Alice Human Sacrifice di Sophie Isabella Nikolaevna (/viewuser.php?uid=112900)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: C'era una volta un piccolo sogno ***
Capitolo 2: *** I - Meiko ***
Capitolo 3: *** II - Kaito ***
Capitolo 4: *** III - Miku ***
Capitolo 5: *** IV - Rin e Len ***
Capitolo 6: *** V - Sogni d'oro ***
Capitolo 1 *** Prologo: C'era una volta un piccolo sogno ***
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AHS
.:Alice Human Sacrifice:.
.:Prologo
- C'era una volta un piccolo sogno:.
"Bene, bambini, ora lasciate che vi legga una storia", disse la nonna
dall'unico angolo illuminato della stanza in penombra.
I cinque piccoli
si allontanarono dai loro giochi e si sedettero intorno alla vecchia
signora seduta sulla sedia a dondolo, gli occhi spalancati dalla
curiosità. Il fuoco del caminetto lanciava bagliori
tremolanti tutt'intorno a loro, che si riflettevano nei vari specchi
appesi alle pareti e illuminavano gli sguardi dei signori ritratti nei
numerosi quadri.
"Che
cos'è quel libro, nonnina?", chiese la piccola Meiko,
appena undici anni, fissando il grosso volume dalle pagine ingiallite
che la vecchia
signora teneva sulle ginocchia. Il titolo era in grosse lettere
scarlatte, proprio come il vestito della bambina. La nonna la
guardò da dietro le lenti degli occhiali:
"Vedrai, vedrai.
Sono sicura che vi piacerà".
La piccola Meiko
si sistemò meglio vicino al caminetto, pronta ad ascoltare
la storia.
"C'era una volta... un
piccolo sogno".
La voce della nonna si fece improvvisamente estranea, fredda... quasi
nemica. "Nessuno sa chi lo sognò".
"Un... sogno?", disse il piccolo Kaito, tredici anni appena compiuti,
un velo di paura negli occhi
blu.
"Così, il piccolo sogno pensò...",
continuò la nonna senza badare al bambino, "Io non voglio
scomparire. Come posso fare perché le persone mi sognino?".
L'anziana donna fece una pausa ad effetto, durante la quale i bambini
la fissarono con il fiato sospeso, un po' perché curiosi, un
po' perché spaventati da ciò che avrebbero potuto
sentire. L'unico rumore che si udiva era il lieve crepitare del fuoco
nel camino.
"E poi?", chiese timidamente Miku, la più gracile e carina
del gruppetto, nove anni, guardando la nonna da sotto la frangia color
verde acqua.
"Il piccolo sogno pensò e pensò... e alla fine
ebbe un'idea. Attirerò
le persone a me. E allora...".
La nonna sorrise, e nei suoi occhi si accese una luce quasi malvagia, "Allora
saranno loro a creare il mio mondo!".
"Non
mi piace
questa storia!", gridò Len, il più piccolo dei
due gemelli biondi di sette anni, e strinse la mano a sua sorella Rin.
"Nemmeno a me", disse questa, la più coraggiosa dei due,
"c'è qualcosa di strano".
"Non vi piace? Pazienza...". La nonna chiuse il libro. "Preferite
andare a dormire?". I cinque piccoli si scambiarono un'occhiata
impaurita e annuirono. "Come volete".
La nonna li accompagnò su per le scale fino alla loro stanza
da letto. In questa non c'era nessun caminetto, solo un grande letto a
baldacchino che doveva essere appartenuto ad una nobile famiglia del
passato, magari una di quelle famiglie che nascondono segreti e
intrighi di ogni genere. Forse, la stessa di cui erano ritratti i
componenti nei numerosi quadri del piano di sotto.
I cinque amici si sistemarono nel letto, irrequieti. La nonna
appoggiò il libro sul comodino e uscì dalla
stanza.
"Buonanotte", disse prima di chiudersi la porta alle spalle, "e... sogni
d'oro".
Chiuse la porta.
I bambini restarono immobili per qualche secondo.
"Ha detto... sogni?",
chiese la voce della piccola Meiko nell'oscurità.
Poi, nessuno disse più una parola.
SPAZIO
SOPHIE
PER PRIMA COSA!
Sono disperata!
Stavo pubblicando l'ultimo capitolo di questa storia e si è
CANCELLATA TUTTA per sbaglio!
Me misera me tapina -_-
Ma non c'è un momento da perdere, devo ripubblicarla tutta
al più presto!
Comunque...
La prima volta che ho sentito la canzone "Alice Human Sacrifice" e ho
visto il video sono rimasta totalmente stregata. So che già
in
millemila hanno scritto una song fic su questa canzone, ma dovevo farlo.
Nei prossimi capitoli la storia potrebbe avere qualcosa di leggermente
diverso dal testo della canzone: ho preso ispirazione da questo, ma
ciò non significa che non possa lavorare di fantasia.
Aspetto commenti, anche critiche :)
(e dire che quando l'avevo pubblicata la prima volta aveva avuto anche
un discreto successo! siiiigh)
SophIsabella
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Capitolo 2 *** I - Meiko ***
.:Capitolo
I - Meiko:.
La piccola Meiko si svegliò di soprassalto.
La prima cosa che notò fu che era sola nel grande letto a
baldacchino. Un brivido gelido le percorse la schiena.
"Kaito?", chiamò. "Ehi! Dove siete?".
Non ottenne risposta.
"Meiko, di
cosa hai paura?".
Fu come se qualcuno l'avesse capovolta improvvisamente, facendola
finire a testa in giù. Il suono di quella voce... lei lo
conosceva. Gli occhi sbarrati, lentamente si girò, pronta a
tutto.
La stanza era avvolta nel buio più nero eppure, poco lontano
da lei, una piccola figura riluceva, bianca. Una piccola e stilizzata
figura umana con una grande testa rotondeggiante e due enormi occhi
neri, uno dei due attraversato da una cicatrice. Sorrise sinistramente.
Meiko sbarrò ancora di più gli occhi e si
alzò in piedi sul letto, coraggiosa. Aveva da tempo imparato
che l'unico modo per non avere paura era farsi temere.
"Brava.
Così mi piaci", disse la creatura.
"Sei un fantasma?", chiese la bambina.
"Oh, no. Io
sono solo un piccolo sogno...".
Ma certo. Il piccolo sogno della sera prima. Quella della nonna...
"Allora era una favola... vera?".
Il piccolo sogno si limitò a sorridere come aveva fatto
pochi istanti prima e prese in mano il libro che la nonna aveva
appoggiato sul comodino. Il volume era alto giusto la metà
della piccola creatura, però questa riuscì a
sollevarlo e ad aprirlo senza problemi.
"Vediamo...
dov'eravamo rimasti?", si chiese. Meiko poté
nuovamente notare una sfumatura di familiarità nella sua
voce. "Ah...
già. 'E allora saranno
loro a creare il mio mondo!'.
Lei è la
prima Alice, tutta rossa e con la spada, nel Paese delle Meraviglie
entra e va. Lei avanza uccidendo tutto ciò che trova, un
sentiero rosso dietro sé lei lascia già. Ma
questa Alice si spinge troppo in là, e come punizione viene
imprigionata. Se non fosse per quel sentiero rosso ormai, tutti ora si
dimenticherebbero di lei".
"E... che fine fa la prima Alice?", non
poté fare a meno di chiedere Meiko.
"Lo vedrai.
Lo vedrai. E ora, seguimi".
"Perché?".
La creatura la guardò fissa negli occhi per qualche secondo:
"Avanti,
fa' felice un povero, piccolo sogno".
Meiko si fece forza, scese dal letto e seguì il piccolo
sogno verso la porta. Passando velocemente davanti ad uno specchio le
sembrò, nonostante il buio pesto, di vedere riflessa la
propria immagine. Però, invece di una bambina, vide una
giovane donna, pallida e vestita di rosso, con in mano un lungo oggetto
metallico. Senza darlo a vedere, rabbrividì.
Si fermarono davanti alla porta.
"Prima le
signore", si fece indietro il piccolo sogno.
Meiko trasse un profondo respiro e, coraggiosa e decisa, prese in mano
la maniglia, pronta ad aprire la porta.
Come lo fece, l'intera porta iniziò a risplendere di propria
luce color rosso intenso.
"Aprila, su".
Meiko abbassò la maniglia, spinse l'anta e si
ritrovò in corridoio.
La prima cosa che notò furono gli alberi. Come avessero
fatto a crescere degli alberi nel corridoio, non lo sapeva.
Fattostà che erano lì: fitti, neri e intricati.
Un reticolo infernale.
La seconda furono le candele. Decinde di candele accese alle basi degli
alberi che tingevano d'oro l'oscurità della foresta e della
notte.
Infine, ai suoi piedi giaceva una spada regale e rilucente, con un
rubino sull'elsa d'oro. Quando la prese in mano e la
sollevò con fare battagliero, si accorse che sul dorso della
sua mano destra le era comparso un segno. Una picca color rosso fuoco.
Sorrise di fronte alla strana situazione.
"E' come quando io e i miei amici giochiamo", osservò ad
alta voce. "Facciamo finta che le stanze di questa casa siano boschi,
castelli o mari. Ed è come se lo diventassero davvero.
Peccato che loro non ci siano, si divertirebbero un mondo!".
"Non ci
sono, è vero", rispose il sogno. "Ma probabilmente
arrriveranno...".
"Che bello!", esclamò Meiko, e si fece avanti decisa,
recidendo con la spada i rami che la ostacolavano, dimentica della
storia della Prima Alice.
"...quando
sarai improgionata per sempre", finì il piccolo
sogno.
Ma Meiko non lo sentì.
La bambina avanzava decisa in mezzo al bosco. A volte delle cose, degli esseri
neri, uscivano dagli alberi e le si paravano davanti, ma lei li faceva
fuori con un solo colpo di spada. Senza
accorgersi che ad ogni creatura uccisa una candela si spegneva,
tramutandosi in una rosa rossa. E ogni volta che le
capitava di vedersi riflessa nell'affilata lama della spada, vedeva il
volto di una donna combattiva, gli occhi rossi e macchiata di
sangue. Sangue di nemici sconfitti, pensava Meiko.
Non la sfiorava minimamente il pensiero che quello avrebbe potuto
essere invece il suo
stesso sangue.
"Attenta,
Meiko... attenta...", sentì dirle una vocina,
la voce del piccolo sogno.
"A che cosa devo stare attenta?". chiese la bambina in tono di sfida,
"Quando io e i miei amici giochiamo, faccio sempre la parte della
guerriera. Ora finalmente il gioco è diventato vero e io
sono una vera guerriera!".
"Fai
attenzione, piccola Meiko... il corridoio sta per finire...".
"Insomma, basta con questi rimproveri. Ora sono io a doverti dire una
cosa". Si interruppe per tagliare la testa ad un'altra sagoma nera. "La
tua voce mi è familiare. Molto familiare.
Perché?".
Il piccolo sogno non le rispose. Sorrise ancora una volta in modo
sinistro e osservò ciò che stava accadendo con
malignità.
La piccola Meiko era giunta alla fine del corridoio. Davanti a lei, il
muro.
