Undisclosed Desires

di Roberta87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** trama ed introduzione ***
Capitolo 2: *** PROLOGO ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 1 - Giullare di corte ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 2 - il primo incontro ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 3 - Il fiore più bello ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 4 - La proposta ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 5 - Luce ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO 6 - Fuoco ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO 7 - Sei ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO 8 - Cantante muta ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO 9 - Bella può bastare? ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO 10 - Informazioni e sassolini ***
Capitolo 13: *** CAPITOLO 11 - Tana, Lupo ***
Capitolo 14: *** CAPITOLO 12 - Decisioni ***
Capitolo 15: *** CAPITOLO 13 - Incontro ravvicinato ***
Capitolo 16: *** AVVISO!! Buone Vacanze!! ***
Capitolo 17: *** CAPITOLO 14 - Minaccia ***
Capitolo 18: *** CAPITOLO 15 - Mille e una notte - parte prima 'Sam Uley' ***
Capitolo 19: *** CAPITOLO 15 - Mille e una notte - parte seconda 'Garage' ***
Capitolo 20: *** CAPITOLO 15 - Mille e una notte - parte terza 'Anima e Corpo' ***
Capitolo 21: *** CAPITOLO 16 - Punto di rottura ***
Capitolo 22: *** CAPITOLO 17 - Farsi da parte ***
Capitolo 23: *** CAPITOLO 18 - Un passo alla volta ***
Capitolo 24: *** CAPITOLO 19 - Romeo ***
Capitolo 25: *** CAPITOLO 20 - Opportunità ***
Capitolo 26: *** CAPITOLO 21 - Undisclosed Desires ***
Capitolo 27: *** CAPITOLO 22 - Confessioni ***
Capitolo 28: *** CAPITOLO 23 - Niente roba da femminucce ***
Capitolo 29: *** CAPITOLO 24 - Quando il bianco è spietato ***
Capitolo 30: *** CAPITOLO 25 - Orribili difetti ***
Capitolo 31: *** CAPITOLO 26 - Festa con sorpresa - parte prima ***
Capitolo 32: *** CAPITOLO 26 - Festa con sorpresa - parte seconda ***
Capitolo 33: *** CAPITOLO 27 - L'Orlando ***
Capitolo 34: *** CAPITOLO 28 - Sol Invictus ***
Capitolo 35: *** CAPITOLO 29 - Ri-conoscersi ***
Capitolo 36: *** CAPITOLO 30 - Una nuova realtà ***
Capitolo 37: *** CAPITOLO 31 - Freaks ***
Capitolo 38: *** CAPITOLO 32 - Umanamente io ***
Capitolo 39: *** Avviso, Buone Vacanze! ***
Capitolo 40: *** CAPITOLO 33 - La fine e l'inizio ***
Capitolo 41: *** CAPITOLO 34 - Distrai le mie parole ***
Capitolo 42: *** CAPITOLO 35 - Un tuffo nel passato ***
Capitolo 43: *** Avviso ***



Capitolo 1
*** trama ed introduzione ***


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INTRODUZIONE e TRAMA



“I want to reconcile the violence in your heart

I want to recognise your beauty’s not just a mask
I want to exorcise the demons from your past
I want to satisfy the undisclosed desires in your heart.”
Muse

“ Voglio riconciliare la violenza che c’è nel tuo cuore
Voglio riconoscere che la tua bellezza non è solo una maschera
Voglio esorcizzare i demoni del tuo passato
Voglio soddisfare i desideri non rivelati che ci sono nel tuo cuore”
Muse

Questo ritornello dei Grandiosi Muse mi ha convinto a mettere su carta ciò che ormai stava già da un pezzo nella mia fantasia. Una storia, la mia storia alternativa a Twilight.
Questa storia narra di una spensierata e felice Bella, che vive da tre anni a Forks, trasferitasi all’allora suo primo anno di liceo. Da due anni ha una storia con una persona “molto speciale”, una storia completa, serena e piena d’amore. Davvero non avrebbe potuto sperare di meglio da quel trasferimento....Se non fosse che, è un mese che ormai Bella si sveglia prima del solito, con un senso di inquietudine attaccato addosso……Che qualcosa stia per succedere? Che qualcuno stia per arrivare a sconvolgere la sua normalità?......Qualcuno che poi, infondo , tanto “normale” non è ? Magari una famiglia, i Cullen, che stavolta si presenteranno al completo + 1 .

Se volete scoprire chi è il suo adorabile compagno; Chi, stavolta, si troverà nella scomoda posizione di “ultimo arrivato” alla Forks High, invertendo le parti originarie; Chi è questo nuovo (che tanto nuovo non si rivelerà) componente della famiglia Cullen; E come tutte queste cose si intrecceranno tra loro…..non vi resta che leggere il resto della mia storia!! Spero vi piaccia tanto quanto a me sta piacendo scriverla!

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Capitolo 2
*** PROLOGO ***


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PROLOGO



Pioggia, immancabile e fastidiosissima pioggia.
Anche quella mattina fu la prima cosa che vidi appena aperti gli occhi, fuori dalla finestra accanto al mio letto. Non che ci fosse qualcosa di cui stupirsi, del resto da quando mi ero trasferita da mio padre a Forks erano spuntate al massimo una decina di giorni di sole in tre anni.
Wow, erano già passati ben tre anni. A volte sembravano passati solo pochi giorni da quando girando per i corridoi della Forks High mi sentivo come un fenomeno da baraccone, una di quelle scimmiette che cantano e ballano attirando l’attenzione di chiunque nel raggio di un centinaio di metri.
Mentre ripensavo a quei primi, terribili giorni, la sveglia sul comodino iniziò a trillare quel fastidioso motivetto che Charlie aveva tanto insistito che scegliessi, perché, parole sue “Meglio una cosetta tranquilla come questa Bells, non vorrei correre a sollevarti da terra tutte le mattine perché sei caduta dal letto nella fretta di spegnere una sveglia rumorosa!”.

Spensi la sveglia con una mano senza nemmeno guardarla, mi passai le dita tra i capelli con l’altra e quello che vidi pendere dal mio polso mi procurò il solito sfarfallio allo stomaco che non riuscivo mai a controllare, specialmente di primo mattino. Quel piccolo, semplicissimo oggettino appeso al braccialetto mi fece sorridere involontariamente, scacciando all’istante la scomoda sensazione di inquietudine che mi pervadeva ormai ogni mattina nell’ultimo mese e che puntualmente mi svegliava circa una mezz’oretta prima del dovuto .
Con la testa ancora un po’ tra le nuvole mi alzai e inziai a prepararmi per la giornata sapendo che di lì a poco lui sarebbe venuto a prendermi per andare a scuola. Lui che era ormai il MIO lui da due anni, il mio fedele compagno, il mio caloroso amante…il mio Jacob.

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 1 - Giullare di corte ***


Salve a tutti.... da qui inizia la mia storia. Per i primi capitoli noterete che sono molto brevi, ma posso assicurarvi che con il passare del tempo sono diventati molto più lunghi e lo stile è decisamente migliorato....ero davvero alle primissime armi quando ho scritto questi capitoli iniziali. Per cui......spero continuerete a leggere questa storia con piacere.
E spero anche vivamente di poter ricevere le vostre recensioni, belle o brutte che siano, perchè è grazie a voi e alle vostre parole se continuo a pubblicare la mia storia.
Buona Lettura.


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CAPITOLO 1 – “Giullare di corte


Preparavo i pancakes per Charlie quando scese le scale ed entrò in cucina vestito di tutto punto nella sua uniforme. Sarebbe sembrato un autorevolissimo capo della polizia a chiunque, ma non a me. Nemmeno da bambina quella divisa mi aveva mai intimorita,ero sempre riuscita a vedere l’uomo buono ed insicuro che vi si celava dietro.
« ‘Giorno tesoro » disse distrattamente dando una sistemata al distintivo.
Poi alzò lo sguardo e vide la tavola tutta apparecchiata per la colazione e me che gli servivo un piatto con fumanti pancakes affogati nello sciroppo d’acero.
« Cavolo Bells, anche stamattina ti hanno tirata giù dal letto all’alba?! »
« Ehm….ma no papà, che dici. Sono solo….stata più veloce del solito,ecco. »
« Bella il giorno in cui tu, anche solo tenterai, di fare qualsiasi cosa “più veloce del solito” temo che dovrò rispolverare le mie conoscenze al centro traumatologico della città » disse puntando la forchetta nella mia direzione e ridendosela sotto i baffi.
Ormai non facevo più caso a quante volte al giorno mio padre mi ricordasse quanto fossi disperatamente scoordinata; Anzi a dire il vero da quando Jacob aveva iniziato a frequentare casa nostra, diciamo “più spesso”, Charlie aveva trovato in lui l’alleato perfetto per rendermi il loro clown personale: ero circondata, ed in netta minoranza, non mi restava che subire quel loro pseudo cameratismo anti-Bella.
Pensando a Jake e ricordandomi che di lì a poco sarebbe stato fuori casa mia ne presi in prestito la sua risposta più frequente, contenta di poterla usare almeno per stavolta a mio vantaggio 
« Certo, certo » .
Per poco Charlie non si strozzò con il boccone ultra glicemico della sua colazione .
« Ehi, signorina, va bene che Jacob mi sta molto simpatico, ma non voglio che anche tu prenda quel brutto viziaccio di rispondere meccanicamente, d’accordo? »
E così dicendo sfoderò il suo sguardo da Capo Swan, ottenendo come unico risultato quello di intenerirmi, trattenendomi dal rispondergli ancora una volta nello stesso modo. Gli sorrisi,
« Non preoccuparti papà, non c’è questo pericolo » e non c’era davvero dal momento che anche io combattevo la sua stessa battaglia contro quello zuccone del mio ragazzo.
Infilai il cappotto, presi lo zaino e mi avviai verso la porta
« A stasera! » gli gridai dall’ingresso,
« D’accordo e sta attenta! » .
Aprii la porta e nel richiuderla dietro di me ci rimase lo zaino incastrato dentro, sbuffai, “Stupida porta”, mi liberai da quella trappola e finalmente la richiusi alle mie spalle. Intanto dalla cucina mi raggiunse l’eco della grassa risata di Charlie, ma in quel momento non me la presi del suo deridermi, in quel momento mi ero appena immersa nel mare scuro e profondo color nocciola del paio d’occhi più innamorati dell’intero stato di Washington.

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 2 - il primo incontro ***


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CAPITOLO 2 – “Il primo incontro

Quegli occhi, che in quel momento erano pieni di una dolcezza che solo un amore puro porta con se, appartenevano a colui che era il mio compagno da due anni : Jacob Black.
Prima di diventare tale, Jake era stato per me dapprima un divertentissimo compagno di giochi infantili quando da piccola venivo a trascorrere le vacanze da Charlie; Poi, una salda e spensierata ancora di salvezza durante il primo anno in cui mi trasferii a Forks.
In quel periodo dovunque andassi avevo tutti gli occhi puntati addosso: la cosa più imbarazzante del mondo. Mi sentivo sempre osservata; all’inizio pensai che forse avevo qualcosa di strano, magari ero troppo pallida, troppo magra, i capelli fuori posto, i vestiti sgualciti : insomma proprio non riuscivo a capire perché, tutto ad un tratto, mi ritrovavo ad essere la principale attrazione di un’intera cittadina.
Poi, dopo il terzo giorno dal mio arrivo, vennero a farci visita Billy Black e suo figlio Jacob. Ricordo ancora che la prima cosa che mi disse fu
« Tranquilla Isabella, qui sono solo a corto di svaghi, vedrai che tra qualche settimana sarai lasciata in pace da tutti quei pettegoli »
« Bella » risposi indicando me stessa, fu l’unica cosa che mi venne da dire in quel momento al ragazzone premuroso che mi trovavo davanti, così diverso dal bambino che ricordavo giocare con me in spiaggia.
« Come scusa? » chiese spiazzato
« Bella può bastare. Del resto mi pare mi chiamassi già così quando facevamo le torte di fango insieme da piccoli »
Billy scoppiò in una fragorosa risata indicando il figlio che in quel momento mi guardava confuso :
« Visto Jake? Te l’avevo detto che si sarebbe ricordata di te » poi rivolto a me aggiunse « E’ stata un’idea sua quella di chiamarti Isabella, diceva che non voleva sembrare invadente come gli altri; Ma dico io, è più invadente una manciata innocente di ragazzini curiosi o uno zuccone che tormenta il padre di portarlo a casa tua? »
Jacob diventò rosso paonazzo in volto e poi sorrise, un sorriso imbarazzato, ma nel quale rividi il mio compagno di giochi di un tempo.
No, non era diverso, non era cambiato, era ancora il Jacob che avevo conosciuto anni prima. Era solo cresciuto, e da un bambino magrolino, vispo e con i capelli arruffati era diventato il bellissimo ragazzo che avevo davanti in quel momento.
La pioggerellina sottile sul viso mi riportò al presente, davanti a me, alla fine del vialetto di casa, c’era il mio Jacob.
Poggiato con la schiena alla moto nera e lucente stava lì a guardarmi.
La bocca dalle labbra carnose e lisce si apriva in un sorriso ampio che mostrava i bellissimi e perfetti denti; il volto olivastro incorniciato da una morbida e folta cascata di capelli neri che gli ricadeva sulle spalle inumidita dalla pioggia .
Quelle stesse spalle di cui era semplice seguire il profilo attraverso la stretta T-shirt bianca che indossava quel giorno, e che metteva ancora più in risalto il caldo incarnato della sua pelle.
Una mano in tasca, e l’altra all’altezza del petto nella quale girava piano un coloratissimo fiore dalle sfumature viola e gialle.


Angolo autrice : PER FAVORE recensite !

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 3 - Il fiore più bello ***


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CAPITOLO 3 – “Il fiore più bello


Avevo lo stomaco in subbuglio, come ogni volta che mi si presentava così: sorriso disarmante, sguardo innamorato, ed immancabile fiore selvatico da offrirmi. Feci un bel respiro profondo, ringraziando il cielo di non aver mangiato nulla quella mattina, e mi diressi verso Jacob.
Cercavo in tutti i modi di mantenere un contegno recitando la parte dell’indifferente, consapevole dei mediocri risultati che avrei potuto ottenere vista la mia totale incapacità di mentire bene. Il mio passo era lento e misurato, avrei voluto che fosse prova quasi di una sensazione di noia; mi imposi di staccargli gli occhi di dosso e di farli vagare un po’ dovunque : in giro per il vicinato, sulla bizzarra auto color verde evidenziatore parcheggiata a pochi isolati da casa mia, su di un cagnolino arruffato che passeggiava sotto la pioggia con il suo padrone, sui miei piedi perfino.
E devo ammettere che mai come quella volta ebbi un tempismo perfetto : abbassai lo sguardo sui miei piedi giusto in tempo per vederli aggrovigliarsi fra loro. Persi l’equilibrio sbilanciandomi sulla destra, “No ! cavolo!” pensai mentre nella mia mente già si materializzava l’immagine di me faccia sull’asfalto e mano sbucciata “Non adesso, Bella, e che diamine! Tieniti su per una volta!” .
Qualche dio del cielo dovette ascoltarmi perché, miracolosamente, con un paio di balzelli ed una mezza giravolta evitai di capitombolare, ritrovandomi seppur leggermente sconvolta ed in una posizione stranissima, ma vittoriosamente in piedi!

In quel momento mi sarei fatta un applauso da sola tanto ero orgogliosa di me stessa, di non averla data vinta almeno stavolta alla mia acerrima nemica : la gravità. Mentre ero intenta a celebrare mentalmente la mia rivincita personale contro il mondo intero mi ricordai di avere un pubblico, un unico spettatore per essere precisi, ma sarebbe bastato ed avanzato a farmi sentire ridicola ancora una volta .
Lanciai un’occhiata a Jacob che era un misto fra minaccia e sguardo indagatore per capire le sue intenzioni, lo trovai con un’espressione divertita ma con mio grande stupore si stava trattenendo dal ridere. Finalmente, voleva darmi una possibilità di iniziare la mattinata senza sentirmi un pagliaccio. Approfittando della mia buona stella mi drizzai su me stessa, aggiustai lo zaino arancione in spalla e poi, mento all’insù, sguardo fiero, coprii la breve (grazie al cielo!) distanza che mi separava dal mio cavaliere.
« Che ne dici Bells, ti senti soddisfatta o preferisci tornare indietro e ripropormi questa farsa? » stavolta non si trattenne dal farsi un bel risolino.
Nonostante ogni sua risata, dalla più piccola alla più fragorosa, mi facesse sentire subito di buon umore, decisi che stavolta non mi avrebbe fregata; incrociai le braccia al petto e sbuffai.
Il risolino di Jacob si trasformò in un sorrisone ampio, in un attimo estrasse la mano destra dalla tasca dei pantaloni e la portò dietro la mia schiena attirandomi dolcemente a sé. Lentamente mi porse il bellissimo fiore che recava nella mano sinistra; ne rimasi affascinata, era davvero stupendo. Allungai una mano, lo presi e rigirandolo tra le dita ne annusai il profumo : selvatico, come la stessa natura della sua provenienza.
Jacob percorse teneramente il profilo del mio naso sfiorandolo con due dita, per poi continuare con i lineamenti della guancia e del mento. Riuscivo a sentire i punti in cui mi aveva sfiorata ancora caldi, come se le sue dita fossero ancora lì, ad indugiare su ogni millimetro della mia pelle, come se nel loro tragitto le sue dita avessero posato su di essa un sottile strato di miele bollente.
Mi sollevò leggermente il viso, piano. Il mare nocciola e profondo dei suoi occhi invase i miei, e lentamente avvicinò il suo volto al mio. Con la punta del suo naso perfetto ridiscese la pendenza del mio fino a raggiungerne la punta, dove si soffermò, e tenendo gli occhi magneticamente immersi nei miei mi sussurrò in un soffio
« …Kuk Laule…».
Le sue labbra si posarono sulle mie dolcemente e vi indugiarono qualche secondo, posando sulla mia bocca un bacio morbido e caldissimo. La sua temperatura corporea era sempre stata molto più alta della mia, “un’eredità genetica della famiglia Black” a suo dire. Non mi interessava da chi l’avesse ereditata, sapevo solo che per me era confortante : tra le sue braccia, immersa nel suo calore, mi sentivo sempre a casa.
Jacob allontanò leggermente il suo volto dal mio, ancora con un braccio poggiato dietro la mia schiena. La mano che fino a pochi istanti prima reggeva dolcemente il mio viso si spostò in cerca della mia e la trovò che stringeva il fiore poggiata al suo petto. La avvolse nella sua, e la mise in bella mostra tra di noi. Quel piccolo fiorellino rappresentava l’unico ostacolo che separava i nostri visi, i nostri occhi, le nostre labbra, quando disse
«…Niente da fare, anche stavolta ho vinto io. » Rivolgendosi più a se stesso che a me, posando lo sguardo prima sul fiore e poi ancora sulla sottoscritta.
« Non sono d’accordo » replicai « Stavolta è proprio bellissimo, non penso di poter contrastare cotanta perfezione ».
Mi sfilò il fiore dalla mano e delicatamente fece scorrere il lembo dei suoi petali sulla mia guancia.
« Bella, tu non ti rendi conto. Tu sei il fiore più bello del pianeta. Ed io te lo sto dimostrando »
« Se non sbaglio puoi testimoniare solo per la riserva…»
« Sono sicuro che non servirebbe a farti aprire gli occhi, ma per te, estenderei la mia scommessa anche al mondo intero ».
Il giorno in cui io e Jake avevamo rivelato i sentimenti che nutrivamo l’uno nei confronti dell’altro, in un momento di intimità, tra un bacio ed una carezza mi aveva detto “Sei il fiore più bello che esista al mondo. Sei il mio fiorellino, ed io sarò il tuo sole.”, tremendamente in imbarazzo lo canzonai dicendogli che stava esagerando. Lui, punto in un momento di tenerezza in cui si era lasciato andare, fece riemergere il Jacob impertinente lanciandomi una sfida : Per ogni giorno che saremmo stati insieme, lui mi avrebbe portato un fiore diverso che nasce nel territorio della riserva. Fin quando non ne avesse trovato uno capace di superarmi in bellezza, io sarei stata il suo fiorellino, ahimè, di nome e di fatto.
« Ora andiamo fiorellino, o non arriverai mai in tempo per l’inizio delle lezioni »
« D’accordo…»
Sciolse il nostro abbraccio, salì in sella alla moto ed io lo guardai ancora «..Jake, stamattina quando sei uscito di casa hai visto che stava piovendo? »
« Certo Bella, e se tu non lo avessi notato, sta ancora piovigginando….i miei baci ti fanno proprio perdere il contatto con la realtà vero? »
Stupido idiota, quando faceva lo sfacciato gli avrei tirato volentieri un ceffone.
« Si che l’ho notato, idiota. Mi riferivo al fatto che sei uscito in T-shirt in una mattina di pioggia! »
« E secondo te come avrei fatto, se non presentandomi così, a farti stringere lo stomaco quando mi avresti visto? »
Mannaggia alla mia boccaccia e a quando gli avevo raccontato del mambo che era solito ballare il mio stomaco alla sua vista.
Che sciocco … come se fosse una semplice T-shirt a farmi quell’effetto e non la bellezza di chi la indossasse. Una risata divertita mi uscì spontanea dall’anima
« Bene, buffone, dopo la tua esibizione mattutina penso proprio che possiamo andare ».
Mi infilai il casco,salii in sella e mi strinsi forte al mio ragazzone, che mise in moto con un rombo la sua due ruote e partì direzione Forks High.


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Capitolo 6
*** CAPITOLO 4 - La proposta ***


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CAPITOLO 4 – “La proposta


Le moto suscitavano in me una reazione di amore/odio.
Mi sembravano sempre bellissime e avventurose, come il mio Jacob, ma allo stesso tempo le temevo : pensare ad una persona seduta su di un proiettile capace di sfrecciare anche a 200 km orari senza nessuna protezione, se non un casco….mi spaventava molto. Forse mi spaventava di più l’idea che ci fossi io da sola, su uno di quei proiettili .. probabilmente avrei avuto le allucinazioni!
Inevitabilmente però, ogni volta che ne avvistavo una per strada, o che ne sentivo il rombo, i miei occhi correvano a scrutare il volto del guidatore, sperando di scorgervi quello di Jake.
Non riuscivo mai a spiegare le sensazioni che provavo quando ero in sella alla moto aggrappata a lui; mi rendevo conto che quei momenti erano quelli che meglio spiegavano l’essenza del mio rapporto con Jacob: libertà, spensieratezza, leggerezza d’animo.
Il paesaggio intorno a noi sfrecciava via veloce, il vento ci accarezzava prepotentemente facendo vibrare nell’aria i capelli folti,neri e lucenti di Jacob che mi solleticavano il viso portando con loro il profumo di legna bruciata e muschio selvatico che tanto mi piaceva, sapeva di buono, sapeva di casa, era l’odore della pelle del mio cavaliere.
Inebriata da quel profumo che tanto amavo, istintivamente schiacciai il mio corpo ancora di più alla sua muscolosa schiena, strinsi forte le mie gambe alle sue, mentre le mie braccia scioglievano la presa intorno alla sua vita per andare a cercare l’ampio torace al quale mi aggrappai forte con entrambe le mani aperte sul suo petto. Sentii distintamente il brivido che lo percorse nonostante le vibrazioni della moto, e restai ancora una volta stupita nel vedere la sua reazione a questo piccolo gesto dopo due anni di relazione.
Nemmeno mi accorsi che eravamo giunti a destinazione immersa com’ero con i pensieri liberi nel vento.
« Un altro giro? » nella sua voce divertita c’era tutta l’intenzione di farlo davvero.
A malincuore mi staccai dalla sua schiena, cercai il gancio del casco e me lo sfilai
« Mi piacerebbe molto Jake, ma penso di essere già abbastanza in ritardo »
« Aspetta ti aiuto a scendere »
« Oh, andiamo, credo di saper scendere da sola ormai! »
« Vediamo….»
Quel “vediamo” mi suonò molto come una sfida,non avrei di certo sprecato una simile occasione per riscattare la mia reputazione! Mi concentrai più di quanto chiunque al mondo facesse per scendere da una moto, infondo era semplice . Con molta attenzione riuscii a mettere entrambi i piedi per terra senza cadere: ero salva.
« Hai visto abbastanza o vuoi che lo rifaccia? » adesso ero io a provocare lui.
« Non sia mai Bells, hai già sfidato troppo la sorte da stamattina! »
Mise il cavalletto alla moto e scese, prese il casco dalle mie mani e lo poggiò sul sellino.
« A proposito di stamattina, ti sei svegliata ancora all’alba? »
Con Jacob tutto era più semplice, anche parlare. Non esisteva cosa che ci nascondessimo, forse perché parlare con l’altro era come riporre le proprie parole ed i pensieri in un posto sicuro; uno di quelli dove sai che nessuno andrà a sbirciare, dove non c’è nessuno che giudichi o ti faccia la predica. Per questo motivo non gli nascosi nemmeno il fatto che era ormai un mese che mi svegliavo all’alba, con uno strano e fastidioso senso di inquietudine attaccato addosso. Non ricordavo mai cosa sognavo, ma infondo sapevo che era quella l’origine della sensazione che mi svegliava.
« Già, che rottura! » risposi infastidita, ovviamente non dalla domanda, ma dalla mia risposta.
« L’ho sempre saputo che eri strana, ma ora stai iniziando a farmi paura »
Gli diedi un leggero pugno sulla spalla trattenendo una risata
« Vuoi smetterla di torturarmi stamattina?! »
« Ma perché? Mi diverto così tanto! »
« Perché non hai più cinque anni….o almeno non dovresti! »
« Certo, certo » Eccolo qui, immancabile, il tic più fastidioso del pianeta!
Gli lanciai la solita occhiata prima-o-poi-questo-tic-te-lo-faccio-ingoiare. La qual cosa gli procurò una grassa e rimbombante risata che fece girare tutti quelli che ancora non ci stavano fissando.
Sì, perché Jacob destava sempre un certo interesse nelle ragazze della scuola che non perdevano mai occasione di squadrarselo ben bene ogni mattina; e i ragazzi invece lo fissavano con curiosità mista a ….. timore? Pensavo fosse la definizione più giusta per i loro atteggiamenti.
Non avevo mai capito come potesse Jacob suscitare timore, e se le persone non si fossero soffermate soltanto sui lineamenti duri del suo volto avrebbero visto anche loro quello che vedevo io : la dolcezza infinita dei suoi occhi e la bontà genuina ed innocente del suo animo.
« Ma si può sapere cos’hai stamattina? » ormai ero troppo curiosa, dovevo capire.
« Sono felice Bells! » sorrise apertamente
« E da dove ti arriva tutta questa felicità? » proprio non ci arrivavo.
« Da quello che sto per chiederti…» il sorriso aperto di prima lasciò spazio all’intensità del suo sguardo. «Tu…..tu lasciami fare, ok? » .
Mi prese le mani e le tenne strette nelle sue, incatenò il suo sguardo al mio con la ferma intenzione di non lasciarlo andare da nessuna parte. Ma cosa stava succedendo?...ormai ero confusa e non ci capivo più niente. Dopo un attimo si schiarì la voce
« Isabella Marie Swan…...»
Oh, oh !

« Jake ma cosa diavolo…? »
« E sta zitta per una volta, Bells! Chiudi quella bocca e stammi a sentire! » il tono duro che usò mi convinse che forse era meglio non interromperlo più .
Eppure con quella premessa mi aveva mandato nel panico totale, di certo non aveva scelto le parole migliori per farmi stare tranquilla. Ora che lo guardavo meglio non avevo mai visto sul suo viso un’espressione più seria, determinata e concentrata di quella.
Era in momenti come questi che dimostrava più anni di quanti ne avesse, e nonostante fosse più piccolo di me, mi faceva sentire come una bambina a suo confronto. Il mio stomaco si strinse forte mentre aspettavo che riprendesse a parlare, quell’attesa mi stava uccidendo :
« Isabella Marie Swan…………vuoi uscire con me stasera? » il sorriso che fece gli arrivò fin dietro le orecchie.
« Jacob ma…. sei impazzito ?! » quasi gliele gridai in faccia quelle ultime due parole.
Ma cosa gli prendeva? Erano due anni che stavamo insieme e lui se ne usciva con una domanda del genere? A volte era proprio capace di sorprendermi, certo, ci era sempre riuscito, ma stavolta aveva superato se stesso!
« No che non sono impazzito! » rispose scandalizzato.
Scandalizzato?!.......... lui faceva lo strano e guardava me scandalizzato?!
« Allora dimmi che significa questa…..non so nemmeno come chiamarla….proposta? » non ero certa che proposta fosse la parola più adatta, ma in quel momento era l’unica che mi veniva in mente.
« Tu prima rispondimi e poi ti spiego. Allora…? » Lo sguardo implorante e il tono speranzoso mi fecero cedere a quella follia che non sapevo nemmeno dove ci avrebbe portato.
« Sì, certo che ci esco con te stasera Jacob Black. Ma ora spiegami cosa ti frulla nella testa »
« Niente è che ho pensato fosse giusto così. Non ti ho mai chiesto di uscire con me, non ce n’è mai stato bisogno, e per questa volta credo che ci stia bene! »
Sputò fuori talmente velocemente quella spiegazione assurda che nemmeno mi diede il tempo di capirla. Poi altrettanto velocemente prese il mio casco e se lo mise al braccio, salì in sella, e mentre accendeva la moto, per sovrastare il solito rombo assordante, aggiunse quasi urlando
« Oggi non vengo a prenderti all’uscita, fiorellino ti dispiace? Ho da fare, ti lascio un messaggio più tardi a casa, ci vediamo stasera! »
Quasi non colsi le ultime parole mentre si allontanava da me sgommando come se fosse in fuga dal più pericoloso predatore della storia.
Era pazzo. Sì, era decisamente pazzo.
E c’era qualcosa sotto questo suo comportamento, ne ero certa. Mentre fissavo ancora il punto in cui Jacob Black il pazzo era sparito, la campanella suonò ricordandomi che era meglio sbrigarsi se volevo arrivare in tempo per l’inizio della lezione di biologia.


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Capitolo 7
*** CAPITOLO 5 - Luce ***


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CAPITOLO 5 – “Luce

Percorrevo il corridoio che mi avrebbe portata all’aula di biologia quasi correndo, non volevo fare tardi a lezione solo per colpa delle turbe mentali di Jake. Sentii avvicinarsi alle mie spalle un rumore di piedi saltellanti
« Ehi, Bella! » una delle voci più confortanti di tutta Forks; mi voltai
« Buongiorno Angie! »
« ‘Giorno tesoro » intanto mi aveva raggiunta e mi schioccò un sonoro bacio sulla guancia.
Angela Weber, la mia migliore amica. Era una delle persone più sensibili che avessi mai conosciuto, e proprio questa sua grande sensibilità mi aiutò molto al mio arrivo in quel piccolo paesino di curiosi. Lei insieme a “Pazzo Black” mi avevano confortato, fatto sentire a casa, e mi erano stati sempre vicini con la gentilezza che li contraddistingueva.
In quei tre anni l’avevo vista “crescere” sotto i miei occhi, la ragazza che avevo ora davanti sembrava quasi una donna : lunghi capelli neri, la bocca piccola e raffinata, un naso normalissimo e gli occhiali dietro i quali si affacciavano i suoi grandi occhi castani.
E quella mattina, quegli occhi mi fissavano allegri e con la luce curiosa che avevo imparato bene a riconoscere quando c’era qualcosa che voleva chiedermi, raccontarmi o di cui voleva parlare. Così sorridendo divertita la incitai:
« Avanti Angela, smettila di fare gli occhioni e chiedi » Nemmeno terminai la frase che disse
« Uh! Morivo dalla voglia di chiedertelo, ma cosa gli è preso stamattina a Jacob? L’ho visto scappare come se avesse visto un mostro! » Alzai gli occhi al cielo:
« Lo so Angie ma, credimi, il ‘mostro’ è lui »
« Perché? Cos’ha fatto stavolta il matto? »
« Ecco hai proprio centrato il punto, ha fatto il pazzo! Si è messo una bella espressione seria in volto e mi ha chiesto di uscire con lui stasera »
Angela scoppiò dalle risate e di fronte alla mia espressione ancora perplessa tentò di dire:
« Oh….hahaha!, dai Bella….hahaha, infondo è una cosa da lui! »
E mentre Angie si scompisciava dalle risate beffandosi delle stranezze del mio ragazzo, un braccio si posò sulle mie spalle ed una voce troppo vicina per i miei gusti esordì con un infelicissimo :
« Troppo forte la mia ragazza eh?! »
Mike Newton. Era incredibile, erano passati tre anni eppure ancora ci provava. Avrei scommesso che anche il giorno in cui mi avesse vista sposata e con prole al seguito avrebbe fatto comunque il cascamorto. Sbuffai e Angela disse
« Certo Mike, come no. Vorrei solo sapere perché l’idiota lo fai esclusivamente dentro le mura di scuola, quando sai che il ragazzone di Bella non ti vede. Cosa c’è hai paura che ti riduca come una poltiglietta informe? »
Le ressi il gioco, mi divertivo a spaventare quel fifone

« Sai Angie, credo che basterebbe anche solo dirglielo, non c’è bisogno che veda per stritolarlo »
Mike sbiancò come ogni volta che il mio Jacob lo guardava storto e fulmineo tolse il braccio dalle mie spalle
« Io….ora devo andare è tardi » farfugliò mentre si allontanava.
Angela ed io, che intanto eravamo giunte all’aula di biologia, ridemmo come due bambine, divertite e complici, ed entrammo a sederci al nostro solito terzo banco accanto alla finestra.
Il professor Molina ci guardò con aria di rimprovero e disse
« Swan e Weber, siamo al terzo anno e non siete cambiate di una virgola! Mi giocherò la cattedra a poker il giorno in cui entrerete in classe in orario e senza sghignazzare! » Non ci riusciva proprio a fare il professore serio e cattivo, così mentre lo diceva ci sorrise benevolo.
Recuperai quaderno e penna dallo zaino e mi preparai a seguire la lezione.
« Bene ragazzi, l’argomento della lezione di oggi è la FOTOSINTESI » scrisse l’ultima parola sottolineandola alla lavagna dietro di sé « Qualcuno sa di cosa sto parlando? » ironicamente.
Dalla classe salì piano una risatina divertita.
« Oh bene ! Noto con piacere che sono circondato da geni qui! Ma, bando alle ciance, vediamo di fare un discorso serio…..Allora : La fotosintesi clorofilliana è l’insieme delle reazioni durante le quali le piante verdi producono sostanze organiche a partire da CO2 e dall’acqua, in presenza di luce. Mediante la clorofilla, l'energia solare permette di trasformare CO2 e acqua in uno zucchero, il glucosio, fondamentale……»
Mentre il professor Molina continuava la sua spiegazione io smisi distrattamente di prendere appunti. Quasi ipnotizzata guardavo le parole scritte sul foglio e qualcosa iniziò a muoversi nella mia testa . Mi sentivo come se avessi un capogiro, ma in realtà stavo benissimo……d’un tratto capii….luce…..energia solare….quelle tre parole parvero brillare e sollevarsi dal foglio. Improvvisamente ricordai. Finalmente ricordai il sogno che mi tormentava da un mese ogni notte:
….Tutto intorno a me era bianco e vuoto , solo in lontananza c’era qualcosa. Curiosa mi avvicinavo. Dopo pochi passi intravedevo che era una sagoma, ma non riuscivo bene a distinguere cosa fosse, perché esattamente alle spalle di quella figura , sulla destra , vi era una grande luce che l’abbagliava, mettendola in controluce. Più mi avvicinavo più sentivo mutare in me la curiosità in qualcosa di diverso, come se fossi guidata da una cosa più forte e più grande di me , un bisogno quasi fisico di riuscire ad arrivare a quella misteriosa apparizione. Ancora più vicina, la sagoma andava scurendosi , sommersa sempre di più dalla fortissima luce. Più io mi avvicinavo, più la luce aumentava d’intensità, impedendomi di vedere bene. Giunta a pochi passi dalla sconosciuta figura riuscivo a decifrare cosa fosse : era la sagoma di un volto….Nello stesso istante in cui intuivo che era un viso quello che cercavo di guardare, l’immensa luce esplodeva d’intensità, accecandomi completamente….
Riemersi da quel ricordo quasi boccheggiando. Evidentemente non mi ero accorta di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo. Nel mio sogno non c’era nulla di spaventoso o pericoloso, eppure anche solo ricordandolo mi sentivo investita da una sensazione di angoscia e di inquietudine, come se mi avessero gettato addosso una secchiata di acqua gelida. Mi resi conto solo in quel momento che, oltre a questa sensazione che mi svegliava ogni mattina, le immagini del sogno avevano portato con loro una nuova e ancor più fastidiosa sensazione : la privazione. Un senso di privazione assoluto mi aveva avvolto l’anima come un manto nero.
«…BELLA!! » qualcosa mi scuoteva per il braccio. Era Angela che mi guardava con un’espressione tra lo sbigottito ed il preoccupato.
« Insomma si può sapere cosa ti è preso? Sembravi ipnotizzata! la campanella è suonata già da dieci minuti ed io ti ho praticamente urlato in faccia il tuo nome un centinaio di volte! ».
Mi ci volle un grande sforzo e tutto l’autocontrollo che mi era possibile per ritrovare l’uso della parola. Mi bagnai le labbra, deglutii e provai a risponderle pur non avendo la sicurezza che dalla mia gola sarebbe uscito qualcosa di comprensibile.
« Ehmm…s-scusami Angie. N-non mi sento molto bene….ehmm…credo che me ne andrò a casa » Come avevo immaginato, quello che uscì dalla mia gola fu un sussurro tremolante quasi inesistente.
« Oh....Okay. D’accordo, vuoi che ti accompagni? »
Raccolsi in fretta le mie cose, misi lo zaino in spalla
« No grazie, Angie, un po’ d’aria mi farà bene » stavolta più convinta. E mi avviai verso la porta.
La lunga passeggiata fino a casa mi aveva davvero giovato. Le fastidiose sensazioni mi si erano staccate di dosso dopo poco, ed io avevo deciso che non era il caso di farsi prendere dal panico solo per uno stupido sogno.
Girai la chiave nella porta e mi feci accogliere dalla serenità che ogni casa portava con se.
Charlie sarebbe tornato solo per l’ora di pranzo, avrei avuto tutto il tempo di rilassarmi e rimettermi in sesto.
Entrai in cucina per un bicchiere d’acqua, mi avvicinai al frigo e mentre afferravo la maniglia vidi il biglietto fissato sulla superficie lucida con una calamita.
Per Bella ” annunciava la scritta in inchiostro rosso.
Lo staccai ed aprendolo ne lessi il contenuto tracciato con lo stesso colore:

Bentornata a casa Amore.
Ti aspetto stasera a La Push per le 21.
Non vedo l’ora….
Jacob
Il mio sole personale riusciva ad essermi di conforto anche involontariamente.
Sorridendo mi sentii entusiasta alla prospettiva di quella serata, e mai come in quel momento ringraziai Jake di riempirmi la vita con le sue follie.


Angolo autrice : PER FAVORE recensite !

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Capitolo 8
*** CAPITOLO 6 - Fuoco ***


copertina



CAPITOLO 6 – “Fuoco


Avevamo appena finito di cenare quando, con un po’ di imbarazzo, Charlie fermò la mano con cui stavo per togliere il suo piatto dal tavolo, si schiarì la voce e senza guardarmi in faccia disse
« Non ti preoccupare Bells, stasera ci penso io. Tu hai un appuntamento no? »
Il suo imbarazzo si trasferì anche sul mio volto, ero proprio una Swan.
« Beh, si …. Ed in effetti dovrei anche sbrigarmi. Grazie papà. » prima di dileguarmi da quella situazione scomoda per entrambi gli baciai la guancia per ringraziarlo.
Durante la mia lunga doccia rilassante pensai che se Jacob Black voleva giocare …. Io avrei giocato più sporco di lui, rendendogli pan per focaccia quella sera. Chiusi l’acqua bollente che mi aveva arrossato tutta la pelle, mi avvolsi in un enorme asciugamano bianco e con i capelli ancora bagnati andai in camera mia. Aprii l’armadio e mi misi ad osservare il suo contenuto : felpe, jeans, camicione, tute ….. di certo non era quello che si poteva definire “un tipico armadio femminile”. Avrei dovuto pensarci prima! Ma ormai dovevo accontentarmi, avrei tentato di scovare in mezzo a tutta quella roba da maschiaccio qualche regalo fattomi da Renee o da Angela.
Avevo deciso che il primo passo per la mia vendetta sarebbe stato il presentarmi, almeno per una volta, curata come una vera signorina. Anche solo l’idea mi metteva a disagio….. ma la cosa si rivelava necessaria se volevo spiazzare Jake facendogli vacillare la sicurezza di avere in mano le redini della situazione.
Iniziai a scavare, letteralmente, fra i vestiti. Dopo un’intensa ricerca trovai una graziosa minigonna in cotone morbido, bianca con dei piccolissimi fiorellini celesti…ancora ovviamente con il cartellino. Mi immersi ancora nel caos dell’armadio e ne tirai fuori una camicetta in seta azzurra, perfetta per l’occasione. Tanto valeva tentare. Poggiai quegli inusuali, per me, abiti sul letto ed andai ad asciugarmi i capelli. La mia chioma arruffata stavolta avrebbe dovuto collaborare, quindi mi armai di spazzola e li stirai tutti per benino; così lisci sembravano ancora più scuri.

Tornai in camera e mi provai i vestiti. Mi guardavo allo specchio e ciò che vedevo non era di certo la Bella che tutti conoscevano. La minigonna arrivava un palmo più su del ginocchio ma il fatto che fosse abbastanza ampia e morbida non segnava le mie forme; cosa che al contrario faceva la camicetta, molto avvitata e aderente. Infilai un paio di sandali bianchi con tacco, un regalo di Angela quando ancora sperava di risvegliare il mio lato femminile. Se mi avesse visto quella sera pensai che non avrebbe creduto ai suoi occhi. Mentre studiavo la figura riflessa nello specchio involontariamente arrossii, mi sentivo in imbarazzo già solo con me stessa conciata in quel modo. Per non pensarci su oltre, e quindi per evitare di cambiarmi optando per i soliti jeans confortevoli, mi misi ad armeggiare con capelli ed elastico tirandoli su e raccogliendoli in una coda molto alta. Subito dopo passai al trucco, non sapevo bene cosa stavo facendo, l’ultima volta che mi ero truccata era stato per…..per cosa? Non lo ricordavo nemmeno più. Alla fine optai per una semplice matita nera e rimmel per gli occhi, ed un lucidalabbra molto chiaro.
Scesi le scale con molta attenzione, di solito rappresentavano un pericolo anche senza i trampoli al piede come quella sera, ed io non avevo certo intenzione di farmi ridere in faccia da Charlie, mi sentivo già abbastanza ridicola in quelle vesti. Giunta all’ultimo gradino tirai un sospiro di sollievo che evidentemente fu molto rumoroso perché Charlie distolse lo sguardo dalla partita in tv e si voltò leggermente verso di me. Come se avesse visto un fantasma scattò in piedi alzandosi dal divano, spalancò la bocca e allungò una mano nella mia direzione indicandomi, come se volesse dirmi qualcosa. Ci provò, ma non emise nessun suono. Richiuse la bocca, fece ricadere il braccio lungo il fianco e finalmente riuscì a parlare:
« Bells, sei…….ecco, sembri davvero una signorina stasera »
« Grazie papà, era proprio quello che volevo sentirmi dire » lo canzonai.
Lui fece spallucce « Scusa è che … se ti avessi detto che sei bellissima forse saresti corsa di sopra a cambiarti » Ed aveva una gran ragione.
Gli puntai un dito dritto nella direzione dei suoi occhi:
« Non una parola di tutto questo con la mamma d’accordo? »
« Tanto non mi crederebbe! »
« Appunto. Meglio così »
« Però sarebbe davvero orgogliosa di te » gli occhi improvvisamente lucidi.
« Ma dai papà, alla mamma vado bene anche con jeans e felpa » non riuscivo a vederlo commosso.
« Certo, è ovvio! » disse sbrigativo e tornò a sedersi sul divano rivolto verso la tv.
« Allora io vado, ho le chiavi, non aspettarmi alzato »
«Figurati. Tu però sta attenta »
E uscii con la consapevolezza che al mio ritorno l’avrei trovato ancora lì sul divano, profondamente addormentato e russante.
Il mio adorato, vecchio, Chevy si trascinò rumorosamente fino a La Push dove trovai il mio cavaliere ad attendermi. Spensi il motore, i fari, presi un bel respiro per farmi coraggio e scesi dal catorcio che guidavo da tre anni. Jacob rimase come folgorato, vidi i suoi occhi spalancarsi e la sua bocca aprisi sempre di più. Mi sentii avvampare di rossore sulle guance, non solo perché in quel momento ero terribilmente in imbarazzo e sprofondavo nella vergogna, ma anche per la bellezza dell’uomo che mi trovavo davanti.
Jacob era mozzafiato, nel suo pantalone classico nero e camicia bianca dalle maniche arrotolate fino ai gomiti, dimostrava molti più anni di quanti ne avesse in realtà. I capelli erano per metà raccolti dietro la nuca, mentre la parte rimanente a partire da dietro le orecchie erano lasciati liberi di cadere sulle scapole. Illuminato solo dalla luce della luna, i suoi lineamenti duri sembravano addolcirsi. Non ebbi il coraggio di parlare n’è di muovermi, e nei successivi cinque minuti non lo trovò nemmeno lui, rimanendo così come due statue di sale, intenti a fissarci a vicenda, studiandoci come se non ci fossimo mai visti prima di allora.
In effetti sotto un certo aspetto era così, insieme era come se non fossimo mai cresciuti, ci sentivamo sempre dei bambini e non ci eravamo mai accorti che nel frattempo gli anni erano passati, accompagnandoci verso quella che sarebbe stata la nostra età adulta. Non ci eravamo visti cambiati nemmeno quando per la prima volta facemmo l’amore, fu tutto molto naturale, come se seguisse il corso delle cose, ed un secondo dopo eravamo di nuovo i Jake e Bella di sempre.
Mentre mi perdevo nei miei pensieri Jacob sbattè più volte le palpebre, tirò su la mandibola e sorrise. Quel sorriso aveva il potere di rischiarare ogni cosa nella mia vita e di spazzare via qualsiasi nuvola nella mia anima.
« Amore mio sei bellissima ..» Era raggiante e caricò di tutta l’enfasi che gli era possibile l’ultima parola, come se ci volesse far passare attraverso tutta l’emozione che provava in quel momento.
« Anche tu Jake, sei magnifico » risposi senza pensarci e senza esitazioni. Era una vera gioia per gli occhi.
Si avvicinò e mi prese per mano mentre il suo sguardo passeggiava lungo il mio corpo dai piedi fino agli occhi per poi ricominciare in senso inverso. Quando capii che non avrebbe detto altro non resistetti alla reazione istintiva di uscire da quella situazione di imbarazzo. Se avessi potuto sarei fuggita. Con Jacob non era mai esistito un solo attimo di vergogna o di imbarazzo, e questa nuova sensazione proprio non mi piaceva. Magari se fossi saltata di nuovo sullo Chevy avrei mandato il messaggio sbagliato, per questo optai per una scorciatoia meno ridicola e più divertente
«...La Push eh ?...che novità! » dissi guardandomi intorno.
Non ottenni la reazione che mi aspettavo, infatti Jacob come ipnotizzato parve non notare l’ironia nella mia voce e tutto serio mi rispose
« Vedrai, sarà come essere in un luogo sconosciuto ».
Mi prese il viso fra le sue grandi mani; erano più calde del solito se possibile. Tenne il suo sguardo nel mio per qualche secondo e poi mi baciò. Un bacio lungo e dolce sempre a fior di labbra, le sue sembravano solo sfiorare le mie, come se volesse semplicemente assaggiare il mio sapore. Quando interruppe quell’intimo contatto vidi balenargli negli occhi la luce della furbizia. Non ebbi nemmeno il tempo di chiedermi cosa stesse pensando perché fece un enorme sorriso soddisfatto e mi disse
« Ora se non ti dispiace smettila di fare la simpatica, che tanto non ti riesce, e seguimi. »
Di tutta risposta gli feci una bella linguaccia liberatoria che parve riportare entrambi sul pianeta Terra, il pianeta sul quale esistevano Jacob Black e Isabella Swan, complici da sempre, in imbarazzo da mai.
Mi portò in spiaggia, mi chiese di togliermi le scarpe per non inciampare, e lo stesso fece lui con le sue. Passeggiammo lungo tutto il bagnasciuga, parlando del più e del meno, fin quando Jake non intraprese un sentierino che si nascondeva tra gli scogli al limitare della spiaggia.
Sapevo benissimo dove mi avrebbe portata quella minuscola lingua di sabbia bagnata.
Prima di intrufolarmi tra le pareti rocciose gli sorrisi e gli dissi
« Cosa c’è hai organizzato qualcosa nella nostra alcova? »
« Una specie….» Mi rispose ammiccando.
Dietro il sentiero tracciato dalla sabbia tra gli scogli, nasceva quella che chiamavamo la nostra alcova : ovvero una piccolissima insenatura di sabbia bianca e finissima, chiusa da pareti rocciose…..era la nostra alcova perché fu proprio lì che ci amammo la prima volta.
Proprio mentre mi abbassavo per infilarmi nel piccolo spazio tra le rocce, Jacob mi coprì gli occhi con le sue grandi mani.
« Jake ma che fai, non ci vedo! »
« Si beh, l’idea era proprio quella, genio »
« Genio sarai tu! Lo sai benissimo che non mi tengo in piedi nemmeno quando ci vedo »
« Si, ma questa volta conosci la strada a memoria….e ti guido io! » così mi spinse piano con il suo corpo dietro il mio, guidandomi nello stretto cunicolo.
Una volta superato il passaggio mi liberò la vista dalle sue mani e quello che vidi mi lasciò senza fiato.
Nel mezzo della piccola insenatura vi era un quadrato enorme e perfetto, composto da un tappeto di fiori selvatici coloratissimi. Migliaia di esemplari di fiori che avevo ricevuto ogni giorno in due anni. Riuscivo a riconoscerli uno ad uno. Sospettai che sotto quella distesa di fiori ci fosse una coperta, dato lo spessore che li separava da terra. Poco distante da quello splendido giaciglio, scoppiettava nelle sue fiammelle calde un piccolo falò. Le restanti, poche, zone vuote di sabbia erano costellate di graziose candele minuscole che facevano risplendere il candore dei suoi granelli.
Mi voltai verso Jacob e gli gettai le braccia al collo
« Jake è bellissimo! »
« Shh piccolo fiorellino. Aspetta un secondo »
Delicatamente scostò le mie braccia dal suo collo.
Si accovacciò ancora nello scorcio tra gli scogli e ne estrasse un piccolo stereo. Lo poggiò accanto ai nostri piedi e fece partire una canzone.
« Balli con me? » mi disse tendendomi una mano.
Ero sempre stata incapace di ballare, ma con Jacob non me ne ero mai preoccupata. E lui di certo non era da meno. Spesso avevamo ballato insieme per gioco, lenti e musica dance, proprio per divertirci della nostra comune goffaggine. Quindi non ci pensai su due volte e gli tesi la mano.
Lui la avvolse nella sua, mi accostò delicatamente a sé, cinse la mia vita con l’altro braccio ed iniziammo ad ondeggiare lentamente. La canzone non mi era nuova, ma pensai fosse troppo vecchia per ricordarmene bene. Jacob fissava i miei occhi come se non vedesse altro intorno a noi, ed ogni tanto mi sussurrava piano parti del testo .
« I'll be your dream,
I'll be your wish, I'll be your fantasy.
I'll be your hope, I'll be your love,
Be everything that you need »
Mi baciò piano e dolcemente prima di proseguire…
« I'll love you more with every breath
Truly, madly, deeply do »
E come per dimostrarmi quanto profondo e tangibile fosse il suo amore, smise di ballare, mi strinse forte a sé e mi diede un bacio lungo, appassionato e caldo. Non volevo si distaccasse più da me, così appena tentò di farlo intrecciai le dita dietro la sua nuca e, ad occhi chiusi, dischiusi le labbra aspettando che cogliesse il mio invito. Sentii la punta della sua lingua seguire il contorno del mio labbro superiore prima di immergersi in un lungo bacio approfondito. Il respiro di Jacob si spezzò, diventando irregolare, e mentre le nostre lingue continuavano ad accarezzarsi l’un l’altra, sentii la sua mano grande e calda sfiorarmi il ginocchio, per poi rafforzare il contatto in una carezza che saliva piano su per il lato esterno della coscia, fino ad arrivare a toccare il bordo della mia biancheria intima.
Nonostante il suo contatto generasse in me un calore irresistibile, sentii un brivido percorrermi tutta la schiena. Jacob se ne accorse e mi sorrise a fior di labbra. Si incurvò leggermente, prese le mie cosce e le mise sui suoi fianchi sollevandomi in braccio. Mentre mi baciava dal mento, alla mascella, fino al lobo dell’orecchio, giunse al tappeto di fiori che aveva preparato apposta per noi. Si inginocchiò e con una mano dietro la mia schiena, lentamente mi distese per terra. Restò lì a fissarmi per un secondo che a me parve un’eternità prima di poggiarsi delicatamente su di me. Con un dito della mano destra mi toccò il mento, poi da lì lo fece scorrere lentamente lungo il collo, poi sul petto, fino a trovare il primo bottone della mia camicetta. Me la sbottonò piano, e ad ogni bottone che veniva liberato dalla propria asola, lasciava su ogni nuovo centimetro di pelle scoperta un bacio bollente. Quando giunse sulla pancia, ogni suo bacio mi provocava un involontario e leggerissimo inarcamento del busto. Come se il mio corpo non bramasse altro che quel contatto morbido e dolce. Sfilò piano le maniche della camicia baciandomi l’incavo del braccio, poi il polso ed infine il palmo delle mie mani. Ritornò a baciarmi dolcemente le labbra con il respiro che si era fatto affannoso. Allungò una mano sopra la mia testa, sciolse la pettinatura ordinata e mi passò le dita tra i capelli. Mentre i suoi baci continuavano ad accarezzarmi la bocca gli sbottonai la camicia e gliela tolsi. Il suo petto caldo contro il mio non riusciva più a nascondere il battito eccitato del suo cuore, che in quel momento suonava ad un ritmo forsennato in duetto con il mio. Come se i nostri corpi fossero in sincrono in una perfetta danza ci sfilammo a vicenda la gonna ed il pantalone. Jacob mi accarezzava teneramente una guancia mentre baciava piano, dall’altro lato, il collo. Sentivo il suo desiderio premere sulla mia coscia.
Il mio Jacob era fatto così : mi trattava sempre come un oggetto delicatissimo, donandomi tutta l’immensa dolcezza nascosta nel suo animo. Ma io lo conoscevo bene, Jake era la passione fatta corpo, che si tratteneva soltanto per celebrarmi. E lui era il fuoco della mia anima anche per questo, perché sapeva trasportarmi e coinvolgermi nella sua scottante passione. A quel pensiero non resistetti oltre e provai a lanciargli un messaggio sapendo che lo avrebbe colto. Con un gesto felino della mano gli sciolsi i capelli facendoli ricadere tutti intorno al mio viso, alzai le gambe intrecciandole sul suo fondoschiena e strinsi forte il mio bacino al suo.
Mi guardò negli occhi per un brevissimo istante in cui vidi accendersi nei suoi il fuoco della passione che alimentava il suo essere Jacob in tutto e per tutto. Una mano febbricitante si appoggiò sul mio fondoschiena tenendo premuto ancora più forte il mio bacino contro il suo. L’altra mano mi sfilò abile e rapida il reggiseno e le sue labbra infuocarono i miei seni di baci ardenti. La sua pelle bronzea era per me un richiamo irresistibile, così gli baciai la spalla muscolosa, e con la punta della lingua tracciai un percorso che mi portò fino al lobo dell’orecchio che mordicchiai piano prima di chiuderlo tra le labbra. Jacob emise un flebile gemito, poi mi sfilò la biancheria e fece lo stesso con la sua. Ormai mi sentivo tutta completamente avvolta dalle fiamme del suo calore bruciante, mi sentivo viva, mi sentivo libera da tutto, mi sentivo riportata ad uno stato quasi animalesco dove il cervello non mi invadeva più con le sue imposizioni….ero istinto, puro istinto, e solo il mio Jacob, il mio sole, era capace di farmi risvegliare e rigenerare in questo modo.
Jake incatenò i miei polsi nelle sue mani sopra la mia testa e con una spinta del bacino entrò lentamente dentro di me. La lentezza di quel movimento fece nascere dal profondo della mia gola un lungo e vellutato gemito di piacere. Lasciò libere le mani dalla sua presa, mi percorse tutta con una carezza decisa fino alla coscia destra, la prese con forza, la sollevò all’altezza del suo fianco e si impose per la seconda volta dentro me più profondamente. Quella seconda volta un intenso e bruciante richiamo d’estasi salì dalla sua di gola, e diede inizio alla danza di corpo e fuoco che univa le nostre anime.
Ci ritrovammo distesi, nudi ed abbracciati dopo esserci amati, occhi negli occhi, ma con il sentore che le nostre anime fossero ancora intrecciate l’una all’altra. Era una serata molto afosa, ma nonostante ciò, non riuscivo a fare a meno del calore bollente del corpo di Jacob a contatto con il mio. Un braccio sotto la mia testa, a farmi da cuscino, mentre l’altra mano accarezzava il mio polso sinistro giocherellando con l’unica cosa che avessi ancora indosso : un braccialetto dal quale pendeva una miniatura di un lupo ululante, intagliata in un lucido legno rossastro.
Quel ciondolo era un suo regalo, fatto con le sue stesse mani. Me lo regalò il giorno del mio compleanno l’anno prima, dopo avermi raccontato una leggenda secondo la quale il popolo dei Quileute discendeva direttamente dai lupi. In quell’occasione Jacob mi disse di ritrovarsi molto in quel racconto, per il suo spirito ribelle e un po’ selvaggio; poi aggiunse che lui per me sarebbe stato sempre fedele, un perfetto e leale compagno di vita, che mi avrebbe dato tutto l’amore di cui era capace senza mai chiedere nulla in cambio: lui per me sarebbe stato proprio come un lupo, il mio lupo.
Quel ricordo accese un’idea nella mia testa come una lampadina.
« Jake…..che giorno è oggi? » era innaturale sentire la mia voce dopo tanto tempo trascorso in silenzio.
« Hmmm, vedo che hai capito tutto, fiorellino. Ormai sarà passata mezzanotte e quindi….oggi è 13 settembre. Buon compleanno amore » e mi sorrise felicemente, anche con gli occhi.
Ancora una volta il mio stomaco fece le capriole alla vista di quello spettacolo unico e gli posai un bacio sulle labbra scure, lisce e carnose.
« Ho pensato e ripensato al regalo da farti in quest’ultimo mese. Ma non c’era nulla di abbastanza adatto a te, nulla che potesse celebrare la tua nascita a pieno. Così mi sono arreso, e ho deciso di organizzare questo per donarti ancora una volta tutto me stesso, e ricordarti che sarò tuo per sempre, come la mia anima, il mio cuore, e la mia stessa vita. Ti amo, Bella »
Mi disse quelle parole piano, ma con convinzione. Come se mi stesse facendo una promessa solenne. Non riuscivo a credere che un ragazzo così speciale potesse amare me in quel modo. Mentre lo ammiravo in tutta la sua imponente bellezza, vidi l’espressione del suo volto cambiare . Il viso di Jacob si incupì appena, ma in confronto allo stato raggiante di prima, fu impossibile non notarlo.
« Cos’hai Jake?... pensi che non mi sia piaciuto il tuo regalo? Perché se è così non ti azzardare nemmeno, è stato uno dei più bei compleanni della mia vita. Anzi il più bello in assoluto e….» Interruppe il fiume di parole in piena poggiando delicatamente l’indice sulle mie labbra ancora accaldate.
« Non me lo dirai mai vero Bells?...» una nota triste nella sua voce, ed un velo della stessa natura nei suoi occhi bui come la notte.
Sapevo bene a cosa si stesse riferendo, e d’istinto la mia reazione fu di abbassare lo sguardo. Jacob sospirò forte, e dopo poco mi sollevò il mento costringendomi a guardarlo ancora una volta negli occhi. Mai come in quel momento, la vista inebriante del suo viso dai tratti selvaggi, mi provocò una fitta al cuore.
« Ohh Bells, ti prego….una volta sola. » Disse con tono implorante e sofferente e la voce tremula. La fitta di prima si trasformò in una profonda e lacerante ferita, come se mi stessero strappando il cuore dal petto con le mani. Mi sentivo profondamente egoista. Pretendevo che il mio sole continuasse a starmi accanto nonostante non gli avessi mai detto che l’amavo.
Ma che razza di persona ero? Ridurre un ragazzo unico come Jake a stare male per due semplici parole. Se solo fossi stata come tutte le altre persone, che spesso dicono cose senza conoscerne il significato, gli avrei risparmiato tutte quelle pene. Ma purtroppo io non ero così. Dovevo analizzare sempre tutto, e dare il giusto nome ad ogni cosa. Specialmente quando si trattava di Jacob, credevo fosse un’abitudine che mi era rimasta dal primo anno che passai a Forks, in cui tentavo di misurare ogni parola ben sapendo l’attrazione che lui provasse nei miei confronti. Non avevo mai detto a Jake “ti amo” . Mi faceva soffrire terribilmente vederlo ogni volta deluso, ma io purtroppo ero sicura di quello che non dicevo. Ero certa che quello che provassi per Jacob non fosse l’amore di cui tutti parlano. L’amore è descritto in letteratura come quel sentimento che ti tormenta e brucia l’anima, che ti corrode dentro fino ad annullarti, che ti rende schiavo e prigioniero dell’altra persona.
No, tutto questo non si avvicinava minimamente a quello che provavo io per Jacob. Era completamente l’opposto!. Con Jake la mia anima era leggera e libera, con lui la mia personalità si risvegliava e rompeva ogni tipo di legame con tutto, nessuna catena, nessuna costrizione, abbandonavo tutto…..perfino me stessa. Io non vivevo in funzione di Jacob….io vivevo grazie a Jacob.
Così, pensando ancora una volta se non fosse più giusto da parte mia lasciarlo andare, permettergli di cercare qualcuno che lo avesse amato e ricambiato con lo stesso tipo di sentimento che lui dedicava a me, gli risposi come ogni volta .
« Io ti vivo, Jacob »
«..Già…» era deluso e sofferente, ed io nel vederlo così mi sentii ancora peggio.
Iniziai a torturarmi le mani come sempre quando ero in ansia, e sentii gli occhi riempirsi di lacrime. Un semplice battito di ciglia diede inizio a quello che definirei un pianto silenzioso ma dilaniante. Le gocce bollenti che cadevano dai miei occhi arrivarono a bagnarmi il mento e il collo quando Jacob se ne accorse.
« Ma che fai piccola, piangi?! » era allarmato ed aggiunse subito
« Oh dio no, scusami. Non volevo! Ti prego, perdonami..» e mi strinse in un abbraccio forte, sicuro ed accogliente, mentre mi posava caldi baci tra i capelli.
Ancora una volta dimostrò di amare me più di se stesso. Cosa che mi fece sentire ancora peggio, sempre più meschina. Dovette accorgersene perché si mise seduto trascinandomi con lui, mi prese il volto tra le mani e mi disse
« Hey, non vorrai sprecare questa magnifica notte piangendo? Andiamo a fare una nuotata, ti va? » aveva l’espressione dipinta in volto del mio compagno di giochi.
Era bellissimo, i suoi occhi erano bellissimi, il suo sorriso era magnifico, il suo naso perfetto lo era ancor di più. Non riuscivo mai a resistere alla sua vivacità, così, ancora una volta, il mio sole spazzò via le nubi dal mio cuore.
Gli feci cenno di si con la testa. Esplose di gioia, si sollevò in piedi e quasi mi trascinò di peso in una corsa verso il mare ridendo. La sua risata limpida era per me sempre contagiosa, così iniziai a ridere anch’io senza motivo, mentre, improvvisamente felice, mi tuffavo in acqua.
Non so per quanto tempo giocammo spensierati e radiosi, immersi nel mare blu illuminato dalla luce argentea della luna piena. Prima di ritornare a riva mi strinsi forte a lui, abbracciandolo con il corpo e con ogni parte della mia anima che gridava internamente un profondo grazie. Baciai Jacob con l’intenzione di fargli capire quanto importante fosse per me, quanto considerassi fondamentale la sua presenza nella mia vita. E poi glielo dissi
« Grazie Jake, di tutto. Mi fai sentire viva »
Ricambiò il mio bacio come se gli avessi fatto la più grande dichiarazione d’amore di tutti i tempi, stupendomi ancora una volta.
Ritornammo in spiaggia mano nella mano e ci asciugammo al calore del piccolo falò. Ci rivestimmo e mi accompagnò allo Chevy. Salii a bordo
« Spostati Swan, guido io »
« Jacob ma cosa dici? Dopo come ritorni alla riserva? »
« Diciamo che quando sono passato a casa tua stamattina, il biglietto non è l’unica cosa che ho lasciato da quelle parti »
« Parla chiaro Black, sono stanca. » quanto era vero, mi sentivo distrutta.
« C’è la mia moto nascosta nel boschetto dietro casa tua » rispose spingendomi dal lato passeggero.
Mise in moto il vecchio catorcio, io mi accoccolai al suo petto, e mi addormentai spensierata e felice.



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Capitolo 9
*** CAPITOLO 7 - Sei ***


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CAPITOLO 7 – “Sei


Ero accecata, tanto che gli occhi mi bruciavano. Fu proprio per quel dolore incredibilmente reale che mi svegliai. Era fastidiosissimo aprire gli occhi così ogni mattina. Mi misi seduta in mezzo al letto e tolsi l’allarme alla sveglia….sarebbe suonata inutilmente.
Guardai fuori dalla finestra: un altro giorno pieno di nuvoloni neri, fantastico! Odiavo il freddo, la pioggia, l’umido…odiavo tutto del clima di Forks.
Mi alzai col broncio e mi preparai svogliatamente, non volevo attirare ulteriormente l’attenzione . Il fatto che fosse il mio compleanno, e che tutti mi avrebbero fermata e festeggiata, già bastava a mettermi di pessimo umore. Scesi a preparare la colazione quando trovai Charlie in cucina che bruciacchiava un pancake nella padella e tutto intorno a lui, sulla cucina, e perfino su di lui….tutto schizzato di impasto.
« Bells, già in piedi? Volevo farti una sorpresa! »
« A giudicare dal caos che regna qui dentro, ci sei riuscito. Mi toccherà pulire tutto! » ero stata acidissima.
« Di buon umore come sempre il giorno del tuo compleanno eh? » un po’ mi sentii in colpa.
« Scusa papà…lo sai che non mi piace essere festeggiata »
« Già, ma almeno dovevo provarci. Comunque non preoccuparti di nulla. Pulisco io, tu va a scuola »
« Ma no lascia, ci penso io. Tanto sono in anticipo »
« Scusa del pasticcio. E…buon compleanno » aggiunse in tono incerto
« Grazie ..»
Pulii lo scompiglio portato da Charlie tra i fornelli ed uscii. Come quasi ogni mattina c’era Jacob ad aspettarmi. Nemmeno il tempo di chiudermi la porta alle spalle che già aveva l’espressione divertita. Così pensai bene di avvisarlo mentre mi avvicinavo a lui:
« Il tuo regalo ieri è stato stupendo ma … oggi non una parola, d’accordo? » suonava come una minaccia.
Bene, era proprio quello che volevo. Non si curò minimamente di quanto avevo detto, e di tutta risposta mi corse incontro con un sorriso enorme, mi sollevò in braccio ed iniziò a girare su se stesso.
« BUON COMPLEANNO! » sembrava felice come la mattina di Natale.
« Diamine Jake mettimi giù, mi gira la testa! »
« Quando la finirai di odiare il tuo compleanno Bells? » mi disse ridendo.
Proprio non riusciva a smettere, e questo forse mi infastidiva ancora di più
« Quando l’umanità smetterà di festeggiarli! » il tono serio della mia voce lo fece divertire più di prima.
Gli diedi un pugno nello stomaco che non sortì l’effetto desiderato, anzi, si sbellicò letteralmente dalle risate e mi prese il mento con una mano schiacciando le dita sulle guance per metterle in risalto come si fa con i bambini.
« Andiamo, Tyson! » e mi schioccò un sonoro bacio sulle labbra.
Arrivammo nel parcheggio della scuola troppo in fretta, avrei ritardato quel momento di, diciamo, anche un centinaio d’anni. Scesi dalla moto, mi tolsi il casco e stranamente di tutti i ragazzi che popolavano il parcheggio quella mattina nessuno si avvicinò. Rimasi piacevolmente stupita di quella cosa, che le mie preghiere fossero state ascoltate?.
Mentre porgevo il casco a Jacob sentii due dita picchiettarmi sulla spalla destra. Mi voltai ed una scimmietta urlante mi saltò praticamente in braccio
« TANTI AUGURI BELLA!» Angela strillava nel mio orecchio come se fosse ad un concerto.
« Grazie Angie, ma smettila di urlare così o mi farai diventare sorda! » avevo gridato vittoria troppo presto.
Si staccò di dosso e riuscii a vedere anche Mike dietro di lei, il quale si avvicinò e fece per abbracciarmi tutto sorridente. Jacob si schiarì la voce molto forte in tono minaccioso e lo fulminò con lo sguardo. Vidi Mike impallidire e non sapendo cosa fare delle sue braccia ormai spalancate le fece ruotare una verso il basso e l’altra verso l’alto, fece vibrare veloci le mani, mi guardò come se fosse un cabarettista che sta per gridare “ta-daaaan!!!” e iniziò a cantare a squarciagola
« TANTI AUGURI A TEEEE…» la voce era resa acutissima dalla paura,era un vero strazio.
« Gesù, basta Mike sembri una sirena! » gli disse Angela visibilmente stupita dalla follia momentanea che dimostrava il cantante. La scena mi strappò una risata incontenibile, mentre Mike si zittì all’istante mettendo le mani in tasca.
« Beh Mike….grazie? » la mia era proprio una domanda, non avevo idea se si dovesse ringraziare per una cosa tanto sconvolgente!
« Si, si…io vado in aula » e andò via tutto imbronciato.
Diedi una leggera gomitata a Jacob:
« E tu non dovresti spaventarlo così! » gli dissi divertita.
« Prima o poi gli spezzo le mani » mimò il gesto in maniera molto realistica.
« Potresti strappargli anche la lingua,per favore? » gli chiese Angela
« Con piacere Angie, più pezzi tolgo a quel moccioso meglio sto »
« Ti ricordo che anagraficamente è più grande di te! » gli dissi sorridendo.
« Ma dai Bells, ha il cervello di un bambino »
« In effetti credo che nella testa abbia solo noccioline e…..» smisi di ascoltare la risposta divertita di Angela che divenne come una specie di ronzio di sottofondo mentre la mia attenzione veniva catturata da due costosissime auto che entravano nel parcheggio.
Non me ne intendevo di auto ma riuscii a riconoscerne gli stemmi. Una Mercedes nera ed una Volvo grigio metallizzato. Dalla macchina nera scesero contemporaneamente quattro angeliche figure. Erano talmente belli ed aggraziati che pensai stessero girando uno spot pubblicitario sotto il mio naso. Non riuscivo a spiegarmi cosa ci facessero dei modelli alla Forks High. Così come non riuscivo a smettere di guardarli : la ragazza piccolissima scesa dal lato passeggero fece il giro della macchina e prese per mano il guidatore, mentre lui con un gesto armonioso richiudeva la portiera. Lei aveva capelli neri corti che le arrivavano poco sotto il viso, tutti sfilzati, uno di quei tagli alla moda che si vedono sulle riviste fashion.
A dir la verità sembrava che fosse uscita per intero da una rivista fashion, nei suoi abiti firmati e coloratissimi. Il modo in cui si era mossa verso quel ragazzo mi parve una coreografia di danza classica più che una semplice camminata, quella ragazza sembrava danzare ad ogni suo movimento. Il ragazzo che teneva per mano era molto più alto di lei, magro, i capelli riccioluti e biondi. La guardava dritta negli occhi come per trarne sostegno, mi sembrò una scena molto buffa.
Accanto a loro gli altri due occupanti dell’abitacolo si erano appena scambiati un bacio molto appassionato. Lui era enorme! Alto, grosso e muscoloso. Il ragazzo più grosso che avessi mai visto in vita mia….perfino più grosso di Jacob. Aveva i capelli corti, neri e ricci, un sorriso furbetto posato in volto che dedicava alla dea che gli era di fronte. Si, perché la ragazza che aveva appena baciato era quanto di più vicino ad una dea si potesse immaginare. Lei lo guardava piena d’amore, i capelli biondi e lucenti lunghi fino alla vita, ogni tratto del suo volto era talmente bello da sembrare finto, un corpo statuario che avrebbe fatto invidia alla più bella top model della storia.
Tutti insieme erano di una bellezza sconvolgente, e c’era qualcosa che li rendeva molto simili, che li accomunava tutti, rendendoli anche un po’ somiglianti nonostante tutte le loro differenze.
Dopo un attimo capii cos’era quel filo conduttore che li univa: La loro pelle sembrava di porcellana, era perfetta e bianchissima, un bianco talmente puro da sembrare luminoso.
Mentre ero immersa in quel candido spettacolo qualcosa di colorato si mosse al limitare del mio campo visivo. Diressi lo sguardo nella direzione del movimento e vidi che ciò che aveva attirato la mia attenzione erano dei capelli del colore del bronzo fuso, completamente spettinati eppure perfetti. Quella massa ribelle apparteneva al ragazzo che, ora di spalle, era appena sceso dalla Volvo metallizzata e ne richiudeva la portiera.
Quando, con un movimento pieno d’eleganza, si voltò rimasi senza fiato. Era bello come un dio greco nel suo etereo pallore. La creatura più bella che si possa immaginare. La fronte ampia e distesa, gli occhi grandi dal taglio deciso, il naso dritto, la bocca perfetta e rosea, il corpo slanciato e tonico. Nella sua interezza sembrava scolpito nel marmo, una bellezza d’altri tempi.
Nell’ammirare quel ragazzo talmente bello da sembrare una visione celestiale, quasi non mi accorsi dell’altra persona che era scesa dalla stessa auto. La notai solo nel momento in cui si avvicinò a lui aggrappandosi al suo braccio. Era una ragazza, anche lei bella da non credere. Era di poco più bassa di lui, ma le cose che mi colpirono più di tutto il resto furono i suoi capelli rosso acceso, del colore del fuoco, ed i lineamenti felini del volto. Gli sussurrò qualcosa all’orecchio e lui le rispose solo con un sorriso.
In quel momento credetti di essere ancora addormentata e sognante oppure morta. Quel sorriso non poteva essere reale. Quel sorriso non poteva appartenere che ad un angelo. Lui era un angelo.
Le sei, uniche, creature appena arrivate, si diressero tutte insieme verso l’ingresso della scuola con gli sguardi sbigottiti di chiunque incollati addosso.
« Hai finito di sbavare?! » la voce arrabbiata di Jacob mi riportò bruscamente sul pianeta Terra dopo quella breve sbirciata agli angeli del paradiso.
« Io….io non sto sbavando, cosa dici? » ero offesa
« Ah no? Ma se te li sei squadrati da capo a piedi! Specialmente l’ultimo! » Jake era sempre più arrabbiato.
« Jake ma…li hai visti anche tu,sono incredibili…» come poteva non essersi accorto della loro unicità?
« In effetti sono mozzafiato tutti » disse Angela, anche lei molto colpita da quell’apparizione.
« Non mi dire che non hai notato quelle bellissime ragazze…» gli dissi per spostare l’attenzione su di lui, forse era vero che mi ero soffermata troppo a guardarli.
« Beh…si, ovviamente. Ma tu…» il tono accusatorio della sua voce mi fece innervosire
« Eh no, io un corno Jake! L’hai ammesso anche tu. Ora basta! Non c’è una sola persona in tutta la scuola che non sia rimasta stupita di fronte a quei ragazzi ! Non ho fatto nulla di sbagliato! » avevo quasi urlato.
« D’accordo, Bells. Come credi ! » urlò più forte di me.
Jacob reagiva sempre così quando alzavo la voce, torto o ragione che avessi lui si infervorava e si metteva sulla difensiva attaccandomi.
Saltò sulla moto e se ne andò via rosso in volto dalla rabbia.
Ero sbigottita. Cosa diavolo gli era preso? Una scenata di gelosia per i nuovi arrivati era l’ultima cosa che mi sarei aspettata di vedere quel giorno. E per cosa poi ? Non che mi volessi giustificare di niente ma….l’arrivo di quei sei ragazzi aveva spiazzato tutti. Angela era ancora vicino a me visibilmente in imbarazzo:
« Angela scusami….non so cosa gli sia preso! »
« Figurati Bella….è solo geloso »
« Sarà, ma per Mike non ha mai fatto nulla di simile »
« Tesoro, hai visto quei bonazzi da paura appena arrivati?...credi davvero che abbiano qualcosa in comune con Mike Newton? » e pronunciando il suo nome mimò il gesto del vomito infilandosi due dita in bocca.
« Forse hai ragione, ma ha comunque sbagliato » non intendevo fargliela passare liscia.
« Va bene Bella, come vuoi. Ora muoviti però. »
« Cos’hai alla prima? » speravo fosse con me.
« Storia. E tu? »
Controllai il mio orario. Ecco appunto, mai che me ne andasse una bene.
« Letteratura sperimentale » le risposi dispiaciuta
« Vedi che il tuo compleanno inizia bene? Alla prima ora, la tua materia preferita » e mi sorrise per confortarmi. Poi aggiunse
« Ora scappo, la professoressa Spencer odia i ritardatari » mi baciò una guancia e corse via.
In effetti aveva ragione, quell’ora di letteratura mi avrebbe fatta riprendere dal pessimo inizio di giornata. Mi avviai speranzosa verso l’aula mentre la prima campanella ancora non era suonata, volevo starmene cinque minuti da sola prima dell’inizio delle lezioni.
L’aula di letteratura sperimentale era uno dei posti che preferivo in assoluto in tutta la cittadina di Forks. Forse perché ne avevo scelto e curato io l’arredamento. Mi ricordai piacevolmente di quando, al secondo anno, il professor Barnes scelse i dodici studenti più meritevoli del corso di letteratura classica (tra i quali c’ero anch’io) per formare un nuovo corso sperimentale. A quei dodici fortunati fu chiesto di presentare un progetto per l’arredamento della nuova aula….e scelsero il mio.
Aprii la porta e la richiusi silenziosa alle mie spalle. Chiusi gli occhi ed inspirai a fondo : odore di carta, inchiostro, legno, polvere, pelle e cuoio. Si mescolavano perfettamente.
Li riaprii, anche se conoscevo quel posto a menadito e avrei potuto muovermi anche alla cieca. I sei “banchi, disposti in due file da tre, erano uguali alla cattedra, ovvero erano pesanti scrivanie in legno scuro dalle pareti finemente intagliate. Il restante grande spazio alle spalle delle scrivanie era occupato da varie file di scaffali della stessa fattura, come a riprodurre i corridoi di una biblioteca antica, ovviamente traboccanti di libri.
Forse adoravo stare lì proprio per quello, l’aula sembrava la riproduzione di una biblioteca universitaria e infondeva molta tranquillità, ci si dimenticava di essere all’interno della Forks High. Andai alla mia scrivania, la centrale in seconda fila, e vi poggiai lo zaino e i libri occupandola tutta. Non me ne curai, ero l’unica del corso a non avere un compagno di banco, la ragazza che prima occupava quel posto aveva gentilmente rifiutato di partecipare al progetto poco dopo il suo inizio. Mi infilai nel primo corridoio tra gli scaffali, dalle finestre entrava una pallida luce che rendeva tutti i colori più tenui.
Mentre passavo una mano sul dorso dei libri vecchi disposti in fila sentii la porta aprirsi. Sbirciai attraverso il poco spazio libero tra la parte superiore dei libri e la mensola dello scaffale che li conteneva. Zaino in spalla, e in mano una pila di almeno una decina di libri, varcò la soglia della mia piccola tana il magnifico angelo del parcheggio. Quei libri dovevano pesare tantissimo, forse quanto me, ma lui sembrava non soffrirne minimamente. Ci camminava con la stessa facilità ed eleganza come se portasse solo un foglio.
Non sapevo se si fosse accorto della mia presenza, si guardò intorno, per poi puntare lo sguardo dritto nella mia direzione, come se mi avesse vista. … Ma era impossibile, non poteva vedermi dietro quel pesante scaffale con tutte le mensole stracolme di libri !
Eppure i suoi occhi entravano dritti nei miei. Solo in quel momento mi accorsi del loro magnifico colore: erano di un caldissimo ambra con brillanti riflessi dorati. Sembravano fatti di miele, caldo e lucido miele. Ne ero attratta magneticamente, non riuscivo a non fissarli. Erano talmente splendidi da donare a quella magnifica creatura il tocco per la perfezione assoluta.

Improvvisamente mi sentii avvampare di rossore, come se mi avessero sorpresa con le dita nel barattolo della marmellata. Ma cosa diavolo dicevo? La perfezione assoluta? Per quanto potesse essere bello (anche se definirlo bello sarebbe stato talmente riduttivo da risultare come un’offesa) quel ragazzo era la causa del mio litigio con Jacob e quindi la causa di quel pessimo inizio di giornata.
Nell’esatto momento in cui le mie guance avvamparono lo vidi contrarre la mascella, per poi poggiare quasi istantaneamente la fronte sull’alta pila di libri che recava in braccio. Con le spalle inarcate e quasi chiuse vicino al collo, sembrava come….. come se stesse soffrendo. Come se avesse avuto una fitta di dolore in un punto non ben precisato del corpo.
D’improvviso la campanella suonò facendomi sobbalzare e mandandomi il cuore a vento, le mie pulsazioni triplicarono. Credo che anche il ragazzo dovette spaventarsi perché lo vidi poggiarsi con la mano libera alla cattedra, sembrava ancora più sofferente di prima, come se avesse avuto una fitta molto più forte della precedente. La campanella portò con se l’ingresso degli studenti in aula con tanto di professore al seguito e il ragazzo sconosciuto parve riprendersi giusto in tempo. Approfittai del caos temporaneo per sgusciare fuori dal mio nascondiglio e mi sedetti al mio posto.
Quando tutti si furono seduti il professor Barnes prese in consegna il foglio di presentazione del ragazzo, aggiunse un altro libro alla sua già sostanziosa pila, e gli disse
« Bene signor Cullen, mi hanno parlato molto bene di lei. Spero sia all’altezza della sua fama di studente modello anche qui, nel mio corso sperimentale. Prego, si accomodi pure accanto alla signorina Swan. » .
Come?! Accanto a me? No, no, no, cavolo! Tutti ma non lui!
Era decisamente il compleanno più brutto della mia vita. La mia solita sfortuna non mi abbandonava mai.

Il ragazzo si girò verso di me e mi guardò con un’espressione grave, come se pensasse le mie stesse cose. Notai qualcosa di diverso in lui, ma sul momento non riuscii a capire bene cosa fosse. Mentre si avvicinava lentamente alla mia scrivania lo guardai meglio, e quello che vidi mi fece sentire una pazza. Tutte le emozioni vissute quella mattina in poche ore dovevano avermi fatto saltare qualche rotella. I suoi occhi, che stavolta evitavano accuratamente i miei, erano di un buio ed infinito nero corvino.



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Capitolo 10
*** CAPITOLO 8 - Cantante muta ***


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CAPITOLO 8 – “Cantante muta



POV Edward

Guidavo piano, mantenendo una velocità moderata per non esagerare il primo giorno di scuola.
In effetti se non ci fosse stato Jasper davanti a dettare il passo con la sua Mercedes non avrei resistito a quel ritmo di lumaca nemmeno un minuto. Come al solito, dare un’immagine “normale” di noi ad ogni costo, mi risultava ancora un po’ difficile.
Nonostante mi infastidisse molto quel doverci trasferire continuamente da un paesino all’altro, era anche per me motivo di sfida personale, ogni volta era un’occasione in più per fare sempre meglio, per perfezionare il mio autocontrollo….e non nego che era anche l’unico momento in cui riuscivo ancora a ricordare certe sensazioni tipicamente umane: il disagio e l’imbarazzo di sentirsi fuori posto, la curiosità di scoprire nuove persone, nuovi modi di pensare.
In me vi era ancora molto dell’umano che ero stato, ero ancora determinato, ancora ambizioso, e questo mi aveva aiutato molto nei primi difficilissimi anni trascorsi con Carlisle e la sua famiglia. Pensare a quante volte ero caduto, quante avevo fallito..mi provocava una sofferenza enorme, incontenibile, tanto che avrei posto fine a quell’assurda e tremenda esistenza senza la minima esitazione. Non volevo sentirmi un mostro, non volevo essere un mostro, mai più.
Serrai la mascella e strinsi più forte il volante sotto le mani al ricordo del mio passato da assassino.
Ed, cos’hai? ” quella domanda posta direttamente nella mia mente, mi ricordò che non ero solo in macchina.
Doveva essersi accorta della tensione che mi aveva attanagliato qualche attimo prima.
« Nulla Vicky, non preoccuparti. » Per rassicurarla mi voltai e le sorrisi.
Ogni volta guardarla era per me una tortura ed un piacere. I suoi occhi, ora dorati come i miei, mi ricordavano quanto le fosse costato seguirmi nella scelta di unirmi alla famiglia di Carlisle..e le ero molto grato per questo. Ma i suoi capelli, di un rosso acceso, non potevano non ricordarmi il colore del sangue, del nostro passato insieme.
In lei vedevo il volto rassicurante della prima persona che si era presa cura di me dopo la trasformazione, della persona che per me c’era sempre stata e che per me aveva fatto di tutto. Ma allo stesso tempo, nel suo viso vedevo lo spettro di ciò che eravamo stati, ed ogni volta mi sorprendevo a distogliere lo sguardo per non ricordare, immerso nella vergogna e nel disprezzo per me stesso. Lo feci anche in quel momento, portando di nuovo gli occhi alla strada. Victoria capì al volo, allungò una mano e la pose sulla mia che intanto stringeva il cambio tanto da farlo scricchiolare sotto la presa.
« Edward, non pensarci. Almeno per una volta goditi il trasferimento » mi stupiva sempre notare che i suoi pensieri per me non erano mai filtrati.
Tutto ciò che mi diceva lo pensava davvero e non c’era cosa che pensasse che non mi dicesse.
« Ci proverò ma….»
Ma ? ” mi chiese muta.
«…Ma non posso fare a meno di avere paura » quanto mi costava quell’ammissione.
Non sopportavo l’idea di sentirmi debole, di sentirmi incapace di affrontare una situazione.
« Ed tu sei cambiato! Ti sei impegnato tanto, e ci sei riuscito perché l’hai voluto con tutte le tue forze »
« A quanto pare non abbastanza per Emily….o per Iris…»
I ricordi che quei nomi portavano con loro mi fecero nascere dal profondo della gola un ringhio basso e lungo. Sentivo però che la sua vera origine era un’altra…..era il mio cuore, il mio stomaco, il mio cervello…in quel ringhio c’era il dolore di tutto me stesso. Un dolore che mi scavava dentro ogni giorno. Non avrei potuto sopportare l’idea di comportarmi ancora una volta come il mostro che ero.
« Non dire così….per loro è stato diverso. » Mi carezzò dolcemente la guancia.
« Per una volta vorrei essere IO quello diverso, Vicky »
« E lo sarai, splendore. Lo sarai. Datti una nuova possibilità. Prova a voltare pagina e vedrai che tutto andrà meglio. »
Aveva ragione. Dovevo fare tesoro dei miei errori senza mai dimenticarli. Ne avrei tratto la forza per reagire, per cambiare,per non scivolare ancora.
Avrei dato a quel trasferimento una nuova valenza, una nuova promessa. Avrei mantenuto il controllo anche nel peggiore dei casi. E non l’avrei fatto solo per me stesso: lo dovevo a Carlisle e ad Esme che mi avevano accolto nella loro famiglia come un figlio, lo dovevo a Emmett sempre pronto a risollevare il mio umore, lo dovevo a Rosalie che con le sue sfide mi spingeva a fare sempre meglio, lo dovevo ad Alice che mi era sempre stata vicina in tutto, lo dovevo a Jasper che con me era sempre stato generoso e comprensivo, e lo dovevo anche a Victoria che per seguire me aveva abbandonato la vita che conosceva da più di cento anni.
« Grazie » le dissi sincero.
Qualche minuto dopo fummo nel parcheggio della nuova scuola : la Forks High School. Non sembrava tanto male, e per essere il liceo di un piccolo paesino era anche abbastanza grande. Sapevo che tutti i presenti stavano già fissando le nostre auto. C’era chi ammirava semplicemente i nostri splendidi veicoli, chi si chiedeva cosa ci facessero lì, e la maggior parte di loro era curiosa di vedere chi ci sarebbe sceso.
Pensai che infondo non c’era nulla di male a divertirsi un po’ per scaricare la tensione, così quando Victoria allungò una mano per aprire lo sportello la fermai
« No aspetta. Voglio prima sentire….» sapevo che avrebbe capito.
« Edward Cullen, non si sbircia nella mente delle persone solo per divertimento! » e rise di gusto.
« Oh andiamo! Dovrò pure abituarmi alle loro voci. »
« D’accordo. Ma dopo promettimi che le ignorerai. »
« Come sempre capo » le scompigliai un po’ i capelli.
…quando si accorgerà di me?...” Le sfuggì mentre rideva.
Capitava spesso, purtroppo, che le sfuggissero pensieri come quelli. Avevo sempre saputo ciò che Victoria provava per me nonostante tentasse di mascherarlo nell’attesa che io ricambiassi . Quella volta parve non accorgersene, o fece finta di niente.
Dal finestrino vidi i miei fratelli fare la loro trionfale apparizione. Anche quella volta rimasi stupefatto dalla molteplicità di reazioni che la nostra presenza scatenava. Di primo impatto la maggior parte dei ragazzi rimase affascinato dalla loro bellezza, altri provarono un moto improvviso di invidia, altri ancora invece rimasero senza pensieri.
Ero esterrefatto, non riuscivo a capire come potesse un essere umano restare senza pensare. Ma la successiva ondata di pensieri mi ricordò perché ciò avvenisse.
Paura.
Inconsciamente ebbero tutti paura di loro.
Poi iniziarono a chiacchierare tra di loro, e il mio divertimento finì. La parte che preferivo di ogni trasferimento era appena finita. Era arrivato il momento di iniziare questa nuova vita. Cercai di rinchiudere quel vocio nell’angolo più lontano della mia testa prima di decidermi a scendere dalla Volvo. Non ero mai stato interessato alla reazione che avesse la gente nel vedere me per la prima volta. Non volevo saperlo, non volevo sentirlo. Non volevo avvertire anche nei miei confronti quel senso di paura di poco prima.
« Andiamo? » le chiesi.
Victoria mi sorrise ed aprì la portiera dell’auto, lo stesso feci anch’io ed uscii. Il tempo di richiudere la Volvo che lei fu subito accanto a me. Si aggrappò al mio braccio e mi sussurrò
« Scusa per prima » era puramente sincera, come sempre.
Le sorrisi per rassicurarla, mi sembrava ingiusto che qualcuno si dovesse scusare per i propri pensieri.
Raggiungemmo gli altri e ci avviammo verso l’ingresso della scuola.
Prendemmo tutto il necessario in segreteria, orari, libri, piantina degli edifici. Non condividevo nessuna lezione con nessuno dei miei fratelli. Men che meno quello alla prima ora, una specie di corso puntiglioso sulla letteratura che mi era stato proposto all’atto dell’iscrizione.
« Secchione come sempre, eh Ed ? » disse Emmett dandomi una pacca sulla spalla.
Quello scimmione non riusciva mai a contenere la sua forza, o forse non voleva. La pacca che mi aveva appena dato sarebbe stata sufficiente a spappolare la spalla di qualsiasi essere umano.
« Già Emm, a quanto pare faccio funzionare l’unico muscolo che tu non alleni »
Le ragazze risero di gusto e anche Jasper non si risparmiò.
« Ah ha….spiritoso!. Perché non pensi ad iniziare ad allenare un muscolo che, al contrario del tuo cervello, non hai mai usato? »
E cingendo le spalle di Rosalie con il suo possente braccio, scoppiò in una fragorosa risata andando via. Ormai non tenevo più il conto di quante volte Emm mi prendesse in giro circa la mia “purezza”, se così si può definire, ma mi infastidiva lo stesso. Victoria sorrise imbarazzata e si allontanò anche lei. Alice sorrise divertita
« Ohhh vieni qui fratellino » e con un saltello si aggrappò con le braccia dietro il collo abbracciandomi. Voltò il viso verso il mio orecchio e mi sussurrò impercettibilmente
« Stamattina accadrà una cosa…ma tu ce la farai. Sono fiera di te, come lo saranno tutti » prima di staccarsi velocemente ed avviarsi con Jasper nel corridoio.
« Alice, cosa?! » le gridai per farmi sentire sopra il ronzio di voci dei ragazzi.
Ma lei non si voltò, non mi diede spiegazioni. E nemmeno la sua mente mi rivelò nulla dal momento che aveva appena iniziato a tradurre un qualche sconosciuto libro in coreano.
Una frase enigmatica della mia sorella veggente non era il modo migliore per affrontare il primo giorno di scuola.
Così, nonostante mancassero circa dieci minuti all’inizio delle lezioni, mi avviai verso l’aula di letteratura sperimentale. Avrei avuto modo di riflettere sulle sue parole in aula da solo.
Quando giunsi alla porta dell’aula diedi una sbirciatina all’interno attraverso il vetro. Rimasi colpito nel vedere il modo in cui era arredata, sembrava una biblioteca universitaria. Notai che sulla pesante scrivania centrale in seconda fila vi era poggiato uno zainetto arancione con tanto di libri sparpagliati. Qualcuno doveva avermi preceduto. Tanto valeva entrare ed iniziare a familiarizzare con quel futuro compagno di studi. Spostai la pila di libri sul braccio sinistro, e con la mano destra aprii la porta entrando. Quando la richiusi alle mie spalle restai in ascolto,in attesa di sentire il pensiero che mi sarebbe toccato affrontare per primo.
Dopo circa dieci secondi mi resi conto che nessun pensiero veniva formulato tra quelle quattro pareti, eppure…..eppure sentivo che non ero solo. Avvertivo il rumore di un respiro e, seppur flebile, mi giungeva il suo odore. Com’era possibile che ci fosse qualcuno lì dentro e che io non ne sentissi la mente?
Un piccolo movimento attirò la mia attenzione e i miei occhi da perfetto predatore scovarono quelli dell’ignara preda. Credeva di essere al sicuro, lo percepivo. Del resto nessun essere umano avrebbe potuto accorgersi di quegli occhi che si intravedevano a malapena sopra il bordo dei libri, nascosti dietro al pesante scaffale.
Involontariamente li fissai. Sapevo di non doverlo fare, nessuno ci sarebbe riuscito. Ma nonostante la ragione mi gridasse di distogliere lo sguardo, il mio istinto continuava a tenere incatenati i miei occhi dentro i suoi. Non avevo mai visto nulla di simile, non avevo mai visto così tanta dolcezza. Erano del colore del cioccolato al latte, un caldissimo, profondo, e magnetico cioccolato.
Ero talmente perso in quel dolce spettacolo che dimenticai per un momento il fatto che non riuscissi a leggerle la mente. Poi ad un tratto accadde.
Fu tutto talmente veloce che non ebbi il tempo di prepararmi. Vidi in quegli splendidi occhi un mutamento, la dolcezza sparì per lasciare posto all’ostilità, e in quel preciso istante mi raggiunse prepotente l’odore più invitante che avessi mai sentito in tutti i miei anni da vampiro. La gola avvampò come se avessi appena ingurgitato un litro di benzina infuocata, le mie narici si allargarono per annusare avide quell’irresistibile profumo. Poggiai la fronte sull’alta pila di libri che recavo in braccio cercando di mantenere il controllo, cercando di impormi sul mostro che si agitava nella mia testa.
Non era possibile, non volevo, non potevo crederci. Quegli occhi non potevano appartenere ad una cantante. Alla mia cantante .
Il destino si divertiva a beffarsi di me! Proprio quando avevo deciso di dimenticare tutto, lui mi metteva di fronte all’ennesima sfida, all’ennesima tentazione. Di fronte ad un’altra cantante….la più potente che avessi mai incontrato. Stavolta però, avrei vinto io. Non ci sarebbe stato spazio per il mostro che albergava in me. Non sarei stato mai più un assassino.
Mentre accettavo la sfida con il destino, ma soprattutto con me stesso, la campanella suonò. La ragazza dovette spaventarsi, sentii il suo piccolo cuoricino esplodere in un milione di battiti e l’odore penetrante del suo gustosissimo sangue invadermi perfino la testa. Non avevo mai creduto possibile che i vampiri potessero avere un mancamento, eppure fu proprio così che mi sentii. Nello sforzo di resistere a quel richiamo potentissimo mi aggrappai forte con la mano libera al bordo della cattedra. La sentii scricchiolare all’impatto, ci mancava solo che distruggessi una possente scrivania con il solo tocco di una mano….credo che a quel punto alla mia innocente cantante sarebbe venuto un infarto…divenendo così, in un attimo, la mia debole preda.
La porta dell’aula alle mie spalle si spalancò permettendo l’ingresso, non solo degli altri studenti, ma anche dell’aria pulita, andando a diluire sensibilmente il profumo di quel dolcissimo sangue.
Mi drizzai sulle spalle inspirando a fondo, avido di aria che avrebbe spento il fuoco nella mia gola. Mi sentii decisamente meglio, e pensai che infondo, se avevo resistito a quel potentissimo richiamo quando ero solo in una stanza con la mia preda, e quando nulla mi avrebbe impedito di saziare la spregevole sete, allora potevo superare anche quell’ora condividendone la stessa aula.
Il professore si avvicinò ed io gli porsi il mio foglio di presentazione.
« Bene signor Cullen, mi hanno parlato molto bene di lei. Spero sia all’altezza della sua fama di studente modello anche qui, nel mio corso sperimentale. Prego, si accomodi pure accanto alla signorina Swan. » Mi disse con fare superiore.
Oh povero sciocco, provato com’era in quel momento il mio autocontrollo avrei potuto staccargli la testa per molto meno.
Ma non lo feci per un semplice motivo : avevo trovato la sfida che tanto cercavo. Avevo trovato la più difficile delle prove da superare, e non me la sarei lasciata sfuggire.
Seguii con lo sguardo il punto in cui la sua mano stava indicando il mio posto a sedere.
Questo era troppo! Lei? ….. ripensai alle considerazioni di un attimo prima, non ero più tanto sicuro del mio entusiasmo per la situazione, no di certo.
Mi avvicinai contro voglia alla sua scrivania, passando accanto agli altri studenti. Almeno vi era una cosa positiva in tutta quella orribile situazione : nessun’altro umano in tutta Forks avrebbe dovuto temermi, perché nessun’altro sangue per me sarebbe stato più un tale richiamo. Non dopo aver sentito il Suo.
Oddio che figo da paura!!
Il classico figlio di papà
I loro pensieri mi accompagnarono fin quando non mi sedetti vicino a lei. Accanto alla signorina Swan.
Mi guardava fisso, come se avesse appena visto la cosa più assurda del mondo. Era letteralmente sbalordita. Ma dalla sua mente, niente. Esattamente come poco prima, la sua mente non aveva parole per me.
Come poteva accadere una cosa simile? Perché non riuscivo a sentire i suoi pensieri? Perché mi guardava così ? Ma soprattutto, perché continuava a sfidare doppiamente il mostro dentro me, istigandolo prima con il suo sangue e poi con la sua mente?
Inspirai profondamente per l’ultima volta. Non lo avrei fatto per tutto il resto della lezione se volevo che quella ragazza rimanesse in vita.
Quella fu l’ora più lunga di tutta la mia esistenza, trascorsa in continua tensione e cercando costantemente di non pensare al succulento profumo della signorina Swan…per non parlare di tutte le infinitesime volte che tentai di leggerle la mente senza alcun risultato. Appena suonò la campanella la vidi raccogliere le sue cose stizzita e correre fuori dall’aula. Quel suo comportamento mi infastidì ulteriormente : io combattevo una battaglia interna contro il più grande predatore della storia per salvarle la vita e lei andava via stizzita?!
Mi alzai dal mio posto, mi diressi in corridoio cercando le uniche due persone con le quali avrei voluto parlare in quel momento. Li trovai fuori, in cortile, appoggiati ad una panchina ad aspettarmi. La cosa non mi sorprese . Mi avvicinai e puntai un dito contro quel folletto di mia sorella:
« Alice tu sapevi tutto! Perché non mi hai avvertito? »
« Perché avresti cambiato corso » mi rispose come se fosse la cosa più scontata del mondo
« APPUNTO! » le gridai in faccia
« E dai calmati Ed, infondo l’ha fatto per te . Hai superato la situazione senza farle del male » intervenne Emmett in difesa del mostriciattolo
« Si, si, si ! Io l’avevo visto! » canticchiò Alice saltellando e battendo le mani entusiasta.
Forse avevano ragione, se l’avessi saputo mi sarei rifiutato di incontrarla. Non avrei mai superato la mia grande paura.
« Va bene, va bene. Hai vinto tu folletto! » dissi arrendendomi
« E….? » mi invitò lei a continuare
Sbuffai sapendo dove volesse arrivare senza nemmeno bisogno di leggerle la mente.
« E….Grazie » le risposi sorridendo. Era un folletto fastidioso, ma le volevo un bene incredibile.
« Bravo fai bene a ringraziarmi perché ho anche preparato una cosa per te stamattina » disse tirando fuori dalla borsa un contenitore del latte con tanto di cannuccia che gli spuntava dall’apertura.
« Latte, Alice? E cosa dovrei farci? » ero stupito e non capivo
« Idiota non è latte…è…..puma » mi fece l’occhiolino e proseguì sorridente « Ho pensato che ti sarebbe stato utile per proseguire la giornata »
Ahhh la mia sorellina pazza …. Trovava sempre soluzioni a tutto. L’abbracciai e presi il cartoncino del latte, bevendo avidamente dalla scomoda cannuccia. Quando finii le chiesi
« Alice dimmi, oltre a questo incontro…nella tua visione c’era anche qualcos’altro? »
« Cosa intendi? »
« Non hai visto nulla di particolare che riguardasse la ragazza? »
« Edward smettila di fare gli indovinelli e parla chiaro! »
Ah ecco, lei poteva lanciarmi frasi ambigue e tendermi delle imboscate con la mia cantante ed io non potevo tenerla un po’ sulle spine?
« Ed ti decidi a sputare il rospo? » Emmett sembrava anche più curioso di Alice
« Ok, ok!....sentite…la ragazza, questa Swan ….io….non riesco a leggerle la mente »
Alice mi guardò stupefatta ed affascinata, Emmett come suo solito mi guardò trattenendo una risata ed iniziando a prendermi in giro già mentalmente.
« Zitto scimmione, non ci provare nemmeno! » gli dicemmo in coro io e la mia sorella veggente.
Emmett parve spiazzato, e preso in contropiede disse tutto imbronciato
« Non ci si può mai divertire con voi due! »
Alice sorrise e poi si rivolse a me
« E adesso? Cos’hai intenzione di fare? Intendo prima di parlarne con Carlisle »
Ci pensai su un attimo, e poi le risposi sinceramente:
« Alice, io sento che ce la posso fare stavolta. Sento che posso finalmente raggiungere quell’equilibrio che ho tanto cercato. Il destino mi ha posto d’avanti ad una doppia sfida ed io non intendo tirarmi indietro. Cercherò di abituarmi al suo odore, ma soprattutto, voglio capire perché non riesco a sentire la sua mente. »
Improvvisamente mi ricordai di quanto le fossi potuto sembrare scostumato e spregevole quella mattina, tenendomi a debita distanza e non rivolgendole nemmeno la parola.
« Che idiota che sono! Non le ho nemmeno detto ciao »
« Andiamo, non pretendere così tanto da te stesso ora. Almeno non l’hai uccisa no? »
Guardai Alice con uno sguardo truce e lei smise di sorridere.
Mentre pensavo che forse aveva ragione, che forse era già tanto per me essere riuscito a mantenere il controllo, vidi la mia misteriosa cantante spuntare da dietro l’edificio accanto al nostro e sedersi su di una panchina. Ancora una volta ne fui catturato. C’era qualcosa in lei che mi attirava inspiegabilmente, qualcosa che non fosse il semplice istinto predatorio. Mi affascinava come nulla prima di allora il silenzio della sua mente. Quello per me era un richiamo più forte perfino dell’odore del suo sangue.
« Io devo parlarle…. » Dissi distrattamente ai miei fratelli.
Non attesi una loro risposta e mi incamminai verso quella che conoscevo soltanto come ‘la signorina Swan’.
Avvicinandomi sempre di più alla fragile umana che destava in me tanto interesse la guardai veramente per la prima volta. Era minuta e non tanto alta, la sua pelle diafana appariva fragilissima ai miei occhi, la lunga e corposa cascata di capelli che le ricadeva ribelle addosso era di un bellissimo castano con riflessi rossastri. La forma del suo viso mi ricordava molto quella di un cuore, con quel mento così delicato. La bocca, piccola e rosa, aveva un labbro leggermente più sporgente dell’altro…era adorabile.
Infine lasciai per ultimo ciò che mi aveva rapito quella mattina in aula, ciò che mi aveva aiutato a salvarle la vita…i suoi splendidi occhi. In quel momento si accorse del mio avvicinarsi e li sollevò dal cellulare che teneva tra le mani, puntandoli dritti nei miei. Non doveva rendersi conto della potenza che sprigionavano.
Così, mentre mi beavo del languido cioccolato dei suoi occhi, mi fermai dinanzi a lei. Non avrei resistito un secondo di più a quel silenzio tra noi e tra le nostre menti così mi presentai, sorridendo involontariamente:
« Ciao, ti chiedo scusa per prima, non so cosa mi sia preso. Permettimi di riparare presentandomi adesso: io sono Edward Cullen »
In un primo momento mi parve molto stupita, e le sue guance si colorarono di un invitante e delizioso rosso. Era adorabile.
Poi subito dopo, come se si fosse risvegliata da un lungo pensiero, battè più volte le palpebre.
Il grazioso rossore di poco prima svanì dalle gote e vidi il suo sguardo mutare allo stesso modo dell’ora prima in aula, nascosta dietro lo scaffale.
E fu proprio così che, con il suo sguardo infastidito puntato addosso, mi parlò per la prima volta.



