi avevi protetta da Mike e che eri mia amica!”
Rimasi sorpresa di quante cose buone fossi riuscita a fare pur con l’obbiettivo di automatizzarla. Sorprendentemente la cosa non mi fece tanto schifo, ero piuttosto compiaciuta. Quando le cose le facevo, le facevo bene. Insomma avevo voluto che Emily mi vedesse come la migliore delle amiche e così era stato. Da come mi dipingeva lei sembravo un angelo sceso dal cielo. Assurdo, ma esaltante al tempo stesso. Era un gran talento, il mio.
“E lui?”
“Ha ribadito che non mi dovevo fidare dalle apparenze. Poi ha detto che doveva andare, mi ha lasciato un leggero bacio a fior di labbra e si è dileguato. Niente ‘ci si rivede’ o ‘mi sono divertito’! Sono sempre più convinta che fosse uscito con me solo perché voleva sapere di più su di te. Sono convinta che tu gli interessi,Mar!”
La guardai scettica e un po’ divertita dalla situazione.
“Ma tranquilla! Prima ti ho detto che non sapevo se definirla cotta e la ragione sta in questo. Mi ha dato fastidio che tutto il tempo lo abbiamo passato a parlare di te, ma non perché io fossi gelosa, solo perché mi scocciava di essere stata usata in quel modo, solo per sapere delle cose in più su di te!”
Dave, Dave, Dave. Quel ragazzo aveva il coraggio di rimproverare me perché ‘usavo’ le persone obbligandole a fare delle determinate scelte, ma poi lui non si dimostrava essere così tanto diverso da me. Che ipocrita.
“Ma come mai non mi avevi detto niente di questo appuntamento?” le chiesi curiosa.
“Perché temevo che mi avresti costretta ancora una volta ad indossare quei vestitini e quei vertiginosi aggeggi fatti per azzoppare le persone!”
“Si chiamano tacchi!”
Che scema Emily. Se si fosse vestita in quel modo che lei voleva tanto evitare forse Dave sarebbe stato talmente preso da lei da non fare così tante domande sul mio conto. Che sciocca.
“Tu sai dove abita Dave vero?” le domandai.
“Quindi anche a te piace lui?”
Mi misi a ridere di gusto.
“Affatto! Devo solo dire due paroline a quel deficiente che illude le mie amiche per chiedere mi me!” inventai.
“Ma non è necessario Mar, davvero!”
“E invece sì! Su, dammi l’indirizzo!”
Con la testa bassa Emily lo scrisse su un pezzetto di carta che mi consegnò. Sorrisi. Per una volta le doti da stalker di Emily erano servite a qualcosa di utile.


43 St Edmund Street.
Non credevo che Emily fosse così brava a descrivere i luoghi, ma dovetti ricredermi quando mi trovai dinnanzi a quella casetta bianca che si stagliava nel bel mezzo di un piccolo giardinetto. Mentre Emily me ne parlava io me la ero immaginata esattamente in quel modo. Doveva essere per questo che mi sembrava così famigliare. Era come se io l’avessi già vista di persona prima ancora di trovarmi di fronte ad essa.
Guardai l’orologio sperando che Dave fosse in casa, non mi andava di essere arrivata fino a lì per niente.
Erano le 15. Doveva per forza esserci, mica poteva essersi stabilito a vita alla DrinkHouse.
Feci qualche passo sul vialetto che conduceva alla porta principale, poi, una volta arrivata, individuai il campanello.
Middlecot.
Su di esso non vi era un nome, solo quel cognome. Una volta qualcuno mi aveva detto quale fosse il cognome di Dave e, se non ricordavo male, doveva essere Sullivan.
Solo che il cognome scritto sul campanello non era quello. Potevo anche aver sbagliato casa. Accidenti a Emily e alle sue informazioni errate! Comunque, dal momento che ero arrivata lì, decisi di tentare ugualmente e posai il dito sul campanello.
Dopo qualche decina di secondi sentì una chiave girare nella toppa e un uomo fece capolino dalla porta, senza tuttavia aprirla completamente.
“E lei è?” domandò cortese.
“Ecco, io cercavo un certo Dave … Sullivan, credo … sa dirmi dove abita?”.
L’uomo sorrise.
“Proprio qui! Prego entra!” disse gentilmente. Aprii del tutto la porta per rendermi possibile l’accesso. Mi fermai all’entrata attendendo che lui chiudesse nuovamente la porta a chiave.
“Prego seguimi!” disse poi precedendomi lungo i corridoi della casetta. Giungemmo in una stanza piuttosto grande dove il mobilio era totalmente bianco che, a giudicare dalla presenza dei fornelli, doveva essere una cucina.
“Prego siediti, Dave è sotto la doccia, credo sarà qui a minuti!”
Presi posto ad una delle sedie che mi indicava e, non sapendo bene che dire, mi guardai un po’ intorno.
“Gradisci un tè?”
“Perché no?” sorrisi all’uomo.
Era incredibile che non ci avessi fatto caso prima. Quel signore doveva essere per forza di cose il padre di Dave, anche perché possedeva i suoi stessi occhi verdi. Solo che non notavo altre somiglianze, né nella corporatura, né nella forma del viso. Ma capita a volte di prendere piccoli tratti dei genitori, io, per esempio, di mia madre non avevo assolutamente niente. Per fortuna.
“Tu sei un’amica di Dave, vero?” chiese lui cortese. Solo allora mi resi conto di quanto fosse profonda la sua voce.
“Più o meno!” risposi.
“Che vuol dire ‘più o meno’?” mi rivolse un’occhiata divertita.
Alzai le spalle.
“Mi crede se le dico che non lo so?”
“Potrei anche!” rispose.
Fu in quell’istante che Dave fece la sua entrata. Portava unicamente un paio di jeans che fasciavano le sue gambe muscolose perfettamente.
Da quando poi Dave aveva le gambe muscolose?
Di una maglietta nemmeno l’ombra. Se ne stava lì, dinnanzi a me con la tartaruga al vento.
Ma da quando Dave era così muscoloso? Possibile che non me ne fossi mai accorta? Proprio io, la mangiatrice di uomini?
Ricordavo di averlo trovato carino la prima sera che ci eravamo incontrati, ma poi l’odio che provavo aveva distorto totalmente la sua immagine.
Mentre entrava nella stanza si stava asciugando i neri capelli bagnati con un asciugamano e dunque, quest’ultima, gli ostruiva la visuale. Fu per quello che non mi vide immediatamente.
“Chi era alla por…” iniziò a chiedere, ma la frase rimase incompiuta perché, proprio in quell’istante, incontrò il mio sguardo. Gli sorrisi beffarda.
“Ciao Dave!” lui sbarrò gli occhi decisamente sorpreso della mia presenza in casa sua, dopo di che con voce tagliente si rivolse a suo padre.
“Che ci fa lei qui?” disse quel ‘lei’ con una punta di disprezzo.
“E’ venuta a trovare te, non è vero?” suo padre si rivolse a me sorridendomi gioviale.
Sorrisi nuovamente divertita da quella scena.
“Esatto!” ribadii.
Dave, buttò a terra l’asciugamano con forza, come se in tal modo potesse sfogare la sua rabbia e si avvicinò bruscamente al padre per bisbigliargli qualcosa. L’unica parola che riuscii a decifrare fu ‘pericolosa’. L’uomo gli rispose e lui sbuffò contrariato, dopo di che mi fulminò con lo sguardo ed uscì con grandi passi dalla porta.
In quel momento non riuscii più a trattenere la risata che mi era cresciuta dentro nel corso di quella bella scenetta.
L’uomo, sorpreso dalle mie risate mi lanciò uno sguardo torvo e si mise a sedere accanto a me porgendomi il tè che nel frattempo aveva preparato.
“Siamo divertenti?” mi stava simpatico quell’uomo, egli non era come Dave, sembrava non prendere nulla sul serio e rimanere sempre costantemente di buon umore.
“Decisamente!” articolai tra le risate. Cercai di smettere.
“Allora, a detta Dave quanto sarei pericolosa?” domandai a bruciapelo con un ghigno sulle labbra. Volevo coglierlo di sorpresa, ma lui sembrava impassibile a tutto, infatti rispose sorridendomi.
“Direi che ti meriti un bell’otto in una scala da uno a dieci. Comunque sei intelligente ragazza!”
“Per aver capito che parlavate di me?”. Lui annuì.
Ridacchiai.
“La verità è che non sono stupida! Insomma solo uno stupido non si sarebbe accorto di chi parlavate!”.
“Vero!” ribattè sorseggiando il suo tè “Dave non sa essere trasparente purtroppo!”
Annuii. Sante parole, quel ragazzo era proprio un incapace!
“E mi dica …” iniziai avvicinandomi e assumendo un tono più confidenziale “… lei sa fare le stesse cose che sa fare Dave?”, altra domanda a bruciapelo. Ero curiosa di vedere come se la sarebbe cavata anche in quell’altra occasione.
“No, niente di tutto ciò. Sono solo il suo supervisore!” fece spallucce.
La risposta mi stupì non poco. Lì era tutto diverso. Insomma, nessuno poteva conoscere il nostro segreto se non aveva in prima persona i poteri e le facoltà che possedevamo noi. Mentre quell’uomo sapeva tutto pur non essendo in grado di far niente, o almeno così diceva. Non esclusi, infatti, la possibilità che stesse mentendo. Dopotutto ero o non ero nella tana del nemico?
“Allora, se non sa fare i trucchetti di Dave, come mai mi sta così vicino? Non ha paura?” ghignai.
Lui ridacchiò.
“Non faresti mai niente sotto il tetto di Dave!” disse con sicurezza.
“E chi me lo impedirebbe? Lei?” sibilai sarcastica senza abbandonare la mia aria di strafottenza.
“Oh! No assolutamente, ma sarebbe Dave a fermarti!”
Risi di gusto.
“Dave? Non lo sopravvaluta troppo?”
“Non credo. Vedi, mia cara Marguerite …” il suo tono si era fatto un po’ più freddo nel pronunciare il mio nome “… lui mi ha molto parlato di te. Mi ha anche detto che, nonostante lui ti avesse battuta, ti ostini a fargliela pagare e ad usare i tuoi poteri!”
Simulai un sorriso e poi ribattei freddamente.
“Vedo che è mal informato! Vede, se fossi stata battuta non sarei in grado di utilizzare i miei poteri, cosa che invece so perfettamente fare!” dissi con superiorità.
“E’ proprio qui che sta il mistero, mia cara!” ribattè prontamente lui, senza che il sorriso abbandonasse il suo volto “Il fatto è che tu sei stata innegabilmente battuta, ma nonostante ciò continui a conservare i tuoi poteri e ciò non dovrebbe accadere!” scosse la testa.
“Si sbaglia, io non sono stata affatto battuta!” ribadii con convinzione.
“Continua ad illuderti Marguerite! Ma credimi, non ti porterà da nessuna parte!” lo disse a mò di consiglio paterno.
Ma chi diavolo si credeva di essere quell’uomo? Chi era lui per parlarmi così? Solo un misero essere umano. Puah. Che aveva pure il coraggio di darmi della perdente! Repressi la rabbia mascherandola sotto un sorriso malefico.
“E’ lei che si illude, signore. E che mi sottovaluta anche, ma ben presto lei e Dave imparerete a non farlo più!” lo minacciai con tranquillità.
Lui ridacchiò.
“Ancora tu non hai capito come stanno le cose!” disse con semplicità facendomi di nuovo salire il nervoso a mille. Cercai di calmarmi.
“E come stanno? Me lo spieghi!”
“Non spetta a me spiegartelo!”
“E a chi spetterebbe?”
Egli si limitò a fare spallucce e a guardare oltre le mie spalle dove Dave era riapparso. Naturalmente, da bravo figlio di papà, indossava un semplice maglioncino dal quale emergeva il colletto della camicia. Sembrava uno di quei classici fighetti che si prendono in giro nelle scuole.
“Bè vi lascio chiacchierare!” esclamò gioviale alzandosi per cedere il posto al figlio, poi sparì dietro al porta.
“Che diavolo ci fai qui? Non sei la benvenuta!” mi attaccò immediatamente Dave. Ridacchiai di fronte alla sua ira.
“Sono qui per rimproverarti Dave!” esclamai pregustando i momenti successivi.
“TU A RIMPROVERARE ME?” sbotto incredulo e sarcastico senza abbandonare la sua ira funesta. Brrr come tremavo di paura.
“Eh sì, mio caro moralista! Sai, di recente ho saputo che ti sei dimostrato particolarmente interessato a me …” gli feci l’occhiolino in modo seducente e proseguii, mentre lui mi fissava con odio.
“Bè questo qualcuno è rimasto decisamente sconvolto e sai perché?” chiesi godendomi quei momenti.
“Smettila di fare la deficiente e arriva al punto!” sbottò, facendo incrementare il mio sorriso soddisfatto.
“Ma quanta fretta! Insomma, prima hai dato un appuntamento a questo qualcuno e poi non hai fatto altro che parlare di me! Dunque adesso mi viene un dubbio Dave … non è che per caso ti sei preso una cotta per la sottoscritta?” lo vidi nuovamente riempirsi d’ira. Adoravo prendermi gioco di lui, girare attorno alla questione, lo adoravo perché mi dava una sensazione di pura potenza. Ero io ad avere il coltello dalla parte del manico.
“Questo qualcuno non ti ha detto che ci siamo anche baciati?” ribattè lui.
“Eh no Dave! Non cercare di giustificarti! Hai usato questo qualcuno! E non è da te! Insomma Dave! Prima fai il moralista con me e poi mi combini certe cose?” mi rivolsi a lui utilizzando un tono quasi materno. Dio quanto mi stavo divertendo nel guardarlo mentre,ad ogni mia parola, stringeva i pugni sempre di più e contraeva la mascella nel tentativo di trattenere la sua rabbia.
“E tutto perché sei innamorato di me!” dissi sforzandomi di utilizzare un tono mieloso da carie ai denti.
A tali mie parole lui sbuffò rumorosamente.
“Smettila di scherzare, lo sappiamo entrambi perché ho chiesto di vederla!”
“Vuoi dire che non mi ami?” feci sporgere il labbro inferiore nel tentativo di sembrare un cucciolo ferito, mentre dentro di me ridevo a crepapelle.
“SMETTILA MAR!” sbraitò alzandosi velocemente dalla sedia e rischiando quasi di farla cadere a terra.
“Dave!” mi finsi sconvolta “Calmati insomma!”.
“Perché devi essere così infantile? Ti diverti a giocare?”.
Aveva colpito nel segno. Mi divertivo a giocare. Semplice. Quella ero io e niente mi avrebbe mai cambiata. Potevo provare dei sensi di colpa se usavo i miei poteri sulle persone, ma non mi dava fastidio giocare. Anzi adoravo giocare.
“Terribilmente!” ammisi regalandogli un sorriso.
“Comunque non tentare di cambiare discorso!” lo ammonì puntandogli il dito contro “Hai usato Emily! Era questo il punto della situazione! E l’hai usata per avere informazioni su di me! I miei complimenti, questo fa di te un santo meno santo di quanto pensassi! Sono positivamente colpita!” esclamai ghignando.
“Mi fanno schifo i tuoi complimenti!” sbottò “Davvero, non ho mai ricevuto dei complimenti peggiori di questo!” arricciò il naso per sottolineare quello che aveva appena detto.
“Allora non te li faccio più!” mi finsi offesa e incrociai le braccia al petto.
Che scemo a volersi convincere di non aver usato Emily. Insomma era palese!
Vidi che il suo sguardo saettò rapido a fissare un punto indefinito che si trovava sotto il mio viso, dopo di che tornò a puntare i suoi occhi nei miei.
Lo guardai come se fosse deficiente e abbassai anche io lo sguardo su di me per capire cosa avesse attirato così tanto la sua attenzione.
La prima cosa che vidi furono i miei seni che sporgevano in maniera decisamente eccessiva dalla maglietta dal momento che avevo incrociato le braccia al petto.
Alzai gli occhi incontrando i suoi divertita e anche un po’ compiaciuta.
“Hei! Ma tu mi stavi guardando le tette!” esclamai ridacchiando e vedendolo arrabbiarsi ancora di più. Se avessi continuato così era probabile che avrebbe iniziato a sputare fuoco e a emettere fumo dalle orecchie. Risi al solo pensiero. Sorrisi soddisfatta. Non era immune al mio fascino.
Dave poteva avermi fatto capire che non era poi così giusto condizionare le decisioni delle persone e, nonostante si fosse dimostrato più forte di me da quel punto di vista, avevo ancora qualche arma da giocare. E si trattava di armi tutte femminili. La mia specialità insomma.
“Non ti stavo guardando le tette!” ribattè tornando a sedersi.
“E invece sì!” gongolai.
“Pensa quel che ti pare!” mi liquidò con un gesto della mano.
“Oltre che a rovinarmi il pomeriggio, perché sei qui?” mi domandò stropicciandosi con i polpastrelli delle dita gli occhi, come se la conversazione con me lo stremasse.
“Per rimproverarti per aver usato Emily, te l’ho già detto!”
Alzò un sopracciglio.
“Solo?”
“No! Sono anche qui per chiederti quale sia il tuo scopo!” risposi con semplicità.
“Come scusa?”
“Il tuo scopo! S-c-o-p-o! Non è difficile Dave, nemmeno per il tuo neurone!” sorrisi.
Lui finse una risata.
“Credi che io ti direi qual è il mio scopo?” il suo tono era decisamente sarcastico.
“Perché no?” alzai le spalle.
Sbarrò gli occhi.
“Così tu dopo vai a spifferare tutto al tuo capo!”
“Capo?” chiesi innocente “Non c’è nessun capo!”
“Mar, non sono deficiente!”
“A no?” domandai, ma lui mi ignorò e proseguì.
“Lo so che c’è qualcuno che muove le redini dei giochi e che non si tratta né di te né di Caren, c’è qualcun altro!”
“Assolutamente no!”
“MENTI!” sbraitò.
Come faceva a sapere che c’era qualcun altro? Insomma, io non avevo mai parlato di nessun altro. Accidenti. Eravamo in netto svantaggio, lui ne sapeva più di noi rispetto a quanto noi sapevamo di lui.
“Lo so, sai da cosa Mar? Dal fatto che tua madre, quando quella sera mi raccontò della notte in cui ti ha ‘venduta’ mi disse che era stato quell’uomo a convincerla. È quell’uomo che sta dietro a tutto ciò!” continuò.
“Se lo dici tu …” finsi disinteresse mentre dentro cercavo disperatamente un modo per smentire la cosa. Il problema era che mi stava portando tesi molto valide a sostegno della sua ipotesi.
“E ne ho la certezza anche perché quando io ho guardato te negli occhi e Caren non ho perso i miei poteri!”
A tali parole un campanello dall’allarme suonò nella mia testa. Perché mai Dave avrebbe dovuto perdere i poteri se avesse incontrato lo sguardo di Alan?
“Ah! E così dovresti perdere le tue facoltà …” sperai vivamente che cadesse nel mio tranello e che mi raccontasse tutto.
“Non sono affari tuoi!” rispose con la grazia di un elefante in una cristalleria.
“Ora lo sono diventati!” ribattei dispettosamente e curiosa di saperne di più.
“Non te lo dirò mai! Scordatelo! Io non mi fido di te!” sibilò.
“Ma ragiona Dave! Che alternative hai? Io sono il tuo punto di collegamento con quest’uomo!” gli dissi con voce sensuale sperando di corromperlo a dirmi la verità.
“E perché dovresti aiutarmi, sentiamo?” domandò scettico.
“Semplice, perché io sto sempre dalla parte del più forte, dalla parte di chi ha la carta vincente!” cercai di convincerlo.
“Appunto! Vuoi conquistarti la carta vincente per darla al tuo capo e rimarresti comunque al suo fianco! Eh no, Mar. Non mi freghi!”.
“Diglielo David!” una voce provenne dalla porta della cucina dove il padre di Dave aveva fatto la sua ricomparsa.
“Ma zio!” obbiettò lui.
Sbarrai gli occhi. Quell’uomo era suo zio! Ecco perché non si somigliavano molto se non per il particolare di quei maledetti occhi verdi.
“Dave, lei ha incontrato il tuo sguardo, le hai fatto conoscere l’altra metà della mela, quella di cui lei nemmeno conosceva l’esistenza! Lei ha sempre vissuto in un mondo di egoismo e tu le hai fatto conoscere l’altruismo, viveva in un mondo fatto di male dove tu hai portato il bene. Ora lei è libera di scegliere secondo coscienza, è vero, ma non è più una persona senza scrupoli, nonostante conservi i suoi poteri”.
Spalancai la bocca. Aveva perfettamente descritto come mi sentivo. Insomma aveva ragione. Io, dopo aver incontrato gli occhi verdi di Dave, avevo conosciuto il rimorso ed i sensi di colpa, tuttavia questo non aveva cambiato il mio essere, mi aveva solo resa più consapevole del mondo che mi circondava. Un mondo di cui io conoscevo unicamente il male e l’egoismo. In quel momento avevo invece una visione completa e, grazie a ciò, le mie decisioni non erano più vincolate da sentimenti negativi. Ero in qualche modo libera.
Era come se io mi fossi nutrita oer tutta la vita di pizza, senza essere a conoscenza di tutti glia latri cibi. La pizza è buona e potevo condirla come volevo, però non potevo scegliere. Dovevo sempre mangiare la pizza perché era l’unico alimento che conoscevo. Dave mi aveva fatto conoscere la pasta, la carne, il pesce, i dolci,dunque io avevo una maggiore libertà di scelta ora, perché conoscevo tutti gli alimenti.
Mi stupii della mia stessa riflessione, non mi ero mai resa conto di essere stata prigioniera prima. Insomma, l’ambito nel quale ero spinta per natura ad agire era uno solo. Dopo Dave lui ambiti erano molteplici. Prima ero prigioniera della mia tessa natura limitata, grazie al suo sguardo invece, avendo una natura più ampia, avevo maggiore libertà.
Non l’avevo mai vista in quel senso. Infondo Dave mi aveva fatto un favore. Ciò non voleva dire che mi stesse simpatico.
Dave sbuffò.
“E va bene! Ti dirò ciò vuoi sapere. Allora, io sono il detentore del potere, chiamiamolo, ‘bianco’ ok? E quest’uomo misterioso è il detentore del potere ‘nero’, allora nel momento esatto in cui i nostri sguardi si incontreranno i poteri si annulleranno a vicenda!”. Semplice.
Ebbi un’illuminazione. Il libro era nero! Il libro era la fonte del potere, quindi quel potere era anche in me, ma Dave non l’aveva annullato, la sua teoria non stava in piedi!
“E’ un po’ come se materia e antimateria si incontrassero, esse si annullerebbero a vicenda. È questo il mio, il nostro obbiettivo. Quello di annullare i poteri, entrambi i poteri. Così tutti saranno liberi di scegliere e non ci saranno più persone come te o come me ad influire”.
“E come pensi di farcela ad annullare il suo potere? È troppo forte!” domandai scettica, dal momento che non era riuscito nemmeno ad annullare il mio di potere. Forse non era il libro la chiave di tutto. Alan doveva aver acquisito le sue capacità con qualcos’altro, ma con cosa?
“Ce la farò!” disse con sicurezza e fierezza lui, mentre lo zio gli posava con orgoglio una mano sulla spalla.
“E io potrei fartelo incontrare!” gongolai godendomi quel momento nel quale gran parte della loro ‘missione’, se così la si voleva chiamare, dipendesse da me.
Adoravo quella sensazione. L’uomo mi guardava speranzoso annuendo di fronte alle mie parole, mentre Dave guardava da tutte le parti tranne nella mi direzione, per non far leggere i suoi sentimenti.
In quel momento la scelta spettava unicamente a me. Da che parte mi conveniva più stare?



Questo capitolo è stato difficile da scrivere.. si tratta di un capitolo estremamente importante per la storia perchè diciamo che vengno messe le carte in tavola...
ragazze siamo dinnanzi ad un cambiamento radicale, che però avverrà solo nel prossimo capitolo ... mi raccomado tirate fuori il vostro vestito più elegante che nel capitolo 18 siete invitate al ballo!! il ballo in cui il destino di Mar sarà segnato drasticamente...
Spero di non essermi ripetuta toppo nel'ultima parte e che il paragone 'alimentare' non sia stato troppo deficiente (Ahahahaha io stessa lo reputo stupido!!) ... ma dovevo avere al certezza di trasmettere il messaggio, per la prima volta mar capisce che ciò che le ha fatto Dave non è una cosa così negativa!!
bene!!
devo ringraziare le 19 fantastiche persone che preferiscono la mia storia ... le 37 che la seguono e le 8 che la ricordano....
e sopratutto ringrazio
AlyDragneel nancywallace Pyra shadowdust che hanno recensito lo scorso capitolo!!
fatemi sapere cosa ne pensate, è molto imortante per me!!!
la storia subirà dei rallentamenti, però credo che continuerò con frequenza l'altra che sto scrivendo, Without Feelings? perchè mi porta via meno forze... questa la adoro, ma è anche vero che la maturità è alle porte... comunque come sempre cercherò di aggiornare per domenica prossima!!!!
buona settimana fanciulle!!
Daisy

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Capitolo 19
*** CAP 18 ***


CAP 18


Ragionai. Avevo sì una coscienza, ma essa non mi impediva di agognare il potere. Sapevo che dentro di me ne scorreva un po’, probabilmente non era lo stesso che possedeva Alan, o lo stesso che voleva eliminare Dave, ma era pur sempre potere. E più scorreva dentro di me più mi inebriava i sensi, come una sorta di droga di cui si agogna sempre la dose successiva. Insomma. Se Dave avesse annullato i poteri di Alan e, nel contempo,Alan avesse annullato i poteri di Dave, io sarei rimasta l’unica a possedere una qualche capacità. Certo rimanevano Rob e i bambini, ma avrei comodamente potuto prendere il posto di Alan.
Sarei stata la leader, anche se non sapevo bene di cosa, ma diciamo che l’idea di essere io l’unica ad avere potere mi piaceva.
“E sentiamo …” iniziò Dave sforzandosi di incontrare i miei occhi, come se la cosa gli richiedesse una fatica infinita “… dove me lo faresti incontrare?”
Sorrisi. Dave era decisamente troppo precipitoso.
“Ma che te lo dico a fare? Tanto tu non hai fiducia in me!” sorrisi.
“Infatti!” constatò lui.
“Diccelo!” mi pregò suo zio “Non abbiamo in mano niente Mar, sei la nostra unica speranza!”
Ma cosa pensava? Di farmi sciogliere come gelato al sole? Di impietosirmi? Avrei contrattato.
“Solo a delle condizioni …” esordii.
“TU VIENI IN CASA MIA A DETTAR LEGGE?” sbraitò improvvisamente fuori di sé Dave.
“No, non legge, si tratta di un contratto. Io ti do una cosa, tu in cambio me ne assicuri un'altra!” risposi con calma e semplicità.
“Non scenderò mai a patti con te!” sbottò orgoglioso “Sei una persona meschina, continui ad essere così anche dopo aver incontrato il mio sguardo perché questa è la tua vera e pura natura!”
“Può darsi!” feci spallucce “Ma senza patto io non vi aiuterò!”
“Dave, ti prego!” gli disse lo zio mettendogli entrambe le mani sulle spalle. Il ragazzo alzò lo sguardo su di lui.
“Almeno ascolta cosa ti propone!” continuò.
Dave si limitò a concentrare il suo sguardo su di me senza aprir bocca. Lo presi come un invito a continuare.
“Vi darò un nome, un luogo, un giorno e un viso!” dissi con semplicità.
“In cambio chiedo che, qualsiasi cosa accada, ovvero sia essa un successo o un insuccesso, io non ho niente a che fare con questa storia. Noi non ci siamo mai incontrati, chiaro?” prima di tutto dovevo tutelarmi.
“Tutto qui?” domandò scettico Dave.
“Tutto qui!” confermai, contenta e soddisfatta per averlo stupito.
“E io mi dovrei fidare di lei?” disse indicandomi con scetticismo e rivolgendosi allo zio.
“Abbiamo un’alternativa?” rispose lui.
“Avete un’alternativa?” ribadii io divertita. Dave mi fulminò nuovamente con lo sguardo.
“E se fosse una trappola? Il tuo capo potrebbe sconfiggermi senza nemmeno muore un muscolo per venirmi a cercare perché tu mi porteresti direttamente da lui”.
“Non eri così sicuro di vincere?” domandai con il sorriso sempre più grande.
“Sì, ma …”
“Ma non ti fidi di me!” conclusi per lui. “Dave vestiti elegante e procurati un biglietto per il ballo annuale dei medici, perché quest’anno sei stato gentilmente invitato!”
Mi guardò come se fossi pazza.
“Cosa?”
“Svegliati Dave! Ti ho appena detto il luogo!” sorrisi soddisfatta del suo stupore.
“Abbiamo a che fare con un medico?” mi domandò sempre più sorpreso.
Annuì.
“Sabato sera!” continuai “Per quanto riguarda il nome …”
“Lo so già!” mi interruppe il ragazzo “Me l’ha detto tua madre, è Alan Black!”
Annuì nuovamente. Ormai non mi potevo più tirare indietro. Lo zio di Dave mi guardò come se avesse avuto un’illuminazione.
“Che lavoro hai detto che fa?” mi chiese. Ma che razza di domanda era?
“Il medico!” ribadii.
“Ma di preciso?”
“Lo psichiatra!” risposi. L’uomo rimase pensieroso.
“Fantastico, farà i suoi esperimenti sulla povera gente instabile!” disse disgustato Dave. Bingo. E bravo Dave, c’era arrivato.
“Non conosco nessun Alan Black che faccia lo psichiatra!” continuò lo zio ignorando le parole del nipote.
“E perché dovrebbe conoscerlo?” domandai senza capire il significato della sua affermazione.
“Perché anche io sono un medico e non conosco nessuno con quel nome che faccia quella professione!”
“Motivo in più per non fidarci!” sbottò Dave ancora poco convinto.
“Quindi anche lei ha il biglietto, vero?” domandai all’uomo ignorando quel ragazzo dagli occhi incredibilmente verdi.
“Sì, e non dovrebbe essere un grosso problema farlo avere anche a Dave!” rispose.
“Bene!” esultai.
“Bene!” mi imitò Dave storpiando fino all’inverosimile la mia voce. Sembrava proprio un bimbo dispettoso.
“E per quanto riguarda il volto?” mi domandò suo zio, che ormai non stava più nella pelle.
“Ve lo indicherò alla festa, ci sarò anche io!” sorrisi.
“Fantastico!” disse senza entusiasmo Dave.
“Però ho un’altra condizione!” aggiunsi.
“E ti pareva …” sbuffò Dave.
Mi alzai in piedi e mi avvicinai alla sua sedia sotto il suo sguardo stupito. Gli tesi la mano.
“Voglio una tregua!” asserii sicura.
“Tregua?” posò lo sguardo prima sulla mia mano e poi sui miei occhi.
“Sì, proviamo, non dico a essere amici, ma almeno a rispettarci!” confermai.
“E perché?” chiese perplesso, come se dietro tale richiesta ci fosse qualcos’altro.
“Perché Alan non è stupido. Tutto deve essere perfetto! Io e te dovremo far finta di non conoscerci, ma se tu ogni volta che ti sono vicina ti irrigidisci e inizia a sputare fuoco sarà difficile che creda realmente che io e te non ci siamo mai visti prima!” spiegai con semplicità.
“Non fa una piega!” constatò lo zio.
“Dovremo impegnarci in questi giorni che ci separano dal ballo a rispettarci così non ti verrà da contrarre la mascella in questo modo quando sei con me!” lo indicai divertita.
Lui mi riservò un altro sguardo pieno d’odio e poi tornò a fissare la mia mano.
“Tregua!” disse stringendola.
Sorrisi. Doveva essere tutto perfetto.
“Questo vuol dire che verrai?” chiesi speranzosa.
“Sì! Ma se solo mi viene il sospetto che sia una trappola mi occuperò personalmente di renderti la vita impossibile!” mi minacciò.
“Come se tu non lo stessi già facendo!” ridacchiai.
“Bene! Signore, è stato davvero un piacere conoscerla!” dissi tendendo la mano allo zio di Dave.
“Piacere mio!” rispose stringendo la mia mano sottile nella sua.
“Dave!” lo salutai con un cenno del capo e mi diressi verso l’uscita.
“Mar!” sentii la voce di quel fastidioso ragazzo richiamarmi e mi voltai in attesa di sapere cosa volesse dirmi.
“Nel caso non si tratti di una trappola … bè grazie!” sembrò quasi che avesse inghiottito una buona dose d’orgoglio per dire quelle poche parole. Sorrisi all’idea di avergli fatto piegare un po’ la testa e solo in quel momento realizzai di quanto lui si trovasse in alto mare nella sua ‘missione’. Almeno finchè non ero arrivata io. Solo quello l’aveva spinto ad ingoiare l’orgoglio, una grande riconoscenza.
“Prego!” urlai ormai nel vialetto.
Sorrisi felice. Marguerite Jones si stava rimettendo in carreggiata e i due esseri che detenevo il potere stavano per annientarsi a vicenda. L’unica vincitrice sarei stata io.


Quella settimana era stata breve, dopotutto già da metà di essa le lezioni erano terminate. Così me ne ero tornata a villaLux senza più vedere né Dave né suo zio da quel fatidico pomeriggio. La cosa non mi preoccupava più di tanto, dopotutto non è che mi importasse della loro vita, quello che contava era che avessero i mezzi per affrontare e battere il grande Alan Black. Fremevo solo all’idea. Quello che per me era sempre stato una specie di mito, un invincibile dio si stava tramutando in un essere come tutti gli altri, un essere comune, mentre io avrei preso il suo posto. Non mi sembrava vero e infatti stentavo a crederci, cercavo in tal modo di non illudermi e di tenere i piedi per terra, ma non mi veniva facile.
Trascorsi i pochi giorni che mi separavano dal ballo con uno spirito allegro, ma, la disfatta di Alan con la conseguente realizzazione del mio sogno di essere più forte di lui, non era l’unica cosa che mi faceva sorridere.
Pensare che anche il misero Dave avrebbe perso le sue facoltà mi esaltava, insomma potevo considerala una specie di vendetta indiretta.
Sarei stata l’unica in assoluto e il solo pensiero di ciò mi faceva sentire potente, come se il mondo si trovasse nelle mie mani e io lo osservassi dall’alto, come farebbe un sovrano.
Così avevo passato tutto il tempo per le strade uscendo e entrando senza posa dai negozi alla ricerca dell’abito adatto, avevo trascorso le serate nel solito modo, ovvero andando in discoteca e rimorchiando un paio di bei ragazzi, il tutto riuscendo a depistare Rob e infine i corridoi di villa lux si riempivano della mia voce perché avevo preso l’abitudine di cantare a squarcia gola le ultime canzoni. Per i miei coinquilini la situazione doveva essere insopportabile tanto è vero che Rob mi aveva minacciata di morte un paio di volte, mentre Alan era rimasto indifferente. Ma cosa ci potevo fare io se ero così felice? Non mi importava niente di infastidire gli altri, quando mi andava di fare una cosa la facevo e basta.
Il pomeriggio prima del ballo arrivò in un batter d’occhio in quel clima così gioioso e così mi ritrovai in camera mia con solo un asciugamano intorno al corpo mentre frugavo nell’armadio per estrarre il mio vestito.
“Mmm Mar, vieni così alla festa?” disse una voce bassa e sensuale alle mie spalle.
“Ti piacerebbe eh?” sorrisi.
“Sì dai!” rispose con finta noncuranza.
“Tanto lo so che lo desidereresti da morire!” mi voltai con sguardo sicuro e per poco non mi venne un colpo.
Rob era splendidamente fasciato da uno smoking blu scuro, sotto la giacca portava una camicia bianca come la neve. Il colore del completo si intonava perfettamente con le sue iridi azzurro cielo e i capelli color del fieno erano leggermente tirati in su grazie all’utilizzo sapiente della lacca.
Ma non mi venne un colpo per la sua innegabile bellezza, dopotutto non era una novità che Rob fosse bello, ma il problema era che lui non doveva essere vestito in quel modo perché solo io e Alan dovevamo andare alla festa. O almeno così credevo.
“Cos’è quello?” chiesi incerta indicando il suo abito.
“Uno smoking!” rispose con sicurezza.
“So cos’è!” ribattei leggermente irata “Ma perché lo indossi?”
“Ah! Non lo sai?” chiese assumendo un’espressione quantomeno compiaciuta.
Non aspettò la mia risposta e continuò “ Alan, giusto sta mattina, mi ha chiesto di venire … ha detto che per caso aveva un biglietto in più!” il suo sorriso quadruplicò, sapeva che per qualche ragione mi stava facendo un torto e questo lo rendeva felice.
“Cosa?” ero incredula. La presenza di Rob cambiava tutto. Non era difficile prevedere che mi sarebbe stato alle calcagna per tutto il tempo e la cosa mi infastidiva non poco, infatti non avrei potuto tranquillamente parlare con Dave, quantomeno per indicargli chi fosse Alan. Senza contare che Rob conosceva il viso di Dave e che sospettava di lui perché si era sentito strano quando aveva incontrato il suo sguardo. Accidenti, di male in peggio.
Avrei voluto prendere quella faccia da schiaffi che si ritrovava il biondino, illuminata da quel disgustoso sorriso soddisfatto e spaccarla contro un muro. Perché doveva sempre rovinare ogni mio piano?
“Hai capito bene!” confermò avvicinandosi a me.
“E’ uno scherzo vero?” sperai con tutto il cuore che fosse così.
“Perché? Ti dà così tanto fastidio la presenza di un bell’uomo come me?” ormai eravamo vicinissimi.
Risi.
“Bello?”
“Lo so che sono bello, Mar, è inutile che fai finta di niente!” era strafottente e sicuro di sé.
Mi morsi il labbro inferiore.
“Mai bello quanto lo sono io!” risposi utilizzando la mia voce sensuale.
“Non vale fare il paragone tra maschio e femmina, i canoni di bellezza sono del tutto differenti!” constatò con serietà.
“A sì?” sorridendo lasciai cadere al suolo l’asciugamano e in tal modo rivelai tutte le mie curve a Rob. Egli spalancò la bocca dalla quale cercò di far uscire una qualche parola, ma il risultato somigliò molto ad un grugnito animale.
“Che ti prende?” domanda retorica e sarcastica, la mia.
Lui provò a deglutire, ma a quanto pare gli risultava difficile, però era obbligato a farlo altrimenti la bava avrebbe raggiunto i suoi piedi. Esaminò ogni singolo centimetro del mio corpo con un’attenzione degna di un detective e con lo sguardo adorante che possiede una donna di fronte ad un diamante.
Sospirò e chiuse gli occhi.
“E tu pretendi …” iniziò a fatica “ … che dopo che ho visto tutto ciò io non ti tocchi?”
“Forse non pretendo nulla di tutto ciò!” sussurrai sensuale.
Lui continuò a mantenere serrate le palpebre, come se la visone del mio corpo nudo potesse corrodergli gli occhi. Probabilmente aveva maggior paura di non potersi concentrare.
“Stai dicendo che vuoi essere toccata?” lo chiese con voce un po’ incerta, dopotutto sapeva che ero solita mandarlo in bianco. Era più forte di me, mi divertivo così tanto!
“Forse!” sogghignai avvicinandomi e lasciandogli un lieve bacio sull’angolo della sua bocca. I suoi occhi azzurri si spalancarono e si persero nei miei, dopo di che le sue labbra si tuffarono affamate sulle mie, baciandole con passione.
Rimasi immobile cercando di non ricambiare il bacio, anche se dovevo ammettere che era piuttosto difficile perché ci sapeva fare parecchio bene.
Si scostò da me con sguardo interrogativo e io non potei fare a mano di scoppiare a ridere. Davvero aveva creduto che quella volta non l’avrei mandato in bianco? Che sciocco, mi divertivo troppo per non farlo!
“Dobbiamo prepararci!” dissi con semplicità allontanandomi e tornando ad immergermi nell’armadio.
“Questa me la paghi!” sentii sogghignare mentre usciva dalla mia camera chiudendosi la porta alle spalle.
Con rinnovato buonumore estrassi l’abito blu notte che avevo acquistato e in un batter d’occhio lo indossai. Mi ammirai nello specchio girando su me stessa e compiacendomi per quello che vedevano i miei occhi.
L’abito mi giungeva fino ai piedi, ma era fatto di una stoffa talmente tanto sottile da renderlo quasi trasparente, senza contare che un ampio spacco partiva dalla parte superiore di una coscia fino a raggiungere il suolo, rivelando così ad ogni passo le mie gambe nude.
Ero elegante e sexy senza essere volgare, ero la combinazione perfetta per una serata che doveva essere ancora più perfetta. In quel momento ero sicura che ce l’avrei fatta, che nonostante la presenza di Rob, la ‘missione’ sarebbe stata portata a termine, dopotutto Rob non sapeva che io conoscevo di vista Dave quindi avrei potuto dare a quest’ultimo tutte le indicazioni senza insospettire il biondo.
Sorrisi al mio riflesso e mi chinai per indossare le scarpe argentate dal tacco stratosferico.
Mi voltai per ammirare il retro e vidi che buona parte della schiena restava scoperta, quel tocco insieme alla scollatura mi avrebbe resa una calamita per gli occhi degli uomini.
Completai l’opera d’arte chiamata Mar con un trucco leggero e optai per lasciare i capelli sciolti lungo e le spalle, dopo di che indossai un lungo cappotto e mi precipitai fuori dalla stanza.
Giunsi all’ingresso dove Rob già attendeva. Quest’ultimo mi rivolse un occhiata che doveva sembrare minacciosa, ma risultò piuttosto languida, probabilmente ancora mi immaginava nuda. Sorrisi al pensiero, quanto erano volubili gli uomini!
Alan in quel momento scese le scale in tutta la sua maestosità, per l’occasione indossava un semplicissimo smoking nero abbinato ad una camicia nera, colore che si intonava alla perfezione con quell’abisso che erano i suoi occhi. Quella sera le sue iridi sembravano ancora più fatali dal momento che nessun paio di occhiali li celava.
“Agatha!” chiamò a gran voce.
La donna giunse a rallentatore dove ci trovavamo e Alan non potè fare a meno di sbuffare rumorosamente.
“E’ arrivata la macchina?” chiese senza gentilezza né grazia.
“Sissignore!” rispose meccanicamente lei.
“Bene!” l’uomo si diresse verso la porta e io lo seguì.
Mentre camminavamo per il lungo viale che attraversava il giardino per giungere ai cancelli mi affiancai a lui.
“E’ proprio necessaria la presenza di Robert?” tentai con una punta di dissenso.
“Sì!” rispose schietto.
“Sì!” ribadì sogghignando Rob che ormai ci aveva raggiunti.
Gli sorrisi cercando di celare il mio nervosismo.
“Bene!” ribattei.
Sorrisi compiaciuta quando vidi la bellissima ed elegante limousine nera che ci attendeva all’uscita di villalux con i motori accesi. Quando Alan faceva le cose, caspita se le faceva bene! come si poteva non ammirare un uomo così?
L’autista ci attendeva all’esterno della vettura e, non appena ci vide, aprì la portiera riservata ai passeggeri e io, naturalmente, fui la prima a salire.
Durante il breve viaggio rimanemmo in silenzio, un silenzio rotto soltanto da Rob che sorseggiava lo champagne sotto lo sguardo di disapprovazione di Alan. Chissà perché, ma avevo la sensazione che non fosse tanto contento della sua presenza, soprattutto perchè, da come lo guardava, sembrava che lo reputasse indegno, ma d’altra parte vi era in Alan una sorta di cupa rassegnazione a portarselo con sé.
Mah, quello era l’uomo più incomprensibile del pianeta, infatti i suoi sentimenti, sempre ammesso che ne possedesse, erano ermeticamente chiusi all’interno di non so quale suo organo. Era impossibile che essi sfuggissero al suo controllo, in altre parole!
Quando arrivammo l’autista scese per aprirci la portiera ed io finalmente uscii nell’aria frizzantina della sera. Il mio sguardo si illuminò di fronte a quella vista spettacolare. Dinnanzi a me sorgeva e si stagliava verso il cielo nero un’enorme villa, o per meglio dire, reggia, preceduta da un giardino illuminato da migliaia di lucine. Sembrava che tutte le luminarie che abbelliscono le città nel periodo natalizio fossero tutte concentrate in quelle poche decine di metri cubi. File e file di persone elegantemente vestite giungevano e la musica proveniente dall’edificio e il vociare di tutti quei medici faceva da sottofondo ad ogni movimento.
L’atmosfera era quasi fiabesca, sembrava il gran ballo al quale aveva partecipato cenerentola. Non che io fossi affascinata da tale storia, la prospettiva dell’amore istantaneo e romantico mi disgustava, ma ero affascinata dallo sfarzo che non era altro che una dimostrazione e esaltazione del potere.
Anche Alan viveva nello sfarzo e presto anche io.
Sorrisi seguendo il mio mentore lungo il viale che portava all’entrata della lussuosa villa.
Sul portone un uomo in uniforme rossa ci chiese chi fossimo.
“Alan Black e i suoi assistenti Robert Swish e Marguerite Jones!” sorrise Alan al portiere.
Quest’ultimo sfogliò rapidamente una serie di fogli che aveva in mano e alla fine alzò lo sguardo sorridendo.
“Prego entrate pure e buona serata!”. Alan gli fece un cenno cortese e io, passandogli avanti gli feci l’occhiolino. Vidi il portiere arrossire e seguire il mio percorso finchè non gli fu più impossibile vedermi, solo allora ridacchiai comprendoni le labbra con il palmo della mano.
“Smettila Mar!” mi guardò glaciale Alan. Incredibile, in lui non vi era nemmeno l’ombra dell’uomo che era stato circa 10 secondi prima, ovvero quello gentile ed educato che si era rivolto con cortesia all’autista ed al portiere. Era davvero un attore dal talento immenso, era impossibile che non ne rimanessi affascinata e ammirata.
“Sissignore!” scherzai facendogli il saluto militare. Alan mi ignorò e iniziò ad immergersi nella folla che angustiava lo stretto corridoio che si apriva all’entrata.
Lo seguii e finalmente entrai nella sala più grande che avessi mai visto. Essa era interamente illuminata e sfarzosa, circolare ai cui lati si stagliavano due rampe di scale marmoree che seguivano l’andamento delle pareti rotondeggianti della stanza. Verrebbe da pensare che per la sua forma si trattasse di una stanza esigua, invece era l’esatto contrario, nemmeno il gran numero di persone che l’affollava riusciva a farla sembrare piccola.
Alan proseguì verso la rampa di scale sulla destra, al centro della quale vi era un soffice tappeto rosso che percorreva le scale in tutta la loro lunghezza. Il piano di sopra era più esiguo, ma non in maniera eccessiva. Da esso era possibile osservare la sala sottostante perché era come se si trattasse di un enorme balconata. Sembrava di essere sugli spalti alti di un teatro. A quell’altezza potei notare da vicino lo sfarzoso lampadario di cristallo che troneggiava sulla stanza e non potei fare a meno che rimanerne abbagliata, mentre i riflessi che provenivano da esso andavano ad infrangersi sui volti dei presenti. Era uno spettacolo!
“Lì c’è il buffet!” ci informò Alan indicandoci i chilometrici tavoli che si trovavano nel lato interno della balconata.
“Prima vi devo far conoscere qualche persona, confido nel vostro buon senso che vi porterà sicuramente a comportarvi come persone civili e ben educate, senz’ombra di doti particolari, dopo di che potete mangiare e godervi la festa, cercate di conoscere il maggior numero di persone possibili e non mettetevi in mostra, siate normali!” ordinò repentino.
Annuimmo. Non approvavo affatto che Alan mi potesse ordinare con una tale noncuranza cosa dovessi o non dovessi fare, insomma avevo una testa e potevo decidere anche da sola!
Sorrisi amara di fronte alla consapevolezza che era Alan, da sempre, a decidere cosa gli altri dovessero pensare, a partire da me e da Rob, i prima ai quali aveva inculcato il suo credo.
Un cameriere passò accanto a noi con un vassoio ricco di bicchieri che dovevano sicuramente essere di cristallo, contenenti qualcosa che somigliava molto allo champagne. Rob se ne rese conto immediatamente e allungò la mano per afferrarne uno e Alan lo fulminò con lo sguardo.
“Quando avete e SE avete un bicchiere in mano …” iniziò quest’ultimo afferrando il bicchiere che Rob stava già portando alle sue labbra “ … deve essere sempre pieno, altrimenti gli altri potrebbero credere che siete degli ubriaconi o qualcosa del genere, ricordate che l’impressione è tutto!” detto questo, nel tono più glaciale possibile e senza staccare i suoi neri baratri dalle pupille azzurre di Rob, ingoiò d’un fiato tutto il contenuto del bicchiere. Rob spalancò la bocca stupito mentre io invece ridacchiavo.
Si vedeva che il biondo non era alla mia altezza, era centomila volte più stupido.
Alan sbuffò e ci fece cenno di seguirlo. Egli puntò verso un uomo decisamente sovrappeso e quasi completamente calvo che si stava letteralmente avventando sul buffet.
“Dottor Minski!” lo salutò cordialmente. L’uomo grasso alzò lo sguardo e, non appena capì chi era il suo interlocutore, si affrettò a pulirsi la mano con la quale doveva aver appena preso qualcosa usando come tovagliolo improvvisato il suo stesso vestito. Non riuscii a trattenere una smorfia, alzai lo sguardo in direzione di Alan, sicura che anche lui doveva aver provato un minimo di ribrezzo ma, con mio stupore, egli era impassibile, anzi guardava il dottore come se stesse facendo la cosa più naturale al mondo.
Era davvero il migliore attore in circolazione, la mi ammirazione era talmente tanta che sentii il mio petto quasi gonfiarsi di orgoglio per essere stata istruita e cresciuta da un uomo del suo calibro. Mi spaventai un attimo per quella nuova e inaspettata sensazione di orgoglio provata non nei miei confronti, ma in quelli di qualcun altro, era così nuovo per me.
“Dottor Black! Che piacere poterla rivedere di persona!” rispose il signor Minski con un forte accento russo porgendogli la mano appena ‘pulita’.
Alan gliela afferrò e gliela strinse con vigore.
“Loro sono i miei assistenti: la signorina Jones …” e fui costretta a tendergli la mano che goffamente strinse “… e il signor Swish!” ci presentò Alan.
“Addirittura due assistenti! Credevo che lei fosse un tipo solitario, Mr Black!”
“So capire anche quando ne ho bisogno, però!” rispose Alan con semplicità.
L’uomo sorrise.
“E siete laureati?” si rivolse a noi.
Accidenti, cosa dovevo fare? Mentire o meno? Cercai gli occhi di Alan sperando che essi mi potessero fornire una risposta, ma quest’ultimi erano impassibili, dovevamo cavarcela da soli.
“Studiamo!” sorrisi.
“Oh! Siete ancora studenti!” constatò un po’ sorpreso il dottor Minski.
“Ma che studenti, signore!” ribattei, potevo anche essere una studentessa, ma ero in grado di costringerlo a fargli ballare la macarena se solo avessi voluto.
“Interessante, come mai questa scelta, dottor Black?”
“Menti giovani e fresche servono per questo lavoro, menti che ancora possono essere modellate!” rispose Alan.
Mi bloccai al suono di tali parole. Ecco cosa aveva fatto a noi quell’uomo che ci aveva cresciuti. Ci aveva prelevati dalle nostre famiglie quando ancora eravamo dei bambini, piccole creature che possedevano una mente malleabile come il pongo. Egli ci ha modellati esattamente come farebbe uno scultore con delle statue, ma a quale scopo? Era la prima volta in assoluto che me lo domandavo. Mi era sempre sembrato logico e naturale possedere quella vita e quelle ideologie, ma in quel preciso istante nulla appariva più scontato. Perché Alan aveva deciso di modellarci? Eravamo pur sempre una limitazione, un peso alla sua libertà, eppure eravamo lì. Perché?
Persa nei miei pensieri non mi resi conto che mi era stata posta una domanda.
“Mi scusi?” chiesi.
Alan mi fulminò con lo sguardo come per ammonirmi a non distrarmi più in quel modo, rabbrividii di fronte a quegli occhi neri come la pece.
“Non importa!” mi liquidò semplicemente il russo. Che razza di faccia tosta. Ma chi si credeva di essere quel tipo? Si atteggiava ad essere superiore solo perché possedeva una laurea e qualche migliaio di chili in più di me. Strinsi i pugni consapevole che non avrei potuto fare niente.
“Dottor Minski, ho trovato particolarmente interessanti i suoi ultimi studi sulla mante umana, solo che mi chiedevo se non potesse spiegarmi meglio alcuni passaggi.”
Il dottore si illuminò e iniziò a blaterare di psiche, Io, Superio utilizzando altri termini a me incomprensibili. Rimasi a fianco di Alan e Rob per tutta la durata di quel noioso soliloquio.
Iniziai a mordermi le labbra guardandomi attorno e mi accorsi, con la coda dell’occhio, che il russo mi lanciava occhiate veloci nella speranza che io non me ne accorgessi, in queste fugaci occhiate prestava attenzione elle mie spalle scoperte e alla mia scollatura. Alzai gli occhi al cielo: possibile che al mondo non esistesse nemmeno un uomo serio accidenti? Erano tutti persi a correre dietro alle scollature e alle gambe di noi donne. Per fortuna! Questo rappresentava un nostro punto di forza, in particolare, un MIO punto di forza.
Mentre di nuovo mi lanciava un’occhiata languida fui abile nell’incrociare i suoi occhi. Egli si bloccò e parve incapace di distogliere lo sguardo dal mio sorrisi perché smise pure di parlare.
Gli feci l’occhiolino e poi distolsi lo sguardo lasciandolo libero. Sorrisi soddisfatta, ma nel farlo mi voltai verso Alan che mi rivolgeva uno sguardo omicida. Piccoli brividi mi percorsero la schiena fino a raggiungere l’attaccatura dei capelli, era come se sentissi realmente del freddo.
Non mi aveva mai guardata con tale odio e io non riuscivo a sostenere le sue pupille, ma non ero nemmeno abbastanza vigliacca da scostare lo sguardo.
Fu lui a voltarsi e a tornare a rivolgere la sua attenzione al dottore. Sospirai come se un enorme peso mi fosse stato tolto di dosso.
Passammo l’ora successiva a conoscere persone su persone, tutti medici importanti, Alan non mi rivolse più né uno sguardo e né una parola.
“Abbiamo finito!” ci informò atono e, sia io che Rob, tirammo un sospiro di sollievo.
“Divertitevi!”
Rob sorrise e si fiondò sul buffet mentre io scesi le scale, dovevo cercare Dave. Con la coda dell’occhio vidi Alan che si affacciava alla balconata e si metteva a fissare le persone che ballavano o chiacchieravano nella stanza. Il vociare era piacevole e non fastidioso e la musica era dolce, non eccessivamente alta né bassa. Era l’atmosfera ideale per rilassarsi, eppure Alan era terribilmente teso. Lo capivo da come i muscoli degli avambracci, leggermente visibili a causa del fatto che poggiandoli alla balaustra della balconata la giacca si era un po’ tirata su in corrispondenza delle maniche, erano leggermente tesi, così come notavo che stringeva la mascella. Chissà cosa gli passava per la testa.
Ad un certo punto vidi che assumeva un’espressione mutevole e particolare. All’inizio aveva sbarrato gli occhi come se fosse stato sorpreso, poi aveva stretto il pugno e nei suoi occhi l’odio era divampato e, infine, un sorriso freddo e crudele si era dipinto sul suo volto. Rabbrividii al solo vederlo da lontano. Forse era più terrorizzante quell’espressione rispetto allo sguardo glaciale che mi aveva rivolto qualche decina di minuti prima. Distolsi lo sguardo e ripresi al mia discesa.
Giunta al piano terra notai che il numero di persone presenti in sala era notevolmente aumentato. Ancora non si soffocava solo grazie alle austere dimensioni della stanza. Feci un paio di passi quando mi sentii posare dolcemente una mano sulla spalla.
Mi voltai con un’espressione di stupore dipinta sul volto e incontrai un paio di splendidi occhi verdi.
Cercai di dire qualcosa di tagliente riferito magari al fatto che non si era fatto vivo prima o che stava malissimo conciato in quel modo, ma stranamente la mia mente era a corto di insulti, era invece riempita dall’immagine di un bellissimo ragazzo che portava con grazia e perfezione degna di un dio greco uno smoking nero, con abbinata una camicia bianca ed una cravatta nera anch’essa.
Forse smisi di respirare. Dire che il suo fascino era triplicato con addosso quel vestito elegante sarebbe stato un eufemismo. Deglutii mentre gli ormoni iniziavano ad andare in circolo.
Mi maledii odiando che in quel momento io lo trovassi dannatamente attraente e così cercai di ignorare l’istinto che mi diceva di cercare disperatamente l’angolo più buio per appartarci. Dannazione, quello che avevo davanti era Dave Sullivan, il ragazzo che avevo maggiormente odiato in tutta la mia vita. Era stato quasi la causa della mia rovina, ma per fortuna io ero stata più forte.
Così ci ritrovammo lì, l’uno dinnanzi all’altra alla distanza di un passo. Ci fronteggiavamo senza dirci una parola, solo fissandoci negli occhi. Nero e verde. Un mix terribilmente imperfetto.
Lui mosse una mano verso il mio braccio che era disteso lungo il mio fianco, mi afferrò la mano e la prese con dolcezza tra il pollice e il palmo poi, senza staccare quegli occhi ipnotici dai miei, la avvicinò alla sua bocca, il tutto con estrema lentezza. Trattenni il respiro affascinata dalla grazia dei suoi gesti. Egli posò il naso sul dorso della mia mano dopo di che la lasciò andare senza mai abbandonare le mie iridi.
L’interruzione di quel contatto favorì la mia ripresa di coscienza, fortunatamente, così mi riappropriai quasi con gelosia del mio arto portandomelo al petto, come se avessi dovuto difenderlo da chissà quale pericolo.
“Ma non si dovrebbe baciare la mano alle signorine?” constatai sfoggiando il mio solito ghigno e marcando col tono della voce la parola ‘baciare’.
“No!” rispose con semplicità lanciandosi un’occhiata attorno “E’ maleducazione! Bisogna fingere di baciarla, già il solo avvicinare il viso alla mano rappresenta una forma di rispetto, baciarla sarebbe da villani, insomma cosa faresti se uno comelui ti baciasse la mano?” così dicendo indicò un uomo leggermente gobbo e scheletrico. Disgustoso.
Arricciai il naso.
“Ok, Mr galateo, messaggio ricevuto!”
Egli sorrise soddisfatto, poi mi offrii la mano. Feci saettare lo sguardo dal suo arto in attesa al suo viso e viceversa. Poi feci una smorfia intuendo quello che voleva chiedermi.
“Io non ballo questi lenti!” esclamai schifata. In realtà non si trattava di veri e propri lenti, insomma non c’era musica classica, ma nemmeno musica di discoteca.
“E il signor Black non si insospettirà a vedere che la sua Mar parla con uno sconosciuto, così senza nemmeno ballarci?”
Il suo discorso non faceva una piega, più cose scontate facevamo, più saremmo passati inosservati. Con tale consapevolezza alzai gli occhi al cielo e sbuffai dopo di che gli porsi la mano.
“Vedo che a volte sei in grado di usare il buon senso anche tu!” constatò lui con un tono leggermente tagliente.
Mi tirò leggermente con la mano sulla quale era posata la mia verso di sé, così in men che non si dica mi ritrovai con le sue dita che mi sforavano il fianco.
“Io uso SEMPRE il buonsenso!” ribattei acida.
“Non mi è sembrato!” constatò con semplicità.
In attimo ci ritrovammo immersi nella folla di persone che volteggiavano accanto a noi. Posai quasi con ribrezzo la mano sulla schiena di Dave, almeno per dare l’illusione che stessimo realmente ballando.
Il mio tocco era lieve, quasi gli sfioravo unicamente la camicia senza osare poggiare del tutto il mio arto al suo corpo.
“Questo perché sei uno sciocco!” fu la mia risposta.
Lui fece un mezzo sorriso e alzò gli occhi al cielo con un misto di divertimento e rassegnazione, dopo di che cercò il mio polso poggiato sulla sua schiena, lo prese tra le dita e con convinzione costrinse il mio palmo ad aderire completamente al suo corpo. Sospirai infastidita.
“Non mordo mica!” mi sorrise.
“Non ne dubitavo!” sbottai.
“Ti faccio talmente tanto ribrezzo da non voler nemmeno poggiare la tua manina da principessina …” nel dire ciò adotto una vocetta stridula a irreale nel vano tentativo di simulare la mia “… sulla mia schiena? Insomma Mar, avevamo detto tregua! E io ci sto provando, insomma sto ballando con al donna più stronza e odiosa del pianeta, potresti fare uno sforzo anche tu, no?”.
Lo fulminai con lo sguardo cercando di reprimere la voglia che avevo di tirargli una ginocchiata nelle parti basse. Simulai un sorriso.
“Attento a quello che dici, Davuccio, il nostro accordo potrebbe saltare e tu …” il mio sorriso divenne un ghigno “… potresti finire in mano al leone per un’isolita e del tutto inspiegabile …” continuai sarcastica “… circostanza!”
Egli digrignò i denti e mi lanciò uno dei suoi soliti sguardi colmi d’ira repressa.
“Sei una stronza!” sbottò.
“Lo so, grazie!” ghignai.
“Dov’è tuo zio?” gli chiesi. Tra i due, indubbiamente, preferivo la compagnia del più anziano.
“E’ andato via!” ribattè mentre staccò la mano dal mio fianco per farmi fare un giro.
“Andato via?” domandai sorpresa quando ritornai tra le sue braccia.
Lui si limitò ad annuire.
“Come sarebbe a dire che se n’è andato via?” ero incredula e non comprendevo le ragioni per le quali aveva compiuto tale gesto.
Lui mi guardò come se fossi scema prima di rispondermi con noncuranza.
“Sarebbe a dire che è entrato, si è guardato in giro, ha salutato un paio di colleghi e se n’è andato!”
Alzai un sopracciglio.
“E perché?”
Lui sorrise.
“Ma come sei curiosa!” mi canzonò.
“Se ti dà fastidio dirmelo puoi anche cucirti la boccaccia!” ribattei.
“La verità è che non lo so perché. Probabilmente si era dimenticato di fare qualcosa, aveva una tale fretta!” riflettè ad alta voce.
“Mah, sarà …” che uomo strano, degno del nipote che aveva.
“LUI dov’è?” domandò Dave facendosi improvvisamente molto più serio. Sentii i suoi muscoli divenire più rigidi segno che era agitato per l’imminente incontro, anche se faceva di tutto per non farmelo notare.
L’ultima volta che l’avevo visto era sulla balconata, ma poteva benissimo aver cambiato posizione.
“Fammi fare il casquè!” gli ordinai repentina.
“Perché?” domandò disorientato dalla mia richiesta.
“Fallo e basta!”
Sospirò e mi fece piegare all’indietro sulla schiena. Così mi ritrovai a fissare il soffitto e in particolare a vedere tutte le persone affacciate alla balconata. Cercai rapidamente la figura in nero di Alan. Lo individuai mentre chiacchierava amabilmente con un paio di signori di mezz’età. Proprio in quel momento Dave mi fece riprendere la mia posizione eretta guardandomi con un grosso punto interrogativo stampato in faccia.
“Ti vergogni se ti faccio fare io il casquè?” gli domandai. Lui mi guardò come se fossi totalmente pazza.
“Ci sei o ci fai?” fu la sua stupida domanda. Alzai gli occhi al cielo sbuffando per lamentarmi della sua limitata perspicacia.
“Alan è sulla balconata, a ore undici dalla tua posizione!” mi limitai a informarlo.
“A ore undici? Ma mi hai preso per una specie di agente? Cosa vuol dire ‘a ore undici’?”
Mi spazientii.
“Che è quasi alle tue spalle!” era ovvio dopotutto.
“Non ti voltare!” lo bloccai mentre lui, involontariamente stava portando lo sguardo alle sue spalle.
“Lo faccio venire giù io!” mi offrii, dopotutto non rischiavo nulla nel fargli scendere delle scale per portarlo da Dave.
Quest’ultimo fece un profondo respiro come se questo potesse essergli utile per calmarsi. Si vedeva lontano un miglio che era teso, anzi, tesissimo. Avrei voluto dirgli qualcosa per dargli coraggio, soprattutto perché se l’avesse incontrato in quello stato Alan si sarebbe accorto immediatamente che qualcosa non andava. Il problema è che ero negata per le frasi di incoraggiamento, completamente.
“Mi presterebbe la dama?” una voce fin troppo conosciuta giunse alle mie spalle. Mi voltai e incontrai il sorriso luminoso di Rob. Dannazione, chissà perché arrivava sempre nei momenti meno opportuni. Cercai di non fulminarlo con lo sguardo, soprattutto per non fargli capire che io e Dave stavamo parlando di una cosa importante, ma gli istinti omicida più vari si erano impossessati di me.
Dave fu colto alla sprovvista e guardò con curiosità Rob, probabilmente domandandosi chi fosse.
“Certo!” rispose poi con gentilezza lasciando andare la mia mano e lanciandomi uno sguardo d’intesa.
Mi voltai controvoglia verso Rob che immediatamente mi afferrò e mi face volteggiare.
“Che vuoi?” non potei fare a meno di aggredirlo, dopotutto quella serata era terribilmente importante anche per me.
“Ma come, Mar! Io ti salvo e tu mi ripaghi trattandomi male?” si finse offeso quando in realtà si vedeva che era terribilmente divertito.
“Mi salvi?” finsi di non capire di cosa parlasse, ma in realtà avevo perfettamente compreso. L’aveva riconosciuto.
“Sai chi è quello?” mi chiese assumendo un’aria da sapientone.
“Il ragazzo più carino della festa?” tentai.
“E’ il ragazzo con il quale ho visto Emily!” esclamò soddisfatto di fornirmi una preziosissima informazione. “E allora?” finsi disinteresse.
“E’ il ragazzo con lo sguardo strano!”sottolineò l’ultima parola col tono della voce.
Sbarrai gli occhi fingendo meraviglia.
“Secondo me non è pericoloso!” dissi poi con convinzione.
“E cosa te lo fa credere?” Rob era scettico.
“Forse il fatto che è da mezz’ora che ballo con lui e ancora non ho subito mutamenti di alcun genere?” gli risposi come se fosse ovvio.
Lui si avvicinò con uno sguardo famelico.
“Provamelo!” sussurrò a due centimetri dalle mie labbra.
Sorrisi, che sciocco. Incontrai i suoi occhi celesti e mi focalizzai su di lui.
Allontanati!’ gli ordinai. Immediatamente si allontanò da me con lo stupore sul volto. Sapevo che gli dava fastidio essere costretto a obbedire ai miei ordini così sorrisi ancora di più.
“Convinto ora?” domandai soddisfatta. Lui annuì imbronciato per ciò che avevo appena fatto.
“Comunque vado a chiamare Alan così almeno gli dà un’occhiata lui, vediamo che ne pensa!” proposi.
“Ok!” concordò lui ancora un po’ infastidito. Mi liberai delle sue braccia e mi allontanai.
“Vai già?” mi sorrise malizioso come ad invitarmi a rimanere ancora un po’ con lui.
Ghignai. “Devo salutarlo, dopo che tu e Alan avrete finito di esaminarlo non voglio che mi mandi in bianco!” mi inventai.
“La solita!” rise Rob. Mi diressi così verso Dave.
“Chi era quello?” mi aggredii quest’ultimo non appena fui a portata d’orecchio.
“Nessuno!” risposi repentina.
“Era il tuo ragazzo?” sbottò circondando il mio braccio con al sua mano, costringendomi a guardarlo, dal momento che stavo perlustrando la balconata per accertarmi che Alan fosse ancora lì.
“Aahahahaha!” risi divertita “Non potrei mai avere un SOLO ragazzo, che noia!” ghignai.
Mi rivolse un’espressione di puro disgusto, ma nonostante il suo viso fosse storpiato in quel modo mi ritrovai a pensare a quanto fossero belli i suoi tratti. Se non si fosse trattato di Dave Sullivan probabilmente lo avrei davvero reputato il ragazzo più carino della festa. La sua identità cambiava tutto.
Mi sarebbe piaciuto sfilargli quella cravatta così ben ordinata e lanciarla lontano, per poi proseguire sbottonando uno ad uno i bottoni di quella camicia, che mi separavano, malefici, dal suo petto perfetto. Ma l’odio che provavo per lui mi portava a provare una punta di ribrezzo per tali istinti primordiali.
“Chi è?” ripetè sempre più serio e aumentando sempre di più la presa sul mio braccio.
Mi liberai della sua stretta con poca grazia.
“Nessuno!” ribadii “Vado a cercare Alan!” aggiunsi lanciandogli uno sguardo di puro odio e sparendo tra la folla.
Il numero di persone era talmente aumentato da rendermi difficile raggiungere la rampa di scale che portava ala balconata, fu così che mi ci vollero diversi minuti. Mentre salivo guardai distrattamente la sala sotto di me quando un particolare attirò la mia attenzione.
Due ragazzi, uno dai capelli ribelli e neri come la pece e l’altro biondo, chiacchieravano, apparentemente in tono amichevole.
Dannazione. Dave non doveva sapere che ce n’erano altri come me, lui pensava che con Caren e me aveva esaurito le persone da mutare, non sapeva dell’esistenza di Rob, né doveva saperla. Primo tra tutti perché in tal modo avevo un vantaggio su di lui se nel caso avesse voluto mettermi i bastoni tra le ruote quando sarei stata l’unica in possesso del potere e, in secondo luogo, perché Rob sospettava di lui. Questa loro conversazione poteva far fallire il piano e conferire ad Alan la possibilità di difendersi. Dannati Rob e Dave.
Invertii il mio senso di marcia dirigendomi verso i due ragazzi. Ero decisamente infuriata, ma cercai di calmarmi prima di giungere dove erano loro.
“Dave !” lo chiamai fingendo gentilezza. Rob si illuminò e, purtroppo, capii solo un istante troppo tardi del perché aveva assunto quell’espressione. Inconsciamente gli avevo fornito il nome di colui di cui ancora lui sospettava. Mi maledissi e mi morsi la lingua.
“Vieni con me?” lo guardai languidamente e nel parlare usai la voce più sensuale che fossi in grado di fare.
Dave mi guardò senza comprendere la motivazione per la quale avevo usato quel tono. A volte mi stupivo della stupidità di quel ragazzo.
Annuì impercettibilmente, non sapendo bene così altro dire e si limitò a lanciarmi uno sguardo pieno di interrogativi.
“Alan?” domandò Rob.
“Arriva dopo!” mi inventai trascinando Dave con me. Rob mi lanciò un’occhiata sospettosa e io gli feci l’occhiolino per fargli credere che l’unico interesse che avessi nei confronti di Dave fosse quello di portarmelo nel bagno più vicino. E anche per fargli capire che ero tranquilla e che lui non rappresentava alcun pericolo. Rob aveva lo sguardo carico di disapprovazione.
“Che diavolo avevi intenzione di fare Dave?” lo aggredii non appena raggiungemmo un angolo abbastanza buio sotto la scalinata.
“Che diavolo cercavi di fare tu! Perché non mi hai detto che era anche lui ‘della famiglia’?” il suo tono era accusatorio e irato.
“Era necessario? E poi da cosa l’hai capito?” mi riscaldai a mia volta.
“Gli occhi non mi possono mentire!” rispose con semplicità.
Accidenti, mi ero dimenticata che lui era esattamente come Alan.
“Hai usato i tuoi poteri per cambiarlo?” domandai in certa se voler davvero avere una risposta.
“Stavo per farlo, ma poi sei arrivata tu e hai rovinato tutto!” il suo tono era tagliente.
“COSA?” ero a dir poco incredula “Rob, quel ragazzo, sospetta di te da quando per sbaglio ha incrociato il tuo sguardo la settimana scorsa! Ha capito che c’era qualcosa in te da cui si doveva mettere in guardia e, sicuramente prima gli hai dato la conferma! Cazzo! Ho cercato di convincerlo che tu non eri pericoloso, che non eri quello che lui credeva e tu hai rovinato tutto così!”
Strinsi i pugni maledicendo Dave e la sua stupidità.
“Forse per colpa tua Alan non ti guarderà negli occhi e non potremo portare a termine io per il quale siamo qua! Senza contare che potrebbero sospettare della mia complicità!” lo fulminai con lo sguardo.
Vidi che era seriamente dispiaciuto e sorpreso per non essersi accorto del guaio in cui si andava a cacciare semplicemente rivolgendo la parola a Rob.
“Se tu mi avessi detto che quel ragazzo era come te, non avrei compiuto un tale errore!” cercò di difendersi.
“Perfetto, adesso è colpa mia!” sbottai innervosendomi ancora di più.
Sbuffai e mi appoggiai al muro guardando oltre la spalla di Dave. Fu in quel momento che vidi Rob fissarci con interesse, come se avesse voluto captare tutte le cose che ci stavamo dicendo. Fortunatamente era abbastanza lontano per poter sentire, ma il suo sguardo incuriosito e indagatore non mi convinceva affatto.
“Dannazione!” imprecai.
“Cosa?” chiese quasi con disperazione Dave. Per colpa sua, il piano poteva saltare del tutto, un piano che prima era perfetto lui l’aveva reso un vero buco nell’acqua. Dopotutto si capiva che non era scaltro e calcolatore come me, Rob e Alan, non era all’altezza eppure mi aveva battuta. Quello sì che era un mistero.
“Rob ci sta guardando!”
C’era un’unica soluzione possibile per dare ancora una chances al nostro piano, ovvero dovevo continuare a fargli credere che Dave non era pericoloso per noi che io non avevo alcuna preoccupazione. Non sapevo a quanto sarebbe servito il mio tentativo di fronte agli occhi sospettosi di Rob, che per una volta in vita sua aveva fatto centro, ma tentar non nuoce, dicono.
Così catturai lo sguardo di Dave. Nero e verde. La combinazione peggiore che potesse esistere.
“Baciami!” gli ordinai.
Lui sbarrò lo sguardo sorpreso e alzò un sopracciglio incredulo.
Cosa?”.





Sì, lo so che è lunghissimo, ma se lo avessi stpato prima non avrebbe avuto molto senso e non sono nemmeno dovuta arrivare dove dovevo...
allora per il prossimo capitolo dovrete tenere a mente Alan che si arrabbia con Mar qundo lei fa l'occhiolino al russo e dovete riprendere le cose che vi avevo detto di ricordare alla fine del CAP 16 ...
saranno fondamentali!
Bene detto ciò ho bisgno di rivolgermi direttamente a voi lettori ... ho bisogno di sapere se questa storia vi piace o meno, ne ho bisogno perchè sò che è strana e vorei tanto che qualcuno mi desse delle dritte anche su come migliorarla! quindi vi chiedo d recensire e, se non vi va, di mandarmi un messaggio in privato!
Devo ringraziare quelle persone che non mi abbandonano mai!! grazie davvero!

a presto, spero di poter postare per la prossima domenica!
Daisy

Il vestito di Mar:

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Capitolo 20
*** CAP 19 ***


Punto della situazione: Mar ha ordinato a Dave di baciarla...
Ricordate: Alan che si arrabbia con Mar quando fa l'occhiolino al russo, Alan che guarda male Mar quando lei percepisce il libro e il loro incontro nello studio e il fatto che Alan chiede a lei di tentare la trances.
buona lettura!