"Lei è la prima Alice,
tutta rossa e con la spada
Nel Paese delle Meraviglie entra e va.",
canticchiò il
piccolo sogno, facendo volare le parole della fiaba su una melodia
inquietante.
Meiko si fermò di botto, ricordandosi della fiaba. La Prima
Alice. Tutta rossa e con la spada. Lei
era la Prima Alice.
"Piccolo sogno!", chiamò, guardando vicino ai
propri piedi.
Era in piedi su un sentiero color rosso sangue, il sangue delle
creature che aveva ucciso. Le girò la testa. Il sentiero era
circondato da rose rosse. Il piccolo sogno spuntò da dietro
una delle sue caviglie.
"Lei avanza
uccidendo tutto ciò che trova, un sentiero rosso dietro
sé lei lascia già."
"Smettila!".
"Ma questa Alice si
spinge troppo in là, e come punizione viene imprigionata."
Meiko si voltò
di scatto. La foresta era buia, ora che non c'erano più le
candele. Solo le rose - e il sangue del sentiero - risplendevano di
luce rossa. Proprio dietro di lei erano calate le spesse sbarre di un
cancello, o di una gabbia. Andavano da una parete all'altra del
corridoio. Da un lato il cancello, dagli altri tre le pareti. Era in
trappola.
"Fammi uscire!". Si attaccò disperata alle sbarre. "Piccolo
sogno, fammi uscire!".
"Se non fosse per
quel sentiero rosso ormai
Tutti ora
si dimenticherebbero di lei."
"Piccolo sogno",
ansimò Meiko, "ora devi dirmelo! Cosa succede alla Prima
Alice dopo essere imprigionata? Cosa le succede?!".
Il piccolo sogno la guardò con occhi falsamente innocenti.
"Muore...
non è ovvio?".
Meiko osservò con orrore le creature nere - le stesse
creature nere che aveva ucciso - infilarsi tra le sbarre del cancello e
avvicinarsi a lei. Poi, aguzzando lo sguardo, le parve di scorgere,
all'inizio della selva, due teste bionde. Due gemelli.
"RIN! LEN!", chiamò. Ma i due non la sentirono, e
scomparvero. Le creature si stavano avvicinando. E proprio mentre gli
esseri neri si arrampicavano lungo il suo corpo e la immobilizzavano,
proprio mentre le loro viscide mani raggiungevano la sua faccia,
proprio mentre una catena scarlatta avvolgeva tutto ciò che
vedeva...
...sentì il piccolo sogno chiederle:
"Vuoi
sapere perché la mia voce ti è familiare, piccola
Meiko?".
SPAZIO SOPHIE! (:
Allora.
L'ambientazione del tutto all'interno della casa è un po'
strana. Ma anche io, come la piccola Meiko, da bambina immaginavo che
le stanze della mia casa si trasformassero in altri luoghi, e sarei
stata felicissima se fosse successo davvero. Quindi, dovendo scrivere
dal punto di vista di una bambina, mi è venuta questa idea
stramba ma - almeno spero - originale.
Ah, un avvertimento. La traduzione della canzone è mia, ho
cercato di farla almeno QUASI in rima ^^, quindi per favore non dite
"no, non è così" etc.: ho cercato di fare del mio
meglio xD Bon. E' tutto. Grazie mille a
Epic_chan e _Chibi_chan_
per
le loro simpatiche e
graditissime recensioni, e a FedyTsubasa
per avermi
pazientemente ri-recensito e... al prossimo
capitolo!
Sophie (:
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Capitolo 3 *** II - Kaito ***
Capitolo
2 - Kaito
Il piccolo sogno
si
allontanò
saltellando. I suoi piani erano inziati perfettamente, il suo mondo
stava venendo creato, ma c'erano ancora tanti affari da sbrigare.
Quella piccola gli aveva portato la guerra, ma aveva bisogno di un
sacco di altre cose. Era
intelligente la ragazzina, però: aveva notato una
familiarità nella sua voce. Ma di certo non era ancora il
momento... no.
All'inizio aveva
pensato di rivelarle il suo segreto
quando fosse stata imprigionata, e così le aveva chiesto se
voleva sapere cosa c'era di strano nella sua voce.
Poi però... aveva cambiato idea. Sorrise, malvagio. Non si
può forse cambiare idea?
Glie l'avrebbe rivelato alla fine di tutto. Quando il suo mondo sarebbe
stato finalmente completo...
Fu distolto dai suoi pensieri dalla limpida e forte voce di un ragazzo.
"Meiko!", chiamava. "Miku! Len! Rin! Dove siete? Meiko!".
Ecco. Era giunto il momento.
"Ciao, Kaito",
disse
cerimoniosamente aprendo la porta rossa.
* *
*
Se
c'era una cosa che Kaito aveva sempre, costantemente in testa erano le
note musicali. Anche se era solo un ragazzino, sapeva perfettamente che
avrebbe dedicato la sua vita alla musica.
Anche
ora che si
trovava solo
in casa, che i suoi amici erano
scomparsi, aveva in testa una melodia. A dire il vero, erano proprio le
diverse situazioni ad ispirargli arie e canzoni varie. Guardandosi
intorno e chiedendosi perché fosse rimasto solo,
inziò a
canticchiare un motivetto strano, ritmato e - non sapeva
perché
- un po' macabro. Dopotutto, quando mai aveva composto melodie allegre?
La sua infanzia andava scemando, gettandolo a capofitto
nell'adolescenza con tutti i suoi problemi. E lui sentiva che non ce
l'avrebbe fatta ad affrontarla, aveva sempre avuto un carattere
fragile. Era solito nascondersi dietro la sciarpa e i capelli blu notte
e osservare il mondo così protetto.
Fu distolto dai
suoi pensieri
da un cigolio penetrante. Pian piano la porta della stanza, che solo
allora Kaito notò essere illuminata di rosso, si
aprì. Ne uscì uno strano fantasmino bianco con
una
cicatrice sull'occhio e uno strano sorriso, che lo salutò
con
tono cerimonioso. Il ragazzino lo osservò con
perplessità.
"Ma come
canti bene",
gli disse poi il sogno. "Un po' di musica
è proprio quello che ci vuole per me. Il mio mondo ha
già la guerra, ma la musica gli manca".
"Il... tuo
mondo?", chiese Kaito sospettoso. "Sei il sogno di cui ci ha parlato
ieri la nonna, vero? Allora
saranno loro a creare il mio mondo!".
"Ma come
sei intelligente", lo adulò il
piccolo sogno. "Devo dire che siete
tutti bambini molto intelligenti".
"Io non sono
più un bambino", disse Kaito fulminandolo con lo sguardo,
"ho tredici anni".
"Certo,
certo. Che musichetta stavi cantando, prima?".
Kaito
intonò nuovamente il motivetto, e il piccolo sogno
applaudì:
"Bravissimo.
Immagino che ora tu voglia metterci le parole, no? Lascia che ti dia
uno spunto". Il
volume era ancora sul comodino. Il piccolo sogno lo aprì e
iniziò a leggere da dove era rimasto. "Blu e fragile
è l'Alice che seconda sta...".
Kaito fu percorso
da un tremito. Il piccolo sogno aveva una strana voce, una voce che il
ragazzino aveva già sentito.
"Nel Paese delle
Meraviglie
canta e va...", proseguì senza sapere da dove venissero
quelle
parole, ma subito si bloccò, irrequieto. Sentiva uno strano
brusio
provenire da dietro la porta rossa luminescente. Voci. Esclamazioni
lontane. Non riusciva bene a distinguerne le parole, ma gli sembrava,
dal tono, che esprimessero ammirazione.
"Una voce
bellissima!", disse
chiaramente una delle voci, più forte e nitida delle altre.
Fu
seguita da mormorii d'approvazione.
"Si
riferiscono a te", gli disse il piccolo
sogno. "Oltre
la porta c'è il pubblico che hai sempre... sognato. Un pubblico
pronto ad acclamarti".
Kaito
avanzò lentamente
verso la porta e l'aprì, ritrovandosi nell'intricata selva
che
era diventato il corridoio. Osservò con orrore il sentiero
tracciato dal sangue rosso scarlatto e le rose dello stesso colore. Un
colore che gli ricordava tanto una sua carissima amica...
"Meiko...",
mormorò, invaso da un brutto presentimento.
"Pensa al
tuo pubblico", gli
ricordò una vocina proveniente dal basso. "E... pensa ad un
povero, picccolo sogno senza musica".
"Qui non
c'è nessun pubblico", rispose Kaito cupamente.
"Però
c'è una porta".
Di fronte a lui si
apriva
un'altra porta, nella parete opporta del corridoio. Le voci sembravano
provenire proprio da lì. Prese in mano la maniglia e
improvvisamente la porta si illuminò, come quella che aveva
appena oltrepassato. Questa, però, divenne di un blu
intenso.
Alla luce emanata dalla porta, Kaito si vide riflesso nella maniglia, e
gli parve di vedere il volto di un giovane uomo, bello e triste, una
pistola puntata alla tempia. Chiuse gli occhi e fece un profondo
respiro. Non poteva averlo visto davvero, non era possibile. Eppure, il
piccolo sogno... le rose... il bosco, le porte illuminate... che cosa,
di tutto questo, era possibile?
Forse davvero il
suo destino era di ritrovarsi con una pistola puntata alla tempia?
"Vai avanti".
Kaito
obbedì all'ordine del piccolo sogno e aprì la
porta.
"Eccolo".
"Dev'essere lui".
"Il bambino che
cantava così bene".
Una folla si
aprì al suo
passaggio in quello che era sempre stato il salotto della grande casa.
Anche i quadri alle pareti sembravano fissarlo, gli occhi illuminati
dalla luce blu che aleggiava nell'ambiente.
"Non sono
più un
bambino", rispose Kaito tra i denti, tremando. Da dove venivano quelle
persone e quella luce? Se fosse stato ancora un bambino, come tutti i
suoi amichetti, non si sarebbe posto quelle domande e non si sarebbe
sentito così teso, così all'erta...
così spacciato.
"Certo
che no", rispose la folla all'unisono, e decine di volti gli sorrisero
benevoli... benevoli?
"Il
pubblico vuole che continui a cantare", lo ammonì il
piccolo sogno, sbucandogli da dietro una caviglia. "Le parole sono
scritte nel libro che ho lasciato nell'altra stanza... ma tanto tu le
sai già, giusto?".
Kaito
deglutì, incapace
di proferire parola. Si guardò intorno, gli occhi
spalancati. In
fondo, andava ancora tutto bene, giusto? Non era successo niente di
veramente brutto, si era soltanto immaginato una pistola nel suo
riflesso distorto nella maniglia.
Solo quando
cercò di
ricordarsi la melodia che aveva intonato, si accorse di avere le mani
occupate. Nella destra, sul cui dorso era comparso un quadro blu,
teneva degli spartiti, mentre nella sinistra stringeva qualcosa di
freddo e pesante... non osò guardare di che cosa si trattava.
"Avanti,
sali sul palco".
"...palco?".