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Capitolo 11
*** CAPITOLO 9 - Bella può bastare? ***






CAPITOLO 9 – “Bella può bastare?



Mentre ancora suonava la campanella che segnava la fine della prima ora, io ero già fuori dall’aula diretta verso il cortile posteriore della scuola. Camminavo a passo svelto e un paio di volte rischiai anche di cadere, ma non mi interessava. Avevo bisogno di un po’ d’aria fresca, avevo bisogno di scaricare la tensione accumulata.

Tutta l’ora di letteratura era trascorsa con il nuovo arrivato che stava seduto rigido e tutto contratto nel punto più lontano della scrivania…mi aveva trasmesso un’ansia incredibile! Come se non bastasse poi, all’incirca ogni minuto e mezzo lo vedevo guardarmi di sottecchi con un’espressione in volto che era tra l’incredulo e il terrorizzato. Non mi aveva nemmeno rivolto la parola….nemmeno un ciao, un salve … che dico, nemmeno un cenno con la testa! Io di rimando per tutta l’ora ero stata tesissima e quasi con il fiato trattenuto, un po’ per reazione al suo comportamento, un po’ perché pensavo di avere le allucinazioni dopo aver visto il colore dei suoi occhi cambiare. Ed inoltre, non so perché, ma quel suo sguardo così intensamente indagatore e allo stesso tempo così accusatorio, mi aveva intimorita molto.
Al ricordo di quello sguardo un brivido mi percorse la schiena….ma cosa mi prendeva? Spinsi forte la porta dell’uscita di emergenza e fui investita in pieno viso dall’aria gelida e umida di quella mattina. Mi sentii già molto meglio, ma avevo ancora tutta quella tensione incredibile addosso da scaricare, così mi ritrovai a scalciare istericamente tutte le erbacce che mi trovavo a tiro. Pestavo, scalciavo e sradicavo ogni erbetta molesta sulla mia traiettoria e allo stesso tempo agitavo le braccia come se stessi litigando con qualcuno.
Dopo qualche minuto mi balenò in testa l'immagine di me stessa vista dall'esterno : dovevo sembrare una pazza furiosa alle prese con una rissa contro il nulla. Così mi resi conto che forse era meglio farla finita se non volevo diventare ancora una volta lo zimbello della scuola. Mi fermai e mi guardai intorno, nessuno mi aveva vista fortunatamente, ed inoltre notai piacevolmente che i miei muscoli si erano tutti rilassati; finalmente tutta la tensione, l'ansia e il disagio erano spariti.
Non sapevo bene il perchè, ma lentamente un risolino iniziò a scuotermi piano, per poi aumentare d'intensità sempre di più. Ridevo, ridevo come mai, ridevo senza un motivo, senza una ragione, ridevo a crepapelle! Piegata in due, poggiata con le mani sulle ginocchia, delle lacrime mi rigavano il viso mentre tentavo di riprendere fiato tra una risata e l'altra. Poche volte avevo pianto dal ridere nella mia vita, ma MAI mi era successo senza che ne avessi un motivo.
Inspirai profondamente un paio di volte, mi rimisi dritta e mi asciugai gli occhi con le maniche della felpa. Non avevo idea di cosa mi avesse appena preso, e la cosa era alquanto inquietante. Tutte le emozioni della giornata mi avevano evidentemente scombussolata e i miei nervi avevano avuto un crollo.
Passeggiavo avanti e indietro sul praticello retrostante alla scuola, e riflettevo sugli eventi che si erano susseguiti : in effetti aveva ragione Jacob, era ora che crescessi e che iniziassi ad accettare con serenità il mio compleanno, non era di certo da una persona adulta infastidirsi se per qualche ora si era al centro dell'attenzione! Oltretutto, seppure i nuovi arrivati fossero così straordinari, aveva ragione anche sul fatto che li avevo squadrati da capo a piedi dal primo all'ultimo…..specialmente l'ultimo.
Aveva dovuto sentirsi preso in giro quando avevo negato tutto. Mi passai una mano tra i capelli e sospirai: indipendentemente dalle bizze del mio umore, Jake aveva avuto ragione su tutto quella mattina. Ed io l'avevo trattato anche malissimo urlandogli in faccia. Rovistai nelle tasche dei jeans e della felpa alla ricerca del cellulare. Composi il numero di Jacob e mentre partivano i primi squilli pensai che infondo già sapevo come sarebbe andata quella telefonata. Al quinto squillo sentii l'inconfondibile rumore di quando inizia la comunicazione, ma nessuno rispose. Sentivo solo degli impastati e confusi rumori di fondo.
« Pronto? » provai a dire, ma dall'altro capo nessuna risposta.
« Jake mi senti? »
« Certo che ti sento » mi rispose infastidito.
« E allora perchè non rispondevi? »
« Cosa vuoi Bells? » no, mi ero sbagliata.
Non era infastidito, era decisamente arrabbiato e le mie domande non avrebbero risolto nulla. Era meglio andare dritti al punto.
« Jacob volevo chiederti scusa...per stamattina...si,insomma ho sbagliato. Tu avevi ragione su tutto : sono una bambina se mi infastidisco ancora per il mio compleanno, dovrei decidermi a crescere e ad accettare che ogni tanto nella vita non è la fine del mondo se mi trovo al centro dell'attenzione. » mi aveva lasciata parlare senza mai interrompermi...mmm...brutto segno, non è da Jacob.
« Nient'altro? » ancora arrabbiato
«..Beh si, in effetti si. » mi schiarii la voce e continuai
« Avevi ragione anche sui....sui nuovi arrivati »
« Su cosa di preciso, Bells?! » era sempre arrabbiato, ma nella sua voce c'era anche un pizzico di sfida.
« Ecco io...io li ho guardati a lungo, si. Tutti. Dal primo all'ultimo. S-specialmente...l-l'ultimo. » deglutii.
« Bene! ma brava Isabella! sul serio, mi complimento! Hai anche il coraggio di venirmelo a dire? » Era esploso, e quando usava il mio nome per intero ero decisamente nei guai.
« Jake ma io mi sto scusando! » tentai di fargli capire
« E ti scusi ammettendo che ti sei studiata a dovere l'ultimo arrivato?! »
« Ma insomma Jake, non ti capisco. Stamattina ti sei arrabbiato perchè non ammettevo di averlo fatto, ed ora, ti arrabbi ancora di più perchè ti do ragione? » cosa voleva allora?
« Certo! ne ho tutto il diritto! Io mi arrabbio quanto mi pare e piace! »
Adesso mi aveva proprio stancata, anche la mia di pazienza aveva un limite.
« Va bene, Jacob Black. Sai cosa ti dico? Con te è tutto fiato sprecato! Ho sbagliato a fare questa telefonata, sapevo già come sarebbe andata a finire! Quindi ora se hai ancora qualche problema, sono cavoli tuoi! »
Gli risposi arrabbiata e chiusi la comunicazione prima che potesse rispondermi. Era decisamente il compleanno peggiore di tutta la mia vita. Presi un bel respiro per calmarmi ancora una volta e mi guardai intorno: ormai erano tutti fuori dalle aule per il cambio d’ora era meglio non fare scenate di follia come quella precedente. Non molto distante da me, alla mia sinistra, adocchiai una panchina vuota. Magari seduta all’aria aperta avrei avuto modo di riprendere il controllo prima della successiva lezione.
A differenza di quanto fatto in corridoio camminai piano, godendomi ogni passo di libertà prima della prigionia dell’ora di matematica. Giunsi alla panchina e mi ci lasciai cadere sopra, già esausta alle prime ore del mattino, ed ebbi la strana sensazione che quella giornata non sarebbe mai finita. Tenevo lo sguardo basso e rigiravo il cellulare tra le mani quando sentii un rumore di passi avvicinarsi. Non era la giornata adatta, e chiunque fosse, gliel’avrei fatto capire. Sollevai lo sguardo con la ferma intenzione di puntarlo dritto negli occhi del mal capitato, e mi riuscì.
Per la seconda volta da quella mattina mi ritrovai immersa nell’oro fuso. Senza che avessi nemmeno il tempo di riprendermi da quel tuffo sconsiderato nel mare più invitante che avessi mai visto, lui si fermò dritto dinanzi a me e mi parlò
« Ciao, ti chiedo scusa per prima, non so cosa mi sia preso. Permettimi di riparare presentandomi adesso: io sono Edward Cullen »
Rimasi stupita dalla dolce musica che giunse alle mie orecchie. Non fui certa che quella meravigliosa creatura avesse parlato, la sua voce era così profonda e melodiosa che mi sembrò quasi avesse cantato dolcemente quella sua presentazione. Era di una bellezza disarmante, e lì seduta davanti a lui mi sentii in imbarazzo al solo pensiero che si stesse rivolgendo proprio a me. Mi accorsi delle mie guance che avvamparono dall’intenso calore che sentii avvolgermi la faccia.
In un certo senso fu come ricevere uno schiaffo dalla mano bollente di Jacob. Battei più volte le palpebre per uscire da quella visione celestiale e ritornai in me.
I suoi occhi erano del caldo color ambra/d’orato di quando li avevo visti per la prima volta. Non erano mai stati neri . Sentii il rossore sparire dalle mie guance e tornare a montare dentro di me il fastidio provato quella mattina dietro lo scaffale colmo di libri. Ero infastidita da tutto ciò che riguardasse lui in quel momento: i suoi occhi cangianti sembravano prendermi in giro come se fossi pazza, ed inoltre la sua incredibile bellezza non faceva altro che mettermi in difficoltà. Così sputai fuori d’istinto la mia risposta senza abbassare lo sguardo
« Ah si? Magnifico » pronuncia quell’ultima parola con un’espressione di menefreghismo cosmico dipinta in volto.
E prima di distogliere lo sguardo dal suo lo vidi completamente spiazzato da quella risposta.
« Ti dispiacerebbe dirmi come ti chiami? » mi disse ridacchiando.
« Ti dispiacerebbe sparire dalla mia vista? » gli risposi mentre mi voltavo per guardarlo, ma quando lo feci non lo trovai più in piedi di fronte a me.
« Così ti senti più a tuo agio? »
La sua voce melodiosa giunse rapida dalla mia destra. Mi mancò il fiato per un secondo e non ebbi il coraggio di muovere nemmeno un muscolo. Era seduto di fianco a me ma abbastanza lontano da non sfiorarmi nemmeno. Non era quello il momento di farmi prendere dalla timidezza, così mi feci forza e lo guardai ancora.
« Io sono sempre a mio agio, Cullen » sperai di averlo intimidito.
« Allora l’hai capito il mio nome, signorina Swan » mi rispose sfoderando un sorriso sghembo che mi fece vorticare forte la testa.
« N-non sono mica stupida » dissi di getto più per riprendermi che per conversare.
« Mai detto. Ora ti dispiacerebbe dirmi il tuo nome? »
« Bella »
« Signorina Swan, bella lo è di certo, anzi forse sarebbe più appropriato dire che è deliziosa, ma gradirei una risposta alla mia domanda »
Non capirò mai se fu quella frase o il sorriso che mi regalò pronunciando quelle parole a farmi smettere di respirare. Gli sorrisi di rimando, anche non volendo.
« Io ho già…..beh….Bella è il mio nome. Mi chiamo Isabella, ma Bella può bastare »
« Non sono d’accordo…» sussurrò appena guardandomi intensamente negli occhi.
Mi sentii mancare a quello sguardo così profondo. Non ebbi nemmeno il tempo di replicare che lo vidi voltarsi di scatto verso l’ingresso dell’edificio. Seguii il suo sguardo e vidi tre ragazzi che erano con lui quel mattino : la piccoletta, il gigante e la ragazza rossa. Lo fissavano tutti ma ognuno con un’espressione diversa in volto. La piccoletta sembrava raggiante ed entusiasta, quasi inorgoglita. Il gigante pareva ridersela di gusto. Mentre la ragazza rossa teneva le braccia incrociate al petto e gli lanciava uno sguardo assassino. Lo stesso sguardo che rivolse a me un secondo dopo. Fui scossa da un brivido di terrore puro lungo la schiena e distolsi rapida lo sguardo. Lui era già in piedi .
« Scusami devo andare. Ma è stato piacevole conoscerti…Bella »
« Si certo, anche per me…Edward » sorrise e si incamminò verso i ragazzi che lo attendevano.
Quando sparirono entrando nell’edificio mi lasciai andare sullo schienale della panchina.
Avevo ancora nella mente la sua voce melodiosa che pronunciava il mio nome. Da dove arrivava quel ragazzo così splendido? E perché aveva insistito così tanto nel conoscermi?
Navigavo ad occhi chiusi immersa in un mare di domande come quelle quando la vibrazione del cellulare mi fece sobbalzare. Lo estrassi dalla felpa, un messaggio da parte di Angela “Dove sei finita??La lezione sta iniziando!”. In un momento mi ricordai chi ero e dove fossi.
Mi alzai di scatto dalla panchina e feci per correre via, ma i piedi come al solito si intrecciarono tra loro facendomi cadere rovinosamente. Mi rialzai e, maledicendo la mia goffaggine, tentai di ripulire la felpa dalla vistosa macchia d’erba che si era formata su di un braccio. I miei tentativi furono vani così corsi verso l’aula ancora tutta stropicciata.
Mentre correvo pensavo solo a due cose : la prima, più necessaria, era tentare di non cadere nuovamente.
La seconda, più futile ma decisamente più interessante, era Edward Cullen.


Angolo autrice : PER FAVORE recensite !!

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Capitolo 12
*** CAPITOLO 10 - Informazioni e sassolini ***






CAPITOLO 10 – “Informazioni e sassolini


L’ora di matematica era noiosa e frustrante come al solito. Sia io che Angie ci perdevamo subito dopo i primi passaggi del professor Allen, così in genere trovavamo di meglio da fare. Angela mi diede una piccola gomitata, mi voltai, e lei mi indicò la macchia d’erba sul braccio con un’espressione che alternava l’incuriosito e il rassegnato. Le feci una smorfia scocciata e le mimai un ruzzolone con le mani che giravano l’una intorno all’altra. Angela trattenne una risata, poi prese la matita, scrisse qualcosa sul suo quaderno e lo voltò per farmi leggere

“Sei sempre la solita! Ma perché hai fatto così tardi?”
In effetti aveva ragione, non facevo quasi mai tardi ad una lezione se non per motivi seri. Pensai che non ci fosse nulla di male nel raccontarle l’accaduto, così presi una matita, e con la mia solita grafia orribile e disordinata le risposi.
“Parlavo con uno dei ragazzi nuovi”
Non appena lesse strabuzzò gli occhi tanto da dover rimettere al loro posto gli occhiali con le mani e prima di rispondermi mi lanciò un’occhiata incredula
“Bells..DEVI DIRMI TUTTO!!” dal maiuscolo intuii che non me la sarei cavata tanto a buon mercato
“Niente di particolare Angie! Non fare la sciocca!” se per niente di particolare si intendeva considerare normale i giramenti di testa e la perdita di fiato per un sorriso…allora non le avevo mentito.
“Bugiarda! Non sai mentire nemmeno quando scrivi!!...quale di loro era?” ecco appunto.
Mi mancava essere sbugiardata anche durante un discorso non verbale!
“Quello sceso dalla macchina con la rossa” al solo pensiero di quel volto felino mi venne un brivido.
“Oddio il più figo di tutti!! Come si chiama? Come lo hai conosciuto?”
“Edward Cullen, è il mio nuovo compagno in letteratura.” iniziava ad infastidirmi quella muta conversazione, così le risposi in fretta e feci finta di prendere appunti.
Angela parve fregarsene del tutto e dopo aver scritto la sua risposta mi diede un’altra leggera gomitata per attirare la mia attenzione
“Non crederai mica di cavartela così?” …. No in effetti non ci credevo, ma dovevo almeno tentare.
“Angie basta , non è niente di trascendentale!!” e ritornai a prendere appunti, stavolta più determinata di prima nell’ignorarla.
La vidi scrivere nervosamente, e quando ebbe finito mi tirò la solita gomitata. Io feci finta di nulla. Lei me ne tirò un altro paio più forti. Di tutta risposta mi voltai quasi del tutto verso il muro alla mia destra puntando il gomito sinistro sul banco ed appoggiando la testa sulla mano. La sentii cancellare in fretta e subito dopo scrivere con altrettanta rapidità. Come a voler rinforzare la barriera che avevo creato tra noi mi scostai i capelli facendoli ricadere tutti sul lato sinistro, di fianco al braccio alzato, come un sipario. Speravo si arrendesse ma conoscendola avevo poche speranze che andasse così, infatti con un movimento rapido vidi il suo quaderno piombare sul mio dall’alto. Mi venne da ridere per l’astuto e disperato stratagemma della mia amica ma non lo diedi a vedere.
“LA TUA RILUTTANZA NEL PARLARNE DIMOSTRA SOLO CHE C’E’ QUALCOSA SOTTO. IN MENSA NON MI SCAPPI ” con accanto disegnato il classico teschio dei pirati con le due ossa incrociate sotto…..segno di evidente minaccia.
Le successive ore trascorsero tra me che tentavo di ignorarla e lei che mi pedinava ma in silenzio.
Giunte a mensa non potei più evitarla e così le raccontai tutto mitragliata dalle sue continue domande. Arrivata alla centesima domanda il mio muro di autodifesa crollò, e le raccontai ogni minimo dettaglio di mia spontanea volontà…..mi chiesi se dietro quella sua faccia d’angelo in realtà si nascondesse un veterano della CIA.
« Ahi , Ahi , Ahi , Bella…..prevedo guai » mi disse sospirando
« E perché mai? »
« Tesoro….lui è perfetto…e a quanto ho capito non gli sei nemmeno indifferente…come credi che possa prenderla Jacob? » già, bella domanda
«Non lo so Angie...» Un momento….ma cosa dicevo? « Anzi sai cosa ti dico? La prenderà benissimo perché non c’è nulla di cui preoccuparsi! » dissi risoluta.
Angela mi guardò dritta negli occhi, fece per parlare ma poi si trattenne, ci pensò su, e poi mi accarezzò una guancia dicendomi dolcemente
« D’accordo, Bella…».

Il resto della giornata trascorse tranquillo, e quando fu il momento di tornare a casa notai nel parcheggio l’assenza delle auto costose dei nuovi arrivati. Angela fu molto gentile e mi offrì un passaggio a casa.
«Prendilo come regalo di compleanno. Ho promesso a me stessa che non te ne avrei fatti più dopo i magnifici sandali bianchi dell’anno scorso!» disse imbronciata.
Si riferiva alle magnifiche scarpe che avevo indossato la sera prima per andare a La Push da Jake….sembrava passato un secolo! Pensai che fosse colpa di quella giornata assurda ed infinita. Guardai la mia migliore amica : aveva davvero ancora il broncio, in effetti ero stata abbastanza scorbutica per tutta la giornata. Ma le volevo un bene dell’anima. Così le dissi ciò che sapevo l’avrebbe risollevata per farmi perdonare
« Veramente quei sandali hanno assistito da poco ad uno spettacolo niente male……a proposito, grazie per avermeli regalati ! »
Angela frenò bruscamente, inchiodandosi nel bel mezzo della strada con le macchine dietro che strombazzavano impazzite. Cavolo, mi aspettavo una reazione, ma non di certo quella di sfiorare un maxi tamponamento!
« Isabella Swan, ma chi sei oggi ? prima l’incontro con il nuovo arrivato, ora questo! »
« Già tesoro, e se ti decidi a riprendere la guida può darsi anche che ti racconti i particolari più piccanti…..» le risposi ammiccando.
Al suono di queste parole Angela partì accelerando come se fosse al gran premio di Silverstone ed entrambe ci perdemmo in una fragorosa risata.


* * * * * *



Erano ormai passate le 8 ed io aspettavo Charlie per la cena immersa nel divano.

Mi sentivo esausta. Dopo aver raccontato ad Angie tutto della sera prima ero rincasata giusto in tempo per rispondere al telefono. Mia mamma…..mi aveva tenuta al telefono fino alle 7 con la scusa del mio compleanno. Lo avrei ripetuto all’infinito : quello era stato il compleanno peggiore della mia vita e la giornata più lunga in assoluto. Non desideravo altro che Charlie tornasse per cenare e infilarmi a letto. In quel momento sentii la porta aprirsi alle spalle del divano
« Bells, sono tornato »
Finalmente sembrava che le cose iniziassero a girare come volevo.
Cenammo senza quasi dire una parola, il bello di Charlie era che sapeva capire quando ero stanca o giù di morale. Mentre lavavo i piatti però pensai che infondo lui era pur sempre il capo della polizia….così domandai
« Papà oggi sono arrivati dei nuovi ragazzi a scuola,ne sai qualcosa? »
« Parli dei Cullen, Bells? »
« Credo non ci siano stati molti nuovi arrivi oggi a Forks » risposi sarcastica.
« Beh si...mi sono informato »
« E…? »
« Cosa vuoi sapere? »
« Non so, cose normali : da dove arrivano, quanti sono in famiglia, come si chiamano…»
Charlie mi parve contento di quello scambio di battute che stavamo avendo, così si lasciò andare e mi raccontò un bel po’ di cose. Scoprii che arrivavano dall’Alaska, forse era per questo che erano tutti così pallidi. Il capo famiglia, Carlisle Cullen, era un medico conosciuto in tutto il paese ed era sposato da un bel pezzo con la signora Esme Cullen. Purtroppo i due non hanno mai avuto figli naturali, così pensarono bene di iniziare ad adottare ragazzi sfortunati. Quando capii che quei ragazzi che si baciavano quella mattina nel parcheggio erano tutti fratelli mi sembrò un po’ strano. Ma in effetti non erano realmente imparentati,non si trattava di incesto.
Miracolosamente per Charlie, riuscì perfino a ricordarsi tutti i nomi : la piccoletta si chiamava Alice, il suo ragazzo Jasper, il gigante muscoloso Emmett e la sua compagna bionda Rosalie, di Edward già sapevo e il nome della rossa era Victoria. Edward e Victoria erano gli ultimi arrivati in famiglia e pensando bene a quella mattina non riuscii a capire se anche loro stessero insieme…. Lei comunque mi era sembrata decisamente interessata. Non foss’altro che per l’occhiataccia lanciatami in cortile.
Una volta esaurite le informazioni a sua disposizione, Charlie andò ad accomodarsi sul divano gustandosi l’ennesima partita in tv. Ed io, una volta finite le mie faccende in cucina, salii in camera. Non potevo crederci, la mia giornata stava davvero finendo? Alleluia!
A quel pensiero mi gettai sul letto, con lo sguardo fisso al soffitto. Pian piano sentivo il corpo rilassarsi, con la consapevolezza che finalmente non avrei dovuto affrontare nient’altro.
Il cellulare iniziò a vibrare sulla scrivania facendomi sobbalzare. Mentre mi dimenavo sul letto disperandomi per l’ennesima rottura mi parve quasi di sentire la mia sfiga deridermi e chiamarmi ‘povera illusa’.
Mi alzai dal letto piagnucolando mentre quell’affaraccio non la smetteva di vibrare….giurai a me stessa che dopo quella telefonata avrei staccato ogni contatto col mondo e sarei andata dritta a letto.
Lessi il nome sul display, normalmente non mi sarebbe dispiaciuta quella chiamata, ma in quel momento sapevo benissimo a cosa era dovuta. Sbuffai e risposi:
« Come mai non sono stupita da questa telefonata, Seth? »
Seth Clearwater. Quel ragazzo aveva una specie di adorazione per il suo amico Jacob. Avrebbe fatto di tutto per lui….come ad esempio arrischiarsi in una pericolosa telefonata alla sottoscritta nel peggior giorno della sua vita.
« Ma nooo, cosa dici Bella? Chiamavo per farti gli auguri….»
« Si certo. Quindi dovresti sapere che non compio tre anni »
« Uff…va bene! Chiamo per Jake »
« Ma va? »
« Voleva farti sapere che è dispiaciuto e che…» lo interruppi, ecco che saliva il nervoso.
« E dimmi Seth, il tuo amico ha per caso perso la memoria? »
« In che senso? »
« Nel senso che conosce benissimo il mio numero e se mi vuole chiedere scusa che lo faccia di persona! Mi sono stancata di queste bambinate! Digli di crescere una buona volta, tanto lo so che è lì! » gridai nel telefono tenendolo ad un palmo di fronte alla mia bocca ed attaccai.
Magnifico! Ci voleva proprio un’altra sfuriata in quella giornata pessima!
Spensi il cellulare e lo chiusi in un cassetto; se fosse stato uno di quelli con la serratura l’avrei anche chiuso a doppia mandata ed avrei gettato la chiave nel bosco. Mi tolsi le scarpe e mi diressi in bagno, se mi fossi messa in quello stato a letto mi sarei innervosita ulteriormente; meglio fare prima una doccia bollente per sciogliere i nervi.
Uscii dalla doccia mezz’ora più tardi, ma almeno aveva avuto il suo effetto, ero finalmente rilassata e pronta per dormire. Andai in camera ed aprii l’armadio in cerca del pigiama. Mentre lo recuperavo mi parve di sentire un rumore, mi voltai, ma non vidi nulla fuori posto.
Chiusi le ante ed iniziai ad infilarmi la maglia quando lo sentii di nuovo, un rumore sordo e secco. Ancora una volta mi guardai intorno. Restai un momento in ascolto, ma la cosa non si ripeté. Feci spallucce e presi il pantalone del pigiama.
Non appena sollevai una gamba per infilarcela dentro, un sasso enorme impattò sul vetro della finestra, crepandolo e producendo un rumore fortissimo. Dallo spavento persi l’equilibrio già precario e caddi. Mi infilai di fretta il pantalone e con il cuore in gola corsi alla finestra e diedi un’occhiata giu. Piegato in due dalle risate, vidi Jacob poggiato all’albero fuori di essa. Alzai di scatto il vetro e mi sporsi:
« Idiota! » gli gridai senza voce, evitando di svegliare il vicinato
« Scusa, forse ho esagerato » riuscì a malapena a rispondermi scosso da una fortissima risata.
« Dici?...hai quasi rotto il vetro! » venne da ridere anche a me, ma mi trattenni.
« I primi non li hai sentiti! » tentò di giustificarsi « Così ne ho cercato uno più grosso »
« Qualche grammo in più e avrebbe abbattuto la casa » dissi divertita senza pensarci su.
Grosso errore. Jacob sentendo la mia voce libera dall’ostilità sollevò lo sguardo nel mio, sfoderando un sorriso compiaciuto in segno di vittoria.
No, no, no. Non doveva averla vinta così presto. Mi ricomposi e incrociai le braccia al petto
« Cosa ci fai qui? » dissi seria
«…Mi fai salire? » disse dolcemente abbandonando l’idea di aver vinto.
« Come mai non hai chiesto anche questo a Seth? » lo provocai
« Se tu l’avessi lasciato finire ti avrebbe detto che ero dispiaciuto e che… stavo venendo da te! »
« Certo, certo. »
« Eh no Bells, quello lo dico io! » sorrise apertamente.
« Allora….posso salire, principessa? » disse inginocchiandosi ed allargando le braccia.
Come avrei potuto resistergli?
Gli feci cenno di fare il giro della casa e sgattaiolai giù per le scale. Charlie non era più sul divano e la tv era spenta, doveva essere andato a dormire senza dirmi niente. Aprii la porta il più piano possibile
« Shhh, fai piano. Charlie dorme » gli sussurrai.
A Jacob scappò un risolino soffocato mentre faceva un passo in casa in punta di piedi e tutto ingobbito, come i personaggi dei cartoni animati quando tendono un agguato. Alzai gli occhi al cielo e gli tirai una ciocca di capelli, poi lo presi per mano, chiusi la porta alle sue spalle e lo trascinai svelta al piano di sopra.



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Capitolo 13
*** CAPITOLO 11 - Tana, Lupo ***






CAPITOLO 11 – “Tana , Lupo



Feci molta attenzione nel richiudere silenziosamente anche la porta della mia stanza. Avevo ancora le mani sulla porta quando Jacob, alle mie spalle, mi avvolse rapidamente in un abbraccio.
Mi divincolai svelta dalla presa morbida delle sue possenti braccia e andai ad appoggiarmi alla scrivania, non poteva cavarsela così facilmente. Lui mi guardò stupito puntando i profondissimi occhi scuri nei miei, come a voler capire il motivo di quel mio gesto. Le sue labbra si aprivano poco, in un sorriso dolce ed innocente.
Quel ragazzone dalla bellezza disarmante era capace di farmi sciogliere sempre, anche quando aveva tremendamente torto. Distolsi lo sguardo perché non vi cogliesse la mia debolezza….ma il mio Jake mi conosceva perfino meglio di me stessa. Jacob si mosse, e con passi lenti mi raggiunse, mentre io con un dito torturavo il bordo della maglia del pigiama. Mi sollevò il viso con una mano sotto il mento e avvicinò il suo. Tenne gli occhi incatenati nei miei talmente a lungo che lo sfarfallio allo stomaco divenne quasi insopportabile, poi sorrise dolcemente e mi baciò allo stesso modo.
Lo guardai, e mi persi ancora una volta nei lineamenti adorabili del suo viso….non avrei potuto rimanere arrabbiata con lui un secondo di più, lui era il mio Sole, la mia Anima, il mio mondo. Gli posai le braccia intorno al collo e lo baciai io stavolta, sempre dolcemente ma più a fondo.
Dopo un primo attimo di stupore, Jacob si lasciò andare, guidando con i movimenti avidi della sua lingua ciò che io avevo iniziato. Le sue mani, grandi e calde , mi scivolarono sotto la maglietta, afferrandomi per i fianchi. Quel gesto così possessivo mi infuocò la pelle e la mente, ed incollai il mio corpo al suo, intrecciando le dita fra i suoi capelli. In quel momento tutto intorno a me era caldo e possente, tutto era Jacob….ed era l’unica cosa che volessi.
Mi spinse frettolosamente con la schiena contro l’armadio e sciolse il nostro bacio solo per continuarlo sul mio collo, mentre le sue mani percorrevano frementi le mie cosce. Avrei voluto che tra le sue mani ed il mio corpo non ci fosse stata la barriera di stoffa del pigiama, per sentire la sua pelle sulla mia. I nostri respiri si fecero svelti e spezzati. Sapevo che se non avessi fatto qualcosa i baci e le carezze si sarebbero presto trasformati in qualcosa di più intimo. Il mio corpo non desiderava altro, lo gridava, lo cercava, lo pretendeva. Ma il pensiero di Charlie nell’altra stanza mi scosse da quel vortice bollente. Dovevo fermarlo.
« Jake….» Sussurrai con il fiato corto.
Il suo nome uscì dalle mie labbra come un’invocazione. Sembrava dettato più dalla necessità del mio corpo che dalla determinazione della mia mente.
« mmm…Bells…» bisbigliò Jacob quasi in un gemito, mentre le sue mani scendevano sul bordo dei miei pantaloni e le dita ne superavano l’elastico.
Un fremito mi scosse dal fondo della schiena che involontariamente si inarcò sfiorando il suo bacino. Dovevo fermarmi, subito,o non sarei più riuscita a tornare indietro. Portai le mani sul suo petto e lo scostai dolcemente mentre tentavo di dire
« N-no … Jake…non possiamo..»
«…Perché no, Bells? » mi rispose in un soffio con le labbra sul mio lobo.
Oh diamine! Io tentavo di fermarlo e lui mi eccitava sempre di più.
« J-Jacob…così mi farai impazzire….smettila »
« Dammi un buon motivo….per non continuare…» le sue dita scivolarono superando anche il bordo della mia biancheria intima «….ed io giuro che mi fermo…».
Il suo tocco vellutato mi tolse il respiro….non riuscivo a dire niente, n’è tantomeno a formulare un pensiero completo, inspirai a fondo e sibilai senza voce
« Charlie…»
Jacob si fermò all’istante, scostò il viso dal mio orecchio e mi guardò perplesso
« Bella tesoro, capisco che volevi che mi fermassi….ma sussurrare il nome di tuo padre non ti sembra un po’ eccessivo? »
Gli sorrisi mentre tentavo di recuperare un po’ di contegno, ma sapevo benissimo di essere rossa come un peperone.
« Scusami, Jake….è che sono riuscita a dire solo quello….»
Mi passai una mano tra i capelli imbarazzata, lui prese l’altra e mi accompagnò sul letto.
Si distese comodo ed io mi accucciai al suo petto, protetta come una bambina.
Mi avvolse in un forte abbraccio, chiudendo una mano sul polso dell’altra in una morsa d’amore.
« Perdonami amore, per oggi » disse lasciandomi un bacio tra i capelli
« Va bene così, Jake. Ho sbagliato anch’io » mi strinsi forte al suo torace
« E’ che ho avuto così tanta paura di perderti….» Nella sua voce riconobbi la stessa sofferenza della sera prima, e mi strinse talmente forte che il mio piccolo corpo, tra le sue possenti braccia, parve quasi scomparire.
« Jacob non dovresti nemmeno pensarla una cosa simile! »
« Se tu avessi potuto vedere lo sguardo perso con cui guardavi quel Cullen….» Lo sentii digrignare i denti anche a distanza.
« E’ solo….molto bello, Jake. Ma anche tu lo sei, non hai nulla da invidiare a nessuno!.....e poi….come conosci il suo cognome? »
« Mio padre oggi mi ha raccontato una cosa sulla loro famiglia »
« Billy? E cosa ti ha detto? »
« Che non sono poi così tanto nuovi qui a Forks…»
« Ci sono già stati? Non capisco..»
« Nulla Bells, non ci pensare. Le solite storie tramandate dai Quileute »
« Beh? Mi hai raccontato quella dei lupi, ora non posso sapere questa? » alzai gli occhi per guardarlo, sperando che si rendesse conto dell’assurdità della situazione.
Jacob fissava un punto davanti a sé
« Mi ha detto che al tempo dei nostri antenati la loro famiglia fu beccata a cacciare nel nostro territorio. Così per mantenere la pace raggiunsero un accordo in cui si delimitava il territorio di caccia…..e la riserva per loro è off limits….lo era allora….e lo è ancora oggi. » Mi spiegò tutto assorto e serio …. Troppo serio.
« Oh andiamo Jake! È una cosa vecchia di centinaia di anni ! »
« No Bells, non lo è. Non per i Quileute. »
« Te compreso? » domandai incredula e confusa
« Me compreso …. Anzi, mettimi anche in prima schiera »
« Jacob Black ma ti senti?….tu stai impazzendo! » riuscii a dire mentre ridevo di gusto riempiendolo di pizzicotti.
Jacob mi fermò le mani sorridendo
« Non sto impazzendo tesoro….è solo che non puoi capire…….»il suo sguardo divertito mutò nell’espressione furbetta che conoscevo benissimo «…soprattutto dopo un momento di fuoco come quello di prima » e scoppiò in una delle sue fragorose risate
Svelta gli tappai la bocca
« Shhh idiota! Sveglierai Charlie!.....e smettila di fare battute sui nostri momenti intimi »
Mi sentii arrossire a quelle parole dette sotto voce.
Era vero, con Jacob perdevo il controllo di me stessa…ma mi imbarazzava parlarne.
Jacob mi accarezzò dolcemente una guancia e con una morbidissima voce mi disse
« C’è un momento quando stiamo insieme…..un momento in cui ti lasci andare completamente….ed io ogni volta mi perdo nel guardarti, nel sentirti, mi perdo in te in quel momento. Non puoi immaginare quanto tu sia bella…..così come io non riesco a credere che quello splendore sia tutto per me … tutto mio. Sono l’uomo più fortunato della Terra amore…e voglio che tu resti solo mia per sempre. »
Quella voce dolcissima mi sciolse il cuore
« Jacob, tu sei tutta la mia vita, e non sopporterei di fare un solo respiro in più se tu non ci fossi »
Sollevai lo sguardo nel suo.
« Sono la donna più fortunata della Terra….»
Jake si voltò lentamente, accompagnandomi con una mano tra le scapole e poggiandosi delicatamente su di me. Mi accarezzava piano i capelli mentre io sprofondavo nei suoi occhi dolci dai quali scese lenta e solitaria una lacrima. Si morse piano il labbro inferiore, sorpreso anche lui stesso da quel momento di debolezza. Il mio Jake era il ragazzo più buono del mondo, i suoi sentimenti talmente puri da non sembrare reali …. Non l’avrei mai reso felice abbastanza per tutto quello che era capace di donarmi. Sollevai piano il viso e delicatamente raccolsi con le labbra quella lacrima salata dal suo zigomo perfetto. Poggiai nuovamente la testa sul cuscino e la assaporai, avrei giurato di riuscire a sentirne l’amore che l’aveva generata.
« Ti amo » mi disse dolcemente, di questo ne ero certa ormai.
« Ti vivo » gli risposi altrettanto dolcemente, sperando che bastasse.
Suggellò quelle parole con un bacio caldo, profondo ed infinito. Mentre ci abbracciavamo stretti nella notte scivolavo serena in un dolce sonno, cullata dal suo respiro sul mio viso……e prima di perdermi completamente nel mondo onirico pensai che nulla al mondo ci avrebbe mai divisi, nulla al mondo ci avrebbe mai scalfiti …. Non lo avrei permesso, mai…. Fin quando avrei avuto vita.



POV Edward.


Correvo nel bosco inebriato solo dalla sua scia.
Quel profumo delizioso mi invadeva la mente come un’onda inarrestabile.
Avevo resistito a lungo….troppo per quel giorno.
Ora dovevo vederla.
Rallentai quando in lontananza scorsi una casa bianca.
Percorsi gli ultimi metri ad una velocità quasi umana, ero al limitare del bosco, mi separavano dal fianco della casa solo un piccolo spazio verde e qualche fila di alberi.
Mi arrampicai svelto su di un albero, fermandomi alla stessa altezza di una finestra.
Sapevo che quella era la sua finestra, l’odore che ne usciva fuori copioso e potentissimo era inconfondibile….Isabella.
Mi accovacciai su di un ramo e guardai :
Bella era distesa sul suo letto rannicchiata al petto di un ragazzo muscoloso.
Che idiota!
Come avevo potuto non considerare l’idea che amasse qualcuno? Come avevo potuto non pensare che c’era già qualcuno nella sua vita?
Quella creatura così fragile aveva avuto la potenza di risvegliare una curiosità ed un interesse sopiti da tempo nel mio freddo mondo….tutto con un unico sguardo.
Mi sentivo inspiegabilmente attratto da lei, e non riuscivo a toglierle lo sguardo di dosso nemmeno per un istante.
Nemmeno in quel momento, nemmeno vedendola abbracciata ad un altro.
Lui…..provai un immediato moto d’invidia e di fastidio nei suoi confronti.
Chi era?
Perché poteva giacerle accanto, inebriandosi della sua essenza senza temere di farle del male?
Annusai l’aria più affondo, cercando in essa tracce del suo odore, qualcosa che mi raccontasse di lui.
Dopo pochissimo avvertii un odore pungente ed irritante, che mi fece istintivamente arricciare il naso…..non riuscii però ad identificarlo subito.
Controvoglia, inspirai ancora di più, seguendo la traccia di quel fastidioso odore…in esso riconoscevo il vago sentore di qualcosa a me noto, ma non completamente.
Era una traccia forte ma incompleta.
Come un frutto non ancora maturo, o un fiore non del tutto sbocciato.
Lentamente si fece strada in me un’idea…….oh si…..era proprio così.
Il ragazzo forse ancora non sapeva….ma presto si sarebbe trasformato anche lui.
Presto anche lui sarebbe stato indegno di esserle vicino.
Un sorriso amaro, quasi un ghigno, si fece largo sul mio volto.
Tana, Lupo.



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Capitolo 14
*** CAPITOLO 12 - Decisioni ***






CAPITOLO 12 – “Decisioni



POV Edward


Quella notte tornai a casa subito, non volevo vedere altro. L’unica cosa che volessi era chiudermi nel silenzio della mia stanza, con solo Debussy a tenermi compagnia. Forse avrebbe potuto calmarmi la sua musica serena. Ero infastidito, arrabbiato, amareggiato e deluso. Deluso da me, da lei, da tutto.
Aprii la porta di casa e mi diressi al salone, dove avrei trovato le scale che conducevano al piano superiore delle camere da letto. Victoria era sola, sul lungo divano bianco, e mi stava aspettando, lo sentivo. La ignorai, non era la serata adatta per parlare con nessuno….men che meno con lei. Feci spedito i primi tre gradini quando mi parlò.
« Dove credi di andare? »
« Vic…..non è la serata adatta per rivolgersi a me in questo modo » scandii molto lentamente parola per parola.
« Ah no? Perché altrimenti cosa succede? » sibilò lei fra i denti avvicinandosi minacciosa.
Inspirai forte mentre un ringhio basso mi sorgeva dal petto.
Non dovevo perdere la calma.
« Dove sono gli altri Vic? » riuscii a dire nonostante la mascella contratta.
« Cosa ti importa? »
« Devono….impedirmi….che ti stacchi la testa…» risposi prendendo fiato ad ogni parola.
Le mani mi tremavano dalla rabbia, il mio sguardo, se avesse potuto colpirla davvero, l’avrebbe uccisa. Non avevo mai desiderato, come in quel momento, di uccidere un mio simile.
Richiamato dalla potenza dell’odio che stavo provando, accorse Jasper. Seguito poi da tutta la famiglia.
« Edward calmati, cerca di rilassarti » mi disse tranquillo, avvicinandosi con le mani protese in avanti e mentre sentivo un senso di calma tentare di entrarmi dentro.
« Figliolo, ricordati della scelta che hai fatto » mi disse paternamente Carlisle.
Un mostro….non ero un mostro….non volevo esserlo….non volevo più uccidere. Così, mentre le parole di mio padre mi ricordavano chi avessi scelto di essere, e mentre la calma regalatami da Jasper si faceva strada dentro di me, mi rilassai. La mascella si ammorbidì e il respiro tornò lento e regolare. Aprii gli occhi e ritrovai tutti intorno a me con sguardo apprensivo, e Victoria nuovamente sul divano.
« Bravo, ragazzo » disse sollevato Carlisle, e mi diede una leggera pacca su una spalla.
« Si può sapere cosa è successo? » la voce trillante e curiosa di Alice ruppe definitivamente quell’attimo di tensione.
Feci una smorfia infastidita e guardai Victoria dritto negli occhi:
« Chiedetelo a lei »
Victoria ricambiò lo sguardo e rispose
« Sei tu che volevi staccarmi la testa Ed! »
« Ti avevo detto di lasciarmi in pace! E tu invece non hai fatto altro che provocarmi! »
Avevamo iniziato a strillarci contro, quando intervenne Esme
« Ragazzi smettetela! Siete adulti abbastanza da riuscire a condurre una conversazione senza alzare la voce. »
« Scusa Esme. » dissi sincero
« Scusa…» si accodò imbarazzata Victoria.
« Va bene. Adesso, con calma, spiegateci cosa vi è preso » la premurosa Esme aveva sempre un tono dolcissimo per noi figli.
« Ero appena rientrato, volevo solo andare in camera mia. Invece Vicky mi ha ostacolato e successivamente provocato » esposi brevemente la mia versione dei fatti.
« Tsè…» mormorò Victoria voltandosi verso la vetrata con la ferma intenzione di ignorarmi.
Sapeva che avevo ragione.
Una bassa risata profonda ci fece voltare tutti verso Emmett. Rosalie alzò gli occhi al cielo e gli diede una gomitata.
« Sembrano due mocciosi, Rose! » e continuò a ridersela.
« Se non la smetti subito ti faccio passare dal riso al pianto in un nanosecondo » gli disse truce Rosalie.
Emm, che evidentemente aveva già saggiato altre volte la veridicità di quelle parole, smise in un attimo di ridere sfoderando l’espressione più seria che avesse in repertorio.
Rosalie lo guardò compiaciuta e, a braccia conserte, gli diede una spinta amorevole con i fianchi
« Bravo il mio scimmione » sussurrò facendogli l’occhiolino.
« Oddio questi si risposano! » sfuggì dalla bocca ad Alice appena uscita da una delle sue visioni.
Scoppiammo tutti quanti a ridere a quelle parole pronunciate con tanta rassegnazione. Il clima era del tutto stemperato ormai. Esme andò a sedersi accanto a Victoria, poi mi guardò, sfiorò il posto accanto a lei sul divano e mi disse mentalmente
Vieni qui tesoro
Le sorrisi, era la donna più amorevole del mondo. Mi avvicinai e mi sedetti di fianco a lei, come mi aveva chiesto.
« Posso sapere perché non volevi che Edward andasse in camera sua? » disse dolcemente a Victoria carezzandole piano una mano.
«…Volevo delle spiegazioni. » rispose lei sottovoce.
« Volevi sapere dove fosse stato? » le chiese.
« No Esme….si sente lontano un miglio, dov’è stato » rispose con cattiveria fissandomi dritto negli occhi.
Involontariamente un ringhio sommesso mi nacque a fior di labbra.
Esme si voltò, e con l’altra mano mi accarezzò dolcemente la testa
« Shhh, Edward…..Shhh » sottovoce.
Poi si rivolse nuovamente a Victoria
« Victoria, per favore » marcò con decisione le ultime due parole.
« Oh Esme, ma insomma! Ha fatto una sciocchezza! » disse sulla difensiva
« No Vic. Qui se c’è una che fa le sciocchezze sei tu. »le dissi in tono di sfida prima di continuare
« Sbaglio, o oggi è stata colpa tua se siamo dovuti tornare a casa prima della fine delle lezioni? E tutto perché? Perché mi hai visto parlare con lei e per poco in palestra non sfogavi la tua rabbia con una pallonata che avrebbe potuto staccare la testa a qualcuno! »
« Victoria!! » disse in tono di rimprovero Esme, voltandosi verso di lei con aria stupita.
Le guardai per un momento: Victoria con la testa bassa e un’espressione colpevole in volto, Esme che la guardava incredula; sembravano una madre alle prese con la figlia di 5 anni che ha appena combinato un pasticcio……un sorriso mi si aprì dolce in viso.
Mai come in quel momento mi sentii a casa, con la mia famiglia.
Capii subito di aver sbagliato a perdere la calma, ma anche questo mi sarebbe servito a non ripeterlo più in futuro.
Poggiai la mano sinistra sulla spalla di Esme che si voltò verso di me, e vedendo il mio sorriso sereno, lo ricambiò con uno altrettanto disteso e dolce. Poi guardai Victoria.
« Scusami, Vicky. Ero molto nervoso è vero, ma ho esagerato. Mi perdoni? »
Senza sollevare lo sguardo mi rispose:
« Perché, Edward?......Perchè l’hai fatto? » riuscii a sentire tutta la sua tristezza e la delusione in quelle poche parole.
Così mi sporsi appena, e poggiai l’altra mano sulla sua, ancora immobile sulla gamba di Esme. A quel punto mi guardò.
« E’ più forte di me, Vic. Il suo sangue mi chiama…» le dissi il più dolcemente possibile.
Chiuse appena gli occhi sospirando, parlandomi mentalmente
Oh Ed…..ti prego non prendermi in giro….non è solo il suo sangue ciò che ti affascina di lei.
Soffrivo terribilmente nel vederla così, in quei pochi attimi di debolezza che si concedeva, perché sapevo di essere io la causa del suo male.
« E’ la mia cantante, Vicky. E……..» tentai di spiegare ma lei mi interruppe bruscamente.
« E ALLORA MANGIATELA, EDWARD ! » gridò scattando in piedi con i pugni serrati, poi, veloce come solo un vampiro può essere, corse in camera sua.
Abbassai la testa, non era mia intenzione che si sentisse presa in giro, n’è tantomeno potevo ferirla raccontandole ciò che avevo provato quella mattina. Esme mi abbracciò materna
Non preoccuparti, Edward. Le passerà
Poi mi posò un leggero bacio sulla fronte e si alzò dal divano
« Scusate….vado da lei. » disse dirigendosi al piano superiore.
Alice mi si avvicinò e condivise con me la sua ultima visione : sarebbe tornato tutto come prima.
Poi mi sorrise e si allontanò con Jasper in silenzio.
« Mica tanto male il consiglio, però….» disse sghignazzando Emmett mentre portava via Rosalie in braccio «…..posso assaggiarla signorina? » e le diede un lieve morso sul collo, mentre Rose rideva di gusto accarezzandogli i corti riccioli neri.
Sorrisi a quella buffa scenetta tipica di loro.
« Non cambierà mai » disse compiaciuto Carlisle avvicinandosi e prese il posto occupato prima dalla moglie.
« Allora, Edward. Ti va di parlarne? »
Carlisle era l’uomo più comprensivo della terra. Adoravo definirlo “un uomo”, perché tale era. La sua umanità non lo aveva mai abbandonato, ma anzi, pareva essersi rafforzata nei decenni. Il suo essere comprensivo e magnanimo metteva a proprio agio chiunque gli parlasse, allontanando ogni timore, ogni ansia, ogni imbarazzo. In quel momento gli fui immensamente grato di quella domanda, non capivo cosa mi stesse succedendo, e non avrei saputo confidarmi con nessun’altro.
« Te ne sarei grato, Carlisle » gli risposi sincero.
« Dovere, figliolo. Ora dimmi, è davvero la tua cantante come hai detto poco fa? »
Mi poggiai con la schiena al morbido cuscino del divano, un gesto inutile e senza significato per un vampiro…..ma in quel momento volevo sentirmi umano più che mai. Parlare del profondo ed unico legame che scatenano le cantanti era sempre difficile per me.
« Si. Ne sono sicuro, sai che non è la prima volta che ne incontro una. »
« Lo so, Edward. E sono fiero di te. »
« Si ma…..Carlisle io credo di non aver deciso nulla stamattina »
« Non capisco, spiegati meglio »
Come se fosse facile spiegare ciò che era successo in quell’aula…
« Scusa, ma è difficile spiegare. Lei era in aula stamattina ed io non l’ho sentita, così sono stato colto alla sprovvista…»
« Aspetta un momento. Hai detto di non averla sentita? »
« Proprio così. Io non riesco a leggerle la mente. »
Vidi negli occhi dorati di Carlisle la stessa espressione di incredulità che, ero sicuro, avessi anch’io quella mattina.
« Ma…..è incredibile figliolo. Ed assolutamente affascinante »
« Oh credimi, Carlisle…..lo è davvero » confidai in un sospiro.
« Beh, io mi riferivo alla sua mente ma…..non metto in dubbio le tue parole » mi sorrise.
« Accidenti! Non so cosa mi stia prendendo! Scusami, davvero, mi rendo conto da solo che sembro un folle….ma è così che mi sento. »
« Edward, è più che legittimo che tu sia confuso. Oggi è stata una giornata molto pesante per te: il primo giorno di scuola, l’incontro con la tua cantante….una cantante muta mentalmente, per giunta»
« Lei è speciale….» dissi in un sussurro
«…Continua, ragazzo mio » mi incitò
« Non riuscivo quasi a credere che fosse la mia cantante, non avevo mai sentito nulla di così potente in vita mia. Con Iris ed Emily il richiamo era stato fortissimo…..ma stavolta sono stato accecato, stordito, rapito completamente dal suo profumo. Lo sentivo graffiare forte nella testa e alla gola, come una presenza ingombrante…..in un attimo mi ha invaso la testa come un fiume in piena. E la verità è che in quel momento non sapevo più nemmeno chi ero: il mostro dentro di me era incontenibile per la sete ed io ero del tutto disarmato dal non sentire la sua mente. Ti giuro, Carlisle…...ho davvero pensato che sarei scivolato ancora. » confessai tutto d’un fiato.
« Ma non lo hai fatto Edward. E dovresti essere orgoglioso di te stesso »
« Come ti ho detto prima, non credo di aver deciso nulla. » risposi sconfortato
« Se non tu……allora cosa lo ha fatto per te? »
Mi persi un attimo in quel ricordo, e risposi con ancora l’immagine in testa:
« Sono stati i suoi occhi…….i suoi magnifici occhi. Per un istante li ho guardati e….mi hanno dato la forza di domare il mostro, di sopire la sete, di chiudere anche la mia, di mente. Per un breve, minuscolo, ma intenso istante……mi hanno letteralmente catturato. Mi hanno portato in salvo…….Lei, mi ha salvato da me stesso. »
Carlisle mi diede una leggera pacca sulla spalla, con uno sguardo che non gli avevo mai visto rivolgere nei miei confronti.
« Io ed Esme aspettavamo da tanto questo momento, Edward. »
« Quale momento? »
« Quello in cui ti avremmo visto finalmente rinascere…..perchè è questo il potere dell’amore, figliolo : rende nuovamente vivi anche i cuori apparentemente immobili come i nostri. »
« Amore? E’ questo, l’amore? » dissi stupefatto
« Beh, potrai dirlo solo tu, un giorno. Ma sicuramente per te le cose sono molto complesse: lei è umana, ed è la tua cantante. Datti tempo, Ed. »
« Non credo servirà a molto….anche se ne fossi innamorato…….lei non vorrebbe mai uno come me. » non esisteva al mondo verità più assoluta.
« Su questo purtroppo non posso rassicurarti…..per non parlare del fatto che lei non dovrebbe mai sapere di noi…….ma potrebbe bastarti semplicemente il vegliare su di lei. »
« Mmmm….c’è una cosa che non ti ho detto, Carlisle »
« Ancora? Stasera mi stai letteralmente sbalordendo » mi disse in un piccolo riso.
« Allora credo che dopo questo non avrai più parole » sorrisi amaramente
« Ho più di qualche secolo sulle spalle, Edward…..mettimi alla prova. »
« Lei….» ma mi interruppe
« Che presuppongo abbia un nome…»
Mi strappò un sorriso divertito
« Si certo. Il suo nome è Isabella, ma preferisce la chiamino Bella » ancora una volta, nel pronunciare il suo nome, mi ritrovai a pensare quanto fosse riduttivo per una creatura così straordinaria.
« La figlia del capo Swan? »
« Proprio lei…»
« E cosa avrebbe di così incredibile da lasciare senza parole un immortale? »
« Ha un ragazzo…»
« E fin qui nulla di straordinario……»
«…….Ed è un licantropo » dissi con tono di sfida.
Carisle restò a fissarmi nella sua immobilità innaturale, mentre il silenzio calava.
« Te l’avevo detto » gli dissi scuotendo piano la testa.
« Beh…..il fatto è che non mi aspettavo tanta sfortuna, ragazzo mio » mi disse sorridendo
« Se ama uno come lui…..non potrà mai nemmeno notare uno come me. »
« Ho visto tante cose nella mia lunga esistenza, Edward…..e non mi stupirei se Isabella un giorno potesse cambiare idea. Però, vedi figliolo…..forse dovresti pensare anche a cosa è meglio per lei, infondo è umana, proprio come lo è lui. »
« Lui non è umano, Carlisle! Lui è un mostro! Esattamente come me! » risposi infastidito alzandomi in piedi.
« Ma, Edward….lui è vivo, ha un cuore che batte, è mortale. »
« Ed è pericoloso almeno quanto me » ribattei serio e teso.
« Lui non brama il suo sangue….»
« Ma basta che perda il controllo anche solo per un attimo quando sarà trasformato e….»
« Aspetta » mi interruppe « Vuoi dirmi che non si è ancora trasformato? »
« Già, ma manca poco oramai, l’ho sentito nel suo odore » mi si arricciò il naso al pensiero.
« Però adesso è assolutamente umano. Caro ragazzo, non affrettiamo i tempi. Credo che tu abbia già abbastanza complicazioni per adesso. Tu cerca solo di comprendere qual è la tua strada……la migliore da seguire per farti star bene. O almeno, questo è quanto posso consigliarti da padre….»
Sentii l’incertezza nella sua voce, così domandai
« E se non fossi stato mio padre? Cosa mi avresti detto? »
Anche Carlisle si alzò dal divano e mi rispose
« Credimi, figlio mio…..non vorresti saperlo » mi guardò dispiaciuto e poi mi strinse in un abbraccio.
Nonostante dimostrasse sempre il suo amore per noi figli, non era frequente che mi abbracciasse. Ricordai che lo fece quando persi il controllo con Emily ed Iris…..e da lì capii. Sarebbe stato un percorso difficile, qualsiasi strada avessi scelto.
« Grazie, papà » gli risposi in un soffio ricambiando la stretta.
Anche quella era una cosa non frequente, il chiamarlo papà. Ma in quel momento, per quella sera, non ci sarebbe stato appellativo più appropriato. Lui era mio padre: come tale mi aveva accolto nella sua famiglia quando ero disperato, come tale mi aveva sostenuto nel tremendo cammino del rinunciare al sangue umano, come tale mi incoraggiava a dare sempre il meglio di me e gioiva quando ero sereno, e come tale, era sempre pronto ad ascoltarmi, proprio come quella sera.
Vorrei poter fare di più” pensò mentre scioglievamo l’abbraccio, sapendo che l’avrei ascoltato.
Mentre mi dirigevo al piano superiore pensai nuovamente a Bella, a quanto poco la conoscessi, ma a quanto mi avesse già rapito ogni pensiero. Ripensai ai suoi occhi di cioccolato, e mi fu tutto chiaro.
Così, giunto a metà scala lo chiamai, ancora con lo sguardo fisso davanti a me, senza guardarlo:
« Carlisle….»
« Si, Edward? » lo sentii rispondere.
Con il corpo immobile, una mano poggiata al corrimano della scala, ed un piede già al gradino successivo; voltai lentamente solo la testa, per poterlo guardare dritto negli occhi:
« Non mi arrenderò. Non questa volta. »



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Capitolo 15
*** CAPITOLO 13 - Incontro ravvicinato ***







CAPITOLO 13 – “Incontro ravvicinato


Quella notte il sogno che mi tormentava fu anche peggio del solito. Ricordavo benissimo che la sensazione d’ansia per raggiungere la misteriosa figura era più forte, così come era ancora più abbagliante l’immensa luce alle sue spalle. Era come se le due cose andassero di pari passo : quanto più io volessi raggiungere quel volto, tanto più la luce aumentava. Ovviamente come ogni mattina, la sveglia sul comodino trillò quando io ero già sveglia da una mezz’ora buona. La spensi e diedi un’occhiata fuori: niente pioggia! Certo, del cielo non ne si riusciva a vedere nemmeno un pezzettino, come al solito, ma almeno non pioveva! Senza che nemmeno me ne accorgessi fui invasa dal buonumore. Forse fu come una reazione a tutto lo stress e al malumore accumulato il giorno prima, ma poco importava, non mi sentivo così da tempo.
Mi alzai di scatto dal letto ed inciampai nel comodino ritrovandomi con le gambe per aria, mi rimisi in piedi e ridacchiai, infondo non c’era nulla di male se per una volta ridevo anch’io della mia stessa goffaggine! Saltellai allegra verso il piccolo stereo che avevo fatto montare a Jake in camera mia l’estate prima e lo accesi. Delle note allegre come me quel mattino iniziarono a danzarmi intorno, invitandomi a cantarle e a ballarle: era Mika, con la sua nuova “Blame it on the girls”…..irresistibile!
Avevo sempre avuto un rapporto particolare con la musica, così come con i libri. Erano il sale della mia vita, le davano sapore e colore. Due passioni trasmessemi da Renée, non passava giorno che non mi svegliasse con dell’ottima musica ed un commento all’ultimo libro che stava leggendo. Ascoltavamo di tutto, qualsiasi genere musicale era il benvenuto in casa nostra, bastava che ci emozionasse in qualche modo, poco importava che ci facesse piangere commosse, che ci facesse saltellare allegre, che ci facesse venire la pelle d’oca per l’intensità delle note…tutto quanto era musica, entrava dritto nelle nostre vene per animarci.
Mi venne in mente di quando, una mattina, mi tolse le cuffie dell’ipod dalle orecchie durante la colazione, mi disse “Bella….la vera musica, puoi ascoltarla solo da una imparziale e indipendente radio. Non vale scegliersi le canzoni! Questo puoi farlo quando non hai uno stereo a portata di mano, ma….fin quando avrai una radio, non ci pensare nemmeno ad usare un ipod. E’ la musica che deve sceglierti e trovarti per regalarti qualcosa…..non il contriario”. Aveva ragione da vendere, e da quel giorno la radio fu la mia seconda compagna di vita, sostituita all’occorrenza da un ipod.
Quanto mi mancava la mia imprevedibile ed ingestibile mamma. Non lo ammettevo mai, soprattutto con Charlie….ma mi mancava davvero tantissimo.
Rifacevo il letto e continuavo a canticchiare
« Blame it on the girls who know what to do,
Blame it on the boys who keep hitting on you »
In quel momento bussarono alla porta della mia camera, lo sentii appena
« Bells? »
« Entra pure Char…..papà! »
Charlie si affacciò solo con la testa dietro la porta, come se temesse di trovare un alieno dall’altro lato.
« Tutto a posto, Bella? » sembrava sorpreso
« Certo! » gli risposi con un gran sorriso
Inspiegabilmente sembrò ancora più sorpreso….qualcuno avrebbe detto che mi guardava con la tipica faccia “a punto interrogativo”.
« Ti vedo bene oggi….» tentò cauto, accennando anche un sorriso
« Perché sto bene! » ridacchiai aprendo le braccia.
« Oh….grandioso allora!....beh…..io vado » fece un cenno con la testa.
« Certo! Buona giornata papà! » senza pensarci su due volte, con due grandi passi fui da lui e gli schioccai un sonoro bacio sulla guancia appena rasata.
L’ispettore capo Swan arrossì, avrei dovuto aspettarmelo. Mi voltai e raggiunsi l’armadio spalancandolo, quando la porta della camera invece di chiudersi dietro Charlie si aprì leggermente di più.
« Ehmm…dovresti farlo più spesso, Bells »
« Cosa? » chiesi sempre col sorriso sulle labbra
« Questo…» disse disegnando distrattamente un cerchio per aria con una mano «… insomma, divertirti….e cantare. Sei brava sai? Proprio come tua madre….».
Riuscii a sentire il tono dolce della sua voce perfino attraverso le note della canzone che oramai era cambiata. Quando Charlie parlava di Renée era sempre così : dolce e tormentato.
In quel momento avrei voluto gridargli che anche per me era così, che anche io sentivo la mancanza della mamma come l’acqua nel deserto, che anche a me mancava la sua risata limpida e acuta, che anche io avrei dato di tutto pur di tornare indietro….a quando eravamo felici e insieme.
Ma come al solito, la timidezza tipica degli Swan mi frenò, facendomi semplicemente arrossire al solo pensiero. Però qualcosa feci, andai di nuovo verso di lui e lo abbracciai.
Charlie parve spaesato, sapevo che non aveva idea di cosa fare. Poi, dopo pochi secondi, ricambiò la stretta.
« Grazie papà…..canterò più spesso » “se può farti sentire di meno la mancanza della mamma” avrei voluto aggiungere.
Ma la situazione era già abbastanza imbarazzante.
Lui fece un semplice cenno con la testa, ed io mi allontanai svelta, così come mi ero avvicinata, e tornai all’armadio. Senza bisogno di altro, Charlie allungò una mano alla scrivania accanto alla porta e girò la manopola dello stereo, aumentando ancora di più il volume, poi silenzioso richiuse la porta dietro di se. Rimasi sola con la mia musica e la mia allegria, sentivo che quella giornata sarebbe andata benissimo…..ero un leone!
Mi vestii perfino più carina del solito, con una camicetta blu che non avevo mai messo, e con l’aiuto della spuma diedi un bel movimento ai capelli. Nulla di particolare infondo, ma per me che tentavo di passare quanto più inosservata possibile, era già un traguardo. Dedicando più tempo del solito ai capelli non ebbi abbastanza tempo per fare colazione. Così, mentre la mia fetta di pane tostato saltava fuori dal tostapane, sentii il clacson della moto di Jake richiamarmi all’ordine.
Infilai rapida lo zaino in spalla, presi il cappotto sul braccio ed uscii. Il mio ragazzone era lì, davanti a me ad attendermi bello come il Sole, solo che Jacob risplendeva sempre nonostante le nubi di Forks. La mia felicità aumentò all’istante ancora di più….ero euforica! Sentii un sorriso allargarsi sulle mie labbra, e fregandomene della possibilità di cadere gli corsi incontro, gli gettai un braccio intorno al collo e lo baciai
« Buongiorno amore! » gli dissi sprizzando felicità da tutti i pori
« Buongiorno anche te fiorellino » mi rispose anche lui immensamente felice.
Riuscivamo a condividere e a contagiarci a vicenda con ogni stato d’animo…non riuscivo mai a capire come potesse succedere.
Prima che dicesse altro, gli infilai un angolo della fetta di pane tostato in bocca, mentre io ne addentavo l’angolo opposto.
« Hmm….Graffie tesofo , ma ho già faffo colafione » farfugliò quasi incomprensibilmente con la bocca piena.
Un suo singolo morso aveva portato via quasi metà della fetta, mentre io ero riuscita appena a mangiarne solo l’angolo.
« Jake, hai mangiato quasi tutta la fetta! » gli dissi fintamente sconcertata
« Sei tu che me l’hai infilata in bocca….la prossima volta impari! »
Mi passò una mano dietro i capelli, alla base del collo, e mi diede un lungo bacio.
L’euforia di quel mattino mi fece sentire ancora di più quanto unico, dolce, ed incredibilmente sensuale, riuscisse ad essere ogni suo tocco.
« Ti ho già detto che sei ancora più bella stamattina? » mi sussurrò con quella voce roca che mi faceva impazzire, mentre strofinava piano il suo naso contro il mio
« Ti ho già detto che pretendo di continuare un certo discorso iniziato ieri sera? » gli sussurrai fissandolo dritto nei suoi magnifici occhi del color dell’onice.
Per un attimo rimase spiazzato, ma pochi secondi dopo, un sorriso malizioso si aprì sul suo splendido viso
« Se proprio lo pretendi…..» e mi lasciò una bollente scia di baci dalla mascella fino al collo.
Poi si sollevò, e mi porse l’ennesimo bellissimo fiore dicendomi
« Sei proprio carica oggi, eh? »
« Sì, Jake! » gli risposi afferrando il fiore « Ma non credi che sia ora di smetterla con questi fiori? »
« Ti ho forse detto di averne trovato uno più bello di te? » mi rispose divertito
« No, ma mi arrendo. »
« Eh no, mi dispiace…..troppo facile, cara Isabella » e mi lasciò un veloce bacio sulle labbra.
Si voltò per prendere i caschi ed io ne approfittai per abbracciare la sua muscolosa schiena ed immergere il mio viso tra i suoi capelli, fino a toccare la nuca con il naso. Inspirai profondamente, a pieni polmoni, come dopo un’apnea.
« Ti ho mai detto quanto adoro il tuo profumo? » gli dissi ancora persa in quella fragranza unica.
Si voltò sorridendomi con i due caschi in mano, poi si abbassò leggermente all’altezza del mio orecchio e mi disse
« Ti ho mai detto che Billy è a pesca e casa mia è tuuutta sola soletta? »
Mi scostai leggermente, ridendo piano
« Ok, Jacob Black….portami a scuola o questo gioco del “ti ho mai detto” potrebbe prendere una piega strana, stamattina! »
« Ma io non chiedo altro, zuccona! » mi rispose ridendo ed infilandomi il casco in testa.
«…Però…..potrei venire a farti visita oggi…» gli lanciai uno sguardo languido che lasciava poco ai fraintendimenti.
Restò un momento con la bocca aperta, come un bambino davanti ad un regalo, prima di rispondermi.
« Oh Bells! Smettila di torturarmi e sali, prima che ti riporti di nuovo dentro casa! »
Ci credevo, ne era capace. Così saltai svelta sulla moto e mi allacciai il casco.
Come al solito, il tragitto in moto con Jake durò troppo poco per i miei gusti. Appena la due ruote si fermò, mi tolsi rapida il casco, poi lo sfilai anche a lui e percorsi il profilo del suo collo con tanti piccoli baci. Prima che potessi raggiungere il lobo del suo orecchio destro lo sentii sospirare tra il compiaciuto e il disperato. Saltò svelto giù dalla moto, si voltò verso di me e mi cinse i fianchi con le sue grandi mani.
« Bells…..te la sei cercata! » mi disse con la voce più sexy che avessi sentito in vita mia.
Prima di capire a cosa si stesse riferendo si avventò sulle mie labbra con tanta voracità che pensai volesse mangiarmele. E infondo era proprio quello che iniziò a fare: prendeva le mie labbra tra le sue e le stringeva forte prima di mordermele. Era passionale…..e quando approfondì il bacio lo fu ancora di più. La sua lingua rincorreva la mia in ogni angolo, mi sembrava di avere un boccone bollente in bocca, di quelli che scottano a tal punto che vorresti ricacciarli fuori….ma che allo stesso tempo sono così saporiti che quel loro bruciare non fa che aumentarne il gusto.
Mentre il suo sapore mi invadeva anche il cervello, le sue mani spinsero i miei fianchi in avanti, facendomi scivolare con il sedere fino alla punta della sella. Jacob continuava a stare in piedi di fianco a me, per cui non capii subito il motivo di quel gesto……ma lo capii esattamente una decina di secondi dopo, quando continuando a baciarmi instancabilmente, iniziò a spingermi piano all’indietro. Lentamente, stava facendomi sdraiare sulla sella della moto lucente.
Dio solo sa quanto lo volessi in quel momento, ma il cortile della scuola non mi sembrava decisamente un luogo appropriato, non intendevo dare spettacolo. Feci cadere i caschi che ancora avevo uno per ogni mano, producendo due tonfi sordi, e poggiai svelta i gomiti dietro di me, sulla sella ormai pericolosamente vicina alla mia schiena, arrestando subito la mia discesa. Sorrisi sulle sue labbra e lui si scostò appena

« Jacob Black, sto iniziando ad amare ancora di più questa moto ma…..non esagerare! » gli dissi sempre sorridendo, ma allontanandolo da me con una mano sul suo petto, mentre mi rialzavo.
Jake di tutta risposta si lasciò andare ad un risolino divertito, che in quel momento mi sembrò ancora più sbruffone del solito. Mentre scendevo dalla moto, per evitare il nascere di altre situazioni compromettenti mi disse
« Hey, Bells….ricordi come mi hai salutato stamattina? » voleva sembrare disinvolto, ma conoscendolo come le mie tasche notai subito l’agitazione che tentava di nascondere.
Ma non glielo dissi, risposi semplicemente alla sua domanda
« Si certo, Jake. Ti ho detto “Buongiorno amore” »
« Appunto…… “amore” » ripetè lui, accompagnando l’ultima parola con un gesto delle dita che stava a mimare delle virgolette.
Mi sorrideva spavaldo, come se avesse appena smascherato un delinquente sul fatto. Era adorabile, decisamente irresistibile. E quella mattina mi sentivo talmente felice che non intendevo perdermi nelle mie solite congetture
« Beh Jake…..chissà, magari potrei ricredermi sull’argomento! » gli risposi sorridendo apertamente.
Jacob capì subito che la mia era una provocazione e mi rispose ridendo
« Certo, certo! »
Mentre entrambi ancora ridevamo felici, mi guardai intorno. A parte alcuni sguardi imbarazzati per la scena di poco prima, nessun’altro ci guardava…………nessun’altro a parte Lui.
Edward Cullen ci fissava intensamente, o meglio, fissava me molto intensamente.
Aveva qualcosa che non mi convinceva in quello sguardo. Nulla a che vedere con quelli di inquietudine che mi lanciava appena il giorno prima in aula…..ma nemmeno nulla di somigliante a quelli profondamente incuriositi che mi aveva dedicato sulla panchina. Stavolta era diverso….beh, non avrei dovuto stupirmi, da quando l’avevo conosciuto, in appena una mattinata, mi era sembrato due persone diverse.
Però….c’era qualcosa adesso, in quel preciso istante, in quello sguardo che proprio non mi tornava. Mentre riflettevo sulla particolare luce nei suoi occhi, sul suo viso si aprì un sorriso sghembo. Era a qualche macchina di distanza da noi, poggiato con la schiena alla sua Volvo fiammante, con le braccia incrociate sul petto e i piedi altrettanto intrecciati. I suoi fratelli, poco dietro di lui parlavano tra loro, solo la rossa di nome Victoria non lo perdeva mai d’occhio. Ad un tratto vidi le labbra di Edward muoversi, e tutti i suoi fratelli voltarsi a guardarlo. Mentre la piccoletta, Alice, tentava di rispondergli, Edward si scostò dalla Volvo e si mise dritto in piedi. Si passò una mano tra i capelli perfettamente in disordine ed iniziò a camminare.
Edward Cullen camminava senza indugio e con un fare sicuro di sé, come se fosse invincibile. Teneva le mani nelle tasche del cappottino corto grigio, mentre avanzava spedito, e un sorriso sghembo stampato in volto che non aveva nulla di angelico quel mattino….avrei giurato di leggerci una grande impertinenza, piuttosto.
Era dannatamente bello e impertinente…..e veniva dritto da me, senza mai staccare i suoi occhi ambrati dai miei.
Per una frazione di secondo, appena realizzai che era diretto proprio verso di me, lanciai un’occhiatina a Jacob, per capire se si stesse rendendo conto della situazione. Lui subito si voltò e vide Edward colmare la distanza tra noi con gli ultimi tre passi.
Insieme ad Edward giunse una folata di profumo incredibile….il profumo più dolce che avessi mai sentito. Peccato che in quel momento, il suo odore era l’unica cosa dolce che avesse.
Edward non degnò Jacob nemmeno di uno sguardo, non aveva distolto gli occhi dai miei nemmeno per un secondo mentre attraversava il parcheggio come solo un modello può fare. Lo fissai, determinata a non distogliere lo sguardo…..che mi stesse sfidando?
Non avrei potuto sbagliarmi di più, e lo seppi qualche attimo dopo.
Appena Edward si fermò davanti a me, il suo sorriso sembrò ancora più impertinente quando mi disse
« Buongiorno, dolce Bella » caricando il mio nome di un’enfasi sensuale incredibile.
Mentre mi diceva quelle due sole parole fece un gesto che mai mi sarei aspettata.
Le sue labbra ancora si muovevano nel pronunciare il mio nome, quando estrasse la mano destra dalla tasca del suo cappotto, la allungò verso di me e prese la mia mano sinistra. Lentamente la avvicino a sé e chinò leggermente il capo in avanti, non distogliendo mai lo sguardo dal mio, e se la portò alle labbra, dove vi lasciò un delicato bacio da vero gentiluomo.
Fu in quel momento che riuscii a capire il significato di quel sorriso sghembo….non era impertinente…..era provocatore. Era il sorriso sghembo più provocatore che potesse esistere sull’intero pianeta. Io ero letteralmente scioccata! Edward pareva essersene fregato altamente del fatto che io fossi lì con il mio ragazzo. Anche Jacob per i primi attimi rimase completamente sbalordito, perfino con la bocca aperta e le sopracciglia aggrottate. Poi parve realizzare cos’era appena successo……e fu la prima volta che anch’io ebbi paura di Jacob Black.
Con uno schiaffo potentissimo, dato dal basso verso l’altro con il dorso della sua enorme mano, spezzò l’unione della mia mano con quella di Edward e gridò
« STRONZO DI UN CULLEN, MA CHE CAZZO FAI?! »
Jacob era furioso, tutti i suoi muscoli tremavano dalla rabbia, i pugni stretti tanto da far sbiancare le nocche delle dita e le vene del collo parevano scoppiare. Il suo viso, che avevo visto sempre e solo dolcissimo, in quel momento era una maschera di odio: i suoi lineamenti duri sembrarono riempirsi di una minaccia nera come la notte.
Edward si scansò leggermente, il sorriso di prima lasciò posto ad un ghigno di soddisfazione, come se avesse appena raggiunto il suo scopo….ed io capii, non era me che stava sfidando poco prima…..con quel baciamano il suo unico obiettivo era sfidare Jake.
« Hey, calmati piccolo Black! » gli rispose portando le mani in alto come in segno di resa, ma senza mai smettere di sorridere.
Quel sorriso soddisfatto e provocatore avrebbe fatto infuriare chiunque. Voleva prendersi gioco di Jacob. Voleva fargli perdere le staffe……e ci riuscì.
Dalla gola di Jacob salì un suono sordo e vibrato che esprimeva tutta la sua rabbia mentre lo vidi caricare un pugno che aveva come unico bersaglio il volto di Edward.
« No, Jake! » gli gridai trattenendolo per la vita, senza alcun risultato.
Jacob sferrò il suo destro, ma incredibilmente andò a vuoto, Edward era riuscito a scansarsi una manciata di millimetri prima che il pugno di Jacob lo colpisse dritto sul naso. Immediatamente giunsero i fratelli Cullen che si pararono davanti ad Edward, mentre lui se la rideva piano ma di gusto. Contemporaneamente arrivarono tutti i miei compagni delle varie lezioni che si fiondarono su Jacob, trattenendogli le braccia al corpo ed impedendogli di raggiungere Edward. Jake si dimenava come un pazzo mentre gridava
« Lasciatemi stare! Vi ho detto di lasciarmi! IO TI DISTRUGGO, CULLEN! » i suoi occhi fiammeggiavano dalla rabbia.
Edward di tutta risposta si riportò le mani nelle tasche del cappotto grigio sempre ridendogli in faccia, poi disse
« A cuccia, Black…..» fece cenno ai fratelli con la testa « Andiamo? » e si voltò incamminandosi verso l’ingresso della scuola con tutti i fratelli al seguito.
Ci vollero almeno quindici minuti prima che Jacob smettesse di dimenarsi come un pazzo furioso, mentre io e i miei compagni cercavamo di calmarlo. Quando finalmente smise di gridare minacce, i ragazzi lo lasciarono ed entrarono anche loro a scuola. Io lo fissai dritto negli occhi, mentre lui ancora mormorava strani insulti.
« Jake, basta……non ne vale la pena »
« Bells, per favore, non ne parlare altrimenti giuro che entro lì dentro e….»
« Shhh! » lo zittii con una mano sulla bocca per evitare che continuasse, infuriandosi di nuovo.
Poi la stessa mano gliela posai sulla guancia, mentre con l’altra gli carezzai dolcemente i capelli, che in quella sua sfuriata erano diventati tutti scompigliati.
« Adesso calmati e và a scuola anche tu, ci sentiamo dopo » gli dissi prima di posargli un dolce bacio sulle labbra.
« D’accordo » mi rispose non troppo convinto, ma sincero.
Ricambiò il mio bacio con uno altrettanto dolce, poi si infilò il casco, salì sulla moto e se ne andò.
Sospirai, e mi incamminai anch’io verso l’entrata della scuola.
Non avevo mai visto Jacob così tanto arrabbiato. Pensai che tutta la felicità di quella mattina era svanita in un attimo, spazzata via in pochi istanti, in un unico gesto. Quell’Edward Cullen era stato davvero meschino……ma gli avrei reso pan per focaccia. Non avevo ancora idea del come, ma avrei trovato un modo……e me l’avrebbe pagata.


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Capitolo 16
*** AVVISO!! Buone Vacanze!! ***


Bene, bene , bene..........care ragazze!!! sono qui per dirvi che......si va in Vacanza!!! Ovviamente non smetterò di scrivere ma....penso che per gli aggiornamenti dovrete aspettare un bel pò !!!! Domani parto e....spero che mi aspetterete, per continuare a leggere di questa storia!!!
Un bacio a tutte e......Buone Vacanze!!

buone vacanze

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Capitolo 17
*** CAPITOLO 14 - Minaccia ***







CAPITOLO 14 – “Minaccia


Camminavo per i corridoi della scuola con la testa bassa, immersa in mille pensieri, diretta al mio armadietto. Edward era stato capace di rovinare il mio bellissimo inizio di giornata…..che presuntuoso! E che irrispettoso, per giunta! Aveva istigato il mio Jacob in tutti i modi, con fatti e parole, ben sapendo che nessuno gli avrebbe permesso di toccarlo. Il pensiero di doverlo incontrare da lì a qualche ora per la lezione di letteratura mi aggrovigliava ancora di più lo stomaco!

Alzai per un attimo lo sguardo dal linoleum del corridoio, in cerca di un volto amico tra la confusione, quello di Angela, ma non lo trovai. Solo la sua compagnia poteva distrarmi un po’ in quel momento.
« Stupido Cullen! » bofonchiai irritata chinando di nuovo il capo sul mio percorso.
« Magari sarebbe meglio che tu specificassi! » qualcuno trillò improvvisamente quella frase alle mie spalle, facendomi sobbalzare.
Mi voltai di scatto verso la voce sconosciuta, e mi ritrovai di fronte un bellissimo folletto sorridente e con le braccia incrociate al petto.
« Come, scusa? » le chiesi confusa
« Se dici “stupido Cullen” io ti consiglio di metterci anche un nome proprio di riferimento, siamo in quattro qui a scuola a portare quel cognome…..e qualcuno potrebbe offendersi » mi rispose sempre con quel sorriso smagliante stampato in faccia.
« M-mi dispiace io…..non pensavo mi potesse sentire qualcuno » risposi imbarazzata.
In effetti non volevo offendere nessun’altro se non il diretto interessato. Però le sue parole non mi risultarono scontrose come dopo un’offesa….anzi, mi parve piuttosto divertita.
« Ah! Figurati, Bella! Scherzavo…..io comunque sono Alice Cullen » annunciò con la sua voce argentina « E spero proprio che tu non ti stessi riferendo a me! »
« Oh, no no! No davvero! » le risposi in fretta per fugare ogni dubbio.
Ma la mia reazione parve divertirla ancora di più, e rise allegramente
« Lo so, Bella. Lo so! Comunque, piacere di conoscerti! » mi scompigliò un po’ i capelli
« Piacere mio, Alice » le risposi sorridendole di rimando.
Il suo buonumore era contagioso, normalmente mi avrebbe infastidito tutta quella confidenza con cui un’estranea si rivolgeva a me, ma…con lei fu diverso. La sentii da subito come una vecchia amica. Per questo non mi sorpresi quando mi disse
« Andavi agli armadietti? Facciamo la strada insieme! » prendendomi sottobraccio.
Riuscii a sentire quanto le sue braccia fossero fredde perfino attraverso la stoffa dei nostri indumenti. Quel contatto mi riportò alla mente un particolare che pareva essere stato offuscato dallo stupore del momento: quando Edward aveva preso la mia mano nella sua, l’avevo sentita gelida. La sua mano era gelida come se l’avesse tenuta in un cumulo di neve. E gelide erano anche le sue labbra, che si erano posate gentili sul dorso della mia mano.
« Ti prego di voler scusare mio fratello….» disse Alice distogliendomi dai miei pensieri.
« Beh….» iniziai a parlare non sapendo bene cosa dire.
Le fui quasi grata quando mi interruppe.
« So bene che ti riferivi a lui poco fa, e ne hai tutte le ragioni ma…..Edward non è così. » la sua voce era sempre squillante, ma in quel momento mi parve di cogliervi una nota di apprensione.
« Alice, mi spiace. Io non so com’è tuo fratello, so solo cosa ha fatto poco fa. » se davvero intendeva evitare la mia collera nei suoi confronti con un semplice discorso, aveva sbagliato persona.
« Già, ha sbagliato. E’ stato impulsivo e stupido. Ma credimi se ti dico che in lui c’è molto altro oltre a..….»
« Oltre alla presunzione, la spavalderia, la sfacciataggine e la cattiveria? » la interruppi elencando ogni aggettivo con un disprezzo evidente nella voce, prima di guardarla. Anche i suoi occhi erano di un caldo color oro.
Lei mi sorrise prima di parlare
« Beh, si Bella. So che può sembrarti impossibile dopo stamattina, ma Edward è un bravo ragazzo».
Certo, cos’altro poteva dirmi la sorella?
« Alice, davvero io….»
Ma mi interruppe nuovamente.
« Bella, per favore….credimi. Non pensare che io ti dica queste cose solo perché sono sua sorella….» Appunto «…cerca di dargli una possibilità. » rallentò il passo fino a fermarsi.
« Alice, sul serio. Vorrei crederti ma non trovo una sola, buona , ragione per farlo ».
Ferme all’incrocio con il corridoio degli armadietti pensavo che la discussione fosse finita lì, quando mi disse più di quanto avrebbe dovuto….almeno per il bene del fratello.
« Bella, non ti chiedo molto, solo di permettergli ancora di parlarti. » mi fissò dritta negli occhi, ma io non capii
« Io non ne farei tanto un dramma se una persona che conosco da appena 24 ore non mi rivolgesse più la parola » le risposi sinceramente.
« Perché tu non cerchi la sua attenzione come lui agogna alla tua….» prese un momento di pausa, durante il quale pensai che fosse un po’ esagerato l’ aggettivo che aveva appena usato «….Non pensare che esageri, per favore. Non commettere questo errore. Per Edward è davvero importante poterti parlare ed avere la tua attenzione » disse tutto in un tono talmente serio che non ne dubitai nemmeno per un istante.
Però non potei fare a meno di esultare dentro di me. Mi aveva offerto su un piatto d’argento la risposta alle mie domande di quella mattina: avevo finalmente trovato il modo di fargliela pagare. Alice vedendo il mio silenzio dovette pensare di avermi convinta, infatti sorrise, sciolse le nostre braccia e mi disse
« Bene! Ora devo proprio andare! »
« Non vai al tuo armadietto? » le chiesi curiosa
« No, ci sono passata già prima…..era solo per conoscerti! Buona giornata, Bella! » trillò tutta sorridente, scompigliandomi i capelli e saltellando via da me
« Anche a te, Alice » e grazie! Avrei voluto urlarle, ma mi trattenni.
Svoltai l’angolo per il corridoio degli armadietti, stavolta camminando guardando davanti a me. La testa finalmente leggera e gongolante, all’idea di aver finalmente uno strumento di vendetta. Raggiunsi il mio armadietto dopo pochissimo, lo aprii ed iniziai a cercare il libro di storia per la prima ora di lezione. Non riuscivo a trovarlo da nessuna parte, così poggiai lo zaino ai miei piedi e mi spinsi leggermente più dentro, nello stretto spazio che conteneva tutti i miei oggetti.
« Sembra quasi che ti stia risucchiando, Bella »
Cacciai un piccolissimo urlo di spavento al suono di quella voce melodiosa, così vicina al mio orecchio da riuscire a sentire il suo respiro sulla mia guancia. Mi sentivo le guance paonazze dallo spavento, ma non me ne importai, e mi tirai nuovamente dritta sulle spalle, gettando una fugace occhiata alla mia sinistra. Edward Cullen mi fissava divertito, poggiato con la spalla sinistra all’armadietto accanto al mio, con la mano in tasca, e l’altro braccio rilassato lungo il fianco destro.
Non gli risposi, e facendo finta di nulla, continuai a cercare il libro.
« Bella? » mi chiamò.
Ancora una volta non gli risposi, spostando alla rinfusa ogni libro dell’armadietto sperando di trovare quello di storia al più presto.
« Bella Swan, stai cercando forse di ignorarmi? » disse in un risolino divertito.
Non avevo la minima intenzione di rispondergli…..se solo quel maledetto libro fosse sbucato!! Stavo iniziando ad innervosirmi, quando Edward, sempre ridacchiando, si fece largo insinuandosi nello stretto spazio tra me e l’armadietto. Ritirai subito il braccio con il quale cercavo il libro, e lui si poggiò con la schiena dritto di fronte a me, incrociando le braccia al petto e sorridendomi.
Rimasi un attimo senza parole a quella vista. Edward era splendido, con un sorriso limpido e caldo sul volto, lo stesso che mi aveva rivolto la mattina precedente sulla panchina. Quando ero stata catturata dal suo modo gentile ed affabile, trascinata nel mare chiaro dei suoi occhi ambrati. Proprio come in quel momento, i suoi occhi fissavano i miei, divertiti e dolci, attirandoli magneticamente.
« Allora? » mi disse interrompendo l’incanto muto del suo corpo.
Sbuffai, irritata dal suo atteggiamento ostinato, sapevo che ormai avrei dovuto rivolgergli la parola necessariamente.
« Cullen spostati, farò tardi a lezione » gli dissi cercando di mantenere un tono freddo.
« E così adesso sono di nuovo Cullen, eh? »
« Ovviamente….Cullen » glielo ripetei ancora.
« E quindi io ora come dovrei chiamarti? Di nuovo “signorina Swan” come prima delle presentazioni di ieri? » disse ridendo.
Incrociai le braccia al petto e lo fissai dritto negli occhi.
« Oh…bene allora, Signorina Swan….» marcò le ultime due parole « come preferisci ».
Non accennava a muoversi di lì, mi sembrò si stesse quasi divertendo.
« S.p.o.s.t.a.t.i. » gli dissi lentamente, con un tono deciso che non ammetteva repliche.
Edward sbuffò, scuotendo la testa, e si voltò verso il mio armadietto dandomi le spalle.
« Cosa pensi di fare, Cullen? » gli chiesi sorpresa, quando lo vidi frugare tra le mie cose.
« Ti salvo da un ritardo, signorina Swan. » si voltò sorridendomi con in mano il mio libro di storia, pescato da chi sa quale anfratto.
Glielo presi dalle mani senza ringraziarlo, quando la campanella suonò e lui mi guardò arcuando un sopracciglio, in segno di vittoria.
« Non merito nemmeno un “grazie” ? » disse spostandosi alla mia sinistra.
« Figuriamoci…» mormorai sottovoce, in tutto quel casino non mi avrebbe mai sentita.
Mi abbassai per sistemare il libro nello zainetto ai miei piedi, quando mi ritrovai il suo angelico viso sorridente a pochi centimetri dalla mia guancia sinistra. Mi scostò delicatamente i capelli all’indietro, come per vedermi meglio, poi si fece ancora più vicino, le sue labbra potevano quasi toccare il mio orecchio
« Sei ostinata, signorina Swan…..mi piace » sussurrò piano prima di alzarsi e andar via, perdendosi tra la folla di ragazzi diretti a lezione.
Ero rimasta immobile, e senza respiro. Così appena fui certa che si fosse allontanato mi rilassai, espirando l’aria trattenuta e poggiandomi con una mano alla base dell’armadietto. Il profumo del suo respiro era qualcosa di incredibile, l’odore più dolce che avessi mai sentito. Ed aveva avuto la potenza di catturarmi completamente, immobilizzandomi perfino i pensieri.
Scossi la testa e mi alzai, rimettendomi lo zaino in spalla. Non poteva farmi questo effetto, se avevo appena deciso di ignorarlo, non potevo permetterglielo. Impilai velocemente i libri rimasti nell’armadietto e prima di richiuderlo diedi un’occhiata alle foto che tenevo fissate con lo scotch all’anta, indugiando particolarmente, come ogni volta, su di una che ritraeva me e Renèe sorridenti. Forse il buonumore di quella mattina non era andato tutto perso, così sospirando, chiusi in fretta l’anta dell’armadietto…..trovando la rossa di nome Victoria incredibilmente vicina.
Sobbalzai dallo spavento per la terza volta quella mattina, cacciando un urlo più alto rispetto al precedente. Avevo il cuore in gola, e lei era poggiata con il fianco destro all’armadietto accanto al mio, come se si fosse appostata quanto più vicino possibile all’anta aperta del mio, aspettando proprio che io la richiudessi e la trovassi così vicina. Teneva le braccia incrociate al petto e mi fissava dritto negli occhi, con un sorriso sulle labbra che avrei giurato fosse intriso di cattiveria.
« Continua così, Isabella…..fossi in te, io lo farei. » mi disse a bassa voce.
Poi si allontanò. Rimasi un attimo a fissare il punto dal quale poco prima i suoi occhi color oro stavano puntando dritti nei miei. Erano dello stesso colore dei suoi fratelli, ma nei suoi ero sicura di aver visto un lampo di cattiveria, così come ero sicura che quelle poche, semplici, parole che mi aveva rivolto, fossero una minaccia.
Ero corsa in classe appena mi fui ripresa da quella, non tanto, velata minaccia e una volta in aula tirai un sospiro di sollievo. I potentissimi mezzi della Forks High School contavano solo due televisori, uno dei quali era a riparazione, e quindi per la lezione di storia che contemplava la visione di un documentario sulla seconda guerra mondiale avevano unito due classi : la mia e quella di Angela.
Lei era lì, infondo all’aula che si sbracciava per attirare la mia attenzione, indicandomi la sedia libera al suo fianco.
« Come mai non siamo in trincea? » le dissi appena la raggiunsi indicando la prima fila di sedie, praticamente incollate al televisore.
Angela, oltre ad avere un amore viscerale per la fotografia, era una patita della storia, e per nulla al mondo pensavo si fosse seduta infondo all’aula durante una lezione con documentario.
« Un uccellino mi ha riferito che oggi “la storia” si stava compiendo nel parcheggio…» disse ammiccandomi «…so che c’era già chi scommetteva su l’uno o sull’altro, e c’è perfino qualcuno che giura di aver visto scorrere del sangue! » sparò tutto d’un fiato prima di mettersi a ridere.
« Andiamo, Angie! » le risposi ridendo anch’io dandole uno spintone sulla spalla.
« Ok, ok….torniamo serie. Vuoi spiegarmi cosa è successo o devo fare io un collage di tutte le cose che mi hanno detto? »
« Meglio che te lo racconti io…»
Così l’ora di storia trascorse tra me che le raccontavo tutto l’accaduto, e lei che sgranava sempre più gli occhi interrompendomi di tanto in tanto con qualche “Ohh” sognante alla descrizione del baciamano, e con qualche “Uhh” al racconto della mia decisione e della minaccia di Victoria.
Le restanti ore di lezione prima della pausa pranzo scivolarono via monotone, al bancone della mensa presi solo un trancio di pizza ed una soda e mi sedetti al solito tavolo con Angela, Mike ed altri buffi ragazzi.
« Senti Angela….sai qualcosa dei Cullen? » le chiesi sottovoce mentre gli altri ragazzi intavolavano una discussione su quale fosse l’auto più veloce di tutti i tempi.
« Qualcosa, si. Cosa ti interessa? » il suo sguardo era curioso
« Beh vedi, stamattina Alice mi ha detto che sono in quattro qui a chiamarsi Cullen ma…loro sono sei » risposi imponendomi di non guardare al tavolo dove le sei bellezze sedevano.
« In effetti è così, solo in quattro fanno Cullen di cognome. Vedi ci sono….» e puntò un dito dritto nella loro direzione.
Mi sentii avvampare di vergogna e le tirai subito la mano sul tavolo
« Ma cosa fai?! Non ti hanno mai detto che non si indicano le persone? » tentai di mascherare dietro una buona educazione la paura che Edward capisse che parlavamo di loro.
Angie rise prima di continuare, forse la sapeva più lunga di quanto immaginassi.
« Dicevo, che Rosalie e Jasper pare siano davvero fratelli e si chiamano Hale. In pratica il signore e la signora Cullen hanno adottato per primo Emmett, lui era poco più di un bimbo allora e quindi fu molto naturale dargli il loro cognome. Poi, dopo poco arrivarono i fratelli Hale, che si dice fossero già abbastanza cresciutelli per togliergli la loro “identità”. Dopo i biondi e bellissimi fratellini, giunse Alice che, a quanto pare, nonostante fosse già grandicella volle prendere Cullen come suo nuovo cognome…..alcuni dicono che è andata così perché lei non lo avesse proprio. Infine, arrivarono a completare la famiglia Edward e Victoria, insieme, anche se nessuno sa perché o come furono adottati assieme…..ed inoltre….una cosa molto strana…..» La ascoltavo pendendo dalle sue labbra, con la fetta di pizza in mano a qualche centimetro dalla mia bocca aperta, ma immobile «….circola voce che i due abbiano voluto, quasi preteso, di chiamarsi Cullen per cancellare del tutto un passato alquanto oscuro e violento….» a quelle parole rabbrividii e la pizza mi cadde in grembo.
« Cavolo! » esclamai riemergendo da quel racconto che mi aveva tanto affascinata.
Era mai possibile che non riuscissi a mangiare senza farmi cadere nulla addosso? Ogni volta era sempre la stessa storia.
« Ancora, Bella? » Angela rideva come sempre
« Già…..» sbuffai mentre recuperavo un tovagliolo per rimediare alla macchia.
« Eppure credevo che col tempo avresti imparato a mangiare da sola! » rideva talmente tanto che a stento riuscii a capire cosa dicesse.
Mi infastidiva essere così scoordinata e goffa, e Angie non faceva altro che riderne, così le risposi scocciata, mentre ancora strofinavo il tovagliolo sulla camicetta
« Angie smettila, per favore! »
Forse la mia richiesta era andata a centro, perché lei smise di ridere, ma dopo pochi secondi
« Bella….» mi chiamò
« No Angie, sul serio! » la implorai lottando contro la macchia che andava allargandosi.
« B-Bella……» mi disse ancora, un po’ balbettando e sottovoce.
Ma perché non capiva? Io lottavo contro l’ennesima umiliazione spiaccicata sulla mia camicetta e lei continuava a volermi stuzzicare?
« Serve una mano? O preferisci un bavaglino? »
La voce melodiosa di Edward mi fece sobbalzare talmente tanto che la mano che strofinava il tovagliolo sulla macchia parve attraversata da una scossa elettrica e andò a sbattere sotto il bordo del tavolo. Con grandissima gioia dei presenti, quel gesto fece cadere la mia lattina di soda, che mi si rovesciò completamente addosso, andando ad aumentare il disastro sulla mia camicia.
Edward scoppiò in una risata talmente fragorosa da rimbombare in tutta la mensa, seguito a ruota da Angela che era totalmente scossa dai sussulti. Per non parlare dei miei “compagni” di tavolo che ridevano indicandomi spudoratamente.
« Dannazione! » sbottai alzandomi in piedi e tentando di asciugare un po’ quel guaio.
Tutti continuavano a ridere
« Signorina Swan, sei un vero disastro! » mi disse Edward mentre ancora si sbellicava.
« Cosa vuoi tu? » gli dissi bruscamente lasciando perdere la mia camicia senza speranze per guardarlo, in piedi al mio fianco.
Fortunatamente la crisi di ridarella era passata e tutti erano tornati alle loro conversazioni, compreso Angela. Mi pentii immediatamente di avergli rivolto la parola, io dovevo ignorarlo!
« Beh, abbiamo la lezione di letteratura adesso e quindi….volevo fare la strada con te » mi rispose come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Se lo poteva scordare!! Tornai a sedermi senza rispondergli, e mi infilai nella conversazione che proseguiva al mio tavolo. Per la successiva mezz’ora avevo continuato a fingermi interessata e partecipe delle loro chiacchiere mentre Edward non si era mosso di un millimetro, in piedi alla mia sinistra. Mi chiesi cosa aspettasse ad andarsene, e la risposta arrivò al suono della campanella, quando tutti abbandonarono i loro tavoli, me compresa, per andare a lezione. Quando mi alzai gli passai davanti, salutai Angela e mi diressi ai corridoi…..con Edward al mio seguito. Alla fine stava riuscendo nella sua impresa : stava facendo la strada con me.
« E così ti capita spesso di rovesciarti il cibo addosso? » mi domandò e dal tono di voce capii che stava sorridendo.
Non lo guardavo nemmeno, facevo come se non esistesse. E inoltre aveva scelto l’argomento più sbagliato possibile per iniziare una conversazione con me conciata a quel modo. Per tutto il tragitto non fece altro che riempirmi di domande, per lo più futili, sperando che io gli parlassi.
«Swan, andiamo…..non fare la bambina!» mi disse spazientito quando giungemmo all’ingresso dell’aula, parandosi davanti a braccia aperte, con le mani che toccavano gli stipiti della porta.
Io sbuffai e, abbassando la testa, entrai in aula passandogli sotto il braccio destro. La nostra seconda lezione di letteratura trascorse molto diversamente rispetto alla prima : io lo ignoravo, mentre lui alternava sguardi fissi e profondi al mio viso a tentativi di farmi parlare. Non potei però fare a meno di notare il suo atteggiamento completamente diverso, stavolta non se ne stava seduto rigido sul bordo della sedia nel punto più lontano della scrivania. Stavolta potevo dire che era stato seduto quasi rilassato e ad una distanza da normalissimi compagni di banco. Al suono della campanella raccolsi le mie cose e andai via, sotto il suo sguardo incredulo ed infastidito, mentre ancora rimaneva seduto al suo posto, sconfitto.
L’ultima ora fu una tortura: educazione fisica. Il mio incubo peggiore a scuola, e come ogni volta, riuscii a capitombolare durante la partita di pallavolo, escoriandomi il polso. E, sempre come ogni volta dopo la lezione in palestra, dopo essermi rivestita passai in infermeria per farmi disinfettare l’escoriazione e metterci un cerotto. Perfino l’infermiera, che ormai mi considerava quasi sua nipote, mi prese in giro vedendo la camicetta tutta sporca di pizza e soda che indossavo. Grazie al cielo quella mattina mi ero svegliata di buon umore, e questo mi aveva dato una mano a superare quella giornata……e ad affrontare l’ennesimo temporale di Forks , che mi attendeva scrosciante fuori dall’infermeria.
Corsi al parcheggio pregando di non cadere ancora, ma quando vi arrivai non trovai nessuno ad aspettarmi. Nessuno che fosse Angela o Jacob in quel parcheggio deserto……nessuno tranne la Volvo grigio metallizzato che mi veniva incontro.
Sapevo benissimo chi guidava quell’auto, così prima che mi raggiungesse mi incamminai sotto la pioggia ignorandola. Piuttosto che farmi accompagnare da lui sarei arrivata a casa con la polmonite! Dopo qualche passo, mentre i miei capelli già gocciolavano zuppi d’acqua, la Volvo accelerò raggiungendomi. Sentii il ronzio del finestrino che si abbassava.
« Credo ti serva un passaggio. » sentii appena la voce di Edward, sovrastata dai tuoni e dallo scrosciare potente della pioggia.
Diluviava! Ma io continuai imperterrita a camminare, con lo sguardo dritto davanti a me.
« Swan non ti pare di esagerare adesso? Ti verrà una polmonite! Sali in macchina! » disse deciso e a voce più alta.
Non ebbi problemi nel sentirlo stavolta, ma lo ignorai e continuai per la mia strada…ormai avevo perfino i calzini completamente fradici. Nonostante l’auto stesse procedendo a passo di lumaca per starmi accanto, la sentii frenare bruscamente. Accelerai il passo, immaginando cosa aveva intenzione di fare.
Ma per quanto l’avessi potuto immaginare, restai completamente spiazzata quando Edward Cullen, completamente fradicio e di una bellezza pari soltanto ad una divinità mi si parò davanti.
« Bella, entra subito in macchina! » mi impose indicando la Volvo con un braccio teso.
Non lo ascoltai, ero rapita nel seguire i percorsi delle migliaia di goccioline di pioggia sul suo viso pallido e perfetto. Lente e gentili, gli discendevano la fronte ed il naso, gli incorniciavano gli occhi di topazio splendenti, e gli carezzavano il liscio labbro superiore scomparendo a contatto con quello inferiore.
Dovevo avere un’espressione davvero inebetita perché lo sguardo di Edward cambiò, divenendo più caldo, mentre mi regalava il sorriso sghembo che per la seconda volta mi fece girare la testa. Abbassò il braccio con il quale stava ancora indicando la macchina e si avvicinò ad un passo da me. Il suo sorriso e i suoi occhi mi scioglievano, mentre sollevava una mano per scostarmi i capelli incollati al viso dalla pioggia. Il contatto con la sua mano fredda non mi infastidì, ero anch’io gelata.
« Andiamo » mi disse con una voce morbida e vellutata.
« S-si…..grazie » gli risposi uscendo da quella specie di trans in cui ero sprofondata.
Mi avvicinai alla Volvo e Edward aprì la portiera del passeggero
« Prego » mi disse.
Lo guardai stupefatta da quel gesto tanto galante quanto inusuale e non mi mossi.
« Oh fai con calma…..fa così caldo oggi! » mi disse ridendo mentre il temporale ancora impazzava su di noi.
Risi anch’io e mi infilai svelta in auto. Lo vidi aggirare il cofano e sedersi al posto di guida. Non appena chiuse la sua portiera accese il riscaldamento,
« Se non altro la pioggia ha lavato via la macchia » disse sorridendo e indicando la mia camicetta ormai fradicia.
« Già » risposi sorridendogli di rimando.
« Speravo proprio non si rovinasse….il blu ti rende ancor più deliziosa » sussurrò Edward mentre metteva in moto e partiva.
Il viaggio in macchina fu molto breve, quel ragazzo guidava come se fosse su un circuito di Formula 1 , e silenzioso. Non dicemmo una parola. Edward staccava gli occhi dalla strada per lanciarmi lunghe occhiate che non facevano che aumentare la mia paura di andare a sbattere contro qualche albero. Fuori casa mia spense il motore, che non fece il minimo rumore, così come all’accensione. Il paragone con il fracasso che produceva il mio Chevy mi nacque spontaneo e non potei fare a meno di ridere.
« Cosa c’è? » mi chiese Edward incuriosito.
« Niente, scusa » gli risposi mentre ancora ridevo.
Evidentemente si fece l’idea sbagliata e si guardò nello specchietto retrovisore
« Ho qualcosa che non va? » disse mentre si passava una mano tra i capelli ramati ancora zuppi.
Anche i miei erano ancora fradici ma a differenza sua, io avevo l’aspetto di uno spaventapasseri esposto ad un uragano, mentre lui sembrava un modello appena uscito dal set di uno spot pubblicitario.
« No, affatto Edw…..Cullen! » mi corressi subito.
In un attimo risollevai il muro che avevo costruito tra noi. Ma cosa mi passava per la testa? Era bastato un semplice giro in auto a farmi cedere? Dovevo ritornare sui miei passi. Nonostante Edward fosse di una bellezza quasi miracolosa , era pur sempre lo stesso ragazzo che qualche ora prima aveva provocato spudoratamente il mio Jacob. Poco importava che in quel momento mi sembrasse completamente diverso. Forse aveva parlato con Alice e ora si stava fingendo ciò che non era.
« Siamo di nuovo ai cognomi, Bella? » mi disse sconfortato
« Certamente, Cullen. Cosa ti aspettavi? » gli risposi brusca
Edward sospirò per poi puntare lo sguardo al parabrezza, ma sembrava che stesse guardando un punto all’orizzonte inesistente.
« Nulla….» accese il motore della Volvo « Buon pomeriggio, Swan »
Aprii la portiera della macchina, ma fu più forte di me. Mi voltai verso di lui prima di scendere
« Grazie….» gli dissi piano.
Il suo sguardo parve illuminarsi e tornare vivo, si voltò puntando i suoi occhi nei miei
« Di niente » mi rispose quasi dolcemente, sfiorandomi la mano con un dito.
Uscii dalla Volvo, richiusi lo sportello e mi avviai verso casa mentre sentii le ruote sgommare veloci sull’asfalto. Percorsi il vialetto lentamente, tanto ormai ero completamente inzuppata d’acqua. In quei pochi passi, non potei fare a meno di chiedermi se quel piccolo pezzetto di Edward Cullen che avevo appena visto fosse parte di un qualcosa di più grande.



