Come un libro aperto di Gio26 (/viewuser.php?uid=74040)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** LIBRO 1 - Suicidio ***
Capitolo 2: *** LIBRO 2 - Omicidio nella notte ***
Capitolo 3: *** LIBRO 3 - La nebbia d'estate ***
Capitolo 4: *** LIBRO 4 - Delitto e castigo ***
Capitolo 1 *** LIBRO 1 - Suicidio ***
Libro 1
LIBRO
1 - Suicidio
[Jimi Hendrix - Manic Depression]
Manic
depression is touching my soul
I know
what I want but I just don't know
How to,
go about gettin' it
Feeling
sweet feeling,
Drops
from my fingers, fingers
Manic
depression is catchin' my soul
“Suicidio”. Oh, quanto cercavo quel libro!
Mi trovavo in biblioteca, in uno squallido e piatto pomeriggio di
settembre. Era ricominciata la scuola da pochi giorni e mi sentivo
già a terra: la quarta superiore si prospettava una vera
seccatura.
Un bel libro divertente mi ci voleva proprio per tirarmi su di morale.
Anche se ad essere sincera avevo passato anche le vacanze estive a
leggere...
E non solo le vacanze. Diciamo che per me la lettura era come una
droga: non riuscivo a smettere.
Ultimamente ero arrivata anche al punto di
leggere più di
un libro a settimana e appena ne concludevo uno avevo la smania di
cominciarne un altro. Era una fissazione.
Mia madre diceva che esageravo. È buffo: i genitori quando i
figli non leggono si lamentano, quando leggono troppo, si lamentano lo
stesso. Non va mai bene nulla, per loro. Ogni cosa è un
pretesto
per rompere le scatole, soprattutto per mia madre.
In realtà capivo la preoccupazione di mia madre: non era
tanto
per i soldi che avevo speso per tutti quei libri, perché ora
li
prendevo in prestito in biblioteca (in realtà non avevo
più posto negli scaffali di casa mia); la sua vera
preoccupazione era che
rimanendo giorno e notte tappata in casa immersa nella lettura, diceva
che mi estraniavo dal mondo reale. Balle. Solo perché non
avevo
amici e non uscivo mai?! Che c'era di male nel vivere un mondo migliore
nella fantasia? Non significava che non vivessi la realtà.
Non
era così! No! Ne ero certa!
Credo...
Ad ogni modo, stavo rigirando i corridoi della biblioteca in cerca di
quel libro, ma non lo trovavo. Eppure conoscevo la biblioteca come le
mie tasche: oramai era diventata una seconda casa, per me, anzi,
passavo più tempo lì che a casa mia. Sapevo
benissimo che
ce l'avevano, perché lo avevo già visto: conosco
tutti i
libri che ci sono, lì dentro, e ne ho letti la maggior parte.
Ma “Suicidio” mi mancava, e ora più che
mai lo
desideravo. Mi serviva. Dovevo trovare l'ispirazione per ammazzarmi in
modo dignitoso. Non scherzavo, avevo intenzioni serie. Ormai, senza di lui,
la mia vita non aveva senso. Mi sentivo vuota, triste e maledettamente
sola. A nessuno sarebbe importato più di tanto: ci sarebbe
stato
un po' di chiacchiericcio in città, poi nulla: le vite di
tutti
sarebbero continuave tranquillamente, senza che nulla cambiasse. Di
amici che piangessero la mia scomparsa, come ho detto, non ne avevo;
mio padre, era come se non lo avessi, perché non c'era mai a
causa del lavoro; e quella frustrata di mia madre, sì, forse
avrebbe fatto un piantino lì per lì, per lo shock
e la
sorpresa, ma poi sarebbe stata felice di non avermi più tra
le
scatole. Nessuno mi voleva davvero bene. Nemmeno io. Per questo avevo
deciso di togliermi da questo mondo schifoso. Però voleo
farlo
in modo elegante, raffinato... Cosicché sorprendessi un po'
qualcuno, così avrebbero parlato di me almeno per un po'.
Magari, qualcuno si sarebbe sentito in colpa... Magari! Il mio
più grande desiderio era finire in prima pagina di un
giornale.
"Suicidio" era proprio ciò che faceva a caso mio: dentro vi
avrei trovato certamente soluzioni interessanti, e avrei scelto con
cura la mia fine. Sapevo anche il punto esatto in cui si trovava, quel
libro: sezione C, terzo
corridoio a destra, quarta fila dal basso, sotto la
“S”. Ma
non c'era! Non c'era da nessuna parte!
Era un'ora che cercavo senza successo, così mi arresi e mi
diressi mio malgrado al bancone per le prenotazioni e le informazioni.
Odiavo rivolgermici: non mi serviva mai, ma quello era un caso estremo
e dovevo ammettere che ne avevo bisogno. Anche se sapevo già
che mi sarebbe servito a poco.
E poi quello che odio di più è dover incrociare
la faccia
degli impiegati. Quando ero entrata avevo visto chi c'era: la
vecchia megera. Non la sopportavo, con quella sua aria da
saccente
e
quegli occhialini a punta! Ma feci un bel respiro e mi avvicinai.
Gli impiegati, spesso, hanno un'aria seccatissima, quasi ti
facessero un
favore a risponderti: è un miracolo trovarne qualcuno di
gentile
e disponibile. Una gattara alla quale è morta tutta la sua
banda
di gatti sarebbe più sorridente. A volte vorrei rispondere:
"È il tuo lavoro, quindi devi rispondermi, e a modo. Se non
ti
piace il tuo lavoro non sono fatti miei."
Quello era uno di quei casi in cui avrei voluto rispondere
così.
Ma non lo feci: in fondo ero educata. O forse solo codarda.
Odio questa impiegata della biblioteca! Dovevano pagarla proprio una
miseria per essere sempre di cattivo umore: era quasi peggio di
me. Quasi.
Era scorbutica e indisponente, lei. L'altra era più gentile,
quella cicciottella che sembrava una palla con la camicia coi bottoni
che davano l'impressione di essere sul punto di saltare da un momento
all'altro. Poi c'era l'altro, quel vecchietto sarcastico che veniva
solo una volta a settimana, il venerdì. Era piuttosto
fastidioso
per le sue glaciali battute fuori luogo (freddure, in tutti i sensi),
ma era passabile: almeno lui ci provava a risultare simpatico.
La donna-palla era senz'altro la migliore, metteva di buon umore solo a
guardarla, tutta tonda e cicciotta com'era. Peccato che non c'era lei.
Magari mi
avrebbe tirato un po' su di morale, guardandomi con quegli occhiotti
tondi. Invece temevo che quella strega mi avrebbe fatto innervosire
ancora di più, anzi, era scontato.
La megera stava picchiettando con forza le sue dita ossute sulla
tastiera del pc ad una velocità supersonica. Sicuramente
stava
chattando con uno sconosciuto, invece di lavorare... Anche se in
effetti non aveva un cazzo da fare. Già quel picchiettio era
snervante, per me.
-Scusi, stavo cercando il libro "Suicidio", ma non lo trovo- le chiesi
gentilmente.
-Sezione C, terzo corridoio a destra, quarta fila dal basso, sotto la
“S”- borbotta senza nemmeno alzare la testa.
-Questo lo so, ho già cercato. Ho detto che non lo trovo.
Quella abbassò sulla punta del naso gli occhialini a punta e
alzò gli occhi, dando un po' di tregua alla povera tastiera.
Mi
guardò con aria stitica. L'avrei presa a schiaffi
più che
volentieri.
-Vuol dire che non c'è.
“Grazie al cazzo!” gridai nella mia mente; ma mi
controllai. Quella dovette aver intuito i miei pensieri. Mi fissava
come a pensare “Ma guarda chi si è abbassata alla
fine a
chiedere aiuto: Miss topo di biblioteca...”
La odiavo.
-Infatti vorrei sapere quando dovrebbe rientrare- Era uno sforzo
pazzesco essere gentile. -Può controllare sul database, per
favore?- vomitai. Quella tizia da voltastomaco per tutta risposta
sbuffò e ricominciò a picchiettare sulla tastiera.
-È stato preso appena 20 minuti fa, quindi non lo ritroverai
prima di un mese, probabilmente – mi rispose pochi secondi
dopo.
- Ma che peccato.- Lo aveva proprio detto a presa di culo. Che
rabbia!
-Ho capito. Grazie lo stesso.
Fu una gioia distogliere lo sguardo da quella feccia umana. L'avrebbero
dovuta licenziare solo per la sua maleducazione. Ero
curiosa di
sapere chi l'avesse assunta e con che coraggio: probabilmente era
drogato. Forse l'aveva drogato lei.
Mi allontanai stizzita e ancora più incavolata di prima e
tornai
fra gli scaffali, alla ricerca di un altro libro interessante. I libri
erano sempre la soluzione per tutto, per me. Forse avrebbero calmato i
miei bollenti spiriti.
Trovai "Omicidio nella notte": il titolo mi ispirava solo per
"omicidio", allora decisi che l'avrei preso, anche se sarebbe rimasto
solo un indegno sostituto al capolavoro “Suicidio”.
Se pensate che sono il tipo che ama questo genere di argomenti
–
morte, assassinii, suicidi, malattia, depressione e chi più
ne
ha più ne metta – beh, ci avete preso in pieno.
Woman
so weary, the sweet cause in vain
You make love, you break love
It's all the same
When it's, when it's over, mama
Music, sweet music
I wish I could caress, caress, caress
Manic depression is a frustrating mess
Nonostante tutto, non ero convinta. Quando io andavo con un'idea in
testa e me ne tornavo con un'altra, non ero soddisfatta.
Così,
prima decisi che lo avrei sfogliato un po' nella sala lettura della
biblioteca e che poi avrei deciso se prenderlo o meno, nell'attesa di
“Suicidio.”
Sospirando, mi sedetti in un tavolo e aprii il libro.
La biblioteca solitamente era sempre vuota, soprattutto nella sala
lettura, quindi mi stupii non poco nel notare che c'era qualcuno di
fronte a me. Comunque non ci feci troppo caso e aprii la prima pagina.
“Sentii un passo, poi un altro. I passi acceleravano sempre
di
più. Sentivo che qualcuno mi seguiva. Lo percepivo alle mie
spalle e mi misi a correre a perdifiato. Non avevo il coraggio di
voltarmi per accertarmi se ci fosse davvero qualcuno o se fosse solo la
mia immaginazione. Due mani possenti mi afferrarono, tappandomi la
bocca e impedendomi di emettere il grido di terrore che mi attanagliava
l'anima...”
Alzai gli occhi, sbuffando. Già dall'inizio sembrava bello,
davvero, ma non era lui, non era
“Suicidio” e non riuscivo ad accettarlo. Non potevo
capacitarmene.
Proprio allora, vidi con mio grande stupore che l'uomo davanti a me
aveva la faccia coperta proprio da lui, il mio agognato
“Suicidio”. Quell'uomo mi aveva battuto sul tempo!
Nessuno
poteva: lui
era mio!
Scattai in piedi, sbattendo le mani sul tavolino. L'uomo
sobbalzò e abbassò il libro.
-Quel libro è...! - “mio”, avrei dovuto
concludere,
ma rimasi a bocca aperta. - Professor... Spencer? - mi sforzai di
ricordare il suo nome, temendo di sbagliarmi e di fare una figuraccia.
-Proprio così: Herberti Spencer, come il filosofo... E per
un'ironica coincidenza, io sono un professore di storia e filosofia.
Oh,
se non erro tu devi essere una mia allieva della quarta … B?
-Quarta A, Julia Hendrix.
-Perdonami, non ho ancora inquadrato le facce e mi ci vuole un po' a
memorizzare i nomi.