Sul lato opposto
della stanza
troneggiava un grande divano di cui in quel momento la luce blu rendeva
impossibile
stabilire il colore, ma che era sempre stato nero. Riluttante, Kaito lo
raggiunse e vi salì sopra, e immediatamente questo
sembrò
assumere la forma e la consistenza di un vero palco...
Kaito
osservò la folla. In fondo questo era quello che aveva
sempre voluto, no? Un pubblico per sentirlo cantare.
Non appena
aprì bocca
per prendere fiato e si sollevò gli spartiti all'altezza
degli
occhi, una visione agghiacciante lo accecò per un attimo
come un
lampo. L'intera
folla era composta da scheletri. Boccheggiò per
qualche secondo. La visione scomparve come era arrivata, lasciandolo
senza fiato e con il cuore a mille.
"Beh, che cosa
fa?".
"Non canta?".
La folla stava
diventando impaziente e lo osservava con curiosità. Con troppa
curiosità.
Una curiosità decisamente penetrante. A Kaito
girò la testa e sorrise.
"Blu è fragile
è l'Alice che seconda sta
Nel Paese delle Meraviglie canta e va"
Cantò
con voce
potente, una voce
che non si addiceva ad un ragazzino di tredici anni. Le note scorrevano
sullo spartito. Giocavano. Volevano. Gli sorridevano. Si
staccavano dallo spartito e prendevano il volo, piccole e blu, girando
vorticosamente per la stanza. La folla le osservava, rapita.
"Tutti ammalia con note assai
strane e per di più...".
Di
nuovo gli scheletri.
Kaito
sbarrò gli occhi e sentì un
giramento di testa più forte del primo. Le note volavano e
vorticavano, sempre più veloci. Ogni tanto qualcuna di loro
perdeva
il controllo e andava a sbattere da qualche parte, cadendo a terra...
morta.
"Cantando... da vita...".
Altre
note si schiantarono
contro una
parete e caddero per terra. Alcune persone lo fissavano sogghignando,
altre si tramutavano in scheletri e restavano tali, a fissarlo con le
loro ossa bianche - azzurrine in quella strana luce - e con i loro
sorrisi eterni. In fondo alla sala gli sembrò di scorgere i
gemelli, Rin e Len, i suoi amici di sempre. Ma fu un attimo, poi
scomparvero tra la folla. La testa girava, girava e girava. Gli
sembrava di sentire una specie di ronzio. Era tutto troppo blu. Una
nota lo colpì alla testa e cadde a terra. Il colpo lo fece
barcollare e sorrise di nuovo. Gli sembrò di stare perdendo
definitivamente la ragione.
"A che cosa
da vita, Kaito?".
La voce del piccolo
sogno! Lui
la conosceva quella voce, la conosceva! L'aveva già sentita
prima di quella notte, ma... quando? Quando?! In mezzo al vorticare
delle note e agli sguardi senza occhi degli scheletri, ragionare era
un'impresa titanica.
"...ad un mondo folle e blu.
Come una rosa quell'Alice fragile è...".
Sì,
lui era una
persona fragile
come una rosa. Un ragazzino triste e impreparato, facile da confondere
e da forzare. Capì in quel momento che la canzone parlava di
lui, o forse l'aveva già capito. E in un breve attimo di
lucidità in mezzo a quell'inferno blu, il piccolo sogno a
fargli
da diavolo custode, capì quale sarebbe stato il prossimo
verso
che avrebbe cantato.
"Per colpa di un uomo pazzo, la
sua vita perde."
Oh,
sì, lo
sapeva, ormai. Lo
sapeva. La maniglia, la pistola, quello che teneva stretto
nella
mano sinistra. Era l'inferno quello, l'inferno! La follia dell'inferno
e della musica impazzita! Decine di morti lo fissavano delle loro
maschere d'osso, pronti a trascinarlo con sé negli abissi
dell'aldilà! Aveva dato la musica al piccolo sogno! Credeva
forse che non sentisse la sua risata sinistra, di chi è
contento
di avere fatto del male a qualcun altro? Era lì che se la
rideva, quel dannato fantasma! Rideva con quella maledetta, terribile
voce!
"Al suo posto nasce una rosa
triste e sola
Che oggi si ammira ancora senza posa!".
Sorrise
di nuovo, poi
scoppiò a
ridere rumorosamente, e gli sembrò che i sorrisi degli
scheletri
stessero facendo altrettanto. Tutti ridevano, tutti. Lui, loro, il
piccolo sogno.
Si puntò alla tempia la pistola che aveva nella mano
sinistra e sparò un colpo.
* *
*
Tutto si era calmato. Le note erano cadute a terra fino all'ultima
biscroma, e si erano trasformate in una spinosa distesa di
rose
blu. Il piccolo sogno raccolse il fragile fiore che era rimasto sul
divano al
posto di Kaito, l'unica rosa che non era sul pavimento. Emanava una
lieve musica, il motivetto spettrale che il
piccolo sogno ben conosceva.
Saltellando, si avviò verso la sua prossima vittima.
Il suo mondo aveva la guerra, il suo mondo aveva la musica: ora era il
turno della bellezza.
SPAZIO
SOPHIE!
Ci
ho messo un po' ad aggiornare perché vedevo che durante le
feste c'era pochissima gente sul sito, e ho voluto aspettare.
Mi rendo conto che
forse questo capitolo è un po' diverso dallo scorso, ma
mentre
Meiko si sente ancora una bambina, per Kaito invece non è
così.
Alla
prossima!
Sophisabella
(:
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Capitolo 4 *** III - Miku ***
Capitolo
3 - Miku
Quando il piccolo sognò tornò nella camera dei
bambini
attraverso la porta rossa, la piccola Miku era in piedi in fondo alla
stanza, a fissare le propria immagine che, nonostante il buio, vedeva
chiaramente riflessa in uno specchio più alto di lei.
La bambina indossava un elegante vestito verde chiaro dalla gonna
svolazzante, il corpetto verde scuro e le maniche a sbuffo bianche, e
sopra la gonna un grembiule bianco dai bordi di pizzo. I capelli, che
teneva come suo solito raccolti in due codini, erano color verde acqua,
e sotto la frangia i suoi occhi risplendevano della stessa
tonalità. Era sempre stata la bambina più
graziosa della
sua scuola, e lo sapeva. Quello che però lo specchio
rifletteva
andava oltre i limiti dell'aggettivo "graziosa".
Nello specchio appariva una ragazza sulla ventina, o forse anche meno,
e la sua bellezza irradiava quasi luce propria. Il suo viso dai
lineamenti dolci e armoniosi era illuminato da
un'espressione di gentile felicità. Indossava un sontuoso
abito
regale, dal corpetto e le maniche di pizzo nero ricamato finemente in
intrichi di rose. I colori della lunga gonna spaziavano in tutte le
sfumature del verde, e sul petto la ragazza
portava una spilla a forma di rosa color smeraldo. I capelli le
ricadevano lungo la schiena, lunghi e avvolti in morbidi boccoli, fin
sotto la vita. E in testa portava una piccola coroncina d'oro con
pietre preziose - verdi.
"Come sei
bella, Miku",
disse il piccolo sogno dopo essersi schiarito la voce.
"Grazie. Visto che non trovavo più i miei amici, avevo
deciso di
provarmi il mio vestito nuovo", disse la piccola a mo' di spiegazione,
senza chiedersi chi fosse stato a parlarle, "ma lo specchio ha...
cambiato la mia immagine. Se da grande sarò così
bella,
non vedo l'ora di crescere! Solo le ragazze di gentile aspetto possono
diventare principesse".
"Sai, Miku",
le rispose il sogno, "io
so come farti diventare una bellissima principessa. Anzi, di
più... una bellissima regina".
Miku finalmente si voltò. Rivolse alla creatura un sorriso
smagliante:
"Davvero? Allora mi faresti la cortesia di dirmi chi sei?".
"Io sono un
povero,
piccolo sogno che vuole avere un mondo in cui vivere per sempre. Il mio
mondo ha già la guerra e la musica, ma gli manca un po' di
bellezza. E soprattutto...". Il piccolo sogno assunse
un'espressione che lasciava intendere fini malvagi, "gli manca una
regina".
"Che cosa posso fare per fornirti quello di cui hai bisogno, piccolo
sogno?", chiese Miku, senza accorgersi del ghigno sinistro del sogno.
"Devi
semplicemente seguirmi".
"Ne sarò lieta, piccolo sogno! Ho sempre sognato di
diventare
una bellissima regina, di avere un castello, dei sudditi, di poter
organizzare balli...".
"Lo so,
Miku. Io
so tutto quello che sogni".
Ancora una volta Miku non si accorse, occupata com'era a fantasticare
sul suo meraviglioso regno, delle inquietanti parole del piccolo sogno.
Il piccolo sogno sospirò senza che la piccola Miku lo
sentisse.
Tanto, prima che quella si fosse accorta di qualcosa, avrebbe fatto in
tempo ad esplodere l'intero pianeta. Mentre gli altri due erano stati
molto intelligenti e attenti, quella bambina sembrava interessarsi
soltanto a se stessa.
"Miku, lo
sai cosa c'è scritto nel libro di fiabe della tua cara
nonna, dopo quello che vi ha letto ieri sera?", le chiese.
"No, non lo so, piccolo sogno. Lo sai che prima, quando mi hai parlato
mentre mi guardavo allo specchio, mi è sembrato di trovare
familiare la tua voce?".
"Ah,
davvero?". Il piccolo sogno fece una pausa. "Nel libro
c'è scritto quello che ora ti dirò. 'Verde
è la terza Alice, ricca di beltà, nel Paese delle
Meraviglie corre e va. Piccola e carina, ogni uomo incanta
già,
e ad un mondo strano e verde vita lei dà. Quell'Alice presto
una
Regina è resa, sì, e un sogno assai contorto
già
la cattura, così. Or lei vuol soltanto per sempre governar,
ma
dal quel suo sogno lei non potrà più scappar".
"Povera terza
Alice", si
limitò a rispondere Miku mentre di sua spontanea
volontà
apriva la
porta rossa senza porsi alcuna domanda sul colore di questa. Quando
però si ritrovò davanti alla selva intricata che
aveva
invaso il corridoio, spalancò gli occhi. "Ma che
cos'è
successo qui? Perché c'è del sangue per terra?!
AIUTO!".
"Sati
calma, piccola Miku. Questo non ti riguarda. E' tutto a posto".
"Mh". La bambina si tranquillizzò alle parole del piccolo
sogno
e, facendo attenzione a non calpestare il sangue con le sue morbide
pantofole azzurrine, raggiunse la porta blu e l'aprì. "E'
qui il
mio regno?".
"Non solo. Tutto quello che vedi intorno a te è il tuo
regno, piccola Miku. Tutto".
"Che meraviglia!". Miku corse dentro la stanza invasa dalle rose blu.
"Questi fiori sono stupendi! E... oh, quello è il
più
bello di tutti!". Si diresse saltellando aggraziatamente verso la rosa
che giaceva sul divano e che emetteva, piano, la musichetta
spettrale che aveva intonato Kaito. Il fiore era blu, come tutti gli
altri, ma appariva rosso per il sangue versato alla morte del
ragazzo cantore. Miku, ignara del perché del suo colore
scarlatto, se lo mise tra i capelli e saltellò per la stanza
lasciando dietro di sé una lieve scia di musica che solo chi
voleva poteva udire.