Angolo autrice : PER FAVORE recensite !!

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Capitolo 18
*** CAPITOLO 15 - Mille e una notte - parte prima 'Sam Uley' ***







CAPITOLO 15 – “Mille e una notte- parte prima "Sam Uley"


Corsi su per le scale con i capelli ancora bagnati dopo la doccia, avevo appena infilato i vestiti fradici nella lavatrice, e nel frattempo tentavo di raccoglierli in una coda per evitare che mi bagnassero la maglia della tuta. Quando superai indenne la salita delle scale, sempre di corsa entrai nella mia camera e rimasi un attimo interdetta. C’era qualcosa di diverso ma….cosa?
Il letto era rifatto, la scrivania era in ordine, l’armadio era chiuso, i vestiti erano a posto, le tende erano aperte come sempre….ecco cos’era! Le tende lilla erano luminose, erano sfiorate da una forte luce che entrava dalla finestra che incorniciavano. Non potevo crederci.
Mi avvicinai dubbiosa alla prima delle due finestre della mia camera e guardai fuori : c’era il Sole. Sul momento non realizzai subito, così mi grattai la testa con la mano destra, e ancora più dubbiosa di prima andai alla seconda finestra, guardando fuori anche da quella: Sole.
Scoppiai a ridere di me stessa, cosa pensavo di trovarvi? Un altro cielo di un altro posto? La vista del Sole mi aveva colto talmente di sorpresa che avevo sentito il bisogno di controllare anche dall’altra finestra che fosse vero, che il Sole stesse sul serio illuminando la piovosa cittadina di Forks.

Possibile che quel furioso temporale di appena un’oretta prima fosse del tutto scomparso? E per cosa poi….per lasciare il posto addirittura al Sole? Ancora stentavo a crederci! Sentii il buonumore di quella mattina esplodermi rinnovato nel cuore e sul viso, sorridevo! Aprii la finestra e mi poggiai al davanzale con i gomiti, godendomi ad occhi chiusi il tepore di quel piccolo miracolo sul mio viso.
Dopo qualche minuto mi stiracchiai le braccia in avanti, stringendo con la mano sinistra il polso destro, sentendo un fastidioso bruciore. Riaprii gli occhi e mi ricordai di non aver messo di nuovo il cerotto sull’escoriazione al polso dopo la doccia. Normalmente avrei sbuffato, perfino imprecato contro la mia goffaggine, ma non quel giorno. Ero piena del mio buonumore ritrovato, e quel Sole mi dava un motivo in più per essere felice.
Scesi le scale e saltellante andai in cucina, presi la cornetta del telefono appesa al muro accanto al frigorifero e composi il numero. Mentre gli squilli andavano aprii meccanicamente lo sportello del pensile sopra la mia testa, ne tirai fuori la cassetta del pronto soccorso e la poggiai sul ripiano della cucina.
« Casa Black » mi rispose una voce profonda
« Hey Billy! Sono Bella, c’è Jake? » incastrai la cornetta tra l’orecchio e la spalla, per frugare nella cassetta alla ricerca di un cerotto.
« Ciao Bells! Si è qui, vuoi che te lo passi? »
« Magari, grazie » nel frattempo aprivo le linguette della mia medicazione.
«…Jaaake! Telefono! » sentii Billy seppur in lontananza.
Non potei fare a meno di sorridere, mentre poggiavo il cerotto sulla mia escoriazione: la casa di Jacob era praticamente un buco, eppure Billy lo aveva chiamato come se fosse lontano miglia!
« Sì? »
« Jacob? » chiesi un po’ dubbiosa.
« Ciao Bells...» mi rispose con lo stesso tono di prima
« Jake cos’è questa voce? »
« Quale voce? » ecco, per l’appunto. Era triste.
« A me non la dai a bere….lo sai vero? » richiusi la cassetta con il solito scatto.
Lo sentii sghignazzare debolmente dall’altro capo del telefono.
« Educazione fisica oggi? »
« Perché? » o meglio, come faceva a saperlo?
« Hai appena richiuso la cassetta del pronto soccorso che tieni in cucina »
Mi guardai intorno circospetta, prima di rispondergli. Doveva essere lì da qualche parte a spiarmi.
« Dove sei, Jake? » gli dissi.
« Che domanda è, Bells? »
Stavo per aprir bocca….poi ricordai che ero al telefono con lui, che l’avevo chiamato a casa, che mi aveva appena risposto Billy….così con la faccia di un’ebete presi il telefono dalla spalla e me lo portai davanti, scrutandolo con l’espressione più incredula al mondo. Me lo portai di nuovo all’orecchio
« Se io sto parlando con te, che sei a casa tua….come fai a sapere cosa stavo facendo? » chiesi lentamente.
« Ahhh » lo sentii sospirare « Oramai riconosco il rumore dello scatto di quella cassetta, Bella. La usi talmente tante volte che potrei riconoscerlo anche a capodanno tra i fuochi d’artificio » mi rispose scocciato.
Istintivamente mi colpii la fronte con il palmo della mano, ma quanto ero stata stupida?
« Hai ragione! » risi « non ci avevo pensato! » e continuai a ridere.
« Bells, tutto a posto? …. Mi sembri pazza! » non potevo dargli torto.
« Scusami Jake è che….c’è il Sole! » dissi strillando e saltellando.
« E allora? » mi rispose monotono.
C’era qualcosa che non andava.
« “E allora”, Jacob?! Questa cittadina vede il Sole una volta ogni mille anni, e tu mi rispondi “E allora” ?? » lui mi rispose con uno sbuffo.
Tentai di ricompormi un momento da quella follia che mi pervadeva, complice il bel tempo, e continuai
« Jacob Black…cos’hai? »
« Nulla, Bells. Avevi chiamato per qualcosa? » era proprio triste e scocciato
« Non starai ancora pensando a stamattina, vero? »
Sbuffò ancora più forte, talmente tanto che dovetti allontanare la cornetta dall’orecchio.
« D’accordo » dissi « Ci vediamo più tardi da te, come promesso. » mi stava nascendo una strana idea.
« Certo, certo »
« Ciao tesoro » e riagganciai.
Riposi la cassetta al suo posto. Non potevo permettere che il mio sole personale fosse triste, mai, tantomeno in un pomeriggio di bel tempo. Mi sentivo euforica, completamente ed irrecuperabilmente euforica! L’idea che mi era nata in testa poco prima non mi sembrò più così strana, e anche se lo fosse stata, me ne sarebbe importato ben poco quel pomeriggio!
Così corsi nuovamente al piano superiore, evitando di un pelo una caduta sull’ultimo gradino, e afferrai il cellulare. Cercai il numero in rubrica e avviai la chiamata, mentre i primi squilli partivano, mi specchiavo aggiustando la coda ai capelli ormai asciutti.
« Pronto? » rispose vivace come sempre.
« Ciao, Seth » dissi altrettanto vivacemente
« Hey, Bella! »
« Seth, avrei bisogno di un favore » andai all’armadio e lo aprii.
« Spara! »
« Dovresti accompagnarmi con la moto in un posto…» lasciai cadere la frase volutamente, mentre prendevo una maglietta a mezze maniche. Seth non avrebbe mai detto di no a nessuno.
« Jacob non può? » già, il suo mito vivente, dovevo aspettarmelo che domandasse di lui.
« No, non può. E’ una sorpresa. » almeno questo potevo dirglielo.
« Forte! Quando passo? » era tutto entusiasta….lo sarebbe stato un po’ meno quando fossimo giunti a destinazione.
« Anche subito, per me » richiusi l’armadio
« Cinque minuti e sono sotto casa tua » riagganciò senza salutare.
Sorrisi felice, ancora convinta della mia idea e travolta dall’esuberanza di Seth, e mi vestii più in fretta che potei.




« No, no, no, e No! Non ci entro lì dentro! » Seth indicava il negozio guardando me, paonazzo.

« Seth…» lo guardai severa «..Non fare il bambino! » lo presi per un polso ed iniziai a trascinarlo.
« Non faccio il bambino, ma li dentro io non vengo! » si lamentò divincolandosi dalla mia presa.
« Ho bisogno di un consiglio, Seth » glielo ripetei per la milionesima volta, quasi afflitta.
« Allora dovevi portarti Angela »
« Certo! Così a Jacob sarebbe venuto un infarto! » conoscendo Angela, avrebbe scelto qualcosa di esagerato.
« Perché, cosa pensi gli verrebbe se venisse a sapere che ti ho aiutato IO a scegliere?? E sono sicuro che prima di stramazzare al suolo troverebbe lo stesso la forza per riempirmi di botte! » incrociò le braccia al petto e si appoggiò alla moto deciso a non muoversi. Sbuffai.
« Codardo! » gli dissi con un’occhiata truce prima di voltarmi ed incamminarmi.
« Fulminata! » disse alle mie spalle alzando la voce.
« Poppante! » gli gridai senza voltarmi.
« Isterica! » gridò a sua volta.
Mi voltai giusto per fargli una linguaccia, prima di posare una mano sulla maniglia ed entrare nel “Mille e una notte” il negozio di lingerie più famoso di Port Angeles.



In un’ora ero riuscita a comprare ciò che volevo, tornare a casa, cambiarmi ed ora ero alla guida verso la riserva. La radio suonava a tutto volume una nuova canzone che non conoscevo, il vento entrava dai finestrini spalancati a scompigliarmi i capelli ed io avrei giurato di non essermi mai sentita tanto felice!
Le prime case cominciavano a sbucare tra gli alberi fitti, non mancava ancora molto alla mia meta. Abbassai lo specchietto del guidatore per darmi una rapida occhiata : non ero truccata, come mio solito, ma mi vedevo carina. Avevo scelto con cura il mio abbigliamento, volevo essere femminile, ma senza sembrare troppo diversa dal solito. Così alla fine avevo optato per una semplice polo nera in cotone, una minigonna in jeans a metà coscia e le mie adorate Converse nere.
Da lontano riuscivo già a scorgere la casa in legno di un rosso scolorito che era ormai la mia seconda dimora, e fuori, accanto al furgoncino di Billy, l’auto della polizia di Charlie. Mi aveva lasciato un biglietto a casa, nel quale mi informava che sarebbe passato da Billy nel pomeriggio per alcune commissioni. Parcheggiai e distrattamente spensi la radio con un gesto automatico.
Scesi dallo Chevy e richiusi la portiera, dirigendomi verso casa Black. In quel momento uscirono Quil Ateara e Seth, che avevo precedentemente minacciato di non rivelare a nessuno di esserci visti.
« Hey ragazzi! Andate via? » li salutai con un cenno della mano
« Ciao, Bells » Seth fu abbastanza credibile, dovevo ammetterlo
« Sì Bella, assolutamente sì! » rispose Quil visibilmente scocciato
« Perché non restate un altro po’? »
« Tsè! Vorrai scherzare! Stacci tu con mister Depressione! » Quil indicò la porta.
Non potei fare a meno di ridere
« Lo so, oggi è un po’ giu…»
« Un po’ giù ?! » mi risposero entrambi all’unisono con delle facce allibite.
« Va bene, va bene….è uno strazio lo so! Allora sciò, via, ci penso io. » li incitai indicando gli alberi con dei rapidi gesti delle mani, mentre a Seth sfuggì una risatina.
Lo avrei di certo incenerito con lo sguardo se non avessi visto chi ci osservava dal limitare del bosco. Con dei calzoncini al ginocchio e a torso nudo, si ergeva in tutta la sua stazza Sam Uley, affiancato da Paul. I due sembravano la copia l’uno dell’altro : stesso abbigliamento, stesso tatuaggio tribale sulla spalla destra, stesso taglio di capelli…..ma la cosa più inquietante, era la stessa espressione dura del volto, lo stesso sguardo profondo ed indagatore di chi conosce qualcosa che tu non capirai mai.
In quel momento osservavano me, ultimamente lo facevano più spesso del solito quando li incrociavo….e proprio come in quel momento la mia reazione era sempre la stessa, sostenevo il loro sguardo senza distogliere il mio. Era una strana sensazione, il loro sguardo mi penetrava a fondo e mi poneva domande delle quali non coglievo il senso.
Mi inquietavano, ma non lo avevo mai mostrato, mi facevo forza e non abbassavo mai per prima lo sguardo….e lo facevo per Jacob. Il modo in cui guardavano me non era nulla in confronto a come lo facevano con lui. Sembrava quasi volessero scavarlo dentro ogni volta, e mentre a me, i loro sguardi ponevano domande, a lui imponevano certezze. Certezze inquietanti, di quelle che ti fanno battere il cuore a mille e ti fanno venir voglia di fuggire via, lontano, ma non puoi….perchè allo stesso tempo ti trattengono, ti imprigionano in qualcosa che senti sia inevitabile. Sapevo bene che Jacob temeva quegli sguardi e quelle certezze, li avrebbe temuti chiunque.
Ma io dovevo essere forte, e ogni volta mi dimostravo tale soprattutto per lui, per dimostrargli che quegli sguardi non ci avrebbero mai toccati, che le certezze che volevano imporgli non ci avrebbero nemmeno sfiorati, e che se anche fosse arrivato il giorno in cui le avremmo dovute affrontare saremmo stati comunque insieme. Anche quella volta Sam fu il primo a distogliere lo sguardo e a sparire oltre gli alberi seguito da Paul.
« Bella, ma come diavolo fai? » mi chiese stupito Seth.
Quil invece mi fissava a bocca aperta
« A fare cosa? » gli chiesi riprendendo il controllo delle mie emozioni dopo quella spiacevole invasione del mio profondo.
« A reggere lo sguardo di Sam Uley! A me mette i brividi anche solo sapere che mi guarda »
« Già…è terrorizzante » confermò Quil.
Sorrisi ad entrambi e cercai di alleggerire l’atmosfera
« Andiamo ragazzi…è solo un bulletto di terza categoria! Il nostro Jake potrebbe mangiarselo a colazione! » non ero stata molto convincente,ma i ragazzi colsero la palla al balzo.
« Sì, sì come no. Oggi Jake si farebbe schiacciare perfino da Seth! » disse ridendo Quil e indicando il compagno al suo fianco.
I due giovani Quileute iniziarono delle schermaglie manesche e mi salutarono allontanandosi così.
Tirai un bel respiro per rilassarmi e nel mentre sentivo le voci di Charlie e Billy provenire dall’interno della casa. Un sorriso mi nacque spontaneo a quel suono così familiare, accompagnato dall’odore di legna di casa Black. Quella era casa mia, anzi era di più, era la casa dove regnava sempre il buonumore, dove splendeva un bellissimo Sole, lo stesso che quel giorno era coperto da una nuvolaccia nera, ed io ero lì per lui.
Aprii la porta di casa Black con un gran sorriso, Charlie era seduto sul divano del piccolissimo soggiorno, con Billy alla sua sinistra sulla sua sedia rotelle.
« Buon pomeriggio! »
Distolsero per un secondo lo sguardo dal tg sportivo pomeridiano
« Ciao Bells » mi rispose Charlie distrattamente
« Ciao scricciolo! » mi salutò Billy con un sorrisone e spalancando le braccia.
Andai da lui e lo abbracciai. Mi voleva davvero bene, diceva di considerarmi come la sua quarta figlia, ed infondo non era stata una sorpresa nè per lui nè per Charlie quando io e Jacob avevamo iniziato a frequentarci.
« Come stai, Bill? » gli chiesi sciogliendo l’abbraccio
« Io benone! È quel bamboccione di mio figlio che oggi ha la luna storta! » mi rispose indicando con il pollice un piccolo corridoio di fronte alla porta d’ingresso e gli occhi nuovamente puntati al televisore.
« Vado da lui. » dissi , ma i due avevano già ripreso a battibeccare delle notizie sportive.


Fine prima parte




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Capitolo 19
*** CAPITOLO 15 - Mille e una notte - parte seconda 'Garage' ***







DOVE ERAVAMO RIMASTI :

.....Aprii la porta di casa Black con un gran sorriso, Charlie era seduto sul divano del piccolissimo soggiorno, con Billy alla sua sinistra sulla sua sedia rotelle.
« Buon pomeriggio! »
Distolsero per un secondo lo sguardo dal tg sportivo pomeridiano
« Ciao Bells » mi rispose Charlie distrattamente
« Ciao scricciolo! » mi salutò Billy con un sorrisone e spalancando le braccia.
Andai da lui e lo abbracciai. Mi voleva davvero bene, diceva di considerarmi come la sua quarta figlia, ed infondo non era stata una sorpresa nè per lui nè per Charlie quando io e Jacob avevamo iniziato a frequentarci.
« Come stai Bill? » gli chiesi sciogliendo l’abbraccio
« Io benone! È quel bamboccione di mio figlio che oggi ha la luna storta! » mi rispose indicando con il pollice un piccolo corridoio di fronte alla porta d’ingresso e gli occhi nuovamente puntati al televisore.
« Vado da lui. » dissi , ma i due avevano già ripreso a battibeccare delle notizie sportive........




CAPITOLO 15 – “Mille e una notte”- parte seconda "Garage"




Il piccolo corridoio accanto alla cucina contava una sola porta, quella della camera di Jacob.
Aprii la porta senza bussare, e lo vidi disteso prono sul suo letto, quasi troppo piccolo per lui, con la faccia immersa nel cuscino e i capelli lunghi sciolti tutti spettinati. Non si era nemmeno accorto della mia presenza. Per un attimo mi godetti lo spettacolo che la natura magnifica del mio ragazzo mi offriva : le braccia alzate accanto alla testa sul cuscino mettevano in evidenza le spalle grosse, fasciate dalle mezzemaniche della t-shirt nera che indossava. Scendendo con lo sguardo notai che la t-shirt cadeva più larga sul busto, che per effetto delle braccia alzate, lasciava scoperti i fianchi dalla pelle liscia e bronzea. Leggermente più in basso spuntava il bordo di cotone elasticizzato dei boxer neri, che si perdevano poi nel jeans blu scuro riempito alla perfezione da un sedere tondo e sodo. Lo spettacolo terminava con la discesa delle sue gambe forti e i piedi nudi.
Mi sforzai non poco per trattenermi dal tuffarmi con lui su quel letto. Mi ravvivai un po’ i capelli, che avevo acconciato mossi, imbarazzata dal dover sostenere tanta bellezza, prima di parlare.
« Sai che tuo padre ti chiama bamboccione? »
Jacob sussultò appena alla mia voce e si girò di scatto. Aveva le guance tutte rosse, talmente tanto che riuscivo a scorgerne il colore distintamente nonostante la sua carnagione scura. Per un momento sembrò stupito, soffermando il suo sguardo prima sulle mie gambe e poi sul mio viso.
« Ehmm…. » provò a dire.
Poi scosse la testa e si riprese da quell’attimo di stupore. Si tirò su a sedere, poggiando i piedi per terra e sbuffò, portando lo sguardo sul pavimento.
« Qui nessuno si fa mai gli affari suoi » borbottò
« Non è questo, Jake. E’ che sembra strano a tutti vederti così. » e lo indicai dalla testa ai piedi poggiandomi allo stipite della porta.
Sollevò appena lo sguardo da terra verso di me, sempre con il volto abbassato, e mi sembrò tanto un cucciolone. Gli sorrisi per incoraggiarlo, e per fargli capire che io ero lì proprio per quello. Jacob sospirò alzando la testa, battè con le mani due volte sulle sue cosce e poi aprì le braccia pronto ad accogliermi. Colsi al volo quell’invito, mi avvicinai e mi sedetti sulle sue gambe.
Mi abbracciò forte nascondendo il viso tra la mia spalla ed il collo, mentre io gli cingevo con un braccio le sue grandi spalle e con l’altra mano gli carezzavo piano la testa. Istintivamente iniziai a dondolarmi avanti e indietro, come per cullarlo. Jake a volte era soltanto un bambino intrappolato in un corpo enorme. E questo faceva nascere in me un senso di protezione pari a quello che si può provare per un figlio, come in quel momento.
Dopo poco mi lasciò un piccolo bacio sul collo, poi sollevò la testa dal suo nascondiglio e prese la mia mano destra che gli carezzava ancora la testa. Mi guardò negli occhi con uno sguardo dolcissimo e mi sorrise. Quel sorriso sarebbe valso mille sacrifici e mille torture, per quel sorriso tanto dolce e sereno avrei affrontato le pene dell’inferno, per quel sorriso adorabile, dedicato solo a me, avrei dato ogni cosa. Si portò la mia mano al viso e la carezzò con una guancia, prima lasciarvi una scia di baci dalle dita al polso, fermandosi sul cerotto che copriva l’escoriazione di quella mattina. Il suo sorriso allora cambiò, e potei scorgervi un misto di divertimento e amore, poco prima che sollevasse la testa dal mio polso per baciarmi. Le sue labbra calde si mossero lente e delicate sulle mie, con una dolcezza unica.
« Pallavolo o Badminton? » mi sussurrò sorridente con gli occhi puntati nei miei, mentre sfregava con il pollice il cerotto.
Gli sorrisi di rimando, sollevai il braccio sinistro dalle sue spalle ed iniziai a passargli la mano tra i capelli lunghi, come per pettinarli.
« Pallavolo….» gli tirai indietro le ciocche spettinate che gli ricadevano sulle guance.
« Sei un disastro » la sua voce era sempre bassa, dolcissima, la sua mano destra carezzava la mia schiena dall’alto in basso.
« E tu….» mossi la mano incerottata e gli sfilai il solito elastico nero che portava al polso sinistro «..sei un bamboccione spettinato » parlavo anche io sottovoce senza sapere bene il perché.
Gli raccolsi la folta chioma setosa in una specie di cipolla poco più su della nuca. Jacob non si mosse, e continuò a tenere i suoi occhi incollati nei miei, con quel sorriso che ti scalda l’anima finalmente ritornato sul suo volto. Lo osservai un momento senza dire nulla, con le braccia poggiate sulle sue spalle, e le sue mani che mi carezzavano piano la schiena e ora anche le cosce.
I capelli raccolti mettevano ancora più in risalto i bellissimi lineamenti di quel viso indiano. Solo in quel momento notai quanto il mio Jacob stesse crescendo in fretta. Gli zigomi iniziavano a pronunciarsi, le guanciotte paffutelle stavano scomparendo, e la mascella sembrava più quadrata. Dio se era bello….e lo diventava ogni giorno di più.
« Staresti bene con i capelli corti. » gli dissi lasciandogli un piccolo bacio su uno zigomo.
« Vuoi che me li tagli? » sussurrò lui lasciandone uno anche a me sullo stesso punto.
« No…era un’osservazione. » gli baciai la punta di quel meraviglioso naso e strinsi le braccia intorno al collo.
« Ma ti piacerei di più? » come prima ricambiò il mio stesso bacio, con una voce bassa alla quale non sapevo resistere.
Avvicinai i nostri visi tanto da poter sentire il suo caldo respiro nella mia bocca, le nostre labbra quasi sfiorarsi….era una questione di millimetri.
« Più di così?.....impossibile » soffiai quelle parole quasi senza voce,più basse di un sussurro e lo baciai.
Le mie labbra cercavano le sue molto meno teneramente di quanto aveva fatto lui. La sua calda lingua trovò la mia in meno di un secondo ed iniziò il suo corteggiamento. Jacob strinse la presa attorno al mio fianco con il braccio destro, e con il sinistro spinse le mie cosce avvicinandomi di più a se. I nostri toraci incollati si muovevano al ritmo di un unico respiro. Il mio istinto mi gridava di abbandonare quella seduta da bambina e di mettermi a cavalcioni su quella statua di bronzo bollente che mi mordicchiava le labbra, ma la ragione mi ricordava che appena a qualche metro di distanza, nel minuscolo salotto, guardavano la tv ignari di tutto i nostri padri.
« Bella? » sentii chiamare Charlie proprio in quel momento
Mi alzai di scatto tutta rossa in viso, mentre Jacob se la rideva sotto i baffi. Mi ricomposi in un secondo ed uscii in corridoio
« Accompagno Billy dai Clearwater e poi torno in centrale. Stasera ceniamo qui, ti va? » mi chiese mentre apriva già la porta d’ingresso.
« Certo! Cosa preferite? »
« Non ti preoccupare scricciolo, ordiniamo una bella pizza. » Billy mimò con le mani una pizza enorme e mi venne da ridere.
« Va bene. A stasera! » salutai con la mano.
Charlie spinse la carrozzella di Billy appena fuori la porta, e si voltò
« Sta attenta, Bells. »
« Hey c’è il mio ragazzo con lei, è in una botte di ferro! » si intromise Billy
« E’ proprio del tuo ragazzo che mi preoccupo, vecchio. » gli rispose e uscirono ridendosela sonoramente.
Quei due a volte sembravano più ragazzini di me e Jacob.
Non appena giunse in casa il rumore dell’auto della polizia che si allontanava, due mani grandi e forti mi strinsero i fianchi, e delle labbra bollenti mi lasciarono un umido bacio sul collo. Dovevo mettere in atto il mio piano… così mi divincolai dalla sua presa e saltellai nel bel mezzo del soggiorno, con le mani sui fianchi ed un sorriso di sfida sul volto rivolto a Jacob
« Pazza! » esclamai convinta.
A Jacob cadde letteralmente la mascella prima di rispondere
« Tu….vuoi giocare a quella stupidaggine, proprio adesso ?? » era incredulo.
Io e Jake avevamo un gioco tutto nostro. Consisteva nel dire in una sola parola quello che l’altro stava pensando. Fin quando entrambi indovinavamo, si andava avanti, se uno dei due sbagliava, l’altro era il vincitore. Ormai ci conoscevamo così a fondo che negli ultimi anni ci giocavamo per ore senza mai avere un vincitore. Il mio piano per il pomeriggio iniziava proprio da lì, non sarebbe stato facile, ma sarei riuscita a fargli capire cosa avevo in mente.
« Completamente pazza. » gli risposi a conferma della sua domanda.
Jacob sbuffò rassegnato, poi si poggiò con la spalla al muro e si arrese al gioco
« Vittoria…» giusto, avevo appena pensato di aver vinto convincendolo a giocare.
« Letto. » rilanciai subito, ero convinta che stesse ancora pensando al suo letto con noi due abbracciati sopra. Al nostro bacio interrotto da Charlie…
« Bacio.. » rispose lui con un sorrisino malizioso in volto cogliendo al volo il mio pensiero.
« Baci… » azzardai io al plurale…se la fortuna era dalla mia, ero riuscita a fargli ripensare a tutti i baci della giornata.
Quando mi sorrise ancora di più, capii di aver indovinato e mi fu impossibile arrestare le immagini che scorrevano nella mia testa di quella mattina nel cortile della scuola…
« Scuola.. » rispose Jacob avanzando di un passo verso di me….centrata in pieno!
« Parcheggio… » dissi sicura, ormai ce l’avevo in pugno, entrambi pensavamo al bacio sulla moto di quella mattina.
« Moto… » ribattè lui avvicinandosi ancora.
Ecco, questo era il punto….dovevo giocarmi alla perfezione questo momento. Conoscendolo, i suoi pensieri vagavano dal nostro bacio alle sue creature in garage, così lanciai quella che speravo sarebbe stata l’ultima deduzione, prima che lui capisse cosa avevo in mente io
« Moto, auto, e attrezzi… » risposi facendo un passo indietro.
Jacob sembrò spiazzato per un secondo, avevo ovviamente indovinato il suo pensiero…..ma rimase spiazzato per quello che pensavo io. Perché , ovviamente, anche lui aveva appena indovinato….ma non ne coglieva il senso. Così, esitante mi disse
« Garage…? » Bingo!
Ero riuscita nella mia impresa! Dalla mia bocca uscì un piccolo risolino, mentre lasciavo Jake imbambolato in soggiorno ed uscivo di casa correndo verso il retro.
Sul retro di casa Black, dopo una barriera di cespugli, nel fitto degli alberi, sorgeva il garage di Jacob. Era una specie di unione tra due casotti prefabbricati,adiacenti e privi di barriere divisorie, con solo un’enorme porta a due ante e un paio di finestre quasi sotto il tetto. All’interno subito sulla destra, vi era un enorme bancone degli attrezzi pieno di cassetti, che costeggiava la parete destra, seguiva l’angolo, e continuava sulla parete di fronte. C’erano attrezzi di ogni tipo sparpagliati dovunque. Il restante spazio, era occupato dalla moto nera di Jake, un’altra moto rossa che stava ricostruendo, e la sua Golf.
Quando raggiunsi il garage ne spalancai le porte e terminai la mia breve corsa indenne raggiungendo la parte del bancone degli attrezzi sul fondo, dritto davanti all’ingresso. Jacob mi raggiunse qualche secondo dopo, anche lui ridendo
« Bells ma che ti prende? » rideva di gusto.
Era arrivato il momento di mostrargli il mio pensiero. L’idea mi imbarazzava, ma mi bastò percorrere ancora una volta la sua figura con lo sguardo per lasciarmi andare.
« Chiudi la porta, Jacob. » gli dissi togliendomi il sorriso dalla faccia.
« Ma…»
« Tu chiudila e basta » insistetti.
Jacob tornò di qualche passo indietro e chiuse le due enormi porte.
« Cosa… » tentò di domandarmi mentre avanzava verso di me.
« Shhh » lo interruppi ancora.
Lui era fermo, a metà strada tra me e le porte. Dalle finestre alte giungeva filtrata la tiepida luce del tramonto che dava a tutto una particolare luce rosso-arancione. Jacob era ancora più meraviglioso in quella luce. La sua pelle bronzea sembrava ancora più scura, i suoi occhi ancor più intensi. Feci scivolare il mio sguardo lungo tutto il suo corpo: i capelli legati, il viso dall’espressione spaesata, il torace ampio sotto la t-shirt nera, i jeans blu scuro, e i piedi nudi. Mi bastò quella panoramica per perdere del tutto ogni freno. Mi avvicinai a lui lentamente, inchiodando i miei occhi nel mare scuro dei suoi, e gli poggiai una mano al petto
« Com’è la sensazione di avere entrambi i tuoi amori nella stessa stanza? » gli dissi piano, riferendomi a me e ai suoi motori.
« Bellissima » rispose Jacob ancora un po’ confuso.
« Potrebbe essere ancora meglio?...» chiesi facendo scorrere lentamente le mie mani sui suoi fianchi.
« Non credo » mi disse.
Mi sollevai sulle punte dei piedi per raggiungere il suo orecchio e sussurrargli
« Pensaci bene…. » infilai le mani sotto l’ampia t-shirt e carezzandogli i fianchi.
Jacob fu scosso da un piccolo fremito, e il suo respiro divenne leggermente irregolare. Mi avvicinai ancora di più, facendo toccare i nostri corpi e lo baciai. Assaggiai le sue labbra carnose come si fa con una pietanza prelibata, piano e a fondo. Le baciavo, le succhiavo, le mordicchiavo.
« Bella io non credo che….» tentò di dire.
« Lasciati andare, Jake….» gli dissi in un tono di voce che non sembrava nemmeno più il mio.
E a Jacob Black tanto bastò.
Mi prese il viso tra le sue grandi mani e mi baciò lui stavolta. La sua calda lingua fu la prima cosa che sentii, ne ero ingorda, insaziabile. Il nostro bacio divenne sempre più vorace, ci stavamo mangiando a vicenda e Jacob aveva sempre avuto un sapore…un sapore irresistibile, era una sorta di afrodisiaco, ne bastava solo un assaggio per volerne sempre di più e sempre più forte. Le mie mani incominciarono a muoversi di volontà propria, mentre gli carezzavo i fianchi, la schiena e il busto sotto la t-shirt. Le sue mani calde scesero dal mio viso ai fianchi, e mi premette forte contro di lui. Sentivo che stava per prendere il controllo della situazione, così mi distaccai un pochino. Questa volta volevo condurre anche io i giochi, volevo essere anche io quella che teneva l’altro nelle proprie mani. Jacob mi guardò sorpreso, e quando mi allontanai da lui facendo qualche passo indietro la sua espressione stupita aumentò…….


Fine seconda parte




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Capitolo 20
*** CAPITOLO 15 - Mille e una notte - parte terza 'Anima e Corpo' ***






DOVE ERAVAMO RIMASTI :
.........
« Lasciati andare, Jake….» gli dissi in un tono di voce che non sembrava nemmeno più il mio.
E a Jacob Black tanto bastò.
Mi prese il viso tra le sue grandi mani e mi baciò lui stavolta. La sua calda lingua fu la prima cosa che sentii, ne ero ingorda, insaziabile. Il nostro bacio divenne sempre più vorace, ci stavamo mangiando a vicenda e Jacob aveva sempre avuto un sapore…un sapore irresistibile, era una sorta di afrodisiaco, ne bastava solo un assaggio per volerne sempre di più e sempre più forte. Le mie mani incominciarono a muoversi di volontà propria, mentre gli carezzavo i fianchi, la schiena e il busto sotto la t-shirt. Le sue mani calde scesero dal mio viso ai fianchi, e mi premette forte contro di lui. Sentivo che stava per prendere il controllo della situazione, così mi distaccai un pochino. Questa volta volevo condurre anche io i giochi, volevo essere anche io quella che teneva l’altro nelle proprie mani. Jacob mi guardò sorpreso, e quando mi allontanai da lui facendo qualche passo indietro la sua espressione stupita aumentò…….



CAPITOLO 15 – “Mille e una notte” - parte terza "Anima e Corpo"



Pov Jacob


Dio che sapore! E che profumo!
La pelle di velluto dei suoi fianchi sotto le mie mani non faceva altro che tentarmi. In un attimo mi dimenticai del perché due minuti prima avessi tentato di ragionare. Forse aveva ragione il mio vecchio, stavo diventando un bamboccione! Stavo per rifiutare quello che mi era parso l’invito più eccitante di tutta la mia vita. Bella, la mia Bella, che faceva le fusa come una gattina nel mio garage. Questa non me la sarei mai aspettata. Certo, era un po’ svitata, e a quanto pare la mia presenza aumentava esponenzialmente il suo grado di follia e la sua propensione a godersi la vita. Ma non avrei mai immaginato di sentirla così un giorno. Infondo lei era sempre così….goffa e scoordinata che non avrei mai pensato potesse ostentare tanta sicurezza…..e l’amavo anche per questo.
Le strinsi ancora di più la presa sui fianchi e la premetti forte contro di me. Volevo sentirla ancora più vicina, volevo assaporarla ancora più a fondo, volevo immergermi irreparabilmente nel suo profumo. La volevo, volevo Bella e nient’altro al mondo.
Quasi in risposta alla mia stretta la vidi scostarsi leggermente da me, interrompendo il nostro bacio. Perché? Avevo sbagliato qualcosa? Lo stupore doveva leggermisi in faccia perché la vidi quasi compiaciuta della mia reazione. Io continuavo a non capirci niente, e poi…..lo stupore aumentò. Bella sciolse la mia presa, indietreggiò di qualche passo e si portò le mani al bordo della polo nera che le stava d’incanto.
Santo Dio, dimmi che non stai per fare quello che penso, piccola.
Lentamente, vidi sollevarsi il cotone nero, che delicato e carezzevole scopriva il suo ventre, salendo sempre più in alto, fino a giungere al suo magnifico viso. In un istante fui catturato ancora una volta dai suoi occhi. Per quanto mi riguardava, il mondo intero poteva marcire all’inferno o andare a rotoli quando li fissavo…io non avrei visto altro. Quella cioccolata fusa era una pozione magica, qualcosa di sovrannaturale che madre natura le aveva donato solo per farmi impazzire.
Solo io potevo sapere quanto mutevoli potessero essere gli occhi di Bella. Nessun’altro al mondo era capace di leggerli come io ci riuscivo. E ne andavo fiero, era l’unica cosa che mi riempisse davvero d’orgoglio nella mia vita.
Solo io potevo leggervi la sua infinita dolcezza, quando mi sorrideva.
Solo io potevo leggervi la forza che nemmeno lei sapeva di avere, quando aveva qualcosa per cui lottare.
Solo io potevo leggervi l’ironia e il cinismo di chi ha intelligenza da vendere, per ridere su ogni cosa.
E solo io….potevo leggervi la potentissima sensualità di quando si abbandonava a me…proprio come in quel momento. Era quello che vedevo in quel preciso istante nei suoi occhi, una sensualità irresistibile. Irresistibile perché ostentava anche soddisfazione, la soddisfazione di avermi in pugno per una volta. L’incantesimo che mi legava magneticamente ai suoi occhi fu interrotto dalla polo nera che si passò sul viso, nell’atto di sfilarla, e io fui libero di guardare anche il resto del mondo….anche il resto di lei.
Cazzo sono morto! Sono fritto, sono andato, sono completamente fottuto!
Bella era una visione di un altro mondo. Era perfetta. Se ne stava lì a guardarmi con occhi languidi mentre io percorrevo avidamente ogni centimetro del suo corpo con lo sguardo. Rifeci in senso inverso lo stesso percorso che mi aveva portato ai suoi occhi. La morbida cascata di capelli mossi le ricadeva in onde perfette sulle spalle e le sfiorava i seni. Indossava un reggiseno di pizzo nero che metteva ancora più in risalto la sua pelle candida, bianca come la luna.
Restai a lungo a fissare quei seni piccoli eppure perfetti, contenuti in quel capo mortalmente eccitante che mai avrei pensato di vederle indosso, prima di continuare la mia discesa panoramica lungo lo splendido ventre piatto che si perdeva sotto il bordo della minigonna.
Idiota muoviti! Smettila di stare lì a sbavare come un pervertito e FA QUALCOSA!
Mossi un passo verso Bella e il fuoco che avevo dentro avvampò per tutto il corpo. Il mio desiderio per lei non era mai stato così forte, così potente, così totale! Ogni parte di me la desiderava, ogni cellula del mio corpo voleva perdersi in lei. Sentivo il mio corpo cambiare come ogni volta che l’avevo vicina in quel modo, il cuore triplicava i battiti, il respiro aumentava, i miei muscoli si contraevano da soli come in uno spasmo per raggiungere il suo corpo…ogni cosa di me tendeva a lei. Feci un altro passo incerto verso di lei, ma Bella mi sorrise maliziosamente ed indietreggiò, lasciando la distanza tra noi invariata.
« Ah ha, non si fa così.. » le dissi contrariato.
« Così come? » faceva la vaga, ma i suoi occhi non potevano mentirmi.
« Vieni subito qui! » tentai di ordinarle puntando un indice ai miei piedi.
Di tutta risposta Bella rise. Si lasciò andare ad una piccola e breve risatina, reclinando appena il capo all’indietro….che mi fece completamente perdere il controllo di me stesso.
Colmai la distanza che ci separava con soli due grandi passi, le infilai una mano tra i capelli alla base del collo stringendoli tra le mie dita e la baciai. Premevo forte le mie labbra sulle sue, quasi con prepotenza, mentre l’altra mano scendeva ad accarezzarle quella pelle tentatrice fino ai fianchi. Cercai quasi subito la sua lingua, sempre senza chiederne il permesso, e la trovai ad aspettarmi, con la mia stessa voglia di sentirla ancora mia.
Il sapore di Bella mi mandava in estasi, non esisteva nulla di più squisito al mondo. Avrei potuto vivere tutta la mia vita nutrendomi solo di lei, del suo sapore, del suo odore, della sua essenza.
Il calore che mi aveva avvolto tutto il corpo fino ad un attimo prima, arrivò ad annebbiarmi anche il cervello. In un nanosecondo tutto l’universo era scomparso, esistevamo solo io e la mia Bella.
Le mordicchiai il labbro superiore, mentre le sfioravo con due dita il ventre piatto. La sentii fremere sotto le mie mani….Dio che sensazione!
Adoravo suscitare in lei quelle reazioni, adoravo il fatto di essere l’unico al mondo a fargliele provare, adoravo essere l’unico uomo sulla Terra al quale veniva concesso di toccarla così.
In un attimo la sollevai per i fianchi e la misi a sedere sul bancone dietro di lei. Mi infilai tra le sue cosce nude quasi con prepotenza e schiacciai il mio corpo contro il suo, tenendola con le mani dietro la schiena. Solo in quel momento mi resi conto di quanto fossi eccitato, in quel brusco abbraccio la mia virilità aveva premuto forte contro la biancheria di Bella. La sentii sospirare forte, mentre involontariamente la sua schiena aveva tentato di inarcarsi verso di me, non riuscendoci per la morsa nella quale la tenevo stretta. Ma quel gesto così naturale ed incontrollato mi eccitò ancora di più.
Sciolsi l’abbraccio e scesi a baciarle la pancia, il primo bacio che le lasciai fu all’ombelico, per poi continuare su tutta la morbidezza di quel ventre candido. Ad ogni bacio lasciavo che le mie labbra si dischiudessero appena, sfiorandole la pelle anche con la punta della lingua, assaporandone ogni fremito, ogni tremolio. Quando le sfiorai con la lingua il bordo della minigonna le sfuggì un piccolo sospiro rumoroso. Volevo di più, volevo sentirla di più, volevo amarla di più.
Così mi sollevai ed avvicinai i nostri visi, incollando i miei occhi nel suo mare di cioccolato. Le sorrisi compiaciuto, mentre la mia mano destra iniziava una lunga discesa, carezzandola dal collo, passando per i suoi seni, sui quali mi soffermai appena, per poi giungere al suo basso ventre. Le baciai umidamente le labbra, mentre la mia mano si insinuava nella sua biancheria e trovava la sua femminilità. La sfiorai delicatamente e Bella interruppe appena il contatto tra le nostre labbra, lasciandosi sfuggire un gemito. Continuai ad accarezzarla sempre piano e lentamente, potevo vedere il suo piacere crescere ad ogni gesto. Bella si aggrappò con un braccio dietro il mio collo, che baciai istintivamente, mentre con l’altra mano afferrò il bordo del bancone sul quale era seduta.
La vidi chiudere gli occhi, prima di avvicinarsi al mio collo, dove iniziò a baciarmi e leccarmi avidamente. Sentivo il suo respiro forte accanto al mio orecchio, mentre venivo invaso anch’io da brividi caldi. Con un gesto lentissimo entrai in lei con un dito. Bella emise un gemito strozzato, stringendo forte i miei capelli. Iniziai a muovermi ritmicamente, seguendo il tempo dettato dal suo bacino, che aveva iniziato quella danza incontrollata che mi faceva uscire di testa.
Sentivo la mia Bella gemere affannata sul mio collo, quando aumentai quel nostro contatto di altre due dita. Dalle sue morbide labbra ne uscì quasi un grido soffocato, e avvolse le flessuose gambe intorno al mio bacino, in un invito esplicito a non fermarmi. E non lo feci…anzi, aumentai il ritmo della mia mano, che si muoveva ormai veloce a tempo con i suoi gemiti.
« Jake… » la sentii mormorare, ed avrei potuto morire in quel preciso istante.
Invece inaspettatamente sciolse la presa delle sue gambe intorno a me e mi sfilò la mano dalla sua biancheria. Mi fissò per un istante che a me parve interminabile.
Ecco, lo sapevo. Hai esagerato imbecille!
« Io….mi dispiace se….» tentai di dire qualcosa senza sapere cosa.
Prima che potessi trovare un senso per le mie parole, Bella mi sfilò la t-shirt. Restò a fissarmi per qualche momento, passandomi lo sguardo dalla testa al bordo dei miei jeans. Poi i suoi sguardi divennero carezze.
Poggiò le sue mani delicate sulle mie spalle e le strinse forte tra le sue dita, prima di sfiorarmi i pettorali per poi torturarmi con una lenta, lentissima, discesa lungo tutto il mio addome, fino al bordo dei boxer. Ad ogni carezza fremevo dalla testa ai piedi. Quella ragazza aveva un potere immenso su di me, sentire le sue mani sfiorarmi i fianchi mi faceva tremare le ginocchia. Avvicinò il suo viso al mio corpo con una lentezza che avrei giurato fosse studiata, e sentii il calore delle sue labbra inumidirmi il torace e gli addominali di morbidi baci.
Tu mi farai impazzire, bambina.
Mentre le sue labbra tornavano a deliziarmi il collo, sentii le mani di Bella sbottonarmi i jeans, che scivolarono inermi ai miei piedi nudi. Avrei potuto prendere il controllo della situazione in un secondo, ma non lo feci, era chiaro che anche Bella voleva fare la sua parte in questo splendido gioco a due.
La sua calda lingua mi lambì il lobo destro, e non riuscii a trattenere un sospiro di eccitazione. Le poggiai le mani sulle cosce ed iniziai ad accarezzagliele, godendomi la sua pelle di pesca sotto le mie dita. Chiusi anch’io gli occhi, e sentii un tocco leggerissimo sfiorare ancora una volta il bordo dei miei boxer. L’eccitazione era ormai tale che fui scosso da un fremito fortissimo che fece sorridere bella sulla mia pelle.
« Cosa ridi, streghetta..? » quasi stentai a riconoscere la mia voce, tra l’affanno e i tremolii.
Esattamente due secondi dopo capii perché aveva riso. Stava semplicemente pregustandosi la mia reazione a quello che stava per fare. Una sua mano si insinuò tentatrice nei miei boxer ed iniziò a carezzare leggermente la mia virilità.
Santoddio che qualcuno mi aiuti!
Mi lasciai sfuggire un sospiro ad ogni carezza fugace che Bella mi regalava, mandandomi in estasi. Sollevò appena la testa dal mio collo, guardandomi, mentre dalle carezze passava ad impugnare decisa il mio membro. Quasi mi sentii mancare, poggiai la fronte alla sua e strinsi la presa delle mani sulle sue cosce.
Bella si muoveva piano e a fondo, così come prima mi ero dedicato io a lei. Ero invaso dal piacere, non riuscivo a sentire altro, soltanto questo immenso e potente calore bruciante che mi regalava piacere ad ogni movimento. Bella non accennava a fermarsi, e quando il ritmo dei suoi movimenti aumentò mi ritrovai a gemere ad ogni sua stretta, ad ogni sua spinta. Persi completamente il controllo del bacino, che iniziò anche lui quella danza primordiale che prima aveva pervaso la mia amata. Sentivo nelle orecchie dei gemiti forti e incessanti, e mi ci volle un grosso sforzo per capire che fossero i miei. Ma non erano soltanto miei….non mi ero accorto di essermi nuovamente portato a giocare con la femminilità di Bella che ora non aveva più la gonna ed indossava soltanto una sottilissima coulotte in pizzo nero.
Quand’è che l’hai spogliata, ragazzino????
Erano i nostri gemiti forti ed incessanti quelli che arrivavano alle mie orecchie. Erano i nostri respiri affannati che si mescolavano, mentre i movimenti veloci della mano di Bella mi mandavano in paradiso e ritorno senza sosta.
Dovresti darti una calmata prima di fare qualche figura di merda colossale….
Ormai stavo per sragionare completamente, sfilai la mano dalla biancheria di Bella, incapace di controllare anche quella, e mi poggiai con entrambe le mani al muro pieno di attrezzi dietro di lei, sporcandomele di grasso. Nello stesso momento un’ondata più forte di piacere mi fece quasi gridare un gemito.
Ma sei scemo?? Datti una svegliata o il tuo compare esplode prima che Bella possa dire “Jacob”!
In un secondo di lucidità mi riguardai le mani e trovai il modo per porre fine a quella meravigliosa tortura e tornare al comando della situazione. Bella aveva giocato le sue carte, l’avevo lasciata fare per un po’, ma era arrivato il momento di ricordarle chi fosse l’uomo in quel garage…..



Pov Bella


Jacob teneva il viso accanto al mio, mentre fissava qualcosa dietro la mia testa. Era completamente perso e fuori controllo, e lo era grazie a me. In due anni di relazione non era mai successa una cosa simile, ero sempre stata travolta dalla sua esuberanza in quei frangenti, tanto da scordarmi perfino chi fossi….ma quel giorno avevo deciso che sarebbe andata diversamente. E lui fino a quel momento mi aveva lasciata fare, mi aveva permesso di giocare con il suo corpo come mai prima di allora…era una sensazione incredibile!
Poi improvvisamente si mosse, tornando dritto sulla schiena. Questo suo movimento mi spiazzò talmente tanto da interrompere il mio gioco che lo stava facendo impazzire, e lo fissai, come lui stava facendo con me. Sul viso aveva dipinto un sorriso eccitato e malizioso che poche volte gli avevo visto….forse mai, forse perché insieme avevamo sempre fatto “l’amore” e non avevamo mai giocato così tanto l’uno con le sensazioni dell’altro.
« Il nero ti dona… » sussurrò con la voce più roca e sexy che avessi mai udito
Percorse tutto il mio corpo dalla gola al ginocchio con una carezza lenta e pesante. Seguii con lo sguardo quel movimento, sorridendo alla lunga scia nera di grasso che mi aveva cosparso addosso con quel gesto.
« Se è per questo…. » gli presi le grandi mani tra le mie, stringendole forte « …dona molto anche a te » e percorsi anch’io il suo corpo con entrambe le mani, lasciando anche su di lui due lunghe scie di grasso nero, dalle spalle fino a quella sensualissima V del suo inguine.
Jacob si guardò e poi dal suo petto nacque un suono stranissimo, una specie di ringhio animalesco che ci lasciò stupiti entrambi. Forse lasciò stupita più me, perché Jake dopo qualche secondo mi afferrò per le natiche portandomi in braccio. Istintivamente mi aggrappai a lui con le gambe e con le braccia. Non capivo dove volesse portarmi, era molto improbabile che mi portasse in casa così….eravamo decisamente troppo poco vestiti per uscire da quel garage.
Lui mosse qualche passo ed ad un tratto si abbassò facendomi sedere su di una superficie morbida : la sella della sua moto nera.
Sentii un brivido di eccitazione scorrermi lungo tutta la schiena, mentre Jacob mi invitava a distendermi con una lunga carezza dalla pancia fino al collo, sicuramente sporcandomi ancora di più di grasso. Non potei rifiutare quel sensuale invito, ormai non ero più in grado di decidere nulla, ero stata di nuovo attratta e rapita dal vortice di passione che sprigionava quell’enorme bronzo di Riace.
Stesa sulla sella della moto, non riuscivo a vederlo, ma sentii distintamente le sue grandi mani divaricarmi le gambe, poco prima che facesse scorrere i suoi denti sul bordo della mia coulotte. Li fece scorrere da un fianco all’altro provocandomi brividi sempre più forti, fin quando non li sentii afferrare il bordo della biancheria di pizzo per trascinarla giù fino ai miei piedi, per poi sfilarla completamente. Pensai che da un momento all’altro l’avrei finalmente visto distendersi su di me, e invece ciò non avvenne.
Sentii la presa forte della sua mano afferrarmi e sollevarmi un ginocchio, mentre le sue labbra morbide ed umide mi lasciavano bollenti baci nel profilo interno della coscia. Fremevo ad ogni suo bacio, ad ogni suo sfiorarmi con la lingua…voleva farmi impazzire, e ci stava riuscendo benissimo. Lo sentii avvicinarsi pericolosamente al mio centro, ma non trovai la forza di fermarlo, nè tantomeno la volontà.
Quando sentii il primo, rovente, eppure delicato bacio sulla mia femminilità le mie mani scattarono da sole, infilandosi nei suoi capelli di seta e li strinsi forte. Ad ogni assaggio che Jacob prendeva di me, venivo devastata da esplosioni di puro piacere, un piacere incontenibile, che mi portava ad ansimare e gemere forte ad ogni carezza della sua lingua, ad ogni risucchio delle sue labbra. Anche Jacob gemeva nell’assaporarmi, ed io non potevo fare a meno di stringere sempre più forte i suoi capelli tra le dita, mentre perdevo completamente il controllo di me stessa, lasciandomi sfuggire gemiti e sospiri sempre più forti. La sua lingua e le sue labbra erano inarrestabili, e si muovevano fuori e dentro di me sempre più esperte, sempre più a fondo, sempre più decise, provocandomi un piacere incontenibile, che esplose in una devastante intensità, facendomi gridare forte il suo nome mentre raggiungevo l’apice del piacere tra le sue labbra.
Non avevo mai provato una sensazione simile in tutta la mia vita, e nonostante fossi completamente appagata ed affannata, la mia voglia di Jacob non diminuì. Mi sollevai di scatto e lo feci sedere dove fino a pochi istanti prima vi ero io, sul sedile di pelle nero.
Senza dargli il tempo di capire cosa stesse succedendo mi sedetti a cavalcioni su di lui, accogliendolo in me con un unico movimento deciso. Jacob reclinò all’istante la testa all’indietro, gemendo forte, e lo stesso feci anch’io, pervasa da quella sensazione di pienezza. Jake mi strinse forte i fianchi con le sue grandi mani, ed io iniziai quella danza che entrambi non potevamo più attendere. I nostri bacini si muovevano veloci e decisi, inondandoci di un piacere bollente e potente ad ogni spinta, sempre più forte, sempre più travolgente ad ogni movimento, fino a quando il mondo intero si annullò mentre entrambi esplodevamo insieme all’apice del piacere, con Jacob che invocava intenso e basso il mio nome.

Restammo a lungo abbracciati sulla sua moto, occhi negli occhi, a riempirci a vicenda il viso di teneri e lenti baci, stupiti ed increduli del modo in cui ci eravamo appartenuti. Era stato così strano pretenderci in un modo mai sperimentato prima, così diverso, così forte….così poco adolescenziale. Forse stavamo semplicemente crescendo insieme, ancora una volta. E ancora una volta era stato tutto così naturale, così semplice, così facile….come qualsiasi cosa facessimo insieme.
Se davvero stavamo crescendo, se davvero stavamo cambiando, lo stavamo facendo insieme…e non avrei potuto chiedere altro. Non avrei potuto chiedere di meglio.
L’unica cosa che potessi chiedere era che quel momento non avesse mai fine, che il mio Jacob non mi lasciasse mai da sola, che fosse sempre e per sempre al mio fianco e nella mia anima, ad amarmi, scaldarmi e rendermi felice dal profondo delle nostre anime. Volevo che promettesse, volevo quasi che giurasse, volevo suggellare in quel momento perfetto l’unione dei nostri spiriti
« Jacob? » gli sussurrai appena, con la guancia poggiata sulla sua forte spalla.
« Dimmi piccola » mi rispose sereno.
Sollevai la testa ed immersi i miei occhi nelle sue due stelle nere, che in quel momento brillavano di una felicità che solo io potevo condividere del tutto.
« Jacob….prometti. » glielo chiesi senza aggiungere altro.
Lui, Jacob Black, il mio Sole, il mio cuore, la mia intera e pura essenza, mi scavò nell’anima attraverso uno sguardo, come solo lui al mondo riusciva a fare, e sono certa che comprese.
« Te lo giuro, Bella. » mi rispose intenso, suggellando quel patto immortale tra le nostre anime.




Angolo autrice : PER FAVORE recensite !!

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Capitolo 21
*** CAPITOLO 16 - Punto di rottura ***






CAPITOLO 16 – “Punto di rottura


…….Tutto intorno a me era bianco e vuoto , solo in lontananza c’era qualcosa. Curiosa mi avvicinavo. Dopo pochi passi intravedevo che era una sagoma , ma non riuscivo bene a distinguere cosa fosse , perché esattamente alle spalle di quella figura , sulla destra , vi era una grande luce che l’abbagliava, mettendola in controluce. Più mi avvicinavo più sentivo mutare in me la curiosità in qualcosa di diverso,come se fossi guidata da una cosa più forte e più grande di me , un bisogno quasi fisico di riuscire ad arrivare a quella misteriosa apparizione. Ancora più vicina, la sagoma andava scurendosi , sommersa sempre di più dalla fortissima luce. Più io mi avvicinavo , più la luce aumentava d’intensità , impedendomi di vedere bene. Giunta a pochi passi dalla sconosciuta figura riuscivo a decifrare cosa fosse : era la sagoma di un volto….Nello stesso istante in cui intuivo che era un viso quello che cercavo di guardare, l’immensa luce esplodeva d’intensità, accecandomi completamente….

Aprii gli occhi che ero seduta in mezzo al letto, tra le lenzuola tutte aggrovigliate, il fiato corto e la fronte imperlata di sudore. Ancora una volta quel sogno, maledizione! Possibile che dovesse torturarmi ogni notte?! Mi inumidii le labbra secche con la lingua, mentre passavo una mano tra i capelli quasi bagnati intorno al viso.
La sveglia sul comodino segnava le 5:30, di questo passo sarei finita col dormire due ore per notte. Al solito la presi, la rigirai un po’ tra le mani prima di disattivare l’allarme che anche per quella mattina sarebbe stato superfluo. Sbuffai e la lanciai ai piedi del letto, prima di farmi ricadere mollemente sul cuscino.
Non ne sapevo nulla sui sogni ricorrenti, sempre uguali, o se avesse qualche significato il sognare sempre la stessa cosa per un mese intero. Forse era vero che ero strana, come diceva Jake. Forse avevo bisogno di uno strizzacervelli….certo, come no , così poi mi avrebbe torturata per il resto dei miei giorni! Sorrisi al pensiero di ogni volta che mi prendeva in giro.
Anche ieri sera l’aveva fatto, durante tutta la cena con Charlie e Billy, mi tirava piccole ciocche di capelli, mi sbeffeggiava quando un pezzo di pizza mi cadeva sulle gambe, mi rubava le patatine dal piatto, mi toglieva il bicchiere di coca cola dalle mani solo per sfidarmi a riprenderlo. Non c’era niente da fare, era un bambinone! Il mio sorriso si allargò ancora di più al pensiero che ero stata io l’artefice di quel cambiamento d’umore. Ero estremamente compiaciuta del potere che avevo su di lui, estremamente compiaciuta di aver fatto tornare a splendere il suo bellissimo sorriso solo con le mie piccole forze. E forse ancora più incredibile era il fatto che lui riusciva a fare lo stesso per me. Bastava un piccolo gesto, una parola, una battuta…e tutto il brutto del mondo svaniva.
Però c’era una cosa in cui Jacob riusciva anche a sua insaputa, una cosa in cui io non credevo di riuscire : era capace, proprio come in quel momento, di farmi tornare il sorriso anche quando non c’era, anche solo con un ricordo. Era proprio incredibile, ed io ero molto fortunata, me ne rendevo conto. E devo ammettere che spesso i miei problemi nascevano proprio da questo punto : sapevo di essere molto molto fortunata, quindi era inevitabile per me chiedermi se fossi all’altezza della situazione, se anch’io fossi abbastanza per lui, se gli dessi almeno una piccola parte di quanto lui era capace di donarmi.
Ogni volta, purtroppo, la risposta a queste domande era sempre la stessa: no.
E non era “no” solo perché fossi una che tende a sottovalutarsi, era “no” perché i fatti parlavano chiaro. Lui era sempre disposto a delle rinunce per me, era sempre pronto a mettere da parte tutto per me, perfino se stesso….perfino i suoi sentimenti. Perché, diciamocelo, il vero, grande, gigantesco e tragico “no” era uno soltanto, ma bastava a pesare quanto una casa. L’unico “no” che riuscisse a ferire davvero entrambi : il mio non essermi mai dichiarata innamorata di lui. Il mio non avergli mai detto “ti amo”.
Non riuscivo nemmeno ad immaginare quanto ciò potesse essere frustrante, io non l’avevo mai provato, avevo avuto al mio fianco una persona che da sempre aveva gridato al mondo di amarmi, quasi non aspettasse altro…anzi, niente quasi, era esattamente così. Jacob diceva di avermi amata da subito, dalla prima volta che ci siamo conosciuti, da bambini, mentre giocavamo con le torte di fango…e da quel momento, non ha fatto altro che tentare, che cercarmi, che conquistarmi, e successivamente rendermi felice. Io sono sempre stata sicura di lui, della sua presenza nella mia vita, e del suo amore grande. Il solo pensiero di non avere alcuna di queste certezze mi faceva mancar l’aria.
Eppure, era esattamente la condizione nella quale avevo messo Jacob, era precisamente ciò che avevo imposto di vivere a lui. Una relazione senza certezze, se non quella del mio bisogno di averlo nella mia vita.
Egoista….una perfetta egoista. “Io” , “Mio” , “Mia” , perfino nei miei pensieri non dicevo altro. Perfino nella mia testa rifiutavo categoricamente di considerare una vita senza lui. Eppure, non sono mai stata una stupida, una sprovveduta, o men che meno una ragazza cattiva. Proprio per questo mi sentivo uno schifo. Sapevo di non essere abbastanza per lui, sapevo che ogni giorno che passava senza dirgli quelle due semplici parole era un’incisione ancora più in profondità nella sua ferita, sapevo….che meritava di più, di meglio. Sapevo benissimo che meritava qualcuno di unico come lui al suo fianco, qualcuno capace di donarsi completamente, e non qualcuno che come me cercava la sua presenza per sentirsi viva.
Ma che razza di idiota! Avrei dovuto vergognarmi di quello che stavo facendo. Avrei dovuto decidermi una buona volta : o dentro o fuori. O lasciarlo libero di trovare qualcuno migliore di me, o decidermi a cambiare idea sull’amore.
Non potevo più rimandare, non potevo pretendere oltre dall’infinita pazienza di Jake…due anni erano stati anche troppi. Era arrivato il momento di crescere.
Quando realizzai ciò un pizzico di malinconia si insinuò nel mio cuore, e stavolta non era per Jake…ma per Renée. Quanto avrei voluto averla vicina in quel momento, scendere al piano di sotto e chiederle consiglio. La mia mamma era la persona meno adatta alla quale chiedere consiglio su come crescere, lei non l’aveva mai fatto, ma era la persona perfetta alla quale chiedere dell’amore. Ne aveva vissuti tre, uno più grande dell’altro : quello per Charlie, il primo, devastante e travolgente. Quello per Phil, che era quello giusto e duraturo. E poi c’era quello per me, l’amore per un figlio, quanto di più assoluto ed incondizionato possa esistere.
Lei di sicuro avrebbe saputo ascoltarmi e consigliarmi.
Mi sollevai a sedere sul bordo del letto e feci scivolare i piedi per terra, allungai un braccio per recuperare la sveglia e la riposi al suo posto, segnava le 6:00. In quel momento il rumore dello schianto di una padella sul pavimento giunse dalla cucina, accompagnato da una serie di improperi che sentii chiaramente rimbombare nel silenzio dell’alba. Possibile che Charlie fosse già alzato? Uscii dalla stanza e scesi al piano di sotto, dove effettivamente lo trovai ai fornelli.
« Vuoi davvero riprovarci, papà? » gli chiesi sorridendo.
Charlie, ancora in pigiama, stava armeggiando con padella, burro e una pastella collosa che avrebbe dovuto essere un preparato per pancakes.
« Oh ciao, Bells. Si, beh … in effetti stavolta sto usando un impasto già pronto. Sai…per evitare il disastro del tuo compleanno » si grattò la testa con una mano sporcandosi i capelli di impasto « Non saranno buoni come i tuoi ma….volevo tentare » abbozzò un sorriso sotto i baffi scuri.
« Vuoi che ti dia una mano? »
« No, no tesoro. Se vuoi siediti. » versò la prima dose di impasto nella padella e la fissò.
« Sai, dovresti accendere il fuoco se vuoi che si cuociano. » gli ricordai ridendo
« Giusto, giusto! » arrossì dall’imbarazzo ed iniziò ad armeggiare con le manopole del fornello, cercando quella giusta.
Più lo guardavo, più non potevo fare a meno di notare quanto gli somigliassi. Tutto impacciato, con l’impasto tra i capelli e imbarazzato nel sentirsi il mio sguardo addosso. Effettivamente ero la sua copia spiccicata, solo versione “mini” , con la corporatura esile della mamma. Caratterialmente ero molto più simile a Charlie che a lei.
Fu quell’osservazione che mi portò a riconsiderare il pensiero di qualche minuto prima . Certo, Renee aveva vissuto tre grandi amori nella sua vita, ma Charlie non era da meno. Anche lui era stato travolto dal primo amore con la mamma, anche lui aveva provato lo sconfinato amore per un figlio….e in un certo senso anche lui aveva trovato un amore duraturo, quello per il suo lavoro.
La sua candidatura come consigliere quindi era valida tanto quanto quella della mamma, e inoltre, i nostri caratteri erano molto simili, se non uguali. Mi resi conto in quel momento che la persona più giusta alla quale chiedere consiglio era proprio lui.
Ovviamente Charlie presentava un grosso limite: la quasi totale incapacità di parlare di sentimenti. Anche per me valeva la stessa cosa, solo che con Renee tutto diventava più facile, era sempre lei a guidare le nostre conversazioni, e mi riusciva naturale aprirmi.
Non sapevo cosa sarebbe potuto venir fuori da una conversazione in cui nessuno dei due interlocutori era capace di affrontare l’argomento. Però forse valeva la pena tentare, e non era il caso di scendere nei dettagli….la nostra arma vincente sarebbe stata rimanere sul vago. Magari in questo modo avremmo potuto reggere ed uscirne indenni.
« Senti papà….vorrei chiederti una cosa. »
« Dimmi, Bells »
« Tu….. » deglutii rumorosamente, prima di aggiungere a voce sempre più bassa « …si insomma tu…..tu cosa pensi che sia l’amore? » tenevo lo sguardo incollato al tavolo.
Mi sentii le guance infiammarsi dal rossore e avrei voluto che un’enorme voragine si aprisse sotto la sedia e mi inghiottisse. Charlie dallo stupore colpì con il polso il manico della padella, che saltò in aria e poi rimbalzò un paio di volte sul fornello, spargendo pezzi di pancakes su tutto il ripiano della cucina. Aveva prodotto un fracasso enorme! E io mi resi conto dell’idiozia che stavo facendo
« Come non detto, papà io … » dissi in fretta alzandomi di scatto dalla sedia e dirigendomi verso la prima via di fuga disponibile, ma Charlie mi interruppe
« No, no! Aspetta, Bella » lo sentii sospirare rumorosamente, e nonostante fosse di spalle potevo ben immaginare il rossore infuocato delle sue guance, identico al mio « Non scappare ».
Charlie si appoggiò per qualche secondo con entrambe le mani al ripiano della cucina, prima di voltarsi verso di me. Teneva anche lui lo sguardo in basso, ma la sua reazione mi aveva stupita. Non voleva che scappassi. Forse aveva intuito anche lui che valeva la pena impegnarsi, era la prima volta in assoluto che affrontavamo un discorso così personale, e dovevamo almeno tentare.
« Problemi con Jacob? » mi chiese titubante e, se possibile, divenne ancora più rosso.
« No, no , no papà. Davvero non è questo e poi….rimaniamo sul vago, okay? » proposi sempre più in imbarazzo, mentre torturavo il pigiama con le mani.
« Oh, si….sul vago » annuì lui e si diresse al frigo dove prese una birra.
Alzai un sopracciglio e tentai di protestare, erano solo le 6 del mattino! Ma lui mi guardò con un espressione che diceva mettiti-nei-miei-panni . Forse per quella volta aveva ragione lui.
« Io…non so dirti cosa sia l’a….l’am…beh si insomma, hai capito » fece un gesto nervoso con la mano, prese un lungo sorso dalla lattina, e lasciò vagare ancora lo sguardo in giro.
« S-si, scusa hai ragione io non avrei dovuto chiederlo, è….una domanda stup… »
« Dicevo » interruppe il mio farfugliamento « che non credo esista una…definizione, o una descrizione precisa. Penso che…sia una cosa diversa per ognuno di noi. Prendi….m-me e …l-la mamma.. » aggiunse farfugliando e cambiando continuamente peso sulle gambe.
« Oh n-no, papà. Sul vago, ricordi? » lo interruppi, ancora più in imbarazzo di lui.
« Si, si , lasciami dire, ho quasi finito. » si grattò la testa con una mano « Per me l’amore era voler condividere con lei le serate sul divano davanti alla tv, cenare fuori insieme il giovedì, o….che ne so, restarmene seduto con lei in veranda ogni pomeriggio. Mentre per lei….beh per lei era l’opposto. Per lei l’amore era condividere esperienze nuove, buttarsi insieme in qualche follia…..vedi…tua mamma aveva bisogno che qualcuno la facesse sentire viva per amarlo. »
Per un lungo momento rimasi senza parole. Ero sbalordita. Nessuno dei due esempi corrispondevano a quanto mi aspettassi.
Certo, Charlie tendeva ad essere sempre molto pratico nelle sue idee. Ma stavolta era servito ad aprirmi gli occhi. Chi sa perché mi ero aspettata risposte che dovessero per forza contenere parole come “anima” “cuore” “destino” e cose simili. Invece quei due esempi pratici e semplicissimi, mi avevano riportata al mondo reale. Quello in cui le idee trovano sempre un risvolto pratico. Infondo mi rivedevo di più nell’idea dell’amore della mamma ma….sapevo che una parte di me necessitava anche del lato dell’amore descritto da Charlie. Comunque poco importava.
La cosa fondamentale, era che mi ero appena resa conto che tutte le descrizioni che avevo dato per veritiere sull’amore, quelle letterarie e puramente spirituali, andavano prese con le pinze. L’amore non doveva essere necessariamente quello che leggevo nei romanzi d’epoca. L’amore per me non doveva essere uguale a quello che leggevo, uguale a quello provato da altri. Il mio amore….doveva essere soltanto mio.
Non mi servivano termini di paragone o un obiettivo da raggiungere, dovevo solo capire cosa mi faceva stare bene, cosa mi emozionava, cosa consideravo necessario ed insostituibile nella mia vita. Quanto ero stata stupida! Quanto ero stata infantile! Ma adesso finalmente sapevo cosa fare. Dovevo vivermi a pieno ogni emozione con Jacob…e poi forse, finalmente sarei riuscita a dirgli che l’amavo…se era questo che provavo.
« Senti, Bells, so che non sono bravo a parlare di certe cose ma… » Charlie mi aveva ridestata dai miei pensieri, pensava che il mio silenzio fosse dovuto alla delusione.
Prima che potesse finire la frase mi alzai dalla sedia e mi lanciai letteralmente tra le sue braccia, stringendolo forte con tutte le mie forze.
« Grazie papà. Sei stato perfetto! »
Charlie posò la birra sul ripiano al suo fianco, e ricambiò la stretta, accarezzandomi i capelli. Però!...stavamo migliorando!
« Di niente, piccola. Se avessi ancora bisogno…. » si interruppe un attimo « ….beh magari lasciamo passare un po’ di tempo prima della prossima chiacchierata! »
« Tranquillo! » ridemmo e finalmente ci rilassammo, sciolsi l’abbraccio e gettai la birra sotto il suo sguardo contrariato « Non fai tardi in centrale? »
« Oh non stamattina. Ho una riunione alla sede della Forestale, nella riserva. »
« Come mai? Ci sono problemi? » era raro che polizia e forestale collaborassero, in genere capitava durante i casi di persone scomparse, ma non mi sembrava di averne sentiti ultimamente.
« Ci sono arrivate delle segnalazioni di alcuni avvistamenti, la gente ha un po’ paura. »
« Avvistamenti di cosa? »
« Non lo sappiamo. Per questo faremo una riunione con la Forestale. Per cercare di capire qualcosa in più….secondo me sono orsi. » finì la frase gettandosi sulla sedia che scricchiolò appena.
« Beh…in bocca al lupo allora! ».

Alla fine la colazione la preparai io, come ogni mattino, buttando disgustata quella pasta collosa. Nonostante avessi un sacco di tempo mi preparai più in fretta che potei per l’ultimo giorno di scuola della settimana. Quella nuova prospettiva sull’amore mi aveva riempito di energia, mi aveva finalmente liberata di quel latente senso di colpa che mi portavo sempre dietro. E
ro impaziente di vedere Jake, volevo saltargli in braccio e riempirgli il faccione di baci! Magari per quel fine settimana avremmo potuto fare qualcosa di divertente! Insomma, la mia testa girava a mille e non vedevo l’ora di iniziare a vivere sul serio il nostro rapporto.
Fui pronta in meno di dieci minuti, sapevo che Jacob sarebbe passato a prendermi non prima di una mezz’ora, ma non ne volevo sapere di restare in casa, così salutai Charlie, presi lo zaino, un libro che avevo iniziato a leggere da poco, l’i-pod ed uscii. Quel giorno non pioveva, ma il solito spesso strato di nubi era sempre lì a coprire il cielo.
Mi misi seduta sugli ultimi due gradini del portico, infilai le auricolari ed accesi l’i-pod in modalità “random”, ed iniziai a leggere. Era un libro davvero intrigante, la trama prometteva bene, all’inizio poteva sembrare la classica storia d’amore tra una ragazza fragile e un ragazzo iperprotettivo ma ero sicura che lui nascondesse qualche segreto, e non me ne sarei staccata fin quando non l’avessi scoperto.
Tra un paragrafo e l’altro mi lasciavo andare alla musica che mi teneva compagnia, chiudendo gli occhi e canticchiando un ritornello. Infatti, quando dalle auricolari mi giunsero le prime note di “What part of forever” di Cee-Lo-Green non seppi resistere. Adoravo quella canzone, e nonostante non sapessi fischiettare , ci provavo ogni volta, perché quando la musica mi catturava….non comandavo più io, soltanto lei.
« Run, run, run away, so lost, lost, never comin’
Home, rolling, rolling down a track,
No, no I’m never comin’ back.
Hot love pumpin in my venis,
Our love I hope its not too late.
That’s the road, that’s the load, that’s the role
I’ve been down, I’ve been down, I’ve been down…. »
Cantai la strofa iniziale con un sorriso sulle labbra, sentendo l’odore delle pagine del libro che tenevo alzato di fronte al viso. E stavolta la cantai con uno spirito diverso!
Quel mattino un pezzo di quella strofa sembrava scritto apposta per me : “Un amore ardente pompa nelle mie vene, spero che non sia troppo tardi per il nostro amore, questa è la strada, questo è il peso, questo è il ruolo” e speravo davvero con tutta me stessa che non fosse tardi per il nostro amore, perché sentivo, perché sapevo….perchè ero quasi certa che quella fosse la strada, quello fosse il peso….che quello fosse il mio ruolo.
Sentii le cuffie sfilarsi dalle orecchie, mentre la musica si allontanava e udivo soltanto la mia voce cantare.
« Buongiorno, usignolo! »
Aprii gli occhi e Jacob era lì, accovacciato davanti a me, con le cuffie tra le mani, che mi guardava da sopra le pagine del libro con un sorriso smagliante.
Chiusi il volume tenendo un dito come segna pagina e gli gettai le braccia al collo, mentre le sue mi cinsero prontamente la vita. Ero così felice! Premetti a lungo le mie labbra sulle sue, senza smettere mai di sorridere, non ci riuscivo.
« Buongiorno a te, capellone! » gli scompigliai la chioma setosa con la mano libera « Da quanto sei qui a prenderti gioco di me? »
« Abbastanza perché i tuoi vicini mi implorassero di farti smettere ».
Gli diedi un leggero buffetto dietro la testa « Ma smettila, bugiardo! »
Rise e sciolse l’abbraccio, iniziando a farmi il solletico su tutta la pancia.
« E così sarei un bugiardo, eh? Ora me la paghi, signorinella »
Non riuscii a controbattere nulla, il solletico annientava tutte le mie forze, e in pochi secondi mi ritrovai raggomitolata sul gradino, preda di una ridarella convulsa, che scalciavo e tiravo pugni al vuoto come un’ossessa. Dopo poco Jacob mi concesse una brevissima tregua
« Arrenditi! Dì “mi perdoni, signor Black, non metterò mai più in dubbio la sua invidiabile integrità morale, la sua smisurata intelligenza ed il suo irresistibile fascino” »
Di tutta risposta, pur sapendo a cosa andavo in contro, non appena finì di parlare gli risposi con una sonora pernacchia. Lui ricominciò a farmi il solletico più forte di prima, mentre le nostre risate risuonavano per tutto il vicinato.
« Ja….Jake! pe…per fa….per favore, s…..sme….smettila!! » riuscii appena a balbettare tra uno scoppio di risa ed un altro.
Fortunatamente ebbe pietà di me, e dopo avermi fatto ripetere quella frase idiota mi sollevò a sedere sul gradino accanto a lui quasi di peso, e mi strinse forte in un mega abbraccio mentre ridevamo ancora.
« Lo sai benissimo che amo sentirti cantare. » mi disse dopo poco.
Mi scostò appena dal suo petto, solo per prendermi il viso tra le mani e carezzarmi le guance con i pollici.
« Ti amo, Bells » sorrideva felice.
Ebbi giusto qualche secondo di tempo per bearmi di quel suo sorriso caldo, e dei suoi occhi gioiosi e neri. Nessuno al mondo, a parte me, può immaginare quanto possa essere caldo, radioso e luminoso il nero. Prima che potessi rispondergli qualcosa, mi diede un leggero colpetto sulla punta del naso con il suo, mi baciò il labbro superiore, poi quello inferiore ed infine mi baciò come se mi stesse assaggiando. Ma quella non era la fine…era appena l’inizio. L’inizio di uno dei “baci alla Jacob” , perché solo lui sapeva baciare così. Ogni volta sapeva essere diverso, quel mattino mi assaporava, lentamente e con intensità. Tratteneva le mie labbra tra le sue, sfiorandole anche con la lingua, nel movimento più dolce del mondo. Mi lasciai cullare dalla sua dolcezza, intrecciando le mie dita alle sue, ancora sul mio viso.
Improvvisamente il rumore di un auto ci interruppe. Jacob mi lasciò un ultimo bacio a fior di labbra e tenendo ancora il mio viso tra le mani si voltò verso la strada. Sciolsi l’intreccio delle nostre dita e guardai anch’io. Una Volvo metallizzata aveva appena parcheggiato fuori il mio cortile. Sapevo bene a chi appartenesse quell’auto.
Rimasi un attimo sbigottita, cosa ci faceva lui qui? Cosa voleva?. Voltai ancora lo sguardo verso Jacob, giusto in tempo per vedergli serrare la mascella. Le sue mani sul mio volto furono percorse da una breve scarica di leggero tremore, mentre continuava a fissare l’auto.
« Vieni, Bells. E’ ora di andare. » il suo tono era basso e nervoso.
Si alzò in piedi con lo sguardo incollato alla Volvo e, quando vide Edward Cullen scendere e chiudere la portiera, si sfilò il giubbotto. A quel gesto mi balzò il cuore in gola, avrei voluto alzarmi ma il timore mi aveva immobilizzata su quel gradino.
« Cos’hai intenzione di fare, Jake?! » la mia voce risuonò stridula dall’agitazione.
« Niente, Bella. Ho solo caldo. » mi tese una mano senza guardarmi «Vieni»
Non staccava gli occhi di dosso ad Edward nemmeno per un secondo, il quale di rimando faceva la stessa cosa, poggiato al cofano della sua auto.
L’agitazione ormai mi arrivava fin sopra i capelli,avevo paura di ciò che potesse succedere. Il vicinato era deserto, non ci sarebbero stati compagni di classe a dividerli stavolta, ma nella peggiore delle ipotesi, avrei potuto lanciare uno strillo e richiamare l’attenzione di Charlie in casa.
Presi la mano che Jacob mi offriva come aiuto per alzarmi e la sentii ancora tremante. Lo conoscevo da tutta una vita, eppure nemmeno per un attimo l’avevo visto tanto agitato. Strinse forte le mie dita tra le sue e ci incamminammo verso il marciapiede. In meno di un secondo la mano che stringevo alla sua iniziò a sudare, come se l’avessi infilata in un guanto di lana caldo.
« Buongiorno, Bella » mi salutò Edward staccando finalmente gli occhi da Jacob.
« Sparisci, Cullen » la voce di Jake era dura e ostile.
Riuscivo a percepire nitidamente il suo tremore che aumentava di secondo in secondo, così come il calore della sua mano. Iniziai seriamente a preoccuparmi che potesse venirgli un malore.
« Black… » salutò Edward, spostando di nuovo lo sguardo su di lui.
Per un lungo momento restarono a fissarsi senza aggiungere altro. I miei occhi si spostavano dall’uno all’altro, immersi in un silenzio mattutino quasi irreale. L’unica cosa che sentivo era il martellare del mio cuore. Non mi piaceva per niente il modo in cui si guardavano, e ciò che mi piaceva ancor di meno, era il modo in cui Edward guardava Jacob. Nei suoi occhi dorati riuscivo a riconoscere la stessa soddisfazione del giorno prima.
La mia mano che Jake teneva stretta nella sua pian piano iniziò quasi a bruciarmi, come se nel palmo della sua mano si fosse acceso un fuoco. Istintivamente sciolsi quella stretta e sentii la paura aumentare ad ondate. Gli poggiai una mano sul braccio e l’altra al petto, per attirare la sua attenzione, e anche quelli erano febbricitanti….scottavano come un corpo che brucia. Non era normale, ero sicura che stesse per sentirsi male, ma non capivo come riuscisse a rimanere così impassibile a quel bruciore.
« Jake, tu stai mal... »
« Infila il casco, stai facendo tardi a scuola. » mi interruppe bruscamente.
Aveva la fronte imperlata di sudore e mai, mai, in tutta la vita aveva avuto quel tono di voce. Era minaccioso, era teso. Quel loro fissarsi mi stava facendo impazzire, e in più ero sicura che di lì a poco avrei dovuto chiamare un’ambulanza per Jacob. Ero decisa a dire qualcosa, ad interrompere quella sfida silenziosa che non capivo, ma Jake mi precedette.
« Cosa sei venuto a fare qui? » la frase gli uscì cupa e tremolante, ormai i brividi che lo percorrevano erano visibili ad occhio nudo.
« Ero venuto a vedere se Isabella avesse bisogno di un passaggio a scuola. » rispose Edward tranquillamente
« E perché mai avrebbe dovuto? » Jacob sputò fuori quella domanda quasi con un ghigno sulle labbra.
Edward spalancò gli occhi dallo stupore, poi mi guardò
« Non gliel’hai detto? » mi chiese con un sorriso.
In quel momento mi fu tutto chiaro. Mentre sott’occhi percepivo il tremito di Jake aumentare, capii dove volesse arrivare Edward.
Non era possibile! Non poteva farlo! Il cuore mi esplose dalla paura. Avevo evitato accuratamente di raccontare a Jacob che il giorno prima Edward mi aveva riaccompagnata a casa. Dopo la scenata nel parcheggio ci mancava solo che gli dicessi una cosa simile. E lui sapeva benissimo che se solo Jake l’avesse saputo sarebbe andato su tutte le furie.
Ma cos’aveva quel ragazzo? Moriva dalla voglia di farsi spaccare la faccia da qualcuno?!
« Non mi ha detto, cosa? » Jake era teso, ma allo stesso tempo stupito.
Il suo sguardo guizzava da me a Edward mentre strinse le mani in due pugni.
Tentai di parlare ma Edward fu più rapido.
« Ieri ho avuto il piacere di accompagnare Bella a casa. E’ stato molto cortese da parte sua concedermi quest’opportunità ».
Riuscii quasi a sentire l’assordante scoppio che quella frase-bomba aveva provocato. Successe tutto talmente in fretta che non ebbi nemmeno il tempo di respirare. Jacob sussultò e gli si spezzò il respiro, come se Edward gli avesse appena assestato un gancio destro alla bocca dello stomaco.
« Tu….tu…. » tentò di dire, ma il respiro accelerato non glielo permise.
Jacob tremava talmente forte che sembrava quasi scosso da una crisi epilettica, con il respiro affannato, e bruciava me ed Edward con uno sguardo furente, riuscivo a vedere l’odio e la sorpresa fiammeggiargli nel buio delle iridi.
In quel momento avrei voluto morire, avrei voluto gridargli le mie mille motivazioni, ma non riuscivo nemmeno a respirare. Sentivo le orecchie fischiarmi e la testa girare forte, mentre il mio preziosissimo Sole si eclissava. Riuscivo quasi a sentire bruciare la ferita che gli era stata appena inflitta, per colpa mia.
« Jake, io… » la voce mi uscì in un sussurro talmente debole che non riuscii a sentirla nemmeno io stessa.
Allungai una mano verso di lui, per cercare di ristabilire un contatto che potesse trasmettergli un briciolo della mia verità, ma Jacob si scostò addirittura con un balzo.
« Non….ci provare, Bells. » mi disse lentamente, poi prese un lungo respiro, mentre il suo corpo tremava più di prima « Cosa….cosa diavolo ti è saltato in mente!! E perché non mi hai detto nulla?! » mi aveva letteralmente gridato contro.
Sentii gli occhi riempirsi di lacrime, mentre le orecchie mi fischiavano sempre più forte. Non era possibile, non stava succedendo davvero, non potevo perdere il mio Jacob.
« Ti prego, Jake » squittii con la voce rotta dal pianto.
Jacob si incamminò talmente velocemente verso la sua moto che dovetti correre per stargli dietro. Non poteva andarsene, non così, non prima che potessi spiegargli. Sentivo le lacrime scorrere inarrestabili e copiose sulle guance, mentre tutto intorno a me iniziava ad apparirmi con contorni sfocati, perfino Jacob nel suo tremare convulso.
Salì in sella alla moto e la accese con un unico colpo. Lo stesso colpo che parve rimbombare nel mio cuore, come una piccola esplosione. Mi aggrappai forte con entrambe le mani alla sua che stringeva già la frizione sul manubrio.
« Jacob! » dissi con la voce più alta che riuscissi ad usare in quel momento.
« Lasciami andare, Bella! » mi parve quasi un ringhio.
I suoi occhi bui come la notte fiammeggiarono per un istante nei miei, e in quell’istante mi mancò il respiro. Per la prima volta non li riconoscevo.
Sentii le ginocchia cedere quando Jacob diede gas alla moto e si allontanò accelerando.
« JACOB! » gridai con tutto il fiato che avevo in corpo, mentre le gambe mi cedevano molli, inginocchiandomi sul prato del mio cortile.
I singhiozzi mi scuotevano inarrestabili, mentre un macigno mi schiacciava cuore e polmoni. Mi sentivo annegare, come se fossi appena sprofondata negli abissi di un oceano, con le sue acque scure che si chiudevano su di me e mi schiacciavano, con tutto il loro peso insostenibile, la loro forza violenta. In quel momento tutto perse colore, tutto diventò buio e freddo, ed io iniziai a tremare. Il mio cuore tremava, la mia anima tremava..…….il mio Sole si era oscurato….il mio Sole mi aveva lasciata.




Angolo autrice : PER FAVORE recensite !!