Alla fine la figuraccia l'aveva fatta lui. Ah ah. Ben gli
stava, a quel ladro.
Il professor Spencer era il nuovo insegnante di storia e filosofia,
appena trasferitosi nella mia scuola. La
scuola era cominciata da appena dieci giorni, e lui lo avevamo visto
sì e no due volte, quindi era più che
comprensibile che
non si ricordava chi fossi.
-Stavi per dirmi qualcosa su questo libro? Ti interessava? - mi
chiese indicando “Suicidio” che stringeva
fra le mani.
-No, no, nulla... - risposi. Non avevo voglia di risultare antipatica
al prof, che non mi conosceva ancora: non avevo alcuna intenzione di
fare una brutta impressione.
Così mi sedetti e riaprii il mio libro, ma non riuscivo a
finire
un rigo perché mi distraevo sempre a fissare quello. Lo volevo
così tanto!
-Scusi, professore, in realtà prima stavo per dirle che quel
libro che ha preso lei interessava anche a me. L'avrei voluto prendere
io ed ero venuta qui apposta, ma a quanto pare mi ha battuta sul tempo
– dissi ridendo. In realtà avrei voluto
strangolarlo e strapparglielo dalle mani.
-Oh, mi dispiace tanto. Se vuoi te lo cedo.
-No davvero, ci mancherebbe! - In realtà era proprio
ciò che volevo. Ngheee.
-Ma figurati, lo prenderò quando l'avrai finito tu
– mi disse con un sorriso, allungandomi il libro.
Lo presi delicatamente fra le mani, come se fosse un tesoro prezioso.
Ogni libro per me era un tesoro prezioso, e quello non era
più
bello di altri, ma era quello che desideravo leggere allora e quindi
era speciale e insostituibile.
-Grazie, professore. Grazie mille- dissi con gli occhi che mi
sbrilluccicavano. Ero troppo furba, yeah.
-Spero che tu studi anche storia e filosofia, Hendrix, oltre che alla
musica rock – mi disse, cercando di fare il sarcastico sul
mio
cognome. Ecco, lo sapevo: era spuntato il professore rompiscatole.
Sospirai. – Sì, prof. La filosofia è
una materia interessante...
-No, non lo è affatto – mi rispose. Mi
lasciò di
sasso. Quel professore si prospettava alquanto strano. – La
storia è una materia noiosa e la filosofia è
complicata e
dannatamente complessa, per non dire alquanto incomprensibile a tratti.
Non sapevo cosa rispondere: ero rimasta con la bocca mezza aperta,
basita. Lui lo capì e fece un sorrisetto. – Ma
ciò
non toglie che siano materie obbligatorie e vadano studiate.
-Certo – risposi con una smorfia. Non volevo e me ne pentii
subito, ma avevo agito senza accorgermene.
-Dunque, signorina Jimi... Volevo dire, Julia Hendrix... - "Ci risiamo:
ah ah ah. Spiritoso." La cosa buffa era che a me piaceva davvero, Jimi
Hendrix: era il mio mito e per me era un onore portare il suo stesso
cognome. Però ogni volta tutti facevano i sarcastici sul mio
cognome... Che dire: prevedibili. Alla lunga era diventato seccante.
– Come mai è interessata al suicidio?
-C-cosa glielo fa pensare? – esclamai. Mi sentii scoperta.
Il professore indicò il libro, sorridendo. Io aggrottai le
sopracciglia. – Solo perché voglio leggere un
libro che
parla di suicidio non vuol dire che...
-Suvvia, non nasconderti. Non vorrei perdere una studentessa a causa
mia.
-Stia tranquillo, non è certo a causa sua –
ribattei,
secca. Continuava a fare il simpatico? Suicidarsi per la scuola era da
coglioni. – Sono appena stata scaricata.
-Nel lavandino? - ridacchiò.
-No, nel cesso! - esclamai, ad alta voce. Per fortuna non c'era
nessuno, ma la stregaccia delle informazioni si era girata a guardarci,
scrollando la testa con aria di superiorità. Quel giorno mi
volevano far incazzare proprio tutti?! Come se fossi già
allegra. – Perdoni il linguaggio scurrile, prof.
-Tranquilla, non siamo a scuola. E poi, forse ho esagerato un po'.
“Forse?! Decisamente!” pensai stizzita. Ma che
razza di
professore era per prendersi tutta questa confidenza? –
Comunque
sono sicuro che non valga la pena privarsi della vita per una delusione
amorosa – continuò con aria saccente.
-Lei sta giudicando senza conoscere la situazione, vero? Tipico degli
adulti! Crede che sia la solita cotta adolescenziale, ma non
è
così!
-Allora perché non mi racconti che com'era?
Well, I
think I'll go turn myself off,
And go on down
All the way down
Really ain't no use in me hanging around
In your kinda scene
Music,
sweet music
I wish I could caress and kiss, kiss
Manic depression is a frustrating mess.
Il professor Spencer mi spiazzò nuovamente. Si era seduto
comodamente, a braccia incrociate, pronto ad ascoltarmi. –
Sono
tutto orecchi.
-Perché dovrei raccontare i miei fatti personali al mio
professore?
-Perché a volte fa bene sfogarsi, liberarsi la mente e il
cuore
dal peso che ci opprime... Scommetto che non lo hai ancora raccontato a
nessuno, non è vero?
Colpita e affondata. Ma come lo aveva capito? Ero così
prevedibile?
Sospirai, e mi accomodai anche io nella poltroncina.
Tanto non avevo nulla da fare, e nessun altro era disposto ad
ascoltarmi. Nessuno mi aspettava, nessuno mi capiva.
-Si chiamava Philip... O meglio, si chiama, perché purtroppo
è ancora vivo. Fin da quando sono entrata in prima
superiore, mi è
sempre piaciuto. Lui è un anno avanti. L'ho sempre ammirato
da
lontano, sospirando ogni volta che passava per il corridoio e
incrociava fortuitamente il mio sguardo; ma lui non sapeva nemmeno che
esistessi. Nonostante ciò, non sono mai riuscita a levarmelo
dalla testa. Ormai tutta la scuola conosceva i miei sentimenti... Mi
sentivo derisa e presa in giro da tutti, perché Phil era
considerato il ragazzo più bello della scuola e io ero una
racchia sfigata. Non mi avrebbe mai e poi mai considerata: ha sempre
avuto un sacco di ragazze stupende che gli giravano intorno. Fino a
quando un giorno, alla fine dell'anno scolastico scorso, Phil mi
salutò: per la prima volta in tre anni mi rivolse la parola.
Mi
sentivo in paradiso: non poteva essere che un miracolo. D'un tratto si
era accorto di me... Chiacchieravamo a lungo, giorno dopo giorno; ci
scambiammo i numeri di telefono, mi chiese di uscire. Alla fine ci
siamo messi insieme: è stato il mio primo ragazzo, il mio
primo e unico amore.
Mi fermai per riprendere fiato e per controllare che il prof non si
fosse addormentato; invece mi aveva davvero ascoltata. Avevo sputato
tutta la fottuta
verità senza pensarci troppo, come mai avevo fatto. Guardai
negli occhi il professor Spencer, che era rimasto ad ascoltarmi in un
rispettoso silenzio. Stranamente non mi aveva interrotta con stupide
domande inutili e imbarazzanti, come invece mi sarei immaginata.
-Sembra una storia molto romantica – commentò lui.
–
Ma non siamo ancora arrivati al punto in cui tu decidi di suicidarti.
Continua.
-Beh, siamo stati insieme soltanto una settimana. Dopo soli sette
giorni lui mi molla. Mi pianta in asso, lasciandomi una gigantesca
amarezza. L'estate per me è passata a fatica. Sono rimasta
tappata in casa, al buio, ad ammuffire sui libri: leggere è
stato il mio unico svago. Sono stata molto depressa... E penso di
esserlo ancora. Capisce? Io lo amavo da tre anni, e quando finalmente
il mio desiderio si realizza e ottengo un po' di speranza, un pizzico
di fiducia in me stessa, un briciolo di felicità... Tutto
finisce in sette miseri giorni. Io mi deprimo, invece a lui non gliene
è fregato mai nulla di me! Infatti mentre io ero chiusa in
casa
lui se la spassava in discoteca con una marea di troiette!
-Come, scusa?
-Ho visto le foto su Facebook. È alquanto deprimente, no?
-Sì, capisco – disse alla fine. – Ma non
è un buon motivo per gettare via la vita.
-Io l'amavo, tantissimo, più della mia stessa vita. Ma poi
l'amore si spegne. Ti frega, l'amore: ti fa credere che possa durare
per sempre. Per sempre, pf! Nemmeno l'universo durerà per
sempre. Ma l'amore è così presuntuoso che pensa
perfino
di sopravvivere alla fine del mondo.
-Però tu hai capito che non è così,
giusto?
– mi disse, alzandosi. – Ora devo andare,
è tardi:
faresti meglio a tornare a casa anche tu. Ci vediamo domani a scuola.
La vita va avanti.
Detto questo se ne andò, lasciandomi lì come una
scema.
Però parlare con il professore era stato liberatorio,
proprio
come mi aveva detto.
Sorrisi. Forse non era poi così antipatico.
Quello strano incontro mi aveva lasciato qualcosa dentro; non saprei
spiegare cosa, ma sicuramente mi aveva fatto riflettere. Con poche
parole, il prof-filosofo mi aveva tranquillizzata e mi sentivo un po'
meglio. Solo un po', però.
Fatto sta che decisi di non suicidarmi. Quel libro tanto agognato,
“Suicidio”, era rimasto in biblioteca, e invece
presi in
prestito "Omicidio nella notte".
Che svolta!
Music, sweet music
Music, sweet music,
sweet music...
_____________
Ciaoooo! Come va? Io, sinceramente, BENISSIMO.
Era ora. <3
Finalmente metto questa storia: l'avevo in mente da tanto.
Saranno solo quattro capitoli, ognuno con una bellissima canzone di
sottofondo. Questa parte proprio con Jimi Hendrix, il mito di Julia, e
non solo suo :)
Sarebbe strano avere un professore come Herbert Spencer, no?
Sinceramente non so se mi piacerebbe o no... Avrete modo di conoscerlo
se continuerete a seguire questa storia.
Il cuore di Julia è chiuso, per ora (ecco spiegata
l'immagine finale: tutte avranno un significato preciso). In futuro,
chissà...
Grazie per aver letto e fatemi sapere che ne pensate! A presto, spero,
Gio.
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Capitolo 2 *** LIBRO 2 - Omicidio nella notte ***
Libro 2
LIBRO 2 - Omicidio
nella notte
[The
Beatles
- Yesterday]
Yesterday, all my troubles
seemed so far away.
Now it looks as though they’re here to stay.
Oh, I believe in yesterday.
Quando arrivai a casa era sera tardi, ormai. Fuori era buio pesto e mi
presi una bella strigliata da mia madre.
Quella notte però non riuscii a dormire. Continuavo a
pensare a Phil. Che scema.
Tuttavia il mattino seguente la sveglia suonò crudelmente.
La vita andava davvero avanti.
Mi tornò in mente il professore: quel giorno l'avrei rivisto
in classe. Mi alzai faticosamente, mi vestii svogliatamente e mi
trascinai a
scuola.
Le ore sembravano non passare più... All'ultima ora
avevo filosofia. Il professor Spencer spiegava un argomento
interessante, ma non riuscivo proprio a stare attenta (cosa che non
capitava mai, con il prof Spencer). Mi si chiudevano
le palpebre e avevo un gran sonno. Appoggiai la testa sul banco e alla
fine mi addormentai.
D'un tratto, mi svegliai. – Non è così,
signorina Hendrix? – mi chiese il professore.
Io scossi la testa, intontita.
