Come un libro aperto

di Gio26
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** LIBRO 1 - Suicidio ***
Capitolo 2: *** LIBRO 2 - Omicidio nella notte ***
Capitolo 3: *** LIBRO 3 - La nebbia d'estate ***
Capitolo 4: *** LIBRO 4 - Delitto e castigo ***



Capitolo 1
*** LIBRO 1 - Suicidio ***


Libro 1
LIBRO 1 - Suicidio

[Jimi Hendrix - Manic Depression]
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Manic depression is touching my soul
I know what I want but I just don't know
How to, go about gettin' it
Feeling sweet feeling,
Drops from my fingers, fingers
Manic depression is catchin' my soul

“Suicidio”. Oh, quanto cercavo quel libro!
Mi trovavo in biblioteca, in uno squallido e piatto pomeriggio di settembre. Era ricominciata la scuola da pochi giorni e mi sentivo già a terra: la quarta superiore si prospettava una vera seccatura.
Un bel libro divertente mi ci voleva proprio per tirarmi su di morale.
Anche se ad essere sincera avevo passato anche le vacanze estive a leggere...
E non solo le vacanze. Diciamo che per me la lettura era come una droga: non riuscivo a smettere.
Ultimamente ero arrivata anche al punto di leggere più di un libro a settimana e appena ne concludevo uno avevo la smania di cominciarne un altro. Era una fissazione.
Mia madre diceva che esageravo. È buffo: i genitori quando i figli non leggono si lamentano, quando leggono troppo, si lamentano lo stesso. Non va mai bene nulla, per loro. Ogni cosa è un pretesto per rompere le scatole, soprattutto per mia madre.
In realtà capivo la preoccupazione di mia madre: non era tanto per i soldi che avevo speso per tutti quei libri, perché ora li prendevo in prestito in biblioteca (in realtà non avevo più posto negli scaffali di casa mia); la sua vera preoccupazione era che rimanendo giorno e notte tappata in casa immersa nella lettura, diceva che mi estraniavo dal mondo reale. Balle. Solo perché non avevo amici e non uscivo mai?! Che c'era di male nel vivere un mondo migliore nella fantasia? Non significava che non vivessi la realtà. Non era così! No! Ne ero certa!
Credo...
Ad ogni modo, stavo rigirando i corridoi della biblioteca in cerca di quel libro, ma non lo trovavo. Eppure conoscevo la biblioteca come le mie tasche: oramai era diventata una seconda casa, per me, anzi, passavo più tempo lì che a casa mia. Sapevo benissimo che ce l'avevano, perché lo avevo già visto: conosco tutti i libri che ci sono, lì dentro, e ne ho letti la maggior parte.
Ma “Suicidio” mi mancava, e ora più che mai lo desideravo. Mi serviva. Dovevo trovare l'ispirazione per ammazzarmi in modo dignitoso. Non scherzavo, avevo intenzioni serie. Ormai, senza di lui, la mia vita non aveva senso. Mi sentivo vuota, triste e maledettamente sola. A nessuno sarebbe importato più di tanto: ci sarebbe stato un po' di chiacchiericcio in città, poi nulla: le vite di tutti sarebbero continuave tranquillamente, senza che nulla cambiasse. Di amici che piangessero la mia scomparsa, come ho detto, non ne avevo; mio padre, era come se non lo avessi, perché non c'era mai a causa del lavoro; e quella frustrata di mia madre, sì, forse avrebbe fatto un piantino lì per lì, per lo shock e la sorpresa, ma poi sarebbe stata felice di non avermi più tra le scatole. Nessuno mi voleva davvero bene. Nemmeno io. Per questo avevo deciso di togliermi da questo mondo schifoso. Però voleo farlo in modo elegante, raffinato... Cosicché sorprendessi un po' qualcuno, così avrebbero parlato di me almeno per un po'. Magari, qualcuno si sarebbe sentito in colpa... Magari! Il mio più grande desiderio era finire in prima pagina di un giornale.
"Suicidio" era proprio ciò che faceva a caso mio: dentro vi avrei trovato certamente soluzioni interessanti, e avrei scelto con cura la mia fine. Sapevo anche il punto esatto in cui si trovava, quel libro: sezione C, terzo corridoio a destra, quarta fila dal basso, sotto la “S”. Ma non c'era! Non c'era da nessuna parte!
Era un'ora che cercavo senza successo, così mi arresi e mi diressi mio malgrado al bancone per le prenotazioni e le informazioni. Odiavo rivolgermici: non mi serviva mai, ma quello era un caso estremo e dovevo ammettere che ne avevo bisogno. Anche se sapevo già che mi sarebbe servito a poco.
E poi quello che odio di più è dover incrociare la faccia degli impiegati. Quando ero entrata avevo visto chi c'era: la vecchia megera. Non la sopportavo, con quella sua aria da saccente e quegli occhialini a punta! Ma feci un bel respiro e mi avvicinai.
Gli impiegati, spesso, hanno un'aria seccatissima, quasi ti facessero un favore a risponderti: è un miracolo trovarne qualcuno di gentile e disponibile. Una gattara alla quale è morta tutta la sua banda di gatti sarebbe più sorridente. A volte vorrei rispondere: "È il tuo lavoro, quindi devi rispondermi, e a modo. Se non ti piace il tuo lavoro non sono fatti miei."
Quello era uno di quei casi in cui avrei voluto rispondere così. Ma non lo feci: in fondo ero educata. O forse solo codarda.
Odio questa impiegata della biblioteca! Dovevano pagarla proprio una miseria per essere sempre di cattivo umore: era quasi peggio di me. Quasi.
Era scorbutica e indisponente, lei. L'altra era più gentile, quella cicciottella che sembrava una palla con la camicia coi bottoni che davano l'impressione di essere sul punto di saltare da un momento all'altro. Poi c'era l'altro, quel vecchietto sarcastico che veniva solo una volta a settimana, il venerdì. Era piuttosto fastidioso per le sue glaciali battute fuori luogo (freddure, in tutti i sensi), ma era passabile: almeno lui ci provava a risultare simpatico.
La donna-palla era senz'altro la migliore, metteva di buon umore solo a guardarla, tutta tonda e cicciotta com'era. Peccato che non c'era lei. Magari mi avrebbe tirato un po' su di morale, guardandomi con quegli occhiotti tondi. Invece temevo che quella strega mi avrebbe fatto innervosire ancora di più, anzi, era scontato.
La megera stava picchiettando con forza le sue dita ossute sulla tastiera del pc ad una velocità supersonica. Sicuramente stava chattando con uno sconosciuto, invece di lavorare... Anche se in effetti non aveva un cazzo da fare. Già quel picchiettio era snervante, per me.
-Scusi, stavo cercando il libro "Suicidio", ma non lo trovo- le chiesi gentilmente.
-Sezione C, terzo corridoio a destra, quarta fila dal basso, sotto la “S”- borbotta senza nemmeno alzare la testa.
-Questo lo so, ho già cercato. Ho detto che non lo trovo.
Quella abbassò sulla punta del naso gli occhialini a punta e alzò gli occhi, dando un po' di tregua alla povera tastiera. Mi guardò con aria stitica. L'avrei presa a schiaffi più che volentieri.
-Vuol dire che non c'è.
“Grazie al cazzo!” gridai nella mia mente; ma mi controllai. Quella dovette aver intuito i miei pensieri. Mi fissava come a pensare “Ma guarda chi si è abbassata alla fine a chiedere aiuto: Miss topo di biblioteca...”
La odiavo.
-Infatti vorrei sapere quando dovrebbe rientrare- Era uno sforzo pazzesco essere gentile. -Può controllare sul database, per favore?- vomitai. Quella tizia da voltastomaco per tutta risposta sbuffò e ricominciò a picchiettare sulla tastiera.
-È stato preso appena 20 minuti fa, quindi non lo ritroverai prima di un mese, probabilmente – mi rispose pochi secondi dopo. - Ma che peccato.- Lo aveva proprio detto a presa di culo. Che rabbia!
-Ho capito. Grazie lo stesso.
Fu una gioia distogliere lo sguardo da quella feccia umana. L'avrebbero dovuta licenziare solo per la sua maleducazione. Ero curiosa di sapere chi l'avesse assunta e con che coraggio: probabilmente era drogato. Forse l'aveva drogato lei.
Mi allontanai stizzita e ancora più incavolata di prima e tornai fra gli scaffali, alla ricerca di un altro libro interessante. I libri erano sempre la soluzione per tutto, per me. Forse avrebbero calmato i miei bollenti spiriti.
Trovai "Omicidio nella notte": il titolo mi ispirava solo per "omicidio", allora decisi che l'avrei preso, anche se sarebbe rimasto solo un indegno sostituto al capolavoro “Suicidio”.
Se pensate che sono il tipo che ama questo genere di argomenti – morte, assassinii, suicidi, malattia, depressione e chi più ne ha più ne metta – beh, ci avete preso in pieno.

Woman so weary, the sweet cause in vain
You make love, you break love
It's all the same
When it's, when it's over, mama
Music, sweet music
I wish I could caress, caress, caress
Manic depression is a frustrating mess

