Romeo And Juliet

di Jaded_Mars
(/viewuser.php?uid=114205)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** INTRODUCING JULIET: Chi é Simone? ***
Capitolo 2: *** IL PATTO CON MERCUZIO: Simone e il bel tenebroso ***
Capitolo 3: *** WHEN ROMEO MET JULIET: L’Incontro ***
Capitolo 4: *** BAND OF BROTHERS: Romeo e l’identità di Juliet ***
Capitolo 5: *** THEN HE MET HER AGAIN ***
Capitolo 6: *** LOVERS ON A ROLLERCOASTER ***
Capitolo 7: *** SOME LIES FOR LOVE ***
Capitolo 8: *** FIND THE REAL ***
Capitolo 9: *** FEEL SO CLOSE ***
Capitolo 10: *** COMPLICATIONS ***
Capitolo 11: *** A LOVESTRUCK ROMEO ***
Capitolo 12: *** HE IS NOT A NICE BOY ***
Capitolo 13: *** TIMES THEY ARE A-CHANGIN' ***



Capitolo 1
*** INTRODUCING JULIET: Chi é Simone? ***


INTRODUCING JULIET: CHI E’ SIMONE?

Dammi sensualità.

Flash.

 “Come fai ad essere così incantevole Simone?”

Dammi energia.

Flash.                                                           

 “Come riesci ad essere sempre perfetta Simone?”

Dammi  mistero.

Flash.

“Come riesci ad avere sempre tutta questa grazia Simone?”

A tutte quelle domande, sempre uguali, sempre ripetitive fino allo sfinimento Simone rispondeva allo stesso modo, con un leggero senso di colpa che si insinuava nel suo tono di voce, come se si volesse scusare per qualcosa che non aveva voluto lei ma per cui, nonostante tutto, si sentiva tremendamente responsabile “Sono nata così.”
Flash.

***

Con quei lunghi capelli vaporosi e soffici di un colore che ricordava quello del cioccolato fuso e un fisico a dir poco invidiabile (gambe lunghe e snelle, proporzioni perfette, sì insomma tutte quelle caratteristiche lì), Simone era solo una delle tante modelle che si potevano trovare sfogliando le pagine di ogni rivista di moda che meriti di chiamarsi tale.

Ma se le toglievi il corpo, le restava una grande creatività, uno spiccato acume, quel giusto pizzico di sale in zucca che non guasta mai per cavarsela nella vita e una sconfinata
passione per la musica ereditata dal padre, suonatore di sax in una band jazz. Se le toglievi il corpo era una ragazza brillante e simpatica che avrebbe comunque fatto strada.

In un certo senso era come se ci fossero due Simone, una bella da morire fatta per diventare una star e una intellettuale e studiosa che ben si sarebbe districata negli intrichi dei salotti bohemien tra conversazioni di libri e cinema indipendente.  Esteriorità ed interiorità si sovrapponevano perfettamente l’una all’altra, ed era questo che rendeva Simone Taylor veramente speciale.  I suoi occhi blu, intensi come degli zaffiri, lasciavano trasparire il suo carattere curioso e ingegnoso, non erano vuoti e spenti come quelli delle della maggior parte delle sue colleghe modelle. Forse era anche per questo che piaceva così tanto ai fotografi, perché Simone riusciva a recitare col volto, in uno scatto comunicava un sentimento, lasciando al mondo libera interpretazione dei suoi pensieri.

Ma era anche un po’ ribelle, Simone. La sera non la si trovava facilmente sui red carpet o in prima fila ad ogni genere di evento mondano a sgomitare per farsi immortalare dai fotografi così da ricevere qualche briciolo di fama in più. No, lei, da brava teenager amante della musica, quando era a Londra frequentava quei locali come l’Electric Ballroom, tacciati di essere luoghi  di perdizione e trasgressione dai più conservatori, ma che in realtà erano ritrovo per ragazzi il cui spirito ribolliva trascinato dall’ondata punk che stava investendo e cambiando l’Inghilterra negli ultimi anni ’70.  Spesso i suoi begli occhi blu si posavano in adorazione sul suo idolo Joe Strummer o sul giovane cantante dei Generation X che presto sarebbe stato conosciuto solo per essere Billy Idol.  Da piccola, prima di diventare modella per caso, prima che tutti la celebrassero soprattutto per la sua bellezza, aveva iniziato a studiare musica e a suonare la batteria. “Ma come, una bambina così graziosa che suona la batteria?” si chiedevano tutti, ma lei era felice quando si trovava dietro a quegli enormi tamburi, si divertiva un sacco a pestare piedi e bacchette sulla pelle tirata delle casse che rullavano sotto i suoi tocchi decisi. Il suo esempio era Bonzo, anche se sapeva che la sua mitica potenza era inarrivabile. E si divertiva anche suo padre ad insegnarle il ritmo,  il tempo, la tecnica, sua figlia era la sua soddisfazione. A Simone piacevano il rock e il punk, ci trovava la giusta carica di energia e ricchezza di ideali che non riusciva a individuare in nessun altro genere, anche se aveva gusti piuttosto variegati in termini di musica. E amava l’aura extra terrestre che avevano le rockstar, ne era estremamente attratta, e come ogni fan appassionata che si rispettasse, aveva la cameretta piena di poster dei suoi adorati musicisti capelloni. Ogni volta che parlava appassionatamente dei suoi preferiti, sul volto di sua madre si dipingeva un sorriso che era un misto di ilarità e comprensione, d’altronde lei per prima aveva sposato uno di loro.

Simone aveva fatto strada da quando era apparsa per la prima volta sulle passerelle di Londra appena quattordicenne, poco più che una bambina. Era il 1981, dopo che aveva sfilato con successo per la collezione Pirate di Vivienne Westwood che si trasferì a Los Angeles dove trovò ad accoglierla sparsi per la città una serie di cartelloni col suo viso in primo piano sull’ultimo numero di Vogue. Era ricercata da tutti, contesa dagli stilisti e dalle riviste patinate, avere Simone voleva dire avere il successo.

Ma lei lo voleva veramente il successo? In realtà non le era mai importato molto diventare una top model, fare quel mestiere per tutta la vita non era certo la sua aspirazione, era più un modo per mettere qualche soldo da parte per poi potere dedicarsi a quello che le piaceva sul serio, la musica, la moda, insomma per dare vita al suo spirito creativo. E non era certo un dettaglio da ignorare che quel lavoro portasse un sacco di conoscenze. Non le piacevano molte delle persone che appartenevano a quel mondo luccicante di Hollywood, per quello tendeva a frequentarlo il meno possibile, preferendo la scena più underground nella quale si muoveva di gran lunga meglio, forse perché le ricordava quella londinese in cui era cresciuta.

C’era anche da dire però che in mezzo a quella serie di star e starlette, falsità ed inganni aveva anche trovato diverse anime buone che poteva tranquillamente definire amici. Ed anche altro. A diciott’anni, dopo pochi mesi della sua nuova vita americana era diventata la fidanzata di Joe Perry. Fidanzarsi a diciott’anni con un uomo di trenta era forse una scelta po’ inconsueta no? Ma a nessuno dei due importava molto, erano innamorati persi l’uno dell’altra, per davvero. Simone stravedeva per quell’uomo al quale all’inizio non voleva dare nemmeno una chance. Non perché non le piacesse, anzi, impazziva per gli Aerosmith, e ovviamente impazziva per Joe, ma proprio per quello non voleva immischiarsi con lui, pensava che sarebbe rimasta delusa dal suo modo di fare al di là del palco, nella vita reale,  non avrebbe potuto sbagliarsi di più. Joe era una persona fantastica, ben più di quello che avrebbe potuto immaginarsi, e stava con lei non perché fosse bella (certo quello era un fattore che contava molto, Joe Perry non si sarebbe certo messo con un roito, anche se fosse stata la sua anima gemella intellettualmente) ma perché era rimasto incantato dalla sua personalità.  Simone faceva proprio quell’effetto alle persone, le incantava con la sua profondità e simpatia, quando decideva a far calare lo scudo di riservatezza e diffidenza che portava per difendersi.

Ed era per tutto questo che anche Duff McKagan era stato letteralmente conquistato da Simone Taylor, anche se quando la conobbe pensava fosse semplicemente una bella ragazza da accompagnare a casa.

***

Prima che qualcuno lo dica, sì mi sono ispirata a Palhaniuck per l'inizio del capitolo, credo che renda perfettamente l'immediatezza degli scatti dei fotografi. 
Poi prometto che non sarà una neverending story come le mie, perchè ho già pronta la fine, è solo il mezzo che è under construction, quindi spero di non fare aspettare secoli con gli aggiornamenti : )
E no, non sono cadute nel dimenticatoio le altre due, sono solo in stand by causa impegni che mi impediscono di continuare come vorrei...
Detto tutto ciò di cui non vi fregherà una cippa, spero che vi piaccia...e se vi piace lasciate pure un commentino che fa sempre piacere :) 
Un baciotto,
Mars 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** IL PATTO CON MERCUZIO: Simone e il bel tenebroso ***


Come molti possono ricordare, Mr. Perry all’epoca aveva non pochi problemi con una certa signora eroina  e tante sue parenti strette, ma le era così tanto affezionato che spesso si avventurava di persona nelle parti malfamate di Los Angeles per procurarsi qualche dose quando era ridotto alle strette. Uno dei suoi spacciatori di fiducia, anche se quello di spacciatore non era il suo primo mestiere ma solo uno dei tanti fatto per arrabattarsi nella laboriosa impresa di diventare un famoso chitarrista, era Izzy Stradlin, un ragazzetto moro e smilzo dell’Indiana, uno di quei tipi taciturni che erano perfetti per smerciare droga alle star senza che si lasciasse sfuggire voci compromettenti sul conto dei suoi clienti. Dunque spesso capitava di vedersi piombare Joe o altre persone più o meno famose e più o meno rispettabili, nel garage dove viveva, o meglio sopravviveva, con i suoi quattro amici compagni di band ed avventure. Vivevano in condizioni al limite del sopportabile per la gente normale, ma loro non erano normali, loro erano cinque giovani affamati di successo e se vivere nello squallore e in posti spogli facendo la fame in attesa di suonare ogni sera in un locale dello Strip faceva parte della strada per arrivare fino alle porte del successo, allora ben venisse tutto quello. In fin dei conti si divertivano alla grande, a stare lì, nei loro appartamenti da pochi soldi  (per chi li aveva) o in casa delle ragazze di turno quando capitava, facevano quello che volevano senza regole ed era la cosa migliore per loro, gente a cui le regole e convenzioni andavano strette. In particolare, quel garage lì al Gardener Space, in una traversa malfamata del rinomato quartiere di West Hollywood, era un rifugio peccatorum per loro. Succedeva di tutto lì dentro, dai festini alle dormite sui materassi rotti, ma per la maggior parte ciò che si creava all’interno di quei pochi metri quadri era magia alchemica che si trasformava in musica. Qualche volta quando Joe piombava lì in incognito con gli occhi arrossati coperti da scuri occhiali neri alla ricerca della sua polverina magica, capitava che assistesse a pochi minuti di quei momenti creativi e dopo avere riscosso la sua roba se ne andava pensando che i ragazzi avevano stoffa, che era soddisfatto della riservatezza del moretto e che era felice di avere una dose in più, pensieri che non necessariamente avvenivano in questo ordine.

Nonostante Joe avesse  il buon senso di sballarsi quando Simone non c’era, voleva tenerla alla larga da quel mondo cupo ed insidioso della droga, lei era ben cosciente dei vizi e stravizi del suo uomo. D’altronde non era scema, sapeva benissimo che le voci che circolavano su di lui erano vere, tutti lo sapevano in effetti. Solo che più passava il tempo più lo vedeva perdersi dentro quel labirinto di incoscienza e  perdizione che lo faceva sempre più allontanare dalla realtà e non voleva che lui diventasse un’ombra di se stesso divorato dalla sua parte oscura. Dopo tre anni che stavano insieme, l’infatuazione folle che aveva provato all’inizio del loro rapporto era pressoché scomparsa, ma ciò non toglieva che provasse per lui un bene incredibile, non sapeva se si chiamava amore, però sapeva che doveva aiutarlo a venire fuori da quel tunnel in cui era entrato molti anni prima e che rischiava di portarlo alla rovina. Sapeva che non sarebbe stato facile ma almeno ci voleva provare. Senza ovviamente assumersi il ruolo di crocerossina o buona samaritana del caso, non voleva che Joe pensasse che stesse facendo un atto di carità nei suoi confronti o che volesse dargli insegnamenti su come vivere la vita nel modo più giusto, anche perché non se lo poteva permettere, non era proprio la persona più immacolata di questo mondo. Quando viveva ancora a Londra spesso capitava che in una serata in compagnia qualcosa passasse nel suo gruppo di amici, che fosse un po’ d’erba, di alcool o di qualche altra sostanza, ma lei era sempre stata attenta a non oltrepassare i limiti.

Così era da un po’ che cercava di aiutare Joe a smettere, gli aveva fatto quella promessa ed intendeva mantenerla. Aveva iniziato parlando e chiedendo con discrezione alla gente che lui di solito frequentava, venendo a sapere che lo spacciatore da cui di solito andava a rifornirsi era un giovane con qualche anno più di lei, tale Izzy Stradlin dell’Indiana uno a cui piacevano i Rolling Stones e andava in giro vestito con bizzarre camicie a fiori e pantaloni di pelle. Dicevano che l’avrebbe riconosciuto subito perché indossava sempre una coppola nera, occhiali scuri e soprattutto parlava molto poco,  lo stretto indispensabile, non poteva sbagliarsi. Era venuta a sapere anche che lo poteva trovare tutte le mattine in un garage a Gardner, così Simone, convinta fino in fondo della giusta causa che stava perseguendo e con totale ingenuità infantile che a volte la possedeva nei momenti di determinazione, una mattina di giugno si avviò da sola, e per giunta a piedi, alla ricerca di quel ragazzo.

Quando giunse dopo una lunga camminata nei pressi di Gardener iniziò a rendersi conto che forse aveva agito un po’ troppo inconsciamente ad andare lì da sola e a piedi, non era certo un posticino tranquillo in cui passeggiare da senza preoccupazioni. Aveva imboccato la via giusta per puro caso, dopo avere camminato lungo strade tutte uguali, costeggiate da edifici decadenti con rifiuti sparsi per terra. In quella zona non passava propriamente inosservata anche se aveva su un innocuo paio di jeans neri strappati, delle ballerine anch’esse nere, il suo colore preferito, e una semplice maglietta bianca larga, era sempre e comunque una mosca bianca rispetto alle persone che bazzicavano nel quartiere. Riconobbe subito il garage di cui le avevano parlato dalla musica che ne fuoriusciva, uno schitarrare potente, selvaggio, viscerale. Sentiva anche qualcuno urlare, ma poi avvicinandosi si accorse che non erano urla ma era un ragazzo che cantava senza microfono con tutto il fiato che aveva in gola. E diamine che voce che aveva! Si affacciò timidamente alla porta aperta e vide che c’erano tre persone lì dentro: quello che cantava, uno rosso che sembrava un fascio di nervi, uno che suonava la chitarra ma il cui viso era coperto da una massa folta di lunghi ricci indomati e un altro chitarrista la cui descrizione corrispondeva esattamente a quella di Izzy Stradlin. L’aveva trovato! Si soffermò un attimo ad ascoltare quei ragazzi, erano così pochi eppure c’era così energia che valeva per quaranta. Aveva un buon orecchio e quello che stavano suonando, senz’altro una delle loro canzoni, le dava buone vibrazioni, le piaceva. Prima di entrare aspettò finché che terminassero il pezzo, non le andava di interrompere quell’evidente sintonia tra i ragazzi, anche se non li conosceva e non avrebbe dovuto avere riguardi nei loro confronti, sapeva come andava tra musicisti nei momenti di prove, mai bloccare il flusso creativo, aveva rispetto per il loro impegno. Nessuno di loro si era accorto di lei, così dopo che il rosso e il riccio, si avviarono dietro un divisorio posticcio creato dagli amplificatori delle chitarre, lì in mezzo rimase solo Izzy che, dopo avere appoggiato la sua chitarra, si diresse verso la porta intento ad accendersi una sigaretta. Fu in quel momento che vide Simone davanti a lui, e come ogni buon ragazzo che si rispetti il primo pensiero che affiorò nella sua testa fu ‘Che meraviglia’.  Dal canto suo Simone pensò che sembrava un tipo bizzarro, così conciato un po’ retrò, come quei fanatici dei Rolling Stones che vedeva in Inghilterra, che facevano di tutto per assomigliare a Keith Richards, sarebbe stato decisamente interessante parlare di musica con lui. Ma hey! Restava sempre quello che vendeva la droga al suo fidanzato, non l’amicone con cui scambiare quattro chiacchiere davanti a un caffè e una sigaretta. Anche se tutto sommato avrebbe potuto benissimo esserlo, l’aria losca non ce l’aveva per niente. Tuttavia si trovava lì per un motivo ben preciso, i grandi discorsi filosofici sulla musica li avrebbero fatti un altro giorno, forse. Visto che lui la fissava aspirando profondamente dalla sua sigaretta non decidendosi a dire una parola, in perfetta coerenza con le voci che correvano su di lui, Simone finì per fare il primo passo, d’altronde era lei la “straniera” lì.

“Sei Izzy Stradlin?” chiese gentilmente, con quella cadenza inglese che probabilmente non sarebbe mai svanita del tutto.

Lui fece un cenno di assenso col capo, continuando tranquillamente a fumare.

“Oh bene ti stavo cercando!” fece la ragazza quasi illuminandosi, per poi tornare immediatamente seria, “Ti devo parlare.”

“Hey Stradlin chi ti sta cercando?” vide il viso incuriosito del ragazzo riccio sbucare da dietro gli amplificatori accompagnato da quella di un biondino con l’aria da bambino che
sembrava essersi appena svegliato. “Wow chi è quello splendore?!” chiese il riccio esaltandosi alla vista di Simone “Sì, chi è quello splendore?” fece eco il biondo, altrettanto entusiasta. Sembrava non vedessero una ragazza da anni. Ma d’altronde spesso succedeva così quando gli uomini la vedevano.

“Fatevi una manica di affari vostri ragazzi! Vieni.” li mandò cordialmente a quel paese invitando la ragazza a seguirlo fuori all’aperto e chiudendosi la porta alle spalle, non gli andava che gli altri ascoltassero la loro conversazione, anche se non sapeva ancora cosa una come lei avesse da dire ad uno come lui. Sembrava provenire da un pianeta anni luce distante dal suo, eppure lo stava cercando. Era curioso, e chi non lo sarebbe stato al posto suo? La guardò ancora una volta in viso prima di formulare anche lui la domanda che le avevano posto poco prima i suoi due amici : “Chi sei splendore?”

Simone di solito si irritava con chi si appellava a lei in quel modo, spesso erano arroganti stupidi e maschilisti, ma c’erano casi rari in cui era quasi lusingata da quel modo di rivolgersi che risultava elegante, di ammirazione sincera, e quella era una di quelle occasioni.

“Simone…” rispose semplicemente lei.

“Beh se mi cercavi Simone, era perché pensavi che potessi fare qualcosa per te. Di che si tratta?”  andava subito al punto il ragazzo, lo apprezzava.

“Dunque…” prese tempo per cominciare perché nonostante sapesse cosa dire, non era mai facile essere diretti e convincenti con davanti l’interlocutore. “Dunque so che tu oltre a fare il musicista riesci anche a procurarti droga, giusto?”

Izzy fece uscire una lunga boccata di fumo dalla sua bocca, la droga, quindi era per quello che lei era lì. Peccato per pochi minuti aveva sperato che fosse lì per lui, si era pure spinto a pensare che volesse chiedergli di uscire, ma che cosa stupida, in fondo quasi tutti in quel periodo andavano da lui per lo stesso motivo.

“Cosa ti serve erba, persiana, coca…”

Simone lo guardò sorpresa mentre snocciolava con aria esperta nomi di varie droghe, sembrava che avesse un intero stabilimento di roba da vendere, ma lo bloccò prima che arrivasse alla fine.

“No no no. Non sono qui per avere una dose. Io sono la ragazza di Joe Perry. Ecco vedi è da qualche tempo che ha deciso di smettere, e io lo voglio aiutare, gliel’ho promesso, ed è per il suo bene. So che lui fino a qualche giorno fa veniva da te a prenderla. Beh… vorrei chiederti di smetterla di vendergliela se venisse di nuovo qui a cercarla.” Pregò i numi del cielo che lui non scoppiasse a ridergli in faccia, si sarebbe sentita esageratamente in imbarazzo, senza contare che già si sentiva ridicola per avere fatto una richiesta del genere ad uno che nemmeno conosceva. Figurarsi se uno spacciatore avrebbe mai accettato di rinunciare ad un cliente sicuro e redditizio come Joe. Eppure il ragazzo rimase in silenzio. Era un buon segno, probabilmente.

“Dunque fammi capire, vorresti che io non vendessi più niente al tuo fidanzato perché vuoi aiutarlo a smettere giusto? Bene posso anche farlo…”

Simone era speranzosa, magari avrebbe accettato sul serio senza porre ulteriori condizioni. Poi la fatidica domanda arrivò e lei ripiombò nella realtà “ … ma cosa ci guadagno in cambio? Cosa mi offri?” restava sempre e comunque un uomo d’affari, e qualcosa doveva pure ricavarci da uno scambio del genere.  Stavolta rimase lei in silenzio, ma perché non sapeva cosa dire. Nell’architettare il suo piano d’azione non aveva minimamente pensato a cosa avrebbe potuto offrirgli. O meglio, eccome se ci aveva pensato, la sua unica soluzione era sempre stata un assegno con su qualche soldo che aveva da parte, che era poi molto ma sempre e comunque molto più di quello che uno come Stradlin era abituato a vedere normalmente. Eppure aveva sperato che lui avrebbe accettato senza porre condizioni, questo sempre seguendo il suo spirito di generosità che follemente pensava possedesse la maggior parte delle persone in questo mondo. Deglutì, non era intimorita ma in quel preciso istante un flash attraversò i suoi pensieri: lui avrebbe potuto farle di tutto in quel momento se non gli fosse piaciuta la risposta, in fin dei conti che ne sapeva sul suo conto? Non lo conosceva nemmeno quel tanto che bastava per potere formulare un rapido giudizio su come avrebbe potuto reagire sentendola parlare. Di nuovo, si sentì stupida ad essersi presentata lì sola e con un’idea del genere, non era da lei ma d’altronde se aveva agito così era solo perché era spinta dall’affetto per Joe.

“Sai avrei dei soldi da parte. Certo non sono una fortuna ma se ti andasse bene potrei darti quello che ho.”