-Ben svegliata, Hendrix. Ci farebbe il piacere di tornare fra noi?
Tutti risero, in classe, mentre io morivo di vergogna.
Suddenly,
I’m not half the man I used to be,
There’s a shadow hanging over me,
Oh, yesterday came suddenly.
Qualche pomeriggio dopo tornai in biblioteca: avevo già
finito
"Omicidio nella notte" e avevo intenzione di leggerne uno ancora
più depressivo, dopo la figuraccia che avevo fatto giorni
prima
in classe durante la lezione di filosofia. Il professor Spencer mi
aveva messo in ridicolo davanti a tutti. Lo odiavo, anche se era colpa
mia.
La notizia aveva già fatto il giro della scuola e gli
studenti ridacchiavamo alle mie spalle, ogni volta che passavo.
“Ma quella non è la sfigata che si è
addormentata in classe?!”
“Sì! Ma dai, credevo che queste cose succedessero
solo nei film! Che tonta!”
“Ma non era sempre lei che non veniva cacata da
Phil?”
“Ma sì! Infatti, come poteva sperare che quel figo
da paura se la filasse, quella racchia?”
“Però io ho sentito che sono stati
insieme...”
“È vero, ma lui l'ha mollata dopo una manciata di
giorni! Che sfigata!”
Non ero mai stata così umiliata. La sfigata della scuola era
tornata, più in forma che mai.
Necessitavo di un libro, senza dubbio. Righe di parole stampate di
nero, pagine su pagine... Il mio rifugio, la mia medicina, il mio
antidepressivo. La mia droga quotidiana.
Quel giorno c'era la donna-palla di turno al banco informazioni;
nonostante il suo dolce sorriso simpatico, il suo viso paffutello non
mi mise di buon umore quella volta. Ero troppo giù di morale.
"Omicidio nella notte" l'avevo trovato davvero bellissimo, quindi
pensavo di prendere un altro romanzo della stessa autrice.
Ne presi uno e decisi di andare a cominciare di leggerlo un po' in sala
lettura.
E indovinate un po' chi vi ritrovai, in quel salottino deserto?
-Buon pomeriggio, Hendrix. Già concluso quel libro?
-Professor Spencer, sinceramente lei è l'ultima persona che
abbia voglia di incontrare, ora – tagliai corto, seccata. Non
gli
rivolsi uno sguardo e feci per andarmene.
-No, aspetta, non andartene- mi disse, alzandosi in piedi. -Avevo
proprio voglia di parlarti.
-Ma io no- ribattei accigliata.
-È importante.
-Riguardo cosa?
-Puoi immaginartelo...
-Professore, eviti i suoi giri di parole!- sbottai. -Non sono proprio
in vena, in questo periodo.
-Già, ho notato. È legato al tuo ex ragazzo,
vero? Immagino che
sia sempre lui il motivo per cui ti sei addormentata in classe.
-Mi dispiace, non capiterà più...- recitai,
annoiata.
-Lo spero per te: non avevi dormito perché pensavi a lui?
-Senta, cosa vuole da me?! – esclamai, esasperata.
– Anche
se le ho raccontato i fatti miei non significa che lei sia autorizzato
a impicciarsi nella mia vita.
-Non volevo: sono solo preoccupato per il tuo rendimento scolastico. Ho
saputo che stai andando male in tutte le materie...
-Vuole farmi la predica anche lei? Se è così
eviti, ci pensa già mia madre.
-No: in fondo l'anno è appena iniziato, potrai sempre
migliorare. Io volevo solo scusarmi.- Restai a bocca aperta per la
sorpresa. -So quel che si dice a scuola sul
tuo conto, ed è a causa mia che...
-Ah, che bello, la notizia è arrivata anche in sala
professori!
Non potrei essere più felice! - gridai in modo sarcastico,
esasperata.
-Non è davvero il caso di rovinarsi la vita e la salute a
causa di un ragazzo, davvero.
A quel punto, scoppiai definitivamente. – Per lei
è facile
parlare: è un professore di filosofia! Mi dice tutte queste
belle parole che ha letto chissà in quale tomo, ma...
-Queste cose non le ho lette da nessuna parte...
Non lo stavo più a sentire: ormai ero partita a razzo.
–
Ma lei che può saperne? Che può saperne dei miei
problemi, che ne sa di amore?
-Se permetti, ho qualche anno di esperienza in più di te e
ho visto più cose e persone - ribatté, secco.
-Ma io sono stata scaricata, mollata, gettata via come un fogliaccio
inutile! Era il mio primo amore! Io gli credevo! Ora sono sola... Lo
amavo, e lui se n'è andato senza spiegazioni! Lei come
può capire...
-Mia moglie è morta – mi interruppe il professore.
Mi spiazzò, come sempre: con quattro parole mi aveva zittita
all'istante. – Dopo dieci anni di matrimonio.
È ancora peggio che essere lasciati, non credi?
Restai pietrificata. Mi vergognavo da morire. -Mi... Mi scusi, non
potevo saperlo. – Il tono della mia voce era
cambiato totalmente. Non me lo sarei mai aspettato... E mi sarei
aspettata ancora meno che mi raccontasse una cosa del genere.
–
Scusi, non volevo offenderla...
-Tranquilla. Ora non compatirmi, però.
All'improvviso mi venne in mente un particolare che avevo trascurato.
– Professore, è per questo che anche lei aveva
preso il
libro “Suicidio”? Anche lei voleva ammazzarsi?
Il prof accennò ad una risata. -No, altrimenti non ti avrei
mai detto quelle cose. Volevo solo
informarmi meglio sulle motivazioni che spingono una persona a volersi
togliersi la vita: è per questo che hai colto il mio
interesse fin da subito, e ti ho voluta ascoltare. Mia moglie si
è suicidata e non so quale sia il motivo; temo di essere io
la
causa...
-E perché mai? – In quel momento, vidi il
professore sotto
una luce completamente diversa. Io lo avevo assillato con i miei
sciocchi "problemi" da ragazzina, ma quello che aveva più
motivo di essere depresso era
lui. Improvvisamente mi sembrò così fragile e
indifeso...
-Non lo so bene. Forse mia moglie si era stufata di me - concluse con
un triste sorriso.
-Sono sicura che non è così! –
esclamai,
avvicinandomi. – Una donna non si toglierebbe la vita per un
motivo futile come questo!
-Però tu eri pronta a farlo – disse con un triste
sorriso.
Abbassai la testa, mordendomi un labbro. – Mi dispiace, prof.
Ha
ragione: non c'è motivo di gettare via la vita. Lei me lo ha
fatto capire.
-Tu non devi prendere ciò che ti dico come oro colato.
È
solo il mio parere, sta a te giudicare. Ma mi dispiace esserti sembrato
invadente: non avevo diritto di toccare un tasto dolente solo per il
mio interesse.
-No, lei mi ha aiutata tantissimo! Grazie a lei non ho compiuto un
gesto folle. Ha ragione in tutto, e mi dispiace di averla aggredita a
quel modo, prima. È solo che sembra... uno psicologo. Mi
spaventa.
-Perché? Ho detto qualcosa di male?
-No, è perché... Lei in fondo non mi conosce e
riesce a
esplorare il mio animo come nessun altro. È come se fossi un
libro aperto per lei.
-Non devi erigere dei muri per difenderti, chiuderti a riccio. Lascia
che anche gli altri scoprano che ragazza fantastica sei.
Credo di essere arrossita, in quel momento, perché nessuno
mi aveva mai detto una cosa del genere.
Ormai mi ero già dimenticata di essere arrabbiata con lui.
Non
avrei mai potuto comprendere il suo dolore, ma mi era venuta voglia di
aiutare quel professore un po' strano.
Io, ragazza super complessata, volevo aiutare una persona adulta,
matura e con molta più esperienza di vita di me: assurdo,
eh?
Probabilmente non ne aveva nemmeno bisogno e ne sarai stata incapace,
ma per un attimo avevo scorto un velo di profonda malinconia negli
occhi del professore.
Parlare con una persona matura, con una persona intelligente, con un
cervello che andava al di là dei pettegolezzi e dei
pregiudizi,
mi faceva stare bene.
Credo che ne avevo bisogno... Ne avevamo entrambi bisogno.
Why she had to go
I don’t know she wouldn’t say.
I said something wrong,
Now I long for yesterday.
Così nei giorni seguenti mi recavo in biblioteca tutti i
giorni,
sicura di trovarlo sempre lì, in quella sala polverosa.
Grazie a quegli incontri riuscivo a fregarmene sempre di più
dei
commenti cattivi degli studenti.
Parlavamo davvero di tutto.
-Che catastrofe, la vita – gli dissi una volta, riflettendo
su una frase che avevo appen a letto in un libro.
– Un
secondo prima pensi di aver raggiunto la felicità, e un
secondo
dopo ti ritrovi nell'oblio della depressione più totale.
-Dovremmo semplicemente accettare il fatto che tutto è
effimero, anche la felicità.
-Professore, lei ha mai provato felicità?
- Sì, certo.
- Quando, per esempio?
Non ci pensò un attimo prima di rispondermi. -Quando mi sono
innamorato per la prima volta.
Io storsi la bocca. - È sicuro che fosse
felicità? Che cos'è... la felicità?
-Non lo so, Julia. – Ormai mi chiamava per nome, mentre io
continuavo a chiamarlo “professor Spencer”
e a
dargli del Lei. Non potevo abituarmi diversamente, altrimenti sarebbe
stato un problema a scuola.
-Ma se non lo sa, come fa a dire che quella fosse davvero
felicità?
-Perché me lo diceva il cuore.
Sorrisi, amaramente. -Allora io non sono mai stata felice.
-Forse semplicemente non hai mai ascoltato bene il tuo cuore. Prova a
pensarci un po': quando amavi Phil, eri felice, no?
Ci riflettei sopra un bel po': non ero certa della mia risposta. -Non
lo so, prof... Non lo so. Forse sì, non ricordo. Ma anche se
fosse, quella felicità è finita.
-No, Julia. I tuoi ricordi serberanno per sempre la tua
felicità.
-Non ne sarei così sicura: sono piuttosto smemorata, io
– ridacchiai nervosamente.
-Certe cose non si dimenticano.
-Ma non si può vivere nel ricordo, no? Lei stesso me l'ha
detto: bisogna andare avanti.
-È così. Ma i ricordi restano comunque, sono
incancellabili. Quindi anche la felicità rimane
incancellabile
dentro di te.
-Ma se resta dentro, rilegata nella memoria... Non si può
più provare.
-Infatti non si deve più provare quella felicità.
Aggrottai le sopracciglia. -Non capisco.
-Non puoi riciclare le emozioni, ma trovarne sempre di nuove. La
ricerca della
felicità non ha fine.
Yesterday, love was such an easy
game to play.
Now I need a place to hide away.
Oh, I believe in yesterday.
Non discutevamo sempre di argomenti seri. A volte restavamo
semplicemente a leggere in silenzio. Altre volte parlavamo di musica e
scoprii che il professore, diversamente da quanto potessi immaginare,
era un rockettaro convinto: amava la musica classica ma soprattutto il
rock un po' datato, come me. Amava Jimi Hendrix e quindi aveva in
particolarmente simpatia il mio cognome.
Oppure parlavamo di libri, una passione anch'ella che accomunava
entrambi. Una
volta mi disse che avrebbe voluto fare lo scrittore, da giovane, ma che
poi non era riuscito a sfondare.
-Ma quindi ha scritto un libro?- gli chiesi.
-Sì, ma non è mai stato pubblicato.
-Come s'intitola?
-“La nebbia d'estate”.
-Mi piacerebbe moltissimo leggerlo! Di cosa parla?
-Dell'argomento più scontato che ci sia- mi rispose,
sorridendo. -Dell'amore.