Nonostante tutto, non ero convinta. Quando io andavo con un'idea in testa e me ne tornavo con un'altra, non ero soddisfatta. Così, prima decisi che lo avrei sfogliato un po' nella sala lettura della biblioteca e che poi avrei deciso se prenderlo o meno, nell'attesa di “Suicidio.”
Sospirando, mi sedetti in un tavolo e aprii il libro.
La biblioteca solitamente era sempre vuota, soprattutto nella sala lettura, quindi mi stupii non poco nel notare che c'era qualcuno di fronte a me. Comunque non ci feci troppo caso e aprii la prima pagina.
“Sentii un passo, poi un altro. I passi acceleravano sempre di più. Sentivo che qualcuno mi seguiva. Lo percepivo alle mie spalle e mi misi a correre a perdifiato. Non avevo il coraggio di voltarmi per accertarmi se ci fosse davvero qualcuno o se fosse solo la mia immaginazione. Due mani possenti mi afferrarono, tappandomi la bocca e impedendomi di emettere il grido di terrore che mi attanagliava l'anima...”
Alzai gli occhi, sbuffando. Già dall'inizio sembrava bello, davvero, ma non era lui, non era “Suicidio” e non riuscivo ad accettarlo. Non potevo capacitarmene.
Proprio allora, vidi con mio grande stupore che l'uomo davanti a me aveva la faccia coperta proprio da lui, il mio agognato “Suicidio”. Quell'uomo mi aveva battuto sul tempo! Nessuno poteva: lui era mio!
Scattai in piedi, sbattendo le mani sul tavolino. L'uomo sobbalzò e abbassò il libro.
-Quel libro è...! - “mio”, avrei dovuto concludere, ma rimasi a bocca aperta. - Professor... Spencer? - mi sforzai di ricordare il suo nome, temendo di sbagliarmi e di fare una figuraccia.
-Proprio così: Herberti Spencer, come il filosofo... E per un'ironica coincidenza, io sono un professore di storia e filosofia. Oh, se non erro tu devi essere una mia allieva della quarta … B?
-Quarta A, Julia Hendrix.
-Perdonami, non ho ancora inquadrato le facce e mi ci vuole un po' a memorizzare i nomi.
Alla fine la figuraccia l'aveva fatta lui. Ah ah. Ben gli stava, a quel ladro.
Il professor Spencer era il nuovo insegnante di storia e filosofia, appena trasferitosi nella mia scuola. La scuola era cominciata da appena dieci giorni, e lui lo avevamo visto sì e no due volte, quindi era più che comprensibile che non si ricordava chi fossi.
-Stavi per dirmi qualcosa su questo libro? Ti interessava? - mi chiese indicando “Suicidio” che stringeva fra le mani.
-No, no, nulla... - risposi. Non avevo voglia di risultare antipatica al prof, che non mi conosceva ancora: non avevo alcuna intenzione di fare una brutta impressione.
Così mi sedetti e riaprii il mio libro, ma non riuscivo a finire un rigo perché mi distraevo sempre a fissare quello. Lo volevo così tanto!
-Scusi, professore, in realtà prima stavo per dirle che quel libro che ha preso lei interessava anche a me. L'avrei voluto prendere io ed ero venuta qui apposta, ma a quanto pare mi ha battuta sul tempo – dissi ridendo. In realtà avrei voluto strangolarlo e strapparglielo dalle mani.
-Oh, mi dispiace tanto. Se vuoi te lo cedo.
-No davvero, ci mancherebbe! - In realtà era proprio ciò che volevo. Ngheee.
-Ma figurati, lo prenderò quando l'avrai finito tu – mi disse con un sorriso, allungandomi il libro.
Lo presi delicatamente fra le mani, come se fosse un tesoro prezioso. Ogni libro per me era un tesoro prezioso, e quello non era più bello di altri, ma era quello che desideravo leggere allora e quindi era speciale e insostituibile.
-Grazie, professore. Grazie mille- dissi con gli occhi che mi sbrilluccicavano. Ero troppo furba, yeah.
-Spero che tu studi anche storia e filosofia, Hendrix, oltre che alla musica rock – mi disse, cercando di fare il sarcastico sul mio cognome. Ecco, lo sapevo: era spuntato il professore rompiscatole.
Sospirai. – Sì, prof. La filosofia è una materia interessante...
-No, non lo è affatto – mi rispose. Mi lasciò di sasso. Quel professore si prospettava alquanto strano. – La storia è una materia noiosa e la filosofia è complicata e dannatamente complessa, per non dire alquanto incomprensibile a tratti.
Non sapevo cosa rispondere: ero rimasta con la bocca mezza aperta, basita. Lui lo capì e fece un sorrisetto. – Ma ciò non toglie che siano materie obbligatorie e vadano studiate.
-Certo – risposi con una smorfia. Non volevo e me ne pentii subito, ma avevo agito senza accorgermene.
-Dunque, signorina Jimi... Volevo dire, Julia Hendrix... - "Ci risiamo: ah ah ah. Spiritoso." La cosa buffa era che a me piaceva davvero, Jimi Hendrix: era il mio mito e per me era un onore portare il suo stesso cognome. Però ogni volta tutti facevano i sarcastici sul mio cognome... Che dire: prevedibili. Alla lunga era diventato seccante. – Come mai è interessata al suicidio?
-C-cosa glielo fa pensare? – esclamai. Mi sentii scoperta.
Il professore indicò il libro, sorridendo. Io aggrottai le sopracciglia. – Solo perché voglio leggere un libro che parla di suicidio non vuol dire che...
-Suvvia, non nasconderti. Non vorrei perdere una studentessa a causa mia.
-Stia tranquillo, non è certo a causa sua – ribattei, secca. Continuava a fare il simpatico? Suicidarsi per la scuola era da coglioni. – Sono appena stata scaricata.
-Nel lavandino? - ridacchiò.
-No, nel cesso! - esclamai, ad alta voce. Per fortuna non c'era nessuno, ma la stregaccia delle informazioni si era girata a guardarci, scrollando la testa con aria di superiorità. Quel giorno mi volevano far incazzare proprio tutti?! Come se fossi già allegra. – Perdoni il linguaggio scurrile, prof.
-Tranquilla, non siamo a scuola. E poi, forse ho esagerato un po'.
“Forse?! Decisamente!” pensai stizzita. Ma che razza di professore era per prendersi tutta questa confidenza? – Comunque sono sicuro che non valga la pena privarsi della vita per una delusione amorosa – continuò con aria saccente.
-Lei sta giudicando senza conoscere la situazione, vero? Tipico degli adulti! Crede che sia la solita cotta adolescenziale, ma non è così!
-Allora perché non mi racconti che com'era?

Well, I think I'll go turn myself off,
And go on down
All the way down
Really ain't no use in me hanging around
In your kinda scene
Music, sweet music
I wish I could caress and kiss, kiss
Manic depression is a frustrating mess.

Il professor Spencer mi spiazzò nuovamente. Si era seduto comodamente, a braccia incrociate, pronto ad ascoltarmi. – Sono tutto orecchi.
-Perché dovrei raccontare i miei fatti personali al mio professore?
-Perché a volte fa bene sfogarsi, liberarsi la mente e il cuore dal peso che ci opprime... Scommetto che non lo hai ancora raccontato a nessuno, non è vero?
Colpita e affondata. Ma come lo aveva capito? Ero così prevedibile?
Sospirai, e mi accomodai anche io nella poltroncina.
Tanto non avevo nulla da fare, e nessun altro era disposto ad ascoltarmi. Nessuno mi aspettava, nessuno mi capiva.
-Si chiamava Philip... O meglio, si chiama, perché purtroppo è ancora vivo. Fin da quando sono entrata in prima superiore, mi è sempre piaciuto. Lui è un anno avanti. L'ho sempre ammirato da lontano, sospirando ogni volta che passava per il corridoio e incrociava fortuitamente il mio sguardo; ma lui non sapeva nemmeno che esistessi. Nonostante ciò, non sono mai riuscita a levarmelo dalla testa. Ormai tutta la scuola conosceva i miei sentimenti... Mi sentivo derisa e presa in giro da tutti, perché Phil era considerato il ragazzo più bello della scuola e io ero una racchia sfigata. Non mi avrebbe mai e poi mai considerata: ha sempre avuto un sacco di ragazze stupende che gli giravano intorno. Fino a quando un giorno, alla fine dell'anno scolastico scorso, Phil mi salutò: per la prima volta in tre anni mi rivolse la parola. Mi sentivo in paradiso: non poteva essere che un miracolo. D'un tratto si era accorto di me... Chiacchieravamo a lungo, giorno dopo giorno; ci scambiammo i numeri di telefono, mi chiese di uscire. Alla fine ci siamo messi insieme: è stato il mio primo ragazzo, il mio primo e unico amore.
Mi fermai per riprendere fiato e per controllare che il prof non si fosse addormentato; invece mi aveva davvero ascoltata. Avevo sputato tutta la fottuta verità senza pensarci troppo, come mai avevo fatto. Guardai negli occhi il professor Spencer, che era rimasto ad ascoltarmi in un rispettoso silenzio. Stranamente non mi aveva interrotta con stupide domande inutili e imbarazzanti, come invece mi sarei immaginata.
-Sembra una storia molto romantica – commentò lui. – Ma non siamo ancora arrivati al punto in cui tu decidi di suicidarti. Continua.
-Beh, siamo stati insieme soltanto una settimana. Dopo soli sette giorni lui mi molla. Mi pianta in asso, lasciandomi una gigantesca amarezza. L'estate per me è passata a fatica. Sono rimasta tappata in casa, al buio, ad ammuffire sui libri: leggere è stato il mio unico svago. Sono stata molto depressa... E penso di esserlo ancora. Capisce? Io lo amavo da tre anni, e quando finalmente il mio desiderio si realizza e ottengo un po' di speranza, un pizzico di fiducia in me stessa, un briciolo di felicità... Tutto finisce in sette miseri giorni. Io mi deprimo, invece a lui non gliene è fregato mai nulla di me! Infatti mentre io ero chiusa in casa lui se la spassava in discoteca con una marea di troiette!
-Come, scusa?
-Ho visto le foto su Facebook. È alquanto deprimente, no?
-Sì, capisco – disse alla fine. – Ma non è un buon motivo per gettare via la vita.
-Io l'amavo, tantissimo, più della mia stessa vita. Ma poi l'amore si spegne. Ti frega, l'amore: ti fa credere che possa durare per sempre. Per sempre, pf! Nemmeno l'universo durerà per sempre. Ma l'amore è così presuntuoso che pensa perfino di sopravvivere alla fine del mondo.
-Però tu hai capito che non è così, giusto? – mi disse, alzandosi. – Ora devo andare, è tardi: faresti meglio a tornare a casa anche tu. Ci vediamo domani a scuola. La vita va avanti.
Detto questo se ne andò, lasciandomi lì come una scema. Però parlare con il professore era stato liberatorio, proprio come mi aveva detto.
Sorrisi. Forse non era poi così antipatico.
Quello strano incontro mi aveva lasciato qualcosa dentro; non saprei spiegare cosa, ma sicuramente mi aveva fatto riflettere. Con poche parole, il prof-filosofo mi aveva tranquillizzata e mi sentivo un po' meglio. Solo un po', però.
Fatto sta che decisi di non suicidarmi. Quel libro tanto agognato, “Suicidio”, era rimasto in biblioteca, e invece presi in prestito "Omicidio nella notte".
Che svolta!

Music, sweet music
Music, sweet music,
sweet music...


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_____________
Ciaoooo! Come va? Io, sinceramente, BENISSIMO. Era ora. <3
Finalmente metto questa storia: l'avevo in mente da tanto.
Saranno solo quattro capitoli, ognuno con una bellissima canzone di sottofondo. Questa parte proprio con Jimi Hendrix, il mito di Julia, e non solo suo :)
Sarebbe strano avere un professore come Herbert Spencer, no? Sinceramente non so se mi piacerebbe o no... Avrete modo di conoscerlo se continuerete a seguire questa storia.
Il cuore di Julia è chiuso, per ora (ecco spiegata l'immagine finale: tutte avranno un significato preciso). In futuro, chissà...
Grazie per aver letto e fatemi sapere che ne pensate! A presto, spero,
Gio.

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Capitolo 2
*** LIBRO 2 - Omicidio nella notte ***


Libro 2
LIBRO 2 - Omicidio nella notte

[The Beatles - Yesterday]
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Yesterday, all my troubles seemed so far away.
Now it looks as though they’re here to stay.
Oh, I believe in yesterday.

Quando arrivai a casa era sera tardi, ormai. Fuori era buio pesto e mi presi una bella strigliata da mia madre.
Quella notte però non riuscii a dormire. Continuavo a pensare a Phil. Che scema.
Tuttavia il mattino seguente la sveglia suonò crudelmente. La vita andava davvero avanti.
Mi tornò in mente il professore: quel giorno l'avrei rivisto in classe. Mi alzai faticosamente, mi vestii svogliatamente e mi trascinai a scuola.
Le ore sembravano non passare più... All'ultima ora avevo filosofia. Il professor Spencer spiegava un argomento interessante, ma non riuscivo proprio a stare attenta (cosa che non capitava mai, con il prof Spencer). Mi si chiudevano le palpebre e avevo un gran sonno. Appoggiai la testa sul banco e alla fine mi addormentai.
D'un tratto, mi svegliai. – Non è così, signorina Hendrix? – mi chiese il professore.
Io scossi la testa, intontita.
-Ben svegliata, Hendrix. Ci farebbe il piacere di tornare fra noi?
Tutti risero, in classe, mentre io morivo di vergogna.