Izzy la guardò immobile. Ma che diamine di ragazza era quella? Bella, fidanzata con una star, probabilmente aveva anche il mondo ai suoi piedi e dove andava a finire? Da lui a chiedergli di smettere di spacciare droga al suo uomo in cambio dei suoi risparmi. Pazza. Non sembrava così ingenua a prima vista, eppure c’era un certo candore nelle sue azioni, nel suo modo di fare che gliela facevano stare simpatica. In effetti, non li voleva nemmeno i suoi soldi ora che ci pensava bene. Apprezzava il coraggio e la determinazione che l’avevano portata a compiere quel gesto altruista, chiederle qualcosa in cambio lo faceva apparire solo un gretto materialista egoista, e lui non era assolutamente così.

“Senti, ci ho pensato su … Accetto. Lo faccio e basta.”

Simone spalancò i suoi occhi blu incredula. “Davvero?! Cioè, senza niente in cambio?”

“Davvero, senza niente in cambio.” Rispose calmo lui.  

“Oh ma è magnifico! Sul serio! Non sai quanto ti sia riconoscente!” esclamò Simone entusiasta prendendogli la mano non riuscendo a contenere la sua gioia, ma lasciandola andare subito per timore di avergli dato fastidio. Non era suo amico, se lo doveva ricordare.

Ad Izzy ovviamente non era per niente dispiaciuto quella stretta, il contatto con la pelle morbida della ragazza era stato piacevole. Come anche era piacevole la sensazione di avere fatto una buona azione per lei, chissà magari un giorno sarebbe tornata utile.

“Sì. Beh adesso devo tornare dagli altri ragazzi, abbiamo del lavoro da continuare.”  

Si girò per andarsene quando Simone lo richiamò: “Hey!”

Si girò e si trovò le braccia della ragazza strette attorno al collo, “Grazie.” Gli disse all’orecchio prima di staccarsi da lui e salutarlo vedendolo andare via verso il garage. Non sapeva perché lo aveva abbracciato, era stato un gesto impulsivo, anche se non rappresentava nessuno per lei sentiva di potersi fidare, sperava che lui non ne avesse avuto a male.

Quando vide la sua figura smilza scomparire dentro il garage, fece dietrofront avviandosi lontano da lì.

Mentre Izzy percorreva la breve distanza verso la porta del garage cercò di imprimersi nella memoria ogni singolo istante di quell’abbraccio: il profumo di lei, la sua stretta decisa ma delicata, la sua voce, la sensazione di avere un corpo così perfetto tra le braccia. Non sapeva se gli sarebbe mai più capitato, forse nemmeno l’avrebbe mai più vista e non voleva assolutamente dimenticarlo. Era una ragazza a posto, un po’ ingenua ma con la testa sulle spalle. E si vedeva che voleva bene all’uomo che aveva accanto.

“Joe Perry sei un uomo maledettamente fortunato.” Quello fu l’ultimo pensiero che fece prima di tornare dai suoi amici per dedicarsi alla sua musica e alla realizzazione del suo sogno. 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** WHEN ROMEO MET JULIET: L’Incontro ***


Simone camminava a passo spedito in stato euforico. Era incredibilmente contenta che il ragazzo avesse accettato la sua richiesta. Sapeva perfettamente di non avere certo risolto magicamente tutti i problemi di Joe in quel modo, la strada era ancora lunga, ma impedire che gli venisse venduta droga era già un buon inizio. Il suo sesto senso le diceva che Stradlin avrebbe rispettato l’accordo, anche se aveva tutto da perderci. Era anche vero che comunque non era l’unico spacciatore della città, se proprio avesse voluto, Joe avrebbe trovato sicuramente qualcun altro da cui rifornirsi, ma lei sperava dal profondo del suo cuore che non lo facesse. In fin dei conti aveva esternato la sua reale intenzione di chiudere definitivamente con tutta quella roba, era un impegno che si era preso non solo per se stesso ma anche nei confronti della band. Era una strada che avevano deciso di percorrere uniti. Se fossero usciti insieme da quel circolo vizioso di droghe in cui erano entrati quindici anni prima, se tutto il gruppo avesse lottato compatto, ne sarebbero venuti fuori ancora più  forti, pronti per ricominciare e fare il botto. E non era solo una questione personale, fattore che avrebbe contribuito già da solo a mettere Joe di impegno nel perseguire il suo scopo, era uno testardo, quando si fissava su un obiettivo lo doveva raggiungere ad ogni costo. L’aveva promesso anche a lei, era convinto, seriamente convito di smettere ed era anche per quello che Joe aveva messo da parte il suo orgoglio per chiederle aiuto e sostegno lungo quel difficile percorso verso la libertà. Per tutti quei motivi, ognuno più che valido, Simone era sicura che lui non avrebbe cercato di ricascarci, ma in ogni caso era meglio prevenire che la droga andasse direttamente da lui, perché si sa, gli spacciatori se ne fregano di tutto se non dei soldi e della droga stessa. Più pensava a Stradlin, al suo atteggiamento, al suo sguardo, alle sue poche parole, più credeva che le sue sensazioni su di lui fossero corrette. Poi, in mezzo a quei pensieri seri, si ricordò della musica che aveva sentito suonare ai due chitarristi e alla voce incredibile di quel rosso che cantava con una tale energia che avrebbe potuto disintegrare un muro. Ne era rimasta positivamente colpita. Forse suonavano in giro, sarebbe stato carino andarli a vedere una sera con le sue amiche, così tanto per cambiare, magari erano anche bravi, insomma dal primo ascolto promettevano bene. Sì avrebbe potuto farlo, perché no? In fondo andarli a vedere non presupponeva che dovesse per forza riparlare con quel ragazzo, o avere qualche rapporto con loro. Avrebbe tenuto d’occhio i flyer che le band distribuivano per strada, magari li avrebbe ribeccati prima o poi. Simone era così presa dalle sue elucubrazioni che non si era resa conto che stava camminando praticamente senza direzione, così all’improvviso si fermò in mezzo al marciapiede guardandosi intorno con aria interrogativa e realizzò che quella non era la strada da cui era arrivata. Fantastico, si era persa per quelle vie tutte uguali perché si era persa nei suoi pensieri. Era una cosa che le accadeva spesso, staccarsi dalla realtà con la testa e vagare lontano con la mente, era una cosa piacevole, ma non in quel momento e soprattutto non in quel posto. C’erano pochissime persone in giro in quella strada secondaria e non sembrava sicuro avvicinarsi a nessuna di loro per chiedere informazioni. Rimase ancora un attimo ferma a guardare i passanti scartandone uno ad uno mentalmente fino a che non sentì dei passi avvicinarsi dietro di lei.

“Hai bisogno di aiuto?” si sentì chiedere da una voce maschile, sembrava un tono gentile, sperava che lo fosse sul serio. Quando si girò si trovò davanti un ragazzo alto, una pertica più che altro e dire che lei non era certo bassa, coi capelli lunghi e ossigenati. Aveva davvero l’aria gentile come aveva pregato che fosse. Più precisamente ora che ci faceva caso i capelli erano bicolor, ossigenati e neri vicino al collo, strano ma nemmeno più di tanto, era abbastanza in voga il bicolor tra i punk, era un vezzo ribelle che alcuni si concedevano in alternativa alla cresta da moicano, o perché no, con la cresta da moicano. In effetti da come era vestito sembrava proprio un punk, pantaloni di pelle nera aderentissimi, chiodo nero e una maglietta bianca con stampata la famosa immagine di God Save The Queen. E aveva al collo anche una catena con un lucchetto, degna di Sid Vicious. Dopo tanto tempo, così lontano da casa sua, Simone aveva finalmente trovato un suo simile. E si sa, tra simili l’intesa e la solidarietà sono immediate.

“Credo di essermi persa.”

Lui la guardava dall’alto del suo metro e novanta, quella Simone pensava che fosse l’altezza del ragazzo più o meno, ma forse era anche più alto. I  suoi occhi verdi in quel momento le sorrisero “Sì è abbastanza normale qui, sono vie tutte uguali, anche a me all’inizio capitava di confonderle e perdermi a cento metri da casa! Se vuoi ti posso accompagnare, io sto andando sul Sunset.”

“Oh sarebbe perfetto, anche io stavo cercando di arrivarci!”  continuava a ringraziare la sua buona stella di non averle fatto incontrare nessuno squilibrato in quella situazione. Si chiese però da dove venisse, nemmeno lui sembrava originario di lì, sembrava più europeo che americano e poi aveva un accento strano.

“Dai seguimi, sai una volta che impari la strada giusta poi non ti sbagli più, diventa facile orientarsi qui, è fatto tutto a reticoli paralleli tra loro che portano sempre al Sunset Boulevard.”

“Sì me ne sono accorta, è un po’ come quel vecchio detto che dice ‘tutte le strade portano a Roma’ non so se hai presente”

“Certo che ho presente! Si dice anche che Roma non sia stata costruita in un giorno …”

“Sì, beh, quello però non centra molto …” si mise a ridere, era stato carino a fare quel tentativo di citare un antico detto, anche se era del tutto fuori luogo.

“Vero… ma senti tu di dove sei? Non mi sembri una losangelina.”

“Infatti, sono di Londra. Mi sono trasferita qui qualche anno fa per lavoro. Tu invece? ”

“Oh io sono di Seattle, qui sulla costa ovest,  su a nord.”

“Sul serio? Avrei detto che fossi europeo.” Il tono di Simone sembrava piuttosto deluso, era convintissima che non fosse americano, e invece lo era. Chissà perché poi ci era quasi rimasta male. Il ragazzo parve notare quel piccolo disappunto perché si affrettò ad aggiungere che aveva origini irlandesi. “Mio nonno era di un piccolo paese vicino a Dublino.”

“Davvero? E come fai di cognome?”

“McKagan.”

“Sì,decisamente irlandese!”

“A proposito non mi sono presentato, Duff.”

“Duff?”

“Sì mi chiamo così.” Guardò la ragazza che sembrava piuttosto stupita. “Cioè in realtà mi chiamo Michael, però tutti mi chiamano Duff da sempre, sai una vecchia storia, per niente interessante.”

“Beh, piacere Michael detto Duff. Io sono Simone, un giorno se vorrai, mi farebbe piacere ascoltare quella vecchia storia.” E un sorriso spontaneo le irradiò di nuovo il viso e gli occhi. Duff non poté fare a meno di notare  quanto fosse eccezionalmente bella. Una ragazza così,  sbucata dal nulla come una fata non succedeva tutti i giorni e lui aveva avuto la fortuna di incontrarla.  

“Ma in verità non è nulla di speciale è che nella mia via noi bambini ci chiamavamo praticamente tutti Michael, anche il mio migliore amico, così suo nonno per distinguerci, mi affibbiò questo soprannome, e da lì in avanti mi han sempre tutti chiamato così da che mi ricordi.” Lei rimase in silenzio così Duff si affrettò a riempirlo con le sue parole: “Vedi? Te l’ho detto che non era interessante.”

“Ma no perché, è carina invece!”  gli rispose lei gentilmente, sembrava lo pensasse seriamente, ed in effetti era così.

“Tu invece hai un nome particolare, non l’avevo mai sentito in giro, Simone, è inglese?”

“Francese. Lo scelse mia madre, mi ha chiamata come una delle sue filosofe preferite, Simone de Beauvoir, non so se la conosci, la compagna di Sartre … esistenzialisti di inizio novecento …  la rive gauche … no eh?” il viso di Duff si era praticamente trasformato in un enorme punto interrogativo, probabilmente non li aveva mai sentiti nominare. Così saggiamente rinunciò ad approfondire il discorso, non pretendeva che tutti sapessero chi fossero Sartre e Simone de Beauvoir. “Vabbé non fa niente,” rise lei “l’importante è che tu sappia che è francese, fosse stato per mio padre mi chiamerei Maggie …”

“No Maggie no!Ti sta benissimo quello che hai, è particolare, solo una su un milione ce l’ha, e tu sei quella!”  il ragazzo la interruppe con così tanta foga che sembrava essersi preso a cuore l’importanza del suo nome, quasi fosse dipeso da lui la scelta finale. Realizzò che forse poteva essere sembrato un po’ esagerato ma prima che potesse dire qualsiasi cosa si accorse che erano praticamente giunti a destinazione sul Sunset Boulevard. Avevano fatto in fretta, peccato, perché avrebbe voluto un sacco restare ancora con lei. Simone sembrò leggergli nel pensiero quando gli propose di offrirgli il pranzo per sdebitarsi per l’aiuto che le aveva dato. Ovviamente Duff accettò con grande entusiasmo, non si sarebbe mai lasciato sfuggire un’occasione del genere, un po’ perché aveva fame sul serio ma non aveva soldi per permettersi nemmeno una brodaglia alla tavola calda,  un po’ perché era appena stato esaudito il suo desiderio, sarebbe stato veramente da stupidi dire di no ed andarsene. 

“Ordina pure quello che vuoi non farti problemi!”  disse Simone guardando Duff che scrutava piuttosto indeciso e con l’aria preoccupata il menù del ristorante.  Era un posto carino, arredato spartanamente con mattoni a vista e tovaglie a quadri bianchi e rossi, una cosa molto tradizionale che sembrava provenire da posti come Parigi o Roma. ‘Chissà quanto costano le cose qui!’ Effettivamente anche i cibi elencati ordinatamente sulla carta erano piuttosto europei ‘spaghetti al ragù’ lesse Duff e la prima cosa che gli venne in mente fu pensare alla scena di Lilli e il Vagabondo quando i due innamorati cenano dallo stesso piatto e finiscono per darsi un bacio per via di uno spaghetto. ‘magari…’ pensò il ragazzo immaginandosi la scena di lui e quella magnifica ragazza che aveva di fronte che finivano per baciarsi in quel modo goffo e romantico come nel cartone animato. 

“A cosa stai pensando?”

“A Lilli e il Vagabondo!” la risposta di Duff fu spontanea e immediata ma con la stessa rapidità con cui l’aveva data avrebbe voluto sotterrarsi sotto sei metri di terra e non riemergere più.  ‘Ma che cavolo…? Sei pirla? Lilli e il Vagabondo?? Duff ripigliati per favore fai l’uomo!’ Simone stava ridendo divertita e questo fece sentire Duff ancora più idiota.

“Sai che l’ho pensato anche io la prima volta che ci sono venuta? Colpa delle tovagliette” rispose la ragazza con l’aria felice di chi ricorda un bel momento.
Alla fine ordinò lei per entrambi perché fosse stato per Duff avrebbe preso solo un’insalata scondita, da vero coniglio che si rispetti,  si vergognava un po’ a prendere piatti costosi e far pagare tutto a lei.  Normalmente non si faceva di questi scrupoli, se una ragazza appena incontrata lo invitava a cena o a casa sua era ben lieto di sfruttare fino all’osso l’ospitalità del gentil sesso, in tutti i sensi. Ma in questo caso era un po’ diverso, non voleva apparire per lo scroccone che non era, avesse avuto lui i soldi l’avrebbe portata nel posto più lussuoso della città e trattata da signora. Ma purtroppo non li aveva, così era lì pensare quanto il caso fosse stato generoso a fargli incontrare quella ragazza.

“Dimmi un po’ Michael…” Simone scosse la testa autocorregendosi, non riusciva mai a chiamare per soprannome le persone che conosceva appena, “scusa, Duff,  quello sarebbe un omaggio a Sid Vicious?” Simone accennò con un dito al lucchetto che il ragazzo portava al collo, lucido metallo pesante che si intravedeva attraverso lo scollo della maglietta che indossava.

“Questo? Oh sì certo, sì. Ma come hai fatto ad indovinare?” chiese il ragazzo stupito e allo stesso tempo ammirato.

“Beh te l’ho detto che vengo da Londra no? È piuttosto conosciuto laggiù. E poi … mi piace Sid Vicious.”

“Ti piace Sid Vicious?!”

“Certo! Anche se in realtà adoro Joe Strummer.”

“Ma anche io! Decisamente! È il mio mito!” fece Duff entusiasta. Non capiva più niente, prima incontrava quella bellezza, poi scopriva che era pure simpatica e addirittura venerava il suo
stesso cantante!

Passò tutto il pranzo frastornato, con un misto di euforia e incredulità, più parlavano più era affascinato da Simone. Era troppo bello per essere vero,  ora si sarebbe svegliato e si sarebbe ritrovato sul suo materasso nel suo misero appartamentino da quattro soldi che divideva con Izzy con una racchia al fianco, come era tipico suo, sognava le top model e si faceva le cesse. Eppure quello non era per niente un sogno, era vero che le piacevano il punk e i film in bianco e nero, che suonava la batteria si stava appassionando di football americano, proprio come lui.  Ed era ancora più assurdo che una ragazza del genere, che sembrava così a modo, istruita e di classe, qualità che non ostentava in nessun modo, stesse lì a parlare con un poveraccio come lui, cosa che era chiara a chiunque bastava guardarlo per capire che non navigava nell’oro.  Erano di due mondi diversi ma avevano così tanto in comune e questa era una cosa che lo faceva sentire quasi come ubriaco.  Non avrebbe voluto che quel pranzo finisse più, doveva assolutamente convincerla ad andare con lui da qualche parte dopo, ma dove? La sua fantasia si era bloccata di colpo e così gli venne in mente da dirle la cosa più banale del mondo “Ti va un caffè?”. 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** BAND OF BROTHERS: Romeo e l’identità di Juliet ***


Fu così che andarono in un posto che Duff conosceva lì vicino, che a detta sua faceva dei buoni caffè da asporto, così avrebbero potuto fare quattro passi in quel primo pomeriggio di primavera. Il tempo era così mite che era un peccato perderselo chiusi in un locale. C’era un leggero venticello fresco che soffiava dall’oceano che anticipava le belle giornate estive che presto sarebbero arrivate a surriscaldare la città. Quella era l’ora in cui i liceali uscivano da scuola e riempivano le strade con le loro biciclette o affollavano le panchine ai lati dei marciapiedi in attesa degli autobus che li riportassero a casa. I due ragazzi onde evitare di essere travolti  da un’orda di quattordicenni in arrivo e in corsa verso non si sa quale meta, si soffermarono davanti ad una vetrina che esponeva riproduzioni di quadri di artisti famosi e si misero a parlare di quelli che erano più e meno belli aspettando che passassero tutti. Si vedeva che Duff non ne capiva niente ma era lì fermo a guardarli, quasi pendeva dalle labbra di Simone che rispondeva gentilmente alle domande del ragazzo, le piaceva parlare con lui, sembrava non si annoiasse mai, proprio come lei, erano proprio sulla stessa lunghezza d’onda. Lui era probabilmente la prima persona vera che conosceva lì a Los Angeles da quando era arrivata, a parte le tre o quattro amiche che aveva lì in città, ma che comunque aveva conosciuto attraverso il suo lavoro e con le quali passava la maggior parte del tempo quando non stava con Joe. Non sapeva che cosa facesse Duff nella vita, non glielo aveva chiesto, e nemmeno lui sapeva chi fosse lei, era evidente, ma in fin dei conti era meglio così, rendeva tutto più facile. Riusciva a comportarsi più liberamente quando si rapportava con persone che non la conoscevano, non doveva per forza tenere le distanze o fingere di essere altro da sé stessa e questo non poteva che farle piacere. Mentre si stavano muovendo per spostarsi un ragazzino in skateboard passò come una saetta accanto a Simone urtandola in pieno. In un attimo la maglietta bianca di Duff divenne grondante di caffè con grande mortificazione della ragazza. Ci fu uno scambio confuso e tempestivo di parolacce e imprecazioni tra i due ragazzi seguita da una serie di scuse di Simone che parevano non finire più, era terribilmente imbarazzata nonostante non fosse stata colpa sua e Duff non ce l’avesse per niente con lei.

“Senti ti porto la maglietta in tintoria te la faccio tornare come nuova promesso!”

“Ma non serve Simone sul serio, cosa vuoi che sia un po’ di caffè?”

“Duff fammi rimediare a questo disastro.” Disse lei indicando la tshirt che era diventata marrone e che in breve avrebbe iniziato a puzzare di caffè stantio. “Per favore.” Gli chiese con uno sguardo supplichevole a cui nemmeno un assassino avrebbe saputo resistere. Così il ragazzo cedette ed entrò nel primo negozio che trovò per andare in bagno a togliersi la maglia e metterla in un sacchetto di plastica che si era fatto dare dal commesso. Si mise su il giubbotto di pelle e ne chiuse la zip fino al collo, per non far vedere che sotto era senza niente, così nessuno avrebbe notato nulla e non ci sarebbero state domande sconvenienti.

“A che indirizzo te la faccio recapitare?”

“Come?” Duff fece il finto tonto, non gli andava di dirle in che posto abitava, voleva evitare di farle credere che era  più ridotto male di quello che già forse pensava da sola.

“Te la faccio inviare no? O preferisci venire tu a prenderla da me?”

“Oh beh non saprei…”

“Senti decido io per te ok?” Simone risoluta cercò una penna nella sua borsa e prese il polso del ragazzo iniziando a scriverci sopra in una precisa ed arrotondata calligrafia. “Questo è il mio indirizzo di casa e qui c’è il numero di telefono, OK? Vieni da me tra un paio di giorni sarà sicuramente pronta. Magari dammi un colpo di telefono prima così ci mettiamo d’accordo sull’ora, per te va bene?”

Il ragazzo annuì imbarazzato leggendo l’indirizzo, Melrose Avenue,  sì era decisamente una ragazza fuori dalla sua portata.

“E guarda che se nei prossimi giorni avrò visite da ladri o riceverò strane chiamate sarai il primo nome che darò alla polizia, non credere che non lo faccia!” aggiunse lei con fare così serio e convinto che sulla faccia di Duff si dipinse un’espressione preoccupata. “Dai che sto scherzando! So che non succederà niente!” e gli fece l’occhiolino.  Poi diede un’occhiata rapida all’orologio e per poco non trasalì.

“Oddio sono in ritardo per un appuntamento! Scusami Duff devo scappare, è stato un piacere stare con te! Allora ricordati di chiamarmi per dirmi quando vieni eh! Ci vediamo presto!”  si alzò in punta di piedi e gli diede un leggero bacio sulla guancia prima di scappare via verso il primo taxi libero che aveva adocchiato, senza nemmeno lasciare al ragazzo il tempo di rispondere. In un attimo se n’era andata, con la stessa rapidità con la quale l’aveva trovata, lasciandolo lì impalato da solo a guardare la macchina gialla perdersi nel traffico finché non scomparve. Decise di tornare a casa a mettersi qualcosa addosso, anzi avrebbe fatto di meglio sarebbe passato dai ragazzi a fare oretta di prova, era quello di cui aveva più voglia in quel momento. Dopotutto era proprio mentre stava andando da loro che aveva incrociato Simone. Mentre camminava continuava a ripetersi a memoria il numero di telefono e l’indirizzo della via, come fosse un mantra, così anche se si fosse cancellato dalla mano non avrebbe avuto problemi a ricordarselo, sapeva che anche se l’avesse scritto su un pezzo di carta sarebbe andato perso tra le mille scartoffie e fogli scarabocchiati di semi testi che si accumulavano sul tavolo di lavoro della band.