CAP 19

Ma quanto era stupido quel ragazzo? Dopo la mia richiesta, per lui così insolita, mi fissò come se fossi impazzita.
“Cosa?” il suo tono di voce era leggermente più stridulo del normale. Possibile che gli facesse così impressione baciarmi? Nemmeno io morivo dalla voglia, dopotutto chi vorrebbe baciare l’essere più odioso del pianeta? Eppure era l’unico modo in assoluto per far capire a Rob, che ancora ci osservava incuriosito, che Dave era innocuo e che si trattava di un’altra delle mie tante conquiste.
Spazientita dal tono di Dave, lo presi per la camicia in corrispondenza della fila ordinata di bottoni e lo attirai verso di me. Lui non oppose resistenza completamente preso alla sprovvista, così potei con facilità poggiare le mie labbra sulle sue.
Lui, al solo tocco, si irrigidii il che mi fece innervosire maggiormente. Potevo accettare il suo odio perché mi reputava una persona cattiva, ma mi risultava inconcepibile credere che non provasse attrazione nei miei confronti.
Lanciai un’occhiata alle sue spalle e vidi Rob ridacchiare, sorrisi contro le labbra di Dave: il mio piano per depistarlo stava funzionando.
Il problema era che Dave non accennava a muoversi anzi, si limitava a fissarmi con gli occhi sbarrati, incapace di compiere alcuna mossa.
Così gli presi il labbro inferiore tra i denti e lo tirai verso di me leggermente. Il suo sguardo divenne ancora più incredulo e io feci un sorriso furbo. Doveva cedere!
Mi rituffai su quella bocca così odiata e passai la lingua su di essa, lentamente, in un modo che avrebbe esasperato qualunque essere maschile. Mi correggo, qualunque tranne, naturalmente, quel deficiente che stavo baciando.
Oramai le mie intenzioni erano oscurate dal nervosismo e dal fastidio che la sua mancanza di alcuna reazione aveva causato in me. Presa dalla rabbia gli morsi con forza il labbro inferiore, dopo di che mi staccai e lo guardai con un sorriso meschino e soddisfatto.
“Ahi!” protestò ancora più incredulo, portandosi ripetutamente una mano sulla bocca per vedere se il mio gesto gli aveva fatto uscire del sangue.
“Posso sapere quando ti deciderai a collaborare?” incrociai le braccia al petto e lo guardai con astio.
“Collaborare?” sbraitò irato continuando a controllarsi il labbro ‘ferito’. Poveretto! Quanto mi faceva pena!
“Deficiente, Rob ci sta guardando!” esclamai con ovvietà, dopotutto cosa c’era di difficile da capire?
“E allora tu mi baci?” chiese scettico.
“Lui deve credere che tu sia una delle mie tante conquiste, non uno che sto aiutando a sabotare Alan Black!” la mia voce era quasi un ringhio.
Fece una smorfia.
“E io dovrei baciare TE?” pronunciò l’ultima parola con un pizzico di stizza.
Mi iniziarono a prudere le mani. Come si permetteva a fare una faccia schifata? Ero bellissima, perfetta, sexy, femminile, come poteva fargli quasi impressione posare le sue labbra sulle mie?
“Fai come ti pare! Sono affari tuoi tanto!” sbottai. Stavo mandando all’aria il piano perché ormai era diventata una questione che riguardava il mio personale orgoglio. Si sarebbe dovuto sentire fortunato ad avere un’aiutante bella e intelligente come me.
Feci per andarmene quando lui mi afferrò per un polso.
“Non posso permetterti di mandare all’aria questa serata!” la voce era bassa, quasi sensuale.
Senza darmi il tempo per ribattere si avventò sulla mia bocca.
Iniziò a succhiarmi il labbro inferiore e, quella volta, fu il mio turno a non reagire. Ero stata del tutto presa alla sprovvista. Ma la mia sorpresa durò pochi secondi perché, dal momento che era decisamente bravo in quello che stava facendo, gli ormoni non tardarono ad entrare in circolo.
Mi avvinghiai a lui gettandogli le braccia al collo e lui fece aderire ancora di più il mio corpo al suo mettendomi le mani forti sui fianchi e tirandomi verso di sé.
Lui mi leccò il labbro inferiore così come avevo fatto prima con lui e io ne approfittai per socchiudere la bocca per far si che le nostre lingue potessero entrare in contatto. Lui, con mia enorme sorpresa, accettò il mio silenzioso invito immediatamente.
Le nostre bocche si muovevano al ritmo di musica regalandomi brividi di piacere. Il respiro si faceva sempre più corto e ansimante.
Iniziò a stringere sempre maggiormente la presa sui miei fianchi e potei sentire, con mio stupore enorme, che era realmente eccitato anche lui. Non l’avrei mai detto, credevo fosse incapace di eccitarsi dal momento che aveva resistito egregiamente al mio fascino.
Affondai le mani nei suoi capelli e avvicinai maggiormente il suo viso al mio. Sentivo il suo respiro solleticarmi il collo e ciò mi faceva impazzire maggiormente, ormai il mio corpo si muoveva da solo e la mia mente era altrove.
Ci staccammo per una frazione di secondo entrambi ansanti e con gli sguardi languidi.
In un barlume di lucidità guardai oltre le sue spalle e scoprii con piacere che Rob era sparito, non c’era dunque più una ragione valida per continuare quel bacio.
Certo, non c’era ragione valida a parte il fatto che baciarlo era terribilmente eccitante e risvegliava i miei istinti più animali. Guardai le sue labbra che avevo scoperto essere così belle da mordere e da succhiare. Erano dolci, morbide e calde, tre qualità che mi facevano impazzire. Così presi la mia decisione, o meglio, i miei ormoni la presero per me.
“Bagno?” chiesi a mezza voce.
Lui, in tutta risposta si rituffò sulla mia bocca provocando una nuova disconnessione del mio cervello. Senza mai staccarci ci muovemmo, io sempre con le spalle contro il verso una meta a me sconosciuta. Dopo pochi secondi lo sentii aprire una porta e portarmi oltre ad essa, dopo di che la richiuse. Si staccò per una frazione di secondo ed io potei guardarmi attorno.
“Bagno!” sospirò lui prima di farmi ri immergere in quel dolce vortice di piacere. Mi spinse contro di sé e mi sollevò di peso facendomi sedere sul lavandino.
Il mio fiato era sempre più corto e ci mancava poco che lo supplicassi di farmi sua. Lui con sempre maggiore foga si posizionò tra le mie gambe e fece scorrere la mano a palmo aperto lungo tutto il mio fianco fino a raggiungere la schiene nuda. Proseguì l’esplorazione portando l’altra mano sul mio seno e massaggiandolo con passione.
Un gemito mi sfuggì dalle labbra, chiusi gli occhi e buttai la testa indietro mostrandogli il mio collo. Lui si fiondò su di esso iniziando a leccarlo e a morderlo e facendomi ansimare sempre di più.
Poi fu un attimo, alzò gli occhi smeraldo per incontrare i miei e, nel farlo, il mio sguardo cadde oltre la porta del bagno che aveva una finestra di vetro e vidi Alan e Rob incamminarsi verso di noi, entrambi con espressione seria.
Non ci avevano ancora visti, ma se saremmo ancora rimasti lì un secondo in più sicuramente si sarebbero accorti della nostra presenza e un Dave ansimante ed eccitato non sarebbe riuscito a compiere l’obbiettivo per il quale era lì. Quello non era affatto il momento giusto, non poteva affrontare Alan.
“Merda!” esclamai ancora un po’ intontita dall’intimo contatto son Dave.
Quest’ultimo mi guardò senza capire e io, senza convenevoli, lo presi per il polso e lo trascinai nel prima cabina-bagno vicina. Entrammo velocemente.
Proprio in quel momento sentii la porta aprirsi e poco dopo richiudersi, trattenni il respiro e scandii con il labiale a Dave chi erano le due persone appena entrate. Lui assunse lo sguardo di chi ha compreso e sembrò agitarsi un po’.
“Mar era con quel tizio di cui ti parlavo, quello dallo sguardo strano! Si chiama Dave. Ma lei non crede che sia pericoloso!” Rob aveva iniziato immediatamente a parlare.
“Non ora Robert! Ti ho fatto venire qua per un altro motivo!” lo liquidò sbrigativo Alan. Mi ritrovai a pensare che doveva davvero essere un motivo serio se questo portava Alan a disinteressarsi della possibile minaccia che rappresentava Dave. Era stato lui a dirci di tenerlo d’occhio e a preoccuparsi perché noi trovassimo quel fantomatico ‘nemico che gli metteva i bastoni tra le ruote’.
“E di cosa mi vuoi parlare?” Rob diede voce alla mia domanda.
“Rob, assicurati che non ci sia nessuno!” ordinò la voce di Alan.
Merda merda merda. Senza pensarci troppo salii, per quanto le scarpe col tacco potessero permettermelo, sulla tavoletta chiusa del water facendo segno a Dave di imitarmi. In un secondo fu accanto a me.
Lo spazio a nostra disposizione era ristretto così egli fu costretto a cingermi con le braccia così da evitare di far scivolare entrambi.
Sentimmo Rob aprire le porte una ad una fino ad arrivare dinnanzi al bagno dove eravamo nascosti noi. Fece per abbassare la maniglia, ma questa non si mosse.
“C’è qualcuno?” chiese bussando.
Dopo non aver ottenuto alcuna risposta vidi la sua ombra abbassarsi segno che stava guardando sotto la fessura della porta per vedere se vi erano piedi.
“Non c’è nessuno, questo bagno probabilmente è chiuso perché inagibile!” informò Rob.
Trassi un sospiro di sollievo e sperai che la loro permanenza non dovesse durare troppo.
“Alan, cosa mi dovevi dire?” la voce curiosa di Rob interruppe il silenzio nel quale temevo che i nostri respiri si sarebbero uditi.
“Riguarda Marguerite!”
Trattenni il respiro. Casa c’entravo io? Che Alan avesse scoperto cosa mi aveva fatto lo sguardo di Dave?
“Mar?” la voce di Rob esprimeva sorpresa. Sentii anche Dave irrigidirsi, probabilmente era giunto alle mie medesime conclusioni. Come accidenti mi aveva scoperta? Ero stata abile e attenta. Dannazione. Incrociai le dita sperano che non fosse così, che mi stessi sbagliando.
“Esatto!”
Seguirono alcuni secondi di pausa dopo dei quali Alan riprese.
“Circa una settimana fa ho trovato la cara Marguerite nel mio studio, rovistava tra la mia roba!”
Mi maledii. Io credevo di avere fregato Alan, che ingenua ero stata.
“Questa intrusione, unita ad altri piccoli particolari mi fanno credere che lei sia entrata in possesso di qualcosa che mi appartiene!” il suo tono era glaciale, ma non fu per il timbro di voce che mi si ghiacciò il sangue nelle vene, ma perché iniziavo ad intuire dove volesse arrivare, ed era peggio di ciò che avevo pensato all’inizio.
“Si è portata via qualcosa?” Rob era decisamente curioso, nelle sue parole si percepiva anche un pizzico di invidia dal momento che, a quanto pare, io ero riuscita ad ottenere qualcosa che lui non aveva.
“Sì, il mio Potere!” rispose Alan.
Quello che temevo. Trattenni il fiato e mi concentrai maggiormente sulla loro conversazione.
“Potere? Che tipo di potere?”
“Non sono affari tuoi!” sbottò Alan, era ovvio che voleva dirgli il meno possibile. Rob si zittì all’istante.
“il problema sta nel fatto che lei, prendendosi una parte di questo Potere, rende me più debole!” il tono non celava una punta d’ira.
“Com’è possibile?”
Mi sembrò quasi di vedere Alan alzare gli occhi al cielo esasperato dalle domande di Rob.
“I miei poteri io li possiedo perché ho una fonte da cui essi provengono. Ho la capacità di insegnare a voi alcuni trucchetti perché per utilizzarli serve solo che io vi dica come usare il potere decisionale che c’è in voi, non avete bisogno di energia aggiuntiva. Possedendo la fonte diretta del Potere, invece si possono fare cose decisamente più complesse, azioni per le quali serve un apporto di energia esterna, fornita appunto da questa fonte. Un esempio è l’automazione delle parsone.
Però per chi possiede il Potere è molto più facile anche fare cose più semplici, come far entrare in trances una persona. Ricordi quando ho chiesto a Margerite di far entrare in trances quella donna la settimana scorsa?”
Ci fu un attimo di pausa nel quale probabilmente Rob annuì.
“Gliel’ho chiesto apposta come prova ulteriore del fatto che lei era entrata in possesso di tale forza. Come temevo si è dimostrata in grado di portare a termine il compito senza mai averlo fatto prima e con grande facilità.”
“Anche Josh c’è riuscito, però!” obbiettò confuso Rob.
“A lui l’avevo insegnato! Ci abbiamo lavorato circa un mese prima che gli venisse bene! A Marguerite invece non ha mai provato ad effettuare la trances e al primo tentativo se l’è cavata egregiamente!”
“Cosa c’entra questo col fatto che lei si trovava nel tuo ufficio?” Rob mi sembrava stupido per la domanda che aveva appena posto, ma dopotutto cosa ne poteva sapere lui?
“Che stava cercando la fonte del Potere, si sentiva attratta da essa!
Un’ulteriore prova l’avevo avuta quel pomeriggio appena siete arrivati quando vi ho chiamati nel mio ufficio. Lei, dopo aver ordinato ad Agatha di baciarti …”
Ero talmente presa dal discorso che non mi venne da ridere al ricordo di quel glorioso momento. Dave mi guardò incredulo che io avessi davvero fatto una cosa del genere, a io finsi di ignorarlo , volevo continuare ad ascoltare.
“… ha rivolto lo sguardo alla fonte del potere come se essa la chiamasse. Essa chiama sempre anche me, ma il richiamo diventa maggiore se io uso i miei poteri e così è successo anche a lei. Prima probabilmente era pensierosa e non se né resa conto, ma quando ho usato le sue capacità non ha più potuto ignorare il richiamo!”
Ripensai a quel pomeriggio e scoprii che aveva ragione su tutto. Quando ero entrata nel suo studio ero preoccupata di non far scoprire che Dave, con il suo stupido sguardo, mi aveva cambiata. Ero talmente concentrata di non essermi accorta del libro che mi chiamava. Dunque avevo sempre visto giusto, era esso la fonte del Potere.
Sorrisi tra me e me felice di avere lo stesso potere di Alan e felice anche che lui si preoccupasse così tanto di questo fatto. Per me tutto ciò significava che mi considerava una sua pari.
“Ma prima di coinvolgerti dovevo fare la prova definitiva. Sta sera quando vi ho detto di fare le persone normali a lei ho trasmesso quest’ordine come una vera e propria costrizione tramite lo sguardo, eppure si è ritrovata a fare l’occhiolino al signor Minsky, il che non è normale. Quale ragazza ventenne ci proverebbe con un cinquantenne? Nessuna. Dunque il suo comportamento non era normale. Quindi ciò mi ha dato la conferma definitiva che lei è immune ad ogni mia costrizione!
Può esserci una sola spiegazione per tutto ciò: io sono più debole e lei è più forte, col risultato che abbiamo entrambi rispettivamente la stessa potenza, con l’unica differenza che io sono in grado di usarla meglio di lei. Ti è mai capitato che lei sia riuscita a costringerti a fare qualcosa?”
Trattenni il fiato, comprendendo più a fondo ogni cosa: il motivo per il quale ero in grado di farmi obbedire da Rob e per quale ragione non mi fossi nemmeno accorta che Alan mi aveva ordinato qualcosa. Guardai Dave che era assorto quanto me da quel discorso.
“Non lo so!” disse incerto Rob. Che bugiardo. Lo sapeva perfettamente, solo che gli seccava ammetterlo.
“Ripeto la domanda: ti è mai successo Robert?” la voce di Alan mi fece rabbrividire tanto era gelida.
“Sì!” rispose quasi vergognandosi.
“Quante volte?”
“Un paio!”
“Sicuro?”
“Sì!”
“E cosa aspettavi a dirmelo?” Alan alzò notevolmente il tono della voce.
“Io …” iniziò Rob incapace di darsi una spiegazione.
“Non importa!” cercò di calmarsi Alan “Tanto ora rimedierai a tutto!”
“Signore, ma dove si trova questa fantomatica fonte del Potere?” provò a chiedere Rob.
Seguirono alcuni secondi nei quali sentii ridacchiare Alan. Una risata senza gioia.
“Non ci provare nemmeno a pensare che anche tu ti puoi impadronire del MIO Potere!” era glaciale e categorico.
“Devi sapere, Rob, che esso, purtroppo, è limitato. È presente solo in una certa quantità fissa. Prima io lo possedevo nella sua interezza.
Dopo che Mar ha aperto la Fonte è successo che metà del potere si è trasferito in lei, aumentando la sua forza, ma dimezzando la mia! Quindi secondo te sarei così stupido da dire anche a te dove si trova la Fonte?” il suo tono era sarcastico.
Rob non rispose. Trattenni il fiato cercando di rammentare le parole del libro citate nell’introduzione.


Salve, sconosciuto visitatore.
Hai tra le mani una grande possibilità.
La possibilità di istigare.
Ma tale possibilità non sarà al tuo servizio.
Sarà il Potere ad indicarti cosa devi fare.
Sii strumento silenzioso nelle sue mani e sarai ricompensato.
Sii Sua voce, Sue orecchie e Suoi occhi.
Ma non essere mai la Sua mente.
Egli non ne possiede una.
Egli è solo forza, forza allo stato puro.
Il Potere regna il tuo corpo.
Tu lo possiedi, ma non lo sai usare.
Ma attenzione! Il potere è limitato!
Leggi e impara, sconosciuto visitatore.
Impara a giocare …
… a giocare con gli sguardi


Quelle righe erano stampate a fuoco nella mia memoria, eppure non ricordavo di essermi impegnata per rammentarle. Era come se fosse bastata un’unica lettura per inciderle nella mia mente in modo permanente. La maggior parte del testo mi risultava ancora piuttosto oscura, ma se non alto avevo capito il significato della frase ‘Ma attenzione! Il potere è limitato!’ .
“Non cercare mai la Fonte del Potere, Rob!” ordinò Alan. Ero certa che glielo stesse ordinando con lo sguardo, dopotutto doveva essere certo che Rob non lo avesse fatto.
“E non raccontarlo a nessuno!” continuò.
Altra pausa.
“C’è un unico modo per riappropriarmi del potere che mi è stato sottratto, vediamo se ci arrivi!”
Silenzio, probabilmente Rob ci stava pensando. Nemmeno io avevo idea di come poteva fare a riappropriarsi del potere.
“Chiedendoglielo?”
Mi venne voglia di dare un calcio a Rob per la sua stupidità, ma come faceva ad essere così deficiente? Era ovvio che io non gliel’avrei mai concesso di mia spontanea volontà un tale potere. Per chi mi aveva preso? Per una principiante?
“Dio se sei scemo!” Alan diede voce ai miei pensieri.
“Non credere che ti abbia fatto venire qui per la tua bravura. Insomma te la cavi, ma Mar è la migliore in assoluto!” continuò. Mi sentii lusingata, nonostante tutto, da tale complimento.
“Perché sono qui allora?” chiese quasi con astio Rob.
“Perché sei il mio nuovo assistente, il mio nuovo erede e, come tale, dovevi assolutamente conoscere certa gente! Non temere diventerai bravo almeno quanto lo era Mar prima di ottenere i poteri se non di più, ti renderò forte!”
“Allora perfetto!” esclamò con rinnovata felicità Robert. Anche lui agognava il potere, come tutti del resto. Lo agognava talmente tanto da fargli dimenticare le parole dure che poco prima Alan gli aveva rivolto.
“Cosa devo fare?” aggiunse quasi con impazienza. Feci una smorfia per quanto improvvisamente era diventato docile come un cagnolino, se avesse auto la coda probabilmente avrebbe scodinzolato.
“Portami Mar! Di te si fida!” era tranquillo e anche un po’ compiaciuto del piano che aveva in mente per riappropriarsi del potere che era mio.
“Ora?”
“Ora!”
“Come farai Alan a riprenderti quello che è tuo?” Rob era decisamente curioso.
“Ma è ovvio Rob, eliminandola … fisicamente. Se il potere non ha più un corpo nel quale vivere dovrà per forza tornare da me!”.
Immobile. Lì tra le braccia di Dave improvvisamente avevo freddo, un freddo polare. La mia mente era vuota, scioccata. Mi risultava impossibile formulare ogni sorta di pensiero.
Dovevo aver capito male. In tutti quegli anni non avevo mai temuto per la mia vita, mai nemmeno per un secondo.
La mia vita che in quel momento era appesa ad un filo.
Un filo nelle mani di Alan.
Un filo che lui avrebbe tagliato con estrema facilità con tanto di sorriso diabolico sulle labbra.
Inavvertitamente rabbrividii e Dave mi strinse a sé maggiormente, quella volta non più per non farci cadere, ma semplicemente per darmi conforto. Capiva che ciò che avevo appena sentito cambiava tutte le carte in tavola, cambiava tutti i ruoli, cambiava tutto.
Ci fu silenzio in quel bagno lussuoso, silenzio che rifletteva i miei pensieri nei quali si affollava il nulla.
“Eliminandola?” domandò conferma Rob.
“Ti dispiace?” mi parve di vedere Alan sorridere con quel sorriso così terribile.
“Avrei voluto portarmela a letto, prima!” sospirò Rob.
Non ci credevo. Rob poteva avere tutti i difetti di questo mondo, ma era l’unico che avevo sempre reputato quasi amico. Eppure persino lui mi voltava le spalle ed era pronto a condurmi dal diavolo in persona.
Ma non potevo biasimarlo, in cambio avrebbe ottenuto maggiori capacità dal momento che Alan ne voleva fare il nuovo me. Noi, per natura agivamo seguendo il nostro interesse, lui in quel modo avrebbe assecondato il suo, esattamente come avrei fatto io.
Agiva secondo natura, semplice.
Sentii Dave irrigidirsi di fronte a tanta superficialità, ma ero incapace di muovermi, anche solo per alzare lo sguardo su di lui.
“Bene, allora valla a cercare, portala sul retro della villa, ci sarò lì io ad attenderti, apparirà come un incidente!” appariva decisamente soddisfatto del suo piano.
“Che ne facciamo del ragazzo? Quel Dave?” domandò Rob.
“Prima occupiamoci di Mar, poi vedrò di dare un’occhiata anche a lui!”
“Allora vado!”
“Che i giochi abbiano inizio!” potevo immaginare Alan pronunciare tali parole con un sorriso meschino dipinto sul volto.
Sentimmo la porta aprirsi e chiudersi.
Sentii Dave sospirare di sollievo e staccarsi dal mio corpo per scendere dal water. Dopo di che mi tese la mano per aiutarmi a fare la medesima cosa.
Ma mio malgrado non riuscì ad afferrare quell’arto, ero troppo sconvolta per capire ciò che mi stava attorno. Le parole di Alan continuavano a vorticarmi fastidiosamente nella testa, le continuavo a risentire come un fastidioso eco. Avrei voluto coprirmi le orecchie per impedirmi di udire ancora il suono della sua voce mentre progettava di uccidermi, ma ero consapevole che ciò non sarebbe servito a niente. Quelle parole erano nella mia mente ormai, le avevo assimilate, tappandomi le orecchie avrei continuato a sentirle chiaramente.
Dave sventolò una mano davanti ai miei occhi vedendo che non mi muovevo. Mi riscossi e scesi senza accettare l’aiuto che mi stava porgendo.
“Dobbiamo andare!” disse sbrigativo afferrandomi per il polso. Ancora una volta non ebbi la forza necessaria a reagire e a muovere le mie gambe. Ero convinta che Dave volesse proseguire il piano, dopotutto doveva agire per forza in quel momento dato che ancora Rob e Alan sapevano ben poco su di lui. Per il momento su Dave ricadeva solo il sospetto, ma col tempo esso sarebbe potuto diventare una conferma.
Non poteva aspettare. Solo che come poteva pretendere di coinvolgermi ulteriormente? Io ci tenevo alla mia vita, non mi sarei esposta per la SUA causa.
“Dobbiamo andare!” ripetè Dave.
Finalmente trovai la forza per incontrare i suoi occhi che mi fissavano con un misto di preoccupazione ed incomprensione.
“E dove vuoi che vada eh? Nel giardino dietro la villa? Il tutto per attirare Alan nella tua trappola? Sei uno schifoso moralista ipocrita, io non mi immolerò per far sì che il tuo piano riesca!” sbottai fuori di me dall’ira.
Lo stupore invase il suo volto trasfiguarandolo completamente. Ci vollero diversi secondi prima che egli riuscisse a ribattere.
“Tu credi che io voglia portare a termine la missione stasera?” sembrava incredulo.
“Non sono stupida, non avresti altre opportunità!” sbottai “Solo non contare sul mio appoggio!”
Feci per andarmene, ma lui mi bloccò posando le sue mani sulle mie spalle. Incontrai i suoi occhi.
“Invece sì che sei una stupida! Io non continuerò il piano stasera! Come fai a credere una cosa del genere?”
Alzai un sopracciglio incredula di fronte a ciò che aveva detto.
“Perché non hai alternative! Dopo stasera loro si informeranno sul tuo conto e potrebbero attaccarti prima ancora che tu sia nuovamente pronto …” lo guardai come se la cosa fosse ovvia “E non sono una stupida!”.
Lui alzò gli occhi al cielo esasperato.
“E invece sì, non hai capito niente di me se credi che dopo quello che abbiamo sentito io prosegua per la mia strada fregandomene di te. Devi essere protetta!” incrociò il mio sguardo e come ulteriore prova mi chiese “ Cosa faresti tu al posto mio?”.
Silenzio. Sorrisi amara. Sapevo perfettamente cosa avrei fatto al suo posto, così come sapevo che la risposta che avevo in mente non gli sarebbe piaciuta affatto.
Mi fissò in attesa. Sospirai.
“Io me ne sarei fregata e avrei continuato per la mia strada!” ammisi sorridendo con amarezza ancora una volta.
Un espressione delusa comparve sul suo volto. Cosa credeva che dopo uno sguardo e un bacio mi avesse cambiata del tutto? Era ovvio che avrei agito in quel modo come era ovvio che proprio per tale ragione avevo pensato che lui avrebbe agito così.
Mi ero sbagliata a pensare che Dave ragionasse come me, così come lui si era sbagliato a credere che io fossi diventata come lui.
Lui era buono. Nonostante mi odiasse profondamente era disposto a far saltare tutto pur di non farmi correre alcun rischio. Era notevole il suo comportamento e pensare a ciò mi fece stringere il cuore.
Io non sarei mai stata come lui, purtroppo o fortunatamente.
Scosse la testa ancora desolato per la mia risposta e mise la testa fuori dalla porta del bagno.
“Non li vedo! Via libera!” mi afferrò per il polso e mi trascinò fuori da quel maledetto luogo.
Ritornai nel mio stato catalitico. Dopo che la voce di Dave aveva coperto in qualche modo l’eco di quella di Alan che persisteva nella mia testa, quest’ultima era tornata a farsi sentire più forte di prima.
Lo seguivo mentre cercava di farsi strada tra tutte quelle persone. Lo seguivo come avrebbe fatto Agatha, come se fossi un automa senza volontà, ero troppo sconvolta per pensare.
Mi lasciavo colo trascinare dalla presa della sua mano attorno al mio polso, completamente persa in un’atra dimensione dove il nulla regnava.
Le persone scorrevano intorno a me e si voltavano a fissarci con stupore e con fastidio, probabilmente a causa della nostra fretta. Ma cosa importava dopotutto?
Raggiungemmo l’aria aperta senza mai voltarci indietro e a quel punto Dave lasciò il mio polso. Estrasse un cellulare e digitò rapido un numero.
“Pronto? Chiamo dal palazzo Degaulle mi mandi un taxi al più presto!” chiuse la chiamata e si voltò verso di me mentre io fissavo un punto indefinito oltre la sua spalla.
“Mar!” mi chiamò senza ottenere risposta.
“Mar!” si avvicinò a me fino a farmi incontrare i suoi occhi. Senza che me lo aspettassi mi abbracciò.
Il suo corpo aderì al mio con l’imperfezione degna di noi, ma quel gesto, che avrebbe fatto sentire meglio chiunque, a me diede fastidio. Rimasi qualche secondo immobile con le braccia stese lungo i fianchi senza ricambiare il gesto, poi mise le mani sulle sue spalle per allontanarlo da me.
Non avevo bisogno della sua compassione. Me l’ero sempre cavata da sola, cosa c’era di diverso quella volta? Nulla.
Ero rimasta così sconvolta perché il fatto che Alan volesse uccidermi era assurdo. Mi sembrava di vivere in un brutto incubo.
I gesti, i suoni, tutto era ovattato, come se ciò che mi circondasse non fosse la realtà, ma solo una vana illusone.
Quello che maggiormente mi aveva resa incredula era stato il fatto che io ero sempre vissuta in un castello dorato, in un mondo dove la vita è perfetta, in un mondo dove noi eravamo i dominatori.
I dolori delle persone comuni non ci toccavano minimamente. Vivevamo isolati, protetti, il bello era proprio quello.
Niente poteva scalfire la nostra armatura, eravamo contenti, al sicuro e forti.
Tutte le cose brutte che accadevano nel mondo ogni giorno apparivano come una brutta storia, una storia che si poteva cancellare semplicemente fregandosene.
Me ne potevo fregare quella volta? No.
Ad essere in pericolo era la mia vita quella volta, non potevo lavarmene le mani e credere che il problema non mi riguardasse.
Ero sconvolta perché non credevo che sarei mai stata in pericolo, perché credevo che nonostante tutto Alan avesse stima di me, o che quanto meno gli servissi, invece lui preferiva annientarmi piuttosto che condividere il potere con me.
Ma come dargli torto dopotutto?
Anche io volevo essere l’unica a possedere il potere, per quello avevo detto a Dave di procurarsi un biglietto per il ballo. Solo che il mio piano non aveva previsto l’annientamento fisico della persona.
Intontita come se avessi appena preso una droga salii nel taxi seguita da Dave che continuava a lanciarmi occhiate strane. Probabilmente non aveva idea su come doveva comportarsi e come biasimarlo? Nemmeno io sapevo come dovevo comportarmi.
“Davvero hai quel potere dentro di te? Lo percepisci?” mi domandò incontrando i miei occhi.
Ci misi qualche secondo in più del normale per comprendere la domanda dopo di che annuì.
Lui sospirò e strinse la mano in un pugno. Non gli chiesi cosa c’era che lo preoccupava, non me ne importava dopotutto.
“Dannazione, abbiamo sbagliato tutto!” ringhiò più rivolto a sé stesso che a me. Lo ignorai e mi persi a guardare la strada che sfilava sotto ai miei occhi. Come in un sogno.



Si dice che la notte porti consiglio e non credo che questo detto sia del tutto sbagliato.
La mattina seguente mi svegliai con una sorta di euforia in corpo senza sapere bene da dove essa derivasse. Sbarrai gli occhi e mi ritrovai in una stanza che non era la mia e immediatamente i ricordi della sera precedente affiorarono.
Ghignai. Sapevo finalmente, grazie a quei ricordi, perché mi ero svegliata così euforica.
Mi alzai e mi ritrovai addosso una lunga maglietta maschile come pigiama, che però mi arrivava sopra la metà coscia. La annusai. Sapeva di Dave. Non aveva un cattivo odore dopotutto.
Uscii dalla camera e mi precipitai al piano di sotto dal quale proveniva un vociare concitato.
“Lei ha una parte di potere!” la voce di Dave era inconfondibile.
“Impossibile, avresti dovuto annullarglielo quando hai incontrato il suo sguardo!” rispose repentino e con una nota di scetticismo nella voce suo zio.
“Invece è così, come ti spieghi che il signor Black la vuole uccidere altrimenti? L’ho sentito dire con le mie orecchie che lei è la migliore dei suoi allievi! Sarebbe stupido sbarazzarsi di lei senza un valido motivo!” ribattè Dave con convinzione.
“Ha scoperto che era in combutta con te!”
“No! Allora come ti spieghi che ha ancora i suoi poteri?” Dave stava perdendo la pazienza. Mi avvicinai alla stanza nella quale i trovavano per sentire meglio la conversazione.
Suo zio non rispose.
“Abbiamo sbagliato Zio! Non è così che si annulla il potere, non con lo sguardo!”
“E allora come?” una nota di disperazione nella voce. Comprendevo che ora che avevano conosciuto la cattiveria di Alan lo temessero maggiormente, quindi potevo comprendere il loro stato d’animo. Era davvero un nemico temibile.
“Non ne ho idea!” dissi io entrando nella stanza con il sorriso sulle labbra. Gli occhi di entrambi gli uomini saettarono sulle mie gambe nude. Possibile che le persone di sesso maschile fossero in grado di distrarsi anche in un momento di massima serietà e gravità? Alzai gli occhi al cielo.
Poi continuai “Ma lo scopriremo!” ghignai.
I loro volti si dipinsero di puro stupore. Il mio sorriso quadruplicò.
“S-sei dei nostri?” Dave dimostrava incredulità solo nel dirlo.
“Ovvio!” alzai le spalle come se quello che avevo appena detto fosse la cosa più logica del mondo.
“Ma ieri sera dicevi che non volevi coinvolgimenti!” ribattè lui.
“Lascia perdere ieri sera!”
“Perché saresti dei nostri? A te che te ne viene in tasca?” lo zio era diffidente.
“Vorreste distruggere Alan senza che io abbia l’onore nonché il piacere di vendicarmi? No grazie, io non ci sto!” esclamai soddisfatta.
Sorrisi ai due uomini mentre ancora mi fissavano increduli. Sarei caduta in piedi anche quella volta, dopotutto ero Marguerite Jones, no?
Alan voleva distruggermi? Bene, io avrei distrutto lui, sarebbe stata una lotta ad armi pari.
A dir la verità io ero un decisamente avvantaggiata, avevo un nuovo giocattolino, o più propriamente detto alleato, su cui poter contare.
Ghignai di fronte alla prospettiva assaggiare il dolce gusto della vendetta misto a quella della vittoria schiacciante.


Ringrazio particolarmente aleinad93 per aver letto e recensito tutti i capitoli di questa storia in soli 2 giorni! È stata gentilissima, vi consiglio di leggere la sua storia alla quale personalmente io mi sono appassionata moltissimo! Zetà Café
Ci tengo anche a ringraziare i 6 gentilissimi lettori che hanno recensito lo scorso capitolo e in particolare i recensori che non mi hanno mai abbandonato di cui consiglio tutte le storie perché le adoro dalla prima all’ultima:

AlyDragneel ( che sforna storie alla velocità della luce come Tu, mio pervertito pensiero fisso. o Un amore color Caramello.)
nancywallace
( storie molto rosse ; ) Un nuovo modo di amare e Blaze Death )
shadowdust (scrive delle fantastche one shot che sono una più bella dell'altra, ha iniziato Due parti che è stupenda e che spero terminerà!)
Pyra ( vi consiglio di leggere Cuore di Spada- Quando tutto incominciò)


ringrazio anche Maria rosaria che mi ha fatto conoscere il suo parere in chat, e anche Scippi, Francy_Styles, Aesir_Artsel che hanno recensito lo scorso capitolo!!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi invito a recensire, sapete che fa piacere.
Comunque ormai la maturità è alle porte e credo che per domenica prossima non ci sarà alcun aggiornamento, spero di riuscire a postare entro due settimane, ma non vi assicuro niente, spero che vorrete continuare a seguirmi ugualmente.
A presto!
Daisy.
Ps. Vi adoro <3

pps. cerco qualcuno che sia bravo con photo shop perchè avevo in mente un nuovo banner per la storia... se vi va contattatemi privatamente che vi invio le foto che vorrei mettere! grazie mille!

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Capitolo 21
*** CAP 20 ***


Un grazie di cuore ad AlyDragneel che ha creato questa splendida copertina!


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CAP 20
 

 
Avevo sempre adorato fare colazione, non so perché. Insomma aprire gli occhi la mattina, trascinarsi nella sala da pranzo, aspettare che Agatha servisse il cibo, tutte  azioni che mi avevano sempre fatta sentire una sorta di signora. La regina del castello. Come in una fiaba.
Insomma avevo un cameriere personale che mi preparava tutto ciò che volevo e nelle quantità che volevo.
La mia routine era talmente tanto scontata che non riuscivo nemmeno ad immaginarmi un inizio mattinata differente da quello.
O meglio, non ci riuscivo prima di arrivare a casa di Dave. Il quel dannato luogo tutto era diverso, talmente diverso che ero tentata di tornarmene a villa lux senza tener conto dei rischi che correvo.
I due uomini, dopo essersi messi quasi a saltare di gioia di fronte alla notizia di avere la sottoscritta dalla loro parte, si erano limitati a dirmi dove si trovava la dispensa. Niente cameriere personale né ‘buongiorno’ apatico che pronunciava ogni mattina Agatha. Alzai gli occhi al cielo. Sarebbe stata una difficile convivenza.
Andai verso l’armadietto che mi era stato indicato e lo spalancai. Trattenere una smorfia mi fu impossibile. Era vuota. Solo una confezione di brioches e una di biscotti.
Mi voltai verso Dave con sguardo stranito.
“Che c’è?” mi chiese mentre trangugiava non sapevo bene cosa. Trattenni una smorfia: nessuno gli aveva insegnato che era maleducazione parlare con la bocca aperta?
“Stai scherzando vero?” gli domandai alzando un sopracciglio per evidenziare la mia perplessità.
Egli deglutii.
“Riguardo a che?”
“Questo è tutto ciò che avete per colazione?” usai un tono di voce più acuto del solito.
Lui annuì e si rifiondò sul suo bicchiere. Feci un ulteriore smorfia e presi le bioches sedendomi sul lato del tavolo più lontano a quello dei due uomini.
“Buon giornooooo!” una voce allegra arrivò dalle mie spalle.
Mi voltai sorpresa della presenza di un altro essere femminile in quel posto e rimasi ancora più traumatizzata dalla vista che mi si parò dinnanzi.
Una ragazza in pigiama sorrideva in direzione dei due uomini, ma poi i suoi occhi scuri si andarono a posare su di me e la sua espressione mutò radicalmente.
Prima ci fu stupore, poi lo sgomento e infine divenne rossa di rabbia. La stessa tonalità dei suoi capelli.
“Cosa ci fa lei qui?” chiese l’ultima arrivata con tono acido indicandomi e storcendo il naso come se fossi qualcosa di terribilmente obriobrioso e maleodorante.
Ma come si permetteva quella deficiente di trattarmi in quel modo?
“Guarda che puoi chiederlo direttamente a me!” mi alzai e la fronteggiai con un sorriso beffardo. Con la coda dell’occhio vidi Dave che alzava gli occhi al cielo come per invocare l’aiuto di una qualsiasi entità soprannaturale.
“Vi conoscete?” si intromise suo zio sorpreso.
“Lei è quella che mi ha buttato fuori da casa mia!” esclamò Caren gonfiandosi ancora di più per la rabbia.
“Oh!” rispose semplicemente l’uomo dileguandosi dalla stanza. sembrava che avesse percepito che stava per nascere una tempesta di notevoli dimensioni in quella sfornita cucina.
“Aspetta! Ha anche fatto altro! Mi ha più volte rubato il ragazzo e mi ha reso la vita impossibile!”
A quelle sue parole non potei fare a meno che sorriderle schernendola. A quanto pare Caren aveva recuperato la memoria.
“Ben tornata tra noi Caren! Sono felice che non ti ricordi unicamente del tuo sfratto, non vorrei mai essere ricordata solo per questa umile azione di carità  che ho fatto nei miei confronti. Vorrei essere ricordata anche per atre cose!” la schernì.
“Fortunatamente non ricordo tutto! a quanto pare chiunque mi abbia cancellato la memoria deve aver fatto un buon lavoro!” sbottò.
“E allora non ti pare esagerato accusarmi?” le sorrisi nuovamente assumendo un’aria innocente.
“Ricordo quanto basta. Ovvero che ti odiavo e ti odio, che mi hai rubato il ragazzo e che mi hai cacciata d casa!” mi lanciò uno sguardo di sfida.
Come potevo io non accoglierla?
“Ragazzo, ma quale ragazzo? Se ti riferisci a Rob lui non è mai stato il tuo ragazzo! Sai eravate amici di letto!” incontrai i suoi occhi che sembravano voler lanciare saette e continuai “Bè, amici per modo di dire! Diciamo che eravate più ‘di letto’ che amici!” ridacchiai per il mio stupidissimo gioco di parole.
Sapevo che era qualcosa di stupido, ma sapevo anche che avrei ottenuto l’effetto sperato: ovvero far aumentare ancora di più l’ira della rossa.
“Sei proprio una stronza!” disse con disprezzo. Che razza di persona. Avrebbe dovuto adorarmi non disprezzarmi, come si poteva disprezzare una persona come me? Forse si poteva essere in disaccordo con alcune decisioni che in passato aveva preso, o che avevo fatto prendere agli altri, ma da qui a disprezzarmi ce ne voleva.
Una mano si chiuse con fermezza sul mio braccio costringendomi a cambiare l’oggetto della mia attenzione.
“Smettila Mar!” esclamò con convinzione Dave incatenando il suo sguardo al mio. Era arrabbiato, anche lui. Nonostante tutto era arrabbiato con me, anche se ero  passata dalla sua parte, anche si sapeva che io in quel odo rischiavo il tutto per tutto. Lui mi disprezzava davvero per quello che avevo fatto nei miei vent’anni di vita. Per ogni singola azione.
Mi liberai della sua presa con scarsa grazia.
“Adesso spiegami perché dovrei obbedirti!” ribattei incrociando le braccia al petto e concentrandomi completamente su di lui.
Non rispose, si limitò a lanciarmi un’occhiata eloquente con la quale sembrava volermi dire ‘smettila e basta’.
“Tu le hai fatto tornare la memoria?” chiesi indicando con un cenno del capo Caren che fumante di rabbia ci stava fissando.
“Sì! Ma ho potuto fare solo fino ad un certo punto, a quanto pare non possiamo del tutto annullare l’uno i poteri dell’altro!” disse quasi con rammarico.
Lo guardai con stupore.
“Lei è a conoscenza di tutto il vostro piano?” ero davvero incredula.
“Sì, sai com’è poteva esserci utile, solo che Alan ha fatto bene le cose!” ribattè lui.
“Comunque cosa ci fa lei qui Dave? Dopo tutto ciò che mi ha fatto, che ha fatto a un sacco di persone, come puoi farla vivere sotto il tuo tetto?” l’odio dipinto nello sguardo di Caren avrebbe spaventato chiunque, chiunque tranne me. Il fatto che lei mi odiasse non era una novità e sinceramente non me ne importava niente. L’unica cosa era che odiavo averla in giro, anche semplicemente vederla, era una di quelle persone con la quale ero geneticamente incompatibile.
Come Dave. Il giorno e la notte, la luce e il buio. Solo in un momento non mi era parso che io e lui fossimo così diversi, ovvero quando c’eravamo baciati.
Dopotutto lui era un uomo come tutti.
“Potrei farti la stessa domanda sai? Cosa ci fai tu qui, Caren?” rigirai la domanda sorridendole e facendole vedere, in tal modo, che le sue taglienti parole da sfigata non avevano alcun effetto su di me.
“Sai com’è! Qualcuno mi ha buttata fuori di casa!” sbottò risentita fuori di sé ormai per la rabbia.
“Oh! Ma allora questo qualcuno deve essere davvero una persona intelligente per fare una cosa del genere, mi dovrò complimentare personalmente!” ghignai.
“ORA BASTA!” la voce di Dave tuonò nella stanza. quella volta non i aveva guardata negli occhi, non voleva condizionarmi, voleva solo, come una persona normale, dirmi di smetterla.
“Mar! Tu non hai fatto una bella cosa con lei quindi è inutile che fai tanto la snob e ti prendi gioco delle cose che dice Caren. L’ho trovata un pomeriggio, stava vicino alla sua valigia ed era sotto la pioggia torrenziale senza nemmeno un ombrello!” urlò avvicinandosi a Caren e cingendole con un braccio la vita.
A tale contatto lei parve calmarsi, come se Dave fosse una tisana tranquillizzante.
“Era seduta sul ciglio di un marciapiede …” abbassò la voce fino a farle raggiungere un tono normale “… e le lacrime le rigavano il viso confondendosi con l’acqua che proveniva dal cielo. Se tu l’avessi vista Mar, non avresti nemmeno aperto quella bocca, saresti stata zitta. Ti saresti resa conto di cosa vuol dire buttare una persona fuori di casa! Senza un soldo, senza un  tetto!”
Prese fiato e mi guardò con disprezzo e rammarico. Forse credeva che dal momento che avevo detto di essere dalla loro parte mi sarei sottomessa a lui? O che avrei pianto sui miei errori?
Nonostante il mio cuore fosse protetto da una salda corazza che non poteva essere scalfita da nulla, in quel momento sentii che qualcosa stava picchiando contro di essa. Qualcuno stava tentando di aprire una piccola breccia su di essa per poter raggiungere l’interno, o almeno dargli un’occhiata.
Quel qualcuno era Dave. Ma non ero pronta a sotterrare l’ascia di guerra, non ero pronta a sbarazzarmi di quella corazza che in qualche modo mi rendeva invincibile.
Ricambiai il suo sguardo d’odio mischiandolo alla sfida.
Lui lo sostenne senza accennare ad abbassarlo. Voleva la guerra? E guerra avrebbe avuto.
Sorrisi.
“Quand’è così … buona fortuna con Alan, ne avrai bisogno!”
Lui assunse uno sguardo ricco di interrogativi e aprì leggermente la bocca, come se volesse far uscire qualche suono senza che esso facesse capolino dalla sua gola.
Il mio sorriso quadruplicò, mi voltai di spalle e mi incamminai verso la porta della cucina, quando le dita di Dave si chiusero sul mio polso , trattenendomi.
“Cosa intendevi dire?” domandò con lo sguardo perso. Ghignai liberandomi della sua presa.
“Che ritiro il mio aiuto, troverò un modo per vendicarmi per conto mio, i vostri piani non mi interessano più!” feci spallucce e continuai la mia uscita trionfale oltre la porta senza voltarmi.
Andai nella camera nella quale avevo dormito e recuperai il poco materiale di mia proprietà, rindossai il vestito della sera precedente e lasciai la maglietta di Dave tutta stropicciata sul letto.
Sbuffai. Come si permetteva lui di rivolgersi in quel modo così sprezzante a me?
Raggiunsi la porta della casa in pochi minuti e quando ormai ero fuori mi sentii chiamare indietro. La voce non era quella di Dave, ma quello di suo zio. Prima di essere troppo lontana per sentire una qualsiasi parola udii l’uomo che rimproverava Dave “Sei un cretino!”.
Sorrisi soddisfatta. Grazie al cielo qualcuno oltre a me se n’era accorto.
 
 
Camminavo a testa alta diretta verso il campus. Non mi importava se le persone mi guardavano male per via del mio abito blu notte sgualcito o per via dei tacchi vertiginosi che indossavo, anzi riuscivo addirittura a sentirmi beata tra quegli sguardi.
Però, ad intaccare il mio umore tranquillo ci pensavano le parole di Dave. Parole che continuavano a vorticarmi nella mente, me le vedevo scorrere davanti agli occhi, come i titoli di coda di un film. Senza tregua.
Erano dure, dinnanzi alle quali avevo reagito come meglio sapevo fare: attaccando a mia volta. Ma in quel momento contro chi potevo reagire? Ero sola con me stessa mentre mi dirigevo al mio appartamento. Non avrei potuto prendermela con Dave, né con nessun altro.
E così, i pensieri iniziarono a fluire liberi nella mia mente insieme alle parole di quel fastidiosissimo ragazzo.
Mi comparve dinnanzi agli occhi l’immagine di una Caren che piangeva sul ciglio della strada sotto la pioggia.
La riuscivo a vedere con chiarezza, come se essa si trovasse di fronte a me, come se quella scena davvero si stesse svolgendo sotto i miei occhi.
I capelli le si erano appiccicati al viso e, a causa dell’acqua, erano di una tonalità più scura del normale. I suoi occhi erano arrossati e spenti e Dave era lì con lei e le stava porgendo la mano per aiutarla.
Io la odiavo, non la sopportavo e la sua presenza mi faceva venire il nervoso.
Ma nonostante ciò riconoscevo di aver sbagliato. Poteva davvero essere pericoloso per una ragazza trovarsi da sola fuori casa, senza un soldo e senza coraggio. Io avrei reagito, avrei trovato un modo per cavarmela, perché io ero una persona forte, ma dopotutto avevo anche sempre saputo che Caren invece era una debole e, in quanto tale, cos’altro poteva fare se non sedersi a terra a piangersi addosso?
Non la compativo, ma raggiunsi la consapevolezza di aver esagerato quella volta.
Che poi quell’azione era stata proprio fatta perché avevo un  disperato bisogno di fare qualcosa di cattivo, qualcosa che mi convincesse di essere immune a Dave.
Sorrisi amara. Ero immune davvero a Dave? Fino a qualche istante prima avevo addirittura deciso di combattere al suo fianco. Ero cambiata. Grazie o per colpa sua ma ero cambiata.
Conclusione: non ero affatto immune a Dave e la cosa mi infastidiva parecchio. Insomma, ero immune ad Alan, ma non a Dave! Assurdo.
Sbuffai quando mi ritrovai dinnanzi al mio palazzo. Dovevo recuperare le mie cose e sparire perché ero sicura che presto o tardi Rob e Alan mi avrebbero cercata e il mio appartamento era il luogo più probabile nel quale mi sarei potuta trovare.
Salii in fretta le scale e inserii la chiave nella serratura quando mi resi conto che la porta era già aperta.
Dannazione, ero arrivata troppo tardi. Strinsi i denti ed entrai.
Come mi aspettavo una testolina bionda, nel sentirmi muovere qualche passo dentro l’appartamento, si volse verso di me.
“Mar!” esclamò con entusiasmo il proprietario di quei capelli grano.
“Rob!” lo salutai con un cenno del capo e avanzai sicura come se niente fosse.
“Ieri sera sei sparita!” constatò.
“Ti mancavo?” gli sorrisi.
“Un po’! E mancavi anche ad Alan! Ti abbiamo cercata …” sì, mi avevano cercata per uccidermi. Con che faccia tosta Rob si presentava nel mio appartamento come se non stesse tramando nulla contro la mia vita?
Mi sentii invadere dalla rabbia, ma fortunatamente riuscii a controllarmi.
Avevo buone ragioni per credere che né lui né Alan sapessero che io avevo ascoltato la loro penosa conversazione nel bagno, dopotutto avevano controllato e loro erano sicuri che non ci fosse nessuno. Quindi potevo capire come il mio gesto di sparire poteva averli sorpresi.
“Dov’eri finita?” il suo sguardo inquisitorio incontrò i miei occhi, stava cercando di intimidirmi. Che sciocco che era se davvero pensava di riuscirci.
“Mi stavo annoiando, così me ne sono andata!” feci spallucce sorridendogli sfrontata.
“Con chi?”
“Con nessuno!”
“Non eri con quel Dave?”
Spalancai gli occhi fingendomi incredula.
“Dave! Una volta che me lo sono fatta a che mi serviva più?” ribattei con sicurezza.
“Quindi non eri con Dave!” ripetè.
“A quanto pare …”
“Ed eri da sola!” continuò.
“Ma cosa sono tutte queste domande Rob?” chiesi  ridacchiando.
“Te le faccio perché voglio capire chi era quel ragazzo che è salito dietro di te su quel taxi!” sorrise di fronte alle sue parole.
Dannazione. Mi aveva vista mentre me ne andavo con Dave.
“Credo che tu abbia visto male!” ero tranquillissima, per niente intimorita dalle sue parole.
“Sarà! Ma allora mi chiedo …” e così dicendo si avvicinò maggiormente a me “… perché sei tornata qui e non alla villa?” puntava a fare domanda sempre più precise, sperando estrapolarmi qualche risposta, ma io non ero così ingenua.
“Sono libera di fare ciò che mi pare! Avevo voglia di divertirmi e così mi sono cercata una discoteca, mi sono ritrovata in zona e così sono rimasta qui!” risposi con tranquillità incrociando i suoi occhi e sostenendo il suo sguardo gelido.
“Mmm …” mugugnò muovendo qualche altro passo nella mia direzione e assumendo un’espressione pensierosa “… sei ritornata ora, quindi?”
“La smetti di farmi domande su domande? Mi sembra di essere sotto processo!”
Feci due passi ma lui mi si parò davanti per bloccarmi la strada, così, con poca gentilezza, lo spinsi di lato e mi buttai sul letto.
“Sparisci che voglio dormire!” sbottai.
“Strano che tu non abbia le occhiaie Mar, considerato che hai passato la notte in bianco!” il suo tono era da saputello, dio quanto avrei voluto farlo stare zitto.
“Te ne vai? Sono stanca!”  detto ciò mi voltai dall’altro lato e abbracciai il cuscino come se stessi cercando la posizione più comoda per dormire.
Sentii il letto cigolare lievemente e il materasso abbassarsi, il che i indicava che Rob si era seduto alle mie spalle.
“Sai cosa credo sia successo?” cominciò lui.
Mi voltai in maniera tale da guardarlo in faccia.
“Sai che non me ne importa niente di quello che tu pensi?” imitai la sua voce e gli sorrisi intimandolo con la mano ad andarsene. Ma lui non sembrava voler demordere.
Dopotutto mi doveva riportare alla villa ad ogni costo no? Se nò Alan non avrebbe potuto uccidermi!
Poi magari lui era lì per farmi fuori. A quel pensiero una scarica di adrenalina mi invase, ma cercai di mantenere la calma. Rob non era pericoloso dopotutto, potevo fronteggiarlo egregiamente. Il problema era Alan.
“Credo che Dave abbia fatto con te lo stesso giochetto che ha fatto a Caren, ovvero ti ha …” fece un attimo di pausa per trovare la parola esatta “… boh, stregata! Ma tu sei troppo orgogliosa per ammetterlo e così te la se data a gambe levate! Avevi paura che Alan lo scoprisse e che ti cacciasse di casa e ti facesse dimenticare tutto come ha già fatto con Caren! Ma lui ha detto che non importa Mar, che le cose si possono sistemare!”
Mi sorrise per sottolineare la veridicità delle sue parole. Anche io sorrisi, ma il mio fu più simile ad una smorfia che esprimeva amarezza.
Anche se non avessi saputo che Alan voleva eliminarmi mi sarei comunque insospettita di fronte a tutta quella magnanimità! Da quando Alan era così buono? Sicuramente avrei capito che c’era qualcosa di losco sotto.
Ma per fortuna ero a conoscenza di tutto. Era palese che Alan volesse che io tornassi a villa lux perché così poteva portare a termine il suo disgustoso piano!
Ma a quel punto il dilemma era un altro: far credere a Rob che era proprio Dave colui che aveva dei poteri opposti ai nostri o no? Nel primo caso mi sarei vendicata di quell’odioso ragazzo che mi guardava sempre dall’alto in basso con disprezzo, però avrei dato un bel vantaggio a Rob e Alan, ovvero la sicurezza che il loro obbiettivo doveva essere Dave.
Decisi così di lasciare loro il beneficio del dubbio.
“Davvero lo credi?” dissi sorridendogli.
“E’ ovvio che è così!” rispose sicuro. Mi avvicinai maggiormente al suo viso ed incontrai i suoi occhi azzurri.
“Quindi non hai più paura che io ti possa influenzare vero?” sussurrai con voce sensuale. Lo vidi deglutire.
“Tu non mi hai mai influenzato!” ribattè con sicurezza.
“Dici?” mi avvicinai ancora di più sorridendo.
Dovevo sbarazzarmi di Rob in modo tale da poter preparare le valigie e sparire per sempre dalla loro vita.
“E’ inutile Mar!” fece un ultimo tentativo di spavalderia, ma ormai era preso dai miei occhi.
Vattene e non tornare per un paio di giorni!’
A metà del comando però egli fece una cosa che  nessuno di noi aveva mai fatto, una cosa che simboleggiava solo debolezza e che noi non eravamo portati a fare: chiuse gli occhi.
Le sue palpebre chiare celarono le iridi azzurre al mio sguardo.
Non potei fare a meno di ridergli in faccia.
Paura Rob?” gongolai nel chiederglielo.
“No!” sbottò “Ma la prudenza non è ma troppa!”
Accidenti a lui però. Se non apriva gli occhi come potevo liberarmi della sua fastidiosa presenza?
In quel momento mi cadde l’occhio su un ombrello posto dietro la porta. Sorrisi. Me la sarei cavata come avrebbe fatto qualsiasi altra persona. Mi alzai dal letto e mi diressi verso l’oggetto. Rob percepì il mio movimento.
“Mar è inutile che provi a fare qualcosa per farmi aprire gli occhi, tanto non li aprirò! Allora, mi dici se ho ragione o no?” le sue palpebre erano sempre rigorosamente serrate.
Sorrisi impugnando l’ombrello, caricai e, con tutta la forza che avevo, glielo scaraventai sulla testa. Immediatamente egli cadde sul letto svenuto.
Abbassai la mia arma improvvisata e ammirai il frutto della mia opera. Rob accasciato a terra, a pancia in giù con le braccia spalancate.
Sogghignai, eravamo talmente tanto abituati a usare il nostro sguardo come arma, da nemmeno essere in grado di credere che ci fossero altri modi per mettere fuori gioco una persona.
Rob aveva proprio compiuto tale errore e io avevo vinto. Inevitabilmente.
Alzai gli occhi col ghigno ancora stampato sulle labbra e, nel farlo, vidi una figura con la bocca spalancata che mi fissava sulla porta di casa mia.
“Mar?” chiese con voce più acuta del solito, simbolo che la mia espressione, insieme alla mia ‘arma’ e alla mia vittima doveva averla intimorita non poco.
“Si?” le sorrisi innocente e feci cadere a terra l’ombrello.
“Che ti ha fatto?” ancora la voce terrorizzata. I suoi occhi saettavano con rapidità da me a Rob e viceversa, stupiti.
“Ha tentato di violentarmi Emily!” dissi con semplicità, dicendo la prima cosa che mi era saltata in mente.
“Complimenti!” ancora sbalordita alzò gli occhi sbarrati su di me.
Ero confusa.
“Complimenti?” alzai un sopracciglio.
“Sì! Complimenti per i nervi saldi! Io mi sarei messa ad urlare e non avrei combinato un bel niente!” assunse uno sguardo che esprimeva pura ammirazione.
“E poi non sai quanto avrei voluto farlo!” esclamò sorridendo soddisfatta.
La guardai come se di fronte a me ci fosse un alieno. Da quando Emily aveva questi istinti violenti? L’avevo io trasformata nella nuova lei? Se era così, poco male. La cosa che non aveva quella ragazza e di cui aveva disperatamente bisogno erano le palle, e diciamo che ero fiera che stessero germogliando, anche se ancora di strada da fare ce n’era molta.
“Bè grazie!” le sorrise alzando leggermente le spalle.
“Mi dai una mano?” dissi aprendo il mio armadio ed estraendo la mia valigia e aprendola sul pavimento. Lei mosse due passi nella mia direzione.
“Te ne vai?” domandò incredula.
“Sì!” dissi semplicemente iniziando a buttare dentro i vestiti.
“A casa tua?”
Ma cos’erano tutte quelle domande? Era la giornata delle domande? Ma perché la gente non s faceva mai gli affari propri? Non chiedevo molto, solo la libertà di poter fare quello che volevo nel modo che volevo, senza dare alcuna giustificazione a nessuno.
“NO!” ribattei secca. Vedendo che lei abbassava lo sguardo dispiaciuta per il tono con il quale le avevo risposto, mi affrettai a correggermi.
“Come potrei Emily? Io questo qui non voglio più vederlo!” esclamai facendo il tono melodrammatico.
Lei mi si avvicinò e mi aiutò a mettere via i vestiti.
“Dove andrai allora?” sembrava seriamente preoccupata per me.
“Troverò un appartamento qui in città credo, ma prima devo cercare lavoro!” constatai.
“Oh! Allora non stai da Dave!” esclamò visibilmente sorpresa.
Mi bloccai un attimo. Aveva detto Dave? Cosa ne sapeva lei che io ero da Dave. O almeno che lo ero stata fino a qualche decina di minuti prima.
“Perché dovrei stare dal tuo ” e sottolineaicon il tono della voce quest’ ultima parola “Dave?”
“Oh bè, quando mi ha chiamata dieci minuti fa sembrava a dir poco allarmato!” sbarrai gli occhi incredula. Dave l’aveva chiamata? Allarmato? Perché?
“Insomma mi ha chiesto tutto agitato se sapevo dove trovarti e che era di fondamentale importanza che tu tornassi a ‘casa’ … e dato che ha detto così io ho pensato che…”
“Hai pensato male!” sbottai.
“Comunque e per questo che sono qui, lui mi ha chiesto di raggiungerti, ed eccomi! Giusto in tempo per godermi lo spettacolo!” finì accennando a Rob steso sul pavimento. Non potei far a meno di sorridere di fronte all’espressione soddisfatta che assumeva quando lo guardava così privo di sensi. Doveva essere parecchio risentita nei suoi confronti, il che voleva dire che doveva averle fatto parecchio male. Al cuore.
Mah, a capirla! Come può un a persona ferire un’altra non fisicamente, ma sentimentalmente?
Dal mio punto di vista era totalmente assurda come cosa!
“Dato che non stai da Dave se vuoi io avrei un letto in più, potrei ospitarti!” mi sorrise.
Dovetti fare uno sforzo immane per non assumere un’espressione disgustata, dopotutto non mi allettava l’idea di passare un sacco di tempo con Emily, tuttavia mi serviva una sistemazione temporanea, almeno giusto per il tempo che mi serviva per accumulare una quantità di soldi tale da poter affittare un appartamento tutto mio.
“Ok! Ma solo provvisoriamente e ad una sola condizione …”
Emily mi guardò interrogativa invitandomi in tal modo ad andare avanti.
“Non dire nulla a Dave!”
 
 
Definire ‘buco’ l’appartamento di Emily sarebbe stato fare ad esso un enorme complimento. Era un monolocale. Punto. Un divano letto e una brandina. La mia brandina. C’era di buono che era pulitissimo. Storsi comunque il naso. Non sarei stata in quel posto nemmeno una notte lasciai la valigia lì, in mezzo all’unica stanza, e mi voltai verso la porta.
“Dove vai?” arrivò puntuale la voce di Emily a infastidirmi.
Mi voltai verso di lei fingendo un sorriso che in realtà non avevo la benché minima intenzione di fare e feci un respiro profondo.
“Vado a ritirare la mia iscrizione all’università!” dopotutto era vero. Mi era infatti venuta un’idea geniale per avere i soldi per andare prendere il mio appartamento singolo. Sarei andata a ritirare la mia iscrizione prima di Alan e così avrei cercato di farmi rimborsare i soldi della quota della mia iscrizione. Dopotutto eravamo solo all’inizio dell’anno, quindi ero dell’idea che non avrebbero fatto molte storie al riguardo e anche se le avessero fatte, bè io avevo i miei metodi per convincerli.
Alla notizia Emily si rattristò.
“Perché? Hai solo dei problemi con Rob, non con il tuo padre adottivo!” constatò.
Ma quanto era impicciona quella ragazza?
Accidenti a lei.
“Ho litigato pure con lui!” mossi un passo e subito lei mi fu accanto.
“Vengo con te!” disse entusiasta affiancandosi a me. Fatastico.
Le sorrisi come se la cosa mi rendesse terribilmente felice mentre in realtà avrei voluto avere a disposizione l’ombrello che avevo tirato in testa a Rob.
“Con Rob che intendi fare?” mi domandò curiosa lungo la strada.
Alzai gi occhi al cielo di fronte alle domande di quell’impicciona.
“Per il momento niente!” sbottai allungando il passo. Magari in quel modo l’avrei seminata.
“Intendo dire che è disteso sul pavimento del tuo appartamento privo di sensi, non credi che dovremmo chiamare un’ambulanza?”
“Fai quel che ti pare!” ribattei sempre più infastidita dalla sua pesante presenza.
Arrivammo ben presto di fronte all’edificio nel quale eravamo dirette e andammo verso la segreteria.
“Salve!” salutai l’impiegata sfoggiando il mio sorriso migliore. Lei fece un piccolo cenno e mi guardò in attesa che le ponessi la mia richiesta. Avevo lo sguardo piuttosto spento, dopotutto doveva essere pesante lavorare tutto il giorno ancorata ad una scrivania, non la invidiavo affatto. Sorrisi di fronte al pensiero che fino a pochi minuti prima anche io avevo pensato di mettermi a lavorare. Assurdo. Non ero fatta per lavorare. Ero brava ad aggirare,  a programmare, ma mai a lavorare.
“Sono Marguerite Jones e vorrei ritirare la mia iscrizione!”
La donna digitò il mio nome sullo schermo e poi si bloccò improvvisamente puntando gli occhi nei miei.
Erano offuscati, così offuscati da essere famigliari.
Continuavo a fissarli sperando di avere le allucinazioni, non poteva essere quello che stavo pensando.
“Mar!” disse la donna con la sua voce spenta e monotona. Così simile a quella di Agatha.
Spalancai la bocca. Non poteva essere.
“Torna a casa Mar! Non aver paura! Combatteremo insieme la guerra contro quel ragazzino!” continuò a dire la donna.
Spalancai gli occhi consapevole che ormai non ero al sicuro da nessuna parte, Alan poteva arrivare dovunque. Guardai meglio la donna e mi sforzai di ricordarmi se l’avevo già vista come paziente alla villa, ma il suo volto non mi era famigliare.
Quella però era la prova che Alan ci aveva tenuti d’occhio, che non si era mai fidato né di me, né di Rob. E come potergli dare torto? Agivamo secondo la nostra natura, non secondo la sua, e lui invece doveva assicurarsi che agissimo secondo i suoi scopi. Cos’eravamo stati noi se non dei semplici burattini nelle sue mani? Dei semplici giocattoli che lui non aveva mai considerato più di ciò.
A tale consapevolezza mi sentì montare da una fredda rabbia.
“Allora Mar?” domandò ancora atona la donna.
Emily mi toccò il braccio per richiamare la mia attenzione. Incrociai i suoi occhi e la vidi decisamente terrorizzata.
“C-cosa significa?” mi chiese con voce acuta.
La ignorai e tornai a rivolgere lo sguardo alla donna che parlava per conto di Alan Black.
Sorrisi glaciale e puntai dritta i suoi occhi.
Essa distolse lo sguardo. Cosa insolita per una persona automatizzata! Era ovvio che era Alan ad averle ordinato di distogliere lo sguardo dalle mie pupille.
“Hai paura Alan?” lo schernì. Sapevo che stavo giocando col fuoco, ma come potevo evitare di farlo? Ormai c’ero dentro fino al collo in quella partita e sicuramente non avrei compiuto il vile atto della ritirata.
“L’unica guerra che combatterò sarà quella contro di te Alan!” ghignai.
 
 


Ecco l’aggiornamento…
Perdonatemi se fa un po’ schifo ma l’ho scritto in fretta e non l’ho nemmeno corretto.
Mi è costato davvero tanto scriverlo perché di tempo libero ne ho davvero poco e di solito arrivo a fine giornata stremata e l’ultima cosa a cui penso e mettermi al computer a scrivere.
Dato che comunque questo sforzo lo sto facendo per voi, perché mi è sembrava una mancanza di rispetto non aggiornare entro la data che vi avevo comunicato nello scorso capitolo, vi chiedo di recensire e di farmi sapere cosa ne pensate. Almeno so se ho fatto bene a fare questo sforzo.
Non ho davvero un attimo libero.
Vi chiedo di avere pazienza per un  paio di settimane ancora, il 20 e il 21 ho prima e seconda prova e il 25 la terza… quando saprò la data dell’orale potrò vedere quando posso scrivere… per informarvi sulla data del prossimo aggiornamento credo scriverò un capitolo pubblico che dopo un paio di giorni cancellerò.
Però davvero! Ho bisogno di sentire che il mio sforzo non è stato inutile!
Grazie a tutte coloro che ci sono, che leggono, recensiscono ecc…vi adoro!
A chissà quando!!
Daisy!
Ps. Anche se il prossimo aggiornamento arriverà tardi, arriverà, non v preoccupate!

 

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Capitolo 22
*** CAP 21 ***


Inizio a chiedere umilmente scusa per gli orrori ortografici che sicuramente troverete, non ho tempo per rivederlo! è già tanto che sia riuscita a scriverlo! il capitolo è lunghetto (6754 parole) però spero di fari perdonare per l'assenza!
vi chiedo per l'ennesima volta di RECENSIRE! io ho bisogno dei vostri pareri perchè questa storia è davvero importante per me e comunque non siete in pochi a seguirla! perchè non parlate? che vi costa?? bastono due paroline!!
mi piace o non mi piace.
sò che non mi ascolterete ma almeno io c'ho provato! grazie comunque a chi legge mette tra seguiti/preferiti ecc.... (RECENSITEEEEE)

 

CAP 21

 
Quella donna non è Alan! Alan è un uomo! Alan è tuo padre!” continuò a blaterare senza prendere un attimo di fiato quella svampita di Emily.
Le lanciai un occhiata in tralice sperando che smettesse, ma lei, naturalmente, fraintese.
“Ok, è il tuo patrigno, ma è un uomo vero?”
Alzai gli occhi al cielo e supplicai qualche santo di non farmi perdere la calma.
“Sì Emily, è un uomo!” le confermai cercando di stamparmi in faccia un sorriso il meno irritato possibile.
“Quindi è una di quelle persone a cui piace …” si bloccò imbarazzata e poi trovò il coraggio di continuare “… travestirsi?”
Ci mancò poco che non le ridessi in faccia. Era davvero incredibile! Non avrei dovuto nemmeno sforzarmi tanto per trovare una scusa plausibile per spiegarle come mai una donna aveva parlato per conto di Alan, stava davvero facendo tutto da sola!
E chi ero io per non cogliere quell’occasione al volo?
Mi finsi imbarazzata di fronte alle sue parole e mi fissai le scarpe nel tentativo di non ridere.
“Sì, gli piace … insomma … vestirsi da donna!”
Il volto di Emily espresse chiaramente il suo stupore, quello che per lei era solo un sospetto in quel momento era divenuto realtà.
Aprì la bocca per dire qualcosa, ma le parole non le uscirono immediatamente.
“E va con gli uomini?”
Alzai un sopracciglio. Che razza di domanda era? Quella ragazza sapeva essere la peggiore delle stalker se si impuntava. E anche la migliore delle stupide! Probabilmente era l’unica secchiona così scema sulla faccia della terra!
E che fortuna! Me la ero beccata proprio io!
“A volte!”
Il suo sguardo era a dir poco esterrefatto.
“Per questo avete litigato?” mi chiese con foga crescente.
Smisi di camminare e mi voltai verso di lei. Avrei quasi voluto abbracciarla, insomma mi stava risparmiando un bel po’ di fatica, stava praticamente facendo tutto il lavoro da sola. In quel momento la adoravo.
“Sì, sai …” finsi che che solo il ricordo mi feriva “ … si è portato a letto il mio ragazzo!” sospirai.
Ormai gli occhi della secchiona erano fuori dalle orbite.
“SI E’ FATTO DAVE?” mi chiese ormai fuori di sé.
Stop. Com’è che la cosa era degenerata fino a quei livelli?
Insomma, dopo aver dichiarato guerra ad Alan la donna non mi aveva più rivolto la parola. Si era messa a rovistare fra le carte in cerca di qualcosa. Emily ancora se ne stava zitta e esterrefatta alle mie spalle.
Dopo qualche secondo alzò lo sguardo ed io scoprii, con non poco stupore, che esso era normale e non più vitreo. Che razza di trucchetto era quello? Sicuramente uno di cui non ero a conoscenza.
La signora mi aveva sorriso e mi aveva chiesto cosa volessi e io me ne ero andata prima di poterle rispondere. Naturalmente ero stata seguita da Emily che, mentre cercava di stare dietro al mio passo spedito, continuava a balbettare cercando di formulare una frase di senso compiuto. Io, invece, ero persa nei miei pensieri. Mi chiedevo quale mistero nascondesse quella donna. Perché era tornata normale? Non sapevo che l’automazione potesse funzionare anche a comando!
Poi, per mia sfortuna Emily aveva trovato le parole giuste per esprimersi e il mio filo di pensieri venne brutalmente tagliato dalla sua voce acuta.
E poi eravamo arrivate a questo. Lei che credeva che Alan era andato a letto col mio ragazzo Dave!
Come potevo non ridere? Insomma, con quella frase aveva davvero superato sé stessa.
Mi tenni la pancia mentre il suo stupore cresceva a vista d’occhio.
“Tuo padre si fa Dave e tu RIDI?” continuò lei  sconvolta.
“Io non starei mai con quella specie di uomo!” cercai di articolare tra le risate.
Emily assunse un sorriso amaro.
“Lo so che adesso che ti ha tradita tu non vuoi più saperne di lui, ma non era per me un segreto che tra di voi c’era del tenero!”
Ripensando al ‘tenero’ che c’era tra me e Dave mi venne ancora di più da ridere. Insomma eravamo passati dall’odiarci a morte, al cercare di ferirci il più possibile. Non ci potevamo proprio vedere! Emily non poteva essere più ceca di così.
“Ascolta!” ribattei non appena mi fui calmata un po’ “Io non sono stata e mai starò con Dave ok?”
Lei fece spallucce.
“Guarda che non sono scema eh! Me ne sono resa conto!”
Lei non era scema? Chissà perché allora avrei trovato un centinaio di prove che potevano dimostrare il contrario.
“Guarda che se lui ha chiesto tutto il tempo di me quando eravate usciti non vuol dire che sia interessato a me in quel senso!” marcai la parola ‘quel’, perché lui era interessato a me, s interessato a distruggermi!
“Sarà!” disse scettica riprendendo a camminare.
“Comunque mi dispiace che il tuo patrigno sia andato a letto col tuo misterioso ragazzo! Insomma non hai una famiglia di gente a posto! Tra lui e Rob non so chi sia messo peggio!”
Sbarrai gli occhi.
“Chi sei tu? Cosa ne hai fatto di Emily!”  le chiesi con finto stono serio scrollandole le spalle. Da quando quella ragazza diceva così chiaramente quello che pensava?
“Sono sempre io! Solo che odio quando qualcuno fa del male alle mie amiche!”
Amiche. Io non avevo amiche né amici. Assurdo che proprio una persona come me stesse così a cuore ad una come Emily. Forse lei era l’unica persona che in tutta la mia vita avesse davvero tenuto a me.
Patetico. Scacciai quei pensieri dalla testa.
“Grazie!” mi sforzai di dire.
“Non c’è niente per cui ringraziare!” rispose sorridendomi.
“Ok!”
“Che farai adesso? Non ti hai ritirato l’iscrizione!”
“Sono sicura che lo farà lui!” risposi.
“Già!”
“Comunque ora mi tocca trovarmi davvero un lavoro!” sbuffai.
“Guarda che io ti posso ospitare per qualche settimana senza alcun problema!”
Storsi il naso a quella terribile notizia. Non era mia intenzione alloggiare in quel buco, piuttosto avrei preferito mettermi a lavorare.
“Non voglio disturbare e poi mi piace essere indipendente!” affermai convinta.
“Come vuoi!” disse lei alzando le spalle “Che cosa pensavi di provare a fare come lavoro?”
Ci pensai un po’ e poi giunsi ad una conclusione.
“Qualcosa che mi vene bene!” esclamai soddisfatta.
Emily sorrise.
“A te viene più o meno tutto bene!”
Mi ci volle una grande forza di volontà per non rispondere ‘lo so’.
“Vado subito a vedere se riesco a trovarlo!”
Emily mi sorrise e mi salutò con la mano augurandomi buona fortuna.
“Ah Mar!” mi richiamò indietro dopo qualche frazione di secondo.
“Dimmi!” mi sforzai di non essere troppo brusca.
“Tuo padre soffre anche di doppia personalità?”
Fantastico. Si era pure resa conto del cambiamento nella donna durante gli ultimi minuti di conversazione.
“No!” ribattei secca.
“Meno male! Insomma uno psichiatra che soffre di doppia personalità no0n è il massimo! Già il fatto che è un travestito mi scoraggerebbe ad andare da lui, senza offesa!”
La fissai divertita.
“Nessun offesa!” e tornai sui miei passi.
 