Suddenly,
I’m not half the man I used to be,
There’s a shadow hanging over me,
Oh, yesterday came suddenly.

Qualche pomeriggio dopo tornai in biblioteca: avevo già finito "Omicidio nella notte" e avevo intenzione di leggerne uno ancora più depressivo, dopo la figuraccia che avevo fatto giorni prima in classe durante la lezione di filosofia. Il professor Spencer mi aveva messo in ridicolo davanti a tutti. Lo odiavo, anche se era colpa mia.
La notizia aveva già fatto il giro della scuola e gli studenti ridacchiavamo alle mie spalle, ogni volta che passavo.
“Ma quella non è la sfigata che si è addormentata in classe?!”
“Sì! Ma dai, credevo che queste cose succedessero solo nei film! Che tonta!”
“Ma non era sempre lei che non veniva cacata da Phil?”
“Ma sì! Infatti, come poteva sperare che quel figo da paura se la filasse, quella racchia?”
“Però io ho sentito che sono stati insieme...”
“È vero, ma lui l'ha mollata dopo una manciata di giorni! Che sfigata!”
Non ero mai stata così umiliata. La sfigata della scuola era tornata, più in forma che mai.
Necessitavo di un libro, senza dubbio. Righe di parole stampate di nero, pagine su pagine... Il mio rifugio, la mia medicina, il mio antidepressivo. La mia droga quotidiana.
Quel giorno c'era la donna-palla di turno al banco informazioni; nonostante il suo dolce sorriso simpatico, il suo viso paffutello non mi mise di buon umore quella volta. Ero troppo giù di morale.
"Omicidio nella notte" l'avevo trovato davvero bellissimo, quindi pensavo di prendere un altro romanzo della stessa autrice.
Ne presi uno e decisi di andare a cominciare di leggerlo un po' in sala lettura.
E indovinate un po' chi vi ritrovai, in quel salottino deserto?
-Buon pomeriggio, Hendrix. Già concluso quel libro?
-Professor Spencer, sinceramente lei è l'ultima persona che abbia voglia di incontrare, ora – tagliai corto, seccata. Non gli rivolsi uno sguardo e feci per andarmene.
-No, aspetta, non andartene- mi disse, alzandosi in piedi. -Avevo proprio voglia di parlarti.
-Ma io no- ribattei accigliata.
-È importante.
-Riguardo cosa?
-Puoi immaginartelo...
-Professore, eviti i suoi giri di parole!- sbottai. -Non sono proprio in vena, in questo periodo.
-Già, ho notato. È legato al tuo ex ragazzo, vero? Immagino che sia sempre lui il motivo per cui ti sei addormentata in classe.
-Mi dispiace, non capiterà più...- recitai, annoiata.
-Lo spero per te: non avevi dormito perché pensavi a lui?
-Senta, cosa vuole da me?! – esclamai, esasperata. – Anche se le ho raccontato i fatti miei non significa che lei sia autorizzato a impicciarsi nella mia vita.
-Non volevo: sono solo preoccupato per il tuo rendimento scolastico. Ho saputo che stai andando male in tutte le materie...
-Vuole farmi la predica anche lei? Se è così eviti, ci pensa già mia madre.
-No: in fondo l'anno è appena iniziato, potrai sempre migliorare. Io volevo solo scusarmi.- Restai a bocca aperta per la sorpresa. -So quel che si dice a scuola sul tuo conto, ed è a causa mia che...
-Ah, che bello, la notizia è arrivata anche in sala professori! Non potrei essere più felice! - gridai in modo sarcastico, esasperata.
-Non è davvero il caso di rovinarsi la vita e la salute a causa di un ragazzo, davvero.
A quel punto, scoppiai definitivamente. – Per lei è facile parlare: è un professore di filosofia! Mi dice tutte queste belle parole che ha letto chissà in quale tomo, ma...
-Queste cose non le ho lette da nessuna parte...
Non lo stavo più a sentire: ormai ero partita a razzo. – Ma lei che può saperne? Che può saperne dei miei problemi, che ne sa di amore?
-Se permetti, ho qualche anno di esperienza in più di te e ho visto più cose e persone - ribatté, secco.
-Ma io sono stata scaricata, mollata, gettata via come un fogliaccio inutile! Era il mio primo amore! Io gli credevo! Ora sono sola... Lo amavo, e lui se n'è andato senza spiegazioni! Lei come può capire...
-Mia moglie è morta – mi interruppe il professore. Mi spiazzò, come sempre: con quattro parole mi aveva zittita all'istante. – Dopo dieci anni di matrimonio. È ancora peggio che essere lasciati, non credi?
Restai pietrificata. Mi vergognavo da morire. -Mi... Mi scusi, non potevo saperlo. – Il tono della mia voce era cambiato totalmente. Non me lo sarei mai aspettato... E mi sarei aspettata ancora meno che mi raccontasse una cosa del genere. – Scusi, non volevo offenderla...
-Tranquilla. Ora non compatirmi, però.
All'improvviso mi venne in mente un particolare che avevo trascurato. – Professore, è per questo che anche lei aveva preso il libro “Suicidio”? Anche lei voleva ammazzarsi?
Il prof accennò ad una risata. -No, altrimenti non ti avrei mai detto quelle cose. Volevo solo informarmi meglio sulle motivazioni che spingono una persona a volersi togliersi la vita: è per questo che hai colto il mio interesse fin da subito, e ti ho voluta ascoltare. Mia moglie si è suicidata e non so quale sia il motivo; temo di essere io la causa...
-E perché mai? – In quel momento, vidi il professore sotto una luce completamente diversa. Io lo avevo assillato con i miei sciocchi "problemi" da ragazzina, ma quello che aveva più motivo di essere depresso era lui. Improvvisamente mi sembrò così fragile e indifeso...
-Non lo so bene. Forse mia moglie si era stufata di me - concluse con un triste sorriso.
-Sono sicura che non è così! – esclamai, avvicinandomi. – Una donna non si toglierebbe la vita per un motivo futile come questo!
-Però tu eri pronta a farlo – disse con un triste sorriso.
Abbassai la testa, mordendomi un labbro. – Mi dispiace, prof. Ha ragione: non c'è motivo di gettare via la vita. Lei me lo ha fatto capire.
-Tu non devi prendere ciò che ti dico come oro colato. È solo il mio parere, sta a te giudicare. Ma mi dispiace esserti sembrato invadente: non avevo diritto di toccare un tasto dolente solo per il mio interesse.
-No, lei mi ha aiutata tantissimo! Grazie a lei non ho compiuto un gesto folle. Ha ragione in tutto, e mi dispiace di averla aggredita a quel modo, prima. È solo che sembra... uno psicologo. Mi spaventa.
-Perché? Ho detto qualcosa di male?
-No, è perché... Lei in fondo non mi conosce e riesce a esplorare il mio animo come nessun altro. È come se fossi un libro aperto per lei.
-Non devi erigere dei muri per difenderti, chiuderti a riccio. Lascia che anche gli altri scoprano che ragazza fantastica sei.
Credo di essere arrossita, in quel momento, perché nessuno mi aveva mai detto una cosa del genere.
Ormai mi ero già dimenticata di essere arrabbiata con lui. Non avrei mai potuto comprendere il suo dolore, ma mi era venuta voglia di aiutare quel professore un po' strano.
Io, ragazza super complessata, volevo aiutare una persona adulta, matura e con molta più esperienza di vita di me: assurdo, eh? Probabilmente non ne aveva nemmeno bisogno e ne sarai stata incapace, ma per un attimo avevo scorto un velo di profonda malinconia negli occhi del professore.
Parlare con una persona matura, con una persona intelligente, con un cervello che andava al di là dei pettegolezzi e dei pregiudizi, mi faceva stare bene.
Credo che ne avevo bisogno... Ne avevamo entrambi bisogno.

Why she had to go
I don’t know she wouldn’t say.
I said something wrong,
Now I long for yesterday.

Così nei giorni seguenti mi recavo in biblioteca tutti i giorni, sicura di trovarlo sempre lì, in quella sala polverosa. Grazie a quegli incontri riuscivo a fregarmene sempre di più dei commenti cattivi degli studenti.
Parlavamo davvero di tutto.
-Che catastrofe, la vita – gli dissi una volta, riflettendo su una frase che avevo appen a letto in un libro. – Un secondo prima pensi di aver raggiunto la felicità, e un secondo dopo ti ritrovi nell'oblio della depressione più totale.
-Dovremmo semplicemente accettare il fatto che tutto è effimero, anche la felicità.
-Professore, lei ha mai provato felicità?
- Sì, certo.
- Quando, per esempio?
Non ci pensò un attimo prima di rispondermi. -Quando mi sono innamorato per la prima volta.
Io storsi la bocca. - È sicuro che fosse felicità? Che cos'è... la felicità?
-Non lo so, Julia. – Ormai mi chiamava per nome, mentre io continuavo a chiamarlo “professor Spencer” e a dargli del Lei. Non potevo abituarmi diversamente, altrimenti sarebbe stato un problema a scuola.
-Ma se non lo sa, come fa a dire che quella fosse davvero felicità?
-Perché me lo diceva il cuore.
Sorrisi, amaramente. -Allora io non sono mai stata felice.
-Forse semplicemente non hai mai ascoltato bene il tuo cuore. Prova a pensarci un po': quando amavi Phil, eri felice, no?
Ci riflettei sopra un bel po': non ero certa della mia risposta. -Non lo so, prof... Non lo so. Forse sì, non ricordo. Ma anche se fosse, quella felicità è finita.
-No, Julia. I tuoi ricordi serberanno per sempre la tua felicità.
-Non ne sarei così sicura: sono piuttosto smemorata, io – ridacchiai nervosamente.
-Certe cose non si dimenticano.
-Ma non si può vivere nel ricordo, no? Lei stesso me l'ha detto: bisogna andare avanti.
-È così. Ma i ricordi restano comunque, sono incancellabili. Quindi anche la felicità rimane incancellabile dentro di te.
-Ma se resta dentro, rilegata nella memoria... Non si può più provare.
-Infatti non si deve più provare quella felicità.
Aggrottai le sopracciglia. -Non capisco.
-Non puoi riciclare le emozioni, ma trovarne sempre di nuove. La ricerca della felicità non ha fine.

Yesterday, love was such an easy game to play.
Now I need a place to hide away.
Oh, I believe in yesterday.