Quando entrò nel garage di Gardener tutti e quattro i suoi compagni erano ammucchiati su un divanetto sfondato, intenti a guardare una rivista, probabilmente si trattava di Playboy, non esisteva nessun altro giornale che li avrebbe tenuti così tanto assorti. Sentiva qualche commento di apprezzamento che Steven e Slash esprimevano guardando le pagine, quasi alternandosi tra loro.

“Ciao ragazzi!” salutò tutti quanti con un bel sorriso stampato in faccia, usando un tono molto più enfatico del necessario.

“Duff! Ma dove eri finito? Ti aspettavamo più di tre ore fa, stavamo iniziando a darti per disperso!” fece Axl alzando gli occhi da quello che stava guardando. “Hey ma che è quella faccia?
Hai un’espressione di chi potrebbe morire felice all’istante! Che ti è successo?”

“Avrà incontrato una ragazza cosa vuoi che gli sia successo Axl! Ha sempre quella faccia da beota quando ne vede una bella!” fece Slash senza degnarlo di uno sguardo.  

“Hey guarda che ne frequento tante di  ragazze belle!” Duff era piuttosto scocciato da quell’affermazione.

“Sì però ti fai solo i cessi!” tutti i ragazzi scoppiarono in una risata corale, alla quale si unì suo malgrado anche il biondo, sapeva che quella battuta sarebbe arrivata puntuale come un orologio, non mancavano occasione per ricordarglielo.

“Comunque ha ragione Slash ho incontrato una ragazza. Ma non una qualunque, no questa era proprio speciale, bella è dire poco. Era fantastica, una fata praticamente, alta, capelli castani lunghissimi, due occhi blu quasi irreali e pure simpatica e…”

“Era per caso questa?” Steven ingenuamente girò il giornale verso il biondo che per poco non ebbe un mancamento. Andò verso l’amico e glielo strappò di mano iniziando a sfogliarlo con avidità e stupore. Un primo piano del viso di Simone, gli occhi blu che penetravano la pagina, Simone sul lungomare con un abito da sera nero, Simone in spiaggia con jeans e camicia, Simone che indossava abiti dei più belli e costosi in circolazione per una decina di pagine. Dieci foto che lo avevano stordito tremendamente. Era proprio lei la ragazza che aveva incontrato eppure sembrava anche così diversa, se possibile ancora più bella.

“Hey ragazzi diamo al biondo una bacinella per raccogliere la bava, che fra poco allaga la stanza!” disse ridendo Slash.

Duff non lo ascoltò, guardò invece la copertina della rivista che aveva in mano, Vogue. Era una modella allora, e nemmeno una qualsiasi se Vogue le dedicava quasi un intero portfolio e la copertina. E lui ci aveva appena passato insieme del tempo, lui! Si sentiva … nemmeno lui sapeva spiegare come si sentiva, lusingato, incredulo, era tutto così pazzesco.  

“Ma voi come facevate a sapere che era proprio lei?”

“E’ passata di qui prima, cercava Stradlin.” Fece Axl rivolgendo un gesto d’intesa ad Izzy.

“Ah sì? E che voleva da te?” chiese Duff tradendo un filo di gelosia nel tono in cui aveva posto la domanda.

“Ma niente, mi ha chiesto un consiglio su una chitarra.” Fece con nonchalance Izzy, cercando di liquidarlo nel più breve tempo possibile. Non gli andava di spiegare cosa era andata lì a fare sul serio la ragazza, era una faccenda tra loro due, e sperava che gli altri si bevessero quella storia senza fare troppe domande.

“Scusa lei è venuta a chiedere un consiglio su una chitarra a te?!” Duff era scettico.

“Sì è venuta da me, si vede che sa riconoscere chi se ne intende! Del resto però non mi stupirei così tanto, visto che è stata capace di passare del tempo con te …”

“Oh è una gran figa eh! Me ne sono ricordato io di averla vista sul giornale!” gli disse Steven orgoglioso senza che centrasse niente in tutta la discussione.

“Facciamo un applauso a Steven che sennò ci smaronerà per il resto dei nostri giorni con questa storia!” implorò Slash agli altri, e finchè non si levò un piccolo coretto di “Braaavo Steven!” il biondino non fu felice ed appagato.

“Dì Duff..” disse Slash “Ma com’è che eri così sorpreso mentre guardavi le foto? Non ti ha detto chi era?” fece Slash curioso.

“No in realtà no, e nemmeno gliel’ho chiesto. Cioè ci siamo presentati ma non ci siamo detti cosa facciamo… non propriamente…”

“Però sei riuscito a portarti a casa il suo indirizzo e numero di telefono, sono suoi no? È la calligrafia di una ragazza questa!” disse Steven assumendo l’aria di esperto esaminando il braccio dell’amico. “Che cosa le hai fatto?” gli domandò ammiccando maliziosamente.

“Ma fatti i fatti tuoi e levami quelle zampe di dosso!” si scrollò Steven dal braccio e si tolse la giacca di pelle con l’aria corrucciata sbattendola sull’amplificatore del suo basso.

 “Duff scusa, dov’è la tua maglietta?” gli chiese Axl dando voce al pensiero comune dei ragazzi che lo guardavano con occhi sgranati. Erano abituati a starsene a petto nudo sul palco durante i loro concerti quando l’adrenalina scorreva a fiumi e il caldo raggiungeva livelli insopportabili, non durante il giorno in condizioni normali. Duff si era scordato che se l’era tolta per darla a Simone.

“Uh l’ho scordata…”

“S’è questa è bella, dove l’hai scordata? Magari da lei eh!” si azzardò a dire Steven.

“Sono fatti miei di dove l’ho messa,  bene?” disse rifilando uno scappellotto all’amico.

“Hey hey, siamo permalosi oggi McKagan eh?”

Duff fece un sospiro, stava reagendo nel modo sbagliato, che bisogno c’era di nascondere le cose a quelli che riteneva suoi fratelli? Così comportandosi avrebbe solo dato adito alle fantasie dei suoi non poco maliziosi amici. Ma a quello ci era abituato non gli importava molto, solo che avrebbe contribuito a mettere in cattiva luce la ragazza, e  questo non gli andava giù. Così si mise a raccontare l’intera storia ai ragazzi, dall’inizio, così avrebbero avuto il quadro chiaro della situazione e avrebbero smesso di fare domande.

“E così ti sei innamorato della bella ragazza dagli occhi blu.” Concluse Axl che ben conosceva l’amico. Riconosceva che era caduto come una pera cotta per lei dal solo modo in cui ne parlava, era decisamente esaltato, sembrava fosse addirittura magica.

“Maddai Axl smettila, innamorato figurati… mi piace!” il biondo cercò di correggere il tiro, gli piaceva molto, era vero ma da lì ad essere innamorato ne passava di acqua sotto i ponti, anche se già si figurava con Simone a passeggiare mano nella mano. Faceva sempre fantasie dolci e amorevoli con le ragazze che gli interessavano davvero. “E poi la conosco solo da qualche ora, cosa vuoi che sia già cotto?”

“Se se, vedrai che il tempo mi darà ragione, ti conosco troppo bene!” replicò il rosso con un sorriso furbetto.

“E’ fidanzata con Joe Perry, fossi in te ci starei attento a invaghirmi troppo di lei.” disse laconico Izzy, come se fosse la voce della ragione sbucata dal nulla.

Quella rivelazione spense ogni entusiasmo in Duff come una gettata d’acqua gelida sul fuoco. “Fidanzata?”

“Sì e con questo non ti sto dicendo che non devi avere alcun rapporto con lei o non devi provare alcun sentimento, però fossi in te sarei cauto, non vorrei che poi ci restassi male.” La preoccupazione di Izzy era sincera, conosceva anche lui Duff tanto quanto Axl, sapeva come si faceva prendere facilmente dalle emozioni e quanto amasse le sfide, ma in quel caso giocare col fuoco poteva essere molto rischioso, soprattutto perché si ricordava l’ultima volta che il biondo aveva sofferto per una ragazza di cui per di più non era nemmeno troppo preso. Il fatto era che Duff era una persona troppo buona ed onesta e spesso veniva fregato, soprattutto dalle donne e in amore.

“Beh ma tanto mica pensavo che mi sarei mai messo con lei, figurati Izzy!” Duff ricevette un’occhiata non troppo convinta dal moretto. ‘maledizione non posso mai dirgli una bugia, mi conosce troppo bene!’ sospirò “Va bene, prometto che ci starò attento, contento?”

“Guarda che non devi fare contento me, lo sto dicendo per te, poi lo sai, sei libero di fare quello che ti pare, non ti fermerà nessuno, men che meno io.”

Duff si abbandonò con un tonfo sul divanetto di fianco all’amico, per interiorizzare tutte le informazioni che aveva appena ricevuto. Seguì l’esempio di Izzy e si accese una sigaretta, in silenzio iniziò ad espirare una boccata guardando il fumo caldo che si alzava lento verso il soffitto. Ricapitolando: aveva incontrato Simone e gli piaceva. Simone era una modella famosa e lui era un emerito nessuno. Simone era fidanzata con un musicista più che famoso e lui continuava a restare nessuno. Ma lei gli piaceva. E l’avrebbe rivista sicuramente almeno una volta e poi mai più, però non era detto … ma decise che pensarci in quel momento era del tutto inutile e prematuro, come del resto lo era la preoccupazione di Izzy. Avrebbe lasciato tutto nelle mani del destino, soltanto quello avrebbe scelto cosa ne sarebbe stato di lui e di Simone, solo promise a se stesso che avrebbe fatto di tutto per restare coi piedi per terra. 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** THEN HE MET HER AGAIN ***


“Melrose Avenue incrocio con North La Jolla Avenue, un piccolo condominio di villette a schiera di due piani, giallo. Melrose Avenue incrocio con North La Jolla Avenue, un piccolo condominio di villette a schiera di due piani, giallo.” Duff camminava lungo La Ciniega con andatura da maresciallo, come se fosse in un ritardo pauroso quando in realtà era più che in anticipo. Izzy si era rifiutato di prestargli la macchina perché con una scusa ridicola aveva detto che serviva a lui, anche se Duff sospettava che in realtà stesse solo cercando di evitare che andasse dalla ragazza, aveva visto che sguardo gli aveva tirato Izzy quando aveva detto euforico “Oggi finalmente vedo Simone!”. Sembrava quasi che fosse preoccupato, ‘ma preoccupato di che?’ Si domandava Duff senza trovare risposta. Così aveva deciso di partire prima di casa per il semplice motivo che non sapeva quale fosse il posto esatto in cui lei abitasse. Certo al telefono la ragazza glielo aveva descritto così accuratamente che sarebbe stato impossibile non trovarlo.

“L’ingresso ad arco contornato da due grandi bouganvilles rosa. Non c’è il numero civico, se entri trovi un patio con piscina, facciamo che ti aspetto lì così è più veloce.” ‘Ti aspetto in piscina’ a sentire quelle parole era del tutto rincitrullito, già aveva iniziato a farsi chissà quali film mentali di come l’avrebbe trovata, o avrebbe voluto trovarla, seduta ad accoglierlo. Avrebbe indossato un super costumino sexy? Sarebbe stata in shorts che avrebbero lasciato scoperte quelle splendide gambe che aveva? Aveva guardato così tante volte le foto del giornale che aveva trovato Steven che quasi le aveva consumate, le conosceva a memoria, avrebbe potuto descriverle ad occhi chiusi. Ora che stava andando da lei si chiese che effetto le avrebbe fatto vederla dal vivo. Forse in quei giorni aveva fantasticato un po’ troppo finendo per idealizzarla. Dopotutto a Duff non ci voleva altro che un battito di ciglia per far diventare la più semplice delle ragazze una principessa, però in questo caso era più che lecito. Giunse rapidamente ad imboccare la strada giusta e bastò poco per trovare il condominio di Simone. ‘Quanto piacerebbe anche a me vivere in un posto del genere … avessi i soldi mi prenderei pure una bella villa e la porterei su a Laurel Canyon, così potremmo fare ogni sera l’amore sotto le stelle ed avere Los Angeles ai nostri piedi.’

‘LA porterei, potremmo, nostri … fare l’amore?!? Hey amico rallenta! Che credi di fare? Dove vuoi andare? Stai solo per prenderti la tua insignificante maglietta che lei è stata così gentile da pulirti, sennò l’avresti dovuta buttare! Ed è fidanzata idiota!’ la parte razionale del suo cervello si era fatta viva con prepotenza. Era sempre così, finiva per essere combattuto tra il sentimento e la ragione e poi finiva per fare casini assurdi. No, ma la razionalità era nel giusto questa volta, non aveva di che pensare a Simone se non come ad una ragazza gentile che aveva conosciuto per caso e che per caso avrebbe smesso di vedere. Ecco quella era la giusta cosa da fare, perché come il suo saggio amico Izzy aveva detto, mettersi in mezzo tra Simone e Joe non avrebbe portato a nulla di fruttuoso. ‘Certo che per chiamare Izzy saggio devo essere messo proprio male…’ Duff scosse la testa riprendendosi. Guardò l’orologio: l’una e mezza, era in anticipo di mezz’ora. E adesso? Cosa doveva fare, stare lì fuori, entrare ed aspettare dentro, andare a farsi un giro e tornare?  Sentiva delle persone parlare e della musica provenire dall’ingresso e fu incuriosito dal volume oltremodo alto per quell’ora. ‘Forse, anche se entro a dare un’occhiata non succederà niente, non faccio male a nessuno.’

Così entrò nel foyer della portineria che al momento era vuota.  Il vociare era sempre più forte, alternato da tonfi  sordi di chi chiaramente si era appena gettato in acqua. Per non parlare delle voce di Madonna che usciva dalle casse cantando Holiday. Effettivamente a vedere quello spettacolo di festa in cui si era trovato in mezzo sembrava davvero di essere in vacanza: c’erano ragazzi e ragazze in costume, profumo di barbecue nell’aria e un bel po’ di casse di birra ammucchiate all’ombra.  ‘Ma sono finito in paradiso?’ sembrava un po’ una di quelle festicciole che avevano luogo nel garage della band, solo un po’ meno sporca ed estrema, anche se il concetto era lo stesso.  Non vedeva l’ora di raccontarlo ai ragazzi, vivere in un posto del genere sarebbe stata una pacchia, scrivere a bordo piscina o sotto le palme circondati da belle ragazze che circolavano intorno offrendo birra gratis a tutti…

“Duff! Sei già qui?”

La voce allegra di Simone fece trasalire il ragazzo che era rimasto imbambolato a guardare la scena davanti ai suoi occhi. Si girò di scatto e la vide con in mano due grandi borse della spesa, era con altre due ragazze, probabilmente amiche.

“Scusa non ti aspettavo, pensavo arrivassi in più tardi…” disse la ragazza scusandosi.

“Tata, noi iniziamo ad andare in casa a sistemare le cose.” Le disse una delle due, una biondina che sarebbe piaciuta tanto a Slash.

Simone annuì col volto per poi tornare a guardare Duff. “Non ti devi scusare, sono io che sono arrivato in anticipo. Ma aspetta che ti aiuto con quei sacchetti, sembrano pesantissimi, dai qua. ” si affrettò a prenderglieli dalle mani nonostante le proteste della ragazza. 

“Dai vieni su …” Simone gli rivolse un sorriso imbarazzato di ringraziamento per poi fargli strada verso il suo appartamento. Era al secondo piano e si affacciava sul cortile interno, dei vasi di rigogliosi fiori rosa e gialli erano ai due lati della porta d’ingresso. “Hai beccato il giorno di festa, non è sempre così incasinato qui.” Gli disse riferendosi alla gente in giardino.

“Beh anche se lo fosse, non sarebbe così male no?” rispose lui entrando in casa e guardando quanto fosse carina, tipicamente femminile, con tutto al posto giusto, tutto in ordine, curato nei dettagli.

“No, in effetti non lo sarebbe.” Simone lo condusse fino in cucina e gli fece appoggiare le buste per terra vicino alle altre che avevano già portato su le sue amiche e che erano già intente a svuotare.

“Posso dare una mano?” chiese Duff, passandosi una mano tra i capelli, sentendosi chiaramente di troppo in quella cucina.

“Ma no lascia perdere, sistemeremo noi dopo … però tu sei qui per la maglietta, aspetta che te la vado a prendere, vieni.” Lo portò in salotto e lo fece accomodare su un divanetto bianco mentre lei scomparve nella sua stanza. Duff si guardò intorno, gli piaceva quella casa, era così familiare ed intima, si chiese chi avesse deciso come arredarla e provò a vedere se c’erano tracce della personalità di Simone in qualcuno di quegli oggetti. Proprio in quel momento lei ricomparve con un sacchettino, all’interno c’era la sua maglietta pulita e ripiegata con cura. “Alla fine l’ho lavata io non sono riuscita ad andare in lavanderia, spero non ti spiaccia, la macchia comunque è andata via perfettamente.”

“Grazie.” Fece lui con un filo di voce. Simone gli aveva lavato la maglietta, con le sue mani! Era incantevole! Beh magari non proprio con le sue mani però lei restava incantevole lo stesso.

“Posso offrirti qualcosa? Prometto che non farò danni questa volta!”

“Ma guarda non ce n’è bisogno, non preoccuparti.”

“Dai Duff con la camminata che ti sei fatto non ti va di bere nemmeno un po’ d’acqua?”

Come faceva a sapere che era venuto a piedi? Aveva l’aria così malconcia di uno che si è fatto una camminata sotto il sole? “Beh… ce l’hai una birra?”

Simone lo guardò un secondo stranita, ma si riprese in men che non si dica “Certo!” e scomparve in cucina lasciandolo di nuovo lì seduto da solo. ‘Certo che potevo anche evitare di chiedere una birra, così alle 2, avrei potuto fare la persona normale e non l’alcolizzato per una volta nella vita.’. Cambiò immediatamente idea nel momento in cui vide la ragazza arrivare con due birre in mano. “Eccole, belle fresche, una per te e una per me.” Gli porse una bottiglia fredda di frigorifero e si sedette di fronte a lui. “Cheers! Avevo proprio voglia di berne una anche io, sai le poche volte che ne prendo una mi guardano sempre come se fossi l’alcolizzata di casa.”  Gli disse ironicamente riferendosi alle sue coinquiline. ‘Beve birra con me alle due del pomeriggio, è fantastico.’ Duff iniziava a credere che fosse un’aliena, non era possibile che non avesse avuto niente da ridire, anzi. Di solito una persona normale, soprattutto una ragazza normale, si sarebbe limitata a guardarlo male per tutto il tempo, e invece. Notò che si era cambiata, quando l’aveva vista arrivare era vestita sportiva, invece adesso aveva una magliettina carina di lino bianco leggera, converse nere di pelle ‘le mie preferite’ pensò Duff e per coronare il tutto un paio di shorts di jeans che lasciavano scoperte la maggior parte delle sue belle gambe, proprio come aveva sperato che fosse. ‘non sarà in costume ma è favolosa lo stesso.

“Simo noi ci andiamo a cambiare, tu sei già pronta?” le chiese la ragazza bionda.

“Sì, fate pure con calma ragazze! Tanto non saranno mai puntuali.” Rispose lei, e bevve un sorso di birra con un’aria un po’ scocciata. “Sai andiamo a Santa Monica adesso, Tammy e
Kate hanno conosciuto due ragazzi che le hanno invitate fuori, dicono che siano la fine del mondo, uno addirittura è bellissimo a detta di Kate suonano, ma io non ho mica capito dove li hanno incontrati.”

“Beh gentili ad invitarle fuori no?” si chiese chi potessero essere, suonavano, magari bazzicavano nel suo stesso ambiente e li conosceva.

“Sì carinissimi, ma le ragazze vogliono che vada anche io… e si offendono se non le accompagno, perché dicono che non esco mai, però a me di fare il reggi moccolo tra due coppie non è che rallegri la giornata…” fece una pausa guardandolo bere per poi aggiungere distrattamente “Ti va di venire con noi?”

A Duff andò di traverso il sorso che stava bevendo tanto che la ragazza si affrettò a correggere le sue parole pensando che l’avesse presa male “Intendo se non hai niente da fare e ti va di passare un pomeriggio al mare, senza impegno eh, se ci stufiamo possiamo andare a fare un giro, cioè se ti stufi puoi andare via quando vuoi, non devi …”

“OK.”

“Sul serio?” sul viso di Simone si dipinse un’espressione di sollievo.

“Sì, sul serio. E’ da un po’ che non vado più al mare, oggi è una giornata perfetta per farlo.”

“Grazie.”

“Figurati, so cosa vuol dire essere il terzo incomodo, è una situazione orribile. E poi mi fa piacere passare del tempo con te.”

“Già … soprattutto quando ti obbligano ad esserlo, come in questo caso. Beh dopo allora ti presento le ragazze, Kate è quella bionda e Tamara è la brunetta. Ah, dettaglio, dobbiamo andare in autobus, la mia macchina al momento è dal meccanico e non abbiamo altri mezzi per muoverci. Spero non ti dispiaccia.”

“Ma no figurati!” dispiacergli? Ma mai nella vita! Se glielo avesse chiesto, sarebbe andato a Santa Monica pure in ginocchio! Era contento in un modo indescrivibile, aveva davanti un pomeriggio intero al mare con lei, per poco per l’emozione non si stava per strangolare da solo con la birra. E non era un pomeriggio con lei e le sue amiche intorno, era un pomeriggio con lei, perché le altre sarebbero state prese dai loro cavalieri! Non poteva sperare di meglio. Quando le due ragazze tornarono cambiate e pronte ad uscire avvennero le presentazioni di rito. Durante i 40 minuti di tragitto in autobus ebbe occasione di parlare un po’ con loro, erano carine, sicuramente anche loro modelle, ma non avevano quel quid in più che aveva la sua Simone. Scesero dall’autobus travolti da una calca di persone dirette in spiaggia, era insolitamente caldo in quel pomeriggio di maggio e le persone ne approfittavano per terminare la settimana con qualche ora di mare. Tanti si avviavano verso la spiaggia a piedi imbracciando una tavola da surf, altri gironzolavano placidamente in bicicletta sul lungomare chilometrico. Si avviarono verso all’ingresso del Santa Monica Pier, il famoso molo pieno di negozietti e col parco giochi che veniva immortalato in ogni cartolina e film su Los Angeles che si rispettasse. Lì avrebbero dovuto trovare i due ragazzi che Kate e Tammy dovevano incontrare.