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Capitolo 22
*** CAPITOLO 17 - Farsi da parte ***






CAPITOLO 17 – “Farsi da parte


Guardavo il punto in cui Jake era scomparso con la moto, gli occhi ancora lucidi di lacrime, sempre seduta nel prato del mio cortile. Sapevo benissimo che ciò che aveva fatto imbestialire Jacob potesse sembrare una cosa da nulla per il resto del mondo…appunto, per il resto del mondo, ma non per lui. Non per lui che diceva di provare un odio quasi viscerale nei confronti della famiglia Cullen. Poco importava se il resto del mondo avrebbe visto il mio gesto di accettare un semplice passaggio come una cosa da nulla…..per lui, per la sua vita, per il suo mondo, quello che era accaduto era molto pesante. La sua ragazza gli aveva nascosto di essersi fatta accompagnare a casa dall’unica persona al mondo che lui odiava con tutto se stesso.
Mi sentivo davvero una piccola sporca traditrice in quel momento…non avrei mai dovuto accettare quell’invito….non avrei mai dovuto nascondergli l’accaduto. Però c’era una cosa che mi faceva sentire ancora peggio: il ricordo del suo sguardo. Gli occhi che mi avevano sempre parlato, sempre sorriso, poco prima mi erano sembrati tanto diversi da non riconoscerli.
Da perfetta egoista quale ero, sarei voluta saltare sul mio pickup e raggiungere Jacob, dovunque egli fosse, per parlagli, per chiarire tutto, per sistemare ogni cosa. Ma sapevo che non sarebbe stata la scelta giusta, non questa volta. L’unica cosa che potessi fare in quel momento era lasciargli del tempo per starsene da solo, in santa pace, a calmarsi e riacquistare un po’ di lucidità. Quando sarebbe stato nuovamente pronto a parlarmi, allora si che avrei potuto far qualcosa….qualsiasi cosa per farmi perdonare.
Una mano fredda si poggiò delicatamente sulla mia spalla
« Bella, scusami, mi dispiace »
Qualcosa fece click nella mia testa.
Quel tocco freddo e quella voce avevano appena fatto scattare un interruttore nella mia testa, con un click talmente reale che fui quasi certa di averlo sentito. In un secondo mi sentii risucchiata a terra dal mondo delle idee nel quale mi ero persa, con una forza talmente magnetica da superare perfino quella della gravità. Sbattei più volte le palpebre, come se mi stessi svegliando in quel momento da un incubo e realizzai : io ero seduta lì per terra, sul prato freddo di casa mia, con gli occhi gonfi di lacrime dopo che il mio ragazzo era corso via imbestialito…..per colpa loro.
Per colpa di quel tocco freddo e di quella voce.
Per colpa di colui al quale essi appartenevano.
Per colpa di Edward Cullen.
Lentamente voltai la testa alle mie spalle e guardai in su, alla ricerca dei suoi occhi. Li trovai che mi fissavano corrucciati in una smorfia di sincero dispiacere. Certo! Era facilissimo innescare una bomba di proposito, e dopo pentirsene. Era facilissimo rovinare la vita delle persone e dopo piangere lacrime da coccodrillo! Ma quell’idiota avrebbe presto pianto altre lacrime per mano mia. Sentii l’ira esplodermi nel petto come un ordigno atomico, ed evidentemente l’onda d’urto dovette arrivare anche ai miei occhi, potente e fiammeggiante, perché vidi l’espressione di Edward mutare in pochi attimi.
« Bella…. » cercò di dire ritirando lentamente la mano.
« Bella? » ripetei incredula, e mentre la sua mano si allontanava lentamente, con la stessa lentezza io mi voltavo alzandomi in piedi « Bella ?! » ripetei ancora alzando la voce.
« Ti prego credimi, mi dispiace davvero tanto » indietreggiava, non mi ero nemmeno accorta che stessi muovendo qualche passo verso di lui.
« Ohh….ti dispiace….ma certo…. » inspirai profondamente in cerca di un po’ di calma, ma non ne trovai nemmeno un briciolo « Vaffanculo, Edward ! » gli gridai contro.
Lui indietreggiò ancora, stupito dalla mia reazione. Forse si aspettava che mi bevessi sul serio quelle scuse false ed insipide. Forse nella sua vita non aveva ancora incontrato nessuno disposto a passar sopra il suo magnifico aspetto e guardare realmente a ciò che faceva.
« Ma chi credi di essere? Come ti permetti di intrometterti nella mia vita e di giocare con i miei equilibri? » gridavo sempre più forte, mentre mi avvicinavo e lui si ritraeva « Ti conosco da appena un giorno e mi hai già incasinato la vita! E se non ti ho ancora messo le mani addosso è soltanto perché non so se è reato pestare un malato di mente! » presa dalla furia avevo anche iniziato a sbracciarmi come un’ossessa, incurante della sua faccia sempre più sbalordita
« Perché è questo che sei ! uno psicopatico ! tu sei uno psicopatico! Uno di quelli con le manie di persecuzione! E, anzi, sai cosa ti dico? Me ne sbatto se pestare uno come te sia reato o meno! Charlie è il capo della polizia, di certo non mi farebbe andare in gattabuia! » mi tirai su le maniche del giubbotto.
L’avrei pestato?
Oh si.
Certo che l’avrei fatto.
Non desideravo altro, mi prudevano le mani dal desiderio impellente di stampare il calco della mia mano su quelle guance pallide.
In meno di un secondo colmai la distanza tra noi, caricai il mio schiaffo e lo sferrai, pregustando già il rumore secco dell’impatto della mia mano sul suo bel visino. Inaspettatamente però quel rumore non giunse. Edward fu più rapido di me e afferrò il mio polso a pochi centimetri dalla sua faccia.
« Vuoi davvero schiaffeggiarmi, Bella?! » era incredulo eppure divertito.
« Schiaffeggiarti?! Io voglio pestarti, Cullen! Voglio vedere lo stampo rosso delle mie dita sulle tue guance esangui! Per la prima volta in vita mia voglio far sanguinare qualcuno! » con ancora la mano destra bloccata dalla sua, sferrai un pugno con la sinistra, mirando dritta al suo occhio.
Ma ancora una volta bloccò la mia mano nella sua. Che avesse studiato autodifesa? Forse da bravo psicopatico era abituato a persone che tentavano di liberarsi di lui.
« Andiamo! Vigliacco! Fatti colpire! Dammi la soddisfazione di farti un occhio nero! » Gli gridavo a tre centimetri dalla sua faccia, dimenandomi come se avessi le convulsioni, con i capelli che ormai mi coprivano completamente il volto.
Ero consapevole che in quel momento potevo sembrare uscita direttamente dal film “L’Esorcista” ma non me ne importava nulla. Ero completamente accecata dalla voglia di mettergli le mani addosso, di procurargli del dolore fisico, di lasciare un segno tangibile di violenza su quel corpo perfetto. Edward, con mio sommo stupore, iniziò a ridersela, fomentando ancora di più la mia furia
« Aaaahhh ! » gridai furiosa ed esasperata dimenandomi ancora di più, praticamente quasi non poggiavo i piedi per terra.
« Cosa diavolo sta succedendo?! » sentii urlare alle mie spalle « Tu! Toglile le mani di dosso, subito! » Charlie attraversò il cortile di corsa.
« Dammi la pistola, papà! » gridai nel momento in cui Edward mi liberò le mani dalla sua presa.
« Cosa ti ha fatto? » mi chiese allarmato Charlie mentre fulminava Edward con lo sguardo.
« Dammi quella dannata pistola, Charlie! Non l’hai mai usata, questa è la volta buona!! » feci per saltare addosso ad Edward ma lui con uno scatto iniziò a correre nel cortile, con me che lo inseguivo.
« Scappa, Cullen! Scappa! Anche se non ti servirà a nulla contro un proiettile! »
Charlie restò un attimo sbigottito a guardarci.
« Vuole fermarla, per favore?! » gli chiese Edward mentre sfuggiva alla mia presa.
« Okay, okay, adesso basta! » Charlie si precipitò fra noi bloccandomi tra le sue braccia.
« Lasciami papà! O mi dai la pistola o ti togli di mezzo! » gridavo ancora e mi dimenavo nella sua presa, senza staccare gli occhi di dosso a quella che volevo fosse la mia prima vittima per omicidio volontario.
« Bells adesso basta. Datti una calmata e dimmi cos’è successo. » Charlie sfoderò il suo tono autoritario.
Edward si avvicinò a noi, trattenendo a stento una risata.
Dovevo essergli sembrata ridicola, e questo mi faceva irritare ancora di più. Però di certo non potevo raccontare tutto a Charlie. Come gli avrei spiegato perché Jake lo odiasse tanto? Infondo nemmeno io ne capivo bene la ragione.
Inspirai a fondo e mi sforzai di togliere quell’espressione da pazza furiosa che sentivo incresparmi tutto il viso. Smisi di spingere contro le braccia di Charlie e mi raddrizzai, togliendomi i capelli dal viso e aggiustandoli dietro le orecchie. Mi schiarii la voce, alla ricerca di un tono, se non calmo, quantomeno normale, entro i limiti dei decibel consentiti.
« Niente, papà. » dissi fissando Edward, non avevo intenzione di aggiungere altro.
Charlie mi guardò stupito, per poco non gli cadde la mascella.
« Niente, Bells? E la scena apocalittica di poco fa? Non ti ho mai vista così infuriata con nessuno »
Santo cielo! Gli pareva giusto quello il momento di mettersi ad indagare nella mia vita? Non l’aveva mai fatto!...Certo, non gli avevo nemmeno mai chiesto la sua pistola per sparare ad un semi sconosciuto nel nostro cortile.
Ma una cosa era certa, non avevo davvero nessunissima intenzione di mettermi a discutere dell’accaduto con lui, così gli risposi con parte della verità, la parte che sapevo l’avrebbe messo in imbarazzo e gli avrebbe impedito di chiedere altro.
« Si, beh…ho litigato con Jake per colpa sua » lo indicai sprezzante e probabilmente con una smorfia incontrollata di disgusto.
Come previsto, Charlie arrossì leggermente.
« Oh… » si grattò la tempia con un pollice « Allora credo che possiate risolvere da soli. » fece due passi verso l’auto prima di voltarsi di nuovo verso di noi.
Il suo lato di capo della polizia evidentemente doveva avergli ricordato di impartire un paio d’ordini prima di andar via
« Tu » mi disse indicandomi con l’indice « Non minacciare più nessuno di sparargli con la mia pistola » poi volse lo stesso dito in direzione di Edward « E tu, ragazzo.. » esitò un istante, nel quale dovette probabilmente ricordarsi che non lo conosceva affatto e che per quel poco che sapeva non aveva combinato nulla di grave « ..tu fila a scuola. Tuo padre non sarà contento se salterai le lezioni»
« Si, signore » rispose subito Edward.
Poi entrambi guardarono me, come se si aspettassero anche da parte mia un cenno di assenso. Incrociai le braccia al petto e li guardai con un’espressione incredula. Davvero avevano pensato che potevo sparargli? I due non si mossero, a conferma della mia supposizione. Alzai gli occhi al cielo sbuffando
« Ridicoli » dissi a mezza voce, mentre voltavo le spalle ad entrambi e mi dirigevo a grandi passi verso casa.
Inciampai un paio di volte nel coprire quella breve distanza, e sentii Edward sghignazzare alle mie spalle. Entrai in casa e richiusi la porta sbattendola forte….in effetti non avevano pensato affatto male.


*****



« Ciao sono Jake, lasciate un messaggio. » richiusi il cellulare con uno scatto

« Nulla, Angie. Ancora la segreteria » mi lasciai cadere pesantemente sulla sedia della cucina che scricchiolò appena, con la cornetta attaccata all’orecchio per riuscire a sentire la voce di Angela che veniva sovrastata dalla partita di baseball a tutto volume.
Era domenica pomeriggio, e Jake era sparito dal venerdì mattina senza farsi più sentire. In realtà si faceva anche negare al telefono, da un Billy dai toni molto bruschi e sbrigativi. Chi sa se mi aveva giudicata male anche lui. Perfino al cellulare rispondeva sempre la segreteria, e per quanto mi riguardava quei tre giorni erano stati un inferno.
Non sapere nulla di Jake era già abbastanza frustrante, ed in più Edward non mi lasciava mai in pace, continuando a venire sotto casa mia con la sua auto. Il giorno prima l’avevo addirittura visto rimanere fermo in macchina per mezza giornata, sperando che scendessi a parlargli come mi aveva chiesto insistentemente per tutto il giorno e anche quello precedente.
« Bella io ti conosco, so quanto ti sia costato fino ad oggi lasciargli il suo spazio. Ed hai fatto benissimo. Però credo che adesso possa bastare. » la voce di Angie mi sembrò lievemente spazientita, e me la immaginai intenta ad aggiustare le ultime fotografie scattate in un bell’album dai toni del marrone, come sempre quando era infastidita. « Insomma, ti ha soltanto riaccompagnata a casa! » sbuffò sonoramente e lo feci anche io di rimando.
Per qualche minuto restammo entrambe in silenzio, mentre in me cresceva l’impulso di prendere le chiavi dello Chevy e guidare fino alla riserva. Angela interruppe lo scenario che andava formandosi nella mia mente
« Bella, so cosa stai pensando e sai cosa ti dico? »
« No, dimmi. »
« Salta su quel vecchio rottame che ti ostini a chiamare auto e và da lui. »
« Dici che posso? » mi passai nervosamente una mano tra i capelli.
« Certo che puoi! Sono tre giorni che si dà alla macchia. E se necessita fagli anche una sonora tirata d’orecchie »
« Grazie, Angie »
« Figurati, Bells! Quando torni chiamami. »
« Certo» feci per riagganciare poi aggiunsi «Ah, Angela? »
« Dimmi »
« Il mio pickup non è un rottame! ».



Era quasi il tramonto ed io riuscivo ad intravedere la casa rossa di Jacob fare capolino tra un albero e l’altro. Per tutto il tragitto non avevo fatto altro che pensare a cosa gli avrei detto e a come lo avrei fatto, ma a pochi metri da casa sua ancora non avevo idea di cosa fare.
Parcheggiai lo Chevy e mentre spegnevo il motore vidi dallo specchietto retrovisore la porta di casa aprirsi. Quello era l’unico difetto che riuscivo a trovare al mio pickup: annunciava il mio arrivo sempre e comunque. Scesi dall’abitacolo e quando feci il giro del mio ingombrante mezzo di trasporto color ruggine mi bloccai.
Sam Uley si stagliava in tutta la sua imponenza sotto l’uscio di casa Black, mentre si richiudeva la porta alle spalle. Mi si strinse lo stomaco quando incrociai il suo sguardo. Camminava verso di me con l’espressione più dura che mi avesse mai riservato. In quel momento la smorfia di ostilità che gli corrugava il viso lo fece apparire ancora più scuro e minaccioso del solito. Fece gli ultimi passi con i pugni stretti lungo i fianchi e si fermò a due metri di distanza.
In altre circostanze, con chiunque altro, mi sarei sentita rassicurata da quella distanza di sicurezza. Ma con Sam tutto sembrava diverso, perfino quel gesto. Quei due metri con lui non apparivano come una gentile concessione del mio spazio privato, tutt’altro, mandavano un chiaro avvertimento. Quella era una distanza che indicava minaccia. Una separazione voluta appositamente per farmi notare che si sforzava di controllarsi, che in quel momento ero in pericolo, e che era meglio che mi impegnassi a mantenerla tale se non volevo provocarlo ed essere aggredita.
« Cosa ci fai qui? » mi chiese diretto, e contrariamente alla sua espressione, il suo tono era calmo.
« Sono venuta a parlare con Jake. E comunque non penso siano affari tuoi. » la mia risposta brusca parve scivolargli addosso come se lo avessi salutato nel più cordiale dei modi.
« Jacob non c’è, e anche se ci fosse stato non ha intenzione di parlarti. Ti consiglio di tornartene a casa e ritornare qui solo quando sarai stata invitata. » voltò il busto per andarsene
« Ehi aspetta! » gli dissi dietro, ma lui si fermò soltanto quando sentì che mossi un passo. Si voltò di scatto, come per ricordarmi che mi conveniva lasciare intatta la distanza fra noi, ed io mi fermai « Dimmi dov’è Jacob »
« Non hai sentito? Jacob non vuole vederti. »
« Beh che me lo dicesse in faccia allora. E sinceramente non capisco perché sia tu a fargli da portavoce » esitai un momento prima di continuare « Proprio tu che ci hai sempre odiati. »
Sul volto di Sam comparve un ghigno divertito e accorciò di qualche passo la distanza che ci separava.
« Io non vi ho mai odiati. Specialmente Jacob. Ed è proprio per questo che sono qui. Per aiutarlo e per proteggerlo. »
« Proteggerlo da me? » scoppiai in una risata incredula « ma se è sempre stato il contrario! »
« Bene, da oggi non più » disse a denti stretti « Jacob è partito, e non ti cercherà nemmeno al suo ritorno, fattene una ragione. »
Non capivo, ma cosa stava succedendo? Jake era partito? Quando? Per dove? E perché Sam si ergeva a suo protettore? Ma soprattutto, potevo credergli? Nessuno mi assicurava che non mi stesse semplicemente raccontando un mucchio di stupidaggini.
« Partito?! E chi mi dice che non mi stai soltanto riempiendo di bugie? »
Sam sospirò forte, ma mi sembrò che lo avesse fatto soltanto per me, soltanto per farmi credere che stesse perdendo la pazienza. Annullò la distanza fra noi in tre lunghi passi. Mi guardava dall’alto e io riuscivo a sentire il calore che emanava il suo corpo teso quasi a contatto con il mio.
« Ascoltami bene Isabella, perché non lo ripeterò due volte. » il suo tono era improvvisamente duro e severo, gridava pericolo e minaccia
« Jacob. non. vuole. più. vederti. » scandì così lentamente da sembrare a rallentatore « E non me ne frega niente se non mi credi. Fa quello che ti pare. Ma sappi che se tornerai ancora qui, se lo cercherai ancora senza che lui ti abbia chiamata, troverai sempre e solo me ad attenderti. E non sarò più così gentile. » strinse i pugni in una morsa ancor più stretta quando capì dalla mia espressione che non sarebbero state di certo le sue minacce a fermarmi.
Lui non era nessuno per impedirmi di cercare il mio ragazzo. Ma allora non conoscevo bene Sam, non immaginavo il colpo che stava per infliggermi per proteggere Jacob a modo suo
« Tu lo hai ferito, Bella. Profondamente. Si fidava di te. Tu eri l’unica cosa che lo teneva ancora legato alla sua umanit… » si morse la lingua e si corresse « alla sua infanzia. Eri l’unica capace di ferirlo e lo hai fatto. Non sottovalutare il tuo gesto, per lui è stato come una coltellata. E peggio ancora è stato scoprire che glielo hai tenuto nascosto, è stato come girare con cattiveria la lama già affondata nella sua carne. Me lo ha detto, Bella. Si è confidato con me. E’ cambiato tutto adesso. Non si fida più di te e tutto quello che ti chiede è di lasciarlo in pace, di smetterla di torturarlo aggiungendo sale alle sue ferite. Ogni volta che sentiva che lo cercavi, che lo chiamavi, ogni volta che sentiva la tua voce per lui era un pugno dritto allo stomaco. Per questo è partito. Per non doverti più sentire in nessun modo, per non permetterti di farlo soffrire ancora. »
Per un momento mi parve che volesse continuare, ma la mia espressione dovette convincerlo che bastava così. Mi sentivo stritolare il cuore dalle sue parole, e singhiozzavo silenziosamente senza nemmeno accorgermene. Sam aveva ragione, era stata tutta colpa mia. Avevo rovinato tutto e non immaginavo nemmeno quanto dolore potevo aver causato a Jacob fino a quel momento. Sentire tutta la sofferenza che gli avevo fatto patire mi fece mancare l’aria. Volevo tanto poter rimediare, non potevo accettare che dovesse finire tutto così. Non potevo lasciare che la nostra storia si distruggesse senza nemmeno lottare.
« Ma io… » tentai di dire tra i singhiozzi, e Sam parve capire anche senza che finissi.
« Se tu l’hai mai amato Bella, devi farti da parte. Non c’è più niente che tu possa fare, quindi se mai hai provato qualcosa per lui, vattene. Vattene adesso e non tornare più. Lascialo libero di curarsi le ferite che gli hai procurato, smettila di farlo soffrire, smettila di torturarlo. » alzai gli occhi nei suoi e quel contatto con ciò che aggiunse subito dopo, fu fatale per il mio cuore « Non se lo merita, Bella. Jacob non merita tutto questo. »
Iniziò a piovere. I singhiozzi silenziosi di poco prima lasciarono il posto a un pianto sofferto che mi scuoteva tutta da capo a piedi. Ecco dove mi aveva portata il mio egoismo, ecco dove mi aveva portata la mia meschinità : avevo ferito Jacob in tanti modi diversi, ogni volta più in profondità della precedente. E lui non meritava davvero tutto il dolore che gli avevo inflitto, non Jacob, non il mio Jake. Anche solo l’idea di avergli fatto tanto del male bastava a farmi odiare tutto di me stessa. Era soltanto colpa mia se lui aveva dovuto lasciare perfino suo padre, per fuggire via dalle torture che gli procuravo. E ancora una volta, avevo pensato soltanto a me stessa, senza curarmi di ciò che stesse succedendo a lui. Credevo davvero che il tempestarlo di telefonate avrebbe potuto aiutarci in qualche modo? Non mi era passato nemmeno per l’anticamera del cervello che forse anche il solo sentire la mia voce poteva fargli male. A malincuore dovetti dare ragione a Sam, se fino a quel momento avevo sbagliato tutto, ora potevo davvero fare qualcosa di buono. Dovevo smettere di cercarlo, smettere di torturarlo. Sperai almeno che avesse mantenuto qualche contatto con Billy o con Sam stesso.
« Io.. » cercai di parlare ma un singhiozzo ancora più forte mi soffocò le parole in gola.
Abbassai lo sguardo sulle mie scarpe ormai fradice e sentii una mano rovente posarsi sulla mia spalla. Per un attimo il mio cervello sperò inconsciamente che quel contatto tanto familiare appartenesse a Jacob.
« Mi dispiace così tanto! » quasi gridai tra i singhiozzi ormai soffocanti e poggiai la fronte al petto nudo di Sam.
Era incredibile che mi stessi aggrappando all’unica persona che pensavo di odiare in assoluto. Eppure in quel momento il suo calore scottante sotto la pioggia era troppo confortante per rinunciarvi, troppo familiare per non rifugiarmici. E inoltre sapevo bene che non era con lui che dovevo sentirmi arrabbiata. Sapevo per certo che quella maschera dura di ostilità che aveva indossato prima era soltanto per proteggere Jacob. Lo sentivo. E per questo lo apprezzai.
Apprezzai anche il dolore lancinante che le sue parole mi avevano provocato, perché erano servite nel suo scopo: non avrei più inflitto altro dolore al mio sole personale. Il mio amato sole che in quel momento non sapevo nemmeno dove fosse o con chi, in balia di chissà quali tormenti interiori, con il cuore rotto in mille pezzettini ancora più piccoli di quelli che ormai erano i resti del mio.
Mi distaccai dall’ampio torace di Sam e indietreggiai di un passo, prima di andarmene dovevo almeno tentare di lasciargli un messaggio, che sapevo che forse non gli sarebbe mai arrivato, ma era il minimo che potessi fare in quel momento.
« Ti prego, digli che mi dispiace tanto. Che è stata tutta colpa mia, che sono un mostro! Che avrei dovuto lasciarlo libero di vivere la sua vita molto prima, ma non ci sono mai riuscita per puro egoismo e… » mi morsi le labbra maledicendomi per non riuscire a trovare parole migliori, tutto questo lui lo sapeva già. C’era soltanto una cosa che non sapeva, che non aveva avuto il tempo di conoscere « …e che era e rimarrà sempre tutta la mia anima. Avrà per sempre il mio cuore e resterà per sempre il mio Jacob. Anche se non sarò mai abbastanza per lui. » Sospirai afflitta e addolorata
« Se solo avessimo avuto un po’ più di tempo…io avrei potuto rimediare. A tutto. E renderci felici. Insieme. » alzai per l’ultima volta lo sguardo negli occhi di Sam, avevo bisogno che mi credesse, e che capisse cosa intendevo dire « Rendere felice lui. Nel modo in cui aveva sempre sperato. »
Sentii una nuova ondata di dolore in arrivo, così mi voltai e salii a bordo dello Chevy, senza più guardarmi indietro. Non diedi nemmeno un ultimo sguardo alla casa rossa che si allontanava alle mie spalle, ero certa di non poter reggere alla vista della mia anima che rimaneva lì.




Pov Jacob


Non sentivo niente.
Miracolosamente.
Non avevo idea di quali santi ringraziare per quella breve tregua. Dopo tre lunghi, infiniti, orribili giorni, immerso in una febbre che mi bruciava perfino il cervello, e quando non ardevo, esplodevo in un corpo che non riconoscevo, quel momento mi parve davvero miracoloso.
Riuscivo perfino a rimanere in uno stato di dormiveglia così umano che mi sorprese. Se non fosse stato per il bagno di sudore in cui ero immerso, e di cui era impregnato ogni millimetro del letto…beh, avrei quasi potuto pensare che fosse stato tutto un terribile incubo.
Sé…..magari! ti piacerebbe, ragazzo!
Dannazione. Certo che mi sarebbe piaciuto!
Mi sarebbe piaciuto da morire scoprire che era stato soltanto un incubo tutto il dolore che si può provare quando il tuo corpo sembra avvolto dalle fiamme. Oppure scoprire che era sempre per lo stesso, meschino, incubo che quando il fuoco raggiungeva l’apice del suo bruciante dolore il tuo corpo esplodeva in quello di un animale…..un animale! Dio santo!
Mi sarebbe piaciuto eccome avere a che fare con un incubo, invece di pensare di essere impazzito! Perché è stata questa la prima cosa che ho pensato. Credevo di essere completamente uscito di testa. Insomma, un conto è ascoltare delle antiche leggende sulla discendenza del proprio popolo, e un altro è trovarsi immersi in un dolore bruciante che ti porta a ritrovarti nel corpo di un lupo.
Sant’iddio credetemi, se quello non è frutto della tua pazzia…allora pazzo ci diventi comunque, nello stesso istante in cui ti ritrovi su quattro zampe e ricoperto di pelliccia!
Emisi un grugnito infastidito a quei pensieri che stavano lentamente portandomi fuori da quel bellissimo stato di dormiveglia e mi voltai su di un fianco, con la faccia al muro poco sotto la finestra della mia stanza. Era incredibile come mi sentissi bene quella sera. Non bene nel senso che fossi sereno o felice…bene nel senso strettamente collegato all’assenza di dolore.
Tsè… “felice”…..femminuccia!
Stesi una gamba infastidito e sentii un crack. Non ebbi bisogno di sollevare la testa per vedere cosa fosse successo, lo sapevo già. Avevo appena rotto l’ultimo pezzo di pediera in legno del mio letto che era rimasto.
Ormai Billy aveva anche smesso di ricordarmi che quello era l’unico letto che avevo e che non aveva intenzione di cambiarlo. Merda, fra poco non ci sarei entrato per intero nemmeno in diagonale!
Sbuffai afflitto. In un altro contesto sarei stato orgoglioso di una tale prestanza fisica, ma sapere a cosa fosse dovuto il mio dimostrare qualche anno in più mi faceva salire l’amaro in bocca.
Felice” ripensai…no, non sarei mai più stato felice nella mia vita.
Non si può essere felici se si è dei mostri, se si è uno scherzo della natura degno del peggior film horror! Non si può essere felici se non si è nemmeno in grado di stare accanto ad una persona qualsiasi sperando di non perdere la pazienza e di non trasformarsi in un animale in grado di ucciderla anche solo con una spinta!
Strinsi il lenzuolo in un pugno, ormai sveglio, e lo sentii strapparsi sotto le mie dita come se fosse zucchero filato. Un ringhio basso e cupo mi nacque spontaneo dal petto.
Mi odiavo. Odiavo ciò che ero, più precisamente odiavo non essere più quello di prima. Odiavo sapere di non essere più la persona che tutti conoscevano…che Lei conosceva.
Iniziarono a tremarmi leggermente le mani a quel pensiero. Cercavo di evitare quanto più possibile tutto quanto riguardasse Lei proprio per questo motivo. Istantaneamente montava in me una rabbia che non ero ancora capace di controllare e in un batter d’occhio mi ritrovavo nei panni di un lupo inarrestabile e furioso. Era ancora impensabile per me ricordare di noi.
Quell’ira che esplodeva incontrollabile nasceva dallo stesso odio che provavo verso me stesso. Nasceva dalla consapevolezza che mai più avrei potuto starle accanto come prima, che mai più avrebbe saputo qualsiasi cosa di me, che forse…Lei non mi avrebbe voluto mai più.
Sam stava cercando in tutti i modi di farmi capire che almeno un piccolo risvolto positivo di tutta questa maledizione c’era : ora sapevo che le leggende sui “freddi” non erano più solo leggende, ma pura verità, e grazie alla mia nuova forma avrei potuto vegliare e proteggere chiunque amassi….compresa Lei.
Ma a me non bastava! Non mi sarebbe mai bastato poterla soltanto proteggere.
Lei era mia.
Lo era sempre stata e fino a qualche giorno prima avrei scommesso la testa che sarei stato capace di tenerla al mio fianco per sempre. Ed ora invece? Ora ero diventato un mostro.
Un essere mutante che non è nemmeno padrone del suo corpo. Perché quando il tremore iniziava, quando il calore arrivava e mi ardeva dentro in un lampo, io non ero capace di controllare me stesso. Non ero in grado di arrestare quell’iniziale formicolio che mi pizzicava tutto il corpo, dalle dita dei piedi alla cute del cranio, che pochissimi istanti dopo diveniva dolore bruciante esplodendo alla fine nella forma di lupo.
Dovevo ammettere che più volte mi succedeva di trasformarmi, meno durava la sofferenza. In poche parole, ad ogni trasformazione gli stadi di transizione tra una forma e l’altra mi facevano sempre meno male. L’ultimo paio di trasformazioni, ad esempio, avevo sentito sì ardermi in ogni cellula ma il dolore era quasi del tutto sparito.
Un pizzicore alla spalla destra mi distolse da quei pensieri. Mi grattai con il pollice sinistro il punto in cui ora faceva bella mostra di sè il tatuaggio della mia tribù.
Che presa per il culo!
Era davvero una presa per il culo quella lì! Come se servisse anche un marchio per indicare la nostra diversità. La nostra appartenenza al “branco”.
Come se non si notasse già abbastanza quanto eravamo diversi. Ognuno di noi mostrava fisicamente almeno otto o dieci anni più del dovuto e avrei potuto dire che io ero l’emblema vivente di quanto si potesse cambiare una volta entrati nel branco. Per un secondo immaginai di guardarmi in quel momento con gli occhi di un’altra persona. Cosa avrebbe visto?
Un ragazzo enorme, forse di 24 anni, con un tatuaggio tribale alla spalla destra, un taglio di capelli corto decisamente rozzo e povero, e con indosso soltanto dei calzoncini di felpa grigia lunghi fino al ginocchio.
Chi era quel ragazzo?
Chi diavolo era??
Di certo non io….di certo non l’io che ero fino a qualche giorno prima! Al Jacob Black che conoscevo io non sarebbe passato nemmeno per la testa di tagliarsi i capelli o di farsi un tatuaggio, così come non sarebbe mai andato in giro mezzo nudo per i boschi della riserva!
Ma ormai ero costretto ad accettare tutto questo, ero costretto ad essere tutto questo.
Dovevo portare i capelli corti, per i problemi che mi causava il pelo troppo lungo dopo la trasformazione.
Dovevo andarmene in giro semi nudo a rischio di passare per il pervertito esibizionista di turno per una questione di praticità, di esigenza, per cercare di disintegrare quanti meno vestiti possibile nel passaggio da una forma all’altra.
Dovevo essere un membro del branco, e questo non sarebbe mai cambiato.
Improvvisamente sentii un rombo ed uno scoppiettio familiari…troppo familiari.
« Ma porca…. » saltai a sedere nel bel mezzo del letto, rompendo una doga.
Non era possibile, non poteva essere lì. Non così vicino, non così all’improvviso.
Non mi ero preparato ad una cosa simile. Non potevo incontrarla! Non adesso! Non ora che non sapevo nemmeno cosa fosse l’autocontrollo!
Istintivamente saltai fuori dalla finestra con un balzo, dovevo andare via di lì al più presto. Non avevo nemmeno fatto tre passi di corsa quando sentii la sua voce.
« Sono venuta a parlare con Jake. E comunque non penso siano affari tuoi. »
La mia Bella…
Quella era la tua Bella, illuso!
Già, era vero, ma non m’importava. O almeno non era abbastanza.
Non era abbastanza sapere che non era più la mia Bella, perché la sua voce fu al contempo aceto e balsamo per le mie ferite profonde. Sapevo benissimo di dover andar via, di fuggire il più lontano possibile da lei e dal mostro che era in me. Ma non ci riuscivo. I miei piedi, le mie gambe, tutto il mio corpo si rifiutava di compiere un altro passo in avanti….ma non indietro.
Lentamente, e del tutto istintivamente, ripercorsi all’indietro i pochi passi fatti, senza voltarmi, fermandomi solo quando sentii la parete in legno di casa mia toccarmi la schiena.
Ti sei bevuto il cervello, ragazzo?! Solo un’idiota rischierebbe tanto! Corri! Allontanati da qui!
Come se fosse possibile!
Come se riuscissi sul serio a muovermi di lì e a non ascoltare più la sua voce! Era già lo sforzo più grande di tutta la mia vita non voltarmi per guardarla oltre la parete di legno rosso! Per un po’ restai lì ad ascoltare senza capire cosa stesse dicendo a Sam. Mi beavo semplicemente del suono della sua voce, riempiendomi completamente di quel dolce suono, facendomi invadere fin nel profondo del cervello e del mio povero cuore.
« Mi dispiace così tanto! » quasi urlò soffocata dai singhiozzi.
Mi sentii letteralmente pugnalare in pieno petto da quelle parole, da quel pianto. Anche se non avevo ascoltato nulla prima di quelle semplici parole, sapevo con sicurezza ciò che stava accadendo.
Sam mi aveva avvertito : se davvero intendevo tornare da lei un giorno, avrei dovuto aspettare di possedere l’autocontrollo migliore di tutta la storia del branco affinchè non scoprisse mai il nostro segreto. Ma se prima di allora lei mi avesse cercato…sarebbe stato compito suo allontanarla.
Ed io avevo capito da subito che non avrebbero avuto spazio modi gentili o parole confortevoli, ma avevo accettato comunque.
In quel momento però, sentire la sua voce sommersa dai singhiozzi, mi strappò l’ultimo pezzo di anima che mi era rimasto attaccato addosso per sbaglio.
Cosa le stavo facendo? Perché l’amore della mia vita doveva subire tutto questo? Iniziai a tremare forte sotto la fredda pioggia battente, che creava un piccolissimo alone di vapore intorno a tutto il mio corpo rovente, e capii che non mi restava ancora molto tempo.
Così cercai di concentrarmi, di combattere contro la furia e il rogo che crescevano dentro di me, per ascoltarla ancora un po’, ancora per qualche secondo, ne avevo un disperato bisogno. Deglutii forte, spingendo via quel nodo che mi stringeva la gola sempre più forte.
Non vorrai piangere, spero!
Io volevo soltanto sentirla ancora.
« Ti prego, digli che mi dispiace tanto. Che è stata tutta colpa mia, che sono un mostro! Che avrei dovuto lasciarlo libero di vivere la sua vita molto prima, ma non ci sono mai riuscita per puro egoismo e… » si interruppe ed io annaspai.
Annaspai in cerca d’aria, mentre i contorni delle mie mani mi apparivano già sfocati dal tremore.
Ma non vedi, amore?! Sono io! Sono io il Mostro!
« …e che era e rimarrà sempre tutta la mia anima. Avrà per sempre il mio cuore e resterà per sempre il mio Jacob. Anche se non sarò mai abbastanza per lui. »
Oh Dio, anima mia! Tu! Tu! Tu! Sei TU la mia anima, non il contrario! E io non sono più il tuo Jacob…non lo sarò mai più.
Una fitta al cuore mi tolse completamente il respiro. Come poteva anche solo pensare di non essere abbastanza per me? Lei era perfetta! Assolutamente perfetta.
« Se solo avessimo avuto un po’ più di tempo…io avrei potuto rimediare. A tutto. E renderci felici. Insieme. »
Fece un’ultima breve pausa, mentre il nodo alla mia gola si stringeva, e il mio corpo esplose in quello di un lupo in meno di qualche secondo. Non ce la facevo! Non potevo più trattenermi! Con un balzo scattai in avanti ed iniziai a correre, a fuggire via lontano dal dolore che le stavo procurando ancora una volta, ma alle mie orecchie giunsero le sue ultime parole, che scandirono il ritmo della mia corsa furente e straziante
« Rendere felice lui. Nel modo in cui aveva sempre sperato. »
Il dolore ormai mi dilaniava in ogni molecola del mio essere, bloccai la mia corsa in un unico movimento, scivolando sul tappeto di foglie, slittando con le zampe posteriori per la brusca frenata, gettai il capo all’indietro e guidato da una forza più grande di me ululai.
Ululai forte, come mai avevo fatto prima, tanto da spaccarmi il petto, tanto che credetti fosse sangue quel leggero rivolo caldo che sentivo scorrermi lungo il muso, prima di riaprire gli occhi, e vedere soltanto lacrime.




Angolo autrice : PER FAVORE recensite !!

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Capitolo 23
*** CAPITOLO 18 - Un passo alla volta ***






CAPITOLO 18 – “Un passo alla volta



Tre settimane dopo…..



« Edward Cullen, Angie?! No dico…Edward Cullen?!? » avevo alzato la voce senza accorgermene.
Angela mi aveva tappato la bocca rapidamente, prima che tutto il cortile della Forks High si voltasse a guardarmi.
« Ho capito! » sbuffò esasperata e fece ricadere di nuovo le mani lungo i fianchi sottili.
« Ne sei proprio sicura? Perché, sai, non ti vedo sconvolta quanto me, o nemmeno sconvolta quanto mi aspettassi » incrociai le braccia al petto e pensai che forse dovevo apparirle proprio come una bimbetta capricciosa.
« Il fatto è che….non ci vedo nulla di così sbagliato, Bells. » ammise con lo sguardo rivolto a terra e si sedette sulla panchina a pochi passi da noi.
Sospirai forte per calmarmi, mentre con una mano mi torturavo i capelli. Infondo Angela era la mia migliore amica anche e soprattutto perché la consideravo una ragazza davvero molto intelligente. Quindi di sicuro aveva i suoi buoni motivi per pensarla a quel modo. E, ancora più sicuramente, in quel momento io non avevo la lucidità necessaria per valutare l’episodio obiettivamente.
Così mi rasserenai, era meglio affrontare la cosa con calma, facendomi guidare da lei. Affondai le mani ormai gelate dal freddo ottobre di Forks nelle tasche profonde della felpa e mi abbandonai sulla panchina al suo fianco.
Angela mi guardò di sottecchi e poi, non senza una punta d’imbarazzo, infilò la sua mano nella tasca sinistra della mia felpa e mi prese la mano. Sospirai a quel contatto affettuoso e strinsi le sue dita fra le mie. Gli occhi mi pungevano e mi accorsi della lacrima che mi solcava la guancia solo perché Angie la raccolse con l’altra mano, per poi accarezzarmi.
« Oh Bella, tesoro. » sussurrò ed io la guardai, nei suoi grandi occhi nocciola anch’essi lucidi dietro gli occhiali. « Non devi arrabbiarti con te stessa. Non devi prenderla così. »
« E come dovrei, Angie? » le chiesi con la voce tremante.
« Soltanto per quello che è: un sogno. Niente di più. »
« Si certo, la fai facile tu… »
« Facile, Bells? » rispose brusca e questo mi stupì « Pensi sia stato facile vederti distrutta in queste tre settimane? Pensi sia facile starti accanto, anche adesso, mentre ancora soffri e ti amareggi addirittura per un sogno? » spinse di nuovo su gli occhiali che le erano scivolati lungo il naso.
« No, Angela, no. Scusami. » sbuffai davvero afflitta.
Angela era stata il mio vero sostegno in quelle tre settimane. Soltanto lei era riuscita a tirarmi su quando la voragine che Jacob aveva lasciato nel mio petto pareva allargarsi ed inghiottirmi. Soltanto lei era riuscita a convincermi ad uscire dal letto, a non farmi rammollire sotto bollenti docce infinite, a farmi uscire di casa dopo giorni, a ricominciare anche soltanto a parlare con più di qualche semplice monosillabo.
Angie mi abbracciò forte per un secondo e poi si staccò, aumentando la stretta della sua mano nella mia nel calore della felpa.
« Non scusarti tesoro. E’ solo che vorrei aiutarti a capire che non vale la pena amareggiarsi perfino per un sogno » mi rivolse un debole sorriso
« Angie…quello non è un sogno, ma il sogno. » puntualizzai per l’ennesima volta.
« Che a quanto pare è tornato a farti visita. »
« Ma cambiato » aggiunsi
« Già, cambiato. E per fortuna direi, altrimenti sarei stata costretta a portarti da uno strizzacervelli! »
Mi strappò una piccola, breve risata contagiata dalla sua.
Un po’ di tempo prima, in un pomeriggio a casa mia, per distrarmi dal torpore in cui mi trovavo dopo la rottura con Jake, le avevo raccontato di quel fastidiosissimo sogno che mi tormentava ogni notte nel mese precedente. Poi, forse per clemenza, quello stesso sogno aveva smesso di torturarmi dalla notte stessa in cui avevo parlato con Sam. Non l’avevo più fatto. Le mie notti erano semplicemente diventate buie e senza sogni. Fino all’altra notte perlomeno.
L’altra notte quel sogno era tornato, ma diverso. Era cambiato. Stavolta , mentre camminavo nell’immenso spazio bianco senza confini e orizzonti, cercando di raggiungere una sagoma scura in lontananza….la potentissima luce accecante dietro quella sagoma si affievoliva fino a spegnersi del tutto. Permettendomi finalmente di avvicinarmi senza più intralci alla sagoma, permettendomi di raggiungerla, permettendomi di vedere a chi appartenesse quella sagoma.
Mi ero svegliata di soprassalto quasi immediatamente quando avevo riconosciuto Edward Cullen. All’inizio avevo pensato di ricordare male, così mi ero riaddormentata, e il sogno era tornato. Uguale a poco prima, esattamente lo stesso. Appena la luce svaniva del tutto, mi avvicinavo alla figura ormai identificata come Edward. E nonostante mi fossi risvegliata e riaddormentata almeno cinque volte nella stessa notte, ogni volta che perdevo i sensi mi ritrovavo sempre nello stesso sogno, sempre uguale.
La cosa che mi spaventò di più, fu notare che nel sogno venivo spinta sempre da un istinto più grande di me verso Edward. Inconsciamente, mentre sognavo ero ben consapevole di come sarebbe andato a finire quel sogno, avrei raggiunto la sagoma, avrei visto che era Edward….ma nonostante ciò, nonostante questo sarebbe dovuto bastare a farmi fermare, se non addirittura voltarmi nell’altra direzione, io venivo comunque spinta verso di lui. Mi sentivo profondamente e magneticamente attratta da Edward. E il mio subconscio approfittava dello stato di incoscienza in cui mi trovavo, per abbattere ogni tipo di resistenza nei confronti di Edward e abbandonarsi al richiamo che lui suscitava in me.
« Forse… » Angela mi distolse dal ricordo « …forse vuole dirti qualcosa »
« Chi? Il sogno? » le chiesi
« Beh in un certo senso. Direi più il tuo subconscio. » mi rispose sorridendomi.
« Ci mancano solo queste cose da manicomio, nella mia vita » sbuffai
« Ma quanto sei diventata noiosa! » mi lanciò un occhiataccia « Chi ti dice che non sia una cosa positiva? »
« Non ci vedo nulla di positivo in Edward Cullen, e lo sai benissimo. »
« No, mia cara. Quello che so è che tu non vuoi vedere nulla di positivo in lui. Ti ostini a non parlargli, a non guardarlo nemmeno! E sinceramente non mi sembra un comportamento normale. »
« Non sono mai stata tanto normale »
« Su questo, ma solo su questo, ti do ragione » mi diede una stretta alle dita e mi sorrise, cercando il mio sguardo. Sapevo cosa stava aspettando, e a quel punto, tanto valeva ascoltarla.
« Avanti, Freud. Illuminami sul mio subconscio. »
Angela rise e gongolò di gusto, poi si voltò ancora di più verso di me. Aveva una strana luce folle negli occhi, e questo mi fece capire che stava per spiattellarmi una di quelle sue spiegazioni degne dell’arringa del miglior avvocato di Washington.
« E’ molto semplice, Bells. Quasi elementare direi, e anzi, sinceramente mi sono sorpresa che tu non ci fossi arrivata prima perché…. »
« Oddio Angie! » la interruppi « per favore, potresti evitare di dilungarti su quanto sia stata “elementare” per te questa deduzione e passare a spiegarmela? »
« Bene, ascolta. Tu hai iniziato a fare questo sogno prima che i Cullen arrivassero in città, ovviamente senza riuscire ad identificare quella sagoma in controluce. Poi…improvvisamente, quando Jake sparisce, ecco che riesci ad identificare il “personaggio misterioso”. Ma il punto sai qual è? Che tu hai escluso da subito che in quel sogno ci fosse qualcun altro oltre a te e alla sagoma. » mi guardò sollevando un sopracciglio evidentemente soddisfatta.
« Non capisco dove vuoi andare a parare. »
« Insomma, nel sogno c’eri tu, la sagoma…e la luce! La luce abbagliante, Bells! » era possibile che mi sembrasse ancora più folle?
« Angie, mi stai mettendo paura. »
« Credo che il tuo cervellino abbia subito qualche danno ultimamente. Ma visto che non ci arrivi da sola te lo dirò io. » sospirò vistosamente, quasi infastidita dalla mia mancanza di arguzia « Quella luce, guarda caso, era proprio ciò che ti impediva di vedere Edward. E lo faceva di proposito, perché quella luce abbagliante rappresenta qualcuno. »
« E quel qualcuno sarebbe…. » la incitai a proseguire
« L’unica persona al mondo che definiresti il tuo sole personale. » aggiunse con un tono improvvisamente più sommesso, come se avesse paura di ferirmi anche solo facendo riferimento a lui.
Ed in effetti non aveva tutti i torti. Come ogni volta che si parlava di Jacob il mio stomaco fu stretto in una morsa dolorosa.
« Jake » sussurrai piano.
« Si, Jake. » mi confermò Angela e strofinò il pollice sul dorso della mia mano. « Secondo me tutto ciò ha un significato, Bella. Fin quando Jacob era nella tua vita, la sua forza ti impediva di avvicinarti ad Edward. Ti impediva anche solo di guardarlo meglio, di riconoscerlo e conoscerlo. Semplicemente, ora che Jake non è più qui, puoi finalmente guardare ciò che ti era stato negato fin’ora. » Poteva aver ragione.
« D’accordo Angie, ammettiamo che sia così. Ma perché Edward? Perché proprio lui? »
« Perché non esiste persona al mondo più diversa da Jacob. » mi sorrise piena d’affetto « Tu lo sognavi ancora prima che lui arrivasse a Forks. E’ come se avessi avuto un sesto senso, come se lo avessi aspettato. Come se il tuo subconscio volesse prepararti ad incontrarlo. Oppure, ancora meglio, voleva rassicurarti che quando avresti perso Jacob non saresti stata da sola, ma anzi. Il destino aveva in serbo per te la cura ai tuoi dolori. Qualcuno che rappresentasse una novità, una scoperta, qualcuno che fosse l’opposto di Jacob in tutto. »
Le lanciai uno sguardo implorante. Perché sapevo che aveva ragione. Infondo sentivo che aveva ragione su tutto. Edward era totalmente diverso da Jacob, e io in quel momento della mia vita, per sfuggire al dolore, avevo bisogno esattamente di quello.
« Quindi, tesoro, per favore smettila di ignorarlo. Io non dico che dovrete diventare amici per la pelle, ma almeno prova a prendere da lui soltanto ciò che potrebbe aiutarti a non pensare. »
« Ma a Jacob.. »
« Jacob non c’è, Bella. Se n’è andato. » il suo tono divenne improvvisamente serio « Tu sai quanto anche io gli voglia bene. Siamo cresciuti insieme, noi tre. Ma la mia migliore amica sei tu. E se vederti di nuovo felice, o almeno meno sofferente, significa doverti spingere a fare qualcosa che ferirebbe Jacob….beh, diamine, si, sono determinata a farlo. »
Mi gettai tra le sue braccia come poche volte avevo fatto. Perché poche volte, prima di allora, mi ero sentita così piccola, così bisognosa di una guida.
« Grazie, Angie. Ti voglio bene »
« Anch’io te ne voglio, Bella. »



Le successive ore ed il pranzo mi servirono molto per pensare. Certo Angela aveva ragione, ed io volevo seguire i suoi consigli. Ma una volta scemata l’intensità quasi mielosa di quel nostro scambio di idee, decisi che non sarebbe stato tutto rose e fiori.
Del resto ero ancora assolutamente diffidente nei confronti di Edward, non lo conoscevo affatto. Però in quelle tre settimane ero giunta anche ad un’altra conclusione : se io e Jacob avevamo rotto, non era del tutto colpa sua. In effetti mi aveva soltanto dato un passaggio a casa, e non potevo sapere quanto fosse davvero intenzionale il suo dirlo a Jacob quel mattino. Magari anche per lui non sarebbe stata una tragedia così grande farglielo sapere.
Quindi a conti fatti, decretai che Edward non meritava più il trattamento “fantasma” che gli avevo riservato fino a quel momento, ma comunque sarei stata diffidente. A volte ancora mi saliva l’amaro in bocca quando ripensavo a quel giorno.
Così, quando quel pomeriggio entrai nell’aula di letteratura sperimentale, e lo trovai già seduto al suo posto, mi sforzai di sembrare quanto più rilassata possibile.
« Ciao Cullen » gli dissi.
Edward si voltò come se avesse sentito parlare un morto. Non avevo mai visto nessuno con un’espressione più ridicola di quella, e dovetti trattenermi tantissimo per non ridere.
« Ciao Bella » mi rispose ancora sbalordito, ma quando lo fulminai con lo sguardo si corresse « Ciao Swan » e dal suo volto sparì ogni traccia di stupore, rimpiazzato dal suo sorriso sghembo.
Mi sedetti accanto a lui, posai lo zaino sul pavimento ed aprii il libro di testo.
« Non ci speravo più. » mi disse con un tono di voce dolcissimo, e mi fu impossibile non voltarmi.
E così rincontrai i suoi occhi dorati. L’impatto fu forte, non li incrociavo da più di tre settimane. Non credevo fosse possibile che un essere umano avesse così tanto potere in uno sguardo, o in un sorriso, o semplicemente nel suo volto. Quel ragazzo era ipnotizzante, bastava guardarlo perché ti si svuotasse la mente e ti ritrovassi completamente in balia dei suoi gesti.
E quella sensazione di rapimento era piacevole, ma allo stesso tempo mi infastidì molto in quel momento. Non volevo cadere trappola del suo fascino, non volevo che mi abbindolasse con così tanta facilità.
« Già. » gli risposi, poi aggiunsi determinata « Ma non pensare che la mia sia una resa. Voglio soltanto concederti il beneficio del dubbio. »
« Grazie. Ed io non te ne farò mai pentire, Bel… » lo interruppi bruscamente, parlando con un tono leggermente superiore al suo e fissandolo dritto negli occhi.
« Un passo alla volta, Cullen. Un passo alla volta. »
Mi sorrise, felice come una pasqua, anche se non avevo idea del perché.
« Non te ne farò mai pentire, signorina Swan. Lo prometto. »




Angolo autrice : PER FAVORE recensite !!

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Capitolo 24
*** CAPITOLO 19 - Romeo ***






CAPITOLO 19 – “Romeo


Due settimane dopo…….


Era ormai metà Ottobre. Un sabato pomeriggio dell’Ottobre più freddo degli ultimi dieci anni.
Così almeno diceva il meteorologo in quel momento alla televisione. In realtà mi stava letteralmente assordando con le sue previsioni, il volume della tv era ad un livello pazzesco, come ogni volta che Charlie guardava una partita. Allungai pigramente un piede sul divano per raggiungere il telecomando e lo trascinai più vicino, dove lo presi ed abbassai il volume quasi al minimo.
Dalla cucina proveniva uno strano rumore che non riuscivo ad identificare. Così mi voltai e sporsi appena gli occhi al di sopra dello schienale del divano per dare uno sguardo. Dalla mia prospettiva riuscivo a vedere soltanto la parte sinistra della cucina, il tavolo e le sedie.
Attesi qualche secondo prima che nel mio campo visivo entrasse Charlie.
Andava avanti e indietro apparendo e scomparendo dalla mia visuale, il lungo filo del telefono appeso mollemente dietro di lui e la cornetta schiacciata al viso. Era già molto insolito vedere Charlie al telefono, ma era addirittura impossibile vederlo bisbigliare al telefono, proprio come in quel momento.
Un sorriso si fece largo sul mio viso. Era così buffo, tutto impacciato, ancora nella sua divisa da lavoro, mentre bisbigliava chi sa cosa a chi sa chi al telefono. Per un brevissimo istante il mio cervello mi suggerì l’ipotesi che stesse parlando con una donna, e quasi subito arrossii all’idea di averlo colto in un momento così intimo.
Mi voltai di nuovo verso lo schermo, dove il meteorologo aveva lasciato il posto ad un paffuto cronista sportivo, e pensai che se quell’ipotesi di poco prima si fosse rivelata vera, ne sarei stata felice. Renée ormai erano anni che si era rifatta una vita con Phil, un uomo abbastanza più giovane di lei, che a quanto sapevamo si guadagnava da vivere allenando squadre minori di baseball in giro per la Florida. Non mi sarebbe affatto dispiaciuto vedere anche Charlie di nuovo felice.
Sbadigliai oziosamente e controllai l’ora. Erano le 15:59, in teoria mancava soltanto un minuto all’appuntamento ma pensai che avessi ancora tempo prima che arrivasse il mio ospite. Invece, esattamente qualche secondo dopo, la lancetta dell’orologio scoccò le 16:00 e contemporaneamente il campanello suonò.
« Vado io » dissi ad alta voce per avvisare Charlie.
Ovviamente non poteva essere il mio ospite, nessuno era così puntuale. Aprii la porta e rimasi di stucco.
« Buon pomeriggio, Bella. »
A quanto pareva, nessuno al mondo era così puntuale, tranne lui.
Era splendido nella cornice bianca della mia porta, con un sacchetto di carta in una mano e un libro nell’altra, sul viso poggiato un angelico sorriso e due topazi splendenti che trafiggevano il cioccolato dei miei occhi.
« Ciao Edward, entra. » mi scostai per lasciargli spazio e richiusi la porta dietro di lui.
« Questo è un piccolo pensiero per te. Non sapevo quale preferissi. » mi porse il sacchetto di carta.
« Grazie, ma non dovevi »
« Per me invece è stato un piacere » sfoderò il sorriso sghembo che mi annebbiava i pensieri « E poi è scortese far visita ad una splendida signorina senza recarle alcun omaggio per la sua compagnia. »
Sentii le guance avvampare di rossore senza un motivo preciso
« Quando parli così sembri uscito da un romanzo del ‘500 » lo schernii
« Mi preparavo al compito di oggi » mi sorrise ed infilò le mani nelle tasche.
In quelle due settimane avevo capito che Edward non rappresentava per me alcun pericolo, non era la persona falsa e machiavellica che avevo immaginato. Avevo abbattuto la barriera del distacco, lasciando i cognomi solo a momenti di scherzo, ed ora era per me un amico che dovevo imparare a conoscere. Perché nonostante ci fossimo avvicinati, Edward rimaneva un mistero per me sotto molti aspetti. Era disposto a stare ad ascoltarmi per ore, o pronto a sommergermi di domande, ma non mi aveva mai detto nulla di sé, e quelle rare volte che il discorso sembrava volersi dirigere verso il suo passato, un ombra oscurava il suo viso e prontamente deviava l’argomento verso altri temi.
« Chi c’è, Bells? » Charlie ci raggiunse nell’ingresso.
Appena vide Edward spostò lo sguardo su di me e portò istintivamente una mano alla fondina che teneva agganciata ai pantaloni, per controllare se la pistola fosse ancora lì.
« Tranquillo papà » risi imbarazzata a quel gesto « Non ho intenzione di sparargli »
« Lo voglio ben sperare! » Edward scoppiò in una risata cristallina e poi si rivolse a Charlie « Buon pomeriggio, capo Swan »
Charlie mi lanciò un occhiataccia « Ciao Edward »
« Il professor Barnes ha assegnato un compito da fare in coppia e Edward è il mio compagno di banco. » gli spiegai
« Oh, bene » eppure non mi sembrava tanto convinto. Mi guardava come se si aspettasse di vedermi strangolare Edward da un momento all’altro. « L’altro giorno ho conosciuto tuo padre, Edward. In ospedale è diventato già un punto di riferimento per tutti, spero che anche voi ragazzi vi siate ambientati bene a Forks. »
« Splendidamente, grazie » per un breve istante fece scivolare il suo sguardo su di me.
« Noi dovremmo…. » indicai le scale per togliere tutti da quel momento di imbarazzo
« Si, certo. Andate pure » Charlie si dileguò in cucina da dove arrivò quasi subito il rumore del frigo che si apriva.
« Vuoi qualcosa da bere? » domandai a Edward
« No, grazie » mi rispose sottovoce
« E da mangiare? »
« Nemmeno, sono a posto così. »
« Allora andiamo »
Lo guidai su per le scale fino in camera mia, dove avevo cercato di fare quanto più spazio possibile sulla mia minuscola scrivania, alla quale avevo aggiunto una sedia in più. Posai il sacchetto di carta sul ripiano in legno e cercai il libro.
Edward nel frattempo si guardava intorno con attenzione, scrutando ogni angolo della mia camera come se volesse impararne a memoria ogni centimetro. Trovai “Romeo e Giulietta” nel primo cassetto del comodino accanto alla finestra, dove l’avevo riposto appena qualche giorno prima dopo averlo letto per l’ennesima volta. Mi avvicinai alla scrivania, mi sedetti e vi poggiai il libro.
Sentii Edward sedersi accanto a me proprio nel momento in cui aprivo il sacchetto che mi aveva portato. Capii subito a cosa si riferiva quando mi aveva detto che non sapeva quale preferissi. Al suo interno vidi un muffin con gocce al cioccolato, un red velvet cupcake e una ciambella con glassa ai mirtilli. Sorrisi ad Edward e poi estrassi dal sacchetto il muffin, uno dei miei dolci preferiti.
Non riuscivo a resistergli, nonostante ogni volta che ne vedessi uno mi si stringeva il cuore al ricordo di quelli che Jacob mi portava ancora caldi quando Emily, la fidanzata di Sam, ne sfornava di giganti.
Gli diedi un morso prima che il nodo che mi era appena nato in gola mi soffocasse.
« E così ti piacciono i muffin » mi guardò intensamente prima le labbra, mentre masticavo per rispondergli, e poi la gola, quando deglutii.
« Si, moltissimo. »
« E’ il tuo dolce preferito? »
« Subito dopo i pancakes. » diedi un altro morso al muffin e il suo sguardo seguì ancora attentamente ogni movimento delle mie labbra, della mia mandibola, e della mia gola.
« Smettila di fissarmi » gli dissi prima di addentare ancora il dolce.
A volte lo faceva anche in mensa a scuola, ma non l’aveva mai fatto così a lungo e così intensamente.
« Scusami, non volevo imbarazzarti. » si scusò ma non distolse lo sguardo dalla mia bocca « E’ che sembra così….dolce. Così…. » si passò la lingua sulle labbra « …saporita. »
Stava iniziando a mettermi in soggezione, e pensai che si fosse sbagliato ad usare il femminile, che volesse dire “saporito” riferito al muffin. Così posai di nuovo il dolce nel sacchetto con la promessa di recuperarlo appena Edward se ne fosse andato. Evidentemente se ne accorse, perché distolse lo sguardo e lo fece vagare in giro per la stanza.
« Ti piace il viola? » mi chiese subito dopo
« Perché me lo chiedi? »
« Beh sai » iniziò ad indicare cose intorno a sé « Le lenzuola, le tendine »
« L’ha scelto Charlie prima che mi trasferissi »
« E tu non l’hai cambiato per evitare che si dispiacesse nonostante non ti piaccia. » dedusse a modo suo.
Ma era vera soltanto la prima parte.
« Non è vero che non mi piace. E’…carino » non ne andavo pazza, ma poteva andar bene.
« Ma non è il tuo colore preferito »
« No »
« E qual è? »
« Non ne ho uno » mentii.
Quella era soltanto una parte della verità, ma per me rappresentava lo stesso una menzogna. Sperai che non mi conoscesse abbastanza da notarlo, perché avrebbe significato dovergli dire tutta la dolorosa verità.
Invece strinse appena gli occhi, fissandomi. Mi sentivo il suo sguardo addosso, puntato in viso, nonostante io tenessi il mio puntato sulla copertina logora di “Romeo e Giulietta”.
« Tutti hanno un colore preferito, Bella. » non se l’era bevuta.
Possibile che mi conoscesse già così bene?
Possibilissimo, vista l’attenzione quasi maniacale che mi dedicava ogni giorno, ogni ora, e per qualsiasi cosa. Ma non potevo rispondere a quella domanda. Non così presto.
Cosa avrei potuto dirgli in quel momento?
Vedi Edward, io non ho un colore preferito per il semplice motivo che ne ho più di uno.
Uno di questi è il rosso: è il colore di quella che è stata la mia seconda casa per tre anni, è il colore che mi avvolgeva completamente la vista quando Jacob mi baciava.
Un altro è il ruggine con tutte le sue sfumature di rame e marrone mescolate insieme: perché è il colore caldo e vellutato della pelle del mio Jake.
Infine c’è il nero, forse quello che più preferisco fra i tre : perché mi ricorda il mare profondo, intenso e avvolgente dei suoi occhi ; perché nera è la cascata setosa dei suoi capelli; perché nera è la sua moto lucente che adora; perché perfino il suo cognome è nero; perché Jacob Black, nonostante sia solo un ragazzo, è ammaliante, intenso, profondo, ed eccitante come solo la notte più nera sa essere.
« Invece io no! Ti ho detto di no. » gli risposi acida per scacciare via tutta la cascata di ricordi che mi stava piombando addosso.
Me ne pentii quasi immediatamente, e alzai lo sguardo verso di lui. Edward mi guardava con gli occhi dorati velati di dispiacere. Quel dispiacere glielo vedevo dipinto in volto ogni volta che mi comportavo così, ogni volta che gli rispondevo male o che lo trattavo rudemente per colpa di qualche ricordo, e se non ci conoscessimo soltanto così poco, avrei giurato che fosse addolorato.
« Mi dispiace, Bella. Io… »
« No, no, Edward. Scusami tu. A volte sono insopportabile »
« Non dire così. » allungò una mano verso di me, e mi sfiorò appena una guancia con un dito « Sei la persona più adorabile che abbia mai conosciuto in tutta la mia vita. »
Il suo tocco leggero e freddo sfiorò appena la mia pelle come una debole brezza autunnale, procurandomi un lieve brivido lungo la schiena. Non era la prima volta che Edward mi sfiorava in quel modo. E nonostante sapessi che non avrei dovuto permetterglielo, che non avrei dovuto lasciare che si illudesse, non trovavo mai la forza per sottrarmi al suo tocco.
Ogni volta che mi toccava, quel brivido mi scorreva sotto la pelle, donandomi la sensazione del ghiaccio che allevia la febbre, e riuscivo quasi a sentire di volta in volta una piccola ferita bruciante dell’animo che si rimarginava.
« Possiamo finirla qui con l’interrogatorio quotidiano? Sai, avremmo un saggio da scrivere » gli ricordai
« Certo, hai ragione. » diede una rapida occhiata alla mia copia di “Romeo e Giulietta” « Vuoi rileggerlo brevemente per rinfrescarti la memoria? »
« Non ne ho bisogno, lo conosco talmente bene che potrei recitarlo dal principio alla fine anche adesso. »
Edward sollevò un sopracciglio, sorpreso, e il suo sorriso sghembo mi investì nuovamente con tutto il suo potere. Certo, se faceva così non sarei stata in grado di ricordare nemmeno il titolo del romanzo in questione.
« Mi sorprendi, Swan. »
« Credevi di essere l’unico secchione della classe, Cullen? » gli sorrisi anch’io divertita
« Assolutamente si. » la sua risata musicale riempì l’aria della camera, seguita dalla mia.



Due ore dopo ci trovavamo in una situazione che nessuno dei due aveva ipotizzato. Già, perché non c’erano dubbi sulla nostra preparazione su “Romeo e Giulietta”. Ma ciò che non avevamo messo in conto, erano le diverse opinioni che avremmo potuto avere.
Infatti, il nostro saggio si era scritto praticamente da solo e con estrema facilità, fino ad un certo punto. Fino a quel determinato punto, sul quale stavamo discutendo ormai da un’ora. Il suicidio di Romeo.
« Almeno ammetti che ha fatto una sciocchezza! È stato uno sconsiderato! Uccidersi subito dopo la morte della propria amata….che idiozia! » mi rendevo conto di essere molto cinica a volte, ma non potevo farci nulla. « Anche perché se tutti agissimo come Romeo la popolazione mondiale sarebbe dimezzata dai suicidi di tutti coloro che perdono un amore. Io stessa non sarei qui se lui fosse stato nel giusto! » mi pentii immediatamente di ciò che avevo detto.
Mi zittii imbarazzata.
« Bella, con tutto il rispetto, non puoi paragonare il tuo amore a quello di Romeo » tutto mi sarei aspettata tranne quell’affermazione.
« E tu cosa ne sai? » gli risposi infastidita
« Ti prego non fraintendermi. Non intendo in alcun modo giudicare o misurare i tuoi sentimenti. E’ soltanto che… per Romeo era diverso. »
« Diverso? »
« Tu…prova per un momento a immaginare di essere lui. Romeo amava talmente tanto la sua Giulietta che ha rischiato più volte la vita per lei, per la loro unione. Prima di Giulietta, Romeo viveva nell’assoluta malinconia… »
« Perché amava Rosalina, una Capuleti anche lei. »
« Bella, lascia stare chi amasse o non amasse. Il punto è che Romeo prima di Giulietta semplicemente non viveva. La sua esistenza era triste, buia, e piena di sconforto » normalmente avrei ribattuto subito ad un argomento di letteratura, eppure non lo feci.
In quel momento non intervenni perché l’espressione di Edward mi catturò. Era come se riuscissi a vedere il suo volto attraversato da quel dolore di cui stava parlando, ed ebbi la strana sensazione che stesse parlando un po’ anche di sé
« Giulietta è stata la sua luce, il suo ossigeno, l’adrenalina iniettata direttamente in un cuore anestetizzato. Lei in un attimo, un solo attimo, gli ha ridato la vita. Gli ha dato un motivo per il quale vivere davvero la sua vita e non esistere semplicemente. Giulietta è diventata l’anima di Romeo, e senza di essa, lui non sarebbe stato più nulla. » tirò un profondo respiro, e poi mi fissò dritta negli occhi, aggiungendo quasi addolorato « Come avrebbe mai potuto, anche solo pensare, di camminare su di un mondo nel quale la sua ragione di vita non esiste? Senza Giulietta, Romeo non era nulla. Nient’altro che un involucro di tessuti senz’anima. »
Per un momento, un lungo momento, rimasi senza fiato. E non fu soltanto perché non avevo mai pensato alla vita di Romeo in quei termini. Ma perché fui attraversata dalla improvvisa sensazione che Edward mi avesse appena parlato di lui.
Del suo passato. Dei suoi dolori e tormenti. E l’intensità di quelle sensazioni così sofferenti mi aveva investita in pieno. Per la prima volta mi ritrovai a chiedermi chi fosse davvero Edward Cullen. Cosa fosse accaduto realmente nel suo passato. Quale fosse stata la sua vera vita prima di arrivare a Forks…la stessa vita che tentava di celare dietro il suo magnifico aspetto, forse sperando che grazie a quello nessuno si fosse mai chiesto altro su di lui.
Eppure in quel momento io stavo chiedendomi di più. Avrei voluto sapere tutto di lui, dei suoi tormenti, delle sue sofferenze, ma anche dei suoi desideri, delle sue fantasie, dei suoi bisogni. In quel preciso momento avrei voluto sapere tutto, e allo stesso tempo avrei voluto fare qualcosa per aiutarlo.
La mia mano si mosse verso il suo viso quasi senza che io la controllassi e le punte dei miei polpastrelli arrivarono a pochi millimetri dalla pelle candida e liscia delle sue guance. Poi prima che potessi effettivamente toccarlo, Edward indietreggiò quasi impercettibilmente, irrigidendosi.
Quella reazione, seppur minima, mi fece tornare sui miei passi e ritirai in fretta la mano. I nostri occhi erano ancora incatenati, e forse fu proprio grazie a loro che ritornai sui miei passi. Per un secondo avevo visto nel suo sguardo un velo di preoccupazione, o forse frustrazione, non lo seppi dire con certezza. Ma quel velo era bastato a farmi capire che non era il momento.
Distolsi lo sguardo e lo portai sul quaderno, imbarazzata da quella situazione e da quel silenzio così pesante. Infondo era stata una reazione più che giustificata la sua. Fino a quel momento aveva avuto davanti una persona diffidente, che non si era mai ancora interessata davvero a lui, a cosa pensasse o a cosa avesse realmente dentro.
Mi resi conto di aver sbagliato qualcosa nel nostro rapporto. Avevo preso, preso e ancora preso, tutto quanto potesse servirmi a non pensare, senza mai dare qualcosa in cambio. E mi sentii davvero in difetto nei suoi confronti. Alzai per un secondo lo sguardo verso di lui, ed inaspettatamente lo trovai sorridente. Di quel sorriso sghembo che poteva avere mille significati, ma che in quel momento sembrava volermi dire “E’ tutto okay”.
Allungò una mano al mio quaderno e se lo portò avanti. Rilesse ciò che avevo scritto e strizzò gli occhi
« Tu dovresti ricominciare a riempire le paginette con le lettere. Come all’asilo » commentò la mia grafia davvero orribile e disordinata.
Poi mi guardò ancora sorridendo, apertamente stavolta. E ancora una volta, come tutte le volte, non riuscii a non sorridere di rimando a quella visione così angelica. Mi sentii davvero grata nei suoi confronti, per aver appena spazzato via con tanta facilità il mio momento di imbarazzo.
« Penso sia meglio che continui a scrivere io, così almeno abbiamo qualche possibilità che il professor Barnes apprezzi quantomeno la fine del nostro saggio. »
Poi prese la penna, e riempì le successive righe con la sua grafia perfetta ed ordinata, concludendo il nostro saggio nell’unico modo possibile:
Romeo aveva ragione. Romeo era stato perfetto.


Quella sera stessa, dopo che Edward se ne fu andato, cenai con Charlie come al solito, e fu quando mi trovavo già nel letto che successe.
Stavo quasi per addormentarmi quando li sentii per la prima volta.
Dei lupi ululavano.
E uno di loro lo faceva più vicino degli altri.




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Capitolo 25
*** CAPITOLO 20 - Opportunità ***






CAPITOLO 20 – “Opportunità



Sapevo esattamente cosa fare.
Ci avevo pensato su tutta la mattina. Da quando mi si erano aperti gli occhi qualche ora prima, all’alba. Avevo cercato di aspettare che si facesse un orario più consono al sabato mattina, ma alla fine non avevo resistito oltre, e alle 8:00 spaccate avevo inviato un sms ad Edward.
Per la prima volta dopo tanto tempo, quella mattina ero stata sincera con me stessa. Avevo riconosciuto la rabbia latente che mi portavo dietro nei confronti di Jacob, per essere scappato via da me, senza nemmeno parlarmi, come se non meritassi nemmeno una sola parola. Avevo ammesso che ormai il muro che avevo costruito con tanta ostinazione fra me ed Edward era palesemente crollato. Ed infine, avevo capito che volevo parlagli. Volevo dirgli che con me poteva alleggerire il peso che si portava dentro, se avesse voluto. Dirgli che volevo sapere tutto di lui, e raccontargli tutto di me. Fargli capire che volevo conoscere la sofferenza che vedevo fare capolino nei suoi occhi, e non solo. Volevo spazzarla via, volevo annullarla, volevo compensarla regalandogli qualcosa che cercava. Perché io sapevo che Edward stava cercando qualcosa, lo sentivo.
Ma ovviamente, da brava Swan quale ero, non avrei mai trovato il coraggio di parlargli tanto apertamente di cose così profonde. Quindi avevo trovato un’altra strada, avevo aggirato l’ostacolo. Mi stavo affidando ancora una volta alla mia leale compagna di sempre.
E la stringevo fra le mani proprio in quel momento, in piedi accanto alla scrivania nella mia stanza.
Guardai ancora una volta quel piccolissimo i-pod bianco, per poi avvolgerlo nel pugno ed infilarlo nella tasca della felpa. Avevo dato appuntamento ad Edward di lì a poco sotto casa mia. L’avrei portato nel mio posto speciale, e avrei cercato di parlargli attraverso la musica, con una canzone che sembrava essere stata scritta soltanto per me, anzi, sembrava essere stata scritta proprio da me.
Scesi le scale con passo un po’ pesante, salutai con un sorriso Charlie che era seduto al tavolo della cucina a bere caffè, ma non mi fermai.
« Bells aspetta, vieni qui. »
Tornai indietro sui miei passi e mi affacciai oltre la porta
« Dimmi papà. »
« Esci? »
« Già. » annuii
« Non avresti un momento? » era strano, mi pareva quasi sornione e soddisfatto, non sembrava il solito.
« Certo. Qualcosa non va? »
Charlie ridacchiò appena e prese un sorso di caffè dalla grande tazza blu che teneva nella mano sinistra, poi con quella destra mi fece cenno di avvicinarmi
« Vieni e siediti. »
Mi scostai i capelli dietro l’orecchio e mi avvicinai titubante. Charlie mi indicò la sedia di fronte a lui e io mi sedetti.
Fu in quel momento che la notai. Una busta da lettere bianca. Completamente bianca, senza scritte n’è timbri. In quel momento mi balzò il cuore in gola. Sperai istantaneamente che fosse una lettera di Jacob, ma allo stesso tempo temevo che fosse così. Restai a fissare la busta davanti a me trattenendo il respiro per un tempo che mi sembrò interminabile.
« E allora? Cosa fai, non la apri? » sorrideva soddisfatto sotto i suoi folti baffi neri.
« S-si, certo. » ma in realtà non mossi un muscolo. N’è tantomeno staccai gli occhi dalla candida superficie levigata.
« Guarda che non morde mica! » ridendo si allungò sul tavolo, voltò la busta e poi picchiettò con l’indice ruvido sul timbro postale che ora faceva mostra di sé « Ha fatto un lungo viaggio, ma non abbastanza da farsi crescere i denti »
E da quando Charlie era di così buon umore da fare delle battutacce?! Lessi il timbro postale e mi rilassai sullo schienale della sedia. Florida.
Sospirai con un sorriso amaro che mi increspava le labbra. Stupida! Davvero avevo pensato che potesse essere Jake? Che mi degnasse di ricevere sue notizie o di dirmi due parole? Complimenti Isabella, ti sei aggiudicata l’ennesimo trofeo di idiota dell’anno! Presi la busta dal tavolo e l’aprii, scacciando ancora una volta le mie false ed inutili speranze.
« Oh mio Dio » esclamai quando ne tirai fuori il contenuto.
Un biglietto aereo per la Florida utilizzabile nell’arco di un anno. Controllai meglio nella busta, ma non c’era altro, nemmeno un biglietto, anche se sapevo benissimo chi fosse il mittente.
« Ma è impazzita!? » chiesi a Charlie mentre ridevo.
Era davvero impazzita mia madre! Non sapevo come potesse permettersi di regalarmi un biglietto aereo, ma ero davvero felice. Non me lo sarei mai aspettata, e non avrei francamente potuto permettermelo. Sarei potuta saltare su un aereo e andare dalla mia pazza mamma, era fantastico!
« A quanto pare si » Charlie si unì alle mie risa « E l’ha anche dovuto comprare due volte »
« Due volte?? » domandai ancora più sorpresa, mentre il sorriso che mi illuminava il volto non aveva la minima intenzione di andar via
« Aveva spedito il biglietto in modo che ti arrivasse per il tuo compleanno, ma a quanto pare è andato perso insieme ad altra posta. Così ne ha comprato un altro e te l’ha rispedito. Ma nel frattempo torturava me ogni giorno per sapere se fosse arrivato. »
« Era con lei che parlavi ieri al telefono? »
« Purtroppo si. Ieri come ogni giorno di tutte le settimane precedenti. Credo fosse sull’orlo di una crisi di nervi »
Ridemmo entrambi a quell’immagine della mamma così realistica. Quasi riuscivo a vederla attaccata al telefono in pieno panico, mentre camminava su e giù per una stanza.
« Devo chiamarla! »
I primi cinque minuti di quella telefonata trascorsero con Renée che urlava felice e mi tempestava di domande senza nemmeno aspettare le mie risposte, e me che ridevo della sua solita follia. Quando finalmente si fu calmata la rimproverai per aver speso così tanto e lei mi disse di non preoccuparmi, poi parlammo di qualsiasi cosa le venisse in mente, e così in poco meno di un quarto d’ora le avevo raccontato di tutto. O quasi….non le avevo detto di Jacob.
« E così non hai più scuse, pasticciona! Quando verrai a trovare la tua povera vecchia mamma? »
« Mamma, tu non sei vecchia »
« Disse la figlia di ormai 18 anni… »
« Non sono poi così tanti 18 anni! »
« Per te che li compi! »
« Già, ma tu avevi esattamente la mia età soltanto diciotto anni fa. »
« Ehh….va bene d’accordo mi hai convinta. Sono una ragazzina! » risi perché sapevo benissimo che era lì che voleva arrivare sin dall’inizio « Ma, sciocchezze a parte, quando ti vedrò comparire sotto la soglia di casa mia? Non sei ansiosa di sfuggire per un po’ alle nebbie della tristissima Forks?? »
A quella domanda ripensai all’i-pod che tenevo nella tasca della felpa, ed istantaneamente mi sembrò che pesasse quanto un libro. Riuscivo a sentire la sua consistente presenza premermi sul fianco. Era il peso dell’importanza.
Quel piccolo aggeggio racchiudeva tutta la valenza della mia vita a Forks in quel momento. Al pensiero di poter partire anche immediatamente mi fu subito chiaro che se avessi ricevuto quel biglietto appena un mese prima, quando Jacob mi aveva lasciata, non ci avrei pensato su due volte a saltare sul primo aereo. Sarei fuggita da tutto e tutti almeno per un po’. Invece in quel mese erano cambiate così tante cose : in me era cresciuta la rabbia nei confronti di quel gesto tanto immaturo da parte di Jacob; io e Angela ci eravamo unite ancora di più; e poi c’era stato Edward.
Edward mi si era avvicinato, avevamo iniziato a conoscerci, e io avevo scoperto soltanto il giorno prima di volere una parte più importante nella sua vita. Giusto quel mattino avrei mosso il primo passo per scoprire cosa custodisse dentro.
No, un mese prima sarei saltata sul primo aereo, ma non in quel momento. In quel momento ebbi la conferma che la mia vita a Forks era appena ricominciata, avevo di nuovo uno scopo, avevo di nuovo degli interessi, e soprattutto, avevo qualcuno di cui occuparmi.
Così infilai la mano in tasca e strinsi tra le dita il piccolo i-pod.
« Verrò presto, mamma…..ma non adesso. » quasi non mi resi conto del tono sicuro con cui pronunciai quelle parole.
Renèe ovviamente se ne accorse, e forse spinta dai sensi di colpa per avermi lasciata a Forks da sola, a vivere la mia vita con Charlie, non indagò oltre.
« Oh, certo. Certo tesoro, quando vuoi! Io ti aspetterò a braccia aperte. Perché la mamma ti ama tanto. Lo sai vero? » sentii la sua vocina tremare appena.
Sapevo cosa significava : allarme lacrime in arrivo!
« Mamma?...no! non farlo! »
« Beeeells… » si lamentò quasi squittendo come un topolino
« No no no no no »
« Belliiiiiinaaaa » la vocina sempre più acuta e tremolante di lacrime ormai era davvero troppo comica perfino anche per me.
Così scoppiai a ridere, mentre lei di rimando scoppiava in lacrime.
« Mamma sei sempre la solita! »
« Ma tu mi manchi così taaaaaanto » piangeva come una fontana
« Anche tu mi manchi tanto, ma non faccio i capricci, io ! »
La sentii tirare su col naso e poi mi rispose quasi subito « Si, hai ragione »
« Ecco, da brava. Pensa che ormai ho tra le mani un bellissimo biglietto aereo che userò al più presto per venire da te. »
« Già, è vero » si schiarì la voce, e avrei scommesso la testa che stesse sorridendo « quando imparerò che sono io l’adulta della situazione e non tu? »
« Mai, mamma. Semplicemente perché non è vero. Sono io l’adulta. »
« Forse » rise appena e così feci anch’io.
« A presto, mamma. »
« Ciao tesoro, ti voglio bene. »
« Anch’io. »
« Saluta Charlie per me »
« Tu fa lo stesso con Phil »
« D’accordo. Ciao ciao Bells. »
« Ciao mamma…..e attacca! »
« Uuufff…va bene……al tre? » mi domandò titubante ed io risi. Non sarebbe mai cresciuta.
« Al tre »
« Uuuuunoooo…. »disse con una lentezza da far invidia ad una moviola.
« Due » risposi immediatamente
« Eh no così non vale! Non c’è suspance! »
« Mamma….. » sospirai avvilita
« Va bene, va bene, TRE! Ciao amoreeeee » parò velocissimamente e mi gridò l’ultima parola, prima di attaccare.
Salii al piano superiore ancora sorridendo per la mia folle mamma, e attaccai il biglietto aereo con una puntina rossa alla bacheca di sughero appesa sulla scrivania.
Quando uscii di casa Edward era già lì che mi aspettava, elegantemente poggiato alla sua Volvo scintillante. Era, come al solito, di una bellezza quasi vergognosa!
« Scusami, aspetti da molto? » lo raggiunsi e lui mi salutò con il solito baciamano.
Sapevo benissimo che in realtà il baciamano, nel ventunesimo secolo, avrebbe potuto essere descritto in qualsiasi modo tranne che “solito”. Ma se nella tua vita c’era Edward Cullen, con i suoi modi da gentiluomo compassato, allora “solito” era l’aggettivo giusto.
« Affatto, sono appena arrivato » mi lasciò la mano e sul suo volto si aprì uno splendido sorriso « A cosa devo l’onore di questo appuntamento, signorina Swan? »
« Vedrai, Cullen » gli sorrisi di rimando e mi strinsi un po’ nel cappotto. L’inverno ormai avanzava a grandi passi, e il vento di quella mattina lo testimoniava. Edward si accorse del mio gesto.
« Ho tenuto acceso il riscaldamento » aprì la portiera del passeggero indicando con una mano il caldo interno dell’abitacolo.
« Non sai quanto sia invitante in questo momento. » sospirai appena, sognando di sprofondare in quei caldissimi e morbidissimi sedili in pelle « Ma oggi niente auto »
« Niente auto? » mi sembrò abbastanza sorpreso.
« Mh, mh » annuii vigorosamente, con un mezzo sorrisetto ed un sopracciglio alzato.
« Niente auto. » accettò con un sorriso e richiuse la vettura.
« Vieni con me » infilai le mani nel pesante giaccone blu e mi incamminai.
Edward mi raggiunse in pochi passi « Dove stiamo andando? »
« Ho detto che lo vedrai, Edward. Non iniziare ad ossessionarmi di domande. » risi divertita mentre giravo intorno a casa mia.
« Agli ordini, capo. »




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Capitolo 26
*** CAPITOLO 21 - Undisclosed Desires ***


Buonasera a tutte....sono qui per aggiornare anche se con una certa amarezza. E' davvero triste vedere che per un'altra storia che scrivo, ho pubblicato un capitolo dopo molti mesi che non l'aggiornavo e.....in pochi giorni ha ricevuto più del doppio delle recensioni che ricevo per questa storia. E' stato inevitabile chiedermi : ma allora è la mia storia, questa storia che non funziona. Sono davvero molto delusa da me stessa. Però cosa dirvi.....io ne sono innamorata, e so bene che sono di parte, ma non potrei mai abbandonarla. Peccato.
Tornando al capitolo.....come noterete dal titolo, è da qui che è nato tutto. Da quando la prima volta ho ascoltato questa magnifica canzone, e ho visto questa scena nella mia mente. Da allora vi è nata una storia tutto intorno, che non nego di aver modificato e addirittura trasformato molte volte.....ma alla fine è diventata quello che è oggi e che sarà domani. Come sempre....non sono soddisfatta del risultato, per questo capitolo meno che mai, ma spero possa piacervi.
HO UNA COSA DA CHIEDERVI : So bene che ognuna di voi conosce questa canzone alla perfezione, ma quando giungerà il momento nella lettura....vi prego di aprire comunque il link che troverete e di continuare a leggere con la canzone in sottofondo. Vorrei tanto che riusciste a vedere il momento così come l'ho visto io.
Detto questo......buona lettura, e spero tanto di leggere qualche recensione





CAPITOLO 21 – “Undisclosed Desires




Non seguivo nessun sentiero, nessuna strada battuta, eppure la trovavo ogni volta sin da quando ero piccola. Mi incamminavo tra i fitti alberi sul retro di casa Swan ogni volta che volevo rimanere sola con i miei pensieri, o quando volevo semplicemente un posto per tranquillizzarmi, magari con un buon libro. Ed ogni volta mi ritrovavo lì.
Lentamente tra i fitti alberi e gli spessi arbusti ai loro piedi spuntava ad ogni passo qualche ciuffo d’erba sempre più verde, fin quando, quasi come in un incantesimo, mi ritrovavo con un piede tra i tronchi degli alberi ed uno tra l’erba alta e rigogliosa. Gli alberi in quel punto lasciavano spazio soltanto ad una piccolissima radura verdeggiante, perfettamente circolare e piena di piccolissimi fiori lilla e azzurri.
Era uno spettacolo da fiaba, uno di quei posti talmente magici da convincerti che il sovrannaturale esiste davvero. Uno splendido, perfetto e fiabesco angolo di paradiso che spuntava all’improvviso proprio lì, sotto i miei occhi. Ed ogni volta ne rimanevo basita, quasi come se mi aspettassi che da un momento all’altro quella piccola radura dovesse popolarsi di creature fantastiche.
Quando la raggiunsi quel mattino rimasi per un momento al limitare degli alberi ad ammirarla, come facevo ogni volta. Poi mi voltai verso Edward che, alla mia sinistra, un passo più indietro, la ammirava con lo stesso sguardo rapito che dovevo avere anch’io la prima volta che la scoprii.
« Ti piace ? »
« E’ incantevole » continuava ad ammirarla affascinato, non l’avevo mai visto così stupito.
Mi mossi e raggiunsi piano il centro della piccola radura, dove mi inginocchiai per carezzare l’erba morbida e i fiori profumati. Quando mi voltai vidi che Edward era ancora fermo tra gli alberi.
« Hai intenzione di rimanere lì ancora per molto? »
Sorrise imbarazzato a capo chino, prima di sollevare lo sguardo nel mio
« Posso? » chiese indicando la radura con un gesto morbido della mano
« Certo che puoi ! non è proprietà privata, non dovresti chiedere il permesso a nessuno »
Si avvicinò lentamente, cauto. Come se stesse attento a dove mettesse i piedi, quasi a non voler intaccare nulla di quel piccolo paradiso. Mi raggiunse ed io mi sollevai di nuovo in piedi.
« Questo posto mi sembra così…..tuo che non avrei mai potuto entrarvi senza prima chiederti il permesso » i suoi occhi erano immersi nei miei.
Oro splendente nella terra bruna .
« Se non ti avessi voluto qui, non ti ci avrei mai portato.» gli sorrisi imbarazzata.
Edward era il ragazzo più intelligente che avessi mai conosciuto, per questo a volte mi sembrava così assurdo dovergli spiegare cose tanto ovvie. In genere queste cose riguardavano tutte quante me.
« Mi dispiace soltanto che oggi non ci sia il sole. Dovresti vederla nelle giornate assolate, è ancora più bella » mi guardai intorno e poi tornai a guardare lui, che teneva ancora gli occhi fissi su di me.
« Non è necessario il sole per far risplendere un luogo. Ci sono persone che soltanto con la loro accecante presenza rendono ogni cosa luminosa.»
« Già » sussurrai. Non avrei potuto rispondere altrimenti al cospetto dei suoi occhi dorati.
Gli stessi occhi che quel giorno mi sembravano particolarmente luminosi, accesi, con una scintilla che non avevo ancora avuto modo di vedere prima di allora. Mi chiesi quale fosse il motivo di tanta vitalità in quegli occhi in genere sempre velati di inquietudine. Edward corrucciò appena le sopracciglia, come a chiedermi cos’avessi, perché lo stessi fissando. Così gli sorrisi
« Bel giubbotto » gli dissi indicando il pesante giubbotto imbottito, blu, che gli stava d’incanto
« Ma se è uguale al tuo » mi rispose ridendo
In effetti era vero, e la mia era una battuta.
« Appunto! » risi anch’io e le nostre voci risuonarono nella piccola radura silente.
Mi sembrò così strano. Lì ci ero sempre stata da sola. Non vi avevo mai portato nemmeno Jacob. A quel pensiero lo stomaco mi si chiuse in una morsa e mi mancò l’aria per qualche secondo, come ogni volta che pensavo a lui. Poi quasi istantaneamente riaffiorò la rabbia cocente che provavo nei suoi confronti.
« Cos’hai? » Edward si avvicinò di un passo, posandomi una mano sulla spalla
« Nulla, perché? »
« Sei impallidita. Sicura di sentirti bene? Vuoi che ti riporti a casa? Posso andare a recuperare l’auto e portarti da mio padre se…»
« Shhh!! Edward!! » alzai la voce più della sua e risi di gusto « Mio Dio! Sto bene.» a volte era davvero eccessivo e mi metteva ansia solo a sentirgli sputare fuori a raffica tutta una serie di domande pressanti ed incalzanti come quelle.
Rise leggermente anche lui, espirando forte « Si, scusa » si passò una mano tra i capelli.
Ogni volta che lo vedevo compiere quel gesto sentivo l’improvviso bisogno di farlo anch’io, di immergere le dita in quelle onde disordinate e lucenti. Avevo l’idea che dovessero essere morbidissimi.
« E…c’è un motivo in particolare per cui mi hai portato qui? » mi chiese incerto
« Veramente si » staccai gli occhi dalla sua chioma ramata e cercai di riprendere il controllo della situazione.
Possibile che ogni volta che lo guardavo andava a finire sempre così? Con me imbambolata a fissargli gli occhi, i capelli, la bocca e quant’altro? Edward era decisamente ipnotico e questa sua caratteristica mi aveva sempre infastidito molto. Odiavo perdere ogni contatto con il resto del mondo quando lo guardavo, mi faceva sentire impotente, inerme ed in balia di qualcosa di molto più grande di me. Però da quando Jacob era sparito riuscivo a trovare veramente sollievo da ogni dolore solo quando lo fissavo, senza pensare ad altro. E quando il dolore per la partenza di Jake si era trasformato in rabbia nei suoi confronti, il perdermi nella bellezza di Edward era diventato una nuova sicurezza. Quei momenti erano diventati pace, tranquillità, serenità. Momenti in cui spariva ogni rabbia, ogni amarezza, ogni delusione, e in cui subentrava un immediato sollievo. Quindi ormai accoglievo quel dolce rapimento di sensi come un dono, un regalo, qualcosa di unico e speciale. In quel momento mi sentii ancora più grata a Edward, per la pazienza che aveva avuto con me, per il tempo che mi aveva dedicato, per tutte le attenzioni e perfino per quel dono speciale che aveva rinnovato appena pochi attimi prima.
« Decisamente si. » confermai sorridendogli.
Mi sbottonai il giubbotto e fui investita dall’aria gelata di quel mattino. Infilai una mano nella tasca della felpa in cerca dell’i-pod e con una smorfia guardai il cielo. Era quasi del tutto bianco, ed io avevo imparato bene a riconoscere il motivo di quel colore così particolare.
« Cielo di neve » dissi quasi balbettando dal freddo ad Edward
Lui alzò lo sguardo a sua volta e sorrise
« Mi piace la neve »
« Hmmm » feci spallucce « Si, anche a me » tirai fuori l’i-pod dalla felpa e richiusi la zip del giubbotto rabbrividendo dalla testa ai piedi « Sempre meglio della pioggia »
Srotolai il filo delle cuffie ed iniziai ad armeggiare con i pulsanti in cerca della canzone, tutto sotto lo sguardo attento di Edward. Quando l’ebbi trovata, lui era ancora lì che mi osservava con un cipiglio curioso, apprezzai molto il fatto che non mi avesse incalzato con le sue solite domande. Così presi coraggio e cercai di dire almeno due parole per spiegargli la situazione.
« Ascolta, Edward, io……..io sono una Swan » feci una breve pausa e vidi sul suo volto nascere un sorriso divertito accompagnato da una domanda.
Sollevai prontamente una mano per indicargli di non interrompermi e lo fissai dritto negli occhi. Edward comprese, infilò le mani in tasca sospirando, spostò il peso sulla gamba destra e piegò leggermente il volto, come a dirmi che mi ascoltava. Così proseguii
« E più passo il tempo con Charlie, più me ne rendo conto. Lo vedo quando arrossisce di fronte ad argomenti imbarazzanti. Così come vedo le parole fermarglisi in gola quando vorrebbe affrontare un discorso serio. E in tutte queste cose mi riconosco, rivedo me e le mie reazioni alle stesse situazioni. Certo, mi rendo conto che è un modo di fare che non va bene, e che non porta da nessuna parte. Però io sono così. Sono una Swan e credo che questo non cambierà mai. » mi passai una mano gelata tra i capelli in cerca delle parole per proseguire quel discorso e pensai che più cercavo di trovare quelle giuste, più queste mi morivano in gola. Così sbuffai, afflitta, e continuai di getto
« Avrei molte cose da dirti, ma non ci riesco, e questo è frustrante. Le cose tra noi non sono filate sempre lisce ma….è un po’ di tempo che tutto va bene, che tutto va per il verso giusto. E questo è tutto merito tuo. Fosse per me staremmo ancora a chiamarci per cognome, o peggio, a non rivolgerci la parola. » dalle labbra secche mi uscì una piccola risata che mi sciolse un po’ i nervi
« Tu sei venuto incontro a me in tutto. Mentre io non ho fatto nemmeno un passo verso di te » lo guardai.
Edward aveva dipinta in volto l’espressione più contrariata del mondo, era evidentemente di un altro parere. Ma ancora una volta non mi interruppe, permettendomi di continuare
« Me ne sono accorta da poco, troppo poco forse. Però anche io ti ho guardato in questi mesi, e ho visto qualcosa in te. Qualcosa di cui non riesco a parlarti senza che la Swan che sono prevalga su Bella »
Mi mordicchiai le labbra rinsecchite dal freddo senza sapere come continuare, ero arrivata al punto in cui le parole si rifiutavano di collaborare. « Quindi se tu, oggi, me lo permetterai, vorrei iniziare a rimediare alla mia mancanza » Infilai una cuffietta nel mio orecchio, poi presi l’altra tra le dita e guardai Edward
« Posso? » gli chiesi sottovoce e sentii le guance scaldarsi.
Se non avesse fatto tutto quel freddo le avrei sicuramente sentite ardere.
« Certo » mi rispose Edward con un sorriso sulle labbra.
Si chinò leggermente per permettermi di arrivare al suo orecchio. Gli infilai la cuffietta e poi guardai ancora i suoi occhi, così vicini ai miei, nei quali brillava ancora più forte la scintilla vitale che vi avevo visto quella mattina.
Fu in quel momento che mi resi conto dell’atmosfera surreale che aleggiava nell’aria. Per un secondo riuscii a vederci dall’esterno : due ragazzi avvolti in cappotti blu, vicini, in piedi nel centro esatto di una radura magica e silente, avvolti dall’aria gelida e dal cielo bianco che precedono la neve.
E fu esattamente in quel momento così surreale che cambiai per sempre le nostre vite, schiacciando soltanto il tasto Play.

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Le prime note presero vita dalla tastiera sintetica, avvolgendoci completamente, riempiendo il nostro silenzio. I nostri occhi erano incatenati, ogni muro abbattuto, ogni difesa sbaragliata, pronti per affrontare la sincerità nascosta sotto tanta paura.
Poi, la voce di Matthew Bellamy si librò gentile e piena tra di noi

I know you've suffered
But I don't want you to hide

Nei suoi occhi dorati vidi un lampo di sorpresa, poi li abbassò corrucciando le sopracciglia

It's cold and loveless
I won't let you be denied

Il suo volto perfetto non riuscì a trattenere una smorfia quasi di dolore, con gli occhi ancora fissi a terra.

Soothing
I'll make you feel pure

Le mie mani si mossero da sole, raccogliendo il suo viso e sollevandolo

Trust me
You can be sure

Finalmente i suoi occhi feriti si intrecciarono ai miei , forti, sicuri, determinati.

I want to reconcile the violence in your heart

La mia mano scivolo’ sul suo giubbotto, posandosi sul suo cuore

I want to recognise your beauty's not just a mask

L’altra mano carezzò lenta la sua guancia perfetta, che si increspò sotto l’effetto del suo miglior sorriso sghembo

I want to exorcise the demons from your past

Lo sentii sospirare forte, sotto il peso di quelle parole, ma i miei occhi non abbandonarono i suoi

I want to satisfy the undisclosed desires in your heart

Mi avvicinai ancora di più, i nostri giubbotti si sfioravano in un morbido fruscio

You trick your lovers
That you're wicked and divine

Entrambi sorridemmo, imbarazzati, ed io pensai che non ci fosse aggettivo migliore di “divino” per descriverlo

You may be a sinner
But your innocence is mine

La sua mascella si contrasse, forse per un punto dolente della sua anima, della sua storia. Ma io non ne potevo più di tutto quel dolore. Non sul suo splendido viso.

Please me
Show me how it's done

Le mie mani decise afferrarono il suo giubbotto, i miei occhi affondarono ancora di più nei suoi

Tease me
You are the one

Edward fu attraversato come da una scossa di vita, mi afferrò per i fianchi e mi sollevò, facendo poggiare i miei piedi sui suoi.

I want to reconcile the violence in your heart

Socchiuse appena gli occhi, ed iniziò ad ondeggiare lentamente, seguendo la melodia avvolgente.

I want to recognise your beauty's not just a mask

Mi strinse ancora più forte, ammaliandomi con il suo sguardo più intenso, nel quale mi persi abbandonandomi a quella morbida danza

I want to exorcise the demons from your past

Delicati e candidi, dei fiocchi di neve iniziarono a cadere tutti intorno a noi, sui nostri capelli, sui nostri volti, sui nostri corpi stretti. Iniziarono a danzare con noi, e il mio respiro accelerò, così come il mio cuore

I want to satisfy the undisclosed desires in your heart

Edward non smise di ondeggiare leggero. Una sua mano risalì lungo tutta la mia schiena, andando ad immergersi pallida nelle onde scure dei miei capelli, poco sotto la nuca. Quel tocco gelido e così intimo mi fece sussultare, forte. Un brivido di vita mi attraversò tutto il corpo tornando a scompigliarmi il cuore e lo stomaco.

Please me

Avvicinò il suo viso al mio, molto lentamente, e il suo respiro freddo solleticò il mio naso

Show me how it's done

Strofinò piano il suo naso contro la mia guancia sospirando forte

Trust me

« Trust me » le mie labbra ripeterono in un sussurro spezzato, le mie mani si strinsero forte alla sua schiena

You are the one

« You are the one » le sue labbra ripeterono in un gemito, sfiorando le mie

I want to reconcile the violence in your heart

E poi......tutto esplose. Le sue labbra morbide e fredde si poggiarono delicatamente sulle mie, baciandomi come non ero mai stata baciata.

I want to recognise your beauty's not just a mask

E le mie labbra si mossero con le sue, lente e caute. Fui invasa dal sapore e dal profumo di Edward fin dentro le ossa, mentre ondeggiavamo lenti sotto la neve.

I want to exorcise the demons from your past

Edward schiuse appena la bocca, trasportato dall’avvolgenza della melodia che ci accompagnava complice in quel momento.

I want to satisfy the undisclosed desires in your heart

Colsi il suo invito con trasporto, accogliendolo nella mia bocca come un sorso di acqua fresca. Le nostre labbra si strofinavano, le nostre lingue si sfioravano appena, la sua mano fredda si muoveva tra i miei capelli e le mie nei suoi.

Mentre le ultime note della canzone ci lasciavano, il momento non perse la sua magia. Tutto intorno a noi continuavano a vorticare indiscreti i morbidi fiocchi di neve…..e noi continuavamo ad ondeggiare, lenti, flessuosi, accompagnando con il resto del corpo la dolce danza intrapresa dalle nostre bocche, dalle nostre mani.
In quel momento mi sentii di nuovo viva, rinata, sotto il tocco freddo delle sue mani, rapita dal gentile movimento delle sue labbra. Edward era la mia sorgente di acqua pura e purificatrice, il suo tocco premuroso e gelido rimarginava ogni ferita bruciante lasciata dal calore di Jacob, il suo respiro gelido donava nuova vita ai miei polmoni arsi dal fuoco dell’assenza di Jake. Ma soprattutto la sua pelle fredda sulla mia ,così profondamente diversa da quella bruciante del mio Jacob, mi provocava brividi di estasi pura riportandomi alla vita…..andava a sanare, riempire, e medicare i resti bruciacchiati del mio cuore, di ciò che ne rimaneva dopo l’incendio costante del mio sole personale.
Edward mi stava amando.
E, nel suo essere l’opposto di ciò che mi aveva distrutta, stava facendo rinascere me, i miei sentimenti, e tutto quanto di buono poteva ancora esserci in me.
Anch’io, forse, quel giorno, iniziai ad amare a modo mio Edward Cullen.