"Sono curiosa di vedere come prosegue il mio bellissimo regno!",
esclamò puntando verso la porta dalla quale si accedeva ad
un altro corridoio.
"Prima,
però, ti prego di rimettere la rosa al suo posto".
"Oh. Va bene, piccolo sogno". Miku, un po' delusa, si tolse il fiore
dai capelli e lo riappoggiò con delicatezza sul divano, per
poi dirigersi nuovamente verso la porta. Sorrise ingenua alla brillante
luce verde che
pervase l'uscio come lo aprì, e lo attraversò
seguita dal
piccolo sogno.
Il suo piede poggiò su un soffice strato d'erba color verde
chiaro, illuminato da tante piccole lucciole che volavano,
intermittenti, per la stanza. Quel corridoio era libero da qualsiasi
tipo di albero, in compenso il pavimento era interamente ricoperto
d'erba, le lucciole volavano, e... e sulla mano destra di Miku era
comparso
dal nulla un fiore verde.
"Piccolo sogno, che cos'è quella parete di blocchi di
pietra con una porta?", chiese Miku indicando davanti a sé.
Prima di quella notte il corridoio era sempre stato chiuso da un muro
con una
finestra che dava sul giardino, ora
invece al suo posto c'era un muro di grossi mattoni con un
portone a sesto acuto di legno scuro. Miku
corse, con passo da fata, fino a quella strana parete, balzellando tra
le lucciole.
"Prima di correre là, guarda un po' che cosa c'è
alla tua sinistra, piccola Miku", la richiamò il sogno. Miku
si fermò e, voltatasi, poté vedere alla propria
sinistra un grande specchio ovale dall'intarsiata cornice d'oro,
circondato da spinose rose verdi. La bambina sorrise alla propria
immagine riflessa: ancora la giovane regina dalla coroncina d'oro in
testa, vestita con un elegante abito dal corpetto di pizzo nero e
la lunga gonna verde scuro. Sul petto
una rosa verde smeraldo.
"Oh, piccolo sogno, starei ore a guardare quanto sarò bella
quando sarò regina!", esclamò sbattendo le lunghe
ciglia.
"Avrai tutto il tempo per farlo. Ma prima, entra nel tuo castello".
A malincuore Miku si allontanò dallo specchio e si
avvicinò alla parete di grossi mattoni e al pesante portone
di
legno massiccio, che si aprì come per magia quando vi fu
giunta
davanti.
"E' questo il mio castello?", chiese la bambina, eletrizzata. Non vi fu
bisogno di risposta: al di là del portone si ergevano le
altissime pareti di un sontuoso salone da ballo, tutto d'oro, compreso
il pavimento, e il soffitto affrescato. L'intera stanza era piena di
persone: uomini, donne, bambini e anziani, tutti vestiti a festa
secondo le mode europee di qualche secolo addietro. Dovunque gli
occhi stellanti di Miku si posassero, potevano vedere solo sontuose
decorazioni, gonne spumeggianti, luccichii e colori pastello.
"Salute a voi, Regina", disse l'intera folla all'unisono, aprendosi al
suo passaggio. Qualcuno portò, appoggiata su un cuscino
finemente ricamato, una corona d'oro con smeraldi, che le fu
immediatamente posta sul capo.
"Mia Regina", diceva chiunque incrociasse il suo sguardo.
"Mia Regina".
"Mia Regina".
"Voglio avere anche io un vestito elegante come i vostri",
decretò Miku. "Anzi, visto che sono la Regina, voglio avere
un
vestito più bello di tutti i vostri!".
"Ma certo, mia Regina", le disse una donna inchinandosi. "Lasciate fare
a me, vi troverò il vestito più bello mai visto".
E mentre Miku si allontanava con la donna su per un imponente scalone
di marmo, il
piccolo sogno restava fuori dal portone, e osservava soddisfatto le
rose verdi che crescevano e si contorcevano, fino a ricoprire completamente
lo specchio e a romperlo con i loro terribili spini.
* * *
"E'
stato un ballo meraviglioso!", esclamò Miku tuffandosi
sull'enorme letto a baldacchino che troneggiava nella sua (enorme)
camera da letto da regina. Indossava lo stesso vestito che aveva visto
riflesso nello specchio, ma il suo corpo era ancora quello di una
bambina di nove anni.
"Meravigliosa eravate voi, mia Regina", le rispose la donna che le
aveva consigliato l'abito. "Ma ora immagino che vogliate riposare".
"No, affatto! Voglio... voglio fare la Regina". Si mise seduta. "Quindi
voglio dare ordini. Chiama degli uomini: voglio che sia scavato un
fossato intorno a questo castello. E devo avere una città da
governare: voglio che sia costruita una città".
"Non c'è bisogno di chiamare degli uomini: ogni vostro
desiderio
è un ordine, mia Regina", rispose la donna indicandole una
finestra. Miku vi si diresse a passo di danza e guardò
giù: intorno al castello l'acqua di un fossato splendeva al
sole, e più lontano - oltre l'immenso giardino di cespugli
di
rose
verdi - tanti edifici svettavano contro il cielo terso. Edifici verdi
come le rose.
"Voglio andare là!", esclamò Miku, raggiante.
"Voglio vedere il mio regno!".
"Mi dispiace, mia Regina". Miku guardò la donna con aria
interrogativa prima che questa riprendesse a parlare. "Questa
è
l'unica cosa che non potete fare".
"E perché?".
"Voi non
potete uscire da questo castello, mia piccola Regina Miku".
Miku sobbalzò al suono di quella voce. Non era stata la
donna a parlare.
"Piccolo sogno! Dov'eri finito? Al ballo non c'eri!".
"Voi non potreste uscire da questo castello neanche se ci provaste,
Regina Miku. Avete aperto solo la porta del corridoio, che vi ha
condotta qui. Siamo
ancora dentro al corridoio. E, a meno che non
apriate
un'altra porta, non potete andare a vedere il vostro mondo
strano e verde".
"Mondo strano e verde?". Miku restò leggermente turbata da
quelle parole. Le sembrava di averle già sentite, e per la
prima
volta da quando era iniziata quella stramba avventura sentì
nascere dentro di sé un senso d'inquietudine. Poi, qualcuno
bussò alla porta.
"Avanti", disse la bambina.
"Vostra Maestà Regina Miku, accettate questi umili omaggi
che le
portano i suoi più affezionati sudditi", dissero
due uomini
inginocchiandosi ai suoi piedi. Entrambi tenevano in mano delle grosse
scatole.
"Grazie". Miku ne prese una, l'aprì e vide sfarfallii di
brillanti e tessuti pregiati.
"Sono abiti cuciti con le stoffe più ricercate di tutta la
regione, Regina. Desidereremmo sapere che cosa ne pensate".
"Se siete così gentili da aspettarmi un attimo", rispose
Miku prendendone uno, "ve lo dirò subito".
Andò dietro ad un paravento ricamato a fiori che si trovava
in
un angolo della stanza e ne uscì poco dopo con indosso un
vestito
rosso e nero, tutto velluto, raso, pizzi e lunghi guanti a rete.
"Siete bellissima, Regina Miku!", esclamarono all'unisono i due uomini
e la donna. Il piccolo sogno restò zitto e in disparte,
seduto
sul letto. Miku, però, non fu convinta dalle parole dei suoi
sudditi: quel "mondo strano e verde" che aveva detto il piccolo sogno
le aveva fatto perdere tutta la sua convinzione di essere bella e la
sua danzante spensieratezza. Si guardò al grande specchio
che
troneggiava accanto al paravento. Ancora una volta il suo riflesso era
quello di una donna. Questa volta, però, si trattava di una
donna sui trent'anni, bella ma... tremendamente adulta. Il cuore di
Miku fece un salto. No, non poteva essere. Intorno agli occhi aveva quasi le
rughe!
Quella non era la bella Regina che aveva tanto sognato di essere. Per
un istante, vide i propri occhi riflessi nello specchio tingersi
completamente di nero, iridi e cornee. Sussultò. Aveva le
visioni, adesso? Stava forse impazzendo?
"Vi abbiamo regalato anche questo, Regina". Miku si voltò
verso
l'uomo che aveva parlato, che teneva in mano un mazzo di
carte.
Timorosa, Miku prese l'oggetto tra le mani e lo sfogliò.
La prima carta era il Re di Picche. Il soggetto raffigurato aveva i
capelli corti e castano rosso, gli occhi rossi e un complicato vestito
anticheggiante scarlatto che poteva assomigliare ad un'armatura.
L'espressione del viso era di combattività. Come ogni carta
da gioco,
anche quella poteva essere guardata da due lati diversi.
Capovolgendola, la faccia opposta del Re esprimeva la paura
più
agghiacciante, e qualche lacrima gli cadeva dagli occhi. Osservandolo
ancora meglio, intorno al suo collo c'era qualcosa di nero. Mani nere.
Che gli afferravano il collo da dietro le spalle. Miku tremò
e
lasciò cadere in fretta la carta, e notò che la
seconda
era il Re di Quadri. Questo Re invece era blu, sia i capelli che gli
occhi che l'elegante abito con ricami di note musicali. La sua
espressione serena e un po' malinconica era completamente ribaltata se
si capovolgeva la carta, lasciando spazio ad un viso folle, dagli occhi
sgranati e uno sparo sanguinante alla tempia. Le mani di Miku ormai
tremavano come foglie, e fece cadere sia questa che la carta
successiva. La quarta carta era invece il Re di Cuori, dagli occhi
gialli e uno splendente abito color oro. Il Re aveva i capelli corti,
biondi e spettinati, come un bambino, mentre se si rivoltava la carta
si poteva vedere un Re esattamente identico al primo, ma con i capelli
più lunghi e un fiocco bianco tra questi. Non c'erano scene
di
morte in questa carta, eppure emanava una strana aura. Qualcosa di
oscuro.
"Len e Rin", sussurrò Miku, atterrita. "E Kaito. E Meiko".
Fece
cadere anche il Re di Cuori e fissò, i battiti a mille,
quell'unica carta che non aveva guardato, e che ora gaceva sul
pavimento, soltanto il dorso visibile.
Sapeva benissimo che cosa c'era disegnato su quella carta. E,
soprattutto, ora
sapeva benissimo che le parole "mondo strano e verde" facevano parte
della storia della terza Alice.
"Lasciatemi sola", mormorò. I sudditi la guardarono
interrogativi. "SOLA!".
I due uomini e la donna se ne andarono immediatamente. Il piccolo sogno
invece
restò dov'era.
Non poteva essere lei la terza Alice, no, non poteva. Prese in mano la
carta, facendo attenzione a non guardare la figura, e si
fissò in uno dei numerosi specchi della stanza.
Le si mozzò il fiato quando vide, in piedi nel suo
bellissimo vestito, il corpo di una vecchia.