“Eccoli!” fece Kate entusiasta, iniziando a camminare più velocemente, seguita dall’amica.

“Hey rallentate, c’è troppa gente!” le richiamò Simone senza successo, la sua voce si perse nel vociare della ressa. “Tu li vedi Duff?” chiese al ragazzo, magari così alto aveva una visuale migliore della sua.

“Ho trovato le ragazze, vieni raggiungiamole.” La prese con una mano dietro la schiena per evitare di smarrirla.

Poi all’improvviso ci fu un cambiamento in Duff che si fermò impietrito a pochi passi di distanza dai quattro che li aspettavano, sembrava quasi impallidito alla loro vista. Simone si chiese chi potesse essere di così terribile, ma quando voltò la testa e vide chi era uno di quei due ragazzi, per poco non venne un colpo anche a lei. 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** LOVERS ON A ROLLERCOASTER ***


“Voi?!” disse Duff stupito.

“Hey ciao bello! Anche tu qui?!” rispose uno dei due ragazzi allegramente dandogli una pacca sulla spalla mentre l’altro rimase in silenzio.

“Che coincidenza vero?” disse il biondo ironicamente. ‘Ma guarda te se me li devo trovare sempre intorno.’

“Ciao anche a te!” fece quel ragazzo riccio a Simone che intanto non aveva ancora spiccicato parola, restando ferma immobile a fissare l’altro ragazzo bruno di fronte a lei. ‘Bene, calma, non è successo niente, non succederà niente, è solo Izzy Stradlin, calma, andrà tutto bene.’ si domandò come con tutte le migliaia di ragazzi che esistevano a Los Angeles le sue amiche erano andate a trovare proprio Izzy e il suo amico riccio che era in garage l’altro giorno. Era stata colta improvvisamente da un panico irrazionale che la portò a pensare che qualcosa di storto sarebbe potuto accadere, anche se esattamente non sapeva cosa, Izzy avrebbe potuto parlare? Dire qualcosa a sproposito? Già ma cosa esattamente? Lui non aveva motivo di ricattarla o fare niente in quel preciso frangente, non c’era Joe e non le passò nemmeno per l’anticamera del cervello che Izzy potesse dire qualcosa sulla presenza di Duff visto che era anche insieme alle sue amiche. E anche se fosse venuto fuori il loro segreto, non ci sarebbe stato nulla di male in fondo. Si tranquillizzò comunque, pensando che nessuno dei presenti sapeva nulla del suo accordo col  moro, o almeno lo sperava. Certo non poteva fingere di non conoscere Izzy, il suo amico riccio lì l’aveva vista. ‘Bel casino.’ Comunque quella poteva essere l’occasione per conoscerlo un po’ meglio, in fin dei conti ci aveva anche pensato mentre se ne tornava dal suo garage, non poteva essere così male.

“Ciao Simone…” Izzy  finalmente interruppe il suo silenzio rivolgendosi alla ragazza che ricambiò il saluto con un filo di imbarazzo. Aveva notato che le sue amiche la guardavano perplesse. “Allora ti sono stati utili i consigli sulla chitarra?”

“I consigli sulla chitarra?” fece Simone non cogliendo che Izzy stava cercando di dare una giustificazione al fatto che la conoscesse.

“Sì, hai pensato a quale comprare?”

“Io.. beh ecco…”

“Simo vuoi prendere una chitarra? E da quando?” “Già non suoni la batteria?” Le chiesero quasi insieme le sue amiche.

“Sì, sì, però ecco ultimamente mi era venuta l’idea di imparare a suonare la chitarra per fare una sorpresa a Joe, così avevo sentito dire in giro che Izzy era un bravo chitarrista e sono andata a chiedergli un paio di consigli.” Guardò Duff che la osservava con aria interrogativa “Joe è il mio ragazzo” precisò lei ignara del fatto che Duff già sapeva.

“Hey dovevi chiederli a me i consigli, sono molto meglio io a suonare che il mio amico qui!” disse Slash con tono scherzoso facendo ridere le ragazze. Simone sperava che quell’invenzione avrebbe funzionato con le sue amiche, evidentemente era stata efficace col suo amico riccio. “Dì Duff, ma non credevo che conoscessi anche tu Kate e Tamara!”

“In effetti sono amiche mie, ma voi ragazzi invece siete amici mi sembra, giusto?” rispose Simone per Duff.

“Suoniamo nella stessa band” disse Izzy. “Siamo più che amici siamo fratelli!” fece Slash.

“Oh …” Simone era sorpresa da quella serie di coincidenze che si stavano snodando in quei minuti. “Quindi suoni con loro…”

“Esatto, l’altro giorno quando ci siamo incontrati li stavo raggiungendo al garage per provare.”

“Comunque miss, noi non siamo una band qualunque, noi siamo i Guns N’ Roses!” Slash ostentava fierezza nel pronunciare il nome del gruppo.

“Sì Simone, sono i ragazzi della band che ti avevamo detto che andavamo a vedere settimana scorsa, quando tu sei uscita con Joe.” Disse Kate.

“Mi ricordo…” quindi ora il quadro era un po’ più chiaro, Izzy, Slash e  Duff erano amici e suonavano assieme. Nessuno di loro però sapeva dell’accordo con Stradlin perché lui si era inventato quella semplice bugia che si erano bevuti. E capiva anche come le sue amiche fossero entrate in contatto con loro. Si chiese però chi fra i due mori fosse stato quello bellissimo a cui si riferiva Kate, perché lì l’unico bello vero che vedeva era solo Duff. E no non si stupiva di fare un pensiero del genere, sarà pure stata fidanzata però non andava in giro col paraocchi, non le era sfuggito quanto fosse affascinante quel ragazzo biondo. Forse era anche per quello che ci teneva a conoscerlo un po’ meglio e le piaceva passare del tempo con lui, non le dispiaceva la compagnia di un bel ragazzo, in fin dei conti restava sempre una donna e queste attenzioni facevano sempre piacere. Poi era così naturale e semplice con lei che era quasi irresistibile.

Fu Kate a dare il via al pomeriggio invitando gli altri ad incamminarsi sul molo. Duff ne approfittò per avvicinarsi ad Izzy e lo prese da parte, “Hey Izzy, mi dovresti spiegare perché stamattina mi hai detto una balla.”

“Quale balla?”

“Dai non fare lo stronzo più di quello che già non sei stato! Potevi dirmelo che non volevi darmi la macchina perché avresti visto Simone e quelle due.”

“Duff  non fare il paranoico, non sapevo nemmeno che lei sarebbe venuta.”

Il biondo lo guardò un attimo negli occhi per accertarsi che non stesse mentendo. “Mi hai fatto venire sensi di colpa per niente!”

“Ma che viaggi ti stai facendo? Sensi di colpa per cosa?!?”

“Come per cosa! Perché andavo a vedere Simone!”

“Duff ma sei scemo? Se ti stai facendo mille seghe mentali da solo io non centro proprio niente! Ho solo detto che non potevo darti la macchina perché avevo un altro impegno, e come vedi, non era una bugia.” Izzy accennò a Tamara “Comunque chiudiamola qui ok? Stiamo discutendo per una stronzata e io non vorrei rovinarmi il pomeriggio per colpa tua.” Izzy irritato  lasciò l’amico indietro e si avviò verso Tammy cingendole le spalle con un braccio. In effetti non era propriamente colpa di Izzy se  Duff si era fatto quasi dei problemi sull’andare da Simone, sembrava più un problema di coscienza, o come ben aveva detto Izzy, una delle sue solite seghe mentali. Comunque nemmeno lui aveva intenzione di rovinarsi il pomeriggio a causa di una sciocchezza del genere, così accelerò il passo e raggiunse la sua fata che stava camminando sulle sue in silenzio, distaccata dalle due coppiette e la prese sottobraccio, quasi come un galantuomo.

“Senti, ti va di andare a fare un giro sulle giostre?”

“Sulle giostre? Dici sul serio?”

“Serissimo!”

“Oh sì ti prego sì!” Simone reagì con un piccolo salto, come avrebbe fatto una bambina al suo posto “Volevo chiedertelo io ma mi vergognavo un po’, pensavo la reputassi una cosa da piccoli.” Disse in modo leggermente più pacato.

“Non si smette mai di essere bambini Simone! Dai andiamo!”

Simone si girò verso gli altri che oramai erano già persi nella folla abbastanza lontani “Ma non glielo diciamo?”

“Ma chissene importa di loro, non li vedi? Sono già lì sull’orlo della pomiciata, cosa vuoi dirgli di venire sulle montagne russe?”

Alla ragazza venne da ridere, effettivamente non c’era bisogno di avvisarli di niente, lei non voleva nemmeno stare con loro. Si sarebbero ritrovati dopo, o a casa. Così si fece trascinare volentieri da Duff dentro il piccolo parco giochi che era stato creato su quel molo. Era pieno di bambini accompagnati dai genitori e ragazzini che avranno avuto al più 14 anni, loro due alzavano decisamente la media, ma non ci badarono per niente. Quasi dimentichi di essere due ventenni, erano stati magicamente presi da un entusiasmo infantile che gli fece fare il giro dell’ottovolante più volte. Passarono in rassegna anche tutti quei giochi più stupidi come il tiro a segno, a cui Duff perse tutto, quasi anche la faccia quando Simone riuscì a vincere un orsacchiotto di peluche mentre lui rimase miseramente a mani vuote. Si sentiva un po’ sfigato ad essere stato battuto da una ragazza, gli rodeva sembrare incapace, però lui con la mira era davvero scarso e non poteva farci niente. “Dai è stata solo sfortuna, guarda che io non sono una tiratrice provetta…” cercò di consolarlo un po’ lei mentre lui tentava maldestramente di celare la propria delusione. “Se ti regalo Lemmy mi fai almeno un sorriso?” gli disse Simone.

“Chi è Lemmy?”

“Lui!” gli mostrò l’orsetto contenta “Pensavo di chiamarlo così. Dai tieni! Tengo il muso io se non lo prendi. Così poi ce ne andiamo in giro entrambi con la piva.” Duff prese l’orso, nessuna gli aveva mai regalato un pupazzo, effettivamente nessuna ragazza gli aveva mai fatto un regalo, lei era la prima. “Lemmy come…”

“Sì, proprio lui. E’ perfetto per te, no?” lo interruppe Simone quasi sapendo come avrebbe completato la frase.

“Già …” era emozionato. Gli piacevano i regali, come a tutti, e il fatto che fosse suo lo rendeva ancora più gradito. “Montagne russe?”

Gli occhi di Simone brillarono  a quella proposta. “Non aspettavo altro!” e corsero via insieme verso l’ingresso della giostra quasi più esaltati di tutti i bimbi che avevano intorno.

***

Izzy aveva passato un bel pomeriggio con Tamara, quella ragazza, gli piaceva e stava seriamente pensando di rivederla. Era da un po’ che non incontrava una che avesse suscitato in lui un minimo di interesse che lo spingesse a richiamarla dopo una notte passata assieme. Stava pensando come sempre ai fatti suoi quando vide scorse nella folla Duff e Simone. Era l’ora del tramonto, finalmente li rivedeva dopo un pomeriggio intero che erano spariti chissà dove. Erano così sorridenti che sembrava fossero usciti da Wonderland, stavano condividendo uno zucchero filato e parlavano fitto fitto con estrema complicità. Se non avesse saputo che non stavano insieme avrebbe detto che erano il ritratto della coppia innamorata.  Si erano fermati a guardare delle striscine di carta e le stavano commentando, chissà cosa erano si chiese Izzy.  

“Hey ragazzi eccovi!” li salutò mentre loro erano ancora intenti a studiare le carte che avevano in mano.

“Guarda questa Izzy, non è carina?” Simone gli mostrò una di quelle strisce, era una serie di quattro fototessere che ritraeva i due ragazzi con facce buffe.

“Izzy lascia perdere sono orrende.”

“Tu sei orrendo, lei è carina.” Fece lui ridendo mentre Duff gli strappava di mano le foto riprendendosele.  Erano decisamente belli insieme, non solo fisicamente ma anche dal feeling che scorreva tra loro si vedeva che erano una bella accoppiata affiatata. I due ragazzi si scambiarono le foto che ognuno avrebbe tenuto come ricordo di quella giornata per poi dirigersi insieme ai due amici verso la macchina. Slash e Kate erano introvabili e siccome Izzy aveva il sospetto che si fossero imboscati da qualche parte, decise che si sarebbero arrangiati a tornare indietro da soli. Dopotutto Slash conosceva mezzo mondo, non avrebbe avuto problemi a trovare un passaggio per la città, altrimenti c’erano sempre gli autobus. Il cielo si era tinto di arancione cupo in quei primi minuti di sera, regalando un’atmosfera calda, quasi dorata mentre un vento fresco entrava dai finestrini abbassati della macchina. Mentre percorrevano la strada verso casa li accompagnavano le note dei Rolling Stones e Wild Horses rese quasi malinconico il rientro e il distacco dalle ragazze.

Prima di ripartire Izzy si fermò ad osservare Duff, sembrava felice e sognante come non lo vedeva da tempo. E lui non poteva che essere contento se il suo amico stava bene, era una situazione che avrebbe giovato anche al gruppo, serviva energia positiva e carica per continuare la loro rincorsa del successo. Pensava che forse le sue preoccupazioni per il fatto che Simone fosse fidanzata erano state un po’ esagerate, però lo stesso avrebbe tenuto d’occhio l’amico, non poteva mai sapere quando sarebbe stato troppo tardi per recuperarlo prima che si facesse male. Sempre che ce ne fosse stato bisogno poi, ma era sempre meglio essere previdenti, quando in ballo c’era Duff. Poi notò l’orsetto che reggeva in grembo. “E quello?”

“Me l’ha regalato lei.”

“Non dirmi che ti ha battuto a tiro a segno!”

“Sì.” Disse lui con aria noncurante,  quasi ne fosse contento.

Il moro fece un sorriso divertito prima di accendere il motore della macchina, “Lasciatelo dire, sei proprio un caso perso amico.” 

______________________________

Ciao a tutti :) 
Volevo ringraziarvi tantissimo per leggere questa storia che sta venendo su un po' per caso...spero vi stia piacendo!
Ringrazio soprattutto Ellie che è sempre così carina con me e pure la Lau, questo Duff-Romeo sto cercando di renderlo il prototipo dell'uomo perfetto e te lo dedico :)
Un baciotto e alla prossima!
Mars 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** SOME LIES FOR LOVE ***


Gli occhi verdi di Duff la stavano fissando con dolce insistenza mettendola in non poco imbarazzo. Non riusciva a sostenere quello sguardo senza impacciarsi. Erano in totale silenzio l’uno di fronte all’altra vicino al tavolo della sua piccola cucina, tra loro solo la tazza di caffè nero che lei teneva in mano.  Voleva dire qualcosa ma non ci riusciva, voleva agire ma non era capace nemmeno di quello. Alzò timidamente  il viso verso di lui ed ecco che il suo sguardo fu agganciato da quello magnetico del ragazzo. Sentì la tazza che le veniva portata via, ma rimase immobile a fissare gli occhi del biondino senza fare niente. Finché lui non accennò ad un piccolo sorriso sghembo ed accorciò la distanza tra i loro visi fino a che le loro labbra non si incontrarono in un caldo bacio. In un secondo si trovò immersa nel suo profumo, nel suo respiro, le sue mani che l’abbracciavano e la toccavano. Poi all’improvviso sentì uno squillo e  il contatto si fece meno intenso, i contorni delle cose divennero sempre più sfocati e venne strappata da quel magico momento.

“Simone...” si sentì scuotere leggermente.

“mmm no”. Fece la ragazza cercando di riacchiappare ciò che stava perdendo.

“Simone …” un’altra carezza sul braccio. E poi uno trillo di telefono “ti stanno chiamando.”

Simone aprì gli occhi di scatto quando realizzò che era tutto un sogno e che il telefono stava oramai suonando da un po’. ‘Era solo un sogno, peccato, era così bello’. Si sporse rapida dal letto per raggiungere la cornetta e rispose vivace, oramai era completamente sveglia.

“Pronto?”

“Ciao Simone!” era Duff. Quasi non ci credeva, sembrava uno scherzo. Oppure senza saperlo, si aspettava quella chiamata, il suo subconscio aveva preceduto la realtà.

“Oh Mickey! Ciao! Come stai? Come mai a quest’ora?” la sua voce insolitamente acuta tradì un po’ più di enfasi ed emozione del dovuto così gettò un’occhiata preoccupata verso Joe steso al suo fianco, per fortuna sembrava non essersi accorto di niente preso com’era dalle sue partiture. Vide anche che erano le undici e mezza del mattino, quindi la sua domanda era pure stata piuttosto fuori luogo.

“Hey ma…ti ho svegliata per caso?” chiese scrupolosamente Duff.

“Chi me? Oh no no figurati, sono già sveglia da un po’.”

“OK ti ho svegliato, mi spiace. Comunque senti volevo chiederti… questo pomeriggio hai impegni?”

“Beh ecco io… in realtà no.”

“Ti va di venire con me all’Hollywood Bowl? Fanno vedere Manhattan all’aperto sul prato, sembra carino no?”

“Cosa? Davvero? Ma è fantastico! Prendo io le coperte! A che ora?”

“Inizia alle tre perciò che ne dici se passo da te per le due? Dovremmo farcela ad arrivare in tempo.”

“No forse è meglio che ci vediamo direttamente lì prima non credo di potere.” Disse abbastanza a malincuore, non voleva rischiare che venisse lì quando ancora c’era Joe nei paraggi, anche se esattamente non sapeva fino a quando sarebbe rimasto lì con lei.

“Allora è deciso?”

“Certo! Una decina di minuti prima lì! Ci vediamo dopo, un bacio!”  e riagganciò la cornetta.

“Chi era?” sentì chiedere a Joe.

Si girò verso di lui e gli diede un bacio sulla guancia. “ Mickey, te la ricordi? La mia amica bionda …”

“Quella che non ti stava molto simpatica? Com’è che ci esci assieme adesso? È sbocciato l’amore?” chiese lui ironico, senza dar cenni di avere inteso che Mickey non era quella ragazza che aveva appena descritto ma un ragazzo.

“No, ma diciamo che l’ho rivalutata molto. E poi mi ha invitato a vedere Manhattan! Sai che amo quel film, non potevo dire di no!”

Joe la guardò fissa  “Quasi quasi vengo anche io.”

Un brivido freddo percorse rapido la schiena di Simone che per poco non trasalì, ma sfoderò abilmente la sua migliore poker face prima di rispondergli “Ma a te nemmeno piace Woody Allen dormi sempre quando vediamo un suo film!”

“Dai che scherzavo! Non mi passerebbe mai per la testa di intrufolarmi nel tuo pomeriggio da ragazze, non so se resisterei ” Joe le diede una spintarella sulla spalla. “Ti amo lo sai?” disse prendendole la mano.

Simone gli rivolse un sorriso, ma non rispose, sporgendosi verso di lui gli diede un bacio a fior di labbra. 

“Ora è meglio che vada, devo vedermi con Tom e Brad a pranzo, dobbiamo iniziare a preparare qualcosa per il disco.” Così dicendo raccolse le sue scartoffie sparse sul letto e si alzò per andarsi a vestire. Era solito passare del tempo a casa di Simone qualche volta, soprattutto quando si trovava in città e la sera si faceva tardi, così invece che farsi più di un’ora di macchina per tornarsene a Malibu, restava a dormire da lei. “Ci sentiamo tesoro, goditi il film …. E la tua Mickey!” le diede un altro bacio e la lasciò seduta a gambe incrociate sul letto.

Simone aspettò di sentire la serratura della porta d’ingresso che scattava per lasciarsi andare. Era rimasta piuttosto in tensione dopo la chiamata e non riusciva a spiegarsi il perché. O forse non voleva spiegarselo. Ripensò al sogno che aveva fatto prima di svegliarsi, non era stata una cosa insignificante come voleva far credere a se stessa, sapeva perfettamente che i sogni non sono altro che l’espressione dell’inconscio di una persona e dei suoi desideri più profondi. In questo caso avrebbe voluto dire che lei voleva Duff. Che le piaceva per lo meno. Ma certo che le piaceva! Era un ragazzo simpatico, interessante, musicista, un ribelle … un amico. Ovviamente. Non era altro che un amico. E allora perché quel sogno? E perché quello strano formicolio allo stomaco che la solleticava da quando aveva sentito la sua voce al telefono? Perché quell’entusiasmo oltremodo esagerato? Perché mentire a Joe spacciando Duff per una ragazza? ‘Non lo volevo ingelosire’ si disse. Effettivamente pensava che Joe avrebbe potuto fare storie a sapere che usciva sola con un ragazzo, non lo sapeva, non era mai successa una cosa del genere da quando loro stavano insieme, lì in quella città non aveva mai conosciuto tanta gente. A Londra invece … a Londra aveva tanti amici, succedeva più che di frequente che uscisse solo con ragazzi, coi suoi amici, quelli con che conosceva sin da quando era una bambina. Ma Duff non lo conosceva che da pochi giorni e già ci si sentiva così legata che poteva quasi pensare a lui come una presenza importante nella sua vita. Era da quello spensierato pomeriggio al lunapark che non si vedevano, però Duff l’aveva chiamata un paio di volte in quella settimana, ogni volta avevano passato ore al telefono, ovviamente lui risultava essere sempre Mickey, non le andava di dare spiegazioni nemmeno a Kate e Tamara. Ora come ora non vedeva l’ora di vederlo, raccontarsi cosa avevano fatto in quei giorni che non si erano incontrati, ridere insieme, e poi parlare di Manhattan una volta che fosse finito,  sapeva che l’avrebbero fatto, Duff era proprio il genere di persona con cui poteva fare quei discorsi. Magari gli sarebbero piaciute le stesse battute che piacevano a lei! Si sentiva libera con lui, libera di dire e fare ciò che voleva senza venire giudicata, libera di parlare per ore con un compagno intelligente e che condivideva le sue passioni, libera come riusciva ad essere solo con poche altre persone.  La fantasia di Simone aveva iniziato a correre a cento all’ora. ‘E’ un amico.’  Ricordò fermamente a se stessa prima di alzarsi per andare a fare una doccia.

***
Quanto era bella con quella lunga camicia blu cina e i fuseaux neri Duff non riusciva a spiegarselo. Era così semplice ma anche così tanto diversa. Diversa da tutte quelle che aveva mai incontrato. Se ci pensava bene non riusciva a trovare nessuna che potesse essere paragonata a lei. Ma non poteva fare un paragone, era un po’ come giocare sporco contro le altre, Simone era Simone e nessuna avrebbe mai potuta batterla.  Era arrivata abbastanza di corsa,  leggera, i lunghi capelli castani scompigliati e le gote leggermente arrossate. ‘Eccola la mia fata.’ Non guardò molto del film, perché la maggior parte del tempo la passò a guardare lei.  Più la osservava, seduta a fianco a lui sulla coperta azzurra che condividevano, rapita dal film che stavano trasmettendo, più pensava che avrebbe potuto guardarla per una vita intera. 