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Capitolo 27
*** CAPITOLO 22 - Confessioni ***





CAPITOLO 22 – “Confessioni



Fu Edward per primo ad interrompere quel bacio. Non ci ero abituata, con Jacob ero sempre stata io la prima a tornare con i piedi per terra. Quando le sue morbide labbra infreddolite abbandonarono le mie, aprii gli occhi. Mi mancò il fiato nel ritrovarmi immersa nella pozza dorata dei suoi occhi, quegli occhi che ora erano così diversi dal solito! Così vitali, così limpidi, così felici.
In me vi era il riflesso della sua stessa felicità. Avevo temuto che nel riaprire gli occhi tutta la magia di qualche attimo prima sarebbe svanita. Invece no. Invece eccoci ancora lì, abbracciati, a perderci l’uno negli occhi dell’altra, sotto la pigra nevicata che stava imbiancando la piccola radura.
Baciare Edward era stato magnifico, potevo ancora sentirne il dolce sapore tra le labbra, ma in quel momento mi sentii avvampare dall’imbarazzo. Non sapevo cosa dire, cosa fare, era il primo ragazzo che baciavo dopo Jacob…dopo il mio primo vero ragazzo.
Abbassai gli occhi ai nostri piedi e sentii Edward ridere debolmente. Mi massaggiò delicatamente la nuca, dove teneva ancora poggiata la mano, prima di parlarmi a bassa voce
« Cosa fai? Ti vergogni? » la sua voce parve accarezzarmi ogni muscolo, ed istantaneamente mi sciolsi. Sollevai di nuovo gli occhi nei suoi
« Non più adesso » gli sorrisi di rimando e poi Edward mi baciò ancora.
Fu un bacio rapidissimo, un semplice sfioramento di labbra, molto delicato, ma mi sentii comunque tremare le ginocchia a quel contatto.
Accidenti baciare Edward era l’esperienza più assurda che avessi mai fatto in tutta la mia vita! Se fino a poco tempo prima pensavo che mi rapisse i pensieri il solo guardarlo…..beh, il baciarlo mi fece completamente cambiare idea. Ogni volta che il suo volto perfetto si avvicinava al mio smettevo di respirare, smettevo perfino di pensare. Mi rapiva totalmente, ipnotizzandomi ed annullandomi nella sua perfezione.
Sciolse l’abbraccio e mi fece scendere dai suoi piedi, porgendomi la cuffietta che aveva indossato fino a quel momento. La presi, tolsi anche la mia e riposi l’i-pod nella tasca del giubbotto mentre Edward si metteva seduto sul prato ormai quasi del tutto imbiancato. Lo imitai e rimanemmo in silenzio per un pò, semplicemente seduti l’uno accanto all’altra.
Fissava accigliato un punto davanti a sé da un bel pezzo quando mi prese una mano tra le sue, lentamente, senza guardarla. Sperai che non si fosse dimenticato del motivo fondamentale per il quale l’avevo portato lì, quello che avevo lasciato che gli dicesse Matthew Bellamy al posto mio.
« Non è facile per me parlare della mia vita » disse tutto ad un tratto, spiazzandomi completamente. Non mi guardava, si limitava a massaggiare delicatamente il dorso della mia mano con un pollice
« Di me puoi fidarti »
« Lo so » mi rispose rivolgendomi per un breve istante un dolcissimo sorriso
« E allora non hai nulla da temere » lo incitai
« Non è così semplice, Bella. Io non….» sospirò avvilito, chinando brevemente la testa
Mi avvicinai a lui e poggiai la testa alla sua spalla
« Vorrei tu capissi che non m’importa nulla di quello che mi dirai » gli dissi.
Edward fu visibilmente spiazzato da quella mia affermazione, si scostò brevemente da me, in modo che sollevassi la testa dal suo braccio e lo guardassi negli occhi
« Non m’importa se nel tuo passato c’è stato qualcosa di orribile, così come non m’importerebbe se tu fossi stato un prete » cercai di sdrammatizzare la situazione, ma lui non rise « Voglio solo conoscerti. Vorrei solo sapere chi sei veramente, e soprattutto non vorrei vedere mai più quelle ombre nei tuoi occhi quando mi guardi. Solo….rendimi partecipe. » abbozzai un sorriso, e almeno a quello rispose imitandomi, anche se nel suo non vidi nessuna allegria.
Distolse ancora una volta lo sguardo dal mio, sospirando forte, e capii che si era finalmente arreso.
« Io e Victoria siamo fratellastri » iniziò, anche se continuava a non riuscire a guardarmi « anche se non si direbbe » aggiunse in fretta.
« In effetti avete entrambi i capelli rossi, anche se di un rosso molto diverso. E gli occhi. Anche quelli sono quasi identici »
« Quasi identici? »
Non mi andava di spiegargli che negli occhi della sorellastra avevo sempre intravisto una luce cattiva, quantomeno non in quel momento così delicato. Così cercai di dire una mezza verità, sperando che me la facesse passare per buona
« I tuoi sono più belli » sorrisi. Ma lui no.
Si prese un momento prima di continuare, e quando ricominciò a parlare lo fece ancora senza guardarmi
« Nella mia vita c’è sempre stata solo lei. Almeno per quanto riesca a ricordare » sulle sue labbra si increspò un sorriso amaro « So che può sembrare assurdo ma….non ho altri ricordi di persone di famiglia, se non lei. Non saprei dirti nemmeno se fossimo fratellastri da parte di madre o di padre. Il mio primo ricordo siamo soltanto noi due, soli, in giro per l’Alaska. » quel ricordo così semplice, eppure così desolato, mi fece stringere il cuore « Vicky è stata tutta la mia famiglia da sempre. Mi ha accudito, mi ha medicato quando ne ho avuto bisogno, mi ha abbracciato quando ero triste, mi ha insegnato come provvedere a me stesso se un giorno la vita ci avesse separati. Mi ha donato l’amore di cui una persona ha bisogno per non sentirsi mai sola al mondo. Victoria mi ha donato tutta se stessa. Sempre. »
In quel momento mi sentii davvero meschina. Avevo giudicato una persona senza nemmeno conoscerla, eppure non potevo fare a meno di zittire le mie prime sensazioni. Quando Edward continuò non mi ero nemmeno resa conto che ora ero io a stringere la sua mano tra le mie.
« Eravamo soltanto due sbandatelli » il termine in quel caso non aveva nulla della sua connotazione leggera, ma anzi, mi sembrò carico di un peso insostenibile « Ci ….. sostentavamo….nell’unico modo che conoscevamo. » a queste parole deglutì rumorosamente, e poi strinse gli occhi, come se fosse stato invaso da ricordi troppo fastidiosi.
Potevo immaginare come potessero riuscire a sostenersi due ragazzini soli al mondo….e l’immagine di un piccolo Edward che rubacchiava in giro per sopravvivere mi sembrò totalmente stonata. Poi proseguì
« Insieme abbiamo affrontato tutto, con la sicurezza che l’altro sarebbe stato sempre un porto sicuro. Poi….beh, poi io ho fatto una delle più grandi sciocchezze della mia vita » a queste parole inspiegabilmente sorrise, lasciandomi di stucco
« Scappai. » mi lanciò una breve occhiata furtiva, prima di tornare a guardare gli alberi di fronte a sé « Non ne potevo più di quella vita così meschina. Iniziai a chiedermi se davvero non ci fosse modo per condurre un’esistenza dignitosa, e quando raggiunsi davvero il limite scappai. Fui un tale codardo! Non trovai nemmeno il coraggio di parlarle. Se penso a quanto dolore le ho inflitto….» sospirò ma sul suo volto c’era ancora un piccolo sorriso, ed io continuavo a non capirne il motivo.
« E dove andasti? » gli chiesi di getto
« Per qualche anno vagabondai in giro per vari Stati del nord. Fin quando non mi resi conto che in realtà non sapevo nemmeno io cosa stessi cercando. »
« E a quel punto sei tornato da Victoria? » fece una breve risata alla mia domanda
« No, certo che no. Ero, e sono, troppo testardo. »
« Ma, allora cos’è successo? »
« E’ successo che la più grande sciocchezza della mia vita si rivelò essere stata anche la più grande fortuna che mi potesse capitare. »
« In che senso? »
« Proprio quando pensavo di aver fatto un sbaglio enorme pensai di riavvicinarmi all’Alaska. L’unico posto che fino a quel momento valesse come casa mia. » sollevò la testa verso l’alto, socchiudendo gli occhi al contatto con i fiocchi di neve che ancora cadevano intorno a noi, e sorrise sereno « Nevicava quel giorno. Proprio come ora. Forse è un segno del destino. » abbassò di nuovo la testa e continuò « Ero in condizioni pessime, da giorni non mangiavo nulla, ero talmente debole che mi accasciai sulla panchina di un parco pubblico sperando solamente di addormentarmi e non svegliarmi mai più. » Rabbrividii a quel pensiero, ma al contrario Edward continuava a sorridere sereno. Quando vidi che non continuava lo incitai
« E poi ? »
« E poi….» il suo sorriso si allargò fino a diventare una vera e propria espressione di gioia «….quando stavo quasi per addormentarmi una vocina fastidiosa ed impertinente iniziò a disturbarmi. Era un vero e proprio tormento, così aprii appena un occhio. Tutto quello che vidi fu un minuscolo folletto appollaiato nell’unico, piccolissimo, angolo di panchina lasciato libero dai miei piedi, che parlava della neve come se nulla fosse. Come se avesse appena incontrato un vecchio amico e non un relitto umano! » quasi si mise a ridere a quel ricordo
« Alice » dissi sorridendo
« Già , Alice » mi confermò Edward ancora sorridente
« Allora tutto si spiega! » aggiunsi ridendo. In quel mese avevo imparato a conoscere Alice, sapevo quanto potesse essere fastidiosa ed insistente.
« Io davvero non capivo cosa volesse quella nanerottola da me. Sinceramente all’inizio pensai che fosse pazza, ma quando mi accorsi che era da sola mi irritò ancora di più il sapere che mi stesse infastidendo apposta. Così le risposi in malo modo, cercai di mandarla via in tutti i modi e quando finalmente si zittì richiusi gli occhi. Ciò che non potevo sapere era che aveva chiuso la bocca soltanto perché si era spostata. Me ne accorsi quando sentii la sua mano tra i capelli. Allora aprii gli occhi di scatto, pronto ad aggredirla, ma quando lo feci mi ritrovai il suo viso ad un palmo dal mio. Si era inginocchiata in modo da guardarmi dritto in faccia e a me mancò l’aria quando vidi i suoi splendidi occhi dorati. Ne rimasi così affascinato che rimasi per un bel pezzo a fissarli con la bocca spalancata, senza riuscire a pensare a nient’altro. »
« I vostri occhi sono identici » puntualizzai io sorridente, evitando di aggiungere che era lo stesso effetto che avevano su di me. « Per questo rimanesti di sasso!»
« Oh….s-si …» Edward mi rispose balbettando, come se avesse un groppo in gola.
In un certo senso la sua risposta avrebbe dovuto essere leggera, confortante. Invece la sua voce mi disse di si, ma la sua faccia sembrò dirmi il contrario : si contrasse come se fosse disgustato. Quella reazione fu davvero spiazzante e strana, ma non mi diede il tempo di soffermarmici, perché continuò a raccontare.
« Non c’è bisogno che ti dica come sia Alice, lo sai già. E’ semplicemente inarrestabile. Così mi lasciai andare e mi feci guidare da lei, in tutti i sensi. Mi portò a casa sua, dove tutta la famiglia mi accolse come se fossi già un altro figlio.» sorrise apertamente a quel ricordo, che forse doveva essere stato il momento più sereno della sua vita.
« E Victoria? »
« Dissi subito a loro di Vicky. Mi riempirono di amorevoli cure per una settimana, prima di permettermi di iniziare a cercarla, con tutti loro al seguito. Quando la ritrovai ero pronto ad una sua sfuriata, un suo rifiuto….ed invece non accadde nulla di tutto ciò. Quando Victoria mi rivide corse tra le mie braccia senza esitazioni. Così come, sempre senza alcuna esitazione, accettò di seguirmi nella nuova famiglia che mi aveva accolto, senza preoccuparsi nemmeno per un attimo di tutti i cambiamenti che avrebbe dovuto affrontare. Non si preoccupò di nulla, non chiese chi fossero quelle persone, non mi chiese come li avevo incontrati, non mi domandò nemmeno perché volessi restare con loro o perché loro volessero tenermi con sé. Il suo unico desiderio era ricominciare la nostra vita insieme. Non desiderava altro che me, a questo mondo. » lo vidi sorridere pieno di amore a quel ricordo, subito prima di rabbuiarsi
« Ovviamente non aveva idea delle difficoltà alle quali stavamo per andare in contro.» Mi rivolse una rapida occhiata e poi continuò « Sai….non è semplice imparare a vivere in una società con delle regole da rispettare, con dei limiti da non oltrepassare, per chi ha sempre vissuto nella totale anarchia, nel totale abbandono agli istinti. E’ difficile addomesticare degli animali selvaggi e renderli mansueti come degli agnellini.» sospirò forte
« Ogni giorno mi sentivo responsabile del disagio di Victoria nell’abituarsi a quella nuova vita. Infondo, io avevo scelto per entrambi. Ma lei si è sempre comportata benissimo. Ha fatto di tutto per evitare problemi, per non gravare sulle mie spalle e non rendermi più difficile il mio percorso. Non posso dire lo stesso per me, però.» deglutì rumorosamente e si lamentò.
Sciolse l’intreccio delle nostre mani e abbandonò la testa tra le sue, con le dita tra i capelli. A quel gesto mi si strinse lo stomaco. Avevo capito che eravamo giunti al punto che più di tutto lo faceva soffrire, al punto che causava ogni volta quel velo di tormento negli occhi.
Mi avvicinai ancora di più a Edward, gli cinsi le spalle con un braccio e posai la testa accanto alla sua, sperando che bastasse a fargli capire che io c’ero.
« Nonostante avessi scelto io di restare con Carlisle per me i primi tempi furono davvero molto difficili e….. ho fatto delle cose di cui mi pentirò per il resto della mia esistenza.» sollevò la testa dal rifugio che si era creato con le mani e mi guardò intensamente, nei suoi occhi vidi solo dolore « I miei due grandi errori erano quasi come te, sai? » quell’affermazione mi spiazzò
« Edward io non…» ma mi interruppe, come se non mi avesse nemmeno sentita, o come se il flusso delle sue parole avesse saltato una diga solidissima e fosse ormai inarrestabile.
« Avevano dei bellissimi nomi. Iris ed Emily. » li lasciò in sospeso nell’aria , come se assaporarne il suono tra le labbra potesse renderle materiali davanti a noi. « Davvero carine, ognuna a modo suo. Iris una vera forza della natura : energica, sveglia, come se nulla al mondo potesse scalfirla. Emily invece….Emily era un fiore. Un fiore delicatissimo, sfuggente a chiunque non le sembrasse limpido all’esame infallibile dei suoi occhioni azzurri. » sorrise a quel ricordo, ma un brivido mi percorse tutta la schiena, anche se non seppi darmi una spiegazione.
Avevo paura in quel momento, paura di chiedergli cosa fosse successo a quelle due ragazze, paura di vedere sul suo viso un dolore che non avrei mai potuto capire. Quindi tacqui.
« Io….io ho….. » gli mancò il fiato in gola, e poi disse con la voce come rotta dal pianto, ma senza nemmeno una lacrima « Io ho fatto loro del male. » il suo tono fu gelido.
Per una strana ragione perfino la neve smise di cadere. Il paesaggio candido intorno a noi rese quella frase ancora più irreale.
Ma per una ragione ancor più strana, io non ebbi paura. Non mi spaventai nemmeno per un secondo a quella dichiarazione, perché c’era qualcosa in quel ragazzo seduto di fianco a me, così distrutto da quel ricordo, che mi urlava che non c’era niente di cui aver timore. Se non che gli si spezzasse ancora l’anima in mille pezzi, nel rivivere quei momenti.
In quel momento vidi Edward cercare di proseguire, e le parole morirgli più volte in gola.
« Va bene così, Edward. » sollevò gli occhi, stupito « Davvero, va bene così. » gli passai una mano fra i capelli « Non ha importanza cosa sia successo, o perché. Hai sbagliato. Hai fatto degli errori che forse non saranno mai perdonabili da chi ha vissuto quel momento. Ma ora, ad oggi, a me non interessa. »
« Bella tu non sai di cosa stai parlando, io…. »
« Shhh, ti prego. Basta. » gli poggiai un dito sulle labbra tremanti « Tutto ciò che hai fatto, tutti gli errori che hai commesso, ti hanno reso quello che sei oggi. E l’Edward che conosco io sento che non rifarebbe mai le stesse cose. Ma soprattutto, il fatto che tu sia qui in questo momento, significa che hai già pagato per i tuoi sbagli. Hai già sofferto per i tuoi errori e …. Vedo che ancora ne soffri. Questo basta a renderti una persona diversa. »
I suoi occhi brillarono di una gratitudine che non pensai dovesse appartenermi, e abbandonò la sua testa sulla mia spalla. Lo cullai dolcemente per un tempo che non saprei definire, prima che sollevasse gli occhi nei miei. Mi prese dolcemente il viso tra le sue mani affusolate
« Oh….Isabella… » sospirò con tanto trasporto che mi sembrò come se sentissi davvero il mio nome per la prima volta.
Poi le sue labbra si posarono ancora una volta sulle mie, caute e gentili. Proprio come lui.
Quando la neve ricominciò a cadere in fiocchi grandi mi aiutò ad alzarmi.
« Dovremmo andare, inizia a fare troppo freddo per te. » mi disse premuroso
Ci avviammo verso casa senza dire altro. Qualsiasi cosa sarebbe stata superflua dopo quella mattina.

Quando mi salutò con un dolce bacio sotto il portico di casa mi sorrise in un modo diverso dal solito, che non seppi decifrare. Appena lo vidi allontanarsi nella sua Volvo coperta di neve afferrai il cellulare che tenevo nella tasca e chiamai Angela.
« Bells, tesoro! Hai visto che bella la nevicata domenicale? »
« Angie dove sei? » non mi curai della sua domanda e la sommersi con la mia
« Sono a Port Angeles a comprare una nuova lente per la Nikon. Ma tu che hai? »
« Non muoverti di lì, sto arrivando » le dissi concitata, mentre mettevo già in moto il vecchio ma efficiente Chevy
« Bella mi devo preoccupare?! » risi di gusto alla sua voce già incrinata dal sospetto
« No, Angie. Ma avvisa tua mamma che oggi pranzi con me. Ho troppe cose da raccontarti » non avevo intenzione di raccontarle ciò che mi aveva confidato Edward….ma tutto il resto si.
Sentii ridere brevemente la mia amica dall’altro capo del cellulare prima che dicesse:
« Bentornata, Bells » sapevo cosa intendesse, e aveva ragione.
« A tra poco, Angie. » poi riagganciammo.
Avevo già imboccato la statale e non vedevo l’ora di abbracciare la mia amica, di gridarle quanto mi sentissi rinata, quanto mi sentissi entusiasta per le nuove opportunità che il destino mi stava offrendo. Le avrei raccontato delle scottature che sentivo rimarginarsi sotto il fresco tocco di Edward, avrei cercato di descriverle quanto avessi perso ogni briciolo di lucidità quando mi aveva baciata. Ero completamente in un’altra dimensione.
Forse fu per questo che successe.
Improvvisamente una macchia indistinta di colore sfrecciò a pochi metri dal muso del mio pick-up tagliandomi la strada. Gridai forte dallo spavento e sterzai per evitare qualsiasi cosa mi fosse passata d’avanti.
Ma la nevicata di quella mattina aveva prodotto una enorme gelata, e persi del tutto il controllo dello Chevy. Le ruote scivolarono sul ghiaccio facendo di me una trottola impazzita prima che il pick-up si abbattesse tra i pini adiacenti la strada, mandando i finestrini in mille pezzi. In quel brevissimo istante prima dell’impatto scorsi di nuovo un lampo di colore indistinto sfrecciarmi accanto.
Poi ci fu l’impatto…fragoroso, assordante, devastante….e tutto divenne buio.

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Capitolo 28
*** CAPITOLO 23 - Niente roba da femminucce ***


Buonasera a tutti ! stasera non ho resistito a postare il ventitreesimo capitolo! non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate...... Però ho da dirvi una cosa : purtroppo questo è l'ultimo capitolo della mia "scorta" e al momento sto scrivendo il capitolo 24. Questo significa che purtroppo da ora in poi non avrò una pubblicazione costante, ma ahimè dovrete aspettare che io scriva di volta in volta. Purtroppo il tempo a mia disposizione per la scrittura è davvero poco, sono tutto il giorno all'università e i fine settimana studio (esami in avvicinamento !!) però prometto che farò di tutto per non farvi aspettare troppo!
Come sempre, spero di leggere le vostre recensioni.
Un bacio a tutti e..... Buona lettura!






CAPITOLO 23 – “Niente roba da femminucce



« Ehi tu! » sputò fuori nel peggio della sua voce roca da ubriacone.
Certo. Come no stronzo, contaci che mi giro!
Accesi il faretto posizionato a terra alla mia destra, poco sopra la mia testa, per vedere meglio da dove diavolo stesse colando fuori tutto quell’olio. Era più di una settimana che smanettavo sui bulloni di quel maledetto Chevrolet Blazer!
“Fiiù” « Ehi ! dico a te là sotto! »
Quel pezzo di bastardo mi aveva fischiato? Aveva fischiato, a me , per chiamarmi? Dio l’avrei massacrato. Lo odiavo già normalmente, ma quando mi fischiava l’avrei distrutto tra le mie mani!
« Siamo chiusi. » risposi senza nemmeno uscire da sotto il fuoristrada
« A me non sembra proprio, ragazzo » gracchiò ancora
« Vattene via, Joe » gli dissi sbuffando mentre tentavo di riprendere la concentrazione disteso su quel carrellino troppo piccolo per la mia schiena
« Dov’è Earl ? »
Cominciava davvero a stancarmi. Gettai la chiave inglese alla mia sinistra e mi spinsi fuori da sotto il motore del Blazer. Mi misi seduto e iniziai a pulirmi le mani piene di grasso con lo straccio accanto alle mie scarpe.
« Oggi è domenica, Joe . Si dà il caso che di domenica quest’officina sia sempre stata chiusa, da cinquant’anni a questa parte, come ben sai. » distolsi lo sguardo dalle mie mani nere e puntai gli occhi in quelli arrossati di Joe « E che Earl di domenica va a pesca al lago. Sempre come ogni dannata domenica da cinquant’anni a questa parte. Ma anche questo sai bene.» gettai lo straccio di nuovo accanto ai miei piedi, non mi importava nulla di avere le mani pulite « Quindi perché sei qui a darmi fastidio ancora una volta? » non volevo essere troppo brusco per il momento, me lo aveva chiesto Earl.
Il basso e tozzo Joe si dondolò appena nella neve, sulle suole consumate dei logori scarponi da trekking imbottiti. Un tempo quella sua aria da uomo trasandato e vittima dell’alcool mi avrebbe fatto pietà. Oggi invece nel guardarlo non provavo altro che fastidio. Fastidio per i suoi modi volgari, fastidio per il suo guardarmi sempre con disprezzo, fastidio perfino per la sua incipiente calvizie brizzolata quel mattino!
« Deve ridarmi il mio Land Rover » puntò di nuovo con cattiveria i piccoli occhietti scuri e arrossati nei miei, ancora con quei suoi modi rozzi e intimidatori
« Earl non deve ridarti proprio un cazzo, Joe » e fanculo ai buoni propositi di non essere brusco.
« Sta attento a come parli, ragazzino. L’auto è mia, e deve ridarmela al più presto »
Mi sollevai in piedi lentamente, e nonostante il tozzo Joe stesse in piedi al di fuori dell’officina a quasi quattro metri di distanza da me, la mia nuova altezza mi permetteva comunque di guardarlo dall’alto in basso.
« Earl ti ridarà la tua auto quando avrai pagato i 300 dollari che gli devi per la riparazione »
« Quel vecchio bacucco se lo scorda che gli sganci 300 verdoni! Si è rincoglionito del tutto! » cominciò ad agitarsi e gli riuscì difficile mantenere l’equilibrio con tutto quel movimento « Da quando è schiattato Tom nessuno gli ha detto che spara solo cazzate! »
Questo non avresti dovuto dirlo, coglione!
Mi avvicinai a lui con soli tre passi e lo sollevai per il collo in pelliccia del pesante giaccone. Portai i suoi piccoli occhietti infami all’altezza dei miei, che sentivo bruciare dall’odio in quel momento. E sicuramente lo vide anche lui, sul suo viso paonazzo rovinato dal freddo si dipinse una vera espressione di terrore.
Era anche per questo che Earl mi aveva assunto subito.
« Stammi a sentire vecchio stronzo ubriacone. I 300 dollari che ti ha chiesto Earl sono anche pochi, sono il minimo che gli serve per pagare me, per pagare tutto il tempo che ho sprecato per riparare quel tuo fottuto rottame » gli diedi una lieve scossa, durante la quale gli caddero dagli scarponi i pezzi di neve che ancora erano attaccati alle suole, e portai il suo viso sconvolto a pochi centimetri dal mio « E se sento, anche solo un’altra volta, il nome di Tom su quella fogna della tua bocca giuro su mia madre che ti faccio a pezzi, li seppellisco sotto il primo cumulo di neve che trovo e dopo ci piscio anche sopra. » non dissi niente per un momento, tanto per essere sicuro che lo stronzo capisse cosa gli avevo appena detto « Intesi, Joe? »
Lo stronzo ubriacone agitò la testa annuendo senza rispondere ed io lo rimisi a terra senza troppa delicatezza.
« Ora vattene che ho da fare » non se lo fece ripetere due volte.
Lo guardai allontanarsi con passo incerto sui cumuli di neve, mentre borbottava acido su cosa mi avrebbe fatto se fosse stato più giovane di vent’anni.
La distesa di neve bianca fuori l’officina gridava quiete e calma. Inspirai a fondo l’aria gelida del Canada di fine Ottobre. La stessa che c’era il giorno in cui arrivai lì, circa un mese prima.

Appena ero stato in grado di tenere il mio lupo a bada da solo, Sam mi aveva dato il permesso di allontanarmi da Forks. Mi aveva concesso l’opportunità di imparare a convivere con il lupo dentro di me lontano dagli affetti, e quindi lontano da tutto ciò che avrebbe potuto farmi perdere il controllo più facilmente. Mi aveva raccontato di averlo fatto anche lui, e che gli era servito davvero a prendere il controllo sulla sua doppia natura. Così appena potei me ne andai. Non portai nulla con me se non pochi cambi, infondo ero un asso dei motori, in un modo o nell’altro sarei riuscito a mantenermi. Per i primi giorni mi lasciai vivere nella forma di lupo. Correvo, mangiavo, bevevo e dormivo. Ma soprattutto correvo.
Lasciavo libero sfogo a tutti gli istinti e le necessità che il lupo dentro di me imponeva, lasciai che fosse lui a comandare. In quei giorni tutta la sua potenza tenuta nascosta per diciassette anni esplose come una bomba, donandomi una libertà mai conosciuta.
Dopo pochi giorni che ebbi superato il confine con il Canada, però, decisi che il lupo aveva avuto ciò che pretendeva, aveva preso abbastanza da me, aveva avuto la sua opportunità di spezzare le catene che lo avevano tenuto imprigionato fino a quel momento. Quando mi ritrasformai in forma umana infatti, fui orgoglioso di me stesso e della mia scelta.
Il lupo dentro di me non sbraitava più, non si agitava, non tentava di ribellarsi in alcun modo. Lo avevo accontentato, lo avevo rispettato nella sua natura, e lui a sua volta mi aveva riconosciuto degno del suo rispetto. Il lupo dentro di me mi aveva riconosciuto come parte della sua entità, ed io avevo fatto lo stesso, trovando il giusto equilibrio.
Questa nuova stabilità mi piaceva, dovevo solo abituarmi alla mia nuova condizione. Dovevo solo imparare a vivere la vita quotidiana senza far notare nulla al resto del mondo. Senza che nessuno notasse quanto ero diverso da chiunque altro. Senza che nessuno notasse quanto di rude e selvaggio portavo dentro di me.
Dopo quasi cinque giorni di cammino ininterrotto raggiunsi la città di Winnipeg, nella regione di Manitoba, in Canada. Ad esattamente 2.712 km da Forks.
Se il mio vecchio avesse saputo che mi trovavo a più di duemila chilometri da casa sarebbe caduto dalla carrozzella!
Ma non mi fermai lì : troppa gente, troppa vita, troppo caos. In quel momento sentivo la necessità di ricominciare ad integrarmi nella società in un posto tranquillo e senza troppi casini. La trasformazione mi aveva cambiato, non ero più il ragazzo sempre solare di prima.
Così proseguii e quando giunsi a Cooks Creek, a circa 39 km a nord-est di Winnipeg pensai che fosse un buon posto per iniziare.
A Cooks Creek c’era soltanto una via principale. Dopo di che si diramavano piccolissime stradine sterrate che portavano ad isolate abitazioni contadine. Nemmeno sull’unica via centrale c’era chi sa quale movimento. Cooks Creek era perfetta per me.
Iniziai a girovagare nei dintorni in cerca di un posto dove stare. Ero sporco e trasandato, probabilmente anche un po’ sciupato, e nonostante il mio corpo fosse divenuto il doppio più grande rispetto a prima della trasformazione, mi muovevo con facilità nello spesso strato di neve che copriva tutta la cittadina.
In una stradina sperduta raggiunsi un grande capannone. Perfino da lontano riuscii a fiutare l’odore di grasso e di olio da motore che proveniva dall’interno. Così mi avvicinai.
Affacciai la testa oltre la saracinesca dell’officina e tutto ciò che vidi fu un vecchietto tutt’ossa seduto accanto ad un Lange Rover, con le braccia del tutto immerse nel motore. Quando notò la mia presenza alzò lo sguardo e non disse nulla.
I suoi occhi mi colpirono. Erano azzurri, talmente chiari da risultare quasi bianchi da lontano, ma sembravano così spenti che nemmeno un paio di occhi neri come i miei sarebbero sembrati più scuri e profondi. Quegli occhi erano incastonati ed infossati un viso pallido e rugoso, invecchiato dalle intemperie e dalla vita. I capelli bianchi erano ancora stranamente folti e ben curati, stridevano molto con il resto del suo aspetto.
« Buon Dio, figliolo! Ti si saranno gelati perfino i peli del culo! » la sua voce mi giunse corposa e baritonale, sembrava essere troppo grande per un uomo così gracile.
Mi diedi una rapida occhiata, indossavo ancora i miei abituali vestiti, un paio di pantaloni di jeans al ginocchio, una canotta di cotone e delle scarpe da ginnastica ormai distrutte. Lì fuori dovevano esserci almeno cinque gradi sotto zero ed io non lo avevo nemmeno notato. Ormai per me il freddo non era più un problema, i miei 42 gradi mi isolavano del tutto da qualsiasi temperatura.
Ecco, pensai, è proprio questo quello che intendo sull’imparare a non farsi notare tra le persone normali!
« E non startene lì impalato. Entra. »
Non seppi cosa rispondergli, ero solo stupito e al contempo affascinato da quel tizio tanto strano. Così entrai senza dire nulla. Mi ricordai di dover sembrare normale e così mi strinsi le braccia intorno al corpo, tanto per sembrare infreddolito. La verità era che mi sentivo soltanto un emerito coglione, e quindi almeno mi risparmiai la scena patetica dello sbattere dei denti.
Il vecchio corrucciò appena le sopracciglia, accentuando ancora di più le rughe profonde del viso, e non riuscì a trattenere un mezzo sorriso. Di sicuro si era reso conto di quanto fossi strano. Quel tizio la sapeva lunga. Ne ero certo.
« Aspetta qui, dovrei avere ancora qualche maglione in magazzino. »
Si alzò dalla sedia e si allontanò sulle sue gambe gracili, nascoste perfettamente dagli enormi pantaloni imbottiti.
Mi avvicinai al cofano aperto del Lange Rover.
Oh cazzo! Fu l’unica cosa che riuscii a pensare
Quel nonnetto stava per mandare a puttane tutta la centralina con il collegamento che aveva appena arrangiato!
Gettai un occhio al magazzino nel quale era sparito, ma da lì dietro non arrivava il benché minimo rumore. Presi le pinze e i fili elettrici poggiati sulla sua sedia e in pochi minuti tutte le connessioni della centralina erano a posto e funzionanti. Feci il giro del mezzo e mi sedetti al posto di guida per verificare se le connessioni avessero retto davvero. Nel momento in cui misi in moto, il Lange Rover si accese senza alcuna fatica.
« Ho trovato solo questi. Ma ti terranno senz’altro più al caldo di quei calzoncini da finocchio che ti ritrov-..…Porco cane! » gli cadde letteralmente la mascella e i vestiti di mano.
Scesi svelto dall’abitacolo prima di scusarmi
« Mi dispiace signore, io stavo solo… » ma il vecchio mi interruppe senza staccare gli occhi dall’auto
« Oh sta zitto, ragazzino! Le scuse da femminuccia mi fanno soltanto rivoltare le budella! » camminò a quella che pensai fosse la sua massima velocità verso il cofano del fuoristrada. Quasi ci si infilò del tutto dentro per controllare cosa avessi fatto.
Pensai che fosse meglio tagliare la corda prima che tirasse fuori un fucile a doppia canna da qualche angolo di quell’officina. Gli voltai le spalle e mi diressi alla saracinesca
« Ehi! Dove credi di andare, capellone? »
Mi voltai un po’ seccato, ma cercai di non darlo a vedere troppo
« Senti nonnetto ti ho già chiesto scusa » lui sorrise a quelle mie parole, soddisfatto.
Poi lentamente iniziò ad avvicinarsi.
« Regola numero uno… » sollevò un dito ossuto all’altezza del suo naso « Quando io ti do dei vestiti, tu » e puntò lo stesso dito nella mia direzione « li prendi e te li metti. »
« Ma che cos… »
« Regola numero due » alzò la voce più della mia « nella mia officina non si balbetta n’è si frigna come femminucce » sul suo cammino aveva raggiunto il pesante maglione e il pantalone che gli erano caduti di mano, li raccolse e colmò la distanza tra noi, mettendomeli in mano con una forza che non mi sarei aspettato da un uomo così gracile.
« Regola numero tre… » mi guardò sospettoso in volto e i capelli « quei cosi flosci devono sparire.» dichiarò indicando con un cenno del mento i miei capelli ormai troppo lunghi.
A me venne da ridere, quel tizio mi piaceva proprio. Allungò una mano ossuta verso di me, ed io la avvolsi completamente nella mia stretta. Ma la sua presa non fu meno vigorosa della mia.
« Mi chiamo Earl Donovan, ragazzino, e da oggi sono il tuo capo. »
Rimasi un attimo sbalordito a quella proposta e non mi diede materialmente nemmeno il tempo di oppormi che aggiunse « E guai a te se mi chiami ancora nonnetto »
« Io sono Jacob Black, Earl » gli risposi sorridendo « e grazie per questi » sollevai appena i vestiti.
« Oh figurati. Erano di quell’idiota di mio figlio Tom. Li teneva lì per emergenza. E poi sai che ha fatto? » mi chiese voltandomi le spalle e ritornando al Lange Rover « Ha pensato bene di morire » aggiunse in tono ironico.
Ma non riuscì ad ingannare i miei nuovi sensi. Non riuscì a coprire il vero dolore che provava. Sul momento non seppi cosa dire. Così cambiai argomento. Mi diedi un occhiata intorno
« Beh, scusa Earl ma non capisco cosa dovrei fare io qui »
« Farmi fare una montagna di soldi, spilungone » lo aggiunse quasi scocciato dalla mia stupidità
« Potrei anche farlo, se non avessi appena riparato l’unica auto in questa officina » gli feci notare e lui di tutta risposta scoppiò a ridere
« Tu hai risolto solo il primo dei casini di quel fottuto rottame! Vieni ti faccio vedere » mi fece cenno di avvicinarmi « Prima mi togli dalle palle il mezzo di quello stronzo ubriacone di Joe Finningan e meglio sto! »

Era così che Earl mi aveva accolto. Senza farmi domande, senza chiedermi nemmeno se quello fosse il mio vero nome. Mi voltai di nuovo verso l’interno dell’officina. Ora campeggiavano pronte all’uso, appena riparate: due trattori Mercedes, un Hammer, due fuoristrada Wolksvagen e il maledetto Chevrloet Blazer. Oltre al Lange Rover di Joe, ovviamente, ma quello ormai faceva quasi parte dell’arredamento.
Buttai un occhio all’orologio, era quasi ora di pranzo. Andai in bagno e mi lavai le mani velocemente, poi recuperai il pesante giaccone dall’ufficio, me lo infilai, chiusi la saracinesca con un unico movimento e mi incamminai verso “Macey’s” per il mio pranzo.


Non avevo ancora capito perché quel posto si chiamasse “Macey’s” se il proprietario era Connor Mahone e in tutta la sua famiglia non c’era nessuno che si chiamasse Macey. Ma forse aveva acquistato la minuscola tavola calda già con quell’insegna e se l’era tenuta. Era così che funzionava da quelle parti.

«…l’ondata di gelo continuerà fino a martedì notte quando una …»

La voce della tizia del meteo era stridula, e stonava incredibilmente con l’interno semi vuoto della tavola calda. Mi sistemai con un certo impaccio all’ultimo tavolo a destra, in fondo al locale. Il divanetto di pelle bordeaux ormai spellato dall’uso mi accolse con il solito sbuffo, quasi fosse contrariato sotto il mio peso. E cosa avrei dovuto dire io allora? Che ogni volta dovevo stendere le gambe ai due lati del tavolo per stare seduto senza avere le ginocchia alla gola!

«…il Sindaco di Winnipeg ha annunciato i prossimi piani per sostenere…»

Non mi interessava nessuna di quelle notizie.
Dall’altro lato del locale mi salutò con un cenno del capo il figlio del dottore. Non gli risposi. Non mi interessavano i “rapporti di buon vicinato”. Guardai fuori dalla finestra con le tendine rosse, e come al solito non vidi altro che una lunga e scintillante distesa di neve soffice. Almeno quel giorno c’era il sole.
« Ciao Jake »
« Ehi, Melody » mi voltai e sorrisi alla più bella ragazza che avessi mai incontrato in tutta la mia vita.
Melody Thompson, un metro e settantotto di morbide curve nere, una cascata di riccioli ribelli a incorniciare due occhi verdi come il mare e delle labbra rosse e piene. Non credevo affatto che “Melody” fosse il suo vero nome, ma non mi interessava. Io ero l’ultimo a poterle chiedere spiegazioni di quel tipo. Era arrivata li poco dopo di me, e questo era tutto quello che mi bastava sapere su di lei.
« Cosa posso portare oggi al ragazzone più bello dell’intero Canada? » mi sorrise mordendosi un labbro.
Oh si, sapevo anche che se avesse potuto, mi avrebbe strapazzato in ogni modo umanamente possibile.
« Il solito, Mel » le sorrisi anch’io malizioso « Tutto affogato nel tuo miglior sorriso »
« Arriva subito » sparì in cucina ridendo come una ragazzina alla prima cotta.
Non prima che avessi avuto la mia dose quotidiana di panoramica del suo magnifico lato B, ovviamente.
Mi rilassai, per quanto possibile, nello scomodo divanetto bordeaux

«…Passiamo la linea alla nostra inviata a Seattle per un resoconto su quanto…»

Anche in quel momento, come altre volte mi era già capitato, pensai che avrei dovuto cedere alla tentazione della bella Melody. Era davvero bellissima, ma non lo avrei fatto per quel motivo.
Mi si strinse lo stomaco, conoscevo benissimo come proseguiva quel pensiero scomodo.
Melody non avrebbe potuto essere più bella e sensuale….ma non sarebbe mai stata nulla in confronto alla mia Bella.
La mia Bella…
Facevo tutto questo solo per lei.
Vivevo come un eremita solo per lei. Solo per essere sicuro che mai e poi mai le avrei fatto del male una volta tornato a casa. Quindi per me fu inevitabile ad un certo punto chiedermi se fossi riuscito a mantenere il controllo con Bella anche in situazioni più intime.
Per questo pensavo che avrei dovuto cedere a Melody. Solo per questo.
I suoi brillanti occhi verdi non avrebbero potuto competere mai con il denso cioccolato dolce degli occhi del mio amore. Le labbra carnose di Mel nulla avrebbero potuto al cospetto dei boccioli delicati e rosei della mia ragione di vita. Il suo corpo formoso e scuro non avrebbe mai brillato di luce propria attirandomi come un magnete quanto il delicato, sottile ed etereo corpo della mia Bella.
« Oh, Jacob! » mi chiamarono dall’ingresso
« Ciao, Rob » risposi al ragazzo biondo e allampanato appena entrato nel locale.
Così come risposi al saluto delle altre dieci persone che entrarono nella tavola calda nella successiva mezz’ora.

« …Quindi si pensa che il furto alla banca locale sia stato progettato…»

Mi guardai intorno ed improvvisamente mi resi conto che tutti lì dentro mi conoscevano. Ognuno di loro conosceva il mio nome, ognuno di loro passava abitualmente in officina a salutarmi, ad ognuno dei loro figli avevo insegnato qualcosa sui motori, ed ognuno di loro mi conosceva come “il Jacob di Earl”.
No, non andava bene così.
Anch’io conoscevo tutta la cittadina di Cooks Creek ormai, e senza rendermene conto mi ero anche affezionato a quel vecchiaccio di Earl.

«…così nella giornata di ieri la polizia ha fatto il sopralluogo…»

Gettai una breve occhiata al televisore sopra il bancone.
Avevo già preso la mia decisione.
E anche per quel giorno il notiziario era quasi terminato senza che sentissi nominare nessuno della mia famiglia. Era l’unico contatto che intendevo mantenere con loro per il momento. Non ero ancora pronto per tornare a casa.
Avevo già preso la mia fottuta decisione.
Semplicemente non ero pronto. Non ero pronto a ritornare a casa.
Ma non potevo rimanere ancora lì.
« Mel » chiamai con voce decisa, e lei si voltò subito « portami il conto. E una penna. »
Melody mi servì come avevo chiesto. Poggiai le banconote sul tavolo e scrissi velocemente dietro lo scontrino:

Alan Kennett
Royce Dallas
Bruce Mc Cormitt
Gli ho insegnato quanto basta per tirare avanti la tua baracca, nonnetto. Tieniti pure i soldi che mi hai dato fino ad ora, sono sotto la prima mattonella in bagno.
Considerali come il saldo del conto di quello stronzo di Joe. Ridagli quella merda di Lange Rover e mandalo a fanculo per entrambi una volta per tutte.
Stammi bene Earl.
Jake

Nessun “grazie”. Tra me ed Earl andava bene così.
Niente roba da femminucce.
Uscii in fretta dalla tavola calda e mi diressi per l’ultima volta in officina.




«…Ed ora l’ultimo servizio della giornata viene da Forks, Washington, dove un ragazza a bordo di uno Chevrolet ha perso il controllo del suo mezzo andando in testacoda, prima di impattare violentemente contro gli abeti circostanti, causando un pericoloso incidente a catena…»

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Capitolo 29
*** CAPITOLO 24 - Quando il bianco è spietato ***


Buonasera a tutti. Vi chiedo davvero SCUSA, non ho avuto il tempo di rispondere alle vostre recensioni ma le ho lette tutte con moltissima emozione. GRAZIE per i vostri splendidi apprezzamenti, sono davvero felice che il capitolo precedente vi sia piaciuto. Così come spero possa piacervi anche questo.
A tutte le lettrici silenziose invece : mi piacerebbe davvero sentire il vostro parere.
Un bacio e..... Buona lettura.





CAPITOLO 24 – “Quando il bianco è spietato




« …Non ancora ma il dottore dice che è normale »
« Normale? Pfff… lei non ha mai fatto nulla di normale! »
Era tutto buio, le voci intorno a me mi giungevano talmente confuse ed ovattate che mi era quasi impossibile capire il significato delle parole, ed ero quasi certa di non possedere un corpo. Non sentivo limiti di spazio intorno a me, e lentamente cominciavo ad avvertire un senso di torpore risalire dal punto in cui credevo di avere i piedi fin su, risvegliando lentamente gambe, busto ed infine le braccia. In pochi secondi mi ricredetti…possedevo ancora un corpo, anche se per il momento non riuscivo a sentirlo mio. Poi la prima voce rispose alla seconda, un uomo sicuramente.
« E’ forte come una roccia la mia Bells. Su questo puoi scommetterci, Angie »
« J…Jake… » un bruciore di mille fiamme ardenti mi avvolse completamente la gola
Cos’era successo? A chi apparteneva quell’orribile suono gutturale che avevo appena sentito?
Qualcosa di morbido, liscio e caldo mi toccò un punto che dopo qualche secondo riuscii ad identificare come una mia mano, che in quel momento mi formicolò interamente donandomi di nuovo il senso del tatto.
« Bella! » questa volta l’avevo sentita bene e riconosciuta.
« A…Angie » ancora quel bruciore infinito e quel suono orribile
Possibile che fossi io? Possibile che quel verso tanto mostruoso appartenesse a me?
« Sì! Sì tesoro sono io! » la sentii rispondere tutta eccitata
« Bella! Bella come ti senti? » ed ecco anche l’altra voce, quella maschile,ora la riconoscevo, era di Charlie.
In quel momento avvertii soltanto il mio cuore perdere un battito senza capirne il motivo. Lo sentii come trafitto da una lama rovente di delusione e allo stesso tempo scaldato dalla rassicurante presenza di mio padre in quel luogo buio e senza confini.
Ma la pressione esercitata dalla mano di Angela sulla mia divenne più debole, fin quasi a scomparire, portandosi dietro anche il formicolio, il tatto e la percezione di tutto il resto del corpo. Le voci divennero di nuovo confuse e, come se fosse stato tutto soltanto un sogno, l’intorpidimento che mi avvolgeva il corpo giunse alla testa facendomi sprofondare ancora nel buio.


Quando ripresi i sensi era tutto diverso, tanto che ero sicura che quel precedente semi-risveglio fosse stato soltanto un sogno. Tenevo ancora gli occhi chiusi ma riuscivo a distinguere benissimo le voci che mi circondavano e che chiacchieravano così come nel mio sogno. E poi c’era la percezione del mio corpo. Oh stavolta sì che lo sentivo, lo sentivo fin troppo.
Provavo un dolore sordo e continuo in ogni punto, a partire dalle unghie dei piedi per finire alla testa, e in particolare sentivo un dolore intenso e pulsante ad una gamba e alla fronte. In quel momento fui certa che solo allora mi stessi svegliando per la prima volta, tutte le sensazioni del risveglio precedente erano troppo assurde : il corpo che non sentivo inizialmente, per poi avvertirlo come non mio, le parole e le voci ovattate….e poi quel suono orribile che avrebbe dovuto essere la mia voce. La stessa che aveva pronunciato parole che non ricordavo più.
Soltanto una sensazione era forte e presente come se la stessi vivendo ancora in quel momento, ed era l’unica che mi faceva avere ancora qualche dubbio che quel momento fosse esistito davvero : la sensazione di delusione cocente che avevo sentito nel mio cuore, facendo dolorare anche quello.
Ma infondo non era possibile, niente di tutto quello era accaduto realmente, soltanto il momento presente era reale, come dimostrava tutto il mio corpo dolorante e le voci che non la smettevano un secondo di blaterare intorno a me, stavolta chiare e di cui riuscivo a capirne il senso nelle loro parole
« Volete smetterla di blaterare, voi due? » provai a dire, e quello che ne uscì fu effettivamente un suono rauco e graffiato, ma sempre meglio di quello che avevo udito nel mio sogno. Aprii piano gli occhi
« Bella! » Angie era lì accanto al mio letto e subito mi strinse la mano sinistra
« Bells, piccola mia » mi voltai piano, alla mia destra Charlie afferrò l’altra mano « come ti senti ? » aveva gli occhi sgranati dall’agitazione
« B-bene, credo » tentai di mettermi dritta nel letto ma il dolore alla gamba destra fu lancinante « Ah! »
« No, Bells non muoverti ancora » Angie mi carezzò dolcemente la mano che teneva stretta tra le sue
« Angela avvertiresti il dottore, per favore? »
« Vado subito » poi si allungò a lasciarmi un veloce bacio in testa « non permetterti mai più di farmi prendere uno spavento simile Isabella Swan ! » uscì dalla stanza quasi correndo
Sentii Charlie accarezzarmi la testa, così mi voltai verso di lui. Mi sorrise subito ma potevo ben vedere ancora tutta la tensione nascosta sotto quel sorriso « Scusa papà »
« E per cosa, Bells? Non è stata colpa tua, la strada era ghiacciata, può succedere » sospirò forte.
In quel momento pensai alla mamma « Non avrai chiamato mamma, vero? » gli chiesi allarmata, le sarebbe venuto un colpo
« No, tesoro. Quando sono arrivato all’ospedale con quasi un infarto in corso il dottore mi ha spiegato che non c’era nulla di cui preoccuparsi » mi sorrise e io risi della sua battuta « Ho pensato che sarebbe meglio se la chiamassi tu in serata. »
« Grazie »
Mi diedi una veloce occhiata intorno. Non condividevo la camera con nessun’altro. Le pareti erano del solito bianco asettico tipico degli ospedali, così come tutti gli altri macchinari, tendaggi e mobiletti. Sembrava di essere dentro un igloo. Tutto quel bianco mi fece risaltare subito una cosa all’occhio: non c’era nessuno lì dentro a parte me e Charlie. Fino a qualche attimo prima avevo avuto anche Angela accanto, certo, ma erano solo loro due. In quel momento odiai il bianco : come poteva un colore essere così spietato e spiazzante?
Improvvisamente mi sentii amareggiata e triste. Tutto quel dannato candore, quella solitudine … cosa ne era della mia vita? Dove erano le persone nelle quali pensavo di aver lasciato un segno? Dov’era Edward? La sua famiglia? Tutti i miei amici della riserva? … dov’era Jacob? L’ultima domanda mi nacque spontanea, non riuscii a non formularla. Possibile che fosse tanto lontano e irraggiungibile da non permettere a nessuno di avvisarlo? Possibile che invece sapesse, e non fosse lì accanto a me per scelta? Dentro di me stavano tornando a bruciare le ferite lasciate dal suo abbandono e dalla sua nulla considerazione di me, quando entrò uno splendido uomo in camice bianco.
« Buon pomeriggio, Isabella » mi sorrise e quel sorriso mi abbagliò
Procedeva a passi lunghi e sicuri verso di me, bello come il sole. Alto, biondo, pallido come la luna ma luminoso e raggiante come una stella. Nei movimenti eleganti e nel suo pallore rividi Edward. Possibile che fosse il dottor Cullen? Quando fu a pochi passi da me e potei scorgere i suoi occhi non ebbi più alcun dubbio : erano dorati proprio come quelli di Edward. Quella constatazione mi fece correre un brivido lungo la schiena … iniziava ad essere inquietante quella assurda somiglianza di colore tra tutti i membri della famiglia adottiva.
« Salve » gli risposi e mi schiarii la voce
Il dottore si accomodò accanto a me sul letto ed iniziò a puntarmi una lucina negli occhi « Io sono il dottor Cullen, il padre di Edward » spense la luce e la ripose nel taschino, ma il suo sorriso continuò ad abbagliarmi più di quell’aggeggio
« Piacere di conoscerla » mi sentivo tremendamente in imbarazzo.
Come ci si comporta in questi casi? Si allunga una mano? Si cerca di essere cordiali e di apparire persone a posto? Non avevo idea di come funzionassero le conoscenze con i genitori dei ragazzi che si frequentano. Io avevo sempre avuto Billy in casa mia, così come io ero solita muovermi a casa sua come in quella di un parente. Provai l’impulso istintivo di fuggire da quella stanza e rompere del tutto con Edward soltanto per non trovarmi in quella situazione.
Il dottor Cullen invece parve del tutto a suo agio « Puoi darmi del tu, Isabella » sorrise ancora e alzò un dito a due palmi dal mio naso « Segui il dito con lo sguardo, cara » feci come mi aveva ordinato senza fiatare « Bene. molto bene » esordì quando ebbe finito. Si sollevò in piedi e mi tolse la coperta dalle gambe, fu allora che vidi che la destra era ingessata. Controllò il gesso e mi chiese « Come ti senti? » prima di prendere il piede nelle sue mani e farlo roteare lentamente.
Ebbi appena il tempo di notare quanto quelle mani fossero gelide, proprio come quelle di Edward, che un dolore acuto serpeggiò sù dal piede fino al ginocchio.
« Ah! » mi lamentai e mi morsi la lingua a quel gesto « beh quella fa male » lo vidi ridere e scuotere la testa divertito « mi sento un po’ tutta dolorante, veramente. » il dottor Cullen mi coprì nuovamente le gambe ed iniziò a controllare i macchinari alla mia sinistra « E poi mi pulsa la testa, mi fa male » mi portai istintivamente una mano alla fronte, sopra il sopracciglio destro e sentii una stoffa ruvida sotto le dita. Mi voltai verso di lui con espressione interrogativa
« E’ normale che ti senta così, Isabella. Hai sbattuto contro i pini con tutta la fiancata destra del pickup più volte. Questo ti ha fatta letteralmente volare via dal tuo posto di guida e hai impattato contro il lato destro interno all’abitacolo dello Chevy. Purtroppo nell’impatto la tua gamba è rimasta intrappolata tra la leva del cambio e quella del freno a mano, fratturandoti tibia e perone. Mentre hai sbattuto la testa e il resto del corpo più volte lungo la lamiera della fiancata. » il dottor Cullen si allontanò dai macchinari e si spostò ai piedi del lettino, dove prese quella che doveva essere la mia cartella clinica per studiarla.
Ero rimasta esterrefatta alle sue parole : tutto quello era successo a me?
« Sei stata fortunata, Bells. Te la sei cavata soltanto con un paio d’ossa rotte e dei punti » Charlie mi sorrise ma io non riuscii a ricambiare subito, scossa ancora dal racconto di quell’incidente che sembrava così grave.
« I punti sono proprio lì dove avevi la mano, Isabella. Sulla fronte, poco al di sopra dell’arcata sopraccigliare destra. Mi dispiace ma temo che rimarrà una cicatrice. »
« Quanti punti? » chiesi, anche se non mi importava nulla dei segni visto ciò a cui ero scampata
« Undici »
« Wow » mi sfuggì a bassa voce e sorrisi.
Quello sarebbe stato il tipo di cicatrice per cui Jacob sarebbe andato fiero fino a qualche anno prima. Lo stesso tipo di infortunio che in quel momento lo avrebbe prima fatto spaventare a morte e subito dopo l’avrebbe fatto ridere di me con il suo sguardo innamorato.
In un secondo mi ridestai. Ma cosa pensavo? Jacob non avrebbe fatto nulla di tutto ciò, perché a lui non importava più nulla di me e io dovevo dimenticarlo una volta per tutte.
« Come sono arrivata qui? » chiesi per scacciare via quei pensieri e concentrarmi su altro
« Vedi Bells, prima di impattare contro i pini hai slittato sull’asfalto andando in testacoda lungo parte della carreggiata. C’erano altre auto dietro di te e per evitare lo Chevy hanno sterzato bruscamente. Si è creato un incidente a catena abbastanza grande. »
Non riuscivo a crederci « Oh mio Dio, papà. Cos’è successo alle altre persone? »
« Stanno tutti bene, giusto qualche graffio. »
Sospirai e il peso dell’ansia svanì dal mio stomaco. In quel momento Angela rientrò in stanza e mi sorrise, venendosi ad accomodare di nuovo sulla poltroncina alla mia sinistra. Poi Charlie aggiunse
« Tu cosa ricordi, Bella? Come hai perso il controllo? »
Quella domanda fu come un fulmine a ciel sereno. In effetti cosa ricordavo davvero? Cercai di sforzarmi, le immagini di quel momento mi tornavano alla mente come quelle di un sogno, un sogno di cui si cerca di ricordare il contenuto ma appare tutto sfocato e tremolante. Dopo qualche secondo di concentrazione ricordai meglio
« Qualcosa mi ha tagliato la strada » dissi ancora immersa nei ricordi
« Un animale? » mi chiese Charlie e con la coda dell’occhio vidi il dottor Cullen sollevare lo sguardo verso di me, attento alla conversazione
« Non lo so …. »
« E’ normale se non ricordi, Isabella. Hai subito un forte trauma cranico » aggiunse il dottore
« No, non è per quello. Io ricordo cosa è successo. » sollevarono entrambi le sopracciglia, sorpresi « Ma non sono riuscita a distinguere cosa fosse. Era troppo veloce. Mi è sfrecciato davanti in un millesimo di secondo, e lo ha rifatto subito dopo l’impatto con gli alberi » Charlie corrucciò le sopracciglia pensieroso, mentre il dottor Cullen assunse un’espressione che non riuscii a decifrare
« Non ricordi proprio nulla di quella figura? » mi chiese il dottore cautamente « Pensaci bene »
Riflettei ancora per qualche attimo, ma le immagini provenienti dalla mia testa erano sempre le stesse « No, mi dispiace. Solo una macchia indistinta di colore, anche se non saprei dire quale precisamente »
Il dottor Cullen annuì lentamente e il suo sguardo divenne assente, lo stesso che aveva Edward quella mattina nella radura, mentre si concentrava sui suoi pensieri.
« Indagherò ancora, tesoro. Ma potrebbe essere stato un cervo, sono molto veloci. » mi disse Charlie
« Non era un cervo papà. Nessun animale è così veloce » gli risposi
Per un breve attimo fui certa di vedere il dottor Cullen trasalire, ma quando lo guardai era sereno come quando aveva varcato la soglia di quella stanza e mi sorrideva
« Comunque non importa, Bells. L’importante è che tu stia bene, adesso. » aggiunse Charlie ed io annuii
« Ha ragione Charlie, sei stata molto fortunata » mi disse il dottor Cullen mentre richiudeva la mia cartella clinica dopo averci appuntato qualcosa sopra « Hai perso i sensi per qualche ora, ma non ci sono motivi per tenerti ancora qui. Oggi stesso potrai tornare a casa ma per quattro giorni dovrai rimanere a riposo, consiglio a casa tua o di altri ma sempre in tranquillità. Mi raccomando, se hai vertigini, nausea o avverti giramenti di testa torna qui. D’accordo? »
« Certo, grazie » gli sorrisi e lui fece lo stesso.
Poi si rivolse a Charlie « Vieni con me, Charlie? Ti accompagno alla reception per compilare i moduli di dimissione »
« Torno tra un po’, Bells » si alzò dalla poltroncina e mi lasciò un bacio tra i capelli
« Stai tranquillo Charlie, resto io con lei » gli disse Angela
« Grazie » si avvicinò al dottor Cullen ed insieme lasciarono la stanza.
« Allora, pare che stavolta tu l’abbia combinata grossa! » Angela sollevò le sopracciglia e si lasciò andare contro lo schienale della poltroncina verde.
Io annuii convinta « Già, un incidente con lo Chevy mancava al mio repertorio »
Lei ridacchiò appena « Credi di aver perso parte delle tue già limitate capacità intellettive? »
« Hummm » mi portai un dito all’angolo della bocca ed alzai gli occhi al cielo con fare pensieroso « Può darsi … » poi lentamente li riabbassai sgranandoli e spalancando la bocca, mi sporsi verso di lei e rimasi a fissarla così, immobile.
Angela sussultò agitata e si sporse anche lei verso di me, allungando una mano sulla mia « Bella? Bella cos’hai? »
« Chi sei tu ? » sussurrai appena, mantenendo sempre la stessa espressione scioccata per qualche secondo, prima di scoppiare a riderle in faccia. Sembrava davvero spaventata.
« Mio Dio ma sei scema davvero! » mi gridò contro, prima di unirsi alla mia risata « E non ridere di me, idiota! » iniziò a riempirmi di pizzicotti e piccoli buffetti su tutte le braccia
« Hey ma cosa fai? Sono in degenza io! » non riuscivo a smettere di ridere « Infermiera! Infermiera, aiuto! C’è una psicopatica che attenta alla mia salute! » finsi di gridare e Angie tornò al suo posto mentre le nostre risate scemavano nel silenzio della stanza.
« Allora » riprese dopo poco, spingendo gli occhiali dalla montatura rosa su per il naso « L’ultima cosa che ho sentito uscire dalla tua bocca prima di questo inferno è stata “ho troppe cose da raccontarti” » premette con la punta dell’indice sinistro su quella del destro, portando il conto delle cose che mi diceva « poi c’è stato un Edward Cullen corso qui come una furia alla notizia del tuo incidente » stavolta spinse con la punta dell’indice sinistro su quella del medio destro, portando il conto a due « ed infine sempre lo stesso Edward Cullen non si è mosso dal tuo capezzale nemmeno un secondo durante queste ore, e ti assicuro che il suo sguardo era troppo tendente al pazzo-maniaco per i miei gusti » concluse tirando fuori anche l’anulare, portando il conteggio finale a quota tre.
« Edward è rimasto qui? » le chiesi di getto, provando quasi sollievo a quelle parole che sembravano lottare contro la solitudine bianca di quella stanza vuota.
« Purtroppo si. Aveva una faccia da disperato che non ho mai visto, nemmeno se l’avesse causato lui l’incidente! Credimi tesoro, quello lì mi preoccupa. »
Sorrisi a quelle parole. « Ora dov’è? »
« Ha accompagnato Victoria a casa. Lei è arrivata qui subito dopo Edward, insieme ad Alice, ma è rimasta tutto il tempo fuori. Non mi piace affatto quella ragazza, sembrava quasi annoiata di starsene lì seduta. Infatti poco fa ha praticamente costretto Edward a riaccompagnarla. »
« Anche a me non piace … ha qualcosa di strano »
Angela sbuffò e mi interruppe sorridendo « Ma chi se ne frega di questa Victoria! Non credi che sia più importante raccontare alla tua migliore amica del perché Edward Cullen ha trascorso le ultime ore al tuo capezzale da vero disperato? Cosa sta succedendo tra voi, eh? Confessa!» mi chiese sollevando più volte le sopracciglia in un espressione buffissima.
« Angie » sospirai, in effetti non sapevo da dove iniziare « ecco diciamo che … » non terminai la frase che la porta della stanza si spalancò.
« Bella! » Edward Cullen aveva pronunciato il mio nome come in preda ad una visione.
Aveva gli occhi spalancati e cerchiati di viola, i capelli ancora più in disordine del solito. Rimase per qualche istante immobile sull’uscio della porta, con ancora la mano sul pomello e la bocca spalancata a fissarmi, come se volesse davvero essere certo che fossi lì davanti a lui. Era di una bellezza disarmante, e sapere che quell’espressione tanto disperata era dovuta al mio semplice essere sveglia mi fece sciogliere il cuore. Per quel lungo istante i nostri occhi si incontrarono come calamite, attratti e bisognosi gli uni del sostegno degli altri. Poi Edward corse verso di me, girò intorno al letto e prese il mio viso tra le sue mani. Non ebbi il tempo di trasalire al suo tocco freddo che pronunciò ancora il mio nome in un sussurro
« Bella » nella sua voce profondo sollievo, ma nei suoi occhi una tremenda disperazione che lasciava il posto al tormento.
In un istante posò gentilmente le sue labbra sulle mie, in un bacio pieno di dolcezza e liberazione. Non avevo mai visto o provato nulla del genere in vita mia. Non credevo che tanta disperazione fosse umanamente sopportabile, non pensavo di poter essere io a scatenare una tale reazione in una persona. Staccò le sue labbra dalle mie soltanto per baciarle ancora una volta, ancora più delicatamente, ancora più dolcemente. Lo sentii sospirare e finalmente riaprì gli occhi. Mi sorrise come solo lui sapeva fare e carezzò delicatamente la mia guancia con il pollice, poi parve ricordarsi della presenza di Angela e si accomodò sulla poltrona alla mia destra prendendomi una mano tra le sue. Gli sorrisi e nonostante lui non staccasse un secondo gli occhi da me, mi voltai verso Angie. Era decisamente sotto shock, la bocca spalancata così come gli occhi che saettavano da me a Edward, tratteneva persino il fiato. Fu inevitabile per me scoppiare in una fragorosa risata
« Cosa ridi, scema? » Angela si ridestò e rise insieme a me, consapevole dell’espressione che aveva assunto.
Gettai una rapida occhiata ad Edward e lo vidi sorridere divertito alla scena
« Ora si spiega tutto » Angie affermò sorniona e soddisfatta guardando Edward « e bravo Cullen »
« Smettila » le dissi quando vidi l’espressione imbarazzata sul volto di Edward
« Si, si. Ma ovviamente mi aspetto tutti i dettagli »
« Angie! »
Edward stavolta scoppiò a ridere « Non fa niente, Bella. Piuttosto, come ti senti? » si accigliò fissando il cerotto che sentivo prudermi sulla fronte.
« Bene, ho solo male alla gamba e alla fronte, ma va sempre meglio. » gli sorrisi per tranquillizzarlo, aveva una cera leggermente migliore rispetto al momento del suo ingresso in stanza, ma rimaneva comunque stravolto.
« Ho incontrato tuo padre alla reception, stava compilando i moduli ma credo che non ti dimetteranno prima di questa sera. »
Annuii e poi guardai in silenzio lui ed Angela. Quella stanza sembrava piena grazie a loro, e così anche la mia vita.
Però un pensiero sfuggì al mio controllo, uno di quei pensieri che senti vividi nella testa ma che non vorresti mai formulare veramente. Per un breve istante fui contenta di sapere che sarei rimasta lì fino alla sera, voleva dire che avrei avuto ancora qualche ora per sperare che qualcuno irrompesse nella stanza con la stessa veemenza di Edward qualche istante prima.
Proprio in quel momento la quiete della stanza fu scossa da un bussare prepotente e vigoroso sul legno della porta. Il mio cuore sobbalzò, non soltanto per il lieve spavento, e parve uscirmi dal torace quando un secondo dopo la porta si aprì di uno spiraglio e i miei occhi scorsero una mano color del bronzo avvolgerne il pomello.

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Capitolo 30
*** CAPITOLO 25 - Orribili difetti ***


 



CAPITOLO 25 – “Orribili difetti


Era seduto proprio lì, accanto a me sul letto, dove fino a pochi minuti prima vi erano le mani di Edward.
Eppure non potei fare a meno di allungare una mano e portargliela al viso, per accarezzarlo leggermente. Non credevo ai miei occhi. Era assurdo, non lo riconoscevo più. Certo, lo sguardo era quello di sempre, solo un po’ più adulto. Così come il sorriso contagioso e dalla dentatura perfetta. Quello che non mi quadrava affatto era tutto il resto.
Il suo corpo così muscoloso e definito - seppur ancora immaturo - , la statura decisamente più elevata. Ma quelle erano tutte cose che prima o poi mi sarei aspettata con il passare del tempo, che il suo corpo cambiasse e crescesse sulla strada per diventare adulto.
Le cose che invece non mi sarei aspettata erano tutte lì davanti a me, sembravano gridarmi in faccia tanto da far passere in secondo piano il vederlo cresciuto in così poco tempo. Il taglio di capelli così uguale a quello di Sam e Paul, così come anche il modo di vestire e quello strano tatuaggio tribale sulla spalla destra.
Al tocco con la mia mano scoppiò a ridere, così la ritirai subito
« Vuoi essere sicura che io non sia un’allucinazione? »
« No » risposi al suo sorriso nonostante fossi ancora scioccata dal suo aspetto « Sto solo cercando di capire cosa diavolo ti è successo » indicai platealmente tutto il suo corpo con entrambe le mani tese
Fece spallucce « Sono cresciuto, Bells »
« Cresciuto? Hai soltanto quindici anni, Seth. Non voglio immaginare come diventerai quando sarai davvero cresciuto! »
A quelle parole sorrise divertito. Io lo avevo sempre divertito tantissimo, e lui aveva sempre sorriso in quel modo. Quel modo che ora mi fece un po’ male al cuore. Lo stesso sorriso di Jacob.
Seth gli somigliava in un modo impressionante, più di un parente, più delle stesse Rachel e Rebecca. Ogni volta mi sembrava di guardare ad un Jacob da piccolo, identico a quello dei miei ricordi d’infanzia. Adesso invece quel ragazzone che mi sedeva di fianco me lo ricordava ancora di più, poteva passare tranquillamente per il fratello di Jacob.
« E comunque non mi riferivo soltanto a questo, lo sai. » lanciai un’occhiata molto eloquente a lui e anche a Quil, che se ne stava appoggiato accanto alla finestra a braccia conserte. Anche lui era cambiato allo stesso modo « Sembrate la copia di Sam » aggiunsi infastidita quasi in un sussurro.
Seth non rispose e Quil simulò in maniera pessima un improvviso interesse per una crepa nell’intonaco. La loro reazione non mi piacque, specialmente quella di Seth. Non era da lui nascondermi qualcosa.
« Per me sta davvero benissimo » Angela ruppe il pesante silenzio che si era appena creato.
Era ancora seduta sulla poltroncina verde alla mia sinistra e riuscii a stento a trattenere una risata quando vidi il modo in cui guardava Seth. Edward invece, seduto accanto a lei, non fu bravo quanto me e la sua risatina parve risvegliare la mia amica infatuata che arrossì violentemente. Anche Quil se la rise, nemmeno troppo sotto i baffi, mentre mi stupì notare che anche le guance di Seth si erano visibilmente imporporate.
« Grazie, Angela. Perché non puoi fare anche tu così, Bells? Guardami » si sollevò in piedi ed iniziò ad imitare alcune buffe pose da culturista « Ora puoi dire di avere un amico davvero figo »
« Due, mio caro » e anche Quil si unì a quel ridicolo spettacolino che mi fece sorridere.
Mi voltai verso Angela « Ecco, vedi? Avranno anche qualche muscolo in più ma il cervello è rimasto grande quanto una nocciolina »
Lei rise divertita ed anch’io, ma non potei fare a meno di notare il disagio di Edward. Era seduto tutto contratto sulla sua poltroncina verde e non perdeva mai d’occhio Seth e Quil. Il suo sguardo saettava da me a loro continuamente.
« Insomma, catastrofe umana, non sono venuto qui solo per pavoneggiarmi » Seth si sedette di nuovo accanto a me e mi scompigliò appena i capelli « Era da troppo che non ti vedevo e la tua quasi morte per incidente stradale mi è sembrata un ottimo motivo per venirti a trovare » mi abbagliò ancora con il suo sorriso
« Oh, ma grazie. Troppo buono »
« Credi che quella ti impedirà di venire alla festa per il mio compleanno? » mi chiese indicando con il pollice la gamba ingessata « Domani pomeriggio verranno tutti a casa mia. Una cosetta tranquilla, con qualcosa da mangiare e nulla di folle. »
Per un momento non seppi cosa rispondergli. Sentivo davvero tanto la mancanza della riserva, di Billy, di Emily e di tutti quei chiassosi ragazzi. Però l’immagine che avevo in testa di Sam fuori casa Black che mi intimava di non presentarmi più alla riserva era ancora molto nitida. Ricordai le sue parole, non avrei dovuto più mettere piede lì senza essere stata invitata. Per quanto ne sapevo, quello che mi aveva proposto Seth era un invito in piena regola. Inoltre mi mancavano davvero tanto, troppo, tutti quanti. Non ebbi il tempo di prendere una decisione che Edward si intromise fulmineo nella discussione
« Isabella non verrà. E’ stanca, deve stare a riposo e non ha di certo bisogno di una festa. »
La sua voce in quel momento mi sembrò talmente fuori luogo da irritarmi. Per un istante provai nei suoi confronti lo stesso moto d’insofferenza che nutrivo i primi giorni dopo la nostra conoscenza. Mi voltai di scatto verso Edward, i suoi occhi dorati fiammeggiavano in quelli scuri di Quil.
« Come hai detto, scusa? » tutta l’irritazione per quel gesto si era riversata apertamente nel mio tono di voce.
Edward se ne accorse e mi guardò accigliato. Quella sua espressione quasi stupita mi infastidì ancora di più.
« Io non credo sia una buona idea, Bella. Tu devi capi….»
« Io devo Edward? » ripetei incredula « Ma cosa stai facendo? » la sua espressione stupita aumentò e così anche il mio fastidio.
Fu in quel momento che mi resi conto che la piccola, accondiscendente Bella Swan stava crescendo. Per quanto potessi essere grata ad Edward per quello che aveva fatto e continuava a fare per me non avrei mai accettato che mi privasse della mia libertà di scelta. Seppur per una scelta banale come quella di andare ad una festa. Sicuramente in passato non avrei posto obiezioni a quell’intromissione, avrei pensato che infondo lo stava facendo per il mio bene, che poteva aver ragione lui … ma non adesso. O almeno non più.
Non più da quando l’unica certezza della mia vita era sparita senza degnarmi di un saluto o di una parola. Mi resi conto in quel momento che se mai avessi rivisto Jacob avrei dovuto quasi ringraziarlo. Avrei dovuto dirgli grazie per essere sparito così, facendomi mancare perfino la terra da sotto i piedi, perché mi aveva permesso di crescere. Nulla al mondo ti costringe a crescere, maturare, tirare fuori unghie e carattere più dell’improvvisa caduta delle tue certezze.
« E per favore non guardarmi così. Ti ringrazio per esserti preoccupato per la mia salute, ma non credi che spetti a me scegliere cosa fare o non fare? » non volli infierire troppo davanti agli altri, così mi rivolsi subito a Seth, che intanto mi guardava con un bel sorrisetto di soddisfazione stampato in volto « Grazie di avermi invitata, Seth. Non vedo l’ora che sia domani » gli sorrisi anch’io.
Edward accennò un gesto di protesta ma lo fulminai con lo sguardo
« Grande, Bells! Sarà fantastico! Giuro che ti divertirai da morire! » Seth non stava nella pelle, mentre Edward emise uno strano suono infastidito a quelle ultime parole « Angela perché non vieni anche tu? » si rivolse a lei con il sorriso abbagliante stampato in volto.
La mia povera amica, che non era abituata a questi attacchi da sorriso-stordente come la sottoscritta, avvampò fin sulla fronte con un sorriso da beata « Ehmm, si grazie, volentieri »
« Fico! » rispose soltanto Seth, con quasi lo stesso sorriso di Angela sulle labbra, poi parve ridestarsi « Tu…cioè, da quanto….o meglio, ti va se…» si morse la lingua con espressione accigliata, poi guardò Quil con la coda dell’occhio e sul suo viso spuntò il solito sorriso furbetto di chi ha appena trovato una scorciatoia « Quil stamattina ha perso una scommessa, deve pagarmi uno spuntino e se vieni anche tu posso fargli spendere di più »
Quasi mi misi a ridere per quella scusa così infantile, Quil sbuffò visibilmente mentre Angela parve non notare affatto la stranezza della situazione.
« Prepara il portafogli, Quil. Ho proprio fame! » esordì lei alzandosi dalla poltrona « Ci vediamo dopo, Bells » mi lasciò un bacio sulla guancia
« Si, si, vai pure » le sorrisi
« Andiamo, approfittatrice » le disse Quil avviandosi verso la porta « ci vediamo domani, Bella » mi salutò con una mano ed aprì la porta per Angela che sgattaiolò subito in corridoio
« Tu » Seth sollevò un sopracciglio e puntò entrambi gli indici verso di me « sei forte, ragazza! E domani sarà un gran pomeriggio! »
« Già, ma adesso sparisci » gli dissi mentre si dirigeva alla porta per raggiungere Angela e Quil in corridoio « prima che la mia amica si renda conto di quanto tu sia un mocciosetto »
Mi lanciò un rotolo di garza ed uscì ridendo.
Senza i due ingombranti ragazzoni in stanza sembrò che il silenzio fosse in realtà un rumore. Un rumore molto forte, di fondo, che aspettava soltanto di essere sovrastato da altri suoni, come ad esempio quelli delle nostre voci. Edward fissava ancora la porta, con sguardo affilato e concentrato. Quando faceva così era davvero troppo strano, cosa poteva scrutare in una porta chiusa? O forse stava semplicemente riflettendo sull’accaduto.
« Credo che noi due dovremmo parlare » ruppi il silenzio in maniera leggera
« Già » voltò la testa e puntò i suoi occhi dritti nei miei « dovremmo proprio » aggiunse in tono seccato.
Le mie sopracciglia si sollevarono autonomamente dallo stupore « Non credo che sia tu a poter usare un tono seccato in questo momento »
Edward si avvicinò e tornò a sedersi nella poltrona verde alla mia sinistra « Fammi indovinare. Tu puoi, invece? »
« Stai scherzando, vero? » ovvio che scherzava, non poteva fare sul serio.
« Io no. E tu, Bella? » ed aveva uno sguardo proprio convinto.
« D’accordo. Mettiamola così. Non voglio arrabbiarmi con te. Quindi, per favore, potresti abbandonare questo tono seccato? Almeno ce la giochiamo ad armi pari : non lo uso io, e non lo usi nemmeno tu »
Edward annuì piano con la testa e sospirò « Hai ragione, va bene. Nemmeno io voglio litigare con te. »
Dovetti mordermi la lingua per non rispondergli che se queste erano le sue intenzioni allora avrebbe dovuto evitare di intromettersi nelle mie scelte. Ma infondo quello era proprio il messaggio che volevo fargli arrivare, così provai ad aprire il discorso.
« Ascolta, Edward. Io non conosco tutte le abitudini della tua vita, sto appena imparando a conoscere te più a fondo. Non so se tu sia abituato ad intrometterti nei discorsi o nelle scelte altrui …»
« No, non mi permetto mai. Non è mia abitudine » mi interruppe subito, con lo sguardo fisso sul copriletto.
« E allora perché, Edward? Perché poco fa l’hai fatto con me? »
Il suo sguardo dorato guizzò nel mio in un secondo. Mi mancò il respiro al contatto con quei due topazi che mi fissavano così intensamente da sotto le ciglia lunghe.
« Perché tu non sei tutti gli altri, Isabella » lo disse con un tono talmente serio che mi fu impossibile ribattere subito « io non posso permettere che ti accada nulla di male. Mai e in alcun modo. Non vedi cosa ti è successo oggi? Tutto perché non ti sono stato vicino abbastanza e l’immagine di te in questo letto d’ospedale mi tormenterà per sempre » mi avvolse rapido una mano tra le sue mentre il suo sguardo continuava ad ipnotizzarmi « Voglio solo il tuo bene, Bella. Il tuo bene sopra ogni cosa ».
Il rapido susseguirsi di bip provenienti dalla macchina a cui ero collegata mi ricordarono che se volevo continuare a vivere avrei fatto meglio a respirare. Così lo feci, inspirai profondamente.
Le parole di Edward mi avevano colpita, soprattutto per l’intensità con cui le aveva pronunciate. Il suo sguardo dorato bruciava nelle mie iridi scure, bruciava di una determinazione che non avrei mai potuto smentire. Ma dovevo trovare il modo per ridestarmi dall’effetto ipnotico che avevano su di me. C’era qualcosa nel mio istinto che mi suggeriva che se avessi lasciato correre questo episodio sarei entrata in un vortice senza uscita di decisioni prese al posto mio.
Mi schiarii la voce e sbattei più volte le palpebre richiamando quanta più lucidità riuscissi a racimolare « Io... ecco … » sospirai infastidita da quanto tempo mi ci volesse a riprendermi da quel subdolo attacco pregno del suo fascino « Non dire sciocchezze, non è colpa tua se ho avuto l’incidente. Se anche fossi stato con me cosa avresti potuto fare? Sciogliere il ghiaccio con il tuo sguardo laser? » gli sorrisi ma a lui non parve piacere la battuta.
« Bella tu non capisci …»
« Edward Cullen, prova a dirmi anche solo un’altra volta tu non capisci e giuro che io e te abbiamo chiuso » tirai via la mano dalle sue ed incrociai le braccia al petto « Si può sapere con chi credi di parlare? Io davvero non voglio arrabbiarmi con te, ma tu stai tirando troppo la corda » sbarrò gli occhi a quella mia reazione così decisa « E non guardarmi in quel modo! » alzai la voce
« Ma quale modo, Bella? » la alzò un pelo anche lui, visibilmente confuso
« Quel modo stupito che dice oh mio Dio, Isabella Swan ha un cervello pensante! cosa c’è, non è normale che io mi opponga a qualcosa che tu decidi? O non è normale che io mi arrabbi con Mister Perfezione? »
« Si può sapere che ti prende? Cosa stai dicendo? » stava iniziando ad infervorarsi anche lui
« Sto dicendo che non me ne frega niente se nella tua vita non hai mai incontrato nessuno che andasse oltre il tuo magnifico aspetto! Non me ne frega un accidente se nessuno ha mai trovato il coraggio o la forza necessari per contraddirti! Io non voglio farmi abbindolare ogni volta dall’ascendente che eserciti sulle persone, quindi rassegnati! »
« Io non esercito proprio un bel niente su di te, Bella! Lo vuoi capire o no? »
« Ah no? E allora cos’è quella specie di sguardo ipnotico che mi fai ogni volta? »
« Quello sono semplicemente io, Isabella. Soltanto me stesso. Hai detto che vuoi conoscermi per quello che sono davvero? Eccoti servita! Io sono così! Tu inciampi anche sul pavimento più liscio del mondo? Io guardo le persone e loro perdono un po’ di lucidità! E … » smise di urlare e cacciò fuori tutta l’aria dai polmoni, svuotandosi del tutto e scuotendo la testa. Poi si alzò dalla poltrona e si accomodò lentamente sul letto accanto a me, proseguendo a bassa voce, con un tono profondo e spesso di una nuova calma ritrovata
« E il fatto che tu sia l’unica che stia anche solo cercando di contrastarmi ti rende ancor più speciale ai miei occhi »
Era sincero, potevo capirlo dalla limpidezza del suo sguardo. Eppure quel cambio repentino di umore mi aveva spiazzata del tutto. Non sapevo cosa rispondergli, ma la sua tranquillità pacò anche la mia agitazione.
Mi prese il viso tra le mani « Forse è come dici tu, forse sono sempre stato abituato a non essere contrastato. E una parte di me continua a volere fortemente che anche tu dia ascolto ai miei consigli per il tuo bene. Però questa sei tu, Isabella. Sei una ragazza cocciuta e testarda tanto quanto io sono un tipo saccente e presuntuoso. Sono difetti orribili i nostri, e il bello è che adesso li conosciamo. Ci stiamo conoscendo davvero adesso. Proprio come volevi tu, e come io non mi aspettavo »
Sospirai rilassandomi anch’io a quelle parole e adagiai maggiormente il volto tra le sue mani. In parte aveva ragione, ci stavamo conoscendo davvero, senza maschere o inutili nascondigli. Muso a muso, difetti contro difetti. E mi stava bene. Certo, la cosa mi scombussolava alquanto, ero abituata ad avere vicino una persona che avevo imparato a conoscere negli anni, ma questa era la mia nuova vita. La vita in cui Bella Swan stava diventando adulta ed iniziava a scrollarsi di dosso un po’ di insicurezze e paranoie.
« Va bene, Edward. Avremo anche dei difetti orribili, ma si spera che insieme riusciremo a smussarli un po’. Magari partendo dal fatto che nessuno ti ha detto di non darmi consigli » alzai lo sguardo nel suo, ancora « Io voglio i tuoi consigli, Ed. Così come voglio dartene io. Però, per favore, non scegliere al posto mio senza nemmeno aver sentito cosa penso. Che sia una festa, un piatto di pasta, un cucciolo oppure un investimento di milioni di dollari »
Stavolta sorrise apertamente, e come al solito rimasi affascinata da tanta bellezza
« Perdonami, allora, se ti ho messa in imbarazzo poco fa. Non era mia intenzione »
« L’ho capito »
« E’ che non credo sia il caso che tu vada a quella festa. Hai appena avuto un brutto incidente »
Sfilai il viso dalle sue mani con espressione contrariata « Andiamo, Edward. Lo sai benissimo cos’ha detto tuo padre. Sto bene. Devo solo evitare affaticamenti. Quindi sputa il rospo, qual è il vero motivo? »
Gli sfuggì per pochissimo uno dei suoi sorrisi sghembi, ma quando mi rispose era di nuovo serio « Non mi piace saperti alla riserva da sola »
« Cosa? Da sola? Ma se ci sarà tutta La Push! E poi puoi sempre venire anche tu »
« Non …. Noi Cullen non siamo graditi lì »
Mi ritornarono in mente le parole di Jacob “Mi ha detto che al tempo dei nostri antenati la loro famiglia fu beccata a cacciare nel nostro territorio. Così per mantenere la pace raggiunsero un accordo in cui si delimitava il territorio di caccia…..e la riserva per loro è off limits….lo era allora….e lo è ancora oggi”. Non mi sembrava quello il momento di mettermi a discutere anche di faccende non mie.
« Oh… capisco » mi limitai a commentare « E comunque non devi preoccuparti di nulla. Conosco tutti i ragazzi e ti assicuro che sono persone a posto »
« Non metto in dubbio che molti di loro lo siano, ma ce ne sono altri che vorrei vedere lontani chilometri da te » evidentemente la mia espressione confusa dovette spingerlo ad aggiungere il resto « Persone come Sam Uley e tutti gli altri … selvaggi che si porta dietro »
« Edward non ti permetto di chiamarli così »
« Ma è quello che sono »
« Assolutamente no! » diedi un leggero colpo con la mano al copriletto « So che possono sembrare inquietanti, ma restano comunque ragazzi che non hanno mai dato fastidio a nessuno » se escludiamo il terrorismo psicologico che esercitavano su Jake e me. Ma non mi sembrava il caso di peggiorare la situazione, così lo tenni per me.
Era passato del tempo dal mio ultimo incontro con Sam, avevo avuto modo di rifletterci sopra a lungo, e le mie riflessioni avevano soltanto consolidato fortemente l’impressione che mi feci in quel momento. Sam non mi aveva ferita per cattiveria o perché era una brutta persona. Semmai il contrario. Lo aveva fatto per proteggere Jacob, ed era stata la mossa migliore. Senza quelle terribili parole forse avrei continuato a cercarlo e cercarlo ancora, ferendo solo più profondamente sia me che lui.
« E poi ho trascorso alla riserva ogni pomeriggio della mia vita a Forks, anche prima che mi trasferissi. Se qualcuno di loro avesse voluto farmi del male non credi che l’avrebbe già fatto da un pezzo? »
« Magari prima non erano pericolosi come lo sono oggi »
« Addirittura pericolosi, Edward? » soffocai sulle labbra una risatina isterica. Mi passai una mano sulla fronte, dove il dolore sotto la medicazione aveva iniziato a pulsare più intensamente « tsè … pericolosi » ripetei sbuffando a bassa voce.
« Per favore, Bella… »
« No » sollevai l’altra mano davanti al suo viso « Per favore tu, Edward » abbassai entrambe le mani « Ora sono stanca. Tutta questa discussione mi ha stancata e ho mal di testa. Quindi non parliamone più. Accetto i tuoi consigli ma ti assicuro che non c’è nulla di cui preoccuparsi. La Push è la mia seconda casa, la tribù è la mia seconda famiglia, quindi io andrò a quella festa. Così come tu non mancheresti al compleanno di Alice » mi stesi di più nel letto, se dovevo aspettare che mi dimettessero tanto valeva riposare.
Edward mi guardò con un espressione frustrata in volto, non volevo vederlo così, si stava soltanto preoccupando per nulla. Portai una mano a quel volto angelico e gli carezzai la guancia un paio di volte, su e giù
« Non guardarmi così » gli sorrisi « sei troppo bello per tenere il broncio »
Mi sorrise a sua volta « E tu sei adorabile anche quando hai mal di testa » si avvicinò lentamente e sfiorò le mie labbra con le sue.
Esattamente come quel mattino il mio cuore prese il volo a quel contatto freddo e delicato, e i bip della macchina aumentarono vertiginosamente. Edward sorrise sornione a pochi millimetri dalla mia bocca.
« Ti faccio questo effetto, Swan? »
Sbuffai « Maledetto aggeggio »
« Non fare così » sussurrò piano al mio orecchio, mentre la sua morbida chioma bronzea mi solleticava una guancia « questo non è nemmeno paragonabile all’effetto che fai tu su di me »
Sentii le guance andarmi a fuoco e non mi curai più dei suoni provenienti dal macchinario cercando ancora le labbra di Edward, trovandole immediatamente. Anche quel bacio fu delicato e appena accennato, ma bastò ad inebriarmi completamente del suo profumo dolce.
« Ora però riposa »
« E tu cosa farai? »
Mi sorrise e poi ruotò su se stesso, stendendosi di fianco a me. Mi cinse la vita con un braccio al di sopra delle coperte e mi passò l’altro sotto il collo. Poggiai la faccia al suo petto come se fosse la cosa più naturale del mondo.
« Io non ho intenzione di muovermi di qui »
Quanto mi era mancato addormentarmi in un abbraccio.


****


Quando l’infermiera dai capelli biondi bruciati da anni di tinture aggressive era entrata in stanza stavo ridendo con le lacrime agli occhi. Edward aveva impegnato l’ultima mezz’ora raccontandomi alcune disavventure di Emmett dovute alla sua…. Irruenza? Infantilità ? un po’ tutto messo insieme.
« Mi fa piacere che vi stiate divertendo tanto, ma ora dovresti uscire giovanotto » disse rivolta al mio angelo sorridente « Devo aiutarla a rivestirsi »
« Ti aspetto fuori » mi posò un bacio tra i capelli ancora sorridendo e sparì in corridoio.
L’infermiera, nonostante avesse una sessantina d’anni, era rimasta qualche secondo di troppo a fissare il punto in cui il sedere di Edward era sparito, così mi schiarii appena la voce e lei parve ridestarsi
« Forza, ragazza. Si torna a casa! »
« Non vedo l’ora » le risposi mentre mi staccava dal petto i sensori del macchinario
Fu scossa da una risatina leggera « E sei qui soltanto da otto ore »
« Già … ma mi sono sembrate eterne. Non mi piacciono gli ospedali, ci vengo troppo spesso »
« Non piacciono a nessuno, se è per questo. Forse solo alle infermiere vecchie e masochiste come me o agli uomini pieni di passione per il proprio lavoro come il dottor Cullen  » mi diede una mano ad alzarmi in piedi « Perché ci vieni spesso? » mi chiese con un tono sospettoso, mentre mi indicava di sfilarmi il camice
« Soffro di una gravissima patologia molto acuta » le risposi infilando la maglia
Lei mi rivolse uno sguardo che pensai dovesse offrire ad ogni persona gravemente ammalata che incontrava ogni giorno, mentre mi aiutava ad infilare i pantaloni. Forse non era stata una buona idea scherzare a quel modo
« Scherzavo, io … sono solo molto goffa, impacciata e scoordinata quindi il pronto soccorso è come casa mia » tentai di rimediare a quella figuraccia mentre lei finiva di allacciarmi le scarpe.
Il suo sguardo si trasformò istantaneamente in qualcosa di più simile al ma sei scema o cosa? . Si sollevò in piedi e si diresse alla porta « Beh, allora rimettiti in fretta e cerca tornare il più tardi possibile » ma la sentii benissimo quando aggiunse sottovoce « ragazzi d’oggi » mentre lasciava la stanza.
Quand’è che avevo detto che Bella Swan stava crescendo? Sbuffai della mia incorreggibile abilità a fare pasticci e figuracce. Gettai un’occhiata al paio di stampelle che l’infermiera aveva dovuto poggiare accanto al letto quando era entrata. Ci mancavano solo quelle, ora sì che avrei potuto incastrarmi dovunque!
Le afferrai, poggiai i gomiti nell’apposito sostegno ed iniziai a cercare un nuovo equilibrio per fare qualche passo. I primi tentativi ovviamente furono penosi, poi però capii come fare e mi mossi verso la porta. Quando la raggiunsi, prima di allungare una mano sul pomello, mi voltai indietro per gettare un’ultima occhiata alla stanza.
Sapevo cosa stavo facendo. Stavo accogliendo la serenità di chi sta per chiudersi definitivamente una porta alle spalle. La mia porta era alta, calda, bronzea e bellissima. Il fatto che non si fosse fatto vivo per una cosa del genere mi diede la conferma che non sarebbe mai più tornato nella mia vita. Così sospirai, avvertii il particolare vuoto allo stomaco che si prova quando si dice addio a qualcosa di importante con la consapevolezza che non si tornerà indietro. Sorrisi a tutti i bei ricordi che avrei portato con me sempre e poi uscii da quella stanza, chiudendomi alle spalle sia la porta in alluminio bianco che quella in carne ed emozioni del mio passato.

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Capitolo 31
*** CAPITOLO 26 - Festa con sorpresa - parte prima ***


 



CAPITOLO 26 – “Festa con sorpresa– prima parte

 

« Dio … » sospirai tra l’avvilito e lo stupito «… sembro nonna Marie »
Mi lasciai cadere seduta pesantemente sul letto e il piumone emise un lento puff che contribuì ad aumentare la penosità di quella scena. Era davvero incredibilmente penoso. Avevo diciotto anni e nemmeno un briciolo di gusto estetico nel vestire.
Alzai di nuovo gli occhi allo specchio verso la mia figura che in quei panni,  perfino da seduta, mi sembrava la copia di mia nonna, accidenti!
Avevo recuperato un maxipull bianco con ghirigori neri, con il collo alto e vaporoso e maniche lunghe. L’avevo indossato sopra un paio di jeans belli larghi, per farci entrare il gesso…. e quanto avevo sudato per infilarlo da sola! Alla fine mi ero ritrovata con il fiatone, stanca morta e… orribilmente sciatta.
« Oh mio Dio »
Nello specchio vidi il riflesso di Angela sotto l’uscio di camera mia, così mi voltai appena solo con il busto verso di lei. Aveva le sopracciglia sollevate e un’espressione talmente stupita che mi fece desiderare che non dicesse mai cosa stava pensando.
« Sembri tua nonna Marie » concluse con la stessa faccia.
Mi lamentai con un mugolio stridulo e mi lasciai cadere del tutto sul letto. Mi era bastata una veloce occhiata per notare quanto lei invece fosse carina e femminile nel suo abitino di lana rosa. Mentre fissavo il soffitto sentii i suoi passi avvicinarsi al letto.
« Stai scherzando, Bells. Non è vero? Ti sei vestita così apposta per farmi venire un colpo » non la vedevo, ma me la immaginavo benissimo con le mani sui fianchi.
« Purtroppo no, Angela. Anzi, ti dirò di più. Questo … » indicai con un cenno della mano tutto il mio corpo, continuando a fissare il soffitto « è il meglio che sono riuscita a fare. E ho anche sudato come uno stupido maiale per infilarmi questi stramaledetti jeans! » conclusi agitando i pugni sul materasso sotto di me.
Ma da Angie non arrivò nessuna risposta, cosa molto strana « Non mi porterai alla festa così, vero? »
« Non ti porterei nemmeno nello scantinato di zia Ruth vestita così »
Mi lamentai ancora e più forte di prima. Se nemmeno lo scantinato della vecchia zia pazza, gattara e dalla scarsissima igiene personale di Angela poteva accogliermi, allora la situazione era anche peggio di quanto mi aspettassi. Forse potevo ancora giocarmi la carta della timidezza.
« Lo sai, Angie, che non vado alle feste » non mi ero mai accorta che il soffitto fosse così pieno di piccole crepe nell’intonaco « A nessuna festa. Non mi piacciono »
« Primo : sarebbe anche ora che iniziassi, hai diciotto anni e vivi come se ne avessi ottanta. Secondo : non è una scusa accettabile per quello che vedo »
Sbuffai infastidita. Non mi interessava nemmeno valutare se avesse ragione o meno in quel momento. Mi sentivo solo umiliata, triste e … vecchia!
« Allora » le sentii dire poco prima che il suo volto occhialuto entrasse capovolto nel mio campo visivo oscurando del tutto il soffitto « vuoi rimanere distesa a fissare il soffitto ancora per molto, o posso cercare di riparare questo danno? » mi chiese con il sopracciglio alzato della sfida.
Lo conoscevo benissimo quel sopracciglio. Si alzava per svariati motivi, ma in quel momento era proprio per la sfida di riportare questo relitto umano alla forma di diciottenne smagliante.
Mi tirai su di scatto e sbuffando « Non vedo come potresti riuscirci »
« Sta zitta e lascia fare a me » si tolse il cappotto nero che portava sbottonato e io mi resi conto che era anche più bella di come l’avessi intravista prima.
Indossava un carinissimo vestitino in lana rosa chiaro, calze velate, un bel paio di stivali neri che richiamavano il cinturone che portava sotto il seno e il cappotto.
« Come sei bella, Angie » le dissi spontaneamente
« Si, lo so. E se non ti alzi non posso iniziare la mia opera su di te »
Mi alzai in piedi e la faccia della mia amica parve sbiancare, la guardai interrogativa
« Scusa, Bells è che …. In piedi è peggio! voglio dire… Santo Dio, sei la copia sputata di tua nonna! »
« Angie così non mi aiuti » sospirai sempre più avvilita
« Giusto, giusto, scusami » la vidi affaccendata nel mio armadio ma la sentii comunque sussurrare « se ti avessi trovata già in piedi mi sarebbe venuto un infarto al cospetto del fantasma di Marie »
« Angela! »
« Che c’è ?! » mi chiese infastidita mentre emergeva dalle ante in legno con un groviglio nero in mano dal quale pendeva ancora un cartellino « trovato » mi sorrise « sapevo che li avrei trovati ancora intatti. Meno male, così potremo salvare l’unica cosa davvero bella che hai messo addosso »
Mi guardai meglio cercando di capire cosa fosse, ma mi arresi quasi subito.
Dieci minuti dopo, quando Angela ebbe finito di vestirmi, capii a cosa si riferisse. Guardandomi allo specchio quasi non mi riconoscevo. Il maxipull bianco e nero era rimasto al suo posto, con la differenza che ora sfoggiavo la bellissima cintura nera di Angela sotto il seno a segnarmi il girovita e a sollevare la stoffa fino a metà coscia, e dei leggins neri al posto degli orribili jeans. Anche per infilare quelli avevamo sudato entrambe in una maniera improponibile, ma alla fine Angela era riuscita nella sua impresa : me li aveva infilati, ed aveva tirato il lembo della gamba destra su, fino all’inizio del gesso, lasciandolo scoperto ed avvolto nel tutore nero che Charlie aveva comprato. Tocco finale al piede non ingessato, una  ballerina nera che nemmeno sapevo di avere, forse un’altro regalo della mia migliore amica che avevo gettato nel dimenticatoio.
« Wow, Angie »
Mi sorrise soddisfatta nel riflesso dello specchio « Visto? Basta poco per essere carine » mi strizzò l’occhiolino « e quando ti avrò aggiustato anche capelli e trucco sarai perfetta »
« Grazie » le sorrisi « Ho solo un piccolo appunto »
« Spara »
« Non avrò freddo soltanto con i leggins a coprirmi le gambe? È l’Ottobre più rigido degli ultimi dieci anni»
Angela sbuffò « Hai mai sentito il detto “chi bella vuole apparire, un po’ deve soffrire” ? »
« Si, ma tu non mi sei mai sembrata sofferente »
« Tesoro » mi poggiò le mani sulle spalle con un sorriso un po’ inquietante « Ricordi qualche mese fa, quando entrasti nel mio bagno la sera del mio compleanno? »
« Si certo, eri stupenda e quei tacchi li ricorderò per il resto della mia vita » mi venne da ridere al pensiero
« Bene… e ricordi cosa mi chiedesti? » quel sorriso inquietante era ancora lì nel riflesso della mia amica allo specchio
« Si… “come ti senti?” »
« Ed io cosa ti risposi? »
« Una strafiga »
« Esatto. Una strafiga con mille lame arroventate infilate nelle piante dei piedi e centinaia di spilli sotto ogni unghia » il sorriso inquietante si allargò, ed io finalmente capii.
 

****

 
Ero intenta a mangiucchiarmi quel che restava dell’unghia del mio pollice sinistro quando Angela mi schiaffeggiò la mano togliendomela di bocca.
« Bells, questa cosa fa schifo »
« Lo so, me lo dici da quando ci siamo conosciute » sbuffai appoggiandomi con la testa al finestrino della sua macchina e assicurandomi con le dita che la grande medicazione sopra l’occhio destro fosse a posto.
« Ma a quanto pare non è bastato ancora » mi rivolse una breve occhiata truce mentre arrestava l’auto all’ultimo semaforo che ci separava dalla riserva.
L’ultimo semaforo. Rosso tra l’altro. Forse era un segno? Forse davvero non sarei dovuta andare a quella festa. In un secondo fui travolta dal panico e il cuore mi andò a vento.
Avrei rivisto tutti i ragazzi, magari ce l’avevano con me per la fuga di Jake. Avrei rivisto Billy che sicuramente mi odiava per la fuga di Jake. E ultimo, ma non meno importante, avrei rivisto Sam, che non avevo ancora deciso se mi avrebbe pestata o ridicolizzata davanti a tutti. Non mi ero nemmeno accorta che quei pensieri mi avevano portata a starmene seduta tutta rigida, con la schiena ad un palmo dal sedile.
Mi sentivo il cuore in gola e fissavo la luce rossa del semaforo con la vana speranza che rimanesse accesa per sempre, senza mai far scattare il verde. Il cuore accelerava ogni secondo di più, la bocca divenne arida senza nemmeno un goccio di saliva e istintivamente gettai un’occhiata alla maniglia alla mia destra. Potevo sempre tirarla e fuggire via a gambe levate. Le dita dei piedi ebbero uno spasmo a quel pensiero, come se fossero pronte a reagire istantaneamente. Ma allo stesso tempo quel piccolo movimento mi ricordò del gesso. Dannazione ero in trappola.
« E basta! » Angela aveva quasi gridato
Sobbalzai dallo spavento. Ero talmente tesa che quasi toccai con la testa sotto il tettuccio.
« Che ti prende? » le chiesi quasi senza fiato
« Non ti sopporto quando fai così! Mi stai facendo saltare i nervi! Mi sembra di sentire il ronzio incessante di quei pensieri stupidi e paranoici che stai sicuramente facendo, e come se non bastasse mi sembra di sentire perfino il tremolio di tutti i muscoli tesi che hai in questo momento! Mi stai. facendo. venire. l’ansia! » Angela gridava e non si fermava nemmeno un secondo per respirare, sputando fuori quelle parole e scandendo le ultime battendosi una mano al petto « Smettila di farti tutte queste seghe mentali! Non ti sto portando al patibolo, non ti sto portando in pasto ai cani né tantomeno nello scantinato di zia Ruth! Quindi per favore calmati! Mi basta la mia di agitazione! Tu ci sei sempre stata in quella dannata riserva, ogni ora e ogni secondo della tua vita a Forks, e se stai pensando a Jake : no, lui non ci sarà! E non voglio nemmeno pensare che invece tu ti stia cagando sotto di incontrare le persone che ti hanno sempre accolta, perché se è così giuro che ti disconosco come amica! » smise un secondo di gridare, soltanto per riprendere fiato e ricominciare più forte di prima, aveva una faccia stravolta « Anzi, forse ti disconosco comunque, dato che è da quando siamo uscite da casa tua che non fai altro che torturarti nelle tue paranoie invece di pensare a me e a quanto mi senta anch’io dannatamente agitata per questa cazzo di festa! » batté entrambe le mani sul volante e appoggiò di nuovo la schiena al sedile riprendendo fiato.
Ero rimasta senza parole e letteralmente con la bocca aperta a quella scena isterica. La mia amica forse stava addirittura peggio di me e come al solito la sua strigliata mi servì per riprendere il controllo sulla situazione. Feci uno sforzo immenso per non farmi scappare una risata per la scenata che aveva appena fatto quando parlai
« Angie scusami, faccio davvero schifo come amica, non ho proprio pensato a …. »
« Shhh » mi zittì subito passandosi una mano tra i capelli sconvolti « non dire niente » aggiunse riprendendo il controllo sul suo respiro e ingranando la marcia allo scattare della luce verde.
 