 


“Per essere una bella ragazza sei bella, hai un bel fisico e hai fascino, un fascino un po’ oscuro che potrebbe renderti molto interessante! Il problema è che siamo al completo, abbiamo più cubiste del necessario, mi dispiace!”
Il mio interlocutore era un ragazzo giovane, al massimo poteva avere trent’anni. Egli era talmente tanto abbronzato da sembrare sud Americano, anche se non era da escludere che lo fosse realmente. La cosa che più mi impediva di concentrarmi sulle sue parole erano i muscoli delle sue braccia, ben visibili grazie alla canottiera attillata che indossava. Sicuramente doveva fare ore e ore di palestra per avere dei bicipiti del genere o doveva prendere una valanga di steroidi. O forse entrambi.
Fatto sta che quella vista mi aveva a dir poco destabilizzata. Mi immaginavo quelle braccia cingermi mentre io e lui eravamo impegnati a fare danze più sensuali di quelle che le cubiste azzardavano in quella discoteca.
Così mi ero persa metà del suo discorso.
“Eh?” dissi continuando a sorridere come se avessi visto appena un qualcosa di succulento da mangiare.
“Che siamo al completo!” ribadì lui con una voce decisamente roca. Mamma mia! Quella voce era perfetta per dire un sacco di cose tutt’altro che pulite!
Alzai lo sguardo da quelle braccia perfette e incontrai i suoi occhi scuri. Sarebbe stato così semplice influenzarlo, ma in quell’occasione volevo giocare un'altra carta.
Mi spostai di lato avvicinandomi a lui mordendomi dolcemente il labbro inferiore.
“E se ti facessi cambiare idea?” gli sussurrai avvicinando le mie labbra al suo orecchio. Ero di fianco a lui quindi il gesto mi veniva semplice. Inoltre ciò mi permetteva di stuzzicarlo senza nemmeno sfiorarlo, una cosa per cui gli uomini impazziscono.
“Senti!” disse guardandomi con serietà “Io non posso! Ti assicuro che sei bellissima …” posò gli occhi su di me con bramosia “ … sei perfetta, ma sono impegnato!”
Mi avvicinai ancora al suo orecchio e lo sfiorai lievemente con le labbra facendolo rabbrividire.
“E allora?” continuai sensualmente.
“I-io non tradisco!” disse con poca convinzione. Com’è debole la carne.
Mi mossi con sinuosità fino a giungere dinnanzi a lui.
“C’è un problema però!” continuai.
“Che problema?” si vedeva che non comprendeva dove volessi arrivare.
“Che io ti voglio!” risposi con semplicità. Lo sentii trattenere il respiro e deglutire a vuoto. Sorrisi. Era caduto nella mia rete. Avvicinai le labbra alle sue.
Non appena egli avvertì quel semplice contatto avvinghiò possessivamente le mani ai miei fianchi facendomi aderire perfettamente al suo corpo scolpito.
La sua presa era decisa e bastava quel semplice contatto così possessiva a farmi perdere la testa. No, in realtà bastava solo la vista di quel corpo scultoreo, che anche se ancora era coperto dalla maglia lasciava poco spazio all’immaginazione. Per mia fortuna.
Non appena si staccò dalle mie labbra mi buttai sulla sua clavicola. Egli ebbe un brivido quando le mie labbra inumidite sfiorarono la sua pelle. Sembrava che gli avessi trasmesso una specie di scossa perché quel contatto lo rese ancora più passionale, se possibile.
I palmi delle sue mani si aprirono sui miei fianchi, e con una discreta pressione salirono sempre più in alto, trascinando con il loro movimento la maglietta sempre più su.
Quando i miei seni rimasero scoperti lui si fiondò su di essi liberandoli dal reggiseno usando i denti.
i suoi gesti mi fecero impazzire e gemere, era davvero decisamente bravo. Ma cosa diavolo aspettava a togliersi la maglietta? N0on poteva tenermi celato tutto quel ben di Dio.
A malavoglia presi tra le mani il suo viso per farlo staccare dal mio petto e gli diedi un soffice bacio sulle labbra. Lui ansimava senza ritegno ed aveva gli occhi appannati dal desiderio.
Era davvero una persona fedele alla sua ragazza, altrochè.
Gli rivolsi un sorrisetto malizioso mentre facevo sparire le mie mani oltre la sua maglietta, tutto ciò senza staccare gli occhi dai suoi.
Lui sembrava totalmente rapito e la cosa mi rendeva ancora più eccitata. Insomma con il corpo che aveva chissà quante proposte poco pulite doveva aver ricevuto, eppure lui probabilmente era rimasto fedele.
Certo, prima di incontrare me!
Ghignai mentre lo liberavo della maglietta. Per facilitarmi il compito lui alzò le braccia al cielo e io non potei far ameno di bloccarmi di fronte alla visione paradisiaca che mi si parò dinnanzi.
Nel fare quel gesto i suoi muscoli delle spalle di ero tesi e dovetti raccogliere tutta la mia forza di volontà per non mettermi a sbavare come un cane.
Con un movimento rapido lo liberai di quell’inutile e odioso indumento e ammirai l’opera completa.
Mi ritrovai a deglutire a vuoto più volte a vuoto.
Chiunque avesse creato il mondo aveva fatto davvero la sua opera migliore con la realizzazione di quel fisico. Mamma mia, dire che somigliava ad un Dio greco era offenderlo.
Il mio cervello andò in tilt quando lui si avvinghiò  a me e fece entrare con forza la lingua nella mia bocca.
Era un bacio che di dolce non aveva nulla. Esso esprimeva solo passione e desiderio. Il mio che si mischiava al suo.
Quel bacio mi tolse il respiro per quanto era frenetico, disperato, bisognoso.
Una sua mano andò a slacciarmi il bottone dei jeans e con velocità abbassò la cerniera.
In un secondo i pantaloni caddero ai mie piedi ed io con un semplice calcio li allontanai da me. In quel momento non sarei stata in grado di fare nulla più articolato.
Le sue mani d’oro si intromisero nelle mie mutandine facendomi  ansimare ancora più forte.
Dannazione se lo volevo. Al solo pensiero di mordere quelle spalle perfette mentre lui si muoveva dentro di me mi sentivo in paradiso.
Peccato fossero solo pensieri. Per questo tentati di velocizzare le cose slacciandogli i pantaloni con un colpo secco.
Ormai eravamo persi entrambi nel nostro vortice di passione e desiderio quando sentimmo dei passi avvicinarsi.
“Andrew!” stava chiamando la ragazza alla quale dovevano appartenere quei passi.
Incurante di tutto ciò feci aderire maggiormente i mostri corpi e lo baciai con foga, lo sentii ansimare ancora più forte.
“Andrew!”
Il ragazzo che aveva il fisico di un dio greco mi staccò con fatica da me guardandomi con dispiacere misto a dolore fisico. Cercò di calmare il suo respiro.
“Merda merda merda!” esclamò cercando di recuperare freneticamente i vestiti nella stanza.
“Andrew!” la voce si faceva sempre più vicina.
Allora capii.
Quello che doveva essere Andrew in tanto si era già rivestito e mi guardava con terrore puro negli occhi.
Gli lanciai uno sguardo seccato, perché si era interrotto sul più bello? Dannazione. Quella ragazza l’avrei squartata con le mie mani. Cercai di calmare il respiro a mia volta. Maledetto deficiente aveva illuso il mio corpo che ci sarebbe stato di più, ed esso non riusciva ad accettare di non essere stato soddisfatto.
“Che aspetti a vestirti?” mi disse scontroso.
Ghignai. Quel deficiente non sapeva che a me non si doveva parlare in quel modo. Mi rivestii con estrema calma mentre lui diventava sempre più pallido nel vedere la mia lentezza.
“Ti prego sbrigati!” mi supplicò continuando a lanciare occhiate alla porta temendo di vederla aprirsi da un momento all’altro.
Quando ero riuscita ad indossare la i pantaloni ed ero solo rimasta in reggiseno, una ragazza bionda fece il suo ingresso nella stanza. la classica barbie, nulla di speciale infondo.
Vedendomi si bloccò e mi fissò squadrandomi con altezzosità dall’alto al basso.
“E chi è questa sciacquetta?” domandò con disprezzo a quello che doveva essere il suo ragazzo: Andrew.
La fissai aumentando le dimensioni del mio ghigno. Era da un po’ che non incontravo una ragazza abbastanza stronza da farmi divertire, quindi la cosa mi rese parecchio felice.
“E’ la nuova cubista!” si affrettò lui a rispondere.
“Questo vuol dire che sono assunta?” domandai soddisfatta.
“Sì! E’ ovvio, te l’ho detto fin dall’inizio che ne avevamo davvero tanto bisogno!”
Che bugiardo. Non potei fare a meno di compatirlo. L’amore l’aveva reso privo di spina dorsale, privo di un minimo di coerenza e di amor proprio. Si stava umiliando di fronte a me per far si che la verità non venisse a galla. Possibile che al mondo non ci fosse nessuno degno della mia stima?
“E cosa ci fa una cubista in reggiseno?” sibilò la ragazza.
“I provini sono sempre così!” cercò di giustificarsi Andrew.
“Già!” concordai io e vidi che il ragazzo mi mimava un grazie con le labbra. Sorrisi avvicinandomi a lui mentre mi rimettevo anche la maglietta.
“Mi sarebbe piaciuto …” iniziai con voce bassa e sensuale quando fui ad un passo dalle sue labbra “… continuare ancora un po’ il provino però!”
Feci scivolare la mia mano sulla sua schiena a palmo aperto fino a farla giungere sul suo sedere. I miei occhi incrociarono i suoi che chiedevano pietà. Peccato che io non fossi abbastanza magnanima da concedergliela.
Nonostante il suo sguardo disperato era incapace di muoversi, così me approfittai. Spostai la mano posata sua glutei sul rigonfiamento che aveva nei pantaloni, dopo di che gli slacciai il bottone e gli abbassai la cerniera.
“Dio se mi sarebbe piaciuto continuare!” sospirai sensualmente mordicchiandomi il labbro inferiore e senza mai lasciare i suoi occhi. La sua ragazza ci fissava immobile esterrefatta.
Inserii una mano nei suo boxer e iniziai a muoverla su e giù.
“Ma che cazzo stai facendo?” ringhiò la ragazza.
“Te lo preparo! Sarà così desideroso di piacere che si fionderà su di te!” il mio ghigno si ampliò “Non sei felice?”
Mi staccai dal ragazzo che ormai era ad un passo dal raggiungere l’apice del piacere e passai accanto alla sua ragazza sorridendole.
“A stasera Andrew!” lo salutai con un cenno della mano voltata di spalle.
“A presto ragazza senza nome!” la schernì. Detto ciò uscii da quella stanza.
Ero andata in quel locale aperto da poco proprio per trovare un posto come cubista. Dopotutto ero brava a ballare e mi divertiva farlo, che lavoro migliore potevo sperare di trovare?
Ancora una volta ero dunque riuscita ad ottenere il mio obbiettivo, avevo il lavoro che volevo.
Mi ero davvero divertita. Tutto ciò che era successo in quella stanza, mi resi conto in quel momento, che era stato un vero toccasana per i miei nervi. Dopotutto, anche se non volevo ammetterlo gli avvenimenti degli ultimi due giorni mi avevano davvero scossa, chi non lo sarebbe dopotutto?
Alan voleva farmi fuori, sapevo che mi controllava o che comunque avrebbe potuto farlo e inoltre lui e Rob erano già sulle mie tracce.
Ciliegina sulla torta avevo litigato col mio unico alleato: Dave. In quel momento, improvvisamente realizzai che c’era una persona che, dopotutto, meritava la mia stima, l’unica che aveva saputo tenermi testa.
Dave Sullivan.
 


“Scusami dove hai trovato lavoro?” mi chiese Emily senza nascondere l’espressione vagamente schifata che il suo viso aveva assunto.
“Al Juis Club!” ribadì per l’ennesima volta mentre estraevo dalla mia valigia un paio di gonne che avevo intenzione di indossare quella sera. Ero sicura che mi avrebbero detto loro cosa mettere, ma comunque volevo presentarmi decentemente, infatti non era da escludere che quel bellissimo ragazzo volesse vendicarsi di me dopo la bella scenetta che avevo fatto di fronte alla sua ragazza. Non potei far a meno d sorridere al ricordo.
“Ah! allora avevo capito bene!” disse secca Emily.
“Che c’è di male?” le domandai indecisa se indossare la gonna nera o quella di jeans.
“Che è un postaccio!”
Mi voltai verso di lei assumendo un’espressione scettica. Probabilmente per Emily tutti i posti in cui non c’erano le suore erano dei postacci.
“E’ la verità!” si affrettò ad aggiungere “Ha aperto da due mesi circa e già hanno tentato di farlo chiudere un paio di volte!” mi informò preoccupata.
La ignorai e indossai la gonna di jeans per poi ammirarmi nel piccolo specchio che Emily aveva malamente montato all’interno dell’unico armadio.
“Lo volevano chiudere perché si spacciava!” sbottò offesa per la mia mancanza di interesse di fronte ad una cosa che ai suoi occhi doveva apparire gravissima.
“Capirai! È normale sai Emily! Solo che a quanto pare sono abbastanza stupidi da essersi fatti beccare!”
Ruotai su me stessa per cercare di vedere come la gonna mi calzava sul lato b. Sorrisi ero perfetta.
“E hanno anche …” abbassò la voce “ … violentato delle ragazze!”
Sperava di far leva sulla mia recente cattiva esperienza con il tentativo di violenza di Rob. Tentativo che non era mai avvenuto anche perché altrimenti Rob non sarebbe stato più un ragazzo, bensì una ragazza senza più l’attributo chiave.
Mi bloccai e incrociai il suo sguardo preoccupato.
“Non mi accadrà niente!” cercai di rassicurarla, più che altro per farla zittire.
Ma da quando avevo una madre? Per di più una madre della mia stessa età! Da non crederci!
Emily mi lanciò uno sguardo poco convinto e estrasse un paio di pantaloni dalla mia valigia.
“Almeno copriti!” mi rimproverò lanciando un’occhiataccia alle mie gambe scoperte e lanciandomi l’indumento che aveva in mano.
Scansai ridacchiando il pantalone e mi misi alla ricerca di una maglietta.
“Andiamo Mar! cosa penserà Dave? Che la sua ragazza è una poco di buono?”
Mi bloccai. Ma perché si era ostinata a continuare con quell’assurda storia? La guardai malissimo, probabilmente dovevo sembrare parecchi arrabbiata perché lei ritrattò immediatamente le sue parole.
“Come non detto!” esclamò allontanandosi dal mio sguardo assassino.
Presi una maglietta con una prosperosa scollatura e la indossai. Sorrisi al mio riflesso per quanto ero bella e letale.
Letale soprattutto, mi piaceva pensarlo, mi faceva sentire onnipotente. Peccato che la mia immagine fosse rovinata dalla presenza di Emily che stava fissando la mia immagine con disappunto.
“E cosa faresti di preciso?”
Sorrisi allo specchio a quella domanda. Probabilmente le sarebbe venuto un colpo.
“La cubista!”
Alle mie parole lei spalancò la bocca come un ebete e mi fissò esterrefatta. Caspita che contegno! Pensavo che si sarebbe messa ad urlare come una pazza e invece mi aveva mostrato la sua enorme apertura mandibolare, accidenti mancava poco che il labbro inferiore toccasse terra.
Noi potei fare a meno d ridere mentre lei cercava di articolare un discorso del quale non fu in grado di pronunciare nemmeno una parola.
“Ciao Emy!” la salutai con un cenno della mano mentre  afferravo la borsa e mi precipitavo verso la porta.
Lei fu incapace di muoversi così la lasciai lì, immobile come una deficiente.
Durante il tragitto non feci altro che pensare alla sua espressione esterrefatta il che mi fece sorridere.
Una volta arrivata vidi con stupore che il locale era già mezzo pieno, ma ancora non c’era la musica vera e propria, ovvero quella che spacca i timpani, ma solo un leggero sottofondo.
La maggior parte delle persone se ne stava seduta sui tavolini presenti sui soppalchi a bere qualche drink mentre io invece mi diressi verso il bancone alla ricerca di Andrew sia per chiedergli informazioni e sia per finire il discorso ce avevamo iniziato quel pomeriggio, insomma ci tenevo parecchio.
“E tu saresti?” mi domandò un uomo sulla cinquantina con i capelli brizzolati ed una scopa in mano. Doveva essere uno di quella specie di domestici che puliscono i locali invece che le case.
“La nuova cubista!” sorrisi.
“E chi ti avrebbe assunta?” l’uomo mi fissò con un sopracciglio alzato scettico per quello che avo appena detto.
“Andrew!” dissi con semplicità. Perché poi tutte quelle domande? Non aveva da lavorare.
L’uomo si portò una mano sul viso e con un’espressione mezza sconsolata e mezza disperata scosse la testa.
“Andrew!” ripetè.
“Che problema c’è?” domandai leggermente divertita. Chissà perché ma credevo che Andrew fosse nei guai.
“Mi segua signorina!” si limitò a rispondermi.
“E io dovrei seguirla perché lei è …?” chiesi sempre sorridendo e sempre più gioiosa.
“Il padrone del locale, e il padre di quel cretino di Andrew!”
Alzai un sopracciglio. Non avrei mai detto che quell’uomo così basso e gracile fosse imparentato con quella meraviglia di suo figlio.
“Andrew è stato adottato?” domandai per chiarirmi ogni dubbio.
“Come?” mi domandò l’uomo sorpreso dalla mia domanda.
“Era così, giusto per chiedere!” mi affrettai a riparare.
Mi fece strada lungo un sottile corridoio e mi fece entrare in una stanza che doveva essere il suo ufficio.
Senza troppi convenevoli estrasse dai cassetti della scrivania un paio di fogli.
“Deve compilare questi!” si limitò a dirmi porgendomeli.
Diedi una rapida lettura.
Nome.
Cognome.
E una seria di altri dati.
Allontanai il foglio disgustata. Non potevo fornire tutte quelle informazioni, sarebbe stato come lasciare una traccia del mio passaggio e non era consigliabile, soprattutto per la situazione che stavo vivendo.
Cercai lo sguardo dell’uomo che leggermente impaziente stava cercando aspettando che io compilassi e firmassi.
Catturai con il mio sguardo i suoi occhi anonimi e ghignai.
“Non sarà necessario questo pezzo di carta per assumermi vero?” domandai.
“No, non serve!” e così dicendo afferrò il foglio e lo stracciò. Sorrisi felice nel vedere quell’azione.
I successivi 10 minuti li passò ad istruirmi su cosa avrei dovuto fare.
Il problema fu che io mi pesi alla seconda delle regole che mi stava elencando, era così noioso! Per fortuna finì indicandomi i camerini nei quali mi sarei potuta cambiare. Senza nemmeno ringraziarlo andai verso di essi felice di potermi liberare di lui.
“Tu qui?” una bionda platinata mi accolse con cattiveria non appena entrai nel camerino.
“Ciao cara!” la salutai sorridendole per schernirla.
Immediatamente la vidi serrare i pugni.
“Sai cosa barbie?” le dissi avvicinandomi minacciosa a lei.
“Che vuoi da me sgualdrina? E poi mi chiamo …” la zittì con un cenno della mano. Dopotutto non mi importava affatto come lei si chiamasse.
“Dicevo, barbie …” e sottolineai con il tono della voce quest’ultima parola “… che ti sei trovata davvero un bel ragazzo, ci sa davvero fare a letto!” sogghignai di fronte alla sua espressione esterrefatta e la lasciai lì, in mezzo alla stanza senza che lei fosse in grado di fare una qualsiasi cosa.
 



La musica era talmente forte da far vibrare ogni mia singola cellula. Adoravo quella sensazione. Sentire il mio corpo pulsare insieme ai bassi era qualcosa che non aveva prezzo. Se univo ciò all’essere ammirata da una moltitudine di uomini sbavanti bè potevo ritenermi in paradiso.
All’inizio appena avevo visto il costume quasi mi ero messa a ridere. Insomma non mostrava niente!
Era un semplice costume intero nero di pizzo. Punto. Ok non era l’abito da suora che Emily avrebbe tanto adorato, ma non era neppure adatto ad una cubista! Così avevo risolto la situazione procurandomi un paio di forbici e tagliuzzando qua e là. Il risultato su un costume a due pezzi tutto tagliuzzato che lasciava poco posto all’immaginazione. Ma era così che mi andava bene. Perché già era ovvio che sarei stata al centro dell’attenzione, ma avrei voluto esserlo non solo per le mie fantastiche doti di ballerina, ma anche per il mio fisico mozzafiato.
Per completare il tutto indossai una maschera che trovai in quel camerino. Non mi sarei mai uniformata alle altre ragazze che ballavano sui cubi, come la bionda platinata che stava con Andrew, io sarei stata diversa.
Se prima che io facessi la mia entrata trionfale in sala tutti gli uomini erano a persi a rimorchiare qualche ragazzina banale e scontata, appena i loro occhi si posarono su di me tutte le altre donne passarono in secondo piano.
Mi muovevo sensualmente senza la minima difficoltà su quei tacchi vertiginosi. Facevo ondeggiare i miei fianchi dolcemente a ritmo di musica e mi abbassavo. Poi risalivo e mi tiravo su i miei lunghi capelli fluenti. Dopo di che presi a fare una danza sensuale con il palo.
Le altre ballerine non erano minimamente guardate come anche le altre ragazze della sala che improvvisamente si erano ritrovate senza il loro accompagnatore. Tutti, o quasi, gli occhi erano puntati su di me.
E io mi beai comodamente di tutte quelle attenzioni quando vidi tra la folla Andrew.
Gli sorrisi famelica e gli feci l’occhiolino. Lui mi sorrise a sua volta.
Stava in disparte ai margini della pista, probabilmente per non compromettere ancora di più il suo rapporto con al barbie. Fatto stava che comunque i suoi occhi erano puntati su di me ed essi m guardavano con bramosia.
Mi morsi il labbro inferiore e ondeggiando gli feci segno col dito indice di avvicinarsi. Lui scosse la testa convinto e incrociò le braccia al petto. Pessima mossa.
In quel modo metteva in evidenza ancora di più i suoi bei muscoli. Sorrisi maligna. Non poteva dirmi di no. Nessuno tranne quello sfigato di Dave mi avevano detto di no.
Fu così che incrociai il suo sguardo. Fu così che lo catturai. Fu così che lo influenzai.
‘Avvicinati!’
Lo vidi sorridere come un ebete e farsi spazio tra la folla per dirigersi verso di me. Ghignai.
Una volta arrivato ai piedi della struttura sulla quale ballavo mi piegai sulle ginocchia e gli tesi la mano.
“Ce la fai da solo o ti devo aiutare io?” domandai  con voce roca nel suo orecchio.
Lo sentii trattenere il respiro.
“Credo di farcela!” e agilmente saltò sulla pedana e così me lo ritrovai davanti. In tutta la sua bellezza.
Tra il mio pubblico diversi ragazzi urlarono qualcosa, riuscì solo a percepire un ‘Dai bella fa salire anche me!’.
Sorrisi lusingata di tutte quelle attenzioni e feci segno di no con il dito indice rivolta al misterioso ragazzo che aveva detto ciò. dopodiché feci un occhiolino e diedi le spalle a Andrew permettendogli così di afferrarmi i fianchi. Iniziai a strusciare il mio sedere su di lui e sentii quanto la cosa lo eccitasse. Soddisfatta cambiai posizione e iniziai a ballare con lui come avevo fatto poco prima con il palo.
Mi misi di fianco a lui, misi una mani sulla sua palla e ondeggiando andai giù aprendo leggermente le gambe in modo tale da lasciare la sua gamba tra le mie. Ritornai su e gli leccai il viso. Lui si girò famelico verso di me. Sorrisi mentre il pubblico impazziva e lanciava urla e fischi che andavano addirittura a coprire la musica.
Socchiusi le labbra come per invitarlo a fare la mossa successiva quando con mio enorme stupore vidi un viso conosciuto tra la folla.
James, l’amico di Dave mi guardava esterrefatto come se non avesse mai visto una donna in vita sua. La sua bocca era leggermente spalancata e ci mancava poco che un rivoletto di bava scendesse da essa in maniera indecente. Fortunatamente non poteva riconoscermi dal momento ce portavo la maschera, così non avrebbe potuto dire a Dave dove mi trovavo, sempre se quest’ultimo mi stava cercando.
Tornai a rivolgermi verso il Andrew che mi attendeva in tutta la sua magnificenza quando vice che un ragazzo a fatica, a differenza di Andrew cercava di salire sul cubo. Dovevo immaginarlo che qualcun altro avrebbe voluto ballare con me.
Il ragazzo posò una mano sul perfetto bicipite di Andrew e lui, che ancora non si era accorto della sua presenza  si stava per girare, ma io, prontamente, bloccai il suo viso con la mano costringendolo a tornare a concentrarsi su di me. Che importava dopotutto di quel ficcanaso?
Il problema era che al ficcanaso importava di attirare l’attenzione di Andrew così riposò la mano sul suo braccio usando una maggiore dose di forza per costringerlo a voltarsi.
E lui non se lo fece ripetere due volte. Infastidito da quel moscerino si voltò verso di esso.
Io dal mio canto avrei voluto davvero vedere che razza di faccia avesse quel ragazzo dato che ancora non lo avevo visto perché si era sempre trovato alle spalle di Andrew e quest’ultimo con tutti i suoi muscoli lo aveva coperto.
Vidi che dopo 5 secondi circa Andrew gli tirò un pugno e lo fece cadere rovinosamente giù dalla struttura sulla quale eravamo, la folla però attutì il colpo e il ragazzo si rialzò quasi subito.
Due occhi verdi come i più splendidi smeraldi fissavano Andrew con rabbia e risentimento.  O meglio sembrava che fissassero il ragazzo, ma in realtà puntavano dritti su di me.
Andrew si fiondò giù dal cubo per avvicinarsi a Dave. Quest’ultimo mentre ancora si stava rimettendo in piedi incontrò il suo sguardo e Andrew si bloccò sul posto. Dopo una frazione di secondo quest’ultimo riprese ad avvicinarsi a lui e io mi ritrovai a sorridere tra me e me. Per una volta il suo sguardo non aveva funzionato e la cosa mi soddisfaceva parecchio.
Con mio enorme stupore invece Andrew tese la mano verso quel deficiente dagli occhi verdi e lo aiutò ad alzarsi, dopo di che si dileguò in mezzo alla folla.
Esterrefatta, come il resto del pubblico osservai Dave venire verso di me.
Lo ignorai e ripresi a ballare a ritmo di musica col palo. Nel girare intorno ad esso vidi che seduto ad uno dei tavolini che si trovavano sul soppalco un ragazzo biondo mi osservava con un sorriso maligno sulle labbra mentre sorseggiava un drink. Nel vedere che lo fissavo alzò il bicchiere nella mia direzione a mo’ di brindisi in mio onore. Rabbrividii.
Mi aveva riconosciuta. Ma come diavolo c’era arrivato lì Rob?
Mi sentii bloccare per la caviglia. Portai lo sguardo in basso e vidi che Dave mi stava trattenendo con sguardo convinto. Dannato Dave. L’ultima cosa che Rob doveva vedere era che io e Dave ci conoscevamo davvero e che lui non era stato la mia avventura della sera della festa. Non doveva avere la conferma definitiva che era lui il nemico da combattere.
Mi abbassai sulle ginocchia per poter parlargli in modo tale che mi sentisse.
“Vuoi ballare anche tu con me?” gli sussurrai nell’orecchio sperando che non mi avesse riconosciuta e fingendomi un’estranea.
“Smettila Mar!” sbottò incenerendomi con lo sguardo. Sorrisi.
“Io non sono Mar!” tentai. Feci per alzarmi ma mi sentii trattenere per il braccio.
“Andiamo via! Quello spettacolo di prima era orrendo!” disse disgustato Dave.
Ghignai. Come si permetteva di dire una cosa del genere a me? Sapevo come vendicarmi.
“Ah sì Dave? Alza gli occhi e guarda quanto è orrendo lo spettacolo che sta sopra la tua testa!” gli sorrisi maligna.
Lui preso alla sprovvista alzò lo sguardo e lo vidi sbarrare gli occhi nel vedere Rob che ci stava fissando con esagerato interesse.
Lentamente Dave abbassò lo sguardo.
“Merda!”  imprecò.
“Colpa tua! Lui è fermamente convinto che sei tu il loro nemico e adesso ne ha la prova!” mi avvicinai al suo orecchio e con voce sensuale continuai “Sta mattina ho trovato Rob nel mio appartamento e lui mi ha detto che credeva che tu mi avessi cambiata con lo sguardo così mi ha assicurato che ad Alan non importava!”
Scesi dal ripiano e mi avvinghiai a lui iniziando a ballare per non far insospettire Rob. O almeno per cercare di non farlo insospettire.
Sentii il fiato di Dave solleticarmi il collo mentre faceva aderire il mio corpo al su prendendomi per i fianchi.
“Poi che è successo?” mi domandò curioso.
“Prima di dirtelo esigo delle scuse!”  sospirai strusciando una gamba contro la sua.
Lo vidi sbuffare e innervosirsi, era ovvio che la presenza di Rob lo metteva a disagio. Aveva fretta di andarsene.
“Scusa ok? Adesso racconta!”
Non ero ancora soddisfatta dalle sue scuse, ma non vedevo l’ora di vedere la faccia che avrebbe fatto quando gli avrei raccontato il resto!
“Io gli ho detto che tu eri la conquista della serata e niente di più e ho cercato di cacciarlo dalla mia stanza, solo che lui, temendo che ancora fossi in grado di influenzarlo, ha chiusi gli occhi,. così l’ho atterrato con un ombrello!”
Dave mi guardò stupito e gli sfuggì un sorriso su quelle labbra che si ostinava a tener corrucciate, come se fosse arrabbiato.
Sorrisi a mia volta.
“Bè poi ho dichiarato guerra ad Alan!” dissi con non chalances.
Dave si bloccò un attimo dopo di che mi guardò come se fossi un aliena.
“Che?”
“Hai capito bene!” soffiai nel suo orecchio facendolo rabbrividire.
“Quindi Rob non è qui in visita di cortesia!” esclamò lui agitandosi.
“Esatto! Probabilmente ti ha seguito fino a qui e pensa! Per colpa tua ha preso due piccioni con una fava!” dicendo questo indicai sia me che lui.
“Merda!”
“Come hai fatto a trovarmi?” chiesi improvvisamente.
“Che ne dici di rimandare a dopo la conversazione sui come e sui perché?” alzò gli occhi al cielo “ Sai il tuo amico credo che stia per fare la sua mossa!”
Alzai lo sguardo a mia volta e vidi che Rob non c’era più. Accidenti.
Dave mi prese per mano e mi trascinò sotto lo sguardo della folla che vedeva la bella intrattenitrice della serata andarsene. Senza nemmeno farmi indossare qualcosa come un giubbotto Dave mi trascinò fuori senza grossi intoppi. Il problema era che a novembre non si va proprio in giro in bikini. Iniziai subito a battere i  denti per il freddo.
“Cccccretino!” cercai di articolare mentre lui ancora mi strascinava velocemente tenendomi per mano per le strade buie della città.
“Che?” si voltò e mi vide tutta infreddolita. Vidi il suo sguardo addolcirsi e si tolse la sua giacca, ma io subito lo bloccai.
“Non la vvvvvoglio la tua robbbbbaccia!” sbottai.
“Come ti pare!” ribattè irritato mentre si rimetteva addosso il giubbotto.
“Anzi: ben ti sta!” continuò continuando ad andare avanti.
“Perché?” gli urlai dato che ero rimasta indietro rispetto a lui. Dave si voltò.
“Per tutto ciò che hai fatto, da stasera con quello spettacolo orrendo fino ad arrivare al giorno in cui sei nata!”
“Vaffanculo! La merda che si meriterebbe di gelare sei tu!” dissi glaciale “Non è che ti sei dimenticato qualcuno al locale?”
Lo vidi sbarrare gli occhi e sbiancare. Non potei fare a meno di godermi il momento.
“James!” sussurrò.
“Esatto!”
Cercò di apparire più tranquillo.
“Se la caverà! Rob non avrebbe ragioni per prendersela con lui no?” cercò di tranquillizzarsi.
“No se non sa niente!” ribattei semplicemente.
Se possibile Dave divenne ancora più bianco.
Mi portai una mano sulla fronte.
“Ommio dio! Sssssà tutto!” constatai sempre di più in preda ai brividi. Che deficiente che era Dave. Aveva raccontato tutto a quel debole di James.
Lo vidi estrarre il cellulare e cercare un numero per poi portarsi l’apparecchio al telefono.
“L’ho obbligato a non dire niente comunque!” disse mentre aspettava che qualcuno rispondesse.
“TU? E da quannnndo obblighi?” che ipocrita che era. Se prima aveva la mia stima, in quel momento l’aveva persa del tutto.
Ignorò la mia domanda e si limitò a parlare al telefono.
“James! James tutto bene?”
[…]
“Ok!”
Chiuse la chiamata.
“E’ tornado a casa sua!” mi informò.  Sinceramente in quel momento non è che me ne importasse più di tanto di James, soprattutto perché stavo congelando.
Lui parve accorgersi che rischiavo seriamente l’ibernazione così si avvicinò a me e mi cinse in un abbraccio facendomi aderire al suo corpo. Lì per lì pensai che seriamente fosse scemo.
“Non ho bisogno di tenerezza, ma di andare in un posto al riparo da sto gelo!” battei i denti cencando di scostarlo.
“Dato che qualche intelligentona si rifiuta di mettere addosso la mia giacca cercavo solo di farle un po’ calore col mio corpo!” sbottò lui allontanandosi inviperito.
“C’è un sola cosa che mi fa riscaldare quando sono a contatto con un essere umano di sesso maschile e non è un abbraccio!” sbottai cercando di non tremare. Come se la cosa fosse facile.
“Questo lo sanno tutti sai? Insomma hai dimostrato chiaramente su quel palco che razza di …” lo fulminai con lo sguardo.
“Lasciamo perdere!” disse poi liquidando la faccenda con un gesto della mano. Per me non finiva così, ma avevo troppo freddo per mettermi a discutere.
“Hai pensato a ddddove andare?” gli domandai.
Mi rivolse uno sguardo interrogativo.
“Credo che Rob abbia scoperto dove abiti Dave! E credo anche che non si farà tanto ppppproblemi a cccercarti lì!” osservai.
Lo vidi rabbuiarsi, era ovvio che non ci aveva pensato.
“Dannazione!” sibilò poi tirando un pugno contro il palmo della sua mano aperta, come per scaricare la sua frustrazione.
“Cccredo che tu possa stare da Emily!” dissi immediatamente, senza nemmeno pensarci. La mia priorità era arrivare in un posto al caldo.
“Emily.” Si limitò a dire.
“Che c’è? Ti vuoi muovere?” feci per compiere un paio di passi, poi mi voltai e vidi che lui non mi seguiva.
“Ccche succede ora?” gli domandai un po’ spazientita.
“Che credo di non poter venire da Emily …” iniziò un po’ incerto “Credo che mi odi!”
Alzai un sopracciglio incredula. Io stavo congelando e lui si stava facendo mille problemi su Emily. Senza troppe cerimonie lo presi per il braccio e lo trascinai con me.
“Ma smettila!” sibilai continuando imperterrita a camminare.
“E allora spiegami perché mi ha chiamato …”
Mi voltai verso di lui con lo sguardo glaciale.
“Ti ha chiamato PERCHE’ …?” la mia voce era più fredda dell’aria che ci circondava.
“Per dirmi dov’eri?” sussurrò facendo una smorfia. La risposta era posta a mo’ di domanda, come se mi stesse chiedendo se era quella la risposta che volevo sentirmi dare.
Inspirai ed espirai. Inspirai ed espirai. Emily non avrebbe visto la luce del mattino successivo se io non mi fossi riuscita a calmarmi prima di raggiungere casa sua.
“C’è qualcos’altro che dovrei sapere?” sibilai voltandogli le spalle.
“Che quando m ha chiamato mi ha insultato dicendomi che solo uno stronzo tradirebbe la sua ragazza con il padre di lei! Non so cosa io c’entri in questa storia, ma credo che l’insulto fosse rivolto a me!”
Mi voltai per vedere la faccia afflitta di Dave e non potei far a meno di ridacchiare pensando a quanto fossero stupidi sia lui che Emily.
Ma che gente mi era capitata?


nel prossimo capitolo si saprà qualcosa in più sul passato di Dave!! dovrei riuscire a pubblicarlo per domenica prossima dato che il 3 ho gli orali e poi ho finito!!!
Recensitete: guardate vi semplifico anche la vita... allora copiate e incolate quello che scrivo qua sotto e completate al posto dei puntini di sospensione!


la storia ... mi piace ( se volete inserite al posto dei puntini 'no')
la trama ... mi annoia
mar è (Fate un piccolissimo sforzo basta scrivere genionio/deficiente/scema/stronza/fantastica/ ecc! confido nel vostro vocabolario di aggettivi! ;) )
Dave è (idem )
Alan è (...)

scrivi bene/male

per copiare si può semplicemente fare 'ctrl'+'c' tenedo i tasti premuti insieme e per incollare 'ctrl'+'v'

grazie 1000!! ;)

se volete avere spoiler/ notizie/ o semplicemente chiacchierare mi trovate qui ---> Daisy's corner O.o
Daisy

 

dimenticavo ... Andrew
spero che capiate il comportamento di mar, lei fà la stronza perchè è l'unico modo che conosce per sentirsi meglio.. la sua situazione non è facile! affatto!!

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Capitolo 23
*** CAP 22 ***



Ringrazio di cuore lysam, Onechan Kitzune, shadowdust, AlyDragneel, aleinad93, monique89, Pyra e nancywallace che hanno recensito lo scorso caitolo!!
naturalmente vi dedico quello nuovo :D

Daisy

CAP 22

Emily aveva gli occhi gonfi di sonno ed essi sembravano più chiusi che aperti, i capelli che le incorniciavano il viso erano decisamente spettinati, sembrava che prima di aprirci la porta avesse messo due dita nella presa della corrente e che la scarica elettrica le avesse creato quella splendida acconciatura da pazza maniaca.
“Sci?” chiese biascicando mentre apriva la porta. I suoi occhi, o meglio, quello che si intravedeva di essi attraverso le palpebre mezze chiuse, si focalizzarono sui miei.
“Ciao Emily!” la salutai rabbrividendo per il freddo.
“Dovrei darti una copia delle chia…” bloccò la sua frase a metà mentre il suo sguardo cadeva su Dave.
“E lui che cavolo ci fa qui?” sembrò svegliarsi all’improvviso.
“Sai qualcuno l’ha chiamato!” sbottai sottolineando con la voce la parola ‘qualcuno’ in modo tale da farle comprendere che sapevo che era stata lei a chiamare Dave.
“Ah!” Emily arrossì e abbassò lo sguardo a terra facendosi da parte per permettendoci di entrare in quell’angusto spazio che lei chiamava casa.
“Emmmm potrei restare anche io?” domandò Dave con un tono che non celava il suo imbarazzo nel porre una richiesta del genere.
Non fu la padrona di casa a rispondere, ma fui io.
“No!” gli voltai le spalle e mi diressi verso la mia valigia alla ricerca di un maglione che mi potesse riscaldare un po’.
“Se Mar non vuole allora no!” concordò Emily.
Mentre mettevo sottosopra i vestiti sentii dei passi avvicinarsi.
“Scusaci un attimo Emy!” disse Dave prima di piegarsi sulle ginocchia per arrivare all’altezza del mio orecchio.
“Credo che dovresti cambiare idea!” mi sussurrò.
Il suo respiro caldo raggiunse la mia pelle facendomi venire un brivido.
Mi voltai verso di lui con un sorriso fintissimo stampato sulle labbra, un sorriso di cortesia che avrei volentieri sostituito con una smorfia, sicuramente più adatta a descrivere il mio fastidio.
“Dammi una buona ragione per farlo!” sbottai irritata.
Lui sorrise compiaciuto, come se si aspettasse proprio tale domanda.
“Ma l’hai detto tu! Rob mi ha seguito, quindi può dars che sappia dove abito considerando che sta tramando per uccidere la sua quasi sorella Marguerite credi si farebbe problemi ad uccidere me? Soprattutto ora che sa che sono io il nemico da combattere?” disse ciò come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Feci una risata di scherno alla quale lui reagì assumendo un’espressione di puro sbigottimento.
“Se è successo ciò e solo colpa tua! Sei tu che ti sei fatto seguire e che hai dato la conferma ai loro sospetti! Quindi arrangiati!” detto ciò voltai la testa dall’altra parte tornando a rovistare nella valigia. Purtroppo però Dave non era interessato all’opzione ‘lascia perdere’.
Chiuse se sue dita affusolate intorno al mio braccio costringendo mia voltarmi verso di lui.
Sbuffai liberandomi senza bruscamente dalla sua stretta e incrociai i suoi occhi.
Maledetti.
“Solo per sta notte! Domani troverò una sistemazione alternativa! E poi sono venuto in quel posto perche ero seriamente preoccupato per te!”
Alzai gli occhi al cielo.
“Ma davvero?” ero decisamente sarcastica. Per quanto ne sapevo io, nella vita di Dave valevo meno di zero, anzi, avevo come unica utilità quella di conoscere da tempo Alan. Ma la cosa si esauriva lì.
“Ovvio! Emily mi ha chiamato dicendo che era davvero preoccupata per te!”
Alzai un sopracciglio. Quella ragazza era sempre in mezzo.
“Diciamo che ti sei fiondato perché hai riconosciuto che ti servo!”
Dave strinse la mascella, lo vidi dal contrarsi dei suoi muscoli facciali. Tuttavia non rispose.
Rimasi un po’ delusa da quel suo silenzio. Mi aspettavo che avrebbe cercato di difendersi, o avrebbe detto che lui non era un opportunista.
Ma dopotutto cos’atro poteva spingere due persone diverse come il giorno e la notte a collaborare?
Ovvio: il bisogno. Lui aveva bisogno di me per la sua ‘missione’, io avevo bisogno di lui per la mia vendetta.
Fui io a parlare nuovamente.
“Bene, resta! Da questo momento riprende la nostra collaborazione, ma la cosa si deve concludere in fretta!”
“Allora avrò bisogno di tutto il tuo aiuto!” si affrettò a precisare. Opportunista.
Annuì facendo un mezzo sorriso.
“Però dormi per terra!” decisi, gongolando già per i dolori che avrebbe provato Dave la mattina successiva.
“Avete finito di blaterare?” mugugnò Emily che intanto si era andata sdraiare sul suo letto.
Indossai la felpa sopra quel costumino senza nemmeno togliermelo, ero troppo stanca.
“Sì Emy! Dave rimane! Mi raccomando urla se nella notte ci prova con te!” dissi tagliente fissando Dave negli occhi.
Lui alzò il dito medio nella mia direzione sorridendo beffardo. Emily invece non rispose, probabilmente era in uno stato di dormiveglia altrimenti si sarebbe scandalizzata per ciò che avevo appena detto.
In risposta al gestaccio di Dave, mi baciai il palmo della mano e poi soffiai su di esso in modo da lanciargli un bacio.
Per tutta risposta lui alzò il dito medio dell’altra mano.
Non potei evitare di ridere, sembrava un perfetto deficiente con quei due medi alzati dinnanzi a sé. Dio se mi faceva pena quel ragazzo, era proprio sfigato.
Gli voltai le spalle e senza dire una parola mi misi sotto le coperte della mia brandina e gli voltai le spalle.
Lui spense la luce, dopo di che sentii il letto cigolare sotto il peso di qualcun altro.
Ebbene sì. Quel deficiente di Dave non doveva dare un significato tutto suo alla frase ‘dormi per terra ’, infatti si stava coricando proprio alle mie spalle nel mio stesso letto.
Nel buoi della stanza feci un sorriso malefico aspettando che si mettesse comodo. Poggiò la schiena contro la mia, poi si mosse leggermente, come se stesse trovando la posizione ottimale per il sonno.
Sorrisi maggiormente quando lo sentii fermarsi. Piegai il ginocchio verso di me in modo da dare ad esso un maggior slancio, dopo di che gli tirai un calcio sulle natiche facendolo cadere a terra. Non poei far a meno di ridere mentre tutto ciò accadeva.
“Ahi!” si lamentò lui. Mi allargai sul letto in modo tale da non lasciargli più posto.
“Shhhhhhhhhhhhhhh!” lo rimproverai “Emily dorme!”
Mi parve di sentire un ‘vaffanculo’ uscire dalla sua bocca mentre soddisfatta abbracciavo il cuscino pronta a cadere tra le braccia di Morfeo.



“Quindi? Mi vuoi spiegare? Sussurrò nel buio della stanza Dave.
Mugugnai come se fossi sul punto di dormire e come se avessi sentito la sua voce solo come un lontano disturbo.
“So che non stai dormendo, andiamo Mar!” continuò.
Sbuffai e mi voltai su un fianco in modo tale da scorgere la sua sagoma illuminata dalla sottile luce che filtrava dalla finestra.
“Che vuoi sapere?”
“Perché Emily è così scontrosa con me?”
Alzai un sopracciglio anche se sapevo che lui non poteva vedermi.
“Ti sei preso una cotta?” lo stuzzicai.
“E’ semplicemente una ragazza buona e gentile, quindi non vedo perché dovrebbe trattarmi male!”
“E’ una ragazza buona e gentile!” lo imitai storpiandone la voce “Ma perché siete tutti così deficienti da fare i pesci lessi con le ragazze buone e gentili?”
“A me pare che tu sia tutto tranne che buona e gentile, eppure i ragazzi fanno lo stesso i pesci lessi con te!” si limitò ad osservare.
“E con ciò?” sbottai. Ovvio che facevano i cascamorti con me, ero bellissima!
“Volevo solo dimostrarti che non sto facendo il pesce lesso, è solo che è un comportamento stranissimo per una persona come Emily!” sussurrò.
“Bè ieri quando ho parlato con Alan attraverso il corpo di quella donna Emily ha assistito alla scena! Allora non so perché ma si è immaginata che quella donna era Alan travestito, quindi mica potevo dirle ‘ no Emily, guarda in realtà quella è una normalissima signora, solo che Alan con uno sguardo l’ha automatizza a intermittenza ’ !”
“Automatizzata a intermittenza?” non mi riusciva a comprendere. Ma quante cose gli dovevo spiegare ancora?
“L’automazione è quella che ho praticato a Emily quando tu l’hai … come dire? Risvegliata. Si tratta di una forma di apatia che può essere causata dalle nostre facoltà in particolari condizioni, solo che è un’apatia perenne! Il soggetto compie delle azioni solo se la persona che l’ha automatizzata glielo ordina! Quella signora inizialmente era normalissima, solo in un secondo momento ha iniziato a comportarsi come se fosse automatizzata!” spiegai.
“Ah! Mi sembrava di aver letto qualcosa del genere nel libro …”
Mi feci improvvisamente più attenta.
“Libro? Quale libro?” domandai.
“Libro?” fece una voce di finto stupore “Non ho parlato di nessun libro! Avrei capito male!”
E allora chissà perché riuscivo a sentire un pizzico di ansia nella sua voce.
“Non offendere la mia intelligenza Davuccio! Hai detto libro!”
“No!” la voce si era fatta più sicura, ma a me non la dava a bere. Affatto. Un libro. Come quello nero magari. Era da un libro che Dave aveva imparato tutto ciò che sapeva fare? Era da un volume analogo a quello di Alan che lui aveva imparato a giocare con gli sguardi?
“E invece sì!” ribadii.
“Ma quindi tu pensi che possa esistere una specie di automazione a comando?” mi domandò cercando di cambiare argomento.
Sorrisi nell’ombra. Decisi di lasciar cadere l’argomento tanto avevo già avuto la conferma che cercavo. Insomma uno che cerca di cambiare argomento sta nascondendo qualcosa no? Quindi era ovvio che lui non mi voleva parlare più del suo fantomatico libro.
Se io avessi insistito probabilmente una volta a casa sua avrebbe fatto di tutto pur di nasconderlo, mentre in quel modo non avrebbe preso provvedimenti e io l’avrei potuto trovare con maggiore facilità.
“Esatto! Solo che non ne sono sicura, per il momento è solo un sospetto!” risposi.
“E cosa c’entra tutto ciò con Emily?”
“Bè lei ha creduto che Alan si fosse travestito da quella donna, ha pensato che fosse una specie di travestito e che io avevo litigato con lui perché si era fatto il mio ragazzo!”
Sentii Dave ridacchiare cercando di fare il minor rumore possibile.
“Ed essendo convinta che Tu sia il mio ragazzo …” a queste parole le risate di Dave si esaurirono del tutto ed io non potei far a meno di sorridere “se l’è presa con te! Ecco tutto!”
“Io il tuo ragazzo? Che fantasia che ha quella ragazza!” ridacchiò.
“Perché tutte le altre cose che ha pensato ti sembrano normali?” precisai.
“No, ma io il tuo ragazzo …” rise “ E’ assurdo!”
Colsi l’occasione al volo.
“Già, una perfetta come me è sprecata se dovesse stare con uno sempliciotto e moralista come te!”
Dave mormorò un ‘fottiti’ e io sorrisi a trentadue denti. Mi divertivo troppo con quel ragazzo, era così facile farlo arrabbiare. Chiusi gli occhi con il sorriso sulle labbra.


Non sapevo chi, ma qualcuno sembrava che stesse demolendo la casa. Aprii con difficoltà un occhio e riuscii a intravedere davvero un bel panorama.
Dave, in boxer, cercava i suoi indumenti nel buio della stanza, solo che era decisamente goffo nei movimenti quindi stava facendo un baccano impressionante.
Aprii anche l’altro occhio e mi misi ad osservarlo, egli era voltato di spalle e dunque non vedeva il mio sguardo su di lui.
Aveva una schiena perfetta, non un brufolo, non un neo, non aveva su di essa nemmeno la più piccola imperfezione. Essa terminava con un fondoschiena davvero ben fatto, certo non era Andrew, ma dopotutto chi al mondo era come Andrew?
Non potevo però nemmeno dire che avesse un brutto fisico. I muscoli erano tutti al posto giusto, niente pancetta né maniglie, i pettorali e la tartaruga non erano accentuati come quelli di Andrew, ma tutto sommato madre natura era stata davvero generosa con lui, più di quanto lui si meritasse. A cosa serviva la bellezza se non la sia usava? Io la usavo e anche piuttosto bene. Ma lui?
Nemmeno provava a fare conquiste, nemmeno si rendeva conto che poteva usare gli altri semplicemente sorridendo. C’erano tante di quelle ragazze che probabilmente se solo lui avesse rivolto loro la parola esse sarebbero svenute ai suoi piedi.
Eppure ì, o non se ne rendeva conto, oppure era un emerito deficiente.
Considerando il soggetto ero più propensa a credere che fosse un deficiente.
“Ma che fai?” mugugnai con la voce ancora impastata dal sonno dopo aver squadrato il suo bel corpo a sufficienza.
Si voltò verso di me come se la mia voce l’avesse fatto spaventare, nel vedere che ero stata io a rivolgergli la domanda fece un sospiro di sollievo.
“Vado a casa, devo parlare con mio zio e devo fare le valigie, vado a vivere nell’appartamento universitario di mia madre. Non posso più stare in quella casa!” mi spiegò semplicemente.
“Vengo con te!” dissi immediatamente. Saltai giù dal letto e sotto il suo sguardo stupito e preso alla sprovvista, con estrema naturalezza mi privai dl maglione che mi aveva fatto da pigiama. Al di sotto di esso vi era ancora il costume stracciato della notte precedente. A tale gesto lui si immobilizzò e fece vagare il suo sguardo sui miei seni schiacciati da quel reggiseno striminzito. Sorrisi compiaciuta mentre con totale naturalezza mi privavo anche di quest’ultimo indumento per sostituirlo con un reggiseno di mia proprietà. Dave, con mia enorme sorpresa voltò il viso dall’altra parte come se non avesse voluto vedere il mio seno nudo. Ma che problemi aveva quel ragazzo?
O forse semplicemente mi stava dando la privacy per vestirmi senza che essere osservata. Mah. Ma i ragazzi non sono tutti pervertiti? Da quando sono così gentili e rispettosi?
Ah già, dimenticavo. Lui non era un ragazzo, era Dave, ed egli esulava da quella categoria. Era un essere a parte. Una via di mezzo tra un ragazzo, uno sfigato, un santo e un martire.
Mi rivestii in fretta dal momento che, essendosi voltato, non potevo stuzzicarlo.
“Allora ti muovi?” gli sussurrai, dato che Emily dormiva ancora.
Lui alzò gli occhi su di me, si assicurò che fossi vestita, dopo di che mi sorrise cordialmente e mi fece uscire per prima dalla porta.
“Perché vuoi venire con me?” mi domandò a bruciapelo una volta fuori dall’appartamento di Emily.
“Ma per aiutarti ovvio!” esclamai con entusiasmo. Lui assunse un’espressione incredula.
“Sarà!” fece spallucce per niente convinto di ciò che gli avevo detto.
Come dargli torto? Da quando io aiutavo?
In realtà aiutarlo a fare le valige sarebbe stato un bel modo per frugare in casa sua e cercare il libro d cui la notte precedente mi aveva parlato.
“Anche per dire a tuo zio che rientro a far parte del gruppo!” aggiunsi “Così la smette di darti del cretino!”
La sua espressione raggiunse apici di incredulità mai visti prima. Sorrisi. Era buffo dopotutto!
Con un’ulteriore alzata di spalle egli estrasse il suo cellulare e compose un numero. Lo guardai incuriosita mentre si portava l’apparecchio all’orecchio, chissà chi stava chiamando.
Lo vidi zittirsi per un paio di minuti per poi chiudere la chiamata con un’espressione preoccupata dipinta sul volto.
“James non mi risponde!” disse semplicemente rivolgendosi.
Come se la cosa potesse interessarmi.
“Allora?” domandai senza capire da dove arrivasse tutta quella preoccupazione.
“E se Rob l’ha preso?”
“Sarebbe colpa tua!” gli sorrisi “E poi sono sicura che James è talmente inutile da non suscitare l’interesse di Rob e Alan!”
Lui mi fulminò con lo sguardo e poi tornò a guardare la strada d’avanti a sé.
“Sempre insensibile vero?” mi domandò con una punta di amarezza nella voce.
Sorrisi.
“Non insensibile, ma realista!”
Lui sbuffò e non mi rivolse la parola per tutto il resto del tragitto.
Una volta arrivati a casa Sullivan, suo zio ci accolse con entusiasmo.
“Bravo Dave!” gli disse con sguardo fiero “Abbiamo bisogno di lei!” decisamente il suo discorso era rivolto a me.
“Lieta di esservi utile!” ironizzai.
Io avevo il mio scopo, e loro il loro. Il fatto che collaborassimo però non cambiava affatto le cose!
“Come mai non sei tornato a casa sta notte?” si rivolse lo zio di Dave a quest’ultimo.
Dave mi lanciò un’occhiataccia come per sottolineare il fatto che era colpa mia, quando invece era stato lui l’imprudente.
Mentre Dave raccontava di tutto ciò che era successo la notte precedente ne approfittai per allontanarmi dai due uomini ed andare a curiosare per la casa, sperando di trovare l’oggetto della mia ricerca, e sperando anche di non incontrare Caren.
Vidi delle scale e mi diressi così verso il piano superiore. Esso non contava molte stanze, solo che era difficile che se Dave aveva un libro importante e potente come quello di Alan egli lo tenesse in bella vista no?
Quindi dovevo cercare qualcosa di simile ad una soffitta o ad una cantina.
Fu così che una botola che si stagliava sul soffitto del corridoio attirò la mia attenzione. Sorrisi soddisfatta per non aver fatto tanta fatica nella mia ricerca e afferrai la cordicella che pendeva da tale botola. La tirai e, aprendosi, scese fino a dove mi trovavo io la scala.
Mi guardai attorno con circospezione e, vedendo che non c’era nessuno nei paraggi, salii.
La stanza odorava di polvere ed aveva il soffitto basso, era illuminata dalla una fioca luce che proveniva da una finestrella illuminando il pulviscolo. Vi erano bauli e cassettoni, ecco l’unico arredamento che caratterizzava quell’angusto spazio. Il problema era che ce n’erano decisamente troppi di bauli quindi mi ritrovai a sbuffare, seccata perché le cose si stavano complicando.
Senza pensarci troppo mi sedetti a terra e aprii il baule più vicino. Rimasi delusa quando vidi che in esso erano contenuti oggetti di nessun rilievo per le mie ricerche, ad un certo punto, però, un libricino consumato e logoro attirò la mia attenzione.
Dopotutto poteva anche essere quello strano volumetto il libro a cui aveva accennato Dave.
Le pagine erano ingiallite e la copertina era decisamente consumata. Su di essa c’era un nome, scritto con una penna nera, probabilmente un’indelebile.

Grace

Guardai la parola un po’ delusa. Che razza di titolo era? Insomma non si doveva dare un titolo del genere ad un libro che insegna a fare delle cose straordinarie, no?
Alzai le spalle e mi appoggiai al muro dietro di me, in modo da essere più comoda.
Sollevai la copertina e vidi che il libricino era privo di una qualsiasi prefazione o introduzione, nessun indice o sommario, nessun carattere di stampa, solo lettere scritte da una mano capace.
Un diario. In cima alla pagina troneggiava a grandi lettere una data.

15/2/1978

Quindi Grace doveva essere il nome della donna al quale quel diario apparteneva. Ma che ci faceva un volume del genere nella soffitta dei Sullivan? Era ovvio che quella donna doveva avere un qualche legame con Dave. Fu così che iniziai a leggere.

Questo pomeriggio ho aperto gli occhi ed ero in ospedale. Non so come ci sono arrivata, non so nemmeno perché ci sono arrivata. Mia madre ha detto che ho avuto una specie di svenimento, o meglio, una specie di attacco epilettico che mi ha condotta in uno stato catartico. Mi hanno raccontato ce ho dormito per giorni, ma che il mio sonno non poteva definirsi coma perché tutte le mie funzioni vitali erano regolari. Stavo solo dormendo, come se fossi stata stanca per aver compiuto un enorme viaggio.
È proprio così che mi sono sentita al mio risveglio. Spossata.
Non ho ricordi riguardanti la mia vita precedente, così ho deciso di tenere un diario per far in modo che, se dovesse riaccadere, almeno rileggendo queste parole potrò sapere cosa mi è successo!
Bè in realtà ho un unico ricordo: ricordo degli occhi verdi splendidi, talmente splendidi da brillare di luce propria. Non mi hanno mai abbandonata durante il mio sonno e, per mia sorpresa, me li sono trovata dinnanzi anche quando mi sono risvegliata.
Sì, perché quando ho aperto gli occhi c’era un ragazzo che mi fissava intensamente. Non riuscivo a vedergli chiaramente il volto dal momento che esso era parzialmente nascosto da una mascherina, ma potevo capire che era splendido. Non appena ha visto che mi ero risvegliata ha fatto un sospiro di sollievo.

“E tu chi saresti?” gli ho domandato, anche se la mia voce era decisamente roca.
“Mi chiamo Alexander!” mi rispose tendendomi la mano come per presentarsi. Se lo faceva voleva dire che noi due ancora non ci conoscevamo, dopotutto non poteva ancora sapere della mia perdita di memoria no?
Anche i medici l’hanno scoperta con me più tardi.
Quindi la mia domanda è: che ci faceva lui lì? Che legame c’è stato tra di noi?
Ci siamo mai parlati? E se no lui è una specie di stalker che mi segue ovunque vado?
Stavo per porgli tutte queste domande filosofiche quando egli ha lascato il mio fianco ed è sparito oltre la porta della stanza. mi sembra ancora di udire i suoi passi affrettati mentre si allontanava da me. Chissà perché ho percepito una sensazione di abbandono quando ciò è successo. Non lo conosco nemmeno.
Devo dire che la cosa mi rende un po’ inquieta anche se la trovo allo stesso tempo eccitante. Insomma essere seguite da un ragazzo così carino non è mica una cosa di tutti i giorni!
Adesso è tardi e devo andare a dormire, anche se non nego di aver decisamente paura di non svegliarmi ancora per giorni.


Sbarrai gli occhi! Che strana storia quella della ragazza alla quale doveva appartenere il diario, quella Grace.
Insomma svegliarsi e rendersi conto di aver dormito per giorni, ma allo stesso tempo non aver ricordo alcuno della vita precedente. Insomma è insolito!
Chissà che legame c’era tra quella donna e Dave, proprio non riuscivo a capacitarmi perché avevo trovato quel diario nella soffitta di casa di quel deficiente.
Ripensai anche al nome del ragazzo dagli occhi verdi, Alexander, e riflettei sul legame che poteva avere con la famiglia Sullivan.
Girai la pagina e mi preparai a leggere il nuovo appunto che era del giorno seguente al suo risveglio.

Sono felice. I ricordi nella notte sono affiorati, poco per volta.
Ricordo che avevo un ragazzo, si chiamava Mark. Ricordo che avevo un sacco di amici, solo che poi era arrivata una stronza che me li aveva rubati tutti. Sia gli amici che Mark. Il problema è che non mi ricordo il suo nome, ma non credo sia importante! Anzi non vedo l’ora di iniziare tutto da capo.
Sarà bellissimo. Poi chissà se rincontrerò quel ragazzo dagli occhi così verdi da sembrare la volta di una foresta.

20/2/1978

Oggi è stato il mio primo giorno di scuola dopo il mio strano incidente. Sono entrata nell’istituto sentendomi tutti gli occhi puntati addosso. Udivo le persone mormorare, chiedersi cosa mi fosse successo, solo che nessuno mi fece a domanda apertamente. Entrai in classe a testa alta e mi andai a sedere in quello che ricordavo fosse il mio banco. Fu in quel momento che lo vidi. Lo stesso ragazzo del mio risveglio era fuori dalla finestra e mi osservava. La mia prima reazione fu quella di spavento, insomma quell’atteggiamento confermava i miei sospetti sul fatto che fosse uno stalker! Ma poi è riuscito a stupirmi. Insomma mi aspettavo che dopo aver incrociato il mio sguardo si sarebbe nascosto perché colto sul fatto e invece mi ha sorriso. E il sorriso che ha fatto era uno dei più belli che avessi mai visto in tutta la mia vita.
Credo che il mio cuore si sia fermato per un paio di secondi, e se non l’ha fatto bè, avrebbe dovuto!
Poi egli ha alzato la mano e mi ha salutata sventolandola in aria. Il suo gesto mi ha fatta sorridere così ho ricambiato, un po’ imbarazzata, il saluto.
Vedendo il mio gesto il suo sorriso quadruplicò e io mi sentii inondare il cuore di gioia, era come se lo conoscevo da sempre.
Credo di essermi innamorata! Non ho mai creduto nell’amore a prima vista, ma, ripeto, è come se lo conoscessi da una vita!
Poi mi ha fatto cenno di dover andare via e così lo salutai nuovamente. Nessuno oggi è riuscito a distruggere il sorriso che mi si è dipinto sule labbra. Io stessa faticavo a riconoscermi. Mi sento un ebete, ma chi se ne importa!
Sono innamorataaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!


Dovetti interrompere la lettura perché altrimenti mi sarebbe venuto il volta stomaco.
Il racconto di quella giornata continuava per altre due pagine costellate da cuoricini e da disegni di occhi, occhi colorati di verde.
Un verde come quelli di Dave. Non potevo far a meno di chiedermi ancora una volta il legame che ci fosse tra Grace e Dave, fu solo per scoprire ciò che decisi di continuare la lettura di quel dannato diario pieno di frasi stucchevoli e di romanticismo, al quale ero decisamente allergica.

26/2/1978

Non ce la faccio più. Insomma a scuola non mi parla nessuno, manco fossi un mostro dagli occhi rossi. A casa hanno ripreso ad ignorarmi come facevano prima dell’incidente. Ciliegina sulla torta sto impazzendo per colpa del ragazzo misterioso. Alexander.
Lo vedo da tutte le parti, lo incontro dovunque eppure ogni volta accade la stessa cosa. Lui mi sorride e mi saluta e io faccio altrettanto sperando che egli si avvicini e che inizi a rivolgermi la parola. Ma lui non lo fa.
Si limita a stare lì, a qualche decina di metri da me.
I nostri sguardi si incontrano, i nostri occhi comunicano, ma accade solo ciò.
È un gioco di sguardi che va avanti da circa una settimana, un gioco che mi fa innamorare sempre di più, inesorabilmente.
E ci soffro, soffro perché non ho il coraggio di farmi avanti e perché lui non fa il primo passo. Soffro per non avere un’amica alla quale raccontare tutto ciò. Soffro. E sono stanca d soffrire.

Tali parole non mi avevano intenerita, affatto. Non ero una dal cuore tenero anzi. Quella ragazza mi ricordava quanto fosse giusto non innamorarsi, non legarsi a nessuno. Fa vivere felici, sempre!
Tesi l’orecchio pronta a captare un qualsiasi suono, ma fortunatamente ancora Dave doveva essere al piano di sotto a recuperare i suoi vestiti. Fu così che decisi di leggere ancora qualche pagina.


Oggi ho trovato il coraggio. Non so come io abbia fatto, ma devo dire che è stato provvidenziale altrimenti il gioco di sguardi non avrebbe mai avuto fine.
Oggi ci siamo parlati. O meglio. Gli ho parlato.
Alle 2 la campanella ha suonato e io mi sono ritrovata nel cortile della scuola circondata da ragazzi di cui non me ne importava assolutamente niente. I miei occhi però non si concentravano sulla strada che stavo percorrendo bensì vagavano curiosi e disperati sulla folla. Cercavano quegli occhi gemelli, sì perché anche i miei occhi sono verdi. Verde nel verde. Eravamo perfetti, fatti l’uno per l’altra.


Deglutii disgustata cercando di andare avanti nella lettura.

Poi l’ho visto. Se ne stava appoggiato ad un muretto e mi seguiva con lo sguardo, come sempre. Era bello, così bello da togliermi il fiato.
Ma non potevo lasciar correre anche quella volta. E così ho fatto un respiro profondo e le mie gambe hanno iniziato a muoversi nella sua direzione.
Lui sembrava decisamente spaesato , come se non si aspettasse assolutamente un simile gesto da parte mia, tutto sommato però non si è mosso dalla sua postazione ed ha aspettato che io lo raggiungessi.
Il problema è che arrivata lì non sapevo più cosa fare! Insomma avevo trovato il coraggio di avvicinarmi, ma non mi ero posta il problema su cosa dirgli o che fare.
“Ciao!” mi ha salutata lui, credo che fosse un po’ divertito per il mio evidente imbarazzo.
Sono sicura di essere arrossita, ho abbassato gli occhi e l’ho salutato anche io.
Lui ha ridacchiato, così ha attirato la mia attenzione e ho sollevato lo sguardo.
Mio dio. Non mi aspettavo di essere tanto vicina al suo viso. I suoi occhi brillavano nei miei, le nostre bocche potevano percepire il nostro respirare. Era una situazione che non mi aspettavo per questo h fatto una specie di salto indietro, come se fossi spaventata.
Lo so, sono una deficiente.


Eccome se lo era! Ma come fa una persona a lasciarsi influenzare così tanto da un’altra?
Credo sia inammissibile! Insomma se quella deficiente, perché non era altro, voleva baciare o semplicemente parlare con quel’Alexander perché non l’aveva fatto e basta? Per me la cosa non aveva affatto senso. Feci una smorfia e ripresi da dove avevo interrotto.

Per fortuna lui non se l’è presa più di tanto così si è messo a ridere. Una risata pura, cristallina, che esprimeva realmente divertimento. Forse è stato per questo che ho preso coraggio e gli ho rivolto la parola.
“Perché non mi hai mai rivolto la parola?” credo che il mio tono di voce sia stato bassissimo, ma per mia fortuna lui ha sentito. Dio che imbarazzo.
“Aspettavo che tu fossi pronta!” ha risposto con semplicità.
“Pronta? Perché avrei dovuto essere pronta?” ero decisamente scioccata dalla sua risposta. Ma quale altra risposta poteva dare un ragazzo misterioso e affascinante come lui?
“Insomma, volevo che tu mi dessi un segnale affinchè io potessi finalmente rivolgerti la parola!”
Gli ho sorriso.
“Ti basta come segnale?”
Giuro , non so da dove mi sia venuto fuori tutto questo coraggio.
Lui ha sorriso facendo impazzire il mio povero cuore.
“Decisamente sì!”
“Comunque io sono Grace!” mi sono presentata porgendogli la mano, dal momento che al nostro primo incontro solo lui mi aveva informata sul suo nome.
Mi ha sorriso nuovamente avvolgendo la mia mano tesa nella sua. Quel semplice contatto è stato in grado di farmi girare la testa, per l’emozione.
“So chi sei!” mi ha detto tirando verso di sé la mia mano nella sua in modo tale da avvicinare il mio corpo al suo. Sarà stata la vicinanza al suo corpo, oppure tale affermazione, fatto sta che ho assunto una faccia sorpresa.
Lui parve attristarsi per un secondo.
“Non ti ricordi di me Gracie?” ha pronunciato il diminutivo del mio nome con una tale dolcezza da farmi sciogliere seduta stante. Sembrava una carezza. Ma come può una persona essere in grado di accarezzare con la voce?
Ho scosso la testa intristita a mia volta. Come potevo non ricordarmi di un ragazzo del genere? Ammetto che mi è famigliare, ma non riesco proprio a collegare il suo viso ad un ricordo.
“Non importa se non ti ricordi!” mi ha detto tornando a sorridere.
“Ti va di fare un giro?” mi ha chiesto porgendomi la mano.
Ho sorriso mentre la felicità mi invadeva il cuore e ho afferrato la sua mano.

Il racconto continuava descrivendo tutte le sdolcinatezze che si dicevano, tipo ‘sei bellissima’, o ‘come facevo a vivere senza di te’, tutte frasi stucchevoli che sarebbero sicuramente piaciute a quelle ragazzine che credono ancora che l’amore esiste. Ma il vero amore non esiste, è per questo che esistono i film romantici, le fantasie e i libri sdolcinati, perché così le donne frustrate per non aver trovato il loro principe azzurro possano alienarsi dal proprio corpo e entrare in quello del personaggio che al loro posto vive il loro sogno, facendo loro vivere ciò che nella realtà non potranno mai avere.
Triste come le donne vengano illuse così. Ero sicura che anche quella Grace era rimasta delusa dal suo grande amore, chissà quante corna le doveva aver messo.
Comunque dalle sue parole sembrava davvero che quella che stava vivendo era una di quelle storie d’amore da film, tanto è vero che in alcuni passaggi credevo che s stesse inventando tutto.
Tali pagine le lessi controvoglia, saltando frasi se non interi paragrafi. Odiavo vedere come la gente si illudeva.
Probabilmente prima di incontrare gli occhi di Dave avrei deriso quella povera credulona di Grace, mentre in quel momento mi faceva pena. Avrei voluto entrare in quelle pagine ed incontrarla per darle una vigorosa scrollata di spalle e dirle che ciò che lei cercava non esisteva e che mai sarebbe esistito.
Si doveva svegliare prima che fosse troppo tardi.
Come sospettavo, dopo diverse pagine raggiunsi il ‘troppo tardi’, sorrisi perché finalmente vi erano pagine degne del mio interesse.
Solo a vederle si capiva che in esse vi erano scritte delle parole dolorose, infatti la carta era consumata e più ondulata, come se su di essa vi fossero cadute delle gocce d’acqua, acqua salata proveniente dagli occhi della povera malcapitata Grace.
Così mi concentrai e ripresi a leggere con attenzione.

Era un sogno. La mia relazione con Alex era così bella da sembrare un sogno. Appunto. E come un sogno essa è finita. Perché anche i migliori sogni finisco e arriva sempre quel dannato mattino che ti costringe a riaprire gli occhi e a guardare in faccia la realtà. E la realtà a volte è bella, se nella notte si è fatto un incubo, a volte è terribile. Ed è cos’ che le cose si ribaltano. La realtà diventa un incubo dal quale si ci vorrebbe risvegliare, il problema è che non si può. Perché la realtà non è un sogno. E’ realtà. E non ci si può svegliare dalla realtà!
Ma quanto vorrei aprire gli occhi in questo momento. Mi sembra di vivere in una bolla, una bolla che mi isola dal resto del mondo è come se fossi esterna ad esso. Io vivo sul mio pianeta, un pianeta sul quale ancora non è giunta la consapevolezza che prima stavo vivendo un sogno e che il sogno è finito.
Ho un dubbio. La mia storia con Alex era reale? O era solo frutta della mia immaginazione?
Dico ciò perché da un giorno all’altro egli è sparito. Così nel nulla.
Senza rispondere più alle mie chiamate, senza farsi più vedere in giro. Eppure io continuavo a cercarlo. L’ho cercato nel verde degli alberi, un colore che mi ricordava cos tanto i suoi occhi, l’ho cercato nel sorriso degli altri ragazzi senza tuttavia scorgere il suo. L’ho cercato per le vie che eravamo soliti percorrere mano della mano, mentre ci sussurravamo dolci parole d’amore, mentre ci dicevamo che sarebbe stato per sempre.
Sempre è una bella parola. Peccato che tutto ciò che è mortale non duri per sempre.
È labile e finito, solo chi è perfetto esiste per sempre, e io non mi reputo perfetta. Perciò la mia felicità è giunta al termine definitivo.
Però lui esisterà per sempre, nei miei ricordi, sì perché lui era perfetto.
Non aveva difetti, era perfetto per me.
La metà con la quale mi sentivo completa.
Non provo rancore nei suoi confronti, mi sento solo svuotata di ogni tipo di emozione. Dopo il dolore iniziale è rimasto questo vuoto che nessuno potrà mai colmare come faceva lui.
Ora non posso far a meno di chiedermi dove sia finito, mentre le lacrime mi solcano il viso. Perché lui non è qui a raccoglierle? Perché è sparito dalla mia vita così come c’è entrato?
Le domande sono troppe, talmente tante che non credo di avere la forza di scriverle su questo stupido pezzo di carta. Spero che un giorno io riceva tutte le risposte.
Sono comunque felice di aver provato un’emozione forte come quella dell’amore. Perché l’amore riempie e fa gioire. L’amore è sofferenza, ma non conta, perché quello che importa è la felicità dell’altro e non la propria. Così è possibile superare il dolore.
Così supererò questo dolore, perché sono riuscita a d amare, e non sembra, ma amare è una delle cose più difficili di questo mondo. E io ce l’ho fatta.
Grazie ad Alex. Una ragazzo stupendo che, ovunque sia, rimarrà sempre come colui che mi ha insegnato ad amare.


Rimasi spiazzata da tali parole. Come poteva Grace a anche solo pensare di essere felice di aver sofferto per amore. Assurdo. E poi come poteva non provare rancore nei confronti di Alexander?
Io come minimo l’avrei scovato e umiliato nel peggiore dei modi, magari l’avrei pure castrato.
E lei cosa faceva invece? Lo ringraziava?
Probabilmente erano solo parole che servivano a farla sentire meglio, che non rispecchiavano le sue reali sensazioni. Doveva essere per forza così.
Voltai la pagina e vidi che la data risaliva a un anno dopo l’avvenimento precedente.

12/5/1981

È da un po’ che non scrivo su questo diario, e devo dire che è stato perché non avevo niente da scrivere e da riportare.
Dopo l’abbandono di Alex mi sono sentita svuotata e sinceramente, non provando emozioni, cos’altro poteva essere degno di nota?
Ho vissuto per mesi staccata dal mio corpo. Mi sono vista vivere senza davvero entrare nella vita stessa. Mi vedevo camminare, andare a scuola, scambiare quattro parole con dei compagni di classe. Ma io non ero nel mio corpo, osservavo dall’alto senza avere la possibilità di intervenire, senza avere la voglia e la forza per intervenire.
Nulla riscuoteva il mio interesse.
Ma oggi ho compiuto 21 anni, oggi sono maggiorenne. Lo so che non è un evento degno di nota, ma devo comunque riportarlo perchè oggi una vecchia ferita è stata riaperta nel cuore di mia madre.
Oggi ho potuto accedere all’eredità che mio padre mi ha lasciato quando è morto. Mentre il notaio leggeva il testamento di mio padre ho visto mia madre trattenere a stento le lacrime. Deve averlo amato molto.
Doveva essere un uomo fantastico, ma io non posso saperlo perché non l’ho mai conosciuto, è morto prima che io nascessi.
Insomma le circostanze della sua morte sono state strane, a quanto pare mentre mia madre stava partorendo ha avuto un infarto ed morto sul colpo. A volte sento che è stata colpa mia, credo che sia stata per l’emozione o lo spavento di diventare padre che il suo cuore non ha retto.
Ma non scrivo per ricordare le cause della morte di mio padre, ma per parlare del suo lascito.
Oltre ad alcuni soldi mi ha lasciato un libro. Mia madre è rimasta sconvolta quanto me.
Ancora il libro non l’abbiamo trovato sarà nascosto da qualche parte nel caos di questa casa, però il notaio mi ha dato un bigliettino scritto da mio padre e indirizzato a me:

‘Ciao. Mi sento un po’ in imbarazzo a scrivere questa lettera così insensata.
Non so se sopravviverai per riuscire a vedere questo mio messaggio, non so nemmeno chi sei.
Sei una femminuccia o un maschietto?
Vorrei conoscerti. Ma so che non mi sarà possibile.
Ti lascio un libro. So che può sembrare strano, ma è molto importante per me. Devi fare delle ricerche su di esso, considerale come una mia ultima volontà.
Ma soprattutto, non aprire quel volume per nulla al mondo! Tienilo celato agli occhi degli altri, deve essere solo tuo!
Spero che tu non debba condividere il mio stesso destino.
Ti voglio bene.
Tuo padre’

Non ho potuto impedire che delle lacrime salate scorressero lungo le mie guance, lacrime silenziose che testimoniavano il dolore che le parole di quell’uomo aveva scatenato in me. Da un lato sono felice di aver provato di nuovo una sensazione, ma dall’altro mi domando che senso abbiano le parole che mi ha scritto.
Innanzitutto sembra che lui sapesse già che sarebbe morto prima che mia madre mi desse alla luce.
Cosa insolita dal momento che non aveva alcun problema di salute.
Poi non riesco a capire che significato abbia la frase ‘Spero che tu non debba condividere il mio stesso destino’.
Non so che voglia dire, ma non posso negare che la cosa mi inquieti parecchio.
Naturalmente mia madre non ha letto il biglietto altrimenti credo che le sarebbero venuti tutti i capelli bianchi.
Adesso torno alla ricerca del volume così potrò scrivere qualcosa in più su di esso.


“Che stai facendo qui?” la voce di Dave mi arrivò dritta alle orecchie. Accidenti! Non l’avevo sentito arrivare tanto ero presa dalla lettura. Cavoli, finalmente ero riuscita a trovare qualcosa di interessante in quel dannato diario e naturalmente chi doveva venire a rovinare il tutto? Dave Sullivan, naturalmente.
Mi affrettai a infilare il diario nella borsa cercando di non farmi scoprire, dopo di che mi voltai con un sorriso innocente dipinto sulle labbra.
“Curiosavo!” risposi con semplicità.
Lui alzò un sopracciglio per esprimere il suo disappunto.
“Non ti hanno insegnato che è maleducazione curiosare nelle case altri?” nella sua voce c’era una punta di acidità.
“Non ho resistito!” ribattei sicura di me.
“Trovato qualcosa di interessante?” domandò camminando circospetto verso di me.
Merda. Afferrai al volo la prima foto che trovai nel baule e la guardai. Ritraeva una signora di mezz’età che sorrideva tenendo per mano un bimbo di forse un paio d’anni, un bimbo dagli straordinari occhi verde smeraldo.
“Ecco … mi domandavo chi fosse lei!” dissi mostrandogli la foto.
Lui, perplesso, afferrò l’immagine che gli ponevo. Inizialmente era confuso, poi il suo sguardo si fece dolce e triste.
“Lei è mia nonna!” rispose sospirando.
A me sinceramente non me ne importava un’accidenti della nonna di Dave, ma ormai il danno era fatto e, affinchè non scoprisse il diario riposto nella mia borsa, doveva assolutamente credere che io fossi tremendamente interessata al suo racconto.
“Bella donna!” dissi anche se in realtà sembrava una vecchia svampita.
Dave fece un sorriso dolce e tornò a fissare la foto.
“Era sua questa casa, mi ha praticamente cresciuto!” disse con una punta di rimpianto.
Colsi l’occasione al volo.
“Come si chiama?” gli domandai a bruciapelo.
“Catherine!”
Delusione. Avevo sperato che fosse le la Grace del diario e invece non lo era.
“E’ morta un paio di anni fa, dopo di che lo zio si è trasferito qui ad abitare con me!”
“Mi dispiace!” provai a dire. Insomma non era brava a consolare le persone e avevo una specie di allergia nel compatirle. Infatti egli mi guardò incredulo posandomi una mano sulla fronte.
“Sicura di star bene, Mar?”
“Certo!” risposi seriamente scostando in malo modo la sua mano su di me.
“Perché sei stato cresciuto da lei?” ritornai alla carica.
“Perché ti interessa?” Dave era un po’ sulla difensiva, era evidente che gli stavo portando alla mente ricordi un po’ spiacevoli. Ma io non ero abbastanza sensibile da mettere a tacere la mia curiosità per rispetto nei confronti dei sentimenti altrui.
“Curiosità!” risposi semplicemente.
Gli occhi di Dave incontrarono nuovamente i miei, solo che essi cercarono di leggermi dentro. Percepivo che le mie difese venivano forzate dall’esterno. Era forte, ma non abbastanza.
Distolsi lo sguardo.
“Non ti fidi di me!” sorrisi come per sfidarlo a dire il contrario.
“No! Comunque se è davvero per curiosità, bè … mia madre è morta dandomi alla luce e mio padre è scomparso per sempre dalla mia vita, mia nonna diceva che non sapeva nemmeno che faccia avesse, che non l’aveva mai conosciuto, ma non so se crederci o meno!” strinse le dita a pugno, gesto che sottolineò la rabbia che doveva provare nei confronti di quell’uomo.
Sorrisi. Dave in preda a sentimenti diversi dalla bontà, dalla pietà e dalla felicità era davvero uno spettacolo insolito. La sua rabbia dimostrava che anche lui era un essere umano, che non era così buono e puro come diceva.
Ipocrita.
Gli voltai le spalle e mi allontanai dalla soffitta, avevo trovato già qualcosa di molto interessante, per il libro di Dave c’era ancora tempo.