Non discutevamo sempre di argomenti seri. A volte restavamo semplicemente a leggere in silenzio. Altre volte parlavamo di musica e scoprii che il professore, diversamente da quanto potessi immaginare, era un rockettaro convinto: amava la musica classica ma soprattutto il rock un po' datato, come me. Amava Jimi Hendrix e quindi aveva in particolarmente simpatia il mio cognome.
Oppure parlavamo di libri, una passione anch'ella che accomunava entrambi. Una volta mi disse che avrebbe voluto fare lo scrittore, da giovane, ma che poi non era riuscito a sfondare.
-Ma quindi ha scritto un libro?- gli chiesi.
-Sì, ma non è mai stato pubblicato.
-Come s'intitola?
-“La nebbia d'estate”.
-Mi piacerebbe moltissimo leggerlo! Di cosa parla?
-Dell'argomento più scontato che ci sia- mi rispose, sorridendo. -Dell'amore.
-Oggi ha ancora una buona considerazione dell'amore, nonostante abbia sofferto? Ci vuole coraggio.
-Sì, ci vuole coraggio ad amare. "L'amore è uno squilibrio chimico che provoca illusione e pensieri irrazionali": una frase del mio libro. Per questo ci fa sentire come in un sogno.
Sospirai. -Vedo che le piace proprio l'argomento.
-In quel periodo, particolarmente. Mi beavo ogni giorno del mio amore per mia moglie: era bellissimo, una sensazione sublime. Mi sentivo in paradiso, letteralmente.
-E mi dica, perché per me non era così, con Phil?- gli chiesi, con lo sguardo basso.
Lui incrociò le braccia. -Julia, sono certo che prima o poi troverai il vero amore. Non ti abbattere al primo rifiuto.
-Lei ha ragione, è da sciocchi comportarsi come me...
-No, non è da sciocchi: soffrire è da umani.
-Vorrei non soffrire più... Vorrei tornare a sorridere.
- L'amore è come le stagioni: all'inizio timido e fresco come la primavera, poi caldo e passionale come l'estate, dopo ancora tiepido come l'autunno... E quindi arriva il gelo dell'inverno, la fine di tutto. La pioggia, la tristezza, non dura in eterno... Oppure puoi paragonarlo al giorno, se vuoi. Dopo il giorno viene la notte, ma poi torna l'alba. Per qualcuno la notte può durare più a lungo, ma il sole rispunta sempre. Sempre.
-Ma se anche rispuntasse il sole, il problema è che io resto chiusa nelle ombre del passato.
-Non devi. L'unico modo per vederlo, il sole, è aprire la finestra e lasciare entrare un po' di luce nella vita: è questo il segreto. Non si può restare per sempre reclusi al buio solo per paura che ritorni la notte: questo si chiama fuggire, non vivere. Ma continuando a scappare, a correre via, prima o poi ci si stanca; e allora ci si dovrà comunque fermare. Non si può scappare per sempre, questo è certo. E se proprio devi correre, Julia, corri verso quella stramaledetta finestra e spalancala una volta per tutte: fai entrare la luce, l'aria, o morirai soffocata nelle tue paure!
-Ma come faccio a non aver paura di innamorarmi di nuovo? Soffrirò di nuovo!
-Hai studiato filosofia per domani?
-Non ancora.
-Arthur Shopenhauer si chiedeva: "Dobbiamo rinunciare a cogliere una rosa, per timore che la sua spina ci ferisca?" Rispondi.
-È una domanda retorica – soffiai. Riecco che spuntava il professore pedante.
-Tu rispondi lo stesso.
-Dobbiamo rinunciare a vivere per paura di morire? O rinunciare ad amare per paura di soffrire? No, ovvio che no.
-Brava, è questo il punto: vedo che hai capito.
-Imparo in fretta.
-Comunque domani ti interrogo.
-Mi giustifico.
-Vai a studiare!- esclamò ridendo, lanciandomi dietro un libro.
Anch'io risi e corsi a casa, mentre lui dietro di me si alzava e raccoglieva il libro, sorridendo.

Why she had to go
I don’t know she wouldn’t say.
I said something wrong,
Now I long for yesterday.

Il giorno dopo mi alzai di buonumore. Scossi la testa, ridendo di me: mi accorsi che ero felice di rivederlo. Lui, il professore. “Che cretina.”
Quando lo vidi entrare dalla porta, sorrisi inevitabilmente. Era vestito di tutto punto, come sempre a scuola, con giacca e cravatta; era così diverso da come si vestiva casual i pomeriggi, con polo, felpe e  jeans... Dopotutto anche i professori avevano una loro vita al di fuori della scuola, anche se spesso a guardarli era difficile crederlo. Era buffo.
Il mio umore migliorò ulteriormente durante la sua lezione: quando spiegava lui, tutti stavano miracolosamente attenti, anche i più asini. Aveva il potere di ammaliare con le sue parole, anche se parlava di argomenti noiosi: usava la retorica che tanto avevamo studiato l'anno prima.
Quando prese il registro, però, mi assalì improvvisamente l'angoscia: non avevo studiato filosofia! Ero tornata talmente tardi a casa che me l'ero completamente scordata. Il guaio era che ero l'ultima che doveva essere interrogata e avevo già bruciato l'unica giustificazione consentita. Ero fritta.
Il professor Spencer alzò la testa e incrociò il mio sguardo terrificato. Comprese.
Sospirò. -Oggi mi va di spiegare, quindi non interrogo. Ma la prossima volta interrogo il doppio delle persone, e avrete più da studiare perché spiegherò tanto!
-Che culo, la Hendrix – sentii mormorare alle mie spalle.
-Qualcosa in contrario?- Il professore l'aveva sentita. -Volevi fosse essere interrogata, signorina Marren? Prego.
Patricia Marren. La odiavo, quell'oca giuliva. La biondina era stata con Phil subito dopo che aveva lasciato me... Probabilmente mi aveva lasciata per lei. Ma per sua sfortuna, aveva scaricato anche lei dopo un paio di settimane. Ci ho goduto come una puttana.
-No, no. Spieghi pure – sibilò "Patty", come veniva chiamata da tutti, lanciandomi un'occhiata fulminea. Mi odiava tanto quanto io odiavo lei. Però in fondo provavo un po' di pena per la sua deficienza intellettiva: poverina, non era colpa sua se era una cerebrolesa e aveva i neuroni bruciati dalle sigarette che si fumava per fare la figa.
Comunque sorrisi, felice. Guardai il prof con sguardo riconoscente: uno sguardo che non era solo un incrociarsi di traiettorie visive, ma un messaggio criptato, e il mio diceva: "Grazie".
Era da stupidi pensarla così, ne ero consapevole, ma era come se mi avesse salvata dall'ennesimo brutto voto e protetta da quell'ochetta.
Lui però non sorrise. E anche il mio sorriso si spense.

Yesterday, love was such an easy game to play.
Now I need a place to hide away.
Oh, I believe in yesterday.

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Buonasera!
Sarò breve: già da questo capitolo si intuisce qualcosa su quello che potrà succedere, ma se conoscete le mie storie saprete che spesso "non è come sembra". Quindi aspettatevi di tutto! Per esempio, vi sareste mai aspettati che il prof è vedovo? Non vi eravate chiesti perché anche lui voleva prendere in prestito "Suicidio"? Immagino di no xD
Patty è il prototipo di ragazza odiosa: chiunque ne conosce una. Odiatela pure.
Come avrete capito i titoli dei capitoli sono i titoli dei libri che appaiono nella storia... Quindi potrete immaginare come s'intitolerà il prossimo, no? Il libro è già stato nominato in questo capitolo :)
Ringrazio tanto lady nix 94misslittlesun95 per aver recensito e tutti gli altri che hanno letto.
Okay, a presto, spero!
Gio.

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Capitolo 3
*** LIBRO 3 - La nebbia d'estate ***


Libro 3
LIBRO 3 - La nebbia d'estate

[Bob Dylan - Blowing in the wind]
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How many roads must a man walk down
Before you call him a man?
Yes, 'n' how many seas must a white dove sail
Before she sleeps in the sand?
Yes, 'n' how many times must the cannon balls fly
Before they're forever banned?

Quel pomeriggio per un attimo fui indecisa se presentarmi o meno in biblioteca. Non avevo molta voglia di incontrarlo...
Ma alla fine mi feci coraggio e andai.
Ovviamente, mi fece la predica. -Non ti ho interrogata solo perché ieri ci siamo dilungati un po' troppo a chiacchierare qui, quindi un po' è anche colpa mia. Perciò credo sia meglio smetterla di vederci.
-No!- esclamai. -Non è colpa sua: sono io che non ho studiato!
Lui aggrottò la fronte. -Questo è ovvio. Ma forse non devi avere distrazioni...
-Si sbaglia, per me lei non è una distrazione. Io senza di lei... tornerei a essere triste e depressa. Lei mi incoraggia. Senza di lei probabilmente lascerei anche la scuola: lei è l'unica ragione per cui continuo ad andarci!
Mi misi le mani sulla bocca, stupita delle mie stesse parole. Rimanemmo entrambi basiti: ciò che avevo appena detto era assurdo.
Il professor Spencer deglutì. -Non dovrei essere io la ragione...
-Lo so benissimo! Mi scusi, non volevo...
-... ma se posso esserti d'aiuto, ne sono felice.
Restai senza fiato. Non sapevo cosa dire.
Ci pensò lui a rompere il silenzio imbarazzante. -Però devi studiare!
Annuii con forza. -Certo! Sto già recuperando le altre materie. Ho preso 6 a matematica!
Lui sospirò e sorrise. -Menomale.
Sorrisi. -Grazie di tutto.

The answer, my friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind.

Il venerdì, in biblioteca, c'era quel vecchietto sarcastico che veniva solo una volta a settimana, il venerdì. A volte era seccante e fastidioso, anche se buffo. Però mi dava fastidio la sua invadenza.
-Ragazzina, vedo che vieni spesso qui- mi disse una volta.
-Sì... Mi piace leggere.
-E scommetto che ti piace anche quell'uomo!- ridacchiò. La sua risata era oscena.
-Ma come si permette di insinuare una cosa del genere!- esclamai.
-C'è sempre anche lui... Ma non è troppo grande per te?- Ridacchiò ancora. A volte le sue battute erano simpatiche, ma quella non mi piacque per nulla.
Il professore mi aspettava al solito posto. Vedendomi arrivare con quella faccia corrucciata, si tolse gli occhiali da lettura e posò sul tavolo il libro che stava leggendo.
-Ehi, Julia, tutto bene? Mi sembri un po' scocciata.- Non gli sfuggiva davvero mai nulla.
-No, non si preoccupi, non è nulla.
-In effetti quel vecchietto è fastidioso- mi disse. Capiva sempre tutto: ero proprio un libro aperto per lui, non potevo nascondergli nulla. Era peggio di mia madre. -Ma è una brava persona: sempre meglio di quella stregaccia!
-Non potrei essere più d'accordo!- ridacchiai. Per fortuna c'era il prof Spencer che mi faceva tornare il buonumore. -Chi te l'ha insegnato?- gli chiesi.
-Cosa?
-A capire sempre tutto.
-Io ascolto, ascolto tanto... E osservo attentamente, in silenzio: il silenzio è il miglior maestro per la comprensione.

How many times must a man look up
Before he can see the sky?
Yes, 'n' how many ears must one man have
Before he can hear people cry?
Yes, 'n' how many deaths will it take till he knows
That too many people have died?