-Oggi ha ancora una buona considerazione dell'amore, nonostante abbia
sofferto? Ci vuole coraggio.
-Sì, ci vuole coraggio ad amare. "L'amore è uno
squilibrio
chimico che provoca illusione e pensieri irrazionali": una frase del
mio libro. Per questo ci fa
sentire come in un sogno.
Sospirai. -Vedo che le piace proprio l'argomento.
-In quel periodo, particolarmente. Mi beavo ogni giorno del mio amore
per mia moglie: era bellissimo, una sensazione sublime. Mi sentivo in
paradiso, letteralmente.
-E mi dica, perché per me non era così, con
Phil?- gli chiesi, con lo sguardo basso.
Lui incrociò le braccia. -Julia, sono certo che prima o poi
troverai il vero amore. Non ti abbattere al primo rifiuto.
-Lei ha ragione, è da sciocchi comportarsi come me...
-No, non è da sciocchi: soffrire è da umani.
-Vorrei non soffrire più... Vorrei tornare a sorridere.
- L'amore è come le stagioni: all'inizio timido e fresco
come la
primavera, poi caldo e passionale come l'estate, dopo ancora tiepido
come l'autunno... E quindi arriva il gelo dell'inverno, la fine di
tutto. La pioggia, la tristezza, non dura in eterno... Oppure puoi
paragonarlo al
giorno, se vuoi. Dopo il giorno viene la notte, ma poi torna l'alba.
Per qualcuno la notte può durare più a lungo, ma
il sole
rispunta sempre. Sempre.
-Ma se anche rispuntasse il sole, il problema è che io resto
chiusa nelle ombre del passato.
-Non devi. L'unico modo per vederlo, il sole, è aprire la
finestra e lasciare entrare un po' di luce nella vita: è
questo
il segreto. Non si può restare per sempre reclusi al buio
solo per paura
che ritorni la notte: questo si chiama fuggire, non vivere. Ma
continuando a scappare, a correre via, prima o poi ci si stanca; e
allora ci si dovrà comunque fermare. Non si può
scappare
per sempre, questo è certo. E se proprio devi correre,
Julia,
corri verso quella stramaledetta finestra e spalancala una volta per
tutte: fai entrare la luce, l'aria, o morirai soffocata nelle tue paure!
-Ma come faccio a non aver paura di innamorarmi di nuovo?
Soffrirò di nuovo!
-Hai studiato filosofia per domani?
-Non ancora.
-Arthur Shopenhauer si chiedeva: "Dobbiamo rinunciare a cogliere una
rosa, per timore che la sua spina ci ferisca?" Rispondi.
-È una domanda retorica – soffiai. Riecco che
spuntava il professore pedante.
-Tu rispondi lo stesso.
-Dobbiamo rinunciare a vivere per paura di morire? O rinunciare ad
amare per paura di soffrire? No, ovvio che no.
-Brava, è questo il punto: vedo che hai capito.
-Imparo in fretta.
-Comunque domani ti interrogo.
-Mi giustifico.
-Vai a studiare!- esclamò ridendo, lanciandomi dietro un
libro.
Anch'io risi e corsi a casa, mentre lui dietro di me si alzava e
raccoglieva il libro, sorridendo.
Why she had to go
I don’t know she wouldn’t say.
I said something wrong,
Now I long for yesterday.
Il giorno dopo mi alzai di buonumore. Scossi la testa, ridendo di me:
mi accorsi che ero felice di rivederlo. Lui, il professore.
“Che
cretina.”
Quando lo vidi entrare dalla porta, sorrisi inevitabilmente. Era
vestito di tutto punto, come sempre a scuola, con giacca e cravatta;
era
così diverso da come si vestiva casual i pomeriggi, con
polo,
felpe e jeans... Dopotutto anche i professori avevano una
loro
vita al di fuori della scuola, anche se spesso a guardarli era
difficile crederlo. Era buffo.
Il mio umore migliorò ulteriormente durante la sua lezione:
quando spiegava lui, tutti stavano miracolosamente attenti, anche i
più asini. Aveva il potere di ammaliare con le sue parole,
anche
se parlava di argomenti noiosi: usava la retorica che
tanto avevamo studiato l'anno prima.
Quando prese il registro, però, mi assalì
improvvisamente
l'angoscia: non avevo studiato filosofia! Ero tornata talmente tardi a
casa
che me l'ero completamente scordata. Il guaio era che ero l'ultima che
doveva essere interrogata e avevo già bruciato l'unica
giustificazione consentita. Ero fritta.
Il professor Spencer alzò la testa e incrociò il
mio sguardo terrificato. Comprese.
Sospirò. -Oggi mi va di spiegare, quindi non interrogo. Ma
la
prossima volta interrogo il doppio delle persone, e avrete
più da studiare perché spiegherò tanto!
-Che culo, la Hendrix – sentii mormorare alle mie spalle.
-Qualcosa in contrario?- Il professore l'aveva sentita. -Volevi fosse
essere interrogata, signorina Marren? Prego.
Patricia Marren. La odiavo, quell'oca giuliva. La biondina era stata
con Phil subito dopo che aveva lasciato me... Probabilmente mi aveva
lasciata per lei. Ma per sua sfortuna, aveva scaricato anche lei dopo
un paio di settimane. Ci ho goduto come una puttana.
-No, no. Spieghi pure – sibilò "Patty", come
veniva chiamata da tutti, lanciandomi un'occhiata fulminea. Mi odiava
tanto quanto io odiavo lei. Però in fondo provavo un po' di
pena per la sua deficienza intellettiva: poverina, non era colpa sua se
era una cerebrolesa e aveva i neuroni bruciati dalle sigarette che si
fumava per fare la figa.
Comunque sorrisi, felice. Guardai il prof con sguardo riconoscente: uno
sguardo che non era solo un incrociarsi di traiettorie visive, ma un
messaggio criptato, e il mio diceva: "Grazie".
Era da stupidi pensarla così, ne ero consapevole, ma era
come se
mi avesse salvata dall'ennesimo brutto voto e protetta da quell'ochetta.
Lui però non sorrise. E anche il mio sorriso si spense.
Yesterday, love was such an easy
game to play.
Now I need a place to hide away.
Oh, I believe in yesterday.
_______________________
Buonasera!
Sarò breve: già da questo capitolo si intuisce
qualcosa su quello che potrà succedere, ma se conoscete le
mie storie saprete che spesso "non è come sembra". Quindi
aspettatevi di tutto! Per esempio, vi sareste mai aspettati che il prof
è vedovo? Non vi eravate chiesti perché anche lui
voleva prendere in prestito "Suicidio"? Immagino di no xD
Patty è il prototipo di ragazza odiosa: chiunque ne conosce
una. Odiatela pure.
Come avrete capito i titoli dei capitoli sono i titoli dei libri che
appaiono nella storia... Quindi potrete immaginare come
s'intitolerà il prossimo, no? Il libro è
già stato nominato in questo capitolo :)
Ringrazio tanto lady
nix 94 e misslittlesun95
per aver recensito e tutti gli altri che hanno
letto.
Okay, a presto, spero!
Gio.
|
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Capitolo 3 *** LIBRO 3 - La nebbia d'estate ***
Libro 3
LIBRO 3 - La nebbia d'estate
[Bob Dylan -
Blowing in
the wind]
How many roads
must a man walk down
Before you call him a man?
Yes,
'n' how many seas must a white dove sail
Before she sleeps in the sand?
Yes,
'n' how many times must the cannon balls fly
Before they're forever banned?
Quel pomeriggio per un attimo fui
indecisa se presentarmi o meno in biblioteca. Non avevo molta voglia
di incontrarlo...
Ma alla fine mi feci coraggio e andai.
Ovviamente, mi fece la predica. -Non ti
ho interrogata solo perché ieri ci siamo dilungati un po'
troppo a
chiacchierare qui, quindi un po' è anche colpa mia.
Perciò credo
sia meglio smetterla di vederci.
-No!- esclamai. -Non è colpa sua: sono
io che non ho studiato!
Lui aggrottò la fronte. -Questo è
ovvio. Ma forse non devi avere distrazioni...
-Si sbaglia, per me lei non è una
distrazione. Io senza di lei... tornerei a essere triste e depressa.
Lei mi incoraggia. Senza di lei probabilmente lascerei anche la
scuola: lei è l'unica ragione per cui continuo ad andarci!
Mi misi le mani sulla bocca, stupita delle mie stesse parole. Rimanemmo
entrambi basiti: ciò
che avevo appena detto era assurdo.
Il professor Spencer deglutì. -Non
dovrei essere io la ragione...
-Lo so benissimo! Mi scusi, non
volevo...
-... ma se posso esserti d'aiuto, ne
sono felice.
Restai senza fiato. Non sapevo cosa
dire.
Ci pensò lui a rompere il silenzio
imbarazzante. -Però devi studiare!
Annuii con forza. -Certo! Sto già
recuperando le altre materie. Ho preso 6 a matematica!
Lui sospirò e sorrise. -Menomale.
Sorrisi. -Grazie di tutto.
The answer, my
friend, is blowin' in the wind,
The
answer is blowin' in the wind.
Il venerdì, in biblioteca, c'era quel
vecchietto sarcastico che veniva solo una volta a settimana, il
venerdì. A volte era seccante e fastidioso, anche se buffo.
Però mi
dava fastidio la sua invadenza.
-Ragazzina, vedo che vieni spesso qui-
mi disse una volta.
-Sì... Mi piace leggere.
-E scommetto che ti piace anche
quell'uomo!- ridacchiò. La sua risata era oscena.
-Ma come si permette di insinuare una
cosa del genere!- esclamai.
-C'è sempre anche lui... Ma non è
troppo grande per te?- Ridacchiò ancora. A volte le sue
battute
erano simpatiche, ma quella non mi piacque per nulla.
Il professore mi aspettava al solito
posto. Vedendomi arrivare con quella faccia corrucciata, si tolse gli
occhiali da lettura e posò sul tavolo il libro che stava
leggendo.
-Ehi, Julia, tutto bene? Mi sembri un
po' scocciata.- Non gli sfuggiva davvero mai nulla.
-No, non si preoccupi, non è nulla.
-In effetti quel vecchietto è
fastidioso- mi disse. Capiva sempre tutto: ero proprio un libro
aperto per lui, non potevo nascondergli nulla. Era peggio di mia
madre. -Ma è una brava persona: sempre meglio di quella
stregaccia!
-Non potrei essere più d'accordo!-
ridacchiai. Per fortuna c'era il prof Spencer che mi faceva tornare
il buonumore. -Chi te l'ha insegnato?- gli chiesi.
-Cosa?
-A capire sempre tutto.
-Io ascolto, ascolto tanto... E osservo
attentamente, in silenzio: il silenzio è il miglior maestro
per la
comprensione.
How many times
must a man look up
Before he can see the sky?
Yes,
'n' how many ears must one man have
Before he can hear people cry?
Yes,
'n' how many deaths will it take till he knows
That
too many people have died?
Il momento buio della vita arriva inesorabilmente per tutti,
senza
avvisare. Improvvisamente, ti sembra che il mondo intero faccia schifo,
che non abbia più senso continuare a vivere...
E poi incontri lei,
la persona che ti ascolta in silenzio, che ti consola dal tuo dolore,
che ti consiglia, che ti aiuta ad andare avanti, a vivere.
Quella persona ti capisce con uno sguardo, perché
tu sei come un libro aperto, per lei.
Ed io avevo incontrato quella persona
per caso, in biblioteca, in uno squallido e piatto pomeriggio
di settembre.
Il professore mi faceva riflettere su
mille questioni. Io ero una ragazza pensierosa per mia natura, ma lui
scaturiva in me interrogativi difficili e io volevo trovare delle
risposte, delle certezze.