“A presto Dave! Ti farò sapere non appena scoprirò qualcosa!” disse lo zio di Dave abbracciandolo. Mi ritrovai a fissare il soffitto per la scena mielosa che si stava svolgendo dinnanzi ai miei occhi. Era più forte di me, ero allergica alle dimostrazioni di affetto.
Ci mancava che Dave si mettesse a piangere come una femminuccia e avrei potuto girare un film tragico, manco dovesse partire per la guerra.
“Grazie Alex, di tutto!”
Al suono d tale nome sbiancai.
Alex.
Non poteva essere quell’Alex.
Da quando lo zio di Dave si chiamava Alex? Alex, come l’Alex di Grace.
Dopotutto non avevo mai saputo come si chiamava lo zio di Dave. Poteva dunque benissimo essere Alexander il suo nome.
I due uomini sciolsero il loro abbraccio e passarono a darsi pacche sulle spalle. Alzai gli occhi al cielo spazientita, dovevamo andare se Dave voleva che Rob non lo trovasse, ma questo sembrava che lui non fosse in grado di capirlo.
Dopo interminabili raccomandazioni da parte dello zio finalmente quei due deficienti si staccarono e io mi ritrovai con Dave fuori dalla porta di quella casa. Fu così che potei fargli quella domanda che da qualche minuto mi assillava i pensieri.
“Alexander? Dave, tuo zio si chiama Alexander?” chiesi senza celare il mio sbigottimento.
“Sì perché?” domandò un po’ stupito per la mia insolita domanda.
“Niente!” mi affrettai a dire regalandogli un sorriso trentadue denti.
Lui alzò le spalle e si chinò per afferrare il borsone che conteneva parte dei suoi indumenti.
Io avevo la testa altrove. Avevo appena scoperto che il diario che avevo nascosto nella borsa era della ragazza di Alexander, lo zio di Dave.
Ecco spiegato il legame.
“Comunque non è mio zio per davvero!” aggiunse lui incamminandosi lungo il vialetto.
“Cosa?”





Allora sul capitolo non c'è moltissimo da dire... solo che spero che vi sia piaciuto!

lo sò che lo scorso capitolo era un po' schifoso, ma spero che questo via abbia in teressato di più anche se Mar non è al centro di esso.

come al solito vi chiedo di RECENSIRE perchè ho bisogno di sapere cosa ne pensate!! non mi arrenderò mai!
Daisy


Se volete spoiler notizie ecc... mi trovate qui---> Daisy's corner
Comunque la maturità è andata benissimo, decisamente più di quanto mi aspettassi... insomma 98!!!! :) waaaaaaaa!!

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Capitolo 24
*** CAP 23 ***



BANNER REALIZZATO DA: UnLuckyStar GRAZIE DI CUORE
Un ringraziamento speciale a shadowdust che mi ha betato ( non so se si svrive così) il capitolo...

Grazie di cuore!

CAP 23

 
Perché una persona avrebbe dovuto chiamare un uomo ‘zio’ se non era suo zio?
Ero perplessa.
“E’ un amico di famiglia, uno stretto amico di famiglia! Mi ha visto crescere, mi ha praticamente fatto da padre, gli devo tutto! E’ come se davvero fosse mio zio!” l’orgoglio brillava nei suoi occhi. Mah chi lo capiva era un genio.
“Ma mica era come un padre?” precisai ricordando le sue parole.
“Infatti!” confermò sorpreso dalla mia domanda.
“Però lo chiami zio!”
Che cosa stupida.
“Daaaaave! Daaaaave!”
Una voce a dir poco fastidiosa e pungente mi trapanò i timpani. Ma perché non si poteva mai avere un attimo di pace?
Mi voltai giusto in tempo per vedere una folta chioma rossa andare a schiantarsi sul petto di Dave e chi altri poteva essere se non Caren?
Gli gettò le braccia al collo e si abbandonò totalmente a lui rischiando di spezzarli l’osso del collo, naturalmente senza accorgersene.
Dave arrossì  e posò le sue mani sulla schiena di lei, giusto per ricambiare l’abbraccio e intanto abbassò gli occhi come se fosse imbarazzato.
“Hei!” disse dolcemente tra i suoi capelli “Come mai tutta questa dimostrazione di affetto?”
La ragazza alzò il viso verso di lui e sorrise come solo lei sapeva fare, ovvero in un modo pessimo e disgustoso. Non poteva essere una dimostrazione di felicità quella smorfia che le si era dipinta sul viso, era più una testimonianza della sua bruttezza in qualunque momento.
La rossa corrucciò le labbra in un broncio da serpente ferito il labbro e sbattè gli occhi come un ipnotizzatore deficiente. Patetici tentativi  di rendersi sexy.
Mi ritrovai a ridacchiare, il problema fu che non riuscii a farlo silenziosamente e senza farmi notare.
Caren, così, si voltò verso di me e mi fulminò con lo sguardo, come se stessi interrompendo un momento di intensa intimità tra i due invece che un incontro tra una scimmia dai capelli rossi e il suo ammaestratore.
Non potei far a meno di quadruplicare la risata e fu così che anche Dave si rese conto di quanto mi stessi divertendo a guardarli, quindi, con dolcezza, prese Caren per i fianchi e la allontanò da sé.
Alzò gli occhi al cielo seccato dalla mia reazione e tornò a guardare la ragazza.
“Avevi qualcosa da dirmi?” nel porle tale domanda fece scivolare il pollice della mano sulla guancia di lei, che socchiuse gli occhi come estasiata da quel semplice tocco.
Come facevo a non ridere ancora più rumorosamente di fronte ad una scena del genere?
Quella volta entrambi ignorarono il mio baccano perché erano troppo persi, l’uno negli occhi dell’altra. Che cosa romantica!
Non avrei mai immaginato che tra quei due ci fosse del tenero, soprattutto perché non avevo mai vagliato la possibilità che Caren potesse piacere a qualcuno. Insomma era così vuota, così scema e così priva di personalità che anche il più banale ragazzo sarebbe scappato dopo una sola notte di sesso.
Ma Dave doveva avere qualche rotella fuori posto perché prima aveva rifiutato le mie avances e poi incitava quelle della rossa. O il mondo si era ribaltato o quel ragazzo era decisamente stupido!
“Davvero te ne vai?” la voce di Caren era quella di un cucciolo abbandonato sul ciglio della strada, ma che ci rimanesse!
“Sì!” rispose semplicemente lui indicando con la testa le valigie come per confermare le sue parole. Mi appoggiai al muretto del giardino di casa Sullivan e incrociai le braccia al petto, nella speranza di trovare una posizione abbastanza comoda per godermi quella scena da film sentimentale .
“Ma devi proprio?” altro broncio, altra risatina silenziosa da parte mia.
“Dal momento che il tuo amico Rob mi dà la caccia, direi di sì!”
“Non è mio amico!” precisò quasi scandalizzata.
Di fronte ad un’assurdità del genere non potei far a meno di intervenire.
“Era il suo scopamico, Dave! Non dire solo amico, sarebbe riduttivo!” il mio tono di voce era tagliente. Caren si voltò ancora un a volta nella mia direzione e, invece di fulminarmi con lo sguardo come mi sarei aspettata, gli occhi le divennero lucidi.
“Perché devi sempre essere così perfida con me?” borbottò fingendo di avere la voce rotta dal pianto.
Per tutta risposta Dave la strinse a sé cullandola tra le sue braccia.
“Mar sei davvero una stronza!” mi rimproverò lui con sguardo serio. Come se le sue parole potessero ferirmi o farmi cambiare condotta.
Feci spallucce e osservai la scena nella quale lui cercava di consolare la rossa sussurrandole chissà quali sconcerie nell’orecchio.
Quest’ultima tornò a concentrarsi sul suo volto e i loro visi erano talmente tanto vicini che sarebbe bastato che lei si mettesse in punta dei piedi per far sì che le loro labbra potessero unirsi in un connubio di disgustoso amore.
“Resta!” lo supplicò quasi in un sussurro.
Sembrava una di quelle scene tragiche alla Romeo e Giulietta, dove mancava poco che lei svenisse portandosi il dorso della mano sulla fronte.
“Caren!” la chiamò lui posandole le mani sulle guance rigate dalle lacrime di lei “Tornerò appena tutta questa storia sarà finita!”
“Non voglio aspettare tanto!” borbottò.
Patetici. Decisi di non assistere più a quella scena smielosa così mi incamminai lungo la strada sperando di trovare un posto tranquillo dove riprendere a leggere il diario di Grace.
Peccato che dopo aver fatto solo due passi mi sentii richiamare indietro.
“Non mi dai una mano con le valige, Mar? Non eri venuta qui ad aiutarmi?” Dave se ne stava lì sorridente ad aspettare che lo raggiungessi, di Caren non c’era più nemmeno l’ombra.
Feci una smorfia.
“Fatti aiutare dalla tua fidanzata!” gli urlai senza muovere un passo nella sua direzione.
Lo vidi congiungere le mani a mo’ di preghiera e fare un’espressione che doveva sembrare dolce. Alzai gli occhi al cielo e ripresi a camminare nella direzione che poco prima stavo percorrendo, cosa mi importava di lui dopotutto?
Sentii provenire dalle mie spalle un rumore di passi sempre più frettolosi finchè essi non si calmarono, segno che Dave era riuscito a raggiungere il mio fianco.
“Però potevi aiutarmi!” sbottò fingendosi offeso cercando di calmare il respiro, dal momento che aveva fatto una corsetta per giungere dove mi trovavo.
“E sminuire un uomo forte e robusto come te? Mai, Dave, non mi permetterei mai!”
Con la coda dell’occhio lo vidi sorridere. Ne approfittai per porgli una domanda che a mio avviso non trovava alcuna risposta plausibile.
“Cosa ci trovi in Caren? È così … così …” nemmeno io riuscivo a trovare le parole giuste per descriverla.
“Bisognosa? Sola? Fragile?” cercò di venirmi in aiuto, anche se il tono che usò era leggermente accusatorio.
“Esatto! Come fa a piacerti una bisognosa, sola e fragile?” feci una smorfia per sottolineare il mio disappunto.
“Forse è proprio questo a renderla speciale!”
“Non riesco a capire. È priva di personalità!”
“Se una persona non riesce a tenerti testa non è detto che sia priva di personalità!” il suo tono di voce era leggermente alterato.
“Non è che credo che per questo sia priva di personalità, lo so che nessuno riesce a tenermi testa, ma …”
“Tranne me!” mi interruppe con un sorrisetto compiaciuto sulle labbra. Lo ignorai.
“Ma …” alzai un po’ il tono della voce “…è in tutto il resto che è priva di personalità. Insomma ha passato tutta la sua vita a farsi usare da Rob, nonostante sapesse che per lui lei non era niente! Con le sue capacità poteva avere tutto il mondo ai suoi piedi e ragazzi di gran lunga migliori di Rob, eppure non è mai stata in grado di cogliere le occasioni!” non riuscivo a comprenderla.
“Forse era innamorata!” azzardò lui.
Ridacchiai.
“Noi non siamo in grado di amare!”
“Questo lo dici tu!” ribattè convinto lui.
“E il fatto che io abbia vissuto con lei per più tempo di te, non ti basta a convincerti che ho ragione?”
“No! Perché tu hai una mentalità chiusa!”
“Io avrei una mentalità chiusa? Stai scherzando vero? E cosa dovrei dire di te?” ero sbigottita dalle sue parole.
“Io vedo le cose da un punto di vista oggettivo mente tu sei influenzata dal tuo cinismo!”
“Oggettivo?” la mia voce riuscì perfettamente ad esprimere tutta l’incredulità che provavo.
“Ma se tu vedi sempre pace e amore in tutto ciò che ti circonda. Dave!” mi posi di fronte a lui impedendogli di continuare a camminare. Cercai i suoi occhi e una volta trovati e incatenati ai miei continuai a parlare.
“Noi non possiamo amare semplicemente perché abbiamo in noi, per fortuna, un meccanismo difensivo che ci impedisce di farci soffrire. Una specie di sistema immunitario per i sentimenti dannosi e autodistruttivi, come quello dell’amore, Caren non era innamorata di Rob!”
“Allora è stata influenzata!”
“E da chi?”
“Da te!”
Alzai un sopracciglio incredula di fronte a ciò che mi stava dicendo.
“Me lo ha raccontato sai? Che tu le impedivi di uscire con te e Rob, che tu le rubavi ogni ragazzo lei puntasse, che tu …” alzò la voce sempre di più puntandomi il dito indice contro in modo accusatorio.
“Te l’ha detto che lei non era in grado di meritarsi il mio rispetto?” cercai di sovrastare il suo tono con il mio “Se l’avessi ritenuta una persona degna del mio rispetto sicuramente non l’avrei trattata in quel modo!”
“E Rob? Rob meritava il tuo rispetto?” ormai stava urlando.
“Più di lei!”
“E chi ti sta cercando per ucciderti Mar? Caren che non aveva il tuo rispetto o colui che aveva questo privilegio?” ironizzò sull’ultima parola.
“Ciò non cambia le carte in tavola Dave! Quella ragazza rimarrà sempre una stupida e una persona che non merita la mia stima!”
“Perché non era in grado di tenerti testa!” ripetè lui.
“Ancora con questa storia?” mi stava davvero irritando. Non era da me perdere in quel modo la calma, ma come si permetteva di difendere Caren, l’essere più inutile del pianeta?
“E’ la verità, Mar! Se lei fosse stata in grado di tenerti testa forse sareste addirittura diventate amiche!”
Risi di gusto.
“Amiche! Bella questa! Nemmeno Rob riesce a tenermi testa, eppure aveva la mia stima, ma non la mia amicizia!”
“Allora spiegami perché la odi tanto!” quasi ringhiò nel pormi tale domanda.
“Perché è fastidiosa!”
“Che ti infastidisce di lei?”
“Tutto!”
“Tutto è come dir niente!” precisò lui cercando di calmare la sua rabbia.
Rimasi in silenzio, non aveva senso continuare a discutere con una persona così cocciuta come lui, così ripresi a camminare.
“Cosa c’è Mar? Sei rimasta senza parole?” il suo tono di voce era tagliente. Ghignai.
Tornai indietro fino a raggiungerlo, infatti non si era mosso dalla posizione nella quale l’avevo lasciato.
Presi la stoffa della sua maglietta tra le dita all’altezza del petto e così facendo lo avvicinai minacciosamente a me. Incontrai i suoi occhi così verdi e vidi in essi il mio riflesso. Sembravo fatale.
Sorrisi alla mia immagine sentendomi onnipotente.
“Penso solo …” sibilai tra i denti “Che hai svolto alla perfezione il ruolo del bravo fidanzatino, insomma l’hai difesa con i fiocchi! Dovrò dirglielo che è una ragazza fortunata!” lasciai trasparire dell’ironia.
Lo lasciai andare spingendolo un po’ indietro e tornai a precederlo lungo la strada con un sorriso soddisfatto dipinto sulle labbra.
 
 
 
Anche se mi costava fatica mi costrinsi ad accompagnare Dave, sempre nel più totale silenzio, fino al nuovo appartamento, il tutto perché dovevo riuscire a mettere le mani nei suoi due borsoni che sicuramente celavano il libro che stavo cercando.
Il problema fu che dopo due ore circa di viaggio per i mezzi pubblici della città ancora non eravamo giunti a destinazione e la cosa mi innervosiva parecchio.
“Ma quanto è lontana questa nuova casa?” sbuffai.
“Non molto!” mi rispose freddamente.
“E allora perché giriamo da ore?”
Fece l’espressione tipica di chi la sa lunga.
“L’hai detto tu che Rob probabilmente ci tiene d’occhio no? Quindi così lo depistiamo!”
Assunsi un’espressione incredula di fronte alla sua affermazione, tuttavia non commentai e mi limitai a seguirlo.
Dopo un’altra mezz’ora buona arrivammo di fronte ad un palazzo e lo vidi sorridere.
“Qui ci abitò mia madre quando era all’università, non è un bel posto?” era quasi orgoglioso.
Tornai a guardare il palazzo cercando di capire cosa ci fosse di bello, a me sembrava vecchio e logoro, nonché decadente.
Senza aspettare una mia risposta prese un mazzo di chiavi e si diede da fare per spalancare il portone d’ingresso.
Nel giro di pochi minuti eravamo già nell’appartamento che era appartenuto alla sua genitrice ed esso non era affatto il luogo che mi sarei aspettata. Avrei immaginato che fosse un posto austero, privo di oggetti, insomma una casa disabitata!
Invece era come se sua madre non se ne fosse mai andata da lì. I libri erano impolverati, ma pur sempre disposti con ordine sugli scaffali, inoltre vi erano tende, tappeti e oggetti di altro genere.
Vidi che a Dave gli occhi divennero lucidi mentre anche lui posava lo sguardo su quell’appartamento che doveva tanto sapere di lei.
Sperai con tutto il cuore che non si mettesse a piangere altrimenti non avrei saputo proprio come consolarlo, non che avrei voluto.
Contro ogni mia previsione lo vidi sorridere con amarezza e posare le valige a terra.
“Non hai nulla in contrario se mi trasferisco qui anche io vero?” domandai andando a sedermi, senza troppi convenevoli, sul divano.
Lo vidi sbarrare gli occhi.
“Eh?” la sua voce risultò più acuta di qualche ottava.
“Se posso vivere qui. Così possiamo lavorare meglio!” dissi ciò senza malizia, ma lui assunse un’espressione disgustata ugualmente. Cosa aveva di sbagliato quel ragazzo?
“Lavorare?”
Sbuffai per la sua ottusità.
“Non ho intenzione di passare il resto della mia vita a fuggire da Rob e Alan, quindi direi che dobbiamo prima di tutto capire come sconfiggerli e poi dobbiamo creare un piano d’attacco, il tutto abbastanza velocemente perché Rob non deve trovarci!”
Lui fece un sospiro di sollievo.
“Sì, rimani, hai perfettamente ragione! Però ti avverto, dovrai condividere la stanza degli ospiti con … Caren!”
Sgranai gli occhi, probabilmente non avevo capito bene.
“Caren, che c’entra Caren?”
“Se tu fossi rimasta più a lungo ad origliare avresti scoperto che lei mia aveva chiesto di venire con me!”
Deglutii come per digerire quella terribile notizia.
“E perché dovrebbe stare in camera con me? Avete deciso di non dormire insieme fino al matrimonio?” domandai decisamente seccata.
Dave sorrise.
“Non essere gelosa, Mar!” mi diede un pizzicotto sulla guancia prendendosi gioco di me “Io e lei non stiamo insieme!”
Di male in peggio. Per l’ennesima volta mi sarei dovuta sorbire Caren nella mia stessa stanza, che incubo.
Allontanai la mano di Dave dal mio viso con disgusto, ma lui parve non farci caso perché era già preso a comporre un numero di telefono.
“Dannazione!” sbottò.
Lo guardai interrogativamente pretendendo una risposta.
Lui invece si andò a sedere frustrato sul divano e si mise la testa tra le mani, come per esternare la sua disperazione.
Io feci per andare nella camera che mi aveva indicato come mia, ma fui bloccata dalla sua domanda.
“Credi che James stia bene?” mi domandò a mezza voce.
Sorrisi. Era buffo che volesse una rassicurazione proprio da me, come se io fossi in grado di fornirgliela.
“Non lo so!”
“E non ti importa vero?” aggiunse lui alzando la testa e guardandomi.
Non so perché ma in quel momento non mi sentii bene. Insomma era vero che di James non mi importava proprio niente però vedere Dave così ferito non era piacevole, non che mi stesse intenerendo. Però diciamo che mi faceva un  po’ di pena.
“Credo che tu ti faccia troppi problemi inutili!” ero sincera.
“Dovresti pensare più a te stesso, invece che agli altri!” continuai.
“Il mondo intero fa così Mar, e guarda come stiamo finendo! Ci vuole qualcuno che pensi agli altri!”
“Forse hai ragione, ma il prezzo è alto!” lo indicai per sottolineare la veridicità delle mie parole, dopotutto pensare agli altri significava soffrire per gli altri  “Sei disposto a pagarlo?”
Detto ciò mi incamminai verso la mia camera chiudendomi la porta alle spalle. A chiave.
In una frazione di secondo il diario fu tra le mie mani e, ansiosa di andare avanti, ci misi poco a trovare la pagina giusta.
Lanciai un’ultima occhiata alla porta più per rassicurarmi  che per reale bisogno dal momento che era ermeticamente chiusa.
Incrociai le gambe e mi immersi in quella calligrafia fluida e scorrevole.
 
Oggi ho trovato il libro e ammetto di essere stata un po’ delusa da esso. Insomma non so bene cosa mi aspettassi, ma quanto meno nelle mie fantasie esso aveva un titolo.
Titolo assente.
Si tratta di un volume totalmente differente da tutti gli altri, innanzitutto presenta due copertine una nera e una bianca. Sembra vecchio ed è pesante.
Si trovava insieme a tutti gli altri libri della casa, nemmeno così tanto nascosto.
Proprio ora me lo sto rigirando tra le mani, la tentazione di aprirlo è forte, ma non devo! Per rispetto nei confronti di mio padre.
Il problema è che non ho idea su come fare delle ricerche su di esso, insomma non ho un indizio.
Questo pomeriggio sono andata nella biblioteca del campus universitario a chiedere informazioni, ma nessuno aveva mai sentito parlare di un libro del genere.
Eh sì, perché intanto mi sono iscritta all’università, so che sono un po’ in ritardo con gli anni, ma ho voglia di reinizaire a vivere, soprattutto ora che ho un obbiettivo grazie a mio padre.
Mi sono iscritta a lettere, perché mi hanno sempre affascinata gli scrittori e voglio diventare un’insegnante di letteratura.
Nel mio cuore rimarrà sempre posto per Alex, ma devo far spazio anche per la mia vita, non voglio buttarla via per un amore finito.
Cercherò di scoprire qualcosa in più sul libro.

 
Mio malgrado mi ritrovai a sorridere. Ero felice che Grace avesse deciso di uscire dal suo vortice di depressione amorosa.
D’altra parte ero delusa. Mi aspettavo che il libro fosse o quello che Dave mi teneva nascosto o quello di Alan, invece era un volume dalla doppia copertina e privo di titolo.
Qualcosa che non avrebbe destato affatto il mio interesse se Grace non avesse riportato la lettera che il genitore le aveva scritto.
Quelle poche righe avevano qualcosa di insolito e di misterioso, qualcosa che mi faceva sperare di trovare qualcosa di utile e di straordinario in quel diario.
 
 Lo so che ultimamente ho scritto solo per narrare del libro, ma oggi non posso far a meno di cambiare argomento.
Oggi ho incontrato un ragazzo.
È particolare, silenzioso, se ne sta sempre in un angolo della mensa a mangiare da solo. Non è bello come Alexander, ma diciamo che è riuscito a catturare la mia attenzione.
Sarà stata l’atmosfera di solitudine che lo avvolgeva oppure la frustrazione che gli leggevo negli occhi quando qualcuno si avvicinava al suo tavolo senza degnarlo di uno sguardo, fatto sta che oggi ho deciso di rivolgergli la parola.
“Posso?” gli domandai sfoggiando un sorriso radioso che doveva servire a farmi sembrare amichevole.
Lui inizialmente mi scrutò da capo a piedi come per capire se fossi o meno pericolosa dopo di che mi face un cenno di assenso.
Mi sedetti di fronte a lui, sia per lasciargli un po’ di spazio e non essere invadente e, allo stesso tempo, per parlarci più comodamente.
È uno strano ragazzo. Ha gli occhi neri e i capelli del medesimo colore, ma questo non si intona affatto con la tuta rossa che indossava.
Una persona con una tuta rossa non passa inosservata, eppure la gente si comportava come se non esistesse. All’inizio avevo pensato, come possibile giustificazione per tale comportamento, che egli puzzasse, ma quando gli ero vicina ho sentito solo un lieve aroma di pino.
L’odore quindi andava bene.
Credo che la gente lo eviti soprattutto per gli sguardi che lancia, sembra che tema che ogni singolo essere umano possa giudicarlo, così guarda con aria di sfida chiunque incroci il suo sguardo, solo che quest’ultimo è  talmente tanto gelido da far venire i brividi.
Credo che sia per questo che nessuno gli si avvicina. È un ragazzo che mette a disagio.
Ero a disagio persino io! Ma mi sono fatta coraggio, dopotutto ormai ero lì, dovevo pur scambiare quattro chiacchiere con lui no?
“Io sono Grace!”
Ok, lo ammetto, avrei potuto dire qualcosa di più intelligente o quantomeno avrei dovuto dirlo meglio.
Infatti lui alzò lo sguardo e mi fulminò con esso, mi sono così ritrovata ad abbassare gli occhi mortificata e a fissare il mio pranzo. In quel momento mi sono maledetta per la mia malsana idea.
“Io sono Sebastian!” si presentò.
Mi stupii di sentire che mi aveva, a sua volta, rivolto la parola e, talmente ero soddisfatta del risultato ottenuto, che mi ritrovai a sorridere come una scema.
“Scusa, non sono abituato a parlare con le persone!” aggiunse abbassando la voce. Wow. Aveva detto più di quattro parole in croce. Mi sono davvero sentita onorata.
“E come mai?” lo so che mi dovevo fare gli affari miei, ma qualcosa mi spingeva a voler conoscere quell’uomo meglio, come se meritasse una possibilità di essere compreso.
“Non ho mai avuto molti amici e quei pochi che avevo mi disprezzavano per diversi motivi, così ho iniziato a creare una sorta di scudo attorno a me, uno scudo che impedisce agli altri di ferirmi!” ne andava fiero da come ne parlava.
La sua risposta mi incuriosì ancora di più, così posi una seconda domanda inopportuna.
“Ma a che prezzo Sebastian? Al prezzo di vivere una vita da solo?”
Sorrise amaramente.
“Non è bello soffrire Grace! E avere uno scudo può essere una grande ricchezza!”
“Sarà, ma ti impedisce di vivere!”
“Mi impedisce di soffrire!”
“Ma soffrire è vivere! Come anche gioire! Senza l’uno non può esistere l’altro!”
Non sapevo perché si fosse aperto con me immediatamente. Insomma è insolito che, dopo soli cinque minuti che ci conoscevamo, già facevamo dei discorsi filosofici.
Forse aveva semplicemente un bisogno impellente di sfogarsi e io ero la prima che gli era capitata con cui esternare le sue sensazioni e pensieri.
“Sarà!”  era abbastanza scettico.
Decisi di cambiare argomento, giusto per non andare troppo nel personale.
“Che facoltà frequenti?”
“Psicologia tu?”
“Lettere!”
Fece una smorfia di disgusto di fronte alla quale non potei far a meno di ridere. Sapevo che la mia facoltà faceva schifo alla maggior parte degli studenti con un po’ di sale in zucca, ma nessuno l’aveva mai esternato in quel modo, quindi ho trovato la cosa parecchio buffa.
“Che hai da ridere?” mi ha chiesto imbronciato.
“Sei sincero! Mi piace questa cosa di te!”
Abbiamo continuato a parlare per tutta la durata del pranzo e ci siamo dati appuntamento per domani.
Non vedo l’ora! E’ un ragazzo simpatico e particolare, insomma è interessante.

 
Povera Grace, stava per ricadere nell’oscuro vortice dell’amore!
Tragico. Perché la gente non imparava mai?
Dopotutto quel Sebastian aveva davvero ragione, bisognava costruirsi uno scudo per non soffrire.
La data successiva coincideva circa a un anno dopo.
 
1982
 
Accidenti. Ormai è un anno che non tormento questo diario con le mie annotazioni anche perché ormai mi sembra una cosa infantile. Però diciamo che oggi ne sentivo il bisogno, non c’è una particolare motivazione per ciò.
In questo periodo ho imparato a conoscere meglio Sebastian e ho notato che pian piano il suo guscio con me si è dissolto e non si può nemmeno lontanamente immaginare le proporzioni della mia felicità.
L’amore che ho iniziato a provare per lui non è stato imprevisto, coinvolgente e totalizzante come quello per Alexander, anzi è cresciuto col tempo. Ogni giorno era sempre maggiore e, al pari di esso, cresceva anche il suo nei miei confronti.

L’ho visto nei suoi occhi. Il ghiaccio che vi era si è lentamente disciolto, come neve al sole, lasciando posto ad un calore immenso che riesce a scaldare anche i punti più nascosti della mia anima.
È straordinario come sia soddisfatta della sua trasformazione, soprattutto perché so che in parte è stata opera mia.
Sono felice di aver reso un uomo libero di vivere e non prigioniero della paura di provare dolore.
Ora parla addirittura con gli altri, lo fa in maniera gentile ed educata, lo sguardo è cordiale e amichevole e io mi innamoro ogni giorno di più.
Solo che vivo con i sensi di colpa. Non c’è notte in cui non mi addormenti pensando al sorriso di Alex, non c’è giorno in cui un oggetto non mi ricordi lui.
Il suo spettro continua ad aleggiare sopra me e Sebastian. Da un lato vorrei dimenticarlo per poter vivere totalmente questa nuova storia, dall’altro so che non posso. Io gli ho donato un cospiquo pezzo del mio cuore e non credo di poterlo riavere indietro. È suo. E io voglio che sia lui a custodirlo.

 
Feci una smorfia.
 
Però mi sento in colpa. Quando facciamo l’amore io e Sebastian a volte spero di trovare i Suoi occhi verdi a fissarmi con passione immensa, invece mi ritrovo quelle iridi così tanto scure a guardarmi velate dal desiderio, così  diverse dalle Sue.
Mi sento una persona cattiva.
Sebastian mi ama più di ogni altra cosa, lo si vede nello sguardo, quell’uomo darebbe la vita per me, e io che faccio? Lo tradisco col pensiero.
Spero, col tempo, di imparare ad amarlo, amarlo più di quanto io abbia amato Alex. Magari se mi impegno ce la faccio.
 

Quella donna non aveva il sale in zucca. Ma nemmeno una briciola. Come poteva costringersi ad amare una persona in un modo piuttosto che in un altro?
Era assurdo. Dai ragionamenti che faceva a volte mi sembrava un’aliena, inoltre ero delusa perché aveva bellamente abbandonato tutto ciò che riguardava il misterioso libro dalla strana copertina che rappresentava  l’unica ragione per la quale leggevo quel diario.
Ma ero troppo speranzosa di trovare qualche informazione andando avanti, così ripresi la lettura.
 
1985
 
Se me lo avessero raccontato poco tempo fa non ci avrei creduto.
Forse non sarei stata in grado nemmeno di sognarlo. Anche perché nei miei sogni migliori c’era sempre Lui: Alexander.
Eppure è successo.
Oggi mi sposo.
Oggi sto per cedere a Sebastian in maniera definitiva il mio cuore.
Oggi devo dire addio ad Alex, o meglio a ciò che è rimasto di lui. Devo riuscirci. Per Sebastian e per la famiglia che insieme costruiremo.
Oggi mi sto accontentando. Fa male ammetterlo, mi fa sentire opportunista e meschina, ma se non sono onesta nemmeno con me stessa con chi posso esserlo?
Io amo Sebastian, mi sembra chiaro, solo che lui non è Alex. Punto.
Come potevo dirgli di no?
La sera nella quale mi ha fatto la proposta mi aveva portata nel posto più bello della città, il nostro posto.
Non era niente di particolare, solo un terreno terrazzato sul quale ci sedevamo per guardare le stelle. Lì mi ha detto le parole più romantiche che io abbia mai udito, sembrava un poeta perché riusciva a esprimere alla perfezione il suo amore per me.
La sua calda voce arrivava dritta al cuore sciogliendolo. Era una sensazione splendida, di totale appagamento, o meglio, lo sarebbe stata se ancora una volta il Suo viso non fosse comparso nei miei pensieri. Con Alex era sufficiente uno sguardo per farmi sciogliere completamente, non servivano parole.
Fu così che Sebastian mi guardò negli occhi, intensamente e mi fece alzare in piedi.
Non capivo dove volesse arrivare, ma lo lasciai fare. Dopo di che si inginocchiò di fronte a me ed estrasse una scatoletta di raso rosso.
Il mio cuore perse un paio di battiti.
“Tu sei tutta la mia vita, sei il mio sole, la mia luna, sei il mio passato, il mio presente e ti vorrei nel mio futuro, mi concederesti l’onore di essere tuo marito?”

 
Ero talmente disgustata dalla scena che stavo leggendo che chiusi di scatto il diario e lo gettai a terra, il più lontano possibile da me. Ma quanto era disgustosamente romantico quell’uomo?
E Grace? Grace non avevo parole per definirla. Era un’inguaribile romantica che credeva che l’amore fosse unico ed eterno, ma vanno cambiati gli ‘amori’, almeno tanto spesso quanto un paio di mutande.
Mi alzai da quella posizione e sentii le ossa delle ginocchia scricchiolare, dopotutto dovevo essere stata ferma davvero a lungo.
Guardai l’orologio e mi resi conto che erano circa le cinque del pomeriggio e decisi di andare a cercare qualcosa da mangiare.
Entrai nel salotto e, con mio enorme disappunto, una chioma rossa faceva capolino dallo schienale del divano e non mi serviva vedere la proprietari in faccia per capire a chi appartenessero.
Sbuffai e alzai gli occhi al cielo.
Caren, in quel momento, grazie alla mia esternazione di disappunto, mi notò.
Si girò verso di me e mi sorrise quasi con malignità.
“Maaar!” mi accolse con quella sua vocetta fastidiosa.
Cos’era tutta quella gioia e gentilezza?
“Dimmi” fui secca e telegrafica e anche un po’ diffidente.
“Volevo giusto parlare con te!” mi confessò.
Sbarrai gli occhi sorpresa.
“Ah sì?”
“Siediti!” disse picchiando col palmo della mano il posto vuoto accanto a sé per invitarmi a fare ciò che mi aveva chiesto.
“No sto in piedi!” risposi sicura e mi misi di fronte a lei con le braccia incrociate in attesa che parlasse, anche perché avevo fame, quindi non mi andava di perdere più tempo del dovuto in compagnia di quella specie di persona.
Si sistemò sul divano, come se la cosa potesse farla sentire più sicura di sé.
“Sta lontana da Dave!” i suoi occhi erano scioccamente puntati nei miei.
Ricambiai lo sguardo sorridendo meschinamente. C’era di positivo che non ci aveva girato attorno più di tanto.
“Se no che mi fai?” mi finsi preoccupata.
“Meglio che tu non lo sappia!”
La fulminai con lo sguardo.
“Mi stai minacciando?” la vidi rabbrividire senza riuscire a distogliere i suoi occhi dai miei, era una vera fortuna che fossero magnetici anche senza l’utilizzo di alcun trucchetto.
“Sei innamorata Caren?” la canzonai.
Lei divenne rossa sia per l’imbarazzo che per la rabbia.
“Non sono affari tuoi!” sbottò irritata.
Ridacchiai.
“Ah! Quindi sei innamorata!” ribadii.
“Smettila!” alzò la voce, come se ciò potesse servire realmente a farmi smettere. Al contrario mi dava solo una maggiore gioia, perchè stavo riuscendo a farla innervosire e la cosa mi soddisfaceva parecchio.
“Potrei, se tu mi dessi una buona ragione per stare lontana da Dave.  Dopotutto è così carino…”
Lei divenne bordeaux.
“Lui. È. Mio.” Scandì con foga ogni singola parola.
Era patetica. Ridacchiai.
“Oh!” mi finsi spaventata “Allora sicuramente gli starò lontana!”
Sogghignai mentre la sua espressione si trasfigurava, se prima era una ragazza arrabbiata in quel momento era diventata un mostro furibondo.
“State ancora litigando?” Dave fece la sua comparsa uscendo dal bagno nel quale, considerando i capelli bagnati, probabilmente si era appena fatto una doccia. Mi leccai le labbra. Dopotutto non era una preda così terribile. Almeno dal punto di vista fisico.
Intercettai lo sguardo di Caren.
La vidi stringere le mani a pugno e diventare, se possibile, ancora più rossa. Aveva capito che non sarei stata lontana dal suo Dave, anzi.
Lo voleva tutto per sé perché ne era follemente innamorata?
Bene. Allora avrei fatto di tutto per allontanarlo da lei.
Se non mi avesse minacciata di stargli lontano, nemmeno mi sarebbe passata per la mente l’idea di provarci, anche perché davvero non lo sopportavo.
Eppure Caren, ancora una volta, aveva fatto il passo più lungo della gamba. Aveva minacciato senza avere i mezzi per poterlo fare, senza avere la capacità di poter realmente intimorirmi.
Avrebbe pagato la sua arroganza, perché non si minaccia Marguerite Jones.



Avviso importante.

Per chi stesse seguendo altre mie storie vi devo informare che esse sono momentaneamente sospese perchè voglio dedicarmi meglio alla stesura di questa!

le continuerò tutte solo in un secondo tempo, scusatemi!

In questo capitolo si gettano le basi per il prossimo che sarà particolarmente ricco di avvenimenti...

vi chiedo scusa in anticipo se sarà lungo, ma nn posso tagliare altrimenti rischierei di farvi rimanere tutti a bocca asciutta senza far accadere niente.

vi chiedo anche scusa se arriverà in ritardo... il fatto è che settimana prossima parto per parigi.. dal 17 al 20 e quindi non avrò molto tempo per scrivere.. quindi vi chiedo di pazientare!

Vi anticipo che nel CAP 24 non si continuerà a leggere il diario di Grace che invece vedrà la fine nel CAP 25...

E' tutto!

Ci tengo a ringraziare di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo: AlyBraianaDragneel, Onechan Kitzune, nancywallace, shadowdust, monique89!

E ringrazio anche ZephyrSelyne che praticamente sta recensendo quasi ogni capitolo! grazie.

Naturalmente chiedo sempre le vostre opinioni, sì di voi silenziosi lettori, comunque vi ringrazio ugualmente per leggere questa cosa!

A presto.

Daisy ;)


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Capitolo 25
*** CAP 24 ***


Grazie ancora una volta a Shadowdust che mi ha fatto da beta!!

CAP 24


Un fastidioso suono giunse dritto dritto al mio orecchio. Spalancai un occhio e mi ritrovai a fissare la parete contro la quale era appoggiato il letto. Sbadigliai e mi girai dall’altro lato dando un’occhiata alla brandina che doveva essere occupata da quella minacciatrice senza speranza.
Le coperte erano perfettamente in ordine, era come se lei non avesse affatto dormito lì. Probabilmente si era andata a rifugiare sotto le coperte di Dave. Poco male.
Diciamo che si era goduta l’ultima notte tra le sue braccia anche perché da quel giorno Dave non doveva avere occhi se non per me.
Mi stiracchiai e mi misi a sedere, il suono ancora continuava e non accennava smettere.
Aprii la porta della camera assonnata e feci capolino con la testa. Vidi Dave, mezzo addormentato che arrancava verso il divano sul quale aveva lasciato l’aggeggio che faceva quel rumore infernale: il cellulare.
Avanzai nella stanza sbadigliando e spettinandomi i capelli. Non mi preoccupai di non essere sexy, tanto lo ero sempre.
“Buongiorno Dave!” dissi usando un tono di voce basso e suadente, anche un po’ roco, ma quello era a causa del mio recentisissimo risveglio.
Lui mi fece giusto un cenno con la testa prima di rispondere al telefono.
Gli lanciai un’occhiataccia, come si permetteva di rimanere impassibile di fronte al mio tentativo mattutino di sedurlo?
Sbuffai e andai verso il ripiano che fungeva da cucina e misi a fare il caffè, rigorosamente una sola porzione, ci mancava altro che iniziassi a preparare la colazione a tutta la casa.
“Pronto?” sentii dire a Dave.
[…]
“James! O mio dio tutto bene? Ero così in ansia!”
Mi piegai a novanta sul bancone quando lo sguardo si Dave cadde su di me. Avendo un semplice suo maglione addosso, dal momento che ancora non avevo recuperato le valige dall’appartamento di Emily, facendo quel movimento, gran parte del mio fondoschiena fu sensualmente rivelato da l momento che normalmente mi copriva a malapena i glutei.
Dave stette in silenzio per diversi secondi, giusto il tempo che mi fu necessario per prendere lo zucchero presente nella zona più interna della mensola. Naturalmente l’operazione la feci durare più a lungo del necessario, lui doveva pur vedere in maniera chiara il mio perizoma di pizzo nero no?
Non resistetti a non sbirciare nella sua direzione per vedere la faccia che aveva assunto, così voltai lentamente la testa. Fu una frazione di secondo.
Nel momento in cui mi voltai vidi chiaramente che il suo sguardo era posato sul mio perfetto fondoschiena e che la bocca era aperta leggermente. Proprio in quel’istante alzò lo sguardo ed incontrò i miei occhi, li sbarrò una volta consapevole di essere stato colto sul fatto, dopo di che si voltò rapidamente dandomi le spalle.
Riprese solo allora a parlare.
“Scusa dicevi?”
[…]
“Ma sì che ti stavo ascoltando!”
Ridacchiai soddisfatta per la mia piccola vittoria.
Mentre Dave continuava ad andare avanti e indietro per la stanza mi sedetti al tavolo e incrociai le gambe iniziando a mescolare il mio caffè.
Vidi il ragazzo chiudere la chiamata con un sorriso sollevato dipinto sulle labbra. Aveva delle belle labbra.
Non sarebbe stata una tortura troppo grande provarci con lui.
I suoi occhi incrociarono i miei.
Era così intenso quel verde, così intenso da sembrare che potesse giungere nei meandri più reconditi della mia anima. Bè in realtà poteva davvero farlo, solo che in quel momento non usava le sue facoltà, mi guardava e basta.
Mi portai un cucchiaino colmo di caffè alle labbra, ma una goccia del liquido rimase al di fuori di esse.
Dave aprì la bocca per dirmi qualcosa, ma immediatamente si bloccò. Rimase così, immobile con la bocca semi spalancata a fissare le mie labbra, o meglio, quella gocciolina di caffè che lentamente iniziò a scivolare sulla mia pelle.
Dentro di me sorrisi di fonte a quell’opportunità tanto inaspettata quanto provvidenziale.
Prima che la goccia fosse troppo lontana, ne bloccai la caduta con la lingua. Nel momento in cui essa toccò il liquido socchiusi gli occhi come se la cosa fosse estasiante, dopo di che li riaprii e mi morsi il labbro inferiore sensualmente.
La bocca di Dave si era spalancata ancora di più, ma quando i miei occhi furono nei suoi egli li distolse prontamente.
Sorrisi e mi complimentai con me stessa per essere davvero un’ottima seduttrice, quel ragazzo non avrebbe resistito un giorno.
“Chi era al telefono?” domandai come se nulla fosse.
“Eh?” tornò a guardarmi un po’ spaesato. Era ovvio che dal momento in cui aveva distolto lo sguardo a quello in cui gli avevo rivolto la parola era stato immerso nei suoi pensieri, pensieri che probabilmente riguardavano me. Nuda.
Sorrisi divertita dalla cosa. Era troppo semplice.
“Chi era al telefono!” ripetei portandomi lentamente la tazzina alla labbra e spostando le gambe accavallate leggermente di lato rispetto alla sedia in modo tale che lui potesse vederle.
“Ah! Era J-James” lo sguardo gli cadde sulle mie gambe in bella mostra.
Mi ritrovai a sorridere ancora maggiormente. Fino al giorno prima James occupava quasi tutti i suoi pensieri mentre in quel momento faticava addirittura a pronunciarne il nome. Buffa la vita.
“E che dice James?” la mia voce era suadente, bassa, come un sussurro.
Dave scosse la testa come per riscuotersi e si sedette di fronte a me, probabilmente per non essere più distratto dalle mie gambe. Poco male. Significava che gli stavo facendo un certo effetto e poi avevo a disposizione un altro centinaio di modi per sedurlo, alla fine mi avrebbe implorata di farlo mio.
“Dice che sta bene e che sta arrivando!” allungò la mano verso la moka e ne alzò il coperchio per poi fare una smorfia nello scoprire che il caffè era finito.
“Vedi che non c’era da preoccuparsi?” ribadii trattenendo le risate di fronte alla sua espressione delusa.
“Già!”
Allungai un piede nudo verso il suo polpaccio e lo sfiorai, dopo di che partii dal basso per andare sempre più verso l’alto, una volta arrivata al ginocchio ridiscesi.
Lo vidi rabbrividire e fulminarmi con lo sguardo.
“C-che fai?”
“Io?” usai un tono decisamente innocente “Ma nulla, perché?”
“I-il tuo piede!” altro brivido.
“Oh scusa!” cercai di assumere un tono mortificato “Non pensavo fosse la tua gamba!”
“E tu fai così anche con le gambe del tavolo normalmente?” era leggermente divertito dalla mia risposta.
“Naturalmente!” risposi prendendomi il labbro inferiore tra i denti per poi farlo scivolare via da quella dolce presa lentamente.
Lo vidi deglutire a fatica mentre il suo sguardo era focalizzato sulla mia bocca.
Tossicchiò per riprendersi e si alzò in piedi per andare a prepararsi il caffè.
Mi alzai a mia volta e lo raggiunsi. Era girato di spalle rispetto a me e intento a trafficare con la moka quando feci aderire il mio corpo al suo, dal dietro.
“Vuoi una mano?”
Lo sentii irrigidirsi.
“Eh?” la voce gli tremava leggermente.
“Se vuoi una mano! Ma oggi non riesci a capirmi Dave?” lo canzonai sempre con voce sexy.
La cosa più divertente era che mentre io mi comportavo come se nulla fosse, lui faceva di tutto per sembrare indifferente a me, solo che non gli riusciva bene.
“No no, faccio da solo!” riuscì a dire senza tremolii vari e senza balbettare. Sorrisi. Erano divertenti i suoi tentativi di mantenere il controllo su sé stesso. Divertenti quanto patetici.
“E poi cos’è tutta questa gentilezza da parte tua? Ti sei svegliata per la prima volta con il piede giusto?”
Interessante tentativo di ribattere, di cambiare argomento, di irritarmi, di indurmi a smettere di fare quello che stavo facendo.
Povero Dave, l’unico modo che aveva per costringermi a smettere era cedere.
“Mi va di aiutarti, così posso starti vicino!” sussurrai con voce roca.
La moka gli cadde dalle mani e lui si voltò completamente verso di me con un’espressione esterrefatta dipinta sul viso. Era come se non riuscisse a credere alle sue orecchie ed era davvero divertente. Mi costrinsi a non ridere altrimenti avrei rovinato il momento e il tentativo di seduzione meglio architettato della mia vita.
“Coooosa?” sembrava seriamente preoccupato per la mia sanità mentale tanto è vero che corrucciò le sopracciglia in un’adorabile espressione apprensiva.
Adorabile? Forse stavo impazzendo. Probabilmente mi ero calata troppo nella parte, lui non era altri che una delle mie succulenti prede. Punto. Il fatto che fossimo ‘alleati’ sicuramente non cambiava le cose.
Mi alzai leggermente in punta dei piedi in modo da riuscire più o meno ad essere alla sua altezza.
“Cosa ci trovi di strano?” domandai con tono innocente.
Ma la mia posizione precaria mi fece perdere l’equilibrio e così mi ritrovai a cadere in avanti, verso Dave. Lui prontamente, una volta che il mio corpo raggiunse il suo, mi cinse con le braccia, in un gesto assolutamente involontario. Era nella sua natura essere così tanto protettivo verso il prossimo, era nelle mia natura odiare una qualsiasi azione che potesse farmi sembrare bisognosa di protezione, come quell’abbraccio.
Eppure ci misi un paio di secondi in più a staccarmi dalla sua morsa perché fui bloccata dal suono del suo cuore.
Nel ‘cadere’ in avanti il mio orecchio era finito direttamente sulla sua cassa toracica e avevo sentito che al solo contatto il suo principale organo vitale aveva preso a pulsare sangue molto più velocemente e soprattutto verso chissà quale parte del corpo. Sorrisi compiaciuta da me stessa e, con quanta più dolcezza possibile, giusto per non rovinare gli sforzi fatti fino a quel momento, sciolsi l’abbraccio.
Guardai il viso di Dave, ma non era paonazzo, cercava solo di evitare i miei occhi.
Era arrivato il momento di fare la mossa successiva.
Posai una mano sulla sua guancia il più dolcemente possibile. Lo vidi sbarrare le palpebre e , se fino ad un attimo prima evitava di guardarmi in faccia, in quel momento cercava solo i miei occhi di pece.
Ancora una volta. Verde e nero, speranza e oscurità, vita e morte, due colori così diversi, così sbagliati.
Ma chissene frega dei colori! Io ero nata per fare le cose sbagliate a sentire ciò che diceva Dave, sbagliavo ad usare i trucchetti, ad essere egoista, ad essere ciò che ero. Allora con piacere avrei compiuto anche un’altra azione che ai suoi occhi sarebbe parsa come un madornale errore, mentre ai miei solo la prova di quanto fosse giusto e divertente fare le cose che Dave Sullivan reputava sbagliate.
Mi alzai nuovamente in punta dei piedi e, senza dargli l tempo di riflettere posai le mie labbra sulle sue in un lieve contatto.
Lo sentii irrigidirsi, come se improvvisamente il suo corpo si fosse tramutato in legno. Non era così che me lo aspettavo, pensavo che al solo contatto con il mio corpo lui sarebbe impazzito, come quella sera alla festa dei medici. E invece nulla. Sembrava pietrificato e nei miei pensieri non era contemplata l’opzione di baciarmi un sasso.
Le sue precedenti attenzioni ai miei tentativi di seduzione non me le ero sognata, quindi c’erano due spiegazioni è possibili al suo improvviso irrigidimento: o era preso alla sprovvista oppure stava resistendo.
Sorrisi contro le sue labbra. Erano entrambe opzioni alle quali potevo porre rimedio.
Iniziai così a muovere dolcemente le mie labbra sulle sue, come se stessi semplicemente baciando un tratto di pelle immobile.
Lui tuttavia continuava a non muoversi anche se il suo respiro era accelerato. Portai una mano sul suo cuore mentre continuavo la mia opera di convincimento e scoprii con piacere che esso batteva furiosamente. Non potei far a meno di sorridere per l’ennesima volta e di ammirare il suo autocontrollo perché davvero era notevole. E bravo Dave.
“Sei fidanzato?” mormorai sulle sue labbra.
“N-no?” la sua era più una domanda, segno che non capiva un granchè di quello che dicevo. Interessante inizio. Insomma ancora non avevo praticamente iniziato e già lui faticava a ragionare.
“Allora perché resisti?” la mia voce sembrava quasi sofferente, volevo dargli l’impressione di avere un bisogno disperato delle sue labbra.
“Non lo s-so!”
“Allora lasciati andare!” mugugnai tornando a dedicarmi alle sue morbide e rosee labbra che rimasero socchiuse dopo che aveva parlato. Approfittai dell’opportunità e con la lingua gli accarezzai i denti.
Vidi formarsi la pelle d’oca sul suo collo, trattenne un sospiro.
Poi, finalmente si lasciò andare.
Prese il mio labbro inferiore e lo morse dolcemente senza farmi del male, mugugnai al tocco e il mio gemito parve svegliare definitivamente i suoi ormoni, me ne accorsi perché permise alle nostre lingue di incontrarsi con foga, quasi con bisogno.
Le sue mani si arpionarono ai miei fianchi con forza e in questo modo mi trascinò verso di sé. I nostri corpi aderirono alla perfezione tanto è vero che quasi ne rimasi stupita.
Come potevano due persone diverse come il giorno e la notte far aderire i loro corpi come due pezzi di un puzzle?
Senza pensarci troppo mi staccai dalla sua bocca per poi scendere lasciando una scia di roventi baci lungo il suo collo.
Senza una parola lui mi prese per i fianchi e mi sollevò fino a farmi sedere sul ripiano sul quale, fino a pochi minuti prima, stava preparando il caffè. Aprii le gambe quel poco che bastava a farlo posizionare tra di esse e lui mi spinse verso di sé facendo aderire nuovamente i nostri corpi.
Le sue ampie ed esperte mani si trovavano sulla mia schiena mentre con le labbra cercava le mie.
Ricambiai il bacio inarcando la schiena in modo da aumentare il contatto tra di noi perché ne avevo bisogno in quel momento.
Aprii gli occhi e mi ritrovai a fissare le sue iridi verdi che mi fissavano velate dal desiderio. Trattenni il respiro. La visione era paradisiaca.
Mi vedevo riflessa in essi, rossa in viso, con gli occhi socchiusi e i capelli spettinati.
Poi mi focalizzai su di lui. Le labbra formavano una specie di ‘o’.
Il mio cuore perse un battito.
Si tuffò sul mio collo disegnando su di esso una serie di cerchi con la lingua, ad ogni circolo avevo un brivido che partiva dalla fine della mia spina dorsale fino ad arrivarmi al cervello inebriando i miei sensi. Come farebbe una droga. Una meravigliosa droga di puro piacere.
Gettai il collo all’indietro per facilitargli il compito e lui me lo mordicchiò. Misi una mano tra i suoi capelli.
Soffici ciuffi neri fecero capolino tra le mie dita, dio com’erano morbidi.
Il mio cuore perse un altro battito.
La sua lingua continuò il percorso verso il basso, lasciando una traccia umida dove passava, facendo il modo che la mia pelle in quei punti fosse più sensibile dal momento che si sa che quando la pelle è bagnata percepisce maggiormente i cambiamenti di temperatura. Quel leggere freddo che percepivo dove le sue labbra erano passate mi fecero rabbrividire e i miei brividi lo resero più passionale.
Mi baciò le spalle con dolcezza mentre mi spingeva sempre i più verso di lui facendomi sentire la sua erezione.
Altro battito perso.
Le mie mani iniziarono a vagare sul suo corpo, prima gli lambii la schiena assaporandone con palmi aperti ogni singola curva, dopo di che mi abbassai fino a raggiungere il suo fondoschiena.
Poi proseguii verso la cerniera dei pantaloni, perché avrei dovuto aspettare ancora?
Lo volevo e mi sembrava chiaro che lui volesse me, allora che ci faceva ancora con quei pantaloni addosso?
Abbassai la zip velocemente e lo sentii sussultare come se fosse totalmente impreparato a quella mia azione. Feci uscire il bottone dall’asola e lo accarezzai al di sopra dei boxer.
A questo semplice contatto egli si irrigidì e smise di dedicarsi alle mie spalle.
Persi un ulteriore battito, ma questa volta per la delusione.
Si allontanò da me con rapidità, quasi come se io fossi fatta di fuoco e che lui si fosse appena scottato.
Lo guardai con un’espressione esterrefatta dipinta sul viso. Cosa aveva di sbagliato quel ragazzo? Perché qualsiasi altro uomo dopo il mio tocco proprio in quel punto si sarebbe eccitati maggiormente mentre lui si era allontanato da me come se lo avessi ferito?
Lo vidi scuotere la testa, ormai avevo capito che era il gesto che faceva tutte le volte che doveva riprendersi dalle mie avances.
“Non mi guardare in quel modo!” sussurrò alzando gli occhi verso di me.
“Perché?” non riuscivo a capire come mai si comportasse in quel modo del tutto irrazionale.
“Perché mi fai sentire colpevole e non ho colpe!” rispose.
“No! Perché ti sei allontanato?” riformulai la mia domanda.
“Perché non voglio fare sesso con te!” lo disse con tono sofferente come se tali parole gli provocassero un dolore fisico.
“Perché? Lo so che ti attraggo!” sbottai ancora incredula.
Alzò le spalle.
“Se faccio sesso con una persona tendo a creare un rapporto particolare con essa, insomma, la cosa non si esaurisce nell’atto in sé!” alzai un sopracciglio di fronte alle assurdità che la sua bocca stava pronunciando, vedendo la mia espressione si affrettò ad aggiungere “Almeno non per me!”
“Ma si tratta solo di sesso Dave! Non ci si deve fare problemi!” la rabbia stava pian piano prendendo il posto dell’incredulità.
Abbassò lo sguardo.
“Se faccio sesso con una persona vuol dire che condivido con essa qualcosa di talmente intenso che non posso reputarlo senza importanza, non posso pensare che sia solo sesso, lo vedo su un piano più profondo rispetto al tuo!”
“Quindi tu mi stai dicendo che se tu facessi sesso con me io diventerei …” cercai la parola esatta “… importante?”
“Tu sei già importante, soprattutto per la battaglia che sto compiendo contro il tuo Alan!” precisò.
“Allora non riesco a capire!”
“Tu mi faresti soffrire, perché per me fare sesso con te sarebbe qualcosa di speciale, per te un altro nome su una lunga lista! Il giorno dopo io ti guarderei come se tu fossi più speciale del giorno prima mentre per te io sarei sempre il solito Dave e non voglio!”
“Quindi tu non vuoi che io diventi …” cercai di trattenere le risate per le assurdità che quel ragazzo diceva “… speciale?”
“No, non voglio! Tu sei una ragazza perfida, egoista e non vorrei mai che una persona come te diventasse speciale nella mia vita!”
Socchiusi gli occhi e lo fissai. La rabbia stava lentamente divorando ogni mio singolo tessuto. Come si permetteva? Come poteva farsi tutti quei problemi inutili? Si trattava d solo sesso!
Se non avesse avuto l’anima di una ragazza mestruata in quel momento ci staremmo rotolando per terra in balìa del piacere, mentre eravamo l’uno di fronte all’altra a discutere di un argomento inutile. Il sesso non si discute, si fa!
Vedendo che non rispondevo continuò a parlare lui.
“Avresti una certa influenza su di me e io non voglio!” confessò.
“Perché mi reputi pericolosa!”
“Non mi fido di te! Fare sesso con te significherebbe anche abbassare le difese, mentre non bisogna mai abbassare le difese con te, sai essere così letale…” sospirò come se le sue stesse parole gli facessero male.
“Sei solo uno stupido ragazzino che si fa un mucchio di paranoie inutili!” sbottai di fronte alla sua deficienza.
Mi aveva dato una serie d motivo, l’uno dietro l’altro per il quale non avrei dovuto fare nulla con lui e, sinceramente, mi era passato qualsiasi tipo di desiderio sessuale nei suoi confronti.
“Sei tu che invece la prendi troppo alla leggera!” ribattè convinto.
Sorrisi.
“Preferisco vivere piuttosto che pensare a come vivere!” con la voce accentuai la parola ‘come’.
“E questo te l’ha insegnato Alan?” sbottò.
“Forse ... Alan mi ha insegnato molte più cose di quelle che probabilmente tu potrai imparare in tutto il corso della tua stupidissima vita!” ghignai.
“Allora il tuo omicidio sarebbe un altro dei suoi illustri insegnamenti?” il suo tono era ironico e il suo sguardo quasi arrabbiato.
In quel momento desiderai che lui non avesse assistito allo scambio di battute tra Rob e Alan in quel dannato bagno, così me la sarei dovuta cavare da sola e lui non avrebbe continuato a rimarcare quel dettaglio.
“Fatti gli affari tuoi Dave!”
Senza aggiungere altro andai in camera mia sotto il suo sguardo infervorato, mi misi i vestiti del giorno precedente e uscii di casa.


“Quindi avete fatto pace?” Emily mi fissò con quei suoi occhi color ciocco colato che quasi brillavano di felicità.
“Boh!” non mi andava di rispondere alle sue fastidiose domande, non in quel momento in cui ero ancora arrabbiata con quel dannato ragazzo deficiente.
“E allora perché hai passato la notte a casa sua?” si sedette sul letto a gambe incrociate.
“Perché aveva una stanza in più!”
“Ci credo poco che non abbiate dormito nella stessa stanza!” mi fece un sorriso furbo, di chi la sa lunga.
Alzai gli occhi al cielo esasperata e cercai di velocizzare l’opera di chiusura della valigia colma di vestiti.
“E poi ti stai praticamente trasferendo da lui!”
Feci un respiro profondo cercando di calmarmi. Insomma ero già abbastanza irritata per colpa di Dave. Ero arrabbiata perché nessuno prima d allora mi aveva detto di no. E lui aveva detto di no non tanto perché non gli piacessi o per chissà quale altro motivo, ma solo perché dava un’importanza sbagliata ala cosa!
“E’ inutile che fai quella faccia! Non ti devi vergognare di essere innamorata!”
Mi bloccai. Ma come si permetteva quella deficiente di dire una simile assurdità?
Primo io non ero capace di amare.
Secondo l’more è una cosa da perdenti.
Terzo si trattava solo di sesso e a quanto pare era proprio questo il problema per Dave.
Feci un mezzo sorriso e incontrai i suoi occhi.
Il mio sguardo doveva essere parecchio minaccioso perché lei sbarrò le palpebre come se fosse leggermente spaventata.
Incatenai i miei occhi ai suoi, cercai di percepire le sue sensazioni.
Felicità via via decrescente, stupore, leggero timore.
Mi connessi alla sua mente.
Stai zitta Emily, almeno finchè sono qui!’
Il suo sguardo divenne per un attimo vitreo e io mi sentii perfettamente in pace con me stessa e con il mondo circostante. Amavo avere la possibilità di scegliere per un altro. Amavo essere me.
Emily si ammutolì all’istante e si diresse verso il bagno mentre io, soddisfatta, finivo di preparare la valigia.


Silenziosamente abbassai la maniglia della porta per non farmi sentire, dopotutto non avevo la minima voglia di incontrare né Dave né Caren, volevo soltanto finire di leggere il diario di Grace, poi forse quella sera sarei andata in qualche locale e mi sarei portata a letto qualche ragazzo carino, un ragazzo che comunque avrebbe apprezzato le mie attenzioni più di Mr santità e sesso profondo.
Così sgaiattolai nell’appartamento e, senza nemmeno farlo apposta mi ritrovai dinnanzi un ragazzo magro, talmente tanto magro da farmi credere che se lui volesse farsi una radiografia probabilmente i raggi x non sarebbero stati necessari dal momento che le sue ossa erano chiaramente visibili oltre la pelle. Rabbrividii al pensiero che le mie labbra si fossero posate selle sue, ma dopotutto si trattava solo di una prova pe vedere se avevo ancora le mie facoltà.
Rabbrividii ugualmente.
“Ciao James!” lo salutai educatamente, tanto ormai il mio piano di non farmi notare era andato in fumo.
“M-mar!” balbettò arrossendo lievemente e abbassando lo sguardo. Dio che perdente.
Lo oltrepassai quando una voce mi bloccò.
“Ah, sei tu!” Dave sembrava quasi deluso.
Mi voltai verso di lui e lo fulminai con lo sguardo.
“Questa mattina eri felice che fossi io!” sibilai con un sorriso malefico sulle labbra.
“Non sono mai stato felice che fossi tu!” altro patetico tentativo di ferirmi, come se una persona potesse ferirne un’altra solo con l’utilizzo delle parole.
Servono delle armi per ferire e le parole non possono essere considerate tali. Almeno per le persone forti come me.
Così sorrisi.
“Potrei farti cambiare idea!” ribattei con voce roca.
Voleva giocare a ferirmi con le parole? Io l’avrei ferito con i gesti. In quel momento mi tornò la voglia di provarci con lui, se non altro per portarmelo a letto e poi dirgli che per me lui non era speciale e che non contava niente. Sorrisi a tale pensiero già pregustando il suo volto dispiaciuto.
Dopotutto se l’ara cercata lui.
Ingnorò la mia provocazione.
“Pensavo fosse Caren!” precisò freddamente.
“Allora è meglio che sia io!” sorrisi nuovamente “Vero James?”
Quest’ultimo divenne paonazzo.
“Lo stai mettendo in imbarazzo!” sbottò Dave.
“Non è un deficiente Dave! Me lo dirà lui se lo sto mettendo in imbarazzo! Non gli serve la mammina!” lo canzonai, mi rivolsi verso l’imbarazzatissimo James “Vero?”
James annuì sorridendo, come se fosse lusingato per tutte quelle attenzioni che io gli riservavo. Con la coda dell’occhio vidi Dave lanciare saette dagli occhi tanto era innervosito dal mo comportamento. Si vedeva che era piuttosto protettivo nei confronti di James, come se fosse un fratello minore, come se credesse che lui non fosse in grado di cavarsela da solo.
Era divertente quindi provocarlo come stavo facendo. Da un lato volevo far cadere Dave ai miei piedi, mentre dall’altro era davvero troppo divertente farlo innervosire, avrei dovuto quindi cercare un modo per far coincidere entrambe le cose.
“Allora James, come stai?” gli sorrisi vedendolo arrossire se possibile ancora di più. Mi sedetti sul divano e focalizzai tutta la mia attenzione su di lui. Vidi Dave socchiudere gli occhi e fissarmi quasi con odio e dentro di me non potei far a meno di esultare.
James mi guardò esterrefatto come se fosse sorpreso del fatto che le mie parole fossero dirette proprio a lui, poi abbassò lo sguardo.
“B-bene!”
“Sai, Dave era dannatamente preoccupato per te!” aggiunsi. Vidi Dave stringere i denti come se stesse cercando di reprimere un ringhio.
Sorrisi impercettibilmente, sperando che Dave non notasse la soddisfazione che provavo con l’irritarlo.
James lanciò un’occhiata all’amico e assunse un’ espressione stupita nel vederlo con tutti i muscoli contratti e con le saette che gli uscivano dagli occhi. Abbassò così gli occhi colpevole.
“Ecco, l-lui è un g-g-grande amico!” cercò di articolare. Ma come faceva Dave a sopportare il suo balbettare continuo? Forse con lui non lo faceva, forse era solo con me che era così. Sorrisi di fronte al patetico effetto che la mia sola presenza gli faceva.
“Vado a mangiare qualcosa!” sbottò Dave.
“Me lo faresti un panino con prosciutto?” ne approfittai.
“James, vieni con me!” aggiunse ignorandomi.
“M-ma io!” cercò di articolare quest’ultimo.
“Non era una domanda!”
Lo sguardo di James divenne dispiaciuto. Mi guardò come per chiedermi scusa dopo di che seguì Dave.
Sorrisi. Mi alzai a mia volta e li seguii facendo il minor rumore possibile in modo tale da non essere notata.
Mi accostai all’ingresso della stanza da pranzo in modo tale da avere una piccola visuale dell’interno e da sentire i loro discorsi, ridacchiai tra me e me all’idea di ascoltare tutte le cattiverie che Dave avrebbe detto su di me, perché maggiori erano le ragioni per le quali dovevo ferirlo, maggiore sarebbe stata la mia felicità con la vittoria.
“Devi starle lontano!” il tono di Dave era basso e autoritario, non ammetteva repliche. Era più apprensivo di una madre.
“Perché?”
“A lei non interessi e mai le interesserai!”
Vidi James abbassare lo sguardo ferito, Dave gli aveva davvero lanciato un colpo basso. Quest’ultimo si mosse e sparì dalla mia visuale, ma potevo ancora vedere James.
“Non è come credi tu, lei mi ha baciato!”
Ridacchiai. Davvero quel deficiente credeva che solo perché l’avevo baciato allora ero interessata a lui?
“Ha baciato anche me stamattina!”
“Ma…”
“E ha cercato di mettermi una mano nei pantaloni!”
James rimase zitto.
“Ti farebbe solo soffrire, stalle lontano ok?” aggiunse.
Cercai di sbirciare maggiormente nella stanza e vidi Dave trafficare aprire il frigorifero e buttare la testa al suo interno.
Dopo di che riposai lo sguardo su James che si trovava alle sue spalle.
Egli aveva afferrato un coltello da cucina e se lo stava rigirando tra le mani come se lo stesse studiando. Lo vidi passare un dito sulla lama, lo guardai incuriosita pensando che non fosse del tutto a posto quel ragazzo.
Dopo di che, quando finì il suo ‘studio attento ’ piegò le labbra in un ghigno che mi trasmise un brivido. Lo stesso James timido, impacciato e sfigato stava sorridendo come un demone, come Alan.
Scossi la testa per quel pensiero assurdo e chiusi gli occhi per un secondo.
Quando li riaprii James con sguardo vacuo teneva l’elsa del coltello con entrambe le mani sopra la sua testa, come se si stesse preparando per colpire la schiena di Dave che si trovava proprio dinnanzi a lui. Una scarica di adrenalina mi invase le vene fino a raggiungere il mio cervello annebbiando la mia razionalità, fino a raggiungere il mio cuore facendone aumentare i battiti.
Non pensai, seguii il mio istinto.
Mi diressi verso James il più velocemente possibile. Le farlo piegai un braccio all’indietro chiudendo la mano appartenete ad esso a pugno. Giunta in prossimità del ragazzo gli sferrai un pugno sulla guancia con tutta la forza che possedevo. Lui mi guardò un secondo con il suo sguardo vuoto e mi sembrò quasi di percepirne la rabbia nonostante non la dimostrasse.
Approfittando del fato di averlo colto alla sprovvista sferrai un calcio sul braccio con il quale teneva il coltello e così facendo egli lasciò la presa sull’oggetto facendolo cadere a terra con un acuto suono metallico.
Immediatamente poggiai il piede sulla lama e tirai l’arma verso di me in modo tale da allontanarla dalle sue mani.
Dave, attirato da tutto quel rumore si voltò verso di me e sbarrò gli occhi incredulo e forse anche un po’ terrorizzato. Fece saettare le pupille dagli occhi vitrei di James, alla mia posizione di difesa, alla lama del coltello che si trovava sotto la pianta del mio piede.
“Ma cosa …” non fece in tempo a formulare la domanda che James si era lanciato verso di me urlando. mi girai a tre quarti cercando di coprirmi il volto con le braccia, tutti i miei muscoli erano tesi in attesa dell’impatto. Impatto che non avvenne.
Dave bloccò prontamente dal dietro James immobilizzandolo. Vidi il ragazzo sorridere.
“Marguerite …” disse con voce innaturale “… dichiarazione di guerra accettata!”
Rabbrividii al suono di tali parole. Non sapevo che fine aveva fatto il mio coraggio, la mia spavalderia, sapevo solo che quella era la dimostrazione che non si trattava di un gioco, si trattava di una realtà e io e Dave non ci stavamo muovendo abbastanza in fretta, mentre Alan già stava pianificando con cura i suoi attacchi.
Allungai una mano sul ripiano della cucina e, senza interrompere il contatto visivo con James, afferrai una padella dopo di che, con tutta la forza che avevo gliela tirai sulla testa. Il ragazzo roteò gli occhi e svenne.
Abbassai la mia ‘arma’ ansimando e sentendo il sangue pulsarmi con forza nelle orecchie. Mi sentivo stordita dal battito furioso del mio stesso cuore.
Dave lasciò andare il ragazzo che si accasciò a terra, dopo di che mi guardò sconvolto come alla ricerca di una spiegazione.
“Alan!” dissi semplicemente.
“Alan?” la sua voce risultò decisamente più acuta del normale.
“Dobbiamo tenerlo fermo altrimenti cercherà ancora di farci del male e dobbiamo cercare di annullare l’automazione ad intermittenza!”
“Oddio, tu credi che sia Alan a controllarlo?” si portò una mano tra i capelli con un po’ di disperazione.
“Non eri tu quello preoccupato per a sa sparizione improvvisa? Per averlo lasciato da solo in quel locale in balìa di Rob?” come poteva non capire? Eppure era lui il primo ad essersi preoccupato!
Anche l’altra mano finì sui suoi capelli.
“Come ho fatto a non accorgermene?” gli tremava la voce.
“Rimanda le domande a dopo Dave, dobbiamo legarlo!” sbottai cercando di calmare il respiro ansante.
“Non capisci. È il mo migliore amico, come ho fatto a non notare il suo cambiamento?” era sbalordito e ferito al tempo stesso.
“Non era cambiato finchè Alan non ha dato via all’automazione!” cercai di spiegare.
Mi guardò come se fossi un’aliena. Capivo che era sconvolto perché il suo migliore amico aveva appena cercato di ucciderlo, però non poteva continuare a starsene lì con una faccia da ebete e non reagire.
Capii che in quel momento non potevo contare su di lui, così mi chinai sul corpo privo di sensi di James e lo afferrai per le spalle cercando di tirarlo su per metterlo a sedere sula sedia più vicina.
Solo che, nonostante la sua magrezza, era troppo pesante per me, inoltre avevo iniziato ad avvertire dolore in corrispondenza delle nocche, probabilmente a causa del bugno che gli avevo tirato, era stato come se la mia mano fosse andata a sbattere contro del legno tanto erano esposte le sue ossa.
Vedendomi in difficoltà la personalità altruista di Dave si risvegliò e si precipitò n mio aiuto. Con relativa facilità riuscimmo a farlo sedere su una sedia e con un paio di cinture gli bloccammo le braccia lungo il corpo e lo legammo alla sedia.
Una volta finita l’opera Dave si andò a sedere sul divano e si portò le mani tra i capelli chinando la testa.
“Dove arriverà quell’uomo?” non sapevo se la domanda era rivolta a sé stesso o a me però fu articolata con una tale disperazione che gli risposi ugualmente.
“Lui vuole la nostra distruzione definitiva, mi sembra ovvio!”
“E non esiterà ad utilizzare chiunque gli capiti a tiro vero?” suonava come una domanda retorica e fu pronunciata con amarezza.
Mi sedetti accanto a lui.
“Dobbiamo muoversi, così come sta facendo lui. Capire come sconfiggerlo!”
Alzò lo sguardo su di me e in esso vi lessi tutta la rassegnazione che doveva provare.
“Come?”
Colsi l’occasione al volo nonostante il brutto momento. Ero pur sempre un’opportunista, egoista e scaltra ragazza.
“Ci sarà scritto nel tuo libro, no?”
Lo vidi impallidire e spalancare gli occhi.
“Quale libro?” la sua voce era leggermente più acuta del normale, abbastanza affinchè me ne accorgessi.
“Andiamo Dave! Lo so che c’è un libro!”
“Assolutamente no!” il suo tono di voce divenne più determinato.
Stavo per ribattere quando un mugolio interruppe la nostra conversazione.
James si mosse sulla seda che si trovava posizionata di fronte a noi. un lampo di panico attraversò i suoi occhi nel momento in cui si rese conto di essere legato.
“Che vuol dire?” domandò esterrefatto. Dave sospirò e lo guardò tristemente, probabilmente intenerito dai suoi occhi da cucciolo, ma io ero fatta d parta ben diversa così mi avvicinai con grandi passi a lui.
Con una mano gli presi il viso e lo alzai in modo tale da costringerlo a guardarmi negli occhi, ma lui abbassò lo sguardo arrossendo visibilmente.
“Guardami !” sibilai. Avvertii un leggero tremolio, poi i suoi occhi furono nei miei, sospirai rendendomi conto che non erano vacui. In quel momento James era James, ma quanto a lungo ci sarebbe rimasto?
Dave si alzò a sua volta e raggiunse il mio fianco.
“Che ti ricordi?” domandai repentina.
“D-di cosa?” mi chiese spaventato dal mio tono brusco.
“Di quello che è successo due sere fa!”
“N-n-non so…”
“Di cinque minuti fa?”
“I-io …”
Lo fulminai con lo sguardo e lui rabbrividì.
“Sei troppo dura con lui!” mi sussurrò Dave all’orecchio. Ignorai i brividi che il suo caldo fiato mi provocarono e mi voltai verso di lui leggermente irritata.
“Ha cercato di ucciderti, è alla mercè di Alan e io sono troppo dura?” ero incredula.
Lui alzò gli occhi al cielo e si rivolse a James che ci fissava con gli occhi sbarrati.
“Ignorala!” gli disse Dave parandosi di fronte a lui.
Alzai un sopracciglio incredula di fronte a quello che le mie orecchie avevano appena sentito.
“Pensaci James … ti ricordi cosa è accaduto quando siamo andati in quel locale?” la domanda gli fu posta da Dave con tono quasi dolce. Quel ragazzo non era normale.
Vidi James arrossire posando gli occhi su di me.
“Lo imbarazzi Mar!” mi disse Dave “Potresti andartene?”
“Stai scherzando vero? Io resto!” sibilai incredula.
Dave sbuffò e tornò a rivolgere il proprio sguardo all’amico.
“Ricordo che lei ballava, bene …” divenne bordeaux indicandomi “E poi…” si fece pensieroso.
“E poi?” lo incalzò Dave.
“E poi non ricordo altro!” un altro lampo di panico attraversò i suoi occhi nel momento in cui si rese conto di aver dimenticato una piccola parte della sua vita.
“Quando reiniziano i ricordi?” continuò Dave.
“Oggi!” affermò dopo averci pensato un po’.
Dave sospirò e, senza dire una parola se ne andò verso la sua camera.
Sul mio viso si dipinse un’espressione esterrefatta. Perché tutto ad un tratto se n’era andato? Non gli interessava estorcere qualche informazione da James? L’avrei fatto io se lui era così morbido da non avere il coraggio di fare ciò che doveva.
Ghignai guardando il ragazzo legato.
“Allora James …” accarezzai il suo nome con la voce “… ti dice niente il nome Alan?”
“I-io”
Di scatto mi avvicinai alla sedia sulla quale si trovava e posizionai un piede su di essa avvicinando maggiormente il mio viso a quello del ragazzo.
“Non balbettare!” sibilai tra i denti.
Lui abbassò lo sguardo.
“N-n-non ci riesco!”
Alzai gli occhi al cielo.
“Guardami!”
Con fatica alzò gli occhi su di me facendomi sorridere per quanto sembrassero spaventati.
Dovevo provare i suoi stessi sentimenti.
Paura, incomprensione, confusione, imbarazzo.
Miei.
‘Non balbet…’
“MAR!” urlò Dave appena ritornato nella stanza “Cosa diavolo stai cercando di fare?” il suo tono non nascondeva la sua rabbia.
“Cerco di estorcere informazioni senza che balbetti, a differenza tua che te ne vai!” precisai.
“Sono andato a cercare informazioni!” disse semplicemente.
“In camera tua?” alzai un sopracciglio. Lui ignorò tranquillamente la mia domanda e si pose di fronte al ragazzo.
“E’ lì che lo nascondi vero?” fui colta da un’illuminazione.
“Cosa?” la mia domanda aveva mandato in fumo il suo patetico tentativo di ignorarmi.
“Il libro!”
Sbuffò.
“Mar te lo ripeto: non c’è nessun libro!”
Sorrisi. Certo e io ero la ragazza più dolce del pianeta. Ma come sempre cercai di non insistere altrimenti avrebbe cambiato posizione al volume.
Feci spallucce mentre lui incrociava lo sguardo di James.
“Vuoi fargli la stessa cosa che volevo fargli io?” domandai felice di irritarlo. Sapevo che il mio atteggiamento era controproduttivo però era davvero una soddisfazione vederlo arrabbiato.
“No! Riesci a stare zitta un momento?” sbottò con esasperazione senza nemmeno guardarmi.
Mi avvicinai al suo orecchio e sospirai facendolo rabbrividire.
“Credo di sì!” risposi con voce roca, dopo di che mi andai a sedere sul divano in attesa di vedere quello che Dave aveva intenzione di fare con James.
I due ragazzi si fissarono negli occhi a lungo, James sembrava un po’ perso mentre Dave era concentratissimo, i suoi muscoli erano tesi e la fronte corrucciata come se stesse facendo uno sforzo immenso.
Dopo di che distolse lo sguardo dal ragazzo e incrociò il mio.
“Avevi ragione, è stato Alan!” ammise.
“Perché ne dubitavi?”
Sorrise. “Non mi fido di te, è diverso!”
“L’hai liberato dall’automazione a comando?”
“Credo di sì!”
“Ma ora Alan saprà che siamo qui!” detestavo l’idea di cambiare nuovamente ‘residenza’.
“In realtà Alan dovrebbe sapere solo le cose che James ha fatto quando era sotto automazione. Quando lui è arrivato qui era normale quindi Alan non dovrebbe avere alcuna informazione, comunque sia sarà meglio tenerlo con noi per un po’!”
Storsi il naso di fronte a quella pessima notizia mentre Dave andava a slegare l’amico.
“Vai a riposarti James, ne parliamo dopo!” gli disse e lo fece andare verso la sua stessa camera. Dopo averlo fatto entrare però chiuse la porta a chiave.
“Le precauzioni non sono mai troppe!” disse.
Annuii mentre lui si avvicinava.
“Mar voglio provare a fare una cosa …” si sedette accanto a me. Lo guardai incuriosita.
“Cosa?”
Lo vidi mordersi il labbro e alzare lo sguardo sul mio. Sorrisi, forse aveva deciso di cedere alle mie avances.
“Voglio mostrarti una cosa!”
Feci un sorrisetto malizioso.
“Dovresti fissare i miei occhi però!”
Alzai un sopracciglio sorpresa. No, non era decisamente quello che mi aspettavo.
“Non sono deficiente! Non è prudente guardarti negli occhi!”
“Ma posso mostrarti ciò che ho visto nella mente di James!”
La cosa già iniziava a interessarmi maggiormente così mi voltai verso di lui incatenando i nostri occhi.
Lui sorrise.
“Ti fidi di me?”
“No, ma mi fido di me stessa, e se tu proverai a giocare sporco non la passerai liscia, fidati!” ghignai.
“Allora procediamo!”
Detto ciò mi ritrovai a fissare quelle splendide iridi verdi che sembrarono divenire liquide. Poco per volta la mia vista si appannò e gli occhi di Dave, che occupavano tutto il mio campo visivo divennero sfocati.
Alla vista delle sue pupille pian piano si sovrappose altro, della luce per la precisione, finchè la nuova immagine si fece più chiara e quella vecchia, ovvero i suoi occhi verdi, scomparve.