Era ridicolo, però Duff stava seriamente prendendo in considerazione l’idea che lei fosse il film più bello che avesse mai visto, con migliaia di possibili finali, non avrebbe mai saputo quale sarebbe stato il prossimo colpo di scena se non seguendola. Affascinato da come si comportava, da come agiva, avrebbe potuto guardarla e riguardarla per sempre senza mai stancarsi con il suo continuo cambiamento di espressioni.  Aveva notato in particolare come si celava la bocca con una mano quando rideva, come se si vergognasse del suo aspetto, quasi avesse paura di essere fuori luogo o di essere più brutta, ed invece sembrava solo più dolce. Allungò il braccio per togliere la mano dalla bocca della ragazza.

“Non coprirti più il sorriso, sei ancora più bella quando ridi.”

Simone fu sorpresa da quella frase, totalmente inaspettata. La sua mano era ancora nella stretta gentile di Duff , una mano piccola in confronto a quella del grande e ruvida del ragazzo, una mano da musicista. Il cuore iniziò ad accelerare i battiti, mentre teneva saldamente lo sguardo ancorato alle loro mani, aveva paura di trovarsi davanti quei due begli occhi verdi da gatto che la scrutavano, proprio come nel suo sogno,  non avrebbe saputo cosa fare. Ma quasi come Duff avesse la facoltà di leggere nei suoi pensieri, con un dito le fece alzare il viso verso il suo e si trovò faccia a faccia con lui. Era come se il tempo si fosse azzerato, tutto ciò che c’era intorno era solo un vago contorno, quasi fossero stati inghiottiti da una bolla di sapone. Lo scambio di sguardi fu intenso tra i due ragazzi, sembrava avessero perfino paura a respirare per timore di interrompere quel momento. Ma ci pensò un piccolo boato della pellicola per separarli e farli ripiombare nella realtà. Simone imbarazzata si fissò sul film, mentre Duff realizzò che fin dei conti non gliene importava niente che fosse fidanzata o no, lui voleva solo stare con lei. ‘Al diavolo!’ in quell’istante si gettò alle spalle ogni raccomandazione che aveva fatto a se stesso e ogni promessa che aveva fatto ai suoi amici, ‘Al diavolo pure loro!’ Simone stava diventando troppo importante per poterci rinunciare solo per colpa di qualche formalità. Dopotutto lei non avrebbe passato tutto le ore al telefono con lui solo perché lo considerava un amico. Oppure no? Comunque fosse stato voleva solo vivere il massimo di quello che aveva con lei, non gli interessava se si sarebbe fatto del male oppure no, non lo avrebbe mai scoperto se non ci avesse provato. Si spostò un po’ più vicino alla ragazza, così poco che nemmeno si notò, si sarebbe potuto scambiare per un innocuo cambio di posizione, poi le prese timidamente la mano, un po’ per non essere invadente un po’ per paura di un rifiuto che sperava non arrivasse. Per i primi secondi Simone rimase immobile e
Duff pensò che si sarebbe alzata e se ne sarebbe andata. Ma poi sentì le dita della ragazza incrociarsi alle sue e per poco non si mise ad urlare. Felice e col cuore colmo di gioia rimase lì accanto a Simone. Voleva solo fare le cose con calma, per lei, perché per come la conosceva sapeva che non sarebbe stata subito disposta a cambiare atteggiamento, a lasciarsi andare con lui. Le avrebbe dato tempo, non aveva fretta, gli stava bene aspettare. Nel mentre avrebbe assaporato ogni attimo che passava con lei come se avesse dovuto essere l’ultimo. 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** FIND THE REAL ***


“Posso?”  Tamara bussò alla porta della stanza di Simone e la trovò seduta sul letto, assorta a guardare delle fogli sparsi disordinatamente sul piumone.

“Certo!” Tamara dunque entrò in quella camera verde illuminata dalla luce soffusa della piccola lampada da comodino accesa e si accomodò vicino all’amica. Era da un po’ di tempo che la vedeva strana, quasi assente, non sembrava nemmeno più la stessa, era come se si fosse chiusa nel suo mondo e volesse tenere tutti alla larga. Eppure allo stesso tempo era come se nulla fosse cambiato, era sempre l’amica pronta ad ascoltarla e a farsi due risate con lei. Prese distrattamente uno di quei libri ammucchiati sul letto, il primo di una piccola pila in tale precario equilibrio che caddero subito per terra disordinatamente.

“Lasciali pure per terra dai, li raccolgo dopo” disse Simone cercando di tranquillizzare la sua amica che si stava scusando per il danno fatto e, come se non la volesse ascoltare, che si era chinata a raccogliere i libri.  Così ritornò a sistemare le sue carte tranquillamente.

“Simo…? Cos’è questa?”  sentì Tamara rivolgerle quella domanda ma ci mise un attimo a darle retta. Non appena posò gli occhi su ciò che le stava mostrando rabbrividì, come se fosse stata colta di sorpresa a commettere un crimine. “E’ una polaroid Tammy…” fece lei col tono paziente che si userebbe con uno che dice di avere scoperto l’acqua calda.

“Questo lo vedo, mia cara, ciò che intendevo è perché tu e quel tuo amico biondo siete abbracciati come se foste fidanzati e soprattutto perché la tieni chiusa dentro un libro.” Non c’era rimprovero nella sua voce, solo la naturale curiosità di un’amica che aveva capito già da un po’ che qualcosa non andava. Era andata lì per parlarle di Izzy, ma ora che l’occasione si presentava, voleva approfondire l’argomento.

“Ma niente dai, è solo una foto,  l’ho messa lì perché non sapevo dove metterla.” Fece Simone cercando di riacchiappare la foto dalle mani dell’amica e contemporaneamente liquidare rapidamente la domanda senza buoni risultati in entrambi i casi.

“Hey, hey non provarci! Ti conosco troppo bene, adessoo sputi il rospo o sennò questa te la scordi!”  in un certo senso era facile parlare con Simone. Potevi dirle tutto e di più e lei ti avrebbe sempre ascoltato, sarebbe sempre riuscita a  trovare una soluzione ai tuoi problemi, o a darti una mano a risolverli, era una buona ascoltatrice e un’ottima amica. Ciò che era davvero difficile però, era il contrario, farla aprire sui suoi sentimenti, capire cosa succedeva nella sua testa era un’impresa quasi impossibile a volte. Spontaneamente lei non avrebbe detto nulla, pensava sempre di tediare gli altri coi suoi problemi, così per lo più si teneva sempre tutto dentro e a volte bisognava ricorrere a stupidi giochetti per farla confessare. Ed era evidente dalla faccia che aveva fatto sentendo la sua velata minaccia che ci teneva a riavere quella foto. Era tra l’altro molto bella, sembrava fatta in un parco, lei stava abbracciando Duff da dietro le spalle, erano entrambi molto dolci. In effetti insieme li aveva visti solo quella volta del pomeriggio a Santa Monica, però aveva notato quanto fossero affiatati, come anche aveva notato che tutte le volte che finiva di passare le ore al telefono o rientrava a casa dalle sue uscite con Mickey era sempre di ottimo umore, se non talvolta con gli occhi sognanti. Ovviamente lei faceva finta di crederle quando diceva che fosse quella sua famosa amica bionda, però era già da tempo che sospettava si trattasse di Duff e in un certo senso quella foto ne era la prova. “Dai Simo…cerca di spiegarmi che succede, magari potrei esserti d’aiuto.”

Simone di morse un labbro. Era stata messa con le spalle al muro dalla sua migliore amica, per colpa di una foto tra l’altro! Ma lei per quell’immagine impazziva, gliel’aveva fatta un tizio fanatico di fotografia che aveva visto Duff e lei seduti a parlare ed era rimasto così colpito da quanto stessero bene assieme che aveva voluto per forza immortalarli un primo piano per poi regalarglielo.  Avesse potuto l’avrebbe incorniciato, però non poteva metterlo in bella mostra da nessuna parte e così semplicemente lo teneva nascosto dentro il “Sogno di una notte di mezza estate” per andarlo a ripescare ogni volta che voleva vederlo. Ora Tamara l’aveva scoperta e siccome non era una stupida, stava iniziando a comporre i pezzi del puzzle. Simone era sicura che l’amica avesse capito ancora prima di se stessa i suoi sentimenti per Duff. Il fatto era che non li voleva ammettere, tutte le volte che pensava a lui il pensiero ovvio che si stesse innamorando emergeva prepotente, ma aveva così paura di quello che voleva significare che cercava di reprimerlo in un angolino remoto del suo cervello e chiuderlo a chiave. Ma non ci riusciva mai veramente, perché quell’idea restava sempre lì, come un’evidenza innegabile. Perché non lo dici chiaramente? Cosa ti costa in fondo? Poi ti sentiresti meglio. Sapeva che era vero, ma non lo faceva mai, cercava sempre di auto convincersi del contrario. Ora invece si trovava costretta a dire la verità, anche se sperava sinceramente di poterlo evitare. Certo avrebbe potuto mentire a Tamara, non raccontarle niente, ma non se la sentiva di farlo questa volta, e forse desiderava dire come stavano le cose più per se stessa che per l’amica. Così raccolse i pensieri confusi e cercò di esprimerli nella maniera più chiara possibile.

“Hai presente le farfalle nello stomaco? Gli occhi a stella? E i sospiri quando pensi a lui che non ti è vicino? Oppure sai quando i  battiti del tuo cuore accelerano all’improvviso ed entri quasi in apnea appena lo vedi e tutto il resto che ti circonda rallenta, si ovatta e  sembra appartenere ad una dimensione lontana?  O quando non fai altro che contare i minuti che mancano prima di incontrarlo e poi quando ci sei insieme il tempo passa così rapido che ti sembra che siano passati solo cinque minuti e allo stesso tempo anni. E quando sei in giro, non fanno altro che catturare la tua attenzione oggetti o cose che potrebbero piacere a lui... e pensi di potere affrontare qualsiasi difficoltà al suo fianco e l’idea di passarci la vita assieme non ti spaventa più di tanto perché sai che ti completa e niente con lui potrebbe essere mai noioso. Ecco cosa mi succede.” Ce l’aveva fatta, l’aveva confessato. E stranamente quella sensazione di leggerezza che pensava di non trovare l’aveva invece avvolta, semplicemente parlando aveva trovato una sorta di pace interiore, per così dire. Perché in realtà era ben lontana dall’essere in pace con se stessa. Allungò la mano verso Tamara, “Ora…me la restituisci per favore?” e quando l’amica gliela mise in mano tornò subito a nasconderla nel libro, sistemandolo nel cassetto del comodino, lontano da occhi indiscreti.

“Tesoro perché non me ne hai parlato prima?” disse Tamara prendendole una mano, dandole un po’ di affetto e facendole capire che le era davvero vicina  “Sei innamorata che male c’è? È fantastico, non avresti dovuto nasconderlo o corrucciarti così a lungo.”

Simone distolse lo sguardo, “Lo so, ma non è una situazione semplice, lo sai. E poi c’è…” c’è Joe  stava per dire, ma in quel momento venne interrotta dal suono del campanello di casa. Era mezzanotte passata, Kate avrebbe passato la notte fuori e loro non aspettavano nessuno. Le due ragazze si guardarono interrogative, poi Simone si alzò mettendosi a posto la maglietta e i pantaloncini corti che usava come pigiama, camminò in punta di piedi per andare a vedere alla porta. Mosse delicatamente lo spioncino per non fare sentire che c’era qualcuno in appartamento che da fuori appariva spento e vuoto. Rimase sorpresa nel vedere l’alta sagoma di Duff che si appoggiava, o meglio dire sorreggeva, al muro e sembrava stesse parlando da solo. Aprì immediatamente la serratura con concitazione, era preoccupata, e non appena spalancò la porta e lui parlò, trovò conferme ai suoi timori: era ubriaco marcio.  Le sbiascicò un ciao  convinto che doveva essere entusiasta ma che in realtà tradiva solo molta stanchezza.

“Duff ma che cavolo, sei un disastro…vieni dentro, piano…” mentre lui fece un passo traballò clamorosamente così lei  lo prese per un braccio che si fece passare su una spalla e cercò di sorreggerlo, peccato che in quello stato era pesante più di un macigno e non ce la faceva a portarlo da sola.  In quel momento comparve Tamara che era venuta a vedere che stava succedendo e si precipitò ad aiutare l’amica. Insieme e a fatica lo portarono in camera di Simone mentre il poveretto blaterava frasi a vanvera del tipo che non aveva bisogno di un aiuto, ce la faceva benissimo, non dovevano preoccuparsi e che gli dispiaceva moltissimo. Certo, era così in grado di camminare che per poco non inciampò nei suoi stessi piedi!   Lo fecero sedere sul letto, non era ancora il caso che si sdraiasse, era prima da capire se avesse avuto bisogno di un cestino o di un bagno per evacuare e non volevano rischiare vomitasse tra le lenzuola. Mentre Tamara andò a cercare una bacinella per quell’evenienza,  Simone provò a fare qualche domanda al ragazzo.

“Duff  ci sei? Sai chi sono?”

Lui la guardò sorridendo in preda ai fumi dell’alcool “Ma certo Simone, la mia bella fata!”  ed allungò una mano che fece passare prima sulla sua guancia e poi tra i suoi capelli castani. Certo era un po’ strano sentirsi appellare così, ma almeno l’aveva riconosciuta. Si liberò lentamente di quella presa ed azzardò a fargli un’altra domanda, con voce accondiscendente, come quando si parla a un bambino piccolo “Sei arrivato da solo? Perché sei venuto qui?” poi pensò che era stata una domanda piuttosto idiota da porgli nella condizione in cui si trovava, fra poco nemmeno si ricordava chi fosse… ma una risposta arrivò lo stesso, e fu piuttosto disarmante.

“Perché ti amo Simone! Ti amo follemente e non voglio passare più un minuto senza di te! Mai più!” le disse con un tono di voce altissimo e deciso che la fece quasi sobbalzare per la sorpresa. Sbottate quelle parole il ragazzo iniziò a vacillare pericolosamente anche da seduto, così lei lo aiutò a ristabilirsi mentre lui continuava a ripetere quelle frasi come se stesse in preda a un sacro fuoco che parlava in sua vece. “Stai tranquilo, OK? Adesso ci sono io.” Cercò di tranquillizzarlo con una voce calma che nemmeno lei sapeva da dove le arrivasse visto che dentro era tutto fuorchè tranquilla, perché sapeva perfettamente che quello che le aveva appena detto era tutto vero. “Duff, ora ascoltami, hai bisogno di vomitare?” e lui le fece segno di no con la testa. “Sei sicuro?”  e di nuovo scosse la testa risoluto.  Guardò Tamara che stava entrando con un secchio che usavano per lavare i pavimenti e lo posò di fianco al letto.

“E’ KO vero?”

“Già, lo faccio dormire qui stanotte.”

“Sì…sì è meglio così.” Rispose Tamara “Se hai bisogno di aiuto sai dove trovarmi.” Le disse mentre usciva dalla stanza lasciandoli soli.

Simone si voltò verso Duff, che aveva continuato a sorreggere, “Hai capito bel principe azzurro? Resti qui stanotte.”  E gli diede un bacio sulla guancia prima di aiutarlo pazientemente a sfilarsi il giubbotto di pelle. Il ragazzo era improvvisamente diventato docile ed era facile farsi obbedire.  Gli tolse anche le scarpe e i pantaloni “Ora aspetta che ti cerco una maglia per domire.” Perché quella che hai su non è il massimo, pensò. Mentre stava armeggiando con le tshirt nel cassetto del suo armadio vide l’immagine di Duff in piedi dietro di lei riflessa nello specchio e si girò subito. Sembrava stesse cercando di andare da qualche parte disorientato. “Ma sei matto vatti a risedere, non ti reggi in piedi!” si lasciò sfuggire severamente e lo prese per un braccio, ma dopo due passi lui barcollò inaspettatamente e crollarono entrambi rovinosamente sul letto. Fortunatamente Simone si trovò sopra di lui o sarebbe soffocata sotto il suo peso.  Non fece in tempo a dirgli assolutamente niente perché il biondo era già bellamente crollato tra le braccia di Morfeo, addormentato o svenuto che fosse. Rimase un po’ ferma aspettando che il respiro del ragazzo si facesse regolare prima di alzarsi delicatamente e andare a sistemare nell’armadio la maglietta che aveva tirato fuori, ora del tutto inutile. Coprì Duff con la coperta per non fargli prendere freddo e poi si sedette vicino a lui ad osservarlo. Era così beato mentre dormiva. Si chinò e gli diede un bacio sulle labbra. “Ti amo anche io lo sai?” disse e dandogli una carezza amorevole, conscia che non la poteva sentire,  prima di accoccolarsi al suo fianco ed addormentarsi a sua volta con il sorriso sulle labbra.  

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** FEEL SO CLOSE ***


Duff aprì a stento gli occhi. Si sentiva uno straccio ‘una merda vorrai dire!’ si corresse da solo.  Nemmeno si era alzato o aveva fatto il minimo accenno a muoversi che già gli girava freneticamente la testa come le pale di un elicottero e sentiva un incipiente senso di nausea chiudergli la gola. Quanto aveva bevuto nemmeno se lo ricordava, sicuramente tanto, così tanto da non avere nemmeno la minima idea di cosa diamine avesse fatto.  Guardò il soffitto bianco per meno di due secondi ancora in preda allo svarione post ubriacatura e subito richiuse le palpebre serrandole. Tanto non aveva nessun impegno quel giorno, poteva bellamente concedersi il lusso di bradipare un po’ nel suo lettuccio. Così si tirò su fino al naso le lenzuola, erano particolarmente morbide e profumavano di pulito, insolito, non se le ricordava di così alta qualità ‘sarà tutta colpa del cerchio alla testa che mi altera la percezione delle cose’ e si rigirò comodamente finché non sentì un corpo di fianco a lui che gli impediva di posizionarsi diagonalmente, come gli piaceva tanto fare occupando interamente il materasso. Si domandò chi diamine si fosse portato a letto quella volta, non amava particolarmente l’idea di avere fatto una stronzata del genere sapendo di avere per la testa Simone. Provava una sensazione sgradevole al pensiero di  essere stato con una donna che non era quella che amava, anche se lei ancora non sapeva nulla di tutto ciò ovviamente, voleva dirglielo nel momento più adatto possibile, e poi lui stesso faceva ancora fatica ad ammetterlo con se stesso, non era una cosa da poco. Così diede una pedata al sedere della ragazza e le farfugliò di andarsene fuori dai piedi il prima possibile senza rompere le palle, il tutto senza nemmeno darsi la pena di guardare chi fosse visto che non gli importava minimamente di quel dettaglio, tanto sicuramente sarebbe stata una di quelle cesse con cui finiva di solito quando non capiva più niente. Voleva solo riappropriarsi del suo spazio.

“Hey che modi! Buongiorno anche a te bell’addormentato!” sentì quelle parole di protesta pronunciate con un certo tono infastidito e gli si bloccò il respiro. Quella voce! “Simone?!” Era impossibile. Sbarrò gli occhi alla velocità della luce e la vide al suo fianco che si stropicciava il viso. Con quei lunghi capelli castani sparsi sul cuscino come una corona e il viso bianco come la porcellana era splendida, non pareva nemmeno essersi appena risvegliata.  Improvvisamente si sentì superattivo e tutto il suo malessere era scomparso magicamente. Contemporaneamente una strisciante sensazione di disagio e consapevolezza si insinuò nella sua testolina oramai lucida: aveva fatto una figura di merda. Colossale. Perché quella non era nemmeno lontanamente somigliante alla sua squallida stanzetta nell’appartamento che condivideva con Izzy lontano chilometri da lì, quella era la stanza di Simone e lui si trovava nel suo letto. Come diamine c’era arrivato lì? Cosa aveva fatto? Una serie di domande iniziarono ad affollare la sua testa, domande che desideravano un’impellente risposta. Si mise a sedere con uno scatto che per un attimo gli annebbiò la vista, l’illusione di sentirsi bene di colpo era appunto tale, il fisico non si era ripreso ancora, a differenza del suo cervello che ragionava bene. Si prese la testa fra le mani per cercare di fermare la stanza che gli girava intorno. Sentì una mano che gli si appoggiava delicatamente sulla spalla “Tutto bene?”  gli chiese la ragazza pacatamente. Gli si era avvicinata per vedere come stava, aveva una pessima cera, sembrava uno straccio. “Forse è il caso che fai le cose lentamente,  non mi sembri al top della forma, che dici?”. Duff annuì silenziosamente ed  aprì gli occhi per guardarla: maglietta e pantaloncini, vestita, niente completino sexy, niente…niente. Sperò di non avere combinato nulla con lei, lo pregò davvero,  gli sarebbe enormemente dispiaciuto non ricordarsene nemmeno. Come sperò anche di non avere fatto gesti azzardati o compromettenti, ma lo escluse, altrimenti se così fosse stato non si sarebbe certo trovato lì con lei.

“Ma...” non riusciva a trovare le parole per non sembrare lo stupido che era “come sono arrivato qui?” non gli riuscì molto bene.

Simone allargò gli occhi e lo guardò stupita, ma tutto sommato un po’ se lo aspettava “Sei venuto qui non so da dove, nel cuore della notte, e poi … ma non ricordi niente?”

Il ragazzo scosse la testa desolato “Assolutamente niente.” Era inquieto, non ricordarsi nulla di una serata già di per sé non gli garbava molto, se poi si trattava di essere arrivato da solo fino a lì e avere parlato con lei e aver potenzialmente detto le peggiori stronzate lo rendeva ancora più nervoso.  “Ho un buco totale, so che stavo con i ragazzi dopo il concerto e come sempre abbiamo bevicchiato un po’ tra noi per festeggiare, poi da un certo punto in avanti zero.” 