Arrivarono le tanto attese vacanze
natalizie. Quel freddo pomeriggio trovai il professore davanti al
cancello chiuso della biblioteca. -E' chiusa per le feste, a quanto
pare- mi disse, con aria sconsolata.
-Accidenti, avevo appena finito questo
libro! Come faccio, senza?- In realtà mi preoccupava
più il fatto
che non avrei potuto vedere il prof per due settimane.
-Dovresti approfittarne per studiare.
-Credo che avrei bisogno di lezioni di
recupero, ma mia madre non vuole pagarmele: dice che è colpa
mia e
devo rimediare da sola. Ma ho davvero bisogno di una mano...
-Ti va di venire a casa mia?- mi chiese
lui. Spalancai gli occhi per la sorpresa. -Potrei aiutarti, o perlomeno
con le materie che insegno...
E ho tanti libri che potrei prestarti...
-Sì! Molto volentieri!- esclamai,
sorridendo.
Lui sembrò subito pentirsi della
proposta. -Ma forse non è molto opportuno che una
studentessa...
-Stia tranquillo, non dirò nulla-
dissi. -E poi non c'è niente di malizioso.
-D'accordo, allora. Andiamo, è a pochi
passi da qui: vengo sempre a piedi, io, così ne approfitto
per fare
un po' di movimento.
La casa del prof era grande, bella e
accogliente.
Era calda.
-Accomodati. Ti va una tazza di tè
caldo?- mi chiese.
-Volentieri.
Passammo un pomeriggio molto piacevole.
Il tè era buonissimo, mi offrì anche dei
deliziosi biscotti al
burro e mi prestò un libro che non conoscevo. Mi
aiutò molto con le materie che non capivo, mi fu molto
utile.
-Stavo studiando anatomia l'altro giorno, il sistema nervoso, e mi
chiedevo: i sentimenti sono solo riflessi... Un "impulso" di
neuroni, nell'amigdala o come si chiama... o inspiegabili reazioni agli
eventi e alle persone con cui
si entra in contatto? - gli chiesi improvvisamente.
Il prof
sorrise. La sua risposta mi sorprese più del solito.
Si alzò, si avvicinò a una colonna di
porta CD, piena di ottima musica. Prese una custodia, la
aprì, mise
il CD nel grande stereo e premette play.
Nella stanza risuonò una dolce
melodia.
“The
answer, my friend, is blowin'
in the wind, the answer is blowin' in the wind”
Sorrisi. Bob Dylan,
che poeta. Non poteva trovare risposta migliore a tutte le mie
domande.
-Forse
la risposta a tutte le mie domande è davvero nel vento, ma
mi sembra che non ci sia aria
in questo vuoto mondo- dissi, amareggiata.
-È normale sentire la necessità di
certezze, Julia, specialmente alla tua età, ma non sempre si
possono avere. A me, comunque, il
vento sussurra che i sentimenti sono quanto di più
misterioso ci
sia. Ma non penso proprio che siano spiegabili scientificamente.
-Già... Io non capisco come nascano,
ma nemmeno come muoiano. Professore, mi dica una volta per tutte come
mandare via la tristezza!
-Guarda, ti sembrerà una frase fatta
ma ti assicuro che è verissima in questi casi: segui il tuo
cuore.
-Io so solo che seguendo il cuore
finirò per soffrire. E non ne ho proprio voglia.
-Credo che sia preferibile soffrire
che rimanere insensibili. Il dolore è pur sempre un
sentimento e noi, in quanto esseri umani, proviamo sentimenti. Penso
che sia questa la differenza fra sopravvivere
passivamente e vivere.
Se provi un
sentimento vuol dire che vivi.
-Forse sarebbe meglio essere morti!
Il prof rise. -Beh, sei un po' drastica. Non è che il
dolore, almeno quello percepibile, dura per sempre...
-Ma come si può superare il dolore e
andare avanti? Vorrei saperlo!
-A volte è impossibile superarlo: in
questi casi bisognerebbe solo accettarlo dentro di noi, ricavare uno
spazio nel cuore per conservarlo per sempre finché non
diventa parte integrante di te e smette di tormentarti.
-Secondo lei dovremmo rimanere sofferenti in eterno? Che palle!
-No... Il tempo allevia ogni
sentimento, negativo o positivo che sia, anche se non li cancella.
-Allora vuol dire che non serve a nulla
provare dei sentimenti?
-Niente affatto. Anche se passa, lascia
sempre qualcosa, insegna, ti fa crescere: vuol dire solo che bisogna
godersi il presente. Bisognerebbe pensare meno, a volte, sai Julie?
-Io penso molto.
-L'ho notato.
-Forse è per questo che non riesco mai
ad essere completamente felice.
-Allora smetti di pensare così tanto,
e vedrai che prima o poi troverai un ragazzo che ti amerà
davvero.
Ci pensai su un po'. - Lei ha detto che
tutto è effimero: quindi, se anche dovessi trovare un altro
ragazzo,
saremmo destinati a lasciarci.
-Questo è ovvio.
-Allora il matrimonio è una bufala.
Anche se dovessimo restare uniti fino alla morte, poi ci lasceremmo.
-Non tieni conto del paradiso.
-O dell'inferno...
-E se non esistesse distinzione tra
inferno e paradiso? Nessuno può dircelo.
-Nessuno può dirci nemmeno che esista
un aldilà, qualunque esso sia.
-Io credo di sì.
-Io credo di no. Se ci fosse davvero
una religione dovrebbe essere una, unica per tutto il mondo. La
religione è l'invenzione di uomini spaventati dalla morte,
è questa
la verità... O per lo meno, è come la penso io.
-Può darsi. Ma tu non hai paura della
morte?
-Se non mi aspetta niente al di là,
perché dovrei? Paradossalmente, è chi crede che
esista l'inferno
che ha paura dell'inferno.
Il prof sospirò e mi guardò in modo
strano. -Sei proprio strana. Perché hai più
certezze sulla vita e su questi temi delicati e difficili che sui
sentimenti?
-Perché la vita è solo un susseguirsi
casuale di eventi; i sentimenti che la dominano sono molto
più
difficili da interpretare... Almeno per me.
-Solo perché
tu li rendi difficili. In
realtà, un bambino sa bene cos'è la
felicità.
-Perché non se lo chiede!
-Quindi non credi che dovresti smettere
di chiedertelo anche tu e iniziare a vivere? Te l'ho già
detto: tu
pensi troppo! - Rise.
Aveva ragione, ma non applicai subito il suo consiglio. -Dunque,
ricapitolando... L'amore non dura per
sempre. Una persona non potrà mai stare insieme ad un altra
per
l'eternità, per quanto la si ami – pensai, ad alta
voce.
-Le vite di due persone si incontrano
per un breve istante, ma è quell'istante, per quanto breve,
a
renderci felici. Due linee parallele non si incontrano mai, ma due
linee incidenti si incontrano una sola volta, in un solo minuscolo
punto, e poi si separano per sempre.
Hai preso 6 a matematica, no?
-Sì sì, ma almeno queste cose le so!- risi. -Ha
ragione, come sempre.
-Si ripete il solito discorso: tutto
cambia, tutto muta
-Panta rei! - esclamai.
-Eraclito prof, giusto?- ammiccai.
Perché quando ero con lui diventavo molto più
simpatica ed estroversa?
-Brava.
-Un più a filosofia?
-Scordatelo! Vai a casa a studiare,
ora! È tardi.
The answer, my
friend, is blowin' in the wind,
The
answer is blowin' in the wind.
Durante quelle due settimane, comunque, andai a casa del professore
solo un'altra volta, per restituirgli il libro. In effetti non era il
caso: ero pur sempre una sua studentessa...
Le vacanze natalizie finirono presto, troppo presto, così
presto
che nemmeno me ne accorsi in tempo per fare i compiti; di conseguenza
il rientro a scuola fu molto duro. Alzarmi la mattina era una tortura e
addormentarmi la sera ad un orario decente era un'impresa. Fisicamente
ero in classe, ma la mia mente era decisamente altrove. Vagando
distrattamente con i miei pensieri fantasiosi, mi ritrovai a
scarabocchiare un cuore spezzato seguito da una nota sul
diario, alla pagina del giorno.
Mi sembra impossibile
che adesso
finisca tutto così presto... La nostra relazione
è stata
breve ma intensa. Mi mancheranno quei giorni felici passati insieme.
Senza il tuo aiuto non ce l'avrei mai fatta e
sinceramente non so come farò ad andare avanti senza di te.
Grazie per i bellissimi, indimenticabili momenti che resteranno per
sempre indelebili nella mia memoria: non
vedo l'ora di rincontrarti, ad Aprile. Ti amerò per
l'eternità, mio
dolce ozio.
Carissimo lettuccio
caldo, amatissime coperte morbide: mi mancherete da morire anche voi.
Posai la penna e rilessi il tutto. Nel bel mezzo della lezione, fra il
silenzio più profondo, dovetti soffocare una risata. Il mio
compagno di banco mi guardò storto: dovevo sembrargli una
pazza che vaga sulle nuvole durante le ore di lezione... Beh, non
è che avesse torto.
Il professor Spencer alzò lo sguardo verso di me. Sorrise un
nanosecondo, poi tornò alla sua seriosa aria da professore.
Ma io sapevo com'era veramente.
I mesi passavano, e la mia sofferenza
pian piano si dissipava, insieme al freddo inverno. Qualche flebile
raggio di sole cominciava a
fare capolino fra le nuvole del mio cuore gelato,
proprio come mi aveva detto il professore... Ed era solo merito suo.
Per me lui ormai era indispensabile. Ne ero maledettamente consapevole.
La primavera stava per arrivare, anche nel mio cuore.
Una volta, sempre in biblioteca, fu il professore che mi pose
una domanda. Che cosa strana! -Secondo te la vita è
predestinata?
Credi nel destino?
-Assolutamente no!- risposi, risoluta.
-Credo nelle coincidenze fortuite o cose simili, ma non credo che la
mia vita sia già stata decisa da un manipolatore misterioso
e
metafisico.
-In effetti, è proprio brutto.
Significherebbe non essere più padroni di sé
stessi.
-Già - annuii.
-Ma solo perché non ci piace crederlo
non significa che non sia così.
-La mia vita è come la decido io.
Sulle verità ultime, nessuno può esprimersi e chi
ci prova è un
egocentrico ignorante.
-Quindi tu credi che mia moglie si sia
suicidata proprio per sua volontà, non perché era
il suo destino inevitabile. Già, era evitabile, potevo
fermarla...- mormorò. Ogni volta che parlava
di lei il suo sguardo si velava di tristezza. Doveva amarla
immensamente.
-Mi dispiace, professore... Ma lei mi
ha detto che bisogna andare avanti, superare i dolori che ci
affliggono. Non bisogna aver paura di amare per far tornare il
sole. Non abbia paura di tornare ad amare, prof...
Non so cosa mi passò per la mente. Desideravo solo vederlo
sorridere e mi ero stancata di vederlo così triste.
Mi alzai dalla sedia e avvicinai a
lui lentamente. Mi chinai e poggiai la mano sul tavolino accanto.
Avvicinai il viso al suo.
Volevo baciarlo. Era da tanto tempo che
lo desideravo... Per una volta, non volevo pensarci troppo: avrei
seguito l'istinto. Volevo solo essere felice.
Ma lui si alzò e mi allontanò.
-Professore...
-Non è questo che intendevo! Tu mi hai frainteso... Forse
è colpa mia che ti ho fatto pensare di...
Abbassai la testa. -No. Lei non ha mai
mostrato interesse di questo genere nei miei confronti. Però
non è
lo stesso per me.