 
Quando Angela venne ad aiutarmi a scendere dalla sua macchina blu le strinsi entrambe le mani nelle mie
« Angie, questa festa non sembra facile per nessuna di noi due. Ma almeno siamo insieme » accennai un timido sorriso, al quale rispose altrettanto timidamente
« Già » annuì piano, raccolse le stampelle e me le porse « E poi sto per assistere ad un grande evento » sollevò un sopracciglio dietro gli occhiali rosa e sorrise più apertamente « Bella Swan che partecipa ad una festa non mia ! »
« Il mondo sta andando a rotoli » annuii con il capo.
Ci incamminammo verso casa Clearwater, che era praticamente identica a tutte le altre casette in legno della riserva, però rispetto a quella di Jacob era molto più grande e il legno scuro non era dipinto. Dall’interno ci giungeva un vociare confuso con della musica e risa frequenti. Quando arrivammo alla porta aspettai qualche secondo, poi mi voltai verso la mia amica immobile a fissare il legno davanti a sé
« Sono quasi certa che per farla aprire dovresti prima bussare »
Lei si voltò verso di me e rispose sarcastica « Tu dici? »
« Puoi sempre provare con Apriti sesamo » mi strinsi leggermente nelle spalle
« Stasera sei più simpatica del solito » mi fece una smorfia e poi bussò più volte sulla porta « Ti odio » aggiunse sottovoce
Un rumore sordo di passi pesanti e poi la porta si spalancò in un attimo rivelando la grossa figura di Seth sorridente. Non so bene il perché ma mi stupii nel vederlo con abiti decisamente diversi da quelli del giorno prima. Indossava un bel paio di jeans ampi e scoloriti sotto una felpa azzurra con cappuccio anch’essa abbondante. Stava proprio bene, guardai di sottecchi Angela e la sua espressione la diceva lunga sul fatto che forse lei in quel momento stava usando termini ben diversi. Anche Seth rimase qualche secondo senza fiato dopo averla riconosciuta e non si fece scrupoli di darle una lunga ed accurata occhiata da capo a piedi, prima di parlare
« Ciao Angela » esordì con un tono forse troppo stridulo e l’abbracciò esuberante
« B-buon compleanno, Seth » gli rispose impacciata e a me venne ancor più da ridere
 Avevo appena preso fiato per fargli anche i miei auguri quando Seth mi precedette
« Hai fatto benissimo a lasciare quella tragedia ambulante di Bella a casa » poi si girò verso di me « E tu chi saresti, splendore? »
Sbuffai leggermente, divertita « Questa è vecchia come il mondo »
Lui rise e abbracciò anche me, con meno impeto ma mi strinse forte
« Buon compleanno, marmocchio » gli dissi cercando di ricambiare la stretta nonostante le stampelle
« Grazie, Bells » poi prima di lasciarmi andare mi sussurrò piano ad un orecchio « Bentornata a casa »
A quelle parole mi vennero istantaneamente le lacrime agli occhi. Era così bello, perché per quel breve istante mi ero sentita esattamente così. Di nuovo a casa mia.
Seth sciolse l’abbraccio e mi regalò uno dei suoi bellissimi sorrisi che cancellarono immediatamente le lacrime dai miei occhi
« Forza, venite dentro e unitevi alla festa » esclamò facendoci spazio
Angela entrò spedita ed io esitai un attimo. Era davvero arrivato il momento in cui avrei incrociato gli sguardi di tutte le persone che avevo ferito indirettamente.
« Vuoi che ti aiuti? » mi domandò lui attento
Si, grazie, rendimi invisibile
« No, grazie Seth » aiutandomi con le stampelle feci un passo oltre la soglia. Superando l’uscio di casa Clearwater mi preparai ad affrontare i miei demoni, poi alzai gli occhi nei suoi « devo farcela da sola » in ogni senso.
 
 
Il pomeriggio prima avevo detto ad Edward che alla festa ci sarebbe stata tutta La Push per tranquillizzarlo. Mai mi sarei aspettata che poi sarebbe stato esattamente così. L’intera casa Clearwater pullulava di persone, e quelli più insofferenti si godevano l’ampio giardino sul retro, noncuranti perfino della neve intorno a loro. La musica si mescolava al vociare insistente e alle risate, e avrei giurato di vedere Leah rifornire completamente d’accapo il buffet ogni dieci minuti. Ed era un buffet lungo tre tavoli da pranzo.
Mi scostai un po’ il maglione dal collo con un dito, con tutta quella gente lì dentro faceva un po’ caldo e il colore rossastro delle pareti mi dava l’impressione di aumentare anch’esso la temperatura. Mi ero accomodata su una sedia imbottita poco distante dal buffet, le stampelle decisamente non mi aiutavano a stare comoda in piedi. Ogni tanto qualcuno si fermava a fare due chiacchiere con me ed io mi sentivo davvero serena.
Tutti quei problemi che mi ero fatta prima della festa erano evaporati un secondo dopo aver messo piede in casa. Mi avevano accolta tutti con grande affetto, preoccupandosi anche delle mie condizioni. In particolare Quil, Embry, Seth e perfino Paul mi avevano fatta ridere e presa in giro per la mia solita dose di sfortuna. Non avevo trovato traccia di risentimento nello sguardo di nessuno e per questo mi ero data della stupida ancora una volta, per aver dubitato della bontà di quella gente.
Gettai un occhiata ad Angela che si era ambientata benissimo e in quel momento parlava con un paio di ragazze del posto e Seth, che non la perdeva di vista nemmeno per un attimo. Tutto stava andando per il meglio.
« Dov’è quel moccioso che compie gli anni? »
Le ultime parole famose, Bella.Riconobbi subito la voce corposa proveniente dall’uscio, nonostante fossi rivolta con il capo verso l’altro lato della stanza. Il cuore mi balzò in gola all’istante ed istintivamente deglutii come se volessi mandarlo giù e riportarlo al suo posto.
« Entra, Billy! È lì in mezzo alle ragazze » la voce di qualcuno che non riconobbi lo invitò.
Non avevo il coraggio di voltarmi ed incontrare quegli occhi che conoscevo benissimo e che avevo amato identici in un altro volto.
« Ah, impara in fretta » ridacchiò.
Fissai il mio sguardo sul buffet per tutta la durata della sua conversazione con Seth e, da perfetta vigliacca, sperai ardentemente che non mi notasse. Speranza vana, ovviamente, dato che io e Angela eravamo le uniche “viso pallido” in tutto quel caos e sarebbe stato inevitabile notarmi dopo un po’. Infatti così fu.
Sentii lo squittio delle ruote della sedia di Billy avvicinarsi al tavolo centrale. Alzai un po’ lo sguardo e lo trovai intento a riempirsi un piatto con una porzione di ogni cibo presente. Intanto dentro di me contavo i secondi che mi separavano da quell’incontro che avevo tanto temuto, una goccia di sudore freddo mi percorse tutta la schiena lungo la colonna vertebrale e non potei fare a meno di rabbrividire. Forse fu proprio quel movimento così strano che lo fece voltare verso di me.
I suoi occhi incontrarono subito i miei, come se avesse saputo dove trovarli ancor prima di voltarsi, e il mio cuore fece un paio di capriole. O forse sarebbe stato più giusto definirli salti mortali senza rete di salvataggio.
Rimasi per qualche istante immersa nelle profondità di quegli occhi che conoscevo meglio dei miei. E in quegli istanti non sentii più la musica, il vociare, non vidi più tutto quel marasma di persone. C’erano solo i miei occhi in quelli neri e luminosi di Billy.
Luminosi?
Impiegai forse qualche attimo più del dovuto a rendermi conto che Billy Black mi stava sorridendo.
Ero totalmente spiazzata e nella mia mente non si affacciò nemmeno un pensiero coerente mentre lui si avvicinava alla mia sedia. Si fermò esattamente davanti a me, posò il piatto pieno sulla sedia accanto alla mia e poi raccolse le mani che tenevo poggiate sulle gambe nelle sue.
« Come stai, scricciolo? Sono felice di vederti » mi sorrideva sereno e sincero
Aprii la bocca per rispondergli, un gesto automatico, quando mi resi conto che in realtà non avevo idea di cosa dirgli. Ero sbalordita. Ancora una volta un membro della famiglia Black mi aveva spiazzata e aveva fatto crollare le mie certezze. In quel momento fui sicura che prima o poi sarei impazzita per colpa di un Black. Uno qualsiasi.
Il sorriso sul volto di Billy diventò un sorriso divertito alla mia reazione da pesce lesso e mi resi conto di quanto in realtà mi fosse mancato più di quanto avessi voluto ammettere. Così senza pensarci, istintivamente, ritirai le mie mani dalle sue e lo abbracciai. Tentai di avvolgergli completamente le spalle con le mie braccia ma dietro la sua schiena le mie dita arrivavano solo a sfiorarsi.
« Sono felice di vederti anch’io » gli sussurrai all’orecchio ancora incredula e poi tornai a rilassarmi sulla sedia
« Ce ne sono davvero undici lì sotto? » mi chiese facendo cenno alla benda sulla fronte, sicuramente riferendosi ai punti
Gli sorrisi divertita « Precisi! »
« Ah, Bells, come si deve fare con te? » scosse il capo e i lunghi capelli sottili ondeggiarono « Io lo so che tu hai la pelle dura, ma vorrei che a Charlie non venisse un infarto prima di qualche altro anno. Pensi di potermi lasciare il tuo vecchio ancora per un po’? »
« Non posso prometterti nulla » gli risposi ridacchiando
« E la gamba ti fa male? »
« Veramente no, mi infastidisce soltanto il gesso »
« Un po’ di pazienza e poi toglierai anche quello. » poi il suo sguardo si fece più intenso, tipico di quando un Black sta per dirti qualcosa di serio « Hai avuto davvero un brutto incidente, mi hai fatto preoccupare tantissimo »
Ancora una volta rimasi stupita « Mi dispiace, Billy. E poi ho pensato che tra tutte le persone che potevano preoccuparsi per me tu fossi l’ultima in assoluto »
« Bells! » mi aveva appena rimproverata come quando avevo cinque anni « tu sei la mia quarta figlia, come puoi aver pensato una cosa simile? » il dispiacere nei suoi occhi era così evidente che mi pentii subito di aver parlato senza prima pensare
« Billy, lo sai » aggiunsi abbassando lo sguardo
« No, non lo so, signorina. Perché non c’è cosa al mondo che dovrebbe farti avere certi pensieri »
« Nemmeno l’essere stata la causa della fuga di tuo figlio? » mi stupii di quanto il mio tono fosse stato secco e tagliente.
Gli occhi di Billy si sgranarono per qualche istante « Io lo sapevo che la tua piccola e machiavellica testolina sarebbe arrivata a questo. Lo sapevo! E lo sapevo perché ti conosco forse meglio di quel caprone di Jake » diede un leggero colpo con la mano ad una ruota della sua sedia prima di sbuffare « Guardami Isabella, per favore »
Alzai immediatamente gli occhi nei suoi, semplicemente perché in tutta la mia vita non avevo mai sentito il mio nome per intero uscire dalle sue labbra.
« Io c’ero il giorno in cui tu sei nata, c’ero il giorno in cui hai detto la tua prima parola, quello in cui hai perso il primo dentino, quello in cui hai mosso il primo passo e c’ero anche nei tuoi conseguenti milioni di capitomboli. Io ti conosco come un padre conosce una figlia, perché è questo che sei per me. » fece una breve pausa, come a valutare se confessarmi o meno un pensiero, poi si decise a rendermi partecipe « Lo sai che è anche grazie a te se io e Sarah abbiamo messo al mondo Jacob? » lo vidi sorridere di quel sorriso che aveva solo quando ricordava di lei « Charlie era continuamente a casa nostra con te fra le braccia e lei si innamorò così tanto di te che volle fare un altro bambino »
« Dici sul serio? » gli chiesi stupita
« Certo » il suo sorriso non accennava a diminuire « Anche se non è questa la cosa fondamentale. Il punto è che io a volte persino mi confondo con la tua data di nascita e quella di Jake. Ora, tu pensi che si possa non essere in apprensione per un figlio? Quando ho saputo del tuo incidente è stato peggio dell’aver scoperto che Jacob era partito »
« Andiamo! Non è possibile »
« Invece si, testa dura. Non è colpa tua se Jacob è fuggito »
« Sam non la pensa così. Ed io sono anche d’accordo con lui »
« Sam può pensare quello che vuole, ma non conosce Jacob quanto me. O quanto te. E ancora mi meraviglio del fatto che tu ti stia ancora incolpando per questo. Tu lo sai che Jake quando si mette una cosa in testa non c’è niente al mondo capace di toglierla da lì o di fargli cambiare idea. Avrà avuto i suoi motivi per decidere di andar via, così come avrà i suoi buoni motivi quando deciderà di tornare. Se sono in ansia per lui? Certo, ovviamente, ma so che è un ragazzo in gamba e se la saprebbe cavare in qualsiasi situazione. » poi sorrise leggermente e fu lo specchio di suo figlio « Invece sapere di te in una macchina accartocciata sul ciglio della strada non è la stessa cosa. Ora capisci cosa volevo dire? »
Ma certo che capivo. Capivo che ancora una volta un membro della famiglia Black mi stava confermando il suo amore. E per l’ennesima volta mi sentii una piccola e sporca ingrata, che non si rende conto di quanto le persone intorno ad essa l’amino più di quanto meriti. Mi limitai ad annuire con il capo, perché non ero degna nemmeno di rispondere qualcosa a quell’uomo tanto buono e pieno d’affetto nei miei confronti.
« Bene, perché non accetterò mai più che tu pensi certe assurdità » poi allargò le braccia e il sorriso « Vieni »
Mi feci accogliere nel suo abbraccio caldo e fui grata a chiunque ci fosse lassù in cielo per avermi donato persone tanto speciali
« Ti direi che puoi venirmi a trovare quando vuoi, ma so anche che per te non è semplice » mi sussurrò piano, aumentò la stretta intorno alle mie spalle e a me parve che mi stesse stringendo perfino il cuore in quell’abbraccio.
« Grazie » mi sciolsi dalla sua presa e tornai ad appoggiarmi allo schienale « Mi manca casa tua » gli sorrisi
« Vuoi scherzare? Quel buco? » e poi scoppiò a ridere
Non potei fare a meno di unirmi alla sua risata e Billy rimase con me a chiacchierare per qualche altro minuto, prima che fosse richiesto in una conversazione sulla pesca di un paio di invitati che non conoscevo.
 
La festa era andata avanti in grande allegria, compreso lo stonatissimo coro del tanti auguri a te durante lo spegnimento delle candeline con conseguente lancio di pezzetti di torta al festeggiato da parte di Paul e Quil.
Avevo fatto la scelta giusta andando a quella festa. Avevo trascorso un po’ di ore in compagnia di vecchi amici, avevo finalmente parlato con Billy dopo tanto tempo, Angela si era ambientata bene e stava conoscendo meglio Seth e tutti gli altri.
C’era soltanto una persona che ancora non mi si era avvicinata nonostante mi avesse vista, nonostante avesse continuato a lanciarmi occhiate per tutto il pomeriggio, ed era la stessa che vedevo venire verso di me proprio in quel momento, con due piattini di torta tra le mani.
« Ciao, Bella » mi disse semplicemente, porgendomi uno dei due piattini con tanto di forchetta in plastica
« Ciao, Sam » gli risposi prendendo la torta e cercando di apparire calma e rilassata, come se non avessi temuto quell’incontro durante tutte le ultime ventiquattro ore « Grazie »
« Figurati »
Poi non aggiunse altro, se ne restò semplicemente seduto accanto a me a mangiare la sua fetta di torta al cioccolato e panna. Così lo imitai, presi un boccone con la forchetta e tentai di mandarlo giù nonostante il nodo di angoscia che sentivo stringermi la gola. Fu una buona idea, il sapore dolce della cioccolata e la consistenza morbidissima della panna mi aiutarono a rilassarmi e sciolsero completamente quel brutto nodaccio che rischiava di tradirmi.
« Mmmh, è buonissima » dissi ancora con la bocca piena, senza nemmeno sapere perché.
Perché diavolo commentavo la torta con Sam Uley?!
Ma lui mi sorprese rispondendo come se fosse una cosa normalissima starsene lì seduti a chiacchierare della panna e del cioccolato « Già. Emily era indecisa tra questa ed una alla marmellata »
« L’ha fatta Emily? »
Lui annuì soddisfatto, ma sempre con lo sguardo sul suo piatto
« E’ sempre stata grandiosa in cucina, i suoi muffin restano la cosa più buona che abbia mai mangiato in vita mia » mi resi conto dopo che forse il tono sognante che avevo usato poteva sembrare un po’ eccessivo.
Infatti Sam se la rise di gusto « La prossima volta che li preparerà mi assicurerò che te ne arrivino un paio »
« Oh, grazie » sentii le guance avvamparmi.
Tutto mi sarei aspettata da quel pomeriggio tranne la conversazione con Billy e ancor meno questa specie di strana riappacificazione con Sam. Avevo immaginato scenari catastrofici in cui un Uley adiratissimo con le fiamme agli occhi gridava cose tipo Fuori dalla mia riserva, brutta, piccola e sporca viso pallido irrispettosa! . Invece eccoci lì, seduti a mangiare torta e a chiacchierare dei dolci di Emily. Era tutto così assurdo, così sorprendente. A quel pensiero mi sfuggì tra le labbra una piccola risatina.
Sam se ne accorse e si voltò verso di me con un sopracciglio alzato.
« Pensavo a … beh, a cose stupide in effetti » il suo sopracciglio si alzò ancora di più in un invito ad andare avanti, così quasi ridendo glielo dissi « Insomma, noi due … seduti qui a mangiare torta e a chiacchierare di dolci »
« Ah, capisco » sorrise, ma non per me, fu come un sorriso tra se e se a qualche pensiero « Però sono ancora in tempo per lanciare la torta per aria ed iniziare ad urlarti di lasciare immediatamente la mia terra »
Mi sentii sbiancare, lo aveva detto sul serio?
Poi Sam scoppiò a ridere fragorosamente, ed io saltai sulla sedia dallo spavento « Rilassati, Bella! Stavo scherzando! Sei diventata ancora più pallida » quasi aveva le lacrime agli occhi dal ridere.
« Ma potresti farlo davvero » aggiunsi in un filo di voce
« No » mi poggiò una mano sulla spalla e ancora una volta il suo calore familiare mi avvolse « Non potrei farlo davvero. L’ho già fatto, avevo le mie buone motivazioni, ma non lo rifarei mai più »
Per qualche attimo ci fu solo silenzio e alzai gli occhi nei suoi. Erano sinceri e mi chiesi perché non li avessi mai visti così nel periodo in cui lanciava quelle brutte occhiatacce a me e Jacob.
Jacob … nell’ultimo periodo mi ero dimostrata la perfetta egoista che sapevo di essere. In tutto quel mese non avevo fatto altro che autocommiserarmi ed arrabbiarmi per il suo abbandono, senza mai chiedermi per più di qualche secondo dove fosse, se stesse bene o se si fosse cacciato in qualche guaio. Forse la tendenza che ha ognuno di noi a preservarsi dai dolori me lo aveva impedito, ma questo non bastava a giustificare la mia ostinazione nel non volermi preoccupare per lui.
Sam tolse la mano dalla mia spalla e tornò a mangiare la torta. In quel brevissimo istante nella mia mente si affacciò un pensiero che non riuscii a frenare quando giunse spontaneo alle mie labbra
« Sai qualcosa di lui? » le parole uscirono da sole, prima che potessi pentirmene.
Sam sospirò e in quella frazione di secondo mi maledissi per aver chiesto : nella mia testa si affacciarono tutta una serie di scenari catastrofici in cui Jake piangeva, in cui era ferito, era al freddo, senza cibo, in cui moriva perfino.
« No, non so nulla »
Una mia mano scattò sulla sua prima che potessi fermarla e la strinsi forte. Sam alzò ancora i suoi occhi nei miei ed io mi maledissi di nuovo. Perché quando si trattava di quel ragazzo non riuscivo a controllare le mie azioni?
« Se tu sapessi qualcosa, qualsiasi cosa … » lasciai per un istante la frase in sospeso, affinchè cogliesse tutte le implicazione di quel qualsiasi « … me lo diresti, vero? »
Non staccai gli occhi dai suoi nemmeno per un secondo e forse la mia voce tremò appena. Sam mi restituì lo sguardo a lungo e profondamente prima di rispondermi e io gliene fui grata. Si stava veramente ponendo quella domanda in maniera mortalmente seria, valutando davvero la mia richiesta mascherata da domanda retorica. Non so perché ma mi diede l’impressione come se si stesse chiedendo se fosse la cosa giusta da fare, addirittura come se si stesse domandando se avrei potuto sopportare il peso di una tale eventualità.
Qualcosa nella determinazione del mio sguardo dovette dargli tutte le risposte che cercava perché mi rispose sicuro « Ma certo. Certo che lo farei »
Lasciai andare fuori un respiro che avevo trattenuto lungo tutto quel momento, che a me era sembrato infinito, e gli lasciai la mano « Grazie, Sam »
Lui semplicemente annuì e tornò ad occuparsi della sua fetta di torta ormai quasi finita. Io feci allo stesso modo e mi costrinsi di non pensare al fatto che quell’idiota di Jacob Black non aveva dato notizie di sé a nessuno. Infondo ero riuscita per tutto quel tempo a non preoccuparmi per lui, cosa mi costava continuare sulla stessa linea?
Mi costava invece, mi costava eccome.
La verità era che semplicemente io non potevo permettermi di perdermi in quel limbo.
Io non ero come Billy, non avevo la fiducia incrollabile nell’infallibilità di Jake, non avevo la sicurezza che se la sarebbe cavata in qualsiasi circostanza. Le avevo avute, ovviamente, tutte queste certezze in passato. Perché conoscevo Jacob, e sapevo che riusciva ad essere capace di tutto e in tutto. Infondo quando si ama qualcuno lo si crede davvero invincibile, insuperabile, infallibile. Fin quando però questa persona ci è accanto.
Quando le persone che ami spariscono o semplicemente si allontanano….improvvisamente vieni invasa dal panico, dalla paura che forse quella persona non è poi così infallibile. Forse quella persona potrebbe trovarsi in difficoltà che non ha mai dovuto affrontare prima e potrebbe non sapere che pesci prendere. E la cosa peggiore in tutto questo è che tu non sei lì.
Tu non sei lì accanto alla persona che tanto ami e che tanto avresti creduto invincibile ed imbattibile. Non sei lì a sostenerla nelle difficoltà, non sei lì ad accertarti che i danni che riporta sono soltanto dei graffietti per i quali basta un cerotto.
Io non ero come Billy, assolutamente no. La mia paura che il mio Jacob potesse non essere infallibile era talmente grande, talmente immensa, che avrebbe potuto piombarmi addosso con la forza di una cascata, e con la stessa violenza avrebbe potuto sovrastarmi, sommergermi, schiacciarmi fino a farmi smettere di respirare.
Non potevo permettermi tutto questo. Non potevo permettermi di perdermi in quella paura senza risposte. Così, semplicemente chiudevo fuori dalla mente tutto quanto riguardasse Jacob lì fuori, solo in giro per il mondo. Perché mi costava, è vero, continuare sulla stessa linea di quel mese. Ma mi costava senz’altro di meno che farmi travolgere dalla paura delle mie preoccupazioni.
Per la prima volta in tutta la mia vita ringraziai il cielo che mi venisse così bene darmi dell’egoista e crederci anche.

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Capitolo 32
*** CAPITOLO 26 - Festa con sorpresa - parte seconda ***




“L’amore è una forza selvaggia.
Quando tentiamo di controllarlo, ci distrugge.
Quando tentiamo di imprigionarlo, ci rende schiavi.
Quando tentiamo di capirlo, ci lascia confusi e smarriti.”
Paulo Coelho

 
 
 

CAPITOLO 26 – “Festa con sorpresa– seconda parte

 
 

Uno studio di un famoso sociologo e ricercatore, pubblicato il mese scorso sul “National Enquirer”, riportava che un essere umano adulto pronuncia all’incirca quattro parole al secondo, per un totale in media di duecentoquaranta parole al minuto.
In quel momento avrei voluto stringere la mano di quell’uomo, presentarmi, e successivamente introdurre la mia amica Angela Weber come prova vivente che il suo studio di cinque anni non era servito a nulla.
Per i primi tre minuti del nostro viaggio – a partire da quando si erano chiuse le portiere dell’auto fuori casa Clearwater – durante i quali aveva parlato ininterrottamente senza prendere fiato nemmeno una volta avevo temuto che potesse venirle una crisi respiratoria. Quando invece ha continuato allo stesso modo anche durante i successivi cinque minuti mi sono convinta che otto minuti di apnea fossero decisamente fuori dalla portata della mia amica e che quindi, a rigor di logica, riuscisse in qualche modo a inspirare ossigeno in una qualche frazione di millesimi di secondo di cui io - povero essere umano di poche parole – non riuscivo a rendermi conto.
Era un continuo, infinito, incessante, martellante blablabla su quanto fosse bello Seth, quanto fosse simpatico Seth, quanto fosse dolce Seth, quanto fosse stato gentile, quanto fosse stato divertente, quanto fosse stato tutto Seth. Mi passai una mano sull’ingombrante benda sopra l’occhio destro, sentivo pulsare i punti sottostanti insieme a tutto il resto della fronte. Non provai nemmeno ad intervenire in quel monologo senza sosta perché le guance infiammate di Angela, i suoi occhi brillanti e il sorriso stampato in volto non me ne davano il coraggio. Non l’avevo mai vista così felice, così raggiante, per cui accettai di buon grado che quella cascata infinita di parole mi investisse in pieno.
« Mi stai ascoltando, Bells? » mi chiese ad un certo punto
« Perché, esiste un modo per non farlo, Angie? Certo che ti sto ascoltando » le risposi ridendo
« Oddio sto esagerando, è vero? Me lo sento, l’ho capito che sto esagerando »
Le indicai una quantità minuscola tra l’indice ed il pollice « Poco così »
Lei rise forte « Adoro quando tenti di dire le bugie »
« Non era una bugia » mi strinsi appena nelle spalle « era … solidarietà, credo »
« Solidarietà femminile? »
« No. Solidarietà amica-del-tutto-persa-per-Seth »
Angela non rispose, non negò, e questo in genere era il suo segnale di resa, quello che precedeva di un giorno al massimo l’ammissione della cotta. Poi però sospirò, sorrise e mi rispose
« Mi sa che hai ragione, Bells »
Questo sì che era un evento. Non avevo mai sentito la mia migliore amica ammettere immediatamente di aver perso la testa per qualcuno.
« Però! … » annuii lentamente nella sua direzione « … è una cosa seria, allora »
« Non esagerare adesso » si affrettò a rispondermi, prima di abbassare leggermente lo sguardo ed aggiungere con finta timidezza « Non so nemmeno se sono il suo tipo »
Sbarrai gli occhi e mi venne da ridere « Angie! Il marmocchio praticamente non ha occhi che per te! »
Anche lei rise forte « Lo so! » poi aggiunse « pensi sia troppo piccolo? »
«No, affatto. Perché dovrei? »
« Lo chiami marmocchio o moccioso in continuazione »
« Ma cosa c’entra adesso? » le sorrisi « sono nomignoli affettuosi, ma Seth non è piccolo. » presi un bel respiro profondo come rincorsa « Seth non è piccolo così come non lo era Jake per me »
Per un secondo nell’auto calò il silenzio. Angela era ancora un po’ restia sul parlare di Jacob.
« Non vedo l’ora che Charlie ti faccia riparare quel rottame »
Non capii per niente quella risposta ma replicai comunque, abbastanza confusa « Già, anche a me manca lo Chevy e l’ho praticamente minacciato di farmelo tornare come nuovo. Ma questo cosa c’entra? »
Angela fece spallucce « Vengono fuori discorsi troppo strani in questa macchina » poi alzò al massimo il volume della radio ed iniziò a cantare a squarciagola.
Io semplicemente chiusi gli occhi e aspettai che quella piacevole tortura finisse presto.
 
 
Dieci minuti dopo l’auto rallentò e la musica cessò di colpo
« Bella, aspettavi Edward per cena? »
« No, che cos… » aprii gli occhi e in lontananza vidi la Volvo grigia parcheggiata davanti il vialetto di casa mia
Ci avvicinammo e Angela accostò dietro la macchina grigio metallizzato. Edward scese elegantemente dalla vettura in uno splendido smoking nero e camicia bianca, si incamminò verso di noi con la sua solita andatura perfetta e fluida. Rimasi senza fiato per la sorpresa e al tempo stesso per la disarmante bellezza di quell’angelo.
La mia amica ridacchiò « Qualcosa mi dice che lui non sia del tuo stesso avviso »
Non ebbi il tempo di risponderle, Edward aprì la portiera ed allungò una mano invitandomi a scendere
« Buonasera, Bella » il suo immancabile sorriso sghembo stampato in viso. Si abbassò quel tanto che gli permettesse di vedere Angela « Buonasera, Angela »
« Ciao, Edward »
Gli rispose la mia amica mentre io, stordita, allungavo la mano nella sua in un gesto automatico e mi lasciavo guidare fuori dall’auto. In un attimo fui in piedi e le sue dolci labbra carezzarono le mie in un lievissimo bacio.
« Mi sei mancata » la sua voce melodiosa era balsamo per le mie orecchie e il mal di testa che sembrava essere svanito in un attimo.
Gli sorrisi, incapace di fare altro.
« Bells io andrei, ci sentiamo domani »
Mi voltai verso Angela ancora un po’ frastornata mentre Edward recuperava le stampelle per me « Si, certo »
Lei approfittò dell’attimo di distrazione di Edward per mandarmi un messaggio che lessi sulle sue labbra “E’ uno schianto” e riuscii a sorriderle prima che ne dicesse una delle sue al mio cavaliere
« Ciao anche a te, Edward. Mi raccomando, ha appena avuto un incidente, non farle fare troppo tardi.. »
Sollevai un sopracciglio a quelle parole aspettando un seguito che sicuramente sarebbe arrivato e che infatti non si fece attendere a lungo, quando continuò
« … Ma se proprio devi, falla impazzire » e gli strizzò l’occhiolino alquanto maliziosamente prima di ripartire ridendosela alla grande.
Mi portai una mano alla fronte sorridendo « Scusala » dissi ad Edward che in realtà pareva divertito.
Mi porse le stampelle sulle quali mi appoggiai subito
« E di cosa? »
« Per quello che a volte esce dalla sua boccaccia. Non lo fa apposta, è pazza » raggiungemmo lentamente la Volvo
« Figurati » mi disse prima di voltarmi verso di lui ed avvicinare il suo viso a pochi millimetri dal mio « Ha ragione, è esattamente quello che ho intenzione di fare »
Poi finalmente la sua bocca fresca incontrò la mia. Le sue labbra strinsero forte le mie, a lungo, prima di lasciarle andare. Una, due, tre volte ancora e le mie ginocchia tremarono. Si allontanò di poco, aprì la portiera e mi aiutò a sedermi.
Nei pochi istanti che impiegò a fare il giro dell’auto mi resi conto che non avevo idea delle sensazioni che stavo provando per quella situazione. Una parte di me era entusiasta e curiosa di questa serata inaspettata, ma non riuscivo ad ignorare una piccola vocina che sentivo provenire da qualche parte dentro di me, che dopo il pomeriggio trascorso alla riserva voleva soltanto andare a casa, mangiare qualcosa, e poi rifugiarsi sotto il caldo piumone viola. Mi dissi che forse ero solo un po’ stanca, quando Edward si accomodò al posto di guida e mi scrutò perplesso
« Tutto bene? »
« Si, credo di essere soltanto un po’ stanca » gli risposi tranquillamente
Vidi un’ombra di tristezza passargli negli occhi color miele « Vuoi andare a casa? »
« No, non ce n’è bisogno » gli sorrisi « Sono proprio curiosa e… credo di essere soltanto un po’ intimorita da tanta eleganza » indicai lo smoking che fasciava il suo corpo slanciato in maniera perfetta.
Edward sorrise, ed io mi incantai ad ammirargli il volto come succedeva troppo spesso.
« Tu invece sei perfetta ed io non mi sento affatto intimorito dalla tua bellezza » avvicinò ancora il suo volto al mio « Piuttosto mi sento molto …» mi baciò a fior di labbra « …molto…» mi baciò ancora « .. fortunato »
« Non sei fortunato, sei sleale » riuscii a sussurrare ancora ad occhi chiusi mentre lui tornava a poggiarsi allo schienale del suo sediolino.
Rise e mise in moto la Volvo che produsse le solite fusa.
« Charlie si preoccuperà » dissi senza pensarci
« Non lo farà. Prima di tutto ho chiesto il suo permesso »
« E sei ancora vivo per raccontarmelo? » constatai molto stupita
Edward rise ancora « In effetti non era molto d’accordo inizialmente, poi ha ceduto »
« Già » sussurrai abbandonandomi al comodo sedile in pelle mentre l’auto partiva « chi sa come mai! Non ho mai visto nessuno cedere al tuo fascino »
Edward rise ancora e più forte di prima, poi accelerò ed io mi unii alla sua risata.
 
 
Quindici minuti dopo Edward abbandonò la strada principale che stavamo percorrendo in silenzio e svoltò in una piccola stradina sterrata alla nostra sinistra. Ai lati dell’auto la fitta vegetazione, resa completamente nera dal buio pesto, sembrava quasi toccare le portiere. In lontananza riuscivo a malapena a percepire l’uscita da quello che sembrava un nerissimo tunnel con centinaia di braccia tese nel tentativo di ostacolare il nostro passaggio. Non seppi spiegarmi il motivo ma quella visuale mi fece stringere la gola in una morsa claustrofobica. Volevo uscire di lì, e volevo farlo in fretta.
Involontariamente mi irrigidii sul sedile e al tempo stesso mi diedi della stupida. Non c’era motivo di farsi prendere dal panico, era soltanto una stradina secondaria, c’era pur sempre Edward al mio fianco. Mi voltai verso di lui e il disagio svanì all’istante. Lui mi sorrise, e così feci anch’io di rimando. Scossi appena il capo alle stranezze di quella serata e a quanto perfino io mi sentissi più stramba del solito in questo altalenare di sensazioni.
« Siamo arrivati » mi disse Edward sorridendo e guardando davanti a sé
« Wow …. » fu tutto ciò che riuscii a dire quando la vidi anch’io.
Edward parcheggiò lateralmente a quella che appariva come un’immensa cascina di due piani in mattoni chiari, antichi e solidi. Sembrava davvero imponente grazie al suo essere l’unico edificio in un piccolissimo spiazzo di ciottoli bianchi. La osservai meglio, nei suoi due comignoli ai lati del tetto a spiovente, nelle sue numerose ma piccole finestre che si affacciavano sul davanti, nel grande e massiccio portone a due ante in legno scuro al quale si arrivava da una bellissima scalinata bianca completamente spoglia ai lati. E mentre Edward faceva il giro dell’auto per venire ad aprirmi la portiera riuscii finalmente a capire cosa ci fosse di strano in quella cascina che mi era saltato subito all’occhio, ma che non avevo riconosciuto : era completamente buia. Non una luminaria a rischiarare l’esterno così come l’interno. L’unica, piccolissima e flebile fonte di luce proveniva da quelle che mi sembravano essere minuscole candele poste su ogni gradino che conduceva al portone chiuso.
Edward aprì la portiera, mi invitò a scendere, e mentre raccoglieva le stampelle i miei capelli furono scompigliati da una freddissima ed improvvisa raffica di vento proveniente dalla mia sinistra, apparentemente dal bosco sul retro della cascina. Fu in quel momento che sentii il rumore forte ed imponente del mare e delle sue grosse onde invernali che si infrangevano su degli scogli chi sa dove.
« Siamo vicini al mare? » gli chiesi quando ci incamminammo verso la grande scalinata bianca
« Lo vedrai » mi rispose sornione
Raggiungemmo la scalinata con qualche difficoltà dovuta ai ciottoli, ma una volta lì il mio stupore aumentò. La prospettiva della cascina da lì vicino era mozzafiato e la costruzione sembrava davvero enorme, eppure la neve candida intorno alla scalinata donava a tutto un’atmosfera fiabesca che non credevo possibile. Sentii la mia bocca aprirsi in un sorriso meravigliato quando notai che ogni gradino era adorno di decine di candele e di piccoli fiori bianchi tutti uguali. Mi voltai verso Edward sorridente e anche il sorriso sul suo splendido volto si allargò. Sapeva di aver fatto centro.
« Vieni, ti aiuto a salire » mi porse il braccio come un vero gentiluomo d’altri tempi.
Mi ci aggrappai goffamente come mio solito e quando arrivammo in cima alla scalinata Edward semplicemente spinse con una mano il portone in legno, che si aprì senza emettere nemmeno un cigolio a dispetto della sua imponenza.
Come avevo sospettato anche l’ingresso era buio, illuminato soltanto dalle stesse candele e pieno degli stessi fiori della scalinata. Edward mi aiutò con delicatezza a togliermi il cappotto, lo posò su di una poltrona in un angolo e mi guidò verso la porta bianca di fronte a noi. Mi guardò intensamente e ancora una volta naufragai nel mare dorato dei suoi occhi, avvolse la mia mano sinistra nella sua e poi, senza distogliere lo sguardo dal mio volto, spalancò lentamente la porta.
Quello che vidi mi lasciò completamente senza parole, senza respiro, senza nemmeno pensieri. Davanti a noi si apriva un enorme salone circolare, nel quale l’unica parete in mattoni era quella della porta dove eravamo noi due immobili. Per il resto quel salone non aveva pareti, ma un’unica, immensa, splendida vetrata – circolare anch’essa - che faceva sembrare quella stanza una enorme e perfetta bolla trasparente affacciata completamente sul mare. Anche lì dentro tutto era illuminato da migliaia di candele e tutto era ricoperto dei piccoli fiori che avevo visto fuori.
Mossi un paio di passi all’interno di quello splendore e rimasi incantata nel notare che il salone era completamente vuoto. Le uniche cose presenti, immerse nella calda luce tremolante, erano un tavolo rotondo per due persone, completamente coperto da luna lunghissima tovaglia bianca e affiancato da due poltroncine candide; ed uno splendente pianoforte a coda nero, unico elemento scuro in tutto quel candore.
Edward mi raggiunse, mi prese ancora per mano e mi accompagnò verso la vetrata curva. Da lì potei ammirare il panorama mozzafiato. Il mare in tempesta sembrava urlare sotto di noi, a tratti nero come la notte e a tratti rischiarato da lampi argentei di luna sulle creste delle sue onde.
Mi voltai verso Edward senza sapere bene cosa dire, e la sua bellezza indescrivibile non mi aiutò.
« Edward io non ho mai visto niente, niente, di più splendido in vita mia » le parole uscirono dalla mia bocca lente, morbide, incredule.
« Speravo proprio che ti piacesse » mi carezzò una guancia con la sua mano fredda, mentre l’altra strinse le mie dita tra le sue ancora più forte
« Come avrebbe potuto essere il contrario? »
Lui si strinse appena nelle spalle « Con te non si sa mai »
« Ma è … voglio dire, è tua? »
« In realtà è di Alice e Jasper. Esme l’ha disegnata apposta per loro. Il mare, la solitudine, li rigenera »
« Oh » mi guardai ancora intorno e un leggero senso di inadeguatezza mi pizzicò « A loro non dispiacerà? »
« No, perché dovrebbe? Alice è felice se io sono felice. Ed io riesco ad essere sereno solo quando ti vedo sorridere »
Mi sentii avvampare le guance a quelle parole, ma le labbra fredde di Edward corsero subito in mio soccorso, baciandomele entrambe e rinfrescandomi all’istante. Sorrisi a quella sensazione così particolare e lui mi guidò lentamente verso una delle due poltroncine bianche del tavolo. Mi aiutò ad accomodarmi e mi chiese di scusarlo per qualche istante lasciandomi sola.
La prima cosa che attirò la mia attenzione furono la decina di fiori bianchi sul tavolo. Ne presi uno tra le dita, era morbido e vellutato, estremamente delicato e guardando meglio tutti gli altri sparsi nella stanza fui certa che fossero tutti uguali. Non li riconoscevo, eppure mi affascinavano nella loro pura bellezza. Erano composti tutti da cinque petali leggermente appuntiti, bianchi come la neve, che però andavano colorandosi di arancione, pesca o giallo verso il centro, nel quale mi meravigliai di non vedere alcun bottoncino come per gli altri fiori. In questi semplicemente i petali delicati si riunivano tra loro.
Me ne portai uno al naso e mi guardai intorno. In quella frazione di secondo provai una brutta sensazione di disagio nell’essere sola lì dentro. Mi sentii fuori posto in un luogo così maestoso e perfetto ed involontariamente il mio cervello lo paragonò in un breve flash alla casa calda, umile ed accogliente di Seth. Il piede non ingessato iniziò una danza incontrollata su e giù sulle dita, preda di quella sensazione di smarrimento che cresceva ogni secondo di più.
In quel momento Edward rientrò nel salone ed io sospirai, rilassandomi subito. Spingeva un ampio carrello argentato sul quale vi erano poggiati diversi piatti con cibi che non riuscii a riconoscere da lontano. Mi raggiunse e sorrise mentre mi poggiava davanti un piatto con degli invitanti ravioli.
« Sono bellissimi, ma non credo di conoscerli. Perché tutti uguali? » gli chiesi mostrandogli il fiore che tenevo tra le dita.
Edward girò intorno al tavolo, prese la sua poltroncina bianca e la portò accanto alla mia, raccolse tra le sue mani la mia che reggeva ancora il fiore dai petali pallidi come le sue dita.
« Sono fiori di Tiarè, una pianta tropicale di origine polinesiana » sussurrò piano incatenando i suoi occhi nei miei, come se stesse recitando una poesia
« Sono… i tuoi fiori preferiti? » provai ad indovinare esitante
« Decisamente sì, da quando ti ho conosciuta » le perfette labbra rosee si aprirono in un sorriso luminoso
« Perché? » domandai semplicemente, incapace di articolare più di una parola al cospetto di quell’angelo
« Bella » soffiò appena tra le labbra.
Mi passò una mano fredda e sottile dietro la nuca, avvicinò il mio viso al suo, e poi inaspettatamente iniziò ad annusarmi. Prima un lungo e profondo respiro tra i capelli; poi un eterno e languido respiro nel quale mi sfiorò con il naso l’angolo tra le labbra e la guancia; ed infine l’ultimo, sensuale e delicato respiro lungo tutto il mio collo, verso il basso, fino ad incontrare il suo stesso polso. Non potei fare a meno di sentirmi invasa da mille brividi.
« Bella .. » soffiò ancora « .. i tuoi capelli, la tua pelle, le parole che fluttuano fuori dalle tue labbra … tutto in te profuma di questi fiori » mi baciò il labbro superiore « Con anche un delicato e dolcissimo pizzico di fragola in sottofondo » e baciò il labbro inferiore.
« Io … » tentai di dire, ma la voce mi uscì tremolante « Io non lo sento » ammisi.
Edward sorrise, ma in quel modo che odiavo tanto, un sorriso velato di tristezza e chi sa quale tormento. Così affondai le dita di entrambe le mani tra i suoi capelli soffici e voluminosi. Lui mi guardò sorpreso
« Però riconosco il tuo odore » sussurrai annusandolo nello stesso modo in cui lui aveva fatto con me e fui certa di sentirlo vibrare sotto le mie dita « Riconosco il tuo sapore » sussurrai ancora più piano, assaggiando delicatamente le sue dolci labbra « E so per certo che sono unici al mondo, che non potrei sentirli in nessun’altro essere umano. » mi interruppi per un istante e poi le parole sfuggirono tra le mie labbra come in una preghiera « Sei così bello, Edward »
In quel momento successe ancora. Tutto durò soltanto una frazione di secondo. Il mio cervello malato mi riportò alla mente un brevissimo flash nel quale le mie mani erano immerse in altri capelli, i miei occhi sprofondati in altri occhi, ero seduta su una sedia decisamente meno comoda e sussurravo le stesse tre parole ad un altro bellissimo ragazzo.
Sussultai appena, sorpresa e frastornata da quel secondo così particolare. Cos’era stato?
« Bella ti senti bene? » la voce melodiosa di Edward
Battei un paio di volte le palpebre e fissai i miei occhi nelle sue ambre profondissime, ancora leggermente spiazzata
« Si » dissi poco convinta « credo .. » “credo” cosa? « .. credo di aver avuto un piccolo calo di zuccheri »
Fu l’unica spiegazione che riuscii a darmi. Sul volto di Edward lessi un’istantanea apprensione e il mio cuore si strinse. Non volevo vederlo mai così.
« Forse sarebbe meglio che tu mangiassi quei ravioli. Sono certo che dopo ti sentirai meglio » mi invitò indicandomi il piatto ancora fumante
« Già, lo penso anch’io » gli sorrisi e presi la forchetta argentata accanto al piatto.
Inforcai il primo raviolo, che capii dall’odore essere ripieno di funghi, e me lo portai alle labbra quando notai che Edward era ancora di fianco a me, immobile.
« Tu non mangi? » chiesi
Lui mi parve leggermente spaesato per qualche secondo, come se si fosse quasi stupito della mia domanda, come se non se l’aspettasse. Quella reazione così strana mi fece accantonare del tutto l’episodio di pochi attimi prima e mi concentrai solo su Edward. Aveva preparato tutto per me quella sera ed io volevo prestargli la mia totale attenzione.
« Oh, scusami » disse in un fiato « Ero molto teso mentre ti aspettavo e non ho potuto fare a meno di mangiare un boccone. Ti dispiace se ti faccio compagnia e basta? » mi chiese con il suo miglior sorriso sghembo
« No, figurati » gli risposi sorridendo ed iniziai a godermi quelle squisite prelibatezze preparate per me soltanto.
 
 
La cena fu ottima dai ravioli alla crostata di fragole, e la compagnia di Edward rese tutto ancora più speciale. Ormai non mi infastidiva più il suo fissarmi mentre mangiavo, mi ci ero abituata, solo cercavo sempre di metterci tutto l’impegno possibile per non offrirgli uno spettacolo impietoso e impasticciato su cui ridere.
Avevo mangiato, avevamo chiacchierato, riso, e in tutto questo avevo perso la cognizione del tempo ma la luna, ormai giunta quasi all’estremità destra della enorme vetrata, mi fece capire che si era fatto tardi. Edward dovette intuire il mio pensiero
« Credo si sia fatto tardi » disse gettando un’occhiata anche lui alla luna « forse è il caso che ti riaccompagni a casa. Ma prima, ho un’ultima cosa per te » sorrise e si alzò
Io lo imitai « Ancora una? Non pensi di aver fatto abbastanza? »
« No, tu non muoverti di qui » prese le mie mani tra le sue « E no. Niente è mai abbastanza per te »
Mi baciò dolcemente la punta del naso e poi si incamminò verso il pianoforte a coda che, nero e lucido, illuminato direttamente dai raggi argentei della luna, spiccava sul lato destro della grande vetrata del salone candido. Edward lo raggiunse, ma io non mi sedetti, rimasi in piedi accanto al tavolo ad ammirare quello spettacolo unico. Quando si accomodò sullo sgabello imbottito, prima di poggiare le dita sui tasti, mi rivolse una breve occhiata e a me mancò l’aria. Come poteva esistere al mondo un essere umano così perfetto? La sua bellezza non avrebbe mai smesso di stupirmi e alla debole luce della luna sembrava perfino che la sua pelle diafana fosse luminosa, come se sprigionasse una luce propria morbida ed ovattata che contribuiva a rendere il suo viso perfetto ancora più surreale.
« Questa l’ho scritta per te » disse semplicemente, come se fosse la cosa più normale del mondo.
« Che cos…. »
Non mi diede il tempo di esprimere il mio stupore che le sue lunghe dita si mossero già sulla tastiera. Il suono che ne uscì mi sconvolse, era una melodia perfetta, e sembrava suonata da un’intera orchestra piuttosto che da sole due mani. Poi, Edward Cullen iniziò a cantare per me.
« You could be my unintended choice, to live my life extended. You could be the one I'll always love»
Non riuscivo e non potevo credere alle mie orecchie. Il canto di Edward era quanto di più somigliante al divino potesse esistere nell’intero universo. Se normalmente, quando mi parlava, la sua voce mi sembrasse melodiosa, quello che giungeva ai miei timpani in quel momento era un vero e proprio canto angelico.
« You could be the one who listens to my deepest inquisitions . You could be the one I'll always love »
La sua voce indescrivibile si mescolava ed amalgamava alla splendida melodia che le sue dita lunghe ed esperte producevano sui tasti bianchi e neri, creando una sinfonia di emozioni che non pensavo potesse esistere.
« I'll be there as soon as I can. But I'm busy mending broken pieces of the life I had before »
Le note della canzone divennero più alte, e con esse anche la voce di Edward che carezzava le corde della mia anima come mai nessun’altro pezzo musicale aveva mai fatto. Forse perché era stata scritta apposta per me, forse perché le parole che mi stava cantando erano talmente belle e lusinghiere che mai avrei accettato tanto, ma sicuramente erano la cosa più bella che si potesse ascoltare in tutta una vita.
« First, there was the one who challenged all my dreams and all my balance… » in quel momento lo vidi aprirsi nel suo sorriso sghembo e gettare un’occhiata nella mia direzione. Capii subito a cosa si stesse riferendo e quasi mi venne da ridere quando nella testa mi risuonarono le prime parole, così acide, che gli rivolsi e successivamente tutti i miei tentativi per cercare di ignorarlo e di odiarlo « …She could never be as good as you »
Dalle note che le sue dita continuavano a comporre intuii che stava per ripetere la prima strofa di quella splendida e rilassante  melodia
«You could be my unintended choice to live my life extended…. »
Così in quel momento, pur non ricordando alla perfezione le parole, istintivamente iniziai a cantare anch’io a bocca chiusa la melodia che Edward produceva al piano. La mia voce, seppur risuonante in gola e frenata dalle labbra serrate, mi sembrò davvero uno sgorbietto in confronto alla sua, eppure continuai, trascinata dalla bellezza di quello che ascoltavo.
« …. You should be th…. »
Lo sai benissimo che amo sentirti cantare”
In quel momento la voce melodiosa di Edward era giunta flebile alle mie orecchie e non aveva terminato da sola la strofa. Alla sua si era sovrapposta per quel breve istante un’altra voce. Decisamente più bassa, più roca, più ruvida e sicuramente molto meno melodiosa. Per la terza volta in quella serata la mia mente aveva reagito autonomamente.
Non ero preparata a sentire sussurrare nella mia testa la voce di Jacob, specialmente una delle ultime cose che gli avevo sentito dire prima che sparisse. Così boccheggiai per lo stupore in cerca d’aria e mi aggrappai più forte con le dita al bordo del tavolino per non perdere l’equilibrio. Sentivo la fronte imperlarsi di sudore freddo e la bocca dello stomaco stringersi forte. Per un istante ebbi paura. Cosa stava succedendo alla mia testa? Stavo per impazzire? Era così che succedeva?
Il crescendo finale della melodia suonata da Edward mi riscosse da quel traumatico momento.
Edward… pensai con dolcezza Edward non merita tutto questo. Forse ero davvero pazza, ma per il credere di stare davvero impazzendo. Edward non meritava di avere accanto una persona che si lasciava andare così tanto all’immaginazione. Perché era esattamente questo che era successo. Avevo ceduto all’immaginazione collegando a questo momento l’ultima volta che avevo cantato davvero. La voce di Jacob non aveva sussurrato realmente quelle parole del passato nella mia testa. Avevo immaginato tutto.
E proprio per questo mi sentii infinitamente meschina ed ingrata. Quante persone possono vantare nella propria vita di avere una splendida canzone scritta apposta per loro? La canzone più bella che sia mai stata composta su questa Terra. Quante persone possono vantare nella propria vita di avere accanto uno tra gli uomini più belli che la storia abbia mai conosciuto? Se non il più bello in assoluto.
No, non volevo sentirmi mai più in colpa nella mia vita per non aver dato il massimo di me stessa a qualcuno che invece mi stava donando tutto.
Così mi mossi e mi diressi verso Edward per la fine della canzone. Lo raggiunsi, gli circondai le spalle fasciate dallo smoking con un braccio e poggiai la guancia sui suoi capelli ramati.
« I'll be there as soon as I can. But I'm busy mending broken pieces of the life I had before you »
Edward fece danzare ancora le dita affusolate sui tasti e guidò dolcemente la melodia alla sua fine. Lo sentii sospirare sotto le mie braccia prima che si voltasse e mi facesse sedere accanto a lui abbracciandomi con tenerezza.
« Edward, è la cosa più incredibile che abbia mai ascoltato in tutta la mia vita » gli dissi sinceramente, voltandomi per cercare il suo sguardo
« Quindi ti è piaciuta davvero? »
« Scherzi? Io non credo di meritare una cosa del genere! »
« Tu invece meriti di avere tutto quanto di più bello esista » soffiò piano prima di baciarmi delicatamente.
« Quando l’hai composta? » gli chiesi
Lui mi sorrise e il suo sguardo si addolcì da sotto le ciglia lunghe « Poco dopo averti incontrata. In realtà è nata in due momenti diversi. Prima è nata la musica. L’ho composta esattamente la sera in cui ti ho conosciuta. Ero un po’ … diciamo depresso » sorrise di sé « perché avevo saputo che non avresti mai potuto essere mia. » l’oro dei suoi occhi si incupì appena per poi illuminarsi di nuovo « Il testo invece è nato soltanto ieri. Dopo la mattina nella radura, quando finalmente mi hai aperto le porte del tuo cuore » mi sorrise felice
Sentii le guance andarmi in fiamme e dissi la prima cosa che mi venne in mente per uscire da quell’imbarazzo « Prima che mi schiantassi contro un pino »
« No » Edward scoppiò a ridere e come ogni volta mi fecero quasi male gli occhi per la tanta bellezza « In realtà è nato dopo il tuo schianto contro il pino. Precisamente ieri notte, dopo averti riaccompagnata a casa dall’ospedale »
« Ieri notte? » domandai sbalordita
Lui fece una piccola smorfietta arricciando il naso e contraendo le labbra morbide, come se avesse preferito tenersi per sé ciò che stava per dirmi « Bells tu … tu sai che parli nel sonno? »
Arrossii violentemente « Si, purtroppo si. Lo facevo anche da piccola. » Edward abbassò lo sguardo sui suoi piedi « Cos’ho detto? E soprattutto quando?! » domandai in un misto tra timore ed imbarazzo
« Ieri pomeriggio mentre dormivi in ospedale. In realtà non hai detto nulla di comprensibile, forse per colpa degli anestetici. Però è stato proprio questo a preoccuparmi. In genere gli anestetici azzerano ogni percezione e reazione, invece tu … » alzò di nuovo gli occhi dorati nei miei « … tu ti agitavi molto. Continuavi a voltare il busto da un lato all’altro e le tue mani non stavano ferme un istante. Toccavano ogni centimetro di materasso raggiungibile come se cercassi qualcosa di importante »
«Oh … Io non so se mi agito così anche le altre volte. Non mi accorgo di nulla »
Edward mi carezzò dolcemente la testa « Meglio così » e mi sorrise « Per questo ho pensato che sarebbe stato carino aggiungere le parole a quella melodia per farla diventare una sorta di ninna nanna che avrebbe potuto calmare i tuoi sogni. La tua ninna nanna » ripeté dolcemente e il sorriso si allargò illuminando anche i suoi occhi.
« Grazie, Edward. Anche se grazie mi sembra decisamente troppo poco »
« In realtà un modo per ringraziarmi meglio ci sarebbe » sorrise malizioso e felice « potresti regalarmi uno dei tuoi dolcissimi baci »
La sua richiesta mi parve ovviamente troppo povera, ma lo accontentai comunque prima che ci avviassimo fuori da quel candido rifugio.
 
 

****

 
 
« Ti accompagno » mi disse quando fummo davanti casa mia.
E così fece, mi aiutò a scendere dalla Volvo e mi accompagnò sotto il portico. Mi sentivo rilassata all’idea che sarei finalmente andata a rintanarmi sotto il piumone. La serata era stata magnifica, unica, ma nonostante cercassi di ignorare i due scherzetti fatti dalla mia mente non riuscivo a non sentirmi in colpa nei confronti di Edward. Gli sorrisi, anche per scacciare quei pensieri prematuri e godermi gli ultimi minuti con lui.
« Questa serata la ricorderò per tutta la vita » gli dissi mentre le sue braccia scorrevano a circondarmi la vita.
« Lo spero proprio. Considerato che … » lasciò la frase in sospeso e mi strinse così forte contro di lui che quasi respiravo a fatica
« Considerato che … ? » riuscii a soffiare appena tra le labbra.
Edward affondò il viso tra i miei capelli e mi sussurrò all’orecchio « Ti amo, Isabella » con tutta la passione che aveva in corpo « Ti amo » ripeté ancora.
Quelle parole avrebbero dovuto portare in paradiso ogni ragazza al mondo invece a me, Isabella Swan, regina dei sentimenti confusi e mai espressi, mi portarono dritta all’inferno.
Mi mancò istantaneamente l’aria e boccheggiai in cerca di ossigeno. Edward dovette fraintendere il panico che mi assalì con un’emozione del tutto diversa perché mi strinse a sé ancora più forte, continuando a ripetere incessantemente quelle due parole come una preghiera. Una preghiera che a me suonava forte come una maledizione.
Non potevo, non potevo, non potevo e non volevo trovarmi ancora in quella situazione. Non volevo sentirmi dire che ero amata con tanta devozione e non potere, non riuscire, a rispondere allo stesso modo ancora una volta. Il panico dentro di me cresceva a dismisura ad ogni “ti amo” che Edward aggiungeva con maggior sentimento sapendo che dalla mia bocca non sarebbero uscite le stesse parole, sapendo che non l’avrei reso felice ma al contrario… l’avrei condannato ad una relazione senza certezze, senza punti fermi. Stavo costringendo Edward a vivere nelle stesse condizioni che avevo imposto a Jacob. Perché io non potevo, non riuscivo, nemmeno con Edward a dare quel nome alle emozioni che provavo. Mi maledissi per questo mentre Edward continuava a stringermi sempre più forte, tanto da farmi male e questo contribuiva solo ad aumentare il panico dentro di me.
« Ti amo, Isabella » ripetè ancora
“Ti amo, Bells”
La voce di Jacob stavolta esplose letteralmente nella mia testa come in risposta alle parole di Edward. La voce di Jake proveniente dal mio passato, da tutte le volte che mi aveva detto di amarmi con tanto ardore, rimbombò nella mia testa come un’esplosione. Forte, fortissima, tanto da produrre un’eco che continuava a torturarmi alternandosi alla cantilena ormai quasi mistica di Edward
« Ti amo, Isabella »
“Ti amo, Bells”
Ancora una volta, assordante, esplose nelle mie orecchie come se fosse esattamente lì accanto a gridarmi quelle tre parole a pieni polmoni.
Il panico a quel punto dilagò completamente in me.
« Aaah! »
Gridai soffocata dal petto di Edward contro il quale mi stringeva, avevo il cuore che batteva talmente impazzito dalla paura da farmi male. Lui mi lasciò all’istante interrompendo anche quella mortale cantilena e io iniziai a risucchiare quanta più aria potevo nei polmoni che sentivo troppo piccoli in quel momento. Affannavo come se fossi appena scampata da un annegamento ed era esattamente così che mi sentivo. Gli occhi lucidi di lacrime, il respiro che non accennava a regolarizzarsi e il cuore che volava ancora dallo spavento. Mi aggrappai al muro di casa mia sperando inconsciamente di afferrare solo aria e capire che era soltanto un incubo e che non stavo impazzendo sul serio, che non sentivo realmente voci esplodermi nella testa. Invece il legno bianco di casa mia si fece trovare solido e ruvido sotto il palmo della mano, confermandomi che forse sì, ero del tutto fuori di testa.
« Bella, cos’hai ? Bella! Isabella! »
Mi accorsi solo in quel momento delle mani fredde di Edward che mi scuotevano leggermente per le spalle. Aveva gli occhi stravolti dallo spavento, come sicuramente dovevano essere anche i miei. Ma non potevo dirgli quello che mi era appena successo. Non potevo dirgli che stavo impazzendo, che avevo sentito una voce esplodermi potente nella testa.
« Scusami, io … non sto bene, non sto bene per niente » gli risposi ancora affannata
« Vieni, ti porto in ospedale »
« No! » quasi gridai dalla paura che potesse farlo davvero « No, ti prego » aggiunsi con tono più basso.
Edward mi guardò interrogativo e sconvolto. Io chiusi appena gli occhi e tirai un lunghissimo respiro per cercare di tranquillizzarmi. Dovevo quantomeno apparire calma se volevo che tutto questo finisse in fretta.
« Non ce n’è bisogno. Voglio solo andare dentro, prendere un’aspirina e andare a dormire » dissi con una calma apparente che non mi apparteneva affatto
« Invece è più sicuro farti fare un controllo, hai appena subito un incidente » insistette, quasi del tutto dimentico del momento romantico di qualche attimo prima.
Come se il fatto che mi amasse fosse decisamente poca cosa rispetto alla priorità della mia salute. Anche lui stava mettendo il mio benessere prima di sé stesso, delle sue emozioni, della sua vita. Non potevo reggere ancora quella pressione che sembrava tornare più forte di prima dal mio passato con Jacob.
« Edward ti prego » lo interruppi e gli strinsi una manica dello smoking tra le mie dita tremanti « Ti supplico, lasciami andare nel mio letto a riposarmi »
Lui si fermò qualche secondo a rifletterci, ma alla fine cedette. Fece cenno di sì con la testa anche se l’espressione del suo viso gridava un “no” a caratteri cubitali. Approfittai della sua breve resa ed aprii svelta la porta alle mie spalle.
« Buonanotte, Edward. A domani » gli dissi prima di lasciargli un leggero bacio sulle labbra ed entrare in casa più in fretta che potei.
Mi richiusi la porta alle spalle e mi ci poggiai con la schiena. Sentii i passi di Edward allontanarsi e tirai un paio di respiri per calmarmi ancora. Avevo la testa che mi scoppiava e sentivo le lacrime pungermi il retro degli occhi. Perché mi stava succedendo tutto questo? Non sapevo se sentirmi più schiacciata dalla situazione in cui mi ero cacciata con Edward o più impaurita per quello che stava succedendo nella mia testa.
Lasciai cadere le stampelle accanto alla porta e mi diressi zoppicando in cucina come in trance. Aprii il frigo, afferrai una bottiglietta d’acqua, la stappai ed iniziai a bere avidamente quel liquido freddo che sentivo rigenerarmi ad ogni sorso.
Più ne bevevo e più ne volevo, così iniziai a fare sorsi sempre più grandi e sentii delle gocce gelide fuoriuscirmi dai lati delle labbra e scorrere decise lungo il collo teso. La bottiglietta divenne subito più leggera tra le mie mani e lo sguardo mi cadde su un piatto in ceramica bianca con del pollo avanzato dal pranzo. Sapevo di aver mangiato a sufficienza a cena, eppure provai una voglia fastidiosa di assaggiarne un po’. Istintivamente, senza nemmeno pensarci, smisi di bere e poggiai la bottiglina sul ripiano accanto al frigo. Allungai una mano e presi il piattino di ceramica. Sollevai il sottile ed appiccicoso strato di cellophane trasparente e mi portai un pezzetto di pollo in bocca.
Masticai piano e la consistenza secca e fredda della carne mi provocò un leggerissimo sollievo. Così senza pensarci mangiai anche un secondo pezzo di pollo, stavolta masticandolo più in fretta. Il terzo boccone lo infilai tra le labbra mentre il precedente era ancora a metà strada tra la bocca e la gola. Poi a quello seguirono sempre più velocemente il quarto, il quinto, il sesto. Sollevai lo sguardo dal piatto ormai quasi vuoto mentre ancora masticavo e i miei occhi caddero su una grande, lucente, morbida fetta di torta al cioccolato di quella mattina. Improvvisamente il pollo perse tutta la sua attrattiva e lasciai cadere per terra il piatto, noncurante del rumore che provocò. Afferrai il piatto con la torta rapida come se avesse potuto sparire di lì a qualche secondo. Presi la fetta direttamente con la mano sporcandomela tutta di glassa e l’aggredii con un morso selvaggio quasi prima che riuscissi a sollevarla dal piatto. Nello stesso istante in cui la bocca si riempì mi sentii ancora meglio di prima.
Un mugolio di piacere e di soddisfazione mi salì su per la gola mentre mi lasciavo scivolare sul pavimento davanti al frigorifero spalancato. Non mi diedi il tempo di ingoiare il primo morso che mi avventai ancora sulla torta, e poi un’altra volta, poi ancora, ancora e ancora, fin quando non riuscii quasi più a respirare. La bocca non mi si chiudeva per la troppa torta che conteneva eppure a me sembrava ancora poca. Diedi un altro morso alla fetta ormai dilaniata tra le mie mani completamente sporche di cioccolato, così come sentivo il naso e le guance. Affannata, con la bocca pronta ad esplodere di cibo, afferrai senza pensarci con una mano un pezzo di pizza al formaggio e lo addentai con foga, quasi con disperazione. Masticavo quel boccone misto di torta e pizza troppo grande per la mia bocca come se ne dipendesse la mia stessa vita.
Ero allucinata, alienata, e sentivo un bisogno sempre più grande di mangiare, trangugiare, ingoiare quanta più roba potessi per riempire quella voragine che sentivo farsi sempre più grande dentro di me. Non sapevo bene dove, ma c’era un buco enorme che sentivo allargarsi dentro ed io continuavo ad ingozzarmi di qualsiasi cosa riuscissi ad afferrare nel frigo. Avevo le mani e il viso completamente sporchi di cioccolato, formaggio, maionese, salsa di pomodoro; la bocca talmente piena da costringermi a respirare solo con il naso e le mie mani continuavano a prendere cibo e lasciarne cadere altro sul pavimento e sulle mie stesse gambe.
Poi fu un secondo. Un brevissimo, insignificante secondo.
Come se avessi ricevuto un ceffone in pieno viso improvvisamente il bisogno quasi vitale di mangiare cessò e smisi di masticare. Per un attimo rimasi stordita.
Ripresi a masticare lentamente l’enorme boccone che avevo in bocca composto da almeno tre pietanze diverse e mi guardai le gambe sporche, poi le mani ormai luride fin sopra i polsi di qualsiasi cosa. Appena riuscii a deglutire inspirai a fondo in cerca d’aria ancora stordita. Cosa diavolo mi era preso?!
Poggiai le mani per terra in affanno e la sinistra scivolò.
In quel momento una nausea fortissima ed inarrestabile mi sommerse del tutto attanagliandomi e attorcigliandomi completamente lo stomaco. Un conato di vomito mi giunse tra le labbra ancor prima che potessi capire cosa mi stesse accadendo. Spaventata mi portai una mano alla bocca cercando di contenere il vomito che sentivo salire su per la gola e mi rimisi in piedi più in fretta che potei. Il gesso non aiutò e le mani luride scivolarono più volte su ogni superficie imbrattando qualsiasi cosa intorno a me.
In preda al panico scivolai più volte, mi aggrappai disperatamente ad un cassetto e finalmente riuscii a mettermi in piedi e a gettarmi con la testa nel lavandino dove un conato fortissimo mi piegò le ginocchia ed iniziai a vomitare violentemente. I conati iniziarono a susseguirsi rapidi e aggressivi, tanto da produrre un rumore spaventoso ed arrivare a farmi male la gola, senza nemmeno lasciarmi il tempo di respirare.
Vomitai a lungo e con una violenza tale da lasciarmi tremante, impaurita ed esausta.
Ero sconvolta. Ero sotto shock.
Aprii l’acqua gelata e mi bagnai copiosamente il viso in cerca di sollievo. Il sollievo però arrivò soltanto per la puzza e per l’impiastricciamento provocati dal vomito che svanirono subito risucchiati dallo scolo, ma non servì a nulla contro lo shock che avevo appena subito.
Chiusi l’acqua, mi misi lentamente dritta sul busto e sentii il cerotto scollarsi dalla fronte e cadere nel lavello. Mi guardai lentamente intorno e vidi il disastro che avevo combinato. Non ero mai stata molto religiosa ma in quel momento non potei fare a meno di rivolgere una preghiera per me stessa ad un Dio onnipotente. Cosa era successo? Cosa mi era preso? Perché mi sentivo così disorientata?
Non sentivo più nulla dentro di me, la voragine iniziale era sparita, così come la nausea, lasciandomi in uno stato di torpore assoluto nel quale non riuscivo ad avvertire nemmeno le dita delle mani e dei piedi. Il mio cervello non formulava un pensiero coerente ed ogni movimento mi sembrava rallentato e pesante.
Come un automa vidi il mio corpo incamminarsi verso le scale senza curarmi di ripulire nulla o di richiudere il frigorifero. Raggiunsi il pianerottolo allo stremo delle forze. Voltai il capo verso il bagno e la porta aperta mi fece incontrare direttamente il mio riflesso nello specchio. Rabbrividii a quella visione. Ero pallida come non lo ero mai stata in tutta la mia vita, i capelli erano sporchi di cibo e quelli accanto al viso erano tutti bagnati e appiccicosi, le occhiaie viola erano talmente profonde da toccarmi le guance e gli zigomi, ed infine gli undici punti ancora freschi sulla fronte – messi bene in vista dopo la caduta del cerotto – mi rendevano del tutto identica ad un mostro. Un piccolo Frankestein al femminile.
Non ebbi nemmeno la forza di gemere o spaventarmi di me stessa. Mi trascinai alla porta della mia camera, entrai e la richiusi dietro di me. Mi avvicinai alla scrivania ed iniziai a sfilarmi il maglione nell’oscurità totale.
« Bella »
Qualcuno mi chiamò alle mie spalle ma il mio corpo non reagì. Non mi voltai, come se fosse ormai del tutto normale sentire voci sussurrare il mio nome. Le mie mani continuarono a spogliarmi, facendo salire il maglione fin sotto il seno.
« Bella! »
Stavolta la voce arrivò forte e chiara al mio orecchio e vidi delle mani pallide bloccare le mie. Sollevai lo sguardo e i miei occhi incontrarono il viso impaurito di Edward. Non dissi niente, il mio cervello era muto.
« Santo cielo, Isabella cos’hai ?! »
Ancora non risposi, né tantomeno mi chiesi come facesse Edward ad essere nella mia stanza. Semplicemente sentii il mio torace iniziare a sussultare, a scuotersi forte, il respiro spezzarsi e lacrime fredde come le mani di Edward rigarmi le guance.
Il mio corpo stava piangendo. Piangeva quasi disperatamente. Eppure io non sentivo nulla.
« Non piangere, adesso passa tutto » sussurrò sofferente e confuso
Poi Edward mi abbracciò. Mi strinse davvero forte a sé e finalmente riuscii a percepire lui e di nuovo anche il mio corpo. Mi aggrappai a lui come ad un salvagente in un oceano in tempesta e iniziai a piangere consapevolmente, più forte di prima. Avevo paura, una paura immensa e schiacciante di quello che mi era successo prima sotto il portico e poi nella cucina. Dell’ultima cosa non avevo ricordi precisi, erano tutti confusi nonostante fosse stato appena qualche minuto prima, eppure ne ero terrorizzata.
I singhiozzi continuavano e Edward mi guidò dolcemente sul mio letto, sul quale si distese al mio fianco e mi cullò per ore. Lentamente i singhiozzi scemarono così come la paura, confortata dalla presenza solida e reale di Edward al mio fianco. Quando fui del tutto calma mi avvolse nel piumone e poi tornò a stringermi forte a sé.
« Ti prego, non lasciarmi da sola » mi sentii sussurrare roca
« Non preoccuparti, non sarai mai più da sola. Nemmeno per un secondo, se è questo che vuoi » mi rispose sicuro.
Quella promessa allentò istantaneamente la morsa della paura e la fece sparire del tutto. Subito dopo mi addormentai sfinita tra le braccia di Edward.
Ero egoista? Sì, tanto. Ma il terrore di rimanere da sola e che mi potessero accadere ancora quelle cose orribili senza nessuno al mio fianco era più forte di tutto.
E così, nonostante tutto, nonostante me e la mia impossibilità nel riuscire a ricambiare i suoi ti amo, continuai ad addormentarmi abbracciata a lui ogni notte per i successivi due mesi.


 




Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Ora vorrei passare alle note e alla dedica.
  1. La ninna nanna di Edward ovviamente non è opera mia, ma è un'altra favolosa canzone dei grandiosi Muse. Il suo titolo è "Unintended" e vi invito caldamente ad ascoltarla a questo link Unintended - Muse
  2. Questa è la traduzione della canzone, perchè le parole sono fondamentali. Sembrano scritte esattamente per gli Edward e Bella di questa storia : Potresti essere la mia scelta involontaria di vivere la mia vita estesa/ Potresti essere colei che amerò sempre/ Potresti essere colei che ascolta le mie inquisizioni più profonde/ Potresti essere colei che amerò sempre/ Ci sarò il più presto possibile/ Ma sono occupato a riaggiustare i pezzi della vita che avevo prima/ Prima ci fù quella che sfidò tutti i miei sogni e il mio intero equilibrio/ Lei non avrebbe mai potuto essere buona come te/ Potresti essere la mia scelta involontaria di vivere la mia vita estesa/ Devi essere colei che amerò per sempre/ Ci sarò appena potrò/ Ma sono occupato a riaggiustare i pezzi della vita che avevo prima di te.
  3. Questo è un fiore di Tiarè.
fiore di Tiarè

Infine, vorrei dedicare questo capitolo a Jakefan, la scrittrice più talentuosa che abbia mai incontrato nei meandri delle fanfiction. E' stata l'unica che, nel suo genio, è riuscita ad anticipare cosa sarebbe successo in questo capitolo.




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Capitolo 33
*** CAPITOLO 27 - L'Orlando ***




“  … E se ben come Orlando ognun non smania, / suo furor mostra a qualch'altro segnale.
E quale è di pazzia segno più espresso / che, per altri voler, perder sé stesso? ”
Da “Orlando furioso” di Ludovico Ariosto

 
 
 

CAPITOLO 27 – “L’Orlando

 


Era stato come l’accendersi di una lampadina in una stanza buia. Improvviso.
Ma a differenza della lampadina che si accende per volontà di qualcuno, il mio interruttore era scattato spontaneamente. Non richiesto, non voluto. Incontrollato.
Eppure era bastato un attimo, un battito di ciglia, per l’esattezza la frazione millesimale di secondo dell’aprire le palpebre. Avevo aperto gli occhi e d’un tratto era lì dentro di me. Inaspettato.
Nel buio notturno del mio giaciglio un minuto prima dormivo serenamente ed un attimo dopo i miei occhi si erano aperti lucidi e vigili come se fossi stato sveglio da ore. Ed era lì, pressante, esattamente dentro il mio cervello e in profondità nel mio petto : Sono pronto per tornare a casa.
Non sapevo perché, non sapevo come, non sapevo da dove venisse quella fulminea ma granitica sicurezza. Ciò nonostante mi ero sollevato a sedere nel bel mezzo del letto con la consapevolezza improvvisa che ero pronto per tornare a casa. Era come se l’avessi sempre saputo, sembrava una decisione perentoria maturata nel corso di mesi invece che di qualche secondo. Lo sapevo, lo sapevo e basta.
Ancor prima che potessi muovere un muscolo la sua voce mi risuonò dolce nella testa.
“ Jacob … prometti”
E poi subito dopo la mia stessa voce, che in quel momento mi sembrò quella di un ragazzino
“ Te lo giuro, Bella”
Sussurri provenienti da un’istantanea che sembrava essere stata scattata secoli prima. Nel mio garage, con il grande amore della mia vita tra le braccia. Cosa mi aveva chiesto di prometterle? Non lo sapevo allora e non lo avrei mai saputo in futuro. Eppure gliel’avevo addirittura giurato. Perché qualsiasi cosa fosse, qualsiasi cosa volesse, qualsiasi cosa desiderasse o immaginasse, per me meritava molto più di una promessa. Meritava un giuramento, ed era ciò che avevo fatto.
Così come la certezza che ero pronto per tornare a casa era giunta fulminea, arrivò allo stesso modo anche la sicurezza che fosse arrivato il momento di adempiere il mio giuramento. Qualsiasi esso fosse. Così avevo scostato il lenzuolo bianco dalle gambe, mi ero sollevato in piedi ed avevo iniziato a vestirmi. Istintivo.
Ero pronto per tornare a casa. Volevo tornare a casa. Dovevo tornare a casa.
 
 
Era nato tutto così, in pochi secondi, qualche settimana prima. I miei piedi ora pestavano agili ma decisi il terreno gelato dell’alba. Ero sicuro che fossi già all’interno dello stato di Washington, anche se ancora una volta non sapevo come facessi ad avere una sicurezza del genere, ma era così e basta. Forse era grazie ad una specie di bussola interna donatami dal lupo che albergava in me. Erano ormai settimane, o forse più di un mese, che camminavo instancabilmente per tornare a casa. Sapevo che il viaggio sarebbe stato lunghissimo dato che con il mio peregrinare ero finito addirittura sulla costa Est del Québec, praticamente sulla sponda opposta del continente rispetto alle coste di Washington. Di sicuro se avessi intrapreso quel viaggio in forma di lupo avrei impiegato un quarto del tempo, ma non avevo voluto trasformarmi per varie ragioni.
All’inizio mi ero incamminato chiedendomi se quell’improvvisa sicurezza che fossi pronto mi avrebbe abbandonato fulminea com’era arrivata, e se così fosse stato non sarebbe stato giusto illudere i miei fratelli in forma di lupo. Un’altra ragione era che volevo assorbire del tutto la portata di quella decisione, prima di ritrovarmi troppo presto a casa. Ed infine, quando la sicurezza si era saldata del tutto nel mio animo, avevo scelto di continuare a marciare in forma umana per sorprendere tutti i miei fratelli con il mio ritorno. Non che credessi che stessero aspettando solo me a braccia aperte, ma avevo la sensazione che anche io forse potevo essergli mancato quanto loro erano mancati a me.
Tutto questo piano sarebbe stato perfetto, se solo il mio caratteraccio avesse resistito. Già, perché era stato facile prendere quelle decisioni, un po’ meno facile era stato invece convincere la mia impulsività a starsene buona, convincere il lupo a non strattonarmi lo stomaco per la foga di essere lasciato libero di tornare al suo posto, tra i suoi fratelli, nella sua terra, tra le braccia dell’unica che possedeva il nostro cuore.
Così mi ritrovavo negli ultimi giorni a camminare con un passo talmente svelto che avrei fatto meglio a definire galoppo. Ogni singolo muscolo del corpo era teso e i tendini duri, mi sentivo un vero e proprio fascio di nervi. Perfino i miei movimenti sembravano arrivare a scatti nervosi, mentre gettavo una gamba davanti all’altra e con le braccia spostavo con foga qualsiasi cosa ostacolasse il mio cammino.
Non ce la facevo più, non resistevo più. Sentivo il bisogno di tornare a casa pungermi tutto il corpo come tanti spilli, lo sentivo aggrovigliarmi lo stomaco e poi risalire lungo la gola stringendola in una morsa soffocante.
Soffocante, ecco la parola giusta. Stavo soffocando. Come se nel resto del pianeta non ci fosse più aria da respirare e ne potessi trovare di fresca ed ossigenata solo nella mia riserva, tra i miei fratelli, avvolto dalle sue braccia.
 
Non sapevo con precisione a quanti giorni o settimane di marcia fossi da casa, ma del resto era irrilevante, qualsiasi previsione sarebbe stata stracciata una volta trasformato in lupo. Fu in quel momento che non resistetti oltre, l’ennesimo pensiero di casa mia pietrificò del tutto ogni muscolo del mio corpo in una morsa di tensione. Avvertii il tremolio tipico della trasformazione avvolgermi le mani, i piedi e la nuca, ma stavolta non lo fermai. Lasciai che mi attraversasse il corpo intero come una scarica di elettricità, e con la stessa velocità mi ritrovai nel corpo del lupo.
Nello stesso istante in cui le zampe fecero presa sul terreno gelato e si mossero sotto la spinta frenetica dei muscoli dei quattro arti possenti mi fu impossibile trattenere un mugolio misto di piacere, soddisfazione e liberazione. Vidi la foresta intorno a me sfrecciare ad una velocità che non era nemmeno lontanamente paragonabile a quella di qualche attimo prima, e questo alimentò la fame del lupo, spingendomi a muovere i muscoli delle cosce sempre più forte, sempre più velocemente, sempre più freneticamente.
Erano mesi che non correvo così, praticamente volavo. Le unghie quasi faticavano ad arpionare il terreno gelato che immediatamente spingevo le zampe in avanti ancora una volta, e poi un’altra, e un’altra ancora.
Finalmente mi sentivo libero, finalmente sentivo che stavo davvero tornando a casa. Il cuore pompava forte nel petto e ci avrei scommesso la pelliccia che non fosse soltanto per la corsa sfrenata.
Fu solo qualche attimo dopo che mi resi conto che oltre alla foresta c’era qualcos’altro nel mio campo visivo. Fino a quel momento non mi ero accorto di nulla perché la foresta intorno a me era una percezione reale, mentre le altre immagini erano le solite figure nebulose, ma chiarissime, che non provenivano realmente dal mondo esterno. Bensì dalla mia stessa testa.
Un fratello! Sono i pensieri di un fratello!
Il grosso cuore di lupo a quel pensiero fece una capriola nel petto già scombussolato. Non lo volevo ammettere – e non lo avrei mai ammesso né a me stesso quando ero lontano, né a nessuno di loro – ma mi erano mancati così tanto.
I problemi però erano due. Il primo era che non riuscivo a riconoscere il fratello in questione, il che mi portò a dedurre che si fosse trasformato da poco. Il secondo problema – quello che mi infastidiva maggiormente – era che le uniche immagini che quel cervello mi trasmetteva fossero di una ragazza quileute.
L’avevo già vista, era la cassiera del market della riserva, ma non l’avevo mai vista così.
Io la ricordavo come una semplice ragazzina, nemmeno particolarmente carina. Eppure in quei ricordi era bellissima, da mozzare il fiato … con i capelli lucidi come la seta, la pelle liscia come una pesca, le labbra rosse e carnose come due ciliegie mature che vogliono solo essere mangiate, un sorriso splendente che abbaglia qualsiasi cosa, ed infine gli occhi … santo cielo, quegli occhi sono due stelle, due soli, due fari nella notte che riescono a strapparti l’anima e il cuore e tenerli incatenati ai tuoi per l’eternità e forse anche dopo … e poi beh, certo, ci sono quelle due belle tette tonde e grosse che …
“Ma che cazzo succede?!” mi sfuggì istintivamente mentre scrollavo la testa durante la corsa
“Chi è là ?!” mi rispose il fratello scimunito, evidentemente il possessore di quei pensieri
“No, chi sei tu, bambolina! Mi stai facendo venire da vomitare”
“Jacob?! Jake sei proprio tu?”
“Chi altri volevi che fossi? il culo della cassiera? Da come ci pensi pare che ti possa parlare anche quello”
Nella mia testa rimbombò il suono gracchiante di una risata lupesca e non riuscii a distinguere se appartenesse a quel fratello o a me stesso. Più probabilmente era di entrambi.
“Lo sapevo che saresti tornato!”
“Bene, bravo Nostradamus. Ma si può sapere tu chi sei?”
“Embry! Non mi hai riconosciuto? Non ci posso credere”
“E da cosa avrei mai potuto riuscirci? Mi hai invaso con tutto quello zucchero” mi zittii per un istante e agli alberi che sfrecciavano intorno a me si mescolarono una serie di ciao sussurrati dalle labbra della cassiera “E lo stai facendo ancora, per la miseria! La vuoi smettere?”
“Non ci riesco Jake! Non riesco ancora a controllare questa cosa del pensiero, e poi …”
“E poi che?”
“E poi Lucy è l’unica cosa alla quale pensi ogni istante della mia vita”
Quelle parole furono seguite da miliardi di momenti pieni di Lucy che mi investirono in pieno come flash sparati dritti nei miei occhi : Lucy nel bosco, Lucy al mare, Lucy che torna a casa, Lucy che parla con un’amica a scuola, Lucy che sbadiglia, Lucy che mi guarda…. Ed in quel momento lo capii.
“Da quanto ti sei trasformato, Embry?”
“Saranno cinque giorni”
“E hai avuto l’imprinting?” gli chiesi sbigottito
“Oh, si” mi rispose sognante e beato
“Cazzo, che culo, principessa!” sbottai in una risata fragorosa, anche se sapevo che non c’era nulla da ridere.
Sam me l’aveva spiegata questa storia dell’imprinting. Come se non bastasse avevo anche vissuto la sua esperienza con Emily e Leah tra i suoi ricordi. E io non avrei avuto nulla da ridere se quella specie di stregoneria si fosse abbattuta su di me.
“Ehi, Jake. Sarò anche un novellino ma sta attento a come parli”
Oh, già … la loro unica ragione di vita.
“Scusa fratello, è che mi sembra assurdo. Non solo la trasformazione, ma anche l’imprinting nel giro di qualche giorno” non resistetti ed aggiunsi con un ghigno “Mi fai quasi tenerezza”
In risposta mi giunse un ringhio soffocato ed un’altra valanga di immagini di Lucy
“Tu non puoi capire”
“Grazie a Dio no! E nemmeno ci tengo, mi bastate tu e Sam” pronunciare il suo nome mi ricordò che avevo altre cose più importanti da chiedergli, piuttosto che prenderlo in giro “Come sta lui?”
“Bene, Jake. Come sempre”
“E Seth? Paul, Quil … e il mio vecchio?”
“Paul è stronzo come quando l’hai lasciato. Quil e Seth si sono uniti al branco e tuo padre sta meglio di quando te ne sei andato” aggiunse ridendosela
“Anche Seth e Quil?” dai suoi pensieri mi arrivarono le immagini di due nuovi lupi che non conoscevo, sicuramente erano loro e avrei scommesso la testa che Seth fosse quello color sabbia.
“Esatto, fratello! Come hai fatto?”
“E che ne so! Istinto, credo”
“Forte!”
“Già, ma smettila di sbavarmi addosso”
“Piuttosto non vedo l’ora di fartela pagare per tutte queste prese per il culo. Perché stai tornando, vero Jake?”
Nonostante non lo avessi davanti riuscii benissimo a percepire la felicità e l’impazienza nella sua voce
“Pare di si” gli risposi sereno, sentendo dentro di me l’ennesima conferma che stavo facendo la cosa giusta
“Sei vicino?”
“Non so dove di preciso ma, sì. Sono vicino. Credo a qualche giorno di corsa dalla riserva”
“Grande! Aspetta che lo sappiano gli altri”
Per qualche attimo nessuno dei due fiatò. Mi crogiolai nel ritmo frenetico della corsa che non avevo mai abbandonato gustandomi il paesaggio che vedevo anche con gli occhi di mio fratello. Stava passeggiando lungo la scogliera di La Push e riuscivo a distinguere l’acqua nera e la spiaggia di sassi altrettanto scuri a qualche decina di metri sotto di lui. Riuscii a scorgere anche la piccola insenatura segreta tra le pareti rocciose che conduceva alla nostra alcova e il mio grosso cuore di lupo perse un battito.
“Lei come sta?” chiesi quasi con disperazione
Qualcosa dovette turbare mio fratello perché avvertii distintamente l’agitazione farsi spazio nelle sue sensazioni, ma non rispose
“Embry? Ti ho chiesto come sta Bella” e la mia agitazione crebbe al doppio della sua
“Oh, beh …” esitò troppo a lungo per i miei gusti “… lei … lei sta bene, Jake”
Un debole ringhio infastidito mi fece tremare il muso ed Embry si agitò. Lo avvertii muoversi più svelto, annusare il terreno intorno a lui con più attenzione, come se cercasse di distrarsi
“Cosa stai cercando di nascondermi?” gli chiesi in un tono aggressivo che mai avevo usato con uno dei miei fratelli
“Niente, Jake! Lasciami in pace!” e i suoi pensieri si spostarono ancora su Lucy, come se ci si volesse aggrappare
“Embry!” gridai, per quanto possibile, e il ringhio tra i miei denti crebbe.
Lui si spaventò e questo provocò come una leggera crepa tra i suoi pensieri. Tra le innumerevoli immagini di Lucy riuscii a scorgere di sfuggita Bella. Era seduta in casa di Seth, tra tante persone e parlava con mio padre. Rabbrividii quando notai che aveva una gamba ingessata ed una medicazione sulla fronte che sembrava enorme per il suo viso così sottile. Ma era stato soltanto un flash, e capii immediatamente che non poteva essere quello a turbare Embry, nonostante per me fosse stata una visione già fin troppo preoccupante.
“Porca puttana, Embry! Cosa le è successo? Cos’ha fatto?!” questa volta gridai talmente forte che la voce risuonò con un’eco nella mia stessa testa.
La scarsa capacità di Embry di controllare i pensieri cedette del tutto sotto il peso della mia furia. Immediatamente alle immagini di Lucy si sostituirono quelle di Bella nel corso dei mesi in cui ero stato via. I momenti che potevo vedere nella mente di mio fratello si susseguivano tanto velocemente da non permettermi quasi di identificare persone, luoghi e circostanze. Come se Embry avesse perso totalmente il controllo di quei ricordi, sgorgavano fuori dalla sua testa e si infrangevano nella mia come una cascata che ha appena rotto la diga. Troppo veloci, troppo.
Eppure mi bastarono per cogliere qualcosa.
La prima immagine che riuscii a focalizzare per più di qualche secondo non ritraeva affatto Bella, ma Angela. La vedevo chiudere la finestra della camera di Bella in una sera fredda, e poi sentivo i suoi passi muoversi verso il letto, dal quale proveniva un pianto disperato ma soffocato tra i cuscini. Mi si strinse il cuore perché sapevo benissimo cosa le stava succedendo. Piangeva per colpa mia.
Il secondo minuscolo frammento che riuscii a focalizzare era ancora Bella alla festa di compleanno di Seth. Credetti che mi stesse per venire un infarto nel momento in cui rividi quel piccolo viso, chiaro come se ce l’avessi davanti. Di nuovo non potei fare a meno di chiedermi cosa le fosse accaduto.
Forse i pensieri di Embry reagirono istintivamente a quella domanda inespressa perché cominciarono a vorticare sempre più forte, a susseguirsi a velocità sempre maggiore e a quel punto feci davvero fatica a focalizzare qualcosa.
Le uniche cose che vedevo mi guidavano nel giro di secondi lungo il percorso affrontato da Bella in quei mesi. La intravidi piangere, muoversi tra la gente come se fosse quasi malata, poi ad un tratto, vidi il suo volto distendersi sempre di più, fino quasi a sorridere.
La parte più grande del mio cuore gioì a quelle immagini, ero orgoglioso della mia Bells che si tirava fuori da sola dal pasticcio nel quale l’avevo ficcata io stesso.
Poi qualcosa nei ricordi di Embry dovette andare storto. O almeno avrei tanto voluto che fosse così.
Improvvisamente Bella non era più sola, ogni volta, in ogni ricordo, era sempre accompagnata da….
Non è possibile.
Il sorriso di Bella riflesso in un paio di occhi color dell’oro.
Non è possibile.
La piccola mano di Bella avvolta in un arto sottile e pallido come la morte
Non può essere vero.
Le dita di Bella immerse in una chioma bronzea inconfondibile
Non ci credo.
Le labbra di Bella che incontravano le sue, fredde e morte, in una radura sotto la neve.
Io non…
E così come quello altre centinaia, migliaia di momenti in cui lui la baciava, la toccava, l’accarezzava e lei ricambiava tutto, ogni gesto, ogni sorriso.
No!
No!
No, no, no, no, no!
« Noooo! » mi ritrovai a gridare come un disperato
Nemmeno mi ero reso conto di essere tornato in forma umana, ed ero più che sicuro che nessun’altro ci sarebbe mai riuscito con tanta rabbia in corpo.
Eppure io si, e non l’avevo scelto. Il lupo lo aveva fatto per me, seguendo quello che si chiama “istinto di conservazione” … non avrei potuto reggere altro. Nemmeno un fotogramma in più. O avrei perso del tutto la ragione.
Ma infondo, non era servito a nulla, perché ero impazzito comunque. Impazzito del tutto. Fuori di testa dalla rabbia, dal dolore, dalla furia ceca. Ogni singolo centimetro del mio essere Jacob Black gridava, in preda ad un dolore ed una disperazione che non credevo fossero nemmeno possibili.
« No! No! No! Maledizione! »
Sbraitavo come mai avevo fatto in tutta la vita, eppure non bastava. Gridavo tanto da sentirmi quasi strappare le corde vocali in gola ma non era mai abbastanza. Niente sarebbe stato abbastanza per lo strazio che mi dilaniava il petto. Cominciai a tirare pugni a qualsiasi tronco mi trovassi intorno. Li colpivo uno dopo l’altro, sempre più forte, mentre le mie grida disumane scuotevano tutta la foresta.
« Non è possibile! Non è vero! »
Crack . E le ossa del pugno destro furono tutte rotte contro un pino.
« Vaffanculo! Vaffanculo! Vaffanculo! »
Crack. Crack. E anche quelle della mano sinistra si schiacciarono completamente.
Ma non per questo mi fermai. Continuavo a ferirmi braccia, spalle, piedi, gambe, testa, ogni singola parte del corpo nel tentativo di abbattere qualsiasi forma di vita nel raggio di chilometri.
Dio santo! Se avessi avuto di fronte quell’abominio, quel demonio, l’avrei distrutto in meno di qualche secondo.
Il peggiore degli incubi! Il peggiore dei fottutissimi incubi su questa cazzo di faccia della Terra!
Quella fetida, meschina, orripilante sanguisuga era riuscita con i suoi mezzucci, con i suoi trucchetti ad ammaliarla! L’aveva fregata! L’aveva raggirata, l’aveva sicuramente costretta!
« Aaaah! » urlai ancora, disperato, e stavolta sentii il sapore del sangue nella gola.
Lo stesso sangue di cui sentivo l’odore tutto intorno a me, di cui vedevo macchiate le mie mani, le braccia, le gambe, e che sentivo scorrere anche dalla fronte.
Le ossa delle mani si erano rapidamente saldate tra di loro nel peggiore dei modi, deformando del tutto gli arti. Le guardai per qualche istante e poi quasi con soddisfazione iniziai a rompermele da solo una ad una.
Più il dolore aumentava, più mi sembrava di poter gestire quello che mi straziava il cuore.
Un dito alla volta.
Crack
« Stronzo! » un imprecazione alla volta.
Crack
« Figlio di puttana! »
Crack
Un osso dopo l’altro.
In quella lenta – seppur liberante – tortura un pensiero cominciò a formarsi tra le miriadi di bestemmie che rivolgevo a quell’essere senza vita. Era il primo pensiero coerente che iniziava a nascere nel mio cervello bruciato da quelle immagini viste poco prima.
Quelle immagini.
Le vidi scorrere ancora davanti ai miei occhi, ma in quel momento notai ciò che forse prima avevo rifiutato di vedere. Non c’era soltanto lui ad accarezzarla, a toccarla e ad abbracciarla.
Era anche Bella che gettava le sue esili braccia attorno a quel collo marmoreo. Lei sorrideva, rideva, lo cercava. Con lo sguardo, con le mani.
Bella lo aveva voluto.
La mia Bells aveva voluto quel mostro.
Quel pensiero mi paralizzò. Per qualche minuto infinito non mossi un muscolo, non battei ciglio, i miei occhi restarono sgranati, i muscoli tesi e il respiro trattenuto.
Bella ha scelto lui.
Fu come sentirsi mangiare il cuore da migliaia di iene fameliche, pezzo per pezzo. I pensieri si formavano sconnessi nella testa, mentre tutto ciò che era stato di me, tutto ciò che aveva contribuito a rendermi Jacob Black si frantumava.
Lei mi ha dimenticato, non mi ama più. Lei ama … uno come lui.
Per un secondo la rabbia svanì e il ragazzino insicuro che ero stato venne fuori in tutta la sua potenza.
Se ha scelto uno come lui non potrà mai accettare o amare uno come me.
Impossibile, naturalmente impossibile. E il mio cuore si distrusse completamente.
E’ tutto finito.
E’ … tutto … finito.
A cosa era servito tutto questo?
E’ tutto finito.
A cosa era servito dover diventare un mostro, se lei aveva scelto di amare l’unico altro tipo di mostro dal quale avrei dovuto proteggerla?
Lei ha messo fine a tutto.
Ha messo fine a noi.
Sentii montare dentro il petto un nuovo terribile sentimento. Qualcosa che ti inacidisce il palato, che ti fa salire l’acido dallo stomaco, qualcosa che ti fa venire voglia di vomitare veleno. La rabbia mista alla delusione. Come aveva potuto farmi questo? Come aveva potuto fare una scelta del genere? Come era stato possibile avvicinarsi ad un essere tanto spregevole e diverso da me?
Voltai il capo verso la direzione dalla quale ero venuto – quella opposta a casa mia –  e oltre la devastazione che avevo provocato non vidi nient’altro. Soltanto il buio. Il buio della notte che avvolgeva ogni cosa con il suo manto nero.
La notte che rende tutti uguali, che nasconde le macchie di chiunque con il suo velo scuro.
Volevo tornare sui miei passi, volevo immergermi ancora nell’oscurità di quella vita che non mi apparteneva, volevo nascondermi in quella notte e poi cercare dentro di lei la forza per andare avanti.
Mi voltai anche nella direzione che sapevo mi avrebbe condotto a casa, e pregai la notte nera come la mia esistenza di darmi la forza per allontanarmi da quello che fino a qualche ora prima ero sicuro fosse stato il mio sole.
Non mi ci volle più di qualche istante per ricominciare a correre. Ma nella direzione dalla quale ero venuto.
Le gambe non sapevano nemmeno cosa fosse la stanchezza, animate da quel dolore e quella delusione e quella rabbia che mai avevo provato con tanta intensità. Correvo da umano, perché volevo rimanere solo. Correvo a perdifiato verso una vita che non mi sarebbe mai appartenuta, ma che sarebbe sempre stata meglio di quella che mi lasciavo alle spalle, nella quale la donna della mia vita aveva scelto il mio peggior nemico.
Codardo! Sei soltanto un codardo!
Spinsi le gambe ancora più forte, correndo alla cieca nella notte della foresta, pregando che fosse in grado di coprirmi dagli insulti che io stesso mi rivolgevo. E almeno lei, la notte nera, nera come me, mi lasciava fare.
Mi lasciava fare, correndo verso il buio sempre più profondo, facendomi male ad ogni passo che mi allontanava dalla vita sbagliata che avrei avuto tornando a casa. Mi lasciava fare anche se forse in quel momento stavo sbagliando a farmi male, ma era l’unica soluzione che vedessi. La notte, a differenza della mia testa, non mi insultava per il dolore che stavo provando.
Non come te, Bells. Non come te che invece hai cancellato in un momento tutto quanto.
Sentii la bile risalirmi la gola, e riempirmi la bocca di amarezza. Lei aveva cancellato tutto, tutto, ogni cosa che c’era stata. Aveva cancellato i nostri momenti, aveva cancellato il nostro passato e il nostro futuro. Aveva cancellato me dal suo cuore lasciando dentro di sé soltanto il peggio, per colpa di uno sbaglio della natura, per colpa di un momento in cui mi ero sentito solo, senza coraggio.
Esatto, sei un codardo!
Spinsi la mia corsa ad un ritmo ancora più veloce, cercando di fuggire anche a tutto quel risentimento.
Non potevo crederci, non mi sembrava vero, non poteva essere vero. Lei non poteva aver scelto lui, non poteva aver dimenticato me con così tanta facilità. La mia Bells non mi avrebbe mai punito così tanto per uno sbaglio. Ormai la mia natura era di mostro, ma rimanevo pur sempre un uomo … un uomo che può sbagliare. Un uomo che in preda al panico per qualcosa più grande di lui può anche fuggire lontano dalla donna che ama. Ma uno sbaglio non sarà mai tutto.
Uno sbaglio non era mai tutto, per la Bells che amavo.
Mentre correvo sempre più forte, con il cuore che mi scoppiava nel petto, mi ricordai di ogni singolo momento passato con Bella. Ogni sorriso, ogni sguardo, ma soprattutto ogni parola detta.
Non era possibile.
C’era qualcosa che non andava e il mio istinto me lo gridava sempre più forte.
La Bells che amavo da sempre non avrebbe mai dimenticato tutto in un istante.
Non avrebbe mai dimenticato tutto.
Forza, coglione, che forse ci arrivi anche tu … Codardo!
La corsa divenne meno sfrenata mentre cercavo di affidarmi a quel pensiero che l’orgoglio non voleva accettare ma che l’istinto del lupo mi imponeva di seguire.
La mia Bella non poteva avermi dimenticato così.
La Bells che amavo da sempre non poteva non pensare a me, non poteva non cercarmi mai, non poteva stare già così bene. Qualcosa dentro di me mi strillò che non poteva essere così.
L’amore che avevo letto nei suoi occhi ogni giorno in quei due anni – anche se lei si ostinava a non ammetterlo – era talmente grande che non sarebbe mai potuto scomparire così in fetta.
Mi accorsi in quel momento di essermi fermato, non correvo più. Non correvo perché evidentemente ero impazzito. Mi ritrovavo ad essere convinto dell’esatto opposto di tutto quanto avevo pensato fino a quel momento.
Perché io lo avvertivo.
Da qualche parte sotto la pelle io lo sentivo.
Io lo sapevo.
Io lo so che la notte pensi a me. Lo sento che quando sei immersa nel buio che ti ricorda i miei occhi cerchi anche le mie mani. Ti conosco troppo a fondo, forse più di te stessa, per capire che stai soltanto fingendo. Non puoi aver dimenticato, e non puoi fingere di stare già bene. Non con me.
Di colpo ritrovai tutta la forza e l’orgoglio del lupo dentro di me.
Forse Bella poteva ingannare tutti, tutti a questo mondo, perfino i miei fratelli, perfino quel succhiasangue, perfino se stessa. Ma non poteva ingannare me.
Bella mi aveva amato, lo sapevo anche se non me l’aveva mai detto, e io avrei lottato per riprendermi ciò che era mio. Ciò che era stato mio da sempre, dal primo momento che l’avevo vista.
Stavolta avrei vinto io, non foss’altro che per il gusto di farle capire che stava sbagliando tutto, che ero io l’unico che avrebbe potuto renderla felice.
Sapevo benissimo che ero stato uno stronzo ed un disonesto, ma per una volta mi costrinsi ad ascoltare il cuore, e non l’orgoglio.
In meno di un istante mi ritrovai di nuovo in forma di lupo.
Il mio cuore batteva di nuovo al ritmo forsennato che solo l’amore per quella ragazza riusciva a scatenare.
Avevo ripreso la mia corsa sfrenata.
Correvo di nuovo verso casa.
Correvo a riprendere ciò che era stato mio.
Correvo a lottare per l’unica che avrebbe mai potuto dare un senso alla mia vita.
Fottiti, bastardo di un succhiasangue. Il lupo cattivo sta tornando.
Un ghigno folle, di sfida e soddisfazione, si aprì sul mio volto da lupo.
Accelerai il ritmo della corsa, per ritrovare Jacob Black.