La pelle cadente, le rughe, le braccia gracili e i capelli bianchi con
appena qualche striatura verde acqua. Dopo qualche secondo
cercò di respirare e di essere razionale: non era poi così vecchia.
Avrebbe potuto avere sessant'anni. Però il riflesso
invecchiava a vista d'occhio, e man mano
che passavano i secondi, più i capelli diventavano bianchi
per poi tingersi di giallastro, più la pelle diventava
inutile e a macchie... le ossa erano sempre più evidenti, le
mani sempre più scheletriche... gli occhi sempre
più iniettati di sangue. Sangue nero.
Miku cercò di dire qualche parola ma le riuscì
solo di muovere le labbra senza emettere alcun suono, in una silenziosa
richiesta d'aiuto. Dov'era finita la bella Regina? Mentre il suo
riflesso assomigliava sempre di
più ad uno scheletro, Miku si decise a guardare il disegno
della carta che teneva in mano. Il Re di Fiori. Nella metà a
testa in su, poteva vedere una bellissima bambina dai lunghi codini
verde acqua e il sontuoso vestito verde, gli occhi del colore dei
capelli, come finestre su un ruscello, e un sorriso gentile. Ma girando
la carta ecco che compariva la vecchia che vedeva nello specchio, un
corpo quasi morto e gli occhi interamente neri.
"No, no...", riuscì finalmente a dire con un filo di voce.
"Non è possibile, non posso essere io la terza Alice, non...
io sono la Regina! Non posso invecchiare, non posso morire! Io sono
bella! Io... IO VOGLIO ESSERE PER SEMPRE UNA BELLA REGINA!".
Diede un'ultima occhiata terrorizzata al suo riflesso dagli occhi ormai
completamente neri. Dietro la sua caviglia, ecco riflesso il piccolo
sogno, sorridente.
"Verde
è la terza Alice, ricca di beltà,
Nel Paese delle
Meraviglie corre e va.
Piccola e carina, ogni uomo incanta
già,
E ad un mondo strano e verde vita lei dà.
Quell'Alice presto
una
Regina è resa, sì,
E un sogno assai contorto
la cattura
già,
così.
Or lei vuol soltanto per sempre governar,
E dal questo sogno lei non potrà più
scappar.
Mia piccola Regina
Miku, lo dice anche la storia, no? Tu vuoi governare per sempre, e non
uscirai più da questo tuo sogno... ora non potrai
più scappare".
"AIUTO!". Miku
corse verso una delle finestre e la aprì, ma quando
scoprì con orrore che il paesaggio che vedeva fuori non era
altro che una parete dipinta - la parete del corridoio di casa sua -,
lanciò un grido. E quando scorse, in mezzo al prato che
credeva
un vero guardino, Len e Rin, i suoi carissimi amici, ne
lanciò
un altro e si gettò a terra. Sapeva che non l'avrebbero mai
sentita. Era in trappola. Chiusa nel suo sogno di bellezza. "PERCHE'?!
IO
VOGLIO ESSERE UNA BELLA REGINA, NON LA TERZA ALICE! IO VOGLIO VEDERMI
BELLA! IO NON SONO UNA VECCHIA!".
"Ma tu, Miku, non
puoi essere una bella Regina senza essere la Terza Alice. Tu volevi
essere ammirata e regnare, e io volevo un mondo".
"PERCHE' LA TUA
VO...".
"Sì, lo so, la mia voce ti è familiare.
Rilassati, Miku. Saprai tutto a tempo debito".
Miku
alzò la testa verso lo specchio, e vide rose verdi spuntare
dalle pareti e dal pavimento e circondarlo.
"CHE COSA SIGNIFICANO QUESTE ROSE?!".
I fiori smeraldini strinsero lo specchio fino a mandarlo in frantumi.
Intorno a lei erano sparse schegge brillanti, come se fosse
stata immersa in un mare di stelle taglienti... Sentì il
suono metallico della sua coroncina che cadeva a terra...
Le rose la raggiunsero e le spine iniziarono stringerla
come le catene che tengono fermi i matti nei loro letti di agonia.
Riflesso nello specchio c'era uno scheletro.
Il piccolo sogno osservò la bella bambina intrappolata. La
sua
bellezza e la bellezza dei suoi sogni si erano impressi per sempre nel
suo mondo. Un mondo con una selva oscura popolata di creature nere, le
paure nascoste di una bambina coraggiosa, un mondo con la musica e con
la follia disperata di un ragazzino solitario, un mondo con una bella
Regina, intrappolata per essere sempre ammirata, e con un reame
maestoso.
Ora, rifletté il piccolo sogno...
Ora il suo mondo aveva bisogno di un'ultima cosa, l'unica cosa senza la
quale un mondo non può girare.
L'amore.
Ciao a tutti belli e
brutti! Bimbi belli bimbi brutti bimbi che fanno i rutti!
Ok, basta.
Eccoci qua, ho finito anche il capitolo su Miku, che tra i Vocaloid
è quella a cui sono più affezionata
perché l'ho
scoperta per prima. Mi è piaciuto un sacco farla vivere.
Come
avrete capito, il prossimo sarà su Len e Rin. Voglio
già
avvisarvi che, anche se il tema sarà l'amore, la coppia
Len/Rin
non sarà mai resa esplicita (nel senso che non si
comporteranno
come due innamorati): considerate che i due gemelli in questa storia
hanno solo sette anni!
A prestissimo!
Sophisabella
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Capitolo 5 *** IV - Rin e Len ***
Capitolo 4 - Rin e
Len
Quando il piccolo
sogno
tornò nella buia stanza da letto dei bambini, la
trovò
vuota. Non c'era traccia degli ultimi due rimasti, i gemelli biondi.
Andò a prendere il libro di fiabe come per cercarvi una
risposta
di cui si era dimenticato e lo aprì dove era arrivato
l'utlima volta, con Miku.
"E intanto entrano nel
bosco due bambini
tra le rose prendono il te con pasticcini. Dal castello un invito arriva
a loro, ed
è... l'Asso di Cuori. La quarta Alice: due gemelli, e
la curiosità
nel Paese delle Meraviglie è entrata già; attraverso tante porte
passano, di là, su una barca gialla vanno con
felicità.
Lei idea non cambia mai,
lui molto sa e fa. Ma le altre Alici sono
troppo vicine, oramai...
Dal loro sogno magico
mai si sveglieran, per sempre nel Paese delle Meraviglie andran."
Ah, ecco..., pensò il piccolo sogno. Certo. Ora
tutto torna.
Nel frattempo, due bambini camminavano per il bosco.
Un maschio e una femmina, mano nella mano, fissavano la selva con gli
stessi occhi dorati seminascosti dagli stessi ciuffi color del grano. I
loro visi avevano la stessa pelle diafana, e i loro passi risuonavano
all'unisono per il sentiero rosso lasciato dalla prima Alice. Poco
lontano da loro, attento a non farsi vedere, li seguiva un piccolo
fantasmino bianco.
"No, Len, attento!", esclamò ad un tratto la bambina. "Non
caplestare quelle rose!".
"Perdonami, Rin. Non me n'ero accorto. Sono davvero bellissimi questi
fiori. Sono bellissimi,
però mi fanno anche... mi fanno un po' paura. Mi piacerebbe sapere chi
li ha piantati. ".
La loro curiosità era quasi contagiosa, rifletté
il
piccolo sogno. Li avrebbe lasciati esplorare. Erano... diversi da tutti
gli altri, gli stavano simpatici.
"Guarda, Len!". Di nuovo la bambina. Stava tirando il fratello per una
manica. "C'è una persona prigioniera, laggiù!".
Len osservò con attenzione davanti a sé e,
attraverso i rovi, poté vedere una gabbia di ferro con
dentro
qualcuno. Si intravedevano dei movimenti affannosi. Qualcosa di nero
stava attaccando il prigioniero, che tentava (invano?) di liberarsi.
"Andiamo a salvarlo, Len!".
"No!". Il fratello bloccò Rin. "E' pericoloso. Ci sono un
sacco di altre cose da vedere, qui!".
"Come vuoi".
I due gemelli ritornarono sui propri passi senza lasciarsi le mani. La
piccola Rin saltellava, mentre il piccolo Len manteneva un passo calmo
e tranquillo. Ammirando le rose e chiedendosi cos'altro avrebbero
trovato, raggiunsero la porta blu.
"Che dici... la apriamo, Rin?", chiese Len.
"Certo. Hai detto tu che c'erano un sacco di altre cose da vedere, ma
se non apriamo la porta non le vedremo mai. Sei con me?".
Il fratello le sorrise:
"Io sarò sempre
con te, sorellina!".
Ma che cari ragazzi, pensò il piccolo sogno. Proprio quello
che ci voleva per portare un po' d'amore al suo mondo.
La porta blu si aprì di uno spiraglio e i due gemelli
seguiti
dal sogno si fecero strada a fatica in mezzo ad una folla. Sembrava di
essere
capitati nel bel mezzo di un tornado: strani oggetti - note, poterono
osservare - vorticavano all'impazzata per la stanza, schiantandosi
contro i muri e trasformandosi in rose blu quando cadevano a terra.
"Len!", urlò la bambina. "Che cosa succede qui?!".
"Non lo so! Non lo so!".
L'attenzione della folla era concentrata su qualcosa o qualcuno
dall'altro lato della sala, ma i gemelli non riuscirono a capire di chi
o cosa si trattasse, la gente e il vortice di note impedivano loro la
visuale.
Improvvisamente uno sparo forte e secco fece tremare il pavimento, e
tutto come per magia si calmò. Nessuna nota volava
più, e
la folla cominciò piano piano a svanire.
"Len, quello era lo sparo di una pistola! Potrebbe essere
morto
qualcuno!". Rin, senza lasciare la mano del fratello, si
avviò
verso il fondo della sala. "Andiamo a vedere!".
La camera era ormai vuota quando giunsero di fronte alla rosa musicale.
La guardarono perplessi.
"No, sembra che non sia morto nessuno", osservò Len. "Questa
è solo una della rose. La stanza ne è piena!".
I loro occhi ammirarono insieme i fori blu e il loro colore
così bello, profondo ed innaturale per una rosa. Nonostante
il
trambusto di poco prima, tutti i mobili erano al loro posto: scaffali,
divano e un tavolo con tre sedie che faceva capolino proprio al centro della
stanza.
Era perfettamente apparecchiato: tovaglia finemente ricamata, tre tazze
da te con tanto di piattini e chucchiaini, una teiera, un vassoio di
pasticcini e una zuccheriera.
"Che dite, bambini? Ce la prendiamo una bella tazza di te?".
I due piccoli si voltarono stupiti al suono della voce del piccolo
sogno.
"Chi sei?", chiese Rin. "La tua voce mi ha ricordato qualcosa".
"Anche a me", continuò Len. "Conosco la tua voce ma non
conosco te. Come mai?".
"Io sono un povero, piccolo sogno che ha bisogno di amore, e ha voglia
di una tazza di te. E voi gli servite. Ci sediamo?".
Ognuno prese posto su una sedia. Rin fece per versarsi il te
ma Len la bloccò e ispezionò il
contenuto della
teiera.