-Secondo me sei solo confusa...
-No! Sono sicura di ciò che provo!-
Dovetti trattenere le lacrime.
-Fai una cosa: parla con il tuo ex
ragazzo, Phil.
-Cosa?
-Va' da lui. Avete lasciato la
questione in sospeso: se non sbaglio, non sai perché ti
abbia
lasciata. Per fare chiarezza dovresti parlarne con lui di questo, prima
di
tutto.
Feci un mezzo sorriso. -Lei vuole solo
che io mi rimetta insieme a lui per allontanarmi da lei,
vero? Le dò fastidio? Non le piaccio?
-Noi due non potremmo mai stare
insieme. Tu hai diciassette anni...
-Quasi diciotto!
-E io ne ho 41! Potresti essere mia
figlia, e io tuo padre!
-Tutto qui? È solo per l'età? Non
posso credere che lei ragioni secondo certe sciocchezze!
-A te è sempre mancata la figura di un
padre presente, quindi io per te forse...
-La smetta con queste cazzate psicologiche, per favore! Non
è così!
Non è così, le ho detto!- gridai. Per fortuna
quella biblioteca era
sempre vuota.
-Ascolta il mio consiglio, per favore.- mi disse con serietà
prendendomi per le spalle e fissandomi negli occhi: aveva due
bellissimi occhi blu, profondi come il mare. -Parla con Phil. I
sentimenti umani, come tutti i processi naturali,
tendono all'entropia, all'aumento del disordine. Più passa
il tempo
e più la confusione aumenta, quindi conviene chiarire i
malintesi
subito, prima che si sedimentino irrimediabilmente nel fondo del
cuore e peggiorino la situazione.- Scrollò la testa e si
mise le mani fra i capelli. -Accidenti, avrei dovuto dirtelo
subito.
-Non voglio parlargli!- Strinsi i
pugni. -Non voglio... Perché... Temo che se lo vedessi, non
riuscirei più ad odiarlo.
Io... Non l'ho dimenticato, non ci riesco...
-Proprio per questo devi chiarire con lui. Sei ancora
innamorata di lui, non di me. Ascolta il mio consiglio. Coraggio, ce
la puoi fare.
How many years
can a mountain exist
Before it's washed to the sea?
Yes,
'n' how many years can some people exist
Before they're allowed to be free?
Yes,
'n' how many times can a man turn his head,
Pretending he just doesn't see?
Non potei fare a meno di ascoltare il
professore. Era il mio punto di riferimento e non mi aveva mai
consigliato cose negative. Tutto ciò che mi aveva sempre
detto mi
aveva aiutata a stare meglio, quindi se parlare con Phil mi avesse
aiutato a stare finalmente bene, lo avrei fatto.
Ero sprofondata in un buio pozzo di dolore ma avevo trovato una mano
tesa pronta a tirarmi fuori da quel baratro.
Però la spinta iniziale per afferrare quella mano doveva
venire da me stessa: dovevo trovare dentro di me la forza di rialzarmi,
da sola.
Così alla fine della giornata scolastica,
raccolsi tutto il mio coraggio e mi convinsi a parlargli.
Era circondato da ragazze, appoggiato
davanti al cancello. Stava flirtando e decidendo quale fosse la
fortunata del giorno, prima di portarsela chissà dove sulla
sua moto
lucente.
Mi ero dimenticata di quanto fosse bello.
Strinsi i pugni e mi avvicinai.
“Coraggio, ce la puoi fare.” Le parole del
professore si
ripetevano nella mia mente. “Coraggio, ce la puoi fare.
Coraggio,
ce la puoi fare. Ce la
puoi fare.”
-Vorrei parlarti, Philip- gli dissi
freddamente.
-Mh... Tu... Ah, già: Julia. Ti chiami
così, vero?
Sentii piombarmi il mondo addosso. Non
ricordava nemmeno chi fossi?! “Stronzo che non sei altro:
come ho
potuto innamorarmi di te?” Nonostante tutto, però,
mi resi conto
che il mio cuore accelerò. Il professore (tanto per
cambiare) aveva ragione: a quanto pare mi capiva meglio lui
di me stessa. Lo amavo ancora: dopo tanto tempo non mi
ero affatto dimenticata di lui ed era bastato un suo sguardo per
risvegliare sentimenti assopiti ma, come aveva detto il prof, mai
cancellati.
-Sì. Ci vorrà poco - dissi, distogliendo lo
sguardo da quegli occhi maledetti che non mi facevano più
ragionare a dovere... E non era il caso.
Temevo che se solo lui mi avesse chiesto di rimetterci insieme, se solo
lui mi avesse provata a baciare... Io non avrei potuto rifiutarmi. Ero
impotente con il ragazzo che amavo, per quanto non fossi ricambiata.
Scrollò le spalle. -D'accordo.
Scusate, ragazze, torno subito.
Ci appartammo in un angolino nascosto
della scuola, dietro una siepe. Volevo essere sicura che nessuno ci
interrompesse e si intromettesse, e lui che nessuno lo vedesse
insieme a una sfigata come me. Che pena.
-Posso chiederti... Perché mi hai
lasciata?- gli domandai.
Lui sembrò un po' spaesato, come se
non ricordasse nemmeno di essere stato con me. -Ehm...
Julia...Julia...- ripeté fra sé, come per
ricordarsi. Con quante "Julia" era stato?! -Siamo
stati insieme lo scorso giugno, vero?
-Sì, per una settimana. Poi mi hai
lasciata senza darmi spiegazioni, e io avevo paura di chiedertele.
Però ho bisogno di saperlo.
Aggrottò le sopracciglia e abbassò lo
sguardo, pensieroso. Poi si illuminò. -Ah, già! Quella
Julia! Ehm, è un po' imbarazzante... Devi sapere (ma
probabilmente lo sai già) che tutti ti consideravano una
sfigata... Inoltre
si diceva che non avevi mai avuto un ragazzo e che eri follemente
innamorata di me. Così, per scommessa, mi chiesero di
mettermi con
te. Pensavano che non ne avrei avuto il coraggio che non avrei
resistito un giorno con una racchia
come te, abituato come sono a strafighe! Ma ho resistito una
settimana, e ho vinto la scommessa!
Ero senza parole. Pietrificata come una
statua, non avevo mosso un muscolo.
"Ero... Una scommessa?"
-Ehi, tutto okay?
Ciaff. Ebbene sì, gli tirai un bel
ceffone. Si meritava anche di peggio. Se ora sono orgogliosa di una
cosa, è di certo per quel gesto: non me ne pentii mai, anzi,
avrei dovuto picchiarlo a sangue.
-Hai anche il coraggio di chiedermi se
è tutto okay?!- Avevo le lacrime agli occhi per la rabbia,
la
delusione, la frustrazione, la tristezza. Ma non volevo piangere
davanti a lui, non volevo mostrarmi debole. -Sei un lurido bastardo!
Non puoi sfruttare le ragazze così! Io ero seriamente
innamorata
di
te!
Io sono...!
Non sapevo che altro dire e anche lui era
rimasto paralizzato. Tremavo dalla rabbia e piangevo, nonostante i mie
sforzi. -Un “fottiti”,
in questo momento, mi sembra un complimento- mormorai, prima di
sparire dalla sua vista, prima di allontanarmi per sempre da quel
cretino.
Eppure c'era da aspettarselo. Cosa mi immaginavo? In realtà,
non ci avevo voluto pensare, perché probabilmente sapevo che
sarebbe andata a finire così.
Non riuscivo a sopportarlo. Non
riuscivo a sopportare altro dolore.
Corsi via in lacrime, ma non tornai a
casa, né andai in biblioteca, quel pomeriggio. Per la prima
volta
dopo più di cinque mesi di scuola non mi presentai all'ormai
consolidato "appuntamento"
con il professore.
Non sapevo bene dove andare. Camminavo per
le strade della grande città in cui abitavo senza fare caso
a dove andassi e presto mi
accorsi di conoscerla ben poco.
Era il tramonto e io ero stanca di
piangere, ma non riuscivo a smettere. Si mise a piovere: prima poche
gocce, poi in breve divenne il diluvio universale.
Continuai a vagare a testa bassa per la
città, ormai buia e desolata. Avevo un po' paura. Temevo di
essere stuprata o cose simili che si pensano sempre in tali situazioni.
Perché si pensa sempre al peggio? Anche la mia stessa ombra,
un gatto che attraversava la strada, un fruscio negli alberi mi faceva
sobbalzare... Eppure non ero un tipo pauroso, ma credo che influisse
molto lo stato d'animo che avevo in quel momento.
Non sapevo dove dover andare...
Ma sapevo dove voler andare.
Era così, ormai. L'unico che poteva
farmi stare meglio e consolarmi era lui.
Corsi a perdifiato. Suonai al
campanello.
Restai qualche secondo impietrita sull'uscio. E se non c'era?
Mi aprì: dire che la sua faccia era sorpresa sarebbe un
eufemismo.
Per fortuna non era in pigiama e non stava dormendo... Anche se in
effetti erano solo le nove.
-Che ci fai qui, tutta fradicia...?
-Bugiardo! Sei un bugiardo!- strillai
con la voce spezzata, battendogli deboli pugni sul petto... deboli come
me.
-Che è successo?
-Mi avevi detto che sarebbe andato
tutto bene, che avrei risolto tutto, che sarei stata felice,
chiarendo la situazione! Ma la verità fa schifo!
Il professor Spencer mi abbracciò,
bagnandosi tutta la camicia. -Su, entra e spiegami tutto.
The answer, my
friend, is blowin' in the wind,
The
answer is blowin' in the wind.
_________________________
"Blowing in the wind": che dire.... Penso che questa meravigliosa
canzone sia perfetta per questo capitolo e per la storia in generale.
Che bello!
Avete il permesso di odiare con tutto il cuore quel bastardo
schifoso di Phil. Phil e Patty sarebbero perfetti insieme: sono stati
insieme appena dopo che Phil aveva lasciato Julia, ma lui come ho
già detto l'ha mollata subito XD Lo fa un po' con tutte...
Di ragazzi così purtroppo ce ne sono tanti... Forse si sono
trasmessi la stronzaggine? No, lo sono di loro -.- Comunque sono
personaggi secondari...
Piuttosto, la povera Julia a casa da sola con il prof.... Beh, non vi
anticipo nulla e vi lascio immaginare cosa potrà succedere
fra i due! Ma ricordate le mie "sorpresine"!
Grazie a tutti, specialmente lady
nix 94! Grazieeee *w*
Aspetto una tua storia.
A presto, con il prossimo ultimo capitolo!!
Gio.
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Capitolo 4 *** LIBRO 4 - Delitto e castigo ***
Libro 4
LIBRO 4 - Delitto e castigo
[Tom Petty &
The Heartbreakers
- Learning to fly]
Well I started out down a dirty road
Started out all alone
And the sun went down, as I crossed the
hill
And the town lit up, the world got still
Mi portò una coperta, mi preparò uno
dei suoi tè caldi e mi offrì quei deliziosi
biscottini al burro. Divorai tutti quelli nel piatto.
Io gli raccontai tutto, fra le lacrime.
-Così... la verità è più
dura di
quanto potessi immaginarti- mi disse, al termine del mio racconto.
Annuii. Avevo smesso finalmente di piangere.
-A volte la verità fa male... Ma
perlomeno hai chiarito. In tutte le cose c'è un lato
negativo e
uno positivo, anche se tendiamo a vedere solo il primo. Ora devi
chiarire i tuoi sentimenti, a far
chiarezza nel tuo cuore.
-Già fatto. Non posso continuare ad
andare dietro ad un tipo del genere. Anche se lo amo, lo
dimenticherò, nonostante io sappia benissimo che ci
vorrà
molto, molto tempo. Andrò avanti. Anche se sarà
dura, ci
sarà lei ad
aiutarmi, vero?