“Capito…” bello, era arrivato lì senza sapere come e non sapeva nemmeno quello che aveva fatto e soprattutto detto. Era piuttosto strano pensarci, le aveva praticamente urlato in faccia che era innamorato di lei e non lo sapeva. Forse era meglio così,  se non l’aveva detto prima ci sarà stato certmente un motivo. Senza contare che quello rendeva le cose più facili per lei, se così si poteva dire. Perché nemmeno lei voleva dirglielo, forse per un senso del pudore, forse per paura che lui avesse cambiato idea, forse perché prima voleva cercare di risolvere le cose con Joe. Forse perché aveva semplicemente paura di quello che sarebbe arrivato dopo, anziché essere felice sentiva un leggero senso di incipiente caduta nel vuoto, come se non sapesse essere pronta per una felicità vera come quella che avrebbe potuto avere con Duff.  “Ma davvero zero? Nemmeno un flash? Tipo che sei quasi inciampato mentre ti portavo qui? O che…”
“Non ho detto cazzate vero?”  la bloccò immediatamente, prima che potesse continuare, era ansioso “Ho fatto qualcosa di sbagliato? Ti ho offeso? Mi sono comportato male? Ti prego dimmelo!” le prese la mano istintivamente. “E non dirmi bugie!” le disse puntandole scherzosamente l’indice contro.

“Ma no, che dici? Non essere stupido. Sei stato solo un adorabile sbronzo. Sei svenuto sul letto lo sai?” sorrise. Era stato buffissimo, come lo era in quell’istante con quell’espressione di estrema vergogna che si era dipinta sul suo volto. “Dai tranquillo, non hai fatto niente di male su.” Gli passò una mano tra i capelli biondi arruffati mentre lui chiudeva gli occhi e arricciava il naso come un bambino. Fece passare quella stessa mano giù per il profilo del suo bel viso, erano così vicini che potevano sentire il suono dei loro respiri. Si sentiva così vicina a lui, non solo fisicamente ma in tutti i sensi, erano così affini che sembravano fatti per completarsi a vicenda.  “Anche se veramente una cosa me l’avresti detta…”  glielo voleva rivelare, si sentiva pronta, era bastato un semplice istante come quello per farle venire voglia di dirgli quello che lui le aveva rivelato durante la notte, ciò che lei stessa gli aveva detto quando oramai era già crollato nel sonno. Dopotutto non sarebbe stato poi così grave no? Poteva risolvere la situazione con Joe in qualche modo, sicuramente Duff l’avrebbe capito, forse anche aiutata. Perché aveva cambiato così in fretta idea? Perché aveva realizzato quanto fosse stato bello addormentarsi al suo fianco, e quanto altrettanto lo fosse svegliarsi con lui lì, seppure in quel modo brusco che certo non si aspettava. ‘Potrebbe succedere tutti i giorni’ come sarebbe potuto succedere tutti i giorni di stare con lui senza bisogno di nascondersi, senza reprimere i propri sentimenti. Quindi sì, desiderava raccontargli la verità.

Duff trovava così piacevole sentire le mani di Simone sulla sua pelle, era così intimo come gesto, non era la prima volta che succedeva. Si beò di quel contatto dolce ma poi rabbrividì quando gli disse quelle parole. ‘Eccola la cazzata!’ doveva per forza esserci, lo sapeva, non poteva passare una serata così senza ripercussioni. La guardò negli occhi mentre esitava a parlare, era così bella e innocente, chissà cosa doveva rivelargli. Un po’ per paura di quello che stava per dirgli e per il quale aveva la sensazione di non essere pronto, un po’ per istinto le prese il viso tra le mani, si chinò su di lei e la baciò sulla fronte, zittendola. Poi gliene diede un altro piccolo sulla punta del naso e percepì che era particolarmente tesa, senz’altro non se l’aspettava, ma nonostante tutto restava immobile. Riuscì appena a sfiorarle le labbra quando squillò il telefono, rompendo quel silenzio carico di non detti che aveva saturato l’aria, più chiaro di mille parole, quasi uno shock che fece sobbalzare Simone che, ripresasi dal torpore in cui era caduta, si mosse per rispondere. Dal canto suo Duff era piuttosto scocciato. Sbuffò mentre si sistemava meglio sul letto per fare spazio alla ragazza. Era arrivato a tanto così dal compiere un gesto il cui significato valeva più di una confessione verbale, almeno secondo lui, che se fosse stato ricambiato avrebbe dato conferma a quello che pensava da un po’, ovvero che anche lei provava i suoi stessi sentimenti. E invece quello stupido telefono aveva interrotto tutto.  Studiò i cambiamenti di espressione che si rincorrevano sul viso di Simone, stava diventando sempre più turbata ogni secondo che passava, i suoi occhi blu sembravano attraversati da una tempesta di preoccupazioni. Disse solo poche parole e Duff continuava ad osservarla cercando inutilmente di capire di che cosa si trattasse attraverso quei pochi monosillabi.  “Qualcosa di brutto?”  le domandò non appena la ragazza riagganciò la cornetta in silenzio, sembrava piuttosto grave e si stava iniziando a preoccupare per lei.

“Joe è finito in ospedale.” Rispose lapidariamente Simone non ancora completamente conscia di quello che era successo. Aveva solo sentito la voce neutra dell’infermiera che la pregava di recarsi il prima possibile dai medici affinché le spiegassero quello che era successo. Non riusciva a spiegarsi come nel giro di pochi minuti fosse cambiato tutto così in fretta, prima era lì con Duff che la stava quasi per baciare, un momento estremamente dolce e che le stava per togliere il respiro, quasi da film tanto era bello e poi bam! Una batosta del genere che l’aveva riportata bruscamente alla realtà. Si alzò di scatto per andare a cercare qualcosa da mettersi, con mille preoccupazioni che iniziavano ad assillarla. Corse verso il bagno per cambiarsi rapidamente per poi trovarsi di fronte l’ingresso Duff pronto per uscire “Ti accompagno!” le disse con tono apprensivo, non voleva lasciarla andare da sola per paura che potesse succederle qualcosa in quello stato di semi shock in cui si trovava. Ma Simone rifiutò l’invito, non voleva tirarlo dentro quella storia, dentro quel mondo di responsabilità che non gli apparteneva e che era solo suo.

Mentre apriva la porta per andare si sentì fermare per un braccio, “Prima stavi per dirmi qualcosa, non è vero?” le chiese con aria seria, come se sapesse già che la risposta sarebbe stata cruciale, ma lei non se la sentì più di dirgli niente, non in quel modo, soprattutto non in quel momento. “Oh, nulla di importante, davvero. Magari un altro giorno te la dirò.” Gli rivolse un sorriso tirato, “Devo scappare, scusami!” e corse via verso le scale lasciandolo muto sull’uscio aperto, sentendo come un eco nella sua testa che le diceva che da quel momento in poi le cose con lui non sarebbero più andate come avrebbero dovuto essere. 

***
Ciao a tutti! Eccomi di nuovo qui! Ebbene non me l'ero scordata, sono solo stata un po' presa. 
Chiedo comunque venia per questo pastrocchio di capitolo, l'ho scritto in preda al jet lag e non riesco nemmeno a capire come sia venuto, ma spero vi piaccia comunque! 
Un baciotto special a Lau ed Ellie che mi commentano sempre e uno a tutti quelli che si danno la pena di leggere! 
Mars

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** COMPLICATIONS ***


Erano passati un po' di giorni da quella mattina in cui era corsa in ospedale lasciando Duff solo e senza parole sulla porta di casa. Se lo ricordava perfettamente con quell’espressione smarrita e la bocca aperta, non gli aveva dato tempo nemmeno di parlare o fare qualcosa tanto era agitata lei stessa. Istintivamente avrebbe voluto chiedergli di andare con lei, si sarebbe sentita più tranquilla, riusciva ad infonderle coraggio come nessun altro, ma poi si era talmente impanicata per quella chiamata e per le implicazioni che poteva avere che aveva solo pensato a correre via. Era agitata a tal punto che le tremavano le mani, era incapace di  tirare fuori dalla borsa le chiavi della macchina, guidare era completamente fuori discussione, avrebbe fatto un incidente pure lei, ammesso che fosse riuscita ad avviare il motore. Così aveva fermato l’unico taxi che fortuitamente stava passando in mezzo alla strada e c’era saltata su come un razzo col cuore che le batteva come un tamburo nel petto. Non le sarebbe  suonato strano se il tassista si fosse impressionato per il tono concitato con cui gli stava parlando, pareva matta o incredibilmente irritante con il suo costante  incalzarlo con la richiesta di sbrigarsi, ma non era nello stato mentale adeguato per rendersene conto.  

Tutto il tragitto da casa all’ospedale era stato surreale, quasi non fosse stata lei in prima persona a viverlo, ma una sua proiezione e se ne rese conto solo nel momento in cui si trovo’ nella fredda e asettica sala d'attesa da sola, aspettando di incontrare qualcuno che avesse potuto spiegarle qualcosa. Solo in quell’istante realizzò davvero cosa stava  accadendo, non solo intorno a lei ma anche dentro se stessa. Mentre giocherellava nervosamente con una fede che portava sull’indice aveva sentito la sua mancanza. C'era tale un vuoto intorno a lei che sarebbe bastata la sua presenza, per colmarlo. Averlo vicino  al suo fianco, non le sarebbe servito niente di più per sentirsi in pace e in grado di affrontare ogni difficoltà. Quel silenzio teso che l’avvolgeva in quei minuti interminabili l’aveva fatta riflettere, aveva percepito una strana sensazione, come se qualcosa fosse rimasto incompiuto.

'Credo che glielo dovrei dire...' era un pensiero pulito. Era arrivata al punto che doveva confessare quello che provava, era certo, perché dopo tutti quei mesi le cose  erano decisamente cambiate per tutti, in modo tacito e impercettibile, con la costanza delle lancette che scorrono sull’orologio, nonostante nulla fosse ancora stato svelato o chiarito, almeno non in modo cosciente.
Non le erano rimaste indifferenti le parole di Duff, certo erano state pronunciate quando si trovava  in uno stato più ubriaco che cosciente, ma il detto che si usava in quei casi era proprio “in vino veritas” e di solito era proprio vero. Stentava a credere che si trattasse di una bugia, sapeva perfettamente che quando si avevano la mente annebbiata dall’alcool si commettevano tante idiozie, ma fare una scenata del genere non avrebbe avuto alcun senso in quelle condizioni, senza contare che probabilmente non avrebbe avuto le forze per dirla o per affrontare le sue conseguenze.

La sera precedente per Simone era stata speciale, la prima in cui si era riuscita a addormentare serenamente da tanto tempo, senza preoccupazioni che affollavano la sua testa e il pensiero che fosse accaduto proprio quando era con Duff non poteva che farla riflettere, significava decisamente qualcosa.  Alla fine lo aveva ammesso, almeno con se stessa, che si era innamorata di lui, non le importava troppo che lui non fosse stato cosciente mentre gli baciava la buonanotte, desiderava che anche lui si ricordasse del momento in cui gliel’avrebbe detto. 

Sospirò. Non riusciva a non pensare a quanto avrebbe voluto essere tra le sue braccia, avvolta dal suo profumo, dirgli “ti amo” come ogni innamorato è libero di fare, o semplicemente stringergli la mano, senza doversi trattenere come ogni volta. Ecco sì, le sarebbe tremendamente piaciuto stare con lui mano nella mano, intrecciare le proprie dita alle sue in quel silenzio complice che spesso si creava tra loro e che non necessitava di essere colmato di parole senza senso, la loro sintonia andava al di là di tutto quello, era molto più profonda. 

In quell'istante vide passare davanti a lei un’infermiera di corsa verso chissà quale stanza e si sentì in colpa per avere completamente dimenticato il motivo per il quale si trovava lì. Aveva pensato solo a se stessa, ma almeno era giunta ad una conclusione, voleva confessare tutto, ne sentiva il bisogno, anche se prima doveva capire a chi dirlo prima. Sarebbe stato facile lasciare Joe? Che domande. A volte si soprendeva della sua stessa stupidità, era ovvio che non sarebbe stato facile dopo tutto quello che avevano vissuto assieme, dopo tutto il bene che ancora gli voleva, soprattutto dopo la promessa che gli aveva fatto e che si era fatta di aiutarlo. Non era persona da tradire la fiducia di qualcuno, men che meno di chi conosceva e che si fidava di lei. Certo era che stare insieme,  ora che finalmente aveva realizzato che amava un altro, sarebbe stato solo ipocrita, ma non riusciva a mettersi il cuore in pace per il fatto che l'avrebbe lasciato nel momento peggiore  per lui. Senza contare che non avrebbe potuto più aiutarlo in nessun modo perche' conoscendolo, sicuramente non avrebbe accettato la situazione imbarazzante che si sarebbe creata, in fondo Joe era ancora innamorato di lei, ed era anche profondamente orgoglioso. Dopotutto chi sarebbe stato il fesso che avrebbe accettato l'aiuto della ragazza che amava ma che frequentava un'altro?

"E' qui per il signor Perry?" Simone si stava arrovellando su quei ragionamenti quando venne riportata alla realtà da una donna di mezza età di fronte a lei, una dottoressa per la precisione, e aveva l'aria grave. La ragazza scrutò preoccupata per qualche secondo il suo viso teso e le venne un tuffo al cuore. Si stava figurando i peggiori scenari, quelli che mai avrebbe voluto vedere, quelli che sperava non avrebbero mai avuto luogo e che mai si sarebbero ripetuti nella vita di Joe. 
 
"Venga prego, ho bisogno di parlarle."  In meno di una frazione di secondo tutte le certezze della ragazza e le sue buone intenzioni si sgretolarono davanti a quello sguardo serio. Aveva quasi l’impressione che quella donna sapesse cosa le frullava per la testa, cosa stava per fare, quali fossero i suoi sentimenti e la sua posizione. Si sentiva spoglia e forse anche un po’ giudicata, ma ovviamente era tutto uno scherzo della sua fantasia, il fatto era che si sentiva in colpa e la sua coscienza glielo stava facendo notare in quel modo assurdo e sottilmente maligno.

Annuì alla dottoressa e la seguì lungo il corridoio poco affollato della clinica fino alla stanza in cui si trovava Joe. C’era una finestra di vetro sulla porta, un piccolo oblò su cui Simone si affacciò immediatamente. Lo riusciva a vedere supino sul letto, addormentato. Un paio di tubi trasparenti infilati nelle sue braccia pallide erano collegati a delle macchine pulsanti la cui funzione le era sconosciuta. 
Lo osservò per qualche secondo senza sapere cosa dire o cosa fare. Non aveva idea di come stesse, ma almeno era lì davanti a lei. Si girò verso la dottoressa, tentando di dire qualcosa, ma le lacrime la anticiparono, improvvisamente  scoppiò a piangere, la tensione delle ore precedenti che aveva accumulato dentro era esplosa tutta insieme in quel semplice gesto infantile.

Era confusa, combattuta e spaventata, ma date le circostanze una cosa era sicura, non avrebbe confessato niente a  Joe, almeno per un po'.

***
Eccomiiiii!! Sbucata dalla nuvola di impegni che mi hanno rapita! So che non è il massimo e che nemmeno è esageratamente lungo, non è quello che avrei voluto secondo i miei piani originari ma insomma, bisogna accontentarsi di quello che viene dall'ispirazione ballerina no?
Spero continuiate a leggermi e a lasciarmi un pensierino o un'opinione valgono moltissimo per me! 
Grazie a chi c'è e chi ci sarà! 
Mars 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** A LOVESTRUCK ROMEO ***


Duff era andato al Roxy senza nemmeno volerci davvero mettere dentro piede, "era una notte buia e tempestosa" avrebbe detto Snoopy, anche se fuori non faceva poi così brutto, pioveva solo abbondantemente come spesso accadeva in quella stagione, perché era ora di ammetterlo, non solo la sua cara vecchia Seattle sapeva essere cupa e uggiosa come poche, anche Los Angeles aveva dei momenti di defaillance che sfatavano il mito del sole e del caldo per 365 giorni l'anno.
Spalancò svogliatamente la porta semiaperta con una spalla e si sistemò in un angolino tranquillo nell’ingresso affollato per scrollarsi di dosso l'acqua che si era accumulata in piccole goccioline sul suo chiodo nero e che gli aveva inumidito i capelli. Gli sarebbero sicuramente diventati gonfi da tanto era afoso dentro quel locale, ma non sarebbe stato un problema, tutto sommato sarebbe stata una cotonatura naturale, non essersela fatta a casa da solo era stato positivo.
Sfoderò un pacchetto di sigarette consunto che portava nella tasca posteriore dei pantaloni e si accese una bella Marlboro rossa mentre cominciò flemmaticamente a darsi un'occhiata in giro. Non sembrava esserci nessuno di particolarmente interessante quella sera, il locale era buio e colmo di gente, con la musica  a palla che lo frastornava notevolmente tanto che gli ci volle un pochino per riuscire ad adattarsi all'atmosfera festosa che sembrava pervadere le persone presenti.
In fin dei conti non era poi così male lì dentro, sicuramente meglio che a casa, almeno sarebbe riuscito a fare quattro chiacchiere con qualcuno e non sarebbe rimasto a rimuginare da solo su Simone e su ciò che era successo per farla scappare via di corsa quella mattina. Aveva provato a chiamarla ma non era mai riuscito a trovarla a casa, rispondeva sempre una delle sue due coinquiline. Sapeva che non voleva evitarlo, ne era certo anche se quell’atteggiamento lasciava intendere tutt’altro.
 Per dirla tutta, non sarebbe proprio stato da solo visto che c'era anche Izzy a casa, ma tanto lui di sera se ne stava sempre per i fatti suoi a strimpellare la chitarra, e comunque non gli sarebbe stato d'aiuto conversare con lui visto che soleva essere sempre la voce della sua coscienza e Duff aveva il sospetto che gli avrebbe detto qualcosa che sicuramente l’avrebbe fatto riflettere e messo di cattivo umore. Era sempre così quando Izzy gli spiattellava la verità in faccia con l’aplomb e la tranquillità tipica di chi ha la ragione dalla propria parte. Ed era sicuro che non avrebbe mancato di farlo anche in quell’occasione, Izzy ci teneva a lui e da buon amico voleva solo il suo bene.
Stava pensando agli svariati sermoni che il chitarrista avrebbe potuto fargli riguardo la sua cotta per Simone (anche se di cotta sapevano entrambi che non si trattava più) quando improvvisamente la vide proprio lì, in quello stesso locale a pochi metri da lui. Preso dalla foga, si lasciò sfuggire un’esclamazione di soddisfazione che attirò su di lui lo sguardo interessato di qualcuna delle ragazze lì vicino che lo stavano puntando da un po’ per poi rimanere deluse quando lo videro allontanarsi di corsa.
 
Si fece strada in mezzo alla ressa che affollava il Roxy e si diresse verso di lei sperando che non si spostasse da quel minuscolo cono di luce che la illuminava o avrebbe fatto molta fatica a ritrovarla in quella penombra. Era agitato, entusiasta, insomma, contento. Si sentiva elettrizzato, da quanto non  la vedeva?  Forse una settimana o poco più, pochi giorni in fin dei conti, ma a lui parevano avere avuto la durata di mesi. Non aveva mai passato così tanto tempo senza di lei da quando la conosceva, senza nemmeno una telefonata o un rapido saluto al bar.  Le era mancata, come non gli era mai mancato nessuno prima.
Finalmente la raggiunse, si sistemò un attimo la giacca, cosa che non faceva mai visto che  fondamentalmente se ne sbatteva di come andava in giro, e fece qualche passo fuori dall’ombra verso di lei. La chiamò a voce alta, ma era così presa a parlare con le sue amiche che nemmeno lo sentì. Allora le posò una mano sulla spalla “Simone!” le urlò all’orecchio facendola sussultare.
 
"Duff!” lo guardò a metà tra lo stupito e il divertito “Ma sei matto?! Per poco non mi fai venire un infarto!" gli disse dandogli una piccola spintarella sul petto facendolo arretrare di un passo. Era felice quanto lui di vederlo, questo il ragazzo lo poteva dire dal solo modo in cui i begli occhi blu della ragazza lo scrutavano con un guizzo di gioia.
 
“Vieni con me!” le disse senza pensare ad altro.  Avrebbe voluto portarla via, in un posto lontano, fare come quegli eroi delle favole che le loro principesse in luoghi magici, invece le prese la mano e la guidò sulla pista da ballo, solo quello aveva a disposizione, un piccolo spazio vitale ritagliato tra altri corpi in movimento. Si trovarono vicini stretti tra i giovani che ballavano intorno scatenandosi al ritmo di canzoni di Billy Idol o dei Duran Duran.
 
“Balliamo?” disse Duff. La domanda retorica pronunciata in quell’istante aveva un che di stupido, erano lì in mezzo che altro potevano fare? Guardarsi in faccia e restare immobili? ‘Anche’ pensò Duff, rendendosi conto che a volte faceva delle uscite quantomeno goffe.
 
“Duff  lo sai che non sono capace, te l’ho detto mille volte…” rispose Simone titubante. Non era proprio vero che non sapesse ballare, ma lei si sentiva enormemente ridicola a farlo di fronte a lui, perché per lo più quando iniziava se la musica le piaceva, finiva per fare la scema. Di solito succedeva così coi suoi amici, si divertivano facendo i deficienti in pista, in un susseguirsi di mosse buffe o demodé.  Piuttosto che farlo, avrebbe preferito sotterrarsi.
 
Il ragazzo la guardò arrossire nell’ombra “Perché credi che io sia un bravo ballerino? Non so minimamente da dove iniziare, però me ne frego e faccio come mi pare.” le prese nuovamente la mano affusolata, “Dimentica tutto il resto e divertiamoci, ok?” e le fece fare una piroetta rapida su se stessa facendola scoppiare a ridere.
 
Ma non riuscirono a fare che quattro passi che la musica cambiò repentinamente, sostituendo ritmi veloci e battenti con delicate e poetiche note di piano, lasciando disorientati i due giovani mentre il resto dei ragazzi iniziava a danzare coi propri compagni oppure lentamente abbandonava la pista. Duff prese gentilmente la ragazza, facendole scorrere un braccio attorno alla vita, avvicinandola e riconoscendo in quel momento la canzone che stava suonando, sembrava perfetta per l’occasione, perfetta per loro.  
 
Pretty eyed, pirate smile, you'll marry a music man”. Sorrise impercettibilmente quando arrivarono quelle parole che Simone stava intonando sottovoce ad occhi chiusi, quasi tra sé.
“Ballerina, you must have seen her dancing in the sand” continuò lui sussurrandogliele all’orecchio riportandola alla realtà. Due zaffiri si aprirono su di lui, tradendo un leggero infantile imbarazzo. “Mi piace questa canzone.” Disse Simone, come a giustificarsi, prima di trovarsi un dito del ragazzo posato sulle labbra, per zittirla.
 