"Non è avvelenato, se è quello che ti stai
chiedendo. Hai visto troppi film dell'orrore, bambino mio...".
"Sentito, Len? Secondo me dovremmo fidarci di lui. Potrà
dirci dove siamo".
"Esatto, bambini. Dovete fidarmi di me, perché nessuno
conosce
questo posto meglio di me. Ci troviamo nel mio mondo, un mondo che ha
già la guerra, la musica e la bellezza, ma ha anche coraggio
e
paura, e follia. Infine, questo mondo ha una regina, ma si trova
intrappolata tra la sua vanità e la vecchiaia".
"E...", tentò Len. "Tu vuoi che noi portiamo al tuo mondo
l'amore".
"Esatto. Tu sei il più intelligente di tutti, Len".
"Tutti... chi?".
Improvvisamente il piccolo sogno si alzò.
"Devo andare. Fate i bravi, mi raccomando".
"Devi andare dove?".
"Non ha importanza. Ci rivedremo".
Il piccolo sogno, svelto, saltò giù dalla sedia e
si
diresse in fretta verso la porta rossa. Svelto, l'aprì e se
la
richiuse alle spalle. Doveva riflettere da solo, lontano dai due
bambini. Uccidere Meiko, Kaito e Miku era stato facile: aveva fatto
rivoltare il suo mondo contro di loro, mettendo a nudo la paura
nascosta dietro il coraggio di Meiko, la follia della musica di Kaito e
la vanità dovuta alla bellezza di Miku. Era stato lui stesso ad ucciderli,
scatenando contro di loro ciò che i bambini stessi gli
avevano
portato. Questo era l'unico modo perché le azioni da loro
compiute e ciò che avevano donato al suo mondo non andassero
perduti: se i ragazzi avessero continuato a vivere, prima o poi si
sarebbero svegliati. Se invece il
loro stesso sogno li avesse uccisi, non si sarebbero
svegliati più...
Con Len e Rin, però, era diverso.
Non se la sentiva di ucciderli. Gli erano simpatici. Al suo mondo
mancavano due innocenti bambini, però mancavano anche
l'amore, l'affetto e l'amicizia. Avrebbe voluto tenere con se i due
bambini per sempre, ma non sarebbe stato possibile. Prima o poi si
sarebbero svegliati.
A meno che...
Il piccolo sogno sorrise sinistramente.
Oh, sì. Ora sapeva come fare.
Sperava solo che non fosse già troppo tardi...
"Hai finito il tuo te, Rin?".
"Sì, Len. Andiamo!".
I due fratelli si presero per mano e si diressero - lei sempre
saltellando, lui con passo calmo e prudente - verso la porta verde.
"Chissà che cosa troveremo dopo questa porta", disse Rin.
"Sorellina, ho notato una cosa", le rispose Len, pensieroso. "Il colore
preferito di Meiko è il rosso, e la prima porta era rossa.
Quello di Kaito è il blu, e la seconda era blu. Quello di
Miku
è il verde, e questa porta è verde.
Chissà se la
prossima porta sarà gialla?, il giallo è il
nostro colore
preferito".
"Ci resta un solo modo per scoprirlo!".
"Sono curioso, ma ho anche un po' paura".
"Ti proteggerò io, Len!".
Il bambino sorrise all'incoraggiamento della sorella.
"Ma se non hai neanche un po' di muscoli! Come puoi proteggermi?",
scherzò.
"Len! Posso proteggerti anche se sono una femmina, cosa credi?".
Stuzzicandosi e ridendo, i due gemelli aprirono la porta verde e si
ritrovarono nel prato in cui volavano le lucciole. Poco lontano da loro
stava lo specchio infranto dalle rose verdi. Rin iniziò
subito a rincorrere alcune lucciole, ma non si avvicinò alle
scheggie di vetro e alle spine dei fiori.
"Len, da questa parte c'è qualcosa che sembra l'entrata di
un castello!", chiamò. "Vieni!".
Ma Len stava fissando qualcosa davanti a sé, nella parete
del
corridoio, qualcosa che Miku quando era passata di lì non
aveva neanche visto. Una porta. Non quella del castello, una
normalissima porta di legno.
"No, Rin, vieni tu qui! Questa è la porta della stanza dei
giochi, ricordi?".
All'udire le parole 'stanza dei giochi' Rin ritornò
immediatamente dal fratello.
"Non è la porta gialla che dicevi", obiettò.
"Però è la porta della stanza dei giochi".
Si scambiarono un'occhiata d'intesa e poggiarono le mani sulla maniglia.
* * *
"Avevi detto che sarei morta".
"Morirai, morirai. Ma per il momento no. Mi servi".
"E a che cosa?".
Un lucchetto invisibile scattò.
"Vai. Sei libera. Quando ti troverai nella giusta situazione, capirai
cosa dovrai fare".
"E dopo?".
"E dopo, mia cara... dopo morirai".
* * *
"AAAAH!".
"Cosa c'è Rin?! Cos'hai visto?!".
"LEN! Len, sei... sei...".
"Cosa?!".
"...sei vivo!".
I bambini lasciarono la maniglia della porta, che si era interamente
accesa d'oro. Rin boccheggiava, gli occhi sgranati e le mani nei
capelli.
''Certo che sono vivo, Rin. Che cosa ti prende?". Le strinse la mano.
La bambina respirò affannosamente un paio di volte, poi
rispose con voce tremante:
"Per un attimo, ti ho visto... tutto coperto di sangue. E... e...". Un
altro respiro. "E sulla tua spalla... qualcuno aveva appoggiato una
mano. E... e sulla mano c'era disegnata una... una picca rossa".
Len guardò la sorella che tremava di paura e
agrottò le
sopracciglia. Non stava scherzando, sembrava talmente terrorizzata che
doveva aver visto davvero qualcosa. Lui però non si era
accorto
di niente...
"Magari ti è solo sembrato di vedere queste cose, Rin. A me
non
è parso che ci fosse niente di strano. Dài,
attraversiamo questa porta".
Len abbracciò la sorella per darle ulteriore conforto e,
tenendosi per mano, i due gemelli aprirono la porta.
La stanza dei giochi sembrava essere diventata molto più
grande
di quanto ricordavano. A dire il vero, non pareva nemmeno di essere al
chiuso, se non fosse stato per l'altissimo soffitto azzurro che faceva,
lontano e mezzo nascosto da qualche nuvola, da cielo. Quello che, metri
e metri sopra le loro teste, sembrava essere il sole, era in
realtà il lampadario, e l'orizzonte non era che una
lontanissima
parete dipinta. Tutto questo era però talmente distante da
loro
- la camera era diventata immensa - che dava l'illusione di
trovarsi davvero all'esterno.
Camminavano sullo stesso prato che ricopriva il corridoio, ma
lì
non c'erano lucciole: dal buio della casa di notte erano
improvvisamente passati alla luce del giorno, della quale il lampadario
e le pareti azzurre davano una perfetta illusione. L'erba era di un
tenerissimo verde speranza, e ogni tanto qualche fiore dai colori
pastello sbucava tra i fili verdi, timido. Il prato proseguiva
ridente fino ad un grande castello in lontanza, e dietro questo si
stendeva una grande città interamente verde smeraldo.
I due gemelli sorrisero: a questo gesto, di fianco ad ognuno dei due
sbucò dalla terra una meravigliosa rosa gialla, dai petali
che
rilucevano alla luce come oro liquido.
"Sai, Rin", disse Len. "Queste rose mi sembrano diverse da tutte quelle
che abbiamo visto fino ad ora. Le rose rosse sembravano tanto lugubri,
quelle blu tanto tristi, e quelle verdi, con tutte le spine... tanto
cattive. Queste invece sono semplicemente bellissime!".
"Hai ragione, Len!". La bambina, rallegrata da quel panorama, non
pensava più alla visione avuta poco prima. "Guarda
là!",
eslcamò poi indicando un punto davanti a sé.
I due bambini corsero verso ciò che Rin aveva indicato. Ad
ogni
loro passo felice, una rosa cresceva in tutto il suo fulgore.
Si trattava di un ruscello argentato che tracciava una linea
scintillante in mezzo al verde del prato, fino al castello. Attraccata
ad un piccolo molo stava una barchetta di un giallo fiammante. I
gemelli la riconobbero: era, ingrandita a misura d'uomo, la piccola
imbarcazione giocattolo con cui si erano sempre tanto divertiti nella
stanza dei giochi.
E seduto a prua, con in mano una carta da gioco, c'era il piccolo sogno.
* * *
"Sei viva?".
Qualcosa, nello
specchio, sorrise, mostrando una fila di denti storti.
"Lei ormai non
è lo è quasi più.Tra poco
sarò sopravvissuta solo
io. L'anima del suo più grande difetto".
"Bene, bene. E'
importante che tu svolga un compito per me".
"Credo di sapere già di cosa parli".
"Benissimo. Quando sarai nella giusta situazione, saprai che cosa fare".
"Tranquillo. So già cosa fare".
Qualcosa, nello specchio, cominciò a scrivere su una carta
da gioco.
* * *
"Sono
tornato, bambini miei!".
"Piccolo sogno!".
I due fratelli salirono sulla barchetta. "Che cos'è quella
carta che hai in mano?".
Il sogno
mostrò
l'oggetto a Len e Rin. Un semplice ritaglio rettangolare di cartoncino,
dipinto di bianco, con al centro un cuore rosso.
"E' l'Asso
di Cuori".
"E a cosa ti
serve?".
Il piccolo sogno
girò la carta. "Cara
quarta Alice",
c'era scritto in una grafia verde e tremolante, "ti
invito al mio castello. Saluti, Sua Maestà la Regina Miku".
"Quarta
Alice? Chi è la quarta Alice?", chiese Rin.
"Ma siete
voi, naturalmente".
"Noi?".
I due stettero in silenzio, straniti.
"Rin, hai uno strano segno sulla mano!", esclamò ad un
tratto
Len. La bambina, perplessa, osservò la strana figura gialla
che
le era comparsa sul dorso della mano: un cuore a metà.
"L'altra
metà del cuore potresti averla tu, Len",
suggerì il piccolo sogno, al che Len controllò la
propria
mano e notò un simbolo giallo, lo speculare di quello della
sorella.
Si presero per mano, e le due metà si unirono a formare un
cuore
dorato. Si sporsero a guardare l'acqua argentata del ruscello, e
poterono vedersi riflessi tra le piccole onde.
C'erano, come dipinti sulla superficie del fiumiciattolo, due ragazzi
di circa quattordici anni che si tenevano per mano, negli occhi
l'esperienza e la seriteà di chi ha vissuto già
una lunga
vita. Di chi ha navigato su quella barchetta per tante, tante volte...
"Cosa significa tutto questo, piccolo sogno?".
"Che siete
la quarta Alice, naturalmente".
"Ma insomma!",
protestò Rin. "Si può sapere che cos'è
questa quarta Alice?".
"La Regina Miku
è... è proprio Miku? La nostra amica?", volle
invece sapere Len.
"Certo che
è lei".
Il bambino
guardò la sorella:
"Sentito, Rin?
C'è Miku! Andiamo!".