Lui sorrise e annuì. -Certo, Julie.
Julie. Che diminutivo grazioso.
-Tua madre dev'essere in pensiero. Vuoi
tornare a casa? Però è buio, se vuoi ti
accompagno...
-No, per favore. Non voglio tornare a
casa, oggi. Se non le dispiace, potrei restare qui per stanotte, per
favore? Se non disturbo...
Non vorrei sembrare inopportuna...
Lo vidi titubare, e non poco. Era comprensibile: ospitare una
studentessa minorenne! Sarebbe sembrato un porco pedofilo.
Però poi incontrò i miei occhi supplici e
desiderosi del
suo aiuto più di qualunque altra cosa... e sorrise.
-No,
nessun problema. Però telefona ai
tuoi genitori e dì loro... che starai da un'amica.-
Sospirò.
-Cavoli, non inventavo bugie del genere da... vent'anni? Anche
di più! Mi sento come un'adolescente.
Risi. -Vado a chiamarla. Finora non ho
risposto alle sue chiamate e avevo spento il cellulare: sarà
davvero molto preoccupata.
-Già. Dopo però va' a farti un bagno
caldo, o ti prenderai un raffreddore.
-Ma... Non ho niente da mettermi-
mormorai.
Lui si alzò, andò in un'altra stanza
e tornò poco dopo con in mano una felpa e un paio di
pantaloni.
-Questi erano di mia moglie, dovrebbero andarti bene. Vieni, ti
indico il bagno.
I'm learning to fly, but I ain't got wings
Coming down is the hardest thing
Fare il bagno fu un'idea grandiosa: era
davvero un uomo saggio e maturo e i suoi consigli non mi deludevano
mai. Anche parlare con Phil, in fondo, era stato positivo. Avevo capito
finalmente che dovevo superare la cosa, nonostante fosse doloroso.
Mi rilassai e mi sentii subito
meglio, anche se non volevo pensare troppo, o avrei ricominciato a
piangere e non ne avevo nessuna voglia.
Indossai i vestiti che mi aveva dato il
professor Spencer con un po' di malinconia (erano i vestiti della
moglie...) e tornai in salotto.
-Ho messo i tuoi vestiti ad asciugare-
mi disse.
Mi guardò e s'incupì; poi
distolse subito lo sguardo.
Sospirai. -Questi vestiti appartenevano
a sua moglie... Non dev'essere facile...
Se preferisce mi rimetto i miei...
Lui fece cenno di no con la testa e mostrò un amaro sorriso.
Mi bloccai. Non sapevo davvero cosa
dire.
Il professor Spencer portò le mani
indietro sui braccioli e si sedette sulla poltrona dietro di lui.
Alcune lacrime rigarono il suo volto.
Non l'avevo mai visto piangere. Mi
avvicinai piano. -Professore...
-Scusa... A quanto pare, è giornata di
pianti- Cercò di essere spiritoso, ma la sua battuta
ghiacciò la stanza.
Sospirai e lo abbracciai in silenzio. Non ci sono mai parole che
possano confortare abbastanza da una morte.
-Mia moglie... L'amavo tantissimo.
Anche lei mi amava tantissimo. Desideravamo un figlio, ma lei
scoprì
di essere sterile: ne soffrì moltissimo, si scusava spesso
con me, anche se le ripetevo che non ne aveva motivo. Le proposi di
adottare un
bambino, ma lei non volle. Dopo dieci anni di matrimonio... Di
ritorno da scuola la trovai
morta sul pavimento del bagno, questo giugno,
proprio quando tu sei stata lasciata da Phil. Per questo ho cambiato
scuola e mi sono trasferito nella tua... Lei stringeva in mano una
scatoletta di pillole antidepressive, vuota: le aveva ingerite tutte
insieme. Non sapevo nemmeno che le assumesse... Mi aveva tenuto
all'oscuro di tutto. Sapevo che soffrisse, ma non immaginavo che
volesse suicidarsi. Credo che non sopportasse più il dolore.
Sono
stato così cieco...
E' tutta colpa mia...
-Non è colpa sua, professore- dissi.
-Io... Pensavo di poterla consolare, di
poterla aiutare, ma non ci sono riuscito... Avrei dovuto confortarla e
proteggerla, era mia moglie, dopotutto! Era mio dovere. Non sono capace
di
aiutare nessuno.
-Lei ha aiutato me, professore. Mi ha
aiutato davvero tanto, e le sono infinitamente riconoscente. Sono
sicura che sua moglie l'abbia amata immensamente. Deve superare
questo dolore, deve andare avanti come mi ha insegnato.
-Non credo di esserne capace! Io...
Parlo bene, ma... sono solo un debole in realtà...
-Non dica così. E' umano soffrire: me l'ha detto lei stesso,
ricorda? Lei è un uomo
meraviglioso. Sono sicura che un giorno riuscirà e
risollevarsi... e
ad amare di nuovo.
Il prof Spencer non piangeva più. Si
asciugò il viso: era visibilmente imbarazzato. -Ti
ringrazio. Anche tu mi hai aiutato tanto,
Julie, con i tuoi sorrisi e la tua vitale gioventù.
Sorrisi amaramente. Non era ciò che vrei voluto sentirmi
dire. -Si figuri. Sono
felice di essere utile a qualcuno.
Lui comprese il mio stato d'animo, come
sempre. Sospirò. -Mi scuso se ti ho dato l'impressione
contraria, ma
non provo nessun sentimento d'amore nei tuoi confronti. Per me sei
una studentessa... un'amica, una confidente. Una ragazza intelligente
e una piacevole compagnia. Ma nulla di più. Io continuo ad
amare mia
moglie, come tu continui ad amare Phil. Noi due possiamo capirci, ma
non ci amiamo.
-Ha ragione. Io mi scuso per il mio
comportamento di ieri... Ho capito i miei sentimenti. Effettivamente,
ero confusa e anche io la penso come lei. Per me lei è un
professore
che stimo... un amico, un confidente. Un uomo adulto intelligente e
una piacevole compagnia. Ma nulla di più.
Non avevo mentito. La verità era quella, e l'avevo capito:
avevo fatto davvero chiarezza nel mio cuore. Quella sera avevo compreso
molte cose.
Mi caddero gli occhi sulla libreria. Il prof possedeva moltissimi
romanzi, ma mi colpì uno in particolare, uno che
-stranamente- non avevo mai visto.
Lo sfilai pian piano: era rilegato alla buona, aveva una semplice
copertina bianca con il titolo e l'autore, niente più.
-Professore, potrei
leggere il suo libro "La nebbia d'estate?"
-Cosa?- Il prof si agitò un po'. -Ma veramente io...
-La prego! Mi piacerebbe moltissimo.
Scrollò le spalle. -D'accordo, ma non aspettarti
chissà che. Quando lo scrissi ero giovane e immaturo...
-Lo sono anch'io: vorrà dire che lo comprenderò
meglio- sorrisi. -Ma prima di giudicare devo leggerlo. Le
farò sapere la mia opinione.
-Bene, si è fatto tardi e credo che
abbiamo bisogno entrambi di riposare: domattina suona la sveglia- disse
il prof.
-Puoi dormire in camera mia, io dormirò sul divano: l'ho
già
preparato...
-Oh, no: dormo io sul divano, ci
mancherebbe!
-Sicura?
-Certo. Mi sentirei troppo in imbarazzo... Sto già
approfittando troppo della sua gentilezza.
-Va bene, buonanotte allora- mi disse,
baciandomi la fronte come mio padre non aveva mai fatto.
-Buonanotte, prof.
Prima di dormire cominciai a leggere il
romanzo del professore, “La nebbia d'estate”. Era
proprio come se lui mi parlasse. A
quanto pare non era cambiato molto negli anni.
Passai tutta la notte a leggerlo.
La mattina seguente il professore si
alzò prestissimo. Non mi aveva notata: sbadigliò
rumorosamente, spalancando la bocca.
Risi. -Buongiorno, prof.
Fece un balzo per la sorpresa. -Buon...- Mi vide con il libro in mano,
incredulo. -Stai ancora leggendo? Non dirmi che non hai dormito?!
-Il suo libro è troppo bello,
professore.
-A che punto sei arrivata?
-Quasi alla fine. Lo
trovo bellissimo: non capisco davvero perché non lo abbiamo
pubblicato.
-Ti ringrazio. Te lo presto, finiscilo pure con calma. Cosa gradisci
per
colazione? Caffè, latte, cappuccino, tè,
cioccolata calda...?
-Uno dei suoi tè caldi, per favore. E
quei deliziosi biscottini al burro.
-Mi dispiace: temo che tu li abbia finiti tutti ieri sera- rise.
Risi anch'io. -Il tè basterà, grazie.
Avrei voluto che quella serenità durasse per sempre, ma,
come mi aveva insegnato, era impossibile.
Mi guardò. Fece una faccia strana.
-Che c'è? Qualcosa non va?- chiesi.
-Hai dei capelli davvero orrendi la mattina, Hendrix.
Well the good ol' days, may not return
And the rocks might melt & the
sea may burn
Uscimmo di casa, un po' imbarazzati.
-Beh, sarà meglio non andare a scuola
insieme...- disse.
-Già, assolutamente. Lei può andare in macchina
come
sempre, io andrò con l'autobus. Dov'è la fermata
più vicina?
-Oh, è proprio davanti alla
biblioteca.
-Allora è vicino.
-Vuoi che ti accompagni?
-No, grazie, non è necessario.
Ci salutammo e ci dividemmo.
Non avrei mai immaginato cosa sarebbe
successo. Di lì a poco, la serenità
che avevo ritrovato con tanto sforzo sarebbe andata in frantumi.
I'm learning to fly, but I ain't got wings
Coming down is the hardest thing
Qualche giorno dopo, a scuola,
cominciarono a girare strane voci. La gente, dopo tanti mesi di pace,
aveva ricominciato a
sparlarmi dietro... Ma questa volta non ridevano. Non sapevo
però cosa dicessero quei pettegolezzi.
Era ancora per Phil, dopo tutto quel tempo?
Il professor Spencer mi chiamò.
-Dobbiamo parlare. Riguarda quello che si dice su di noi...
-Su di noi? Pensavo riguardasse solo
me. Cosa si dice esattamente?
Il prof sbiancò. Deglutì. -Ci hanno
visti uscire insieme da casa mia, l'altra mattina.
Sgranai gli occhi. -Oh, cazzo. Ma non è
possibile! Chi?
-Patricia Marren. Abita vicino casa
mia, non lo sapevo...
-Cosa ha fatto, quella troia?!- Ero furiosa. Come si era permessa? Mi
odiava a tal punto da mettermi seriamente nei guai? O era talmente
stupida da non esserci arrivata col suo cervellino bacato? -Se lo
verrà a sapere il preside...!
Lui abbassò lo sguardo. -Temo che ne sia già al
corrente. Oggi
andrò personalmente a parlargli... Probabilmente ci
convocherà
tutti, domani, anche i tuoi genitori e Patricia.
-Che imbarazzo! Ma non abbiamo
fatto nulla!- Per quanto fossi disperata e terrorizzata, non riuscivo a
piangere. Ero troppo agitata e il cuore mi batteva a mille.
Cosa ne sarebbe stato di me e del professore? Non osavo immaginarlo.
-Calmati, Julie, spiegheremo la situazione. Vedrai, si
sistemerà tutto.
Well some say life will beat you down,
break your heart, steal your crown
So I've started out, for God knows where
I guess I'll know when I get there
Il giorno seguente, il
professor Spencer non si presentò a scuola.