Io stavo ballando sensualmente sul cubo con addosso un costume nero stracciato. Ma io non ero in me, ma mi osservavo dall’esterno. Capii che quelli dovevano essere i ricordi di James e che la scena che stavo osservando era dal suo punto di vista.
Accanto a me, o meglio a James, c’era Dave che lanciava sguardi di disapprovazione alla Mar che ballava.
“E’ bellissima!” sentii dire a James.
Dave lo (o mi) fulminò con lo sguardo.
“Non perderci tempo sarebbe solo sprecato!” sbottò.
Rapido cambio di immagini segno che i suoi ricordi erano confusi e poco nitidi. Intorno a me tutto si sfocò per poi riapparire con chiarezza. Dave non era più al mio fianco, o meglio al fianco di James, e l’altra me stessa non stava più ballando, probabilmente dovevamo già essercene andati.
Un ragazzo biondo si stava facendo avanti tra la folla e stava venendo dritto verso di me con un ghigno fin troppo soddisfatto dipinto sulle labbra.
“Ciao!” mi salutò.
Stavo per dire ‘Rob’ quando la voce di James sovrastò la mia, ricordai che mi trovavo in un suo ricordo.
“Ciao!” rispose.
“Hai visto che bella la ballerina di prima?”
Sentii James sospirare.
“Sembra una dea!”
“La conosci?” domandò diretto Rob.
“E’ amica di un mo amico, ci siamo rivolti la parola poche volte!”
Nessuna a dir la verità.
“E io tuo amico è qui?”
Furbo Rob! Aveva iniziato una semplice conversazione con l’intento di arrivare direttamente a me e a Dave.
“No, se né andato con la ragazza!” il tono di James non celava la sua tristezza.
“Bell’amico!” commentò acidamente Rob.
“Chiunque abbandonerebbe tutto per quella ragazza!” constatò James amaramente.
“E quindi si è dimenticato di te!”
“Temo di sì!”
In quel momento il cellulare di James squillò.
“Scusami!” disse rivolto a Rob prima di premere il tasto verde del cellulare “Pronto?”
[…]
“Sì, tutto bene non ti preoccupare Dave, sono tornato a casa!” nel sentire tale nome gli occhi di Rob luccicarono.
Dio quanto avrei voluto mollargli un pugno sul viso per togliergli quello strafottente sorriso. James chiuse la chiamata.
“Perché gli hai mentito?” domandò Rob. Caspita com’era diretto, si vedeva che non voleva perdere tempo in convenevoli inutili e che doveva arrivare al punto.
“Perché non voglio che si preoccupi, è sempre molto apprensivo nei miei confronti!”
Vidi Rob ghignare nuovamente.
“Senti ho la macchina giusto qua fuori, ti do un passaggio!”
Sentivo che James non avrebbe voluto accettare, anche perché chi si fa dare un passaggio da un completo sconosciuto incontrato in un locale? Solo che proprio mentre stava per dirgli di ‘no’ i suoi occhi incontrarono quelli cerulei di Rob e per un attimo si persero in essi.
Avvertii il muto comando.
‘Seguimi!’
Improvvisamente percepii che James pensasse che fosso giusto fare quello che quella vocina, che lui reputava appartenere alla sua coscienza, gli diceva di fare. Così mosse un paio di passi verso Rob ringraziandolo per il passaggio. Gli occhi di quest’ultimo brillarono di soddisfazione e il ghigno dipinto sulle labbra aumentò.
Altre immagini sfocate e vaghe occuparono il mio campo visivo finchè tutto divenne nuovamente più chiaro.
Alan mi fissava con lo sguardo malefico e freddo. O meglio, fissava James.
“Non riesco a capire! Ti ho detto di portarmi Mar e tu mi porti questo ragazzino?” fulminò Rob con lo sguardo. Il ghigno che nel ricordo precedente animava il viso di Rob era svanito per lasciare il posto al timore.
“Alan, lui è amico di Dave, il ragazzo che stiamo cercando! Potrebbe farlo fuori e allo stesso tempo convincere Mar a venire via con lui, è troppo diffidente nei miei confronti, non mi seguirebbe mai, ed è troppo forte perché io possa obbligarla!” cercò di spiegare il ragazzo. Ghignai tra me e me di fronte all’involontario complimento che Rob mi aveva appena fatto.
Alan si fece pensieroso.
“Potremmo ingannarla… è questo che stai suggerendo?”
Rob annuì. In quel momento capii che per loro ero io la minaccia vera, ero io il vero obbiettivo! Dave era solo un ostacolo da eliminare. Sorrisi tra me e me. Non sapevano che Dave era l’unico che poteva distruggerli, lo temevano, ma non abbastanza come del resto avevo fato anche io.
Il punto chiave era quello. Noi eravamo due minacce mentre loro ne vedevano una sola unita ad un seccatore che metteva loro i bastoni tra le ruote. Avremmo dovuto approfittarne.
“Ma Mar non è una sciocca!” osservò Alan.
“Tentar non nuoce!”
“Tentar non nuoce!” ripetè Alan sorridendo a James e incontrando i suoi occhi. io stessa rabbrividii nell’incontrare quelle iridi così scure, così simili alle mie.
Poi di nuovo tutto si fece sfocato e un attimo dopo di nuovo chiaro e gli occhi di Dave mi stavano dinnanzi in tutto il loro splendore.
Lo vidi sorridere gioioso, era giunto alla mia stessa conclusione, ovvero che lui per loro non era un pericolo e questa sarebbe stata la nostra forza.
Sorrisi a mia volta pensando che la chiave per la sconfitta di Alan doveva assolutamente trovarsi in quel libro che Dave teneva nella sua stanza.
Capii improvvisamente che questa tecnica, quella del trasmettere i ricordi ad un’ altra persona doveva averla letta ed imparata nella sua breve assenza dopo il ‘tentato omicidio’. Egli era infatti andato in camera sua a ‘cercare informazioni’.
Sorrisi. Quella notte sarei andata anche io in camera sua e avrei scovato quel libro, a tutti i costi.



Rieccomi!! Di ritorno da Parigi e più fresca che mai!!!
Allooora nel prossimo capitolo ci sarà un enorme passo avanti, ma non dico in quale ambito altrimenti svelerei troppo ;)
Inoltre il giorno di pubblicazione non sarà più domenica, ma quando capiterà... insomma finirò i capitoli, li correggerò e poi li pubblicherò senza aspettare un giorno fisso.. comuqnue credo che dovrete aspettare una settimana o meno, cercherò di non farvi mai aspettare di più!
Detto ciò ringrazio di cuore
aleinad93, shadowdust, AlyBraianaDragneel, monique89, nancywallace, DayanEl ( grazie per esserti letta tutta d'un fiato i capitoli che ti mancavano e per averli recensiti praticamente tutti!! te ne sono grata!!) Pyra, ZephyrSelyne .... grazie a tutte e 8 per aver commentato lo scorso capitolo!!
come al solito vi chiedo di RECENSIRE perchè è molto importante per me!!
Grazie di cuore!!


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Capitolo 26
*** CAP 25 ***


Grazie di cuore a SHADOWDUST che mi ha corretto il capitolo! non puoi capire quanto ti sono grata! :)

CAP 25



Signora notte.
Tu che celi sotto il tuo cupo mantello sospiri di amanti che si disperdono nella tua immensità.
Tu che celi i ladri che grazie a te, non visti, arricchiscono le loro tasche.
Tu che mantieni i segreti e li lasci rinchiusi dentro di te per sempre.
Oh blu signora, cela ME, il mio SEGRETO, portalo via con te e mantieni silenziosi i miei passi.



Mi imposi di non dormire e naturalmente riuscii a mantenere il mio proposito anche perché ero troppo eccitata all’idea di mettere le mie manine sul libro che Dave teneva così gelosamente nascosto.
Sospirai e mi rigirai nel letto volgendomi verso la brandina che si trovava dall’altro lato della stanza. Di Caren nemmeno l’ombra. Era tutta la giornata che non si faceva vedere, ma era meglio per me.
Mi misi a sedere sperando di non incontrarla nella mia passeggiatina notturna.
Guardai le ore. Le 2 e 34. Dave doveva già dormire da un pezzo, quella sarebbe stata l’ora perfetta.
Uscii in punta dei piedi dalla mia stanza e cercai di attraversare il salotto il più silenziosamente possibile dal momento che James era adagiato sul divano.
Scossi la testa al pensiero che quella specie di criminale a comando avesse libero arbitrio nella casa nella quale le sue potenziali vittime dormivano tranquille, ma Dave era stato irremovibile: James doveva restare dal momento che no era più un pericolo.
Aveva troppa fiducia nei suoi poteri e nel fatto di averlo liberato dall’automazione a comando.
Sorrisi tra me e me. Come biasimarlo? Anche io avevo cieca fiducia nelle mie capacità, quindi in qualche modo potevo capirlo.
Arrivai dinnanzi alla porta della camera di Dave e tirai un sospiro profondo, dovevo calmare i battiti eccitati del mio cuore se non volevo che mi sentisse.
Abbassai la maniglia ed entrai nella stanza dopo di che richiusi con dolcezza la porta alle mie spalle.
Immediatamente il buio più totale calò su di me e mi maledissi per non aver portato una piccola torcia o qualcosa di simile. Sbuffai. Avrei dovuto procedere a tentoni.
Mi avvicinai al letto e, senza prestare molta attenzione al respiro regolare di Dave mi inginocchiai per dare una sbirciata al di sotto della brandina. Allungai la mano e tastai a fondo senza però urtare nulla che potesse essere paragonato ad un oggetto, solo polvere.
Sbuffai nuovamente e mi guardai intorno per quanto era possibile. Notai una cassettiera proprio lì di fianco e mi avvicinai sulle ginocchia ad essa. Cercai di aprire il primo cassetto con il minor rumore possibile.
Misi una mano all’interno, ma non vi era assolutamente nulla che mi potesse interessare, solo una serie di boxer e slip che non riuscii nemmeno a vedere chiaramente a causa della totale mancanza di luce.
Un leggero soffio mi arrivò sulla spalla sinistra e lì per lì pensai che si trattasse di uno spiffero, ma ben presto mi dovetti ricredere.
“Cosa stai cercando precisamente?” la voce di Dave, roca per il recente risveglio, raggiunse le mie orecchie facendomi rabbrividire. Ero stata colta sul fatto. Merda!
Mi voltai con un sorriso radioso dimentica per un secondo che lui non potesse vedermi “Te!”.
Lui si allontanò impercettibilmente e riuscii a intravedere il luccichio dei suoi occhi che cercavano i miei.
“Secondo te c’è scritto ‘scemo’ sulla mia fronte?” mi chiese. Non era né arrabbiato né divertito, sembrava più circospetto e diffidente.
“Devo davvero risponderti?” sussurrai con voce sensuale.
“E’ inutile che usi le tue tecniche da seduttrice, Mar! Non ti dirò mai dov’è il libro!”
Quasi feci un salto di gioia.
“Ah-ah! allora c’è un libro! Lo sapevo !” ero decisamente su di giri, non tanto perché avessi mai dubitato della mia teoria, quanto per il fatto che quello scemo di Dave si era appena lasciato sfuggire un’informazione preziosa.
“Non ho parlato di libri!” cercò di rimediare goffamente.
“Secondo te c’è scritto ‘scema’ sulla mia fronte?” lo scimmiottai divertita.
“Dovrei risponderti?”
Sorrisi. Bene Dave voleva giocare con me? E chi ero io per non acconsentirgli di farlo?
Mi avvicinai al suo viso leggermente accennato a causa della scarsa presenza di luce, respirai su di esso sicura che il mio profumo non o avrebbe lasciato indifferente.
“Ne abbiamo già parlato!” tentò lui allontana dosi.
Salii sul letto e mi misi a quattro zampe sopra di lui che invece si trovava seduto sul materasso. Gattonando cercai di colare quella distanza che si separava, ma lui indietreggiò maggiormente. Ridacchiai.
“Tu ne hai parlato! È stato un monologo noioso al quale non ho prestato poi tanta attenzione!”
“Mar!”
“Dave!” miagolai. La sua fuga giunse al termine quando le sue spalle raggiunsero il muro.
Mi avvicinai alle sue labbra seguendo il suo respiro affannoso e le feci unire alle mie in un casto bacio che aveva la funzione di risvegliare i suoi sopiti ormoni.
“Mar!” disse quasi con sofferenza.
Lasciando una scia di baci mi incamminai verso il suo collo che iniziai a sfiorare con la lingua disegnando numerosi cerchi. Ben presto raggiunsi la base della sua gola per poi risalire nel medesimo modo, sempre più su fino a raggiungere il suo orecchio.
Presi il lobo tra le labbra e lo succhiai e sentii Dave trattenere disperatamente un gemito. Quel flebile suono mi diede quella scarica di eccitazione necessaria per continuare e per sapere che quella volta non mi avrebbe respinta, perché quel ragazzo mi voleva, con o senza i suoi ideali.
“Fermati!” cercò di articolare con voce bassa e decisamente rotta dal respiro corto. Non fu un tentativo ben riuscito dal momento che le sue mani si adagiarono dolcemente sui miei fianchi.
“Davvero vuoi che mi fermi?” sussurrai nel suo orecchio prima di percorrerlo in tutta la sua lunghezza con la lingua. Ritornata al lobo lo presi tra i denti e lo mordicchiai facendolo gemere nuovamente.
Lasciai un’ulteriore scia di baci lungo il suo collo fino a raggiungere l’altro orecchio.
“Non mi hai risposto!” lo accusai. Lo sentii rabbrividire.
Con le mani iniziai a vagare sul suo corpo sodo e ben delineato, lungo la schiena, i fianchi, per poi arrivare al bassoventre. Lo sentii irrigidirsi.
“Ti prego!” sussurrò.
Alzai la sua maglietta per potergli baciare il petto nudo. Inalai l suo profumo di pino misto a chissà quale bagnoschiuma ed esso mi diede alla testa inibendo sempre di più i miei sensi. Accidenti, dovevo rimare lucida altrimenti sarebbe riuscito a respingermi. Di nuovo.
Al solo pensiero cercai di riprendermi e di ignorare quanto il suo corpo contro le mie labbra mi eccitasse e mi mandasse in visibilio.
“Cosa Dave? Mi preghi di far cosa?” risposi contro il suo addome sul quale vi era un accenno di tartaruga. Mordicchiai lievemente la sua pelle facendolo gemere ancora una volta.
Sembrava che fosse sottoposto ad una lenta agonia, mentre invece se si fosse lasciato andare il piacere sarebbe stato immediato.
Improvvisamente Dave si mise a sedere interrompendo la mia esplorazione del suo fisico, con tale movimento fece giungere i nostri vivi l’uno di fronte all’altro. Sorrisi amaramente. Aveva trovato la forza di reagire e di dirmi di no ancora una volta. Al solo pensiero mi sentii ferita. Nessuno mi aveva mai rifiutata, per ben tre volte era inammissibile. Eppure eccolo lì, dinnanzi a me, colui che era così diverso da tutti gli altri, così strano così particolare da risultare speciale.
I suoi occhi brillarono a contatto con i miei, le sue mani raggiunsero le mie guance, i miei occhi si spalancarono per lo stupore, lui ingoiò rumorosamente.
Un battito di ciglia e le sue labbra gustavano le mie, come se fossero un frutto prelibato, esotico e proibito.
Proibito. Ecco cos’ero io per lui. Qualcosa di assolutamente proibito e pericoloso, eppure stava cedendo.
Mi succhiò il labbro inferiore con tale devozione che rimasi imbambolata. Io. Imbambolata. Assurdo.
Eppure non riuscivo a muovermi di un millimetro. Tutte le mie percezioni erano connesse a quella piccola porzione del mio corpo di cui lui si stava prendendo cura, con maestria e dolcezza.
Iniziò a muovere la bocca sulla mia senza che io fossi in grado di ricambiare il gesto, semplicemente perché ero troppo stordita per farlo, ma fortunatamente lui sembrò non accorgersene.
Socchiusi le labbra e la sua lingua entrò ad esplorare a mia bocca. Socchiusi gli occhi. dovevo riprendere le mie facoltà mentali altrimenti mi avrebbe respinta di nuovo.
Prese tra i suoi denti il mio labbro inferiore e lo tirò verso di sé, nella penombra vidi il luccichio dei suoi denti, segno che stava sorridendo.
Una scarica di adrenalina partì dal nostro punto di contatto fino ad invadermi tutto il corpo come un fiume in piena che rigenerò ogni mio singolo tessuto intorpidito dalle sue premurose attenzioni.
In un attimo le mia mani furono tra i suoi capelli cercando di aumentare il contatto tra di noi. Lui prese con dolcezza le mie dita e le allontanò dalla sua testa intrecciandole nelle sue.
Dopo di che lasciò la presa e posizionò le mani sui miei fianchi facendomi sedere a cavalcioni sopra di lui.
Lo vidi sorridere nuovamente e sorrisi anche io di rimando.
Le nostre bocche andarono nuovamente a fondersi e il mio respiro accelerò drasticamente mentre le sue man salivano sempre più in alto, trascinando nel loro moto la mia maglietta. Alzai le braccia per permettergli di togliermela dopo di che iniziò a posizionare umidi baci sul mio petto armai esposto. Non portavo reggiseno il che lo fece sorridere.
Senza una parola si dedicò ai miei seni con dolcezza tale da farmi sentire così tremendamente leggera, ma anche così eccitata. Volevo di più, eccome se volevo di più.
Piegai la testa all’indietro gemendo a causa dei suoi contatti, lo sentii sorridere contro la mia pelle e questo mi mandò in estasi. I miei ormoni presero il posto dei miei neuroni e feci scorrere le mie mani sulla sua schiena mentre lui scendeva con le labbra verso il basso. Man mano procedeva dovetti terminare le ie carezze per mancanza di facoltà motorie, tanto la sua bocca stava divorando ogni mia singola priciola di lucidità.
Con quelle poche facoltà cognitive che mi rimanevano cerca a tentoni i suoi pantaloni andando a toccare la sua erezione. Sorrisi. Sapevo che infondo non gli ero affatto immune. Con mie enorme felicità non si ritrasse come quella mattina, anzi spinse i fianchi in avanti per incitarmi a continuare ola mia esplorazione. Mi leccai le labbra e lentamente feci scivolare i pantaloni della tuta lungo le sue gambe. Lui si staccò da me per aiutarmi a toglierli del tutto.
Si tolse velocemente anche la maglietta e poi tornò a dedicarsi al mio addome, alternando baci e morsi finche non raggiunse la soffice stoffa dei miei pantaloncini. Con una mossa prese tra i denti sia essi che le mutandine e, aiutandosi all’estremità opposta con l’altra mano, me li abbassò fino a privarmi di essi.
Mi strinse forte a sè lasciandomi un leggero bacio sulla spalla e inalando a fondo il mio profumo. Ebbi un brivido di piacere.
“Non ho preservativi!” sussurrò colpevole.
Mi bloccai. Dave Sullivan mi aveva fatta eccitare in quel modo per poi non avere i preservativi?
Cercai di reprimere l’irritazione altrimenti avrei rovinato il momento.
“Ma voi uomini non siete sempre pronti all’evenienza?” sbottai.
“Non io!” mi rispose con tranquillità.
“Ce li ho io!” informai.
“Sempre pronta tu invece!”
“Sempre!” confermai. Lo vidi sorridere amaramente, o almeno, così sembrava alla quasi inesistente luce della camera.
Senza badarci troppo andai a recuperare il preservativo. Non appena tornai nella sua stanza l’attrazione tra di noi si riaccese in modo palpabile e subito ricademmo nel vortice della passione.
Mi piaceva il modo di fare di Dave, era dolce e allo stesso tempo passionale ed esperto, insomma era diverso dagli altri, sembrava che mentre faceva i preliminari ragionasse e non scollegasse del tutto il cervello, era come se pensasse a quali fossero le mosse che potevano darmi piacere o farmi eccitare di più. Tutti gli altri con i quali ero stata pensavano unicamente al proprio piacere, come io pensavo unicamente al mio, mentre lui no. Per lui anche l’altro aveva una certa importanza e inoltre non si faceva guidare unicamente dagli ormoni, in questo modo non risultava mai troppo scoordinato.
Per lui non ero solo un corpo, ma una persona e quindi mi trattava da tale. La cosa che più mi stupii e che nemmeno io mi ero mai vista così nel rapporto con un uomo, mi ero sempre immaginata come un corpo bisognoso di piacere e sapevo come ottenerlo. Lui non commise quell’errore, fin dall’inizio mi considerò come unione di corpo e anima, un tutt’uno, quindi con i suoi baci mandava in visibilio il mio corpo mentre nutriva la mia anima di attenzioni. Non sapevo perché mi sentivo in quel modo. Era strano e faceva paura, eppure era così bello. Finchè i nostri corpi rimasero uniti mi sentii libera, senza nessuna catena a tenermi inchiodata a mantenere un ruolo che non era mio, che mi era stato imposto.
Ero libera di avere la mente vuota, senza paura che qualcuno ne potesse approfittare, senza Alan, Rob, la Mar fredda e calcolatrice.
Ero senza freni, libera di essere quello che in quel preciso istante volevo essere, libera di scegliere di continuare a incoraggiare movimenti di Dave dentro di me, libera di sorridere mentre lo faceva, libera di gustarmi il suo sguardo adorante senza che i miei ideali bloccassero i miei movimenti e i miei pensieri.
Secondo i miei valori tutto ciò era sbagliato. I nostri gemiti erano solo frutto del sesso, perché sorridere come un’ebete solo per del semplice sesso?
Ci avrei messo più passione e foga, eppure lui continuava ad essere dolce e con i suoi respiri guidava i miei movimenti.
Sincronizzati in quella sensuale danza che da sola era riuscita a far staccare i fili dalla mia cattiva coscienza. La mia coscienza fatta di bassi ideali, e io, pur essendo da tempo consapevole di ciò, continuavo ad ascoltare.
Con un ultima spinta decisa venne in me mentre io mi lasciavo andare alla medesima ondata di piacere estenuantemente perfetto.


“E’ stato un errore!” asserì guardando il soffitto mentre era sdraiato supino accanto a me.
“Decisamente!” ridacchiai.
“Non sto scherzando!”
“Nemmeno io!”
Si alzò su un gomito per riuscire a guardarmi in faccia.
“E allora cos’è quello?”
“Quello cosa?”
“Quel sorriso!”
Ampliai la mia espressione di felicità per renderla più evidente dal momento che ero stata colta sul fatto.
“Oh! È la mia esternazione di quanto pensi che sia stato un errore!”
Dave alzò gli occhi al cielo, ma sorrise.
“Io lo dico sul serio!” precisò.
“Lo so, anche io sono seria!” mi avvicinai al suo viso “Ma io amo fare gli errori!” asserii con voce soave.
Scosse la testa.
“Smettila di farti problemi Dave! Sembri una donna!” sbuffai mettendomi a sedere “Se ti è piaciuto allora perché devi pensare che è stato un errore?”
“Perché penso alle conseguenze!”
“Non ci sono conseguenze! Ci siamo divertiti, punto!”
“E’ proprio questo il problema Mar!”
Alzai gli occhi al cielo mettendomi in piedi.
“Lo sai che sei strano vero?” mi diressi verso la porta decisa a tornare più tardi per riprendere la mia ricerca del libro.
“Mai quanto te!” disse afferrandomi il polso e trattenendomi.
Mi accigliai, cosa poteva volere ancora da me? Non ne aveva abbastanza?
Probabilmente voleva ancora fare sesso e come dargli torto? Ero davvero stata benissimo in balia delle sue carezze e delle sue labbra e, naturalmente, anche lui doveva essere stato da dio con me. Dopotutto io ero io.
“Resta! Il letto è grande, c’è spazio per entrambi!” sussurrò quasi colpevole di pormi quella semplice richiesta.
Sorrisi soddisfatta. Rimanendo sarebbe stato più facile avere accesso al libro.


Aspettai di sentire il respiro di Dave divenire profondo e regolare. Per fortuna aveva avuto il buon senso di evitare qualsiasi tipo di contatto fisico con me al di là del sesso in sé, ovvero non c’erano state né carezze né coccole. Il mo stomaco non avrebbe resistito. Odiavo le cose smielate, mi avrebbero guastato la soddisfazione dovuta alla nostra magnifica performance.
Entrambi eravamo coricati su un lato dandoci le spalle. Incredibile come due esseri così diversi potessero essere così simmetrici nelle posizioni.
Tirai su la testa giusto per vedere meglio il ragazzo che mi stava accanto. Constatai che dormiva profondamente. Sospirai di sollievo e, cercando di non far scricchiolare il letto, cercai di mettermi a sedere.
Dove diavolo poteva essere quel volume?
Sotto al letto avevo già controllato quindi era da escludere così come i cassetti del comodino. Mi alzai e in punta di piedi mi avvicinai all’armadio. A tentoni cercai di aprirlo e una volta raggiunto il mio obbiettivo vi immersi le mani. Accidenti! Con quel buio l’operazione risultava parecchio complicata! Chiusi gli occhi stremata e anche un po’ delusa e tirai un paio di sospiri. Fu in quel momento che la percepii. Prima ero troppo concentrata sui miei pensieri e sulle mie sensazioni per rendermi conto che una forza mi attirava verso di sè, una forza di enorme potenza, silenziosa e imperiosa, un po’ come quella che sprigionava il libro nero di Alan. Sorrisi sapendo cosa dovevo fare, ovvero lasciarmi guidare.
Seguendo quel dolce e potente richiamo mi abbassai sulle ginocchia per tastare la base dell’armadio e, con mia soddisfazione, le mie dita urtarono contro qualcosa dotato di spigoli, qualcosa di duro e corposo. Al solo contatto un brivido mi attraversò i polpastrelli.
Senza esitare mi aiutai con l’altra mano per sollevare il volume e immediatamente una scossa mi attraversò le braccia salendo su fino alla testa. L’adrenalina inizio a scorrere impetuosa nelle mie vene.
Braccia invisibili mi spingevano verso il libro che tenevo, mi esortavano silenziosamente ad aprirlo, ma non potevo farlo in quella stanza.
Lanciai un’ultima occhiata a Dave che, ignaro, continuava a vivere nel mondo dei sogni e sgaiattolai fuori dalla stanza.
Notai con piacere che nella mia camera ancora Caren non era rientrata e così, con un sorriso che partiva da un orecchi per finire all’altro, mi sedetti incrociando le gambe sul mio letto.
Mi rigirai il volume tra le mani incuriosita. La copertina era bianca e lucida, sembrava fosse fatta di pelle, dava l’idea di essere molto antico.
Sembrava che su di esso non ci fosse alcun titolo, così come per il libro nero, solo dopo averlo aperto il titolo, ‘…sguardi’, era comparso.
Sorrisi e aprii di scatto il volume.
Non appena lo feci mi sentii invadere da una forza invisibile, travolgente come un mare in tempesta che entrava in me, mi sentivo pervasa totalmente, fu come respirare l’aria fresca dopo che si è stati costretti a trattenere il respiro per un lungo periodo.
Potevo percepirla scorrere in me chiaramente, così come avrei sentito il mio cuore battere furiosamente dopo una lunga e faticosa corsa. Invadeva e inghiottiva tutto il mio essere.
La sentivo muoversi dentro di me, con i sui innumerevoli tentacoli.
sapevo che si stava dirigendo da qualche parte. Sapevo di aver già provato quella fantastica e inebriante sensazione che riempiva e svuotava al tempo stesso tutta la mia essenza. Il tutto durò pochi secondi e terminò quando tutta l’energia convogliò nella mia testa. Sopraffatta dall’emozione e dall’enorme quantità di energia che si era riversata in me iniziò a girarmi la testa. Prima di svenire sorrisi stremata, ce l’avevo fatta.


Aprii prima un occhio e poi un altro. La testa mi pulsava come se avesse sbattuto contro un muro. Mi portai le mani tra i capelli e mi massaggiai le tempie cercando di darmi un po’ di sollievo.
Cosa diavolo era successo? Mi sentivo frastornata come se delle campane avessero suonato nelle mie orecchie così tanto da stordirmi totalmente. Il mio sguardo vagò per la stanza fino a incontrare il libro bianco che giaceva chiuso sul mio letto. Improvvisamente tutto divenne più chiaro e lampante.
Senza perdere ulteriore tempo mi misi a sedere e agguantai il volume, lo accarezzai con le dita come se fosse la cosa più importate del mondo, quando i miei polpastrelli entrarono in contatto con qualcosa di ruvido. Mi feci più attenta notando che il titolo era comparso, così come mi ero aspettata.


Gioco di...

Sospirai. Chissà perché mi ero aspettata di più dal titolo, così come valeva per l’altro libro. Insomma che razza di titolo era ‘Gioco di … ?’, mentre quello del libro nero era ‘… sguardi’.

Improvvisamente un’idea fece capolino nella mia testa. Già da tempo pensavo che Dave avesse dei poteri affini a quelli di Alan. Se Alan traeva potere e forza dal volume che possedeva per Dave doveva essere la stessa cosa. Ecco perché aveva assunto un’espressione strana quando eravamo nel bagno ad ascoltare la conversazione tra Alan e Rob.
Seguendo questa linea di pensiero arrivai ad una conclusione: i poteri di Dave e di Alan dovevano essere in qualche modo l’uno l’opposto dell’altro, speculari, due facce di una stessa medaglia, due facce dello stesso libro.
I puntini di sospensione non potevano essere stati messi a caso alla fine di un titolo e al’inizio della’altro, significava che dovevano essere in qualche modo collegati.
Eliminando i puntini di sospensione infatti si riusciva ad ottenere un titolo più logico e meno insolito, che rappresentava ciò che effettivamente tutti noi, io, Rob, Alan, Caren e Dave, facevamo.


Gioco di sguardi.

Sorrisi vittoriosa della mia sensazionale intuizione e, impaziente, aprii nuovamente la prima pagina del libro che avevo in mano.


Salve, sconosciuto visitatore.
Hai tra le mani una grande possibilità.
La possibilità di istigare.
Ma tale possibilità non sarà al tuo servizio.
Sarà il Potere ad indicarti cosa devi fare.
Sii strumento silenzioso nelle sue mani e sarai ricompensato.
Sii Sua voce, Sue orecchie e Suoi occhi.
Ma non essere mai la Sua mente.
Egli non ne possiede una.
Egli è solo forza, forza allo stato puro.
Il Potere regna il tuo corpo.
Tu lo possiedi, ma non lo sai usare.
Ma attenzione! Il potere è limitato!
Leggi e impara, sconosciuto visitatore.
Impara a giocare …
… a giocare con gli sguardi


Avevo trattenuto il respiro per tutta la lettura. Tali parole non mi erano affatto nuove, anzi, erano stampate a fuoco nella mia testa dal giorno in cui le avevo lette qualche settimana prima, mi ci volle una grande forza di volontà per non mettermi a saltare di gioia per tutta la stanza.
Perché ciò confermava la mia teoria. Solo che non capivo cosa significassero le parole che vi erano scritte, o almeno non tutte. Era chiaro che la frase ‘Il potere è limitato’ faceva riferimento l fatto che il potere era un tot ben stabilito e definito e che se più persone aprivano il volume esso veniva equamente diviso. Per quella ragione Alan mi voleva morta.
Quindi avevo anche metà del potere di Dave in quel momento. Rabbrividii al solo pensiero di divenire dolce e caritatevole. Scossi la testa per eliminare quel terribile e disgustoso pensiero, dopotutto avevo anche la potenza ‘nera, per così dire, quindi dovevo essere una sorta di via di mezzo, eppure non mi sentivo diversa.
Ero però sicura di essere più potente di prima. Sorrisi radiosa, come avevo progettato all’inizio una sola persona tra tutti avrebbe vinto e quella persona sarei stata io.
Rilessi ancora una volta il trafiletto riportato senza tuttavia riuscire ad andare oltre questa piccola consapevolezza. Fu in quel momento che ricordai un particolare che avevo archiviato in qualche zona recondita della mia mente: il libro che il padre di Grace, la ragazza del diario, le aveva lasciato in eredità.
Ricordai che il libro aveva due copertine, una bianca e una nera, poteva dunque trattarsi dei due volumi che avevo aperto che una volta dovevano essere uniti, come due facce di una medaglia.
Sorrisi. Poteva essere un’idea stupida, ma perché non tentare almeno di verificare che essa fosse vera?
Balzai giù dal letto e agguantai il diario per poi sdraiarmi e re iniziare la lettura. Le mani quasi mi tremavano per l’eccitazione del momento, sentivo di essere vicina alla soluzione.

1989

Oggi c’è mancato poco che mi venisse un infarto e non lo sto dicendo per fare la melodrammatica. Oggi il mio cuore si è fermato per lo shock per poi riprendere a battere furiosamente.
Sentivo le mie vene pulsare seguendo il suo ritmo, percepivo la mia vita scorrermi nelle viscere, non mi sono mai sentita così viva eppure così vicina ad un arresto cardiaco come in quel momento.
Il tutto perché i miei occhi incontrarono nuovamente i suoi. Inizialmente pensai ad un’allucinazione così scossi la testa, chiusi le palpebre. Riaprendole però lui era ancora lì, anzi, mi stava addirittura venendomi incontro.
Credo di essere rimasta pietrificata sul posto, non ero affatto in grado di muovermi, e chi lo sarebbe di fronte ad una tale visione?
Si fermò non appena mi raggiunse e fece un mezzo sorriso, come se non fosse sicuro che quella era la cosa giusta da fare.
“Ciao!” mi salutò nel più banale dei modi, eppure sentire la sua voce fu come respirare una boccata di aria pura e fresca. Fu inebriante. Assimilai ogni singola sillaba come se fosse vitale per me.
“Ciao!” risposi a mia volta.
Lui avvicinò il dorso della mano al mio viso per lascarvi una carezza e il mo cuore improvvisamente si riempì di felicità, una felicità pura e perfetta, sorrisi come non facevo da tempo.
“Credevo che non ti avrei più rivista!” sussurrò prima di cingermi in un abbraccio.
Lì per lì non ricambiai perché non ero affatto preparata ad un contatto così prolungato con lui, quindi mi prese alla sprovvista.
“Dov’eri finito?” la mia voce era rotta e sentii gli occhi pizzicare. Lacrime dolci e salate iniziarono a scorrere sulle mie guance. Ero felice di essere tra le sue braccia, triste perché mi era stato lontano così a lungo.
“Dovevo tornare a casa!” mi disse semplicemente e non indagai oltre.
“Che ci fai qui?” si separò da me giusto per riuscire a guardarmi in faccia, sembrava preoccupato.
Perché quando l’ho incontrato ci trovavamo in ospedale. Lui era avvolto da un lungo camice bianco ed aveva in mano una cartellina. Io, invece, ero lì perché da un paio di settimane avevo la nausea mattutina e temevo di essere rimasta incinta. D’altra parte non volevo allarmare inutilmente Sebastian chiedendogli di prenotare una visita da un ginecologo privato e costoso, cosa che senza dubbio lui avrebbe voluto fare, così decisi di rivolgermi all’ospedale pubblico.
“Sono qui per un controllo!” lo rassicurai. Lo vidi trarre un sospiro di sollievo e stringermi nuovamente a sé.
“E tu che ci fai qui?” rigirai la domanda.
“Ci lavoro! Sono un chirurgo, ma in questi mesi devo sostituire una collega ginecologa che è entrata in maternità!”
Arrossii. Sperai con tutto il cuore che non dovesse visitarmi lui, eppure fu proprio così.
Insomma lì per lì ci siamo dati un appuntamento a quel pomeriggio per parlare e, dopo un ora, me lo sono ritrovato come ginecologo. Lui è rimasto a dir poco sconvolto nel vedermi come paziente, un lampo di panico ha attraversato i suoi occhi eppure, professionalmente, si è comportato in un modo impeccabile.
Mi ha fatto tutti i controlli necessari e dai risultati è emerso che effettivamente sono incinta e non so se gioire per questa notizia o mettermi a piangere come una fontana. Proprio adesso che ho rivisto Alex dovevo aspettare un bambino da un altro? Vidi la gelosia attraversare i suoi splendidi occhi verdi e incupirli, mentre gli raccontavo della mia vita dopo di lui, di Sebastian, del matrimonio, e di come lui fosse comunque rimasto nel mio cuore.
Alex ha deciso di far parte della mia vita anche se l’ho visto ansioso e preoccupato all’idea che io stessi per mettere su famiglia. Ha insistito per vedere casa mia, per conoscere mio marito.
Il mio cuore si stringe al pensiero di averlo così vicino e non poterlo toccare. Sebastian ha il mio rispetto e quindi non lo tradirò per tale ragione, unita al fatto che ne morirebbe. Però è estenuante non poter posare le mie labbra sul quelle di Alex, non poter di nuovo sentire il suo sapore mescolato al mio. Esse sembrano chiamarmi, guidarmi, stregarmi, eppure devo resistere. Può essere la vita tanto crudele?

Qualche giorno dopo.

Mio dio. Mi sembra di essere stata catapultata in un incubo a tempo pieno.
Alex dal momento in cui è entrato in casa mia si è messo alla ricerca di qualcosa, qualcosa che non pensavo fosse di così vitale importanza. Per fortuna ancora Sebastian non era rientrato altrimenti lo avrebbe snobbato alla grande.
Sembrava irriconoscibile.
“Hai una biblioteca?” mi domandò.
Lo guardai come se fosse impazzito. Chi era quell’uomo? Cosa ne aveva fatto del mio Alexander?
Gli indicai ciò che cercava e lui si precipitò al piano di sopra andando guardare gli scaffali ricolmi di libri. Cosa diavolo stava cercando?
Poi vidi il suo sguardo focalizzarsi su un unico tomo che sembrava brillare per la sua stranezza in mezzo agli altri. Mi ero quasi dimenticata della sua esistenza. Eppure era ancora lì.
Il libro di mio padre, quello dalla copertina strana, per metà bianca e per metà nera.


Sorrisi. Mi sentivo così vicina a raggiungere il mio obbiettivo.

Lo prese tra le mani.
“Cosa sai di questo libro?” mi chiese.
“Che mi è stato lasciato da mio padre e che non lo devo aprire per nessuna ragione al mondo!” risposi meccanicamente.
Lo vidi stringere la mascella e abbandonare il volume sulla scrivania prima di abbandonare casa mia.
“Ci vediamo domani, devo verificare delle cose!” fu il suo saluto sbrigativo. Era come se sapesse qualcosa su quel volume di cui io non ero a conoscenza. Rabbrividii portando lo sguardo su quel libro prima di riporlo nello scaffale.
Non potevo sapere ciò che il giorno successivo mi avrebbe rivelato, non potevo sapere che il mondo mi sarebbe crollato addosso. Il cuore si ruppe in numerosi frammenti così come la mia anima. Il mo bambino è in pericolo.
Alex ,il giorno dopo, mi ha parlato di una maledizione che grava su quel volume, una maledizione che coinvolge il custode di esso. Egli passerà a miglior vita quando suo figlio verrà al mondo, automaticamente il bambino o la bambina diverrà il nuovo custode. E’ tutto molto incerto, tutto poco chiaro e difficile da capire. Una maledizione. Un futuro incerto.
Sembra così assurdo eppure mi fido cecamente di Alex, mi fido della paura cieca che vedo nei suoi occhi. Quell’uomo mi ama ancora, come io amo lui. Lo percepiamo, come se l’amore fosse qualcosa di concreto, un oggetto. La sua paura e la sua disperazione ne sono la prova, lui sa cosa vuol dire quella maledizione.
Mi perderà. Così come io ho perso mio padre venendo al mondo.
Ma non c’è tempo per salvarmi. C’è solo tempo per salvare la vita che giorno dopo giorno mi cresce dentro. Questa piccola creatura che già amo con tutto il corpo e tutta l’anima.
Alex deve salvare il mio bambino.
Questo è il mio testamento.



La pagina era raggrinzita in più punti, come se le parole fossero state scritte mentre lei versava delle lacrime. Come biasimarla? La storia era triste eppure assurda, come potevo credere ad una maledizione?
Tutte invenzioni, eppure si trattava dell’Alex quasi zio di Dave, se la mia ipotesi era giusta.
Perché mentire in tal modo a quella ragazza?
Rimasi anche un po’ delusa. Pensavo di trovare qualcosa sul libro nero e su quello bianco, mentre saltava fuori una maledizione assurda.
Sbuffai frustrata sfogliando le pagine, ma esse erano bianche, totalmente prive di pensieri e parole.
Cosa speravo di trovare nei ricordi di una sciocca ragazza che si era fatta abbindolare dal primo ce capitava?
Lanciai il diario per terra, come se quel gesto potesse servire a sedare la mia rabbia e la mia insoddisfazione.
Lo guardai e solo allora mi accorsi che l’angolino di un foglio faceva capolino tra le sue pagine. Incuriosita mi avvicinai e lo afferrai estraendone una fotografia.
Essa era ingiallita dal tempo e ritraeva una magnifica ragazza dagli occhi verdi che sorrideva timidamente all’obbiettivo. Era vestita di bianco e teneva tra le mani un mazzo di fiori, doveva essere Grace, al suo matrimonio. Spostai lo sguardo sull’uomo che le stava accanto, egli la teneva per mano ed aveva un sorriso talmente contagioso che mi ritrovai io stessa a piegare le labbra all’insù.
Ma la mia espressione di felicità di riflesso durò ben poco.
Incontrai i suoi occhi. Neri come la pece.
Trattenni il respiro mentre il cuore aumentava i suoi battiti.
Erano felici e non glaciali, eppure, paradossalmente erano i Suoi, come sbagliare? Mancavano gli occhiali dalla montatura trasparente, eppure erano riconoscibilissimi.
I capelli erano neri e corti, non legati in una coda bassa, eppure erano inconfondibili.
Le rughe che gli contornavano gli occhi erano assenti, eppure era Lui. Solo più giovane.
L’adrenalina iniziò a scorrermi nelle vene andando ad annebbiarmi il cervello. Cercai di respirare nonostante fossi sconvolta e incredula.
Senza pensare mi alzai dal letto e corsi verso la camera di Dave. Entrai accendendo la luce e immediatamente il ragazzo si mosse assonnato e infastidito. Balzai sul letto senza dargli il tempo di riprendersi e gli posi dinnanzi al naso la fotografia.
“Conosci quest’uomo?”
Sentivo i forti battiti del cuore nelle mie orecchie.
“Tutto a posto?” mi domandò assonnato con gli occhi ancora socchiusi.
Mossi la foto davanti ai suoi occhi insistendo affinchè la guardasse.
“Dimmi se lo conosci!”
Lui sbattè le palpebre più volte cercando di mettere a fuoco l’immagine che avevo in mano, una volta riuscito a farlo sbarrò gli occhi e si mise a sedere di scatto, come se fosse improvvisamente sveglio.
Mi guardò sconvolto come se avesse visto un fantasma.
“La donna è mia madre!”
I battiti del mio cuore, da furiosi che erano si fermarono del tutto.




...Come avrete capito tutti i nodi stanno venendo al pettine... pian piano il groviglio che ho creato si sta siogliendo e vi assicuro che non è facile mettere i tasselli del puzzle tutti al posto giusto!
Mi auguro di non sbagliare!
In questo capitolo c'è la scena che molti di voi aspettavano dall'inizio della storia, la scena tra Mar e dave che spero di aver descritto come merita, naturalmente attendo pareri.
Ma in questo capitolo vediamo anche la fine della lettura del diario di Grace (per chi non l'avesse capito è la Grace del primo capitolo) senza contare che si scopre qualcosa sul libro lasciatole dal padre.
Ulteriori chiarimenti ci saranno nel prossimo capitolo che spero di poter postare presto...
Il fatto è che parto proprio domani per 3 settimane! porterò dietro il pc, ma gli aggiornamenti si faranno irregolari e comunque non dovrei farvi attendere più di una settimana!
Che ne pensate di questo capitolo? come al solito vi chiedo di recensire! :)
Ringrazio quelle anime pie che mi hanno scritto un loro parere!! Vi adoro!!

CHANELCOCO (benvenuta!! ;) ), shadowdust (la mia stimatissima beta!), monique89 (attendo l'aggiornamento), Onechan Kitzune (<3), AlyBraianaDragneel (come farò per un mese senza di te :'( ), DayanEl (Ho continuato a leggere la tua storia... appena posso ti scrivo un commento!!), ZephyrSelyne
(non ti preoccupare per il ritardo, la storia non scappa!!)
:)
mi volatilizzo!!

Daisy


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Capitolo 27
*** CAP 26 ***


CAP 26


“Grace è tua madre?” la mia voce risultò più acuta di qualche ottava.
“Come fai a sapere il suo nome?” alzò lo sguardo sconvolto su di me.
“Lunga storia!”
Dave mi strappò la fotografia di mano e la osservò a lungo.
“Non ho dubbi!” sussurrò più rivolto a se stesso che a me.
“Riguardo a cosa?” il mio cuore aveva di nuovo accelerato i suoi battiti.
“Lei è per forza mia madre!” borbottò ignorandomi.
Non capivo perché continuava a ripetere tale frase, non ne trovavo un senso logico.
“E allora quell’uomo è tuo padre?” insistetti.
“Non può essere …” continuò a bisbigliare rivolgendosi a sé.
Infastidita dal suo comportamento gli strappai di mano la foto e la nascosi dietro la mia schiena.
“Rispondimi!” ordinai riducendo gli occhi a due fessure minacciosamente.
“Ridammi la foto!” allungò la mano dietro di me, ma io fui più rapida e la spostai.
“Prima rispondimi!”
“A quale domanda?” sbottò irritato indietreggiando.
Fantastico, non mi aveva nemmeno ascoltata.
“L’uomo! E’ tuo padre?”
Lui fece una risatina isterica che gli si addiceva davvero poco. Alzai un sopracciglio sorpresa di sentire quel brutto suono uscire dalla sua bocca così morbida da baciare.
Accidenti. Come facevo a sentirmi attratta da lui anche in quel momento? Scacciai il pensiero dalla testa e mi focalizzai sulla conversazione.
“Non sapevo nemmeno che si fosse sposata!” sussurrò amareggiato Dave.
“In che senso?”
“Mia nonna e Alex mi hanno sempre detto che non avevano idea di chi fosse mio padre, per questo non mi era mai venuto a cercare, non sapeva della mia esistenza, ma quella foto cambia tutto! Lei si è addirittura sposata! Non so se quell’uomo sia mio padre, ma comunque quell’immagine simboleggia che mi hanno mentito!”
La sua voce divenne un sussurro. Sembrava profondamente ferito da ciò.
“Di Alex e di mia nonna mi sono sempre fidato ciecamente, come hanno potuto nascondermi una cosa del genere?” ora nel suo tono vi era rabbia. Scagliò un pugno contro il cuscino come se ciò potesse servirgli per scaricare l‘ira che gli divampava dentro.
“Allora credo che dovresti leggere una cosa!”
Mi guardò senza capire e io andai nella mia stanza a recuperare il diario di Grace, dopotutto era sua madre, aveva pur il diritto di leggerlo.
Rimanere un attimo da sola mi aiutò a riflettere. Il marito di Grace si chiamava Sebastian, quindi Dave doveva essere figlio suo. Solo che non si poteva chiamare Sebastian l’uomo della foto. Lo conoscevo troppo bene per poter sbagliare il suo nome. Sentii il cuore riprendere a battermi nel petto.
Quella scoperta avrebbe potuto cambiare tutto, la domanda era: in peggio o in meglio?
“Tieni!” dissi a Dave porgendogli il piccolo diario.
Lui mi guardò con sguardo interrogativo facendo saltare gli occhi dal volumetto a me e viceversa.
“Che significa?”
“E’ il diario di tua madre!”
“Eh?” sembrava interdetto dalla mia risposta.
“Il. Diario. Di. Tua. Madre.” Scandii ogni singola parola con attenzione.
“E si può sapere cosa ci fa in mano tua?” alzò la voce e sembrò che le sue narici fumassero per la rabbia.
“L’ho trovato nella tua soffitta!” dissi con voce innocente, per niente intimorita dalla sua ira.
Lui mi guardò in cagnesco e mi strappò il diario di mano iniziando a leggere.
Mi allontanai perché era davvero irascibile ed insopportabile e, una volta raggiunta la mia stanza, agguantai il libro bianco e me lo rigirai tra le mani.
Esso conteneva la chiave per sconfiggere Alan? Se Alan si fosse rivelato realmente suo padre, Dave avrebbe continuato la lotta contro di lui? Infatti l’uomo che teneva per mano Grace in quella foto era proprio Alan Black. Lo stesso uomo che mi aveva salvata da mia madre e dal suo pessimo stile di vita, quello che mi ha cresciuta e che in quel momento mi voleva morta.
Che gioia.
Aprii il libro e sfogliai le pagine fino a raggiungere le ultime. Doveva esserci qualcosa, qualcosa che avrebbe permesso di annullare i poteri di entrambi, eppure in quel volume non ve n’era alcuna traccia. Anche perché se ce ne fossero state sicuramente Dave me l’avrebbe detto. Almeno credevo.
Eppure non riuscivo a vederci chiaro su questo punto. Insomma Alan non accettava nemmeno di perdere la metà del potere che possedeva, chissà se per Dave valeva la stessa cosa. Dopotutto se erano due facce di una stessa medaglia allora probabilmente avevano istinti simili. Rabbrividii di fronte al pensiero che Dave potesse volermi uccidere una volta scoperto che anche io avevo aperto il suo libro.
Per non rischiare nascosi il volume sotto al letto in attesa di poterlo riportare nella sua camera senza che lui si accorgesse di nulla.
“Mar!” mi sentii chiamare a gran voce. L’udire il mio nome in un momento di riflessione come quello in cui mi trovavo mi fece sobbalzare.
Feci un respiro profondo cercando di calmare i battiti del mio cuore.
“Mar!” Dave fece letteralmente irruzione nella mia stanza e posò gli occhi verdi su di me “Dobbiamo andare da Alex!” era talmente tanto affannato che sembrava che avesse il fiatone, eppure non aveva corso, era solo terribilmente sconvolto.
Sorrisi. Non aspettavo altro. Afferrai la giacca e lo seguii fuori dall’appartamento.
“Non chiedi alla tua Caren di venire con noi?” lo stuzzicai incapace di farlo.
“E’ da ieri che è da un’amica!” borbottò.
Da quando Caren aveva amici? Bè meglio per me, non avrei avuto quella rompiscatole tra i piedi.



“Cosa significa?” Dave scaraventò nelle mani di Alex la foto, dopo di che oltrepassò l’uomo che ci guardava sconvolto ed entrò in casa.
Alex lanciò un sguardo carico di domande a me, come se io avessi potuto rispondergli all’istante, ma alzai le spalle e seguii Dave oltre la soglia. Anche io ero avida di informazioni.
Dave era in cucina e continuava ad andare avanti e indietro nervosamente tormentandosi il leggero strato di barba che aveva sul viso con le dita, come se questo potesse servirgli a ragionare e a raccogliere le idee.
Non lo avevo mai visto così, di solito era sempre calmo e pacato, era razionale e gli unici sbocchi di rabbia erano nei miei confronti. Anche se in quelle occasioni era divertente vederlo arrabbiato in quel momento non potevo provare gioia perché percepivo il suo stato d’animo, lo sentivo come se anche io mi stessi sentendo in quel preciso modo, anche se in realtà ero solo curiosa.
Percepivo la rabbia, l’incredulità, la paura di non sapere quali fossero le proprie origini, l’odio per quell’uomo che mai era entrato a far parte della sua vita.
Era come se questi suoi sentimenti fossero concreti, materiali, come se potessero raggiungere la mia pelle e infiltrasi all’interno di essa, fino a raggiungere le mie vene e a mescolarsi con il sangue.
Empatia. Percepivo le sue sensazioni.
Questa cosa accadeva unicamente quando  guardavo negli occhi qualcuno, quando mi serviva percepire le sensazioni per poterle influenzare.
Eppure in quel momento lo sguardo non c’entrava nulla. Ero empatica senza usare trucchetti. Che ragione ci poteva essere?
Nel momento esatto in cui Alex entrò nella stanza gli occhi di Dave si fecero attenti e si focalizzarono sul suo ‘zio’, fulminandolo.
“Perché non me l’avete mai detto?” sbottò incrociando le braccia al petto e senza smettere di andare avanti e indietro. Mi sedetti comodamente per godermi la conversazione.
“Ti sarebbe piaciuto sapere che tuo padre ti aveva deliberatamente ignorato?” domandò con tono leggermente ferito Alex.
“QUELLO NON E’ MIO PADRE!” urlò il ragazzo con gli occhi che gli fiammeggiavano.
Alex si fece piccolo piccolo di fronte alla sua ira eppure cercò di mantenere la calma.
“Sì che lo è!” rispose semplicemente. Sentii i battiti divenire più frequenti. Come avevo sospettato quell’uomo era effettivamente Sebastian, il padre di Dave, quindi non poteva essere Alan Black.
Doveva sicuramente trattarsi di un caso di somiglianza, di straordinaria somiglianza. Magari Alan aveva un fratello gemello di cui non ci aveva mai parlato. Come non ci aveva mai parlato del suo matrimonio.
In quel momento ricordai che una volta una signora mi aveva parlato del matrimonio di Alan. Si trattava di Mrs Mcfunction, la donna che era giunta a villa lux non sotto le spoglie di paziente, ma come collega di Alan. Era sospettosa nei confronti di Mr Black perché un suo paziente, il signor Osvald Dome , aveva avuto un grosso vuoto di memoria e l’ultimo dottore che aveva avuto era proprio stato Alan. In realtà lui era stato il primo sul quale aveva provato l’automazione, purtroppo però essa non era durata per sempre, perché gli occhi di Dave lo avevano risvegliato, così come avevano fatto con Emily.
La signora Mcfunction era la causa per la quale Alan ci aveva mandati all’università, per trovare colui che ostacolava i suoi piani e i suoi esperimenti.
Alzai gli occhi su Dave che a sua volta fissava ostinatamente Alex e mi venne da sorridere. Eccolo lì. Avevo dinnanzi agli occhi il ragazzo che metteva  i bastoni tra le ruote della costosissima e sfarzosissima auto di Alan Black. Missione compiuta. Ma chi l’avrebbe mai detto che avrei deciso di cambiare le carte che avevo già messo in tavola e avrei aiutato l’impavido ragazzo dagli occhi verdi?
Se me lo avessero raccontato un mese prima sarei scoppiata a ridere, così come non avrei ceduto al fatto che Alan mi volesse morta.
Com’erano cambiate le cose in poco tempo.
Anche quella rivelazione della signora Mcfunction, quella riguardante la moglie del mio ex mentore, in quel momento tornava utile. E pensare che mi era parsa come un’assurdità bella e buona. Dopotutto la parola ‘moglie’ e la parola ‘Alan’ sembravano incompatibili.
Sorrisi di fronte a quella prospettiva. Quindi non era da escludere che Alan e Sebastian fossero la stessa persona.
“C’è dell’altro!” sussurrai. Dave mi lanciò un’occhiata assassina e Alex mi guardò a metà tra l’incuriosito e il diffidente.
“Un diario!” precisai “Daglielo Dave!” incrociai il suo sguardo e assunsi una posa autoritaria.
“Mai che tu possa chiudere quella tua dannata boccaccia!” sbottò.
Sorrisi compatendo la sua stupidità.
“Vuoi spiegazioni Dave? Vuoi che tutti i pezzi del puzzle vadano al posto giusto?” lasciai una pausa per dare maggior importanza a quello che stavo per dire “Se è lui …” indicai lo pseudozio “… che deve mettere insieme tutti i pezzi, non trovi logico fornirglieli? Dobbiamo dirgli tutto ciò che sappiamo!”
Sapevo di aver ragione eppure lui mi guardò con astio ugualmente. Troppa rabbia.
“Di chi è il diario?” nel porre tale domanda vedevo chiaramente la preoccupazione di Alex.
Sorrisi. Era giunto il momento di scoprire le proprio carte, a ciascuno le sue.
“Di Grace!”
Lo vidi sospirare.
“Cosa c‘è scritto di preciso?” mi domandò senza esitare.
“Parla di un amore …” non riuscii a trattenere la smorfia che spontaneamente mi venne dal cuore“… tra Grace ed un certo Alexander, di cui lei venera ogni singolo dettaglio …” rabbrividii per la sdolcinatezza “… peccato che il nostro eroe …” dissi l’ultima parola con ironia, puntando i miei occhi in quelli verdi di Alex “… sia sparito per un po’ di tempo e la nostra Grace si sia trovata un nuovo amante …”
“BASTA COSI’!” tuonò infastidito Dave “STIAMO PARLANDO DI MIA MADRE, NON DI UNA PUTTANA!” sbraitò fuori di sé. Lo guardai con ironia.
“Non essere prevenuto Dave, non avrei mai dato a tua madre della puttana, al massimo della sempliciotta, della santa, dell’ingenua, tutto tranne che troia!” gli sorrisi strafottente, dopotutto era esattamente quello che pensavo.
“Giusto, perché la troia sei tu, e lei non era come te!” un ghigno gli si dipinse sul volto. Non avevo mai visto una simile espressione sul viso perlopiù dolce di Dave, quindi trovai che essa stonava con la sua personalità. Tuttavia le sue parole non mi ferirono affatto, dal momento che nulla poteva scalfire l’armatura d’acciaio che avevo attorno al cuore.
“Sta notte non la pensavi così!” ghignai soddisfatta del mio contrattacco.
Mi guardò in cagnesco, però decise di ignorarmi focalizzando la sua attenzione su Alex.
“Torniamo al punto?” sbraitò.
Alex lo guardava deluso e rassegnato.
“Dimmi che non l’hai fatto!” gli disse.
“COSA?” il corpo di Dave ormai era preda a tremolii tipici di chi sta contenendo una grossa quantità di ira. ringraziai il cielo che non potesse trasformarsi in Hulk.
“Sei andato a letto con lei!” mi indicò.
“Non sono affari tuoi!” ringhiò Dave riducendo gli occhi a due fessure.
“O mio dio! Ci sei andato!” Alex si portò una mano sul viso con fare disperato e scosse la testa “Non si fraternizza col nemico!” alzò la voce.
“Nemico?” mi intromisi “E’ grazie al ‘nemico’ che Dave ha scoperto tutte le tue bugie Alexander!” dissi gelidamente, tirando in su le labbra in un sorriso ironico.
Alex scosse la testa come se cercasse di svegliarsi da un brutto sogno, solo che quella che stava vivendo era la pura e semplice realtà.
“Ha ragione! Qui ci stiamo allontanando dalla questione principale!” intervenne Dave in mia difesa.
Sbarrai gli occhi. Prima mi aggrediva e poi mi difendeva, era proprio strano.
“Devi raccontarmi tutto Alex!” disse Dave incrociando lo sguardo di suo ‘zio’ “Non costringermi ad obbligarti a farlo!” sibilò.
Sia io che Alex sapevamo a cosa si riferisse: voleva usare i suoi poteri.
“Non lo faresti mai!” constatò Alex.
“Ma io sì!” intervenni sorridendo all’uomo in modo glaciale; non aveva scelta.
Lo capì anche lui così si mise a sedere al tavolo sospirò rassegnato.
“Da dove volete che inizi?” domandò.
“Dall’inizio!” rispose Dave.
“Senza tralasciare il libro dalla doppia copertina!” aggiunsi pregustando la sua reazione. Quell’uomo era iniziato a starmi antipatico nel momento in cui mi aveva catalogata come ‘nemica’.
Come previsto lui sbarrò gli occhi e impallidì di colpo come se avesse visto un fantasma.
“Sapete proprio tutto!” sospirò.
“Ci mancano dei pezzi!” constatai.
Lui fece un respiro profondo e iniziò a parlare rivolgendosi perlopiù a Dave.
“Conobbi tua madre perché ero a curiosare in ospedale, mi sono sempre divertito a farlo, ho sempre voluto diventare un medico. Un giorno sono entrato per caso in una stanza e ho trovato una delle più belle creature del mondo che dormiva pacificamente. Iniziai ad osservarla. Ero diventato talmente presente che la sua famiglia iniziò a credere che fossi il suo ragazzo, mentre in realtà non ero nessuno!” quest’ultima frase la disse con rammarico e con tristezza, come se già all’epoca avrebbe voluto essere qualcosa di più per quella ragazza.
“Quando si svegliò non potei far a meno che rivolgerle la parola. Quando fu dimessa dall’ospedale decisi di lasciarle vivere la propria vita senza interferenze da parte mia, ma non riuscii a starle lontano più di tanto! Ci rivedemmo e iniziammo una relazione …” feci una smorfia ricordando le parole sdolcinate di Grace “… di cui vi risparmio i dettagli, altrimenti qualcuno potrebbe vomitare!” mi lanciò uno sguardo facendomi capire che si stava riferendo a me e io gli sorrisi freddamente di rimando.
“Dopo un po’ di tempo tornai a casa, ero solo di passaggio e preferii non dire addio a Grace, sapevo che l’avrei fatta solo soffrire di più. Me ne sono andato con la speranza che senza un ultimo saluto lei mi avrebbe dimenticato, speravo di poter essere un’ombra di passaggio nella sua vita. La cosa mi rendeva triste, ma sapevo che era giusto così!”
“Non dire cavolate!” lo interruppi acidamente. Lui mi guardò accigliato.
“Non ci credo nemmeno un po’ a tutte le cavolate che stai dicendo! Ti sei comportato da codardo, la verità è che non avevi la forza e il coraggio necessario a dirle addio!”
Non sapevo come mi fosse uscita una tale perla di saggezza, così mi stupii delle mie stesse parole. Riflettendoci arrivai alla conclusione che il mio obiettivo era quello di ferirlo il più possibile. Provavo una sorta di rabbia nei suoi confronti e quello era il mio modo per sfogarmi. Quello che mi sorprese fu la sua reazione.
“Hai ragione!” disse abbassando lo sguardo colpevole “Sono stato codardo!”
Riuscii a reprimere un sorriso vittorioso prima che lui continuasse il suo racconto guardando negli occhi Dave.
“Fatto sta che me ne andai, lontano, sicuro che non sarei mai più riuscito a tornare indietro, a tornare da tua madre!”
“Perché ne eri sicuro?” il tono di Dave era freddo e indagatorio, sembrava che nessuna emozione lo potesse contagiare, ma sapevo che non era così. Era solo troppo sconvolto per avere la forza di esternare i suoi sentimenti. Doveva ancora elaborare la marea di informazioni che in un breve lasso di tempo aveva ricevuto.
“Perché ero convinto che la lontananza sarebbe stata troppa e che non avrei avuto i mezzi per poterla valicare!”
Che risposta strana, mi accigliai anche se rimasi totalmente rapita dalle parole che seguirono.
“Eppure tornai, ebbi la fortuna di tornare! Stupidamente mi immaginavo che sarebbe stato come se il tempo non fosse mai passato. Mi immaginavo Grace, un po’ crescita, che mi sorrideva vedendomi arrivare dopo tanto tempo. Fantasticavo di prenderla tra le braccia e fare promesse eterne. Avevo già deciso: non l’avrei abbandonata mai più. Mi presentai a casa sua con un mazzo di fiori tra le mani, sapevo che non sarebbero bastati a farmi perdonare, ma erano comunque un’ offerta di pace, una richiesta di scuse.
Non puoi immaginare quello che avvenne dopo.
Tua nonna mi aprì e si accigliò non riconoscendomi. Mi presentai. Le si illuminò lo sguardo nel vedermi e mi abbracciò, in passato ero stato uno di famiglia, quindi questo gesto non mi colse di sprovvista. Mi sorrise radiosa e mi fece entrare, offrendosi di prelevare i fiori dalle mie mani.
Scossi la testa. Volevo essere io a darglieli per vedere i suoi occhi riempirsi di gioia.
Quando lo dissi tua nonna si rabbuiò, si fissò i piedi e mi disse di sedermi. Sparì dalla mia vista per poi ricomparire con una busta tra le mani. Me la porse e io, incurante di ciò che ci fosse al suo interno, la presi.
Il mio cuore accelerò i battiti quando vidi che al suo interno vi era un invito a nozze. Lo conservo ancora. Simboleggia la mia stupidità e non voglio assolutamente dimenticarla.
Aprendo l’invito ebbi un tuffo al cuore. Grace si era sposata circa tre anni prima con un certo Sebastian. Tutte le mie speranze furono ridotte a brandelli, furono uccise, distrutte. Il mondo mi crollò addosso…”
La voce gli tremò leggermente prima che riprendesse vigore per continuare il racconto.
“Io e tua nonna decidemmo di non dire a Grace della mia visita, sapevamo che il mio ritorno sarebbe stato un problema per lei. Tua nonna mi disse che lei mi amava e che mi avrebbe sempre amato, solo che era stato difficile per lei quando me n’ero andato, solo con Sebastian era riuscita a riprendersi, quindi non era giusto turbare la sua quiete.
Ormai non potevo più tornare a casa così decisi di farmi una vita lì. Divenni un chirurgo, come avevo sempre sognato, anche se avevo parecchie altre specializzazioni nel campo della medicina, finché una mia collega ginecologa entrò in maternità e dovetti prendere il suo posto.
E Grace fu mia paziente. Era incinta, fu un dolore curare un bimbo che non era nostro, ma suo e di quell’uomo. Eppure era una gioia poterle stare accanto. Vedere come le si illuminavano gli occhi al solo vedermi, come rideva alle mie battute, come diventava rossa se le facevo un complimento.
Ma il destino era decisamente avverso.
A casa sua vidi una cosa che mi sconvolse totalmente. Si trattava di un libro con due copertine, una bianca e una nera.”
Trattenni il respiro.
“Ne avevo già sentito parlare perché da giovane era un fanatico di miti e leggende, così lo riconobbi immediatamente!”
“In che senso?” mi intromisi ansiosa di arrivare al punto. Rivolse il suo sguardo a me.
“Ci stavo arrivando!” ribattè un po’ offeso dalla mia interruzione “Intorno a quel libro vi è una leggenda.  Risale circa all’ XI secolo dopo cristo. Diciamo che una strega, per vendicarsi di una giovane donna …” deglutì come se gli facesse male parlarne “…che era riuscita a ostacolare i suoi piani, decise di lanciarle una maledizione!”
Mi misi a ridere di puro gusto. Davvero pensava che avremmo creduto all’assurda storia della maledizione? Non esisteva né la magia, né nessuna strega degli anni mille.
Vedendo la mia reazione sia Dave che Alex si accigliarono e mi fissarono interdetti.
“Cosa ti diverte così tanto?” mi domandò lo pseudozio.
“Maledizioni? Davvero pensi che possa crederti? Non ho mai creduto nella fatina che dicendo ‘bibidi bobidi bù’ riesce a lanciare maledizioni e sicuramente non inizierò ora!” risposi con sicurezza e arroganza.
“Le fate non lanciano maledizioni, le streghe sì!” ribattè Alex.
Alzai un sopracciglio incredula di fronte al suo stupido modo di ribattere.
“Ma c’è scritto ‘scema’ sulla mia fronte? Ma ti rendi conto delle assurdità che stai dicendo?”
Era davvero inverosimile che non capisse.
“Tu costringi le persone a fare delle cose Mar! Ti sembra meno assurdo?” ribattè irritandosi.
“Naturalmente!” era normale, una routine, assolutamente non  un’azione assurda.
Alex scosse la testa con desolazione.
“Eppure se tu dicessi quello che fai ad un essere umano comune lo reputerebbe assurdo, come tu reputi assurde le streghe e le maledizioni!”
“Ma non diciamo cavolate!” sbottai sempre più infastidita da quelle favolette. Come poteva pretendere che mi fidassi di ciò che diceva?
“Vai avanti!” ordinò Dave repentino, rivolgendosi ad Alex. Quest’ultimo assunse una faccia leggermente ferita per poi lanciarmi un occhiata che sembrava dire ‘non finisce qui’.
Lo speravo. Avrei volentieri combattuto un duello di parole con Alex, dopotutto potevo solo vincere.
“Nel medioevo le streghe e i maghi erano piuttosto comuni. Ma dato che qualcuno …” mi guardò “… potrebbe non crederci cercherò di spiegarvi in cosa consiste essere maghi o streghe.  
Quello che loro sanno fare è incanalare l’energia per poterla utilizzare a loro piacimento. L’energia a disposizione su questa terra è davvero immensa se consideriamo tutte e forme nella quale si può presentare: energia meccanica, nucleare, termica e molte altre.
Adesso immaginate di avere la possibilità di trasformare una forma di energia in un'altra e di poterla utilizzare come volete voi. Questo è quello che essi avevano la capacità di fare!”
Alzai un sopracciglio. Alex stava cercando di spiegare scientificamente la magia. Mah.
“Prendiamo un esempio moderno, più concreto. Reattori nucleari. La fissione nucleare, ovvero lo scontro di particelle di minuscole dimensioni, che porta alla rottura delle stesse nelle loro componenti elementari, genera un’enorme quantità di energia. Una singola collisione potrebbe alimentare un’intera città per un mese. Com’è possibile ricavare tale quantità di energia? Trasformando l’energia di legame tra protoni ed elettroni in energia termica e quant’altro.
Possiamo dunque dire che coloro che hanno ideato le centrali nucleari siano stati in grado di canalizzare l’energia. Esattamente come i maghi e le streghe. Eppure non li consideriamo tali!”
“Intendi dire che la magia e la scienza sono la stessa cosa?” la mia voce esprimeva incredulità.
“Esatto. Magia e scienza sono due modi di chiamare la stessa cosa: utilizzare l’energia come più c’è comodo.”
Il suo ragionamento non faceva una piega, solo che mi rifiutavo di credere che potesse esistere una cosa contenuta nei libri per bambini. Quelle storie che mai mi avevano raccontato e che avevo sempre disprezzato.
Alex cercò di spiegarsi meglio vedendo la mia espressione accigliata mentre Dave lo fissava assente.
“Non mi credi Mar! Allora mettiamola così: la dilatazione dei tempi è un fenomeno scientifico o magico?” mi domandò.
“Scientifico!”
“Perché?”
“Perché è stato dimostrato scientificamente!” risposi con arroganza non capendo dove volesse arrivare.
“E se ti dicessi che si era a conoscenza della dilatazione dei tempi nell’anno mille tu mi crederesti?”
“No!”
“Perché?”
Come perché?
“Perché Einstein ancora non aveva fatto la sua scoperta!” risposi confusa.
“Cosa ha scoperto Einstein?”
“E’ un interrogazione?” come si permetteva a farmi domanda su domande in quel modo.
“No. Si tratta di un modo intelligente per riflettere sulle cose! Allora? Che cosa ha scoperto esattamente Einstein?”
Sbuffai infastidita, ma tuttavia risposi.
“Prima di tutto che la luce ha una velocità costante e che passando da un sistema di riferimento ad un altro essa non muta, nemmeno se la sorgente di luce è in movimento. Diretta conseguenza di ciò è che se un corpo si muove a velocità paragonabile a quella della luce, o comunque vicino ad essa, il suo tempo risulta dilatato.”
“Che vuol dire …”
Alzai un sopracciglio.
“Che se una persona che si muove alla velocità della luce il suo tempo passa più lentamente rispetto a una che si muove normalmente! Quindi se per quella veloce sono passato 10 anni per quello normale ne saranno passati molti di più, ad esempio 50!”
“E quindi?”
“I viaggi nel tempo sono possibili perché il corpo della persona che viaggia alla velocità della luce invecchia meno velocemente di quello normale!”
Gli occhi di Alex si illuminarono e annuì con la testa.
“Hai appena dato una spiegazione scientifica ad una magia!”
“Ma non è un magia, è realtà!” ero sempre più confusa.
“Certo che è realtà, la magia è realtà. Come fai a trasmettere gli ordini alle altre persone?”
Alzai un sopracciglio.
“Ti aspetti davvero che te lo dica?” dissi sarcastica.
“Non importa. Fatto sta che incanali l’energia e la focalizzi sul comando, sbaglio?”
Riflettei. Effettivamente quando ordinavo a qualcuno di fare qualcosa percepivo proprio il comando partire da miei occhi per raggiungere quello della persona. Il comando era sottoforma di energia.
L’energia era la chiave di tutto. Ma incanalare l’energia e utilizzarla a proprio piacimento è anche quello che fanno gli scienziati e i maghi. Sospirai. Il discorso di Alex stava in piedi.
Ripensai all’energia che avevo percepito aprendo entrambi i libri.
Sì, doveva essere quella la chiave del nostro potere. Non avevo mai pensato né di fare scienza né tantomeno di compiere una magia.
“Arriviamo al punto?” sbottò irritato Dave, risvegliandosi dal suo torpore.
“Ok. Insomma questa strega decise di in canalizzare l’energia oscura in un giovane ragazzo. Tale energia prendeva il sopravvento la notte facendo del ragazzo una specie di mostro che si nutriva dell’energia circostante ed incrementava la sua forza. Così l’energia oscura cresceva sempre di più, lasciando distruzione, finchè fu estratta dal giovane da una donna.” La sua voce si addolcì.
“La strega per vendicarsi fece una maledizione sul libro dalla doppia copertina. Condannò la donna a divenire la sua custode in modo che la maledizione si riversasse su di lei: sarebbe morta  alla nascita del primogenito, che a sua volta sarebbe diventato il nuovo custode e via dicendo!”
Dave trattenne il fiato.
“Così la maledizione avrebbe toccato tutti i componenti della famiglia della custode originaria, per sempre.” Gli si ruppe la voce e ci volle qualche secondo prima che riprendesse a raccontare.
“Potete immaginare la mia sorpresa e il mio orrore nel trovare quel libro nella biblioteca di Grace. Le chiesi informazioni e lei mi disse che quel volume le apparteneva per volere del padre che non aveva mai conosciuto. Impallidii. Anche sua nonna da parte del padre era morta nel dare alla luce il figlio.
Lei era la custode. Non c’erano dubbi.
Morii mille volte quel giorno, consapevole che l’avrei persa per sempre.
Non potevo nasconderglielo così la informai, ma la sua reazione fu inaspettata: invece che preoccuparsi per se stessa si preoccupava per il piccolo che aveva in grembo, al quale sarebbe toccata la stessa dolorosa sorte. Così mi implorò di fare ricerche per salvarlo.
Ma questo è tutto ciò che so. Non so come rompere la maledizione, non so come mai il libro non vada aperto, non so che fine ha fatto ora.
Dave …” Alzò gli occhi e incontrò quello del ragazzo”… tu sei il nuovo custode e io non ho mantenuto la mia promessa: non so ancora come salvarti”
Abbassò lo sguardo colpevole.
“Tua madre mi ha fatto promettere di proteggerti e io credevo che rivelarti ciò ti avrebbe solo fatto soffrire inutilmente! Ho cercato di renderti felice, ho provato ad essere il padre che non avevi. Avrei dovuto limitarmi ad essere il tuo pediatra, ma mi ricordavi troppo lei. Ti volevo amare come se fossi nostro figlio! Scusami se ti ho tenuto all’oscuro di tutto!” la voce gli tremò.
Rimasi un po’ delusa. Mi aspettavo di avere delucidazioni sul libro nero e su quello bianco, non mi aspettavo maledizioni assurde, favolette e lezioni di fisica.
Eppure la madre di Dave era morta.
Come suo padre.
Come la madre di suo padre.
Come sarebbe successo a Dave.
A quel pensiero lo stomaco mi si strinse in una morsa e sentii un peso nel centro del petto. Cosa me ne importava di Dave dopotutto?
Non era nemmeno mio amico. O forse lo era?
Più di Rob sicuramente. Bè, in passato io avevo considerato Rob il mio unico amico, quindi se Dave era più amico di Rob allora voleva dire che era il mio nuovo singolo amico. Amico che presto o tardi avrei perso. Normale che non ne fossi felice.
Gettai un’occhiata a Dave e lo vidi con lo sguardo perso nel vuoto, le lacrime gli sfioravano dolcemente le guance mentre lui continuava imperterrito a fissare il nulla. Avrei voluto dirgli qualcosa, ma non volevo peggiorare la situazione, cosa che con la mia boccaccia avrei sicuramente fatto. Accidenti. Va bene che lo consideravo mio ‘amico’ però quei pensieri erano davvero sconvenienti. I miei commenti erano sempre perfetti e opportuni.
Tuttavia non dissi nulla, mi limitai ad osservarlo.
Cercai di comprendere il suo stato d’animo anche se mi risultava difficile. Il mondo di Dave era un mondo fatto d’amore, un universo che non potevo nemmeno immaginare tuttavia mi sforzai.
Aveva appena scoperto che alla nascita del suo primo figlio sarebbe morto. Non capivo perché piangesse però, dopotutto poteva sempre non fare figli!
Eppure Dave era programmato per dare amore quindi sicuramente prima o poi avrebbe avuto un pargolo, senza contare che gli incidenti possono sempre avvenire, come, ad esempio la rottura di un preservativo.
Avrebbe potuto astenersi dal fare sesso, ma sarebbe stato un peccato dal momento che ci sapeva davvero fare. Mi leccai le labbra pensando alla notte appena trascorsa insieme.
Quindi era triste perché non poteva avere pargoli e non poteva fare sesso, ma questo bastava a farlo andare in catalessi in quel modo?
Aveva scoperto che la madre si era sposata, che Alex gli aveva mentito per 23 anni e che suo padre lo aveva deliberatamente ignorato. Mi ritornò in mente il punto di partenza di tutto ciò: il padre di Dave.
“Perché suo padre non l’ha mai cercato?” domandai ad Alex.
Lui lanciò una veloce occhiata al ragazzo per poi rivolgersi a me.
“Credo che sia stato principalmente per colpa mia. Ho assistito, come medico, Grace durante il parto. Eravamo soli nella stanza, ma le tendine che davano sul corridoio non erano abbassate. Le mi ha detto che mi amava da sempre, e che per sempre mi avrebbe amato, poi ha spirato …” per un istante gli si ruppe il tono della voce, poi cercò di riprendersi.
“… Sebastian deve aver letto il labiale, così, quando sono uscito dalla stanza di Gracie con il bambino tra le braccia, mi ha tirato un pugno per poi sparire dalla mia vita per sempre!”
Lo disse come se stesse sperando che fosse vero, quando in realtà non ne era sicuro.
“E’ la verità?” indagai. Sorrise amaramente.
“Se ti dicessi di sì non mi crederesti vero?”
“Assolutamente no!”
Sospirò.
“In realtà si è fatto vivo con Dave una volta, ma credo fosse troppo piccolo per ricordarsene.”
Dave abbandonò la sua espressione vacua e si interessò al racconto di Alex
“Aveva circa sei anni, quando si è presentato qui e ha chiesto del figlio. Io non ero presente, ma sua nonna sì, così mi raccontò tutto. Fu un incontro decisamente insolito, Sebastian guardò Dave e se ne andò, così, di punto in bianco!”
Lo sguardo di Dave si fece luminoso come se improvvisamente si fosse ricordato di un particolare, prese la foto del matrimonio di sua madre e la fissò a lungo.
“Io lo incontrai solo un’altra volta…” continuò Alex “…poco tempo fa, al ballo in cui dovevi far incontrare a Dave Alan. È stato per questo che me ne sono andato prima del tempo. I miei occhi hanno incontrato i suoi, ho visto l’odio riaccendersi in essi e ho quasi temuto che se fossi rimasto sarei potuto bruciare vivo” rabbrividì “Quel solo sguardo mi ha messo una tale paura addosso che praticamente me ne sono andato di punto in bianco dalla festa!”
Il cuore mi batteva forte nel petto e nelle orecchie. Ricordavo che Alex se n’era andato, ma non avrei mai immaginato che quello fosse il motivo. Perché a quella festa c’era anche Alan Black.
Le coincidenze erano troppe per essere reputate tali.
Mi venne un’idea per togliermi ogni dubbio.
“Hai detto che conservi ancora l’invito al matrimonio che ti ha fatto vedere la nonna di Dave, potrei vederlo?”
Un po’ stupito dalla mia richiesta annuì e tornò poco dopo con una busta.
Con il cuore e l’anima in subbuglio, la aprii e ne estrassi il biglietto.
In centro vi era una semplice scritta in lettere dorate, una frase che bloccò i miei battiti per un lungo istante.