Rin
sospirò e annuì, e il piccolo
sogno slegò dal molo la barca, che prese a scivolare
dolcemente
lungo il corso del ruscello, verso il castello. Ormai nessuno pensava
più alla visione di Rin.
Quando giunsero
davanti al castello, Rin ne riconobbe l'entrata.
"E' quella porta
nel muro di
pietra che ho visto in corridoio!", esclamò. "Come fa ora a
trovarsi qui in mezzo ai prati?".
"E'
semplice. La porta verde da
sull'entrata del castello, e basta. La porta gialla invece da su tutto
il regno. Voi avete attraversato la porta gialla, vosì
potete
accedere al castello dal suo giardino".
"E come mai nel
corridoio della porta verde c'erano le lucciole ed era buio?".
Il piccolo sogno
sospirò.
"Perché
quella parte del mio mondo non è stata creata da voi, e
dall'amore che sapete portare ovunque andiate".
I due gemelli
stettero in silenzio e il piccolo sogno, da solo, aprì il
grande portone.
Dentro, l'immensa
sala da ballo
era vuota e in penombra, una penombra quasi piacevole dopo la luce
splendente dell'esterno. I loro passi risuonavano con un'eco che
giungeva fino all'alto soffitto affrescato.
"C'è
nessuno?", esclamò Rin. La sua voce le tornò
indietro.
"Rin, il piccolo
sogno!", la richiamò il fratello, prendendola per il polso.
"Se n'è andato!".
I due si
guardarono intorno
nervosamente, ma non c'era traccia dello strano fantasmino. Un attimo
dopo il grande portone d'ingresso si richiuse alle loro spalle con un
tonfo cupo e profondo.
"Ci ha chiusi qui
dentro", disse piano Len con voce apatica.
"Vieni, Len". Rin
lo condusse di corsa verso il sontuoso scalone. "Andiamo a cercare
Miku".
Salirono i
gradini, e mano a
mano che andavano verso l'alto il buio aumentava. Le
finestre erano coperte da tende che lasciavano filtrare via via
sempre meno luce, e l'ultima dello scalone era chiusa da
pesanti tendaggi di velluto che oscuravano completamente l'ambiente.
Era tornato il
buio, buio come la notte.
"Pensavo che
questo castello
fosse un luogo sfarzoso", disse Len mentre si aggirava per la stanza
completamente avvolta nell'oscurità. "Invece, con questo
buio,
sembra quasi... quasi cattivo. Come le rose verdi".
"Hai ragione, Len.
Ma credimi, quando voglio so rendere questo posto il più
sfarzoso di tutti".
Non era stata Rin
a parlare, e nemmeno il piccolo sogno. Era una voce conosciuta, una
vocina graziosa di bambina...
"Miku! Sei tu?".
"Sì,
Len, sono io".
"Dove sei? Non ti
vediamo!", esclamò Rin.
"Qui".
"Qui dove?!".
"Stai bene?".
"Certo che sto
bene, amici miei. Ora farò un po' di luce, così
potrete vedermi".
Una scintilla
balenò
improvvisa nell'oscurità, e una luce di fiammifero si accese
proprio davanti a Rin. Due occhi dalle cornee completamente nere con al
centro due piccole rose verdi la fissavano, folli e malvagi. Sotto di
essi, nascosto da qualche filo di capelli bianchi e verde acqua, un
ghigno si aprì in mezzo alle rughe del viso. Un ghigno fatto
di
denti storti. Qualcosa tra i capelli risplendette: una coroncina d'oro
e smeraldi.
"AIUTO!!!",
urlò Rin con tutte le sue forze. "LEN!".
La bambina fece un
passo indietro, fissando terrorizzata ciò che aveva davanti.
Uno specchio. La
terribile visione era riflessa sulla superficie liscia di uno specchio.
Rin si voltò, eppure dietro di lei c'era solo il fratello.
Boccheggiò.
Tornò a guardare lo specchio, il cuore in gola, e vide che
una mano dalle dita
ossute era uscita dal vetro e si allungava lentamente verso di lei.
"Rin, so che cos'è successo agli altri". Len era diventato
bianco come un cencio. Qualcosa si era appena fatto strada nella sua
mente. "Sono morti
tutti. Meiko è stata la prima, Kaito il
secondo, Miku la terza. Sono morti, Rin, sono morti!".
Proprio mentre la mano stava per afferrare Rin, alla luce del
fiammifero che si era acceso nello specchio la bambina vide qualcosa
sul pavimento. Rose verdi, centinaia di spinose rose verdi che avevano
avvolto qualcosa. Qualcuno. Un ciuffo di capelli verde acqua spuntava
tra le spine. E, sparso sul pavimento, un mazzo di carte da gioco...
Probabilmente mancava l'Asso di Cuori...
Poi, improvvisamente, tutto tornò come prima. La luce si
spense,
la mano scomparve. Len e Rin erano insieme nella stanza buia e si
tenevano per mano, respirando affanosamente e tremando. Era come se il
tempo fosse tornato a pochi istanti prima.
"Bambini?".
Un fantasmino bianco era comparso vicino alle loro caviglie.
"Piccolo sogno!".
"E' tutto a posto, bambini, non preoccupatevi".
"Piccolo sogno, abbiamo avuto delle visioni! Il sangue... lo
specchio...", cominciò Rin.
"Moriremo anche noi, piccolo sogno, non è così?",
chiese Len. "Come tutti gli altri?".
"Calmatevi, bambini. Ora vi dico quello che c'è scritto nel
libro di fiabe... ve lo ricordate il libro di fiabe?
E
intanto entrano nel bosco due bambini
Tra le rose prendono il te con pasticcini
Dal
castello un invito arriva a loro
Ed
è... l'Asso di Cuori.
La
quarta Alice: due gemelli, e la curiosità
Nel
Paese delle Meraviglie è entrata già
Attraverso
tante porte passano, di là,
Su
una barca gialla vanno con felicità.
Lei
idea non cambia mai
Lui
molto sa e fa.
Ma
le altre Alici sono troppo vicine, oramai...
Dal
loro sogno magico, mai si sveglieran
Per sempre nel Paese delle Meraviglie andran.
Ecco. Non vedete
che state benissimo? Dov'è il problema?".
"Moriremo, piccolo sogno! Io lo so!".
"Continuo a non capire dove sia il problema, Len. Voi state bene, così,
no?".
"COSI'
COME?!".
Il piccolo sogno fece una pausa.
"Nello stato in cui vi trovate ora. Voi siete già morti,
bambini miei".
Len aprì la bocca per dire qualcosa, ma non
riuscì ad
emettere alcun suono. La voce del piccolo sogno risuonava nella sua
testa - risuonava dappertutto
- occupando
ogni angolo del suo animo. Ed ecco che il cielo era giallo, un giallo
freddo e spettrale, screziato da nuvole nere. Ecco che Len correva e
correva per il grande prato, una ferita alla spalla che lo macchiava di
sangue - la stessa spalla dove era stato toccato nella visione di Rin.
Tra le braccia teneva proprio la sorella, morente. Correva e correva
per il prato,
mentre le rose gialle piangevano.
Ed
ecco che arrivava in uno strano posto pieno di pietre dalle forme
particolari che sbucavano dall'erba. Correva tra le pietre cercando
aiuto, ma lì non c'era anima
viva. E
quando si rendeva conto di essere finito in un cimitero, capiva che era
giunta la fine, la prorpia fine e quella della sorella, e cadeva
disperato in ginocchio di fianco alle lapidi dei suoi tre amici, pronto
a dare un nome all'unica lapide che era rimasta senza iscrizione...
Ma in realtà era ancora lì, nella stanza buia del
castello. Era morto, eppure i suoi polmoni trasformavano l'ossigeno in
anidride carbonica come avevano sempre fatto. Era morto eppure era
lì in piedi, a guardarsi intorno spaesato. La sorella, morta
anche lei, ma con
un cuore che, inspiegabilmente, batteva. Il piccolo sogno aveva
ragione: stavano bene. Chissà quanto tempo sarebbe passato
prima
che si fossero accorti da soli di essere morti...
"Piccolo sogno. Come siamo morti? Ci hai uccisi tu?".
Il piccolo sogno sospirò.
"E' giunto
il momento delle spiegazioni, credo", disse, e tutto si
dissolse.
* * *
BUONASERA!
Eh, scrivere questo capitolo è
stato
impegnativo. Prima di tutto perché ho dovuto decidere come
far
morire quei benedetti figlioli, cosa che nella canzone non è
chiara. Il testo dice "si spinsero troppo vicini alla prima Alice",
quindi in teoria li dovrebbe uccidere Meiko, però in molti
video
ho visto che era Miku ad ucciderli, oppure le due se li "spartivano" D:
anyway, mi sono presa una licenza poetica e ho cambiato il verso dove
dice, appunto, "si
spinsero troppo vicini alla prima Alice", perché con la mia
versione della storia è inesatto. Se qualcuno non ha capito
come
sono morti, no worry, nel prossimo capitolo si spiega.
Appunto... IMPORTANTE, la storia non è ancora finita, anche
se
la canzone invece lo è! Nel prossimo capitolo troverete
TUTTE le
spiegazioni, in primis il perché della
familiarità della
voce del piccolo sogno. Del quale mi sto praticamente innamorando,
è un personaggio che adoro far vivere! Perché il
prossimo
capitolo dev'essere l'ultimo?! Sigh. (parlo come se stessi leggendo la
storia di qualcun altro o.o)
AH, se ci sono errori di battutira vi prego di segnalarmeli, thanks!
Al prossimo capitolo (e ultimo),
SophIsabella
|
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Capitolo 6 *** V - Sogni d'oro ***
Capitolo 6 - Sogni
d'oro
Il fuoco ardeva
di nuovo nel caminetto, e di nuovo illuminava i quadri e gli specchi
appesi alle pareti.
I bambini si guardarono intorno, storditi. Avevano male alla testa. Un
attimo prima erano in un mondo strano... la casa si era trasformata in
un posto rosso, blu, verde e giallo, catapultandoli in fretta tra sogno
e follia... un posto che li aveva uccisi. Com'era possibile che fossero
di nuovo lì
tutti e
cinque?
La nonna era, esattamente come la sera prima, seduta sulla sua sedia a
dondolo, gli occhi che sorridevano da dietro le lenti degli occhiali.
"Oh, ciao, bambini", li salutò. "Siete... tornati".
Era tutto uguale alla sera precedente. Uguale a prima della storia del
piccolo sogno...
"Ho... ho capito!", mormorò Len. "E' stato tutto un sogno!
Vero, nonna? Non ci hai mai letto la storia del piccolo sogno, non
siamo mai andati di sopra, ci siamo addormentati qui... vero?".
La nonna sospirò, e qualcosa nel suo sospiro la cambiò. Improvvisamente
nei suoi occhi c'era un che di diverso. Si alzò dalla sedia
a
dondolo e uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle
spalle, senza dire una parola.
"Len, se è stato solo un sogno, allora abbiamo sognato le
stesse
cose", gli disse Kaito cupamente. "Anche io ho sognato la storia del
piccolo sogno, e anche io ho sognato che siamo andati di sopra".