Il momento buio della vita arriva inesorabilmente per tutti, senza avvisare. Improvvisamente, ti sembra che il mondo intero faccia schifo, che non abbia più senso continuare a vivere...
E poi incontri lei, la persona che ti ascolta in silenzio, che ti consola dal tuo dolore, che ti consiglia, che ti aiuta ad andare avanti, a vivere.
Quella persona ti capisce con uno sguardo, perché tu sei come un libro aperto, per lei.
Ed io avevo incontrato quella persona per caso, in biblioteca, in uno squallido e piatto pomeriggio di settembre.
Il professore mi faceva riflettere su mille questioni. Io ero una ragazza pensierosa per mia natura, ma lui scaturiva in me interrogativi difficili e io volevo trovare delle risposte, delle certezze.
Arrivarono le tanto attese vacanze natalizie. Quel freddo pomeriggio trovai il professore davanti al cancello chiuso della biblioteca. -E' chiusa per le feste, a quanto pare- mi disse, con aria sconsolata.
-Accidenti, avevo appena finito questo libro! Come faccio, senza?- In realtà mi preoccupava più il fatto che non avrei potuto vedere il prof per due settimane.
-Dovresti approfittarne per studiare.
-Credo che avrei bisogno di lezioni di recupero, ma mia madre non vuole pagarmele: dice che è colpa mia e devo rimediare da sola. Ma ho davvero bisogno di una mano...
-Ti va di venire a casa mia?- mi chiese lui. Spalancai gli occhi per la sorpresa. -Potrei aiutarti, o perlomeno con le materie che insegno... E ho tanti libri che potrei prestarti...
-Sì! Molto volentieri!- esclamai, sorridendo.
Lui sembrò subito pentirsi della proposta. -Ma forse non è molto opportuno che una studentessa...
-Stia tranquillo, non dirò nulla- dissi. -E poi non c'è niente di malizioso.
-D'accordo, allora. Andiamo, è a pochi passi da qui: vengo sempre a piedi, io, così ne approfitto per fare un po' di movimento.
La casa del prof era grande, bella e accogliente. Era calda.
-Accomodati. Ti va una tazza di tè caldo?- mi chiese.
-Volentieri.
Passammo un pomeriggio molto piacevole. Il tè era buonissimo, mi offrì anche dei deliziosi biscotti al burro e mi prestò un libro che non conoscevo. Mi aiutò molto con le materie che non capivo, mi fu molto utile.
-Stavo studiando anatomia l'altro giorno, il sistema nervoso, e mi chiedevo: i sentimenti sono solo riflessi... Un "impulso" di neuroni, nell'amigdala o come si chiama... o inspiegabili reazioni agli eventi e alle persone con cui si entra in contatto? - gli chiesi improvvisamente.
Il prof sorrise. La sua risposta mi sorprese più del solito.
Si alzò, si avvicinò a una colonna di porta CD, piena di ottima musica. Prese una custodia, la aprì, mise il CD nel grande stereo e premette play.
Nella stanza risuonò una dolce melodia.
The answer, my friend, is blowin' in the wind, the answer is blowin' in the wind
Sorrisi. Bob Dylan, che poeta. Non poteva trovare risposta migliore a tutte le mie domande.
-Forse la risposta a tutte le mie domande è davvero nel vento, ma mi sembra che non ci sia aria in questo vuoto mondo- dissi, amareggiata.
-È normale sentire la necessità di certezze, Julia, specialmente alla tua età, ma non sempre si possono avere. A me, comunque, il vento sussurra che i sentimenti sono quanto di più misterioso ci sia. Ma non penso proprio che siano spiegabili scientificamente.
-Già... Io non capisco come nascano, ma nemmeno come muoiano. Professore, mi dica una volta per tutte come mandare via la tristezza!
-Guarda, ti sembrerà una frase fatta ma ti assicuro che è verissima in questi casi: segui il tuo cuore.
-Io so solo che seguendo il cuore finirò per soffrire. E non ne ho proprio voglia.
-Credo che sia preferibile soffrire che rimanere insensibili. Il dolore è pur sempre un sentimento e noi, in quanto esseri umani, proviamo sentimenti. Penso che sia questa la differenza fra sopravvivere passivamente e vivere. Se provi un sentimento vuol dire che vivi.
-Forse sarebbe meglio essere morti!
Il prof rise. -Beh, sei un po' drastica. Non è che il dolore, almeno quello percepibile, dura per sempre...
-Ma come si può superare il dolore e andare avanti? Vorrei saperlo!
-A volte è impossibile superarlo: in questi casi bisognerebbe solo accettarlo dentro di noi, ricavare uno spazio nel cuore per conservarlo per sempre finché non diventa parte integrante di te e smette di tormentarti.
-Secondo lei dovremmo rimanere sofferenti in eterno? Che palle!
-No... Il tempo allevia ogni sentimento, negativo o positivo che sia, anche se non li cancella.
-Allora vuol dire che non serve a nulla provare dei sentimenti?
-Niente affatto. Anche se passa, lascia sempre qualcosa, insegna, ti fa crescere: vuol dire solo che bisogna godersi il presente. Bisognerebbe pensare meno, a volte, sai Julie?
-Io penso molto.
-L'ho notato.
-Forse è per questo che non riesco mai ad essere completamente felice.
-Allora smetti di pensare così tanto, e vedrai che prima o poi troverai un ragazzo che ti amerà davvero.
Ci pensai su un po'. - Lei ha detto che tutto è effimero: quindi, se anche dovessi trovare un altro ragazzo, saremmo destinati a lasciarci.
-Questo è ovvio.
-Allora il matrimonio è una bufala. Anche se dovessimo restare uniti fino alla morte, poi ci lasceremmo.
-Non tieni conto del paradiso.
-O dell'inferno...
-E se non esistesse distinzione tra inferno e paradiso? Nessuno può dircelo.
-Nessuno può dirci nemmeno che esista un aldilà, qualunque esso sia.
-Io credo di sì.
-Io credo di no. Se ci fosse davvero una religione dovrebbe essere una, unica per tutto il mondo. La religione è l'invenzione di uomini spaventati dalla morte, è questa la verità... O per lo meno, è come la penso io.
-Può darsi. Ma tu non hai paura della morte?
-Se non mi aspetta niente al di là, perché dovrei? Paradossalmente, è chi crede che esista l'inferno che ha paura dell'inferno.
Il prof sospirò e mi guardò in modo strano. -Sei proprio strana. Perché hai più certezze sulla vita e su questi temi delicati e difficili che sui sentimenti?
-Perché la vita è solo un susseguirsi casuale di eventi; i sentimenti che la dominano sono molto più difficili da interpretare... Almeno per me.
-Solo perché tu li rendi difficili. In realtà, un bambino sa bene cos'è la felicità.
-Perché non se lo chiede!
-Quindi non credi che dovresti smettere di chiedertelo anche tu e iniziare a vivere? Te l'ho già detto: tu pensi troppo! - Rise.
Aveva ragione, ma non applicai subito il suo consiglio. -Dunque, ricapitolando... L'amore non dura per sempre. Una persona non potrà mai stare insieme ad un altra per l'eternità, per quanto la si ami – pensai, ad alta voce.
-Le vite di due persone si incontrano per un breve istante, ma è quell'istante, per quanto breve, a renderci felici. Due linee parallele non si incontrano mai, ma due linee incidenti si incontrano una sola volta, in un solo minuscolo punto, e poi si separano per sempre. Hai preso 6 a matematica, no?
-Sì sì, ma almeno queste cose le so!- risi. -Ha ragione, come sempre.
-Si ripete il solito discorso: tutto cambia, tutto muta
-Panta rei! - esclamai. -Eraclito prof, giusto?- ammiccai. Perché quando ero con lui diventavo molto più simpatica ed estroversa?
-Brava.
-Un più a filosofia?
-Scordatelo! Vai a casa a studiare, ora! È tardi.

The answer, my friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind.

Durante quelle due settimane, comunque, andai a casa del professore solo un'altra volta, per restituirgli il libro. In effetti non era il caso: ero pur sempre una sua studentessa...
Le vacanze natalizie finirono presto, troppo presto, così presto che nemmeno me ne accorsi in tempo per fare i compiti; di conseguenza il rientro a scuola fu molto duro. Alzarmi la mattina era una tortura e addormentarmi la sera ad un orario decente era un'impresa. Fisicamente ero in classe, ma la mia mente era decisamente altrove. Vagando distrattamente con i miei pensieri fantasiosi, mi ritrovai a scarabocchiare un cuore spezzato seguito da una nota sul diario, alla pagina del giorno.

Mi sembra impossibile che adesso finisca tutto così presto... La nostra relazione è stata breve ma intensa. Mi mancheranno quei giorni felici passati insieme. Senza il tuo aiuto non ce l'avrei mai fatta e sinceramente non so come farò ad andare avanti senza di te. Grazie per i bellissimi, indimenticabili momenti che resteranno per sempre indelebili nella mia memoria: non vedo l'ora di rincontrarti, ad Aprile. Ti amerò per l'eternità, mio dolce ozio.
Carissimo lettuccio caldo, amatissime coperte morbide: mi mancherete da morire anche voi.

Posai la penna e rilessi il tutto. Nel bel mezzo della lezione, fra il silenzio più profondo, dovetti soffocare una risata. Il mio compagno di banco mi guardò storto: dovevo sembrargli una pazza che vaga sulle nuvole durante le ore di lezione... Beh, non è che avesse torto.
Il professor Spencer alzò lo sguardo verso di me. Sorrise un nanosecondo, poi tornò alla sua seriosa aria da professore.
Ma io sapevo com'era veramente.


I mesi passavano, e la mia sofferenza pian piano si dissipava, insieme al freddo inverno. Qualche flebile raggio di sole cominciava a fare capolino fra le nuvole del mio cuore gelato, proprio come mi aveva detto il professore... Ed era solo merito suo. Per me lui ormai era indispensabile. Ne ero maledettamente consapevole.
La primavera stava per arrivare, anche nel mio cuore.
Una volta, sempre in biblioteca, fu il professore che mi pose una domanda. Che cosa strana! -Secondo te la vita è predestinata? Credi nel destino?
-Assolutamente no!- risposi, risoluta. -Credo nelle coincidenze fortuite o cose simili, ma non credo che la mia vita sia già stata decisa da un manipolatore misterioso e metafisico.
-In effetti, è proprio brutto. Significherebbe non essere più padroni di sé stessi.
-Già - annuii.
-Ma solo perché non ci piace crederlo non significa che non sia così.
-La mia vita è come la decido io. Sulle verità ultime, nessuno può esprimersi e chi ci prova è un egocentrico ignorante.
-Quindi tu credi che mia moglie si sia suicidata proprio per sua volontà, non perché era il suo destino inevitabile. Già, era evitabile, potevo fermarla...- mormorò. Ogni volta che parlava di lei il suo sguardo si velava di tristezza. Doveva amarla immensamente.
-Mi dispiace, professore... Ma lei mi ha detto che bisogna andare avanti, superare i dolori che ci affliggono. Non bisogna aver paura di amare per far tornare il sole. Non abbia paura di tornare ad amare, prof...
Non so cosa mi passò per la mente. Desideravo solo vederlo sorridere e mi ero stancata di vederlo così triste.
Mi alzai dalla sedia e avvicinai a lui lentamente. Mi chinai e poggiai la mano sul tavolino accanto.
Avvicinai il viso al suo.
Volevo baciarlo. Era da tanto tempo che lo desideravo... Per una volta, non volevo pensarci troppo: avrei seguito l'istinto. Volevo solo essere felice.
Ma lui si alzò e mi allontanò.
-Professore...
-Non è questo che intendevo! Tu mi hai frainteso... Forse è colpa mia che ti ho fatto pensare di...
Abbassai la testa. -No. Lei non ha mai mostrato interesse di questo genere nei miei confronti. Però non è lo stesso per me.
-Secondo me sei solo confusa...
-No! Sono sicura di ciò che provo!- Dovetti trattenere le lacrime.
-Fai una cosa: parla con il tuo ex ragazzo, Phil.
-Cosa?
-Va' da lui. Avete lasciato la questione in sospeso: se non sbaglio, non sai perché ti abbia lasciata. Per fare chiarezza dovresti parlarne con lui di questo, prima di tutto.
Feci un mezzo sorriso. -Lei vuole solo che io mi rimetta insieme a lui per allontanarmi da lei, vero? Le dò fastidio? Non le piaccio?
-Noi due non potremmo mai stare insieme. Tu hai diciassette anni...
-Quasi diciotto!
-E io ne ho 41! Potresti essere mia figlia, e io tuo padre!
-Tutto qui? È solo per l'età? Non posso credere che lei ragioni secondo certe sciocchezze!
-A te è sempre mancata la figura di un padre presente, quindi io per te forse...
-La smetta con queste cazzate psicologiche, per favore! Non è così! Non è così, le ho detto!- gridai. Per fortuna quella biblioteca era sempre vuota.
-Ascolta il mio consiglio, per favore.- mi disse con serietà prendendomi per le spalle e fissandomi negli occhi: aveva due bellissimi occhi blu, profondi come il mare. -Parla con Phil. I sentimenti umani, come tutti i processi naturali, tendono all'entropia, all'aumento del disordine. Più passa il tempo e più la confusione aumenta, quindi conviene chiarire i malintesi subito, prima che si sedimentino irrimediabilmente nel fondo del cuore e peggiorino la situazione.- Scrollò la testa e si mise le mani fra i capelli. -Accidenti, avrei dovuto dirtelo subito.
-Non voglio parlargli!- Strinsi i pugni. -Non voglio... Perché... Temo che se lo vedessi, non riuscirei più ad odiarlo. Io... Non l'ho dimenticato, non ci riesco...
-Proprio per questo devi chiarire con lui. Sei ancora innamorata di lui, non di me. Ascolta il mio consiglio. Coraggio, ce la puoi fare.