Jesus freaks out in the street” proseguì Duff incoraggiandola. Dopo un timido inizio cantarono assieme in armonia per un po’ fino a che Simone non sbagliò l’attacco di una strofa e abbassò il viso timidamente scocciata. ‘Posso sposarla, qui, subito?’  pensò il biondo che restava costantemente disarmato di fronte alla dolcezza della ragazza. “Hey…” le prese il viso perfetto tra le mani alzandolo verso il suo e si studiarono quasi come se fosse la prima volta che si stessero vedendo. In effetti era un po’ come se fosse davvero la prima volta che si incontravano, lì alla luce di qualche neon circondati da una musica assordante e piacevole, era la prima volta che succedeva che non si incontrassero alla luce del giorno e la sensazione era come se qualsiasi cosa avrebbe potuto accadere. Era facile reagire con freddezza agli eventi durante la giornata. Era facile non farsi assalire dalle emozioni quando il sole era alto nel cielo, quando un certo pudore ancora vigeva nei comportamenti delle persone, nei loro stessi comportamenti, timorosi di esternare le loro emozioni più del dovuto per paura che quelle prendessero il sopravvento in circostanze che a loro sembravano sbagliate ma che, nei fatti, di sconveniente non avevano nulla. Di notte era tutto un altro discorso. Ciò che succedeva di notte era diverso, si tingeva di magia e assumeva tutt’altro spessore. Di notte qualsiasi gesto diventava più intenso, amplificato, quasi estraniato dalla realtà, proprio come loro due lì insieme in mezzo alla gente eppure staccati dal mondo.
Duff non sapeva se Simone avesse cambiato qualcosa nel modo di vestire, di truccarsi o se semplicemente era perché non la vedeva da un po’, ma quella sera gli sembrava ancora più bella di come se la ricordava. Indossava l’abito più semplice possibile, un tubino nero senza fronzoli, e i capelli color cioccolato le ricadevano lunghi e vaporosi sulle spalle. Niente tacchi, niente accessori vistosi, solo due piccole stelline ai lobi ed eccola lì magicamente la sua fata di nuovo davanti a lui ad illuminarlo col suo sorriso radioso.
 
“Heavenly wine and roses
Seem to aspire to me
When you smile”

 
Chi lo diceva? Non se ne ricordava, ma aveva davvero importanza? Non contava più niente, erano solo loro due, avvolti in una bolla, in una dimensione lontana. In quel momento Duff  prese coraggio ed azzerò le distanze tra loro, baciandola.  Per un attimo credette che il suo cuore stesse per esplodere dalla gioia quando Simone rispose a quel contatto.
‘Stringimi più forte piccola ballerina…’ si disse mentre la cullava tra le braccia, il suo viso appoggiato sulle sue spalle. Le posò un bacio sui capelli profumati, continuando a ballare assieme a lei, ringraziando chissà quale divinità per la fortuna che aveva avuto che lei fosse entrata a fare parte della sua vita.
***
Come un Romeo innamorato era tornato a casa da solo cantando per strada i motivetti più allegri che conoscesse, soprattutto quella stupida canzone dei Ramones che gli era venuta in mente per caso, che poco centrava col suo stile ma che non riusciva a trattenersi dall’intonare: “Baaaaby I looooove yoooou” non si ricordava altro del testo se non quelle quattro parole che continuava a cantare in ripetizione come un disco rotto. Era così felice che gli sembrava di camminare sollevato da terra, se si fosse concentrato era convinto che sarebbe riuscito a volare. “Baaaaby I looooove yoooou” disse di nuovo improvvisando un passo di danza sulla melodia che stava suonando incessantemente nella sua testa. Mentre cantava la gente della notte si girava a guardarlo, alcuni incuriositi, altri ridendogli dietro credendo fosse in preda agli effetti di chissà quale specie di nuova droga euforica, altri ancora pensando che avrebbero voluto essere al posto di quel ragazzo biondo che sembrava così maledettamente felice. Lui non si curò di loro e andò dritto per la sua strada, come faceva sempre, schivando pozzanghere, cantando e figurandosi nella sua mente il suo ballo con Simone. Quanto era stato fantastico sentirla tra le sue braccia, sentire il suo corpo così vicino al suo, un ballo estremamente sensuale ma allo stesso tempo così intenso, elegante quasi d’altri tempi. Per quei pochi minuti il mondo intorno a loro si era azzerato, non esisteva più niente e nessuno ed erano rimasti solo loro due a muoversi su quella pista da ballo straripante di gente. Aveva voluto baciare quelle labbra di rosa, era stato come un sogno diventato realtà prima che la musica finisse e lei lo allontanasse delicatamente per tornare dalle sue amiche, come un cerbiatto che sfugge. Gli era sembrato di essere riuscito solo a sfiorarle, era stato così delicato ma allo stesso tempo così intenso che desiderava non avesse dovuto finire. Ma era sicuro che sarebbe stata  solo questione di tempo e avrebbe potuto riempirla di baci ogni volta che avesse voluto, o almeno così sperava dal profondo del suo cuore. Fu un susseguirsi di ricordi di quello che aveva vissuto con Simone alternato a fischiettate felici fino a che non mise piede nel letto.  Era entrato in casa senza nemmeno preoccuparsi che Izzy ci fosse o meno, tanto era tutto spento aveva dedotto che si fosse addormentato, e se non c'era forse era anche meglio, così non avrebbe dovuto rendere conto del suo improvviso buon'umore. Appoggiò la testa sul cuscino, sul volto aveva dipinto un sorriso che non gli si vedeva da tempo, uno di quello che si estende da orecchio a orecchio,  espressione di pura gioia. Con le mani incrociate dietro la testa guardò il soffitto bianco sopra di lui. Si immaginò per l’ultima volta quella sera il viso di Simone, i suoi capelli lunghi, il suo magnifico profilo, gli occhi blu nei quali avrebbe voluto immergersi, e disse qualcosa del tipo "Tu ed io, piccola, che ne dici?".

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** HE IS NOT A NICE BOY ***


Simone tornò a casa da sola.
Uscì dal Roxy poco dopo che vide Duff andarsene. In un primo momento la sua intenzione era stata quella di nascondersi per non farsi trovare, infatti si era allontanata dal ragazzo per andarsi a nascondere in bagno. Quel bacio l’aveva presa in contropiede, non pensava che potesse accadere proprio quella sera, in mezzo a tutta quella gente, era quasi preoccupata che fosse successo dove qualcuno che la conosceva avrebbe potuto vederla. Non voleva assolutamente che si venisse a sapere, non in  quel modo, non in quel momento. Fece un profondo respiro prima di uscire, sperando in cuor suo di non dovere affrontare ancora il biondo per quella volta. Sia chiaro, non le aveva dato fastidio quel bacio, non era assolutamente dispiaciuta del momento magico passato con lui, ma era solo confusa. A casa la aspettava Joe, lui aveva bisogno di lei, ora più che mai. E lei baciava un altro. Lei amava un altro. “Ma in che bel casino mi sono cacciata…” pensò scuotendo amaramente la testa aprendo cautamente la porta del bagno. Non c’era nessuno per fortuna, nessuno che conoscesse per lo meno. Si diresse verso il suo gruppetto di amici e li salutò rapidamente. In quell’istante vide Duff avviarsi verso l’uscita del locale con un sorriso stampato in viso e istintivamente si dipinse anche a lei un sorriso sul volto.
 
“Tutto bene?” le chiese Tamara distraendola.
 
“Come? Oh sì… sì certo alla grande.” Disse Simone senza molta convinzione. Andava veramente tutto alla grande?
 
“Mmm…Sicura?” le domandò ancora Tammy guardandola con un’espressione furba. Aveva capito tutto. O forse aveva visto tutto.
 
“Ti prego non dire niente…” più che una domanda assomigliava ad una supplica e probabilmente lo era. Lanciò un’occhiata al ragazzo che in quel momento stava uscendo dalla porta per poi girarsi verso Tammy mordendosi un labbro.
 
“Ti è venuto a cercare di nuovo sai…Dai vai da lui.” la incoraggiò l’amica dandole una piccola spinta.
Ma non fece mai in tempo a raggiungerlo. Non appena Simone fu fuori dalla bolgia, al fresco della notte, di Duff non c’era più traccia. Sembrava essersi smaterializzato, o più verosimilmente si era confuso tra la gente che ancora girava per strada a quell’ora, per prendere un po’ d’aria dopo il temporale.
Per un attimo fu quasi delusa. Poi vide un ragazzo che si stava rollando una canna e sussultò. Di nuovo ripensò a Joe e rimproverò di averlo lasciato solo nonostante tutto quello che le avevano raccomandato i medici. “Sono proprio una merda.” Si disse fra sé, ripensando a quanto lui era stato carino a insistere perché si prendesse un po’ di tempo per se stessa, per uscire e divertirsi. Aveva passato un’intera settimana al suo fianco, giorno e notte, dal momento dell’incidente non l’aveva mai lasciato. Quella era la prima volta che metteva piede fuori casa da quel giorno. “E guarda che casino succede.” Simone sperava fosse una di quelle sere tranquille, in cui avrebbe potuto annoiarsi e tornare a casa senza nulla da raccontare, o da nascondere. Non aveva cambiato idea  sui suoi sentimenti, nemmeno sull’intenzione di confessare tutto, ma ora era troppo presto, soprattutto per la piega che aveva preso la situazione.
Una folata di vento le scompigliò i capelli e lei si strinse un po’ più forte nel giacchetto di pelle che indossava ed iniziò a camminare lungo il Sunset. “The boulevard is not that bad…” l’eco di Tiny Dancer si fece vivo nella sua memoria, proprio come le immagini di quel bacio. “Se solo non fosse tutto così complesso.” Sospirò. La strada per tornare a casa di Joe era lunga. Si girò guardando nel senso del traffico e alzò una mano, fermando un taxi e salendoci su lesta, lasciando che l’aria fresca che scorreva dal finestrino le rischiarasse un po’ i pensieri tumultuosi.
 
***
Ebbe un sonno agitato. In realtà quasi non riuscì a dormire, tra la paura di svegliare Joe e la sua testa che non sembrava dal cenni di voler staccare. Aveva esaminato il soffitto della stanza così bene che oramai non aveva più segreti per lei. “Avrò due occhiaie tremende al lavoro domani….amen.” pensò rassegnata quando vide l’orologio segnare le cinque del mattino. Scivolò fuori dal letto e si chiuse la porta alle spalle avviandosi lungo il corridoio buio di quella casa silenziosa. Andò a prendere la borsa che aveva abbandonato rapidamente sul divano bianco del salotto quando era entrata e frugò cercando il portafogli. Ne estrasse una foto di lei e Duff, la stessa polaroid che le aveva scoperto Tamara qualche tempo prima. Simone ne aveva fatta una copia per portarla sempre con sé, pensando che in un certo senso era come se il ragazzo non la lasciasse mai. La aprì, era tutta svirgolata e spiegazzata, ma l’immagine non era rovinata. Rimase qualche secondo in piedi a  guardare quel bel viso, con l’intenzione di imprimerselo bene nella mente, come se già non lo conoscesse a menadito. Guardò gli occhi verdi del ragazzo osservarla dalla carta lucida e automaticamente si toccò le labbra con la punta delle dita. Le aveva baciate davvero. Non era stato un sogno, era successo sul serio. Sorrise. Sembrava già appartenere ad un passato remoto eppure era accaduto tutto solo poche ore prima. Ripose la foto al sicuro tra le sue cose e recuperò una coperta dal divano per poi uscire sul terrazzo, stava albeggiando. Faceva ancora freschino ma il paesaggio era davvero mozzafiato. La villa di Joe era una grande casa arrampicata in cima ad una delle colline di Laurel Canyon, circondata da alberi e nulla più. Ai suoi piedi il grande reticolato di luci e strade che formava la città di Los Angeles si estendeva a perdita d’occhio. Sembrava stranamente silenziosa sotto il cielo che cominciava  a tingersi di rosa col primo sole, così lontana, quasi stesse sonnecchiando anche lei prima di riprendere la corsa frenetica di tutti i giorni. Si appoggiò alla balaustra di ferro della terrazza, l’aria era ancora fresca, ci sarebbero volute ancora un po’ di ore prima che iniziasse a fare caldo. Sembrava tutto così surreale e meraviglioso. Inspirò profondamente  e chiuse gli occhi. Vide Duff, rivide l’attimo di quel bacio. E sorrise. “Quanto vorrei che fossi qui con me adesso.” Disse piano sospirando, pensando a quanto perfetto sarebbe stato osservare con lui il sorgere dell’alba.
 
“Ma io sono qui.” Si sentì stringere dolcemente in un abbraccio inaspettato che la riportò coi piedi a terra. Spalancò immediatamente gli occhi con un piccolo sussulto.
 
“Scusa, ti ho fatto paura?” le chiese Joe dandole un bacio sulla tempia.
 
“Hey…no. No è che non ti avevo sentito arrivare e…” ‘sì un po’ mi hai spaventato’ “hai visto che bella l’alba?” gli domandò osservando il suo profilo.
 
“Sei più bella tu.” Rispose lui sorridendo.
 
“Dai scemo…” Simone gli rifilò un buffetto sulla guancia.
 
“Guarda che è vero! Tu per me sei la più bella di tutte le bellezze del mondo.” la fece girare verso di sé in modo che desse le spalle al panorama prima di darle un bacio a stampo. “Lo sai.” aggiunse fissando i suoi occhi neri in quelli blu di lei, assicurandosi che avesse capito prima di darle un altro bacio a cui Simone reagì un po’ freddamente.
“C’è qualcosa che non va?” le chiese l’uomo cercando di leggere nei suoi occhi.
 
“Sono solo un po’ stanca…” era vero, ma non del tutto. Questo Simone lo sapeva e sperava che Joe non se ne accorgesse.
 
“Ti ho sentita rientrare un po’ tardi stanotte. Vedi a fare la donna di mondo?” la canzonò lui passandole una mano tra i capelli. “Ti sei divertita?” era preoccupato per lei, era da troppo tempo che la vedeva al suo fianco senza dedicarne un po’ a se stessa, era solo che contento che gli stesse così vicino ma non voleva che si privasse della sua vita.
 
“Sì, è stato bello.”
 
“Conosciuto qualcuno di nuovo?” sapeva che era molto facile incontrare gente quando si usciva in posti come il Roxy o i vari bar dello Strip, anche lui aveva iniziato così quando si era trasferito lì da Boston.
 
“Mmm, no, tranquillo, tutte vecchie conoscenze, le solite facce…” tentò di essere il più vaga possibile.
 
“E….?”
 
“E cosa?” le chiese alzando le sopracciglia stupita.
 
“C’era qualcun altro?”
A sentire quella domanda a Simone venne un colpo. No, non poteva sapere, figuriamoci. Ma nemmeno intuire…lei non aveva mai lasciato trapelare nulla su Duff, nemmeno una parola. Però era facile che lo avesse fatto qualcun altro, anche non intenzionalmente. Le persone parlavano, e anche tanto. Eppure le sembrava strano che lui fosse venuto a conoscenza del biondo. Non frequentavano gli stessi ambienti, anche se però lui conosceva Izzy. E se Joe avesse sentito parlare Duff con gli altri ragazzi quando era andato da Izzy a prendere…no completamente fuori discussione! Joe non si faceva più e Izzy le aveva dato la parola d’onore che avrebbe smesso di rifornirlo. Si stava solo facendo brutte paranoie.
 
“Ho incontrato un vecchio amico che non vedevo da un po’.” Rispose finalmente sorridendo.
 
“Beh un giorno me lo presenterai…e anche gli altri, se vorrai. Sono curioso di conoscerli me ne parli sempre così bene.” era curioso davvero, li conosceva tutti: nomi, descrizioni, quasi poteva collegare gli eventi che Simone gli raccontava ad ognuno di loro, ma non li aveva mai incontrati, non aveva mai considerato che a lei avrebbe potuto far piacere.  
 
“Oh…” quella richiesta l’aveva presa alla sprovvista. Vuole davvero conoscere i miei amici? Joe non aveva mai manifestato quel desiderio, era sempre stata lei a insistere per farlo andare con loro e lui non aveva mai voluto. Invece adesso glielo stava chiedendo davvero. E a Simone sembrava così strano. Nuovamente si sentiva a disagio  di fronte ad una domanda e di nuovo era solo una questione di paranoia.
“Certo. Certo, sarebbe bello! E anche loro ne sarebbero contenti!” Si rese conto che Joe stava cercando di renderla contenta, dopo tutte le volte che lei gli aveva posto quella richiesta. ‘Ti voglio bene’ pensò e lo abbracciò. ‘Ti voglio bene…’ ripensò. Non era più come prima.
Si scostò e gli sfiorò delicatamente il sopracciglio, sui punti della cicatrice che ancora doveva rimarginarsi dopo l’incidente. Si era presa tanta di quella paura che pensava di averlo perso.
“Come va il ginocchio?”
 
“ Male. Non vedo l’ora che mi operino.” e fece una smorfia di dolore che strappò una risata alla ragazza.
 
“Povero il mio ometto.” Gli diede un bacino sulla punta del naso.
“Fra un po’ devo andare, ho un photoshooting presto stamattina in centro. Non ho tanta voglia.”
 
“Resta qui con me allora.” Propose lui, sapendo che non avrebbe mai accettato.
 
“Magari…” sarebbe rimasta volentieri in quella villa, in quel posto così lontano da tutto. Lo abbracciò ancora per qualche secondo prima di staccarsi di nuovo. “Vado a farmi una doccia, ti aiuto a tornare dentro?”
 
“Non serve, come sono arrivato da solo fin qui riesco anche a tornare.” Fece lui deciso.
 
“Sei proprio sicuro?” lo tentò la ragazza.
 
“Beh, se proprio insisti…” amava quando era così dolce con lui.
 
Simone lo prese sotto braccio e lo accompagnò lentamente fin dentro casa, lasciandolo seduto sul divano mentre lei andava a prendere il cambio che si era portata per poi chiudersi in bagno.
Era immacolato, con un grande specchio sopra il lavandino di porcellana. Si osservò, non aveva l’aria delle migliori, era stata meglio. ‘Mio dio spero di non rovinare il servizio oggi.’ Si sentiva parecchio fiacca, colpa della notte in bianco. Così decise di prendere delle vitamine. ‘Dov’è che le tiene Joe?’ iniziò a frugare nell’armadietto, tra vari flaconi di pillole colorate che assomigliavano a caramelle, tutti gli antidolorifici che doveva prendere a causa dell’incidente. “Eccole!” Aveva trovato quello che cercava, prese il barattolino pronta ad ingoiare una di quelle pastiglie bomba, ma con sua grande sorpresa non vi trovò niente di nemmeno lontanamente simile dentro.
Simone sgranò gli occhi di fronte alla vista di quella bustina trasparente. La sfilò dall’apertura e la guardò bene. Bianca, finissima polverina bianca. “Oh no…” non voleva credere a quello che i suoi occhi stavano osservando. Istintivamente guardò anche tutti gli altri barattoli ordinatamente disposti sul ripiano ed iniziò a svitarli, uno ad uno, con le mani che tremavano dall’ansia. Più andava avanti e più si sentiva presa da un nodo allo stomaco, non era di spavento o di paura, non solo. Più apriva i flaconi e ne scopriva il reale contenuto, più si sentiva tradita profondamente. Rabbia le stava montando nelle vene come una tempesta, come aveva potuto? Mentirle così spudoratamente. Aveva smesso tutto, ci stava provando seriamente. Si era frantumato il menisco e i legamenti cadendo dalla moto, non era stato dovuto a niente se non alla sua imprudenza. E lei gli aveva creduto. Che stupida. Si sentiva così terribilmente stupida.
Guardò lo scempio ammucchiato sul lavandino e le gambe le cedettero di colpo facendola crollare a terra. “Non puoi averlo fatto davvero.” E invece l’aveva fatto. Era venuto il momento di affrontarlo, non poteva aspettare oltre. Si lavò e cambiò, con lentezza cercando di razionalizzare e capire cosa dire.
Raccolse tutte le sue cose, risistemò i barattoli dove li aveva trovati e si avviò con le bustine in salotto, dove Joe la stava aspettando.
 
“Perché mi hai mentito?” gli disse freddamente gettandogli in grembo le bustine. Voleva sapere cosa le avrebbe risposto.
 
Joe era completamente sorpreso, non si aspettava di trovarsi in quella situazione. “Non ti ho mentito…”
 
Simone scoppiò a ridere “Come puoi essere così spudorato? Non mi hai mentito?Allora tutte quelle storie e promesse che mi hai fatto me le sono inventate?”
 
“No, ma…”
 
“No, ma, cosa?” Simone non lo fece finire “Spiegami ti prego, non dirmi altre bugie.”
 
“Volevo dirtelo…” Joe era in difficoltà. Si sentiva terribilmente in colpa, sapeva che prima o poi sarebbe emersa tutta quella storia.
 
“Volevi dirmelo quando? Aspettavi che ti trovassi in una tomba per dirmelo?” il tono della ragazza stava diventando sempre più freddo. Lo guardò abbassare gli occhi e capì “No, tu non mi avresti detto niente.”
 
“Simone, io non volevo farti soffrire!”
 
“Tu non volevi fare soffrire me? Non capisci che lo hai fatto non dicendomi la verità?! Joe tu non volevi far soffrire te stesso, per questo non te ne sei liberato!” sentì l’impulso di piangere, ma si sforzò di non farlo “dimmi, tieni di più a me o a quella?” gli chiese, non sapendo nemmeno lei cosa avrebbe risposto. Il fatto fu che dopo una lunga pausa non arrivò mai una risposta. Simone lo guardò ferita. Poi pronunciò una frase che non si sarebbe mai aspettata di sentirsi dire. “Bene. Stando così le cose, resta pure con lei visto che non puoi farne a meno. Io me ne vado.”
 
In quel momento si impose di non ascoltare nessuna delle parole di supplica di Joe, raccolse la sua sacca con le sue cose, strinse i denti ed uscì di casa senza sbattere la porta, sapendo che lui non avrebbe potuto rincorrerla per fermarla. Si avviò lungo la strada che scendeva a valle, raccattando un passaggio da un vicino di Joe che la conosceva e che fu così gentile da portarla fino allo studio in cui la aspettavano a Los Angeles.
Stranamente, mentre lavorava, era come se tutto quello che fosse successo fosse stato vissuto da qualcun altro. Non aveva ancora preso coscienza degli eventi. Fu una sessione lunga, più di mezza giornata, ma non appena terminò il suo dovere mise da parte la bella camicia e i pantaloni blu che aveva quando era arrivata e si mise su altri abiti puliti, più comodi, un paio di leggings neri con le rose, una maglietta nera larga e lunga che le ricadeva molle lasciando scoperta la spalla e delle Dr. Martens nere. Era un sacco di tempo che non si metteva quelle cose, le erano mancate. Uscì dallo studio senza sapere esattamente cosa fare o dove andare e così iniziò a girovagare per le strade della città, senza realmente cercare niente. Voleva solo stare un po’ a zonzo, con se stessa e basta. Sera arrivò in fretta e con lei un certo languorino.
Veramente Simone sentì delle vere rane nello stomaco e realizzò solo in quel momento che non aveva nemmeno pranzato. Passò davanti a un ristorante thailandese e si fermò di colpo.
“Non ho mai provato il thai.” Si ricordò di quelle parole in un batter d’occhio e sorrise. Ora sapeva cosa fare e dove andare.
 