Siete gentilmente invitati al matrimonio di Grace Sullivan e di Sebastian Alan Black.

Sebastian Alan Black. Quell’Alan Black! Era lui!
Oddio! Forse fino all’ultimo avevo sperato che non lo fosse, eppure ormai non avevo più dubbi.
“A che ti serve?” fu Dave a parlare, alzandosi dalla sedia sulla quale era incollato fino a pochi istanti prima. si avvicinò a me per sbirciare il biglietto che avevo in mano e nel farlo il suo respiro dolce raggiunse il mio orecchio facendomi rabbrividire.
Mi voltai impercettibilmente verso di lui, giusto per vedere il suo repentino cambiamento di espressione.
Gli occhi erano lucidi, ma le lacrime non c’erano più. L’espressione era tranquilla. Vidi le pupille muoversi da sinistra verso destra mentre leggeva quell’unica frase.
Impallidì improvvisamente, sbarrò le palpebre e si voltò verso di me con la bocca semispalancata.
Stupore, incredulità.
“Dimmi che ho letto male!” sussurrò, forse più rivolto a se stesso che a me.
“Mentirei!”
Fece un sorriso sarcastico. Era bello rivederlo sorridere, forse perché quell’espressione lo rendeva più attraente. E io avevo un certo fiuto per le persone attraenti.
“E tu non menti mai, giusto?” era sarcastico.
Lo ignorai.
“E’ lui!” confermai.
“Lui chi?” si intromise Alex.
Alzai un sopracciglio incredula.
“Da quanto tempo non leggi questo biglietto?” gli domandai, perché era ovvio che se l’avesse letto di recente gli sarebbe venuto il dubbio riguardo all’identità del marito di Grace.
“Da quel pomeriggio in cui ne ho scoperto l’esistenza, perché?” non riusciva a capire.
Sorrisi soddisfatta di prendermi una piccola rivincita su di lui, gli avrei insegnato qualcosa. Anche perché era stata del tutto inutile la sua delucidazione sul libro dalla doppia copertina, non ci aveva detto come sconfiggere Alan, né nessun altra informazione utile.
Ci aveva solo raccontato di una sciocca maledizione, alla quale non sapevo nemmeno io se crederci o meno.
“Il marito di Grace Sullivan…” feci una pausa per sottolineare quello che stavo per dire “…è Alan Black”.



Mi poggiai al muretto al di fuori della casa di Dave e osservai il nome posto al di sopra del campanello.
Middlecot.
Ricordavo che la prima volta che mi ero presentata a casa di Dave non fossi sicura che si trattasse proprio di casa sua a causa del cognome diverso da ‘Sullivan’.
Sentii un sospiro provenire dalle mie spalle e mi voltai incrociando gli occhi di Dave.
“Perché c’ è scritto ‘Middlecot’?” ne approfittai curiosa.
“Il cognome di mia nonna alla quale è intestata la casa, mio nonno e mia madre invece erano ‘Sullivan’, è da loro che ho tratto il cognome, non avendo un padre …fino a oggi!” abbassò lo sguardo e si sedette sul muretto accanto a me.
“Dave. Black. Non suona bene!” constatai scandendo bene il suo nome e cognome.
“Affatto!” si portò le mani sulla faccia e rimase in quella posizione per alcuni secondi.
“Ti rendi conto che tra tutte le persone del mondo, ho come padre lui?” continuò lanciando uno sguardo al cielo “Il mio più grande nemico! Mi9 rifiuto di credere che quell’uomo sia mio padre, nelle mie vene non può scorrere il suo sangue!” rabbrividì al solo pensiero.
Stava sfogando i suoi sentimenti con me, o mamma. Odiavo quei momenti, non ero fatta per quello.
Così cercai di fermare il suo blaterare.
“Questo cambia le cose?” avevo un po’ timore della risposta, dopotutto c’era in gioco soprattutto il mio futuro e io combattevo per quello.
“No!” sospirò “E’ un nemico. Forse renderà le cose più difficili il fatto che sia mio padre, ma il mio obbiettivo rimane quello di partenza! I tuoi interessi sono salvi!” mi sorrise senza allegria.
Mi stupii di quanto mi conoscesse, aveva subito capito perché gli avevo posto quella domanda. E bravo Dave.
“Mi ricordo quando l’ho incontrato! Le parole di Alex combinate alla foto del matrimonio mi hanno risvegliato la memoria…”
Sbuffai sapendo che stava reiniziando con le sue confessioni, ma lui non se ne accorse.
“Era mattina presto e qualcuno aveva suonato alla porta così mi aveva svegliato. Io dormivo in quella stanza…” mi indicò la finestra che si trovava sopra la porta.
“…così mi affacciai e vidi un taxi parcheggiato sotto casa. Fui incuriosito dal fatto che sul sedile posteriore dell’auto c’era una bambina. Non la vidi con chiarezza, ma scorgevo il suo nasino così vicino al finestrino, lo sguardo che puntava verso la porta, come se stesse osservando qualcosa che io dalla mia postazione non riuscivo a vedere. Inoltre sentii mia nonna che urlava con voce arrabbiata dicendo frasi come ‘Ti sembra il caso di farri vedere dopo sei anni?’ oppure ‘Credi davvero che verrà con te? Non puoi presentarti dopo tutto questo tempo e riprenderti tuo figlio!’.
Mi incuriosii, così uscii dalla mia stanza e trovai mia nonna che mi correva incontro pallida come non mai. Sembrava sconvolta! Lì per lì credetti che avesse visto un fantasma, se no cosa avrebbe potuto spaventare la nonna in quel modo?” sorrise al ricordo.
“Mi prese per mano e mi trascinò al piano di sotto. Alla porta c’era un uomo la cui sola vista mi fece venire i brividi. Era identico al tipo della foto, tranne che per il taglio dei capelli e gli occhiali. Il suo sguardo era freddo, gelido. Mi nascosi dietro la nonna terrorizzato, ma lei mi spinse con riluttanza verso di lui. Egli si piegò sulle ginocchia per raggiungere l’altezza dei miei occhi. i suoi me li ricordo chiaramente, erano così neri che mi sembrò di cadere al loro interno. Ma proprio mentre mi perdevo inesorabilmente in essi mi sentii portare in salvo e trassi un sospiro di sollievo. Lui si accigliò per poi assumere uno sguardo incredulo, forse voleva davvero farmi perdere nell’immensità delle sue iridi, ma non c’era riuscito. Allora girò i tacchi e se ne andò senza voltarsi sparendo dalla mia vita!” concluse con un sospiro incrociando i miei occhi.
“Ma a te che può interessare?” lo disse come se improvvisamente si sentisse stupido per avermi raccontato un episodio del genere. Invece, oltre ogni mio previsione quel breve ricordo era stato interessantissimo. Mi sembrava di rivivere la scena.
Io in un taxi ad aspettare, Alan che ne usciva e si incamminava verso una villetta a due piani.
Alzai gli occhi sulla casa e ricordai che la prima volta che vi ero andata l’avevo trovata famigliare, come se l’avessi già vista. Questo spigava tutto.
La sicurezza che anche lui sarebbe stato venduto al signor Black, così come era successo a me. Poi la sorpresa: il ritorno di uno sconvolto Alan che se ne andava a mani vuote.
Quella bambina ero io. E quel bambino era Dave.
Oddio. Alan sapeva chi era suo figlio e non era da escludere che sapesse anche che era proprio colui che gli metteva i bastoni fra le ruote, le cose in questo modo si complicavano.
“Perché sei così vuota?” interruppe i miei pensieri Dave incrociando gli occhi smeraldo con i miei.
Vuota? Alzai un sopracciglio.
“Perché non ti importa mai degli altri?” era quasi dispiaciuto.
“Perché tuo padre …” sottolineai con la voce le ultime due parole “…mi ha insegnato così! Ero io quella bambina che hai visto nel taxi!” gli dissi semplicemente. Parve rattristarsi di fronte a quella mia piccola confessione.
“Perché?”
“Cosa?”
“Il destino è stato così ingiusto con te! Sei nata da una donna che non poteva offrirti un futuro concreto  e l’uomo che invece ti ha offerto una possibilità ti ha resa un persona terribile!” era amareggiato.
“Orribile?” mi infervorai “Perché non soffro come tutti gli altri? Per questo mi reputi orribile?” per la prima volta in vita mia ero seriamente furiosa e non riuscivo a mantenere la mia studiata calma.
Come si permetteva di giudicare dal momento in cui non comprendeva assolutamente nulla della mia educazione.
“Avrei voluto esserti amico, conoscerti, eppure tu sei sempre così strafottente!”
“Ti sei messo a piagnucolare sui tuoi fantasmi Dave! Cosa vuoi che ne importi?” non capiva nulla.
Che razza di deficiente.
“Ok, scusa!”
Scusa? Mi stava chiedendo scusa? Lo guardai come se gli fossero comparse un paio di antenne sulla testa.
“Se ti dava fastidio che ti raccontassi di me e dei miei ricordi, potevi anche dirmelo!” il suo sguardo si addolcì, ma rimase ugualmente cupo.
“Dopo tutto ciò che hai scoperto oggi non mi sembrava opportuno!” sbottai offesa dalle sue precedenti parole, ma stupita dalle sue scuse così inattese.
Sorrise con un accenno di divertimento.
“Ti sembrava poco opportuno?” lo sguardo gli brillava. Era come se in quella breve mattinata non fosse successo nulla di sconvolgente e di strano.
“Sì” confermai non capendolo. Mah Dave a volte si comportava davvero da scemo.
“Allora sotto sotto anche tu ce l’hai un cuore!” il suo sorriso si allargò e si fece furbo.
“Certo che ce l’ho, solo che è bene protetto!” sorrisi spavalda a mia volta “Altrimenti non vivrei!”
“Intendo dire che hai del buon senso e che non sei del tutto egoista. Mi hai ascoltato nonostante non ti andasse!” mi sorrise come se fosse fiero mi me. Alzai un sopracciglio incredula di fronte alla sua stupida reazione.
“Grazie!” concluse sorridendomi ormai felice.
Nessuno mi aveva mai ringraziato. Mi ritrovai ad accennare un sorriso anche io.


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Alla fine ce l'ho fatta!!! Eccomi qui ad aggiornare!! domani èparto per il mare quindi ninete pc, ma volevo comunque lasciarvi un capitolo nuovo :)
pultroppo il prossimo aggiornamento è previsto tra due settimane, dal momento che per 5 giorni non avrò il computer!
SUL CAPITOLO:
- la parte in cui parlo di fissione nucleare potrebbe essere ampliamente sbagliata in quanto non ho avuto tempo di fare ricerche in proposito, provvederò in seguito.
- Spero di essere stat chiara nella lezione spiccia di fisica e di non avervi annoiato particolarmente.
RINGRAZIO:
- Tutti coloro che hanno recensito lo scorso capitolo (RISPONDERO' A TUTTE LE RECENSIONI INSEGUITO PERCHE' POSSO ACCEDERE POCO A INTERNET)
aleinad93, lysam, Aly_Kinney_Rodriguez (Alydragneel!! ), RosyHyb, Pyra, DayanEl ,shadowdust, CHANELCOCO, SilviaXD, Dreamer_on_earth!!!
RECUPERERO' TUTTI9 GLI AGGIORNAMENTI CHE MI SONO PERSA, COSI'ì COME LE STORIE CHE AVEVO INIZIATO A LEGGERE APPPENA POTRO'!!
SCUSATEMI, SPERO POSSIATE CAPIRMI!!! :)


Daisy

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Capitolo 28
*** CAP 27 ***


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CAP 27




Rientrammo in quella che ormai era la nostra casa in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri.
“Tu ci credi?” azzardai a chiedere mentre infilava la chiave nella toppa della porta. Dave rimase visibilmente sorpreso di fronte alla mia domanda e inarcò le sopracciglia perplesso.
“A cosa? A tutta la storia che ci ha raccontato Alex?”
Annuii per confermare.
Estrasse dalla serratura le chiavi e inchiodò gli occhi nei miei.
“Perché non dovrei?” rispose.
Sorrisi con amarezza: possibile che non ci arrivasse da solo, che non comprendesse che fidarsi di Alex non era la cosa più saggia da fare?
“Alex ti ha mentito su un sacco di cose prima d’ora perché adesso dovrebbe essere diverso? Non ti ha detto del matrimonio di tua madre, che l’amava, non ti ha detto chi era tuo padre e ti ha tenuto nascosta questa assurda maledizione!”
Lui abbassò la maniglia, ma invece di entrare si fermò sulla porta fissandomi cupamente.
“Hai ragione! All’inizio ero furioso per tutte quelle bugie, ma ho riflettuto durante il viaggio e sono arrivato alla conclusione che si tratta di omissioni!”
“Omissioni?” non riuscivo a credere alle mie orecchie, davvero Dave stava praticamente giustificando lo pseudozio?
Alzai un sopracciglio per esprimere chiaramente il mio disappunto.
“Esatto! Non mi ha raccontato bugie inventate di sana pianta, ha omesso dei particolari. Perché invece questo pomeriggio si sarebbe dovuto inventare una storia assurda come quella che ci ha raccontato? Non avrebbe senso. Questo mi porta a concludere che la storia della maledizione sia reale!” concluse usando un tono educativo, come se stesse parlando ad una bambina.
Stranamente però la cosa non mi irritò più di tanto perché prestavo più attenzione alle sue parole.
“Tu dai troppa fiducia alle persone!” sbottai contrariata.
“Tu troppo poca!” ribattè sorridendomi.
Era incredibile come in così poco tempo il suo umore era notevolmente mutato, questo metteva a nudo il suo animo tendente al perdono e all’accettazione. Che idiota. In  quel modo rischiava solo di farsi prendere per i fondelli da tutto il resto del mondo, il che era un vero peccato perché Dave non era affatto stupido. Peccato che si comportasse come tale.
Finalmente spalancò la porta.
“Caren!” esclamò con una nota di stupore nella voce.
Essendo alle sue spalle non riuscii a vederla, ma accolsi il suo nome con una smorfia di disgusto: ero stata così bene in sua assenza.
Un millesimo di secondo dopo una chioma rossa si fiondò come un fulmine contro il petto di Dave. Il ragazzo, che non nascose un certo imbarazzo, cinse a sua volta il corpo di Caren in un abbraccio. La scena stucchevole fece sbocciare in me un misto di irritazione e disgusto, sentimenti che associai alla presenza dell’odiatissima Caren.
Oltrepassai la coppia mentre Caren mi rivolgeva uno sguardo di trionfo da sopra la spalla di Dave e gli dava un bacio sulla guancia. Non riuscii a trattenere una smorfia di disgusto. Davvero pensava che sarei stata gelosa di quel gesto?
Che sciocca.
Mi sedetti sul divano mentre i due scioglievano il loro abbraccio.
Poi fu un istante. La chioma rossa si precipitò verso di me saltandomi praticamente addosso e facendomi finire distesa sul divano con Caren che mi abbracciava forte.
“Mar!” esclamò la ragazza con un euforia che mi fece venire i brividi. Cercai di allontanarmi il più possibile da quella morsa sorpresa e allo stesso tempo disgustata da quel comportamento assurdo e infantile.
Dopo pochi secondi, che però a me parvero un’eternità, durante la quale ero diventata rigida come un pezzo di legno, Caren sciolse l’abbraccio-morsa e si allontanò da me permettendomi di sedermi in modo composto. Nonostante ciò continuai a guardarla come se fosse un’aliena.
Che diavolo le era preso?
Mi sorrise con gioia e non potei evitare di fare una smorfia.
“Mi dispiace così tanto di aver litigato con te Mar!” mi disse infrangendo tutti i miei dubbi sulla sua improvvisa pazzia. Non c’era più spazio per l’incertezza: era davvero impazzita.
Inarcai un sopracciglio.
“Chi sei tu? Cosa ne hai fatto di Caren?” domandai a mezza voce mentre mi allontanai il più possibile da lei, come se la follia potesse essere contagiosa.
In tutta risposta Caren ridacchiò come un’oca  e mi rivolse uno sguardo dolce che creò in me un disgusto ancora maggiore.
Preferivo l’altra Caren, quella antipatica, piuttosto che quella versione di Emily con i capelli rossi che mi trovavo dinnanzi.
“Voglio che andiamo d’accordo!” disse con tono speranzoso con gli occhi che le luccicavano per la gioia. Possibile che fosse così felice per aver pronunciato quelle semplici parole? A me non convinceva affatto, soprattutto perché quella stessa ragazza mi aveva minacciata, per modo di dire, di stare alla larda da Dave. Non poteva essere la stessa persona!
Dave le si avvicinò e le diede un buffetto sulla testa, cosa che la fece voltare verso di lui per rivolgergli uno di quei sorrisi radiosi che improvvisamente aveva imparato a fare dal nulla.
In tanto Dave era venuto a letto con me e non con miss sorriso splendente. Tale pensiero mi fece sorridere vittoriosa.
“Caren tu sì che sei una persona adulta, non come qualcun altro qui …”disse Dave lanciandomi un’occhiata eloquente e facendo spegnere il mio ghigno.
“Sta’ zitto Dave!” sbottai non tanto perché le sue parole mi avessero irritato, quanto per la sua stupidità. Come poteva non rendersi conto di quanto era incoerente il comportamento di Caren? Insomma lui sapeva perfettamente che ci odiavamo eppure reputava perfettamente normale che lei, da un giorno all’altro, decidesse di riappacificarsi con me. Assurdo. Non poteva aver avuto un’illuminazione in sole 24 ore di assenza, era molto più probabile che volesse farmi abbassare la guardia per poter vincere Dave.
Dave non sarebbe mai stato suo, non perché il ragazzo era speciale, ma per una semplice questione di principio: era mio, punto.
“Però ti devi impegnare anche tu Mar!” mi disse in modo materno Caren “Altrimenti non andremo mai d’accordo!”
Come se il mio unico desiderio fosse stato quello di andare d’accordo con lei.
Non sarei riuscita a sopportare un momento di più in cabbandonai la stanza lasciandoli entrambi a bocca aperta.
Chiusi la porta della camera alle mie spalle e mi adagiai sul letto. Guardai il soffitto e sorrisi gioiosa.
Cosa importava dopotutto delle stranezze di Caren? Tanto Dave era già mio.
E cosa importava della maledizione, che fosse vera o meno? Non ci diceva comunque come sconfiggere Alan Black.
Le cose che realmente importavano erano le certezze e in quel momento io ne avevo una sola.
Tirai fuori dal nascondiglio il libro bianco che avevo prelevato dalla stanza di Dave e con un sorriso soddisfatto lo aprii, sfogliandone distrattamente le pagine. La mia certezza era che possedevo entrambi i poteri, cinquanta e cinquanta, e questo mi rendeva colei che aveva più poteri di tutti i giocatori.
In quella partita a combattere eravamo in tre: io, Alan e Dave. Io avevo il 50% del potere nero e il 50% di quello bianco, il che mi rendeva padrona di entrambi in egual misura.
Sarei stata superiore a chiunque avrebbe vinto lo scontro finale. Allora perché volevo ancora aiutare Dave?
Forse perché avevo dato la mia parola. Ma da quando in qua prestavo fede alla parola data?
Scrollai le spalle mettendo da parte quella domanda che rischiava di turbare la mia serena quiete.
Nel fare ciò con  la coda dell’occhio vidi la maniglia della porta abbassarsi. Improvvisamente il cuore prese a battermi all’impazzata: stavo per essere scoperta con le mani nel sacco, anzi sul libro.
Immediatamente nascosi il volume al di sotto del cuscino e mi distesi su un fianco per dare l’impressione, a chiunque fosse entrato dalla porta, di non aver fatto altro se non stare distesa in quella posizione per tutto il tempo.
“Ciao!” la voce di Dave mi arrivò calda all’orecchio mentre sentivo il materasso piegarsi sotto il suo peso, segno che si era seduto. Alzai leggermente la testa in modo tale da vederlo e mi ritrovai a sorridere di fronte a quegli occhi verdi che mi scrutavano come se volessero rimproverarmi. Notai anche che i capelli neri erano leggermente spettinati e che quel piccolo tocco lo rendeva ancora più sexy e desiderabile.
“Ciao!” sussurrai leccandomi le labbra, dimenticandomi completamente del libro che nascondevo malamente sotto il cuscino. Mi misi in ginocchio sul letto avvicinandomi a lui.
“Non ti fidi!” sbuffai divertita. Da quel punto ci eravamo già passati.
“Te l’ho già detto …” sussurrai con voce sexy “… Alex è un bugiardo!”
“E tu sei diffidente di natura!” aggiunse Dave facendo il sorriso di chi la sa lunga. La mia risposta fu un’espressione maliziosa.
“E’ l’effetto che provoca vivere con Alan: bisogna diffidare anche della propria ombra!”
Mi avvicinai al suo collo lasciandogli un bacio e sorridendo mentre la sua pelle veniva visibilmente percorsa dai brividi. Ero felice di essere io a provocarglieli e non quell’oca di Caren.
“Comunque mi riferivo a Caren!” precisò con un po’ di fatica Dave. Lo stavo distraendo, ottimo!
“No, non mi fido!” confermai spostandomi con le labbra in su, verso la sua mascella.
“Perché?” cercò di articolare.
“Perché la conosco meglio di te!” gli diedi un bacio sull’angolo della bocca e lo vidi socchiudere gli occhi per il desiderio. Però a quanto pare era l’unico uomo sulla faccia della terra che aveva voglia di parlare quando si trovava in una stanza da solo con una bella ragazza. Infatti mi prese dolcemente per le spalle e mi allontanò da lui quel poco che bastava era farlo tornare a riflettere con lucidità. Da un lato rimasi infastidita da gesto, dall’altra lusingata: mi faceva piacere che non riuscisse a ragionare in mia presenza.
Mi guardò con espressione seria. Alzai gli occhi al cielo, avrei preferito fare altro piuttosto che stare lì ad ascoltare la paternale che probabilmente stava nascendo nella sua mente.
“Dalle fiducia!”
Il mio viso assunse una sm0orfia di scherno.
“Perché?”
“Perché è sincera!”
“E’ sincera ‘parchè lo dici tu vero?” lo schernii alzando un sopracciglio “Lei mi odia! Poco più di 24 ore fa mi ha intimato di starti lontana perché tu eri suo!” sorrisi di fronte alla mia rivelazione.
Lo vidi rabbuiarsi, abbassò lo sguardo come se si sentissi colpevole.
“No!” sussurrò più a se stesso che a me.
Scossi la testa senza capirlo.
“Avevo il sospetto che si fosse invaghita di me, accidenti!” sembrò quasi arrabbiato con se stesso.
“Modesto!” constatai.
“Tu non capisci!” scosse la testa sempre più desolato. Socchiusi gli occhi infastidita dal suo comportamento nei miei confronti. Non ero una stupida, anzi.
“Illuminami!” lo schernii.
Alzò lo sguardo verso di me.
“Ho sospettato che si stesse prendendo una cotta per me e non voglio che soffra dal momento che non ricambio!”
Ridacchiai per l’inutilità del problema che si era posto. Se un ragazzo mi avesse detto di essere innamorato di me io ne avrei approfittato, mi sarei fatta fare dei regali, mi sarei fatta trattare come una regina, invece lui era triste perché Caren avrebbe sofferto. Patetico. Eppure da un lato ero felice che non approfittasse di lei, perché ciò avrebbe voluto dire darle l’illusione che Dave fosse suo. Ormai era una questione di principio, Dave non sarebbe mai stati di quell’oca!
“Sei troppo buono e gente sempliciotta come Caren ci casca!” constatai semplicemente.
Alzò gli occhi per incontrare i miei, nel suo sguardo vi era un muto rimprovero, ma non trovò nulla da ridire.
“Hai ragione!” a tali parole sbarrai gli occhi e temetti di non aver sentito bene: mi stava dando ragione? “Ma è la mia natura essere buono!” aggiunse quasi con rammarico.
Poi improvvisamente sbarrò gli occhi come se fosse colto da un’illuminazione.
“Come è nella tua natura non esserlo!” continuò. Dentro di me partì un coro di ovazioni. Dave c’era arrivato! Noi seguivamo soltanto la nostra natura. La mia derivava dall’educazione impartita da Alan, la sua probabilmente era una cosa genetica considerando il carattere accondiscendente che aveva sua madre.
Il verde dei suoi occhi si fuse con il nero dei miei e poi sorrise con amarezza.
“E’ così ingiusto!” constatò.
“Cosa?”
“Che io e te siamo così diversi, incompatibili. Siamo il giorno e la notte, eppure siamo anche due poli opposti di una calamita, nord e sud, che inevitabilmente si attraggono!” la sua voce si abbassò fino a diventare un sussurro mentre il suo corpo di avvicinò automaticamente al mio.
Allungò la mano verso la mia guancia per lasciare su di essa una morbida carezza con il dorso dell’arto. Mi irrigidii, dopotutto non ero affatto abituata a quelle dimostrazioni di affetto.
Lo vidi deglutire.
Il mio cuore accellerò i battiti. Mi stavo eccitando, eppure mi stava solo sfiorando. La cosa che più mi colpii fu il suo sguardo così acceso, come se al suo interno stesse bruciando uno strano fuoco le cui fiamme emettevano una luce verde intensa.
Era la sua eccitazione che splendeva in essi, che di riflesso animava la mia, che di conseguenza rinvigoriva la sua, e via dicendo in una sorta di circolo vizioso.
Ci alimentavamo l’uno dell’altra.
“Tu non hai idea dello sforzo che devo fare ogni volta che mi se vicina. Sento la tua presenza come se l’aria diventasse elettrica, sento che una forza mi spinge verso di te. Posare lo sguardo sulle tue curve, sulla tua bocca …” fece una pausa posando gli occhi sulle mie labbra. Se fossi stata padrona di me stessa  probabilmente me le sarei leccata per provocarlo, ma ero totalmente rapita dalle sue parole perché mi avevano totalmente sorpresa: quegli istinti li sapeva nascondere alla perfezione.
“… dio, il solo pensarci mi fa venir voglia di prenderti qui in questo preciso istante!” divenne quasi rude nel pronunciare quest’ultima frase, ma ciò non fece altro che alimentare il mio desiderio di saltargli addosso all’istante. Solo che le sue parole mi tenevano inchiodata dov’ero il tutto perché volevo sentirle ancora. Volevo che mi dicesse dell’altro, che mi eccitasse ancora con quei semplici suoni che uscivano da quelle labbra così perfette. Chi l’avrebbe mai detto che le parole potessero avere un tale potere?
“Eppure mi trattengo!” aggiunse con sofferenza  quasi fisica “Perché è sbagliato!”
Il mio respiro accellerò.
“Non è sbagliato!” sussurrai con voce roca, mi stupì che mi venisse del tutto naturale e che non la stessi utilizzando apposta per sedurre il mio interlocutore, come facevo sempre.
“Oh sì che lo è!” rispose lui tra i denti avvicinando il suo viso al mio. Mi allontanai impercettibilmente e scivolai all’indietro finendo distesa sul letto. Tentai di rialzarmi poggiandomi sui gomiti, ma lui bloccò la mia risalita ponendosi a cavalcioni su di me.
“Ed è così eccitante fare qualcosa di proibito!” disse quasi come se si stesse rimproverando. Poi le mie labbra e le sue si unirono in un connubio di respiri accelerati. Per la prima volta lui aveva preso l’iniziativa con me. Fu un attimo e le mie mani si ritrovarono a vagare tra i suoi capelli, fu un attimo e mi ritrovai sdraiata completamente sotto di lui, facendo aderire il mio corpo al suo.
Sentendo ogni fibra, ogni voglia, ogni muscolo teso.
Fu un attimo.
La sua mano scivolò per sbaglio sotto il cuscino e un secondo più tardi lo vidi irrigidirsi mentre estraeva dal pessimo nascondiglio il libro bianco che avevo recuperato da camera sua.
Il suo viso assunse mille colori diversi. Dapprima divenne pallido lanciando sguardi increduli a me e poi al volume, dopo di che divenne rosso per la rabbia.
I suoi occhi erano talmente minacciosi che mi parve che da essi fuoriuscissero scintille.
Ebbi un brivido. Un brivido di paura.

“TU!” urlò allontanandosi da me con un unico balzo. Si piantò nel centro della stanza e mi guardò con aria furente come se fosse indeciso tra il prendermi a schiaffi e lo scappare via.
“TU!” ripetè ansimando e scuotendo incredulo la mano che reggeva il libro.
“LO SAPEVO CHE NON MI SAREI DOVUTO FIDARE DI TE!” sbraitò con gli occhi fuori dalle orbite. Cercai di calmare il mio respiro eccitato, provocato dal suo precedente assalto e cercai di ribattere.
“Te l’ho detto che è meglio essere diffidenti! Ma tu sei testardo!” lo dissi come se volessi attribuirgli la colpa di ciò che era successo, dopotutto se lui fosse stato più attento io non sarei stata nemmeno a conoscenza dell’esistenza del libro bianco. Sciocco e credulone.
“NON OSARE FARMI LA MORALE MAR! NON TI RIESCE BENE!” urlò ormai fuori di sé.
Mi alzai in piedi infastidita dl tono che stava usando.
“Io sono consapevole dei miei difetti e so che sarei la persona meno adatta a farti la morale …”
Difetti? Quali difetti? Ero perfetta! Probabilmente ero troppo irritata per parlare connettendo il cervello alla bocca, ma nonostante tutto continuai “…però a differenza tua riconosco ciò! Tu invece fai il santerellino perfettino e poi te la prendi con me perché sei un autentico stupido! Mi giudichi, mi attribuisci colpe e nulla va a finire sulle tue spalle!” sbottai animandomi.
“Pessimo tentativo di cambiare discorso!” sibilò socchiudendo gli occhi e guardandomi con odio.
“Non si tratta di un cambiamento di discorso, ma di una costatazione. Non siamo forse alleati? Io ti ho raccontato tutto. Ti ho fatto leggere il diario di tua madre che IO ho trovato, ti ho parlato dei miei poteri, grazie a me conosci i tuoi nemici. E tu come mi ripaghi?” feci una pausa per riprendere fiato di fronte a quell’esplosione incontenibile di parole che fuoriuscivano con foga dalle mie labbra “Non dicendomi di quel libro!” lo indicai alzando l’indice.
“Quel libro è speculare a quello di Alan. Leggi il titolo!” continuai.
Dave mi guardò con espressione scettica senza distogliere gli occhi furiosi dai miei.
“Leggilo!” sibilai imperiosa sperando che mi desse ascolto.
“Non ce n’è bisogno, lo conosco perfettamente!”
Ovviamente.
“Quello che non conosci è il titolo del libro nero di Alan. I due titoli presentano dei puntini di sospensione. Uno li  presenta all’inizio e l’altro alla fine. Eliminandoli si ottiene un titolo molto più comprensibile: ‘Gioco di sguardi’!”
Dave si sforzò di mantenere un’espressione impassibile quando potei leggere chiaramente nei suoi occhi lo stupore.
“Quello che mi fa più rabbia è che tu avevi intuito da subito che il tuo libro doveva avere qualche analogia con quello di cui parlava Alan quando eravamo rinchiusi in quel bagno. Ti ho visto! Hai fatto una faccia sorpresa, come se improvvisamente avessi avuto un’intuizione. Lì per lì naturalmente non compresi, ma pian piano tutto mi fu chiaro. Quando hai sentito che la fonte del potere di Alan era il libro ti sei reso conto che la sua situazione non era poi così diversa dalla tua. A confermare ciò c’è che tu eserciti i tuoi poteri in modo analogo a quello di Alan e al mio, con gli occhi. Poi più volte ti sei lasciato sfuggire dell’esistenza di quel libro che tieni in mano! È per colpa tua che mi sono insospettita e che ho deciso di trovarlo! Speravo che potesse contenere delle informazioni, che ci potesse dire come sconfiggere Alan Black, ma nulla!” conclusi.
“L’hai aperto?” la voce di Dave salì inverosimilmente di un paio di ottave e lo sconcerto lasciò posto ad una nuova ondata di travolgente ira.
Non risposi.
“OMMIO DIO! L’HAI APERTO! NON TI BASTAVA AVERE IL POTERE DI ALAN, VOLEVI ANCHE IL MIO!” sibilò con cattiveria ormai fuori di sé.
“Forse…” risposi tranquillamente, dopotutto ero anche stata mossa da questo proposito “…o forse no! Come ti ho già detto volevo trovare un modo per sconfiggere Alan!”
Lo vidi scuotere la testa come se fosse addolorato a causa della mia condotta.
“Mi sono fidato…” sussurrò con rammarico.
“Forse hai fatto bene e forse no! Devi essere diffidente Dave!” non sapevo perché volevo a tutti costi che lui lo capisse, forse speravo che potesse essere meno ingenuo in futuro “Hai sempre saputo che mi sono alleata con te per puro interesse personale ed era ovvio che mi sarei mossa, in un modo o nell’altro, in una direzione che tu non avresti approvato. Mi sembrava che fossimo su un binario morto, placcati da un nemico che paradossalmente sapeva più di noi di quanto noi sapessimo di lui, quando doveva essere il contrario. Come se non bastasse il mio alleato mi nascondeva la fonte del suo potere e cosa vi era scritto al suo interno. Così mossa da curiosità, desiderio di farmi giustizia da sola e dalla mania di potere, ho recuperato il libro!”
Dave parve improvvisamente più vecchio di un milione di anni, era come se fosse improvvisamente stanco, si sedette sul letto di Caren appoggiandosi il libro in grembo per poi prendersi la testa tra le mani.
Sospirò.
“Quando l’hai preso?”
Deglutii. Improvvisamente non volevo che sapesse perché temevo la sua reazione.
“La notte in cui mi hai chiesto di restare!”decisi di rispondere.
Sorrise amaramente.
“Dovevo aspettarmelo!” si rimproverò. Provai una stretta allo stomaco nel vederlo così deluso, ma la ignorai.
Mi sedetti a mia volta sul mio letto pronta all’interrogatorio: la rabbia aveva lasciato posto alla curiosità.
“E’ stato utile?” domandò.
“Sì e no!”
“Che razza di risposta è?”
Sospirai.
“Ho avuto la conferma che il tuo potere e quello di Alan sono complementari, due facce di una stessa medaglia, bene e male, egoismo e altruismo, ho capito che …”
Improvvisamente ebbi un’intuizione. Come avevo fatto a non pensarci prima?
Ripensai ai titoli che i due libri avevano.
Gioco di…
…sguardi.
Eliminare i puntini di sospensione significava unire i due titoli, unire i due titoli significava unire i due libri.
Persi un battito.
Due libri che in origine facevano parte di uno solo.
“O mio dio!” esclamai sconcertata per essere stata così cieca! Forse Grace, nel suo diario, non diceva nulla che potesse esserci utile per sconfiggere Alan, ma metteva a posto un’altro tassello di quel complesso puzzle. E io avevo reputato quel diario inutile.
“Cosa?” la voce di Dave riacquistò un po’ di tono.
“Il libro dalla doppia copertina! Quello maledetto!” Alzai gli occhi per puntarli in quelli di Dave che mi fissavano ancora senza capire.
“Rifletti!” continuai “Il libro dalla doppia copertina aveva una copertina nera e una bianca. Il tuo libro è bianco e quello di Alan è nero. I loro titoli sono complementari, come se un tempo fossero stati uniti. Inoltre il libro maledetto non si deve aprire!”
“Piccolino mio, ti dono questo libro, non lo aprire mai capito? Ti voglio un bene dal profondo dell’anima anche se non avrò la fortuna di conoscerti . Mi raccomando non dimenticarmi mai. Ti voglio bene. La tua mamma.”  recitò quasi in un sussurro Dave mentre gli occhi gli divenivano umidi a causa di chissà quale emozione.
“Eh?” ma era scemo? Perché aveva pronunciato quella frase?
“E’ il biglietto che trovai sul libro bianco la prima volta che lo vidi. Mi madre mi intimava di non aprire il libro, così come lo aveva scritto a lei mio nonno…” fece una breve pausa di riflessione “Ma il libro non era doppio, ne sono certo! C’era solo quello bianco!”
Improvvisamente mi illuminai.
“Qualcun altro deve averli separati!” mi sentii invadere dalla gioia per l’improvvisa comprensione.
“Magari aprendoli!” continuò Dave.
“Probabilmente se qualcuno apre il libro maledetto esso si scinde nelle sue due componenti!” cercai di spiegare.
“Bene e male, luce e buio!” gli occhi di Dave si illuminarono.
Gli sorrisi. In quel momento le nostre menti navigavano sulla stessa lunghezza d’onda.
“Alan!” dissi sorridendo.
Dave annuì con vigore.
“Deve aver aperto il libro dalla parte della copertina nera e quindi deve averli separati, solo che deve aver lasciato la parte bianca!” continuai “Che adesso hai tu!”
“Accidenti, tutto ha un senso! Quindi io sono il custode del libro, ma anche il detentore di uno dei poteri!” esclamò Dave.
Annuii senza nemmeno ribattere, improvvisamente davo per scontato che la storia che ci aveva raccontato Alex fosse assolutamente reale, anche perché solo in quel modo tutto poteva combaciare.
“Forse il custode non doveva aprire il libro per questo mia madre doveva avermi scritto quel biglietto! Probabilmente il custode doveva limitarsi a fare il custode, ma io sono diverso perché ho il potere del libro bianco!”
“Potrebbero essere le basi per rompere la maledizione!” riflettei “Il fatto che tu sia diverso dagli altri potrebbe cambiare tutto!” il mio sorriso aumentò. Mi affrettai a eliminarlo, o quantomeno a provarci, perché mi sentivo così stupida per essere felice del fatto che Dave si sarebbe potuto salvare mentre ancora non sapevamo come sconfiggere Alan.
“Forse… ma come?” ribattè Dave.
Sospirai. Eravamo al punto di partenza. Avevamo avuto un intuizione e questa ci aveva permesso di vedere le cose più chiaramente, ma concretamente ancora non potevamo fare nulla, avevamo le mani legate.
Poi però sorrisi soddisfatta felice di aver trovato una soluzione.
“Dave! Non so come rompere la tua maledizione, ma probabilmente so come sconfiggere Alan!”
Il ragazzo mi rivolse uno sguardo interessato e fiducioso, così iniziai a parlare.
“Prima, all’epoca della festa dei medici non poteva funzionare il gioco di sguardi tra di voi perché, come dice Alex, non avevate uguale quantità di potere. Tu ne avevi di più perché il 50% del potere del libro nero era in me.
Ora però le cose cambiano! Io ho aperto anche il tuo libro quindi è come se ti avessi rubato il 50% del potere.
Conclusione: tu e Alan ora avete la stessa quantità di potere quindi se i vostri occhi si incontrano entrambi saranno annullati!”
Ero felicissima della mia intuizione. Era davvero geniale.
“Così in definitiva tu rimarrai l’unica ad avere entrambi i poteri!” ribattè. Non era triste o arrabbiato, anzi il suo tono era quasi canzonatorio. Sorrisi. Infondo era quello che fin dall’inizio della mia collaborazione con Dave volevo ottenere no?
Praticamente avevo già vinto. Il mio sorriso si mutò in un espressione di puro trionfo.
“Immagino di sì!” risposi senza riuscire a nascondere il mio orgoglio per essere riuscita a compiere la mia impresa.
Dave sorrise di riflesso, ma la sua era un’espressione divertita.
“Non funzionerà!” disse la sicurezza e la felicità di uno che ha vinto la medaglia d’oro alle olimpiadi.
Alzai un sopracciglio sicura di me.
“Scommetti?” lo sfidai mentre l’ombra di un ghigno si faceva strada sul mio viso.
Lui si rallegrò maggiormente.
“Tutto quello che vuoi!” accolse la sfida.
Gli sorrisi già pregustando la vittoria. Che sciocco! Mai sfidare Marguerite Jones, perché si finirebbe per perdere.
“Mettiti comoda Mar perché sto per raccontarti una breve storia che sfalderà sia i tuoi sogni di gloria sia la possibilità di sconfiggere Alan con lo sguardo, perché gli occhi sono un mezzo attraverso il quale il potere viene esercitato, ma la forza in sé è contenuta nel libro!”
Alzai un sopracciglio un po’ sorpresa, ma anche curiosa di sentire ciò che aveva da dire. Ero ancora convinta che alla fine avrei vinto io, come sempre.
“Avevo si e no quattro anni quando trovai lo scatolone degli effetti personali di mia madre. Ero un bambino curioso perciò ero contentissimo di aver fatto quella scoperta. Felice come un esploratore che scopre per la prima volta l’America rovesciai a terra il contenuto e mi misi a frugare tra le sue cose. Si trattava per lo più di libri scolastici e di fotografie, ma questo vecchio volume attirò la mia attenzione.
La rilegatura e la sua evidente età avanzata gli davano un’aria vissuta, così simile al libro del mago Merlino che avevo visto più volte nel cartone di re Artù. Come potevo resistere alla tentazione di aprirlo? Immaginai di diventare un grande mago e che probabilmente mi sarei messo al servizio di qualche re come Artù.”
 Sorrise con dolcezza riportando alla mente quei sogni infantili e non potei far altro che pensare che doveva essere un bambino dolcissimo. Dentro di me feci una smorfia: odiavo i bambini.
“Notai il bigliettino su di esso e tentai di leggerlo, ma non ne ero capace, dopotutto un bambino di quattro anni non sa legere! Così mi inventai le parole che quel piccolo post-it giallo doveva contenere. Immaginai una lettera al futuro mago Merlino che sarei stato io, così, con un sorriso andava da un orecchio all’altro aprii il volume, ma ciò che avvenne dopo non era quello che mi aspettavo.
Una scarica di energia mi colpì, la sentii invadermi completamente prima di perdere i sensi. Quando mi svegliai mi trovai disteso sul pavimento della camera circondato dalle cianfrusaglie di mia madre, tra le quali spuntava quel libro. Ne abbi paura e corsi via dalla nonna piangendo. Le raccontai tutto, ma lei pensò che le mie fossero tutte fantasie.
Col tempo me ne dimenticai, ma i ricordi riaffiorarono quando a sedici anni riscoprii quel volume. Fu allora che lo lessi e che imparai a fare ciò che ora so fare!”
“Non vedo questo come possa dimostrare che Alan non si può sconfiggere nel modo che ho suggerito io!” gli feci notare con soddisfazione “Questo prova solo che i poteri sono entrati in te quando a quattro anni hai aperto il libro, ma che tu hai imparato ad usarli quando l’hai letto! Stop. Solo questo!” adoravo infierire sul perdente.
Ma con mia sorpresa, invece che assumere un’espressione abbattuta Dave sorrise.
Il sorriso di chi la sa lunga.
“Dimentichi un piccola particolare Mar! La storia che ci ha raccontato Alex! Grazie alle sue parole ho ricordato che due anni dopo la fatidica apertura del libro Alan si è presentato a casa mia. All’epoca, dato che tu eri in macchina con lui, doveva già aver aperto il libro nero dal momento che aveva già soggiogato tua madre. Inoltre abbiamo appurato che se io in casa avevo solo il libro bianco lui in un tempo precedente probabilmente aveva aperto il volume dalla doppia copertina dalla parte nera. In conclusione aveva già i poteri che ha oggi, così come ce li avevo anche io, nonostante avessi sei anni.
Quella notte i nostri occhi si incrociarono, si scrutarono. I nostri poteri erano uguali perché ancora nessuna Mar ci aveva privati di essi, eppure eccoci qui, dopo vent’anni, in possesso delle stesse facoltà.
Probabilmente quando  con lo sguardo cercò di soggiogarmi il mio corpo reagì d’istinto impedendoglielo e così lui, un po’ sorpreso, sparì dalla mia vita.
Vuoi la conclusione Mar? Non è con lo sguardo che riuscirò a sconfiggere Alan Black!” concluse senza nascondere la sua soddisfazione.
Impallidii. Ero così sicura di vincere che quel colpo mi ferì più di quanto avrebbe fatto normalmente. Non sarei rimasta l’unica con dei poteri allora.
“Resta il fatto che ho entrambi i poteri!” sbottai alzando il mento con fare superiore. Ne sarei comunque uscita a testa alta, sia vincente che perdente “Sempre che tu non decida di uccidermi come vuole fare Alan!” sibilai tagliente. Dopotutto non era da escludere anche quel possibile risvolto.
Sgranò gli occhi incredulo e anche un po’ deluso.
“Lo credi davvero?” mi domandò con voce quasi sofferente.
“L’animo dell’uomo è oscuro, chi può dirlo?” risposi con semplicità.
“A volte sei davvero insopportabile, ma non penserei mai ad ucciderti!” disse con dolcezza cercando i miei occhi. Mi vennero i brividi. Ci mancava solo che mi dichiarasse il suo eterno amore e mi sarei messa a vomitare. Cercai così di cambiare argomento.
“Niente più segreti?” gli tesi la mano e lui sorrise guardandola.
“Niente più segreti!” la strinse estendendo la felicità ai suoi occhi.
“A proposito di segreti! Ho raccontato tutta la storia del diario e del libro a Caren!” continuò con un tono un po’ timoroso.
Cosa aveva appena detto?
A Caren? Che stupido.
Che razza di deficiente, sconsiderato e credulone. Caren a me non ispirava fiducia, affatto! Lui continuava a dargliela!
Cercai di reprimere una serie di insulti poco idonei ad una bocca bella come la mia, dopo di che lo guardai in cagnesco. Lo vidi rabbrividire prima di voltargli e spalle e di dirigermi verso la porta di casa.



Camminai senza sapere con precisione dove fossi diretta, lasciai i miei piedi vagare per la città senza comandarli in maniera diretta. Avevo la mente vuota, stranamente.
Non avevo mai avuto la mente vuota. Dopo l’iniziale esplosione di pensieri  si era spenta, come se avessi già pensato tutto quello che potevo.
Quando ripresi coscienza da quella specie di sonno mi guardai attorno cercando di capire dove i miei passi mi avessero condotta e con sorpresa scoprii di essere arrivata davanti a casa di Emily.
Sorrisi tra me e me. Emily era perfetta per lenire il mio strano stato d’animo, lei era sempre stata il banco di prova dei miei poteri, un docile strumento nelle mie mani, cosa le avrebbe impedito di essere in quel modo anche quel giorno?
Mi sfregai le mani soddisfatta, non vedevo l’ora di poter utilizzare i miei nuovi esilaranti poteri.
Il dubbio era su cosa avrei potuto chiederle di fare. Il potere prelevato dal libro bianco era positivo quindi avrei dovuto chiederle di fare qualcosa di buono? Non ne avevo idea! Non sapevo cosa sarei stata in grado di fare e quindi quale migliore occasione per capirlo?
Allungai l mano verso il citofono e sorrisi. Per me sarebbe iniziata una nuova partita di quel gioco di sguardi, una partita dalla quale sapevo sarei uscita vincitrice!



Emily si fiondò addosso a me, ma perché aveva quello strano ed esuberante modo di salutare? Non bastava un semplice ‘ciao’?
Come al solito ricambiai l’abbraccio un po’ schifata dandole delle pacche sulla spalla.
“Mar! Come stai? Come sta Dave?”
Rimasi un attimo stordita dalle sue parole. Perché non mi poteva farmi rispondere ad una domanda per volta e doveva farmene diecimila tutte assieme?
“Bene! Perché credi che Dave sia con me?”
Lei mi guardò sbalordita, come se avessi appena detto un’assurdità.
“Ma perché state insieme, ovvio!”
Alzai gli occhi al cielo. Quella ragazza andava completamente riprogrammata! Non c’era una cosa in lei che funzionasse a dovere.
“Ho saputo che state fuori città!” continuò imperterrita sempre più felice.
“Eh?” e questo come diavolo lo sapeva?
La guardai decisamente stupita. Le sue doti da stalker non avevano limiti.
Mi ignorò nuovamente.
“Mi dispiace solo che quella tua amica dai capelli rossi rovini le vostre giornate con al sua presenza!”
“Cosa?” e come diavolo sapeva che Caren era con noi?
Sperai che qualcuno la sopprimesse prima che potesse riaprire quella fornace di bocca che si ritrovava, ma le mie preghiere non furono ascoltate.
“Oh  vieni con me, devo farti vedere cosa ho comprato!” mi afferrò il polso e mi trascinò nella camera facendomi quasi inciampare nei miei stessi piedi.
E poi a me cosa mi importava di ciò che aveva comprato?
Imposi ai miei piedi di non seguirla così, sentendo resistenza da parte mia, Emily si votò verso di me e mi guardò con un grosso punto di domanda stampato in faccia.
Sorrisi tra me e me per la sua momentanea mancanza di parole e la afferrai per le spalle.
“Come fai a sapere tutte queste cose Emily?” domandai freddamente cercando i suoi occhi. lei però abbassò lo sguardo e arrossì.
“E-ecco io…” iniziò balbettando. Alzai gli occhi al cielo per impedirmi di dirle qualcosa d cattivo, dal momento che odiavo quando balbettava.
“Parla!” la intimai.
Lei sospirò.
“Ecco… me l’ha detto lo zio di Dave! Ero venuta a trovarti ed ero sicura che tu fossi a casa di Dave! Ma voi non c’eravate! Così ho saputo il resto!”
La lasciai andare. Emily poteva essere timida fino all’inverosimile, ma al contempo era anche la persona più curiosa ed invadente dell’universo. Senz’ombra di dubbia andava riprogrammata.
In quel momento alzò gli occhi e a vidi sospirare di sollievo nel vedere che non ero arrabbiata con lei.
Ghignai. In quel momento i suoi occhi erano nei miei ed io avrei potuto ordinarle di fare una qualsiasi cosa.
Mi focalizzai sulle sue iridi e cercai di capire quali fossero le emozioni che dominavano in lei.
Sollievo, imbarazzo, gioia.
Empatia.
Dovevo fare quelle emozioni mie.
Ero sollevata, imbarazzata e gioiosa.
‘In realtà non credi che io stia con Dave. Dillo!’ ordinai silenziosamente.
Emily sbattè un paio di volte le palpebre e mi rivolse uno sguardo perplesso.
Riprovai.
‘In realtà non credi che io stia con Dave. Dillo!’
“Tutto bene Mar? Sembri spiritata!” disse Emily con una leggere punta di divertimento nella voce.
Aggrottai le sopracciglia perplessa. Perché il comando non passava?
Probabilmente dovevo chiederle di fare una cosa che non supportasse il mio egoismo dato che avevo anche metà dei poteri di Dave.
Dentro di me sbuffai di fronte a tale idea, ma immediatamente mi ripresi. Ero ansiosa di vedere fin dove sarei potuta arrivare con i miei nuovi poteri.
Sorrisi gioiosa al solo pensiero e mi concentrai. Cosa potevo chiederle di non egoistico?
Un abbraccio. Rabbrividì, ma riuscii a nascondere una smorfia schifata.
Reincominciai da capo. Occhi. visualizzai gli occhi.
Emozioni.
Perplessità, divertimento, gioia.
Empatia.
 ‘Abbracciami!’ comandai.
Emily rimase immobile e mi fissò come se lentamente stessi impazzendo e anche un po’ preoccupata. Portò una mano sulla mia fronte.
“Sicura di sentirti bene? Sei così pallida…” constatò.
Il mio cuore prese a battere sempre più velocemente. Perché non funzionava? Cosa sbagliavo? Io non avevo mai sbagliato!
Dannazione! Forse per far funzionare i poteri di Dave serviva qualcosa di più altruista, qualcosa che non fosse rivolto a me.
‘Dai i tuoi vestiti più belli ai poveri!’
Doveva funzionare.
Eppure Emily rimaneva immobile, con lo sguardo sempre più preoccupato.
“Siediti un po’!” mi intimò tirandomi per il braccio. Bruscamente mi liberai della sua stretta.
Lei mi fissò stupita. Non mi ero mai comportata in quel modo, ero sempre stata dolce e buona con lei. Ma io non ero così. Io ero cattiva, perfida, piena di poteri ed ero stanca di vivere quella farsa.
Ma perché quegli enormi poteri che portavo in me non funzionavano?
Perché?
 Scossi la testa. Mi rifiutavo di credere che non funzionassero, probabilmente non volevo veramente quelle cose che avevo chiesto. Dopotutto erano così altruiste!
Forse a causa del mio animo non potevo usare appieno i poteri di Dave, dal momento che non avrei mai voluto cose che non fossero egoistiche, però i miei poteri dovevano sempre funzionare no?
I poteri del libro nero non potevano essersi dissolti.
Riprovai per l’ennesima volta. fissai i miei occhi in quelli di Emily.
Emozioni: Stupore, preoccupazione, ansia.
Empatia.
‘Non parlare!’ ordinai.
Sorrisi soddisfatta. Non c’era cosa che volessi di più di questa in quel momento!
“Siediti Mar!” le parole uscirono dalla bocca di Emily nonostante il mio ordine.
Scossi la testa. Doveva essere un’allucinazione.
“Ti prego!” continuò.
Sbarrai gi occhi.
Non era un’allucinazione. Aveva parlato.
Il mio comando non era passato. Com’era possibile? Cercai di concentrarmi, di sentire il potere che avevo dentro. Eppure vi era il nulla.
Nessun fiume di energia scorreva nelle mie vene. Nulla.
Quando lo compresi mi sentii improvvisamente fragile, come composta di vetro. Percepì che nel vetro vi erano numerose crepe e che presto si sarebbero distrutte.
Non ero più invincibile. Ero umana. Semplice.
Di fronte a quella consapevolezza il vetro si infranse e mi sentii così piccola in un mondo che fino a pochi istanti prima credevo di poter dominare. Piccola ed insignificante.
Lo sguardo mi si appannò, gli occhi mi pizzicarono. No.
Chiusi le palpebre per impedire a tutta quella fragilità di fuoriuscire. Io ero forte. Con o senza poteri.
Però un sottile rivoletto d’acqua, traditore, sfuggì dalle mie ciglia andando a scorrere sulla mia guancia.
Dannazione.
Emily era di fronte a me. Non doveva vedermi così. Nessuno doveva vedermi così.
Le voltai le spalle mentre il mondo mi crollava addosso.






Non posso credere di avercela fatta!
Risulta sempre più complicato scrivere i capitoli perchè devo far venire tutti i nodi al pettine e non è facile! Non credo nell'ispirazione quindi mi sto scervellando per trovare una soluzione a tutta questa enorme matassa che devo srotolare.... ma oggi ho macchinato una possibile soluzione!! Quindi anche il prossimo capitolo arriverà entro fine della settimana che deve venire!!

PASSO AI RINGRAZIAMENTI!!
nello scorso capitolo mi sono dimenticata di ringraziare tre persone (O MAMMA) che hanno deciso di farmi avere un loro parere in merito alla storia... hanno recensito quasi tutti i capitoli e mi sento in dovere di ringraziarle:
SilviaXD, Dreamer_on_earth, Veneris
Naturalmente non posso non ringraziare di cuore quell anime pie che mi hanno lasciato un commento:
Aly_Kinney_Rodriguez, Lucy_Fire , Dreamer_on_earth, nancywallace, SilviaXD,shadowdust, Pyra, RosyHyb, CHANELCOCO!!
Inoltre vi avviso che questa storia è quasi GIUNTA AL TERMINE!!! pochi capitoli e vedrà la parola 'fine'!
RECENSITE!!!!! :)
a presto!

Daisy

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Capitolo 29
*** CAP 28 ***


Per la vostra gioia questo capitolo è più corto dei precedenti. Armatevi comunque di pazienza e ... buona lettura ;)
Daisy

CAP 28

 
Se me lo avessero raccontato solo un giorno prima non ci avrei creduto, eppure era reale. Avevo perso tutto, perché erano i miei poteri a darmi la consapevolezza di essere migliore degli altri. Ma cos’ero senza di essi.
Camminavo in fretta per le strade della città, ancora una volta senza una meta precisa. Chiusi gli occhi e mi fermai sperando che in quel modo i pensieri smettessero di fluire nel mio cervello. Mi appoggiai al muro  e sospirai un paio di volte cercando di calmare il battito furioso del mio cuore.
Come avevo potuto essere più stupida? Come avevo fatto a non pensare che -100 e +100 si annullano?
Era matematico eppure io non ci avevo pensato. Che sciocca.
Odiavo autoisultarmi, ma mi veniva totalmente naturale. Accecata dal desiderio di potere non avevo pensato ad un possibile risvolto negativo! A dir la verità non avevo mai pensato ad un possibile risvolto che comprendesse la perdita dei poteri.
Era come se essi fossero nati e cresciuti con me eppure ce li avevo solo da poche settimane.
Non capivo.
Prima di aprire il libro nero ero in grado perfettamente di influenzare gli altri! Non avevo poteri veri e propri, eppure ci riuscivo! Perché in quel momento le cose erano cambiate? Potevo accettare la perdita della forza misteriosa che da settimane mi scorreva nelle vene, ma non la perdita di quelle capacità che avevo acquisito col tempo e col duro lavoro di una vita.
Digrignai i denti.
Il lavoro di una vita buttati nel cesso!  Come poteva essere successo tutto ciò.
Poi ricordai. Io avevo giocato al gioco degli sguardi con Dave e avevo perso.
Strinsi i pugni al solo pensiero e una rabbia cieca iniziò a pervadermi.
 Anche Caren aveva giocato a quel gioco e aveva perso, solo che lei aveva perso anche le sue facoltà, io no. Perché io avevo aperto il libro nero di Alan, la fonte del potere e, come avevamo intuito quel pomeriggio, la fonte del potere non si dissolve con un gioco di sguardi. Era solo per quella ragione che io riuscivo ancora ad esercitare le mie facoltà. Il fatto che con il suo sguardo Dave avesse risvegliato la mia coscienza mi impediva di esercitare qualsiasi tipo di comando, semplicemente perché il mio inconscio sapeva che non sarebbe stato giusto e quindi non ne sarei stata in grado.
Sospirai.
Quel dannato ragionamento non faceva una piega.
Riuscii a reprimere il forte impulso di tirare un pugno contro il muro, giusto perché sapevo che così facendo ci avrei rimesso qualche nocca.
Riaprii gli occhi e cercai di calmarmi fissando il cielo azzurro che, ignaro del tumulto di emozioni che regnava in me, era privo di nuvole. Come se non bastasse il sole splendeva radioso illuminando quella giornata schifosa. Era come se persino la natura si rendesse gioco di me e di ciò che mi era successo.
Come a voler dire ‘adesso che Mar non può più fare al cattiva ragazza vivremo tutti più tranquilli’.
Fanculo natura. Avrei preferito di gran lunga che piovesse.
E fanculo pure a Dave! Se non lo avessi mai incontrato tutti quei casini non sarebbero mai successi e io avrei vissuto tranquilla la mia vita senza problemi di alcun genere.
Bè forse Alan mi avrebbe comunque progettato di eliminarmi, ma in qualche modo me la sarei cavata, me la cavavo sempre.
Eppure quegli occhi verdi erano riusciti a rovinare tutto. Stupido Dave!
Non avevo più nulla. Ma dovevo cadere a testa alta anche quella volta, perchè io ero così. Forte e determinata. Con o senza trucchetti.
Nessuno avrebbe dovuto vedere la mia debolezza. Mi concentrai e in un attimo ricostituii la mia indistruttibile armatura, sta volta però non era più fatta di ferro, ma d qualcosa di più inespugnabile, come l’acciaio. Infondo si sa: più si è deboli più l’armatura deve essere forte.
Mi costava ammetterlo, ma senza poteri ero più debole, solo che nessuno lo avrebbe capito.
Indossai la maschera dell’invincibile Marguerite Jones e guardai di fronte a me.
Ghignai. Niente mi avrebbe fatto abbassare la testa, non più.
Avrei recuperato i miei poteri dopo aver sconfitto Alan e Dave. Entrambi avrebbero perso il loro potere ed io mi sarei appropriata di entrambi i libri. Almeno avrei avuto accesso a tutti quei trucchetti che mi erano sempre stati ignoti. Sarei sempre stata un gradino più in alto di Dave Sullivan e di Alan Black.
Ne sarei uscita a testa alta come sempre.
 
Entrai in casa  sbattendo la porta in modo tale che tutti fossero a conoscenza della mia presenza. Mi guardai attorno, ma non c’era assolutamente nessuno. Sbuffai e mi diressi verso la camera di Dave. Stavo per entrare quando, dopo aver aperto la porta, mi bloccai ad osservare il ragazzo. Era seduto alla scrivania, lo vedevo di spalle mentre si rigirava tra le mani il volume bianco sbuffando.
“Cosa ti preoccupa?” domandai stampandomi un sorriso strafottente in faccia.
Dave quasi balzò sulla sedia colto alla sprovvista. Si voltò rapidamente e, vedendomi, sospirò di sollevo.
“Ah Mar, sei tu!”
“Sì!” dissi con ovvietà allargando le braccia “Chi credevi che fossi?”
“Caren! Quella ragazza mi sta sempre di più addosso!”
“Ah sì? Non l’avrei mai detto dal momento che è una bellissima ragazza e sembra avere molti ammiratori con cui farsi una scopata ogni tanto!” ero decisamente sarcastica.
Dave mi fulminò con lo sguardo.
“Non sei affatto carina!”
“Peccato che il resto del genere maschile la pensi in modo diverso!” alzai il mento con fare superiore mentre un sorriso illuminava il mio volto. Era così facile per me cadere in piedi, come se fosse naturale. Ero tornata ad essere me stessa, con o senza poteri. Ero IO la mia forza, non avevo bisogno dei trucchetti anche se quelli comunque non guastavano.
“Perché con te i discorsi vanno sempre in quest’unica direzione? Comunque non mi riferivo al tuo essere carina fisicamente, ma moralmente!”
Alzai un sopracciglio senza capire.
“Parli di Caren come se fosse una sfigata senza amici né possibilità di trovarsi un ragazzo …”
“Infatti è quello che è!” lo interruppi.
“Fammi finire! Tu dici che si è invaghita di me perché non ha alternative, bè grazie tante!” sorrise un po’ divertito “E’ come se tu dicessi che gli piaccio perché non può puntare più in alto! Non è carino da parte tua!” la voce divenne più roca.
Cosa stava facendo? Ci stava provando con me? Sorrisi con malizia.
“Ma è esattamente quello che penso!” ribatte divertita da quel flirt.
“E anche tu ti sei invaghita di me perché non puoi puntare più in alto?” mi punzecchiò con sguardo divertito.
“Io posso puntare alle stelle Dave, guardami!” e mi indicai “Sono perfetta!”
Si avvicinò di più a me fino ad arrivarmi di fronte e a far confondere i nostri respiri.
“E allora perché sprechi il tuo tempo a sedurre me?” nonostante la domanda fosse posta in tono scherzoso era evidente che gli importava realmente della mia risposta.
“Per una questione di principio: tu sei l’unico che mi ha detto di no!”
Ridacchiò, ma la gioia non raggiunse i suoi occhi.
“Solo per questo?“ continuò.
“Anche perché voglio rubarti a Caren!”
“Molto carino da parte tua!” ironizzò.
Feci spallucce.
“Lo so!” stetti al gioco. Si avvicinò ancora un po’ fino a far sfiorare i nostri nasi. Inevitabilmente il mio respiro accelerò e mi ritrovai a fissare desiderosa le sue labbra.
“E non provi nemmeno un po’ di attrazione per me?” la sua voce calda e roca mi fece venire i brividi. Mi stava di nuovo eccitando solo con le parole. Sarei voluta saltargli addosso, ma in quel momento farlo sarebbe stato come dargliela vinta, ammettere che lo trovavo attraente e ciò non era nei miei propositi.
“Mmm quanto basta!” ribattei fingendomi divertita e per nulla presa da quella conversazione così sexy.
“Che razza di risposta è?”
“Una buon risposta!”
“E’ la verità?”
“Certo!”
“E allora perché il tuo respiro accelera quando ti sono così vicino? Perché i tuoi occhi corrono sulle mie labbra, perché …” si avvicinò al mio orecchio “… la mia voce ti fa venire i brividi?”
Rabbrividii nel sentire il suo respiro contro di me. Era come se lui si fosse messo in testa di farmi ammettere che per me lui era speciale, quando invece era totalmente fuori strada. Era uno come tanti, punto.
E i suoi tentativi di seduzione non erano abili quanto i miei. Povero ragazzo, aveva ancora molto da imparare.
“Non hai ancora risposto alla mia domanda!” dissi.
“Non cambiare argomento Mar!” lo sguardo passò da giocoso a serio.
Sbuffai. Non l’avrebbe avuta vinta. Non gli avrei mai detto che mi attraeva tantissimo per una questione di principio, e tanto meno che era speciale perché non era affatto vero!
“Tu mi attrai nella media, come i normali ragazzi che mi sono fatta, niente di più niente di meno! Con te però il gioco è stato più interessante perché eri una preda difficile, è per questo che il mio interesse per te è aumentato, ma ora sei nella mia rete quindi posso ritenermi soddisfatta!” sorrisi e alzai il mento in segno di vittoria.
Gli occhi di Dave si rabbuiarono.
“Quindi io sarei … una preda?” pronunciò l’ultima parola quasi con disprezzo.
Annuii. Se l’era cercata lui. Aveva insistito, ed eccogli la verità, servita su un piatto d’argento.
Si irrigidì e distolse lo sguardo tornando alla scrivania.
“Bene!” disse freddamente.
“Allora? Per cosa eri preoccupato?” tornai alla domanda di partenza come se nulla fosse.
“Alan, la maledizione, ci sono un po’ di cose che mi preoccupano!” continuò con un leggero accenno di ironia.
“E a quale di queste stavi pensando quando sono entrata?”
Mi guardò di sottecchi.
“Ma tu gli affari tuoi non te li fai mai?”
“Abbiamo promesso niente più segreti!” lo rimproverai sorridendo.
Sbuffò,ma continuò a non rispondere alla mia domanda, così rinunciai.
“Comunque sia credo di avere una soluzione ad un piccolo problema!” sorrisi soddisfatta aspettando la sua reazione estasiata. Solo che lui non si comportò come mi aspettavo, anzi. Si dimostrò totalmente indifferente alla notizia che gli avevo appena dato.
“E sarebbe?”
“Prima devi rispondere ad una semplice domanda: cosa fa +1-1?”
Mi guardò come se fossi improvvisamente impazzita.
“Che?”
“Andiamo Dave! E’ matematico!” lo esortai felice di vedere un’espressione stupita sul suo viso.
Finse una risata “Davvero molto divertente!”
“Peccato che non sia una battuta!” esortai con ovvietà “Su, forza! Rispondimi!”
Il ragazzo sbuffò e alzò gli occhi al cielo.
“Fa zero, ma non ved come questo possa risolvere i nostri problemi!”
Il mio cervello si era fermato a quando lui aveva pronunciato la parola ‘zero’, tutto il resto l’aveva ignorato.
“Esatto!” esclamai felice come una bambina il giorno di natale “Questa è la chiave di tutto!”
Egli sorrise divertito.
“Ah sì?” mi canzonò. Orami era chiaro che o reputasse uno scherzo. Ghignai, che povero sciocco.
“Già! Tu stesso hai detto che la fonte dei poteri sta nel libro e non in noi, quindi il gioco di sguardi non può funzionare!”
“Emmm e cosa ci sarebbe di nuovo?”era sempre più divertito.
Sciocco. Il mio sorriso quadruplicò.
“Immaginiamo che il potere contenuto in ogni libro sia pari a 100! Supponiamo inoltre che il libro di Alan, essendo ‘Cattivo’…“ mimai le virgolette con le dita intorno a quest’ultima parola “… porti il segno ‘meno’, mentre il tuo libro il segno ‘più’, ok?”
“Cos’è una lezione di matematica?” si sedette incrociando le braccia al petto pronto ad ascoltare il resto. Si vedeva che nonostante reputasse assurdo ciò che stavo dicendo sapeva anche perfettamente che non ero una stupida, quindi dal suo punto di vista c’erano due possibilità: o lo stavo prendendo in giro o ero seria. In entrambi i casi decise di ascoltarmi.
“Sì è più o meno una lezione, una lezione vi vitale importanza!” gioii nel dire ciò, ero davvero soddisfatta della mia scoperta sensazionale, perché finalmente essa portava a qualcosa. La perdita dei miei poteri aveva portato a qualcosa! Non tutti i mali vengono per nuocere, senza contare che mi stavo rialzando dalla caduta metaforica di quel pomeriggio alla grande!
In quel momento stavo facendo il tifo per me stessa. Nella mia mente quasi sentivo i cori da stadio che i incitavano e mi dicevano che ero una grande: dalla mia più grande perdita stavo per trarre una sconvolgente vittoria!
“Quindi ricapitolando: il libro nero contiene -100 di potere, il tuo +100, fin qui ci sei?” domandai come una maestrina, felice di avere quel ruolo.
“Sì, le ho fatte anche io le elementari!” mi canzonò Dave, come a sottolineare il fatto che non fosse un bambino e che era perfettamente in grado di comprendermi, senza che io lo trattassi come uno stupido.
“Ne sono felice! Allora abbiamo constatato che il potere è limitato quindi in totale deve sempre rimanere pari a 100 in un volume e 100 nell’altro ok?”
Egli annuì.
“Infatti le parole all’inizio di entrambi i libri recitano ‘Ma attenzione! Il potere è limitato!’
Quindi quando Alan ha aperto il libro lui ha avuto -100 di potere, ma essendo esso limitato, quando l’ho aperto io, il 50% è entrato in me, così come Alan ha perso la medesima quantità.
E’ questa la ragione per la quale mi vuole morta, per poter riavere tutta la forza.
Insomma la situazione era questa: io avevo -50 e Alan -50 al posto di -100.
Poi entri in gioco tu. Tu avevi +100 ..”
“Perché avevo?” mi interruppe.
Alzai gli occhi al cielo.
“Lasciami finire! Ma ad un certo punto io ho aperto il libro che ti aveva donato il potere e quind ti si è dimezzato: tu hai +50, Alan -50 ed io…” feci una pausa ad effetto “Io ho +50-50!”
Gli occhi di Dave si illuminarono come se improvvisamente avesse compreso dove volevo arrivare a parare con tutto quel discorso contorto sui numeri.
“Ma +50-50 abbiamo appurato che fa zero!” continuai.
“Oh mio Dio!” sbarrò gli occhi e li puntò nei miei, poi alzò le sopracciglia incredulo “Tu non hai entrambi i poteri, ma nessuno!” la sua voce era ridotta quasi ad un sussurro.
Sentirlo dire ad alta voce fu come ricevere un pugno nello stomaco. Rendeva tutto più reale. Avevo davvero perso i poteri, eppure ero sempre me stessa. I poteri non mi avevano condizionato il mi essere avevano solo reso più facile la mia vita. Infatti io ero ancora lì, combattiva, con la voglia di rialzarmi, di affrontare Alan, di rompere la maledizione, di riacquistare la mia forza.
Sorrisi di fronte a quel pensiero. Ero sempre la più forte.
“Sì ho perso i poteri!” esclamai ad alta voce senza un minimo di rimpianto. Solo con sicurezza e determinazione.
Dave alzò entrambe le sopracciglia.
“E la cosa non ti tocca minimamente?” mi domandò sempre più incredulo. Probabilmente pensava che un alieno si doveva essere impossessato del mio corpo, o che io non ero in pieno possesso delle mia facoltà.
“No, affatto! Dopotutto sono sempre io!” sorrisi sicura di me e di quelle parole. Era ovvio che all’inizio mi fossi sentita persa, ma la mia volontà di rialzarmi era più forte.
Bastava volerlo e potevo essere chiunque io desiderassi, la Mar dolce e stucchevole che conosceva Emily o quelle forte e determinata che conoscevo io. Solo volendolo, tutto ciò era possibile. Sorrisi gioiosa di fronte a tale pensiero.
“Sei sicura?” Dave chiaramente non riusciva a comprendere.
“Ho trovato la soluzione, è grazie a me che Alan sarà sconfitto. Ho perso i poteri, ma ho guadagnato la mia vita, mi sembra un buon compromesso!”
“Tu che parli di compromessi!” sorrise senza gioia Dave “Assurdo! Ti facevo più tipo da ‘o tutto o niente’!”
“Non accetterei  mai il ‘niente’, quindi sono più tipo da ‘o tutto o buona parte’!”
“E sconfiggere Alan è ‘buonaparte’?”
Sorrisi.
“Direi di sì! Potrei vivere tranquilla e inoltre vedrei la sua espressione quando sarà battuto! Insomma la soddisfazione di  essere io ad aver trovato il modo di sconfiggerlo non ha prezzo!”
“Ma tu non eri materialista? Da quando ti importano cose come la soddisfazione?”
“Da sempre Dave! Te l’ho detto anche prima: è per questo che ti ho sedotto!” risposi con ovvietà.
Nuovamente il ragazzo si rabbuiò e tentò di cambiare discorso, mentre io mi sentivo sempre più invincibile.
“Quindi basta che io apra il volume nero e che Alan apra il mio no?” domandò.
“Non proprio!” ero felice di essermi accorta di un sacco di dettagli che lui continuava a trascurare.
Scosse la testa confuso “Non capisco”
“E’ semplice Dave! Se ho ragione il 50% di entrambi i poteri è andato distrutto per sempre, ovvero quelli che avevo io…”
“non pensi che se lui ti eliminasse invece i poteri riprenderebbero ad esistere e fluirebbero di nuovo in noi?” mi interruppe.
Socchiusi gli occhi minacciosa.
“Stai pensando di eliminarmi Dave?”
“No Mar, te l’ho già spiegato! Però non possiamo essere certi che  il potere si sia annichilito! Potrebbe essere inutilizzabile mentre potrebbe essere separato se il corpo che lo ospita decede!”
Arricciai il naso.
“No, non è così. Se ci basiamo sulla matematica una volta che abbiamo raggiunto lo zero non possiamo ricreare il +50 e il -50!” asserii con sicurezza.
“Se ci basiamo sulla fisica invece sì. Materia e antimateria, più e meno, si annichiliscono se si incontrano divenendo energia.  Eppure in particolari casi dall’energia si formano materia e antimateria!” ribattè.
Sospirai. Il suo ragionamento non faceva una piega.
“Bè vedremo di far in modo che non mi uccida!” risposi nel dubbio. Lo vidi alzare le spalle come a dire che era d’accordo con me.
“Tornando al modo per sconfiggere Alan …” proseguii “dobbiamo considerare che ora il potere disponibile è 50 per ognuno di voi. Allora se tu apri il libro nero tu acquisteresti -25, ovvero la metà di -50, mentre ad Alan rimarebbe -25! In definitiva: Alan avrebbe -25 tu -25+50 che se non sbaglio non fa ero, ma +25. Quindi i poteri non si annullerebbero. Se Alan dopo aprisse il tuo volume avrebbe +25 e con il -25 che aveva il suo potere si annullerebbe. Ma non è così che deve andare, perché se vogliamo che non ci siano più modi per riprendersi il potere, come l’eliminazione fisica, è necessario che voi apriate i libri nello stesso istante!
In questo modo tu apri il libro nero quindi, come ho detto prima avresti +50 e -25, ma se contemporaneamente  Alan ha aperto il libro bianco il tuo +50 diventa +25 perché si dimezza, quindi tu avresti -25+25 che si annulla e fa zero!” terminai soddisfatta la mia spiegazione guardandolo con aria di sfida, che ci provasse a contraddirmi!
La mia intuizione era geniale, forse un po’ contorta, ma non faceva una piega!
Vidi Dave annuire convinto. Dop qualche secondo di silenzio, nei quali probabilmente immagazzinava le informazioni ricevute, alzò lo sguardo e lo puntò nel mio. Dubito dopo un sorriso illuminò il suo volto estendendosi anche agli occhi.
Un attimo più tardi mi ritrovai tra le sue braccia senza sapere bene come ci fossi arrivata.
“Maaar tu sei un genio!” esclamò il ragazzo stritolandomi e costringendomi a reprimere una smorfia di dolore. Sentendo il mio irrigidimento allentò un po’ la presa.
“Scusa! È che sono così felice! Hai risolto il problema!” Dave non riusciva a stare fermo, continuava a spostare il peso del corpo da un piede all’altro ed aveva gli occhi che gli brillavano di gioia.
“Sei davvero geniale!” mi abbracciò nuovamente facendomi dondolare con lui a destra e poi a sinistra. Le mie braccia erano distese lungo i fianchi, ma il mio corpo non si era irrigidito a causa di quell’abbraccio, o meglio, assalto. Tutto ciò perché ero felice quanto lui. Avevo trovato una soluzione. Aveva ragione: ero un genio.
“Lo so, è una delle mie qualità!” sorrisi.
“Come la modestia!” ribattè a denti stretti lui visibilmente divertito.
“Devo dirlo ad Alex!” così dicendo si precipitò verso il telefono con la rapidità di un fulmine, io invece uscii dalla stanza.
 