Né sarebbe venuto il giorno dopo, né
quello dopo ancora. Non sarebbe venuto più, ma ancora non lo
sapevo, anche se lo temevo. Avevo un brutto, tremendo presentimento.
Così decisi di chiedere spiegazioni al
preside.
Lui mi rispose freddamente. -Il professor Herbert Spencer si
è
licenziato proprio ieri. Non mi ha dato spiegazioni, ma immagino sia a
causa
tua - mi disse, con sguardo accusatore. -Hai qualcosa da dire?
Non risposi. Corsi via dalla presidenza. “Lo sapevo! Si
è
licenziato prima ancora che ci convocassero. Ma avremmo spiegato
tutto!" Mi veniva da piangere, ma non lo feci. "No, non ci avrebbero
mai creduto. L'ha fatto solo per proteggermi... Che stupido!”
Mi precipitai a casa sua,
ma non lo trovai. Se n'era già andato, si era già
trasferito, mi
aveva già lasciata.
Ero nuovamente sola.
Non si presentò più nemmeno in
biblioteca. Non riuscivo a credere che fosse successa una cosa
simile per una sciocchezza del genere: noi non avevamo nessuna colpa,
era terribilmente ingiusto. “Non mi ha nemmeno salutata... E
adesso come farò senza di
lui?”
Mi sentii terribilmente depressa. Di
nuovo.
Il sole era sparito: era tornato il buio.
Così tornai lì, sezione C, terzo
corridoio a destra, quarta fila dal basso, sotto la
“S”.
“Suicidio”. Questa volta era al suo
posto.
Lo presi. Finalmente mi avrebbe dato qualche
spunto su come farla finita nel modo meno doloroso possibile. Avrei
dovuto farlo molti mesi prima, quel giorno di settembre. Avevo soltanto
posticipato l'appuntamento con la morte: se solo non lo
avessi incontrato, sarei stata già all'altro mondo. Non
volevo più soffrire.
Mi accomodai nella sala lettura della biblioteca e aprii il
libro.
Dalla prima pagina uscì un
fogliettino. Svolazzò, ondeggiando lentamente, e cadde
a terra. Lo raccolsi.
Il labbro mi tremò. Era un suo
biglietto.
Mia cara piccola Julie,
So che prenderai in prestito questo
libro dopo la mia partenza. Ti conosco troppo bene, sei come un libro
aperto per me. Non fare pazzie: vai avanti, vivi. Sei più forte di
quanto tu creda. Sono certo che riuscirai a superare anche questa
situazione.
Dobbiamo andare avanti entrambi, da
soli, con le nostre forze. Abbiamo fatto troppo affidamento l'uno
sull'altro ma dobbiamo essere coraggiosi. Vivere significa andare
avanti e
superare i propri timori.
Mi hai aiutato tanto, più di quanto
tu possa immaginare. Adesso so di poter continuare a vivere... E
anche tu lo sai.
Ti sarò sempre accanto. Con
affetto,
il tuo professore
Herbert Spencer.
Una lacrima cadde silenziosa sul foglietto. Lo
strinsi, lo misi in tasca e riposi il libro sullo scaffale.
A quanto pare non dovevo proprio leggerlo, quel
libro.
I'm learning to fly, around the clouds,
But what goes up must come down
I mesi passarono inesorabilmente: era
tornata la tempesta nel mio cuore e il sole non accennava a
ricomparire.
Passò un anno. Più di un anno.
Ero arrivata miracolosamente all'ultimo giorno di scuola superiore, non
so bene come in realtà. Finalmente mi sarei diplomata, con
un po' di fortuna,
e sarei evasa da quella scuola, quella prigione schifosa.
Continuavo ad andare in biblioteca ogni
giorno. Cominciò a frequentarla spesso anche un ragazzo, ma
non ci feci molto caso.
Un giorno mi si avvicinò nella sala lettura
e mi salutò. -Ehi, ciao. Vengo spesso qui e ti ho sempre
vista... Mi
chiamo Simon, e tu?
Alzai gli occhi. Lui stava leggendo
“Delitto e castigo” di Dostoevskij: interessante,
aveva buon
gusto. Sì, se pensate che sia una che giudica le
persone dai gusti
letterari... avete indovinato. -Julia – risposi, senza troppo
entusiasmo.
-Ciao, Julia – disse. Sorrise. -Che
buffo, sembriamo in una clinica di alcolisti anonimi! Che poi
perché
si chiama anonimi se ti chiedono il nome?
Risi. Dopo tanto tempo, risi. Era
simpatico, Simon. Sembrava soddisfatto che la sua battuta avesse
avuto successo. Era chiaro che gli interessassi: era pazzo?
-Vieni spesso anche tu per studiare?-
mi chiese.
-Oh, no, in verità sono una
divoratrice di libri. Tu vieni per studiare?
-Sì... Sai com'è, la maturità...
-Eh già, ci sto passando anch'io...
-Ah, anche tu? Hai la mia età? A che scuola vai?
Cominciammo a chiacchierare
tranquillamente. Discorsi semplici e concreti, nulla a che vedere con
quelli che intraprendevo con il professore. Discorsi da ragazzi
normali della mia età.
Stranamente anche Simon cominciò a
venire in biblioteca tutti i giorni, nei miei stessi orari...
Nonostante non gli dessi troppo spago, gli
piacevo davvero, me n'ero accorta.
-Ti va di uscire, uno di questi
giorni?- mi chiese infatti all'improvviso.
-Ehm... Veramente ho tanto da studiare
in questo periodo. Preferirei di no, scusa- risposi.
Ci rimase malissimo. -Ah. Okay.
I'm learning to fly, but I ain't got wings
Coming down is the hardest thing
A casa, mi gettai sul letto, tappandomi la testa con il cuscino.
Ripensai al mio conportamento... idiota.
Mi misi le mani in
tasca e trovai il bigliettino, quel
bigliettino: lo avevo conservato. Mi tornarono in mente
le parole del
professore e dopo tanto tempo ripensai seriamente a lui. Mi mancava
tantissimo. Lo rilessi, ma conoscevo già ogni parola a
memoria.
Mi alzai e aprii un cassetto. Dal suo fondo, tirai fuori un libro
impolverato. Soffiai sulla copertina bianca.
"La nebbia d'estate". Non lo avevo mai finito, da quella notte. Mi
mancavano solo venti pagine: le lessi tutte d'un fiato.
Chiusi il libro: lo avrei conservato per sempre come ricordo del mio
professore di storia e filosofia, anche se non avevo bisogno di oggetti
per ricordarlo.
Sospirai. Lui avrebbe sicuramente biasimato il mio comportamento
stupido e vigliacco.
Anche se mi era difficile fidarmi
degli uomini, dovevo andare avanti. Dovevo vivere, lasciarmi scoprire
per far tornare il sole.
In biblioteca Simon aveva smesso di
parlarmi. Probabilmente aveva pensato che non mi piacesse e non
voleva infastidirmi, ma continuava a venire solo per vedermi. Che
carino.
In
realtà non è che non mi piacesse... Avevo paura.
Ma avevo capito
che non dovevo aver paura di amare.
-Scusami, Simon... Per quanto riguarda
l'invito dell'altro giorno... È ancora valido?- gli chiesi,
titubante e in imbarazzo.
Lui era visibilmente sorpreso.
-Se non ti va più, lo capisco...
-No... Sì! Sì, mi va!- esclamò. La sua
ingenua semplicità era adorabile. -Domani?
Sorrisi. -Ci incontriamo qui e poi
andiamo a bere qualcosa?
-S-sì!- balbettò. Era davvero molto tenero.
Ci scambiammo i numeri di telefono e ci
salutammo.
I'm learning to fly, around the clouds,
But what goes up must come down
La mattina dopo, a scuola, dovevo
intraprendere il mio esame orale di maturità: gli scritti
non erano
andati un granché, quindi dovevo rifarmi.
Ero molto nervosa... Sarebbe andata
male, me lo sentivo.
-Hendrix, c'è un biglietto per te –
mi disse la bidella.
-Un biglietto? E di chi?
Non mi rispose. Le bidelle, come gli impiegati, sono una più
svogliata dell'altra. -Tieni.
Lo aprii.
Sorrisi.
In bocca al lupo!
Il prof Spencer.
Mi si alleggerì immediatamente il
cuore. Grazie a lui trovai il coraggio e la forza di farcela.
“Ti sarò sempre accanto” mi aveva
scritto in quel bigliettino che avevo conservato. Ed era vero.
Ancora una volta mi aveva aiutato, e
l'esame andò alla grande.
Sarei stata promossa: con 65, ma pur sempre promossa. Per fortuna: non
avrei resistito un anno di più a scuola. Non sapevo che fare
del
mio futuro, ma alla fine sarei andata a lavorare nell'azienda di
mio padre.
Quel pomeriggio dovevo uscire con Simon, però non sapevo che
fare. Ero
indecisa, non sapevo perché.
Alla fine non mi presentai. Sapevo di essere maleducata a dargli buca,
così pensai di inviargli
un sms almeno per avvertirlo che non sarei andata, che ci avevo
ripensato e
che mi scusavo tanto, ma non ne ebbi il coraggio.
In fondo io ero una vigliacca.
“Non devi scappare”. Il professore
mi avrebbe detto così. E lui aveva sempre ragione.
Ma ormai era troppo
tardi. Come sempre, mi accorgevo delle cose troppo tardi.
Era sera, era buio.
Andai lo stesso alla biblioteca, certa
che non lo avrei trovato.
E invece lui era lì. Simon era seduto
sulla solita sedia, quella su cui si sedeva sempre il
professore, e mi stava ancora aspettando dopo tante ore.
Vedendomi arrivare, si alzò immediatamente, raggiante.
Pensavo
che fosse arrabbiato e che non mi volesse più parlare, e
invece
era semplicemente felice di vedermi. -Temevo
che non saresti più venuta...
-Temevo che non mi avessi aspettata.
Scusa tanto il ritardo. Dovrai avere molta pazienza, con me.
Mi sorrise. -Io sono molto paziente.
Sorrisi anch'io.
Flebili raggi di sole cominciarono a far capolino nella
mia vita.
“Non so come andrà fra me e Simon.
Probabilmente ci lasceremo. Ma per ora, vivo il presente.
Me l'ha insegnato il mio professore.”
I'm learning to fly
I'm learning to fly...
Fine
/ Inizio
__________________
'Sera!
Non so se lo avete notato (credo di no), ma i colori dei titoli dei
capitoli diventano sempre più "caldi", come il cuore di
Julia
che si è sciolto.
Carina la foto in fondo, vero? Si chiama "book art". Per quanto
riguarda il titolo... "Delitto e castigo" non è scelto a
caso, perché c'è un "castigo" (addio del prof),
anche se il "delitto" in realtà non è stato
commesso.
In fondo ho scritto "fine/inizio" perché la storia
è finita, ma continua in realtà, no? (Come sono
ambigua...)
Allora, che ne pensate? Finale deludente? In tal caso mi spiace, ma
è stata concepita così fin dall'inizio e non ho
cambiato la fine. D'altra parte sono convinta che non può
andare sempre tutto rose e fiori! Forse perché a me non me
ne capita mai una giusta? xD
Però è finita proprio come doveva finire, credo.
Fin dall'inizio ho sempre sottolineato che tutto finisce, prima o poi,
e qualcosa di nuovo comincia. Inoltre Julia doveva crescere, andare
avanti con le sue forze. Doveva imparare a volare ("learning
to fly" è azzeccata a tal proposito, no?).
Bene bene, spero di non avervi annoiata. Grazie per avermi seguita per
questi 4 capitoli :)
Spero di riuscire presto a trovare il tempo per mettere per iscritto
un'altra delle storie che vivono nella mia testolina. Arg!
Gio.
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