***
Duff sentì bussare alla porta e si avviò ad aprirla piuttosto infastidito. Stava scrivendo una canzone, come si permettevano di interromperlo? Certo sarebbe potuto andare pure Izzy che stava oziando sul divano con la chitarra, ma figuriamoci, lui non apriva mai.
“Che cazzo c’è?”  chiese scocciato mentre spalancava la porta di scatto, pentendosi immediatamente di quello che aveva detto.
 
“Momento sbagliato?” chiese Simone divertita vedendolo arrossire come un pomodoro. “Torno più tardi se vuoi.”
 
“No…no sei impazzita?” le prese il borsone che aveva in spalla “Come hai fatto a trovarmi?”
 
“Uh ho chiesto un po’ in giro. Pare ci sia un sacco di gente che ti conosce da queste parti.” Gli sorrise. “Ho portato la cena!” fece contenta. “Allora…non mi fai entrare?” chiese timidamente Simone.
 
“Ah…sì, sì, vieni!” Duff la guardò inebetito entrare in casa, ancora stupito di vederla nel suo squallido appartamento a quell’ora di sera. 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** TIMES THEY ARE A-CHANGIN' ***


Duff guidò Simone attraverso l’anticamera mal illuminata fino alla sua piccola stanzetta, la prima a destra dopo l’ingresso. Era piuttosto piccola, c’era giusto spazio per a malapena due materassi buttati a terra impilati l’uno sopra l’altro, una pila di vestiti ammucchiati sopra una sedia in un angolo e un piccolo mobiletto di legno su cui erano rigorosamente allineati una serie di vinili e libri.
Le pareti che un tempo erano state bianche, ora erano grigie, qualche poster era stato appeso forse per coprire delle macchie di umidità forse per rallegrare l’ambiente, o più probabilmente per entrambe le cose.
Non appena aveva messo piede in quella casa, Simone si trovò in un ambiente lontano anni luce dal lusso patinato in cui aveva vissuto per molto tempo fino a quel momento, eppure si sentì immediatamente a suo agio. Tutto in quel posto da squattrinati le ricordava quegli appartamenti dimessi e luridi in cui i suoi amici solevano andare a vivere a Londra perseguendo i loro ideali profondamente anticonformisti di giovani punk inglesi.
Quando Duff aprì la porta della sua camera, si fiondò immediatamente a raccattare tutta la sua roba sparsa sul letto per consentirle di sedersi, era piuttosto imbarazzato che la ragazza vedesse quel casino nella sua testa non doveva esserci abituata, nonostante lei gli avesse raccontato più e più volte del suo passato e della gente che era abituata a frequentare. Dal canto suo Simone si fermò sull’uscio e si appoggiò allo stipite della porta, passando in rassegna le immagini di musicisti che la osservavano dai muri: giovani, sciupati supporter dell’anarchia. Quando vide il bel viso di Joe Strummer che assieme alla sua band erano allineati di fronte a lei, sorrise; per la prima volta si sentiva davvero a casa, una sensazione che non aveva più provato da quando era partita.
 
“Lascia stare, è tutto perfetto così.” Disse al ragazzo toccandogli un braccio, fermandolo. Non serviva che sistemasse tutto per lei, non era poi così un disastro, aveva visto di ben peggio. “Davvero!” aggiunse rassicurante vedendo lo sguardo dubbioso di Duff, che nonostante desiderasse ripulire da cima a fondo quello squat fino a farlo brillare desisté di fronte quella richiesta.
La fece accomodare sul letto mentre le prese di mano il sacchetto con la cena e si sedette a terra, a gambe incrociate, come gli piaceva fare quando era in compagnia.
 
“Cos’è questo?” domandò tirando fuori dal sacchetto due scatolette di cibo da asporto che assomigliavano tanto a quelle in cui di solito mangiava i noodles. Vide anche due paia di bacchette di legno e gli prese lo sconforto, era lento ed impacciato a mangiare senza posate, ci metteva il doppio del tempo normale e già si immaginò le chiazze di cibo che sicuramente sarebbero finite sulla sua maglietta.
 
“Thai!” rispose Simone mentre si alzava dal letto e si sistemava sul pavimento di fronte al ragazzo, prendendo i contenitori che Duff aveva in mano e distribuendoli. “Mi sono ricordata che ti sarebbe piaciuto provarlo e allora ne ho preso un po’.” Aprì una scatola ne osservò il contenuto e gliela passò “Questo è tuo, pad thai, so che vai pazzo per il piccante, spero ti piaccia.”
Duff era piacevolmente impressionato, si ricordava cosa gli piaceva e aveva scelto per lui, pensando a lui! Era una bellissima sensazione, quella di sentirsi considerato, che qualcuno facesse qualcosa per lui completamente gratuitamente, senza aspettarsi niente in cambio, era chiaro segno di affetto, o che comunque Simone in qualche modo tenesse a lui. Era da quando era piccolo che non gli succedeva più, l’ultima persona che si era comportata in quel modo era stata sua madre, e Simone sicuramente non lo vedeva come sua madre, almeno così sperava.
Mentre mangiavano fecero un po’ di small talk,  cosa avevano fatto in quei giorni, le novità dei loro circoli di amici, niente di importante insomma, ma nemmeno di troppo superficiale, ma soprattutto niente che riguardasse loro personalmente.
 
“Ho lasciato Joe.”  Alla fine Simone se ne uscì con quella frase completamente dal nulla, con una calma che si addiceva ad  una affermazione innocua che poteva servire a colmare il vuoto tra una pausa e l’altra di una conversazione. Purtroppo la reazione di Duff non fu propriamente connotata dalla stessa tranquillità, sentendo quelle parole per la sorpresa i noodles che stava per mangiare gli scivolarono dalle bacchette finendo sulla maglietta bianca macchiandola. Era un impiastro. Guardò la ragazza con occhi increduli, ancora non riuscendo a realizzare realmente il significato di quello che aveva appena sentito.
 
“Tu hai…?”
 
Simone annuì con la testa, aveva passato la precedente mezz’ora per decidere quando sarebbe stato meglio rivelare quella notizia, ma alla fine realizzò che non c’era un momento migliore di un altro, glielo doveva dire e basta.
 
“Ti serve una maglietta pulita.” si preoccupò subito quando vide che si era sporcato, stava già per alzarsi ma il ragazzo la fece risedere, voleva che gli spiegasse tutto, lo vedeva che Simone aveva bisogno di liberarsi di quel peso e non era andata da lui completamente a caso, e lui era lì apposta per ascoltarla ed aiutarla, se ci fosse riuscito.
 
“Lascia perdere la maglietta, raccontami.”
E così Simone iniziò a narrare tutto dall’inizio: la loro storia, non aveva mai parlato di lei e Joe con Duff, certo qualche volta capitava che lo nominasse o lo tirasse in ballo, ma in linea di massima non ne parlava mai più di quanto non fosse strettamente necessario. Gli raccontò di quello che aveva cercato di fare per lui, andando a parlare con Izzy quel giorno che si erano conosciuti, della promessa che aveva fatto a se stessa di aiutarlo, perché da solo non ne sarebbe mai uscito, di come sembrava si stesse sistemando tutto fino a quel mattino quando aveva scoperto la verità e se n’era andata. Passare in rassegna quei momenti le sembrava quasi strano, non si sentiva lei in prima persona ad averli vissuti ma una proiezione di sé che sembrava lontana anni luce.
 
“Tu vorresti aiutarlo ancora, non è vero?”  Domandò Duff quando la ragazza ebbe finito. Il biondo l’aveva ascoltata attentamente fino alla fine in silenzio senza mai interromperla, riflettendo su quello che le stava confessando e su quanto tutto sommato fosse ancora importante per lei quella promessa che aveva fatto. 
 
“Io… non lo so.” Simone abbassò lo sguardo, non riusciva a mentire con Duff, dirgli la verità era quello che più si meritava, considerato che lei stessa non sapeva ancora cosa avrebbe voluto fare. L’unica cosa di cui era davvero certa era che per un po’ Joe avrebbe dovuto cavarsela da solo.
 
“OK. Penseremo al da farsi insieme.” il ragazzo aveva un tono risoluto e le prese la mano per farle sentire che aveva il suo appoggio. Poteva solo lontanamente immaginare quanto si potesse sentire tradita eppure allo stesso tempo il principio di tenere fede ad una promessa fatta ad una persona a cui si vuole bene, nonostante questa l’avesse ferita, gli era ben chiaro e lo rispettava. Quando sarebbe venuto il momento, se lei glielo avesse chiesto, avrebbe cercato di aiutarla.
Simone quando sentì Duff parlare ed agire in quel modo quasi si commosse. Sapeva che era un bravo ragazzo nonostante l’apparenza che ingannava molto facilmente, ma non avrebbe mai pensato che sarebbe stato disposto a starle vicino in quel modo. Se avesse detto ancora qualcosa probabilmente sarebbe scoppiata a piangere così cercò di cambiare discorso, e soprattutto distogliere lo sguardo da quegli occhi verdi che riuscivano a leggerle dentro.
 
“Dove tieni le tshirt pulite?” gli chiese cercando di assumere un’aria pimpante mentre si alzava e si dirigeva verso l’angolo opposto della stanza dove c’era la sedia con i vestiti, che però sembravano tutti lerci. Si guardò attorno e scorse una sacca semi aperta e la indicò guardando il ragazzo,  iniziando a rovistarci dentro dopo che Duff le diede il via libera. Ne tirò fuori una maglietta nera con l’immagine di God Save the Queen stampata in bianco che le sembrava adatta e gliela lanciò sedendosi sui materassi, dandogli la schiena aspettando che si cambiasse.
Il basso bianco del ragazzo riposava a terra, accanto ai suoi piedi, mentre sopra vi giacevano dei fogli scribacchiati. Li raccolse entrambi e gettò una rapida occhiata a quegli appunti: notò che Duff aveva una bella calligrafia chiara e pulita. “Think About You” diceva il titolo. Non volle leggere oltre per non risultare troppo ficcanaso e appoggiò i fogli al suo fianco sulle lenzuola in disordine, iniziando invece a giocare un po’ con le corde dello strumento. Non sapeva bene come fare, a dire il vero, era sempre stata un po’ negata con le corde, lei suonava la batteria e anche se sempre di ritmo si trattava, non sentiva di averci una grande confidenza.
 
“Lo sai suonare?” le chiese incuriosito Duff che intanto si era cambiato e seduto al suo fianco. 
 
“Non proprio…” gli rispose la ragazza sentendosi un po’ in difetto.  “So fare solo questo” e pizzicò un poco le corde cercando di ricordarsi l’andamento di Smoke On the Water. Era da mesi che non suonava più e si vedeva, stava producendo un disastro sonoro che la fece desistere quasi immediatamente.  “Ehm, sapevo fare…” disse imbarazzata poggiando il basso in grembo.
 
“Dai ti insegno!” le fece Duff propositivo, le aveva fatto tenerezza vederla così imbarazzata, se possibile risultava ancora più dolce di quello che non fosse già normalmente. E lui non vedeva l’ora di passare un po’ di tempo con lei. Iniziò col rimetterle in mano lo strumento e si posizionò alle sue spalle prendendole le mani e guidando i suoi movimenti, suonarono qualche nota assieme. Pareva così strano essere lì a stretto contatto con lei finalmente senza dovere avere paura di fare qualche cavolata. O meglio, la paura c’era ancora, ma adesso era come se la barriera invisibile che esisteva tra loro si fosse disintegrata e potessero essere naturali al cento per cento.  
Duff si sentiva euforico come un bambino, stringere tra le sue braccia la ragazza che amava, insegnarle a fare la cosa che più amava al mondo, si sentiva così in equilibrio e in pace. In più adorava sentire ridere Simone, vederla imparare e prendersi in giro, adorava il suo profumo che ora, grazie a quella vicinanza, riusciva a percepire più chiaro del solito, un dolce irresistibile profumo di rosa.
Mentre la ragazza continuava a suonare, questa volta procedendo da sola, il biondo iniziò a sfiorarle con le labbra la pelle nuda delle spalle lasciate scoperte dalla maglietta, finendo per soffermarsi a baciarle l’incavo del collo, là dove il suo profumo era più forte.
Quel gesto fece smettere Simone di suonare e si scostò repentinamente dal contatto col ragazzo. Duff pensò immediatamente di essere stato un po’ troppo impulsivo e di avere rovinato tutto, ma poi vide la ragazza girarsi verso di lui e guardarlo. Non sembrava infastidita né tantomeno arrabbiata, i suoi occhi blu brillavano e lui ne era completamente incantato. Poi Duff si sentì prendere il viso tra le mani delicate della ragazza e non capì più niente se non che forse era diventato l’uomo più felice della terra. Simone lo baciò e per lui fu un po’ come morire, o rinascere dipendeva dai punti di vista. Era diverso da quando l’aveva baciata lui la prima volta, quello era stato un po’ un bacio rubato, cercato certo, ma non da entrambi; perciò sempre rubato.
Questo invece, se possibile, era ancora più vero, non avrebbe avuto la durata di una canzone, eppure ne possedeva la medesima intensità.
Il biondo avvicinò la ragazza a sé e la fece stendere sul letto, continuando a baciarla. Stava iniziando a scaldarsi, attendeva quel momento praticamente da sempre, dal primo momento in cui l’aveva conosciuta ed ora finalmente erano solo loro due. Sentiva le dita affusolate di Simone tra i suoi capelli, le sue labbra sulle sue, sembrava un sogno, in cui il mondo era completamente chiuso fuori. Fece scorrere timidamente una mano sotto il cotone sottile della maglietta della ragazza, toccandole la pelle liscia e morbida iniziando ad esplorare il suo  bel corpo senza essere irruento o invasivo.
Era tutto così estremamente perfetto fino a che la porta della stanza non si aprì di botto:
 
“Allora imbecille, si può sapere che cazzo hai di così importante da non rispondere nemmeno? T’abbiamo chiamato almeno dieci volte!”  Izzy aveva spalancato la porta parlando a Duff con tono irritato, non si scompose nemmeno troppo quando lo vide con una ragazza, erano cose a cui erano ben più che abituati.
 
Duff si girò trattenendosi a stento dall’inveire contro l’amico “Ero occupato Izzy, non lo vedi?” gli sibilò tra i denti maledicendolo per averlo interrotto.
 
“Dai cazzo, puoi scopare anche dopo, tanto sarà uno dei tuoi soliti roiti, adesso alza il culo e vieni in cucina che abbiamo da discutere coi ragazzi.” Izzy continuò a parlare come se nulla fosse, poi notò che la ragazza che aveva appena insultato era Simone e si volle sotterrare all’istante. Ecco perché l’amico non sentiva né rispondeva. Si sentì un po’ una merda per averli interrotti, sapeva quanto Duff fosse preso da lei e avesse anelato quel momento ma oramai il danno era stato fatto; e la band veniva prima di tutto.
Salutò Simone con un cenno della testa, “Ti aspettiamo di là”  fece calmo ma perentorio al biondo , mantenendo un aplomb invidiabile nonostante la figuraccia, e richiuse la porta andando in cucina, senza menzionare la presenza della ragazza agli altri, non era compito suo farlo.
 
Non appena la porta si richiuse alle spalle di Izzy, Duff si girò verso Simone “Scusa, è un idiota.”
La ragazza scoppiò a ridere divertita, era dispiaciuta di quell’interruzione ma dopotutto non era poi stata la fine del mondo. “Non fa niente…” disse dandogli un bacio a fior di labbra “Dai non vai da loro? Deve essere qualcosa di importante no?” gli passò una mano scostandogli i capelli disordinati dal viso.
 
“Ancora cinque minuti…” fece lui, facendo ristendere la ragazza e riprendendo a baciarla, ma non durò troppo a lungo, prima che lei lo scostasse.
 
“Duff non farli innervosire… e poi non sei curioso di sapere cosa hanno da dire?”
Il biondo sbuffò, non voleva andare a quella riunione improvvisata lasciando Simone, ma d’altro canto era effettivamente interessato a sapere cosa avessero da discutere gli altri di così importante.
‘Questa me la devono, maledetti!’ pensò mentre si alzava a malavoglia e si trascinava verso la porta. Afferrò la maniglia per poi girarsi verso la ragazza seduta sul letto che lo osservava sorridendo incoraggiante. Sarebbe tornato di corsa da lei ma si trattenne, “Vieni?” le chiese allungando la mano verso di lei, facendole segno di raggiungerlo.
Simone scosse la testa “No dai, è il vostro momento, non centro niente.” Non voleva risultare come quella ficcanaso che si metteva in mezzo, anche se quell’invito le aveva fatto davvero molto piacere.
 
“Ti prego non dire stupidaggini, dai vieni, ti voglio con me.” Lasciò la mano tesa nel vuoto fino a che la ragazza non l’afferrò per stringerla. Duff le sorrise “Ti amo lo sai?” non aveva calcolato di dirglielo in quel momento, che non era né poetico tantomeno romantico o adatto, eppure gli era uscito spontaneo e sperava che lei non se la fosse presa a male.
“Ti amo anche io.” Rispose lei, gli occhi brillanti di felicità, alzandosi in punta di piedi e dandogli un bacio “Adesso andiamo sennò gli altri si irriteranno.” Gli diede una leggera spintarella, facendolo muovere.
Quando arrivarono in cucina trovarono gli altri riuniti attorno al tavolo sgangherato, Izzy in piedi appoggiato al lavandino di fianco a Slash che stava fumando una sigaretta, Steven ed Axl seduti sulle uniche sedie disponibili.
 
“Finalmente Duff! Pensavamo fossi … Ah ciao splendore!”  Slash si illuminò vedendo Simone arrivare con Duff e pensando di non essere visto da nessuno dei due ragazzi che stavano salutando gli altri, tirò una gomitata ad Izzy facendogli uno sguardo eloquente “Potevi dirlo che era con lei!”
 
“Non sono un pettegolo come te Saul.” Ribattè Izzy laconico, aspirando del fumo dalla sua Marlboro.
 
“Piantala di fare il deficiente Slash, guarda che ti ho visto.” Sussurrò Duff all’amico tirandogli una manata violenta sulla spalla, fingendo fosse una pacca tra amici, sperando di avergli fatto abbastanza male affinché non dicesse più cazzate.
 
“Allora di cosa dobbiamo parlare?” chiese infine agli altri che però non dissero una parola, ma guardavano interessati e senza nemmeno troppo dissimulare Simone, che si era messa in disparte in un angolino.
“Forse è meglio che vada…” fece imbarazzata di fronte alle quattro paia di occhi che si erano fissati su di lei insistentemente. Ma poi Izzy parlò “No, resta, non ci sono segreti qui. Oramai sei di famiglia.” Le disse parlando un po’ a nome di tutti, di norma sarebbe stato Axl a dire quelle cose, ma la conosceva troppo poco per poter esprimere un parere, lui invece sapeva quasi ogni sviluppo della storia con Duff e si sentiva quello più autorizzato a dire qualcosa. Soprattutto perché Steven e Slash erano troppo presi a guardarla come due ebeti.
Simone sentì la tensione provvisoria che si era creata allentarsi e svanire e si riappoggiò alla parete, lasciando che i ragazzi parlassero tranquilli. Si vedeva che erano affiatati, un vero gruppo costituito da cinque elementi ognuno diverso ed unico: c’era Axl il leader carismatico, Slash il pazzo chitarrista blues, Izzy l’architetto, Steven  un ragazzino bloccato in un corpo di uomo e Duff, quello saggio e razionale.  Erano così differenti l’uno dall’altro  ma riuscivano a trovare un’alchimia quasi magica quando suonavano assieme. Si ricordava quando li aveva visti provare nel garage il giorno che era andata da Izzy, il giorno in cui tutto era cominciato. Ed ora che li vedeva agire uniti tutti e cinque era come se le dinamiche della band fossero evidenti come il tratto di una matita rossa su carta bianca. Sperava con tutto il suo cuore che avessero successo il prima possibile, nessuno più di loro se lo meritava.
Era talmente assorbita dai suoi pensieri che nemmeno si accorse che Duff le era corso vicino entusiasta: “Hai sentito? Hai sentito Simone? Suoniamo al Whisky!” la stava scuotendo per un braccio, era talmente entusiasta che prese di peso la ragazza e la sollevò da terra facendola volteggiare nell’aria di fronte agli occhi divertiti degli altri ragazzi che continuavano a darsi pacche sulle spalle e tirarsi finti pungi di congratulazioni tra loro.
Suonare al Whisky A Go Go era sempre stato non solo il loro sogno, ma anche segno che stavano diventando una band importante. Solo quelli con un determinato seguito e nomea ci riuscivano e finalmente potere entrare in un tempio del rock come quello significava che l’ingranaggio della macchina stava lentamente iniziando a ruotare nel verso giusto.
Quando finalmente si calmò, Duff posò a terra Simone e annunciò a tutti che uscivano a festeggiare, era così felice che non riusciva a trattenersi, così tante belle notizie nel giro di poche ore non gli era mai accaduto, notizie che gli stavano per cambiare la vita.
Il suo entusiasmo era travolgente, così tanto che non diede il tempo a nessuno di proferire parola, la ragazza non ebbe che il tempo di salutare gli altri che in men che non si dica si trovò fuori casa col  biondo diretti chissà dove.
Quanto agli altri, rimasero senza parole di fronte alla reazione dell’amico. Anche loro provavano esattamente le stesse sensazioni, però era innegabile che lui avesse molto più per cui gioire.
 
“Ma durerà?” chiese Axl interrompendo finalmente il silenzio. Sapeva com’era Duff, che si innamorava rapidamente e con la stessa rapidità restava fregato dalle ragazze che frequentava. Però quella volta sembrava diverso, lei sembrava diversa e nonostante tutto, era la prima volta che vedeva l’amico così … felice.
 
“Prega dio di sì.” Commentò semplicemente Izzy, sperando in cuor suo che quella volta andasse davvero tutto bene.
 
***
“Ma poi Izzy parlò…” a rileggerla mi sembrava tanto dio che prende parola ahah. Amo Izzy :)
Spero vi stia piacendo la piega della storia, anche se  purtroppo riesco ad aggiornare con lunghi intervalli, ma… meglio di niente no?
Ringrazio davvero tutti quelli che leggono e che trovano un po’ di tempo per farmi sapere che ne pensano: Lau, Ellie, Foxy, Cri e Chiaretta muàh!
Much Love a tutti! 
Mars

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=939638