How many years can a mountain exist
Before it's washed to the sea?
Yes, 'n' how many years can some people exist
Before they're allowed to be free?
Yes, 'n' how many times can a man turn his head,
Pretending he just doesn't see?

Non potei fare a meno di ascoltare il professore. Era il mio punto di riferimento e non mi aveva mai consigliato cose negative. Tutto ciò che mi aveva sempre detto mi aveva aiutata a stare meglio, quindi se parlare con Phil mi avesse aiutato a stare finalmente bene, lo avrei fatto.
Ero sprofondata in un buio pozzo di dolore ma avevo trovato una mano tesa pronta a tirarmi fuori da quel baratro.
Però la spinta iniziale per afferrare quella mano doveva venire da me stessa: dovevo trovare dentro di me la forza di rialzarmi, da sola.
Così alla fine della giornata scolastica, raccolsi tutto il mio coraggio e mi convinsi a parlargli.
Era circondato da ragazze, appoggiato davanti al cancello. Stava flirtando e decidendo quale fosse la fortunata del giorno, prima di portarsela chissà dove sulla sua moto lucente. Mi ero dimenticata di quanto fosse bello.
Strinsi i pugni e mi avvicinai. “Coraggio, ce la puoi fare.” Le parole del professore si ripetevano nella mia mente. “Coraggio, ce la puoi fare. Coraggio, ce la puoi fare. Ce la puoi fare.”
-Vorrei parlarti, Philip- gli dissi freddamente.
-Mh... Tu... Ah, già: Julia. Ti chiami così, vero?
Sentii piombarmi il mondo addosso. Non ricordava nemmeno chi fossi?! “Stronzo che non sei altro: come ho potuto innamorarmi di te?” Nonostante tutto, però, mi resi conto che il mio cuore accelerò. Il professore (tanto per cambiare) aveva ragione: a quanto pare mi capiva meglio lui di me stessa. Lo amavo ancora: dopo tanto tempo non mi ero affatto dimenticata di lui ed era bastato un suo sguardo per risvegliare sentimenti assopiti ma, come aveva detto il prof, mai cancellati.
-Sì. Ci vorrà poco - dissi, distogliendo lo sguardo da quegli occhi maledetti che non mi facevano più ragionare a dovere... E non era il caso.
Temevo che se solo lui mi avesse chiesto di rimetterci insieme, se solo lui mi avesse provata a baciare... Io non avrei potuto rifiutarmi. Ero impotente con il ragazzo che amavo, per quanto non fossi ricambiata.
Scrollò le spalle. -D'accordo. Scusate, ragazze, torno subito.
Ci appartammo in un angolino nascosto della scuola, dietro una siepe. Volevo essere sicura che nessuno ci interrompesse e si intromettesse, e lui che nessuno lo vedesse insieme a una sfigata come me. Che pena.
-Posso chiederti... Perché mi hai lasciata?- gli domandai.
Lui sembrò un po' spaesato, come se non ricordasse nemmeno di essere stato con me. -Ehm... Julia...Julia...- ripeté fra sé, come per ricordarsi. Con quante "Julia" era stato?! -Siamo stati insieme lo scorso giugno, vero?
-Sì, per una settimana. Poi mi hai lasciata senza darmi spiegazioni, e io avevo paura di chiedertele. Però ho bisogno di saperlo.
Aggrottò le sopracciglia e abbassò lo sguardo, pensieroso. Poi si illuminò. -Ah, già! Quella Julia! Ehm, è un po' imbarazzante... Devi sapere (ma probabilmente lo sai già) che tutti ti consideravano una sfigata... Inoltre si diceva che non avevi mai avuto un ragazzo e che eri follemente innamorata di me. Così, per scommessa, mi chiesero di mettermi con te. Pensavano che non ne avrei avuto il coraggio che non avrei resistito un giorno con una racchia come te, abituato come sono a strafighe! Ma ho resistito una settimana, e ho vinto la scommessa!
Ero senza parole. Pietrificata come una statua, non avevo mosso un muscolo. "Ero... Una scommessa?"
-Ehi, tutto okay?
Ciaff. Ebbene sì, gli tirai un bel ceffone. Si meritava anche di peggio. Se ora sono orgogliosa di una cosa, è di certo per quel gesto: non me ne pentii mai, anzi, avrei dovuto picchiarlo a sangue.
-Hai anche il coraggio di chiedermi se è tutto okay?!- Avevo le lacrime agli occhi per la rabbia, la delusione, la frustrazione, la tristezza. Ma non volevo piangere davanti a lui, non volevo mostrarmi debole. -Sei un lurido bastardo! Non puoi sfruttare le ragazze così! Io ero seriamente innamorata di te! Io sono...!
Non sapevo che altro dire e anche lui era rimasto paralizzato. Tremavo dalla rabbia e piangevo, nonostante i mie sforzi. -Un “fottiti”, in questo momento, mi sembra un complimento- mormorai, prima di sparire dalla sua vista, prima di allontanarmi per sempre da quel cretino.
Eppure c'era da aspettarselo. Cosa mi immaginavo? In realtà, non ci avevo voluto pensare, perché probabilmente sapevo che sarebbe andata a finire così.
Non riuscivo a sopportarlo. Non riuscivo a sopportare altro dolore.
Corsi via in lacrime, ma non tornai a casa, né andai in biblioteca, quel pomeriggio. Per la prima volta dopo più di cinque mesi di scuola non mi presentai all'ormai consolidato "appuntamento" con il professore.
Non sapevo bene dove andare. Camminavo per le strade della grande città in cui abitavo senza fare caso a dove andassi e presto mi accorsi di conoscerla ben poco.
Era il tramonto e io ero stanca di piangere, ma non riuscivo a smettere. Si mise a piovere: prima poche gocce, poi in breve divenne il diluvio universale.
Continuai a vagare a testa bassa per la città, ormai buia e desolata. Avevo un po' paura. Temevo di essere stuprata o cose simili che si pensano sempre in tali situazioni. Perché si pensa sempre al peggio? Anche la mia stessa ombra, un gatto che attraversava la strada, un fruscio negli alberi mi faceva sobbalzare... Eppure non ero un tipo pauroso, ma credo che influisse molto lo stato d'animo che avevo in quel momento.
Non sapevo dove dover andare... Ma sapevo dove voler andare.
Era così, ormai. L'unico che poteva farmi stare meglio e consolarmi era lui.
Corsi a perdifiato. Suonai al campanello.
Restai qualche secondo impietrita sull'uscio. E se non c'era?
Mi aprì: dire che la sua faccia era sorpresa sarebbe un eufemismo. Per fortuna non era in pigiama e non stava dormendo... Anche se in effetti erano solo le nove.
-Che ci fai qui, tutta fradicia...?
-Bugiardo! Sei un bugiardo!- strillai con la voce spezzata, battendogli deboli pugni sul petto... deboli come me.
-Che è successo?
-Mi avevi detto che sarebbe andato tutto bene, che avrei risolto tutto, che sarei stata felice, chiarendo la situazione! Ma la verità fa schifo!
Il professor Spencer mi abbracciò, bagnandosi tutta la camicia. -Su, entra e spiegami tutto.

The answer, my friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind.

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_________________________

"Blowing in the wind": che dire.... Penso che questa meravigliosa canzone sia perfetta per questo capitolo e per la storia in generale. Che bello!

Avete il permesso di odiare con tutto il cuore quel bastardo schifoso di Phil. Phil e Patty sarebbero perfetti insieme: sono stati insieme appena dopo che Phil aveva lasciato Julia, ma lui come ho già detto l'ha mollata subito XD Lo fa un po' con tutte... Di ragazzi così purtroppo ce ne sono tanti... Forse si sono trasmessi la stronzaggine? No, lo sono di loro -.- Comunque sono personaggi secondari...
Piuttosto, la povera Julia a casa da sola con il prof.... Beh, non vi anticipo nulla e vi lascio immaginare cosa potrà succedere fra i due! Ma ricordate le mie "sorpresine"!
Grazie a tutti, specialmente lady nix 94! Grazieeee *w* Aspetto una tua storia.
A presto, con il prossimo ultimo capitolo!!
Gio.