“Mar! Maaar!” sentivo qualcuno scuotermi e chiamarmi quasi in un sussurro.
“Andiamo Mar, svegliati!” altro scossone accompagnato da quell’odiosa voce che osava interrompere il mio sonno.
Aprii a fatica gli occhi impastati dal sonno e cercai di scrutare nella penombra della stanza chi mi stesse disturbando. Una macchia rossa attirò la mia attenzione. Sbuffai e mi portai una mano sugli occhi scuotendo la testa.
“No!” mormorai sperando che con quella sola sillaba potesse sparire  quell’odiatissima scocciatrice.
“Daiii Mar! E’importante!” era decisamente insistente. Sbuffai e mi misi a sedere.
“Cosa vuoi Caren?” sbottai ad alta voce.
“Shhhh!” si mise l’indice sulle labbra per comunicarmi di stare zitta “Non vorrai svegliare Dave!”
Non sia mai che il principino si svegli!
“Che vuoi?” sibilai evitando gli inutili convenevoli.
“Aiutarti!”
“Non vedo come potresti!” i miei occhi si ridussero a due fessure.
“Ti prego, fidati di me!” sussurrò.
“No! Lasciami dormire!” mi sdraiai sul letto mettendomi su un lato in modo tale da darle le spalle.
“Maaar!” il tono della voce era quasi supplice. Alzai gli occhi al cielo e mi voltai verso di lei fulminandola con lo sguardo, benché non potesse vedermi.
“Ti ascolto! Muoviti!” era l’unico modo per liberarmi da quella attentatrice di sogni.
“Dave non è quello che sembra!” iniziò con tono ammonitorio.
“Da che pulpito!” sbottai mettendomi a sedere.
“E’ la verità! Oggi, quando tu sei uscita, abbiamo avuto una visita!”
Alzai un sopracciglio infastidita. Chissà magari gli alieni avevano bussato alla porta ed erano venuti a prender un te con il buon Dave e la stupida Caren! Già che c’erano se la sarebbero potuta portare via!
“Immagino!” commentai.
“E’ venuto Rob!”
Al solo sentir pronunciare quel nome mi bloccai. Rob? Come aveva fatto a trovarci? Perché Dave non mi aveva detto nulla? Come mai Dave era ancora vivo?
“Ne sei sicura?” era decisamente riuscita a catturare la mia attenzione.
“Vuoi che non riconosca Rob?”
Effettivamente.
“E?” la esortai a continuare. La vidi sorridere nell’ombra come se fosse soddisfatta del mo interesse per ciò che aveva da dirmi.
“E’ entrato ed ha parlato a lungo con Dave, per raggiungere un accordo”
“Accordo?” non capivo ancora perché Dave non mi avesse raccontato niente in proposito.
“Già! Qui iniziano i problemi però. Secondo l’accordo Dave dovrebbe consegnarti nelle mani di Alan e in cambio lui e Rob lo avrebbero lasciato in pace, l’importante e che ognuno di loro agisse senza interferire con l’operato degli altri!”
“E Dave ha rifiutato naturalmente, no?” azzardai.
“Ha cercato di trovare un accordo alternativo, ma la controparte era inamovibile! Ha dovuto cedere!”
Sorrisi. Era inutile dire che tale comportamento mi avesse delusa, ma d’altra parte lo sospettavo. Dave doveva aver capito che consegnarmi nelle mani di Alan significava la mia fine e sperava che con essa i poteri sarebbero stati ripristinati, proprio come mi aveva detto quel pomeriggio. Secondo lui le mie facoltà si erano solo momentaneamente annullate.
Normale che volesse rientrare in possesso delle sue complete facoltà come lo voleva Alan. Per una volta i loro interessi coincidevano ed io ero il bastone tra le ruote.
Bene. Non avrei affatto smesso di esserlo! Ghignai nel buio mentre un piano d’attacco ben congeniato iniziava a far capolino nella mia mente.
“Perché me lo stai dicendo? Così facendo vai contro gli uomini della tua vita: Dave e Rob, senza contare Alan!” ero davvero curiosa.
“Perché è giusto che tu abbia la possibilità di difenderti!” disse sincera.
Le sorrisi riconoscente.
“Se vuoi un consiglio va da Emily, passa lì la notte e poi fuggi lontana da qui!”
Ghignai. Non avrei mai fatto come diceva lei, avevo altri progetti,  progetti che mai e poi mai le avrei rivelato.
“Certamente!”
Afferrai il cappotto e la borsa, non c’era tempo per fare una valigia, dopo di che uscii dalla porta. Controllai di non essere seguita e mi diressi verso la camera di Dave.
Il ragazzo dormiva pacificamente a pancia in su, sembrava così indifeso. Eppure, chi meglio di me poteva sapere quanto le apparenze ingannano? Alla fine Dave si era rivelato quel finto moralista che sembrava essere all’inizio. Lo avevo giudicato bene.
Diedi una rapida occhiata alla camera e notai che si era dimenticato il libro bianco sulla scrivania. Ghignai. Questo rendeva il tutto più semplice. Agguantai il volume e sorrisi mentre lo riponevo con cura nella borsetta.
Li avrei distrutti, sia lui che Alan Black e in quel momento mi stavo procurando la prima arma per compiere la mia vendetta.
Uscii dalla stanza beffeggiando dentro di me quello stupido ragazzo.
 
La notte era luminosa grazie alla luna che risplendeva alta nel cielo. Le sorrisi. Era l’unica a conoscenza del mio piano. Mi avrebbe aiutata. Si dice che la notte porti consiglio, io penso invece che sia perfetta per nascondere i ladri. Sorrisi mentre alzai la mano per fermare un taxi che solitario passava per le strade deserte della città. Balzai in macchina e diedi l’indirizzo.
 
La villa era esattamente come la ricordavo, non che fosse passato molto tempo dall’ultima volta che l’avevo vista. Guardai il cancello alto  e cercai di macchinare un modo per scavalcarlo senza rischiare di rompermi qualcosa. Ma perché scegliere la via più complessa.
In quel momento ebbi un’idea. Alan non era un uomo imprudente però ragionava secondo la sua natura, ovvero secondo l’egoismo. Avrebbe dato per scontato che, dal momento in cui lui mi minacciava di morte, io non sarei mai andata nella tana del lupo. Ghignai. Ecco perché avevo fatto l’esatto opposto. Avevo fatto ciò che nessuno si sarebbe aspettato che io facessi.
Ero tornata a casa con uno scopo preciso.
Estrassi le chiavi del cancello sicura che, non aspettandosi un mio ritorno, non avessero cambiato la serratura. Sorrisi vedendo che la cancellata si apriva dinnanzi a me con un debole cigolio. Oltrepassai la porta e mi trovai dinnanzi al grande giardino di villa Lux.
Il nuovo livello del gioco poteva dunque iniziare, solo che in quel caso sarei stata io a stabilirne le regole.



Il prossimo capitolo sarà più lungo e non so quando arriverà dal momento che è piuttosto complesso...
ma ho una domanda su questo capitolo: si capise la parte dove ci sono i numeri? insomma se mi dite di no la devo riguardare e migliorare...
PASSO AI RINGRAZIAMENTI a quelle anime pie che mi lasciano un piccolo commento... grazie di cuore!!

Aly_Kinney_RodriguezCHANELCOCODreamer_on_earthPyraSilviaXDnancywallaceshadowdust(grazie per aver betato il capitolo!!!!! )
aspetto i vostri pareri!!
Se volete mi trovate quì GRUPPO FACEBOOK
Daisy

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Capitolo 30
*** CAP 29 ***




Inizio con i ringraziamenti a chi ha recensito lo scorso capitolo: Grazie di cuore.
CHANELCOCO , Dreamer_on_earthPyrashadowdustmonique89brex91 e Seree_ (Benvenute!!!!! :) )

Buona lettura!! :)
Daisy

CAP 29


Una volta oltrepassato il giardino mi ritrovai di fronte al famigliare portone. Sorrisi infilando la chiave nella toppa, sicura che anche quella serratura non fosse stata cambiata.
 Il meccanismo scattò e, piano, aprii il portone cercando di farlo cigolare poco. La luce lunare inondò l’atrio della villa illuminandolo. Quella vista mi diede una sensazione di pace perché, nonostante tutto, era come tornare a casa dopo un lungo periodo di assenza. Entrai in punta dei piedi e richiusi la porta alle mie spalle, venendo inghiottita dall’oscurità più profonda.
Poco male, conoscevo quella casa come le mie tasche di conseguenza sarei sempre stata in grado di orientarmi. Mossi qualche passo sicuro e trovai la possente scalinata che conduceva alle stanze superiori. Raggiunsi quella che una volta era stata camera mia e aprii la porta.
Stavo perdendo tempo, eppure dovevo farlo. Dalla finestra entrava la fioca luce della notte, ciò mi permise di costatare che nulla era cambiato. Non sapendo cosa aspettarmi quella vista mi lasciò del tutto indifferente.
Uscii dalla stanza e mi diressi verso lo studio di Alan: ero sicura che, dal momento che in cui non stavo più sotto il suo stesso tetto, avesse abbandonato tutte quelle assurde misure di sicurezza per proteggere il libro nero dalle mie grinfie.
Entrai ed accesi la lampadina per poter cercare il libro nero. Sospirai. Avevo poco tempo: una luce solitaria nel cuore della notte che illuminava quella stanza di villa lux non sarebbe passata inosservata.
Lanciai uno sguardo alla libreria e passai su di essa l’indice cercando di leggere quanti più titoli mi fosse possibile.
Jane Austen, Glenn Cooper, Zafòn, Rowling, Alexander Greenwood.
L’ultimo nome mi incuriosì perché non apparteneva ad un vero libro, quanto per lo più ad un quaderno vecchio e malandato. Lo estrassi e vidi che all’interno aveva una specie di segnalibro, così lo aprii
in corrispondenza di quella pagina.
Fortunatamente non esclamai ad alta voce per lo stupore. Quello che io avevo pensato fosse un segnalibro in realtà era una fotografia che ritraeva Alex con il piccolo Dave, impossibile da non riconoscere grazie a quegli occhi verde smeraldo.
Cosa ci faceva un quaderno di Alex nello studio di Alan? Insomma i due, secondo il racconto di Alex, non erano più entrati in stretto contatto dopo la morte di Grace e magari quel quaderno era stato dimenticato dal dottore prima che la gravidanza spegnesse quella giovane donna.
Senza pensarci troppo me lo infilai nella borsa, ci avrei pensato più tardi. Finii di leggere i titoli dei libri sullo scaffale il più rapidamente possibile. Ogni volta che il mio sguardo si posava su un nuovo volume il cuore mi batteva sempre più forte per l’eccitazione di essere quasi giunta alla meta. Eccitazione vana, perché del libro che cercavo non vi era alcuna traccia. Sbuffai infastidita e lanciai un’occhiata furtiva in giro. Ormai il mio tempo doveva quasi essere finito. Fu in quel momento che posai lo sguardo sulla scrivania. Il volume
nero troneggiava su di essa. Come avevo fatto a non vederlo prima?
Mi avvicinai e allungai la mano per sfiorarlo come per assicurarmi che non fosse un miraggio. Eppure sentivo la liscia copertina proprio sotto i miei polpastrelli. Solo allora sospirai di sollievo.
Non avevo notato il libro semplicemente perché non reputavo Alan così imprudente da lasciarlo così in bella vista, ma probabilmente non considerava necessario nasconderlo, dal momento che non vi erano minacce in casa sua.
Peccato che fossi arrivata io. Sarei stata la sua minaccia.
Agguantai il libro e lo riposi con cura nella borsa prima di precipitarmi al di fuori dello studio. Mentre percorrevo in fretta i corridoi bui di villa Lux sorridevo sfrontata. Poveri sciocchi. Il mio piano era semplice quanto distruttivo per quei due bastardi che si erano messi a tramare alle mie spalle: il caro dolce Dave e il meschino Alan. Come avevo previsto fin dall’inizio ci sarebbe stata un’unica vincitrice e quella sarei stata io.
Mi dovevo semplicemente impadronire dei due libri. Strinsi a me la borsa sempre più felice del bottino che ero riuscita a recuperare.
Dopo di che li avrei ricattati. Insomma loro potevano avere il 50% di potere a testa e io potevo avere zero facoltà, ma cosa sarebbero stati senza i libri?
Incompleti, come mi sentivo io dopo l’apertura del volume nero. Avevo la possibilità di fare ogni cosa eppure non ne ero in grado perché mi mancavano le spiegazioni.
E così, dopo averli indeboliti sul piano psicologico avevo intenzione di macchinare in modo da ingannarli e far si che aprissero contemporaneamente i libri. Ghignai di fronte a quel pensiero immaginando il volto furente di Alan e lo sguardo desolato di Dave.
Entrambi gli uomini più potenti del mondo sarebbero finiti nella mia fatale rete, mentre io avrei avuto la soddisfazione di vederli crollare per mano mia. Allora la loro stupida coalizione contro di me non avrebbe avuto più senso.
Chiusi il portone alle mie spalle e mi avventurai nel silenzioso giardino continuando a pensare. L’unica pecca nel mio infallibile piano era che loro avrebbero potuto convincermi a fare delle cose.Infatti in passato ero stata immune ai comandi di Alan solo perché avevo aperto il libro nero e, il potere che ne era scaturito, aveva funzionato da scudo.
In quel momento invece i miei poteri erano azzerati, il che faceva di me una persona completamente normale quindi soggetta ai loro trucchetti. Non potevo esserne immune.
Feci le spallucce. L’importante era evitarli fino al giorno nel quale avrei macchinato un piano abbastanza intelligente da farli cadere in trappola.
Dopo qualche decina di passi sentii la porta sbattere, come se qualcuno fosse uscito dalla casa. Il cuore iniziò a battermi all’impazzata e ben presto me lo ritrovai in gola. Mi si bloccò il respiro. Non potevo essere scoperta proprio in quel momento.
Rapidamente mi nascosi dietro un albero e cercai di trattenere il respiro.
Cercai di calmare il ritmo del mio cuore, ma non fu facile. Lanciai un’occhiata al di là del mio nascondiglio e vidi una sagoma avanzare nel giardino.  Voltava la testa a destra e a sinistra e non aveva un’andatura lineare, sembrava stesse cercando qualcosa.
O qualcuno. Me, ad esempio.
Poteva essere Rob o Alan. Ma chiunque fosse, giocava in casa. Deglutii. Non avevo molte possibilità di oltrepassare il cancello senza essere vista. Sicuramente mi avrebbero seguita e avrebbero recuperato i libri in un modo nell’altro. Non potevo permettermelo.
Guardai la borsa che portavo con me: in essa vi era racchiuso il mio futuro, non potevo fallire.
La feci cadere nel cespuglio che fiancheggiava l’albero, nascondendola sia alla mia vista che a quella di chiunque altro. Sospirai. Almeno il mio piccolo bottino era al sicuro.
Il cuore riprese a battere quando sentii i passi avvicinarsi lentamente. Feci un respiro profondo e andai a posizionarmi dietro un altro albero vicino, in modo da allontanarmi dal nascondiglio della mia borsa.
Passarono i minuti ed io rimasi immobile, cercando di respirare piano e limitando i rumori al minimo necessario. Tesi le orecchie per captare un qualsiasi suono di passi sebbene la notte mi avvolgesse silenziosa.
Sembrava che ci fossi solo io in quel giardino. Lanciai un’occhiata verso il viale principale cercando di individuare la sagoma di poco prima, ma di questa non vi era traccia. Sospirai felice della fortuna che avevo
avuto.
Fu in quel momento che avvertii un dolore lancinante sulla nuca. Era come se contro di essa avesse sbattuto un pezzo di ghiaccio incredibilmente freddo e duro. Il dolore mi annebbiò la testa e mi rese incapace di reagire. Tutte le parti del mio corpo si scollegarono dal mio cervello, non ero più padrona di me stessa.
Roteai gli occhi mentre mi accasciavo al suolo.
Una risata agghiacciante mi riempì le orecchie mentre perdevo i sensi.
Un pugnale conficcato nella nuca, ecco cosa percepivo. Avevo un dolore lancinante che partiva dalla base del collo per irradiarsi in tutta la testa. Mi sentivo stordita come se avessi bevuto litri di alcool e fossi stata in discoteca con la musica spacca timpani.
Cercai di muovermi e solo allora percepii che qualcosa mi impediva di lasciare la posizione che avevo in quel momento. Qualcosa che era avvolta intorno ai miei polsi che me li bloccava dietro la schiena.
Provai ad alzarmi in piedi, ma una forza mi trattenne.
“Sei sveglia!” una voce raggiunse i miei timpani e di scatto aprii gli occhi. La luce del mattino inondò tutto il mio campo visivo, perciò fui costretta a richiudere le palpebre.
Cercai pian piano di abituarmi a quella luminosità e, poco alla volta, riuscii a mettere a fuoco ciò che mi stava di fronte. Libri, non riuscivo a vedere altro se non libri. Di tutti i generi, di tutte le dimensioni, di tutti gli autori.
Stordita richiusi le palpebre.
“Mmmm” brontolai sentendo la testa pulsarmi.
Una risata giunse alle mie orecchie. Il suono mi fece sbarrare gli occhi ancora una volta. Un paio di iridi azzurre come un cielo senza nubi mi fissavano divertite. Inconfondibili. Inconfondibili come i capelli biondo chiaro che contornavano con eleganza il volto del ragazzo che mi stava seduto di fronte.
“Che hai da ridere?” mugugnai.
“Hai un’aria sofferente!”
Alzai un sopracciglio, per quanto potessi farlo dato il dolore.
“E questo ti fa ridere?”
“Sì! Non ti ho mai vista sofferente e mi fa sentire …” fece una pausa come se ci stesse pensando su: “…potente!” concluse.
“Smettila Rob!” scossi la testa.
Un ghigno si fece strada sul suo volto.
“No! E’ troppo bello perché io riesca a smettere! Insomma guardati!” era palesemente divertito, anche se il suo tono faceva trasparire un briciolo di soddisfazione.
“Sei legata ad una sedia, non puoi muoverti! Non sei truccata, hai persino…”allungò le dita verso i miei capelli: “…dei fili d’erba in testa!”.
 Li prese tra le mani e me li fece vedere: “La Mar perfetta non c’è più!”
concluse con gli occhi che gli brillavano.
La parole che aveva usato erano indubbiamente forti e mi avrebbero dovuta far infuriare. Insomma non avrei mai permesso che qualcuno credesse che io ero finita o sconfitta. Eppure mi venne da sorridere.
Cosa importava se lui non lo sapeva? Io ero sempre Mar, quella perfetta, perché era la mia natura esserlo.
Potevo anche avere i capelli per aria, ma questo non avrebbe cambiato ciò che ero. Ed io lo sapevo. Ma perché convincere anche lui? Avrei potuto ribaltare la cosa a mio favore: lui mi credeva debole, l’ombra della vecchia Mar, in altre parole mi sottovalutava. Che imperdonabile errore.
“Forse!” abbassai il tono della voce per renderlo sensuale “Potremmo vedere se da un punto di vista sono rimasta la Mar perfetta che conoscevi tu…” mi sporsi in avanti, per quanto potessi dal momento che ero
legata, e mi mordicchiai il labbro.
Rob sbarrò gli occhi. Non si aspettava che io mi sarei comportata in quel modo. Insomma ero alla sua mercé eppure ci stavo spudoratamente provando con lui. Invece di implorare pietà, invece che piangere, invece che arrabbiarmi.
Vidi i suoi occhi indugiare sulle mie labbra e prontamente le umidificai con la lingua.
“Solo che per dimostrarti che so essere perfetta almeno il qualcosa dovresti slegarmi!” finii.  Rob scosse la testa con foga come se volesse auto convincersi a non cedere, poi ridacchiò e assunse un’espressione maliziosa.
“Lo farei Mar, solo che rischierei di far arrabbiare Alan e non mi va oggi, ma d’altra parte…” si avvicinò a
me “…puoi dimostrarmelo anche così!”
Posò le labbra sulle mie prima di approfondire il bacio. La sua lingua entrò vigorosa nella mia bocca senza trovare alcuna resistenza, il suo respiro si accorciò.
Mentre i suoi sensi perdevano lo stato d’allerta per entrare in quella specie di mondo parallelo composto dalle mie e dalle sue labbra, la mia mente vigile ed attenta valutava la situazione.
Lanciai un’occhiata in giro e appurai di trovarmi nella biblioteca della villa, legata come un salame ad una di quelle poltroncine sulle quali Alan faceva sedere i pazienti nell’attesa di ‘visitarli’.
Scappare. Questo era il mo unico pensiero. Rimanere nella villa equivaleva a dire ‘morte’ ed ero decisamente troppo giovane e bella per morire. Avrei dovuto trovare una soluzione in fretta altrimenti sarebbe stato inutile.
“Potrei toccarti…” sospirai contro le labbra di Rob “…nei punti giusti se solo tu mi liberassi le mani!”
ritentai.
Egli sorrise contro la mia bocca.
“Vorrei, ma non posso!”
“Ma pensa come ti sentiresti appagato!”
“No!” si allontanò con uno scatto fulmineo da me per andare a riposizionarsi sulla sedia di fronte alla mia.
“So cosa stai cercando di fare!” sentenziò.
“E cosa sto cercando di fare Rob?” assunsi un tono innocente.
“Liberarti!”
“Sempre a pensare a doppi fini!”
“Con te non si sa mai!”
“Quindi ti faccio ancora paura!”
“Paura?” rise “Tu non mi hai mai fatto paura!”
“Lo so, come potrebbe farti paura una bella come me? Forse mi sono spiegata male: hai ancora paura che io possa soggiogarti o ingannarti!” sorrisi.
“No!” abbassò lo sguardo.
“Non era una domanda!”
Ghignò. “Allora ti sbagli!”
“Se è vero quello che dici, per quale ragione eviti il mio sguardo?”
Puntò i suoi occhi nei miei.
“Non lo sto evitando!”
“Ora no, ma prima sì!”
“Oh! Smettila Mar!” sbottò. Sorrisi. Non sapeva più cosa fare per convincermi del contrario perché era a comprese di aver torto.
“Facile dirmi di smetterla, ma sai che ho ragione!” lo punzecchiai.
Mi fulminò con lo sguardo.
“Sta attenta a quello che fai, Mar, non giochi più in casa!” mi minacciò.
“Tu non hai nemmeno i mezzi per giocare!” ribattei.
Ridacchiò. “E se ti dimostrassi il contrario?” ribattè.
“Procedi pure, sono curiosa!” gli sorrisi. Non ricordavo fosse così bello battibeccare con Rob, era così ingenuo certe volte, mentre altre così montato.
Sulla porta della stanza fece la sua comparsa una figura alta e magra, una figura inconfondibile che apparteneva ad Alan Black. Il cuore prese a battermi maggiormente e cercai di non mostrare l’inquietudine che provavo in quel momento.
“Margherite! Ma che piacere!” nella voce di Alan c’era scherno.
“Alan!” dissi a denti stretti.
“A cosa devo l’onore della tua visita?” si avvicinò incontrando i miei occhi.
“Fosse per me avrei volentieri evitato la visita, ma dato che avete insistito…” continuai con quel tono di finta cortesia che lui aveva iniziato a usare con me.
“Sì, vedo che Robert ha insistito parecchio …” focalizzò lo sguardo sulle corde che mi tenevano legata e piegò le labbra in un ghigno.
“Toglierei volentieri il disturbo però!” aggiunsi. Dal mio tono non traspariva nulla, solo educazione.
Ero agitata e lo percepivo dai forti battiti del mio cuore, dall’adrenalina che mi scorreva nelle vene, dalla disperata ricerca di una via di fuga. Più ci pensavo più mi rendevo conto che avevo poche carte e che dovevo giocarle egregiamente se volevo che il piano funzionasse.
“Temo che dovrai restare per pranzo, forse anche per cena. Magari per sempre!” il sorriso era sparito dal volto di Alan e il suo tono di voce mi fece rabbrividire. Mosse qualche passo verso di me. Rob scattò in piedi per lasciarlo sedere sulla sedia dove poco prima vi era lui. Alan sorrise compiaciuto e io guardai Rob sbigottita: da quando era diventato così servizievole nei confronti di Alan? Forse si era reso conto fin dove quell’uomo era in grado di arrivare?
Si sedette e appoggiò i gomiti sulle sue ginocchia piegandosi in avanti, verso di me.
“Mar, Mar. Sei una continua sorpresa!” il suo tono era glaciale “Mi sarei aspettato di tutto: potevi fuggire o nasconderti, ma non avrei mai pensato che saresti piombata qui! Perché hai deciso di consegnarti spontaneamente nelle mie mani?” era sinceramente curioso e anche un po’ divertito da quello che lui considerava un comportamento folle.
“Mi mancavate!” risposi a denti stretti con tono di scherno. Non ero nella posizione più adatta per comportarmi in quel modo, eppure non potevo farne a meno. Non riuscivo a piegare la testa, nemmeno di fronte all’uomo più pericoloso che conoscessi. Non era né nel mio stile, né nella mia natura.
Un lampo attraversò gli occhi di Alan e un secondo più tardi mi ritrovai la faccia girata da un lato, con la guancia che mi bruciava. Alzai le sopracciglia incredula mentre facevo tornare il viso in una posizione normale. Guardai sorpresa Alan come se non fossi sicura di quello che era appena successo.
“Sorpresa?” iniziò lui sempre sorridendo “Anche io lo sono! Non sono mai stato un tipo …” fece una pausa come se stesse cercando le parole adatte “…fisico…” sibilò a denti stretti “Eppure tu riesci a tirare fuori la parte manesca di me. Ho sempre preferito far del male alle persone a livello psicologico, usando quella che consideravano la loro coscienza. Li ho distrutti dall’interno!”
Alzò nuovamente la mano e mi tirò un altro schiaffo. Chiusi gli occhi per un istante, trattenni il lamento che spontaneamente stava per raggiungere la mia bocca e tornai nella posizione normale fissando l’uomo che mi aveva cresciuta con profondo odio.
“Invece con te sento il bisogno di farti del male fisicamente!” continuò “Forse perché so che psicologicamente non riuscirei a fartene, sei sempre stata la più insensibile. Chissà se stando con quel ragazzo rammollito sei cambiata!” fece una piccola pausa “ Te lo ripeterò ancora una volta: perché sei qui?” lo domandò a denti stretti.
Rabbrividii. Serviva una bugia credibile se volevo che la smettesse di prendermi a schiaffi.
“Ho delle informazioni e voglio tornare ad essere una di voi!”
Alan fece una risata sinistra, prima di tornare ad avere un’espressione seria.
“E tu pensi che io ti creda? Dopo il tuo tradimento?”
Ah, adesso io avevo tradito loro. A tali parole non ci vidi più e il mio filtro bocca-cervello si distrusse in tanti piccoli frammenti.
“Io vi ho traditi? Semmai siete voi che avete tradito me!”
“Chi se ne é andata per aiutare un ragazzo imbecille? Se penso che tu e lui eravate convinti di sconfiggermi…” rise di gusto.
Come faceva a saperlo? Probabilmente lo immaginava.
“ Tu non lo chiami tradimento il volermi uccidere?” sibilai in risposta. Un lampo di sorpresa attraversò i suoi occhi facendoli sbarrare leggermente, dopo di che ritornò ad avere un’espressione divertita.
“Credi che io ti volessi uccidere?” nella voce era celata incredulità, come se davvero fosse sorpreso dalla mia accusa. Che bravo attore!
“Non lo credo, lo so! Ti ho sentito quando alla festa davi l’ordine a Rob!” alzò le sopracciglia ancora più sorpreso “Io e Dave eravamo nel bagno che aveva la porta chiusa!”
Improvvisamente si mise a battere le mani. Nel silenzio della stanza il suono che producevano non sembrava quello di un applauso, ma qualcosa di più tetro.
“Brava Mar! Non ti smentisci mai e riesci sempre a sorprendermi! Dovevo immaginare che non te n’eri andata via per seguire un pazzo visionario, ma per salvare la tua vita! Alla luce di quello che hai udito quella sera, credi davvero che potrei riaccettarti qui come se niente fosse? Penso sia chiaro che sei più utile da morta!”
Deglutii mentre Alan continuò.
“Sapevo che c’eri arrivata a capire che la fonte del potere fossero i libri, sapevo anche che eri a conoscenza del fatto che quel ragazzo scheletrico…”
“James!” lo aiutò Rob.
“Ah sì, James, aveva il compito di convincerti a venire qui, eppure non credevo che avessi origliato quella conversazione!” riprese a battere le mani.
“Quindi ora sai cosa ti aspetta!” il suo sorriso si quadruplicò e quella smorfia mi trasmise un brivido che corse lungo la schiena.
“Ti ucciderò Magherite Jones, resta da decidere come…” si leccò le labbra come se dire quelle parole gli provocasse piacere “Potrei prenderti a schiaffi finchè implorante mi chiederai di finirti. Oppure potrei farti bere del veleno e guardarti agonizzare…”
Il mio respiro si fece più corto e la mente più annebbiata dalla paura. Dovevo fare qualcosa, assolutamente. Ma cosa?
“Potrei anche squartarti con un coltello o lascarti morire di fame!” fece un sorriso glaciale che fu in grado di congelare tutto il sangue nelle mie vene.
“Oppure potrei umiliarti prima di ucciderti!” apparve soddisfatto come se questa fosse la migliore idea che avesse avuto.
“Rob!” il ragazzo si girò verso Alan pronto ad eseguire i suoi ordini “Quando avrò finito di rivelarle la trappola preparata apposta per lei…”
“Trappola?” dissi ad alta voce. Rimasi stupita di quanto fosse ferma la mia voce nonostante il panico che man mano si stava diffondendo in me.
Alan alzò la mano per farla finire direttamente sulla mia guancia, con tutta la forza che aveva. Nel farlo, l’interno di essa andò a sbattere contro i denti e mi ritrovai ad avere il sapore metallico del sangue in bocca. Alzai lo sguardo sugli occhi irosi di Alan digrignando i denti e deglutendo.
“Le. Faccio. Io. Le. Domande!” disse semplicemente scandendo ogni parola.
“Comunque Rob, dicevo, che puoi averla!” il volto di Rob si dipinse di sorpresa “Lo so che l’hai sempre voluta, consideralo un premio per aver fatto tutto ciò che ti ho chiesto!”
Il ragazzo parve compiaciuto e mi guardò come fa un predatore con la preda, pregustandola lentamente con lo sguardo.
“Così potrai dimostrarmi che da un certo punto di vista non sei cambiata!” disse Rob guardandomi negli occhi e facendo riferimento alla conversazione che avevamo avuto prima. Era facile per lui fare lo spavaldo in quel momento, quando per me sembrava giunta la fine, mentre prima, seppure io ero legata, lui non faceva altro che abbassare lo sguardo timoroso e rispettoso nei miei riguardi. Che ipocrita e che vigliacco. Si sentiva forte non per se stesso, ma a causa della presenza di Alan.
Quest’ultimo tornò a rivolgersi a me.
“Non vedo l’ora di raccontarti tutto, Mar! Sai perché?” non aspettò la mia risposta “perché alla fine ti darai della stupida e della deficiente!” gli si illuminò lo sguardo, dopo di che iniziò a muoversi impaziente sulla sedia, come un bambino che non vede l’ora di raccontare una storia.
“Caren, tutto inizia da Caren!” cominciò. Alzai un sopracciglio senza capire.
“La cara Caren, quella che è da sempre stata la più inutile ragazza di questa casa si è rivelata la più utile!”
Rabbrividii ricordando dell’avvertimento che mi aveva dato, quello che mi aveva fatta scappare di casa.
“Robert, racconta tu tutto, dato che l’hai vissuto in prima persona!” lo esortò Alan. Rob parve compiaciuto da quella concessione, così si appoggiò la muro con  le spalle e incrociò le braccia al petto prima di iniziare a parlare.
“Caren girovagava per le aule adibite a psichiatria e, dato che era da un po’ che non la vedevo, mi sono incuriosito. Mi avvicinai a lei che, con mio grande stupore, invece di scappare mi saltò addosso per la felicità. Mi sorrise e proponendomi di andare a parlare in un luogo meno affollato, ma pubblico: stranamente voleva prendere tutte le precauzioni per non rischiare che io usassi i miei trucchetti con lei, come se un avere degli spettatori avesse potuto fermarmi!” sorrise “Ma sappiamo che la nostra Caren è sempre stata un pochino ingenua e quindi siamo andati in un bar, lei tranquilla e contenta di essere al sicuro, io che che cercavo di capire in che modo potesse essermi utile…”
“L’hai automatizzata!” intervenni, interrompendo il suo discorso. Lui si mise a ridere e Alan lo seguì.
“La cosa più straordinaria…” intervenne Alan “…è che ha fatto tutto da sola, senza che noi glielo ordinassimo. Quanto è forte l’odio!” aveva il tono ammirato.
Rob continuò.
“Mi disse che aveva un problema che si chiamava Margherite Jones. Insomma, Caren si era innamorata follemente di Dave e tu intralciavi, ancora una volta, i suoi piani. Ti aveva minacciata il giorno prima, ti aveva intimato di stare lontana da quel ragazzo, ma tu non le avevi dato ascolto. Fu così che si vedeva costretta a prendere dei provvedimenti. Era disposta a tutto. Non ha dimenticato come le hai reso difficile la vita fin dal principio, come l’hai trattata, così ha voluto prendersi una rivincita. L’unica clausola era lasciare Dave in pace, l’avrebbe convinto lei a non intralciare i nostri piani. Per quanto riguardava la questione Dave, dovevamo ancora pensarci, ma quanto riguardava te…” sorrise “…bè non vedevamo l’ora di mettere le mani su di te. Come se non bastasse, nei giorni successivi, lei ci informò di tutti i vostri passi, soprattutto trovammo interessante il fatto che voi  volevate sconfiggerci!” il tono era canzonatorio  “ Ci ha raccontato della maledizione del libro, della stupida storia tra la donna di cui non ricordava il nome e di quell’Alex. Ci ha rivelato che Dave aveva un libro bianco e che tu l’avevi aperto e avevi perso tutti i tuoi poteri. Noi crediamo che i poteri siano latenti dentro di te, Mar, e se tu venissi eliminata, torneranno a scorrere sia in Alan che in Dave. Fu così che abbiamo ideato un piano perfetto: ti abbiamo fatto credere che Dave ti volesse morta per riappropiarsi dei poteri che tu gli avevi sottratto. Ti abbiamo fatto credere che si era alleato con noi pur di riavere la sua potenza originaria. E tu…” ghignò “…bè, tu ci sei cascata in pieno!”
Alan continuò al suo posto.
“Quello che non capiamo è perché tu sia venuta qui. Insomma Caren ti ha detto di andare da Emily. Quest’ultima, dato che l’h automatizzata a comando, ti avrebbe suggerito di scappare verso una ben precisa meta. Dei sicari, durante il tragitto, avrebbero dovuto farti sparire per sempre e di te non se ne sarebbe più saputo nulla. Sei un’ombra, una ragazza con documenti falsi, non esisti per lo stato. Eppure il tuo cervello ha deciso di suggerirti la via più difficile da compiere, o più facile per noi!”
Rob si mosse verso di me con un sorriso che gli illuminava tutto il viso e mi porse un bigliettino, quando si rese conto che non potevo afferrarlo, dal momento che ero legata, me lo pose sotto agli occhi in modo tale che io potessi leggerlo.
Il foglietto riportava le seguenti parole ‘Te l’ho detto che te l’avrei fatta pagare. Caren’
 Ricordai così la conversazione che io e lei avevamo avuto quando mi aveva intimato di stare lontana dal suo Dave.
 
“Sta lontana da Dave!” mi aveva detto.
“Se no che mi fai?”
“Meglio che tu non lo sappia!”
 “Mi stai minacciando?”
 
Ecco cosa mi aveva fatto. Mi aveva ingannata. Per quanto potei, strinsi le mani a pugno e digrignai i denti cercando di impedire che la rabbia mi annebbiasse il cervello. Non era quello né il momento né il luogo per avere i sensi inibiti da un sentimento del genere.
“Come ci si sente ad essere ingannate da quella che tu hai sempre reputato la ruota debole del carro?” Rob sorrise nel dire tali parole. Sapeva cosa avevo sempre pensato di Caren, comprendeva che per me doveva essere una batosta l’essere stata messa nel sacco da lei. Mi diedi della stupida per averle dato retta, non avevo esitato a credere Dave meschino e a fidarmi di lei, che sciocca!
“Cosa si prova ad essere talmente tanto disperati da dover chiedere aiuto alla ruota debole del carro?” ribattei tra i denti ignorando i miei autoinsulti. Alan ridacchiò.
“Non hai perso la tua lingua biforcuta, vedo! Non ti sei rammollita come pensavo!” disse.
“Tutti sbagliano!” azzardai alzando lo sguardo e cercando i suoi occhi.
Egli ghignò senza allegria e puntò lo sguardo nel mio.
“E’ stato un piacere Margherite. Uccidila!” l’ultima parola era rivolta a Rob.
Mi si bloccò il respiro in gola e sentii la vena del collo pulsare contro la mia pelle con forza.
Alan si alzò in piedi e mi diede le spalle incamminandosi verso la porta della stanza. Era davvero la fine? Inspirai dilatando le narici e raccolsi tutto il coraggio che avevo. Non mi sarei arresa in quel modo, era giunto il momento di porre fine a quel time out. Dovevo rientrare in gioco.
“Se muoio, come farai a sapere dove si trova il tuo libro, Alan?” sussurrai consapevole che potesse sentirmi..
“Mi stai minacciando?” il suo tono era divertito.
“Forse, eppure, ora come ora, il libro non si trova sulla scrivania del tuo studio!” continuai.
Finalmente si degnò di voltarsi nella mia direzione. Gli occhi sembravano animati da una fiamma, la fiamma dell’ira.
“COME FAI A SAPERE CHE ERA LI’?” urlò. Feci un mezzo sorriso: Alan che perdeva la calma non era uno spettacolo da tutti i giorni, tanto valeva goderselo, anche se c’era la possibilità che io non potessi vedere il sole del giorno dopo.
“Semplice, perché l’ho rubato!”
“HAI FATTO COSA?”
“Ho rubato la tua fonte del potere, il tuo volume, quello che ha ancora così tanti segreti da svelarti!” misi il dito nella piaga cercando di fargli capire cosa perdeva se uccideva me.
“MENTI!” sbraitò ormai ad un palmo dal mio naso.
“Alan non hai un bell’alito! Allontanati!” ghignai.
Improvvisamente mi si annebbiò lo sguardo e mi piegai in avanti per quanto potei. Sentivo un dolore lancinante allo stomaco, sembrava che stessi per avere un conato di vomito eppure dalla mia bocca non usciva nulla. Ci misi qualche secondo per capire che mi aveva tirato un pugno in pancia e che, dopo averlo fatto, mi stava guardando agonizzare, soddisfatto della sua opera.
“E’ così bello farti soffrire, Mar!” sussurrò al mio orecchio.
“Già!” sospirai a fatica dopo qualche secondo di silenzio necessario per ristabilirmi “Ma cosa c’hai guadagnato Alan? A parte la soddisfazione personale?” feci una pausa per riprendere fiato “Il tuo libro è ancora nascosto in un posto che conosco solo io! Volevi sapere perché ero qui? Bè è per questo! Per rubare il libro e barattarlo con la mia vita, è la mia garanzia e adesso la sto usando!”
“Vuoi dire che ti sei fatta catturare apposta?”
“No, sono tornata indietro dopo aver nascosto il volume perché volevo appropriarmi di un quaderno, scritto da un certo Alex Greenwood, ti dice nulla?”
Alzai lo sguardo giusto in tempo per vedere l’espressione di stupore modificare i suoi lineamenti.
“Come lo sai?”
“L’ho visto mentre cercavo il tuo libro, a proposito Alan, sei stato sciocco a non nasconderlo e a metterlo in bella vista sulla tua scriva...” non riuscii a terminare la frase perché un altro pugno mi giunse dritto in pancia. Ansimai cercando di riprendere aria, ma questa sembrava non voler entrare nei miei polmoni. Ritentai col risultato di finire con l’annaspare.
“Del libro non c’è traccia!” disse Rob, che sembrava appena ritornato nella biblioteca. Non miero nemmeno accorta che era uscito dalla stanza, ma probabilmente era andato a verificare la veridicità di ciò che avevo detto.
A tali parole Alan strinse la mascella.
“Che ne facciamo di lei?” domandò Rob indicandomi.
“Ha perso i poteri no?” rispose Alan, Rob annuì in confermando. “Quindi posso costringerla a dirmi dove si trova il libro!” si voltò verso di me e mi sorrise maligno “Ora non è più immune!”.
Deglutii. Stava per accadere ciò che temevo. Come avrei fatto? Non c’era possibilità di scampo.
Alan si risedette sulla sedia che mi stava di fronte e prese il mio mento nella sua mano, facendo in modo che alzassi il viso verso il suo. Guardai in alto cercando di evitare i suoi occhi, era l’unica cosa che potevo fare in quel momento.
Vedendo la mia resistenza aumentò la presa sulla mia mascella facendomi male, ma ancora una volta cercai di non lamentarmi, se non altro per non dargliela vinta almeno su quello.
“Guardami!” sibilò a denti stretti. Non sarei potuta sfuggire per sempre. Sospirai e puntai lo sguardo nel suo.
“Hai lo sguardo magnetico! Nonostante tutto, quello ti è rimasto!” constatò. Mi ricordava molto quando me lo aveva detto all’età di quattro anni in quel taxi che mi aveva separata dalla mia madre biologica per farmi arrivare a villa lux. Così tutto era iniziato e così tutto sarebbe finito. I suoi occhi neri come la pece occupavano tutto il mio campo visivo. Sapevo cosa stava per fare. Stava per entrare in sintonia con i miei sentimenti, dopo di che mi avrebbe ordinato qualcosa e io avrei fatto tutto ciò che lui avrebbe voluto.
Improvvisamente sentii che era giusto che io gli dicessi dove si trovava il libro nero. Non ricordavo perché prima non volevo dirglielo. Dopotutto voleva sapere dov’era una cosa che gli apparteneva, era tutto così giusto.
Ma dovevo rammentare. C’era un motivo per il quale era necessario che io tenessi il volume lontano dalle sua mani, era perché…perché…
Dannazione. Non riuscivo a ricordare malgrado gli sforzi.
Cercai di concentrarmi maggiormente. Non avevo mai fatto niente per niente.
Cosa sarebbe successo se io gli avessi dato il libro?
Qualcosa di brutto. Ma cosa?
Mi avrebbe ucciso. Rabbrividii. Stava usando i poteri di cui una volta anche io ero stata padrona contro di me, poteri che erano in grado di cambiare la mente di una persona, di convincerla a fare delle cose. Ma non era giusto. Io non volevo dare il libro ad Alan, era lui che voleva che io lo volessi.
Ma non potevo, non se tenevo alla mia vita. E non contava quello che voleva lui, ma quello che desideravo io. E io desideravo vivere.
I suoi occhi neri erano ancora nei miei, occupavano tutto il mio campo visivo, loro erano tutto, eppure io potevo scegliere.
Sorrisi di fronte a quella consapevolezza.
“Non ti dirò dove si trova il libro, non te lo dirò MAI!” il mio tono risultava vittorioso. Avevo battuto Alan al gioco degli sguardi e l’avevo fatto senza una briciola di potere, grazie unicamente alla mia volontà. E la mia volontà era forte, così forte da essere riuscita a mantenere la mente lucida mentre Alan usava i trucchetti contro di me!
Alle mie parole sbarrò gli occhi, stupito.
“Cosa?” lo disse a bassa voce, tanto è vero che non ero sicura di averlo sentito.
“Hai capito!”
“Come hai fatto?” le sue sopracciglia erano aggrottate.
Mi balenò in mente un’idea che avrebbe potuto portare all’annullamento dei poteri di Alan.
“In realtà, aprendo il libro bianco, non mi sono indebolita, ma rafforzata!” mentii senza esitazione.
“Come’è possibile? Hai resistito al mio ordine!”
“Sono più forte di te ora!”
Strinse le mani a pugno e mi fissò con odio per un interminabile istante.
Deglutii, era il momento di fare il passo successivo.
“Vuoi essere forte come me, Alan? Io posso aiutarti!”
Un lampo attraversò i suoi occhi. Sorrisi. Era ovvio che voleva essere più forte, era divorato dalla sete di potere, come me.
“In cambio di cosa?”
“Della libertà!”
“Interessante proposta, ma cosa mi dice che dopo che ti avrò liberata non scapperai senza portarmi  il libro bianco?”
“Chi mi garantisce che dopo che sarai forte come me non mi ucciderai?” ribattei a denti stretti.
Alan si fermò un secondo a riflettere.
“Affare fatto! Rob, slegala!” non potei evitare di stamparmi in faccia un sorriso vittorioso mentre la paura e l’ansia provata fino a pochi istanti prima scemò.
Pochi secondi dopo fui libera di muovermi. Mi sgranchii le dita e i polsi facendoli roteare e massaggiandoli. Era rimasto impresso su di essi il segno rosso della corda.
“Vorrei anche un po’ d’acqua!” aggiunsi. Sapevo che non dovevo tirare troppo la corda, ma non vedevo l’ora di prendermi una piccola rivincita su quei due bastardi che mi stavano di fronte. Che bello avere il coltello dalla parte del manico. Alan mi fulminò con lo sguardo.
“Ho la gola secca, non riesco a parlare!” dissi con freddezza, per sottolineare il motivo per cui mi serviva dell’acqua. Alan lanciò un’occhiata a Rob che alzò gli occhi al cielo e sbuffò prima di uscire dalla stanza.
Misi le mani nelle tasche, ma le trovai vuote.
“Il mio cellulare!” era quasi un ordine. Mi serviva il cellulare per poter chiamare Dave. Alan strinse i denti e andò dietro le mie spalle a prendere qualcosa, probabilmente ciò che gli avevo chiesto, però non mi voltai a guardarlo.
Improvvisamente qualcosa di freddo urtò contro la mia gola e sentii le labbra di Alan vicino al mio orecchio.
“Non esagerare Mar, perché potrei rinunciare ad entrambi i libri e farti fuori, la tentazione è troppo forte!” sibilò facendomi scivolare qualcosa nella tasca.
Trattenni il respiro e deglutii cercando di allontanarmi dalla lama del coltello che mi era stata puntata alla gola, ma non fu necessario perché fu Alan stesso a ritrarla.
Rob mi porse un bicchiere d’acqua di cui bevvi un lungo sorso dopo di che sospirai cercando nella rubrica il numero di Dave.
Uno squillo. Due squilli. Tre squilli. Al quarto rispose.
“Hai anche il coraggio di chiamarmi? Sei una vile bastarda!” venni immediatamente aggredita. Sorrisi debolmente sentendo l’unica voce al mondo di cui ancora potevo fidarmi.
“Ciao Dave! Anche a me fa piacere sentirti!” sibilai. Lo sguardo insistente di Alan mi rendeva inquieta, non potevo sbagliare.
“Ho poco tempo, devi venire a villa lux con il libro bianco!” aggiunsi.
“Me lo hai rubato tu quel libro! Come hai potuto? Io mi fidavo di te! E poi l’hai preso per darlo ad Alan Black, come ti è saltato in mente?”
“Te l’ha detto Caren?”
Affari miei!”
“Caren ha detto a me che ti eri messo d’accordo con Alan per uccidermi, è per questo che me ne sono andata!”
Silenzio.
“Dave…” lo chiamai sussurrando.
Come faccio a fidarmi di ciò che dici? Tu sei ambigua, mentre Caren è sempre stata dalla mia parte! Perché avrebbe dovuto fare una cosa del genere?”
“Costringila Dave! Tu hai la possibilità di farti dire la verità da lei. Lo ha fatto perché io ero una minaccia al vostro amore, o meglio al suo! L’ha fatto per sbarazzarsi di me!”
Alan mi fece segno di tagliare la conversazione e io deglutii.
“Fidati di me, per l’ultima volta, c’è in gioco la mia vita!”
Sentii che tratteneva il respiro.
Loro sono lì con te?”
“Sì!”
“E non sanno che tu hai rubato il mio libro!”
“No!”
Però vogliono che io venga lì con il libro che non ho.” Fece una breve pausa “Perché?”
“Perché hanno scoperto che sono più forte da quando ho aperto anche il tuo libro!”
Ma tu non sei più forte!”
Lo so!”
Hai mentito! Perché?” era sorpreso.
“Sono riuscita a resistere ad un comando di Alan!”
Wow! Come hai fatto?”
“Non lo so!” era la verità. Sapevo solo che la mia volontà era stata più forte del suo comando. Ero libera di scegliere, volevo essere libera di scegliere e quella era stata la mia forza.
Tu sai dov’è il mio libro?”
“Sì”
“Lui lo aprirà, non è vero?”
“Spero di sì!”
“E troveremo il modo affinchè io apra il suo nello stesso istante? E per questo che vuoi che i venga lì, vero?”
“Sì”
Alan iniziò a sbattere il piede per terra impaziente. Deglutii.
“Devo andare!”
“Sarò lì appena posso!”
“Sì!”
Chiusi la chiamata alzando lo sguardo sugli occhi di Alan. Quest’ultimo si mise a ridere.
“Questo ragazzo è così stupido da voler consegnare la cosa più importante che ha nelle mie mani, il tutto per salvare la tua vita?” alzò un sopracciglio incredulo.
“Per lui ogni vita è importante!” dissi quasi orgogliosa.
Alan ghignò.
“Che sciocco!” disse infine.


Ci tengo a farvi notare alcune cose:

  1. Per la prima volta Mar analizza il suo piano in modo completo. Prima dava per scontato che sarebbe riuscita a vincere, mentre ora mette in conto anche il fallimento, sa che tutto dipende da lei e questo la porta a valutare più a fondo le cose. Prima era più superficiale e si fidava dei suoi poteri, NON di se stessa. Ora invece deve far affidamente solo su di sè, valutando in maniera più matura e consapevoli rischi e pericoli di ciò che fa! 
  2. Più avanti scoprirete perchè è riuscita a resistere ad Alan.
Ok. Ringrazio chi ha letto e chi leggerà!! dovrebbero mancare due capitoli, più l'epilogo, ma sono una che si dilunga quindi non prendetelo per certo!
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Daisy

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Capitolo 31
*** CAP 30 ***






CAP 30

 
Sbuffai mentre mi lasciavo andare a peso morto sul letto. Non avevo idea di quanto tempo fosse passato, ma ero certa che mi sembrassero giorni. Forse la causa era l’agitazione, oppure il desiderio di andare il più lontano possibile da lì.
Invece ero in trappola.
Infatti, nell’attesa che Dave arrivasse alla villa, avevano pensato bene di chiudermi a chiave in quella che una volta era stata la mia camera. Così mi ero ritrovata in quella stanza ad andare avanti e indietro continuamente, senza un attimo di riposo. Almeno fino a quel momento, nel quale ero crollata sfinita sul morbido materasso. Chiusi gli occhi cercando di controllare le mie emozioni.
Quanto mi mancava la vita senza problemi né paranoie, senza assassini e traditori in agguato.
Una vibrazione mi colse alla sprovvista, il mio cuore accelerò i battiti mentre portavo una mano nella tasca per recuperare il cellulare. Che sciocchi a non portarmelo via.
“Pronto!” sussurrai, cercando di non farmi sentire.
“Mar!” Dave aveva il fiatone “Sto arrivando, ma come giustifico il fatto che non ho il libro?”
“Digli che non ti fidi di lui! Che vuoi prima spiegarli come funziona la cosa! Tipo inventati un orario allo scoccare del quale deve aprire il libro, allo stesso orario lo aprirai anche tu e il gioco è fatto!”
“Mar! Non credo che sia così stupido!”
“Ma è anche accecato dal bisogno di potere, quindi potrebbe cascarci!”
“Vedrò io che fare!” sentenziò. Sbuffai, perché non faceva mai quello che gli dicevo io? “Almeno dimmi dove hai nascosto i libri!”
Sbuffai contrariata. Non era nelle mie iniziali intenzioni rivelargli quell’informazione, eppure gli risposi “In un cespuglio del giardino della villa!”
Lo sentii sospirare come se reputasse stupido tutto ciò che stavo facendo.
“Stai bene?” domandò con una leggera punta d’ansia.
“Muoviti e lo vedrai tu stesso!”
Silenzio.
“E…Dave?”
“Dimmi!”
“Perché all’inizio non mi credevi riguardo alla storia di Caren mentre ora sì?”
Lo sentii ridacchiare probabilmente senza vera gioia.
“Sarà stupido, ma non riesco a non fidarmi di te!”  fece una pausa “Ho imparato a conoscerti davvero, e credo di sapere che modo hai di ragionare, quindi posso dire con certezza che mi fido ciecamente di te! Non mi deludere!”
Sorrisi.
“Ci proverò!” non sapevo quanto gli conveniva fidarsi di me “Sbrigati!” aggiunsi in un sussurro, sperando davvero che arrivasse a momenti, non ne potevo più di quella prigionia.
Sentii il suono metallico del citofono e non potei far a meno di sorridere. Dave era a villa lux.
 


Erano passati diversi minuti da quando il citofono aveva squillato eppure nessuno si era degnato di aprire la porta della mia camera. Perché? Cosa stava accadendo? Stavano torturando Dave?
Di fronte a quel pensiero mi si strinse il cuore, dopotutto era inutile negare che lo reputassi una persona discretamente importante. Era un mio amico.
Me lo immaginai seduto sulla sedia dove ero stata io, legato e malmenato, con un rivoletto di sangue che gli scendeva da un angolo della bocca.
Invece che rabbrividire di fronte a quel pensiero, sentii la rabbia impadronirsi di me. Involontariamente strinsi le mani a pugno e digrignai i denti mentre il mio respiro accelerava. Non dovevano nemmeno osare pensare di fargli del male.
Che stupida. Mi stavo arrabbiando per l’incolumità di qualcuno che non ero io, assurdo. Assurdo eppure così naturale. Dave era tutto ciò che mi rimaneva ormai, normale che ne fossi attaccata. Nemmeno una persona come me poteva sopportare la totale solitudine.
Cercai di calmare il respiro riflettendo. Non potevano fare del male a Dave, perché lui era il figlio di Alan. Alan non avrebbe mai fatto del male al sangue del suo sangue. Almeno speravo fosse così.
Eppure, durante la breve conversazione che avevo avuto col mio ex mentore, mi era sembrato che lui non fosse a conoscenza di questo particolare, o era semplicemente bravo ad ignorarlo.
Poteva anche darsi che Caren non gli avesse raccontato tutto o che Dave non avesse detto la verità a qulla traditrice.
Sorrisi di fronte a tale pensiero: come sarebbe stato bello rivelare ad Alan una così sconvolgente verità.
Sentii la chiave girare nella toppa, seguita dall’abbassarsi della maniglia. Alan entrò spedito nella camera per poi porsi di fronte a me con lo sguardo inferocito. Malgrado mettesse i brividi mi sforzai di affrontare il suo sguardo.
“Non erano questi i patti!” sibilò a denti stretti.
“Non capisco di cosa tu stia parlando!” ribattei con tono di scherno.
Mi agguantò per le spalle aumentando la presa fino a conficcarmi le unghie nella pelle. Non riuscii ad evitare una smorfia di dolore. Tuttavia lui non sorrise come mi sarei aspettata, anzi sembrava ancora più arrabbiato.
“Il ragazzo non ha con sè il libro!”
“Forse non si fida di te!” il mio tono di voce era indifferente.
“O forse glielo hai detto TU!” mi urlò l’ultima parola in faccia. Mi spinse indietro prima di lasciarmi andare, dopo di che si portò una mano alle tempie e iniziò a massaggiarsele.
“Sono settimane…” strinse i denti “…che tu, con la tua semplice esistenza, riesci a farmi perdere le staffe, a farmi rivedere tutti i miei piani, A TURBARE LA MIA TRANQUILLITA’!”
Ogni volta cominciava una frase cercando di mantenere la calma, alla fine esplodeva urlando.
“TU e Robert avete turbato la mia tranquillità!” sibilai risentita.
“Te la sei turbata da sola aprendo il MIO libro!”
Lo ignorai. “Ero la tua migliore allieva, il tuo capolavoro meglio riuscito, ero perfetta Alan, ancor prima che tu mi insegnassi qualcosa! Ricordi lo sguardo magnetico?”
“E con ciò? Hai commesso un errore!”
“Errore?” aprii le braccia esterrefatta e incredula di fronte a quello che le mie orecchie avevano appena sentito “Ma maestro…” lo schernii “…io mi sono unicamente limitata a seguire i tuoi insegnamenti! Mi hai trasmesso la tua sete di potere e il libro mi ha attirata, inevitabilmente, non pensavo di sottrarti qualcosa! E tu lo chiami errore. Ero la migliore eppure non avresti esitato a farmi fuori!” continuai sempre più inviperita “Il tutto per riavere indietro il tuostupido potere!” mantenni la calma durante tutto il mio discorso.
“E adesso cosa hai ottenuto Alan? Una nemica in più, ed essendo io la migliore dei tuoi seguaci, sono persino temibile!”
Fece un mezzo sorriso di scherno.
“Ti credi temibile? Sei solo un contenitore nel quale è finito metà del mio potere!”
Ghignai e raccolsi tutta la sicurezza che avevo in corpo.
“Ora. Sono. Più. Forte. Di. Te!” lo guardai vittoriosa. Ancora una volta la sua mano colpì in pieno la mia faccia. Sferrò lo schiaffo stringendo i denti nello sforzo di metterci tutta la forza che aveva. Sorpresa persi l’equilibrio e caddi sul letto.
“Si vede come sei forte Margherite!” si beffeggiò di me. Sentii una fitta sul labbro inferiore, segno che si era spaccato. Lo sfiorai con le dita e vidi che su di esse rimaneva la traccia del sangue fresco.
Feci un respiro profondo per calmare la rabbia che pian piano stava minacciando di divorare ogni fibra del mio essere. Alzai lo sguardo su di lui, mentre mi fissava con superiorità e cercai di esprimere, solo con gli occhi, tutto l’odio che provavo nei suoi confronti.
Odio. Tutta la riconoscenza e il rispetto che una volta provavo per lui erano svaniti, si trattava di sentimenti bruciati dal fuoco dell’odio e della rabbia.
Mi alzai in piedi mentre il sapore metallico del sangue mi inondava la bocca. Davvero disgustoso. Sputai il liquido rosso misto alla saliva proprio sui piedi di Alan Black e lo feci con una soddisfazione tale da farmi sentire così in pace con me stessa.
Sorrisi a quell’uomo che era sempre stato tutto per me, mentre lui abbassavo lo sguardo per posarlo sulla macchia scarlatta che aleggiava sui suoi piedi. Dopo di che tornò a fissare i miei occhi con odio mentre caricava il braccio, pronto a sferrare un ulteriore schiaffo.
Peccato che quella volta fossi pronta e lo schivai muovendo rapidamente la testa di lato.
“Non credi sarebbe più saggio andare a negoziare con Dave, invece che stare qui a scambiare convenevoli?”  l’ultima parola la pronunciai con ironia.
Senza dargli il tempo di rispondermi lo oltrepassai e mi fiondai verso la porta aperta alle sue spalle. Ero quasi riuscita a raggiungerla quando egli mi bloccò mettendomi una mano sulla spalla. Si avvicinò al mio orecchio e sibilò: “Dì alla tua lingua di stare attenta a quello che dice, perché altrimenti potrebbe non avere più una padrona!”
Rabbrividii e deglutii a vuoto. Tuttavia decisi di ignorare la sua minaccia.
“Non disturbarti ad accompagnarmi, la strada la conosco perfettamente!” con una scrollata di spalle mi liberai dalla sua stretta e oltrepassai la porta a testa alta.
 


“Maaaaaaaar!” non appena entrai nel biblioteca Giuliet mi corse incontro abbracciandomi e facendomi quasi perdere l’equilibrio. In un’altra occasione mi sarei liberata da quella fastidiosa stretta, ma in quel momento mi ritrovai a sorridere. Forse perché con quel semplice contatto tutta l’ansia e l’agitazione erano diminuite. Fu come prendere una boccata d’aria fresca prima di ributtarsi in una stanza piena di fumo.
Le diedi dei piccoli colpetti sulla schiena, ancora incapace di sapere come mi sarei dovuta comportare.
“Mar! Meno male che sei tornata, Cris continuava a farmi i dispetti!” Giuliet indicò il bambino con la manina e mise il broncio.
“Smettila Giuly, lei non è tornata per aiutare te!” sibilò Rob.
La bambina alzò lo sguardo su di me.
“Perché te ne sei andata?”domandò sinceramente dispiaciuta. Alzai lo sguardo per incontrare quello di Rob.
“Chiedilo a lui!” ghignai.
“Josh!” chiamò in tutta risposta Rob. Il ragazzo si fece avanti con la sua solita espressione di indifferenza.
“Porta via i bambini!” gli ordinò.
Josh fece un mezzo sorriso e uscì dalla stanza senza aggiungere una parola. Non potei far a meno di ridacchiare.
“Interessante! Josh non esegue i tuoi ordini!” lo canzonai. Rob mi fulminò con lo sguardo dopo di che decise di ignorarmi per ordinare a Giuly e a Cris di andarsene.
Solo allora mi resi conto che al di sopra della sommità di una poltrona apparivano dei ciuffi di capelli neri mossi. Mi avvicinai e ruotai attorno ad essa per riuscire a vedere chi vi fosse seduto. I miei occhi incrociarono quelli ormai conosciuti di Dave. Le sue labbra si incurvarono in un sorriso e io mi sentii rincuorata dalla sua presenza.
Che cosa sciocca! Eppure capivo perché mi sentivo improvvisamente più leggera: il peso di quella battaglia non gravava più solo sulle mie spalle. Non potei far a meno di rivolgergli uno sguardo di riconoscenza.
“Ciao!” alzai una mano per fargli un cenno.
Il suo sorriso si allargò.
“Ciao Mar!” si vedeva che anche lui era felice di vedermi, ma che comunque era visibilmente teso.
“Che ti hanno fatto da quando sei qui?” esitai un po’ prima di porre quella domanda. Non volevo che lui pensasse che avessi a cuore la sua incolumità. Anche se era la verità. Mi rendeva debole non pensare solo a me, ma ormai mi veniva quasi naturale.
Sembrava felice che gli avessi posto quella domanda.
“Abbiamo solo parlato!” rispose. Il suo sguardo, che fino a quel momento non aveva lasciato i miei occhi, andò a posarsi sul mio labbra spaccato.
“A te cosa hanno fatto?”rigirò la domanda guardando il mio piccolo taglio come se solo quella vista gli potesse causare un dolore fisico.
Alzai le spalle. Odiavo che qualcuno si preoccupasse per me, mi dava fastidio perché mi faceva sentire debole. Non volevo che lui pensasse che avevo bisogno delle sue attenzioni, dopotutto io me la cavavo benissimo anche da sola.
“Nulla di che!” risposi con indifferenza.
“Eccovi qui!” la voce di Alan interruppe il nostro discorso “Le due persone che, più di tutte, hanno contribuito a rendere interessanti  queste settimane!” fece un sorriso sinistro.
“Strano! Io avrei scommesso che tu ci reputassi due spine nel fianco!” ribattei. Dave mi fulminò con lo sguardo e io mi morsi la lingua. Sapevo che non dovevo essere arrogante, in quel modo avrei fatto perdere le staffe ad Alan e non ero nella posizione più adatta per poterlo fare.
Infatti l’uomo mi lanciò uno sguardo di fuoco che mi fece rabbrividire.
“Siete qualcosa da eliminare!” sibilò socchiudendo con fare minaccioso le palpebre “Come delle spine…” mise l’accento sull’ultima parola “Quindi, hai ragione Mar!”
Fece un sorriso obliquo per nulla rassicurante.
“Vogliamo trattare?”aggiunse rivolto più a Dave che a me.
“Ne abbiamo già discusso!” ribattè Dave a denti stretti.
“Ridiscutiamone!”
Dave sospirò e alzò gli occhi al cielo.
“Chi ci garantisce che una volta avuto il libro ci lascerete andare?” domandò socchiudendo gli occhi.
“Il fatto che Margherite ha il MIO libro!” rispose tranquillamente Alan.
“E una volta che io te l’avrò ridato che succederà?” mi intromisi. Alan mi guardò con finta cortesia.
“Avete la mia parola che sarete liberi di andare via da qui!” rispose.
“Non vale molto la tua parola!” costatai alzando fieramente il mento nella sua direzione. Il sorriso gli scomparve dal volto per lasciare posto all’irritazione.
“Non tirare troppo la corda Mar!” sibilò.
Cercai di deglutire mentre il mio corpo reagiva alla sua voce rabbrividendo.
“Dobbiamo parlare allora!” dissi con voce ferma e determinata.
“Lo stiamo già facendo!” constatò Alan.
“Io e Dave. Da soli!” ribattei.
Fu allora che Alan iniziò a ridere. Peccato che la sua fosse una tetra risata fatta da chi non trova realmente la situazione divertente.
“Sei sciocca Mar se credi che vi lasceremo parlare da soli!” disse.
Feci un mezzo sorriso incontrando i suoi occhi. Avrebbe dovuto cedere.
“O tu ci fai parlare così dopo ti diamo il libro e tanti saluti e arrivederci, oppure entrambi i volumi…” calcai con la voce le ultime parole “…spariranno dalla tua vita per sempre, Alan. Prendere o lasciare?” quando terminai non potei far a meno di stamparmi in faccia un sorriso soddisfatto. Era troppo forte il richiamo del potere perché lui non accettasse le mie condizioni.
Strinse la mascella e allargò le narici, come se stesse cercando di contenere la rabbia. Presi il suo silenzio per un ‘sì’ così afferrai la mano di Dave e lo trascinai dietro di me fuori da quella stanza.
Non appena chiusi la porta alle nostre spalle feci un sospiro di sollievo: non avere gli occhi di Alan puntati addosso era un vero toccasana per i miei nervi. Mi sentivo stranamente più tranquilla.
“Tu sbagli!” mi aggredì immediatamente Dave.
Alzai entrambe le sopracciglia incredula di fronte a quello che le mie orecchie avevano appena udito.
“E cosa sbaglierei di preciso?” socchiusi gli occhi guardandolo in cagnesco: era quello il momento di farmi la paternale?
“Tu sei impazzita! Sei troppo arrogante con lui! Ci credo che poi loro ti concino in questo modo!” sbottò indicando il mio labbro.
“Io mi comporto come accidenti voglio!” ringhiai. Che razza di deficiente, gli stavo dando la possibilità di sconfiggere Alan su un piatto d’argento e lui aveva pure il coraggio di farmi una di quelle ramanzine alla Dave.
“Metti da parte l’orgoglio, altrimenti ti farai ammazzare!” socchiuse anche lui le palpebre visibilmente alterato.
“Questi non sono affari tuoi, e poi sono ancora viva,no?” sibilai a denti stretti.
“Per puro miracolo!”
“In realtà è perché so giocare bene le mie carte!”
“E se tu commettessi un errore?”
“Non mi succede mai!”
“Ti è successo innumerevoli volte, sei umana!” il suo tono di voce si addolcì lievemente.
“Sta zitto!” sbottai. Entrambi rischiavamo la vita eppure stavamo litigando come due emeriti deficienti, o meglio, un deficiente e una persona incredibilmente capace.
“Ma tu non ti rendi conto del tuo comportamento sconsiderato?” sembrava incredulo. Certo che me ne rendevo conto, sapevo di rischiare, ma ero così, non avrei piegato la testa di fronte ad Alan solo perché lui mi faceva paura.
D’altra parte non avrei mai detto a Dave che aveva perfettamente ragione. Non potevo dargli quella soddisfazione.
“Lo dici tu!” ribattei.
“Lo diceva il suo sguardo omicida!”
“Oh sta zitto!” lo liquidai con un gesto della mano.
“Ma possibile che non capisci?” strinse i pugni e digrignò i denti abbassando lo sguardo.
“Cosa?”
“Mi preoccupo per te! Sei così sconsiderata, istintiva e orgogliosa che se anche se riuscissimo ad attuare il nostro piano lui ti ucciderebbe lo stesso per il semplice gusto di farlo!”
“Cosa stai dicendo?” non lo comprendevo.
Alzò lo sguardo fino ad incontrare il mio e i miei occhi si persero i quegli smeraldi.
“Che non voglio perderti!” sembrava incredibilmente sincero. Dentro di me sentii qualcosa che si gonfiava, come un palloncino e, man mano aumentava di volume, più mi veniva da sorridere.
Perché sorridere poi? Per quattro stupide parole?
La verità era che una piccola parte di me gioiva perchè Dave ci teneva. Nessuno aveva mai tenuto a me e a nessuno lo avrei permesso. Che bisogno avevo che qualcuno mi ritenesse importante? Ero importante per me stessa e questo mi bastava.
Eppure stavo per sorridere come una deficiente. Forse era la stupidità di Dave che mi aveva contagiata, come una malattia: avrei dovuto assolutamente cercare la cura.
Il sorriso nascente sulle mie labbra si bloccò quando i miei occhi si focalizzarono sulle sue labbra. Senza pensarci mi avvicinai a lui e gli gettai le braccia al collo facendo aderire i nostri corpi. La mia bocca cercò la sua quasi con disperazione e iniziammo a baciarci, di fronte a quella posta chiusa che celava i nostri nemici, in mezzo a quel corridoio che mi aveva vista crescere.
In quel bacio mettemmo rabbia, paura, passione. Le nostre lingue si incontrarono con foga e si intrecciarono perfettamente. Perché eravamo due corpi così imperfetti uniti, eppure così perfetti nella nostra imperfezione. Ci staccammo ancora ansanti rinvigoriti dalla forza e dal sostegno che entrambi avevamo voluto trasmettere all’altro con quel bacio. Fu un modo di scaricare la tensione, di darci forza.
Un ottimo modo. Feci un mezzo sorriso soddisfatta mentre Dave mi guardava sorpreso come se si fosse appena accorto che l’avevo baciato.
“Di-di cosa volevi parlarmi?” cercò di articolare mentre calmava il respiro.
Inizialmente non capii la domanda, ma riflettendoci ricordai: l’avevo portato fuori da quella stanza per parlare.
“Cosa sanno di noi?” chiesi.
“In che senso?”
“Caren ha fatto la spia, oltre che la traditrice!”
Dave abbassò lo sguardo come addolorato da quella costatazione.
“Non le ho detto tutto, solo della storia tra Alexander e Grace!”
“Non le hai detto che Alan è…”
“Non. Lo. Dire.” Scandii con cura ogni parola “Lui non è nulla. Fine della storia!” strinse i pugni e fece una smorfia come se fosse disgustato dall’idea che quell’uomo fosse suo padre.
Dedussi che quel particolare non l’aveva detto a Caren. Sospirai rincuorata.
“Però Caren deve aver capito che io ho perso i poteri!”
“Ha detto ad Alan anche questo?”
“Sì, lui era convinto che io non fossi più in grado di far nulla!”
“Come l’ha scoperto?”
“Deve aver origliato la nostra conversazione!”
“Solo che ora Alan pensa che tu sia più forte!”
Sorrisi.
“Già!”
“Credi che ce la faremo?”
“Non ne dubito!” risposi con sicurezza incontrando i suoi occhi.
“Ma non abbiamo un piano!”
Ridacchiai. Di solito ero io quella che macchinava piani su piani per riuscire a fare le cose. Quella volta invece avevo piena fiducia nelle nostre capacità, sapevo che eravamo troppo bravi per fallire.
“Improvviseremo, e poi un piano generale ce l’abbiamo!”
“Sarebbe?”
“Sconfiggere Alan!” era ovvio dopotutto. Dave alzò gli occhi al cielo prima di ignorarmi.
“E come faremo a capirci se improvviseremo?”
Sorrisi. Non poteva farmi domanda più semplice.
Presi il suo mento nel palmo della mano e feci volgere il suo viso in mia direzione avvicinandolo pericolosamente al mio.
“Guardandoci negli occhi, giocheremo con gli sguardi!” gli feci l’occhiolino prima di voltargli le spalle e rientrare nella biblioteca.
Io e Dave avevamo imparato a conoscerci, quindi capirci con uno sguardo non avrebbe dovuto essere così difficile. Per quanto riguardava me, sapevo percepire le emozioni di una persona perché me lo aveva insegnato Alan e questa capacità non dipendeva da poteri, si basava unicamente sulla comprensione dei sentimenti altrui. Empatia.
Contavo di capire Dave al momento giusto, come speravo che lui capisse me. Ci conoscevamo abbastanza da far in modo che quel piano dozzinale funzionasse.
 
 

“In un cespuglio?” domandò Alan mentre seguiva me e Dave nell’enorme giardino di villa lux.
“Non è un posto intelligente dove nascondere un libro che non deve essere trovato!” constatò Rob che chiudeva il quartetto.
Dave mi lanciò un’occhiata di rimprovero che sembrava dirmi ‘potevi scegliere un luogo meno banale’. Lo ignorai, dopotutto mi ero dovuta arrangiare con quel nascondiglio di fortuna. Intanto era un posto impensabile proprio perché era così stupido.
La sera stava ormai scendendo cupa sulle nostre teste mentre avanzavamo nel giardino che si tingeva di colori sempre più scuri.
Dave mi lanciò uno sguardo preoccupato. Il tutto stava nel capire cosa quello sguardo voleva significare.
Era agitato, preoccupato e aveva paura. Fin qui tutto nella norma.
Ma per quale particolare ragione era preoccupato?
Non sapeva dove trovare il libro dal momento che io e solo io l’avevo nascosto.
Mi guardai attorno cercando di individuare il cespuglio dove avevo riposto la mia borsa. Dannazione. Il paesaggio attorno a me sembrava così uguale. Dovevo cercare un albero, perché mi ero nascosta dietro di esso dopo aver nascosto il mio bottino. Un albero con vicino un cespuglio.
Facile, era pieno di alberi e cespugli.
Dovevo focalizzarmi su altri dettagli. La villa, dalla posizione in cui mi trovavo quando fui catturata, era molto distante, mentre il cancello dorato piuttosto vicino.
Inoltre ero in prossimità del viale. Improvvisamente individuai il luogo. Trovai lo sguardo impaziente di Dave e incrociai i suoi occhi prima di puntare i miei sul nascondiglio. Con la coda dell’occhio vidi Dave seguire i miei movimenti.
Aveva capito. Sospirai di sollievo pur cercando di non farmi notare dai due segugi. Percepivo i loro sguardi sulla mia schiena come se volessero perforarmela per vedere oltre ad essa.
“Fermi!” disse Dave e tutti ci bloccammo.
Mosse qualche passo in direzione del cespuglio. Si chinò e frugò in esso. Il mio cuore iniziò ad aumentare i  battiti. C’eravamo. Cercai di calmarmi, ma fu del tutto inutile.
Mossi qualche passo verso Dave, che ancora cercava, prima che una mano dalla stretta forte si arpionasse sulla mia spalla.
“Dove credi di andare?” sibilò nel mio orecchio Rob.
Con una mano mi liberai dalla sua stretta e mi voltai verso di lui, giusto quel poco necessario a vederlo.
“Lo aiuto!” dissi con aria innocente “Non vedi che è in difficoltà?” dalla mia voce traspariva un po’ d’astio. Rob cercò gli occhi di Alan per cercare il permesso di liberarmi, ma quest’ultimo era concentrato sui movimenti di Dave. Lo guardava con le pupille che gli brillavano per l’eccitazione del momento. Era la sete di potere a renderlo cieco di fronte a ciò che stava per accadere.
In quel momento mi fece pena. Anche io una volta ero come lui, cieca di fronte a tutto e focalizzata solo sui miei poteri. Non vedevo ad un palmo dal mio naso e ciò mi rendeva limitata e debole. Era come essere un cavallo con i paraocchi: potevo guardare solo ciò che mi stava dinnanzi, ma perdevo tutto il resto. Poi era arrivato Dave.
Ripresi a muovermi verso di lui liberandomi della stretta di Rob. 
Dave mi aveva mostrato l’altra metà della medaglia e mi aveva resa meno stupida e più attenta alle molte sfumature della vita. Non è tutto nero o bianco. Non è nemmeno tutto grigio. Il mondo è a colori e ciò l’avevo scoperto solo grazie a quel ragazzo.
Questi si voltò verso di me con il libro bianco in mano e un’espressione di sofferenza sul volto. Doveva costargli molto separarsi da quel tomo al quale si sentiva così legato. Era il potere stesso ad attrarlo, ciò non poteva essere evitato..
Presi l’altra estremità del libro in mano e tirai leggermente in modo che lui lasciasse la presa.
Mi guardò negli occhi come per supplicarmi di non separarlo da quel tomo, ma dovevo farlo.
Gli risposi con uno sguardo determinato a portare avanti ciò che stavo facendo. Vidi i suoi occhi arrendersi mentre le sue dita allentavano la presa. Gli sorrisi.
Sospirò. Iniziai a camminare in direzione di Alan mentre colsi Dave sedersi a terra come se fosse sfinito. Sperai con tutto il cuore che non buttasse all’aria l’occasione che aveva. Doveva afferrare il libro nero.
Una volta giunta di fronte ad Alan gli consegnai senza remore il volume nelle mani.
Lo vidi piegare le labbra in un ghigno sinistro mentre gli occhi gli luccicavano per la gioia della vittoria. Sorrisi pure io.
“Spero sarai soddisfatto!” sibilai mentre il cuore rincominciava a battere velocemente.
Il suo sorriso si  allargò.
“Lo sarò di sicuro!”
Lo sguardo di Rob era puntato su Alan e notai con piacere che nessuno prestava attenzione a Dave che si trovava ancora pericolosamente vicino al libro nero. Non volsi lo sguardo verso di lui per lasciarlo lontano dai riflettori: se c’era un momento in cui Dave doveva agire era proprio quello.
Alan osservò il tomo che aveva fra le mani come se fosse un tesoro di inestimabile valore, dopo di che mise la mano sulla copertina.
Il cuore mi rimbombava nelle orecchie.
Infilò due dita al di sotto di essa.
La vena sul collo mi pulsava talmente forte da farmi quasi male.
Sollevò lentamente la copertina fino ad aprirla del tutto.
Il mio cuore sembrò improvvisamente zittito, come se stesse anche lui, come me, trattenendo il fiato.
Fu allora che avvenne. Osservai Alan mentre percepiva la forza del libro entrare in lui. Era estasiato e gioioso. Ormai era impossibile tornare indietro.
Non potei fare a meno di voltarmi verso Dave. Sul suo viso vi era un’espressione simile a quella di Alan. Era estasiato. La forza stava entrando in lui e tra le sue mani, aperto, vi era il libro nero.
Sorrisi vittoriosa mentre sia Alan che Dave svenivano come era successo anche a me.
Emisi un sospiro di sollievo abbassando lo sguardo. Era tutto finito.
“Oddio!” sussurrò Rob. Attirata dal suo tono di voce che esprimeva meraviglia alzai gli occhi e ciò che vidi mi fece rimanere a bocca aperta e senza parole. I due volumi si erano richiusi autonomamente e stavano levitando a qualche centimetro al di sopra del terreno. Si muovevano l’uno verso l’altro velocemente mentre salivano di quota. Sembravano attratti come lo sono due poli opposti di una calamita. Era sconvolgente.
Trattenni il respiro mentre, ormai al di sopra delle nostre teste, i libri si trovavano così vicini. Improvvisamente accelerarono la loro corsa e si schiantarono l’uno contro l’altro.
Mi aspettavo un impatto, mi aspettavo che i volumi si riunissero, invece nel momento in cui si sfiorarono entrambi si distrussero in tanti piccoli pezzi di carta. Quei minuscoli frammenti iniziarono ad ondeggiare nell’aria cadendo lentamente verso terra.
Rimasi estasiata dalla bellezza di ciò che stava accadendo. Sembrava che la neve fosse giunta in anticipo. Mi ritrovai ad allargare le braccia e alzare il viso in direzione dei piccoli ritagli di parole e carta, dopo di che iniziai a ridere liberandomi di tutta la tensione, dell’ansia e della paura che mi aveva attanagliata nelle ultime ore.
 Ero lo spettacolo più bello al quale avessi mai assistito. Anche Rob sembrava meravigliato di fronte a quella vista. Assurdo. Eravamo entrambi insensibili a tutto, eppure quell’evento spettacolare ci faceva rimanere ammutoliti come bambini di fronte alla prima neve che vedono.
Risi ancora, senza essere in grado di controllarmi, perché improvvisamente tutto sembrava facile, perché tutto sembrava finito, perché finalmente mi sentivo libera dal peso di quei poteri che avevano scombussolato la mia vita.
I pezzi di carta sembravano non finire mai, continuavano a cadere dissolvendosi non appena toccavano il suolo o i nostri corpi.
Rob distese una mano e guardò i frammenti adagiarsi su di essa prima di scomparire.
Dopo di che alzò gli occhi verso di me, occhi colmi di incomprensione e meraviglia.
“Cosa vuol dire tutto ciò?”
Sorrisi radiosa più che mai.
“Vuol dire che abbiamo vinto, tutti noi!” sussurrai.