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Capitolo 34
*** CAPITOLO 28 - Sol Invictus ***


 

CAPITOLO 28 – “ Sol Invictus

 
 

20 Dicembre
 
Non ero mai stata solita andare a dormire prima dell’una di notte, e forse era per quello che il mio sonno era inquieto. Quella sera mi ero infilata sotto il piumone addirittura alle undici, “come una gallina” aveva commentato Angela prima che la salutassi al telefono.
O forse dormivo sonni agitati perché era la prima volta in tre mesi che dormivo sola nel mio letto, senza la confortante presenza di Edward al mio fianco. Quel mattino era spuntato un sole splendido e la sua famiglia ne aveva approfittato per trascorrere un bel fine settimana in campeggio. Mi era stato chiesto di unirmi a loro, ma avevo gentilmente rifiutato. L’idea di trascorrere ventiquattro ore a stretto contatto con la famiglia di Edward non mi faceva sentire proprio a mio agio, soprattutto per colpa di Victoria. Quella ragazza continuava ad inquietarmi ogni giorno di più.
Comunque, che fosse per l’una o per l’altra ragione, quella notte c’era qualcosa di insistente che disturbava il mio sonno.
Voltai il capo dall’altro lato, strofinando il viso sul cuscino in cerca di un conforto che non arrivò. C’era qualcosa di strano, qualcosa che mi agitava profondamente.
E – notai mentre riprendevo lentamente conoscenza – c’era anche qualcosa che produceva un fracasso incredibile.
Aprii lentamente gli occhi nel buio totale della mia camera con la mente ancora avvolta dalle nebbie del sonno e trovai un volto concentrato ad osservarmi a pochi centimetri di distanza dal mio.
Era il volto di Victoria, incorniciato dalla massa ribelle di ricci rosso fuoco, che mi osservava dritta negli occhi con un ghigno malefico ad incresparle il viso dalla bellezza innaturale. Una luce folle e maligna negli occhi color dell’oro.
Un piccolo grido di terrore mi sgusciò fuori dalle labbra. Mi allungai più in fretta che potei verso il comodino ed accesi con mano tremante l’abat-jour. Quando riportai lo sguardo davanti a me Victoria era svanita.
Non c’era alcuna traccia di lei nella stanza, la porta era chiusa come quando ero andata a letto, e la tenda che incorniciava l’unica finestra leggermente aperta era immobile. Nemmeno uno spiffero d’aria a smuoverla di un millimetro. Mi portai una mano sul petto, dove potevo sentire distintamente il cuore galoppare ad una velocità impossibile. Sudavo freddo e sentivo il sangue scorrere tanto velocemente da produrre un fastidioso ronzio nelle orecchie. Stavo per svenire.
Mi voltai al contrario sul letto e mi distesi sollevando le gambe per appoggiarle al muro dietro la testiera del letto, come mi aveva insegnato Reneè quando ero piccola. Far arrivare più sangue al cervello per evitare di perdere i sensi.
Svolsi la manovra in maniera rapida ed automatica e il terrore che avevo provato poco prima lentamente andò diminuendo, così come il ronzio nelle orecchie ed i puntini luminosi che poco prima mi erano apparsi improvvisamente davanti agli occhi. Inspirai a fondo ed abbassai le gambe quando sentii che la pressione era tornata ad un livello normale.
Era solo un incubo mi ripetei un paio di volte.
Passai una mano ancora leggermente tremante fra i capelli e la mia attenzione fu catturata da qualcos’altro. Quello che nel dormiveglia avevo definito come un fracasso incredibile in realtà era un ululato. Mi sollevai a sedere, stavolta lentamente, ed altrettanto cautamente poggiai i piedi nudi sul parquet e mi diressi alla finestra socchiusa. Scostai le tendine viola dal tessuto leggero e ruvido e mi venne la pelle d’oca su tutto il corpo quando sollevai il vetro e l’aria gelida di Dicembre mi avvolse con un soffio.
Il silenzio che normalmente accompagnava le notti della placida Forks era straziato da un ululare incessante e scoordinato di un branco di lupi. Rimasi un attimo interdetta e notai che non mi era quasi mai capitato di assistere ad una cosa del genere. In quei tre anni, da quando mi ero trasferita, solo un’altra notte avevo sentito dei lupi ululare : era stato verso metà Ottobre, qualche settimana dopo la scomparsa di Jacob.
Sospirai al pensiero che fosse passato così poco tempo da quando la mia vita sembrava essere normale e felice al fianco di Jake. Eppure quei tre mesi a me sembravano un’eternità, li sentivo pesarmi sulle spalle come se fossero stati anni, forse per le tante circostanze ed emozioni molto profonde che si erano susseguite rapidamente. Prima il dolore, poi l’odio verso tutto e tutti, poi la lenta risalita dal baratro, Edward che iniziava a piacermi ed infine una ritrovata serenità.
Mi sedetti sul davanzale, poggiai la schiena al muro, la fronte al vetro freddo e chiusi gli occhi.
Chi sa cos’avevano da lamentarsi tanto quei lupi, mi chiesi. Le loro voci erano tutte diverse e questo contribuì a rendere la loro raffigurazione nella mia mente ancora più viva. Mi sembrava quasi di poterli vedere : tanti e tutti di colori diversi ma simili, che si spintonavano spalla a spalla, tra i tronchi robusti degli abeti della foresta con il muso puntato alla luna.
Sorrisi leggermente alle immagini che si formavano nella mente e venivano proiettate dalla mia immaginazione dietro le palpebre chiuse. Mi ricordavano una storia che mi aveva raccontato Billy quando ero più piccola, tenendo a sottolineare che era una leggenda appartenente ad altre tribù indiane e che non aveva nulla a che fare con la cultura Quileute. “Però” mi disse “te la racconto lo stesso perché parla di lupi. E ciò che riguarda i lupi ti insegna a vivere nel modo giusto”.
Raccontava di una mamma lupo che una notte aveva perduto un cucciolo ed ululava straziata, la luna le chiese cos’avesse da lamentarsi così tanto e la lupa le rispose chiedendole aiuto. La luna allora si gonfiò fino a diventare un’enorme sfera luminosissima per aiutare la madre disperata nella sua ricerca. Dopo poco il cucciolo fu ritrovato tremante ma sano e salvo e la lupa le fu grata a vita. Ma, le fate dei boschi, per premiare la bontà della luna le fecero un bellissimo regalo : ogni trenta giorni sarebbe potuta ridiventare enorme e luminosa e i cuccioli del mondo intero, alzando nella notte gli occhi al cielo, avrebbero potuto ammirarla in tutto il suo splendore. “I lupi lo sanno, e per questo ululano festosi alla luna piena”.
Aprii gli occhi e cercai la luna in cielo. Quella notte non era affatto piena, piuttosto disegnava una specie di sorriso furbetto tra le montagne.
Eppure, per qualche ragione misteriosa, fui certa che in quel momento i lupi di Forks stessero ugualmente festeggiando.
 
 
 
23 Dicembre
 
Quando li trovai sotto il letto riuscii a spiegarmi il motivo di quel particolare odore.
 
Non ero mai stata un’amante delle pulizie però accettavo il mio dovere di figlia femmina con padre a carico e tenevo sempre casa Swan non lucida come un brillante ma almeno decente. Ogni stanza della casa – esclusa quella di Charlie e la mia – subivano una spazzata al giorno ed una lavata di pavimenti a settimana più o meno. Nella camera di Charlie ci avevo messo piede una decina di volte in tutto, non mi andava di infrangere la sua privacy, così come lui rispettava la mia. Ed era proprio per questa consapevolezza che nessuno sarebbe mai entrato in camera mia a passare un dito su mensole e mobilia varia per testare lo strato di polvere che mi permettevo il lusso di pulirla pochissimo.
Non che mi piacesse vivere nella sporcizia, ma sapevo con sicurezza che la mia camera era il luogo più sporco di casa Swan. Non lo avrei mai ammesso, ma infondo questa era anche una delle piccole cose che mi facevano sentire una diciottenne standard. Libera e piacente di vivere in una stanza che pulivo solo quando ne sentivo reale necessità.
Proprio come quel pomeriggio.
La polvere non era troppa, il pavimento non era troppo sporco, ma c’era un odore che non riuscivo a spiegarmi e che nei tre giorni precedenti era andato ad aumentare. Un odore molto particolare, inizialmente era un profumo anche molto carino, ma quel pomeriggio aveva iniziato ad essere fastidioso. Così mi ero armata di stracci e scopa ed avevo iniziato a spolverare, spostare, e spazzare arrivando fin sotto il letto.
E lì li avevo trovati.
 
Li rigiravo tra le mani leggermente pensierosa. Non avevo la più pallida idea di cosa ci facessero sotto il mio letto o come e quando ci fossero finiti, ma lo stato quasi marcescente di due di loro mi fece capire immediatamente cosa fosse quell’odore che sentivo da qualche giorno in camera.
Ormai i colori erano quasi del tutto sbiaditi, tranne di uno. Il terzo – di cui continuavo ad accarezzare la superficie morbida e levigata – conservava ancora i suoi splendidi colori. Era di un rosso scarlatto con punte gialle talmente intenso da sembrare finto. Gli altri due purtroppo erano uno in uno stato peggiore dell’altro.
Questo mi fece intuire che fossero giunti sotto il mio letto in tempi diversi, in ordine cronologico: prima quello che qualche giorno prima avrebbe dovuto essere di un caldo violetto, poi quello che conservava ancora un po’ di vivacità nel suo arancione, ed infine il rosso che continuava ad incantarmi … ancora fresco, ancora vivo, ancora colorato, ancora emozionante come i ricordi che mi suscitava.
 
Erano tre fiori di campo. Tre fiori selvatici uno più splendido dell’altro, che ero sicura di non aver mai visto crescere né a Forks né nell’intera riserva.
 
 
 
24 Dicembre
 
Era stato diverso rispetto agli altri anni preparare la cena della Vigilia per me e Charlie.
In genere giravo tutta la giornata tra i fornelli, immersa nella musica e con Jake continuamente tra i piedi che andava a trovarsi con la sua grossa mole sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato. Con lui mi mostravo infastidita, ma in realtà la cosa divertiva molto entrambi.
Quella giornata invece era trascorsa sempre con me che giravo come una trottola impazzita tra i fornelli, ma con al mio fianco Edward, che aveva saputo muoversi perfettamente in sincronia con i miei movimenti non diventando mai di impaccio, anzi, riuscendo perfino ad essermi molto d’aiuto.
Quando l’ora di cena si era avvicinata avevamo imbandito insieme la tavola, spostata per l’occasione nel salotto già pieno di lucine, addobbi e albero di Natale. Poi lui aveva raggiunto la sua famiglia ed io avevo cenato con mio padre chiacchierando perfino più del solito. Dopo cena Charlie si era recato da Billy per l’attesa della mezzanotte ed io mi ero spostata a casa Cullen.
La mia piccola e modesta casetta con gli addobbi natalizi mi era sempre sembrata una reggia incantata ma quando mi trovai al cospetto della casa di Edward tutta decorata a festa mi sentii piccola come una formichina, e così anche la mia dimora. Nemmeno le più importanti riviste del settore avrebbero potuto competere con quello scintillio di bianco e dorato che inondava tutta casa Cullen, con ogni particolare curato e pensato perfettamente – a partire dal più piccolo suppellettile fino ad arrivare all’immenso albero di Natale con una valanga di doni sotto di esso.
Tutta la famiglia mi accolse con gioia e calore – tranne Victoria, che come al solito mi guardava come se le avessi ucciso un parente – e nell’attesa della mezzanotte scartammo i regali. Da ogni singolo pacchettino era sbucato un regalo che – da solo – valeva quanto un anno e mezzo di stipendio per un qualsiasi cittadino di Forks. Più la carta veniva strappata più il mio disagio cresceva. Quando fu il turno di aprire i miei regali – un maglioncino rosa per Alice, una felpa per Emmett, una trousse per Rosalie, una collanina per Victoria e due libri per Carlisle ed Esme – che messi insieme non valevano nemmeno la metà di un solo regalo che ognuno di loro aveva comprato per me, mi sentii avvampare di vergogna. Loro però li accettarono come fossero i gioielli della corona di un Re e questo alleggerì in parte il mio imbarazzo.
Sapevo che sarebbe andata a finire così, ma mentre contro la famiglia Cullen al completo non potevo nulla, ero riuscita almeno ad imporre le mie condizioni ad Edward. Un regalo modesto e fatto con il cuore. Incredibilmente mi aveva accontentata, donandomi un cd di sue composizioni che a quanto pare avevo ispirate io stessa. Dal canto mio avevo rispolverato le mie vecchie abilità di ricamatrice, confezionandogli un completo di sciarpa, cappello e guanti, sperando che servissero a scaldare almeno un po’ quelle mani sempre gelide. Quando aprì il mio pacco si fece una grassa risata che non riuscii affatto a spiegarmi, ma anche lui accettò quel pensiero come un tesoro inestimabile.
 
Ci eravamo scambiati i regali da un pezzo ormai, Carlisle guardava con un sorriso Emmett che prendeva in giro le donne di casa e poi posò il suo sguardo su di me, seduta non molto distante da lui sul grande divano bianco, con la schiena poggiata al petto di Edward.
« Sai, Bella, perché è stato scelto proprio il 25 di Dicembre per festeggiare il Natale? » mi chiese con la sua voce vellutata, ancor più serena del solito.
« Perché è il giorno in cui nacque Gesù » gli risposi leggermente titubante, consapevole che non potesse essere soltanto quella la risposta esatta ad una domanda del genere.
Infatti Carlisle mi sorrise « Beh questo per i Cristiani. Ma, vedi, il 25 Dicembre è un giorno che vede celebrazioni sin dal tempo degli antichi Romani » fece una piccola pausa e poi inclinò il capo di lato « Se escludiamo le civiltà precedenti, ovviamente.»
Edward sospirò tra i miei capelli « Papà … »
« Oh certo » Carlisle agitò con grazia una mano davanti al viso « Non intendo annoiare la nostra ospite con storie antiche come il mondo » sorrise
« Edward » lo ammonii voltandomi leggermente verso di lui, che mi posò un bacio sulla tempia, poi mi rivolsi ancora a Carlisle « Non mi annoio, anzi, sono molto curiosa. E poi sarebbe la prima volta da quando conosco Angela in cui potrei insegnarle qualcosa sulla storia » sorrisi e così fece anche il dottore, illuminandosi di gioia.
Carlisle esitò ancora un momento e – nonostante non fossi il tipo che dà particolare importanza all’arredamento altrui – notai la mancanza di un camino nel salotto. Una cosa davvero rara per le case del nostro Stato. Era un peccato, i camini mi erano sempre piaciuti, adoravo il loro calore, l’odore di legna bruciata, e soprattutto rendevano perfetti momenti come quello. Quando si è tutti riuniti sul divano e su di un grande tappeto alla Vigilia di Natale, raccontando storie antiche come il mondo.
« Allora » lo incitai « cosa si celebrava nell’antichità se non la nascita di Gesù? »
« Beh, prima della religione Cristiana si veneravano Dei pagani, e spesso questi erano identificati attraverso elementi naturali, come ad esempio il sole »
Annuii lentamente « Humm » era innegabile che mi sentivo leggermente perplessa
« Mi spiego meglio »
« Mi piacerebbe conoscere tutta la storia, se non è un problema » lo precedetti, quell’argomento mi aveva incuriosita molto
Carlisle sorrise « Per me è un piacere, Bella »
Edward scivolò più in basso sullo schienale alle mie spalle, permettendomi di poggiarmi meglio al suo petto e di stare più comoda. Peccato per quel caminetto …
« Nel 272 l’imperatore romano Aureliano sconfisse la principale nemica dell'impero, riunificandolo: la Regina Zenobia del Regno di Palmira, grazie all'aiuto provvidenziale della città stato di Emesa. L'imperatore stesso dichiarò di aver avuto la visione del dio Sole di Emesa, che interveniva per rincuorare le truppe in difficoltà nel corso della battaglia decisiva. »
Carlisle iniziò a raccontare catturandomi dal primo istante, complice il suo innato carisma che in quel momento sembrava ancor più magnetico.
« In seguito, nel 274, Aureliano trasferì a Roma i sacerdoti del dio Sol Invictus e ufficializzò il culto solare di Emesa, edificando un tempio sulle pendici del Quirinale e creando un nuovo corpo di sacerdoti. Comunque, al di là dei motivi di gratitudine personale, l'adozione del culto del Sol Invictus fu vista da Aureliano come un forte elemento di coesione dato che, in varie forme, il culto del Sole era presente in tutte le regioni dell'impero »
« Sol Invictus ? » lo interruppi « Cosa significa? »
Carlisle sorrise e mi sembrò quasi contento della mia domanda, come se fosse una prova che l’argomento mi interessava davvero. O forse sorrise semplicemente perché sembrava letteralmente adorare raccontare.
« E’ latino, la parola Sol significa sole ed Invictus sta per invitto, invincibile »
« Che bello. Sol Invictus » ripetei ancora quel nome dal suono così musicale e dal significato così affascinante « Quindi il 25 Dicembre è collegato a questo culto? »
« Esattamente. Aureliano consacrò il tempio del Sol Invictus il 25 dicembre 274, in una festa chiamata Dies Natalis Solis Invicti, ovvero "Giorno di nascita del Sole Invitto", facendo del dio-sole la principale divinità del suo impero ed indossando egli stesso una corona a raggi. »
« Ma perché fu scelto proprio quel giorno? »
« Beh immagino tu sappia che le conoscenze astronomiche delle civiltà antiche fossero precisissime, quasi impressionanti considerando i mezzi che avevano a loro disposizione »
Annuii e lui continuò
« Letteralmente natale significa nascita. Per questo motivo la festività del Dies Natalis Solis Invicti veniva celebrata nel momento dell'anno in cui la durata del giorno iniziava ad aumentare dopo il solstizio d'inverno: una vera rinascita del sole. In particolare, il giorno del solstizio cade generalmente il 21, ma per l’inversione apparente del moto solare diventa visibile il terzo/quarto giorno successivo. Il sole, quindi, nel solstizio d’inverno giunge nella sua fase più debole quanto a luce e calore, pare precipitare nell’oscurità, ma poi ritorna vitale ed invincibile sulle stesse tenebre. E proprio il 25 dicembre sembra rinascere, ha cioè un nuovo Natale. Questa interpretazione astronomica può spiegare perché il 25 dicembre sia una data celebrativa presente in culture e paesi così distanti tra loro … il che ci riporta alla motivazione principale dell’imperatore Aureliano, ovvero riunificare l’impero e tutte le religioni presenti in esso. »
« Quindi » riflettei « è nato prima il culto del Sol Invictus piuttosto che il Natale cristiano come lo conosciamo noi »
« A grandi linee, sì »
« E le due festività come furono conciliate? »
« Questo lo si deve all’imperatore che succedette Aureliano. Infatti anche l'imperatore Costantino sarebbe stato un cultore del Dio Sole. Però, dopo aver abbracciato la fede cristiana, nel 330 l'imperatore ufficializzò per la prima volta il festeggiamento cristiano della natività di Gesù, che con un decreto fu fatta coincidere con la festività pagana della nascita di Sol Invictus. E quindi … il "Natale Invitto" divenne il "Natale" Cristiano » sorrise e il suo volto si illuminò.
« E … i cristiani lo accettarono tranquillamente? » chiesi titubante
« Diciamo che fu una cosa quasi naturale. Secondo i cristiani il simbolismo solare per indicare Cristo è ben radicato nella Bibbia. L'iconografia cristiana delle origini utilizzò sistematicamente temi iconografici pagani, soprattutto nei primi tre secoli, quando il rischio delle persecuzioni impediva l'utilizzo di simboli troppo esplicitamente cristiani in luoghi pubblici come le catacombe. Per questo motivo furono utilizzati anche attributi solari per alludere a Cristo come la corona radiata del Sol Invictus o, in alcuni casi, il carro solare. L'utilizzo del sole come simbolo cristologico, infatti, è durato nei secoli sino a oggi. » fece una breve pausa e poi mi chiese entusiasta « Sai che anche nell'abside esterna del Duomo di Milano, in Italia, vi è una raffigurazione della Trinità in cui il Cristo è raffigurato non come una persona umana ma come un sole fiammeggiante di pietra?»
« No, non ne avevo idea » gli risposi quasi ridendo, era così strano vedere il dottor Cullen, un uomo tanto posato, animarsi così tanto per una discussione.
« Papà, davvero, adesso basta » si intromise Edward ridendo
« Secondo me Bella non metterà mai più piede in questa casa » aggiunse Emmett e tutta la famiglia rise
« Ma no » ridevo anch’io
« Avete ragione » Carlisle si sollevò dal divano, ridendo con i suoi figli « Quando racconto certe cose esagero sempre, scusami Bella »
« Affatto! Per me è stato bellissimo, grazie »
« Il piacere è stato tutto mio » rivolse una breve occhiata ai ragazzi che ancora ridevano sull’enorme tappeto « Come puoi vedere, i miei figli non apprezzano allo stesso modo »
« Oh, lasciali perdere tesoro » Esme gli abbracciò dolcemente la vita « Ci sono io che ti ascolterei per giorni»
Si scambiarono uno sguardo così carico di amore che dovetti distogliere lo sguardo.
 
Poco dopo Edward mi riaccompagnò a casa. Raccolsi i regali dal sedile posteriore della Volvo e feci per dargli la buonanotte.
« Il tempo di parcheggiare la macchina a qualche isolato di distanza e sono da te » mi carezzò la guancia.
Involontariamente rabbrividii a quel contatto gelido improvviso.
« Non fa niente » gli sussurrai posando un bacio sulla mano
« Cosa? »
« Non preoccuparti » presi la sua mano e la tenni nella mia « E’ già tardi, torna a casa e goditi ancora un po’ la vigilia con la tua famiglia »
« Ma … »
« Niente ma » posai un indice sulle sue labbra rosse e perfette « Per una notte non mi succederà niente »
« Ne sei proprio sicura? »
Sbuffai ridendo ed aprii la portiera « E’ solo una notte, Edward! »
« Lo sai che non sono tranquillo a lasciarti sola nemmeno per un attimo » come al solito la sua voce fu carica di apprensione.
Lo guardai. Era bello da mozzare il fiato come sempre, i suoi occhi dorati erano fissi nei miei e bruciavano della solita intensità di quando mi diceva cose del genere. Gli passai una mano tra i capelli scompigliati e setosi e il mio cuore accelerò.
Quando era diventato così importante per me?
Gli posai un bacio leggero sulle labbra e come ogni volta il suo sapore mi annebbiò il cervello.
« Vado e torno in un lampo » soffiò ancora sulle mie labbra
Mi scostai rapidamente « Non era una resa, la mia » gli dissi con un mezzo sorriso
« E se invece salissi e basta? » mi chiese brusco con una luce diversa negli occhi.
In quei mesi avevo imparato a conoscere anche quella, era la luce di quando Edward tentava di impormi qualcosa, sostenendo che fosse per il mio bene. Purtroppo – dovevo ammettere tristemente – glielo avevo concesso la maggior parte delle volte dopo l’episodio di quella notte nella mia cucina. Spesso Edward mi aveva impedito di fare cose che reputava pericolose per me, oppure aveva preso decisioni al posto mio.
Ma quella sera il suo atteggiamento mi infastidì. Potevo almeno essere libera di stare da sola in camera mia?
« Troveresti la finestra chiusa » il mio tono fu tagliente almeno quanto il suo era stato quasi minaccioso.
Ci fu un attimo di silenzio durante il quale i nostri sguardi duellarono a lungo. Probabilmente lui sondava quanto fossi determinata, e dal canto mio non esitai nemmeno per un istante. Pensai che ero disposta a reggere quella sfida fino al giorno successivo pur di averla vinta, prima che Edward abbassasse lo sguardo e tornasse al suo solito tono dolce e mesto « Se è questo che vuoi, Bella »
« E’ esattamente quello che voglio » gli sorrisi « Buonanotte e buon Natale »
Mi avvicinai per farmi avvolgere in un abbraccio e qualche minuto dopo salutai la Volvo grigia che si allontanava scintillando alla luce dei lampioni.
Non potei fare a meno di sospirare incamminandomi lungo il vialetto. L’essere così iperprotettivo di Edward nei miei confronti mi aveva sempre infastidita.
Posai la borsa con i regali sul pavimento in legno del portico ed avvicinai le chiavi alla serratura quando un rumore di rami spezzati catturò la mia attenzione. Proveniva dal bosco accanto casa mia e mi voltai immediatamente verso destra sobbalzando. Chi poteva esserci lì fuori a quell’ora?
« C’è qualcuno? » chiesi incerta e il rumore si ripeté
Raccolsi un po’ di coraggio e scesi dal portico, avvicinandomi al limitare del bosco.
Magari è un animale. O forse qualcuno che si è perso.
In realtà non sapevo nemmeno perché mi stessi muovendo. Avrebbe anche potuto esserci un mal intenzionato lì dentro, ma continuai ad avanzare. Il cuore mi batteva impazzito e il bisogno di sapere chi ci fosse nel bosco prese il sopravvento. Aumentai il passo.
« Chi c’è? » chiesi ancora
L’oscurità era fitta ma un altro rametto si spezzò a non molta distanza da me. Mi voltai e ad una trentina di passi alla mia sinistra intravidi una figura familiare. Era tutto buio ma l’altezza e la corporatura mi sembrarono quelle di Sam Uley.
« Sam ? » feci un passo nella sua direzione « Sam, sei tu? »
L’uomo vacillò appena e poggiò tutto il suo peso ad un tronco con una mano. Lo vidi abbassare leggermente la testa e poggiare l’altra mano ad una gamba, quasi come se sotto i suoi piedi ci fosse stato un piccolo terremoto e stesse cercando un nuovo equilibrio. Grazie a quel movimento un piccolo raggio di pallida luce lunare arrivò ad illuminargli la spalla e la base del collo. Il tatuaggio della tribù Quileute mi confermò che fosse uno dei ragazzi della riserva, ma i lineamenti della mascella e i folti capelli neri alla base del collo non erano quelli di Sam.
« Seth! » mi avvicinai di un altro passo « Seth, lo so che sei tu. Ti ho riconosciuto, lo scherzo è finito »
Lui si sollevò dritto sulla schiena quasi con fatica e per un attimo dubitai che fosse Seth per la sua altezza. Ma con quel buio era impossibile essere certi di qualcosa, se non di quel poco di luce che prima mi aveva fatto riconoscere i suoi lineamenti. Inspiegabilmente iniziò ad indietreggiare, lentamente e con passi pesanti, come se facesse fatica a muoversi di lì.
« Seth » lo chiamai ma lui continuò ad indietreggiare « Seth, cos’hai? Stai male? »
Improvvisamente si voltò ed iniziò a correre e d’istinto lo feci anch’io dietro di lui
« Ma dove vai? Torna qui ! Non sono arrabbiata »
Seth aumentò la corsa ed io tentai di tenere il suo passo ma inutilmente, stava per sparire del tutto nell’oscurità del bosco
« Seth! » lo chiamai un’ultima volta ma la sua figura si confuse definitivamente con le ombre della notte.
 
 
25 Dicembre
 
I poliziotti di Forks erano una vera e propria famiglia.
Ed in quanto tale, ogni anno alcuni di loro si riunivano per il pranzo di Natale. Ovviamente Charlie era sempre tra quelli. A me non era mai dispiaciuta questa tradizione, anzi. Era piacevole trascorrere il pranzo di Natale in compagnia di tante persone.
Immancabilmente – come ogni anno precedente – quello fu un lungo, abbondante, divertente pranzo che terminò perfino con uno dei bambini presenti a recitare la poesia in piedi sul tavolo. Charlie non si sottrasse nemmeno ad un paio di brindisi che videro esplodere le sue guance di un rosso porpora impressionante ed io scambiai qualche chiacchiera con alcune delle ragazze presenti che mi era anche capitato di incrociare a scuola.
A pranzo finito salutai tutti ed andai da Angela. Lì – tra dolci e ad auguri di famiglia – ci scambiammo il nostro solito regalo di Natale : un libro per me ed un nuovo album per Angela. Qualcuno avrebbe potuto definirci noiose, o prevedibili, ma per noi non era affatto così. Perché gettar soldi in regali che – sapevamo con sicurezza – non ci avrebbero rese altrettanto felici? Rinunciavamo con molto piacere alla sorpresa perché quanto ne guadagnavamo era decisamente meglio.
 
Quando parcheggiai il mio Chevy recentemente riparato nel vialetto di casa era pieno pomeriggio. Raccolsi il libro, richiusi la pesante portiera e sollevai il viso verso il cielo ad occhi chiusi. C’era un bellissimo sole e nemmeno l’ombra di una nuvola. Sorrisi al ricordo del culto del Sol Invictus e pensai che le civiltà antiche erano senz’altro molto più sagge e lungimiranti di quelle contemporanee. Quel giorno il sole era davvero rinato ed imponeva invincibile la sua calda presenza su chiunque.
Un fremito caldo mi percorse tutta la schiena e potei sentire il cuore scandire qualche battito più forte degli altri. Spalancai gli occhi sorpresa. Restai in attesa di qualche altra reazione incontrollata del mio corpo, leggermente spaventata che potesse essere un’avvisaglia di una nuova crisi. Ma non successe nulla.
Una leggera folata di vento mi scompigliò i capelli, li riportai goffamente dietro un orecchio e mi incamminai verso casa quasi prendendomi gioco di me stessa. Che stessi diventando maniacale ed ossessiva come Edward? Una piccola risata mi sgusciò fuori dalle labbra quando ero già sul ciottolato antistante il portico.
« Hey, Bells »
Mi paralizzai all’istante e la risata si strozzò in gola mentre il libro che mi aveva donato Angela cadeva con un tonfo sordo ai miei piedi.
Non è possibile, non è reale
Con gli occhi spalancati e il cuore impazzito trattenni il respiro per qualche istante.
Non è reale
Avrei riconosciuto quella voce tra milioni. Calda, profonda, roca. Quel nomignolo che solo lui sapeva pronunciare così bene.
Non è reale
Molto lentamente mi voltai verso il bosco temendo che da un momento all’altro potesse esplodermi il cuore nel petto.
« Buon Natale »
Sol … Invictus.

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Capitolo 35
*** CAPITOLO 29 - Ri-conoscersi ***


 



 
[…]Quante vite sono già passate,
quante volte ci siamo incontrati?
Il ricordo non ci aiuta. […] 

  
 

CAPITOLO 29 – “ Ri-conoscersi

 
 

Jacob Black era sempre stato un bel ragazzo, con i suoi capelli folti, gli occhi scuri dal taglio deciso, la pelle bruna e il sorriso più disarmante dell’universo. Ed io l’avevo sempre saputo.
Ciò che non avrei potuto sapere era che Jacob Black sarebbe diventato l’uomo più bello che i miei occhi avessero mai incontrato.
Definire cosa sia il bello è impossibile, soprattutto perché il gusto personale di ognuno di noi è diverso. Eppure avrei scommesso – in quel momento e per il resto della mia vita – che non ci fosse persona al mondo che potesse dire che l’uomo che avevo di fronte a me non fosse incredibilmente, inequivocabilmente, innegabilmente ed irresistibilmente bello.
Magari qualcuno avrebbe potuto malignamente osservare che la sottoscritta non fosse la persona più adatta ad intavolare simili scommesse per i più svariati motivi, primi fra tutti l’essere l’ex fidanzata del sopracitato uomo e il fatto che non lo vedessi né avessi sue notizie da ben tre mesi.
E invece no.
Avrebbero sbagliato anche loro.
Perché sì, quasi sicuramente il mio giudizio in quel momento non era affatto obiettivo, ma l’obiettività era lì che mi fissava : dritta sulle spalle larghe avvolte da una felpa nera, con un leggero sorriso ad increspare due labbra lisce e carnose, ma soprattutto, con uno sguardo talmente intenso che avrebbe potuto resuscitare un morto per poi farlo crepare ancora.
E soprattutto – sempre quei maligni – si sarebbero sbagliati di grosso per un motivo ancora più grande.
Io quasi non riconoscevo in quell’uomo il ragazzo che mi era appartenuto.
Questo Jacob era decisamente più alto del mio Jake.
Questo Jacob era perfino molto più grosso del mio Jake.
Questo Jacob portava i capelli corti e spettinati invece di quelli lunghi e fluenti del mio Jake.
Questo Jacob aveva i lineamenti duri, decisi e marcati di un uomo piuttosto che quelli morbidi, tondi ed un po’ infantili del mio Jake.
Una cosa però era indiscutibilmente identica a quella del Jake che conoscevo io : il sorriso. Questo Jacob portava sulle labbra lo stesso sorriso soddisfatto e un po’ beffardo dello stesso Jake che avevo avuto accanto in quegli anni.
Forse avrebbe dovuto essere quella la cosa alla quale avrei dovuto dare maggiore importanza, o che avrebbe dovuto colpirmi di più. Ma – e ormai era un dato certo – siccome di normale nella mia vita avevo avuto sempre ben poco, non mi stupii nel notare che la cosa che mi aveva colpita più di tutte, fin dal primo istante che l’avevo rivisto, fossero stati gli occhi.
Questo Jacob aveva gli occhi più incredibili che avessi mai incrociato, molto diversi da quelli del mio Jake.
No, non ero impazzita, semplicemente i suoi occhi erano sempre stati in grado di parlarmi, di comunicare con un angolo della mia anima che sembrava essere nato apposta per ricevere i suoi messaggi. Ed il suo sguardo mi era stato da sempre familiare: così dolce, così puro, così limpido, sincero e spensierato.
Nonostante in quel momento stesse sorridendo i suoi occhi non avevano la stessa luce che avevo visto in passato. Mi fermai un secondo di più ad osservarli. Mi sembrarono adulti, mi sussurrarono un vissuto che forse non avrei mai potuto capire, perfino gli occhi di questo Jacob erano cresciuti.
Per un breve istante mi sentii scrutata dagli occhi di un estraneo, e fu una sensazione del tutto nuova. In quel piccolissimo, preciso istante, io stavo conoscendo un nuovo Jacob Black, e la cosa mi inquietava ed affascinava allo stesso modo.
« Bells, ti hanno mai detto che in genere gli auguri vanno ricambiati? »
Si mise le mani in tasca e il suo classico sorriso beffardo gli arrivò fin dietro le orecchie. Quel piccolo movimento e quelle poche parole fecero svanire in un secondo tutto l’incanto di quel momento. Fino a poco prima i miei occhi e i miei sensi tutti, non avevano percepito e divorato altro che non fosse Jacob Black. Invece grazie a quel suo solito modo da schiaffi, era come se improvvisamente qualcuno avesse riacceso la luce sul mondo.
Sbattei un paio di volte le palpebre e riuscii a vedere anche tutto il resto: il verde del bosco dietro di lui, il bianco del ciottolato, il ruggine del mio pickup, l’azzurro rosato del cielo prima del tramonto. E poi ovviamente anche la sua espressione, la solita, odiosissima espressione spaccona di chi si è accorto che mi ero imbambolata a fissarlo. Come se avesse già vinto.
Ah no, bello mio, ti sbagli di grosso.
Sentii montarmi dentro tutto l’odio, la rabbia, il risentimento accumulati verso di lui e verso la sua fuga ad ondate sempre più grandi e potenti. Non l’avrebbe passata liscia. Certo, una parte di me non avrebbe voluto far altro che corrergli incontro e gettargli le braccia al collo, ma anche Isabella Swan era cresciuta in sua assenza, e se pensava di conoscere ancora tutto di me, allora avrebbe ricevuto ben presto una bella sorpresa.
Raccolsi il libro da terra con quanta più calma potessi inscenare, poi lo raggiunsi con passo normale, cercando di frenare quell’istinto che mi spingeva a corrergli incontro e tirargli un ceffone.
« Ah già … Buon Natale anche a te, stronzo! »
Non riuscii a trattenermi oltre, afferrai il libro per la base con entrambe le mani ed iniziai a colpire Jacob con tutta la forza che avevo in corpo.
« E’ così che si sparisce? Eh? Dimmelo! E’ così che ci si comporta?! » continuavo a colpirlo sempre più forte, con sempre più furia, come se lui fosse di marmo e non potessi ferirlo « Sei uno stronzo, Jacob! Nient’altro che un lurido, sporco, bastardo, stronzo e vigliacco! »
Ormai urlavo e sfogavo tutta la rabbia di quei mesi in insulti e sferrando colpi sempre più forti, finalmente sentivo tutto il risentimento accumulato in quei mesi esplodere senza più barriere. Ed avrei potuto continuare anche per ore se non fosse stato che Jacob, anziché scostarsi, difendersi o lamentarsi per i colpi ricevuti, si fosse messo a ridacchiare.
Mi fermai incredula con il libro ancora sollevato sulla mia testa e cercai di riprendere un po’ di autocontrollo, ma lui era ancora lì, davanti a me con un braccio a proteggersi il corpo mentre ridacchiava. Io lo guardavo sgomenta.
« Si può sapere cosa diavolo hai da ridere? »
Calai lentamente le braccia e vidi il pesante libro regalatomi da Angela piegato esattamente a metà, con la copertina a formare un angolo retto. Solo in quel momento realizzai quante volte lo avevo colpito e con quanta forza. Mi balzò il cuore in gola.
« Oddio, Jake ti ho …? »
Avrei sinceramente voluto chiedergli se gli avessi fatto male ma non ne ebbi il tempo. Jacob si rimise dritto sulle spalle e con un movimento deciso mi afferrò per un polso e mi attirò al suo petto.
« Tu, farmi male con questo? » disse piano mentre le sue dita scivolavano tra le mie per farmi lasciare la presa sul libro, che cadde ai nostri piedi con un tonfo « Nemmeno un pochino. Per questo ridevo, Bells. »
Strinse la presa del suo abbraccio intorno al mio torace ancora più forte e io smisi di respirare e anche solo di pensare. Erano mesi che non vedevo Jacob, ed improvvisamente mi ritrovavo stretta al suo corpo e con il suo splendido viso ad un palmo dal mio. Ero sotto shock, e me ne rendevo conto solo in quel momento.
« Per questo … » avvicinò le sue labbra al mio orecchio e sussurrò roco e profondo « … e per l’effetto che a quanto pare ancora ti faccio, fiorellino »
Sentii un fremito caldo percorrermi tutta la spina dorsale a quel sussurro ed involontariamente chiusi gli occhi per un istante. Poi fu una questione di secondi, e il mio cervello parve tornare a funzionare, riprendendosi dallo shock. La rabbia tornò ad investirmi più forte di prima, sentendomi quasi offesa per il suo modo di ripresentarsi all’improvviso e di fare di me ciò che voleva. Mi divincolai rapida ed aggressiva dal suo abbraccio.
« Ma cosa pensi di fare? » gli sputai quelle parole dritto in faccia mentre indietreggiavo di qualche passo.
« E dai, Bells, stavo solo scherzando »
« Scherzavi un cazzo, Jake! » gli gridai contro e sul suo volto si dipinse un espressione di puro stupore « Cosa credevi fare? Pensavi di poter tornare qui a tuo piacimento, senza dare spiegazioni, e trattarmi come meglio ti pare? Non hai capito proprio niente, Jake! Niente ! »
« Scusami, Bella io … » allungò appena le mani verso di me, mentre potevo vedere i suoi occhi tornare limpidi e un po’ turbati, come se anche lui stesse riacquistando lucidità e padronanza di se stesso solo in quel momento.
Feci ancora un passo indietro, rapidamente « E non toccarmi più, per favore! »
Per un minuto restammo entrambi in silenzio. Io con il cuore in gola, piena di rabbia e di risentimento, con il respiro quasi affannoso per la fatica di riuscire a tenermi ancora tutto dentro. Lui con le braccia abbandonate lungo i fianchi, come se solo in quel momento stesse accettando una verità alla quale non aveva voluto credere. Forse si era aspettato davvero che cadessi ai suoi piedi al nostro primo incontro. Potevo benissimo leggergli in faccia che le carte in tavola stavano cambiando anche per lui. Dopo un po’ , infatti, si mise dritto sulla schiena, strinse i pugni e vidi dipingersi sul suo volto un’espressione che non gli avevo mai visto. Sembrava deciso, ma allo stesso tempo ferito e distaccato, una persona completamente diversa rispetto a quella che mi aveva attirata a sé con tanto trasporto qualche attimo prima.
« Non preoccuparti, non ho intenzione di rifarlo » sputò fuori con risentimento.
Ed il suo risentimento non fece altro che fomentare il mio, potevo quasi sentirlo crescere come un muro tra di noi. Ci fu ancora silenzio, ancora altri infiniti momenti di silenzio nel quale riecheggiavano soltanto i rumori del bosco dietro di lui. Noi intanto non facevamo altro che studiarci, non esisteva definizione migliore. Ci fissavamo per studiare le nuove sfumature della persona che ci stava davanti, consapevoli che fossero cambiate tante cose dal nostro ultimo incontro. Pensare che l’ultima volta che ci eravamo visti eravamo proprio qui, fuori casa mia, felici ed innamorati, mi fece stringere appena il cuore.
Quanto sembrava diverso ora il ragazzo che avevo sempre conosciuto. E soprattutto, quanto mi sembrava ridicola la situazione di quel momento. Chi erano questi due idioti che si fissavano senza capirsi? Chi erano questi due ragazzini che quasi facevano a gara per dispetto a chi tenesse il muso più a lungo? Con Jacob non era mai stato così, i nostri silenzi erano sempre stati pieni di comunicazione. Sospirai forte e sentii le spalle sciogliersi un po’ da quella morsa rigida che sembrava attanagliarle. Lo guardai ancora negli occhi e capii che forse anche lui condivideva i miei stessi pensieri. Nonostante la rabbia, nonostante il dolore, nonostante il risentimento, io volevo capire. E Jacob sembrava avere la stessa voglia di rimettere almeno un po’ a posto le cose.
« Mi devi qualche spiegazione, Jacob » cercai di non essere pungente
« Sono qui per questo » fece un lento cenno di assenso col capo
I suoi occhi guizzarono per un istante alla casa alle mie spalle
« Meglio non entrare » risposi, più che altro pensando che di lì a poco sarebbe tornato Charlie
Jacob annuì lievemente « Facciamo due passi? »
 
 

********

 
 
Rimasi di stucco quando misi piede nella piccola radura perfetta dove non avevo mai portato nessuno, tranne Edward. Trattenni per un attimo il respiro, ferma al limitare degli alberi, mentre guardavo Jacob camminare sicuro verso il centro dello spazio circolare. Si voltò verso di me con un sorriso soddisfatto sulle labbra, come se la mia reazione fosse un punto a suo favore, qualcosa che lo avvicinava ad una sorta di mia sconfitta. In quel secondo lo odiai.
« Cosa c’è, Bella? » mi chiese spavaldo e lo odiai ancora di più « Non ti piace questo posto? »
Non risposi, non riconoscevo più in questo Jacob dall’aria così vendicativa quello che era stato al mio fianco. Evidentemente spazientito dalla mia immobilità mi raggiunse svelto in un paio di passi e mi afferrò un polso
« Avanti, Isabella! Non startene lì impalata! Forse dal centro potrà piacerti di più » mi trascinò con se fino al centro esatto della radura e io ancora non fiatai, semplicemente sfilai il polso dalla sua presa, come a sottolineare la mia richiesta di non essere toccata.
Jacob mi girò intorno lentamente prima di soffiarmi dietro la nuca « O forse è la compagnia che non ti aggrada? »
« Smettila! » gridai, e qualche uccellino spaventato volò via dai cespugli.
Sentii i passi di Jacob allontanarsi leggermente e capii sia perché mi avesse portata lì sia perché si era comportato proprio in quel modo. Possibile che già sapesse di me ed Edward? Evidentemente sì.
Il suo scopo era stato quello di sbattermi in faccia che non ero l’unica a poter pretendere spiegazioni, mi stava praticamente suggerendo – e nemmeno velatamente – di non comportarmi come se avessi il coltello dalla parte del manico, perché a quanto pareva in quella situazione ci trovavamo entrambi a stringere la stessa lama dentellata.
Mi voltai verso di lui e lo trovai a fissarmi con gli occhi ridotti a due fessure.
« Ma si può sapere cosa diavolo ti è successo? Cos’è tutta questa cattiveria? Perché mi tratti così ? Io non ti riconosco! » non riuscii a trattenere le parole, anche se avrei preferito morire piuttosto che espormi così fin da subito.
Jacob sembrò colpito, sbattè un paio di volte le palpebre e poi si passò le mani sugli occhi, strofinandoli forte.
« Scusami, Bells, ti prego. E’ solo che … » le grandi mani abbandonarono gli occhi solo per passare a tormentare i capelli corvini ormai corti « … sono così stanco. » soffiò fuori quasi in un sospiro prima di lasciarsi cadere seduto sull’erba a gambe incrociate.
Sospirai anch’io, mi misi di fronte a lui e lo imitai « Sì, posso capirti »
Jacob sbuffò una piccola risatina, con lo sguardo fisso sull’erba. Rimanemmo così in silenzio per qualche minuto, poi mi decisi ad affrontare quella che temevo potesse essere una lunga e sofferta conversazione.
« Allora, Jake. Me lo dici dove sei stato tutto questo tempo? »
« Un po’ dovunque » scrollò leggermente la testa corvina.
Forse fu quel movimento a farmi notare un piccolo particolare « Sai che sei diventato quasi uguale a Sam? »
Le sue spalle si irrigidirono appena sotto la felpa, ma i miei sensi notavano ogni minimo cambiamento nel suo corpo come se lo avessi lasciato soltanto il giorno prima.
« Ma che dici! » si prese una piccola pausa « Io sono molto più grosso! » esclamò sorridente sollevando lo sguardo nel mio.
Mi mancò il respiro. In quel sorriso avevo rivisto il mio Jake sul volto di questo nuovo Jacob, e non c’era niente di più spettacolare che potessi immaginare. Mi costrinsi a ritornare con i piedi per terra.
« E anche più stupido a quanto vedo. Che significa che sei stato un po’ dovunque, Jake? Non pensi di aver fatto abbastanza il misterioso in questi tre mesi? » ecco che la collera ricominciava a montarmi dentro.
Mi sollevai in piedi infastidita.
« Anzi aspetta, sai che ti dico? Partiamo dal principio » mi voltai verso di lui e quasi lo fulminai con lo sguardo « Perché sei sparito così all’improvviso? Perché te ne sei andato senza nemmeno darmi una spiegazione o vedermi un’ultima volta? Cazzo, Jake! Mi sarebbero andati bene persino degli insulti, invece sei scappato senza pensare a me nemmeno una volta! Hai idea di come mi sia sentita? Hai idea di quanto mi sia sentita stupida, inutile ed insignificante? » ancora una volta le parole erano sgusciate fuori senza che potessi frenarle.
Incrociai le braccia al petto e lottai con tutte le mie forze contro le lacrime pungenti che premevano dietro gli occhi. Non avrei pianto, non gli avrei dato questa soddisfazione, dovevo essere forte.
« Bells tu stai sbagliando tutto, non sai di cosa stai parlando » si sollevò in piedi anche lui e mi sovrastò con la sua nuova enorme mole. Ormai gli arrivavo al di sotto del petto.
« E allora illuminami ! dimmi perché sei scappato, tanto per iniziare »
« Io ero … avevo bisogno di un po’ di tempo per stare da solo »
Sgranai gli occhi e sentii la furia montarmi dentro « Tutto qui?! Spero per te che non sia la verità! Avresti potuto parlarne invece di far disperare me e tutta la riserva per mesi! » poi un dubbio mi colpì improvviso, ed aggiunsi più a bassa voce « Avresti semplicemente potuto dirmelo se non mi volevi più »
« Mio Dio, ma dici sul serio? » lo sentii avvicinarsi e prendere il mio volto tra le sue mani bollenti « Eri la cosa più bella che avessi mai avuto in tutta la mia vita, e avrei fatto di tutto per proteggerti, anche sparire per mesi, o addirittura per anni se fosse stato necessario »
I suoi occhi erano brace ardente nei miei, e forse nemmeno si rese conto di ciò che disse.
« Proteggermi da cosa? » chiesi in un soffio
« Da tutto, Bells. Da chiunque avesse potuto farti del male, me compreso » lasciò andare il mio viso e si voltò di spalle.
« Tu non potresti mai farmi del male »
Le spalle di Jacob sobbalzarono appena, come se avesse riso e poi si voltò ancora « No, adesso no. »
Mi portai una mano alla fronte, sempre più confusa.
« Ma di cosa stiamo parlando, Jake? Non capisco »
« Bella mi dispiace » si avvicinò di un passo, ma non mi toccò più « Mi dispiace così tanto. Ti prego, perdonami » i suoi occhi mi imploravano
« Non ci riesco. Non posso senza almeno una motivazione, Jacob. Sei sparito per più di tre mesi » scandii lentamente « Tre lunghissimi mesi, Jake. »
Lui sbuffò insofferente e pestò i piedi un paio di volte « Lo so, sono stato un coglione, ma fidati di me. Avevo le mie ottime motivazioni per farlo e giuro su mia madre che non ho intenzione di lasciarti mai più, nemmeno per un attimo. »
« Se sono davvero ottime come dici, perché non me ne parli! » sbottai e quasi non riuscii più a trattenermi.
La sua presunzione che potesse tornare e chiedermi semplicemente di perdonarlo senza alcuna spiegazione mi mandò su tutte le furie.
« Ti sei bevuto il cervello, per caso?! Con quale faccia ti ripresenti e chiedi che io dimentichi tutto? Che semplicemente ci passi sopra! Sei tu a non avere la minima idea di cosa stai parlando! »
« Bells io l’ho fatto per te! L’ho fatto per noi! »
A quelle parole fui definitivamente divorata da una furia cieca che mi portò a gridare come mai avevo fatto prima
« Per noi, Jake?! Per noi ?! Tu hai davvero qualcosa che non va! Se avessi voluto fare qualcosa per me, qualcosa per noi, saresti rimasto! saresti venuto da me e avremmo trovato insieme una soluzione a qualsiasi tormento adolescenziale tu stessi affrontando! »
« Tu non ne hai idea, invece! » gridò anche lui.
Dovevo aspettarmelo, almeno in questo non era cambiato. Come ogni volta che io alzavo la voce nei suoi confronti, lo faceva di rimando anche lui. Questa cosa in parte mi confortò, mi ricordò che sotto quella maschera di durezza c’era ancora qualcosa del mio Jacob.
« E allora parla, santo Dio! Per l’ultima volta, Jake, parla! Perché ti do la mia parola che questa è l’ultima occasione che avrai » stavolta fui io ad avvicinarmi di un passo ed aggiunsi sottovoce « E assicurati che sia la più sconcertante delle rivelazioni, Jacob Black, altrimenti puoi scordarti anche come mi chiamo. »

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Capitolo 36
*** CAPITOLO 30 - Una nuova realtà ***





“La realtà non esiste, l'hanno inventata gli uomini per i loro scopi”
Angelo Fiore

 
 
 

CAPITOLO 30 – “ Una nuova realtà

 
 

Dovevo aspettarmelo.
« Il punto è che tu sei testarda come un mulo, e non cambierai mai »
Io dovevo semplicemente aspettarmelo, che non sarebbe stata una passeggiata.
« No, Jake. Il punto è che tu sei un vigliacco. Un codardo che non riesce ad ammettere le proprie responsabilità »
Cosa credevo di ottenere con quell’ultimatum? Una resa? Se non avessi avuto il fegato marcio di rabbia forse sarei scoppiata a ridere della mia stessa presunzione. Con Jacob non esistevano out-out, non servivano a nulla. Per questo aveva continuato a menare il can per l’aia per la successiva mezz’ora, evitando le mie domande più specifiche. Ma il punto, stavolta, era che io non ne potevo più.
« Un codardo, Bells? Io? » sgranò gli occhi incredulo, come se avessi bestemmiato
Chiusi gli occhi, inspirai a fondo e recuperai tutte le forze che mi erano rimaste per non mettergli ancora le mani addosso. Anche perché stavolta gli avrei fatto davvero male.
« Sai che c’è, Jacob? » riaprii gli occhi e mi presi una piccola pausa « Non mi interessa »
Lui aprì la bocca pronto a ribattere, come se si fosse aspettato un’altra domanda o un’altra accusa, ma la tenne spalancata e con il fiato spezzato quando realizzò cosa avevo appena detto.
« Hai capito bene, non fare quella faccia. Non mi importa nulla di dove tu sia stato, di cosa tu abbia fatto, del perché tu non ci abbia pensato su nemmeno una volta a lasciarmi come un’idiota. Non mi interessa perché, grazie a Dio, sono stata abbastanza forte da superare tutto. Sono stata abbastanza forte da rimboccarmi le maniche ed arrampicarmi lungo le pareti scivolose del burrone nel quale mi hai lasciata tu. E, per una volta nella mia vita, ho avuto abbastanza fortuna da trovare al mio fianco delle persone splendide che mi hanno aiutata e sostenuta. » mi guardai intorno con fare plateale, ormai l’avevo in pugno, glielo leggevo negli occhi e nell’espressione del volto « E tu dov’eri, Jake? Dov’eri quando non ho dormito per giorni interi? Dov’eri quando non mi sono alzata dal letto per settimane? Dov’eri quando credevo di essere impazzita o quando vomitavo anche l’anima? »
Gli concedetti qualche secondo, ma da Jacob non arrivò nemmeno un soffio. Forse, se avessi creduto che provasse ancora qualcosa per me, avrei potuto dire che la smorfia sul suo viso fosse di dolore.
« Semplicemente non lo so. Poi, tu torni con la tua bella faccia tosta e continui ad evitare le mie domande. Ed è a questo punto che a me non importa più nulla, Jacob. Io ho sofferto, io ho affrontato il peggior periodo della mia vita a causa tua. Ma l’ho superato. E sono stata anche in grado di uscirne tutta intera. A questo punto la tua occasione l’hai avuta. La tua occasione per uscirne tutto intero l’hai appena gettata al vento. Tieniti pure i tuoi stupidi segreti, a me non importa più nulla. »
Mi voltai senza dire altro, senza nemmeno soffermarmi a guardarlo un’ultima volta, proprio come lui aveva fatto con me. Mi incamminai e per qualche passo mi sentii anche un po’ alleggerita dall’essermi lasciata alle spalle tutta quella orribile situazione. Ancora non mi sembrava vero il modo in cui si era ripresentato e una parte di me proprio non voleva credere al Jacob che evitava di darmi spiegazioni.
Continuavo a mettere un piede davanti all’altro e nonostante mi stessi allontanando da lui potevo quasi sentire il suo sguardo bruciarmi la schiena.
Raggiunsi il limitare della radura e misi un piede al di là della prima fila di alberi, ormai era fatta. Jacob mi aveva lasciata andare ancora una volta. Mi si rivoltò lo stomaco a quel pensiero e un sapore amaro mi riempì la bocca, avrei potuto vomitare in quel preciso istante se il mio orgoglio non me l’avesse impedito.
« Aspetta! »
La sua voce mi giunse forte e decisa e il mio cuore sussultò. Ma non mi sarei fermata così facilmente. Feci un altro passo al di fuori della radura.
« Bella, fermati ti prego! »
Il mio corpo si immobilizzò. Non fu una scelta razionale, fosse stato per me sarei andata dritta verso casa senza nemmeno esitare. Quello che mi fregava – mi aveva sempre fregato – era che la voce di Jacob mi arrivava dentro. Poco importava cosa dicesse, il mio corpo percepiva le vibrazioni del suo e questo strano modo di comunicare arrivava talmente in profondità che era come dialogare con sé stessi.
« Ti prego, torna qui » per la prima volta da quando era ricomparso la sua voce non fu più spavalda « Ti dirò tutto ma ti prego, Bells, non andartene »
Mi lasciai accarezzare per un momento da quelle parole. Era così bello risentire la voce del mio Jacob. Dolce, sincera, intensa.
Voltai solo il capo. Jacob si raddrizzò sulla schiena, negli occhi una scintilla di speranza. Per qualche secondo non mi mossi, promisi a me stessa che se avessi rivisto nel suo sguardo un’ombra sprezzante ed ostinata mi sarei voltata ancora e sarei tornata a casa di corsa. Scrutai il suo viso e lui spostò il peso del corpo sulla gamba destra, abbassando lo sguardo. Ecco, quello era un segno. Si sentiva in difficoltà. Il che mi fece ben sperare che avesse davvero tutte le buone intenzioni di parlarmi.
Mi voltai completamente ed iniziai a tornare sui miei passi, senza distogliere lo sguardo dal suo viso. Jacob se ne accorse e sollevò il capo. Più mi avvicinavo più diventava inquieto, riuscivo benissimo a vederlo borbottare qualcosa fra sé e sé, mentre non riusciva a stare fermo. Quando fui a pochi metri da lui iniziò a camminare in tondo, nervoso. Si portò le mani dietro la nuca e strinse forte i capelli fra le dita, quasi volesse strapparseli.
« Ma porca miseria! » quasi lo gridò, prima di voltarsi verso di me e puntarmi un dito contro « Sai cosa mi fa imbestialire? Hai avuto tanta di quella merda sotto il naso per tre mesi e a quanto pare non ti sei accorta di nulla! Poi torno io » lo stesso dito lo puntò sul suo petto, sporgendosi con il busto nella mia direzione « Io, Bells. Quello che hai sempre conosciuto, di cui ti sei sempre fidata ciecamente, e cosa fai? Pretendi spiegazioni! Tiri fuori tutta la testardaggine di questo mondo! »
Lo raggiunsi con gli ultimi passi ed incrociai le braccia al petto « Già, me l’hai ripetuto una decina di volte in meno di mezz’ora che sono testarda »
« E te lo ripeto ancora! Sei testarda, sei orgogliosa, e sei anche un filo egoista. Te l’ha mai insegnato nessuno che queste cose non portano mai nulla di buono? »
« Jake » sospirai spazientita
Lui continuava a pestare l’erba furioso ed in evidente difficoltà. Lo capivo benissimo che stava mettendo su tutta quella pantomima più per sé stesso che per me. Mi urlava contro, ma sapevo perfettamente che non era con me che era arrabbiato. Ce l’aveva con sé stesso.
« Come fai a non capire che tutto questo ti farà soltanto del male? »
« Non potrà mai farmene più di quanto abbia già fatto tu »
« Oh, invece sì! Non hai nemmeno idea delle cose con cui avresti a che fare »
Gli lanciai un’occhiata molto eloquente, stavo davvero perdendo l’ultimo briciolo di pazienza.
« Io vorrei soltanto che tu ti fidassi di me, Bells. Non ti chiedo altro. Non puoi essere semplicemente felice che io sia di nuovo qui con te? »
Aveva ricominciato sulla stessa strada di prima.
« Vaffanculo, Jake »
Mi voltai ed iniziai a camminare a passo svelto, quasi correndo.
« Bells! » gridò « E dai, Bella! »
Ero quasi arrivata di nuovo al limitare della radura quando la sua grande mano mi afferrò un polso e mi fece voltare con un movimento brusco.
« Ahi! » mi sfuggì
Jacob aveva stretto con troppa forza il polso al quale portavo il braccialetto. Aprì le dita e sgranò gli occhi quando vide il lupo in legno pendere dalla catenina. Si morse appena il labbro inferiore e con il pollice accarezzò il lupo e la mia pelle. Quasi mi incantai nel guardare quel gesto, il contrasto tra la sua pelle scura e la mia diafana era tra le cose che più amavo di noi.
Sulle labbra di Jacob si aprì per un istante un sorriso pieno di dolcezza ed i suoi occhi profondi saettarono nei miei. Ebbi giusto il tempo di scorgere un po’ di quella tenerezza anche nel suo sguardo prima che si posasse ancora sul lupo al mio polso. Quando sollevò ancora gli occhi, sul suo volto non c’era già più traccia del Jacob dolce che mi era tanto familiare. Piuttosto i suoi occhi erano tornati taglienti e le sue labbra piegate in un sorriso amaro. Strinse di nuovo la presa intorno al mio polso ed iniziò a trascinarmi verso la radura.
« Lasciami, Jacob »
« Sei sempre la solita, non cambierai mai » borbottò
« Se hai intenzione di ricominciare con quelle stronzate ti conviene lasciarmi »
Non mi portò al centro della radura come prima, ma verso il margine destro, accanto ad un masso grigio che non avevo mai notato.
« Non ricomincio con nessuna stronzata, Bells. Ci tieni così tanto a conoscere la verità? Bene! Allora te la meriti! Per una volta meriti di subire le conseguenze della tua testardaggine »
Mi lasciò i polsi, sui quali erano evidenti i segni rossi della sua presa salda. Me li massaggiai appena mentre Jacob raggiungeva un grande cespuglio accanto agli alberi un po’ distante da me.
« Siediti » indicò il masso accanto alle mie gambe
« Non mi va »
« Bells, ho detto di sederti »
« Non dirmi cosa devo fare! » gridai.
Sembravamo due bambini che si litigano un giocattolo. Jacob indicò con più decisione il masso e scandì lentamente
« Bella … siediti su quella dannata pietra »
Affilai lo sguardo e risposi secca « No »
« Fa’ quel che vuoi! » gridò gettando le braccia per aria
Si infilò dietro il cespuglio ma lo sentii comunque borbottare « Spero che tu svenga e che ci caschi di testa su quel fottutissimo masso »
« Guarda che ti ho sentito! »
« Meglio così » mi rispose ad alta voce
Dal cespuglio dietro il quale Jacob si era posizionato riuscivo a vederlo dai fianchi in su. Si guardò intorno per un secondo e poi iniziò a sfilarsi la felpa nera. Sgranai gli occhi, incredula e confusa.
« Ma che stai facendo?! »
Jacob non rispose, gettò la felpa in terra e dai suoi movimenti capii che stava armeggiando con i bottoni dei jeans, mentre continuava a borbottare furioso parole incomprensibili in lingua Quileute.
« Jake, ma sei impazzito? Perché diavolo ti stai spogliando?! »
Il rumore di una zip calata con forza arrivò forte alle mie orecchie, poi Jacob si abbassò per un momento, ritornando dritto sulle spalle nude. In un breve istante il mio cervello valutò l’ipotesi che si fosse spogliato completamente, perfino della biancheria. Sentii la bocca spalancarsi da sola ed il cervello svuotarsi del tutto.
« Di certo non per fare colpo su di te, Bells »
Non mi diede il tempo di ribattere e nemmeno di farmi assimilare quella scena così fuori dal mondo.
« Non avrei mai voluto che lo venissi a sapere in questo modo, ma te la sei davvero cercata, Bella. E adesso per favore, siediti e cerca di non farti prendere dal panico ».
L’ultima frase sarebbe anche potuta sembrare premurosa e gentile, se non l’avesse sputata fuori piena di rabbia e con il viso contratto.
Pochi secondi dopo Jacob fu scosso da tremiti talmente forti da far risultare la sua figura ai miei occhi quasi senza contorni ben definiti. Il cuore iniziò a battermi forte nel petto e temetti che gli stesse per succedere qualcosa quando lo vidi lanciarsi in avanti, come se volesse tuffarsi sull’erba. Non appena i suoi piedi si furono staccati da terra, improvvisamente il corpo di Jacob esplose e tutto ciò che restò davanti ai miei occhi fu soltanto un enorme lupo rossiccio.
Gridai talmente forte da sentirmi strappare i muscoli della gola, il cuore mi esplose dalla paura e indietreggiai istintivamente, inciampando prima nei miei stessi piedi e poi sul masso. Il lupo abbassò le orecchie e si acquattò sulle quattro zampe, come se si fosse spaventato anche lui. Io continuavo a gridare, senza riuscire a fermarmi, senza nemmeno riuscire a capire cosa stesse succedendo. Mi rannicchiai dietro il masso, poggiai la testa sulle ginocchia e la coprii con entrambe le braccia.
Pochi secondi dopo le mani calde di Jacob mi afferrarono le spalle e mi resi conto solo in quel momento che la mia carne tremava quasi quanto la sua. Sussultai ancora sotto shock e lui mi sollevò il viso. Non sapevo che faccia potessi avere io, ma la sua era talmente sconvolta dal dolore che mi fece male solo a guardarla.
« Oh mio Dio, Bells, cosa ho fatto? »
Anche se avessi avuto la forza per rispondergli non me ne diede il tempo. Mi attirò a se con decisione e mi avvolse in un abbraccio bollente e sicuro. Istintivamente non mi mossi, ero come paralizzata. Jacob mi strinse ancora più forte, si poggiò con la schiena contro il masso e mi fece rannicchiare su di lui. Iniziò a cullarmi come un padre disperato.
« Amore perdonami! Sono un coglione! Non sono altro che un immenso coglione! Ti prego, Bells, scusami non avrei mai dovuto fare una cosa tanto assurda, è solo che ero così arrabbiato! Oh Dio, amore mio, cosa ti ho fatto? »
La voce di Jacob si incrinò sempre di più fino a quando il suo petto fu scosso dai singhiozzi. Continuava a ripetermi di perdonarlo, a maledirsi per ciò che aveva fatto e nella sua voce non c’era altro che dolore. Con l’orecchio contro il suo torace riuscivo a sentire il battito furioso del suo cuore, eco del mio.
Contro ogni logica poggiai una mano sul suo petto e lo accarezzai piano, soltanto un flebile suono sgusciò fuori dalle mie labbra tremanti.
« Shh »
Non esisteva alcun motivo al mondo per cui in quel momento fossi io a tentare di calmare lui, eppure non potei farne a meno. Fu una reazione istintiva. Sapevo che in quel momento mi trovavo ad affrontare qualcosa di più grande di me, eppure il suo dolore era così straziante da non farmi avere alcun dubbio su chi fosse più annientato tra noi due.
Dopo qualche minuto, quando i singhiozzi di Jacob cessarono, sollevai appena la testa. Aveva le guance rigate dal pianto, gli occhi gonfi e le ciglia bagnate. Anche il mio cuore aveva ritrovato un battito più regolare, eppure nel guardare quegli occhi lo sentii esplodere ancora. Non potevo sopportare di vederli così, nemmeno quando lui stesso ne era il diretto responsabile. Tentai di sorridergli.
Jacob tirò su con il naso e liberò un sorriso amaro con un sospiro. Scosse appena la testa ed infilò le dita tra i miei capelli, incatenandomi con lo sguardo. Avrei potuto perdermi in quell’onice liquida e non sentire la mancanza di nulla.
« Io non ti merito » sussurrò « Però adesso ascoltami. Non mi perdonerò mai per quello che ti ho appena fatto e so bene che non servirà a cancellare questo brutto ricordo, ma voglio spiegarti tutto. Non devi avere paura di me, Bells, ti prego. Io sono sempre io, il tuo Jake… » esitò per un secondo «… il tuo sole, ricordi? » sorrise imbarazzato.
Gli feci cenno di sì con la testa e lui mi strinse forte a sé. Jacob a quel punto iniziò a raccontare.
Con il viso poggiato al suo petto nudo e bollente ascoltai storie vecchie come il mondo, cose che sembravano assurdità e superstizioni ma che invece erano reali quanto il nostro abbraccio. Mi raccontò delle leggende Quileute, di quello che gli era successo, di quanto Sam lo avesse aiutato e del vero motivo per cui era sparito per mesi. Le parole scivolavano via dalle sue labbra in un fiume inarrestabile, eppure sempre gentili e sussurrate.
Ascoltai tutto senza dire nulla, senza nemmeno muovere un muscolo, mentre il mio cervello associava quei racconti così inverosimili alla persona di carne ed ossa che mi stringeva forte. Com’era possibile che fosse tutto vero? Se pochi minuti prima non avessi visto con i miei occhi Jacob diventare un gigantesco lupo, avrei riso a quei racconti e gli avrei chiesto di smetterla di prendermi in giro.
Invece era tutto reale. Qualche volta mi era capitato di leggere di licantropi nei libri fantasy, ma non avrei mai immaginato che certe cose potessero esistere davvero. Certo, da quanto avevo capito i lupi Quileute non erano soggetti alle fasi lunari, ma restavano pur sempre delle creature mitologiche che prendevano vita. Santo cielo, era tutto così assurdo!
Quando Jacob ebbe finito di raccontare rimanemmo in silenzio per un po’, lui probabilmente aspettava una mia reazione ed io cercavo soltanto di assimilare la notizia. Ripensai a tutte le volte che avevo ascoltato Billy rapita dai suoi racconti sui lupi, ripensai al dono inconsapevolmente sincero di Jacob quando mi intagliò il lupo di legno. In un certo senso molte cose sembravano quasi più piene di significati in quel momento. Forse sarei riuscita ad accettare quella nuova realtà più in fretta e più facilmente di quanto mi aspettassi.
Sollevai la testa e lo guardai ancora negli occhi. Mi sorrise e lo fece nello stesso modo in cui lo avrebbe fatto il mio Jacob appena qualche mese prima. Il cuore mi si scaldò e in un solo istante ne fui certa: non mi importava di cosa fosse, ma la sua presenza nella mia vita era indispensabile.
« Non ho mai avuto paura di te, Jacob Black. E se questo era un tentativo per far cambiare le cose, mi dispiace, ma hai fallito »
Il sorriso sul suo volto si allargò e Jacob liberò una piccola risatina che scosse anche me, poggiata su di lui. Mi rilassai subito anch’io, il solo fatto che fosse di nuovo lì con me mi rendeva più semplice affrontare qualsiasi assurdità la vita mi presentasse. Perfino se le assurdità venivano proprio da lui.
« L’ho sempre detto che non sei normale, Bells »
Infilò ancora le mani tra i miei capelli e il suo sguardo si spostò languido dai miei occhi alle labbra. Qualcosa nel mio stomaco si sciolse, ma non mi lasciai andare a quella sensazione. C’era una cosa che volevo chiedergli.
« Jake, tu … lo rifaresti? … per me ».
Sbatté le palpebre un paio di volte, stupito « Cosa? »
« Farmi … r-rivedere il … lupo » balbettai e sentii le guance andarmi a fuoco a quella richiesta tanto surreale.
Jacob non rispose, piuttosto spalancò la bocca
« Per favore, se non ti dispiace » aggiunsi con gentilezza.
« No che non mi dispiace, è solo che sono … stupito. Ne sei sicura? »
Ci pensai un attimo. Non c’era altro che volessi in quel momento. Avevo capito che quella era una parte di lui, e che forse ormai era anche quella che lo caratterizzava maggiormente. La verità era che credevo che gran parte dei suoi cambiamenti fossero dovuti proprio al lupo, e volevo incontrarlo ancora. Stavolta magari con più sangue freddo.
« Quello sei tu, Jake. E’ da quando ti ho rivisto che fatico a riconoscerti. Ora vorrei … incontrarti ancora. »
Mi sorrise in un modo che mi fece sciogliere il cuore. Si sollevò lentamente da terra tenendomi in braccio e poi mi posò delicatamente in piedi. Mi accorsi solo in quel momento che Jacob era completamente nudo. Abbassai lo sguardo imbarazzata, con le guance a fuoco.
« Come se non mi conoscessi! » commentò ridendo mentre si allontanava da me.
Arrossii ancora di più ed alzai lo sguardo giusto in tempo per vederlo cambiare forma ancora una volta. In pochi secondi al centro della radura, davanti a me, ci fu di nuovo lo splendido lupo dal pelo rossiccio.
Stavolta non mi spaventai, faticai ancora un po’ ad accettarlo ma tutto sommato non fu affatto traumatico. Il grande lupo restò fermo, aspettando che fossi io a muovermi. Mossi qualche passo di lato, lungo il perimetro della radura, per riuscire ad averne una panoramica generale. Era gigantesco, alto molto più di un cavallo e grosso il doppio di un toro. Eppure mi scoprii confortata dalla sua presenza più che intimorita.
Da qualche parte alle spalle del lupo il sole stava tramontando e inondava con una luce calda ed arancione qualsiasi cosa. Il manto rosso mi sembrò splendente ed incendiato di calore, avrei scommesso che fosse folto e soffice sotto le dita. Si teneva dritto sulle quattro zampe ed il capo era sollevato in tale fierezza che mi ci vollero soltanto pochi secondi per innamorarmi di quella magnifica creatura.
Mi avvicinai, rapita da tanta bellezza. Sfiorai appena il manto sul fianco e fui quasi certa di averlo sentito fremere sotto le mie dita. Affondai con più decisione la mano fino a carezzarne la carne bollente. Esattamente come quella di Jacob. Percorsi con una lunga carezza il fianco, la grande spalla ed il collo. Il lupo abbassò la testa in un invito a continuare ed io proseguii lungo l’orecchio, la mascella ed infine presi il muso tra le mani. Perfino nell’altra forma il colore di Jacob era più scuro del mio.
Sorrisi e mi sembrò che anche sul suo volto si aprisse una sorta di sorriso lupesco. Era incredibile, quello era davvero il mio Jacob. Incontrai i suoi occhi e ne ebbi la conferma definitiva. Tutto in lui si era trasformato, ma non i profondi pozzi d’onice che mi incantavano anche in quel momento.
Era lui. Quello era il mio Jacob … forse più se stesso di quanto non lo fosse mai stato prima.

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Capitolo 37
*** CAPITOLO 31 - Freaks ***





 

CAPITOLO 31 – “ Freaks

 
 Senza sapere bene come, mi ritrovai dall’abbracciare il collo di un lupo all’essere aggrappata alle spalle di Jacob. Mi avvolse tra le braccia forti e mi posò delicatamente a terra.
« Va meglio adesso? »
« Sì »
Ritirai lentamente le braccia e nel farlo sfiorai con le dita il tatuaggio sulla sua spalla destra. Pian piano stavo mettendo insieme i tasselli di quel puzzle assurdo.
« Ma allora questo è … »
« Una grande stronzata » mi interruppe sorridendo « Secondo te non lo ricordiamo abbastanza bene che possiamo trasformarci in cani giganti? »
Mi strappò una piccola risata, come ogni volta. In qualche modo Jacob riusciva sempre a farmi sorridere.
« Quindi significa che anche Paul, Seth, Quil, Embry … »
« Sì, tutti »
Mi portai le mani alla bocca, incredula « Seth »
Jacob aggrottò le sopracciglia « Perché ti stupisci solo di lui? »
« Perché lui è rimasto lo stesso. Cioè … non proprio uguale, visto che ora è diventato enorme. Però è sempre così dolce, allegro, vivace. Invece voi…» mi fermai lì.
Stavo parlando senza pensarci su troppo ed inconsapevolmente avevo detto qualcosa che aveva trasformato le rughe sulla fronte di Jacob da segni di stupore a tratti di tristezza.
« Invece noi non siamo abbastanza scodinzolanti? » lo disse con tale amarezza che fu quasi come sputarmelo addosso.
« Intendevo esattamente questo » lo indicai « Guardati, Jake. Passi dall’essere il simpaticone di sempre ad un concentrato di risentimento ».
Jacob sbuffò e voltò il capo di lato, con lo sguardo rivolto a terra. A pensarci bene forse mi stavo comportando male con lui. Cosa potevo saperne di come si era sentito quando aveva scoperto di essere una specie di mostro mutante?
« Scusami » sussurrai « Non dovrei avere la presunzione di giudicarvi. Io forse sarei impazzita al posto tuo: ritrovarsi improvvisamente vittima di leggende assurde, senza alcuna buona ragione, deve essere … »
« Non è così » mi interruppe e i suoi occhi saettarono nei miei « Esiste un’ottima ragione per la quale il nostro gene di mutaforma si attiva. Il mio problema non è essere diventato ciò che sono, ma le conseguenze che ha portato la mia trasformazione »
Si avvicinò e prese le mie mani tra le sue. La temperatura di Jacob era sempre stata più alta della mia ma da quando si era trasformato il suo corpo era diventato letteralmente febbricitante.
« Guardaci, Bells » sussurrò ed avvicinò il suo volto al mio, fissandomi negli occhi « Guarda cos’è successo. Ti avevo promesso che non ti avrei mai lasciata e invece sono dovuto sparire per mesi. Ho dovuto allontanarmi il più possibile da te per non rischiare di farti del male. Quello che sono adesso mi permette di proteggerti da qualsiasi cosa. Qualsiasi, Bella, e non potrei sentirmi più orgoglioso o fiero di me stesso »
Sciolse la stretta intorno alle mie mani, mi raccolse il viso tra le sue e mi guardò per un momento. Lo vidi osservarmi prima gli occhi, poi le labbra ed infine la fronte. Con una mano mi scostò i capelli e con il pollice seguì il contorno irregolare della cicatrice sopra l’occhio. Vidi la sua mascella contrarsi più volte.
« E a quanto pare non è stato abbastanza comunque, non è servito a proteggerti da te stessa » poi sorrise e i suoi occhi si illuminarono « Ma da oggi sarà tutto diverso. Le cose torneranno come prima, anzi meglio! »
Jacob aveva aumentato il tono della voce senza rendersene conto e la luce nei suoi occhi era cambiata in un attimo. Non era più dolce, piuttosto mi pareva sovreccitata.
« Ora ci sono di nuovo io con te, Bells. Finalmente possiamo stare ancora insieme, come se non ci fossimo mai separati »
Avvicinò il suo viso al mio velocemente ma riuscii a rendermi conto subito di cosa volesse fare. Voltai il capo dall’altro lato.
« No, Jacob »
Mi lasciò andare il viso delicatamente, un po’ stupito.
« Non posso » ribadii
« Che significa che non puoi? »
Il suo tono quasi avvilito mi costrinse a guardarlo negli occhi. Lo stavo ferendo, lo capii in un istante. Rividi nel suo sguardo la stessa insofferenza di quando non ricambiavo i suoi ti amo. E anche questa volta, non potevo farci nulla.
« Le cose non torneranno come prima, Jake. Non è vero che sarà come se non ci fossimo mai separati perché la verità è che tu sei andato via per davvero »
Jacob sbuffò sconcertato « Ma è assurdo, Bells! Ti ho appena spiegato che ho dovuto allontanarmi per il tuo bene. Per essere sicuro che non ti avrei mai fatto del male »
« Sì e l’ho capito » deglutii a fatica, cercando le parole giuste per spiegarmi meglio « Ascoltami, Jake. Io non sono più la stessa Bella che hai lasciato. Tu … eri il mio mondo » lo vidi sospirare forte « Eri l’unica certezza che avessi nella mia vita insieme a Charlie, ed improvvisamente sei sparito »
Jacob fece per ribattere ma mi affrettai a continuare
« Ti prego ascoltami per un momento soltanto e cerca di metterti nei miei panni così come io mi sono messa nei tuoi » Jacob incrociò le braccia al petto e io proseguii « Mi fidavo di te come di nessun’altro al mondo. La mia casa eri tu. Quando sei sparito senza lasciare traccia, senza nemmeno rivolgermi la parola, io mi sono sentita morire. Il problema è che una parte di me si è distrutta davvero … ed era quella parte che si fidava di te in maniera incondizionata »
Nei suoi occhi un lampo di comprensione, come se si fosse accorto solo in quel momento di non aver considerato quest’opzione. Doveva aver pensato così tanto alle sue motivazioni da trascurare le mie.
« Non credo che riuscirei a fidarmi di te come prima » confessai
Jacob scattò in avanti, come scosso da qualcosa « Questo non puoi dirlo »
Mi strinsi appena nelle spalle.
« Forse, ma so cosa sento adesso »
Jacob divenne irrequieto ed iniziò a spostare il peso da una gamba all’altra, ad agitare le mani mentre le parole uscivano dalle sue labbra inarrestabili e confuse
« Okay, okay, scusami. Magari … magari hai ragione tu »
Lo fulminai con lo sguardo, lui sollevò le mani in segno di scusa
« Sicuramente hai ragione tu. Ora è difficile fidarti di me, ma ti assicuro che riconquisterò la tua fiducia, me la meriterò, Bells. Tu … tu non puoi dirmi che non ti fiderai più di me, non puoi. Io non posso accettare di non esserti vicino, non posso pensare che ci sia un futuro in cui non avrò la possibilità di riscattarmi, io … »
Jacob non prendeva nemmeno fiato tra una parola e l’altra. Si vedeva benissimo che stava dicendo tutto ciò che gli passava per la testa, preda di una profonda agitazione.
Ma anch’io ero scossa nel profondo. Lo vedevo agitarsi, scusarsi, cercare di rimediare e non potevo fare a meno di pensare che avrei dovuto dirglielo. Avrei dovuto confessargli che oltre al problema della fiducia, adesso c’era qualcos’altro a dividerci. Adesso c’era Edward.
Mi mordicchiai il labbro, tesa, come sempre.
Forse non avrei dovuto farlo. Tutti quei mesi passati con Edward mi avevano in un certo senso fatto abbassare la guardia sui movimenti del mio corpo. Cosa che con Jacob non sarebbe mai accaduta. I nostri corpi avevano una comunicazione tutta loro, che andava ben oltre le parole.
Gli bastò una semplice occhiata al mio gesto, alla mia espressione, al mio corpo per immobilizzarsi e zittirsi. Nello stesso istante capii di essermi fregata da sola. Non avevo idea di come potesse leggermi ancora così bene, dopo tutto quello che era successo. Non potevo credere che mi avesse capita davvero anche in quel momento.
« Ma non è solo questo … eh, Bells? » si inumidì con la lingua le labbra improvvisamente secche « ha! » gridò gettando le braccia in aria.
Ricominciò a pestare l’erba furioso, lo vedevo serrare la mascella e a tratti scoprire i denti, i suoi atteggiamenti a metà fra quelli umani e quelli del lupo. Strinse i pugni tremanti un paio di volte, fin quando non ebbe le mani completamente ferme. Poi voltò di scatto il viso verso di me e mi incenerì con uno sguardo colmo di risentimento. Se gli sguardi avessero potuto uccidere, in quel momento sarei stata morta e sepolta.
Purtroppo, però, gli sguardi non uccidono davvero ed io mi sentii morire della morte peggiore: stavo morendo di dolore, stavo morendo di dispiacere. Io stavo morendo di Jacob.
Provai a dire qualcosa, ma ciò che uscì dalle mie labbra fu – come si conviene ad una moribonda – poco più di un rantolo pietoso.
« M-mi dispiace, Jake »
« Oh, ma vaffanculo, Bells! » gridò, il busto inclinato in avanti « ti dispiace un cazzo! »
Abbassai gli occhi, colpevole.
« E, per Dio, guardami! » gridò ancora più forte.
Obbedii, sollevai lo sguardo  fissandolo poco sotto il suo mento. Vidi il pomo d’Adamo abbassarsi e risalire. Istintivamente deglutii anch’io, cercando di ingoiare il sapore amaro della colpevolezza. Iniziavo a rendermi conto di quello che anch’io avevo fatto solo in quel momento, esattamente davanti alla persona che ne avrebbe fatto le spese.
« Negli occhi, Bella. Guardami dritto negli occhi » sibilò basso e letale.
Ed io, suicidamente, obbedii ancora. Lentamente iniziai con lo sguardo quel percorso doloroso che mi avrebbe condotta all’inferno. I miei occhi incontrarono prima le sue labbra, che piene e scure tremavano di rabbia, lasciando intravedere i denti bianchi, perfetti e digrignati. Poi ci fu il naso, bellissimo, quasi lupesco perfino nella sua forma umana, con le narici dilatate dalla furia. Infine, arrivai ai suoi occhi.
Due pozzi di petrolio in fiamme, luccicanti di disprezzo e rabbia. Pensavo di conoscere ogni sfumatura di quelle gemme scure, ma in realtà non li avevo mai visti così. Disperati, increduli, furibondi.
Io ero la causa di tutto. Mi portai una mano allo stomaco contratto dalla sofferenza. Presi fiato, non sapendo nemmeno da dove avrei potuto iniziare a spiegargli, impaurita dalla reazione che avrebbe potuto avere nello scoprire la verità.
Poi sulle sue labbra si aprì lentamente un ghigno sinistro. Una specie di sorrisetto malevolo, con solo un piccolo angolo della bocca sollevato. In quel momento i suoi occhi cambiarono ancora, un lampo di cattiveria e soddisfazione che non avrei mai pensato di vedere.
« Io so tutto, Bells » sollevò un sopracciglio e il ghigno si allargò « tutto » sibilò.
Il respiro mi si mozzò in gola, e fu come se un macigno mi fosse appena caduto in pieno petto, schiacciandomi i polmoni. Com’era possibile?
Jacob mosse un passo nella mia direzione, il viso indurito in una smorfia spavalda. Si abbassò per arrivare con il viso all’altezza del mio. Per un momento non disse niente, potevo solo sentire il suo respiro caldo ed accelerato dalla rabbia infrangersi contro la mia guancia. Mi sentivo morire, mi sentivo tremendamente in colpa, ma non potevo farci niente. Non riuscivo comunque, nemmeno in quel momento, a rinnegare la salvezza che Edward aveva rappresentato per me.
« Pensavi che avresti potuto gettarti tra le braccia di qualcuno senza che lo venissi a sapere? A maggior ragione se quel qualcuno è un certo Edward Cullen » sussurrava e pronunciò il nome di Edward con tale schifo che subito dopo fu costretto a deglutire « Riesci ad immaginare quanto sia stato piacevole per me vedere nella testa di un fratello le immagini di te abbracciata ad un altro? Di te che accarezzi qualcun altro? Di te che baci – e che Dio mi fulmini in questo momento, anche con molto trasporto – qualcuno che non sia io? » allontanò il viso dal mio quel tanto che bastava per guardarmi dritto negli occhi « Tu come ti saresti sentita? »
Forse ne sarei morta. Ma non ebbi il coraggio di rispondergli. Per non farmi investire in pieno dal suo dolore mi ripetevo continuamente che Edward era stato la mia salvezza, il ghiaccio sulle mie ferite. Ferite che aveva provocato lo stesso Jacob. Ricambiai il suo sguardo, determinata a far valere almeno in parte anche le mie ragioni.
« E tu come ti saresti sentito al posto mio? »
« Distrutto, Bells. Ma puoi scommettere la pelle che per me non avresti continuato ad esistere che tu. Come del resto è stato ».
Provai a ribattere ma fu più veloce di me.
« Oh, ma sai cosa c’è? In un universo parallelo in cui tu non fossi stata la mia unica ragione di vita, forse avrei potuto passarci sopra se avessi scelto una persona qualsiasi. Chiunque sulla faccia di questa Terra, ma non lui. Non quella feccia immonda che non dovrebbe nemmeno esistere. Come hai potuto scegliere quell’essere, Bella? Come diavolo è possibile che tu ti sia gettata tra le braccia della creatura più schifosa e meschina che l’uomo abbia mai conosciuto? »
Indietreggiai, offesa dalle sue parole
« Ma come ti permetti? » sbottai anch’io, tentando di dare una spinta al suo torace ampio che non si mosse nemmeno di un millimetro « Come ti permetti di dire queste cose di una persona che nemmeno conosci? Come osi mettere bocca in una mia scelta dopo essere stato tu stesso la causa di tutto? »
Inaspettatamente Jacob scoppiò a ridere. Una risata tanto amara quanto sinceramente divertita. Indietreggiai ancora, stupita.
« Io lo conosco molto meglio di te, Bells »
« Non dire stronzate, Jake »
« Io non ne ho mai dette, bambina »
« Ah, perché io l’avrei fatto? »
Sbuffò appena, come se avessi detto una cosa ridicola.
« Nah, forse nemmeno tu. Ma lui ti ha riempita talmente tanto di cazzate che quasi mi dispiace per te »
« Ma cosa ne sai tu? Cosa pretendi di sapere? » gridai « Sei sparito subito dopo il suo arrivo ed ora vorresti farmi credere di conoscerlo meglio di me? Sei soltanto incazzato nero! »
« Ah sì? oh, beh vediamo … » si portò una mano al mento e rivolse gli occhi verso l’alto, fintamente pensieroso « … hai notato che i suoi occhi cambiano colore? Ma certo, almeno qualche volta ti sarà successo, mentre li contemplavi imbambolata. E poi … ah sì! magari quando ha tentato di portarti fuori a cena come un essere umano qualsiasi ti sarai accorta di non averlo mai visto mangiare. Oh, aspetta, meglio ancora! » fece ricadere la mano lungo un fianco e strinse talmente forte il pugno che le dita sbiancarono « Quando gli hai permesso di posare le sue luride mani sul tuo corpo per farti accarezzare, per farti toccare, sarai sicuramente rabbrividita e – lascia che te lo dica io, fiorellino – non erano certo brividi di eccitazione »
Mi portai il palmo della mano alla fronte. Avevo anche spalancato la bocca per replicare, ma la verità nelle sue parole amare mi travolse come il mare in tempesta. Non erano cattiverie gratuite quelle.
Improvvisamente mi passarono davanti agli occhi tutti i momenti in cui pensavo di essere impazzita nell’aver visto gli occhi di Edward diventare neri, oppure tutte le giornate passate insieme senza che mangiasse o bevesse nulla, tutte le volte in cui mi aveva anche solo sfiorata e la sua pelle mi era sembrata fredda in maniera innaturale.
Alzai gli occhi in quelli di Jacob, erano furenti ma pieni di risposte che poteva darmi solo lui. Morivo dalla voglia di sapere tutto, ma allo stesso tempo volevo fosse chiaro che Edward era diventato importante per me, e non sarebbe bastato un po’ di fango a sminuire il suo ruolo nella mia vita.
« Lui è importante. Di qualsiasi cosa si tratti non lo pianterò in asso come tu hai fatto con me »
« Scommettiamo, piccola Bells? » inarcò un sopracciglio
Il lato sfacciato di Jacob tirava fuori il peggio di me, e qualche volta – come in quel momento – perfino la cattiveria.
« Tutto quello che vuoi, grande Jacob. Non sono scappata via urlando da un mostriciattolo mutaforma come te, di certo con Edward non potrà andare peggio »
« Invece sì, perché lui è più mostro di me! » gridò forte e alcuni animali nel bosco dietro di lui scapparono via impauriti.
Mi gelai. Lo guardavo con gli occhi spalancati e cercavo di trovare un senso a quella frase. Non poteva fare sul serio. Sentivo i nervi tremare a fior di pelle. La rivelazione di Jacob, tutti quegli stupidi battibecchi che sembra vogliano dire tutto ma alla fine non dicono niente. Mi sentivo stanca e tesa come una corda di violino, volevo soltanto che tutto finisse così come era iniziato. Possibilmente in fretta e con chiarezza. Mi drizzai sulle spalle e quando parlai la mia voce aveva ritrovato un timbro sicuro e deciso.
« Sono stanca di queste mezze frasi, Jacob. Dimmi quello che sai e facciamola finita ».
Jacob espirò forte, chiuse gli occhi e cominciò a tirare dei lunghi respiri profondi per tranquillizzarsi. Con il capo rivolto all’indietro e la mascella contratta, i miei occhi vagarono sul suo corpo per la prima volta da quando si era ritrasformato. I muscoli bruni e torniti lentamente venivano abbandonati dal tremore che li scuoteva. Il petto forte andava su e giù guidato dai polmoni che si riempivano d’aria, potevo quasi immaginare il diaframma tendersi e rilassarsi al di sotto del suo torace. Il ventre, piatto e dagli addominali che sembravano scolpiti nel bronzo, lentamente andava perdendo la tensione trattenuta fino a quel momento. Fu solo quando seguii le linee perfette dei suoi fianchi scendere lungo le forti cosce che mi resi conto per la seconda volta della sua nudità.
Ancora una volta arrossii ma, forse consapevole di non essere vista, non riuscii ad abbassare lo sguardo. Jacob era talmente bello da catturarmi. Certo, lo era sempre stato, ma in quei tre mesi era cresciuto talmente tanto da sembrare un vero uomo. Per un istante mi sembrò di non averlo mai conosciuto. Mi sentii come una ragazza qualsiasi che posa gli occhi su di un uomo incredibilmente attraente e spera soltanto che lui la inviti a bere qualcosa.
Jacob abbassò lentamente la testa ed io abbandonai la contemplazione del suo corpo. Quando riaprì gli occhi mi trovò con le guance in fiamme. Prima ancora che potesse aprirsi un sorriso malizioso su quelle splendide labbra incrociai le braccia al petto e sollevai anch’io il mento.
« Magari sarebbe il caso che tu ti rivestissi, prima di parlare »
Come se avessi detto tutt’altro, Jacob si drizzò sulle spalle, tirò il petto in fuori e pose con decisione le mani sui fianchi. Poi sorrise, e lo fece in maniera tanto sfacciata e maliziosa che chiunque al mondo sarebbe stato combattuto tra lo spaccargli la faccia e il gettarsi tra le sue braccia.
« Non mi pare che ti sia mai dispiaciuto quello che vedi »
Io avrei decisamente scelto la prima.
Ma prima che potessi muovermi o rispondergli come meritava, Jacob si avviò verso il cespuglio, urtandomi leggermente il braccio passandomi accanto. Qualche minuto dopo tornò davanti a me vestito soltanto dei suoi jeans stropicciati. Indicò il tatuaggio sulla spalla.
« Sai come ci chiamano quelli del mio popolo, Bells? … Protettori . Perché quello che siamo è nato secoli fa affinché potessimo proteggere la tribù dai predatori più meschini che siano mai esistiti. Esseri che uccidono per sostenere i loro corpi morti da secoli. Creature che si nutrono del sangue e della vita delle persone. Vampiri, Bella, e il tuo adorato Cullen è uno di loro »
Forse stavo impazzendo sul serio, ma in risposta scoppiai in una risatina breve ed acuta, quasi isterica. Pensai che volesse solo prendersi gioco di me. Poi il suo sguardo si fece più intenso, e la risata mi morì in gola. Possibile che stesse dicendo la verità?
Sentii le ginocchia diventare molli, mossi qualche passo all’indietro senza staccare lo sguardo dal suo, e quando riuscii a toccare con la mano il masso alle mie spalle mi ci sedetti sopra. Ancora incredula trovai un respiro per parlare.
« V-vorresti dire c-che Edward è … » agitai una mano, incapace di finire la frase
« Un fetido succhiasangue. Proprio così »
« Non è uno scherzo, Jake? Perché giuro che stavolta non … » deglutii a fatica
« Non hai proprio idea di quanto vorrei che fosse tutto uno scherzo »
« Oh mio Dio » sospirai abbassando la testa e raccogliendola tra le mani.
Chiusi gli occhi e respirai profondamente cercando di arrestare la ribellione del mio stomaco a quella notizia. Ma dove diavolo ero finita? In un film dell’orrore? Forse avevo sbattuto la testa e ora mi trovavo in una specie di incubo, in un delirio, in un’allucinazione! Possibile che nel mondo reale esistessero davvero i mostri? Avevo sempre snobbato l’horror spicciolo con vampiri protagonisti di film surreali … e adesso?
Adesso dovevo affrontare il fatto che il ragazzo che frequentavo da qualche mese fosse un vampiro. Nella mia testa le informazioni vorticavano alla velocità della luce, confuse tra centinaia di domande. Com’era possibile che nessuno si fosse mai accorto di nulla? Come potevano camminare liberamente alla luce del sole? Avevano ucciso della gente? Edward aveva ucciso qualcuno? … Perché non aveva ucciso me?
Sentii il sangue gelarsi nelle vene e un giramento di testa mi costrinse a sedermi sull’erba e poggiare la schiena al masso.
« Bella, tutto bene? »
Jacob si avvicinò e mi posò le mani sulle spalle. Non riuscii a rispondergli, ancora sotto shock. Lui mi prese il viso tra le mani e il loro calore fortissimo mi fece sentire subito meglio. Sospirai appena e abbandonai la testa alla sua presa forte e sicura. Aprii lentamente gli occhi. Jacob era lì che mi fissava, sopracciglia corrucciate e sguardo pieno di apprensione.
« Bells, rispondimi! »
Una folata di vento mi scompigliò i capelli e un brivido di freddo mi percorse tutta la schiena. Jacob mi scostò i capelli dal viso, si sedette accanto a me e mi avvolse le spalle con le braccia. Solo in quel momento notai che si era fatto buio.
« Va tutto bene, Jake. Sono solo un po’ scossa »
Fece per dire qualcosa ma lo zittii subito. Volevo restare un momento sola con i miei pensieri. Cercavo di riordinarli, di accettare quelle rivelazioni incredibili, ma più di ogni altra cosa ero alla disperata ricerca della paura.
Tra le migliaia di cose che mi frullavano nella testa e nell’animo non ce n’era nemmeno un accenno. Qualsiasi altra persona al mio posto forse sarebbe morta di terrore, invece io niente. Anzi, addirittura questa era la cosa che probabilmente mi spaventava più di tutto: il fatto che non nutrissi nemmeno un’ombra di timore.
Ci ragionai brevemente. Forse non ero del tutto fuori di testa e una spiegazione era possibile. Per me, Jacob e Edward erano semplicemente loro: due ragazzi testardi e pieni di difetti così come di pregi. Prima di conoscere il loro lato sovrannaturale io li avevo conosciuti come persone. Sapevo chi erano, di conseguenza il cosa fossero poteva quasi passare in secondo piano.
Quasi.
E qui ancora una volta mi stupii della mia anormalità. Non volevo ammetterlo, non volevo crederci, ma la verità era che da un paio di minuti c’era un pensiero fisso che aleggiava tra gli altri come una nebbiolina. Qualcosa di fastidioso che acquistava sempre più importanza col passare dei secondi, sgomitando e facendosi largo tra tutti gli altri pensieri, fino ad arrivare ad urlarmi nella testa.
Io ero incazzata nera.
Non avevo paura, non avevo crisi esistenziali, ma ero incazzata come una iena. In un secondo tutta la rabbia mi esplose nel petto come una bomba, arrivando forse alla più infantile delle considerazioni, ma era quella che mi mangiava dentro.
Il fatto che Edward fosse un vampiro era momentaneamente irrilevante rispetto al fatto che mi avesse mentito praticamente da sempre. Fin dall’inizio, e poi sempre più gravemente man mano che la nostra conoscenza cresceva così come le bugie, fino ad arrivare al massimo della falsità quando avevamo iniziato ad avere una storia.
Le mani cominciarono a tremarmi dalla rabbia e mi sentii stringere lo stomaco in una morsa furente mai provata prima di allora. L’unica persona che mi era stata accanto dopo il dolore di Jacob, l’unico di cui mi ero fidata, l’unico al quale avevo concesso di avvicinarmi, la persona che ritenevo importante come poche altre, colui che avevo ritenuto diverso, affidabile e puro … in realtà non aveva fatto altro che mentirmi.
« Bastardo » sussurrai.
Jacob si irrigidì appena al mio fianco « Come dici? »
Mi alzai di scatto sgusciando via dal suo abbraccio e gridai più forte « Bastardo! » con le lacrime agli occhi e il risentimento che mi strizzava lo stomaco.
« Oh no, non devi avere paura, Bells. Ci sono io adesso a proteggerti » Jacob si sollevò in piedi allungando le mani verso di me.
Le scansai bruscamente mentre continuavo a pestare l’erba e a proferire una serie di improperi che non ricordavo nemmeno di conoscere « Non ho paura, idiota! »
Jacob sussultò e sgranò gli occhi. Forse pensava che fossi del tutto pazza, e sinceramente in quel momento non avrei avuto nessun valido motivo per dargli torto.
« Non ho affatto paura, sono arrabbiata. Arrabbiata da morire! » gridai « Sono incazzata come mai prima di adesso e voi … » puntai un dito nella sua direzione «…voi siete davvero dei mostriciattoli. Tu e quell’altro bastardo siete veramente delle bestie che non si curano altro che di loro stesse! Cosa c’è?! Credete di poter trattare le persone come vi pare, come se non dovessero godere di alcun rispetto?! Eh?! Come funziona tra i mostri, Jake?!» gridavo talmente tanto che potevo sentire le vene del collo pulsare.
Jacob indietreggiava ad ogni parola, mente io lo incalzavo, preda di una furia che mi accecava completamente.
« Mi avete trattata come un burattino, senza valutare nemmeno per una volta che anch’io ho delle opinioni! Che anch’io merito rispetto e sincerità! E…» mi bloccai, colpita dall’ovvietà di un pensiero.
Smisi di gridare e mi incamminai verso il limitare della radura.
« Dove stai andando, Bella? » gridò
Non mi voltai, ero furente « A gridare le stesse cose in faccia all’altro responsabile di questa situazione »
« No, tu non ci vai da quelle sanguisughe! » mi raggiunse in pochi passi
Mi voltai e gli urlai in viso quasi potessi mangiarlo vivo « Non ti azzardare a dirmi cosa cazzo posso o non posso fare! »
Jacob ci penso su soltanto un istante, nel quale dovette valutare le mie effettive condizioni di furia totale.
« Allora verrò con te »
« Non potrei chiedere di meglio » sibilai a denti stretti, mentre lo incenerivo con lo sguardo prima di ricominciare la marcia furibonda verso casa.