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Capitolo 4
*** LIBRO 4 - Delitto e castigo ***


Libro 4
LIBRO 4 - Delitto e castigo

[Tom Petty & The Heartbreakers - Learning to fly]
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Well I started out down a dirty road
Started out all alone
And the sun went down, as I crossed the hill
And the town lit up, the world got still

Mi portò una coperta, mi preparò uno dei suoi tè caldi e mi offrì quei deliziosi biscottini al burro. Divorai tutti quelli nel piatto.
Io gli raccontai tutto, fra le lacrime.
-Così... la verità è più dura di quanto potessi immaginarti- mi disse, al termine del mio racconto.
Annuii. Avevo smesso finalmente di piangere.
-A volte la verità fa male... Ma perlomeno hai chiarito. In tutte le cose c'è un lato negativo e uno positivo, anche se tendiamo a vedere solo il primo. Ora devi chiarire i tuoi sentimenti, a far chiarezza nel tuo cuore.
-Già fatto. Non posso continuare ad andare dietro ad un tipo del genere. Anche se lo amo, lo dimenticherò, nonostante io sappia benissimo che ci vorrà molto, molto tempo. Andrò avanti. Anche se sarà dura, ci sarà lei ad aiutarmi, vero?
Lui sorrise e annuì. -Certo, Julie.
Julie. Che diminutivo grazioso.
-Tua madre dev'essere in pensiero. Vuoi tornare a casa? Però è buio, se vuoi ti accompagno...
-No, per favore. Non voglio tornare a casa, oggi. Se non le dispiace, potrei restare qui per stanotte, per favore? Se non disturbo...  Non vorrei sembrare inopportuna...
Lo vidi titubare, e non poco. Era comprensibile: ospitare una studentessa minorenne! Sarebbe sembrato un porco pedofilo.
Però poi incontrò i miei occhi supplici e desiderosi del suo aiuto più di qualunque altra cosa... e sorrise. -No, nessun problema. Però telefona ai tuoi genitori e dì loro... che starai da un'amica.- Sospirò. -Cavoli, non inventavo bugie del genere da... vent'anni? Anche di più! Mi sento come un'adolescente.
Risi. -Vado a chiamarla. Finora non ho risposto alle sue chiamate e avevo spento il cellulare: sarà davvero molto preoccupata.
-Già. Dopo però va' a farti un bagno caldo, o ti prenderai un raffreddore.
-Ma... Non ho niente da mettermi- mormorai.
Lui si alzò, andò in un'altra stanza e tornò poco dopo con in mano una felpa e un paio di pantaloni. -Questi erano di mia moglie, dovrebbero andarti bene. Vieni, ti indico il bagno.

I'm learning to fly, but I ain't got wings
Coming down is the hardest thing

Fare il bagno fu un'idea grandiosa: era davvero un uomo saggio e maturo e i suoi consigli non mi deludevano mai. Anche parlare con Phil, in fondo, era stato positivo. Avevo capito finalmente che dovevo superare la cosa, nonostante fosse doloroso.
Mi rilassai e mi sentii subito meglio, anche se non volevo pensare troppo, o avrei ricominciato a piangere e non ne avevo nessuna voglia.
Indossai i vestiti che mi aveva dato il professor Spencer con un po' di malinconia (erano i vestiti della moglie...) e tornai in salotto.
-Ho messo i tuoi vestiti ad asciugare- mi disse.
Mi guardò e s'incupì; poi distolse subito lo sguardo.
Sospirai. -Questi vestiti appartenevano a sua moglie... Non dev'essere facile... Se preferisce mi rimetto i miei...
Lui fece cenno di no con la testa e mostrò un amaro sorriso.
Mi bloccai. Non sapevo davvero cosa dire.
Il professor Spencer portò le mani indietro sui braccioli e si sedette sulla poltrona dietro di lui. Alcune lacrime rigarono il suo volto.
Non l'avevo mai visto piangere. Mi avvicinai piano. -Professore...
-Scusa... A quanto pare, è giornata di pianti- Cercò di essere spiritoso, ma la sua battuta ghiacciò la stanza.
Sospirai e lo abbracciai in silenzio. Non ci sono mai parole che possano confortare abbastanza da una morte.
-Mia moglie... L'amavo tantissimo. Anche lei mi amava tantissimo. Desideravamo un figlio, ma lei scoprì di essere sterile: ne soffrì moltissimo, si scusava spesso con me, anche se le ripetevo che non ne aveva motivo. Le proposi di adottare un bambino, ma lei non volle. Dopo dieci anni di matrimonio... Di ritorno da scuola la trovai morta sul pavimento del bagno, questo giugno, proprio quando tu sei stata lasciata da Phil. Per questo ho cambiato scuola e mi sono trasferito nella tua... Lei stringeva in mano una scatoletta di pillole antidepressive, vuota: le aveva ingerite tutte insieme. Non sapevo nemmeno che le assumesse... Mi aveva tenuto all'oscuro di tutto. Sapevo che soffrisse, ma non immaginavo che volesse suicidarsi. Credo che non sopportasse più il dolore. Sono stato così cieco... E' tutta colpa mia...
-Non è colpa sua, professore- dissi.
-Io... Pensavo di poterla consolare, di poterla aiutare, ma non ci sono riuscito... Avrei dovuto confortarla e proteggerla, era mia moglie, dopotutto! Era mio dovere. Non sono capace di aiutare nessuno.
-Lei ha aiutato me, professore. Mi ha aiutato davvero tanto, e le sono infinitamente riconoscente. Sono sicura che sua moglie l'abbia amata immensamente. Deve superare questo dolore, deve andare avanti come mi ha insegnato.
-Non credo di esserne capace! Io... Parlo bene, ma... sono solo un debole in realtà...
-Non dica così. E' umano soffrire: me l'ha detto lei stesso, ricorda? Lei è un uomo meraviglioso. Sono sicura che un giorno riuscirà e risollevarsi... e ad amare di nuovo.
Il prof Spencer non piangeva più. Si asciugò il viso: era visibilmente imbarazzato. -Ti ringrazio. Anche tu mi hai aiutato tanto, Julie, con i tuoi sorrisi e la tua vitale gioventù.
Sorrisi amaramente. Non era ciò che vrei voluto sentirmi dire. -Si figuri. Sono felice di essere utile a qualcuno.
Lui comprese il mio stato d'animo, come sempre. Sospirò. -Mi scuso se ti ho dato l'impressione contraria, ma non provo nessun sentimento d'amore nei tuoi confronti. Per me sei una studentessa... un'amica, una confidente. Una ragazza intelligente e una piacevole compagnia. Ma nulla di più. Io continuo ad amare mia moglie, come tu continui ad amare Phil. Noi due possiamo capirci, ma non ci amiamo.
-Ha ragione. Io mi scuso per il mio comportamento di ieri... Ho capito i miei sentimenti. Effettivamente, ero confusa e anche io la penso come lei. Per me lei è un professore che stimo... un amico, un confidente. Un uomo adulto intelligente e una piacevole compagnia. Ma nulla di più.
Non avevo mentito. La verità era quella, e l'avevo capito: avevo fatto davvero chiarezza nel mio cuore. Quella sera avevo compreso molte cose.
Mi caddero gli occhi sulla libreria. Il prof possedeva moltissimi romanzi, ma mi colpì uno in particolare, uno che -stranamente- non avevo mai visto.
Lo sfilai pian piano: era rilegato alla buona, aveva una semplice copertina bianca con il titolo e l'autore, niente più.
-Professore, potrei leggere il suo libro "La nebbia d'estate?"
-Cosa?- Il prof si agitò un po'. -Ma veramente io...
-La prego! Mi piacerebbe moltissimo.
Scrollò le spalle. -D'accordo, ma non aspettarti chissà che. Quando lo scrissi ero giovane e immaturo...
-Lo sono anch'io: vorrà dire che lo comprenderò meglio- sorrisi. -Ma prima di giudicare devo leggerlo. Le farò sapere la mia opinione.

-Bene, si è fatto tardi e credo che abbiamo bisogno entrambi di riposare: domattina suona la sveglia- disse il prof. -Puoi dormire in camera mia, io dormirò sul divano: l'ho già preparato...
-Oh, no: dormo io sul divano, ci mancherebbe!
-Sicura?
-Certo. Mi sentirei troppo in imbarazzo... Sto già approfittando troppo della sua gentilezza.
-Va bene, buonanotte allora- mi disse, baciandomi la fronte come mio padre non aveva mai fatto.
-Buonanotte, prof.
Prima di dormire cominciai a leggere il romanzo del professore, “La nebbia d'estate”. Era proprio come se lui mi parlasse. A quanto pare non era cambiato molto negli anni.
Passai tutta la notte a leggerlo.
La mattina seguente il professore si alzò prestissimo. Non mi aveva notata: sbadigliò rumorosamente, spalancando la bocca.
Risi. -Buongiorno, prof.
Fece un balzo per la sorpresa. -Buon...- Mi vide con il libro in mano, incredulo. -Stai ancora leggendo? Non dirmi che non hai dormito?!
-Il suo libro è troppo bello, professore.
-A che punto sei arrivata?
-Quasi alla fine. Lo trovo bellissimo: non capisco davvero perché non lo abbiamo pubblicato.
-Ti ringrazio. Te lo presto, finiscilo pure con calma. Cosa gradisci per colazione? Caffè, latte, cappuccino, tè, cioccolata calda...?
-Uno dei suoi tè caldi, per favore. E quei deliziosi biscottini al burro.
-Mi dispiace: temo che tu li abbia finiti tutti ieri sera- rise.
Risi anch'io. -Il tè basterà, grazie.
Avrei voluto che quella serenità durasse per sempre, ma, come mi aveva insegnato, era impossibile.
Mi guardò. Fece una faccia strana.
-Che c'è? Qualcosa non va?- chiesi.
-Hai dei capelli davvero orrendi la mattina, Hendrix.

Well the good ol' days, may not return
And the rocks might melt & the sea may burn

Uscimmo di casa, un po' imbarazzati.
-Beh, sarà meglio non andare a scuola insieme...- disse.
-Già, assolutamente. Lei può andare in macchina come sempre, io andrò con l'autobus. Dov'è la fermata più vicina?
-Oh, è proprio davanti alla biblioteca.
-Allora è vicino.
-Vuoi che ti accompagni?
-No, grazie, non è necessario.
Ci salutammo e ci dividemmo.
Non avrei mai immaginato cosa sarebbe successo. Di lì a poco, la serenità che avevo ritrovato con tanto sforzo sarebbe andata in frantumi.

I'm learning to fly, but I ain't got wings
Coming down is the hardest thing

Qualche giorno dopo, a scuola, cominciarono a girare strane voci. La gente, dopo tanti mesi di pace, aveva ricominciato a sparlarmi dietro... Ma questa volta non ridevano. Non sapevo però cosa dicessero quei pettegolezzi.  Era ancora per Phil, dopo tutto quel tempo?
Il professor Spencer mi chiamò. -Dobbiamo parlare. Riguarda quello che si dice su di noi...
-Su di noi? Pensavo riguardasse solo me. Cosa si dice esattamente?
Il prof sbiancò. Deglutì. -Ci hanno visti uscire insieme da casa mia, l'altra mattina.
Sgranai gli occhi. -Oh, cazzo. Ma non è possibile! Chi?
-Patricia Marren. Abita vicino casa mia, non lo sapevo...
-Cosa ha fatto, quella troia?!- Ero furiosa. Come si era permessa? Mi odiava a tal punto da mettermi seriamente nei guai? O era talmente stupida da non esserci arrivata col suo cervellino bacato? -Se lo verrà a sapere il preside...!
Lui abbassò lo sguardo. -Temo che ne sia già al corrente. Oggi andrò personalmente a parlargli... Probabilmente ci convocherà tutti, domani, anche i tuoi genitori e Patricia.
-Che imbarazzo! Ma non abbiamo fatto nulla!- Per quanto fossi disperata e terrorizzata, non riuscivo a piangere. Ero troppo agitata e il cuore mi batteva a mille. Cosa ne sarebbe stato di me e del professore? Non osavo immaginarlo.
-Calmati, Julie, spiegheremo la situazione. Vedrai, si sistemerà tutto.