"Anche io", si unì timidamente Rin.
"Beh, Rin", tentò di ragionare il fratello, "è
normale che i gemelli facciano sogni simili".
"I gemelli sì, gli amici no", gli ricordò Kaito.
Diede
uno sguardo preoccupato a Meiko e Miku, che se ne stavano in disparte a
fissare il pavimento, i volti corrucciati... quasi arrabbiati. "Secondo
me non si è trattato di un sogno. In un qualche modo,
è
accaduto davvero", finì.
"Ma eravamo tutti morti!",
gli ricordò Len. "E' stato per forza un sogno".
"Magari non eravamo morti sul serio...", tentò Rin.
"Oh,
sì che siete morti sul serio, bambini miei", disse una voce a tutti
ben nota. "E vi dirò di più: tutto
questo non è stato
un sogno, tutto questo è
un sogno. Voi state semplicemente ancora sognando".
"Piccolo
sogno!", esclamarono i cinque all'unisono. Si guardarono intorno, ma
del fantasmino bianco non c'era traccia. C'era solo la nonna, in piedi
sulla soglia della porta, con in mano il libro di fiabe. Era andata di
sopra a prenderlo...
Il primo a capire fu il piccolo Len, uno dei bambini più
intelligenti che si fossero mai visti. Spalancò la bocca, ma
non fu in grado di emettere alcun suono. Poi, anche Kaito
realizzò, ma sul suo viso non apparve alcuna emozione. Il
suo sguardo si limitò ad incupirsi.
Fu Rin a decidersi a prendere la parola:
"Nonnina, sei tu il piccolo sogno, non è vero?".
La nonna sorrise, e tutti poterono riconoscere quel sorriso. L'avevano
già visto tante volte sul volto tagliato da una cicatrice di
un piccolo spettro bianco...
"Ma brava,
Rin. Non è esatto, però. Mi sono impossessato della
cara nonna, perché avevo bisogno di voi. Ora, grazie a voi,
ho tutto quello che desideravo".
"Tutto quello che
desideravi?", ringhiò Kaito. "Ci hai uccisi! Ci hai usato
come bestie da macello! Hai compiuto un... un sacrificio umano!".
"Senza che noi ne sapessimo niente!", si unì Len.
"Bambini
miei. Non ditemi così, vi prego. Lasciate che vi spieghi.
Voi siete entrati nel mio mondo quando vi siete addormentati. Vi
starete chiedendo come mai, se state tutti sognando, non vi siete mai
incontrati prima d'ora. Ho semplicemente fatto entrare nel sogno prima
Meiko, poi
Kaito e poi Miku, mentre Len e Rin ci erano già entrati da
soli. Avete portato al mio mondo tanti aspetti positivi e negativi del
vostro. Ogni singolo filo d'erba, ogni atomo dell'aria che
respiravate lo stavate portando voi stessi, senza
accorgervene.
Era una creazione del vostro inconscio. E ogni volta che i vostri
sentimenti erano troppo
forti,
nasceva una rosa. Mi
avete portato cose meravigliose, ma se vi avessi tenuti in vita prima o
poi vi sareste svegliati, e ciò che mi avevate regalato si
sarebbe dissolto. L'unico modo per far sì che non vi
destaste mai era che io, il vostro stesso sogno, vi uccidessi,
rivoltandovi contro ciò che proprio voi mi avevate portato.
Così facendo, i vostri corpi continueranno a vivere e a
dormire nella vostra stanza da letto al piano di sopra, ma in uno stato
simile al coma. Non si sveglieranno mai più, e quando
avrò finito con questa spiegazione, nemmeno voi esisterete
più all'interno di questo sogno. Restarà solo
ciò che mi avete regalato.
Per i miei cari Len e Rin, invece, è diverso. Non volevo
stare tutto solo nel mio mondo, continuando ad uccidere le persone che
lo visitavano. Avevo bisogno di compagnia, e ho capito subito che voi
due gemelli eravate proprio chi faceva il caso mio. Ma se vi avessi
uccisi io, vi avrei persi!
Dovete sapere, però, che io sono un sogno speciale, diverso
da tutti gli altri. Avete presente quando, in un sogno qualsiasi,
qualcuno vi uccide? Che cosa succede?".
"Ci si sveglia?",
azzardò Rin.
"Esatto,
Rin! Ci si sveglia. Ma non quando il sogno in questione sono io. Se
qualcuno vi uccide mentre siete all'interno del mio mondo, sono solo i vostri corpi
addormentati a
morire. E se solamente i vostri corpi muoiono, voi invece, che
siete le menti, le anime...
continuerete a vivere per sempre nel mio mondo".
I gemelli si
scambiarono un'occhiata terrorizzata.
"Chi... chi ci ha ucciso?", chiese Len. Ricordava di quando Rin aveva
detto di averlo visto ricoperto di sangue, ricordava di quando la mano
di vecchia era uscita dallo specchio e aveva quasi afferrato sua
sorella, ricordava la visione istantanea che aveva avuto di correre per
il cimitero con Rin in braccio. E soprattutto ricordava che, nonostante
tutto questo, avevano continuato a vivere. Erano state delle morti
istantanee... non se ne erano nemmeno accorti...
Il cuore del bambino si ghiacciò quando vide gli occhi di
Miku e Meiko, fino a quel momento zitte e in disparte, illuminarsi di
cattiveria, e due sorrisi malvagi nascere sui loro visi.
"No...", mormorò. "Come... come...".
"Eravate nostre amiche!", urlò Rin disperata, accorgendosi
anche lei dell'espressione delle due bambine. "Ci avete
traditi, ci avete uccisi! Perché?!".
"E' stato il piccolo sogno a dirci di farlo", si giustificò
Miku, mantenendo il ghigno.
"Ma perché gli avete obbedito?!".
"E' semplicissimo", rispose Meiko, indurendo l'espressione fino a
guardare i due gemelli come nemici mortali. "Il piccolo sogno ha deciso
di lasciarvi vivere. Noi invece eravamo destinate a morire. Non
è ingiusto? Dovevate morire anche voi. Il piccolo sogno ci
ha detto di uccidervi, e noi non abbiamo atteso un momento di
più".
"Non posso crederci". Len era allibito. "Ci avete uccisi per... per invidia?!".
"Non è una motivazione più che
legittima? Io ero una bellissima regina e Meiko una forte guerriera,
tutto ciò che avevamo sempre desiderato essere. Se noi non
potevamo continuare a fare tutto quello che volevamo, perché
voi invece avreste dovuto? Così, voi non vi risveglierete
più, e non vedrete più tutte le persone a cui
avete sempre voluto bene. E questo, forse, è peggio della
morte, miei cari".
"Eri tu qulla vecchia nello specchio, Miku?", non poté fare
a meno di chiedere Rin, nonostante la rabbia nei confronti della
bellissima bambina dai capelli verde acqua.
"No". Miku fece una risatina isterica. "E' la personificazione
della mia
vanità.
Però,
quando vi ha uccisi, io non ero ancora del tutto morta, quindi dentro
di lei c'era ancora un po' di me. E' stata lei ad invitarvi al
castello... E' una regina, una regina che continuerà a
dominare
sul
mondo del piccolo sogno. Una regina che probabilmente sarà
per sempre arrabbiata con voi. Ma tanto, anche se tenterà di
uccidervi, voi non morirete mai. Siete già morti!".
Rin prese la mano di Len, gli occhi che rilucevano di paura.
"Le nostre due amiche ci hanno uccisi. Non rivedremo mai più
il nostro mondo e la nostra vita. Io... io...", balbettò Len.
"Ma
bambini! Suvvia, sono sicuro che ci divertiremo tanto nel mio mondo.
Anzi, adesso...". Tutto
si fece scuro, la stanza svanì e la nonna si
tramutò nel fantasmino bianco. Un sorriso a mezzaluna
oscurò il suo viso. "Adesso inizia
la nostra nuova vita!".
Caddero tutti
quando nel vuoto, in un vuoto nero e risucchiante. Meiko fu avvolta da
mani nere quanto quell'oscurità e svanì in una
scia di petali di rosa rossi. Kaito cominciò a sanguinare
alla testa e si dissolse in petali
blu, mentre Miku fu stretta da spinosi rovi fino a tramutarsi in petali
verdi svolazzanti.
Len e Rin continuarono a cadere, a cadere e a cadere, mentre il piccolo
sogno li seguiva, beandosi di quello che sarebbe stato il loro futuro
tutti e tre insieme nel suo nuovo, meraviglioso mondo intriso di petali
sanguinanti.
* * *
Il mondo del piccolo sogno aveva bisogno di tanto, tanto altro.
L'arte. La cultura. Anche la semplice
crudeltà.
Il piccolo sogno è andato in cerca di nuove Alice per tanto,
tanto tempo, mentre Len e Rin lo aspettavano seduti su un prato
all'ombra di un albero.
Ha cercato e cercato, ma non ha mai trovato nessuno di adatto.
Ma potrebbe trovarlo in qualsiasi momento, e potrebbe trattarsi di
chiunque.
Anche di te che stai finendo di leggere questa storia.
Ma dopotutto, con tutte le persone che ci sono al mondo,
perché dovrebbe scegliere proprio te?
Ricorda, però, che è comunque possibile.
Non pensarci ora, però, tu che stai leggendo.
Finisci di leggere, vivi la tua giornata e vai a dormire, entrando nel
mondo di quelli che si chiamano i sogni.
C'è qualche probabilità che tu ne possa
incontrare uno di cui hai già sentito parlare.
Buona notte, e...
...sogni
d'oro.
.: Fine:.
Oh
My Garden! L'ho FINITA! *stappa una bottiglia di spumante
perché è la sua prima "long" conclusa su EFP*
No, davvero, tutto questo mi esalta.
Comunque.
Non so voi ma adoro il "mio" piccolo sogno XD questo epilogo l'ho
scritto tutto d'un fiato (anche se non si può dire "scrivere
una
cosa tutta d'un fiato"! Semmai "di getto"! Però ci stava
bene!),
mi è proprio venuto spontaneo. Finalmente avete trovato
tutte le
spieghe! Spero abbiate capito tutto, se c'è ancora qualcosa
che
non vi è chiaro posso spiegarvelo senza il terrore di
incappare
nel pericolo-spoiler.
Niente, grazie di cuore a tutti quelli che hanno recensito (in ordine
di apparizione).
NELLA PRIMA PUBBLICAZIONE DI QUESTA STORIA (miseramente cancellata):
1) FedyTsubasa
2) JessikaAruno_
3) Amy_Storm
4) Kyoto
5) Claud10107
6) MaxT
7) AliYe
8) sushiprecotto_chan [ti
voglio bene Collega Gatto Scrittore!]
NELLA SECONDA:
1) FedyTsubasa
2) Epic_chan
3) _Chibi_chan_
4) A b c
5) Ismy
E
niente. E basta. E' finita. :((((
Ho in mente di tornare a scrivere sui Vocaloid... mi ci sto
affezionando, più che alla musica a loro come personaggi.
Alla prossima miei cari! Vostra
Sophie Isabella Nikolaevna
|
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