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Capitolo 38
*** CAPITOLO 32 - Umanamente io ***



 


CAPITOLO 32 – “ Umanamente io

 
 La cosa divertente era che mentre guidavo ero arrivata a chiedermi se fosse mai esistito, nella storia del mondo, un essere umano che si era messo contro un licantropo ed un vampiro allo stesso tempo. Probabilmente no, altrimenti un’impresa tanto memorabile non sarebbe passata inosservata. O, più verosimilmente, quell’uomo era esistito, aveva tentato l’impresa, ma ne era uscito sconfitto – da leggersi come morto.
Qual’era la cosa divertente?
Che stavolta era una donna a provarci. Già questo sarebbe bastato a rendere meno scontato l’esito dello scontro. Oltretutto, la donna in questione era un concentrato di furia e risentimento, per cui … due a zero per l’umana. E terzo, ma non per questo meno importante, quella donna, quell’umana infuriata, ero io. E non avevo alcuna intenzione di uscirne sconfitta.
Ma del resto, quando mai avevo avuto ragione su qualcosa?
 
 
Jacob aveva tentato d’insistere perché fosse lui a guidare, ma alla fine ero salita in macchina senza nemmeno ascoltarlo. Avevo avviato il motore e l’unica alternativa che aveva avuto era stata quella di montare a bordo prima che partissi, o avrebbe dovuto tentarci in corsa. Ora era seduto al mio fianco mentre guardava fuori dal finestrino e continuava a borbottare qualcosa circa il fatto che avessi completamente perso la ragione. Non mi andava di controbattere, anche perché non ne avrei avuto motivo. Forse ero davvero uscita di testa ma poco mi importava, quello che volevo era soltanto dirne quattro ad entrambi.
Jacob cambiò posizione mettendosi comodo e io cominciavo a non sopportare più il calore asfissiante che si stava creando nell’abitacolo per colpa sua e del suo nuovo corpo febbricitante da lupo. Mi sembrava di scarrozzare in giro un’enorme stufa a legna. Tirai giù il finestrino sbuffando e gli lanciai un’occhiataccia. Il freddo della sera fortunatamente arrivò tempestivo in mio aiuto, graffiandomi il viso.
Jacob sbuffò a sua volta, anche se sinceramente non capivo proprio perché ne avesse motivo. Saggiamente però non disse nulla, forse il suo istinto da lupo gli aveva suggerito di tenere la boccaccia chiusa se voleva conservare intatta la pelle fino a che lo Chevy era in movimento.
« Scatenerai una guerra, Bells. Ma non lo capisci? Non che mi dispiaccia, non aspetto altro, ma ci sono dei fratelli che non mi andrebbe proprio di vedere azzoppati così giovani. Che ne so, uno a caso … Seth, per esempio? »
Ecco, mi sembrava strano che non ricominciasse. Erano almeno dieci minuti che mi ripeteva quella storia dei territori. Lui, come gli altri lupi, non poteva mettere piede nel territorio dei Cullen e viceversa, altrimenti il patto era rotto, si sarebbe scatenata una battaglia all’ultimo sangue e bla bla bla. Mentalmente risi alla scelta azzeccata dell’espressione “all’ultimo sangue” prima di rispondergli.
« Nessuno ti ha chiesto di venire con me. Se vuoi puoi scendere subito dalla macchina e ti ricordo che usare il mio attaccamento a Seth non servirà a nulla nella tua opera di persuasione »
Borbottò ancora in risposta, infastidito, anche se al mio orecchio arrivarono solo stralci di proteste tipo “porterai sulla coscienza”. Se non la smetteva fra non molto mi sarei portata sulla coscienza anche il tentato omicidio del mio ex migliore amico nonché ex ragazzo.
Fu un secondo e da dietro la curva che stavo per imboccare sfrecciò nella corsia opposta la Volvo di Edward. Jacob scattò a sedere mentre quello che potevo definire unicamente come un ringhio saliva forte dal suo petto. Mi fece leggermente impressione, ma non ci badai più di tanto. Piuttosto mi seccava dover tornare indietro e raggiungere Edward dovunque stesse andando. Terminai la curva e non ebbi nemmeno il tempo di sbuffare che vidi la macchina grigia spuntare dietro di me. In pochi secondi mi fu incollato al paraurti e riuscivo a vedere la furia nei suoi occhi neri perfino dallo specchietto retrovisore. La domanda mi nacque spontanea.
« Che significa quando hanno gli occhi neri? »
Jacob in risposta ringhiò ancora più forte, scoprendo perfino i denti.
« Se non me lo dici tu adesso, lo chiederò a lui dopo. O comunque lo verrò a scoprire in qualche modo »
« Vuol dire che sono assetati » mi rispose spazientito « o che sono furibondi. E comunque avrebbe risposto lui stesso a questa domanda, dato che ti può sentire tranquillamente da lì »
« Benone » sussurrai.
Non diedi tempo né all’uno né all’altro di assimilare la mia risposta che sterzai bruscamente verso un tratto sterrato nella foresta alla mia destra. Ovviamente la Volvo non trovò alcun ostacolo nel seguirmi. Frenai poco dopo aver abbandonato l’asfalto, lasciando giusto lo spazio ad Edward per fermarsi dietro lo Chevy, poi tirai il freno a mano e scesi sbattendo la portiera.
« Ma ti pare che ti fermi sul ciglio della strada, Bells? » mi gridò Jacob, lasciando la portiera del passeggero spalancata.
« Non mi interessa, oggi è Natale e le persone normali sono tutte in casa a festeggiare. Sono sicura che a nessuno salterà in mente di venire a controllare se sul ciglio della statale ci siano una ragazza infuriata, un vampiro ed un licantropo che si scannano ».
Forse si sarebbe anche messo a ridere se Edward non gli fosse piombato addosso in meno di un secondo, bloccandolo fra le sue braccia e il mio pickup.
« Cosa le hai raccontato, cane? » gli gridò in faccia
Jacob ringhiò tanto da far vibrare lo Chevy e con una sola spinta lo scaraventò tra gli alberi.
« Ancora troppo poco, succhiasangue » rispose senza scomporsi più di tanto.
Edward si rialzò e si mise in una posizione che mi ricordava molto quella dei gatti quando stanno per saltarti addosso, così fui io a gridare.
« Ma siete impazziti? Vi pare questo il momento per una scazzottata? »
Entrambi mi guardarono con un’espressione che gridava se-non-ora-quando? Poi Edward parve tornare leggermente in sé. Forse si rese conto della situazione in cui si trovava con la sottoscritta e si rimise in posizione eretta. Sul suo volto si dipinse una maschera contrita, di dolore sincero, che in qualsiasi altro momento mi avrebbe fatto stringere il cuore insieme a quegli occhi da uomo disperato. Ma non in quel momento. Si incamminò verso di me, ma quando fu a pochi passi dal raggiungermi Jacob frappose un braccio tra di noi.
« Non ti avvicinare o te la vedrai con me »
« Lo sai che non aspetto altro, bastardo »
« Smettetela subito » mi imposi decisa.
Entrambi mi guardarono. Jacob tremava dalla rabbia, Edward sembrava una statua scolpita nel marmo, ed io in quel momento volevo parlare principalmente con la statua.
« Tu mi hai mentita » lo fissai negli occhi neri, come non li vedevo da tanto tempo
« Non avrei mai potuto dirti la verità »
« Perché? Credevi che non l’avrebbe retta? » si intromise Jacob.
Edward ringhiò a sua volta « No, cane. Forse io semplicemente non sono senza scrupoli come te »
« Puah! Una sanguisuga che si definisce senza scrupoli, questa sì che è bella, devo raccontarla al branco appena torno in riserva »
« State zitti! » gridai « Pensate che sia possibile tentare di avere una discussione costruttiva? » mi voltai verso Jacob « Se non ti dispiace vorrei chiarire un paio di cose con Edward, prima »
« Come vuoi, ma io da qui non me ne vado »
Jacob indietreggiò di un passo soltanto, poggiandosi con la schiena al pickup che si inclinò appena sotto il suo peso, poi incrociò le braccia al petto e puntò lo sguardo dritto su Edward.
Mi voltai anch’io verso quello che, ufficialmente, era ancora il mio ragazzo.
« Come hai potuto riempirmi così tanto di bugie? Ti rendi conto che tutto quello che abbiamo non è altro che un pugno di mosche? » Edward aprì bocca per protestare « E non provare a dire che ho torto, perché le cose stanno esattamente così. Ti ho dato la possibilità di avvicinarti, ho cercato di capire cosa nascondessi in quegli occhi tanto tormentati e tu cos’hai fatto? Ti sei preso gioco di me, raccontandomi un sacco di bugie. Magari non è vero niente di quello che mi hai raccontato su di te, magari è la stessa copertura che usi da secoli e io non sono altro che una delle tante »
« Non è così, Bella, cerca di capire … »
« No, cerca di capire tu, Edward! » gridai « Io mi sono fidata di te. Tu mi hai soltanto presa in giro »
Edward si avvicinò e prese le mie mani tra le sue. Dalle mie spalle arrivò il ringhio infastidito di Jacob ma Edward lo ammonì con lo sguardo, prima di posarlo su di me.
« Esistono delle leggi per quelli come noi, Bella. Una di queste ci vieta di far conoscere agli umani la nostra vera natura … come del resto dovrebbe essere anche per i cani » sibilò rivolto a Jacob.
« Pensa a te, succhiavita »
Sfilai le mani da quelle di Edward, infastidita.
« Per una volta devo concordare con Jacob. Pensa a te, Edward. Pensa a noi! »
Ero sconvolta da tutta quella situazione e le mie parole sembrarono riportare anche Edward alla persona che avevo conosciuto e che pensavo di conoscere.
« Scusami, ti prego perdonami » sussurrò mentre lentamente si inginocchiava ai miei piedi.
Entrambi ignorammo la risatina che Jacob a stento riuscì a trattenere.
« Vago su questa terra, in questa vita, da oltre cento anni e tu sei stata l’unica persona in grado di ridare vita al mio cuore. Dal momento in cui ti ho vista la mia intera esistenza è stata sconvolta e il mio unico desiderio era quello di starti accanto. Tu dovresti vederti, Isabella » i suoi occhi si scaldarono, e ritrovai il ragazzo di cui mi ero fidata « Sei così delicata ai miei occhi, così fragile. Anche se le nostre leggi non fossero esistite come avrei mai potuto pensare di sconvolgere la tua vita con una tale rivelazione? Con quale coraggio avrei trovato le parole per confessarti che ero un mostro? »
Non sapevo perché, ma era esattamente quello che mi ero aspettata che mi dicesse. Sospirai, e poi gli risposi, con tutto il carico di sconfitta che mi sentivo pesare sulle spalle.
« In questi casi non serve il coraggio, Edward, basta il rispetto. Se tu avessi avuto un briciolo di rispetto per me, la mia intelligenza, la mia persona, non mi avresti ingannata così. Guardami, ora lo so, so cosa sei. Eppure ti sembra che io sia impazzita? Beh, forse lo sono, ma non per il motivo che immaginavi tu. Non mi importa di cosa sei, ma non posso sopportare l’idea che tu mi abbia mentita così a fondo »
« E non sai nemmeno tutto » aggiunse Jacob alle mie spalle.
Vidi Edward irrigidirsi e poi sollevarsi in piedi molto lentamente, con un’espressione un po’ incredula sul volto.
« Cosa vuoi dire? » mi voltai
« Non ti permettere … » sibilò Edward
Jacob affinò lo sguardo e proseguì « Non ti sei chiesta come mai lui sapesse già tutto, quando siamo arrivati qui? »
L’ovvietà di quella domanda mi colpì in pieno. Aveva ragione, ma io ero così offuscata dalla rabbia che non avevo pensato a nient’altro in quel momento, se non al chiarimento che stavo per pretendere.
« Sei uno sporco bastardo »
« E tu sei uno schifoso manipolatore, insieme a quel mostro di tua sorella »
« Cosa significa? » mi intromisi, prima che Edward potesse scattare di nuovo verso Jacob.
Edward mi guardò e nei suoi occhi lessi qualcosa di quanto più simile alla colpevolezza che avessi mai visto.
« Rispondimi per favore » insistetti « Come facevi a sapere cos’era successo? Come facevi a sapere che stavo venendo da te? »
Ci fu un momento di pausa durante il quale tentai di vagliare alcune soluzioni, ma nessuna di quelle che riuscivo ad immaginare mi sembrava potesse andare bene. Semplicemente, iniziai a prepararmi a qualche altra confessione sovrannaturale, sperando che il mio sistema nervoso potesse reggere ancora un po’ prima di mandarmi a quel paese.
« Alcuni di noi hanno … delle doti » confessò ad occhi bassi
« Che genere di doti, Edward? »
« Sono più che altro caratteristiche che qualcuno di noi aveva da umano che però, non si sa come o perché, vengono enfatizzate con la trasformazione e … ci ritroviamo ad avere delle capacità particolari »
« Non ti ho chiesto come, ti ho chiesto cosa » lo interruppi.
La tensione nella mia voce era specchio di quella che sentivo nello stomaco, e per un secondo soltanto mi meravigliai che Jacob ci stesse lasciando avere quella conversazione senza dirne nemmeno una delle sue. Forse si stava già godendo abbastanza la situazione.
« Non sapevo cosa fosse successo, ma l’ho capito quando ti ho sentita fare quella domanda poco fa in macchina. E non sapevo che stessi venendo da me. »
« Vuoi smetterla di riempirmi di balle? » alzai la voce
« Sto dicendo la verità! »
« E allora dilla tutta, per una buona volta »
Edward tentennò, poi alla fine si decise a dirmi tutto.
« Alice ha la dote di vedere il futuro »
Spalancai occhi e bocca. Ma mi stava prendendo in giro? Anche se, ormai, non c’era più nulla a cui non potessi credere dopo quel giorno. Forse era la vita stessa che si stava prendendo gioco di me.
« Cos.. » tentai di dire, ma a quel punto lui sembrava deciso a parlare.
« Ognuno di noi prende delle decisioni nella vita quotidiana ed Alice è in grado di seguirle, prevederle e di vedere il loro esito. Però, purtroppo, non riesce a vedere nulla che riguardi i cani e di conseguenza nemmeno delle persone che gli stanno intorno. Come te oggi per esempio. Quando sei improvvisamente sparita dalle visioni di Alice ho capito immediatamente cosa stesse succedendo e ho cercato di raggiungerti »
« Aspetta, aspetta. Fermati » sollevai le mani nella sua direzione.
Boccheggiai per un momento, cercando di aiutare il mio cervello perlomeno garantendogli un grosso apporto di ossigeno. Metabolizzavo l’informazione e al tempo stesso mi chiedevo se prima o poi mi sarei svegliata, scoprendo che era tutto soltanto un sogno ridicolo. Ma ovviamente non cambiò niente. Nessun pizzico che ti riporti al mondo reale, quindi il mondo reale doveva essere sicuramente quello in cui mi trovavo in quel momento, per quanto pazzo fosse.
Evidentemente, però, l’ossigeno dovette fare un giro strano perché ancora una volta mi ritrovai ad avere una reazione inaspettata a quelle rivelazioni. Ancora una volta le mie considerazioni su di un fatto paranormale, nella mia testa si riducevano ad elementi estremamente umani.
« Questo vuol dire che … Alice mi … mi teneva … sotto controllo? » faceva strano perfino anche a me pronunciare quelle parole da film scadente. « Teneva sotto controllo me o le decisioni che prendevo? »
Pregai intensamente che mi dicesse di no, che mi ero sbagliata. Non aveva potuto farmi anche quello, no.
Ma ancora una volta Edward abbassò lo sguardo, confermando in pieno i miei timori. Allora la mia rabbia tornò più forte di prima, riuscii quasi a sentirla esplodermi dentro.
« Ma come ti sei permesso? » gridai « Chi sei tu per venire nella mia vita, riempirmi di bugie e tenermi addirittura sotto controllo? Ma ti rendi almeno conto di quello che hai fatto? Sei uno stronzo, Edward! Sei solo uno stronzo, bugiardo, egoista! » mi dimenavo come se avessi messo le dita nella presa della corrente.
Edward fece una smorfia di dolore e tentò di avvicinarsi.
« Ti prego, non fare così. Era per il tuo bene, non volevo che ti potesse mai accadere nulla di male. E questo è esattamente il motivo per cui non volevo che venissi a sapere tutto »
Quelle parole mi infiammarono ancora di più il cervello. Pestai l’erba e diedi un calcio alla ruota dello Chevy, mentre Jacob guardava tutta la scena con un sorriso soddisfatto in volto. Ma erano tutti impazziti?
« Tu sei pazzo! » gridai contro Edward con tutto il fiato che avevo in corpo « Sei un pazzo maniaco e credo sia l’unica cosa vera che conosco di te. E tu! » puntai un dito contro Jacob « Ti stai divertendo abbastanza? Lo spero per te, perché questo sarà l’ultimo spettacolo che ti offro! »
« Andiamo, Bells, e io che c’entro? »
« Tu mi hai abbandonata come se non valessi niente! »
« Ma l’ho fatto per il tuo bene »
« Il prossimo di voi due che si azzarda a dire che ha fatto qualcosa per il mio bene giuro che gli stacco la faccia a morsi » sibilai seria
« L’unica cosa che potresti fare per il suo bene sarebbe sparire dalla sua vita » si intromise Edward
« Oh, ma senti da che pulpito. Tu a quest’ora dovresti essere soltanto un mucchietto di polvere »
Edward si avvicinò a Jacob con fare minaccioso.
« Almeno io non rischio di sfregiarla a vita se mi saltano i nervi »
Jacob non si tirò indietro, facendo un passo verso Edward e trovandosi ad affrontarlo muso a muso.
« Già, hai ragione, tu la dissangueresti. Togliendogliela direttamente, la vita »
« Non paragonarmi a te, bestia. Io riesco a controllarmi meglio di quanto tu possa arrivare a fare in una vita intera »
« Certo, perché tu sei bravo nel controllare perfino la testa degli altri, non è vero? »
« Non osare … »
« Cosa? » Jacob quasi poggiò il suo naso su quello di Edward « Farle finalmente sapere che riesci a frugare nella testa della gente? » Edward ringhiò.
Io, che fino a quel momento avevo assistito incredula e quasi schifata a quella scena in cui a nessuno dei due pareva importare che ci fossi anch’io, mi portai istintivamente le mani alla testa.
« Oh Dio » intrecciai le dita ai capelli.
Non era possibile. Tutto ma non quello. Non poteva essere arrivato fino a quel punto senza dirmi niente.
« Di tutti meno che di lei, bastardo » sibilò Edward.
In un secondo tutta la tensione tra noi parve allentarsi. Jacob spalancò gli occhi e indietreggiò, colpito da quella che doveva essere una novità perfino per lui. Io mi poggiai con tutto il peso allo Chevy dietro di me, sospesa tra il sollievo che i miei pensieri fossero stati al sicuro e lo shock di quelle novità. Edward inspirò a fondo e poi il suo sguardo iniziò a saltare da me a Jacob e viceversa.
Un piccolissimo sorriso cattivo si aprì sulle sue labbra, in quel momento esangui.
« Oh, non lo sapevi, cucciolo? Quanto mi dispiace. Forse così imparerai a tenere il muso serrato invece di traumatizzare Bella »
« Non potrei essere più contento per lei, invece » rispose Jacob che mi sembrava ancora un po’ stupito di quella notizia « E io non la traumatizzo affatto. La tratto semplicemente con rispetto, dicendole tutto quello che merita di sapere »
« No, tu sei soltanto uno sporco cane egoista e presuntuoso che … »
« State zitti »
Per un secondo quasi non riconobbi la mia voce. Avevo pronunciato quelle due parole quasi sottovoce, eppure erano bastate a far ammutolire entrambi. Ero stanca, incredula, sconvolta, e tutto questo era stato palese nel tono apparentemente pacato che avevo utilizzato.
Mi sentivo stravolta, e più che dai contenuti lo ero dal modo in cui quei due si erano scannati per tutto quel tempo davanti a me, in una sorta di gara a chi sputava meglio addosso all’altro. Per la prima volta assorbii tutta la portata delle emozioni che stavo provando e l’impatto fu devastante. Nessuno dei due si era sinceramente preoccupato di me. A nessuno dei due era saltato in mente che potessi avere qualcosa da dire, come se avessi un cervello talmente debole o influenzabile da non poter formulare un giudizio da sola, senza le loro rispettive accuse.
Li guardai, uno per volta, e perfino in quel momento lessi nei loro sguardi una scintilla di incredulità mista a timore. Timore che stessi per perdere il senno da un istante all’altro, come se non fossi in grado di sostenere quella situazione. Ovviamente in quel senso si sbagliavano, ma su di una cosa avevano centrato il punto entrambi. Stavo per crollare, e lo feci nella più normale ed umana delle maniere.
Iniziai a sgretolarmi. Internamente e senza fare troppo rumore, usando le ultime forze per non ridurmi in macerie davanti a loro, o almeno non prima di aver detto la mia.
« Avete finito la gara di testosterone? Perché di questo credo si tratti, a meno che uno di voi adesso non se ne esca con qualche altra rivelazione sovrannaturale, del genere che in realtà possedete qualche altro tipo di ormone da supereroi. »
Nessuno dei due fiatò, completamente spiazzati dalla calma serafica che dimostravo in quel momento. In realtà stavo solo sfruttando l’ultimo barlume di lucidità che possedevo, prima di implodere definitivamente.
« Bene, sinceratami che nell’organismo di entrambi circola dell’umanissimo testosterone ora posso continuare. Io non sono un oggetto, un trofeo da conquistare o, peggio, un territorio da marcare. Che ci crediate o meno, Isabella Swan ha un cervello che funziona, se non alla perfezione, quantomeno bene. »
Mi rimisi dritta sulle spalle, scostandomi dallo Chevy, sostenendo di nuovo tutto il mio peso da sola, sperando che afferrassero anche quello come metafora di quanto stavo dicendo.
« Voi due mi fate schifo. Nessuno escluso, nessuno di più o di meno dell’altro. Mi fate voltare lo stomaco allo stesso identico modo, perché mi avete trattata entrambi alla stessa identica maniera. Come se fossi un’inetta, una poveraccia che non è in grado di badare a sé stessa o agli imprevisti della vita. E’ vero, non sono un mutante, così come non ho idea di cosa voglia dire una vita da vampiro. Ma io conosco il mondo forse meglio di voi. Siete così presi da questo vostro piccolo mondo di mostri da non rendervi più conto di quale sia la vita vera.
Ho diciotto anni, e nella mia giovane esistenza ho affrontato il divorzio dei miei genitori, lo sgretolarsi della mia famiglia. Mi sono trasferita da un capo all’altro dell’America almeno tre volte, sradicando ogni punto fermo che fossi riuscita a costruire e affrontando una vita nuova, tirandomi su le maniche per crearmene di nuovi. Come se non bastasse, nell’arco di tempo fra questi trasferimenti, ho dovuto sempre vestire i panni dell’adulta della situazione, con una madre che – anche senza rendersene conto – non era in grado di badare responsabilmente nemmeno a sé stessa, figuriamoci a due persone. E quando credevo che finalmente tutto potesse iniziare a mettersi a posto anche nella mia vita, vengo abbandonata come un giocattolo usato dal compagno che pensavo avrei avuto al mio fianco per il resto della vita. Ma tutto questo ancora non bastava, evidentemente, perché dopo l’oceano di dolore che ho affrontato, e dopo aver trovato la forza d’animo per tornare a fidarmi di qualcuno, scopro che anche questa persona è soltanto un altro pugno nello stomaco che la vita mi ha riservato. »
Mi interruppi solo quando mi resi conto che un nodo enorme stava per soffocarmi. Gli occhi mi bruciavano da impazzire, ed ero sicura che le lacrime mi stavano solcando il viso copiose. Non me ne curai, anzi, forse me l’aspettavo. Era prevedibile che scoperchiando tutte le scatole piene di dolore del mio passato mi sentissi così. Stanca, distrutta, provata, ma non per questo meno forte.
Entrambi i ragazzi che fino a quel momento non avevano pensato ad altri che a loro stessi mi guardavano con occhi nuovi. Come se solo in quel momento capissero cosa avevano fatto, quanto mi avessero sottovalutata, quante cose di me non avevano messo in conto nel momento in cui avevano deciso cosa fare della mia vita. Perché era questo l’errore più grande che non avrei mai perdonato a nessuno dei due. Avevano creduto che non fossi in grado di affrontare la realtà dei fatti, non rendendosi conto che quelli che non riuscivano a guardare oltre il proprio naso fossero loro stessi.
Tirai su col naso, mi asciugai gli occhi e mi schiarii la voce. Volevo essere certa che non prendessero quelle parole soltanto come una cosa del momento. Parlai piano e pacatamente.
« Per questo ora andate a fanculo entrambi. Sono in grado di badare a me stessa meglio di quanto possiate fare voi due messi insieme. Non voglio più vedervi. »
Mi voltai senza nemmeno la voglia di guardare le loro facce o la loro reazione alla mia decisione. In quel momento decisi che prima di ogni altra cosa, prima di chiunque, avrei messo soltanto me stessa. Girai intorno allo Chevy e salii a bordo con lo sguardo di entrambi puntato addosso, immobili. Misi in moto e mentre rientravo in carreggiata mi chiesi se una volta andata via si sarebbero uccisi con le loro stesse mani.
Mi risposi che non mi importava.
L’unica cosa di cui realmente mi importava in quel momento era di riuscire ad arrivare a casa ancora tutta intera, prima di crollare in mille pezzi che avrei ricomposto ancora una volta da sola.

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Capitolo 39
*** Avviso, Buone Vacanze! ***


buone vacanze  

Lo so, avevo detto che avrei postato un capitolo prima di partire, me l'ero ripromesso, ma purtroppo non ce l'ho fatta. Piuttosto che pubblicarvi uno sgorbietto non finito e pieno di errori, preferisco lasciar perdere. Mi dispiace immensamente di avervi fatto attendere così a lungo senza dare nulla in cambio, ma prometto di darvi il meglio al ritorno delle vacanze. Infatti, auguro ad ognuna/o di voi una splendida estate, proprio come la desiderate o l'avete programmata, che sia in pieno relax o all'insegna del divertimento puro.
Per quanto riguarda me, domattina prenderò il volo verso la mia vacanza, durante la quale spero davvero di riuscire anche a scrivere qualcosina. Per questo, a chiunque ne abbia ancora voglia, do appuntamento a Settembre per i nuovi capitoli di Undisclosed Desires.

Vi ringrazio infinitamente, abbracciandovi uno ad uno, perchè senza di voi Roberta87 non esisterebbe nemmeno.

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Capitolo 40
*** CAPITOLO 33 - La fine e l'inizio ***


copertina


CAPITOLO 33 – “ La fine e l’inizio


    Quella sera tornai da Angela, scoprendo per la prima volta quanto fosse meno difficile ricomporre i pezzi della propria vita quando si ha l’aiuto di qualcuno. Fu lei stessa ad avvertire Charlie che non sarei rientrata a dormire quando entrai in camera sua in lacrime. Per un brevissimo istante fui tentata di raccontare tutto liberamente alla mia migliore amica, anche per il gusto di una ripicca nei confronti dei due ragazzi che avevano avuto così poco rispetto per me. Poi il buon senso prevalse e, tra un singhiozzo e l’altro, le raccontai che Jacob era tornato, che aveva preteso che lo perdonassi come se niente fosse accaduto e che, venuto a sapere di me ed Edward, punto dalla gelosia mi aveva svelato molte bugie che Edward mi aveva rifilato in quei mesi. La mia migliore amica non chiese altro, si prese cura di me per il resto della notte e di questo le fui immensamente grata. Il giorno dopo ne parlammo con più tranquillità, o meglio, Angela mi riempì la testa di chiacchiere su quanto fosse delusa da entrambi ma orgogliosa della mia scelta. Nel pomeriggio mi sentii pronta per tornare a casa e, nonostante Angela avesse insistito affinché restassi da lei per qualche giorno, saltai a bordo dello Chevy sentendomi molto più forte di me stessa e della scelta che avevo fatto. Tutto merito di Angela, anche se lei sbuffò quando glielo dissi.
    La cosa che non mi sarei mai aspettata fu che sia Jacob che Edward rispettarono la mia decisione di non voler vedere nessuno dei due. Tramite Angela e Seth seppi subito che Jacob era tornato a casa sano e salvo quella stessa sera, così come Edward. Dal canto mio cercai di cavarmela al meglio e riuscii in qualche modo anche a spiegare a Charlie che adesso non frequentavo nessuno dei due. Sul momento ci rimase un po’ male, anche lui forse si aspettava che tra me e Jacob le cose sarebbero tornate subito come prima, poi però il lato protettivo dell’essere mio padre prima che amico di Billy lo portò a darmi ragione. Come suo solito non fu affatto invadente e mi lasciò tutto lo spazio di cui avevo bisogno. Declinò perfino l’invito di Emily a trascorrere il capodanno alla riserva. Così, per ricambiare la sua attenzione nei miei confronti, mi ritrovai invece ad accettare l’invito di un suo collega che aveva fittato un enorme cottage vicino Port Angeles per festeggiare tutti insieme.
 
   
    La mattina dell’ultimo giorno dell’anno sembrava che qualcuno in cielo avesse dimenticato di chiudere il rubinetto. La pioggia scrosciava rumorosa fuori dalle finestre, il cielo era talmente scuro che tutti nel vicinato tenevano accese le luci nei cortili e sotto i portici, mentre un vento furioso agitava gli alberi ed arrivava perfino a sovrastare la musica che veniva fuori dalla vecchia radio che tenevo poggiata sul davanzale interno della finestra appannata.
    Allungai una mano a girare la rotellina consunta e le note dell’ultima canzone di Adele si librarono forti e chiare intorno a me. Tenevo il ritmo con la punta di un piede che, avvolto nel pesante calzino a pallini, non produceva alcun rumore sulle piastrelle chiare della cucina. La corpulenta, eppure bellissima cantante stava gridando al mondo di come avesse “dato fuoco alla pioggia”. Un lampo illuminò per qualche secondo il paesaggio nero fuori dalla finestra ed io sorrisi, chiedendomi se ad Adele potesse pesare molto venire a fare una capatina a Forks per provare a dar fuoco anche a quella, di pioggia.
    Mescolavo lentamente con un cucchiaio in legno la crema nel pentolino, che ribolliva morbidamente sul fuoco a fiamma bassa. Tirai fuori il cucchiaio e con la punta della lingua presi un piccolissimo assaggio della crema, constatando che ci sarebbero voluti altri dieci minuti prima che fosse pronta. Poggiai l’utensile in legno sul bordo del pentolino ed aprii il forno, infilai il guanto imbottito e tirai a me prima la lasagna – che era ben lontana dall’essere cotta – e poi il pan di spagna sulla teglia inferiore. Il colorito dorato mi suggeriva che fosse cotto a puntino e quando infilai un lungo bastoncino in legno in profondità, per poi tirarlo fuori e constatare che era asciutto, ne ebbi la conferma. Facendo attenzione a non scottarmi tirai il pan di spagna fuori dal forno e lo deposi sul tavolo a raffreddare, per poi tornare velocemente ad occuparmi della crema.
    Ogni famiglia avrebbe portato qualcosa quella sera, Charlie aveva insistito che preparassi la lasagna che gli piaceva tanto, mentre la torta di pan di spagna farcita con crema pasticcera e ricoperta di glassa al cioccolato era stata un’idea mia. Charlie non sarebbe rientrato prima di sera ed io mi ero dedicata alla cucina con largo anticipo per contrastare con un po’ di calore l’orribile temporale di quella mattina. Angela mi aveva telefonata pochi minuti prima, informandomi che avrebbe trascorso tutta la giornata in riserva con Seth a casa di Emily. Il marmocchio l’aveva invitata ad uscire il giorno successivo al suo compleanno e la mia migliore amica aveva ceduto immediatamente ed irrimediabilmente al fascino dei ragazzi Quileute. Da quel giorno i miei due grandi amici avevano iniziato una bellissima e serena relazione ed io, una volta fatta l’abitudine a quella strana situazione, non potevo essere più felice per loro. Avevo davanti a me una lunga, rilassante e solitaria giornata tra i fornelli con la sola compagnia di un po’ di buona musica.
    Per questo sussultai quando il campanello suonò inaspettatamente. Il cucchiaio di legno ricadde pesantemente nel pentolino e uno schizzo di crema bollente mi colpì il pollice. Mi lamentai appena e portai il dito alle labbra mentre spegnevo il fuoco, non volevo rischiare che la crema bruciasse durante la mia breve assenza. In quel momento un tuono più forte degli altri fece vibrare i vetri alle finestre ed io corsi più in fretta che potei alla porta, per non lasciare ulteriormente al freddo la persona lì fuori. I calzini pesanti persero aderenza al pavimento in prossimità dell’ingresso così giunsi alla porta quasi in scivolata, aggrappandomi alla maniglia, e spalancandola di colpo. Mi ritrovai in una posizione decisamente imbarazzante, quasi del tutto aggrappata alla maniglia, con le gambe distese lunghe davanti a me e il sedere a pochi centimetri da terra. Mi sentivo uno scimpanzé e quando alzai lo sguardo non potei che arrossire ancora di più per l’imbarazzo. La perfezione fatta corpo, più precisamente incarnata in quello di Edward Cullen, mi fissava con le sopracciglia sollevate, la bocca socchiusa in una morbidissima “o” ed uno sguardo decisamente divertito.
    In automatica risposta a quella visione i miei polmoni smisero di assolvere alla loro funzione e non mi resi nemmeno conto di aver smesso di respirare. Edward era di una bellezza incredibile, con nemmeno un capello fuori posto nel loro perfetto disordine, nel maglioncino azzurro con camicia abbinata miracolosamente asciutti nonostante la tempesta. E poi quegli occhi d’ambra che sembravano liquidi per la loro bruciante intensità. Tornai a realizzare solo in quel momento che gli stessi occhi magnetici mi stavano fissando con un certo divertimento. Mi odiai tantissimo, ancora una volta avevo fatto la figura della scema e non si trattava della mia eterna goffaggine. Per l’ennesima volta la bellezza di Edward mi aveva incantata, rendendomi un fantoccio ancor più ridicolo se non ai suoi occhi, decisamente ai miei. Però, maledizione, avrei scommesso la testa che chiunque al posto mio avrebbe avuto la stessa reazione. Ritrovarsi di colpo una bellezza simile davanti, senza alcuna preparazione e dopo giorni di lontananza, avrebbe steso chiunque. Figuriamoci un anatroccolo goffo come me. In quel momento tutta la sua perfezione mi diede decisamente fastidio, non mi sentivo mai a mio agio di fronte ad una tale discrepanza e quando ero con Edward odiavo quel leggero senso di inadeguatezza che mi accompagnava in ogni secondo che trascorrevamo insieme.
    Superato lo stupore iniziale, Edward sorrise ed allungò una mano nella mia direzione per aiutarmi. Dopo aver fatto la figura della scema non avrei mai lasciato che mi tirasse anche su, così mi rimisi in piedi da sola ed incrociai le braccia al petto. Poteva anche essere il ragazzo più perfetto di questo mondo ma non avevo certo dimenticato di aver detto a lui e a Jacob di non volerli più vedere. Certo, sapevo benissimo che non potevo ingannare me stessa e che con quelle parole non intendevo non vederli mai più. Ma di certo le mie parole implicavano un lungo periodo di separazione durante il quale non sarebbero stati più loro due a decidere alcunché.
    « Ciao », disse semplicemente.
    I suoi occhi mi scrutavano avidi il viso, soffermandosi a lungo su ogni lineamento. I suoi sguardi erano l’equivalente di carezze e la loro intensità me li faceva percepire esattamente così, come se riuscissi a sentirne il tocco sulla pelle. Sentii un brivido nascermi alla base del collo e proseguire deciso lungo tutta la schiena e, orgogliosamente, decisi di attribuirlo al freddo e al vento che entravano prepotenti dall’uscio.
    « Ciao », risposi cercando di apparire quanto più distaccata possibile, « cosa ci fai qui? »
    « Volevo soltanto parlarti », si strinse appena nelle spalle « e mi mancavi » aggiunse sommessamente mentre un tuono copriva quasi del tutto le sue parole.
    Ignorai l’ultima parte della frase, così come lo stupore nel constatare che era lo stesso anche per me.
    « Pensavo di essere stata chiara l’ultima volta che ci siamo visti. Non voglio vederti. »
    « Ti prego, Bella. Chiedo soltanto di avere la possibilità di spiegarmi. Lascia che ti racconti io stesso tutto ciò che mi riguarda ».
    Avrei tanto voluto avere il polso fermo per sbattergli la porta in faccia ed apparire ferma e decisa. Ma io ero soltanto io e non potei fare a meno di pensare che infondo mi stava chiedendo la stessa cosa che avevo concesso a Jacob: la possibilità di raccontarmi di sé stesso e della sua condizione. Tentennai per qualche istante e i suoi sensi infallibili lo registrarono immediatamente, così sferrò il colpo di grazia.
    « Per favore, lasciami entrare. Ti dirò tutto quello che meriti di sapere e poi ti lascerò in pace ».
    Sbuffai e mi feci da parte per lasciargli lo spazio per entrare. Edward mi regalò uno dei suoi sorrisi sghembi e poi varcò l’uscio a capo chino. Chiusi la porta mentre lo guardavo avviarsi in cucina, poggiai per qualche istante la fronte al legno freddo e inspirai a fondo un paio di volte. Non sapevo il perché, ma me l’ero aspettata da subito che sarebbe stato Edward il primo a rifarsi vivo.
    Lo raggiunsi in cucina e lo trovai seduto al tavolo, immobile ad attendermi. Il mio cervello faticava ad assimilare quella sua diversità ora che Edward non nascondeva più la sua vera natura. In effetti proprio in quel momento la sua diversità mi apparve così lampante che mi chiesi come avessi fatto a non accorgermene prima e quasi mi venne da ridere quando mi trattenni dal chiedergli se potessi offrirgli qualcosa. Si voltò verso di me e sorrise ancora. I suoi occhi continuavano a riempirsi di me, avidi come se quei cinque giorni di lontananza fossero stati in realtà anni. Mi portai timidamente i capelli dietro l’orecchio e tornai ad accendere il fuoco per la crema. Non mi avrebbe ingannata con il suo fascino, non gliel’avrei permesso.
    « Allora? Sono tutta orecchi »
    Lo sentii espirare forte e la sedia scricchiolare. Sapevo che stava venendo verso di me, ma non mi voltai quando lo vidi al mio fianco.
    « Pur avendo le mie buone ragioni per non averti raccontato tutto fin dall’inizio ti chiedo comunque perdono. Voglio rimediare, Bella. Anche se ti chiedo un po’ di comprensione, ci sono cose della mia condizione di cui non riesco a parlare facilmente ».
    « Non voglio sapere nulla di trascendentale, Edward. Non ti chiederò se davvero dormi in una bara o se ti sciogli al sole ». Mi voltai per guardarlo negli occhi « Quel giorno nella radura, quando ci siamo baciati, credevo che finalmente mi avessi aperto le porte del tuo cuore e del tuo passato. Non credo sia chiederti tanto di raccontarmi la tua vera storia ».
    « Assolutamente », convenne annuendo. Ci fu una breve pausa e poi parlò ancora. « Victoria è realmente la prima persona che riesca a ricordare. Alcuni di noi dopo la trasformazione non ricordano nulla della propria vita da umani, come me e anche Alice. E’ stata Victoria a trasformarmi, non le ho mai chiesto il perché. Lei si è presa cura di me nei primi anni difficili da vampiro, mi ha insegnato a provvedere a me stesso e a controllare gli istinti brutali che caratterizzano un neonato, un vampiro appena trasformato. Lei…», alzò gli occhi nei miei « non ti mentivo quando ti dicevo che per me è stata tutto il mio mondo, non ti mentivo quando ti ho raccontato del mio essere tutto per lei. Così come non era una menzogna il fatto che ad un certo punto sono fuggito, reputando quello stile di vita troppo meschino. Io non ho mai voluto essere un mostro ».
    Aggiunse quell’ultima frase con voce rotta e nel tormento dei suoi occhi vidi una sincerità purissima. Rilassai le spalle che fino a quel momento non mi ero nemmeno accorta di tenere contratte. Mi stava davvero raccontando tutto, senza bugie o mezze verità. Fu inevitabile porgli la domanda successiva.
    « Voi … uccidete davvero le persone, per vivere? »
    Edward inspirò lentamente, ad occhi chiusi, e mi rispose allo stesso modo.
    « Io l’ho fatto ».
    Di nuovo, un brivido mi percorse tutta la schiena nel sentire quelle parole. Com’era possibile che il male non lasciasse traccia di sé? Nell’immaginario comune si riesce sempre a distinguere il buono dal cattivo, ma quella era la prova che si tratta solo di muri di carta eretti dal subconscio umano per sentirsi più al sicuro. Chi mai avrebbe detto che un ragazzo dalle fattezze angeliche come Edward aveva ucciso qualcuno?
    Per un solo istante la mia mente contorta cercò di figurarselo sporco di sangue, in un vicolo oscuro con un cadavere ai suoi piedi. Ma niente, la scena non riuscì in alcun modo a sembrarmi plausibile. E fu proprio questa la cosa che mi inquietò maggiormente. Mi ero gettata tra le braccia di una persona che aveva tolto la vita a qualche innocente senza sospettare mai nulla. Ero sconvolta, ma allo stesso tempo pensavo che la presenza così pacata ed esteticamente perfetta e sempre in ordine di Edward avrebbe ingannato chiunque.
    Lui riaprì gli occhi con lentezza sofferta, poi li puntò nei miei. « E’ da questo che sono fuggito quando ero con Victoria. Poi ho incontrato Alice. Ricordi quando ti ho raccontato dei suoi occhi? »
    Annuii e tornai a mescolare la crema, sperando che non riuscisse a leggere lo sconcerto nei miei occhi. Ero sicura che conoscendo la sua natura le sue confessioni non mi avrebbero turbata, ma mi sbagliavo. La verità era che non mi turbava cosa avesse fatto nella sua vita, ma mi inquietava profondamente rendermi conto di quanto la mia di vita fosse stata in pericolo. Ovviamente Edward non era un pericolo reale per la mia incolumità, ma ciò che rappresentava sì, ed io mi ero fidata di lui senza nemmeno un pizzico di esitazione.
    « Mi avevano colpito perché erano dorati, come vedi. I vampiri che si nutrono di sangue umano hanno gli occhi rossi, io li avevo così, ed era anche l’unico colore che avevo mai conosciuto vivendo con Victoria. Solo con i Cullen ho saputo che era possibile condurre una vita più dignitosa, e i loro occhi ne erano la dimostrazione ».
    Mi grattai con un dito la base del collo per nascondere la pelle d’oca che stava iniziando a nascervi. Improvvisamente il gelo del corpo di Edward accanto al mio mi sembrò palese.
    « Quindi in poche parole, uccidete le persone o no? »
    Dalla sua espressione mi resi conto che ero stata decisamente brusca. Sospirai e cercai di scusarmi con gli occhi. Edward abbassò la testa concedendomi la libertà di sentirmi almeno un po’ scossa. Spensi il fuoco sotto la crema automaticamente, senza controllare se fosse cotta davvero. Il mio vero obiettivo era mettere un po’ di distanza tra me e lui. Presi il pentolino e mi diressi al tavolo della cucina. A quel punto normalmente avrei iniziato a tagliare a metà il pan di spagna per prepararlo alla farcitura, ma pensai che forse era più saggio aspettare la risposta di Edward prima di mettermi ad armeggiare con un grosso coltello e la mia goffaggine.
    « No »
    La risposta arrivò decisa e secca alle mie spalle. Un nodo che non mi ero accorta di avere si sciolse nello stomaco e pensai che quella reazione era decisamente inopportuna. Mi sentivo sollevata al pensiero che forse non ero stata poi così tanto sconsiderata, ma in realtà era un pensiero sbagliatissimo. I Cullen forse oggi non uccidevano nessuno, ma quantomeno Edward per un periodo della sua vita era stato un assassino. Mi sentii in colpa nel pensarlo ma era solo la pura verità: Edward era stato un mostro, un omicida.
    Lo sentii avvicinarsi alle mie spalle e cercai di apparire il più naturale possibile quando mi spostai a mia volta per prendere il coltello dal cassetto della cucina. Edward sospirò e lo sentii lasciarsi cadere su una sedia. Mi voltai e lo trovai con la testa fra le mani, i gomiti poggiati al tavolo.
    Quella reazione così disperatamente umana mi ricordò quanto avevo sempre sostenuto: non doveva importarmi cosa fosse stato in passato, io conoscevo la persona che mi sedeva di fronte in quel momento. Mi vergognai appena di tutte quelle strane sensazioni e brutti pensieri che stavo sperimentando, però ero certa che fossero del tutto normali. Richiusi il cassetto alle mie spalle e mi avvicinai al tavolo. Posai il coltello al fianco della torta e con la mano sinistra gli carezzai piano i capelli.
    « So che non sembra affatto meno brutale, ma anzi, mi fa sembrare ancor di più una bestia, però ci nutriamo solo di animali. E’ questo che rende i nostri occhi dorati. E’ questo che ci fa sentire meno mostri, leggermente più in pace con la nostra coscienza ». Aprì leggermente le dita e vidi i suoi occhi cercare pietà nei miei attraverso quel sottile nascondiglio.
    Mi sembrò esattamente un animale impaurito ed umiliato, che tenta di nascondersi in una tana troppo piccola per il suo corpo così come per i suoi malefatti. Inclinai il capo verso destra, cercando in quegli occhi dorati la scintilla che mi aveva catturata quando ancora non conoscevo nulla di lui. Vidi le sue sopracciglia aggrottarsi sotto le dita lunghe ed affusolate, contrariato a quel mio esame forse un po’ troppo invadente in un momento tanto delicato. Determinata nel mio intento scostai le sue mani dal viso con le mie e, seppur contro voglia, Edward me lo lasciò fare. Attesi che sollevasse ancora lo sguardo nel mio e quando lo fece gli sorrisi appena. Vampiro o no, il ragazzo che sedeva a un palmo dal mio corpo era distrutto, affranto, infinitamente mortificato e sofferente. Questo era il mio Edward, quello che mi aveva spinta a scavare più a fondo. Nient’altro che un uomo prigioniero e schiavo della sua stessa condizione.
    Feci un solo passo per colmare la distanza tra noi e lo avvolsi in un abbraccio. Dopo un attimo di stupore lo sentii rilassarsi, immerse del tutto il volto nella mia pancia e strinse le sue braccia attorno alla mia vita. Poggiai la guancia sulla seta ramata dei suoi capelli mentre lo avvertii sospirare più e più volte, quasi incredulo. Trascorremmo il resto della giornata insieme, la pioggia divenne neve e, per la prima volta, mi raccontò tutto quello che c’era da sapere e anche di più.
 


* * * *

 
 

    Il cottage fittato dall’agente Pierce era davvero enorme e il fatto che fosse stato sgomberato di tutta la mobilia per lasciar spazio all’immensa tavolata lo faceva sembrare ancor più grande. Se c’era una cosa che amavo del modo di fare dei poliziotti di Forks era il prendere la vita senza alcun fronzolo. Le pareti di legno erano state lasciate spoglie, senza alcun decoro, festone, lucina o suppellettile inutile. Nessun addobbo riconducibile al Natale appena trascorso o al capodanno imminente faceva la sua presenza in quel cottage. Le mogli degli agenti, se possibile, mi risultavano ancor più gradevoli nella loro totale indifferenza alla mancanza di decori inutili che, a detta loro, sarebbero soltanto serviti ad aggiungere maggior lavoro al termine della festa, quando tutti gli uomini sarebbero stati ubriachi e sarebbe toccato a loro pulire tutto.
    Per cui, l’interno del cottage risultava piacevolmente a prova di bambino, i quali senza nulla da poter strappare, tirare o rompere, persero in fretta tutto l’interesse per il nuovo luogo dedicandosi a giochi tranquilli sul tappeto davanti al camino. Nel giro di poche ore erano tutti placidamente addormentati e con le bocche ancora sporche della glassa al cioccolato della mia torta. La cena era volata tra le risate cameratesche degli agenti per gli aneddoti dell’anno appena trascorso e i commenti delle signore allo stile di vita decisamente poco raffinato condotto dai rispettivi mariti.
    Quando tutta la tavola era stata sgomberata dai piatti ed era stata preparata con spumante e dolcetti nell’attesa della mezzanotte, infilai il pesante giaccone bianco ed uscii dall’immensa portafinestra che dava sul giardino. Il cielo era stranamente limpido e vantava un’enorme luna piena che faceva scintillare il soffice strato di neve che ricopriva il cortile dall’erba tagliata corta, l’altalena sulla destra e anche il filare di pini che delimitava l’inizio della foresta. Mi riempii gli occhi di quel paesaggio semplice ma reso incantato dalla luce azzurrina dei riflessi della neve e mi incamminai con cautela verso l’altalena mentre uno scoppio di risa mi giungeva dall’interno del cottage. Sorrisi appena, sentendomi un po’ come a casa mia, sorprendendomi nell’ammettere che quelle voci, quell’atmosfera, mi facevano sentire parte di una grande famiglia.
    Raggiunsi l’altalena e spazzai via la neve dal sediolino con le mani nude. Mi sedetti e soffiai un po’ tra le dita congelate, prima di avvolgerle intorno alle catene ed iniziare a dondolarmi piano. Non mi andava di spingermi molto in alto, volevo semplicemente starmene lì, quasi come cullata a godermi una serenità che non ritrovavo da troppo tempo. E così feci.
    Persi la cognizione del tempo e quando Charlie mi chiamò per il conto alla rovescia quasi mi spaventai. Lo vidi richiudere la portafinestra e sorridermi da dietro il vetro prima di ritornare dai colleghi, o meglio, dagli amici di una vita. Portai ancora lo sguardo alla luna e sospirai. Chiusi gli occhi e mi godetti gli ultimi dondolii con il capo chinato all’indietro e le punte delle scarpe che frusciavano sulla neve. In tutto quel frusciare ritmico il rumore di un ramo spezzato riecheggiò improvviso quasi come uno sparo.
    Riaprii gli occhi e fermai l’altalena poggiando le piante dei piedi a terra. Mi voltai verso il cottage ma non vidi nessuno all’esterno, mi giunsero soltanto le voci concitate di chi si contendeva lo spumante da stappare. Quando riportai lo sguardo davanti a me un luccichio nell’ombra della foresta attirò la mia attenzione. Strinsi le dita attorno alle catene gelate dell’altalena ed aguzzai lo sguardo. C’era qualcosa che si muoveva nell’ombra e dopo poco riuscii a distinguere il profilo asciutto e muscoloso di un fianco dal pelo rosso con del nevischio attaccato che riluceva sotto i raggi della luna piena.
    Riconobbi immediatamente lo splendido animale che, ormai scoperto, si faceva strada tra i grandi tronchi pur volendo rimanere in parte ancora in seno alla foresta, senza esporsi troppo. Trattenni il fiato finché il muso del lupo rosso non mi fu visibile grazie al riverbero della luce lunare sul tappeto di neve.
    Gli sbuffi di vapore che venivano fuori dalle sue fauci erano lo specchio dei miei, che si allargavano dalle mie labbra sempre più rapidi, testimoni del cuore che sentivo accelerami nel petto. Dal cottage mi giungeva il festoso conto alla rovescia per la mezzanotte ed io sapevo di dover rientrare per festeggiare con Charlie, ma il mio corpo non voleva saperne di muoversi di lì. Almeno non finché avessi soddisfatto la brama che sentivo crescermi dentro ad ogni secondo. Volevo incontrare gli occhi del lupo, anche solo per un istante.
    Come all’unisono con il mio desiderio il lupo si mostrò in tutta la sua fierezza al limitare del bosco, gli occhi di onice che mi sembravano bruciare puntati dritti nei miei. Qualcosa alla base dello stomaco, aderente al fondo della mia anima, tremò. Mi sentii scuotere nel profondo delle viscere e quello sguardo di uomo nel corpo di animale sembrò rovistarmi dentro e sconvolgere ogni cosa. Organi, ossa e anima.
    I festeggiamenti per la mezzanotte mi giungevano dal cottage soltanto come un rumore di fondo indistinto, tutti i miei sensi erano rapiti dal lupo. Dei fuochi d’artificio in lontananza illuminarono il cielo d’argento e rosso. Il lupo assottigliò lo sguardo nel mio e poi, lentamente, si chinò leggermente sulle zampe anteriori, abbassando il capo in un inchino rispettoso senza mai staccare gli occhi dai miei.
    Le parole scivolarono fuori dalle labbra con naturalezza.
    « Buon anno anche a te, Jake »
    Mi manchi da morire.

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Capitolo 41
*** CAPITOLO 34 - Distrai le mie parole ***


copertina

 

CAPITOLO 34 – “ Distrai le mie parole



    Quella notte e per le successive quattro sognai il lupo rosso di Jacob nelle situazioni più svariate. Ormai l’avevo capito, il mio subconscio comunicava con me attraverso la fase onirica e, pur volendo, non riuscivo più ad ignorare i suoi messaggi. Morale della favola, quel cocciutissimo sbruffone mi mancava da morire. In effetti non avrebbe dovuto stupirmi più di tanto visto che avevo trascorso gli ultimi tre anni della mia vita in simbiosi con Jake, tranne i passati tre mesi in cui era sparito.
    Il punto era, infatti, non che mi stupissi di questo sentire la sua mancanza ma il fastidio che mi provocava il doverlo ammettere. Reneé lo diceva sempre, prima o poi l’essere tanto orgogliosa mi avrebbe fatta cacciare in grossi guai. Più di tutto, in realtà, non sopportavo il fatto che io sentissi la sua mancanza mentre lui non si era più fatto vivo dalla sera di Natale. No, la notte di capodanno mi rifiutavo di contarla. Il suo alter ego peloso non valeva in questa conta. Per quanto potessi esserne affascinata, il lupo non poteva sostituire Jacob, il mio Jacob, quello con cui fare due chiacchiere, arrabbiarmi e poi fare la pace.
    Infatti, mentre Edward dall’ultimo dell’anno trovava il modo per incontrarmi ogni giorno, di Jacob non ne avevo visto nemmeno l’ombra. Ogni tanto Charlie buttava lì la proposta di chiamarlo, cercando di risultare imparziale con scarsi risultati, da perfetto Swan, ed io puntualmente cambiavo argomento.
    Il punto è che quando gli uomini dicono che le donne non sanno cosa vogliono noi ci arrabbiamo tantissimo, ma la verità è che hanno ragione. Ero stata io a dire ad entrambi di non volerli più vedere, il che implicava che avrei dovuto manifestare io per prima la mia nuova disponibilità nel frequentarli, però … Dio, quanto mi infastidiva l’indifferenza di Jake. Odiavo l’idea che in dieci giorni non avesse tentato di chiamarmi o di vedermi.
    Avrei potuto raccontarmi la frottola che era la vicinanza ad Edward, che mi cercava sempre e in ogni maniera, ad avermi influenzata in questo modo. Ma la cosa poco divertente è che nella mia vita non riuscivo a mentire a nessuno. Me compresa.
    Quindi, traendo le somme, io non chiamavo Jacob e lui non cercava me. Di questo passo avremmo potuto potenzialmente trascorrere i successivi cinque anni aspettando l’uno la prima mossa dell’altro. Tutto ciò mi faceva prudere le mani in maniera folle, ma di certo non sarei stata io la prima a gettare la spugna.
    « Io credo che sia abbastanza pulito »
    L’espressione di Edward al mio fianco sembrava piuttosto divertita, ma la minuscola increspatura tra le sopracciglia curate non aveva più segreti per me. Evidentemente ero ammutolita per troppo tempo perdendomi tra i miei pensieri. Mi sentii leggermente in colpa: avevo Edward al mio fianco eppure non riuscivo a mettere freno alla valanga di pensieri che mi portavano a Jacob. Gli sorrisi, poi iniziai a sciacquare il piatto che tenevo tra le mani, ribadendo tra me e me che quella era l’unica spugna che avrei mai avuto intenzione di gettare.
    « Dici? »
    Edward ridacchiò appena.
   « Humm » mi sfilò il piatto dalle mani, se lo portò all’altezza del viso e si ravviò i capelli con una mano « Sì, decisamente. Posso specchiarmici ».
    « Dà qua » sorrisi « Piuttosto, prima o poi dovrai prendere una decisione. O vieni a trovarmi al di fuori degli orari dei pasti, o ti costringi a mangiare qualcosina una volta ogni tanto. Sai com’è, Charlie inizia a guardarti in modo strano ».
    « Inizia? » sollevò un sopracciglio.
    Mi strinsi appena nelle spalle « Okay. Più del solito ».
    Non avevo bisogno di chiedere ad Edward cosa ci fosse nella testa di mio padre. In primo luogo perché non volevo saperlo, in secondo luogo perché avevo sempre saputo quanto Charlie pensasse che Edward fosse un po’ strano.
    « Hai ragione, credo che opterò per la prima proposta ».
    « Vi fa proprio tanto schifo il cibo umano? »
    « Tu mangeresti mai del pongo? »
    Gli schizzai un pochino d’acqua, ma Edward era poggiato al frigorifero dall’altro lato del lavello ancor prima che le gocce toccassero terra.
    Il rumore dei pesanti anfibi sui gradini in legno annunciarono la presenza di Charlie ancor prima che i suoi baffi facessero capolino in cucina. Ci dedicò un fintamente distratto cenno del capo mentre si aggiustava il distintivo sulla divisa e si infilava il giaccone.
    « Io vado. Potrei fare un po’ tardi stasera, Bells, quindi non farti problemi se vuoi cenare senza di me »
    Edward mi lanciò una breve occhiata, indovinando il mio pensiero che non fosse il caso di rimanere da soli in casa con Charlie che andava a lavorare. Meglio non aggiungere altri motivi per non fargli andare a genio Edward.
    « Un momento, capo Swan, vado via anch’io. Ho detto a mia madre che l’avrei accompagnata a Port Angeles questo pomeriggio »
    Charlie sorrise appena sotto i baffi, visibilmente sollevato. Edward si accostò per baciarmi una guancia e sentii Charlie girare sui tacchi ed avviarsi alla porta.
    « Ne approfitto per andare a caccia con Alice, è un mese che me lo chiede. Passo a trovarti stasera se per te va bene »
    Annuii nonostante il brivido che mi percorreva tutta la pelle a quella vicinanza. Il soave sussurro delle sue parole così vicino al mio orecchio mi procurò un leggero giramento di testa.
    « D’accordo » sussurrai a mia volta.
    Edward si voltò e lasciò la cucina a velocità umana, permettendomi di sbirciare la sua andatura elegante.
    Da vero predatore, pensai.
 


    Una volta terminati i miei doveri da figlia in cucina mi diressi in camera per terminare i compiti delle vacanze natalizie. Mancavano soltanto pochi giorni al ritorno tra i banchi e non volevo rischiare di arrivarci impreparata. Ero quella che la maggior parte degli studenti definiva come secchiona, ma io mi ritenevo diversa. Non studiavo per un ligio senso del dovere, n’è tantomeno per la voglia di primeggiare, Dio solo sa quanto odiassi essere al centro dell’attenzione. Ho sempre studiato perché mi piaceva e perché, non navigando nell’oro con il misero stipendio del capo della polizia di Forks, sapevo di aver bisogno dei migliori voti possibili se volevo assicurarmi una borsa di studio per qualche college rispettabile. Quello tra l’altro era il mio ultimo anno di liceo e, nonostante i professori continuassero a ripetermi che ormai la mia media era già tra le migliori di tutta la scuola, non avevo intenzione di adagiarmi sugli allori proprio alla fine.
    Sollevai lo sguardo dal libro di storia solo quando sentii lo scricchiolio del davanzale della finestra, rumore che ormai riconoscevo benissimo e che significava che un vampiro di mia conoscenza era ritornato. Sorrisi, sapevo che non avrebbe resistito fino alla sera, ma non mi aspettavo di rivederlo dopo sole poche ore.
    « Non è un po’ troppo presto per ripresentarti qui? »
    « Non per me. Ma se credi di poter reggere solo un mostro alla volta allora fatti dire che stai scegliendo quello sbagliato ».
    Al suono di quella voce doppia, un po’ graffiata, così diversa da quella melodiosa che mi ero aspettata, il cuore mi balzò in gola. Sentii formarsi la pelle d’oca su ogni centimetro di pelle e ancora prima che riuscisse a finire la frase il mio corpo era già andato in tilt. Mi voltai lentamente, consapevole del rossore che mi imporporava le guance. E mi persi.
 

Forse non capirai mai,
tu distrai le mie parole
Un fulmine a ciel sereno sarà

 
 

    Non avrei mai immaginato che per un essere umano fosse possibile smarrirsi restando seduto in una stanza. Eppure a me successe. Nel tempo di un respiro, il mio, mi persi nei suoi occhi. In quelle profondità scure smarrii ogni filo che mi teneva attaccata ad una sedia, ad una stanza, ad una casa dalle pareti bianche e all’uomo che vi abitava dentro. Ogni parte di me perse memoria di chi o cosa fosse, per lasciarsi invadere da quel mare nero e bruciante che aveva significato da sempre casa. Mi bastò il tempo di un respiro per perdere ogni cosa ma allo stesso tempo ritrovare tutto.
    Ripercorsi la strada all’inverso, riemergendo da quegli occhi che mi divoravano solo per il bisogno di vedere anche tutto il resto. Il naso, che tante volte aveva significato tenerezza. La bocca, che da sempre era stata una porta che talvolta mi conduceva in paradiso tal’altra nel centro dell’inferno. Il viso che ormai era d’uomo e non più di ragazzo. La seta nera e scompigliata dei capelli, che attirava le mie dita con il bisogno di toccarli.
    Jacob.
    Anche lui nel tempo di quel respiro mi fissò. Mi scrutò l’anima attraverso gli occhi come solo lui riusciva a fare. Da sempre.
    Jacob.
    Mi divorò con lo sguardo senza respirare,  le labbra leggermente dischiuse di chi gli si è appena mozzato il fiato.
    Jacob.
    In quel brevissimo istante la sua vecchia anima scorse appena la mia, di vecchia anima. Entrambe non ancora segnate dalle bugie e dai tradimenti. Entrambe ancora indissolubilmente fuse insieme.
   Jacob era la sola parola che il mio cuore voleva gridare. Schiusi appena le labbra per lasciare che quel suono scivolasse via dolce, portandomi un po’ di sollievo, ma il ragazzone bruno che sembrava essersi paralizzato di fronte a me si riscosse.
    « Aspetta, aspetta, non dire niente », sollevò le mani davanti a sé e sorrise.
    Come se non fossi già abbastanza stordita dalla sua presenza.
    « Mi scuso per non aver bussato alla porta come avrebbe fatto una persona normale ma: a) dato che quando lo fa qualcun altro non hai niente da ridire, ho pensato che non vedevo perché non potevo farlo anch’io. E b) vuoi mettere quanto è decisamente più fica una cosa così? ».
    Sollevai le sopracciglia ed inspirai quel tanto che mi bastava per chiedergli se non avesse battuto la testa da qualche parte nel tentativo di salire alla mia finestra, perché quella non era decisamente la frase d’esordio che ci si aspetta da una persona che non vedi da dieci giorni. Ma ancora una volta mi precedette.
    « Merda. No no no, aspetta, Bells, » mosse un paio di passi veloci nella mia direzione « non dire niente, ti prego. Sono un coglione, giuro che non erano queste le prime cose che avevo intenzione di dirti, specialmente l’ultima stronzata. Non che la magnifica frase d’effetto che ho sputato fuori appena entrato fosse più brillante eh, è solo che, Dio, quando ti sei voltata mi si è fuso il cervello e … che poi, Gesù, sono entrato da una cazzo finestra come un cazzo di maniaco ed ora sto straparlando e sboccando come un cazzo di coglione del cazzo che sono. Cazzo! ».
    Jacob non aveva praticamente più fiato, si guardava intorno con una mano tra i capelli e gli occhi spaesati. Fece il giro del letto e si lasciò cadere seduto sul lato più vicino alla mia scrivania. Si prese il viso tra le mani e sospirò profondamente. Quando tornò a guardarmi attraverso le dita sembrava già più padrone di sé.
    « Devi darmi il nome del tuo spacciatore, è uno che sa il fatto suo » annuii.
    Jacob sospirò ancora e poi rise, gettandosi all’indietro sul letto.
    « Okay, ce la faccio. Ci sono » si sollevò a sedere ancora con il sorriso sulle labbra.
    « Ciao, Jacob » non riuscivo a non sorridergli di rimando quando faceva così.
    « Ciao, Bells »
    « Che piacere rivederti »
    « Senza tutto quel pelo addosso, intendi? »
    « Proprio così »
    Ridemmo entrambi. Mi resi conto solo in quel momento quanto tutto questo mi era mancato, i nostri discorsi assurdi, le risate stupide. Ci guardammo per un attimo interminabile negli occhi, senza bisogno di dirci altro. Non gli avrei mai detto che mi era mancato come l’aria, non con la voce almeno, perché sicuramente in quel momento tutto il mio corpo glielo stava comunicando istintivamente ed ero certa che lui riuscisse a capirlo. Così come potevo leggere dal suo che era lo stesso anche per lui.
 
 

Forse non capirò mai,
anche se in riva al sole
al culmine mi ritrovo oramai.

 
 
    « Senti, Bella, mi dispiace. Un po’ per tutto, ma non sono qui per questo ».
    Jacob fece leva con le mani sulle cosce e si alzò dal letto, colmando la distanza fra noi con un solo passo. Si accovacciò sulle caviglie e prese le mie mani nelle sue, guardandomi dritto negli occhi. Un brivido di calore mi percorse tutta la schiena a quel contatto così improvviso e sincero. Gli restituivo lo sguardo senza dire nulla.
    « Non mi interessa parlare del passato, non voglio tornare a discutere con te. Anzi, scusami se ho preteso che tu dimenticassi che mi sono comportato da vero stronzo. Sono venuto perché mi manchi, Bells ».
    Restai un attimo interdetta, in bilico fra la sensazione di leggerezza che mi pervase a quelle parole così dolci e il controsenso contenuto in esse.
    « Ti mancavo, vorrai dire » sorrisi, odiava quando lo riprendevo.
    « No, mi manchi ancora ». Strinse più forte le mie mani nelle sue, « non mi basta toccarti, lo sai. Non mi è mai bastato. Mi manca la mia migliore amica, Bella. Mi manca prenderti in giro, mi manca parlare di cose inutili, mi manca vederti inciampare e farmi chiamare stupido almeno tre volte in un’ora ».
    Sorrise e io come al solito persi ogni potere decisionale.
    « Anche tu mi manchi, Jake » sussurrai appena, nonostante mi fossi appena ripromessa il contrario.
    Jacob buttò fuori tutto il fiato che aveva in corpo con un unico sospiro, sorridendo e scuotendo la testa. Come se gli avessi tolto il peso più grande del mondo dalle spalle, come se non aspettasse altro che essere liberato.
    « E allora è facile no? Esci con me, stasera ».
    Non mi stava ponendo una domanda. Stava facendo molto di più. Mi stava pregando.
    No.
    Qualcosa dentro di me mi stava dicendo che no, non dovevo farlo. Il calore delle sue mani contrastava con il disappunto del mio cervello come il giorno e la notte. Le mie dita fremevano per liberarsi dalla presa solo per intrecciarsi alle sue. Eppure il mio orgoglio mi spingeva a non farmi ammaliare da quegli occhi così profondi che mi stavano implorando e desiderando allo stesso tempo. La mia testardaggine mi imponeva di non cedere al primo tentativo, dopo tutto quello che era successo.
    Sì.
    Sì era quello che invece non gridava altro il mio cuore, che aveva preso il volo nello stesso istante in cui Jacob era entrato dalla finestra e in tutto quel tempo piuttosto che ritrovare un ritmo normale aveva accelerato sempre di più. Sì, continuava a sussurrarmi ogni centimetro di pelle che non agognava altro che essere toccato, o anche solo sfiorato, dal calore bruciante del suo corpo.

 

Uh, è più grande di me,
inutile insistere
Solo se tu vuoi, solo se tu vuoi.

 
 
  «Niente di complicato, te lo prometto. Solo io, tu e una pizza, se ti va. Farò il bravo ragazzo, anzi il buon amico. Il tuo migliore amico e nient’altro ».
    E in quello Jacob era sempre stato perfetto. Grazie a lui non mi ero mai sentita sola, fuori posto, né strana. A lui si poteva confidare ogni cosa, senza il timore di essere giudicati o disprezzati. Mi aveva fatta sentire a casa anche quando ne ero stata distante anni luce. Il mio migliore amico, prima di ogni cosa.
    Perciò … di cosa avevo paura? Non c’era nulla da temere.
   Nulla, a parte il liberarmi delle catene che mi avvolgevano costantemente. Perché solo lui era capace di farmi questo, solo con lui incontravo la vera me stessa, quella che non usciva fuori nemmeno quando ero sola. Quello che più temevo, era il lasciarmi andare. Ancora una volta.
    Non potevo permettermelo in quel momento, proprio quando avevo bisogno di distacco e di lucidità per capire quale direzione prendere.
   Jacob fremeva ad un palmo da me. Potevo sentire l’energia delle sue aspettative vibrare nel centimetro scarso che separava le nostre ginocchia, le nostre braccia. Riuscivo a percepire qualcosa tremare in fondo ai suoi occhi, così intensi, così disperati. Ma nonostante tutto questo, mi preparai a dirgli di no, dovevo iniziare a mettere me stessa prima di chiunque altro.
    Presi aria, una frazione di secondo. La stessa che lui impiegò a sorridermi.
    Ah, se non l’avesse mai fatto.
   Se solo non l’avesse fatto, non avrei visto la differenza tra quel sorriso ed il suo sorriso. Non mi si sarebbe stretto lo stomaco nel paragonare quel sorriso, al mio. Quello che per anni aveva dedicato sempre e solo a me, un sorriso a parte, nonostante lui sorridesse sempre al mondo intero. Non un sorriso gioioso, leggero né sincero. Piuttosto, quello che gli spuntava in quel momento, era una richiesta di aiuto.
     Le persone comuni chiedono aiuto a gran voce, disperate, con volti sfigurati dalla necessità. Jacob chiedeva aiuto in silenzio, pacato, con una maschera d’indifferenza. Jacob chiedeva aiuto solo a chi era capace di offrirglielo senza che lui aprisse bocca.

 

Forse non capirai mai,
tu distrai le mie parole.

 

    Credo di avergli sussurrato un va bene, inconsapevolmente. Non lo so, non lo ricordo. Ma ricordo benissimo il suo corpo rilassarsi, le rughe spianarsi e il calore del suo – mio – vero sorriso scaldarci entrambi.
    Avrei fatto di tutto per non vedere mai il mio Jacob sofferente.
    E poi, in fondo, era solo una pizza con il mio migliore amico, no?







 



Buonasera, mi scuso per l'imperdonabile ritardo. Spero che lì fuori ci sia ancora qualcuno disposto a leggere le castronerie che butto in questa storia.
I versi inseriti all'interno del testo sono della canzone "Grattacielo" dei Verdena.
Grazie a chi c'è da sempre, e so che ci sarà anche in futuro.
Grazie anche a quelli che sono sbarcati qui tramite qualche shot.
Grazie a voi, amiche mie, che siete sempre pronte a sostenermi.

 

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Capitolo 42
*** CAPITOLO 35 - Un tuffo nel passato ***


Buonasera, spero di sorprendere qualcuno di voi con quest'aggiornamento "rapido" per i miei soliti tempi.
Due parole prima di lasciarvi al capitolo. Sopportatemi, ormai non lo faccio da un pezzo.
Per iniziare, un grazie a tutti.
A chi continua a dare un'opportunità alla mia storia ed anche a chi invece l'ha scoperta da poco.
A chi mi riempe d'orgoglio e di stimoli con preziosissime recensioni, ma anche a chi legge in silenzio. Spero che un giorno troverete il coraggio di uscire fuori dal vostro guscio per scoprire che la parte migliore di quest'esperienza è entrare nel mondo di chi scrive attraverso il dialogo.
Un piccolo appunto prima di togliermi dalle scatole. Forse due.
Se siete amanti di momenti sconcertanti, se siete allergici a quelli più soft, questo capitolo non fa per voi. So gia che a molti sembrerà deludente, piatto e forse anche noioso, l'ho sempre saputo fin da quando l'ho immaginato. Ma io non posso e non voglio rinunciarci. Questo capitolo, per parafrasare le parole di qualcuno, è gravemente affetto da JacobBellite acuta. Li amo insieme, anche e soprattutto nei momenti più semplici. E non voglio smettere.
Ultimo appunto, che forse è più una nota. Mi sono resa conto dello sconcertante numero di capitoli che ho pubblicato, senza nemmeno essere arrivata oltre la metà della storia. Quindi, anche se non ve ne potrà fregare di meno, mi sono riproposta che dal prossimo capitolo in poi procederò a passo spedito nella narrazione, evitando - si spera - capitoli morti e momenti di stallo.
Quindi, per voi che storcerete il naso a questo capitolo, sappiate che spero sia l'ultimo di questo genere.
Per voi, invece, che apprezzerete la sua dolcezza ... spero di potervi regalare in futuro molto più che questo.


Con affetto,
Roberta.

 

copertina
 

CAPITOLO 35 – “ Un tuffo nel passato

 
 

    Me ne stavo a gambe incrociate sul divano, con il telecomando in mano e lo sguardo fisso sulla tv nonostante non le stessi prestando la minima attenzione. Non avevo particolari pensieri per la testa, eppure non riuscivo a concentrarmi su nulla. L’indice della mano sinistra iniziò a picchiettare sul telecomando senza che glielo avessi ordinato. Dopo che Jacob era andato via – uscendo dalla porta, stavolta – non ero più riuscita a riportare l’attenzione sui libri. Quel testone era riuscito a strapparmi un appuntamento per il pomeriggio stesso, quindi non mi restava che aspettare.
    Quando sentii i due colpi di clacson mi voltai verso la finestra, non mi sembrava quello dell’auto di Charlie. Infatti, con un po’ di stupore, scorsi la Golf rossa di Jacob ferma nel vialetto. Spensi la tv e mi infilai le scarpe di tutta fretta, non diedi nemmeno un’occhiata nello specchio quando mi infilai il giaccone nell’ingresso. Indossavo i soliti jeans con la solita felpa, tanto per lanciare il messaggio di amicizia con ancora più chiarezza. O forse solo per convincere te stessa, aveva commentato Angela al telefono.
    Mi richiusi la porta alle spalle, il pomeriggio era nuvoloso come nello standard di Forks, ma almeno non si gelava dal freddo e la neve era sparita. Alzai lo sguardo e, tra la portiera aperta e l’abitacolo, c’era Jacob in piedi ad aspettarmi, con un braccio poggiato al tettuccio rosso della Golf, con tanto di sorriso stampato in faccia. Indossava una camicia azzurro carico, arrotolata sui gomiti come suo solito, sopra ad un paio di blue jeans. Era la semplicità fatta persona, eppure non avrebbe potuto essere più bello di così.
    Istintivamente mi strinsi le braccia intorno alla vita mentre camminavo verso l’auto, pensando alla stupida felpa che si nascondeva sotto il giaccone e a quanto fossi in imbarazzo. Gli sarei sicuramente sembrata sciatta, poco attraente. Anche se in effetti, realizzai quasi subito, quello a cui stavo andando incontro non era il mio ragazzo. Io non dovevo piacergli. Quella era solo un’uscita con il mio migliore amico.
    Fu questo a farmi scattare un piccolo campanello d’allarme. Conoscevo Jacob, indossava camice del genere solo in occasioni speciali. Dovevo aspettarmelo che non avrebbe mantenuto la parola, che avrebbe trasformato una pizza innocente nell’occasione per farsi avanti. Quindi, quando arrivai all’auto ero leggermente infastidita.
    « Avevi promesso che avresti fatto il bravo ragazzo » lanciai un’occhiata alla camicia che aderiva perfettamente alle braccia scure e alla vita.
    « Perché, ti sembro un delinquente? » mi rispose anche lui senza salutarmi.
    Almeno avevamo conservato una delle nostre vecchie abitudini.
    « Sai cosa intendo »
    Fece spallucce. « Credevo che una camicia mi avrebbe reso abbastanza … amichevole » mi sorrise maliziosamente.
    Gli lanciai un’occhiataccia.
    « Andiamo, Bells, non esagerare. Avresti preferito che mi fossi presentato mezzo nudo come quando sto con i ragazzi? Mi sa che devi rivedere le tue priorità, fiorellino » si infilò in macchina.
    Sbuffai, iniziavo ad odiare il modo in cui stava usando quel nomignolo. Fino a non molto tempo prima era una cosa dolce, forse fin troppo, ora invece era diventato quasi uno scherno. Aprii la portiera e poco prima di sedermi vidi la margherita poggiata sul mio sediolino. La raccolsi, mi accomodai e provai a lanciargli una seconda occhiataccia. Jacob si schiarì la voce, guardando nello specchietto laterale ed avviando la macchina come se niente fosse. Voleva fare l’indifferente. Cose da pazzi.
    « Anche questo rientra negli optional di una serata amichevole? »
    Sorrise. « E dai, Bella. Uno più, uno meno, ormai che differenza fa? »
    « Fa tutta la differenza del mondo, visto che da amico non me ne hai mai regalato uno »
    « Però quei tre prima del mio ritorno li hai accettati, quando te li ho lasciati sul davanzale »
    « Ma di che … »
    Mi zittii. Ma certo. Si riferiva ai tre fiori che avevo trovato sotto il letto qualche giorno prima di Natale. Ma allora erano suoi, li aveva portati lui. Anche se non si trovavano affatto sul davanzale della mia finestra. Sospirai, scuotendo la testa, quando capii. C’era solo un’altra persona che avrebbe voluto tenermeli nascosti. Edward.
    Ricollegai tutto in un istante. Jacob mi lanciava sguardi sott’occhio con un mezzo sorriso soddisfatto sulle labbra. Pensai a quanto avessero dovuto essere importanti per lui, in quel momento. A quanta paura provasse nel dovermi rivedere, sapendo di dover affrontare spiegazioni che forse non sapeva nemmeno come darmi. Aveva voluto prepararmi, in un certo senso. Forse anche rassicurarmi, a modo suo. Decisi che non avrei lasciato che la meschinità di Edward rovinasse quel gesto. Così sorrisi, senza aggiungere altro. Jacob sorrise soddisfatto di rimando e tornò a prestare attenzione alla strada.
    Forse, se i tentativi di Jacob di andare oltre l’amicizia si fermavano a quei sottili messaggi, potevo rilassarmi e godere di quella serata così preziosa, dopo tutto quello che era successo. Jacob scalò una marcia del cambio manuale della Golf dell’89 e con l’indice accese la radio. Fischiettava il ritornello della canzone ed io sorrisi, felice di tornare a vedere di nuovo il volto del mio Jacob, sembrava essere tornato quello prima della trasformazione. Sereno, felice, quasi radioso come il sole che a Forks spuntava raramente.
    « L’ultima volta che ho visto quest’auto era poco più di un catorcio, ora invece funziona anche la radio. Incredibile » constatai.
    « Diciamo che negli ultimi tre mesi ho fatto molta pratica e quando ho rivisto la Golf è stato un gioco da ragazzi finirla ».
    Mi mossi leggermente sul sediolino, c’era un odore strano.
    « Che cos’è questo … » iniziai ad annusarmi intorno.
    « Cosa cerchi? »
    Aprii anche il cruscotto davanti alle mie ginocchia. « L’arbre magique che fa questo odoraccio ».
    Jacob rise « Sono io, è il dopobarba di Billy. Fa schifo »
    Lo guardai stupita.
    « Il dopo … dopobarba, eh? » mi venne da ridere.
    Cercavo di trattenermi in ogni modo, ma sentivo chiaramente gli angoli della bocca tirarsi e la risata soffocata nello stomaco.
    « Cosa ridi? » sorrise, un po’ in imbarazzo.
    « Non sto ridendo » ribattei, ma ormai era palese che mi stessi trattenendo.
    « Vedi, mia dolce metà … » iniziò.
    Lo fulminai con un’occhiataccia.
    « Mia dolce metà amichevole, ovvio. Si da il caso che sia cresciuto anch’io e che mi rasi come qualsiasi altro uomo ».
    A quel punto lasciai andare la risata che trattenevo, non sapevo di preciso perché mi divertisse così tanto l’idea di Jacob uomo, concentrato davanti allo specchio con un rasoio in mano. Forse perché era andato via poco più di un bambino, ed era tornato adulto. Non riuscivo ad immaginarlo. Lo presi un po’ in giro, tanto per divertirmi. Jacob afferrò la mia mano e se la portò al viso, strofinandola su una guancia e sotto il mento.
    « Vedi? Più liscio del sedere di un neonato. Così ci si presenta ad una ragazza, Bells ».
    Ritirai la mano mentre ridevo come non mi capitava più da mesi ormai, mi sentivo leggera e spensierata come solo con lui riuscivo ad essere.
    « Iniziamo male, Black. Iniziamo proprio male ».
 
 
 
 
     « E così era qui che volevi portarmi? » domandai incredula, mentre chiudevo la portiera e mi incamminavo.
    « Più neutro di così … » la voce di Jacob mi seguiva alle spalle.
    Davanti a me si apriva una distesa d’erba ormai troppo alta, perfettamente rettangolare. Una volta era un campetto, lo usavamo per qualsiasi tipo di gioco ci venisse in mente. In un capanno non molto lontano da lì c’erano sicuramente ancora stipate le porte da calcetto, i canestri da basket e la rete di pallavolo. I pali da football invece si ergevano ancora in tutta la loro altezza, ai margini opposti del campo, ormai arrugginiti e con la vernice rovinata. Nel corso degli anni avevamo trascorso pomeriggi interi a fare gli scemi lì in mezzo, con Angela, Jessica, Mike, i ragazzi della riserva.
    Dal centro del campo mi guardai intorno, con un pizzico di malinconia nel sorriso. La luce del tardo pomeriggio lo rendeva ancora più suggestivo. Non riuscii a fare a meno di pensare che quel campetto rispecchiava gli anni appena trascorsi. L’erba alta, forse cresciuta troppo in fretta, proprio come tutti noi. La vernice scrostata dai pali, segnati dalle macchie di ruggine così come gli errori che avevamo commesso segnavano ognuno di noi. Mi voltai verso Jacob sorridendogli e lo trovai che avanzava verso di me con una palla da football tra le mani e sulle labbra il mio stesso sorriso. Un po’ malinconico.
    « Mi mancava questo posto » confessai.
    « Anche a me » rispose sospirando.
    Mi guardai ancora intorno, mentre lui non distoglieva lo sguardo da me. Era sollevato che fossi contenta. E così quello era il motivo di quell’appuntamento così anticipato. Cominciai a ricredermi, forse Jacob voleva davvero vivere una giornata come se non ci fosse mai accaduto niente di brutto, come se le creature sovrannaturali non esistessero, semplicemente lui ed io. I nostri sguardi, le nostre risate.
    « Bells » mi chiamò.
    Non appena mi voltai mi lanciò la palla. Allungai le mani per afferrarla, ma la mia proverbiale scoordinazione non mi permise di fare altro che farla rimbalzare un paio di volte sulle dita, prima di farla cadere al suolo senza riuscire a bloccarla. Jacob rise.
    « Non vale così, a tradimento » protestai.
    Lui si avvicinò, ancora ridendo. « Non l’avresti presa nemmeno se ti avessi avvisata dieci minuti prima ».
    « Ah no? Allora vediamo se ci riesci tu, a prenderla ».
    Jacob fece un balzo nella mia direzione, allungando le mani verso di me. Mi voltai di schiena, proteggendo la palla con il corpo ma le sue lunghe braccia si insinuarono presto sotto le mie. Provai a divincolarmi ed in qualche modo ci riuscii, o me lo permise, ed iniziai a correre lungo tutto il campo. L’erba alta mi sfiorava i fianchi, mentre ridevo e cercavo di saltare i vari ostacoli che si nascondevano sotto di essa. Jacob dietro di me cercava di afferrarmi, di farmi cadere, con una risata specchio della mia. Ogni tanto mi voltavo per capire quanto fosse distante e lo trovavo sempre troppo vicino, tanto da chiedermi se non lo facesse apposta a non raggiungermi.
    Continuammo così per qualche ora, semplicemente giocando, come se fossimo tornati bambini. Il mio giaccone abbandonato accanto alla Golf. Mi apprestavo a tirare l’ultimo field goal che mi avrebbe assicurato la vittoria, anche se non sapevo bene come fossi arrivata a quel risultato. Tutta fortuna, visto che Jake era scivolato un paio di volte quando era toccato a lui. Incredibilmente riuscii nella mia impresa, calciai forte e la palla roteò in aria, in alto, fino ad oltrepassare i pali dritto nel mezzo. Esultai come avessi davvero dieci anni, iniziando a correre tutto intorno alla metà campo.
    « E’ solo fortuna, Bells » mi gridava dietro Jacob.
    Non me ne curai e continuai a rimbalzargli intorno, deridendolo. Jacob mi lanciò un sorriso sornione, poi scattò veloce nella mia direzione. Mi acciuffò in pochi secondi, confermando i miei sospetti che fino a quel momento mi avesse lasciata sfuggire di proposito. Sentii le sue braccia afferrare le mie, poco prima che mi rovinasse addosso con una mezza capriola. Doveva essere inciampato. Ridemmo, sprofondati nell’erba e con gambe e braccia intrecciate dopo il ruzzolone. Mi sentivo leggera. Guardavo il suo sorriso, i suoi occhi, e pensavo che non avrei mai potuto rinunciare a tutto questo.
    Jacob sorrideva, con gli occhi incatenati nei miei. Una mano lasciò la presa sul mio braccio per percorrerlo tutto, fino ad arrivare al mio fianco scoperto. Lo avvolse e sentii il calore bruciante del palmo sulla mia pelle, le dita affondate fino a sentirne la pressione sulle ossa. Dovetti fare uno sforzo enorme per impedire ai miei fianchi di muoversi verso di lui. Jacob invece si avvicinò, infilando una gamba tra le mie, i nostri nasi quasi a sfiorarsi.
    Non andava bene così, non andava bene per niente. Il suo calore, così avvolgente, mi travolgeva. Non potevo permettere che andasse oltre.
    « Faremo tardi per quella pizza » me ne uscii.
    Jacob non si scompose, nemmeno sorrise. Piuttosto aumentò la stretta sul mio fianco, avvicinò ancora il busto al mio. Potevo sentire il suo torace sfiorare il mio, mentre respirava. Avvicinò ancora il viso, ma io mi voltai dall’altro lato. Sospirò frustrato.
    « Al diavolo la pizza, Bells »
    Mi baciò la guancia che gli porgevo e che, già accaldata per la corsa, divenne ancor più rossa. Le sue labbra soffiarono una risatina sulla mia pelle a quella reazione.
    « Da quanto non ti sentivi così? » sussurrò, sfiorandomi il collo con il naso.
    Se per così intendeva letteralmente a fuoco, beh la risposta era da un pezzo. Mi sentivo bruciare sotto le sue mani, il suo fiato. Il cuore mi martellava in petto talmente forte che pensai potesse arrivare a toccare la stoffa azzurra della camicia di Jacob. Non potevo lasciarmi andare, non potevo. Me stessa prima di chiunque altro, mi rammentai.
    « Adesso basta, Jake. Avevi promesso ».
    Riuscii a divincolarmi dal suo abbraccio, scivolando sulla terra fino ad essere fuori dalla morsa pesante e bollente del suo corpo. Lo sentii sbuffare esasperato, prima che si tirasse su. Mi avviai alla macchina, infilai il giaccone e quando mi voltai lo trovai che si guardava intorno, tastandosi le tasche dei jeans.
    « Che c’è? »
    « Mi sa che ho appena perso le chiavi »
    « Scherzi? » chiesi, guardando il campo avvilita.
    « No »
    Gli lanciai un’occhiata. Se si trattava di uno dei suoi trucchetti per tenerci ancora lì non mi piaceva affatto.
    « Bella, davvero. Non ho bisogno di certe stronzate, se ti voglio ferma qui … » schiacciò il mio corpo tra il suo e l’auto, le mani poggiate al tettuccio dietro di me « … so come fare ».
    Si discostò lentamente con un sorriso da schiaffi, io sbuffai. Mi guardai ancora intorno. Non saremmo mai riusciti a ritrovare un mazzetto di chiavi in una giungla simile.
    Infatti impiegammo più di un’ora a setacciare in lungo e in largo tutto il campo. Il tramonto non aveva di certo aiutato le ricerche e più la luce andava affievolendosi più perdevo ogni speranza di ritrovare quelle maledette chiavi.
    « Sai che sono un coglione? » mi chiese Jacob dall’altro lato del campo.
    « Finalmente lo ammetti » risposi senza staccare gli occhi da terra, mentre setacciavo ogni centimetro di terreno intorno alle mie scarpe.
    « No, davvero. Smonto e rimonto qualsiasi mezzo a motore anche alla cieca ogni giorno. Posso farla partire con i fili. Come diavolo ho fatto a non…»
    « Le ho trovate! » lo interruppi. « Le ho trovate, Jake! »
    Afferrai le chiavi, mi raddrizzai sulla schiena e le feci tintinnare sorridendogli. Lui mi sparò uno di quei sorrisi che sarebbero capaci di illuminare perfino la notte e corse verso di me.
    « Grande, Bells! »
    Saltellavo sul posto, felice e sollevata. Jacob mi raggiunse e mi sollevò in un attimo, facendomi saltare per aria un paio di volte. Gridava festoso e non dava l’impressione di voler smettere. Forse stava leggermente esagerando. Mi mise di nuovo a terra mentre continuava a saltellarmi intorno.
    « Yeah! Sei un mito! » mi prese le chiavi di mano mentre lo guardavo leggermente stupita. « Woohoo! »
    Mi sorrise e lanciò le chiavi dietro le sue spalle, che atterrarono da qualche parte molto lontano. Sgranai gli occhi incredula, mentre lui scoppiava a ridere.
    « Ma che … sei impazzito? Ci sono volute ore! » gli gridai contro.
    Ma Jacob non sembrava voler smettere di ridere. Dopo una lunga serie di imprecazioni da parte mia ed una infinita risata da parte sua, si decise a porre fine a quello scherzo che solo lui trovava divertente. Si trasformò in lupo e recuperò le chiavi. In meno di dieci minuti eravamo diretti in pizzeria.
    Quando Jacob frenò nel parcheggio sul retro del ristorante a Port Angeles, si slacciò la cintura di sicurezza senza problemi. A differenza di me, che cercavo in ogni modo di tirarla fuori dal gancio senza successo.
    « Ah, già. Quella è ancora un po’ difettosa, ti aiuto io ».
    Si allungò verso di me, o forse sarebbe meglio dire sopra di me. Mi sovrastò togliendomi del tutto la visuale del parabrezza, un ginocchio poggiato sul suo sediolino ed una mano contro il mio finestrino.
    « Giusto questa qui, eh? Guarda caso » commentai.
    Lui ridacchiò appena, sottovoce, abbassandosi eccessivamente per raggiungere la fibbia incastrata.
    « Vedi, ci vuole soltanto un pochino … di forza » sussurrò guardandomi dritto negli occhi, mentre con uno strattone deciso liberava la cintura dall’ingranaggio.
    Tenne la parte metallica in mano, mentre la faceva risalire lentamente lungo tutto il mio busto, per sfilarmi la cintura. Mi resi conto che quell’appuntamento era iniziato bene, ma procedeva sempre peggio. Da semplici messaggi innocui e sottintesi Jacob era passato allo sfacciato andante, senza nessun freno. Mi dissi che me lo meritavo, la situazione stava degenerando per colpa mia, che non avevo un briciolo di polso fermo. Così, nonostante stessi andando a fuoco per la vicinanza del suo corpo forte e caldo, deglutii e mi imposi.
    « Jake »
    « Dimmi tutto » disse piano
    « Togliti di dosso. Ora » ordinai, la voce più dura che avessi mai usato.
    Jacob mi guardò sorpreso, ma non si mosse. Dopo il primo attimo di incertezza fece per parlare, con un mezzo sorrisetto che stava iniziando a spuntargli sulle labbra.
    « Jacob mi hai sentito? Togliti » lui esitò ancora un attimo. « Subito » aggiunsi.
    Lui sbuffò, ma si lasciò cadere sul suo sediolino.
    « Io proprio non ti capisco » mi guardò di sbieco. « Lo capirebbe perfino uno stupido che … »
   « D’accordo basta così » alzai la voce, non volevo sentire altro. « Mettiamola così, Jake. Ho accettato di passare una serata con il mio migliore amico, quello che mi ha promesso una pizza senza altre complicazioni e questa mi sembra tutto fuorché un’uscita amichevole ».
    Quando vidi che taceva, ascoltandomi sul serio, senza più l’aria da spaccone che aveva addosso fino ad un secondo prima, aggiunsi. « Per favore, Jacob » a bassa voce, fissando il mio sguardo nel suo. « Lo sto chiedendo al mio migliore amico. Per favore, rispetta la mia decisione. Ho … » sentii gli occhi inumidirsi, la voce tremarmi leggermente « … io ho bisogno di … »
    Jacob espirò forte « Scusa, Bells » scosse il capo. « Sono stato un coglione, perdonami ».
    Allungò le braccia verso di me e mi attirò a se, stringendomi in un abbraccio forte e caldo. Rassicurante. Non c’era niente di malizioso in quella vicinanza, l’opposto di quanto successo fino a poco prima. Sospirò, accarezzandomi la testa che tenevo poggiata al suo petto.
    « L’hai sempre saputo che sono un coglione. Ma mi vuoi bene anche per questo, giusto? »
    Sollevai lo sguardo per incontrare il suo, dolce e gentile, quello del mio amico. Sorrideva e io non potei non imitarlo, come ogni volta.
    « Più o meno … » commentai, storcendo appena il naso.
    Le nostre risate si unirono, riecheggiando nel piccolo abitacolo della Golf e come avrebbero fatto per tutto il resto della serata.
 
 
    « Devo proprio dirtelo, Bells » farfugliò ad un certo punto, con la bocca piena.
    La sua pizza era finita da un pezzo ed aveva iniziato a mangiare la metà della mia che avevo lasciato. Dai bicchieri di coca cola colavano goccioline di condensa, la bibita troppo fredda per quel locale così caldo. Jacob si era lamentato, se fossimo stati a casa avrebbe potuto godersi una bella birra invece di quella schifezza dolciastra. Subito dopo si era sbottonato un po’ la camicia azzurra, accaldato. Lo sguardo della cameriera si era fissato sul suo petto, se lo mangiava con gli occhi da quando avevamo messo piede lì dentro.
    « Cosa? »
    Si succhiò l’olio dei peperoni dalla punta delle dita. Gli passai un tovagliolo, lui alzò gli occhi al cielo e lo afferrò.
    « Sei cazzuta »
    « Suppongo sia un complimento »
    « Ovvio. Cioè … sei una tosta », mi guardò davvero con orgoglio prima di proseguire. « L’ho sempre saputo che sai il fatto tuo, però … ammetto che sono rimasto stupito di come hai affrontato le questioni mie e di quell’altro. Insomma, ci hai anche mandati a fanculo entrambi e, con il senno di poi, hai fatto benissimo. Sei una tosta ». Ribadì annuendo, con un sorriso sulle labbra.
    Tralasciando il fatto che, a modo suo, mi stava facendo uno dei più bei complimenti che avessi mai ricevuto, Jacob sembrava davvero orgoglioso di me. Nei suoi occhi c’era una luce diversa, di chi ha ricevuto una piacevole sorpresa. Mi sentii rincuorata all’istante. Tutti i miei timori, le paure e le insicurezze di aver sbagliato con loro, di non essere stata all’altezza delle loro rivelazioni, furono spazzate via in un sospiro. Mi sentivo cambiata, sentivo che stavo crescendo e questa ne era finalmente la prova. Se riuscivano a vederlo anche gli altri, allora non era solo una mia impressione.
    « Grazie, Jake » posai una mano sulla sua.
    In quel grazie c’erano talmente tante cose che sperai solo riuscisse a carpirle dal mio sguardo. C’era un grazie per il suo appoggio, uno per il suo orgoglio, uno per la sua semplicità, ma soprattutto uno per la soddisfazione che mi dava il suo apprezzarmi come persona, nei miei gesti e nelle mie scelte, e non soltanto per i miei occhi o le mie gambe.
    Ancora una volta, i suoi occhi nei miei, fui certa che comprese. Sollevò la mano dal tavolo per portarsi la mia alle labbra e baciarla.
 
 
    Quando mi riaccompagnò rimanemmo qualche minuto in macchina a scambiare le ultime battute. Le luci in casa erano tutte spente, segno che Charlie era già a letto o ancora in centrale. Nonostante gli alti e bassi di quella giornata mi riusciva difficile salutare Jacob e scendere dall’auto. Avrei voluto che quel momento durasse il più a lungo possibile. Dovevo rendergli merito che quelle ore trascorse insieme erano state ossigeno puro. Ci salutammo a malincuore, negli occhi di entrambi l’amara consapevolezza che il giorno dopo non sarebbe cambiato assolutamente niente, che quella giornata era stata soltanto un tuffo nel passato e niente più.
    Camminavo sul selciato nell’aria fredda della sera, facendo tintinnare le chiavi tra le dita. Le infilai nella toppa, mi voltai a salutare Jacob che ricambiò con un colpo di clacson prima di andare via, poi entrai in casa e mi richiusi la porta alle spalle. La casa era stranamente silenziosa, niente russare, niente tv accesa al piano di sopra. Charlie doveva essere ancora in centrale. Mi tolsi il giaccone con una strana sensazione addosso, andai in cucina per un bicchier d’acqua. C’era qualcosa che mi punzecchiava un angolo dei pensieri, ma non riuscivo a cogliere cosa fosse di preciso. Avevo la sgradevole sensazione di aver dimenticato qualcosa.
    Di solito è una percezione che si ha quando si esce di casa e non quando si rientra, ma non mi stupii più di tanto, forse rientrava tra le mie stranezze ancora inesplorate. Mi dissi che sicuramente si trattava di una battuta o qualcosa che volevo raccontare a Jacob, ma che non mi sovveniva. Scrissi un bigliettino a Charlie per quando sarebbe tornato, dicendogli che ero a letto. Lo fissai al frigo con una calamita, poi spensi la luce e mi diressi al piano di sopra.
    Quando entrai in camera c’era buio pesto e un freddo incredibile. Chiusi la finestra che avevo lasciato aperta fin dal pomeriggio. Fu solo quando mi voltai che notai la persona seduta sul mio letto.
    « Bentornata, Isabella. Hai trascorso una giornata piacevole? »
    Al suono di quella voce mi si gelò il sangue nelle vene e mi fu chiaro cos’avessi dimenticato.

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Capitolo 43
*** Avviso ***



AVVISO

- Sospensione temporanea della pubblicazione -





Buon pomeriggio a tutti.
Mi dispiace infinitamente dover postare questo avviso, ma è necessario. Più di ogni cosa, però, è per rispetto nei vostri confronti.
Questo 2012 mi ha portato molti problemi, situazioni complicate e difficili dalle quali una alla volta sono riuscita a venir fuori. Ma, per rimarcare l'andazzo di quest'anno nuovo, qualche giorno fa mi si è rotto definitivamente il computer. E' un periodo davvero da pazzi, fra esami universitari, trasferimenti, problemi, e anche il pc rotto.
Ho considerato tutti questi eventi, sommandoli ad un pensiero su Undisclosed Desires che avevo già da un po', e alla fine ho deciso di sospendere la pubblicazione della storia.
Non so dirvi con precisione quando riprenderò a postare i nuovi capitoli, ma la mia intenzione sarebbe quella di pianificare (se non svolgere) tutto il lavoro prima di ritornare a pubblicarli.
Quindi, cosa dire?
Non è un addio, assolutamente.
E' un arrivederci.
Un invito a voi che avete sempre seguito Undisclosed Desires a non dimenticarvi di lei.
Vi prometto che farò tutto il possibile per rendere questa sospensione quanto più breve possibile.
Grazie per aver avuto sempre così tanta pazienza ed affetto nei mei confronti, grazie ad ognuno di voi.

A presto,
Roberta.

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