Per chi non lo ricordasse nella villa ci sono anche due bambini (Cris e Giuly) e una ragazzo (Josh), mi sembrava giusto inseirli, non potevano essere spariti nel nulla.
Inoltre voglio porre l'accento sul bacio tra Dave e Mar: per la prima volta Mar da un bacio che non ha come fine qualcos'altro, è un modo per sfogarsi e scaricare la tensione.

Ok, dopo queste due brevi parentesi passo ai ringraziamenti!
Innanzitutto grazie a tutti coloro che hanno recensito lo scorso capitolo 
Strawberry SwingEvaAinenElle ChanelSeree_nancywallaceshadowdustPyra___Luthien e Dear Juliet e Monique89.

Il capitolo 31 arriverà a giorni dato che è già completato, devo solo correggerlo! Voglio però farvi una domanda: secondo voi come si concluderà questa storia? ;)

Dopo che avrò terminato questa storia continuerò 'Without feelings?' e 'Secret Societies' (lo dico per chimle stava seguendo XD)
Ah! ci sarà il capitolo 32 e poi l'epilogo!

Daisy

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Capitolo 32
*** CAP 31 ***


 CAP 31

 
“Abbiamo vinto? Ma stai impazzendo?” Rob si voltò incredulo verso di me mentre gli ultimi frammenti di carta raggiungevano il terreno.
Gli sorrisi. “Mai stata più sana di così!”
“Cosa è successo precisamente?” aggrottò le sopracciglia nel chiedermelo.
 Non potei far a meno di sorridergli gioiosa.
“I libri sono distrutti, le fonti del potere non esistono più!”
Rob assunse un’espressione che denotava perplessità.
“Perché lo hai permesso? Quei poteri sono tutto, sia per te, che per Alan!”
“Ma non è gusto che sia così!” sussurrai quasi tra me.
Guardai il corpo esanime di Alan e provai una gran soddisfazione. Non avrebbe più potuto nuocerci.
Oddio, adesso parlavo pure al plurale, non avrebbe più potuto nuocermi.
“Era una trappola?” Rob era esterrefatto, come se non riuscisse a capacitarsi del fatto che il grande Alan era finito nella mia trappola, o forse non capiva come avevo potuto far cadere nella rete l’uomo che mi aveva cresciuta.
Invece che rispondere sorrisi. Era tutto finito. Non sarei più dovuta scappare e non avrei mai più dovuto temerlo. Era come me, alla mia altezza. Anzi, probabilmente io mi trovavo su un gradino più alto.
“Abbiamo vinto!” sorrisi stupidamente a Rob.
“Non hai vinto!” sbottò Rob
“E invece sì!” ribattei a testa alta beandomi della sua incredulità “Alan ha perso i poteri!”
“Non è vero!” sussurrò a mo di preghiera.
“Scommettiamo?” lo guardai con aria di sfida.
“Allora era vero quello che ci aveva detto Caren, che i tuoi poteri erano annullati!”
Annuii.
“Eppure tu prima hai resistito al comando di Alan, come hai fatto?”
Era qui che arrivava il bello.
“I normali umani tendono a fidarsi ciecamente di quella vocina interiore che hanno, la chiamano istinto, ed è così tremendamente comoda perché permette loro di prendere decisioni senza pensarci troppo. Non è facile scegliere e diciamo che Mr Istinto priva le persone di questa difficoltà!
Quando noi manipoliamo le mente e costringiamo qualcuno a fare qualcosa, quel qualcuno crede che la decisione sia imposta dalla propria coscienza ed è più facile seguirla piuttosto che metterla in discussione. Inoltre a loro non sembra nemmeno una cosa sbagliata quella che noi chiediamo di fare, anzi è qualcosa di giusto e razionale.
Perché, quindi, dovrebbero ribellarsi?
Io però sono diversa. Non mi sono mai abbandonata alla mia parte irrazionale, ma ho basato la mia vita su macchinazioni, piani e quant’altro, tutte cose che mi potevano dare la certezza che avrei vinto.
 Basavo la mia forza soprattutto sui miei poteri, anzi, solo su quelli, per me erano tutto! In realtà non avevo fiducia in me, ma nelle mie facoltà.
Una volta privata dei poteri tutto è cambiato. Mentre Alan mi stava ‘convincendo’ sentivo che era giusto ciò che lui mi chiedeva di fare, ma io non do mai ascolto alla mia coscienza o meglio, prima di farlo devo rifletterci, macchinarci sopra, pensarci!” lo avevo fatto anche quando Dave mi aveva mostrato l’altra faccia della medaglia “Così mi sono resa conto che era sbagliato e che dovevo resistere al comando! Non ricordavo perché, ma sapevo che era così, sono l’unica persona al mondo che non si è fidata della sua coscienza! Sono diffidente per natura!
Persino chi compie cattive azioni crede che la sua coscienza sia nel giusto, anche se essa gli dice che ha sbagliato, la coscienza ha sempre ragione! Io invece l’ho messa in dubbio nonostante il potere di Alan fosse molto forte. Diciamo che quella vocina era molto convincente.
Dovevo trovare la forza per riuscire a vincerla e quella forza era dentro di me. Non servivano i miei poteri per resistergli, ma semplicemente la mia volontà. Se io non volevo che lui mi condizionasse, lui non avrebbe potuto farlo, e sicuramente non volevo che lui decidesse per me!
 Volevo poter scegliere, non ho mai sopportato le decisioni imposte. Sapevo che ce la potevo fare. Per la prima volta ho avuto fiducia in me e non nei miei poteri e questo ha alimentato la mia volontà di resistergli e il mio raziocino.
Così ce l’ho fatta!”
Conclusi il discorso sentendomi fiera di me. Mi sentivo più forte grazie a quella nuova consapevolezza: valevo di più di semplici poteri psichici. Valevo di più come persona. Io che credevo di essermi sempre esaltata in realtà mi ero sempre sottovalutata. La mia forza ero io. E non c’è consapevolezza più bella al mondo.
I miei pensieri furono interrotti da un debole applauso che attirò la mia attenzione. Alan stava battendo le mani con uno strano sorriso sul volto, il sorriso di chi la sa lunga, un sorriso per nulla rassicurante.
“Bel discorso, sono quasi commosso!” mi schernì rialzandosi lentamente.
“Lo so che era un bel discorso, tutto quello che esce dalla mia bocca è bello!” sbottai guardinga. Chissà perché, ma il suo modo di fare non mi tranquillizzava per nulla.
Fece un mezzo sorriso e si pulì i vestiti dall’erba che si era attaccata ad essi.
“Ti ho educata bene!” continuò.
“A quanto pare sì!” concordai cercando di rimanere cordiale. Non avevo più nulla da temere, dopotutto i libri erano andati distrutti, non c’era motivo per agitarmi!
“E così ho perso i miei poteri eh?” disse semplicemente. Vederlo così tranquillo mi fece gelare il sangue nelle vene. Si sarebbe dovuto disperare, o come minimo mi avrebbe dovuta insultare e invece cosa faceva? Si limitava ad applaudire e a fare costatazioni inutili. Comunque era chiaro che aveva sentito tutto il discorso tra me e Rob.
Lo guardai come se fosse impazzito.
Ridacchiò.
“Ti stupisci della mia reazione Mar?” si finse perplesso “Non dovresti. Vedi, a differenza tua, io non ho mai posto fiducia solo nelle mie facoltà, ma soprattutto in me stesso!” gli occhi gli brillarono. Rabbrividii. Cosa stava dicendo?
“Con o senza poteri io sono sempre letale!” sibilò con un sorriso sinistro.
“I libri sono andati distrutti, ti è chiaro il concetto?” ghignai nel dire tali parole “Dovresti disperarti!” aggiunsi.
Mosse due passi nella mia direzione.
“Io credo che i poteri siano in uno stato di latenza!” si avvicinò maggiormente “Si trovano in te, in me, e in quello scemo del tuo amico!” indicò con un cenno della testa Dave che ancora giaceva svenuto sull’erba.
Ormai era di fronte a me. Potevo sentire il suo alito solleticarmi la pelle e, per questo, non riuscii a trattenere una smorfia. Feci qualche passo indietro per allontanarmi da lui, ma andai a sbattere contro il petto di Rob. Questi avvolse le dita intorno alle mie braccia in modo da farmi rimanere ferma. Non potevo più allontanarmi da Alan. Maledii entrambi.
“I poteri sono distrutti!” sibilai scrollando le spalle per liberarmi della presa di Rob “La tua idea è mera illusione!”
Alan rise. La pelle mi si accapponò ed egli arrivò così vicino da farmi sfiorare il mio corpo con il suo.
“Io credo che i libri siano stati distrutti, ma non il potere!”
“I libri erano la fonte del potere!” ribattei stringendo i denti mentre il mio cuore stupidamente batteva sempre più veloce “Persi quelli che ti rimane?”
“Il potere che è in te, Mar!” sussurrò sorridendo. Voltai la testa di lato per non sentire il suo alito sulla mia pelle.
“Vedi, tu non sei altro che un contenitore! Sai perché siamo diversi io e te?” non aspettò la mia risposta “Perché io credo in me da sempre! Mi hai tolto i poteri con uno sciocco inganno, eppure guarda ora! Chi ha il coltello dalla parte del manico?”
Qualcosa di freddo si posò sulla mia gola. Deglutii mentre il ritmo del cuore mi rendeva quasi sorda di fronte alle parole che Alan stava dicendo. Cercai di ritrarre la testa, ma ero bloccata dal corpo di Rob.
Alan aveva il coltello dalla parte del manico. Letteralmente.
L’uomo fece un mezzo sorriso leggendo la preoccupazione nei miei occhi.
“Vedo che comprendi! I libri avrebbero potuto insegnarmi molto, ma dopotutto so già fare un sacco di cose, credo che mi accontenterò! E presto riavrò i miei poteri!”
Si leccò le labbra come se avesse appena mangiato qualcosa di incredibilmente delizioso. Sbarrai gli occhidi fronte alle sue parole. Perché continuava a parlare di poteri?
“Non avrò più i poteri eppure sto per riprendermeli, con o senza libri. Questo perché ho giocato meglio le carte che avevo a disposizione Mar! ” sogghignò.
Si avvicinò al mio orecchio mentre io cercavo di divincolarmi dalla presa ferrea di Rob.
“Sei solo un contenitore Marguerite, eliminato il contenitore la forza sarà mia! Hai perso il gioco!” mi sussurrò con ironia.
Deglutii.
“Non preghi che io ti risparmi, Mar?” continuò ghignando. Le sue parole mi fecero recuperare un po’ dell’orgoglio che era stato sepolto sotto uno spesso strato di paura.
Mai!” sibilai a denti stretti.
Con la coda dell’occhio vidi Dave alzarsi. Il mio cuore si alleggerì di fronte a quella vista. I nostri occhi si incontrarono. Fu un attimo e lui sapeva già cosa fare.
Corse fino a raggiungere Alan e a scaraventarsi su di lui. Sembrava uno di quei placcaggi dei giocatori di baseball. Alan cadde a terra con Dave sopra di lui, ma non potevo perdere tempo ad osservare ciò che sarebbe successo dopo. Approfittai del momento per sferrare una gomitata nelle costole di Rob. Egli trattenne un lamento, ma lasciò leggermente la presa sulle mie braccia così io mi riuscii a liberare.
Mi voltai verso di lui e cercai di sferrargli un pugno sulla guancia, ma lui bloccò il mio polso a qualche centimetro dall’obbiettivo.
Scossi il braccio per liberarmi e lui aumentò la presa. Mi faceva male così socchiusi gli occhi nel tentativo di sopportare il dolore.
Gli tirai un calcio su un polpaccio, ma l’impatto provocò più dolore a me che a lui. Lo vidi sorridere.
“Tutto qui, Mar?”
Detestavo essere presa in giro in quel modo, dopotutto ero una donna non avevo la sua stessa forza fisica.
“Lasciami!” ordinai strattonando ancora il polso.
Rob non rispose. Fece girare il mio braccio intorno a se stesso in modo tale da portarlo dietro la mia schiena.
“Mi fai male!” sentivo tutti i muscoli tesi e questo mi provocava dolore. Rob piegò un altro po’ verso l’alto il braccio e il gesto fece uscire un maledetto lamento dalle mie labbra.
“Basta!” mugugnai trattenendo le lacrime che inevitabilmente minacciavano di fuoriuscire.
Sentii che Rob mi afferrava l’altro polso per poi portare il braccio libero nella stessa posizione dell’altro. Il dolore fu doppio.
Rise dei miei lamenti.
“Avete perso!” disse soddisfatto.
Non avevamo perso. Non mi sarei arresa mai.
Fu in quel momento che i miei occhi videro quello che non avrebbero mai voluto vedere.
 
 
 
Guardare Dave inginocchiato sull’erba non era un bello spettacolo. Alan aveva una ciocca dei suoi capelli corvini tra le dita e, tramite quelli, tirava indietro la testa di Dave in modo da lasciare completamente esposto il collo alla sua lama. Il coltello sfiorava la pelle del ragazzo e mi chiedevo quanto tempo dopo si sarebbe conficcato in essa. Il volto di Dave era sudato e pallido, tuttavia sembrava troppo stanco per reagire.
Catturai i suoi occhi con i miei e cercai di infondergli coraggio o, quantomeno, la forza per correre via e allontanarsi dal quel carnefice, ma negli occhi verdi di Dave, per la prima volta, non prillava più la speranza. In essi aleggiava  la cupa luce della disperazione e della rassegnazione.
Dave non poteva arrendersi, non lui. Io non mi stavo arrendendo. Ero immobilizzata da Rob che mi teneva le braccia dietro la schiena facendomi male, eppure avevo ancora lo sguardo fiero, ero ancora pronta a combattere, a dare speranza.
Dopotutto l’unico nostro errore era quello di aver creduto che, dopo la sparizione dei poteri, tutto si sarebbe concluso pacificamente, magari con una bella stretta di mano.
Tutto mi immaginavo, tranne quella terribile situazione.
“Vedi Mar? Mi avrai privato del mio potere, ma ora possiedo un’altra forza, quella dell’odio!” sorrise glaciale Alan mentre puntava gli occhi nei miei.
“Dovresti provarla sai? È inebriante e riesce a farti sentire…” si leccò le labbra mentre assunse uno sguardo da folle “…quasi un Dio, soprattutto in momenti come questo!”
Tirò maggiormente i capelli di Dave facendogli serrare le palpebre per il dolore.
Avrei voluto rispondergli in modo pungente, dirgli che lo sapevo perfettamente cosa voleva dire odiare davvero qualcuno, solo che ad ogni mia parola sbagliata Dave rischiava la vita.
“Non replichi Mar?” mi canzonò. Strinsi le labbra. Sapevo che l’unica cosa che voleva era farmi cedere, farmi aprire la bocca, solo per avere la soddisfazione di finire Dave sotto il mio sguardo. Probabilmente aveva capito che un po’ ci tenevo a quel ragazzo e che non mi sarebbe piaciuto vederlo morire per causa mia.
“Forse non dici nulla perché sai che ho ragione!” ridacchiò senza gioia mentre spalancava gli occhi. Sembrava che la perdita dei poteri lo avesse condotto sulla soglia della pazzia. L’odio che prima era controllato grazie alla forza nera, in quel momento era libero e senza controllo nel corpo di Alan. Gli annebbiava i sensi, rendendolo folle.
Solo in quel momento mi resi conto che probabilmente aveva iniziato questo percorso di autodistruzione e di pazzia da quando aveva visto le parole ‘ti amo’ uscire dalla bocca di Grace. Solo che lui non ne era stato il destinatario. L’amore può distruggere. Ce lo aveva sempre detto di non amare mai. Come aveva ragione. L’amore che aveva distrutto Alan adesso stava per distruggere la vita del suo stesso figlio.
Come avevo fatto ad essere così stupida? Eppure la soluzione non era tanto difficile da trovare.
Alzai lo sguardo fieramente e lo posai in quello di Alan, sorrisi.
“Lui…” e indicai Dave con la testa “…si chiama Dave Sullivan!” scandii con cura il cognome. Al solo sentire tale suono Alan perse lo sguardo folle. Aggrottò le sopracciglia e mi fissò come se non fosse sicuro di aver sentito bene. Sembrava spaesato. Alan spaesato, combinazione incredibile.
La sua reazione mi diede coraggio.
“E’ figlio di Grace Sullivan…” Alan sbarrò gli occhi al solo sentir nominare la donna che in passato aveva così tanto amato. Alla fine il diario di Grace si era reso utile perché mi aveva permesso di capire più a fondo la mente dell’uomo che mi aveva cresciuta. Era solo grazie ad esso se ero riuscita a capire che Alan era da sempre sulla soglia della pazzia, che era distrutto nel cuore e nell’anima, per quanto potessi reputarlo assurdo.
Continuai “E suo padre è Alan Sebastian…” marcai il suo secondo nome, di cui nessuno a villa lux era a conoscenza “…Black!” conclusi gloriosa.
Il coltello scivolò dalle mani di Alan, mentre i suoi occhi erano ancora nei miei.
“MENTI!” urlò in preda ad un improvviso quanto forte attacco di collera. Dave capì che ciò che avevo appena rivelato era anche un modo per distrarre Alan da lui, così si sottrasse alla sua presa scivolando lateralmente. Agguantò una pietra  e, digrignando i denti per lo sforzo, la scaraventò sulla testa dell’uomo.
In quegli istanti il volto di Alan fu teatro di molteplici espressioni. Dapprima sorpresa, dopo di che rabbia e infine dolore. Roteò gli occhi e cadde a terra svenuto.
Rob, da deficiente qual’era, si era distratto guardando la scena che gli si era parata dinnanzi agli occhi, dimenticandosi totalmente dell’ostaggio che doveva tenere immobile: io.
Sorrisi di fronte a quella opportunità  e piegai con forza una gamba all’indietro, in modo tale da tirargli una tallonata nelle parti intime.
Con un mugolio strozzato lasciò andare le mie braccia per portarsi le mani sul cavallo dei pantaloni, dopo di che si inginocchiò dolorante a terra.
“Dave, la pietra!” aprii il palmo e Dave vi posò il sasso che aveva tirato in testa ad Alan! Gli sorrisi per ringraziarlo e scaraventai l’oggetto sulla testa di Rob facendogli perdere i sensi.
Sopirai di sollievo e mi accasciai a terra. Dave si sedette vicino a me. Sentivo i suoi tentativi di calmare il respiro. Erano così simili ai miei.
“Mi hai salvato!” sussurrò tra gli ansimi.
Mi voltai verso di lui e senza pensarci gli buttai le braccia al collo.
Inspirai a pieni polmoni il suo profumo e sospirai sollevata.
Mi strinse a sua volta in una morsa che mi fece sentire protetta, al sicuro, a casa.
 Il mio primo vero abbraccio.
 
 
Trasportare i corpi svenuti di Alan e Rob all’interno della villa non fu facile, ma fortunatamente Josh ci diede una mano insieme ad Agatha. La donna era tornata in se dopo la distruzione dei volumi e aveva preteso spiegazioni, ma vedendo me e Dave pieni di lividi e sconvolti aveva deciso di mettere da parte la sua curiosità e di darci una mano. Vedere Agatha priva dello sguardo spento fu strano e normale allo stesso tempo. Mi fece sentire in colpa. Alan aveva portato via a quella donna almeno quindici anni di vita, periodo in cui era rimasta al nostro servizio. Tutto ciò perché lei aveva scelto male lo psichiatra da cui farsi curare.
Avevo anche recuperato la mia borsa che ormai conteneva solo il quadernetto scritto da Alexander. La posai sul divano in attesa che Alan si risvegliasse per potergli chiedere spiegazioni al riguardo.
Avevamo legato lui e Rob alle sedie, come loro avevano fatto con me. In quel modo non avrebbero potuto nuocere, almeno lo speravo.
Dave mi si avvicinò e mi lasciò un bacio sui capelli con fare protettivo. Automaticamente mi allontanai. Non avevo bisogno della sua protezione, né del suo sostegno. Era evidente che l’abbraccio che gli avevo dato in giardino lo doveva aver illuso fin troppo. Per me era stato un modo per scaricare la tensione, non una ricerca di protezione.
Lo vidi sorridere e ignorare il mio allontanamento. Probabilmente aveva capito che non ero il genere di persona che apprezzava quei gesti.
“Agatha sta chiamando la polizia!” mi informò.
Sospirai.
“Credi sia finita davvero o, quando si sveglierà, avrà un altro asso nella manica?” gli domandai osservando Alan.
“Credo che sia finita!”
“Come fai a dirlo?” rivolsi il mio sguardo a Dave. Fece un sorriso triste.
“Credo che ora come ora sia tutto inutile, è legato come un salame!”
“E se Josh e Agatha sono suoi complici?” essere diffidente era nella mia natura.
“Non lo sono!”
“Sei troppo fiducioso!” sbottai irritata.
“Sono così, prendere o lasciare?”
“Lascio!”
Sorrise come se fosse ovvio ottenere una risposta del genere da me.
Alan iniziò a mugugnare e a muoversi, poi improvvisamente sbarrò gli occhi e li richiuse immediatamente abbagliato dalla luce della stanza.
Pian piano i suoi occhi si abituarono e, quando capì di essere legato, sbarrò le palpebre e digrignò i denti.
Non potei far a meno di sorridere, dovevo prendermi la mia rivincita, dopotutto ero vendicativa per natura!
“Come ci si sente a stare dall’altra parte?” gongolai nel porre tale domanda. Dave scosse la testa sconsolato, ma ormai consapevole delle vari sfaccettature del mio carattere. Mi avrebbe lasciata fare senza interrompermi. Chi lo avrebbe mai detto che ci saremmo intesi così bene?
Alan mi guardò con astio.
“Dovresti ringraziarmi! Ti ho fatto riunire con tuo figlio!” continuai.
“Zitta Marguerite!” sussurrò.
“Il figlio del tuo amore!” il mio tono era canzonatorio.
“ZITTA MARGHERITE!” urlò facendo destare bruscamente Rob.
“Avuto dalla donna che non ti amava!”
“BASTA!” non fu Alan ad urlare, ma Dave.
Mi voltai verso di lui fulminandolo con lo sguardo. Non doveva essere dalla mia parte?
“Lei com’era?” sussurrò Dave ignorandomi. Oddio. Stava per iniziare uno di quegli stupidi momenti da famiglie appena ritrovate. Un tuffo nei ricordi. Che orrore.
“Perché dovrei risponderti ragazzino?” sibilò Alan riducendo gli occhi a due fessure.
“Perché sono sangue del tuo sangue!” Dave rispose con una punta di disgusto di fronte alla quale Alan ghignò.
“Era bella, era sexy ed era una gran puttana!” marcò l’ultima parola con la voce. Dave strinse la mascella tuttavia continuò a parlare tranquillamente. Dopotutto l’obbiettivo di Alan era quello di ferirlo, ma lui non gliel’avrebbe data vinta.
“Perché non ti amava Alan? Per questo era una puttana?” ribattè.
“Perché amava un altro eppure ha sposato me!”
“Non ti ha mai tradito!”
“Dubito!”
“Non lo ha fatto!” la voce di Dave era ferma e determinata.
“E sentiamo...” lo canzonò “Tu come lo sapresti?”
“Ho letto il suo diario!”
Alan sorrise come se avessi improvvisamente capito qualcosa.
“Oh! Quello di cui parlava Caren, interessante! Solo che a Caren non hai detto questo particolare vero?”
“Esatto!”
“Perché?” il sorrisetto che Alan si era stampato sulle labbra mi faceva venir voglia di prenderlo a schiaffi, sembrava che si stesse prendendo gioco di Dave.
“Perché mi fa schifo pensare di avere un padre come te!”
Dovette quasi trattenermi dal fargli l’applauso, non lo avevo mai sentito così irrispettoso. Tranne che con me, naturalmente.
Alan ridacchiò per nulla offeso dalle sue parole.
“Ho amato Grace più della mia stessa vita, eppure solo dopo la sua morte mi sono reso conto del grande errore che avevo commesso! La sua morte mi ha liberato dalla prigione dell’amore. La sua morte unita alla scoperta del suo amore per quel medico da strapazzo mi ha aperto un mondo. È grazie a tutto ciò se ho aperto il libro, se sono diventato l’uomo più forte del mondo, se mi sono goduto la vita negli ultimi vent’anni!”
Alzò gli occhi sbarrati per incontrare quelli di Dave. Lo sguardo da folle era tornato e riusciva a mettermi i brividi anche se sapevo che non poteva fare nulla.
“L’amore rende deboli, l’odio rende forti! E grazie a quella puttana di tua madre se io sono il detentore di un potere immenso!”
“Il potere è stato…” cominciai.
“Distrutto, lo so!” mi interruppe rivolgendosi a me “Ma io non parlo di un potere quasi magico, parlo di una forza interiore. Parlo dell’odio. Dovresti sentirlo Mar! E’ così inebriante!” era letteralmente estasiato.
Rabbrividii e distolsi lo sguardo.
“Quindi tu hai smesso di amare Grace…” continuai cercando di ignorare le sue parole.
Non aspettai una risposta. “…però hai voluto vendicarti, non è così?” proseguii.
Alan mi guardò con fare canzonatorio.
“Perché hai tenuto d’occhio il dottore dopo la morte di Grace?” gli domandai.
Fece un mezzo sorriso come se stessi dicendo delle assurdità.
“Cosa ti fa credere che io abbia tenuto d’occhio il dottore?”
Ghignai. Misi una mano nella borsa ed estrassi il quaderno di Alexander Greenwood, meglio conosciuto come il dottore, ricordato come l’odioso pseudozio di Dave.
“Questo gli appartiene!”
Alan sbarrò gli occhi.
“Era nella tua libreria! Vuoi dirmi tu che significa?”
Sorrise. “Margherite, la tua stupidità mi fa rimanere perplesso. Credi davvero che ti darò spiegazioni?”
Ghignai pronta a quell’evenienza.
“Mi chiedevo quando sarebbe giunta l’ora di darti un incentivo  per farti parlare!”
Afferrai un coltello da cucina che avevo chiesto ad Agatha di recuperare e glielo puntai alla gola.
“Ora parlerai?”
“Non lo faresti!” mi sfidò.
Aumentai la pressione della punta della lama sul suo collo.
“Hai presente la forza inebriante del’odio di cui parlavi prima? La provo nei tuoi confronti!” sibilai senza nascondere un sorriso glaciale.
Lo vidi deglutire preoccupato mentre cercava, senza successo, di allontanarsi.
“Ovvio che volevo vendicarmi. Lo tenni d’occhio per diversi anni aspettando l’occasione buona. Era un uomo che amava fare ricerche, passava tutto il suo tempo al computer, o ad interrogare persone su sciocche leggende! Lo reputavo un pazzo, uno sciocco. Ci metteva l’anima in quello che stava facendo, quindi ad un certo punto pensai che forse le sue ricerche erano davvero importanti. Quando vidi che le mise da parte capii che doveva essere giunto ad una conclusione così rubai il quadernetto.
Conteneva informazioni riguardanti una stupida maledizione che a detta sua aveva causato la morte di Grace e avrebbe provocato anche quella di suo figlio.
Aveva scoperto come romperla. Entrai nella sua testa e rimossi tutti i ricordi che riguardavano le sue ricerche, un po’ come ho fatto con Caren prima di mandarla via da qui!” dalla sua voce traspariva soddisfazione, era come se si auto compiacesse delle sue opere.
“Rimasi profondamente incuriosito dal fatto che la maledizione potesse gravare su quello che per metà era anche mio figlio, così decisi di recarmi da lui!” guardò Dave.
“Credo che il resto tu lo sappia! Adesso gradirei che tu mi togliessi il coltello dalla gola!” sibilò.
Allontanai la lama rendendomi conto solo allora di aver trattenuto il fiato. Sospirai.
“La polizia sarà qui a momenti!” dissi sorridendo in direzione di Alan.
Quest’ultimo sbarrò gli occhi. Gongolai per la sua reazione.
“Cosa?”
“Hai capito bene, la polizia!” ripetei.
Fece una risata sinistra “E cosa direte alla polizia?” il suo tono era canzonatorio.
“Che ci hai aggrediti!” risposi con semplicità.
“Mar, guardati attorno, qui quello legato sono io! A chi credi che crederanno? Alla tua denuncia di aggressione o alla mia?”
Risi di gusto nell’udire tali parole.
“Abbiamo noi il coltello dalla parte del manico ora! L’arma con la quale ci hai minacciati in giardino è stata afferrata  con un fazzoletto  in modo da conservarne le impronte digitali poste su di esso. Senza contare che sulla lama del coltello ci dovrebbero essere tracce del DNA di Dave!” il ragazzo aveva riportato un piccolo taglio sul collo, nulla di grave, solo una graffio, un graffio che era forniva la prova centrale per incastrare Alan.
“Come se non bastasse abbiamo due testimoni oculari oltre che ai lividi e ai tagli che confermeranno ogni cosa.” Gli sorrisi.
“Testimoni? Ma dai!” non ci credeva.
“Josh e Agatha hanno assistito a tutto a quanto a pare!” ribattei.
“Non è la verità!”
“Agatha non ha assistito davvero , ma Josh sì! Entrambi comunque testimonieranno contro di te!”
“Josh non lo farà!” asserì convinto Alan.
“Quando la nave affonda la ciurma la abbandona!” fu Josh a parlare dall’angolino della stanza nel quale si trovava.
Alan sbarrò le palpebre e lo guardò come se fosse un alieno.
“Se tu la uccidessi io riavrei i miei poteri!” gli rispose.
“I tuoi poteri non ti liberebbero da quelle corde!” ribattè semplicemente Josh.
“Ma potrei convincere qualcuno a farlo!”
“I tuoi poteri non tornerebbero ugualmente!” intervenni “Sono distrutti Alan, fattene una ragione!” mi stava davvero facendo venire il nervoso con la sua insistenza.
L’uomo mi fulminò con lo sguardo.
“RIDAMMI I MIEI POTERI BASTARDA!” urlò.
Sorrisi. Come ho sempre detto vedere Alan che perde la calma non è una cosa da tutti i giorni.
 


Ok, permettetemi una piccola, minuscola precisazione.
Mar, quando è tenuta prigioniera da Rob sta per piangere. Non lo prendete come un attimo di deboleza, è più una reazione normale: quando proviamo un dolore fisico intenso tendiamo a piangere, la sua è una reazione del tutto normale!

Ok, mancano due capitoli! Sono già scritti quindi vanno solo rivisti e credo che il prossimo arriverà per la fine della settimana.
Grazie di cuore a 
Seree_monique89shadowdustnancywallacedikeromakpi (benvenuta!!), SilviaXDDreamer_on_earthElle Chanel!!

Voglio rivolgermi adesso a tutti i lettori che in questi mesi sono rimasti nell'ombra: mi piacerebbe tantissimo se voi esprimeste il vostro parere, anche tramite messaggio privato. So che avete letto, ma vi piace ciò che leggete?? Avete consigli?

Daisy

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Capitolo 33
*** CAP 32 ***




Premetto che il capitolo non è molto lungo! Ho preferito accorciare gli ultimi capitoli in modo tale da renderli meno pesanti! Spero vi piaccia.
Questo sarebbe il capitolo finale perchè il prossimo sarà l'epilogo. La prima cosa che voglio fare è ringrziare che ha recensito lo scorso capitolo: 
Seree_SilviaXDdikeromakpinancywallacemonique89Kate KittyshadowdustElle ChanelPyrafederyca!

CAP 32

 
“Credi che lì dentro ci siano  davvero le risposte che cerchiamo?”
La mia voce distolse Dave dai suoi pensieri.
“Eh?” domandò non sicuro di aver compreso ciò che gli avevo chiesto.
“E’ da quando hanno portato via Alan che osservi quel quaderno senza aprirlo! Sembra quasi che speri che si apra da solo e che ti racconti lui stesso ciò che vuoi sapere!”
Mi sedetti sul divano accanto a lui e gli sfilai, con un rapido gesto, il quaderno dalle mani.
“Hei!” protestò
Accavallai le gambe e mi appoggiai comodamente allo schienale.
“Forse, se tu lo aprissi otterresti maggiori risultati!” lo canzonai facendo scivolare un dito sotto la copertina.
Dave si protese su di me per cercare di afferrare il quaderno, ma io allungai il braccio in modo tale che fosse al di fuori della sua portata.
“E’ mio!” asserì.
“In realtà è di Alex!” precisai con un sorriso divertito.
“Sempre a fare la precisina!” sbottò indignato.
“Sempre!” confermai divertita da quello scambio futile di battute.
“Allora?”
“Allora che?”
“Ora che hai in mano quel quaderno che farai? Mi ricatterai?” nonostante cercasse di mantenere un tono offeso vidi che stava trattenendo un sorriso.
“Mmm, a dire la verità pensavo di leggerlo io, dato che tu non ti decidi! Però devo dire che la tua idea mi alletta molto di più: ebbene sì, ti ricatterò!” conclusi soddisfatta.
“Tanto so che non resisti alla tentazione di leggerlo!” ridacchiò.
Come faceva a conoscermi così bene? Era da ore che non vedevo l’ora di leggerlo! Così mi ero seduta sul divano della biblioteca della villa ad aspettare l’occasione buona per aprire quella dannata raccolta di pagine. In definitiva: sì, ero curiosa!
Mi allontanai da lui fino ad andarmi a sedere sul bracciolo opposto del divano. Alzò gli occhi al cielo e mi sorrise in attesa. Mi schiarii la voce con fare teatrale e sollevai la copertina.
“Ricerche di Alex Greenwood” lessi ad alta voce.
Girai la prima pagina.
 
Sommario:
  • La maledizione
  • I poteri
  • I compiti del custode
  • I libri
  • Soluzione?
 
I miei occhi si concentrarono sopratutto sull’ultima voce dell’elenco. Perché accanto alla parola soluzione era stato posto un punto di domanda? Cercai di ignorare la cosa e mi rivolsi a Dave.
“Accidenti, c’è addirittura un sommario!” dissi sbalordita. Con un rapido movimento Dave si avvicinò a me e sbirciò la pagina che stavo leggendo.
“Ha fatto le cose in grande!” continuai avvicinandomi il quaderno al petto in modo tale che Dave non vedesse.
Sbuffò di fronte al mio comportamento e ritornò al suo posto come ad invitarmi a continuare.
La prima sezione parlava della maledizione così come ce l’aveva raccontata Alex. Faceva riferimento a quella strega che, per vendicarsi di una giovane donna che aveva intralciato i suoi piani, racchiuse il bene e il male in un volume dalla doppia copertina. Se qualcuno avesse aperto tale libro i poteri sarebbero entrati nel corpo di quella persona e il gioco sarebbe iniziato. In quelle pagine Alex parlava anche della morte inevitabile del custode.
“Fin qui nulla di nuovo!” sospirò Dave.
Annuii prima di continuare a leggere.
“I poteri contenuti nei due volumi sono speculari, uno l’opposto dell’altro. La capacità di coloro che possederanno tali facoltà sarà quella di convincere le persone a fare delle cose, nel bene o nel male. La particolarità sta nel fatto che le ‘vittime’ saranno convinte di prendere le scelte autonomamente.
I due detentori del potere saranno come gli angioletti e i diavoletti di cui si parla ai bambini, quelli che si dice stiano sulla spalla destra e sinistra di ognuno di noi. Quelli che suggeriscono le scelte.
Il  detentore del potere nero influenzerà le decisioni in un certo modo, il detentore del potere bianco farà la medesima cosa solo che nel modo opposto. Risultato: non si è più liberi di scegliere.
Eppure gli esseri umani sono nati liberi, liberi di prendere le loro decisioni, quindi questi poteri sconvolgono il normale ordine delle cose.  Questo sarà ristabilito grazie al custode che ridarà agli uomini la capacità di scegliere secondo la propria testa e secondo le proprie intenzioni!
E’ infatti impossibile sfuggire di fronte ai comandi che verranno imposti tramite lo sguardo. L’unico modo per resistere è conoscere i metodi di persuasione e avere una volontà di ferro!”
Riflettei. Io conoscevo le modalità attraverso le quali Alan utilizzava il suo potere, quindi avevo capito che stava usando le sue facoltà con me, di conseguenza era per quello che ero riuscita a resistergli, a differenza di tutti gli altri comuni esseri umani io sapevo che stava cercando di influenzarmi. Questo, unito alla mia forte volontà di resistergli, mi aveva permesso di ignorare il suo comando.
Sorrisi fiera di me.
“E così avresti una volontà di ferro eh?” sogghignò Dave intuendo i miei pensieri.
“A quanto pare!” gli sorrisi mentre lui mi guardava come se fosse orgoglioso di me. Decisi di ignorarlo e di continuare la lettura.
“ Il custode ha il compito di impedire che qualcuno apra il volume e, se questo dovesse accadere, deve essere pronto ad agire. Solo lui ha la facoltà di riunire i due libri, di riequilibrare le forze in campo, bene e male. Allora i tomi saranno riuniti ed essi torneranno ad essere un unico volume. E tutto reinizierà! Quando ciò accadrà i poteri entrati nelle persone che avevano dato il via al gioco di sguardi saranno riassorbiti all’interno dei libri e tutto tornerà alla norma.” conclusi.
“Ma i libri sono stati distrutti!” constatò Dave a mezza voce.
“Forse questo cambia le regole!”  tentai.
Mi sfilò il quaderno dalle mani e girò qualche pagina.
“Qui non parla di distruzione del potere, parla di riunione dei libri, di riassorbimento delle forze, non di distruzione totale!”
“Forse è un avvenimento non contemplato!”
“Che però è avvenuto!” concluse lui.
“C’è un capitolo che si chiama ‘soluzione’” sussurrai ricordando l’indice.
Dave fece scorrere le pagine sempre più velocemente fino ad arrivare alla sezione desiderata.
Ci avvicinammo entrambi per leggere le parole di Alex.
 La maledizione grava  su tutti gli esseri che saranno influenzati dai detentori del potere, ma in particolar modo grava sul custode. Quando il primo figlio del custode nascerà egli diventerà automaticamente il nuovo custode e quello vecchio perirà, a meno che i poteri vengano di strutti. Purtroppo non sono ancora a conoscenza di come questo possa accadere. 
Il mio cuore accelerò notevolmente i suoi battiti. Rilessi quelle poche righe velocemente per assicurarmi di aver capito bene. La maledizione veniva rotta se i poteri andavano distrutti.
I poteri non esistevano più.
Avevamo trovato, inconsciamente, la soluzione.
Alzai gli occhi e incontrai quelli luminosi di Dave. Anche lui aveva letto quelle parole e sorrideva come un bambino la mattina di natale!
“La maledizione è sconfitta e noi nemmeno lo sapevamo!” bisbigliò.
Iniziai a ridere, divertita da come aveva pronunciato quelle parole e lui rise con me.
Era da secoli che non mi sentivo così sollevata e allegra, ma forse il mio umore era dovuto alla tensione sopportata fino a poche ore prima.
Sfogliai le pagine tornando indietro e notai ad un certo punto che Alex aveva stampato le righe iniziali che avevo letto su entrambi i libri. Accanto ad ogni frase  c’erano degli appunti scritti a mano.
 
Salve, sconosciuto visitatore.
Hai tra le mani una grande possibilità.
La possibilità di istigare.

Questo prova che il potere che ha colui che apre il libro dalla doppia copertina è quello di influenzare le scelte altrui.
 
Ma tale possibilità non sarà al tuo servizio.
Sarà il Potere ad indicarti cosa devi fare.
Sii strumento silenzioso nelle sue mani e sarai ricompensato.
Sii Sua voce, Sue orecchie e Suoi occhi.
Ma non essere mai la Sua mente.

Il potere stesso spingerà  le azioni di chi lo possiede. Secondo una ricerca che feci quando ero più giovane, il potere obbligherà il detentore ad insegnare le sue capacità basilari a terze persone.
 
Deglutii. Ecco perché Alan ci aveva insegnato tutto ciò che sapevamo, non per darci la possibilità di vivere una vita ‘migliore’ e diversa da quelli di tutte le altre persone, ma semplicemente perché era stato spinto dalla Forza stessa a farlo. Probabilmente aveva scelto persone con un infanzia difficile per rendere meno arduo il suo compito. In questo modo aveva creato in nostro stile di vita, ma non eravamo stati altro che pedine mosse da una forza superiore.
“Oddio, ecco perché sentivo il bisogno di insegnare ai miei amici ciò che imparavo nel libro!” esclamò Dave.
Mi voltai verso di lui allibita. Mi ero quasi dimenticata che lui era il detentore della forza bianca.
“Ma tu non hai mai insegnato nulla a nessuno!” constatai.
“In realtà ci ho provato con James e con un altro paio di persone, ma non ci sono riuscito!”
Alzai entrambe le sopracciglia stupita da quelle parole.
“Forse bisogna essere piccoli per imparare! Si sa che le capacità di apprendimento dei bambini sono più sviluppate rispetto a quelle degli adolescenti e degli adulti!” azzardai, era logico dopotutto “Il periodo di massimo apprendimento viene collocato tra i cinque e i sette anni!” conclusi.
“Per quello voi siete stati presi da piccoli!” continuò Dave.
“Alan era stato un abile psicologo in passato, quindi era perfettamente a conoscenza di tutti gli stadi dello sviluppo infantile!”
Dave annuì confermando le mie parole dopo di che continuammo a leggere.
Gli insegnamenti sarebbero vani se il potere andasse distrutto.
“Capisci Dave?” gli dissi sempre più felice “Dopo che ho aperto anche il tuo libro non ero più in grado di influenzare nessuno perché il potere che c’era in me era andato distrutto completamente, non era in uno stato di latenza! Anche se Alan mi avesse uccisa il potere non sarebbe tornato in lui. Era perduto per sempre! Mi sembrava strano infatti, dopotutto vevo imparato ad influire sulle decisioni altrui ancora prima di aprire il libro di Alan e di entrare in contatto col potere stesso!”
“Sembra incredibile, ma tutto ha una spiegazione!”constatò lui con gli occhi che gli brillavano.
 
Egli non ne possiede una.
Egli è solo forza, forza allo stato puro.
Il Potere regna il tuo corpo.

Il potere spinge ad insegnare ad altri non per una ragione specifica, ma solo perché è nella sua natura. Esso è forza e, come tale, attrae chi la cerca.
 
Io avevo spesso cercato il potere e per quello mi ero sentita attratta da entrambi i libri. Però ciò avveniva  se la Fonte si trovava in prossimità del luogo dove mi trovavo io. La stessa cosa doveva valere per Dave e Alan. Quando eravamo nel giardino di villa lux  nessuno dei due però aveva percepito che i loro libri erano nascosti in un determinato cespuglio. Questo perché probabilmente Dave non cercava il potere e Alan era sicuro che sarebbe stata la Forza stessa ad andare da lui, dopotutto era Dave che gli doveva consegnare il libro.
 
Tu lo possiedi, ma non lo sai usare.
Secondo le mie ricerche nei libri ci dovrebbero essere delle spiegazioni che illustrano come usare i poteri che sono contenuti nel corpo del detentore allo stato potenziale: tali individui hanno la possibilità di fare di tutto, ma la possibilità è nulla se manca la tecnica.
 

Ma attenzione! Il potere è limitato!
Leggi e impara, sconosciuto visitatore.
Impara a giocare …
… a giocare con gli sguardi.
 

L’ultima parte non aveva bisogno di spiegazioni.
“Tutto ha un perché!” sussurrai esterrefatta da quelle risposte.
Le spiegazioni non erano poi così complesse come mi aspettavo. Alex non diceva dove aveva trovato le parole che aprivano entrambi i volumi, ma dubitavo che avesse aperto uno dei libri altrimenti il potere non sarebbe andato distrutto. Era più probabile che avesse trovato tali parole dove  insieme alla spiegazione della maledizione. Dopotutto lui stesso da giovane era stato molto interessato a leggende di questo tipo.
 
 
Al solo vedere quei disgustosi capelli rossi sentii la rabbia invadermi.
“Cosa diavolo ci fai ancora qui?” le ringhiai contro mentre Caren mi guardava esterrefatta.
“Sei pallida! Sembra che tu abbia appena visto un fantasma!” continuai con voce compiaciuta entrando nell’appartamento di Dave.
“Tu… tu…” possibile che non riuscisse ad articolare una frase di senso compiuto?
“Cosa? Non dovrei essere qui?” sorrisi di fronte al suo sbigottimento.
Lei mi ignorò non appena  Dave comparve alle mie spalle, si fiondò su di lui alla velocità della luce facendogli quasi perdere l’equilibrio.
Alzai gli occhi al cielo desiderando ardentemente di tirarle un bel pugno in faccia.
“Pensavo non saresti mai più tornato!” piagnucolò contro il petto del suo ‘amato’.
Dio, come avrei voluto strapparle quegli stupidi capelli uno per volta.
Con mia enorme sorpresa Dave la allontanò con un’espressione di pura delusione dipinta sul volto.
Dave deluso da Caren. Non da me, da Caren! Quella sì che era una novità.
“Ti rendi conto di cosa hai fatto?” la rimproverò con voce ferita.
“Dave, io non volevo! Ero accecata dalla gelosia!” cercò di giustificarsi.
“Ah adesso si dice così? Che non volevi?” mi intromisi “Io più che un ‘non volere’ lo chiamerei ‘tradimento’,  ‘sabotaggio’, ‘gioco sporco’, hai la libertà di scegliere il vocabolo che più ti aggrada!” dissi stampandomi un freddo sorriso sulle labbra.
“La colpa è tua, dovevi tenere le mani a posto!” ringhiò.
“Ma non l’ho fatto!” ribattei compiaciuta mordendomi maliziosamente il labbro inferiore.
“Bastarda!” sibilò Caren contraendo la mascella.
“Fuori di qui!” le ordinò Dave con voce ferma. Caren si voltò verso di lui per guardarlo con un’espressione ferita che avrebbe dovuto fargli rimangiare quello che aveva appena detto.
“Fuori. Di. Qui.” Ripetè Dave scandendo ogni singola parola.
“Stai dicendo davvero?” sussurrò Caren.
Dave la guardò con risolutezza e le sopracciglia aggrottate.
“E dove andrò?”  Caren  era visibilmente stupita.
Capivo che per Dave non doveva essere facile essere così risoluto e deciso, fu per questo che andai in suo aiuto.
“Rob probabilmente dovrà scontare pochi mesi in carcere per complicità ad un’aggressione ai nostri danni, così il suo appartamento è momentaneamente libero!” dissi sorridendole soddisfatta.
Misi una mano nella borsa e ne estrassi un paio di chiavi.
“Credo che tu la strada la conosca bene!” aggiunsi con un ghigno “E quando lui tornerà potrete dividere l’appartamento, non penso ti dispiacerà!”
Io e Dave non credevamo che Rob sarebbe stato un pericolo, una volta tornato in libertà, senza Alan come capo e senza poteri. Probabilmente si sarebbe fatto una vita normale e non ci avrebbe dato alcun fastidio e, nel caso in cui l’avrebbe fatto, avremmo trovato un modo per farlo smettere, dopotutto senza facoltà eravamo tutti delle persone normalissime. Rob non mi faceva più paura di un qualsiasi altro ragazzo dell’uiversità.
“Vaffanculo Mar!” sibilò Caren con lo sguardo pieno d’odio guardandomi.
“Caren, è giusto così, hai messo in pericolo la sua vita per una sciocca gelosia!” intervenne Dave. Era davvero profondamente dispiaciuto, glielo si leggeva negli occhi. Era troppo schifosamente altruista per cacciarla di casa senza avere remore.
La rossa gli rivolse uno sguardo addolorato.
“Mi aspetto almeno che abbiate la decenza…” la voce era un po’ spezzata “…di inviarmi tutte le mie cose, dal momento che mi state cacciando di casa!”
“Dopo tutto quello che hai fatto pretendi anche questo? Ma sei impazzita?” mi intromisi allibita.
Quella ragazza era una continua sorpresa, in senso negativo.
“Lo farò!” disse Dave.
Lo guardai come se fosse impazzito. Caren mi lanciò uno sguardo pieno d’odio e oltrepassò la porta di casa a testa alta. Probabilmente ai suoi occhi doveva risultare un’uscita teatrale, mentre io la vedevo come quella penosa di una traditrice priva di personalità.
Una volta che si richiuse la porta alle sue spalle mi voltai verso Dave con le mani sui fianchi.
“Accidenti, c’eri quasi riuscito!”
“A fare che?” era evidente che non capiva.
“A fare lo stronzo! Poi però ti sei tirato indietro!”
“Oddio Mar! Tu volevi che io facessi lo stronzo con Caren? Non ti sembra abbastanza da stronzi cacciarla di casa?” era sulla difensiva.
“Francamente no, credo se lo meritasse e avremmo anche dovuto infierire!”  ribattei tranquilla.
“Infierire?”
“Meritava di peggio di essere cacciata di casa!”
“Con la vendetta non andrai da nessuna parte!” sbottò.
“Sei sempre il solito!” sibilai disgustata.
“Anche tu!”
“Sei senza palle!” lo accusai sorridendo.
“E tu senza cuore!”
“Io un cuore ce l’ho!” sibilai.
“Ah sì?” le sue labbra si piegarono in un ghigno sexy. In realtà era solo un ghigno, ma a me risultava incredibilmente sexy.
“Certo!”
“Lo nascondi bene!”
“E invece è proprio qui!” presi il suo polso e in quel modo guidai la sua mano verso la parte sinistra del mio petto, in modo da fargliela posare sul cuore.
Dave si zittì improvvisamente e sembrò trattenere il fiato. Mosse un passo nella mia direzione in modo da non dover tenere il braccio disteso.
I nostri corpi arrivarono a sfiorarsi.
“Batte!” sussurrò.
“Ma va?”
“Più forte!”
Alzai un sopracciglio non comprendendo, forse ero semplicemente distratta dal suo respiro che mi solleticava la pelle.
“Il tuo cuore! Batte più forte e più velocemente!” precisò con voce roca.
Non lo stavo seducendo eppure si comportava allo stesso modo di quando lo facevo. Bè aveva una mano quasi poggiata sul mio seno, ma non pensavo che questo potesse generare in lui quella reazione.
“E’ sexy!” disse con voce suadente e dannatamente eccitante. Il respiro mi si spezzò. Mi morsi il labbro inferiore e focalizzai lo sguardo sulla sua bocca carnosa.
“Cosa è sexy?”
“Il tuo cuore!”
Avrei dovuto ridere per la stupidità di quel discorso eppure ogni sillaba che usciva dalla sua bocca riusciva solo a farmi aumentare la voglia che avevo di farlo mio.
“Cosa ci trovi di sexy in un cuore?” gli domandai sussurrando.
“Il fatto che batte!”
“Non capisco!”
“Ha un ritmo! Sembra quello dei bassi della discoteca!” si avvicinò al mio orecchio e sussurrò “Tum tum tum, non lo trovi sexy?” rabbrividii.
“I rumori non sono sexy!”
“E invece sì! Non ti stai eccitando?” soffiò contro la pelle del mio orecchio.
“Da morire!” era quasi un ansimo.
Prese il mio lobo tra i denti  e lo mordicchiò fino a far uscire un gemito dalle mie labbra. Mi abbandonai a lui mentre la mia mente iniziava ad annebbiarsi.
Dopo di che iniziò a lasciare una scia di baci umidi sul collo, scendendo sempre di più in una dolce tortura.
Io odiavo essere torturata, anche se questo avveniva ‘dolcemente’. Così presi la sua testa con entrambe le mani e la allontanai dalla mia pelle.
Incontrai i suoi occhi colmi di domande e sorrisi. Era ora che riprendessi io in mano la situazione.
Posai le mie labbra sulle sue, che si socchiusero immediatamente per concedere alla mia lingua di entrare.
Passione. Ecco cosa misi in quel bacio. Passione e tutta l’eccitazione che il contatto col suo corpo mi trasmetteva.
Dave posò le ampie mani sui miei fianchi e mi attirò verso di sè facendo entrare in contatto i nostro bacini.
Le mie dita invece accarezzavano i suoi addominali al di sotto della maglietta che indossava. Cercavo di memorizzarne ogni singolo tratto. Mi piaceva troppo il corpo di Dave per astenermi dall’esplorarlo.
Mi prese in braccio e io circondai il suo bacino con le gambe mentre lui mi portava sul divano.
Mi adagiò su di esso e si pose sopra di me guardandomi negli occhi. Le sue pupille erano velate dal desiderio e questo aumentò ancora di più la mia eccitazione. Con due dita spostò quei capelli che mi erano scivolati sul viso e rimase una frazione di secondo a guardarmi.
“Che c’è?” gli domandai con la voce spezzata.
“Sei bellissima!” sussurrò guardandomi come se fosse estasiato.
“Lo so!” era ovvio dopotutto.
Sorrise divertito.
“Non cambierai mai vero?”
“Mai!” confermai.
Lo vidi scuotere la testa prima che le sue labbra reclamassero ancora una volta il possesso delle mie.
 
 
 
Le palpebre di Dave erano chiuse mentre dormiva tranquillo girato su un lato. Era bello.
Quelle palpebre serrate celavano delle iridi così dannatamente verdi, iridi che erano riuscite a cambiare la mia vita. La sue palpebre abbassate mi ricordavano che il gioco di sguardi era finito.
Ma sarei davvero riuscita a resistere senza giocare?
Probabilmente no. Era la mia natura, ero stata cresciuta con quel gioco, era stato il mio pane quotidiano, non avrei mai potuto rinunciarci definitivamente.
Probabilmente andando in giro per la strada mi sarei sempre soffermata a cercare ad incrociare gli sguardi degli sconosciuti, per comprendere le loro emozioni. Perché si sa che gli occhi sono lo specchio dell’anima e io avevo imparato a leggerli. Alan la chiamava empatia.
Probabilmente mi sarei diverta ad indovinare la personalità di ogni persona che incappava nel mio cammino solo guardandolo nelle pupille. Sarebbe stato divertente vedere quanto vicina alla realtà potessi andare.
Probabilmente avrei giocato anche con i bei ragazzi, come avevo sempre fatto. Avrei incontrato in bel biondino, gli avrei fatto l’occhiolino e quello, attratto dal magnetismo dei miei occhi, si sarebbe avvicinato a me. A quel punto gli avrei sorriso e mi sarei avvicinata pericolosamente a lui. Mi sarei morsa il labbro e gli avrei chiesto come si chiamava con voce roca e sexy.
Poi sarei tornata a dedicarmi ai suoi occhi.
Avrebbero potuto essere blu, azzurri, castani, neri, marroni o verdi, ma non sarebbero stati i Suoi.
Non mi avrebbero stravolto la vita.
Quel ragazzo, per quanto bello, non sarebbe stato Lui, con tutte le sue ramanzine, i suoi ideali, e i suoi stupidi discorsi sui cuori sexy che battono.
Perché anche se mi seccava ammetterlo, Dave era speciale. Non perché fosse più bello degli altri, più bravo a letto o ‘più’ qualsiasi altra cosa. Dave non era perfetto, anzi, era pieno di imperfezioni, ne aveva talmente tante che la lista sarebbe stata chilometrica.
Eppure era Dave. E in quel momento non mi sarei accontentata di altri occhi verdi perché volevo i suoi.
Sì, un gioco di sguardi si era concluso, ma un’altra partita stava per essere aperta.
Sfiorai il suo polpaccio nudo con la punta del piede e lo osservai mentre apriva lentamente le palpebre.
I suoi occhi furono nei miei. Nero nel verde e verde nel nero.
Fece un sorriso malizioso e la nuova partita del gioco ebbe inizio.
Un battito di ciglia. Un battito di cuore. Fortissimo.


L'ultima riga è ripresa dal capitolo nel quale Dave, incontrando gli occhi di Mar, le mostra l'altro lato della medaglia.

So che molti di voi si aspettavano un finale romantico con tanti 'oh ti amo' o tanti cuoricini, ma non potevo farlo. Cercate di comprendere le mie ragioni. Mar ha disprezzato l'amore per vent'anni, non può da un giorno all'altro rendersi conto di amare Dave. il suo cuore non è ancora pronto per amare! E' già tanto che riconosca che Dave è speciale e non perchè sia più bello o più bravo a letto degli altri, ma solo perchè è LUI.
Può darsi che in un futuro Mar riesca davvero ad innamorarsi di Dave, ma non ora. Capitela! Ha appena visto Alan divorato dall'odio a causa delll'amore! Come può lasciarsi andare?
Spero che possiate capirmi! Mettendo un finale romantico al massimo avrei intaccato il carattere stesso di Mar!
Detto ciò aspetto i vostri pareri. Devo ammettere che temo che molte di voi non condividerete la mia scelta, proprio per questo vi ho dato le mie motivazioni.
I ringraziamenti li farò meglio nel prossimo ed ultimissimo capitolo che arriverà tra pochi giorni.
Nel frattempo se volete leggere questa storia cliccate sull'immagine. La riprenderò dopo la conclusione definitiva di Glances Game.




Note: le parole 'palpebre'  e 'gioco' sono volutamente ripetute nell'ultima parte.
Daisy

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Capitolo 34
*** EPILOGO ***


La vera forza è quella di credere in se stessi e non in tutto il resto! 
La vera forza è sapersi rialzare a testa alta dopo essere caduti!
La vera forza è essere fedeli ai propri principi!
...
Questo mi hanno insegnato Mar e Dave.

 

 

EPILOGO



L’uomo si sdraiò sul lettino facendo poggiare le mani, legate l’una all’altra da manette, sul proprio petto, dopo di che si mise a guardare il soffitto. Erano anni che si sottoponeva a quella specie di tortura, ovvero essere visitato da molteplici psichiatri e psicologi spesso meno in gamba di lui. Tutti arrivavano sempre alla medesima conclusione: lui non aveva nulla. Giustificano l’aggressione a quei due ragazzi come frutto di una crisi di nervi momentanea, dovuta allo stress e all’odio troppo a lungo represso. Nonostante ciò il carcere si ostinava a mandargli sempre nuovi e brillanti strizzacervelli che avevano il compito di capire cosa ci fosse di sbagliato in lui. Egli non riusciva a comprendere il perché di tutta quell’insistenza, anche se infondo lo sospettava. Dopo essere stato arrestato aveva delirato per giorni parlando di libri magici, poteri perduti e ripetendo più volte il nome ‘Marguerite’ come se fosse una maledizione.
Col tempo si era calmato, ma i suoi attacchi dovevano essere stati così forti e particolari da allarmare tutto lo staff del carcere.
Sbuffò sperando che la visita di quel giorno durasse poco.
Alle sue orecchie giunse un rumore di tacchi che avanzavano velocemente lungo il corridoio. Il nuovo psicologo doveva essere una donna, anche piuttosto brava a camminare sui tacchi a giudicare dalla velocità del suo passo.
Tac tac tac.
Amava analizzare le persone senza vederle, era diventato il suo passatempo preferito e lo aiutava a mantenere attive le sue capacità empatiche.
Tac tac tac.
Dalla camminata si doveva trattare di una persona sicura di se, forse un po’ troppo, una giovane donna alle prese con i primi pazienti.
Tac tac tac.
Una semplice pivella.
Sentii la porta aprirsi e richiudersi, ma decise di non voltarsi, non aveva intenzione di guardare in faccia quell’ennesima scocciatrice, soprattutto perché gli andava di continuare quel gioco.
Udii la poltrona spostarsi e un frusciare di fogli.
“Mmm lei deve essere Alan Sebastian Black!” disse la donna a bassa voce, quasi stesse parlando con se stessa invece che con lui. Per quel poco che riuscii a sentire, la voce gli sembrava famigliare, ma non diede troppo peso alla cosa.
“Alan Sebastian Black” la dottoressa ripetè il suo nome ad alta voce accarezzandone ogni sillaba. Il timbro era deciso, morbido e fiero, ma l’uomo riuscì a percepire anche un pizzico di divertimento in esso.
Questo lo incuriosì.
“Interessante! Aggressione  a mano armata a danno di due giovani ragazzi… entrambi  hanno riportato piccoli tagli e lividi in diverse parti del corpo. Ragione dell’aggressione: sconosciuta!”
La donna stava leggendo il fascicolo relativo al suo caso e l’uomo si ritrovò a sbuffare: la psicologa avrebbe dovuto leggerlo prima, così non avrebbero perso tempo a ripetere quello che lui sapeva già a memoria.
“Il paziente ha presentato forme di delirio nei primi giorni di reclusione, inseguito sembra aver recuperato la sua sanità mentale.” concluse la lettura senza  abbandonare il tono divertito. Doveva essere una sciocca studente, mandata lì per fare qualche tirocinio.
“Che tipo di delirio, signor Black?” la donna si rivolse direttamente a lui. L’uomo si ritrovò a ghignare.
“Se lei avesse letto il verbale stilato dai suo colleghi che hanno avuto a che fare con me precedentemente, lo saprebbe!” rispose con arroganza. Era lo stesso uomo di sempre e ciò non poteva far altro che recargli un enorme piacere.
“Preferirei sentirlo dire dalle sue labbra, signor Black!” ribattè lei. Sembrava che sapesse già le ragioni, probabilmente aveva già letto il verbale. Allora perché disturbarsi a volerle sentire dalle labbra di Alan? L’uomo non lo capiva. Sembrava quasi che lei avesse iniziato a giocare con lui e che si stesse pure divertendo mentre lo faceva.
Che sciocca.
 “Non credo che sprecherò del fiato per dirglielo!”
“Io credo che me lo dirà!” ribattè sicura.
“Ne è davvero convinta!”
“Sono sempre convinta di quello che dico!”
“Perché non ha letto il verbale?” le domandò sicuro del contrario.
“Perché lo trovo terribilmente noioso!” brontolò quasi come una ragazzina.
“E’ il suo lavoro!”
“Era anche il suo!” ribattè la donna. Riusciva a percepire il suo sorriso anche senza vederlo.
“Vedo che è informata!”
“E’ il mio lavoro!”
L’uomo sorrise. Forse quella seduta sarebbe stata più divertente delle altre.
“Però non ha letto il mio fascicolo!”
“No!”
“Perché era noioso!”
“Esatto!” la sentii ridacchiare. La poltrona si spostò e sentii il rumore che facevano i tacchi sul pavimento, mentre la donna si spostava. L’uomo immaginò che si fosse posta d’avanti alla scrivania per vederlo meglio, ma lui decise di non rivolgerle lo sguardo, voleva ancora cercare di capirla senza alzare lo sguardo. Guardare una persona negli occhi gli aveva sempre permesso di leggere ad essa l’anima, sarebbe stato troppo facile capirla in quel modo e dove sarebbe stato il divertimento?
“Quindi perché lei ha aggredito quei ragazzi?”
L’uomo fece un mezzo sorriso. Quella donna non si arrendeva mai. Forte e determinata, sarebbe stata bene nella sua schiera di marionette.
“Si sono introdotti in casa mia!” si limitò a mentire.
“I testimoni oculari dicono che erano stati espressamente invitati!”
“Mentono!”
“Il giudice non la vedeva così!” ridacchiò la donna.
“Ma allora l’ha letto il fascicolo!”
“Le ho detto di no!” altra risata.
“Allora le hanno raccontato tutto!”
“Non credo!”
Che tipa strana. Strana eppure così tremendamente perfetta. Sarebbe stata l’allieva ideale.
“Allora, mi illumini, come sa tutte queste cose su di me? Voci di corridoio?
Chissà perché, ma si aspettava che il sorriso della donna sarebbe aumentato. Se la immaginava fasciata nel suo taieur con le braccia incrociate al petto e un sorriso soddisfatto dipinto sulle labbra.
“A dir la verità nessuno mi ha raccontato nulla. Vede, signor Black, io ero presente quando lei ha perso!” pronunciò tali parole con una punta di gloria e di soddisfazione nella voce.
Una donna montata, ma che aveva ragione di esserlo, giudicò.
L’uomo sorrise nell’udire tali parole. Come aveva fatto a non capire? Eppure gli indizi c’erano. L’arroganza, la sicurezza, il tono divertito, il beffeggiarsi di lui, il reputare noioso un fascicolo, dire di aver vinto.
Fu così che si mise a sedere e, finalmente, si volse verso la sua terapeuta, stampandosi un ghigno sul volto.
La donna che era poggiata alla scrivania era bella come ricordava. I lunghi capelli neri le circondavano il viso incorniciandolo dolcemente. Gli zigomi erano alti e le labbra erano carnose piegate in un sorriso soddisfatto.
Incontrò i suoi occhi, perché gli occhi sono lo specchio dell’anima eppure le sue bellissime iridi nere come la notte più cupa erano inaccessibili. Erano blindate. La sua anima era protetta, illeggibile. L’uomo non potè far a meno di accentuare il suo ghigno. Nonostante tutto era riuscito a creare la donna perfetta.  Nonostante tutti i problemi che lei gli aveva arrecato non poteva non ritenersi soddisfatto: Marguerite Jones era la sua opera meglio riuscita.
“Che succede Alan? Dopo tutto questo tempo giochi ancora con gli sguardi?”
“Non smetterò mai!” confessò sincero guardandola da sopra gli occhiali.
“Attento! Potresti perdere!”
“No, se il gioco non finirà!”
La donna sorrise compiaciuta.
“Il gioco è già finito, Alan!”
L’uomo non potè far a meno di ghignare di fronte a quell’affermazione. I suoi occhi erano ancora incatenati a quelli della donna. Perché gli occhi sono lo specchio dell’anima, eppure in essi non riusciva a leggervi niente. La donna che più odiava al mondo e che avrebbe detestato per il resto della sua vita era dinnanzi a lui e si beffeggiava della sua situazione.
 Fu in quel momento che raggiunse la consapevolezza che il gioco si era veramente concluso e che aveva avuto una vincitrice unica e incontrastata: Margherite Jones.
Il ghigno di Alan si allargò, aveva giocato bene dopotutto.

°°°FINE°°°


Oggi, dato che è il mio compleanno, ho deciso di farmi un regalo: quello di pubblicare l'epilogo della storia che più di tutte è diventata una parte di me.
Che strano scrivere a parola 'Fine'.
Allora che ne pensate? Nell'epilogo dovevo far tornare Alan, così come lui era presente nel prologo!
Recensite! Mi piacerebbe avere un vostro parere generale.


Questa storia non è fine a se stessa. In primo luogo ci ho messo buona parte di ciò che ho appreso durante il quinto anno scolastico, partendo dalla teoria freudiana fino ad arrivare alla fisica di einstein (che probabilmente non si scrive così). Ci ho lavorato a lungo, ho riflettuto sulla trama per una anno e questo è stato il risultato!
Mi ero immaginata di scrivere tantissime cose in queste note, ma sinceramente ora non riesco ad aggiungere altro, ho perso le parole. 
Spero che questa storia vi rimanga nel cuore un po' come rimarrà a me!

Passiamo ai ringraziamenti!! 


CHI HA RECENSITO!
Ally_92_ alias Elle Chanel: Tu sei stata la primissima persona che ha letto questa storia. Ti sei sorbita i primi tre capitoli prima ancora che conoscessi EFP. Sei stata sincera: hai ammesso che questo non è il tuo genere, eppure hai letto tutti i capitoli! Mi hai estorto gli spoiler e ne abbiamo parlato insieme! Cos’altro posso dirti se non GRAZIE?? Sei stata anche la prima che ha recensito ed avere il tuo appoggio è stato fondamentale! Grazie di cuore! Ah! e grazie anche di avermi consigliato ;) Ti voglio un sacco di bene!!
___LuthienTu sei stata la prima ‘pazza’che si è messa a recensire tutti i capitoli e non sai quanto te ne sono grata! Sei la prima persona che ha adorato il personaggio di Mar e, inconsapevolmente, mi hai dato un consiglio utile: mi hai detto che speravi che Mar non diventasse una pappamolle ed effettivamente avevi ragione (la trama che avevo partorito un paio di anni fa prevedeva che lei si sarebbe innamorata di Dave e che lui l’avrebbe allontanata perché la reputava ‘cattiva’). Quindi Grazie :) non sarebbe stata la stessa storia senza di te! Grazie! E grazie per le recension chilometriche! Mi mancheranno :) 
-shadowdustSei una ragazza dolcissima e gentilissima! Grazie per avermi fatto da beta, senza di te sarei stata persa! Ti ringrazio col cuore perché segui praticamente tutto ciò che scrivo ed è bellissimo sapere che tu ci se sempre! Le tue recensioni mi fanno  sorridere e sono felice che ti piaccia ciò che scrivo. Grazie per esserci sempre!! (Lo so sono ripetitiva, ma davvero te ne sono grata!!).
Sono felicissima di averti conosciuta!
xxStellina92xxTu sei una delle prime ragazze che ho trovato su EFP, mi dispiace che ti sia fermata a leggere la storia, però ti ringrazio ugualmente per averla seguita e recensita per i primi capitoli!!
-cattivamelaTu sei stata la prima lettrice che non mi conosceva da altre storie eppure hai recensito e la cosa mi ha riempita di gioia! Te ne sono davvero grata!!
MataDancePurtroppo non ho avuto il piacere di conoscerti meglio, ma mi sento comunque in dovere di ringraziarti personalmente!! Grazie : )
nancywallaceSono davvero felice che tu abbia continuato a leggere questa storia nonostante non al trovassi chiara in alcuni punti! Ti sono grata di non aver abbandonato! : ) Grazie!
lysdefranceSei una scrittrice che personalmente stimo moltissimo! So che questa storia non era proprio il tuo genere, eppure l’hai letta e te ne sono grata! Grazie : )
LoveismyescapeGrazie per aver recensito!! 
anjy89:Grazie per aver letto questo tentativo di storia, spero che, anche che tu sia giunta alla fine e che ti sia piaciuta! : )
Mir al MareGrazie mille per aver letto e recensito!! Spero che ti sia piaciuta!
PyraTi sono grata dal più profondo del cuore per aver sempre trovato un momentino da dedicare alla mia storia, nonostante tutti i casini! Non puoi immaginare quanto mi faccia piacere questo! Sei una di quelle persone che, nonostante tutto, non legge e sta in silenzio, ma ti fai sentire anche se il tempo è poco! Grazie grazie grazie!
LadyLoveGrazie di cuore, davvero : )
Snooks loves vodkaGrazie per aver trovato un momento per recensire!
Summer__97Spero che la storia ti sia piaciuta : )
icewolfTu sei il primo che ha recensito la storia in chiave ‘critica’ e per questo ti sono immensamente grata!
firstlost_nowfoundGrazie per aver espresso il tuo parere!! : )
DayanElTu hai recensito quasi tutti i capitoli e non posso far altro se non ringraziarti : ) Grazie di cuore!!
orkalukaGrazie per aver lasciato una piccola traccia del tuo passaggio : )
Lucy_FireGrazie di esserti fermata a recensire : )
Aesir_ArtselGrazie per aver scritto un commento!!
aleinad93Tu hai praticamente recensito quasi tutti i miei capitoli e ciò mi ha resa felicissima! Poi hai iniziato a pubblicizzare la mia storia nel tuo gruppo face book e sul tuo profilo, senza contare che quando non recensivi qui, mi hai sempre fatto sapere cosa pensavi del capitolo!! : ) Per tutto questo non posso far altro che ringraziarti, sono felice di averti conosciuta!
Francy_Styles:Grazie per esserti fermata a recensire : )
ScippiGrazie per aver commentato!
MrsCardiGrazie per le recensioni!! : )
Kate KittyTu sei una delle fantastiche ragazze che EFP mi ha fatto incontrare e ti sono grata di aver letto questa storia. Sono davvero lusingata che sia l’unica storia etero che leggi, mi sento in qualche modo privilegiata : )!! Sopratutto ho amato il tuo 'voglio l'aggiornamento' enormi!!!!  Ti volgio bene!
Sae Morinaga:Grazie per il parere : )
monique89Partiamo dal fatto che stimo tantissimo sia come persona che come scrittrice. In secondo luogo ti sono grata per aver scritto delle recensioni sincere: insomma se avevi dubbi o perplessità li esprimevi tranquillamente : ) Grazie grazie! Sono davvero felice di averti conosciuta! : )
lysamGrazie per avermi scritto il tuo parere!!!
nanettaportasfigaTu sei l’unica che, almeno per il momento, abbia scritto una recensione critica alla mia storia. Devo ringraziarti con tutto il cuore. In primo luogo grazie a te ho cercato di curare maggiormente i miei capitoli, di rileggerli e di renderli migliori. In secondo luogo sono felice che tu non abbia scritto la critica negativa, come fanno molti, al primo capitolo. Hai letto la storia, sei arrivata a buon punto e quindi avevi abbastanza materiale per poterla criticare! Devo ammettere che quando sono andata sulla tua pagina EFP e ho visto che avevi scritto solo due recensioni ,di cui una era la mia critica, ho pensato ‘che sfiga’, ma ti sono comunque grata per averlo fatto : ) Grazie!
SonoUnaBananaGrazie per aver recensito!!
ZephyrSelyneTu sei la ragazza che mi recensiva alle tre di notte e che praticamente ha commentato quasi tutti i capitoli a parte gli ultimi!! Spero non sia perchè la storia non ti piace più! Comunque sia Grazie grazie grazie! Colgo l’occasione per ringraziarti anche per aver recensito tutto ‘Between stars’!
Dear JulietGrazie per aver letto e recensito!! : ) spero davvero che la storia ti sia piaciuta!! 
Dreamer_on_earthSono felicissima che tu abbia letto e recensito praticamente tutti i capitoli!! Te ne sarò eternamente grata! E inoltre sei anche una ragazza molto simpatica, oltre che una brava scrittrice, quindi  sono davvero felice di averti conosciuta!! Grazie di tutto!
RosyHybLe tue recensioni mi sono state utilissime per migliorarmi!! Grazie mille!!
SilviaXD:Tu sei un’altra di quelle ‘pazze’ che mi hanno recensito quasi tutti i capitoli : )Grazie mille davvero!!
- KathPetrovaFire: Grazie mille per esserti fermata a recensire!!
Seree_Tu sei una new entry e sono contentissima di questo!! Grazie per aver recensito : ) te ne sono grata!
dikeromakpiLe tue recensioni sono bellissime e riescono sempre a farmi sorridere! In particolar modo adoro tutti i cuoricini che ci metti : ) Grazie davvero!!

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Che fatica!! 
GRAZIE MILLE A TUTTI VOI!! Vi lascio la mia storia conclusa e quella che continuerò da oggi in poi, se volete leggere qualcos'altro di mio!!


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Daisy

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