Well some say life will beat you down,
break your heart, steal your crown
So I've started out, for God knows where
I guess I'll know when I get there

Il giorno seguente, il professor Spencer non si presentò a scuola. Né sarebbe venuto il giorno dopo, né quello dopo ancora. Non sarebbe venuto più, ma ancora non lo sapevo, anche se lo temevo. Avevo un brutto, tremendo presentimento.
Così decisi di chiedere spiegazioni al preside.
Lui mi rispose freddamente. -Il professor Herbert Spencer si è licenziato proprio ieri. Non mi ha dato spiegazioni, ma immagino sia a causa tua - mi disse, con sguardo accusatore. -Hai qualcosa da dire?
Non risposi. Corsi via dalla presidenza. “Lo sapevo! Si è licenziato prima ancora che ci convocassero. Ma avremmo spiegato tutto!" Mi veniva da piangere, ma non lo feci. "No, non ci avrebbero mai creduto. L'ha fatto solo per proteggermi... Che stupido!”
Mi precipitai a casa sua, ma non lo trovai. Se n'era già andato, si era già trasferito, mi aveva già lasciata. Ero nuovamente sola.
Non si presentò più nemmeno in biblioteca. Non riuscivo a credere che fosse successa una cosa simile per una sciocchezza del genere: noi non avevamo nessuna colpa, era terribilmente ingiusto. “Non mi ha nemmeno salutata... E adesso come farò senza di lui?”
Mi sentii terribilmente depressa. Di nuovo.
Il sole era sparito: era tornato il buio.
Così tornai lì, sezione C, terzo corridoio a destra, quarta fila dal basso, sotto la “S”.
 “Suicidio”. Questa volta era al suo posto.
Lo presi. Finalmente mi avrebbe dato qualche spunto su come farla finita nel modo meno doloroso possibile. Avrei dovuto farlo molti mesi prima, quel giorno di settembre. Avevo soltanto posticipato l'appuntamento con la morte: se solo non lo avessi incontrato, sarei stata già all'altro mondo. Non volevo più soffrire.
Mi accomodai nella sala lettura della biblioteca e aprii il libro.
Dalla prima pagina uscì un fogliettino. Svolazzò, ondeggiando lentamente, e cadde a terra. Lo raccolsi.
Il labbro mi tremò. Era un suo biglietto.

Mia cara piccola Julie,
So che prenderai in prestito questo libro dopo la mia partenza. Ti conosco troppo bene, sei come un libro aperto per me. Non fare pazzie: vai avanti, vivi. Sei più forte di quanto tu creda. Sono certo che riuscirai a superare anche questa situazione.
Dobbiamo andare avanti entrambi, da soli, con le nostre forze. Abbiamo fatto troppo affidamento l'uno sull'altro ma dobbiamo essere coraggiosi. Vivere significa andare avanti e superare i propri timori.
Mi hai aiutato tanto, più di quanto tu possa immaginare. Adesso so di poter continuare a vivere... E anche tu lo sai.
Ti sarò sempre accanto. Con affetto,
il tuo professore Herbert Spencer.

Una lacrima cadde silenziosa sul foglietto. Lo strinsi, lo misi in tasca e riposi il libro sullo scaffale.
A quanto pare non dovevo proprio leggerlo, quel libro.

I'm learning to fly, around the clouds,
But what goes up must come down


I mesi passarono inesorabilmente: era tornata la tempesta nel mio cuore e il sole non accennava a ricomparire.
Passò un anno. Più di un anno.
Ero arrivata miracolosamente all'ultimo giorno di scuola superiore, non so bene come in realtà. Finalmente mi sarei diplomata, con un po' di fortuna, e sarei evasa da quella scuola, quella prigione schifosa.
Continuavo ad andare in biblioteca ogni giorno. Cominciò a frequentarla spesso anche un ragazzo, ma non ci feci molto caso.
Un giorno mi si avvicinò nella sala lettura e mi salutò. -Ehi, ciao. Vengo spesso qui e ti ho sempre vista... Mi chiamo Simon, e tu?
Alzai gli occhi. Lui stava leggendo “Delitto e castigo” di Dostoevskij: interessante, aveva buon gusto. Sì, se pensate che sia una che giudica le persone dai gusti letterari... avete indovinato. -Julia – risposi, senza troppo entusiasmo.
-Ciao, Julia – disse. Sorrise. -Che buffo, sembriamo in una clinica di alcolisti anonimi! Che poi perché si chiama anonimi se ti chiedono il nome?
Risi. Dopo tanto tempo, risi. Era simpatico, Simon. Sembrava soddisfatto che la sua battuta avesse avuto successo. Era chiaro che gli interessassi: era pazzo?
-Vieni spesso anche tu per studiare?- mi chiese.
-Oh, no, in verità sono una divoratrice di libri. Tu vieni per studiare?
-Sì... Sai com'è, la maturità...
-Eh già, ci sto passando anch'io...
-Ah, anche tu? Hai la mia età? A che scuola vai?
Cominciammo a chiacchierare tranquillamente. Discorsi semplici e concreti, nulla a che vedere con quelli che intraprendevo con il professore. Discorsi da ragazzi normali della mia età.
Stranamente anche Simon cominciò a venire in biblioteca tutti i giorni, nei miei stessi orari... Nonostante non gli dessi troppo spago, gli piacevo davvero, me n'ero accorta.
-Ti va di uscire, uno di questi giorni?- mi chiese infatti all'improvviso.
-Ehm... Veramente ho tanto da studiare in questo periodo. Preferirei di no, scusa- risposi.
Ci rimase malissimo. -Ah. Okay.

I'm learning to fly, but I ain't got wings
Coming down is the hardest thing

A casa, mi gettai sul letto, tappandomi la testa con il cuscino. Ripensai al mio conportamento... idiota.
Mi misi le mani in tasca e trovai il bigliettino, quel bigliettino: lo avevo conservato. Mi tornarono in mente le parole del professore e dopo tanto tempo ripensai seriamente a lui. Mi mancava tantissimo. Lo rilessi, ma conoscevo già ogni parola a memoria.
Mi alzai e aprii un cassetto. Dal suo fondo, tirai fuori un libro impolverato. Soffiai sulla copertina bianca.
"La nebbia d'estate". Non lo avevo mai finito, da quella notte. Mi mancavano solo venti pagine: le lessi tutte d'un fiato.
Chiusi il libro: lo avrei conservato per sempre come ricordo del mio professore di storia e filosofia, anche se non avevo bisogno di oggetti per ricordarlo.
Sospirai. Lui avrebbe sicuramente biasimato il mio comportamento stupido e vigliacco.
Anche se mi era difficile fidarmi degli uomini, dovevo andare avanti. Dovevo vivere, lasciarmi scoprire per far tornare il sole.
In biblioteca Simon aveva smesso di parlarmi. Probabilmente aveva pensato che non mi piacesse e non voleva infastidirmi, ma continuava a venire solo per vedermi. Che carino.
In realtà non è che non mi piacesse... Avevo paura. Ma avevo capito che non dovevo aver paura di amare.
-Scusami, Simon... Per quanto riguarda l'invito dell'altro giorno... È ancora valido?- gli chiesi, titubante e in imbarazzo.
Lui era visibilmente sorpreso.
-Se non ti va più, lo capisco...
-No... Sì! Sì, mi va!- esclamò. La sua ingenua semplicità era adorabile. -Domani?
Sorrisi. -Ci incontriamo qui e poi andiamo a bere qualcosa?
-S-sì!- balbettò. Era davvero molto tenero.
Ci scambiammo i numeri di telefono e ci salutammo.

I'm learning to fly, around the clouds,
But what goes up must come down

La mattina dopo, a scuola, dovevo intraprendere il mio esame orale di maturità: gli scritti non erano andati un granché, quindi dovevo rifarmi.
Ero molto nervosa... Sarebbe andata male, me lo sentivo.
-Hendrix, c'è un biglietto per te – mi disse la bidella.
-Un biglietto? E di chi?
Non mi rispose. Le bidelle, come gli impiegati, sono una più svogliata dell'altra. -Tieni.
Lo aprii. Sorrisi.
In bocca al lupo!
Il prof Spencer.

Mi si alleggerì immediatamente il cuore. Grazie a lui trovai il coraggio e la forza di farcela.
“Ti sarò sempre accanto” mi aveva scritto in quel bigliettino che avevo conservato. Ed era vero.
Ancora una volta mi aveva aiutato, e l'esame andò alla grande.
Sarei stata promossa: con 65, ma pur sempre promossa. Per fortuna: non avrei resistito un anno di più a scuola. Non sapevo che fare del mio futuro, ma alla fine sarei andata a lavorare nell'azienda di mio padre.
Quel pomeriggio dovevo uscire con Simon, però non sapevo che fare. Ero indecisa, non sapevo perché.
Alla fine non mi presentai. Sapevo di essere maleducata a dargli buca, così pensai di inviargli un sms almeno per avvertirlo che non sarei andata, che ci avevo ripensato e che mi scusavo tanto, ma non ne ebbi il coraggio.
In fondo io ero una vigliacca.
“Non devi scappare”. Il professore mi avrebbe detto così. E lui aveva sempre ragione.
Ma ormai era troppo tardi. Come sempre, mi accorgevo delle cose troppo tardi.
Era sera, era buio. Andai lo stesso alla biblioteca, certa che non lo avrei trovato.
E invece lui era lì. Simon era seduto sulla solita sedia, quella su cui si sedeva sempre il professore, e mi stava ancora aspettando dopo tante ore.
Vedendomi arrivare, si alzò immediatamente, raggiante. Pensavo che fosse arrabbiato e che non mi volesse più parlare, e invece era semplicemente felice di vedermi. -Temevo che non saresti più venuta...
-Temevo che non mi avessi aspettata. Scusa tanto il ritardo. Dovrai avere molta pazienza, con me.
Mi sorrise. -Io sono molto paziente.
Sorrisi anch'io.
Flebili raggi di sole cominciarono a far capolino nella mia vita.
“Non so come andrà fra me e Simon. Probabilmente ci lasceremo. Ma per ora, vivo il presente.
Me l'ha insegnato il mio professore.”

I'm learning to fly
I'm learning to fly...


Fine / Inizio

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'Sera!
Non so se lo avete notato (credo di no), ma i colori dei titoli dei capitoli diventano sempre più "caldi", come il cuore di Julia che si è sciolto.
Carina la foto in fondo, vero? Si chiama "book art". Per quanto riguarda il titolo... "Delitto e castigo" non è scelto a caso, perché c'è un "castigo" (addio del prof), anche se il "delitto" in realtà non è stato commesso.
In fondo ho scritto "fine/inizio" perché la storia è finita, ma continua in realtà, no? (Come sono ambigua...)
Allora, che ne pensate? Finale deludente? In tal caso mi spiace, ma è stata concepita così fin dall'inizio e non ho cambiato la fine. D'altra parte sono convinta che non può andare sempre tutto rose e fiori! Forse perché a me non me ne capita mai una giusta? xD
Però è finita proprio come doveva finire, credo. Fin dall'inizio ho sempre sottolineato che tutto finisce, prima o poi, e qualcosa di nuovo comincia. Inoltre Julia doveva crescere, andare avanti con le sue forze. Doveva imparare a volare ("learning to fly" è azzeccata a tal proposito, no?).
Bene bene, spero di non avervi annoiata. Grazie per avermi seguita per questi 4 capitoli :) 
Spero di riuscire presto a trovare il tempo per mettere per iscritto un'altra delle storie che vivono nella mia testolina. Arg!
Gio.

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